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Istituzioni di Relazioni Internazionali

di Fabrizio Calabrò
Gli appunti, basati sui libri "Prima lezione di relazioni internazionali" e
"Istituzioni di relazioni internazionali" di Luigi Bonanate, forniscono una
definizione e ripercorrono brevemente la storia della disciplina delle relazioni
internazionali.
Fabrizio Calabrò Sezione Appunti

1. Definizione di relazioni internazionali


Le relazioni internazionali sono una disciplina accademica nata nel 1919, quando ad Alfred Zimmern viene
affidata la cattedra di Politica internazionale all'Università di Aberystwyth, nel Galles.
Perché nasca, sembra scontato. L’idea del suo creatore, David Davies, era che “il titolare di quella cattedra
dovesse viaggiare per il mondo per diffondere il messaggio che la guerra non era un tratto in qualche modo
irreversibile del corpo politico internazionale, ma, piuttosto, qualcosa che avrebbe potuto essere
gradualmente estirpato da una conoscenza fondata sull’esperienza”. Nasce, quindi, per motivi ideali e al
tempo stesso concreti.
Lo conferma autorevolmente E. H. Carr quando rileva che “la scienza della politica internazionale è sorta,
allora, in risposta a una domanda popolare (che è quella, appunto, di diffondere il messaggio pacifista)”.
Essa si configura come una disciplina scientifica che studia la vita di rapporto tra gli Stati, le imprese
multinazionali, le organizzazioni internazionali (sia governative che non governative), le attività soggettive
umane e infine cartelli economico-finanziari.

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2. Rapporto tra le discipline relazioni: internazionali e scienza


politica
In aggiunta, essa è intesa come un ramo della scienza politica con la quale mostra delle affinità: infatti,
entrambe le materie hanno avuto delle iniziali difficoltà di essere riconosciute da storici e giuristi. In
secondo luogo, entrambi i settori si occupano dello studio empirico dei fenomeni politici. L’unica
distinzione, si potrebbe pensare sia quella tra lo studio dei fenomeni politici “interni” (nazionali) e quello dei
fenomeni politici “esterni” (internazionali).
Tuttavia, rimane il fatto, che il punto di riferimento principale può essere identico in entrambi i casi: lo
Stato, che risulta essere, a livello internazionale sia un attore indipendente e portatore di una propria volontà,
sia un attore dipendente nel senso che, in quanto sistema internazionale, può essere soggetto a pressioni.

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3. Rapporto della scienza delle relazioni internazionali con altre


discipline
Le Relazioni Internazionali, inoltre, sono imparentate con altre discipline accademiche come la storia, il
diritto internazionale, l’economia, la geografia politica, la filosofia, la sociologia, l'antropologia, la
psicologia e gli altri studi culturali. Tuttavia, con alcune di queste sfere metodologiche, risulta essere in
“contrasto”.
In particolar modo la storia si differisce dalle Relazioni Internazionali in quanto analizza i comportamenti
degli individui e degli Stati. Invece il settore delle Relazioni Internazionali, che non soltanto si traduce in
modelli e riflessioni teorici, si occupa di quello che può o non potrebbe succedere.
La seconda distinzione, riguarda il diritto internazionale, che si occupa di classificare fattispecie specifiche
e precise proiettabili su uno schermo normativo mirante a stabilire la congruità o l’invalidità dei
comportamenti tenuti. Le Relazioni Internazionali, riguardano, piuttosto, lo studio casuale dei fenomeni
politici.
In aggiunta, si può ben dire che la geografia politica e l’economia, assieme alle Relazioni Internazionali, si
occupano (anche se in diversa prospettiva) delle stesse cose: tutto ciò che succede sulla terra, dovunque sia
dislocato. Il confronto con una serie di branche affini e contrastanti la disciplina Relazioni Internazionali ci
ha permesso di arrivare alla conclusione che questo dominio di conoscenza rappresenta qualche cosa di
nuovo rispetto alle aspettative e ai preconcetti nei suoi confronti. Per quanto riguarda la definizione
possiamo dire che la scienza politica internazionale, oltre a spiegare i fenomeni politici internazionali, ha
come obiettivo principale quello di analizzare l’interdipendenza e l’alternanza della pace e della guerra.

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4. Storia della teoria politica internazionale: la teoria idealistica


La storia della teoria della politica internazionale inizia nel 1919, sulla base di trovare in maniera urgente
una soluzione al problema politico della pace.
A tal proposito, si forma la prima scuola scientifica nello studio della politica internazionale: questa scuola
di pensiero, che verrà denominata idealistica, ha come principali fautori Theodor Woodrow Wilson,
George Murray, Herbert Wells, Leonard Wolf e Alfred Zimmern.
Essa si propone di operare a favore della pace, che viene studiata inizialmente a livello teorico e poi
vengono analizzate le possibilità di attuarla politicamente, sulla base di alcune ideologie: in primo luogo,
che la pace è un bene desiderabile; in secondo luogo che essa è raggiungibile.
La teoria idealistica è la prima a supporre che l’egoismo nazionale e il desiderio di potenza possono essere
mitigati da un’organizzazione giuridica internazionale volontaria. Questa dottrina, a tal proposito, ha avuto
come intento quello di dare qualche forma di realizzazione al suo ideale, mediante l’istituzione della Società
delle Nazioni. Indipendentemente dal fallimento che ha ottenuto, questa organizzazione (insieme all’ONU)
ha avuto, nel secondo dopoguerra, un impulso senza precedenti. Si può aggiungere, ancora, che il punto di
vista idealistico ritiene che possa essere istituito un ordine politico, razionale e morale. Ne deriva che il
giudizio sulla natura umana è ottimista e che la causa del male venga fatta risalire ai difetti delle istituzioni
che però, possono essere corretti: l’idealismo crede cioè che il mondo possa essere cambiato.
A livello teorico la tesi idealistica, tuttavia, risulta essere insufficientemente infondata, poiché la realtà
governata da un principio di armonia che interessi tutti gli uomini, si rivela difficilmente intellìgibile. Ma se,
anche lo fosse, farebbe sì che i contrasti tra gli uomini non richiederebbero la guerra, ma la comprensione e
il rispetto reciproco. Altresì, a livello pratico, l’ideologia idealistica si denota come infondata poiché le sue
proposte e i suoi progetti non riescono a trovare un’applicazione pratica.

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5. Storia della teoria politica internazionale: la teoria realistica


Contrapposta alla concezione idealistica, vi è la teoria realistica, che ha come principali fautori Hans
Morgenthau (che ha scritto “Politica tra le Nazioni”) ed Edward Carr (che ha scritto “La crisi dei 20 anni”).
Il realismo ritiene, al contrario di quanto detto finora, che gli interessi dell’uomo portino alla lotta e alla
sopraffazione reciproca: lo stato di conflitto che ne deriva è permanente, in quanto l’egoismo e gli interessi
particolari sono strutturalmente ineliminabili, per cui il raggiungimento di un equilibrio, è l’unica alternativa
all’uso della violenza o della forza. Dagli anni ’80 del’900 in poi, il clima della disciplina diventa teso,
poiché vi è rivalità tra gli Stati. Nel frattempo, si sta facendo strada una proposta che vede nei regimi
internazionali una metodologia concettuale (che è il costruttivismo) basata sulla tesi che la creazione di
istituzioni possa portare alla cooperazione. Secondo questa metodologia, la costruzione dell’identità degli
Stati si riversa nella costruzione dei loro interessi. Contemporaneamente alla nascita del costruttivismo,
nascono i regimi internazionali, che secondo Krassner sono “un insieme di principi, norme, regole,
procedure decisionali attorno alle quali convergono le aspirazioni degli attori intorno a un’area tematica”.
Da questa base teorica nasce il neoistituzionalismo, che ha come idea di fondo la cooperazione fra gli Stati.

Il neoistituzionalismo si divide in due branche:


1.Il Neoistituzionalismo razionale (o liberale, in quanto si rifà all’economia) che considera gli Stati come
individui che sanno scegliere opzioni più vantaggiose se aderiscono a un’organizzazione;
2.Il Neoistituzionalismo sociologico, che ripone fiducia nelle istituzioni, in quanto creano situazioni
favorevoli tra gli Stati. Da questa visione, nasce il suddetto costruttivismo.

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6. Le relazioni internazionali: livelli di analisi e livelli di


concettualizzazione
Le Relazioni Internazionali, come qualsiasi disciplina scientifica, devono confrontare tra loro i fatti (realtà
ed eventi) e concetti (modelli di spiegazione), per avere un approccio con l’oggetto che vogliono studiare.
Poiché la realtà e la scienza, sono inconfrontabili, è utile che la seconda debba definire le regole che
dovranno essere eseguite per conoscere la prima. Si tratta, dunque, di imporre dei limiti nell’ambito del
proprio lavoro conoscitivo. Questo complesso lavoro può essere paragonato a quello di un chirurgo, il quale,
di fronte alla necessità di operare un determinato taglio dovrà avvalersi delle proprie conoscenze, che gli
possano far presumere che quello che farà avrà buon esito. A questo punto, il medico dovrà porre su un
piano orizzontale le sue abilità, che a priori, hanno lo stesso valore ma che alla fine del lavoro non saranno
uguali. A tal proposito, sarà necessario un secondo asse lungo il quale disporre le esperienze già raccolte e
differenziate per importanza. Con l’incrocio dell’ascissa e dell’ordinata che rappresentano, rispettivamente, i
livelli di analisi (variabili dipendenti che hanno natura descrittiva) e i livelli di concettualizzazione (variabili
indipendenti che hanno natura interpretativa), il nostro impianto non può prescindere da una terza
dimensione: la profondità che rappresenta la capacità esplicativa. Con tale sistema siamo in grado di
costruire una vera e propria griglia, che rappresenterà l’introduzione empirica delle relazioni internazionali.

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7. La disciplina delle relazioni internazionali e il problema delle


guerre
Ritornando ai livelli di analisi, il primo a proporli, fu Kenneth Waltz, il quale, suggerì che per affrontare il
problema delle guerre fosse necessario considerarlo, usando la metafora dell’immagine in tre differenti
possibilità: la prima secondo cui le cause della guerra vanno ricercate nella natura dell’uomo, la seconda che
si rifà al rapporto tra Stato e guerra, la terza infine che riconduce le guerre al sistema internazionale
(denominato anche anarchia internazionale). Waltz arriva alla conclusione che la risposta andasse cercata
nell’ultima immagine. Si può dire che la logica di quest’autore è un’impostazione “unidimensionale”, che
non contempla altre vie.
Recentemente, un altro studioso R. North, associando immagini e livelli, perviene a una quadripartizione,
che aggiunge un’immagine alle tre di Waltz: quella del sistema globale. La nuova ideologia dei livelli, se
pur arricchita, continua a mantenere il carattere unidimensionale: in poche parole non emerge quale rapporto
si sia instaurato tra i livelli.
A questa difficoltà ovvia Raymond Aron, che nell’opera “Pace e guerra tra le nazioni”, afferma che per
comprendere il gioco del calcio sia necessario far riferimento a una teoria, verificarne le manifestazioni
attraverso uno studio sociologico, conoscerne la storia e infine giudicarlo.

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8. Livelli materiali e immateriali di analisi nella disciplina delle


Relazioni Internazionali
Andiamo adesso ad analizzare i livelli materiali (uomo e stato) e i livelli immateriali (sistema internazionale
e sistema globale) di analisi.

a.L’individuo: egli rappresenta l’unità di analisi più elementare delle scienze sociali, su cui l’attenzione si è
collocata nel modo più intenso, essendo il protagonista delle vicende storiche. Tuttavia, l’individuo, diventa
rilevante solo se gli si imputino le ragioni dello scoppio della guerra. A tal proposito sorge il problema,
ancora irrisolto, del rapporto tra il singolo e il contesto in cui si trova.

b.Lo Stato: esso è il prevalente attore delle relazioni internazionali materiali. Chiunque agisca sulla scena
internazionale e abbia una veste pubblica, è esclusivamente il rappresentante di un’autorità. Nel linguaggio
comune, si intende raffigurarlo nella sua globalità, evocando l’immagine di attore unitario.

c.Il sistema internazionale: questa espressione nasce nel 1957, ad opera di Kaplan. Il termine “sistema” non
ha una caratteristica particolare di per sé: la parola riguarda esclusivamente il modo di organizzare un
qualche insieme. Il sistema internazionale, quindi, non rappresenta l’insieme degli Stati, ma un modo per
analizzare la composizione che si crea tra le volontà dei diversi soggetti partecipanti alle Relazioni
Internazionali.

d.Il sistema globale: l’idea di globalità nasconde la teoria della globalizzazione, con la quale si mettono in
evidenza due importanti elementi dell’analisi della vita planetaria. Il primo dipende dall’unificazione del
mondo, per cui si può parlare di società mondiale (o globale). Il secondo, ammette che un sistema di questo
genere abbia una propria indipendenza analitica e sostanziale.

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9. Livelli di concettualizzazione nell'analisi della disciplina delle


Relazioni Internazionali
Passiamo adesso all’analisi dei livelli di concettualizzazione, che per Raymond Aron sono 4, ma per noi
sono 6.

a.Livello teorico, che sta alla base di tutti i livelli, perché cerca di dare una definizione generale ai fatti
internazionali. Inoltre, tenta di trovare i motivi di ciò che accade e per questo motivo è epistemologico.
Altresì, tale livello indirizza gli altri alla strategia di ricerca.

b.Livello storico (o storiografico), che viene usato da alcuni internazionalisti per definire il profilo di ciò che
accade. Oltre a questo compito, questa disciplina ne ha altri che consistono nel definire le linee
organizzative dei fatti internazionali, separare la storia dalla cronaca e, infine, considerare la casualità e le
circostanze degli accadimenti che incidono la vita internazionale.

c.Livello sociologico, che sta attento ai comportamenti (e loro modelli) degli attori della vita internazionale.
Tutto ciò sopperisce allo studio strategico, che ha un alto livello di astrazione. Al contrario, la sociologia
(che rappresenta una sottobranca delle Relazioni Internazionali), desta attenzione a tutti gli aspetti ignorati
dagli studi strategici.

d.Livello economico, che viene annoverato tra i livelli di concettualizzazione, in quanto è al centro del
dibattito degli studiosi di Relazioni Internazionali Qual è il ruolo dell’economia nelle società? E’ un ruolo di
grande importanza, tanto che vi è, uno studio che riguarda l’economia politica internazionale.

e.Livello politologico, che si raccomanda da solo. Si può dire che il linguaggio politico è stato utilizzato,
come medium, da studiosi per lo studio delle Relazioni Internazionali. Fatta questa premessa, il livello
politologico, non può non essere preso in considerazione nello studio della politica internazionale. Una
caratteristica di questo livello, è che, se viene utilizzato come medium mantiene una sua autonomia.

f.Livello concettuale del giudizio (definito anche valutativo o prasseologico). Tale livello è inconfrontabile
rispetto agli altri cinque. Quest’ultimi, infatti, anche se differenti tra loro, sono cumulabili dato che non
comportano un meccanismo di esclusione. La caratteristica di questo livello è che uno studioso, per
analizzare un determinato fatto, deve fare delle scelte (anche di tipo epistemologico) e deve dare un
giudizio. A questo livello, in altre parole, spetta di delineare la strategia di ricerca.

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10. I contenuti del livello analitico individuale nell'analisi delle


Relazioni Internazionali
Casella n. 1: livello analitico individuale + livello di concettualizzazione teorico
Questo incrocio di livelli fa emergere la centralità dell’individuo nella spiegazione della politica
internazionale. In questo caso, entrano in gioco 3 prospettive: la psicoanalisi, l’antropologia e l’etologia.
Sembrerebbe che la radice comune di queste materie, sia l’aggressività umana (acquisita, innata, provocata).
Tale elemento, è definito da Freud, una “pulsione di morte” che governa l’inconscio umano. La conseguenza
di questo carattere è la guerra, tema studiato da Einstein. Egli si chiede se vi è un modo per liberare gli
uomini dalla guerra. Rispondere a questa domanda è una questione di vita o di morte per la civiltà umana:
tuttavia, non si riescono a trovare delle soluzioni che possano ovviare ai conflitti. Einstein cerca, comunque,
di risolvere il problema della guerra in modo diverso: abbattere i recessi della volontà e dei comportamenti
umani. Se analizzata a livello politico, tale questione può essere risolta attraverso l’istituzione di un tribunale
internazionale che possa emettere pareri incontrastabili.

Casella n. 2: livello analitico individuale + livello di concettualizzazione storiografico


A livello storiografico bisogna attuare le considerazioni appena svolte sul ruolo delle vicende politiche
internazionali. Da una parte entrano in gioco le caratteristiche soggettive degli strateghi, dall’altro la
sopravvalutazione del genio militare da parte della storiografia.

Casella n.3: livello analitico individuale + livello di concettualizzazione sociologico


Tale incrocio può essere illustrato dal rapporto agente-struttura, che ci permette di approfondire il ruolo
dell’individuo agente all’interno della struttura nella quale è inserito. Gli individui e le strutture si
trasformano reciprocamente nel momento in cui le singole azioni vengono compiute.

Casella n. 4: livello analitico individuale + livello di concettualizzazione economico


Questo accoppiamento chiama in causa due prospettive filosofiche: il liberalismo e il marxismo. Nella
tradizione liberale l’interesse dei problemi internazionali non è altissimo. Si può dire, però, che la
dimensione prevalente di questa impostazione è quella individuale, così come è preferita l’immagine di un
ordine internazionale spontaneo nel quale gli interessi soggettivi possono estrinsecarsi pienamente.
L’immagine delle relazioni internazionali che discende da ciò è ottimistica, ma pecca di realismo e di
adeguatezza dei tempi.

Casella n. 5: livello analitico individuale + livello di concettualizzazione politologico


Tale approccio da importanza al ruolo esercitato dai leaders: essi, essendo alla guida dei partiti politici,
possono influenzare pesantemente gli atteggiamenti dell’opinione pubblica o possono orientare la politica
estera di un paese. Questa tematica, emersa come nodo centrale delle relazioni internazionali all’inizio degli
anni ’60 fu studiata da Wolfers, il quale, risolva il nodo osservando che ogni evento internazionale può
essere analizzato contemporaneamente da due angolature: la prima, fa riferimento al comportamento degli
Stati. La seconda visione presa nella sua versione generale, si scontra con un problema: o accettare che la
natura umana sia la stessa, o ricondurre l’analisi degli eventi internazionali, alla capacità decisionale degli
individui.

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11. I contenuti del livello analitico statale nell'analisi delle Relazioni


Internazionali
Casella n. 6: livello analitico statuale + livello di concettualizzazione teorico
Lo Stato, visto dalla filosofia politica richiama la teoria della politica di potenza, che si sovrappone a quella
anarchica. Questa teoria trova la sua sistematizzazione nella filosofia tedesca del XIX e del XX secolo.
Sergio Pistone definisce la politica di potenza in questo modo: “Ogni Stato ha un’organica tendenza, nei
rapporti con gli altri Stati, ad attuare con la forza la propria volontà. La politica di potenza non è affidata alla
volontà dei governanti. Essa è una necessità per regolare i rapporti interstatali moderni”. Per Luigi Bonanate
la politica di potenza non è una necessità irresistibile, perché si perderebbe la soggettività.

Casella n. 7: livello analitico statuale + livello di concettualizzazione storiografico


Questo approccio studia il collegamento tra le vicende della formazione dello S tato e i rapporti con gli
altri Stati, che avvengono attraverso la guerra. Tilly ha utilizzato una nuova espressione per esprimere
questo concetto: “la guerra fece lo Stato, e lo Stato fece la guerra”. Questa frase ci fa capire quanto sia
importante la guerra all’interno dello Stato: grazie ad essa, infatti, si sono venuti a creare, sia gli Stati
nazionali in Europa, sia gli apparati burocratici al loro interno. Tuttavia non bisogna assolutizzare il ruolo
della guerra.

Casella n. 8: livello analitico statuale + livello di concettualizzazione sociologico


L’immagine della “palla da biliardo” viene evocata, in questo caso, per studiare le componenti reattive della
politica estera degli Stati. Questa sottolineatura non è marginale.

Casella n.9: livello analitico statuale + livello di concettualizzazione economico


Tale intreccio ha come punto di riferimento la teoria marxista. Partendo dallo sviluppo economico interno a
uno Stato, possiamo dire che questa teoria ha dato origine allo Stato capitalista, il quale, adotta al suo
esterno l’economia di potenza. La portata di tale modello non deve essere trascurata, in quanto viene
applicata allo scoppio delle guerre, che soddisfano il colonialismo territoriale e danno maggiore vigore
all’economia. La nascita delle grandi potenze deriva da questa teoria.

Casella n.10: livello analitico statuale + livello di concettualizzazione politologico


Questo incrocio fa emergere due distinte problematiche: il “decision-making” e lo “Stato impermeabile”. Il
primo tema si concentra sulle azioni effettivamente compiute dagli attori, valutando l’azione per quel che
essa materialmente è, cioè il risultato di una decisione: ciò che conta sarà dunque analizzare come
tecnicamente quella certa decisione sia stata presa. L’impermeabilità dello Stato è il risultato di
un’impostazione filosofica condotta da J. Herz. Egli, è arrivato alla conclusione, che tale impermeabilità
degli Stati, tende a proteggere le diversità di vita e di cultura, di tradizioni e di civiltà dell’umanità.

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12. I contenuti del livello analitico del sistema internazionale


nell'analisi delle Relazioni Internazionali
Casella n. 11: livello analitico del sistema internazionale + livello di concettualizzazione teorico
La vita internazionale può essere spiegata attraverso la teoria dell’anarchia: essa è contemporanea alla
nascita degli Stati nazionali, rappresentata dal raggiungimento della sovranità. La più nota
concettualizzazione dell’anarchia è quella proposta da Thomas Hobbes. Questa impostazione può essere
contestata sotto due profili: quello teorico e quello concreto. Dal punto di vista teorico, lo scontro tra
sovranità, indipendentemente dal momento storico, e dai fatti che l’hanno originato, è una condizione
permanente. La logica esplicativa dell’anarchia è cogente. Nonostante questo, il dibattito fra gli
internazionalisti è ancora aperto. I maggiori dubbi che suscita questa teoria sono legati alla sua semplicità e
alla sua schematizzazione logica: o la pace deriva dalla sottomissione di uno Stato o la pace nasce per caso.
Dal secondo punto di vista, la raffigurazione hobbesiana si adattava al mondo del sedicesimo secolo, ma
certo non a quello della seconda metà del XX.

Casella n. 12: livello analitico del sistema internazionale + livello di concettualizzazione storiografico
Da un punto di vista storico, il sistema internazionale si confronta con la teoria dei cicli internazionali,
avanzata da Auguste Comte nel XVIII secolo. Secondo questo filosofo, la vita dell’umanità procede per
cicli, che derivano da guerre specifiche. Comte distingue tre cicli:
- Cicli che nascono da guerre di conquista;
- Cicli che nascono da guerre di difesa;
- Cicli che nascono da guerre commerciali.
Un’altra impostazione teorica sul sistema internazionale, è stata avanzata da O. Spengler, il quale, credeva
che la storia dell’umanità sia caratterizzata da 50 anni di guerre. Organski, invece, ritiene che ci vogliano
15-20 anni affinché uno Stato possa risorgere dalla guerra. La teoria dei cicli, tuttavia, non riesce quasi mai a
trovare punti di riferimento scientificamente applicabili. Vale la pena, quindi, soffermarsi su un tentativo
operato in questa direzione da una corrente scientifica, la quale si è proposta di proiettare nel futuro la teoria
dei cicli internazionali. Così, sulla base di una serie di dati statistico-economici, essa ha sostenuto che le tre
fasi riconoscibili in ciascun ciclo siano rappresentate, da una prima di crescita produttiva, una seconda di
aumento di conflittualità, e infine, da una terza di aumento dei prezzi: al termine di questo ciclo
scoppierebbe una guerra, che sarebbe seguita da un nuovo e analogo ciclo.
Il problema sta nel fatto che la teoria dei cicli non è supportabile da dati economici. Tuttavia, si può dire che
gli ultimi cinque secoli di storia europea sono stati caratterizzati dalle guerre, ognuna delle quali sono
avvenute a distanza di 100 anni:
-Guerra dei 30 anni (1618-1648);
-Guerra di successione spagnola (1701-1713);
-Guerre napoleoniche (1803-1815);
-I guerra mondiale (1914-18).
Modelsky afferma che un lungo ciclo si può analizzare, a livello internazionale, attraverso 4 fasi:
-L’emergere di una potenza mondiale;
-La sua de-legittimazione;
-De-concentrazione del potere;

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-Lo scoppio di una guerra globale.

Casella n. 13: livello analitico del sistema internazionale + livello di concettualizzazione sociologico
Studiare la configurazione degli Stati in diverse fasi, è una fase interessante. Per questo motivo sono state
avanzate diverse tipologie di analisi. La prima di queste è la proposta di Kablan, che consiste nel
rappresentare le Relazioni Internazionali attraverso 5 modelli:
-Equilibrio di potenza;
-Sistema bipolare rigido o flessibile;
-Modello universale dei rapporti internazionali;
-Modello gerarchico;
-Modello anarchico.
Recentemente è stata proposta una versione di questo tipo di analisi: si tratta della “teoria della stabilità
egemonica”, entro la quale si fanno rientrare i regimi internazionali. Tale modello si applica nel campo dei
rapporti fra gli Stati amici. Il livello sociologico è valido, perché si basa sull’economia, sulla politica e
sull’interdipendenza fra gli Stati. Il suo punto debole sta nel fatto che la potenza egemone è diventata
instabile.

Casella n. 14: livello analitico del sistema internazionale + livello di concettualizzazione economico
Le Relazioni Internazionali, in questo caso, si basano sull’equilibrio, concetto che è stato avanzato da Adam
Smith nelle sue Ricerche sopra la natura e la causa della ricchezza delle nazioni, nelle quali viene
enfatizzato il mercato in situazione di equilibrio: sistema nel quale produttori e consumatori trovano un
punto di equilibrio, grazie all’aiuto di una mano invisibile. Un altro filosofo, David Hume trasla il concetto
di equilibrio nella vita internazionale: in questo caso i rapporti internazionali, possono essere spiegati
attraverso l’instaurazione di un equilibrio in qualche modo realizzatosi, e la guerra discende, ovviamente
dalla rottura di questo equilibrio. L’unico elemento di rottura di tale equilibrio è il “vuoto di potenza” che si
potrebbe verificare in qualche area del mondo. La teoria dell’equilibrio deriva dai funzionalisti, i quali
ritengono che essa sia la migliore condizione per la conservazione del sistema. Non sempre, però, è ottimale.

Casella n. 15: livello analitico del sistema internazionale + livello di concettualizzazione politologico
In questo concetto vengono analizzati due concetti chiave: i modelli di sistema e la guerra costituente.
Riguardo i modelli di sistema, alcune ricerche si sono dirette verso il mondo bipolare delle Relazioni
Internazionali, in cui gli Stati si proteggono a vicenda. Da un lato è presente la politica del terrore, dall’altro
lato si sono costruite le alleanze. Quest’ultimo modello è diventato teoricamente autosufficiente, da quando
un politologo, ha proposto un suo modello delle coalizioni, in cui ha fatto una serie di calcoli per trovare la
coalizione ottimale per vincere una competizione. La migliore soluzione, secondo lui, è la coalizione
minima vincente. che ha come obiettivo il miglioramento delle alleanze. Al di fuori di questa coalizione, le
altre sono sub-ottimali. Altre ricerche, invece, hanno approfondito il multipolarismo. In questa categoria
rientrano i soggetti sovranazionali, che hanno sostituito lo Stato.
Per quanto riguarda la guerra costituente, si può affermare, che la vita internazionale ruoti intorno alla
guerra, e che la storia delle relazioni internazionali possa essere ricostruita attraverso la periodicità delle
grandi guerre. In questa impostazione, le guerre presiedono alla nascita di nuovi sistemi. Accanto al concetto
di guerra costituente, vi è la guerra globale, proposta da Modelski. Tale concetto, venne ripreso sia da R.
Gilpin (guerra egemonica), sia da J. Levy (guerra generale).

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13. I contenuti del livello analitico del sistema globale nell'analisi


delle Relazioni Internazionali
Casella n. 16: livello analitico del sistema globale + livello di concettualizzazione teorico
Il problema degli internazionalisti era quello di dover superare il lessico tradizionali delle Relazioni
Internazionali. Si è incominciato a parlare di sistema trans-nazionale. Ma questo termine non dava l’idea
dell’ampliamento internazionale. Si è fatto un passo avanti con la parola “globalismo”, che si riferisce al
fenomeno crescente e in continua espansione del coinvolgimento di tutti gli Stati nella vita l’uno dell’altro.
Esso indica, quindi, la totalità delle Relazioni Internazionali. Inoltre, si può dire che è un termine neutro,
perché indica una quantità indefinita e indefinibile di aspetti. Da questo aspetto, deriva che i confini di uno
Stato dono insufficienti per spiegare una disciplina: in tal senso, si riducono l’immagine della palla da
biliardo e dell’anarchia. Al contrario diventa più significativa la prospettiva neo-istituzionalista. Essa indica
l’insieme di regole comportamentali, che sono scaturite dalle Relazioni Internazionali. Si giunge così a
immaginare un mondo fatto di soggetti quali si propongono di coordinare le loro azioni.

Casella n. 17: livello analitico del sistema globale + livello di concettualizzazione storiografico
L’ipotesi che viene presa in considerazione è quella di Wallerstein. Nel 1970 egli avanzò una teoria
presente nell’opera Il sistema mondiale dell’economia moderna. L’idea di fondo è quella di considerare il
mondo come un sistema sociale unitario, che ha una sola divisione del lavoro e una molteplicità di sistemi
culturali. L’elemento principale di questo quadro storiografico, è la periodizzazione avanzata da
Wallerstein, che mira all’interdipendenza delle diverse manifestazioni della vita umana:
I.1450-1640;
II.1650-1730;
III.1730-1917
IV.1917-1978.
Del mondo che viene così individuato, è possibile distinguere:
-Un centro costituito dalle grandi potenze politiche, economiche e culturali;
-Una periferia che offre le risorse disponibile per lo sfruttamento dello sviluppo economico, e dipendente dal
centro;
-Una semi-periferia, che funge da anello di congiunzione tra i due blocchi contrapposti
Nel suo complesso questa impostazione suggerisce che la storia del mondo è unitaria, contraddistinta da uno
sviluppo unitario e unilineare.

Casella n. 18: livello analitico del sistema globale + livello di concettualizzazione sociologico
Il superamento dei confini nazionali implica che le teorie vanno poste all’interno di una società
internazionale. I media e le tecnologie hanno provveduto a colmare i limiti del mondo antecedenti alla sua
contemporaneità.

Casella n. 19: livello analitico del sistema globale + livello di concettualizzazione economico
Il rapporto fra politica ed economia è cresciuto si è intrecciato talmente tanto, che è stato creato uno studio
basato sull’intreccio “economia-politica internazionale”. I problemi che devono essere risolti da questa
materia sono: la redistribuzione della ricchezza, che acquista particolare rilevanza nel momento in cui

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l’interdipendenza si fa globale, e la conseguente analisi etica che deriva dall’aiuto dei paesi ricchi nei
confronti dei paesi poveri.

Casella n. 20: livello analitico del sistema globale + livello di concettualizzazione politologico
Va sotto il nome di “teoria dei regimi internazionali” una problematica di particolare interesse per l’analisi
internazionalistica, il sviluppo origina alla metà degli anni settanta. Il “regime” è un elemento funzionale,
che si riferisce a entità materiali o immateriali che propongono o si propongono di risolvere questioni
globali. Bisogna cooperare per stabilire un regime, affinché questi problemi vengano risolti. Si profila, in tal
modo, una situazione nella quale la guerra è inessenziale.

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14. I contenuti del livello analitico delle Relazioni Internazionali -


Altre caselle
Tutta questa varietà teorica, ci ha dimostrato che la politica internazionale ha moltissime sfaccettature e che
le Relazioni Internazionali sono una disciplina complessa, che non può essere ricondotta a un quadro
unitario, in quanto, non tutte le caselle non riconducono a uno schema organico che non si può confrontare
con le altre teorie generali. Per questo motivo le ultime 4 caselle sono state messe al di fuori dalle diverse
prospettive descritte finora.

Casella n. 21: livello analitico individuale + livello di concettualizzazione valutativo (“idealismo”)


La teoria idealistica delle relazioni internazionali si colloca alle origini accademiche della disciplina. Tale
concezione, studiando i rapporti tra gli Stati, si interroga sulla natura degli individui, muovendo dall’ipotesi
che la moralità di gruppo non è la stessa della moralità individuale. Da quest’analisi si è potuto comprendere
che il ricorso alle armi, non dipende dalla natura dell’uomo, ma dalla natura delle istituzioni statuali,
considerate ancora imperfette e inadeguate al compito che devono assolvere. Per tale ragione,
l’impostazione idealista sviluppò la sua proposta: radicale trasformazione delle istituzioni statuali in senso
democratico, e promozione di democrazia internazionale da parte delle istanze sovranazionali.
Caratterizzata da un lungo periodo di declino, tale ideologia appare, tuttora, come oggetto di rinnovato
interesse.

Casella n. 22: livello analitico statuale + livello di concettualizzazione valutativo (“realismo”)


L’ipotesi realistica, avanzata da Hans Morgenthau, può essere riassunta in alcuni principi basilari, il più
importante dei quali verte su una valutazione pessimistica della natura dell’uomo, giudicato egoista. Il
pensiero internazionalistico del realismo si presenta come un sistema coerente e autosufficiente, in quanto
offre un modello di spiegazione globale, che non lascia spazio a confusioni né dubbi. Tuttavia, resta
problematica la determinazione del contenuto dell’interesse.

Casella n. 23: livello analitico del sistema internazionale + livello di concettualizzazione valutativo
(“ordine internazionale”)
La teoria dell’ordine internazionale ipotizza che la sistematicità internazionale dipenda dal tipo di pace che
viene prodotta dalla fine della guerra. Essa viene combattuta, per affermare e rivendicare un principio di
ordine internazionale che sarà imposto con le armi. Quest’ordine dapprima costituente deve
progressivamente estendersi all’insieme di Stati che partecipano alla vita di relazione. Tuttavia l’ordine
internazionale, dopo un periodo di massimo successo, conosce una crisi profonda.
K. Holsti elenca le condizioni che un sistema di ordine internazionale deve saper realizzare al termine di
una guerra:
a)Gli Stati vincitori della guerra devono detenere una capacità di governo;
b)I vincitori devono essere legittimati a essere i leaders del nuovo ordine internazionale;
c)Le regole, i valori che stanno alla base dell’ordine devono essere riconosciuti da tutti gli Stati (vincitori e
sconfitti);
d)Chi sta alla guida del nuovo ordine deve assolvere il compito di controllo e soluzione dei conflitti;
e)Bisogna che la pace sia il nuovo criterio dell’ordine internazionale;

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f)I leaders della nuova situazione internazionale devono superare le difficoltà e i mutamenti;
g)Si ha la necessità di anticipare le tensioni che possono scoppiare all’interno del nuovo ordine.

Casella n. 24: livello analitico del sistema globale + livello di concettualizzazione valutativo (“società
cosmopolitica”)
Il principio cosmopolitico implica che ogni individuo condivide la stessa appartenenza al genere umano, da
cui si fa discendere il principio di fratellanza universale che dovrebbe portare accomunare tutti gli individui.
Astrattamente affermato (grazie al suo ideale altissimo), la concezione cosmopolitica è inapplicabile
materialmente.
Delle quattro impostazioni ora analizzate, tre (idealismo, realismo, cosmopolitismo) offrono un sistema di
credenze, applicabile a qualsiasi altro aspetto della realtà politica e sociale. La teoria dell’ordine
internazionale, invece, si limita a offrire un programma di ricerca, nel quale nessuna credenza potrà
influenzare le scelte di chi lo perseguirà. L’idealismo, il realismo e il cosmopolitismo sono concezioni
“olistiche”, nelle quali l’interdipendenza fra le diverse realtà sia unitaria, ma al tempo stesso mantenga
indipendenti le sue caratteristiche. Del tutto differente è l’impostazione dalla quale muove la proposta
dell’ordine internazionali, che si organizza sulla base di ipotesi, che sono tra loro collegate senza che ciò
implichi un’interdipendenza fra le varie realtà. Ciò ne fa un tipo di analisi incomparabili rispetto agli altri
tre, in quanto è molto più “indeterministica”: questa caratteristica è stato l’elemento da cui siamo partiti, per
arrivare ad un ordine comune alle diverse conoscenze internazionalistiche. Adesso potremmo costruire un
modello piramidale, alla base del quale si avranno le impostazioni empiriche o di breve o medio raggio.
Deduciamo così, che alla base di tutto ciò, ci sia l’ordine internazionale strettamente collegato alla
problematica della guerra costituente.

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15. Teoria delle Relazioni Internazionali


Possiamo finalmente proporre una vera e propria teoria delle Relazioni Internazionali.

Il principio gerarchico (tipo interpretativo)


Alla base della nuova costruzione poniamo l’ipotesi, secondo cui gli Stati che condividono una stessa vita
internazionale, si pongono nei loro rapporti su una linea gerarchica.

L’autorità sul piano internazionale (tipo interpretativo)


I rapporti interstatali danno inevitabilmente vita a rapporti di subordinazione, cosicché si può ipotizzare che
durante i periodi di pace i rapporti tra gli Stati producano forme di autorità di fatto e non di diritto. Anche se
la condizione di autorità non è sancita giuridicamente, alcuni Stati sono liberi di agire sul piano
internazionale in modi ben più significativi di quanto non sia possibile ad altri. In questo modo si viene a
creare un rapporto di diseguaglianza e la teoria dell’ordine internazionale si confronta con la teoria
dell’anarchia.

La guerra costituente (tipo interpretativo)


La guerra costituente ha per effetto il cambiamento della costituzione pre-esistente, in cui cambia la
composizione del gruppo che detiene l’autorità, che sarà accompagnata dalla formazione di nuovi principi
generali, in conseguenza dell’esito della guerra stessa. Tali guerre sono naturalmente rare, e quindi tanto più
importanti: si può dire che le Guerre Napoleoniche, la Prima e la Seconda guerra mondiale sono eventi
grandiosi che mettono in luce un altro importantissimo aspetto: il coinvolgimento di tutte le forze di un
paese. Ecco che nella guerra costituente si concentrano i tre aspetti fondamentali della vita internazionale
degli Stati: politica, guerra, strategia.

Assunzione dei ruoli (tipo applicativo)


I rapporti costituiti dal nuovo ordine fanno sì che ogni Stato abbia il suo ruolo.

Determinazione delle regole del gioco (tipo applicativo)


La conseguenza deduttiva della è la determinazione delle regole di gioco che vengono interiorizzate e
praticate da tutti gli Stati, indipendentemente dal fatto che essi siano vincitori o perdenti. Questa quinta
ipoteso ha una funzione fondamentale nella logica qui proposta, perché da un lato si può dire se i fini della
guerra corrispondono alle ragioni che l’hanno fatto scoppiare, e dall’altro, valutare si il nuovo ordine risulti
sufficientemente solido e prometta di durare.

La formazione del regime del sistema internazionale (tipo applicativo)


Dopo la fine di una guerra possono presentarsi nuove tensioni: esse possono essere affrontate usando la
tecnica della cosiddetta “irreggimentazione”= tentativo che le parti compiono per evitare che una qualche
tensione sfugga di mano agli interessati: ecco che allora le parti la sottoporranno a una continua ripresa, il
cui fine sarà, la sua “tenuta sotto controllo”. La quotidianità della vita internazionale, è dunque oggetto di
“irreggimentazioni” continue, che adattano al singolo caso regole generali già imposte a tutti i soggetti delle
Relazioni Internazionali.

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Il declino del principio di ordine (tipo applicativo)
La storia ci suggerisce che qualsiasi ordine internazionale è sempre, prima o poi, crollato. Questa settima e
ultima ipotesi ci consente di introdurre nel nostro modello un elemento di particolare importanza: il tempo, il
cui scorrere ha un’incidenza sulla durata dei sistemi internazionali. Un interessante tentativo di analizzare
questa situazione è stato compiuto da J.-B. Duroselle, il quale propone una tipologia dei sistemi imperiali
della storia: imperi effimeri; imperi duraturi e dinastici; imperi marittimi e/o coloniali; imperi “clandestini”.
Da questa elencazione deriva che ogni impero si è dissolto, per varie ragioni. Giunti a questo punto, ci si può
domandare quale sarà il futuro per il nostro pianeta: attualmente è difficile ipotizzarlo. Si può ben dire, però,
che il sistema internazionale ha avuto una pace così esaltante e pacifica. Perché, allora, bisogna porre dei
limiti al futuro?

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16. Rapporto interno – esterno: rapporto politica estera e politica


internazionale
Dilemma: le politiche estere vanno considerate come una politica specifica di ogni stato? Se è così allora
come la mettiamo col sistema internazionale? Le politiche estere devono essere analizzate all’interno di
questo sistema o fuori, stato per stato?
L’approccio sistemico è sicuramente utile ma non esaurisce i problemi della vita internazionale.
E’ necessario che si stabilisca una forma di socievolezza tra gli Stati, altrimenti non si spiegherebbe
l’esigenza di ciascuno di far valere la propria soggettività.
Una impostazione realista classica, secondo cui ogni Stato non ha che da perseguire il proprio interesse
nazionale la ritroviamo con Tucidide che, nella Guerra del Peloponneso, scrive che ogni Stato è mosso da
gloria, paura, utile.
Ma se è vero che nessuno Stato farebbe nulla contro il proprio interesse ciò non spiega perché certi Stati
perseguano l’interesse secondo determinate linee e altri seguendone altre completamente differenti.
Ci sono una serie di modelli seguiti dalle politiche estere dei vari Stati.
Il fatto che si creino delle differenze nelle politiche estere comporta la necessità di studiare le giustificazioni
di queste all’interno; ossia capire fino a che punto influiscano motivi interni e fino a che punto quelli esterni.

Hamilton nel Federalista scrive che gli Stati sono obbligati ad avere una politica estera che risponda a
regole comuni perché le regole della politica estera sono cogenti.

Tocqueville scrive che nella politica estera gli Stati democratici devono ricercare qualità che in sé non
hanno.
L’ideale democratico è in sé autosufficiente, non basta per giustificare le politiche estere in capo ad ogni
Stato. Regime democratico inferiore agli altri.

E’ necessario sempre decidere quanto conti nell’elaborazione delle politiche estere la prospettiva soggettiva
dello Stato e quanto la politica internazionale.
Da un punto di vista soggettivo ci si chiede le politiche estere da chi vengono elaborate e con quali criteri.
Vengono utilizzati criteri di razionalità -> è necessario che non vi siano fraintendimenti o inganni nella
raccolta delle informazioni. Se queste sono inesatte e pilotate si creano situazioni di crisi.

Ed è proprio sulla definizione di questo particolare momento della vita di uno Stato che gli studi
internazionalistici si sono a lungo soffermati.
Affinché vi sia una situazione di crisi secondo Michael Brecher sono necessaria 3 condizioni:
a)la minaccia ai valori fondamentali di uno Stato
b)alta probabilità di coinvolgimento dello Stato in ostilità militari
c)tempo limitato per reagire alla minaccia esterna
Queste condizioni hanno a che fare esclusivamente con l’aspetto delle relazioni esterne dello Stato. Non
vengono considerate altre variabili.

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Secondo Theodore Lowi si tratta di affrontare due principali questioni:


-in quale misura i fattori di politica interna influenzano la formazione della politica estera
-fino a che punto le istituzioni democratiche facilitano o ostacolano l’uso delle risorse necessarie a
perseguire gli interessi di uno Stato?

Robert Putnam risponde a queste domande con una proposta: il gioco a due livelli.
Dice infatti che le politiche dello Stato somigliano ad un gioco a due livelli: ossia uno quello della politica
interna e l’altro quello della politica internazionale. I soggetti che partecipano al gioco della politica interna
vi partecipano anche quando impegnati in trattative con soggetti esterni allo Stato, ossia quando devono
ottenere una decisione che dovranno far valere a livello internazionale. E, al contrario, quando partecipano
al gioco politico internazionale devono riuscire ad ottenere decisioni che possano essere ben accolte
all’interno del loro paese.
Emerge quindi che la politica interna e la politica estera di uno Stato sono in sostanza un tutt’uno.
Infatti coloro che prendono le decisioni nei due ambiti sono gli stessi personaggi, ma è necessario che le
decisioni prese nei due ambiti siano coerenti.
Infine non esiste decisione di politica interna che non abbia rilevanza internazionale e viceversa.
Nella stessa misura in cui il mondo va globalizzandosi perché le interdipendenze economiche, finanziarie,
sociali, culturali, sanitarie etc, vanno arricchendosi è chiaro che tende ad una sorta di unificazione.
Ogni scelta fatta da uno Stato ha un immediato riflesso internazionale.
Tutte le politiche analizzate provengono da un approccio stato centrico.
Sorge quindi una domanda: la politica estera di ogni Stato dovrà mirare a modificare a proprio vantaggio
l’assetto dei rapporti interni a quella comunità o al contrario dovrà agire a favore della conservazione dello
status quo?

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17. La sociologia delle relazioni internazional


Le politiche estere sono il veicolo per parlare di un fenomeno nuovo, di sociologia internazionale.
La politica estera ha la specifica funzione di creare dei sistemi di alleanze tra stati diversi. Ogni Stato sceglie
di incanalarsi in una rete di rapporti specifica.
Possiamo quindi individuare i modelli di politica estera cui ciascuno di essi può uniformarsi.
La distinzione prevalente riguarda l’alternativa multilateralismo/unilateralismo: le prime politiche estere
cercano di svilupparsi di concerto e in armonia con quelle di altri Stati, le altre preferiscono agire per conto
proprio, confidando sulle proprie capacità se non addirittura di imporre la propria volontà anche ad altri
Stati.
Nel primo caso avremo politiche estere consensuali, nel secondo nel secondo avremo politico autoritarie e/o
imposte. C’è anche un modello intermedio, bilaterale: che vede coppie di Stati che interagiscono tra loro
nell’interscambio economico quando una determinata questione li vede strettamente collegati e
reciprocamente avvantaggiati.
Ma in questo modo vediamo che le politiche estere vengono individuate come dei comportamenti tipici.
Questa concezione somiglia molto a quella realista che non problematizza ma si limita ad etichettare dei
modelli.

Giungiamo così al cuore del problema: gli Stati sono tendenzialmente preposti alla concordia oppure sono
ostili l’uno con l’altro?
Di solito gli Stati, secondo una concezione statalista, adottano una politica estera rivolta all’interno. Sneyder
dice che il concetto centrale delle relazioni internazionali è costituito dal “dilemma della sicurezza”. La
politica estera dovrà quindi tendere alla sicurezza ed essere una politica di autodifesa.
Secondo questa logica le politiche estere devono essere per forza inquadrate in politiche multilaterali o
unilaterali, devono comunque essere armate, conflittuali.
L’immagine della “palla da biliardo” sembra riassumere il punto: ogni Stato risponde agli stimoli che
provengono dall’esterno, nel quale tante soggettività statuali interagiscono continuamente tra loro.
Si ha una trasposizione in termini sociologici della teoria anarchica: non vi è interazione se non per reazione,
dopo uno stimolo.
Si tratta di una sociologia interattiva stimolo-risposta: se nessuno muove nulla tutto resta fermo.

Lo statalismo in un sistema di rapporti così vasto comporta quindi che ci sia qualche delegato che
dall’esterno diriga l’elaborazione della politica estera. Se è l’esterno a determinare i comportamenti del
singolo Stato ciò implica che ogni interno partecipi in qualche misura di un esterno.
Se tanti interni, ossia tante soggettività statali, agiscono in un unico contesto, un unico ambiente che agevola
le loro relazioni, allora gli interni si disporranno in quella che chiameremo “società internazionale”. Questa
possibilità non viene ammessa dagli internazionalisti che credono che le politiche estere siano
incomunicabili.
Diciamo intanto che non si potrà parlare di sociologia internazionale senza che sia rinvenuta una società.

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18. La sociologia delle relazioni internazionali - Merle, Brilmayer,


Bull e Parson
Marcel Merle scrive un saggio “Sociologia delle Relazioni Internazionali” nel quale afferma che le
relazioni internazionali hanno sempre trascurato il fatto che ai confini degli stati si sviluppano relazioni
sociali.
Le relazioni internazionali hanno una dimensione etica quando gli Stati interagiscono tra loro. Le politiche
estere rimodellano i rapporti tra gli Stati. Esse possono quindi essere moralmente accettabili o moralmente
inaccettabili.

Secondo Lea Brilmayer vi sono degli incroci strutturali tra ciascuno Stato, gli altri Stati, i propri cittadini e
quelli di tutti gli altri Stati come in un rettangolo di forze che si sostengono le une con le altre e si richiedono
-> una vera e propria società internazionale.

Nel ’77 Headley Bull pubblica “La Società anarchica – lo studio dell’ordine nella politica internazionale”.
Qui immagina che gli Stati siano impegnati in un processo in cui società e anarchia si debbano incontrare.
Gli Stati partono da una fase di separazione (anarchia) ma finalizzata a creare ordine, una società
internazionale. Gli Stati, secondo Bull, tendono progressivamente a prendere posto in un luogo comune
chiamato appunto società internazionale.
Nella vita internazionale esiste un diritto pubblico internazionale, un diritto privato int. , un diritto penale
int. , ossia esistono delle regole condivise.
Es. acutizzarsi del flusso della prostituzione o della mafia russa dopo la caduta del muro.
Un evento politico (caduta muro) ha un riflesso diretto e immediato su un comportamento sociale. Ciò
testimonia l’esistenza di un tessuto connettivo sociale che unifica il mondo. Si creano ai margini, al di là
delle intenzioni degli Stati, dei luoghi condivisi di scambio dove si sviluppano relazioni umane, economiche,
una società insomma.

Talcott Parsons scrive che nella teoria sociologica attuale l’ordine è concepito sulla base dell’esistenza di
un controllo normativo. Le componenti normative essenziali possono essere concepite come norme e come
valori. L’esistenza di un sistema di valori e di norme condivise fa in modo che si crei un’armonia di rapporti,
un’integrazione tra le persone e i vari sottosistemi.
Lo stesso può dirsi per gli Stati: a un estremo c’è l’hobbesiano, lo stato di guerra, all’altro c’è uno stato di
integrazione completa in cui un’0azione deviante nei confronti dell’ordine normativo è inimmaginabile.
Il crollo dell’ordine e la guerra conseguente non implicano l’inesistenza di forze capaci di contestare ciò ma
semplicemente che queste non sono state sufficientemente forti per prevenire una crisi del genere.

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19. La sociologia delle relazioni internazionali - i principi dei


comportamenti degli Stati
Può quindi esistere una sociologia delle relazioni internazionali solo se si ammette che esiste una società
internazionale e che questa non sia anarchica.
Una distinzione andrà sempre tracciata tra lo studio specifico delle relazioni internazionali, che si muove a
livello del sistema internazionale, e quello della sociologia internazionale intesa come lo studio dei
comportamenti soggettivi degli attori internazionali, in primo luogo degli Stati, che intrecciano tra loro
rapporti che vanno ben oltre la semplice autodifesa.
La sociologia internazionale permette quindi di mettere in luce alcuni aspetti fin qui trascurati e di utilizzare
un approccio nuovo.

Che cosa apporta di nuovo la sociologia delle relazioni internazionali?


La scienza politica internazionale nasce da Machiavelli come assoluta (svincolata da altro) e così le relazioni
internazionali, ossia autonome dalla morale. Non potremmo mai infatti costruire una teoria morale delle
relazioni internazionali.
La sociologia internazionale invece accresce il nostro volume di conoscenza della società internazionale
nella quale principi e valori sono presenti insieme ai comportamenti dei vari Stati.
Quindi se la politica internazionale è svincolata dalla morale, così non sarà la sociologia internazionale.
Secondo il realismo le politiche estere sono di un unico tipo: finalizzate alla tutela degli interessi statali. La
teoria anarchica delle relazioni internazionali non contempla la società.
La sociologia ci dice invece che non è così. Le politiche estere non sono tutte uguali, ce ne sono di tanti tipi,
ognuna delle quali esprime valori, giudizi e progetti che possiamo giudicare in un contesto chiamato
“società internazionale” (stavolta presente).
Ciò naturalmente non significa che uno Stato non possa scegliere una politica estera “cinica”, come ha fatto
l’URSS di Stalin firmando il Patto Molotov-Ribbentrop, si tratta di una scelta.

Se possiamo quindi dare dei giudizi di valore alle politiche estere possiamo distinguerle tra:
-politiche estere democratiche (es. USA contro la Germania nazista)
-politiche estere non democratiche/autoritarie (es. Italia fascista, Chile di Pinochet).

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20. Le politiche estere degli Stati nel XX secolo e la nascita


dell'ONU
Analizziamo le politiche estere degli Stati nel XX secolo.In questo periodo vi è stata una trasformazione
della società internazionale a seguito del fenomeno dell’organizzazione internazionale. questa ha imposto
all’umanità la creazione di una nuova civiltà giuridica che in qualche modo ha colpito il pregiudizio
anarchico.
La nascita dell’organizzazione internazionale (l’ONU in questo caso) ha rappresentato uno spartiacque tra
il periodo prima della seconda guerra mondiale e quello dopo.
Essa ha regolamentato quasi totalmente il flusso di interazioni e interscambi che si sviluppano nel pianeta
sia sul piano economico, sia su quello politico, sociale, culturale, regolamentando i comportamenti delle
parti. Grazie alle organizzazioni internazionali sono stati creati numerosi canali attraverso cui discutere e
creare soluzioni ai problemi della vita internazionale.
Secondo Bonanate l’ONU è debole ma se non esistesse la conflittualità nel mondo aumenterebbe a
dismisura.
Le organizzazioni internazionali che vanno di anno in anno crescendo a dismisura hanno creato nel loro
operare un intreccio profondo tra gli attori collettivi, gli Stati e i loro cittadini.
Si parla infatti ormai di “società civile globale”.
Anna Caffarena nel libro “Le organizzazioni internazionali” fa una accurata analisi di queste ultime.
La prima distinzione è tra organizzazioni internazionali governative e non governative.
Essa si basa sulla diversa natura delle due: le prime sono composte da Stati, le seconde da privati (cittadini o
associazioni).
Le organizzazioni non governative sono create nella maggior parte dei casi di concerto con quelle
governative.
Un esempio di organizzazione internazionale governativa è l’ONU; mentre di non governativa è Amnesty
International, Greenpeace etc.

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21. Caratteristiche delle organizzazioni internazionali governative


Le caratteristiche delle organizzazioni internazionali governative:
-entità materiali che devono essere dotate di personalità giuridica
-sede operativa
-corpo di funzionari
-bilancio proprio
-struttura istituzionale permanente (tripartita)
Si differenziano dai regimi che al contrario non sono obbligati ad avere tutte queste caratteristiche: es. WTO
ora è un’organizzazione governativa mentre il suo predecessore, il GATT, era un regime.

Le organizzazioni governative devono inoltre essere create con atto pubblico e manifesto che contenga tutte
le finalità e le modalità di governo dell’organizzazione.

La struttura istituzionale è tripartita ed è composta da 3 organi:


-un organo politico, plenario (Assemblea) cui partecipano tutti gli Stati in una condizione di parità. Ciò
assicura il massimo della rappresentatività.
-un organo politico, + ristretto. Eletto di solito dall’Assemblea. (es. Consiglio di Sicurezza ONU)
-un organo tecnico, di servizio. Es. Segretariato. Si tratta di un organo neutrale che deve fare innanzitutto gli
interessi dell’organizzazione.

A farsi carico del finanziamento sono gli Stati membri.

Definizione organizzazioni internazionali governative: unione di più soggetti di diritto internazionale che
viene costituita su base paritaria, dotata di un proprio ordinamento e di organi e mezzi propri e che mira a
conseguire finalità comuni ai membri che la compongono.

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22. Caratteristiche delle organizzazioni internazionali non


governative
Le ONG (organizzazioni internazionali non governative) sono di natura diversa.
Al giorno d’oggi sono numerosissime, circa 15000. Si smuovono su svariati campi di interesse che devono
essere collegati alle finalità di queste organizzazioni.

Le ONG sono degli organi consultivi che si propongono obiettivi e finalità non difformi da quelle della
Carta di San Francisco, svolgono cioè attività di implementazione e rafforzamento degli obiettivi delle
organizzazioni governative.

Per diventare internazionali devono essere collocate in Stati diversi, anche se lo Statuto può essere
depositato nella sede principale dell’organizzazione.
Possono diventare consultive solo se capaci di veicolare le domande provenienti dalla cittadinanza del
mondo.

Un’altra caratteristica delle ONG è che devono godere di autonomia istituzionale. Non devono essere un
prodotto delle organizzazioni governative.
Per questo è necessario che siano dotate di un bilancio proprio.

Dal punto di vista della struttura istituzionale le ONG riproducono quella delle organizzazioni governative:
Assemblea, che rappresenta le istanze di base; un organo Consultivo; un Segretariato (organo tecnico).

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23. Classificazione e ruolo delle organizzazioni internazionali


Classificazioni organizzazioni internazionali
-Le organizzazioni internazionali possono essere organismi di carattere universale o particolare.
-Per criterio geografico: alcune hanno una copertura globale,altre regionale.
-Per sfera d’azione: copertura d’azione generale o settoriale
-operative o normative -> se svolgono attività o emanano leggi
-per efficacia: emanano direttive immediatamente esecutive o se fissano solo norme che poi lo stato dovrà
adottare (efficacia indiretta)
-ONG possono essere profit o no profit: a secondo che siano senza fini di lucro o che si occupino di attività
di impresa
-immediatamente finalizzate al perseguimento di una causa o con obiettivi + generici

Due elementi vanno chiariti: come si caratterizza l’ambiente nel quale si situano questi organismi e qual è il
ruolo di queste organizzazioni?
Se la politica internazionale è concepita in una prospettiva stato centrica (approccio stato centrico) le
organizzazioni internazionali sono concepite come networks, come reti, dei mezzi che aiutano gli Stati a
formulare la loro politica internazionale.
Se invece è concepita come una grande arena, come un sistema allora le organizzazioni internazionali
possono assumere il ruolo di agorà, ossia di piazze in cui può crescere e svilupparsi l’azione internazionale.
le organizzazioni internazionali in questo caso possono iniziare a svilupparsi come attori, ossia sono dotate
di autonomia.
Nella prima accezione traspare che le organizzazioni internazionali sono considerate come un mezzo per
servire gli obiettivi degli Stati, sono uno strumento egoistico perché funzionali alle finalità statali. Il loro
ruolo è limitato.
Nella seconda sono degli spazi dove vengono discussi i problemi degli Stati e hanno quindi un ruolo
maggiore, sono attori.
In quest’ultimo caso possono scrivere l’agenda dei problemi che vanno affrontati es. peace-keeping, materia
delle quale si occupano le organizzazioni internazionali e che viene messa nella loro agenda ed imposta poi
agli Stati. Le organizzazioni internazionali non si limitano a proporre le questioni in agenda ma assumono
compiti direttivi, strutturando l’accesso delle varie questioni in agenda.
Le organizzazioni internazionali scrive la Caffarena hanno dato vita ad un nuovo diritto -> diritto del mare.
Secondo l’autrice oggi le organizzazioni governative possono avere un ruolo che si consolida con quello
degli Stati.

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24. Motivi della nascita delle relazioni internazionali


Le Relazioni Internazionali nacquero con l’intento di far luce sui grandi problemi internazionali.
Tuttavia, il suo intento non lo poté realizzare, in quanto, finì ben presto ad avventurarsi in sentieri
alternativi. Negli anni ’60 e ’70 del secolo scorso la disciplina delle Relazioni Internazionali ha raggiunto
alti livelli di astrattezza, tanto da poter definire questa materia come un campo sconosciuto, nel quale solo
pochi autori hanno avuto il coraggio di addentrarsi. Si pensi ad esempio a Robert Cox o a Richard K.
Ashley, i quali sono riusciti ad arricchire la materia.
Al contrario, in libri come Handbook of International Relations di Carlsnaes, Risse, Simmons e Relazioni
internazionali di Andreatta, Clementi, Colombo, Koenig-Archibugi, Parsi si troverà pochissimo.

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25. Relazioni Internazionali: la scuola idealistica e quella realistica


La branca delle Relazioni Internazionali nacque nel periodo compreso tra il 1919 e il 1939: in questi anni si
formarono le due scuole; quella idealistica e quella realistica, che muovono da un pregiudizio antropologico.

Secondo gli idealisti, la natura dell’uomo è buona, socievole e pacifica: ne deriva che lo scoppio delle
guerre derivi dall’arretrato sviluppo delle istituzioni statuali, alle quali gli esseri umani si sono dapprima
dedicati; le guerre scoppiano per le loro incomprensioni reciproche che vengono esaltate ed esasperate.
La scuola realistica, invece, ritiene che la natura dell’uomo è egoista e aggressiva, cosicché nessuno Stato
potrebbe imbarcarsi in politiche estere che non affermino il proprio “interesse nazionale”. In tal modo i
periodi di pace nella storia non sono altro che momenti di tregua tra un tentativo e l’altro, degli Stati, di
affermare il proprio predominio.
E’ arrivato il momento di sfuggire a giudizi e pregiudizi: è giunto, quindi, il momento degli approcci
storiografico, giuridico, politologico, economico, filosofico. Noi analizzeremo solo i primi tre.

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26. Relazioni Internazionali: approccio storiografico e politologico


La storiografia ha il compito di accertare la verità materiale o fattuale: questo lavoro implica l’utilizzo di
alcuni impieghi (formulazione di ipotesi e interpretazioni, verifica delle fonti ecc. ) che sono necessari anche
per lo studio delle Relazioni Internazionali, vista la carenza di riflessione storiografica sui grandi problemi
internazionali. In tal senso, si potrebbe dar vita a una “storia internazionale” che studia gli andamenti storici
della vita degli Stati.

La dimensione politologica è importante, poiché studia il complesso delle interrelazioni che uniscono gli
Stati. E basta aggiungere che la guerra è politica o che quest’ultima provoca le guerre, per comprendere
l’importanza di tale dimensione.

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27. Relazioni Internazionali: approccio giuridico


L’integrazione e l’interconnessione tra la disciplina delle Relazioni Internazionali e il diritto internazionale,
così come tra storiografia e le Relazioni Internazionali, deve essere intensa e inesistente. Noi intenderemo il
diritto internazionale come uno studio dedicato principalmente alla riflessione sulle condizioni di
formalizzazione di nome di un ambito, considerato dalla maggior parte degli studiosi, refrattario a ogni
regolamentazione in quanto anarchico.

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Fabrizio Calabrò Sezione Appunti

28. Relazioni internazionali: i dibattiti metodologici


Ogni disciplina scientifica deve avere al suo interno un successione di dibattiti metodologici, per
svilupparsi.
Anche le Relazioni Internazionali hanno, al loro interno, tre dibattiti: idealismo-realismo; tradizione-scienza
; post-positivismo o pluralismo.
Ce ne sarebbe un altro, il costruttivismo, che, però, facciamo rientrare nelle recenti teorie della disciplina.
Così da 4 dibattiti, arriviamo a 2, perché il dibattito idealismo-realismo, necessita di un maggiore spazio.
Inoltre, il dibatto tradizione-scienza può essere considerato come un momento di pura liberazione che ha
liberato la materia delle Relazioni Internazionali da riflessioni avanzate alla fine degli anni ’50, periodo nel
quale tale disciplina ha voluto sdoganare riflessioni scientifiche che andassero oltre la politica di potenza di
quel momento. Tali riflessioni scientifiche dovevano essere libere da ideologie, narrazioni storiografiche o
filosofiche, ecc.
Contro questa impostazione si erse Hedley Bull, che elencava in sette punti, le ragioni del fallimento di
questa nuova “scuola scientifica”. Noi le riassumiamo in due categorie: quello che gli scienziati non fanno (e
non saprebbero fare) e ciò che invece fanno male.
La replica dei contestati non si fa attendere ed è orchestrata da Morton A. Kaplan, che rovesciò i termini,
criticando gli studi “classici”. Questo dibattito riguardava il metodo di ogni disciplina scientifica, cioè libera
coinvolgimenti morali. All’interno della branca delle Relazioni Internazionali si sviluppò, quindi, un terzo
dibattito, che andò a favore dell’affermazione di un nuovo principio di pluralismo scientifico inteso a
liberare gli studiosi dai vincoli di scuola, dagli obblighi di lealtà ideologica. Questa nuova proposta non
provocò alcuna polemica.
Ogni materia scientifica deve disporre di un corpus di teorie ben costruito, che sappiano offrirci un modello
di spiegazione della realtà applicabile a ogni caso reale. Tuttavia, nessuna teoria eviterà i confronti violenti
che contraddistinguono le guerre. In particolare, le Relazioni Internazionali studiano i momenti di tregua tra
una guerra e l’altra, quale sia la solidità del nuovo ordine imposto e quali sfide affronti o alle quali
soccomba. Non si darà un’intonazione pessimistica o catastrofica con questa conclusione, per la semplice
ragione che il destino è nelle nostre mani.

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Indice
1. Definizione di relazioni internazionali 1
2. Rapporto tra le discipline relazioni: internazionali e scienza politica 2
3. Rapporto della scienza delle relazioni internazionali con altre discipline 3
4. Storia della teoria politica internazionale: la teoria idealistica 4
5. Storia della teoria politica internazionale: la teoria realistica 5
6. Le relazioni internazionali: livelli di analisi e livelli di concettualizzazione 6
7. La disciplina delle relazioni internazionali e il problema delle guerre 7
8. Livelli materiali e immateriali di analisi nella disciplina delle Relazioni Internazionali 8
9. Livelli di concettualizzazione nell'analisi della disciplina delle Relazioni Internazionali 9
10. I contenuti del livello analitico individuale nell'analisi delle Relazioni Internazionali 10
11. I contenuti del livello analitico statale nell'analisi delle Relazioni Internazionali 11
12. I contenuti del livello analitico del sistema internazionale nell'analisi delle Relazioni 12
13. I contenuti del livello analitico del sistema globale nell'analisi delle Relazioni 14
14. I contenuti del livello analitico delle Relazioni Internazionali - Altre caselle 16
15. Teoria delle Relazioni Internazionali 18
16. Rapporto interno – esterno: rapporto politica estera e politica internazionale 20
17. La sociologia delle relazioni internazional 22
18. La sociologia delle relazioni internazionali - Merle, Brilmayer, Bull e Parson 23
19. La sociologia delle relazioni internazionali - i principi dei comportamenti degli Stati 24
20. Le politiche estere degli Stati nel XX secolo e la nascita dell'ONU 25
21. Caratteristiche delle organizzazioni internazionali governative 26
22. Caratteristiche delle organizzazioni internazionali non governative 27
23. Classificazione e ruolo delle organizzazioni internazionali 28
24. Motivi della nascita delle relazioni internazionali 29
25. Relazioni Internazionali: la scuola idealistica e quella realistica 30
26. Relazioni Internazionali: approccio storiografico e politologico 31
27. Relazioni Internazionali: approccio giuridico 32
28. Relazioni internazionali: i dibattiti metodologici 33

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