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LINGUISTICA:INTRODUZIONE

La linguistica è la scienza del linguaggio e delle lingue. Tra le due c’è una
differenza: il linguaggio è la facoltà umana innata di usare elementi simbolici, la
lingua, invece, è uno dei risultati del linguaggio cioè una capacità comunicativa
utilizzata da un determinato gruppo di persone, affiancata, non
obbligatoriamente, da prodotto grafici. Si costituisce di più branche:
➔ Fonetica/Fonologia: si occupa dello studio dei suoni di una lingua
prodotti dall’apparato fonatorio e si suddivide ancora in articolatoria,
acustica ed uditiva;
➔ Morfologia: è lo studio dei morfemi, cioè le parole e le loro
composizioni;
➔ Sintassi: si occupa della struttura della frase e del rapporto tra frasi;
➔ Lessicologia: è lo studio dell’insieme delle parole di una lingua;
➔ Lessicografia: lo studio della costituzione dei dizionari.
A seconda degli scopi che si prefigge si può suddividere in:
➔ linguistica interna: studio puramente teorico di una lingua,
indipendentemente dagli influssi esterni, quali la società e la cultura;
➔ linguistica esterna: studio di una lingua come risorsa comunicativa
strettamente legata a fattori esterni;
➔ linguistica sincronica: studio di una lingua in un determinato momento
storico;
➔ linguistica diacronica: studio di una o più lingue attraverso il tempo, cioè
l’evoluzione di una lingua. Ha realizzazione pratica nella linguistica
storica, che ricostruisce gli eventi storici che hanno portato alla
formazione di una lingua.
➔ linguistica comparata o glottologia: studio comparativo di due lingue che
hanno comune origine.
Esistono altre specifiche branche accanti a questi approcci come ad esempio la
dialettologia, la geolinguistica, la neuro linguistica o la psicolinguistica.

Lo studio della linguistica, inteso come riflessione sul linguaggio, si può far
risalire alla nascita dell’alfabeto greco, inteso come insieme di grafemi che
singolarmente corrispondono ad un suono. I primi intellettuali che si
interessarono alla lingua furono, in ambito greco, Platone, nel Cratilo →
etimologia, e Aristotele, nella Logica, in cui tratta il rapporto segno-suono,
significato-parola. In ambito romani invece, ci furono Varrone, in cui tratta di
etimologia e morfologia nel De Lingua Latina, e Marco Fabio Quintiliano, che
nell’Istitutio oratoria si occupa della formazione dell’oratore anche per quanto
riguarda la grammatica. Successivamente nel Medioevo, dopo la morte del
latino e la nascita delle lingue romane, la riflessione prosegue in figure come
Dante Alighieri, che studia nel De vulgari eloquentia (1304), i vari volgari
presenti sul territorio italiano, individuandone 14. Data la vastità delle varietà
presenti, nasce la necessità di individuarne una che fosse unitaria, la cosiddetta
questione della lingua, che trova risoluzione nell’opera di Pietro Bembo Prose
della volgar lingua (1525), che propone il fiorentino trecentesco di Boccaccio e
Petrarca. Questa data è convenzionalmente la data della nascita dell’italiano e
della retrocessione degli altri volgari a dialetti. Nell’800 poi la linguistica
diventa finalmente disciplina scientifica grazie agli studi del tedesco Franz Bob,
che riflette sul fatto che ci sia un archetipo comune per alcune lingue molto
distanti tra loro, il sanscrito e le lingue classiche, chiamato indoeuropeo. Sulla
base di questi studi, Graziadio Isaia Ascoli fonda la glottologia scientifica.

GENEALOGIA DELLE LINGUE ROMANZE


Le lingue si possono suddividere in base alla loro genealogia, cioè sulle famiglie
linguistiche. La famiglia di cui fa parte l’italiano è la famiglia indoeuropea, che
raccoglie in sè lingue vive e morte, che ci collocano in un’ampia area unita dal
protoindoeuropeo. Da questo ceppo derivano altre famiglie che sono:
● Gruppo latino/romanzo: latino, italiano, spagnolo, francese, portoghese,
romeno, dolomitico, etc…
● Gruppo germanico: inglese, tedesco, danese, etc…
● Gruppo celtico: gallese, irlandese, bretone, etc…
● Gruppo slavo: lingue dell’area balcanica, russo, etc…
● Gruppo albanese: l’albanese costituisce un gruppo a sé;
● Gruppo greco: greco antico, moderno e i suoi dialetti;
● Gruppo baltico: lituano e lettone;
● Gruppo indoiranico: sanscrito, hindi, curdo, persiano, etc…;
● Gruppo armeno: armeno.
L’Ungheria, la Finlandia e i Paesi Baschi rimangono esclusi, me mentre
l’ungherese e il finlandese, fanno parte del gruppo uralico, il basco ha ancora
origini ignote.
Le lingue figlie del latino si dicono romanze e ora sono parlate su tutti quanti i
continenti. E’ necessario precisare che le lingue latine non derivano dal latino,
perché ciò presuppone la morte del latino e l’immediata sostituzione delle
lingue romanze; esse, invece, sono l’evoluzione naturale del latino di quella
determinata zona. L’insieme dei territori parlanti lingue romanze si dice
Romania, se facevano parte dell’impero romano si chiamano Romania perduta,
se invece si fa riferimento a quelli in cui si parla oggi una lingua romana, si
parla di Romania nuova.
Da quale latino si sono evolute le lingue romanze?
Il latino, come ogni lingua naturale, è multiforme, cioè ha diverse realizzazioni.
Quello studiato normalmente a scuola era il latino classico scritto, che ha una
fisionomia ben definita, carattere che, invece, ha il latino parlato non aveva , da
quest’ultima si sono formate le lingue romanze. Non abbiamo molte fonti scritte
ovviamente quindi si è dovuto usare il metodo comparativo e quelle poche fonti
scritte come le iscrizioni murare o le lettere delle persone umili, i trattati tecnici,
le opere teatrali e le opere dei grammatici. La più importante di queste è
l’Appendix Probi, composta da 227 forme nella formula A non B, in cui la
forma errata B è diventata spesso la forma romanza, ad esempio:
AURICLA non ORICLA
↙ ↓ ↘
oreille orecchio oreja
I fattori della variazione sono vari:
● mezzo: dato che il latino classico era scritto era anche grammaticalmente
più corretto del latino parlato volgare;
● sociale: il parlato di una persona colta non è lo stesso di una persona
umile;
● tempo: le lingue evolvono nel corso del tempo;
● spazio: l’impero romano comprendeva varie zone anche molto distanti tra
di loro;
● situazione comunicativa: una persona usa una varietà o un’altra di una
lingua a seconda della situazione in cui si trova.
I fattori che, invece, differenziano oggi le lingue romanze tra di loro sono:
➔ diverso periodo di romanizzazione:
la romanizzazione è il processo tramite cui si adegua la cultura delle
popolazioni assoggettate alla cultura latina. Questo processo è attivato in
momenti diversi in tutto l’impero;
➔ intensità della romanizzazione:
in alcune zone, la romanizzazione fu molto intensa, ad esempio in Francia
meridionale, in cui anche l’amministrazione era latina, non fu così ad
esempio in Dacia, in cui la romanizzazione fu tardiva e breve;
➔ reazioni etniche/etnolinguistiche:
il latino soppiantò le lingue preesistenti, le lingue di sostrato, che pur
estinguendosi hanno lasciato tracce nel latino di quelle zone, in seguito ad
un periodo di bilinguismo e convivenza.
Al concetto di strato (latino) e sostrato, si aggiunge il superstrato, ovvero gli
elementi linguistici venuti dopo la romanizzazione, che ha cambiato il latino
senza però sopraffarlo. Nel nostro caso si tratta delle lingue germaniche e
l’arabo. Le popolazioni germaniche furono responsabili del frazionamento e
isolamento dell’impero, la loro presenza modificò il lessico latino in particolare
in ambito bellico (verra→ guerra), nella caccia, l’edilizia, la vita domestica,
l’anatomia, alcuni aggettivi (bianco). L’arabo invece arricchì il lessico
scientifico (algebra), commerciale (dogana), dell’abbigliamento (babbuccia) e
naturale (arancia e giraffa).
Le variazioni possono aver aggiunto degli elementi (variazioni di segni positivi)
o aver perso degli elementi.

CARATTERISTICHE DEL SEGNO CARATTERISTICHE DEL SEGNO


+ -
1.Uso degli articoli 1.Perdita del sistema dei casi
2.Nuovi modi verbali 2.Perdita del genere neutro

LE LINGUE ROMANZE
Si suddividono in quattro gruppi:
● Gruppo balcanoromanzo → rumeno;
● Gruppo iberoromanzo → spagnolo, portoghese, catalano, gallego;
● Gruppo galloromanzo → francese, francoprovenzale, provenzale,
guascone;
● Gruppo italoromanzo → italiano, dialetti italoromanzi, sardo, dalmatico e
retoromanzo.

GRUPPO BALCANOROMANZO
E’ formato principalmente dal rumeno, o meglio il dacoromeno, che è la varietà
letteraria. Il dacoromeno si parla nella Romania politica, in Moldavia e in alcuni
territori russi, serbi e ungheresi. Le sue varietà sono l’istroromeno, il
macedoromeno e, nei Balcani, il meglenoromeno.
GRUPPO IBEROROMANZO
1. Spagnolo: è parlato nella Spagna politica ad esclusione di alcune zone,
che sono la Catalogna e Valencia, in cui si parla il catalano, le province
basche, in cui si parla il basco, che ha rischiato spesso l’estinzione,
soprattutto durante il franchismo, e le quattro province nord-occidentali,
in cui si parla il galliziano. Oltre alla Spagna, viene parlato nell’America
Latina, in California, in Arizona, nel Nuovo Messico, in Texas e in
Florida.
2. Catalano: viene considerata una lingua ponte in quanto presenta
somiglianze con il gruppo delle lingue galloromanze, infatti viene parlato
anche a Rossiglione in Francia. Viene parlato in Catalogna, nelle isole
baleari, in Andorra, nell’area pirenaica e ad Alghero, città sarda. Essa ha
varietà dialettali riconducibili all’area orientale e occidentale. La varietà
letteraria è il catalano di Barcellona.
3. Galiziano: è un’altra lingua romanza molto simile al portoghese ed è
lingua coofficiale in Portogallo e la varietà letteraria è il castigliano di
Madrid.
4. Portoghese: è parlato nel Portogallo politico, nelle quattro province nord
occidentali, negli Arcipelaghi delle Azzorre e Madera, in Brasile, in
Angola, in Mozambico e a Capo Verde. La varietà letteraria è il gallego,
base del portoghese e del galiziano moderno.

GRUPPO GALLOROMANZO
1. Francese: è la seconda lingua con stato di ufficialità al mondo dopo
l’inglese. Viene parlato nella Francia metropolitana ed Oltre mare, in
Vallonia (Belgio francofono), nella Svizzera francofona, a Lussemburgo,
in Canada, in Marocco, in Algeria e ad Haiti. La varietà letteraria è il
franciano, cioè il francese delle antiche corti. Non ha dialetti, ma varietà
regionali.
2. Provenzale: era la lingua dei trovatori pertanto ha un grande prestigio. La
sua seconda denominazione è occitano, nome dato da Dante e viene da
lingua d’Oc. La zona di riferimento è sostanzialmente l’antica Gallia, la
cui non unità politica ha causato una non unità linguistica, in alcune valle
piemontesi e in Calabria, in un paesino chiamato Guardia piemontese.
3. Guascone: non tutti i linguisti la considerano una lingua, per alcuni è
solo una variante del provenzale;
4. Francoprovenzale: venne riconosciuta come lingua solo nel 1878 grazie
ad Ascoli ed è una lingua mista in quanto riprende caratteristiche sia del
francese sia del provenzale. Viene parlata in Francia sud-orientale, nella
Svizzera romanza, in Val d’Aosta, in Val di Lanzo, in alto Piemonte e in
due comuni di Foggia, Celle san Vito e Faeto, precisamente del patuà. La
varietà letteraria è il lionese.

GRUPPO ITALOROMANZO
1. Retoromanzo: fu Ascoli nel 1873 a scoprirlo e ne parla nella sua opera
Saggi ladini. Non ha una varietà letteraria ed è il raggruppamento delle
tre lingue della zona alpino centro-orientale, che sono:
● romancio/ladino orientale → è parlato nel cantone dei Grigioni,
nonostante la lingua ufficiale sia il tedesco ed è la quarta lingua
ufficiale in svizzera;
● ladino/ladino centrale o dolomitico → viene parlato in Trentino
Alto-Adige, in Veneto e nelle dolomiti;
● Friulano → numericamente è la più parlata.
2. Dalmatico: essendo scomparsa nell’800, sappiamo ben poco di questa
lingua. Grazie ad alcune fonti medievali, sappiamo che era una lingua
romanza, parlata nell’antica Dalmazia, abitata dai dalmati, nome che
arriva dall’illirico e vuol dire pastore. La sua scomparsa si deve alle
pressioni di altre lingue, slave da est, veneziano da nord e albanese da
sud, e si può datare nel 1898 anno in cui morì l’ultimo parlante, Antonio
Odino, a Veglia (Croazia).
3. Sardo: la Sardegna venne romanizzata molto presto, quindi il latino
importato è arcaico e dovette scontrarsi con le lingue di sostrato, già
presenti ovvero il paleosardo o punico. Oltre a questi fattori, si aggiunge
la posizione isolata dell’isola che ha contribuito a sviluppare caratteri
molto originali che ora la rendono una lingua indipendente, rendendola la
più conservativa delle lingue romanze (indice di variabilità: 8%). Si
aggiungono poi gli apporti da altre lingue quali il greco bizantino,
l’arabo, il genovese e il pisano, lo spagnolo e il catalano (parlata ancora
ad Alghero), che hanno lasciato traccia nei toponimi e nel lessico. Il
primo contatto con l’italiano avviene nel 1718 quando la Sardegna entra a
far parte del regno di Savoia. La varietà del sardo sono due riconducibili
alla parte settentrionale e meridionale dell’isola e sono rispettivamente il
logudorese e il campidonese. Esistono altre lingue in Sardegna e sono il
catalano, il Sassarese (nord-estremo→ base corso-toscana), il Gallerese
(corso meridionale e Arcipelago del Sursis, isole di S. Pietro e Auticco) e
il tabarchino. Questa è una variante genovese: nel 1540 veniva parlata da
una comunità di pescatori di corallo a cui viene affidato un territorio da
Carlo V in Tunisia, dove fondarono Tabarca, rimasta in piedi fino al
1700. Fino ad allora, venne a contatto con le lingue già presenti. Quando
nel 1700 la Tunisia divenne francese, vennero cacciato e andarono
altrove.
4. Italiano: pur non essendo lingua ufficiale, viene parlata in altri paesi non
italiani, quali Malta, Slovenia, Provenza (in cui si parla una varietà ligure
chiamata Rojasco), in Libia, in Somalia, in Eritrea e in Albania. A causa
delle varie immigrazioni, troviamo comunità italofone anche in Oceania e
in America. Viene parlato anche in Corsica, in particolare una variante del
toscano, il corso, parlato da molto prima che il francese diventasse lingua
ufficiale alla fine del ‘700 e coofficiale nel 2013. Vi sono più varietà di
corso, il capocorsino (estremo settentrionale dell’isola),il cismontano
(basso settentrionale), l’oltremontano e l’oltremonatano sartenese (centro)
e il genovese, nella città di Bonifacio. E’ interessante la situazione del
Principato di Monaco, piccola monarchia costituzionale densamente
popolata da persone di 118 nazionalità differenti. Si parla il francese e
una varietà dialettale ligure, il monagasco, e sono entrambe lingue
ufficiale anche se la seconda è in costante regressione.

IL REPERTORIO LINGUISTICO
E’ l’insieme delle risorse linguistiche di una comunità di parlanti (repertorio
comunitaria) o di un individuo (repertorio individuale). Talvolta il primo
accomuna i vari repertori linguistici degli individui che compongono la
comunità e/o il secondo è un sottoinsieme del primo, ma non sono condizioni
necessari.
E’ la comunità ad assegnare la funzione ai sistemi linguistici condivisi da essa,
ponendoli in una struttura gerarchica, quindi non c’è parità tra i sistemi. Nel
caso specifico dell’italiano, le due lingue normalmente presenti si posizionano
su due poli opposti: la lingua alta, usata in un ambito formale, istituzionale,
culturale si dice di acroletto, mentre al polo opposto si trova la lingua di
basiletto. Questa è una situazione media, ma in Italia esistono anche casi di
monolinguismo e plurilinguismo. L’Italia si presenta come una paese monolitico
in quanto ha un’unica lingua ufficiale, anche se riconosciuta solo nel 1999, ma
esistono molte più lingue sul territorio, gli stessi dialetti, ma anche le lingue
straniere, per la precisione 12: il francese, il francoprovenzale, il provenzale, il
ladino dolomitico, friulano, sardo, catalano, tedesco, sloveno, croato, albanese e
il greco. Tutte queste sono le minoranze linguistiche.
Il nostro repertorio linguistico italiano è generalmente caratterizzato da
diglossia, ovvero la presenza di due lingue, o bilinguismo endogeno a bassa
distanza strutturale, la presenza quindi di due sistemi endogeni che hanno poche
differenze nella struttura. Il bilinguismo è una situazione di compresenza di due
individui presso una comunità o un individuo. Esso può essere:

INDIVIDUALE: individuo in grado SOCIALE: comunità in grado di


di parlare due lingue; parlare due lingue;
BILANCIATO: medesima NON BILANCIATO: maggior
competenza in entrambe le lingue; competenza in una delle due lingue;
SIMULTANEO: approfondimento SUCCESSIVO: apprendimento
simultaneo delle due lingue; successivo di una delle due lingue;
ADDITIVO: si aggiunge una nuova SOTTRATTIVO: si perde la
lingua; competenza in una lingua;

Possiamo dire che il panorama italiano sia caratterizzato da un diffuso


bilinguismo, come dimostrano i dati dell’ISTAT ( maggioranza relativa → uso
prevalente dell’italiano, grande minoranza → competenza in entrambe, minima
minoranza → minoranze linguistiche che usano due lingue). Esistono
ovviamente delle eccezioni, esistono casi di monolinguismo, in particolare a
Firenze e a Roma. Il caso di Firenze è chiaro, l’evoluzione del volgare
fiorentino è l’italiano, oggi affiancato da varietà dialettali fiorentine. Per quanto
riguarda Roma la questione è diversa: esisteva un volgare romanesco
(romanesco di prima fase) che era molto vicino ai dialetti meridionali, ma ha
subito un processo molto forte di toscanizzazione riconducibile al sacco di
Roma (1527). Questo saccheggio, condotto dai Lanzichenecchi, mercenari di
Carlo V, dimezzò la popolazione romana, che venne ripopolata dalla corte
fiorentina del papa Clemente VII. Il romanesco perde le sue peculiari
caratteristiche e diventa romanesco di seconda fase.

MINORANZE LINGUISTICHE
Ci sono poi territori in cui la situazione è più complessa come ad esempio nelle
aree delle minoranze linguistiche, che tra l’altro non tengono conto delle
importazioni linguistiche causate dalle migrazioni più recenti. Possiamo dire
quindi che la situazione tendenzialmente bilingue italiana sia arricchita da
lingue di minoranza, ovvero idiomi parlati da piccole comunità di parlanti,
chiamate comunità minoritarie, diffuse sul territorio, tendenzialmente
appartenenti a ceppi creatisi fuori dai confini italiani. In Italia, questo concetto
coincide con quello di alloglossia, ovvero la condizione di chi ha come lingua
della comunicazione primaria una lingua totalmente diversa da quella di
riferimento (n.b. questa condizione esclude i dialetti). Si aggiungono due
requisiti:
● storicità -> la lingua deve essere sul territorio italiano da sempre;
● territorialità → deve essere radicata in una zona specifica.
Questi requisiti escludono le lingue delle recenti immigrazioni, come il cinese o
il peruviano, e le lingue non territorializzate come il romanì, la lingua degli
zingari.
Le minoranze linguistiche si possono classificare secondo un principio
geografico, che porta all’identificazione di due macroaree : l’Italia settentrionale
- alpina e l’Italia centro - meridionale - insulare.

ITALIA SETTENTRIONALE - ALPINA


Ne fanno parte il provenzale, il franco - provenzale, il Francese, il Walser, il
Ladino, il Tedesco, il Friulano e lo Sloveno.
❖ provenzale : viene parlato in 109 località dell’arco alpino e prealpino e a
Guardia Piemontese (Cosenza) in cui si rifugiarono i valdesi per sfuggire
alle persecuzioni religiose. In questo comune, è una minoranza a rischio;
❖ Franco - provenzale : viene parlata in tutta la Valle d’Aosta, escluse tre
località, e in 50 comuni del Piemonte, in cui ha però vitalità minore.
Grazie ad alcuni fenomeni migratori, è arrivato anche a Faeto e a Celle
San Vito (Foggia);
❖ Francese : è parlato in tutta la Valle d’Aosta e in 28 località torinesi, ma,
nonostante sia stata lingua di prestigio, non è più usata nella
comunicazione primaria;
❖ Walser o Walliser : viene parlato nelle tre località valdostane ai piedi del
Monte Rosa. È la forma ridotta di Walliser, che vuol dire abitante del
cantone vallese. Ha vitalità molto ridotta;
❖ Ladino : parlato a Trento, Belluno e a Bolzano; non esistono più persone
che parlano sono ladino, ma viene ancora usato, anche se è diventato
lingua bassa superata dal tedesco e dall’italiano;
❖ Tedesco : ⅔ del Trentino Alto Adige è tedescofono. La Germanizzazione
è cominciata nell’Alto Medioevo ed è “giunta a una fine” nel 1919, anno
in cui cominciò un processo di italianizzazione forzata (obbligo della
traduzione dei nomi stranieri/ traduzione dei toponimi). Solo con lo
statuto speciale diventa lingua coofficiale;
❖ Friulano : vd. Gruppo italoromanzo
❖ Sloveno : viene parlato a Gorizia e a Trieste perché erano territori
dell’impero austro ungarico fino alla fine della Seconda Guerra mondiale.

ITALIA CENTRO MERIDIONALE - INSULARE


Troviamo il Croato, l’Albanese, il Greco, il Sardo e il Catalanp.
Croato : è la minoranza linguistica più limitata e viene parlata in tre
comuni del Molise. Gli studiosi credono che l’ampliamento dell’impero
ottomano abbia portato alla migrazione di queste popolazioni che però a
causa del difficile raggiungimento di questa zona, non hanno adottato la
lingua parlata sul luogo, ma hanno mantenuto il croato. Una cosa analoga
capita anche all’albanese e al sardo.
Albanese : non si tratta dell’albanese entrato in vigore con le migrazioni
odierne, bensì di arbresia, entrato in Italia nel Medioevo, varietà parlata in
alcune comunità in Puglia, in Calabria e in Sicilia.
Greco : esistono due isole linguistiche grecofone in Salento e in Calabria.
Non sono residui della Magna Grecia, bensì dell’impero bizantino,
sostenuta da Alfonso I di Aragona a favore delle comunità greco
ortodosse.
Sardo : vd. gruppo italoromanzo.
Catalano : è stata portata dai genovesi nel XV secolo, ma oggi è in netto
calo.
Un altro criterio per classificare le minoranze linguistiche è il criterio
genealogico, che tiene conto cioè delle varie famiglie linguistiche.
Esiste una legge in tutela delle minoranze linguistiche (art. 3 e 6), ma solo nel
1999 arriva una legge specifica (482/99) che riconosce in primo luogo
l’ufficialità della lingua italiana, poi lo status di minoranze delle 12 lingue
citate, spiega come ottenere questo status, i requisiti per ottenerlo e i privilegi di
cui godono, come la possibilità di diventare lingua di insegnamento o di redarre
i documenti in doppia lingua.
I DIALETTI
“Il dialetto è un sistema linguistico usato in zone geograficamente limitate e in
un ambito socialmente e culturalmente ristretto, divenuto secondario rispetto a
un sistema dominante e non usato in ambito ufficiale o tecnico - specialistico.”
Lingua e dialetti - Tullio De Mauro
I dialetti sono lingue che vengono usate in zone circoscritte e vengono
impiegate da determinate fasce sociali solo in casi esclusivi (esclusi i casi di
dialettofonia totale). In un quadro bilingue, è un basiletto, cioè una lingua
divenuta secondaria. È una varietà linguistica non standardizzata, non vengono
cioè individuate forme grammaticali scritte, ed è una varietà tendenzialmente
ristretta all’uso orale in primo luogo perché carente di una norma scritta e poi
perché limitata in un contesto italofono. Ci sono delle eccezioni rappresentate
dalle prime correnti letterarie italiane (come la Scuola siciliana di Federico II di
Svevia). Dall’altro lato la lingua è stata individuata e standardizzata in un
processo di ascesa cominciato nel 1525 con Bembo che prese in considerazione
sì fattori linguistici, ma soprattutto storici, politici e culturali. Dapprima ha solo
una diffusione scritta, infatti solo i ceti più elevati parlavano italiano e solo in
determinate circostanze. Solo più avanti diventerà veicolo comunicativo di tutte
le fasce sociali come varietà dell’uso quotidiano, all’incirca nella seconda metà
del XX secolo. Dietro a questo cambio di rotta ci sono più fattori:
➔ unificazione politica;
➔ obbligo scolastico → non è abbastanza perché non era una lingua
effettivamente usata, era solo imposta;
➔ mezzi di comunicazione di massa;
➔ fenomeni migratori interni;
➔ servizio di leva obbligatorio;
➔ unificazione della lingua in ambito amministrativo;
Il concetto di dialetto non è uguale ovunque anzi spesso anzi spesso indica
varietà interne della stessa lingua. In Italia, i dialetti odierni sono evoluzioni
delle lingue volgari, a cui Dante assegna un significato specifico, ovvero la
lingua che il bambino impara dalla balia, in contrasto con il latino che invece gli
è imposto e non è naturale, inoltre il latino non è sufficiente a esprimere alcuni
concetti, come invece lo è il volgare. Rimane comunque la necessità di
individuare un volgare fra tutti che secondo il poeta fiorentino deve essere
illustre, cioè deve dare lustro a chi lo parla, cardinale, cioè deve essere
esemplare per le altre varianti, regale e curiale, cioè deve essere usato nelle corti
e in ambito giudiziario. In base a questi criteri, i più adatti risultano essere il
siciliano, il fiorentino e il bolognese.
I dialetti in accezione ampia si dividono in:
● primari : sono sistemi linguistici autonomi, ma con medesima origine
rispetto alla lingua di riferimento. Ad esempio, i dialetti italo - romanzi
rispetto all’italiano sono dialetti primari;
● secondari : dialetti di altre aree linguistiche, cioè parlate insorte dalla
differenziazione geografica di una data lingua; vengono anche chiamati
varietà dialettali. Ad esempio l’inglese parlato in India è sempre inglese
così come il francese parlato in Canada è sempre francese.
Si incontrano varie difficoltà tentando di classificare i dialetti, ma Ascoli ci
provò e avanzò una classificazione tipologica che si basava sulla distanza dei
vari dialetti dal latino, suddividendoli in quattro aree:
★ toscano → lingua letteraria italiana, usata per indicare la distanza dal
latino;
★ sistema dei dialetti neolatini → hanno un distacco, ma non così netto dal
latino e sono i dialetti laziali, l’umbro, il veneziano, il corso, il siciliano e
il marchigiano;
★ dialetti galloitalici → sono nettamente distinti dal toscano e ne fanno
parte il ligure, il piemontese, il lombardo, l’emiliano e i dialetti sardi;
★ dialetti che derivano in parte da sistemi latini non peculiari →
appartengono a sistemi neolatini non italiani, ne fanno parte il ladino, il
francoprovenzale, il provenzale e il friulano.
Nonostante la riflessione di Ascoli sia stata molto avanzata, mancava di alcune
considerazioni raggiunte dalla geografia linguistica. Questa disciplina parte
dalla consapevolezza che una lingua non è slegata dal territorio e dai suoi
parlanti; comincia a svilupparsi all’inizio del secolo scorso con la creazione di
atlanti linguistici, ovvero un insieme di tavole geografiche che mostrano in
genere le varianti locali di un determinato vocabolo. Si compongono ponendo
questionari ai parlanti, in cui ci sono immagini che devono essere nominate. I
primi arrivano tra il 1908 e il 1910 dalla Francia, mentre il più importante
atlante italiano è l’Atlante linguistico ed etnografico dell’Italia e della Svizzera
meridionale (AIS) pubblicato tra il 1918 e il 1940 dopo la morte dei due
ideatori, Karl Jaberg e Jakob Jud, e costituito di 8 volumi. Osservando gli
Atlanti si è in grado di tracciare l’area linguistica che contiene un fenomeno
linguistico, cioè si è in grado di tracciare isoglosse, concetto sempre
riconducibile ad Ascoli. Lo studioso Gerhard Rohlfs notò che i fenomeni
linguistici si interrompevano su un’unica linea che collegava La Spezia - Rimini
e un’altra che collegava Roma - Ancona. Mettendo insieme il tutto nasce il
concetto di fascio di isoglosse. Più tardi è stata individuata una terza linea, che
collega Taranto - Ostuni e Diamante - Cassano. Sempre Rohlfs scrisse «La
grammatica storica degli italiani e dei suoi dialetti» e partita la constatazione di
fondo che la lingua cambia muovendosi in un territorio, ma non in una maniera
sconnessa e improvvisa, ma in maniera continua. Questa constatazione e il
continuum dialettale; in zone molto vicine rende difficile tracciare linee rette. In
questo modo scopre le isoglosse, ma soprattutto che coincidono con fattori
geografici e storici: la linea La Spezia-Rimini coincide con la dorsale
appenninica, data la difficoltà nell’attraversamento, le comunicazioni erano più
complessi; inoltre è stato confine dell'Etruria, poi d'Italia quando Milano era
capitale poi Roma e nel medioevo separava le arcidiocesi di Ravenna e Roma.
La linea Roma- Ancona coincide almeno in parte con il Tevere, era confine tra
etruschi e italici e, successivamente, avrebbe superato i territori Della Santa
sede e dei Longobardi.
Sulla base di queste considerazioni, sei stata in grado di classificare i dialetti in
macroaree accomunate da elementi comuni:
1. Sistema settentrionale coinvolge tutte le parlate sopra la linea Spezia
Rimini e si suddivide ancora internamente in dialetti Gallo italici, nord Italia
escluso Veneto e Friuli-Venezia Giulia, che fanno parte dei dialetti veneti. I
caratteri che li accomunano sono:
- Indebolimento assenza di consonanti intense anche dette doppie;
- Sonorizzazione/caduta sonorizzazione di alcune consonanti occlusive (c
diventa g, t diventa d, p diventa b);
- Esplicitazione del pronome personale soggetto
- Presenza di vocali turbate (a/u francesi) che però essendo di sostrato
celtico e assente nei dialetti veneti;
- Caduta delle vocali finali all'esclusione della a;
2. Sistema toscano ne fanno parte tutti i dialetti toscani, cioè il fiorentino, il
toscano occidentale, l’aretino e il toscano meridionale, e le parlate corse;
3. Sistema centrale romanola varietà più nota è ovviamente romanesco;
4. Sistema meridionale
- area alto meridionale include il Molise, la Campania, la Basilicata, parte
dell’Abruzzo, la Puglia, escluso il Salento, e la Calabria settentrionale. buona
parte di questa area coincide con l'antico regno di Napoli;
- Area meridionale estrema erano colonie greche è un grande polo
economico, ma furono isolate quando il centro economico si spostò sempre più
a nord. Ne fanno parte tutta la Sicilia, il Salento e la Calabria sotto la linea
Damante Cassano punto le caratteristiche di questa zona sono:
a. presenza di 5 sole vocali toniche o aperte (contro le 7 vocali normali);
b. Esistenza di tre soli vocali finali ovvero la A, che raccoglie la e, la i e
infine la U, che raccoglie la o;
c. Pronuncia cacuminale ho retroflessa di alcuni suoni consonantici come ad
esempio la L intensa e i nessi consonantici tr e str che vengono pronunciati con
una retroflessione della lingua, ad esempio bella diventa bedda;
d. Mancanza di infiniti tronchi;
Dato che l'italiano è diventato lingua di comunicazione primaria, come mai
usiamo ancora il dialetto?
Il motivo sta nell'assenza in italiano di termini corrispondenti o che abbiano la
stessa intensità della parola in dialetto. Poi i dialetti contengono parole dette
parole baule, che contengono mondo di concetti, significati e sfumature solo
proprie che rispecchiano ideali condivisi dalla comunità.
Chi parla dialetto oggi? Con chi? Con quali funzioni?
Secondo i dati Istat del 2015, nella fascia di età 18-70, il 53% parla
prevalentemente italiano in famiglia, il 56% così amici e l'85% con gli estranei.
In merito all'utilizzo esclusivo del dialetto, solo il 10% utilizza esclusivamente il
dialetto in famiglia e l'uno per 100 con gli estranei.
Causa di questi risultati sono fattori di variazione sociale determinanti: più
anziani risultano più propensi all'uso del dialetto, insieme agli uomini e alle
persone meno istruite rispetto ai giovani, alle donne e alle persone colte.
Nella fascia d'età 18- 34 si nota poi un divario tra gli uomini (8%) e le donne
(2%), inoltre l'uso dell' italiano risulta inversamente proporzionale all'età del
parlante.
Altro fattore fondamentale è la variazione diatopica: nel nord ovest d'Italia,
l'italiano, in famiglia, e parlato dal 70%, mentre nel sud e parlato dal 40%. Cina
da come questo fattore sia influenzato dalla grandezza dei vari comuni: in
comuni con meno di 10.000 abitanti, l'italiano è parlato in famiglia dal 42,7%,
mentre in comuni con più di 10.000 abitanti, l'italiano è parlato dal 70% e
virgola con estranei dal 90%.
I dialetti virgola in quanto lingue vere e proprie virgola in che rapporto stanno
con l'italiano?
In un passato non remoto, i dialetti sono stati, sempre ovunque, lingue di
comunicazione primaria mentre l'italiano è la lingua secondaria, conosciuto solo
da pochi e usato solo in contesti ristretti. Questo fino agli anni 50, quando
l'italiano arrivò nelle case e le istituzioni cominciarono a censurare il dialetto,
che, tuttavia, continuava ad essere parlato, specialmente da coloro che erano
meno istruiti. Col passare del tempo, il dialetto non ha più costituito un pericolo
alla diffusione dell'italiano anzi non è più considerato un segno di ignoranza, ma
anzi un'importante conoscenza aggiuntiva. Oggi l'utilizzo del dialetto tende a
comparire a fianco dell'italiano in due fenomeni distinti:
- Code switching passaggio da una lingua all'altra nel discorso di uno
stesso parlante. È un fenomeno interfrasale, cioè avviene nel passaggio da una
frase all'altra. Può avvenire per esigenze espressive, soprattutto per segnalare
coinvolgimento emotivo, per esprimere gioco e scherzo o per adattarsi
all'interlocutore;
- Code mixing passaggio da una lingua all'altra all'interno della stessa
frase. Avviene per mancanza di competenze sociali o per una mancanza
lessicale proprio di una lingua.
Non è prevista una futura estinzione, ma di sicuro oggi i dialetti hanno un'utilità
diversa.
Un termine o una locuzione di origine dialettale che passa l'italiano si dice
dialettismo, può essere un fenomeno di tipo morfologico, fonetico o sintattico e
all'utilità di riempire un vuoto oggettivo, ovvero una lacuna che riguarda una
lingua carente di un termine per indicare un concetto, un oggetto o un'azione.
Sono moltissimi dialettismi, ma non sempre sono codificabili perché spesso
vengono adattati foneticamente e morfologicamente all'italiano. Sono entrati in
circolo dopo l'unità d'Italia per via del maggior contatto e della necessità di dare
un nome ad alcuni elementi nuovi.

LA VARIAZIONE LINGUISTICA
L'italiano è lingua ufficiale di acroletto, non è un'entità monolitica, cioè varia a
seconda di vari fattori. Questa caratteristica tipica delle lingue naturali, la
variazione linguistica, può essere interlinguistica, quindi toccare le differenze
per più lingue, o intralinguistica, cioè riguarda le differenze all'interno di una
stessa lingua. Queste considerazioni sono parte della sociolinguistica che ha
provato che ci sono dei fattori specifici alla base della variazione di una lingua e
sono:
- Tempo → variazione diacronica o mutamento;
- Spazio→ variazione diatopica;
- Strato sociale → variazione diastratica;
- Situazione comunicativa → variazione diafasica.
Esiste ancora un'ulteriore variazione che non tutti i linguisti accettano in quanto
interna alle altre quattro ed è la variazione dovuta al mezzo (variazione
diamesica).
La variazione diacronica è sempre considerata da parte in quanto di solito ci si
concentra su un unico momento specifico. Sono tutte quante graduali e
continuative. L’italiano standard non è neutro ma tende verso i poli più alti.

L'italiano standard indica una varietà comunicativa sottoposta codificazioni


normative per questo si potrebbe dire che sia quello intrinsecamente migliore,
ciononostante nessuno utilizza l'italiano standard. È una varietà di lingua:

- Codificata → esistenza di un insieme di testi di riferimento per le norme


come le opere di letteratura che fungono da modelli per creare grammatiche e
vocabolari;

- Sovraregionale → non può caratterizzarsi per varietà specifiche di uno o più


territori;
- Elaborato → devi avere tutti i mezzi necessari per essere impiegato in tutti i
campi;

- Propria dei ceti colti → nasce nelle fasce socialmente privilegiate;

- Invariabile ->a parte su un piano lessicale, deve seguire obbligatoriamente le


norme della lingua;

- Scritto ->nasce come lingua scritta.

Lo standard poi è una lingua artificiale perché frutto di un processo che ha


riguardato vari agenti sociali come gli scrittori, le accademie, eccetera eccetera.
Per secoli è rimasta lingua esclusivamente scritta e soprattutto non toccava la
vita quotidiana per questo non coincide perfettamente con alcuna variante
parlata, solo nella seconda metà del 900 si può assistere ad una progressiva
diffusione di italiano come lingua della quotidianità. L'italiano standard per sua
natura tende alla variante aulica, aveva quindi termini più legate al l'astratto
pertanto e sushi dovuto adattare ed estendere ad ambiti più bassi, familiari e
quotidiani. Si è quindi instaurato un nuovo standard verso la zona più bassa
dell'architettura della lingua, chiamato neo standard che prevede forme non
totalmente accettabili dallo standard. Si caratterizza per elementi peculiari in
tutti i livelli di analisi:

MORFOLOGIA

- Riorganizzazione del sistema pronominale

1. uso dei pronomi complemento (lui, lei e loro) al posto dei


corrispondenti soggetto (egli, ella, esso, essi ed esse);

2. Uso del “te”, come soggetto virgola che in realtà sostituisce il “tu”
solo nelle coordinate;

3. “Gli” usato come dativo generalizzato;

4. Semplificazione dei pronomi dimostrativi questo, codesto e quello;

5. Sostituzione del pronome neutro “ciò” con “questo”;

- Semplificazione delle congiunzioni;


- Semplificazione del sistema verbale

1. Utilizzo maggiore del presente, dell’imperfetto e del passato


prossimo;

2. Sostituzione del futuro da parte del presente (ad esempio «dopo


controllo»);

3. Sostituzione da parte del futuro per indicare un dubbio (ad esempio


«sarà uscita»);

4. Sostituzione da parte dell’imperfetto per indicare cortesia (ad


esempio «volevo chiederle») ponte,

5. Sostituzione da parte dell’indicativo del condizionale o del


congiuntivo (ad esempio «se lo sapevo non venivo»);

6. Sostituzione da parte dell'indicativo per esprimere un'opinione (ad


esempio «penso che non viene più»);

- Polivalenza del pronome che, Il quale prendi il valore di subordinata


causale, consecutiva, temporale e finale;

- Presenza di forme ridondanti.

SINTASSI

Si può notare in primo luogo la presenza di “ma” o “e” a inizio frase ma


soprattutto la presenza di una sintassi marcata ovvero una modifica sistema
normale soggetto verbo oggetto. Si configura nella dislocazione a sinistra,
nella dislocazione a destra e nella frase scissa:

- dislocazione a sinistra: sia dislocazione a sinistra quando un elemento


Frasale virgola diverso dal soggetto, occupa posizioni iniziale.

e.g.: Luca compra un giornale

diventerà

Un giornale lo compra Luca

Questa dislocazione comporta una ripresa pronominale che non può essere
reinserita nella costruzione principale.
- Dislocazione a destra: non c'è un vero cambio di posizione bensì
un'anticipazione dell'oggetto da un pronome anaforico:

e.g.: Luca compra un giornale

diventerà

Lo compra Luca il giornale

- Frase scissa: è composta da una frase divisa in due componenti: la prima


virgola che contiene il verbo essere, e una pseudo relativa introdotta dal che:

e.g: Luca compra un giornale

diventa

È Luca che compra il giornale

È l'unica costruzione non autoctona, infatti, è stata portata nel diciottesimo


secolo dalla Francia (si tratta di un calco).

LESSICO

- Nuovo sistema di saluti;

- Uso sregolato di superlativi e diminutivi;

- Neologismi: possono essere prestiti di necessità, perché nella lingua d'arrivo


manca quella parola o magari non ha quel significato specifico, o di lusso. Le
parole che arrivano perdono la loro caratteristica polisemica per diventare
esclusivamente monosemiche come, ad esempio, in musica (presto, allegro,
solo).

LA VARIAZIONE DIAMESICA
La variazione diamesica è la possibilità di cambiare a seconda del mezzo o
canale utilizzato. I canali possono essere o grafico visivo, che riguarda anche il
codice gestuale, una pagina di giornale, uno schermo, una lastra di pietra o una
pagina di quaderno, o fonico acustico, che è il canale della lingua orale ed è
spesso assistito dal codice gestuale, mimico e prossemico, e riguarda sì il
parlato, ma anche le registrazioni. Questa variazione attraverso tutte le altre, ma
a livello generale possiamo dire che la natura semiotica del mezzo stabilisce la
differenza tra più codici. Dobbiamo tenere conto di alcuni fattori tipici solo
dello scritto solo del parlato, come ad esempio il maggior grado di
pianificazione del discorso nei testi scritti oppure l'importanza data alla forma
sempre dei testi scritti. Possiamo dire in generale che la differenza tra parlato e
scritto si presenta in tre ambiti:

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