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MANTOVA

Una città nata dalle acque

Attorniata su tre lati da laghi, anticamente modificati


a difesa della città, Mantova sorge quasi magicamente
da quelle acque, che una leggenda attribuisce alle
lacrime della profetessa greca Manto. Il rapporto di
Mantova con l’acqua è strettissimo: il fiume Mincio, i
laghi, il canale medievale chiamato “Rio” sono parte
della tradizione popolare e della cultura della città.
L’acqua è necessaria per la sopravvivenza, essendo componente fondamentale
di tutti gli organismi viventi, ma l’uomo l’ha saputa sfruttare in molti altri modi. Essa garantisce la fertilità
del suolo e permette le coltivazioni; consente il trasporto di persone, materiali e manufatti; fornisce energia
per mulini e torni; chimicamente funziona da solvente e da agente reattivo; spegne gli incendi; consente la
costruzione di barriere di difesa; ospita flora e fauna selvatiche che
possono aiutare il sostentamento; dalle sponde dei fiumi si estrae
argilla per materiali edili e vasellame; ci
si può anche divertire o rinfrescare
dall’afa. Come spesso accade, l’uomo ha
trovato anche aspetti più foschi, come
trasformare le vie d’acqua in fogne e
discariche, o usare l’acqua nelle torture
per eretici e dissidenti. L’acqua sa anche
essere crudele , come la natura di cui fa
parte: ospita insetti e microrganismi portatori di malattie, le ondate di
piena distruggono tutto quanto incontrano, trabocchetti insidiosi nascondono il pericolo dell’annegamento.
Tutto questo Mantova lo ha conosciuto, come più recentemente ha vissuto la crescita dell’attenzione verso
l’ambiente: i suoi laghi sono tuttora tra i luoghi più inquinati d’Italia , ma la tutela della natura è diventata
uno degli obiettivi di questa, come di altre, comunità.
La terra di Virgilio
L’epitaffio (anonimo) posto sulla tomba del sommo poeta latino Virgilio (70-19 BCE),
la più antica gloria mantovana, recita:
Mantua me genuit, Calabri rapuere, tenet nunc Parthenope; cecini pascua, rura, duces
Mantova mi generò, la Puglia [*] mi prese, Napoli mi trattiene; ho cantato pascoli,
campagne, condottieri [**]
[*] La Puglia, dove Virgilio morì, era allora chiamata Calabria
[**] Riferendosi alle sue opere maggiori (Bucoliche, Georgiche, Eneide)
Secondo Virgilio, il fondatore di Mantova sarebbe stato Ocno, figlio della profetessa greca Manto e di
Tiberino, un’antica divinità italica delle acque legata, come tradisce il nome, al fiume Tevere. Ne accenna
nella sua opera maggiore, l’Eneide, come leggiamo con la traduzione di Annibal Caro.
Eneide, Libro X
196 Ille etiam patriis agmen ciet Ocnus ab oris, Ocno poscia venia, del tosco fiume
196 fatidicae Mantus et Tusci filius amnis, e di Manto indovina il chiaro figlio,
197 qui muros matrisque dedit tibi, Mantua, nomen che te, mia patria, eresse

Saltiamo in avanti di 13 secoli, alla Divina Commedia, canto XX dell’Inferno, per trovare Virgilio in
compagnia di Dante. Siamo nell’ottavo girone, quello dei fraudolenti, per la precisione nella quarta bolgia ,
che ospita indovini, astrologi e falsi profeti: la loro punizione è trovarsi la testa girata all’indietro, per aver
voluto, in vita, sfidare Dio guardando troppo “in avanti”, nel futuro.
Tra essi c’è una delle rare peccatrici dantesche: si tratta, ancora una volta, di
Manto, qui dannata insieme al padre Tiresia, anch’egli indovino. Viene accettata
la versione di Stazio (Tebaide), che riporta come Manto vagato lungamente, dopo
la morte del padre, per sfuggire al tiranno tebano
Creonte. Alla fine del suo peregrinare si fermò presso
il Mincio, dove sorse Mantova che proprio da lei
prenderebbe il proprio nome. Vicino a Mantova (in un
villaggio chiamato Andes, l’odierna Pietole) nasceva
Virgilio, che nella finzione dantesca interviene per
descrivere la terra natia (là dove nacqu’io).

Stradano: Canto XX
In realtà l’origine di Mantova sembra essere etrusca,
ed il nome deriverebbe dalla divinità funebre Mantus.
Ocno, anziché il figlio di Manto, sarebbe il principe etrusco (noto anche come
Bianore) che fondò la città; oppure potrebbe essere una storpiatura del nome di
un’altra divinità infernale, Orco. Quindi Virgilio è almeno in parte corretto,
attribuendo a Mantova un’origine “toscana”, regione storicamente associata agli Henry Wadsworth Longfellow
Etruschi.
Quello che segue è la descrizione di Mantova che Dante fa pronunciare a Virgilio; la traduzione in inglese
risale al 1867 ed è opera niente meno che del poeta americano Henry Wadsworth Longfellow (1807-1882),
grande appassionato e divulgatore di Dante. Fondò con alcuni amici il circolo “Dante Club”, che sarebbe poi
divenuto l’odierna “Dante Society”.
Dante, Inferno, Canto XX
55 Manto fu, che cercò per terre molte; Was Manto, who made quest through many lands,
56 poscia si puose là dove nacqu’io; Afterwards tarried there where I was born;
57 onde un poco mi piace che m’ascolte. Whereof I would thou list to me a little.

58 Poscia che ‘l padre suo di vita uscìo After her father had from life departed,
59 e venne serva la città di Baco, And the city of Bacchus had become enslaved,
60 questa gran tempo per lo mondo gio. She a long season wandered through the world.

61 Suso in Italia bella giace un laco, Above in beauteous Italy lies a lake
62 a piè de l’Alpe che serra Lamagna At the Alp’s foot that shuts in Germany
63 sovra Tiralli, c’ha nome Benaco. Over Tyrol, and has the name Benaco.

64 Per mille fonti, credo, e più si bagna By a thousand springs, I think, and more, is bathed
65 tra Garda e Val Camonica e Pennino ‘Twixt Garda and Val Camonica, Pennino,
66 de l’acqua che nel detto laco stagna. With water that grows stagnant in that lake.

67 Loco è nel mezzo là dove ‘l trentino Midway a place is where the Trentine Pastor,
68 pastore e quel di Brescia e ‘l veronese And he of Brescia, and the Veronese
69 segnar poria, s’e’ fesse quel cammino. Might give his blessing, if he passed that way.

70 Siede Peschiera, bello e forte arnese Sitteth Peschiera, fortress fair and strong,
71 da fronteggiar Bresciani e Bergamaschi, To front the Brescians and the Bergamasks,
72 ove la riva ‘ntorno più discese. Where round about the bank descendeth lowest.

73 Ivi convien che tutto quanto caschi There of necessity must fall whatever
74 ciò che ‘n grembo a Benaco star non può, In bosom of Benaco cannot stay,
75 e fassi fiume giù per verdi paschi. And grows a river down through verdant pastures.

76 Tosto che l’acqua a correr mette co, Soon as the water doth begin to run
77 non più Benaco, ma Mencio si chiama No more Benaco is it called, but Mincio,
78 fino a Governol, dove cade in Po. Far as Governo, where it falls in Po.

79 Non molto ha corso, ch’el trova una lama, Not far it runs before it finds a plain
80 ne la qual si distende e la ‘mpaluda; In which it spreads itself, and makes it marshy,
81 e suol di state talor essere grama. And oft ‘tis wont in summer to be sickly.

82 Quindi passando la vergine cruda Passing that way the virgin pitiless
83 vide terra, nel mezzo del pantano, Land in the middle of the fen descried,
84 sanza coltura e d’abitanti nuda. Untilled and naked of inhabitants;

85 Lì, per fuggire ogne consorzio umano, There to escape all human intercourse,
86 ristette con suoi servi a far sue arti, She with her servants stayed, her arts to practise
87 e visse, e vi lasciò suo corpo vano. And lived, and left her empty body there.

88 Li uomini poi che ‘ntorno erano sparti The men, thereafter, who were scattered round,
89 s’accolsero a quel loco, ch’era forte Collected in that place, which was made strong
90 per lo pantan ch’avea da tutte parti. By the lagoon it had on every side;

91 Fer la città sovra quell’ossa morte; They built their city over those dead bones,
92 e per colei che ‘l loco prima elesse, And, after her who first the place selected,
93 Mantüa l’appellar sanz’altra sorte. Mantua named it, without other omen.

[È Virgilio che parla, accennando a Manto] È la maga di Tebe, che vagò a lungo, e si fermò nel luogo dove
io nacqui; perciò vorrei che mi ascoltassi un po’. Quando suo padre lasciò la Terra e la città di Bacco [Tebe]
fu fatta schiava, per lungo tempo vagò per il mondo. Sotto le montagne che separano dalla Germania
[Lamagna] sopra il Tirolo [Tiralli] giace un lago chiamato Benaco. L’acqua che vi si ferma proviene da molti
fiumi, tra la città di Garda, la Val Camonica e le Alpi [chiamate Pennine ai tempi di Dante]. In mezzo al lago
c’è il confine tra Trento, Brescia e Verona, dove i vescovi di ciascuna di esse potrebbero dare la benedizione
[è il punto del lago dove le tre province si incontrano]. Più a valle sorge Peschiera, fortezza in grado di
proteggere Verona da Bresciani e Bergamaschi, e dove le acque defluiscono dal Garda nel fiume Mincio
[Mencio] che scorre fino a Governolo [Governol], dove si getta nel Po. Dopo un breve percorso il fiume
incontra una depressione [lama] dove si apre e diventa palude,
spesso malsana [grama] nel periodo estivo. Lì passò la crudele
fanciulla [Manto, secondo Stazio, faceva sacrifici umani] , vide
questa terra dura nel pantano, senza abitanti, incolta e brulla; lì, per
fuggire l’uomo, restò con i servi per fare le sue magie, lasciandovi
alla morte il suo corpo. Gli uomini che vivevano lì intorno si
riunirono in quel luogo ben difeso, per l’acqua che vi ristagna
attorno. Costruirono una città sulle sue ossa, e in onore di colei che
per prima aveva scelto il luogo, la chiamarono “Mantua” senza
ricerca di presagi [come era abitudine quando si fondava una città].
Il fiume Mincio
Ecco che Mantova sorge in una depressione malsana: non una gran
presentazione per un luogo che, in effetti, deve parecchi inconvenienti ai suoi laghi, in particolare, fino
dall’antichità, zanzare e afa.

Le opere idrauliche di Mantova


Come abbiamo visto, perfino Dante nomina le paludi del Mincio. Tali acque, nel corso dei secoli, furono
regolate con la creazione dei laghi di Mantova, tre dei quali sono tuttora esistenti. La storia idrografica di
questi laghi è un perfetto esempio di interazione tra processi naturali e interventi umani.
Nel periodo etrusco probabilmente il Mincio si univa con il Tartaro nel Veronese, e sboccava nel Mar
Adriatico, poco più a Nord del Po. Il percorso attuale, fino al Po di
Governolo, sarebbe dovuto all’intervento, in epoca romana, di Quinto
Curio Ostilio (ritenuto anche il fondatore e l’eponimo della città di
Ostiglia), o, secondo altre fonti, alla disastrosa piena dell’Adige (la
“rotta della Cucca” del 589). L’esistenza, nel Medioevo, di un bacino
lacustre intorno a Mantova è testimoniata dalle ricerche di uno dei
decani degli ingegneri idraulici moderni, il cremonese Elia Lombardini
(1794-1876), che ne trovò menzione in un documento dell’XI secolo.
L’attuale sistemazione delle acque del Mincio intorno a Mantova risale
all’intervento dell’ingegnere bergamasco Alberto Pitentino, chiamato
nel 1189 dal podestà Attone di Pagano per mettere in pratica quanto i
Mantovani desideravano: mantenere intorno alla città una fascia
d’acqua che già si formava in modo naturale durante le piene del
Mincio, ma che tendeva a sparire nei periodi di secca. Pitentino
bonificò le paludi organizzando anche un sistema di difesa della città,
in modo da circondarla completamente con quattro laghi: Superiore, di
Mezzo, Inferiore e Paiolo. Il transito era assicurato da ponti, due dei
quali - il Ponte dei Mulini e il Ponte di San Giorgio - al giorno d’oggi
sono ancora esistenti, pur se completamente rimaneggiati nella struttura. Pitentino progettò anche la Chiusa
di Governolo, per proteggere Mantova dalle piene del Po; tale chiusa fu restaurata nel 1608 e completata con
una conca di navigazione, grazie all’ingegnere mantovano Gabriele Bertazzolo (1609-1618). Il lago Paiolo fu
successivamente prosciugato (tra il 1750 e il 1905) per ridurre i pericoli delle piene e consentire nuovi
sviluppi urbanistici: al suo posto sorge ora un quartiere chiamato, non a caso, “Valletta Paiolo”. Nell’attuale
idrografia mantovana, il Mincio arriva da ovest, forma i laghi attorno a tre lati della città, poi ricomincia il
suo corso in un alveo denominato “Vallazza”, prima di restringersi proseguendo verso sud per poi incontrare
la sua destinazione finale, il Po.
Laghi, ponti e canali di Mantova

Il Ponte dei Mulini


A nord della città Pitentino fece costruire la diga dello Zappetto, che tuttora costringe le acque ad un salto di
circa 4m attraverso due scarichi: il primo, regolabile , è posto sotto l’estremità nord dell’argine ed è detto
Vaso di Porto (per la gente il Vasarone); il secondo, all’estremità meridionale , è chiamato Vasarina. Fu così
possibile controllare le acque del Mincio in entrata, riducendo gli impaludamenti, e consolidare il bacino
lacustre, che poteva quindi essere usato per la difesa militare della città. Furono formati due laghi sul lato
ovest di Mantova, il Superiore e il Paiolo , così chiamato per la sua forma. Il salto d’acqua consentiva il
funzionamento di una serie di 12 mulini, che nel 1229 furono aggiunti alla diga: questo spiega il nome di
Ponte dei Mulini dato all’opera, e di Porta Mulina dato all’accesso settentrionale alla città. La sistemazione
del Lago Superiore fu completata con un argine semicircolare attorno al 1842. Il ponte fu distrutto dai
bombardamenti durante la II Guerra Mondiale; sistemato l’argine e la strada soprastante, furono anche
sostituite le due chiuse. I mulini, invece, non esistono più, così come la copertura della strada.

Il Ponte dei Mulini distrutto e ricostruito


Il Ponte di San Giorgio
Questo ponte collega la città con il borgo omonimo. Fu costruito sulle
rovine di quello chiamato “della Cipata”, dal nome dell’insediamento sito
sulla sponda orientale del Lago Inferiore, anticamente noto come “Corno
della Cipata”, ai giorni nostri “Lunetta”, per la sua forma arcuata.
Inizialmente in legno, fu ricostruito con 33 arcate in muratura, venendo
così a separare tra i laghi di Mezzo e Inferiore, che prima di allora
formavano un unico bacino. Fu
poi munito, nel XVII secolo, di un
ponte levatoio che consentiva il
passaggio delle imbarcazioni.
All’inizio del XX secolo il ponte
era divenuto inadatto alle esigenze
del tempo: le interruzioni del
traffico per il passaggio dei
natanti, le continue riparazioni, la
stretta carreggiata, i pericoli delle
Alluvione del 1917 piene resero necessario un Il Ponte di San Giorgio in un
intervento eccezionale, che fu deciso dopo la disastrosa piena del 1917. Tra particolare della “Morte della
Vergine” di Andrea Mantegna
il 1921 e il 1922 vennero interrate le arcate e rimosso il ponte levatoio: (Madrid, M useo del Prado)
terra, rottami e asfalto (tutto trasportato a mano con carriole) ne fecero una
grande diga, completata da un argine semicircolare, riducendo a 40 metri ’lapertura tra i due laghi, e
permettendo di allargare e innalzare la soprastante carreggiata. Nel corso della seconda guerra mondiale il
ponte venne fatto saltare dalle truppe tedesche; fu sostituito con una struttura in tralicci di ferro, che fece poi
posto ad una nuova arcata in cemento armato.

Il Rio
Sempre in età comunale venne tracciato il Rio, un canale che taglia in due la città, collegando il lago
Superiore a quello Inferiore. Fungeva da via commerciale, raggiungendo le pescherie, le macellerie e le
oreficerie poste ai margini del centro cittadino. Inoltre permetteva alle donne un facile accesso alle acque per
la lavatura dei panni (“bugada”, da cui il loro nome di “bugadere”). Il canale fornì acqua ai cittadini, ebbe la
funzione di “fossa” e divenne il nuovo confine della città. Oggi si possono ammirare solo alcuni tratti del
Rio, perché la maggior parte del canale è stata ricoperta da strade. Le antiche pescherie furono progettate da
Giulio Romano e costruite nel 1536 su uno dei ponti del Rio. Di questo periodo rimane il ricordo nei
toponimi, come via Pescheria e via Orefici.

La sponda del bucato, ieri e oggi


Porto Catena
Il Rio, prima di terminare nel Lago Inferiore, formava una conca che separava i quartie ri di S.Nicolò e di
S.Martino. Questa insenatura era probabilmente già usata nel XIII secolo, anche se i porti commerciali della
città erano quelli dell’Ancona di S.Agnese e di Cittadella, più a Nord, sulle opposte sponde del Lago di
Mezzo. Allora si chia mava Porto degli Scoli, nome poco elegante, ma che deriva dal suo essere il terminale
di tutti gli scarichi cittadini che finivano nel Rio. Il porto divenne
quello principale a partire dal 1353 (quando venne interrata l’Ancona
di S.Agnese), come testimonia l’esistenza di una chiesetta costruita su
palafitte, eretta nel 1355 e definitivamente demolita nel 1798. Chiuso
di notte con una pesante catena, prese da questa il nome attuale. Gli
scarichi dei continui lavori di bonifica, dragaggio e consolidamento
dell’area, depositati nei secoli sulla sponda meridionale del porto,
diedero origine ad un ampio spiazzo, che venne chiamato Anconetta,
per distinguerlo dall’antica Ancona. L’attuale darsena risale al 1899,
Porto Catena ieri in un periodo nel quale Porto Catena era il più grande porto fluviale
italiano, tanto da prendere il nome di “Nuova Genova”, che per decenni fu dato anche a tutta ’larea
circostante. Nel XX secolo, però, il porto iniziò a rivelarsi obsoleto, perdendo sempre più di importanza. Nel
secondo dopoguerra ci fu un periodo favorevole, grazie all’uso quasi esclusivo che del porto faceva la vicina
Società Ceramica Mantovana, per l’arrivo dei rifornimenti di argilla e l’imbarco dei manufatti. Ci fu perfino
un progetto per portare i tre laghi a livello, ma l’alluvione del 1951 pose fine a questo sogno, dando anche
inizio ad un triste declino di Porto Catena, che si sarebbe completato all’inizio degli anni ‘60. Svendute le
costosissime e ancora nuove gru, smantellata la Ceramica, il porto rischiò di essere cancellato: per un
periodo ospitò motonavi turistiche, oggi rimane in vita grazie ad alcuni circoli nautici che vi hanno sede.

Porto Catena oggi

Il Lago Paiolo
Nel XVII secolo una forte inondazione del Mincio depositò un’enorme
massa di detriti, rischiando di trasformare nuovamente i laghi in paludi.
Oltre alla bonifica dei bacini principali, si prese il provvedimento di
prosciugare il lago Paiolo a sud-ovest, anche per incanalare il sempre
più pesante traffico stradale verso la città; fu anche aperta una porta
detta Pusterla (piccola porta) e modificata la cinta muraria ,
trasformando l’esistente camminamento militare in strada pubblica.
Residui del lago Paiolo
La diga Masetti
Per le acque in uscita la storia fu molto più complicata. Pitentino stesso ridusse l’alveo del fiume per
completare i laghi di Mezzo e Inferiore. La sistemazione della zona fu oggetti di studio anche da parte di
Bertazzolo, ma il progetto decisivo fu quello dovuto al mantovano Agostino Masetti
(1806) e successivamente al marchese Francois de Chasseloup-Laubat, architetto e
generale del Genio nell’esercito francese, distaccato in Italia nel 1809. Il progetto
iniziale di Masetti era un intervento sulla chiusa di Governolo. Chasseloup propose
invece la costruzione di una diga alla fine del Lago Inferiore. Oltre a regolare il
flusso del Mincio e la navigazione, si sarebbero protetti i manufatti della diga dello
Zappetto dalle piene del Po, e facilitato l’approdo delle barche al Porto Catena di
Mantova durante le magre. Questa diga venne chiamata dalla gente “saslup”,
storpiando in dialetto mantovano il cognome del progettista. Il progetto iniziale non
venne completato, anche a causa della restaurazione austriaca: i lavori si trascinarono
per decenni, proseguendo più speditamente nel neonato Regno d’Italia, ma non François de Chasseloup
furono completati che nel secondo dopoguerra. Nel 1960, infatti, furono apportate le
ultime modifiche idrauliche: un canale detto Diversivo, un fornice protettivo più a valle, e un impianto
idrovoro.
Ancora Elia Lombardini ricorda il progetto presentato da Luigi Dari (genero di Masetti) nel 1828, in un
intervento registrato nel “Giornale dell’Imperiale Regio Istituto Lombardo di Scienze, Lettere ed Arti”
(Volume 5):
La sempre crescente altezza delle piene del Po regurgitanti nella città di Mantova con
immenso danno delle proprietà e della salute di quella popolazione e della numerosa
guarnigione che vi soggiorna, richiamarono gli studj delle persone d’arte onde porvi
riparo. L’ingegnere Luigi Dari, coltivando l’ idea del suocero di lui, direttore Masetti,
esposta in un rapporto del 1807, presentò nel 1828 un progetto d’avviso per deviare il
Mincio da Governolo, portandolo a sboccare in Po presso Serravalle. Per tal modo si
verrebbe ad abbassare di oltre metr. 1,70 la piena di regurgito del Po in Mantova. E
siccome un effetto analogo avrebbesi anche per gli stati del fiume maggiormente
depressi, ripromettevasi egli di bonificare gran parte delle gronde palustri del lago
inferiore di Mantova e di migliorare cosi anche la condizione dell’aria.
Si nota l’insistenza sulla condizione dell’aria, secondo la persistente teoria miasmatica, che ancora nel XIX
secolo attribuiva la diffusione delle malattie contagiose all’inalazione di aria “malsana”. Una spiegazione
plausibile in casi come la tubercolosi, anche se in realtà non erano i cattivi odori la causa delle epidemie, ma
l’inalazione di microrganismi espulsi da lle persone ammalate. Al contrario, non era ancora stato compresa la
diffusione di malattie come il colera (trasmesso attraverso l’ingestione di acque infette), la peste (trasmessa
da pulci) o la febbre gialla (trasmessa da zanzare). D’altra parte, i microrganismi erano ancora sconosciuti, e
sarebbero passati alcuni decenni prima che i lavori epocali di John Snow , Henry Whitehead e Louis Pasteur
facessero luce sui meccanismi del contagio.

Il vecchio e il nuovo ponte ferroviario sulla Diga Masetti


Opere idrauliche a Mantova

Canale Diversivo (a nord della città)

Vasarone

Vasarina

Fornice di Formigosa (a sud della città)

Canale Diversivo (a sud della città)


Flora
Le rive del Mincio presentano piante d’alto fusto come pioppi, salici, querce, ontani, platani e gelsi; i margini
del fiume e dei laghi sono occupate prevalentemente da canne palustri e carici, mentre le acque dei laghi
ospitano ninfee, castagne d’acqua e fiori di loto. L’acqua del Mincio viene anche usata nelle risaie.
Salici, querce e ontani hanno grossi apparati radicali, e risultano utili nel consolidamento del terreno e delle
sponde del fiume.

salice quercia ontano

Pioppo (Populus Nigra)

Il pioppo è uno dei pochi esempi di arboricoltura da legno in Italia: flessibile


e resistente, viene infatti impiegato per vari usi come la fabbricazione di fogli
e pannelli di compensato, cassette da imballaggio, carta, fiammiferi.
Preferisce il terreno umido, ed ha una crescita rapidissima: il ciclo di
coltivazione dura tra i 9 e i 12 anni (in natura, il pioppo vive fino a 400 anni).
Nel Mantovano ci sono circa 9000 ettari di pioppeti, con una resa annuale di
circa 15 t/ha.

Gelso (Morus Alba)


Questo albero ha avuto per secoli una notevole importanza nell’economia della
zona: delle sue foglie, infatti, si nutre il baco da seta, i cui bozzoli vengono
bolliti o essiccati per essere dipanati in lunghi fili di seta (dai 300 ai 900 metri
per bozzolo). Attualmente nuovi materiali plastici hanno ridotto di molto l’uso
della seta; il residuo mercato di questa fibra è in mano alla Cina

Baco da seta e bozzolo


Platano (Platanus Occidentalis)

Anche tra i mantovani, pochi sanno che questo albero, un ibrido tra specie asiatiche ed
americane, non è una specie autoctona: è così onnipresente nel paesaggio che sembra sia
sempre stato in queste zone. Viene usato soprattutto a scopo ornamentale in ambienti
urbani in quanto resistente all’inquinamento e alle potature, con l’ unico svantaggio di
avere foglie grandi e dure, che ostruiscono il drenaggio. Una delle tante leggende sul
platano racconta che l’albero, dopo aver nascosto nel suo tronco il serpente dell’Eden, fu
punito da Dio che gli fece assumere le caratteristiche della pelle di serpente.

Ninfea d’acqua (Nymphaea Alba)


Questa pianta è presente in tutte le acque stagnanti d’Europa. Spesso viene confuso con il
fior di loto, come tradiscono il nome arabo ”nenufar” (loto blu) e il comune, quantunque
errato, appellativo di “loto bianco”; per gli inglesi il nome comune è “Giglio d’acqua”.
Contiene alcaloidi (nufarina, ninfeina) che ne consentono l’uso tradizionale come sedativo
(e per alcuni, afrodisiaco).

Castagna d’acqua (Trapa Natans)


La castagna d’acqua (a sinistra) cresce nelle acque paludose di Eurasia e Africa. I frutti,
chiamati in dialetto “trigoi” perchè ricordano la forma del cappello
tricorno, sono commestibili: molto ricchi di amido, venivano
consumati come farina o arrostite. Il nome latino “calcitrappa” (cardo)
ha dato origine al nome scientifico della pianta “trapa” e alla
somigliante arma medioevale (a destra), chiamata in inglese “caltrop”,
in italiano “piede di corvo” o “tribolo”.

Fior di loto (Nelumbo Nucifera)


Questa pianta asiatica viene introdotta nel lago Superiore nel 1921, grazie ad una giovane laureata in Scienze
Naturali, Maria Pellegreffi, il cui intento era di impiegarne i rizomi in
forma di farina, come avveniva nell’Estremo Oriente. Ma ciò non
avvenne, e le piante hanno finito per infestare i laghi mantovani, quello
Superiore in particolare, togliendo spazio alle altre piante col l’ombra
delle sue enormi foglie, chiamate in dialetto “caplas” (cappellacci).
Ancora oggi la comunità spende grosse cifre per i periodici sfalci
necessari a limitarne l’eccessiva proliferazione. Esiste un progetto che
prevede di sfruttare i fiori di loto per la fitodepurazione di un tratto di
lago, così da creare il “lido di Mantova”: un tratto di spiaggia con un
bacino balneabile. Per molti si tratta di pura utopia.

Il riso
Canali e fossi del Mincio sono stati in parte trasformati in risaia. Le aziende del settore, tradizionalmente
chiamate “pile”, danno il nome alla particolare ricetta mantovana del “riso alla pilota”, bollito con la
copertura di un panno, che assorbe il vapore: il riso rimane asciutto, lasciando il solo grasso di maiale ad
ammorbidirlo.
Flora ed artigianato
Nel Mantovano, in particolare nei comuni di Rivalta e Porto Mantovano, l’economia delle canne fu molto
fiorente fino agli anni ‘50. Oggi l’economia della canna ha perso importanza e quindi le canne palustri e le
carici, non più sfruttate dall’uomo, crescono senza controllo.

Canneti sulle sponde del Mincio e dei laghi

Canna palustre (Phragmites Australis o Phragmites Communis)


In passato le canne, abbondanti sulle sponde del Mincio e dei laghi, venivano tagliate a mano, poi bruciate o
usate per produrre manufatti, come piccole imbarcazioni, recinzioni, ombraie e coperture, perfino case. Le
canne, che raggiungono anche i cinque metri d’altezza, venivano raccolte a mano, legate in fasci da 60/70 kg
e trasportate su caratteristiche barche ad un solo remo, e durante l’estate accatastate su tralicci (detti ”cavai”),
per l’essic cazione, che precedeva la lavorazione. Affiancate e legate con un cordino di cotone o altra fibra, se
ne ricavavano stuoie dette “arelle”, usate come tende o coperture leggere; altrimenti potevano essere pressate
in mattoni, tegole o intere pareti.

Trasporto e deposito delle canne


Parete e mattone di canne

Carice (Carix Elata)


Numerose specie di carici (in dialetto, “caresa”) vivono lungo
le sponde del Mincio e dei laghi, insediandosi su terreni
temporaneamente o permanentemente allagati. Si tratta di
grandi piante erbacee con foglie lineari dai margini taglienti e
durissime: non sono ambite dagli erbivori, e proprio per essere
sottili e resistenti, sono sempre state usate nell’artigianato. Il
carice si raccoglieva in giugno e si sceglievano le foglie più
lunghe, che venivano legate in mazzi. Dopo averle pulite con i
rastrelli, venivano asciugate all’aria, per poi essere attorcigliate
in piccole funi formate da un numero medio di 10-30 foglie.
Oltre ad essere usare come corde, potevano essere usate per
coprire damigiane e fiaschi, impagliare sedie e panche,
intrecciare cesti e cappelli, legare il frumento o i rami delle
piante. Queste tradizioni sono quasi scomparse con l’industrializzazione degli anni ‘50 e ‘60, e sono
mantenute in vita da qualche anziano per hobby, ma anche da alcune imprese artigiane alla ricerca di
materiali naturali.

Essiccazione e lavorazione del carice


Fauna
L’ambiente palustre ospita, tra i mammiferi, soprattutto roditori. Uno di essi fa parte del famigerato elenco
UNESCO delle 100 specie di organismi alieni più pericolosi (quelli che hanno provocato i danni maggiori
nei nuovi habitat in cui l’uomo le ha introdotte). Si tratta della nutria (Myocastor Coypus), noto anche come
“castorino”, in origine allevato per la sua pelliccia. Da alcuni esemplari liberati o fuggiti si è sviluppata una
numerosissima popolazione, che provoca danni incalcolabili all’agricoltura ma anche, con le sue incredibili
gallerie, a terreni e argini. Meno devastanti risultano i “classici” distruttori, il ratto delle chiaviche (Rattus
Norvegicus) e il topolino delle risaie (Micromys minutus).

Roditori: ratto delle chiaviche, topolino delle risaie, nutria

Gli uccelli presenti sono classiche specie dell’ambiente palustre. Si annoverano germani reali, gallinelle
d’acqua, folaghe, tuffetti, martin pescatori, aironi (sgarze, nitticore, aironi bianchi, aironi grigi) e gabbiani. I
cigni, originari di Cipro e introdotti dall’uomo come attrazione turistica, creano un squilibrio al corpo
d’acqua poiché si riproducono senza controllo e arricchiscono l’ambiente di grandi quantità di sostanze
organiche e inorganiche. Tra i rapaci troviamo esemplari di falco pescatore, falco di palude e
dell’onnipresente nibbio bruno.
L’unico di questi uccelli acquatici che viene usato in cucina è il germano reale (Anas platyrhyncos),
presente in numerose ricette, spesso a base di frutta.

Germano reale in natura (a destra, il maschio) e in cucina


Gli uccelli del Mincio e dei laghi

Gallinella d’acqua (Gallinula Chloropus)

Folaga (Fulica Atra)

Tuffetto (Tachybaptus ruficollis)

Sgarza (Ardeola Ralloides)

Martin pescatore (Alcedo Atthis)


Nitticora (Nycticorax Nycticorax)

Airone bianco (Casmerodius Albus)

Gabbiano (Larus michaellis)


Airone cenerino (Ardea Cinerea)

Cigno reale (Cygnus Olor)

Nibbio bruno (Milvus Migrans)


Falco di palude (Circus Aeroginosus)

Falco pescatore (Pandion Haliaetus)


Pesca
La pesca è, comprensibilmente, una tradizione anche mantovana, anche se i pescatori di professione (l’ultimo
dei quali potrebbe essere stato il mitico “Magio”) non solcano più i laghi di Mantova sulle loro barchette
verdi. Si pesca soprattutto alla lenza, ma del pesce dei laghi di Mezzo e Inferiore è proibito il consumo
alimentare, a causa dell’inquinamento delle acque: ciò non impedisce agli appassionati di organizzare, sulle
sponde dei laghi, numerose gare di pesca sportiva.

Strumenti da pesca: bilancino, canna da lancio, nassa

Altri strumenti da pesca sono la bilancia (balansa) e la nassa, diabolica trappola a camere dalla quale i pesci,
una volta entrati, non escono più, è chiamata in dialetto bartavel (in italiano bartavello, o bertovello).
Il più pregiato pesce delle acque locali è il luccio (Esox
Lucius), principe dei predatori delle acque dolci italiane
(almeno fino all’introduzione del siluro). La gente del Po
ha sempre preparato ottime ricette a base di questo pesce,
dalle carni appetitose: nel Mantovano si preferisce il
“luccio in salsa”, rigorosamente accompagnato da fettine
di polenta abbrustolita. È un pesce internazionale: tre lucci
adornano infatti lo stemma della città finlandese di Haukipudas
Luccio in salsa
Haukipudas, situata nell’Ostrobotnia settentrionale .
Quasi scomparso dalle acque mantovane è un altro predatore, il pesce gatto (Ictalurus Melas), anch’esso
gradito in umido, oppure fritto.

Predatori: luccio e pesce gatto comune

Il cavedano (Squalius Cephalus), pescato più per la sua combattività che per le carni, è chiamato in dialetto
“cavasin”, ed è per i mantovani sinonimo della persona avara, data la sua discutibile abitudine di cibarsi di
rifiuti organici, compresi quelli umani.
L’anguilla (Anguilla anguilla ) è un migratore formidabile. Tutte le anguille
nascono nel Mar dei Sargassi, e le femmine sessualmente mature, in autunno,
iniziano un incredibile viaggio verso questa destinazione. L’istinto è talmente
forte che le anguille chiuse in laghi o stagni tentano di raggiungere fiumi e mari
strisciando per terra come serpenti. Una volta in mare, poi, subiscono variazioni
Cavedano
morfologiche: gli occhi aumentano di dimensioni e l’apparato digerente si atrofizza. Non hanno infatti più la
necessità di nutrirsi, dato che, una volta deposte le uova nell’Atlantico, muoiono. I nuovi nati (almeno quelli
che sopravvivono) fanno il percorso inverso, arrivando dopo circa 3 anni nell’esatto luogo da dove la madre
era partita. Questo pesce è quasi scomparso dalle acque mantovane, ma non dalle cucine, soprattutto per la
vigilia di Natale , quando si prepara, preferibilmente marinato ma a volte anche fritto.

L’anguilla in acqua e marinata

Esistono altre specie non autoctone infestanti, ma ormai familiari nelle


acque mantovane. Il persico sole (Lepomis Gibbosus) è una specie
importata dagli USA nel XIX secolo; ben
adattata alle nostre acque, nelle quali è
diffusissimo, ne vengono mangiati solitamente
i filetti, ottimi con le verdure più varie. I
mantovani lo chiamano, più semplicemente,
“pesce sole”.
Pesce sole Anche la carpa (Cyprinus Carpio), pescata più
per le sue notevoli dimensioni che per le carni
non eccelse, non è originaria di queste zone: fu introdotta in Italia dagli antichi Carpa
Romani. Anch’essa fa parte delle 100 specie aliene più pericolose dell’elenco
UNESCO.
Altre prede per i pescatori sono la scardola (Scardinius erythrophthalmus), detta in dialetto “scarva”, e
l’alborella (Alburnus alburnus), detta “aola”.

Un gruppo di scardole e un’alborella

Immagini di pesca sul Lago di Mezzo


Nelle acque sono presenti poi anfibi (rane e raganelle ), rettili (bisce d’acqua, innocue per l’uomo), molluschi
e crostacei, il più famoso dei quali è la caridina italiana (Palaemonetes antennarius), un piccolo gambero di
fiume chiamato in dialetto “saltare l”, spesso presente nelle padelle mantovane.

Il “Saltarel” in acqua e in padella

La stessa fine fa spesso la rana comune (Rana Esculenta).

La rana in acqua, nel risotto e fritta

A causa della carenza di ossigeno delle acque, le specie ittiche più sensibili stanno diminuendo (luccio e
persico), mentre le anguille sono già praticamente estinte. Ma anche tra pesci e crostacei ci sono i “nuovi
nemici”, recentemente introdotti dall’uomo, che stanno alterando l’equilibrio ambientale delle acque italiane.
Uno di questi, anch’esso membro dell’elenco UNESCO, è il siluro del Danubio (Silurus Glanis), disastroso
esempio di invasione ambientale, che da circa 50 anni sta minacciando di estinzione altri predatori come il
luccio e il pesce gatto. Privo di nemici naturali, si nutre di pesci di tutte le dimensioni, ma anche di rane,
uccelli e piccoli mammiferi. Anche il gambero rosso della Louisiana (Procambarus Clarckii), introdotto in
Italia per la qualità delle sue carni, sta creando numerosi problemi ecologici. Instancabile predatore, è una
grave minaccia per pesci e crostacei.

Gli invasori: pesce siluro e gambero rosso della Louisiana


L’argilla del Mincio
La lavorazione dell’argilla è un importante capitolo della storia di Mantova. Le
sponde dei laghi, ma soprattutto quelle della Vallazza, sono ricche di un’argilla di
pregiata qualità (detta “terra creta”), che
veniva raccolta e lavorata in loco. Sulla
sponda sinistra del Mincio, a sud della
Vallazza, si può ammirare un casolare
dell’800 con un forno ancora visibile
vicino alla riva: è l’antica fornace dei
Morselli, famiglia che per generazioni
produsse mattoni, impastando l’argilla a
mano e cuocendola proprio in quel forno
a legna.
La Vallazza Oltre ai laterizi, la tradizione artigianale Antica fornace Morselli
sviluppò anche una ricca produzione artistica di oggetti decorati
(soprattutto piatti, brocche e soprammobili). La tecnica chiamata “ceramica graffita mantovana”, sviluppata
nel primo Rinascimento, ha rischiato di essere abbandonata per gli alti costi della lavorazione manuale :
rimane in vita grazie a pochi laboratori artigianali, che producono piccole opere d’arte.
Si parte dall’argilla , impastata con acqua e pressata, e che, una volta cotta, diventerebbe rossa (come mattoni
e tegole). In questa lavorazione, invece, viene coperta con uno strato di
“ingobbio”, una pastella composta da terra bianca in polvere, sciolta in acqua.
Una volta secco, l’ingobbio viene lavorato con un punteruolo per creare forme
e disegni. Dopo una prima cottura, si procede alla coloritura del manufatto:
anche in questo caso i colori sono composti con polveri di terra sciolte in
acqua. Si passa all’invetratura, consistente nella copertura per immersione in
una vernice trasparente, a base di silice e piombo. Questa pellicola, in una
seconda cottura a 1000° che dura circa due giorni, ha lo scopo di “vetrificare”,
divenendo lucida e compatta, allo scopo di evidenziare i colori e formare uno strato protettivo.

La Ceramica di Mantova
La zona dell’Anconetta, sul Lago Inferiore, ha sempre ospitato forni e fornaci per la
cottura dell’argilla. Una prima cooperativa, la “Società dei forni Hoffman”, venne
costituita nel 1860, ma fallì nel 1874. Il 18 Gennaio 1901 nacque la Società Anonima
Ceramica Mantovana, che conobbe un notevole successo, non solo localmente,
aprendo una succursale perfino ad Alessandria d’Egitto. L’argilla arrivava a Porto
Catena da Formigosa su barconi detti “bürc” (burchi, costruiti in legno) o “gabarre”
(in metallo)., poi veniva trasportata ai forni su carriole che portavano anche 150 kg di
materiale . La Società costruì poi un trenino per agevolare il trasporto. L’argilla Burchio
veniva lavorata a mano e messa negli stampi per la cottura. La Ceramica occupava un’area vastissima (65000
mq), nella quale vennero inglobate alcune vie del quartiere, e anche l’antica chiesa sconsacrata di S.Marta,
che era stata usata come polveriera. Con 3 fornaci da 16 forni ciascuno, era una gloria dell’industria
mantovana. Negli anni ‘60, però, la Ceramica era solo un ricordo, con i suoi grandi edifici usati come
officine e magazzini, per finire nell’abbandono generale.

Il degrado della vecchia Ceramica


L’industria mantovana
Sulle sponde orientali dei laghi di Mezzo e Inferiore sono nate, nel secondo dopoguerra, imprese che hanno
segnato la trasformazione da una società prevalentemente agricola ad una industrializzazione di massa. In
quegli anni di sviluppo il sogno industriale sembrava avere il cielo come limite : sono poi venuti tempi
difficili, tra inquinamento, lotte sindacali e processi, ma alcune di queste realtà, a volte con altri marchi, sono
ancora presenti.

Belleli
Questa azienda nacque nel 1935 quando due giovani artigiani – Rodolfo Belleli e Amedeo Bisi – iniziarono a
costruire impianti termici. Nel 1948 la società si sciolse, quando
Rodolfo Belleli decise di fare il salto di qualità verso nuovi orizzonti
industriali: nasceva così un colosso internazionale, in grado di
fornire centrali nucleari e piattaforme petrolifere in tutto il mondo.
Negli anni ‘80 e ‘90, quando Rodolfo Belleli aveva passato il
controllo della società ai figli, una serie di manovre sbagliate
portarono il gruppo ad una profonda crisi. Ora, sotto la proprietà del
gruppo Exterran, la fabbrica produce impianti petroliferi, energetici e
di fertilizzazione. Nel segno di una tradizione millenaria, sfrutta
tuttora il Mincio come via d’acqua, trasportando manufatti di oltre
1000 tonnellate fino al mare Adriatico.

Cartiera Burgo
La produzione inizia nel 1902 con la cellulosa; nel 1962, con l’ installazione della “macchina continua”,
viene avviata la produzione di carta da stampa per
quotidiani. La collocazione in un’area di grande bellezza
paesaggistica ha portato attenzione particolare
all’armonia e al design: la realizzazione del nuovo
edificio (1962) venne infatti affidata al grande Pietro
Nervi. Notevole espressione di architettura industriale; è
famosa per le sue forme caratteristiche, costituite da
catenarie e travi di sostegno a “ponte sospeso”, e
richiama tuttora studiosi e visitatori da ogni parte. In
tempi successivi, con il crescere della coscienza
ambientale, lo stabilimento è stato inserito nel Parco del
Mincio. Ora, oltre alla produzione di circa 150000
tonnellate annue di carta, è entrato in funzione un
termovalorizzatore che, bruciando i fanghi di processo e depurazione, produce energia per la rete nazionale.
IES
Questa raffineria nasce come ICIP nel 1946, su idea e iniziativa
del conte Carlo Perdomini. Nel 1953 passa sotto il controllo
della società francese OMNIUM (confluita poi nella Compagnie
Française des Petroles-CFP) che avrebbe poi usato i marchi
OZO, AQUILA e TOTAL. Nel 1963 viene realizzato
l’oleodotto che porta il greggio da Porto Marghera a Mantova, e
nel 1969 la raffineria si arricchisce di nuovi impianti tra cui
quelli per la produzione delle benzine. Nel 1994 la ICIP diventa
IES (Italiana Energia e Servizi) , e dal 2007 fa parte del Gruppo
ungherese MOL.

MONTEDISON / ENICHEM
La società Edison inizia nel 1956 i lavori per un nuovo stabilimento petrolchimico a Frassine. Inizialmente
produce soda caustica e cloro, oltre a materie
plastiche tra cui l’onnipresente polipropilene
isotattico, meglio noto con il marchio registrato
di Moplen®, la cui invenzione portò il premio
Nobel in Italia, al chimico Giulio Natta. Anche
questa industria deve fare i conti con la crisi
ambientale , provvedendo all’ammodernamento
delle produzioni e all’avviamento di nuovi
impianti con moderne tecnologie proprietarie.
Ora opera sotto il marchio Polimeri Europa ed
ha aggiunto servizi per la gestione e
distribuzione dell’energia.

ITAS
Questa azienda, costituita nel 1939, opera nel
settore della trafileria di acciai speciali. Lo
stabilimento copre un’area di 38.000 mq, ed è
tuttora un’importante realtà nella produzione
di acciai per cemento armato e fili per molle
(comprese quelle dei nostri materassi),
materiali che esporta in tutto il mondo.
L’inquinamento
Mantova è una città dalle acque e dall’aria fortemente inquinate, che rendono problematica la sopravvivenza
delle zone umide, oltre a costituire un grave pericolo per la salute degli abitanti. Sotto accusa sono gli
scarichi del Lago di Garda, ma in primo luogo quelli dell’industria mantovana: uno studio ASL di una decina
di anni fa individuò, tre i residenti nel raggio di 2 km dall’inceneritore (allora Enichem), un’incidenza del
sarcoma enormemente superiore alla norma. Per questo ed altri tumori, come
linfomi e leucemie, sono stati individuati come agenti composti chimici come
cloruro di vinile , diossina , amianto, benzene e stirene, tutti presenti nelle acque
mantovane. L’avvelenamento delle acque e dell’ambiente è lo spettro che Mantova
si trova a fronteggiare dopo decenni di scarichi industriali, con gravi perdite di vite
umane. Altri studi sono stati effettuati, e sono tuttora in corso azioni legali e
processi per accertare la responsabilità di quelle morti. La storia del
“petrolc himico”, è lungi dall’essere risolta: nell’anno 2010 i tribunali se ne sono
occupati, ed un nuovo procedimento è previsto per il 2011.
La cosa non sembra finita qui. Sui giornali locali e su numerosi blog Internet, anche
in tempi recenti, compaiono notizie preoccupanti: ne l 2007 e nel 2009, per
esempio, sono stati segnalati ammassi di acqua schiumosa e maleodorante nei
pressi dal canale di scolo della cartiera Burgo. Altre volte sono stati segnalati rifiuti smaltiti in modo illegale
nelle acque del Mincio, e le organizzazioni di volontariato che effettuano la pulizia delle sponde dei laghi
trovano annualmente quintali di rifiuti e rottami.
Fare dei giudizi è problematico, e questo studio non è abbastanza approfondito per consentirlo : ci sono già
feroci battaglie legali sull’argomento. Chi vuol farsi un’opinione potrebbe fare una passeggiata sulle rive dei
laghi di Mantova. Secondi molti, comunque , quella per l’ambiente è una lotta di tutta la comunità, dove
echeggiano ombre di politica e interessi miliardari, nel tentativo di salvare il ricordo della città dei nostri
antenati, etruschi, galli o lombardi che fossero.

La difficile convivenza tra le industre e le acque di Mantova


Ombre della vecchia Mantova

Fossa Magistrale (residuo del Lago Paiolo)

Porta Mulina con la strada coperta

Ponte dei M ulini e donne al lavaggio

Rio

Antica chiesa di San Domenico Gli scariolanti

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