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SIMBOLI E ICONE

IL SIMBOLO
Concetto di simbolo e distinzione con il concetto di allegoria  non è univoca l’attribuzione delle definizioni
di allegoria e simboli in determinate fasi storiche, per esempio con Schelling si ha l’attribuzione di un autore
che tende in maniera netta a distinguere tra il paradigma dell’antico e del moderno, mentre in altri autori la
dimensione del simbolico è associata al cristianesimo. La distinzione dipende dal significato filosofico,
metafisico e teoretico attribuito alle specifiche religioni. Sono importanti le caratteristiche della dimensione
del simbolico legate alla forma di pensiero unitivo-sintetico distinto dalla facoltà razionale

Se nella fase premoderna l’immagine ha un valore simbolico e in quella moderna tende a essere identica a
se stessa (ridursi alla dimensione particolare), nel postmoderno seguendo la riflessione di Jean Baudrillard
parliamo dell’immagine come un simulacro  filosofo francese postmoderno che si inserisce nel dibattito del
postmodenro nasce nel 1929 e muore nel 2007, si occupò della questione dell’arte coniando e rendendo
celebre l’espressione. Egli parla dell’immagine postmoderno come un simulacro ovvero una copia priva di
originale  immagine paradossale e difficile da concettualizzare, mette in evidenzia il carattere vuoto che è
l’immagine contemporanea: vuoto da un punto di vista ontologico, ovvero delle strutture essenziali della
realtà, l’immagine simulacro non esprime un ancoramento specifico ai fondamenti della realtà (che nel
postmoderno perde la fondazione ontologica), ma diventa una mera superficie, rappresentazione priva di
ancoramento.
Questa riflessione porta B a sviluppare un’altra tesi che si oppone al senso comune che formula sostenendo
che oggi ci troveremmo in un’epoca iconoclasta, ovvero nemica delle immagini  tendenza culturale e
religiose in relazione alla questione dell’immagine, dibattito che si ripete nella storia e nelle culture. Il dibattito
si riferisce al fatto che trattando problemi simili al significato filosofico dell’immagine, gli antichi si posero il
problema di comprendere se l’immagine ha la possibilità di esprime in maniera efficace una conoscenza sul
divino o ne costituisce una forma di misconoscimento.
Ci sono posizioni diverse rispetto alle premesse filosofiche: nella tradizione cristiana vinse la posizione
iconofila, amica delle immagini, la teologia cristiana giungerà alla conclusione che l’immagine in quanto
figura di mediazione ha la possibilità di riportare la scintilla del divino nell’esperienza del sacro (da qui lo
sviluppo dell’arte cristiana)

Ai teologici però mostravano in maniera critica come l’immagine tradirebbe l’ineffabilità del piano divino e
rischierebbe di condurre il fedele all’idolatria, cioè al processo in cui si scambia la devozione nei confronti di
dio con quella nei confronti dell’oggetto. Dio è eccedente rispetto alle realtà singole, quindi è sbagliato usare
immagini nella liturgia perché l’uomo cambia nell’esperienza del sacro il divino con le opere che lo
rappresenta  riflessione dominante nel mondo islamico ed ebraico
Second B l’epoca contemporanea caratterizzata da un proliferare di immagini sarebbe per il significato che
attribuisce alle immagini, una società iconoclasta  avversa alle immagini nel senso dell’immagine simbolo,
società che con il proliferare l’immagine andrebbe a favorirne l’implicita disgregazione di senso. Il simulacro
colpisce superficialmente i sensi, ha un valore estetico, ma chiude lo sguardo nell’esperienza
dell’osservazione, rimane totalmente escluso dalla dinamica di rinvii simbolici tra i piani d ella realtà che
contraddistingue l’immagine simbolo
La riflessione ha anche una componente di carattere sociologico e di critica sociale ed economica, collega il
simulacro al processo di reificazione dell’immagine: diventa cosa, viene reificata, perde la sua autonomia e
dimensione vitale, diventa prodotto commerciale. Per B è la controparte socioeconomica di un processo che
ha radici più profonde nella diversa visione culturale e metafisica. Il trionfo di questo tipo di immagine si ha
nello spazio del virtuale in cui si palesa l’idea di un’immagine che è niente, dimensione nichilistica, proprio
perché è qualcosa che è copia di altro che non esiste: sia dal punto di vista metafisico, sia paradossalmente
dal punto di vista fenomenico (B parla del simulacro come fantasma sensibile privo di materia e sostanza
definita come una pura forma disincarnata  simulacro come pura forma disincarnata)
Questo tipo di immagine non è necessariamente l’unica nella contemporaneità  quando utilizziamo questi
paradigmi non dobbiamo ancorarci a una dimensione cronologica, ma vederli come i diversi sguardi sul
mondo. Come nell’antichità c’erano prospettiva che hanno anticipato quelle della modernità, così nella
postmodernità rimangono tracce che ci parlano di un altro tipo di immagine.
Problema: l’arte oggi ha la possibilità di uscire da questa logica di simulacro e proporre un’immagine che ha
ancora significato sia di tipo immanente legato all’immagine in sé sia simbolico?
Considerazioni generali sulla questione del simbolo nel mondo antico
In un contesto tradizionale i simboli erano intesi come grandi immagini del mondo, in base alla definizione di
simbolo come congiunzione tra particolare e universale, ogni simbolo nella sua dimensione particolare è
un’immagine del mondo in sé, il frammento nella visione arcaica cela la totalità, che non è la somma di tutti i
frammenti, ma è compresente nel frammento.
Ciò significa che la singola immagine racchiude in sé un rimando alla totalità del mondo, questa tesi si può
visualizzare a partire dall’utilizzo della coppia concettuale di micro e macro cosmo  la realtà si struttura in
una pluralità di gradi tutti esistenti ma gerarchicamente ordinati, il simbolo permette nell’esperienza
dell’intuizione sensibile (riconoscimento immediato tramite i sensi del senso racchiuso nel simbolo) di
accedere a ulteriori piani. L’opera d’arte è una figura di mediazione che non si risolve mai in sé stessa

Questo tipo di dinamica si instaura in una relazione tra il piano storico e il piano di una temporalità ulteriore
definita come tempo sacro e sovra storia, all’interno di una società dominata dall’esperienza religiosa il
tempo non viene escluso ma ricompreso in una visione temporale più ampia che nelle società arcaiche è
ciclico, ma permane come tempo della liturgia anche nella visione lineare dei monoteisti. Tempo per Palton:
immagine mobile dell’eternità  il tempo cronologico è un’immagine in evoluzione di un tempo al di fuori del
tempo che è l’eternità, l’uomo può cogliere nella dimensione del sacro, ovvero del rito e della liturgia, il
simbolo in questa prospettiva racchiude ed esprime il tipo di temporalità ulteriore. In S l’immagine non
permette all’uomo un superamento totale e completo della rappresentazione del velo di maya

Immagine-simbolo come funzione mediatrice tra i diversi piani della realtà (significato e temporalità),
l’immagine ha in questo senso un valore pontificale nel senso etimologico del termine  ponti tra i diversi
livelli della realtà: il pontefice era una figura della cultura latina dotata di autorità politica che gli derivava dal
potere simbolico attribuito di costruire ponti, significato legato al ruolo nel contesto religioso arcaico nel
mondo religioso, colui che creava un ponte tra gli dei e l’uomo. L’immagine in quanto simbolo ha la funzione
unitiva e sintetica che permette il passaggio tra piani diversi della realtà, in questo senso il simbolo
nell’antichità si radica nella dimensione mitico-religioso, tutta la sapienza antica è basata su immagini
simboliche che possono essere lette su più piani (narrazione letteralmente intrinseca, simbolico religiosa
tratto). Si dà nella dimensione narrativa la compresenza tra particolare e universale in relazione con il
simbolico: nel mito le storie hanno una valore specifico perché raccontano avvenimenti che erano veri e
reali, ma ci parla anche di esperienza di carattere universale che riguardano l’uomo di ogni tempo e cultura.
L’immagine simbolica non può essere letta come segno linguistico, ma conduce verso un piano ulteriore
ambiguo, è poi oggetto di nuove interpretazioni: mentre la verità particolare-letterale singola di un simbolo o
mito è autoevidente (è quello che sul piano dei segni e della lingua quella figura esprime), la dimensione
simbolica crea un gioco di rimandi e passaggio a piano ulteriori che diventa oggetto di nuovi rimandi e
interpretazioni  da qui tutta la sapienza, sapiente evolutivo e non statico perché il piano della conoscenza
simbolica non è un piano dogmatico sempre eccedente alle spiegazione razionali. Nasce la tradizione
interpretativa che nel mondo antico aveva una vita orale e che successivamente è diventata interpretazione
scritta (esegesi dei testi sacri).
Questa interpretazione riguarda il simbolo dei racconti, ma anche quello della dimensione fisica
dell’immagine dove all’interno delle immagini simboliche si crea una tradizione interpretativa che nella storia
dell’arte va avanti e viene sviluppata, immagini di carattere simbolico richiedono sempre una rilettura
all’interno di una dimensione ermeneutica dell’osservatore.

Il simbolo produce una sapere che è molto ricco, complesso e composito, ma al contempo è a un grado di
ambiguità e indicibilità perché è sempre aperto all’inserzione di nuovi elementi che possono risultare
contraddittori rispetto ai precedenti. Esempio: Dioniso nel mondo greco ha diverse nascite, ci sono miti dello
stesso bacino di riferimento che ci parlano di diverse nascite, tipo di descrizione contraddittoria (la nascita di
una natura ha un’unica dinamica), ma questo tipo di pluralità interpretativa è funzionale a spiegare diversi
aspetti metafisici-religiosi della divinità di Dioniso
 alcuni miti lo collegano al panteon olimpico inserendolo nella religiosità tradizionale greca
 altri lo legano alla dimensione titanica per mostrare la particolarità di questo dio che sconvolge con
la sua potenza irrazionale e caotica il panteon olimpico classico

Questa ricchezza del simbolo era funzionale anche a parlare del ‘mondo della vita’, conio tedesco usata
nella filosofo Ted Lebenswlt  il mondo nella vita nella sua dimensione complessa e plurale che riguarda la
totalità dei fenomeni che si manifestano nell’esperienza della vita, sarà oggetto di interesse filosofico
contemporaneo, si trova a essere espresso nei simboli in una forma plurale che denota una sottolineatura
del carattere magmatico dell’esistente.
Il simbolo ha una funzione pontificale, che è stata analizzata anche da Titus Burkhardt  studioso
ottocentesco di origini svizzere, scrisse ‘L’arte sacra in oriente e occidente’ in cui con il metodo comparativo
cerca a partire da casi specifici di ricavare linee universali nell’arte antica, la tesi è che ci sono constanti che
si trovano in tutte le civiltà. Il metodo comparativo comprende la comparazione e il confronto tra elementi
diversi, è un metodo praticato nella storia delle religioni: con la comparazione è possibile ricercare costanti,
elementi ricorrenti che determinano poi l’elaborazione di una tesi esplicativa generale
L’immagine viene definita da Burkhardt come l’equivalente sensibile di una verità intellettuale: rappresentata
sul piano sensibile la stessa verità intellettuale razionale che la metafisica e le teologia esprimono con il
linguaggio della ragione. Come una dottrina razionale di stampo filosofico-teologico può rappresentare un
aspetto della realtà divina, così la forma sensibile può incarnare con la forma espressiva una dimensione di
verità che trascende il piano puramente sensibile: l’immagine sacra esprimerà sempre se stessa e
qualcos’altro, processo evidente nell’arte sacra che nella civiltà arcaica era l’unica conosciuta. Il simbolo non
è solo un segno convenzionale, ma manifesta il suo archetipo in virtù di una legge ontologica  il simbolo
coincide con l’universale da esso espresso. L’immagine-simbolo è riconosciuta come la connessione tra i
diversi gradi del reale capace di manifestare la trascendenza
Nelle società sacre dice Bu la correlazione è giustificabile da un punto di vista religioso: senza il sigillo dello
spirito divino impressa alla materia, questa non avrebbe una forma comprensibile. Vi è sempre dualismo tra
forma e materia che c’è in Aristotele: l’immagine ha bisogno di una dimensione corporea e una formale che
nella prospettiva religiosa deve necessariamente essere prodotta ed emanata da un piano divino. La forma
archetipica che permette alla realtà di configurarsi tra forme e immagini ci rimanda alla trascendenza, la
materia e il cosmo non vengono degradati perché la materia e la corporeità sono essenziali per dare un
oggetto e un contenuto alla forma divina che deve dare forma: senza la materia non ci sarebbe immagine
(nel mondo arcaico e in prospettiva religiosa). La tesi di Bu può essere compresa anche da questa
riflessione
L’immagine antica e sacra per esprimere un contenuto dotato di senso ha bisogno di una forma che nell’arte
sacra ha un’origine divina  ne deriva da un punto di vista pragmatico il fatto che l’arte non può esprimere
le cose in maniera oggettiva, l’artista non può scegliere la forma che vuole, è solo un medium della forma.
Da qui nasce l’importanza della trasmissione delle tecniche artistiche: le scuole d’arte nel rapporto tra
maestro-discepolo hanno il compito di far sopravvivere ai posteri uno stile che deve essere trasmesso nelle
implementazioni perché si tratta di una forma espressiva ed efficace perché dotata di una origine legata
all’intuizione della forma divina  opposto all’idea di sperimentalismo del contemporaneo, compito
dell’artista è garantire che l’origine divina dell’arte simbolica venga trasmessa e preservata.
L’arte sacra non ha il compito di esprimere emozioni soggettive, ma di esprimere l’ancoramento alla realtà
del cosmo tramite la materia che esprime la verità della storia e con la forma che esprime la verità del divino:
nella maggior parte delle tradizioni l’espressione non ha la capacità di esprimere in maniera completa il
divino, ma vi si riferisce perché il piano della verità e del divino è un piano sfuggente che non è esprimibile
nelle forme sensibili, se sono simboliche rimandano sempre alla totalità e principio divino.
L’arte simbolica ha una funzione terapeutica di risanamento della lacerazione tra piano materiale-divino che
segna l’ingresso dell’uomo nella storia: l’arte antica-sacra cerca di porre nel qui ed ora dell’opera il rimando
allusivo parziale alla dimensione dell’origine che l’uomo vedeva come presente nel passato mitico. L’origine
è stata perduta quando l’uomo è entrato nella storia, è uscito dal paradiso terrestre ed età dell’oro e di lì ha
bisogno di stabilire legami e vincoli con la realtà per ricostituirla e dare vita al cosmo  valore demiurgico
dell’artista come sub creatore, figura che ha un valore formativo e unitivo perché dà forma alla materia e
riproduce quello che gli dei fecero nella creazione del cosmo. L’artista ha un legame con l’ordine: la
regolarità dei moduli permettono all’artista nel suo lavoro di formazione dell’opera di creare una dimensione
di ordine e verità che riproduca quella divina e che permetta di sanare la lacerazione tra uomo materiale e
sua controparte spirituale già nel mondo terreno
Burkhardt scrive che l’arte arcaica dimostra la natura simbolica del mondo e libera lo spirito umano dai suoi
lati bruti  l’arte ha un valore esistenziale, non è autonoma e non si ama l’arte per un fatto di gusto
soggettivo, come passatempo ed esperienza del sapere, ma per un’esperienza profonda che riconnette l’arte
a una dimensione religiosa ossia extrartistica. Da qui la difficoltà dell’estetica che si può occupare di
problemi antichi toccando questioni legate all’arcaico e tangenzialmente all’antropologia, ma ha una nascita
specifica diretta a interrogare l’antropologia come sapere solo recentemente  l’estetica che si occupa di
arte antica deve usare strumenti metodologici legate ad altre discipline
Questo tipo di arte simbolica la ritroviamo in occidente e in oriente  per quanto l’occidente viene preservata
nella tradizione cristiana. Secondo Bu la figura di cristo ha un valore simbolico intrinseco  in un’ottica
cristiana può essere definita come una figura simbolica non nel senso che la sua storia è invenzione per
raccontare qualcosa d’altro che ha valore esistenziale o morale, ma in un’ottica religiosa rappresenta la
verità storica e particolare e al contempo una verità teologica che si sarebbe potuta esprimere anche senza
parlare di Gesù storico, ma come verità della trinità cristiana. Il dogma dell’incarnazione ulteriormente ha una
movenza simbolica: riporta a una materia che ha un rimando a un significato al piano universale e divino.
L’amore divino per Bu richiede che dio pronunciando se stesso come verbo discenda in questo mondo e
assuma i contorni dell’immagine della natura umana  evidente come l’iconofilia cristiana abbia un
radicamento nella teologia di questa religione, l’immagine può essere simbolica proprio perché dio stesso è
patto simbolo e si manifesta all’uomo con un’immagine concreta e materiale che ha fattezze specifiche, ma
questa forma attribuita al corpo specifico-storico rimanda a una verità divina che sceglie di manifestarsi con
l’immagine. Le immagini dell’arte cristiana che rappresenta la storia si ricollegano sul piano simbolico alla
verità divina: secondo Bu l’immagine cristiana per eccellenza è quella del cristo che diventa un ponte
preferenziale sopra il piano sensibile.
Questa tradizione la troviamo in maniera emblematica nella tradizione delle icone
LE ICONE
Dibattito sulle possibilità per l’arte contemporanea di rappresentare questioni religiose  il carattere formale
che si esprime in tecniche e moduli specifici nella tradizione dell’arte sacra viene inteso come qualcosa di
non causale: cristo è rappresentato in un certo modo perché esprime una verità teologica, rimane aperto il
problema: è possibile per un’arte sperimentale informale rappresenta questo tipo di oggetti? È necessario
seguire moduli formali antichi che si ricollegano in maniera chiara a un tipo di riflessione o si accetta la sfida
del contemporaneo che pone problemi ancora più complessi perché pone il problema dello stile che non è
una questione solo superficiale e di gusto, ma si riferisce a problemi essenziali rispetto al pensiero

Icona  dal greco eikona, stessa radica ‘id’ del verbo vedere, etimologia legata a ‘idea’. Indica nella
tradizione cristiana bizantina e poi slava uno specifico rappresentazione artistica che oggi è preservata nel
cristianesimo ortodosso  l’icona si riferisce alle raffigurazioni sacre dipinta su tavola con funzione religiosa:
perché le immagini hanno un valore simbolico? Nella visione teologica-cristiana vi è l’idea che all’interno
dell’icona si manifesti in maniera immediata il prototipo divino, per questo tipo di forma artistica si usa la
forma di simbolo con coincidenza tra particolare-universale.
L’artista diventa medium del divino, si trova a rappresentare a livello artistico una sorta di porta d’accesso
alla dimensione della trascendenza: dalle scelte tecniche specifiche non casuali a come lo sfondo dorato
delle icone  sfondo dorato passibile di altre interpretazioni (è bello e costoso, quindi legato al commercio
dell’icona), ha un carattere teologico per cui l’icona non è una rappresentazione mimetica, ma rappresenta la
trascendenza: come si rappresenta lo spazio della trascendenza? Non sulla base della natura che si
manifesta all’uomo, trova come mezzo simbolico per rappr la dimensione fuori dal tempo con l’immagine
dell’oro che rappr simbolicamente la fuoriuscita dalla dimensione temporale: non è la verità letterale, ma è
uno strumento simbolico per rendere visibile nell’esperienza sensibile una realtà invisibile che con la materia
diventa tale.

L’icona diventa una rappresentazione estetica di quel processo di incarnazione del verbo centrale nella
tradizione cristiana. Nella tradizione iconica si sostiene che tutte le icone non sia altro che variazioni
specifiche di un’immagine originaria che sarebbe il mandylion  rappresentazione mitica del volto di cristo
che secondo una tradizione orientale si sarebbe miracolosamente impressa su un tessuto all’interno di una
manifestazione miracolosa. Come cristo si è incarnato in Gesù per liberare l’uomo, così per ricordare la
propria presenza si è impresso nell’immagine di Edessa sul velo secondo una figurazione che sarebbe
prototipica di tutte le icone, così l’artista si rifà a questo prototipo ‘fatto non dall’uomo’ con un processo di
rappresentazione non mimetica volta a favorire simbolicamente una nuova incarnazione prototipica del volto
di cristo su ogni singola icona
Questa tradizione orientale testimonia la tradizione cristiana iconofica che è stata sancita nel 7 concilio di
Nicea durata fino alla contemporaneità. Uno degli artisti più famosi di icone è Andrein Rubin (tra 1300-1400),
maestro della tradizione artista, le cui opere vengono prese come prototipo della dimensione originaria
L’icona ha la funzione riconosciuta e indagata da Florenskij e assume una funzione non artistica nel senso
dell’autonomia dell’arte, ma funzionale alla liturgia. F scrive che il volto e gli aspetti spirituali della cose sono
visibili a coloro che hanno scorto in sé stessi l’immagine di dio, ovvero l’idea  l’icona favorirebbe la
tradizione dell’auto conoscimento dell’idea divina dell’idea stessa, ogni icona non sarebbe la produzione
dell’artista, ma utilizzerebbe l’artista come un medium di auto conoscimento del divino. Carattere metafisico
simbolico dell’immagine artistica  tipo di riconoscimento che ha un valore non solo estetico, ma soprattutto
esperienziale e interiore, l’arte pur nella sua inutilità costitutiva serve all’avvicinamento dell’uomo a dio, tanto
che delle icone utilizzate e usate come riferimenti durante la preghiere furono realizzare copi più piccole
trasportabili
Icona  forma tra dell’arte cristiana bizantina ortodossa che rappresenta una figura emblematica, è
considerata nella tradizione bizantina come derivata da una icona originaria che sarebbe la figurazione
arcaica del volto di cristo che cristo stesso avrebbe donato al messaggero del re di edessa impressa in un
pezzo di tela, sarebbe la prima icona originaria. In greco definita archieropoietos ovvero non fatta da mani
umane. Alcune icone rappresentano anche in senso figurativo l’immagine arcaica, esempi di 2
rappresentazioni:
1. È del XII secolo, rappr nello stile dell’icona con lo sfondo doratico, l’immagine prototipico di cristo
2. È del XIII sec, stessa raffigurazione
La forma umana di cristo è misteriosamente unita alla forma divina, ulteriore elemento dell’icona che
rappresenta l’unità tra il piano divino e quello umano, non solo l’icona come forma artistica rappresenta il
divino, ma il divino stesso si è incarnato in una carne umana, il logos si è fatto carne  in questo modo
l’icona manifesta in maniera emblematica la coappartente tra il piano umano-divino, corporeo-spirituale. La
base della distinzione delle 2 nature e la compresenza in cristo giustifica l’immagine e tutte le icone a cui si
ispirano ovvero il logos divino (nel vangelo di Giovanni vi è ‘in principio era il verbo’, si esprime non solo
nella parola, ma nell’immagine che ha un intrinseco valore simbolico)
L’icona permette di manifestare a livello materiale la pienezza divina che l’uomo non può riconoscere, è
possibile con la mediazione della materia innalzarsi agli archetipi immateriali. L’immagine trabocca di linfa
vitale, non è un raffigurazione, l’icona crea un ponte a partire dall’esperienza sensibile con il divino, diventa
testimonianza del processo definito ‘creatio continua’ nel quale dio non ha solo creato il mondo una volta
per tutte, ma continua a intervenire e partecipare continuamente. L’artista in questo senso si inserisce nel
processo di creatio continua (immagine che si vede già in Platone con il demiurgo), l’artista è nipote di dio
(citazione di Leonardo Da Vinci)
Florenskij mette in luce come nell’icona si manifesta a livello artistico una consapevolezza culturale platonica
del valore fondativo dell’idea: secondo F i volti che l’artista rappresentano all’interno delle icone non sono
singoli volti concreti, ma rappresentano in una maniera a cui Platone non aveva guardato una
manifestazione artistica dell’idea di volto in sé, in questo senso il piano ideale (quello che è il piano
intellettuale per Platone), si manifesta istantaneamente in questa rilettura cristiana nell’icona
Processo di ascesa dal piano materiale a quello sovrasensibile, l’idea per F illuminandosi vede l’idea
dell’essere e si pone come altro da sé, diventa un oggetto conoscitivo e a livello sensibile si ha nell’oggetto
d’arte: il fedele scorge l’ideale in sé, il simbolo quale unità simultanea tra particolare e universale. Questa
esperienza estetica può assumere toni di carattere mistico ed estatico (non è un caso che F si ricolleghi alla
tradizione neoplatonica), l’anima si inebria del visibile e perdendolo di vista si estasia dell’invisibile.
Immagine il processo dinamico metamorfico in cui il piano terreno è quello celeste e il piano sovrasensibile-
sensibile in cui l’icona è ponte del passaggio, che è esperienza radicale coinvolgente sul piano interiore, F
parla di questa acuta sensazione per cui la realtà penetra nell’anima come un urto
Per questo F parla della porta regale dell’icona intesa come la porta per eccellenza sul regno dell’invisibile. Il
male contrapposto al bene di cui l’icona è rappresentante sensibile viene inteso da F nel senso proprio della
divisione e scissione: laddove il bene è una forza unitiva sintetica, il male sorge nel momento della scissione
e lacerazione del reale quando l’individuo è scisso nella dimensione atomatizzata dalla realtà circostante e
dal piano divino. È in questo processo che per F l’estetica può acquisire un forte valore teologico, perché il
peccato si introduce nello sguardo umano quando questo è incapace di percepire con le forme sensibile il
divino  nasce la scissione che conduce alla parcellizzazione dell’esperienza e incapacità di riconoscere la
realtà al di là di sé stessi. F spiega che il mondo spirituale non sta in qualche luogo remoto ma ci circonda,
egli scrive le riflessioni quando il mondo russo si relazione con le filosofie occidentali. La dimenticanza e
l’unità cosmica rappresentano una forma di riduzione dell’esperienza umana al piano materiale,
dimenticanza e riduzione del significato dell’esistenza che F combatte con gli strumenti culturali della
teologia e rielaborazione di alcuni elementi neoplatonici
Icona di Rublev (tradizione ortodossa slava di icone)  rappresenta la trinità, a sx c’è il padre, al centro
Gesù, a dx lo spirito santo, dovrebbe rappresentare la simultanea unità del divino e al contempo la
dimensione tripartita sulla base della visione trinitaria. Sfondo dorato per rappresentare la dimensione
trascendente ultraterrena, la riflessione su questa immagine diventa un compendio della riflessioni di F,
elaborata in molti studi (anche di Cacciari in ‘Tre icone’)

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