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Diritto Privato
Sezione Prima: Introduzione

CAPITOLO I : INTRODUZIONE

L’ORDINAMENTO GIURIDICO E LE FONTI DEL DIRITTO


Il diritto si presenta come un insieme di comandi rivolti ai consociati per dare ordine alla loro
convivenza e per regolare e organizzare le loro attività, i quali possono avere natura di regole
generali o riferirsi a un singolo fatto concreto.
Il comando giuridico di carattere generale e astratto si dice norma giuridica, e è necessario per
evitare che essa sia posta per favorire o danneggiare una persona determinata e tende a impedire la
discriminazione individuale al momento della sua applicazione.
Il precetto contenuto nella norma giuridica si collega quasi sempre con uno o più rimedi o
meccanismi sanzionatori istituiti allo scopo di assicurare il risultato che la norma si propone:
- Coazione diretta: impedire il compimento di un atto vietato (es. violazione di domicilio può
intervenire la forza dell’ordine).
- Esecuzione forzata: eliminare una situazione anti giuridica mediante l’uso della forza pubblica
(es. edificio costruito in violazione di un divieto viene demolito).
N.B. Non tutte le norme però predispongono una sanzione (art. 315-bis cod. civ: rispetto dei genitori)
Tutte le regole giuridiche vanno a costituire l’ordinamento giuridico, che non può essere definito
come mero insieme di meccanismi sanzionatori, perché esso si fonda spesso sull’accettazione e il
consenso da parte dei cittadini della norma giuridica (che sia esso più o meno esteso).
Le fonti del diritto italiano
1. Costituzione e norme costituzionali
2. Leggi ordinarie dello Stato
3. Leggi regionali
4. Regolamenti
5. Usi e consuetudini (es. art. 892 cod.civ)
Poste su scala gerarchica.
Al diritto prodotto dalle fonti ora elencate si affianca quello prodotto dalle fonti comunitarie (che
trovano fondamento nell’art. 288 del trattato sul funzionamento dell’UE e il trattato sull’UE).
Si tratta di un vero e proprio potere legislativo dell’Unione e di una corrispondente limitazione ella
sovranità dello stato italiano, secondo la previsione dell’art. 11 e 117 della Costituzione. Hanno
rango costituzionale le norme del TUE, del TFUE, la Carta dei diritti fondamentali dell’UE, e la
CEDU.
N.B. una legge non può venir meno per desuetudine.
L’attività giurisdizionale
La norma è generale e astratta ma alla fine è sempre una situazione concreta che deve essere
qualificata come giuridica o anti giuridica. Il giudizio individuale, portato avanti dal giudice, deve
essere conforme alla norma generale, così da poter essere considerato un’applicazione alla
fattispecie concreta.
Il procedimento di applicazione della norma ha la forma logica del sillogismo:
Norma (premessa maggiore) + Fatto (premessa minore) = Sentenza (conclusione)

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Ma la difficoltà di questo procedimento risiede nel fatto che la posizione della premessa maggiore
richiede la determinazione della norma applicabile e spesso essa deve essere interpretata nei casi in
cui non sussista una norma di legge direttamente applicabile.
L’interpretazione della legge
Questo problema si può porre a proposito di qualsiasi legge, anche se tecnicamente impeccabile.
Es. La parole “privata dimora” sicuramente designa l’abitazione, ma può essere dubbio se riguardi anche i
locali di uno studio professionale o alla sede di un partito.
È quindi evidente come l’interpretazione prima di tutto debba essere condotta in relazione al
contesto. La zona di indeterminatezza è particolarmente ampia intorno a parole che esprimono
concetti graduabili nella quantità (es. “grave” e “pericoloso”).
Art. 12 disposizioni sulla legge in generale: “Nell’applicare la legge non si può ad essa attribuire
altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di
esse e dalla intenzione del legislatore”.
Il procedimento analogico
L'analogia è un procedimento mediante il quale l'interprete del diritto, qualora vi sia una lacuna
(ovvero quando un caso o una materia non siano espressamente disciplinati), applica le norme
previste per casi simili o materie analoghe (art. 12 disposizioni preleggi c.c.).
Esempio:
Art. 168 cod. civ. dispone che il depositario deve usare nella custodia la diligenza del buon padre di
famiglia ma nel caso in cui sia gratuito la colpa è valutata con minor rigore. Un’analoga
attenuazione è disposta dagli arte. 789, 798, 1710, 1812, 1821 a proposito del mandato, del
comodato e del mutuo gratuito. Di conseguenza è evidente che chi rende una prestazione gratuita è
assoggettato a una responsabilità meno rigorosa rispetto a chi agisca per un corrispettivo, perciò se
il giudice si troverà in via ipotetica dinanzi a un caso in cui taluno dà gratuitamente
un’informazione che risulta essere errata, la sua responsabilità sarà da valutarsi in modo meno
severo, in base a un’applicazione analogica delle norme anzidette.
In caso in cui non esistano norme così prossime da consentire un’applicazione analogica immediata
occorrerà allora decidere secondo i principi generali dell’ordinamento giuridico dello Stato.
Spesso in questi casi è necessaria l’applicazione di molteplici di questi principi che possono anche
esprimere indicazioni divergenti, in quesi casi il loro coordinamento richiede giudizi di valore.
Art. 14 disposizioni preleggi cod. civ.: “le leggi penali e quelle che fanno eccezione a regole
generali o ad alta leggi non si applicano oltre i casi e i tempi in esse considerati”. E’ interessante
quindi ai sensi del Diritto Privato chiarire il concetto di legge eccezionale.
Le leggi eccezionali
Il carattere eccezionale di disposizioni di legge non può essere intenso in senso puramente logico-
formale, infatti nella complessità del nostro ordinamento giuridico per assurdo ogni norma potrebbe
considerarsi l’eccezione dell’altra. Esso può quindi essere definito solo in base a una valutazione
politico-giuridica, in modo da comprendere quelle leggi la cui applicazione sia pericolosa o
inopportuna ai fini di un corretto funzionamento del meccanismo di produzione del diritto.
• Leggi strutturali: esprimono principi relativamente stabili e perciò si prestano a un’elaborazione
tecnica fondata su giudici di valore consolidati e accertati.
• Leggi congiunturali: sono dettate da considerazioni contingenti e variabili e alla loro applicazione
analogica richiederebbe giudizi di valore on consolidati e incerti e valutazioni di circostanze
passeggere che sembra opportuno risegare al potere politico e precludere ai giudici.

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Il fatto che le leggi congiunturali siano considerate eccezionali e perciò non applicabili
analogicamente è giustificato dall’esigenza che le decisioni giudiziarie siano adeguate, oggettive e
uniformi.
Le clausole generali
Assai spesso accade che il legislatore si limiti a dettare direttive di massima delegando alla
giurisprudenza il compito di svilupparle, integrarle e specificarle, in questo modo il sistema
giuridico acquista flessibilità. Da qui deriva l’impiego delle clausole generali:

- Giusta causa (art. 17239) - Buona fede (art. 1337)


- Grave motivo (art. 24) - Buon costume (art. 1343)
- Danno ingiusto (art. 2043) - Ordine pubblico (art. 1343)
- Interesse meritevole di protezione (art. 8) - Diligenza del buon padre di famiglia
- Correttezza (art. 2598) (art. 382)

Sono quindi concetti indeterminati ai quali il giudice deve dare applicazione nel caso di fattispecie.
Una menzione particolare spetta al concetto di equità:
“L’equità si contrappone alla rigidità della norma, esprimendo l’ideale di una giustizia
perfettamente adeguata alle particolarità di ogni caso concreto” —> conferisce quindi al giudice la
potestà di derogare in tali casi all’applicazione rigida della legge.
Può anche essere inteso in senso più stretto con riferimento all’equivalenza tra prestazione e
controprestazione.
Il giudice e la legge
Da quanto si è detto risulta che i giudici svolgono anche un’opera di integrazione dell’ordinamento
giuridico. Tuttavia quest’opera di riempimento di eventuali lacune non ha la stessa efficacia delle
leggi, infatti quest’ultima è vincolante per la generalità dei casi ai quali si riferisce mentre la regola
costruita dal giudice in fase di interpretazione o integrazione costituisce solo parte della
motivazione della sentenza che regola un singolo caso, tuttavia rappresentando un’influenza di fatto
per le decisioni successive.
N.B. in questo sistema la giurisprudenza più recente prevale su quella più antica. (Agg. pag. 17-21)

CAPITOLO II : DIRITTO PRIVATO E DIRITTO PUBBLICO

L’ordinamento giuridico si divide in due grandi settori:

1. Diritto Pubblico: ha come oggetto, in primo luogo, l’organizzazione dello Stato, degli enti
pubblici territoriali (regioni, province, comuni) e di altri enti pubblici. In secondo luogo
rientrano i rapporti reciproci di questi enti, quando riardano l’esercizio delle loro funzioni
pubbliche e i rapporti di questi enti con i privati, quando in essi si manifesta la supremazia
dell’ente pubblico e la soggezione del privato.

2. Diritto Privato: regola i rapporti reciproci degli individui, sia nel campo personale che familiare,
sia in quello patrimoniale. Regola inoltre la organizzazione e l’attività di società, associazioni e
altri enti privati. Opera anche in tutte quell situazioni al di fuori della zona in cui è ammissibile
l’esercizio di poteri di supremazia.

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La distinzione tra i due non dipende quindi né dalla qualità dei soggetti né dalla natura degli
interessi in gioco, bensì dal tipo di rapporto secondo che esso si svolga su un piano di parità
giuridica o manifesti l’esercizio di poteri di supremazia.

CAPITOLO III : LA COSTITUZIONE E IL DIRITTO PRIVATO

La preminenza della costituzione nella gerarchia delle fonti ha un duplice significato:

1. Funzione di legittimare i pubblici poteri ed anche di disciplinare la validità dell’attività


legislativa.
2. Esprime i principi fondamentali dell’ordinamento giuridico delineando le strutture
organizzative pubbliche.

In sostanza la costituzione esprime la parte generale di tutto il diritto così anche di quello privato
(Es. arte. 30 e 36 Costituzione).

Efficacia e interpretazione delle norme costituzionali

Destinatario delle norme costituzionali non è solo il legislatore perché esse conferiscono diritti e
impongono doveri anche ai singoli gruppi sociali e in tal caso hanno efficacia non meno diretta e
cogente delle leggi ordinarie.
Un problema si presenta quando il potere legislativo emana una legge ordinaria in contrasto col
precetto costituzionale, caso in cui la norma dovrà essere rimessa alla corte che provvederà a
dichiararla illegittima una volta verificato il contrasto.
La situazione può ritenersi complicata nei casi di quei precetti costituzionali che si limitano a
prescrivere direttive di azione da svolgere in futuro, in questi casi non esiste rimedio ai casi in cui
per inerzia il legislatore non provveda a concretizzare i suddetti precetti, tuttavia l’efficacia di
quest’ultimo si esprime nella potenza di rendere illegittimo qualsiasi provvedimento che lo
contraddice.
È certo inoltre che l’interpretazione del testo costituzionale come di ogni altro testo normativo non
può trascurare il riferimento alle circostanze sociali ed economiche che la norma intende regolare.

Stato di diritto e stato sociale

1. È caratterizzato da sovranità della legge, sistema dei rimedi giurisdizionali, divisione dei poteri,
certezza del diritto, principio della irretroattività delle leggi
2. Caratterizzato da diretti e indiretti interventi pubblici nell’economia, estensioni del diritto di
voto.
Diritti e libertà civili e loro garanzia costituzionale
La Costituzione italiana pone in primo piano la persona umana.
Alla dichiarazione generale del riconoscimento e della garanzia dei diritti inviolabili dell’uomo
segue la dichiarazione di diritti e libertà specifiche:
Diritto al lavoro, libertà di circolazione e di soggiorno, proprietà personale di abitazione e titoli di
investimento, proprietà artigiana ecc.
La libertà di iniziativa economica e il diritto di proprietà, devono essere regolati e limitati dalla
legge in modo compatibile con l’utilità sociale.

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E’ bene rilevare che la costruzione menziona in particolare modo quelle libertà e qui diritti per i
quali l’esperienza storica ha dimostrato la necessità del riconoscimento e della garanzia.
Il principio di eguaglianza
Art. 3 Costituzione: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge,
senza distinzioni di sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche, condizioni personali e
sociali.”
Questo principio trova poi una serie di applicazioni particolari in altre disposizioni come:
- uguaglianza dei coniugi nel matrimonio
- Uguaglianza di diritti fra lavoratori
- Uguaglianza degli elettori
E cosi via.
L’uguaglianza giuridica richiede un uguale trattamento di situazioni uguali e un disuguale
trattamento di situazioni disuguali, occorre quindi stabilire quando la diversità delle situazioni
giustifica un diverso trattamento e quando no.
È illecita ad esempio nel caso in cui ci sia il fine di perseguitare un particolare gruppo.
Convenzioni internazionali

• CDFUE (valori fondanti) • Carta sociale europea


• CEDU (diritti fondamentali) • TUE/TFUE

CAPITOLO IV : ASPETTI GENERALI DEL DIRITTO PRIVATO

Il divieto dell’autotutela privata


La regola giuridica ha la funzione di assicurare nell’ordine la pacifica convivenza e lo sviluppo dei
consociati, per questo oltre a determinare cosa spetti a chi occorre disciplinare il procedimento di
attuazione del diritto, per garantire che la tutela publica si applichi con l’energia prevista dalla legge
per la soddisfazione delle pretese accertate Coe effettive e nel rispetto dei principi di civiltà, libertà
a dignità umana. Per questo motivo tutti gli ordinamenti progrediti vietano al privato di farsi
giustizia da sé.
- Domanda di reintegrazione: (art. 1168 cod. civ. ) si può pretendere che sia ristabilito lo stato di
fatto precedente a quel gesto vietato di autotutela (che viene dunque resa inutile e quindi
scoraggiata).
È ammessa la legalità dell’autodifesa contro attacco ingiusto nei casi di emergenza in cui non sia
possibile reclamare immediatamente la difesa pubblica, sempre che la difesa sia proporzionata
all’offesa.
Il diritto soggettivo
Insieme di pretese, facoltà, immunità e poteri riconosciuti al singolo per la soddisfazione di un suo
interesse personale secondo il suo libero apprezzamento
La delimitazione di questa zona presuppone l’attualità di interessi in conflitto e tiene conto della
loro rilevanza sociale (ad esempio la delimitazione del diritto alla riservatezza va compiuta tenendo
conto del contrapposto interesse all’informazione giornalistica).
Generalmente sono le norme generali e astratte a delimitare i diritti soggettivi preventivamente,
tuttavia questo non è sempre possibile, e la legge consente quindi che il limite sia determinato caso

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per caso dal giudice o dall’autorità amministrativa. Questo caso si presenta nel momento in cui il
limite al diritto soggettivo è voluto direttamente dall’interesse pubblico, per rispettare il principio di
legalità.
Abbiamo quindi detto che è essenziale l’attribuzione di una sfera di autonomia, concetto che viene
in pieno rilievo se si confronta con la nozione di potestà (potere attribuito a un individuo per
l’esercizio di una funzione rivolta a proteggere e realizzare un interesse altrui o un interesse
superiore. Tra questi vi si colloca il potere discrezionale (tra l’agire interamente libero e l’agire
interamente vincolato
Autonomia privata
L’autonomia privata importa il potere del singolo di regolare nel modo che egli ritiene di suo
interesse i molteplici rapporti giuridici che sono il contesto delle attività economiche e delle
relazioni personali, si esplica mediante i negozi giuridici (dichiarazioni dispositive alle quali
l’ordinamento fa seguire effetti giuridici conformi all’intento del dichiarante).
• Problemi giuridici dell’autonomia privata:
1. Il diritto deve determinare i presupposti della capacità di agire (minori di età e malati di mente).
2. Giusta tutela della libertà negoziale contro eventuali illeciti perpetrati attraverso minacce,
inganni o errori essenziali.
3. I contratti contrari al buon costume vengono dichiarati nulli.
4. Limiti quando l’interesse pubblico non sarebbe realizzato dal libro esercizio dell’autonomia
privata.
5. Limiti che assicurano il giusto equilibrio dei rapporti contrattuali nelle ipotesi in cui ls
debolezza economica di una delle parti, il difetto di informazione o altre situazioni distorte
renderebbero possibili eventuali sopraffazioni.
Stabilità, dinamica, concorrenza
L’ordinamento giuridico promuove e realizza due essenziali obiettivi, quello della sua stabilità e
quello della sua dinamica.
Questi due momenti vanno identificati nell'interpretazione dei vari istituti:
a) Il presupposto di qualsiasi attività giuridica rilevante è una base di certezza e di stabilità del
dettato legislativo e delle posizioni giuridiche: momento statico della protezione giuridica che
essenziale sia dal punto di vista soggettivo che dal punto di vista oggettivo.
b) Esiste una dinamica consentita e promossa dall'ordinamento giuridico per la quale le singole
posizioni, nel contatto o nell'urto con quelle altrui, determinano rispettivi mutamenti e
condizionamenti. Le due esigenze statica e dinamica possono però entrare in conflitto. Ad
esempio se la persona alla quale è stata affidata una cosa in deposito ne approfitta per venderla
e consegnarla un terzo, l’esigenza statica di conservazione del proprietario viene in conflitto
con l'esigenza dinamica di non deludere l'affidamento del terzo acquirente; in quest'ipotesi la
legge fa prevalere la tutela dell'affidamento attribuendo la proprietà della cosa all'acquirente
mentre il Jack proprietario avrà solo il diritto di essere risarcito.
c) Il fenomeno più caratteristico della dinamicità dell’ordinamento è dato dal principio di
concorrenza (diuturno confronto in campo economico tra gli uomini con lo scopo di emulare).
Particolari e istituzionali determinazioni del principio si hanno circa i segni distintivi
dell’impresa, del commercio, la proprietà industriale, il diritto d’autore, le intese industriali e le
posizioni dominanti.

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Potere economico, interessi del pubblico, principio di solidarietà
a) La grande impresa rappresenta un prodotto qualificante caratteristico, assieme a casa in difetto,
della società di massa e propone problemi sia sulla sua conformazione giuridica, sia sui suoi
rapporti con le istituzioni, da una parte, e dall'altra con il pubblico dei consumatori, degli utenti
e dei risparmiatori. Precisamente si tratta di impedire possibili prevaricazioni della grande
impresa, di contenere al suo campo di strumento economico a vantaggio della collettività e di
assicurare infine, che non si determinano situazioni di monopolio o di oligopolio collusivo. Va
qui rilevata la difficoltà che si presenta quando un'attività le da interessi che siano largamente
diffusi e frazionati nel pubblico. Poiché il singolo seppur danneggiato, spesso non possiede le
capacità o le spese per affrontare la causa spesso si ritiene che è un ruolo prevalente spetti qui ai
controlli amministrativi e in generale all'interventi della pubblica autorità. Altri poteri di
iniziativa possono essere attribuiti ad associazioni rappresentative di interessi collettivi e le
associazioni professionali che possono chiedere al giudice di vietare a imprenditori,
professionisti o associazioni professionali di mantenere certe clausole abusive nelle condizioni
generali di contratto da essi praticate.
b) Il principio solidaristico intende assicurare ad ogni cittadino le condizioni migliori per
un'esistenza libera e dignitosa e per l'affermazione lo sviluppo della propria personalità.
Obiettivi così ambiziosi, sono ormai programmatici di tutte le società statali, per quanto
riguarda il diritto privato possono considerarsi ad esempio espressione diretta del
summenzionato principio disposizioni posti a tutela dei contraenti deboli.

CAPITOLO V : I RAPPORTI GIURIDICI

Concetti giuridici elementari


Una terminologia precisa è lo strumento necessario per qualsiasi ragionamento che aspiri
all'approfondimento analitico e la chiarezza. La definizione dei termini giuridici presenta però
particolari difficoltà dovute all'oro collegamento con il linguaggio non tecnico della vita quotidiana.
• Dovere: può avere per oggetto un'azione oppure un’astensione, il dovere è sempre imposto per la
realizzazione di un interesse.
• Pretesa: portatore del suddetto interesse è un soggetto al quale si attribuisca la possibilità di
pretendere l’adempimento di un dovere.
• Obbligo: potere corrispondente a una pretesa.
• Facoltà: Quando non può sussistere una pretesa da parte di Tizio, Caio ha la facoltà di non tenere
quel comportamento (correlativa alla mancanza di pretesa).
• Potere: possibilità di modificare situazioni giuridiche mediante atti di disposizione.
• Soggezione: situazione di chi subisce le conseguenze del potere.
• Immunità: se una situazione giuridica di Tizio non può essere modificata da Caio (correlativa alla
mancanza di potere).
Il diritto soggettivo: struttura e classificazioni
1. Diritto relativo: attribuisce una persona pretese che questa può far valere solo nei confronti di
una o più persone determinate (Es. È il caso del credito di una somma di denaro: qui l'interesse
del creditore deve venire realizzato dal comportamento di una persona precisa: il debitore).
2. Diritto assoluto: attribuisce a una persona pretese che questa può far valere nei confronti di una
moltitudine di persone indeterminate (Es. È il caso del diritto di proprietà che consente di
escludere chiunque dall'utilizzazione della cosa).

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3. Diritti della personalità: come il diritto alla vita, all'integrità fisica, alla libertà di movimento, al
nome, all'onore, e altri.
4. Diritti patrimoniali: sono quelli che hanno per il contenuto una utilità economica: di regola sono
trasmissibili sono ad esempio i diritti reali o i diritti di credito.
Aspettativa, diritto potestativo, onere
a) L'acquisto di un diritto può dipendere dal verificarsi di un fatto che consti di più elementi.se
alcuni di questi si sono già verificati, e gli altri potranno verificarsi successivamente, si
determina una certa aspettativa di acquisire il diritto. Se l'aspettativa non è presa in
considerazione dalla legge si dice aspettativa di fatto (attesa della morte del genitore per avere
l’eredità). In altri casi la legge tutela l'aspettativa vietando atti che possano impedire slealmente
il perfezionarsi del diritto in questo caso si parla di aspettativa di diritto. Essa si può quindi
definire come un diritto in formazione.
b) È il potere di determinare, mediante un proprio atto di volontà, una modificazione della sfera
giuridica di un altro soggetto, il quale non può che subirla. Per esempio qualcuno che abbia
preso in locazione un immobile può, qualora il proprietario decidesse di venderlo, esercitare un
diritto di prelazione dichiarando di acquistarlo a parità di condizioni: il proprietario non può
che subire la scelta del conduttore. Il diritto potestativo può essere esercitato promuovendo
l'azione giudiziaria nei casi in cui sia necessario.
c) È un comportamento non obbligatorio, ma richiesto come presupposto per l'esercizio di un
potere. Ad esempio il compratore di una cosa difettosa, sebbene potessi valere dei rimedi della
legge, all'onere di denunciare i difetti al venditore entro otto giorni dalla scoperta.
Rapporti giuridici semplici e rapporti complessi
Rapporto giuridico semplice: È la relazione fra il titolare di un interesse giuridicamente protetto
(sogg. attivo) e chi è tenuto a realizzare un rispettare quell’interesse (sogg. passivo).
Il rapporto giuridico diventa complesso nel momento in cui si presenta come un insieme di
posizioni soggettive fra loro collegate (può rappresentare un fascio di diritti e doveri fra loro
collegati, tornando dal principale se ne possono collegare altri in funzioni strumentale o accessorio
e accanto ai diritti e doveri dei propri possono comparire varie altre figure di diritti potestativi,
soggezioni, oneri).
I fatti e gli atti giuridici
Sono fatti giuridici quelli che, in base alla norma di diritto, concorrono a costituire, modificare o
estinguere rapporti giuridici. Possono essere fatti in senso stretto (nascita, crollo di un edificio) o
atti umani (accettazione di un contratto, imprudenza). Questa distinzione è fondata sulla rilevanza
giuridica del momento soggettivo degli atti umani: capacità di intendere di volere, coscienza,
intenzione, buona o mala fede…
Gli atti giuridici possono distinguersi in due grandi categorie atti conformi alle norme
dell'ordinamento giuridico (leciti) e atti compiuti in violazione di doveri giuridici (illeciti).
Sono inoltre distinguersi in atti negoziali e atti non negoziali. I primi sono manifestazioni di volontà
con le quali i singoli nell'esercizio dell'autonomia privata, intendono costituire, modificare o
estinguere rapporti giuridici e così regolare i propri interessi nei rapporti con gli altri. Gli ultimi
sono atti che non sono rivolti a creare, modificare, estinguere rapporti giuridici, bensì a produrre un
risultato di fatto. Si dividono in atti materiali o reali, che si propongono modificazioni materiali del
mondo esterno oppure comunicazioni, che hanno lo scopo di informare o di intimare.

Sezione Seconda: I soggetti

CAPITOLO IV: LA PERSONA FISICA


La capacità giuridica
La capacità giuridica è la capacità di una persona di essere soggetto di diritti e di obblighi. Essa si
distingue dalla capacità di agire che è la capacità di porre in essere i propri diritti.
L’incapacità giuridica prevede che il diritto non possa essere esercitato né dall’incapace
direttamente né da altri per suo conto.
Nel diritto moderno la capacità giuridica generale spetta a ogni uomo ma possono esistere
(soprattutto nel diritto pubblico) particolari limitazioni di essa (ad esempio lo straniero non ha diritti
elettorali in Italia o un’associazione/ente non può essere tutore di un minore).

La nascita e l’acquisto della capacità giuridica


Di norma la capacità giuridica si acquista al momento della nascita, tuttavia la legge prende in
considerazione ache il concepito il quale possiede solo un’aspettativa di diritto che si perfezionerà
al momento della nascita, a patto che nasca vivo (si può fare ad esempio testamento nei confronti di
un bambino non ancora concepito, ovviamente, nel caso che questo non avvenga il testamento si
dissolverà secondo le disposizioni vigenti).
Diritti della personalità e libertà civili
A tutela della personalità umana la legge riconosce alcuni diritti e libertà fondamentali.
• Diritto all’inviolabilità fisica della persona:
Ledere l’integrità fisica altrui costituisce un atto illecito. Infatti è vietata la cura medica perpetrata
senza il consenso del soggetto o del suo rappresentante legale a meno che non ci si trovi dinanzi a
una situazione di emergenza (stato di necessità art 2045 cod.civ.). Le cure mediche possono però
essere imposte con lo scopo di salvaguardare l’interesse pubblico (vaccinazione obbligatoria).
• Diritto alla libertà fisica di movimento e libertà di fare o non fare:
A tutela della personalità umana la legge ammette solo vincoli precari o di breve durata (si può ad
esempio licenziarsi in qualsiasi momento con previo avviso). Anche chi si sia impegnato a una
prestazione personale di fare o non fare non può essere costretto direttamente ad eseguirla (incorrerà
solamente in una responsabilità pecuniaria per i danni cagionati al creditore).
• Diritto di tutela alla dignità e libertà umana:
Sono tutelate tutte le manifestazioni più immediate della personalità e le scelte che rientrano nella
sfera etica, familiare e politica personale. La costituzione menziona infatti la libertà di religione,
parola, opinione politica (l’atto di licenziamento che ha come causa una di queste sfere è ritenuto
nullo, e una persona che disponga di una di queste libertà non è vincolata a rispettare la sua
promessa).
• Diritto al nome:
Danno di natura non patrimoniale (i redattori di un manifesto politico fanno risultare tra i firmatari
il nome di una persona che non ha mai firmato) o di natura patrimoniale (quando l’uso indebito del
nome altrui determini confusione e sviamento di cliente in un’attività professionale o commerciale).
Inoltre l’uso di un nome che fa evidentemente allusione a una specifica persona (da vedere anche
quanto questo sia raro o meno, o se sia lo pseudonimo con cui è conosciuta la persona) è illecito
(solo se gli reca danno).
• Diritto all’onore:
Tutelato contro l’ingiuria e la diffamazione.

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• Diritto alla riservatezza della vita privata:
Diritto di possedere una sfera d’intimità sottratta alla curiosità degli estranei. A questo scopo la
Costituzione garantisce l’inviolabilità del domicilio e la segretezza della corrispondenza e di ogni
altra forma di comunicazione.
• Diritto alla verità personale:
È leso quando si diffondono sul conto di una persona notizie non vere anche se non diffamatorie,
che possono modificare l’immagine della persona agli occhi del pubblico.
La capacità di agire e le incapacità di protezione
La capacità di agire è la capacità di disporre dei propri diritti e di assumere impegni mediante
manifestazioni di volontà. Essa può essere esclusa o limitata se vi è una mancanza o riduzione della
capacità di intendere e di volere. Il diritto vuole proteggere l’incapace disponendo in certi casi il
possibile annullamento dei negozi stipulati da quest’ultimo.
La maggiore età è fissata al compimento del diciottesimo anno e con essa si acquista la capacità
generale di agire. Per quanto riguarda i minori essi dispongono di un tutore legale/genitore che deve
affiancarli e provvedere ai suoi interessi, esclusi tutti quegli atti che implicano scelte di carattere
strettamente personale (matrimonio).
Le cause che possono limitare o escludere la capacità di intendere di volere sono la minore età,
l’alterazione delle facoltà mentali e altre minorazioni.
- Interdizione: quando è accertata l’abituale infermità di mente che rende incapace di provvedere
ai propri interessi, l’interdetto è privo della capacità di agire ed è affidato a un tutore.
- Inabilitazione: quando l’infermità di mente non è così grave d giustificare l’interdizione, limita
solo la capacità di compiere atti di straordinaria amministrazione e attribuisce all’inabilitato
l’assistenza di un curatore. Possono essere inabilitati anche coloro che espongono loro stessi o le
famiglie a gravi pregiudizi economici a causa dell’abuso perpetuo di alcolici o stupefacenti.
- Amministrazione di sostegno: quando, per effetto di infermità fisica o psichica, la persona
necessita di un’assistenza per l’attuazione dei propri interessi, anche solo temporanea o limitata a
determinate operazioni (tipica per le persone molto anziane).
Per concludere esistono due diversi tipi di incapacità:
• Incapacità legale: fa riferimento ai minori, interdetti, inabilitati, beneficiari di amministrazione
di sostegno. Può essere assoluta (i primi due, che non possono stipulare alcun negozio giuridico)
o relativa (emancipati e ultimi due, i quali hanno una limitata capacità di agire).
• Incapacità naturale: effettiva incapacità di intendere e di volere.
Se quest’ultima deriva da una situazione transitoria (stato ipnotico, intossicazione o ubriachezza)
non vi può essere interdizione né inabilitazione.
Nei casi di incapacità legale, le norme protettive dell’incapace permettono che il contratto o altro
negozio giuridico sia sempre annullabile, più complicato è il caso opposto (quando vi è incapacità
naturale ma non legale) poiché entra in gioco l’interesse della controparte che potrebbe aver fatto
affidamento sulla validità dell’atto.
N.B. se il minore ha falsificato un documento per apparire maggiorenne il contratto non sarà comunque annullabile, art.
1426 cod.civ.
Nel caso quindi i cui vi è solo incapacità naturale va attestata la buona fede dell’altra parte, dunque:
a) I negozi del diritto di famiglia possono essere annullati (art. 120 cod.civ.)
b) Testamento, donazione e altri atti di liberalità per analogia sono annullabili (art. 75 cod.civ.)
c) Gli atti unilaterali sono annullabili se gravemente dannosi per l’incapace (Art. 428 cod. civ)

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d) Nel campo degli affari (contratti) per essere annullabile l’atto deve recare un grave pregiudizio
all’incapace e il contraente deve aver agito in malafede (art. 2046).
L’interdizione legale del condannato
Il condannato alla reclusione dai 5 anni in poi è interdetto legalmente (= interdizione giudiziale),
questo con lo scopo di punirlo; infatti chiunque sia interessato può agire in giudizio per annullare
l’atto mentre per l’incapacità di protezione può essere domandato solo dalla persona protetta o dal
suo rappresentante.
La minore età e la responsabilità genitoriale
La piena capacità di agire si acquista al compimento del diciottesimo anno di età (art. 2 cod. civ.). Il
negozio giuridico compiuto dal minore è annullabile, ciò significa he la sua efficacia può venire
eliminata in base a una tempestiva domanda posta nell’interesse del minore; naturalmente questa
disposizione presuppone l’esistenza di una dichiarazione di volontà che possa essere presa sul serio
nel traffico giuridico (se si basa su parole dette da un bambino di 6 anni il negozio è direttamente
inesistente).
La responsabilità genitoriale si basa sulla cura della persona del minore e sull’amministrazione dei
suoi beni, dalla riforma del 1975 questa responsabilità non appartiene più solo al padre ma a
entrambi i genitori considerati eguali dinanzi alla legge. Nei casi in cui loro non siano d’accordo è
previsto l’intervento del giudice, il quale deve occuparsi di trovare un accordo o di nominare il
genitore che secondo lui è più idoneo a tutelare gli interessi del figlio.
L’esercizio del dei poteri genitoriali è piuttosto considerato un potere-dovere, poiché la violazione
dei doveri inerenti a questa responsabilità può consistere secondi i casi, nella decadenza della stessa,
nella rimozione dell’amministrazione, nella privazione o limitazioni dell’usufrutto o altri
provvedimenti.
- Dovere del mantenimento
- Potere di sorveglianza, e di conseguenza di trattenere il minore presso sé (sottrarre un minore
anche col suo consenso dal genitore cui è attribuita la responsabilità genitoriale è reato: arte. 573,
574 cod. pen.)
- Potere di educazione
- Potere di usare mezzi di correzione disciplinare approvati dal costume (art. 571 cod. pen.)
- Potere di amministrazione del patrimonio e di rappresentanza legale.
- Usufrutto legale, in comune sui beni del figlio del minore, esclusi quello acquistati col lavoro di
quest’ultimo.
La tutela dei minori
Si presenta nel momento in cui entrambi i genitori siano deceduti o per altre cause non possano
adempiere alla loro responsabilità. Il tutore viene scelto dall’ultimo genitore che ha avuto la
responsabilità o in mancanza di direttive dal giudice tutelare. Egli possiede poteri-doveri simili a
quelli dei genitori ma con alcune restrizioni: è infatti più frequente l’intervento del giudice. Il tutore
può essere rimosso per negligenza, inettitudine e insolvenza e deve risarcire il minore in caso di
danni derivati dalla cattiva amministrazione dei suo beni.
L’emancipazione
Il minore che abbia compiuto sedici anni di età può per gravi motivi essere autorizzato a contrarre
matrimonio (art. 84 cod. civ.), in questo caso egli acquista l’emancipazione: possiede quindi la
capacità di porre in essere atti di ordinaria amministrazione; per tuti gli altri sarà necessaria la figura
del giudice tutelare o del curatore, che non sostituisce il minore ma deve assisterlo. Gli atti compiuti
senza le prescritte autorizzazioni sono annullabili e con questa cessa l’usufrutto legale dei genitori.

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Tutela degli interdetti e curatela degli inabilitati
Questi provvedimenti possono essere presi solo nei confronti dei maggiorenni o dei monti di età.
- Interdetto: incapacità assoluta + tutore (simile a minore)
- Inabilitato: incapacità parziale + curatore (simile a minore emancipato)
Entrambe possono essere revocate tramite sentenza quando ne venga meno la causa (art. 429 cod.
civ.), le sentenze sono assoggettate a pubblicità nei registri dello stato civile e negli appositi registri
presso la cancelleria del tribunale.
Amministrazione di sostegno
Decretata con ricorso del soggetto, del coniuge, del convivente stabile o altri soggetti indicati (arte.
404, 406, 427 cod. civ.). Nel decreto deve essere presente l’indicazione dell’oggetto dell’incarico,
gli atti che l’amministratore ha il potere di compiette e quelli che il beneficiario può compiere con
assistenza. Tutti gli atti che violano queste disposizioni sono annullabili. In caso di contrasto tra
amministratore e beneficiario deve intervenire il giudice tutelare.
Sede della persona: domicilio e residenza
Il luogo dove una persona vive e opera costituisce il punto di riferimento per lo svolgimento di
numero rapporti giuridici.
- Domicilio: luogo in cui la persona ha stabilito la sede principale dei suoi interessi.
- Dimora: luogo in cui la persona si trova attualmente, anche per breve tempo.
- Residenza: luogo in cui la persona ha la dimora abituale.

Scomparsa, assenza, morte presunta


Se una persona non compare più nel luogo del suo ultimo domicilio o residenza e non se ne hanno
più notizie può essere nominato un curatore (art. 48 cod. civ.).
- Dopo due anni: dichiarata l’assenza si può immettere nel possesso temporaneo dei beni
dell’assente color che ne sarebbero vedi, i quali devono conservare il patrimonio potendo godere
delle rendite in misura più o meno ampia.
- Dopo dieci anni: dichiara la morte presunta, i presunti eredi e legatari acquistano la libera
disponibilità sul patrimonio e il coniuge può contrarre nuovo matrimonio.
- Se il presunto morto ritorna: recupera i beni nello stato in cui si trova e il nuovo matrimonio del
suo coniuge diventa nullo.

CAPITOLO IV: LE PERSONE GIURIDICHE


Nel linguaggio giuridico, come in quello comune, diritti, doveri e comportamenti non vengono
riferiti solo a uomini, ma spesso anche ad enti. Questi enti possono venie considerati come soggetti
della vita giuridica in modo analogo ali uomini, ed perciò che vengono designati come persone
giuridiche. Le motivazioni per costituire una persona giuridica possono essere:
- Patrimonio (come a scopo culturale) che ecceda a durata della vita umana.
- Realizzazione di uno scopo per cui non bastano le forze di un singolo.
- Limitazione della responsabilità di insuccessi (conferendo una determinata quantità di denaro a
una persona giuridica).
L’autonomia patrimoniale

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Perché si possa parlare si persona giuridica occorre essere in presenza di un patrimonio (insieme di
rapporti giuridici attivi e passivi) che sia distaccato dal patrimonio di qualsiasi persona fisica e sia
sottoposto a vicende autonome.
- Assenza di autonomia patrimoniale: più persone comproprietà di un determinato bene ma
diritti e debiti comuni non costituiscono un patrimonio unificato e distinto da quello dei
partecipanti.
- Autonomia patrimoniale imperfetta: il patrimonio non è del tutto insensibile alle vicende
patrimoniali dei partecipanti ed è, sia pure solo in casi estremi, soggetto a disgregarsi
parzialmente anzitempo a causa delle pretese dei creditori di questi.
- Autonomia patrimoniale perfetta: finché quest’autonomia dura il patrimonio è stabilmente
destinato allo scopo dell’ente ed è insensibile alle vicende che riguardano i soggetti in qualche
modo interessati alla sua esistenza.
Gli organi

- Organo amministrativo: amm. patrimonio individuale o collegiale.


- Assemblea generale: riunione dei soci e o associati.
- Organi di controllo: es. collegio sindacale.
Classificazione delle persone giuridiche private
- Istituzioni: sono vincolate a uno scopo che è prestabilito nell’atto costitutivo ed è relativamente
immutabile. Esse possono propri di realizzare un fine di carattere generale (ricerca scientifica)
oppure interessi di una particolare categoria di persone (casa di risposo per musicisti). Hanno
particolare importanza fra queste le fondazioni costituite da uno o più fondatori con un
patrimonio iniziale che fissa lo scopo dell’ente e le norme amministrative.
- Corporazioni: sono gruppi di persone che gestiscono sovranamente la propria organizzazione e
dispongono liberamente del patrimonio comune. Questo tipo di enti prendono il nome di
associazioni se il loro scopo diretto non è l’esercizio di un’attività produttiva ma ad esempio
finalità culturale, religiosa, politica, sportiva, ecc. oppure di società, se lo scopo è lucrativo o
mutualistico; se lo scopo è il soddisfacimento in comune di un bisogno economico dei
partecipanti, prende il nome di consorzio.

CAPITOLO VIII: LE ASSOCIAZIONI


La libertà di associazione e la tutela dell’individuo nell’associazione
L’associazione è un’organizzazione collettiva privata, formata da una pluralità di persone che
perseguono uno scopo comune di natura ideale o, comunque, diverso dall’esercizio di un’attività
economica. Essa nasce tramite un atto costitutivo (accordo fra persone che decidono di associarsi) e
uno stato (stabiliscono le regole del funzionamento dell’associazione. La libertà di associazione è
garantita in Italia dalla Costituzione all’art. 18.
Il riconoscimento e l’autonomia patrimoniale, differenze tra ass. riconosciute e non
Le associazioni possono venire riconosciute con provvedimento dell’autorità amministrativa. Il
riconoscimento tuttavia non rappresenta un requisito necessario per l’efficacia giuridica dei patti
associativi. Esso si limita a conferire la personalità giuridica; in mancanza del riconoscimento alla
responsabilità dell’associazione si accompagna la responsabilità personale di coloro che hanno agito
in nome e per conto di essa stessa (non tutti i membri in generale). Il riconoscimento ha dunque
efficacia costitutiva della personalità giuridica. Inoltre, gli atti più importanti delle associazioni
riconosciute sono soggetti a pubblicità nel registro delle persone giuridiche. La funzione di
riconoscimento segna i limiti della discrezionalità amministrativa nel concederlo o negarlo

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(principalmente quando il patrimonio appaia insufficiente a garantire le ragioni dei futuri creditori).
Va aggiunto inoltre che le associazioni non riconosciute hanno un’importanza molto maggiore
(come ad esempio partiti e sindacati).
La soggettività giuridica e il patrimonio delle associazioni
I contributi degli associati e i beni altrimenti acquistati costituiscono il fondo dell’associazione. Il
fondo non è in alcun modo considerato proprietà comune degli associati, questo implica che essi
non abbiano diritto a una quota dell’associazione e tantomeno che i creditori degli associati possano
pretendere di soddisfarsi sui beni dell’associazione.
Atto costitutivo e statuto
Le associazioni si costituiscono con un accordo tra un gruppo di persone, che saranno i primi
associati. Per le associazioni che mirano ad essere riconosciute l’accordo dovrà essere redatto in
forma pubblica, contente denominazione, patrimonio e sede. Per le associazioni non riconosciute è
sufficiente un accordo scritto privatamente o orale, che indichi gli elementi essenziali: scopo, diritti
e obblighi degli associati, condizioni per l’ammissione, regole sull’ordinamento interno e
sull’amministrazione.
Gli organi dell’associazione
Sono presenti l’assemblea degli associati (che delibera in base al principio maggioritario) che
nomina gli amministrazioni. Il controllo giudiziario si definisce di legalità e non di merito, poiché
esso non deve ledere l’autonomia dell’associazione, e perciò non può portarti sull’opportunità delle
scelte operate dall’assemblea, ma solo sulla loro conformità alla legge, all’atto costitutivo e allo
statuto.
Federazioni di associazioni e associazioni parallele
Le grandi associazioni presentano a volte problemi organizzativi che vanno risolti tramite il
decentramento:
- Federazioni di associazioni: costituite da numerose associazioni minori di carattere settoriale o
locale, riunite in una federazione.
- Associazioni parallele: costituita da associazione di vertice e sezioni locali e settoriali con
rapporto parallelo.
Vantaggi:
- autonoma responsabilità delle sezioni/associazioni federate nei confronti di terzi.
- All’assemblea vi partecipa un numero ristretto di persone: delegati eletti/rappresentanti.
Ammissione e recesso degli associati
Le associazioni, tipicamente, sono aperte all’adesione di nuovi membri, con procedimento di
ammissione determinato sovente nel proprio statuto. Tuttavia, nessuno ha il diritto di essere accolto
anche se rispetta i requisiti: sindacare un’ammissione contrasterebbe con la libertà delle
associazioni. Chiunque può recedere dall’associazione per giusta causa e senza giusta causa quando
non abbia assunto l’obbligo di farne parte per un certo periodo di tempo; questo obbligo è ritenuto
nullo nei casi in cui riguardi “tutta la vita” o tempi eccessivamente lunghi, e per quanto riguarda le
associazioni religiose, qualsiasi periodo di tempo è ritenuto nullo.
Esclusione degli associati
L’esclusione di un associato non può essere deliberata dall’assemblea se non per gravi motivi (es.
grave inadempimento di obblighi sociali). La deliberazione di esclusione deve quindi essere
motivata, altrimenti può essere impugnata davanti all’autorità giudiziaria, che però può solo
accertarsi che non ci sia violazione di regole legali o statutarie, non può infatti sostituire i propri

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criteri a quelli dell’associazione. In questo caso vediamo subito un’importante diversa tra
associazione e società, poiché nella prima, l’escluso non può pretendere che gli venga liquidità una
quota del patrimonio sociale, poiché ad essa a differenza della seconda, non si partecipa per scopi
patrimoniali.
L’estinzione dell’associazione
Si può estinguere quando lo scopo è stato raggiunto, quando diventa impossibile o quando lo
prevede lo statuto o per decisione dei 3/4 dell’assemblea. L’associazione entra in liquidazione, dove
si provvede a definire i rapporti giuridici pendenti senza poterne compiere di nuovi. I beni restanti
sono devoluti secondo lo statuto o donati ad associazioni con scopi analoghi.
CAPITOLO IX: FONDAZIONI E COMITATI

Costituzione e riconoscimento
La fondazione è un’istituzione creata da un fondatore o più, per attuare la destinazione di un
patrimonio a un determinato scopo (scientifico, culturale, assistenziale). Essa si distingue
dall’associazione in quando persegue finalità esterne, che sono predeterminate dal fondatore con
l’atto costitutivo, si impongono agli organi della fondazione e solo relativamente immutabili,
inoltre, possiede solo organi serventi. Essa è costituita con atto pubblico o testamento, e va ad
acquistare personalità giuridica.
Organi e controlli pubblici
Gli amministratori sono nominati con i criteri prescritti dall’atto di fondazione, o altrimenti scelti
dall’autorità amministrativa, che inoltre esercita su di essi un controllo per assicurare che il
patrimonio della fondazione sia effettivamente destinato allo scopo istituzionale.
Diritti dei beneficiari
I terzi a cui è stata garantita una prestazione possiedono un diritto soggettivo, ovviamente se questo
tipo di promessa era già prevista nelle sue modalità dallo statuto della fondazione, e ancor più se
quest’ultimo già prevedeva quella prestazione specifica.
Trasformazione ed estinzione delle fondazioni
L’immutabilità delle fondazioni non può essere assoluta, per evitare di condannarle all’inefficienza.
Perciò l’autorità governativa può trasformare la fondazione allontanandosi il meno possibile dal suo
carattere originario quando lo scopo si esaurisce, diventa impossibile o di scarsa utilità. Nei casi in
cui il patrimonio diventa insufficiente la scelta più razionale è quella di fondere la fondazione con
altre che abbiano scopo analogo. La trasformazione non è ammessa quando la casa sia di estinguere
l’ente devolvendo i beni a terze persone.
La fondazione si estingue per motivi analoghi a quelli dell’associazione.
I comitati
I comitati sono gruppi di persone che raccolgono presso terzi fondi destinati ad uno scopo
annunciato (beneficienza, soccorso, promozione di esposizioni). Lo scopo annunciato costituisce
quindi un vincolo di destinazione che grava sui fondi raccolti. I comitati appartengono al genere
delle fondazioni, infatti, se ad essi viene riconosciuta personalità giuridica allora diventano
fondazioni. In assenza del riconoscimento manca il beneficio della limitazione di responsabilità.
Infatti non è il solo fondo a rispondere delle obbligazioni assunte e della custodia dei fondi raccolti
ma anche, personalmente e solidalmente, i componenti del comitato (e non gli oblatori che sono
solo tenuti a offrire la cifra promessa).

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Sezione Terza: Nozioni preliminari sui beni e sui diritti patrimoniali

CAPITOLO X: I BENI
L’oggetto dei diritti patrimoniali
Il diritto soggettivo attribuisce e garantisce al suo titolare determinate utilità. Queste derivano
talvolta dall’utilizzazione di una cosa o di un’energia naturale che abbia valore economico (diritti
reali), altre volte derivano da una prestazione altrui (diritti di credito), altre volte ancora si parla di
proprietà su beni immateriali, come ad esempio opere letterarie, canzoni, invenzioni industriali
(diritti sulle opere dell’ingegno).
Beni materiali, definizione e classificazione delle cose
Sono beni materiali le cose e le energie suscettibili di appropriazione e che possono perciò formare
oggetto di diritti.
A) Cose mobili e immobili:
Sono beni immobili i terreni e tutto ciò che sta saldamente e materialmente incorporato al suolo
(edifici, alberi, stabilimenti balneari, mulini), sono mobili tutti gli altri beni. L’esercizio dei diritti di
proprietà immobiliare è assoggettato a maggiori restrizioni di diritto pubblico, e possono venire più
facilmente mantenuti sotto controllo; per questo motivo sono soggetti a pubblicità immobiliare.
Un’analoga pubblicità si ha per i beni mobili registrati (navi, aerei…) ma sono comunque una
minima parte poiché essi necessitano di rapidità e scioltezza delle trasferimenti e spesso sono cose
di valore modesto (eccetto pacchetti azionari, apparecchiature elettrodomestiche complesse ecc.).
Le cose immobili invece necessitato di transazioni formalizzate da atti scritti (art. 1350 cod. civ.).
B) Cose fungibili e infungibili:
Cose fungibili (o di genere) sono quelle che possono sostituirsi indifferentemente le une alle altre
perché sono uguali quantità di cose dello stesso genere (prodotti dell’agricoltura, generi alimentari,
sostanze chimiche e i prodotti di serie -libri, vestiti, elettrodomestici- finché nuovi). Infungibili sono
invece le cose prodotte in esemplari unici, gli originali delle opere d’arte non multiple e tutte le cose
usate; di regola lo sono anche gli immobili poiché quantomeno differiscono per posizione. La
fungibilità va comunque valutata per circostanza (automobile usata è infungibile per chi vuole
un’auto da guidare ma fungibile per chi la compra a peso per demolirla). Le cose principali da
sapere sono:
Il venditore di cose fungibili non è tenuto a consegnare esemplari determinati benché siano tutti di
stessa qualità media (Art. 1178 cod. civ.); il diritto di proprietà è concepibile solo su cose
specificamente individuate d’accordo fra le parti o mediante consegna al vettore/spedizioniere (art.
1378 cod. civ.); il risarcimento in forma specifica è previsto solo se si tratta di cose fungibili,
altrimenti è previsto il pagamento dell’equivalente in denaro; solo le cose fungibili possono essere
oggetto di mutuo (art. 1813 cod. civ. ).
C) Cose consumabili e non consumabili:
Sono cose consumabili le cose insuscettibili di un uso continuativo perché vengono consumate dal
primo atto di utilizzazione (cibo, denaro). Inconsumabili sono le cose suscettibili di utilizzazione
ripetuta, anche se questa finisca poi per deteriorarle (vestiti, automobili). Le cose consumabili, a
meno che non siano fungibili poiché è possibile consumarle e restituire successivamente un’uguale
quantità di cose dello stesso genere, non possono essere date in locazione, comodato o usufrutto
(art. 1813 cod. civ. ).
D) Pertinenze:
Sono pertinenze le cose destinate in modo durevole a servizio o ad ornamento di un’altra cosa,
senza esserne parte costituita (arredamento di una nave e attrezzature). La destinazione può essere

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operata dal proprietario della cosa principale o da chiunque vi possieda un diritto reale. Gli atti e i
rapporti giuridici che hanno per oggetto la cosa principale comprendono anche le pertinenze, se non
è diversamente disposto (art. 818 cod. civ. ).
E) Universalità di mobili:
È una pluralità di cose che appartengono a un possessore che pu deciderne la destinazione, che è
considerata unitaria (collezione di opere, quadri). Gli atti e i rapporti giuridici possono avere per
oggetto la universalità (assoggettate a regole diverse da quello applicabili a cose mobili in generale:
artt. 1165, 1160, 1170 cod. civ. )le singole cose che la compongono.
F) I frutti:
Si distinguono in: frutti naturali, cioè quelli che provengono direttamente dalla cosa ed
appartengono al proprietario della cosa che li produce (si può stabilire diversamente), ad esempio i
prodotti agricoli, i parti degli animali (art. 820 cod. civ. ); e frutti civili, quelli che si ritraggono da
una cosa come corrispettivo del godimento che altri ne abbia (interessi di un capitale, art. 820 cod.
civ. ).

CAPITOLO XI: DIRITTI REALI E DIRITTI DI CREDITO


Fondamentali per l’analisi del patrimonio.
Nozione di diritto reale
Il diritto reale è il diritto di trarre da una cosa le sue utilità economiche legalmente garantite o
alcune di esse, correlativo è il dovere di chiunque di astenersi dall’impedirne o turbarne l’esercizio.
(Es. proprietà, superficie, usufrutto, servitù).
Classificazione dei diritti reali
• Proprietà: possiede posizione preminente, consente di godere e disporre della cosa in modo
pieno ed esclusivo, entro i limiti (Art. 832 cod. civ. ).
• Diritti reali minori: incidono du cose altrui e hanno un contenuto più limitato.
1. Diritti reali di godimento: diritto di trarre determinate utilità dall’uso della cosa altrui.
• Usufrutto: consente di usare la cosa altrui e trarne i frutti, rispettandone però la destinazione
economica (art. 981 cod. civ. ).
• Uso: diritto che permette di utilizzare una cosa direttamente, se è fruttifera questi possono essere
raccolti solo nella misura che occorre ai bisogni propri e della famiglia (art. 1021 cod. civ. ).
• Abitazione: consente di abitare una casa limitatamente ai bisogni propri e della propria famiglia
(Art. 1022 cod. civ. ).
• Superficie: consente di utilizzare il suolo altrui per una costruzione (artt. 952, 955 cod. civ. ).
• Servitù: peso imposto sopra un fondo (servente) per l’utilità di un altro fondo (dominante) di
diverso proprietario (art. 1027 cod. civ. ).
• Enfiteusi: diritto di utilizzare un fondo e farne propri i frutti, con l’obbligo di migliorare il fondo e
di pagare al proprietario un canone periodico (artt. 958-960 cod. civ. ).

2. Diritti reali di garanzia: diritto che attribuisce un potere di disposizione preferenziale del valore
pecuniario della cosa qualora un diritto di credit non venga soddisfatto dal debitore.
• Pegno: ha per oggetto cose mobili non registrate, se il credito garantito non è soddisfatto alla
scadenza, i creditore può promuovere l’esecuzione forzata sul bene oggetto del pegno, per
soddisfarsi su di esso con preferenza rispetto ad altri eventuali creditori.
• Ipoteca: ha per oggetto cose immobili o registrate, //.

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Il carattere reale del diritto si manifesta in quanto, se la cosa su cui grava il diritto viene trasferita a
un terzo che l’acquista, porta con sé il pegno/ipoteca. Questo diritto reale comporta una
compressione del diritto del proprietario, che viene meno se il diritto reale si estingue (elasticità del
dominio).
Nozione di obbligazione: la prestazione dovuta
Il diritto di credito (o personale) attribuisce al creditore la pretesa di esigere una prestazione da una
o più persone specifiche. Il rapporto fra creditore o debitore è detto obbligazione. La prestazione
può essere positiva (consiste in un’azione di dare o fare) o negativa (prevede un’astensione). La
prestazione deve avere carattere patrimoniale, cioè essere suscettibile di valutazione economica (art.
2931 cod. civ. ), non possono quindi essere oggetto di obbligazioni manifestazioni di affetto,
matrimonio, adozione. I comportamenti non valutabili economicamente stanno fuori dall’ambito
giuridico, ma non per questo sono irrilevanti per il diritto (si pensi ai doveri familiari), in questo
caso escludere la configurabilità di obbligazioni significa semplicemente escludere l'applicabilità
del loro particolare regime giuridico, che è adeguato solo la materia patrimoniale.
Il rapporto obbligatorio ha una struttura non elementare, bensì più o meno complessa, ed è soggetto
a sviluppi e mutamenti. In ogni caso, accanto alla prestazione principale, se ne collocano altre con
funzione complementare, e quelle prestazioni strumentali accessorie a cui si è tenuti secondo i
doveri di correttezza, rispetto, protezione, informazione, custodia e collaborazione. Es. se si ha
l’obbligo di spedire qualcosa si è tenuti a custodire la cosa fino a quel momento, a informare di
eventuali ritardi, pericoli di smarrimento, ecc. A questi doveri è altresì sottoposto anche il debitore.
Causa della prestazione, azione, responsabilità patrimoniale
Dunque, l’obbligazione nella sua pienezza ha una duplice rilevanza giuridica: è giusta causa (se non
ci fosse andrebbe restituita) della prestazione e dà azione al creditore per conseguire ciò che gli è
dovuto.
Nel caso delle obbligazioni imperfette (come il debito di gioco) sussiste solo il primo di questi due
aspetti, perciò il vincitore non ha azione, ma se il debitore paga spontaneamente il pagamento è
giustificato e non va restituito (art. 1933 cod. civ. ). Si tratta delle obbligazioni che non si basano su
un imperativo giuridico ma di coscienza e onore, si lascia quindi affidata alla coscienza dei singoli
(obbligazioni naturali). L’esecuzione forzata non sussiste solo nei casi in cui l’obbligazione consista
in un dare, ma anche in un fare, non per obbligare il debitore a “fare” ma per risarcire
economicamente il danno dato dalla prestazione mancata, o per pagare qualcun altro che esegua al
posto del debitore. Si parla quindi di responsabilità patrimoniale (art. 2740 cod. civ. ), quest’ultimo
assoggettato a tutti i creditori: si parla di esecuzione individuale (Quando si presentino uno alla
volta) o concorsuale (quando si presentino insieme proporzionalmente per far valere una
preferenza).
Rischi per il creditore: non può raggiungere beni spesi o trasferiti via dal patrimonio del debitore, e
se finiscono perché presi da altri creditori verificati non può farci nulla.
In caso in cui suscita un’incapacità di soddisfare i creditori, si può procedere a una procedura
concorsuale di liquidazione del suo patrimonio in favore della generalità dei suoi creditori, essa
però non si estende ad alcuni beni essenziali né ad alcuni crediti di somme necessarie per il proprio
sostentamento. E se non immeritevole può in certi casi essere liberato dall’assoggettamento alle
pretese dei suoi creditori per i crediti rimasti insoddisfatti.
Le fonti delle obbligazioni
L’art 1173 cod. civ. Indica come fonti delle obbligazioni il contratto, il fatto illecito e ogni altro atto
o fatto idoneo a produrle in conformità dell’ordinamento giuridico. A queste vanno aggiunte le
promesse unilaterali, la gestione di affari, la ripetizione dell’indebito e l’arricchimento senza causa.

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Le obbligazioni reali
Talvolta le obbligazioni possono essere a carico di un soggetto proprietario di una determinata cosa
o titolare di un diritto reale su di essa; in questi casi l'obbligazione è intrinsecamente collegata al
diritto reale. Chiunque succeda in tale diritto diventa obbligato sia nel senso che l’obbligazioni reali
sono inerenti a un diritto reale sia nel senso che chiunque succeda in tale diritto diventa obbligato,
sia che l’obbligato può liberarsi rinunciando al diritto in favore dell’altra parte.
Confronto tra diritti reali e diritti di credito

Diritti Reali Diritti di Credito

Tutte le utilità di una cosa


Prestazione del debitore Oggetto:
determinata

Direttamente sulla cosa Tramite cooperazione Come si esercita:

Può consistere nell’astenersi dal


Astenersi dall’impedirne o turbarne compiere un atto o dallo svolgere Dovere:
l’esercizio un’attività

Chiunque Uno o più debitori Chi riguarda:

Assolutezza Relatività Caratteristica della tutela:

E’ solo il proprietario che può rivendicare la cosa da chiunque la possegga senza titolo, ma, se non
lo fa, il creditore potrà sostituirsi a lui nell’esercizio dell’azione (Art. 290 cod. civ. ). La tutela del
creditore è dunque mediata e indiretta, al fine del coordinamento con la tutela concessa al
proprietario e di subordinazione ai preminenti poteri dispositivi di questo.

Diritti personali di godimento di cose

Vi sono diritti di credito nei quali la prestazione dovuta dal debitore consiste nel concedere l’uso di
una cosa (es. locazione). Poiché questi diritti personali di godimento attribuiscono al creditore la
facoltà di utilizzare direttamente la cosa che ne d’oggetto, essi appaiono simili, per questo aspetto,
ai diritti reali di godimento. La distinzione però resta, poiché il diritto personale di godimento imlcc
un obbligo di cooperazione del debitore.

Tipicità dei diritti reali

I diritti reali sono a numero chiuso, si possono cioè istituire diritti reali espressamente previsti dalla
legge, e non altri. Questo si giustifica in primo luogo considerando che l’incidenza di una pluralità
di diritti reali sulla medesima cosa, riduce la possibilità di modificare la destinazione economica
della cosa stessa (occorrerebbe il consenso di tutti gli interessati), e in secondo luogo va considerato
che l’opponibilità ai terzi dei diritti reali impaccia la circolazione dei beni, costringendo gli
acquirenti a indagini tanto più complesse, quanto più numerosi sono i diritti reali ammessi dalla
legge.

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Il patrimonio

È un insieme di rapporti giuridici attivi e passivi, aventi contenuto economico, unificati dalla legge
in considerazione della loro appartenenza al medesimo soggetto o in considerazione di una loro
destinazione unitaria.

- questo è il concetto di Patrimonio Generale, la cui unitarietà si manifesta nella regola che il
debitore risponde con tutti i suoi beni, ed esso mantiene la sua coesione nella successione
ereditaria.
- se i rapporti sono costituiti in una distinta unità giuridica in vista di una loro funzione specifica
si parla di Patrimonio di Destinazione.
- se quest’ultimo fa capo a una collettività più o meno unificata è detto Patrimonio Autonomo.
- se un patrimonio di destinazione fa capo a un soggetto distinguendosi da quello generale, è detto
Patrimonio Separato (es. per fare l’inventario dell’eredità).
Caratteristica comune agli ultimi due è la destinazione preferenziale dell’attivo alla soddisfazione
delle passività comprese nel patrimonio stesso. Esso svolge così una funzione di garanzia e
responsabilità, dove la prima può essere esclusiva (il creditore del p. separato può soddisfarsi solo
su di esso) oppure può concorrere simultaneamente o sussidiariamente la garanzia offerta dal
patrimonio generale. Quando vengono meno le ragioni della separazione il patrimonio si confonde
con quello generale.
- se il diritto di proprietà non attribuisce la spettanza dei relativi benefici, ma riconosciuto al solo
dopo di consentire una gestione in nome proprio, si parla di Separazione Radicale (es. strumenti
finanziari affidati in gestione).

CAPITOLO XII: ACQUISTO E TUTELA DEI DIRITTI PATRIMONIALI


Acquisti a titolo originario e a titolo derivativo
I diritti patrimoniali si possono acquistare in due modi:
• A titolo originario: quando non è trasmesso da un’altra persona che ne fosse titolare (acquisto
del diritto d’autore mediante creazione dell’opera o della proprietà per usucapione).
• A titolo derivativo: quando l’acquirente succede a un precedente titolare e il diritto gli spetta
come e in quanto spettava a coli dal quale lo ha acquistato. In questo caso abbiamo un dante causa
o autore, e un avente causa o successore. Qui il diritto soggettivo resta immutato nel suo
contenuto, ne cambia solo il titolare. Si parla sempre di successione traslativa, a meno che
l’acquisto derivativo abbia per oggetto un diritto nuovo, derivante dal dante causa, si parla in tal
caso di successione costitutiva.
Perché avvenga l’acquisto a titolo derivativo occorre un valido titolo d’acquisto (atto o fatto
giuridico che lo giustifichi) e che il dante causa fosse effettivamente il titolare del diritto trasmesso.
In caso manchi questa seconda clausola, spesso la legge attribuisce comunque il diritto
all’acquirente, e il vero titolare potrà solo rivolgersi contro l’alienante per ottenere un risarcimento,
questo per ottenere la sicurezza dei traffici nella generalità dei casi:
Principio della tutela dell’affidamento = serie di regole destinate a diverse situazioni e settori
congegnate in modo da assicurare a massima tutela ai veri titolari del diritto compatibile con le
esigenze della sicurezza dei traffici.

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Tutela in forma specifica e tutela per equivalente, tutela assoluta e relativa
a) Quando un diritto è leso, o messo in pericolo, o viene in conflitto con un’altrui pretesa,
l’ordinamento giuridico tende ad a assicurare in modo pieno l’esercizio delle facoltà e dei poteri
ce ne costituiscono l’oggetto.
b) Questo non è tuttavia sempre possibile, nei casi in cui non sia possibile ristabilire la situazione
che si sarebbe avuta in mancanza dell’illecito. In questi casi il titolare del diritto leso può solo
pretendere il risarcimento del danno, il pagamento cioè, di una somma di denaro del valore
corrispondente alle utilità sottratte.
Si può dire però che la tutela in forma specifica può con la sua rigidità, venire stavolta in conflitto
con esigenze di innovazione e sviluppo, e, per contro, la sola tutta per equivalente pecuniario può
essere inadeguata, quando siano in questione interessi di carattere non patrimoniale o difficilmente
valutabili in denaro. Inoltre si è già detto come la relatività dei diritti di credito risponda ad esigenze
di dinamismo, flessibilità e innovazione: sono le stesse esigenze cui corrisponde la connessa
esclusione della tutela in forma specifica e riduzione alla tutela per equivalente. Questo per tenere
più scorrevole il traffico giuridico. La relatività di diritti e poteri e la connessa limitazione della
tutela istituisce un aspetto del diritto di grande importanza, e deve essere sottolineato contro ogni
tendenza atecnica ad impostare una semplicistica alternativa fra mancanza di diritto e tutela assoluta
(esempio a pagina 108).

Sezione Quinta: Il negozio giuridico e il contratto

CAPITOLO XVI: L’AUTONOMIA PRIVATA E IL NEGOZIO GIURIDICO


Nozione
Per autonomia privata si intende la possibilità per il singolo di regolare da sé e nel modo voluto i
rapporti giuridici con altri individui.
Questo si ottiene tramite il negozio giuridico: atto o insieme di atti (che consistono solitamente in
dichiarazioni) di più persone, volto a produrre effetti riconosciuti e garantiti dall’ordinamento
giuridico.Talvolta questi atti possono essere perfezionati da comportamenti che diano materialmente
attuazione a un assetto negoziale di interessi (chi abbandona una cosa con la volontà di rinunciare
alla proprietà di essa costituisce il negozio di derelizione). La volontà dietro a un atto non basta però
a dare vita a un negozio, ciò che crea il vincolo è la posizione di un regolamento di interessi nei
confronti di altre persone attraverso la dichiarazione o l’attuazione negoziale.
Volontà e dichiarazioni nel negozio giuridico
Normalmente la dichiarazione negoziale corrisponde a ciò che il dichiarante vuole. Talvolta però
questa corrispondenza può mancare. I casi che espongono questa problematica sono infatti i casi
dove la divergenza derivi da errori nella dichiarazione, dall’uso di espressioni dal significato
equivoco o incerto, o dal turbamento provocato da minaccia, inganno o errore. Essendo che il
negozio regola rapporti inter soggettivi è necessario tutelare sia il dichiarante, sia il destinatario,
ogni volta in modo differente, secondo regole basate sul principio di responsabilità del dichiarante
per gli affidamenti da lui suscitati e meritevoli di tutela.
Limiti dell’autonomia privata
Il potere dei singoli di regolare da sé i propri interessi trova un limite nell’esigenza che tali
interessi non siano in contrasto con quelli della società, e ansi siano degni di protezione
giuridica. Da qui deriva una serie di limiti all’esercizio dell’autonomia privata: talvolta
l’ordinamento consente solo la scelta fra dei tipi di negozi; nel diritto di famiglia esisto solo
un numero chiuso di negozi tipici che a volte si trova anche nei negozi patrimoniali; in

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alcuni casi arriva a determinare rigidamente tutti gli effetti del negozio tipico; altre volte
invece lascia più spazio, stretto o ampio che sia. Nel campo contrattuale ad esempio vale il
principio dell’atipicità.
L’integrazione del regolamento negoziale privato
Normalmente chi stipula un contratto o un altro negozio giuridico non pensa a regolarne tutti gli
effetti. In questi casi la lacuna del regolamento negoziale è colmata da disposizioni di legge
contenute nel codice e in altre leggi civili. Esse derivano da una lunga esperienza nella pratica degli
affari ed esprimono le soluzioni ritenute più opportune per la normalità dei casi. La loro esistenza
semplifica la contrattazione. Naturalmente, gli effetti essenziali del negozio (il nucleo di esso)
devono essere stati voluti dalle parti, in caso contrario il contratto risulta nullo.
Esistono quindi norme dispositive (o suppletive), derogabili cioè da una diversa pattuizione delle
parti (vediamo qui il principio dell’autonomia, poiché l’interesse privato è anteposto alla legge).
Esistono però anche norme e principi imperativi, che rappresentano i limiti dell’autonomia privata e
stavolta rendono nullo l’intero negozio. In caso contrario, viene sindacata una parte di essa, che
deve essere modificata, conferendo quindi alla legge non soltanto valore integrativo ma anche
modificativo. Concludendo a determinare il regolamento del negozio concorrono le dichiarazioni
percettive dei privati, la legge e talvolta anche gli usi e l’equo apprezzamento del giudice (in via
prettamente integrativa e mai modificativa).
Elementi del negozio giuridico
Art. 1325 cod. civ. delinea quattro elementi essenziali, in quanto la loro mancanza o i loro difetti
influiscono sulla validità del negozio giuridico.
1) L’accordo delle parti: nei casi dei negozi che richiedono accordi plurilaterali o inteso come
manifestazione di volontà se riferito a quei negozi che consistono di una dichiarazione o inuma
comportamento di attuazione unilaterale.
2) La causa: la ragione essenziale del negozio, deve essere lecita e degna di tutela.
3) L’oggetto: consiste nelle prestazioni negoziali, deve essere possibile, lecito, determinato o
determinabile.
4) La forma: si riferisce alla forma speciale e vincolata richiesta per alcuni tipi di negozio.
Esistono inoltre elementi accidentali: condizione, termine e modo.
Negozi unilaterali e contratti
• Il negozio giuridico si dice unilaterale quando è costituto dalla dichiarazione di volontà o dal
comportamento negoziale di una sola parte.
• Il negozio giuridico si dice bilaterale o plurilaterale quando è costituito dalle dichiarazioni di
volontà di due o più parti.
• Il contratto è il negozio con il quale due o più parti costituiscono, regolano o estinguono rapporti
giuridici patrimoniali (art. 1321 cod. civ. ).
La necessità del consenso di tutti gli interessati appare evidente nel operazioni giuridiche nelle quali
ciascuno assume obbligazioni o dispone di propri diritti. S’eppur meno evidente, può essere
necessario anche nei casi in cui una sola parte dà, promette o rinuncia in favore dell’altra; questo
perché non sempre l’acquisto comporta solo benefici (es. debiti, doveri morali, responsabilità). Per
questo motivo vale il principio generale che le attribuzioni di diritti, le promesse e le rinunce a
favore di una persona determinata richiedono l’accettazione del beneficiario: è il caso della
donazione. Per altri atti gratuiti diversi (come il pagamento di debito altrui, la remissione del
debito, ecc.) la legge non richiede l’accettazione ma prevede un rifiuto da parte dell’oblato, in

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mancanza del quale il contratto si ritiene concluso. Questo meccanismo opera per ogni altro
contratto con obbligazioni del solo proponente.
Per quanto riguarda invece le operazioni giuridiche residue, che possono venire realizzate con
negozi unilaterali, abbiamo tutti gli atti che riguardano direttamente solo il patrimonio di chi li
compie (es. abbandono di una cosa mobile, accettazione o rinuncia all’eredità). Vi sono poi gli atti
unilaterali che implicano modificazioni anche sfavorevoli del patrimonio altrui (recesso da un
contratto o da un’associazione/società, esercizio della facoltà di scelta nelle obbligazioni alternative,
ecc.), tuttavia, questi negozi presuppongono, in chi li compie, un potere derivante dal contratto o
dalla legge.
Deliberazioni
Sono dichiarazioni negoziali approvate all’unanimità o maggioranza, dall’organo collegiale di una
persona giuridica o gruppo organizzato. Valgono come negozi unilaterali.

CAPITOLO XVII: LA MANIFESTAZIONE DI VOLONTÀ


Dichiarazioni recettizie e non recettizie
Le dichiarazioni, per loro natura sono sempre destinati a comunicare qualcosa da altri, si dividono
in recettizie e non recettizie, secondo che la loro efficacia giuridica sia subordinata alla ricezione
nella sfera di particolari soggetti oppure no. Il negozio bilaterale è sempre di dichiarazione
recettizia. Invece i negozi unilaterali possono consistere in dichiarazioni recettizie (recessione da
contratto lavorativo) o non (testamento). Le prime producono effetti dal momento in cui perviene a
conoscenza della persona alla quale destinata.
Dichiarazione espressa e manifestazione tacita di volontà
La volontà può essere dichiarata espressamente per mezzo di parole scritte o parlate, o con un segno
che per convenzione tra gli interessati valga come mezzo (alzata di mano) oppure può essere
manifestata tacitamente attraverso un comportamento concludente o talvolta anche tramite silenzio.
Il comportamento concludente
Si tratta di un comportamento che non costituisce direttamente un mezzo di espressione e di
comunicazione, ma che presuppone e realizza una volontà, e così indirettamente la manifesta. Es. se
il creditore restituisce l debitore il documento originale con il quale quest’ultimo si era impegnato
nei suoi confronti ciò presuppone e manifesta la volontà di liberarlo (art. 1237 cod. civ. ).
In altri casi sono le circostanze concrete che attribuiscono a un comportamento un significato
negoziale (salire su un bus implica accettare il fatto di essere obbligati a pagare il biglietto).
Il silenzio come manifestazione di volontà
Di regola, nessuno può unilateralmente attribuire un significato particolare al silenzio altrui, esso
può derivare solo dalla legge, da un precedente accordo fra le parti o dal principio della buona fede
nelle trattative e nello svolgimento del rapporto contrattuale.
Il silenzio come pura e semplice omissione di una dichiarazione
Anche nei casi in cui il silenzio vada a produrre risultati analoghi alla rinuncia o all’approvazione,
non si tratta di star interpretando il silenzio dell’individuo, infatti esso rappresenta una semplice
omissione, che potrebbe essere data da dimenticanza, forza maggiore, incapacità di intendere e di
volere, ecc.

CAPITOLO XVIII: L’INTERPRETAZIONE DEL NEGOZIO GIURIDICO


Il problema

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Può accadere spesso che la dichiarazione negoziale non abbia un significato univoco, e può
accadere che essa venga intesa in modo diverso dal dichiarante, dal destinatario e dai terzi
eventualmente interessati.
L’interpretazione soggettiva
Nella materia di contratti ma anche per ciò che concerne i negozi unilaterali tra vivi, un primo e
importante criterio impone di interpretare le dichiarazioni secondo il significato ad esse
concordemente attribuito dalle parti al tempo della concessione del contatto. Questo significato può
risultare dal contesto, dalle circostanze, o dal comportamento complessivo delle parti.
L’interpretazione oggettiva
Se il dichiarate e il destinatario della dichiarazione non ne hanno attribuito il medesimo significato,
occorre stabilire se ad uno di tali significati spetti la prevalenza, normalmente sarà quello che
appare più giustificato e ragionevole. Il cod. civ. detta una seria di regole per la scelta del
significato più ragionevole: principio della buona fede, principio di conservazione, conforme a ciò
che si pratica generalmente, più conveniente alla natura e l’oggetto del contratto, favorevole al
consumatore, sfavorevole all’autore della clausola se destinata a più terzi, favorevole all’obbligato.

CAPITOLO XIX: LA SIMULAZIONE


Nozione del negozio simulato
La dichiarazione negoziale è simulata quando il dichiarante e il destinatario di essa sono d’accordo
nel non volerne gli effetti, vi è quindi una dichiarazione apparente e una controdichiarazione
occulta. La simulazione può essere assoluta, quando le parti fingono di porre in essere un negozio
ma in realtà non lo vogliono. Può invece essere relativa quando le parti fingono di porre in essere un
negozio ma in realtà ne vogliono uno diverso per natura, oggetto o soggetto.
Lo scopo della simulazione è per lo più, quello di recare pregiudizio ai diritti di terzi o di occultare
la violazione di norme imperative.
Effetti della simulazione tra le parti
La simulazione non produce nessun effetto fra le parti per la ragione che esso non è effettivamente
voluto.
Effetti della simulazione rispetto ai terzi, terzi interessati a far chiarire la simulazione
Ai terzi è sempre concesso di far valere, nei confronti delle parti, la realtà nascosta dal negozio
simulato. Così, il creditore potrà sottoporre all’esecuzione forzata anche quei beni che il debitore
abbia finto di alienare ad altri.
N.B. “avente causa” indica colui che abbia un titolo di acquisto derivativo di un diritto.
Opponibilità della simulazione ai terzi aventi causa
Questa situazione nasce d’esempio nel caso in cui A e B facciano una simulazione e quindi B finga
di essere proprietario di una cosa e la venda poi a C (il quale agisce in buona fede). Anche in questo
caso si segue la regola generale che fa salvi i diritti acquistati da terzi di buona fede nonché: la
simulazione non può essere opposta ai terzi di buona fede aventi causa dal simulato acquirente.
Opponibilità della simulazione ai terzi creditori
Il creditore del simulato acquirente (B) ha un interesse particolare: vuole che l’apparenza prevalga
sulla realtà, per poter godere della cosa il cui passaggio è stato simulato. Per il ragionamento fatto
nel paragrafo precedente, se egli ha acquistato un diritto di pegno o ipoteca sul bene, allora potrà
goderne, ma altrimenti, se non ha acquistato una garanzia reale (è quindi un creditore chirografario),
la simulazione gli può essere opposta, salvo che egli abbia già iniziato in buona fede l’esecuzione
forzata.

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Simulazione e altre figure: il negozio fiduciario
Nel negozio fiduciario il fiduciante trasferisce al fiduciario la proprietà di una cosa o un altro diritto,
imponendogli però il vincolo obbligatorio di ritrasferirgli in futuro il diritto, o di trasferirlo a un
terzo. Esiste quindi una limitazione obbligatoria di un più ampio effetto reale. Spesso viene fatto a
scopo di garanzia evitando lo spossessamento e i costi del pegno. A differenza della simulazione le
parti vogliono effettivamente ciò che hanno dichiarato. Se il fiduciario non rispetta gli impegni
assunti, il fiduciante potrà agire giudizialmente nei suoi confronti. Di regola è in opponibile a terzi e
il fiduciante potrà solo agire contro il fiduciario per ottenere il risarcimento del danno. Il
trasferimento della proprietà al fiduciario caratterizza la fiducia romanistica, mentre quelle
germanica si ha quando viene trasferita la legittimazione a compiere in proprio nome atti di
disposizione con effetto su beni del fiduciante.

CAPITOLO XX: I VIZI DELLA VOLONTÀ


A- L’ERRORE
L’errore nella formazione del negozio giuridico
L’errore consiste in una falsa conoscenza o nell'ignoranza di situazioni, qualità, rapporti. Esso può
incombere sulla dichiarazione dove si dichiara cosa diversa da quella che si vorrebbe (scrivo 560
invece di 650) o sulla formazione della volontà negoziale dov'è la mia volontà si è formata sulla
base di un errore presente o passato (credevo che fosse d’oro invece è di metallo).
La tutela dell’affidamento
L'errore determina la formazione di un negozio inidoneo alla funzione che gli è propria: quella di
strumento concesso a persone ed enti per realizzare autonomamente programmi economici e dare ai
propri interessi l'assetto desiderato. Occorre considerare però che esso si basa sui rapporti con più
persone le quali fanno affidamento sull'assetto negoziale e si regolano di conseguenza. Perciò è
difficile decidere se tutelare il dichiarante o colui che ha accettato il negozio inidoneo in buona
fede. La legge italiana risolve questo problema facendo prevalere la tutela dell'affidamento dei
contratti a titolo oneroso e facendo prevalere la tutela del dichiarante nei negozi a titolo gratuito.
Questa diversità di trattamento si giustifica considerando che la mancata tutela dell'affidamento e la
conseguente insicurezza dei rapporti nei contratti a titolo oneroso sarebbe dannosa per i traffici.
Tuttavia la tutela dell'affidamento nei contratti a titolo oneroso non significa che il dichiarante
caduto in errore sia sempre vincolato dalla sua dichiarazione. Se l'errore è stato rilevato dal
contraente, o avrebbe potuto rilevarlo con normale diligenza (riconoscibile), non vi è nessun
affidamento da tutelare e il contratto può essere annullato. Esiste quindi per ciascun contraente un
onere di attenzione. Inoltre deve essere un errore che cade sulla natura o sull'oggetto del contratto
della prestazione sull'identità o qualità della persona dell'altro contraente (essenziale). Il motivo su
cui ricade l’errore, onde evitare furbate future, deve risultare dall’atto (art. 787 cod. civ. ).
L’errore nei contratti a titolo oneroso: essenzialità dell’errore
a) Errore determinante: può essere non essenziale (compro un regalo di nozze senza sapere che il
fidanzamento era stato rotto) o essenziale (compro dell’alcool denaturato credendo che fosse
puro) art. 1429 cod. civ.
b) Errore essenziale: sulla natura o sull’oggetto del contratto (compro in Francia un appartamento
credendo di starlo affittando); sull’identità o sulle qualità dell’oggetto della prestazione (credo
di star comprando il mobile del ‘700 visto ieri ma in realtà è uguale ma del 1980); sull’identità
o sulla persona dell’altro contraente (in una società ad esempio, o nell’assumere qualcuno).

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c) Errore di fatto o di diritto: quando intrinsecamente al contratto vi sono regole giuridiche (che
ignoro), come nella vendita di eredità, oppure compro un’opera d’arte all’estero senza sapere
che la legge non la rende esportabile.
d) Errore sul regime giuridico del contratto stipulato: nel caso in cui determini un fraintendimento
completo della natura e dello scopo del contratto allora è annullabile, mentre l’errore su
conseguenze giuridiche data da leggi di integrazione del contratto non lo rendono annullabile.
L’errore nei contratti a titolo oneroso: riconoscibilità dell’errore
L’errore si considera riconoscibile quando, in relazione al contenuto, alle circostanze del contratto,
ovvero alle qualità dei contraenti, una persona di normale diligenza avrebbe potuto rilevarlo.
N.B. il fatto che l’errore sia “scusabile” o “comprensibile” non è rilevante dinanzi alla legge.
Errore nella dichiarazione o nella sua trasmissione
L'errore vizio e l'errore sulla dichiarazione sono assoggettati al medesimo regime giuridico (art.
1433 cod. civ. ).
L’errore nei negozi a titolo gratuito
Non vi opera la tutela all’affidamento. L’errore quindi non deve essere necessariamente essenziale o
riconoscibile. Occorre semplicemente che esso sia determinante del consenso e che risulti dall’atto.
L’errore nei negozi unilaterali tra vivi
Si dovranno applicare analogicamente le norme relative ai contratti a titolo oneroso e alla donazione
(artt. 1427 e 787 cod. civ. ).
Conseguenze dell’errore
Il negozio viziato da errore giuridicamente rilevante è annullabile. Tuttavia la parte non può
domandare l'annullamento se prima, l'altra parte offre di eseguirlo in modo conforme al contenuto e
alla modalità del contratto che quella intendeva concludere (art. 1432 cod. civ. ).
Limiti all’applicabilità delle norme generali sull’errore
Accettazione rinuncia dell'eredità, il contratto di divisione, e la transizione non sono impugnabili
per errore di diritto.

B- IL DOLO
Nozione
In tema di formazione del negozio giuridico il termine dolo significa inganno, costituiscono danno
il raggiro, l'artificio ingannevole, la menzogna, e a volte anche il silenzio nei casi in cui appaia
come sleale reticenza. Il dolo vizia la volontà negoziale in quanto determina un errore, se esso è
idoneo a indurre in errore una persona sensata.
Effetti del dolo determinante
Il dolo si dice determinante quando è tale che senza di esso, il negozio non sarebbe stato stipulato.
Trattandosi di un contratto è necessario che provenga dall'altro contraente; in caso in cui venga da
un terzo, la legge fa prevalere la tutela dell'affidamento: perciò, il contraente ingannato dal terzo
potrà impugnare il contratto solo se la controparte è stata in collisione con il terzo (art. 1439 cod.
civ. ), a meno che questa non lo rappresentasse. Non è necessario che esso sia essenziale.
Le conseguenze del dolo non si esauriscono nell'invalidità del negozio, si aggiunge infatti la
responsabilità dell'autore del dolo, tenuto a risarcire il danno.
Dolo incidente

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Si dice incidente quando non determina la stipulazione del negozio, ma si limita ad influire sul suo
contenuto, cioè, la parte avrebbe concluso il contratto ma a condizioni diverse (ad esempio avrebbe
comprato la casa a un prezzo più basso se avessi saputo del suo stato di cattiva manutenzione). In
questo caso il contratto è valido ma l'autore del raggiro devi risarcire il danno.
Altri mezzi di tutela contro l’inganno
Una tutela contro le pratiche commerciali ingannevoli si realizza mediante l'autorità garante della
concorrenza e del mercato la quale, d'ufficio o su istanza di ogni soggetto od organizzazioni che ne
abbia interesse, inibisce la continuazione delle pratiche scorrette e ne elimina gli effetti. Un'altra
tutela indiretta del consumatore si può realizzare considerando la pubblicità menzognera come una
forma di concorrenza sleale.
C- LA VIOLENZA
Nozione
La violenza nel linguaggio giuridico ha due significati. Il primo si intende come impiego diretto
della forza per costringere altri: violenza fisica. Il secondo designa la minaccia ingiusta esercitata
allo scopo di costringere un soggetto ad emettere una dichiarazione negoziale che altrimenti non
avrebbe emesso: estorsione. In questo caso il negozio è annullabile per vizio del consenso poiché la
tutela dell'affidamento cede di fronte alla tutela contro l’estorsione, anche se perpetrata da terzi.
Caratteri della violenza
La violenza deve essere di tale natura da fare impressione sopra una persona sensata e da farle
temere di esporre sé o i suoi beni a mali notevoli. Per valutare l'intensità si guarda all'età, al sesso e
alla condizione del minacciato (art. 1435 cod. civ. ). È necessario poi che la minaccia sia ingiusta.
Ad esempio è il caso di una minaccia sottile, cioè un ricatto attraverso la minaccia di un
comportamento che, in sé per sé, sarebbe lecito. In casi come questo si ha violenza che permette di
annullare il contratto poiché la minaccia di far valere un diritto, anche se lecito, è esercitata per
ottenere qualcosa che vada aldilà di ciò che è già dovuto.

CAPITOLO XXI: OGGETTO E CAUSA


A- L’OGGETTO
Nozione e requisiti
L’oggetto del negozio consiste nelle prestazioni negoziali (comportamento promesso, trasferimento
proprietà, ecc.). Occorre che esso sia possibile, lecito, determinato o determinabile (art. 1346 cod.
civ. ) L’impossibilità iniziale dell’oggetto rende nullo il negozio, e si deve trattare di
un’impossibilità oggettiva e assoluta. La valutazione di quest’ultima va compiuta secondo un
criterio di ragionevolezza. In secondo luogo l’oggetto deve essere lecito: le prestazioni contrattuali
non devono, cioè, essere contrarie a norme imperative, all’ordine pubblico o al buon costume. In
terzo luogo l’oggetto deve essere determinato o determinale. Determinato quando è definito
direttamente dalle part e determinabile quando le parti si sono limitate a definire il criterio per la sua
determinazione.
Esiste inoltre la possibilità di nominare un arbitrato che determini alcuni elementi del contratto, il
quale può essere citato davanti al giudice solo quando la determinazione sia manifestamente iniqua
o erronea. In caso in cui le parti, eccezionalmente, decidano di rimettersi al mero arbitrio del terzo,
possono impugnare la sua determinazione solo provandone la malafede.

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B- LA CAUSA
Cause e motivi
L’operazione negoziale costituisce lo scopo immediato di chi pone in essere il negozio, e va distinta
dagli scopi ulteriori, in vista dei quali negozi viene stipulato.
È chiaro che si può e si deve sempre attribuire rilevanza giuridica alla possibilità di realizzazione
dello scopo negoziale immediato, anche perché l'illiceità dell'operazione negoziale impone una
reazione che si ripercuote sul negozio stesso o sui suoi effetti, di qui la distinzione fra casa di negozi
motivi:
- Causa: è lo schema dell’operazione economico-giuridica che il negozio realizza immediatamente,
la ragione giustificatrice di quest’ultimo.
- Motivo: ogni scopo ulteriore, come il modo in cui useremo la prestazione ottenuta dal negozio, è
estraneo alla causa.
N.B. esiste anche il Negozio Indiretto, caratterizzato dalla divergenza fra scopo pratico e la funzione tipica dello schema
negoziale adottato (voglio regalare una casa e la vendo a una cifra irrisoria). Si può fare a meno che non sia un negozio
in frode alla legge.
Analisi del concetto di causa
- Per la maggior parte dei negozi la causa consiste nella sintesi dei loro effetti giuridici essenziali,
e ogni singolo effetto negoziale trova giustificazione negli altri (es. l’assunzione del rischio da
parte dell’assicuratore è giustificata dall’obbligo dell’assicurato di pagare il premio).
- Altre volte invece trova un proprio presupposto in un’obbligazione preesistente, dove
quest’ultima va considerata un elemento integrativo della causa (es. mi accordo per pagare caio
se tizio estingue il suo debito con lui, se il debito non esistesse allora verrebbe meno il senso del
negozio).
- Infine può accadere che il negozio si limiti ad operare una disposizione patrimoniale in
esecuzione di un’obbligazione preesistente, che ne costituisce la causa (es. il mandatario senza
rappresentanza ritrasferisce al mandante l’immobile acquistato per conto di quest’ultimo, trova la
propria causa nel preesistenze contratto di mandato).
Mancanza di causa
Si dice che un negozio manca di causa se uno degli effetti essenziali del negozio non può
assolutamente verificarsi, per mancanza d’un suo presupposto logicamente necessario, l’operazione
negoziale risulta mutilata o, comunque, ingiustificata, in particolare, ogni qual volta che sia
inesistente l’obbligazione che il negozio intende eseguire, garantire o modificare.
Causa illecita, causa non degna di tutela, negozi tipici e atipici
La causa del negozio è illecita quando sia contraria a norme imperative, all’ordine pubblico o al
buon costume, il concetto è correlato a quello di oggetto illecito, poiché in presenza di quest’ultimo
rende illecita anche la causa. Vi sono inoltre situazioni in cui ogni singola prestazione del contratto
è in sé lecita, ma non lo è la loro combinazione (pagare da privato un pubblico ufficiale per
compiere un atto lecito, non si può fare benché sia legale pagare qualcuno e anche l’atto in sé).
La causa del negozio non è degna di tutela quando l’operazione negoziale sia di un tipo lecito ma
non abbia un’utilità sufficiente a giustificare che lo stato cooperi alla sua attuazione (un esempio è
costituito dalla scommessa, che non attribuisce al vincitore un’azione per ottenere il pagamento.)
Nel campo dei negozi unilaterali, gli schemi causali leciti e degni di tutela sono definiti dalla legge.
Nel campo dei contratti invece no, perché la grande varietà delle forme in uso non ne consente un
elenco tassativo e una disciplina analitica. Il legislatore ha considerato alcuni schemi più importanti

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e diffusi (contratti tipici o nominati) ma alle parti è consentito di concludere contratti atipici o
innominati, purché siano essi diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela.
Negozi causali e negozi astratti
Alla mancanza di una causa degna di tutela l’ordinamento giuridico reagisce sempre, ma in modi
diversi.
- Se la reazione comporta la negazione di ogni effetto giuridico allora il negozio si dice di tipo
causale.
- Se la reazione colpisce alcune delle conseguenze che ne derivano poiché la causa è ritenuta
valida ma alcuni effetti devono essere eliminati, allora si dice che il negozio è astratto. La sua
funzione è quella di rendere più sicuro, semplice e spedito il traffico giuridico.
È ad esempio il caso della promessa cambiaria: A rilascia a B una cambiale, B gira la cambiale a C perché gi deve
un’uguale somma. Ma se poi il contratto dovesse risultare nullo A non potrebbe rifiutare il pagamento nei confronti di C
poiché la cambiale si basa su un contratto astratto che comunque resta valido. A potrà intentare un’azione di
arricchimento senza causa nei confronti di B.
Mancanza di dichiarazione della causa e l’astrazione processuale
Accade sovente di imbattersi in promesse che non manifestano la causa per la quale sono state fatte.
Al di fuori delle ipotesi dice è ammessa l’astrazione della causa, queste promesse non hanno effetto.
Tuttavia la legge ammette che il promissario possa farle valere in giudizio senza necessità di
provare anche la causa: l’esistenza di questa si presume se il promittente non dà prova del contrario
(Art. 1988 cod. civ. ). Questa deroga è designata come astrazione processuale.

C- IL NEGOZIO ILLECITO
Nozione e concetto
Il negozio si dice illecito quando tende a realizzare un risultato vitato da norme o principi
inderogabili. Esso non è riconosciuto né tutelato dal diritto, di conseguenza, questo o la singola
clausola diventano nulli.
Norme imperative e principi di ordine pubblico
L’autonomia del privato è limitata dalla norma imperativa (e non da quelle dispositive), per
realizzare interessi generali e talvolta anche per proteggerlo. Le norme imperative si rinvengono nel
cod. civ. , nel cod. pen., e spesso anche nelle leggi speciali (è vietato per il corretto funzionamento
del mercato, che gli imprenditori si impegnino a vicenda per non farsi concorrenza), queste
disposizioni sono poste per favorire il dinamismo economico. Infine, la norma imperativa esclude la
possibilità di disporre del proprio diritto quando ciò contrasterebbe convinzioni etiche fondamentali.
In sostanza, la norma è certamente imperativa quando dispone la nullità dell’atto compiuto in sua
violazione; è invece dispositiva se fa salva una diversa volontà delle parti.
Il negozio è illecito altresì quando è contrario all’ordine pubblico: insieme dei principi di struttura
politica ed economica della società, immanenti nell’ordinamento giuridico vigente. Questi principi
possono essere ricavati dall’insieme del sistema delle leggi o più specificatamente nella
Costituzione. I principi e le norme che costituiscono il concetto di ordine pubblico si dividono in:
- Ordine pubblico politico: attiene alla difesa della struttura dello Stato e della famiglia e alla
difesa della libertà e dell’integrità dell’individuo. Es. la rinuncia dietro compenso a candidarsi
alle elezioni politiche. Per quanto riguarda la famiglia vediamo ad es. patti di sposarsi, non
sposarsi, sposarsi con terzi. Nulli perché lesivi delle libertà dell’individuo vediamo gli accordi di
boicottaggio contro una precisa confessione religiosa o atti di disposizione del proprio corpo.
- Ordine pubblico economico: si distinguono l’ordine pubblico di protezione e quello di struttura e
direzione economica:

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- Ordine pubblico di protezione: ha lo scopo di proteggere, in certi rapporti contrattuali, la parte
economicamente debole che abbia subito l’imposizione di condizioni contrattuali inique o la
parte che possa aver stipulato il contratto senza una sufficiente ponderazione, non rendendosi
conto del carattere vessatorio di certe clausole, o sottovalutandolo. Es. inderogabile la clausola
con la quale il lavoratore rinunciasse alle ferie annuali retribuite. (Es. pag. 207).
- Ordine pubblico di struttura e di direzione economica è costituito dai criteri secondo i quali va
condotta l’attività economica degli operatori privati e pubblici. Es. è illecita la promessa di
denaro a un dipendente altrui perché sveli notizie riservate sull’impresa nella quale lavora.
Il buon costume
Il buon costume è costituito dall’insieme di quelle regole di comportamento sociale, la cui
violazione è ritenuta immorale e scandalosa dalla generalità dei consociati. Questa nasce da
un’insieme di dinamiche storiche e culturali che caratterizzano ogni società.
Es. Sarebbe indubbiamente contrario al buon costume il patto con il quale un uomo politico si
impegnasse dietro un compenso, ad uscire clamorosamente da un partito in modo da fornire
argomenti alla propaganda di un partito avvio.
Oltre all’esempio di corruzione sono contrari al buon costume anche i negozi con i quali ci si
impegna alla menzogna, alla reticenza ingannevole o al silenzio disonesto o anche contro alla
decenza sessuale.
Di regola chi abbia eseguito una prestazione in base a un negozio nullo, ha diritto a ottenere una
restituzione (art. 2033 cod. civ. ). L’eccezione riguarda i casi contrari a buon costume, se si era
coinvolti in questa violazione (art. 2035 cod. civ.). Il caso contrario ad esempio si può rilevare
quando un pubblico ufficiale abusando della sua posizione, obblighi un soggetto a una prestazione,
in questo caso il soggetto ha diritto a un risarcimento (concussione, art 317 cod. pen.).
Motivo illecito
Per ogni negozio il quale tenda a realizzare immediatamente un risultato vietato, l’illiceità è
intrinseca al negozio.
L’erroneità o l’illiceità dei motivi sono rilevanti solo in ipotesi circoscritte, come nel caso in cui il
negozio costituisca un momento nella realizzazione di un piano illecito (es. compro un motoscafo
per eseguire trasporti di contrabbando). In questo caso l’illiceità è estrinseca.
Ovviamente sarebbe impossibile rendere nulli tutti gli atti che in futuro prevederanno un illecito,
perciò si resta nel tema del contratto oneroso: esso è illecito e nullo solo quando le parti si sono
determinate a concluderlo esclusivamente per un motivo illecito comune (art. 1345 cod. civ. ).
Nelle donazioni il motivo illecito è una causa di nullità quando esulta dall’atto ed è il solo che abbia
determinato il donante a disporre (art.788 cod. civ. ) es. liberalità fatte per ricompensare illeciti.
Negozio in frode di legge
Accade sovente che, allo scopo di raggiungere un risultato vietato, l’ostacolo costituito dal divieto i
legge venga aggirato, percorrendo vie oblique che il legislatore ha lasciato libere per un traffico
giuridico diretto in tutt’altro direzione. In tal caso il negozio è “in frode alla legge” ed è nullo (art.
1344 cod. civ. ).

CAPITOLO XXII: LA FORMA


Nozione
Di regola il solo requisito a prova della volontà negoziale è che la dichiarazione risulti
comprensibile ai soggetti ai quali è destinata. Talvolta però la legge prescrive che questo venga
espresso in una forma determinata, perlopiù scritta, che può consistere in una scrittura privata (non

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necessariamente un documento firmato dalle parti ma anche uno scambio di lettere) oppure che
richieda la solennità di un atto pubblico dinanzi a un notaio, che rediga un documento (rogito)
conservato a disposizione di tutti. Altre volte è richiesto l’uso di determinate espressioni (requisiti
forma-contenuto).
Funzione del formalismo negoziale
• Segna una netta distinzione fra l’accordo definitivo e vincolante e gli accordi di massima che
costituiscono solo un momento non definitivo e vincolante e gli accordi di massima che
costituiscono solo un momento non definitivo di una trattativa.
• Indurre alla riflessione nei negozi giuridici di particolare importanza.
• Indurre le parti ad esprimersi con maggiore esattezza.
• Assicurare la prova documentale del negozio.
• Evitare equivoci circa la natura o l’oggetto del negozio.
• Facilitare il controllo di certi atti o renderli conoscibili a terzi interessati.
Negozi formali
Forma scritta:
- Negozi che trasferiscono la proprietà di beni immobili, o che costituiscono, trasferiscono,
modificano o estinguono diritti reali su beni immobili, o che su tali beni costituiscono diritti
personali di godimento per una durata superiore ai nove anni.
- Contratti che le banche le società di investimento stipulano con i loro clienti.
- Contratti con enti pubblici.
- Titoli di credito.
Atto pubblico:
- Donazione di somme ingenti.
- Costituzione di società per azioni e delle società a responsabilità limitata.
Requisiti di forma-contenuto:
- Gli atti tra vivi che abbiano per oggetto il trasferimento di edifici, o vicende di diritti reali,
debbono indicare gli estremi delle concessione edilizia
- Agli atti tra vivi aventi oggetto diritti reali su terreni deve essere allerta il certificato di
destinazione urbanistica.
- Specifica approvazione per iscritto: non è sufficiente la forma scritta ma occorre che il modulo
contrattuale rechi due sottoscrizioni: una riferita al contratto nel suo complesso ed una
specificatamente riferita alle clausole in questione.
- Il testamento deve avere forma olografa (scritta a mano dal testatore), atto pubblico o forma
segreta.
Forme convenzionali
Decisione presa dalle parti di accordarsi nel senso di considerare vincolanti nei loro rapporti, solo le
dichiarazioni negoziali espresse in una forma determinata. Il patto che imponga questa forma deve
essere fatto per iscritto.
Forma per la validità e forma per la prova
- Forma ad substantiam: forma necessaria per la validità del contratto che lo rende nullo in caso di
mancata osservanza.
- Forma ad probationem: forma necessaria per l’istituzione probatoria, sarà difficile far valere i
diritti contrattuali se essa non perviene, si ha infatti una limitazione dei possibili mezzi di prova.

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CAPITOLO XXIII: CONDIZIONE, TERMINE, MODO
La condizione
Il negozio giuridico può disporre che i suoi effetti si producano o vengano meno al verificarsi di un
avvenimento futuro e incerto. La condizione si dice sospensiva se l'effetto ad esso subordinato è
destinato a prodursi quando la condizione si avvera. Se invece l'effetto si produce immediatamente
ma è destinato a venir meno nel caso che la condizione si avveri allora si dice risolutiva.
N.B. ci sono negozi che non ammettono condizioni come la cambiale (pg. 218).
Condizione casuale e condizione potestativa
La condizione si dice casuale sei indipendente dalla volontà delle parti; potestativa se dipende dalla
volontà di una delle parti (meramente potestativa se dipende dal mero arbitrio di una delle parti o
dalla sua valutazione dell'opportunità del negozio, o potestativa ordinaria se dipende dal
comportamento di una delle due parti e se tale comportamento presenta vantaggi o svantaggi
indipendenti dal negozio); mista se il suo avveramento richiede il concorso della volontà di una
parte e di circostanze indipendenti.
N.B. non esiste la condizione sospensiva che pende da una sola parte “pagherò se vorrò”, mentre è valido in caso di
trasferimento (clausola: se vorrò ti richiederò indietro l’oggetto restituendoti i soldi).
Condizione illecita o impossibile
La condizione è illecita quando rende immediatamente illecita l’operazione negoziale, quando tende
a remunerare o comunque a incoraggiare il compimento di atti illeciti, o quando tende a influenzare
con incentivi non appropriati l’esercizio di libertà fondamentali dell’individuo. Questa condizione
determina la nullità del contratto o del negozio unilaterale tra vivi.
Es. la donazione sottoposta alla condizione sospensiva che il donatario commetta un illecito è nulla.
Per quanto riguarda l’impossibilità della condizione abbiamo: Condizione sospensiva impossibile:
rinvia l’efficacia di un negozio a un momento che non verrà mai= nullo. Condizione risolutiva
impossibile: dispone che gli effetti debbano decadere in un momento che non verrà mai: è
definitivo.
Pendenza della condizione
Si ha la pendenza della condizione fintantoché è incerto se questa si avvererà oppure no. Si ha
quindi un diritto in formazione, definito tecnicamente “aspettativa” e correlativamente la
controparte possiede un diritto condizionato (non può più esercitare il diritto pienamente perché va
rispettato il fatto che in un futuro quel bene apparterrà alla controparte. Se l’alienazione è sottoposta
ad una condizione risolutiva, i ruoli sono invertiti. La violazione del precetto di correttezza è punita
con il risarcimento del danno. Ovviamente non bisogna per forza attendere il giorno in cui avremo
quel diritto per evitare il cattivo comportamento della contro parte: se ci sono motivazioni valide a
temere un pregiudizio nei propri confronti si può compiere degli atti conservativi (es. trasferimento
della cosa).
Gli atti di disposizione in pendenza della condizione
Il titolare di un’aspettativa può disporne in pendenza della condizione, alienandola a un terzo.
Questi subentra allora nella titolarità dell’aspettativa, destinata a maturare nel diritto pieno solo se la
condizione si avvera.
Avveramento e mancanza della condizione
L'avveramento della condizione sospensiva determina il prodursi degli effetti del negozio;
l'avveramento della condizione risolutiva li fa venir meno.
L’art. 1360 cod. civ. Dispone che gli effetti dell'avveramento della condizione retroagiscono al
tempo in cui è stato concluso il contratto: ciò significa semplicemente che, dal tempo dell'evento in

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poi, la situazione è regolata come se l'effetti si fossero verificati già prima. In definitiva, la
retroattività della condizione si riduce a questo: che gli atti di disposizione compiuti durante la
pendenza dal titolare dell'aspettativa si consolidano, mentre si caducano quelli compiuti dal titolare
del diritto condizionato. Questa irretroattività opera anche contro i terzi, per questo viene detta reale
o assoluta. Da ogni altro punto di vista la condizione non è retroattiva (pg. 223).
Il termine
Il termine limita il tempo e l'efficacia del negozio. Può essere iniziale o finale, secondo che
stabilisca il principio o la fine dell'effetto negoziale. Qui la nascita o l'estinzione sono certe, può
esservi incertezza circa il momento.
Il termine può riferirsi anche a uno solo degli effetti negoziali come il termine di adempimento o di
scadenza. Esso può essere posto a favore del debitore (Cioè il creditore non può esigere la
prestazione prima della scadenza), a favore del creditore (che può richiedere l'adempimento prima
della scadenza), o a favore di entrambi (nessuno dei due può richiedere l'adempimento prima della
scadenza).
Il modo
Il modo (o onere) è una disposizione che può essere apposta solo i negozi a titolo gratuito, essa
limita il vantaggio economico del beneficiario imponendogli un obbligo. Non costituisce un
corrispettivo ma piuttosto un limite dell’attribuzione.
Es: dono dei soldi a un’associazione ma una parte di essa deve destinarsi a x.
CAPITOLO XXIV: LA RAPPRESENTANZA
Nozione e scopo
La rappresentanza è l'istituto giuridico per il quale la volontà negoziale è formata e dichiarata da un
soggetto, detto rappresentante, mentre le fatture in negozio fanno capo a un soggetto diverso, detto
rappresentato. La rappresentanza è ammissibile in tutto il campo di contratti dei negozi patrimoniali
tra vivi, essa è esclusa invece per il testamento e per i negozi di diritto familiare.
Generalmente il rappresentante (volontario, non legale) deve attenersi alle istruzioni del
rappresentato, dal quale può venire revocato in ogni momento. Talvolta però la rappresentanza è
conferita nell'interesse del rappresentante stesso o di terzi in questi casi essa è perciò irrevocabile
(Art.1977 c.c.).
Distinzione da altre figure
a) Rappresentante e nuncius:
Il rappresentante è un potere di decisione, più o meno ampio, circa la stipulazione del negozio: egli
perciò forma e dichiara una volontà propria. Il nuncius invece, si limita a trasmettere una
dichiarazione altrui, non è necessario quindi che questi abbia la capacità di agire.
b) Interpretazione gestoria:
È una forma di cooperazione giuridica nella quale il gestore agisce per conto altrui, ma stipula il
negozio in nome proprio. Gli effetti del negozio quindi, si producono in capo al gestore, il quale
dovrà poi trasmetterne il risultato economico nel patrimonio di colui per conto del quale ha agito.
c) Agenti senza rappresentanza, procacciatori di affari:
Sono certi collaboratori dell'imprenditore, che non stipulano contratti, e perciò non sono i
rappresentanti in senso tecnico giuridico, ma si limitano a promuoverne la conclusione cercando
clienti, facendo opera di persuasione in raccogliendo le ordinazioni, che spetterà poi
all'imprenditore accettare o no.

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Fonti della rappresentanza
Il potere di rappresentanza può venire conferito dall'interessato con un atto che si chiama procura, si
parla in tal caso di rappresentanza volontaria. La nomina di un rappresentante è in generale un atto
facoltativo, vediamo però, come, possa essere necessaria ad esempio per le persone giuridiche, che,
senza l'ausilio di una persona fisica non potrebbero operare giuridicamente. Vi sono poi ipotesi in
cui il rappresentante è imposto dalla legge o dal giudice, è il caso della rappresentanza legale in
senso stretto (i genitori, il tutore del minore, il curatore).
La procura e il rapporto sottostante
La procura è un negozio unilaterale con il quale una persona attribuisce ad altri il potere di
rappresentarla. Questo potere si fonda sul rapporto di base, dal quale risulta se e come il
rappresentante può o deve esercitare il potere conferitogli. La procura va nettamente distinta dal
contratto fonte del rapporto di base, in particolare non va confusa con il mandato. La differenza sta
nel fatto che il mandato crea obbligazioni a carico di entrambe le parti: necessita quindi di un
consenso. Al contrario la rappresentanza produce i suoi effetti senza bisogno di accettazione da
parte del rappresentante stesso: è dunque un negozio unilaterale; questo perché non impone alcun
obbligo al rappresentante né in qualche modo modifica il suo patrimonio. I due possono essere uniti
nel mandato con rappresentanza.
La procura può riferirsi a uno o più affari determinati: viene denominata procura speciale oppure
procura generale. Essa può contenere prescrizioni che valgono come limiti ai poteri del
rappresentante.
Conferimento della procura
Per la validità della procura non si richiede una forma particolare , questa piuttosto segue la forma
prescritta per il negozio da stipularsi. Può essere conferita anche tacitamente, per fatti concludenti.
Estinzione della procura
a) Per la scadenza del termine, per il verificarsi delle condizioni risolutive, per il
compimento dell'affare per la quale è stata conferita.
b) Per l'estinzione del rapporto di base al quale succede.
c) Per la morte, interdizione o inabilitazione del rappresentante.
d) Per rinuncia del rappresentante.
e) Per la revoca da parte del rappresentato.
f) Per la morte, interdizione o inabilitazione del rappresentato.
g) Per l'assoggettamento del rappresentato a liquidazione giudiziale.
La revoca è un negozio unilaterale, che non richiede forme particolari.
Procura apparente e tutela dell’affidamento
Le modificazioni e la revoca della procura devono essere portate a conoscenza dei terzi con mezzi
idonei. Se il rappresentato non provvede a ciò la legge tutela l'affidamento dei terzi perciò i negozi
stipulati dal rappresentante apparente nei loro confronti sono pienamente efficaci e vincolanti per il
rappresentato (Art. 1396 cod. civ. ).
N.B. queste applicazioni fanno tutte parte di un principio generale di tutela dell’affidamento, che ad
esempio nella società per azioni è ancora più intenso: neanche i limiti di rappresentanza possono
essere opponibili a terzi in buona fede.
L’agire in nome del rappresentato e il contratto per conto di chi spetta

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Per capire il meccanismo della rappresentanza occorre che il rappresentante agisca in nome del
rappresentato, manifestando così che gli effetti del negozio si produrranno non in capo a se stesso
bensì direttamente in capo al rappresentato. In mancanza, il negozio si intende stipulato in proprio.
Tuttavia non è necessario che il rappresentato venga identificato con il suo nome ma bensì si può
parlare anche di titolare di una certa impresa o di un certo patrimonio, chiunque egli sia.
Vizi della volontà e stati soggettivi
Visto che gli effetti del negozio fanno capo al rappresentato, ne segue che la capacità di diventare
titolare di rapporti giuridici negoziali va valutata con riferimento alla persona del rappresentato. Per
stabilire, invece, se la volontà e la dichiarazione negoziale sono state formate regolarmente e alla
persona del rappresentante che si deve, di regola, avere riguardo. Questo a meno che alcuni
elementi del negozio non siano stati predeterminati dal rappresentato: in relazione ad essi si deve
avere riguardo alla persona del rappresentato.
Conflitto di interessi e contratto con se stesso
Il diritto tutela il rappresentato contro il pericolo che il rappresentante approfitti del potere
conferitogli per realizzare abusivamente interessi, propri o di terzi, estranei al suo compito. Questo
è il caso del conflitto di interessi: dove il rappresentante si fa portatore di un interesse in contrasto
con quelli del rappresentato. Il rimedio è l'annullabilità del contratto. La legge considera poi
un'ipotesi estrema di conflitto di interessi tra rappresentante e rappresentato: il contratto con se
stesso. Esso sia quando nel contratto, concluso dal rappresentante in nome e per conto del
rappresentato, la controparte non è altri che il rappresentante medesimo, operante in proprio o come
rappresentante di un terzo. Anche questo è annullabile (art. 1395 cod. civ. ).
Rappresentanza senza potere
Può accadere che taluno agisca come rappresentante senza esserlo, o eccedendo i limiti del potere
conferitogli. In tal caso il negozio non vincola il rappresentato. La legge consente tuttavia al
rappresentato di assumersi il negozio attraverso la ratifica (Art punto 1399 cod. civ. ).
La ratifica è un negozio analogo alla procura: al pari di questa, costituisce un negozio unilaterale
recettizio diretto non alla rappresentante ma all'altro contraente. La ratifica ha effetto retroattivo
poiché le conseguenze del negozio ratificato verranno regolati come se questo fosse stato concluso
da un rappresentante munito fin dall'inizio dei necessari poteri, ovviamente la legge esclude che il
meccanismo della retroattività possa pregiudicare i diritti di terzi (art. 1399 cod. civ. ). Se
l'interessato non ratifica il negozio stipulato in suo nome questo rimane inefficace: non produce
effetti in capo al preteso rappresentato perché i poteri non sussistevano e non produce effetti in capo
al preteso rappresentante perché non era con costui che il terzo intendeva restituire il rapporto
contrattuale.

CAPITOLO XXIV: INVALIDITÀ DEL NEGOZIO GIURIDICO


Nullità e annullabilità: considerazioni introduttive e cause
Ai fini della disciplina dell’invalidità si distinguono due concetti:
• Nullità: il negozio è privo dei suoi effetti e non può essere convalidato. Il negozio è nullo quando
il regolamento di interessi manchi del tutto, o sia irrealizzabile, quando non sia rivestito della
forma o quando sia illecito/immeritevole di tutela:
a) Inesistenza del negozio data da anomalie della dichiarazione, tali da escludere l’esistenza stessa
di un regolamento privato di interessi: quando manchi una dichiarazione negoziale che possa
essere presa sul serio nel traffico giuridico, quando non può essere attribuita al suo preteso
autore, oppure, vi sia palese difformità tra la proposta e l’accettazione.

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b) Ipotesi di simulazione il negozio simulato non è voluto e il regolamento di interessi che esso
apparentemente esprime è nullo.
c) Ipotesi che l’oggetto del negozio non sia determinato né determinabile: manca il regolamento
negoziale dello scambio.
d) Quando l’oggetto sia impossibile e quando machi la causa.
e) Quando il negozio è privo della forma eventualmente richiesta.
f) Quando il negozio è illecito o non meritevole di tutela giuridica.
g) Quando il negozio non rispetta norme imperative e quindi inderogabili che talvolta lo rendono
nullo, talvolta sussistono dei rimedi e delle sanzioni.
• Annullabilità: gli effetti del negozio si producono, ma possono essere eliminati se il negozio
stesso è tempestivamente impugnato dalla parte interessata a stabilire l’invalidità, sempre che essa
non l’abbia successivamente convalidato.
a) Ipotesi dell’errore.
b) Violenza morale.
c) Dolo.
d) Incapacità di agire.
e) Conflitto di interessi.
Un esempio concreto per comprendere la differenza tra le due invalidità:
- Annullabilità: ho comprato un quadro di Picasso pensando che fosse di Van Gogh, ma in fin dei
conti può ritenersi conveniente per me e ragionandoci su, può comunque piacermi il quadro e
voglio tenerlo—> posso annullare il negozio se voglio, ma non è necessario.
- Nullità: ho comprato un quadro da un amico a cui l’avevo prestato anni fa, poi mi ricordo che il
quadro era mio —> il contratto manca di causa di conseguenza deve necessariamente annullarsi.
Il trattamento giuridico della nullità e dell’annullabilità: titolari dell’azione
La nullità di regola si definisce assoluta. Può infatti essere fatta valere da qualunque terzo, purché
ne abbia interesse (l’azione è preclusa ai soggetti del tutto estranei). Essa può essere rilevata
d’ufficio dal giudice, quando debba decidere una lite la cui soluzione dipenda dalla validità del
negozio. Vi sono alcune eccezioni in cui la nullità risulta relativa. (Art. 1421 cod. civ. ).
L’annullamento invece non è assoluto, può essere infatti domandato solo dalla parte a protezione
della quale esso è stabilito dalla legge, sempre che essa non abbia convalidato il negozio. (Art. 1441
cod. civ. ). Esso non può neanche essere disposto d’ufficio dal giudice.
La convalida del negozio annullabile
Poiché l'annullabilità è disposta a tutela di un interesse privato disponibile, il titolare di questo può
rinunciare all'azione di annullamento convalidando il negozio.
La convalida è un negozio unilaterale. Può farsi in modo espresso (atto che contiene la menzione
del negozio e del motivo di annullabilità), oppure in modo tacito (dando volontariamente
esecuzione al negozio conoscendo il motivo di annullabilità (Art.1444 cod. civ. ).
Non è ammissibile la convalida del negozio nullo. Esso può invece essere rinnovato: È possibile
trasfondere il contenuto del negozio nullo in uno nuovo esente da nullità. Quest’ultima può anche
avere efficacia retroattiva.
Prescrizione
Il negozio nullo è automaticamente privo di effetti, il che può essere accertato e dichiarato dal
giudice in qualsiasi tempo. Ciò significa che si può sempre rifiutare l'esecuzione del negozio, in

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caso siano già state eseguite le prestazioni, esse vanno restituite secondo le norme relative alla
ripetizione dell'indebito (art. 2033 cod. civ. ). L'azione di rivendicazione conseguente alla nullità
sarà paralizzata però se la cosa soggetto del negozio è stata usucapita (proprietà o altro diritto reale).
Ugualmente, col decorso di un termine di prescrizione di 10 anni si estingue il credito per la
restituzione delle prestazioni del negozio nullo. Vediamo quindi una limitazione della formula
secondo la quale l’azione di nullità è imprescrittibile.
L’azione di annullamento è invece soggetta a un termine di prescrizione di cinque anni dalla data
del negozio annullabile, ma se il negozio non è stato eseguito, la parte nella quale è disposta
l’azione di annullabilità può rifiutarne l’esecuzione per sempre (art. 1442 cod. civ. ). In sostanza si
prescrive l’azione ma non l’eccezione di annullamento.
Conseguenze della nullità e dell’annullamento fra le parti
Il negozio nullo non produce alcun effetto negoziale: non costituisce, non trasferisce, non modifica
e non estingue diritti reali di credito (non costituisce causa giustificatrici delle prestazioni eseguite,
le quali vanno restituite). Lo stesso ed dirsi del contratto per il quale sia intervenuta la sentenza
annullamento, esso infatti ha effetto retroattivo.
N.B. questo non consente di considerarli come non mai avvenuti infatti se essa costituisce un atto
illecito, determinerà l'applicazione delle relative sanzioni e responsabilità: può quindi determinare
conseguenze non negoziali.
Opponibili della nullità e dell’annullamento a terzi
La nullità, o l'annullamento di un negozio giuridico pongono problemi di opponibilità ai terzi,
analoghi a quelli che abbiamo già esaminato a proposito della simulazione. La nullità è di regola
opponibile ai terzi. Diversamente vediamo per l’annullabilità.
Il negozio annullabile ha efficacia, se e fino a quando questa non venga eliminata con una sentenza
di annullamento. Ovviamente, come sempre, è da considerarsi degno di tutela l'affidamento posto
dai terzi nei confronti del secondo contratto. In questi casi non sarà opponibile a terzi l'annullabilità.
I casi in cui invece essa è opponibile sono:
- Se il terzo sapeva dell’invalidità.
- Se il terzo ha acquistato a titolo gratuito.
- Se si tratta di beni immobili, o altri beni iscritti in pubblici registri.
- Se l’annullamento dipende da incapacità legale, anche essa presente in pubblici registri.
Per il resto delle situazioni si ritiene opportuno che le conseguenze dell’invalidità ricada sulle parti
del contratto annullabile e non su terzi in buona fede.
Le nullità di protezione
La nullità di protezione è un caso di nullità relativa. Ci si trova nei casi in cui la legge intende
proteggere una sola parte contro sue decisioni non ponderate o contro accordi che presentano aspetti
viziati con suo possibile danno, in tal caso il negozio non potrà essere convalidato, si ha perciò
nullità. Nei casi in cui però la parte protetta possa avere interesse a mantenere il contratto, la sua
scelta è protetta dalla nullità relativa: infatti in questo caso, la controparte non può far valere la
nullità, ma essa può essere pronunciata su domanda della parte protetta, e non contro i suoi interessi
su domanda della controparte.
Nullità relativa, annullabilità assoluta e altre variazioni
a) Quando l’invalidità è disposta allo scopo di proteggere una parte del negozio contro decisioni
non ponderate; si esclude che il negozio possa essere convalidato, ma si lascia la parte protetta
arbitra di decidere valersi o no della protezione di legge, perciò la nullità può essere fatta valere
solo dalla parte protetta.

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b) Si considera il caso in cui si abbia l’invalidità del contratto stipulato dall’interdetto per
condanna penale. Il carattere punitivo e protettivo del pubblici, dell’invalidità richiede che
l’azione possa essere esercitata contro l’interdetto da chiunque ne abbia interesse.
c) Quando si ha nullità relativa, efficacia eliminabile, senza però la possibilità di convalida si
parla di rescissione del contratto.
Nullità parziale
La causa di nullità può riguardare anche soltanto uno o più clausole del negozio stesso, in questo
caso si pone il problema di stabilire se la nullità si debba estendere all'intero negozio, o se invece
debba restare in piedi, privato delle clausole nulle. La nullità parziale di un contratto o la nullità di
singole clausole importa la nullità dell'intero contratto, se risulta che i contraenti non lo avrebbero
concluso senza quella parte del suo contenuto che è colpita dalla nullità, invece la nullità parziale
non si propaga all'intero contratto quando riguardi pattuizioni non essenziali nell'ambito
dell'operazione negoziale complessiva (artt. 1419, 1420 cod. civ. ).
Sostituzione legale di clausole
Art. 1339 cod. civ. : “le clausole, i prezzi di beni o di servizi imposti dalla legge… Sono di diritto
inseriti nel contratto anche in sostituzione delle clausole difformi apposte dalle parti”. Questo è il
ccganone di inserzione automatica di clausole, ed esprime i casi in cui, la clausola negoziale
difforme dalla norma imperativa è nulla, ma la nullità non si propaga all’intero contratto. Essendo
disposizioni specificamente scritte nelle leggi, la parte danneggiata da questo cambiamento
automatico non può richiedere l’annullamento.
Conversione del negozio nullo
Art. 1424 cod. civ. : “il contratto nullo può produrre gli effetti di un contratto diverso, del quale
contenga i requisiti di sostanza e di forma, qualora, avuto riguardo allo scopo perseguito dalle parti,
debba ritenersi che se lo avrebbero voluto se avessero conosciuto la nullità”: si parla in questo caso
di conversione del negozio nullo. Si tratta dunque di un fenomeno analogo alla nullità parziale,
dalla quale differisce poiché non si tratta di mutilare il negozio di una sua clausola, bensì dire
interpretarlo per ottenere parzialmente il risultato economico che le parti si proponevano.
L’inefficacia
Nel senso strettamente giuridico del termine l'espressione è solitamente adoperata escludendo
l'ipotesi del negozio nullo (o annullato).
a) il negozio valido può essere temporaneamente inefficace finché non sopravvenga una certa
circostanza estrinseca al negozio stesso (efficacia sospesa). Tuttavia il negozio può produrre
alcuni effetti preliminari limitati. (Es. il negozio si conclude se viene emanata
un’autorizzazione amministrativa).
b) Un negozio efficace fra le parti può essere inefficace nei confronti di taluni terzi: si parla in
questo caso di inefficacia relativa.

CAPITOLO XXVI: IL CONTRATTO NELLA SOCIETÀ CONTEMPORANEA


La libertà contrattuale nella concezione del liberismo classico
Nell'ideologia giuridica dell'ottocento il contratto, e più in generale, il negozio giuridico, è visto
come un importante strumento di libertà per realizzare la propria autonomia.questa concezione
esprimeva un'aspirazione politica dell'uomo moderno che già da tempo si era manifestata con
alcune idee portate dalle riforme protestanti e dall'Illuminismo. Era al tempo stesso il fondamento
del sistema economico capitalista.si riteneva infatti che il perseguimento dell'interesse individuale
da parte di ciascuno portasse necessariamente a realizzare l'interesse economico generale, e

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all'utilizzazione piena di efficiente delle risorse produttive.la materia contrattuale era perciò regolata
in base al principio della libertà, di conseguenza le norme imperative non imponevano contenuti
contrattuali particolari.
Le trasformazioni del contratto nel diritto contemporaneo
Questa ideologia giuridica non dava peso alle disuguaglianze economiche e sociali che potevano
sussistere fra i contraenti e trascurava così di considerare che, quando esse sono presenti, la parte
economicamente forte può imporre condizioni inique alla parte debole, la cui libertà contrattuale è
puramente formale. L’insoddisfazione per questi squilibri è stata una delle cause più importanti
trasformazioni del contratto. L'esperienza storica ha successivamente dimostrato l'inefficienza dello
Stato nella gestione diretta di attività economiche; di qui una rinnovata fiducia nella superiorità del
sistema fondato sull'iniziativa economica privata, alla condizione però che questa sia
giuridicamente disciplinata in modo da assicurarne uno svolgimento conforme all'utilità sociale. Ne
risulta un tipo di contratto alquanto diverso da quello nel quale l'ideologia giuridica del secolo XIX
ravvisava lo strumento attraverso il quale l'individuo poteva realizzarsi e realizzare la propria
libertà, dando un assetto autonomo ai propri interessi. Mentre i contratti tra privati non imprenditori
restano fondamentalmente assoggettati alla disciplina classica (ma non senza sviluppi delle norme
di protezione, come quell'insieme di locazione di immobili ad uso abitativo), le innovazioni
riguardano soprattutto il settore dell'attività economica d'impresa. L'esigenza di rimediare, nella
contrattazione di massa con consumatori, utenti risparmiatori, a imperfezioni della concorrenza o
all'adesione non ponderata alle offerte negoziali, conduce all'affermazione di regole che vietano le
clausole più gravemente inique, o che consentono al cliente di recedere, entro un breve termine, da
impegni assunti senza sufficiente riflessione e consapevolezza: sono le regole e principi che
caratterizzano il contratto con il consumatore. Anche aldilà di questi rapporti, la considerazione
degli squilibri contrattuali derivanti dalla disuguaglianza economica o sociale delle parti conduce un
grande sviluppo delle norme dell'ordine pubblico di protezione. Vediamo come nel campo dei
rapporti di lavoro e lavoratori trovano anche una via più diretta per tutelarsi: quella di riunirsi in
sindacati. I contratti che vengono così stipulati Dalle organizzazioni dei lavoratori con quelle dei
datori di lavoro sono collettivi, e, dalla norma ai contratti individuali stipulati dai singoli. In questo
modo, lo strumento del contratto viene recuperato, ma in una forma diversa, che ne fai il mezzo per
l'attuazione di un'autonomia non più individuale, bensì collettiva. Nei contratti tra imprenditori
restano generalmente operanti i principi classici, con un limite nella disciplina antitrust. In tutti i
settori contrattuali attinenti alla produzione, si assiste quindi allo sviluppo dell'ordine pubblico di
struttura e direzione economica.
Si giunge al fenomeno sempre più frequente, di ricorso dello Stato a me di diritto privato per
realizzare scopi di interesse pubblico.permane il valore la vitalità del principio dell'autonomia
contrattuale nell'organizzazione economica, ma non è un'autonomia assoluta: si deve giustificare in
funzione dell'interessi generali e deve perciò essere limitata, e talvolta corretta, dalle norme e dei
principi dell'ordine pubblico economico.
CAPITOLO XXVII: TIPI E STRUTTURE CONTRATTUALI
Contratti tipici e atipici
La legge prevede una serie di figure contrattuali "tipiche": la vendita, il mandato, la transizione, e
così via. Però sappiamo che alle parti è consentito anche concludere contratti che non appartengono
ai tipi aventi una disciplina particolare, purché siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela
secondo l'ordinamento giuridico (art. 1322 cod. civ. ). A partire dagli ultimi decenni del secolo XX
vi è stata una diffusione di contratti atipici in conseguenza dello sviluppo delle tecniche finanziarie
e dei metodi di progettazione ed esecuzione di operazioni industriali e commerciali (locazione
finanziaria, factoring, logistica, affiliazione commerciale). Talvolta il contratto atipico si presenta

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come una combinazione di diversi contratti tipici (per esempio il contratto di logistica, presenta
elementi del contratto di deposito e di quello di trasporto). Gli interventi del legislatore in questa
materia si sono generalmente limitati a disciplinare alcuni aspetti di nuovi contratti, senza dettare
una disciplina completa. Ai contratti tipici si applicano le norme e i principi generali sul contratto, e
le norme speciali eventualmente emanate per disciplinare alcuni aspetti. (Art. 1323 cod. civ. ).
Alcune strutture contrattuali
I contratti, tipici e atipici, si possono classificare in relazione a varie caratteristiche di struttura:
a) Contratti a titolo oneroso e contratti a titolo gratuito:
Il contratto è oneroso quando al sacrificio patrimoniale di ciascuna parte fa riscontro un vantaggio
corrispondente. Altrimenti il contratto è gratuito. Chi compie un'attribuzione gratuita è assoggettato
a una responsabilità contrattuale meno rigorosa, inoltre i suoi interessi vengono tenuti in maggior
considerazione (il donante può revocare la donazione per ingratitudine o per sopravvivenza di figli),
inoltre, l'affidamento di chi acquista a titolo gratuito non è tutelato.
b) Contratti unilaterali, contratti a prestazioni corrispettive (sinallagmatici), contratti a
struttura associativa:
• Nei contratti unilaterali solo una parte esegue o si obbliga ad eseguire una prestazione nei
confronti dell'altra. Il concetto di contratto unilaterale non va confuso con quello di negozio
giuridico unilaterale: nel primo l'unilateralità attiene agli effetti, nel secondo essa tiene le
dichiarazioni di volontà che costituiscono il negozio stesso (il contratto unilaterale è un negozio
giuridico bilaterale).
• Nei contratti a prestazioni corrispettive la prestazione di una parte corrispettiva di quella della
controparte (compravendita, permuta, locazione). Il rapporto fra le prestazioni corrispettive si
chiama sinallagma. Il rapporto sinallagmatico fra le prestazioni corrispettive si manifesta sia alla
conclusione del contratto (sinallagma genetico), sia nella sua esecuzione (sinallagma funzionale).
Al momento della conclusone del contratto, l’illiceità o l’oggettiva impossibilità di una prestazione
rende nulla anche la promessa dell’attribuzione corrispettiva.
- ciascuno dei contraenti può opporre all’altro l’eccezione di inadempimento: rifiutarsi di
adempiere se l’altro non adempie contemporaneamente alla propria.
- Anche quando siano fissati termini diversi per l’adempimento, il contraente che deve adempiere
per primo può esigere immediatamente la controprestazione se teme che questa non sarà
eseguita.
- Se una parte non adempie, la controparte, qualora non preferisca agire per ottenere
l’adempimento può chiedere la risoluzione del contratto per inadempimento.
- Se una parte è liberata per la sopravvenuta impossibilità della prestazione, anche l’altra parte è
liberata e ha diritto di farsi restituire quel che abbia già eseguito.
- Contratti bilaterali imperfetti (rimborso delle spese nel deposito).
• Nei contratti a struttura associativa, infine, più persone conferiscono beni o servizi per uno scopo
comune. Ciascun contraente si ripromette un vantaggio, ma questo non consiste in una
controprestazione dovuta lì da un altro contraente, bensì nella partecipazione ad un'utilità o
profitto comune. Il rimedio concesso è il recesso per giusta causa.
c) Contratti commutativi e contratti aleatori
È una suddistinzione dei contratti sinallagmatici. Questi sono normalmente commutativi: non
implicano, cioè, l'assunzione di un rischio. Sono invece aleatori, i contratti in cui l'esistenza,
l'estensione, o il valore di una almeno delle prestazioni corrispettive dipende da eventi incerti, così

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che ne derivano per ciascuna delle parti possibilità di guadagno e rischi di perdita, che se intendono
accettare. Un contratto può essere aleatorio per sua natura o per volontà delle parti.
d) Contratti ad esecuzione continuata o periodica
Sono contratti la cui esecuzione si protrae nel tempo, con prestazioni continuative o ripetute, per
soddisfare un bisogno del creditore che si estende (ad esempio contratti di lavoro, locazione,
comodato, assicurazione). La risoluzione o il recesso non estendono loro effetti alle prestazioni già
eseguite. Spesso questi contratti sono conclusi a tempo indeterminato, in tal caso il rapporto può
cessare per recesso unilaterale di una delle parti.
Contratti consensuali, formali, reali
A differenza delle precedenti, questa classificazione riguarda il modo di formazione dei contratti.
Sono consensuali i contratti che si perfezionano con il semplice consenso, comunque manifestato.
Formali sono i contratti per la conclusione dei quali occorre che il consenso sia manifestato in
forme particolari. I contratti reali, infine, sono quelli che non si perfezionano con il semplice
consenso, poiché si richiede anche la consegna della cosa.

CAPITOLO XXVIII: LE PROMESSE UNILATERALI


Promesse unilaterali e contratti
Per le promesse unilaterali l’Art. 1987 cod. civ., enuncia un principio di tipicità, opposto a quello
che vale in tema di contratti: la promessa unilaterale di una prestazione non produce effetti
obbligatori fuori dei casi ammessi dalla legge, tuttavia la promessa unilaterale di pagamento, pur
non creando obbligazioni, ha però un effetto sul piano probatorio.
La promessa al pubblico
È la promessa, rivolta al pubblico, di una prestazione a favore di chi si trovi in una determinata
situazione o compia una determinata azione (promessa di compenso a chi ritrovi restituisca una cosa
smarrita). Si possono distinguere promessa al pubblico a titolo oneroso (nelle quali la prestazione a
carico del promettente è il corrispettivo di una prestazione in suo favore), e promesse a titolo
gratuito, dettate da spirito di liberalità: queste ultime, a differenza della donazione, non richiedono
la forma dell'atto pubblico. Si tratta di promessa unilaterale, e perciò essa è vincolante non appena
si è resa pubblica, se non vi è apposto un termine, il vincolo del promettente cessa dopo un anno. La
promessa può essere revocata prima di questo termine solo per giusta causa, purché sia resa
pubblica.
CAPITOLO XXIX: IL CONTRATTO: FORMAZIONE ED EFFETTI

A- LA CONCLUSIONE DEL CONTRATTO

I diversi modi di conclusione del contratto


Il contratto deve essere voluto da entrambe le parti, e la volontà di ciascuno deve essere manifestata
in modo impegnativo, così da fondare l'affidamento della controparte. Il modo più ampio e
frequente di concludere un contratto consiste nello scambio di dichiarazioni. Volendo anche
attraverso un comportamento concludente (come ad esempio iniziare l'esecuzione di un contratto
una volta ricevuta la proposta). Se poi si tratta di un contratto con obbligazioni del solo proponente,
esso si conclude senza necessità di accettazione dall'altra parte (diverso dal regolamento negoziale).
La conclusione del contratto mediante la proposta e l’accettazione
Spesso una delle parti assume l'iniziativa di proporre all'altro testo completo del contratto, che l'altra
accetta. In tal caso le dichiarazioni contrattuali formano la sequenza: proposta e accettazione.

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- Proposta: Deve essere tale che possa bastare l'assenso dell'altra parte per concludere il contratto.
Può essere rivolta a una persona determinata, oppure anche una cerchie più o meno vasta di
persone (e l'esempio dell'offerta al pubblico come l'esposizione in vetrina).
- L’accettazione: Deve giungere al proponente nel termine da lui stabilito o in quello
ordinariamente necessario secondo la natura dell'affare o secondo gli usi. Il contratto si conclude
nel momento e nel luogo in cui chi ha fatto la proposta entra a conoscenza dell'accettazione
dell'altra parte.
La formazione progressiva del contratto
Nel corso di trattative complesse le parti possono, a conclusione di una fase, redigere una minuta
per formulare l'accordo parziale già raggiunto. Essa non è tuttavia vincolante, a meno che non lo
decidano le parti, e ha solo il valore di promemoria o documentazione dello svolgimento delle
trattative.
Il dissenso
- Se proposta e accettazione, così interpretate, sono conformi l’una all’altra, il contratto è
concluso.
- Se invece proposta e accettazione, così interpretate, non sono conformi, il contratto non sorge
neppure: si ha dissenso.
La conclusione del contratto con obbligazioni del solo proponente e per conclusione
sono già state esposte.
Revocabilità della proposta e dell’accettazione
Finché il contratto non sia concluso, la proposta può essere revocata, a meno che non abbia inizio
con l'esecuzione. Tuttavia, se l'altra parte ha già intrapreso in buona fede l'esecuzione, il proponente
è tenuto a indennizzare là delle spese e delle perdite subite.
Proposta irrevocabile e opzione
La proposta è irrevocabile, oltre che nei casi previsti dalla legge, ogni volta che il proponente si sia
obbligato a mantenerla ferma per un certo periodo di tempo. In tal caso essa non perde efficacia in
seguito alla morte o la sopravvenuta incapacità del proponente salvo che diversamente risulti dalla
natura dell'affare o da altre circostanze (Art. 1329 cod. civ. ).
Nei casi in cui le parti abbiano convenuto che una di esse resti vincolata alla propria dichiarazione e
l'altra parte abbia la facoltà di accettarlo oppure no, si parla di patto di opzione.
Condizioni generali di contratto
Il ricorso a schemi contrattuali uniformi risponde a oggettive necessità economiche. In particolare
l'uniformità degli schemi contrattuali facilita, nella grande impresa, il coordinamento e la direzione
centrale, il calcolo dei costi, il controllo della puntualità, l'esattezza dell'adempimento, sia delle
obbligazioni assunte dall'impresa, sia da quelle corrispettive assunte dalle sue controparti. Per
queste ragioni le imprese elaborano condizioni generali di contratto, destinate ad operare nei
confronti della generalità delle controparti contrattuali. Esse sono efficaci nei confronti del singolo
cliente fornitore, anche in mancanza di un'espressa accettazione, se le ha conosciute o avrebbe
dovuto conoscerle usando l'ordinaria diligenza. Le condizioni generali appaiono come veri e propri
regolamenti di fonte privata, poiché sono destinate a regolare in modo uniforme un determinato
settore di rapporti e poiché i singoli si sottomettono costantemente.
Il contratto per persona da nominare
Il momento della conclusione del contratto una parte può riservarsi di nominare successivamente la
persona che deve acquistare i diritti e assumere gli obblighi nascenti dal contratto. La dichiarazione

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deve essere fatta entro il termine stabilito o altrimenti entro tre giorni dalla stipulazione, essa ha
effetto retroattivo, ed è necessario che la persona accetti la nomina. Il contratto per persona e
dunque è un contratto con soggetto alternativo.

B- LE TRATTATIVE E LA RESPONSABILITÀ PRECONTRATTUALE

La correttezza nelle trattative


Le parti, nello svolgimento delle trattative devono comportarsi secondo correttezza (art. 1337 cod.
civ. ). La violazione di questo dovere determina una responsabilità per i danni che ne derivano
dall'altra parte, sia nel caso che le trattative si concludano con la stipulazione del contratto, sia nel
caso che esse vengano interrotte. Correttezza non significa soltanto evitare fatti dolosi, ma anche
colposi, perché impone anche un dovere di riguardo e di diligenza nei confronti della controparte.
Esempi a pagina 278
Il danno nella responsabilità precontrattuale
Per intendere bene la misura del danno risarcibile nell'ipotesi di responsabilità precontrattuale,
occorre distinguere fra interesse positivo e interesse negativo.l'interesse contrattuale positivo
rappresenta i vantaggi che sarebbero stati ottenuti e i danni ci sarebbero stati evitati ottenendo
l'esecuzione del contratto. L'interesse negativo rappresenta invece i vantaggi che sarebbero stati
ottenuti e i danni che sarebbero stati evitati non impegnandosi nelle trattative contrattuali. Se le
trattative, che una delle parti abbia condotto scorrettamente, non hanno portato alla stipulazione di
un valido contratto, l'altra parte, come non può pretendere l'esecuzione del contratto, così non può
pretendere il risarcimento dell'interesse positivo. Può invece pretendere il risarcimento dell'interesse
negativo.
(Esempio chiaro a pagina 279)

C- IL CONTENUTO DEL CONTRATTO

Determinazione del compenso con riferimento al mercato, a tariffe, agli usi o secondo
equità
Si è già detto a suo luogo che mancando l'accordo delle parti su un elemento essenziale del
contratto, questo è nullo. Vi sono però ipotesi nelle quali la mancata determinazione del
corrispettivo, implica un tacito riferimento al prezzo corrente di mercato. Nei rapporti con i
professionisti di regola il compenso non è pattuito preventivamente, esso è allora determinato
secondo le tariffe o gli usi, o, in mancanza, dal giudice secondo equità. L'applicazione di queste
regole presuppone naturalmente, che le parti abbiano considerato concluso il contratto, nonostante
la mancata determinazione espressa del compenso.
Integrazione del contratto
Già si è visto a suo luogo come le lacune del regolamento negoziale vengano colmate da norme
dispositivi. Può accadere però che il caso non sia previsto da alcuna norma dispositiva di legge.
Problemi di questo genere non possono venire risolti con l'interpretazione, allora, in mancanza di
norme dispositive trovano applicazione gli usi, in subordine, il contratto viene integrato dal giudice
secondo equità. In nessun modo è consentito al giudice di ampliare, modificare o migliorare il
contratto (art. 1374 cod. civ. ).

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D- IL CONTRATTO CON IL CONSUMATORE

Problemi e disciplina giuridica


I contratti stipulati da imprenditori e professionisti con il pubblico prestano particolari problemi, che
richiedono regole protettive di questo. Normalmente sono contratti di serie predisposti dagli
imprenditori per essere applicati uniformemente alla grande massa di rapporti con il pubblico.
Manca perciò una trattativa individuale. La necessità di protezione del consumatore deriva da
ricorrenti imperfezioni del mercato e della concorrenza. Spesso il consumatore non si impegna in
trattative che, per il carattere tecnico delle questioni e per la maggior difficoltà di confronto con le
proposte di concorrenti, richiedono un impegno è un tempo che appare eccessivo rispetto
all'interesse. Questa è la ragione che induce spesso gli imprenditori ad assumere un atteggiamento
concorrenziale quanto alla qualità e al prezzo dei beni e servizi offerti (di qui la possibilità che siano
proposte al pubblico clausole vessatorie). È vero che nel singolo caso l'interesse in gioco è perlopiù
di limitata importanza, ma poiché si tratta di situazioni ripetitive, interesse complessivo risulta
importante anche per il singolo. La protezione del consumatore deve perciò essere affidata anche e
soprattutto a norme che prevedono un controllo del contenuto delle clausole in questione, e non solo
nell'ipotesi dei contratti di serie. In questi contratti si considerano vessatorie, e sono pertanto prive
di effetto, le clausole che, contrariamente a buona fede, determinano a carico del consumatore un
significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi contrattuali. La legge da un lungo elenco di
clausole che si presumono vessatorie, a meno che il professionista non dimostri il contrario. Sono
ad esempio le clausole di esclusione o limitazione della responsabilità, oppure quelle che limitano
l'opponibilità di certe eccezioni da parte del consumatore. Le clausole vessatorie sono prive di
effetto in danno del consumatore, e non implicano l'invalidità del contratto il quale rimane efficace
per il resto: si tratta quindi di una nullità parziale, rilevabile d'ufficio. La disciplina considerata fin
qui è rivolta a proteggere il consumatore contro l'accettazione di condizioni normative inique. A
questo scopo lo strumento più importante è costituito da un inderogabile diritto di recesso che il
consumatore può esercitare entro un breve termine successivo alla stipulazione del contratto.
Pg 285.86 e 87 per esempi e precisazioni

E- GLI EFFETTI DEL CONTRATTO

Efficacia del contratto fra le parti, il recesso, la caparra penitenziaria


Una volta concluso, il contratto vincola le parti. Non può essere sciolto che con un nuovo accordo
delle parti stesse, oppure per cause ammesse dalla legge (art. 1372 cod. civ. ). Di regola pertanto,
non è consentito il recesso unilaterale. È importante rilevare che la facoltà di recedere
liberamente è concessa dalla legge, nei contratti ad esecuzione continuata o periodica
conclusi per un tempo indeterminato. Ricordiamo poi che il diritto di recesso, è stabilito
dalla legge in favore di consumatori principalmente nell'ipotesi di vendite a domicilio, per
proteggerli contro il rischio di acquisti non meditati.
Recesso convenzionale: possibilità di recesso decisa dalle parti attuabile solo prima dell'esecuzione
del contratto.
Caparra penitenziale: caparra spesso in denaro consegnata dalla parte a cui è stata attribuita la
facoltà di recesso. Se il contratto avrà esecuzione la caparra dovrà essere restituita. Nel caso in cui
non sia consegnata anticipatamente ma è promessa come corrispettivo del recesso è detta multa
penitenziale.
I contratti con effetti reali
Vi sono contratti che hanno per oggetto il trasferimento della proprietà (la vendita, la permuta, la
donazione), ed in particolare essa si trasmette o si acquista per effetto del consenso delle parti, non
occorre né la consegna della cosa né il pagamento del prezzo. Determinare il momento in cui il
diritto si trasferisce ha importanza in relazione ai vari problemi:

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a) Con la proprietà passa all’acquirente il rischio del perimento fortuito della cosa, della qual
dovrà comunque pagare il corrispettivo.
b) Nei confronti dei terzi l’acquisto della proprietà può determinare responsabilità particolari.
c) Assai importanti sono le conseguenze nei rapporti con i terzi creditori: dal momento in cui il
diritto è passato l'acquirente, i creditori dell'alienante non possono più sottoporre ad esecuzione
forzata.
d) Infine, dal momento in cui il diritto si è trasferito, l'alienante non ha più il potere di disporne in
favore di altri.
Conflitto fra acquirenti del medesimo diritto
• Se il proprietario di un immobile (o di altri beni iscritti in pubblici registri) ne dispone in favore di
A e poi in favore di B, fra i due aventi causa prevarrà chi per primo trascrive nei registri
immobiliari il proprio titolo di acquisto (art. 2644 cod. civ. ).
• Se si tratta di cosa mobile non iscritta in pubblici registri, può prevalere colui che ha acquistato
successivamente, sei in buona fede ha ottenuto la consegna della cosa (art. 1153 cod. civ. ).
• Se si tratta di un credito, prevale la cessione notificata per prima al debitore, quella che è stata per
prima accettata dal debitore con atto e data certa (art. 1265 cod. civ.).
• Se si tratta di azioni, obbligazioni, o altri strumenti finanziari, la loro titolarità e loro trasferimenti
sono rappresentati da registrazioni contabili presso una società di gestione accertata, privare
l'acquirente che in buona fede abbia ottenuto la registrazione del trasferimento in proprio favore.
• Nel caso dei diritti personali di godimento, prevale il contraente che per primo ha conseguito il
godimento.
Il contratto preliminare
Con il contratto preliminare le parti si impegnano a concludere un futuro contratto. Poiché vincola
le parti all’affare che sarà oggetto del contratto definitivo, va stipulato nella stessa forma che la
legge eventualmente richiede per la validità di quest’ultimo. Le parti vi fanno ricorso quando,
determinati i termini essenziali, intendono fermare un affare, pur avendo interesse a rinviare la
conclusione del contratto definitivo. Questo interesse si ha quando le parti, raggiunto l’accordo,
intendono vincolarsi a concludere l’affare, pur volendo modificare ancora delle clausole o rivederne
alcuni aspetti o quando, almeno una delle due parti, desidera compiere accertamenti e controlli sui
presupposti di validità e di regolarità del contratto. Oppure ancora nell’ipotesi in cui il bisogno che
si intende soddisfare con il contratto non sia immediato, e una delle parti voglia tutelarsi contro le
sopravvenienze che potrebbero verificarsi nel frattempo.
Effetti del contratto preliminare
Se la parte che è obbligata a concludere il contratto definitivo si rifiuta di farlo, e tale rifiuto è
illegittimo, l’altra parte può ottenere una sentenza che produca gli effetti del contratto non concluso
(art. 2932 cod. civ.). Può darsi che il contratto preliminare non determini tutti gli elementi del
contratto definitivo: ciò non impedirà la pronuncia, se si tratta di lacune che possono venire colmate
con norme dispositive, o se l’interpretazione del contratto preliminare fornisce criteri oggettivi in
base ai quali il giudice possa integrare il regolamento negoziale. Se invece sono rimasti non
determinati né determinabili elementi essenziali, il contratto preliminare è nullo a norma dell’art.
1418 cod. civ. Se il contratto preliminare lascia non determinato né determinabile il proprio oggetto
essenziale, l’impossibilità di un’integrazione giudiziale deriva dal principio dell’autonomia privata.
Le cose cambiano se la lacuna riguarda determinazioni secondarie. Qui l’integrazione giudiziale
non contraddice al principio dell’autonomia privata. Impegnandosi a concludere il contratto
definitivo, le parti dimostrano di attribuire tale importanza all’affare, volendolo dunque realizzare.

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Per questo la volontà dei contraenti viene rispettata e attuata conservando il contratto. Il ricorso al
contratto preliminare è soprattutto frequente nell’ambito degli affari che si riferiscono al
trasferimento della proprietà o all’attribuzione di altri diritti reali su cose determinate. Il contratto
definitivo ha effetti reali. Il preliminare crea invece solo l’obbligazione di prestare il consenso a un
successivo atto di trasferimento: il suo effetto è puramente obbligatorio, e perciò limitato alle parti
contraenti. Dunque se, prima della conclusione, la cosa promessa venisse alienata ad un terzo,
questi acquista il bene: il diritto derivate dal preliminare non gli è opponibile. Questa regola subisce
limitazioni poste dalle norme sulla trascrizione.
Distinzione del contratto preliminare da figure affini:
Le parti talvolta impostano una trattativa complessa scambiandosi lettere di intenti, che esprimono
finalità e orientamenti di massima. Questa non vincola alla stipulazione del contratto, ma può essere
rilevante nel caso in cui fosse sollevata una questione di responsabilità precontrattuale. Nel corso
delle trattative le parti possono formulare l’accordo raggiunto su alcuni punti: anche da questo
deriva solo l’impegno di trattare.
Spesso le parti, raggiunto un accordo, si impegnano a documentarlo successivamente in una forma
determinata. In questo caso si tratta di un contratto completo e definitivo, che contiene un impegno
di successiva documentazione. Per distinguere contratto preliminare e definitivo il giudice deve
indagare se esista o meno la volontà di differire gli effetti contrattuali definitivi. Nel caso di
inadempimento, l’avente diritto potrà ottenere una sentenza che accerti l’autenticità delle
sottoscrizioni della scrittura privata, per rendere possibile la trascrizione.
Contratto preliminare unilaterale e patto di prelazione
Il contratto preliminare unilaterale vincola una parte sola, l’altra resta libera di non concludere il
contratto definitivo, se non vorrà. È un contratto preliminare perché impegna alla successiva
conclusione di un contratto definitivo, ed è preliminare unilaterale (si distingue dal patto di opzione)
perché richiede una nuova manifestazione del consenso della parte obbligata (per l’opzione basta
l’accettazione dell’altra parte perché si producano effetti). Contratto preliminare unilaterale e
opzione hanno analoga funzione economica: si ricorrerà al preliminare unilaterale quando il
regolamento d’interessi designato dalle parti ha bisogno di un’ulteriore opera di integrazione, o
quando la parte vincolata voglia riservarsi la possibilità di controllare presupposti e sopravvenienze.
Nello schema del contratto preliminare unilaterale rientra il patto di prelazione, con il quale una
parte promette all’altra di preferirla a qualsiasi terzo nella stipulazione di un certo contratto.
Contratto a favore di terzi
Talvolta può accadere che un contraente abbia interesse ad ottenere che l’altra parte esegua una
prestazione a un terzo beneficiario, attribuendo a quest’ultimo il diritto di esigerla (normalmente lo
scopo è attribuire esclusivamente a sé il diritto alla prestazione della controparte). Si consideri il
caso di contratto di trasporto di cose ad un destinatario diverso dal mittente. Se il destinatario non
acquistasse un diritto nei confronti del vettore, in caso di inadempimento sarebbe difficile per
questo agire nei suoi confronti. L’azione spetterebbe esclusivamente al mittente, rendendo lunga e
costosa la procedura. Per evitare complicazioni la legge dispone la regola generale che la
stipulazione a favore di un terzo è valida e determina l’acquisto di un diritto da parte del terzo
beneficiario. Di regola tale acquisto si verifica automaticamente, senza necessità che il terzo
dichiari di aderire al contratto in suo favore (art. 1411 cod. civ.). Poiché talvolta si può avere
interesse a non conseguire un beneficio, la legge dà al terzo la possibilità di rifiutare l’acquisto (art.
1411 cod. civ.). In questa situazione, il contraente che si impegna ad eseguire la prestazione in
favore del terzo viene designato come promittente, la controparte, che richiede l’impegno in favore

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del terzo, prende il nome di stipulante. Il promittente indirizza la sua promessa allo stipulante e non
al beneficiario.
Regole generali:
- Al terzo possono essere attribuiti diritti di credito o diritti reali
- Il beneficio attribuito al terzo può consistere anche nella liberazione da un debito verso il
promittente.
- Non costituisce contratto a favore di un terzo in senso tecnico il contratto dal quale deriva ai
terzo un vantaggio di fatto, e non già l’acquisto di un diritto o la liberazione da un debito. Spesso
il medesimo contratto può essere costituito per attribuire a un terzo un mero beneficio di fatto,
oppure anche un corrispondente diritto nei confronti del promittente. Se il testo non offre una
chiara indicazione sul punto, la questione va risolta dando rilievo all’interesse che lo stipulante
ha inteso realizzare con il contratto e tenendo conto degli affidamenti suscitati nel terzo
beneficiario.
La causa dell’acquisto del terzo beneficiario
L’interesse che spinge lo stipulante a inserire nel contratto la clausola a favore del terzo è spesso
quello di soddisfare un credito del terzo, o quello di attribuire al terzo un beneficio gratuito. Il
rapporto tra stipulante e promittente viene designato come rapporto di provvista, perché il
promittente trae da se stesso un corrispettivo (provvista) per la prestazione che egli compie in
favore del terzo. Il rapporto tra stipulante e terzo beneficiario prende il nome di rapporto di valuta.
La mancanza di un valido interesse dello stipulante ad attribuire il beneficio al terzo, si ripercuote
sulla validità della clausola a favore del terzo. Dunque se lo stipulante intende attribuire al terzo un
beneficio gratuito per motivo illecito o se intendeva pagare un debito in realtà inesistente, la nullità
del rapporto determina la nullità della clausola a favore del terzo. Se la causa del beneficio dipende
da errore, violenza o dolo, la clausola sarà annullabile. Il diritto del beneficiario deriva dal contratto
tra stipolante e promittente. Quest’ultimo potrà rifiutare la prestazione al terzo opponendogli ogni
eccezione derivante da tale contratto e le eccezioni relative al rapporto di valuta, se queste
determinano la nullità della clausola a favore del terzo.
Acquisto del diritto da parte del terzo beneficiario e revoca della stipulazione in suo
favore
Il terzo acquista il diritto automaticamente senza necessità di alcuna dichiarazione da parte sua.
Tale acquisto avviene di regola al momento della conclusione del contratto, ma può anche essere
rinviato alla scadenza di un termine o al verificarsi di una condizione (es: terzo privo di capacità
giuridica al momento del contratto). Da questo momento il terzo ha la possibilità di esercitare il
diritto, anche in via giudiziale. Il suo acquisto però non è definitivo, fino a quando egli non dichiari,
tanto allo stipulante, quanto al promettente, di volerne profittare. Fino a questo punto, come egli
conserva la possibilità di rifiutare l’acquisto, lo stipulante conserva una correlativa possibilità di
revoca o modificazione della stipulazione in suo favore.
La promessa del fatto del terzo
Se è possibile che un contratto attribuisca a un terzo un diritto, non può imporgli un’obbligazione o
privarlo di un diritto. Se una persona promette ad un’altra il fatto di un terzo, quest’ultimo non è
obbligato se non aderisce alla stipulazione. Obbligato è il promettente, il quale dovrà adoperarsi per
indurre il terzo a compiere il fatto promesso. Se il terzo rifiuta, il promettente dovrà indennizzare
l’altra parte, anche se abbia fatto tutto quanto era in suo potere per convincere il terzo (art. 1381
cod. civ.).

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CAPITOLO XXX: LA RESCISSIONE DEL CONTRATTO

Nozione
Il diritto dei contratti si basa sul fatto che il corrispettivo sia concordato liberamente dalle parti,
sulla base dell’autonomia privata. È escluso dunque ogni intervento giudiziario che modifichi i
termini del contratto. Il diritto offre però un rimedio nelle ipotesi in cui l’iniquità delle condizioni
contrattuali dipenda dall’approfittarsi dello stato di pericolo o dello stato di bisogno di una parte: in
tal caso il contratto può venire rescisso. Proprio perché la rescissione presuppone uno squilibrio, è
possibile solo per i contratti (nullità e annullabilità sono riferibili a qualsiasi negozio giuridico).
Contratto concluso in stato di pericolo
È rescindibile il contratto con cui una parte ha assunto obbligazioni a condizioni inique, per la
necessità, nota alla controparte, di salvare sé o altri dal pericolo attuale di un danno grave alla
persona (art. 1447 cod. civ.).
Nel pronunciare la rescissione il giudice può assegnare un equo compenso all’altra parte per l’opera
prestata.
Contratto concluso in stato di bisogno
È rescindibile anche il contratto concluso in stato di bisogno.
In questo caso però non basta una qualsiasi sproporzione tra le corrispettive prestazioni: occorre che
la lesione ecceda la metà del valore che la prestazione eseguita o promessa dalla parte danneggiata
aveva al tempo del contratto (art. 1448 cod. civ.).
I contratti aleatori non sono rescindibili per lesione (art. 1448 cod. civ.).
Quanto allo stato di bisogno non significa necessariamente stato di povertà, può consistere in una
situazione contingente di necessità economica o in una momentanea mancanza di denaro liquido.
La legge aggiunge che l’altra parte deve averne approfittato. È sufficiente che lo stato di bisogno
della controparte e la possibilità di approfittarne con un contratto iniquo siano stati la spinta per
stipulare il contratto.
Azione di rescissione:
La rescissione è pronunciata dal giudice su domanda della parte danneggiata. È un’azione analoga a
quella di annullamento, seppur con delle differenze:
- Non è ammessa la convalida del negozio rescindibile.
- La prestazione si compie in un anno e colpisce sia l’azione che l’eccezione.
Non è opponibile ai terzi, salvo gli effetti della trascrizione della domanda.
Il contraente contro il quale è domandata la rescissione può evitarla offrendo una modificazione del
contratto sufficiente a ricondurlo ad equità (art. 1450 cc). A questo scopo è necessario che paghi un
supplemento o restituisca una parte della prescrizione ricevuta, in modo da realizzare equivalenza
tra le due prestazioni corrispettive.

CAPITOLO XXXI: L’INADEMPIMENTO E LA RESPONSABILITÀ CONTRATTUALE


L’inadempimento
Il problema:
L’inadempimento è l’adempimento tardivo, incompleto o inesatto della prestazione dovuta, procura
normalmente danni al creditore. Il debitore dovrà risarcire questi danni, ma solo se l’inadempimento
è dovuto a una causa della quale egli debba rispondere. Di qui i problemi di responsabilità

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contrattuale. Ha un’importanza centrale l’art. 1218 cod. civ., che stabilisce che il debitore che non
esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che
l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da
causa a lui non imputabile. Il debitore che nell’adempimento dell’obbligazione si vale dell’opera di
terzi risponde anche dei fatti dolosi o colposi di costoro. La varietà di contratti e forme di
inadempimento ne ha resa impossibile la catalogazione in una disciplina uniforme. Il legislatore si è
dunque limitato ad aggiungere numerose disposizioni particolari che talvolta riprendono l’art. 1218,
talvolta apportano una deroga.
Impossibilità e difficoltà di esecuzione della prestazione dovuta:
Perché sia esclusa la responsabilità contrattuale, si richiede la prova della sopravvenuta
impossibilità della prestazione. Ma non basta: il debitore resta responsabile qualora l’impossibilità
gli sia imputabile. La prestazione è ritenuta impossibile quando:
• Sia divenuta fisicamente impossibile (perimento della cosa da consegnare).
• Quando sia sopravvenuto un divieto di legge o della pubblica autorità a renderla tale.
• Nel caso in cui la sua esecuzione richieda mezzi o sforzi del tutto irragionevoli in relazione alla
natura o all’oggetto del contratto.
• Quando la cosa è smarrita senza che possa esserne provato il perimento (art. 1257 cod. civ.).
• Quando sorgano ostacoli gravi, il cui superamento richiederebbe un’attività tale da modificare la
natura della prestazione. La semplice difficoltà non libera però il debitore (salvo risoluzione del
contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta). Il concetto di impossibilità di cui all’art. 1218
cod. civ. si presenta come non rigido, bensì variabile secondo la natura del rapporto regolato.
Impossibilità oggettiva e soggettiva, responsabilità oggettiva e per colpa
Responsabilità oggettiva: si può adottare un criterio rigoroso di responsabilità, che faccia carico al
debitore di ogni evento (anche incolpevole), che attenga alla sua persona o rientri nella sua sfera di
influenza e di organizzazione aziendale, circoscrivendo l’impossibilità liberatoria alle sole ipotesi in
cui questa dipenda da cause del tutto estranee a tale sfera.
Responsabilità per colpa: si può adottare un criterio meno rigoroso, che tenga il debitore
responsabile solo per negligenza, imprudenza o imperizia, considerando liberatoria qualsiasi
impossibilità incolpevole, anche quando sia meramente soggettiva, dovuta a cause attinenti alla
persona del debitore o interne alla sua sfera di influenza e organizzazione aziendale.
Non è possibile dare una definizione rigida dell’impossibilità liberatoria. I diversi rapporti
contrattuali richiedono regimi diversi, spesso definiti da norme dettate per i singoli contratti.
Nell’interpretazione della formula la varietà delle regole va trovata con un’interpretazione variabile
del termine impossibilità.
Dunque il debitore risponde talvolta oggettivamente, talvolta risponde solo quando
l’inadempimento sia imputabile a sua colpa (nel caso di disattenzione o imprudenza).
Tipi di obbligazioni
Obbligazioni di mezzi: con il contratto ciascuna parte può assicurarsi l’impegno dell’altra ad
operare per farle conseguire un bene o renderle un servizio. Le parti possono distribuire tra loro i
rischi delle difficoltà e degli imprevisti incolpevoli che possono turbare l’attuazione del programma
contrattuale. Vi sono contratti che impegnano a svolgere un’attività rivolta a un certo risultato, che
non è promesso (es: avvocato promette una certa prestazione, ma non buon esito della trattativa o
vittoria del processo). Gli atti da compiere e il modo in cui l’attività deve essere svolta si
determinano in base al criterio della diligenza, con riguardo alla natura dell’attività esercitata.

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Obbligazioni di risultato: vi sono contratti con cui un contraente promette un certo risultato. Questi
implicano l’impegno del promittente di operare per il raggiungimento del risultato. A questo
impegno si affianca una garanzia del risultato e correlativa assunzione di rischio. Questi si
distinguono dai contratti precedenti, dove la promessa ha per oggetto l’attività. In quelli la
mancanza del risultato finale non ha una rilevanza immediata: perché si possa parlare di
inadempimento occorre che risulti l’insufficienza qualitativa del loro operato, altrimenti conservano
il diritto di compenso, senza incorrere in responsabilità. In questo caso invece, la mancanza del
raggiungimento del risultato, implica l’inadempimento del contratto e dunque la perdita del
compenso e la responsabilità per danni.
Obblighi di garanzia
Vi sono contratti in cui una parte si impegna a tenere l’altra indenne da certi rischi. Qui la funzione
agisce solo dopo che il sinistro si sia verificato e consiste nel pagamento dell’indennizzo assicurato
o della somma garantita. Si parlerà di inadempimento nel caso in cui non venisse pagato
l’indennizzo (es: polizze assicurative, pagano a danno avvenuto).
Incentivi, assicurazione e assorbimento dei rischi
La responsabilità dev’essere correlata alle funzioni contrattuali di realizzazione dello scopo o
dell’attività o di garanzia. Occorrerà che la regola giuridica determini incentivi adeguati per indurre
ad esplicare, per la realizzazione del programma contrattuale, un grado di sforzo che corrisponda
all’efficienza economica. Questi devono riguardare entrambe le parti, non solo il debitore, poiché
spesso l’adempimento dell’obbligazione richiede una cooperazione.
La regola giuridica deve tendere a realizzare risultati di efficacia nella ripartizione dei rischi tra le
parti. Nella scelta della regola giuridica è rilevante la considerazione dei suoi costi di applicazione.
Il principio dell’autonomia privata richiede che i problemi siano disciplinati dalle regole che le parti
stesse hanno posto. Normalmente la disciplina integra con norme e principi dispositivi rivolti ad
assicurare il programma contrattuale.
Per quanto riguarda la funzione d’incentivo, essa può sensatamente esplicarsi solo se la
realizzazione del programma contrattuale è oggettivamente possibile. L’incentivo si realizza talvolta
affermando la responsabilità di chi abbia mancato di esplicare lo sforzo dovuto, talvolta tenendo
responsabile senz’altro chi ha il controllo delle condizioni generali del rischio (responsabilità
oggettiva).
Nella materia contrattuale la determinazione dello sforzo dovuto non si può ridurre all’applicazione
di un criterio oggettivo, in quanto si tratta di un programma contrattuale che le parti hanno costruito
sulla base di proprie valutazioni soggettive di convenienza.
Anche quando manchi un’esplicita specificazione delle misure di diligenza richieste, una
limitazione dello sforzo debitorio è desumibile dalle circostanze o dalla struttura del contratto, e
corrisponde ad una riduzione del corrispettivo. Se il contratto è a titolo gratuito, è ancora più ridotto
lo sforzo debitorio, quando non sia in questione la sicurezza delle persone.
Responsabilità contrattuale per colpa: ambito di applicazione
In larghi settori della materia contrattuale la responsabilità è fondata sulla colpa. Ciò vale innanzi
tutto per le obbligazioni che hanno per oggetto un fare.
Nell’ambito di questi tipi di obblighi, il principio ha validità generale, anche fuori dalle ipotesi
considerate dalla legge.
La responsabilità è normalmente fondata sulla colpa anche nelle obbligazioni di custodire (es:
deposito), ma anche in numerosi altri contratti.

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La colpa costituisce, infine, il criterio per giudicare sulla responsabilità per inadempimento delle
obbligazioni di dare cose determinate. Chi abbia consegnato una cosa difettosa non è responsabile
del danno, se prova di avere ignorato senza colpa i vizi della cosa stessa.
Regole analoghe valgono per ipotesi in cui il bene presenti dei vizi giuridici. Restano da considerare
le obbligazioni di dare denaro o cose determinate soltanto nel genere: qui vale un criterio di
responsabilità diverso e più rigoroso.
Colpa come criterio di responsabilità contrattuale
Occorre precisare il concetto di colpa.
Si dice inadempimento colpevole quando la mancata soddisfazione del creditore dipende dal fatto
che il debitore abbia tenuto un comportamento diverso da quello che si sarebbe dovuto e potuto
tenere nella concreta situazione, che si tratti di inadempimento cosciente e volontario (dolo) o
dovuto a negligenza, imprudenza o imperizia (colpa).
La colpa può essere intesa in senso soggettivo o oggettivo. Nel primo caso, nella determinazione del
comportamento, si tiene conto delle capacità dell’obbligato e dei suoi limiti, escludendo
responsabilità nel caso in cui abbia fatto del suo meglio. Ciò significa dare un senso
individualizzato di colpa. Nel secondo la responsabilità non viene individuata caso per caso, ma
viene commisurata ad un modello astratto, dando un giudizio tipizzato.
Quando la responsabilità ha funzione sanzionatrice e serve per indurre a tenere il comportamento
dovuto, si impone un concetto individualizzato di colpa (es. nel diritto penale, non avrebbe senso
colpire chi non avrebbe potuto fare più o meglio).
Nell’ambito della responsabilità contrattuale invece, questa ha la funzione di redistribuire rischi e
danni in base a varie considerazioni di opportunità e economia, fra le quali l’esigenza di consentire
a ciascun contraente di fare affidamento su uno sforzo non inferiore per intensità e per qualità ad un
modello considerato tipico per il contratto in questione.
Si aggiunge il principio della concorrenza, che penalizza ed elimina l’inefficienza. Ne segue la
necessità di operare con metro oggettivo. In applicazione di questo criterio, il debitore meno dotato
subisce i danni derivanti dalla propria incapacità.
La responsabilità contrattuale è intesa come sanzione contro il debitore inadempiente, e come
garanzia per il creditore. Talvolta essa svolge esclusivamente quest’ultima funzione.
Il concetto di colpa, inteso oggettivamente, è il metro dello sforzo debitorio che si vuole garantire al
creditore. Nella maggior parte dei casi il criterio oggettivo e soggettivo portano al medesimo
risultato.
Ciò che si pretende, o che si vuole garantire, varia secondo la natura della prestazione e del rapporto
contrattuale. Poiché la diligenza richiede l’applicazione di mezzi adeguati allo scopo, è chiaro che il
contenuto della diligenza varia in dipendenza di questo. Anche la fonte dell’obbligo inadempiuto
può determinare l’applicazione di un diverso metro di giudizio: la responsabilità è valutata con
minore rigore quando l’obbligo è stato assunto a titolo gratuito. Quello della colpa è dunque un
criterio graduabile secondo la natura e il titolo della prestazione. Se la prestazione implica la
soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il professionista non risponde dei danni, se non
in caso di dolo o colpa grave. Il contenuto della diligenza dovuta va determinato secondo quello che
sarebbe il giudizio di persone oneste e coscienziose operanti nel campo al quale il rapporto
contrattuale si riferisce.
La responsabilità di inadempimento delle obbligazioni di dare cose determinate nel
genere

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Un’ipotesi importante di responsabilità oggettiva riguarda l’inadempimento dell’obbligo di fornire
una certa quantità di cose determinate soltanto nel genere.
Anche nel caso del danno derivante dal ritardo, il venditore è responsabile anche se non gli si possa
rimproverare alcuna negligenza.
Questo principio, accolto nella generalità degli ordinamenti giuridici stranieri, si giustifica
considerando che, fino al momento della consegna, il debitore ha tutta la libertà di predisporre
l’adempimento nel modo che gli sembra più opportuno: può anticipare o ritardare il termine, può
decidere a chi destinare la merce o depositarla in un magazzino piuttosto che in un altro.
Il creditore non ha alcun controllo o potere di interferenza su tali decisioni: fino al momento
dell’individuazione, la destinazione di certe cose generiche ad un creditore costituisce un fatto
interno alla sfera del debitore, e sempre modificabile a suo arbitrio. La totale libertà di
organizzazione e disposizione nel proprio interesse del debitore deve perciò corrispondere alla
sopportazione dei rischi correlativi.
Per lo stesso motivo il debitore non è liberato quando gli siano venuti a mancare i mezzi finanziari
necessari per procurarsi le cose oggetto della sua obbligazione (impotenza finanziaria). Si tratta di
una responsabilità del debitore fondata sul rischio, in correlazione con la sua piena libertà di
organizzazione finanziaria delle proprie attività.
Il debitore non risponde per i rischi che non siano correlativi alla sua libertà di organizzazione e di
disposizione, ma si manifestano in una sfera a lui del tutto estranea. Sarà dunque liberato
dall’impossibilità oggettiva di adempiere sia definitiva che temporanea, tale da determinare un
ritardo. Se l’intervento del divieto fosse stato prevedibile, e il debitore avesse potuto rifornirsi e
consegnare in tempo, allora l’inadempimento è imputabile a sua colpa.
Le stesse regole vengono applicate nelle ipotesi in cui le cose di genere non costituiscono l’oggetto
immediato dell’obbligazione, bensì il mezzo per eseguire un’obbligazione di fare.
Responsabilità per l’inadempimento di obbligazioni pecuniarie
Il debitore di una somma di danaro, che non paghi puntualmente, non può esonerarsi da
responsabilità adducendo la sopravvenuta mancanza di mezzi finanziari (impotenza finanziaria),
anche se incolpevole.
Il rischio delle conseguenze dannose delle crisi di liquidità è posto a carico del debitore in
correlazione con la sua piena libertà di organizzazione finanziaria delle proprie attività. Il principio
trova applicazione generale, anche fuori del campo delle obbligazioni pecuniarie: l’impossibilità
soggettiva derivante dalla mancanza dei mezzi finanziari necessari per predisporre l’adempimento
non esonera mai da responsabilità.
La responsabilità per il ritardo nel pagamento potrà invece essere scusa nelle ipotesi eccezionali in
cui il ritardo stesso sia dovuto a cause oggettive. Solo in caso di impossibilità oggettiva della
prestazione derivante da causa a lui non imputabile il debitore non è responsabile.
Responsabilità per custodia in alcune attività d’impresa
Il criterio di responsabilità è diverso in alcuni rapporti, dove la custodia è prestata da un’impresa per
un gran numero di clienti: si tratta della responsabilità del vettore terrestre per le cose trasportate,
dei magazzini ivi sono depositate, dell’albergatore per i beni dei clienti.
Qui la responsabilità è indipendente da colpa. Essa può venire esclusa dalla prova che la perdita o il
deterioramento è derivato dalla natura o dai difetti delle cose stesse o dalla prova del caso fortuito o
delle cause di forza maggiore (evento eccezionale ed estraneo al rischio tipico dell’impresa
esercitata dal debitore).

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La legge pone a carico del debitore il rischio di eventi che rientrino nella sua sfera di
organizzazione economica o che costituiscano manifestazione di un rischio tipico della sua attività.
Questo discorso vale anche per la responsabilità bancaria nel caso delle cassette di sicurezza.
Entro dei limiti, il vettore, l’albergatore, i magazzini, la banca, divengono assicuratori dei loro
clienti. Questa funzione giustifica che essa sia normalmente limitata entro una massimale.
È poco pratico assicurarsi contro il rischio della perdita o del furto degli oggetti personali che si
portano con sé in un viaggio. È molto più pratico che siano gli albergatori ad assicurarsi contro il
rischio del furto. Lo stesso vale per il deposito e per i trasporti.
La responsabilità per fatto degli ausiliari
Per adempiere l’obbligazione il debitore si vale spesso della collaborazione altrui. Il debitore,
comunque, è responsabile dell’operato dei suoi ausiliari (art. 1228 cod. civ.). Per lo più dei suoi
dipendenti o di lavoratori autonomi o terzi imprenditori.
Talvolta il fatto dannoso dell’ausiliario può essere imputato a colpa del debitore, se questi lo ha
scelto male, o gli ha impartito istruzioni errate.
Per lo più una colpa del debitore non è ravvisabile: perciò l’errore dell’ausiliario non significa
necessariamente che il debitore lo abbia scelto male, né è possibile nella moderna organizzazione
una sorveglianza capillare. In un’organizzazione economica fondata sulla divisione del lavoro, un
dovere di sorveglianza spesso non ha senso. Tuttavia il debitore è responsabile in ogni caso: non gli
è consentito di liberarsi provando di non essere personalmente in colpa, infatti la responsabilità non
è fondata su quest’ultima, ma sull’idea che il debitore deve garantire per l’operato dei suoi ausiliari.
L’esigenza di garanzia è rafforzata dalla considerazione che il creditore non ha azioni contro gli
ausiliari del suo debitore, perché questi non sono obbligati nei suoi confronti: la relatività dei diritti
di credito implica che il creditore possa pretendere l’adempimento o il risarcimento solo dal suo
debitore e non da altri.
Il creditore potrebbe agire contro l’ausiliario nei casi particolari in cui il fatto dannoso sia
configurabile anche come illecito extracontrattuale nei suoi confronti: anche in tal caso potrebbe
non ottenere il risarcimento a causa dell’insolvenza dell’ausiliario. Il creditore deve poter contare
sulla responsabilità del suo debitore.
Onere della prova
Il diritto del creditore al risarcimento del danno presuppone che:
• Abbia subito danno.
• Il danno sia dovuto ad inadempimento.
• L’inadempimento sia dovuto a una causa della quale il debitore debba rispondere.
Se si applicasse la regola generale, il creditore avrebbe l’obbligo di provare tutte queste circostanze,
dal momento che chi vuole fare valere in giudizio un diritto deve provare i fatti che ne costituiscono
il fondamento (art. 2697 cod. civ.).
Nel campo della responsabilità contrattuale questa regola subisce una deroga: al creditore è
sufficiente provare il danno causato dall’inadempimento, mentre spetta al debitore di provare che
l’inadempimento sia dovuto a una causa della quale egli non debba rispondere (art. 1218 cod. civ.).
Questa inversione dell’onere della prova si giustifica considerando che il creditore ha scarsa
possibilità di accertare le vicende che hanno condotto all’inadempimento, poiché queste si sono
verificate nella sfera di attività e di organizzazione del debitore.
Quando la prestazione è mancata del tutto, al creditore basterà provare il danno causato
dall’inadempimento o dal ritardo. Quando la prestazione sia eseguita, ma sia in questione la sua
qualità, nel caso di obbligazione di risultato spetterà al debitore provare che ciò non deriva da una

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causa a lui imputabile. Nel caso di obbligazione di mezzi è il creditore a dover provare la colpa del
debitore, in quanto essa costituisce il criterio per giudicare la qualità della prestazione, e dunque
l’esistenza dell’inadempimento.

La responsabilità d’impresa
È opportuno considerare come le regole della responsabilità operino quando la prestazione dovuta
sia una prestazione d’impresa.
In questo caso l’attività dovuta è eseguita dal debitore, che si avvale di rapporti con i fornitori e con
ausiliari di vario genere.
L’inadempimento può derivare da cause interne all’impresa del debitore (assenza dei dipendenti,
malfunzionamento delle macchine, ritardo dei fornitori…), che però possono o no dipendere
direttamente da questo.
La legge prevede però una disciplina rigorosa, stabilendo che sta al debitore provare che
l’inadempimento sia dovuto a cause a lui non imputabili. Nell’applicazione di questa disposizione la
giurisprudenza impone che sia considerato colpevole l’imprenditore anche nel caso in cui la causa
del danno al creditore rimanesse incerta (dunque va risarcito).
Questa regola determina lo spostamento sul debitore del rischio di tutte le disfunzioni anonime o di
origine dubbia, che costituiscono un fenomeno di dimensioni rilevanti.
Il concetto stesso di colpa, nel caso delle imprese, è inteso dalla giurisprudenza con rigore, di
conseguenza ogni disfunzione dell’impresa, che sia oggettivamente evitabile con misure tecniche ed
organizzative, viene considerata colpevole e fonte di responsabilità.
Il concetto di colpa assume un significato diverso: l’esistenza di misure che evitino il danno, non
comporta necessariamente che vi sia colpa, poiché potrebbero essere troppo costose o macchinose.
La colpa si dovrebbe ravvisare solo quando non siano state adottate misure che apparissero
necessarie da prima in base ad un criterio di ragionevole prudenza, misura dello sforzo debitorio. Se
si afferma la responsabilità anche al di là di queste ipotesi, si afferma la responsabilità oggettiva.
L’impedimento può derivare anche da mancanze di ausiliari esterni, da ritardi, errori o altri
inadempimenti dei fornitori. In tutti questi casi l’imprenditore è colpevole. La responsabilità è
esclusa solo quando l’inadempimento sia dovuto a cause estranee alla sfera di controllo e di
pianificazione dell’imprenditore.
Da questo principio rigoroso la giurisprudenza si discosta nelle ipotesi in cui l’inadempimento verso
il cliente sia dovuto a sciopero dei dipendenti dell’impresa. Qui la responsabilità è negata sia in caso
di sciopero generale di carattere politico, che di sciopero aziendale. Si ammette la responsabilità
solo qualora il datore abbia provocato lo sciopero con provvedimenti illegittimi o vessatori.
Funzione economica della responsabilità oggettiva in materia contrattuale
La responsabilità oggettiva si estende a tutte le ipotesi di inadempimento dovuto a disfunzioni o
insufficienze dell’imprenditore. Vi sono casi in cui si verifica inadempimento, nonostante siano stati
adottati tutti i mezzi possibili per impedirlo, qui non vi è colpa del debitore, ma viene ugualmente
investito da responsabilità.
L’estensione della responsabilità può essere prevista in funzione di incentivo all’adempimento,
dunque non deriverà da un riesame o da una valutazione giudiziaria della sua organizzazione
interna, il che implica maggiore semplicità, economicità e certezza di giudizio.
La regola attua una ripartizione di rischi, sia di danni di disfunzioni incolpevoli interne alla sfera del
debitore, che derivanti da cause non accertate o accertabili. Nel primo caso l’efficienza richiede che

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siano addossati a chi può meglio prevederli (il debitore); nonostante la misura del danno del
creditore sia meglio accertabile da questo, qui opera la regola che limita il risarcimento al danno
prevedibile.
La regola della responsabilità per colpa espone il creditore al rischio di un non corretto
accertamento di fatti che, essendo interni alla sfera del debitore, sfuggono al suo controllo. Questo
inconveniente è radicalmente escluso se il debitore risponde secondo il criterio della responsabilità
oggettiva.
Questa regola può essere espressa con la formula secondo la quale: il debitore è liberato solo
dall’impossibilità della prestazione, se questa è intesa come impossibilità oggettiva. Qui si
aggiungono aspetti speciali: solo la responsabilità oggettiva consente di trasferire sull’impresa il
peso dell’intero danno che ne è seguito, anche se non si sia verificato presso la controparte.
La mora del debitore, nozione
La mora del debitore è il ritardo della prestazione, del quale il debitore debba rispondere. Perché vi
sia mora, non sempre è sufficiente che il debitore abbia indugiato ad adempiere pur essendo il
debito già esigibile. Spesso la legge applica un criterio meno rigoroso. Un eventuale indugio del
debitore non lo espone a responsabilità fino a quando il creditore non lo costituisca in mora
richiedendogli l’adempimento per iscritto: fino a questo momento l’inazione del debitore è
giustificata dalla tolleranza del creditore, o dalla convinzione che per il creditore non sia ancora
giunto il momento più comodo per ricevere l’adempimento.
La costituzione in mora è atto formale: consiste in un’intimazione o richiesta fatta per iscritto (art.
1219 cod. civ.). Essa non è necessaria, e la mora si verifica automaticamente:
• Quando il debito deriva da fatto illecito extracontrattuale (non è presumibile la tolleranza del
danneggiato).
• Quando il debitore ha dichiarato per iscritto di non voler eseguire l’obbligazione.
• Quando è scaduto il termine, se la prestazione deve essere eseguita al domicilio del creditore,
come è normalmente il caso quando si tratta di obbligazioni pecuniarie.
La legge dispone che non è necessaria la messa in mora, nei rapporti commerciali, per il pagamento
del prezzo di merci e servizi, quando sia scaduto il termine convenuto o il termine stabilito dalla
legge (30/60 giorni).
Effetti
Il debitore è responsabile dei danni derivanti dal ritardo. Se l’obbligazione ha per oggetto una
somma di danaro, dal giorno della mora sono dovuti in ogni caso gli interessi moratori, salvo il
risarcimento del maggior danno (art. 1224 cod. civ.).
Fino all’inizio della mora, se la prestazione diventa impossibile per una causa non imputabile al
debitore, l’obbligazione si estingue. Se sopravviene durante la mora, il debitore resta sempre
responsabile del mancato adempimento (art. 1221 cod. civ.). La mora del debitore sposta su
quest’ultimo il rischio dell’impossibilità della prestazione sopravvenuta per causa incolpevole. La
legge presume che, se il debitore avesse adempiuto tempestivamente, il creditore non avrebbe
subito la perdita. Il debitore può liberarsi da questa responsabilità, se prova che l’oggetto della
prestazione sarebbe ugualmente perito presso il creditore (art. 1221 cod. civ.).
Cooperazione del creditore e mora del creditore
L’attuazione del rapporto obbligatorio richiede spesso anche la cooperazione del creditore
(l’adempimento delle obbligazioni di dare non è possibile se il creditore non si presta a ricevere, ma
anche l’adempimento di fare la richiede).

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È prestata dal creditore nel proprio interesse. Può accadere però che egli rifiuti di ricevere la
prestazione, perché la ritiene inesatta, o perché desidera pretestuosamente di fare apparire
inadempiente il debitore al fine di ottenere la risoluzione del contratto. Può anche accadere che
rifiuti di cooperare poiché gli risulterebbe troppo gravoso. La mancata cooperazione può essere
dovuta anche a negligenza, cattivo funzionamento della sua organizzazione o al caso fortuito o a
forza maggiore.
Il rifiuto di ricevere la prestazione può essere giustificato di fronte a un’offerta inesatta, parziale,
fatta anzitempo, se il termine è stabilito nell’interesse del creditore (art. 1197 cod. civ.). Fuori di
questi casi la mancata cooperazione determina la mora del creditore.
Le conseguenze giuridiche della mancata cooperazione del creditore:
Essendo la cooperazione realizzata nell’interesse del creditore non è fonte di obblighi per questo.
Nel caso di mancata cooperazione non lede nessun diritto altrui, può solo recare danno a sé stesso.
Eccezionalmente la cooperazione costituisce obbligo nei confronti del debitore: accade quando il
debitore non ha solo interesse ad ottenere l’eventuale corrispettivo, ma ha anche un interesse diretto
riconosciuto ad eseguire la prestazione dovuta o a vederne realizzato il risultato. Spesso questo
interesse non ha tutela giuridica. La mancata cooperazione può essere contraria al principio di
esecuzione del contratto secondo buona fede ed essere causa di danno al debitore. Operano in suo
favore disposizioni specifiche in tema di mora del creditore e le regole generali sui rimedi
contrattuali. Quando l’adempimento è impedito o ritardato per la mancata cooperazione del
creditore, il debitore non risponde dei danni. Egli resta però obbligato ad eseguire la prestazione,
finché questa rimane possibile (per le obbligazioni di dare la legge dispone che il debitore possa
liberarsi con procedure di deposito o sequestro della cosa venduta, che assicurino il soddisfacimento
del creditore non appena questi decida di riceverla). Nel caso di mora del creditore l’esecuzione
della prestazione può diventare più gravosa. Se l’adempimento va rinviato, ciò implica maggiori
spese e altri danni, tutti a carico del creditore in mora (art. 1207 cod. civ. ).
Questa disposizione non è sufficiente per alleggerire il debitore: è necessario addossare al creditore
i rischi che altrimenti graverebbero sul debitore. Sono rischi connessi con l’impossibilità della
prestazione sopravvenuta per causa non imputabile al debitore. In questa ipotesi il debitore è
liberato, ma nei contratti a prestazioni corrispettive, egli perde il diritto alla controprestazione. Non
sarebbe giusto che il ritardo della cooperazione determinasse una prolungata esposizione del
debitore a questo rischio: se l’impossibilità della prestazione, non causata dal debitore sorge durante
la mora del creditore, questi resta obbligato a pagare il corrispettivo. Le stesse considerazioni
valgono anche per il rischio di perimento fortuito delle cose fungibili destinate all’adempimento.
Se la cosa, dopo che il debitore l’ha messa a disposizione del creditore, che l’ha rifiutata senza
motivo legittimo, perisce, il debitore è liberato, conservando il diritto ad ottenere l’eventuale
controprestazione.
La cooperazione mancata per cause non imputabili al creditore
Salvo che il rifiuto della cooperazione sia giustificato di fronte ad un’offerta inesatta, o parziale, o
fatta anzitempo, il creditore risarcirà sempre i danni causati dal ritardo della cooperazione.
Quando il difetto di cooperazione è volontario questi subisce le conseguenze del proprio
comportamento. Il principio si giustifica nelle ipotesi in cui il difetto di cooperazione sia dovuto a
circostanze non imputabili al creditore (né al debitore).
Quando l’attuazione del rapporto è impedita da eventi non imputabili alle parti, e occorre stabilire
quale debba subire le conseguenze, è opportuno distinguere gli eventi che ostacolino l’attività del
debitore o quella del creditore. In quest’ultimo caso gli ostacoli sono a carico del creditore, che

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dovrebbe cooperare alla realizzazione della prestazione nel suo interesse e dunque si assume il
rischio di eventi tali da impedirgli di agire.
Questo è coerente in base al principio secondo il quale chi persegue un interesse proprio resta
esposto al rischio di non poter attuare il risultato per eventi casuali.
Lasciando a carico del creditore il compimento di alcuni atti per l’attuazione del rapporto
obbligatorio, che vadano al di là del ricevimento della cosa, viene limitata l’attività dovuta dal
debitore. Di conseguenza la responsabilità e i rischi a cui è esposto subiscono una limitazione.
L’offerta
Perché la mancata cooperazione produca effetti, il debitore si deve offrire di eseguire la prestazione
in modo tale che la mancata attuazione del rapporto obbligatorio dipenda esclusivamente dal
creditore. Ciò presuppone che il debitore sia in grado di compiere quanto è da lui dovuto. Solo in tal
caso l’offerta è effettiva poiché il creditore si astiene dal fare uso di un bene economico che il
debitore pone a sua disposizione. In tal caso si giustificano le conseguenze a carico del creditore. Se
il debitore offre la prestazione e il creditore senza motivo legittimo non la riceve, o non presta
cooperazione, il debitore non potrà essere considerato inadempiente: non risponderà dei danni, né
sarà responsabile nel caso che sopravvenga l’impossibilità della prestazione. Sarà preclusa la
risoluzione del contratto per inadempimento. L’offerta non deve avere forme particolari, ma essere
seria e il debitore dev’essere pronto e in grado di adempiere. Quanto agli effetti della mora del
creditore, l’offerta non formale non è sufficiente a determinarli. Dovrà essere fatta nella forma
solenne prevista dalla legge, per mezzo di un pubblico ufficiale autorizzato (artt. 1208, 1209, 1216,
1217). È necessario per rendere certa la data dell’offerta, dalla quale decorrono gli effetti della mora
del creditore. Qualora un debito avesse ad oggetto denaro, titoli di credito o cose mobili, l’offerta
dev’essere reale: le cose devono essere esibite al domicilio del creditore. Negli altri casi questa può
consistere di un’intimazione.
La legge ammette anche la possibilità di un’offerta secondo gli usi (artt. 1214, 1217). In questo caso
gli effetti della mora si verificano solo dal giorno in cui la cosa venga depositata con le forme
previste dalla legge, ivi compresa la redazione di un verbale di deposito da parte di un pubblico
ufficiale (artt. 1214, 1212).
Il legislatore ha richiesto o l’atto solenne dell’offerta o l’atto solenne del deposito, se l’offerta non
fosse stata solenne.
Nel caso di obbligazioni di fare il deposito non è possibile: gli effetti della mora del creditore
risalgono al momento dell’offerta, anche se questa è stata fatta semplicemente nella forma d’uso.
Le disposizioni riguardo all’offerta solenne si applicano ai casi in cui la prestazione può essere
eseguita anche dopo l’offerta. Talvolta il debito si estingue subito dopo l’offerta e il debitore non è
tenuto ad eseguirla oltre. Oppure quando è individuata dal tempo in cui va eseguita. In queste
ipotesi il debito non perdura oltre l’offerta, dunque non si pongono i problemi della mora del
creditore. Il debitore è libero, non risponde di danni e conserva il diritto alla controprestazione.
Il deposito e la liberazione del debitore
La mora del creditore non determina la liberazione del debitore.
Per le obbligazioni di dare il debitore può liberarsi depositando le cose mobili, o sottoponendo a
sequestro le cose immobili, che resteranno a disposizione del creditore non appena questi vorrà
riceverle (artt. 1210, 1216). Le spese del deposito e del sequestro saranno a carico del creditore.
Per le obbligazioni di fare non vi è una procedura che consenta al debitore di liberarsi. Il debitore
resta obbligato, pur perdurando la mora del creditore, finché il debito non si estingua per
prescrizione o impossibilità.

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CAPITOLO XXXII: MANCATA ESECUZIONE DEL CONTRATTO E ALTERAZIONI DELL’EQUILIBRIO
CONTRATTUALE
Considerazioni introduttive: impostazione del problema
Le previsioni e i programmi dei contraenti possono venire turbati da fatti nuovi, che possono
toccare l’economia del contratto. Nei contratti a prestazioni corrispettive ciascuna parte si propone
di ricevere la prestazione che le è dovuta. Vi sono cause che possono impedire l’esatta esecuzione o
il ricevimento della prestazione. Ciascuna parte fa conto su un rapporto di valore tra prestazione
dovuta e che le spetta e inoltre si propone di utilizzare la prestazione per realizzare un programma
ulteriore, che può essere ostacolato o reso impossibile da determinate circostanze, senza però
impedire l’esecuzione delle prestazioni contrattuali.
Consideriamo l’ipotesi che una delle prestazioni corrispettive non venga eseguita: se ciò è dovuto a
una causa della quale il debitore debba rispondere, l’altra parte potrà scegliere se chiedere
l’adempimento (se ancora possibile) o la risoluzione del contratto (avrà comunque diritto al
risarcimento del danno). Se la mancata esecuzione della prestazione è dovuta a cause indipendenti
dal debitore, questi non è tenuto a risarcire il danno, e resta obbligato ad eseguire la prestazione solo
se essa resta possibile. Se la prestazione è diventata impossibile è liberato.
Si pone un problema ulteriore: stabilire se il contraente liberato abbia ancora diritto al corrispettivo
o meno: la controprestazione gli è dovuta se l’impossibilità sia imputabile all’altra parte.
Se l’impossibilità non è imputabile a nessuno negare il diritto alla controprestazione significherebbe
ripartire le conseguenze dannose date dall’impossibilità: il debitore perde il corrispettivo, mentre il
creditore perde il profitto che si riprometteva di conseguire con il contratto. Se si ammette che il
debitore liberato conservi il diritto al corrispettivo, ogni danno viene con ciò addossato al creditore.
Al fine di questa ripartizione il diritto distingue l’impossibilità che operi nella sfera di colpa del
debitore o del creditore: nel primo caso il debitore perde il diritto al corrispettivo, subendo parte del
danno, nel secondo caso il corrispettivo resta dovuto dall’altro contraente, che sopporta il danno per
intero.
Vi è poi l’ipotesi di danni economici sopravvenuti, ed indipendenti dalle parti, che alterino il
rapporto di valore tra le prestazioni corrispettive. In questo caso se le prestazioni sono già state
eseguite, il rapporto tra le parti è esaurito e dunque non vi sono conseguenze. Lo stesso vale nel
caso che sia stata eseguita anche solo una delle prestazioni corrispettive. Se il rapporto si altera in
misura straordinaria quando nessuna delle prestazioni è stata eseguita, la legge concede un rimedio
alla parte gravata dall’eccessiva onerosità sopravvenuta, ma solo nelle ipotesi eccezionali in cui
questa sia dovuta a fatti straordinari e imprevedibili. La parte gravata potrà chiedere la risoluzione
del contratto.
In queste ipotesi i fatti sopravvenuti turbano la causa del contratto a prestazioni corrispettive: lo
scambio manca materialmente, quando una delle prestazioni non viene eseguita, mentre è turbato
economicamente, quando intervenga una notevole modificazione del rapporto di valore tra le
prestazioni corrispettive.
Il discorso è diverso nelle ipotesi in cui eventi sopravvenuti impediscano di realizzare il programma
ulteriore prefissato da ciascuna parte, ad insaputa dell’altra (motivi, non cause). I motivi possono
essere inseriti tra gli elementi del contratto ma, in caso contrario, questi sono irrilevanti.
Vi sono però ipotesi eccezionali in cui, mancando la formulazione espressa, il motivo sia comunque
elemento essenziale e giustificatore del contratto. Questo avviene qualora questo sia stato posto a
fondamento del contratto. In questo caso il motivo si inserisce nella struttura contrattuale: si parla di
presupposizione.

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Risoluzione del contratto per inadempimento
Azione di risoluzione e azione per adempimento:
La risoluzione del contratto, in generale, avviene per anomalie del funzionamento del sinallagma, e
dunque per cause che si verificano dopo la conclusione. Precisamente il contratto si può risolvere
per:
• Inadempimento
• Impossibilità sopravvenuta
• Eccessiva onerosità sopravvenuta
Quando una parte manca alle sue obbligazioni, l’altra può agire in giudizio per ottenere
l’adempimento oltre al risarcimento del danno, oppure può trovare preferibile sbarazzarsi del
contratto, determinandone la risoluzione.
Risolto il contratto, viene meno la causa giustificatrice delle prestazioni contrattuali. Esse non sono
più dovute, quelle già eseguite vanno restituite. Inoltre la parte inadempiente è tenuta al
risarcimento del danno. Sia che il contratto sia tenuto fermo, che venga risolto, il risarcimento del
danno viene valutato con riferimento dell’interesse positivo (vantaggio patrimoniale che sarebbe
derivato dall’esecuzione del contratto).
L’ammontare del risarcimento sarà diverso che si accompagni alla risoluzione (→comprende
vantaggio patrimoniale che sarebbe derivato dall’esecuzione del contratto) o al mantenimento del
contratto (→il contraente insoddisfatto resta obbligato ad eseguire la propria prestazione e, se l’ha
già eseguita, non ha diritto alla restituzione). Se invece tenendo fermo il contratto il contraente
ottiene l’adempimento, il vantaggio patrimoniale sarà pari solo alla differenza tra situazione
patrimoniale che sarebbe derivata e quella derivante da esecuzione tardiva, che viene effettivamente
ottenuta. La risoluzione può essere domandata anche dopo che sia passata in giudicato la sentenza
che condanna il debitore ad eseguire il contratto ma, domandata la risoluzione, il creditore non può
più pretendere l’adempimento. Scegliendo la risoluzione ha dichiarato di non essere più interessato
al contratto.
Importanza dell’inadempimento, clausola risolutiva espressa:
Non ogni inadempimento giustifica la risoluzione del contratto. In caso di piccola inesattezza della
prestazione, o di un ritardo lieve, o dell’inadempimento di una prestazione accessoria di scarsa
importanza, la risoluzione è esclusa (art. 1455 cod. civ.). Il creditore potrà agire solo per ottenere la
condanna del debitore a completare l’adempimento e a risarcire il danno. Il giudice dispone di un
certo potere di valutazione per quanto riguarda l’importanza dell’inadempimento. Se le parti
vogliono limitarne l’ambito possono inserire nel contratto una clausola risolutiva espressa.
Questa dispone la risoluzione del contratto nel caso che una determinata obbligazione non venga
adempiuta affatto, o non venga eseguita rispettando le modalità stabilite. La clausola sottrae al
giudice il potere di negare la risoluzione ove non li ritenga sufficientemente grave.
Può accadere che il creditore preferisca tener fermo il contratto: la legge gli offre questa possibilità,
stabilendo che la risoluzione si verifica solo se, in seguito all’inadempimento, egli dichiara all’altra
parte che intende valersi della clausola risolutiva (art. 1456 cod. civ.).
Questa si deve riferire ad obbligazioni e modalità di adempimento determinate, alle quali le parti
attribuiscono carattere essenziale. La giurisprudenza nega efficacia alle clausole che prevedono la
risoluzione per qualsiasi adempimento. Nonostante ciò le parti sono libere di dare essenzialità a
qualsiasi modalità di adempimento, escludendo la valutazione giudiziale.

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Termine essenziale
Il termine per l’adempimento si dice essenziale quando la prestazione sarebbe inutile se eseguita
dopo la scadenza. La volontà contrattuale delle parti può attribuire carattere di essenzialità al
termine. Il mancato adempimento entro il termine essenziale determina automaticamente la
risoluzione del contratto. Anche qui la legge tiene conto della possibilità che il creditore finisca per
preferire di esigere ugualmente la prestazione, anche se ormai tardiva. Ciò gli è consentito, alla
condizione che ne dia notizia all’altra parte entro tre giorni (art. 1457 cod. civ.).
Diffida ad adempiere
Se il termine non è essenziale, il ritardo può dar luogo alla risoluzione giudiziale, solo se è
sufficientemente grave. La risoluzione non si può pronunciare se il debitore adempie prima che
venga chiesta in giudizio.
Per precludere al debitore l’adempimento tardivo, il creditore può intimare al debitore per iscritto di
adempiere in congruo termine, avvertendolo che, in mancanza, il contratto si intenderà risolto.
Decorso inutilmente questo termine, il contratto si risolve di diritto. Il termine non può essere
inferiore a 15 giorni. Resta però fermo il principio espresso nell’art. 1455: la risoluzione non si
verifica se la prestazione inadempiuta è di scarso interesse.
Effetti della risoluzione
Conseguenze tra le parti
La risoluzione elimina la causa giustificativa delle prestazioni contrattuali e perciò obbliga a
restituire ciò che si sia ricevuto in esecuzione del contratto. La risoluzione per inadempimento ha
effetto retroattivo tra le parti: questo non significa che il contratto va considerato come mai
concluso. La responsabilità del debitore inadempiente è fondata sul contratto risolto, e il
risarcimento comprende l’equivalente del profitto che il creditore avrebbe conseguito. Nei contratti
ad esecuzione continuata o periodica la risoluzione non retroagisce al momento della stipulazione
del contratto, ma solo al momento in cui il contratto ha cessato di avere regolare esecuzione (art.
1458 cod.civ.).
La risoluzione giudiziale e i diritti dei terzi
La risoluzione non è opponibile ai terzi che abbiano acquistato prima che sia verificata la
risoluzione di diritto, o che sia stata proposta la domanda giudiziale di risoluzione.
I terzi acquirenti sono tutelati in ogni caso, senza indagare se sapessero dell’inadempimento oppure
no: l’inadempimento e la risoluzione non li riguardano. Dunque la risoluzione ha efficacia
obbligatoria e non reale.
Risoluzione giudiziale e di diritto:
Il contratto può risolversi per effetto della sentenza del giudice, e in tal caso si parla di risoluzione
giudiziale.
La legge ammette che l’inadempimento possa determinare una risoluzione di diritto (cioè senza
intervento del giudice) nelle seguenti ipotesi:
- Clausola risolutiva espressa: la risoluzione avviene quando il creditore dichiara di valersi della
clausola.
- Termine essenziale: il contratto si risolve se, alla scadenza del termine, la prestazione non sia
ancora stata eseguita.
- Diffida ad adempiere: il contratto si risolve se l’inadempimento persiste alla scadenza del
congruo termine fissato dal creditore.

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Anche nelle ipotesi di risoluzione di diritto può rendersi necessaria la pronuncia del giudice, qualora
venisse contestata l’esistenza o l’efficacia di uno dei fattori sopra elencati. In questi casi la lite verra
risolta con una sentenza dichiarativa, che constata se la risoluzione si è già verificata (≠sentenza
costitutiva della risoluzione giudiziale).
L’azione per la risoluzione giudiziale deve essere esercitata entro un termine di prescrizione. Invece
con la risoluzione di diritto si termina automaticamente una situazione nuova, che potrà poi venire
giudizialmente accertata in qualsiasi momento.
Risoluzione del contratto per impossibilità sopravvenuta:
Le conseguenze giuridiche dell’impossibilità liberatoria, il rischio della
controprestazione
Se la prestazione diventa impossibile per una causa non imputabile al debitore, l’obbligazione si
estingue (art. 1256 cod.civ.) e il debitore va esente da ogni responsabilità per i danni.
Nel caso del contratto unilaterale, la liberazione del debitore svuota il contratto stesso di ogni
contenuto, e non vi sono problemi ulteriori.
Se si tratta di un contratto a prestazioni corrispettive, resta da stabilire se il contraente liberato
conservi il diritto alla controprestazione, oppure no. Nel primo caso il valore della prestazione
diventata impossibile è perduto per la parte che resta costretta a pagarne il corrispettivo (rischio a
carico del creditore), nel secondo il rischio è a carico del debitore, poiché perde il diritto al
corrispettivo.
Parliamo del rischio della controprestazione: questo si pone sia in caso di impossibilità totale, che in
caso di impossibilità parziale, dove non si tratterà di escludere del tutto il corrispettivo, ma di
adeguarlo al mutamento della prestazione.
La risoluzione per impossibilità sopravvenuta
Nei contratti a prestazioni corrispettive la parte liberata per la sopravvenuta impossibilità della
prestazione dovuta perde il diritto alla controprestazione (art. 1463 cod.civ.). Ciò dipende dal
rapporto sinallagmatico tra le prestazioni. L’una trova corrispettivo nell’altra: se l’una si estingue
per impossibilità, correlativamente si estingue anche l’altra, essendone venuta meno la
giustificazione. Di conseguenza la prestazione rimasta possibile non dovrà venire eseguita o, se già
eseguita, dovrà essere restituita. Il contratto resta svuotato di effetti: esso è risolto per impossibilità
sopravvenuta.
Contratti con effetti traslativi o costitutivi
Il principio che pone a carico del debitore il rischio della controprestazione, incontra un’importante
eccezione nel campo dei contratti con effetti reali. L’effetto reale si verifica al momento del
consenso o dell’individuazione della cosa (caso di identificazione solo per genere). Può accadere
che la cosa perisca dopo questo momento o prima di essere consegnata, rendendo impossibile
eseguire l’obbligo di consegna, che però grava sull’alienante. L’alienante conserva il diritto al
corrispettivo se il perimento non gli è imputabile (art. 1456 cod.civ.): il rischio è a carico
dell’acquirente.
Questo perché il rinvio agisce nell’interesse dell’acquirente, qualora non disponga subito dei mezzi
o dello spazio per ricevere la cosa acquistata. Dal momento in cui acquista il diritto, l’acquirente si
avvantaggia del suo eventuale aumento di valore, dunque è giusto che subisca il rischio del
perimento. Questo non vale nel caso in cui la spedizione dei beni spetti al venditore: in questo caso
il perimento dipende dalla spedizione, organizzata dal venditore, dunque il rischio di perdita o
danneggiamento si trasferisce al consumatore solo quando questi riceva la consegna.

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Impossibilità di prestare e di ricevere
La risoluzione del contratto è esclusa anche quando l’impossibilità della prestazione sopravviene
durante la mora del creditore, o dipende dall’impossibilità, per il creditore, di dare la cooperazione
che è a suo carico. La mora del creditore non estingue il debito, ma gli aggravi derivanti dalla
prolungata soggezione del debitore al vincolo sono a carico del creditore. Il creditore in mora non
potrà dunque valersi della risoluzione del contratto e resterà obbligato a pagare il corrispettivo,
anche se incolpevole. Ugualmente il creditore resta obbligato a pagare il corrispettivo se
l’impossibilità colpisce la cooperazione che è a suo carico o quando l’impossibilità della
prestazione sia dovuta a una causa che gli sia imputabile. Il rischio degli eventi non imputabili è
ripartito tra debitore e creditore seconda che si tratti di eventi che influiscano sulla prestazione del
debitore o sulla cooperazione del creditore. Se la prestazione non è stata eseguita per causa del
creditore o sia divenuta impossibile durante la mora di questo, il creditore è tenuto a pagare il
corrispettivo, ma può detrarne quanto il debitore abbia risparmiato o guadagnato per non aver
dovuto eseguire la prestazione.
Risoluzione per impossibilità sopravvenuta e per inadempimento
Quando la mancata esecuzione sia causata da causa imputabile dal debitore, l’altra parte può volere
la risoluzione del contratto, ma può anche, se lo preferisce, mantenere il contratto e agire per
ottenere l’adempimento. Per consentire al creditore questa scelta la legge esclude che la risoluzione
per inadempimento sia necessaria e automatica: il creditore dovrà chiederla in giudizio (art. 145
cod.civ.), o dichiarare che intende valersi della clausola risolutiva espressa, o provvedere alla diffida
ad adempiere. Anche nel caso di termine essenziale il creditore può dichiarare di preferire il
mantenimento del contratto nonostante la scadenza del termine. Quando sopravvenga
un’impossibilità totale e liberatoria per il debitore, il mantenimento del contratto non ha senso. Il
creditore non può pretendere la specifica prestazione che gli era dovuta, poiché questa è divenuta
totalmente impossibile, né può pretendere l’equivalente in danaro, perché si tratta di impossibilità
liberatoria. Il contratto è risolto di diritto. Ulteriore differenza tra risoluzione per inadempimento e
risoluzione per impossibilità sopravvenuta è che alla prima si accompagna l’obbligo del
risarcimento del danno.
Impossibilità parziale o temporanea, inesattezza dell’adempimento per cause delle
quali il debitore debba rispondere
Quando la prestazione sia solo parzialmente impossibile, l’altra parte ha diritto a riduzione della
controprestazione e può recedere dal contratto. Analoga possibilità di scelta è data nelle ipotesi in
cui la prestazione di una parte manchi della qualità richiesta o sia inesatta, per cause delle quali il
debitore non debba rispondere. L’impossibilità temporanea determina la risoluzione del contratto
solo se perdura fino a quando il debitore non può più essere ritenuto obbligato a eseguire la
prestazione ovvero il creditore non ha più interesse a conseguirla (art. 1256 cod.civ.).
Eccessiva onerosità sopravvenuta
Uno squilibrio di valore tra prestazione e controprestazione non costituisce in sé e per sé causa di
invalidità del contratto, né determina di regola, l’applicabilità di correttivi giuridici. Rientra nella
libertà delle parti determinare natura e entità delle prestazioni corrispettive. Nel caso dei rapporti
che si svolgono nel tempo può accadere che avvenimenti straordinari, successivi alla stipulazione
del contratto e anteriori alla sua esecuzione, modifichino il rapporto di valore tra prestazione e
controprestazione, in misura abnorme, non prevedibile e non compresa nell’alea accettata dalle parti
(aumento dei costi, riduzione del valore di una delle prestazioni). Allo stesso modo, trattandosi di un
contratto con obbligazioni di una sola parte, questa può venirsi a trovare di fronte ad un onere
economico o ad una gravosità dell’esecuzione superiore a quella iniziale. In questi casi il diritto

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concede rimedi alla parte per cui l’esecuzione è divenuta eccessivamente onerosa. Non è concesso
alcun rimedio se l’eccessiva onerosità è sopravvenuta durante la mora del debitore: ogni aggravio
derivante dal ritardo deve pesare sul debitore che ne è responsabile.
Rimedi di legge
La alterazione del rapporto di valore tra le prestazioni corrispettive potrebbe essere corretta
imponendo ad una delle parti di pagare un conguaglio in danaro, o consentendo all’altra una
riduzione della sua prestazione, o modificando le modalità di esecuzione. In questo modo il
contratto verrebbe modificato e le nuove condizioni potrebbero non essere accettate dalla parte su
cui grava il supplemento o la prestazione ridotta. Occorrerà il consenso di questo contraente, perché
le condizioni contrattuali vengano modificate. In mancanza il solo rimedio concesso è quello della
risoluzione del contratto. La parte danneggiata dall’eccessiva onerosità sopravvenuta può
domandare la risoluzione del contratto. La parte contro la quale è domandata la risoluzione può
evitarla offrendo di modificare equamente le condizioni del contratto (art. 1467 cod.civ.).
La risoluzione per eccessiva onerosità non opera di diritto, perché occorre lasciare aperta la
possibilità di evitare la risoluzione del contratto offrendo di modificarne equamente le condizioni.
Occorre inoltre che la valutazione del giudice per stabilire se l’onerosità sia eccessiva e se la
modificazione proposta sia sufficiente. Nei contratti unilaterali la soluzione di ricondurre il
contratto ad equità è sempre attuabile: ovviamente la riduzione dell’onerosità è sempre accettabile
per il debitore ed è, per il creditore, preferibile a una risoluzione del contratto, la quale gli farebbe
perdere il diritto di credito totalmente.
La legge stabilisce che il contratto con obbligazioni da una sola parte possa essere risolto per
eccessiva onerosità, ma ammette che l’obbligato possa chiedere una riduzione della sua prestazione.
Limiti di applicazione del rimedio, contratti ineseguiti
I rimedi contro l’eccessiva onerosità si applicano solo se questa è sopravvenuta prima che il
contratto abbia avuto esecuzione. Se il contratto è stato eseguito da entrambi, circostanze
sopravvenute possono influire sui piani economici ulteriori, ma non sull’esecuzione del contratto.
Ciascuna parte deve subire da sola il rischio del cattivo esito dei suoi programmi economici, ai quali
l’altra parte è estranea. I rimedi contro l’eccessiva onerosità sono preclusi quando sia stata eseguita
una sola delle prestazioni corrispettive (questo è evidente nelle ipotesi in cui sia mutato il valore
della prestazione già eseguita: se aumentato la parte non può pretendere un corrispettivo maggiore,
se diminuito la controparte non può richiedere una riduzione del corrispettivo dovuto all’altra).
Rapporti col principio nominalistico nelle obbligazioni pecuniarie
Il rapporto tra prestazione e controprestazione può essere turbato da una sopravvenuta
modificazione del potere d’acquisto della moneta. Anche in tal caso operano i rimedi di legge
contro l’eccessiva onerosità sopravvenuta. Ciò potrebbe apparire come in contrasto al principio per
cui nei debiti la somma dovuta resta la stessa anche se ne muta il potere d’acquisto (principio
nominalistico). Se la svalutazione interviene quando la proprietà non è ancora passata al
compratore, il venditore può sottrarsi ottenendo la risoluzione del contratto, qualora non gli venga
offerto un congruo aumento del prezzo. Se la cosa venduta è già entrata nel patrimonio del
compratore questo rimedio è precluso.
Cause di eccessiva onerosità sopravvenuta
L’eccessiva onerosità sopravvenuta deve essere dovuta ad avvenimenti straordinari e imprevedibili
(art. 1467 cod.civ.). Le evenienze prevedibili vengono normalmente considerate dalle parti stesse al
momento della conclusione dell’accordo: si ritiene che il contenuto del contratto sia stato adeguato
fin dall’inizio al rischio di tali sopravvenienze, così da non richiedere la successiva applicazione di
correttivi legali. La causa deve essere sottratta alla possibilità di controllo del debitore. Inoltre deve

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avere carattere di generalità: occorre una causa operante presso qualsiasi debitore in modo da
determinare una modificazione del valore di mercato della prestazione.
Alea normale nel contratto e nei contratti aleatori
Può darsi che avvenimenti sopravvenuti provochino una maggiore onerosità contenuta entro i limiti
delle normali oscillazioni di valore della prestazione dovuta. In tal caso la risoluzione e la
modificazione del contratto sono escluse: la sopravvenuta onerosità rientra nell’alea normale del
contratto (art. 1467 cod.civ.). Superato questo limite, il rimedio è concesso dalla legge sul
presupposto che, rinviando le prestazioni al futuro, le parti non intendessero speculare sulle
variazioni di valore che potessero intervenire nel frattempo. Talvolta lo scopo speculativo è presente
o connaturato al tipo di contratto: in tal caso la funzione speculativa si realizza tenendone fermo il
contenuto indipendentemente da ogni mutamento di mercato. Discorso analogo vale in tutte le
ipotesi in cui il dovere di prestazione di uno dei contraenti, oppure la misura o il valore di questa,
dipendono dal caso, così che l’assunzione del rischio caratterizzi la funzione stessa del contratto.
Per i contratti aleatori è esclusa l’applicabilità dei rimedi contro l’eccessiva onerosità sopravvenuta
(art. 1469 cod.civ.).

Sezione Nona: I singoli contratti

CAPITOLO XLII: LA VENDITA E GLI ALTRI CONTRATTI DI ALIENAZIONE A TITOLO ONEROSO

La vendita: definizione
La vendita è il contratto che ha per oggetto il trasferimento della proprietà di una cosa o il
trasferimento di un altro diritto verso il corrispettivo di un prezzo (art. 1470 cod.civ.). L’oggetto di
questa può essere qualsiasi bene o diritto trasferibile (da proprietà dei beni immobili, a diritti reali
minori…). La conclusione del contratto normalmente non richiede forme particolari. Occorre però
la forma scritta per la validità della vendita di beni immobili o diritti reali immobiliari (art. 1350
cod.civ.) e per la vendita di eredità (art. 1543 cod.civ.).
Vendita con effetti reali e obbligatoria
Il trasferimento dell’oggetto venduto si verifica alla conclusione del contratto, per effetto del
semplice consenso manifestato dalle parti: vendita con effetto reale immediato. A questo scopo
occorre che l’oggetto esista attualmente nel patrimonio del venditore e sia individuato. Occorre il
consenso delle parti sul trasferimento immediato. Altrimenti gli effetti reali immediati della vendita
sono solo obbligatori: il venditore è obbligato a procurare al compratore l’acquisto, che si
verificherà in un momento successivo. Ciò accade per:
- Vendita di cose determinate solo nel genere: la proprietà passa al momento dell’individuazione.
Si può trattare di un prodotto naturale determinato con riferimento a una classificazione
merceologica o di un prodotto di serie determinato solo con marca e tipo. Qualora il venditore
non ne disponesse, provvederà ad acquistarlo o a fabbricarlo.
- Vendita alternativa: il trasferimento si verificherà al momento della scelta.
- Vendita di cosa futura: occorre che la cosa venga ad esistenza perché sia trasferita. Se la cosa non
venisse ad esistenza il contratto si considera nullo. Può accadere che le parti vogliano concludere
un contratto aleatorio, dove il compratore paghi per una chance di acquisto: in tal caso il
contratto è valido e giustifica il pagamento del prezzo anche se la cosa non viene ad esistenza.
- Vendita di cosa altrui: occorre che la cosa venga procurata dal venditore. Può accadere che, al
momento della conclusione del contratto, il compratore ignori che la cosa vendutagli non

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appartiene al venditore. In tal caso può chiedere la risoluzione del contratto per l’acquisto. La
risoluzione è preclusa anche quando il compratore abbia acquistato la proprietà della cosa per
effetto delle regole sulla tutela dell’affidamento.
- Vendita sottoposta a termine o condizione.
Le obbligazioni di compratore e venditore:
Il compratore deve pagare il prezzo e, salvo patto contrario, le spese della vendita (artt. 1498, 1475).
Le prestazioni principali del venditore sono:
- Consegnare la cosa al compratore.
- Far acquistare al compratore la proprietà sulla cosa o il diritto.
Se il venditore non consegna la cosa, o consegna una cosa diversa da quella pattuita, il compratore
può a sua scelta domandare l’adempimento oppure la risoluzione del contratto secondo le regole
generali. Regole speciali valgono invece per l’ipotesi che il venditore consegni la cosa pattuita, ma
non facciano acquistare al compratore il diritto sulla cosa stessa. Operano qui la garanzia per
evizione e la garanzia per i vizi della cosa venduta.
Garanzia per evizione: è dovuta dal venditore sia nell’ipotesi che egli non abbia fatto acquistare al
compratore la proprietà della cosa, perché non gli apparteneva, o perché abbia trasferito una
proprietà gravata da vincoli o diritti altrui non previsti dal contratto. La stessa garanzia è dovuta
nella vendita di diritti diversi dalla proprietà: chi vende un credito deve garantirne l’esistenza e che
su questo non gravino eccezioni che possono annientarlo, diminuirlo o paralizzarlo. La tutela del
compratore cambia a seconda che fosse a conoscenza o meno del difetto del diritto in capo al
venditore. Se lo ignorava può chiedere la risoluzione del contratto. Se la cosa è parzialmente altrui,
o se è gravata da diritti di godimento di terzi, il compratore può pretendere una riduzione del
prezzo, qualora si ossa ritenere che egli avrebbe acquistato ugualmente. Avrà comunque diritto al
risarcimento del danno.
Se il compratore conosceva il difetto del diritto in capo al venditore:
- Nel caso di oneri o diritti di terzi che limitino il godimento della cosa, il compratore che li
conosceva non ha alcuna azione.
- Se l’acquisto del diritto è mancato totalmente, o se la cosa è gravata da grazie reali o da
pignoramento o sequestro, il compratore che conosceva la situazione potrà chiedere la
risoluzione del contratto o la riduzione del prezzo, oltre al risarcimento del danno, ma solo se
subisce l’evizione (solo se il terzo gli sottrae la cosa, facendo valere il proprio diritto). Questa
possibilità è preclusa nel caso di contratto aleatorio.
La garanzia per vizi o per mancanza di qualità deve tutelare il compratore nell’ipotesi che la cosa
abbia difetti che la rendano inidonea all’uso cui è destinata o ne diminuiscano il valore (art. 1490
cod.civ.), e nell’ipotesi che la cosa venduta non abbia le qualità promesse, ovvero quelle essenziali
per l’uso cui è destinata (art. 1497 cod.civ.). Il compratore non può invocare tale garanzia quando
abbia accettato i difetti o il basso livello qualitativo. Per legge la garanzia non è dovuta se, al
momento del contratto, il compratore conosceva i vizi della cosa, o se i vizi erano facilmente
riconoscibili, salvo che il venditore abbia dichiarato che la cosa era esente da vizi (art. 1491
cod.civ..). La garanzia è dovuta solo per le qualità promesse o essenziali all’uso cui è destinata,
purché ecceda i limiti di tolleranza stabiliti dagli usi. Occorre evitare che vengano posti a carico del
venditore difetti sopravvenuti con l’uso dei quali non si possa più accertare la causa. Occorre che,
dopo un tempo ragionevole, il rapporto si esaurisca: la legge dispone che il compratore decade dalla
garanzia se non denuncia i vizi entro otto giorni dalla scoperta. L’azione si prescrive in un anno
dalla consegna (artt. 1494, 1497 cod.civ.).

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Quando il compratore ha diritto alla garanzia, egli può scegliere o la risoluzione del contratto con le
conseguenti restituzioni (azione redibitoria), oppure la riduzione del prezzo (azione estimatoria).
Tanto nella garanzia per evizione, quanto nella garanzia per vizi, i rimedi che tendono ad eliminare
lo squilibrio tra le prestazioni sono concessi anche se non vi sia colpa del venditore. La colpa è
presupposto della responsabilità del venditore per i danni ulteriori. In alcuni casi l’azione di
garanzia per i vizi o per difetto di qualità della cosa venduta può concorrere con l’azione di
annullamento per errore. Quest’ultima azione non è assoggettata al termine di decadenza e alla
prescrizione breve dell’art. 1495, ma richiede che l’errore fosse riconoscibile dal venditore al
momento della conclusione del contratto, anche il risultato è diverso: in seguito all’annullamento il
danno risarcibile va valutato in base all’interesse negativo.
Vendita di beni di consumo: in questo caso valgono regole particolari:
La conformità del bene al contratto deve essere valutata tenendo conto di qualità, prestazioni
abituali dei beni, descrizione fattane, idoneità all’uso, dichiarazioni pubbliche fatte in proposito dal
produttore (pubblicità). Qui si prevede che il consumatore possa chiedere la riparazione o
sostituzione del bene, salvo che uno di questi sia impossibile o eccessivamente oneroso. In questo
caso il consumatore può chiedere la riduzione del prezzo o la risoluzione del contratto. A tutela del
consumatore sono ampliati, rispetto alla disciplina generale, il termine per la denuncia del difetto
(due mesi) e quello di prescrizione per difetti non dolosamente occultati (26 mesi), richiedendosi
che il difetto si sia manifestato entro il termine di due anni. Per sollevare il compratore dall’onere di
una prova che può risultare difficile, è stabilito che, se il difetto di conformità si manifesta entro 6
mesi, si presume che esistesse già a tale data. È nullo ogni patto rivolto ad escludere o limitare
preventivamente la garanzia. La nullità può essere fatta valere solo dal consumatore e d’ufficio del
giudice.
Vendita immobiliare:
Si parta di vendita a misura se il prezzo dell’immobile è determinato in ragione di un tanto per unità
di misura, mentre l’art. 1538 parla di vendita a corpo se il prezzo è determinato in relazione al corpo
dell’immobile e non alla sua misura (globalità dell’immobile).
Vendita di cose mobili:
In mancanza di patto o di uso contrario, la consegna della cosa deve avvenire nel luogo dove questa
si trovava al tempo della vendita, se le parti ne erano a conoscenza, ovvero nel luogo dove il
venditore aveva il suo domicilio o la sede dell’impresa. Se la cosa deve essere trasportata il
venditore si libera dell’obbligo della consegna rimettendolo al vettore (vendita con spedizione, art
1510). In questo caso il venditore non risponde per perdita, danno o ritardo. Le parti possono
accordarsi perché la consegna avvenga all’arrivo (vendita con consegna all’arrivo). In questi casi il
venditore risponde dei danni dovuti a colpa del vettore, che agisce qui come suo ausiliario. Il rischio
del ferimento fortuito è a carico del compratore. Contro l’inadempimento delle obbligazioni
derivanti dalla compravendita di cose mobili la legge concede dei rimedi: risoluzione di diritto (può
valersi il contraente che abbia offerto la consegna della cosa o il pagamento del prezzo, se l’altra
parte non adempie la propria obbligazione) e l’esecuzione coattiva (se il compratore non paga il
prezzo, il venditore può vendere la cosa per soddisfarsi del ricavato. Il compratore resta obbligato a
pagare la differenza fra il prezzo convenuto e il ricavato netto della vendita). L’inverso può fare il
compratore, se il venditore non adempia.
Vendita con riserva di proprietà:
Il compratore diventa proprietario al momento del consenso o dell’individuazione. Se il compratore
cade in stato di insolvenza, il venditore che gli abbia fatto credito rischia di perdere il prezzo e la
cosa. Trattandosi di cosa mobile il venditore non può assicurare con un diritto di pegno. Il problema
si risolve con una clausola che differisca il trasferimento della proprietà al momento in cui il prezzo

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sia completamente pagato: si tratta di un trasferimento sottoposto a condizione sospensiva. Gli altri
effetti del contratto, invece, si producono immediatamente. La cosa viene consegnata al compratore,
il quale potrà così utilizzarla subito, astenendosi da ogni atto che leda il riservato dominio del
venditore. Finché il prezzo non è pagato il compratore non ha la proprietà della cosa; ha però
un’aspettativa di acquisto, e ha il godimento. In considerazione di ciò la legge pone a suo carico, dal
momento della consegna, il rischio del perimento fortuito della cosa (art. 1523 cod.civ.). La
proprietà riservata al venditore gli consente di rivendicare la cosa, se il prezzo non viene pagato, ed
esclude che sulla cosa si possano soddisfare altri creditori. Per l’opponibilità a questi occorre che il
patto risulti da atto scritto avente data certa anteriore al pignoramento. Nella vendita di immobili, o
di altri beni iscritti in pubblici registri, il venditore potrebbe garantirsi iscrivendo un’ipoteca. Anche
qui la vendita con riserva è conveniente per risparmiare il costo fiscale dell’iscrizione dell’ipoteca e
il processo macchinoso previsto. Spesso il patto di riserva della proprietà appare in contratti di
vendita a rate. La legge dispone che il mancato pagamento di una rata non determini né la
risoluzione, né la perdita del beneficio del termine rispetto alle rate successive. Questa disposizione
è inderogabile, perché ha scopo di protezione contro le clausole vessatorie. Se il contratto si risolve
per inadempimento del compratore, il venditore deve restituire le rate riscosse, salvo il diritto a un
equo compenso per l’uso della cosa, oltre al risarcimento del danno (art. 1526 cod.civ.).
Diritto di prelazione
Col patto di prelazione una parte promette all’altra di preferirla nella stipulazione di un contratto di
vendita, se si deciderà a vendere. Prima di alienare a un terzo il venditore dovrà interpellare l’avente
diritto alla prelazione. Se non lo fa e vende al terzo, si rende responsabile dei danni. L’avente diritto
alla prelazione non potrà pretendere di riscattare la cosa dal terzo acquirente, perché il patto di
prelazione ha solo efficacia obbligatoria. Talvolta un diritto di prelazione è concesso dalla legge.
Nel caso ad esempio del coerede qualora un altro coerede voglia vendere la sua quota di eredità, o
nella vendita del fondo rustico, il diritto di prelazione spetta all’affittuario coltivatore, oppure
ancora il diritto di prelazione appartenente allo Stato nel caso di alienazione di cose di interesse
artistico, storico… I diritti di prelazione legale sono opponibili al terzo acquirente e ai suoi aventi
causa, dai quali l’avente diritto potrà riscattare la cosa (efficacia reale).
Vendita con patto di riscatto
Il venditore può riservarsi il diritto di riavere la cosa venduta mediante la restituzione del prezzo
unita al rimborso di certe spese (art. 1500 cod.civ.). Il venditore si riserverà la possibilità del riscatto
quando vende malvolentieri, ma spera che la situazione possa mutare. La legge intende evitare che
questo contratto sia utilizzato per garantire finanziamenti in frode al divieto del patto commissorio:
dispone che il patto di restituire un prezzo superiore a quello stipulato per la vendita è nullo per
eccedenza. La vendita con patto di riscatto è una vendita sottoposta a una condizione risolutiva
potestativa, che consiste nella dichiarazione di riscatto da parte del venditore, unita alla restituzione
del prezzo e agli altri rimborsi. Ha effetto anche rispetto al terzo al quale il compratore abbia
alienato la cosa. Finché il riscatto è possibile il venditore ha un’aspettativa reale. Poiché
l’opponibilità di questa aspettativa a terzi può costituire un intralcio alla circolazione e pregiudicare
la sicurezza dei traffici, la legge dispone che il termine per il riscatto non può eccedere i 2 anni per i
beni mobili, 5 per i beni immobili.
Vendita a termine di titoli di credito
È una vendita nella quale il pagamento del prezzo e la consegna dei titoli sono rinviati entrambi a
una certa data.
Il riporto

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Il riporto è il contratto con il quale il riportato trasferisce in proprietà al riportatore titoli di credito
per un determinato prezzo, e il riportatore assume l’obbligo di trasferire al riportato, alla scadenza
del termine stabilito, la proprietà di altrettanti titoli della stessa specie, verso rimborso del prezzo,
che può essere aumentato o diminuito (art. 1548 cod.civ.). Si tratta di un contratto reale, che si
perfeziona con la consegna dei titoli (art. 1549 cod.civ.). Può darsi che sia prevalente la necessità
del riportatore di procurarsi la temporanea disponibilità di titoli. In tal caso il contratto disporrà che
il rimborso del prezzo sia diminuito: la differenza costituirà il compenso per il riportato. Se si
conviene che il prezzo rimanga fisso, il riporto è alla pari.
La permuta
La permuta è il contratto con il quale le parti si scambiano la proprietà di cose, o altri diritti (art.
1552 cod.civ.). La permuta è una forma di contrattazione propria di un’economia arretrata:
nell’economia monetaria si preferisce lo scambio di cosa e prezzo. Alla permuta si applicano le
norme stabilite per la vendita, in quanto compatibili (art. 1555 cod.civ.).
Il contratto estimatorio
Con il contratto estimatorio una parte consegna una o più cose mobili all’altra e questa si obbliga a
pagarne il prezzo, salvo che restituisca le cose nel termine stabilito (art. 1556 cod.civ.).
Ciò accade quando si tratta di oggetti che, col passare del tempo, diventano invendibili e che vanno
tenuti in negozio in gran numero, per offrire ai clienti un’ampia possibilità di scelta (giornali, libri,
oggetti di moda…). Il contratto si costituisce con la consegna della cosa: colui che la riceve in
consegna, acquista il potere di disporne alienandola a terzi. La proprietà resta invece a chi l’ha
consegnata fino al pagamento del prezzo. La proprietà lasciata al tradens ha funzione di garanzia. È
spogliata del potere di disposizione, passato all’accipiens, a carico del quale viene posto il rischio
del ferimento fortuito. Il tradens perde la proprietà nel momento in cui questa venga acquistata dal
terzo, in base ad un atto di disposizione dell’accipiens. Se la cosa non è alienata a terzi, il tradens ne
perde la proprietà solo nel momento in cui gliene sia pagato il prezzo.
La somministrazione
La somministrazione è il contratto con il quale una parte si obbliga, verso corrispettivo di un prezzo,
a eseguire, a favore dell’altra, prestazioni periodiche o continuative di cose (art. 1559 cod.civ.). Si
pensi al contratto di energia elettrica o gas. Per lo più l’entità della somministrazione non è
determinata fin dall’inizio in una quantità fissa. Può essere determinata la misura della singola
prestazione periodica, lasciando però indeterminata la durata del contratto: in tal caso il rapporto
durerà fino a quando una parte dichiari di recedere, dando il dovuto preavviso (art. 1569 cod. civ.).
Oppure l’entità va determinata con riferimento al fabbisogno del singolo, o si stabilisce che l’avente
diritto possa determinare l’entità della somministrazione, entro un limite massimo o minimo. La
funzione è di soddisfare un bisogno continuativo o periodico. Si distingue dalla vendita a consegne
ripartite, dove l’oggetto è considerato in modo unitario, ma per convenienza di una delle parti è
stabilito che diverse porzioni siano consegnate in tempi diversi. La distinzione è importante perché
alla somministrazione si applicano le regole generali sui rapporti contrattuali di durata, ma all’altra
no. È spesso adottato nei rapporti fra fabbricante e rivenditore. Spesso il contratto attribuisce a
quest’ultimo l’esclusività della distribuzione in una certa zona; in tal caso si parla di concessione
esclusiva di vendita. È d’uso che il concessionario esclusivo si impegni a sua volta a non vendere
prodotti concorrenti e assuma obblighi particolari circa la pubblicità e la promozione delle vendite.
La sua figura non va confusa con quella del commissionario, che acquista e rivende, affrontando i
rischi correlativi. In questo caso questi promuovono o concludono vendite per conto del mandante,
senza assumersi rischi. Va menzionato il caso del franchising: l’imprenditore affiliato autorizzato ad
usare gli stessi marchi dell’affiliante e a contrassegnare i propri locali di vendita con la medesima
insegna. L’imprenditore affiliante invece offre assistenza tecnica, addestramento e consulenza per

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tutta la durata del rapporto. Il contratto di affiliazione commerciale deve essere redatto per iscritto,
pena nullità. La legge richiede inoltre che il testo del contratto sia sottoposto all’affiliato trenta
giorni prima della sottoscrizione. L’affiliante così è impegnato a non dare concessioni nella
medesima zona e l’affiliato a non trattare beni o servizi in concorrenza con quelli del concedente.

CAPITOLO XLIII: LA DONAZIONE


Definizione
È il contratto con cui, per spirito di liberalità, una parte arricchisce l’altra, disponendo a favore di
questa di un suo diritto, o assumendo verso la stessa un’obbligazione (art. 769 cod. civ.).
Sono necessarie delle caratteristiche affinché si possa parlare di donazione:
- Occorre un incremento del patrimonio del donatario, cui corrisponde una diminuzione del
patrimonio del donante (≠prestazione gratuita di un’attività; comodato; mutuo gratuito;
pagamento del debito altrui; prestazione di garanzia per un debito). Il legislatore ha limitato agli
spostamenti patrimoniali l’applicazione delle remore e delle cautele che caratterizzano il regime
della donazione.
- Spirito di liberalità, le parti devono dunque essere d’accordo sul carattere gratuito della
prestazione, non basta la mancanza di una controprestazione di un obbligo a prestare, occorre che
questa sia nota e voluta dalle parti.
- Se vi sono equivoci sulla ragione per cui la prestazione è eseguita o promessa il contratto è nullo
e la prestazione è senza causa.
Non si richiede che la donazione sia fatta per motivi disinteressati. I motivi sono irrilevanti, se
leciti. La legge dispone espressamente che è donazione (rimuneratoria) anche la liberalità fatta per
riconoscenza o in considerazione dei meriti del donatario o per speciale rimunerazione (art. 770
cod. civ.). Non sono assoggettate al regime giuridico delle donazioni le liberalità che è d’uso fare in
occasione di servizi resi (es: regalo a un professionista che ha prestato gratuitamente la sua opera) e
ogni altra liberalità d’uso (es: regali ad amici o parenti).
Disciplina giuridica
La donazione è un contratto, cioè un accordo fra donante e donatario: l’accettazione di quest’ultimo
è necessaria e deve essere manifestata. Dev’essere fatta nella forma dell’atto pubblico, sotto pena di
nullità (art. 782 cod.civ.). Se questa è di modico valore l’atto pubblico non è necessario, ma occorre
la consegna della cosa, a conferma del carattere serio e definitivo della volontà di donare. La
modicità è valutata anche in relazione alle condizioni economiche del donante (art. 783 cod. civ.).
Sempre a difesa di dichiarazioni fatte alla leggera, la legge dichiara nulle le donazioni di beni futuri
(art. 771 cod. civ.). In considerazione del carattere della donazione, è nullo il mandato con cui si
attribuisca ad altri la facoltà di designare la persona del donatario o di determinare l’oggetto della
donazione. È possibile affidare ad un terzo la scelta tra individui scelti dal donante, o appartenenti
ad una categoria determinata, o tra oggetti predisposti dal donante, o appartenenti ad un range di
valori scelto dal donante. La responsabilità per inadempimento è valutata secondo criteri meno
rigorosi. Il donante che non esegua la donazione, o l’esegua con ritardo, è responsabile solo per
dolo o per colpa grave (art. 789 cod.civ.). Alla garanzia per evizione egli è tenuto solo nei casi
seguenti:
- Se ha espressamente promesso la garanzia.
- Se l’evizione dipende da dolo o dal fatto personale di lui.
- Se si tratta di donazione che impone oneri al donatario, o di donazione rimuneratoria, nei quali
casi la garanzia è dovuta fino alla concorrenza dell’ammontare degli oneri o dell’entità delle
prestazioni ricevute dal donante.

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La garanzia per i vizi è dovuta solo se è stata promessa espressamente o se il donante è stato in dolo
(art. 798 cod. civ.). La nullità della donazione non può essere fatta valere dagli eredi o dagli aventi
causa del donante. La donazione può essere revocata per ingratitudine (consiste nell’aver
dolosamente commesso un torto contro il donante) del donatario o per la sopravvenienza dei figli
(figli o discendenti ignorati dal donante, o avuti fuori dal matrimonio e dunque non noti). Sono
irrevocabili le donazioni rimuneratorie e quelle fatte in riguardo di un determinato matrimonio (art.
805 cod. civ.).
Donazioni indirette
Un’attribuzione patrimoniale dettata da spirito di liberalità può essere realizzata anche
indirettamente, per mezzo di un contratto che non abbia lo schema della donazione. Si parla di
donazione indiretta nel caso di contratto a favore di terzi, o di scambio, nel quale il valore della
prestazione di una parte superi il valore della controprestazione, e l’eccedenza sia considerata da
entrambe le parti come liberalità (vendita mista a donazione). Questi negozi non richiedono le
forme stabilite per la donazione. Trovano applicazione le disposizioni di carattere sostanziale:
riduzione per integrare la quota dovuta ai legittimari, revocazione per ingratitudine o
sopravvenienza di figli, collazione.
La donazione modale
Alla donazione può essere apposto un onere: una clausola accessoria che limita l’arricchimento del
donatario imponendogli un obbligo. Per lo più questo consiste in una destinazione particolare del
bene donato, o di una parte di esso, perciò la donazione modale conserva il carattere di negozio
gratuito. Se l’onere è posto in favore di un terzo determinato, costui acquista un diritto, secondo le
regole generali sul contratto a favore del terzo (art. 1411 cod.civ.). L’onere differisce dalla
controprestazione perché non rappresenta un corrispettivo ma una limitazione, una diminuzione del
valore di questa. In tal caso il donatario è tenuto all’adempimento dell’onere solo entro limiti del
valore di ciò che ha ricevuto: si manifesta qui la differenza di trattamento tra onere e
controprestazione. Per l’adempimento dell’onere può agire, oltre al donante, qualsiasi interessato.
Per l’inadempimento può essere pronunciata anche la risoluzione, ma solo se questa è prevista
nell’atto di donazione; il diritto di chiederla spetta solo al donante e ai suoi eredi. Il carattere
accessorio di questa clausola spiega perché l’onere illecito o impossibile non renda nulla la
donazione, ma si considera non apposto, salvo che risulti esserne stato il solo motivo determinante.

CAPITOLO XLIV: CONTRATTI E UTILIZZAZIONE DI COSE

Locazione
È un contratto tipico con cui una parte si obbliga a far godere all’altra una cosa mobile o immobile
per un dato tempo, verso un determinato corrispettivo (art. 1571 cod.civ.). Qualora l’oggetto della
locazione fosse una cosa produttiva, si parla di affitto. Il contratto di locazione non richiede, di
regola, una forma particolare. Occorre però l’atto scritto per la validità della locazione di un
immobile per più di nove anni (art. 1350 cod.civ.)
Le principali obbligazioni del locatore sono:
- Consegna della cosa locata al conduttore, in buono stato di manutenzione.
- Mantenimento della cosa in stato da servire all’uso convenuto.
- Garanzia del pacifico godimento durante la locazione.
Colui che ha preso in locazione (conduttore) deve:
- Prendere la cosa in consegna e osservare la diligenza del “buon padre di famiglia” nel servirsene
per l’uso determinato nel contratto o che può presumersi dalle circostanze.

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- Pagare puntualmente il corrispettivo (art. 1587 cod.civ.).
L’interesse del conduttore al pacifico godimento della cosa richiede tutela nei confronti del locatore
o di terzi che arrechino molestie: la legge consente al conduttore di agire contro i terzi:
- In nome proprio per ottenere la cessazione delle molestie e il risarcimento del danno.
- Se il terzo giustifica le molestie con la pretesa di avere diritti sulla cosa, il conduttore ha diritto di
essere garantito dal locatore.
- Il conduttore può esercitare l’azione di reintegrazione qualora venga spogliato della cosa in modo
violento o clandestino.
Se però la cosa non è ancora stata consegnata al conduttore, queste azioni non sono esperibili contro
terzi. In questo caso il conduttore può rifarsi sul locatore con azione di inadempimento. Si manifesta
in ciò il carattere personale e non reale del diritto del conduttore. Per altro aspetto questo diritto
gode di tutela assoluta: se la cosa è alienata ad un terzo, questi è tenuto a rispettare la locazione,
purché il conduttore avesse già la detenzione della cosa, nel quale caso, però, egli è tenuto a
rispettare la locazione solo per una durata corrispondente a quella stabilita per le locazioni a tempo
indeterminato (art. 1599 cod.civ.). La locazione per un tempo determinato dalle parti cessa alla
scadenza del termine, senza che sia necessaria la disdetta. La locazione è tacitamente rinnovata se,
scaduto il termine, il conduttore rimane ed è lasciato nella conduzione della cosa. La locazione a
tempo indeterminato cessa per effetto della disdetta, cioè della dichiarazione di recesso di una delle
parti, comunicata all’altra parte con il dovuto preavviso.
Locazione finanziaria: è un contratto che realizza un’operazione di finanziamento a medio o lungo
termine. In questo caso si paga un canone periodico, che consenta all’impresa di leasing di
recuperare il capitale prestato. L’impresa di leasing dunque anticipa il capitale necessario per
l’acquisto del bene e il cliente glielo restituisce man mano, pagando canoni periodici. Nel caso di
mancato pagamento il contratto può essere risolto: con questo il concedente ha diritto alla
restituzione del bene, che verrà venduto o collocato per soddisfare il credito verso l’utilizzatore.
Locazione di mobili urbani: Le locazioni di immobili urbani sono disciplinate da leggi speciali,
rivolte a proteggere il conduttore, assicurando al rapporto una certa stabilità e tutelando
l’avviamento commerciale dell’impresa esercitata nell’immobile locato. Per gli altri aspetti restano
valide le regole generali.
Immobili utilizzati come abitazioni: La legge dispone che il contratto ha una durata non inferiore ai
quattro anni, decorsi i quali è rinnovato per altri quattro, salvi i casi nei quali è consentito al locatore
di dare disdetta fin da questa prima scadenza (destinazione dell’immobile ad uso proprio o al
coniuge o parenti). Per la validità del contratto è richiesta la forma scritta. Il locatore può dare
disdetta qualora voglia vendere l’immobile a terzi e non abbia la proprietà di altri immobili ad uso
abitativo. In tal caso al conduttore è riconosciuto un diritto di prelazione nell’acquisto.
Per consentire flessibilità, la legge consente una deroga a tali disposizioni circa la durata minima dei
contratti, purché siano conformi a contratti tipo definiti in sede locale mediante accordi tra le
associazioni rappresentative dei locatori e degli inquilini.
Le regole circa la durata minima della locazione sono poste a protezione del conduttore, per
assicurargli una stabilità del rapporto. Sono dunque derogabili solo in suo favore, con una clausola
che gli dia la facoltà di recedere in qualsiasi momento. Anche in mancanza di questa il conduttore
può recedere in caso di gravi motivi, mentre il locatore non può recedere prima della scadenza.
La disciplina circa la durata minima non è applicabile ad alcuni rapporti di locazione specificati
dalla legge: si tratta, in particolare, degli alloggi locati esclusivamente per finalità turistiche. Il
recesso deve essere comunicato con un preavviso di sei mesi. In mancanza il contratto si riterrà
rinnovato tacitamente. Il contratto può essere risolto per inadempimento: occorre che questo non sia

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di scarsa importanza, la legge speciale precisa i limiti oltre i quali l’inadempimento o il ritardo del
conduttore può considerarsi tanto grave da giustificare la risoluzione. In caso di morte del
conduttore gli succedono il coniuge, l’altra parte dell’unione civile, gli eredi e i familiari conviventi.
Immobili adibiti ad uso diverso dall’abitazione: In questi casi gli immobili sono necessari
all’esercizio di un’attività industriale, commerciale, professionale… La durata della locazione per
questo genere di utilizzo non può essere inferiore a sei anni. Anche in questo caso la regola di legge
è derogabile in favore del conduttore, con un patto contrattuale che gli attribuisca la facoltà di
recedere in qualsiasi momento, con un preavviso di 6 mesi. La locazione si rinnova tacitamente ad
ogni scadenza per un uguale periodo, se nessuna delle parti comunica all’altra disdetta nel termine
fissato dalla legge, ma, alla prima scadenza il locatore può esercitare la facoltà di diniego della
rinnovazione qualora intenda adibire l’immobile ad abitazione propria o del coniuge o dei parenti o
all’esercizio di un’attività produttiva o infine qualora intenda demolirlo per ricostruirlo, ovvero
procedere alla sua integrale ristrutturazione o completo restauro. In caso di morte del conduttore gli
succedono nel contratto coloro che, per successione o per contratto di data certa anteriore alla
successione, hanno diritto di continuarne l’attività. Il collegamento di locazione e l’attività
produttiva si manifesta nella regola secondo la quale, nel caso di cessione o affitto dell’azienda, il
conduttore può cedere insieme a questa il contratto, o sublocare l’immobile, anche senza il consenso
del locatore. Questi potrà però opporsi per gravi motivi. Le leggi poste a tutela del conduttore
appartengono all’ordine pubblico di protezione e sono dunque inderogabili.
Affitto
È il contratto con il quale una parte, verso un determinato corrispettivo, si obbliga per un certo
tempo a far godere all’altra una cosa produttiva mobile o immobile, affinché ne tragga e ne faccia
propri i frutti in conformità alla destinazione economica della cosa stessa (art. 1651 cod.civ.). Il
locatore deve consegnare la cosa, con i suoi accessori e le sue pertinenze, in stato da servire all’uso
a cui è destinata (art. 1617 cod.civ.). L’affittuario deve curarne la gestione in conformità della sua
destinazione economica e dell’interesse della produzione, e può prendere le iniziative atte a
produrre un aumento di reddito della cosa, purché esse non comportino obblighi per il locatore, non
gli arrechino pregiudizio, e siano conformi all’interesse della produzione. Il rapporto si estingue per
scadenza del termine o per recesso, come anche per incapacità o insolvenza dell’affittuario. In caso
di morte di quest’ultimo, il locatore e gli eredi dell’affittuario possono recedere dal contratto.
Comodato
È il contratto con cui una parte (comodante) consegna all’altra (comodatario) una cosa mobile o
immobile, affinché se ne serva per un tempo o per un uso determinato, con l’obbligo di restituire la
stessa cosa ricevuta: il comodato è gratuito (art. 1803). Il comodatario deve custodire e conservare
la cosa con diligenza, non può servirsene per un uso diverso da quello determinato dal contratto o
dalla natura della cosa, né può concederne il godimento a un terzo senza il consenso del comodante.
Il comodatario deve restituire la cosa quando se ne è servito, o alla scadenza del termine convenuto.
Può accadere che debba restituire prima di questo momento, qualora sopravvenisse al comodante un
bisogno di riavere la cosa. Se non è stato convenuto un termine, il comodatario dovrà restituire il
bene alla richiesta del comodante.

CAPITOLO XLV: CONTRATTI DI PRESTAZIONE D’OPERA


Appalto
È il contratto con cui una parte assume, con organizzazione di mezzi e con gestione a proprio
rischio, il compimento di un’opera o di un servizio verso un corrispettivo in denaro (es: contratto

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con impresa di pulizie), art. 1655 cod. civ.. Essenziale è che l’appaltatore si assuma la gestione
dell’attività produttiva, che sia dunque un imprenditore che agisce a proprio rischio. Se l’opera
perisce o si deteriora l’appaltatore non otterrà il pagamento, perdendo quanto abbia investito
nell’opera. L’opera o il servizio può essere eseguito anche da un artigiano o un piccolo imprenditore
(art. 2083 cod.civ.), o da un lavoratore manuale autonomo. In tal caso si parla di contratto d’opera,
ma il regime giuridico applicabile è analogo a quello del contrato d’appalto. È necessario
distinguere tra appalto e compravendita su cosa futura: nel primo caso la fabbricazione è eseguita su
richiesta del committente (e l’attività sarà regolata nel contratto), nel secondo la cosa richiesta
rientrerà nell’ordinaria produzione di serie del venditore. L’appalto si basa sulla fiducia del
committente nell’impresa cui è stato richiesto l’appalto, dunque sarà vietato il subappalto senza che
vi sia prima stato il consenso del committente. La morte dell’appaltatore non scioglie
necessariamente il contratto: è presumibile che le qualità oggettive dell’organizzazione d’impresa
permangano. Il committente può però recedere qualora gli eredi non diano affidamento per la buona
esecuzione dell’opera. Durante l’esecuzione, il committente ha diritto di controllare lo svolgimento
dei lavori, potendo apportare variazioni (nei limiti del possibile). Questo può anche recedere dal
contratto ad opera iniziata, purché tenga indenne l’appaltatore delle spese sostenute, dei lavori e del
mancato guadagno. Una volta compiuta, il committente può verificare l’opera o il servizio prima di
riceverne la consegna. Se, per circostanze imprevedibili, si verifichino aumenti o diminuzioni nel
costo dei materiali o della manodopera, che determini una differenza superiore al decimo del
prezzo, la parte gravata può richiedere una revisione del prezzo. Un adeguamento può essere chiesto
dall’appaltatore anche nel caso di impreviste difficoltà, esterne e oggettive. L’appaltatore è tenuto
alla garanzia per le difformità e i vizi dell’opera. Il committente può chiedere la risoluzione del
contratto se le difformità o i vizi sono tali da rendere l’opera inadatta alla sua destinazione (art.
1668). Si può chiedere anche che i difetti siano eliminati a spese dell’appaltatore, o che il prezzo sia
proporzionalmente diminuito. Questi rimedi sono concessi anche quando i difetti dell’opera siano
incolpevoli. La responsabilità per i danni presuppone la colpa dell’appaltatore. La garanzia non è
dovuta in caso di difformità o vizi conosciuti dal committente al momento di accettazione o
riconoscibili. L’azione per la garanzia è assoggettata a una prescrizione breve. Occorre inoltre che i
difetti siano stati denunciati all’appaltatore entro un breve termine di decadenza, salvo che
l’appaltatore abbia riconosciuto le difformità o i vizi, o li abbia occultati (art. 1667 cod. civ.). In
caso un edificio o bene immobile destinato a lunga durata presentasse rovina o pericolo di rovina, la
garanzia si estende per un periodo di dieci anni, salvo l’onere di denunciare la rovina entro il
termine di decadenza di un anno.
Contratti di lavoro autonomo
Contratto d’opera:
Con questo contratto una persona si obbliga a compiere verso un corrispettivo un’opera o un
servizio con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti del
committente (art. 2222 cod. civ.) Si distingue dall’appalto per la prevalenza della prestazione
lavorativa personale del contraente (no dipendenti o delegati che svolgano il lavoro per lui), e dal
lavoro subordinato in quanto il prestatore d’opera non sarà assoggettato ad un datore, ma
organizzerà da sé le proprie attività. Il contratto deve avere per oggetto la costruzione di un bene
con materiali forniti dal prestatore d’opera. Se le parti hanno avuto prevalentemente in
considerazione la materia, si applicano le norme sulla vendita. Il corrispettivo, se non convenuto tra
le parti, né determinabile secondo tariffe, è stabilito dal giudice. La responsabilità è disciplinata da
regole simili a quelle dell’appalto: l’accettazione espressa o tacita dell’opera lo libera dalla
responsabilità, se difformità e vizi erano noti al committente al momento dell’accettazione o se
facilmente riconoscibili (salvo in caso di dolo). Ai fini della garanzia, difformità e vizi occulti

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devono essere denunciati al prestatore entro otto giorni dalla scoperta, pena la decadenza. L’azione
si prescrive entro un anno dalla consegna. Il contenuto della garanzia è lo stesso che nell’appalto.
Anche qui il committente può recedere a lavoro iniziato, tenendo indenne il prestatore di spese,
lavoro eseguito e mancato guadagno.
Prestazione d’opera intellettuale
Fra le professioni alcune richiedono l’iscrizione ad un albo, altre possono essere liberamente svolte.
Quando l’esercizio dell’attività è condizionato dall’iscrizione ad un albo o ad un elenco, la
prestazione di chi non è iscritto non dà azione per il pagamento del compenso. Il professionista deve
eseguire personalmente l’incarico assunto. Può valersi, sotto propria direzione e responsabilità, di
sostituti o ausiliari, se la collaborazione di altri è consentita dal contratto o dagli usi ed è
compatibile con l’oggetto della prestazione. Il compenso, se non convenuto dalle parti, né
determinabile secondo tariffe, è determinato dal giudice. Il cliente può recedere rimborsando al
professionista le spese sostenute e pagando il compenso per l’opera svolta. Il professionista può
recedere per giusta causa, avendo diritto a rimborso e compenso. Se la prestazione implica la
soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il professionista non risponde dei danni se non in
caso, di dolo o colpa grave. Vi sono infatti situazioni problematiche dove la condotta corretta da
tenere non è univocamente determinata. La regola intende dunque escludere che una responsabilità
possa derivare da scelte che implicano l’assunzione di un rischio, e intende non indurre il
professionista a pratiche difensive, che finirebbero in danno per i clienti.
Contratto di trasporto
Col contratto di trasporto il vettore si obbliga a trasferire persone o cose da un luogo a un altro (art.
1678 cod. civ.). Le norme del codice civile su questo ambito sono integrate e derogate da quelle del
codice per la navigazione o dalle leggi speciali per i trasporti ferroviari. Nel trasporto di persone il
vettore risponde dei sinistri che colpiscono la persona del viaggiatore durante il viaggio e della
perdita o dell’avaria delle cose che il viaggiatore porta con sé, se non prova di avere adottato tutte le
misure idonee ad evitare il danno. Sono nulle le clausole che limitano la responsabilità del vettore.
Il viaggiatore infortunato può agire in base alle norme sulla responsabilità extracontrattuale. Dal
trasporto gratuito si distingue il trasporto di cortesia: nel primo il vettore agisce per interesse
proprio, nel secondo solo per compiere un atto amichevole. Secondo la giurisprudenza il rapporto di
cortesia non ha natura contrattuale, perciò si applicano le regole sulla responsabilità
extracontrattuale. Nel trasporto di cose i soggetti del contratto sono: il mittente, che affida le cose
per il trasporto, e il vettore, che si obbliga ad eseguire il trasporto. Se le cose devono essere
consegnate a un destinatario diverso dal mittente, il contratto ha la struttura di contratto a favore di
terzi. I diritti verso il vettore spettano al destinatario dal momento in cui, arrivate le cose a
destinazione o scaduto il termine di consegna, il destinatario ne richiede la consegna al vettore. Fino
a quel momento il mittente può sospendere il trasporto e chiedere la restituzione delle cose, ovvero
ordinare la consegna a un destinatario diverso.
Per la perdita e l’avaria delle cose consegnate il vettore è assoggettato ad una responsabilità
oggettiva, di tipo assicurativo.
Deposito
Il deposito è il contratto con il quale una parte (depositario) riceve dall’altra (depositante) una cosa
mobile, con l’obbligo di custodirla e di restituirla in natura (art. 1766 cod. civ.). Il depositario riceve
la cosa presso di sé o in un suo spazio, con l’obbligo di custodirla. Il deposito è dunque possibile
solo per cose mobili. Può essere gratuito o oneroso. Nel silenzio delle parti si presume gratuito (art.
1767 cod. civ.). Il depositario non può servirsi della cosa affidatagli e deve custodirla con diligenza.
Ma se il deposito è gratuito, la responsabilità per colpa è valutata con minor rigore (art. 1768 cod.
civ.). Di regola è fatto nell’interesse del depositante, perciò questi può richiedere in ogni momento

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la restituzione della cosa. Se non è convenuto un termine, anche il depositario può chiedere in
qualsiasi momento che il depositante riprenda la cosa. Il depositante può anche non essere
proprietario della cosa. Se un terzo però, adducendo di avere diritto sulla cosa, chiede al depositario
la restituzione, questi dovrà aspettare che la controversia fra il depositante e il terzo si risolva,
mantenendo una posizione di assoluta imparzialità (1777 cod. civ.).
Deposito irregolare
Se il deposito ha per oggetto denaro o altre cose fungibili, con facoltà per il depositario di
servirsene, questi ne acquista la proprietà ed è tenuto a restituirne altrettante della stessa specie e
quantità. Il rapporto somiglia molto al mutuo, ma la situazione degli interessi diversa: il depositante
si propone di mettere al sicuro una somma di denaro, perciò il depositante può chiedere in qualsiasi
momento la restituzione.
Deposito in albergo
La legge impone all’albergatore una responsabilità oggettiva per ogni deterioramento, distruzione o
sottrazione delle cose portate dal cliente in albergo: l’albergatore risponde, anche senza colpa, salvo
che il danno sia stato causato dal cliente o da suoi ospiti. Questa responsabilità ha funzione
assicurativa. La responsabilità dell’albergatore è illimitata se il danno è imputabile a colpa sua, dei
membri della sua famiglia o dei suoi ausiliari, o quando le cose gli siano state consegnate in
custodia, o quando si tratti di danaro contante, valori o oggetti preziosi che egli abbia rifiutato di
ricevere in custodia senza giusti motivi. È nullo ogni patto che tenda ad escludere o diminuire la
responsabilità dell’albergatore. Le stesse regole si applicano agli imprenditori di case di cura,
stabilimenti balneari, pensioni, trattorie…
Deposito nei magazzini generali
I magazzini generali sono imprese che provvedono alla custodia e alla conservazione di merci e
derrate, con la facoltà di rilasciare, ai depositanti che ne facciano richiesta, titoli di credito
rappresentativi delle merci depositate: fedi di deposito e note di pegno.
Sequestro convenzionale
È il contratto con il quale due o più persone affidano a un terzo (sequestratario) una o più cose,
rispetto alle quali sia nata tra esse controversia, perché le custodisca e le restituisca a quella a cui
spetteranno quando la controversia sarà definita (art. 1798 cod. civ.). Gli obblighi, i diritti e i poteri
del sequestratario sono determinati dalle parti. In mancanza, si applicano le norme sul deposito ed
eventualmente quelle sul mandato. Il sequestratario ha diritto a compenso, se non è stabilito
diversamente (art. 1802 cod. civ.).

CAPITOLO XLVI: CONTRATTI DI COOPERAZIONE NELL’ATTIVITÀ GIURIDICA ALTRUI


Mandato
Il mandato è il contratto con cui una parte (mandatario) si obbliga a compiere uno o più atti giuridici
per conto dell’altra (mandante). Si distingue dal lavoratore subordinato per la sua autonomia, oltre
che per la natura dell’attività (mandato → stipulazione di negozi giuridici).
Può essere conferito:
Con rappresentanza: gli effetti dei negozi giuridici stipulati dal mandatario in nome del mandante
si producono direttamente in capo a questo.
Senza rappresentanza: Il mandatario agisce in nome proprio, acquista diritti e assume gli obblighi
derivanti dagli atti compiuti con i terzi, dovendo poi trasferire al mandante gli acquisti e le somme
ottenute. Il mandante dovrà rimborsargli le spese e somministrargli i mezzi necessari per
l’adempimento delle obbligazioni assunte verso i terzi. A questo ricorrerà chi non voglia apparire di

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fronte al terzo per le più svariate ragioni o chi non voglia risultare parte del contratto. Può essere il
terzo a voler avere rapporti solo con il mandatario, qualora non conosca il mandante e non si fidi.
Evita al terzo ogni problema di accertamento o interpretazione della procura. Vale solo per le azioni
spettanti al terzo, che non può rivolgersi direttamente al mandante per ottenere ciò che gli è dovuto.
Al mandante la legge attribuisce il diritto di agire direttamente contro il terzo per ottenere ciò che è
stato acquistato in suo conto. Oggetto di rivendicazione possono essere cose mobili e al mandante
spetta il diritto di esercitare nei confronti del terzo i diritti di credito derivanti dall’esecuzione del
mandato. Per le cose immobili si applica il principio del doppio passaggio: il mandatario acquirente
in proprio nome ne diventa proprietario, con obbligo di trasferimento al mandante. Qualora non
rispetti l’obbligazione, il mandante può ottenere dal giudice una sentenza che attui il trasferimento.
Il duplice trasferimento implica costi maggiori e crea il rischio che il bene possa essere oggetto di
esecuzione forzata da parte dei creditori del mandatario. Dunque il mandato con rappresentanza è
preferito ogni qual volta non sia ostacolato da ragioni particolari, e sarà necessario qualora il terzo
voglia avere come debitore il mandante. L’obbligo fondamentale del mandatario è quello di
eseguire il mandato con diligenza (art. 1710 cod.civ.). Il mandante deve somministrare al
mandatario i mezzi necessari per l’esecuzione del mandato, rimborsargli le spese e pagargli il
compenso (art. 1719, 1720 cod.civ.). Il rapporto di mandato ha carattere personale perché è fondato
sulla fiducia. Si estingue per la morte, l’interdizione o l’inabilitazione di una delle parti (art. 1722).
È revocabile dal mandante. Se era però stata pattuita l’irrevocabilità, o in caso di mandato oneroso
determinato, la revoca ingiustificata obbliga il mandante a risarcire il danno. Il mandato si estingue
anche per rinuncia da parte del mandatario: non si può costringere questo ad adempiere. La rinuncia
senza giusta causa obbliga il mandatario al risarcimento del danno. In caso di mandato a tempo
indeterminato entrambe le parti possono recedere in qualsiasi momento, rispettando il preavviso
(salvo causa da giustificare il recesso immediato).
Commissione
È un mandato che ha per oggetto l’acquisto o la vendita di beni per conto del committente e in
nome del commissionario (art. 1731 cod. civ.). Al commissionario spetta una provvigione calcolata
sul prezzo di acquisto o di vendita. Il commissionario non si assume i rischi economici che vengono
sopportati da chi acquista e rivende per conto proprio. Talvolta, in virtù di patto o di uso, il
commissionario incaricato della vendita può essere tenuto a rispondere del pagamento del prezzo da
parte dell’acquirente. Questa garanzia (star credere) è limitata ad una parte del prezzo.
Spedizione
Il contratto di spedizione è un mandato col quale lo spedizioniere assume l’obbligo di concludere, in
nome proprio e per conto del mandante, un contratto di trasporto e di compiere le operazioni
accessorie (art. 1737 cod. civ.).
Agenzia
Con il contratto d’agenzia una parte assume stabilmente l’incarico di promuovere per conto
dell’altra la conclusione di contratti in una zona determinata (art. 1742). Quest’attività è retribuita
con una provvigione sugli affari procurati dall’agente. L’agente organizza la propria attività in modo
autonomo e a proprio rischio: è un imprenditore o un lavoratore autonomo che si distingue dal
lavoratore subordinato. L’agente può limitarsi a raccogliere le ordinazioni e altre proposte
contrattuali, o a predisporre le basi degli accordi che poi spetterà al proponente di concludere. Può
essere munito di rappresentanza, concludendo in tal caso i contratti in nome del proponente.
Le parti del contratto di agenzia sono reciprocamente vincolate all’esclusiva: il preponente non può
valersi di più agenti per lo stesso ramo d’attività, né l’agente può assumere l’incarico di trattare per
lo stesso ramo gli affari di più imprese in concorrenza fra loro (art. 1743 cod. civ.). Il contratto di
agenzia può essere a termine, o a tempo indeterminato: in quest’ultimo caso ciascuna delle parti può

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recedere dal contratto, dandone preavviso all’altra nel tempo stabilito, che non può essere inferiore
alla misura minima stabilita dalla legge (art. 1750 cod. civ.). Alla cessazione del rapporto, non
dovuta a grave inadempienza dell’agente o al suo recesso ingiustificato, a questo è dovuta
l’indennità. La stabilità e l’esclusività del rapporto crea una certa dipendenza economica dell’agente
rispetto al proponente. Il regime giuridico del rapporto venuto accostandosi a quello del lavoro
subordinato. La materia è regolata da contratti collettivi, che impongono al proponente il pagamento
di contributi di previdenza.
Mediazione
È mediatore colui che mette in relazione due o più parti per la conclusione di un affare, senza essere
legato ad alcuna di esse da rapporti di collaborazione, di dipendenza o di rappresentanza (art. 1754
cod. civ.). Si distingue dal mandatario (opera nell’interesse del mandante) operando come terzo
imparziale, limitandosi a mettere le parti in relazione, facilitando la conclusione dell’affare. Inoltre
dal contratto di mediazione nasce solo un obbligo del cliente di pagare al mediatore la provvigione
se l’affare viene concluso per effetto del suo intervento. Il cliente non è tenuto a concludere l’affare
segnalatogli, può infatti cercare altre occasioni. Dunque il mediatore corre il rischio di non ottenere
la provvigione. Chi ha manifestato di volersi valere dell’opera del mediatore, e successivamente
conclude l’affare segnalatogli, è tenuto al pagamento della provvigione anche se questa non è stata
espressamente pattuita. L’obbligo di pagare la provvigione grava normalmente su entrambe le parti
contraenti; tuttavia è possibile stabilire che la provvigione sia dovuta da una sola parte.

CAPITOLO XLVII: CONTRATTI DI CREDITO E BANCARI


Mutuo:
È il contratto con il quale una parte consegna all’altra una determinata quantità di denaro o di altre
cose fungibili, e l’altra si obbliga a restituire altrettante cose della stessa specie e qualità (art. 1813
cod. civ.). Lo scopo è consentire l’utilizzazione del denaro o delle cose fungibili, e poiché richiede
l’alienazione o la consumazione delle cose, queste passano in proprietà del mutuario. Si presume
che sia oneroso. Il corrispettivo per il prestito è costituito dal dal pagamento degli interessi (art.
1815 cod.civ.). Se le parti non ne hanno determinato la misura, sono dovuti gli interessi legali. Gli
interessi superiori alla misura legale devono essere determinati per iscritto (art. 1284 cod. civ.). Gli
interessi non possono produrre altri interessi (anatocismo): la legge dispone che gli interessi scaduti
possono produrre altri interessi solo dal giorno della domanda giudiziale o per effetto di
convenzione posteriore alla loro scadenza, e sempre che si tratti di interessi dovuti almeno per sei
mesi. Sono vietati gli interessi usurari: gli interessi che il mutuante si sia fatto promettere in misura
eccessiva approfittando dello stato di bisogno o della debolezza economica del mutuario. Sono
sempre usurari gli interessi che superano il tasso medio praticato per operazioni della stessa natura
da banche o intermediari finanziari. Se sono convenuti interessi usurari, la clausola è nulla e non è
dovuto alcun interesse (art. 1815 cod. civ.). Se il mutuario non adempie l’obbligo del pagamento
degli interessi, il mutuante può chiedere la risoluzione del contratto per ottenere subito la
restituzione.
Fideiussione
È fideiussore colui che, obbligandosi personalmente verso il creditore, garantisce l’adempimento di
un’obbligazione altrui (art. 1936 cod.civ.). Ad evitare che la prestazione del debitore o l’espressione
di giudizi o previsioni positive sulla sua solvibilità vengano fraintese, la legge stabilisce che la
volontà di prestare fideiussione deve essere espressa (art. 1937 cod. civ.). Il contratto di fideiussione
interviene fra il creditore e il fideiussore: il debitore principale vi resta estraneo. Se manca
l’obbligazione garantita la fideiussione è priva di causa. La fideiussione non può eccedere ciò che è
dovuto dal debitore principale: l’invalidità dell’obbligazione principale si riflette sulla fideiussione.

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L’estinzione dell’obbligazione principale estingue la fideiussione. La fideiussione può garantire il
credito per l’intero, oppure solo in parte. Può essere prestata anche per obbligazioni condizionali o
future. In quest’ultimo caso deve prevedere un importo massimo garantito. Fideiussore e debitore
principale sono obbligati in solido: il creditore può chiedere il pagamento all’uno o all’altro, senza
alcun obbligo di rivolgersi prima al debitore principale, salvo che si sia convenuto diversamente
(art. 1944 cod. civ.). Il fideiussore che ha pagato è surrogato nei diritti del creditore verso il debitore
principale. Va menzionato il contratto autonomo di garanzia: il garante si impegna così a pagare
al garantito non appena questi, dichiarato l’inadempimento del debitore, ne faccia richiesta,
restando esclusa la possibilità di rifiutare il pagamento in base ad eccezioni relative all’obbligazione
garantita. La garanzia può avere per oggetto il pagamento del prezzo, la restituzione degli acconti o
il pagamento di una penale. Questo contratto ha particolare importanza nel commercio
internazionale, dove il creditore è esposto a rischi di insolvenza o di misure dell’autorità straniera in
danno al suo credito. Di qui l’esigenza di assicurarsi contro questi rischi, addossandosi ad un
garante disposto ad assumerseli. Quando l’obbligazione sia nulla per illiceità, questa si propaga al
contratto di garanzia, rendendolo nullo.
Anticresi
È il contratto col quale il debitore o un terzo si obbliga a consegnare un immobile al creditore a
garanzia del credito, affinché il creditore ne percepisca i frutti imputandoli agli interessi, se dovuti,
e quindi al capitale (art. 1960 cod. civ.).

Il conto corrente
Se due persone sono in rapporto costante di affari, dai quali nascano sempre nuovi crediti reciproci,
possono obbligarsi ad annotare in conto tali crediti, considerandoli inesigibili e indisponibili fino
alla chiusura del conto. Il saldo del conto è esigibile alla scadenza stabilita. Se non è richiesto il
pagamento, il contratto si intende rinnovato a tempo indeterminato. La chiusura del conto è fatta
alle scadenze dal contratto o dagli usi e, in mancanza, al termine di ogni semestre, computabile
dalla data del contratto (art. 1831 cod. civ.). Periodicamente un correntista trasmette all’altro un
estratto del conto. Se il contratto è a tempo indeterminato, ciascuna delle parti può recedere dal
contratto a ogni chiusura del conto, dandone preavviso.
Depositi bancari di denaro
Nel deposito di una somma di danaro presso una banca, questa ne acquista la proprietà ed è
obbligata a restituirla, nella stessa specie monetaria, alla scadenza del termine convenuto, o a
richiesta del depositante, con l’osservanza del periodo di preavviso stabilito dalle parti o dagli usi
(art. 1834). Si tratta di un deposito irregolare. Se la banca rilascia un libretto di deposito a
risparmio, i versamenti e i prelevamenti si devono annotare sul libretto. Non è un vero e proprio
titolo di credito, ma un documento di legittimazione.
Deposito di titoli in amministrazione
La banca che assume il deposito di titoli in amministrazione deve custodirli, esigerne gli interessi o
i dividendi, verificare i sorteggi per l’attribuzione di premi o il rimborso del capitale, curare le
riscossioni per conto del depositante e provvedere alla tutela dei diritti inerenti ai titoli.
Le somme riscosse devono essere accreditate al depositante (art. 1838).
Servizio bancario e cassette di sicurezza
Sono piccole cassaforti custodite dalle banche in appositi locali, spesso blindati. La banca mette la
cassetta a disposizione del cliente, il quale vi può chiudere ciò che vuole. La banca non conosce il
contenuto della cassetta, né può aprirla. Il contratto contiene elementi della locazione di cose, cui si

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accompagna l’obbligo della banca di custodire la cassetta. La banca risponde per l’idoneità e la
custodia dei locali e per l’integrità della cassetta, salvo il caso fortuito (art. 1839 cod. civ.): si tratta
di una responsabilità oggettiva per rischio d’impresa.
Apertura di credito
È il contratto con il quale la banca si obbliga a concedere credito al cliente, secondo le sue richieste,
entro il limite massimo di una certa somma di danaro. L’impegno può valere per un dato periodo di
tempo, oppure a tempo indeterminato (art. 1842). Serve al cliente per assicurarsi i mezzi finanziari
necessari per intraprendere un’operazione o per fronteggiare impegni risultati da operazioni in
corso, quando non sia in grado di determinare la misura esatta e neppure il momento in cui le
somme gli occorrano. In questo modo non correrà il rischio di vedersi mancare il credito nel
momento in cui ne abbia bisogno, pagherà gli interessi quando preleverà le somme. Potrà anche
alleggerire l’onere degli interessi a suo carico depositando le somme che eccedano la sua necessità.
Se il rapporto è a tempo indeterminato, ciascuna parte può recedere in qualsiasi momento, dando
però il necessario preavviso. Nel rapporto a tempo determinato la banca non può recedere prima
della scadenza se non per giusta causa.
Anticipazione bancaria: la banca fa una sovvenzione al cliente, garantita da pegno di titoli o di
merci (art. 1846).
Sconto bancario: contratto con il quale la banca, previa deduzione dell’interesse, anticipa al
cliente l’importo di un credito verso terzi non ancora scaduto, facendosi cedere il credito stesso (art.
1858). L’operazione consente al cliente di utilizzare l’ammontare del credito prima della scadenza.Il
compenso per la banca consiste negli interessi, calcolati per il tempo che resta a decorrere dal
giorno dell’operazione a quello della scadenza: questi interessi vengono dedotti dall’importo del
credito verso il terzo, per determinare la somma che è anticipata al cliente. La cessione del credito
è fatta salvo buon fine: se alla scadenza la banca non ottiene il pagamento dal terzo debitore,
si rivolge al cliente.
Operazioni bancarie
A delle operazioni accennate sopra possono essere regolate in conto corrente. In tal caso il
correntista può disporre in qualsiasi momento delle somme risultanti a suo credito, salva
l’osservanza del termine di preavviso eventualmente pattuito (art. 1852). Non si applica la regola
del conto corrente ordinario, per cui i crediti inseriti nel conto sono inesigibili e indisponibili fino
alla chiusura del conto stesso.

CAPITOLO XLVIII: CONTRATTI ALEATORI


Rendita vitalizia
La rendita vitalizia è la prestazione periodica di una somma di danaro o di una certa quantità di altre
cose fungibili per la durata della vita del beneficiario o di un’altra persona. L’impegno può essere
assunto per le cause più varie. Se l’impegno è assunto a titolo oneroso, il contratto è aleatorio,
perché una parte acquista un bene o un capitale contro l’impegno di eseguire una prestazione la cui
onerosità è inizialmente incerta, essendo incerta la durata della vita umana. Questa può essere
costituita anche a favore di un terzo. Non è aleatorio il contratto di rendita perpetua, col quale una
parte conferisce all’altro il diritto di esigere in perpetuo la prestazione di una somma di denaro o di
cose fungibili, come corrispettivo di un immobile o della cessione di un capitale. Può essere
costituita anche quale onere dell’alienazione gratuita di un immobile o della concessione gratuita di
un capitale. La rendita deve avere garanzia immobiliare: è garantita dall’ipoteca legale sul fondo
alienato, in caso di rendita fondiaria, e con l’iscrizione di un’ipoteca su un immobile in caso di
rendita semplice.

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Assicurazioni
L’assicurazione è il contratto col quale l’assicuratore, verso pagamento di un premio, si obbliga a
rivalere l’assicurato, entro i limiti convenuti, del danno ad esso prodotto da un sinistro
(assicurazione contro i danni), ovvero a pagare una capitale o una rendita al verificarsi di un evento
attinente alla vita umana (assicurazione sulla vita), art. 1882. È un contratto a prestazioni
corrispettive: al pagamento del premio da parte dell’assicurato corrisponde l’assunzione del rischio
da parte dell’assicuratore, obbligato a pagare una somma di danaro al verificarsi del sinistro o
dell’evento attinente alla vita umana. È un contratto di durata, perché la sopportazione del rischio
dell’assicuratore dura nel tempo. La risoluzione del contratto non ha effetto retroattivo e perciò non
dà diritto alla restituzione dei premi. Corrispettività e durata si manifestano nella regola secondo la
quale il ritardo nel pagamento dei premi sospende la garanzia assicurativa. Il contratto è aleatorio,
perché il rapporto di valore fra i premi che saranno pagati dall’assicurato e quanto dovrà venire
pagato dall’assicuratore è inizialmente incerto. Nell’assicurazione sulla vita ad esempio è certo che
l’assicuratore dovrà pagare, ma non si sa quando. Non si conosce la durata della vita della persona e
di conseguenza è incerto l’ammontare dei premi che verranno conseguiti dall’assicuratore.
L’assicurazione si distingue da gioco e dalla scommessa in quanto da un lato lo scommettitore si
sottopone artificialmente a rischio, mentre chi si assicura cerca di evitare o attenuare le conseguenze
economiche di un rischio al quale è già sottoposto. Assicurandosi compie un atto di previdenza.
L’assicuratore stipula numerosi contratti, accentrando un gran numero di rischi. Si rende applicabile
un calcolo statistico, che consente di prevedere quanto dovrà essere pagato ogni anno dall’insieme
degli assicurati. Questa somma viene ripartita tra gli assicurati sotto forma di premi di
assicurazione. L’alea caratterizza il singolo contratto di assicurazione, del quale costituisce
elemento essenziale. Se il rischio non è mai esistito o ha cessato di esistere prima della conclusione
del contratto, questo è nullo per mancanza di causa (art. 1895). Se il rischio cessa di esistere dopo la
conclusione del contratto questo si scioglie (art. 1896). Il contratto si presenta come aleatorio se si
confrontano le prestazioni di assicurato e assicuratore. Ma il rapporto tra premi pagati
dall’assicurato e rischio assunto dall’assicuratore è commutativo. Diminuzione o l’aggravamento
del rischio possono giustificare lo scioglimento del contratto o una modificazione delle condizioni
contrattuali che ristabilisca l’equilibrio fra premi e garanzia assicurativa (artt. 1897, 1898). Questo
solo se ha carattere permanente ed esce dal quadro presupposto al tempo della stipulazione, non in
caso di aggravio del rischio già considerato nel contratto. Sono estranei al concetto di rischio i
sinistri causati dall’assicurato stesso, dal terzo beneficiario o dal contraente. I sinistri dovuti a colpa
grave di questi possono essere compresi nella garanzia assicurativa. Appartenendo il rischio alla
sfera dell’assicurato, la sua collaborazione è necessaria per valutare la misura del rischio stesso. La
legge impone a questo l’onere di comunicare le circostanze che influiscano sul rischio tanto da
renderlo determinante o da giustificare condizioni contrattuali diverse. La violazione di quest’onere
è causa di annullamento del contratto, se l’assicurato ha agito con dolo o colpa grave, o si giustifica
in questo caso il recesso dell’assicuratore entro 3 mesi dal giorno in cui ha conosciuto l’inesattezza
della dichiarazione. A differenza dell’annullamento, il recesso non è retroattivo. Se il sinistro si è
già verificato, l’assicuratore deve pagare, ma la somma è ridotta in proporzione della differenza tra
premio convenuto e che sarebbe stato applicato se si fosse conosciuto il vero stato delle cose. Il
contratto di assicurazione deve essere provato per iscritto. L’assicuratore è obbligato a rilasciare al
contraente la polizza di assicurazione o altro documento da lui sottoscritto (art. 1888 cod.civ.).
Assicuratore può essere solo un istituto di diritto pubblico, una società o una mutua assicuratrice,
operanti sotto la vigilanza dello Stato, necessaria per assicurare una gestione corretta.
Assicurazioni contro i danni

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L’assicurazione contro i danni copre, nei modi e nei limiti stabiliti dal contratto, il danno sofferto
dall’assicurato in conseguenza di un sinistro che rientri nel rischio contrattualmente definito.
Affinché questo mantenga la funzione previdenziale la legge richiede un interesse dell’assicurato al
risarcimento del danno. Si può assicurare contro perdita o deterioramento. Sarebbe nullo il contratto
di assicurazione per un bene altrui la cui perdita o il cui deterioramento non possa avere
ripercussioni sul patrimonio dell’assicurato (art. 1904 cod. civ.). Per la stessa ragione l’indennizzo
dovuto dall’assicuratore non può mai superare il danno sofferto dall’assicurato (principio
indennitario). Eliminando ogni possibilità di arricchimento dell’assicurato, queste regole eliminano
un eventuale incentivo a frodare l’assicurazione procurando o facilitando il sinistro. Può darsi che
un danno sia dovuto al fatto del quale altri debbano rispondere. In questo caso l’assicuratore che ha
pagato l’indennizzo è surrogato, fino all’ammontare di esso, nei diritti dell’assicurato verso il terzo.
I limiti entro i quali il danno va risarcito dall’assicuratore sono liberamente determinati dalle parti.
Il premio è chiaramente valutato in relazione al valore della cosa assicurata, dichiarato al momento
della conclusione del contratto. Un valore insufficiente fa pagare premi più bassi. Dunque nel caso
di d’irruzione totale del bene assicurato l’assicuratore pagherà l’intero valore dichiarato dal
contraente: questo può essere fonte di sgradevoli sorprese qualora il valore dichiarato fosse esatto,
ma cambiato nel corso del tempo o qualora il valore dichiarato fosse errato. L’applicazione della
regola proporzionale può essere esclusa stipulando un’assicurazione a primo rischio, dove il valore
dichiarato vale solo come limite assoluto dell’indennità dovuta dall’assicuratore.
Assicurazione contro responsabilità civile
È un tipo particolare di assicurazione contro i danni: l’assicuratore si impegna a tenere indenne
l’assicurato quanto questi, in conseguenza del fatto accaduto durante il tempo dell’assicurazione,
debba pagare a un terzo in dipendenza della responsabilità dedotta nel contratto. Sono esclusi i
danni derivanti dal fatto doloso proprio dell’assicurato (art. 1917 cod. civ.). Sono compresi i danni
derivanti dal fatto doloso altrui, del quale l’assicurato debba rispondere per colpa nella sorveglianza
o a titolo di responsabilità oggettiva. Nel codice civile, beneficiario è solo l’assicurato, dunque il
terzo danneggiato non può agire direttamente contro l’assicuratore, ma solo contro il responsabile
del fatto dannoso, il quale a sua volta ha diritto ad essere tenuto indenne dall’assicuratore (art. 1917
cod. civ.). Nell’assicurazione obbligatoria della responsabilità civile derivante dalla circolazione
delle automobili, dei veicoli a motore e delle imbarcazioni a motore, il terzo danneggiato ha azione
diretta contro l’assicuratore, né può sentirsi opporre dall’assicuratore eccezioni derivanti dal
contratto.
Assicurazione sulla vita:
Con il di assicurazione sulla vita, l’assicuratore, verso pagamento di un premio, si obbliga a pagare
un capitale o una rendita al verificarsi di un evento attinente alla vita umana.
Si distinguono: assicurazioni per il caso di vita, assicurazioni per il caso di morte, assicurazioni
miste.
Assicurazioni per il caso di vita: comprendono:
Capitale differito: l’assicuratore ottiene il pagamento di un capitale dopo un numero prefissato di
anni, alla condizione che sia ancora in vita.
Rendita vitalizia immediata: l’assicuratore, contro il pagamento di un premio unico immediato, si
impegna a pagare una rendita vitalizia a partire dalla conclusione del contratto.
Rendita vitalizia differita: l’assicuratore, contro il pagamento di un premio unico, oppure di premi
annuali per un certo numero di anni, si impegna a pagare al beneficiario una rendita vitalizia a
partire da un certo termine iniziale.
Assicurazioni per il caso di morte: comprendono:

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A vita intera: l’assicuratore si impegna a pagare una somma alla morte di una persona, in
qualunque momento essa avvenga, contro il pagamento di un premio annuo vitalizio o temporaneo.
Temporanea: la prestazione dell’assicuratore è dovuta solo se la morte interviene prima di un certo
termine.
Assicurazioni miste: l’assicuratore dovrà pagare un capitale all’assicurato stesso quando
raggiungerà una determinata età, oppure ai superstiti beneficiari della polizza, se l’assicurato morirà
prima.
Assicurazioni sulla vita di un terzo: ad esempio una moglie può assicurarsi nel caso che il marito
muoia lasciandola senza mezzi per mantenersi. La legge non richiede la dimostrazione
dell’interesse come requisito di validità, ma il consenso del terzo, che fa presumere l’esistenza
dell’interesse dell’assicurato. È richiesto per proteggere la vita delle persone contro l’eventualità
che il guadagno ricavabile sia incentivo per l’omicidio.
Assicurazione sulla vita a favore di un terzo: questo contratto rientra nella categoria generale dei
contratti a favore di terzi. La revoca della designazione del beneficiario è ammessa più ampiamente
rispetto alle regole generali. Per effetto della designazione il terzo beneficiario acquista un diritto
proprio nei confronti dell’assicuratore.
Contratti a termine e derivati finanziari:
La vendita a termine è una vendita da eseguirsi a una data futura per un prezzo stabilito oggi. Si
tratta di un contratto aleatorio in quanto il compratore si assume il rischio che il prezzo di mercato
al tempo dell’esecuzione (prezzo a pronti) sia inferiore al prezzo pattuito con la vendita a termine
(prezzo a termine), mentre il venditore si assume il rischio che sia superiore. Il compratore si
avvantaggia di un eventuale rialzo e il venditore di un eventuale ribasso. Il compratore assume una
posizione lunga (al rialzo) e il venditore una posizione contra (al ribasso). Questo contratto può
essere utilizzato per coprirsi contro un rischio. Il sottostante (variabile da cui dipende il prezzo di
uno strumento derivato) può consistere in merci, azioni, obbligazioni, titoli di credito, valute o
indici di prezzi: in questo caso alla scadenza sarà liquidata una somma di denaro pari alla differenza
fra il valore dell’indice di riferimento e il valore dello stesso indice nel giorno di scadenza. Questo
strumento consente di coprirsi contro il rischio di investimenti azionari. La copertura del rischio si
può realizzare anche mediante opzioni di acquisto o vendita. Acquistando, contro il pagamento di
un premio, un’opzione di vendita il titolare dell’opzione avrà la facoltà di vendere alla controparte
un titolo o un bene ad una certa data ad un prezzo prefissato.
La copertura dei rischi è una funzione essenziale per il buon funzionamento del mercato.
Gioco e scommessa: Il vincitore di un gioco o di una scommessa non ha azione in giudizio per
ottenere la condanna del perdente a pagare la posta convenuta: manca un interesse generale che
giustifichi la tutela giuridica. Il perdente non può pretendere la restituzione di quanto abbia
spontaneamente pagato dopo l’esito di un giuoco o di una scommessa in cui non vi sia stata alcuna
frode, a meno che il perdente stesso sia un incapace (art. 1933 cod. civ.). Queste regole si applicano
sia ai giochi d’azzardo, puniti come reato o tollerati nelle case di gioco autorizzate, sia alle gare di
abilità. L’azione in giudizio è però ammessa per il pagamento dei debiti di giuoco su competizioni
sportive e dei debiti derivanti da lotterie autorizzate.

CAPITOLO XLIX: CONTRATTI DIRETTI A DIRIMERE CONTROVERSIE


Transazione
La transazione è il contratto col quale le parti, facendosi reciproche concessioni, pongono fine a una
lite già incominciata o prevengono una lite che può sorgere tra loro (art. 1965 cod. civ.).
Presupposto è dunque l’esistenza di una lite, di un conflitto di pretese. Se una parte ha ritenuto

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opportuno chiudere una controversia consuma transazione, non potrà riaprirla adducendo che il suo
buon diritto era così fondato da escludere ogni incertezza. La transazione può essere annullata nel
caso limite che una delle parti fosse consapevole della temerarietà della sua pretesa (art. 1971 cod.
civ.). Essenziale è l’esistenza di concessioni reciproche: se questa venisse fatta da una sola persona
si parlerebbe di rinuncia al diritto di pretesa. L’esistenza delle concessioni va determinata in
relazione alle pretese che ciascuna parte faceva valere. Occorre dunque che ciascuna parte consegua
vantaggi minori di quelli cui pretendeva di avere diritto e maggiori di quelli che l’altra parte si
mostrava disposta a riconoscerle. Non ogni lite può essere definita con una transazione. Non si può
transigere su diritti indisponibili, attinenti a stato, capacità delle persone o ai rapporti di famiglia, né
tantomeno su un contratto illecito, perché l’illiceità di questo si rifletterebbe sulla transazione
stessa. Deve essere essere provata per iscritto. Avendo la transazione lo scopo di chiudere una lite
sostituendo un aspetto certo ad una situazione incerta, il riesame di quest’ultima deve essere
normalmente precluso. Non è ammessa l’impugnazione per errore, è ammessa solo quando l’errore
riguardi la falsità o l’esistenza di documenti, la nullità del titolo relativamente al quale si è stipulata
la transazione o l’esistenza di una sentenza passata in giudicato che avesse già deciso la lite. Le
parti possono porre fine ad una situazione incerta o controversa anche con un accordo che non
preveda reciproche concessioni. Si parla di negozio di accertamento.
Concessione di beni ai creditori
La cessione dei beni ai creditori è il contratto con cui il debitore incarica i suoi creditori, o alcuni di
essi, di liquidare delle sue attività e di ripartirne tra loro il ricavato in soddisfacimento dei loro
crediti (art. 1977 cod. civ.). Lo scopo del contratto è evitare l’esecuzione forzata. Ai creditori non è
ceduta la proprietà dei beni, ma è solo attribuito il potere di venderli per soddisfarsi con il ricavato.
Il debitore, dal canto suo, non può disporre dei beni ceduti, ma ha diritto di controllare l’operato dei
creditori cessionari. Venduti i beni, i creditori devono ripartire tra loro le somme ricavate in
proporzione dei rispettivi crediti, salve le cause di prelazione. Il residuo spetta al debitore, salve
cause di prelazione. Il debitore è liberato verso i creditori solo nei limiti di quanto hanno
effettivamente conseguito (art. 1984 cod. civ.). Il contratto si inquadra nella figura del mandato
conferito anche nell’interesse del mandatario: non è revocabile unilateralmente dal debitore. Ma il
debitore può recederne offrendo ai creditori cessionari il pagamento del capitale e degli interessi: in
tal caso, infatti, la liquidazione dei beni non avrebbe più scopo.

CAPITOLO L: LA DIVISIONE

Divisione:
Con il contratto di divisione i partecipanti a una comunione la sciolgono, attribuendo a ciascuno, in
luogo del diritto di quota, un diritto esclusivo di valore corrispondente. Presupposto della divisione
è l’esistenza di uno stato di comunione: se non esiste il contratto di divisione è nullo per mancanza
di causa. Se sono stati omessi uno o più beni, la divisione non è invalida, e si procede a un
supplemento di divisione (art. 762 cod. civ.). Se uno dei condividenti è stato leso in misura
superiore a un quarto, può chiedere la rescissione della divisione (art. 763 cod. civ.). L’errore non è
causa di annullamento della divisione, ma se ha determinato l’omissione di beni, o la lesione di un
condividente oltre la misura del quarto, si applicano i rimedi ora accennati. La divisione può invece
essere annullata per violenza o dolo (art. 761 cod. civ.). I condividenti si devono reciproca garanzia
per l’evizione.

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