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Prima lezione- 10 Ottobre 2010 (Slide numero 01)

Nel mondo antico Greco e Romano l’arte è una comunicazione per immagini.
L’arte Greca e Romana tradizionalmente viene indicata come arte classica.
Il classicismo in campo artistico ed estetico è un atteggiamento culturale che consiste nell’attribuire un
valore esemplare ai modelli di arte dell’antichità classica. L’ arte antica non è mai morta, è sempre stata
recuperata, sono le cosiddette rinascenze, un fenomeno ricorrente nell’arte e nella cultura europea. Perché
l’arte classica è stata recuperata? Per motivi ideologici e politici, così da proiettare sul presente almeno una
parte del prestigio e della gloria che un * è stato riconosciuto alla civiltà del mondo classi e in particolare
alle sue forme di comunicazione per immagini. Prima rinascenza celebre è quella di Carlo Magno che per
rafforzare sul piano ideologico il suo progetto di egemonia europea elabora il concetto di Sacro Romano
Impero, si fa incoronare imperatore a Roma la notte di natale del 200, si serve di un’arte di chiara
ispirazione Romana per dare una prova tangibile dell’idea che questo suo progetto politico non è soltanto
una vaga ispirazione ma è in qualunque modo una diretta dipendenza dell’impero romano nonostante tra
la caduta dell’impero romano e l’impero di Carlo Magno passino diversi secoli.
Un’immagine legata alla Cappella Palatina di Aquisgrana
costruita nel 795-805 d.c. quindi in pieno alto medioevo ha
una pianta centrale poligonale e una cupola mosaicata,
purtroppo il mosaico è stato rifatto tutto nell’ 800 quindi
non si tratta più di quello alto medioevale originale ma
tanto l’architettura quanto la decorazione indirizzano la
ricerca dei modelli proprio verso le soluzioni formali
dell’architettura romana della tarda antichità e in
particolare verso il modello del mausoleo. L’uso poi di
materiali architettonici di rilievo come i capitelli, le colonne,
le transenne di bronzo confermano il valore politico che si
vuole dare alla tradizione romana e è testimoniato
attraverso le immagini.
Qualche secolo più tardi è poi il rinascimento a denunciare
perfino nel nome il valore che si vuole attribuire alla
antichità e il legame che si vuole mantenere ben saldo
rispetto all’ antichità.
La Firenze della famiglia de Medici è la culla di una
cultura umanistica nuova che rappresenta una frattura rispetto al medioevo perché tanto più
consapevolmente si sforza di eguagliare e superare il modello classico riportando l’uomo anziché Dio al
centro dell’interesse e attribuendo all’uomo una dignità che infondo il medioevo legava il nome della
trascendenza.
Brunelleschi, Alberti in architettura, Donatello per la scultura, Masaccio per la pittura schiudono le porte
a un mondo nuovo.

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Perché è un mondo nuovo quello rinascimentale? Perché è indotto da quello antico alla razionalità, alla
chiarezza, all’armonia, tutti concetti cardine della forma artistica antica che vanno intese soprattutto in
senso simbolico.
Palladio che si trova a Villa Capra ed è stato realizzato nel 1567 conferma il valore di esemplarità morale
che il rinascimento riconosce all’arte classica.
Il rapporto con i testi era fondamentale nel
rinascimento perché proprio questo rapporto
mostra come si consideri l’uomo misura di
tutte le cose, non solo superiore per virtù
intellettuale a tutti gli altri elementi del creato
ma soprattutto a parametro fisico e
proporzionale in base al quale misurare e
costruire il mondo, l’uomo al centro di tutto e
questo concetto fondamentale che è l’uomo
misura di tutte le cose veicolato dal mondo
moderno attraverso il rinascimento è in realtà una delle elaborazioni formali più durature ed efficaci della
scultura greca.
Anche l’ottocento esprime la sua forma particolare di rinascenza è il neoclassicismo euro-americano perché
ci permette di comprendere a quale profonda diversità di valore le forme antiche possano piegarsi per la
grande ricchezza ed esperienza che il mondo antico ha espresso.

San Pietroburgo, Piazza dello Stato Maggiore 1819-1829 è la capitale


dell’autocratico impero degli Zar di tutte le russie, è un mondo
estremamente chiuso, arretrato guarda all’impero di Roma e ne
assume le forme, le colonne, l’arco trionfale, la quadriga, la cupola
perché all’impero di Roma l’impero russo guarda per accreditarsi, per
ereditare il prestigio, l’autorità, l’autorevolezza della Roma antica
imperiale.

Ma contemporaneamente negli stessi anni le stesse identiche forme architettoniche


erano utilizzate nella capitale dei giovanissimi Stati Uniti d’America che
innalzano come simbolo della democrazia il Campidoglio 1793-1818 che è sede
dell’organo legislativo degli Stati Uniti. Un edificio che ancora una volta già nel
nome prima ancora che nelle forme richiama esplicitamente l’esperienza di
Roma, colonne, capitelli, timpani, la cupola.
Ci troviamo però in un contesto politico che persegue valori radicalmente diversi,
tutto questo accade perché le stesse forme si prestano ad una lettura di tipo
diverso, Roma prima di essere il più importante e il più vasto impero del mondo
antico è stata anche una democrazia, la democrazia prestigiosa, la democrazia
che da sola vince contro nemici potenti e afferma se stessa.

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Ecco allora il richiamo al mondo antico è tanto pervasivo da essere adeguato in due modelli politici
ottocenteschi che sono letteralmente agli antipodi tra loro, l’impero autocratico degli Zar e la giovane
democrazia statunitense.
Se arriviamo in epoca più vicina a noi una delle pagine più buie della storia del nostro paese, forse
dell’Europa intera anche durante la Seconda Guerra Mondiale, la dittatura nazista in Germania e
fascista in Italia non possono fare a meno del richiamo all’antico perché pilotavano il consenso proprio
attraverso i simboli e i monumenti di Roma (Colosseo, l’arco di Tito, l’arco di Costantino) proprio per la
loro presenza incombente si prestano a diventare una sorta di scenografica facciata per la parete che
celebravano il potere della dittatura. Meno scontato è l’uso che dei monumenti antichi si fa in Germania
dove però il Reichstag 1941 (cioè il cosiddetto parlamento) è
letteralmente dominato dall’aquila romana, simbolo delle legioni di
Roma. Persino le avanguardie artistiche più innovative e originali
non possono mai fare a meno di confrontarsi con il classico, perché
il classico non è soltanto un infinito repertorio di modelli ma è in
qualche modo uno stato d’animo, un riferimento ideale che affiora
sempre a livello tematico prima ancora che stilistico nella cultura e
nell’arte occidentale.
Come è possibile questa persistenza così tenace attraverso i secoli, nonostante noi chiamiamo antica questa
manifestazione artistica (antico=lontano, lontano da noi) e perché se è antico, lontano da noi,
continuamente affiora? E’ possibile questo continuo riaffiorare perché nell’antico (che si chiama anche
classico cioè esemplare, perfetto cioè modello da imitare) c’è tutto, tutte le forme ci sono, dagli idoli ciclabili
del 2300 a.c. fino hai mosaici * del VI secolo d.c. il classico offre un repertorio formale eccezionale di modelli
e di stili anche contraddittori ma che rappresentano un enorme ricchezza che alimenta sempre la cultura
artistica europea in ogni secolo.
Esempio: se Giovanni Pisano osserva i sarcofagi romani al camposanto di Pisa e per le sue sculture
recupera il phatos=il profondo coinvolgimento emotivo dello scultore tardo classico skopas. Donatello
ripropone invece a breve distanza cronologica in chiave cristiana la solenne monumentalità, la serenità
assoluta degli dei scolpiti da Fidia. L’arte classica in questo contesto culturale offre un repertorio di
confronto e di ispirazione infinita. Le logge vaticane che Raffaello
dipinge insieme ai suoi *: tra il 1517 e il 1518 lo stile del grottesco, si
chiama così perché Raffaello prende ispirazione per questo stile
calandosi sotto alle rovine delle terme di Traiano a Roma dove c’era
la Domus Aurea per osservare le pitture antiche a fondo bianco che
un pittore famosissimo nel mondo antico di nome Fabullus aveva
messo in opera per ornare la Domus Aurea dell’imperatore Nerone.
Calandosi nei cunicoli sotterranei Raffaello aveva l’impressione e
molti altri che scendevano che sembravano grotte da qui il nome delle
grottesche che diventavano improvvisamente alla moda in tutta
l’europa del cinquecento e tutti i palazzi aristocratici (a Parigi, a
Vienna, a Berlino, a Madrid, a Mosca) vogliono le grottesche come
richiamo ad una moda sovranazionale alle cui origini c’è l’arte del
pittore romano Fabullus.

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Nella cappella sistina il cuore del vaticano, Michelangelo trasforma in una
dignitosissima ma potente figura di madonna quella che in realtà è un’Afrodite
pagana e denuncia in questo una conoscenza nient’affatto superficiale della
statuaria classica, perché in realtà le sculture classiche rappresentano
spessissimo una immediata fonte di ispirazione, in senso positivo cioè me ne
servo perché in quel modo riconosco un’autorità, un’autorevolezza che mi
permette di spostarne ovviamente l’ambito di applicazione del mondo pagano al
mondo cristiano. Qualche volta un fardello così pesante da portare che va in
qualche modo sventeggiato.

Tiziano Paolo III e i nipoti Farnese 1546


trasforma la posa del Discobolo in un leccato inchino che il nipote di Papa
Paolo III offre a suo nonno così potente.
Lo stesso Tiziano che ama prendere in giro un capolavoro scoperto nel
1506 che fa scalpore in tutta l’Europa, tutti i regnanti europei offrono al
Papa somme straordinarie per avere il Laoconte che viene alla luce nella
Domus dell’Imperatore Tito la dove le fonti antiche dicevano che fosse, ma
il Papa lo tiene per sé e intorno a questa statua comincia a aggregare una
delle più eccezionali collezioni d’arte antica dove sono le collezioni dei musei
vaticani.

Persino Rembrandt non è esente da questa suggestione.


Rembrandt è un pittore fiammingo quindi Olandese, che vive e
muore sempre nella sua città natale Leiden e durante tutta la
sua vita non ha mai fatto più strada di quei 40 km che
separano Leiden da Amsterdam la città più vivace che gli
offriva un mercato.
Rembrandt a metà del seicento è un pittore ormai anziano in
avanzata maturità, è un pittore ormai sull’orlo della rovina
perché il suo stile è ormai passato, non ottiene più committenze
ma si rivolge a lui un collezionista messinese raffinato ed
esigente il cardinale Antonio Ruffo e gli chiede per una galleria
di uomini illustri un busto di Aristotele. Rembrandt dipinge
un’Aristotele pensoso in una penombra sfiorata dalla luce
radente, un’Aristotele che non è vestito alla greca, ma indossa
uno strano abito vagamente esotico, scuro con queste maniche chiare molto abbondanti di tessuto e un abito
attraversato dal bagliore della catena d’oro che porta a tracolla. In tutto questo non c’è nulla di classico
però questo Aristotele pensoso poggia la mano su una statua il busto di Omero che è una riproduzione
perfetta del cosiddetto “Ritratto di Omero” un’opera del tardo ellenismo che si trova hai musei capitolini.
Come fa a conoscerlo lui che da Leiden non si è mai allontanato? Lo conosce perché le riproduzioni a
disegno di sculture ed elementi architettonici antichi viaggiavano in tutta l’Europa e rappresentavano

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sempre un momento importante nell’addestramento dei giovani artisti, anche di coloro che poi dal punto di
vista stilistico come lui sceglievano strade diversissime dal classico, ma il classico era il loro linguaggio
elementare, la base da cui partire, i maestri insegnavano queste forme prima di tutto.
Nella cultura Europea sono molteplici le rinascenze perché spesso l’arte classica
si è prestata ad un suo riutilizzo politico, ma la divina che studiamo a un
padre e questo padre è Johann Joachim Winckelmann, un signore Tedesco che
inventa la storia dell’arte antica come disciplina di studio e di ricerca. Fino a
lui l’arte classica è stata ciclicamente recuperata, ripresa, imitata ma è solo con
lui che l’arte classica comincia ad essere anche studiata. E’ lui il fondatore
della nostra disciplina di studio, che oggi noi chiamiamo storia dell’arte antica
ma che lui chiamava archeologia. E’ un signore che è dotato di una eccezionale
conoscenza delle lingue e delle letterature antiche greco e latino, in virtù di
questa straordinaria conoscenza delle fonti arriva a Roma nel 1755 e diventa
un protetto del cardinale Albani che era il nipote di Papa Clemente XI, entra
in un ambiente romano di altissimo rilievo.
Partendo dall’indagine delle statue che esistevano a Roma e che Winckelmann può osservare direttamente
nelle collezioni delle grandi famiglie aristocratiche, questo signore elabora un testo che viene pubblicato a
Dresda nel 1764 e si intitola “Storia dell’arte degli antichi”, che poi qualche anno più tardi sarà pubblicato
anche in Italia in traduzione italiana con un titolo che in realtà cambia parecchio le carte in tavola perché
il titolo italiano è “Storia delle arti del disegno presso gli antichi”.
Oggi questo è un testo ampiamente superato, ma fondamentale per la direzione che imprime al corso degli
studi successivi.
Winckelmann è superato ma è un padre fondatore e imprime una direzione di ricerca che è valida poi noi
secoli successivi ecco perché vi parlo di Winckelmann.
Nel settecento quindi nei tempi suoi l’arte classica era considerata un ammasso di opere, soprattutto di
carattere scultoreo, perché essendo di pietra le statue hanno molta più probabilità di conservarsi attraverso
i secoli che non i quadri, che non la ceramica, che non il vetro, altre classi di manufatto sono addirittura
molto più fragili. Queste statue erano venute in luce nel corso dei secoli dal medioevo e affollavano le
collezioni degli amatori. L’arte antica era considerata un blocco unico, cioè senza prospettiva storica, senza
distinzione Grecia e Roma e naturalmente senza distinzione originale e copia. Pochissimi erano di fatto gli
originali noti come ad esempio il Marc Aurelio sul cavallo che stava in origine di fronte al Lalterano che
poi è stato spostato in campidoglio dov’è ancora oggi (dentro i musei capitolini perché fuori c’è la copia).
Un originale che si era conservato perché frainteso, perché nel medioevo lo si considerava una statua di
Costantino il primo Imperatore cristiano, ecco perché era stata sempre rispettata e soltanto gli antiquari, gli
umanisti rinascimentali attraverso il confronto tra la faccia di questa statua e i tratti modellali di Marc
Aurelio ristabiliscono l’identità del personaggio.
Quindi pochissimi erano di fatto gli originali greci o antichi noti, ma per di più spesso erano fraintesi.
Secondo Winckelmann la comprensione dell’opera d’arte deve partire essenzialmente dalla fissazione di una
cronologia ecco qua la linea, l’indirizzo che impronta di sé tutto lo sviluppo della disciplina successiva.
Winckelmann manifesta la sua genialità in questo, cioè nell’unire storia e arte, nell’introdurre il concetto di
storia dentro nello studio delle antichità. L’antichità è un periodo storico lungo, facciamo ordine dentro
questo periodo storico lunghissimo, distribuiamo le manifestazioni artistiche lungo una linea che metta in

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ordine ciò che viene prima e ciò che viene poi, questa è la finalità. Ecco allora perché questo corso si chiama
storia dell’arte e non arte.
A noi fanno fare un percorso storico e questo percorso storico nel campo dell’arte antica se lo inventa
Winckelmann. E allora Winckelmann che cosa fà distribuisce su una sorta di linea parabolica lo sviluppo
dell’arte greca, utilizzando come criterio che serve per ordinare ciò che viene prima e ciò che viene dopo lo
stile. Lo stile è ciò che si evidenzia soffermandosi sull’analisi formale delle opere d’arte, il loro aspetto, le loro
caratteristiche riconoscibili alla vista. Sulla base di questo criterio ecco che Winckelmann distribuisce su
una linea di sviluppo a parabola le diverse manifestazioni dell’arte antica. In questa operazione ovviamente
la distribuzione non è neutra ma porta con sé anche un giudizio di valore,
- lo stile antico è quello nelle origini
- lo stile sublime già nel nome testimonia l’eccellenza
- lo stile bello ma è un gradino più sotto rispetto a quello sublime
- e infine la decadenza
Questa scansione temporale è infondo alla base anche della classificazione cronologica che funziona ancora
oggi. Noi abbiamo ovviamente cambiato i nomi, perché questi nomi portano con sé un giudizio di valore che
non sono più accettabili, noi chiamiamo arte arcaica lo stile antico, arte classica lo stile sublime, arte tardo
classica lo stile bello e arte romana la decadenza.
Talmente diversa e incasinata che Winckelmann non aveva gli strumenti per ordinarla perché l’arte
romana non cel l’ha uno stile dominante in ciascuna epoca e quindi lui la chiama decadenza.
Questa impostazione non può più essere attuale ma la griglia cronologica che lui ha fissato lo è.
Questa operazione comporta una scansione in periodi su base stilistica implica una visione evoluzionistica
dell’aver fatto arte, cioè l’arte nasce, cresce, raggiunge una vetta e poi decade e muore. Questo tipo di
operazione trova una * necessario dell’analisi delle fonti letterarie, che vanno alla ricerca di notizie su arte e
artisti che possano appunto colmare i vuoti e aggiungere più informazioni possibili. Questa impostazione a
ben vedere non è un’impostazione originale e nuova di Winckelmann anche lui la desume dalle fonti che lui
conosce benissimo perché conosce benissimo il latino e il greco, ma sono fonti che anche noi oggi possiamo
leggere persino in edizione economica in particolare due fonti fondamentali:
1- “Plinio il vecchio” nel I secolo d.c. è un autore romano che in latino scrive una specie di enciclopedia e
una parte di questa enciclopedia è proprio dedicata alle arti e offre moltissime informazioni sulle vite degli
artisti, sulle loro opere, sul loro modo di lavorare.
2- L’altra fonte è “Pausania”, Pausania è un greco che scrive in greco ma nel II secolo d.c. quindi in età
romana, questo Pausania fa un lungo viaggio attraverso le principali città della Grecia e scrive la prima
guida turistica del mondo, perché in ogni città lui descrive i monumenti dice chi li ha fatti, quando li ha
fatti, perché li ha fatti, offre le nozioni fondamentali per capire di che cosa trattano le decorazioni, insomma
una vera e propria guida turistica.
Winckelmann legge questi testi e da questi testi ricava alcuni concetti fondamentali che sono comuni a
Plinio quanto a Pausania. Quali sono questi concetti comuni? Primo che la storia dell’arte è un susseguirsi
di scoperte; gli artisti si superano a vicenda, quelli che vengono dopo sono più bravi perché possono giovarsi
del lavoro di quelli che vengono prima, e superandosi a vicenda di continuo fanno crescere l’arte verso il
naturalismo questa è la grande finalità dell’arte greca. Il naturalismo cioè riprodurre la realtà così come
appare in natura all’occhio umano, questa progressione arriva fino ad un culmine dal quale poi per

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incapacità tecnica non si può andare oltre e si decade. La ricerca fondamentale dell’arte greca è proprio
questa il problema ottico, rappresentare le cose così come appaiono all’occhio umano.
Il problema, la ricerca, il traguardo cui l’arte greca mirerà non è affatto l’idealismo anzi è il naturalismo,
riprodurre la realtà come appare all’occhio umano. Dietro a queste due fonti “Plino” e “Pausania” ce ne
sono altre due più antiche sono “Senocrate” e “Apollodoro”, due fonti che sono le prime ad occuparsi di
storia dell’arte nel mondo antico ma che purtroppo per noi sono perdute, cioè non abbiamo la possibilità di
leggere i loro testi e di capire davvero. I concetti fondamentali che Winckelmann assume da “Plinio” e da
“Pausania” non sono di “Plinio” e di “Pausania”, ma appartengono ad una tradizione ancora più antica
che non è di età imperiale romana ma è di epoca ellenistica e che prende corpo tra la prima metà del III
secolo a.c. e la seconda metà del II secolo a.c., quando si crea un pubblico di intellettuali che discute
apertamente e approfondisce i problemi di storia dell’arte, di solito in chiave filosofica estetica ma di questi
non abbiamo i testi e quindi più di tanto non possiamo sapere.
Il testo di Winckelmann oggi è superato perché lui legge l’opera d’arte antica tentando di restituire a parole
la sensazione che l’opera d’arte gli dà, ma questa è un’operazione che ormai è completamente fuori dalla
ricerca di storia dell’arte, è lui che attraverso alcune parole dà origine a quel fraintendimento centrale
dell’arte antica.
Perché le statue antiche gli sembrano eccezionalmente belle? Perché le statue antiche sono di norma
sottoposte ad un rigorosissimo criterio proporzionale che è quello della sezione aurea. Si chiama nel mondo
classico sezione aurea ciò che nel medioevo chiamavano divina proporzione, perché è il ritmo di
accrescimento naturale degli esseri umani. rispettare questa proporzione significa creare delle immagini che
all’occhio umano sembrano particolarmente armoniose, aggraziate, naturali. Questo ritmo proporzionale si
ottiene dividendo un segmento in due segmenti più piccoli, dividendo e collocando il punto di divisione in
modo tale che il segmento più lungo rispetto all’intera linea sia medio proporzionale tra l’intera linea ed il
segmento più corto. Questo è il ritmo di accrescimento naturale degli esseri viventi nel medioevo divina
proporzione, nel mondo antico sezione aurea. Un ritmo permea di sè la statuaria classica ma ben oltre
prosegue nella cultura artistica europea che è permeata di questo ritmo perché è il ritmo che hai nostri occhi
costruisce l’armonia. La sezione aurea è il ritmo comune. Perché Winckelmann faceva così? Perché
Winckelmann voleva capire l’intima essenza dell’opera d’arte, voleva selezionare un criterio estetico per
riproporlo, in questo modo a creato il grande equivoco dell’arte greca come idealizzazione e invece no, l’arte
greca va verso il naturalismo, ecco perché Winckelmann è superato. Ma anche se è superato possiamo far a
meno di ricordarlo perché è lui che imposta l’esigenza della scansione
cronologica, della necessità di una comprensione che parta dall’ordine della
cronologia.
Storia dell’arte è una disciplina di tipo umanistico che studia le opere d’arte.
E’ una disciplina che studia le manifestazioni della cultura figurativa della
cultura visiva. Ranuccio Bianchi Bandinelli è il più grande archeologo del
novecento che muorì nel 1975. Lui è un archeologo importante, si occupa
principalmente di arte antica e scrive: “La storia dell’arte scienza umana di
impostazione diacronica che consiste nel definire le singole opere nella loro
storicità individuale e nel legarle con la storia della cultura, definendo il
rapporto dell’opera d’arte con il suo determinato “ambiente” ”.

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Esempio: prendiamo Michelangelo, per dare corpo a questa interpretazione, a questa scienza umana che si
chiama storia dell’arte, noi dobbiamo prendere le opere che conosciamo di Michelangelo comprenderne il
significato inserendo ciascuna nella sua storicità individuale, e quindi capire chi è il committente, cos’a
voluto dire, quanto a pagato, perché quella certa opera è stata realizzata in quel modo li e non in un altro,
e dunque legarle alla storia della cultura, all’ambiente sociale.
In effetti se noi prendiamo il caso di Michelangelo noi abbiamo un certo numero di opere che sappiamo
essere certamente di mano di Michelangelo, sappiamo quando è vissuto, conosciamo dove e come si è
formato, conosciamo per quali committenti lavorava, sappiamo anche che cosa faceva nel tempo libero
(scriveva poesie), però noi abbiamo una grande quantità di informazioni che ci permettono di inquadrare
lui come personalità artistica, le opere nel rapporto dinamico (committentza, maestranza), che ci permettono
di dare senso a quelle opere, di recuperare il senso che le opere avevano nel momento in cui sono state
realizzate, e non è detto che un’ opera d’arte abbia oggi lo stesso senso che avevano quando erano state
realizzate.
La Gioconda di Leonardo ai suoi tempi non era affatto un quadro importante. Leonardo pensava di
diventare famoso, di passare alla storia, e poi è passato per altri motivi non certo per la Gioconda. Soltanto
dopo la Gioconda ha iniziato ad avere un certo senso, che prima non aveva, ne aveva uno diverso. Certo che
è importante sapere che senso ha la Gioconda oggi per noi, ma è altrettanto importante sapere che senso
aveva la Gioconda nel contesto in cui la Gioconda è stata realizzata perché l’uno e l’altro sono veri.
Questo esempio può davvero adattarsi al mondo antico? Qual’è il più grande scultore dell’antichità secondo
la tradizione? Fidia: Scultore in bronzo e marmo, celebre per le sue statue criselefantine. Ateniese, visse tra
il 500 a.C. circa e il 432 a.C. Apprese da Evenore la pittura, da Egia e Agelada la scultura e la bronzistica.
Lavorò a Olimpia, fu sovrintendente ai lavori dell’acropoli di Atene e amico di Pericle.
Di Fidia, quindi, del più grande assoluto scultore dell’antichità noi abbiamo informazioni che coprono
cinque righe scarse. Già questo la dice lunga, di Michelangelo io so praticamente tutto, persino che nel
tempo libero scriveva brutte poesie, di Fidia non so niente se non queste cinque righe.
Quella definizione che abbiamo appena letto solo per compromesso può essere davvero indicata al campo
della storia dell’arte antica. Del più grande scultore dell’antichità io so poco e niente, però potrò esaminarne
le opere.
Che cosa ho di Fidia? I grandi capolavori che l’hanno reso celebre, “le statue criselefantine” cioè d’oro e
avorio sono completamente perdute, ne conosciamo l’iconografia attraverso riproduzioni di dettaglio ma
certo gli originali sono persi. Un conto è conoscere che aspetto aveva la Parthenos di Fidia guardando una
statua di marmo che è alta un metro e venti, tutt’altra cosa doveva essere guardare l’originale che pur con
questa immagine era alta dodici metri ed era realizzata in oro e avorio.
Poi ho una serie di copie fondamentali per trasmetterci l’iconografia dei capolavori di Fidia ma non sono
originali, sono copie realizzate molto spesso secoli dopo l’originale che spesso riflettono l’iconografia ma non
è detto riflettano da vicino lo stile di Fidia. Però sono fortunato perché di Fidia ho gli originali del
Partenone sappiamo che li a scolpiti lui, sappiamo che era il sovrintendente dell’acropoli e dunque lo
scultore responsabile del programma decorativo del Partenone.
Però il Partenone è stato realizzato nel 447-432 e in questi pochi anni Fidia se da solo avesse lavorato a
queste sculture, avrebbe da solo dovuto scolpire 60 statue per i frontoni 92 metope e 160 metri di fregio
scolpito, “impossibile” per un uomo solo è evidente che Fidia a guidato una numerosissima bottega di allievi

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che certo li a improntati di sé con il suo stile ma non è affatto detto che su tutti quelli che noi consideriamo
originali di Fidia, Fidia abbia davvero messo mano impossibile.
Ecco allora che diventa necessario a questo punto riflettere su che cosa è l’arte nel mondo antico, perché
questo esempio preso dal più grande scultore del mondo antico mira alla base un concetto fondamentale per
la nostra idea di arte ed è l’originalità.
Io sono un’artista e creo un dipinto eccezionale se qualcun’altro lo copia perfettamente, in ogni dettaglio,
quella copia vale quanto l’originale ? No.
Se io che sono un artista quotato prendo a lavorare con me dei miei allievi, e faccio fare loro un quadro
senza metterci mano io anche se hanno usato il mio stile, i miei colori, hanno lavorato nel mio studio, quel
quadro è mio davvero? No secondo i nostri criteri artistici.
L’approccio alla storia dell’arte antica deve quindi per forza essere molto diverso da quello che caratterizza i
periodi successivi, a partire dalla semplice constatazione che il principio fondamentale della realizzazione
personale dell’opera d’arte non trova alcuna possibilità di applicazione diretta e frequente, perché io
spessissimo lavoro sull’arte antica ma su materiali di seconda mano perché gli originali non ci sono più.
Allora forse bisogna eliminare la parola arte, non chiamiamola arte antica visto che è altro rispetto a ciò
che noi oggi intendiamo per arte. E allora però bisogna chiarirsi le idee su ciò che gli antichi intendono per
arte prima di dire eliminiamo la parola arte.
Che cos’è arte per gli antichi? Arte per gli antichi è imitazione della realtà, tant’è vero che in greco arte si
dice sintecne, ma tecne è la dimensione pratica del fare arte da cui noi abbiamo ereditato tecnologia che con
arte non a niente a che fare, è una cosa materiale. Quando gli antichi parlano di arte in senso astratto il
fare arte a prescindere dalla tecnica parlano di “mìmesis” che vuol dire imitazione della realtà, ecco allora
il naturalismo riprodurre la realtà come appare alla vista umana. L’arte è imitazione della realtà di
questa imitazione della realtà alcune fonti esaltano il potere illusivo come spesso gli aneddoti raccontano.
Plinio racconta “Parrasio gareggiò con Zeusi; mentre questi presento ̀ dell’uva dipinta così bene che gli
uccelli si misero a svolazzare sul quadro, quello espose una tenda tanto vera che Zeusi, pieno di orgoglio per
il giudizio degli uccelli, chiese che tolta la tenda fosse finalmente mostrato il quadro…”
Il quadro era la tenda, allora gli antichi sono consapevoli che se l’arte è imitazione della realtà può giocare
con la realtà e persino illudere. Dall’altra parte sono anche consapevoli che se imita la realtà si allontana
dalla realtà, tradisce la realtà, e dunque l’arte va incontro ad un grave giudizio di condanna filosofica.
Può sembrare assurdo che i Greci che fanno delle opere d’arte eccezionali poi in realtà condannano dal
punto di vista filosofico la loro stessa arte perché se è imitazione della realtà allontana dalla realtà, è copia
sbiadita della realtà. A seconda allora che si dia credito alla condanna filosofica si arriva alla conclusione
che l’arte è inferiore alla natura perché la imita, ma dall’altra parte se si esalta il suo potere di illusione
allora si arriva a pensare che l’arte è superiore alla natura perché corregge la natura.
Il fatto stesso che gli antichi Greci siano impegnati in questi discorsi ci chiarisce l’idea che non possiamo che
definire arte le loro forme di manifestazione visiva. Addirittura gli antichi greci sviluppano dei precisi
criteri di giudizio artistico che dettagliano in maniera estremamente precisa analizzando un dipinto, quali
sono le qualità formali, quali sono le qualità espressive, dunque i Greci hanno una profonda riflessione di
carattere estetico su che cos’è l’arte, che cos’è il bello, che cosa rende arte un’opera d’arte e dunque certo il
fatto che abbiano un’idea diversa dalla nostra non ci autorizza affatto a pensare che la loro non sia arte.

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Come si fa ad uscire da questo cortocircuito? Usciamo da questo cortocircuito attraverso l’aiuto di un paio
di fondamentali riflessioni portate avanti da alcuni archeologi e storici dell’arte importantissimi:
uno è un Francese e si chiama Philippe Bruneau che nel 1975 scrive un saggio fondamentale è un saggio
francese. Lui dice che a partire dagli anni settanta in università si è verificato questo strano fenomeno per
cui la disciplina inventata da Winckelmann che si chiamava archeologia e che in realtà era storia dell’arte
antica a iniziato a dividersi in due strade:
-> da una parte quella che ancora oggi noi adesso chiamiamo archeologia che studia la cultura materiale e
attraverso gli scavi stratigrafici, l’analisi della ceramica si è data dei criteri di scientificità.
-> L’altra strada è quella che è rimasta nella storia dell’arte che a selezionato come oggetto della propria
indagine solo i prodotti di alta qualità e di stile elevato.
Mentre l’archeologia si è progressivamente data dei parametri sempre più stretti che ne hanno garantito la
scientificità la storia dell’arte negli anni settanta dice Philippe Bruneau è rimasta ad un livello di analisi
di carattere generale, non fondato. Allora lui dice è necessario impostare un problema che ci permetta di
dare scientificità anche alla storia dell’arte. Per risolvere questo problema si comincia ad analizzare le fonti.
Che cosa io ho a disposizione per fare storia dell’arte antica? Ho due categorie di fonti:
1- le fonti archeologiche che si dividono in —> originali
—> copie
un conto è l’originale di un certo scultore famoso esempio Prassitele altro conto sono le copie di età romana
che da Prassitele sono state realizzate.
2- le fonti scritte che si dividono in —> epigrafiche
—> letterarie
Philippe Bruneau dice facciamo ordine e vediamo che tipo di informazione si può ricavare da ciascuna di
queste fonti.
Le fonti archeologiche —> originali spesso possono essere: 1- anonimi per esempio: sulla acropoli di Atene
Cavaliere Rampin una statua di un cavaliere del
VI secolo a.c. eccezionale per moltissimi punti di
vista però non sappiamo chi l’abbia scolpita, non
abbiamo la minima idea di chi sia l’autore, questa
statua è originale eccezionale però anonima
2- lacunosi perché mancano molti elementi che
completano l’iconografia di questo guerriero
3-di provenienza ignota, per esempio il Bronzo di
Riace statua esemplare di questa condizione, non
so da dove arrivi non so dove stesse andando ad un
certo punto la nave che la trasportava è
naufragata

—> copie possono essere: intere, parziali, molto vicine dal punto di vista stilistico al
modello di partenza, questo è il Doriforo di Policleto è la scultura di gran lunga più
copiata nel mondo antico, però nonostante sia la figura più copiata nel mondo antico
tutte le copie messe insieme non ci risarciscono il problema di non avere più
l’originale che è andato perduto.

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Le fonti scritte —> epigrafiche che testimoniano attraverso le iscrizioni le attribuzioni degli artisti per
esempio sulle basi delle statue spessissimo c’era il nome dell’artista che aveva realizzato
quella statua, c’è un problema però, di solito se trovo la statua non trovo la base e se
trovo la base non trovo la statua.

—> letterarie offrono una serie di notizie sulle opere ci danno degli spunti sullo stile e sulle
iconografie ma non sono fotografie e quindi per quanto sia dettagliata una descrizione
non capita mai che sostituisca davvero un opera d’arte visiva.

Tutto questo comporta un netto scollamento tra gli artisti e le opere, perciò sui manuali di arte greca si
trovano generalmente discussioni di artisti noti di opere perdute.

Questo è un disegno che vuole evocare la Atena promachos di


Fidia, una Atena armata che stava all’aperto sulla acropoli
di Atene, era più alta del Partenone, ma è andata perduta e
quindi non abbiamo la minima idea di come fosse questa
statua.

Oppure si tratta di opere conservate ma artisti ignoti, per esempio


questo è uno dei guerrieri del frontone occidentale del Tempio di Atena
Aphaia ad Egina ma io non avrò modo di dire chi è l’artista che lo ha
realizzato.

Oppure la beffa delle beffe, opere conservate addirittura firmate però da un artista a noi sconosciuto.
In questo panorama quindi secondo Philippe Bruneau è impossibile fare storia dell’arte greca nello stesso
modo in cui si fa storia dell’arte moderna.
Qual’è la proposta di Philippe Bruneau? Leggere l’opera d’arte come prodotto di cultura e come
testimonianza di storia economica e sociale. La storia dell’arte antica è secondo Philippe Bruneau analisi
della cultura figurativa. Dunque per essere il più possibile completa varca i confini della cultura figurativa
stessa per fare analisi della tecnologia, della sociologia e recuperare almeno quei brandelli che è possibile
recuperare nel contesto che da parte moderna è ben conosciuto e che invece per l’arte antica è completamente
o quasi completamente andato perduto.

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Ecco cos’è il metodo, leggo l’opera d’arte come prodotto di cultura e testimonianza di storia economica e
sociale, dunque la mia storia dell’arte è una storia dell’arte diversa dalla storia dell’arte moderna, è analisi
della cultura figurativa della tecnologia e soprattutto ecco da dove siamo partiti, analisi della società che
quella immagine a creato.
Dobbiamo però anche tenere presente un altro elemento fondamentale e a richiamare l’attenzione su questo
elemento fondamentale è uno studioso Italiano che si chiama Salvatore Settis.
Questo studioso che cosa ci dice? Fin qui abbiamo sempre parlato di arte greca ma siamo mai sicuri che
l’arte greca sia esistita, esiste nel mondo antico la Grecia? No, esiste nel mondo antico una pluralità di città
stato autonome greche ma ciascuna per fatti suoi, spesso addirittura in guerra fra loro.
Ecco allora che Salvatore Settis ci dice attenti, il percorso di formazione della disciplina (Atenodoro, Plinio,
Winckelmann) questa linea evolutiva vale per Atene, Atene soltanto, ma Atene non è la Grecia, la Grecia
non esiste, esistono tante poleis greche e ciascuna elabora il suo sistema comunicativo per immagini.
Allora Settis mette a punto quello che lui chiama il modello policentrico, dobbiamo pensare che l’arte greca
non esiste come arte unitaria ma esiste dentro una pluralità di modelli e di condivisioni, ci sono tanti modi
diversi attraverso i quali i greci aderiscono ad una stessa istanza.
Esempio: In tutta la Grecia si diffonde un’arte che si chiama “geometrica” ma ogni città lo fa a modo suo,
siamo dentro ad un linguaggio comune “il geometrico” ma ogni città lo fa a modo suo.
Ecco allora che secondo Salvatore Settis occorre fare attenzione al rapporto che si definisce fra le varie città
greche, perché mica tutte sono centri di lavorazione artistica, ci sono centri di lavorazione artistica che
inventano qualcosa di nuovo (Atene in epoca classica) e centri che copiano e imitano Tebe in epoca classica.
Però attenzione perché non è detto che le cose restino sempre così, siamo alla fase due perché io prima vi ho
detto che Atene è un centro di elaborazione di novità artistiche in epoca classica e Tebe la copia ma non è
sempre così per esempio in epoca micenea è il contrario era Tebe la città guida dell’innovazione artistica di
età micenea e Atene copiava.
Bisogna fare attenzione al fatto che in questo reciproco e dinamico gioco di relazioni tra città non si
coinvolgono soltanto città interne alla Grecia ma ci sono anche popoli esterni, per esempio gli etruschi sono
appassionati compratori di arte greca e la loro arte è un’arte di imitazione greca anche se dal punto di vista
etnico, linguistico, religioso, con i greci non centrano un bel niente. Dunque storia dell’arte è proprio questo
definire il rapporto continuo tra i diversi centri, tutto questo permette di costruire una storia dell’arte senza
nomi che vuol dire una griglia cronologica dentro la quale sulla base dello stile, delle tecniche, dei temi
possano inserirsi sia gli artisti famosissimi che la tradizione a consacrato (Fidia, Policleto, Prassitele,
Lisippo) sia quegli artisti dei quali noi non conosciamo il nome ma dei quali abbiamo le opere, dentro
appunto ad una griglia interpretativa comune che deriva proprio dall’analisi dei rapporti tra le diverse
città. Introduce accanto al concetto di storia il concetto di Geografia.

In tutto questo discorso non abbiamo parlato di Roma,


perché nell’impostazione che Winckelmann aveva dato
della questione l’arte romana era considerata una
semplice degenerazione dell’arte greca, una decadenza,
una corruzione, questa idea che a svilito l’arte romana
si è perpetuata per tutto l’ottocento e soltanto all’inizio
del novecento gli studiosi austriaci della scuola di

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Vienna che studiano l’arte medievale però non l’arte greca riscoprono il valore dell’arte romana perché
colgono il valore pervasivo dell’arte romana come madre dell’arte medievale e allora rivalutano lo studio
dell’arte romana. Il problema però è dare un senso al termine romano, perché la parola romano è una
parola estremamente ambigua, in primo luogo è ambigua dal punto di vista geografico perché romano da
un lato indica la città di Roma magari quella più piccola nella sua fase più antica dentro le mura serbiane
nel VI secolo a.c. ma allo stesso tempo la parola romano può indicare anche tutto l’impero all’apice della
sua estensione nel II secolo d.c..
Dal punto di vista geografico gia la parola romano si presta a enormi possibilità di fraintendimento, e lo
stesso vale in senso cronologico perché romano è la fase antichissima delle capanne sul palatino fra VIII e
VII secolo a.c., ma romano è anche l’arte della tarda antichità il IV secolo d.c. ma anche oltre in realtà,
vediamo che l’arte antica permane almeno fino al VI.
Il problema è legato e molto ben definito dallo studioso tedesco Brendel che scrive un saggio il cui titolo è
“Le ineguaglianze del contemporaneo”. Brendel dice che se Winckelmann usava lo stile per mettere ordine
nelle manifestazioni artistiche e distinguere ciò che viene prima e ciò che viene dopo, per forza non poteva
capirci niente di arte romana perché qualunque periodo cronologico io fotografi nella produzione artistica
romana io non trovo mai uno stile dominante, ma trovo una grande quantità di stili diversi.
In questa diapositiva (slide n°42) leggiamo opere d’arte di tradizione romana piuttosto Naif poco eleganti
ma di grande impatto, abbiamo opere più raffinate ed armoniose di tipo classicheggiante, abbiamo
presentazione profondamente naturalistiche di tipo ellenistico, abbiamo uno stile egittizzante tutto mescolato
insieme, allora per forza Winckelmann non poteva capirci niente.

Questa differenza stilista non incorre soltanto tra categorie diverse di opere d’arte, (si chiamano diversi
generi scultura, pittura, architettura) ma ricorrono persino nello stesso genere e sullo stesso monumento.
Questa è l’Ara Pacis Augustae 13-9 a.c. il fregio esterno con la processione è un fregio elegante, raffinato,
costruito secondo i dettami dell’arte classica, il fregio invece processionale che orna l’altare interno è un
fregio molto più grossolano, grezzo con un minore rispetto di proporzione anatomiche correttezza formale.
Com’è possibile tutto questo? Tutto questo è possibile perché nell’arte romana esistono due diversi filoni.,
sono state formulate le cosiddette teorie dualistiche, cioè le teorie che vogliono spiegare, vorrebbero spiegare
perché dal punto di vista stilistico l’arte romana è un gran casino e Winckelmann non poteva capirci
niente. Perché contemporaneamente su generi che appartengono appunto allo stesso filone ricorrono
modalità rappresentative e stili completamente diversi, uno stile elegante, raffinato, armonioso corretto per
quanto concerne, proporzioni, scorci, punti di vista anatomia, è uno stile invece molto più grossolano che

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non rispetta affatto queste categorie al punto tale da non rispettare neanche le basi della composizione ci
sono addirittura personaggi su doppio registro.
Perché questa doppia anima? Secondo Rodenwaldt che scrive nel 1940 questa doppia anima deriva dalla
doppia committenza del mondo romano, chi nel mondo romano si fa committente d’arte e a una cultura
istintivamente commissionerà opere d’arte di sapore greco che dal suo punto di vista sono le uniche ad essere
considerabili atte chi invece non a una cultura sarà portato a commissionare oggetti artistici con uno stile
profondamente diverso, grossolano, in più caratterizzato da un immediatezza comunicativa e questa è
quella che Rodenwaldt definisce arte popolare e che andrebbe ricondotta alla componente italica della
società romana quindi in poche parole i ricchi senatori se lo possono permettere che hanno studiato in
Grecia pagano artisti e scolpiscono alla greca i ricchi che hanno un sacco di soldi possono farsi committenza
artistica ma non hanno la cultura allora commissionano un arte di sapore completamente diverso di
tradizione italica che si chiama arte popolare.
Brendel però dice attenti la questione forse non dipende dalla cultura del committente al contrario dipende
dalla cultura del fruitore dell’opera d’arte, se io attraverso l’opera d’arte parlo a una persona colta più
facilmente sceglierò un’immagine di tradizione greca elegante, manierata, naturalistica. Ma se io attraverso
quell’opera d’arte devo parlare a chi cultura non a allora mi servirò di uno stile meno elegante, meno
raffinato, ma più efficace dal punto di vista comunicativo.
Alla fine degli anni sessanta anche Bianchi Bandinelli a detto la sua in termini di teorie dualistiche
caricando la contrapposizione stilistica di valore sociale. Bianchi Bandinelli era uno studioso di origine *
quindi anche l’arte era espressione di una lotta di classe. Le due classi sociali che in effetti lottano parecchio
tra l’epoca repubblicana e romana per raggiungere il potere sono i patrizi e i plebei. L’arte di tradizione
greca è quella dei patrizi l’arte plebea è quella popolare, quindi Bianchi Bandinelli non fa altro che
riprendere la contrapposizione di Rondenwaldt caricarla di valore sociologico anziché culturale e
rovesciarle il suo giudizio di valore però, perché Rondenwaldt diceva che l’arte aulica, l’impronta greca è
l’unica arte Bianchi Baldinelli dice no la vera arte romana è quella plebea, è quella popolare.
Quale tra queste teorie a resistito alla prova dei fatti? Quella di Brendel perché in sé a in luce un concetto
fondamentale che è un concetto fondamentale ancora oggi quella della comunicazione per immagini quella
della pubblicità, io seleziono un’immagine non perché mi piace, non perché riflette la mia cultura, ma
seleziono un’immagine per trasmettere un certo messaggio dunque quella immagine dovrà essere adatta al
destinatario cui io mi rivolgo necessariamente, pena l’inefficacia comunicativa. Alla luce di tutto questo
capiamo perché l’arte romana non poteva essere decodificata da Winckelmann perché dentro l’arte romana
c’è una quantità di elementi presi dall’arte greca trasformati, manipolati, re interpretati in chiave romana,
l’arte romana è un sistema sematico, un linguaggio che parla alle masse attraverso le immagini e dunque
non può essere giudicata con i criteri dell’arte greca è un po’ come dire l’arte greca usa certe forme le
inventa per esprimere certe idee i romani prendono le stesse forme ma le compilano in maniera diversa per
esprimere altre idee che romane non sono sono greche.
Ma come si fa’ storia dell’arte antica? Sono quattro i diversi approcci che di volta in volta gli studiosi
pongono in essere. Ogni studioso tende a porre in essere quegli approcci nei quali è più bravo, ne adotta di
solito uno o due ma la tendenza è cercare di integrarli, non vanno pensati come alternativi (o uno o l’altro o
quell’altro), ma al contrario vanno pensati come complementari perché ciascuno attraverso una propria via
offre una visione particolare di quella che era l’opera d’arte antica.

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1- Approccio estetico è l’approccio tradizionale, quello di fatto inventato da Winckelmann che guarda lo
stile, certo oggi si è arricchito di riflessioni tipo iconografico ma in fondo all’approccio Winckelmaniano a
ricondotto.
Esempio: io ho davanti questa scultura che è la Minerva di
Breno copia di seconda metà I d.c. da originale di tardo V a.c.
una statua di Minerva che è venuta alla luce nel santuario
romano scavato negli anni ottanta\novanta a Breno in val
camonica piuttosto lontano da Atene, però se io leggo questa
immagine Atene salta fuori.
Approccio estetico è quello che in primo luogo dobbiamo imparare
a porre in essere davanti a un immagine la prima cosa che faccio
la descrivo e descrivendola trio fuori tutte le informazioni
stilistiche e iconografiche che è possibile tirar fuori.
—> è una figura femminile seria e dignitosa
—> proporzioni superiori a quelle del naturale perché alta due
metri compreso il ciuffo sull’elmo
—> è una figura femminile stante cioè impedì vista leggermente
di scorcio
—> la gamba sinistra scartata all’indietro
—> la gamba destra tesa e sostiene il peso del corpo
—> indossa un chitone che è una tunica lunga fino hai piedi sopra la quale a gettato un imation
—> sul petto poi indossa una corazza particolare con la testa di medusa che si chiama egida
La corazza con testa di medusa e l’elmo sulla testa di tipo attico mi permettono di riconoscere con certezza
la dea Minerva che è Atena per i greci Minerva per i romani.
Precisi confronti iconografici mi permettono di riconoscere la figura con Atena. Rappresentata in una
iconografia, in una posa, in un tipo di abito, in un tipo di corazza
l’egida che appartiene alla scuola di Fidia e il cui modello risale
indietro nel tempo fino al V secolo a.c. allora iconografia del
modello, iconografia Fidiaca tardo V secolo a.c..
E’ un po’ difficile che gli abitanti di Breno conoscessero la
scultura di Fidia del tardo V secolo a.c. cosa ci fa’ una copia di
questo genere a Breno? Se io osservo le modalità tecniche legate a
come e strato realizzato l’abito, per esempio osservo che il
panneggio è un panneggio movimentato cioè ricchissimo di
pieghettature chiari scuri, ma è un panneggio pesante che copre i
volumi del corpo molto affine a questa scultura che è la cosiddetta
Atena Farnese realizzata a Roma nella seconda metà del I secolo
d.c. da originale di tardo V a.c. io posso ipotizzare che anche la
mia statua sia stata realizzata proprio in questo stesso periodo la
seconda metà del I secolo d.c., copiando un modello che creato ad
Atene copiato a Roma da Roma arriva a Breno.

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Queste considerazioni sono considerazioni estetiche di carattere puramente formale che si limitano a leggere
l’aspetto esteriore dell’opera d’arte se poi io però non mi accontento di questo tipo di analisi e ci sono dei
saggi che finiscono li perché sono saggi di analisi stilistica. Però se io non mi accontento di questo tipo di
analisi e voglio ampliare questo discorso nel tentativo di capire il contesto storico in cui questa scultura è
stata realizzata, la sua finalità, il suo senso, allora io applico un approccio di tipo diverso che è:
2- Approccio storicistico dal nome questo approccio consiste nel leggere l’opera d’arte come un documento
storico, ed è l’approccio più strettamente archeologico perché tratta nello stesso modo sia opere d’arte
eccezionale, sia reperti di qualunque altra natura indipendentemente dal fatto che siano un’opera d’arte
oppure no. Leggo ciò che ho davanti per quanto mi è possibile come un documento storico
indipendentemente dal suo valore estetico.
Esempio: io ho davanti l’originale, che ovviamente è una copia
integrata perché l’originale è a pezzi della Nike di Peonio di Mende
425 a.c. pochissime statue originali ritrovate nel punto originale
dove stavano in antico e firmate dall’artista, che per altro è noto per
aver scolpito quella statua li anche perché ce lo raccontano le fonti
letterarie.
Ecco qui il signor Pausania scrive la sua guida turistica e dice che
nel santuario di Zeus ad Olimpia proprio di fronte al Tempio di
Zeus su alto pilastro gli abitanti di Messeene dedicato una statua di
Nike e opere di Peonio di Mende nell’ottocento gli archeologi tedeschi
hanno scavato di fronte al Tempio di Zeus hanno ritrovato il pilastro
e hanno ritrovato anche i frammenti di questa statua.
—> rappresenta una Nike per di più sul basamento c’è anche la
firma di Peonio l’artista della città che si chiamava Mende.
Se io applico di fronte a questa scultura l’approccio estetico che cosa
andrò a sottolineare?
—> è una figura femminile stante
—> rappresentata nel momento in cui sembra atterrare, planando
dall’alto verso il basso
—> ha le gambe entrambe leggermente piegate
—> la sinistra protesa la destra è leggermente scartata all’indietro
—> porta in un braccio la palma della vittoria e dall’altro regge il mantello che si gonfia perché la figura
sta planando
—> l’abito aderisce alle forme del corpo rivelandogli i volumi
Qui abbiamo davanti un esempio di resa profondamente diversa del panneggio, è un panneggio
leggerissimo, sottile, che aderisce hai volumi e ci fa vedere i volumi del corpo di questa donna come se fosse
nuda anche se è vestita. Siccome scende verso il basso e il panneggio è estremamente leggero il panneggio
offre l’opportunità all’artista di cerare un vero e proprio pezzo di bravura con tutti questi sbuffi della stoffa.
Però siccome la statua è firmata, siccome la statua è venuta fuori proprio nel punto in cui le fonti antiche
ci raccontano, io posso andare avanti e posso provare a interpretare questa statua, a darle un senso.
La statua in effetti a un significato profondamente politico perché rappresenta Nike cioè vittoria ed è stata
commissionata dagli abitanti di Messene e dagli abitanti di Naunpatto nel 425 a.c. dopo una eccezionale e

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inattesa vittoria ottenuta contro gli spartani, sarebbe come dire che l’esercito della greca oggi in battaglia
sconfigge l’esercito degli stati uniti d’America. Allora gli abitanti di Messene e di Naunpatto innalzano
Vittoria non un’altra divinità, su un pilastro davanti al Tempio di Zeus, quasi a fare da contraltare allo
scudo di bronzo che gli spartani in una battaglia precedente nel 457 avevano collocato proprio qui alla
sommità del tempio. La statua a un profondo valore politico e il fatto stesso che dal punto di vista visivo
faccia da alternativa al trofeo che celebra gli spartani è in sé profondamente significativo.
L’approccio storicistico cerca di indagare il contesto nel quale l’opera d’arte viene dispiegata, il perché
l’opera d’arte viene realizzata, il messaggio che la committenza vuole trasmettere attraverso quell’opera
d’arte lì perché scegli proprio quell’immagine lì.
3-Approccio antropologico è l’approccio che consiste nello studiare le costanti comportamentali dell’essere
umano, costanti comportamentali che si riflettono nei fatti e sopratutto nei manufatti. Quest’approccio si
usa in storia dell’arte antica soprattutto per le espressioni formali più remote per le quali non esiste
possibilità di apporto di fonti scritte.
Esempio famoso sono gli Idoli cicladici << a volino>>
realizzati in marmo si datano fra il 3200-2800 a.c.
antichissimi.
Purtroppo proprio per la loro particolarità e la loro
assoluta antichità sono stati spesso raccolti quando
ancora non esisteva un archeologia scientifica quindi
senza dare alcun valore al contesto, moltissimi di
questi Idoli che riempiono i musei ad Atene non
sappiamo da dove vengano, non sappiamo niente del
contesto e dunque non sappiamo nemmeno che valore
possano avere.
Si chiamano Idoli a violino perché a grosso modo riproducono la forma di un violino ma sembra di poter
leggere una stilizzazione del corpo umano. Alcun di questi Idoli hanno i tratti sessuali marcati e allora in
questi casi è chiaro che si tratta di figure femminili perché hanno i caratteri sessuali. Hanno anche le
braccia abbozzate e parallele sul ventre subito sotto il seno.
Che cosa posso dire di queste immagini? Di per sé nient’altro ma se io esco dalla cultura greca e vado a
cercare dei confronti immediatamente vado a imbattermi nelle più antiche rappresentazioni femminili che
l’arte preistorica conosca. Sono stilizzazioni del corpo femminile che accentuano in maniera molto marcata
i tratti sessuali e verosimilmente allora proprio per questa accentuazione così marcata dei tratti sessuali
rappresentano la dea madre, la fertilità, il perpetuarsi delle generazioni, che è una costante antropologica
tutte le civiltà più antiche venerano e sacralizzano prima ancora che si sviluppino le religioni logiche le più
antiche civiltà sembrano orientate a sacralizzare la natura, perché la natura è ciò che da sostentamento
alla vita e la figura femminile che da la vita ovviamente si presta ad essere sacralizzata e stilizzata in
questo modo.
Sono andato a cercare un confronto fuori dalla civiltà che sto studiando sulla base di costanti ricorrenti e
in genere adotto questo approccio quando non ho la possibilità di ricorrere a testi scritti che mi spieghino
una certa prospettiva.

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4-Approccio semantico che in arte medievale chiamerete Semiologico, consiste nel chiedersi quale significato
hanno le immagini? Come vanno lette, ciascuna per conto suo o sono collegate in programmi? Nell’ambito
privato dentro una casa, dentro una stanza, sono una pura decorazione oppure vogliono esprimere
qualcosa?

Esempio: le pareti di Casa dei Vettii a Pompei mostrano


al centro di tre pareti tre miti ambientati a Tebe, tre miti
che rappresentano punizioni inviate dagli dei.
Per chi conosce la mitologia attraverso queste immagini
è possibile in realtà sviluppare un ragionamento che
porta a dire che Ercole sventa la punizione perché è
innocente e quindi si salva, Penteo e Dirce meritano la
punizione quindi fanno la brutta fine, c’è una lettura
moraleggiante che nega queste immagini ed e chiara per
chi conosce il mito. Questo approccio vale non soltanto per l’ambito privato, ma ancor di più nell’ambito
pubblico.

Esempio banale: l’arte romana nella sfera pubblica è un arte nella quale si
trovano frequentissimo immagini di violenza, i Barbari sottomessi, uccisi,
gravati dalla potenza della romanità.
E l’arte non si trattiene nell’esprimere episodi raccapriccianti come le
torture cui i prigionieri romani sono sottoposti dai Barbari e dunque quasi
per reazione è con l’Imperatore Adriano schiaccia un nemico vinto 117-138
d.c. il pacifista in realtà Adriano è quell’Imperatore che consolida l’Impero
e non combatte neanche una guerra, ma anche lui che non combatte
neanche una guerra si fa rappresentare nelle vesti di un militare armato
che calpesta un nemico senza alcun tipo di remora.
Perché questa immagine rappresenta un’efficace propaganda imperiale,
rafforza il senso di sicurezza contro gli attacchi esterni e incute timore
contro eventuali rivolte interne, perché le immagini, specialmente le
immagini di violenza non sono mai neutre provocano sempre una reazione
nell’osservatore proprio perché sono violente.
Nel mondo antico che non a la televisione l’arte diventa un vero strumento
di comunicazione di massa e le immagini sono il veicolo immediato della
propaganda.

Dunque è attraverso questi quattro approcci che noi cercheremo di studiare la storia dell’arte antica.

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