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DINO BATTAGLIA, Edgar Allan Poe, Salerno, Nicola Pesce Editore,

2016, pp. 96, euro 14,90.

L'esistenza biografica di Edgar Allan Poe fu, come tutti sanno, atroce. La
sua vita postuma, per contro, era, è e sarà prospera e rigogliosissima: basta
citare alla rinfusa i nomi di alcuni suoi traduttori letterari (da Baudelaire a
Pessoa, da Mallarmé a Manganelli), o gli innumerevoli adattamenti
cinematografici, o ancora quello che grandi artisti ed illustratori visionari
seppero trarre dai suoi racconti e dalle sue poesie: Edouard Manet che
illustra la traduzione mallarmeana di The Raven, Odillon Redon, Alfred
Kubin, Karel Thole...
Il discorso cambia un poco se ci spostiamo al fumetto: insieme a molti
frettolosi adattamenti che permettevano di chiudere più o meno
efficacemente l'ennesimo numero di rivista dedicata al genere horror, dove
un gatto nero demoniaco, o una casa diroccata, o un gorilla che brandiva
un rasoio bastavano per épater il lettore, non è raro incontrare prove
macroscopiche per qualità ed impegno di autori come Richard Corben,
Will Eisner, Alberto Breccia, e, naturalmente, Dino Battaglia.
Dico “naturalmente” perché tra gli autori di fumetti italiani il veneziano
Dino Battaglia, morto sessantenne nel 1983 a Milano, la città deve
lavorava e dove si considerava “in esilio”, fu senz'altro il più letterario.
Basta scorrere l'elenco dei titoli annunciati come “di prossima
pubblicazione” nell'ultima pagina di questo libro, che si spera sia davvero
il primo di una lunga ed organica serie di ristampe: incontriamo titoli quali
Maupassant (che mentre scrivo queste righe dovrebbe essere in uscita), Il
Golem, Thyl l'Espiegle, perfino Gargantua e Pantagruele e -addirittura- il
Woyzeck che fu di Georg Büchner e poi di Alban Berg e di Werner Herzog
(ma viene da chiedersi, anzi da chiedere all'editore, perché manca quel
Moby Dick che Battaglia adattò magistralmente nel 1967: sarebbe doloroso
farne senza, visto che l'edizione uscita per Le mani nel 1997 sembra ormai
difficile da trovare).
Il libro contiene otto racconti, di otto tavole ciascuno. Sette provengono
dalle pagine di “Linus”, dove uscirono tra il 1968 e il 1973; l'ultimo è
invece datato al 1981, e uscì originariamente sulla testata cattolica per
ragazzi “Il Giornalino”, dove così tanti fumettisti italiani trovavano rifugio
(perfino l'insospettabile Massimo Mattioli, che su quelle pagine raccontava
le storielle autoconclusive del coniglietto fotorepoter Pinky mentre su
“Frigidaire” faceva imperversare il debosciato aquilotto Joe Galaxy).
L'incontro al vertice Battaglia-Poe è documentato quasi per intero:
mancano all'appello due storie del 1971 sceneggiate da Mino Milani e
uscite su “Corriere dei Piccoli” (Lo scarabeo d'oro e La lettera rubata);
non sarebbe stato male recuperare anche quelle, seppure un poco più
scolastiche rispetto ai capolavori che abbiamo tra le mani (il lettore
fortunato le può trovare nel vecchissimo volume Uomini coraggiosi,
Fabbri editori, 1980).
Di solito, in casi come questi, si parlava e forse ancora si parla, di
“riduzione” a fumetti, ma nel caso di Battaglia il termine suona
decisamente improprio: nelle sue tavole Edgar Allan Poe non viene ridotto
proprio per nulla. Viene semmai amplificato, trasfigurato, reinventato:
neppure una singola goccia di inchiostro, in questo volume, scorre sotto i
ponti dell'adattamento pedissequo e semplificatore.
Colpisce anzitutto la scelta dei racconti: accanto ai quasi obbligati
specimen del Poe “pauroso” (La caduta della casa degli Usher, La
maschera della Morte Rossa), Battaglia si misura anche con il Poe più
metafisico (Ligeia), con certi capolavori grotteschi come Re Peste, La
scommessa (tratto da quel Mai scommettere la testa col Diavolo che ispirò
anche il Fellini del cortometraggio Toby Dammitt), con il beffardo Grand
Guignol di Hop-Frog e Il sistema del dott Catrame e del proff Piuma e
infine con la splendida peripezia rarefatta, lunare e sorridente de La
straordinaria avventura di Hans Pfall.
Ma più ancora colpisce quello che la prosa, ora febbrile ora sussiegosa, ora
ironica e ora poetica di Edgar Allan Poe diventa nelle mani di Dino
Battaglia: ogni tavola è una perfetta architettura compositiva dove la
tradizionale scansione del fumetto viene quasi sempre abolita o fatta
brillare come una mina, come nell'ultima pagina de La scommessa, dove il
personaggio gioca a rimpiattino e a saltarello con la gabbia della vignetta.
Il bianco della pagina di sfondo dilaga nelle scene fino a diventare la
sostanza di cui i personaggi sono composti come la meravigliosa Lady
Madeline Usher, immacolato e terribile fantasma che emerge urlando dal
nero della china in un turbine di capelli sottili come il negativo fotografico
di una ragnatela; e accanto al bianco e al nero, ci inseguono per tutto il
libro i grigi, i famosi grigi di Dino Battaglia, ottenuti sostituendo al fitto e
nitido tratteggio del pennino la sfumata tecnica del tampone, che dà a certe
tavole il sapore di antiche acqueforti.

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