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Appunti tratti dalle slide fornite a lezione e dalle lezioni stesse
La marcia … pag. 13
Dinamica … pag. 20
Il veleggiamento … pag. 23
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Influenza dell’angolo di decollo … pag. 23
La battuta … pag. 24
La rincorsa … pag. 24
In conclusione … pag. 25
Si potrebbe pensare il termine locomozione come un sinonimo di deambulazione, ma così non è. Il termine
locomozione ha una connotazione molto più generale, in quanto indica lo spostamento di un corpo, umano
o animale, da un luogo ad un altro; pertanto, non si riferisce solo alla deambulazione, ma anche, per esempio,
alla corsa, al nuoto, al volo.
I metodi più naturali di locomozione sono il cammino e la corsa. Già questi due differiscono tra loro, il
cammino ad esempio prevede almeno un piede al contatto con il terreno, mentre la corsa prevede al
massimo un piede a contatto con il terreno pur essendoci momenti di sospensione (in cui nessuno dei due
piedi tocca terra).
Metodi meno naturali sono ad esempio la marcia competitiva, dove i movimenti della camminata vengono
esasperati per muoversi più velocemente senza perdere il contatto con il suolo.
Esistono anche metodi di locomozione che prevedono l’uso di attrezzi, come il ciclismo e lo sci,
rispettivamente con bicicletta e sci.
La locomozione nell’uomo
Il cammino è il metodo di locomozione più diffuso nell’essere umano e utilizza due gambe che hanno funzione
di sostentamento, cioè permettono di mantenere la posizione eretta, e propulsione, cioè consentono di
spostare il corpo in avanti. Non basta però la presenza delle gambe, il cammino coinvolge anche il sistema
muscolo scheletrico e il sistema nervoso che pianifica i movimenti. Alcuni movimenti diventano semi
automatizzati, come la deambulazione, altri vanno pianificati grazie al sistema nervoso centrale.
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Il cammino somiglia ad una serie di cadute controllate in avanti; questa è un’altra differenza tra camminata
e corsa, quest’ultima viene infatti paragonata ad una palla che rimbalza.
Il cammino è una successione di movimenti ritmici alternati degli arti inferiori, del bacino, del tronco, degli
arti superiori e del capo che determinano uno spostamento in avanti del centro di massa 1 e producono,
attraverso una serie di rototraslazioni di tutti i segmenti articolari interessati, la progressione del corpo in
avanti.
Il passo statico si adotta quando ci si muove lentamente e cautamente, transitando da una postura all’altra
in modo che la forza peso passi per la base d’appoggio del piede o dei piedi. Il peso cade sulla gamba
anteriore, mentre l’altra gamba da supporto ed aiuta a mantenere l’equilibrio. La postura intermedia è di
equilibrio statico e potrebbe essere mantenuta per lungo tempo irrigidendosi.
Il passo dinamico è invece quello molto più utilizzato ed è quello comunemente chiamato cammino. Il corpo
appoggia su di una base piccola (piede) e questo obbliga il sistema locomotore a coinvolgere tutto il corpo
per riuscire a mantenere un movimento opportuno. Le forze e le coppie scambiate dagli arti inferiori sono
trasmesse tramite le articolazioni, i muscoli ed i legamenti al tronco. Le accelerazioni generate dall’arto
superiore e minimamente dal tronco consentono di generare le forze di inerzia che riequilibrano il corpo. Ci
si muove intorno a posizioni di equilibrio, ma non vengono mai assunte posizioni di equilibrio statico.
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Il centro di massa, o baricentro, è il punto di applicazione di tutte le forze peso su di un corpo; la verticale che passa per questo
centro è detta linea di gravità.
5. Angolo del passo: l’angolo che l’asse longitudinale del piede forma con
la linea di progressione del cammino (circa 15°).
Le dimensioni del passo dipendono dall’altezza dell’individuo. Il semipasso corrisponde al 30% dell’altezza
dell’individuo, il passo corrisponde al 70% dell’altezza dell’individuo e l’ampiezza è circa il 2-3% dell’altezza.
Il ciclo del cammino si suddivide in due macro-fasi distinte che sono riferite ad un arto:
• Fase di stance, o fase di appoggio, durante il quale il piede rimane a contatto con il terreno. Dal
momento di appoggio dell’arto al momento dello stacco da terra. Nella normale deambulazione
occupa circa il 60% del ciclo del passo, si accorcia sensibilmente con la corsa, riducendosi fino al 37%
nella corsa veloce.
• Fase di swing, o fase di sospensione, o oscillazione, occupa il 40% della durata totale. L’arto viene
portato avanti per prepararsi all’appoggio successivo, il piede è quindi sollevato dal terreno.
Rispetto alla rappresentazione precedente abbiamo altre informazioni perché prendiamo in considerazione
anche l’arto controlaterale. La fase di stance destra può quindi essere a sua volta suddivisa in tre fasi:
• la prima fase consiste nell’appoggio del piede destro e sinistro, corrisponde al 10% della fase di stance
ed è detta fase di doppio appoggio.
• la seconda fase è detta fase di singolo appoggio e corrisponde a quel 40% dello swing del piede
sinistro.
• la terza fase consiste nella fase finale del contatto destro e nella fase iniziale del contatto sinistro,
anche questa è detta fase di doppio appoggio.
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La fase dedicata alla sospensione aumenta all’aumentare della velocità mentre la fase di doppio appoggio si
riduce ad aumentare della velocità fino ad annullarsi nella corsa, dove sarà presente la fase di volo.
Le micro-fasi di appoggio e sospensione sono convenzionalmente otto: cinque per la fase di appoggio e tre
per la fase di sospensione.
• Contatto iniziale (CI). Fase brevissima che va dallo 0 al 2% del ciclo del cammino. Il piede proiettato
in avanti tocca il suolo con il tallone. Qui inizia il doppio appoggio ed il carico si sposta gradualmente
da un arto all’altro.
• Loading response. Si estende circa dal 2% al 12% del ciclo del cammino. Il piede si appoggia per intero
al terreno e la caviglia ha una leggera flessione dorsale in risposta al carico sull’arto del peso del
corpo. Inizia l’avanzamento del tronco rispetto al piede che resta fermo.
• Mid stance. Si estende dal 12% al 31% del ciclo del cammino. Inizia con il distacco dell’alluce del
piede controlaterale. Si ha il termine del doppio appoggio. È la fase di singolo appoggio su di un piede.
Termina quando le caviglie sono allineate sul piano frontale. Il tronco continua ad avanzare.
• Terminal Stance. Si estende dal 31% al 50% del ciclo del cammino. Inizia con il sollevamento del
tallone da terra. Termina quando l’arto controlaterale tocca interamente il suolo. L’arto ha superato 10
la verticale ed il corpo inizia a cadere in avanti, il ginocchio si flette leggermente sotto il suo peso ed
il centro di massa si abbassa. Inizia il doppio appoggio. Inizia anche la fase di spinta quando l’appoggio
è sull’avampiede fornendo una spinta in alto ed in avanti.
• Pre Swing. Dal 50% al 62% del ciclo del cammino. È la fase di trasferimento del peso. I muscoli
posteriori della gamba entrano in contrazione e producono l’estensione della caviglia e delle
articolazioni metatarso-falangee, continuando a fornire una spinta verso l’alto ed in avanti.
L’appoggio sull’alluce aiuta a mantenere l’equilibrio facilitando il passaggio del carico sull’arto
controlaterale. Termina con lo stacco dal terreno delle dita dell’arto di interesse (termine del doppio
appoggio).
• Initial Swing. Fase di distacco. Dal 62% al 75% del ciclo del cammino. Inizia con il distacco dell’alluce
dell’arto di interesse dal suolo. Comporta lo spostamento in avanti dell’arto inferiore di interesse
subito dopo lo stacco conseguente alla flessione di anca, ginocchio, e contemporanea dorsiflessione
del piede.
• Mid Swing. Sospensione media. Dal 75% al 87% del ciclo del cammino. Coinvolge lo spostamento
dell’arto di interesse da una posizione posteriore al tronco ad una anteriore. Simultaneamente la
caviglia si flette per azione del tibiale anteriore e recupera l’estensione che aveva spinto il corpo in
avanti alla fine dell’appoggio.
• Terminal swing o sospensione finale. Copre l’ultimo intervallo del ciclo del cammino. Si ha la
continuazione del movimento progressivo dell’arto di interesse ed il completamento dell’estensione
del ginocchio e della caviglia in preparazione al successivo contatto al suolo.
La velocità del cammino può quindi essere calcolata in funzione della lunghezza del semipasso (l sp) o
lunghezza del ciclo (lc):
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In questa tabella sono riassunti i range indicativi dei parametri che abbiamo menzionato per adulti sani. In
questo caso con “passo” si intende il “semi-passo”. La cadenza è superiore nelle femmine rispetto ai maschi,
infatti la velocità è minore; è inferiore anche la lunghezza ciclo, mentre quella dei maschi è maggiori, e questo
va ad impattare sulla velocità.
Durante la prima metà del ciclo del cammino l’anca continua ad estendersi. Lo fa fino a quando il tronco viene
spinto in avanti e inizia l’appoggio2 del piede controlaterale (fino alla fase di pre-swing). Durante la fase di
sospensione va in flessione e la flessione continua per portare l’arto in avanti.
Inizia con una piccola flessione che abbassa la traiettoria verticale del tronco quando passa sopra l’arto.
Quando il tronco oltrepassa l’arto di supporto inizia ad estendersi. Dopo l’appoggio del piede controlaterale,
quando il tallone del piede di interesse si alza, inizia una lenta flessione, che consentirà:
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La fase di appoggio non presenta mai le estensioni contemporaneamente delle tre articolazioni.
APPUNTI DI BIOMECCANICA DEL GESTO MOTORIO GIULIA SOFIA CHINDAMO
A partire da una posizione relativamente flessa fino al primo contatto, la caviglia inizia una breve estensione.
Quando la pianta è completamente appoggiata al terreno inizia una flessione mentre il corpo avanza
orizzontalmente, sopra l’arto di supporto.
Quando il tallone si alza, inizia l’estensione, che termina subito dopo il distacco del piede dal suolo. Inizia
quindi la flessione che consente al piede di non toccare terra durante la sospensione.
Durante la fase di appoggio del piede al terreno, la forza scambiata cambia in direzione, intensità e punto di
applicazione seguendo un andamento “a farfalla”. Nella fase iniziale la forza ha componente verticale di
supporto e componente orizzontale che si oppone al moto. L’intensità aumenta rapidamente, la direzione
tende a diventare verticale ed arriva a superare in modulo la forza peso. Nella fase centrale rimane circa
verticale ma l’intensità diminuisce, fino a scendere sotto la forza peso. Nell’ultima fase l’intensità aumenta
nuovamente e la direzione ruota in avanti per dare la spinta.
• Oscillazione degli arti superiori in opposizione all’arto inferiore dello stesso lato.
• Torsione dell’anca (ampiezza rotazionale sul piano trasverso: +/- 6°) e delle spalle (ampiezza
rotazionale sul piano trasverso: +/- 3.5°) in direzioni opposte.
• Il bacino ha oscillazioni verticali ed orizzontali.
• L’anca si abbassa nel piano frontale verso la gamba sospesa e si sposta verso la gamba in appoggio.
Il nostro corpo tende a ridurre il consumo energetico anche durante il cammino. Per fare questo devono
essere limitate le oscillazioni verticali del baricentro. A questa ottimizzazione contribuiscono i sei
determinanti del movimento.
1. Basculamento pelvico. L’anca oscilla nel piano trasversale per aumentare la lunghezza del passo e
ridurre le escursioni di quota del baricentro.
2. Rotazione pelvica. Il bacino si inclina verso la gamba sollevata per ridurre le escursioni di quota del
tronco.
3. Flessione del ginocchio. Accorcia la gamba nella fase intermedia dell’appoggio.
4. Appoggio sul tallone. Il tallone allunga la gamba ad inizio contatto.
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5. Spinta con l’avampiede. Il piede allunga la gamba a fine contatto. Si mantiene la quota del baricentro
quasi costante riducendo il lavoro antigravitario.
6. Riduzioni delle basi di appoggio. Le oscillazioni laterali del bacino sono limitate perché la base di
appoggio è piccola.
La marcia
La marcia competitiva è un metodo di locomozione derivato dal cammino, che viene utilizzato in alcune
competizioni agonistiche in cui è vietato correre. Non è un metodo naturale come la camminata o la corsa.
Nella marcia almeno un piede deve essere sempre a contatto con il terreno, inoltre il ginocchio dell’arto in
appoggio deve essere completamente esteso finché il tronco sia passato sopra il piede. Per marciare
velocemente, l’atleta deve quindi modificare lo stile del cammino esasperando alcuni aspetti del movimento,
tra i quali l’ancheggiamento e l’oscillazione di tronco e braccia. La velocità raggiunta dall’atleta è intorno a 4
m/s, velocità che in condizioni normali indurrebbe una persona a correre (anche perché il dispendio
energetico sarebbe minore).
La corsa è un metodo di locomozione naturale che fa un uso alternato delle due gambe, ma, a differenza del
cammino e della marcia, vi sono istanti in cui non vi è contatto del piede col terreno; questa fase viene detta
fase di volo.
• Fase di appoggio. All’inizio del contatto il ginocchio è leggermente flesso per favorire il molleggio,
continua a flettersi e la quota del baricentro diminuisce. Poi il ginocchio si estende proiettando il
corpo in alto ed in avanti. Al termine del contatto la gamba è completamente estesa.
• Fase di volo. Inizia quando entrambi i piedi sono staccati dal terreno e termina quando l’altro piede
tocca terra.
Fase di sospensione. Per sospensione si intende la stessa cosa della fase di volo, cioè quando
entrambi i piedi non sono in contatto con il terreno.
• Fase di oscillazione. Quando ci riferiamo alla gamba di interesse ed essa è in oscillazione durante
l’appoggio controlaterale.
1. Durante la fase di appoggio è una parabola con concavità verso l’alto (la quota del baricentro a
partire dall’appoggio diminuisce per poi aumentare fino alla completa estensione del ginocchio).
2. Durante la fase di volo è una parabola con concavità verso il basso e la massima quota si raggiunge
circa a metà.
In questa figura viene rappresentata la temporizzazione delle fasi di appoggio e di sospensione. In caso di
corsa lenta abbiamo la fase di appoggio singolo che è il 40% a cui segue un 10% in cui si ha fase di volo a cui
segue un 40% di oscillazione della gamba che da dietro viene portata in avanti, a cui segue nuovamente una
sospensione di entrambi i lati.
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Le tempistiche variano andando ad aumentare la fase di volo ad aumentare della velocità.
Modello massa-molla
Durante le prime fasi di appoggio i muscoli ed i tendini dell’arto inferiore si allungano immagazzinando
energia elastica che verrà restituita durante la fase finale di appoggio, cioè durante la spinta. Dato che la
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deformazione non è puramente elastica, solo una parte dell’energia potrà essere recuperata. Il restante deve
essere rigenerato dai muscoli.
𝑄 = 𝑚𝑣
Per aumentare la velocità di una massa costante posso aumentare la forza applicata oppure applicare la forza
più a lungo.
𝐹𝛥𝑡 = 𝐽
𝐽 = 𝐹𝛥𝑡 = 𝑚𝑎𝛥𝑡 = 𝑚𝛥𝑣 = 𝛥𝑄
Maggiore è la forza impulsiva (J) e maggiore sarà la variazione della quantità di moto e maggiore sarà la
velocità che il corpo assume.
Il picco della forza verticale dipende dalla durata dell’appoggio (Ta) e dal tempo di volo (Tv), che variano al
variare della velocità.
𝑇𝑠 = 𝑇𝑣 + 𝑇𝑎
L’impulso può essere frenante o propulsivo; l’impulso totale è la somma dei due, quindi per accelerare quello
propulsivo deve essere maggiore dell’impulso frenante.
La forza orizzontale ha un’ampiezza pari al 10-15% del picco di quella verticale. In ogni fase della corsa,
l’andamento della forza orizzontale è sinusoidale in cui la parte negativa corrisponde all’impulso frenante
L’impulso frenante dipende dalla distanza di atterraggio del piede al suolo rispetto al corpo. Se atterra troppo
avanti, l’impulso frenante è molto alto e rallenta.
Durante la fase propulsiva il piede si allontana dal corpo, permettendo di produrre una forza propulsiva per
maggiore tempo, generando un maggiore impulso propulsivo. D’altra parte, ai velocisti, viene insegnato di
mantenere il contatto a terra il meno possibile (meno di 0.1 s), atterrando con il piede non troppo avanti al
corpo minimizzando i tempi di contatto. Quindi maggiore sarà la distanza, maggiore sarà il tempo per
produrre un impulso propulsivo.
Con il termine fase di oscillazione si intende il movimento per portare l’arto dalla posizione anteriore a quella
posteriore rispetto al corpo. La fase di recupero indica invece il movimento per portare l’arto inferiore di
nuovo avanti.
Per completare la fase di oscillazione rapidamente, dobbiamo compiere rapidamente anche la seconda.
Gli arti inferiori possono oscillare più rapidamente innanzitutto vincendo l’inerzia di un arto. Infatti ogni corpo
rimarrà a riposo o continuerà a muoversi con velocità costante finché la risultante delle forze che sono
applicate ad esso non sia pari a 0.
𝐼 = 𝑚𝑟 2
m: massa della gamba
Esiste un legame inversamente proporzionale tra l’accelerazione angolare di un oggetto ed il suo momento
di inerzia.
𝜏
𝛼=
𝐼
Dove 𝜏 = 𝐹𝑑 cioè il momento della forza con d braccio della forza (parametro invariabile). Nel caso della
corsa, i muscoli coinvolti nell’oscillazione della gamba sono il grande gluteo ed i muscoli posteriori della
coscia, il cui braccio costituisce la distanza fra la loro inserzione ed il centro articolare.
Aumentare il momento torcente comporterà un aumento della velocità angolare dell’arto inferiore e quindi
della velocità lineare del piede. Nel caso dell’arto inferiore, il braccio della forza non può cambiare, quindi
bisogna allenare la forza ed aumentarla.
La relazione tra il momento torcente e la velocità è espressa mediante i concetti di momento angolare (𝐻 =
𝐼𝜔) e di impulso angolare (𝜏𝑡).
𝜏𝑡 = 𝐼𝜔 → 𝜔 = 𝜏𝑡/𝐼
Un impulso angolare crea una variazione nella velocità angolare di un oggetto che ha un dato momento di
inerzia.
Quindi, per fare oscillare più rapidamente l’arto inferiore durante uno sprint occorre:
Poiché aumentare il momento torcente è difficile a causa dei relativamente piccoli muscoli implicati in questo
movimento, si ricorre a strategie per ridurre il momento di inerzia (ad esempio, flettendo la gamba sulla
coscia).
Consideriamo due leggi: la terza legge di Newton e la legge di conservazione del movimento angolare.
Secondo la terza legge di Newton, per ogni azione angolare corrisponde una reazione angolare uguale e
opposta.
Inoltre, noi sappiamo anche che l’energia non può essere né creata né distrutta ma rimane costante, questo
vale sia per un sistema statico sia dinamico, come un corpo in movimento. Parlando di movimenti curvilei
possiamo dire che il momento angolare rimane invariato all’interno di un dato sistema, a meno che non ci
siano forze esterne che influenzano il sistema (legge di conservazione).
Perché muoviamo le braccia? La risposta è molto semplice e si rifà al principio di conservazione del momento
angolare. Muoviamo le braccia perché muoviamo le gambe, per conservare il momento angolare.
Quando abbiamo le gambe il più lontano possibile dal corpo, significa che stanno per invertire la direzione. Il
momento angolare e lineare sono circa pari a zero.
È come se gli arti inferiori stessero ruotando attorno alla linea mediana, che passa per il centro di massa, in
senso orario, con momento angolare coerente; per controbilanciare, il bacino ruoterà in senso antiorario. Gli
arti superiori si muovono in senso antiorario, alternatamente agli arti inferiori; il tronco per controbilanciare
si muoverà in senso orario con relativo momento.
Quindi il tronco ha movimento orario per controbilanciare gli arti superiori mentre il bacino compie il
movimento in senso antiorario per controbilanciare gli arti inferiori, in questo modo i due movimenti si
annullano.
Maggiore sarà la velocità di corsa e minore sarà la rotazione del tronco e quindi minore sarà il movimento
degli arti superiori.
In generale, il momento angolare degli arti superiori è uguale ed opposto a quello degli arti inferiori.
Un’oscillazione ottimale degli arti superiori si ottiene quando essi vengono ruotati all’indietro lungo il piano
sagittale, in senso opposto a quelli inferiori. La lunghezza del braccio deve variare in modo tale da generare
un momento angolare tale da controbilanciare il momento angolare degli arti inferiori istante per istante. Al
momento del contatto con il piede al suolo, il braccio deve essere esteso rapidamente per aumentare il suo
momento angolare, dato che quello relativo agli arti inferiori è massimo. Quando il piede si muove dietro il
corpo gli arti superiori devono flettersi per ridurre il momento angolare nel momento in cui viene ridotto
quello degli arti inferiori.
La fase di oscillazione degli arti superiori verso il basso e all’indietro dovrebbe essere vigorosa perché questo
spinge il corpo in avanti e aumenta la velocità, secondo la terza legge di Newton. La fase di recupero invece
deve essere lasciata a carico del ritorno elastico di muscoli e tendini, senza troppo vigore perché un’elevata
velocità rallenterebbe la corsa.
Tipologie di movimento
Di conseguenza, il moto dell’atleta è un moto lineare che avviene su un tratto curvilineo e uno rettilineo,
quindi prende il nome di moto lineare rettilineo e moto lineare curvilineo.
È più facile che vinca la gara sui 200m un atleta con la maggior accelerazione iniziale o un atleta che la
raggiunge la velocità massima più alta? In quale fase conviene diminuire la durata per avere un tempo totale
migliore?
Migliorare del 3% il tempo della fase di velocità massima (viene percorsa la distanza maggiore) ha un effetto
maggiore sulla velocità media e di conseguenza sul tempo totale rispetto ad un miglioramento sulle tre fasi.
Il salto verticale
Il salto verticale è un movimento previsto in molti sport, non solo per tentare di raggiungere la massima
altezza, ma anche per colpire o intercettare (ad esempio, la traiettoria di una palla). La performance nel salto
verticale è un tipico indicatore delle capacità atletiche legate alla forza esplosiva.
Squat Jump
Lo squat Jump è un esercizio molto utilizzato che prevede il piegamento delle ginocchia a 90°, piedi pari alla
lunghezza delle spalle, talloni aderenti al suolo, busto eretto, mani ai fianchi, per poi eseguire un salto
verticale senza contro movimenti.
Dinamica
𝑎 = 𝑐𝑜𝑠𝑡
𝑣 = 𝑣0 + 𝑎𝑡
1
𝑆 = 𝑆0 + 𝑣0 𝑡 + 2 𝑎𝑡2
Dove y indica l’altezza del centro di massa, mentre vy indica la velocità verticale.
Nel grafico sulle ascisse viene rappresentato il tempo, che nel caso del salto
rappresenta la durata della fase aerea, mentre sulle ordinate viene
rappresentata la variazione della posizione del centro di massa dell’atleta che
sta saltando. 21
Rappresenta un altro tipico esempio di salto verticale; si parte in posizione eretta, segue un piegamento sulle
gambe di circa 90° che consente al soggetto di incrementare la successiva spinta. L’altezza massima raggiunta
è superiore rispetto allo squat jump.
Ciclo stiramento-accorciamento
Infatti, ci troviamo in un tipo di lavoro pliometrico in cui si assiste ad un ciclo di stiramento e accorciamento;
quindi, ad una fase di contrazione eccentrica e poi concentrica che porta all’accumulo di un’energia elastica
che viene poi riutilizzata durante la spinta. L’elevazione che si va a raggiungere con il counter movement
jump è del 18-20% superiore rispetto allo squat jump. Inoltre sembra esserci anche una maggiore tensione
muscolare ottenuta per via riflessa.
Indice di elasticità
Sia lo squat jump che il counter movement jump misurano la forza esplosiva. Nello squat jump la capacità di
salto dipende dalle fibre e dalla capacità di reclutamento; nel counter movement jump è determinante la
capacità del muscolo di accumulare elasticità e di restituirla nell’attivazione concentrica successiva.
La differenza tra la performance nel counter movement jump e nello squat jump è indicata come indice di
elasticità (IE= CMJ-SJ/SJ x 100).
Test di Sargent
Il test si esegue inizialmente misurando l’altezza iniziale con un braccio disteso sopra la testa e
successivamente si andranno ad eseguire diversi movimenti a seconda di ciò che si desidera valutare (potenza
esplosiva elastica globale, potenza esplosiva elastica degli arti inferiori o potenza esplosiva degli arti inferiori).
1. Si esegue un salto con precaricamento degli arti inferiori e slancio degli arti superiori.
2. Si esegue un alto con precaricamento degli arti inferiori e spinta immediata senza l’uso degli arti
superiori, che vengono tenuti distesi sopra la testa durante tutto il movimento.
3. Si effettua un precaricamento sugli arti inferiori (con la coscia parallela al suolo) con seguente spinta
verso l’alto (sempre con gli arti superiori distesi sopra il capo). Si misura infine l’altezza massima
raggiunta (con le dita) durante i diversi movimenti.
Test di Bosco
Misura la forza esplosiva attraverso la misura della capacità di salto. Caratterizzato da una pedana collegata
ad un timer che misura il tempo di volo (dt) da cui si risale all’elevazione. Se nel caso di prima ci mancava il
tempo di volo, ora ci manca l’altezza raggiunta e la ricaviamo grazie ad una delle equazioni che descrivono il
moto rettilineo uniformemente accelerato.
22
Nell’antica grecia, il salto in lungo veniva effettuato senza rincorsa e la spinta avveniva con l’ausilio di due
pesi. Più recentemente, nel 2005, si dimostrò che impugnando due pesi da 2.3 kg l’uno, la lunghezza del salto
aumenta circa del 6%, perchè i pesi amplificano il movimento.
Il ruolo delle braccia è stato studiato tramite “esperimenti” confrontando il salto da fermo con le braccia
libere o bloccate vicino al tronco. Per rilevare in maniera più efficace i movimenti, sono stati utilizzati marker
riflettenti che attraverso l’acquisizione e riflessione hanno permesso di individuare e immagazzinare in un
software i movimenti. Inoltre, è stata utilizzata anche una piattaforma di forza per rilevare le forze scambiate
con il terreno durante le varie fasi di movimento.
Maggiore è l’impulso, maggiori saranno le velocità del baricentro e maggiori saranno le distanze dei salti. Una
volta spiccato il salto il soggetto è sottoposto alla forza peso ed il baricentro seguirà un’equazione parabolica
che dipende dalla posizione e dalla velocità del baricentro allo stacco. Il salto in lungo è misurato però come
lunghezza dalla linea di stacco al punto più arretrato dell’atterraggio e quindi ad influenzarlo saranno anche
i movimenti delle braccia e delle gambe. Il movimento delle braccia produce un salto migliore di circa il 20%,
e questo è dovuto a diversi fattori tra i quali l’aumento della velocità di decollo, il baricentro più avanzato al 23
decollo e il piede più avanzato all’atterraggio.
Il veleggiamento
Nella fase di veleggiamento, il corpo è in volo ed il baricentro copre la distanza orizzontale maggiore.
APPUNTI DI BIOMECCANICA DEL GESTO MOTORIO GIULIA SOFIA CHINDAMO
Quindi, il tempo di volo è funzione della velocità verticale del centro di massa al momento dello stacco. Nel
caso in cui la quota di stacco e di atterraggio coincidano:
La velocità iniziale orizzontale e verticale assunta dal centro di massa al momento di stacco risulta quindi
fondamentale per la lunghezza del salto (d, costituisce il 90%). Nel restante 10%, un 5% è relativo alla distanza
di decollo, influenzata dall’angolo di decollo.
È stato possibile identificare una relazione tra l’angolo di decollo, la distanza di decollo (5% iniziale) e la
velocità di decollo.
All’aumentare dell’angolo di decollo, diminuisce la distanza di decollo. Diversamente quando si salta con un
angolo di decollo basso, aumenta la distanza di decollo. Conviene mantenere un angolo di decollo basso per
avere maggiore impatto sulla distanza totale del salto.
La velocità di decollo diminuisce all’aumentare dell’angolo, si ha così impatto sulla distanza orizzontale;
conviene quindi avere V elevata e angolo di decollo basso.
V → Valore dell’angolo di decollo al quale si ottiene la maggior distanza (sia di volo che ufficiale) = 22°.
I modelli di Alexander e Seyfart definiscono la relazione fra velocità di rincorsa e distanza del salto.
All’aumentare della velocità di rincorsa si ha un aumento della distanza del salto (dato che aumenta la
velocità di stacco). Si guadagnano 8 cm ad ogni incremento di 0,1 m/s della velocità di rincorsa. Quindi
riassumendo, la distanza di volo aumenta: all’aumentare della velocità di stacco, quando l’angolo di decollo
è intorno ai 22° e all’aumentare della velocità di rincorsa.
La battuta
Come ottenere l’angolo di decollo e la velocità di stacco ottimali durante la fase di battuta? Per comprenderlo
sono stati proposti da Seyfart tre modelli che simulano il comportamento dell’arto inferiore durante la
battuta. Tali modelli consentono di ricostruire la forza piede-terreno.
3 – Due punti materiali accoppiati da elementi visco-elastici per simulare l’effetto delle masse molli.
La rincorsa
• Per ogni rigidezza (proporzionale alla forza di impatto) c’è un angolo di attacco ottimo.
• La stessa distanza può essere raggiunta con combinazioni di angolo-rigidezza diverse.
• Le perdite di energia durante l’impatto influenzano la lunghezza del salto.
• Un aumento della velocità di rincorsa migliora i salti.
Lanciare e colpire
In molte attività sportive ci si pone il problema di lanciare un oggetto ( che può essere peso, martello,
giavellotto, disco, palla) il più lontano possibile o verso un bersaglio. L’oggetto può essere fermo o in
movimento e il lancio può coinvolgere un attrezzo (mazza, racchetta, etc).
Sia l’aumento della lunghezza del braccio che quello della velocità angolare portano ad un aumento della
velocità di rilascio. Gli individui con braccia più lunghe hanno però velocità di rilascio maggiori, quindi su di
loro un aumento della velocità ha effetto maggiore rispetto ad individui con braccia più corte. Nei lanci in cui
viene utilizzato un attrezzo, le braccia tese al momento dell’impatto aumentano la velocità della palla; di
conseguenza, lanciando all’avversario la palla più vicino al corpo, obbligandolo a flettere le braccia,
provocherà una risposta non ottimale.
Fase di volo
Una volta in volo, l’oggetto si muove di moto parabolico che si riferisce al moto di un oggetto o di un corpo
umano lanciato in aria con un certo angolo. Tale moto viene influenzato dalla resistenza dell’aria (spesso
trascurabile) e dalla forza di gravità.
Qual è l’angolo di rilascio ottimale quando un lanciatore cerca di mandare il peso più lontano possibile? Quali
fattori influenzano la distanza percorsa dal peso e di quanto? La traiettoria e la sua gittata sono influenzate
da velocità di lancio, angolo di rilascio e relativa altezza di lancio (distanza verticale tra il punto di lancio e
quello di atterraggio).
Angolo di rilascio
Altezza di rilascio
• Gittata. Da questa formula, sapendo che X0 è uguale a 0, è possibile ricavare la velocità di rilascio
orizzontale e il tempo di volo.
• Tempo di volo.
1. Tempo per salire e tornare all’altezza di rilascio. Essendo una
parabola, il tempo di salita è uguale al tempo di discesa. Al picco
della traiettoria, cioè la fine della salita v = 0.
L’angolo ottimale nel nostro caso sembrerebbe essere 42.5° (sopra i 40 e sotto i 45°).
I lanciatori d’élite lanciano mediamente con angoli compresi fra i 36/37°. Perché? Più il lancio è verticale e
più il lanciatore lavora contro gravità, quindi la velocità di rilascio sarà inferiore. Produciamo più forza se
spingiamo in avanti piuttosto che verso l’alto per come lavorano i muscoli di torace e spalle: maggiore sarà
la forza, maggiore sarà la velocità.
Nel 1490 Leonardo Da Vinci progettò, ma non realizzò, un veicolo formato da sterzo, pedali e trasmissione a
catena. Questo progetto rimase fermo fino al 1791 quando fu proposto dal Conte di Sivrac come mezzo di
locomozione quello che è noto come celerifero, un veicolo in legno privo di sterzo, pedali e di ingranaggi che
veniva usato per scopi ludici.
Arrivati poi nel 1800, viene proposta dal barone Karl Von Drais la draisina composta da sterzo, telaio in legno,
cerchioni in acciaio e un sedile regolabile in altezza.
Nel 1861 viene progettato da Pierre Michaux il velocipede mezzo di locomozione a pedali, caratterizzato da
una grande ruota anteriore in grado di coprire una grande distanza con una solo pedalata; come appare ovvio
era però pericoloso e poco pratico.
Nel 1885 nasce la bicicletta, un veicolo dotato di sterzo, pedali, trasmissione a catena e ruote piccole,
costruito da Edoardo Bianchi.
Le forze in gioco
Le azioni motrici fanno sì che sia possibile il moto, compiendo un lavoro positivo che fornisce energia al
sistema. Le azioni resistenti invece fanno da freno ed assorbono o dissipano energia verso l’ambiente esterno
Se le azioni motrici sono maggiori delle azioni resistenti, la velocità del ciclista aumenta.
Se le azioni motrici sono minori delle azioni resistenti, la velocità del ciclista diminuisce.
APPUNTI DI BIOMECCANICA DEL GESTO MOTORIO GIULIA SOFIA CHINDAMO
Azioni motrici
Azioni resistenti
Tra le azioni resistenti troviamo la forza peso se il ciclista procede in salita, l’azione del vento se esso è
sfavorevole. Un’altra resistenza è quella dell’aria, anche in assenza di vento. L’aria è infatti un fluido e,
quando qualcosa si muove al suo interno, ne varia lo stato, ed essa pone resistenza.
L’attrito volvente è invece una forma di resistenza al moto che si oppone al movimento della ruota.
Le molecole del fluido collidono con l’oggetto e gli sottraggono energia, riducendone la velocità.
Quando un oggetto si muove all’interno di un fluido si possono identificare tre tipi di resistenza:
• Resistenza di forma
• Resistenza di superficie
• Resistenza d’onda (nel nuotatore)
Resistenza di forma
La forma dell’oggetto che collide con il fluido determina quanto flusso laminare diventerà turbolento ed
influenzerà la quantità di energia che l’oggetto cede al fluido.
Un oggetto con la parte anteriore a punta porterà ad una variazione della direzione del moto del fluido più
lenta; rallenta quindi anche la sua velocità e l’oggetto perderà meno energia cinetica.
Durante lo spostamento dietro l’oggetto si crea un vuoto, ovvero una zona a bassa pressione. Per gradiente
di pressione le molecole del fluido vanno ad occupare questo spazio in modo disordinato, o flusso turbolento,
e va a sottrarre energia cinetica all’oggetto in movimento. Per minimizzare questo fenomeno anche la coda
dovrà avere una superficie appropriata, infatti, ad esempio, il casco dei ciclisti è leggermente a punta.
Resistenza di superficie
La resistenza di superficie dipende dalla rugosità della superficie del corpo; nel caso del ciclista dipende dalla
pelle e dai vestiti. Infatti, piccole cavità o increspature nei vestiti trattengono le molecole del fluido
cedendogli energia.
Possiamo quindi dire che la resistenza di superficie sia una forza di attrito.
La densità dell’aria varia in funzione dell’altitudine, perché più si sale più la pressione atmosferica diminuisce,
ma varia anche in funzione della temperatura e dell’umidità. 30
La velocità relativa tra bici ed aria in assenza di vento corrisponde alla velocità di avanzamento della bici. In
presenza di vento favorevole invece 𝑣𝑟 = 𝑣 − 𝑣𝑣 , mente con vento sfavorevole 𝑣𝑟 = 𝑣 − (−𝑣𝑣 ) = 𝑣 + 𝑣𝑣 .
In generale la forza di resistenza è opposta al moto e ha quindi azione frenante; essa diventa a favore, cioè
esercita azione motrice, solo quando Vv> v → Vr< 0 → Fd> 0.
Sapendo che la potenza è data dal prodotto della forza per la velocità e sapendo che in condizioni di assenza
di vento 𝐹𝑑 = 𝑘 ⋅ 𝑣 2 , la potenza sarà:
𝑃 = 𝐹𝑑 𝑣 = −𝐹𝑑 𝑣 = −𝑘𝑣 2
Attrito volvente
Sul sistema uomo bicicletta agiscono diverse forze, che possono essere motrici o frenanti. Fra le azioni
resistenti ci può essere l’attritio volvente. L’attrito volvente si manifesta quando un corpo rotola su di una
superficie contro la quale è premuto con una certa forza.
Supponiamo poi che la ruota inizi a muoversi con una velocità v (immagine b); la distribuzione della pressione
diventa asimmetrica con il massimo che si sposta in avanti nella direzione di avanzamento, questo è dovuto
alle proprietà viscoelastiche dei materiali coinvolti. Di conseguenza però, il punto di applicazione della forza
peso è sempre quello precedente, ma essendo cambiata la distribuzione al suolo, la forza di rimando del
suolo nei confronti della ruota non viene applicata nel punto in cui si scaricava la forza F, quindi sulla stessa
linea, ma anteriormente. Di conseguenza si crea una distanza u tra il punto di applicazione della forza peso e
il punto di applicazione della forza uguale ed opposta del suolo verso la ruota. Essendoci delle forze coinvolte
e un braccio della forza, si genera un momento di tipo frenante, cioè che tende ad opporsi al moto. Questo
momento deve essere contrastato ad un’altra forza, ad esempio la forza motrice dei muscoli.
𝐹0 𝑅 = 𝐹𝑢
31
𝐹0 = 𝑓𝑣 𝐹
𝑢
Perché il coefficiente di attrito volvente è 𝑓𝑣 = 𝑅 dove R è il raggio della ruota e u è la distanza di applicazione
della reazione del terreno rispetto al centro di rotazione. Nel caso della ruota della bicicletta si può sostituire
F con N, ovvero la forza che preme la ruota al suolo. Il coefficiente di attrito volvente varia al variare della
pressione dello pneumatico, del raggio della ruota e della geometria del pneumatico.
Forze ai pedali
L’azione propulsiva dei muscoli si concretizza con i pedali. Nella figura viene rappresentata un esempio di
pedivella, quindi quella che viene identificata come pedale. Come vediamo, il pedale si sta muovendo con
una velocità vp. Nella seconda immagine troviamo la forza F che può essere scomposta in due componenti,
una componente tangente alla circonferenza descritta dalla pedivella (Fe) e una componente perpendicolare
alla circonferenza (Fr).
Potenza motrice
𝑃𝑝 = 𝐹𝑒 𝜔𝑝 𝑟
La componente efficace è massima intorno ai 90°, mentre è minima e quasi nulla tra i 180° e i 360°. La
componente efficace è sempre tangente alla circonferenza.
La componente radiale può essere rivolta sia verso l’esterno che verso l’interno a seconda di come è
esercitata la forza sul pedale.
32
L’indice di efficienza della pedalata esprime il rapporto tra lo sforzo utile dato dalla componente efficace e
quello totale a carico dei muscoli ed è calcolato su un giro.
Dove Fe rappresenta il valore medio della componente efficace della forza, mentre F rappresenta il valore
medio della forza totale generata dai muscoli.
In un giro di pedale abbiamo il PMS, ovvero il punto morto superiore, in cui abbiamo la fase di spinta in avanti
che occupa circa 20°, a cui segue la fase propulsiva in cui si sviluppa la maggior parte della potenza su di un
pedale. Dai 170° ai 190° abbiamo il PMI, o punto morto inferiore, in cui non entrano in gioco né estensori né
flessori degli arti inferiori, a cui segue la fase di recupero.
Il cambio è l’organo principale per la regolazione della pedalata e serve ad adattare le capacità biomeccaniche
e fisiologiche dell’atleta alle varie condizioni di percorso. L’azione del cambio è quella di trasformare la forza
efficace in forza motrice tramite il rapporto di trasmissione τ:
𝐹𝑚 = 𝜏𝐹𝑒
E la velocità dei pedali in velocità di avanzamento:
𝑣𝑃
𝑣=
𝜏
34
Abbiamo qui la relazione tra la forza resistente e la velocità di avanzamento. Anche la forza resistente varia
al variare della velocità di avanzamento. Ipotizziamo che le componenti resistenti dovute al peso e all’attrito
volvente siano costanti, e che l’unica a variare è la resistenza aerodinamica dell’aria, che varia
proporzionalmente alla velocità relativa tra il sistema uomo-bicicletta e l’aria al quadrato (quindi avremo
linee curve di tipo parabolico). Queste curve partono da punti differenti a seconda che si parta dalla pianura
o in salita, però mantengono questo andamento.
I punti di funzionamento
Data una certa forza resistente esiste un rapporto di trasmissione ottimale che permette di ottenere la
massima velocità di avanzamento.
Locomozione in acqua
Il nuoto è una forma di locomozione in un mezzo, rappresentato dall’acqua. La biomeccanica del nuoto ha
ricevuto scarsa attenzione fino alla fine degli anni ’60; la prima analisi accurata dei meccanismi della nuotata
è dovuta a Counsilman (1971).
Quando il nuotatore si muove all’interno dell’acqua genera forze idrodinamiche che agiscono sul corpo e
sugli arti e contribuiscono al movimento in avanti del nuotatore.
Forze in gioco
In acqua un corpo è soggetto alla forza di gravità, alla spinta di Archimede (in inglese: buoyancy), alla
resistenza dell’acqua all’avanzamento (in inglese: drag) e alla portanza (in inglese: lift).
Un corpo immerso in un liquido è soggetto a una forza dal basso verso l’alto uguale al peso del liquido
spostato, la cosiddetta spinta di Archimede.
Siccome la densità dell’acqua e quella del corpo sono simili, la spinta di Archimede è circa pari alla forza-peso,
quindi il galleggiamento non è un problema.
Il punto di applicazione della forza di Archimede e della forza di gravità si vanno a trovare ad una distanza d,
quindi una forza rispetto all’altra ha un braccio d’azione, portando alla creazione di un momento. La coppia
di forze fa ruotare il corpo fino al raggiungimento di equilibrio, cioè la condizione in cui la forza di Archimede
e la forza di gravità agiscono su punti che si trovano allineati sulla verticale.
35
In questo caso, essendo forze che agiscono sulla stessa direzione in verso opposto e con stesso modulo si
arriva ad un punto di equilibrio, detta condizione di galleggiamento naturale.
Il drag è la resistenza che un fluido oppone al moto di un corpo che lo attraversa. Nel caso del nuoto, può
agire come forza propulsiva dato che la mano ed il braccio spesso si muovono in direzione opposta al moto.
• Drag di forma
• Drag di superficie
• Drag d’onda
Il drag di forma
Per minimizzare il drag di forma il nuotatore deve assumere una posizione aerodinamica, cioè la più
affusolata e lineare possibile, ogni volta che può. Si suggerisce si creare con spalle e petto uno spazio
nell’acqua all’interno del quale fluiranno gli
arti inferiori.
1
𝐹𝑑 = 𝑐 𝑝 𝑆 𝑣𝑟2
2 𝑑
Dove cd è il coefficiente di forma, p è la densità
dell’acqua, S è l’area frontale del nuotatore e
vr2 è la velocità relativa dell’acqua rispetto al
nuotatore.
APPUNTI DI BIOMECCANICA DEL GESTO MOTORIO GIULIA SOFIA CHINDAMO
Il drag di superficie
Infatti, in gara è sconsigliato utilizzare costumi larghi ma vengono utilizzati costumoni sintetici e attillati.
Drag d’onda
Il drag d’onda è presente all’interfaccia tra due liquidi differenti, quindi in questo caso tra aria e acqua e si
forma quando il nuotatore si spinge attraverso l’acqua. Quando si spinge si generano delle onde dovute allo
spostamento dell’acqua che si sposta perché lo spazio in cui si trovava prima viene occupato dal nuotatore.
I nuotatori che avanzano sulla superficie generano onde frontalmente e lateralmente; queste onde lo
rallentano perché per essere generate parte dell’energia cinetica del nuotatore si deve trasformare in energia
per spostare l’acqua per far spazio al corpo e quindi che forma l’onda.
La formazione dell’onda necessita di sviluppo da parte del nuotatore di un lavoro per vincere la gravità e
l’inerzia della massa d’acqua che viene sollevata. Questo lavoro, poiché l’energia si conserva, è dato da una
perdita di energia cinetica che viene trasferita dal nuotatore all’acqua.
𝐹𝑤 𝛼𝑉𝑟3
36
Il drag d’onda aumenta con l’aumento della velocità relativa.
Potremmo pensare che se avessimo un corpo più lungo, potremmo nuotare più velocemente prima di
trovarci in questa condizione3.
La resistenza d’onda dipende anche dalla profondità dell’acqua alla quale si sta muovendo il corpo: più il
corpo si allontana dalla superficie e più questa forza tende a diminuire, fino ad annullarsi. È stato dimostrato
che a 0.6 m di profondità la componente di resistenza d’onda è praticamente nulla. Quando il corpo si è
appena immerso ed è vicino alla superficie è massima.
Alla fine della fase di recupero, il braccio deve essere mantenuto disteso davanti alla testa/spalla del
nuotatore al fine di ridurre la formazione di onde tramite una lunghezza maggiore del corpo, le pressioni a
livello della testa che potrebbero portar alla formazione di onde di prua e il drag di forma, favorendo la
separazione dell’acqua intorno al corpo, consentendole di spostarsi più facilmente, diminuendo la turbolenza
e quindi la perdita di energia.
3
Nei nuotatori professionisti si raggiungono tempi che sembrano minimizzare la questione dell’altezza.
APPUNTI DI BIOMECCANICA DEL GESTO MOTORIO GIULIA SOFIA CHINDAMO
La testa è come il timone del nostro corpo e deve essere mantenuta nel modo più naturale possibile in modo
da mantenere rilassati più muscoli possibile. La testa dovrebbe essere mantenuta in asse con il corpo per
minimizzare il drag d’onda e di forma. Questa posizione permette una maggior spinta di archimede.
L’ampiezza della gambata dovrebbe essere la più piccola possibile per una data potenza perché questa
aumenta il drag di forma. Il corpo deve avere un buon allineamento con la direzione di nuoto per minimizzare
il drag di forma.
L’utilizzo di costumi appropriati, in termini di aderenza al corpo e di materiali, aiuta a minimizzare i tre tipi di
drag.
𝑚 ⋅ 𝑥̈ = 𝐹𝑃 − 𝐹𝑑
0 = 𝐹𝐵 − 𝑚𝑔
Velocità di progressione
Per una certa forza di propulsione, siccome il drag aumenta con la velocità, esiste una velocità massima
(‘terminale’) per cui la forza propulsiva uguaglia il drag, ossia FP = FD:
√2𝐹𝑃
𝑣=
𝑝 ⋅ 𝐶𝑑 ⋅ 𝑠
37
Dove v è la velocità di progressione in acqua.
Portanza (lift)
La differenza di pressione spinge verso l’alto favorendo il galleggiamento. L’equazione che descrive il lift è
pari a quella che descrive il drag di forma; all’aumentare della velocità aumenta la portanza.
Perdite energetiche
Come detto prima, da un lato abbiamo che, grazie al fatto che noi ci stiamo muovendo contro l’acqua,
sfruttando la forza che poi l’acqua restituisce a noi, sfruttiamo questa forza come forza propulsiva insieme
alla portanza.
D’altra parte, però noi, per spingere via l’acqua, dobbiamo cedere parte della nostra energia cinetica
all’acqua stessa. Di conseguenza questa è una perdita energetica che ci fa anche perdere velocità.
Per spostarci in avanti in acqua dobbiamo applicare una forza sull’acqua diretta all’indietro in modo che
l’acqua risponda con una forza uguale e contraria, diretta in avanti (terza legge di Newton). Dato che però
l’obiettivo è spostarsi il più rapidamente possibile, conviene considerare la potenza, cioè la forza nell’unità
di tempo. 38
La potenza di azione si differenzia dalla potenza di reazione poiché la prima indica il lavoro meccanico totale
prodotto da un nuotatore (cioè la somma del lavoro impiegato per vincere la resistenza totale e del lavoro
prodotto per generare la propulsione) mentre il secondo indica la potenza utile generata in acqua.
Dove PD è la potenza necessaria per vincere il drag del corpo (potenza utile), PK è la potenza spesa per
modificare l’energia cinetica del corpo spingendo via la massa d’acqua (ceduta all’acqua), Fp è la forza
propulsiva, u è la velocità della mano e D è il drag dell’acqua.
Possiamo quindi andare a definire un coefficiente che misura l’efficienza della propulsione che è il rapporto
fra la potenza utile e la potenza totale:
4
Anche gli arti inferiori contribuiscono alla propulsione, ma soprattutto aiutano a mantenere il corpo in posizione
aerodinamica per ridurre la resistenza.
APPUNTI DI BIOMECCANICA DEL GESTO MOTORIO GIULIA SOFIA CHINDAMO
Questo coefficiente nei nuotatori d’elite è circa il 61%, ovvero il 61% della potenza generata serve a spostare
il nuotatore ed il 39% per spostare la massa acqua.
Un altro modo è agire sul movimento della mano, infatti sembra che la
mano si debba spostare lievemente lateralmente attraverso l’acqua: il
suo inclinarsi e ruotarsi verso il flusso determina una portanza sul
palmo della mano che contribuirà alla propulsione.
Considerando che durante la bracciata anche il corpo ruota, se consideriamo il movimento della mano
rispetto al sistema di riferimento della piscina è pressoché rettilineo, pur mantenendo il minimo movimento
laterale rispetto al corpo. Mantenere la traiettoria rettilinea aiuta anche a controbilanciare il momento
torcente che si crea a livello della spalla dovuto alla forza di reazione dell’acqua, che ha come braccio d’azione
la distanza tra mano e spalla.
Se la mano si muove il più possibile in linea retta, produciamo forze nella direzione corretta per farci andare
avanti, e inoltre, la mano è più vicina alla spalla (non va in profondità, grazie alla flessione del gomito) e
questo minimizza il momento torcente alla spalla che deve essere controbilanciato dai muscoli.
39
LA BIOMECCANICA DELLO SCI ALPINO
Cenni storici
Fino a circa metà del diciannovesimo secolo gli sci erano in legno e
ricoperti di pelliccia per facilitare la salita.
Lo sviluppo del moderno sci risale agli anni venti del 1900 quando in svizzera si svolse la prima gara di discesa.
Interazione atleta-attrezzo-ambiente
Le funzioni degli sci sono principalmente di sostegno del peso dell’atleta e di riduzione delle forze resistenti
nella direzione del moto.
Forze in gioco
Le forze in gioco sono principalmente l’azione propulsiva, forze resistive esterne e le forze muscolari.
Le forze muscolari esercitate dall’atleta hanno la funzione di mantenere il contatto tra sci e terreno
modulando il carico, di mantenere la traiettoria del centro di massa e di impostare il cambio di direzione.
Moto di discesa
Facendo gli opportuni conti si può ricavare il tempo finale per percorrere il pendio che dipende sia da h che
dall’angolo di inclinazione (inversamente proporzionale).
Per quanto riguarda l’attrito, vediamo innanzitutto che agisce nella stessa
direzione del moto dello sciatore ma con verso opposto. L’attrito è proporzionale alla forza premente, cioè
alla componente normale al piano inclinato della forza peso e sarà pari a: 𝐹𝑎𝑡𝑡 = 𝑓𝑑 𝑚𝑔 𝑐𝑜𝑠𝛼. Non c’è una
dipendenza né dalla velocità né dalla posizione dello sciatore ma solo dalla massa e dalla superficie che agisce
sul coefficiente di attrito.
Per quanto riguarda la forza aerodinamica dell’aria, vediamo che agisce nella direzione del moto dello
sciatore ma con verso opposto. Questa forza dipende dalla velocità relativa dello sciatore rispetto al vento,
che sarebbe pari a 𝑣𝑓 − 𝑣𝑣 in quanto la velocità del vento è opposta alla velocità dello sciatore. L’altra
componente che influenza la forza aerodinamica è il coefficiente di penetrazione aerodinamica, sul quale si
può lavorare; varia tra 0,46 e 0,96.
Un altro contributo è dato dalla densità dell’aria che può variare con altitudine ed umidità. Un'altra 41
componente è quella della superficie frontale del corpo; la resistenza aerodinamica aumenta all’aumentare
della superficie che viene esposta all’aria. Conviene quindi adottare una posizione ad uovo per minimizzare
la superficie frontale esposta all’aria.
A basse velocità prevale la forza resistente determinata dall’attrito ma ad alte velocità prevale quella
aerodinamica in quanto vr è elevato al quadrato.
42
5
La forza centrifuga, e di conseguenza quella centripeta, è una forza «laterale», cioè ortogonale al moto, che
contribuisce a modificare la direzione della traiettoria ma non la velocità del movimento.
APPUNTI DI BIOMECCANICA DEL GESTO MOTORIO GIULIA SOFIA CHINDAMO