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Pirandello

Martire e confessore (portavoce) della nuova sensibilità moderna.

Nato ad Agrigento nel 1867, frequentò lettere a Palermo, laureandosi a Bonn. Si trasferisce a Roma con la
moglie, iniziando la sua attività letteraria. La moglie inizia a soffrire di una crisi nervosa che sfocerà in una
pazzia. Dopo essere stato a contatto con la sua follia, decide di internarla in una clinica, e inizia la sua
attività teatrale. Nel 1924 si iscrive al partito fascista e nel 25 firma il manifesto degli intellettuali fascisti di
Giovanni Gentili. Conosce l’attrice Marta Abba, con la quale ebbe una profonda relazione d’amore. Nel
1934 ebbe il Nobel per la letteratura; muore nel 1936, per una polmonite mentre seguiva a cinecittà la
realizzazione cinematografica del Fu Mattia Pascal. Il regime avrebbe voluto per lui dei funerali di stato, ma
Pirandello lasciò un testamento in cui descriveva minuziosamente come avrebbe dovuto essere il suo
funerale. Il suo corpo fu cremato e le ceneri disperse nella tenuta ad Agrigento ( Sia lasciata passare in
silenzio la mia morte. Agli amici, ai nemici preghiera non che di parlarne sui giornali, ma di non farne pur
cenno. Né annunzi né partecipazioni. Morto, non mi si vesta. Mi s'avvolga, nudo, in un lenzuolo. E niente fiori
sul letto e nessun cero acceso. Carro d'infima classe, quello dei poveri. Nudo. E nessuno m’accompagni, né
parenti, né amici. Il carro, il cavallo, il cocchiere e basta. Bruciatemi. E il mio corpo appena arso, sia lasciato
disperdere; perché niente, neppure la cenere, vorrei avanzasse di me. Ma se questo non si può fare sia
l’urna cineraria portata in Sicilia e murata in qualche rozza pietra nella campagna di Girgenti, dove nacqui.)
Pirandello è il primo autore moderno che seppe trasmettere pienamente quella che era la crisi esistenziale
dell’uomo del primo ‘900. Inizialmente la sua formazione fu verista, anche se la sua poetica si è evoluta,
fondandosi su tre principi legati alla psicologia di Binet e filosofia di Simmel: il problema dell’identità;
concezione della vita come incessante fluire; relativismo conoscitivo (non esiste una verità unica e oggettiva
per tutti, ma esistono tante verità quanti sono i punti di vista, che Pirandello esprime nel dramma Così è se
vi pare). Pirandello è convinto dell’inconoscibilità della realtà, che porta all’incomunicabilità fra gli uomini,
che a sua volta porta a sofferenza, a un disagio esistenziale e alla crisi d’identità. Tutta la poetica
pirandelliana si fonde sulla dialettica tra vita e forma.

Rappresenta l’espressione più vera della crisi dell’uomo moderno; la sua esperienza è così sofferta che non
potremmo immaginare un ulteriore sviluppo. Attraverso i suoi romanzi, egli rappresenta il dramma
dell’uomo moderno costretto ad indossare fin dalla sua nascita una maschera, la maschera dell’ipocrisia
imposta da una società poco attenta alle esigenze e alle sofferenze dell’uomo, che tenta di liberarsene. Per
essere veramente libero, l’uomo deve essere libero dalla famiglia (la prima trappola dell’individuo che
limita il suo essere) (=Fu Mattia Pascal). Per essere liberi, l’uomo si estrania dalla sua vita e vede vivere gli
altri con distacco = FORESTIERO DELLA VITA; un’altra via di liberazione è la follia (uno, nessuno e
centomila), un momento di liberazione dalle maschere sociali. Per poter essere libero e finalmente felice,
l’uomo deve essere sé stesso. (La vita è un magma incandescente in evoluzione, i granelli che si staccano da
esso, si raffreddano e muoiono. = pirandelliano). Altra vita di liberazione: l’immaginazione (Belluca kinda).

Poetica delle maschere: l’uomo indossa tante maschere quanti sono i contesti sociali nella sua vita; ad un
certo punto ci fermiamo a riflettere, e la maschera cade, dando inizio alla sofferenza.

POETICA DELL’UMORISMO: esposta nell’omonimo saggio Sull’Umorismo (1908), in cui pone le basi per la
poetica che applicherà in tutta la sua produzione successiva, per spiegare questa poetica egli fa riferimento
ad una vecchia signora, che si trucca in modo stravagante; vedendola per strada, può apparire ridicola e
suscita ilarità, senza far pensare al dramma e al perché del suo stato. A questo punto subentra la
riflessione, che fa scoprire la realtà sofferente che ci fa capire il perché delle azioni dell’anziana signora, che
indossa la maschera della giovinezza per tenersi il marito molto più giovane di lei. Questa poetica si fonde
su due fasi: l’avvertimento del contrario, che ci induce a ridere, e il sentimento del contrario, che porta alla
compassione. Questo ci dà sentimenti contrastanti: prima il riso e poi il pianto, sui quali si basa l’umorismo
pirandelliano. La poetica si esprime principalmente nel Fu Mattia Pascal, composto in soli quattro mesi e
presenta il problema della doppia identità (ma anche il relativismo conoscitivo). La vicenda del Mattia
Pascal è una vicenda strana: egli inscena per ben due volte la sua morte: prima quando sta tornando da
Montecarlo (approfittando del ritrovamento di un cadavere irriconoscibile) e anche quando decide di
tornare nel suo paese e, notando come tutti siano andati avanti con le loro vite, decide di ritornare ad
essere il fu mattia pascal. Attraverso questo personaggio, Pirandello dà un’opportunità all’uomo di liberarsi
dalla propria maschera, attraverso l’estraniazione dalla propria vita, una condizione di non-vita, una sorta di
limbo in attesa di non essere, della morte ma non ci riesce. Attraverso il romanzo, l’autore rompe tutte le
regole narrative dell’ottocento (con l’alternarsi di passato e presente, linguaggio ricco di monologhi interiori
e di espressioni tipiche del linguaggio parlato). Predomina la filosofia del lontano: lasciarsi vivere,
estraniarsi e guardare da lontano la propria vita, con distacco (si ritrova anche in Uno, Nessuno e
Centomila). La vita è per Pirandello un divenire incessante, un magma incandescente che non si arresta
mai, un flusso vitale; nessuno può immobilizzarlo, altrimenti si muore. Immobilizzandolo si imprigiona l’io
più profondo in una maschera, una trappola. Immobilizzandolo dobbiamo assumere tante maschere quante
sono gli aspetti della nostra vita sociale: noi non siamo mai noi stessi, ma tanti quanti sono coloro che ci
conoscono (relativismo pirandelliano); quando l’uomo si rende conto di questa sua condizione e la
maschera gli diventa insopportabile, la rompe in maniera definita, esce dalla forma e decide cosa fare
(Vitangelo Moscarda decide di fingersi folle, Mattia Pascal di fuggire dalla vita). I personaggi pirandelliani
sono irraggiungibili; sono sofferenti, a volte emarginate dalla società, alienati dalla propria vita pur di
fuggire dalla trappola sociale (prima fra tutte la famiglia). L’uomo soffre, però può uscire dalla trappola
infernale della società: rifiutando la maschera, immergendosi nel flusso vitale della natura o attraverso la
pazzia.

La lingua non è stilisticamente ricercata ma facilmente comprensibile e traducibile; i suoi romanzi sono stati
tradotti in tutto il mondo, ottenendo un successo immediato, ancora maggiore che in Italia. Lui sceglie di
aderire soprattutto alla lingua parlata, riportando nei romanzi elementi lessicali dialettali, di lingua
straniera, o tecnici. Realizza dunque una prosa tutta moderna, facendo uso di una lingua che attinge dai vari
dialetti. (= camilleri)

La rivoluzione teatrale di Pirandello: all’inizio esordì con testi dialettali ambientati in Sicilia, presentati sia in
italiano che in dialetto. L’innovazione di Pirandello rispetto al teatro naturalista sta nel fatto che anche nel
teatro Pirandello incentra le sue tragedie su personaggi dolenti, che come nei romanzi e nelle novelle
rappresentano il conflitto e il dramma interiore tra uomo e società. Il teatro pirandelliano mette a nudo
tutte le ipocrisie che regolano i rapporti umani, la solitudine, le angosce esistenziali e i drammi dell’uomo
moderno, del relativismo conoscitivo (dell’impossibilità di conoscere il reale) e della pazzia (come mezzo di
liberazione). La novità più rappresentativa è quella del teatro nel teatro, il metateatro, a cui appartengono
la trilogia Sei personaggi in cerca d’autore (1921), ciascuno a suo modo (1924) e questa sera si recita a
soggetto (1930). L’autore mette in scena temi relativi al teatro: conflitto tra attori e personaggi, fra attori e
spettatori, fra attori e regista, e l’impossibilità dell’arte di riprodurre la vita, che è alla base del conflitto
(l’arte è solo riproduzione della vita). In questa trilogia Pirandello attua una vera e propria rivoluzione
drammaturgica, scardinando gli statuti teatrali ottocenteschi del teatro naturalista: i personaggi nel teatro
naturalista erano rigorosamente nascosti allo spettacolo (direttore di scena, capocomico ecc.) per non
turbare l’illusione scenica tra attore e spettatore, mentre in Pirandello sono proprio personaggi del dramma
visti nel momento in cui compiono il proprio mestiere: rappresentazione teatrale messa a nudo anche negli
aspetti tecnici. Cambia anche lo spazio, poiché la rappresentazione teatrale ha bisogno di una scenografia
particolare, e il palcoscenico viene mostrato per quello che è: il luogo della funzione scenica (tutti gli spazi
del palcoscenico vengono rivelati -> sfondamento della quarta parete: i personaggi salgono sul palco
direttamente dalla platea, così lo spazio della rappresentazione invade lo spazio riservato agli spettatori) ai
suoi personaggi inoltre Pirandello non attribuisce un nome, per sottolineare che sono nati dalla fantasia di
un autore e non hanno ancora preso vita in un’opera d’arte. La parola metateatro significa teatro che
riflette sul teatro. La vita e la finzione scenica diventano la stessa cosa. TEATRO UMORISTICO
Uno nessuno centomila: Vitangelo Moscarda conduce una tranquilla esistenza, chiamato affettuosamente
Gegè dalla moglie. È un borghese che conduce una vita normale, sconvolta proprio dalla moglie che gli fa
notare che il suo naso tende verso destra. Da qui prende il via il dramma del protagonista, perché non si
vede come lo vedono gli altri, che a loro volta vedono in lui cose che lui ignora, vedono centomila maschere
in cui non si riconosce. (un individuo, centomila maschere, nessuna individualità). Moscarda non ce la fa più
a sopportare il peso delle maschere e cerca di cancellare la propria immagine pubblica fingendosi folle
(regala il suo appartamento a Marco, si disinteressa a tutti i suoi beni e con l’aiuto di un’amica della sua
moglie dona tutti i suoi beni; alla fine indossa la sua maschera definitiva, quella della follia: ritirandosi in un
ospizio diventa nessuno. Trova la sua vera identità in una forma di panismo folle. Lingua rapida e nervosa
con una sintassi agile e movimentata, stile espressionistico e grottesco.
LANTERNINOSOFIA: La dialettica pirandelliana si basa sulla dialettica tra vita e forma. Quando la maschera
dell’uomo si rompe, il nostro io è frantumato e diviso e questo aspetto doloroso della vita quando il mondo
crolla intorno a noi fa si che troviamo queste tematiche nel suo teatro, più precisamente nel metateatro. Il
metateatro ci permette di smascherare le trappole delle convenzioni sociali andando a sottrarre ai
personaggi le maschere che indossano per investire dei ruoli, ruoli svolti anche dal punto di vista sociale.

Svevo vede cadere i valori della società ottocentesca e giunge ad elaborarne di nuovi. Il primo valore era
proprio la famiglia. Sia svevo che Pirandello fanno riflessioni tragiche.

Lanterninosofia: tutte le riflessioni dell’uomo moderno. Viene esposta a mattia pascal da un altro
personaggio del romanzo ossia Anselmo Paleari: il sentimento della vita di ogni uomo, il suo sentirsi vivere,
è paragonato ad una piccola lanterna, ogni lanterna fa sì che l’uomo si distingua all’interno del buio
circostante. Questa debole luce però non è sufficiente per conoscere il reale, anzi, è una visione parziale e
deformata che costituisce una trappola per l’individuo che diventa incapace e di conformarsi al flusso della
vita.

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