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Il gruppo dei Tirannicidi è un gruppo scultoreo raffigurante Armodio e Aristogitone, realizzato

da Crizio e Nesiote; è la prima statua del mondo greco che raffigura personaggi e fatti storici. È
considerato il punto di passaggio tra il periodo arcaico e lo stile severo.

Descrizione[modifica | modifica wikitesto]


Dopo lo stabilirsi della democrazia in Atene, allo scultore Antenore fu commissionato un gruppo
scultoreo dei Tirannicidi che fu eretto nell'Agorà. Questo gruppo fu trafugato dai Persiani durante
l'occupazione di Atene nel 480 a.C. e restituito agli ateniesi da Alessandro Magno (secondo lo
storico Arriano) o da Seleuco I Nicatore (secondo lo scrittore romano Valerio Massimo). Nel frattempo,
comunque, i cittadini attici avevano commissionato nuove statue a Crizio e Nesiote che furono erette
nel 477 a.C. circa.
Entrambi i gruppi di statue sono andati perduti, ma le opere più tarde furono oggetto di copia in
epoca ellenistica e romana. Una di queste copie, databile al II secolo d.C., è oggi esposta al Museo
Archeologico di Napoli. Essa mostra ritratti idealizzati dei due eroi: un Armodio nudo e sbarbato con un
fisico molto più adulto di quello che avrebbe potuto avere, che spinge in avanti una spada col suo
braccio destro alzato e ne tiene un'altra nella mano sinistra; anche Aristogitone, rappresentato con la
barba, brandisce due spade ed ha una clamide poggiata sulla spalla sinistra. Delle quattro spade si
sono salvate solo le else e la testa originale di Aristogitone è andata perduta, sostituita da un'altra che
non si armonizza nell'insieme. Un altro tributo ai Tirannicidi era un inno cantato come canzone da
bevuta (skolion) nei simposi, scritti da Callistrato, un poeta ateniese.
La storia di Armodio e Aristogitone continuò ad essere citata come esempio ammirevole di eroismo e
devozione per molti anni. Il fatto che le statue dei Liberatori venissero ancora copiate al tempo dei
Romani dimostra la durevolezza della loro leggenda.

Gruppo dei Tirannicidi

Autore da Crizio e Nesiote


Data II secolo d.C.
Materiale Marmo
Altezza 182 cm
Ubicazione Museo archeologico, Napoli
Armodio è il più giovane dei due Ateniesi che nel 514 a.C. liberarono la città dalla tirannide, uccidendo Ipparco, figlio di
Pisistrato. Egli è colto nel momento in cui sta per vibrare il fendente, con il braccio destro teso in avanti e la gamba destra
saldamente avanzata a reggere lo slancio. La capigliatura è resa con file di piccoli ricci a chiocciola, il volto imberbe è
associato ad un corpo vigoroso nel fiorire dell' età adulta; i particolari anatomici ben marcati sono ormai privi della cura
descrittiva che aveva caratterizzato l'arte arcaica. La statua napoletana è una delle copie dell'originale bronzeo creato nel
477 a.C. da Kritios e Nesiotes, e costituisce concettualmente un gruppo insieme a quella di Aristogitone; sono di restauro le
braccia, la gamba sinistra nella porzione al di sotto della rotula, e la gamba destra. Prima di giungere a Napoli, nel 1790, le
due statue furono esposte a Roma in due diverse residenze dei Farnese, a Palazzo Madama dal 1535 al 1586, ed a Palazzo
Farnese negli anni dal 1586 al1790.

Codici
Soprintendenza per i Beni
Ente competente: Archeologici delle Province di
Napoli e Caserta
Oggetto
Definizione: statua maschile
Denominazione/Dedicazione: statua maschile
Classe e produzione: STATUARIA
Identificazione: Aristogitone
Localizzazione geografico-amministrativa
Stato*: Italia
regione: CAMPANIA
provincia: Napoli
comune: Napoli
Tipologia: palazzo
Museo Archeologico Nazionale di
Denominazione:
Napoli
Denominazione spazio
Piazza Museo, 19 - 80135
viabilistico:
Denominazione raccolta: Collezione Farnese
Specifiche: Piano terra, Sala IV
Altre localizzazioni geografico-amministrative (reperimento)
Stato*: Italia
regione: LAZIO
provincia: Napoli
comune: Napoli
Denominazione: Palazzo Farnese
Denominazione spazio
Piazza Farnese, 67 - 00186
viabilistico:
Altre localizzazioni geografico-amministrative (provenienza)
Roma, Palazzo Madama, 1535 -
Provenienza: 1586; Roma, Palazzo Farnese, 1586
- 1790
Stato*: Italia
regione: LAZIO
provincia: Napoli
comune: Napoli
Località: Villa Adriana
Dati patrimoniali
Numero*: 6009
Data: 1870 post
Cronologia
Fascia cronologica di
sec. II d.C.
riferimento:
Frazione cronologica: inizio
Da*: 100 d.C.
A*: 110 d.C.
Motivazione cronologica: analisi stilistica
Dati tecnici
marmo bianco/ scalpellatura/
Materia e tecnica:
levigatura
Unità: m.
Altezza: 2.2
Dati analitici
Statua stante in moto su base, con
Indicazioni sull'oggetto:
puntello a forma di tronco d'albero.
La figura del giovane nudo è resa in
posa dinamica nell'atto di scattare in
avanti con la gamba sinistra
aderente al suolo e la destra spinta
indietro col tallone sollevato. Il
braccio sinistro è teso in avanti,
coperto dauna corta clamide, che
pende rigida sfiorando appena il
Indicazioni sul soggetto: plinto; il destro, di restauro, è
disteso lungo il fianco ed impugna
la spada. Il busto sipresenta in
posizione eretta e tesa con il ventre
che si gonfia mentre l'arcata
epigastrica nella contrazione si
abbassa. La statua è replica
romanadi un originale greco di età
classica presumibilmente in bronzo.
Testo:
Conservazione
Stato di Conservazione: ricomposto
Condizioni giuridica e vincoli
Indicazione generica: proprietà Stato
Ministero per i Beni e le Attività
Indicazione specifica:
Culturali
Fonti e documenti di riferimento
Guida Ruesch 1911, n. 103; EAA, I,
s.v. Armodio e Aristogitone, pp.
667-668; Hölscher 1973, pp. 85-89,
tavv. 6-7; Taylor 1981; Fehr
1984; Collezioni Museo 1989, I.2, p.
Bibliografia: 156, n. 13; Taylor 1991; Museo
archeologico 1994, p.
311; Democracy 1995, pp. 158-160;
Stewart 1997, pp. 69-71; Museo
archeologico 1999, p. 37; De Caro
2001b, p. 30; Griechische
Klassik 2002, pp. 237-240, n. 132.
Ipparco
Fu ucciso per un amore proibito Non nacque allora la democrazia
• Corriere della Sera
• 6 Jan 2007
• LUCIANO CANFORA

a massa popolare, ad Atene, crede che Ipparco fosse tiranno quando fu ucciso da Armodio
e Aristogitone. E non sanno che il tiranno era Ippia, perché era lui il maggiore tra i figli di
Pisistrato». Così, con rigore «revisionistico», lo storico Tucidide disfa un mito fondatore
della retorica democratica ateniese. Il mito era all’incirca questo. Nell’anno 514 a.C. il
tiranno — Ipparco — era stato ucciso in seguito ad un attentato ordito da due eroici
temperamenti, Armodio e Aristogitone; i due però erano stati catturati e messi a morte;
comunque, poco dopo, la tirannide, passata nelle mani di Ippia, fratello di Ipparco, era
crollata (510 a.C.); ed era nata la democrazia. Dunque la democrazia era nata e si era
affermata come antitesi della tirannide.
Questa favola fondatrice poteva però essere messa in contraddizione con vari dati di fatto.
La cacciata di Ippia era stata realizzata da un gruppo di aristocratici guidati dagli
Alcmeonidi, sorretti militarmente dall’esercito spartano; e in verità Sparta era allora, e fu
ancora più in seguito, lo «Stato-guida» dei sistemi oligarchici, strutturalmente avversi alla
democrazia; Pisistrato (padre di Ippia e di Ipparco e morto nel 527 a.C.) aveva instaurato la
tirannide proprio appoggiandosi ai popolari («essendo demagogo— cioè capo popolare—
divenne tiranno» dice Aristotele). Ecomunque anche l’alcmeonide Clistene, futuro
«fondatore della democrazia», aveva ricoperto magistrature sotto Pisistrato. Il fatto è che,
ad Atene la «democrazia» sorse come regime ideato e messo in essere da una élite che
«prese il popolo nella sua clientela o meglio,
» (così Erodoto), e che aveva tutto l’interesse a indicare nel «populismo» dei tiranni
l’antitesi della democrazia. La vulgata democratica narrava una favola insostenibile ma
dotata di vitalità, visto che il racconto medio-basso della vicenda ateniese è rimasto quello.
Ma gli storici sapevano che la dinamica stessa dell’attentato del 514 era stata tutt’altra.
Erodoto fa preciso riferimento al dato di fatto che confuta alla radice la vulgata: dice che
Ipparco era più giovane di Ippia, e che invece era Ippia il «tiranno». Dice anche che
proprio a seguito dell’uccisione di Ipparco il governo di Ippia si era inasprito: che dunque il
risultato dell’attentato era stato controproducente. Tucidide è molto più aspro e denuncia
sprezzantemente l’ostinato pregiudizio appannaggio della «massa».
Non era però unicamente «la massa popolare» ad alimentare la leggenda. Un dialogo
platonico di dubbia autenticità, intitolato Ipparco, comprende un lungo intervento
rievocativo di Socrate tutto dedicato alla vicenda, e tutto fondato per l’appunto sulla
premessa che Ipparco fosse il tiranno. L’autore del dialogo sostiene una tesi originale: che
cioè non solo era Ipparco il tiranno, ma che era anche amatissimo dal suo popolo, tra
l’altro come protettore delle arti, primo diffusore dei poemi omerici in Attica, e così via.
Anche Tucidide del resto insiste sul buongoverno di Pisistrato e dei suoi. Un’altra versione
ancora faceva regnare Ippia e Ipparco insieme (Diodoro Siculo nella Biblioteca storica).
Così con l’escogitazione di questa «tirannide collegiale» l’attentato riprendeva pregnanza
politica. Ipparco non era più soltanto «il fratello del tiranno». Secondo questa versione
c’era stata anche, preliminarmente, la rinuncia del terzo figlio di Pisistrato, Tessalo— uomo
saggio—, ad esercitare la tirannide. Nel girare in tondo di queste «variazioni sul tema»
cambiava ogni volta il più «anziano».
Mail «revisionismo» tucidideo, che si basava su documenti epigrafici attestanti
solidamente che il più anziano— e dunque il tiranno — era Ippia, si spinge oltre nello
smantellamento della vulgata. Al punto che qualche biografo antico insinuava che Tucidide
fosse egli stesso imparentato coi tiranni. Egli svela i veri motivi dell’attentato. «L’azione di
Aristogitone e di Armodio— scrive— fu intrapresa a causa di una vicenda amorosa».
Ipparco s’era invaghito del giovane Armodio e lo tentò, ma il giovane denunciò la cosa al
suo amante ufficiale, Aristogitone. Questi, temendoche Ipparco, per la sua posizione
dominante (fratello del tiranno) potesse comunque finire per
di ] Aristogitone (a sinistra) e Armodio in una copia romana in bronzo dei «Tirannicidi»,
statua greca attribuita ad Antenore andata perduta (Napoli, Museo Archeologico) ] In alto,
particolare di un vaso romano raffigurante l’uccisione di Ipparco (al centro), uno dei figli di
Pisistrato, da parte di Aristogitone (a sinistra) e Armodio sottrargli l’amato cominciò «a
tramare l’abbattimento della tirannide». Ipparco, respinto, si vendicò umiliando la sorella,
vergine, di Armodio, che infatti fu allontanata dalla processione cui era stata in un primo
momento invitata. I congiurati attesero le Grandi Panatenee (feste in onore di Atena),
«unico giorno in cui non desta sospetto che i cittadini partecipino al corteo radunandosi in
armi». Erano pochissimi, per ovvie ragioni di sicurezza; ma ebbero sentore di essere stati
traditi. Infatti nel giorno della festa, mentre avanzavano, Armodio, Aristogitone e pochi
altri congiurati, col pugnale sotto la veste, verso il Ceramico, dove si trovava Ippia con le
sue guardie, videro uno dei congiurati parlare familiarmente con Ippia. Temettero di
essere catturati, ma decisero lì, sull’istante, di compiere comunque un gesto. Si
imbatterono in Ipparco, lo aggredirono, lo uccisero. Armodio fu immediatamente
massacrato sul posto. Aristogitone sfuggì sul momento alla cattura, ma subito dopo fu
preso e ucciso anche lui. Ippia ordinò di arrestare tutti coloro che fossero trovati con armi
indosso. Tucidide commenta: «congiurarono per una ferita d’amore», e uccisero quasi a
casaccio «per lo sconsiderato ardire provocato dalla paura».
Quando ormai il sistema democratico-clistenico si era affermato, si cantava nei simposî
così: «Porterò il pugnale nascosto nel ramo di mirto, come fecero Armodio e Aristogitone
quando ammazzarono il tiranno e resero Atene democratica». Una volta creata l’antitesi
tirannide/democrazia, diveniva logico dire e paventare che gli oligarchi tramassero per dar
vita a una nuova tirannide. Comeretorica democratica funzionava. Che fosse un po’ logora,
lo fa capire Aristofane nella Lisistrata, messa in scena nel gennaio 411, nel clima in cui
davvero stava maturando un golpe oligarchico. Nella commedia, lo sciopero sessuale delle
donne viene percepito, dai vecchi ateniesi del coro, come avvisaglia di una trama
oligarchica. E cosa dicono i vecchi, frustrati dallo sciopero, in una comica scena di
«vigilanza democratica»? «Sento odore di Ippia, ma … difenderò il mio salario!». Dicono
«Ippia»: ormai intercambiabile con Ipparco. Non si va per il sottile. L’archetipo ateniese di
tutti i tirannicidî della storia occidentale, che è anche il più vulnerabile sul piano della
critica storica, impone dunque, più che mai, la distinzione tra il fatto— che dimostrò
l’inutilità del tirannicidio— e la mitologia che si costruisce su di esso. E che può anche
essere politicamente feconda, purché non si dimentichi che è falsa. L’inutilità del
tirannicidio potrebbe essere più ampiamente esemplificata. Si può persino pensare che,
ove riuscito, persino l’attentato del luglio 1944 avrebbe forse, dopo una furiosa resa dei
conti tra gli eredi, compattato e inasprito il regime. Il problema vero è che il tiranno è
un’invenzione, una creazione politico-letteraria. Quando il suo potere si dimostra durevole,
si deve realisticamente riconoscere che il «tiranno» (termine impreciso e iperbolico) è
qualcuno che ha dalla sua un pezzo più o meno grande, talvolta molto grande, della società.
Dunque il problema è di sconfiggerlo politicamente non di abbattere quella singola
persona. Il tirannicidio è, a ben vedere, un sottoprodotto del «culto della personalità»,
della spropositata ipervalutazione di un’unica persona, dalla quale verrebbe o tutto il bene
o tutto il male.

Nel 514 a.C. Armodio ed Aristogitone uccidono Ipparco e resta solo Ippia a governare
fino al 511/10 a.C. quando viene cacciato. Dopodiché si arriva alla fondazione della
Democrazia ateniese con Clistene e quando viene istituita la democrazia vengono
recuperate anche le figure di Armodio ed Aristogitone, che erano finite nel dimenticatoio
venendo considerati salvatori della Patria. La città di Atene erige in loro memoria un
monumento all’interno dell’agorà commissionando una statua di bronzo allo
scultore Antenore. Si tratta di un fatto eccezionale perché è la prima volta, nel mondo
greco, che si erige un monumento in luogo pubblico per delle persone comuni. Si trattava
comunque di persone eroicizzate, morte e ricoperte di gloria ma che si rivelava un fatto
straordinario. Prima di questo evento vi erano solo statue di divinità o statue maschili e
femminili simboliche che non raffiguravano le persone, i Kouros e le Kore; erano figure
ideali e diventarono oggetto di dedica alla divinità perché raffigurava il massimo splendore
della figura maschile e femminile.

Sull’Acropoli sono state trovate tante Korai femminili dedicate alla dea Atena, queste

statue venivano usate anche come segnacolo sulle tombe di un morto giovane, uomo o

donna.

Gruppo scultoreo dei Tirannicidi. Copia romana. Museo


Archeologico Nazionale di Napoli
Le statue ad Armodio ed Aristogitone comunque non ritraevano le loro vere sembianze ma

li rappresentavano. La gigantistica, nasce il età ellenistica. Antenore era uno scultore

molto noto all’epoca e su di lui abbiamo molte notizie, ad esempio una Kore trovata

sull’Acropoli su una base di marmo dove vi era la formula di dedica e la firma dell’artista,
con la firma originale di Antenore. Lavorò a Delfi dove realizzò le statue del frontone

del Santuario di Zeus e gli fu eretta una tomba a spese dello Stato nel demosion sema,

si celebrarono riti funerari presieduti dall’arconte polemarco. Altri privilegi per

commemorare Armodio e Aristogitone lì ebbero i discendenti maschi: il primo figlio

maschio aveva l’esenzione dal pagamento delle tasse, avevano il diritto

di mangiare gratis a spese dello Stato nell’antico pritaneo. Purtroppo il gruppo

statuario di Antenore venne portato via dai Persiani nel 480 a.C., però nel 477 a.C., Atene

fece eseguire un nuovo gruppo statuario e lo affidò a Critias e Lesiotes, anche loro

famosi, di cui si hanno altri monumenti. Non sappiamo come fosse il gruppo di Antenore,

ma conosciamo il secondo gruppo grazie a raffigurazioni su vasi con raffigurati un uomo più

giovane e l’altro più anziano con barba entrambi con spade impugnate nella mano a colpire

qualcuno. Ci sono anche rilievi ma la prova inequivocabile è la copia di età romana del

gruppo statuario che si trova al Museo Archeologico Nazionale di Napoli. Questo

monumento faceva parte della collezione della famiglia Farnese, e la madre

di Carlo di Borbone, nel XVIII Secolo era una Farnese ed il figlio, Re di Napoli, ereditò

dalla madre l’intera collezione e la portò a Napoli. Le fonti storiche ci dicono che le statue di

Antenore furono ritrovate in Oriente, alcuni dicono che fu Alessandro Magno, il quale le

avrebbe ritrovate e restituite agli ateniesi, altri attribuiscono a re ellenistici del III Secolo.

Queste statue recuperate furono messe vicino al nuovo gruppo scultoreo di Critias e

Lesiotes; dai racconti di vari autori si capisce che queste statue dovevano

stare nell’orchestra dell’agorà, non molto lontano dal famoso Leokorion; l’unica cosa

giunta fino a noi è un frammento di epigrafe dalla base statuaria nella quale si leggono

pochissime lettere ma significative: sul primo rigo “Armodio”, alla seconda “la patria

resero”. Siamo in grado di ricostruire un po’ di più del testo attraverso una testimonianza

letteraria, un grammatico, Efestione, filologo di età tarda, ci riporta due versi di un

epigramma, che si attribuisce al poeta Simonide, il quale era stato alla corte di Ipparco e

secondo Efestione, Simonide sarebbe stato autore di questi due versi ma dalla lettura, la

poesia non finiva ma c’era qualcos’altro ma Efestione è interessato solo al testo e non alla

poesia, per dire che erano fatti male. Il contenuto del testo dice: “Una grande luce sorse per gli
ateniesi, quando Ipparco uccisero da Aristogitone e Armodio / i quali resero libera la patria dalla

tirannia”. Qui la parola Armodio si va a congiungere con il frammento dell’epigrafe.

Simonide era un grande poeta della sua epoca, fu alla corte di Ipparco il quale lo pagava

profumatamente e gli ateniesi lo chiamarono per scrivere proprio il componimento per

commemorare ed esaltare gli uccisori di Ipparco. Molto probabilmente i frammenti

facevano parte della base del primo gruppo statuario, questo monumento fu molto

rispettato nell’Atene classica e arcaica perché fu proibito di erigere altre statue nelle

vicinanze dei tirannicidi, questo divieto fu rispettato in età ellenistica e romana dove venne

meno.

Epigrafe con iscrizione di Simonide

ricostruzione testi tirannicidi


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Raffigurazione dei Tirannicidi in stile a figure rosse
su Oinochoe – Museum of Fine Arts. Boston

Gruppo dei Tirannicidi

Armodio e Aristogitone
Armodio e Aristogitone
Il gruppo è composto da due statue create come entità fisicamente autonome, in posizione speculare,
tant’è vero che hanno basi differenti, ma sono unite dal legame concettuale dell’ideale di libertà al quale
sacrificarono la vita.
Aristogitone è raffigurato come un uomo maturo, vigoroso nonostante l’età, con la testa ruotata a sinistra
ed il busto quasi di prospetto, la gamba destra piegata e puntata fermamente al suolo, la sinistra aperta
a compasso ed arretrata. Armodio, il più giovane dei due Ateniesi, è colto nel momento in cui sta per
vibrare il fendente, con il braccio destro teso in avanti e la gamba destra saldamente avanzata a reggere
lo slancio. La capigliatura è composta da piccoli ricci a chiocciola, il volto imberbe è associato ad un
corpo vigoroso nel fiorire dell’età adulta, con i tratti anatomici ben marcati. Sono di restauro le braccia e
le gambe.
Le statue furono rinvenuta nella Villa Adriana a Tivoli e trasportate alla corte dei Borbone a Napoli nel
1790 per essere esposte nel Museo.

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