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L'alfabeto italiano deriva fondamentalmente da quello latino antico, che arrivò a

comprendere 24 lettere in età repubblicana[5]:

A B C D E F G H I K L M N O P Q R S T U V X Y Z
Le sue caratteristiche principali sono le seguenti:

Il latino classico non distingueva graficamente la U dalla V (il latino classico


aveva solo la V, corrispondente al suono della U semiconsonantica, e scriveva
parole come divvs per /ˈdiːwus/); in epoca classica e soprattutto nel latino
medievale (che è arrivato fino a noi tramite l'uso ecclesiastico) iniziò a farsi
sentire una distinzione tra U e V e quindi la nuova consonante venne creata
modificando la V in U[6] (operazione simile avvenne con la nascita della G dalla C,
nel III secolo a.C., mentre la nascita di C e G palatali non vennero seguite da
nuove lettere e questo spiega perché il latino ecclesiastico e l'italiano usano un
solo segno per due suoni ben distinti). Oggi a volte si utilizza la pronuncia
classica del latino cosiddetta restituita e quindi si tende a leggere tutte le C e
G come gutturali e ovviamente a scrivere solo V maiuscola e u minuscola e leggere
sempre U nel latino accademico.
Esisteva poi una sola lettera per indicare i due suoni vocalico e "semivocalico"
della I; diversamente da quanto avviene con la U e la V, gli editori moderni
solitamente preferiscono evitare l'uso della J per indicare la pronuncia
semivocalica della I: si usa dunque scrivere Iulius e non Julius, forse per evitare
equivoci dovuti all'interferenza dei valori francese e inglese della lettera J.
La lettera K era usata in poche parole che mantenevano la grafia latina arcaica
(che voleva sempre K prima di A), come kalendae.[7]
Le lettere Y e Z erano usate solamente in parole greche, così come i digrammi CH,
PH, TH e RH.[8]
Anticamente le lettere avevano un'unica forma, più somigliante alle nostre
maiuscole o alle nostre minuscole a seconda degli stili di scrittura. Nel corso del
Medioevo si cominciò ad alternare nello stesso scritto due diversi stili, uno detto
"maiuscolo" e riservato nei titoli alle lettere iniziali di certe parole, e l'altro
detto "minuscolo" e usato per il resto del testo. In un secondo momento le lettere
minuscole venivano usate insieme alle maiuscole nel testo. Le lettere I, S e V
avevano ognuna due diverse forme minuscole. Queste forme non rappresentavano suoni
diversi, e la scelta dell'una o dell'altra rispondeva solo a criteri estetici
determinati dalla posizione della lettera nella parola, come avviene ancor oggi per
il sigma minuscola greca e per le lettere degli alfabeti ebraico e arabo. Ad
esempio, la forma v si usava solo all'inizio della parola, e la forma s solo alla
fine o dopo altra S; vinum, unus, uva e sessiones si scrivevano dunque: vinum,
vnus, vua e ſeſsiones.[9]

Intorno al XVI secolo, la forma lunga della S minuscola (ſ) cesserà di essere usata
mentre le due forme di I e V daranno vita a due lettere distinte. L'uso di u e v e
di i e j come lettere distinte (e la conseguente creazione delle maiuscole
artificiali J e U) si deve al poeta e umanista Gian Giorgio Trissino (1478 - 1550),
il quale propose anche di usare le due forme della S e le lettere greche ε e ω per
distinguere i due suoni corrispondenti a ognuna delle lettere S, E e O.

A seguito dell'eliminazione dell'H aspirata, il digramma PH scomparirà dalla lingua


italiana, sostituito dall'omofona F; sorte analoga subirà il digramma TH,
sostituito dalla T.

Le lettere Y, K e X vengono eliminate nel Medioevo, le prime due a causa del loro
già scarsissimo utilizzo nella lingua latina[10] (anche se la K era ancora usata ai
tempi di San Francesco d'Assisi, v. il Cantico delle creature), la terza per
assimilazione in doppia S (es.: "saxus→"sasso")[11] o per trasformazione in S sorda
(es."Xerxes"→"Serse")[12]; l'uso della Z al contrario aumenterà molto, anche perché
andrà a sostituire la T del digramma "TI + vocale" (omofona alla Z).
La J inizia a essere usata nel '500 fino all'inizio del XX secolo, sia per indicare
il suono semiconsonantico della I (jella), ovvero la "i" intervocalica (grondaja,
aja), e come segno tipografico per la doppia i (principj). Le lettere I e J erano
ancora considerate equivalenti, per quanto riguarda l'ordine alfabetico nei
dizionari e nelle enciclopedie italiani, fino alla metà del XX secolo. Dalla fine
dell'Ottocento in poi, la lettera J cadde in disuso, tranne che in alcune parole
particolari.

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