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I caratteri della disciplina

L’estetica nasce come disciplina autonoma solo alla fine del Settecento, mentre l’estetica della musica verrà
riconosciuta sono nella metà dell’Ottocento, con “Il bello musicale” di E. Hanslick.
La musica, sino alla fine del 700’ veniva considerata un’arte minore e dunque meno degna rispetto alla
poesia, alle arti figurative ed al teatro. I romantici invece ascrissero la musica allo stesso podio privilegiato
delle arti maggiori; fra i compositori, Schumann fu uno dei primi a ribadire l’elevazione della musica alla pari
delle altre arti. Il declassamento della musica è un fatto antico, che risale addirittura al tempo dell’antica
Grecia, siccome era ritenuta arte con scarso valore educativo.
La musica può essere definita “arte del tempo”, siccome la sua materia si esprime nel tempo, a livello
percettivo, come il teatro. Fra le varie differenze con le altre forme artistiche, le più palesi sono le seguenti:
• Il creatore (compositore) deve possedere un grado di competenza decisamente superiore rispetto ad un
letterato
• Il livello neutro, ovvero la composizione (significante), necessita di un interprete o performer affinché
venga eseguito
• Il performer deve anch’egli possedere un livello di tecnica strumentale senza dubbio superiore a quello di
un poeta che recita una poesia o di un attore.
•La musica, pur non riproducendo nulla di determinato ed unanime, suscita risposte emotive nei fruitori, gli
interpretanti.
Queste quattro differenze giustificano il perché la musica abbia seguito un percorso su binari ben diversi
rispetto a quanto è avvenuto nelle altre arti. Tale separazione naturalmente si riflette non solo nelle modalità
semiologiche della musica (poietica, esecuzione ed interpretazione), bensì anche nelle considerazioni dei
filosofi e del pubblico. Da ciò ne risulta una esaltazione della componente pratica su quella teoretica ed
intellettuale della musica, vista come attività artigianale e di mestiere anziché come attività pregnante di
astrazioni mentali. Le forze operanti all’interno dell’estetica della musica sono di natura eterogenea, e
spaziano dall’acustica alla psicologia, dalla filosofia alla matematica passando per le neuroscienze; questa
profonda interdisciplinarietà getta uno sguardo eloquente su come la musica sia un fenomeno
estremamente complesso. Naturalmente ogni epoca ha privilegiato alcune di queste prospettive, ed in base
alle angolature prese come punto di riferimento di periodo in periodo, abbiamo la possibilità di ricostruire
la traccia storica del pensiero musicologico.
Nell’età aurea della Grecia, le riflessioni più importanti sulla musica vennero elaborate da Platone nella
“Repubblica” e da Aristotele nella “Politica”, i quali si concentrano sull’aspetto sociale ed educativo, e
dunque non metafisico né psicologico. Inoltre Platone mortifica il potere della musica di associarsi alle
passioni, siccome specialmente per i giovani le passioni erano sconvenienti. In epoca alessandrina le
riflessioni sulla musica abbandonano quelle di stampo socio-educativo, per abbracciarne altre che ne
mettessero in risalto la funzione consolatrice e la caratteristica fisico-acustica. Nel Medioevo invece la
musica acquista una rilevanza esclusivamente religiosa, e lo studio dei testi di devozione religiosa e di
pedagogia musicale ci permette di comprendere meglio il pensiero musicale medievale. Anche le opere
musicali stesse saranno fonte di idee e considerazioni musicologiche, assieme a tutti i documenti indiretti
come le testimonianze del pubblico, i giudizi critici ecc.ecc.
Musica e poesia
Fino al 600’, la musica si è sviluppata in stretta simbiosi con la poesia, come se quest’ultima ne fosse la
giustificazione ed impalcatura; difatti la musica strumentale ebbe un’esistenza marginale sino al Seicento
inoltrato. Questa simbiosi è sicuramente dovuta al fatto che anche la poesia è un’arte del tempo e si fonda
sulla scelta dei suoni. Nella musica vocale, la musica vorrebbe assumere le qualità espressive ed esatte della
parola, in particolare la capacità di designare oggetti e sentimenti, mentre la parola vorrebbe assumere la
libertà allusiva della musica. Sicchè tutta la storia della musica potrebbe essere letta come una lunga corsa
alla ricerca della propria autonomia, autonomia dalla parola e da fattori eteronomi.
Musica e matematica
La musica occidentale ha da sempre privilegiato la componente delle altezze siccome fin da Pitagora, attorno
alla musica vennero elaborate teorie matematiche. Una visione matematica della musica e dunque
metafisica, siccome vi ravvisa riflessi di ordine cosmico, è più portata a considerarla come arte autonoma
anziché come linguaggio carico di elementi emozionali.
Musica e significato
La capacità della musica di esprimere un significato più o meno esatto ruota attorno alla questione della sua
vicinanza o identità con il linguaggio: in altre parole, intorno alla determinazione di quanto essa si avvicini o
discosti dal linguaggio verbale. Tale questione ha generato due tesi contrapposte:
• Concezione etica per cui la musica incide sul comportamento umano, esprimendo i sentimenti,
riconoscimenti simbolici, e pertanto essa è significativa nel senso che è portatrice di un significato più o meno
esatto, unanime ed in ultima istanza anche educativo. Tale concezione è quella che tiene banco nel mondo
antico e che vede nella musica un linguaggio, che trova la sua realizzazione più adeguata nell’unione con la
poesia.
• Concezione edonista formalista per cui la musica è finalizzata alla produzione di un piacere fine a se stesso,
non essendo atta all’espressione di conoscenze ed informazioni oggettivamente prestabilite; questa teoria
mette in luce i rapporti della musica col sistema nervoso e ne dichiara la sensatezza solo nel suo livello
neutro, nella forma, nella costruzione architettonica la cui espressione produce piacere o dispiacere; inoltre
rifiuta l’idea di musica come linguaggio e ne nega la possibilità di fondersi alla letteratura.
Musica e affetti
A partire dal Settecento la musica viene considerata come imitazione ed espressione dei sentimenti e delle
emozioni, affermandone il rapporto privilegiato col mondo emotivo piuttosto che con quello concettuale.
Fra musica ed affetto vige un isomorfismo, nel senso che la musica cerca di esprimere un affetto che però
non può rappresentare in maniera esatta. Del resto l’autonomia semantica della musica, che sussiste anche
in assenza di associazioni testuali, permette al linguaggio verbale di specularci sopra, di interpretarla e
spiegarla con le parole. Ogni discorso sulla musica è tuttavia un’interpretazione, siccome il significato della
musica non potrà mai essere esaurito dalle parole, proprio perché il linguaggio musicale e verbale sono
diversi.
Musica e passioni
La relazione della musica col mondo emotivo è stata vista con sospetto fin dall’età greca aurea; si pensi a
Platone (vedi sopra) ma anche al Medioevo. La riflessione musica-passione è diventata cruciale solo dal
Rinascimento, in cui le passioni erano statiche ed archetipiche, come l’abbandono, l’amore per una donna,
la morte ecc.ecc. Con l’avvento del teatro le passioni iniziano ad essere rappresentate in fieri, ovvero nel loro
processo di trasformazione, per “muovere gli affetti”, all’insegna di una nuova tendenza che è quella di
teatralizzare la musica e della verosimiglianza; pertanto la musica stessa, e non più solo la parola, si fa
portatrice di affetti. Questi mutamenti sono stati indotti anche dalla nascita di un vero pubblico musicale.
Solo verso il secondo 700’ si crea una massiccia divisione fra musica strumentale e vocale.
La musica e il senso della sua storicità
La musica, a differenza delle altre arti, ha avuto un’evoluzione in cui la coscienza della propria storicità è
stata quasi sempre assente: si è sviluppata senza avere una coscienza storica a cui riferirsi nel corso del
proprio tragitto. Tale assenza è sicuramente riconducibile al fatto che le musiche non venivano composte
per essere eseguite nel futuro, ma solo per le imminenti occorrenze, pertanto la vita di una composizione
era relegata al breve spazio della sua esecuzione. L’assenza di una proiezione al futuro e di un riferimento al
passato (inteso come dimensione da superare) genera una coscienza storica molto diversa rispetto a quella
delle altre arti. Da ciò consegue che ogni generazione di musicisti prende a riferimento tutt’al più i propri
maestri, e mai modelli classici o piuttosto posteriori, proprio perché il concetto di classicità esemplare nella
musica è difficile da trovare, mentre nella pittura (rinascimento), nel teatro (tragedia greca), nella poesia
(Dante, Petrarca, Boccaccio, Bembo, Tasso, Ariosto, ) è presente .
Queste condizioni per cui la musica costituisce un caso isolato fra le arti sono senz’altro una conseguenza
del fatto che l’atto musicale per secoli è stato solo performativo, ovvero con l’esecuzione si esaurisse tutta
la musica. Il fatto che notazione si sia perfezionata solo così tardi ci permette di capire come i musicisti del
tempo non si preoccupassero della posterità, e dunque non creassero coscienza storica in cui far
sopravvivere la propria musica.
L’assenza di una coscienza storica è imputabile anche al fatto che la musica abbia sempre avuto un ruolo
marginale, nel senso che la sua esistenza è sempre stata al servizio di altri fini, come rappresentazione
teatrali di prosa, ricorrenze, celebrazioni religiose, mondane o politiche, ecc.ecc. Ciononostante, attorno alla
musica si sono da sempre sviluppate due visioni, l’una che la concepiva come arte manuale scevra di
implicazioni intellettuali, Musica humana, l’altra come arte dagli aspetti celesti, non tangibili bensì
metafisici, Musica mundana. Queste due visioni sono sempre state distinte ed impermeabili fra di loro, e
solo nel 700’ si riuniranno.
La marginalizzazione interessò il musicista oltre che l’arte musicale, fin da Aristotele, che riteneva il musico
uomo non libero poiché avvinto alla dimensione fisica e manuale del suonare. Guido d’Arezzo lo considerava
addirittura bestia; solo dal secondo 700’ la figura del musicista inizia a riscattarsi. In tempi recenti l’estetica
musicale si è arricchita di una nuova prospettiva, definita estetica della ricezione. Secondo tale angolatura,
occorre considerare che la musica ha sempre un destinatario, e pertanto la sua essenza andrebbe modulata
in base alle possibilità di interpretazione, esecuzione, ed alle modalità di ascolto. Da ciò consegue che l’opera
musicale non viene più vista come essenza racchiusa nel tempo in cui è stata concepita, ma la sua essenza è
dipendente dai modi con cui viene recepita, riprodotta, rieseguita. L’estetica della ricezione si contrappone
all’estetica essenzialista, che vede nell’opera una sola verità, una sola essenza, indipendente dalla ricezione,
dalle modalità di esecuzione.

Musica e Natura - Istinto e ragione nella musica

La musica è un fenomeno che presenta due nature, una profondamente istintiva, che fa appello ad un sentire
prelogico, prelinguistico ed in cui la percezione, nell’ascoltatore, non è mediata dal suo sostrato socio-
culturale; l’altra estremamente razionale, in cui agiscono meccanismi complessi, relativi ad un iperlinguaggio
superorganizzato. La dimensione sintattico-organizzativa della musica tuttavia non contrasta con quella
naturale ed istintiva, ciò poiché nella sua essenza, essa è un’arte che ha una via di comunicazione immediata,
un impatto istantaneo capace di connettersi con l’interiorità dell’uomo.
Essendo un’arte temporale, la musica necessita di interpreti e si avvale di un grafia; la notazione tuttavia non
racchiude mai un’immagine esatta della musica, siccome l’interprete, interpretando, crea egli stesso, e
dunque in ultima analisi svolge una forma di improvvisazione.

Ritorno alla natura


Il concetto di natura si oppone a quello di storia, siccome naturale è ciò che non dipende dal tempo,
dall’evoluzione, insomma è ciò che esiste indipendentemente dalla storia. Il ritorno alla natura è un appello
costante nella storia della musica, che nel 900’ si è acutizzato, prendendo due direzioni diverse: la prima è
quella conservatrice, che vedeva nel sentire naturale il richiamo della tradizione, mentre la seconda è quella
rivoluzionaria, che vede nell’essere naturali l’emancipazione dalle pastoie delle convenzioni sociali e della
comunicazione prefabbricata.
A proposito di natura, ciò che permette a due musiche, appartenenti a due tradizioni geograficamente e/o
molto distanti, di venire comunque riconosciute come musica e non come qualcosa di ignoto, è una presunta
naturalezza che le caratterizza: un ascoltatore che dovesse improvvisamente immergersi in un mondo di
suoni organizzato in maniera totalmente diversa da quello a cui è abituato, riconoscerebbe in tale nuovo
mondo sonoro, comunque, una musica, riuscendo a cavarne addirittura un suo significato personale, e
dunque ad interpretarla come musica. Alla luce di questi fatti, in musica la distanza esiste, ma non annulla la
possibilità di fruizione fra ascoltatori e musiche appartenenti a culture e periodi distanti, siccome la musica
ha la capacità di comunicare significati anche a chi non ne comprende la grammatica.
Creazione musicale e generi musicale
Esiste una relazione fra i generi musicali e le tendenze compositive espressevi: si vedano le Sonate per
pianoforte di Beethoven, atte all’espressione di sentimenti più intimi e privati rispetto a quelli evocati nelle
Sinfonie, più politici, morali e legati alla promozione di affetti collettivi.
Il fenomeno della ricerca e della trasformazione dei linguaggi musicali, vede nei linguaggi del passato
un’eredità da superare e negare, ma mai da ignorare. La scelta dei generi musicali non è mai casuale, siccome
spesso il tributo ad un genere musicale ampiamente classicizzato, come il quartetto d’archi o la Sinfonia,
permette di prendere come riferimento una memoria musicale storicizzata, riconosciuta, per trasformarla,
innovarla e superarla, permettendo al compositore rivoluzionario anche di venire riconosciuto in virtù di un
legame consapevole con un repertorio storicizzato.

Musica e percezione
Musica percepita e musica pensata
Nella percezione musicale agiscono due forze: quella culturale, che indirizza l’ascolto verso il riconoscimento
di un patrimonio storico, forte della consapevolezza dell’evoluzione della musica, e quella naturale, che
invece informa l’ascolto della dimensione naturalistica ed aprioristica. Queste due forze sono intrecciate e si
alimentano. Un problema nella percezione della musica nel Novecento è lo iato che c’è fra il livello neutro,
dunque tra la forma concepita dal compositore, e quella percepita dall’ascoltatore.
Natura e storia del linguaggio musicale
Da queste due forze derivano due idee differenti:
• per la prima, lo stato più sorgivo della percezione risiede nella natura dell’uomo, indipendente dai
condizionamenti culturali, storici e geografici;
• per la seconda, la percezione è frutto dell’abitudine ad ascoltare un tipo di organizzazione sonora rispetto
ad un’altra, e pertanto la percezione è un fenomeno profondamente storicizzabile, modulato dai
condizionamenti culturali.
Le rivoluzioni del linguaggio musicale avvenute nel 900’ hanno indotto i teorici a ritenere che la percezione
fosse un fenomeno più condizionato dal sostrato culturale dell’ascoltatore che da una sua presunta
predisposizione ad una fantomatica naturalità, aprioristica e senza tempo. Pertanto l’orecchio si assuefà.
In questo clima, chi sosteneva l’esistenza di elementi percettivi non storicizzabili e quindi universali, veniva
tacciato di conservatorismo. Oggigiorno questo rischio non esiste più, perché gli sviluppi del Novecento non
vengono più analizzati nell’ottica di un allontanamento dalla naturalità percettiva dell’orecchio umano, bensì
in quanto riconducibili ad una sorta di grammatica generativa, che sta all’origine della pluralità dei linguaggi.
Inoltre, il pensiero dialettico per cui ogni linguaggio contiene i germi per la sua dissoluzione, è stato
abbattuto. A favore della tonalità, assieme alla tesi del condizionamento culturale (per cui il nostro orecchio
di occidentali è molto più avvezzo alla tonalità che all’atonalità) si è schierata la tesi strutturalista, in base a
cui effettivamente la tonalità presenta dei pattern di intelligibilità che sono strutturalmente più facili ed
immediati di quelli della musica non tonale.
Intraducibilità e universalità del linguaggio musicale
Oltre ad avere delle tracce di universalità, il linguaggio musicale è anche intraducibile rispetto a quello
verbale ed anche rispetto ad un altro linguaggio musicale, ma ciononostante, esso riesce a comunicare
perlomeno una parte dei suoi significati, anche a chi è totalmente estraneo ad una determinata tradizione
musicale. Questa intelligibilità è garantita dallo sfondo universale che accomuna tutti i linguaggi musicali,
anche i più distanti geograficamente. Pertanto, il fenomeno della percezione musicale si fonda su di un
innatismo non acquisibile con lo studio e con la cultura, ed alla luce di queste strutture naturali, cercare di
negarle sarebbe assai grave.
Verso l’autonomia del linguaggio musicale
Buona parte dell’estetica settecentesca, basata sul principio di imitazione, attribuisce alla musica il potere di
rappresentare un contenuto altro, esterno alla musica, come un’immagine, una forza della natura, e dunque
vede nella musica un contenuto che in realtà le è esterno, perché si appella al mondo delle immagini, dei
fenomeni della natura e dei sentimenti umani (riallacciati alle immagini, come vulcano e rabbia, tempesta e
agitazione). Pertanto, in base a questa estetica, la musica vive di contenuti che in realtà diventano musicali
solo perché si traducono in musica, ma che inizialmente sono contenuti extra-musicali.
Opposta a questa estetica, vi è quella formalista, che celebra il concetto di musica assoluta, di cui Hanslick
e Dalhaus sono i primi banditori. Tale formalismo aveva l’obbiettivo di opporsi alla musica a programma,
tanto cara ai romantici tedeschi, Listz e Wagner fra i molti. L’idea dell’autonomia della musica strumentale
pura, o musica assoluta, viene elaborata nell’800’ ed è in netto contrasto con quella precedente,
settecentesca, che collocava la musica strumentale ad un livello inferiore per la sua mancanza di concetti e
di immagini. Rousseau era esponente dell’estetica settecentesca. Wagner ha coniato il termine di musica
assoluta. L’assenza di riferimenti extra-musicali, per l’estetica dell’Ottocento è proprio il vero motivo che
determina la superiorità della musica assoluta, che rinunciando a contenuti estranei ad essa mette in luce la
sua vera essenza. Oltre ad Hanslick e Dalhaus ci sono state altre figure intellettuali, come Hoffmann e
Wackenroder; quest’ultimo insisteva sull’intraducibilità della musica in parole. Il punto di vista dell’estetica
dell’800’ dischiude ad una questione: se l’essenza pura della musica risiede solo in se stessa e non è
traducibile né appellandosi a riferimenti extra-musicali né utilizzando il linguaggio verbale, come si può
parlare verbalmente della musica? Il concetto di immaginazione allora non sarà extra-musicale, bensì legato
ad immagini puramente musicali.
Verso una globalizzazione del linguaggio musicale?
Nella storia della musica occidentale si sono susseguiti periodi musicali dominati da tendenze verso la ricerca
di un linguaggio universale, e da tendenze verso la differenziazione dei linguaggi. Tutto l’Illuminismo è stato
dominato dalla musica dell’imperialismo viennese e dalla tendenza ad imporre uno stile classico per così dire
universale, mentre nell’800’ le spinte sono state di segno opposto, fino alla prima metà del 900’ in cui la
differenziazione ha raggiunto il momento più ricco. A tale eterogeneità hanno concorso molte scoperte,
come il recupero dell’etnomusicologia, la crisi della tonalità ecc.ecc. Invece dagli ultimi decenni si sta
assistendo ad una rinuncia al pluralismo in favore di un linguaggio internazionale, forse grazie allo sviluppo
della musica elettronica e degli scambi culturali.
Il mondo antico
Dai pitagorici a Damone di Oa
Le testimonianze sulla musica dal mondo Greco antico sono numerose, ma per lo più indirette e
frammentarie, infatti, nonostante esse rivelino un rapporto della musica privilegiato con la società, mancano
totalmente le testimonianze dirette, ovvero i documenti di notazione. Tutto il pensiero sulla musica dei greci
è dominato dalla rilevanza etica e sociale, positiva e negativa della musica, intesa nel suo valore fortemente
educativo. Col termine Musikee si intendeva un ampio spettro di attività, dal teatro alla danza, dalla musica
effettiva alla ginnastica. In ogni caso, la musica è vista in senso utilitaristico, in quanto ha una sua utilità
sociale. E’ con la scuola pitagorica che la musica assume una rilevanza d’eccezione: in questo tradizione il
concetto di armonia è centrale, siccome esso è inteso nei suoi termini metafisici come unificazione dei
contrari. Aristotele estende tale concetto fino ad abbracciare anche l’armonia dell’universo e dell’anima, sia
nella Politica che nel De anima. Filolao, appartenente alla scuola pitagorica, sosteneva che i rapporti fra i
suoni fossero riconducibili a rapporti fra numeri; da ciò ne consegue che i rapporti fra i numeri possono
essere assunti per decifrare l’armonia universale. Questi parallelismi fra il suono ed il numero, sempre in
riferimento all’armonia cosmica, danno origine a delle astrazioni che mettono in risalto l’aspetto inudibile e
puramente metafisico della musica. Si aprirà così una frattura fra la musica pensabile e metafisica e fra la
musicale udibile ed eseguibile: da tale frattura, la prima visione sarà sempre quella privilegiata, e forse sarà
proprio la causa della scarsa considerazione di cui godrà il musicista nei secoli a venire.
Un altro concetto fondamentale è quello di catarsi, per il quale la musica avrebbe il potere di ristabilire
l’armonia turbata nel nostro animo. I pitagorici hanno insistito su questo concetto conferendogli una
dimensione etica e pedagogica. Secondo Damone di Oa, la catarsi espressa nella musica è allopatica, in
quanto la musica imita la virtù che si vuole inculcare nell’animo malato cancellando la sua cattiva
inclinazione. Aristotele invece parla di catarsi omeopatica, in base alla quale la correzione del vizio si ottiene
attraverso l’imitazione dello stesso vizio che affligge l’animo. Nel pitagorismo verranno prese più direzioni,
alcune moralistiche, altre matematiche, altre enfatizzeranno l’aspetto metafisico ed altre ancora quello
pedagogico politico. In ogni caso, tutto ciò dimostra come la musica fosse legata al concetto di ethos.
Platone
In Platone è massimamente espresso il contrasto fra la musica pensata e quella eseguita; in base a questo
dissidio, in Platone vediamo coesistere considerazioni di segno opposto.
• Musica humana: da un lato egli attribuisce alla musica solo l’effetto di produrre piacere, discostandosi
dalla visione etica pitagorica. Essendo finalizzata alle bassezze del piacere, la musica è techne, cioè arte e
non scienza, pertanto è sospetta, ma tollerata solo nel caso in cui il piacere prodotto non agisca in senso
contrario ai principi dell’educazione. In prospettiva dell’educazione, la musica è un mezzo e non un fine. Per
Platone le buone musiche sono quelle consacrata dalla tradizione, mentre le cattive musiche sono quelle del
suo tempo, finalizzate solo al puro diletto.
• Musica mundana: in questo caso, la musica essendo oggetto della ragione ed in quanto scienza, si avvicina
alla filosofia fino a diventare filosofia essa stessa. In tale concezione di musica inudibile e cosmica il concetto
di armonia è centrale, perché l’armonia della musica rispecchia quella dell’universo, inoltre diventa uno
strumento di conoscenza, simbolo e specchio dell’ordine divino. Con Platone, la frattura fra musica pensata
e suonata prenderà sempre più corpo.
Aristotele
Aristotele riprende i caratteri del pensiero musicale pitagorico e platonico, ma li rivista alla luce del pensiero
edonistico epicureo, tanto che con Aristotele il ruolo del piacere della musica verrà accolto ed inserito in una
proto-estetica. Avendo come fine il piacere, Aristotele sostiene che la musica possa avere un suo spazio
nell’educazione, ma solo per il riposo dalle attività realmente edificanti ed impegnative. In tal guisa, la musica
diviene un modo di occupare i periodi di ozio, ma con un’importante specificazione: la divisione fra musica
ascoltata e musica eseguita. La prima era consona anche agli uomini liberi, siccome l’ascolto non impegna
la manualità, mentre la seconda si addice solo agli uomini di grado più basso, siccome per suonare uno
strumento occorre esercitare un’attività manuale. Tutto il pensiero musicale aristotelico s’impernia su
questa differenza e ne viene fatta menzione nel VIII libro della Politica. Aristotele prende spunto sia dalla
teoria pitagorica, secondo cui la musica è in relazione diretta con l’anima perché essa viene armonizzata
dalla musica, che dalla teoria di Damone, secondo cui il rapporto fra musica ed anima va visto in un’ottica di
imitazione: la musica suscita sia sentimenti negativi che positivi, ponendosi in rapporto imitativo con essi.
Nell’ambito di questi sentimenti, l’artista può scegliere quelli che desidera; in ogni caso, il rapporto fra
sentimento e musica deve essere di natura omeopatica. Sempre nella Politica, Aristotele afferma che musica
vada praticata per usi molteplici, di cui non solo il riposo o la catarsi, ma anche l’educazione; la sua mancanza
di censura, per la prima volta pone la musica in termini estetici, in cui il piacere viene accettato ed è più
svincolati da propositi moralistici.
Aristosseno – età ellenistica
Nei due libri pervenutici, Elementi di armonia ed Elementi di ritmica, Aristosseno per la prima volta scinde
l’esperienza musicale dalla filosofia, mettendo in primo piano la percezione uditiva, rendendo indipendenti
udito ed intelletto. Grazie a lui l’interesse si affranca dal piano intellettuale per abbracciare quello sensibile,
inoltre egli insiste sulla reazione psicologica del singolo individuo, ritenendo che il legame fra modo musicale
(dorico ecc) ed ethos non fosse intrinseco nella musica, ma bensì condizionato dalla storia; pertanto, come
diceva il suo Maestro Aristotele, tutti i modi hanno dignità di esistere. Aristosseno vedeva nei modi non solo
il rapporto con l’ethos, ma la loro bellezza oggettiva, in quanto belli strutturalmente.
Tra mondo antico e Medioevo
Il pensiero cristiano e l’eredità classica
Nell’ambito del cristianesimo, la musica viene considerata in relazione alla preghiera, ai canti liturgici. Il
pensiero musicale cristiano medioevale sgorga da quello pagano greco-romano e da quello ebraico
sinagogale. In questo contesto, le visioni sulla musica sono due: come fonte di corruzione, puro edonismo
perché legata ai sensi e sviante dal richiamo spirituale, e come fonte di elevazione spirituale, capace di
potenziare il credo e la preghiera. Clemente Alessandrino, nel suo “Protrettico ai greci” vede nella musica il
potere caro ai pitagorici di porre armonia conciliando gli opposti, ed in questo modo di ritrovare l’armonia
cosmica, siccome l’universo stesso è costituito da musica. Sant’Agostino invece, nel “De Musica” e nelle
“Confessioni”, è perfettamente consapevole della doppiezza della musica, siccome oscilla fra il pericolo del
piacere ed il suo potenziale di potenziamento della fede, difatti scrive di approvare l’uso del canto in chiesa,
poichè lo spirito troppo debole trova nel canto un potenziamento del messaggio religioso. Questa
ambivalenza si riflette anche nella dicotomia fra la musica pensata come scienza teoretica, non udibile, e
quella eseguita, che inneggia al piacere dei sensi ed all’imitazione delle passioni, quest’ultima peraltro
giustificata da Aristotele. Severino Boezio in “De institutione musica” afferma la superiorità della ragione sui
sensi, compiendo la famosa tripartizione: musica mundana, l’unica vera musica, espressione dell’armonia
celeste; musica humana, il riflesso di quella mundana ma nel microcosmo umano; musica instrumentalis,
quella vera e propria. Agostino e Boezio sono i due pilastri che occorre tenere a mente in questo periodo.
Dall’astratto al concreto
La speculazione sulla musica dunque presenta un percorso che, partendo (nell’epoca greca aurea) dalla
considerazione prioritaria della musica celeste, mentale e completamente avulsa dalla realtà, gradualmente
l’abbandona , in favore di un interesse più vicino ai problemi compositivi, esecutivi e pedagogici , riguardanti
la musica liturgica, più ci si avvicina all’anno Mille. Questa nuova visione, molto più concentrata sulla musica
effettiva, udibile, viene incarnata massimamente da Guido D’Arezzo. Da qui in avanti tali interessi inizieranno
a rivolgersi a questioni come il ritmo, la grafia, e l’embrionale polifonia sorta con la nascita dell’Organum.
Dopo l’anno Mille, la musica tende ad organizzarsi con un grado sempre maggiore di complessità,
vanificando tutte le speculazioni troppo astratte che hanno caratterizzato il basso Medioevo. Attorno al XIV
secolo iniziano ad apparire le prime timide considerazione sulla bellezza della musica, arte intesa come
autonoma e che trova la giustificazione nei suoni, indebolendo ulteriormente la concezione teologica-
cosmologica e ponendo le basi per la nascita di una vera estetica musicale.
L’Ars antiqua e l’Ars nova
La diatriba fra quale dei due cammini la musica dovesse intraprendere diviene la prima querelle in cui si
confrontano due categorie estetiche. La bolla papale di Giovanni XXII è eloquente in merito: egli condanna
l’ars nova siccome ritiene che la sua maggiore complessità polifonica, in cui la musica è fine a se stessa, la
depriva del suo ruolo di ispirazione religiosa; ma è proprio da ciò che si comprende come l’ars nova sospinga
la musica verso un binario nuovo, di autonomia nel suo valore puramente auditivo. Da ora in avanti le ragioni
della musica diventeranno sempre più invadenti.
La nuova razionalità
I teorici dell’armonia e la scoperta degli effetti
Col Rinascimento, la dissoluzione delle dottrine medievali è ormai compiuta; in questo scenario figura
Johannes Tinctoris, teorico del secondo Quattrocento che nel Diffinitorium Musicae dà alcune definizioni
teoriche sull’armonia, consonanza e dissonanza in chiave decisamente meno astratta e più oggettiva, mentre
nel Complexus effectum musices enumera i venti effetti prodotti sull’animo umano, abbandonando la
boeziana tripartizione. Questo atteggiamento più empiristico riconosce nella musica l’unico scopo del
piacere, e pertanto può essere associato alla visione Aristotelica. Nel Rinascimento la visione della musica
corre su un doppio binario: da una parte si afferma una visione razionalistico-naturalistica per quanto
riguarda la teoria dell’armonia, dall’altra una visione psicologica. Gli ideali di classicità e di recupero della
misura e dell’equilibrio perverranno in musica con un po’ di ritardo rispetto alle altre arti. Glareanus è
un’altra figura importante; nel suo Dodechakordon divide i musici in symphonetae e phonasci, i primi sono
coloro che scrivono a più voci, i secondi che scrivono melodie, ed egli preferisce i secondi perché hanno il
dono dell’invenzione, mentre i primi sono più eruditi ma meno capaci di esaltare il senso delle parole.
Gioseffo Zarlino sarà fra tutti la figura più importante siccome si preoccupa di rifondare la teoria musicale
sulla base di un nuovo razionalismo che mira a giustificare l’uso degli intervalli musicali attraverso una
matematizzazione del mondo musicale. Egli fonda la sua teoria sugli armonici superiori che danno il tono
maggiore e su quelli inferiori che danno il tono minore. In tal guisa, l’accordo maggiore trova una sua
giustificazione naturale poiché esiste in natura e pertanto è oggettivamente bello.
La nascita del melodramma
L’esigenza di una più precisa corrispondenza fra parola e musica e di una maggiore comprensibilità delle
parole è un fenomeno molto presente dalla fine del 500’; difatti la maggiore congruenza fra parole e musica
andava nella direzione del muovere meglio gli affetti. Zarlino sarà promotore di una razionalizzazione del
linguaggio musicale volto ad eliminare contraddizioni fra il testo e gli accordi. La Camerata de’ Bardi è la
fucina in cui questa istanza verrà sviluppata. L’aspirazione umanistica ad un recupero del senso della misura
dell’antica Grecia iniziò a polemizzare sul contrappunto, visto come astruseria che rendeva difficile l’uso
proprio e comprensibile della parola. La chiesa cattolica col Concilio di Trento interpretò questa polemica,
mentre nel mondo teorico speculativo, Vincenzo Galilei si fece promotore di un attacco alla polifonia in
favore della monodia, vista come più naturale anche in virtù del fatto di esser stata utilizzata dai greci. Inoltre
la polifonia indeboliva la teoria degli affetti, siccome se ad ogni intervallo o modo corrispondeva un affetto,
le tecniche polifoniche, come i moti contrari ecc. non erano inquadrabili in questa corrispondenza di affetti.
Corrisposto a Galilei c’è Giovanni Artusi, di segno opposto, il quale rifiutava un’influenza eteronoma sulla
musica rivendicando l’autonomia della musica, difendendo la polifonia, mettendosi in polemica con
Monteverdi, che invece operava nella direzione estetica della Camerata de’ Bardi. La tendenza nel preferire
l’autonomia della musica rispetto all’eteronomia si sviluppa più nel mondo protestante-luterano che in
quello cattolico. Più avanti Leibniz si schiererà a favore dell’autonomia della musica, convinto che la musica
possegga una salda struttura matematica e che tale struttura si manifesti nella percezione uditiva,
scavalcando la razionalità. Rameau approfondirà l’armonia sul principio dell’autosufficienza della musica,
mentre Bach la porterà a livelli divini.
La teoria degli affetti
Tale teoria prende il nome di Affektenlehre, per la quale ci fosse una diretta corrispondenza fra scelte
musicali e gli stati emotivi; durante tutto il 600’ e fino al 700 tale teoria sarà così celebrata che si eleva ad
una nuova retorica. Mursugia Universalis di Kircher è un trattato in cui egli sostiene come vi siano in realtà
un varietà di composizioni uguale alla varietà di temperamenti dei compositori. La teoria degli affetti trova
origine nella sensibilità melodrammatica.
L’illuminismo e la musica
La teoria degli affetti nel Settecento
L’Affektenlehre sarà ripresa nel 700’ specie nel mondo tedesco, in cui la musica strumentale è più rigogliosa
che in Italia e Francia, e la corrispondenza fra figura musicale ed affetto sarà meglio determinata, più retorica.
Nel Settecento si svilupperà una polemica fra la nuova generazione di melodisti, vicini ad una musica più
connessa ai sentimenti, e gli antichi contrappuntisti dei quali Bach era il capofila, esponenti di una visione
più razionalistica della musica. La teoria degli affetti dunque sarà l’asse portante della nuova concezione
della musica come linguaggio dei sentimenti, distante dal trionfo della polifonia. Charles Avison sta dalla
parte della concezione sentimentalistica.
Le ragioni della musica e le ragioni della poesia
Sempre nel corso del Settecento si acuisce il dibattito fra il rapporto musica e testo, ed in particolare i limiti
di convivenza dei due linguaggi, e l’eventuale subordinazione di uno dei due. Il melodramma diviene il
terreno di scontro su cui s’innesta il dibattito che vede nell’Opera un genere privo di contenuto morale e
lontano dalla ragione. Il razionalismo cartesiano, dilagante specie in Francia, fa sentire le proprie reprimende
nei confronti del genere dell’opera, soprattutto quella italiana, in cui c’era poca coerenza letteraria e la
musica si mostrava troppo disinteressata a fini morali ed educativi. L’abate Raguenet metterà in luce le
differenze fra l’opera francese ed italiana, constatando una maggiore musicalità in quella italiana, mentre
Lecerf si schiererà dalla parte della tradizione razionalistica di cui Lully è il principale esponente operista. Il
dibattito dunque diviene fra orecchio e ragione, sentimento ed intelletto; tuttavia le ragioni dell’orecchio
troveranno valide argomentazioni solo nel secondo Settecento. La Francia sarà la terra eletta di queste
dispute.
Dalla ragione all’arte e dall’arte alla ragione
Rameau, antagonista di Lully, aveva l’ambizione di entrare nel mondo dotto che aveva escluso la musica da
secoli, e a tal proposito ribadì la concezione di musica come di linguaggio scientifico, analizzabile con la
ragione. Il suo trattato di armonia del 1722 procede in questa direzione, e vede nel fenomeno degli armonici
superiori il marcatore scientifico di tutta la musica, siccome essi danno la triade maggiore, e quest’ultima
costruita sui I, IV e I dà la tonalità maggiore. Pertanto, il piacere nell’ascoltare la musica sarebbe analizzabile
razionalmente e giustificabile in accordo con una naturalezza oggettiva della musica stessa. Il parametro
privilegiato è dunque l’armonia, specchio di leggi di natura e primum ideale da cui derivano tutti gli altri
parametri, mentre la melodia è gestita dal gusto.
Gli Enciclopedisti e le querelles
Il pensiero illuminista verrà interpretato dalla figura degli enciclopedisti, i quali parleranno di musica come
del linguaggio privilegiato dei sentimenti. La seconda rappresentazione della Serva Padrona a Parigi diede
l’abbrivio ad una escandescenza fra i sostenitori della musica francese e della musica italiana. Gli
enciclopedisti si schiereranno dalla parte della musica italiana, decantando in essa il trionfo del sentimento
e della melodia. Rousseau, che è stato uno dei più ferventi enciclopedisti pro musica italiana, (mentre
Rameau stava agli antipodi), sosteneva che musica e poesia dovessero rimanere unite assieme siccome dagli
albori dell’arte queste due forme erano unite; egli era contro alla polifonia. Con l’Illuminismo la musica entra
prepotentemente nel dibattito culturale e non più meta-artistico. Diderot diede un altro contributo
importante all’estetica musicale formulando per la prima volta il primato della musica sulle altre arti, siccome
essa è l’espressione più immediata delle passioni; inoltre vedeva nell’imprecisione semantica della musica
strumentale (che non avendo un testo non esprime concetti determinati) la possibilità di esprimere una
ricchezza concettuale incredibile. Un maggiore equilibrio fra l’elemento musicale e quelle letterario si avrà
nel melodramma solo con la riforma di Gluck.
Dall’idealismo romantico al formalismo di Hanslick
La musica come linguaggio privilegiato
Il fenomeno che afferma l’autonomia della musica, iniziato nell’Illuminismo, nel Romanticismo troverà
terreno più fertile. L’asemanticità della musica rappresenterà la prova della sua capacità di rivelare verità
inaccessibili con le parole, e pertanto la musica sarà nel Romanticismo la regina fra le arti. In particolare, la
musica strumentale sarà ambasciatrice di questa capacità.
La musica e i filosofi romantici
La musica si afferma come nodo centrale nel pensiero filosofico di molti filosofi tedeschi dell’800’. Per
Schelling la musica è l’arte più lontana dalla corporeità, mentre in Hegel essa è la rivelazione dell’assoluto
nella forma del sentimento, grazie all’affinità della sua struttura con la struttura dell’anima. Per
Schopenhauer invece la musica è l’immagine stessa della volontà e le altre arti emanano solo il riflesso di
un’essenza di cui la musica è piena espressione. In virtù di ciò, la musica per Schopenhauer non deve essere
descrittiva, perché rinuncerebbe alla sua indeterminatezza semantica. Nel solco di queste teorie, la musica
strumentale viene rivalutata proprio grazie alla indeterminatezza concettuale e si trovano giustificazioni
estetiche a nuove forme musicali come il poema sinfonico; inoltre è caldeggiata la commistione della musica
con altre arti in modo da amplificare le possibilità espressive.
Wagner e l’opera d’arte totale
Wagner riprende il pensiero di Rousseau di unione fra poesia e musica per elaborare il concetto di opera
d’arte totale, Gesamtkunstwerk, ovvero il dramma, in cui tutte le arti s’incontrano; per Wagner il dramma è
l’unica vera arte e bisogna tornare in quello stato primigenio in cui poeta e musicista sono una cosa sola.
Nietzsche concepirà la musica come arte eletta, origine di tutte le arti, e più che di musica forse bisognerebbe
parlare di spirito musicale. Mentre Wagner privilegia il dramma, Nietzsche privilegia la musica strumentale
nella sua autonomia. Egli ritiene che la musica sia dionisiaca, e che preceda e domini l’apollineo.
Dal formalismo alla sociologia della musica
Il formalismo si sviluppa dalla seconda metà dell’ Ottocento e vedrà in Eduard Hanslick uno dei pionieri, col
suo saggio Il bello Musicale. In questo saggio egli sostiene che le leggi del bello siano inscindibili dalle
caratteristiche tecniche del materiale artistico, pertanto la tecnica musicale non è un mezzo, bensì è la
musica stessa. Hanslick prende a bersaglio l’estetica del sentimento, quella wagneriana, e ritiene che le idee
espresse nella musica siano essenzialmente musicali e non eteronome; la musica può imitare il moto di un
processo psichico, ma non un sentimento. Essa esaurisce in sé tutti i significati. Il pensiero di Hanslick sarà
un punto di partenza per ulteriori sviluppi da parte delle generazioni a venire, che attingeranno
dall’attitudine analitico-scientifica per incanalare le riflessioni musicologiche anche verso ambiti come
l’acustica, la psicoacustica, ed altre discipline di stampo empirista. Riemann riprende lo sfondo formalista e
Carl Stumpf inquadra i problemi dell’acustica nella loro rilevanza psicologica, aprendo all’estetica del 900’,
in base alla quale le leggi acustiche non sono più sufficienti a giustificare il discorso musicale, perché vanno
integrate alla psicologia uditiva. La musicologia francese ha portato l’accento sulla rilevanza sociale della
musica grazie agli studi di Jules Combarieu.
La crisi del linguaggio musicale e l’estetica del Novecento

La critica e l’estetica musicale in Italia


La musicologia anglosassone e tedesca fino al primo Novecento aderiva al formalismo di Hanslick, mentre in
Italia i contesti speculativi erano molto più di matrice idealistica crociana e gentiliana. Alfredo Parente si
distinse per aver proposto due temi: l’unità delle arti; il valore della tecnica. Egli sostiene che le arti si
distinguano unicamente per la tecnica di cui si servono, e che la musica ricopra una posizione d’eccezione
siccome la facoltà lirica, caratterizzante nella musica, esiste prescindendo dalla tecnica. Massimo Mila invece
ci parla di espressione inconsapevole per giustificare le prese di posizione della musica del 900’, in particolare
di quella Neoclassica (Stravinskij) che nega ogni significato eteronomo alla musica. Fra il 1930 e 1940 in Italia
si apre una polemica fra Parente, che voleva limitare la funzione dell’interprete ad una funzione tecnico
esecutiva, e Pugliatti, che voleva enfatizzare la funzione creativa dell’interprete.
Il formalismo e le avanguardie
L’eredità del pensiero formalista di Hanslick è cruciale, e fra i compositori, Stravinskij si farà nume tutelare
di questa concezione per cui la composizione è un atto speculativo, lontano dal sentimentalismo,
dall’intuizione, dall’ispirazione, in piena opposizione all’estetica romantica. Egli rifiuta l’espressione come
proprietà immanente della musica.
La forma e il tempo musicale
Gisèle Brelet centrerà il suo pensiero estetico sul concetto di tempo musicale, vedendo l’atto creativo come
perenne dialogo tra la materia e la forma, e la forma temporale della musica come intima rispondenza con
la temporalità della coscienza. Più tardi Brelet vedrà nella forma non più la temporalità della coscienza, bensì
come espressione del vissuto: la musica trova la sua struttura definitiva nell’attualità del tempo vissuto.
Jankèlèvitch fonda il suo pensiero sull’analisi del tempo e della forma come profondità del vissuto. Boris de
Schloezer è tra i primi studiosi ad affrontare la questione della musica come struttura linguistica, agita da
simboli ripiegati su se stessi, in un sistema multiplo di relazione sonore. Per de Schloezer il tempo della
musica è atemporale, perché venendo organizzato compositivamente in base a visioni strutturali sofisticate,
è come se non si facesse più tempo ma si trascendesse, diventando tempo irrigidito in un’unità sincronica.
Questa concezione della musica come tempo irrigidito è comune a tutte le visioni della musica come
struttura. Levi-Strauss ha una visione di tipo strutturalista, simile a de Schloezer, e sostiene che l’ascolto di
musica ben strutturata ci fa accedere ad una specie di immortalità.
Musica e linguaggio
Suzanne Langer ritiene che la musica sia un linguaggio emblematico perché esprime i sentimenti ma in
maniera simbolica, sui generis, di modo che il significato non sia convenzionalmente fissato ed esatto. La sua
caratteristica è l’espressività ma non l’espressione. Nella musica, secondo Langer, i sentimenti hanno una
loro presentazione simbolica che si attiene a leggi esclusivamente musicali. Leonard Meyer invece rivolge la
sua attenzione maggiormente alla psicologia dell’ascolto, ritenendo che il significato della musica nasca dal
prodotto di un’attesa, basata su di una tensione e una soluzione. Tuttavia questo meccanismo è vincolato
allo stile, difatti le stesse scelte compositive risultano diverse di stile in stile. L’idea di Meyer naturalmente
ha a che fare col sistema tonale.
Il pensiero musicale di fronte alla rivoluzione linguistica
La musicologia ha reagito di fronte alla trasformazione linguistica della musica, evidenziando le condizioni di
crisi dinanzi alla dissoluzione del sistema tonale. Hindemith e Stravinskij si sono schierati contro l’assenza di
naturalità del sistema di Schoenberg, ribadendo che il linguaggio musicale dovesse sempre avere fondamenti
naturali. Adorno fornisce l’interpretazione più importante della dodecafonia ed in generale dell’avanguardia
tedesca, ed alla luce di metodologie marxiste, sociologiche e psicoanalitiche, si polarizza sul rapporto musica-
società, e più in particolare sul rapporto fra strutture musicali e strutture sociali. La musica deve far emergere
in superficie ciò che è silenziato e latente in una società, e dunque evidenziarne i dissidi, la falsità dei rapporti
umani, smascherando l’ordine costituito. Col decorso della Seconda scuola di Vienna e della musica post-
weberniana, Adorno la dichiarerà ormai vetusta, siccome conteneva dapprincipio i germi della sua
dissoluzione. Dagli anni 50’ in poi, con la morte di Schoenberg, la generazione dei compositori sarà sempre
più operante anche in una dimensione filosofica e speculativa, rintracciabile in numerosi saggi dei
compositori stessi.
La semiologia della musica
Levi-Strauss è stato il primo ad applicare alla musica strumenti della linguistica, e Nicolas Ruwet ha
proseguito nel solco di questa nuova metodologia. Per Ruwet la musica è un linguaggio, ma per esistere e
garantire la sua comprensibilità deve obbedire a regole precise che rendano chiare le comunicazioni. La
semiologia della musica si occupa appunto di individuare le regole che rendono possibile il funzionamento
della musica come linguaggio. Il linguaggio seriale tradisce questo funzionamento e Ruwet ritiene che la
musica di Webern faccia fatica a costruire un sistema di rapporti differenziati; la brevità della musica di
Webern sarebbe giustificabile proprio in virtù dell’assenza di regole tipiche del linguaggio continuativo.
Gino Stefani invece insiste sul momento della comunicazione, in cui è necessaria la presenza di codici,
assimilati nel vissuto quotidiano, e l’individuazione di tali codici è imprescindibile. Egli asserisce che la
semiologia, scienza dei significati, debba tener conto di un doppio livello di indagine:
• Significante: struttura analitica del brano, grammaticale-sintattica
• Significato nella cultura, ovvero negli ascoltatori
La semiotica si regge sul principio per cui ogni segmentazione sul piano dell’espressione (significante) è nello
stesso tempo una segmentazione sul piano dei contenuti (significato), e pertanto analizzare i due livelli in
maniera indipendente è inutile, siccome i due livelli si rimandano continuamente l’un l’altro. Da questa
imprescindibile interconnessione emerge il seguente quesito: se la segmentazione linguistica a cui è
sottoposto il significante deve sempre corrispondere alla parallela segmentazione dei significati, esiste anche
un livello neutro dell’analisi? Ed il rimando sul piano del significato è emotivo o anche cognitivo? Nattiez e
Ruwet si sono concentrati molto su questo livello neutro, cercando di capire se fosse possibile analizzare le
varie unità, sottounità del testo musicale (significante) senza tener conto delle relazioni che esse hanno col
significato e col contesto tecnico compositivo culturale in cui sono state concepite. A seconda che il
linguaggio musicale venga visto più dall’angolo visuale del significante o del significato-destinatario, sorgono
indirizzi di ricerca diversi.
L’analisi musicale
Oltre all’indagine della musica come linguaggio, o possibilità di linguaggio, la nascita dell’alea ha aperto nuovi
interrogativi sul concetto di creatività musicale, mentre la musica elettronica ne ha aperto sulla natura del
suono. L’allargamento dell’ascolto, dell’educazione musicale, la diffusione di nuove tecnologie di
riproduzione del suono, sono tutti fenomeni che hanno inciso sulle nuove direzioni prese nel mondo della
musicologia. L’analisi musicale ha un ruolo cruciale nel pensiero musicale; possiamo rintracciarne le prime
manifestazioni negli stessi compositori, Schumann, Hoffmann, ma tale disciplina diventerà ufficiale solo con
Riemann, ma soprattutto con Schenker, il quale riteneva che al di sotto di una pagina musicale (composizione
intera) ci fosse sempre una struttura originaria nella quale trovare l’unitarietà gestaltica di tutto il pezzo. Più
che di struttura, si parla di strutture, che si riducono all’individuazione di una ur-Linie, che è sempre melodica.
Questa teoria è riduzionistica e riecheggia la grammatica generativa di Chomsky. Ogni teoria analitica
naturalmente privilegia la dimensione della musica che ritiene centrale e pertanto quella riduzionistica ha a
che fare coll’universo tonale. Rudolph Reti svilupperà una metodologia simile a quella riduzionistica,
dimostrando come nelle opere dei grandi compositori le idee tematiche siano riconducibili per affiliazione
motivica ad un unico motivo generatore.

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