Gabriele Landi: Ciao Aron, che importanza ha nel tuo lavoro il legame con la
tradizione della scultura linea tipica del tuo luogo d’origine?
Aron Demetz: Per diversi anni, durante la mia formazione artistica, ho lavorato sulla capacità di porre interrogativi pressanti sul presente rivolgendomi non solo alla tradizione figurativa, ma addirittura soprattutto confondendomi con lo stile degli artigiani locali che adoperano quale unico materiale d'elezione il legno. Ho sentito la necessità di confrontarmi e considerare la “filiera corta”, che tutt’oggi ritengo sia un valore aggiunto e non un limite. E’ come se inconsciamente avessi in qualche modo avessi voluto insistere nel considerare le mie radici culturali in quanto punto di partenza che rende l'opera davvero necessaria, innescando così quasi un’ossessiva ricerca di un elemento che possa ancora essere usato e manipolato. A testimonianza di questo ci sono le prime sculture con il volto di resina, esposte in occasione per la Biennale di Venezia. Gabriele Landi: L’infanzia con le sue fantasticherie ha giocato un ruolo importante nello sviluppo del tuo lavoro? Aron Demetz: Beh sicuramente un ruolo molto importante! Per anni ho preso spunto da quell’immaginario, ho avuto un’infanzia molto felice e vissuta sempre in ambienti di assoluta libertà immersi nella natura. Sono nato in Val Gardena e qui vivo da sempre. Essendo il primo di 4 fratelli, c'è da dire che fortunatamente la mia infanzia è stata prevalentemente vissuta con i bambini all'aria aperta, boschi e prati... per cui, già l'ambiente da cui ero circondato era sicuramente un’ambiente fervido per l'immaginazione e la creatività. Poi devo ammettere che con il mio primo lavoro che ho iniziato a svolgere all'età di 11 anni, l’immaginazione è stata per anni la mia compagna di viaggio; dagli 11 ai 16 anni infatti, ho portato le mucche al pascolo. Per cinque anni, appena conclusa la scuola partivo per andare in alpeggio e tornavo a casa a fine Agosto, giusto in tempo per riprendere la scuola. In quegli anni ho avuto davvero la possibilità di confrontarmi con me stesso. Tre mesi da solo con le mucche e i miei pensieri, ho imparato a giocare con la fantasia. Un’esperienza molto formativa e a tratti direi filosofica. Gabriele Landi: La rappresentazione del corpo umano è una costante del tuo lavoro come mai questo interesse? Aron Demetz: Ho sempre avuto le idee molto chiare in merito alla mia strada in ambito scultoreo, fin da quando frequentavo l'Accademia di Norimberga. All’epoca ero già interessato alla figura umana, poi durante la frequentazione dell'Accademia ho avuto la possibilità di incontrare un professore che mi ha fatto letteralmente innamorare della figura umana, insegnandomi molto a tal proposito. Per cui quando inizio ad avvicinarmi all'arte, inizio ad approcciarsi all'arte contemporanea proprio attraverso la riscoperta della figura umana. Ho sempre avuto un interesse particolare per le persone, a ciò che sono, a ciò pensano, e a tutto ciò che davvero nascondono sotto la loro scorza. Quindi a tutto il loro mondo interiore. Ed è partendo da questo presupposto che ho deciso di mantenere vivida la ricerca sulla figura umana. Da anni lavoro con l'introspezione, visi sperduti che guardano nel vuoto. Ricordo sempre con piacere un’ osservazione molto pertinente a tal proposito di Vittorio Sgarbi, in un suo scritto; “sussurri visionari di una figurazione che trascende l'immagine per affrontare l'inganno dell'apparenza, del mistero, del dubbio”. Gabriele Landi: A guardare i tuoi lavori sembra che nel tempo ci sia sempre più la volontà, da parte tua, di intervenire sulla forma del corpo con degli accidenti come il fuoco, il non finito di certe parti che lasci grezze o di quelle parti in cui metti in evidenzi il processo di crescita dell’albero. Questo modus operandi traduce visivamente una tua volontà di entrare più in contatto con l'anima della materia? Aron Demetz: Come accennavo precedentemente fin dalle prime opere ho sempre avuto la curiosità di cercare un mondo nascosto, che andasse oltre la figura, un desiderio di complessità, e del rapporto uomo natura, che si è sempre modellato sia nella metafisica dei volti che nella sospesa funzionalità dei corpi. Ho sempre avuto la sensazione che il bisogno di ricerca non riuscisse a placarsi solo ed esclusivamente nella capacità del fare. pur mantenendo chiaro l'intento di affrontare quei segreti del linguaggio, per sfruttare tutte le emozioni e la poesia della materia. Per esempio l’utilizzo del fuoco purificatore, quell'elemento che con la sua forza potrebbe distruggere tutto, placato un attimo prima, quando ancora è solo calore. In questo caso la scultura si fonde con la performance, a segnare un tu per tu tra me e la natura. Quasi come se, fosse una corsa per placare il tempo, cosciente della vera impossibilità, ma con la ferma convinzione dell’irrinunciabile esigenza di creare continuamente nuove ed eterne rinascite, dando vita a ipotetici nuovi percorsi. Ed è proprio il mio confronto costante e diretto con la natura che mi permette di entrare sempre più a contatto con la materia, conducendomi ad una ricerca incessante della sua stessa anima. Gabriele Landi: Esiste nel tuo lavoro un’ansia spirituale? Aron Demetz: Credo che ogni artista che si approccia con sincerità al proprio lavoro, abbia dei dubbi o dei segmenti che non sono ancora chiariti definitivamente. Però sono convinto che siano proprio questi passaggi a creare un certo mistero nell'opera, e in qualche modo è la parte indescrivibile dello spirito che lo spettatore ricerca, e che fa sì che attraverso il suo subconscio riesca ad immergersi davvero nel senso del lavoro