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Biomeccanica del gesto motorio

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Appunti tratti dalle slide fornite a lezione e dalle lezioni stesse

APPUNTI DI BIOMECCANICA DEL GESTO MOTORIO GIULIA SOFIA CHINDAMO


LA BIOMECCANICA DELLA LOCOMOZIONE: IL CAMMINO

La locomozione nell’uomo … pag. 7

Passo statico e dinamico … pag. 7

Il ciclo del cammino … pag. 8

Progressione del cammino … pag. 8

Le fasi del ciclo del cammino … pag. 8

Temporizzazione del ciclo del cammino … pag. 9

Le fasi del ciclo del cammino (2) … pag. 9

Velocità del cammino … pag. 10

Range per adulti sani … pag. 11

Analisi dei movimenti articolari dell’anca … pag. 11

Analisi dei movimenti articolari del ginocchio … pag. 11

Analisi dei movimenti articolari della caviglia … pag. 11

Energia nel cammino … pag. 11

La forza scambiata con il terreno … pag. 12

Attività dei muscoli dell’arto inferiore … pag. 12


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I movimenti più rilevanti del cammino … pag. 13

I sei determinanti del cammino … pag. 13

LA BIOMECCANICA DELLA LOCOMOZIONE: LA MARCIA

La marcia … pag. 13

Modello a ruota stellata … pag. 13

LA BIOMECCANICA DELLA LOCOMOZIONE: LA CORSA

Le fasi della corsa … pag. 14

Durate delle fasi di appoggio e sospensione … pag. 14

Modello massa-molla … pag. 15

Le forze di contatto piede-terreno … pag. 15

Analisi andamento della forza … pag. 16

Relazione tra distanza di atterraggio e tempo di applicazione della forza … pag. 17

Fase di oscillazione e di recupero … pag. 17

Frequenza del passo … pag. 17

Come migliorare la fase di recupero? … pag. 18

Le leggi della corsa … pag. 18


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Muoviamo le braccia perché muoviamo le gambe … pag. 18

Tipologie di movimento … pag. 19

LA BIOMECCANICA DEI SALTI

Il salto verticale … pag. 20

Squat jump … pag. 20

Dinamica … pag. 20

Cinematica del salto … pag. 20

Counter movement jump … pag. 20

Ciclo stiramento-accorciamento … pag. 20

Indice di elasticità … pag. 21

Test di Sargent … pag. 21

Test di Bosco … pag. 21

Il salto in lungo nell’antica Grecia … pag. 21

Il ruolo delle braccia … pag. 22

Il salto in lungo moderno … pag. 22

Il veleggiamento … pag. 23
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Influenza dell’angolo di decollo … pag. 23

Modelli di Alexander e Seyfart … pag. 23

La battuta … pag. 24

La rincorsa … pag. 24

In conclusione … pag. 25

LA BIOMECCANICA DEI LANCI

Lanciare e colpire … pag. 25

Fase precedente al volo … pag. 25

Fase di volo … pag. 25

Velocità di rilascio … pag. 26

Angolo di rilascio … pag. 26

Altezza di rilascio … pag. 26

Equazioni del moto parabolico … pag. 26

Calcoli sul lancio … pag. 26

LA BIOMECCANICA DEL CICLISMO

Evoluzione del ciclismo … pag. 27


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Le forze in gioco … pag. 27

Azioni motrici … pag. 28

Azioni resistenti … pag. 28

La resistenza dell’aria (drag) … pag. 28

Resistenza di forma … pag. 28

Resistenza di superficie … pag. 29

La forza di resistenza aerodinamica … pag. 29

Attrito volvente … pag. 29

Forze ai pedali … pag. 30

Potenza motrice … pag. 31

Indice di efficienza della pedalata … pag. 32

Le fasi della pedalata … pag. 32

Movimenti articolari dell’arto inferiore durante la pedalata … pag. 32

Meccanica della bicicletta … pag. 32

Relazione forza efficace-velocità di pedalata … pag. 33

Relazione forza motrice-velocità di avanzamento … pag. 33


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Relazione forza resistente-velocità di avanzamento … pag. 33

I punti di funzionamento … pag. 33

LA BIOMECCANICA DEL NUOTO

Locomozione in acqua … pag. 35

Forze in gioco … pag. 35

Spinta di Archimede e forza di gravità … pag. 35

Resistenza dell’acqua (drag) … pag. 35

Il drag di forma … pag. 35

Il drag di superficie … pag. 36

Drag d’onda … pag. 36

Come ridurre la resistenza idrodinamica … pag. 36

Equazione del moto nel nuoto … pag. 37

Velocità di progressione … pag. 37

Portanza (lift) … pag. 37

Drag, lift e propulsione … pag. 38

Perdite energetiche … pag. 38


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Potenza di azione e potenza di reazione … pag. 38

Efficienza della propulsione … pag. 38

Come aumentare l’efficienza di propulsione? … pag. 39

LA BIOMECCANICA DELLO SCI ALPINO

Cenni storici … pag. 39

Interazione atleta-attrezzo-ambiente … pag. 39

Forze in gioco … pag. 39

Moto di discesa … pag. 40

Moto di discesa rettilineo ideale … pag. 40

Moto di discesa rettilineo reale … pag. 41

Moto curvilineo … pag. 41

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LA BIOMECCANICA DELLA LOCOMOZIONE: IL CAMMINO

Si potrebbe pensare il termine locomozione come un sinonimo di deambulazione, ma così non è. Il termine
locomozione ha una connotazione molto più generale, in quanto indica lo spostamento di un corpo, umano
o animale, da un luogo ad un altro; pertanto, non si riferisce solo alla deambulazione, ma anche, per esempio,
alla corsa, al nuoto, al volo.

I metodi più naturali di locomozione sono il cammino e la corsa. Già questi due differiscono tra loro, il
cammino ad esempio prevede almeno un piede al contatto con il terreno, mentre la corsa prevede al
massimo un piede a contatto con il terreno pur essendoci momenti di sospensione (in cui nessuno dei due
piedi tocca terra).

Metodi meno naturali sono ad esempio la marcia competitiva, dove i movimenti della camminata vengono
esasperati per muoversi più velocemente senza perdere il contatto con il suolo.

Esistono anche metodi di locomozione che prevedono l’uso di attrezzi, come il ciclismo e lo sci,
rispettivamente con bicicletta e sci.

La locomozione nell’uomo

Il cammino è il metodo di locomozione più diffuso nell’essere umano e utilizza due gambe che hanno funzione
di sostentamento, cioè permettono di mantenere la posizione eretta, e propulsione, cioè consentono di
spostare il corpo in avanti. Non basta però la presenza delle gambe, il cammino coinvolge anche il sistema
muscolo scheletrico e il sistema nervoso che pianifica i movimenti. Alcuni movimenti diventano semi
automatizzati, come la deambulazione, altri vanno pianificati grazie al sistema nervoso centrale.
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Il cammino somiglia ad una serie di cadute controllate in avanti; questa è un’altra differenza tra camminata
e corsa, quest’ultima viene infatti paragonata ad una palla che rimbalza.

Il cammino è una successione di movimenti ritmici alternati degli arti inferiori, del bacino, del tronco, degli
arti superiori e del capo che determinano uno spostamento in avanti del centro di massa 1 e producono,
attraverso una serie di rototraslazioni di tutti i segmenti articolari interessati, la progressione del corpo in
avanti.

Passo statico e passo dinamico

Il passo statico si adotta quando ci si muove lentamente e cautamente, transitando da una postura all’altra
in modo che la forza peso passi per la base d’appoggio del piede o dei piedi. Il peso cade sulla gamba
anteriore, mentre l’altra gamba da supporto ed aiuta a mantenere l’equilibrio. La postura intermedia è di
equilibrio statico e potrebbe essere mantenuta per lungo tempo irrigidendosi.

Il passo dinamico è invece quello molto più utilizzato ed è quello comunemente chiamato cammino. Il corpo
appoggia su di una base piccola (piede) e questo obbliga il sistema locomotore a coinvolgere tutto il corpo
per riuscire a mantenere un movimento opportuno. Le forze e le coppie scambiate dagli arti inferiori sono
trasmesse tramite le articolazioni, i muscoli ed i legamenti al tronco. Le accelerazioni generate dall’arto
superiore e minimamente dal tronco consentono di generare le forze di inerzia che riequilibrano il corpo. Ci
si muove intorno a posizioni di equilibrio, ma non vengono mai assunte posizioni di equilibrio statico.

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Il centro di massa, o baricentro, è il punto di applicazione di tutte le forze peso su di un corpo; la verticale che passa per questo
centro è detta linea di gravità.

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Il ciclo del cammino

Quando si parla di cammino bisogna parlare del ciclo del


cammino. Si definisce ciclo del cammino (gait cycle) il
periodo che intercorre fra due appoggi successivi dello
stesso arto al terreno. Il ciclo del cammino va a definire il
passo, ovvero la distanza tra il tallone di un arto in
appoggio al terreno e il secondo appoggio dello stesso
arto. La distanza dei talloni di due arti diversi è detta
semi-passo.

Progressione del cammino

Qui sono rappresentati i parametri che caratterizzano il ciclo del cammino:

1. Direzione di progressione del cammino.

2. Passo (stride): distanza fra l’appoggio di un tallone e lo stesso tallone al


terreno.

3. e 4. Semipasso (step): distanza fra l’appoggio di un tallone e quello


dell’altro tallone.

5. Angolo del passo: l’angolo che l’asse longitudinale del piede forma con
la linea di progressione del cammino (circa 15°).

6. Larghezza del passo: la distanza fra il centro del tallone posteriormente, 8


sul piano trasverso, e la linea di progressione del cammino (circa 5-6 cm).

Le dimensioni del passo dipendono dall’altezza dell’individuo. Il semipasso corrisponde al 30% dell’altezza
dell’individuo, il passo corrisponde al 70% dell’altezza dell’individuo e l’ampiezza è circa il 2-3% dell’altezza.

Le fasi del ciclo del cammino

Il ciclo del cammino si suddivide in due macro-fasi distinte che sono riferite ad un arto:

• Fase di stance, o fase di appoggio, durante il quale il piede rimane a contatto con il terreno. Dal
momento di appoggio dell’arto al momento dello stacco da terra. Nella normale deambulazione
occupa circa il 60% del ciclo del passo, si accorcia sensibilmente con la corsa, riducendosi fino al 37%
nella corsa veloce.
• Fase di swing, o fase di sospensione, o oscillazione, occupa il 40% della durata totale. L’arto viene
portato avanti per prepararsi all’appoggio successivo, il piede è quindi sollevato dal terreno.

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Temporizzazione del ciclo del cammino

Rispetto alla rappresentazione precedente abbiamo altre informazioni perché prendiamo in considerazione
anche l’arto controlaterale. La fase di stance destra può quindi essere a sua volta suddivisa in tre fasi:

• la prima fase consiste nell’appoggio del piede destro e sinistro, corrisponde al 10% della fase di stance
ed è detta fase di doppio appoggio.
• la seconda fase è detta fase di singolo appoggio e corrisponde a quel 40% dello swing del piede
sinistro.
• la terza fase consiste nella fase finale del contatto destro e nella fase iniziale del contatto sinistro,
anche questa è detta fase di doppio appoggio.
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La fase dedicata alla sospensione aumenta all’aumentare della velocità mentre la fase di doppio appoggio si
riduce ad aumentare della velocità fino ad annullarsi nella corsa, dove sarà presente la fase di volo.

Le fasi del ciclo del cammino (2)

Le micro-fasi di appoggio e sospensione sono convenzionalmente otto: cinque per la fase di appoggio e tre
per la fase di sospensione.

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Andiamo a prendere
fase per fase e a definire cosa accade per ognuna di esse. Le prime cinque sono le fasi di stance:

• Contatto iniziale (CI). Fase brevissima che va dallo 0 al 2% del ciclo del cammino. Il piede proiettato
in avanti tocca il suolo con il tallone. Qui inizia il doppio appoggio ed il carico si sposta gradualmente
da un arto all’altro.
• Loading response. Si estende circa dal 2% al 12% del ciclo del cammino. Il piede si appoggia per intero
al terreno e la caviglia ha una leggera flessione dorsale in risposta al carico sull’arto del peso del
corpo. Inizia l’avanzamento del tronco rispetto al piede che resta fermo.
• Mid stance. Si estende dal 12% al 31% del ciclo del cammino. Inizia con il distacco dell’alluce del
piede controlaterale. Si ha il termine del doppio appoggio. È la fase di singolo appoggio su di un piede.
Termina quando le caviglie sono allineate sul piano frontale. Il tronco continua ad avanzare.
• Terminal Stance. Si estende dal 31% al 50% del ciclo del cammino. Inizia con il sollevamento del
tallone da terra. Termina quando l’arto controlaterale tocca interamente il suolo. L’arto ha superato 10
la verticale ed il corpo inizia a cadere in avanti, il ginocchio si flette leggermente sotto il suo peso ed
il centro di massa si abbassa. Inizia il doppio appoggio. Inizia anche la fase di spinta quando l’appoggio
è sull’avampiede fornendo una spinta in alto ed in avanti.
• Pre Swing. Dal 50% al 62% del ciclo del cammino. È la fase di trasferimento del peso. I muscoli
posteriori della gamba entrano in contrazione e producono l’estensione della caviglia e delle
articolazioni metatarso-falangee, continuando a fornire una spinta verso l’alto ed in avanti.
L’appoggio sull’alluce aiuta a mantenere l’equilibrio facilitando il passaggio del carico sull’arto
controlaterale. Termina con lo stacco dal terreno delle dita dell’arto di interesse (termine del doppio
appoggio).

A queste seguono le fasi di swing:

• Initial Swing. Fase di distacco. Dal 62% al 75% del ciclo del cammino. Inizia con il distacco dell’alluce
dell’arto di interesse dal suolo. Comporta lo spostamento in avanti dell’arto inferiore di interesse
subito dopo lo stacco conseguente alla flessione di anca, ginocchio, e contemporanea dorsiflessione
del piede.
• Mid Swing. Sospensione media. Dal 75% al 87% del ciclo del cammino. Coinvolge lo spostamento
dell’arto di interesse da una posizione posteriore al tronco ad una anteriore. Simultaneamente la
caviglia si flette per azione del tibiale anteriore e recupera l’estensione che aveva spinto il corpo in
avanti alla fine dell’appoggio.
• Terminal swing o sospensione finale. Copre l’ultimo intervallo del ciclo del cammino. Si ha la
continuazione del movimento progressivo dell’arto di interesse ed il completamento dell’estensione
del ginocchio e della caviglia in preparazione al successivo contatto al suolo.

Velocità del cammino

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Quando si parla di velocità del cammino si fa spesso riferimento alla cadenza:
cadenza (c) = 60 fsp (semipassi /minuto)
Altri parametri spesso legati al cammino sono la frequenza di semipasso (fsp), frequenza di ciclo (fc) e il
tempo di ciclo (tc).
La frequenza del semipasso (fsp)(Hz) è legata alla cadenza:
𝑐
𝑓𝑠𝑃 =
60
Il tempo di ciclo (che comprende due semipassi) sarà quindi:

La velocità del cammino può quindi essere calcolata in funzione della lunghezza del semipasso (l sp) o
lunghezza del ciclo (lc):

Range per adulti sani

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In questa tabella sono riassunti i range indicativi dei parametri che abbiamo menzionato per adulti sani. In
questo caso con “passo” si intende il “semi-passo”. La cadenza è superiore nelle femmine rispetto ai maschi,
infatti la velocità è minore; è inferiore anche la lunghezza ciclo, mentre quella dei maschi è maggiori, e questo
va ad impattare sulla velocità.

Analisi dei movimenti articolari dell’anca

Durante la prima metà del ciclo del cammino l’anca continua ad estendersi. Lo fa fino a quando il tronco viene
spinto in avanti e inizia l’appoggio2 del piede controlaterale (fino alla fase di pre-swing). Durante la fase di
sospensione va in flessione e la flessione continua per portare l’arto in avanti.

Analisi dei movimenti articolari del ginocchio

Inizia con una piccola flessione che abbassa la traiettoria verticale del tronco quando passa sopra l’arto.
Quando il tronco oltrepassa l’arto di supporto inizia ad estendersi. Dopo l’appoggio del piede controlaterale,
quando il tallone del piede di interesse si alza, inizia una lenta flessione, che consentirà:

• Il distacco del piede dal terreno all’inizio della fase di sospensione


• L’oscillazione dell’arto senza toccare terra

Analisi dei movimenti articolari della caviglia

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La fase di appoggio non presenta mai le estensioni contemporaneamente delle tre articolazioni.
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A partire da una posizione relativamente flessa fino al primo contatto, la caviglia inizia una breve estensione.
Quando la pianta è completamente appoggiata al terreno inizia una flessione mentre il corpo avanza
orizzontalmente, sopra l’arto di supporto.

Quando il tallone si alza, inizia l’estensione, che termina subito dopo il distacco del piede dal suolo. Inizia
quindi la flessione che consente al piede di non toccare terra durante la sospensione.

Energia nel cammino

Qui abbiamo un’energia


potenziale di tipo
gravitazionale definita da 𝐸𝑝 =
𝑚𝑔𝑦𝐺 e un’energia cinetica
1
definita da 𝐸𝑐 = 𝑚𝑥𝐺2 . È stato
2
dimostrato che in situazioni
ottimali la somma di queste
due energie sia costante e per
spiegare questo fatto è stato
proposto un modello detto
“dell’uovo che rotola” che
rappresenta le variazioni di altezza e di traslazione orizzontale del centro di massa. Alla massima altezza del
centro di massa si ha il massimo dell’energia potenziale, mentre l’energia cinetica è nulla; mentre rotola
aumenta il contributo dell’energia cinetica e diminuisce quello dell’energia potenziale. Dobbiamo
immaginare che la fase di spinta è dovuta all’estensione della caviglia che solleva il centro di massa e aumenta
l’energia potenziale; man mano che il centro cade in avanti l’energia si trasforma in energia cinetica che
consente di muovere il corpo in avanti. 12

La forza scambiata con il terreno

Durante la fase di appoggio del piede al terreno, la forza scambiata cambia in direzione, intensità e punto di
applicazione seguendo un andamento “a farfalla”. Nella fase iniziale la forza ha componente verticale di
supporto e componente orizzontale che si oppone al moto. L’intensità aumenta rapidamente, la direzione
tende a diventare verticale ed arriva a superare in modulo la forza peso. Nella fase centrale rimane circa
verticale ma l’intensità diminuisce, fino a scendere sotto la forza peso. Nell’ultima fase l’intensità aumenta
nuovamente e la direzione ruota in avanti per dare la spinta.

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Attività dei muscoli dell’arto inferiore

Nella fase di doppio appoggio iniziale abbiamo una azione


stabilizzatrice dei flessori dorsali del piede (tibiale anteriore)
per impedire l’estensione dovuta al peso corporeo; quando
il piede è in totale appoggio la loro azione cessa. Per
stabilizzare il bacino si attivano gli abduttori dell’anca (fra
questi i fasci del gluteo) che evitano la caduta laterale. Per
sostenere il peso corporeo si attivano gli estensori dell’anca
(gluteo) ed il quadricipite.

Nella fase di singolo appoggio durante la quale la gamba


ruota facendo perno sulla caviglia e il baricentro si sposta in
avanti, per limitare la rotazione della gamba e poi sollevare
la caviglia si attivano gli estensori della caviglia, ovvero il
tricipite surale. Nella prima fase il gluteo spinge ed il
ginocchio deve essere sostenuto dal quadricipite. Nella fase
di spinta agiscono tricipite surale, estensore della gamba
(quadricipite) ed estensori dell’anca.

Alla fine del secondo doppio appoggio avviene il distacco del


piede dal terreno e la flessione del ginocchio. Il quadricipite
arresta la flessione del ginocchio, si attivano i flessori
dell’anca (ileopsoas). Queste attivazioni portano
all’oscillazione dell’arto in avanti; il tibiale anteriore si attiva
per sollevare la punta del piede. 13
Durante la sospensione la gamba è portata in avanti principalmente dal peso. Si attivano gli estensori
dell’anca e i flessori dorsali della caviglia per evitare che il piede tocchi il suolo. Alla fine della sospensione si
attivano gli hamstring ed il quadricipite per decelerare l’arto e prepararlo all’impatto.

I movimenti più rilevanti del cammino

I movimenti più importanti durante il cammino sono così riassumibili:

• Oscillazione degli arti superiori in opposizione all’arto inferiore dello stesso lato.
• Torsione dell’anca (ampiezza rotazionale sul piano trasverso: +/- 6°) e delle spalle (ampiezza
rotazionale sul piano trasverso: +/- 3.5°) in direzioni opposte.
• Il bacino ha oscillazioni verticali ed orizzontali.
• L’anca si abbassa nel piano frontale verso la gamba sospesa e si sposta verso la gamba in appoggio.

I sei determinanti del cammino

Il nostro corpo tende a ridurre il consumo energetico anche durante il cammino. Per fare questo devono
essere limitate le oscillazioni verticali del baricentro. A questa ottimizzazione contribuiscono i sei
determinanti del movimento.

1. Basculamento pelvico. L’anca oscilla nel piano trasversale per aumentare la lunghezza del passo e
ridurre le escursioni di quota del baricentro.
2. Rotazione pelvica. Il bacino si inclina verso la gamba sollevata per ridurre le escursioni di quota del
tronco.
3. Flessione del ginocchio. Accorcia la gamba nella fase intermedia dell’appoggio.
4. Appoggio sul tallone. Il tallone allunga la gamba ad inizio contatto.
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5. Spinta con l’avampiede. Il piede allunga la gamba a fine contatto. Si mantiene la quota del baricentro
quasi costante riducendo il lavoro antigravitario.
6. Riduzioni delle basi di appoggio. Le oscillazioni laterali del bacino sono limitate perché la base di
appoggio è piccola.

LA BIOMECCANICA DELLA LOCOMOZIONE: LA MARCIA

La marcia

La marcia competitiva è un metodo di locomozione derivato dal cammino, che viene utilizzato in alcune
competizioni agonistiche in cui è vietato correre. Non è un metodo naturale come la camminata o la corsa.
Nella marcia almeno un piede deve essere sempre a contatto con il terreno, inoltre il ginocchio dell’arto in
appoggio deve essere completamente esteso finché il tronco sia passato sopra il piede. Per marciare
velocemente, l’atleta deve quindi modificare lo stile del cammino esasperando alcuni aspetti del movimento,
tra i quali l’ancheggiamento e l’oscillazione di tronco e braccia. La velocità raggiunta dall’atleta è intorno a 4
m/s, velocità che in condizioni normali indurrebbe una persona a correre (anche perché il dispendio
energetico sarebbe minore).

Modello a ruota stellata

Nella marcia, il modello a ruota stellata consente di


identificare la traiettoria del baricentro (o centro di
massa). Il modello a pendolo inverso invece è diverso tra
cammino (linea continua) e marcia (linea tratteggiata) ed
è derivato dal modello a ruota stellata e dalle relative
traiettorie del baricentro. Nel cammino il ginocchio in
appoggio si flette per ammortizzare il moto e contenere le 14
variazioni di posizione verticale del baricentro. Nella
marcia competitiva il ginocchio deve essere bloccato.

LA BIOMECCANICA DELLA LOCOMOZIONE: LA CORSA

La corsa è un metodo di locomozione naturale che fa un uso alternato delle due gambe, ma, a differenza del
cammino e della marcia, vi sono istanti in cui non vi è contatto del piede col terreno; questa fase viene detta
fase di volo.

Le fasi della corsa

Nel caso della camminata abbiamo il contatto iniziale con


il tallone, quindi l’appoggio iniziale durante il quale il
soggetto è in fase di doppio appoggio, il contatto
completo con il suolo della gamba d’interesse, durante il
quale si avrà l’inizio del singolo appoggio, la propulsione,
e poi inizierà la fase di swing. Comunque, un piede è
sempre a contatto con il terreno.

Durante la corsa vediamo chiaramente che c’è una fase


di sospensione dove entrambi i piedi sono distaccati da
terra. Prendendo ad esempio sempre la gamba destra,
vediamo che dopo la sospensione andrà in appoggio a cui seguirà la spinta che porterà ad un’altra fase di
sospensione. Ci sarà poi un appoggio della gamba controlaterale durante la quale la nostra gamba di interesse
viene portata in avanti (fase di oscillazione) e ci sarà una nuova fase di sospensione. Inoltre, vengono
rappresentate le traiettorie del centro di massa, che in entrambi i casi è di tipo sinusoidale.
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Il ciclo della corsa inizia con l’appoggio di un piede che esegue la fase di appoggio, segue la sospensione e
torna in appoggio sull’arto contro laterale.

• Fase di appoggio. All’inizio del contatto il ginocchio è leggermente flesso per favorire il molleggio,
continua a flettersi e la quota del baricentro diminuisce. Poi il ginocchio si estende proiettando il
corpo in alto ed in avanti. Al termine del contatto la gamba è completamente estesa.
• Fase di volo. Inizia quando entrambi i piedi sono staccati dal terreno e termina quando l’altro piede
tocca terra.
Fase di sospensione. Per sospensione si intende la stessa cosa della fase di volo, cioè quando
entrambi i piedi non sono in contatto con il terreno.
• Fase di oscillazione. Quando ci riferiamo alla gamba di interesse ed essa è in oscillazione durante
l’appoggio controlaterale.

La traiettoria del baricentro si può scomporre in due fasi:

1. Durante la fase di appoggio è una parabola con concavità verso l’alto (la quota del baricentro a
partire dall’appoggio diminuisce per poi aumentare fino alla completa estensione del ginocchio).
2. Durante la fase di volo è una parabola con concavità verso il basso e la massima quota si raggiunge
circa a metà.

Durate delle fasi di appoggio e sospensione

In questa figura viene rappresentata la temporizzazione delle fasi di appoggio e di sospensione. In caso di
corsa lenta abbiamo la fase di appoggio singolo che è il 40% a cui segue un 10% in cui si ha fase di volo a cui
segue un 40% di oscillazione della gamba che da dietro viene portata in avanti, a cui segue nuovamente una
sospensione di entrambi i lati.
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Le tempistiche variano andando ad aumentare la fase di volo ad aumentare della velocità.

Nello sprint abbiamo un appoggio della gamba


sinistra a cui segue un 30% di fase di sospensione
a cui segue un’oscillazione del 20% della gamba
sinistra che da dietro viene portata in avanti;
segue una fase di sospensione del 10%, per poi
andare in appoggio. In questo caso quindi
l’appoggio è dimezzato ed è aumentata la fase di
sospensione; a seconda della velocità le durate
delle fasi cambiano notevolmente.

Modello massa-molla

Se il cammino è paragonato ad una serie di


cadute controllate, la corsa può essere
paragonata al rimbalzo di una palla. La
gamba in appoggio può essere paragonata
ad una molla con le proprietà elastiche
date dagli allungamenti ed accorciamenti
del muscolo e le proprietà visco-elastiche
date dalla deformazione dei tendini e dei
muscoli.

Durante le prime fasi di appoggio i muscoli ed i tendini dell’arto inferiore si allungano immagazzinando
energia elastica che verrà restituita durante la fase finale di appoggio, cioè durante la spinta. Dato che la
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deformazione non è puramente elastica, solo una parte dell’energia potrà essere recuperata. Il restante deve
essere rigenerato dai muscoli.

Un altro modello con cui possiamo approssimare il


comportamento del nostro corpo durante la corsa prende in
considerazione non solo l’arto inferiore ma anche il resto del
corpo, in particolare è stato proposto un modello dove sono
presenti due masse, una massa rappresenta la gamba e il piede
mentre la massa due rappresenta il resto del corpo e si va a
reggere su due molle. Questo modello ci aiuterà a calcolare la
forza di contatto al suolo.

Le forze di contatto piede-terreno

La forza di contatto non è solo verticale o solo


orizzontale, ma obliqua, cioè si va a scomporre
nelle sue due componenti (verticale ed
orizzontale). In questa figura abbiamo una
prima rappresentazione di queste due
componenti: quella orizzontale (Fx) che ha
andamento sinusoidale e quella verticale (Fy)
che ha andamento a campana. Da notare che
qui viene rappresentato in maniera generale da
un doppio picco: il primo picco compare solo se
l’atleta fa in appoggio sul tallone e scompare se
l’atleta appoggia il piede sull’avampiede. 16
Analisi andamento della forza

Qui vediamo il confronto tra i due tipi di appoggi. Essi hanno


andamento simile quando c’è il completo appoggio.

Per un atleta che vuole raggiungere alte velocità di corsa, quale


è il modo migliore per applicare la forza?

Qui entra in gioco la variabile del momento lineare o quantità


di moto (Q):

𝑄 = 𝑚𝑣
Per aumentare la velocità di una massa costante posso aumentare la forza applicata oppure applicare la forza
più a lungo.

𝐹𝛥𝑡 = 𝐽
𝐽 = 𝐹𝛥𝑡 = 𝑚𝑎𝛥𝑡 = 𝑚𝛥𝑣 = 𝛥𝑄
Maggiore è la forza impulsiva (J) e maggiore sarà la variazione della quantità di moto e maggiore sarà la
velocità che il corpo assume.

Il picco della forza verticale dipende dalla durata dell’appoggio (Ta) e dal tempo di volo (Tv), che variano al
variare della velocità.

𝑇𝑠 = 𝑇𝑣 + 𝑇𝑎

Quindi, quando corriamo, per aumentare la velocità dobbiamo:


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• aumentare la forza impulsiva
• applicare la forza il più a lungo possibile
• aumentare la frequenza del passo
• applicare la forza nella direzione corretta, ovvero indietro; se l’applichiamo in avanti, la forza di
reazione opposta al suolo è negativa (terza legge di Newton) e ci fa frenare.

L’impulso può essere frenante o propulsivo; l’impulso totale è la somma dei due, quindi per accelerare quello
propulsivo deve essere maggiore dell’impulso frenante.

La forza orizzontale ha un’ampiezza pari al 10-15% del picco di quella verticale. In ogni fase della corsa,
l’andamento della forza orizzontale è sinusoidale in cui la parte negativa corrisponde all’impulso frenante
L’impulso frenante dipende dalla distanza di atterraggio del piede al suolo rispetto al corpo. Se atterra troppo
avanti, l’impulso frenante è molto alto e rallenta.

L’impulso frenante dipende


dalla distanza di atterraggio
del piede al suolo rispetto al
corpo; infatti, se il piede
atterra troppo davanti al
corpo, l’impulso frenante
sembra essere troppo alto e
questo va a rallentare
troppo l’attività.

Relazione tra distanza di


atterraggio e tempo di
17
applicazione della forza

Durante la fase propulsiva il piede si allontana dal corpo, permettendo di produrre una forza propulsiva per
maggiore tempo, generando un maggiore impulso propulsivo. D’altra parte, ai velocisti, viene insegnato di
mantenere il contatto a terra il meno possibile (meno di 0.1 s), atterrando con il piede non troppo avanti al
corpo minimizzando i tempi di contatto. Quindi maggiore sarà la distanza, maggiore sarà il tempo per
produrre un impulso propulsivo.

Fase di oscillazione e di recupero

Con il termine fase di oscillazione si intende il movimento per portare l’arto dalla posizione anteriore a quella
posteriore rispetto al corpo. La fase di recupero indica invece il movimento per portare l’arto inferiore di
nuovo avanti.

Per completare la fase di oscillazione rapidamente, dobbiamo compiere rapidamente anche la seconda.

Frequenza del passo

Gli arti inferiori possono oscillare più rapidamente innanzitutto vincendo l’inerzia di un arto. Infatti ogni corpo
rimarrà a riposo o continuerà a muoversi con velocità costante finché la risultante delle forze che sono
applicate ad esso non sia pari a 0.

𝐼 = 𝑚𝑟 2
m: massa della gamba

r: distanza della massa dal centro di rotazione dell’anca

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In questo caso, la distanza della massa dal centro di rotazione è elevata al quadrato, quindi per cambiare lo
stato di moto di questa massa, conta molto r.

Esiste un legame inversamente proporzionale tra l’accelerazione angolare di un oggetto ed il suo momento
di inerzia.
𝜏
𝛼=
𝐼
Dove 𝜏 = 𝐹𝑑 cioè il momento della forza con d braccio della forza (parametro invariabile). Nel caso della
corsa, i muscoli coinvolti nell’oscillazione della gamba sono il grande gluteo ed i muscoli posteriori della
coscia, il cui braccio costituisce la distanza fra la loro inserzione ed il centro articolare.

Aumentare il momento torcente comporterà un aumento della velocità angolare dell’arto inferiore e quindi
della velocità lineare del piede. Nel caso dell’arto inferiore, il braccio della forza non può cambiare, quindi
bisogna allenare la forza ed aumentarla.

La relazione tra il momento torcente e la velocità è espressa mediante i concetti di momento angolare (𝐻 =
𝐼𝜔) e di impulso angolare (𝜏𝑡).

𝜏𝑡 = 𝐼𝜔 → 𝜔 = 𝜏𝑡/𝐼

Un impulso angolare crea una variazione nella velocità angolare di un oggetto che ha un dato momento di
inerzia.

Quindi, per fare oscillare più rapidamente l’arto inferiore durante uno sprint occorre:

• aumentare il momento torcente generato dai muscoli dell’anca


• ridurre il momento di inerzia (I) riducendo la massa dell’arto inferiore e portando la massa il più vicino 18
possibile al centro articolare dell’anca.

Come migliorare la fase di recupero?

Poiché aumentare il momento torcente è difficile a causa dei relativamente piccoli muscoli implicati in questo
movimento, si ricorre a strategie per ridurre il momento di inerzia (ad esempio, flettendo la gamba sulla
coscia).

Le leggi della corsa

Consideriamo due leggi: la terza legge di Newton e la legge di conservazione del movimento angolare.

Secondo la terza legge di Newton, per ogni azione angolare corrisponde una reazione angolare uguale e
opposta.

Inoltre, noi sappiamo anche che l’energia non può essere né creata né distrutta ma rimane costante, questo
vale sia per un sistema statico sia dinamico, come un corpo in movimento. Parlando di movimenti curvilei
possiamo dire che il momento angolare rimane invariato all’interno di un dato sistema, a meno che non ci
siano forze esterne che influenzano il sistema (legge di conservazione).

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In questa immagine abbiamo una dimostrazione del principio di
conservazione nel movimento angolare e ci spiega perché i gatti
riescono a cadere in piedi. Sono infatti stati fatti alcuni esperimenti che
hanno dimostrato che la conservazione del movimento angolare
consente ai gatti di atterrare sempre in piedi quando cadono di schiena
da una certa altezza. In particolare, questa altezza sembra essere il
settimo piano di un palazzo.

Innanzitutto, bisogna dire che il gatto è in grado di piegare la schiena in


modo che le due metà del corpo possano ruotare su due assi di
rotazione diversi. Praticamente, quindi, le due metà del corpo possono
ruotare in maniera separata. Una volta piegata la schiena, il gatto allunga gli arti inferiori in modo da
aumentare il loro momento di inerzia e raccoglie gli arti superiori in modo da ridurre il loro momento di
inerzia, di conseguenza viene ruotata la parte superiore del corpo. Dopodiché accorcia gli arti inferiori e
allunga quelli superiori in modo da ruotare anche l’altra metà del corpo, lasciando costante il momento
angolare e consentendo al gatto di atterrare in piedi senza farsi del male.

Sempre per il principio di conservazione del momento


angolare possiamo descrivere quello che accade ad un
tuffatore che si sta lanciando da un trampolino. Infatti, il
tuffatore si stacca dal trampolino con un certo momento
angolare che si viene a creare dalla forza di reazione del
trampolino stesso (quando lui si spinge da esso), una volta in
aria l’atleta modifica la posizione dei suoi segmenti andando
a raccogliere gli arti superiori ed inferiori e riuscendo così ad
indurre una rotazione rapida perché si riduce il momento di 19
inerzia. Dato che la quantità di moto si conserva, la velocità
aumenta. D’altra parte, quando è vicino all’acqua, il tuffatore deve aumentare l’inerzia, quindi rilascia gli arti
e li libera per entrare in acqua il più verticalmente possibile.

Muoviamo le braccia perché muoviamo le gambe

Perché muoviamo le braccia? La risposta è molto semplice e si rifà al principio di conservazione del momento
angolare. Muoviamo le braccia perché muoviamo le gambe, per conservare il momento angolare.

Quando abbiamo le gambe il più lontano possibile dal corpo, significa che stanno per invertire la direzione. Il
momento angolare e lineare sono circa pari a zero.

È come se gli arti inferiori stessero ruotando attorno alla linea mediana, che passa per il centro di massa, in
senso orario, con momento angolare coerente; per controbilanciare, il bacino ruoterà in senso antiorario. Gli
arti superiori si muovono in senso antiorario, alternatamente agli arti inferiori; il tronco per controbilanciare
si muoverà in senso orario con relativo momento.

Quindi il tronco ha movimento orario per controbilanciare gli arti superiori mentre il bacino compie il
movimento in senso antiorario per controbilanciare gli arti inferiori, in questo modo i due movimenti si
annullano.

In sintesi, è tutta una questione di conservazione del movimento angolare.

Maggiore sarà la velocità di corsa e minore sarà la rotazione del tronco e quindi minore sarà il movimento
degli arti superiori.

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Il momento angolare delle gambe varia durante il passo e allo stesso modo varia anche quello delle braccia.
Varia perché cambia la distribuzione delle masse del corpo nei confronti dei centri di rotazione, quindi varia
l’inerzia e la velocità angolare con la quale le masse si stanno muovendo.

In generale, il momento angolare degli arti superiori è uguale ed opposto a quello degli arti inferiori.

Un’oscillazione ottimale degli arti superiori si ottiene quando essi vengono ruotati all’indietro lungo il piano
sagittale, in senso opposto a quelli inferiori. La lunghezza del braccio deve variare in modo tale da generare
un momento angolare tale da controbilanciare il momento angolare degli arti inferiori istante per istante. Al
momento del contatto con il piede al suolo, il braccio deve essere esteso rapidamente per aumentare il suo
momento angolare, dato che quello relativo agli arti inferiori è massimo. Quando il piede si muove dietro il
corpo gli arti superiori devono flettersi per ridurre il momento angolare nel momento in cui viene ridotto
quello degli arti inferiori.

La fase di oscillazione degli arti superiori verso il basso e all’indietro dovrebbe essere vigorosa perché questo
spinge il corpo in avanti e aumenta la velocità, secondo la terza legge di Newton. La fase di recupero invece
deve essere lasciata a carico del ritorno elastico di muscoli e tendini, senza troppo vigore perché un’elevata
velocità rallenterebbe la corsa.

Tipologie di movimento

La pista ha un tratto curvilineo, che corrisponde ai 120m iniziali, e uno rettilineo.

Di conseguenza, il moto dell’atleta è un moto lineare che avviene su un tratto curvilineo e uno rettilineo,
quindi prende il nome di moto lineare rettilineo e moto lineare curvilineo.

Fasi della corsa


20
• Fase di accelerazione, che corrisponde ai primi 50m;
• Fase di velocità massima, dai 50m ai 150m;
• Fase di decelerazione, dai 150m ai 200m.

È più facile che vinca la gara sui 200m un atleta con la maggior accelerazione iniziale o un atleta che la
raggiunge la velocità massima più alta? In quale fase conviene diminuire la durata per avere un tempo totale
migliore?

Migliorare del 3% il tempo della fase di velocità massima (viene percorsa la distanza maggiore) ha un effetto
maggiore sulla velocità media e di conseguenza sul tempo totale rispetto ad un miglioramento sulle tre fasi.

LA BIOMECCANICA DEI SALTI

Il salto verticale

Il salto verticale è un movimento previsto in molti sport, non solo per tentare di raggiungere la massima
altezza, ma anche per colpire o intercettare (ad esempio, la traiettoria di una palla). La performance nel salto
verticale è un tipico indicatore delle capacità atletiche legate alla forza esplosiva.

Squat Jump

Lo squat Jump è un esercizio molto utilizzato che prevede il piegamento delle ginocchia a 90°, piedi pari alla
lunghezza delle spalle, talloni aderenti al suolo, busto eretto, mani ai fianchi, per poi eseguire un salto
verticale senza contro movimenti.

Dinamica

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Durante la fase aerea del salto l’unica forza in gioco è la forza peso, che è diretta verso il basso, poiché non
c’è un moto orizzontale. L’equazione del moto del centro di massa viene definito come se tutte le forza
agissero su tale centro di massa. Sapendo che F=ma, scomponiamo le varie componenti:

Cinematica del salto

Nel salto abbiamo un moto rettilineo uniformemente decelerato in cui:

𝑎 = 𝑐𝑜𝑠𝑡
𝑣 = 𝑣0 + 𝑎𝑡
1
𝑆 = 𝑆0 + 𝑣0 𝑡 + 2 𝑎𝑡2

Dove y indica l’altezza del centro di massa, mentre vy indica la velocità verticale.

Nel grafico sulle ascisse viene rappresentato il tempo, che nel caso del salto
rappresenta la durata della fase aerea, mentre sulle ordinate viene
rappresentata la variazione della posizione del centro di massa dell’atleta che
sta saltando. 21

Counter movement jump

Rappresenta un altro tipico esempio di salto verticale; si parte in posizione eretta, segue un piegamento sulle
gambe di circa 90° che consente al soggetto di incrementare la successiva spinta. L’altezza massima raggiunta
è superiore rispetto allo squat jump.

Ciclo stiramento-accorciamento

Infatti, ci troviamo in un tipo di lavoro pliometrico in cui si assiste ad un ciclo di stiramento e accorciamento;
quindi, ad una fase di contrazione eccentrica e poi concentrica che porta all’accumulo di un’energia elastica
che viene poi riutilizzata durante la spinta. L’elevazione che si va a raggiungere con il counter movement
jump è del 18-20% superiore rispetto allo squat jump. Inoltre sembra esserci anche una maggiore tensione
muscolare ottenuta per via riflessa.

Indice di elasticità

Sia lo squat jump che il counter movement jump misurano la forza esplosiva. Nello squat jump la capacità di
salto dipende dalle fibre e dalla capacità di reclutamento; nel counter movement jump è determinante la
capacità del muscolo di accumulare elasticità e di restituirla nell’attivazione concentrica successiva.

La differenza tra la performance nel counter movement jump e nello squat jump è indicata come indice di
elasticità (IE= CMJ-SJ/SJ x 100).

Test di Sargent

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L’obiettivo è la valutazione della forza esplosiva. Essa è una forza veloce, rappresenta la capacità condizionale
del sistema neuromuscolare di vincere resistenze massimali con un’elevata velocità di contrazione. La forza
veloce combina quindi il concetto di forza con quello di velocità.

Il test si esegue inizialmente misurando l’altezza iniziale con un braccio disteso sopra la testa e
successivamente si andranno ad eseguire diversi movimenti a seconda di ciò che si desidera valutare (potenza
esplosiva elastica globale, potenza esplosiva elastica degli arti inferiori o potenza esplosiva degli arti inferiori).

I passaggi da seguire per il corretto svolgimento del test sono:

1. Si esegue un salto con precaricamento degli arti inferiori e slancio degli arti superiori.
2. Si esegue un alto con precaricamento degli arti inferiori e spinta immediata senza l’uso degli arti
superiori, che vengono tenuti distesi sopra la testa durante tutto il movimento.
3. Si effettua un precaricamento sugli arti inferiori (con la coscia parallela al suolo) con seguente spinta
verso l’alto (sempre con gli arti superiori distesi sopra il capo). Si misura infine l’altezza massima
raggiunta (con le dita) durante i diversi movimenti.

Test di Bosco

Misura la forza esplosiva attraverso la misura della capacità di salto. Caratterizzato da una pedana collegata
ad un timer che misura il tempo di volo (dt) da cui si risale all’elevazione. Se nel caso di prima ci mancava il
tempo di volo, ora ci manca l’altezza raggiunta e la ricaviamo grazie ad una delle equazioni che descrivono il
moto rettilineo uniformemente accelerato.

22

Il salto in lungo nell’antica Grecia

Nell’antica grecia, il salto in lungo veniva effettuato senza rincorsa e la spinta avveniva con l’ausilio di due
pesi. Più recentemente, nel 2005, si dimostrò che impugnando due pesi da 2.3 kg l’uno, la lunghezza del salto
aumenta circa del 6%, perchè i pesi amplificano il movimento.

Il ruolo delle braccia

Il ruolo delle braccia è stato studiato tramite “esperimenti” confrontando il salto da fermo con le braccia
libere o bloccate vicino al tronco. Per rilevare in maniera più efficace i movimenti, sono stati utilizzati marker
riflettenti che attraverso l’acquisizione e riflessione hanno permesso di individuare e immagazzinare in un
software i movimenti. Inoltre, è stata utilizzata anche una piattaforma di forza per rilevare le forze scambiate
con il terreno durante le varie fasi di movimento.

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Numericamente, se calcoliamo l’integrale della curva dei grafici nel tempo, troviamo l’area sottostante alle
curve che rappresenta l’impulso di forza.

Maggiore è l’impulso, maggiori saranno le velocità del baricentro e maggiori saranno le distanze dei salti. Una
volta spiccato il salto il soggetto è sottoposto alla forza peso ed il baricentro seguirà un’equazione parabolica
che dipende dalla posizione e dalla velocità del baricentro allo stacco. Il salto in lungo è misurato però come
lunghezza dalla linea di stacco al punto più arretrato dell’atterraggio e quindi ad influenzarlo saranno anche
i movimenti delle braccia e delle gambe. Il movimento delle braccia produce un salto migliore di circa il 20%,
e questo è dovuto a diversi fattori tra i quali l’aumento della velocità di decollo, il baricentro più avanzato al 23
decollo e il piede più avanzato all’atterraggio.

Il salto in lungo moderno

Il salto in lungo moderno si compone di quattro fasi:

1. Rincorsa, ha lo scopo di far prendere velocità all’atleta ed è lunga almeno 40m;


2. Battuta o stacco, ha lo scopo di convertire parte della velocità orizzontale in verticale;
3. Salto o volo o veleggiamento, corrisponde alla fase aerea;
4. Atterraggio, avviene in una buca di sabbia.

La lunghezza totale, che va dalla linea di


battuta all’orma più vicina sulla sabbia (duff)
può essere scomposta in:

- xGO, cioè la distanza iniziale allo stacco


(o distanza di decollo) che corrisponde
alla distanza orizzontale del
baricentro dalla linea di battuta
- d = xGf– xGO, cioè la distanza di volo che
corrisponde allo spazio orizzontale percorso dal baricentro dallo stacco all’atterraggio.
- xGd, cioè la distanza finale di atterraggio che corrisponde alla distanza orizzontale del baricentro
all’impronta sulla sabbia.

Il veleggiamento

Nella fase di veleggiamento, il corpo è in volo ed il baricentro copre la distanza orizzontale maggiore.
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Quindi, il tempo di volo è funzione della velocità verticale del centro di massa al momento dello stacco. Nel
caso in cui la quota di stacco e di atterraggio coincidano:

Influenza dell’angolo di decollo

La velocità iniziale orizzontale e verticale assunta dal centro di massa al momento di stacco risulta quindi
fondamentale per la lunghezza del salto (d, costituisce il 90%). Nel restante 10%, un 5% è relativo alla distanza
di decollo, influenzata dall’angolo di decollo.

VG → velocità del centro di massa

θ → angolo di decollo formato dal vettore velocità con il


suolo.

Il grafico rappresenta quindi la traiettoria del centro di


massa su piano sagittale.

È stato possibile identificare una relazione tra l’angolo di decollo, la distanza di decollo (5% iniziale) e la
velocità di decollo.

→ Componente orizzontale della V di decollo del centro di massa.

→ Componente verticale della V di decollo del centro di massa. 24

All’aumentare dell’angolo di decollo, diminuisce la distanza di decollo. Diversamente quando si salta con un
angolo di decollo basso, aumenta la distanza di decollo. Conviene mantenere un angolo di decollo basso per
avere maggiore impatto sulla distanza totale del salto.

La velocità di decollo diminuisce all’aumentare dell’angolo, si ha così impatto sulla distanza orizzontale;
conviene quindi avere V elevata e angolo di decollo basso.

V → Valore dell’angolo di decollo al quale si ottiene la maggior distanza (sia di volo che ufficiale) = 22°.

22 ° → Valore ottimale al quale si hanno buone velocità orizzontali e basse verticali.

Modelli di Alexander e Seyfart

I modelli di Alexander e Seyfart definiscono la relazione fra velocità di rincorsa e distanza del salto.
All’aumentare della velocità di rincorsa si ha un aumento della distanza del salto (dato che aumenta la
velocità di stacco). Si guadagnano 8 cm ad ogni incremento di 0,1 m/s della velocità di rincorsa. Quindi
riassumendo, la distanza di volo aumenta: all’aumentare della velocità di stacco, quando l’angolo di decollo
è intorno ai 22° e all’aumentare della velocità di rincorsa.

La battuta

Come ottenere l’angolo di decollo e la velocità di stacco ottimali durante la fase di battuta? Per comprenderlo
sono stati proposti da Seyfart tre modelli che simulano il comportamento dell’arto inferiore durante la
battuta. Tali modelli consentono di ricostruire la forza piede-terreno.

1 – Punto materiale vincolato a terra mediante una molla.

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2 – Punto materiale, molla e camma che simula l’allungamento della gamba.

3 – Due punti materiali accoppiati da elementi visco-elastici per simulare l’effetto delle masse molli.

L’immagine rappresenta l’andamento della forza di


contatto del piede con la pedana. Il picco passivo ha
breve durata ma è molto ampio e caratterizza l’inizio
dell’appoggio al suolo quando la rigidezza
istantanea della gamba è maggiore, generando una
forza maggiore. Il picco attivo è meno intenso ma
più lungo, caratterizza la fase di spinta.

• Primo modello. È un sistema massa-molla


incernierato nel punto di contatto piede-pedana.
Questo modello ha consentito di comprendere che
esiste una combinazione ottima tra angolo di
attacco e rigidezza che genera maggiore lunghezza
di salto. Presenta alcune limitazioni poiché
sottostima la lunghezza di 80-100 cm, inoltre non
simula il picco passivo e sottostima la durata del
picco attivo.
• Secondo modello. Viene aggiunto un termine che modifica la
lunghezza della parte più rigida della gamba. Questo modello
migliora la predizione del picco attivo sia come durata che come
ampiezza ma non simula il picco passivo e sovrastima la lunghezza
dei salti di 100-120 cm. Questi modelli mettono in relazione la 25
lunghezza del salto con angolo di attacco e rigidezza della gamba
(che dipende dalla forza di impatto in maniera direttamente
proporzionale).
• Terzo modello. Considera la gamba composta da due masse: una
connessa alla molla e una appesa ad un’asta rigida su sospensioni
visco-elastiche che consentono di simulare l’effetto dissipativo dovuto
alle deformazioni dei muscoli. Questo modello simula sia il picco
passivo che quello attivo e fornisce una stima della lunghezza dei salti
in accordo con quelli misurati sperimentalmente, per questo è il
modello più attendibile.

La rincorsa

È la fase che prepara il salto ed un incremento di velocità di battuta


e porta ad un miglioramento della lunghezza del salto. Dato che la
lunghezza si misura a partire dalla linea di battuta, è necessario
essere molto bravi nell’avvicinarsi il più possibile senza superarla,
occorre quindi un buon controllo dei passi durante la corsa. È stato
valutato come atleti di diverse abilità si comportano durante la
rincorsa ed è stata valutata la ripetitività mediante la deviazione
standard della posizione degli appoggi durante gli ultimi passi. Gli
atleti esperti sono risultati molto più ripetitivi, anche se la variabilità si riduce in tutti gli atleti durante gli
ultimi 3 passi per accostarsi alla linea di battuta.
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In conclusione…

• Per ogni rigidezza (proporzionale alla forza di impatto) c’è un angolo di attacco ottimo.
• La stessa distanza può essere raggiunta con combinazioni di angolo-rigidezza diverse.
• Le perdite di energia durante l’impatto influenzano la lunghezza del salto.
• Un aumento della velocità di rincorsa migliora i salti.

LA BIOMECCANICA DEI LANCI

Lanciare e colpire

In molte attività sportive ci si pone il problema di lanciare un oggetto ( che può essere peso, martello,
giavellotto, disco, palla) il più lontano possibile o verso un bersaglio. L’oggetto può essere fermo o in
movimento e il lancio può coinvolgere un attrezzo (mazza, racchetta, etc).

Fase precedente al volo

Quanto incide la lunghezza dell’arto superiore


sulla distanza percorsa dal disco? È più o meno
importante della velocità angolare nel
determinare la velocità di rilascio del disco? La
gittata è la distanza orizzontale percorsa
dall’oggetto prima che tocchi terra.

La velocità lineare di rilascio del disco (v) è pari


alla velocità angolare immediatamente prima del
rilascio impressa dal lanciatore che ruota attorno
al suo asse verticale mantenendo il braccio teso. 26
La velocità lineare del disco è in funzione della lunghezza e della velocità angolare del braccio.

Sia l’aumento della lunghezza del braccio che quello della velocità angolare portano ad un aumento della
velocità di rilascio. Gli individui con braccia più lunghe hanno però velocità di rilascio maggiori, quindi su di
loro un aumento della velocità ha effetto maggiore rispetto ad individui con braccia più corte. Nei lanci in cui
viene utilizzato un attrezzo, le braccia tese al momento dell’impatto aumentano la velocità della palla; di
conseguenza, lanciando all’avversario la palla più vicino al corpo, obbligandolo a flettere le braccia,
provocherà una risposta non ottimale.

Fase di volo

Una volta in volo, l’oggetto si muove di moto parabolico che si riferisce al moto di un oggetto o di un corpo
umano lanciato in aria con un certo angolo. Tale moto viene influenzato dalla resistenza dell’aria (spesso
trascurabile) e dalla forza di gravità.

Qual è l’angolo di rilascio ottimale quando un lanciatore cerca di mandare il peso più lontano possibile? Quali
fattori influenzano la distanza percorsa dal peso e di quanto? La traiettoria e la sua gittata sono influenzate
da velocità di lancio, angolo di rilascio e relativa altezza di lancio (distanza verticale tra il punto di lancio e
quello di atterraggio).

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Velocità di rilascio

La velocità di lancio, nella sua componente


orizzontale, insieme al tempo di volo,
influenzano la gittata secondo la relazione: x =
x0 + v0x tv.

Angolo di rilascio

Facciamo gli esempi di due casi limite con gittata = 0.

1. Oggetto lanciato in verticale (alfa = 90°)


2. Oggetto lanciato in orizzontale da terra (alfa = 0, non
decolla).

A 45°, cioè quando la componente orizzontale e quella verticale


della velocità iniziale si equivalgono, si avrebbe la massima
gittata se l’altezza di rilascio e di atterraggio fosse la stessa.

Altezza di rilascio

L’altezza di rilascio, o relativa di lancio, è la differenza fra l’altezza


di rilascio e quella di atterraggio. Essa è positiva se il punto di
rilascio è più alto di quello di atterraggio; è negativa se è più
basso. L’angolo ottimale diminuisce se l’altezza diventa più
positiva. Nella realtà, il punto di rilascio è più alto di quello di
atterraggio e con l’altezza relativa di atterraggio positiva,
l’angolo ottimale di atterraggio non sarà 45°. Al contrario con 27
l’altezza relativa di rilascio negativa conviene eseguire un lancio
con angolo maggiore di 45°.

Equazioni del moto parabolico

Calcoli sul lancio

• Gittata. Da questa formula, sapendo che X0 è uguale a 0, è possibile ricavare la velocità di rilascio
orizzontale e il tempo di volo.
• Tempo di volo.
1. Tempo per salire e tornare all’altezza di rilascio. Essendo una
parabola, il tempo di salita è uguale al tempo di discesa. Al picco
della traiettoria, cioè la fine della salita v = 0.

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2. Dall’altezza di rilascio fino all’altezza del punto di atterraggio (2 m sotto).

L’angolo ottimale nel nostro caso sembrerebbe essere 42.5° (sopra i 40 e sotto i 45°).

I lanciatori d’élite lanciano mediamente con angoli compresi fra i 36/37°. Perché? Più il lancio è verticale e
più il lanciatore lavora contro gravità, quindi la velocità di rilascio sarà inferiore. Produciamo più forza se
spingiamo in avanti piuttosto che verso l’alto per come lavorano i muscoli di torace e spalle: maggiore sarà
la forza, maggiore sarà la velocità.

LA BIOMECCANICA DEL CICLISMO 28

Evoluzione del ciclismo

Nel 1490 Leonardo Da Vinci progettò, ma non realizzò, un veicolo formato da sterzo, pedali e trasmissione a
catena. Questo progetto rimase fermo fino al 1791 quando fu proposto dal Conte di Sivrac come mezzo di
locomozione quello che è noto come celerifero, un veicolo in legno privo di sterzo, pedali e di ingranaggi che
veniva usato per scopi ludici.

Arrivati poi nel 1800, viene proposta dal barone Karl Von Drais la draisina composta da sterzo, telaio in legno,
cerchioni in acciaio e un sedile regolabile in altezza.

Nel 1861 viene progettato da Pierre Michaux il velocipede mezzo di locomozione a pedali, caratterizzato da
una grande ruota anteriore in grado di coprire una grande distanza con una solo pedalata; come appare ovvio
era però pericoloso e poco pratico.

Nel 1885 nasce la bicicletta, un veicolo dotato di sterzo, pedali, trasmissione a catena e ruote piccole,
costruito da Edoardo Bianchi.

Le biciclette moderne possono essere da strada o da fuoristrada con caratteristiche diverse.

Le forze in gioco

Le azioni motrici fanno sì che sia possibile il moto, compiendo un lavoro positivo che fornisce energia al
sistema. Le azioni resistenti invece fanno da freno ed assorbono o dissipano energia verso l’ambiente esterno

Se le azioni motrici sono maggiori delle azioni resistenti, la velocità del ciclista aumenta.

Se le azioni motrici sono minori delle azioni resistenti, la velocità del ciclista diminuisce.
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Azioni motrici

L’azione dei muscoli è l’azione motrice generata attivamente


dal ciclista tramite la spinta sui pedali, ed è la più importante
del sistema atleta-bici.

Anche la forza peso può esercitare una forza motrice quando il


ciclista è in discesa aumentandone la velocità.

L’azione del vento se spira in verso favorevole, spinge il ciclista


in avanti dalle spalle.

Azioni resistenti

Tra le azioni resistenti troviamo la forza peso se il ciclista procede in salita, l’azione del vento se esso è
sfavorevole. Un’altra resistenza è quella dell’aria, anche in assenza di vento. L’aria è infatti un fluido e,
quando qualcosa si muove al suo interno, ne varia lo stato, ed essa pone resistenza.

Anche l’azione dei freni comandata dal ciclista è una resistenza.

L’attrito volvente è invece una forma di resistenza al moto che si oppone al movimento della ruota.

La resistenza dell’aria (drag)

Andiamo ora ad approfondire la resistenza dell’aria, intesa come fluido


in cui si muove il sistema atleta-bici.

Quando un corpo si muove all’interno di un fluido si generano delle


forze, dette forze aerodinamiche di resistenza (o drag), che si 29
oppongono al moto.

Le molecole del fluido collidono con l’oggetto e gli sottraggono energia, riducendone la velocità.

Nel caso di un ciclista dobbiamo minimizzare questa componente. Per capire


come avviene questa perdita di energia, possiamo osservare le immagini di lato.

Immaginiamo che il fluido si muova in modo ordinato, o flusso laminare. Quando


entra in contatto con un oggetto che prova ad attraversarlo, l’ordine diventa
disordine; le molecole cambiano velocità perché vanno ad impattare. L’oggetto
cede parte di energia al flusso, che grazie a questa energia cambia moto
andando a definire un flusso turbolento.

Quando un oggetto si muove all’interno di un fluido si possono identificare tre tipi di resistenza:

• Resistenza di forma
• Resistenza di superficie
• Resistenza d’onda (nel nuotatore)

Resistenza di forma

La forma dell’oggetto che collide con il fluido determina quanto flusso laminare diventerà turbolento ed
influenzerà la quantità di energia che l’oggetto cede al fluido.

Un oggetto con la parte anteriore a punta porterà ad una variazione della direzione del moto del fluido più
lenta; rallenta quindi anche la sua velocità e l’oggetto perderà meno energia cinetica.

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Questo meccanismo avviene in parte anche con una superficie piatta, ad esempio l’autobus, perché le
particelle vengono spinte indietro muovendosi in modo coerente al bus.

Durante lo spostamento dietro l’oggetto si crea un vuoto, ovvero una zona a bassa pressione. Per gradiente
di pressione le molecole del fluido vanno ad occupare questo spazio in modo disordinato, o flusso turbolento,
e va a sottrarre energia cinetica all’oggetto in movimento. Per minimizzare questo fenomeno anche la coda
dovrà avere una superficie appropriata, infatti, ad esempio, il casco dei ciclisti è leggermente a punta.

Resistenza di superficie

La resistenza di superficie dipende dalla rugosità della superficie del corpo; nel caso del ciclista dipende dalla
pelle e dai vestiti. Infatti, piccole cavità o increspature nei vestiti trattengono le molecole del fluido
cedendogli energia.

Possiamo quindi dire che la resistenza di superficie sia una forza di attrito.

La forza di resistenza aerodinamica

Nel caso del ciclista, la forza di resistenza aerodinamica si definisce come:


1
𝐹𝑑 = 𝑐 𝑝 𝑆 𝑣𝑟2
2 𝑑
Dove il coefficiente di resistenza dipende dalla forma del corpo; è maggiore nel caso di superfici piatte,
minore nel caso di superfici curve e minimo nel caso di superfici affusolate. Maggiore è il coefficiente di
resistenza, maggiore è la turbolenza che si crea e maggiore è l’energia cinetica che l’oggetto cede al fluido.

La densità dell’aria varia in funzione dell’altitudine, perché più si sale più la pressione atmosferica diminuisce,
ma varia anche in funzione della temperatura e dell’umidità. 30
La velocità relativa tra bici ed aria in assenza di vento corrisponde alla velocità di avanzamento della bici. In
presenza di vento favorevole invece 𝑣𝑟 = 𝑣 − 𝑣𝑣 , mente con vento sfavorevole 𝑣𝑟 = 𝑣 − (−𝑣𝑣 ) = 𝑣 + 𝑣𝑣 .

In generale la forza di resistenza è opposta al moto e ha quindi azione frenante; essa diventa a favore, cioè
esercita azione motrice, solo quando Vv> v → Vr< 0 → Fd> 0.

Sapendo che la potenza è data dal prodotto della forza per la velocità e sapendo che in condizioni di assenza
di vento 𝐹𝑑 = 𝑘 ⋅ 𝑣 2 , la potenza sarà:

𝑃 = 𝐹𝑑 𝑣 = −𝐹𝑑 𝑣 = −𝑘𝑣 2
Attrito volvente

Sul sistema uomo bicicletta agiscono diverse forze, che possono essere motrici o frenanti. Fra le azioni
resistenti ci può essere l’attritio volvente. L’attrito volvente si manifesta quando un corpo rotola su di una
superficie contro la quale è premuto con una certa forza.

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Supponiamo di avere un corpo che non si muove (immagine a); per la terza legge di newton, il suolo andrà
ad esercitare una forza uguale e contraria alla forza peso che si manifesta con l’impronta della ruota.

Supponiamo poi che la ruota inizi a muoversi con una velocità v (immagine b); la distribuzione della pressione
diventa asimmetrica con il massimo che si sposta in avanti nella direzione di avanzamento, questo è dovuto
alle proprietà viscoelastiche dei materiali coinvolti. Di conseguenza però, il punto di applicazione della forza
peso è sempre quello precedente, ma essendo cambiata la distribuzione al suolo, la forza di rimando del
suolo nei confronti della ruota non viene applicata nel punto in cui si scaricava la forza F, quindi sulla stessa
linea, ma anteriormente. Di conseguenza si crea una distanza u tra il punto di applicazione della forza peso e
il punto di applicazione della forza uguale ed opposta del suolo verso la ruota. Essendoci delle forze coinvolte
e un braccio della forza, si genera un momento di tipo frenante, cioè che tende ad opporsi al moto. Questo
momento deve essere contrastato ad un’altra forza, ad esempio la forza motrice dei muscoli.

𝐹0 𝑅 = 𝐹𝑢
31
𝐹0 = 𝑓𝑣 𝐹
𝑢
Perché il coefficiente di attrito volvente è 𝑓𝑣 = 𝑅 dove R è il raggio della ruota e u è la distanza di applicazione
della reazione del terreno rispetto al centro di rotazione. Nel caso della ruota della bicicletta si può sostituire
F con N, ovvero la forza che preme la ruota al suolo. Il coefficiente di attrito volvente varia al variare della
pressione dello pneumatico, del raggio della ruota e della geometria del pneumatico.

Forze ai pedali

L’azione propulsiva dei muscoli si concretizza con i pedali. Nella figura viene rappresentata un esempio di
pedivella, quindi quella che viene identificata come pedale. Come vediamo, il pedale si sta muovendo con
una velocità vp. Nella seconda immagine troviamo la forza F che può essere scomposta in due componenti,
una componente tangente alla circonferenza descritta dalla pedivella (Fe) e una componente perpendicolare
alla circonferenza (Fr).

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La potenza generata su di un pedale è quindi:

Potenza motrice

In relazione ad un pedale si ha:

𝑃𝑝 = 𝐹𝑒 𝜔𝑝 𝑟

Poiché il pedale opposto è sfasato di 180°, l’andamento della potenza totale è:

La componente efficace è massima intorno ai 90°, mentre è minima e quasi nulla tra i 180° e i 360°. La
componente efficace è sempre tangente alla circonferenza.

La componente radiale può essere rivolta sia verso l’esterno che verso l’interno a seconda di come è
esercitata la forza sul pedale.

32

Indice di efficienza della pedalata

L’indice di efficienza della pedalata esprime il rapporto tra lo sforzo utile dato dalla componente efficace e
quello totale a carico dei muscoli ed è calcolato su un giro.

Dove Fe rappresenta il valore medio della componente efficace della forza, mentre F rappresenta il valore
medio della forza totale generata dai muscoli.

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Tanto più la pedalata è efficace, tanto più l’indice tende a 1, perché significa che la maggior parte della forza
generata dai muscoli è stata sufficiente a generare potenza.

Le fasi della pedalata

In un giro di pedale abbiamo il PMS, ovvero il punto morto superiore, in cui abbiamo la fase di spinta in avanti
che occupa circa 20°, a cui segue la fase propulsiva in cui si sviluppa la maggior parte della potenza su di un
pedale. Dai 170° ai 190° abbiamo il PMI, o punto morto inferiore, in cui non entrano in gioco né estensori né
flessori degli arti inferiori, a cui segue la fase di recupero.

Movimenti articolari dell’arto inferiore durante la pedalata

I muscoli principali che entrano in gioco nella pedalata sono:

1. Gluteo massimo (estensore dell’anca)


2. Semimembranoso e bicipite femorale (estensori dell’anca/flessori del
ginocchio)
3. Vasto mediale e vasto laterale (estensori del ginocchio)
4. Retto femorale (estensore del ginocchio/flessore dell’anca)
5. Gastrocnemio (flessore del ginocchio/estensore della caviglia)
6. Soleo (estensore della caviglia)
7. Tibiale anteriore (flessore della caviglia)

La flesso-estensione dell’anca genera il movimento della coscia: dal PMS a


135° l’estensione è principalmente ad opera dei glutei, da 270° a 100° la
flessione è ad opera del retto femorale.

La flesso-estensione del ginocchio genera il movimento della gamba: 33


l’estensione inizia a 315° e termina a 155° ed è ad opera di vasto
mediale, vasto laterale e retto femorale; la flessione inizia prima che
il pedale raggiunga il PMI.

La flesso-estensione della caviglia genera il movimento del piede:


l’estensione inizia dopo il PMS e si sovrappone all’estensione del
ginocchio e dell’anca e porta ad una pressione sul pedale; quando il
pedale ha superato il PMI inizia il sollevamento, la punta viene alzata
tra i 270° e i 315°.

Meccanica della bicicletta

Il cambio è l’organo principale per la regolazione della pedalata e serve ad adattare le capacità biomeccaniche
e fisiologiche dell’atleta alle varie condizioni di percorso. L’azione del cambio è quella di trasformare la forza
efficace in forza motrice tramite il rapporto di trasmissione τ:

𝐹𝑚 = 𝜏𝐹𝑒
E la velocità dei pedali in velocità di avanzamento:
𝑣𝑃
𝑣=
𝜏

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Relazione forza efficace-velocità di pedalata

Abbiamo qui la relazione fra la forza efficace e la velocità di


pedalata. Sappiamo che la forza efficace dipende dalla forza
che i muscoli esercitano sui pedali; la capacità di esercitare
questa forza da parte dei muscoli varia al variare della
velocità di pedalata. È noto, infatti, che la forza muscolare
dipende dalla capacità di contrazione del muscolo e
decresce all’aumentare della velocità. Questo significa che
anche la forza efficace diminuirà all’aumentare della
velocità di pedalata; in questo caso avremo una
diminuzione di tipo lineare.

Relazione forza motrice-velocità di avanzamento

Abbiamo qui la relazione tra la forza motrice e la velocità di


avanzamento. Queste relazioni sono di tipo lineare e, a seconda
del valore di τ, otteniamo diverse curve che hanno pendenza
maggiore o minore. Con un rapporto duro quindi riusciamo a
generare minore forza motrice.

34

Relazione forza resistente-velocità di avanzamento

Abbiamo qui la relazione tra la forza resistente e la velocità di avanzamento. Anche la forza resistente varia
al variare della velocità di avanzamento. Ipotizziamo che le componenti resistenti dovute al peso e all’attrito
volvente siano costanti, e che l’unica a variare è la resistenza aerodinamica dell’aria, che varia
proporzionalmente alla velocità relativa tra il sistema uomo-bicicletta e l’aria al quadrato (quindi avremo
linee curve di tipo parabolico). Queste curve partono da punti differenti a seconda che si parta dalla pianura
o in salita, però mantengono questo andamento.

I punti di funzionamento

Data una certa forza resistente esiste un rapporto di trasmissione ottimale che permette di ottenere la
massima velocità di avanzamento.

Mettendo insieme le azioni motrici e quelle resistenti in relazione


alla velocità di avanzamento otteniamo diverse curve, due curve
di forze motrici e due curve di forze resistenti. Otteniamo anche
dei punti di interruzione che corrispondono ai punti di
funzionamento, cioè quei valori di velocità per i quali la forza
motrice è uguale alla forza resistente consentendo al sistema
uomo-bici di procedere a velocità costante.

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LA BIOMECCANICA DEL NUOTO

Locomozione in acqua

Il nuoto è una forma di locomozione in un mezzo, rappresentato dall’acqua. La biomeccanica del nuoto ha
ricevuto scarsa attenzione fino alla fine degli anni ’60; la prima analisi accurata dei meccanismi della nuotata
è dovuta a Counsilman (1971).

Quando il nuotatore si muove all’interno dell’acqua genera forze idrodinamiche che agiscono sul corpo e
sugli arti e contribuiscono al movimento in avanti del nuotatore.

Forze in gioco

In acqua un corpo è soggetto alla forza di gravità, alla spinta di Archimede (in inglese: buoyancy), alla
resistenza dell’acqua all’avanzamento (in inglese: drag) e alla portanza (in inglese: lift).

Spinta di Archimede e forza di gravità

Un corpo immerso in un liquido è soggetto a una forza dal basso verso l’alto uguale al peso del liquido
spostato, la cosiddetta spinta di Archimede.

Siccome la densità dell’acqua e quella del corpo sono simili, la spinta di Archimede è circa pari alla forza-peso,
quindi il galleggiamento non è un problema.

Il punto di applicazione della forza di Archimede e della forza di gravità si vanno a trovare ad una distanza d,
quindi una forza rispetto all’altra ha un braccio d’azione, portando alla creazione di un momento. La coppia
di forze fa ruotare il corpo fino al raggiungimento di equilibrio, cioè la condizione in cui la forza di Archimede
e la forza di gravità agiscono su punti che si trovano allineati sulla verticale.
35
In questo caso, essendo forze che agiscono sulla stessa direzione in verso opposto e con stesso modulo si
arriva ad un punto di equilibrio, detta condizione di galleggiamento naturale.

Resistenza dell’acqua (drag)

Il drag è la resistenza che un fluido oppone al moto di un corpo che lo attraversa. Nel caso del nuoto, può
agire come forza propulsiva dato che la mano ed il braccio spesso si muovono in direzione opposta al moto.

Il drag può essere diviso in:

• Drag di forma
• Drag di superficie
• Drag d’onda

Il drag di forma

Per minimizzare il drag di forma il nuotatore deve assumere una posizione aerodinamica, cioè la più
affusolata e lineare possibile, ogni volta che può. Si suggerisce si creare con spalle e petto uno spazio
nell’acqua all’interno del quale fluiranno gli
arti inferiori.
1
𝐹𝑑 = 𝑐 𝑝 𝑆 𝑣𝑟2
2 𝑑
Dove cd è il coefficiente di forma, p è la densità
dell’acqua, S è l’area frontale del nuotatore e
vr2 è la velocità relativa dell’acqua rispetto al
nuotatore.
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Il drag di superficie

Il drag di superficie è attribuito alle forze che tendono a


rallentare lo scorrere dell’acqua sulla superficie del corpo.
Dipende dalla velocità relativa fra acqua e corpo, dall’area del
corpo e dalle caratteristiche della superficie, tra le quali la
rugosità, il profilo del corpo, i capelli, i peli, la forma ed il
materiale del costume.

Infatti, in gara è sconsigliato utilizzare costumi larghi ma vengono utilizzati costumoni sintetici e attillati.

Drag d’onda

Il drag d’onda è presente all’interfaccia tra due liquidi differenti, quindi in questo caso tra aria e acqua e si
forma quando il nuotatore si spinge attraverso l’acqua. Quando si spinge si generano delle onde dovute allo
spostamento dell’acqua che si sposta perché lo spazio in cui si trovava prima viene occupato dal nuotatore.

I nuotatori che avanzano sulla superficie generano onde frontalmente e lateralmente; queste onde lo
rallentano perché per essere generate parte dell’energia cinetica del nuotatore si deve trasformare in energia
per spostare l’acqua per far spazio al corpo e quindi che forma l’onda.

La formazione dell’onda necessita di sviluppo da parte del nuotatore di un lavoro per vincere la gravità e
l’inerzia della massa d’acqua che viene sollevata. Questo lavoro, poiché l’energia si conserva, è dato da una
perdita di energia cinetica che viene trasferita dal nuotatore all’acqua.

Il drag d’onda dipende dalla velocità di movimento:

𝐹𝑤 𝛼𝑉𝑟3
36
Il drag d’onda aumenta con l’aumento della velocità relativa.

Inoltre, le onde che genera il nuotatore si muovono alla sua velocità.


Aumentando la velocità dell’onda cresce la distanza fra la prima e la seconda onda; se il nuotatore non è in
grado di nuotare molto velocemente, si arriverà ad un punto che la distanza fra le onde eguaglia la lunghezza
del corpo. In questa condizione il corpo si trova in un avvallamento e per superarlo è richiesta molta energia.

Potremmo pensare che se avessimo un corpo più lungo, potremmo nuotare più velocemente prima di
trovarci in questa condizione3.

La resistenza d’onda dipende anche dalla profondità dell’acqua alla quale si sta muovendo il corpo: più il
corpo si allontana dalla superficie e più questa forza tende a diminuire, fino ad annullarsi. È stato dimostrato
che a 0.6 m di profondità la componente di resistenza d’onda è praticamente nulla. Quando il corpo si è
appena immerso ed è vicino alla superficie è massima.

Come ridurre la resistenza idrodinamica

Alla fine della fase di recupero, il braccio deve essere mantenuto disteso davanti alla testa/spalla del
nuotatore al fine di ridurre la formazione di onde tramite una lunghezza maggiore del corpo, le pressioni a
livello della testa che potrebbero portar alla formazione di onde di prua e il drag di forma, favorendo la
separazione dell’acqua intorno al corpo, consentendole di spostarsi più facilmente, diminuendo la turbolenza
e quindi la perdita di energia.

3
Nei nuotatori professionisti si raggiungono tempi che sembrano minimizzare la questione dell’altezza.
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La testa è come il timone del nostro corpo e deve essere mantenuta nel modo più naturale possibile in modo
da mantenere rilassati più muscoli possibile. La testa dovrebbe essere mantenuta in asse con il corpo per
minimizzare il drag d’onda e di forma. Questa posizione permette una maggior spinta di archimede.

L’ampiezza della gambata dovrebbe essere la più piccola possibile per una data potenza perché questa
aumenta il drag di forma. Il corpo deve avere un buon allineamento con la direzione di nuoto per minimizzare
il drag di forma.

L’utilizzo di costumi appropriati, in termini di aderenza al corpo e di materiali, aiuta a minimizzare i tre tipi di
drag.

Equazione del moto nel nuoto

𝑚 ⋅ 𝑥̈ = 𝐹𝑃 − 𝐹𝑑
0 = 𝐹𝐵 − 𝑚𝑔

Dove FP è la forza di propulsione, FD è la resistenza dell’acqua alla progressione (drag) ed FB è la spinta di


Archimede (buoyancy), che si suppone circa pari alla forza-peso. Per aumentare la velocità di progressione,
occorre aumentare la forza propulsiva e/o ridurre la forza di drag per quella velocità.

Velocità di progressione

Per una certa forza di propulsione, siccome il drag aumenta con la velocità, esiste una velocità massima
(‘terminale’) per cui la forza propulsiva uguaglia il drag, ossia FP = FD:

√2𝐹𝑃
𝑣=
𝑝 ⋅ 𝐶𝑑 ⋅ 𝑠
37
Dove v è la velocità di progressione in acqua.

Portanza (lift)

Un’altra forza in gioco è la portanza, cioè la componente di forza


perpendicolare alla direzione di moto che si genera nel momento
in cui il corpo si genera all’interno del flusso e che porta il flusso
stesso ad avere maggior pressione al di sotto del corpo e minor
pressione al di sopra.

La differenza di pressione spinge verso l’alto favorendo il galleggiamento. L’equazione che descrive il lift è
pari a quella che descrive il drag di forma; all’aumentare della velocità aumenta la portanza.

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Drag, lift e propulsione

La forza propulsiva, sostanzialmente associata all’arto superiore,


può essere scomposta in drag (D) e lift (L). Durante il nuoto a stile
libero, infatti, la forza propulsiva è generata principalmente
dall’arto superiore4.

Da una forza di resistenza nasce una forza di propulsione perché


quando spingiamo indietro l’acqua riceviamo da essa una forza
uguale e contraria che ci spinge in avanti. Perché la propulsione sia
efficace, occorre che in tutte le fasi della bracciata la risultante di
queste forze sia diretta in avanti.

Perdite energetiche

Come detto prima, da un lato abbiamo che, grazie al fatto che noi ci stiamo muovendo contro l’acqua,
sfruttando la forza che poi l’acqua restituisce a noi, sfruttiamo questa forza come forza propulsiva insieme
alla portanza.

D’altra parte, però noi, per spingere via l’acqua, dobbiamo cedere parte della nostra energia cinetica
all’acqua stessa. Di conseguenza questa è una perdita energetica che ci fa anche perdere velocità.

Potenza di azione e potenza di reazione

Per spostarci in avanti in acqua dobbiamo applicare una forza sull’acqua diretta all’indietro in modo che
l’acqua risponda con una forza uguale e contraria, diretta in avanti (terza legge di Newton). Dato che però
l’obiettivo è spostarsi il più rapidamente possibile, conviene considerare la potenza, cioè la forza nell’unità
di tempo. 38

La potenza di azione si differenzia dalla potenza di reazione poiché la prima indica il lavoro meccanico totale
prodotto da un nuotatore (cioè la somma del lavoro impiegato per vincere la resistenza totale e del lavoro
prodotto per generare la propulsione) mentre il secondo indica la potenza utile generata in acqua.

Efficienza della propulsione

Il trucco nella propulsione in acqua è quello di aumentare la


potenza di reazione (quella utile) per una data potenza
generata. La potenza totale è quindi:

Dove PD è la potenza necessaria per vincere il drag del corpo (potenza utile), PK è la potenza spesa per
modificare l’energia cinetica del corpo spingendo via la massa d’acqua (ceduta all’acqua), Fp è la forza
propulsiva, u è la velocità della mano e D è il drag dell’acqua.

Possiamo quindi andare a definire un coefficiente che misura l’efficienza della propulsione che è il rapporto
fra la potenza utile e la potenza totale:

4
Anche gli arti inferiori contribuiscono alla propulsione, ma soprattutto aiutano a mantenere il corpo in posizione
aerodinamica per ridurre la resistenza.
APPUNTI DI BIOMECCANICA DEL GESTO MOTORIO GIULIA SOFIA CHINDAMO
Questo coefficiente nei nuotatori d’elite è circa il 61%, ovvero il 61% della potenza generata serve a spostare
il nuotatore ed il 39% per spostare la massa acqua.

Come aumentare l’efficienza di propulsione?

Un trucco potrebbe essere quello di aumentare la resistenza che si


oppone al movimento sulla mano e sul braccio in modo che la forza di
reazione aumenti, questo si può fare ampliando l’area del braccio
adottando una traiettoria relativamente rettilinea oppure ampliando
l’area della mano, allargando un po' le dita in modo che l’acqua vi
rimanga intrappolata.

Un altro modo è agire sul movimento della mano, infatti sembra che la
mano si debba spostare lievemente lateralmente attraverso l’acqua: il
suo inclinarsi e ruotarsi verso il flusso determina una portanza sul
palmo della mano che contribuirà alla propulsione.

Considerando che durante la bracciata anche il corpo ruota, se consideriamo il movimento della mano
rispetto al sistema di riferimento della piscina è pressoché rettilineo, pur mantenendo il minimo movimento
laterale rispetto al corpo. Mantenere la traiettoria rettilinea aiuta anche a controbilanciare il momento
torcente che si crea a livello della spalla dovuto alla forza di reazione dell’acqua, che ha come braccio d’azione
la distanza tra mano e spalla.

Se la mano si muove il più possibile in linea retta, produciamo forze nella direzione corretta per farci andare
avanti, e inoltre, la mano è più vicina alla spalla (non va in profondità, grazie alla flessione del gomito) e
questo minimizza il momento torcente alla spalla che deve essere controbilanciato dai muscoli.
39
LA BIOMECCANICA DELLO SCI ALPINO

Cenni storici

Le prime testimonianze dell’uso dello sci come mezzo di locomozione


risalgono al 8000 a.C. in Cina. Alcuni reperti sono stati trovati anche in
Russia e nelle regioni Scandinave.

Fino a circa metà del diciannovesimo secolo gli sci erano in legno e
ricoperti di pelliccia per facilitare la salita.

Lo sviluppo del moderno sci risale agli anni venti del 1900 quando in svizzera si svolse la prima gara di discesa.

Interazione atleta-attrezzo-ambiente

Le funzioni degli sci sono principalmente di sostegno del peso dell’atleta e di riduzione delle forze resistenti
nella direzione del moto.

La performance dell’atleta è generata dalla combinazione ottimale di movimento e postura assunti


dall’atleta, caratteristiche geometriche e meccaniche della sua attrezzatura, caratteristiche dell’ambiente
(pendio, condizioni del manto nevoso, visibilità, vento).

Forze in gioco

Le forze in gioco sono principalmente l’azione propulsiva, forze resistive esterne e le forze muscolari.

L’azione propulsiva è generata esclusivamente dalla forza di gravità.

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Le forze esterne di tipo resistivo sono rappresentate dalla forza d’attrito tra sci e neve e dalla forza resistiva
dell’aria.

Le forze muscolari esercitate dall’atleta hanno la funzione di mantenere il contatto tra sci e terreno
modulando il carico, di mantenere la traiettoria del centro di massa e di impostare il cambio di direzione.

Moto di discesa

Il moto di discesa è una combinazione di moto rettilineo e curvilineo.


Durante questi tratti le forze che consentono allo sciatore di mantenere
l’equilibrio variano significativamente.

Moto di discesa rettilineo ideale

L’ipotesi che facciamo è di essere in assenza di


forze resistive, quindi è presente solo la forza
propulsiva. La legge del moto è quindi quella
dell’uniformemente accelerato.

L’oggetto che si muove ha quindi accelerazione costante e percorre uno


spazio s con andamento parabolico. L’unica forza presa in considerazione è
quindi la forza peso. Lo sciatore si sta muovendo in un piano inclinato di alfa
con dislivello h. La forza peso si può scomporre nella componente
tangenziale e in quella normale.
40

Facendo gli opportuni conti si può ricavare il tempo finale per percorrere il pendio che dipende sia da h che
dall’angolo di inclinazione (inversamente proporzionale).

Se invece andiamo a ricavare la velocità finale:

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La velocità dipende solo dal dislivello e non dall’angolo di inclinazione.

Moto di discesa rettilineo reale

Abbiamo considerato quindi il caso di uno sciatore che si muove su di un


pendio in moto rettilineo in un caso ideale, cioè in assenza di resistenze.
Consideriamo ora il caso di un moto di discesa rettilineo, ma reale, cioè dove
entrano in gioco le forze resistive. Queste forze sono forze esterne che si
oppongono al moto e sono la forza di attrito e la forza aerodinamica
dell’aria.

Per quanto riguarda l’attrito, vediamo innanzitutto che agisce nella stessa
direzione del moto dello sciatore ma con verso opposto. L’attrito è proporzionale alla forza premente, cioè
alla componente normale al piano inclinato della forza peso e sarà pari a: 𝐹𝑎𝑡𝑡 = 𝑓𝑑 𝑚𝑔 𝑐𝑜𝑠𝛼. Non c’è una
dipendenza né dalla velocità né dalla posizione dello sciatore ma solo dalla massa e dalla superficie che agisce
sul coefficiente di attrito.

Per quanto riguarda la forza aerodinamica dell’aria, vediamo che agisce nella direzione del moto dello
sciatore ma con verso opposto. Questa forza dipende dalla velocità relativa dello sciatore rispetto al vento,
che sarebbe pari a 𝑣𝑓 − 𝑣𝑣 in quanto la velocità del vento è opposta alla velocità dello sciatore. L’altra
componente che influenza la forza aerodinamica è il coefficiente di penetrazione aerodinamica, sul quale si
può lavorare; varia tra 0,46 e 0,96.

Un altro contributo è dato dalla densità dell’aria che può variare con altitudine ed umidità. Un'altra 41
componente è quella della superficie frontale del corpo; la resistenza aerodinamica aumenta all’aumentare
della superficie che viene esposta all’aria. Conviene quindi adottare una posizione ad uovo per minimizzare
la superficie frontale esposta all’aria.

A basse velocità prevale la forza resistente determinata dall’attrito ma ad alte velocità prevale quella
aerodinamica in quanto vr è elevato al quadrato.

Confronto tra modelli

Qui vengono mostrati gli andamenti della velocità (sull’asse


delle ordinate) rispetto al tempo (asse delle ascisse) dei
modelli visti fino ad ora. Nel caso ideale abbiamo un
andamento della velocità rettilineo pari a 𝑣𝑠 = 𝑔 𝑠𝑖𝑛 𝛼 𝑡 .
Quando si può trascurare la forza resistiva aerodinamica
(cioè ad inizio del moto), abbiamo un modello descritto da
𝑣𝑠 = 𝑔(𝑠𝑖𝑛 𝛼 − 𝑓𝑑 𝑐𝑜𝑠 𝛼 )𝑡 . Tuttavia se aumentiamo la velocità di moto dobbiamo considerare anche la
resistenza aerodinamica che cresce notevolmente finchè le forze resistive arrivano ad eguagliare le forze
motrici, di conseguenza l’accelerazione diventa nulla e la velocità costante. In questo caso possiamo ottenere
la velocità limite:

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Moto curvilineo

Ci manca da considerare il caso in cui lo sciatore si muova in modo


curvilineo, quello piu probabile. Ipotizziamo che la traiettoria del centro di
massa sia un arco descritto da un raggio r. Durante la curva sul centro di
massa dello sciatore agiscono la forza peso verticale, che tende a far
cadere lo sciatore all’interno della curva, e la forza di inerzia centrifuga,
che tende a far trattenere la traiettoria che aveva inizialmente lo sciatore,
quindi lo fa proseguire senza farlo curvare. Da notare che questa forza,
definita da 𝑚𝑣𝑠2 ∕ 𝑟, aumenta all’aumentare della velocità e al ridursi del
raggio di curvatura. Per mantenere l’equilibrio lo sciatore dovrà inclinarsi
in modo che la risultante delle due forze passi per il punto di appoggio degli sci, cioè dove l’azione degli sci
contro il terreno deve bilanciare. In questo punto infatti si viene a creare un’altra forza che controbilancerà
e che avrà una componente verticale pari alla forza peso e un’altra componente tangenziale che è centripeta
e bilancerà la forza centrifuga. Se la forza centripeta supera la forza
di vincolo tra sci e neve, lo sci non tiene e scivola lateralmente;
infatti questo è un moto che non è del moto desirato, perché
sarebbe laterale5, quindi bisogna fare in modo che gli sci tengano la
curva.

Per mantenere lo sci in curva la forza tangenziale non deve superare


𝑚𝑣𝑠2
la forza di vincolo che è data da 𝐹𝑐𝑝 = ≤ 𝑓𝑠 𝑚𝑔.
𝑟

42

5
La forza centrifuga, e di conseguenza quella centripeta, è una forza «laterale», cioè ortogonale al moto, che
contribuisce a modificare la direzione della traiettoria ma non la velocità del movimento.
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