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IL PORTONE/LETTERARIA
saggistica 6
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In copertina: xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx
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ESPLORANDO GALIELIO
a cura di
Francesca Sodi
Edizioni ETS
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PERSONAGGI PRINCIPALI
© Copyright 2009
EDIZIONI ETS
Piazza Carrara, 16-19, I-56126 Pisa
info@edizioniets.com
www.edizioniets.com
Distribuzione
PDE, Via Tevere 54, I-50019 Sesto Fiorentino [Firenze]
ISBN 978-884670000-0
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Francesca Sodi
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di Federica Ivaldi
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La letteratura e la luna
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Fig. 1. Pagina illustrata del Sidereus Nuncius (1610): le «scabrosità» della luna.
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Parmi, oltre a ciò, di scorgere nel Sarsi ferma credenza, che nel
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Figg. 2-3. Frontespizio del Sidereus Nuncius (1610) e del Saggiatore (1623): si
osservi la diversa capacità comunicativa del frontespizio del Saggiatore, in cui
spiccano le personificazioni della Filosofia Naturale e della Matematica, indi-
cate esplicitamente.
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sua forma e del suo funzionamento, come visti dagli occhi del-
l’uomo, ne viene menzionato il nome; si osservi anche che per
dare alla narrazione il tono stupefatto ed assorto che meglio si
accorda al tema, la vicenda è immersa in un alone di lontananza
e di favola, sia per mezzo dell’attacco quasi da fiaba («Nacque
già in un luogo assai solitario...») sia per la volontà di riprodurre
attraverso paratassi l’accumularsi delle successive scoperte («e
per suo trastullo...», «e con grandissima...», «e venuto nella stra-
da», «e ritiratosi in se stesso», «Ed occorse...»).
Già nella lettura della pagina di ‘prosa d’arte’, dunque, si
può trovare piena soddisfazione, ma negare a questo passo – e
alla letteratura – il valore conoscitivo che porta in sé sarebbe
fuorviante e restrittivo.
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Fig. 4. Pagina illustrata del Dialogo dei massimi sistemi (1632): i tre interlocu-
tori in scena.
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LE LETTERE COPERNICANE.
GALILEO E LA TEOLOGIA DEL SUO TEMPO
di Stefano Sodi
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Le lettere copernicane
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La Lettera al Castelli
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Fig. 4. Prima pagina della lettera di Galilei all’abate Castelli (21 dicembre
1613).
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APPENDICE N. 1
Testo della pubblica abiura rilasciata da Galileo Galilei
il 22 giugno 1633
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conceputa, con cuor sincero e fede non finta abiuro, maledico e dete-
sto li sudetti errori e eresie, e generalmente ogni e qualunque altro er-
rore, eresia e setta contraria alla S.ta Chiesa; e giuro che per l’avvenire
non dirò mai più né asserirò, in voce o in scritto, cose tali per le quali
si possa aver di me simil sospizione; ma se conoscerò alcun eretico o
che sia sospetto d’eresia lo denonziarò a questo S. Offizio, o vero al-
l’Inquisitore o Ordinario del luogo, dove mi trovarò.
Giuro anco e prometto d’adempire e osservare intieramente tutte
le penitenze che mi sono state o mi saranno da questo Santo Officio
imposte; e contravenendo ad alcuna delle mie dette promesse e giura-
menti, il che Dio non voglia, mi sottometto a tutte le pene e castighi
che sono da’ sacri canoni e altre costituzioni generali e particolari
contro simili delinquenti imposte e promulgate. Così Dio m’aiuti e
questi suoi santi Vangeli, che tocco con le proprie mani.
Io Galileo Galilei sodetto ho abiurato, giurato, promesso e mi sono
obligato come sopra; e in fede del vero, di mia propria mano ho sotto-
scritta la presente cedola di mia abiurazione e recitatala di parola in
parola, in Roma, nel Convento della Minerva, questo dì 22 giugno
1633.
Io Galileo Galilei ho abiurato come di sopra, mano propria
APPENDICE N. 2
Lettera a dom Benedetto Castelli in Pisa (21 dicembre 1613)
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delle celesti sfere, le quali, dopo quel tempo della quiete interposta,
ritornassero concordemente alle lor opre senza confusione o altera-
zion alcuna.
Ma perché già siamo convenuti, non doversi alterar il senso delle
parole del testo, è necessario ricorrere ad altra costituzione delle parti
del mondo, e veder se conforme a quella il sentimento nudo delle pa-
role cammina rettamente e senza intoppo, sì come veramente si scor-
ge avvenire.
Avendo io dunque scoperto e necessariamente dimostrato, il globo
del Sole rivolgersi in sé stesso, facendo un’intera conversione in un
mese lunare in circa, per quel verso appunto che si fanno tutte l’altre
conversioni celesti; ed essendo, di più, molto probabile e ragionevole
che il Sole, come strumento e ministro massimo della natura, quasi
cuor del mondo, dia non solamente, com’egli chiaramente dà, luce,
ma il moto ancora a tutti i pianeti che intorno se gli raggirano; se,
conforme alla posizion del Copernico, noi attribuirem alla Terra prin-
cipalmente la conversion diurna; chi non vede che per fermar tutto il
sistema, onde, senza punto alterar il restante delle scambievoli relazio-
ni de’ pianeti, solo si prolungasse lo spazio e ’l tempo della diurna il-
luminazione, bastò che fosse fermato il Sole, com’appunto suonan le
parole del sacro testo? Ecco, dunque, il modo secondo il quale, senza
introdur confusione alcuna tra le parti del mondo e senza alterazion
delle parole della Scrittura, si può, col fermar il Sole, allungar il gior-
no in Terra.
Ho scritto più assai che non comportano le mie indisposizioni:
però finisco, con offerirmegli servitore, e gli bacio le mani, pregando-
gli da Nostro Signore le buone feste e ogni felicità.
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di Francesca Sodi
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Così scriveva Galileo nel 1597, e quindi ben prima delle sue
osservazioni astronomiche, ringraziando il ‘collega’ Keplero
(1571-1630), altro grande nome della storia dell’astronomia,
per avergli fatto dono del suo nuovo libro, il Mysteruim cosmo-
graphicum. Da quanto scritto in questa lettera appare evidente
che Galileo era copernicano e che era ben consapevole del fatto
che con le teorie di Copernico fosse possibile spiegare molti fe-
nomeni naturali. Aveva però paura di pubblicare le sue idee
perché sapeva che i suoi lettori sarebbero stati coloro che ave-
vano appellato Copernico «ridicolo» senza comprendere la
portata rivoluzionaria delle sue teorie.
Ma perché le tesi di Copernicano erano così rivoluzionarie?
E perché Galileo temeva di farsi riconoscere come copernica-
no? Per comprendere questo dobbiamo fare una breve digres-
sione e tornare indietro nel tempo di quasi duemila anni, all’e-
poca del grande filosofo greco Aristotele.
Questi (384-321 a.C.), sulla linea delle ricerche astronomiche
dei suoi tempi, aveva teorizzato un sistema cosmologico al-
quanto complesso ma coerente, accompagnato da una fisica in
grado di spigare in maniera adeguata i fenomeni che quotidia-
namente si osservano nella natura. Il sistema cosmologico ari-
stotelico, che in parte riprende sistemi precedenti come quello
del filosofo Eudosso, teorizza l’Universo come un qualcosa di
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to apparente degli astri. Pareva infatti del tutto assurdo che un corpo
celeste perfettamente rotondo non dovesse sempre muoversi unifor-
memente. Essi però avevano constatato che poteva accadere che un
corpo sembrasse muoversi verso un punto qualsiasi, anche in virtù
della varia combinazione e del concorso di moto regolari. […] Tutta-
via, quel che fu tramandato da Tolomeo e da molti altri qua e là ri-
guardo tali questioni, pur corrispondendo con i dati numerici, sem-
brava presentare non poche difficoltà. Infatti queste teorie non erano
sufficientemente attendibili senza immaginare un certo numero di cir-
coli equanti, a causa dei quali però il pianeta non pareva muoversi
con velocità sempre costante, né sulla sua sfera deferente, né intorno
al suo centro. Per questo una tale teoria non sembra essere abbastan-
za assoluta e nemmeno abbastanza conforme alla ragione. Perciò, ac-
cortomi di questo, sovente pensavo se mai fosse possibile rinvenire
una più razionale sistemazione dei circoli, dai quali potesse dipendere
ogni apparente irregolarità, fermo restando che tutti fossero mossi
uniformemente intorno al loro centro secondo quanto richiesto dal
principio del movimento assoluto.
N. COPERNICO, De hypothesibus motuum coelestium
commentariolus, 1507-1512
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Fig. 3. Cannocchiale originale di Galileo, databile fra la fine del 1609 e l’ini-
zio del 1610, composto di un tubo con alle estremità due sezioni separate in
cui si alloggiano l’obiettivo e l’oculare. Il tubo è rivestito in pelle rossa con
fregi in oro. La lente obiettiva è piano-convesso ed ha un diametro di 37 mm
di diametro mentre l’oculare, che non è l’originale, è biconcavo e di 22 mm di
diametro. Questo cannocchiale permette di raggiungere 21 ingrandimenti.
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zionaria che gli consentì di vedere cose che altri scienziati del-
l’epoca con la stessa informazione sensoriale non riuscivano a
vedere, aveva quindi il compito di insegnare agli altri cosa e co-
me guardare attraverso il telescopio.
Ecco perché non ci interessa il motivo per il quale Galileo
abbia osservato il cielo la prima volta ed ecco perché non ci in-
teressa nemmeno se sia stato il primo o il secondo a farlo: quel-
lo che ci interessa veramente è il modo con cui Galileo lo ha
fatto, cercando connessioni continue fra l’osservazione e quella
struttura cosmologica copernicana che necessitava di prove per
essere accettata da tutti, fidandosi non solo del suo occhio e del
suo cervello ma di uno strumento, di un apparato mediatore
delle impressioni dirette della natura frutto dell’ingegno uma-
no. Il telescopio da semplice strumento di diletto si stava tra-
sformando quindi nelle mani di Galileo in un strumento scien-
tifico a tutti gli effetti: per questo possiamo dire che Galileo sia
stato l’inventore del telescopio, non perché l’abbia costruito
per primo, ma perché lo ha trasformato in ciò che oggi è.
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AVVISO ASTRONOMICO
CHE CONTIENE E SPIEGA OSSERVAZIONI DI RECENTE
CONDOTTE CON L’AIUTO DI UN NUOVO OCCHIALE SULLA
FACCIA DELLA LUNA, SULLA VIA LATTEA E LE NEBULOSE,
SU INNUMEREVOLI STELLE FISSE, E SU QUATTRO PIANETI
DETTI ASTRI MEDICEI NON MAI FINORA VEDUTI
Grandi cose per verità in questo breve trattato propongo all’osser-
vazione e alla contemplazione di quanti studiano la natura. Grandi,
dico, e per l’eccellenza della materia stessa, e per la novità non mai
udita nei secoli, e infine per lo strumento mediante il quale queste co-
se stesse si sono palesate al nostro senso.
G. GALILEI, Sidereus Nuncius, 1610
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Gli ‘amanti della vera filosofia’, coloro cioè che erano pronti
ad accogliere il messaggio della natura più che le teorie dei
grandi personaggi del passato, potevano con questo testo com-
prendere il percorso fatto da Galileo nei mesi precedenti fino a
giungere alle sue stesse conclusioni.
La prima cosa da illustrare all’amante del vero era sicura-
mente la struttura del perspicillum, lo strumento che aveva per-
messo tutte le osservazioni riportate nel testo e che solo avreb-
be permesso ai lettori di fare a loro volta le stesse osservazioni.
Così Galileo decise di dedicare le prime pagine del Sidereus ad
una descrizione dettagliata delle caratteristiche e delle poten-
zialità dello dispositivo ottico. Le prime osservazioni celesti rac-
contate sono inserite dopo questa descrizione tecnica e sono
quelle della Luna che avevano evidenziato, come abbiamo vi-
sto, la superficie irregolare ed il terminatore frastagliato. A tut-
te le spiegazione del caso Galileo pensò bene di unire disegni
ben particolareggiati.
Dicemmo fin qui delle osservazioni fatte sul corpo della Luna: ora
parleremo brevemente di quel che intorno alle stelle fisse fu veduto
da noi finora. E in primo luogo è degno di attenzione il fatto che le
stelle, sia fisse che erranti, quando si guardano con il cannocchiale,
non si vedono ingrandite nella proporzione degli altri oggetti e della
stessa Luna, ma l’aumento di grandezza per le stelle appare assai mi-
nore […] Degna di nota sembra anche la differenza tra l’aspetto dei
pianeti e quello delle stelle fisse. I pianeti presentano i loro globi esat-
tamente rotondi e definiti e, come piccole lune luminose perfuse
ovunque di luce, appaiono circolari: le stelle fisse invece non si vedon
mai terminate da un contorno circolare, ma come fulgori vibranti
tutt’attorno i loro raggi e molto scintillanti.
G. GALILEI, Sidereus Nuncius, 1610
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saputa da loro A.ze et da V.S., tenendola però occulta, sin che nell’o-
pera che ristamperò sia da me pubblicata: ma ne ho voluto dar conto
a loro A.ze Ser.me, acciò se altri l’incontrasse, sappine che niuno la ha
osservata avanti di me; se ben tengo per fermo che niuno la vedrà se
non dopo che l’haverò fatto avvertito. Questo è, che la stella di Satur-
no non è una sola, ma un composto di 3, le quali quasi si toccano né
mai tra di loro si muovono o mutano; et sono poste in fila […]: et
stanno situate in questa forma oOo.
G. Galilei, Lettera a Belisario Vinta, 30 luglio 1610
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delle nugole intorno alla terra, e dal medesimo sole vengono portate
in giro, rivolgendosi egli in sé stesso in un mese lunare con revolutio-
ne simile all’altre de i pianeti, cioè da ponente verso levante intorno a
i poli dell’eclittica: la quale novità dubito che voglia essere il funerale
o più tosto l’estremo et ultimo giuditio della pseudofilosofia, essendo-
si già veduti segni nelle stelle, nella luna e nel sole; e sto aspettando di
sentir scaturire gran cose dal Peripato per mantenimento della immu-
tabilità de i cieli, la quale non so dove potrà essere salvata e celata, già
che l’istesso sole ce l’addita con sensate manifestissime esperienze:
onde io spero che le montuosità della luna sieno per convertirsi in
uno scherzo et in un solletico, rispetto a i flagelli delle nugole, de i va-
pori e fumosità, che su la faccia stessa del sole si vanno producendo,
movendo e dissolvendo continuamente».
G. GALILEI, Lettera a Federico Cesi, 12 aprile 1612
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Fig. 10. Immagine tratta dall’Istoria e dimostrazioni intorno alle macchie solari
(1613) rappresentante alcune macchie solari osservate da Galileo.
Fig. 11. Mosaico solare, ripreso da Luca Bardelli e Francesca Sodi, composto
da tre immagini effettuate il 21 luglio 2004, con un telescopio rifrattore apo-
cromatico e una webcam. L’immagine ritrae la regione attiva NOAA 652, una
delle macchie solari più cospicue dell’estate di quell’anno, ed evidenzia la
complessità della forma della macchia e la granulazione fotosferica delle zone
limitrofe.
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di Stefano Salvia
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fluenza sul periodo della massa e del materiale del corpo sospe-
so all’estremità del pendolo, rappresentavano un problema se-
rio per le sue prime ricerche sulle cause dinamiche della caduta
dei gravi e del moto dei «proietti».
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Fig. 3. Luigi Catani (1762-1840), Alla presenza del Granduca Galileo effettua
l’esperimento della caduta dei gravi dalla Torre di Pisa (1816) Firenze, Palazzo
Pitti.
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Fig. 4. La prima dimostrazione della “legge” del piano inclinato nel De motu
(Ms. Gal. 71, ca. 1590) Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale.
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dere conto della caduta dei gravi e dei problemi ad essa ricon-
ducibili in una cornice esplicativa nuova, dichiaratamente anti-
peripatetica e basata su due punti chiave: 1) l’estensione dell’i-
drostatica archimedea alla spiegazione dei moti tradizionalmen-
te considerati naturali dalla fisica aristotelica e il conseguente
ripensamento radicale del concetto di «gravitas»; 2) il recupero
della teoria tardo-scolastica dell’impetus per spiegare il moto
violento, senza fare appello ad un presunto e improbabile ruolo
attivo del mezzo nella conservazione del movimento e nei feno-
meni osservabili di accelerazione e decelerazione. Se almeno al-
l’inizio la proposta del De motu apparve al suo stesso autore
convincente, per quanto riguardava il primo punto, fu sul se-
condo che il progetto si arenò definitivamente, per le difficoltà
insormontabili e le contraddizioni che sollevava.
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Fig. 5. Curve balistiche di Tartaglia, tratte da un’edizione del 1606 della Nova
scientia (1537).
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Un nuovo inizio
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BIBLIOGRAFIA
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SITOGRAFIA
http://www.imss.fi.it/info/indice.html: nella Biblioteca Digitale
del Sito dell’Istituto e Museo di Storia della Scienza di Firen-
ze sono disponibili e scaricabili le riproduzioni pagina per
pagina, delle prime edizioni delle principali opere galileiane.
http://www.liberliber.it/biblioteca/g/galilei/index.htm offre la
possibilità di scaricare il testo delle principali opere di Gali-
leo in versione digitale (piuttosto affidabile).
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