Sei sulla pagina 1di 119

Ken Knabb

Confessioni di un
garbato nemico dello Stato

Parte 1 (1945-1969)

”Se il mondo si lagna che io parli troppo di me, io mi lagno


che non pensi soltanto a sé.”
—Montaigne

[Infanzia]
Sono nato nel 1945 in Luisiana, dove la mia madre era andata a
raggiungere mio padre che prestava il servizio militare.
Durante la guerra, vivevamo nell’azienda agricola dei miei
nonni materni nel Minnesota. Quando mio padre ritornò due
anni più tardi, ci trasferimmo a Plainstown, la sua città natale,
nell’Ozarks, regione posta tra il sud del Missouri ed il nord
dell’Arkansas.
In questa città un po’ in ritardo in rapporto al resto del paese, si
poteva ancora gustare la vita americana provinciale e
pretelevisiva dell’inizio del secolo, idealizzata dall’illustratore
Norman Rockwell — il mondo delle sedie a dondolo sotto le
verande e dei pomeriggi oziosi, dei Boy Scouts e delle partite
di baseball su terreni di fortuna, delle quadriglie popolari e dei
picnic parrocchiali, delle fiere regionali, dei campi d’estate,
delle foglie d’autunno, e dei Natali sotto la neve. Questo stile
di vita è stato spesso denigrato, ma aveva comunque alcuni
vantaggi rispetto al tipo d’esistenza suburbana ed artificiale che
iniziava già a sostituirlo. Nonostante la loro ingenuità, a ben

1
Confessioni di un garbato nemico dello Stato

vedere, gli abitanti dello stato la cui moneta ufficiale è “credo


soltanto a ciò che vedo” conservavano sempre qualche traccia
di scetticismo e di buon senso twainiano (Mark Twain era del
Missouri). Anche le persone più povere possedevano spesso la
loro casa o la loro fattoria. La mutua assistenza delle famiglie
estese dava una certa sicurezza nei momenti difficili. La vita
era tranquilla. Un bambino poteva crescere senza rendersi ben
conto dei problemi del mondo esterno.
I soggiorni annuali nell’azienda agricola del Minnesota
permettevano di conservare il legame con le vecchie tradizioni.
Mi rivedo ancora in procinto di frugare nell’immenso granaio
tra il fieno della vecchia stalla, di esplorare la vecchia casa con
i suoi mobili in vecchio stile e piena di cose affascinanti, come
uno scivolo per la biancheria che andava dal primo piano fino
allo scantinato, che sapeva di muffa ed era riempito di ninnoli e
di aggeggi strani del secolo precedente. O di passeggiare con
mio nonno, un tipo attento e pieno di brio che lavorava sempre
nei campi fino a novant’anni.
Mio padre era uno degli ultimi medici di famiglia della vecchia
scuola, che aiutava a partorire generazioni successive di donne,
prendendo soltanto cinque dollari per una visita a domicilio,
anche in mezzo alla notte, ed a volte niente se la famiglia si
trovava in difficoltà. Come suo padre prima di lui, lavorava a
tempo pieno come medico, ed in più come agricoltore. E se ha
terminato l’esercizio della medicina due anni fa, si occupa
ancora un po’ dell’azienda agricola. Mia madre era diplomata
in fisioterapia, ma passava la maggior parte del tempo a
prendersi cura della casa, delle mie due sorelle e di me.
Sam Thomas il mio primo e migliore amico, aveva due anni
più di me ed abitavano a due passi. Facevamo tutti i giochi
tipici — baseball, basketball, calcio americano, badminton,
ping-pong, kick-the-can, biglie, carte, Monopoli, Scrabble...
Ma quello che ci piaceva di più, erano le attività che noi stessi

2
Confessioni di un garbato nemico dello Stato

inventavamo: complicate costruzioni con Lincoln Logs; lo


schieramento di piccoli cowboys e indiani di metallo tra forti e
tunnel che costruivamo con la sabbia; la costruzione di due
piccole capanne, di cui una su un albero; l’organizzazione di
spettacoli e di fiere per gli altri bambini delle vicinanze.
Le memorie della scuola primaria sono ugualmente care al mio
cuore. Senza essere realmente “progressista”, il sistema
d’insegnamento era abbastanza flessibile e andavo piuttosto
bene. Poiché apprendevo gli argomenti delle lezioni senza
sforzo, le insegnanti mi dispensavano da una parte degli
obblighi ordinari per permettermi di proseguire progetti
indipendenti, da solo o in società con altri allievi dotati:
ricerche di geografia, storia, astronomia o fisica nucleare nelle
enciclopedie, compilazione di elenchi, di diagrammi e di
tabelle, di esperimenti guidati, di relazioni scientifiche. Fuori
dalla scuola divoravo libri — scienze, storia ed il fumetto Pogo
erano le mie letture favorite — ed imparavo alcuni nuovi
giochi: tennis, biliardo, scacchi e soprattutto il bridge, un gioco
affascinante. Leggo del resto ancora con piacere dei libri sulla
strategia del bridge, benché abbia giocato soltanto raramente da
quando ho lasciato la casa. Ma ricordo ancora adesso, con
tenerezza, le attività che avevamo inventato per noi stessi, i
miei amici ed io. In tre, abbiamo creato un’isola immaginaria
abitata da famiglie di personaggi ritagliati in gommapiuma, per
i quali avevamo composto genealogie ed inventato storie
dettagliate. Con un altro amico, abbiamo inventato un gioco
ispirato dalla passione per i grandi viaggi di scoperta. Gli
ossessi della correctness political ci troveranno una bella
occasione per mostrare i denti. Il mio amico era l’Inghilterra
del XVI secolo, e io ero la Francia, e concorrevamo per
l’esplorazione e la colonizzazione del resto del mondo. Volta a
volta, con gli occhi chiusi, mettevamo il dito su un
mappamondo, quindi gettavamo tre monete: la combinazione

3
Confessioni di un garbato nemico dello Stato

di testa e croce determinava la distanza che potevamo


raggiungere a partire da quel punto (questa distanza variava a
seconda che il viaggio fosse realizzato via mare, lungo un
fiume o per terra) e quanto territorio potevamo rivendicare.
Credo che ci fossero altre norme che disciplinassero le
fortificazioni e le battaglie nei territori contestati. Tutto era
segnato in colori diversi su una carta del mondo in bianco.
Durante i fine settimana noi passavamo spesso la notte insieme,
giocando fino a che i nostri genitori ci mandavano a dormire e
per una buona parte del giorno dopo, fino alla fine del gioco
per esaurimento o perché l’intera mappa era stata finalmente
divisa tra noi.
Passavo anche dei bei momenti con gli scouts, acquisendo in
più alcune competenze utili: salvataggio, pronto soccorso,
destrezza in attività diverse, conoscenze di storia naturale,
camping. E la canoa, combinazione sublima di quiete e di
movimento silenzioso su un corso d’acqua cristallino e sinuoso
ai piedi delle vecchie falesie erose da intemperie millenarie,
osservando i pesci e il brulichio dei gamberi e di altri animali
in fondo al fiume... Nonostante i suoi discutibili aspetti
patriottici e quasi militaristi, lo scoutismo metteva in rilievo i
principi ecologici e professava per l’indiano americano un
rispetto insolito per l’epoca. La mia iniziazione all’ “Ordine
della freccia” includeva un giorno intero in silenzio totale in
mezzo al bosco; ispirata dai riti indiani, non era molto diversa
dalle mie successive esperienze Zen.
Guardando indietro, mi rendo conto della fortuna di aver
vissuto tutte quest’esperienze. Grazie a genitori affettuosi ed
agli incoraggiamenti delle mie insegnanti, potevo esplorare le
cose da solo e provare le gioie dell’attività indipendente ed
autonoma. Io rimpiango i bambini d’oggi che passano tutto il
loro tempo davanti alla televisione ed ai videogiochi senza
rendersi conto che è molto più divertente leggere o creare i

4
Confessioni di un garbato nemico dello Stato

propri progetti. Da parte mia ho amato qualcuna delle prime


trasmissioni televisive, ma comperammo il nostro primo
televisore abbastanza tardi, ed avevo già avuto l’occasione di
scoprire che i libri erano la porta aperta a mondi molto più
ricchi e molto più interessanti.

[Come diventai ateo]


Fra tutti i ricordi d’infanzia, i soli che siano sgradevoli
riguardano la religione. Come la maggior parte degli abitanti di
Plainstown, i miei genitori mi avevano dato un’istruzione
protestante abbastanza conservatrice. Quando ero bambino
accettavo facilmente la versione del cristianesimo presentata a
dottrina; ma crescendo, iniziavo a comprendere ciò che la
Bibbia voleva dire realmente e la minaccia dell’inferno iniziò
ad assillarmi. Anche pensando di potervi sfuggire, ero
sconvolto all’idea che chiunque potesse essere consegnato alla
tortura per l’eternità, fosse anche il peggiore dei peccatori. Non
riuscivo ad ammettere che uno che si dice “Dio d’amore” si
rivelasse infinitamente più crudele del peggior sadico dittatore.
Ma avevo difficoltà a mettere in questione il dogma biblico
quando tutti coloro che conoscevo sembravano accettarlo, ivi
compresi degli adulti apparentemente intelligenti. E ad
eccezione di alcuni vaghi riferimenti ai “comunisti atei” che
vivevano all’altro capo del mondo, non ho mai sentito dire che
si potesse professare un’altra credenza.
Ma un giorno, a 13 anni, sfogliando l’antologia The World of
Mathematics di James Newman, ho iniziato a leggere un
articolo autobiografico di Bertrand Russell. Dopo alcune
pagine mi sono inbattutto in un passaggio dove diceva come
era diventato agnostico in gioventù rendendosi conto del
carattere erroneo di una delle argomentazioni classiche
avanzate come prova dell’esistenza di Dio. Ero sbalordito.
Russell non lo accennava che en passant, ma la scoperta che

5
Confessioni di un garbato nemico dello Stato

una persona intelligente poteva respingere la religione bastò a


farmi riflettere. Il giorno dopo, all’ora di andare a dormine, ero
sul punto di fare la mia preghiera abituale quando mi sono
detto: “Ma allora, cos’è che stai facendo? Tu non credi più a
tutto questo!”
Non osai dire parola a nessuno per più di un anno. In apparenza
restavo un ragazzo educato, convenzionale e devoto, facendo
ciò che serve per progredire nei ranghi degli scouts, fino ad
ottenere il grado supremo di “aquila”, e facendo finta di
pensare allo stesso modo di tutti gli altri. Ma al tempo stesso
riconsideravo segretamente tutto ciò che avevo accettato prima.
L’anno successivo, quando iniziai ad andare al liceo, incontrai
alcuni allievi un po’ più vecchi di me che mettevano
apertamente in discussione la religione, cosa che fu sufficiente
perché facessi la stessa cosa. Ne risultò un piccolo scandalo. Il
fatto che il ragazzo lodato affettuosamente per anni dalle
insegnanti come il bambino più intelligente della città avesse
improvvisamente dichiarato il suo ateismo colpì tutti. Alcuni
allievi mi mostravano col dito sussurrando che ero candidato
all’inferno, i professori non sapevano come reagire alle mie
osservazioni impertinenti, ed i miei poveri genitori, che non
sapevano assolutamente come tale cosa fosse potuta accadere,
mi inviarono da uno psicologo.
Una volta che compresi l’assurdità del cristianesimo, iniziai a
dubitare di altre idee ricevute. Mi è apparso ovvio, ad esempio,
che “l’americanismo capitalista” era anche sommerso di
assurdità. Non avevo tuttavia alcun interesse per la politica
perché secondo la filosofia edonista ed amorale che avevo
adottato, non dovevo tenere alcun conto del bene pubblico a
meno che incontrasse i miei interessi. Ero per principio contro
ogni morale, benché in pratica non facessi nulla di più
immorale che essere insopportabilmente sarcastico. Non
esitavo più ad esprimere il mio disprezzo per tutti gli aspetti

6
Confessioni di un garbato nemico dello Stato

della vita convenzionale, fossero la cultura popolare, i costumi


sociali o il contenuto dei miei studi.
Già da qualche tempo, la mia vera educazione proveniva
piuttosto dalle mie letture personali e dalle discussioni con
alcuni amici che favevano più o meno le stesse letture. Amavo
sempre le scienze e la storia, ma mi interessavo sempre più alla
letteratura, ed in due o tre anni lessi un buon numero di classici
— Omero, la mitologia greca, L’asino d’oro, Le mille e una
notte, Omar Kháyyám, il Decameron, Chaucer, Rabelais, Don
Chisciotte, Tom Jones, Tristram Shandy, Poe, Melville,
Dostoijevski, Tolstoij, Bernard Shaw, Aldous Huxley, Il
Quartetto di Alessandria di Lawrence Durrell, per citare alcuni
dei miei preferiti. Poiché avevo un’esperienza della vita molto
scarsa, ci furono molte sfumature di questi lavori che non colsi;
ma almeno mi diedero alcune nozioni della diversità dei modi
di vivere e di pensare nel mondo intero. Certamente mi sentivo
attirato soprattutto dagli autori più anticonvenzionali.
Nietzsche era uno dei miei favoriti — mi piaceva scandalizzare
i professori e gli allievi leggendo dei passaggi delle sue critiche
sferzanti del cristianesimo. Ma il mio idolo era James Joyce.
Non mi sono interessato a Joyce per molto tempo, ma all’epoca
ero veramente impressionato dalle sue innovazioni stilistiche e
dai suoi riferimenti multiculturali, ed ho divorato tutti i suoi
libri, anche Finnegans Wake, come pure molte opere dedicate a
lui. Ero anche un po’ francofilo: trovavo Stendhal e Flaubert
più interessanti dei romanzieri vittoriani, ed ero già affascinato
da Baudelaire e Rimbaud mentre avevo ancora una conoscenza
modesta della poesia inglese o americana.
Ho scoperto i ribelli della letteratura più attuali con la
mediazione di J.R. Wunderle, un amico che era cresciuto a
Saint Louis e che aveva dunque un po’ più d’esperienza
cosmopolita degli altri miei amici. Avevo già sentito delle voci
sui beats, ma fu J.R. che mi fece conoscere gli scritti di

7
Confessioni di un garbato nemico dello Stato

Ginsberg e di Kerouac. Inoltre, esibiva lui stesso un certo stile


bohèmien, nella debole misura del possibile per un liceale che
abitava in una città provinciale molto retro. Poco più tardi andò
a Venice West (vicino a Los Angeles) e visse per qualche tempo
nel cuore dell’ambiente beat.
Da parte mia, non ero pronto. A parte alcune vacanze in
famiglia, non ero mai uscito dall’Ozarks, e non avevo mai
lavorato, se non per falciare l’erba nelle vicinanze. Ma volevo
assolutamente fuggire da Plainstown. La prospettiva di viverci
ancora altri due anni mi deprimeva profondamente, tanto più
che vedevo molti dei miei amici più vecchi partire per
l’università.
Un caso fortunato si verificò. Un consulente del mio liceo, al
quale sarò per sempre riconoscente, si imbatté in un catalogo
dello Shimer College, una piccola scuola d’insegnamento
superiore che accettava allievi eccezionali senza attendere che
avessero ottenuto la maturità, e pensò immediatamente a me.
Sembrava la soluzione ideale per tutti. Avrei potuto andare via
da Plainstown ed entrare in un ambiente intellettualmente
interessante senza dovermela sbrogliare da solo. I miei
professori furono certamente sollevati all’apprendere che non
sarei più stato là ad innervosirli; e per i miei genitori era
l’occasione giusta per risolvere un problema sul quale non
avevano alcuna presa.

[Shimer College e le mie prime avventure indipendenti]


Mi iscrissi a Shimer nell’autunno del 1961, ed immediatamente
il posto mi piacque. Situato in una piccola città del Nord-ovest
dell’Illinois, Shimer si ispirava ad un programma che era stato
sviluppato all’università di Chicago negli anni 30 da parte di
Robert Hutchins e Mortimer Adler. Contava circa trecento
studenti. La media per classe era di una decina. Non c’erano

8
Confessioni di un garbato nemico dello Stato

manuali scolastici, e quasi neppure lezioni. Non si trascuravano


le conoscenze, ma si attribuiva più importanza
all’apprendimento di un metodo di pensiero, ad interrogare, a
sperimentare e ad esprimere le proprie idee partecipando a
tavole rotonde su testi classici ricchi ed originali. Il ruolo del
professore era soltanto quello di facilitare la discussione
chiedendo, di tanto in tanto, una precisazione pertinente.
Eravamo incoraggiati ad esprimere qualsiasi punto di vista,
anche il meno ortodosso, ma dovevamo difenderlo con
competenza; una semplice opinione senza motivazione non
bastava.
Shimer non era né socialmente radicale, né libertario, come lo
sono state diverse scuole sperimentali prima e dopo.
L’amministrazione era abbastanza convenzionale ed i
regolamenti abbastanza conservatori. Il programma di studi era
eurocentrista ed attribuiva forse una troppo grande importanza
ai discorsi filosofici sistematici come quelli di Aristotele e di
Tommaso d’Aquino, preferiti da Adler e di Hutchins (un
quolibet diceva che l’università di Chicago sotto Hutchins era
“un’università protestante dove i professori ebrei insegnavano
filosofia cattolica a studenti atei”).
Ma quali che siano i difetti del sistema di Shimer, era almeno
un sistema, ed un sistema abbastanza coerente. Tre anni su
quattro erano dedicati ad un percorso comune obbligatorio
strettamente correlato, comprendente lettere, scienze umane,
scienze naturali, storia e filosofia, che lasciava soltanto poco
spazio ad insegnamenti facoltativi. Ma con queste conoscenze
di fondo gli studenti non avevano generalmente alcun problema
a mettersi alla pari per le loro specializzazioni ulteriori.
D’altronde, contrariamente ai conservatori che difendevano
l’insegnamento classico, Adler ed Hutchins non destinavano il
loro programma ad un’elite minoritaria. Pensavano che tutti si
sarebbero potuti e dovuti misurare con le questioni

9
Confessioni di un garbato nemico dello Stato

fondamentali trattate nelle grandi opere, come base di


un’educazione che doveva proseguire durante tutta la vita. Se
avevano l’ingenuità di accettare senza spirito critico la “società
democratica” occidentale, avevano almeno intimato a questa
società di vivere in accordo con i suoi principi, mostrando che
il suo funzionamento regolare richiedeva la partecipazione di
cittadini informati e critici, ed evidenziando che ciò che al
giorno d’oggi figura come istruzione è molto lontano dal
permettere la realizzazione di questa ambizione.
Benché questi studi fossero abbastanza interessanti, imparavo
in realtà molto di più dagli altri studenti. Il mio compagno di
camera, Michael Beardsley, usciva da un ambiente simile al
mio: veniva da una piccola città del Texas ed aveva saltato
come me gli ultimi due anni del liceo. Ma la maggior parte dei
miei nuovi amici erano ebrei di Chicago incarnando una
cultura radicale, scettica, umanista e cosmopolita che era per
me una rinfrescante novità. C’erano anche alcuni personaggi
più apolitici, di cui uno dei più memorabili era un prodigio
negli scacchi e un grande esperto di musica classica, che si
comportava come un satrapo orientale e che si candidò una
volta come rappresentante studentesco con la sola promessa
elettorale che la sua elezione sarebbe stata gratificante per il
suo ego! Fu eletto, naturalmente. C’era anche qualche tipo più
convenzionale, ma erano chiaramente minoritari, ed anche
quelli si divertivano come noi, con un orgoglio perverso, del
record nazionale detenuto da Shimer del più grande numero di
sconfitte consecutive nel solo sport in cui noi concorrevamo
con le altre università, il basket.
A Shimer, e durante le vacanze a Chicago, i miei nuovi amici
mi fecero conoscere l’alcool, il jazz, la musica popolare e
classica, il cinema straniero, le cucine di tutti i paesi, la politica
gauchiste ed un ambiente multirazziale pieno di brio. Benché
Plainstown non fosse francamente razzista come gli stati del

10
Confessioni di un garbato nemico dello Stato

profondo Sud, c’era una segregazione di fatto tra le varie zone,


in modo che non incontravo quasi mai i neri. Ce n’era qualcuno
a Shimer, ma ne incontrai molti alle feste dei miei amici a
Chicago. Era l’età d’oro del primo movimento per i diritti civili
e regnava un’amicizia calorosa, genuina ed entusiasta, ben
diversa dalla relazione interrazziale difficile e sospettosa che si
sviluppò alcuni anni più tardi negli ambienti radicali. Benché
rimanessi per principio apolitico, iniziavo ad abbandonare il
mio amoralismo artefatto. I miei nuovi amici ed il nuovo
ambiente nel quale mi trovavo mi aiutavano a scongelarmi, a
diventare più umano e più umanista.
Un’altra influenza importante che andava nella stessa direzione
era la rinascita della musica popolare tradizionale. La sua
semplicità e la sua purezza presentavano un contrasto
rinfrescante con la musica insipida in voga all’epoca. Il primo
album di Joan Baez era il più popolare al campus, ma alcuni
dei miei amici erano stati educati dai loro genitori progressisti
con Woody Guthrie e Pete Seeger, ed avevano già sviluppato
gusti da puristi. Mi fecero conoscere degli artisti più vecchi,
più autentici e più appassionanti — soprattutto il grande
Leadbelly. Fui anche ispirato dal primo cantante di questo
genere che vidi personalmente, Jack Elliott, interprete della
tradizione di Guthrie, che viaggiava per tutto il paese al volante
di un vecchio furgone. Non aspirai a nient’altro che a suonare
la chitarra come lui. Del resto, tale aspirazione non era
completamente irrealistica. La musica popolare si prestava alla
partecipazione: chiunque può cantare con gli altri, e non è
molto difficile suonare uno strumento, almeno a livello
modesto. Molti dei miei amici lo facevano già. Cominciavo ad
imparare a suonare la chitarra e più tardi imparai anche alcune
semplici arie col violino.
Quell’inverno, dopo alcune relazioni che non avevano superato
il petting spinto, trovai infine una ragazza più disponibile. Il

11
Confessioni di un garbato nemico dello Stato

felice evento si produsse nell’ufficio della Folklore Society, che


aveva per caso un sofà adatto. Trovare un posto per fare
l’amore era un problema ricorrente a Shimer, prima che i
regolamenti dei dormitori fossero liberalizzati alcuni anni più
tardi. In primavera ed in autunno ricorrevamo al campo da golf,
che non ha mai avuto nessun altro impiego, o al vicino
cimitero; ma in inverno faceva troppo freddo, e cercammo ogni
sorta di altri luoghi, precari ma almeno riparati.
Alcune settimane più tardi persi anche ciò che si potrebbe
chiamare la mia verginità spirituale. Occorre ricordare che nel
1962 le droghe erano praticamente sconosciute a parte alcuni
ambienti urbani marginali. Rari erano gli studenti che avevano
provato anche soltanto la marijuana. Quanto agli psichedelici,
quasi nessuno ne aveva sentito parlare e non erano ancora
neppure illegali. Con Mike Beardsley ordinaio una grande
scatola di peyotl ad un ranch del Texas, che ci fu debitamente
consegnata senza che i servizi postali né le autorità scolastiche
vi prestassero la minima attenzione. Alcuni giorni più tardi,
senza sapere molto bene ciò che ci attendeva, ne ingerimmo un
po’.
Dopo la nausea che accompagna inevitabilmente l’assunzione
del peyotl, iniziammo a sentir salire dentro di noi qualcosa di
sconosciuto ed estremamente inquietante. Credetti dapprima di
stare diventando pazzo. Poi riusciti a rilassarmi e a vivere
questa nuova esperienza. Passammo quasi tutto il giorno nella
nostra camera, distesi e con gli occhi chiusi, osservando i
motivi cangianti evocati da diversi brani musicali, di cui i più
indimenticabili erano i primi tre concerti per piano di Prokofiev
che ci piacevano per la loro combinazione unica di chiarezza
classica, di stravaganza romantica e di slancio bizzarro. Tutto
era fresco, come se fossimo ritornati al tempo dell’infanzia o se
ci fossimo risvegliati nel giardino dell’Eden; o, come se le cose
che avevamo visto fino allora soltanto in bianco e nero e piatte

12
Confessioni di un garbato nemico dello Stato

fossero apparse improvvisamente a colori ed in rilievo. Ma non


sono soltanto gli effetti sensoriali che resero l’esperienza così
sconvolgente, ma il fatto che la stessa sensazione di “sé” era
scossa. Non osservavamo tutto ciò dall’esterno; noi stessi
facevano parte di questo mondo vibrante e pulsante.
Con la testa piena delle visioni di Rimbaud e di Kerouac,
trascuravamo le nostre lezioni e cominciavamo a fantasticare di
lasciare la scuola per scoprire il mondo. In primavera
l’abbiamo fatto. Mike e la sua ragazza Nancy andarono a
Berkeley, dove lei aveva degli amici. Decisi di andare a Venice
West, dove avevo alcuni contatti grazie a J.R.
Venice era piena di poeti beat, di pittori espressionisti astratti,
di musicisti di jazz, di non conformisti sessuali, di tossici, di
barboni, di prostitute, di truffatori — e di numerosi poliziotti
della buoncostume. Questo era veramente appassionante, ma
anche molto paranoico; ben diverso dallo spirito aperto,
rilassato ed allegro della scena hippie posteriore. E senza
l’ammortizzatore economico che avevano gli hippies (che nel
caso potevano trasformarsi facilmente in mendicant), era molto
più povero. Non sapendo mai da dove sarebbe giunto il mio
prossimo pasto, né dove avrei finito per passare la notte, io
vivacchiavo in mille modi...
Alla fine mi feci prendere al laccio. Ma poiché ero ancora
minorenne e la mia casella giudiziale era bianca, rimasi
soltanto tre giorni in prigione prima di essere spedito a
Plainstown ed essere affidato alla custodia dei miei genitori.
Questa fortunatamente è stata la mia unica esperienza in
prigione. Il fatto di essere rinchiuso è già penoso di per sé, ma
quello che mi aveva veramente scoraggiato, era l’atmosfera
brutta, malsana, inumana che regnava in quei luoghi. Essendo
un ragazzo bianco della classe media, non stavo facendo che
qualche cazzata e alla fine rimanevo sempre libero di
riprendere una vita più comoda; ma non dimenticherò mai

13
Confessioni di un garbato nemico dello Stato

coloro che non sono stati altrettanto favoriti dal destino.


Pensare che della gente è rinchiusa per anni mi fa andare in
collera più di qualsiasi altra cosa.
Per alcuni mesi vissi con i miei genitori, lavorando in una
libreria e leggendo molto — Blake, Thoreau, Lautréamont,
Breton, Céline, Hesse, D.T. Suzuki, Alan Watts, e soprattutto
quello che era diventato il mio autore preferito, Henry Miller.
Dopo decenni di divieto i suoi due Tropici erano stati appena
pubblicati in America, e mi hanno abbagliato. Ecco infine,
pensavo, una persona vera che parla della vita reale, al di là di
tutti gli artifici della letteratura. Oggi non lo prendo più sul
serio come pensatore, ma apprezzo sempre lo humour ed il brio
dei suoi romanzi autobiografici.
Un’altra influenza salutare e più duratura fu quella di Gary
Snyder. Lo conoscevo già come “Japhy Ryder”, eroe di The
Dharma Bums di Kerouac. È un bel libro, ma alcuni aspetti di
Snyder superavano largamente la capacità di comprensione di
Kerouac. I suoi scritti erano più lucidi, e la sua vita era più
esemplare. Ciò che avevo letto sul Buddhismo Zen mi aveva
intrigato, ma ecco una persona che aveva realmente studiato le
lingue orientali e che era anche andata in Giappone per anni di
iniziazioni rigorosa allo Zen. Ero molto distante da questo tipo
di disciplina personale, ma iniziavo a leggere sempre più libri
sull’argomento con l’idea che avrei potuto esplorare
praticamente questa strada se ne avessi avuto l’occasione.
Oltre alla poesia di Snyder, fui colpito dal suo saggio Buddhist
Anarchism [L’anarchismo buddista] (ristampato più tardi in
Earth House Hold con il titolo “Buddhism and the Coming
Revolution”). Nonostante la mia simpatia per i diritti civili e le
altre cause di protesta sposate da alcuni miei amici di Shimer,
ero rimasto fino a quel momento apolitico per principio,
ritenendo, come Henry Miller, che la politica era soltanto una
stronzata superficiale e che un cambiamento fondamentale

14
Confessioni di un garbato nemico dello Stato

doveva esigere una qualche sorta di “rivoluzione del cuore”.


Odiando istintivamente ciò che Rexroth chiama la menzogna
sociale, l’obiettivo di permettere alla gente di condurre una
“vita normale” non mi sembrava degno d’interesse, dato che
l’attuale vita normale era precisamente ciò che avevo
disprezzato dall’età di tredici anni. Il saggio di Snyder non mi
fece abbandonare questo punto di vista, ma mi mostrò come
una prospettiva radicale poteva collegarsi ad una ricerca
spirituale. Non prestavo ancora attenzione alle questioni
politiche, ma la strada era aperta ad un impegno sociale futuro.
Nel gennaio 1963 avevo guadagnato abbastanza denaro con il
mio lavoro alla libreria e giocando al poker in un circolo locale
per poter lasciare il lavoro e riprendere la strada. Dapprima,
feci autostop fino a Saint Louis dove trovai J.R. che
frequentava un ambiente di motociclisti e lavorava in un
ospedale psichiatrico, la cosa più inattesa che si potesse
immaginare. Lo stesso J.R. se non era esattamente un pazzo,
era da sempre un personaggio abbastanza eccentrico. Negli
anni seguenti adottò di seguito tanti ruoli intenzionalmente
eccessivi, da quello di ciarlatano alla maniera di W.C. Fields
fino a quello di reazionario bisbetico, passando a quello di
pioniere del Far West, che non sono sicuro che egli stesso abbia
sempre distinto l’imitazione dalla realtà. Alcuni anni fa è morto
di cirrosi epatica, all’età di 46 anni.
Quindi partii per un secondo viaggio in California, questa volta
con Sam. Non lo avevo visto spesso dai tempi dell’infanzia —
eravamo andati in scuole diverse, ed era rimasto un ragazzo
abbastanza convenzionale e gregario quando io ero già in
fervente rivolta intellettuale. Ma una volta all’università
cambiò rapidamente, e quando lo rividi aveva scoperto il jazz,
lasciato crescere la barba ed iniziava a scrivere poesie libere.
Durante le vacanze scolastiche abbiamo preso un’automobile
da un commerciante del Missouri, siamo andati a Berkeley,

15
Confessioni di un garbato nemico dello Stato

quindi a Los Angeles dove abbiamo visto i miei amici di


Venice West e dove l’abbiamo consegnata, per ritornare infine
nel Missouri in pullman, tutto nell’arco di dieci giorni.
In seguito andai in Texas, dove Mike e Nancy Beardsley erano
ritornati quando avevano avuto il loro bambino. Quell’epoca
mi sembra ancora magica, sebbene riesca a ricordarmi soltanto
vagamente alcune delle nostre avventure — saltare su un treno
merci in movimento semplicemente per farne l’esperienza;
provare la belladonna, la droga velenosa degli stregoni, e
trovarsi in un mondo psicotico e da incubo... Anche se le nostre
avventure erano a volte piuttosto insensate, esploravamo le
cose da soli, ed i mass media non propagandavano ancora ruoli
di “ribelli” da imitare. Isolati nel cuore dell’America,
incontrando di tanto in tanto delle anime gemelle con le quali
condividevamo appassionatamente quella scoperta,
quell’aspirazione o quella premonizione, cercando a tentoni il
tipo di prospettiva che avrebbe preso forma alcuni anni più
tardi nella controcultura hip, presentivamo che si stava
plasmando qualcosa di nuovo. Ma la sola cosa di cui eravamo
sicuri, era che il mondo in cui ci trovavamo era
fondamentalmente assurdo. E questo mondo era ancora
completamente inconsapevole di ciò che si stava preparando.
Occorre ricordare che la maggior parte delle cose per le quali
gli anni 60 sono diventati famosi non prese avvio in realtà (o
almeno non sono state trasmesse al pubblico) che nel 1965-66.
In primavera traslocammo a Chicago e ci trasferimmo insieme
in un appartamento di Hyde Park, la zona universitaria.
Lavoravo occasionalmente, prima in un deposito, e poi, il che
era più piacevole, in un negozio che vendeva strumenti
musicali e dischi di musica popolare tradizionale; oppure
tenevo il bambino mentre Mike e Nancy lavoravano.
Frequentavo anche degli altri amici che avevo conosciuto a

16
Confessioni di un garbato nemico dello Stato

Shimer. Scoprii inoltre un piccolo centro Zen che mi diede una


prima infarinatura di meditazione tradizionale.
Quest’esperienza, ed il fatto che iniziavo a stancarmi degli
inconvenienti della povertà, mi spinse ad organizzare la mia
vita e a passare ad altre cose. Dunque decisi di tornare a
Shimer per conseguire il diploma, nella convinzione, avendo
Snyder come esempio, di proseguire gli studi orientalistici di
terzo livello, e forse in seguito andare in Giappone per
iniziarmi allo Zen in un monastero.
Rientrato a Shimer, avevo due attività principali al di fuori
delle mie ore di corso. La prima era di fare all’amore con la
mia bella ragazza, Aili. La seconda era la musica popolare. Con
molti amici, suonavamo in qualsiasi occasione, modellando il
nostro stile sulle registrazioni più vecchie e più autentiche —
ballate ed arie di violino degli Appalachi, bands di strumenti a
corda (Charlie Poole, Gid Tanner, Clarence Ashley, i Carolina
Tar Heels), field hollers, jug bands, country blues (Blind
Lemon Jefferson, Sleepy John Estes, Charley Patton, Son
House, Robert Johnson).
L’età d’oro era quella degli anni 20, quando i musicisti popolari
di tutte le regioni del paese erano registrati quasi a caso da
piccole società che cercavano degli eventuali hits. C’era una
grande varietà di stili; quelli di una regione erano spesso
diversi da quelli dello stato o anche della contea vicina. La crisi
degli anni 30 distrusse il mercato locale, i dischi e la radio
favorivano una crescente omogeneizzazione, i musicisti locali
erano sempre più influenzati dalle stars nazionali, come Jimmie
Rodgers, la famiglia Carter ed i primi gruppi bluegrass e
country (o in modo simile nella musica nera, dal blues e dal
jazz più urbanizzati). Mi piacevano alcune delle canzoni di
Rodgers e dei Carter, ma era il limite più moderno dei miei
gusti. La musica bluegrass mi sembrava troppo pacchiana, e
non aveva il carattere affascinante delle vecchie ballate e delle

17
Confessioni di un garbato nemico dello Stato

vecchie arie di montagna (non parlo neppure della sensibilità


leziosa della musica country.) Per trovare della vera musica
d’epoca, ricorrevamo alle registrazioni commerciali degli anni
20, a quelli realizzate localmente negli anni 30 per la biblioteca
nazionale, ed ai concerti di alcuni grandi artisti tradizionali
sopravvissuti che erano stati riscoperti e condotti a suonare
dinanzi ad un pubblico urbano in estasi. Per i puristi come noi,
il festival popolare annuale dell’università di Chicago era il
migliore del paese. Mi ricordo ancora le feste dopo i concerti
negli appartamenti dei miei amici — centinaia di persone da
tutte le parti eed anche sulle scale, che suonavano da
mezzanotte fino all’alba, e poi, dopo alcune ore di sonno, che si
precipitavano verso la città universitaria per i concerti ed i
seminari del giorno seguente. Tenuto conto della dimensione
più modesta di Shimer, non ce la siamo cavata male. Durante i
due anni in cui fui presidente del club di musica folk, riuscii ad
organizzare i concerti di Dock Boggs, Son House, Sleepy John
Estes e Big Joe Williams, oltre ai New Lost City Ramblers,
primo dei gruppi moderni a riprendere la vecchia musica
tradizionale ed i cui concerti annuali a Shimer erano diventati
un’istituzione. Con J.R., feci una spedizione sul posto, facendo
autostop da St. Louis a Memphis per registrare Gus Cannon e
Will Shade, gli ultimi due membri delle grandi jug bands degli
anni 20.
Credo che la vera educazione sia generalmente l’auto-
educazione, l’educazione di sé da sé, ed ho una misera
opinione della maggior parte delle istituzioni scolastiche. Ma
vorrei dire che lungi dall’interferire con la mia come avrebbero
fatto la maggior parte delle scuole, Shimer l’ha favorita per
diversi aspetti. Così, uno dei miei ultimi corsi mi ha fatto
conoscere due degli autori che mi hanno influenzato di più.
Esaminavamo varie filosofie (Kierkegaard, Buber, Camus,
etc.). Per me, Io e Tu di Buber superava tutti gli altri libri.

18
Confessioni di un garbato nemico dello Stato

Martin Buber era un vero sapiente, uno dei rari pensatori


religiosi occidentali che posso sopportare senza nausea.
Durante una delle nostre discussioni, un compagno di studi
prese Bird in the Bush di Kenneth Rexroth per leggere alcuni
passaggi del suo saggio su Buber. Lo presi in prestito
immediatamente, lo divorai, e non fui mai più lo stesso a
partire da quel momento.
Nel 1965, quando conseguii il mio diploma a Shimer, non c’era
nessuna incertezza sulla mia prossima destinazione. Tutto ciò
che avevo sentito sulla Bay Area di San Francisco mi sembrava
formidabile, dalla rinascita della poesia degli anni 50 fino al
recente movimento per la libertà di parola (Free Speech
Movement) all’università della California a Berkeley. In
aggiunta, il mio amico Sam, ora con moglie e bambino, già vi
si era trasferito per gli studi di secondo livello in poesia. Uno
dei suoi professori non era altri che Gary Snyder, ritornato
recentemente in America dopo molti anni d’iniziazione Zen in
Giappone; ed in autunno contava di seguire un altro corso di
Kenneth Rexroth! Dopo avere lavorato l’estate in un’acciaieria
a East Chicago, mi trasferii a Berkeley. Vi sono rimasto da
allora.

[Berkeley negli anni 60]


Era il momento più meraviglioso per arrivarci. Si sentivano
ancora le ripercussioni vivificanti del Free Speech Movement.
C’erano discussioni animate nella città universitaria, nelle
strade via, nei caffè, ovunque — e non soltanto fra gli hippies
ed i radiicali. Moderati ed anche giovani conservatori,
consapevoli che tutto era stato messo in questione, si
lasciavano trascinare in dibattiti su tutti gli aspetti della vita.
Durante il primo anno mi iscrissi agli studi orientalisti di
secondo livello all’American Academy of Asian Studies,

19
Confessioni di un garbato nemico dello Stato

piccola scuola di San Francisco che ora non esiste più. Ma più
spesso me la spassavo con Sam. Con la sua mediazione mi
sono mescolato al milieu molto vivo dei poeti della Bay Area,
incontrando molti giovani poeti e assistendo a molte letture
pubbliche con alcuni dei personaggi più significativi della
generazione precedente — Rexroth, Snyder, William Everson,
Robert Duncan, Lawrence Ferlinghetti, Allen Ginsberg, Philip
Whalen, Lew Welch. Benché non abbia scritto molto, mi
immergevo nella poesia. Con Sam, leggevamo a voce alta
Whitman, Kenneth Patchen o William Carlos Williams, a volte
su una base di musica jazz, o improvvisavamo delle poesie a
catena (dove molte persone scrivono in alternanza) mentre
attraversavamo in automobile il ponte di San Francisco,
quando lo accompagnavo al corso serale di Lew Welch ed al
“corso” di discussioni libere animato da Rexroth al San
Francisco State College.
Mi piaceva molto Rexroth, ma mi sono appassionato in un
primo momento a Welch. Era più giovane, condivideva il
nostro senso dello humour zanni ed i nostri entusiasmi
giovanili per gli psichedelici e la nuova musica rock. Mi
ricordo soprattutto della sua insistenza sulla parola giusta.
Credendo che i poeti abbiano una vocazione sciamanica ad
esprimere le realtà essenziali del modo più preciso ed accurato,
denunciava incessantemente qualsiasi “imbroglio” nella poesia,
ogni espressione trascurata, sentimentalista o “inesatta”.
Rexroth, benché anch’egli vedesse i nostri entusiasmi
abbastanza di buon occhio, era più distaccato ed ironico.
Derideva gli psichedelici, ad esempio. Pensavo inizialmente
che non sapesse di cosa parlava; ma leggendo alcune delle sue
poesie mistiche, mi accorsi che conosceva a fondo queste
esperienze, avesse o no impiegato dei mezzi chimici per
arrivarci. A poco a poco giunsi ad apprezzare la sua saggezza e
la sua magnanimità sottili e discrete.

20
Confessioni di un garbato nemico dello Stato

Durante i miei primi due anni a Berkeley feci una dozzina di


trip psichedelici con Sam e altri amici. Generalmente eravamo
in tre o quattro, riuniti in qualche posto tranquillo al riparo da
interventi esterni, eravamo accompagnati preferibilmente da un
non partecipante esperto che avrebbe potuto occuparsi di ogni
commissione necessaria. Generalmente ascoltavamo
semplicemente della musica, lasciando che l’avvio di un raga
indiano ci riportasse all’inizio eterno dell’universo, o che le
note di un pezzo per clavicembalo di Bach ci passassero
attraverso come una pioggia di gioielli. A volte entravamo in
una zona d’umore in cui il senso della santità universale era
inseparabile dalla sensazione della fondamentale follia
buffonesca del tutto; ed il giorno dopo avevamo ancora le
guance doloranti a causa degli orgasmi multipli di riso. A volte
andavamo nei boschi: mi ricordo due trip specialmente
affascinanti alla psilocibina in una piccola capanna di un cañon
vicino — nella reazione euforica mi venne quasi la voglia di
fondare un culto per l’adorazione della natura. Gli psichedelici
erano per me già sufficientemente sconvolgenti senza doverci
aggiungere il rumore e la confusione delle grandi folle, ma feci
un’eccezione per uno dei rari concerti di Bob Dylan a Berkeley.
Un’altra volta con Sam prendemmo LSD prima di andare ad
una delle prime manifestazioni contro la guerra del Vietnam,
nell’ottobre 1965. Sapevamo certamente che non sarebbe stato
l’ideale per un trip tranquillo, ma pensavamo che avrebbe
potuto essere interessante vedere come le due cose si sarebbero
combinate. Non troppo male. I discorsi di alcuni politicanti
straight mi sembravano abbastanza fastidiosi, ma mi piaceva la
sensazione di essere parte di una comunità impegnata.
Nell’autunno del 1966 lasciai la scuola. C’erano tante altre
cose più appassionanti! La controcultura hip, che era emersa in
superficie l’anno precedente, si diffondeva con la velocità del
fuoco. Il quartiere di Haight-Ashbury straripava nelle strade in

21
Confessioni di un garbato nemico dello Stato

una festa quasi permanente. Migliaia e migliaia di giovani


venivano qui a vedere ciò che succedeva, compresi decine di
miei amici di Shimer, di Chicago e del Missouri. La mia
piccola casa (due stanze di 3 metri per 3, una cucina ed un
bagno, per 35 dollari al mese) era una tappa, alloggiando a
volte fino a sette, otto persone nello stesso momento. Ora che
sono abituato ad una vita isolata e più tranquilla, ho difficoltà
ad immaginare come potevo sopportarlo. Ma in quell’epoca
eravamo tutti giovani, condividevamo gli stessi entusiasmi, e
quando non andavamo ai concerti, quando non facevamo un
salto a Telegraph Avenue, a Haight-Ashbury, a Chinatown o al
Golden Gate Park, quando non andavamo in campagna a fare
camping, eravamo contenti di restare a casa mia leggendo,
chiacchierando, improvvisando, ascoltando dischi e facendo
lievitare il pane delizioso che facevamo tutti i giorni, senza
preoccuparci che non ci fosse posto per mettere i nostri sacchi
a pelo. Certamente il fatto che eravamo stonati per l’erba quasi
in modo permanente favoriva l’armonia generale.
I miei genitori mi mantennero finché frequentavo la scuola, ma
dal momento in cui l’abbandonai dovetti cavarmela da solo.
Come tanti altri negli anni 60, sono sopravvissuto con quasi
niente, usando dei buoni di prodotti alimentari per i poveri,
condividendo un affitto economico con molte persone,
vendendo giornali underground, facendo piccoli lavori di tanto
in tanto. In pochi minuti potevo arrivare dovunque in autostop
a Berkeley o nella baia di San Francisco, ed ero spesso
conosciuto dal conducente che mi offriva dell’erba. Se
necessario potevo facilmente mendicare il prezzo di un pasto o
di un concerto.
Dopo un anno di questo stile di vita piacevole ma precario,
lavorai come postino per sei mesi; quindi lasciai questo lavoro
e vissi delle mie economie nei due anni successivi. Quando il
denaro cominciò ad esaurirsi scoprii un circolo di poker. Ed il

22
Confessioni di un garbato nemico dello Stato

centinaio di dollari che vi guadagnavo tutti i mesi, oltre ai


guadagni di un lavoro di un giorno alla settimana come autista
di taxi per una società cooperativa hip, mi permise di andare
avanti per qualche altro anno.
Se gli psichedelici erano il cuore della controcultura, la sua
espressione più visibile, o piuttosto più udibile, era ovviamente
la nuova musica rock. Quando la musica sempre più sofisticata
dei Beatles e degli altri gruppi incontrò le parole sempre più
sofisticate di Bob Dylan, che portava la musica popolare ben
oltre le canzoni di protesta e gli schemi rigidi delle forme
tradizionali, abbiamo avuto infine la nostra musica popolare.
Mentre Dylan, i Beatles e i Rolling Stones diventavano più
apertamente psichedelici, i primi gruppi totalmente psichedelici
si sviluppavano nella Bay Area. Ben prima che avessero
registrato dei dischi, potevamo ascoltare i Grateful Dead,
Country Joe and the Fish, Big Brother and the Holding
Company e decine di altri gruppi appassionanti quasi in
qualsiasi momento, al Fillmore, all’Avalon o gratuitamente nei
parchi. Quando riuscirono finalmente a farsi registrare, i loro
dischi erano lontani dal restituire l’esperienza di questi concerti
in pubblico, parte integrale di una controcultura che era al suo
massimo. Questi primi concerti, Trips Festivals, Acid Tests e
Be-Ins, per quanto triti e ritriti questi termini possano apparire
ora, comprendevano molta improvvisazione e interazione, e
non soltanto sulla scena. La musica e i light-shows erano
ovviamente subordinate ai trip dell’audience, e piuttosto che
degli spettacoli, erano l’accompagnamento di una celebrazione.
Se c’erano alcune persone famose sul palco (Leary, Ginsberg,
Kesey), non erano star inaccessibili; sapevamo che erano
sconvolti quanto noi, compagni di un viaggio di cui nessuno
poteva predire la destinazione, ma che era già fantastico.
E questi grandi raduni pubblici erano soltanto la parte emersa
dell’iceberg. Le esperienze più significative erano piuttosto

23
Confessioni di un garbato nemico dello Stato

personali ed interpersonali. La controcultura aveva molta più


sostanza intellettuale di quel che pensavano gli osservatori
superficiali. Certamente c’erano i flower children (hippies
stereotipati) ingenui e passivi, soprattutto nella seconda ondata
di adolescenti, che adottavano gli ornamenti esterni di uno stile
di vita hip già esistente senza avere dovuto fare nessuna
esperienza indipendente; ma numerosi “hips” avevano più
senso critico, vivevano esperienze più profonde e diverse da
quello che si crede generalmente, e si dedicavano ad una
grande varietà di progetti creativi e radicali.
Qualcuno sarà forse sorpreso del contrasto tra la critica
caustica della controcultura alla quale mi sono dedicato in
alcuni miei vecchi scritti e l’immagine più favorevole che ne
presento qui. È il contesto che è cambiato, non le mie opinioni.
All’inizio degli anni 70, quando tutti erano ancora coscienti
degli aspetti radicali della controcultura, pensavo che
occorresse sfidare la sua autocompiacenza, segnalare i suoi
limiti e le sue illusioni. Ora che gli aspetti radicali sono stati
praticamente dimenticati, mi sembra molto così importante
ricordare il suo lato fantastico e liberatore. Accanto a tutta la
pubblicità spettacolare, milioni di persone procedevano a
cambiamenti radicali nella loro vita, consegnandosi a
sperimentazioni audaci e scandalose che non avrebbero affatto
pensato di fare alcuni anni prima.
Non nego che la controcultura comprendesse molta passività e
stupidità. Voglio soltanto sottolineare che vedevamo — e fino
ad un certo punto la vivevamo già — una trasformazione
fondamentale di tutti gli aspetti della vita. Sapevamo fino a
quale punto gli psichedelici avevano cambiato profondamente
il nostro stato d’animo. All’inizio degli anni 60 c’erano soltanto
alcune migliaia di persone che ne avevano fatto l’esperienza;
cinque anni più tardi la cifra aveva superato un milione. Chi
avrebbe potuto dire che questa tendenza non sarebbe

24
Confessioni di un garbato nemico dello Stato

continuata, e non avrebbe scardinato finalmente l’intero


sistema?
Finché è durata, la controcultura era notevolmente benevola.
Trovavo del tutto naturale fare autostop con non importa chi,
offrire un joint a sconosciuti, o invitarli a dormire a casa mia se
erano appena arrivati in città. E in quell’epoca di questa fiducia
non si abusava quasi mai. È vero che l’età d’oro di Haight-
Ashbury non è durata a lungo. Le cose iniziarono a peggiorare
verso il 1967, quando la pubblicità di Summer of Love [Estate
d’amore] attirò un afflusso enorme di giovani che erano meno
esperti e più vulnerabili, pronti a farsi sfruttare dal flusso
parallelo di truffatori e di spacciatori. Ma altrove la
controcultura continuò a fiorire per molti anni ancora.
Da parte mia, mi interessavo ad esperienze che “allargavano lo
spirito” ed i brividi d’evasione che intorpidivano soltanto non
mi seducevano affatto. La maggior parte della gente che
frequentavo pensava lo stesso. Oltre ad una birra di tanto in
tanto non bevevamo affatto alcool, e ci era difficile immaginare
soltanto che si potessero preferire gli effetti grezzi e spesso
insopportabili dell’alcool agli effetti estetici e benigni
dell’erba, a meno che uno non fosse estremamente represso.
Quanto alle droghe dure, non ne avevamo quasi mai sentito
parlare, con la notevole eccezione delle anfetamine. In quantità
modesta l’effetto dello speed non è molto diverso da quello del
caffè in grande quantità, e la maggior parte di noi ne prendeva
di tanto in tanto per rimanere sveglio di notte per qualche
compito scolastico, o per attraversare il paese in automobile
senza fermarsi. Ma non ci vuole molto perché diventino
pericolosi. Finirono per uccidere Sam.
Sam aveva iniziato a prendere molto speed nel 1966, e nel
1967 era sempre più maniaco e paranoico. Questa paranoia si
esprimeva con la professione del culto della terra cava, secondo
il quale l’interno della terra era abitato da qualche specie di

25
Confessioni di un garbato nemico dello Stato

esseri misteriosi, e le autorità costituite occultavano questa


informazione al grande pubblico (come nel culto abbastanza
simile dei dischi volanti). Appena veniva menzionata la parola
“underground”, per esempio, Sam faceva un cenno d’intesa con
il capo. In realtà, quasi tutto, un verso poetico o una frase
pubblicitaria, poteva, con dei giochi di parole, essere
interpretato da lui come un segno che l’autore fosse uno di
quelli che era al corrente della terra cava. Una delle esperienze
più penose della mia vita fu di vedere il mio migliore amico
diventare a poco a poco sempre più demente, mentre i miei
sforzi per riportarlo alla ragione non avevano il minimo effetto.
Una volta, se la svignò da casa, nudo ed in mezzo alla notte, e
corremmo con sua moglie ovunque nei dintorni per ore prima
di trovarlo. Un’altra volta è stato raccolto mentre faceva
autostop in autostrada in uno stato così delirante che un
poliziotto della stradale lo condusse all’ospedale psichiatrico di
Napa. Sua moglie lo riportò finalmente nel Missouri.
Durante i due anni successivi il suo stato variava
considerevolmente. A volte la sua esuberanza ed il suo buon
umore facevano pensare che le sue divagazioni verbali fossero
soltanto delle furbe improvvisazioni poetiche che lui stesso non
prendeva sul serio. Altre volte affondava in depressioni gravi
ed era ospedalizzato. L’ultima volta che lo vidi, sembrava
calmo ma debilitato (probabilmente per i tranquillanti); non
somigliava più alla persona che conoscevo da sempre. Quindici
giorni più tardi mi telefonarono per dirmi che si era impiccato.
Aveva 27 anni.
Rexroth ha spesso osservato che una quantità
sorprendentemente elevata di poeti americani del XX secolo si
è suicidata. È da supporre che i loro sforzi creativi li avessero
portati a diventare insopportabilmente sensibili alla bruttezza
della società, oltre ad averli esposti ad estreme frustrazioni e
disillusioni nella loro vita personale. Il fatto è che l’idea

26
Confessioni di un garbato nemico dello Stato

rimbaudiana di cercare visioni per mezzo di uno “sregolamento


sistematico di tutti i sensi” ha spesso ispirato comportamenti
semplicemente idioti ed autodistruttivi. Quali che fossero i
fattori sociali o personali che poterono contribuire alla pazzia
di Sam, la causa immediata era certamente la grande quantità
di speed che prendeva.
Può darsi che anche gli psichedelici abbiano giocato un ruolo,
ma ne dubito. Nonostante le storie di gente che perde la ragione
durante un trip, delle quali si è fatta una pubblicità esagerata,
milioni di persone ne hanno presi durante gli anni 60 senza
subire il minimo danno. Per non perdere il senso delle
proporzioni, occorre ricordare che il numero di morti che si
possono attribuire agli psichedelici nell’intero decennio è
inferiore a quello dei morti dovuti all’alcool o al tabacco in un
solo giorno. In alcuni casi gli psichedelici hanno certamente
portato in superficie problemi mentali latenti, ma
probabilmente nel migliore più spesso che nel peggiore. Ed ho
la sensazione che molte più persone sono state salvate della
pazzia grazie agli psichedelici, nella misura in cui l’esperienza
le aveva aperte a prospettive più ampie e le aveva rese
coscienti di altre possibilità oltre quella della cieca accettazione
dei valori folli del mondo convenzionale.
In ogni caso, sono persuaso che gli psichedelici mi furono
salutari. Oltre a un solo trip realmente infernale (sotto DMT),
furono quasi tutti meravigliosi e li annoverp fra le esperienze
più preziose della mia vita. Se ho cessato di prenderli nel 1967,
è perché ero giunto a rendermi conto che i loro effetti salutari
erano irregolari e non duravano. Vi danno soltanto una visione
momentanea, una suggestione di ciò che è là. Ecco perché un
certo numero di noi finì per avvicinare pratiche di meditazione
orientali, per esplorare tali vie più sistematicamente e imparare
ad integrarle più durevolmente nella nostra vita quotidiana.

27
Confessioni di un garbato nemico dello Stato

Il Buddhismo Zen continuava ad attirarmi. Avevo già scoperto


il Centro Zen di San Francisco, dove andavo di tanto in tanto
per fare meditazione o per sentire i discorsi di Shunryu Suzuki,
maestro Zen piccolo e gentile. Quando una filiale di questa
scuola aprì a Berkeley nel 1967, iniziai ad andarci un po’ più
regolarmente. Ma non continuai a lungo, in parte perché avevo
alcuni dubbi sulle forme religiose tradizionali, ma soprattutto
perché la pratica esigeva che ci si alzasse alle quattro di
mattina, cosa che era difficile da conciliare con il mio stile di
vita dell’epoca. Ero preso nello stesso tempo da così tante
passioni diverse che mi è difficile raccontarle
cronologicamente.
Una delle mie passioni era il cinema. All’inizio del 1968, fui
improvvisamente la meravigliato di questo genere artistico mi
afferrò, e per due anni ne fui preso. Ho visto quasi mille film,
cioè quasi tutti quelli che uscirono nella Bay Area e che
avevano qualche interesse, tra cui otto o dieci alla settimana al
Telegraph Reportory Cinema che avevo convinto a concedermi
l’ingresso libero permanente in cambio della distribuzione dei
loro calendari pubblicitari, e ci tornavo spesso per rivedere per
la seconda o la terza volta i film che preferivo di più. Le
pellicole sperimentali di Stan Brakhage mi diedero l’idea di
realizzare personalmente alcune piccole esperienze con una
macchina fotografica 8mm, ma essenzialmente ero soltanto uno
spettatore. I miei favoriti erano i primi europei classici — Carl
Dreyer, i film muti tedeschi e russi, le pellicole francesi degli
anni 30 (Pagnol, Vigo, Renoir, Carné) — e alcune pellicole
giapponesi del dopoguerra. Oltre ai vecchi comici (Chaplin,
Keaton, Fields, i fratelli Marx, Laurel e Hardy), che
compensavano in gran parte i loro aspetti deteriori con quei
momenti sublimi di ilarità poetica che talvolta raggiungevano,
la maggior parte dei film americani non mi soddisfaceva molto.
Hollywood ha sempre reso volgare tutto ciò che ha toccato,

28
Confessioni di un garbato nemico dello Stato

indipendentemente dalla qualità degli attori, degli autori o delle


opere letterarie di cui le sue pellicole presumono di essere
tratte; ma prima che la sua influenza sia riuscita a dominare
tutto il pianeta, alcune delle industrie cinematografiche
straniere tolleravano ancora alcuni sforzi creativi.
Dopo avere visto la maggior parte dei classici, oltre ad un
campione abbastanza grande degli stili moderni, finii per
stancarmi. Ho visto pochissimi film dopo il 1970, e ne sono
quasi sempre rimasto deluso. Quasi tutti, compresi i cosiddetti
capolavori sofisticati, sono concepiti fin troppo ovviamente
soltanto per un pubblico di illetterati con problemi emotivi.
Praticamente il solo cinema recente per il quale abbia trovato
un po’ di interesse è quello di Alain Tanner. Ci sono senza
dubbio alcune altre opere di qualche merito, ma occorre
ingurgitare troppi rifiuti per trovarle. Preferisco quasi sempre
leggere un buon libro.

[Kenneth Rexroth]
I libri più interessanti che lessi in quel periodo erano quelli di
Rexroth o degli altri autori che mi fece conoscere. Mi piacque
fin dall’inizio ancora di più quando lo incontrai per la prima
volta; ma soltanto gradualmente, diventando un po’ più maturo,
sono riuscito ad apprezzarlo per il suo giusto valore, al punto di
diventare il mio autore preferito ed il mio mentore, eclissando i
miei eroi precedenti, come Henry Miller, Alan Watts, Allen
Ginsberg, Lew Welch, e finalmente anche Martin Buber e Gary
Snyder.
Allo stesso tempo mistico e radicale, campagnolo ed urbano,
Rexroth avevano una larghezza di veduta che non ho mai più
ritrovato in nessun altro prima o dopo di lui. La filosofia
orientale, i canti degli indiani d’America, l’opera cinese, la
teologia medioevale, l’arte d’avanguardia, le lingue classiche,

29
Confessioni di un garbato nemico dello Stato

lo slang underground, lo yoga tantrico, le comunità utopistiche,


la storia naturale, il jazz, la scienza, l’architettura, l’alpinismo
— sembrava sapere molte cose interessanti su quasi tutti gli
argomenti, e come si accordavano tra loro. Il solo fatto di
seguire le sue proposte di lettura (soprattutto nei brevi saggi
così sorprendentemente vigorosi dei Classics Revisited) era in
sé un vero insegnamento di cultura generale. Oltre alle nuove
prospettive che mi aprì su Omero, Lao Tse, Blake, Baudelaire,
D.H. Lawrence ed Henry Miller, mi fece conoscere una grande
varietà di altri capolavori che non avrei forse mai scoperto
altrimenti: il diario modesto e meditativo del quacchero
antischiavista John Woolman; l’autobiografia immodesta ma
impegnativa di Restif de la Bretonne (una specie di Henry
Miller ultrasentimentale francese del XVIII secolo); la
magnanimità sottile di Parade’s End di Ford Madox Ford; la
narrazione dura della Nave morta di B. Traven, Kalevala,
affascinante epopea popolare finnica; Mister Dooley di Finley
Peter Dunne, barman irlandese di Chicago della fine del secolo
i cui monologhi riflettono un’esperienza del mondo ricca come
quella di Twain, e che trovo anche più divertente...
Rilessi due saggi di Rexroth tante volte che finii per conoscerli
quasi a memoria. Il primo, The Hasidism of Martin Buber,
presentando un misticismo la cui espressione ultima si trova
nel dialogo e nella comunione, metteva in dubbio le tendenze
controculturali che vedevano il misticismo soprattutto sul piano
dell’esperienza individuale minimizzando gli aspetti sociali ed
etici della vita. Il secondo, The Chinese Classic Novel, mi
iniziò alla nozione di magnanimità in Rexroth, che ritengo il
tema centrale della sua opera. Questa nozione risale all’ideale
aristotelico dell’uomo dalla “grande anima” (e questo è in
effetti il senso letterale di magnanimità), ma Rexroth lo
arricchisce collegandolo all’ideale cinese tradizionale del
saggio dal “cuore umano”. L’opposizione stabilita da Rexroth

30
Confessioni di un garbato nemico dello Stato

tra la magnanimità e le forme diverse di “autocompiacenza”


era per me una rivelazione. Sgonfiava la “profondità” e la
“sensibilità” esibite da tutta una gamma di autori che erano di
moda all’epoca — Kierkegaard, Dostoijevski, Nietzsche,
Proust, Joyce, Pound, i surrealisti, gli esistenzialisti, i beats...
L’elenco potrebbe essere proseguito quasi indefinitamente: una
volta che comprendete la prospettiva di Rexroth, è difficile
trovare un autore moderno la cui autocompiacenza non salti
agli occhi.
Come sempre in Rexroth, quella che potrebbe sembrare
soltanto una discussione estetica è in realtà un modo di parlare
dei diversi modi di affrontare la vita. La distinzione tra la
magnanimità e l’autocompiacenza diventò una delle mie pietre
di paragone. Un autobiografo può difficilmente pretendere di
essere indenne da qualsiasi autocompiacenza; ma se pensate
che io abbia una certa autocompiacenza oggi, immaginate cosa
sarebbe accaduto senza l’influenza moderatrice di Rexroth!
Dopo aver abbandonato i miei studi, cosa che mi ha fatto
perdere il rinvio alla leva, ho evitato la coscrizione per due anni
con una lettera dello psicanalista al quale i miei genitori mi
avevano inviato, secondo la quale non avevo la stoffa per
essere un buon soldato a causa del mio “risentimento estremo
verso l’autorità”. Tuttavia, alla fine degli anni 60 l’esercito
aveva una necessità sempre più pressante di arruolare gente per
condurre la guerra al Vietnam, e questo tipo di scuse non
bastava più. Quando mi presentai alla commissione di leva a
Oakland, lo psicologo che mi esaminava non gettò che
un’occhiata alla lettera, poi, con mio grande orrore, mi indicò
come abile al servizio.
Non avevo alcuna intenzione di entrare nell’esercito, ma non
avevo molta voglia neppure di trovarmi in prigione o di subire
tutte le traversie dell’obiezione di coscienza. È se necessario
sarei andato probabilmente in Canada, ma quello che mi

31
Confessioni di un garbato nemico dello Stato

infastidiva di più era di dover abbandonare tutto e di lasciare la


Bay Area. Giurai a me stesso di non uscire dall’edificio prima
di aver risolto la questione una volta per tutte.
Pensai bene di lanciare una sedia attraverso la finestra, ma non
volevo trovarmi con la camicia di forza. Decisi di concentrarmi
piuttosto sullo psicologo che mi aveva dichiarato abile.
Preparandomi per il ruolo drammatico più determinante della
mia vita, feci irruzione nel posto in cui esaminava qualcun
altro, urlando: “Specie di coglione, animale, tu pensi di
capirmi, ascolta, quando sarò nell’esercito, aspetta che abbia un
fucile in mano, pensi che non sparerò al primo fottuto ufficiale
che mi darà un ordine, ah ah, e quando l’avrò fatto, vorrei
vedere la tua faccia quando i tuoi capi ti chiederanno come hai
potuto dichiararmi abile, ah ah...” (tutto ciò era accentuato da
smorfie, da tics e da grida penetranti infantili, in modo che
avessi l’aria di un bambino in una crisi di collera). Quindi ho
sbattuto la porta e mi sono seduto sulla soglia.
Quando uscì, lo seguii in silenzio, determinato a non lasciarlo
più. Va in un altro ufficio ed esce presto con un ufficiale, che si
avvicina e dice: “Cos’è che pensi di fare, minacciando il
medico?” Mi lancio in un’altra diatriba. L’ufficiale mi dice di
entrare nel suo ufficio. Dopo qualche altro minuto ancora della
mia esibizione, mi dice che non sarò preso nell’esercito. Ma
non poteva finire lì, voleva salvare la faccia: “Questo è
probabilmente quello che volevate sentirvi dire. Ma voglio
dirvi ancora qualcosa. Ho visto molta gente in questo lavoro.
Alcuni erano obiettori di coscienza. Non ero d’accordo con
loro, ma potevo rispettarli. Ma voi! A giudicare dal vostro
comportamento violento e rivoltante, l’umanità non ha fatto
alcun progresso dagli uomini delle caverne! Non meritate di
stare nell’esercito!”
Trattenendomi dal sorridere, sono rimasto calmo, lanciandogli
sguardi cattivi e stringendo il bordo della scrivania come se

32
Confessioni di un garbato nemico dello Stato

rischiassi in qualsiasi momento di essere preso di un spasmo,


mentre riempiva e firmava il formulario. Quindi lo presi senza
una parola, uscii con un passo pesante e rumoroso, riportai il
formulario all’ufficio competente, uscii dall’edificio, svoltai
l’angolo della via... e continuai per la strada saltellando!

[Come diventai anarchico]


Benché fossi andato ad alcune manifestazioni per i diritti civili
o contro la guerra durante i miei due primi anni a Berkeley,
soltanto alla fine del 1967 l’intensificazione della guerra in
Vietnam mi indusse ad impegnarmi seriamente nella politica
della Nuova Sinistra. Il mio primo gesto fu quello di aderire al
Peace and Freedom Party, che si proponeva di sostenere la
candidatura di Martin Luther King e Benjamin Spock alle
elezioni presidenziali del 1968. La maggior parte dei 100.000
membri californiani del PFP non aveva probabilmente
maggiore esperienza politica di me, ma si iscrissero
semplicemente per assicurarsi che ci fosse un candidato contro
la guerra alle elezioni. Ma benché il PFP fosse soprattutto un
partito elettorale, compiva uno sforzo per incoraggiare una
partecipazione che andasse al di là del voto. Andai a molte
riunioni di quartiere del PFP ed assistetti ai tre giorni della
convenzione nel marzo 1968.
C’era molta buona volontà ed entusiasmo fra i delegati, ma fu
in quell’occasione che fui testimone per la prima volta di
manovre politiche. Completamente aperto ed eclettico, il PFP
attirava naturalmente la maggior parte delle organizzazioni
gauchistes, ciascuna delle quali intrigava per promuovere la
sua linea o i suoi candidati. Alcuni dei politicanti mi
sembravano abbastanza fastidiosi, ma in generale ammiravano
coloro che avevano partecipato alle lotte per i diritti civili o al
FSM, e volentieri mi rimettevo al loro punto di vista più
sperimentato e probabilmente meglio informato. Benché possa

33
Confessioni di un garbato nemico dello Stato

pretendere di aver partecipato fin dall’inizio alla controcultura,


ed in modo relativamente indipendente, nel movimento
politico, non ero che un sostenitore passivo, ordinario e tardivo.
Come diventavo più “attivo” nel PFP (ma mai al di là di ruoli
subalterni, come partecipare alle manifestazioni, riempire
buste, distribuire volantini), fui gradualmente “radicalizzato”
dall’influenza dei politicanti più esperti, soprattutto dalle
Pantere Nere. Ripensandoci, è imbarazzante riconoscere con
quale facilità sono stato ingannato da una manipolazione così
grezza, attraverso la quale un pugno di individui si è
autoproclamato il solo portavoce autentico della “comunità
nera”, rivendicando il diritto di veto, e in pratica la sovranità
effettiva sul PFP e su qualunque altro gruppo con il quale
accondiscendeva a formare delle “coalizioni”. Ma erano
evidentemente coraggiosi, ed a differenza delle tendenze
separatiste, erano almeno disposti a collaborare con i bianchi.
La maggior parte di noi aveva ingenuamente creduto alla
vecchia truffa: “Sono neri, incarcerati, battuti, uccisi; dato che
noi non siamo in queste condizioni, non abbiamo alcun diritto
di criticarli.” Quasi nessuno, neppure i cosiddetti gruppi
antiautoritari come Diggers, Motherfuckers o Yippees,
sollevava alcuna obiezione seria a questo “doppio peso e
doppia misura” razzista, che, tra l’altro, costringeva tutti gli
altri neri all’alternativa di sostenere i loro sedicenti “servi
supremi” o a tacere.
In questo periodo le salutari tendenze “democratico-
partecipative” della prima Nuova Sinistra erano soffocate
dall’intimidazione, dalla spettacolarizzazione e dal delirio
ideologico. Appelli a favore del terrorismo o della “lotta
armata” si ripetevano in molti giornali underground. Gli
attivisti che credevano che ogni questione teorica fosse soltanto
una stronzata furono presi allo sprovvista quando la SDS fu
presa in mano da sette di stupidità asinina che discutevano tra

34
Confessioni di un garbato nemico dello Stato

loro sulla questione di sapere quale combinazione di regimi


staliniani dovevano sostenere (la Cina, Cuba, il Vietnam,
l’Albania, la Corea del Nord). La grande maggioranza di noi
non aveva alcuna simpatia per lo stalinismo. Parlando solo di
me stesso, anche se ero bambino, leggendo gli articoli sulla
repressione della rivoluzione ungherese del 1956, avevo
abbastanza buon senso per capire che lo stalinismo era della
una pura stronzata. Ma nella nostra ignoranza della storia
politica, era facile identificarci con degli eroi martirizzati come
Che Guevara o i Vietcong, e tanto più quanto più erano esotici,
non sapendo realmente quasi nulla di loro. Fissati in modo
ossessivo e quasi esclusivo sullo spettacolo delle lotte
terzomondiste, non eravamo consapevole delle vere sfide della
società moderna. Certamente, uno degli scontri più duri a
Berkeley cominciò come una “manifestazione di solidarietà”
con la rivolta del maggio 1968 in Francia, ma non eravamo al
corrente di ciò che avveniva là realmente — avevamo
l’impressione confusa che si trattava di una sorta di “protesta
contro de Gaulle” più o meno nello stile che conoscevamo.
Oggi il crollo del movimento viene spesso attribuito
all’operazione COINTELPRO del FBI, che mise in opera la
disinformazione per seminare sospetti tra diversi gruppi
radicali, impiegando dei provocatori per screditarli, e delle
macchinazioni contro alcuni individui. Ma non è meno vero
che la struttura autoritaria delle Pantere e degli altri gruppi
gerarchici si prestava a questo tipo d’operazione. Nell’insieme
i provocatori avevano solo bisogno di incoraggiare delle
tendenze ideologiche che erano già deliranti, o di attizzare
rivalità che esistevano già.
Per me la goccia d’acqua che fece traboccare il vaso fu il
congresso delle Pantere per un “fronte unito contro il fascismo”
nel luglio 1969. Partecipai coscienziosamente ai tre giorni. Ma
la sua orchestrazione militarista, l’adulazione frenetica degli

35
Confessioni di un garbato nemico dello Stato

eroi martiri, i canti scanditi, gli slogan pavloviani, le parole


d’ordine meschine, le spacconerie sulla “linea corretta” e la
“direzione corretta”, le menzogne e le manovre ciniche dei
gruppi burocratici temporaneamente alleati, le minacce
violente contro i gruppi rivali che non avevano accettato la
linea attuale delle Pantere, il telegramma “fraterno” del
Politburo nordcoreano, il ritratto incorniciato di Stalin sulla
parete dell’ufficio delle Pantere — tutto questo finì per
avvilirmi, e mi indusse a cercare una prospettiva che si
accordasse meglio con le mie sensazioni.
Credevo di sapere dove trovarla. Uno dei miei amici di Shimer
che si era trasferito qui era anarchico, ed i suoi commenti
disincantati sulle tendenze burocratiche del movimento mi
salvarono da troppo facili entusiasmi. Andai da lui per prendere
in prestito una borsa piena di testi anarchici — scritti classici di
Bakunin, Kropotkin, Malatesta, Emma Goldman, Alexander
Berkman; opuscoli su Cronstadt, la rivoluzione spagnola,
l’Ungheria del 1956, la Francia del 1968; e alcune riviste più
recenti come Solidarity ed Anarchy (Londra), Anarchos (New
York), Black and Red (Michigan)...
Fu una rivelazione. Avevo intuitivamente una certa simpatia
per l’anarchismo, ma come la maggior parte della gente
supponevo che non fosse realmente praticabile; che senza un
governo tutto crollerebbe nel caos. I testi anarchici demolirono
questo errore, rivelandomi le possibilità creatrici dell’auto-
organizzazione popolare e mostrando come le società
potrebbero funzionare molto bene — ed in alcune situazioni o
per alcuni aspetti, hanno funzionato molto bene — senza
strutture autoritarie. In questa prospettiva diventava facile
vedere che le forme d’opposizione gerarchiche tendono a
riprodurre la gerarchia dominante (l’evoluzione rapida del
partito bolscevico in stalinismo ne è l’esempio più evidente) e
che la dipendenza rispetto a qualsiasi capo, anche il più

36
Confessioni di un garbato nemico dello Stato

radicale, tende a rafforzare la passività della gente anziché


incoraggiare la loro creatività e la loro autonomia.
Scoprii che “l’anarchismo” comprendeva una grande varietà di
tendenze — individualiste, sindacaliste, collettiviste, pacifiste,
terroristiche, riformiste, rivoluzionarie. Praticamente la sola
cosa sulla quale la maggior parte degli anarchici era d’accordo
era l’idea che occorre opporsi allo Stato ed incoraggiare
l’iniziativa e la gestione popolari. Ma era almeno uno buon
inizio. Ecco una prospettiva che potevo abbracciare con tutto il
cuore, che spiegava i difetti attuali del movimento e dava
un’indicazione generale sulla direzione nella quale occorreva
andare. Per me, l’anarchismo conveniva perfettamente con
l’idea di Buber e di Rexroth di una comunità interpersonale
autentica, in opposizione alle comunità impersonali. Alcuni
articoli recenti di Rexroth avevano segnalato il legame tra
Kropotkin e l’ecologia. Rexroth e Snyder avevano fatto
allusione ad una “grande cultura sotterranea” che comprende
diverse correnti non autoritarie attraverso la storia, e avevano
espresso la speranza che con la controcultura attuale queste
tendenze potrebbero essere sul punto di prendere corpo in una
comunità mondiale liberata. L’anarchismo sembrava essere
l’elemento politico di tale movimento.
Ron Rothbart (un amico di Shimer che si era trasferito
recentemente a Berkeley) rapidamente divenne un convertito
entusiasta come me. Iniziavamo ad osservare il movimento in
modo più critico e a prendere noi stessi alcune iniziative
modeste, elogiando l’anarchismo presso i nostri amici,
ordinando delle pubblicazioni per la diffusione locale, portando
le bandiere nere alle manifestazioni. Dopo avere conosciuto
altri anarchici locali con cui formammo un gruppo di
discussione, progettando la ristampa di alcuni testi anarchici, e
prevedendo l’apertura di una libreria a Berkeley. Il mio primo
scritto “pubblico” fu un opuscolo diffuso ad alcune decine di

37
Confessioni di un garbato nemico dello Stato

amici e di conoscenti in cui provavo a far conoscere gli aspetti


anarchici di Rexroth e Snyder.

Nota del traduttore: Il titolo originale del testo di Ken Knabb è


“Confessions of a Mild-Mannered Enemy of the State”. Una
traduzione che renda in italiano il significato di mild-mannered
non è facile. Al lettore italiano può essere utile quanto ha
scritto Ken Knabb al riguardo in una lettera inviata a chi scrive
(Omar Wisyam): In inglese “mild-mannered” ha una
connotazione particolare (oltre a tutte le qualità che
menzioni): Nel famoso programma televisivo “Superman”,
degli anni ’50-’60, la descrizione di Superman all’inizio diceva
sempre: “...and who, disguised as mild-mannered reporter
Clark Kent...” Cioè, c’è almeno una connotazione di
beneducato o affettato, e quindi una connotazione di persona
comune, compita, raramente in collera, che non insulta mai
nessuno... Una persona gentile, con un’aria dolce, e che non
ha un atteggiamento forte o impressionante. Assolutamente
non come Guy Debord che non era affatto mild-mannered in
questo senso (anche se era senza dubbio abbastanza educato o
caloroso in alcuni suoi rapporti personali). Piuttosto un
qualcosa di ordinario. Il contrasto con “enemy of the state” è
un po’ divertente, e lo è ancora di più se il lettore si ricorda
che il vecchio “mild-mannered man” era in realtà Superman...
Ma non è soltanto uno scherzo, la descrizione è giusta perché
io sono relativamente “mild-mannered” — pratico la
meditazione zen, metto in discussione alcuni aspetti “violenti”
o “egotisti” dello stile situ, cerco di collegare la strategia
rivoluzionaria con le situazioni ordinarie della vita quotidiana.

38
Confessioni di un garbato nemico dello Stato

Parte 2 (1969-1977)

[Come diventai situazionista]


Leggendo alcuni recenti testi anarchici, Ron ed io trovammo
menzionata a più riprese l’Internazionale Situazionista (I.S.),
un piccolo gruppo di una certa notorietà che aveva giocato un
ruolo chiave nella catalisi della rivolta del Maggio 1968. Mi
ricordavo vagamente di aver dato un’occhiata ad alcuni testi
situazionisti l’anno precedente, ma a quell’epoca li avevo
riposti sugli scaffali. Un breve colpo d’occhio mi aveva dato
l’impressione che si trattasse soltanto di un’altra variante dei
sistemi ideologici europei (marxismo, surrealismo,
esistenzialismo, ecc.) che sembravano dei giocattoli vecchi
dopo gli psichedelici. Nel dicembre del 1969 ci imbattemmo
ancora una volta in alcuni opuscoli situazionisti, in una libreria
locale, e quella volta naturalmente li leggemmo.
Fummo immediatamente colpiti dalla grande differenza
rispetto allo stile semplicistico e propagandistico della maggior
parte degli scritti anarchici. Lo stile situazionista ci sembrava
molto strano e tortuoso, ma anche estremamente provocante,
concepito evidentemente più per scardinare le abitudini e le
illusioni della gente che per convertirla a qualche, più o meno
passiva, “prospettiva libertaria”. Dapprima restammo perplessi,
ma rileggendo e discutendo questi testi cominciammo a poco a
poco a comprendere come tutto fosse collegato. I situazionisti
sembravano essere l’anello mancante tra i differenti aspetti
della rivolta. Mirando a una rivoluzione sociale di una
radicalità che la maggior parte dei gauchistes non immaginava
neppure, attaccavano nello stesso tempo le assurdità della

39
Confessioni di un garbato nemico dello Stato

cultura moderna e la noia della vita quotidiana, ripartendo da


dove i dadaisti e i surrealisti si erano fermati. Totalmente
iconoclasti, rifiutavano ogni ideologia — compreso il
marxismo, l’anarchismo e lo stesso “situazionismo” —
adottando ed adattando ogni idea che trovassero pertinente.
Mentre conservavano la tradizionale opposizione anarchica
verso lo Stato, avevano sviluppato un’analisi più comprensiva
della società moderna, una pratica organizzativa più
rigorosamente antigerarchica e conducevano un attacco più
coerente contro i mezzi che il sistema si era dato per
trasformare la gente in sostenitori passivi e in spettatori. (Il loro
nome derivava dal loro obbiettivo originario, quello di creare
“situazioni” aperte e partecipative, in opposizione alle opere
d’arte inchiodate e appese). Infine, e non è la cosa meno
importante, rifiutavano energicamente la “politica del senso di
colpa”, che pretende di basare la rivoluzione sul sacrificio di
sé, l’autoflagellazione o il culto dei martiri.
Due mesi più tardi, Ron ed io scoprimmo alcuni volantini in
stile situazionista scritti da un gruppo locale dal nome
affascinante: Consiglio per l’Eruzione del Meraviglioso
(CEM). Gli scrivemmo per proporgli un incontro. Accettarono
e l’indomani incontrammo due di loro. Essi risposero
brevemente ma lucidamente alle nostre domande, sottoponendo
a una critica caustica gran parte dei nostri fumosi progetti,
respingendo il nostro anarchismo come un’ideologia di più che
ci impediva di fare una qualsiasi cosa significativa. Pronti ad
esprimere il loro disprezzo verso praticamente tutto quello che
passava per radicale, sapevano di cosa stavano parlando,
volevano dire esattamente quello che dicevano e non avevano
l’aria di scherzare. Tuttavia era evidente che malgrado la loro
serietà si divertissero. La loro pratica sovversiva, che
consisteva principalmente in interventi critici in diverse
situazioni, sembrava unire un calcolo attento a una squisita

40
Confessioni di un garbato nemico dello Stato

maliziosità. Ci fecero capire presto che non avevano alcuna


intenzione di perdere il loro tempo in sforzi supplementari per
convincerci e se ne andarono.
Restammo sbalorditi ma anche stimolati. Anche se non
eravamo sicuri di essere d’accordo con loro su tutti i punti, la
loro autonomia era già una sfida pratica. Se loro potevano
distribuire dei volantini che esprimevano i loro punti di vista,
perché noi non avremmo potuto fare lo stesso?
Siamo tornati a casa di Ron, abbiamo fumato un joint, poi
entrambi abbiamo scritto un volantino. Il mio era un collage di
slogans anarchici e situazionisti seguito da una lista di libri
raccomandati, il suo era una satira contro il modo in cui la
rivoluzione si stava trasformando in banale spettacolo. Ne
abbiamo ciclostilati 1500 esemplari e li abbiamo distribuiti in
Telegraph Avenue, vicino all’Università. Anche se quest’azione
era abbastanza astratta, il solo fatto di creare qualcosa e di
pubblicarla era per noi un eccitante passo in avanti.
Nel corso dei due mesi successivi realizzammo altri volantini
sperimentali. Ne scrissi uno sul perché la gente non deve mai
cedere il suo potere ai capi, che ho distribuito in occasione
della proiezione del film Viva Zapata e misi insieme un
fumetto sulla natura irriflessa e ritualistica dei combattimenti di
strada a Berkley. Ron scrisse una recensione di Utopia e
socialismo di M. Buber e la critica di un insulso intervento
effettuato da qualcuno dei nostri conoscenti anarchici, durante
un corso universitario. Tutte queste azioni erano ancora
rudimentali, ma per le diverse reazioni che provocavano,
imparavamo a poco a poco ad intervenire pubblicamente. C’era
una progressione verso una sempre maggiore incisività e
criticità.
Facendo questo cercavamo di trovare un compromesso valido
fra il nostro milieu controculturale rilassato e l’estremismo
rigoroso dei situazionisti (almeno come noi piuttosto

41
Confessioni di un garbato nemico dello Stato

confusamente lo comprendevamo). Facemmo numerose


discussioni con molti dei nostri amici per incitarli a qualche
sperimentazione radicale, ma anche se certi erano vagamente
interessati dal nostro “nuovo trip”, praticamente nessuno di
loro partecipò a qualche iniziativa. Sebbene non portassero a
niente, questi confronti ci hanno almeno consentito di chiarirci
le idee. Ci eravamo a un tal punto inoltrati nelle nostre nuove
avventure, che avevamo ben poco interesse a prolungare delle
relazioni secondo i vecchi termini.
Quanto agli anarchici che frequentavamo, per quanto non
avessero rivolto nessuna richiesta verso di noi, non
intendevano accettarne nessuna da parte nostra. Quando gli
facemmo qualche critica moderata (ben più moderata di quelle
che il CEM fece a noi) essi si posero sulla difensiva.
Cominciammo a renderci conto che, malgrado alcuni aspetti
pertinenti, l’anarchismo funzionava nella stessa maniera di
tutte le altre ideologie, con le sue gallerie di eroi e di idee
feticizzate. Dopo svariati mesi di discussioni e di gruppi di
studio, il gruppo si era mostrato incapace di portare a termine
nessun progetto di ristampa, e meno ancora di aprire una
libreria. Ne abbiamo concluso che se volevamo fare qualcosa
era necessario che agissimo da soli e che gli interventi
autonomi avrebbero avuto più possibilità di toccare la
sensibiltà della gente della diffusione di qualche copia in più
dei classici dell’anarchismo.
Vedevamo raramente il CEM, ma eravamo al corrente dei loro
interventi deliziosamente scandalosi, la cui combinazione della
tattica situazionista del détournement con una punta di
influenza surrealista e di William Burroughs era teorizzata nel
loro pamphlet On Wielding the Subversive Scalpel [Sull’uso
dello scalpello sovversivo]. Tra l’altro avevano caricaturizzato
il ruolo spettacolare del militante sacrificale con un volantino
che mostrava la crocifissione degli “Otto di Chicago”.

42
Confessioni di un garbato nemico dello Stato

Andavano di porta in porta, in un’asettica periferia, vestiti in


completo, a distribuire volantini che esortavano gli abitanti ad
abbandonare tutto per cercare la vera vita. Interruppero
un’apparizione locale di Godard con dei pomodori marci e dei
volantini bilingue. Distribuivano pacchetti di trading cards che
rappresentavano personaggi stereotipati (dirigenti, mendicanti,
negozianti hip, ecc.) e “Grandi Momenti nel Vuoto” (un
imbottigliamento nel traffico, la corsa al supermercato,
guardare la TV).
Incontrammo anche gli emissari di un gruppo del
Massachussetts ugualmente influenzato dai situazionisti: il
Consiglio per l’Esistenza Cosciente (CCE). Il CCE era un
gruppo meno divertente e meno surrealista del CEM, ma
altrettanto intenso, intransigente ed iconoclasta. Il loro esempio
raddoppiò la sfida che ci aveva lanciato il CEM di mettere in
questione tutto il nostro passato, e di rovesciare tutti i nostri
idoli.
Uno dei pochi eroi che mi era rimasto era Gary Snyder. Volevo
sì ammettere che la maggior parte dei leaders del movimento e
della controcultura erano dei manipolatori gerarchici o dei
confusionisti spettacolari, ma Snyder mi sembrava quasi degno
di ammirazione. Ad ogni modo, condividevo l’idea diffusa, ma
falsa, secondo cui per avere il diritto di criticare qualcuno
dovessi essere migliore di lui, e non pensavo di potermi
comparare a Snyder.
Un giorno seppi che sarebbe venuto a Berkeley per leggere
qualche sua poesia. Prima, questo sarebbe stato per me uno dei
più grandi eventi dell’anno, ma adesso ero incerto. Pensavo
ancora che un tale evento era una cosa buona? O era
“spettacolare”, e contribuiva a mantenere la passività della
gente, la loro presunzione, il loro culto delle stars? Dopo
alcune riflessioni decisi che il modo più conveniente di
regolare la questione sarebbe stato quello di redigere un

43
Confessioni di un garbato nemico dello Stato

volantino e di distribuirlo in quell’occasione — questo avrebbe


provocato nello stesso tempo le altre persone che erano
coinvolte La scadenza era ugualmente una sfida, la lettura
avrebbe avuto luogo dopo tre giorni.
All’inizio ho cominciato con alcune critiche piuttosto
moderate. Ma più consideravo l’intera situazione, più la
mettevo radicalmente in questione. Fino a quel momento avevo
accettato Snyder interamente, come una sorta di mercato
globale spettacolare: la sua vita e i suoi scritti “mi ispiravano”,
ma solo in modo vago e generale. Ora, mi rendevo conto che se
diceva qualcosa che ritenevo utile, bisognava metterla in
pratica. E se diceva qualcosa che ritenevo sbagliata, bisognava
mostrarla. Si trattava di rivolgere qualcuna delle sue note più
valide su altri aspetti della sua pratica che erano insufficienti.
Ogni piccolo passo in avanti apriva la strada a quelli
successivi. Mi era dispiaciuto “rovinare” la mia preziosa foto di
Snyder con i suoi amici, tagliandola e incollandola sul
volantino, ma una volta che l’avevo “deturnata” aggiungendovi
dei fumetti, il mio feticismo era scomparso. Adesso non era che
un’immagine che m’interessava soltanto perché potevo
utilizzarla per scardinare il feticismo altrui. Ridevo di me
stesso accorgendomi delle mie resistenze psicologiche, come
ridevo immaginando la perplessità in cui questo o quell’aspetto
del volantino avrebbe gettato la gente che lo avesse letto.
Importava poco che sembrasse bizzarro o maldestro quello che
veniva fuori. Creavo un genere che era mio, e l’unica regola
era il desiderio di arrivare fino alla fine di questa situazione e
di metterla in pratica nella maniera più provocatoria possibile.
Terminai il volantino poco prima della lettura pubblica e ne
feci stampare un centinaio di esemplari. Avvicinandomi alla
sala, stringendoli nervosamente nelle mani, esitavo. Questo
progetto non era troppo estremo? Come osavo attaccare
Snyder, in quel modo? Lui stesso era più o meno anarchico;

44
Confessioni di un garbato nemico dello Stato

non cercava di reclutare nessuno, non chiedeva denaro. Non


stavo esagerando? Decisi di sedermi un momento tra il
pubblico per rendermi conto dell’ambiente.
C’erano varie centinaia di persone. Snyder cominciò dicendo
che prima di passare alla poesia voleva pronunciare “qualche
parola sulla rivoluzione”. Fece alcune considerazioni un po’
vaghe ma non malvagie. Quando finì, gli spettatori
applaudirono.
Era abbastanza per decidermi. Niente avrebbe potuto rendere
più evidente la natura fondamentalmente spettacolare
dell’avvenimento. Gli applausi erano la prova eclatante che le
parole di Snyder non erano fatte per essere messe in pratica, ma
servivano soltanto come particolari piccanti per un’eccitazione
passiva (immaginavo gli spettatori che rientravano a casa dire
agli amici: “Non ha soltanto letto molte belle poesie, ma ha
anche detto delle cose formidabili sulla rivoluzione!”). Ero
indignato per la situazione. Gli aspetti più ingiuriosi del mio
volantino erano decisamente appropriati. Li tirai fuori e li gettai
tra il pubblico e me ne uscii. Non provavo più alcun interesse
per quello che Snyder poteva ancora dire, e non volevo che la
perentorietà del mio atto si diluisse in un dibattito con gli
spettatori sulle alternative che avevo da proporre. Era un
problema loro.
La gente si domanda talvolta se i situazionisti “facciano”
effettivamente qualcosa o se non facciano “altro che scrivere”.
Avevo avuto anch’io questa falsa opinione. Fino a quel
momento ero convinto di non sapere che fare, ma nell’attesa
poteva essere utile scrivere il volantino per chiarire le cose. Ma
è stato soltanto dopo che mi sono reso conto che avevo fatto
qualcosa. Se una critica riesce ad incitare almeno alcune
persone a riflettere meglio, a dissipare un certo numero di
illusioni, a riconsiderare delle pratiche, o, ancora meglio, ad
avviare nuove esperienze, questo è già un effetto pratico, valido

45
Confessioni di un garbato nemico dello Stato

e concreto. Quante “azioni” ottengono lo stesso risultato?


Avevo compreso inoltre che l’insistenza sul fatto di dover
essere “costruttivo” non era che una mistificazione che
proibiva alla gente di affrontare le reali condizioni della propria
vita; e che una critica (contrariamente a una farisaica condanna
morale) non implica necessariamente la sensazione della
propria superiorità. Se fosse per noi necessario essere migliori
degli altri per criticarli, i “migliori” non sarebbero mai stati
criticati (e i gerarchi tendono a porre i problemi in una maniera
che rafforza la loro posizione dominante). Poco importa il
talento di Snyder, la sua saggezza o le sue buone intenzioni. Se
il fine della poesia è di “cambiare la vita”, c’era più poesia nel
mio atto che in non so quale poesia che avrebbe potuto leggere
quella sera.
Sono il primo ad ammettere che quel particolare intervento fu
inutile e non ebbe probabilmente alcun effetto notevole su
nessuno, se non su me stesso. Benché il volantino fosse
abbastanza chiaro attaccando il consumo passivo della cultura,
la prospettiva sociale sulla quale l’attacco era basato era solo
vagamente delineata (l’ Ode on the Absence of Real Poetry
[Ode sull’assenza della vera poesia] che ho pubblicato qualche
mese più tardi era più esplicita a questo riguardo, ma era anche
molto più pedante).
La mia azione era stata un fiasco anche come intervento. Avevo
cercato invano qualcosa come un balcone da cui poter lanciare
i volantini sull’uditorio, per creare una situazione di “massa
critica” in cui tutti si sarebbero incuriositi sufficientemente
perché si mettessero a leggerli nello stesso momento. Avrei
potuto ottenere lo stesso risultato in un modo un po’ meno
drammatico percorrendo la sala in mezzo al pubblico. Oggi
troverei del tutto naturale fare così, ma a quell’epoca ero un
novizio in questo gioco e non ebbi il coraggio di farlo. Il
risultato della mia più timida distribuzione fu che soltanto una

46
Confessioni di un garbato nemico dello Stato

parte del pubblico ebbe il volantino tra le mani, e come fui


informato più tardi da quegli amici che erano presenti là quella
sera, la lettura continuò dopo una pausa di qualche secondo; il
resto del pubblico avrà creduto probabilmente che si trattava
del solito volantino sui Black Studies o sulla guerra del
Vietnam.
Ma qualunque sia l’effetto della mia azione sul pubblico, fu
chiarificante per me. Fuggendo dalla sala mi sentivo come se
fossi ritornato bambino, emozionato come uno scolaro che sta
per fare uno scherzo. Ma la vera comprensione della
prospettiva situazionista parte da quel momento. Avevo già
imparato molte cose dalla lettura dei testi situazionisti,
dall’esempio del CEM (che dopo aver criticato vivamente le
mie precedenti confusioni, ebbe la saggezza di lasciarmi solo
sulle mie prossime mosse), e dalle mie sperimentazioni durante
i mesi precedenti. Ma il fatto di aver strappato la mia passività
e il mio culto delle stars ebbe un grandissimo effetto
liberatorio. Il fatto di aver scelto il bersaglio più difficile per
me ha fatto di questa esperienza la svolta più importante della
mia vita.
I membri del CEM erano consapevoli della mia ammirazione
per Snyder. Quando gli mostrai il volantino, un po’ più tardi,
uno di loro disse: “Ah! Vedo che tu hai sovvertito te stesso
altrettanto quanto gli altri!” Tutti noi abbiamo sorriso.

[1044]
Il CEM si sciolse nel giugno 1970. Il gruppo era attraversato da
molte tendenze, alcuni dei suoi membri non erano autonomi o
impegnati quanto gli altri, ed in ogni caso, le loro
contraddizioni ideologiche lo avrebbero certamente fatto
esplodere un giorno o l’altro. Dopo lo scioglimento, due dei

47
Confessioni di un garbato nemico dello Stato

vecchi membri, Isaac Cronin e Dan Hammer, andarono a Parigi


ed a New York per incontrare dei membri dell’I.S.
Mentre aspettavamo, con Ron, abbiamo fondato il nostro
gruppo di due persone, chiamato retrospettivamente “1044”,
dal numero della nostra casella postale. Ron si sistemò da me
in luglio, e per alcuni mesi vivemmo in modo comunitario,
seguendo la falsa idea che ci eravamo fatti a partire
dall’esempio del CEM e del CCE, che era di rigore in qualsiasi
organizzazione situazionista. In realtà, benché l’I.S. fosse
molto rigorosa per quello che riguardava la democrazia interna
del gruppo e con grande cura cercasse di evitare ogni gerarchia,
l’adesione non implicava alcun collettivismo economico né
alcun sacrificio della propria vita privata o della propria
indipendenza negli affari personali. Ci rendemmo conto
rapidamente che il nostro equivoco purista non era molto
agevole, anche se l’esperienza di vivere e lavorare insieme più
strettamente del solito era stata interessante per certi aspetti.
La nostra mistificazione sull’organizzazione coerente era legata
ad una concezione abbastanza apocalittica della pratica
coerente. Il nostro breve testo In This Theater [In questo
teatro], con la sua evocazione della “triade unitaria”,
partecipazione, comunicazione e realizzazione (vedi il capitolo
23 del Trattato del saper vivere di Vaneigem) riflette
abbastanza bene il nostro stato d’animo dell’epoca. Sapevamo
che le separazioni nella nostra vita avrebbero potuto essere
superate definitivamente soltanto da una rivoluzione, ma
credevamo possibile fare un importante passo in avanti
attaccando queste separazioni in modo unificato. La mia
interruzione della conferenza di Snyder era stata una tale
rivelazione che tendevo, più di Ron, a dare troppa importanza a
tali esperienze, considerandole indispensabili; immaginavo che
se soltanto altra gente potesse fare un simile salto qualitativo,
avrebbero scoperto anche loro un intero nuovo mondo di

48
Confessioni di un garbato nemico dello Stato

possibilità nel “rovesciamento di prospettiva”. Nel mio


desiderio di indurre la gente a compiere tali esperienze, mi
mostravo spesso troppo pedagogico, una cattiva abitudine che
sussiste ancora oggi. Sono sempre convinto che la gente debba
prendere delle iniziative autonome se vuole sfuggire al suo
condizionamento, ma non serve praticamente mai a niente
predicare e sollecitare. Come ho detto sopra, uno dei meriti del
CEM fu di non averci mai guidato prodigandoci consigli saggi
e dettagliati, ma di averci rivolto semplicemente alcune critiche
incisive e di averci in seguito lasciato soli. Dopo molti sforzi
inutili per risvegliare i nostri amici, abbiamo imparato a fare la
stessa cosa.
Alla nostra prima riunione con i delegati del CEM, essi
avevano portato un magnetofono per registrare la nostra
conversazione. Da un lato, perché gli altri membri del loro
gruppo la potessero ascoltare più tardi, ma anche perché
trovavano utile rivedere costantemente la loro pratica. Ron ed
io facemmo la stessa cosa in occasione di alcune delle nostre
discussioni con amici, rilevando, ascoltandoli successivamente,
i momenti in cui avevamo parlato troppo, quando eravamo
diventati pedanti, quando avevamo risposto insufficientemente,
ecc. L’idea generale era di diventare più coscienti di tutto ciò
che facevamo, di prendere coscienza delle pratiche
indesiderabili e rompere con quelle, modificando le forme di
comportamento dettate dall’abitudine. Tra i vari metodi che
usammo a questo scopo, c’era la “conversazione in cerchio” —
tre o più persone sedevano in cerchio ed ogni persona parlava
solo quando era il suo turno —, la discussione di argomenti
messa per iscritto — per costringerci ad organizzare meglio le
nostre idee —, e il deturnamento dei fumetti — aggiungendo
nuovi balloons per comporre una nuova storia su un tema dato
o copiando dei passaggi scelti a caso nei testi situazionisti o in
altri scritti. In occasione della nostra esperienza più importante

49
Confessioni di un garbato nemico dello Stato

di questo tipo, abbiamo riservato un intero giorno ad un


programma arbitrario ma dettagliato di attività diverse: brevi
periodi successivi per leggere, sbrigare la corrispondenza, il
“brainstorming”, disegnare, cucinare, mangiare, la scrittura
automatica, danzare, pulire della casa, tradurre, recitare una
commedia, redigere opuscoli, deturnare fumetti, fare lavori di
giardinaggio, meditare, fare esercizio fisico, riposare, discutere,
improvvisare; quindi abbiamo occupato la settimana successiva
scrivendo un resoconto di dieci pagine sull’esperienza, che
abbiamo fatto stampare in una dozzina di copie per darle ad
alcuni amici.
Per evitare che ciò si aggiunga ai malintesi già numerosi su
“ciò che fanno i situazionisti”, occorre sottolineare che
quest’episodio è rimasto unico, e che le altre attività citate qui
non erano obbligatoriamente tipiche del milieu situ(1) in
generale. Benché i gruppi influenzati dall’I.S. avessero una
discreta tendenza alla sperimentazione, nella vita quotidiana e
nell’agitazione politica, i modelli di sperimentazione variavano
considerevolmente. Alcuni dei nostri progetti riflettevano la
nostra formazione nell’ambiente della controcultura, che ci
distingueva dai nostri omologhi europei. Naturalmente ci
rendevamo conto perfettamente dei limiti di tali esperienze. Ma
la liberazione anche solo di un piccolo spazio durante un breve
lasso di tempo, incita a desiderare di più. Si sviluppa il gusto di
giocare con diverse possibilità invece di supporre sempre che
lo statu quo sia inevitabile, e si raggiunge una sensibilità più
concreta riguardo gli ostacoli sociali e psicologici che ti
ostacolano. Il vantaggio di queste sperimentazioni, sono che in
un quadro limitato si può ricercare qualunque cosa senza alcun
rischio, eccetto quello salutare di mettere in difficoltà il proprio
ego. Gli stessi principi sono applicabili nell’attività pubblica,
sebbene ciò esiga ovviamente maggiore prudenza.

50
Confessioni di un garbato nemico dello Stato

Le nostre avventure pubbliche hanno comportato vari tentativi


di deturnamento, tattica situazionista che consiste
nell’utilizzare dei frammenti culturali per nuovi usi sovversivi.
Una delle mie creazioni era un balloon di fumetto stampato su
carta autoadesiva, concepito per essere attaccato sui manifesti
pubblicitari in modo che il modello femminile di una bellezza
stereotipata svolgesse una critica della funzione manipolatrice
della sua immagine: “Salve, uomini! Sono l’immagine di una
donna che non esiste. Ma il mio corpo corrisponde ad uno
stereotipo che siete stati condizionati a desiderare. Poiché è
poco probabile che vostra moglie o la vostra amichetta
assomiglino a me, voi siete naturalmente frustrati. Le persone
che mi hanno messo qui vi hanno preso esattamente dove
volevano prendervi: per le palle. Quando la vostra virilità è
messa in dubbio, siete come pasta frolla nelle loro mani...” (Se
posso permettermi di dirlo, penso che questo modo di ribaltare
la manipolazione spettacolare contro di sé sia più illuminante
delle solite lamentele e proteste del tipo “questa pubblicità
sfrutta le donne” — come se non manipolassero o sfruttasserro
anche gli uomini.) Ho approfittato anche della partecipazione
libera ad una lettura di poesie aperta a tutti per leggere una
lunga critica dei limiti della poesia puramente letteraria, Ode
on the Absence of Real Poetry Here This Afternoon [Ode
sull’assenza della vera poesia qui questo pomeriggio], con
grande perplessità ed grande insoddisfazione degli altri poeti
presenti, ai quali la regola del gioco imponeva di ascoltare la
mia “poesia” gentilmente e senza interrompermi.
A quell’epoca, Ron aveva scritto un opuscolo che analizzava
una recente sommossa dei Chicanos di Los Angeles, e per
scherzo, l’aveva firmato “Herbert Marcuse”. Il trucco attirò
numerosi lettori, dapprima perché la gente credeva che
Marcuse ne fosse realmente l’autore, poi, quando Marcuse si
sentì costretto a rinnegarlo pubblicamente, perché un maggior

51
Confessioni di un garbato nemico dello Stato

numero di persone si immerse in varie congetture sul vero


autore di questo strano scherzo. Per aumentare l’effetto dello
scherzo, scrivemmo una serie di lettere firmate con pseudonimi
ai giornali locali che diedero ancora più pubblicità
all’opuscolo, denunciandolo. Questa tattica di pubblicare dei
testi falsamente attribuiti, che avevamo chiamato più tardi
“contraffazionismo”, fu usata senza precauzioni in seguito da
altri gruppi, producendo in genere più confusione che
chiarezza. L’abbiamo presto abbandonata, e nell’autunno di
quell’anno, io mi dedicai, con Isaac, ad una critica di alcuni
aspetti dell’opuscolo “Sull’uso dello scalpello sovversivo” che
dava l’errata impressione che il deturnamento significasse
seminare a caso la confusione nello spettacolo.
Inserendo il passaggio dei situazionisti, iniziammo anche a
colmare le nostre grandi lacune sulla conoscenza dei tentativi
radicali del passato, studiando la storia delle rivolte del passato
e studiando personaggi importanti come Hegel (difficile, ma un
minimo di familiarità con quest’ultimo ci permetteva di
sviluppare un senso migliore dei processi dialettici), Charles
Fourier (la cui affascinante ma anche un po’ stravagante utopia
è basata sull’incoraggiamento, piuttosto che sulla repressione,
dell’interazione delle varietà delle passioni umane), Wilhelm
Reich (le sue prime analisi sociopsicologiche, non le sue più
tarde teorie “orgoniche”); ed alcuni i pensatori marxisti più
radicali, Rosa Lussemburgo, Anton Pannekoek, Karl Korsch, il
primo Lukács.
E Marx stesso. Come la maggior parte degli anarchici, non
sapevamo praticamente nulla di lui ad eccezione di alcune
banalità sul suo supposto autoritarismo. Quando scoprimmo
che molte delle idee più pertinenti dei situazionisti, ed anche
alcune delle loro frasi più sorprendenti, derivavano da Marx,
iniziammo a riesaminarlo più accuratamente. Ci rendemmo
conto rapidamente che accostare Marx al bolscevismo, o

52
Confessioni di un garbato nemico dello Stato

peggio ancora allo stalinismo, tradiva una grande ignoranza; e


che, benché ci siano, senza alcun dubbio, dei difetti importanti
nella sua prospettiva, le sue analisi su numerosi aspetti della
società capitalista erano così penetranti che era altrettanto
ridicolo cercare di sviluppare un’analisi sociale coerente senza
tenerne conto quanto provare a sviluppare una teoria biologica
coerente senza tener conto di Darwin.(2)
Sicuramente, leggevamo tutto ciò che potevamo trovare
dell’I.S. Sfortunatamente, la maggior parte dei testi
situazionisti era disponibile soltanto in francese. Oltre a cinque
o sei opuscoli ed alcuni volantini, esistevano in inglese soltanto
alcune traduzioni approssimative e scritte a mano, fatte da
gente che, molto spesso, non conosceva il francese più di noi.
Mi ricordo ancora l’esaltazione, ma anche la frustrazione, che
provammo, imbattendoci per la prima volta in una copia del
Trattato del saper vivere di Vaneigem, che cercammo di
leggere in una pallida fotocopia di una fotocopia di una
fotocopia di una cattiva traduzione manoscritta. Quando mi resi
conto del numero di testi che restavano ancora inaccessibili,
iniziai a rimettermi a studiare francese, di cui non avevo che
una conoscenza scolastica e che avevo dimenticato da tempo.
Avevo sempre immaginato che sarebbe stata una grande cosa
diventare abbastanza colto per leggere i miei autori francesi
favoriti nella lingua originale, ma quello scopo era troppo vago
per decidermi agli studi necessari. I situazionisti mi diedero la
motivazione per farlo. Del resto quasi tutta la gente che
conoscevo e che dimostrava loro un vero interesse ha imparato
presto o tardi il minimo di francese necessario a comprendere,
anche soltanto penosamente, l’essenziale dei testi più
importanti. Nelle nostre successive riunioni con compagni di
altri paesi, il francese era la nostra lingua franca quanto
l’inglese.

53
Confessioni di un garbato nemico dello Stato

[Contradiction]
Durante l’estate 1970, Ron ed io incontrammo Michael Lucas,
che si era trasferito nella Bay Area, insoddisfatto del gruppo
Anarchos di Murray Bookchin di New York al quale aveva
partecipato per qualche tempo. In ottobre, Sydney Lewis, uno
degli emissari del CCE che avevamo incontrato in primavera,
arrivò in città, avendo lasciato il gruppo, disilluso da alcune
delle loro più eccessive rigidità ideologiche. Un po’ più tardi
Dan ed Isaac ritornarono da Parigi e da New York. Scambiando
le nostre conclusioni sulle rispettive esperienze, positive e
negative, constatammo un’importante convergenza di opinioni.
Sviluppammo due progetti collettivi: un gruppo dedicato allo
studio della Società dello Spettacolo di Guy Debord (l’altro
principale libro situazionista), che era stato appena tradotto da
Black and Red, ed una critica della controcultura e del
movimento radicale americano. Il gruppo di studio non durò a
lungo — avevamo rapidamente stabilito che, per comprendere
le tesi di Debord, era meglio utilizzarle direttamente (nei
graffiti, negli opuscoli e nelle premesse della nostra critica del
movimento) che discuterle soltanto in astratto. Le prime fasi
della critica del movimento confermarono un accordo sempre
più stretto tra noi sei, pur avendo eliminato altre tre o quattro
persone che avevano assistito al gruppo di studio, ma senza
aver mai intrapreso nessuna iniziativa autonoma. In dicembre
Dan, Isaac, Michael, Ron ed io, fondammo il gruppo
Contradiction [Contraddizione]. Oltre alla nostra critica del
movimento, prevedevamo l’edizione di una rivista sul modello
dell’I.S. così come diverse altre attività critiche.
Sydney sarebbe quasi certamente stato il sesto membro del
nuovo gruppo se non fosse tornato nell’Est poco prima della
sua formazione; ma una volta lasciata la città si diresse verso
prospettive abbastanza diverse, e finimmo per rompere con lui.
Durante questo periodo, avevamo scoperto un nuovo

54
Confessioni di un garbato nemico dello Stato

compagno a Berkeley. Un giorno andando in giro per il campus


universitario, ascoltai casualmente una conversazione tra due
persone, di cui una faceva una critica intelligente del
gauchisme burocratico. Dopo averle ascoltate per un momento,
intervenni per dire a quest’ultimo che aveva assolutamente
ragione, ma che perdeva il suo tempo, perché il suo
interlocutore era evidentemente incapace di comprendere le sue
argomentazioni. Mi guardò con aria stupita. Riflettendo un
momento, si rese conto che avevo ragione. Si congedò
dall’altro, e ci allontanammo per parlare. Dapprima lo lasciai
parlare, limitandomi a fare segni affermativi con il capo e a
chiedergli alcune precisazioni. Benché non avesse mai letto una
parola dei situazionisti, era giunto da sé a quasi tutte le loro
posizioni. Quindi, presi alcuni opuscoli dalla mia borsa e gli
lessi alcuni passaggi dove si trovavano precisamente le idee
che aveva voluto esprimere. Ne rimase allibito! Iniziò a
collaborare con noi nella critica del movimento e finì per
diventare il sesto membro di Contradiction. L’incontro con
John Adams mi è sempre sembrato una sorprendente conferma
della pretesa dei situazionisti di esprimere semplicemente una
realtà che era già presente, piuttosto che di propagare
un’ideologia.
La prima pubblicazione di Contradiction fu il mio manifesto
Bureaucratic Comix [Comics burocratici], ispirato dalla recente
rivolta in Polonia. Ora che tutto il mondo si è abituato all’idea
del crollo dello stalinismo, vale la pena di ricordare quanto la
gente quella volta fosse convinta della sua permanenza come di
una certezza, e la mancanza quasi totale di comprensione della
Nuova Sinistra quando si trattava delle questioni sollevate da
tale rivolta. Mentre alcuni gruppi gauchistes hanno provato a
fare una distinzione tra i regimi “revisionisti” dell’Europa
dell’Est e quelli “rivoluzionari” del Terzo Mondo, la maggior
parte dei giornali alternativi neppure menzionava la

55
Confessioni di un garbato nemico dello Stato

sollevazione, non sapendo come conciliare quell’evento con il


loro mondo di fantasia guevarista. Così il deturnamento dei
diversi eroi del movimento nel manifesto, che potrebbe
sembrare soltanto divertente ai lettori d’oggi, ebbe un effetto
veramente traumatizzante sui loro ammiratori, come alcuni di
loro ammisero più tardi.
Mentre sperimentavamo con metodi che traevano ispirazione
dall’I.S., la stessa I.S. attraversava le crisi che portarono alla
fine al suo scioglimento.
Nel marzo 1971 andai a New York per incontrare Jon Horelick
e Tony Verlaan, gli ultimi membri della sezione americana
dell’I.S., ed appresi che si erano separati recentemente dagli
europei. Mi diedero un sacco di corrispondenze e di documenti
interni, la maggior parte in francese, che mi sforzavo di leggere
cercando di comprendere di cosa si trattasse, generalmente
invano. Quindi presi l’aereo per Parigi.
Le prime persone che andai a trovare furono Roger Grégoire e
Linda Lanphear, vecchi membri di Black and Red. Avevamo
letto con interesse le pubblicazioni di questo gruppo
(soprattutto l’eccellente libro di Grégoire e Perlman sulle loro
attività nel maggio 1968), che univano alcune caratteristiche
situazioniste con un orientamento anarco-marxista più
tradizionale; ma il nostro interesse si era allentato quando il
gruppo aveva iniziato a fissarsi sull’eclettismo ultragauchiste.
Una recente lettera aperta con la quale Roger e Linda l’avevano
criticato (”Ai lettori di Black and Red”) mostrava che, come
tutti noi, anche loro evolvevano verso una pratica più rigorosa,
alla maniera dei situazionisti. Ci intendevamo bene, e alla fine
rimasi da loro per quasi tutto il mio soggiorno.
Non riuscii a vedere gli ultimi membri dell’I.S., ma incontrai
molti altri situazionisti parigini, tra cui Vaneigem ed altri due
ex-membri dell’I.S. Nelle nostre discussioni si mescolavano
scambi di informazioni e di idee realmente interessanti insieme

56
Confessioni di un garbato nemico dello Stato

a speranze e illusioni esagerate che emergevano nell’inebriante


fase successiva al maggio 1968.
Il solo fatto di essere a Parigi era appassionante. Assorbivo tutti
i nuovi suoni, le visioni e gli odori, girando per ore attraverso il
labirinto delle viuzze dal selciato liscio, fra piccoli negozi
oscuri ed edifici vecchi di molti secoli; bevendo alla terrasse
dei caffè all’aria aperta, osservando tutti i passanti, afferrando
al volo dei provocanti frammenti di quella lingua straniera che
cominciavo appena a comprendere; facendo le spesa nei piccoli
mercati che si trovavano all’epoca in quasi tutti gli angoli;
gustando i deliziosi pasti francesi composti da molti piatti
come i liquori ed i vini eccellenti, durante ore di conversazione
animata...
Dopo sei settimane a Parigi (e dei brevi viaggi a Londra e ad
Amsterdam), tornai a New York, dove rimasi per quindici
giorni da Tony Verlaan. Jon Horelick e lui avevano appena
rotto, e Jon effettivamente scomparve per due anni, fino a
quando fece uscire la sua rivista Diversion. Nell’attesa, Tony
ed Arnaud Chastel avevano formato il gruppo Create
Situations, e stavano traducendo alcuni vecchi articoli dell’I.S.
Io li aiutai un po’ in questo lavoro, quindi ritornai a Berkeley.
Durante i mesi seguenti, ci furono molte visite: Tony ed Arnaud
(dopo quindici giorni di confronti tumultuosi, rompemmo rotto
con loro); Point-Blank (un gruppo di giovani di Santa Cruz,
piccola città universitaria a sud di San Francisco, con il quale
rompemmo ugualmente dopo avere collaborato per qualche
tempo); Roger e Linda; uno o due compagni inglesi; ed una
giovane coppia spagnola, Javier e Tita. Tita ed io ci
intendemmo molto bene fin dal nostro primo incontro, benché
la nostra comunicazione verbale dapprima si limitasse al sabir
francese. Quando Javier tornò in Europa alcune settimane più
tardi, lei rimase con me.

57
Confessioni di un garbato nemico dello Stato

Nello stesso periodo, continuavamo a lavorare sulla critica del


movimento (“Critique of the New Left Movement” e “On the
Poverty of Hip Life”) e su altri articoli per la nostra rivista.
Purtroppo, nessuno di questi lavori doveva giungere a
conclusione, a parte alcuni opuscoli d’interesse secondario.
C’erano molte buone idee nelle nostre bozze, ma anche molte
insufficienze, e ci siamo mostrati incapaci di portare a termine i
nostri progetti. La ragione era da una parte che volevamo fare
troppo, e dall’altra che avevamo organizzato male il lavoro.
C’erano molte fatiche inutili. Una persona poteva dedicare
molto lavoro ad un argomento per venire a sapere in seguito
che la sua bozza avrebbe dovuto essere riorganizzata
radicalmente per accordarsi con i cambiamenti introdotti in
altri articoli; ma alla riunione seguente avrebbe trovato forse
delle modifiche supplementari in quest’altri articoli che
esigevano ancora altri cambiamenti nel suo articolo... Le
riunioni diventavano sempre più noiose.
Retrospettivamente, penso che avremmo certamente fatto
meglio a delegare a una o due persone il compito di redigere il
testo finale sul movimento, perché avrebbero potuto trarre
qualcosa dai contributi individuali senza essere costretti
inevitabilmente a rispettare i testi originali nei minimi dettagli.
Inoltre, sarebbe forse stata una buona idea pubblicare brevi
versioni preliminari di alcuni capitoli, prodotte e firmate dai
vari autori di questi testi, sia per affinare le nostre tesi tenendo
conto delle reazioni e delle critiche, sia per sviluppare una
maggiore autonomia individuale.
Intanto, le diverse frazioni del movimento si
autodistruggevano, a causa delle contraddizioni che avevamo
analizzato, e c’era sempre meno da attaccare, che non fosse già
screditato. All’inizio del 1972, praticamente la sola cosa che ci
rimaneva da fare era un’autopsia più lucida. Aarebbe
comunque valsa la pena (si deve comprendere ciò che ha

58
Confessioni di un garbato nemico dello Stato

funzionato male se si vuole far meglio in futuro), ma in quel


momento ne avevamo le palle così piene del progetto che ci
mancò l’entusiasmo necessario. Avevamo già iniziato a
dirigerci verso altre attività. Michael ed io ci interessavamo a
fondo di musica classica, e passavamo gran parte del nostro
tempo ad ascoltare dischi o assistere a concerti e ad opere. Dan
ed Isaac trascorrevano molto tempo a San José, una città a sud
di San Francisco, a lavorare con Jimmy Carr (vecchia Pantera
Nera e cognato di Dan) sulle sue memorie di prigione(3). Il
nostro abbandono della critica del movimento nell’aprile 1972
segnò la fine effettiva del nostro gruppo, sebbene lo
sciogliemmo esplicitamente soltanto in settembre.
Seguì un esodo. John e Michael lasciarono la regione. Dan,
Isaac e la sua ragazza Jeanne partirono in Europa, dove Tita era
tornato un po’ prima. Vedevo Ron di tanto in tanto, ma quasi
nessun altro. Le mie relazioni con molti dei vecchi amici si
erano raffreddate dal tempo dei nostri confronti nel 1970, ed
alcuni di quelli con cui mantenevo ancora dei rapporti intimi
erano tornati nel Midwest, poiché la controcultura era giunta
alla sua fine. I soli giorni felici di tutto quell’anno fu la ripresa
di relazioni con una ragazza, che era venuta dal New England
per una breve visita. Purtroppo c’erano troppi ostacoli per poter
continuare.
Isolato, depresso e frustrato dal coitus interruptus di
Contradiction, non avevo lo spirito adatto per fare nulla eccetto
la lettura, la musica classica, e lo sforzo per garantire la mia
sopravvivenza grazie al poker.
Il circolo privato dove avevo l’abitudine di giocare si era
disperso, e facevo riferimento ai casinò di Emeryville, una
piccola città vicina. Era un affare più complicato: non solo la
concorrenza era più serrata, ma in più si doveva pagare un
prezzo orario alla casa. Vi ho lavorato quasi a tempo pieno per
molti mesi, e molto rapidamente, non potevo più allontanarmi

59
Confessioni di un garbato nemico dello Stato

dal gioco. Riuniti attorno ad un tavolo di feltro verde, isolati


dal mondo esterno, si diventa disincantati. Il pensiero di tornare
a qualunque lavoro monotono sembra insopportabile quando ci
si ricorda la notte in cui si è usciti con un guadagno di molte
centinaia di dollari dopo poche ore di gioco; e si tende a
dimenticare tutte le proprie perdite o ad attribuirle ad una
sfortuna passeggera. Avevo sperato che con l’esperienza sarei
diventato gradualmente più abile e avrei guadagnato
abbastanza per passare a sfide più grandi. Ma i conti
mostravano che i miei guadagni netti si stabilizzavano intorno
ai 75 cents per un’ora. Alla fine, a novembre ho rinunciato.

[Un nuovo inizio]


Era un passo sulla strada giusta, ma non sapevo molto bene
cosa fare in seguito. Ispirato dalla lettura di Montaigne, ho
provato a scrivere dei saggi auto-analizzandomi. Questa non
sarebbe forse stata una cattiva idea in altre circostanze
(quest’autobiografia ha comportato molta auto-analisi di questo
genere), ma all’epoca non ne è sortito nulla, perché
praticamente qualsiasi argomento sul quale iniziavo a scrivere
presto o tardi mi conduceva a fare dei paragoni con
l’esperienza di Contradiction, e ciò mi deprimeva così tanto
che mi mancava il coraggio di continuare. Ma la coscienza di
eludere la questione mi metteva ugualmente in difficoltà.
In dicembre Dan, Isaac, Jeanne e Tita tornarono tutti
dall’Europa. Come lo ho già raccontato nel mio Case Study
[Caso di studio], il loro ritorno ha contribuito a rianimarmi. Ho
ricominciato a sperimentare, ho riesaminato le mie relazioni (e
questo ha condotto ad alcune rotture traumatiche), e dopo aver
rigettato tutta l’esperienza di Contradiction per molti mesi, mi
sono deciso finalmente ad esporla in un opuscolo. Come per il
mio volantino su Snyder, era un mezzo per prendere due
piccioni con una fava: dapprima, volevo arrivare a

60
Confessioni di un garbato nemico dello Stato

comprendere per me stesso ciò che era andato male, ma volevo,


allo stesso tempo, obbligare anche altre persone ad affrontare
queste questioni, quelli che erano direttamente interessati come
quelli che avrebbero potuto trovarsi implicati in esperienze
simili in futuro.
Farò più avanti alcune osservazioni sulla pratica situazionista
della rottura. Per il momento mi limiterò a ricordare che mi
rammarico della prima lettera citata in Case Study, che era
scritta a C— la ragazza di Ron. I difetti per i quali l’ho criticata
non erano in realtà più gravi del genere di piccole menzogne o
di leggere ipocrisie di cui quasi tutto il mondo si rende
colpevole. Sarebbe probabilmente bastato prendere gentilmente
le distanze da lei, come si fa generalmente in tali casi, e come
farei certamente oggi. E ciò sarebbe stato molto meno duro per
ogni persona interessata. Ma quella volta, credetti che fosse
necessario ricorrere a misure energiche per uscire dal fosso nel
quale ero caduto.
Fu proprio la conseguenza di quella lettera, nel bene e nel
male. Da una parte, aveva aperto la strada ad una rinascita
personale che ho descritto in “Case Study”; dall’altra parte, non
ha soltanto messo fine alla mia relazione con C—, ma anche a
quella con Ron, e infine pure con John e Michael. Ciò mi
rattristò profondamente, ma avevo voluto scientemente correre
questo rischio. Ironia della sorte, ho incontrato C— per caso
alcuni anni più tardi ed abbiamo riannodato i rapporti, a livello
superficiale ma amichevole; mentre la separazione da da Ron è
durata vent’anni, e non è finita che recentemente quando, dopo
avere riconsiderato l’incidente scrivendo quest’autobiografia,
ho preso l’iniziativa di scrivergli una lettera di scuse.
(Abbiamo perso contatto con Michael Lucas — che in base alle
ultime notizie viveva in Germania — e con John Adams. C’è
qualcuno che sa dove si trovino?)

61
Confessioni di un garbato nemico dello Stato

La seconda lettera critica citata in Case Study (che mi sembra


più giustificata nella misura in cui non si trattava di una lettera
di rottura, ma soltanto di una solenne sfida) era indirizzata ad
un amico di Dan, Isaac e Jeanne, mettendo così in pericolo
qualcun’altra delle mie relazioni più strette. Ma dopo alcune
esitazioni, si sono rapidamente posti dalla mia parte. La
pubblicazione di Remarks on Contradiction [Osservazioni sul
gruppo Contradiction], aggiunta ai cambiamenti sorprendenti
che realizzavo nella mia vita, iniziava ad ispirare loro delle
avventure simili, cosa che ci rendeva più intimi che mai.
Durante i due o tre mesi seguenti ci fu da noi una vampata di
auto-analisi, di esercizi neo-reichiani, di trascrizioni di sogni,
di rimesse in discussione del nostro passato, e di altre sfide ai
tratti di carattere radicati ed alle relazioni pietrificate. Tutto ciò
era salutare; ma dopo un po’ di tempo giunsi a pensare che ci
eravamo immersi in modo eccessivo nell’introspezione e nella
psicoanalisi. Scrissi loro una lettera che sottolineava il contesto
sociale delle nostre esperienze e la necessità di superare
continuamente la nostra situazione per non cadere in un altro
fosso.
Con la mia più grande gioia, risposero alla sfida facendo
passare il dialogo ad un altro livello. Tre giorni più tardi
arrivarono da me con la bozza di un grande manifesto:

Siamo stanchi di godere da soli


Spiriti veramente voluttuosi,
(...) Siamo tre persone che sono simili a voi per molti
aspetti. (...) Noi avevamo delle prospettive comuni a proposito
della vita quotidiana, che riguardano ciò che volevamo o non
volevamo della società com’è organizzata attualmente. Noi
lavoravamo il meno possibile, (...) leggevamo tutti i libri
migliori (Il Capitale, Il falcone maltese, ecc.), ascoltavamo la

62
Confessioni di un garbato nemico dello Stato

migliore musica, mangiavamo nei migliori ristoranti


economici; ci ubriacavamo, facevamo escursioni a piedi,
andavamo in spiaggia o a Parigi. (...)
Eravamo antispettatori dello spettacolo della
decomposizione. Leggevamo i giornali [nell’originale: The
Chronicle] come tutti voi, cioè “in modo critico”, il che vuol
dire che il cinismo chic che ci sembrava aggiungesse un po’ di
piccante alla nostra vita contribuiva in realtà a privarci di
spirito. Facevamo molte astute osservazioni sulle mancanze e
sugli eccessi del mondo borghese, ma nonostante che ci
rimproverassero di essere troppo audaci, eravamo in realtà
troppo timidi. (...)
Abbiamo ricevuto dei salutari calci nel didietro da Reich,
istruzioni per l’uso di Jean-Pierre Voyer e dall’uso di Voyer
fatto dal nostro amico Ken Knabb in Remarks on
Contradiction and Its Failure [Osservazioni sul gruppo
Contradiction ed il suo fallimento]. L’opera di Voyer era la
prima che dopo Debord metteva concretamente in luce la
nostra alienazione. Ci siamo resi conto che eravamo in gran
parte complici dello spettacolo regnante, e che il carattere è la
forma di questa complicità. Abbiamo iniziato a mettere in atto
il progetto strategicamente cruciale della dissoluzione del
carattere — dopo dei tentativi che psicologizzavano troppo
l’attacco contro il carattere (Isaac e Jeanne), o che si
difendevano contro quest’attacco criticando la psicologia (Dan)
— comprendendo in questo attacco quei tratti che avevamo
fino ad allora accettato come parte integrante di noi stessi,
inevitabili e permanenti delle nostre personalità, tratti che noi,
nella nostra timidezza, avevamo creduto “troppo personali” per
sottoporli alla critica eccetto quando diventavano troppo
evidentemente eccessivi. Una volta iniziato questo progetto
negativo, la positività era liberata dalle catene della
repressione. (...)

63
Confessioni di un garbato nemico dello Stato

Il nostro attacco contro questo marciume ha reso le


costrizioni esterne - soprattutto la nostra incapacità di
incontrarvi — tanto più insopportabili. L’arricchimento delle
relazioni tra noi ha messo in evidenza la povertà delle nostre
relazioni con il resto della città (...)
Noi contiamo sul fatto che quest’indirizzo ci aiuterà a
spezzare alcuni degli ostacoli che ci impediscono di
incontrarvi. (...) Ma che ve ne accorgiate o no, andiamo verso
di voi.
Per giorni senza catene e per notti senza armatura.
—Dan Hammer, Jeanne Smith, Isaac Cronin.

Poiché il manifesto a fumetti che annunciava la mia traduzione


del testo di Voyer doveva essere stampato contemporaneamente
al loro, decidemmo di diffondere insieme i due manifesti. Nei
giorni successivi ne abbiamo affissi varie centinaia ovunque
nella Bay Area.
Per quanto originale ed audace fosse il loro manifesto, le
reazioni rivelarono che mancava di chiarezza. Le decine di
lettere che ricevettero mostravano bene che aveva toccato una
corda sensibile, ma la maggior parte dei loro autori aveva
l’impressione che si trattasse soltanto di superare l’isolamento
individuale incontrando più gente, e non aveva affatto colto il
rapporto sottinteso con la critica sociale.
Tuttavia, i due manifesti ci portarono ad incontrare molta più
gente del solito — non soltanto coloro che ci avevano scritto,
ma molti altri, per le strade o nei caffè, che erano intrigati dal
nostro comportamento malizioso e vivace e perché
evidentemente ci divertivamo molto. Il mio nuovo biglietto da
visita, che mi presentava come “investigatore speciale” del
“Bureau of Public Secrets” [Ufficio dei segreti pubblici], si

64
Confessioni di un garbato nemico dello Stato

aggiungeva al miscuglio di divertimento e di mistero, quando


la gente arrivava all’inevitabile domanda: “Di che cosa vi
occupate esattamente?”
Nell’autunno 1973, andammo tutti in Europa, ma non tutti
negli stessi posti allo stesso tempo. Sono rimasto a Parigi per
tre mesi, ancora presso Roger e Linda e passando la maggior
parte del tempo con la loro cerchia di amici, che comprendeva
allora Jean-Pierre Voyer. Ero stato ispirato dallo stile in modo
molto audace del primo periodo di Voyer (il titolo “Bureau of
Public Secrets” era suggerito in parte dalla sua nozione di
pubblicità). Trovavo che era pieno di idee stimolanti, ma che
aveva anche tendenza a farsi trasportare dalle sue scoperte
teoriche, rifriggendole al punto che diventavano ideologiche.
Ero ugualmente deluso dall’apprendere che non sviluppava
alcuna delle idee embrionali che mi avevano interessato
maggiormente nel suo testo su Reich. E mi sono reso conto che
se avessi voluto vedere sviluppare queste idee, avrei dovuto
farlo io stesso (cosa che ho fatto più tardi, in una certa misura
in Double-Reflection e in Case Study).
Durante le mie prime settimane a Parigi ci furono molte
discussioni animate che giravano attorno alle idee di Voyer e
alle nostre ultime avventure in California. Presto arrivai alla
conclusione che questo sproloquio non stava portando a nulla e
che restavano molte rigidità e rimozioni nei nostri rapporti, e
scrissi una lettera a Voyer e ad altri che criticava il nostro
ambiente in generale e ognuno degli individui interessati. Ciò
ha suscitato una vampata di discussioni personali per alcuni
giorni, ma infine non cambiò nulla. Di conseguenza le nostre
relazioni si raffreddarono.
La mia impazienza era in parte dovuta al contrasto tra loro e
Daniel Denevert, che avevo appena incontrato. Lui aveva
scoperto una copia di Remarks on Contradiction in una libreria
a Parigi ed aveva deciso di tradurlo; quindi aveva saputo per

65
Confessioni di un garbato nemico dello Stato

caso che mi trovavo a Parigi, e mi aveva cercato. Lui stesso era


l’autore di un opuscolo che avevo trovato eccellente Pour
l’intelligence de quelques aspects du moment [Per
l’intelligenza di alcuni aspetti del momento]. Quest’accordo ha
contribuito ad un incontro appassionante. Passai quasi tutto il
resto del mio soggiorno a Parigi con lui e con gli altri membri
del suo gruppo, che si era appena formato, il “Centre de
recherche sur la question sociale” [Centro di ricerca sulla
questione sociale] (CRQS): sua moglie Françoise Denevert
(pseudonimo Jeanne Charles), Nadine Bloch e Joël Cornuault.

[Il gruppo “Notice”]


Quando ritornai a Berkeley in dicembre, lavoravo già su
Double-Reflection. Dan ed Isaac preparavano ciascuno dei
piccoli bollettini. Tita aveva appena pubblicato una versione
spagnola dell’articolo di Voyer su Reich ed iniziava a tradurre
le Banalità di base di Vaneigem. Robert Cooperstein (un amico
che avevamo incontrato l’anno prima) lavorava ad un opuscolo
illustrato a fumetti sui bambini. Nel marzo 1974 ricevemmo
un’inattesa prova della giustezza delle nostre prospettive
quando Chris Shutes e Gina Rosenberg pubblicarono
Disinterest Compounded Daily, una dettagliata critica di Point-
Blank dall’interno (Chris era un ex-membro e Gina vi aveva
collaborato per qualche tempo) che era ispirata in parte dalle
nostre pubblicazioni recenti.
Nei mesi seguenti ci furono collaborazioni tra noi e il CRQS.
Una volta che io completai Double-Reflection (che Joël iniziò
immediatamente a tradurre in francese) mi unii a Dan e Robert
per tradurre il recente opuscolo di Daniel, Théorie de la misère,
misère de la théorie [Teoria della miseria, miseria della teoria],
come pure altri due testi del CRQS; il capitolo sul
“derrièrisme” [indietrismo] in Double-Reflection spinse Chris a
scrivere un opuscolo sull’argomento; Chris ed Isaac scrissero

66
Confessioni di un garbato nemico dello Stato

una critica della rivista di Jon Horelick, Diversion, quindi


iniziarono a lavorare sulla loro rivista, Implications; Isaac e
Gina tradussero l’articolo di Debord sulla deriva; Isaac e Dan
composero un opuscolo su una sommossa in seguito a una
partita di baseball a Cleveland, che distribuirono durante una
partita di baseball a Oakland...
Come ci si poteva aspettare, iniziavamo a essere considerati
come un’organizzazione de facto. La gente ci scriveva in
blocco, o supponeva che una lettera di uno di noi
rappresentasse anche l’opinione degli altri. Abbiamo pensato
che avrebbe potuto essere interessante provare a mettere a
punto una dichiarazione collettiva per vedere precisamente fino
dove eravamo realmente d’accordo. Abbiamo finalmente fatto
uscire un testo alla maniera della Déclaration [Dichiarazione]
del CRQS, ma che precisava che per quanto condividevamo
alcune prospettive, ciascuno di noi agiva a proprio nome.
Notice concerning the Reigning Society and Those Who
Contest It fu pubblicato nel novembre 1974 con un secondo
manifesto che presentava le nostre pubblicazioni.
Nonostante l’indicazione contraria in Notice [Avviso], la
pubblicazione dei due manifesti contribuì paradossalmente a
rafforzare l’idea (in noi come negli altri) che costituivamo una
tendenza unificata, la cui attività si traduceva in un insieme di
testi approvati reciprocamente. Avevamo un accordo molto
ampio, ma fu probabilmente un errore sottolineare questi
aspetti comuni al prezzo di trascurare la diversità dei nostri
punti di vista e dei nostri gusti. Eravamo più interessati a
preservare la responsabilità individuale che di quanto era stato
Contradiction, ma Contradiction aveva avuto un progetto
comune di un’importanza che giustificava molto di più la
creazione di un’organizzazione formale. Il fatto di formulare
una dichiarazione collettiva può essere un mezzo proficuo per
mettere a punto le proprie posizioni, ma presenta anche dei

67
Confessioni di un garbato nemico dello Stato

rischi. Parlare a nome di una comunità portava a farsi


trascinare da una retorica esagerata, che si rischiava meno di
impiegare se si parlava soltanto a proprio nome. La presunta
“arroganza” di Notice era certamente soltanto uno sforzo
deliberato di sfidare gli altri, e ben lungi dall’essere “elitario”,
scardinava evidentemente ogni tendenza a diventare dei
seguaci, degli imitatori servili e passivi. È vero, tuttavia, che
questo tipo di stile tende a trasformarsi in’abitudine, e a
favorire un atteggiamento pomposo. Avremmo probabilmente
fatto meglio ad essere meno rigidi, più autonomi e più modesti.
Ad ogni modo, durante i tre anni successivi fummo tutti
abbastanza vicini, tanto socialmente che politicamente.
Lavoravamo anche insieme — Jeanne, Dan ed io alla rivista
Rolling Stone a San Francisco, la maggior parte degli altri
come imbianchini.
Quando lavoravo a Rolling Stone (come compositore) esaminai
la possibilità di realizzare alcuni deturnamenti, come la
sostituzione di una delle pagine con un testo che avrebbe
criticato la rivista ed i suoi lettori, ma ciò non risultò attuabile
sul piano tecnico. In modo più inoffensivo, semplicemente per
divertire i miei compagni di lavoro, una notte mentre attendevo
testi da dattilografare composi un’imitazione dell’indice della
rivista, modellata sulle meravigliose trading cards “Grandi
Momenti nel Vuoto” di Dan...
[Nota del traduttore: Non ho tradotto questo pastiche, poiché
contiene vari giochi di parole di non semplice trasposizione e
numerosi riferimenti che potrebbero risultare non sempre
comprensibili al lettore italiano.]
Nell’estate del 1975 lasciai il mio posto a Rolling Stone per
ricominciare a lavorare su alcune note che avevo preparato
l’anno prima. Il primo numero (ed il solo) della mia rivista
Bureau of Public Secrets [Ufficio dei segreti pubblici] fu

68
Confessioni di un garbato nemico dello Stato

completato nel gennaio 1976. Appena fu stampato e distribuito,


io andai a Parigi.
A parte due brevi viaggi a Londra ed a Bordeaux, rimasi dai
Denevert per tre mesi — qui come altrove in questo testo,
ometto molti degli incontri, delle collaborazioni e in generale
dei bei momenti passati, per concentrarmi di più su alcune
svolte essenziali. Nell’insieme c’era una buona intimità. Ma
nonostante il nostro accordo su molti dei punti, una divergenza
apparve sempre più chiaramente sulla questione delle rotture.
Durante il mio soggiorno loro avevano rotto con molte persone
per ragioni che mi sembravano abbastanza astruse. Questa
divergenza causava maggiori difficoltà quando tali rotture
riguardavano gente con cui avevo relazioni strette. Joël
Cornuault era stato escluso dal CRQS alcuni mesi prima, e
Nadine Bloch si trovava in una posizione abbastanza scomoda,
tra lui e Denevert. Il fatto che vedevo spesso Nadine, mentre
Denevert non la vedeva quasi più, causò a volte delle situazioni
imbarazzanti e delicate. In alcuni momenti poteva sembrare
che un riavvicinamento fosse in corso; poi, una nuova rottura
interveniva a causa di qualcosa di poco importante in
apparenza. Benché riuscissi a comprendere abbastanza bene il
francese, alcune sfumature mi sfuggivano ancora. Quando, ad
esempio, una parte mi spiegava che tale frase in una lettera
dell’altra era sarcastica ed ironica, l’altra lo negava...

[Lo scioglimento di una comunità]


Poco dopo essere ritornato a Berkeley, ricevetti una lettera di
Daniel che annunciava una “rottura a catena” con Nadine; cioè
non rompeva soltanto con Nadine, ma ugualmente con
chiunque mantenesse qualunque relazione con lei. Tutta questa
faccenda non mi era molto più chiara di quanto lo fosse prima
(lui giustificava l’ultimatum per via del tono di una recente
lettera di lei), ma dopo aver soppesato la questione con un certo

69
Confessioni di un garbato nemico dello Stato

tormento ho deciso di affidarmi al sentimento di rispetto che


avevo per le capacità di discernimento di Daniel. Una simile
fiducia avrebbe potuto essere giustificata se si fosse trattato di
una persona sconosciuta, ma in quel caso avrei dovuto rifiutare
quella richiesta. Anche se avesse messo fine al mio rapporto
con Daniel, questo fatto avrebbe potuto porre prima per tutti
noi la questione delle rotture, ed in una maniera più netta di
come lo sia stata in seguito. Dopo aver capitolato in questo
modo, diventava sempre più difficile per me prendere una
posizione chiara sulle questioni dello stesso genere che
emersero pochi mesi dopo.
Nonostante il carattere desolante di questo affaire, il suo
impatto su di me fu alleviato dal fatto che, per il momento,
riguardava soltanto le mie relazioni in Francia. A Berkeley,
tutto sembrava andare abbastanza bene. Avevo iniziato a
prendere delle note per The Realization and Suppression of
Religion a Parigi, e mi lanciai in questo progetto a tempo pieno
fin dal mio ritorno. Iniziai anche ad imparare lo spagnolo ed il
giapponese in corsi serali. Un corrispondente in Spagna stava
preparando una piccola antologia di testi del BPS e del CRQS e
volevo comprendere abbastanza bene lo spagnolo per poter
controllare le sue traduzioni (comunque alla fine abbandonò il
suo progetto). Corrispondevo anche con Tommy Haruki,
anarchico giapponese che mostrava un vivo interesse per i
situazionisti, e prevedevo di andare in Giappone. A parte le
motivazioni politiche, mi ero sempre interessato allo zen ed
alla cultura giapponese. Facevo un po’ di zazen ogni mattina, e
Robert, Tita ed io ci divertivamo molto ad un corso di karaté.
Le mie relazioni con loro e con gli altri amici che avevano
firmato Notice sembravano sempre abbastanza buone.
Ma ciò non durò a lungo. Alcuni mesi più tardi, una grave
rottura intervenne tra noi. Ironicamente si produsse proprio nel
momento in cui completavo l’opuscolo sulla religione, che era

70
Confessioni di un garbato nemico dello Stato

concepito in parte per mettere in questione gli aspetti


dell’ambiente situ che tendevano a generare questo tipo
d’ostilità e di delirio.
Nel gennaio 1977, Chris scrisse una lettera ai Denevert che
metteva in questione le modalità della loro rottura con Joël e
Nadine. Risposero con una lettera sferzante indirizzata in
blocco a tutti i firmatari di Notice. In questa risposta, i
Denevert non criticavano soltanto molte delle affermazioni di
Chris, giudicavano anche che la sua lettera era una flagrante
manifestazione delle diverse incoerenze di cui tutti avevamo
dato prova, o che almeno avevamo tollerato da tempo. Dopo
molte discussioni su queste questioni, decidemmo di rompere
con Chris — non tanto a causa delle opinioni disapprovate dai
Denevert (su alcune di queste opinioni eravamo almeno in
parte d’accordo con Chris) quanto a causa del riesame di
alcune tendenze ricorrenti nella sua attività negli ultimi anni.
I Denevert conclusero che noi lo stavamo utilizzando come
capro espiatorio, e ruppero con noi in aprile. Alcune settimane
più tardi Gina finì per allinearsi alla stessa posizione, e impose
che ciascuno di noi “(1) facesse una denuncia totale e pubblica
della rottura con Chris e della lettera che formalizzava questa
rottura; (2) (...) annunciasse la sua intenzione di fare un
resoconto pubblico come momento del suo ritorno alla pratica
rivoluzionaria, (...) una formalizzazione scritta della verità
pratica che avrà colto nella sua lotta per mettere a punto la sua
prospettiva dopo la fine dell’epoca di Notice; (3) cessasse ogni
relazione con qualsiasi firmatario di Notice che non fosse in
grado di soddisfare a questi due criteri”. Nel corso del mese
che seguì Chris, Isaac, Robert e Tita accettarono queste tre
richieste. Dan ed io le rifiutammo.
Credo ora che la rottura con Chris fosse ingiustificata,
soprattutto tenuto conto delle circostanze nelle quali si era
prodotta. I Denevert ci avevano sfidato a chiarire la nostra

71
Confessioni di un garbato nemico dello Stato

attività individuale e collettiva. Avremmo dovuto inizialmente


fronteggiare le questioni fino a che ciascuno di noi avesse
capito dove si trovava, invece di imbarcarsi esagerando
l’importanza dei difetti di Chris, che visti retrospettivamente
non mi sembra che fossero stati tanto gravi. Comunque, in
quell’epoca non credevo che la rottura fosse così ingiustificata
da esigere una “denuncia totale”; ed in ogni caso non avevo
alcuna intenzione di “annunciare” un resoconto pubblico
dell’affare prima di avere qualcosa di preciso da dire.
Accadde che nessuno di quelli che si erano ricongiunti alla
posizione di Gina assolse mai alla sua seconda esigenza, ad
eccezione di Isaac. Ed il suo testo bilioso (The American
Situationists: 1972-77) comprendeva tante distorsioni e
contraddizioni che è finito per dispiacere allo stesso Isaac che
ne bloccò la diffusione, benché non si sia mai dato la pena di
disconoscerlo pubblicamente.
Cominciai una critica del testo di Isaac, che, tra l’altro,
proiettava su di me pretese ed illusioni alle quali mi ero di fatto
opposto con veemenza ogni volta che si erano manifestate (più
spesso in Isaac o Chris); ma compresi finalmente che si trattava
di una distorsione così grezza della realtà che sarebbe stato
necessario un testo molto lungo perché la questione fosse
sufficientemente svolta. Non avevo alcun interesse a lasciarmi
trascinare in un progetto così lugubre, tenuto conto che non
avrei potuto fare nient’altro che confutare le sue deformazione
o ribadire opinioni che avevo già espresso altrove.
Daniel diffuse un’analisi più seria e più coerente della sua
posizione sulla faccenda in Sur les fondements d’un divorce
[Sulle basi di un divorzio]. C’erano alcuni aspetti del suo
resoconto che avrei potuto negare, ma la sua opinione
principale era semplicemente che Françoise e lui avevano una
posizione più rigorosa di noi sulle relazioni e le rotture, cosa
che era abbastanza veritiera. Senza voler ridurre al minimo

72
Confessioni di un garbato nemico dello Stato

l’importanza delle nostre altre differenze, credo che alcune


riflettessero soltanto la nostra distanza geografica. Così i miei
inutili tentativi per fare circolare le pellicole di Debord negli
Stati Uniti, dove la teoria situazionista era ancora quasi
sconosciuta e dove avrebbero potuto avere un impatto salutare,
erano visti da Daniel come se contraddicessero i suoi sforzi per
criticare lo sviluppo di un’ortodossia “debordista” in Francia
(critica espressa in particolare nel suo testo del dicembre 1976,
Suggestions relatives au légitime éloge de l’I.S. [Suggerimenti
relativi al legittimo elogio dell’I.S.]. Ma le condizioni
prevalenti in Francia erano del tutto diverse.
Perché non reagii a questo pasticcio rendendolo pubblico,
come avevo fatto in Remarks on Contradiction? Dapprima la
mia frustrazione dopo il crollo di Contradiction era dovuta al
fatto che tanti sforzi promettenti non avevano mai raggiunto
una conclusione. Ma nel caso presente avevamo già
comunicato l’essenziale di ciò che dovevamo dire in numerose
pubblicazioni. D’altra parte, benché avessi molte cose da dire
sulle ragioni del fallimento di Contradiction, non avevo
raggiunto alcuna conclusione chiara sulle cause della rovina del
gruppo “Notice”. Praticamente la sola conclusione che trassi da
tutto quel misero affare era una determinazione personale a non
cedere mai più alle pressioni in materia di rottura.
Avrei probabilmente fatto meglio a pubblicare almeno una
dichiarazione pubblica, piuttosto che lasciar prolungare questa
faccenda con la circolazione di voci non smentite. Ma a
distanza di tempo, quando ogni persona interessata ha da tempo
abbandonato le sue vecchie posizioni, sarebbe di scarso
interesse ritornare sui dettagli contestati, che presentano scarso
interesse.
Tuttavia questa è certamente una buona occasione per fare
alcune osservazioni sulla controversa questione delle rotture di
stampo situazionista.

73
Confessioni di un garbato nemico dello Stato

Inizialmente, semplicemente per vedere la cosa nel suo


contesto e per non perdere il senso delle proporzioni, occorre
ricordare che con la rottura, i situazionisti non facevano
nient’altro che scegliere le loro frequentazioni e indicare, nei
casi in cui ci sarebbe potuta essere una certa confusione, le
persone con le quali non volevano essere accomunati. Tale
pratica non ha nulla di elitario. Coloro che vogliono realmente
reclutare seguaci devoti impiegano del tatto, non gli insulti. I
situazionisti hanno cercato di provocare gli altri ad agire in
modo autonomo. Se le “vittime” delle loro rotture si sono
mostrate incapaci di farlo, ciò non ha fatto che confermare la
giustezza della rottura.
Progetti di natura differente richiedono differenti criteri.
Cominciando dalla critica dell’ambiente culturale
d’avanguardia nel quale si trovavano negli anni 50, quindi
evolvendo verso una critica più generale del sistema mondiale,
il progetto dei situazionisti era allo stesso tempo estremamente
ambizioso e strettamente legato alla loro situazione particolare.
Sarebbe stato assurdo per loro accettare di collaborare con
coloro che non comprendevano la natura di questo progetto, o
che erano legati a pratiche che erano in contraddizione con
quest’ultimo. Il boicottaggio, da parte della I.S. di questa o
quell’istituzione culturale, ad esempio, avrebbe evidentemente
perso tutta la sua forza se uno qualunque dei membri dell’I.S.
avesse continuato a mantenere relazioni con queste istituzioni.
Uno dei loro primi articoli ha sottolineato il rischio di perdere
la propria coerenza radicale nell’ambiguità dell’ambiente
culturale:
Prese in questo quadro, le persone non hanno né il bisogno né
la possibilità oggettiva di alcun tipo di sanzione. Si trovano
sempre, nello stesso punto, educatamente (...) Il “terrorismo”
dell’esclusione nell’I.S. non può minimamente essere
comparato alle pratiche consimili nei movimenti politici, ad

74
Confessioni di un garbato nemico dello Stato

opera delle burocrazie che detengono un potere. Al contrario è


l’ambiguità estrema della condizione degli artisti, in qualsiasi
momento sollecitati ad integrarsi nella piccola sfera del potere
sociale ad essi riservata, che impone una disciplina. Questa
disciplina definisce chiaramente una piattaforma incorruttibile,
che una volta abbandonata non si potrà riguadagnare.
Altrimenti si avrebbe una rapida osmosi tra questa piattaforma
e l’ambiente culturale dominante, per la molteplicità delle
uscite e dei rientri. [I.S. nº 5, p. 3. Per altri articoli relativi alle
rotture, vedere I.S. nº 1, pp 25-26; nº 10, pp 68-70; nº 11, pp
37-39.]
Basta ricordare quanti movimenti politici o culturali radicali
hanno perso la loro audacia, e infine la loro identità,
abituandosi a piccoli compromessi, ritagliandosi delle comode
nicchie nel mondo universitario, aprendosi con i ricchi e la
gente famosa, dipendendo dalle sovvenzioni governative o da
fondazioni, piegandosi ai gusti degli spettatori, provvedendo a
critiche ed intervistatori, ed adattandosi in tanti altri modi allo
statu quo. Si può affermare senza pericolo di ingannarsi che se
l’I.S. non avesse avuto una politica rigorosa in fatto di rotture e
di esclusioni, avrebbe finito con il trasformarsi in un gruppo
d’avanguardia amorfo ed inoffensivo, come tutti quelli che
appaiono e spariscono ogni anno, e che sono citati soltanto
nelle note in fondo pagina negli studi di storia della cultura.
una questione pratica, non etica. Non si tratta soltanto del fatto
che la pubblicazione dell’opuscolo De la misère en milieu
étudiant [Sulla miseria nell’ambiente studentesco] sarebbe
parsa ipocrita se i situazionisti fossero stati universitari. Se
fossero stati universitari, non sarebbero stati capaci di
scriverlo. La chiarezza dei testi dell’I.S. era legata direttamente
all’intransigenza dei loro autori. Non si perviene ad una vera
avanguardia senza avere rotto i propri legami con le routine e i
compromessi intorno a sé.

75
Confessioni di un garbato nemico dello Stato

Ma ciò che era opportuno per l’I.S. non lo è inevitabilmente


per altra gente in altre circostanze. Quando i situazionisti erano
isolati e quasi sconosciuti, hanno fatto bene a fare in modo che
la loro prospettiva unica non fosse compromessa. Ora che
questa prospettiva è condivisa da migliaia di persone ovunque
nel mondo e non potrebbe assolutamente essere repressa
(benché possa sempre, certamente, essere recuperata nei diversi
modi), mi sembra che la vecchia boria situ trovi minori
giustificazioni. Un gruppo radicale potrebbe sì decidere di
separarsi da alcuni individui o da alcune istituzioni, ma avrebbe
meno ragione ad agire come se tutto dipendesse dalla sua
intransigenza, ed ancora meno a lasciar intendere che i suoi
standards dovrebbero essere adottati da tutti.
La pratica della critica pubblica condotta dai situazionisti, che
obbliga le persone a prendere posizioni nette e che tende così a
produrre polarizzazioni radicali, ha avuto il merito di favorire
l’autonomia; ma, in parte, credo, a causa di alcuni fattori che
ho esaminato nel mio opuscolo sulla religione, questa pratica
ha finito per sviluppare una sua dinamica autonoma ed
irrazionale. Antagonismi personali sempre più insignificanti
sono giunti ad essere trattati come gravi differenze politiche.
Nonostante il carattere giustificato di alcune rotture, tutto il
milieu situ è finito per sembrare abbastanza ridicolo a partire
dal momento in cui quasi tutti si erano praticamente separati da
tutti gli altri. Ed alcuni dei partecipanti ne sono stati così
traumatizzati che hanno finito per respingere l’esperienza nel
suo insieme.
Non sono mai andato fin là. Non ho mai rinunciato alla mia
prospettiva radicale e, a parte alcune sfumature,
fondamentalmente situazionista; e non ho alcuna intenzione di
farlo. Ma sono stato scoraggiato dalla nostra rottura del 1977.
Per anni ci ho pensato, provando a comprendere come era
potuto accadere. Finché mi opprimeva, mi era difficile essere

76
Confessioni di un garbato nemico dello Stato

audace come lo ero stato prima in alcuni momenti. Continuavo


a prendere note su diversi argomenti, ma ad eccezione di due o
tre progetti che erano relativamente brevi e circoscritti, non fui
capace di completare nulla. Oltre alle difficoltà oggettive
attinenti agli argomenti stessi (il riflusso accelerato dell’attività
radicale verso la fine degli anni 70, in particolare) c’erano
inevitabilmente delle ramificazioni che riportavano al vecchio
trauma.
Quando, in seguito alla rottura, mi trovai di colpo separato da
molti dei miei migliori amici, e nell’incertezza riguardo a ciò
che avrei fatto in seguito, pensai che fosse giunto il momento
buono per andare in Giappone. Durante l’estate seguii un corso
intensivo di tre mesi di giapponese all’università, ed in
settembre presi l’aereo per Tokio.

[NOTE]
1. Benché il termine situazionista si sia applicato inizialmente
ai soli membri dell’I.S., è stato usato successivamente in un
significato più ampio, per designare altri individui che
perseguivano attività più o meno simili. Qui come in altri miei
scritti, il contesto deve generalmente far comprendere in quale
senso uso il termine. Il passato è applicato di solito soltanto
all’I.S.; il presente — come in gran parte di La società del
situazionismo e di La realizzazione e la soppressione della
religione — indica generalmente il significato più ampio.
2. Occorre citare un altro pensatore che abbiamo scoperto
indipendentemente dall’I.S., e che ci ha molto influenzati:
Josef Weber. Era il principale animatore di Contemporary
Issues, rivista radicale poco conosciuta ma di notevole qualità
che fu pubblicata a Londra tra il 1948 ed il 1970. Abbiamo
imparato molto sulla storia recente leggendo gli articoli sensati

77
Confessioni di un garbato nemico dello Stato

e ben documentati dei vecchi numeri di CI, e abbiamo trovato


molte idee stimolanti negli scritti penetranti, sebbene a volte
abbastanza eccentrici, di Weber. (cfr l’articolo su Weber e CI in
Notes and Reviews.)
3. Dopo l’assassinio di Jimmy nel 1972 (che fu forse il
prodotto di una macchinazione COINTELPRO), hanno
completato e pubblicato il libro con il titolo Bad: The
Autobiography of James Carr (1975; reissued by Carroll &
Graf, 1995). (Traduzione francese: Crève, Stock, 1978;
ristampato recentemente da Ivréa.)

78
Confessioni di un garbato nemico dello Stato

Parte 3 (1977-1997)

[Viaggio in Giappone e a Hong Kong]


Rimasi in Giappone per due mesi. In un primo tempo a
Fujinomiya, una tranquilla cittadina ai piedi del monte Fuji
dove abitavano Tommy Haruki e la sua famiglia. Era così
lontana dalle vie battute che alcuni bambini delle vicinanze non
avevano mai visto uno straniero.
Dopo una o due settimane, ritornai a Tokio per incontrare
alcuni giovani anarchici che stavano traducendo il mio testo
The Society of Situationism. Era un lavoro interessante, ma a
causa dell’assenza di attività situazionista in Giappone, c’erano
naturalmente molte sfumature sull’ideologizzazione che non
potevano cogliere, e dubito che la loro traduzione sia stata ben
compresa.
È incontrai molti altri anarchici a Tokio, ma nell’insieme
questo ambiente mi sembrò privo d’interesse. Giusto per
vedere se potevo risvegliarli un po’, scrissi una lettera aperta e
apertamente critica ad un gruppo (Open Letter to the Tokyo
“Libertaire” Group) che Haruki tradusse e distribuì ai suoi
contatti anarchici ovunque in Giappone. Il gruppo la ristampò
con due risposte del tipo “Se non avete nulla di gradevole da
dire, tacete”.
In novembre andai a Hong Kong per tre settimane per
incontrare i “70”, un gruppo anarchico che diffondeva
informazioni sul dissenso in Cina, in un’epoca in cui tali
informazioni erano difficili da trovare e in cui molta gente si
faceva ancora delle illusioni su Mao e sulla “rivoluzione
culturale”. Pubblicai più tardi una critica del gruppo e delle sue

79
Confessioni di un garbato nemico dello Stato

pubblicazioni. Con mia grande sorpresa ed con mia grande


delusione, questo testo non ricevette alcuna risposta pubblica
dei 70, anche se pare che abbia causato dei dibattiti interni.
“Benché alcuni compagni oltreoceano abbiano trattato con
disdegno il tuo opuscolo A Radical Group in Hong Kong [Un
gruppo radicale a Hong Kong], c’è un certo numero di persone
qui (tra cui gente come me che non ti ha mai incontrato) che
sono completamente d’accordo con le tue critiche ai 70 fin nei
minimi dettagli” mi scrisse un corrispondente. Purtroppo, finì
per allinearsi al dogmatismo stantio della Corrente Comunista
Internazionale, il che non era un progresso. Il gruppo dei 70 si
sciolse all’inizio degli anni 80.
Ritornato in Giappone, incontrai degli altri anarchici a Kyoto e
ad Osaka. Collaborai con Haruki alla ristampa di una
traduzione giapponese dell’opuscolo De la misère en milieu
étudiant [Sulla miseria nell’ambiente studentesco] che
avevamo trovato; e munito di numerosi dizionari, gustai quelle
ultime conversazioni accompagnate da tazze di saké caldo,
particolarmente piacevole allora che il freddo di dicembre
iniziava a penetrare nelle case mal isolate. Quindi tornai a
Berkeley.
Provavo sensazioni contraddittorie rispetto al Giappone.
Certamente, non mi piaceva il conformismo, né l’etica del
lavoro, né la persistenza delle gerarchie e delle barriere
sessiste. Bisogna usare delle forme grammaticali diverse a
seconda che siate uomo o donna, o che parliate ad un superiore
o ad un inferiore. Non potevo prendere queste cose seriamente.
Ma apprezzavo alcuni aspetti della loro cultura: l’architettura e
l’arredamento tradizionali; il comportamento modesto ed
educato; la cucina deliziosa; la pulizia quasi fanatica — la
pratica di togliere le scarpe prima di entrare in una casa mi è
sembrata così pratica e comoda che l’ho adottata da allora. E
nonostante la sua difficoltà, trovai la lingua affascinante. Ho

80
Confessioni di un garbato nemico dello Stato

continuato a studiarla a Berkeley, con l’idea che avrei potuto


tornarci per starci per qualche tempo. Ma alla fine non l’ho mai
fatto, soprattutto perché non ho sentito parlare di qualche
nuovo sviluppo interessante in quel paese né di nuovi
compagni da incontrare. Ho abbandonato gli studi dopo un
anno, ed ora ho dimenticato quasi tutto. Ma mi è piaciuto
finché è durato.
A parte lo studio del giapponese, passai la maggior parte del
1978 a fare il correttore di bozze. Per vent’anni me la sono
cavata lavorando free-lance come correttore o come correttore-
redattore. Non è un lavoro molto appassionante, ma mi lascia
molto tempo libero. Avendo gusti abbastanza modesti e non
dovendo provvedere alle necessità di una famiglia, sono
riuscito a vivere in modo abbastanza confortevole per tutta la
mia vita d’adulto, con redditi che non hanno mai superato la
soglia ufficiale di povertà. I miei due unici eccessi, la scrittura
ed i viaggi, sono eccessi solo apparentemente. Le vendite delle
mie pubblicazioni hanno quasi coperto le spese di stampa —
non conto le mie ore di “lavoro”, che sono generalmente state
piacevoli — ed anche i miei viaggi all’estero sono stati
relativamente poco costosi perché vado in generale soltanto
dove ci sono degli amici che mi possono ospitare.
In autunno iniziai a seguire attentamente lo sviluppo della
rivolta in Iran, leggendo i resoconti nella stampa e articoli
generali sulla recente storia politica dell’Iran e del Medio
Oriente. Nel marzo 1979 pubblicai il manifesto The Opening in
Iran, di cui distribuii molte centinaia di copie ai gruppi di
studenti radicali iraniani in America. Speravo che alcune copie,
o almeno alcune delle idee, arrivassero in Iran, ma non so se
ciò è mai accaduto. Alcuni iraniani che ho incontrato erano
abbastanza simpatici, ma la maggior parte era troppo presa
dalla dinamica degli eventi, e troppo attaccata all’Islam o ad
una o ad un’altra variante del leninismo, per comprendere una

81
Confessioni di un garbato nemico dello Stato

prospettiva realmente radicale. Alcuni hanno anche minacciato


di spaccarmi la faccia per aver denigrato Khomeiny. Il mio
testo è stato criticato per aver sottovalutato la preponderanza
dell’elemento religioso nella rivolta. Avevo supposto che la
potenza e la natura reazionaria del movimento khomeinista
fossero già abbastanza evidenti perché ci fosse la necessità di
pronunciarsi a lungo sull’argomento. Del resto, benché la
vittoria finale di Khomeiny sembrasse probabile, non pensavo
che fosse decisa in anticipo. E di fatto, gli sono stati necessari
molti mesi per consolidare realmente il suo potere. A parte la
prima frase un po’ troppo entusiasta che ho aggiunto spinto da
un impulso dell’ultimo minuto, il mio testo era semplicemente
un tentativo di troncare le confusioni correnti e di distinguere le
forze ed i fattori in gioco. Presentava delle possibilità, non
delle probabilità né delle previsioni. Qualcuno mi ha scritto più
tardi: “Ero in Iran poco dopo la rivoluzione. Ho fatto autostop
dalla frontiera pakistana fino alla frontiera turca. Potrei fornire
decine di esempi in cui la gente comune ha preso il potere. La
vostra analisi della situazione in Iran e dei suoi sviluppi
possibili è la sola cosa che abbia letto che abbia la minima
rassomiglianza con la verità.” Non so nulla sull’affidabilità di
questa persona, ma ogni frase del mio testo era basata su fonti
documentate, la maggior parte delle quali non è più radicale di
Le Monde o di Christian Science Monitor.
Tra parentesi, il Monitor è la sola pubblicazione d’attualità non
alternativa che leggo regolarmente. Vi sono abbonato da
quando lo scoprii facendo delle ricerche per il mio testo
sull’Iran. Certamente, è lontano dall’essere radicale, ma lo
trovo meno nauseabondo degli altri giornali americani, e nei
limiti della sua prospettiva vagamente umanitaria e progressista
(la sua prospettiva religiosa si impone soltanto di rado),
contiene un maggior numero di informazioni internazionali e
concede meno spazio alle ultime notizie sensazionaliste.

82
Confessioni di un garbato nemico dello Stato

Nell’autunno 1979 andai in Europa per quattro mesi. Passai


molte settimane visitando i miei contatti di Mannheim, Nantes,
Bordeaux, Barcellona, Atene e Salonicco. Il resto del tempo
rimasi a Parigi, soprattutto da Joël e Nadine, con cui ero di
nuovo in rapporti eccellenti (mi avevano reso visita in
California l’anno precedente). Vidi anche i Denevert qualche
volta. Dopo la nostra rottura del 1977, avevano, anche loro,
passato un brutto periodo che li aveva finalmente portati a
rimettere in questione l’ostilità ed il delirio che aveva spesso
accompagnato le rotture nell’ambiente situ, ed avevano
cominciato a riconciliarsi con alcuni di quelli con cui avevano
rotto. Ciò non voleva dire che si fossero rassegnati a riprendere
relazioni superficiali e ordinarie. Un anno più tardi fecero
circolare una serie di Lettres sur l’amitié [Lettere sull’amicizia]
in cui discutevano delle loro esperienze recenti sul terreno delle
relazioni politiche e personali e in cui si dichiaravano in
“sciopero d’amicizia” per una durata illimitata. Fu l’ultima
volta in cui ho avuto loro notizie. Quando ho provato a
contattarli successivamente, erano partiti senza lasciare un
indirizzo. (C’è qualcuno che sappia dove si trovino?) (Nota
aggiunta in seguito: Dopo li ho ritrovati.)
A Parigi, redassi un volantino, a proposito di niente in
particolare (prevedevo di diffonderlo a caso nella
metropolitana, ed in altri luoghi). Per una ragione qualunque,
non l’ho mai fatto stampare. Eccolo dunque per la prima volta,
diciassette anni più tardi:

SPLEEN DI PARIGI
A Parigi più che ovunque altrove, specialmente dopo i
situazionisti, tutto è stato detto ma pochi ne hanno tratto
vantaggio. Poiché la teoria è in sé banale, può andare a
vantaggio solo degli spiriti che non lo sono. I testi radicali
diventano di routine come il lavoro ed il consumo che

83
Confessioni di un garbato nemico dello Stato

denunciano. Certamente occorre abolire lo Stato ed il lavoro


salariato, liberare la nostra vita quotidiana, ecc. Ma si diventa
disincantati. Diventa difficile pensare per sé. La rivoluzione è
contenuta dalla sovraesposizione.
Solo eccezionalmente le nostre lotte sono aperte e chiare.
La maggior parte del tempo siamo impigliati da ciò che
vogliamo combattere. facile, e confortante, biasimare i
capitalisti, i burocrati o la polizia; ma è soltanto grazie alla
complicità passiva delle “masse” che queste piccole minoranze
hanno qualche potere. Non è tanto un “errore” dei sindacati o
dei mass media se distorcono le lotte operaie — dopo tutto, è la
loro funzione — quanto un errore degli operai che non sanno
garantire la comunicazione delle loro esperienze e delle loro
prospettive.
Che il sistema ci sfrutti, ci faccia del male e ci tenga
nell’ignoranza, è abbastanza brutto; ma il peggio, è che ci
perverte, ci trasforma in creature meschine, mediocri, vili. Se ci
presentano una sola grezza tentazione di auto-tradimento,
siamo forse capaci di rifiutarla. Ma poco a poco mille
compromessi corrodono la nostra resistenza. Diventiamo
incapaci della minima sperimentazione, per il timore di
indebolire le difese che abbiamo costruito per respingere la
nostra vergogna. Anche quando arriviamo a considerare
un’azione critica, esitiamo; immaginiamo innumerevoli
obiezioni — abbiamo paura di sembrare stupidi o di avere
torto, temiamo che la nostra idea non vada, o se va, che non
voglia dire molto.
Ipocrita lettore, la tua espressione disincantata non
nasconde il fatto che conosci molto bene ciò che dico. Passi da
un’ideologia a un’altra, e ciascuna contiene appena quella
quantità di verità per riuscire a trattenerti, ma resta abbastanza
frammentaria per impedirti di affrontare concretamente la
totalità. Di disillusione in disillusione, finisci per non credere a

84
Confessioni di un garbato nemico dello Stato

nulla che non sia la natura illusoria del tutto. Spettatore cinico,
come tutti gli altri ti vanti di essere “differente” dagli altri. Ti
consoli disprezzando l’ingenuo, il provinciale, il cafone, la
persona che crede ancora in Dio o nel suo lavoro — la cui
sottomissione caricaturale è presentata in modo ripugnante
precisamente per farti dimenticare la tua sottomissione. Dici a
te stesso che tutto ciò che si applica alla maggior parte della
gente, non sia valido per te; mentre la persona accanto a te
pensa che ciò che è valido per te non si applichi a lei.
Tu immagini vagamente che in un modo o in un altro la tua
vita potrebbe migliorare. Hai qualche ragione reale per
crederci? Andrai avanti così fino alla morte? Non hai un po’ di
audacia, d’immaginazione?
Il dialogo deve preoccuparsi di eliminare le condizioni che
eliminano il dialogo!
Risolviamo l’anacronistica “questione sociale” per poterci
dedicare a problemi più interessanti!
La meschineria è sempre controrivoluzionaria!

[L’Antologia dell’I.S.]
Ritornato a Berkeley, cominciai il lavoro sulla Situationist
International Anthology. Per anni ero stato frustrato dalla
mancanza di traduzioni dei testi dell’I.S. La maggior parte di
quelle che esistevano erano imprecise, e le meno cattive, poco
numerose, erano spesso esaurite. Era dunque difficile, leggendo
soltanto alcuni articoli dispersi, prendere conoscenza della
prospettiva situazionista nell’insieme e spiegarsi il modo di cui
si era sviluppata. E la sola raccolta generale, Leaving the
Twentieth Century di Christopher Gray, era inadeguata per più
aspetti. Avevo già pensato di fare io stesso delle traduzioni, ma
la mia proposta del 1975 nel manifesto The Blind Men and the

85
Confessioni di un garbato nemico dello Stato

Elephant [I ciechi e l’elefante] non aveva interessato alcun


editore, e l’idea di pubblicare una grande raccolta curata da me
stesso mi sembrava opprimente. Inoltre, due editori
commerciali avevano successivamente annunciato la loro
intenzione di fare uscire il Trattato di Vaneigem, abbandonando
in seguito il progetto, e ciò ritardò ancora la nostra impresa.
Infine, dopo altre voci di nuove traduzioni che si rivelarono
anch’esse senza fondamento, conclusi che se volevo una
raccolta accettabile, avrei dovuto farla io stesso. Benché la mia
conoscenza del francese non fosse ancora completa all’epoca,
comprendevo quasi perfettamente i testi situazionisti, ed potei
usufruire della collaborazione di Joël e Nadine per chiarire
tutto ciò che mi restava oscuro.
Quando il lavoro si trovò sufficientemente avanzato, inviai una
presentazione ad una trentina di editori. Ma mi obiettarono che
gli scritti situazionisti erano troppo difficili o troppo oscuri —
pregiudizio corrente. Retrospettivamente, il loro rifiuto fu
probabilmente positivo. Se fossi riuscito ad interessare un
editore, avrei forse dovuto preoccuparmi della possibilità che
volesse discutere la scelta sui testi o insistere per introdurre una
prefazione redatta da una celebrità radicale, o aggiungere in
quarta di copertina delle citazioni di critiche incompetenti, o
ritardare l’edizione o lasciare il libro esaurirsi senza
ristamparlo, ecc. Pubblicando il libro curato da me, ho potuto
controllare tutto il progetto. Tra l’altro, ho potuto rinunciare a
qualsiasi copyright, come faceva l’I.S., mantenere il prezzo a
un livello ragionevole ed inviare una grande quantità di copie
gratuite a carcerati o a compagni poveri in Europa orientale e
nel Terzo Mondo.
La realizzazione richiese quasi due anni. Era poco prima
dell’avvento delle edizioni a buon mercato. Oggi, avrei potuto
risparmiare centinaia di ore di lavoro e migliaia di dollari sulla
composizione, l’indicizzazione, il collage, ecc. ma poiché

86
Confessioni di un garbato nemico dello Stato

pensavo che questi testi rappresentassero il corpus della più


importante critica sociale diel Novecento, ero felice di fare
tutto ciò che era necessario per presentarli nel modo più
accurato possibile.
Non credo che ci siano errori significativi nella mia traduzione,
anche se avrei potuto rendere alcuni passaggi più chiaramente,
come ho fatto nella nuova versione dell’articolo sulla
sommossa di Watts che ho pubblicato recentemente. Alcuni
hanno criticato la mia decisione di conservare le parole dérive e
détournement nella versione inglese, ma non ho trovato alcuna
traduzione soddisfacente. Per contro, penso ora che
récupération si possa rendere più chiaramente con
“cooptation”, nonostante le connotazioni leggermente differenti
delle due parole.
Come accade con ogni antologia, alcuni lettori si trovarono in
disaccordo sulla scelta degli articoli. Michel Prigent, che
sembra non avermi mai perdonato di avere segnalato che le sue
traduzioni (pubblicate sotto i nomi “Piranha” e “Chronos”)
erano troppo letterali, mi ha accusato di aver fatto una
selezione in funzione delle mie “prospettive ideologiche”. Ma
oltre alla proposta implicita di includere uno o due testi che
egli stesso aveva già tradotto, la sua sola proposta era di
realizzare un’edizione inglese integrale di tutti i numeri della
rivista francese. Spero che qualcuno lo farà un giorno questo
lavoro, ma avrebbe triplicato il tempo ed il costo di un progetto
che era già abbastanza pesante per me.
Altri critici hanno sostenuto che avevo occultato il primo
periodo (più “culturale”) dell’I.S. Ammetto di aver dato
maggior peso al periodo successivo più “politico”, senza il
quale nessuno avrebbe mai sentito parlare dell’I.S. salvo alcuni
specialisti dei movimenti d’avanguardia, ma le principali
caratteristiche del primo periodo non possono affatto sfuggire
al lettore dei primi dodici articoli del libro. Avrei

87
Confessioni di un garbato nemico dello Stato

probabilmente potuto includere degli estratti di Potlatch e altro


materiale precedente alla nascita dell’I.S. se tali testi fossero
stati disponibili all’epoca; ma se non mi sono preoccupato della
storia dei “nashisti” e di altre tendenze artistiche, è perché
pensavo che presentassero poco interesse e che non avessero
molto a che fare con i contributi situazionisti più originali e più
essenziali. Dopo la pubblicazione del libro, questi critici hanno
avuto quindici anni di tempo per pubblicare i testi vitali che
avrei nascosto. Finora, non hanno fatto uscire grandi cose.
Altri lettori avrebbero voluto più note per spiegare alcuni
riferimenti oscuri. La presunta oscurità dei testi situazionisti è
in realtà molto esagerata. La loro comprensione non esige
generalmente più di una conoscenza minima di alcune opere
fondamentali e di alcuni eventi storici importanti che tutti
coloro che hanno una seria volontà di comprendere e di
trasformare il mondo devono conoscere. Il contesto
generalmente rende il significato abbastanza chiaro, anche se
non si conosce questo o quell’ideologo europeo citato, come si
possono apprendere molte cose leggondo Marx ed Engels
senza sapere nulla sui filosofi e sugli economisti che hanno
criticato.
Altri ancora avrebbero voluto che includessi alcune delle
illustrazioni originali dell’I.S.. Le apprezzo molto come
chiunque. Ma le migliori, e soprattutto i fumetti deturnati, sono
state così spesso riprodotte ed imitate che rischiavano di
distrarre l’attenzione dai testi e di rafforzare l’idea molto
diffusa, ma falsa, che le pubblicazioni situazioniste
consistessero in collages chiassosi concepiti per stupire la
gente. Ho pensato che non avrebbe fatto male agli intossicati
dalle immagini essere costretti a dirigere la loro attenzione su
dei testi disadorni.
Ci furono anche, sicuramente, numerosi commenti sui testi
stessi. In questi ultimi anni le pubblicazioni sull’I.S. sono

88
Confessioni di un garbato nemico dello Stato

diventate ancora più numerose che nell’immediato dopo


maggio 1968, e l’I.S. è diventata più famosa e più affascinante
che mai.
Un po’ di quest’aura è scesa su di me. Essendo generalmente
impossibile riunire i vecchi membri dell’I.S., sono stato a volte
considerato come il migliore portavoce situazionista, e mi
hanno chiesto di fare letture pubbliche e sedute di firma in
librerie, di accordare interviste, di fare discorsi o registrazioni
su videotape, di contribuire a diverse pubblicazioni, di fornire
informazioni per tesi universitarie, di partecipare a congressi
radicali o a simposi universitari, di diventare “artista associato”
in un istituto d’arte, ed anche di fornire materiali per un
programma televisivo. Ho rifiutato tutte queste proposte.
Non si tratta di un principio rigido. Uno di questi giorni, se
sono dell’umore per farlo e se mi lasciano sufficientemente
libertà, potrei decidere di deturnare una di queste situazioni,
come ha fatto Debord in un discorso in occasione di un
congresso “sulla vita quotidiana” in cui critica, tra l’altro, i
limiti ed i vicoli ciechi di tali congressi (cfr: I.S. n. 6, pp 20-
27). Ma nell’insieme, credo che la gente si inganni se pensa
che l’effetto sovversivo di questo tipo di pubblicità prevalga
sulla banalizzazione e sulla neutralizzazione (includendovi la
tentazione sottile di accentuare alcuni tratti collegati al
sensazionalismo, pur astenendosi dall’offendere chiunque per
assicurarsi un nuovo invito). Ad ogni modo, per quanto io sia
un po’ meno rigoroso in questa materia dell’I.S., penso che per
presentare o rappresentare “la prospettiva situazionista”, la
migliore maniera è rifiutare tutto ciò che i situazionisti stessi
hanno inevitabilmente rifiutato.
Chiunque è libero di ristampare, adattare o commentare
l’Anthology o non importa quale altra mia pubblicazione. Non
posso prendere seriamente coloro che non l’hanno mai fatto,
pur cercando a tutti i costi di incontrarmi o di ottenere qualche

89
Confessioni di un garbato nemico dello Stato

scoop esclusivo allo scopo di dare agli spettatori l’impressione


che hanno le informazioni migliori e più recenti su testi che
spesso non si sono neppure dati la pena di leggere, ed ancora
meno di mettere in pratica. Mi sembra che il fatto di mantenere
questa distanza contribuisca a chiarire le cose. Poco dopo la
pubblicazione dell’Anthology, per esempio, una sorta di
scrittore professionista volle intervistarmi allo scopo di
ottenere informazioni per un articolo che il settimanale East
Bay Express gli aveva chiesto di scrivere sui situazionisti. Ho
rifiutato di avere qualunque rapporto con lui, e l’articolo
progettato non è mai apparso. Quasi nello stesso periodo ho
rifiutato pure d’incontrare Greil Marcus che preparava un
resoconto dell’Anthology per Village Voice di New York. Ma
devo riconoscere che ciò non gli ha impedito di scrivere un
articolo lungo e molto elogiativo. Dopo tutto, c’erano già molte
informazioni nei testi dell’I.S., e poiché li aveva letti con cura,
ha potuto fare un resoconto abbastanza corretto. Sebbene
limitato per alcuni aspetti(1), il suo articolo era l’espressione
onesta del suo punto di vista sui situazionisti, e del suo
interesse entusiasta, e non la conseguenza di un ordine. Di
modo che tutto è stato molto più chiaro.
All’inizio degli anni 80 avevo ristabilito relazioni amichevoli
con la maggior parte degli altri firmatari di Notice. Avevano
preso direzioni diverse, ed a parte Chris ed Isaac, che avevano
pubblicato da quella volta ciascuno due o tre opuscoli, nessuno
di loro non ha portato avanti un’attività radicale significativa
dopo la nostra rottura del 1977. Nel 1982, Isaac e sua moglie
Terrel Seltzer hanno fatto uscire Call It Sleep, una
videocassetta di 45 minuti un po’ nello stile di Debord. Poco
dopo, Isaac ha ripudiato la sua vecchia prospettiva radicale,
giustificando la sua devozione ulteriore con occupazioni
soprattutto finanziarie con un tipo d’ideologia neo-liberale che

90
Confessioni di un garbato nemico dello Stato

ha esposto in un libro curioso scritto con Paul Béland, Money:


Myths and Realities (1986).
Ho criticato Isaac perché ha espresso dei punti di vista dai quali
mi sentivo sentito costretto a dissociarmi. Ma vorrei
riconoscere il mio debito verso di lui e molti altri vecchi
compagni. Abbiamo vissuto insieme molti momenti
appassionanti. La quantità di polemiche nell’ambiente situ ha
dato la falsa impressione che ci siano stati soltanto problemi. In
ogni caso, nel corso delle avventure che riferisco qui
brevemente, ho annodato molte relazioni preziose, ho vissuto
molti bei momenti, ed un’immensa quantità di risate. Ed anche
i fiaschi erano spesso divertenti. Spero che i miei vecchi amici
non li abbiano dimenticati interamente.
Una volta pubblicata l’Anthology, io mi sentiti meno obbligato
a dedicare tanto tempo ed energia per spiegare la prospettiva
situazionista, correggere gli errori su di essa, ecc. Le questioni
più importanti erano lucidamente trattate dai situazionisti stessi
nei testi che erano ora disponibili. Nel corso degli anni
successivi, ho continuato a mantenere alcune corrispondenze di
routine, a redigere alcune note di tanto in tanto, a distribuire
testi e a scrivere, ma ho soprattutto iniziato ad esplorare nuovi
campi.

[La scalata]
La mia prima nuova avventura fu scalare delle pareti di roccia,
fare climbing, una delle ultime cose per cui avrei immaginato
di entusiasmarmi. Come quasi tutti, avevo una grande paura del
vuoto. Ma nel corso delle mie ultime escursioni, mi sentivo
sempre più affascinato dall’idea di provare a scalare la roccia,
provando un tipo d’attrazione primordiale e da primate alla
vista delle scogliere o delle formazioni rocciose. Infine, ho
dominato il mio terrore e mi sono iscritto ad un corso di

91
Confessioni di un garbato nemico dello Stato

climbing per principianti. Abbiamo passato due ore ad


apprendere i principi di base, quindi siamo andati sulle colline
di Berkeley a fare delle scalate. Alcune settimane più tardi ho
seguito un corso più avanzato a Yosemite, ed ho fatto le mie
prime vere scalate sulle falesie di granito, centinaia di metri in
verticale.
Per due anni fare climbing è stata la mia passione dominante.
Ogni volta che era possibile, andavo a Yosemite o altrove nella
Sierra Nevada; ma di solito scalavo in città, andando in
bicicletta varie volte alla settimana a Indian Rock per fare
bouldering (la pratica dei movimenti difficili, ma rimanendo
vicino al suolo). A condizione di avere delle buone scarpe (con
la suola in gomma molto aderente ed estremamente strette,
perché il piede sia compresso in una sola unità rigida come gli
zoccoli di una capra di montagna), si constata con sorpresa che
piccole dentellature nella roccia possono dare presa all’alluce o
alle dita. Un rilievo della dimensione di un pisello basterà se
orientate il corpo appena di quello che occorre, ricercando il
corretto equilibrio tra le forze opposte e muovendovi con
precauzione, ma in modo sicuro e rilassato (se tremate, avrete
più possibilità di scivolare).
Se si fa attenzione e se si utilizzano correttamente le corde, una
scalata non è così pericolosa come si crede. Tuttavia, c’è
comunque un certo rischio. All’inizio mi piaceva così tanto che
lo consideravo accettabile; ma dopo due anni mi sono deciso a
fermarmi prima di tentare la provvidenza. In Island [Isola],
romanzo utopistico di Aldous Huxley, fare almeno un trip
psichedelico e scalare almeno una volta una scogliera (ma non
nello stesso momento!) fa parte dell’educazione di qualunque
adolescente. Riguardo ai rischi, esiterei a raccomandare l’una o
l’altra senza riserva, ma queste due esperienze sono certamente
state preziose per me.

92
Confessioni di un garbato nemico dello Stato

Di tanto in tanto faccio ancora un po’ di bouldering o delle


escursioni (più spesso attraverso le colline, attraverso i boschi e
lungo la spiaggia a Point Reyes, che è molto vicina da qui), ma
il mio principale esercizio in quest’ultimi anni sono stati la
pratica del basket e del tennis. Giocare a basket con i giovani
neri delle vicinanze era per me una buona sfida sia culturale
che fisica: mi è sembrato di aver veramente compiuto qualcosa
quando alla fine sono stato più o meno accettato come “one of
the guys”. Oggi, non faccio praticamente più basket e mi sono
dato al tennis — che è del resto quasi l’unica cosa che guardo
alla televisione: la faccio uscire dalla cantina tre o quattro volte
all’anno per Wimbledon e per altri tornei importanti.
Nell’autunno del 1984 ho fatto un altro viaggio in Francia,
durante il quale sono stato per la maggior parte del tempo a
Parigi dal mio amico Christian Camus. Ci eravamo incontrati
in un contesto situ durante la mia visita precedente nel 1979,
ma da allora si è dedicato soprattutto a sperimentare i diversi
modi di animare il suo ambiente immediato. Questo va bene
per me: se devo scegliere, preferisco frequentare persone che
hanno uno spirito vivo che fanno cose interessanti nella loro
vita, piuttosto che gente che non fa che rigurgitare banalità
politiche e brontolare continuamente. Pieno d’ironia,
provocatorio e scherzoso, amante delle battute in diverse
lingue, giudicando con penetrazione i giochi e gli schemi della
gente (nel senso di Eric Berne), Christian mi costringe a restare
in guardia quando inizio a farmi troppo pedante.
Feci due piccoli viaggi fuori Parigi, in Dordogna dove
vivevano Joël e Nadine, ed in Germania per rivedere i miei
amici di Mannheim ed incontrare un altro gruppo a Berlino
Ovest.

[Ancora Rexroth]

93
Confessioni di un garbato nemico dello Stato

Ritornato a Berkeley, concepii due progetti relativi a Rexroth.


Durante gli anni 70 il mio interesse per lui era diminuito. Alla
luce delle prospettive situazioniste, le sue analisi politiche
sembravano insufficienti, la sua idea di una sovversione per
mezzo dell’arte e della poesia sembrava incerta e dubbiosa, ed
alcune delle sue attività sembravano troppo compromettenti,
come scrivere cronache giornalistiche o darsi al cattolicesimo.
Tuttavia, aveva continuato ad influenzarmi indirettamente.
Ricordarmi della sua magnanimità scettica mi ha aiutato a non
perdere il senso delle proporzioni durante alcune affari situ più
traumatici. Nel mio opuscolo sulla religione del 1977 cercavo
già di comprendere in quale misura queste due influenze
principali sulla mia vita (Rexroth e l’I.S.) avrebbero potuto
conciliarsi, e da quella volta lì il mio entusiasmo per lui si era
ravvivato parecchio. Oltre a rileggere tutti i suoi libri, ho
ricercato e fotocopiato tutti i suoi articoli sparsi che potevo
trovare nella biblioteca dell’università, comprese tutte le
cronache (più di 800) che ha scritto per l’Examiner di San
Francisco.
Senza grandi speranze, ho proposto a molti editori di
pubblicare un’antologia delle cronache. Questa proposta aveva
suscitato per un certo periodo abbastanza interesse perché
consacrassi molti mesi a rileggerle in modo da prepararne un
campione rappresentativo. In fin dei conti, ci fu soltanto una
piccola casa editrice che mi fece una proposta, così poco
soddisfacente che la respinsi e mi rassegnai a mettere il
progetto nell’armadio. Sarei stato contento di lavorarvi
duramente e con un guadagno modesto, ma non avevo voglia
di pubblicarla io stesso.
Ho pensato allora che sarebbe stato meglio fornire il mio punto
di vista su Rexroth, provare a dire esattamente in che cosa
l’avevo trovato così grande, e di chiarire i punti sui quali non
ero d’accordo con lui. Oltre ad interessare eventualmente altra

94
Confessioni di un garbato nemico dello Stato

gente, sarebbe stato un buon metodo per mettere le mie idee in


chiaro su ogni sorta di argomenti.
Questo progetto ha finito per occuparmi in modo intermittente
per cinque anni. Sicuramente avrei potuto esprimere quasi tutto
ciò che dovevo dire in un termine molto più breve; ma poiché
non avevo alcun termine, ho preso il mio tempo ed ho dato
libero corso alle mie inclinazioni, rileggendo i suoi libri più e
più volte, spigolando le mie citazioni preferite, accumulando
mucchi di note, e seguendo ogni sorta di argomenti tangenziali.
Me era venuto in mente, ad esempio, che sarebbe stato
interessante comparare Rexroth con altri autori indipendenti
come H.L. Mencken, Edmund Wilson, George Orwell o Paul
Goodman. Era un buon pretesto per rileggere molti dei loro
libri, anche se, alla fine, li usai poco nel mio testo.

[La pratica Zen]


Nel 1985, iniziai anche a praticare lo Zen regolarmente. Negli
ultimi anni avevo fatto un po’ di zazen di tanto in tanto da solo,
ma non avevo partecipato ad una pratica di gruppo formale
dagli anni 60. Come ho già detto prima, ero infastidito da
alcune forme tradizionali di questa disciplina. Benché lo Zen
sia meno dogmatico e più sofisticato intellettualmente della
maggior parte delle religioni, la pratica tradizionale è
abbastanza rigorosa e formale. Potevo comprendere l’utilità di
alcune di queste forme per facilitare la concentrazione o
l’autodisciplina, ma diffidavo di alcune altre che mi
sembravano essere soltanto vestigia della gerarchia sociale
orientale. Ero cosciente del deplorevole ruolo che aveva
giocato la religione nel rafforzare la sottomissione del popolo
all’ordine costituito e la sua notevole capacità di
autoaccecamento(2).

95
Confessioni di un garbato nemico dello Stato

Rexroth amava dire che “la religione è qualcosa che si fa, non
qualcosa a cui si crede”. Non so se è vero per le grandi
religioni occidentali, ma si applica almeno in parte ad alcune
delle religioni orientali. Queste contengono probabilmente
altrettante fesserie di quelle — di solito gli aspetti più
superstiziosi ed insopportabili vengono con discrezione omessi
nelle divulgazioni occidentali — ma sono generalmente più
tolleranti ed ecumeniche. I loro miti sono spesso presentati
esplicitamente come semplici metafore spiritose, ed insistono
abbastanza poco sulla credenza. Lo Zen in particolare è più una
pratica che un sistema di credenze. Si deve considerare che gli
insegnamenti verbali non hanno alcun significato a meno che
non li si metta alla prova e che ci si appropri di essi. Gli
insegnamenti più essenziali si trasmettono con l’esempio vivo.
Nonostante una traccia di gerarchia tra guru e discepolo
(considerevolmente attenuata da quando lo Zen è stato adattato
in Occidente), l’accento non è posto sul culto di esseri
superiori, ma sulla pratica della meditazione e dell’attenzione
nelle proprie attività quotidiane.
Nel mio libro su Rexroth ho indicato i limiti che,
personalmente, mi sono fissato: “Una cosa è praticare questo o
quel tipo di meditazione, o partecipare a rituali o a feste, dove
tutti riconoscono che si tratta soltanto di forme arbitrarie per
rifocalizzare la propria vita o celebrare la comunione umana.
Un’altra cosa è sembrare dare credibilità ad istituzioni
ripugnanti ed a nauseanti dogmi ai quali molti credono ancora.”
Certamente è soprattutto una questione di gusto. Ho amici che
si fanno meno scrupoli di me a parteciparvi, ed altri che non
parteciperebbero in nessun caso a nessuna pratica religiosa
formale. Da parte mia, amo la maggior parte dei rituali Zen, il
silenzio, le campane, l’incenso, il pulito decor in stile
giapponese, l’etichetta ultra-riguardosa. Ed il fatto di praticare

96
Confessioni di un garbato nemico dello Stato

con un gruppo offre molti vantaggi quanto all’amicizia,


l’insegnamento, e l’incoraggiamento reciproco.
Ad ogni modo, avevo voglia di superare le mie riserve e tentare
una pratica più regolare. Il centro di Berkeley nel quale andavo
a volte negli anni 60 aveva continuato con discrezione la
pratica dello Zen Soto che è stato introdotto in America da
Shunryu Suzuki. Il maestro, Mel Weitsman, uno degli studenti
di Suzuki di cui avevo fatto la conoscenza allora, era insieme
sensato e discreto, ed i membri, laici e generalmente simpatici,
che cercavano di integrare la pratica Zen nella loro vita
quotidiana, sembravano avere conservato il loro senso dello
humour ed aver evitato il settarismo. E non c’era neppure
bisogno di alzarsi presto: c’erano ora delle sedute di zazen sia
di pomeriggio che di mattina.
Ho cominciato con una seduta quotidiana di quaranta minuti.
Nello zazen (meditazione seduta) ci si siede a gambe incrociate
su un cuscino duro, di fronte ad una parete bianca. Il ventre è
spinto un po’ in avanti, in modo che la parte posteriore sia
diritta e che il corpo sia bene equilibrato sulle natiche e le
ginocchia. La bocca è chiusa. Gli occhi sono socchiusi ma
abbassati. Le spalle sono rilassate. Si pongono le mani
sull’addome, al livello dell’inguine, la sinistra sulla destra, i
pollici si toccano leggermente. Se è troppo difficile sedersi in
questo modo, altre posizioni sono possibili purché la schiena
resti diritta. Ci si può sedere sui talloni, sempre su un cuscino,
ma con le ginocchia in avanti ed i piedi indietro, o anche su una
sedia. Ma è la posizione del loto (i piedi sulle cosce opposte)
che permette la stabilità ottimale. Ma anche alcune alternative
più facili (un piede sulla coscia o sul polpaccio opposto).
Nello zazen Soto ci concentriamo di solito sul mantenimento
della posizione (che rettifica costantemente la tendenza ad
incurvarsi o a irrigidirsi) e sul respiro, respirando con l’addome
e contando silenziosamente le esalazioni: “U-n-o-o..., d-u-u-

97
Confessioni di un garbato nemico dello Stato

e...” Quando si arriva a dieci, si ricomincia. I numeri servono


soltanto come focalizzazione arbitraria non emotiva per aiutare
a mantenere la concentrazione. Si tratta di avvicinarsi quanto
più possibile ad una condizione di “non far niente”, pur
rimanendo completamente attenti e vigili.
Non è così facile come si pensa. La maggior parte di noi ha
sviluppato una viva resistenza al fatto di essere nel presente.
Ciò che accade generalmente, è che prima di essere arrivati a
“tre” o “quattro”, ci si trova immersi in memorie, sogni,
desideri, preoccupazioni, timori, rimpianti. Questa cacofonia
ripetitiva si manifesta per la maggior parte del tempo nella
nostra mente, ma lo zazen ce ne rende più profondamente
coscienti. Può essere sconvolgente rendersi conto della
piccolezza e del carattere compulsivo dei propri pensieri e delle
proprie sensazioni. È ciò che ho provato, in ogni caso. Questo
mi ha permesso di comprendere come i cristiani che hanno
provato esperienze simili potevano percepirle come una
conferma di una colpevolezza inerente all’uomo, non lasciando
loro alcuna soluzione se non la fede in una redenzione
sovrannaturale. Il buddhismo affronta queste questioni con
maggiore calma, in modo più tollerante e più obbiettivo, senza
insistere perché la gente si batta inutilmente il petto. Cercare di
reprimere “la mente scimmia” non fa che causare ancora più
confusione emotiva. Ma se ci si mantiene semplicemente
calmi, se si lasciano passare tutti questi pensieri senza
formulare nessun giudizio, e se si ritorna costantemente alla
respirazione, allora i turbamenti, non rinforzati, tenderanno a
depositarsi, ad alleviarsi, e si diventa meno emotivi, meno
inclini alle abitudini ed alle associazioni compulsive. Non si
tratta di eliminare i pensieri o le emozioni, ma di smettere di
aggrapparvisi — di smettere di aggrapparsi anche al senso del
vostro progresso verso il non aggrapparsi più. Nel momento in
cui cominciate a pensare: “Ah! Alla fine faccio dei progressi!

98
Confessioni di un garbato nemico dello Stato

Quello ne sarà impressionato!” avete perso la coscienza del


presente. Registrate questo fatto semplicemente e con calma,
quindi ricominciate: “U-n-o-o..., d-u-u-e...”
Dopo due mesi di sedute quotidiane, ho iniziato a partecipare
alle sesshins mensili. Una sesshin consiste in uno o più giorni
di pratica Zen intensiva, soprattutto dedicata allo zazen, ma in
cui tutte le altre attività sono svolte con uno sforzo simile per
concentrarsi attentamente su tutto ciò che si fa. Una sesshin
tipica si svolge dalle 5 alle 21. Si fa zazen per periodi di
quaranta minuti, alternati con periodi di dieci minuti di kin-hin
(meditazione camminando molto lentamente, per sgranchirsi le
gambe). Colpi di campane o di battagli di legno segnalano
l’inizio e la fine dei periodi. Non si parla eccetto per la
comunicazione minima e discreta che resta necessaria durante
il lavoro. I pasti si svolgono ugualmente nella zendo (sala di
meditazione), ed la procedura per servire e per mangiare è
altamente ritualistica. I servitori portano un piatto, vi salutate,
vi servono, fate un gesto con il palmo della mano per segnalare
“abbastanza”, vi salutate ancora, quindi passano alla persona
seguente...
Mi piacevano in particolare le sesshins più lunghe (cinque o
sette giorni). Nel primo giorno di una sesshin si può ancora
essere preoccupati per gli affari propri, ma dopo tre o quattro
giorni difficilmente non ci si è adattati al ritmo della sesshin. Si
dice che ci siano due tipi d’esperienza Zen. Una è improvvisa
ed innegabile, come quando si prende una secchiata d’acqua in
testa. L’altra è più graduale e più sottile, come quando si
cammina nella nebbia, e ci si rende conto che gli abiti si sono
impercettibilmente inzuppati. Vi sentirete un po’ così verso la
fine di una sesshin. Tutto inizia ad armonizzarsi.
Ma può anche essere abbastanza penoso, con stanchezza, spalle
anchilosate, schiena dolorante, ginocchia sensibili. Benché
diventi più facile nella misura in cui il corpo si abitua, la

99
Confessioni di un garbato nemico dello Stato

maggior parte della gente prova sempre qualche dolore alle


ginocchia durante le sesshins. Non si tratta di vedere quanto
dolore si può sopportare (se è realmente troppo, si può sempre
cambiare per una posizione più facile), ma di apprendere a
reagire con equanimità a tutto ciò che capita; a porsi nel
momento presente e cessare di languire per il passato o il
futuro. Dopo un po’ di tempo si scopre che la causa della
sofferenza risiede meno nel dolore presente che nell’ansia
timorosa di eventuali dolori. Il primo giorno di una sesshin può
essere orribile se ci si siede con il pensiero di altri sette giorni
da subire. Ma se si prende “un solo respiro alla volta”, non è
così male.
È uno dei più grandi vantaggi della pratica collettiva. Quando
ci si siede da soli, è troppo facile bloccarsi quando qualcosa ci
disturba un po’, ma quando molti partecipanti si sono
impegnati a seguire una sesshin e tutti sono seduti insieme,
ciascuno incoraggia tutti gli altri con il suo sforzo.
A partire dal momento in cui avete acquisito un po’ di pratica
zazen, altre responsabilità vi sono imposte che esigono
altrettanta attenzione. Se siete servitori, non dovrete essere
distratti, altrimenti potreste rovesciare la minestra su qualcuno.
Se vi trovate a dirigere un gruppo di lavapiatti, dovrete stare
attenti che i piatti siano sistemati correttamente, senza peraltro
turbare gli sforzi di concentrazione degli altri chiacchierando in
continuazione. Ogni situazione presenta nuove sfide per trovare
il giusto mezzo tra l’efficacia e la presenza di spirito, il calcolo
e la spontaneità, lo sforzo e la comodità.
Si spera che alcune di queste pratiche si integrino gradualmente
nella propia vita quotidiana. Non voglio dare l’impressione che
lo zazen sia una panacea, ma sono sicuro che la pratica regolare
di una meditazione, quale che sia, aiuti a sviluppare un po’ più
di pazienza e di senso della prospettiva; a riconoscere che
alcuni problemi sono illusori o senza importanza, e ad

100
Confessioni di un garbato nemico dello Stato

affrontare con più calma e più obiettivamente quelli che


sembrano sempre importanti.
Dopo un anno e mezzo di partecipazione intensiva al centro, mi
sono un po’ stancato, ed ho ricominciato a fare il mio zazen
quotidiano da solo. Tuttavia continuavo a partecipare alle
sesshins più lunghe. Ho iniziato anche a prendere parte alle
sesshins di altri centri Zen della California del Nord, in
particolare a quello che Gary Snyder e altri (fra cui un vecchio
amico di Sam che avevo conosciuto dagli anni 60) hanno
costruito sul loro terreno nei contrafforti della Sierra Nevada.
Come ci si poteva aspettare, loro conoscono ed apprezzano la
natura: alcune delle loro sesshins includono escursioni di sette
giorni (zaino in spalla) — una combinazione difficile ma
potente!
Verso l’inizio del 1988 pensai di prendere parte ad un “periodo
di pratica” intensiva di tre mesi nel monastero di Tassajara. Da
anni avevo vagamente immaginato che andare in un monastero
Zen sarebbe una delle esperienze supreme della vita; ed allora,
ho iniziato a pensare che avrei potuto farlo realmente. In
primavera passai a Tassajara otto giorni per vedere l’ambiente,
e mi piacque molto. Ritornato nella Bay Area, ho partecipato a
qualche altra sesshin ed ho riordinato i miei affari, quindi verso
la fine di settembre tornai a Tassajara.
Primo monastero Zen nell’emisfero Occidentale, fondato nel
1967 da Shunryu Suzuki, Tassajara si trova sulle montagne
costiere a 200 chilometri a sud di San Francisco. Era in
precedenza una località turistica per le fonti di acqua calda, ed
è sempre attiva in estate; ma durante il resto dell’anno è chiusa
al pubblico.
Oltre a Mel, che lo dirigeva, il “periodo di pratica” prevedeva
26 partecipanti (14 uomini e 12 donne), e due dipendenti che si
occupavano degli interventi tecnici e degli acquisti. Nei tre
mesi successivi nessuno fra noi è andato via da Tassajara, e

101
Confessioni di un garbato nemico dello Stato

nessuno vi è venuto, eccetto due monaci giapponesi di


passaggio e due o tre persone del centro Zen di San Francisco.
Eravamo in undici ad essere là per la prima volta e quindi
abbiamo dovuto subire un’iniziazione di cinque giorni, cioè
una sesshin ultra-intensiva più dura, fisicamente e
mentalmente, di una sesshin ordinaria (niente kin-hin, né
lavoro). A parte una pausa di una mezz’ora dopo ogni pasto e
per andare alla toelette se necessario, dovevamo restare sui
nostri cuscini dalle 4.20 a.m. fino alle 9 p.m.
Ancor più che durante una sesshin ordinaria, tutto finisce per
livellarsi. Il tempo rallenta. L’attenzione si concentra sulle cose
più semplici. Nient’altro da fare che cuocere nel proprio brodo
(letteralmente e metaforicamente: faceva molto caldo) e
imparare con calma a non tenere in alcun conto le piccole
mosche implacabili che si dilettano a strisciare attorno agli
occhi, agli orecchi e alle narici. (L’unica soluzione è di
accettarle: “d’accordo, piccoli birbanti, strisciate pure se ci
tenete! Non mi muoverò.”) Non fate nulla a parte sedevi,
perfettamente calmi, respiro dopo respiro... La campana suona.
Aumentate lentamente, conservando gli occhi sempre
abbassati. Raggiungete gli altri per un rituale. Quindi, tornate al
vostro cuscino per un pasto. Quindi una pausa. Uscite
lentamente dalla zendo, cercando di mantenere una
concentrazione totale nonostante lo splendore scoperto
improvvisamente della natura all’esterno. Prendete una tazza di
tè. Massaggiate le vostre gambe indolenzite. Restano ancora
alcuni minuti preziosi per sedersi accanto al ruscello e lasciare
che il suono dell’acqua scenda attraverso la vostra testa. Quindi
ritornate alla zendo. Vi ponete nella posizione corretta. Vi
tranquillizzate completamente. Nulla oltre il vostro respiro,
respiro dopo respiro...
Dopo l’iniziazione, siamo ritornati ad un programma
quotidiano un po’ meno intensivo. Tutte le mattine alle quattro

102
Confessioni di un garbato nemico dello Stato

eravamo svegliati da qualcuno che scendeva sulla via


principale correndo e facendo suonare una campana. Appena il
tempi fa per lavarsi la faccia, fare alcuni esercizi yoga di
distensione, indossare l’abito per la meditazione ed andare alla
zendo. La mattina era come una sesshin: soprattutto lo zazen,
con la colazione ed il pranzo serviti come un rituale nella
zendo. Nel pomeriggio lavoravamo per tre ore. Ero nel gruppo
che si occupava dei lavori diversi, carpenteria, giardinaggio,
lavare i piatti, pulizia, ecc., e mi incaricavo anche della
biblioteca. Dopo il lavoro veniva la parte più voluttuosa del
giorno: un bagno caldo calmo seguito da un’ora di tempo
libero. Quindi rimettevamo i nostri abiti e tornavamo alla
zendo per la cena. Quindi un periodo di studio seguito da un
supplemento di zazen, ed infine a letto alle nove e mezza. Non
avevo mai nessun problema ad addormentarmi: la prossima
cosa che avrei sentito sarebbe stata la campana della sveglia.
Ogni cinque giorni avevamo il privilegio di poter dormire fino
alle cinque. Quindi, dopo una seduta di zazen e la colazione,
avevamo tempo libero fino alla sera. Lo usavamo generalmente
per fare il bucato, preparare il pranzo e fare un’escursione, o
restare là leggendo, scrivendo lettere o intrattenendosi
delicatamente. La sera avevamo una lezione sul “Genjo Koan”
di Dôgen: “Studiare la via buddista, è studiare sé stessi.
Studiare sé stessi, è dimenticare sé stessi. Dimenticar sè stessi,
è essere illuminato da tutte le esistenze. Essere illuminato da
tutte le esistenze, è lasciar cadere il corpo e la mente. vedere
scomparire ogni traccia di risveglio e fare nascere
costantemente il risveglio senza traccia...”
Dopo alcune settimane il tempo si rinfrescò. All’ombra delle
montagne circostanti, Tassajara diventa fredda ed umida in
autunno ed in inverno, almeno fino a mezzogiorno, e non c’era
né riscaldamento né isolamento termico. Almeno il freddo ci
aiutava a svegliarci. Benché la routine fosse spartana per certi

103
Confessioni di un garbato nemico dello Stato

aspetti, era stimolante arrivare all’essenziale e vivere in una


comunità in cui tutti lavoravano insieme tranquillamente. Per
me, una sesshin o un “periodo di pratica” suggerisce le vere
possibilità della vita. Quando incrociamo qualcuno su un
sentiero, ci fermavamo tutti e due, ci salutavamo, quindi
riprendevamo il nostro cammino senza una parola.
Meraviglioso!

[Letture, scritti, traduzioni, musica]


Rientrato a Berkeley, ritornai a quella che era la mia pratica zen
da tempo (cioè, un breve periodo di zazen da solo tutte le
mattine, oltre alle lunghe sesshins qualche volta all’anno), e
ripresi il lavoro su Rexroth (The Relevance of Rexroth). Avevo
accumulato centinaia di pagine di note, ma alla fine decisi di
lasciarne fuori la maggior parte e ridurre il testo ad una
presentazione breve e relativamente accessibile di alcuni temi
principali. Il libro è stato infine completato nel 1990. Le
vendite sono state abbastanza modeste, ma (e questo è uno dei
vantaggi dell’auto-edizione) ho potuto donare copie a centinaia
di amici e conoscenti, a volte anche a sconosciuti. Continuerò a
farlo con le numerose copie che possiedo ancora, ma ho
inserito il testo anche in questo libro [il libro: Public Secrets]
perché tratta molte questioni importanti per me che non sono
esposte negli altri miei scritti.
Nel gennaio 1991 la guerra del Golfo ha fatto scendere
centinaia di migliaia di persone nelle strade per la prima volta
dopo anni. Iniziai immediatamente a scrivere l’opuscolo The
War and the Spectacle . La maggior parte delle idee di questo
testo erano già state largamente discusse o conosciute
intuitivamente, ma pensavo che il concetto situazionista di
spettacolo avrebbe aiutato a collegarle. Con l’aiuto dei miei
amici, ne ho diffuso 15.000 copie in alcuni mesi. Oltre ad
inviarlo agli individui, ai gruppi ed alle librerie radicali

104
Confessioni di un garbato nemico dello Stato

ovunque nel mondo, ho saturato il milieu antimilitarista locale,


distribuendolo alle manifestazioni, alle raccolte, durante la
proiezione di film, nel corso di concerti umanitari, di
rappresentazioni di teatro radicale nei parchi, di dibattiti “sulla
guerra ed i mass media”, e delle apparizioni di Ramsey Clark e
di Thich Nhat Hanh. È stato il testo meglio recepito di quelli
che ho diffuso. Fra tutti coloro che l’hanno avuto tra le mani,
quasi nessuno si è lagnato di non averlo compreso, molte
persone mi hanno detto più tardi che lo avevano fotocopiato ed
inviato ai loro amici o che lo avevano trasmesso con reti
telematiche, ed è stato più volte ristampato e tradotto.
Una dei rari critici del testo si è detto sorpreso che siano stati
necessari oltre due mesi per scrivere un così breve articolo.
Invidio la gente che sa scrivere più rapidamente, ma questa
lentezza mi è abituale. Scrivo certamente molto — prendendo
note su tutto ciò che potrebbe avere una minima relazione con
il mio argomento, a volte anche lasciandomi andare a libere
associazioni di idee —, ma di solito non sono soddisfatto prima
di avere condensato radicalmente i materiali, riesaminando tutti
i dettagli in varie riprese, eliminando le ridondanze e le
esagerazioni, provando diversi rimaneggiamenti, esaminando
eventuali obiezioni e malintesi. Credo che un testo ben
ragionato abbia un effetto più penetrante, e infine una maggiore
portata, di una decina di testi poco ordinati.
Poiché affronto soltanto argomenti che mi interessano
realmente, questo processo in genere mi assorbe abbastanza. A
volte raggiungo lo stato del “rush negativo” che ho descritto in
Double-Reflection [Doppia riflessione] — la mia mente è
attraversata da così tante idee che non riesco ad avere il tempo
per trascriverle. Se sto camminando devo fermarmi ogni due o
tre minuti per prendere note. Potrei anche alzarmi in mezzo
della notte per scarabocchiare delle note. A volte sono così
preso che se fossi di fronte alla morte imminente, la mia prima

105
Confessioni di un garbato nemico dello Stato

preoccupazione sarebbe: Se soltanto potessi completare questo


testo, allora morirei contento!
Altre volte sono depresso, e qualsiasi cosa che ho scritto mi
sembra noiosa e banale. Posso lavorare un intero giorno su un
passaggio, trascorrere una notte insonne pensando, quindi alla
mattina, disgustato, gettare tutto nella pattumiera. Quando il
testo si avvicina alla pubblicazione, mi tormento a proposito di
eventuali conseguenze. Una frase non riuscita può comportare
una grande perdita di tempo, a causa dei malintesi; una buona
frase può causare una svolta nella vita di qualcuno.
Abbiamo tutti una tendenza naturale a rifiutare le cose che
contraddicono i nostri punti di vista. Secondo me, il miglior
modo di contrastare questa tendenza è quello che usava
Darwin: “Da anni seguo una regola d’oro: ogni volta che mi
imbattevo su un fatto pubblicato, su una nuova osservazione o
su un pensiero che contraddice le mie teorie, ne ho preso subito
nota con precisione; poiché ho constatato che tali fatti e tali
pensieri sono molto più suscettibili di sfuggire alla memoria di
quelli favorevoli.” Cerco di seguire questa norma, facendo
l’avvocato del diavolo su qualsiasi questione, esaminando
accuratamente ogni critica e annotando immediatamente ogni
obiezione che mi viene in mente — rispondendo se posso,
modificando o abbandonando la mia posizione se non posso.
Anche gli attacchi più deliranti contengono di solito alcuni
punti validi, o almeno rivelano malintesi da chiarire.
Ma occorre trovare una giusta via psicologica. Preoccuparsi
troppo di eventuali obiezioni vi impedisce di fare qualunque
cosa. I situazionisti ortodossi disprezzano il mio misticismo, i
seguaci della New Age hanno l’impressione che io sia troppo
razionalista, i gauchistes tradizionali mi rimproverano di
ridurre al minimo l’importanza della lotta di classe, gli arbitri
del political correctness lasciano intendere che dovrei
esprimere una maggiore contrizione per la mia qualità di

106
Confessioni di un garbato nemico dello Stato

maschio bianco americano, gli accademici lamentano la mia


mancanza d’obiettività erudita, i pigri mi trovano troppo
meticoloso, alcuni si lagnano che i miei scritti sono troppo
difficili, altro mi accusano di semplificare troppo... Se
prendessi tutte queste obiezioni seriamente, diventerei
catatonico! Alla fine bisogna decidersi!
Per quanto possibile provo a fare in modo che qualsiasi
progetto sia una nuova avventura, scegliendo un argomento che
non avevo mai analizzato o un metodo che non avevo mai
impiegato. Questo lo rende più interessante almeno per me, e
spero anche per il lettore. Cerco anche di evitare di caricarmi di
troppe cose in una volta. Ci si trova in breve prostrati se si
assorbono costantemente tutte le cattive notizie del mondo o se
si prova a contribuire a tutte le buone cause. Mi concentro
generalmente su uno o due progetti che mi interessano così
profondamente che sono pronto a dedicare loro tutto il tempo e
le spese necessarie, non prestando attenzione alle cose riguardo
alle quali non ho intenzione di far nulla.
Sono ritornato nuovamente in Francia nell’autunno del 1991,
sistemandomi ancora da Christian, con il sua ragazza e suo
fratello, ed in questa occasione, ho fatto tre viaggi fuori Parigi:
a Grenoble per rendere visita a Jean-François Labrugère, un
amico che ha tradotto molti dei miei scritti con una
meticolosità esemplare; a Varsavia per incontrare dei giovani
anarchici che avevano appena scoperto i situazionisti; ed a
Barcellona, dove raggiunsi alcuni dei miei amici tedeschi.
Durante il viaggio di ritorno a Parigi, passai alcuni giorni in
Dordogna per vedere Joël e Nadine. Vari anni prima avevo
fatto conoscere loro Rexroth. Alla fine erano diventati
rexrothiani entusiasti quanto me, ed avevano appena
completato una traduzione del primo dei suoi libri ad uscire in
Francia: Les Classiques revisités [I classici rivisitati].

107
Confessioni di un garbato nemico dello Stato

Passai gran parte del tempo a Parigi dedicandomi alla mia


principale passione musicale degli ultimi anni, la canzone
francese, frequentando i mercati delle pulci ed i depositi di
dischi d’occasione, registrando le raccolte dei miei amici e
provando a decifrare i testi più oscuri e gergali delle canzoni.
un mondo ricco e affascinante, dai cantanti di cabaret del XIX
secolo come Aristide Bruant (l’uomo della sciarpa rossa e della
cappa nera rappresentato sul notissimo manifesto di Toulouse-
Lautrec, che fu ordinato per fare pubblicità al caffè dove
cantava Bruant), passando per le chansons réalistes tragiche e
sordide (Fréhel, Damia, la prima Piaf) e gli artisti di music-hall
degli anni 30, come il delizioso “fou chantant” Charles Trenet,
fino alla rinascita dei grandi cantanti poeti del dopoguerra, con
Georges Brassens (il più grande, che va dalle elegie
commoventi e sagaci alle satire più oltraggiose), Anne
Sylvestre (un’affascinante paroliera, che fa pensare un po’ al
primo Leonard Cohen e a Joni Mitchell), Léo Ferré, Jean-
Roger Caussimon, Jacques Brel, Guy Béart, Félix Leclerc,
come pure molte interpreti eccellenti di canzoni più vecchie, tra
le quali la mia favorita è Germaine Montero.
È difficile trovare questa musica negli Stati Uniti, ma i miei
amici ed io ne abbiamo di tanto in tanto un assaggio quando
The Baguette Quartette si esibisce al folk music club “Freight
and Salvage” a Berkeley, che ha presentato tanti musicisti
meravigliosi in tre decenni. Benché abbia avuto molte passioni
musicali nel corso degli anni, dai suoni primordiali degli
ensembles di tamburi giapponesi (taiko) fino alla canzone
greca rebetica, ho sempre conservato una predilezione
particolare per la vecchia musica popolare americana,
probabilmente perché è la sola che sia capace di suonare. Mi
diverto ancora a suonare in piccole riunioni di amici (alcuni dei
quali ho conosciuto a Shimer ed a Chicago), ed io manco
soltanto di rado alle “East Bay Fiddlin’ and Pickin’ Potlucks”,

108
Confessioni di un garbato nemico dello Stato

riunioni mensili da qualcuno che ha una casa abbastanza


grande, durante le quali un centinaio di persone porta piatti e
suona della musica per tutto il pomeriggio. Tra le chiacchiere e
il mangiare la gente si raccoglie secondo i loro gusti preferiti
— il bluegrass, dicono, nel cortile, la musica irlandese
all’entrata, il canto corale di sopra, lo swing degli anni 30
attorno al piano, se ce n’è uno, le vecchie arie di violino sotto
la veranda, il blues, o forse la musica cajun o klezmorin, nel
corridoio o sul marciapiede... Mi trovo di solito nell’uno o
nell’altro dei gruppi più “tradizionali”, che cantano e che
suonano col violino o con la chitarra — nulla di complicato,
ma abbastanza per divertirsi. Tutti partecipano al loro livello: i
suonatori meno abili, come me, fanno ciò che possono per
seguire i più bravi, ma ciascuno è sempre libero di lanciare una
canzone o un’aria che conosce. Queste riunioni si svolgono
senza grandi difficoltà quasi da vent’anni, in modo puramente
autogestito e volontario. Penso a volte a questi, e a tanti altri
circoli e reti simili che esistono ovunque senza mai ricercare o
conoscere la minima notorietà nello spettacolo, prefigurando il
modo in cui le cose potrebbero funzionare in una società
sensata. Convengo che non sia molto. Precisamente. Ecco
l’interesse: il fatto che siano così semplici.
Sono ancora d’accordo con i situazionisti che le arti sono
soltanto forme limitate della creatività, e che è più interessante
cercare di esercitarsi nel progetto di trasformare le nostre vite
ed infine l’intera società. Quando mi sono impegnato in questo
grande gioco, ho pensato di veder diminuire la mia inclinazione
per le attività artistiche. Ma c’è un tempo per ogni cosa. La
critica situazionista dello “spettacolo” (cioè del sistema
spettacolare) è la critica di una tendenza sociale eccessiva; non
vuol dire che sia un peccato essere spettatore, non più di quanto
la critica marxista del sistema mercantile imponga alla gente di
fare a meno dei beni.

109
Confessioni di un garbato nemico dello Stato

Ho sempre trovato divertente che i radicali credano di dover


giustificare il loro consumo culturale facendo finta di trovarvi
sempre qualche messaggio radicale. Personalmente preferisco
di molto leggere le opere di un essere umano pieno di brio e
con uno scintillio negli occhi, come Rexroth, Mencken, Henry
Miller o Ford Madox Ford, piuttosto che qualche puritano
politically correct. In realtà, preferisco Omero, Basho,
Montaigne o Gibbon a non importa quale autore moderno.
Posso ancora apprezzare nel loro giusto valore alcune grandi
opere del passato, riconoscendo che le loro limitazioni erano
naturali nel contesto dei loro tempi; ma mi è difficile prendere
sul serio i visionari del post-1968 che non sono neppure accorti
delle nuove possibilità di vita. Quando si tratta degli autori
contemporanei, non leggo praticamente che opere d’evasione
che non hanno alcuna pretesa di profondità o di radicalità. Fra i
miei preferiti, i romanzi polizieschi di Rex Stout (non tanto per
l’intrigo quanto per il mondo divertente della famiglia di Nero
Wolfe e per la narrazione animata di Archie Goodwin); le
fantasie ed la science-fiction di Jack Vance (per la varietà
notevole di società strane e per i suoi dialoghi sardonici ed
ironici); e i saggi scientifici di Isaac Asimov, che aveva un
talento raro per mostrarsi allo stesso tempo istruttivo e
divertente su qualsiasi argomento, spiegando le ultime scoperte
dell’astronomia o della fisica delle particelle elementari, o
speculando sui rapporti sessuali in una stazione spaziale in
assenza di gravità.
Nel 1992 mi proposi di tradurre in francese il mio libro su
Rexroth. Anche se non dovesse mai essere pubblicato, volevo
averne almeno una versione decente tra le mani da dare ai miei
amici ed ai miei conoscenti. Era anche una buona occasione
per perfezionare il mio francese, che era ancora abbastanza
limitato. Preparai una prima stesura sul mio nuovo computer,
quindi, nel corso dell’anno seguente, inviai delle bozze

110
Confessioni di un garbato nemico dello Stato

successive a Jean-François Labrugère, su cui ha fatto numerose


correzioni e proposte per migliorarne lo stile. Ne facemmo
circolare una versione provvisoria nel 1993 ed una nuova
versione rivista e corretta è stata pubblicata nel 1997.
Nello stesso periodo iniziai anche a collaborare con Joël
Cornuault su una serie di traduzioni delle opere di Rexroth, a
partire da un’edizione bilingue di una trentina delle sue poesie,
L’automne en Californie [L’autunno in California], nel 1994 e
proseguendo con una scelta delle sue cronache, Le San
Francisco de Kenneth Rexroth [La San Francisco di Kenneth
Rexroth], nel 1997.
Mi ha fatto molto piacere collaborare con questi due traduttori,
perché tutti e due si prendono cura di verificare accuratamente
la sfumatura precisa di ogni espressione, anche se ciò a
volteimpegna molto tempo quando viene fatto per
corrispondenza.

[Come mai ho scritto questo libro]


L’anno 1993 ha raccolto molte cose della mia vita, portandole
infine nel libro che avete tra le mani. All’inizio dell’anno sono
finalmente riuscito a leggere per intero À la recherche du temps
perdu [Alla ricerca del tempo perduto] di Proust. Immerso in
quest’opera immensa, a volte noiosa, ma nel’insieme
affascinante, mi è venuto in mente di ripercorrere il mio
passato. Ho dunque iniziato a scrivere tutto quello che riuscivo
a ricordarmi dei miei primi anni, principalmente perché mi
interessava, ma anche con l’idea che avrei potuto presto o tardi
mostrare il testo ad alcuni amici intimi. Poiché una cosa
richiamava l’altra, ci furono presto più di cento pagine.
Questo si è rivelato un buon modo di affrontare molti problemi
ed errori del mio passato. Il fatto di ricordarmi dei bei tempi
andati mi ha indotto anche a riprendere i rapporti con molti

111
Confessioni di un garbato nemico dello Stato

vecchi amici, tra cui Mike Beardsley, che non vedevo da più di
vent’anni. Sono riuscito a trovarlo, abbiamo avuto alcune
lunghe conversazioni al telefono, ed in giugno ho preso l’aereo
per Chicago per vederlo. Si trovava ad esercitare la professione
abbastanza stressante d’insegnante nelle zone diseredate del
centro città, era passato attraverso a molti matrimoni e a molti
divorzi tempestosi, ed era ingrassato; ma aveva conservato
molto del suo vecchio spirito selvaggio ed indipendente. Fu
meraviglioso rivederlo. Per aumentare la nostalgia, abbiamo
preso l’automobile per andare al campus della vecchia città
universitaria di Shimer, in occasione di una riunione che per
caso si svolgeva nello stesso momento, ed abbiamo rivisto
molti altri vecchi amici per la prima volta dagli anni 60.
Due mesi più tardi ho ricevuto la notizia della sua morte
improvvisa. Per sopportare il dolore, ho scritto in libera
associazione una lunga elegia che celebra la nostra vecchia
amicizia. Quindi l’ho lavorata di nuovo fino ad ottenere ad un
testo più breve che ho fatto circolare fra alcuni amici e parenti:

MICHAEL BEARDSLEY (1945-1993)


Mike è morto il 29 agosto per arresto cardiaco mentre era
all’ospedale per curare una polmonite.
Fummo amici stretti soltanto per due anni, dal 1961 al
1963, ma era un’epoca essenziale e appassionante per tutti e
due. Ci incontrammo allo Shimer College, dove eravamo
compagni di camera, quando avevamo soltanto 16 anni, quindi
tutti e due lasciammo la scuola per vagabondare in California,
in Texas, dove la sua prima moglie, Nancy, partorì suo figlio ed
a Chicago. Alcuni anni più tardi emerse una controcultura che
comprendeva alcune nostre aspirazioni diffondendosi tra
milioni di persone. Ma all’inizio degli anni 60 quella trama
stava ancora tessendosi clandestinamente qua e là. Con i nostri
compagni nella ricerca, eravamo ancora abbastanza isolati,

112
Confessioni di un garbato nemico dello Stato

avanzando solitari, a tentoni, verso nuove visioni, nuovi stili di


vita. Per alcuni aspetti quest’isolamento rendeva le cose più
difficili per noi, ma dava anche un sapore particolare alle
avventure ed alle disavventure che abbiamo condiviso —
scoprendo lo Zen ed il peyotl, Rimbaud ed i beats, Henry
Miller ed Hermann Hesse, Leadbelly e Ravi Shankar; vivendo
giorno per giorno, sperimentando costantemente, a volte fino
alla temerarietà, partendo in autostop attraverso il Middle West
vasto ed oblioso, trovandoci a volte in strada da qualche parte
in mezzo alla notte, ma senza mai proccuparci troppo,
scendendo lungo la grande strada deserta canatata da Coltrane
ed immaginando il grande mondo, laggiù, che rimaneva da
esplorare.
Ci siamo alla fine separati, ciascuno seguendo il suo
cammino, e ci siamo parlati solo sporadicamente nel corso dei
trent’anni successivi. Quindi un umore nostalgico mi ha
fortunatamente spinto ad andare a trovarlo, e sono andato a
Chicago appena due mesi fa. Nonostante tutta l’acqua che era
passata sotto i ponti da quei tempi, abbiamo rivissuto alcuni bei
momenti della nostra vecchia amicizia. Mi rallegravo già di far
rivivere la nostra amicizia negli anni a venire. Quindi, tutto
d’un colpo, non era più là.
Mentre piangevo la sua morte mi sono reso conto che
piangevo in realtà su me stesso, perché una parte preziosa della
mia vita era scomparsa. So che altri, che erano vicini a lui,
provano la stessa perdita. triste pensare a tutte le cose che
abbiamo condiviso, o che avremmo potuto condividere con lui.
Tuttavia, alla fine, non credo che gli siano mancate molte cose
nella vita. Mike aveva una vita molto tumultuosa, piena di
passioni e di sofferenze, ma l’ha vissuta con meraviglia ed
intensità. Una volta entrò nella mia camera senza farsi sentire,
mentre ero addormentato ed esclamò: “Ken! Svegliati! Il
mondo è magico!” “Che? Oh sì, lo so, Mike, ma ascolta, sono

113
Confessioni di un garbato nemico dello Stato

andato a dormire molto tardi questa notte...” “Ma Ken, voglio


che tu ti accorga realmente che il mondo è magico. Proprio qui!
Adesso! Osserva!” Inutile discutere con lui — dovetti alzarmi e
vedere. E certamente, aveva ragione.
Addio, vecchio amico.

È stata la morte di Mike, più che altro, che mi ha convinto a


pubblicare quest’autobiografia. Mi rallegrava l’idea di
mostrargliela perché avrebbe potuto ricordarmi delle cose che
avevo dimenticato. Ma ora è troppo tardi. Non ho intenzione di
tirare le cuoia in un prossimo futuro, ma questo genere di shock
ci ricorda che non vivremo eternamente, e che se vogliamo fare
qualcosa, è meglio non aspettare.
Il fatto di raccogliere e mettere a punto tanti aspetti diversi
della mia vita mi ha indotto anche a riprendere le mie vecchie
note. Dalla fine degli anni 70 avevo accumulato osservazioni
su diverse questioni di tattica e situazioni radicali, senza mai
riuscire ad organizzarle in modo coerente. Ora i due progetti
iniziavano a completarsi. La forma più sciolta
dell’autobiografia si prestava ad includere brevi osservazioni
su vari argomenti che non avrebbero meritato interi articoli
(risposte alle domande che mi sono spesso posto,
chiarificazioni di alcuni malintesi, tentativi di comunicare ciò
che ho trovato interessante su questo o quel soggetto), e che
sarebbero serviti in qualche caso ad illustrare, sviluppare o
precisare temi che erano presentati più obiettivamente in The
Joy of Revolution [La gioia della rivoluzione]. I materiali
potevano essere trasferiti da un testo all’altro come mi pareva.
Ho pensato anche di riunire e ristampare le mie vecchie
pubblicazioni. A parte alcune dichiarazioni eccessive ed alcuni
riflessi di retorica situ, rivendico ancora la maggior parte di ciò
che ho scritto, benché questi testi possano certamente sembrare

114
Confessioni di un garbato nemico dello Stato

oscuri a quelli che non si sono mai impegnati nel genere di


attività che sono descritte.
Per qualche tempo ho previsto diverse pubblicazioni distinte:
riservare l’autobiografia agli amici intimi, pur pubblicando gli
altri scritti sotto forma di opuscoli o di piccoli libri; o forse
rielaborare degli estratti dell’autobiografia perché servissero da
commento ai vecchi testi ristampati; o pubblicare una rivista
che comprendesse The Joy of Revolution [La gioia della
rivoluzione] e altri testi diversi. Alla fine mi è venuto in mente
che molte cose si sarebbero semplificate se avessi inserito tutto
in un solo libro. Per quanto eteroclita potesse sembrare tale
compilazione, avrebbe avuto il vantaggio di rivelare le
correlazioni (che, senza questa, potrebbero non essere ovvie ai
lettori) come anche le contraddizioni (che, senza questa, non
potrei guardare in faccia).
Sapere che il libro sarebbe letto da una gran varietà di persone,
la maggior parte delle quali, ma non tutti, conosce i
situazionisti, presenta molte sfide interessanti, come quella di
legare tra loro i diversi aspetti e quella di trovare il giusto
mezzo tra il troppo e il troppo poco nelle spiegazioni. Senza
dubbio il miscuglio che ne risulta (in parte cronaca politica, in
parte autoanalisi, in parte semplice nostalgia) non soddisferà
completamente nessuno — alcuni si chiederanno perché
affronto alcuni argomenti, altri desidereranno al contrario che
fornisca maggiori dettagli gustosi.
Una volta che ho deciso di pubblicare l’autobiografia, ho tolto
molti dettagli personali che erano presenti nella prima stesura,
sia perché potrebbero imbarazzare le persone interessate, sia
perché avrebbero presentato scarso interesse alla maggior parte
dei lettori. A parte alcune eccezioni non ho designato nessuno
con il suo nome a meno che non si sia impegnato in un’attività
pubblica.

115
Confessioni di un garbato nemico dello Stato

Convengo sul fatto che quest’autobiografia riveli una certa


autocompiacenza. Benché abbia citato alcuni episodi penosi
che erano troppo determinanti per essere omessi, nell’insieme
non sono stato troppo duro verso me stesso, trattando soltanto
delle cose che trovo piacevole ricordare e che, credo,
potrebbero interessare i miei amici e forse qualcun altro. Se
alcuni lettori mi prendono per un egotista per essermi permesso
di scrivere sulla mia vita relativamente poco spettacolare, spero
che altri saranno incoraggiati a rivedere le proprie esperienze.

***

“Giro intorno e non concludo nulla, o quasi nulla, cosa che


contraddirebbe la mia prospettiva. Il lettore o la lettrice
avranno sempre la sua parte da giocare, come me. Cerco meno
a esporre un motivo o un pensiero che a condurti, lettore,
nell’atmosfera di questo motivo o di questo pensiero —
affinché proseguiate il vostro volo.”
(Whitman: A Backward Glance O’er Travel’ed Roads)
[Un’occhiata alle spalle sulla strada fatta]

[NOTE]
1. Brevemente: Nel suo articolo del Village Voice e nel suo
libro posteriore, Lipstick Traces, Marcus si riferisce ai
situazionisti esteticamente, come uno spettatore affascinato.
Nonostante la sua ammirazione per le loro idee estremiste,
mostra poco interesse per le tattiche e le forme organizzative
accuratamente calcolate con le quali provavano a mettere
queste idee in pratica, invece di “esprimerle” impulsivamente
come i suoi altri eroi, i dadaisti ed i punks. Il suo modo
impressionista e personale di rievocare i situazionisti è più

116
Confessioni di un garbato nemico dello Stato

illuminante degli stupidi resoconti della maggior parte delle


critiche culturali ed universitarie, ma come queste preferisce
l’esotismo affascinante della prima fase, considerando il loro
successivo periodo rivoluzionario un anacronismo
imbarazzante. Tali critiche ci rassicurano invariabilmente che,
indipendentemente dalle rivoluzioni che siano avvenute in
passato, ora è tutto finito, e non si ripeterà mai più. Dopo avere
ridicolizzato la perorazione dell’I.S. a favore dei consigli
operai (l’argomento è meno semplicistico di quanto non lasci
supporre), Marcus conclude, disincantato: “Se l’idea
situazionista della contestazione generale si è realizzata nel
maggio 1968, quest’idea ha raggiunto i suoi limiti. La teoria
dell’atto esemplare (...) è andata tanto lontano quanto tale
teoria o tale atto potevano permettere” — passando sotto
silenzio il fatto che il movimento di maggio aveva fallito il
tentativo di andare molto più lontano (vedere i passaggi citati
alle pagine 53 e 57 di questo libro; I.S. n. 12, pagine 12-13;
vedere le sezioni “What could have happened in May 1968” e
“The ultimate showdown” in The Joy of Revolution), e non
citando mai i movimenti posteriori che per certi riguardi sono
andati più lontano, come il Portogallo nel 1974 o la Polonia nel
1980, né nessuna delle correnti particolari che hanno cercato di
riprendere per conto loro e di sviluppare i risultati ottenuti dai
situazionisti. Io stesso sono classificato bizzarramente da
Marcus come uno “studente” dell’I.S., come se non ci restasse,
a noialtri che viviamo oggi, che produrre tesi erudite o elegie
nostalgiche sulle avventure eroiche del tempo passato.
2. Prima di continuare, occorre sottolineare che la mia pratica
Zen non si riferisce ad alcuna credenza sovrannaturale. Per
quanto ne sappia lo Zen non invalida la scienza né la ragione,
prova semplicemente a sbarazzarci dell’abitudine all’
“intellettualizzazione” eccessiva e compulsiva. Senza una
certa quantità di discernimento logico, la gente non potrebbe

117
Confessioni di un garbato nemico dello Stato

sopravvivere un solo giorno, neppure potrebbe comprendere a


sufficienza ciò che ho appena detto per contraddirmi.
Benché la scienza sia spesso accusata d’arroganza, è
praticamente il solo campo umano che tenga conto della sua
fallibilità, che si metta regolarmente alla prova e che corregga i
suoi errori con metodi rigorosamente oggettivi concepiti per
neutralizzare le tendenze naturali della gente verso il
ragionamento erroneo, i pregiudizi inconsci e la memoria
selettiva (il fatto di ricordarsi tutti i successi dimenticando tutti
i fallimenti). Per verificare realmente le pretese dell’astrologia,
ad esempio, occorre esaminare un campione statisticamente
adeguato per verificare, ad esempio, se un numero
sproporzionato di scienziati è nato sotto i segni astrologici che
si presume indichino tendenze razionaliste. Simili prove sono
state condotte a varie riprese senza rivelare mai la minima
correlazione di questo tipo. Indagini analoghe su molti altri
fenomeni cosiddetti paranormali sono state descritte nei libri di
James Randi, di Martin Gardner e di altri, ed in numerosi
articoli del Skeptical Inquirer (rivista del Comitato per
l’indagine scientifica dei cosiddetti fenomeni paranormali).
Molto spesso è stato dimostrato che tali pretese si basavano su
voci che si rivelavano false, su interpretazioni erronee di eventi
che si spiegavano in altro modo, su condizioni di
sperimentazione insufficientemente rigorose, o semplicemente
su burle o su ciarlataneria.
Può darsi che ci sia una piccola parte di verità in qualcuno
di questi fenomeni, ma sapendo quanto le persone sono
disposte ad ingannarsi (e a fissarsi nelle loro credenze piuttosto
di riconoscere che si erano ingannati), non ho l’intenzione di
pronunciarmi prima di avere visto delle prove evidenti. Da
anni, Randi e altri presentano un’offerta permanente di 100.000
dollari a chiunque potrebbe dimostrare il minimo potere
paranormale in condizioni controllate scientificamente

118
Confessioni di un garbato nemico dello Stato

(condizioni che includono la partecipazione di illusionisti come


Randi, che conoscono i trucchi usati dai ciarlatani). Centinaia
di sedicenti medium, radioestesisti, astrologi, ecc. si sono
provati, invano finora.

Traduzione di Omar Wisyam.

119

Potrebbero piacerti anche