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Certosa di San Martino


Il complesso monumentale della Certosa di San Martino sorge accanto al Castel Sant’Elmo, sul
margine della collina del Vomero a Napoli. Se commisurato al contesto urbano, la sua assoluta
imponenza ci permette di evincere la sua importanza per la città. Rappresenta il complesso
monumentale religioso più grandioso di Napoli e il luogo di maggior espressione della pittura
napoletana seicentesca. È stato edificato diciannove anni dopo la certosa di San Lorenzo a
Padula, diventando la seconda certosa della Campania. Dal 1866 ospita il Museo Nazionale di
San Martino.

Storia
Nel 1325 Carlo d’Angiò, duca di Calabria, fece erigere il monastero certosino sul colle del
Vomero. L’individuazione del luogo, isolato dalla città, rispondeva pienamente alle regole
dell’ordine certosino. Per la sua realizzazione venne chiamato l’architetto senese Tino di
Camaino, già celebre per il Duomo di Pisa e precedentemente coinvolto nella realizzazione del
Castel Sant’Elmo, in quanto capo-maestro della corte angioina. Probabilmente, il progetto di
Tino di Camaino prevedeva il riutilizzo di alcune strutture preesistenti di tipo difensivo per
realizzare le fondazioni che sorreggono i sotterranei in stile gotico. Dal 1336, dopo la morte del
Camaino, la costruzione venne affidata al suo allievo Attanasio Primario, che continuò il lavoro
iniziato dal suo predecessore. L’anno successivo i certosini iniziarono ad abitare il complesso,
anche se la struttura venne consacrata solo nel 1368, durante il regno di Giovanna d’Angiò.
Fu solo grazie alla spinta della Controriforma che la Certosa di San Martino diventò il grandioso
complesso che oggi conosciamo. Alla fine del XVI secolo l’edificio divenne oggetto di notevoli
rimaneggiamenti di stampo barocco e tardomanierista, sotto progetto dell’architetto Giovanni
Antonio Dosio. Il crescente numero di monaci rese necessario il rifacimento del chiostro
grande, con la realizzazione di nuove celle e la revisione del sistema idrico. Il Dosio si occupò
anche della costruzione del chiostro dei Procuratori e dell’ampliamento della chiesa con altre
cappelle. In questo periodo vennero coinvolti personaggi del calibro di Pietro Bernini (padre del
più famoso Gian Lorenzo) e Cavalier d’Arpino, per le sculture e le decorazioni pittoriche.
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Dal 1618 la direzione del cantiere passò a Giovan Giacomo di Conforto, che si impegnò nel
completamento del progetto del Dosio, ma dal 1623 subentrò il bresciano Cosimo Fanzago,
principale artefice della svolta barocca del complesso. Lui si occupò della facciata della chiesa,
delle decorazioni marmoree e del cimitero del priore, che fu poi modello per quello di Padula.
La sua opera si caratterizzava per una straordinaria attività decorativa. I marmi venivano
importati da Roma, Carrara, dalla Spagna, dal Belgio e dalla Francia ed erano utilizzati per
realizzare decorazioni composte da fogliami, frutti e volute stilizzate. La certosa di San Martino
divenne quindi un luogo di sperimentazione dell’ornato dell’epoca, di cui è principale esempio
la chiesa.
Nel XVIII secolo i lavori passano a Nicola Tagliacozzi Canale, che si dedicò al rifacimento degli
spazi occupati dal priore, affrescati da Crescenzio gamba e Domenico Antonio Vaccaro. Canale,
noto come incisore e definito architetto-scenografo, fu un entusiasta partecipe della corrente
rococò, che si manifestava come una perfetta fusione tra pittura, scultura e architettura.
Nel 1799, durante la rivoluzione, la certosa subì dei considerevoli danni e venne occupata dai
francesi; il re ordinò di sopprimere l’ordine certosino, sospettato di simpatie repubblicane. Nel
1804 la soppressione venne revocata e i monaci rientrarono in certosa. Dal 1812 il complesso
venne occupato dai militari, che trasformarono la certosa in Casa degli Invalidi di Guerra, e
solamente nel 1836 un piccolo gruppo di monaci tornò a vivere a San Martino. Nel 1866
vennero soppressi gli ordini religiosi e la certosa fu destinata a diventare museo.

Descrizione
L’ingresso al complesso monastico presenta esternamente, in posizione marginale, la Chiesa
delle Donne progettata dal Dosio. Essa era destinata ad uso esclusivo delle donne, alle quali
era vietato accedere alla certosa. Dall’ingresso si accede invece al cortile d’onore, sempre
realizzato dal Dosio, tramite il quale si può raggiungere la chiesa. Questa, con facciata
tecentesca rimaneggiata nel Cinquecento, presenta un pronao a tre arcate caratterizzato dagli
affreschi del Cavalier d’Arpino, Spadaro, Baglione e Corenzio. La chiesa si compone di una
navata unica con otto cappelle laterali e altri ambienti ai lati della zona absidale: sacrestia, coro,
refettorio, sala capitolare e parlatorio. Le ricche decorazioni interne seicentesche la rendono una
delle più importanti chiese di Napoli. Le opere marmoree interne sono prevalentemente frutto
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dell’opera di Fanzago, artefice della trasformazione di stampo barocco del complesso. L’abside
rettangolare ospita il coro ligneo dei monaci e l’altare maggiore, sempre in legno, che doveva
servire da modello per un futuro altare in marmo mai realizzato. Il pavimento marmoreo
dell’intera chiesa è stato realizzato su progetto di Fanzago, anche se ultimato da Bonaventura
Presti. La copertura è a volte a crociera affrescate. Le cappelle laterali della navata sono quattro
per lato, due delle quali aggiunte nel Seicento agli angoli della controfacciata. Le transenne
marmoree di ciascuna cappella sono ancora del Fanzago, a cui si devono i festoni di frutta sui
pilastri.
Alla sacrestia si accede tramite una porta sul lato sinistro dell’abside. Anch’essa presenta una
volta affrescata dal Cavalier d’Arpino, con le Storie della Passione di Cristo e del Vecchio
Testamento, mentre nella parte inferiore vi sono mobili intarsiati. Segue la sacrestia un piccolo
spazio a pianta quadrata, decorato con affreschi di Massimo Stanzione. Da qui, due porte
conducono alla cappella del Tesoro Vecchio e quella del Tesoro Nuovo, voluta dal monaco
Fra’ Bonaventura Presti. Lo scopo di questi ambienti era quello di contenere il tesoro della
certosa. Sempre dalla zona absidale si accede alla sala del Capitolo, dalla quale si possono
raggiungere il parlatorio e il coro dei conversi. Quest’ultimo è collegato a sua volta alla terza
cappella di destra della chiesa, destinata ad ospitare i monaci che non recitavano messa e che si
occupavano semplicemente di lavorare all’interno della certosa. Il parlatorio è invece lo spazio
dedicato al ricevimento di visite esterne alla certosa; da qui si raggiunge il chiostro grande. Il
refettorio fa parte delle aggiunte settecentesche ed era utilizzato come luogo di aggregazione
in occasione di festività religiose, durante le quali potevano interrompere il loro isolamento.
Accanto al refettorio si trova il piccolo chiostro, della seconda metà del XVI secolo, che
conduce alla cappella della Maddalena. All’interno del complesso vi sono poi altri due chiostri,
entrambi disegnati dal Dosio: il chiostro dei procuratori, con un pozzo centrale ed epigrafi
storiche alle pareti portate in certosa durante il risanamento di Napoli, e il chiostro grande,
progettato su un preesistente chiostro trecentesco. Da qui si accede al quarto del Priore, lo
spazio destinato alla dimora dell’importante monaco. Le sale sono affrescate da Micco Spadaro,
mentre le pavimentazioni sono maiolicate e risalenti al Settecento. Questa cella è dotata di un
loggiato che consente di avere una vista sull’intero golfo di Napoli e da esso si accede ad un
giardino utile alla coltivazione di erbe curative per la farmacia della certosa.
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L’intero complesso è caratterizzato dalla presenza di giardini pensili, accessibili da una scala
esterna agli appartamenti del priore. Questi si estendono per oltre 7 ettari, ponendosi però in
continuità con il paesaggio circostante e sfruttandone le potenzialità scenografiche. Il ripiano
superiore era destinato, come precedentemente detto, alla coltivazione di erbe curative, mentre
il ripiano intermedio e quelli inferiori erano adibiti ad orto.

Bibliografia
AA.VV., La Certosa e il Museo di San Martino, Editrice Electa, Napoli, 2000
Tufari R., La Certosa di San Martino in Napoli, Napoli, 1845

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