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Ali Ibrahimi

Nel gioco mi sono trovata ad interpretare Ali Ibrahim. Ho deciso di impersonare questo
personaggio perché Ali era il nome di un bimbo egiziano che avevo conosciuto all’ospedale in
cui hanno operato mio fratello, mi ero profondamente affezionata a lui e ai suoi genitori, e la
notizia della sua morte è stata una delle notizie più scioccanti della mia vita.
Ali Ibrahimi era un uomo, originario dell’Afghanistan, nato in un piccolo villaggio il 15
giugno 1975. La sua era stata un’infanzia ordinaria in una famiglia, dove la religione era un
tassello fondamentale per il suo inserimento nella società, e per questo era “costretto” a
pregare e ad andare alla moschea. Aveva smesso di studiare all’età di quindici anni, perché la
famiglia aveva un forte bisogno di denaro, e lui non poteva sottrarsi a questo incarico,
trovandosi così a dover sperimentare un’infinità di lavori, dalla pulizia alla coltivazione di
campi.
Compiuti venti anni aveva scelto di lasciare il suo paese di nascita e di intraprendere un
nuovo “folle” percorso.
Tuttavia la mancanza di documenti e passaporto era assai limitante, perciò si era recato nella
capitale dal cugino, il quale gli avrebbe consegnato i propri. Inoltre gli aveva proposto
l’allettante iniziativa di andare a Dubai, un luogo in cui sarebbe stato più facile per lui fare
denaro e gli avrebbe certamente permesso più libertà, un sentimento che non aveva mai
avuto l’onore e la fortuna di avere, ma che di lì a poco gli sarebbe stato concesso.
Così pieno di ottimismo e di frenesia, si era recato a Dubai e per ben sette anni aveva
lavorato come assistente meccanico, aveva imparato moltissimo, ma non poteva essere
promosso perché non aveva un diploma e aveva una scarsa conoscenza della lingua araba.
Aveva sentito parlare da amici e colleghi dell’Europa, e non appena si era reso conto che
quella libertà, tanto sognata, non si sarebbe realizzata se fosse rimasto lì, decise di imbarcarsi
per la Libia.
L’interpretazione di questo ruolo è stata più ardua di quanto pensassi. Mi sono ritrovata a
dover vivere in una condizione di vita completamente diversa dalla mia, e lì per lì ero
spiazzata, non avevo la minima idea di quello che dovevo fare.
Mi sono recata all’Ambasciata ma per le troppe domande fatte sul mio arrivo, in preda al
panico, mi sono inventata di avere perso il passaporto e ho chiesto informazioni su come
avrei potuto riaverlo di nuovo.
Vivevo nella costante preoccupazione di essere notata e di conseguenza arrestata, temevo che
se avessi detto una parola di troppo, o anche solamente sospetta, tutto il duro lavoro di una
vita sarebbe andato sprecato.
Avevo l’impressione di essere sola, nessuno voleva aiutarmi, così mi è balzato alla mente
l’idea di prendere dal bancone un altro passaporto, quello di un rumeno, ma il tutto
sembrava troppo surreale, stavo commettendo un grave reato. Mi sentivo terribilmente in
colpa, ma non avevo alternative e se non l'avessi fatto non avrei mai raggiunto l’Europa.
Tuttavia non sono stata abbastanza convincente e tutto è andato vano.
Grazie ad Ali ho capito quanto la vita sia difficile, è tutta una questione di fortuna…
Alcuni, fin dalla nascita, hanno il privilegio di trovarsi in una famiglia felice, sana e sempre
con del cibo in tavola, altri invece per ottenere un briciolo di gioia devono attraversare mari,
fiumi, oceani, rischiando ogni giorno di essere arrestati e di vedere frantumati i loro profondi
desideri, e sfortunatamente questo avviene nella maggior parte dei casi.

Elena Lelli 3BC

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