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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI ROMA

TOR VERGATA

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MACROAREA DI LETTERE E FILOSOFIA
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CORSO DI LAUREA IN MUSICA E SPETTACOLO
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LAUREA IN ETNOMUSICOLOGIA
!
IL ‘VESTITO DELLA CANZONE’: ARRANGIAMENTI PER
ORCHESTRA NELLA MUSICA LEGGERA ITALIANA
(1940 - 1958)
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! !
Relatore Laureanda
Chiar.ma Prof.ssa Agnese Sanna
Serena Facci Matr. 0184130
Correlatore !
Chiar.mo Prof. !
Giorgio Sanguinetti !
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Anno Accademico 2012 / 2013

In memoria di Pippo Barzizza.
A vent’anni dalla sua morte.
!
A chi ama la Musica,
e mi ha sempre sostenuto
su questa strada.

INDICE
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INTRODUZIONE _________________________________ 5
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L'ARRANGIAMENTO MUSICALE __________________ 7
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1.1 Cos'è l'arrangiamento: indagini tra significato e origine del termine __ 7
1.2 Il lemma in musica _________________________________________ 13
1.3 L'aspetto storico in base ai dizionari di musica ___________________ 16
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NASCITA DELL'ARRANGIAMENTO IN ITALIA:

DAGLI HEAD ARRANGEMENTS ALLE ORCHESTRE
ANGELINI E BARZIZZA ___________________________ 28
!
2.1 L'arrangiamento nel jazz: tre tipologie _________________________ 28
2.2 L'arrangiamento nel jazz in Italia: dallo sbarco degli Americani in
Europa alle orchestre Barzizza e Angelini _____________________ 33
!
L'ARRANGIAMENTO PER ORCHESTRA NELLA
MUSICA LEGGERA ITALIANA: L'ESEMPIO DI PIPPO
BARZIZZA _______________________________________ 44
!
3.1 Pippo Barzizza ____________________________________________ 46
3.1.1 L'arrangiatore allo specchio: Sera ____________________________ 52
3.2 Angelini e Barzizza. Uno con(tro) l’altro? 81
3.2.1 Arrangiatori a confronto: Orchestra Angelini e Orchestra Barzizza in
Grazie dei fiori __________________________________________ 85
3.3 L’arrangiatore ‘esterofilo’: Vivrò ______________________________ 119
CONCLUSIONI __________________________________ 139
!
FONTI __________________________________________ 142
!
BIBLIOGRAFIA __________________________________ 144
!
SITOGRAFIA ____________________________________ 146
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RINGRAZIAMENTI ______________________________ 148
!
INTRODUZIONE
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Quante volte si sente dire: ‹‹bella canzone, magnifico arrangiamento››, ma non si
riesce facilmente a dare un volto al suo misterioso fautore? E non solo. Spesso viene anche
da chiedere: «cos'è un arrangiamento?» «In che cosa consiste?».
Tali quesiti sono alla base di questa tesi, che si concentra su un periodo
particolarmente fecondo della storia della canzone italiana, con l’intento principale di
studiare ed analizzare una determinata tipologia di arrangiamenti: quelli per orchestra nella
musica leggera italiana nel periodo 1940 - 1958.
L’arrangiamento è un peculiare campo di cui non molto spesso si sente parlare,
sebbene se ne sia fatto e se ne faccia un grande uso nella prassi musicale. Un esempio sotto
gli occhi di tutti è l’attuale situazione della musica leggera o pop, che soffre terribilmente
dell’insufficienza creativa ed artistica. L’industria del commercio musicale, sofferente di
lacune e carenze di idee, per soddisfare un’esigenza puramente economica di vendita, va
alla ricerca continua di novità accattivanti, del motivo interessante, che spesso non trova,
da sottoporre al grande pubblico. Non potendo appagare il mercato con buone nuove
produzioni, si tuffa a ripescare canzoni dall'immenso ‘scatolone’ del passato, in modo da
riproporle sotto un'altra veste; momento questo, in cui arriva in soccorso l'arrangiamento
musicale.
Come oggetto di studio storico-critico ed analitico, l’argomento
dell’arrangiamento è affascinante, quanto allo stesso tempo intricato. Sorprendentemente,
infatti, i primi ‘nodi al pettine’ vengono già al momento della definizione, etimologia e
storia del lemma «arrangiamento», così come esso appare nei dizionari: siano essi
vocabolari delle principali lingue europee, dizionari enciclopedici o dizionari
specificatamente musicali.
Per questo nel primo capitolo è stata tracciata una storia dell’arrangiamento e del
relativo termine, compiendo un lavoro di collage delle informazioni ricavate da diverse
fonti, fra loro alquanto eterogenee. È emersa una chiara differenziazione dell’uso del
termine, nel passato, tra l’italiano ed altre lingue europee (sono stati considerati in

5
particolare dizionari inglesi e tedeschi), presso le quali il termine è usato anche per la
prassi di adattamento e trascrizione dei repertori del passato. In italiano, invece, il termine
è stato chiaramente adottato dall’inglese in concomitanza con la diffusione del jazz.
Nel secondo capitolo si è affrontato dunque il tema delle tecniche di
arrangiamento, nate e mutuate da un linguaggio contraddistintosi fra le prime forme di
musica non ‘classica’ quale il jazz. Si è dato quindi uno sguardo a come si sia sviluppato il
jazz e, di conseguenza, l'arrangiamento in Italia, per poi passare ad introdurre la figura
chiave di questo lavoro, Pippo Barzizza.
L’attività di Pippo Barzizza è definita meglio nel terzo capitolo, nel quale è stata
ricostruita una biografia grazie all’aiuto del figlio Renzo Barzizza e delle fonti che sono
state da lui raccomandate. Segue l’analisi di alcune partiture relative a tre canzoni: Sera,
Grazie dei fiori e Vivrò. In particolare, a proposito della seconda, si è voluto confrontare
l’arrangiamento di Barzizza con quello di Cinico Angelini, direttore anch’egli delle
orchestre della radio italiana e, pur se in maniera più leggendaria che reale, storico rivale di
Barzizza.
Ricostruire un modus operandi di scrivere arrangiamenti per orchestra per la
musica leggera italiana degli anni '40-'58 è stato possibile grazie a fonti dirette quali
partiture manoscritte, conservate presso l'Archivio Musica della RAI di Torino. Attraverso
di esse è stato possibile indagare e scoprire, allo stesso tempo, quali le caratteristiche
peculiari del modo di arrangiare di un'epoca e, in particolar modo, di Pippo Barzizza. Un
simile lavoro è stato arricchito, inoltre, dalle testimonianze dirette del figlio del Maestro e
di chi ancor'oggi lo stima, ricorda la sua figura e la sua opera.


6
L'ARRANGIAMENTO MUSICALE
!
!
1.1 Cos'è l'arrangiamento: indagini tra significato e origine del termine
!
!
Nel gergo comune non è difficile sentir pronunciare il verbo arrangiare: esso è
generalmente utilizzato per designare qualcosa da accomodare, rivedere, modificare. Non
si ci si allontana di molto se si va ad osservare il termine in una prospettiva puramente
musicale. Si comincia, a tal proposito, da una definizione molto in voga fra gli arrangiatori,
i quali, in maniera alquanto esplicativa, diretta, semplice, intellegibile e altamente
comprensibile, sono soliti definire l’arrangiamento come il ‘vestito della canzone’. Con il
termine arrangiamento, infatti, per i tecnici del settore et similia, si intende quella capacità
peculiare di rivedere, rileggere e rivisitare un brano, una canzone, accomodandoli, quindi,
alla stessa maniera con cui si lavora un materiale volubile quale stoffa o altro analogo.
L’unica sostanziale differenza è che, nel lavorare con suoni e melodie, bisogna
approfondire e specificare in cosa consista questa modifica di cui si parlava poc’anzi.
Significa pensare all’armonizzazione, alla struttura del brano musicale, alla sua
costituzione, all’organico con cui si realizzerà una determinata melodia. Questo per sommi
capi. Per cercare di essere ancora più precisi si è deciso di compiere una semplice
operazione, alla portata di tutti, come quella dell'istintiva consultazione di un vocabolario.
Si è visto perciò più approfonditamente quale definizione si trova qualora si ricerchi la
relativa voce:
!
Trascrizione che si fa di un brano musicale adattandolo a strumenti o complessi diversi da quelli
per cui originariamente era stato composto; Adatt. dal fr. arrangement1.
!
La definizione che qui ne risulta appare alquanto stringata e non sufficientemente
esplicativa, rimanente sempre nella sfera del più ampio e marginale spettro d’analisi, il che

1 GIACOMO DEVOTO, GIAN CARLO OLI, Il dizionario della lingua italiana, Le Monnier, Firenze 1995,
p. 135.

7
potrebbe essere dovuto al fatto che, quanto appena letto, possa provenire da una versione
un po’ datata dello strumento che si è scelto di consultare. Il passo successivo è consistito
nel far riferimento ad una versione aggiornata di dizionario da cui cercare di estrapolare
qualche informazione in più. Visti i primi risultati simili e poco soddisfacenti comuni ad
altri vocabolari di lingua italiana, si è deciso allora di volgere lo sguardo ad un mezzo più
efficace come l'Enciclopedia Italiana. Di seguito si riporta il risultato:
!
Nel jazz e nella musica leggera, l’insieme delle operazioni di armonizzazione, strumentazione e
strutturazione formale di un tema musicale dato. Il termine indica anche l’adattamento di un brano musicale a
organici strumentali diversi da quello cui esso era originariamente destinato. (adattam. del fr. arrangement)2.

!
Sebbene si sia riusciti nel frattempo ad ottenere un’indicazione maggiore rispetto
alla definizione stessa, un aspetto che coglie qui di sorpresa e, fatto inaspettatamente
trovato, comune ad entrambi vocabolario ed enciclopedia, riguarda l’etimologia, la quale fa
capo alla lingua francese e non al classico latino o greco che, in un lemma italiano, ci si
aspetterebbe normalmente. Il passo successivo, data la curiosità scaturita in seguito alla
ricerca, è quello di andare a cercare e scavare l’origine di questa parola in un vocabolario
apposito di lingua francese. Altrettanto sorprendente il risultato anche qui; ne emerge
infatti che:
!
ARRANGEMENT n.m. – XIIIᵉ siècle ◊ de arranger ▪ Action d’arranger, son résultat. ▪ Action de
disposer dans un certain ordre; la disposition qui en resulte. (…) MUS. Adaptation d’une composition à
d’autres instruments; la composition ainsi adaptée.3
!
Quanto trovato non ha fondamentalmente nulla in più da aggiungere alle
precedenti esposizioni fornite in lingua italiana, se non l’indicazione temporale di nascita,
all’incirca, del termine e la sua derivazione dal verbo arranger come punto di riferimento.
Per iniziare dunque a scavare maggiormente in profondità e cercare di capire da
dove provenga il termine, si è allora deciso di far ricorso alla sua provenienza, evidenziata
dal verbo.

2 Dal sito: www.treccani.it/arrangiamento

3 AA.VV., Le Nouveau Petit Robert de la langue française, 2009, SEJER, Paris 2009, p. 142

8
L'approfondimento è proseguito nello stesso dizionario francese, Le Nouveau Petit
Robert, dove si trova scritto:
!
ARRANGER v.tr. ‹3› - 1160 ◊ de 1 a- et ranger.4
!
Con varianti poco significative la stessa informazione è riscontrabile anche
rispettivamente nelle due fonti precedentemente citate, ovvero il dizionario Treccani e il
Devoto – Oli; cambia di poco la situazione:
!
arrangiare dal fr. arranger, der. di rang ‘rango’5
!
arrangiare (…) Dal fr. s’arranger, der. di rang, rango6
!
Ora, la curiosità che s'insinua spontaneamente riguarda la connessione che si è
venuta a creare tra il termine rango e gli arrangiamenti in musica. Occorre un’ulteriore
ricerca che aiuti a definire e delimitare bene il campo, unitamente ad uno sforzo di
ragionamento. Anzitutto per fare migliore e maggiore chiarezza, un procedimento utile
consiste sicuramente nell’analizzare la parola, ritornando alla derivazione che il
vocabolario di lingua francese ha fornito in precedenza. Accorre in aiuto la scissione,
l'analisi e la scomposizione del lemma, come indicato:
!
Arranger, composto del suffisso a e –ranger, derivato da rang.

!
Dando per scontato ed assodato che la definizione di rango qui più consona sia
quella di «riga, fila»,7 che rimanda all'ordine di una disposizione spaziale, ci si focalizzerà
ora sulla a. In ogni vocabolario che si rispetti essa assume tre accezioni differenti: la prima
di preposizione, la seconda, proveniente dal greco ed esprimente una negazione, e la terza,
che marca una direzione, il passaggio da uno stato ad un altro, di origine latina. Quella

4 Ibid.

5www.treccani.it

6 DEVOTO – OLI, Il Dizionario della lingua italiana, p. 135

7 Ivi, p. 595

9
presa in esame in questo caso è proprio quest'ultima, concernente l'idea di cambiamento,
maggiormente aderente al ragionamento fatto sinora; si legge del resto:
!
A, elemento proveniente dal latino ad, marcante la direzione, lo scopo da raggiungere, o il
passaggio da uno stato ad un altro.8
!
In poche parole, è già possibile dedurre e ricavare, una breve, semplice, basilare
indicazione: l’arrangiamento implica il cambiamento da un ‘rango’ a un altro, o, come da
definizione, il mutamento da uno stato ad un altro, che è in sostanza, quanto accade anche
in musica. Quando si arrangia infatti, non si fa altro che portare una canzone, un brano o
spunto musicale da una condizione originaria ad un’altra.
Acquisito ciò, è possibile proseguire nel percorso di ricerca e andare
approfonditamente a guardare quando e in che contesto la parola probabilmente sia nata,
spostando il raggio d'azione e d'interesse all’anno 1160, data che si riscontra nel
vocabolario Petit Robert, accanto alla definizione.
Consultando, stavolta, la versione francese del sito online di Wikipedia e cercando
il verbo arranger si ottiene già un primo risultato che ha un'emblematica valenza
economica: quella di raggiungimento, stipulazione di patto o accordo. Accanto alla forma
all'infinito del verbo, accorre l’uso del suo participio passato, indicato e messo in evidenza
assieme a mariage, cioè matrimonio. Si parla infatti di «mariage de convenance» o
«mariage arrangé» per designare i celeberrimi matrimoni combinati o ‘accordati’ (cari a
tanta tradizione manualistica di genere storico). Un aspetto interessante, questo, i cui primi
accenni risalgono al periodo del cosiddetto Alto Medioevo: corrispondente alla data di
interesse rilevata nel dizionario, il 1160. Leggendo inoltre la voce di una qualsiasi
enciclopedia al riguardo, si constata che l'ampiezza in diffusione e portata di tale
consuetudine conobbe il culmine sempre in quel quadro storico. Si pensi infatti alle varie
motivazioni che spingevano due famiglie, siano state entrambi nobili o meno, ad un
connubio atto a cambiare il rango di una delle due parti, ovvero, in pratica, ad effettuare un
passaggio da una situazione ad un’altra, quindi cambiare.

8 AA.VV., Le Nouveau Petit Robert, p. 1

10
Un secondo risultato lo si ottiene, invece, attraverso un ulteriore scavo, dato dalla
ricerca del participio passato arrangé, nella pagina web del Centro Nazionale di Ricerca
Testuale e Lessicale di Nancy Codex, situato nel Nord - Est della Francia. Non a caso altra
fonte francese.
Oltre a stilare una lista esaustiva di frasi, esempi ed accezioni in cui il termine è
utilizzato, a fondo pagina, l'Ente di Ricerca fornisce una sintetica ma accurata ed esaustiva
lista di impieghi dello stesso, sin dalla sua origine. A tal fine si fa ricorso ad un’apposita
voce: Etymologie et histoire, che fornisce un’ulteriore conferma del 1160 come data di
nascita del termine, fornita dal dizionario francese. Vengono però aggiunte informazioni
più complete, come gli esempi di utilizzo del vocabolo, prevalentemente indicato nella
forma di participio passato del verbo. I modelli d'impiego mostrati sono estrapolati dalla
letteratura e relativi manoscritti dell’epoca rinvenuti dal centro. Ne sono riportati giusto
alcuni esempi per far comprendere un ulteriore utilizzo della parola, presa nella sua forma
arcaica, quindi leggermente deformata:
!
les tables i sont arengie(e)s 9

!
oppure:
!
Se ranger, prendre place (surtout en ordre de bataille).10

!
Interessante notare, nella seconda accezione, l'uso del termine in ambito
propriamente militare, e nello specifico per indicare la disposizione dei guerrieri in
battaglia (questo è probabilmente l'uso più antico). Si diceva infatti che le file s’erano
rangées o (ar)rangées: si erano riorganizzate, riordinate, passano anch’esse da un rango ad
un altro. Una simile affermazione trova la sua conferma nel verbo ranger, riportato nel
vocabolario fin qui interpellato, e di cui finora non si erano addotte grandi spiegazioni.

9 Dal sito: http://www.cnrtl.fr/etymologie/arrangée

10 Ibid.

11
Sia che si tratti di un matrimonio, quindi di un cambiamento di uno stato di vita o
di posto all'interno della società, sia che si tratti di riorganizzare le fila in battaglia, in
entrambi i casi è implicato il concetto di cambiamento ancora una volta. Concetto prezioso,
quello del passaggio da uno stato a un altro, da tenere a mente, specialmente ora che si è in
procinto di andare più a fondo e comprendere la parola nel campo e significato che qui
interessano maggiormente, ovvero quello musicale.
Prima di iniziare questa analisi, riassumendo, si ricapitoleranno brevemente le
considerazioni cui si è giunti sinora.
La nascita della parola arrangiamento e del suo uso generale, senza implicazioni
di carattere e genere musicale, risale al 1160, come confermato da ricerche a seguito di
consultazione di vocabolario. Due le valenze che emergono principalmente dal suo uso
all'epoca: quella socio-economica (mariage arrangé) e quella militare (se ranger, prendre
place).
Oltre a questi suoi significati si vedrà di seguito quando, invece, la parola
arrangiamento sia stata presumibilmente utilizzata per la prima volta in ambito musicale e
il suo uso nel tempo. Partendo dal lemma, ci si è serviti di questo per volgere lo sguardo
all'intrecciarsi e dipanarsi nella storia anche della sua prassi.


12
1.2 Il lemma in musica
!
!
Proseguendo la lettura della voce presa in esame in precedenza, dal sopra citato
Centro Nazionale di Ricerca Testuale e Lessicale, si ottiene una prima informazione
inerente la musica.
Il Centro fa risalire uno dei primi usi del termine arrangiamento in ambito
musicale ad una data: il 1768. Al riguardo si riportano notizie provenienti da un testo
teatrale in un unico atto: La gageur imprévue, di Michel - Jean Sedaine (1719-1797)11,
autore francese pressoché sconosciuto. In esso si legge precisamente la seguente frase:
!
je vous avait dit de faire arranger mon clavecin12
!
La cui traduzione sta a voler dire che il personaggio parlante, una donna in questo
caso, ha appena esposto una richiesta, ovvero quella di di far ‘arrangiare’, nel senso di far
accordare, il proprio clavicembalo. Di primo acchito e sul momento l’indicazione sembra
essere irrilevante e di poco conto, ma assume una connotazione diversa se posta a
confronto con un’altra fonte storica, non da meno in qualità e sicuramente più nota, che si
riallaccia alla linea francese già posta in evidenza. Nella medesima epoca, il termine
compare nella famosa Encyclopédie, nome con il quale si è soliti sottintendere l’opera
magistrale e colossale del Settecento: l'Encyclopédie des Arts, Sciences et Métiers.
Capolavoro ed opera omnia dell'Illuminismo, essa fu firmata da autori vari, ma di fatto
principalmente redatta e curata a quattro mani da Denis Diderot e Jean Baptiste Le Rond
d’Alembert. I tre peraltro, stando sempre alla biografia del commediografo Sedaine, pare si
conoscessero, frequentassero lo stesso café e fossero soliti scambiarsi opinioni sulle

11 AA.VV., Lessico Universale Italiano di Lingua, Lettere, Arti, Scienze e Tecnica Vol.XX, Treccani, Roma
1978, p. 436. Si legge a riguardo che Sedaine fu autore e maestro del genere vaudeville. Di seguito sono
elencate alcune fra le sue opere: Le diable à quatre (1756), Rose et Colas (1763), Aucassin et Nicolette 1780,
Richard coeur de Lion (1784); in aggiunta alla qui citata Gageur Imprévue, si riporta notizia di una
commedia borghese, fra le migliori del sec. xviii, Le philosophe sans le savoir (1765).

12 http://www.cnrtl.fr/etymologie/arrangée

13
proprie opere. Un motivo in più per accomunare i due testi e dare maggiore fondatezza di
prove a suffragio della tesi inerente la nascita del lemma in musica nel XVIII Secolo.
Tornando all'Encyclopedie Diderot - d'Alembert, il fatto riscontrabile all'interno
dell'opera è che la sezione dedicata alla musica (curata minuziosamente e principalmente
da quest'ultimo), oltre ad illustrare i principi, le ultime ed avanzate scoperte musicali in
materia di teoria, armonizzazione e strumentazione, contiene in una della pagine (solo
alcune dopo quella iniziale), un'indicazione preziosa. E' possibile constatarla nella
raffigurazione13 riportata di seguito, dal titolo molto chiaro ed esplicativo, che ‘cade a
fagiolo’ per la presente ricerca:

!
13Immagine presa dall'Enciclopedia di Arti, Scienze e Mestieri di Diderot - D'Alembert, copia presente nella
Biblioteca Musica dell'Istituto Germanico di Roma.

14
La pagina riportata pone in massima evidenza un elemento utilissimo in questa
sede. La parola arrangement è protagonista, campeggia in alto, alla testa del foglio
consunto e datato dell'opera dei due illuministi francesi. Altro elemento di rilievo è
sicuramente il suo uso, peraltro identico a quello trovato nell’esempio letterario
precedente. Nel testo è infatti scritto: Arrangement du clavier selon le système établi. Ciò
indica quindi l’accordatura dello strumento, o comunque una sua modalità di compiere
questa azione secondo il sistema stabilito in vigore in quel periodo storico.
Memori di quanto detto finora, ci si concentrerà nuovamente sulla precedente
acquisizione che sottostà all'idea di base del lavoro sinora svolto: il concetto di mutamento,
cambiamento, trasformazione da uno stato ad un altro.
Cos'è infatti l’accordatura, se non un arrangiamento, nel senso di ‘aggiustamento’,
ovvero un mutamento di forma, un riordino di qualcosa che precedentemente non lo era?
Ancora più semplicemente, accordare significa far passare lo strumento dal suo stato di
scordatura a quello armonico di accordatura.
Questo punto di inquadramento del termine nel suo momento di nascita
rappresenta ora un buon appiglio ed aggancio per passare ad introdurre la storia
dell'arrangiamento, sulla quale non è riuscito di trovare, nella letteratura musicologica, uno
studio esauriente. Quanto si è cercato di fare invece nelle seguenti pagine, è stato mettere
insieme dei pezzi, basandosi sugli strumenti a disposizione del musicologo.


15
1.3 L'aspetto storico in base ai dizionari di musica
!
!
La prima fonte presa in esame in tale analisi è uno dei migliori dizionari ed
enciclopedie presenti attualmente in ambito musicale: The New Grove Dictionary of Music
and Musicians. Una prima definizione che il Dizionario dell’Università di Oxford riporta è
alquanto sintetica, simile ed accostabile a quelle rinvenute finora nei precedenti dizionari:
!
Arrangement. The reworking of a musical composition, usually for a different medium from that of
the original.14
!
Fin qui è possibile riscontrare, in ambito musicale e in inglese, un reiterare del
concetto di ‘cambiamento di stato’ che abbiamo individuato a proposito del contenuto
semantico del verbo in senso lato. L’aspetto focale, invece, è quello che segue, ovvero la
prosecuzione della voce che, dopo la definizione sintetica, descrive la storia del termine
partendo dalla musica colta:
!
DEFINITION AND SCOPE. In its broadest possible sense the word ‘arrangement’ might be
applied to all Western Music from Hucbald to Hindemith, since each composition involves the rearrangement
of the basic and unchanging melodic and harmonic components of music, whether these be understood as
belonging to the harmonic series or the chromatic scale. 15
!
Il che sta a significare, in poche parole, che presa nel suo senso più ampio, la
parola arrangiamento può dunque essere applicata a tutta la musica occidentale, da autori
medievali conosciuti solo agli esperti o studiosi del settore (come Hucbald), sino ai recenti,
moderni e contemporanei; inoltre, il termine è applicabile a tutto il materiale originario e
preesistente che viene modificato, ritoccato, posto in un’altra forma e condizione rispetto a
quello di partenza.

14AA.VV., The New Grove Dictionary of Music and Musicians, Oxford University Press, Oxford 2014, p.
627, consultabile anche al sito: www.oxfordmusiconline.com/

15 Ibid.

16
La storia dell'arrangiamento sarebbe dunque riconducibile ai primordi della storia
della musica, e combaciante con una prassi compositiva connaturata alla musica stessa.
La voce del Grove prosegue con un elenco e una dissertazione critica della storia
dell’arrangiamento volti e mirati ad individuarne i punti cardine, mediante pratiche, date e
nomi di compositori. E' utile qui soffermarsi a vederne e ripercorrerne qualcuno, fra quelli
posti maggiormente in evidenza non solo dal Grove, ma da altre fonti manualistiche che
siano presenti in ambito musicale; ci si limiterà, nel citarli, a mostrare qualche esempio per
far comprendere maggiormente in cosa consistesse l’attività dell’arrangiare nel campo
della storia della musica colta.
Parlando perciò di arrangiamento nei termini precedentemente stabiliti, cioè «in
ist broadest possibile sense» e applicabile a tutta la musica occidentale, si può dire che,
tracce iniziali di esso, mediante forme di rielaborazione e riutilizzo, furono presenti già dal
Medioevo. In questo periodo, appannaggio e florilegio di tanta musica vocale monodica
cristiana, si rintracciano alcune prime prassi di rielaborazione di materiale musicale
preesistente. Esempi ne furono tropi, sequenze, conductus, e contrafacta.
Tropi e sequenze rappresentarono quelle che Elvidio Surian chiama «farciture
melodiche» o «interpolazioni ai testi e alle melodie dei canti liturgici».16 In termini ancora
più semplici:
!
I tropi erano in origine un'aggiunta composta ex novo, di solito in stile neumatico e con un proprio
testo poetico, a uno dei canti antifonali del proprio della Messa (...); più tardi aggiunte di tipo simile vennero
fatte anche ai canti dell'Ordinario (...). I tropi più antichi servivano da introduzione al canto regolare; a uno
stadio successivo, si trovano tropi anche in forma di interpolazione tra i testi di un canto. L'usanza del
“tropare” sembra aver avuto origine nel Nord-Est della Francia o in Renania nel IX secolo.17
!
Inoltre:
!
I termini “tropo e “tropare” spesso sono stati usati in accezione larga per indicare tutte le aggiunte
e le interpolazioni a un canto.18

16ELVIDIO SURIAN, Manuale di Storia della Musica Vol. I. Dalle origini alla musica vocale del
Cinquecento, Rugginenti Editore, Torino 2006, p.76
17 DONALD JAY GROUT, Storia della Musica in Occidente, Feltrinelli Editore, Milano 1990, p. 64

18 Ibid.

17
Un altro analogo tipo di interpolazione è rappresentato dalle sequenze:
!
Estese melodie, di forma definita che, evidentemente, erano largamente note ed usate, sia in forma
melismatica sia sottoposte a testi diversi. (...) Lunghi melismi di questo tipo furono aggiunti all'Alleluia della
liturgia - dapprima semplicemente come estensioni del canto, ma, più tardi in forme ancora più ampie e più
elaborate, come nuove aggiunte. A tali estensioni e aggiunte venne dato il nome di sequentia (dal latino
sequor, “seguire”), forse a causa della loro collocazione dato che in origine “seguivano” l'Alleluia.19
!
Note, a questo proposito, le sequenze composte per occasioni particolari, quali
feste comandate e simili celebrazioni riconosciute dalla chiesa. Una di queste rimase la più
celebre per essere stata riutilizzata nei secoli, come si vedrà più avanti. Si tratta della
Victimae Paschali Laudes, «forse scritta dal sacerdote tedesco Wipo (ca. 995- ca. 1050),
per il giorno di Pasqua».20
Seguendo lo stesso criterio di tropi e sequenze, un altro tipo di canto monodico è
rappresentato dal conductus, probabilmente appartenente all'ambito profano:
!
Una caratteristica importante del conductus era che, di norma, la sua melodia era composta ex
novo.21
!
Trovatori e trovieri si fecero portavoci, attraverso le loro liriche, di un'ulteriore
modalità di rielaborazione di materiale musicale già esistente. Con i cosiddetti contrafacta
«si utilizzava», infatti, «una stessa melodia per testi diversi e viceversa».22 Congiuntamente
ad essi vi era «la presenza di varie redazioni, in codici diversi, di uno stesso
componimento».23
Sicuramente l'abitudine di riscrivere musica vocale, con scopi e modi differenti,
continuò durante l'epoca rinascimentale e con l'avvento della polifonia. In questo periodo
in particolare, il circolo della rielaborazione di melodie e riadattamenti di esse veniva

19 GROUT, Storia della Musica in Occidente, cit., p. 65

20 SURIAN, Manuale di Storia della Musica, cit., p. 57

21 Ivi, p. 86

22SURIAN, Manuale di Storia della musica, cit., p. 108

23 Ibid.

18
alimentato dalla cosiddetta Scuola dei Fiamminghi, costituita da abilissimi ed esperti
maestri di musica che viaggiavano approdando nelle prestigiose corti nobiliari d’Europa ad
insegnare il canto ai giovani appartenenti ad esse. Per questo, a scopo didattico, buona
parte di melodie note del tempo fu riscritta in maniera semplificata per essere resa
maggiormente fruibile ed agevole allo studente.
Ben presto però, alla sensibilità vocale e polifonica, si sostituì, sul finire del
Quattrocento, quella strumentale: data dalla predominanza che cominciarono ad assumere
in quel periodo gli strumenti a tastiera assieme al liuto.24 Numerose le intavolature scritte
per questi strumenti. Al riguardo, sono ricordate, in particolare, le opere di Guillaume de
Machaut, Landini e Petrucci25: fra i maggiori ad adoperarsi nell'adattare e scrivere melodie
vocali polifoniche sotto forma prettamente strumentale.
«La pratica del trasferire musica vocale agli strumenti continuò per i successivi
due secoli ed oltre».26 Svariati gli interpreti e le forme con cui si portò avanti questo
cammino: vi era chi componeva rielaborazioni e, allo stesso tempo, variazioni di un brano
precedentemente scritto da un altro compositore, cosa che fece il musicista Peter Philips
con il suo rifacimento di Amarilli mia bella di Caccini.27 Oppure chi ‘riarrangiava’ la
propria musica come nel caso di Francesco Geminiani.28
In Germania, invece, il teorico e compositore J. G. Walter era attivo nel riproporre
musiche di Albinoni, Telemann e Torelli, appositamente riscritte per organo.29 Mai attivo
però, quantitativamente e qualitativamente, da superare il conterraneo Johann Sebastian
Bach.
Bach infatti riscrisse una notevole congerie di musica vocale, riprendendo, ad
esempio, musiche di secoli addietro, come nel caso della già citata sequenza Victimae

24 AA.VV., New Grove Dictionary of Music, cit., p. 627

25 Ibid.
26 Ibid.
27 Ibid.

28 Ibid.
29 Ibid.

19
Paschali Laudes, divenuta corale luterano intitolato Christ lag in Todesbanden, riproposto
nella stessa forma e con lo stesso titolo dal compositore di Lipsia.30

!
Christ lag in Todesbanden, nella versione cinquecentesca del corale luterano.31

!
Christ lag in Todesbanden, nella versione di Bach32
!
Fra gli autori ripresi da Bach spiccarono anche Telemann, Alessandro Marcello,
ma soprattutto Vivaldi.33 Sebbene Bach riproponesse una «trascrizione letterale rispetto

30 SURIAN, Manuale di Storia della Musica, cit., p. 76

31 Immagine presa dal sito: www.luther2017.de

32 Immagine presa da: http://en.m.wikipedia.org/wiki/Christ_lag_in_Todes_Banden

33 AA.VV., New Grove Dictionary of Music, cit., p. 629

20
all'originale»34 delle musiche di Vivaldi, non mancò di lasciare un'impronta personale
«alterando leggermente l'armonia o completando il testo melodico con del nuovo
contrappunto».35 Il caso della rielaborazione di alcune opere di Vivaldi dà lo spunto per
parlare di un'altra prassi, «un nuovo tipo di arrangiamento, che portò con sé il Barocco, in
cui la musica vocale non era coinvolta per la prima volta e in cui si trattava di trascrivere
da uno strumento per un altro differente».36

!
Esempio di confronto fra Vivaldi (Concerto per Violino op.4) e la versione di Bach, riportata nel
Movimento Lento del BWV97537
!
Ovviamente la tradizione di riutilizzo di materiali musicali preesistenti proseguì
nel percorso della storia della musica: sia in forma di musica scritta da uno stesso
compositore e poi ‘rivisitata’, sia nella forma di ripresa di opere altrui. Numerosi altri
esempi su questa via, costellarono il periodo compreso tra metà Seicento e fine Settecento:
Schütz riprese musiche di Andrea Gabrieli, Alessandro Grandi e Monteverdi; Francesco
Durante trasformò i recitativi delle cantate di Alessandro Scarlatti in musica da camera,

34 Ibid.

35 Ibid.

36 Ibid.

37 Esempio tratto dal New Grove Dictionary of Music, p. 629

21
mentre Handel fu solito riprendere musica di altri compositori (specialmente da Haydn), e
riutilizzare sue musiche già sfruttate.38 Anche Mozart può essere aggiunto a questa lista,
seguendo quanto tracciato da Haydn: prendendo a prestito, spesso e volentieri, musiche da
altri compositori (Clementi, Bach, lo stesso Händel), e da se stesso.39
Il discorso, però, per ciò che concerne la rielaborazione e, quindi, l'arrangiamento,
si rianimò e si aprì ancora di più, nel secolo successivo, l’Ottocento. Sicuramente due
fattori in gioco, messi in evidenza dal Grove in particolare, contribuirono ad alimentarlo:
l'emergere e la conseguente crescente importanza assurta dal pianoforte e il lavoro di
trascrizioni fatte dai compositori dell'epoca pensate per questo strumento.
È risaputo quanto lo strumento inventato da Bartolomeo Cristofori nel 1688 influì
sulla vita e la corrente del Romanticismo, ispirando composizioni originali a musicisti
quali Chopin, Schubert, Mendelssohn e Schumann. Ma accanto a questa attività, per certo
preponderante, se ne affiancò un'altra che contribuì alla circolazione di musica
continuamente rielaborata e riscritta: si tratta delle riduzioni per pianoforte di opere celebri,
contemporanee e non, usate a scopi didattici o dilettanteschi quali, ad esempio,
l'intrattenimento del salotto borghese, tanto in voga. Lo spiega bene Elvidio Surian, storico
della musica:
!
Per il pianoforte si scrissero migliaia di composizioni para - didattiche, di intrattenimento e di
svago: sonatine, variazioni e parafrasi su celebri arie d'opera e temi alla moda, pot-pourris (selezione di varie
melodie celebri unite in passaggi modulanti), forme di danza allora in voga. Molte di queste composizioni
adottavano uno stile di scrittura imponentemente virtuosistico, (...). Di questo tipo di pezzi amò nutrirsi
nell'Ottocento non solo il salotto domestico ma anche (e soprattutto) la sala da concerto.40
!
Oltre a questo:
!
Per aiutare a risolvere i problemi riguardanti lo studio dell'esecuzione pianistica si pubblicò una
miriade di metodi per lo strumento.41


38 AA.VV., New Grove Dictionary of Music, cit., p.630

39 Ibid.
40 SURIAN, Manuale di Storia della Musica, cit., p. 98

41 Ibid.

22
All'interno di questi metodi poi, non era infrequente trovare rifacimenti, ulteriori
semplificazioni di arie d'opera o anche di studi virtuosistici di compositori celebri. Alle
volte erano i compositori stessi a rendere gli studi più agevoli per il dilettante alla tastiera,
oppure ne scrivevano appositamente. Come nel caso di Chopin che inserì tre suoi studi nel
Méthode des Méthodes di François Fétis.42
Invece, per quanto riguarda l'ambito della trascrizione di opere contemporanee e
passate, fra tutti, sicuramente spicca il nome di Franz Liszt:
!
Preminenti i suoi arrangiamenti per opera, che vanno da una rigida e fedele trascrizione (come per
il preludio al Tristan und Isolde di Wagner) ad elaborate parafrasi di enorme difficoltà tecnica, come quelle
basate sul Don Giovanni di Mozart, del Rigoletto di Verdi, assieme ad altre opere di Wagner. I suoi
arrangiamenti includono anche Lieder di Schubert, tutte le sinfonie di Beethoven e la Symphonie fantastique
di Berlioz.43
!
Per Liszt si è appena visto come si parli sia di arrangiamento che di trascrizione.
Benché e sebbene il pianista ungherese abbia percorso entrambe le strade, è bene qui
specificare che i due concetti non sono assolutamente la stessa cosa. Lo ribadisce anche il
Grove, che dedica una sezione a parte, proprio alle trascrizioni per pianoforte di Liszt.44
La trascrizione, infatti, consiste nel riprendere un determinato tessuto o testo
melodico e riproporlo in maniera non molto distante dal testo originario di partenza, anzi
seguendo rigorosamente e fedelmente la traccia originale.
Con l'arrangiamento, invece, è sì possibile riprendere della musica già esistente e
apportarvi non significative e sfuggenti modifiche mediante piccole aggiunte; ma allo
stesso tempo ci si può permettere di stravolgere completamente tutto, andando persino
nella direzione opposta, prevista dall'autore originale della composizione. C'è, diciamo,
maggiore libertà.
Della stessa libertà e con più sicurezza si parla di arrangiamento nell'ambito della
musica per pianoforte trasposta per orchestra.

42 Ibid.

43 AA.VV., New Grove Dictionary of Music, cit., p. 630

44 Ivi, p. 627

23
Interessa qui un caso particolare, riconosciuto solitamente dagli studiosi e nei testi
di storia della musica come uno dei primi veri episodi di arrangiamento, in cui non risulta
improprio usare la parola stessa.
Quadri di un'esposizione di Modest Musorgskij, suite pianistica scritta e pensata
tale, sin dall’inizio, dal suo creatore, deve la trasposizione orchestrale, quindi la sua
versione sinfonica, al nome di Maurice Ravel (che si riallaccia così a quella linea francese,
di cui si parlava nel paragrafo precedente).
Di seguito si riporta un esempio di trasposizione dal pianoforte all'orchestra di
Quadri di un’esposizione:

24
La grande Porta di Kiev, bb. 1- 17 da Quadri di un'esposizione. Esempio a, versione di
Musorgksy. Esempio b, versione per orchestra di Ravel45
!
Più tardi, negli anni Venti, un altro esempio di arrangiamento con la stessa
modalità si ripresentò ne La Rapsodia in Blue di George Gershwin. Gershwin morì prima
di vedere la sua opera completata. Il pianista della sua orchestra, Ferde Grofé46, americano

45 Immagini prese da SAMUEL ADLER, Lo studio dell'orchestrazione, EDT, Torino 2008, pp. 418-419

46 Ferde (o Ferdie) Grofé (New York 1892 - 1972) compositore statunitense. Violinista dell'orchestra
sinfonica di Los Angeles, s'avvicinò poi al jazz e nel 1920 divenne pianista e arrangiatore del complesso di
Paul Whiteman. Tra le sue composizioni, comprendenti soprattutto suites e pezzi per orchestra, è ancora
eseguita la Grand Canyon Suite (1931).

25
di origini francesi, rielaborò, l’abbozzo per un solo strumento scritto dal compositore e lo
arrangiò per l’intero organico orchestrale.
Gershwin, inoltre, conduce qui il discorso verso un genere musicale diverso, il
jazz, che come si sa influenzò fortemente lo stile del compositore americano, figura di
rilievo nel panorama musicale del Novecento. Non così tanto però, da essere citato nel
Grove, il quale ferma la sua narrazione sull'arrangiamento a Stravinsky, facendo appena un
accenno di sfuggita e di passaggio al genere d'Oltreoceano. Stessa cosa accade consultando
il dizionario tedesco MGG, ove il termine Bearbeitung, si riferisce sostanzialmente alla
pratica della trascrizione nella storia della musica colta.
Curioso notare, allo stesso tempo, come cambi la prospettiva consultando il
lemma e la voce arrangiamento nei dizionari o enciclopedie della musica italiani.
Nel Dizionario Enciclopedico Utet della Musica e dei Musicisti (DEUMM), si
legge ad esempio:
!
Arrangiamento. 1) Nella mus. Jazz si deve considerare l’A. come una compos. a sé stante in
quanto, spesso, della melodia originale viene serbato solo il giro armonico convenzionale come nel BLUES.
La pratica dell’A. iniziò a diffondersi verso il 1920 in seguito all’ampliarsi degli organici jazz e la sua
importanza crebbe notevolmente anche in relazione a famosissimi arrangiatori.47
!
La descrizione non si ferma qui, ma continua occupandosi principalmente e
peculiarmente del jazz, dando indicazioni quali nomi dei principali arrangiatori, sempre
rimanendo rigorosamente entro i confini del genere. Solo in conclusione, improvvisamente
e con sommarie parole racchiuse in appena due righe, si accenna all’ambito della musica
colta: praticamente con un processo inverso rispetto a quanto osservato sulle altre fonti,
Grove e MGG, su cui ci si è soffermati. Similmente la voce stringata della Garzantina
traccia il medesimo percorso, non alterando il punto di vista del DEUMM:
!
arrangiamento termine usato nella musica leggera e nel jazz per indicare il libero adattamento,
per una forma orchestrale, di una canzone, di un motivo popolare o di altra musica. Dalla seconda metà degli

47D.E.U.M.M., Dizionario enciclopedico universale della musica e dei musicisti "Il Lessico", vol.VIII,
UTET, Torino 1986, p. 179

26
anni ’20 l’a. fu sviluppato dalle orchestre jazz, caratterizzandosi come una totale reinvenzione della
composizione originale.48
!
Praticamente, i dizionari italiani cominciano proprio dove quelli di stampo
anglosassone terminano, non approfondendo nemmeno più di tanto la storia del jazz o
soffermandosi di più su quest'aspetto.
Nel Grove e nell’MGG, al contrario, si sono notate ricchezza e precisione delle
notizie, non solo a livello lessicale, ma anche e soprattutto storico. Si pensi poi, che,
facendo un'ulteriore ricerca in internet, è possibile trovare un gruppo di ricerca musicale,
l'Emmy Noether Research Group, che al suo interno vanta dottori di ricerca con lo sguardo
rivolto ad indagare ancora di più l'arrangiamento nella musica colta. È il caso del Dr.
William Lockhart, il cui lavoro Compositional Listening: Musical Arrangement in the 19th
and 20th Centuries49 ben procede in questa direzione.
Per cercare, invece, di dare maggiore profondità al discorso e dare maggiori
informazioni rispetto a quelle trovate nel DEUMM e nella Garzantina, si è cercato di
tracciare dei cenni storici della pratica del jazz e dell'arrangiamento in Italia nel capitolo
che segue.


48 AA.VV., Enciclopedia Garzanti della Musica, Garzanti Editore, Milano 1996, p. 38


49 È possibile consultare notizie sul progetto e sul Centro di Ricerca al link: http://history-of-
listening.com/research-projects/compositional-listening-musical-arrangement-in-the-19th-
and-20th-centuries/

27
NASCITA DELL'ARRANGIAMENTO IN ITALIA:

DAGLI HEAD ARRANGEMENTS ALLE ORCHESTRE
ANGELINI E BARZIZZA
!
!
2.1 L'arrangiamento nel jazz: tre tipologie
!
!
La storia dell'arrangiamento trovò linfa vitale, come si è già detto, con Gershwin
e, quindi, nel jazz. Oltre alle caratteristiche di novità portate dal genere, grandi suoi
interpreti mutuarono una pratica innovativa dal suo interno, di cui portavoce può essere
considerato Jelly Roll Morton:
!
«Se Gottschalk è nel suo secolo il più delicato interprete dell'America Tropicale e Stephen Forster,
nel suo tono dimesso, incanta l'America contadina, il creolo Jelly Roll Morton (1885-1941) non è da meno:
personaggio dalla vita avventurosa, magniloquente, sempre sopra le righe, pianista, compositore,
arrangiatore, capo orchestra. Certamente Morton non ha inventato il jazz, ma ha contribuito alla sua nascita
come «miglior levatrice».50
!
La citazione appena letta serve come spunto per soffermarsi un momento sulla
figura di Jelly Roll Morton. Non tanto per il suo carattere difficile o per inquadrarne la vita
disordinata, ma più che altro per rimanere un momento sul suo inquadramento come
arrangiatore. Egli infatti non solo fu arrangiatore ma, come frequentemente e spesso
riportato nei libri e, persino nei corsi di storia del jazz che si svolgono in varie istituzioni
accademiche musicali, viene addirittura riconosciuto come «Jelly Roll Morton primo
arrangiatore nella musica jazz».51 Ora, al di là di disquisizioni sulla sua egocentrica
personalità, pare che la qualifica di arrangiatore sia abbastanza comunemente e

50
ARRIGO ARRIGONI, Jazz foto di gruppo: mito storia spettacolo nella società americana, Il Saggiatore,
Milano 2010, p. 37

51http://sju.sienajazz.it/files/2014/03/Storia_del_Jazz_I_anno.pdf

28
diffusamente confermata, condivisa ed accettata, come si può leggere anche in un articolo
recente del bluesman Mario Donatone:
!
Ma Jelly Roll Morton fu tante altre cose, primo compositore e arrangiatore di jazz (...)52
!
Per certo egli sfruttò le capacità di cui nessuno osa dubitare e delle quali era
certamente in possesso, tanto da metterle in pratica, sia come solista, che insieme e a capo
di una formazione che fu la sua propria: la «Red Hot Peppers».53
!
Morton non si limitò a comporre molti pezzi di ragtime ma li orchestrò.54
!
Il giudizio su tali brani non può che essere positivo, tant'è che essi:
!
(...) sono universalmente considerati fra i capolavori del jazz tradizionale, e sono ammirevoli per
l'ingegnosità e l'originalità delle composizioni e degli arrangiamenti (...)55
!
Probabilmente, i grandi meriti della qualità della musica e di questi arrangiamenti
è dovuta alle innovazioni e all'originalità apportate da Morton nel prendere sapientemente
cosa c'era di buono nel blues, ‘cambiando le carte’ nel ragtime, sino a portare entrambi a
ciò che sarà il jazz, in questo modo:
!
(...) il ragtime fu essenzialmente musica scritta, mentre nel jazz l'improvvisazione ebbe un ruolo
preminente e Jelly Roll Morton fu sempre un grande, fantasioso improvvisatore, un inesauribile inventore di
melodie, di variazioni. (...) concepì le sue linee melodiche con una scioltezza, una libertà del tutto
sconosciuta ai compositori di ragtime, ma eliminò dalla sua musica la leziosità, la meccanicità, il freddo
geometrismo che erano caratteristici di tanto ragtime, introducendo nel suo gioco una grande varietà (...).56


52http://www.mariodonatone.com/2012/jelly-roll-morton-uno-studio-universitario-parte-1/

53ARRIGO POLILLO, Jazz. La vicenda e i protagonisti della musica afro-americana, Arnoldo Mondadori
Editore, Milano 1975, p. 322

54 Ivi, p. 66

55 POLILLO, Jazz, cit., p. 322

56 Ivi, p. 321

29
Si è ricorsi ad ulteriori citazioni sulle capacità del pianista nero per porre l'accento
sull'aspetto peculiare dell'improvvisazione. Occorre soffermarcisi per avere una prospettiva
più chiara di come la variazione e l'improvvisazione siano strettamente legate al concetto
di arrangiamento nel jazz, tanto da combaciare.
Lo spiega bene ed approfonditamente Paulo Aragāo, musicista brasiliano di jazz.
Dedicando un saggio alla musica popolare, egli si sofferma sul termine arrangiamento,
prima ripreso dalla definizione generale del New Grove, poi rivelando di aver attinto, per
questa sua spiegazione, al New Grove Dictionary of Jazz. Egli scrive quanto segue:
!
Nel definire la parola arrangiamento, il New Grove of Jazz riporta come prima definizione la
medesima generale, vista precedentemente, nel solo New Grove, cui segue una definizione più ampia del
concetto nell'ambito del jazz: «ogni performance nel jazz, sia improvvisata o completamente rinnovata,
costituisce una forma di arrangiamento, allo stesso modo in cui gli esecutori riarrangiano un materiale di base
disponendolo a nuove variazioni. In questi termini, ogni esecuzione nel jazz prescinde necessariamente
dall'arrangiamento, concepito così in un modo totalmente improvvisato e senza nessun tipo di strutturazione a
priori. 57
!
Prosegue la descrizione fatta da Aragāo, che fa seguire a queste parole un elenco
nello specifico delle pratiche di arrangiamento venutesi a creare nel jazz, non solo ad opera
di Morton, ma di altri protagonisti ricordati per il loro contributo alla pratica del genere e,
soprattutto, a quella dell'arrangiamento. Fra questi si ricordino: Sammy Nestico, John
Nesbitt e Neal Hefti.58
Arrigo Polillo riporta l'importanza di un altro personaggio nel contributo allo
sviluppo dell'arrangiamento nel jazz: Don Redman, musicista, ma soprattutto arrangiatore,
di una delle più celebri e importanti formazioni di jazz, la Fletcher Henderson Orchestra,
che cominciò a calcare spalti e scene nel 1924. Relativamente a quest'orchestra, Polillo

57 PAULO ARAGĀO, Considerações sobre o conceito de arranjo na mùsica popular, in Cadernos de


colóquio,Vol. III n.1, 2000, p. 97 da RILM

58Di origini italo-americane, Sammy Nestico (1924) è nato a Pittsburgh, Pennsylvenia. Conosciuto come
compositore, ma soprattutto come arrangiatore di musica per big bands. Fu arrangiatore nella Count Basie
Orchestra, la US Air Force Band e la US Marine Band. Di John Nesbitt non si hanno informazioni sulla data
di nascita. Le principali notizie a suo riguardo sono fornite nei libri sul jazz di Arrigo Polillo e Gunther
Schuller. Il suo nome è sicuramente ricordato per l'opera di arrangiamento e, dal 1927 in poi di direzione,
della Fletcher Henderson Orchestra. Neal Hefti (1922-2008), fu trombettista, compositore ed arrangiatore per
diverse orchestre prima cubane e poi americane. Si ricorda soprattutto la sua opera, come per Nestico,
all'interno della Count Basie Orchestra.

30
racconta dell'intensa attività di arrangiamento compiuta nel portare avanti e parallelamente
all'opera già cominciata da Jelly Roll Morton, la prassi dell’arrangiamento jazzistico.
Principalmente, in confronto all'attività di Morton e di Redman, nella Fletcher
Henderson si riscontrano tre tipologie di arrangiamento: stock arrangements, one - time
arrangements e, infine, gli head arrangements.59
I primi sono considerati «arrangiamenti standard»60, «estremamente pratici, scritti
in uno stile prettamente convenzionale, elaborati per servire a interessi, scopi e fini
puramente commerciali e di consumo».61
Diverso lo stile degli one - time arrangements, molto più rispecchianti l'etica del
jazz, con un filo di orgoglio mutuato dalla musica colta nel rispettare il motto ‘Paganini
non ripete’. Essi sono così chiamati perché vengono elaborati improvvisando e ‘sul
momento’, come viene ‘alla prima volta’ (one - time) di esecuzione.
Invece, leggermente più articolata la spiegazione degli head arrangements,
sviluppati da Redman, il quale pare:
!
(...) avesse prestato attento orecchio alle incisioni della Creole Jazz Band di King Oliver, che si
serviva già di embrionali arrangiamenti elaborati collettivamente e mandati a memoria: quelli che tuttora si
chiamano head arrangments, o semplicemente heads.62
!
Un altro termine, atto a designare head arrangements, è charts: utilizzato in un
gergo tecnico, specifico per l'ambito delle big bands e tuttora in uso, anche in Italia
nell’attuale didattica del jazz.63
Non importa, però, al momento, fare attenzione a quale termine peculiare fosse
utilizzato. Interessa piuttosto focalizzarsi sul fatto che, nel 1934, la pratica
dell'arrangiamento era divenuta talmente fondamentale da rappresentare la chiave

59 Ibid.

60 POLILLO, Jazz, cit., p. 358

61 ARAGĀO, Consideraçōes, cit., p. 97

62 POLILLO, Jazz, cit., p. 360

63 http://sju.sienajazz.it/files/2014/03/Storia_del_Jazz_I_anno.pdf

31
determinante nel decretare o meno il successo di una big band, specialmente nell'era
inoltrata dello swing.
L'opera di maestri come Paul Whiteman, Glen Gray, Ben Pollack, i
precedentemente citati Fletcher Henderson e Don Redman, che continuarono la loro già
eccellente opera, e, non da ultimo, Duke Ellington, è annoverata dagli storici del jazz
principalmente per l'attenzione data agli arrangiamenti.
Lo ribadisce un altro studioso, Richard Lawn:
!
Questi primi maestri coltivarono l'arrangiamento nel jazz tramite le big bands, proseguendo gli
insegnamenti, le acquisizioni, le basi gettate da Jelly Roll Morton e da quegli arrangiatori che godevano della
presenza di bandleaders di stampo sinfonico o orchestrale come Paul Whiteman.64
!
Infine, è Gunther Schuller, autore di un altro manuale internazionalmente
considerato fra i più autorevoli inerenti al genere d'Oltreoceano, a ribadire quanto appena
detto, ponendo l'accento, ancora una volta, sull'importanza dell'arrangiamento e delle sue
articolazioni, oramai consolidate nella fase del pieno sviluppo del genere:
!
È difficile studiare charts, one-time e head arrangements spassionatamente: piuttosto interessanti
in sé essi erano il genere di composizione e arrangiamento che offriva una formula di sicuro effetto ad altri
arrangiatori meno dotati.65
!
La formula di arrangiamento «di sicuro effetto» nel jazz di cui parla Schuller e,
sempre secondo il medesimo, «una pratica decisamente “bianca”»66, mescolata con gli
elementi che erano stati tipici della cultura africana (poliritmia, sincopazione,
improvvisazione), giunse e fu importata in Italia, assumendo tratti, forme e caratteristiche
tutte sue, con protagonisti d'eccezione.


64 RICHARD J. LAWN, Experiencing Jazz, McGraw-Hill Higher Education, Routledge, Oxford 2013, p. 127

65GUNTHER SCHULLER, Il jazz. Il periodo classico. Gli Anni Venti., EDT, Torino 1996, p. 96

66ID., Il jazz. Il periodo classico. Le origini., EDT, Torino 1996, p. 53. Schuller riassume il tutto in una frase
emblematica che rappresenta la summa di tutto il percorso e, dell'arrangiamento (dandone una provenienza
“bianca”), e del jazz.

32
2.2 L'arrangiamento nel jazz in Italia: dallo sbarco degli Americani in Europa alle
orchestre Barzizza e Angelini
!
!
I primi musicisti neri di jazz provenienti da New Orleans approdarono in Europa,
in Paesi quali Inghilterra e Francia «per ovvie affinità linguistiche».67
In Italia giunsero con almeno dieci anni di ritardo.
Questo perché, purtroppo, il Bel Paese ebbe le sfortuna di non essere fra le mete
prescelte di quei numerosi musicisti itineranti che, con i loro spettacoli e le loro tournées,
fatte di medicine e minstrel shows68, andavano costituendo la strada per la musica
americana, spostandosi da New Orleans, nel passaggio fra un secolo e l’altro.
Nei primi decenni del Novecento, fra i primi artisti attivi, pare ci fosse un certo
Joe Jordan, musicista che suonava con la sua orchestra: la King and Bailey's Chocolate
Drops,69 fra le prime ad essere presenti su suolo non americano; prima tappa del loro ‘giro
musicale’ fu Marsiglia.70 In una di queste performances, uno dei tanti neri presenti in
Francia, tale Jean Cordomi, rimase folgorato dalla presenza scenica e gli spettacoli di
musica di Jordan, assimilando fedelmente nei suoi spettacoli elementi tratti dalle esibizioni
di Jordan. Si riporta, a proposito di tale assimilazione, una notizia che racconta di uno degli
spettacoli tenuti da Cordomi in Francia, precisamente in un paesino a Sud di essa, Arles-
sur-Tech:
!
Fu il 10 Dicembre 1910, che Jean Cordomi, in occasione della fiera del villaggio, ebbe modo di
inaugurare quella bizzarra orchestra che seppe attirare tutti i ballerini e travolgerli nel vortice di una musica
strana ed eccitante in cui si ritrovarono tutti gli accessori che sottolineano il ritmo: dita che picchiettano su
vassoi e casseruole, nacchere, clacson d'automobile, con il piano meccanico che forniva il fondo sonoro. In

67ADRIANO MAZZOLETTI, Il Jazz in Italia. Dalle origini al dopoguerra, Edizioni Laterza, Bari 1983, p. 1

68 Con medicine show si intende una forma di spettacolo itinerante che prevedeva dei carretti ambulanti
predisposti alla vendita di finti medicinali (alcolici), da questo medicine. Con la scusa di attirare passanti e
vendere le miracolose sostanze, si facevano esibire cantanti e musicisti di colore. Analoghi i minstrel shows,
spettacoli che prevedevano musica, ballo e comicità. Artisti bianchi si dipingevano la faccia di nero per
prendersi gioco dei neri.

69 Ibid.

70 Ivi, p. 8

33
effetti era nato il jazz [sic.]. E non doveva cessare di manifestarsi, tanto che negli anni successivi molti
perpignanesi o di altri villaggi del dipartimento non esitavano ad andare a ballare a Arles-sur-Tech. E quando
dopo la grande guerra questa musica si diffuse attraverso l'America non stupì per niente i cittadini del
Roussillon che la conoscevano già da ben nove anni.71
!
Tutto ciò ebbe non solo il pregio di attirare l'attenzione della stampa, ma rimase
emblema della volontà di metabolizzare, proseguire e perpetrare quanto si vedeva in quegli
spettacoli, che, guarda caso, trovarono un primo terreno fertile, prima nel Sud della Francia
e subito dopo nella sua capitale.
Dopo l'evento, i dieci anni che seguirono furono caratterizzati dall'avvenuta
moltiplicazione di questi fenomeni e di una loro invasione in tutta Europa.
Centro primario di propulsione divenne e rimase a lungo tempo Parigi, dove pare
che i Joe Jordan e i Jean Cordomi della situazione facessero a gara per trovare ingaggi in
qualche locale della capitale francese, o che comunque, nelle proprie tournées
prevedessero, partendo dagli Stati Uniti, di fare spola in ogni modo col territorio francese.
A questo punto, si creò una fitta rete di musicisti, i quali continuamente andavano
e tornavano dall'America e dalla Francia, formando le proprie orchestre. La lotta per
garantirsi il primato di suonare in un determinato café o sala di intrattenimento di Parigi
era aspra. Due locali in particolare furono i bersagli prediletti, i più ambiti per suonare nel
primigenio scenario jazz parigino: le Folies Bergères e il Casino de Paris.72 Tali ambienti
godevano di ottima reputazione in materia di intrattenimento serale e notturno per merito
di una già da tempo consolidata, organizzata forma di spettacolo e di intrattenimento.
Questa formula vincente era garantita e assicurata, solitamente, da una o più figure in
grado di coordinare tutte le attività: gli impresari, reclutatori, persone con il ‘fiuto’ per il
giusto ingaggio, l'offerta, l'ultima attrazione del momento (musicista o orchestra che fosse),
da far esibire nel proprio locale per attirare il maggior numero di pubblico possibile. Fra
queste personalità viene ricordato uno su tutti, tale Albert de Courville, «l'impresario più
importante del momento». 73

71 Ibid.

72 MAZZOLETTI, Il jazz in Italia, cit., p. 10

73 Ivi, p. 27

34
Con questi presupposti, il jazz si propagava come l'effetto di un'esplosione in
buona parte dell'Europa: i musicisti del nuovo genere che invasero il continente
continuarono ad affluire fino allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, toccando non solo
Gran Bretagna, ma percorrendo Germania, Austria - Ungheria, sino ad arrivare in Russia.74
La volontà di assimilazione di quella musica, però, ebbe una storia diversa nei
vari paesi europei: in Italia, ad esempio, tardarono ad essere importati i meccanismi, le
caratteristiche, le modalità di esecuzione delle jazz bands, unitamente al nascere ed
emergere di prime orchestre e, soprattutto, di prime importanti figure di arrangiatori.
L'Italia fu visitata dai primi musicisti neri tra il 1904 e il 1907: date corrispondenti
alle prime esibizioni di ballerini, artisti e cantanti di cake walk.75 Fra questi, una coppia in
particolare di creoli che aveva spopolato l'Europa: si facevano chiamare Louisiana Troupe
e ancor prima erano stati presentati a Berlino come i «creatori del cake walk»76. Furono i
primi ad esibirsi, toccando ovviamente uno dei principali centri italiani, esibendosi quindi a
Milano, al Teatro Eden, nel 1904.77 Pare che questo sia stato il primo contatto della
giovane musica afroamericana con l’Italia.
Il novembre del 1907 vide un altro duo affiancarsi sugli spalti italiani, Hampton
and Bradford, marito e moglie rispettivamente, affermati precedentemente altrove, tanto da
aver già inciso, al loro arrivo in Italia, delle prime registrazioni per alcune case
discografiche quali Edison Bell, Gramophon, Pathé e Odeon.78 Oltre a questa serie di
«duettisti negri americani»79, altre figure influenti del momento (tra artisti girovaghi,

74 Ibid.

75 GUNTHER SCHULLER, Early Jazz. Its roots and musical development., Oxford University Press,
Oxford 1968, p. 15. Viene chiarito in cosa consista il cake walk, vale a dire una danza proveniente dalla
cultura dei neri, praticata, già sul finire dell'Ottocento, nei campi di cotone. Il nome di cake walk pare fosse
sorto in seguito all'esposizione di Philadelphia del 1876, in cui, alla coppia vincitrice che si esibì nel ballo, fu
data in premio una torta. Caratteristiche della danza erano quelle che poi diverranno predominanti nel jazz:
poliritmia e sincopi inserite in ritmi regolari.

76 MAZZOLETTI, Il jazz in Italia, cit., p. 10

77 Ibid.

78 Ivi, pp. 1-2

79 MAZZOLETTI, Il jazz in Italia, p. 2

35
formazioni grandi e ristrette di musicisti e non) varcarono la soglia delle Alpi arrivando in
territorio nostrano.
Si ricordano cantanti come Arabella Fields e i Four Black Diamonds: «l'ultimo
gruppo esibitosi in Italia prima dello scoppio della guerra».80 Il conflitto, poi, rallentò
sensibilmente i contatti con il jazz sul nostro territorio.
Nonostante questo però, l'avvicinamento al nuovo genere fu possibile grazie alla
presenza di italiani a New Orleans, in mezzo a tanto pot-pourri di nazionalità, razze e pelli
differenti che popolavano gli Stati Uniti. Ve ne erano molti:
!
Numerosi musicisti nati in Italia o figli di italiani portavano un contributo decisivo alla nascita di
una nuova musica che di lì a poco avrebbe rivoluzionato l'arte dei suoni.81
!
Questi rappresentarono un'alta percentuale di quei musicisti che suonavano in
America, e tornavano, anche, in Europa.
Tra i tanti ci soffermiamo qui su uno in particolare, poiché responsabile, assieme
ad un soldato americano, alla fine della Grande Guerra, dell'apparire e configurarsi del jazz
in Italia. Questi era Giuseppe Alessandra, che, come molti musicisti suoi conterranei e
trapiantati in America, subiva la sorte della mutazione del nome nella forma più
‘inglesizzata’ di Joe Alexander, e «può essere riconosciuto oggi come il decano dei
musicisti “jazz” in Italia».82
A parte il caso di Alexander, comunque, la maggioranza degli italiani conosceva e
praticava poco la musica che stava diventando predominante oltreoceano.
Inoltre, il panorama attivo nell'immediato primo Dopoguerra si presentava ancora
con:
!
(...) tabarin alla moda, locali illustri ancora legati al grande passato del café chantant.83


80 Ibid.

81 MAZZOLETTI, Il jazz in Italia, cit., p. 3

82 Ibid.

83 MAZZOLETTI, Il jazz in Italia, cit., p. 15

36
Perciò, a parte qualche sporadica ulteriore apparizione di generici artisti e ballerini
che portavano le nuove danze americane, con tutto il ritmo del ragtime e fox - trot:
!
Ci volle la guerra perché la nuova musica americana riuscisse finalmente a valicare in massa
quelle Alpi che erano state fino ad allora una barriera quasi insormontabile. (...) [i soldati che vi giunsero]
indossavano uniformi color senape; molti di loro, nello zaino, avevano trombe, tromboni e qualche banjo. Il
loro capo era un generale: il suo nome non era Annibale Barca ma, più modestamente, John Jospeh Pershing.
Comandante delle forze di spedizione in Europa, (...) a fianco dell'Intesa (...) e fu il primo americano a
portare la nuova musica in Italia, così come Alessandra fu, senza rendersene conto, il primo italiano a suonare
la nuova musica in America. (...) Nella sua lunga vita, Pershing non capì di essere stato un personaggio
chiave nella storia del jazz.84
!
Ecco come e quando arrivò il jazz in Italia. Si parla di date che oscillano
presumibilmente tra il 1917 e il 1918. Non passò un eccessivo lasso di tempo da
quell'avvenimento per assistere ai primi segnali di ricezione al riguardo.
A Roma, un ragazzino di appena tredici anni, Vittorio Spina, rimase ‘stregato’
all'ascolto della nuova musica americana, tanto da voler cominciare a suonare con
un'orchestra di americani, composta principalmente da militari.85 Spina fece parte di quella
serie di nominativi importanti che nella storia del jazz italiano possono essere additati
come i «pionieri».
Da questo primo connubio di figure italiane e allo stesso tempo straniere, che
collaboravano nelle orchestre militari, si poté presto riscontrare un diffondersi, un
crescendo di maturazione e sviluppo di questa musica in Italia, tanto da vedere la nascita
anche delle prime orchestre nostrane al riguardo.
Non fu un caso, se l'evoluzione del jazz in Italia seguì inizialmente la strada delle
grandi città (Spina era romano): i primi centri ad essere toccati in effetti furono, oltre alla
capitale, anche Milano (quasi contemporaneamente a Roma), seguita leggermente più tardi
da Firenze, Genova e Torino.

84 MAZZOLETTI, Il jazz in Italia. Dalle Origini alle grandi orchestre., cit., p. 11

85 Ivi, p. 12

37
Sicuramente l'impatto notevole colpì immediatamente uno dei maggiori
compositori, pianisti, critici e studiosi di musica dell’epoca, Alfredo Casella, il quale
commentò l'arrivo del nuovo genere così:
!
Fra tutte le impressioni sonore che un musicista può aver provato negli Stati Uniti, quella che
domina ogni altra per la sua forma di originalità, la sua forza di novità e anche di modernismo, la sua enorme
dotazione infine di dinamismo e di energia propulsiva, è senza dubbio la musica negra, detta jazz.86
!
Grande l'influenza e ancor più attiva la nuova realtà musicale a Milano, che
godeva di una maggiore vivacità rispetto alla capitale. Non solo si potevano ascoltare
orchestre jazz vere e proprie che giungevano dall'estero come la famosa Frisco's Jazz
Band, ma:
!
Ben presto, a Milano il pubblico poté ascoltare qualche buona formazione che aveva in repertorio
alcuni fox trot. La più celebre e la migliore fu l'Orchestra stabile del Trianon.87
!
Non solo, ma oltre a questo, si iniziarono ad ampliare i locali adibiti ad ospitare
tali formazioni che suonavano per allietare il pubblico, non solo con il fox trot, ma anche
con il jazz, considerata anch'essa musica da ballo all'epoca. Ben presto cominciarono a
sorgere anche personaggi equivalenti al francese De Courville (citato qualche pagina
prima), ad organizzare le serate nelle suddette sale da ballo, café e luoghi analoghi.
Il più attivo e principale responsabile di un cambiamento e avviamento in questo
senso fu Arturo Agazzi, noto, in ambito artistico, come Mirador.88 Primo impresario di
orchestre jazz e musica leggera, Mirador costituì i primi complessi, con la capacità di
individuare i migliori musicisti sul mercato, riprendendo, nella costituzione delle orchestre,
lo stile inaugurato dagli americani, e alimentando così, il circuito di intrattenimento che il
jazz, assieme a ragtime e fox trot, aveva creato non appena approdato in Italia.
Sicuramente, un incentivo notevole a promulgare il genere nato a New Orleans, lo
diede la nascita della radio.

86 ALFREDO CASELLA, in MAZZOLETTI, Il jazz in Italia., cit., p. 61

87 MAZZOLETTI, Il jazz in Italia, cit., p. 23

88 Ivi, p. 24

38
Avvenne a Roma nel 1922 circa, quando la prima emittente radiofonica, la Radio
Araldo, divulgava le note dei primi motivi jazz. A dare man forte intervennero allora anche
le orchestre attive nei locali d’intrattenimento, le quali iniziarono a suonare alla radio.
Alcune si composero appositamente per tale esigenza. I primi, ad esempio, a suonare nella
neonata emittente radiofonica romana «furono gli Young Men Jazz».89
Con il medesimo meccanismo illustrato per Roma e Milano si moltiplicarono
sensibilmente anche i luoghi in cui si provava e faceva musica per e durante le serate;
oltretutto si assistette a una continua nascita di nuovi complessi di big e jazz band. Si
ampliarono le formazioni orchestrali già consolidate, le quali subirono mutamenti nel corso
del tempo, con il ricambio costante di musicisti. Gli altri centri immediatamente colpiti
dall'epidemia jazz furono, come si è già detto, Firenze e Genova. In particolare, per ciò che
concerne il capoluogo ligure, interessa rilevare l'attività di un impresario, curatore di
eventi, concerti e performances di jazz e big bands nelle sale da ballo e nei locali genovesi,
che determinò le sorti del jazz a venire. Armando di Piramo:
!
Fu un grande organizzatore di orchestre e complessi, che poi piazzava nei locali di cui curava
l'organizzazione.90
!
Praticamente di Piramo svolse lo stesso ruolo del già citato Mirador.
Uno dei pregi che sicuramente ebbe fu quello di scoprire nuovi talenti e, pare che
in questo, «fosse dotato di gran fiuto».91 Fra i tanti pupilli e i risultati di questa attività da
primitivo talent scout di di Piramo, vi era un giovane di vent'anni che suonava il violino.
Era Pippo Barzizza. Dopo essere stato ‘scovato’ da Armando di Piramo, fu
chiamato da lui per suonare a Milano con varie orchestre «dirette ed organizzate dal
medesimo».92 Suonò con orchestre semi classiche e da ballo, queste ultime in particolare,
si esibivano anche nel nuovo genere.

89 MAZZOLETTI, Il jazz in Italia. Dalle origini alle grandi orchestre., cit., p. 65

90 Ivi, p. 87

91 Ibid.

92 MAZZOLETTI, Il jazz in. Italia, cit., p. 193

39
Barzizza rappresenta sicuramente una figura chiave in questa storia e in questo
discorso, principalmente perché, oltre alla sua intensa attività di musicista jazz di qualità:
!
La professione dell'arrangiatore in Italia non esisteva proprio, prima della sua irruzione sulla scena
nazionale.93
!
È stato il primo, inoltre, di cui si ha testimonianza grazie ad Adriano Mazzoletti,
ad illustrare come si potesse diventare arrangiatore:
!
Debbo dire che ero andato a Milano con la segreta speranza di entrare alla Scala come copista,
perché fino allora avevo suonato musica classica, ma quel 12 aprile 1924, poteva essere circa mezzanotte, fu
decisivo per la mia vita. La musica americana e il jazz divennero la mia grande passione. Accettai allora
l'ingaggio di Armando e contemporaneamente divoravo quei dischi cercando di decifrarli. Fu così che iniziai,
completamente solo, grazie al bagaglio musicale che avevo, a scrivere arrangiamenti.94
!
Nel suo caso si iniziava ad arrangiare per caso, per caso ci si trovava in questo
ruolo, che però fu intrapreso, per quanto lo riguarda, con grande trasporto. Una passione
che lo portò a concepire da subito l'arrangiamento come atto «creativo», concetto ben
distinto da quello «pratico».95
Per questa sua prospettiva, mantenuta in tutto il suo operato, Barzizza rappresentò,
non solo la parte pionieristica del jazz, ma quindi, soprattutto, quella dell'arrangiamento in
terra nostrana. Arrangiamento la cui qualità e completezza venivano proprio da quel
«bagaglio musicale» fatto di cultura accademica e di jazz americano: dall'ascolto di grandi
arrangiatori come il violinista Ferde Grofé (cfr. cap.1, p. 19) e di head, one time e stock
arrangements, messi in pratica e suonati dalla celebri orchestre, come la Paul Whiteman.
La sua persona artistica e la creatività che sottostettero a tutto il suo lavoro furono
esaltate prima di tutti dalla radio italiana, in particolare dalla prima emittente radiofonica

93Intervista a Renzo Barzizza, che riporta una dichiarazione nei riguardi del padre, pronunciata da più
musicisti e studiosi, fra cui Adriano Mazzoletti.

94 Ivi, p. 194

95 La distinzione fra arrangiamento pratico e arrangiamento creativo è tracciata sia nel New Grove, che nel
saggio di Paulo Aragāo. Si definisce arrangiamento «creativo» quello in cui la composizione originale è
“filtrata attraverso l'immaginazione musicale dell'arrangiatore”; al contrario si definisce arrangiamento
«pratico» quello che prevede “poco o nessun coinvolgimento artistico da parte dell'arrangiatore”.

40
nazionale, antesignana di quella che sarà la RAI, appena successiva della primissima Radio
Araldo a Roma.
Con sede amministrativa a Roma, ma trasmissioni da Torino, l'EIAR fu l'emittente
e il mezzo più influente negli anni a seguire. Il direttivo decise da subito che essa si
sarebbe occupata principalmente di quattro settori: arte, cultura, teatro e, ovviamente,
musica.96 Per quest'ultimo scopo, in particolare, vennero costituite e preconfezionate
appositamente delle orchestre e formazioni di varia grandezza comprendenti anche le
cosiddette ‘orchestrine’.
Tra le più influenti sicuramente emerse la Cetra. Questa però, pare non ‘ingranò’
particolarmente all'interno della Radio, sino a quando non vi giunse, finito il suo
praticantato e le sue esperienze, l'ormai formato Barzizza.
Egli comunque non fu certamente l'unico a prestare servizio all'interno dell’EIAR.
Celebre, accanto all'arrangiatore genovese, divenne il nome di Cinico Angelini,
pioniere del jazz a Torino e di cui si vedrà, più tardi, nello specifico, qualche accenno alla
biografia.
Sebbene fosse musicista modesto rispetto a Barzizza, l'attività di Angelini non
passò comunque inosservata per il suo stile melodico di arrangiare, che ben si
contrapponeva a quello jazz del direttore genovese. È ricordata, a tal proposito, la
leggendaria ‘rivalità’ tra i due, unitamente alla copiosa, lunga attività di direzione e
arrangiamento e la concomitanza delle due orchestre che portarono i loro cognomi,
principali protagoniste di questo scenario musicale giocato soprattutto all'interno della
radio. Assieme alla loro, va annoverata l'opera di altri grandi musicisti arrangiatori che
seguirono la loro strada, fra questi: Tito Petralia, Beppe Mojetta, Carlo Zeme, Gorni
Kramer, Francesco Ferrari.
Barzizza però si pone fra questi come protagonista indiscusso per almeno due
motivazioni. Oltre alla pratica svolta, si impegnò attivamente anche nell'attività teorica,
contribuendo al costituirsi e consolidarsi di una determinata forma mentis al riguardo. Si
preoccupò di quest'aspetto prestando notevole attenzione alla formazione dell'arrangiatore,
tramite la stesura e redazione di un manuale che è rimasto ancor'oggi un punto di

96 Ibid.

41
riferimento dell'argomento, «L'orchestrazione moderna nella musica leggera. L'ABC
dell’arrangiatore.
La sua capacità di distinguersi, inoltre, si è misurata e vista proprio in quella
creatività che seppe mettere persino in arrangiamenti pensati «per soli fini commerciali»,97
ove la causa artistica spesso e volentieri poteva venir meno, quindi sacrificata.


97 PIPPO BARZIZZA, Arrangiamenti commerciali in «Musica e Jazz», a.1 n. 6, 5 Novembre 1945, p. 7.


Pippo Barzizza ribadisce fermamente il concetto a parole in questo articolo: trattando il «problema» degli
arrangiamenti cosiddetti «commerciali», spiega che anche quando ci si occupa di questi: «non si tratta di una
questione pratica, quanto di una questione artistica».

42
Foto di arrangiatori storici italiani


! !

! !
Pippo Barzizza Cinico Angelini
! !

! !
Beppe Mojetta Carlo Zeme

!

!
Francesco Ferrari

!
43
L'ARRANGIAMENTO PER ORCHESTRA NELLA MUSICA
LEGGERA ITALIANA: L'ESEMPIO DI PIPPO BARZIZZA
!
!
ARRANGIARE impegna a fondo le qualità creative del musicista, cioè quelle che normalmente
sono considerate proprie del Compositore: fantasia, invenzione, capacità di sviluppo di qualsiasi particolare,
e soprattutto uno stile personale.98
!
L'opera di arrangiamento per orchestra di Pippo Barzizza si è sicuramente distinta
rispetto a quella dei colleghi, prima di tutto sotto il profilo della quantità. Fu l'unico che nel
1958 era arrivato a scrivere ben 128 arrangiamenti.99
Un suo estimatore, l'arrangiatore Freddy Colt, gli ha dedicato un articolo
sostenendo che, in base a questo aspetto prolifico e alla qualità dei suoi arrangiamenti,
senza troppo esagerare, il Maestro Barzizza può essere considerato il primo arrangiatore in
assoluto in Italia.100. L’interesse della sua produzione vuole essere qui dimostrata grazie a
tre canzoni, di cui si riportano le rispettive partiture, messe gentilmente a disposizione
dall’Archivio Musica della RAI di Torino e prese come esempio per mostrare tre diversi
aspetti che si ritrovano all'interno della sua opera:
!
1) La capacità dell'arrangiatore nel comporre una canzone, arrangiarla e
riarrangiarla più volte;
2) Il confronto del proprio lavoro con quello di un arrangiatore coevo;
3) L'abilità nell'arrangiare una canzone straniera per adattarla al contesto italiano.
!

98PIPPO BARZIZZA, L'orchestrazione moderna nella musica leggera. L'ABC dell'arrangiatore, Curci
Editore, Milano 1952, p. 65

99 www.wikipedia.com/pippobarzizza

100 Il contenuto di questo articolo è state fornito al telefono dallo stesso autore, Freddy Colt, nome d'arte di
Fabio Alfredo La Cola, arrangiatore, musicista e studioso. Il titolo dell'articolo è Pippo Barzizza primo
arrangiatore. L'unica copia è proprietà del Conservatorio di Genova.

44
Aggiungiamo che il suo lavoro ha rappresentato il modello principale di
arrangiamento tra gli anni '40 e la fine degli anni '50, e che ha avuto il potere di
condizionare i gusti del pubblico radiofonico, attirare l'attenzione sulla pratica
dell'arrangiamento e influenzare il modo di arrangiare di generazioni successive.
Si è cercato di indagare tutto questo tracciando un percorso che per ogni capitolo
ha previsto quattro elementi al suo interno:
!
1) Cenni biografici connessi al periodo in cui la canzone è nata;
2) Notizie sulla canzone in esame;
3) Spartito orchestrale dell'arrangiamento della canzone;
4) Analisi armonica e formale della partitura orchestrale.


45
3.1 Pippo Barzizza
!
!
Giuseppe, detto Pippo, Barzizza nacque a Genova il 15 Maggio 1902 da Luigi
Barzizza e Fortunata Battaglieri.101
Fu lo zio Giovanni Lorenzo ad accorgersi per primo delle sue doti e ad introdurlo
nel mondo della musica, facendolo iscrivere a sei anni, in concorrenza didattica con il
Regio Conservatorio, all'Istituto Musicale Camillo Sivori per studiare il violino.102 Sempre
lo zio lo seguì nella sua formazione tanto da indottrinarlo sul programma di Conservatorio
di solfeggio in tre mesi, anziché nei due anni previsti, ottenendo sbalorditivi risultati e
riscontri positivi dal nipote. L'apprendimento musicale rapido, unito alla predisposizione
naturale di Barzizza, segnarono l'inizio di un'ascesa ed un'evoluzione musicale continue.
Oltre a presentarsi al conservatorio e superarne brillantemente l'esame di ammissione egli
«non sapeva ancora leggere ma era in grado di trascrivere ogni singola nota di una musica
di Mozart senza commettere errori».103
Seguì un regolare percorso scolastico frequentando elementari e medie, per poi
iscriversi al liceo Cristoforo Colombo, dove maturò in lui la passione per la matematica.
Contemporaneamente proseguì lo studio del violino sotto la direzione del Maestro
Biasoli che lo incoraggiò ad approfondire il discorso musicale oltre la semplice pratica e
studio dello strumento, spingendolo a studiare armonia, contrappunto, strumentazione e
composizione. La sua educazione musicale venne affinata ulteriormente dall'ascolto dei
rulli di cera del padre, grande appassionato di musica, e dallo zio, che lo portava con sé al
Teatro Carlo Felice di Genova. Così consolidò ulteriormente la sua conoscenza della
musica classica, ma soprattutto operistica. Il figlio dice di lui che, ad esempio:

101 Le notizie biografiche qui riportate sono consultabili al sito: http://fatti-su.it/


pippo_barzizza#Collegamenti_esterni, oppure alla voce di wikipedia: www.wikipedia.com/pippobarzizza.
Entrambi risultano attendibili poiché curate interamente e personalmente dal figlio di Pippo Barzizza, Renzo
Barzizza. Per altre ed ulteriori informazioni sulla biografia, sempre attendibili ed assicurate dallo stesso
Renzo Barzizza, intervistato telefonicamente, è stata riportata la nota a piè di pagina.

102 Ibid.

103Ibid.

46
Non conosceva solo un'opera di Puccini, ma le conosceva tutte e a memoria.104
!
Data anche la passione per la matematica emersa al liceo, pensò di iscriversi ad
Ingegneria all'Università. L'idea però morì precocemente per lasciare definitivamente
spazio alla sola musica con cui riscontrò il legame più profondo, tanto da decidere, con un
taglio netto, di dedicarcisi completamente, all'età di diciassette anni. Momento di svolta e
inizio di una carriera lunga e soddisfacente. A quell'età imparò a suonare il primo
strumento da autodidatta: il pianoforte.105 Seguì l'apprendimento di altri strumenti, tra cui
il banjo, la fisarmonica e tutta la sezione dei sax, situazione da polistrumentista che rimase
invariata almeno fino al 1933. 106
Visto il talento, fu continuamente e costantemente chiamato a suonare a scuola, in
conservatorio e al Politeama di Genova. Qui ricoprì la carica di ultimo dei secondi
violini.107 Nello stesso periodo «era in grado di commentare i film muti al pianoforte,
improvvisando».108
Un'altra svolta nella sua carriera di piccolo ma già maturo musicista avvenne con
l'ascolto di un concerto del violinista Yehudi Menuhin, dal quale rimase folgorato. Bastò
questo incontro a fargli decidere di interrompere gli studi di violino al conservatorio e a
maturare l'idea di seguire una strada tutta sua, autonoma e indipendente. L'aspirazione a
questo scopo divenne tale da voler diventare direttore d'orchestra e compositore. Cominciò
da lì un percorso che lo portò, tra i diciassette e i vent'anni, a ‘prendere il largo’ (in tutti i
sensi) ed imbarcarsi come orchestrale sulle navi di linea, «alternando questa attività a
quella svolta con le orchestre genovesi».109 Nelle peregrinazioni in barca attraversò il
Mediterraneo e l'Atlantico, più volte. Ma, fra le varie traversate, lo sbarco a New York

104 Intervista al telefono con Renzo Barzizza

105 http://fatti-su.it/pippo_barzizza#Collegamenti_esterni

106 Ibid.

107 Intervista al telefono con Renzo Barzizza

108 http://fatti-su.it/pippo_barzizza#Collegamenti_esterni

109 Ibid.

47
rappresentò il momento più decisivo ed importante fra tutti: tappa dell'«entusiasmante
incontro con lo swing ed il jazz americano».110
Il racconto fatto dal figlio Renzo, a seguito della scoperta della nuova musica
americana, prosegue così:
!
Fu anche un periodo di studio tenace della discografia d’oltre atlantico. Pippo copiò, “con
infallibile precisione” dischi su dischi, sezione per sezione, e così perfezionò sul campo il suo talento di
grande arrangiatore.111
!
Gli anni Venti furono decisivi, dunque, per il giovane Barzizza. Specialmente il
periodo che intercorse tra il 1922 e il 1924.112
Fu nel 1922, a vent'anni, che Armando di Piramo lo scoprì e lo ingaggiò per farlo
suonare con le sue orchestre da ballo, all'Olimpia e al De Ferrari di Genova.113 Attraverso
l'esperienza di ‘rodaggio’ all'interno di questi locali e formazioni, dalle semi classiche a
quelle da ballo, Barzizza si impratichì nel suonare gli strumenti di cui era già capace,
giungendo all'apprendimento di nove strumenti.114 Intanto, nel 1923, svolse il regolare
servizio militare previsto per tutti i ragazzi della sua età e, anche li, ancora una volta, lasciò
il segno: un colonnello gli diede il compito di formare e curare una banda musicale
militare, dai notevoli risultati, anch'essa.115 Portato a compimento il periodo militare, si
dedicò completamente all'attività con le orchestre di Di Piramo, concentrandosi a suonare
in locali fissi. Tra questi rimase storico il Cova, in cui militarono musicisti ed orchestre
come i Riviera Five dei fratelli Phillips. Padrone della materia che trattava, insegnò i
rudimenti dell'arrangiamento a uno dei fratelli Phillips, Sid, mentre questi gli insegnò, dalla
sua, a suonare il sassofono.

110Ibid.

111 Intervista telefonica con Renzo Barzizza

112 Cfr. Cap. II, p. 67

113http://fatti-su.it/pippo_barzizza#Collegamenti_esterni

114MAZZOLETTI, Il jazz in Italia, p. 194

115 http://fatti-su.it/pippo_barzizza#Collegamenti_esterni

48
L'anno 1925 lasciò un segno indelebile nella sua carriera per due motivi: iniziò la
sua attività di autore, e «realizzò finalmente il suo sogno: immaginò la sua prima
formazione raccogliendo attorno a sé musicisti in grado di suonare “almeno” tre strumenti
e capaci di leggere a prima vista qualunque spartito».116 Nacque la prima orchestra formata
e diretta dal Maestro Barzizza, la Blue Star, che, tanto per ricordare le esperienze di
navigazione fatte in precedenza, «prese il nome da una società di navigazione».117
L'organico, composto inizialmente da sette elementi, debuttò per la prima volta l'8 Luglio
1925 al Sempioncino di Milano, si esibì poi in locali come il Cova e l'Olimpia, per poi
conoscere il lancio all'estero, attraverso numerose tournées tra Francia e Svizzera, grazie
all'opera dell'agente Eugenio Pugliatti, noto come “Eugeny”, personalità conosciuta «in
tutta Europa».118 La Blue Star quindi si esibì tra Cannes, Parigi, Saint Moritz, per spingersi,
infine, a Costantinopoli, luogo in cui si sarebbe conclusa questa prima fase di
performances estere dell'orchestra. Al ritorno, Pippo Barzizza, ebbe modo di suonare anche
nella sua città, dove venne particolarmente accolto ed acclamato dal pubblico e dai colleghi
musicisti genovesi. Suonò anche all'inaugurazione del Casinò di Sanremo nel 1928, dove
conobbe Tatina Salesi; dopo un anno sarebbe divenuta sua moglie. Dal fortunato connubio
nacquero due figli, Isa, attrice di teatro e di film, e Renzo, montatore, produttore
pubblicitario, regista.
Nel 1931 iniziò l'intensa attività discografica «e si affermò come arrangiatore di
grande talento».119 Oltre alle numerose incisioni per etichette come la Fonit, Columbia, La
Voce del Padrone, Odeon, Brunswick e Fonotipia, nel 1935 Barzizza ricevé la proposta
dall’EIAR di dirigere l’Orchestra Cetra. Dopo una prima titubanza, data da un basso
compenso offerto, e il consiglio con un amico, egli accettò l'incarico firmando un contratto,
e nel 1935 si trasferì con tutta la famiglia a Torino. Nel capoluogo piemontese:
!
116 http://it.m.wikipedia.org/wiki/Pippo_Barzizza

117 Intervista al telefono con Renzo Barzizza

118http://fatti-su.it/pippo_barzizza#Collegamenti_esterni

119 Ibid.

49
Iniziò la sua più bella stagione di direttore d'orchestra, arrangiatore e compositore e prese il via
una carriera che lo portò in breve tempo ad una grandissima popolarità.120
!
Inizialmente però, le condizioni in cui imperversava la Cetra non erano delle
migliori e, come dice lo stesso Maestro, con parole riportate da Adriano Mazzoletti:
!
All'inizio la Cetra era un vero disastro. Mi toccò fare la rivoluzione. L'orchestra che mi avevano
affidato era abituata a suonare come se ci trovassimo ancora in piena Belle Époque. Tirai dentro con me
all'inizio Gianni Filippini al pianoforte e Saverio Seracini alla chitarra.121
!
Nel rivoluzionare l'assetto mentale e fisico dell'orchestra, Barzizza riuscì a farla
arrivare a picchi impensati, tanto che essa divenne un’orchestra di livello internazionale:
«la migliore tra le orchestre italiane ad esprimersi in perfetto linguaggio jazzistico».122
Ricorda il figlio Renzo, che ogni qual volta un musicista straniero o americano sbarcasse in
Italia per suonare, chiedeva dell'orchestra ‘Barzizza’: consapevole della sua validità e
qualità.123
L'ennesima spinta data ad un'attività già così ricca e feconda del Maestro,
senonché la sua totale consacrazione, arrivò con l'entrata in Radio, all'EIAR, nel 1936. Qui,
oltre a dirigere l'orchestra Cetra, Barzizza ebbe modo di collaborare ed avere i cantanti più
in vista dell'epoca. Fra i tanti si ricordano Alberto Rabagliati, il Trio Lescano, Oscar
Carboni, Silvana Fioresi, Ernesto Bonino.124
Sebbene si trattasse di un periodo e di anni pesanti, in cui imperversava
minacciosa la scure del Fascismo e lo spauracchio di una guerra nell'aria, il regime «chiuse
un occhio sulla sua musica»125, nonostante questa fosse riconosciuta come ‘poco italiana’,

120 Ibid.

121 MAZZOLETTI, Il jazz in Italia, cit., p. 330

122http://fatti-su.it/pippo_barzizza#Collegamenti_esterni

123 Intervista telefonica con Renzo Barzizza

124 http://www.radio.rai.it/radioscrigno/trasmettiamo/trasmettiamo_lancio.cfm?Q_IDSCHEDA=39

125 http://fatti-su.it/pippo_barzizza#Collegamenti_esterni

50
o ‘troppo americana’.126 L'unica imposizione prevista pare riguardasse i titoli delle
canzoni, che da inglese dovevano diventare per forza italiani. Canzoni come In the mood e
Woodchoppers divennero rispettivamente Con stile e Al ballo dei taglialegna.127
Fu in un periodo come questo che nacquero anche bellissime canzoni, divenute
suoi cavalli di battaglia, come Domani e Sera.


126 Ibid.

127 Ibid.

51
3.1.1 L'arrangiatore allo specchio: Sera
!
!
Sera è stata scritta e composta da Pippo Barzizza, mentre il testo è di Ferdinando
Tettoni128, di cui non si hanno notizie al riguardo. Si può solo presumere fosse uno dei tanti
parolieri presenti in radio all'epoca. Per ciò che concerne l'anno di pubblicazione della
canzone, vi sono delle indecisioni, ma la fonte più attendibile con notizie a riguardo è
fornita da Renzo Barzizza nel canale da lui creato ed ideato per onorare il padre: il
Barzizza Channel.129
Egli scrive qui infatti che la canzone «ebbe successo nei primi anni Quaranta»130,
fatto confermato dalla copertina in suo possesso di uno spartito della canzone, copertina
che riporta il 1940 come data di pubblicazione, in basso a sinistra.

128http://discografia.dds.it/scheda_titolo.php?idt=7218

129 Visitabile al link: http://m.youtube.com/channel/UCtowQ1nkkggC-weMFzl7Bdg

130 Sera, su Youtube in Barzizza Channel al link: http://m.youtube.com/watch?v=SBrz5Fx44jQ

52
Sera fu cantata da Alberto Rabagliati, uno dei cantanti fissi della ‘scuderia’
dell’EIAR.
È stata riscritta poi da Barzizza «in un arrangiamento per sola orchestra che ebbe
modo di riproporre, moltissimi anni dopo, in occasione dei sessant'anni dalla RAI. Il
maestro, che aveva già 84 anni, poté dirigere per l'ultima volta un grande organico
composto da circa cinquanta elementi».131 La versione di Rabagliati è introdotta da un
lungo refrain strumentale, con un assolo jazzistico di pianoforte, che non compare nella
partitura di Barzizza. Viceversa, la fisarmonica, strumento rilevante nella partitura, non
compare nell’incisione.
Un commento su questo brano lo fornisce Adriano Mazzoletti, amico stretto di
Barzizza. Il giornalista della RAI definisce il brano come:
!
Bellissima pagina. Armonicamente fin troppo ardita per l'epoca.132
!
Sera si presenta con il seguente schema:
!
- introduzione strumentale
- chorus
- chorus
- bridge
- chorus


131 Ibid.

132 ADRIANO MAZZOLETTI, Il jazz in Italia in http://fatti-su.it/pippo_barzizza#Collegamenti_esterni

53
Di seguito il testo:
!
Quando la sera discende
Ed il suo velo distende
Dolce un incanto mi prende
Mi fa sognare
!
Le rimembranze più care
Un desiderio d’oblio
Dire pian piano un addio
E andar, col vento andar
!
A lo spuntare d'ogni stella
Nasce in terra un sogno d’or
Forse l'anima sorella
In quel sogno trova il cor
!
Quando la sera discende
Ed il suo velo distende
Tutto d'incanto mi prende
l'amor.
!

54
Partitura di Sera. Originale scritto da Pippo Barzizza.133


133Tutte le partiture presenti in questo capitolo si trovano presso l'Archivio Musica della RAI di Torino,
dove sono state fotografate da chi scrive.

55
!
La tonalità di questo brano è Sol bemolle Maggiore. Le tonalità coi bemolli, lo si
evince da altre partiture di Barzizza (presenti nell’Archivio RAI di Torino), sono da lui
predilette, probabilmente per l'uso frequente di questi nel linguaggio jazzistico del periodo
dello “swing”. Il brano inizia subito con la predominanza dei fiati, in particolare dei clarini,
i quali, trascritti un «tono sopra delle note reali»134 come vuole la normale orchestrazione e
come indicato dallo stesso Barzizza nel suo manuale, a distanza prima di quarte e poi di
terze (intervalli cari anch'essi alle sonorità jazz), danno vita ad un motivo introduttivo
caratterizzato da un'immancabile sincope, prodotta dal primo accordo in levare. La parte
ritmica prevede, invece, battiti costanti da 1/4. Nonostante la versione registrata135 faccia
sentire quanto l'introduzione strumentale si protragga più a lungo, per circa un minuto, qui
risulta essere più breve.


134 BARZIZZA, L'orchestrazione moderna nella musica leggera, cit., p. 25

135 La versione registrata di cui qui si fa riferimento si può ascoltare al link: http://youtu.be/LsbNjwItsP0

56
!
L'andamento introduttivo dei clarinetti per terze o quarte alternate prosegue
ancora per le quattro battute di questa pagina successiva, con l'aggiunta di indicazione
dinamiche, suggerimenti, alternative, trascritti con la penna rossa.
Il canto tace e l'indicazione ritmica è rimasta invariata, regolare.
Le trombe anticipano quello che sarà il motivo principale che comincerà di li a
poco. Alla seconda battuta inizia a delinearsi ancora di più il tracciato armonico, anche
tramite l'uso di sigle per gli accordi, scritti secondo la notazione anglosassone, attenendosi
così alla tradizione del jazz.
Entrano il pianoforte e la chitarra. Gli accordi suonati sono SOL b 7+ (I) - SI9
(III), da cui prende il via un motivetto ‘blues’ inaugurato dal pianoforte, riscontrabile nelle
note Re5 - Re5 - Si4 - La4 - Si4 - Mi4 - Fa4.


57
!
Subentra il canto, in queste partiture posto in risalto tramite l'utilizzo della penna
rossa. La prima serie di terzine dà inizio al tema principale, o meglio, il chorus, punto
focale della canzone. Un motivetto orecchiabile, leggero e spensierato: «Quando la sera
discende», corrispondente alle note: Si2 - Re3 - Fa3 - La3 - La3 - La3 - Sol3, quest'ultima:
minima col punto, nella seconda battuta.
La fisarmonica tace, mentre si fa più regolare l'andamento dei clarinetti, che ora
proseguono per terze, fatta eccezione del Sol - Do, due minime, a b. 6. Chiara la sequenza
armonica delineata dagli accordi SOL b 6 (I) - si b 7 (iii) - si b 7 (iii) - SOL b 6 (I) - LA b 9
(II) - LA b 9 (II) - LA b 7 (II) - la b 9 (ii) - RE b 7/6 (V) - RE b 9/5+ (V).
La sequenza accordale sembrerebbe quasi ‘scontata’, con un giro armonico I-II-V-
I. Questi accordi sono arricchiti dalle sonorità ‘jazzate’ di none, seste. In particolare, gli
accordi di sesta risultano essere molto utilizzati: rappresentano la firma del pittore nel
proprio quadro, segno distintivo dell'arrangiatore.


58
!
A inizio pagina risalta l'andamento delle minime per quarta e poi per terze dei sax
alti che vanno un po' assopendosi, forse per dare più risalto al canto e all'entrata della
fisarmonica, che contraddistingue due serie di terzine: La4-Sol4-Fa4-Mi4-Sol4-Si4 (minima
quest'ultima). Sotto di esse prosegue la sequenza di accordi: si b 7 (iii) - SOL b 6 (I) - la b 7
(ii) - RE b 9-/6 (V). L'indicazione «ripete» indica di ripetere la sequenza della pagina
precedente delineata a numeri arabi e, anch'essa, con la penna rossa. Fatto ciò, il canto
deve terminare il secondo chorus, (A1). La conclusione è composta dalla minima e le
terzine (La4 bequadro - La4 bemolle - Sol4 bequadro), che corrispondono ai versi: «e andar,
col vento andar». A questo punto la canzone giunge alla conclusione della frase musicale,
prima del bridge (B).
Quest'ultima parte è sostenuta prevalentemente da accordi di dominante: RE b 7/6
(V) - RE b 9/6 (V) - SOL b (I) - RE9 (V).


59
!
La pagina attuale, che corrisponde alla ripresa del chorus (A2) si presenta invece
più fitta di indicazioni, tanto da mostrare il processo creativo del compositore -
arrangiatore in atto. La cancellatura, in particolare, riguarda una diversa distribuzione delle
note fra clarinetti e ‘alti’, cioè i sax. Si nota infatti, come il compositore le voglia
‘smembrare’ ridistribuendole, per esaltare i diversi strumenti e, in questo caso, dare più
‘voce agli alti’. Questo anche perché il canto termina la frase musicale, per lasciar spazio
alle improvvisazioni, dando importanza alla sezione strumentale che comincia qui.
RE b 7/6 (V) - RE b 9/6 (V) - SOL b (I) gli accordi che accompagnano la fine del
canto, mentre all'inizio della sezione strumentale, l'armonia è costituita da do7 (iv) - FA9
(VII) - SI9/6 (III). Segue una modulazione, cosa che porta la tonalità a Si b Maggiore,
ribadita e confermata dall'accordo costruito sulla temporanea tonica, SI b 6 (I).


60
Prosegue la parte dedicata all'intermezzo tutto strumentale eseguito dall'orchestra,
ma ciò lo si percepisce soprattutto all'ascolto dell’incisione di Rabagliati poiché, a questo
punto, le indicazioni scritte si fanno più scarne. Vi sono delle indicazioni di terze, ancora
una volta, ma stavolta per i sax alti soli.
Pause scritte, invece, per la fisarmonica ed il canto. Ancora spazio alla parte
strumentale, dunque, che probabilmente variava in base alla qualità degli assili e degli
strumentisti presenti in orchestra, e che erano sostenuti dagli accordi eseguiti da pianoforte
e chitarra, presenze fisse accanto alla sequenza ritmica.
Gli accordi scritti riportano una prosecuzione della tonalità appena cambiata, che
si identifica in: DO9 (II) - do7 (ii). Un'ultima annotazione può essere fatta in merito
all'accompagnamento, o alla chiave di basso, suonata dalla mano sinistra del pianoforte. La
caratterizza una serie di semiminime che tanto echeggiano una parte ‘pizzicata’ di
contrabbasso, tipica di un accompagnamento jazz.


61
Stavolta, la scrittura orchestrale si fa più densa in corrispondenza della
conclusione della parte strumentale di intermezzo. Compaiono anche qui cancellature e
nuove indicazioni di scambio equilibrato di parti fra sax alti e clarinetto: l'indicazione «1°
prende cl.» racchiude un disegno ed una volontà ben precisi. Dopo l'indicazione unisono,
quasi in un crescendo, compaiono delle terzine finali prima del ritorno alla tonalità di
partenza. Questo ulteriore passaggio intermedio è caratterizzato da FA9/5+ (V) - SI b (I) -
RE b 7 (III) - RE b 9/5+ (III). Proprio questo terzo, si pone come grado che permette
nuovamente una modulazione, per fare ritorno alla tonalità di prima, Sol bemolle
Maggiore. Con un'indicazione di «forte», inaugurata dalle terzine viste prima, si prosegue
con SOL b 6 (I) - si b 7 (iii), riagganciandosi coerentemente al disegno armonico tracciato
all'inizio.


62
Il «forte» si prolunga ed è riscontrabile stavolta anche nelle misure quali la
minima con il punto ai sax alti e ai clarini, sostenuta come sempre dagli immancabili
accordi per pianoforte e chitarra: si b 7 (iii), ribattuto, seguito da SOL b 6 (I) - LA b 9 (II) -
LA b 9 (II) - LA b 7 (II) - la b 9 (ii). Quest'ultimo accordo accompagna una breve parte di
assolo o ‘solo’ della fisarmonica, come scritto nella partitura. Fisarmonica che esegue le
terzine tanto presenti finora, tratto distintivo non solo del tema principale esposto dal
ritornello, peraltro identico alla strofa, ma della canzone stessa.


63
La fisarmonica continua, sostenuta dagli accordi di pianoforte e chitarra, mentre i
clarinetti sembrano affievolirsi e scomparire, appositamente per il termine della canzone.
Il procedere a passo spedito verso la conclusione definitiva è contrassegnato
dall'alternarsi di RE b 9/6 (V) - SOL b 6 (I) - RE9 (V) - SOL b 6 (I). L'alternarsi di I e V
avviene addirittura all'interno della stessa battuta con indicazioni accurate per la chiave di
violino del pianoforte, («cromatismo», confermato dal Re naturale al basso) in aggiunta
alle note scritte. Il tutto mira probabilmente a voler ‘movimentare’ di più la parte
strumentale ed esaltare maggiormente, in quel punto, il pianoforte.
Vi sono poi i segni convenzionali a sancire le ripetizioni.
Quanto segue è semplicemente il finale con la sua coda. S'intravede una timida e
isolata nota di canto che preannuncia l'acuto finale.


64
La coda è qui contrassegnata con la lettera F. Due imponenti accordi, eseguiti
dalle trombe, preannunciano il finale trionfante e potente di cui si è accennato nella pagina
precedente. Ritorna la configurazione della prima pagina e della prima battuta dei clarini:
distanze di quarte alternate a terze, proprio a voler far quadrare e ‘chiudere il cerchio’. Per
aiutare e facilitare il cantante nel suo compito, Barzizza addirittura segna che dovrà
respirare (attraverso quella sorta di “V”, stesso segno usato per i violini quando con
l'archetto devono suonare dall'apice verso il tallone, compiendo un movimento dall'alto
verso il basso) prima del Si b che precede la nota finale cioè Re4 b, culminante in una
semibreve, minima e semibreve con il punto coronato. L'ultima indicazione di una
tavolozza variegata e dai colori ben calibrati è completata dalla sequenza: RE b 9/6 (V) -
Sol b 1 (I).
Il finale segue con coerenza le indicazioni date da Barzizza nel suo manuale. Con
le sue tre battute, suggella il finale, senza dilungarsi troppo. Questo perché il Maestro,
giustamente sostiene che:

65
!
Una CODA troppo lunga ha un effetto psicologico negativo sull'uditorio, e chi ha una pratica di
teatro lo sa per esperienza.136
!
Di seguito, per migliorare il confronto all'interno della stessa scrittura di Barzizza,
vi è un’altra partitura, sempre di Sera, nuovamente per organico orchestrale.


136 BARZIZZA, L'orchestrazione moderna nella musica leggera, cit., p. 86

66
Sera. Originale scritto da Pippo Barzizza.
!
Stavolta, già dalla prima pagina di copertina, oltre ad avere le informazioni
sull'arrangiatore, il compositore e l'autore del testo, compare un'annotazione in più:
l'estensione del cantante incaricato di interpretare il brano, aspetto che viene trattato con
accuratezza anche nel manuale da lui scritto. L'indicazione risulta essere particolarmente
preziosa in quanto annuncia la tonalità. Avendo un solo bemolle è evidente ci si trovi
davanti a un Fa Maggiore, con l’autore che richiede dal cantante un’estensione che va da
La2 a Re4.


67
Ancora una volta si riparte con l'introduzione affidata principalmente ai fiati. In
primo piano: flauti, clarinetti e sax tenori. Il disegno tracciato da questi è di una
straordinaria coerenza. Le uniche differenze riscontrate stanno nell'aver ripartito,
suddividendole, le voci. Mentre il rapporto precedente di quarte e terze era espresso nella
stessa linea dei clarini, qui sono separate. Inoltre, anziché iniziare con una distanza di
quarte, il rapporto è divenuto di quinta diminuita da sax tenore rispetto ai clarinetti, e di
quinta giusta fra i clarinetti e il flauto. La dinamica con cui si svolge l'introduzione sembra
prevedere gli stessi tempi dell'altra.


68
Dopo questa introduzione, e un'indicazione di ‘prendi sax alto’, inizia la sezione
A, quella in cui comincia il canto, motivo introdotto da terzine, rispettanti la stessa
distanza, sempre con la diversa tonalità rilevata prima: La2 - Do3 - Mi3 - Sol3 - Sol3 - Sol3,
corrispondenti al verso «quando la sera discende».
Ricomincia la serie di sigle per indicare gli accordi di chitarra e pianoforte che
vanno a sostenere il canto in questo modo, partendo intanto da FA6 (I) - la7 (iii). Finora
nulla di immutato rispetto alla versione di prima.
Un piccolo assolo di pianoforte, nella terza battuta, precede di poco l'attacco del
canto.


69
Mentre i sax alti e i flauti tacciono per lasciare spazio al clarinetto che esegue note
a distanza di terze e seconde (cosa che fanno anche i sax tenori), ricompare la sezione
numerata vista prima (quella che precedeva il «ripete 1-5» della prima analisi, p. 84). Il
canto prosegue nell'esposizione del ritornello «ed il suo velo distende» con le terzine Si2
naturale - Re3 - Fa3 - La3 - La3 - La3. Esso è sostenuto come sempre ed immancabilmente
da una sequenza accordale che è: la7 (iii) - FA6 (I) - SOL9 (II) - sol7 (ii) - DO7/5+ (V). In
particolare, il punto contraddistinto dall'accordo di sol7 segna la prima ripetizione del
‘motivetto’ principale, consistente nella strofa.


70
Torna partecipe attivo il flauto, con una serie di terzine: Sol4 - Fa4 - Mi4 - Re4 - Fa4
- La4, mentre clarinetto basso e sax tenore rimangono abbastanza ‘stazionari’: i primi
attraverso semibrevi e minime, i secondi con semplici semiminime.
Continua il canto, prima della parte ove indicato di terminare, finita la ripetizione:
FA6 (I)- sol7 (ii) - do 9 (v). Si riscontra la scrittura identica alla versione precedente, come
fosse una fotocopia (Cfr. pag. 86). Ai versi «e andar col vento andar» corrispondono gli
accordi di pianoforte DO9 (V) - DO9/6 (V)- FA6(I)- RE b 9 (VI). Quest'ultimo grado poi
accompagna l'alterazione che caratterizza la terzina del canto: La3 bemolle - Sol3 naturale-
Sol3 bemolle. Clarinetti bassi e sax tenori anticipano di poco il disegno di terzina appena
affrontato.


71
Un bel disegno ascendente per terze per i clarinetti, sax tenori e di note singole per
i clarinetti bassi termina in tutti e tre i casi con figure di minima, le quali sono a distanza di
terza nel primo caso, di quinta giusta nel secondo e, invece, con minima singola, per i
clarinetti bassi. La stessa indicazione di unisono, trovata nella versione precedente,
caratterizza invece violini, viole e violoncelli che accompagnano un canto sorretto da: FA6
(I)- la (iii) - la7+ (iii) - la7 (iii) - RE9 (VI).
Con questa successione accordale il canto prosegue esponendo il bridge: «A lo
spuntare d'ogni stella/nasce in terra un sogno d'or». Quest'ultima parola corrisponde alla
semibreve Mi3 (ultima battuta).


72
Dopo il Mi3 appena citato il ‘ponte’ prosegue con un canto che tocca figure quali
crome puntate e semicrome, accompagnate da: sol (ii) - sol7+ (ii) - sol7 (ii) - DO9 (V). Si
noti come anche questa versione orchestrale sembri più spoglia, in corrispondenza della
maggior presenza del canto, la parte orchestrale strumentale. Qui la parte strumentale
orchestrale viene ‘messa da parte’ per far esaltare appieno il canto, così come, alla stessa
maniera, quando il canto è assente vengono esaltate l'orchestra e la sua improvvisazione,
così come afferma Barzizza nel suo manuale. L'unico elemento di rilievo ulteriore è dato
dagli archi che creano ‘movimento’ attraverso delle semicrome. Inoltre, questa versione
prevede un'ulteriore ripetizione (un altro «ripete 1-5» che la precedente versione non
conteneva).


73
Il periodo musicale volge al termine e le prime due battute che inaugurano la
pagina indicano ovviamente, come ogni termine di frase, di concludere temporaneamente
con: DO7 (V) - DO9 (V) - FA6 (I). A queste tre successioni si ripete il disegno ascendente
di terze dei clarini, sax tenori e quello singolo dei clarinetti bassi. Questa configurazione
conduce, attraverso si7 (iv) - MI9 (VII) - SI b 9 (IV), alla modulazione vista nella versione
precedente, che porta a La Maggiore: a distanza di terza come prima. La nuova e
momentanea ‘tonica’ viene ribadita dall'accordo in chiave di violino della parte del
pianoforte Do3 - Mi3 - Fa3 - Si3, con il La al basso. La configurazione accordale, come
ribadito dalla sigla è LA6 (I).
Il canto tace e prende il via la parte strumentale con le trombe e le minime ai
clarinetti, sax tenori e clarinetti bassi.


74
Riprende un andamento per terze, ma solo per i sax tenori, sebbene i due gruppi di
clarini seguano la stessa figurazione (croma col punto e semicroma). Bella e fine
l'alternanza fra la sezione dei fiati (clarini, sax e brass section), i quali si fermano con le
minime e lasciano spazio alle terzine suonate dalle trombe, per poi dare di nuovo ‘voce’
alle note di seconda suonate dai sax tenori, con la stessa figurazione illustrata prima, poi
compaiono nuovamente le trombe con le loro terzine.
Il tutto con degli accordi che non subiscono molti cambiamenti in corso d'opera:
LA6 (I) - SI9 (II) - si7 (ii).


75
Mentre fiati, pianoforte e chitarra proseguono sino alla fine della modulazione, la
sequenza accordale segue quest'ordine: MI7 (V) - do#7 (iii) - do#5dim (iii).
Per poi concludere con un immancabile accordo di tonica (sebbene temporanea) in
accordo di sesta. Questo è il passaggio, accompagnato da accordi pianoforte, che riporta
alla tonalità di partenza, Fa maggiore. Anche qui riprende il discorso con un accordo di
sesta, FA6 (I), seguito da la6 (iii).


76
Il la6 (iii) viene ripetuto, per poi essere nuovamente seguito da FA6 (I) - SOL9
(II) - SOL9 (II) - sol7 (ii). Il tutto corredato da una fitta scrittura di fiati, tra i sempre
partecipi e presenti clarini, sax tenori e clarini bassi, che eseguono prima una scala
ascendente per terze, i primi due, e note singole i clarinetti bassi (cosa che si è già vista in
precedenza). Poi segue un movimento di terzine, stavolta con l'aggiunta anche del flauto,
accompagnato da un'indicazione di «pp», pianissimo, per i soli. Altro aspetto da notare sta
nella nota che dice ai clarinetti bassi, in ultima battuta, di prendere la parte dei clarinetti
alti. Un’indicazione che denota sempre un equilibrio e scambio sapiente di strumenti, di
indubbio gusto personale.


77
La presenza dei fiati è incontrastata ed accompagna l'avvicinarsi dell'indicazione
di ripetizione con tanto di specificazione di segni convenzionali, come nella versione
precedente. Quest'ultima parte è contraddistinta da DO7 (V) - FA6 (I) - RE b 9 (VI) e il
ritorno immancabile al (I) con FA6. Dopo la ripetizione, come nella prima versione
analizzata, ci si ricongiunge alla coda: è il momento in cui si rivede nuovamente la nota del
canto che, con la croma, un Fa3, anticipa il finale a piena voce di cui si parlava prima.


78
La coda, stavolta, è stata ulteriormente ‘accorciata’ di una battuta rispetto alla
versione precedente. Coerente però, come nella partitura analizzata precedentemente, nel
far ‘chiudere’ il cerchio attraverso quello stesso rapporto di quinte iniziale che lega
rispettivamente i flauti ai sax alti ed i clarinetti al sax tenore. Forse qui si vede più
‘silenzio’ per le altre parti strumentali, quasi sicuramente per lasciar spazio a quel Do4
finale nella parte di canto che, assieme alle note in chiave di basso del pianoforte, fornisce
un vago senso di sospensione dato dalla dominante, mentre le altre parti terminano
sull'accordo di tonica.


79
Pippo Barzizza, seconda metà degli anni '40137


137 Foto gentilmente concessa da Renzo Barzizza

80
3.2 Angelini e Barzizza. Uno con(tro) l’altro?
!
!
Barzizza entrò all'EIAR nel 1936 e, come si è già detto, rivoluzionò il modus
operandi dell'orchestra al suo interno, facendola ‘svecchiare’ da modelli musicali francesi
obsoleti e desueti.
Dopo la firma del contratto, egli prese in mano l'eredità del precedente direttore,
Claude Bampton, musicista inglese di cui spesso viene riportata notizia (per
approfondimenti al riguardo, si veda il carteggio fra l'EIAR e il direttore, ricostruito da
Adriano Mazzoletti nel suo libro, p. 415). Durante l'operato di Barzizza, «l'organico
dell'orchestra Cetra arrivò a contare sedici elementi»,138 i quali si perfezionarono
continuamente sotto la guida del Maestro.
Questa qualità, riscontrata e riscontrabile in ogni dove, attirò l'attenzione del
pubblico radiofonico di allora, alzando, con una vertiginosa impennata, gli ascolti
all'EIAR. Quello che oggi verrebbe definito lo share venne incentivato da un ulteriore
fattore: la presenza in radio di un direttore con il quale Barzizza divideva la bacchetta di
direzione: Cinico Angelini.
Nato a Crescentino nel 1902, il suo vero nome era Angelo Cinico, mutato nel
nome d'arte Cinico Angelini per motivi di spettacolo dell'epoca. Il percorso di formazione
dei due fu, per certi versi, simile:
!
Angelini aveva anche viaggiato per alcuni anni in quel continente (l'America), imparando
sostanzialmente a dirigere, arrangiare e scegliere i cantanti.139
!
Angelini, però, ebbe sicuramente molto successo, ma minor plauso da parte degli
specialisti, e forse proprio per questo la sua biografia è poco nota. Una delle poche notizie
aggiuntive sulla sua biografia è riportata nel libro di Adriano Mazzoletti:
!
138 http://fatti-su.it/pippo_barzizza#Collegamenti_esterni
139SERENA FACCI, PAOLO SODDU, Il festival di Sanremo. Parole e suoni raccontano la nazione, Carocci
Editore, Roma 2011, p. 54

81
Aveva diretto per lungo tempo un'orchestra da ballo denominata “Perroquet Royal Jazz” e nel
1930 debuttò alla Sala Gay di Torino, una delle sale da ballo più celebri in Italia tra le due guerre. Da qui
trasmetteva spesso in diretta radiofonica. Suonò anche all'Odeon di Milano, con il nome Orchestra Angelini.
Era una formazione di dieci elementi formata in buona parte da musicisti di terz'ordine (...).140
!
Oltre ad avere «musicisti di terz'ordine» pare che Angelini stesso fosse modesto
musicista e non particolarmente dotato.141
Nonostante questo, però, fu assunto all'EIAR nel 1938, solo due anni dopo
l'entrata di Barzizza, e messo a capo di una delle orchestre di musica leggera dell'emittente
radiofonica. Sebbene vi fossero diverse orchestre alla radio, con scambi di musicisti fra le
une e le altre, la lente d'ingrandimento rimase principalmente puntata ai due direttori e alle
loro orchestre. L'interesse fu tale che il pubblico si ritrovò presto diviso in sostenitori
dell'uno e dell'altro, prendendo rispettivamente i nomi di barzizziani e angeliniani. In realtà
però questo ‘conflitto’, di cui tutti parlano e di cui ancora oggi si riporta notizia, era
inconsistente. Riguardo al rapporto fra i due in radio, Renzo Barzizza dice: «La stampa li
ha fatti diventare ‘nemici’ perché funzionava a livello mediatico».142
In realtà, infatti, tra i due correva un ottimo rapporto d'amicizia, che durò sino a
quando entrambi arrivarono ad età avanzata.143 Ricorda Renzo Barzizza: «Angelini, da
quando papà si era trasferito a Sanremo, lo andava a trovare a Villa Tatina, dove si era
ritirato».144 In più, sempre secondo il figlio del Maestro, Angelini stesso riconosceva la
maestria creativa di Barzizza.145
Ricordiamo per esempio che, mentre Barzizza compose canzoni sue, assieme alle
sigle di apertura di programmi della RAI, Angelini non scrisse nemmeno un’opera,
limitandosi all’attività di arrangiatore e direttore.
Possiamo però affermare che vi era una reale distinzione fra i due che si giocava
soprattutto a livello stilistico.

140 MAZZOLETTI, Il jazz in Italia, cit., p. 339


141 Ibid.
142 Intervista telefonica a Renzo Barzizza
143 Ibid.
144 Ibid.
145 Ibid.

82
L'orchestra Angelini si conformò come orchestra del cosiddetto genere «ritmico-
sinfonico», quello caratterizzato da un sound più basato sugli archi e la fisarmonica, e
soprattutto «all'uso melodico degli strumenti solisti».146 Era l'orchestra della «ricerca del
facile successo, perseguita dal suo stesso direttore»147, della canzone semplice, standard,
orecchiabile, senza soluzioni eccessivamente ardite per il pubblico medio italiano.
L'orchestra Barzizza era quella «ritmica», più raffinata a livello stilistico, con le
sue soluzioni accordali jazzistiche, la predominanza dei fiati, i cromatismi e gli interventi
che davano spazio all'improvvisazione dei singoli musicisti.
Sebbene l'unica ‘divisione’ fra i due riguardasse, appunto, lo stile, la
contrapposizione fra i barzizziani ed angeliniani invece s'infiammò nel tempo, arrivando
sino agli anni del dopoguerra e toccando aspetti più profondi:
!
La polemica tra barzizziani e angeliniani toccava diverse corde: quella della modernità, intesa
come adesione ai modelli americani, quella della qualità degli strumentisti e degli arrangiamenti in
contrapposizione al dilettantismo e alle scelte banalizzanti dettate da motivi commerciali, quella della
valorizzazione della musica strumentale, contrapposta ai repertori maggiormente funzionali al ballo e al
canto. Tutti temi che giunsero fino alla nascita di Sanremo, e pure nel mutare degli stili, accompagnarono il
Festival anche successivamente.148
!
Gli aspetti appena illustrati si protrassero, in effetti, dalla Radio alla più
importante manifestazione musicale del nostro Paese: il Festival di Sanremo.
Più all'oscuro la figura di Barzizza (egli non diresse mai un'orchestra al Festival);
più in risalto quella di Angelini che partecipò attivamente come direttore per diversi anni
all'interno della manifestazione. Ancora una volta, però, Angelini non fu protagonista
indiscusso e unico direttore al Festival. Anche lì divise la scena con un'altra orchestra,
almeno fino al 1963. Dal suo inizio e sino a questa data, infatti, il concorso canoro previde
la presenza di due orchestre «diverse tra loro nell'organico e nello stile»,149 senonché «uno

146 FACCI, SODDU, Il festival di Sanremo, cit., p. 54


147 MAZZOLETTI, Il jazz in Italia, cit., p. 340
148 FACCI, SODDU, Il festival di Sanremo, cit., p. 55
149 Ivi, p. 54

83
dei tanti esempi del perdurare, nel dopoguerra, di stili e gusti sonori, maturati negli anni
precedenti»150 ed «eredità degli anni quaranta».151
Nonostante la mancata partecipazione effettiva di Barzizza ad almeno un'edizione
del Festival, egli scrisse comunque un arrangiamento di una delle canzoni rimaste più
emblematiche di questa esperienza: Grazie dei fiori, qui messa a confronto con la versione
dell'Orchestra Angelini.


150 Ivi, p. 53
151 Ivi, p. 54

84
3.2.1 Arrangiatori a confronto: Orchestra Angelini e Orchestra Barzizza in Grazie
dei fiori
!
!
Grazie dei fiori fu eseguita per la prima volta in occasione del primo Festival di
Sanremo nel 1951. La cantava una giovane esordiente, Nilla Pizzi: all'epoca «un'emiliana
di oltre trent'anni»152 e considerata «una delle rappresentanti più tipiche del canto
italiano»153. Il testo della canzone fu scritto a quattro mani da Giancarlo Testoni «paroliere
consolidato»154, già autore di canzoni come In cerca di te (Solo me ne vo per la città) del
1945155 e Mario Panzeri, autore di brani altrettanto famosi come Pippo non lo sa e Finché
la barca va.156 La musica, invece è stata composta da Saverio Seracini: «buon chitarrista
jazz che aveva collaborato sin dall'inizio con Barzizza per la riconversione dell'orchestra
Cetra».157
Di seguito è riportato il testo completo della canzone.
!
Tanti fiori
in questo giorno lieto ho ricevuto
Rose rose
ma le più belle le hai mandate tu
!
Grazie dei fior
fra tutti gli altri li ho riconosciuti
mi han fatto male eppure li ho
graditi
Son rose rosse e parlano d’amor


152 FACCI, SODDU, Il festival di Sanremo, cit., p. 36


153 SASSOON, in FACCI, SODDU, Il festival di Sanremo, cit., p. 36
154 FACCI, SODDU, Il festival di Sanremo, cit., p. 26
155 Ivi, p. 36
156 Ibid.
157 FACCI, SODDU, Il festival di Sanremo, cit., p. 63

85
E grazie ancor
che in questo giorno tu m’hai
ricordata
ma se l'amore nostro s'è perduto
perché vuoi tormentare il nostro
cuor?
!
In mezzo a quelle rose
ci sono tante spine
memorie dolorose
di chi ha voluto bene
Son pagine già chiuse
con la parola fine
!
Grazie dei fior
fra tutti gli altri li ho riconosciuti
mi han fatto male eppure li ho
graditi
Son rose rosse e parlano d'amor
!
Grazie dei fior
e addio
per sempre addio
senza rancor
!
Definita da molti «raffinata e di ambientazione altoborghese»158, «riecheggiante
naturalmente alla lontana - un certo swing bianco degli anni trenta»159, la canzone viene
descritta emblematicamente, più di tutti, da Serena Facci e Paolo Soddu, autori di un
recente testo su Sanremo:

158 Ivi, p. 35
159 BORGNA in FACCI, SODDU, Il festival di Sanremo, cit., p. 35

86
Grazie dei fiori è generalmente definita una canzone elegante, non banale. Il mazzo di fiori
ricevuto in omaggio in un «giorno lieto», e più di tutti gli altri graditi, faceva riaffiorare un passato non
pienamente messo alla spalle, ma che si voleva assolutamente dimenticare: «In mezzo a quelle rose / ci sono
tante spine / memorie dolorose / di chi ha voluto bene / son pagine già chiuse / con la parola fine [...] e
addio / per sempre addio / senza rancor»160.
!
Inoltre, i due studiosi intravedono la possibilità che dietro questa canzone possa
celarsi la delusione nel popolo italiano per l'insuccesso e i fallimenti provocati dal regime
fascista:
!
Era stata una passione che, al momento della delusione, si era ripensata come il classico amore
infelice, cupo. Riemergeva in un indistinto «giorno lieto» e, come tutti gli amori di questo genere, si rivelava
carico di dolore, così come era stata la relazione fra la folla e il suo capo dal quale si era sentita ingannata (...)
con quell'esito così contrastante, con le grandi aspettative.161
!
Sicuramente l'arrangiamento risulta qui un aspetto preponderante, che ancora una
volta concorre a determinare più che mai le sorti di questa canzone, riuscendo a mettere in
risalto e «a valorizzare gli elementi più struggenti contenuti nella melodia».162
Invece, lo schema generale della canzone presenta una struttura molto semplice e
può essere così riassunto:
!
- chorus
- chorus
- bridge
- chorus


160 Ivi, p. 36
161 Ibid.
162 FACCI, SODDU, Il festival di Sanremo, cit., p. 63

87
L'immagine del Radiocorriere che celebra i dieci anni dalla nascita del Festival di Sanremo,
ricordando il successo di Nilla Pizzi.163


163 Consultabile al sito: www.radiocorriere.it

88
!
Grazie dei fiori. Partitura originale orchestra Angelini
!
La versione qui presentata dell'Orchestra Angelini, della quale non è stat riportata
la data prevede che canti Milva, anziché Nilla Pizzi. Risulterà interessante per vedere il
confronto, non solo su due stili di arrangiamento differenti, ma per ciò che concerne anche
le due cantanti: eventuali cambiamenti, differenze di tonalità.


89
!
Ecco la prima pagina orchestrale di questo arrangiamento. Non sembra
particolarmente articolata. Ciò che la contraddistingue sono note e accordi molto ‘fermi’,
principalmente minime, suonati da pianoforte, fisarmonica e dall'organico al completo
degli archi, stavolta qui più preminenti rispetto ai fiati jazzistici di Barzizza.
Ad aumentare la stasi concorre la sezione dei ‘ritmi’, in chiave di violino,
caratterizzati da due serie di minime: Re5 bemolle - Mi4 bequadro, Do5 - Fa4. Mentre la
relativa analisi armonica di questa prima pagina di introduzione strumentale sarebbe: do
(iv) - re b (v) - fa (vii) - LA b (II).
La tonalità stabilita è Sol minore.


90
Termina con la dominante l'introduzione contrassegnata dal Re1 dei violoncelli.
Tutto questo per dare l'avvio alla canzone con il verso: «Tanti fiori» corrispondenti
rispettivamente alle note Re4 - Do4 diesis, accompagnate da sol (i) - MI b (VI). La frase
musicale prosegue: «in questo giorno lieto ho ricevuto», che poggia sugli accordi di do (iv)
- sol(i). La tonica qui è in corrispondenza del Si4, due crome legate alla minima.
Fin qui nulla di particolare, se non accordi molto ‘standard’, accademici e
‘scolastici’ nel loro essere scritti senza rivolti.


91
Prosegue il chorus della canzone attraverso lo stesso passaggio di semitoni che ha
caratterizzato l'inizio con Re4 - Do4 diesis, ma stavolta con le note La3 bemolle - Sol3
naturale, ancora una volta con lo stesso procedimento accordale di prima: LA b (II) - sol (i)
- do (iv) - do6 (iv). Segue la dominante, (V) che con l'accordo di Re maggiore può dare il
via al ritornello universalmente conosciuto: «Grazie dei fior», una minima e due
semiminime che sono Mi4- La3- Mi4, accompagnati dall'accordo di do6 (iv).


92
Prosegue il tema noto a tutti, sostenuto dagli archi che eseguono note fisse.
Semibrevi e minime contraddistinguono questo passaggio, accompagnando la serie di
accordi che recita così: sol (i) - do6 (iv) - sol (i) - LA b 7 (II)- sol (i), mentre i sax alti
(primo pentagramma della pagina in alto) si lanciano a fare l'eco del tema «Grazie dei
fior», quasi imitando, dando vita ad uno schema di canone. Sicuramente il tappeto, forse
eccessivo, creato dagli archi sarebbe stato contestato da Barzizza, il quale, nel suo manuale
scrive esplicitamente:
!
Un «background» (sottofondo) basato sugli Archi è ottimo, come anche può esserlo quello di
qualunque altra Sezione.
Si evitino gli accordi continuamente tenuti ché l'armonia è già ben definita dalla Sezione Ritmi, e
non si otterrebbe che un inutile appesantimento.164


164 BARZIZZA, L'orchestrazione moderna nella musica leggera, cit., p. 82

93
Questa prima esposizione del tema principale volge momentaneamente al termine
con accordi di MI b 7 (VI) - RE7/3+ (V) - RE7 (V) - RE9- (V), per poi ridare vita alla
ripetizione di questo sempre in do6 (IV) - sol (i) - do (iv) a reggere il tema del chorus che
ricomincia con le note Mi4 - La3 - Mi4.
L'accompagnamento, lo si nota, non sembra essere dei più complicati e
macchinosi: semplici semiminime rafforzano l'impianto armonico ma senza voler uscire da
un tracciato molto ‘classico’, quasi impostato.
Senza, insomma, le ‘stravaganze’ jazzistiche.


94
Il tema principale continua e si ripete, come già illustrato, senza varianti
particolari: sol (i) - LA b 7 (II) - sol (i) - MI b 7 (VI) - RE7 (V) - sol (i). Ancora più statico,
sempre uguale a se stesso il disegno orchestrale, che vede valori e misure non spingersi
oltre semibrevi, minime e semiminime. Addirittura pause per fiati, sax alti, a dar spazio a
strumenti come il pianoforte, archi e fisarmonica, come sempre contenenti note facenti
parte degli accordi già più volte illustrati, con figure di semiminime, minime e pause dei
medesimi valori. Altra caratteristica molto presente sono segni di dinamica, quali
crescendo e diminuendo.


95
Si ‘risvegliano’ in qualche modo i fiati, in particolare le trombe, ma mantengono
la staticità che caratterizza questo accompagnamento orchestrale, fatto riscontrabile negli
accordi di semibreve che caratterizzano la musica scritta nelle battute di questa sezione. Si
noti, inoltre, l'importanza maggiore assegnata agli archi, per i quali sono previste
specifiche indicazioni: «pizz» a inizio battuta e «arco» tra b. 5 e b. 6.
La pagina riprende sul (V) in accordo RE9- per ricadere su sol (i) e terminare la
ripetizione della melodia principale. Si avvia qui ora la parte centrale della canzone, bridge
e in cui si nota un cambiamento. C'è come una sorta di parabola ascendente, una specie di
‘innalzamento’ della musica che si percepisce anche all'ascolto. Questa diversa sezione ha
nuovi e diversi accordi: FA7 (VII) - SI b (III) - LA b (II).


96
Il breve inciso (che inizia sul verso “in mezzo a tante rose”) si ricongiunge a (V),
accordo di RE7, poi, in terza battuta, di RE7 (V) e RE7/5+ (V), per ripassare in RE7 (V) e
RE5- (V). A seguito di questo passaggio riprende ancora una volta il chorus: do6 (iv) - sol
(i).
L'attenzione in questa pagina ricade sulla diversa importanza data agli archi e ai
fiati che distingueva Barzizza da Angelini. Nell'arrangiamento dell'orchestra Angelini,
infatti, sono prevalentemente presenti solo i primi, mentre per gli ultimi sono previste delle
pause. Inoltre, la sezione di violini, viole, violoncelli e contrabbassi vede sempre
semiminime, oppure note legate, a creare quel suono compatto, forse fino troppo, degli
archi, che conferma lo stile e stampo melodico attribuito tradizionalmente ad Angelini.


97
Dopo l’ultimo chorus il canto di fa da parte in corrispondenza dell'inizio
dell'intermezzo solo strumentale.
Sono gli stessi strumenti a terminare la parte del chorus con la sequenza RE b 7
(V) - do (iv) - RE7 (V) - fa6 (vii) - SOL9- (I) - do6 (iv). I violini non sono ‘movimentati’
più di tanto e, addirittura, la freccia in giù, indica che la parte dei violini primi deve essere
ripresa dai secondi, viole e violoncelli, indica probabilmente di trasporre le stesse note alle
parti appena citate. Ricompaiono i fiati. Ai sax viene fatto eseguire lo stesso procedimento
per gli archi (tramite l'uso, anche qui, delle frecce in giù). Le trombe eseguono
semiminime, i tromboni suonano semibrevi. Altro elemento che si riscontra diverso
rispetto alla scrittura di Barzizza sta nel mancato uso di figure quali gli abbellimenti, a
poter arricchire un po' la struttura orchestrale.


98
La voce tace e la pagina indica il termine di quel periodo musicale, rimasto a do6
(iv) a fine pagina precedente, che ricade ora sulla tonica. L'unico dato rilevante in mezzo
all'accompagnamento scarno e statico è il cambio di tempo delineato dal 2/2, scritto tra la
seconda e terza battuta, che precede un LA b 7 (II) - sol (i).


99
Non vi sono significativi cambiamenti, anzi, la parte che si avvia alla conclusione,
con i medesimi segni convenzionali già visti per le partitura di Barzizza, diventa ancora più
scarna e trasandata, quasi da sembrare rasente al superficiale. Ancora ripetizioni per il
finale: l’alternanza di do6 (iv) - RE9- (V) - sol (i), che proseguono anche dopo
l'indicazione di coda, con sol (i) - do6 (iv).


100
Ecco che dal Re4, che fa ricomparire il canto per prepararsi al famoso finale,
continuano a susseguirsi accordi di sol (i) - do (iv) - sol (i) - MI b 7 (VI) e infine per
l'ultima volta, do6 (iv) e sol (i). Il tutto accompagna la sequenza di note (Do4 - Re4 - Mi4 -
Fa4 - Sol4 - La4 - Sol4 - Mi4 e il Sol4) che contraddistingue i versi finali: «per sempre addio,
senza rancor», in misure di tre semibrevi congiunte, un Sol4, che rappresentano l'acuto
conclusivo.
La pagina orchestrale stavolta è più definita, giusto per curare il termine della
canzone in modo preciso e puntuale. Non si rilevano particolari segni al riguardo se non la
staticità e la mancanza di eccessivo lavoro, architettura e disegno. Forse maggior presenza
delle conformazioni accordali che sono segnate ad ogni sezione, a dare più sostegno,
energia, potenza armonica e musicale al tutto. Inoltre, sono rilevanti le vistose indicazioni
dinamiche tra cui un «rallentare» scritto in verde, assieme alle numerose forcelle di
crescendo e diminuendo.


101
In quest'ultima pagina: finale accordale di tutti gli strumenti, i quali seguono la
voce fino alla fine. Non ci sono caratteristiche particolari, a parte la conclusione sulla
tonica cui giungono tutti insieme gli strumenti dell'orchestra.


102
!
Grazie dei fiori. Partitura autografa originale di Pippo Barzizza.
!
Sebbene la prima pagina solitamente possa apparire di poco conto, qui, ancora una
volta, vi compaiono, assieme agli autori del testo e al compositore della musica, delle
precisazioni. Due principalmente: il tempo di beguine indicato appena sotto il titolo e
l'estensione vocale dell'esecutrice del brano, Nilla Pizzi, consistente in un intervallo di Fa2
diesis - La3. Anche da questi segnali si può cogliere ancora una volta l'accuratezza e la
precisione del Maestro Barzizza nello svolgere il suo lavoro.


103
Ecco la prima pagina della versione di Pippo Barzizza. Una scrittura ordinata e
precisa, come già rilevato, dove è possibile riscontrare i primi timidi differenti segnali
rispetto alla precedente versione. La tonalità è la medesima della precedente e, quindi, si
presume, della versionedi Mascheroni, cioè Sol minore. La presenza agli archi, come
nell'orchestrazione di Angelini, è posta in risalto, ma qui è trattata in maniera differente.
I violini anticipano il tema di «Grazie dei fiori». L’armonia è completata dalle
note singole in chiave di contralto: do4aum/6 (iv) - sol6 (i) - LA7dim/5dim (II) - sol (i) -
do#7/5 dim (iv) - RE (V) - SI b 7 (III) - LA7 (II) - RE (V).
I violoncelli eseguono arpeggi in chiave di basso, come risposta alla ‘staticità’
degli accordi sovrastanti. Il canto ancora tace, la chiave di basso del pianoforte esegue la
nota fissa di Sol, mentre i ritmi compaiono attraverso l'intervento regolare in crome delle
maracas (ultimo pentagramma della pagina).


104
Un ultimo arpeggio dei violoncelli in questa pagina successiva permette di
prolungare la dominante RE (V) e introdurre il chorus. La “V” prima della terza battuta
contraddistingue lo stacco dell'archetto dei violini e il silenzio di questi per le prime due
battute del canto. L'indicazione «a piacere» lascia spazio e libertà al cantante. Di nuovo ci
si ritrova davanti alle note Re4 - Do4 diesis che corrispondono a «Tanti fiori», incipit del
testo.
Stavolta, il sottofondo di pianoforte accompagnato da chitarra non risulta
particolarmente ricco e rilevante. Ad accompagnare il canto, solo delle ‘timide’ semibrevi
con la fondamentale degli accordi di accompagnamento (i - iv -i). All'attacco del canto
corrisponde anche la presenza dei tre sax, i quali, però, scompaiono poco dopo.


105
Il chorus, qui, sembra voler condurre quasi subito al nucleo della canzone, quel
famoso «Grazie dei fior», più volte citato.
A ciò, corrisponde una volontà di far rispettare il tempo della canzone, con la
debita indicazione «a tempo».
Barzizza sembra quasi essersi ‘risparmiato nella strofa per dare maggiore sfoggio
delle sue doti nel “ritornello cantato”.
È in questo punto, infatti, che emerge l'impronta, il ‘marchio di fabbrica’ di
Barzizza, per più di un motivo: l'impostazione accordale, l'accompagnamento della mano
sinistra della parte di pianoforte, che quasi sembrerebbe imitare la parte di un contrabbasso
e il suo pizzicato, e l'indicazione in tempo di beguine molto cara a lui (spesso presente
anche negli esempi del suo manuale), specificato appena sopra la b. 4 del pianoforte.
La beguine è riscontrabile sempre all'interno della bellissima parte di basso,
contrassegnata da semiminima, pausa e tre semiminime, di cui l'ultima ricade sul battere di
ogni battuta successiva.

106
L’incipit del chorus (“grazie dei fior”) prevede un giro accordale uguale alla
versione di Angelini, con l'aggiunta delle posizione jazzate di sesta e quinta tanto care a
Barzizza: do5dim/6 (iv) - sol (i) - do6 (iv) - sol (i).
Altro elemento di rilievo sta nella suddivisione delle note fra violini primi e
violini secondi.


107
!
Dopo l’incipit del chorus l’accompagnamento si alleggerisce, fatta eccezione per
le prime quattro battute dei fiati e tre battute centrali degli archi, coinvolgenti violini e
viole in un'aggregazione accordale. Il movimento sincopato è inaugurato da una pausa di
croma, tre crome e due semiminime e conclusione su accordi di do e do6 tenuti per una
semibreve: (bb. 4-5, 6-7). Continua a muoversi la parte accordale del pianoforte che è la
principale a seguire il canto: LA b 7 (II) - sol (i) - MI b 7 (VI) - RE (V) - do6 (iv) - sol (i) -
do6 (iv) - sol (i).


108
L’essenzialità dell’accompagnamento prosegue ancora, ma risulta più evidente
l'apporto dato dagli archi. In pausa le viole, ma violini e violoncelli continuano un disegno
di accompagnamento che si accosta agli accordi di pianoforte che eseguono: LA b 7 (II) -
sol (i) - MI b 7 (VI) - RE7 (V) - sol (i). Anche qui, indicazioni specifiche, prima, di
divisione delle note da eseguire fra violini primi e violini secondi, e poi di pizzicato.
Prosegue l'accompagnamento su semiminime della chiave di basso del pianoforte
mentre le ultime quattro battute della pagina vedono un intensificarsi della scrittura degli
archi, stavolta tutti presenti e contribuenti al sottofondo strumentale.
Una partecipazione, nelle ultime tre battute, c'è anche da parte dei fiati, in
particolare flauti e clarinetti: strumenti sempre molto presenti in Barzizza. Sebbene
scompaiano gli accordi di piano si riscontrano delle note al basso da cui ricavare la parte
restante di tracciato armonico: V - I - V - I.


109
La scrittura per gli archi rimane quella più rilevante, con indicazioni segnate in
rosso come l'«affrett.», affrettato, che compare cerchiato, seguito da una scaletta
ascendente di Re maggiore, dominante, che porta alla ripetizione del chorus. Si assenta
ancora di più la parte del pianoforte, sembra che Barzizza abbia quasi voluto far ‘azzittire’
il resto dell'organico orchestrale per dare più importanza alla parte cantata e al testo della
canzone. L'unica indicazione che compare prima del ritorno alla dominante e che dà
nuovamente il lancio al ritornello è un La2 bemollenella parte di basso del pianoforte nelle
prime due battute.
Riparte il chorus (“e grazie ancor”): do4aum6/9 (iv) - sol (i) - LA b 7 (II) (in
primo rivolto) - sol (i).


110
La scrittura orchestrale stavolta è più fitta, folta e completa, compilata in ogni
minima parte. Mentre termina il secondo chorus con LA b 7 (II) - sol (i)- MI b 7 (VI) -RE7
(V) - sol (i), la parte orchestrale si rianima perché è giunto il suo momento: posta in risalto
con la sua debita e dovuta parte di intermezzo strumentale. È affascinante, inoltre, notare,
proprio in momenti come questi, l'abilità di Barzizza nel dare il suo meglio quando si tratta
di porre in risalto l’orchestra.
Proseguono gli accordi di pianoforte ad accompagnare questo momento.
Andamento per quarte per i flauti e regolare a distanza di terze di clarinetti e oboi. La
sezione di ottoni (brass) segue con lo stesso movimento di crome ma a distanza di seste/
quinte (II pentagramma dei brass).
La sezione D perciò si configura come quella strumentale - orchestrale che segue
per ora il disegno sol (i) - do (iv).


111
Notare come s'infittisca ancora di più la trama orchestrale, mentre, la precedente
versione, a confronto, risulti più scarna e non dare particolare spazio a un intermezzo
strumentale, ma concentrarsi maggiormente sulla parte cantata.
Con grande incastro e cesello si rintraccia un disegno armonico che procede così:
fa7 (vii) - MI b (VI) - SI b 7 (III) - mi (vi) - do (iv) - RE7 (V), anticipando
l’accompagnamento del bridge.
A seguito di andamento per terze di flauti, clarinetti e oboi, bellissimo disegno
discendente cromatico di flauti e clarinetti, (b. 4) con scambio di parti, evidenziato in
rosso, a dar loro maggiore importanza. Interessante come le correzioni di Barzizza ci
indichino una sostituzione delle parti: la parte del sax alto prende quella del clarinetto e
quella del sax tenore prenda quella dell'alto. E’ questo un altro mirabile esempio sul campo
del procedimento compositivo e di orchestrazione puntigliosa, sul momento, del maestro.


112
Ancora una volta si ripropone una scala ascendente cromatica per i sax, ancora
una volta ripensata in corso d'opera (si vedano le scritte in rosso): la parte, che sarebbe
assegnata a loro nel pentagramma, viene invece affidata al primo clarinetto, mentre sax alti
e tenori proseguono un interessante moto per terze sulla stessa scala cromatica. Il disegno
fitto per terze prosegue: sia per i flauti, clarinetti, oboi e sax, mentre leggermente più
stazionaria risulta la parte dei fagotti. Gli archi si limitano stavolta ad eseguire minime
(violini) e crome (viole e violoncelli) dei rispettivi accordi: SOL7 (I) - SOL7/9+ (I) - do
(iv) - SOL 9+ (I) - SOL7/9+ (I) - MI b (VI).


113
Ecco che il fitto disegno orchestrale va assopendosi, per far subentrare
nuovamente la parte del canto. Si ‘azzittisce’, tutto a un tratto, la parte strumentale, i cui
ultimi ‘sprazzi’ rimangono nella parte dei violini, più presenti in corrispondenza della
ripresa del canto. Sembra come se la canzone avesse due anime: quella della canzone
melodica e orecchiabile e quella jazzistica, che esce da tali canoni con accordi di seste,
none maggiori e minori. Gli accordi che precedono il rientro definitivo della parte del
canto sono RE7/9 (V) - sol (i) - LA b 7 (II) - RE7 (V) - sol (i). A questo punto riprende la
parte cantata con alternanza di I- V - I.


114
Assieme a delle semibrevi (bb. 3-4) del sax è ancora la presenza degli archi, come
si diceva poc'anzi, a far compagnia al canto che è seguito da timide note di basso persino al
pianoforte; esse tracciano un percorso armonico che è Fa2 (vii) - Si b 2 (III) - La b 2 (II).
Quest'ultimo prolungato, per poi sparire e dare spazio all'ultima frase cantata prima del
gran finale. Frase musicale che termina con un Re4, prima minima e, all'ultima battuta, in
semibreve.


115
Riprende l’ultimo chorus «grazie dei fior», nella sequenza Mi4 - La3 - Mi4, per
avviarsi alla fine.
Il ritornello è sempre sostenuto dall'immutabile sequenza do (iv) - sol (i)- LA b 7
(II) - sol (i) - MI b 7 (VI) - RE7 (V), riscontrabile nelle note alla chiave di basso, e nei tre
accordi di semibreve delle ultime tre battute. Riprende la figurazione,‘contrabbassata’ in
ritmo di beguine, nella chiave di basso di pianoforte. A ciò si uniscono alcune indicazioni
in più, date dalle crome delle maracas, alla parte ritmica.


116
Viene indicato qui, anche agli archi, di ‘assopirsi’, tramite la scritta «sordina», per
poi eseguire delle crome. Riprende il tema principale con do (iv) - sol (i) per lanciare poi
l'ultima nota, un Sol4, con la stessa identica notazione dell'altra partitura, ma con tragitto ed
approccio totalmente diversi. Le note Do4 - Re4 - Mi4 - Fa4 - Sol4 - La4 - Sol4 - Mi4 che lo
precedono sono sostenute da un do (iv).
Oltre agli archi, si noti la presenza, ancora accennata, dei clarini e dei sax;
l'indicazione «a tempo» fa sì che gli archi non accelerino (rischio generale che si presenta
per dare maggiore enfasi ad un finale o ad una qualsiasi parte che lo richieda). Ciò ricorda
che alla forcella dell'aumentando non corrisponde mai un accelerando, se non quando
espressamente richiesto.


117
Ecco il finale accompagnato da accordi di MI b (VII), do (iv), seguiti da una
coerente caduta sulla tonica, sol (i) in chiusura.
Compaiono a questo punto solo le ultime indicazioni per gli archi e delle piccole
scale: la prima ascendente: parte dal clarinetto e prosegue nei flauti, la seconda,
discendente, per gli oboi.
Un ultimo Sol è ribadito, infine, alla chiave di basso, dal pianoforte, che sancisce
la fine del brano, cui s'accosta soltanto la scrittura delle maracas.


118
3.3 L'arrangiatore ‘esterofilo’: Vivrò (My Prayer)
!
!
Si è accennato nel paragrafo precedente a quanto Barzizza si distinguesse da
Angelini nel suo modo di arrangiare, più affine alle sonorità e ai colori jazz. Fu per questo
accusato di non essere stilisticamente conforme all'Italia e ai suoi modelli musicali, di
essere, in una parola, esterofilo.165 Perciò, dopo i due aspetti di compositore - arrangiatore
di se stesso e di confronto con un altro stile di arrangiamento, si scopre qui una terza via di
lavoro del Maestro: quella dell'arrangiamento di una famosa canzone straniera, edita e
pubblicata in varie versioni, qui riarrangiata e riscritta per il pubblico italiano alla fine
degli anni Cinquanta.
La canzone in questione è Vivrò (Avant de Mourir-My prayer). Il brano nacque
come “Serenata” strumentale, da un violinista e compositore rumeno Georges
Boulanger166, con il titolo Avant de mourir.167
Fu registrata per la prima volta nel 1924 dalla stessa orchestra del compositore, La
Georges Boulanger Orchestra. Le parole in inglese, invece, furono aggiunte più tardi, nel
1939, da Jimmy Kennedy, famoso paroliere, attivo a New York168, il quale racconta nella
sua autobiografia come avvenne il cambio del titolo della canzone e l'aggiunta del testo:
!
Mentre la canzone South of the border stava avendo un buon successo, dovevo affrontare una sfida
differente: come trasformare una lunga e malinconica composizione del violinista e compositore Georges
Boulanger in qualcosa di più commerciale. La melodia della composizione aveva il titolo poco promettente di
Avant de mourir, che significa “Prima di morire”. Inoltre, la struttura del pezzo non era accattivante per gli
arrangiatori di Tin Pan Alley, viste le sue sequenze inusuali di accordi minori che sembravano troppo
complicate per una canzone popolare commerciale.169


165 Fatti su, http://fatti-su.it/pippo_barzizza

166Georges Boulanger (1893 - 1958) nacque a Tulcea in Romania è stato un violinista, attivo soprattutto in
Francia.

167 Songbook, http://songbook1.wordpress.com/pp/fx/1939-standards/avant-de-mourir-my-prayer/

168SuJimmy Kennedy cfr. l’autobiografia, JIMMY J.KENNEDY , The Man Who Wrote the Teddy Bears'
Picnic, Author House, Milton Kines (UK), 2011.

169 Ivi, pp. 142-143

119
Nonostante tutto, però, Kennedy riuscì a risolvere i problemi che si erano
presentati:
!
Con l'aiuto di Wally Ridley (...), pianista ed arrangiatore particolarmente dotato, accorciai le
battute del tema principale, che da 12 divennero 8, con degli accordi più comprensibili. Poi composi le parole
e la musica per un verso introduttivo (...) e aggiunsi una sezione centrale alla canzone. Alla fine ci
concentrammo su un finale più incisivo. Tenemmo le indicazioni prescritte da Boulanger: Serenata per il
verse e con sentimento per il chorus. Ebbi un blocco sul come intitolare la canzone sino a quando non arrivò
in soccorso mia moglie Peggy. Perché non chiamarla My prayer?, mi suggerì. Con quell'idea fui in grado di
terminare il testo della canzone in tempi relativamente brevi.170
!
Il titolo ed il testo così stabiliti da Kennedy vennero mantenuti nelle edizioni
successive della canzone, sempre in inglese. Nello stesso anno, il 1939, la canzone
conobbe la celebrità grazie alle registrazioni e incisioni di Glenn Miller e degli Ink Spots.
A tali due versioni ne seguirono altre che composero quella che Kennedy definì «una lista
senza fine» di cover e rifacimenti del brano.171 Le versioni successive hanno incluso artisti
quali Joe Loss, Jack Hilton, Bert Kaempfert, Vera Lynn, Mantovani, Louis Armstrong,
Roby Orbison, The Righteous Brothers e Tom Jones. Probabilmente però «la versione
definitiva fu quella dei Platters, nel 1956».172
Oltre ad essere stato rielaborato e divenuto canzone in paesi quali Inghilterra,
Irlanda e America poi, il brano strumentale di Boulanger divenne canzone in altri paesi
europei. Si ha conoscenza, ad esempio, di una versione con testo francese, Tout nous parle
d’amour, di Maurice Chevalier, per lo spettacolo Amours de Paris (1938).173


170 Ibid.

171 Ibid.

172 KENNEDY, The Man Who Wrote the Teddy Bears' Picnic, cit., p. 144

173Le informazioni riportate si rifanno alla descrizione del video di questa versione, visualizzabile al link:
http://m.youtube.com/watch?v=v83Vi7640f4

120
E, a parte questo, si sa che:
!
Il brano, soprattutto orchestrale e con assolo di violino, apparì, oltre in Francia, diffusamente
inciso e distribuito anche nel resto del mercato (v. in Germania ed Ungheria).174
!
In Italia, invece, notizie su prime versioni del brano divenute canzoni si hanno
attorno al 1940, esattamente un anno dopo la modifica del titolo e l'aggiunta del testo in
inglese di Kennedy.
Dopo la versione del '39 del gruppo americano Ink Spots, il brano «arrivò
all'attenzione dei discografici italiani che lo fecero incidere - con il testo italiano scritto da
Eugenio Carboni (Parma 1902-1992) - a Norma Bruni, una cantante finalista del secondo
concorso di voci nuove dell'EIAR».175 Alla versione cantata da Norma Bruni fu dato, da
Carboni, il titolo Sì voglio vivere ancor! ed è datata presumibilmente 1940.176
Di poco successiva, invece, l'esecuzione di un altro interprete di punta dell'EIAR
diretto da Angelini, Giovanni Vallarino. Il brano è ricordato come «un ritmo moderato, ma
arrangiato da Angelini quasi a... Bolero, ad inizio e alla fine», del 1941.177
Nel 1942 la canzone fu poi incisa, mantenendo lo stesso titolo, dall'etichetta
discografica internazionale Columbia che la fece cantare a Carlo Buti, altro cantante molto
ricordato degli anni ’40.178
Queste le notizie che si sono potute raccogliere prima della versione riportata qui
di seguito di Barzizza, che reca la data 1958. Dal 1941 al 1958 c'è, purtroppo, una
mancanza di informazioni che non è stato possibile colmare per ora; nemmeno attraverso
ricerche più approfondite di cataloghi di opere edite da Pippo Barzizza per editori come

174 L'informazione è tratta da un sito molto informato sul Trio Lescano curato da un appassionato e
collezionista, Angelo Zaniol: http://www.trio-lescano.it/archivio_notizie/23_gennaio_2011.pdf

175Le informazioni sono state curate da Michele Bovi, giornalista e autore. Ideatore di programmi TV quali
DaDaDa, TecheTecheTé, ha ritrovato notizie sulla canzone che sono riportate nel suo sito, consultabile al
link: http://www.michelebovi.it/?tag=carlo-buti

176 http://www.trio-lescano.it/archivio_notizie/23_gennaio_2011.pdf

177
Disco Cetra DC 4053, matrice 50990. Cfr. Il discobolo, http://www.ildiscobolo.net/VALLARINO
%20GIOVANNI%20HOME.htm

178 Cfr. Michele Bovi: http://www.michelebovi.it/?tag=carlo-buti

121
Curci, Carish e Aromando Editore, svolte grazie all'aiuto del figlio del Maestro, il quale
conferma di non avere notizie a riguardo. L'opera risulta, perciò, per ora inedita.
Le ulteriori notizie inerenti la canzone sono rintracciabili dopo questa versione del
1958.
Le esecuzioni italiane più ricordate sono principalmente tre: una di Alain Barrière
(1964), una di Iva Zanicchi (1969) e un'altra di Adriano Celentano (1986).179
Delle tre versioni appena citate, si è scelto di prendere a modello quella di Iva
Zanicchi: la più vicina come esecuzione alla versione della partitura di Barzizza.
Non prevedendo bridge al suo interno, la canzone presenta qui la seguente
struttura:
!
- chorus
- chorus
- chorus
- chorus finale
!
Testo inglese
!
When the twilight is gone and no songbirds are singing
When the twilight is gone you come into my heart
And here in my heart you will stay while I pray
!
My prayer is to linger with you
at the end of the day in a Dream that's divine
My prayer is a rapture in Blue
with the world far away and your lips close to mine


179Delle tre versioni sono riportate notizie su youtube. Rispettivamente per la versione di Barrière: http://
youtu.be/0s3u2g2fkOw; per la versione della Zanicchi: http://youtu.be/oc7BTokjTO8; per la versione di
Celentano: http://youtu.be/pHsbvdzpX1Y
http://youtu.be/pHsbvdzpX1Y

122
Tonight while our hearts were aglow
Oh tell me the words that I’m longing know
!
My prayer and the answer you give
May they still be the same for as long as We live
That you'll al was be there at the end of my prayer
!
Mentre la versione di Iva Zanicchi è:
!
Vivrò
per amarti così
per sognare con te
per soffrire con te
!
Vivrò
per quest'unico amor
voglio averti per me
ogni giorno di più
!
Così
dolce sempre così
per vivere ancor
nei tuoi occhi
nel cuor
!
Vivrò
per amare un poco
per sognare con te
per soffrire con te
saprò darti la vita
Darti tutto di me


123
Vivrò. Partitura originale autografa di Pippo Barzizza.
!
L'estensione vocale è indicata qui ancora una volta: essa va dal Sol2 a Do4.


124
!
Ancora una volta è qui visibile il processo compositivo e di arrangiamento in
corso d'opera. La cancellatura ai sax alti lascia intravedere le stesse note, riscritte un'ottava
sopra, nella parte per i sax tenori. Le stesse figure di minima e terzina le eseguono ABC
(violini DIVISI in tre parti)180e le viole. Il violoncello segue questa figurazione dalla
seconda battuta in poi. Pause per il resto dell'orchestra, compreso, per ora, il canto.
La tonalità è fissata in Do Maggiore.
L'introduzione segue uno schema armonico che vede DO7+ (I) e suoi rivolti alla
prima battuta, MI7 (III) nella seconda battuta, mi6 (iii) alla terza, mi b 6 (iii) alla quarta,
seguendo un cromatismo di gusto tutto jazzistico.


180 BARZIZZA, L'orchestrazione moderna nella musica leggera, cit., p. 11.

125
!
L'introduzione strumentale volge qui al termine. Lo sottolinea lo «slow» a inizio
pagina, poco prima dell'inizio del canto. Minime ai sax alti, semibrevi per i sax tenori e
baritoni concorrono ad esaltare l'‘attesa’ del verse. Anche gli archi presentano tali figure,
mentre la parte di pianoforte entra anch'essa con i primi due accordi: FA9 (IV) - FA9/7
(IV), che con il ritardo dato dalla nota di passaggio Re2 diesis dà l'aspettativa del Mi3
introdotto dal La3 della battuta precedente.
Queste due note introducono la parola «vivrò» con cui comincia la canzone e che
prosegue attraverso le terzine successive. Gli accordi sono DO7+ (I) - DO6 (I) - DO5dim
(I). Ad accompagnare il canto un ‘tappeto’ di fiati, composto da semibrevi ai sax alti
(‘presi’ dai clarini), tenori e baritoni.


126
!
Lo stesso tappeto prosegue nell'andamento di minime ai sax tenori, che procedono
per terze,e note singole ai sax alti e baritoni. Tace la parte degli archi mentre il canto è
accompagnato dagli accordi del pianoforte e da un basso, che sembra ‘contraddistinte da
semiminime che eseguono alcune delle note presenti negli accordi.
Questi ultimi sono: DO5dim (I) - la6 (vi) - fa7+ (iv) - fa6 (iv) - DO6 (I) - MI b 7
(III).
Prosegue sempre uguale e costante l'accompagnamento ritmico.


127
!
La fine della prima esposizione del chorus è contrassegnata dalla suddivisione a
penna rossa, ‘delimitante’ il passaggio dalla sezione A alla sezione B della canzone,
oltremodo sottolineata dal segno convenzionale della “S” barrata già vista in precedenza.
La fine di questo primo chorus è contraddistinta da accordi di LA b 7+ (VI) -
SOL7 (V). La sezione B inizia invece con una interessante scala ascendente di terzine,
accompagnate da accordi ai violini, viole e violoncelli. Il canto ripete il ritornello,
sostenuto dagli accordi DO7+ (I) - DO6 (I)- DO5dim (I) e il basso come sempre presente.


128
Colpisce la presenza dei clarinetti, con una melodia arricchita di abbellimenti
quali appoggiature, a b. 2. Si unisce ad essi la parte delle trombe, stavolta stranamente
segnalata in rosso anch'essa, che contribuisce a ‘movimentare’ la parte più ‘statica’ degli
archi. Sembra come se, a questo punto, ci fosse uno scambio di parti e la parte di ‘tappeto’
prima eseguita dai fiati, ora spetti a violini, viole e violoncelli. Prosegue l'esposizione del
tema cantato attraverso una serie di terzine culminanti, la prima serie, in un La2 bemolle, la
seconda in un Do3. Questa sequenza di canto è accompagnata dalla successione accordale
DO5dim (I) - la6 (vi) - fa7+ (iv) - fa6 (iv) - SOL7 (V) - DO6 (I)- re7 (ii).
Immancabili le semiminime alla chiave di basso.


129
Con uno scambio equilibrato e raffinato, termina la parte di tappeto degli archi per
passare nuovamente il testimone ai fiati: minime e semibrevi a caratterizzarli. L'unica
eccezione è rappresentata dal ‘movimento’ di una tromba (Barzizza ne aveva una di qualità
nel suo organico nella figura di Gimelli181): l'unico che emerge appena poco più del canto
nella parte strumentale. Così, assegnando una serie di terzine alle trombe, Barzizza realizza
qui quello che lui definisce «controcanto»182, ovvero: «l'accompagnamento strumentale che
aiuta a non fossilizzarsi, durante la parte cantata, con semplici accordi senza movimento e
quindi senza alcun significato»183. Il pianoforte esegue gli accordi di DO5dim (I) - DO6 (I)
-DO7 (I) - fa7 (iv) - SI b 7 (VII) - MI b 7+ (III).


181 MAZZOLETTI, Il jazz in Italia, cit., p. 322. L'esaltazione di Gimelli e della sua tromba gli fece scrivere
sia apposite composizioni, che assoli per questo strumento.

182 BARZIZZA, L'orchestrazione moderna nella musica leggera, cit., p. 82

183 Ibid.

130
In questo punto particolare il canto è ora sorretto dall'aggiunta degli archi. Da
notare qui due aspetti. Il primo, la divisione che richiede Barzizza nell'esecuzione delle
terze agli archi: Do5 - Si4 - Do5 nell'ultima metà della seconda battuta eseguiti dai violini
primi, mentre le rispettive terze: La4 - Sol4 - La4, eseguite dai violini secondi. Il secondo
fattore di rilievo è il cambio di chiave, nello stesso punto appena indicato, per le viole. Per
queste Barzizza richiede qui che esse si spostino per un attimo nel registro più acuto,
probabilmente per rafforzare i violini, e rientrare in chiave di contralto già nella battuta
successiva. Prosegue il disegno di terzine nel canto: elemento tipico e caratteristico di
questo brano.
Caratterizzano questa pagina accordi di MI b 7+ (III) - MI b 6 (III) - fa6 (iv) -
DO5dim (I) - SOL7 (V) - SI b 7 (VII).


131
Termina la sezione di accompagnamento dei fiati, con le ultime terzine che
compaiono a inizio pagina, in prima battuta. Sembra si voglia lasciare spazio ancora una
volta all'agilità musicale della tromba. Questa seconda parte conclusiva è segnata da MI b
7+ (III) - SOL7 (V). Dopo il tocco inconfondibile della dominante riparte il giro armonico:
DO6 (I) - DO5dim (I).


132
Interessante notare come ancora una volta il rilievo dato alla tromba, che resta
sola mentre il resto della sezione dei fiati e degli archi tace. E’ l’unica assieme al pianoforte
e, ovviamente al canto, sempre in terzine. La6 (vi) - fa6 (iv) - fa6 (iv) e DO6 (I) gli accordi
che fanno stabilmente da sottofondo armonico a questa pagina, assieme a un timido
movimento di terzine agli archi, poco dopo il Do4 al canto.


133
I sax alti che avevano ripreso a suonare a b.4 della pagina precedente proseguono
assieme agli archi. Perciò: fiati, archi, pianoforte e canto sono qui tutti presenti.
L’armonia è: DO5dim (I) - re7 (ii).
Mentre il canto prosegue, accordi di SOL7 (V) - DO6 (I) lo seguono e termina
l'intervento degli archi per ridare spazio alla tromba, che si ‘muove’ nuovamente in un
“solo”, creando un effetto sincopato con figura puntate di crome e semicrome, in
corrispondenza della semibreve, Do3, al canto.


134
È a partire da quel Do che si conclude l'intervento del canto per dar spazio alla
‘voce’ degli strumenti. Termina la sequenza ‘rapida’ di semicrome alla tromba, che lascia
spazio così al solido organico di fiati, che eseguono qui delle terzine, figurazione ricorrente
che può essere considerata segno distintivo della canzone. In corrispondenza della pausa
dei sax, fa capolino la tromba, in una sapiente alternanza e calibrato dialogo fra fiati,
all'interno, quindi, della medesima sezione. DO6 (I) - MI b 5 dim (III) gli accordi presenti
qui.


135
Ancora una volta, nell'alternanza tra tromba e il resto dei fiati (sax alto, tenore e
baritono), prima di fare una breve pausa, vengono ancora eseguite delle terzine. In
corrispondenza della loro pausa subentra nuovamente la tromba, cui s'aggiungono gli archi
in ultima battuta che si muovono per terze. Qui nuovamente le parti degli archi si
differenziano fra loro.
Il canto rimane ancora assente.
Il pianoforte continua nell'esecuzione dei suoi accordi ritmicamente regolari. Essi
sono la6 (vi) - fa6 (iv) - fa6 (iv) - DO6 (I) - MI b 7 (III). Questi ultimi due, poi, risultano in
corrispondenza della ripresa degli archi di cui si parlava poc'anzi.


136
Ci si avvia, con questa pagina alla conclusione. Si noti, come di consueto, la
precisione delle indicazioni di Barzizza nelle sue partiture, come siano segnalate le riprese
e le ripetizioni: da che punti debbano cominciare e, dove, al contrario, finire. Oltre al
«prendi clarinetto» che Barzizza impone ai sax alti, ultime sporadiche direttive si trovano
per i sax tenori e baritoni, mentre le trombe eseguono delle semicrome. Gli archi
proseguono per terze e culminare con minime.
Il movimento armonico che accompagna questo avvicinarsi alla fine della canzone
è: LA b 7+ (VI) - SOL7 (V).


137
La coda rispecchia completamente lo stile barzizziano. Ecco concorrere tutti gli
strumenti sapientemente calibrati. Evidente la predominanza dei fiati e il loro seguire il
canto nel finale, attraverso delle minime prima, una semiminima poi e la semibreve che
sigilla la fine.
Gli archi non partecipano a questo finale sontuoso.
Il canto riprende dalle terzine per poi trovare culmine in una semibreve e una
semiminima dal punto coronato, che lascia ampia libertà al cantate di esprimersi fin quanto
vuole.
Emblematici gli accordi che segnano la fine della sequenza armonica e della
canzone: DO (I) - sol9/4(v) - DO6/9 (I), a dare un senso di sospensione ‘jazzato’ al finale.


138
CONCLUSIONI
!
!
L'idea di questo lavoro è nata da subito dalla ferma volontà di porre in risalto,
prima di tutto, la pratica dell'arrangiamento musicale, volendo affrontare nello specifico
una tipologia e un periodo che lo misero particolarmente in luce. L'arrangiamento per
orchestra, che ha caratterizzato la musica leggera italiana degli anni 1940 - 1958, ha
rappresentato un’esperienza particolarmente alta di ‘sartoria’ della canzone, in un momento
che può essere considerato per questo una sorta di ‘epoca d'oro’ di esso.
Prima di affrontare la parte viva dell'argomento, però, è stata necessaria una
chiarificazione storico-terminologica. Un ampio discorso introduttivo ha illustrato come
l'idea di arrangiamento, unitamente alla sua prassi, siano nate coi primordi della musica e
sottostiano agli inizi e lo sviluppo di questa. Una piccola indagine sull'etimologia francese
del termine «arrangiamento» ha potuto avviare l'argomentazione per la via appena
descritta. Uno dei risultati ottenuti è stato l'aver scoperto il primo uso del lemma
arrangiamento in ambito musicale, risalente al XVIII secolo. Senza di esso, prima di allora,
ogni esperienza musicale affine a tale pratica veniva designata come trascrizione.
Accanto al lemma, poi, è stata ripercorsa la storia dell'arrangiamento all'interno
della musica colta, consultando dizionari ed enciclopedie musicali, prima inglesi e
tedesche e poi italiane; dalla ricerca è emerso che gli studi più attivi a riguardo provengono
dall'area anglosassone. Essi mirano ad interrogare maggiormente la storia
dell'arrangiamento proprio nell’ambito colto, come nel caso dell'Emmy Noether Research
Group, visto nel primo capitolo.
Il punto di vista e la prospettiva italiani, invece, fanno partire tale storia
direttamente dal momento in cui prassi e termine dell'arrangiamento, nel nostro Paese,
sono stati mutuati nel XX secolo dal jazz. Si è visto come, seppur con ritardo, i medesimi
meccanismi del genere d'origine afroamericana e tecniche di arrangiamento nate con esso
(stock, one-time e head arrangments) siano stati importati in Italia.

139
Terminato il preambolo che ha ripercorso l'aspetto storico e ha visto quando e
come siano nate orchestre, direttori ed arrangiatori, si è passati all'atto pratico attraverso
l'analisi di alcune partiture di canzoni.
Le partiture di arrangiamenti scritte e firmate da Pippo Barzizza, conservate
presso l'archivio musica della RAI di Torino e utilizzate per questa tesi, sono state
particolarmente chiarificatrici per individuare caratteri specifici dell'arrangiare per
orchestra, sia del Maestro che dell'epoca. Attraverso la lettura e lo studio dei manoscritti è
stato possibile evidenziare tre aspetti.
Con la canzone Sera si è potuta osservare la personalità creativa di Pippo Barzizza
a tutto tondo: nel modo di comporre, i caratteri specifici nel farlo e nell'arrangiare, a
distanza di tempo (in questo caso di qualche mese), questo suo stesso brano. Facendo un
confronto delle due versioni di Sera si sono potute riscontrare grande coerenza, ordine e
precisione nella stesura di un arrangiamento. Una scrittura priva di contraddizioni, simbolo
di un'idea ben precisa in testa e portata avanti per tutto il brano. Scrittura caratterizzata
dalla prevalenza di accordi di sesta, molto cari al jazz in generale, già presenti all'inizio di
ogni brano. Per gli accordi della cosiddetta sixte ajoutée si potrebbe dire che essi
rappresentino un segno distintivo, la firma del pittore nel proprio quadro: il ‘marchio’ di
fabbrica di Barzizza nei suoi arrangiamenti.
L'impronta personale è emersa ben distinta nel confronto consumato con un altro
arrangiatore, il celebre ‘rivale’ Angelini. La disamina degli arrangiamenti di entrambi della
canzone Grazie dei fiori non ha fatto altro che riconfermare lo stile differente dei due, da
sempre riconosciuto: melodico, molto semplice, senza tante pretese e senza nemmeno uso
di rivolti agli accordi e di ardite soluzioni orchestrali quello di Angelini; diametralmente
opposto e con l'orecchio costantemente rivolto a fini ed eleganti richiami jazzistici quello
di Barzizza.
Il carattere sempre improntato a sonorità extra italiane si è misurato con Vivrò (My
Prayer): rifacimento di una canzone straniera, dalla lunga storia e mediata da una versione
americana. L'arrangiamento di Barzizza ha mostrato, ancora una volta, come si potesse
affrontare il confronto con brani stranieri di fama internazionale: non andando ad intaccare
più di tanto la struttura e la melodia della canzone, ma apportando le modifiche sufficienti
a distinguersi dalla versione originale e dare quel tocco di italianità ‘americana’, attraverso

140
gli accordi di sesta, la predominanza di parti e assoli scritti per fiati (trombe e clarinetti in
particolare) che tanto lo ha caratterizzato.
Il lavoro ha perciò voluto indagare così il modo di affrontare e scrivere
arrangiamenti per orchestra, concentrandosi su uno in particolare, quello di Barzizza, che
ha dominato, per i motivi, gli aspetti e le caratteristiche appena descritti, il periodo su cui si
è focalizzata l'attenzione: cosa finora poco studiata, nella pratica e così da vicino.
Inoltre, il rinvenimento delle partiture qui presentate ha permesso di dare
importanza a qualcosa che si credeva perso, distrutto.
Era infatti il 1986 quando Adriano Mazzoletti visitò gli archivi della RAI di
Torino e chiese delle partiture di Barzizza: gli fu risposto che queste erano andate bruciate.
Avvertì subito Barzizza, il quale, saputo questo, si mise a riscriverne buona parte a
memoria all'età di 84 anni.184
Questi arrangiamenti di cui ci si è dimenticati, o dei quali si ignorava l'esistenza,
hanno avuto, quindi, non solo lo scopo di essere analizzati, ma di riportare alla memoria
una passione e una mentalità nel modo di operare e scrivere arrangiamenti che nel tempo
ha perso il suo spirito originario.
Riviste e riportate alla luce oggi, queste partiture potrebbero rappresentare anche
una sfida: quella nel riproporre nel 2014 gli arrangiamenti di Barzizza. Curioso sarebbe
poterli eseguire con la mentalità musicale, un organico (magari una nuova orchestra
ritmico - sinfonica appositamente creata) e lo spirito di arrangiamento odierni per vedere
quale il risultato e quale la rilettura pratico - musicale.
Sarebbe un'occasione farlo proprio ora che sono passati esattamente vent'anni
dalla sua morte (4 Aprile 1994). Prima di tutto per onorare la sua figura immeritatamente
caduta nell'oblio con un tributo. Secondo, perché no, magari coinvolgere nuove
generazioni e far convogliare la loro attenzione su quella che lui chiamava «la nobile Arte
dell'Arrangiamento».185


184 Intervista telefonica con Renzo Barzizza


185 BARZIZZA, L'orchestrazione moderna nella musica leggera. L'ABC dell'arrangiatore, cit., p. 2

141
FONTI
!
!
1) Partitura Manoscritta di Sera, Ottobre 1958, conservata nell'Archivio Musica della RAI
di Torino.
!
Collocazione: BARZIZZA - C16
!
!
2) Partitura Manoscritta di Sera, Maggio 1958, conservata nell'Archivio Musica della RAI
di Torino.
!
Collocazione: BARZIZZA B-1
!
!
3) Partitura Manoscritta di Grazie dei Fiori, Orchestra Angelini, conservata nell'Archivio
Musica della RAI di Torino.
!
Collocazione: ANGELINI 650
!
!
4) Partitura Manoscritta di Grazie dei Fiori, Orchestra Barzizza, conservata nell'Archivio
Musica della RAI di Torino.
!
Collocazione: BARZIZZA 198


142
5) Partitura Manoscritta di Vivrò (My prayer) conservata nell'Archivio Musica della RAI di
Torino.
!
Collocazione: BARZIZZA - B20
!
!
6) Intervista Telefonica con Renzo Barzizza, figlio di Pippo Barzizza.
!
!
7) Intervista telefonica con Freddy Colt, nome d'arte di Fabio Alfredo La Cola, musicista,
studioso ed estimatore di Pippo Barzizza, direttore ed organizzatore del concorso per
arrangiatori che ha portato il suo nome.


143
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SURIAN E., Manuale di Storia della Musica Vol.I. Dalle origini alla musica vocale del
Cinquecento, Rugginenti Editore, Torino 2006


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SITOGRAFIA
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www.treccani.it consultato sino al 17/05/2014
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www.treccani.it/arrangiamento
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http://www.cnrtl.fr/etymologie/arrangée
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www.luther2017.de
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http://en.m.wikipedia.org/wiki/Christ_lag_in_Todes_Banden
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http://history-of-listening.com/research-projects/compositional-listening-musical-
arrangement-in-the-19th-and-20th-centuries/
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http://sju.sienajazz.it/files/2014/03/Storia_del_Jazz_I_anno.pdf
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http://www.mariodonatone.com/2012/jelly-roll-morton-uno-studio-universitario-parte-1/
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http://www.radiomarconi.com/marconi/cronologia.html
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http://fatti-su.it/pippo_barzizza#Collegamenti_esterni
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www.wikipedia.com/pippobarzizza
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http://www.radio.rai.it/radioscrigno/trasmettiamo/trasmettiamo_lancio.cfm?
Q_IDSCHEDA=39


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http://discografia.dds.it/scheda_titolo.php?idt=7218
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http://m.youtube.com/channel/UCtowQ1nkkggC-weMFzl7Bdg
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http://m.youtube.com/watch?v=SBrz5Fx44jQ
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http://youtu.be/LsbNjwItsP0
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www.radiocorriere.it
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http://youtu.be/2SCw0XJ61lo
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www.trio-lescano.it/archivio_notizie/23_gennaio_2011.pdf
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http://discografia.dds.it/scheda_titolo.php?idt=1343
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www.operemusicali.siae.it/
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http://www.michelebovi.it/?page_id=2
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Tutti i siti ed i link qui riportati sono stati consultati sino al 22/05/2014.


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RINGRAZIAMENTI
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Un traguardo come quello della Laurea Magistrale rappresenta sicuramente un
momento importante della propria vita. Ripercorrendo mentalmente il cammino svolto sin
qui mi vengono subito in mente persone precise da ringraziare; persone che mi hanno
sostenuto da sempre, hanno continuato a farlo in questi ultimi due anni e durante il lavoro
di tesi.
Fondamentali sono stati mia mamma e i miei nonni che, con i loro sacrifici e i
loro sforzi, hanno reso possibile tutto questo. A loro va il riconoscimento più grande,
unitamente all'affetto sempre avuto nei loro confronti, spesso e volentieri passato tra
difficoltà ed intemperie, ma da queste fortificato. Sicuramente non è mancato il sostegno di
cugini e zie di Roma, Brescia e Milano. A mia zia Claudia per avermi consigliato e seguito
nell'iscrizione al primo anno di Università e a mia zia Roberta per aver continuato a
credere nella Musica e con la quale ho sempre potuto condividere pareri e opinioni al
riguardo.
Mille volte grazie a Maria Donatella Gentili, una zia a tutti gli effetti che, con una
telefonata in un pomeriggio di dicembre di otto anni fa, ha determinato l'inizio di questo
tragitto accademico. Ancora sono stupita da quell'intuizione da lei avuta, dall'affetto e dalla
passione con i quali mi è stata accanto, per come mi ha guidato e consigliato in questi
cinque anni.
Ringrazio la Prof.ssa Facci per aver subito accolto con entusiasmo l'idea di questa
tesi, per avermi seguita, facendomi capire gli errori commessi ed esortandomi a migliorare
ogni volta. Parte importante è stata svolta dal Prof. Sanguinetti: grazie alle sue lezioni mi è
sembrato di aver guardato con più curiosità, più in profondità alla musica, analizzata e letta
nei suoi dettagli. Senza aver saputo cosa fosse e come svolgere un'analisi armonica, questa
tesi, probabilmente, non sarebbe stata possibile.
Un ringraziamento particolare va a Paolo Robotti della RAI di Torino, al Prof.
Andrea Malvano e Filippo Arri dell’Università di Torino, presenti all’Archivio Musica
della RAI: l'accoglienza, gentilezza e generosità dimostrate mi rimarranno impresse. L'aver

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potuto vedere, toccare le partiture di Barzizza è stato non solo utile per il mio studio, ma
per me una grande emozione che spero potrà ripetersi presto.
Ringrazio sentitamente altre tre persone: Renzo Barzizza in primis. Persona
squisita, ha dimostrato immediatamente piena disponibilità ad aiutarmi in maniera
entusiastica in questo mio progetto, inviandomi tanto materiale prezioso che mi dispiace
non aver potuto mettere ed utilizzare completamente nella tesi. Il suo contatto mi è stato
fornito dal prof. Angelo Zaniol, curatore del sito “Ricordando il Trio Lescano”:
appassionatosi da subito al mio lavoro, ha cercato di aiutarmi in tutti i modi. Grazie a
Renzo Barzizza ho potuto conoscere telefonicamente Freddy Colt, arrangiatore, il quale mi
ha dato consigli e spunti utilissimi al lavoro, atti ad approfondire la figura di Pippo
Barzizza, essendone un estimatore. Oltre a questo, con lui ho potuto anche scambiare
opinioni in materia di arrangiamento.
Un immenso grazie va ad amiche e amici che ci sono sempre stati. Sarebbe qui
impossibile ricordarli tutti, specialmente quelli di Ancona e Roma, ma non mancherò di
ringraziare a voce e con un abbraccio ciascuno singolarmente.
Grazie ai compagni di corso: ad Arianna per aver trascorso insieme questi cinque
anni condividendo ogni giorno l'entusiasmo, l'amore per lo studio della musica. Ad
Emanuela, per me diventata una sorella: uno dei rapporti d'amicizia più belli, intrapresi
durante il cammino universitario.
A Gabriele, per la sua vicinanza, il suo carattere e la sua persona, per avermi
ascoltato, per avere un progetto come me da realizzare e in cui credere.
A Paolo per essermi stato a fianco e per avermi sostenuto in questo lavoro,
aiutandomi a montare la tesi, curando sempre tutto nei minimi dettagli, con l'attenzione ed
il puntiglio che lo contraddistinguono.
Ad Enzo, per essere stato il mio Angelo custode per tutto questo tempo e al quale
continuo ad affidarmi.

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