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_____________________ L’identità immaginata.

Parole e concetti sul Mediterraneo


DAEDALUS 5/2014 - ISSN 1970-2175 SAGGI

FILIPPO CORIGLIANO

L’IDENTITÀ IMMAGINATA
PAROLE E CONCETTI SUL MEDITERRANEO

ABSTRACT - The Mediterranean area is presented in this paper as a


historical and political space, within which intersubjective and social re-
lations are analyzed, on the sea itself and on its shores. The Mediterrne-
an becomes thus a vehicle for discovering, sharing and socializing cul-
tures, ideas and space. In this context, it is argued, confrontation of dif-
ferent identities produces a narrative of the self understood both indi-
vidually and collectively. The novel is analyzed as one of the primary
means of reproducing and disseminating identities, always socially and
historically situated. The Mediterranean, therefore, is seen as a place in-
habited by peoples with their own memories

Il carattere dello spazio mediterraneo

Storicamente il Mediterraneo si è configurato come uno spazio


chiuso, delimitato dalle terre di tre diversi continenti. La presenza di
innumerevoli e antiche civiltà ha favorito l’inevitabile contatto fra di
esse, che si è concretizzato non soltanto negli scambi commerciali,
ma anche nell’influenza culturale reciproca1.
La presenza di un mare fra le terre ha determinato per molto tem-
po una fondamentale centralità del mare nostrum, divenuto esso stes-
so spazio di conquista a opera degli antichi romani, che per primi ini-
ziarono a considerare quello mediterraneo come spazio politico2. Fu-
rono le guerre puniche condotte contro Cartagine a sancire la supre-
mazia marinara della potenza ascendente di Roma.

1
Fernand Braudel sul punto scrive: «Si determina un fenomeno che costituisce
una novità straordinaria, nasce una cultura cosmopolita nel cui ambito sono indivi-
duabili gli apporti delle diverse civiltà sviluppatesi sulle sponde del mare o nelle iso-
le». F. Braudel, Il Mediterraneo. Lo spazio, la storia, gli uomini, le tradizioni, Bom-
piani, Milano 2008, p. 60. Nello stesso volume si veda in particolare il capitolo di
Maurice Aymard, Spazi, pp. 123-144.
2
Sul concetto di spazio politico si fa riferimento al volume di Carlo Galli, Spazi
politici. L’età moderna e l’età globale, il Mulino, Bologna 2001.

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Prima ancora dei Romani, la parte ionica del Mediterraneo costitui-


va la rotta principale per lo sviluppo delle colonie greche. Proprio
nell’attitudine dei greci a partire per mare, alla scoperta di nuove terre,
molti studiosi ravvisano quella rottura epistemologica e culturale per
mezzo della quale ha inizio un processo di sradicamento dalla terra3.
Il Mediterraneo, dapprima dominato dalla civiltà greco-romana, si
popola lentamente di nuovi soggetti storici. Quando l’impero romano
– oramai in decadenza per via degli attacchi di Vandali, Vichinghi e
Normanni – perde il proprio dominio sul mare, il nuovo corso degli
eventi appare segnato.
Poco dopo un secolo dalla propria nascita – nel 698 d.c. – gli ara-
bi, uniti sotto il segno della religione islamica, conquistano Cartagine
e inaugurano un lungo periodo storico in cui il Mediterraneo diviene
il ponte verso nuove terre da conquistare. Rimane la resistenza
dell’Impero romano d’Oriente a contenere, per un certo tempo,
l’avanzata degli arabi.
Così, il mare diviene un tutt’uno con la terra, assume il carattere
di continuazione di essa per mezzo di un altro elemento, l’acqua.
Per via di quelle che Carl Schmitt definisce rivoluzioni spaziali4 il
mare Mediterraneo si determina sempre più come spazio politico, di
contesa. Ciò accade perché «ogni grande trasformazione storica com-
porta quasi sempre un mutamento dell’immagine di spazio»5, e tale

3
Su questo punto si veda Franco Cassano, Il pensiero meridiano, Laterza, Roma-
Bari 2007; sull’attitudine dei Greci per «l’arte della navigazione» Cassano scrive: «Dei
Greci Jacob Burkhardt dice che all’origine furono pirati, esattamente la stessa cosa che
Schmitt dirà successivamente degli inglesi», cit., p. 42. Si può vedere il riferimento a
Carl Schmitt nel suo volume Terra e mare (1954), Adelphi, Milano 2002; nello speci-
fico si veda il capitolo VII, dal titolo Pirati e schiumatori del mare, pp. 42-46.
4
Si veda C. Schmitt (1954), Terra e mare cit.; sul tema delle rivoluzioni spaziali
in C. Schmitt si veda anche la raccolta di scritti dal titolo, L’unità del mondo. Sulla
globalizzazione e altri scritti, Pgreco, Milano 2013. Cfr. nello specifico gli articoli,
Sovranità dello stato e libertà dei mari (1941), pp. 77-105, e L’ordinamento planeta-
rio dopo la seconda guerra mondiale (1962), pp. 157-174.
5
C. Schmitt, Terra e mare, p. 59. Per Schmitt l’immaginario assume una certa
rilevanza. La tesi del filosofo tedesco è che la rivoluzione spaziale è il prodotto di
mutamenti politici e sociali. La diversa percezione dell’immagine del mondo si pone
come presupposto a tali mutamenti. Secondo Schmitt, quella che avviene nei secoli
XVI e XVII, «è una rivoluzione che non può essere paragonata a nessun’altra. Non
si trattò soltanto di un ampliamento spaziale particolarmente esteso […] Ciò che mu-
tava, per la coscienza collettiva degli uomini, era piuttosto l’immagine globale del
nostro pianeta». Ivi, p. 66.

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modifica dell’immaginario ha delle immediate implicazioni pratiche.


Si ridefiniscono le rappresentazioni dello spazio, ognuna delle quali
assume valore politico perché incentrata su una visione del mondo.
Lo spazio della pluralità culturale del Mediterraneo si trasforma
lentamente nella pluralità di auto-rappresentazioni politiche, volte
alla ricerca di un «noi», in modo tale che «la rappresentazione iden-
titaria della politica si carica di una normatività, di un valore, di un
surplus di senso che viene investito libidicamente (affettivamente)
dai membri del gruppo, e così si sottrae alla dissoluzione»6. Non
solo, il Mediterraneo contribuisce, da questo punto di vista, a un
processo speculare di formazione di identità per contrasto7. Infatti,
per ciò che riguarda il riferimento a un’identità europea, di essa
non si fa menzione se non al momento di contrapposizione sul
campo fra il nascente impero carolingio e l’avanzata sempre più
consistente degli eserciti arabo-islamici8. Per tale ragione prima si

6
Laura Bazzicalupo, Politica. Rappresentazioni e tecniche di governo, Carocci,
Roma 2013, p. 25.
7
A riguardo si ritiene che il processo di costruzione dell’identità abbia una forte
connotazione politica, nel senso che esso ingloba norme e valori socialmente ricono-
sciuti da un gruppo. Questo specifico aspetto teorico viene più volte affrontato da
Carl Schmitt, il quale così si esprime in merito al «concetto giuridico»: «la costru-
zione di un concetto giuridico procede sempre, per necessità dialettica, dalla sua ne-
gazione». Carl Schmitt, Il concetto di politico (1932), in Le categorie del politico, il
Mulino, Bologna 1972, p. 95.
8
Su questo punto rimando a Pietro Rossi, L’identità dell’Europa, il Mulino, Bo-
logna 2007. In particolare faccio riferimento al capitolo VI, Identità per differenza,
in cui Rossi scrive: «Decisivo per la costruzione dell’identità europea è il conflitto
plurisecolare con il mondo islamico […] La nascente civiltà europea si definisce per
differenza dall’Islam, anzi in aperta contrapposizione con l’Islam». Ivi, p. 105. Al-
trettanto interessante mi pare la riflessione di Giacomo Marramao: «L’eccezione eu-
ropea va piuttosto individuata nel fatto che, mentre ogni altra civiltà si caratterizza
autocentricamente, identificandosi come il «centro dell’universo», l’Europa si costi-
tuisce tramite una polarità interna di Occidente e Oriente. L’antitesi di Oriente e Oc-
cidente è, pertanto, una proprietà mitico-simbolica esclusiva dell’occidente: un tipi-
co dualismo non riscontrabile nelle altre culture». Giacomo Marramao, Passaggio a
Occidente. Filosofia e globalizzazione, Bollati Boringhieri, Torino 2003, p. 59. Ed-
ward Said, nel suo celebre saggio Orientalismo (Bollati Boringhieri, Torino 1991),
considera l’orientalismo come pratica discorsiva (esplicito è il riferimento a Michel
Foucault, p. 5), la quale si afferma da un preciso periodo storico in poi, vale a dire
dall’inizio dell’epoca colonialista, in cui la ridefinizione dei rapporti di potere a li-
vello internazionale produce una certa egemonia culturale e, come scrive Said, «un
sistema di conoscenza dell’Oriente, un filtro attraverso il quale l’Oriente è entrato
nella coscienza e nella cultura occidentali». E. W. Said, Orientalismo cit., p. 9.

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faceva richiamo all’importanza dell’elemento immaginale; si tratta


di comprendere il manifestarsi di una civiltà o di un popolo attra-
verso l’immaginario collettivo a cui essi fanno riferimento9. E spes-
so questo immaginario è costruito socialmente e politicamente, spe-
cificatamente situato10 e storicamente determinato11.
Le considerazioni svolte intendono porre all’attenzione come il
tema del Mediterraneo apra a numerose altre questioni. Innanzitutto
perché il Mediterraneo se da una parte delimita una zona di «confi-
ne» geografico, dall’altra potrebbe invece ben rappresentare
l’espressione delle ambivalenze di alcune categorie concettuali, delle
quali si tenterà di parlare di seguito.

Modernità e Mediterraneo: premesse teoriche

Appare evidente come il mar Mediterraneo, quanto meno per una


lunga fase storica, oltre che uno spazio politico, assuma il carattere di
luogo di reciprocità12, secondo l’accezione utilizzata da Karl Polanyi.
Luogo di scambi simmetrici13 da una parte all’altra delle sue spon-
de, dove il mercanteggiare assume da se valore istituzionale. Non vi è
bisogno di istituzioni che regolino gli scambi, piuttosto sono gli scam-
bi medesimi a svolgere il ruolo di istituzioni14; dove per scambio

9
Si veda Chiara Bottici, La politica immaginale, in Alessandro Ferrara (a cura
di), La politica tra verità e immaginazione, Mimesis, Milano-Udine 2012, pp. 63-79.
10
Sul punto Laura Bazzicalupo (Politica cit., p. 144) parla espressamente di
identità situata, sempre immersa nei rapporti dinamici di potere.
11
Pietro Rossi, riprendendo Philip Gleason (Identifying Identity: A Semantic Hi-
story, in «Journal of American History», LXIX, 1983), scrive: «occorre in ogni caso
aver chiaro che l’identità non può essere concepita come se costituisse un nucleo
permanente e invariante, sottratto al mutamento storico». P. Rossi, L’identità
dell’Europa cit., p. 103.
12
Karl Polanyi (La grande trasformazione. Le origini economiche e politiche
della nostra epoca, Einaudi, Torino 1974, p. 63) considera la reciprocità (insieme
alla redistribuzione) come «due principi di comportamento non primariamente asso-
ciati all’economia».
13
Simmetria e reciprocità costituiscono principi di giustizia. Per Anna Jellamo (Il
cammino di Dike, L'idea di giustizia da Omero a Eschilo, Donzelli, Roma 2005, p.
58) «La reciprocità è principio guida nelle varie situazioni della vita: definisce i con-
fini dell’azione, fonda aspettative di azione. Garantisce l’equilibrio del rapporto. La
sua violazione crea disordine».
14
Nello scambio si determina una logica di interazione e intersoggettività; sul
punto riporto una citazione che mi è parsa interessante e significativa: «L’intersog-
gettività è un’istituzione sociale, non il semplice accordarsi dell’io con il tu». Pietro

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s’intende il passaggio di qualcosa di indefinito da una parte all’altra,


che per l’una e l’altra parte possa essere considerato di «valore». Molti
dei «prodotti» scambiati sono poi spesso riadattati, modificati, o utiliz-
zati per fini diversi da ogni parte coinvolta nello scambio; quindi al
processo di circolazione si va ad aggiungere quello di ri-produzione.
Il Mediterraneo è il luogo privilegiato in cui si producono, si scam-
biano e si ri-producono le categorie della modernità, quest’ultima ge-
nerata proprio dalla rivoluzione dello spazio del XVI secolo15. L’aper-
tura spaziale a un nuovo mondo, l’importanza e la centralità crescenti
dei mari16 (specie di quello oceanico) per la corsa allo sviluppo delle
civiltà e dei popoli, dettano la necessità di un «nuovo ordinamento giu-
ridico» che si caratterizza per una visione eurocentrica17.
Pertanto, la rivoluzione spaziale del sedicesimo secolo contribui-
sce a innescare un processo moderno globale non tanto per la supre-
mazia «tecnico-culturale» dell’Europa bensì per l’attitudine di
quest’ultima a colonizzare gli spazi e imponendo di fatto i propri or-
dinamenti giuridici; come sostiene Andre Gunder Frank, nella sua
analisi dell’orizzontalità della globalizzazione, «prima del 1800, si
riteneva che l’Oriente, e la Cina in particolare, fosse il modello da
imitare […] L’arrivo della rivoluzione industriale e l’inizio del colo-
nialismo in Asia erano intervenuti a rimodellare la storia, per inven-

Barcellona, Cornelius Castoriadis: l’immaginario e la politica, in Francesco Gia-


comantonio (a cura di), La filosofia politica nell’età globale (1970-2010), Mimesis,
Milano-Udine 2013, p. 97.
15
Tale formulazione teorica e concettuale è molto forte in Carl Schmitt. Si veda
Sovranità dello stato e libertà dei mari (1941), in L’unità del mondo. Sulla globaliz-
zazione e altri scritti, p. 82: «I mutamenti della concezione planetaria della terra e
dell’universo, i quali si verificano in seguito alla circumnavigazione del globo e alla
scoperta di un nuovo continente cominciano a mutare i rapporti finora esistenti. Tut-
te le correnti spirituali di questa epoca portano alla rivoluzione nello spazio». Si ve-
da anche la nota n. 5.
16
Si veda ancora C. Schmitt, in particolare Terra e mare cit., pp. 25-30.
17
In questo passaggio avviene la colonizzazione dello spazio senza diritto da
parte del diritto internazionale europeo; lo jus gentium inizia ad avere la pretesa di
esprimere una portata universalistica, «abbandonando progressivamente il criterio
culturale per assumere definitivamente quello giuridico». Gustavo Gozzi, Diritto
internazionale e civiltà occidentale, in Gustavo Gozzi, Giorgio Bongiovanni (a cura
di), in Popoli e civiltà. Per una storia e filosofia del diritto internazionale, il Mulino,
Bologna 2006, p. 26; nello stesso volume si veda anche il saggio di Yadh Ben
Achour, La civiltà islamica e il diritto internazionale, pp. 45-72.

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tare un falso universalismo guidato dall’Europa»18. È importante sot-


tolineare però, per richiamare Eisenstadt, che «sebbene la diffusione
della modernità abbia avuto luogo quasi in tutto il mondo, tuttavia
essa non ha dato vita a una civiltà, ad un solo modello di risposta
ideologica e istituzionale ma almeno a numerose varianti di base»19.
La circolazione delle idee della (e sulla) modernità ha avuto nel Me-
diterraneo una via favorevole; ma tale processo storico ha rivelato gli
esiti ambivalenti delle risposte alla modernità. Ogni civiltà, cultura o
popolo ha recepito e reagito in maniera diversa. Il processo di scam-
bio non poteva essere unilaterale e tanto meno omologante.
Specie nella fase attuale, in cui la «nuova» globalizzazione costi-
tuisce «l’insieme dei processi in cui tutte le tensioni della modernità
esplodono»20, le dicotomie fra categorie appaiono irriducibili. Il glo-
bale favorisce la modernità da una parte, innesca, dall’altra, meccani-
smi reazionari dagli esiti spesso inattesi.
L’implosione dello spazio21 si traduce in una coesistenza e compa-
tibilità (nonostante l’irriducibile contrasto) delle vecchie dicotomie:
«noi/altri, guerra/terrorismo, polizia/esercito, Oriente/Occidente, glo-
bale/locale»22.
L’apertura dei confini e degli spazi, essenzialmente funzionale
all’economia, coesiste con la chiusura delle frontiere ai movimenti
migratori, ovvero la consolidata tendenza al consumo di merci glo-
balmente prodotte non collima con una sempre più crescente rilevan-

18
Si veda Andre Gunter Frank in Annamaria Vitali (a cura di), Per una storia
orizzontale della globalizzazione. Sette lezioni di Andre Gunder Frank, Rubbettino,
Soveria Mannelli 2004, p. 94; nelle stesse pagine Gunder Frank muove da una pro-
spettiva critica verso l’eurocentrismo, mettendo in discussione e smentendo, di fatto,
soprattutto quelle teorie che lo sostengono. Sul punto, una riflessione importante è
mossa da Seyla Benhabib nel capitolo Nous et les autres. È etnocentrismo
l’universalismo?, in La rivendicazione dell’identità culturale. Eguaglianza e diversi-
tà nell’era globale, il Mulino, Bologna 2005, pp. 47-75.
19
Shmuel Noah Eisenstadt, Modernità, modernizzazione e oltre, Armando edito-
re, Roma 1997, p. 68.
20
C. Galli, Spazi politici cit., p. 132. Secondo Galli «l’esplosione» delle tensioni
generate dalla modernità produce una «ridefinizione» di nuovi confini. Si assiste a
un’emersione di nuove (o vecchie) comunità, identità, rinnovati sensi di appartenen-
za, talvolta radicalizzati. Come scrive Galli (Ivi, p. 133), «lo spazio tutto aperto (o
almeno che tende a presentarsi come tale) della globalità può essere tanto soffocante
quanto quello angusto (che tendeva a presentarsi come chiuso) della statualità».
21
La considerazione è di L. Bazzicalupo, Politica cit., p. 71.
22
Ibidem.

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za di movimenti refrattari alla circolazione internazionale di beni23.


Simili aspetti ambivalenti della modernizzazione si realizzano
all’interno delle singole civiltà; la loro intrinseca differenza fa si che
ognuna interpreti a suo modo gli elementi della modernità. Se si pen-
sa a una delle principali novità introdotte dal moderno, vale a dire lo
sviluppo economico di tipo capitalista24, risulta evidente come questo
si imponga, per molti tratti, contro la volontà e la cultura di alcuni
popoli. Ma tale interpretazione è vera solo in parte.
Infatti, anche in quelle culture apparentemente estranee a deter-
minate logiche si verifica una forte accettazione di fattori esterni.
Anzi, spesso vi è una forte condivisione di elementi innovativi e tal-
volta questi vengono assunti come modello. Con un’illuminante me-
tafora, Franco Cassano, nel citare Arnold Toynbee, riflette sulle ri-
sposte alternative che possono esser date da una società alla pressio-
ne di una «forza esterna». Le reazioni possono essere riconducibili a
due tipi fondamentali e alternativi: si tratta dell’Erodianismo e dello
Zelitismo.
Così scrive Cassano: «L’Erodiano è colui che assume l’Altro co-
me modello e si propone di imitarlo; lo Zelota è invece colui che, di

23
Si potrebbe elencare un numero consistente di simili elementi contradditori;
quello che è importante sottolineare è piuttosto una generale tendenza alla radicaliz-
zazione dei fenomeni storici, sociali e politici, la quale costituisce una ri- chiusura
all’interno dei propri orizzonti di senso, sociale e culturale. All’opposto, il disanco-
ramento culturale e se vogliamo storico, genera processi di decostruzione identitaria
orientati a quello che Michel Maffesoli definisce «tribalismo postmoderno», inteso
come continua intercambiabilità di ruoli, appartenenze e identità e dettato dalla rela-
tiva libertà di scelte contingenti. Il riferimento si trova in Michel Maffesoli,
Dall’astrazione all’emozione, in Alberto Abruzzese, Vincenzo Susca (a cura di),
Immaginari postdemocratici. Nuovi media, cybercultura e forme di potere, Franco
Angeli, Milano 2006, cit., p. 27. Nello stesso volume si veda anche il saggio di Gia-
como Marramao, I nuovi volti del potere, pp. 33-43.
24
Sul punto una riflessione importante è in B. Anderson, Comunità immaginate.
Origini e fortuna dei nazionalismi, manifestolibri, Roma, 1996; di seguito una cita-
zione che mi sembra offra una notevole chiarezza in merito alle tesi dell’A.: «I due
fattori più significativi che hanno generato nazionalismo ed etnicità sono strettamente
connessi al sorgere del capitalismo: sommariamente, comunicazioni di massa e mi-
grazioni di massa». Benedict Anderson, Comunità immaginate cit., p. 222. Per alcuni
versi, a questa lettura si affianca quella di Carlo Galli: «Nella dialettica degli univer-
sali, nelle loro contraddizioni, si manifesta quanto la spazialità politica moderna sia
intrinsecamente instabile, e profondamente indeterminata. Queste contraddizioni
esploderanno compiutamente nell’età della globalizzazione, ma nascono ben
all’interno della modernità». C. Galli, Spazi politici cit., p. 77.

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fronte ad un rapporto sfavorevole, temendo di uscire sconfitto e umi-


liato dal tentativo di imitazione, rifluisce su una difesa «arcaica» e
chiusa della propria identità»25. Ovviamente, entrambe le modalità di
comportamento determinano conseguenze; nel primo caso, aderendo
completamente o parzialmente ai modelli proposti (o imposti)
dall’altro si genera una graduale perdita della propria identità o un
sostanziale indebolimento. Nel secondo, invece, si verificano forti
spinte alla chiusura e al radicalismo, in una ricerca sempre più insi-
stente ed esclusiva dell’identità e di un senso di appartenenza alla
comunità26.
La perdita o l’abbandono dei vecchi legami sociali e dei vincoli
morali e il conseguente desiderio di partecipare alla crescita espo-
nenziale dell’economia, induce importanti settori della popolazione
ad aderire alla portata moderna del cambiamento; il rischio è rappre-
sentato dal diffondersi di patologie sociali su scala globale27.
Secondo Cassano, le mafie riescono a rappresentare in maniera
emblematica «l’ibrido perverso di modernità e tradizione»28, in cui vi
è una completa adesione al circuito dell’economia internazionale da
una parte, mentre dall’altra si continuano a mantenere a livello loca-
le29 forme «arcaiche» di potere sociale, le quali si richiamano spesso
a una non ben definita «tradizione».
Tale ibridazione costituisce un aspetto estremamente singolare

25
F. Cassano, Il pensiero meridiano cit., pp. 67-68.
26
Sul punto, e più in generale, mi sembrano interessanti almeno due aspetti
dell’analisi affrontata da Benedict Anderson nel suo libro Comunità immaginate: il
primo evidenzia come una nazione (intesa qui nel senso comunitario) si possa pre-
sentare simultaneamente aperta e chiusa e che quindi si ha a che fare quasi sempre
con modelli dinamici d’interpretazione delle realtà storico-sociali (si veda B. An-
derson, Comunità immaginate cit., p. 154). L’altro aspetto, non meno rilevante,
riguarda la considerazione che molte forme di radicalismo (siano esse caratterizza-
te da un forte nazionalismo o etnicità) sono «effetti dello scontento e della pover-
tà». Ivi, p. 221.
27
Sul punto rimando a Elena Pulcini, Paura, risentimento, indignazione: passio-
ni e patologie dell’età globale, in Massimo Cerulo, Franco Crespi (a cura di), Emo-
zioni e ragione nelle pratiche sociali, Orthotes, Napoli-Salerno 2013, pp. 177-194.
Nello stesso volume si veda anche il saggio di Franco Crespi, Emozioni ed esperien-
za esistenziale, pp. 43-67.
28
F. Cassano, Il pensiero meridiano cit., p. 69.
29
Fra le più fortunate formulazioni teoriche recenti si trova senz’altro quella del
glocalismo, la quale costituisce l’ambivalente e irriducibile compresenza di fenome-
ni globali e fenomeni locali, a testimonianza della frammentazione del mondo.

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della storicità30, specie di quella versione che legava indissolubil-


mente l’idea di progresso a una concezione teleologica della storia.
L’area mediterranea ha consentito la diffusione degli aspetti ambi-
valenti della modernità. In un contesto in cui il maturare delle idee as-
sumeva caratteri sempre più differenziati, le vie delle civiltà hanno ri-
plasmato a loro modo le categorie del moderno. L’ibridazione tra mo-
dernismo e conservatorismo è essa stessa una caratteristica della mo-
dernità, capace di far convivere misura e dismisura, tradizione e inno-
vazione, ordine politico e rivoluzione. La logica razionalistica occiden-
tale costituisce l’altra faccia della ragionevolezza mediterranea.
Serge Latouche nel costruire un parallelo fra la via del razionale,
meramente calcolatoria e la via del ragionevole31, piuttosto fondata
su argomentazioni opinabili, fa notare come la netta prevalenza della
prima impostazione abbia sostanzialmente tentato di eliminare, o
quanto meno di congelare, il dibattito e il conflitto (agón) dalle
odierne società, spogliandole della loro effettiva autenticità. Proprio
queste dinamiche della modernità hanno messo in atto un processo di
ridefinizione delle identità. La tendenza omologante della modernità
ha generato reazioni di contrapposizione, sfociate in movimenti ri-
vendicativi e nazionalisti32.
Ritorno alla comunità, nostalgia di un immaginario passato glo-

30
«Insomma, modernismo e conservatorismo (perlomeno ostentazione di un
passato millantato) non solo non si escludono a vicenda ma si completano e ciò rap-
presenta un modo estremamente singolare della storicità». Günther Anders (1980),
L’uomo è antiquato. (Vol. II) Sulla distruzione della vita nell’epoca della terza rivo-
luzione industriale, Bollati Boringhieri, Torino 2003, p. 283.
31
Sul punto rimando alla riflessione di Serge Latouche, La sfida di Minerva. Ra-
zionalità occidentale e ragione mediterranea, Bollati Boringhieri, Torino 2000. Si
veda soprattutto il secondo capitolo, pp. 46-57. Secondo Latouche tale caratteristica
appartiene per natura storica e culturale al Mediterraneo. Così scrive Latouche: «La
«prudenza» è incontestabilmente mediterranea, da Aristotele a Cicerone; essa presup-
pone una coscienza acuta della condizione tragica dell’uomo e al contempo un senso
sempre all’erta dei limiti della situazione». Ivi, p. 53.
32
Sul punto, Benedict Anderson (Comunità immaginate cit., p. 222) sostiene che
«proprio la modernità dà oggi un tale potere al nazionalismo e all’etnicità». Simil-
mente, così scrive Giacomo Marramao (Passaggio a Occidente cit., p. 73): «Se si
assume che tradizione e comunità non sono dei dati naturali o spontanei, bensì a loro
volta il prodotto artificiale del Moderno, allora si dovrà concludere che l’espansione
della modernità non solo si concilia con la persistenza di quelle forme, ma piuttosto
la ricrea costantemente inducendo un processo di periodica reinvenzione dei loro
profili caratteristici».

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rioso, costruzione di un’identità «per differenza», rappresentano oggi


fenomeni emergenti che interessano l’area mediterranea e l’Europa,
con il volto spesso rivolto verso nord.
Di seguito prenderò in considerazione tali elementi in rapporto a una
letteratura del Mediterraneo. Si affronterà il tema del romanzo e della
sua importanza, specie nel contribuire alla rielaborazione di elementi
funzionali alla costruzione dell’identità33. Una costruzione che simil-
mente al romanzo si nutre spesso di caratteri immaginati, di viaggi at-
traverso le «frontiere», di confronto speculare con «modelli» esogeni.

Il romanzo dell’identità

L’accostamento tra romanzo e identità nasce dalla considerazione


che entrambi si fondano su un criterio comune: l’immaginazione. Il
romanzo trova nell’immaginazione lo strumento principale della sua
creazione; l’identità, allo stesso modo, sussiste solo in virtù di un
immaginario a cui essa fa riferimento34.
L’universo simbolico diviene fondamentale per istituire una cul-
tura o più semplicemente un gruppo, mentre il ricordo del passato e
la memoria storica sono indispensabili per costituire una linea di con-
tinuità nel tempo35.
La società si costruisce simbolicamente un’immagine del mondo at-
traverso un senso culturale «articolato in una lingua, in un sapere e in

33
Nel prossimo paragrafo si affronterà, in particolare, il ruolo svolto dal roman-
zo a sostegno della formazione di caratteri identitari. Le elaborazioni prendono spun-
to dal seguente volume: Lorenzo Casini, Maria Elena Paniconi, Lucia Sorbera, Mo-
dernità arabe. Nazione, narrazione e nuovi soggetti nel romanzo egiziano, Mesogea,
Messina 2013, del quale riporto una citazione a scopo introduttivo (p. 19): «Facen-
dosi interprete di tante «simultanee identità» il romanzo è diventato il principale vei-
colo della diffusione di un immaginario nazionale, della creazione di una lingua na-
zionale e di una narrazione (e quindi di una letteratura) nazionale».
34
Su questo specifico argomento farò riferimento a Jan Assmann, La memoria
culturale. Scrittura, ricordo e identità politica nelle grandi civiltà antiche, Einaudi,
Torino, 1997. In particolare, l’interesse in questo caso è rivolto prevalentemente
all’identità collettiva la quale si compone di caratteri culturali differenti.
35
Sul punto rimando al bel saggio di Vittorio Beonio Brocchieri, Aristocrazia,
tempo e memoria in Alexis de Tocqueville, in Diana Thermes (a cura di), Tocqueville
e l’Occidente, Rubbettino, Soveria Mannelli 2012, pp. 179-217. Nello specifico,
Brocchieri affronta il passaggio storico-concettuale dal mondo aristocratico a quello
fondato su rapporti sociali egualitari, tipici della democrazia.

46
_____________________ L’identità immaginata. Parole e concetti sul Mediterraneo

un ricordo comuni»36. Fra i saperi che appartengono a un dato universo


culturale si colloca quello letterario, in cui il romanzo svolge un ruolo
narrativo fondante. Il romanzo, e più in generale la narrazione37, si col-
locano in una posizione dialettica all’interno di una società: da una par-
te, come si vedrà più avanti, il romanzo contribuisce fortemente alla
formazione di un immaginario collettivo, dall’altra è l’immaginario
stesso a dare impulso alla produzione artistica del romanzo. Senza sof-
fermarsi su questo doppio ordine, si può iniziare subito a dire che ro-
manzo e immaginario collettivo fungono parimenti da sostegno
all’identità, influenzandola e riplasmandola in virtù dei contesti storici.
Di seguito si prenderò in considerazione alcuni temi affrontati dai
romanzi canonici della letteratura egiziana38; temi che non solo han-
no fortemente contribuito a proporre una certa identità culturale
dell’Egitto, ma hanno anche riguardato la modernità, il rapporto con
l’Occidente europeo e il ruolo della donna nella società.
Si tratta di una vera e propria costruzione narrativa dell’identità. Essa si
basa su una rappresentazione strategica di un modello dell’Altro. Tale
rappresentazione collide con l’immagine della nazione che gli autori
ambiscono a diffondere, allo scopo di rinsaldare l’antico legame identi-
tario ovvero fondarne uno nuovo. Appare evidente come sia molto pre-
sente una riflessione critica sulla modernità. Ma questa nasconde in real-
tà il tentativo deliberato di superare la travagliata fase politica e sociale
dell’Egitto, la quale si trascina per quasi tutto il novecento. Una certa
rappresentazione dell’Altro incide in maniera sostanziale nella determi-
nazione della coscienza politica e culturale di buona parte del popolo.

36
J. Assmann, La memoria culturale cit., p. 109. Si veda in particolare il III ca-
pitolo, Identità culturale e immaginativa politica, pp. 99-128.
37
Su questo punto rimando a Paolo Jedlowski, Il racconto come dimora. Heimat
e le memorie d’Europa, Bollati Boringhieri, Torino 2009. Si veda in particolare il II
capitolo, La narrazione è un’interazione, pp. 24-31.
38
In questo caso la letteratura egiziana è considerata a titolo esemplificativo. I
temi trattati riguardano l’epoca che – dalla data di indipendenza del 1922 – ripercor-
rono la storia egiziana di quasi tutto il novecento. Gli argomenti proposti sono ripresi
da L. Casini, M. E. Paniconi, L. Sorbera, Modernità arabe. Nazione, narrazione e
nuovi soggetti nel romanzo egiziano, precedentemente citato; specie in riferimento
all’utilizzo di quello che gli autori definiscono «occidentalismo strategico», si veda
la seconda parte del volume, dal titolo Il tema europeo (pp. 155-242), in cui una cer-
ta pratica discorsiva sulla modernità occidentale diviene elemento di critica verso
determinati caratteri esterni alla società egiziana. Non solo, la stessa critica è in real-
tà rivolta a tutti coloro che all’interno dell’Egitto si sono «schierati» con i caratteri
della modernità.

47
Filippo Corigliano ___________________________________________________

Nel ridefinire un diverso cammino verso la propria modernità, i


personaggi rappresentati nei romanzi egiziani39 – quasi tutti maschili
– vivono un rapporto «tormentato e infecondo con i personaggi
femminili europei»40, a dimostrazione di una parte interiore dominata
dal conflitto fra il nuovo promesso da una modernità ammaliante e le
antiche radici della propria cultura. Questo tema è prevalente in Adīb,
dove il protagonista in partenza per l’Europa sente di dover recidere
completamente i propri legami col paese d’origine; proprio prima
della partenza divorzia dalla moglie, emblema del legame affettivo
con la comunità originaria.
Così l’Europa diviene il luogo in cui «perdersi e risorgere come
una persona nuova»41. Ma ben presto questa rinnovata voglia di rina-
scita si scontra con una realtà che appare sempre più insignificante
agli occhi del protagonista. La perdita progressiva dei propri orizzon-
ti di senso, lo smarrimento innanzi a una società che non si rivela per
quella attesa, mettono in crisi l’identità del personaggio.
Soprattutto il sentimento tradito da parte di una donna francese di
cui si innamora a prima vista appena arrivato a Marsiglia, rivela il
fallimento della mediazione della giovane europea, incapace di gui-
dare la delicata transizione da un universo culturale all’altro.
L’immagine della moglie, che sembrava sfumarsi sempre più durante
il viaggio di allontanamento dalla propria terra, ritorna forte e perva-
siva, gettandolo nel rimorso. La Francia e l’Occidente intero, i quali
in un primo momento rappresentavano i luoghi immaginari
dell’evasione e della rinascita, divengono terra d’esilio. La scissione
del proprio Io testimonia il «desiderio di un impossibile ritorno alla
sicurezza e alla stabilità offerte dalla patria e dalla ex moglie42», la
conseguente follia del protagonista si riassume in maniera importante
come effetto della perdita della propria identità.
Gli altri temi proposti nei romanzi si offrono piuttosto nel ridare
vita a uno spirito nazionale per troppo tempo assopito durante la do-
minazione britannica. In tal modo, l’ambiente della campagna egizia-
na viene eretto a luogo della «scoperta dei contadini come custodi del-

39
In questa sezione faccio riferimento a tre romanzi analizzati nei capitoli 2.3, 2.4, 2.5,
del volume sopra citato. Si tratta di: Il ritorno dello spirito (1933) di Tawfīq Al-Hakīm, La
lampada di Umm Hāšim (1944) di Yahyā Haqqī, Adīb (1935) di Ţāhā Husayn.
40
L. Casini, M. E. Paniconi, L. Sorbera, Modernità arabe cit., p. 163.
41
Ivi, p. 241.
42
Ivi, p. 239.

48
_____________________ L’identità immaginata. Parole e concetti sul Mediterraneo

lo spirito nazionale»43 e della purezza delle radici culturali. Soprattut-


to alcuni quartieri, intesi come piccole comunità, vengono associati
all’intero territorio egiziano, e il racconto assume valore di allegoria
nazionale44. Non è un caso che il modello comunitario viene esteso a
rappresentazione di tutto il territorio, perché è proprio nella comunità
che si realizza il processo immaginario di costruzione simbolica del
noi. Non solo, la comunità costituisce l’elemento puro delle radici del
popolo, al contrario di altre parti del paese che hanno invece accolto i
caratteri «impuri» della modernità provenienti dall’esterno. L’elemen-
to comunitario trascende ogni realtà empirica45.
In tale contesto, lo spazio della soggettività viene ridotto; si realizza
un’identità collettiva a scapito dell’identità individuale46. Specie la
soggettività femminile risente di un’ipostatizzazione dell’ordine tra-
scendentale. Si realizza allora una dimensione contrapposta. La nar-
razione permette alla donna araba di autodefinire la propria soggetti-
vità47. In questo caso la pratica della scrittura-narrazione aiuta a con-
ciliare i differenti e plurimi tratti identitari.
Sembra che il romanzo, in questo contesto e talvolta più in gene-
rale, condensi i temi riguardanti il processo di costruzione, ricostru-
zione o decostruzione dell’identità; tali aspetti sono ben rappresentati
da uno dei massimi scrittori egiziani, Nagib Mahfuz, nel suo roman-
zo Miramar48.
Ambientato ad Alessandria d’Egitto, intorno agli anni sessanta, in

43
Ivi, p. 219.
44
Ivi, si vedano le pp. 220-226.
45
Sul punto rimando a L. Bazzicalupo, Politica cit.; si veda in particolare il cap.
I°, Rappresentazioni della coesistenza: l’ordine, pp. 21-60. Per una riflessione filo-
sofica sui temi legati al concetto di comunità si veda in particolare Roberto Esposito,
Communitas. Origine e destino della comunità, Einaudi, Torino 1998.
46
Faccio sempre riferimento all’accezione offerta da Jan Assmann, in La memo-
ria culturale. Scrittura ricordo e identità politica nelle grandi civiltà antiche, dove
per identità individuale s’intende l’immagine di se fissata nella coscienza del singo-
lo, che concerne l’aspetto contingente della vita, la fisicità dell’esistenza e dei suoi
bisogni fondamentali. Rimando alle pp. 99-102.
47
Questo tema viene affrontato nella terza parte di Modernità arabe cit., dal tito-
lo Narrare il sé, rappresentare la modernità. Ambienti, temi e forme della scrittura
femminile in epoca moderna, pp. 245-349. Sul punto si veda anche Renate Siebert,
Scrivere nella lingua dell’altro: Fadhama Aïth Mansour Amrouche e Assia Djebar,
in Renate Siebert, Sonia Floriani (a cura di), Incontri fra le righe. Letterature e
scienze sociali, Pellegrini, Cosenza 2010, pp. 63-81.
48
Nagib Mahfuz, Miramar, Feltrinelli, Milano 1967.

49
Filippo Corigliano ___________________________________________________

una vecchia pensione oramai consunta dal tempo. Il protagonista Άmer


Wagdi, ex giornalista e vicino al movimento politico Wafd – narratore
della vicenda nel capitolo iniziale e in quello finale – vi fa ritorno dopo
essere rimasto lontano da Alessandria per vent’anni. Assieme alla pro-
prietaria Mariana, vecchia cara conoscenza, ripercorrono i tempi che
furono, ricchi di fermento e bruschi sommovimenti politici, in cui le
nuove istanze rivoluzionarie e indipendentiste anticipavano le instabili-
tà politiche successive. La pensione, scarsamente frequentata, lenta-
mente sembra ritornare ai vecchi fasti; si ripopola di personalità ognu-
na delle quali rappresenta una voce diversa dell’Egitto.
In Miramar Mahfuz mette in scena una rappresentazione di diffe-
renti identità politiche, con una propria visione del mondo e del futuro
della società egiziana. C’è Άmer Wagdi, che riconosce gli errori della
vecchia classe dirigente senza trascurare le azioni positive svolte dal
Wafd, movimento trasformatosi in partito che ha guidato la transizio-
ne verso l’indipendenza e la modernizzazione del paese; poi c’è Tolba
Bek Marzuq, grande possidente e politico conservatore, nostalgico dei
privilegi di casta di cui ha goduto e che la rivoluzione ha provveduto a
confiscare. Appannaggio di una classe politica asservita al dominio
britannico. Spesso in accordo e affinità di idee con il giovane Hosni
Άllam, anche lui ricco ereditario trasferitosi ad Alessandria per sfug-
gire alle maglie troppo strette della vita di comunità. Gode delle sue
ricchezze in maniera dissennata, si mette alla ricerca sfrenata di affari
e amori passeggeri per colmare il vuoto che gli brucia dentro. Non
ama la rivoluzione, ma finge di esserne soddisfatto. Persegue
l’esclusivo interesse personale e si trova spesso in disaccordo di vedu-
te con gli altri ospiti della pensione, salvo che con Tolba Marzuq.
Questa tacita complicità viene notata da un altro giovane ospite
della pensione, Mansur Bahi. Originario del Cairo, si reca ad Ales-
sandria, dove svolge il ruolo di annunciatore alla Radio. Mansur è un
personaggio travagliato, risucchiato da un amore del passato, tormen-
tato dal senso di colpa e dai rimorsi che non trovano nessuno sfogo
se non in un desiderio di morte. Egli detesta in cuor suo il falso ap-
prezzamento della rivoluzione da parte del vecchio Marquz e di Ho-
sni Άllam, soprattutto è consapevole che il vecchio notabile Marquz
deve le sue fortune passate al «sangue versato dalla gente». Su
quest’ultimo così si esprime Mansur: «Finalmente è giunto il suo
turno di fare l’ipocrita, ora che la sua gloria al tramonto si è lasciata

50
_____________________ L’identità immaginata. Parole e concetti sul Mediterraneo

dietro una nazione di ipocriti49». Mentre Hosni Άllam «non è altro


che un’ala che è stata spezzata a quell’aquila, ma un’ala che sbatte
ancora, ed è ancora capace di volare50».
La figura di Mansur rappresenta il lato «folle» e «irrazionale» del-
la spinta rivoluzionaria e nasconde il disperato tentativo di coniugare
i valori identitari del passato con un futuro incerto. Nel tentativo di
inseguire una coerenza che non trova, la sua esistenza, apparente-
mente calma, nasconde il turbinio di una tempesta mai doma.
Per certi versi, lo stesso ardore rivoluzionario della gioventù
muove le azioni di Sarhan al-Buheiri. Originario della provincia di
Buheira, si trova ad Alessandria da diverso tempo, fin dalla sua iscri-
zione alla facoltà di economia e commercio. Appartiene a una fami-
glia di contadini ma il suo slancio social-rivoluzionario lo ha condot-
to alle soglie della «nuova società». La sua ascesa sociale porta con
sé rivendicazioni di status economico e così intraprende il lavoro di
contabile presso una ditta di filati51. La sicurezza di sé, il coraggio e
la sfida riflettono il volto di un’intera generazione pretenziosa, esu-
berante, certa di rappresentare il nuovo che verrà.
La rivoluzione è soltanto strumentale al raggiungimento della ric-
chezza. Costituisce il punto di rottura con un passato in cui si conser-
vava un relativo benessere solo per una classe eletta. L’obiettivo di
Sahran è di conquistare il benessere, per sé e per la sua famiglia. Ma
gli affari sperati, che sembravano poter decollare, improvvisamente
subiscono un arresto. Il tracollo di un sogno si materializza al posto
delle speranze di rivalsa.
È l’esito finale di una rivoluzione andata male, il fallimento di un
tentativo precipitoso e irruente di costruire una strada nuova per il
proprio futuro.
In tutta questa vicenda e nelle relazioni che si stabiliscono fra i
vari personaggi nell’ambiente della pensione, si colloca l’unica figu-
ra femminile protagonista (a parte la proprietaria Mariana), sulla qua-
le convergono soprattutto le attenzioni dei giovani ospiti.
Si tratta di una ragazza fuggita dalla campagna e dall’oppressione

49
Ivi, p. 89.
50
Ibidem.
51
Sarhan al-Buheiri, riflettendo sull’esponente della vecchia aristocrazia fondia-
ria Tolba Beck Marquz, si lascia andare alla seguente osservazione: «Lui appartiene
alla classe sociale di cui dobbiamo in qualche modo ereditare le ricchezze». N. Mah-
fuz, Miramar cit., p. 129.

51
Filippo Corigliano ___________________________________________________

dei propri familiari: Zahara, figlia di un commerciante che era vec-


chia conoscenza della signora Mariana. Di una bellezza pura e natu-
rale, si presenta alla pensione in cerca di occupazione, e viene assun-
ta come cameriera dalla proprietaria. Zahara intende istruirsi, ap-
prendere un mestiere che le faccia conquistare una dignità e
un’indipendenza capace di sottrarla al dominio di un mondo che vuo-
le lasciarsi alle spalle. È ostinata, persegue una rivoluzione interiore
che tenga fede ai vecchi principi ma che allo stesso tempo la conduca
verso la libertà e l’autodeterminazione52.
La sua giovane età e la notevole bellezza attirano gli sguardi di
tutti. Lei corrisponde i propri sentimenti a Sahran al Buheiri, ma
quest’ultimo trascinato dall’ebbrezza rivoluzionaria non coglie il
senso dell’amore di Zahra. Così riesce a resistere alle lusinghe del
giovane, perché in esso Zahra intravede scarsa sincerità. Per lei si
scatenano zuffe e contese fra Saharan, Mansur e Hosni; ma il suo ca-
rattere e le proprie convinzioni rimangono integre, nonostante i con-
flitti, nonostante i sentimenti in gioco. Dimostra un carattere forte,
deciso a non ricadere nei soprusi subiti al proprio paese d’origine. Il
suo è un distacco da ciò che nel mondo passato non tollerava. Non
intende sottomettersi a nessun uomo, nemmeno se sospinta da un ve-
ro sentimento d’amore. È lei che rappresenta e incarna la vera rivolu-
zione della società egiziana, depurata da ogni spinta estremista ma
fedele ai «sani» principi della propria tradizione. Non si disperde nel-
le false promesse del cambiamento, né si fa ingannare dal possibile
raggiungimento di una facile sorte. Sarà l’unica, fra tutti i giovani
personaggi, che giungerà a decidere liberamente del proprio destino.
Il romanzo di Mahfuz testimonia l’importanza e l’efficacia della
rappresentazione letteraria53 nel descrivere un ambiente storico e so-

52
Con la figura di Zahra, Mahfuz pare voglia mettere in risalto il ruolo svolto
dal movimento femminista arabo, specie quello rappresentato dall’Unione delle
Femministe Egiziane, istituito nel 1923. Su questo punto rimando ancora a L. Casini,
M. E. Paniconi, L. Sorbera, Modernità arabe; si veda nella terza parte il paragrafo
dal titolo Lo spazio della soggettività femminile nella letteratura araba moderna, pp.
245-349.
53
L’utilità del romanzo per lo studioso parte dalla consapevolezza dei limiti eu-
ristici della letteratura. Sul punto rimando a Laurence Guellec, L’enjeu américain
dans la pensée politique de Tocqueville, in D. Thermes (a cura di), Tocqueville e
l’Occidente cit., pp. 247-266. Guellec mette in guardia dal cedere alla rappresenta-
zione letteraria e all’immagine idealizzata di una società. Tocqueville, leggendo i
resoconti dei viaggi in America di Chateubriand e altri autori prima del suo viaggio,

52
_____________________ L’identità immaginata. Parole e concetti sul Mediterraneo

ciale. Soprattutto conferma quel rapporto dialettico senza sintesi fra


identità e immaginazione; l’uno e l’altro si influenzano reciproca-
mente, senza che in definitiva ne prevalga qualcuno.

Migrazione e nostalgia: riflessioni sul Mediterraneo d’Europa

L’elemento nostalgico è un carattere fondamentale dell’identità.


Specie in un contesto costituito dalla dinamica dello sradicamento, di
cui i fenomeni migratori rappresentano la principale manifestazione,
la nostalgia svolge in sostanza un doppio ruolo. Da una parte soppe-
risce all’assenza di riferimenti in un mondo globale deterritorializza-
to; dall’altra assume una funzione importante nella rigenerazione di
comunità immaginate.
Giacomo Marramao, nel suo volume Passaggio a Occidente, fa
riferimento a un vero e proprio paradigma nostalgico che assume
una duplice forma: «la forma politica della nostalgia volontaria: con-
trassegnata dal richiamo, strategicamente pilotato, a un passato pre-
suntivamente dotato di carica simbolica identificante»; «la forma im-
politica della nostalgia del presente: il cui messaggio simbolico […]
è in genere costituito dal rimando nostalgico a un’immagine di co-
munità compiuta e armonica che si ritiene definitivamente dissolta o
danneggiata dai processi di globalizzazione»54.
La modernità e la conseguente compressione spaziotemporale che
si determina contribuiscono alla «proliferazione delle identità»55; il
richiamo sempre più rilevante a elementi nostalgici serve a rinsaldare
un legame, a ricongiungersi con una «casa» dalla quale ci si è allon-
tanati, a ricostituire nel presente quel gruppo che diventi la nuova ca-
sa immaginaria in cui si è vissuto nel passato56. Talvolta, per ovviare
al senso di vuoto e di spaesamento generato dalla migrazione, si pro-
pongono dei modelli di richiamo nostalgico che hanno in realtà
l’obiettivo di realizzare una comunità di consumo; i contenuti idea-
lizzati di una certa cultura si trasformano in veri e propri prodotti, li-

è rimasto sorpreso dell’assoluta inesistenza di alcuni miti letterari, una volta giunto
sul campo.
54
G. Marramao, Passaggio a Occidente cit., p. 73, ma si veda in generale
l’intero cap. I dal titolo Nostalgia del presente, pp. 11-83.
55
Ivi., p. 74.
56
Per delle riflessioni di carattere sociologico su questo punto, rimando a Paolo
Jedlowski, C’eravamo tanto amati. Forme della nostalgia, in M. Cerulo, F. Crespi (a
cura di), Emozioni e ragione nelle pratiche sociali cit., pp. 195-208.

53
Filippo Corigliano ___________________________________________________

beramente fruibili sul mercato. Così, la commercializzazione del vin-


tage57, o i mercati etnici58, svolgono il ruolo di ricreare e proporre un
immaginario di riferimento, a testimonianza di «un’armonia perduta
di una società»59, sempre alla ricerca di tracce del passato.
La nostalgia, oltre ad avere una dimensione temporale che si prolun-
ga nel ricordo del passato, possiede anche i suoi luoghi60. E il luogo con-
tribuisce ancor di più a dare compiutezza al senso di distacco fisico. La
letteratura sulla migrazione è popolata da luoghi, talvolta immaginari,
spesso reali. Mentre la modernità genera una spazialità delocalizzata, il
luogo costituisce quel particolare che si oppone all’universale; se si vuo-
le, il luogo rappresenta l’ultima forma possibile di resistenza del tempo
passato rispetto all’oblio della memoria e del presente61. Ecco perché
una città come Alessandria d’Egitto, carica di storia e di memoria, as-
sume nel tempo l’immagine simbolica dell’antica civiltà d’origine. E in-
sieme ad Alessandria si potrebbero citare infiniti altri luoghi. Quello che
conta è che i luoghi d’origine rimangono il terreno su cui ancorare sal-

57
L’espressione è di Paolo Jedlowski, C’eravamo tanto amati cit., p. 202.
58
Sulla creazione di un «mercato della nostalgia» rimando a Frank Mermier, Il
libro e la città. Beirut e l’editoria araba, Mesogea, Messina 2012, pp. 132-135. L’A.
affronta la questione dell’acquisto di libri su una libreria online libanese.
Nell’analizzare l’origine, la nazionalità, e il luogo di residenza dell’utenza abituale
mette in risalto come gran parte degli ordini viene effettuato da persone di origine
araba ma residenti soprattutto in America del Nord. Non solo, i prodotti culturali più
richiesti – oltre ai libri in generale – riguardano vecchie locandine di film arabi, col-
lane di memorie fotografiche e tutta un’iconografia che richiama gli antichi splendo-
ri del passato. Il revival nostalgico di cui parla Mermier è un modo attraverso il qua-
le il migrante, sradicatosi dalle proprie origini, tenta di rifondare un immaginario
sulle radici a cui far riferimento nei momenti di smarrimento identitario
59
F. Mermier, Il libro e la città, cit., p. 134.
60
Etimologicamente nostalgia deriva dal greco nóstos che significa ritorno. Per
riflessioni letterarie su questo tema rimando a André Aciman, Alessandria: la capi-
tale della memoria, in Città d’ombra, Guanda Editore, Parma, 2013, pp. 143-160. Si
veda anche Thierry Fabre, Alessandria, il sogno ostinato, in Id., Traversate, Meso-
gea, Messina 2006, pp. 171-192. Per un’escursione letteraria sui «luoghi» del Medi-
terraneo in generale si veda Jean Grenier, Ispirazioni mediterranee, Mesogea, Mes-
sina 2003; Id., Isole, Mesogea, Messina, 2003.
61
Questo passaggio viene affrontato da Carlo Galli in Spazi politici cit.; si veda in
particolare il cap. V, Dialettiche ed equilibri, pp. 91-109. Riporto di seguito una cita-
zione: «soprattutto il «luogo» veicola in sé il concetto di natura, anch’esso in rotta di
collisione con le logiche e le categorie della modernità. Nel «luogo» c’è insomma la
radice logica delle ideologie della «differenza naturale», che qualificano la politica
particolarizzandola». Ivi, pp- 99-100.

54
_____________________ L’identità immaginata. Parole e concetti sul Mediterraneo

damente la propria identità. Il ritorno, anche solo immaginario a essi,


rappresenta un’importante esigenza personale e collettiva.
Ma per ritornare sul secondo punto del paradigma nostalgico di
Marramao, il discorso generale svela l’inabitabilità del mondo globa-
lizzato. L’oggettiva difficoltà di ritrovare l’ideale e antica armonia
non fa tramontare la tendenza al comunitarismo, semmai, al contrario,
produce un effetto di moltiplicazione alla spinta differenziante delle
comunità e del senso di appartenenza. L’elemento emotivo della no-
stalgia gioca ancora una volta un ruolo fondamentale. Certamente
questa non svolge sempre una funzione politica, talvolta si occupa
soltanto di rinnovare la memoria con immagini di ciò che si è stati.
Per altro verso, nell’osservare i processi in atto, non mancano le occa-
sioni in cui «strategicamente» – spesso in maniera del tutto illusoria –
il sentimento nostalgico viene strumentalizzato per fini politici.
L’esperienza letteraria dell’immigrato, in Italia o in altri contesti,
costituisce il modo attraverso il quale ri-creare il proprio luogo
d’origine, spesso popolato da caratteri immaginari; oppure, la scrittu-
ra diviene strumento fondamentale per la rielaborazione della propria
identità, specie in rapporto ai luoghi attraversati.
Maurizio Maggiani, scrittore italiano e raccontatore di storie, nel
suo romanzo Il coraggio del pettirosso62, descrive sogni e memorie
del protagonista Saverio, nato e cresciuto ad Alessandria d’Egitto ma
figlio di genitori italiani immigrati. Il protagonista si muove indietro
nel tempo, alla ricerca non delle proprie radici ma di una memoria da
poter condividere con i genitori oramai defunti, per colmare il senso
di vuoto e di paradossale spaesamento che lo coglie. Così parte alla
volta dell’Italia che lo attrae e lo respinge, lo accoglie e lo scaccia via.
Dopo il viaggio di ritorno ad Alessandria dal tanto sospirato paese dei
propri antenati, su di un letto di ospedale si abbandona ai pensieri.
A conti fatti, considerando la cosa dal punto di vista di questa ca-
mera d’ospedale, posso dire onestamente che non sono mai tornato
del tutto. Anzi, il fatto che io sia qui, e che passi il tempo a scrivere
quello che scrivo, sta proprio a dimostrare un fatto incontrovertibile:
la transvolata Roma-Alessandria non mi ha portato da nessuna parte
di preciso. O meglio, sono tornato a pezzi, come si dice, e non si è
ancora trovato il mastice per metterli insieme63.
Non è un caso che nel romanzo il protagonista si trovi ad Ales-

62
Maurizio Maggiani, Il coraggio del pettirosso, Feltrinelli, Milano 1997.
63
Ivi, p. 118.

55
Filippo Corigliano ___________________________________________________

sandria in una clinica psichiatrica e che la scrittura, nei giorni di ri-


covero, diviene per lui la cura principale, ma soprattutto la strada mi-
gliore per ricercare se stesso64.
Così il Mediterraneo diviene lo spazio delle identità immaginate,
sempre mutevoli perché mutevole è la natura delle sue sponde. Per-
ché la relativa vicinanza fisica è minata dai confini. Perché lo sguar-
do dell’Europa non riesce a cogliere i supplici che oggi sbarcano sul-
le nostre coste65.
Albert Camus avrebbe opposto la bellezza mediterranea e la sua
luce al buio sceso sull’Europa. Denunciava l’abbruttimento spirituale
di un’intera civiltà, persa in una guerra senza fine: «Alla luce degli
incendi, il mondo aveva d’improvviso mostrato rughe e piaghe, anti-
che e nuove. Era invecchiato di colpo, e noi con lui. […] Crollavano
gli imperi, uomini e nazioni si azzannavano; ci eravamo insozzati»66.
Nella lotta accesa fra la ragione totalizzante e la prudente ragione-
volezza del limite, il Mediterraneo rappresenta ancora oggi quel terre-
no di battaglia su cui si combatte per il futuro non solo dell’Europa.

64
Su questo tema rimando ancora a André Aciman, Un pellegrinaggio letterario nel
passato, in Città d’ombra, Guanda, Milano 2013, p. 96: «E tuttavia l’atto stesso di scrivere
è diventato il mio modo di trovare uno spazio e di costruire una casa per me stesso, il mio
modo di prendere un mondo informe e paludoso e puntellarlo con la carta».
65
Il parallelo con la tragedia greca di Euripide, le Supplici, è riportato nel saggio di
Anna Jellamo, La tragedia attica come fonte giuridica, in Renate Siebert, Sonia Flo-
riani (a cura di), Andare oltre. La rappresentazione del reale fra letterature e scienze
sociali, Pellegrini, Cosenza 2013, pp. 41-59. Il tema delle Supplici s’interroga su «co-
me rispondere ai supplici che chiedono aiuto? Negarlo, per favorire la pace interna, o
rischiare la pace interna per soccorrerli?». Ivi, p. 59. Come la tragedia greca, questo
tema pone un lacerante quesito sulla nostra attualità.
66
Albert Camus, Ritorno a Tipasa, in L’estate e altri saggi solari, Bompiani,
Milano 2003, p. 95.

56

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