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Amicizia secondo Aristotele vs Amicizia secondo me

Vorrei premettere innanzitutto che il “testo di Aristotele” mi ha davvero sorpreso, in quanto porta
alla luce delle riflessioni che probabilmente qualsiasi uomo nella propria vita elabora, ma non ha il
coraggio, o magari si vergogna di esternare. Dal mio punto di vista è stato quasi illuminante,
perché ho compreso come il nostro non si sia solamente limitato a descrivere ciò che è realmente,
ma anche ciò che lui credeva fosse. Illustrando ragionamenti che oggi consideriamo meschini o
maligni, di cui parlerò in seguito, ha “tramandato la mente dell’essere umano”, che purtroppo,
almeno in questo ambito, in più di 2000 anni non è granché cambiata.

“Nessuno  sceglierebbe di vivere senza amici, anche se avesse tutti gli altri beni”. Nulla da
dire, questa convinzione si è conservata sino ai giorni nostri. Ciò che mi lascia perplesso è un’altra
affermazione del testo, in cui Aristotele afferma che gli amici siano effettivamente un bene come
gli altri, solo più prezioso: “Perciò si pone anche la questione se un amico possa desiderare
per il suo amico i più grandi  dei beni, come di essere un dio: infatti in tal caso questi non
gli sarebbe più amico, né gli  sarebbe un bene, giacché gli amici sono dei beni.”
Finito di leggere la riga precedente, ho strabuzzato gli occhi. Gli amici sono dei beni? No, calma.
Gli amici non sono persone, che scelgono di stringere relazioni con noi poiché ci vogliono bene?
Magari quest’ultima è una concezione molto moderna del concetto di amicizia, o più
verosimilmente l’ideologia di Aristotele era sbagliata. Se voglio bene al mio amico come persona,
quindi sono un individuo buono che si affeziona ad un altro individuo buono, desidero il suo bene,
quindi non vedo perché non dovrei augurargli la possibilità di ascendere alla condizione divina.
Dall’inizio alla fine del testo, cambiando argomento, è presente la distinzione in 3 categorie di
amici: chi lo è per piacere, chi lo è per utilità, e chi lo è per ambedue, e in più vuole bene all’amico
per quello che è. “Infatti i buoni  sono sia buoni in senso assoluto, sia utili reciprocamente.
E altrettanto sono anche piacevoli”. In questo periodo Aristotele definisce la terza categoria,
quella migliore, l’amicizia vera, rara e duratura.
Vorrei contestare il filosofo di Stagira su questo punto, in quanto non mi sento in disaccordo con
lui, ma credo che il suo pensiero abbia bisogno di qualche precisazione. Chi è amico poiché l’altro
gli è utile, non si definisce amico, bensì approfittatore; colui del quale si approfitta può essere
benevolo, quindi volere bene senza essere ricambiato, oppure essere illuso di essere ricambiato,
e quindi credere di essere un amico vero, colui che dona senza ricevere nulla in cambio.
L’approfittatore, invece, non può nemmeno pensare di ritenersi amico dell’altro, poiché non ha
piacere a trascorrere del tempo insieme a lui, e non è nemmeno buono, perché se lo fosse
smetterebbe di prendere in giro l’altro e si stabilirebbe un altro tipo di accordo, simile a quello tra
colleghi di lavoro.
Aristotele dopo ammonisce chi crede di essere amico perché trae piacere dalla compagnia
dell’altro. Ma mi chiedo: “Se due persone piacevoli traggono piacere dalla compagnia dell’altro,
non è infine questa la definizione di amici?”. Ciò è contestato nel trattato esprimendo come un
amico che si crede tale perché riceve piacere e regala piacere a un altro non possiede la virtù
necessaria per diventare un vero amico. Ma qualcuno con cui si ha piacere a stare insieme, non
possiede già le virtù di per sé? In altre parole, non è il possedere le virtù e il bene che ha come
conseguenza la piacevolezza di una persona? Credo che la risposta sia affermativa, ma questa è
solo la mia opinione dell’amicizia; a questo punto, quindi, se dovessi scrivere una mia Etica,
comprenderei solo 1 categoria di amicizia, poiché il termine stesso, essendo a conoscenza del
realismo gnoseologico tra parole e realtà, include solamente l’amicizia tra persone buone che
traggono piacere nel frequentarsi in qualsiasi modo.
“E amando l'amico si ama il  proprio bene; infatti la persona buona quando diviene amica,
diventa un bene per colui al  quale è amica.”. Il lettore ricorda quando, nella prefazione del
testo, ho scritto di come Aristotele sia stato capace di trasporre su carta i pensieri, talvolta
meschini, che ognuno formula almeno una volta nella vita? Beh, ci siamo. Con questa
affermazione, l’uomo ritenuto come il più influente della storia da plurime riviste di tutto il mondo,
argomenta come amare un amico significhi amare sé stessi. E’ incredibilmente egoista, e si
ricollega al periodo che abbiamo analizzato circa all’inizio del documento. Amare qualcuno
significa volere il suo bene, non il proprio. 
Mi tocca confessare una cosa, però, a questo punto. Succede, e mi maledico quando succede,
che io non desideri il bene dell’amico, ma desideri il mio bene attraverso l’amico, e quindi vorrei
che il mio amico agisse secondo il mio bene, e non secondo il suo. 
Secondo Aristotele questa è consuetudine, secondo me no. Forse il mio ragionamento viene
meno, in una concezione altrettanto egoista, quando io e il mio amico desideriamo la stessa cosa,
e quindi entriamo in conflitto per quella cosa. Ma solo se il nostro desiderio è più grande della
nostra amicizia, allora litighiamo e accade, a volte, che ci capiti di rompere il nostro legame con gli
altri. Ma forse è fisiologico, è nella natura dell’uomo, che se la cosa a cui teniamo di più è
disponibile, la si voglia per sé. Si giunge inevitabilmente a un bivio: sono disposto a sacrificare
l’amicizia per vivere avendo ottenuto l’oggetto del mio desiderio? Quando l’amicizia è vera e forte,
è tra buoni, si giunge spesso a una conclusione negativa. Quando si tratta invece di amicizia
occasionale, bisogna analizzare caso per caso tutte le varianti, fino a trovare le situazioni
specifiche.
A questo punto, il discepolo di Platone afferma che gli uomini di potere non si scelgano amici
veri e fidati, ma solamente compagni o utili o piacevoli. Devo ammettere che, subito dopo
aver compreso il significato dell’affermazione, ho pensato a Pier delle vigne. L’esempio è calzante.
Pier delle vigne fu AMICO FIDATO e cortigiano di Federico II di Svevia, un uomo dall’indubbio
potere e dall’indubbia bontà e virtù, che calunniato dai cortigiani presso l’imperatore, persa la sua
fiducia e la sua stima, e perciò si tolse la vita. Potremmo dibattere a lungo se fu la perdita
dell’amicizia o l’onta da parte la società in generale a indurlo al gesto eclatante, ma non è questo il
punto.
Aristotele sbaglia su tutta la linea ad affermare che i potenti non cerchino amici veri: siccome essi
sono già circondati da gentaglia di tutti i tipi, di chi si dovrebbero fidare, se non di uomini virtuosi e
buoni, che possano essere sinceri confidenti e compagni per la vita? Non si deve cadere nel luogo
comune che “tutti i potenti sono malvagi”, e quindi “le loro amicizie sono tutte false”. Il nostro
possiamo dire che si salvi in corner scrivendo “e non facilmente sogliono sorgere uomini di tal
genere”, ma è certo che, anche essendoci un rapporto suddito-padrone, possa nascere
un’amicizia sincera e reale.
Per continuare sia con le considerazioni di questo tipo, sia con il tema dell’egoismo, riporto un
altro pensiero: “è normale che chi è superiore sia amato più di quanto ami”. Sfido chiunque a
non aver mai collegato i propri neuroni per formulare una cosa tanto sbagliata, quanto ovvia per la
natura animale dell’uomo. E’ una meritocrazia perversa e figlia della nostra concezione delle classi
sociali, per la quale esistono uomini superiori ad altri. Se mettiamo il raziocinio al servizio della
nostra virtù, per pochi istanti, arriviamo alla conclusione che un ragionamento del genere non sia
accettabile, e nemmeno giusto o etico. Eppure, per pochi istanti, a volte ci pensiamo. 
Qui risiede la grandezza del pensiero; il coraggio di trasmettere concetti eticamente sbagliati, ma
“condivisi” inconsciamente da tutti.
Per concludere, sottolineerei la distinzione che Aristotele compie tra amicizia legale e amicizia
etica. E anche qui, sento di dovermi dissociare dalla sua concezione. L’amicizia legale non può
esistere, perché la relazione descritta da Aristotele non è amicizia, bensì un contratto volontario
molto lontano dall’amarsi o dal volersi bene.
L’unica amicizia possibile è quella etica, che presuppone due individui buoni, disposti a essere
benevoli con gli altri, sinceri, virtuosi. Perciò, chi trova un amico “etico” trova un tesoro.

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