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Disoccupati 

over 50 in crescita: l’esperienza non conta più
 5 maggio 2017   Pierangelo Soldavini   Interpretazioni

         

L’ultimo dato sulla disoccupazione italiana ha segnato un leggero aumento della disoccupazione:
+0,1% all’11,7%. Come ormai siamo abituati, il dato più proccupante è quello dei giovanissimi tra i
15 e i 24 anni che sono senza lavoro: il 34,1%. Un dato che ovviamente preoccupa anche in
considerazione dell’elevato livello dei cosiddetti Neet, i giovani che non stanno studiando e non
stanno nemmeno svolgendo programmi di formazione e training. Come dire che sono quelli che
sono ad altissimo rischio di rimanere senza lavoro a lungo perché adatti a lavori a basso valore
aggiunto e ripetitivi, che sono quelli che in prospettiva potranno essere sostituiti dall’automazione.

Ma un altro dato ha colpito nelle statistiche Istat di marzo, perché conferma una tendenza di cui si
sospettava. I senza lavoro sopra i 50 anni sono aumentati a 576mila unità, 59mila in più del mese
precedente e 103mila in più rispetto a un anno prima. Anche in questo caso si tratta quindi di un
trend ormai consolidato. Ma quello che ha sorpreso è che, per la prima volta da quando si tengono
questo tipo di statistiche, il numero dei disoccupati over 50 abbia superato quelli giovanili
(524mila). E’ un dato statistico ma non solo, perché affonda le radici nella crisi e nelle
ristrutturazioni aziendali che hanno caratterizzato questi ultimi anni.

Se si tratta di chiusure di aziende intere la perdita di posto colpisce indiscriminatamente senza
prendere in considerazione l’età, ma se si tratat di ristrutturazioni con licenziamenti, sempre più
spesso le misure di contenitmento dei costi colpiscono le fasce d’età più elevate, che sono quelle che
hanno mediamente stipendi più elevati. Quindi è evidente che per l’imprenditore rinucniare a una
persona professionalmente più elevata, quindi anche più anziana, equivale a un risparmio
maggiore. E’ una misura odiosa, ma è chiaro che si tratta di un criterio. Possiamo discutere
all’infinito se sia giusto o meno, ma almeno si comprende la ratio che la giustifica.

Il risultato è forse ancora più preoccupante della disoccupazione giovanile, perché si ritrovano sul
mercato del lavoro persone con un’esperienza e una formazione consolidata, forse meno propensi
alla flessibilità richiesta per trovare un nuovo posto o su cui comunque un imprenditore più
difficilmente è portato a scommettere. Si tratta quindi di una disoccupazione in prossimità dell’età
pensionabile che faticherà a trovare meccanismi di soluzione e che non mancherà sul lungo periodo
di creare tensioni sociali. Anche perché, concretamente, a vent’anni si può ancora far conto sulla
struttura familiare, ma a cinquanta la famiglia non è più una risorsa.

Ma mi pare che ci sia un altro aspetto grave che è alla base di questi numeri. Gli ultracinquantenni
sono dotati di esperienza professionale, ma forse oggi questo fattore non è più un valore per
l’azienda, un “patrimonio immateriale” come si usa dire nel freddo linguaggio dei bilanci. Non solo
i giovani “costano” meno per l’imprenditore, ma sono anche più flessibili e forse più abili nel
trovare soluzioni immediate, magari non le più adatte ma senz’altro rapide. Quell’esperienza che
una volta si passava di egnerazione in generazione all’interno della fabbrica e in ogni campo
professionale, oggi sembra quasi diventare una zavorra. Un po’ come gli anziani nella più vasta
società: una volta erano considerati fonti di saggezza e di conoscenza, oggi si sono trasformati più
in un “peso” con cui dover fare i conti.

Non vorrei banalizzare ma in questa cultura la formazione internet ha un suo ruolo. Oggi nel web
tutto sembra a portata di mano, anche le conoscenze e le soluzioni professionali. Non c’è dubbio
che i giovani siano più abili nel muoversi nei meandri del cyberspazio per trovarvi risorse
necessarie. Ma forse così si rischia di perdere quell’esperienza che significa conoscenza e capacità
di contestualizzazione e di interpretazione. Comunque una perdita non da poco.

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