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FILIPPO CORIGLIANO
L’IDENTITÀ IMMAGINATA
PAROLE E CONCETTI SUL MEDITERRANEO
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Fernand Braudel sul punto scrive: «Si determina un fenomeno che costituisce
una novità straordinaria, nasce una cultura cosmopolita nel cui ambito sono indivi-
duabili gli apporti delle diverse civiltà sviluppatesi sulle sponde del mare o nelle iso-
le». F. Braudel, Il Mediterraneo. Lo spazio, la storia, gli uomini, le tradizioni, Bom-
piani, Milano 2008, p. 60. Nello stesso volume si veda in particolare il capitolo di
Maurice Aymard, Spazi, pp. 123-144.
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Sul concetto di spazio politico si fa riferimento al volume di Carlo Galli, Spazi
politici. L’età moderna e l’età globale, il Mulino, Bologna 2001.
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Su questo punto si veda Franco Cassano, Il pensiero meridiano, Laterza, Roma-
Bari 2007; sull’attitudine dei Greci per «l’arte della navigazione» Cassano scrive: «Dei
Greci Jacob Burkhardt dice che all’origine furono pirati, esattamente la stessa cosa che
Schmitt dirà successivamente degli inglesi», cit., p. 42. Si può vedere il riferimento a
Carl Schmitt nel suo volume Terra e mare (1954), Adelphi, Milano 2002; nello speci-
fico si veda il capitolo VII, dal titolo Pirati e schiumatori del mare, pp. 42-46.
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Si veda C. Schmitt (1954), Terra e mare cit.; sul tema delle rivoluzioni spaziali
in C. Schmitt si veda anche la raccolta di scritti dal titolo, L’unità del mondo. Sulla
globalizzazione e altri scritti, Pgreco, Milano 2013. Cfr. nello specifico gli articoli,
Sovranità dello stato e libertà dei mari (1941), pp. 77-105, e L’ordinamento planeta-
rio dopo la seconda guerra mondiale (1962), pp. 157-174.
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C. Schmitt, Terra e mare, p. 59. Per Schmitt l’immaginario assume una certa
rilevanza. La tesi del filosofo tedesco è che la rivoluzione spaziale è il prodotto di
mutamenti politici e sociali. La diversa percezione dell’immagine del mondo si pone
come presupposto a tali mutamenti. Secondo Schmitt, quella che avviene nei secoli
XVI e XVII, «è una rivoluzione che non può essere paragonata a nessun’altra. Non
si trattò soltanto di un ampliamento spaziale particolarmente esteso […] Ciò che mu-
tava, per la coscienza collettiva degli uomini, era piuttosto l’immagine globale del
nostro pianeta». Ivi, p. 66.
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Laura Bazzicalupo, Politica. Rappresentazioni e tecniche di governo, Carocci,
Roma 2013, p. 25.
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A riguardo si ritiene che il processo di costruzione dell’identità abbia una forte
connotazione politica, nel senso che esso ingloba norme e valori socialmente ricono-
sciuti da un gruppo. Questo specifico aspetto teorico viene più volte affrontato da
Carl Schmitt, il quale così si esprime in merito al «concetto giuridico»: «la costru-
zione di un concetto giuridico procede sempre, per necessità dialettica, dalla sua ne-
gazione». Carl Schmitt, Il concetto di politico (1932), in Le categorie del politico, il
Mulino, Bologna 1972, p. 95.
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Su questo punto rimando a Pietro Rossi, L’identità dell’Europa, il Mulino, Bo-
logna 2007. In particolare faccio riferimento al capitolo VI, Identità per differenza,
in cui Rossi scrive: «Decisivo per la costruzione dell’identità europea è il conflitto
plurisecolare con il mondo islamico […] La nascente civiltà europea si definisce per
differenza dall’Islam, anzi in aperta contrapposizione con l’Islam». Ivi, p. 105. Al-
trettanto interessante mi pare la riflessione di Giacomo Marramao: «L’eccezione eu-
ropea va piuttosto individuata nel fatto che, mentre ogni altra civiltà si caratterizza
autocentricamente, identificandosi come il «centro dell’universo», l’Europa si costi-
tuisce tramite una polarità interna di Occidente e Oriente. L’antitesi di Oriente e Oc-
cidente è, pertanto, una proprietà mitico-simbolica esclusiva dell’occidente: un tipi-
co dualismo non riscontrabile nelle altre culture». Giacomo Marramao, Passaggio a
Occidente. Filosofia e globalizzazione, Bollati Boringhieri, Torino 2003, p. 59. Ed-
ward Said, nel suo celebre saggio Orientalismo (Bollati Boringhieri, Torino 1991),
considera l’orientalismo come pratica discorsiva (esplicito è il riferimento a Michel
Foucault, p. 5), la quale si afferma da un preciso periodo storico in poi, vale a dire
dall’inizio dell’epoca colonialista, in cui la ridefinizione dei rapporti di potere a li-
vello internazionale produce una certa egemonia culturale e, come scrive Said, «un
sistema di conoscenza dell’Oriente, un filtro attraverso il quale l’Oriente è entrato
nella coscienza e nella cultura occidentali». E. W. Said, Orientalismo cit., p. 9.
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Si veda Chiara Bottici, La politica immaginale, in Alessandro Ferrara (a cura
di), La politica tra verità e immaginazione, Mimesis, Milano-Udine 2012, pp. 63-79.
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Sul punto Laura Bazzicalupo (Politica cit., p. 144) parla espressamente di
identità situata, sempre immersa nei rapporti dinamici di potere.
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Pietro Rossi, riprendendo Philip Gleason (Identifying Identity: A Semantic Hi-
story, in «Journal of American History», LXIX, 1983), scrive: «occorre in ogni caso
aver chiaro che l’identità non può essere concepita come se costituisse un nucleo
permanente e invariante, sottratto al mutamento storico». P. Rossi, L’identità
dell’Europa cit., p. 103.
12
Karl Polanyi (La grande trasformazione. Le origini economiche e politiche
della nostra epoca, Einaudi, Torino 1974, p. 63) considera la reciprocità (insieme
alla redistribuzione) come «due principi di comportamento non primariamente asso-
ciati all’economia».
13
Simmetria e reciprocità costituiscono principi di giustizia. Per Anna Jellamo (Il
cammino di Dike, L'idea di giustizia da Omero a Eschilo, Donzelli, Roma 2005, p.
58) «La reciprocità è principio guida nelle varie situazioni della vita: definisce i con-
fini dell’azione, fonda aspettative di azione. Garantisce l’equilibrio del rapporto. La
sua violazione crea disordine».
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Nello scambio si determina una logica di interazione e intersoggettività; sul
punto riporto una citazione che mi è parsa interessante e significativa: «L’intersog-
gettività è un’istituzione sociale, non il semplice accordarsi dell’io con il tu». Pietro
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Si veda Andre Gunter Frank in Annamaria Vitali (a cura di), Per una storia
orizzontale della globalizzazione. Sette lezioni di Andre Gunder Frank, Rubbettino,
Soveria Mannelli 2004, p. 94; nelle stesse pagine Gunder Frank muove da una pro-
spettiva critica verso l’eurocentrismo, mettendo in discussione e smentendo, di fatto,
soprattutto quelle teorie che lo sostengono. Sul punto, una riflessione importante è
mossa da Seyla Benhabib nel capitolo Nous et les autres. È etnocentrismo
l’universalismo?, in La rivendicazione dell’identità culturale. Eguaglianza e diversi-
tà nell’era globale, il Mulino, Bologna 2005, pp. 47-75.
19
Shmuel Noah Eisenstadt, Modernità, modernizzazione e oltre, Armando edito-
re, Roma 1997, p. 68.
20
C. Galli, Spazi politici cit., p. 132. Secondo Galli «l’esplosione» delle tensioni
generate dalla modernità produce una «ridefinizione» di nuovi confini. Si assiste a
un’emersione di nuove (o vecchie) comunità, identità, rinnovati sensi di appartenen-
za, talvolta radicalizzati. Come scrive Galli (Ivi, p. 133), «lo spazio tutto aperto (o
almeno che tende a presentarsi come tale) della globalità può essere tanto soffocante
quanto quello angusto (che tendeva a presentarsi come chiuso) della statualità».
21
La considerazione è di L. Bazzicalupo, Politica cit., p. 71.
22
Ibidem.
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Si potrebbe elencare un numero consistente di simili elementi contradditori;
quello che è importante sottolineare è piuttosto una generale tendenza alla radicaliz-
zazione dei fenomeni storici, sociali e politici, la quale costituisce una ri- chiusura
all’interno dei propri orizzonti di senso, sociale e culturale. All’opposto, il disanco-
ramento culturale e se vogliamo storico, genera processi di decostruzione identitaria
orientati a quello che Michel Maffesoli definisce «tribalismo postmoderno», inteso
come continua intercambiabilità di ruoli, appartenenze e identità e dettato dalla rela-
tiva libertà di scelte contingenti. Il riferimento si trova in Michel Maffesoli,
Dall’astrazione all’emozione, in Alberto Abruzzese, Vincenzo Susca (a cura di),
Immaginari postdemocratici. Nuovi media, cybercultura e forme di potere, Franco
Angeli, Milano 2006, cit., p. 27. Nello stesso volume si veda anche il saggio di Gia-
como Marramao, I nuovi volti del potere, pp. 33-43.
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Sul punto una riflessione importante è in B. Anderson, Comunità immaginate.
Origini e fortuna dei nazionalismi, manifestolibri, Roma, 1996; di seguito una cita-
zione che mi sembra offra una notevole chiarezza in merito alle tesi dell’A.: «I due
fattori più significativi che hanno generato nazionalismo ed etnicità sono strettamente
connessi al sorgere del capitalismo: sommariamente, comunicazioni di massa e mi-
grazioni di massa». Benedict Anderson, Comunità immaginate cit., p. 222. Per alcuni
versi, a questa lettura si affianca quella di Carlo Galli: «Nella dialettica degli univer-
sali, nelle loro contraddizioni, si manifesta quanto la spazialità politica moderna sia
intrinsecamente instabile, e profondamente indeterminata. Queste contraddizioni
esploderanno compiutamente nell’età della globalizzazione, ma nascono ben
all’interno della modernità». C. Galli, Spazi politici cit., p. 77.
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F. Cassano, Il pensiero meridiano cit., pp. 67-68.
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Sul punto, e più in generale, mi sembrano interessanti almeno due aspetti
dell’analisi affrontata da Benedict Anderson nel suo libro Comunità immaginate: il
primo evidenzia come una nazione (intesa qui nel senso comunitario) si possa pre-
sentare simultaneamente aperta e chiusa e che quindi si ha a che fare quasi sempre
con modelli dinamici d’interpretazione delle realtà storico-sociali (si veda B. An-
derson, Comunità immaginate cit., p. 154). L’altro aspetto, non meno rilevante,
riguarda la considerazione che molte forme di radicalismo (siano esse caratterizza-
te da un forte nazionalismo o etnicità) sono «effetti dello scontento e della pover-
tà». Ivi, p. 221.
27
Sul punto rimando a Elena Pulcini, Paura, risentimento, indignazione: passio-
ni e patologie dell’età globale, in Massimo Cerulo, Franco Crespi (a cura di), Emo-
zioni e ragione nelle pratiche sociali, Orthotes, Napoli-Salerno 2013, pp. 177-194.
Nello stesso volume si veda anche il saggio di Franco Crespi, Emozioni ed esperien-
za esistenziale, pp. 43-67.
28
F. Cassano, Il pensiero meridiano cit., p. 69.
29
Fra le più fortunate formulazioni teoriche recenti si trova senz’altro quella del
glocalismo, la quale costituisce l’ambivalente e irriducibile compresenza di fenome-
ni globali e fenomeni locali, a testimonianza della frammentazione del mondo.
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«Insomma, modernismo e conservatorismo (perlomeno ostentazione di un
passato millantato) non solo non si escludono a vicenda ma si completano e ciò rap-
presenta un modo estremamente singolare della storicità». Günther Anders (1980),
L’uomo è antiquato. (Vol. II) Sulla distruzione della vita nell’epoca della terza rivo-
luzione industriale, Bollati Boringhieri, Torino 2003, p. 283.
31
Sul punto rimando alla riflessione di Serge Latouche, La sfida di Minerva. Ra-
zionalità occidentale e ragione mediterranea, Bollati Boringhieri, Torino 2000. Si
veda soprattutto il secondo capitolo, pp. 46-57. Secondo Latouche tale caratteristica
appartiene per natura storica e culturale al Mediterraneo. Così scrive Latouche: «La
«prudenza» è incontestabilmente mediterranea, da Aristotele a Cicerone; essa presup-
pone una coscienza acuta della condizione tragica dell’uomo e al contempo un senso
sempre all’erta dei limiti della situazione». Ivi, p. 53.
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Sul punto, Benedict Anderson (Comunità immaginate cit., p. 222) sostiene che
«proprio la modernità dà oggi un tale potere al nazionalismo e all’etnicità». Simil-
mente, così scrive Giacomo Marramao (Passaggio a Occidente cit., p. 73): «Se si
assume che tradizione e comunità non sono dei dati naturali o spontanei, bensì a loro
volta il prodotto artificiale del Moderno, allora si dovrà concludere che l’espansione
della modernità non solo si concilia con la persistenza di quelle forme, ma piuttosto
la ricrea costantemente inducendo un processo di periodica reinvenzione dei loro
profili caratteristici».
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Il romanzo dell’identità
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Nel prossimo paragrafo si affronterà, in particolare, il ruolo svolto dal roman-
zo a sostegno della formazione di caratteri identitari. Le elaborazioni prendono spun-
to dal seguente volume: Lorenzo Casini, Maria Elena Paniconi, Lucia Sorbera, Mo-
dernità arabe. Nazione, narrazione e nuovi soggetti nel romanzo egiziano, Mesogea,
Messina 2013, del quale riporto una citazione a scopo introduttivo (p. 19): «Facen-
dosi interprete di tante «simultanee identità» il romanzo è diventato il principale vei-
colo della diffusione di un immaginario nazionale, della creazione di una lingua na-
zionale e di una narrazione (e quindi di una letteratura) nazionale».
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Su questo specifico argomento farò riferimento a Jan Assmann, La memoria
culturale. Scrittura, ricordo e identità politica nelle grandi civiltà antiche, Einaudi,
Torino, 1997. In particolare, l’interesse in questo caso è rivolto prevalentemente
all’identità collettiva la quale si compone di caratteri culturali differenti.
35
Sul punto rimando al bel saggio di Vittorio Beonio Brocchieri, Aristocrazia,
tempo e memoria in Alexis de Tocqueville, in Diana Thermes (a cura di), Tocqueville
e l’Occidente, Rubbettino, Soveria Mannelli 2012, pp. 179-217. Nello specifico,
Brocchieri affronta il passaggio storico-concettuale dal mondo aristocratico a quello
fondato su rapporti sociali egualitari, tipici della democrazia.
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J. Assmann, La memoria culturale cit., p. 109. Si veda in particolare il III ca-
pitolo, Identità culturale e immaginativa politica, pp. 99-128.
37
Su questo punto rimando a Paolo Jedlowski, Il racconto come dimora. Heimat
e le memorie d’Europa, Bollati Boringhieri, Torino 2009. Si veda in particolare il II
capitolo, La narrazione è un’interazione, pp. 24-31.
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In questo caso la letteratura egiziana è considerata a titolo esemplificativo. I
temi trattati riguardano l’epoca che – dalla data di indipendenza del 1922 – ripercor-
rono la storia egiziana di quasi tutto il novecento. Gli argomenti proposti sono ripresi
da L. Casini, M. E. Paniconi, L. Sorbera, Modernità arabe. Nazione, narrazione e
nuovi soggetti nel romanzo egiziano, precedentemente citato; specie in riferimento
all’utilizzo di quello che gli autori definiscono «occidentalismo strategico», si veda
la seconda parte del volume, dal titolo Il tema europeo (pp. 155-242), in cui una cer-
ta pratica discorsiva sulla modernità occidentale diviene elemento di critica verso
determinati caratteri esterni alla società egiziana. Non solo, la stessa critica è in real-
tà rivolta a tutti coloro che all’interno dell’Egitto si sono «schierati» con i caratteri
della modernità.
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In questa sezione faccio riferimento a tre romanzi analizzati nei capitoli 2.3, 2.4, 2.5,
del volume sopra citato. Si tratta di: Il ritorno dello spirito (1933) di Tawfīq Al-Hakīm, La
lampada di Umm Hāšim (1944) di Yahyā Haqqī, Adīb (1935) di Ţāhā Husayn.
40
L. Casini, M. E. Paniconi, L. Sorbera, Modernità arabe cit., p. 163.
41
Ivi, p. 241.
42
Ivi, p. 239.
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Ivi, p. 219.
44
Ivi, si vedano le pp. 220-226.
45
Sul punto rimando a L. Bazzicalupo, Politica cit.; si veda in particolare il cap.
I°, Rappresentazioni della coesistenza: l’ordine, pp. 21-60. Per una riflessione filo-
sofica sui temi legati al concetto di comunità si veda in particolare Roberto Esposito,
Communitas. Origine e destino della comunità, Einaudi, Torino 1998.
46
Faccio sempre riferimento all’accezione offerta da Jan Assmann, in La memo-
ria culturale. Scrittura ricordo e identità politica nelle grandi civiltà antiche, dove
per identità individuale s’intende l’immagine di se fissata nella coscienza del singo-
lo, che concerne l’aspetto contingente della vita, la fisicità dell’esistenza e dei suoi
bisogni fondamentali. Rimando alle pp. 99-102.
47
Questo tema viene affrontato nella terza parte di Modernità arabe cit., dal tito-
lo Narrare il sé, rappresentare la modernità. Ambienti, temi e forme della scrittura
femminile in epoca moderna, pp. 245-349. Sul punto si veda anche Renate Siebert,
Scrivere nella lingua dell’altro: Fadhama Aïth Mansour Amrouche e Assia Djebar,
in Renate Siebert, Sonia Floriani (a cura di), Incontri fra le righe. Letterature e
scienze sociali, Pellegrini, Cosenza 2010, pp. 63-81.
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Nagib Mahfuz, Miramar, Feltrinelli, Milano 1967.
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Ivi, p. 89.
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Ibidem.
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Sarhan al-Buheiri, riflettendo sull’esponente della vecchia aristocrazia fondia-
ria Tolba Beck Marquz, si lascia andare alla seguente osservazione: «Lui appartiene
alla classe sociale di cui dobbiamo in qualche modo ereditare le ricchezze». N. Mah-
fuz, Miramar cit., p. 129.
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Con la figura di Zahra, Mahfuz pare voglia mettere in risalto il ruolo svolto
dal movimento femminista arabo, specie quello rappresentato dall’Unione delle
Femministe Egiziane, istituito nel 1923. Su questo punto rimando ancora a L. Casini,
M. E. Paniconi, L. Sorbera, Modernità arabe; si veda nella terza parte il paragrafo
dal titolo Lo spazio della soggettività femminile nella letteratura araba moderna, pp.
245-349.
53
L’utilità del romanzo per lo studioso parte dalla consapevolezza dei limiti eu-
ristici della letteratura. Sul punto rimando a Laurence Guellec, L’enjeu américain
dans la pensée politique de Tocqueville, in D. Thermes (a cura di), Tocqueville e
l’Occidente cit., pp. 247-266. Guellec mette in guardia dal cedere alla rappresenta-
zione letteraria e all’immagine idealizzata di una società. Tocqueville, leggendo i
resoconti dei viaggi in America di Chateubriand e altri autori prima del suo viaggio,
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è rimasto sorpreso dell’assoluta inesistenza di alcuni miti letterari, una volta giunto
sul campo.
54
G. Marramao, Passaggio a Occidente cit., p. 73, ma si veda in generale
l’intero cap. I dal titolo Nostalgia del presente, pp. 11-83.
55
Ivi., p. 74.
56
Per delle riflessioni di carattere sociologico su questo punto, rimando a Paolo
Jedlowski, C’eravamo tanto amati. Forme della nostalgia, in M. Cerulo, F. Crespi (a
cura di), Emozioni e ragione nelle pratiche sociali cit., pp. 195-208.
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L’espressione è di Paolo Jedlowski, C’eravamo tanto amati cit., p. 202.
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Sulla creazione di un «mercato della nostalgia» rimando a Frank Mermier, Il
libro e la città. Beirut e l’editoria araba, Mesogea, Messina 2012, pp. 132-135. L’A.
affronta la questione dell’acquisto di libri su una libreria online libanese.
Nell’analizzare l’origine, la nazionalità, e il luogo di residenza dell’utenza abituale
mette in risalto come gran parte degli ordini viene effettuato da persone di origine
araba ma residenti soprattutto in America del Nord. Non solo, i prodotti culturali più
richiesti – oltre ai libri in generale – riguardano vecchie locandine di film arabi, col-
lane di memorie fotografiche e tutta un’iconografia che richiama gli antichi splendo-
ri del passato. Il revival nostalgico di cui parla Mermier è un modo attraverso il qua-
le il migrante, sradicatosi dalle proprie origini, tenta di rifondare un immaginario
sulle radici a cui far riferimento nei momenti di smarrimento identitario
59
F. Mermier, Il libro e la città, cit., p. 134.
60
Etimologicamente nostalgia deriva dal greco nóstos che significa ritorno. Per
riflessioni letterarie su questo tema rimando a André Aciman, Alessandria: la capi-
tale della memoria, in Città d’ombra, Guanda Editore, Parma, 2013, pp. 143-160. Si
veda anche Thierry Fabre, Alessandria, il sogno ostinato, in Id., Traversate, Meso-
gea, Messina 2006, pp. 171-192. Per un’escursione letteraria sui «luoghi» del Medi-
terraneo in generale si veda Jean Grenier, Ispirazioni mediterranee, Mesogea, Mes-
sina 2003; Id., Isole, Mesogea, Messina, 2003.
61
Questo passaggio viene affrontato da Carlo Galli in Spazi politici cit.; si veda in
particolare il cap. V, Dialettiche ed equilibri, pp. 91-109. Riporto di seguito una cita-
zione: «soprattutto il «luogo» veicola in sé il concetto di natura, anch’esso in rotta di
collisione con le logiche e le categorie della modernità. Nel «luogo» c’è insomma la
radice logica delle ideologie della «differenza naturale», che qualificano la politica
particolarizzandola». Ivi, pp- 99-100.
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Maurizio Maggiani, Il coraggio del pettirosso, Feltrinelli, Milano 1997.
63
Ivi, p. 118.
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Su questo tema rimando ancora a André Aciman, Un pellegrinaggio letterario nel
passato, in Città d’ombra, Guanda, Milano 2013, p. 96: «E tuttavia l’atto stesso di scrivere
è diventato il mio modo di trovare uno spazio e di costruire una casa per me stesso, il mio
modo di prendere un mondo informe e paludoso e puntellarlo con la carta».
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Il parallelo con la tragedia greca di Euripide, le Supplici, è riportato nel saggio di
Anna Jellamo, La tragedia attica come fonte giuridica, in Renate Siebert, Sonia Flo-
riani (a cura di), Andare oltre. La rappresentazione del reale fra letterature e scienze
sociali, Pellegrini, Cosenza 2013, pp. 41-59. Il tema delle Supplici s’interroga su «co-
me rispondere ai supplici che chiedono aiuto? Negarlo, per favorire la pace interna, o
rischiare la pace interna per soccorrerli?». Ivi, p. 59. Come la tragedia greca, questo
tema pone un lacerante quesito sulla nostra attualità.
66
Albert Camus, Ritorno a Tipasa, in L’estate e altri saggi solari, Bompiani,
Milano 2003, p. 95.
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