-1 m cenni biografici su Le
ffi
ben leg. ra. pelle dell'epoca, conserv. la copert. orig.
m
257 i-8°,
NAPOLI
; con ritr. del Diavolo Zoppo stampato su carta di china a riscontro del
sul frontisp., e numercsiss. vignette ine. in legno intercal. nel testo che è
s
doppio filetto. Beli 'esemplare, ottimamente conservato, prima tiratura, di
ara edizione romantica impressa lo stesso anno in cui uscì a Parigi l'ori-
DIAVOLO ZOPPO
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i i s
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DIAVOLO ZOPPO
ILLUSTRATO CON INTAGLI
DA TONY JOHANNOT
TORINO
STABILIMENTO TIPOGRAFICO DI A. FONTANA
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%\iio
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mimo
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CENNI SU LE SAC.E
Le Sage ;
egli è poeta comico in
verità ,
l’ ironia e I’ epigramma
senza fiele; un ornalo e chiaro stile,
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Vili CKIVNI SII LE SAGF.
CENNI SU LE SAGE IX
volta ;
ed acquistarono fama di classici scrittori, ciò che
potrebbe essere d'insegnamento a’begli spiriti del di.
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,
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i;t>M SU LE SA.UK XI
cristallo.
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!
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,
*
CENNI SU LE SAGE XIII
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’
t .
v
XIV CF.NM SU LE SAGE
j
che sognava nelle vegliale notti ;
il pubblico ,
tremendo
giudice, che che si dica, fu più giusto per il vero Don
Chisciotte che Le Sage medesimo, ed avea quindi ancora
a movere il primo passo ver il tempio della Gloria. Ciò non
ostante si slanciò coraggioso per quella via che solo ai tri-
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CENNI SU LE SAGE XV
portala una vittoria. Vana speranza! Ella era pur essa una
sconfitta, giacché, passato da Versailles a Parigi, Don Ce-
sare Urtino fu tremendamente fischiato dalla platea parigina
ginale poeta.
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jr
nulla più gli inceppava il piè, non eranvi più ostacoli alla
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CENNI SU EE SAC.E XVII
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XVIII CENNI SU LE SAGE
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CENNI SU I.F. SAQE XIX
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XX CENNI SU LE SAOE
videnza quindi.
Rinunciando al TcatroFrancese, non avea LeSage perciò
rinunciato alla vera commedia. Tutte le commedie da
cui era invaso ,
furono da lui accatastate nel gran libro
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,
Guardatevi ,
giacché Asmodeo ,
questo terribile beffardo,
spingerà l’occhio suo scrutatore nell’interno delle vostre
case, in cui credete essere nascosti ad ogni sguardo, e
é il libro , forse ,
più francese che siavi ;
egli è il libro
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, ,
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CENNI SU LE SAGE XXIII
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?
Diavolo zoppo.
Ma che non avrebber fatto, ditelo voi, lettori, se veduto
avessero il Diavolo zoppo illustrato dagli intagli di Tony
Johannol
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CAPITOLO PIU IMO
Uii sia il Ih ai ulti ZU|||K1. — lluvc u por i|ual caso I). Cicute lieaii'lni pure»
/aiiiluillo fu' ctmusuunia culi asso lui
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;
4 IL DIAVOLO ZOPPO.
1 d una casa in cui era entrato, spinto dal cieco figlio della dea di
! Citerà. Ei procurava di salvar la propria vita e il proprio onore da tre
I
a menare in moglie una donna, appo cui l’avevano essi cólto.
Abbenchè solo, egli erasi difeso con assai valore, e non si diè alla i
•
i
fuga che dopo aver perduto la spada. Inseguito per qualche tratto j
sui tetti ,
non riusci a salvamento che col favor delle tenebre ,
e si
diè ad esaminarlo con molta attenzione. Vide appesa al soffitto una lu-
cerna di rame, alla rinfusa libri e carte sparse snr un tavolo, una
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CAPITOLO PRIMO
sue osservazioni.
Tranquillato alquanto, tornò col pensiero al pericolo da cui la sua
buona stella l’uvea scampato, e mentre si consigliava fra se stesso se
gli era meglio il fermarsi sino allo spuntar del di od appigliarsi a
signor Studente, gli rispose tosto una voce che avea qualche cosa di
straordinario ;
son io che vivo prigione da sci mesi in una di queste
boccie turate. Abita in questa malaugurata casa un dotto astrologo,
per soprappiu anche mago, che per virtù dell’arte sua mi tien chiuso
in questa fiala. — Ah, tu se’ dunque uno spirito ? disse Cleofa un al-
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,
4 IL DIAVOLO ZOPPO
giorno ,
e sempre più mi persuado che i diavoli la sanno lunga
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CAPITOLO PRIMO
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ti IL DIAVOLO ZOPPO
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CAPITOLO PRIMO 7
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8 . IL DIAVOLO ZOPPO
Ma a dir vero voi non m’ avete per anco narrate tutte le spiritose
scrissero di me le piò belle cose del mondo. Al loro dire le mie ali
son dorate ,
bendati ho gli occhi ,
ho un arco in mano, ho pieno di
noi ,
se un astutissimo diavolo par vostro non trova modo a trai-si
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—
CAPITOLO PRIMO 9
più che una piccola difficoltà: resovi il servigio, non avrò poi a pa-
gare la rotta Cala? — Non temete disgrazia alcuna: vi accerto anzi
di tutta la mia riconoscenza. Vi informerò di tutto che vorrete sapere:
vi instruirò di tutto che succede nel mondo; vi scoprirò i difetti,
genio famigliare di Socrate, vuo’ farvi più savio ancora che non l’era
quel grande filosofo. In una parola ,
eccomi a voi e per voi con tutte
le mie buone e le mie cattive qualità; e le une non vi saranno meno
utili delle altre.
messeri diavoli, non siate gran fatto fedeli alle vostre promesse. t
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10 IL DIAVOLO ZOPPO
lissimi, erano simili a due carboni ardenti; l’immensa sua bocca era
sormontata da due rossi, ispidi e folli baffi, ed orlata da due spro-
porzionate labbra.
Questo gentil Cupido avea il capo ravvolto in una specie di tur-
bante di crespone rosso, ornato d'un mazzo di penne di gallo e di
pavone. Portava una lunga grandiglia di tela gialla ,
su la quale erano
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CAPITOLO PRIMO 11
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12 IL DIAVOLO ZOPPO
|
italiani cavalieri suonavano e cantavano sotto le finestre delle loro
!
cliier di birra.
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CAPITOLO II
anche a voi. Gettiam prima di tutto i pezzi della rotta fiala dalla fine-
dre ;
qnand’ anche io scendessi fra i gnomi, o nc’ più profondi abissi
dell’Oceano, non potrei sfuggire all'ira sua. Sì possenti sarebbero i suoi
,
pena che m’ imporrebbe.
— Se la bisogna è tale, ho gran paura, ripigliò lo Studente, che la
lo Spirito, chè non sappiam noi ciò che debba accadere — Come !
e fanno fare a chi desia leggere nel futuro. Noi non sappiam che il
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CAPITOLO SECONDO 15
passato ed il presente. Non so dunque io dirvi se il negromante ac-
corgerassi tosto delta inia fuga ; ma spero di no. Molte son qui le Gale
avvedrà sì presto eh’ essa non è più. Io qui son quale un libro di
diritto ne' scaffali della biblioteca d'un finanziere: dimenticalo; c
qnand' anche vi pensasse, non c’ è pericolo volesse intrattenersi meco;
egli è il più vanaglorioso incantatore eh’ io mi conosca. Dacché son
suo prigione non si degnò di parlarmi una sol fiata.
della rotta fiala e li- gettò dalla finestra. Signor Zambullo , diss’ egli
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CAPITOLO III
Dote lo Snudare fosse trasportalo dal I»ia\ r>lo zoppo: prime cose
cho gli fece vedere
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,
CAPITOLO TERZO 17
Ma ora che siamo in libertà, vorrei che prima d' ogni altra cosa
mi narraste il come diveniste zoppo. Volentieri, disse Asmodeo :
—
Contendessi fra me e l’illardoc a chi sarebbe rimasto, un giovinetto
che recavasi in Parigi a cercar fortuna, e siccome egli era buono e di
grande ingegno, cosi ce ne contrastammo ostinatamente la conquista.
Le aeree regioni furono scelte a campo del nostro singoiar certame,
ci battemmo ; ma Pillardoc di me più forte mi gittò sulla terra
proprio come Giove, a quel che dicono i poeti, buttò con un calcio
Vulcano. Fu per la rassomiglianza di queste avventure che i mici
compagni per ischerno mi àliiamarono il Diavolo zoppo ,
e questo
soprannome mi dura ancora ;
ma benché storpio non ho soggezion
d'alcuno. e vi diedi già evidentissime prove della mia sveltezza.
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18 IL DIAVOLO ZOPPO
dello studente e vide nell' interno delle case nella stessa guisa, dice
largo pascolo alla sua curiosità. — Signor f). Cleofa, gli disse il Dia-
volo, non niegovi che ciò clic avete innanzi, ed osservate con si
Romani trattavano i loro schiavi. Sono due anni che arrivò dall'lndic,
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I
CAPITOLO TERZO 1
l
»
dall' arrenili ,
incile ili disparte tulle le inonele clic noli sono del
rieliieslo iteso, iter imprestarle al primo sciagurato che dopo tulle le
il
più possibili cautele gli darà il sessanta per cento d’interesse; si
j
bea nel loro luccicare c punto non s’ avvede che invecchia ogni dì
senza provar la dolce satisfazione ili fare il bene non si avvede
,
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20 II. DIAVOLO ZOPPO
lanu impazienti che loro dicasi quando morrà lo zio. — Scorgo nella
pata civetta che si spoglia per ire a letto, e che ha già locato
sulla toilette i capelli, i denti e le sopracciglia, ed un sessagenario
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22 IL DIAVOLO ZOPPO
tenera fanciulla ,
due giovani zerbini se ne contrastano i favori , e
duellarono per essa. Gl' insensati ! Mi par di veder due cani clic si
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CAPITOLO TERZO 23
supplizio. Una cornamusa ed una spinella ne formano 1’ accompa-
gnamento. Un lungo ed esile cantore con voce di falsetto canta il
soprano ,
ed una giovinetta, con voce grossissima ,
quella del basso.
— Oh , la graziosa cosa ,
sciamò don Clcofa ; a voler riunire espres-
non è così nella vicina casa a man sinistra. Vedete voi una signora
coricata sur un letto di damasco rosso? Ella è una persona di qua-
lità-, è donna Fabula che mandò per una comare, esscnd’essa vicina a
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—
24 IL DIAVOLO ZOPPO
lare un crede al vecchio don Torribio suo sposo clic le vedete vicino.
Quanto è buono codesto sposo 1 Le grida della cara sua melagli passano
Leandro, c agitato assai; ina vedo un altro che dorme profondo sonno
nella stessa casa, senza curarsi del trambusto che in essa vi regna.
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CAPITOLO TERZO 25
— Non siete dunque amici? rispose lo studente. — No, perbacco,
disse Asmodeo. Egli è Pillardoc , ed il furfante mi tradirebbe col far
degli avi suoi, sonzachò si avanzi d’un passo nella ricerca dcll’im-
j
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26 IL DIAVOLO ZOPPO
vecchia sua moglie ed un garzone. Bramate voi sapere che cosa facciano
essi ? Compone il marito una pillola prolifica per un vecchio avvocato
che dee domani farsi lo sposo: confeziona il garzone un decotto lassa-
tivo, e la vecchia pesta in un mortaio alcune droghe astringenti per....
— Vedo nella casa di contro a quella dello speziale, disse Zambul-
lo, un uomo che si alza e si veste in tutta fretta. Malanni 1 sciamò lo
CAPITOLO TERZO 27
lucro. — Non vi apponete male, rispose lo zoppo : fece le ultime cor-
avend’ egli disposto si bene la tessitura del suo dramma che l'azione
succede sempre nell’ arca di Noè.
V’accerto eli’ essa è un’ opera eccellente; tutte le bestie vi parlano
inutilmente, clic il banchiere, di loro assai più scaltro, parli già alla
— Veh! veli! disse Zambullo, un altro ladro che con una scala
di seta monta su d’un balcone. — V’ingannate d’assai, mio bel si-
gnorino ,
se credete colui un ladro. Egli è un marcliesino che dolce-
mente cerca d’ introdursi nella camera d’ una fanciulla che non sarà
,
più tale ,
ov’ ella imprudentemente vi acconsenta. È vero che sorri-
dendo le giurava d’esserle marito, e che solo a questi patti la disgra-
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CAPITOLO SECONDO 49
— Sarei curioso di sapere, tornò a dire lo studente, cbe cosa fac-
cia quell’uomo là in berretto da notte ed in veste da camera. Ei sta
scrivendo con grande attenzione, mentre seduto sullo scrittoio, con
le mani appoggiate sugli esili suoi stinchi ,
cogli occhi spalancati e
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30 IL DIAVOLO ZOPPO
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CAPITOLO TERZO 51
caso. —Come, per caso ? interruppe Leandro. — Mi spiego piùchiara-
mente , replicò Asmodeo. Disposte in fda, sulla porla del baccelliere,
mentale, che per sola galanteria passa l’intiera notte, come gli amanti
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,
32 IL DIAVOLO ZOPPO
ora passeggia nel suo appartamento, ed ora si lascia cadere sur una
poltrona. — Pare, disse Zambullo , che rumini in sua testa un gran
ziere ,
rispose il Demonio ,
incanutito in lucrosissimi impieghi che
dosi che dopo una si buon’opra avrà posa alfine la sua coscienza.
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CAPITOLO TERZO 53
Nell' altro corpo di casa abita una bella signora cbe da pochi mi-
nuti si è posta a letto, appena uscita da un bagno di latte. — Que-
sta voluttuosa c gentil signorina è vedova di un cavaliere di san I
Giacomo ,
da cui non ereditava cbe un onorato nome ; ma la vana-
rella è corteggiata da due impiegali del consiglio casigliano, che di ,
punto ,
la bile bendò loro gli occhi, impugnarono le spade, e mor-
talmente si ferirono a vicenda : il piò giovine è Aglio unico, 1’ altro
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54 IL DIAVOLO ZOPPO
dete voi in quella casa, lontana solo due passi dalla bisca, queH’uomo
grosso steso sul letto ? Egli è un canonico tocco d’apoplessia. Il suo
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,
CAPITOLO TCKZO 35
inatri inori i i ridicoli sono opera vostra ; ma in questo voi non vi po-
neste mano. — Oh no ,
rispose lo zoppo, nè il potea, perchè non era
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36 IL DIAVOLO ZOPPO
rimorsi i piaceri che anche in tarda età pur ama tanto. Io vivo a
dannar le coscienze anziché a tranquillarle.
— Con tutto il frastuono di questa ridicola serenata, disse Zam-
Imllo, mi sembra di udirne un’altra. — Nè v’ingannate. Sono tre
forastieri che dalle otto del mattino sono in una taverna ;
l’ uno è un
grosso capitano fiammingo , l’ altro un cantante francese, ed il terzo
un ufficiale della guardia tedesca-, cantano un terzetto c beono a più
non posso, ed un ciascuno c persuaso che per l’onore della propria
nazione dee ubbriacare gli altri due. — Oh bella davvero! sciamò
don Leandro Perez, nò s’accorgono que’ balordi che oramai son
brilli tulli c tre?
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,
CAPITOLO TERZO 37
amicizia, e non tendono clic ad ottenere la protezione dell’uno, e
qualche pensione vitalizia dagli altri. Le civette si rassomigliano tutte.
Per appagar codeste frinì possono gli uomini spendere c spandere,
ridursi al verde, che già saranno sempre amali alla stessa maniera;
ehi paga lo sarà ognora , come dalla maggior parte delle donne
si suole amare il marito ;
la è una regola infallibile da me stabilita
dro che si olire in questo punto a’ miei sguardi. Tutti sono ancora
alzali in questo palazzo a sinistra. Perchè gli uni si sganasciano dalle
risa, c gli altri ballano ? Mi par che si celebri una qualche festa.
— Si festeggiano nozze ,
disse lo zoppo ; tutti i servi fan baldoria, e
non son tre giorni che in questa stessa casa vi regnava la più pro-
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CAPITOLO IV
Ovunque ella andasse, era da lui seguita, e non lasciava mezzo in-
tentalo di farle intendere co’sguardi l'amor che lo struggeva: ma una
vecchia accorta quanto essere lo sogliono codeste vecchie governanti,
era sempre ai fianchi della fanciulla ,
per cui non poteva il conte nè
scriverle, nè parlarle. Malediceva in suo core la vigile Marcella, che
tale era il nome della governante , e si accresceva intanto la sua
passione col crescere degli ostacoli, e pensava e ripensava ognora
La gentile Eleonora, eh’ erasi accorta delle premure del conte, non
seppe serbarsi indifierentc, e diè alimento in cuore ad un amore che
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CAPITOLO QUARTO 39
a poco a poco si fé gigante. Le mie solite tentazioni però non le ser-
bano d’ esca ,
perché il mago clic mi tenca prigione , m’ impediva
l’ esercizio di mie funzioni ; ma la natura bastò da sé sola. Essa non
è meno pericolosa di me, chè avvi una sola differenza fra noi , ed è,
che tenea fra le mani una delle più grosse corone che fabbricasse mai
l’ ipocrisia. Le si avvicinò salutandole con bocca sorridente, volgendo
la parola alla governante : Vi conservi il cielo ! a cui Marcella ri-
spose: — Sia la pace con voi 1 — Seia domanda c lecita, siete voi la
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,
40 IL DIAVOLO ZOPPO
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CAPITOLO QL'AHTO 41
ducati che il non mai abbastanza pianto vostro marito, c mio affezio-
nato amico, mi prestò già tempo in Bruges per trarmi d' impaccio in un
malaugurato alfar d'onore. Non vi disse mai nulla di questo fatto?
Mai no ,
rispose la Marcella, che il cielo sci pigli ,
non me ne ha
mai parlalo. Egli era sì generoso, clic non si rammentava mai i ser-
che vanlansi del bene che non fecer mai , ei non mi parlò neppure
'
una volta del bene che aveva realmente fatto. — Ah, egli avea pure
la gran bell’anima, rispose il vecchio; ed io il so meglio d’ ogni al-
tro ; e per provando è duopo ch’io vi racconti come uscii fortunato
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I j
ìì IL DIAVOLO ZOPPO
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! I
CAPITOLO QUARTO 43
— Voi credete di dover molto a questa officiosa donna che sì bene
vi serviva : ma siate certo che saranno pochi i frutti che ricave-
rete dal servigio resovi.
Così dicendo fece qualche passo per ritornar nella sala. Il conte
ne la impedì. — Non mi fuggite, adorabile Eleonora, uditemi, uditemi
Belflor non trascurò d' infiorare la tenera sua parlata di tolto che
ha di meglio la patetica rcttorica d’ un amante ,
inalbandola di
calde lagrime. Si commosse la giovinetta ,
e suo malgrado la tene-
rezza e la pietà le sursero in cuore : ma lungi dal cedere alla pro-
pria debolezza ,
più sentivasi intenerita , e più mostravasi risoluta
a voler isfuggire il pericolo.- — Conte, ogni vostro dire è inutile,
non debbo più ascoltarvi; lasciatemi uscir da una casa, ove la mia
virtù ne poiria soffrire, o colle mia grida desterò l’attenzione del
vicinalo, e farò pubblica la vostra audacia. Questi detti pronun-
ciati con fermo e risoluto accento desUrono la Cicona dalla sin
allora sua passiva indifferenza. Aveva costei le sue buone ragioni
per non volersi impacciare colla giustizia ,
e pregò quindi il conte
j
di non ispinger oltre la cosa, e questi non osò più di opporsi
alle brame di Eleonora ,
che si svincolò dalle sue mani ed usci
onorata e pura ,
quale vi entrava , da quell’ infame gabinetto, ciò
che non era per anco stato permesso ad alcuna fanciulla.
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,
44 a. DIAVOLO ZOPPO
gua e disse : Confessovi, figliuola mia , che sono oltre ogni dir mor-
tificata per il successo. Come diamine mi son lasciata ingannare da
quella vecchia strega? A dir vero, da principio il cuor mi diceva di
-non la seguire : percliò non gli diedi retta ! Si ,
dovea diffidare di
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"
i
!
i
CAPITOLO QUARTO 45
lasciarsi trascinare dalla tendenza ch’egli area alle amorose passioni. j
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,
46 IL DIAVOLO ZOPPO I
|
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— ,,
CAPITOLO QUARTO 47
ubbia dello od alcun che su questo punto. — Che dite mai , mia
buona amica ? arrossendo disse Eleonora. Se tale fosse la sua in-
gli è vero ,
rispose la governante , capisco aneli' io che ... si ,
la con-
dotta del conte è sospetta , e comincio a credere che non sia un gran
bel Sor di virtù .... che si che ritorno in quell’ infame casa a dirgli
,\o , no ,
mia cara ,
disse Eleonora ,
è meglio dimenticarsi 1’ acca-
duto , e vendicarsi col disprezzo — Gli è vero; questo è il miglior
partito ,
e vedo che avete più giudizio di me. Ma se noi ci appo-
nessimo male intorno ai sentimenti del conte ? Se prima di otte-
nere l’ assenso del padre si fosse proposto di ottenere con tenere
cure e sollecitudini il vostro cuore, di piacervi, affinchè il vostro
nodo fosse per ogni rispetto invidiabile c felice ? Se ciò fosse
ragazza mia , sarebbe egli un gran delitto l’ ascoltarlo ? Svelatemi
A si maliziosa inchiesta ,
la ingenua Eleouora chinò gli occhi a
terra ed arrossendo confessò che non sentiva alcuna ripugnanza per
esso lui ; il suo pudore le impediva di spiegarsi con maggior chia-
rezza ,
ma la vecchia volpe approDltò di quel rossore ,
della mo-
mentanea sua debolezza, ed insistè perchè le aprisse liberamente
.l’animo suo. Vinta finalmente dall 'affettuoso pregare di Marcella: —
Mia diletta governante ,
disse Eleonora ,
giacché volete che tutto
io vi confidi ,
giacché ho a dirvi proprio quel ch’io penso, sì, sap-
piatelo ,
BelQor mi parve degno d’ esser amato. Quanto ,
quanto mi
parve avvenente ... ne avea udito a parlar sì tiene ,
eppure gli oc-
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48 IL DIAVOLO ZOPPO
e l’ho compensato così co’ mici sospiri dei mali che voi, vigilando,
gli faceste soffrire; ed anzi in questo medesimo istante il mio cuore
anziché odiarlo per la sua indegna azione, lo scasa ed incolpa del
suo fallo il vostro rigore.
— Figliuola mia , soggiunse la governante ,
giacche mi date ra-
gione di credere che il conte non vi dispiacerebbe, non vo’ lasciarvi
perdere una tale fortuna. — Vi sarei grata oltre ogni dire ,
rispose
signore, alla cui mano aspirano di certo le più gentili e ricche dame
della monarchia. Gli è inutile il supporre di' ei si contenti della li-
glia di don Luigi, d’una fanciulla che non può offrirgli che una
mediocre dote. No , no ,
egli non ha per me sì teneri sentimenti ;
ei
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CAPITOLO Ql AUTO :
49
qual destrezza area strappato alla bella Eleonora il segreto del di lei
amore per lui. Fu una vera consolazione pel conte una tale scoperta,
e mille furono i ringraziamenti che fece alla Marcella ,
colle più
mille doppie, tanl’era egli persuaso del buon successo della sua im-
presa , che rotto quale egli era in queste amorose mene sapea benis-
simo che fanciulla innamorata è fanciulla quasi sedotta. Si separaron
fanciulla.
che havvi di più sacro fra gli uomini. Ciò non ostante, siccome po-
tete immaginarcelo ,
finsi di dubitar di sue parole , nè volli ad-
dolcirmi per un confetto. Or tiene, gli dissi, se voi avete sì buone
disposizioni per la fanciulla, chè non oc parlale a don Luigi e
non gliela dimandate in isposu?
— Ah ! mia cara Marcella ,
risposerei tosto ,
senza dar a dive-
dere d’essere imbarazzato per niente dalla mia domauda, e vor-
reste voi che senza esser certo dell’ amore di Eleonora ,
seguendo
solo i dettami d' una cieca passione, tirannicamente l’ottenessi dal
padre suo? (jiammail il riposo di quell’angiolo di bellezza mi è
sacro, e la mia stessa felicità sagritìchcrò anziché procurarle un
tentamente io l’ osservava ,
tutta adoprando la mia esperienza, per
leggere negli occhi suoi se sincero fosse l' amore che mi diceva di
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,,
50 IL DIAVOLO ZOPPO
sincerila ,
esser quegli il tempo di non occultargli più i vostri sen-
siderare il conte quale vostro marito. — No, che non è tale ancora,
nè debbo vederlo senza l’assenso del padre mio. Guai se il mio buon
padre si avvedesse d' ima segreta umorosa corrispondenza 1 io ne
trasalisco alla sola idea. Tenero quale egli è del suo decoro, io avrei
a tremare di sua ginstissim’ ira. Ah no, Marcella, nè posso, nè
debbo acconsentire alla futtami proposta.
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,
CAPITOLO QUARTO 51
l’ innocenza. Una fanciulla può ascoltare 1' amante senza cessar per
questo di essere virtuosa ,
quando essa conosca la purezza di sue
intenzioni ,
ed allora non è maggior fallo il corrispondere alla di
lui passione che il provarne pietà. Eleonora’, fidatevi di mia spe-
ranza ,
chè troppo vi amo per animarvi ad un passo che possa
riescirvi fatale.
è quegli il luogo il più sicuro. Domani altor che sarà notte io stessa
dinaria quale voi la credete. Son cose queste che succedono tutto
certa che non lo saprà ; vostro padre non dubita punto di vostra
condotta , eh’ ei conosce la mia incorruttibile fedeltà ,
ed ha una
grandissima fiducia in me. — Eleonora, trascinata dai perfidi consigli
proposta faUale.
Non tardò guari a saperlo il conte, e fu tale e tanta la sua gioia,
che regalò subito alla Marcella le già promessele cinquecento dop-
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1
52 IL DIAVOLO ZOPPO
bonda padroncina.
un uomo che non avea il consenso del padre suo, c di cui ignorava
a fondo i sentimenti , sembravate un passo non sol delittuoso ,
ma
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CAPITOLO QUARTO 53
da attirarle persino il disprezzo dell' amante suo. £ quest’ ultimo
pensiero le cagionava un sì gran dolore, che lutto occupava l’anima
sua, allor che il conte le comparve innanzi.
— Conte ,
gli disse la fanciulla , vo’ ben supporre che non abbiate
altre mire ,
ma mi sarà sospetta sempre ogni vostra promessa
finché non sarà convalidata dal consenso del padre mio. — Signora,
rispose Bclflor, assai prima d’ora gli avrei chiesta la vostra mano,
se il dubbio non mi fosse nato in cuore che la mia domanda avesse
potuto turbare il vostro per me prezioso riposo. — Nè io vi rimpro-
vero per non averlo fatto ancora, soggiunse Eleonora, ed anzi approvo
e vi ringrazio del vostro dilicato procedere a mio riguardo ,
ma
in ora nessun timore più vi debbe trattenere, c dovete o parlar
subito a don Luigi, o non rivedermi più mai ! — Ah ! che diceste,
più non vedervi, mai più, angelica Eleonora? E dovrò credervi
insensibile all’ amore ! Se voi mi amaste quanto io vi adoro, voi
non isdegnereste di amarmi in segreto per un alcun tempo , senza
che fosse nota la nostra Gamma al padre vostro. È delizioso il mi-
stero per due esseri strettamente uniti dai lacci dell'amore ! — Po-
tria esser tale ma non sarebbe per me che una continua
per voi ,
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54 IL DIAVOLO ZOPPO
renda. — die dite? sciamò Eleonora con grande sorpresa: mio pa-
dre rifiutar la proposta d’ un uomo del vostro grado ? — Ah ! egli
signora ,
se don Luigi vorrà esporsi al pericolo d’ attirarsi la col-
lera del re ,
accettandomi per genero.
— No certo. Conosco il padre mio e quantunque vantaggiosa gli
mi minaccia ; e voi ,
voi stessa, bellissima Eleonora, dovete aiutarmi
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CAPITOLO QUARTO 55
soggiunse, pittandosi alle sne ginocchia : — Ah Eleonora, amabile
fanciulla ,
permettete , deh permettete eh' io vi sposi alla presenza
della signora Marcella ;
sarà dessa il testimonio clic farà fede della
santità del nostro nodo. Potrò cosi liberarmi di leggieri dalle odiose
sposo della dama che mi destina , mi getterò a’ suoi piedi, gli dirò
sposa mia. Egli è clemente e non vorrà strapparmi dal seno d’una
adorata sposa ; è troppo giusto e non vorrà il disonore della vostra
famiglia.
— Che dite voi, saggia Marcella, rivolgendosi alla fino allora muta
governante , che dite voi del felice pensiero clic amor m’ inspira ? —
Ch’egli è il migliore, e che fa duopo convenire che amore fu sempre
ingegnoso. —E voi, adorabile Elcnora, clic ne pensate ? Diffidereste
e gli occhi suoi, continuamente aperti sur ogni nostra azione, gl’ im-
pedirebbero tutte le vie a vedervi.
— Ne morrei di duolo ! sciamò il cortigiano. — Ma, signora Mar-
cella , soggiuns’ egli affettando costernazione ,
siete veramente per-
suasa che don Luigi ricuserebbe la proposta d’ un maritaggio clan-
destino ? — Non v’ ha il menomo dubbio ,
rispose la governante ; ma
supponiam che vi acconsenta : scrupoloso quale egli è, non vorrebbe
mai che si trasandasse la cerimonia della chiesa, ed allora il matri-
monio saria noto a tulli in men che il dico.
— Ah mia cara Eleonora, disse allora il conte, stringendo fra
le sue le mani della giovinetta amante, c bisognerà dunque, per sod-
disfare a vani riguardi di convenienza, esporci al pericolo d’essere
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,
56 IL DIAVOLO ZOPPO
sua maschera ;
no ,
non potrei fingere a questo segno. E poi è tale il
carattere del re ,
che s’ ei scoprisse eli’ io 1’ ho ingannalo , sarei
Avvi forse in lui un' alcuna cosa che vi dispiaccia? — No, Marcella;
ci non mi è sembrato mai più amabile, e nuovi pregi scopersi in lui
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—
CAPITOLO QUARTO 57
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58 IL DIAVOLO ZOPPO
osservato s’ avvide che tutto era realtà e che la luce del giorno,
quantunque incerta ,
gli scopriva, ahi troppo ,
la sua vergogna.
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CAPITOLO Ql’ARTO 59
schietta sincerità. —E bene , miserabile donna , sospenderò la mia
vendetta per un qualche istante , soggiunse don Luigi ;
parla ,
pale-
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60 IL DIAVOLO ZOPPO
suo sdegno. Ei fu commosso c l' ira die luogo alla compassione , la-
senza curarsi punto del disonore di cui coprirono tutta una fami-
glia, che costernata allontanasi dall’ umana società per nascondere
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,
CAPITOLO QDABTO 61
disse la Marcella ,
che il re ama troppo il suo favorito per usargli
cotanta tirannia ,
ed è troppo generoso per essere cagione d' un sì
i
mortale affanno ai valoroso don Luigi di Cespcdes ,
che consacrò
tutti i suoi più bei giorni in servigio dello stato.
— Lo voglia il cielo 1 disse il vecchio, che i miei sieno vani ti-
mori. Ma vo’ andar dal conte a chiedergli ragione dell’ operar suo:
gli occhi del padre ofTeso sapran scrutare nel piò profondo dell’anima
sua. Se i suoi divisamenti saranno quali il desidero, ad ambe vi per-
fermezza ,
se dal suo dire scoprirò in lui un perfido cuore, chiuse
tati’ e due fra quattro mura ,
pagherete il fio di vostra imprudenza
fra le lagrime e gli affanni. Ciò detto, raccolse la cadutagli spada e
‘salì alle sue stanze per vestirsi, lasciandole sole a riaversi dallo spa-
vento che loro avea cagionato.
— A questo punto della narrazione Asmodeo fu interrotto dallo
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62 IL DIAVOLO ZOPPO
*
ìì ’ ;
1
;
i • • \ «
marito.
— Bello bellissimo quadro, disse Zambullo. È francese lo sposo?
— No, rispose il Diavolo, egli c spaglinolo. — Ah, ah, la buona città,
di Madrid ha anch’ essa i suoi mariti condiscendenti ; ma non ve ne
ha abbondanza come in Parigi ,
che senza dubbio alcuno è la città
» 80««
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,
CAPITOLO V
;
on Luigi uscì di buon mattino c si recò al
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.
-
Q 7
61 IL DIAVOLO ZOPPO
sua gentil sorella ?S’ egli è bello come lei e virtuoso come voi, ei
debb’ essere un cavalier perfetto ; sono impaziente di conoscerlo e
di offrirgli tutto che posso per suo vantaggio.
— Vi ringrazio della offerta , secco secco gli rispose don Luigi ;
ma parliamo di ciò che preme, di mia — Bisogna fargli vestire
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. I
sedotta tuia figlia , osereste voi d’ aggiungeie anche l' insulto ? Ma son
nobile, e l’ offesa che mi faceste non rimarrà impunita. Ciò detto, il
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I
,
,
Voi che conoscete tulle le (iene che debbono turbar il riposo di mia
vita ,
poteste ideare il barbaro piacere di conservarmela ?
Provossi la Marcella a consolarla ,
ma inacerbì invece il suo do-
lore. — Tutte le vostre parole sono inutili ,
gridò la figlia di don
Luigi, nè voglio ascoltarle ; non perdete il vostro tempo a voler com-
battere la mia disperazione; voslr’ ufizio sarebbe d’ irritarla vieppiù,
voi che mi scagliaste nello spaventevole abisso in cui mi trovo,
voi ebe vi faceste garante del sincero parlar del cunte ;
senza di voi,
non avrei ceduto all’ affetto mio per lui . . . non avrei il rossore d'es-
sere stata sedotta da un ingrato, àia non vo’ più accusar voi d’una
disgrazia che mi son meritata; io non doveva seguire i vostri con-
sno. La vecchia ,
per mostrarsi penetrata dal duolo della padroncina,
facea pur essa le mille smorfie, spremendo alcune lagrime che tenca
in serbo per siffatte tenere occasioni ,
scagliando mille imprecazioni
contro tutti gli uomini ,
ed al conte Belfior più specialmente. —E • fia
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CAPI 101.0 QllXTO 67
fra me stessa io dico, ma qual saria stata la fanciulla che non si fi-
gerebbero a vendetta, nta ciò non gli dava gran pensiero; l’ amor suo
gli stava a cuore assai di più. La calda fantasia gli pingea diggià Eleo-
nora chiusa in un chiostro, o per lo meno severamente custodita,
da non poterla forse riveder mai più. Ima tale idea lo tormentava , e
stava rivolgendo nella sua niente la via d’antivenire questa sventura,
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l
• padri' mio ,
poi ivbb’ essere pericoloso un tale colloquio , abbiale! i a
* compagno uu^qiiulehc amico. Abla-uelic io riconosca ila voi ogni mia
I « disgrazia ,
senio clic mi è tuttavia cara la vostra vita.
« Elkonoha ».
stri donzelle dello sialo, diverrò il marito della figlia d’un semplice
gentiluomo di ristrette fortune? Che si dirà di ine alla corte? Si dirà
ch’io feci un ridicolo matrimonio!
Posto così fra l'amore e l’ambizione, ei non s-ipea a qual partilo ap-
pigliarsi, ma benché incerto si' avreblie o no s|Hisata Eleonora, non tra-
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CAPITOLI) PLINTO 61
•mulo ili |h»ito un riparo a l’onor suo, ma ciò gli sembrava assai difli-
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!
70 II DIAVOLO ZOPPO
È vero ,
disse don Cicuta ,
egli è coraggioso e stimabile quant’ altri
— Questo
- giovine, prosegui Asmodeo ,
non era In Alcala In quel
a mancar alla scuola come fate voi, ma colla differenza jierò ch’ei lo
facea por un oggetto, il quale era un alcun elle meglio della vostra
signora Tomasa. Perchè don Luigi, il padre suo, non giugnesse ad
accorgersi di sue amorose gite, soler a alloggiare iu un albergo posto
all'estremo della città, ove nascondcasi sotto di un supposto nome.
rirsi in una casa ove la signora, causa immediata del suo poco stu-
dio, avea la bontà di recarvisi, accompagnata però da una sua ca- i
alcuno; -
— Amico, gli disse con burbanza, mettetevi la via fra gambe;
i curiosi qui non fan fortuna. — Potrei andarmene, rispose don Perirò,
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CAPITOLO OLINTO 71
Don Perirò pose aneli 'esso mano alla spada, c cominciarono a bat-
tersi. Benché il suo antagonista parasse con destre™, non jHitè schi-
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/ 2 II. DIAVOLO ZOPI'O
fianco di don l’cdro, attaccò con tanta forza con esso lui quella ciurma
di bricconi che fuggirmi tulli, feriti gli uni, timorosi d’es serio gli altri.
studente con gran vivacità: non potrei far uso miglior della vita clic
a voi delibo, clic esponendola per voi. Andiamo, andiamo ch’io vi se-
guo. E Belllor condusse con sè don Pia Irò in casa di don Luigi,
enlraiido tulli e due |>er il verone nell’np)»nrtanieiilo di Eleonora.
E qui don Cicuta interruppe il Diavolo. — Signor Asmodco, gli
disse, come c possibile che don Pcdro non abbia conosciuta la casa
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CAPITOLO QUINTO 73
che s’apri, e drizzò la punta della spada contro suo padre, ch’egli
era lui por l’appunto che veniva nelle stanze d’ Eleonora onde
scoprire se il conte vi si trovasse. Il dabhcnuomo però non si cre-
dea, dopo quanto era accaduto, che sua figlia e la .Marcella avreb-
bero osalo di riceverlo ancora; ed ecco il perchè non le avea fatte
coricare in altre stanze; tuttavia avea pensato poscia che prima di
entrare al nuovo giorno nel ritiro avrebbero potuto concepire il de-
siderio di parlargli per l’ultima volta.
Ina vita. A queste parole don Luigi scopri don Dedro che stava
fissandolo con attenzione. Si riconobbero. — Ah figlio mio, gridò il
tirmi del tuo arrivo? temevi forse di turbare il mio riposo? Ah ch’io
non |>osso più gustarne nella crudele ambascia in cui sono immerso.
— O padre mio, maravigliando disse don Pedro, e siete ben voi
ch’io veggo? non sono ingannati forse gli occhi miei da fallace ras-
somiglianza? — D’onde colale stupore, rispose don Luigi, non se' tu
in casa del padre tuo? e non ti scrissi in forse ad Alcala che qui
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74 IL DIAVOLO ZOPPO
Non erano proferte ancora queste parole, clic il conte il «piale avea
udito «pialclie rumore, credendo si assalisse la sua scorta, uscì tosto
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CAPITOLO QUINTO 75
i trasporti della vostra rollerà; che | «'usate voi di fare? — Figlio,
ruppe don Luigi, (issando don Fedro col più iroso sguardo, tu stesso
ti op|«mi ad una vendetta eh 'esser dovrebbe l’unico tuo desiderio?
mio figlio, lo stesso figtiuol mio è d’accordo col |kmTu!o che sedusse
Kleonora, la di lui sorella? ma non is|>crar di deludere il min furore.
Chiamerà tutti i mici fumigli e mi vendicheranno essi di tua viltà
c del tradimento suo.
— Signore, soggiunse don Fedro, siate meno ingiusto col figlio
pericoli clic polea incontrare, senza clic suppor potessi che la mia
gratitudine mi armerebbe il braccio contro l'onor di mia famiglia.
Ella è dura, immensamente dura la mia fatalità, ma è sacra d’altronde
la mia parola, ne sarà mai ch’io debba perdere la pubblica estima-
zione qual mancator di fede. Ah si, padre, a lui debbo la vita, e debbo
a qualunque costo serbargliela in ipicsto islaute; deh calmatevi alle
mie ragioni, ed accertatevi che non sento meno vivamente di voi
l’ingiuria fattaci, e che domani cercherò di spargere il sangue suo
con lo stesso ardore con cui questa notte sono costretto a difenderlo.
— Il conte, dalla cui bocca non era sfuggito insin allora neanche,
un molto, tanto egli era sorpreso dalla stranezza dcU’avvcnlura , disse,
a don Fedro queste parole: — Voi potreste mal vendicare codest’ in-
sulto scegliendo l’armi; ofirirovvi io stesso un mezzo assai più accon-
cio a riparare il vostro onore. Candidamente vi confesserò ch’io non
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I
76 IL DIAVOLO ZOPPO
avere in me un fido amico che sarà tutto vostro sino all’ ultimo mo-
< mento di sua vita.
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CAPITOLO QUINTO 77
lagrime, io non li farò nuovi rimproveri, c poiché l'amante tuo man-
tien la giurata fede, io obblierò il passalo.
mio! Oliai padre fia di me piò contento? La gioia con cui ili’ inebbriatc
«troppo gran compenso ai sofferti affanni!
follia, la lidia sua incognita, c rimase accuorato «piiudi senza poter dir
parola; ma Belllor, che non pose ménte al suo imbarazzo, s'accommiatò
dicendo: — Im|mzienle «l'unirmi a voi tutti coi legami della parentela,
ritirò nelle sue stanze in compagnia di don Fedro, che con tutta la sin-
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78 IL DIAVOLO ZOPPO
Spagna.
— E credete voi, garbato signorino, soggiunse il vecchio, con pili
mente |>atcsato il nome di sua famiglia, che non dubitava punto sarebbe
stata eguale per lo meno a quella d’Eugenia.
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CAPITOLO QUINTO 79
Pieno ili sì belle sjieranze, usci sul far del giorno c andò al Prado
per passeggiare ,
aspettando l’ ora assegnatagli per trovarsi da donna
Giovanna; gli è questo il nome della persona in casa della quale era so-
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—
80 IL DIAVOLO ZOPPO
Erano interrotte lo sue parole da tanti e iterati sospiri, elio non sa-
prei dire se don Pedro fosso pili commosso dalle sue parole o dall’af-
cavaliere.
— Ma, signora, disse don l’cdro, obbedirete voi senza resistenza
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CAPITOLO QUINTO 81
loro tenerezza, Eugenia volle saper dallo studente come nvea potuto
guadagnarsi l’amicizia di suo fratello. Don Pedro non le nascose gli
amori del conte con sua sorella, e gli narrò lutto ciò ch’era successo
nella passata notte. -Fu per essa un non dicibile piacere nel giungere
a sapere clic suo fratello dovea divenir lo S[mjso della sorella di lui che
tanto amava. Donna Giovanna era I toppo tenera della sorte della
gentil sua amica |>er non essere contenta di sì felice avventura, e ne
testimoniò sua gioia sìa lei che al giovine don Pedro, che finalmente
si separò dalla non piò incognita sua amante, do)H> essersi però accor-
dati fra di loro che non avrebbero (Lite a divedere di conoscersi quando
si incontrerebbero dinanzi al conte.
Tornato don Perirò dal padre suo, il quale trovatolo disposto ad
obbedirgli ne fu oltre ogni dir contento, tanto piò che attribuì la
obbedienza sua al tuon fermo e risoluto con cui gli uvea parlato
ueH’antecedenlu notte. Aspettavano essi notizie da Bcltlor, e non tardò
guari che ricevettero un di lui biglietto. Gli avvisava in esso di aver
ottenuto il consenso del re per il suo matrimonio e per quello di sua
sorella, come pure una considcrcvol carica per don Pedro, aggiun-
gendo che il domani poteano striglierei i due mali, giacché gli ordini
dati all’uopo erano eseguili con tale diligenza, da non lasciar dubr
Ino alcuno sui necessarii preparativi. Ei venne piscia ildo|io pranzo
a confermar loro quanto avea scritto, ed a presentare ad essi donna
Eugenia.
Non è a direi la cortesia di dun I.uigi nel ricevere la licita e gentil
82 IL III A VOLO ZOPPO
Belflor che non era intento clic ad osservare sua sorella, credette
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CAPITOLO QUINTO S3
sola Marcella non può dividere il contento degli altri: piange la scia-
gurata mentre gli altri ridono, pendìi! il conte di llelllor, dopo il suo
matrimonio, ha lutto confessato a don Luigi, che tosto fc’rinchiu-
dcrc la vecchia strega m monasteri o de las arrepentidas, ove le mille
t
|
I
I !
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CAPITOLO SESTO 83
rozza trascina nno dei più pesanti personaggi della monarchia. Egli
è un presidente che va a spassarsela in casa d'una sua vecchia amica.
Per non essere riconosciuto, egli fa come Caligola, che in casi simili
I
s’imparruccava.
— Ma ritorniamo al quadro che offrir volpa a’ vostri sguardi allor-
ché m’interrompeste. Vedetelo nella stessa casa ilei marchese, al piano
supcriore; non iscorgete un uomo che lavora in un gabinetto pieno
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86 11. DIAVOLO ZOPPO !
>' ancora? Ma come mai vi può cadere in mente che sieno questi i fastidii
degl' intendenti di questa sorta di case? Gli è assai più facile clic |icn- !
sino a trar partito del disordine degli affari, piuttosto che ripararli.
vi sarà jvarola o motto che sia suo, c benché non faccia altro che
locaree trascrivere i suoi plagi, è d'assai più vanitoso d’un vero autore.
Voi non sapete forse, continuò |>oscia lo spiritello, chi abili tre porte
più in là di questo palazzo? Or bene, vi sta la Cicona, quella stessa
donna di cui vi feci già menzione in narrandovi gli amori del conte
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I
CAPITOLO SESTO 87
«li Bclllor. — Oli quanto godo in vederla! dissi' Leandro. Onesta buona
vecchierellu, si cara ed utile ai giovinotti, debb’essere certo una delle
due donne che scorgo in <]uella sala a pian terreno. L'una sta ap|>og-
{
giata coi gomiti sul tarolo, facendo sostegno colla destra mano al tre-
una vendita fatta ad una galante signorina che veste la sete sgualcita
stinta di tutti gli articoli stranieri che servirono giù alla gentildonna.
— Oh dite quel clic più vi pare, l’ interruppe alla sua volta don
Cleofa, c l’autore di «juesla opera ridicola faccia pure i meglio ragio-
namenti di questo mondo, io non me ne curo: sono Spaglinolo cimila
ho più a caro che la vendetta; ed anzi giacche mi prometteste punire
la perfidia della mia dolce amica, io pregavi a mantenermi la parola.
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88 IL DIAVOLO ZOPPO
che non è quella ove stanno c si dimenano (girile donne. Due delle
sue più affezionate lo vegliano. L’una gli tira brodi, e l’altra che non
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CAPITOLO 8KSTO 89
e a mantenergli caldo lo stomaco, mediante cinquanta pelli di mon-
tone sovrapposte l’una all’altra. — Qual èia sua malattia? domandò
Zamlmllo. — Raffreddatura di cervello, rispose il Diavolo; e vi è a
temere che il catarro gli affetti i polmoni.
Lo altre donne che vedete nella sua anticamera accorsero tutte
con de’ rimedii, in udire la sua malattiaì l’ima reca, per la tosse, sci-
loro farmaci; tutte gli parlano alla lor volta, c ciascheduna gli mette
fra mani una moneta, dicendogli all’orecchio: «Lorenzo, mio caro Lo-
renzo, procura che T anfora mia ria la preferta ».
— Affò,
- sciamò don Clcofa, ch’ella è dolce la sorte di questo celi-
condizione di costui.
— Ora andiamo, signore studente, andiamo a punir l’ingrata che
ha si mal corrisposto alla vostra tenerezza. Si attaccò Zambullo al
lembo del mantello d’Asmodeo, clic seco lui fendè l’acre una seconda
volta, e andò a fermarsi sulla casa di donna Tomasa.
Stava la briccona a tavola coi quattro spadaccini che avoauo inse-
guito Leandro su per i tetti: ei fremette di sdegno in vedendoli a
mangiale due pernici ed un coniglio ch’egli avea pagati e fatti portare
in casa della perfida con alcune bottiglie di generoso vino. Per soprap-
piò ili crepacuore, s' accorse clic la gioia regnava nel conv ito, c ville
nini — Capisco, gli disse il Diavolo, che tale spettacolo non debile
gran fatto divertirvi : ma chi tratta con femmine galanti dee aspet-
tarsi simili avventure: successero le mille volte a finanzieri, modici.
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I
que’ bravacci, soffiando loro in petto una lussuriosa smania, per cui si
armeranno gli uni contro gli altri, e vedrete tosto un subbuglio d'in-
ferno.
Soffiò didatti ed usci dalla sua bocca un vapor violaceo che scese
serpeggiando siccome un fuoco d’artifizio sulla mensa di donna To-
raasa. Bentosto uno dei convitati sentendo l’efTetto di quel soffio, si av-
vicinò alla signora e l'abbracciò con tutto il trasporto: gli altri, trasci-
nati dal potere dello stesso vapore, vollero strapparlo dalle di lei
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CAPITOLO SESTO 91
forzai gridasi, ed ecco la forza clic atterra l’uscio, entra e trova due
di que’ miserabili cialtroni distesi al suolo ,
ghermisce gli altri e se
li conduce in prigione insiera con la Tomasa. Non valse alla sgra-
altre donne di uiala vita, clic erano stale là condotte nello stesso
giorno, per essere poi trasferite alla domane nel luogo destinato alle
femmine che le assomigliano.
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92 IL DIAVOLO ZOPPO
vendetta: la mia tenera Tomasa non lasserà una notte felice siccome
si riprometteva. Andiam ora dove più vi aggrada per continuare le no-
stre osservazioni. — Non vi è luogo più opportuno a ciò fare di questo,
disseto spiritello. In «paste prigioni trovasi un gran numero di colite-
voli e d’innocenti : è questi un soggiorno cito serve «li castigo agli uni,
ed affina l'innocenza e la virtù degli altri, (ili c d’iuqio che vediate al-
cuni prigionieri d'ambe le sorta, e dicavi perchè sou tra' ferri.
J
I
94 IL DIAVOLO ZOPPO
avvelenato uno straniero che mori l’altro giorno nella sua taverna.
Dicesi che la qualità del vino l'abbia tallo perire, ma l’oste ne accusa la
mali braci che [ter quattro o cinque doppie prestano gentilmente l’opera
loro a lutti quelli che vogliono fare questa spesa per isbarazzarsi se-
gretamente d'uu 'incomoda persona; il terzo, un maestro di ballo che
veste da damerino, e che ha fatto fare un mal passo ad una sua scuo-
I
dell’arte sua, ricche vecchie trovano, dicesi, bei giovinotti che le amano
senza interesse alcuno; i mariti diventano fedeli alle mogli, e le civette
s’ innamorano davvero dei ricchi cavalieri che fanno loro la corte; aia
nulla v’ ha di più falso. Ella non possiede altro segreto fuor quello di
l
persuader che ne possiede, e di vivere agiatamente per questa pubblica
credenza
Al disopra di quella stanzuccia vi è uno scurissimo camerotto in
cui sta rinchiuso un giovine oste. — Un altro taverniere, sciamò Lean-
dro: questa genia vuol essa dunque avvelenare lutto il mondo? — I !
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CAPITOLO SETTIMO 95
fu arrestato ieri l’altro, e in poche parole vi narrerò il motivo di sua
prigionia.
lln vecchio soldato, giunto pel suo coraggio, o a meglio dire per la
sua pazienza, ad essere sergente di compagnia, venne a far reclute
10 Madrid. Avendo chiesto alloggio in una taverna ,
gli fu risposto
ch’eranvi, a dir vero, delle camere vuote, ma che non era fattibile
coraggioso, e gli si portò tutto che avea chiesto. Che fare? si mise a
bere ed a fumar. F.rn trascorsala mezzanotte, ed il folletto non avea
ancor turliato il profondo silenzio clic regnava in tutta la taverna:
si sarebbe detto ch’ci rispettava il nuovo pigionante; ma fra l'uno e -
Il fantasma, che non era abituato a trovar ospiti così arditi, diè ì
gnorc, non mi maltrattate di pili: abbiate pietà d’un povero diavolo clic
qui prostrato implora la vostra clemenza; per Marte ve ne scongiuro,
ch’era anch’egli un terribile spadaccino. — Se vuoi serbar la vita, ri-
spose il soldato, vo’ saper chi sei, e senza contarmi frottole, chè ciò
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96 IL DIAVOLO ZOPPO
fessar tutto.
— Sono, diss'egli al sergente, il primo garzone dell’osteria, c mi
chiamo Guglielmo; amo Giannetta, l’unica lìglia dell’albergatore, e so
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—
capitolo serrino 97
(ulta la casa, dalla cantina al granaio, facendo lo schiamazzo che avole
udito, e giunto all’uscio della camera dei padroni mi fermo e grido: —
• Non avrete inai da me riiniso sinché Giannetta non sarà la moglie di
Guglielmo ».
rità : io so che dopo una tal confessione voi potreste rovinarmi, dicendo
ni mio padrone ciò che succede; ma se voi volete aiutarmi, a vece di
farmi danno, giuravi che la min riconoscenza... — E che cosa potrei fare
|>er te? interruppe il soldato. — Voi non dovete, soggiunse giovinetto, il
che dir domani d’aver veduto lo spirito, c che fu tale e tanta la vostra
paura.... — Per i baffi d'< Irla odo! (mura! paura! rabbiosamente sciami)
quel valoroso; e voi pretendereste clic il sergente Annibale Antonio Que-
branlador dicesse ch’egli ebbe paura? Amerei meglio di dire che cento
mila diavoli in 'avessero.... — Veramente eie) non è affatto affatto neces-
sario, disse alla sua volta Guglielmo; e poco mi cale qualunque siasi il
come |>arlcrelc, ove però mi secondiate nella mia impresa: allorché saio
lo sposo di Giannetta, clic avrò una casa, una taverna, e tutto quanto
mi farà duo|>o per ben servire gli accorrenti, allora vi Sarà banchetto
gratis in ogni dì per voi c i vostri amici. — Come siete caro, come
siete gentile, miglior Guglielmo, sciamò il sergente, con una certa tal
quale ironia: mi proponete di dar mano ad uno stratagemma, ad una
cosa clic non è poi lauto da poco per pigliarsela a gabbo ma voi
siete eosi garbato che non vo’ pensare alle conseguenze. Or via, con-
tinuate la vostra scena, ch’io m’incarico del resto.
figlia che promisi al padre del nonno del suo garzone di bottega,
ma ad onta della mia promessa la maritai ad un altro, c morii [hico
tempo dopo: d’ allora in poi io soffro e (Kirto la pena del mio sper-
giuro, e non avrò ri|>oso se non quando uno della mia famiglia avrà
svisalo un individuo di quella di Guglielmo; ed ecco il perchè tulle
98 IL DIAVOLO ZUPPO
di dir loro die se non acconsentono al |>iù presto a ciò clic desi-
dero, sarò costretto di veuirc ai fatti, c tormentar l' uno e l'altra in
modo strami.
L’oste, dabbenuomo, fu scosso da tal discorso, c l'ostessa, ancora più
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CAPITOLO SETTIMO 99 |
(ti lì a poco tempo aprì una lai erti» in un altro rione della città, ed
allora il sergente Quebrantador andava s|M'sso a visitarlo, ed il novello j
il clic andava tanto a genio del soldato die non amando d’ esser solo ;
i
:
i
' I
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t
marito s'insDspctli, e per una mal fondata gelosia l’accusò di mala vita
e fu arrestato. —
Il secondo, colpevole (pianto il primo, è vieino a
accusalo c convinto di avere, jier mal fondata gelosia, fatto una cac-
ciata di sangue a sua moglie pari a quella di Seneca; egli ebbe oggi
la tortura, c dopo aver confessato il delitto di cui era accusato, palesò
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CAPITOLO SETTIMO 101
I v
meschino ferito, ed accorrevano in di lui soccorso tutti i vicini; allora
dendo. — Si ,
rispose Asmodeo: ma i collaterali che vorrebbero appro-
priarsi l’eredità del defunto, chiamarono innanzi ai tribunali il suo uc-
cisore, accusandolo d’aver commesso un delitto per divenir runico
erede della famiglia. Si è fatto prigione da se stesso, e sembra sì a filino
per la morte di suo fratello, clic non si può neanche immaginare che
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.
cento colpi di frusta, fattigli regalare dallo scudiere della sala, n meglio
dal direttore dc’pnggi, per un certo giuoco di mano che a dir vero
notato più d’una fiata che il signor don Conto, è il nome dello scudiero,
si lav ava le mani con acqua di fior d’arancio, ed ungessi il corpo con
paste di garofani c gelsomini; egli avea di fatto tanta cura della sua
persona quanto ne suole avere una vecchia civetta; era infine uno
di quegli sciocchi ohe credono d’essere amati da tutte le donne clic
Questa cameriera ,
di nome Fioretta, (ter jtolergli parlare con più
di libertà, il faeea credere suo cugino in casa di donna bimana sua
padrona, il di etti padre era in allora assente. L’astuto Domingo, diqto
aver istrutta la sup|tosla parente di quello clic far dnvea, entri) un bel
mattino nella camera di don Como e In trovò che stava [trovandosi mi
abito nuovo, pavoneggiandosi dinan/.i ad uno s[tooehio, entusiasta di
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CAPITOLO SETTIMO 105
I l
ii
!
'
*
. »
ma non uno di essi con lutti i suoi begli abili |tolrehbc starvi «pa-
ragone. Non so se essendovi servo, t|ual io vi sono con mio gran vanto,
io reggavi con troppa prevenzione in favor vostro; ma, di certo, io
non vidi cavaliere a corte che vi ecclissi.
amico mio, o convien dire clic tu mi voglia un gran Itene, e clic |>er
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—
i v' ha persona che non dica lo stesso, lo vorrei che voi udiste quel che
mi dicea ieri l'altro ancora una mia cugina che serve in gasa d’ una
nobile zitella.
IkmCumo il richiese tosto di tutto clic gli avea detto sua cugina.
Non la Univa mai, rispose il paggio, di [tarlar del vostro ltcl portamento,
|
dei pregi di tutta la vostra persona; e quel che vi ha di meglio si è che
! in tutta conlìdenzn mi disse che donna Luziunu, sua padrona, va in
estasi allorché [tuo vedervi stando dietro alla persiana, ogni volta clic
I quest’avventura. E [lerché no? egli è vero che v’ha una qualche di-
stanza dal mio grado a ([nello di don Fernando; ma son gentiluomo an-
ch’io, ed ho cinquecento bei ducati di rendita. — Veggonsi ogni dì dei
I
maininomi che sono assai più stravaganti che non sarebbe questo.
11 paggio incoraggi don Como nella sua risoluzione, e gli pmcuiò un
colloquio con sua cugina, lu (piale, trovando lo scudiero prontissimo
a creder tutto, raccertò clic la sua padrona avea per esso lui una grande .
vostre legit lime intenzioni, e provatele che siete il più galante cavaliere
j
soprattutto qualche serenata, ch'ella aggradirà più d’ogni altra cosa; ed
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CAPITOLO SETTIMO 105
io farò di lutto per farle conoscere l’amor vostro, e spero che i miei
buoni ulicii non vi saranno inutili. — Don Como, fuor di sé |
m i- la
ciò ch’egli aveva a fare: — Mio buon amico, gli disse, che ne (>ensi
clic succeda, farò cosi. Si misi' tosto a scrivere, c dopo aver lacerato
l>erlo meno venti abbozzi, ei giunse lilialmente a raccozzare un in-
neri e ricercati:
<t
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,
• Ignoromi chi possa avervi sì bene informato de’ segreti miei sen-
I
« tiinenti. Egli è un tradimento che mi fu ordito; ma chiunque siasi il
« Donna Lcziasa ».
a sufficienza buona opinione di sé per credere clic una dama poteva di-
aria di trionfo, dopo aver letto ad alta voce la supposta lettera, vedi
vedi se la vicina mi ama? Sarò fra poco il genero di don Fernando, o
non sarò don Como della lliguera.
tu puoi accertare tua cugina clic sanò ligio al suo consiglio, e clic do-
mani, senza fallo, udrà nella sua contrada a mezzanotte uno dei mi-
gliori concerti che siansi dati a Madrid. Diflatti ei fu da un valente pro-
fessore di musica ,
e dopo avergli comunicato il suo divisamento, lo
incaricò di tutto che era necessario per l’esecuzione del medesimo.
Mentre era tutto intento per la serenata, Fioretta, già prevenuta dal
paggio, vedendo la sua padrona di buon umore, le disse: — Signora, vi
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CAPITOLO SETTIMO 107
sieri, c dee, domani a sera, onde voi non l'ignoriate, regalarvi d’uno
strepitoso concerto vocale ed istrumentalc. — Donna Luziana ch’era
naturalmente allegra, e che non iscorgeva conseguenza alcuna nella
galanterìa dello scudiero, lungi dal prendere in sul serio la cosa ,
si
scuna strufa che la figlia del maestro di campo applicava a se. mede-
sima, rideva di tutto cuore.
Finita la serenata, don Como rimandò i professori di musica alle
proprie case nella stessa carrozza in cui erano venuti, e stette nella
contrada con Domingo fintantoché i curiosi colà chiamati dalla sere-
ecco il come. Avendo saputo che Fioretta dovea la notte di san Gio-
vanni, notte sì celebre in questa città, andar con altre fanciulle sue
compagne alla pesta del sotillo (t), il bricconcello immaginò di dar loro
— Signor don Como, gli disse la vigilia di san Giovanni, sapete qual
festa corre domani? Vi avverto clic donna Luziana vuol essere alla
punta del dì sulle sponde del Manzanare, per vedere il lotillo; non
ho d'iuqHi di aggiugnere di più al corifiH) de' cavalieri galanti ,
nò credo
siate tale da trascurar una si bella occasione di regalare la gentil signora
del vostro ciiore e le sue compagne. — Per l’amor che le porto, disse
don Como ,
non tralascierò di farmi onoro, e ti so grand’ obbligo
|>er l’avviso datomi. Vedrai s’io so prendere la palla al balzo. — Dif-
ratti il giorno dopo, di buon mattino, quattro servitori del palazzo, con-
dotti da Domingo e carichi d’ugni sorta di leccardumi freddi, cucinati
I otti in vario modo, di confetti e bottiglie di prelibato vino, giunsero su
La gioia si pinse sul volto delle fanciulle «piando il paggio fc’ sospen-
dere le leggiere lor carole, per offrirle un’ottima refezione a nome
del signor don Como. — Sedettero su l’ erba e cominciarono a far
onore al banchetto, smascellando dalle risa dello sciocco che ne facea
le spese; chè la caritatevole cugina di Domingo non avea trasandato
(('informarle di tutto.
Mcntr’erano sul più bello della loro festa, videro comparire lo scu-
disse come una indisposizione di salute non avea permesso alla sua pa-
drona di pigliar parte della festa. Don Como si mostrò afflittissimo di
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r~
quasi tutta la notte della serenata sul balcone e senza velo, parlandomi
di voi. — Lo scudiero si consolò d’una disgrazia clic proveniva da si
scosse mille scudi d’oro clic furongli s|iedili dall' Andalusia, iter la sua
|>artc all’eredità lasciatagli da uno de’ suoi zii morto a Siviglia. Contò
a dovere questa somma c la pose in uno scrigno alla presenza di Do-
mingo, che fu attento all’alto c senti tosto una forte tentazione di far
suoi iiue’ begli scudi d’oro c tras|>ortarU seco in Portogallo. Palesi) la
gio, e benché una tal proposta sembrasse degna d’un maturo rillesso,
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I
CAPITOLO SETTIMO HI
cervello a comporre una enfatica lettera per donna Luziana, Domingo
trovò il mezzo d'aprire lo scrigno ov’ernno riposti gli scudi d’oro; se
prima d’essere colti, ove fossero inseguiti; ma per loro disgrazia, don
Como nella stessa notte si accorse del ladroneccio e della fuga del suo
confidente c ricorse subito alla giustizia, che mise le sue genti sulle
tracciedel ladro. Lo arrestarono a Zebreros colla sua ninfa, c furono
Domingo e l’altro prigioniero che sta con esso lui, continuò lo zoppo,
hanno per vicino un giovine cortigiano che fu qui condotto per aver .
glio, è egli mai possibile che |hiss;i alzar la mano contro del padre
suo? — Il caso non è senza esempio, rispose il Diavolo, e vo’ raccon-
tarcene uno dei più celebri. — Sotto il regno di don Pedro i, sopran-
nomato il Giusto ed il Crudele, ottavo re del Portogalllo, un giovine di
vent’anni cadde fra mani della giustizia per uno stesso motivo. Don
Pedro, maravigliato al par di voi della novità del caso, volle, interrogar i
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I
H2 IL DIAVOLO ZOPPO
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i
CAPITOLO Vili
Aimodeo t» vedere > don Cleof» mollo «Uro perenne o gli nirrt tulio
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. —
ma può darsi ch’io trovi un tale che ve l’iiupresti, cioè dire, che ve
ne darà quattrocento contanti, in buona moneta, purché gli facciate
mondano: ella è una regola che ini sono prefissa, e voglio osservarla
religiosamente per tutto il resto di mia vita.
è stato d’uopo di cedere alla regola del pio Sanguisuga; s’armò dun-
que di sofferenza, e quasi temesse che i ducati non gli sfuggissero,
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CAPITOLO OTTAVO 115
accoin|>agiiò l'usuraio alla chiesa. Udì la messa seco lui, dopo di che
sperava che sarebbe uscito; ma invano, che Sanguisuga gli si appressò
tempo, era fuori di sò |>er questo nuovo ritardo; ciò non ostante |>ensò
bene «li soffermarsi in chiesa. Venne l’oratore e predicò coni iti l’usura.
che non volle mai maritarle per quanti buoni parliti gli sicno stali
che bestia, ed il grosso don Bianco è l’uomo nato fatto per me. —
Adagio, adagio, sorella mia, giacehè non is]mserenio che quelli che ci
sono destinati, che i nostri matrìnionii sono scrìtti iu cielo. — Me ne
rincresce, a dir vero, rispose la minoro, |X rchò L
temo che il [ladre
volta piò: capperi! è uomo da cui si pulì sperar molto; e didatti son
{•oche ore che disse* ad un suo inesorabile creditore: — As[>cttalc,
mio buon amico, aspettale ancora alcuni giorni, perchè son vicina
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CAPITOLO OTTAVO 117
tutta la giornata a scriver lettere, poiché ne vedo una quantità sul suo
scrittoio! — Ciò che vi ha di bollo, ris|xise il Diavolo, si è clic quelle
amici assenti, per dir loro un’avventura successagli oggi dopo il mez-
zodì. Egli ama una vedova di trent’auui, severa e bella; le è tenero
tina senza pensare se fessevi del pane per la famiglia, cosa che suc-
gradini d’uno dei palchi, lasciava intravedere una ben tornita gamba
coperta d’uua calza di seta color di rosa trattenuta da una giarrettiera
d’argento; non vi fu bisogno d’altro perchè il nostro borghese per-
desse la testa. Si avvicinò alla signorina, che era insieme ad una sua
gnor cavaliere, gli rispose la ninfa dalle calze color di rosa, non è a
disprezzarsi la vostra gentile offerta: abbiaci diggià accaparrale le
nostre sedie, ed ora andiamo a far colezione, che siamo uscite di buon
multino senza bere il nostro solito cioccolato, e giacché siete tanto
amabile d’oflrirci la vostra servitù, andrem, se così vi piace, in un
qualche luogo in cui si possa mangiare un bocconcino, ma che sia però
allattato: voi sapete che le fanciulle non debbono mai esporsi, onde
serbar illeso il lor decoro.
sti d’un gran banchetto che fu dato ieri qui: pollastipili ingrassati in
casa, pernici del reame di Leone, piccioncini della Vecchia Casliglia,
nei piatti nel mentre che il baggiano, al quale toccherà [vagare il conto,
si delizia nel contemplare la sua Lisetta (è tale il nome della sua diva),
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CAPITOLO OTTATO 119
mette le ugnc addosso alle due pendei rimaste sul piatto e le colloca
divisero il terzo.
,
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l‘22 IL DIAVOLO ZOPPO
passi dalla porla, e lascia trascorrere una quali^e ora senza accor-
gersi clic le signorine si burlino di lui; si maraviglia solo che don Ga-
spare non esca mai, e teine che il fratello ceni quella sera in famiglia.
un cali che abbaia, d'un gatto che miagola e d’un fanciullo che piango.
Ma finalmente è persuaso d’essere stato schernito, c ciò che vieme-
glio lo persuade si è che, giunto a cupo del corridoio, si trovò in un'al-
tra via che non era quella in cui era stato posto in sentinella.
Si corruccio allora dello sprecato denaro, e lornosseiic a casa ma-
ledicendo di tutto cuore le calze color di rosa. Bussò alla porta, e
|*U
l'afflitta sua consorte, con le lagrime agli occhi evi il rosario in mano,
gli aperse, dicendogli con una commoventissima voce: — Ah Patrizio!
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CAPITOLO OTTAVO 123
tua moglie, de’ tuoi figli? Che hai tu fatto dalle sei del mattino a
questa parte? Non sapendo il marito che cosa rispondere a siffatta
suoi amici, per dir loro la rottura del suo matrimonio con l’amante
d'Ambrogio. Non vedete voi una giovine signora coricata sur un letto
consultare un medico, e inalidii per uno dei più tronfili e gravi di tutta
sul flussaggio della corte. Questi fa assai tiene i suoi alluri, ha lutti
1 suoi comodi, ed ha una figlia ibi marito che fra i mendicanti ha fama
di essere ima delle piò ricche eredi. Il soldato, accostandosi al (ladre
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f$4 IL DIAVOLO ZOPPO
tro, non saria più buono, poiché tutti gli uomini mendicherebbero.
— Dite benissimo ,
rispose lo storpio : ma veniamo a noi. lo sono
dunque un vostro confratello e vorrei unirmi a voi in parentela: da-
temi vostra figlia. — Che dite mai, amico mio, replicò il ricco pi-
tocco; le conviene ben altro sposo: voi non siete abbastanza storpio
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CAPITOLO OTTAVO 125
della sera. Il poeta, che vuoisi ricevesse più volte tristi regali pei
casa per irsene alle Indie a cercar una miglior fortuna di quella che |
dal curato che era uno dei loro amici. Neanche il lianehiere, quan-
tunque in prospera fortuna, non li obblió giammai. Tostochè ebbe
preso stanza, risolvette di recarsi ei stesso a riconoscere lo stalo loro.
Ei disse quindi a’ suoi domestici di non istare in pena per lui, e parti,
(1) Cialtaltino
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m il. nuvolo zoppo
sanimi» quindici giorni, tulio solo verso il paese die lo ville a nascere.
che
strada, ladri, non die
qui v'è a fare |>cr voi: Francillo è all’ Indie,
seppure non è morto. — Vostro Figlio non è pili all' Indie, soggiunse
il banchiere; egli è ritornato dal Perii, egli è lui che vi parla, non
gli riliulate di entrare nella casa paterna. — Alziamoci, diaconi»,
disse allora la moglie, io creilo benissimo ch'egli è Francillo, eil anzi
: .
.
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CAPITOLO OTTAVO 127
un figlio che racconta le proprie avventure non può stancare mai l’at-
tenzione d’un padree d’una madre; nonv’è per essi la più minuta
circostanza clic possa loro riescire indifferente: erano avidi di tutto
udire , e la menoma cosa faceva sovr’cssi una viva impressione di
gioia o di dolore.
pirne la soavità.
stituirti la Imrsa che mi hai donata: eccoti l'oro tuo: io vo’ vivere coi
prodotti del mio mestiere: muoio di noia dacché più non lavoro. —
Ebbene, padre mio, soggiunse Franeillo, tornate pure al villaggio ad
esercitare il mestier vostro, ma solo per levarvi dalla noia. Riprendete
la vostra borsa, e non fate risparmio alcuno della mia. — Ma, Pio
mio! che cosa debbo farne io di tanl’oro? — Soccorrete i poveri,
suo villaggio.
Fu una gioia per don Cleofa la storia di Franeillo, e stava per en-
comiare l’ottimo cuore del banchiere, allorché acutissime grida lo
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—
(I) L’ ile’jtazu.
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CAPITOLO NONO 131
giuocatori ,
saltimbanchi, tristi e buoni, giovani e vecchi: ora biso-
gna che io dicavi per qual motivo la testa diè lor di volta; pas-
di scuola che si ostinò a trovare il Paulo post fulurum del verbo greco;
ed un mercante poscia la cui ragione non resistè alla notizia d’un
naufragio, dopo aver date prove di costanza e fermezza nel fare due
dolosi falbmenti.
Egb uvea una giovfn moglie chiamata Aurora, che custodiva a vi-
sta, e la sua casa era inaccessibile agb uomini. Non usciva Aurora
da Pachcco, che l’avea veduta per caso in chiesa, concepi per essa
132 IL DIAVOLO ZOPPO
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CAPITOLO NONO <53
govi ili aver pietà di me. Io. sono una fanciulla di Toledo, d'illustri
mia famiglia muli pensiero c che più dolce divenga la mia sorte.
promesse, rispose: — Si, fanciulla mia, che vo’ esservi Utile, conosco
delle giovinette che furono sagrificate ad essere compagne a vecchi
mariti ,
so che non ne sono troppo coniente e mi niello nei loro
panni. Non potevate rivolgervi a cui vi compiangesse più Vi darò
clic non tralasciò certo, secondo la sua abitudine, di visitar tutti gli
appartamenti, i gabinetti, le cantine, i granai, i sotto-scala, le soffitte,
chiesa dove l’avea veduta: ]>cr accertarsene le disse, tosto che potè
trattenersi con lei senza testimonio alcuno: — Signora, mio fratello
mi parlò di voi soventi volle: dissemi che videvi uu momento in una
chiesa; d’allora in poi ei vi nomina mille volte al giorno, od è in uno
stato che merita tutta la vostra compassione. —
A queste parole, Aurora fissò don Garcia con una maggiore atten-
zione che non avea fatto ancora, e gli ris|>nse: — Voi rassomigliate
troppo a questo fratello, ]>erch’ io sia più a lungo ingannata dalla
vostra astuzia : ben mi accorgo clic il vostro non è che un travesti-
mento. — Kicordnmi die un dì, mentre udiva la messa, apertomisi
a caso il fitto velo che mi copriva il viso, voi mi guardaste: vi tenni
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,
10 sono un uomo invaghito delle vostre grazie: son don Garda Pa-
checo, qui trascinato dall’amore sotto mentite spoglie. —E Voi cre-
sto Aurora, dei giovani cavalieri che vogliono farsi amare dalle belle
dursi in casa vostra sotto mentite spoglie, saprei ben punire la sua
tracotante audacia.
—E voi, riprese Zanubio, volgendosi a don Garcia, come ve la
la gelosia lo aceicea e non dubita punto clic don Gareia essere possa
nn corrisposto amante.
Furibondo corre nel suo gabinetto per prendere le pistole; ac-
cade bocconi sul suolo, si rompe il capo c giace steso a terra privo
di sensi e moto. Giungono i famigli e lo portano sur un letto, gli
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—
il suo furore, c chiede ove ita fosse la sua consorte; gli fu risposto
ch’ella era uscita con la st laniera dama per la porticina del giardino.
villaggio, poscia ritornò alla sua villa, ove, senza posa occulto di
sua disgrazia, smarrì a poco a poco la ragione. I parenti d’Aurora
appena il seppero, lo fecero condurre a Madrid per rinchiuderlo fra
i pazzarelli. Sua moglie è tuttora nel convento, ove pensano di la-
il cervello.
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,
gli è d’uopo d’esser nati in quel regno per avere una tempra cosi
sensibile da divenir pazzi per il dispiacere di non essere corrisposti
in amore. Non son sì teneri i Francesi; e se voleste sapere qual sia
la differenza che passa tra un Francese ed uno Spagnuolo in fatto
CANZONE SPAGNCOLA
CANZONE FRANCESE
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-
un sol giorno.
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CAPITOLO NOKO 141
rassomigliare ad Archelao, re di Macedonia, che ricusava a chi chie-
deva c concedeva a chi non domandava, mori senza ricompensarlo:
cioè gli lasciò quanto basta per vivere gliestremi suoi di nella miseria
e fra i pazzi.
ne, chè queste son quasi tutte donne di buon casato, e ve ne ac-
corgerete se ponete occhio alla candidezza dei loro vestiti. Ecco la
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142 IL DIAVOLO ZOPPO
Delle due infelici cbe vengon dopo, l’una è l’avola d’un avvocato,
una vecchia marchesa l'altra: la prima, pel suo mal umore, era la di-
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CAPITOLO NONO 143
ed a cui il sonno chiuse le pupille, dopo tre giorni e tre notti di con-
tinua agitazione; ella è donna Einercnziana: guardatela attentamente;
che ne dite? — Ella è bellissima, ris|x>se Zambullo. Peccato! è dun-
que vero che una si vezzosa donna divenne pazza? Ala per qual mo-
tivo è dessu in si misero stato? — Ascoltatemi con tutta l’attenzione,
a Siguenza, nella paterna casa, giorni felici, che don Chimene di Li-
zana venne ad amareggiare colle galanterie da lui poste in opra onde
144 IL DIAVOLO ZOPPO
quale uno dei più splendidi partiti di Spagna, e don Olimene invece
non era che un cadetto. Eravi un altro ostacolo alla loro unione. Don
Guglielmo odiava la famiglia dei Lizana, cosa ch’ci dava a divedere
co’ suoi discorsi ogni volta che rammentavasi in sua presenza alcuno
di quella schiatta, e parca che don Olimene fosse odiato sopra ogni
altro della sua razza. Emerenziana, afflittissima nello scorgere tai sen-
timenti nel padre suo, concepiva tristi presagi per l’amor suo: tut-
tavia non si stette dall'alibandonarsi alla sua passione, e dal conce-
una fantesca.
Successe che una notte don Guglielmo destossi, per combinazione,
nello stesso momento in cui Lizana entrava in casa della sua bella;
credè di udir qualche rumore neU'appartamento di sua figlia, poco
discosto dal suo, e bastò questo per mettere in pensieri un padre che
era già diffidentissimo; pure, benché sospettoso, la condotta di Eme-
renziana era sì scaltra, da lasciargli dubbio su la di lei intelligenza
sua buona fede, si alzò bel bello dal letto, aprì la finestra che guar-
dava sulla via, ed ebbe la pazienza di stare alla vedetta finché vide
discendere, affidato ad una scala di seta, Lizana, che riconobbe al
piò desiata vittima che anelasse il feroce odio suo. Fremendo aspettò
aH’indomani che fosse svegliata Emerenziana per entrare nel suo appar-
tamento. Trovatala sola, e fissando su lei due occhi scintillanti: — Scia-
gurata, giacché la nobiltà del tuo sangue non ti rattenne dal macchiarti
d’indelebile, infame macchia, preparati a soffrir giusto castigo. Que-
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CAPITOLO NONO 145
di \ ita, se lu non palesi il vero. — Olii è I’ audace che disonori) hi
*
mia tamiglia?
:i
•i
. *
ricevessi di notte un uomo nelle tue stanze, ch’ei dove» essere ben
anche il mio più crudel nemico. Ma ch’io sappia tutto l’oltraggio;
nulla mi si celi; solo coll’essere sincera puoi salvar La vita.
- t
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,
« Mio caro sposo, unica delizia della tuia vita, ti avverto che il
• padre mio partiva, son pochi istanti, per la sua villa, di dove non
« tornerà che domani : approfitta del suo allontanamento, vicinili a
« trovare, ch’io mi lusingo sarà tarda la notte a giugnere per le,
« come lo sarà per me che desio di riabbracciarti ognora ».
Dopo die Emerenziana ebbe scritto e suggellato questo perfido bi-
figlia d’un (lasso in tutto il di; non la lasciò (tarlare da sola a solo
con chicclicssia, e sì ben condusse la bisogna che non |>olè Lizana <
essere falbi esperto dell’agguato die gli si tendea: non era per anco .
ben fitta la notte, clic già il giovine cavaliere era al datogli con-
vegno; ma appena (Mise il piè nel palazzo della sua bella, si sentì af-
i
ferrare da tre uomini dalle vigorose braccia, clic il disarmarono senza
1 ch’ei (Hitesse opporre una difesa, gli annodarono un fazzoletto alla
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CAPITOLO MINO 147
le ninni ilici m itile spalle : lo cacciarono <|iiìikIì in mia carrozza
apparecchiala ull'unpo, in mi salirono tulli e tre |ier meglio essere
|
villaggio di Miedes a quattro leghe da Siguenza. Partiva un momento
dopo don Guglielmo in un'altra carrozza con la figlia, dne fante-
sche, «1 una rabbiosa pulzellona ch'egli avea preso al sito servizio
,
quel dopo pranzo. Condusse [iure tutti i suoi famigli, meno un vec-
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148 11. DIAVOLO ZOPPO
clic sembravagli un po’ difficile. Siccome crasi servito de’ suoi fami-
gli per rapire il cavaliere, non polca lusingarsi che rimanesse sepolto
il suo reo misfatto. A qual partito appigliarsi per non aver a che
fare con la giustizia? Egli era uno scellerato, quindi non titubò: dii: il
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CAPITOLO SONO 149
cameriere d’Emercnziana ed il piccolo paggio di cui già vi feci cenno:
gettarono i lor cadaveri fra gli altri, ed abbandonarono la casa che
ben presto fu ridotta in cenere, senza che potessero i villani dei din-
Certo così del silenzio di chi potea tradirlo, ei disse al suo confi-
dente : — Mio caro Giulio, ora son tranquillo, e potrò, tosto che mi
piaccia, toglier la vita a don Chimene; ma pria d’ immolarlo all’onor
min, vo’gioir del suo penare. La miseria c l’orrore d’una lunga pri-
gionia gli sarà peggior di morte. Ed in veni Lizana lamentava senza
posa la sua disgrazia, e non isperando più di riveder la luce ,
nulla
desiava più clic una pronta morte onde uscir da tante pene.
Ma Stefani cercava ovunque, e sempre invano, quel riposo da lui
quel po’ di pane al prigioniero, vincer non si lasciasse dallo sue pro-
messe, e questa tema gli suggeriva nuovi delitti: perder l’uno, far
saltar le cervella all’altro con un colpo di pistola. — Diffidava Giulio
Ecco ciò che meditavano queste due oneste persone, allor che un
I
giorno furono sorpresi sì l’uno che l’altro, a cento passi dal castello,
da quindici o venti zaffi, che li circondarono tutto ad un tratto gri-
dando: In nome del re e della giustizia. Impallidì don Guglielmo e
si turbò; ma facendo forza a se stesso, ebbe l’ardir di chiedere clic
che, persuaso non esservi più scampo, divenne furioso: inarcò due
150 IL DIAVOLO ZOPPO
ma quel colpo di pistola gli costò la vita, che due zaffi lo appun-
tarono sì bene die cadde morto ,
e vendicarono così il loro capo.
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,
Nella notte che foste rapito, uno di coloro che vi pose le mani
addosso e che area un’ amante a due passi dalla casa di don Gu-
glielmo, le fu a dire addio prima di sua partenza per la campagna,
svelandole imprudentemente il progetto di Stefani. Fu segreta questa
donna per due o tre giorni; ma essendo corsa voce a Siguenza del-
l'incendio di Miedcs, c che parve strano a tutti come i famigli del
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152 IL DIAVOLO ZOPPO
arcieri, alla camera che servia di carcere alla figlia di don Guglielmo:
bussarono alla porta, e l’apriva la vecchia strega. La è facil cosa di
concepire il piacere che gustava Lizana in pensando di poter riab-
bracciare ramante sua, dopo il lungo suo disperar di più vederla.
Rinasceva in lui la speranza, anzi non dubitava più di sua felicità,
giacché chi avea diritto di opponisi non era più. Appena vide Emc-
renziana, corse a' suoi piedi ma chi potrebbe esprimere il dolore
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CAPITOLO SONO 155
circondavano fossero paladini elle accorrevano a soccorrerla. Era Or-
lando, al suo dire, il comandante de’ sbirri; Brandiina ite, Lizana;
Giulio, Uberto di Lione; e vedea negli altri ,
Antifurte ,
Clarione , |
la donna che tanto amava in tale stato per cagion sua; poco mancò
non divenisse pazzo anch’csso. Si lusingava tuttavia che ripiglierebbe
l’uso di sua ragione, e ciò sperando: — Mia diletta Emerenziana,
teneramente le disse, nè riconosci il tuo Lizana?. richiama i tuoi
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154 IL PI AVOLO ZOPPO
/
scritto tutto che dovea, diè la mano ad Angelica per aiutarla a scen-
dere nel cortile, ove per cura dei paladini erari una carrozza a quat-
tro muli pronta a partire: vi sali dentro con la dama e don Citimene,
facendovi adagiare anche la vecchia pnlzellona, di cui credette che
il corrcgidore avria bramata la deposizione. Ma non è tutto: per or-
dine del capo della brigata, fu incatenato Giulio, e cacciato in un’al-
tra carrozza con il cadavere di don Guglielmo. Gli arcieri montarono
di nuovo sui Ioni cavalli, e si avviarono tutti ver Siguenza.
che tutta la colpa era del defunto. — Egli è al solo don Guglielmo,
rispose , che si debbe ascrivere questa disgrazia: veniva ogni di,
questo barbaro padre, a spaventare sua figlia con minaccie tali per cui
impazzi.
Appena giunti a Siguenza, il comandante fu a ragguagliar di sna
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CAPITOLO HOMO 155
ragionevole partito , rispose Asmodeo : vedendo irrimediabile quel
male, si recò alla Nuova Spagna, e spera, viaggiando, di [lerderc a
poco a fioco la memoria d'una donna clic la sua ragione ed il suo
riposo vogliono ch’egli la dimentichi Ma giacché vedeste i pazii
rinchiusi, ora vo’ che vediate quei che meriterebbero d’esserlo.
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Il cui *<tggHlu ò iiicnaurilule
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CAPITOLO DECIMO 157
Non avvi paese in cui le donne pensino alla propria età. L’ignoran
sempre. — Non è scorso un mese clic a Parigi una fanciulla di qua-
questa una domanda inutile. Che cosa dite mai, signorina? Non sa-
pete voi che in giustizia.... — Oh non v’ha giustizia che tenga, in-
terruppe con mal garbo la fanciulla. Vorrei un po’ sa [te re che cosa
importi alla giustizia di sapere la mia età? Non debbono essere que-
sti i suoi fastidii. —Ma io non posso ricevere la vostra deposizione,
senza che mi diciate quanti anni avete; cosi vuol la legge. — Se
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158 IL DIAVOLO ZOPPO
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CAPITOLO DECIMO 159
giustizia, si è di aggiungere ancora un anno, e non un mese di più,
si trattasse ben anche deU’onor mio. ,
Uscite clic furono queste due donne dalla casa del commissario,
nostri anni: è anche troppo che sien notali sui registri della parroc-
chia, senza ch’ei li scriva ancora sulle sue cartacce, acciò li sappian
tutti. — La sarebbe una bella cosa l'udire in tribunale, innanzi a
nella penna, e faceste assai bene a far lo stesso anche voi. — Clic
cos’è codesto far lo stesso? rispose la fanciulla con una mal repressa
ira; son vostra serva, ma non ho più di trenlacinque anni. — Eli,
vere non era più giovine, e che mori son già quaranl’auni. — Mio
padre, mio padre, interruppe la fanciulla, sdegnata della franchezza
di colei; quando mio ]>adrc sposò la madre mia, era sì vecchio che
non polca più aver figliuoli.
Veggo in una casa, disse poscia lo spiritello, due uomini che non
debbon aver certo fior di senno. L’uno è un figlio di famiglia che non
averne sempre. Quando ne ha, compra libri che vende quando è ri-
dotto al verde, per la metà del prezzo che gli costarono, fe l’altro un
pittor forassero clic fa ritratti da donna; egli è valcutc, disegna cor-
rettamente, pinge a maraviglia e non ne sbaglia uno nella rassomi-
glianza; non adula chi ritratta ed imaginasi d’aver lavoro. Inler slullot
referalur.
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160 IL DIÀVOLO ZOPPO
tiluomini die non la conoscono neanche; ti fe’ suoi legatarii per i loro
per nìegarc che gli debbo molto, ma egli è una persona di bassa con-
fa stampare adesso, per tema che quando sarebbe morto gli credi
non le facessero veder la luce, castigandole |ier un rispetto al ca-
rattere dell’autore ,
togliendo loro il silo che il dabbenuomo crede
d’avervi cosparso per entro ad esse.
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CAPITOLO DECIMO 161
migli abbastanza nuovo agli occhi dei rigattieri che verranno a mer-
canteggiarlo dopo la sua morte.
Vediamo ora uno de’ suoi vicini che non vi sembrerà meno pazzo;
è desso un vecchio celibe ,
giunto poco fa dalle isole Filippine in
Madrid, con una ricca eredità che il padre suo, già uditore dcll’udienzn
di Manilla, gli lasciava. La sua condotta è alcun che stravagante; ei
ei non recasi colà che per corteggiare? — Nemmeno; non parlò mai
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I
162 IL DIAVOLO ZOPPO
gioia; se gli dite ch’ella ha una piccola bocca, due labbra vermiglinzze,
denti d’avorio, carnagione alabastrina, in una parola se gliela pingetc
(
parte a parte, sospira ad ogni vostro detto, straluna gli occhi, c cade
in deliquio per voluttà. Son due giorni che traversando la viad’Alcala,
si arrestò su due piedi dinanzi alla bottega d’un calzolaio da donna,
per ammirare una scarpetta. Uopo averla contemplata con una assai
maggiore attenzione che non meritasse, disse con l’aria d’uno sve-
nevole, ad un cavaliere che l’ accompagnava: — Ah! amico mio, ecco
una scaqva incantatrice: oh quanto il piede per cui è fatta debb’essere
gentile; gli è troppo il piacere ch’io provomi in vederla; allonta-
niamoci, allontaniamoci di qui; questo lungo è pericoloso.
— Segnatelo in nero quel baccelliere, disse Leandro Perez. —
Diceste saviamente, rispose il Diavolo; ma non debbo poi segnare
in bianco il sno più prossimo vicino, un auditore tanto originale che,
per aver carrozza, arrossisce quando è obbligalo a servirsi d’una
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CAPITOLO DECIMO 163
da nolo. Facciamo un mazzo di quest' auditore con un licenziato suo
parente che possiede un grosso beneficio in una chiesa di Madrid,
c va quasi tutti i giorni in una carrozza da nolo, per risparmiarne
due bellissime, e quattro vispe mule che tiene a riposare in iscudcria.
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i6ì IL DIAVOLO ZOPPO
anni alla corte del suo re: ognuno ammirava allora la licita sua persona.
1
le sue gentili maniere, c soprattutto il suo buon gusto nel vestire. Egli
ha conservato tutti i suoi abiti, c li porta ancora dopo cinquanl' anni
a dispetto della moria, che volubil cambia ogni giorno nel suo paese;
ma citi che v' ha di più bello si è clic immaginasi di avere ancora in
debolezza di far loro una donazione di tutti isuoi tieni, col patto che
le avrebbero [lassata una meschina pensione vitalizia, c che per gra-
titudine gli sconoscenti non le pagano mai.
Vorrei mandare nello stesso luogo un vecchietto clic la vuol far da
giovine, di buona famiglia, il quale non ha un ducato ancora che gin
lo spende, c non potendo star senza monete, si appiglierebbe a qua-
lunque pallilo per averne. Sarai] quindici giorni che la sua lavandaia,
a cui dovea trenta doppie, venne a dimandargliele, dicendo che ne
uvea bisogno per il maritaggio suo con un cameriere clic l’uvea richiesta
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CAPITOLO DECIMO 165
bello spirito loro amico. Non si separano quasi inai, e vanno sempre
insieme a far le loro visite. Non pensa il conte che a lodar se stesso,
lo loda il fratello, non dimenticando la propria persona ,
ed il bello
spirito poi è sopraccarico d'affari, che debbe lodarli tutti due, im-
mischiando ai loro un qualche elogio anche per sé.
che vanno unite alla vita comica, dicca ier l’ altro ad alcuni suoi com-
pagni: — Davvero, amici miei, che sono annoiato dell’arte mia: vorrei
del dittatore; c questo paragone è giusto più che non pare, (piando
saprete che questo cavaliere ha, come il romano, un Longareno, o a
meglio dire un abbietto rivale, ma di lui assai più amato.
che spreca con una donna di teatro la casa di campagna eh’ egli ]X>s-
a don Cleofa: — Sull’ angolo di questa strada vi sono de’ suonatori che
si apparecchiano per fare mia serenata alla figlia d’un alcadc di corte:
sedesiderale esser vicino a loro, non avete che a parlare. — Amo assai
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,
I Si de tu hermosura quiercs
l'uà copia con mil gracias:
Escucha, porgile pretendo
El pintarla.
Y el alabastro, balallas
En ella vava.
IC di neve c d'alabastro
Orgoglioso disprezzava
Fino al di che In %fid i».
Y dehaxo ba descubierlo
Quirn le mala.
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CAPITOLO DECIMO 167
Eres dia na de el lugar
Vandolcra de las almas.
Iman de los alvedrios,
Linda alliaja.
Un rasgo de tu hcrmosiira
Quisicra yo rctralarla ;
dell’altra musica.
loro soccorso due cavalieri, uno de’quali è l’innamorato che fece fare
la serenata. Con quanta furia non si avventan essi sugli aggressori!
gli assalitori, spariscono i suonatori. Non resta sul terreno che lo sgra-
Seggg
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CAPITOLO DKCIMO 169
|M>i'ta del Sole rabbrividireste allo spettacolo die succede. 1*01' la ne-
gligenza d' mi cameriere si è ap|>iceato il fuoco ad un palazzo, c già
molti preziosi arredi furono ridotti in cenere; ma quantunque grandi
sieno i danni della vorace fiamma, don Pedro d’ Esentano, a cui ap-
|>ar1ieiie quel magnifico palazzo, non ne lamenterà la perdita, ove
.
possa salvare Serafina, l'unica figlia sua, che trovasi in pericolo di vita.
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CAPITOLO XI
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fuoco, di chi domandava dell’acqua, furono
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,r' me COiC c * ,e udirono, senza che nulla
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distinguessero ancora in queU’ardente vora-
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; RÌhc- Ma poco tempo dopo videro che uno
* scalone, di dove salivasi agli appartamenti
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O CQOOCOOOl
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CAPITOLO l'XDBCiao 171
larga rie* impernia, ninno ardisce espor la propria vita a salvezza della
fanciulla, bella quanl' esserlo si {tossa e di soli sedici anni. — Vedendo
inutile rieseire ogni sua preghiera, disperato ornai il padre di veder
salva la diletta liglia, strappasi i capelli e offende il viso e si batte il
esser vittima del terribile elemento che già già ser|teggia intorno alla
sua camera non v’ Ita più mortale che salvar la possa.
— Ah, signor Asanodeo, sciamò Leandro l’crcz, spinto da un sen-
timento di generosa compassione, cedete alla pietà di cui soli com-
preso, deh non rigettate una mia preghiera! salvate quest amabile ’
che vi prestai. Non vi op|Hinctc, come già poco avete fallo al mio
pregare, che ne sarei mortalmente afflitto.
voi avete tutte le doli d'un cavaliere errante: siete coraggioso, com-
passionevole delle {iene alimi, e prontissimo a soccorrer giovani don-
zelle. Non sareste voi forse capace di slanciarvi in mezzo alle fiamme
siccome un Amadigi |>er lilierar Seralina e restituirla sana e salva al
don Peilro, che nella sua disperazione risolse salvar l’oggetto deU'amor
suo, od incontrar la morte.
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174 II DIAVOLO ZOPPO
Nessuno erari cui non fosse |>ersuaso die corsa avria la sorte d'Ein-
pedoclc (1), quando un minuto dopo il videro uscir di mezzo alle liamuie
con Scrafìna fra le braccia. Fu un grido di gioia, e furon mille le lodi
(I) Porla C filosofo Mt iltaivo dio ai slanciti orile fiamme ilell' Finn.
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CAPITOLO UNDBCIMO 173
dalle damme, non le morisse dinanzi agli occhi pel terrore di che il
sione : — Signore, sarei più desolata che lieta d’ aver salva la vita, se
lagrime, c di aver tolta alle flamine in cui saria perita quest’ amabile
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174 IL DIAVOLO ZOPPO
servazioni. Detto fatto, portò lo scolaro sur una chiesa tutta piena di
|
mausolei.
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!
CAPITOLO MI
Iter |
» irò l’esame dei viventi,
disse il Demonio, e turbiamo per qualche
istante il riposo dei morti di questa chiesa;
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176 IL DIAVOLO ZOPPO
terza un vecchio prelato che usci dal mondo quando meno se 1’ aspet-
tava |>er aver fatto in |>erfctla salute il suo testamento, e per averlo
letto a’ suoi servitori, a' quali da buon padrone lasciava a tutti una
pensione. Fu impaziente il cuoco di gioire de’ suoi ledati.
Dorme nel quarto mausoleo un cortigiano che non sep|>c mai far
altro che piaggiare; por sessantanni continui fu visto strisciarsi innanzi
dall’ umana società tolti gli uomini che le sono a carico, si dovrebbe
cominciare dai cortigiani di si abbomincvolc carattere.
— La quinta tomba, prosegui Asmodeo, racchiude la mortale s|>oglia
il' un uomo zelantissimo |>cr la nazione s|Kignuula, e geloso della gloria
del suo signore, l'asso tutta la sua vita ambasciadorc a ltoma o in
fe’ incidere sulla tomba il suo nome c la sua condizione, ciò che non
va a sangue in oggi a’suoi eredi.
Il mausoleo che vien dopo, c che sorpassa gli altri |>cr inagniliccnza,
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I
Don Gerolamo diè fede alle parole che la duchessa le avea de-
clamale con tutta l’arte d’una prima attrice. Credette sincere il
segui il Diavolo, awenc uno piò modesto che rinchiude da poco tempo
I
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>
un» coppia ancor pili rara: un ilecano del consiglio dell’ Indie c la
dopo pel dispiacere clic non fosse morto almeno tre giorni più tardi.
Gli Spaglinoli hanno per questa torniva la stessa venerazione che ave-
ano i Romani per ipiclla di Romolo. — l)i qual gran personaggio
slan qui dunque raccolte le ceneri? disse Leandro Perez. — D’un
primo ministro della corona di Spagna, rùqiosc Asinodeo, del quale
la monarchia non avrà forse mai chi possa reggermi il paragone. Il re
giace, per mostrarvi ciò clic rimane d’una fanciulla morta nel fiore
dell’età, c la cui avvenenza attirava lutti gli sguardi? Poca polve. Era
sì bella, si amabile, che il padre suo temeva di continuo non le ve-
nisse rapita, ciò che polca accadere se fosse vissuta ancora per qualche
tcnqvo. Tre cavalieri che la idolatravano furono addolorali tanto per la
deva di tutto cuore, c trovava bello che la lapide della fanciulla fosse
stata ornata da quelle tre ligure, gli disse: — Poiché un tal pensiero
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CAPITOLO Dl'ODKCIMO 179
vi rallegra, sarei lì li per trasportarvi su le rive «lei Tago onde ve-
diate il monumento che un drammatico autore le’ innalzare nella chiesa
d’un villaggio vicino ad Almaraz, dov’erasi ritiralo dopo aver passato a
Madrid lunghi c giocondissimi giorni. Quest’autore die al teatro molte
commedie piene zeppe di equivoci immorali e di laidezze; ma se ne
pcnlia prima di morire, e per riparare allo scambilo di che furono ca-
gione, fc’scolpire sulla sua tomba, accatastati a ino’ di rogo, libri clic
Olirei morti chiusi ne’ mausolei elio abbiamo testé considerali, av-
v cue un’ infinità d’altri eh’ ebbero qui modesta sepoltura. Io veggo errar
qui tutte lor ombre: passeggiano, |>assnnoc ripassano incessantemente
le uue dopo le altre, senza lurliare il ri|>oso del sacro luogo. Non si
|iarlano esse, ma leggo nel loro silenzio lutti i pensieri da cui souo
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180 IL DIAVOLO ZOPPO
Diavolo, voi fremete? Queste ombre destano in voi la tema? Non vi spa-
venti il loro abbigliamento. Ella è l’assisa dei mani, quell'assisa che
vestirete anche voi alla vostra volta. Rassicuratevi dunque e non te-
che senza sbigottire avete potuto sostenere la mia vista? — Quei che
vedete non sono sì pessimi qual io mi sono.
Lo scolaro, a queste parole, richiamando il suo coraggio, fissò gli
Osservai, disse don Cleofa, due ombre clic passando l'ima innanzi
all'altra, si fermarono un momento a guardarsi, c continuarono poscia
il lor cammino. — Sono, soggiunse il Diavolo, quelle di due intimi
‘
,
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CAPITOLO DUODECIMO 181
s'incontrano, ricordevoli de' loro anticlii piaceri, dicono nel triste loro
in fondo della chiesa due ombre che passeggiano insieme: oh come sou
malissimo accoppiate ! Quale antitesi di persone e di portamenti. I.’una
è di gigantesca statura e incede con gravità, è piccola l’altra cd ha
un’aria sventata. — La grande, soggiunse lo zoppo, è quella di un te-
desco beone che perdè la vita in uno stravizzo, l’altra è quella di un
francese che, giusta lo spirito galante di sua nazione, si avvisò, en-
— Dalla mia parte, disse Asiuodco, veggio Ire ombre clic vogliono
essere distinte dalla folla, e vu’ dirvi il modo con cui verniero separate
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182 U, DIAVOLO ZOPPO
dalla loro materia. — Animarono esse tre bei corpi di tre vezzose
i mani ci farà ora visibile la morte. Voi vedrete questa crudele nemica
eh’ essi la vedano; che percorre in un battere ili ciglio tutte le parli
una numerosa schiera d' augelli di male augurio le vola innanzi in com-
pagnia del terrore, ed annunzia il suo passaggio con funeste grida.
È armata l’infaticabile sua mano della terribile falce con cui miete
tutte le generazioni. Sopra una delle sue ali stan dipinte la guerra, la
tutto quello che vedea, e che era solo per fargli piacere che il Diavolo gli
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CAPITOLO DUODECIMO 185
rispose Asmodeo; ma non saran lutto di dolore. La morto, in onta all'er-
rore olio l'accompagna, è cagione tanto di gioia, <|uanlo d’aflhnnu.
e lo sciagurato spirò ili mezzo alla sua famiglia, clic die sfogo al suo
dolore eon pianti c lamenti. — Qui non c'è impostura, disse il Demonio,
citò il defunto era teneramente amato dalla moglie e da’ figli suoi ;
e
siccome egli era l'unico loro sostegno, non v’Iia dubbio che il dolore
di que' sgraziati è sentito nel più profondo del loro cuore.
Non rosi in (piell'altra rasa ove la morte colpisce quel vecchio am-
malato. K desso un antico consigliere clic visse celibe, c che trascinìi
la vita fra i disagi onde ammassar considerevoli tesori. Tre nipoti sono
i suoi eredi clic gli stanno intorno al letto dacché seppero eli’ egli era
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—
vivono lungo tempo, non debbono aspettarsene altra dai proprii figli.
Intanto che questi eredi pazzi per la gioia cercano i tesori dell’e-
morì ;
ma ella entra floscia in un altro palazzo recando seco lo spa-
vento cdil terrore. S’ avvicina dessa ad un licenziato di nobili natali,
chiamato a coprir le prime cariche. Egli è intento a dare gli ordini \
opportuni per la pompa con cni vorrebbe fare l' entrata nella sua
provincia. L’ ultimo suo pensiero gli è quello che si possa morire :
sua proda, poiché fermasi tuttavia sul reai palazzo, ver l'n|iparlamenlo
della regina. —È vero, rispose il Diavolo, ed è per fan* una hunn’azionet
minar la zizzania nella corte della regina, e che si ammalò pel dispiacer
e che «libattesi fra le braccia delle sue ancelle. Che rosa l’ affligge tanto?
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186 IL DIAVOLO ZOPPO
I
disse Zambnllo: amo meglio udirla storia clic mi vantate, clic non di
veder uomini a perire l’iin dopo l'altro. Lo zoppo allora comincili
!
il suo racconto, dopo aver però trasportalo lo scolaro sur una delle
più alle case della via d’ All'ala.
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li giovine cavaliere di Tullio «1 un suo eame-
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~ì<f ~ì> sre,M erR precipitosa da una carrozza una
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ànimummmmngimmafl dama cui non copriva un alcun velo il bellis-
simo volto: quell’amabile signora sembrava si turbata, che il cavaliere,
valore.
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188 li. DIAVOLO ZOPPO
— Generoso incognito, dissogli In dama, non ricuserò io certo la gril-
lile offerta che voi mi fate: pare elle il cielo vi abbia qui mandato per
impedire una disgrazia orribile. Due cavalieri scelsero questo bosco a
lor convegno, e son i»oolii istanti elicvi si inoltrarono coi triste pen-
siero di Italtersi: seguitemi, ve ne prego, venite ad aiutarmi a separarli.
Nini av cauo fatto ancora cento passi, che udirono un rumor di spade
e scoprirono fra gli alberi due uomini che furiosamente combattevano.
Si precipitò il Toledano per separarli, ed ottenne a stento colle più
vive preghiere di farli desistere dal loro proposto. Invitato poscia da
ferino nel credere clic ove non avessi un rivale, donna Teodora mi
amerebbe. YV dunque dar morte a don F ederico |>er levarmi d’attorno
un uomo clic si oppone alla mia felicità.
debb’ esser caro,- «ni assai piò care della vostra stessa vita. !>’ altronde,
«piai frutto può egli sperare il vincitore dalla sua vittoria? Dopo aver
|Misto a repentaglio l’onore dell’oggetto dell’ainor suo, liavvi ehi possa
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. CAPITOLO DBCmOTCRZO 189
im:i mia proposta ili pare senza s|iargimcnto di sangue ahliia termine
:
la vostra slitta.
per quanto avvi ili più sacro: si risolva donna Teodora e scelga, se
cosi le piace, il mio rivale; questa preferenza mi sarà meno insop|Hir-
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190 IL DIAVOLO ZOPHO
j
è duopo che vi dichiariate. Quantunque questi due cavalieri sieno egual-
mente degni di voi, è certo che proi>cnderetc più per l’uno che per
l’altro; e non ne ho dubbio dacché vidi il vostro turbamento per il loro
duello.
fortuna dell’ armi, — c sì dicendo investiva don Federico, che dal canto
suo preparavasi a convenevolmente respingerlo.
Allora la dama, spaventata più dall’ atto che determinala dalla pro-
pensìouo, gridò nel massimo smarrimento: — Fermatevi, cavalieri; sa-
rete soddisfatti. — Giacché non havvi altro mezzo per impedire un
duello che nuocerebbe all’onor mio, dichiaro ch’egli è a Federico di
Mcndoza ch’io dono la preferenza.
Non erano dette ancora queste parole che lo sciagurato Ponzio, senza
dir motto, si precipitò a slegare il suo cavallo che stava attaccato ad
un altiero c s’involò scagliando furiosi sguardi al suo rivale ed all’ a-
inantc sua. — Il felice Mendoza invece era al colmo della gioia : ora
gettavasi a’ piedi di donna Teodora, ed ora abbracciava il Toledano,
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CAPITOLO IIKCIMOTKHZn 191
senza che rinvenir [allesse espressioni abbastanza \ ivo per dir loro tutta
l'immensa gratitudine ria cui sentivasi compreso
fra voi e don Alvaro. Ebbi peri» sempre più stima di voi che di Ini, elio
so bene non possedere tutte le liellc qualità che vi distinguono voi siete
:
l'amore d’tm vostro pari non può a meno di lusingare la vanità d’ima
al tenero amore elio sembra nutriate per me. Non vo' però togliervi
192 II DIAVOLO ZOPPO
forse dal dolore che tuttavia sento |ier la morte avvenuta un anno fa
sarlo, fui nfllilUi oltre ogni credere alla sua morte ed , il piango ancora
ed in ogni di.
loro passo, o spiarle fanno da una vecchia arpia che si consecrava alla
loro tirannide. Ma egli invece confidava nella mia virtù pili che non lo
la sua compiacenza, ed oso dire che l'unico suo pensiero era quello
di prevenire ogni mio desiderio: ali si, tale era don Andrea di Cifueu-
fisso in cuore ,
e ciò, non v’ ha dubbio, cnn|iern a distrai' la mia attcn
zinne da ludo elicsi tentò, da tulio elicsi Caper ricseirc a piacermi.
lton Federico non potè trattenersi dal uon interrompere in questo
punto donna Teodora: — Ah signora, sdamò, quanto è nidi il mio gin
Itilo in mlir dalle vostre labbra stesse elio non fu per avversione di me
se non aggradiste finora l’amor mio ; ali si ,
io sitero che un di voi pre-
mierete la mia costanza. — Non stira colpa mia se non giugnerà questo
giorno, risiHtsc la dama, poiché vi do il permesso ili lenire qualche
tazione quanta ne avea nello scendere -, la causa però n’ era ben diversa.
Si don Federico che il Toledano l’accompagnarono a cavallo sino alle
porte di Valenza, ove si separarono. Ella s’ avviò verso casa e don Fe-
derico condusse alla propria il Toledano.
Lo fece rqiosarc ; c dopo avergli date prove di tutta la sua gratitu-
dine, gli domandò in segreto |>er qual motivo ei fosse in Valenza e se
divisava di fcrmarvisi per lungo tempo. — Meno che |>otrò, ris|Misegli il
Toledano; vi passo solo per toccar piò presto le rive del mare, ed im-
barcarmi poscia sul primo vascello che salperà dalle coste della Spagna;
che nulla mi cale che gli sfortunati giorni miei si Uniscano in un luogo
piuttosto che in un altro, purché lontano da questa funestissima terra.
— Che mai diceste? Sciamò don Federico con grande sorpresa:
che cosa mai può farvi cosi increscevole la patria vostra, e spingervi
ail odiare ciò che tulli gli uomini naturalmente adorano? — Uopo quanto
m'è accaduto, soggiunse il Toledano, abbono il mio paese, c non
desidero che il momento di abbandonarlo |«r sempre. — Ah, signor
gentilezze, unii occulterò clic in vendendovi testò eoli don Alvaro Pon-
zio, il mio animo si senti subito a propendere per voi. In moti d'in-
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,
I I
compagna, divenni lo sposo d’ una rara beltà, senza badar punto ch’ella
dere una persona ch’io adorava, la condussi, pochi giorni dopo il nostro
visava già tornarmene a Toledo con la mia sposa; ed era questa senza
dubbio una ispirazione del cielo. DilTatto, se tolta avessi al duca ogni
occasione di veder mia moglie, avrei scansate tutte le disgrazie che
dopo mi avvennero, ma la fiducia ch’io avea in essa mi tranquillò. Mi
parve impossibile che una donna da me scelta a moglie ,
senza dote
e senza natali, esser potesse ingrata tanto da porre in non cale tulli
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I
strappò dal seno, in cui Cavea nascosta, ad onta d’ogni sua resistenza,
mia lettera che conteneva queste parole:
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196 IL DIAVOLO ZOPPO
•
« Dovrò io dunque languire ancora a lungo nell' aspettativa d’nn
« secondo colloquio? Ella è crudeltà il lasciarmi concepire soavissima
clic non sarebbe piena la mia vendetta c che lo sdegno mio abbiso-
gnava d' mi' altra vittima, signoreggiai il mio furore, dissimulai e dissi
Ciò detto, uscii dalle sue stanze, si per dar tempo a lei di riaversi
dallo smarrimento in cui era immersa, che per cercar io nella solitudine
un po’ di calma alla rabbia da cui era divorato. Ma se non potei ri-
acquistarla, tinsi almeno per due intieri giorni d'essere tranquillo, ed
il terzo dissi di avere un aliare di sotnrna importanza a Toledo ed es-
sere quindi obbligato a lasciarla sola per qualche teni|m, soggiungen-
camera d’un mio fedele famigliare, di dove polca vedere tutti che
entrassero in casa mia. Non avea ombra di dubbio che il duca saprebbe
tosto la mia partenza e che non tralascierebbe di approfittare della
favorevole circostanza: m’immaginava già di sorprenderli insieme, e
mi riprometteva un’aspra e piena vendetta.
M’ingannai; a vece delle disposizioni solite a darsi quando si dee
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CAPITOLO DKCIMOTKRZO 197
confesso , clic sedotta da vane illusioni, l’anima tua non fosse capace
di disinganno: ma, grazie al cielo, tu conoscesti il tuo errore, e vo’
sperare che nulla più turberà la pace della nostra unione.
Parve couunossa mia moglie a queste parole, c lasciando cadere una
qualche lagrima : — Me infelice , sciamò , e sospettar ]M>testi di mia
fedeltà? Ah, che invano ioabborroil mio fallo: gli occhi miei avranno
rimorsi, il mio dolore, tutto è inutile, io non avrò più l' amor tuo, la
Ilillàtli da queir istante ini fu cara al paro dei primi giorni ilei no-
mia consorte, quasi clic cancellar volesse dall’animo mio ogni trac-
nostre stanze separate, veniva le due e le tre fiate per saper ili mie
notizie; nulla risparmiava in fine onde prevenire ogni mio desiderio;
parea che la sua vita dipendesse dalla mia. Io le era gratissimo per le
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,
la mia affeziono. Ab, signor Mondoza, non erano esse sincere quali
10 me le immaginava.
l'na notte ,
cominciava già a rimettermi in salute, uha notte 11 mio
cameriere mi venne a svegliare in tutta fretta. — Signore , signore
mi disse con voce tremante per l'affanno, ini duole assai di turbare
Stordii tanto alla fatai notizia, che stetti cogli occhi fissi in quelli
del cameriere senza poter dir motto: e più pensava a ciò clic aveami
non è possibile che mia moglie sia capace di tanta perfidia I tu non
I
sai quel clic ti dica — Piacesse al cielo, o mio signore, rispose Fabio,
che non fosse il mio che solo un dubbio 1 ma ,
pur troppo, non mi
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capitolo DEcmomio <99
sono ingannato. Dacché siete malato, sospettava che si introducesse
ogni notte il duca nell’appartamento della padrona: mi nascosi per
avverare il dubbio da me concepito, e me ne accertai ben anche più
di quello che avrei voluto.
rata mia consorte che cra.omai più morta clic viva: — Abbiti infame,
le dissi, il premio di tua porlidia, —c si dicendo, strappata la spada
dal cadavere del duca, gliela immersi in seno.
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200 IL DIAVOLO ZOPPO
Per terminare in due panile questo tragica storia, vi dirò die dopo
di avere assaporato per iutiero la mia vendetta, mi vestii di tutta fretta,
famiglia non essendo pari al loro, nou sarei sicuro che in [Kiese stra-
niero, scelsi due de’ miei migliori corsieri, feci una paccotigtia di
quanto avea di più prezioso ed uscii prima die spuntasse l'alba dal
mio palazzo, con meco il servo che mi diede uon incerta prova di sua
fedeltà. Presi il cammino di Valenza, divisando d'imbarcarmi sul primo
vascello che spiegherebbe le vele alla volta d’Italia. Ma passando oggi
vicino al bosco ove eravate, incontrai donna Teodora che mi pregò
a seguirla |>cr aiutarla ad impedire il ducilo tra voi e. don Alvaro.
Terminato eh’ehhe il Toledano il suo racconto ,
don Federico gli
sicuro qui che altrove, tal avrete in me mi uomo che d’ora in poi vi
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,
CAPITOLO IIKCIMOTKRZO ‘
2 !)
Ambivano sovente ludi e due n far visita a «piesta duina, elio non
cessava d'essere iinlitVercntc alle sollecitudini eil all'assiduita ilell’a-
cava «miai «li jniter giugnure a piacere alla vedova «li Cilueutus; e
lineala tema lo immerse in un affanno che sconsolava moltissimo don
(iiovanni; ma don Giovanni non tardò guari ad essere piii degno «li
roiH|>assioiie di lui. •
.
D'altra parte «loti Federico mai non andava a trovare dolina Teodora,
ch’ella non l’ interrogasse del perche «li m Giovanni più non l’acoom-
I Migliava nelle sue vìsite. I li giorno elle gli facon «li nuovo una tal
domanda, 'sorridendo le rispose che l'amico suo aveva le' sue buone
ragioni. —E quali esser possono «punte ragioni clic l’ inducono a
sfuggirmi.’ disse dolina Teodora. — Signora, soggiunse Mendoza, oggi
ancora io volea condurlo meco, ed avendogli dato a divedere la mia
sorpresa per il suo riliuto, mi conlhlò un segreto che debbo svelarvi
per gìiistilicarlo. Mi disse d'avere un’amante, celie nel breve tempo
clic ri mallevagli di soggiuntane in «piesta città, i momenti gli erano
preziosi.
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202 IL DIAVOLO ZOPPO
scorgere, ma per tema clic don Federico indovinasse quel che privava,
cambiò discorso, ed ostentò durante il colloquio un’allegria che ba-
conversar con voi. fjualmiqiir esse siano le ragioni che dite di avere,
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CAPITOLO DKC1MOTKRZO 205
soggiunse liitla commossa donna Teodora, voglio saperle. — Ebbene,
signora, giacché il volete, m’è forza 1’obbedirvi, ma non vi lagnate poi
se udir dovrete più ili «pipilo che desiderato avreste di sapere.
fiata. Ferino nel mio divisamenlo, io vedea già Valenza «piando v’incon-
trai, e, còsa che non accadde forse ad altr’uoino ancora, si scontrarono
i mici cogli occhi vostri senza essente soggiogato; vi rividi pochi giorni
dopo, e impunemente sempre; ma ohimè che pochi giorni di lierczza
mi furono fatali poscia. -
Vinceste aitine; la vostra bellezza, il vostro
spirito, tutte le grazie iiisomma che vi adornano, m’incatenarono; in
una parola, io sentii per voi tutto l’amore che la bellezza vostra può
inspirare.
Menduza. omle allontanargli dal cuore i sospetti che sorgere gli po-
Questo discorso, che donna Teodora era lungi dall’ aspettarsi, pro-
dusse in lei sì viva gioia, che suo malgrado le appari sol volto. È veni
|>erèrhe non si diè gran cura di frenarla, celie invece d’imo sguardo
gentilezza con la «piale mi offrivate i vostri serv igi era oltre ogni dir
garbala; il modo con eui giungeste a se|>arare «pie' due forsennati ri-
mor vostro, i vostri pregi aimienlamno la stima che per voi avea già
conci>pila.
tezza del mio sesso e vi accerto -dell’ amor mio, voi non provale quella
gioia, che una simile dichiarazione dovrebbe suscitarvi in. cuore? Voi
tacete, e scorgo anzi dolore negli ocelli vostri? Ah, don Giovanni, quale
strano effetto non produsse su di voi la mia imprudente dichiarazione.
E i|iiale altro elmetto, o signora, mestamente ris|w>se. il Tolta lane
(toteva essa fare sur un cuore come il mio? l’iù voi mi amate e più si
accresce la mia sciagura. Voi non ignorate quel che Mendoza ha fallo
|ier me ; voi sa|»elc la tenera amicizia clic a lui mi lega e potrei fondare
;
la mia felicità a costo delle sue più care s|icrnnzc? — È troppa la vostra
delicatezza, disse (lumia Teodora: io nulla promisi a don Federico, e
posso offrirvi la min fede, senza eli’ egli abbia, diritto alcuno a rimpro-
verarmi , e voi accettarla potete senza taccia di averlo soverchialo.
Confesso che l’idea dell’ infelicità d’un amico vi debbo affliggeremmo,
don Giovanni, questa pena ehe v oi provate può ella stare al confronto
della felicità che vi aspetta?
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,
sono am ile i suoi; la menoma cosa elle mi riguarda non isfugge alla sua
attenzione, e, per dini tutto, io divido con voi l' iiupen i ilei sito cuore.
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206 II. ni AVOLO ZOPPO
Ebbro allora della felicità di piacervi, Mendoza sarebbe sialo per ine
E qui donna Eleonora, che area gli ocelli pregni di lagrime, presi*
vincere del tutto; ma non potendo aver dubbio ch’ei non fossi' inna-
morato e che la sola amicizia gli facesse riliularc la mano da lei offer-
chè In solitudine è fatta )>iù per accrescere che non per affievolir
l’amore.
Don Giovanni dal canto suo non avendo trovalo Mendoza in casa, si
rinchiuse in ramerà per ivi dar pascolo al suo dolore: dopo coi ch’egli
area inveralo iu favore d’ un amico , si credette fossegli almen per-
incsso di sospirarne; ina no, che don Federico venne a disturbarlo
da' suoi pensieri e dubitando dal suo volto ch’ci fosse indisposto, mo-
strò d’ esserne tanto afflitto che don Giovanni fu obbligato a dirgli non
abbisognare che solo di riposo. Mendoza usci tosto per lasciarlo tran-
quillo, ma si melanconico, clic il Tolcdano senli con maggior forza
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CAPITOLO IIKCJMOTKIZO 207
che donna Teodora era [tarlila con tulli i suoi domestici alla volta del
sto. Il dolore della lontananza dall’ oggetto dell’ amor suo gli fu ineHo
per sapete qual fosse lo stalo di sua salute. Ma mentre slava vestendosi,
il commesso falbi.
incertezza ;
andiamo, don Giovanni, aiutiamo a trovarla ; vo a far pre-
parare i «'.avalli. — Vi consiglio, gli disse il Toledano.a non condurre
alcuno con voi : simili collo«|iiii vogliono essere fatti senza testimoni
I I
— \o, no, don reiterici), accertatevi clic la mia presenza non vi può
esser utile. Parlile, ve ne scongiuro. — No, «oro don Giovanni, tornò a
dir Meudo/a, noi andremo insieme; spero questo favore dalla vostra
tendere dalla mia amicizia ciò elle essa non delibo concedervi ?
Queste parole, che don Federico non intendev a troppi, e l’ aspro
modo con cui furono prnnuciate, lo sorpresero non poco. — Fissò atten-
tamente l’amico suo, e, don Giovanni, gli disse, che significa codesto
lampo d’ira? — Quale, orribile sospetto mi nasce in cuore? Ah cessi
la vostra dissimulazione, toglietemi d’angustia, parlate! Da che nasce
|
min stella... ve lo dirò? Teodora non è indifferente per me.
Quantunque don Federico fosse Filoni più pacifico e più ragione-
dichiarasti.
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* -- -
CAPITOLO DBCfMOTEKZO SO»
tei che un (alto unico, giaochè fosti capace « concepire nn amore che
mi oltraggia. Bono oppresso da si imprevisto colpo, e lo senta' assai
Allora gli narrò quanto era accaduto fra lai c la vedova di Cifuen-
tes; la tenera dichiara 7400C che essa avetgli fatta, ei di lei discorsi per
indurlo ad abbandonarsi senza scrupolo «Ila sua passione. Gli disse
parola per panila la risposta data a que’ discorsi, ed a misura che
gli parlava della simulala stia fermezza ,
scemava in don Federico
il proprio furore. — Finalmente, soggiunse» don Giovanni, eedè l’a-
more all’amicizia, c ricusai le proposte di donna Teodora:- ne pianse
di dispetto: ma ,
giusto cielo I quale turbaménto non suscitarono
esse uel povero mio Cuore; in rammentarle solo, il cuore mi palpita
repente per il periglio corso. Cominciava ornai ad accusarmi d' insen-
Volli c seppi tuttavia resistere fermo alla mia debolezza sottra en-
dnrai all’effetto di- lagrime così fatali. Ma non basta aver fuggito
Il pericolo, è tluopo cji’io tema d’inconlrario ancora , e sollecitar
debbo la mia partenza,. -onde non espormi agli sguardi di lipomi Teo-
dora- Oro don Federico mi accuserà egli ancora d’ingratitudine e di
perfìdia? Potrà egli, amico quale mi si protestava, supporre In me
un traditore?
-
— No, risposegli Mendoza abbracciandolo, no, porcili: conosco adesso
la laa innocenza. Ilo aperto gli occhi, e chleggoti perdono per un
ingiusto, rimprovero dettato dai primi trasporti il’ nn amore deluso
nelle sue più care speranze. Ben io dove»- immaginarmi die donna
Teodora non avrebbe potuto resistere hmgo tempo ai meriti tuoi , alle
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210 IL DIAVOLO ÌOWO
te.i prosegui, don Giovanni, prosceni' 'ad amare te vedovo di Eifnéntes,
‘
— lnsaino nii solleciti, disse Zarate. Io ho per essa', il confesso, ohe
grtm passione, mai! tuo amore m'è assai più cani deila mia felicità.
sono rari assai ma un tai fenomeno non è poi solo della natiira del
i
'I duo amici ideano deciso di farsi l'un l’altro il sagrifìzio della
propria passione, e non volendo cedo re -nessuno dei due «ite genero-
sità dell’altro, i loro amoftisi sentimenti rimasero assopiti per nn al-
Donna Tei «loia (lavasi in preda a tenere immagini nel suo costello
di Vii tu reai, posto vicino al mare. Don (ì iovanui era l’oggetto de' suoi
del mare con una delle sue più lidate Cameriere, si accorse d’ ima scia-
luppa clic stava per giugnere alla riva. Le sembrò sulle prime che vi
spade c stocchi.
Fremette al loro aspetto, e sembrandole di -sinistro augurio la loro
discesa in sulla spiaggia-, rivolse frettolosi i subi passi alla volta del
Jantn ,
e che leggiere c vigorose erano le maschere ,
la raggiunsero
lor volta Dilla la gente del costello. Uscirono tutti i valletti di donna
Teodora, annali gli uni di raffi e gli altri di bastoni. Ma inutilmente,
che due dei più ri il «isti uomini mascherati presero fra le loro ner-
versi* la seinhip|*n, nel mentre che gli altri- loro compagni laccano
argine al furore dei servi dol -castello , die combattevano da dispe-
rali. La zuffe fu ostinata ;
ma gli nomini, mascherali eseguirono, feli-
ritirala. E n’era bea tempi, che tutti poli erano ancora nella barca,
clic dalia jiarte. di Valenza si videro- comparirò. quattro, o cinque
cavalieri clic spronavano al galoppo i loro corsieri a sembravano
accorrere in aiuto di donna Teodora. Ma i rapilori. furono si lesti
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, ,
affatto. • ... .
»
quello stesso giorno ricevuto una lettera nella quale gli scriveam» di
aver sapido da buona .sorgente che don Alvaro Ponzio arrivato nell’
loro camerieri ,
partirono all’ istante alla volta del castello .
per atre**-
tire donna Teodora' d’ un sì nero attentato. Scoprirono in lontananza
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CAPITOLO DECmOTEBZO 213
su la riva del maro, una folta Hi persone che parcano comlialtere le
unc «miro l'altre; e sospettando essere («ut esse ciò che era di fatto,
non fq loro permesso che di essere -testimoni, del ratto che volevano
impedire. !. .
‘ / ».. A •
*4
1
Ó 4
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Contrai fra un pnctn Ingioi dii aulor riunirò
[
rompere in tal punto le parole del fliavolo:
pc’ capagli, c moll i altri in vestr da càmera clic si affaticano per sepa-
rarli; ditomi, vi prego, da che prodotta sìa la lite. Il Diavolo, che
non aspirava clic a contentarlo, lo soddisfare tosto narrandogli il fallo.
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CAPITOLO- DEC.ningi;AiTo 915
I |i«c8«>uaggiche voi vedete io camicia menando a chi-pio le itomi,
sono, dùs’egU, -due nulo ri francesi* e quei che li ’sopaiiuin son due
Tedeschi , un Fiammingo e un Ilaliano. Alloggiano tutti mila stessa
casa, clic è una locanda, in cui non sortovi unii die forestieri. Uno
dei combattenti è autore di tragedie, e l'altro di Commedie. Il primo,
|H*r una etnia disavventura avuta in Francia ò venuto in Ispagna, c
l'altro, [atro contento di Parigi, fceu lo slesso viaggio nella speranza
di trovare a Madrid 'miglior fortuna.
II tragediografo è uno spirilo vano c presuntuoso che si guadagnò,
in onta alla parlo satin ilei ]>ul>blico, una sufficiente riputazione mi
suo paese. Per mantenersi in vena , suol comporre
1
lutti i giorni, c
non potendo questa notte, chiuder oeéhiu-nl sonno, giti» sulla carta
la prima scelta d'ima tragodio, rargomento della quale è tulio ilnlln
Iliade; e siccome il più piccolo de’ suoi difetti è quello di aver*', come
tulli i suoi con fratelli, l’eterna smania di assassinare il prossimo con
la lettura delle sue opere, si alzò, preso il lume,' ed in camicia amiti
a picchiar con inai garbo all' uscio dell'anhir cedue o, che impiegando
casa. Appena albeggi , nudrò dal noslnf ambasciatore e ila tutti i Fran-
cesi che souo a Madrid ; ina {triniti che altri li senta, ò tanta la mia
amicizia per voi,* clic voglio declamarvcli.
prosaiche frasi, la cui magia non si debbe clic alla rima, ma ima maschia
|N>C3Ìa che coinmove il cuore e colpisce h» spirilo. Non sono io già uno
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116 U {HA VOLO ZfH'PO
le mie tragedie ,
degne d'essere consacrate con la mia statua nella bi-
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CAPITOLO DECIMOVIARTO 417
e le altre prigioniere di Achille si strappati» i capelli , si picchiano il
licito per mostrare l’immenso dolore che provano per la morte di Pa-
troclo. Non punito reggersi, ed abbattute per la loro indicibile dispe-
razione, si lasciano cadere a terra. Mi direte che questa scena è un alcun
poco ardita ,
ed io vi risponderò ch’egli è quel che cerco. Che i pic-
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,
agli dei, il prode Eumclo, Lconle, il gran mastro di lancia, il nerboruto Dio-
mede e l’eloquente disse. Achille si prepara, c quest’eroe già spinge ver Ilio
contento de' tuoi cavalli , che saran veloci al par della tua impazienza : ma si
avvicina della tua morte il fatale momento. Giunone dagli occhi di bue cosi lo
Vulcano , spleudea assai più dell’ astro mattutino, o qual sole che al cominciar
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,
fuoco che fra l' ombre notturne accendono i bifolchi in cima al monte.
gedia suole uscire dal suo palco senza udir l’allegra coinmediola che
220 IL DIAVOLO ZOPPO
rappreseutasi dopo ,
per recar seco tutto il dolore da cui £ compresa.
La tragedia è la sua passione. Sia buono o pessimo il poema, pur-
ché parliate di sventurati amanti siete certi d’ intenerire la dama. —A
dirla schietta ,
s’io avessi a compor tragedie, amerei di avere enco-
sono per lo più distratti nel mentre d’una let tura; e talvolta un bel verso,
un gentil pensiero gli abbaglia, e ciò basta perchè trovino eccellente un
letterario lavoro, quantunque pieno zeppo di corbellerie. Al contrario,
odon esse un qualche verso un po’ prosaico c duro da offenderli l’orec-
fa lo stesso delle commedie, chè la stampa scopri! la loro turili tà. rmn
essendo esse che bagattelle, clic piccioli nonnulla... — Adagio, adagio,
signor trageilii grafo: badate a non riscaldarvi troppo; pregovi a par-
tee V in presenza mia, con un alcun clic più di rispetto della com-
media. E credete voi che un comico poema sia meu diflicile a eoin|Hirre
(Tona tragedia? Ttisingaunatev i ;
non è più facile il far ridere gli as-
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,
ò duo|Ni avere un miglior tatto per {scegliere quelle che meritano d’es-
sere imitate.
— Poiché non avete sufficiente elevatezza d’ingegno, soggiunse
C.ihlet, per i scorgere le bellezze della mia poesia, c per punirvi d’a-
ver osato di censurare la mia scena, non ve ne declamerò il seguito.
gliore delle vostre ridicole tragedie, c ch’egli è assai più facile uno
slancio poetico, che non uno scherzo ameno e dilicato.
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222 IL DIAVOLO ZOPPO '
Giblet ,
rispose Galidas : se avete voglia di farvi rompere le ossa , lo
Mi sono divertilo, disse don Clcofa. Ma, n quel clic vedo, gli autori
tragici in Francia credonsi qualche cosa di più degli scrittori di
commedie. — Senza dubbio, rispose Asmodeo: i primi si reputano
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CAPITOLO DECmoÓl’ABTO 225
tanto al disopra dogli altri, quanto gli orni delle tragedie son supe-
mille volte, e non è anoor decisa. Per me, ecco quel che direi, con
tutta pace di chi non è del mio parere: io creilo che le difficoltà deb-
bono essere eguali; didatti, se l’ima fosse più difficile jlell’ altra, ne
terrotta storia.
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e i famigli di donna Teodora non valsero
ad ini|ie<lirnc il ratto, non aveann Intlavia
tralasciato di illustrare lotto il loro coraggio,
è la loro resistenza era stata fatale ad una
j
parte degli scherani di don Alonzo. Ve u’era
imo fra gli altri così malconcio dalle ferite,
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CAPITOLO DECmOQllMO
castello, ove nulla ai risparmiò per richiamarlo in vita, quantunque il
a pai lare, gli si promise elle si avrebbe cura de' suoi di, e die non
lo si sarebbe abbandonato al rigore della giustizia, sciupicela; dicesse
ove il suo padrone avrebbe tradotta dolina Teodora.
Lusingato da una tal promessa, quantumpie uou dovesse avere
graude s|ietanza di proliltarne, richiamò a poco a poco gli smarriti
suoi spirili, e con semispciita voce confermò quanto era già stato scritto
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,
che l'alTare sarebbe un po’ più serio che da principio non gli parca;
laonde s'arresti), raccolse.egli pur le vele e si dispose a combattere.
Cominciarono dall’ima parte e dall'altra a cannoneggiare c sem-
brava che i cristiani avessero nn qualche vantaggio, ma un corsaro di
Algeri, con un vascello più grande e meglio armato degli altri due
prese parte della zuffa a prò del pirata di Tunisi. Si avvicinò a gon-
fie vele al bastimento spagnuolo e lo serrò tra due fuochi.
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CAPITOLO DtCWOQCMTO W7
si dii a gridare in lingua spaglinola a quelli del vascello cristiano, clic
ai arrendessero per Algeri se desideravano fosse loro dato quartiere.
Dopo questo grido, un Turco fe’ sventolare all’aria una banderuola di
al dolore, cui l'idea della schiavitù può suscitare a uomini nati liberi ;
nel vascello algerino, ove la sorte decise della divisione del bollino.
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I
:
|
mumento della loro separazione; i Turchi, che si erano già fatti im-
|
di Tunisi pensò di tornare al suo vascello cogli schiavi toccatigli in
sorte, questi due amici credettero morire dal dolore. Awieinossi Men-
doza al Toledano e stringendolo fra le sue braccia, dissegli: —È forza
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capitolo DBciMOQcrrro 249
menti a cui era esposto l’amico suo gli cagionarono tale un'ambascia
% ». 6 /In ntriìh
che gli tolse l’uso della voce. — Or, siccome l’ordine della storia vuol
ufficiale del dey Mezzomorto comprò don Giovanni pel suo signore,
e lo pose a lavorare il giardino dell’ harem. Una tale incombenza,
quantunque penosa per un gentiluomo, gli fu tuttavia gradila, per la
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«
IL DIAVOLO ZOPPO
erari che più caro gli fosse quanto la libertà di poter a zoo talento
meditar sulle proprie sventure; e’ vi pensava sovente, e l’anima «ua,
antiahò tentare di distrarsi da queste dolorose immagini, parsa go-
desse una dolce e melanconica voluttà in rammemorarle.
Un giorno che, senza scorgere il dey che passeggiava nel giardino,
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CAPITOLO DKCIUOQUIPirO 231
del modo tenuto dagli uomini di quel paese per giugnere a piacere
alle Ioni belle: al che don Giovanni diè tale una riipoaia che ne fu
contentissimo il dey.
— Alvaro, gli disse, tu mostri avere dei talenti, ed io non ti credo
un noni del volgo; ma chiunque tu sia, hai la fortuna di piacermi,
e to' onorarli di mia confidenza. — Don Giovanni a queste parole
si gittò a’ piedi del dey, e non si alzò che dopo aver portato alla
bocca, agli occhi, indi al capo il lembo della zimarra del suo pMirooe
—
•
Per cominciar dunque u dartene prove, soggiunse Mezzo morto,
ti dirò die nel mio serraglio vi sono le più belle donne d'Europa, ed
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,
IL DIAVOLO ZOPPO
nai però sempre i miei desii, e ben diverso io ciò da’ miei pari, de-
siderai solo di acquistarmi il suo cuore con tale una compiacenza e
oon tanta umiliazione, che l’ultimo dei Musulmani vergognerebbe di
chezze; dille clic sarà la prediletta fra lutle le tuie cattive; dille che
|H>trebbe fors'anchc un dì aspirare all'alto onore d’essere la moglie
di Mezzomorto, e dille che avrò per essa più stima che non ne avrei
|>er una sultana di cui sua altezza mi offrisse la mano.
Si prostrò per la seconda fiata don Giovanni a’ piedi del dey c,
quantunque non gran fatto contento della confertagli commissione
accertollo che farebbe tutto il suo jinssibile jier ben servirlo. — Ba-
sta, soggiunse Mezzomorto, tralascia il tuo lavoro e sieguimi ; è con-
tro le nostre usanze il farti, parlare da solo a sola con la mia bella
schiava; ma trema di abusare della mia confidenza; supplizi scono-
sciuti agli stessi Turchi punirebbero la tua audacia. Cerca ogni via
(>er vincere la sua tristezza, e pensa che la tua libertà dqiende dal
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CAPITOLO DKCIMOQtl.VTO 233
Slava essa fra due vecchie donne ,
che la lasciarono allor die vi-
dero a comparire Mezzomorto ! La bella schiava il salutò con grande
rispetto, ma non senza un fremito che le ricercò ogni fibra, ciò che
• • i
per avvertirvi che avvi fra’ miei schiavi uno Spagnuolo, col quale sono
certo v'intratterrete volonljeri: se desiderale vederlo, io gli accorderò
il permesso di parlarvi, ed anche senza testimonii.
La bella Schiava rispose che si. — Ebbene, ve lo mando tosto,
soggiunse il dey: possa egli, parlando con voi della vostra patria,
recarvi un qualche sollievo. — Si dicendo uscì, e incontrandosi col
Tolcdano che recavasi ad ubbidirlo, con voce sommessa gli disse: — ;
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234 IL 1» ÀVOLO ZOPPO
Zarute coirò tosto nella camera, salutò la schiava senza che gli
lei, non è già una fantastica creazione della mia fantasia quella che mi
seduce! — Ah, don Giovanni, sciamò la bella schiava, e siete voi
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CAPITOLO Der.lMOQCIKTO 435
— Il cielo, disse donna Teodora, mi Tendici» d’ Alvaro Ponzio, e
mente die poti- in qual modo l’avesse saputo, e come Mendnza e Ini
eransi imbarcali per correre sulle tracrie del rapitore e fossero stati
sensi, dopo un non breve lasso di tempo, mi trovai sola con Ines, nna
delle mie donne, in alto mare, nella camera di pop|»a d’un vascello
che avea le vele spiegate al vento.
dovete dalla violenza deU' amor mio: io non vi ho tolta la lilx-rtii per
mover guerra alla vostra virtù con mezzi indegni, e vo’ solo che nell’a-
Seguitò ancora a tenere altri discorsi, di cui non posso più ricor-
darmi : ma ben vi so dire che in udirlo sembrava che cnstringemlomi
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f
Non trasandò Ines dall’ obbedirlo, e dissemi che dopo il mio rapi' I
I
Ponzio, qualunque si fosse la mia avversione per lui, e che l'onor mio
richiedeva dal cuore un tale sagrifizio. All’idea di si abborrilo mari-
taggio cresceano le mie lagrime ed era inconsolabile. Ines non sapea
più che dirmi, quando ad un tratto udimmo in sulla tolda un gran
rumore clic a sq rivolse tutta la nostra attenzione.
Questo rumore che faceasi fra le genti di don Alvaro, era nato alla
'che essendo più fornito di tele che limi, il nostro, sarebbe per noi
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CAPITOLO DKCIMOQCINTO 237
la lotta, e lasciando di farne la descrizione, vi dirò solo che don Alvaro
e tutti i suoi |>crirono ,
dopo un accanito, disidrato combattimento,
(guanto a noi, fummo trasportate in un grosso vascello che apparteneva
a Mezzomorto, comandato da Ahy Aly, uno de' suoi ullìziah.
la via d’Algeri ,
benché non abbia fatta altra preda ,
e son ben certo
che il dev mio signore sarà soddisfatto di mia spedizione , nè temo
eh’ ei condanni ('impazienza eli’ ebbi di deporre nelle sue braccia una
beltà che Ha la delizia e lo splendore dèi suo serraglio.
A questo discorso ,
che mi svelava a chiare note qual fosse la mia
deplorabile situazione, si raddoppiarono le mie lacrime. Aby Aly, che
non vedea sotto lo stesso aspetto il mio spavento, si diede a ridere e
veleggiti felice alla volta d’Algeri, inentr’ io non polca tranquillare lo
più tarili facca voti perchè le mie lagrime e là mia disperazione mi ren-
dessero deforme tanto da fare orrore al dev vane speranze, concepite
:
nel pericolo del mio onore. Noi giugnemmo al porto: qui fui condotta,
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25* IL DIAVOLO ZOPPO
nulla risparmiò per ishandire dal cuor mio la tristezza in cui mi vede
immersa. Non avvi schiavo dell’uno o dell'nllrd sesso che suonar non
sappia un qualche strumento, o gorgheggiare una qualche nota' , che
(pii non vengano per órdine suo a cercar di allev iare itmio dolore. Mi
fu tolta Ines net pensiero ch’ella cercasse di alimentare le mie pene,
ed ho quali serve alcune vecchie schiave, die di continno mi parlano
dcM’ amore del Ioni signore, c de’ mille piaceri che mi son scriniti.
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,
Ma, prosegui egli in turni più risoluto, non ne sarò testimonio tran-
quillo. (Juanluuque schiavo, et dovrà temere ili mia disperazione, e
anziché vj oltraggi Mezzomortu, un ferro gli troncherà la vita ! ; — All,
vita al dey, cesserei io forse d'essere mia schiava? Ohimè, che venduta
forse sarei a qualche scellerato meli rispettoso di Mezzomorto.' Cielo,
che solo per piegarvi alle sue turpi voglie, e (leggio adesso andargli
a render conto di mia ambasciata: è d’ uiqxi ingannarlo. Gli dirò che
vedrete, mostratevi a lui mèn trista del solito, ùngete che Vi allettino
i suoi discorsi. . u . .
glierlo ;
dissimulate, frenate la vostra indegnazionc, fate che i vostri
sguardi non mostrili l’odio che voi nutrite, che la vostra bocca, la quale
vivea essa quale una sovrana nel proprio paese, ed ora è qui ridotta alla
avvezzerà come le altre alla schiavitù, e direi «piasi che non le sembrano
più si pesanti le sue catene : quelle ris|icltose sollecitudini che per essa
avete, e che non si aspettava mai da voi, «juel vostro desiderio di pia-
cerle, -addolciscon le soe pene, e trionfano jioco a poco di sua fierezza
Coltivate, mio signore, questa favorevol disposizione ;
continuate ad
y
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CAPITOLO DECIM0QUOTTO 241
insignorirvi del di lui cuore con il rispetto, e vedrete presto la bella
di Algeri, chè fu schiavo d’altri molti prima d’esserlo del dey. —Fran-
cisco, amico mio, gli disse don Giovanni, tu mi vedi afflittissimo. Trovasi
in questo palazzo una giovine damma delle prime famiglie di Valenza;
pregò Mezzomorto di tassare egli stesso il suo riscatto, ma si oppose
il dey perchè n’ è innamorato pazzo. —E a te che importa ? gli disse
Francisco. —È una mia concittadina, rispose il Toledano; i suoi ed i
— Benché la cosa non sia tanto facile, soggiunse Francisco, son quasi
certo che non fallirei il prefissomi scopo, ove i parenti della signora
non si rifiutassero di pagar bene questo servigio. — Nòn v’ha dubbio, ri-
jt
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,
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CAPITOLO DBCIMOQITKTO 443
un cotanto scopo ei dee armare un vascello, e dando a divedere di es-
sere annoiato di sua vita («iosa, di\ isar egli di corseggiar di nuovo, e noi
Si, mio caro Francisco, sciamò don Giovanni, ebbro di gioia per la
speranza che laccagli concepire lo schiavo navarrcse; tutto, tutto pro-
metti a questo rinnegato, e statti certo che sarete ambulile ricompen-
sati meglio che non credete. Ma s|ieri tu che il tuo divisamente possa
effettuarsi senza verun incaglio e proprio come l'immaginasti? — Na-
sceranvi forse degli inciampi, Che adesso non saprei ideare, e allora....
ma lasciate fare a me eri al rinnegato. Intanto, Alvaro, io vi lascio, e
con la speme in cuore che la nostra impresa riuscirà a bene i consola-
tevi ,
giacché ardisco predirvi buone le nuove al mio ritorno.
con il suo schifo a prenderci alla porta del giardino non molto distante
dal lido. Eccovi il piano della nostra impresa; potete ora informare la
bella schiava, ed accertarla che fra quindici giorni non lo sarà più.
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,
e non larderò a sciogliere i tuoi lacci, e giuroti qui per l’anima del
gran profeta, che rivedrai la patria tua, ricco tanto de' miei doni, da la-
mia ! Felice me, se dopo tanti perigli e guai, io vi passerò con voi giorni
solile per me; ma terribile necessità non consente che il mio cuor gli
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CAPITOLO DKC1MOQUIK TO 1 i
quest’ ultime parole, il coi vero senso non fu inteso che. dalla dama.
Per otto giorni non mutò d’aspetto la bisogna nel palazzo del dcy.
Il rinnegato catalano intanto avea comprato un piccolo vascello quasi
tutto armato, c disponevasi alla partenza: ma sei giorni prima ch’ei
fesse in islato di porsi in mare, don Giovanni ebbe nuovi dispiaceri.
aggrada per ritornare in Ispagna, cbè suo pronte già le ricchezze (die
i.
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4i6 IL DIAVOLO ZOPPO
i
mano ad una schiava : non ignoro che esempi di simili nozze non sono
rari fra’ Musulmani, ma che l’ illustre Mezzomorto che può aspirare
alla mano ed agli affetti delle figlie de’ primi ufficiali della sublime
Porta.... —È véro, si, ne convengo, interruppe il dey, potrei ben an-
che aspirare alla figlia del gran visir, e lusingarmi di succedere alla
a cui saliti appena si precipita le spesse volte o per i sospetti del sul-
della mia schiava, e basta la sua bellezza perchè sia degna del grado
a cui la vo’ innalzare.
Ma è d’uopo, soggiunse, che dentr’oggi stesso cangi di religione
per meritarsi l’onore ohe compartir le voglio. Credi tu che per ridicoli
[«•(giudizi non vi acconsenta?.... — No, signore, interrompendolo disse
don Giovanni, son persuaso anzi che tutto sacrificherà per ottenere un
sì alto onore. Permettetemi peri» di dirvi che non dovete nè costrin-
gerla, nè intempestivamente sollecitarla. Non v’ha dubbio che da prin-
Il dey stette per alcuni minuti sopra pensiero, chè la dilazione pro-
posta dal suo confidente non gli andava troppo a sangue, quantunque
il consiglio gli sembrasse assai ragionevole. —Cedo alleine parole, ai
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C A E1T0I.0 DECIMOQl'lMTO il 7 |
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%ig IL DIAVOLO ZOPPO
dalla sorpresa, dal dolore e dallo spavento, cadde svenuta dall’ altra
I
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CAPITOLO DKClklOQLTMO 449
trafiggesti l'amico tuo. — Giusto cielo! sciamò don Federico, possibile
eli’ io abbia assassinato?.... Abbiti il perdono della mia morte, lo inter-
ruppe Zarate, la colpa è solo del destino, che volle forse cosi porre
un limile alle tante nostre sventure. Si ,
mio caro Meodoza, io muoio
contento, poiché mi è dato di poterti affidare donna Teodora, che potrà
accertarli non essersi la mia ainicizia per le smentita mai.
— Troppo generoso amico, disse don Federico, foor di sè dalla
disperazione, tu non morrai solo, e lo Stesso ferro che ti trafisse, pu-
nirà il tuo uccisore: se l’errore può fare scusabile il mio delitto, cl
al petto, e cadde bocconi sul corpo di don Giovanni, che svenne, inde-
bolito meno dal sangue che perdea, come il fu della sorpresa c del
furore di Mendoza.
Francisco ed il rinnegato, lontani solo dieci passi dal Inogo ove sno-
cedea sì Orribile scena, e che aveano avute le loro buone ragioni per
non accorrere in soccorso dello schiavo Alvaro, furono maravigliati
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«»0 IL DIAVOLO ZOPPO
poi nell’ udire le ultime parole di don Federico, e più del suo ultimo
alte. Conobbero eh’ egli ertisi ingannato, e che i feriti erano due amici,
e non due rivali, come dapprima aveano creduto : si affaccendarono
allora per soccorrerli, ma vedutili fuor de’ sensi, einnn pure dotata
Teodora tuttavia svenata, stettero in forse di quel che avrebbero fatto.
Francisco propose di condur via la donna e lasciar sulla riva i due cava-
lieri, ove, secando tutte le apparenze, sarebbero morti presto, se non
l’ erano (Uggia. Ma il rinnegato non consenti, e disse che non avrebbe
abbandonato quegli sventurati, le cui ferite potevano, non essere mor-
tali, p clic le avrebbe medicate nel suo vascello, ove teneva tutti gli
stromenti dell’arte sua che non avea ancora dimenticata, e Francisco
si arrese al giustissimo e compassionevole suo dire.
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CAPITOLO DECIMOQL'INTO 45 i
imploravano il favor del cielo colle più fervide preghiera elio suggerir
poteagli la tema d’essere inseguiti da’ navigli di Mezzomorto.
Il rinnegato, dopo aver incaricato della manovra -uno schiavo fran-
due amici non si saziavano dal mirarla con occhi semispenti, traendo
profondissimi sospiri.
Dopo aver passato cosi un alcun tempo in mi tenero ma funesto
silenzio, don Federico il primo rivolse fa parola alla vedova di Ci-
riamato. L'amicizia che nutro per il mio rivale non vnò! ch’io me ne la-
bile alili sorte di don Federico, sentì suscitarsi incoro tm’ avversione
|icr esso lui, inspiratale dal misero stato in cui giaceva il Toledano.
— Intanto si disponeva il chirurgo a visitare e scandagliare le piaghe
loro. Cominciò da quella di /arate che non trovò gran fatto pericolosa,
non «vendo il ferro che semplicemente strisciato sotto la sinistra
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CAPITOLO DECIMOQMKTO 253
n perdita di sangue die gli potea essere fatalissima. Prestatigli però
i primi soccorsi dell’arte, lasciò i due amici nella camera di poppa so
due letlicciuoli vicini l’uno all’altro, econdusse con sé donna Teo-
dora, la cui presenza potea esserli nociva.
rurgo che inutile s'era fatto ogni rimedio, e Io avverti che se volea
dire qualche cosa all’amico suo e a donna Teodora, non uvea gran tempo
a perdere. Non è a dire, la costernazione del Toledano a si fatai no-
tizia, e T indifferenza con cui fa accolta da don Federico. Chiamò a
sé la vedova di Cifucotes, che venne a lui in uno stato più facile ad
immaginarsi che non a descriversi.
Le rigavano il volto le lagrime e singhiozzava con tanta fòrza, per coi
stere, chè troppo mi, addolora in questo istante. Cessi la vostra affli-
zione, essa mi pesa più della perdita di mia vita. Vo’ dirvi per quali
vie il fato che mi persegue mi condusse sta notte sulla riva che tinsi
del tuo e del mio sangue. Voi dovete desiderar di sapere come fu
funesta istoria. •
Poche ore dopo che il vascello in cui trovavano erasi staccato dall’
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254 IL DIAVOLO ZOPPO
mi rispos’ egli, di non potervi esser utile: debbo partire d'Algeri que-
sta notte con una dama di Valenza, schiava del dey. — Ed il nome
di questa dama? gli diss’io. — Ei mi disse che nomavasi. l'eodora.
La sorpresa, che non potei simulare all'annunzio di late notizia, diè
come nel suo racconto mi parlò dello schiavo Alvaro, io non dubitai
punto eh' egli fosse Alvaro Ponzio stesso. Servite alla jnia giustissima
sjmhsc, voi non dovete che venir meco questa sera e vedrete il vostro
rivale, e dopo che l’avrete punito, verrete con noi a Valenza in sua
segnandoci col dito un uomo ed mia donna che gli teuevau dietro :
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CAPITOLO DEC1MOQUIXTO 255
con una qualche gioia, il mio furore non gli costerà la vita, nè lun-
ghe, eterne lagrime a donna Teodora.
— - Ah Mendoza, sciamò la dama, voi non rendete giustiziasi mio
cuore: sarò inconsolabile di vostra perdita : quand’anche io sposassi
l'amico vostro, ciò sarebbe solo per piangervi insieme. Il vostro amore,
l’amicizia vostra, le sgraziate vostre avventure sarebbero il continuo
soggetto de’nostri discorsi. — Basta, madama, questo è troppo, io non
merito che vi affliggiate tanto per me. Permettete, ve ne scongiuro,
permettete che Zarate vi sposi, dopo che vi avrà vendicata di Al-
varo Ponzio. — Don Alvaro non è più, disse la vedova di Cifucntes :
del riposo e della concordia, senza che mai funestati siero dalla fredda
sta già la morte per colpirmi senza eh’ io abbia pensato ancora a pre-
d’ nna vita dì cui ella sola potea arbitrare. — Ciò detto, alzò gli oc-
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256 IL DIAVOLO ZOPPO
non se ne servì che a reprimere gl’ insensali effetti del dolore, e non
rare. Non fu così degli altri dell’equipaggio, e come il vento non cessò
dall’essere propizio, poco tardarono a scoprir le coste della Spagna.
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CAPITOLO DtCIXOgil.lTO 2.">7
tristo caso e un tal racconto gli costò nuove lagrime. Quanto a Teo-
doni, i di lei parenti le diedero, in rivedendola , mille dimostrazioni
di sincera gioia, e si cnngratularon seco del prodigioso minio con cui
erasi liberata dalla tirannide di Mezzomorto.
Dopo nna chiara e precisa contezza di tutto che era successo , fu
jier aderire alle brame di tutti i Mendoza che uniti gliel’ avevano ri-
Dopo dati tanti e non dubbi contrassegni della loro tenerezza per
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258 IL DIAVOLO ZOPPO
suo caro don Federico eragli ognor presente al pensiero : quasi tutta
la notte il vedca in sogno, e le più soventi volte pallido e spirante. Il
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— ,
che non siano proclive a biasimarsi allorché sono lontane l'una dall’
più propenso per l’una, ed eccovi dispettosa l’ultra, non già ch’ella
vi ami ,
che di voi non gliene importa un cavolo, la indispettisce solo
Perchè ? rispose lo zopppo : voi che avete letto e studiato Ovidio, do-
vreste sapere che questo poeta dice che egli è ai primi albori che son
più veraci i sogni, perchè l’anima è libera già dai vapori degli ali-
menti. — Per me, sciamò don Clcofa, che che ne dica Ovidio, non
credo ai sogni uè punto nè poco. — Avete torto , soggiunse Asmo-
deo: sono bugiardi che alcuna volta dicono la verità. L’imperatore
Augusto, la cui testa valeva un alcun che più di quella d’uno sco-
laro, tcnea conto di quei sogni che lo riguardavano, e buon per lui
che alla battaglia di Filippi per un racconto fattogli d’un sogno ab-
bandonò la sua tenda. Potrei numerarvi mill* altri esempi che vi
accuserebbero di temerità ,
ma li taccio per soddisfare al desiderio
amante pazza del giuoco. Sogna di non aver più dimaro e che mette
in pegno da un orafo per trecento doppie alcune delle sue gioie, me-
diante una onestissima usura.
•
!
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,
che per carattere non differisce gran fatto dal conte, o eh’ è innamo-
rato d’uua celebre civettuola. Ei sogna d’incassare una vistosa somma
di danaro ,
presa ad imprestilo, per poter fare alla sgualdrinella un
regalo degno di sè e del suo titolo, ed il suo maggiordomo, che dorme
all’ ultimo piano della stessa casa, sogna che si arricchisce di mano
in inano che va in rovina il suo [ladrone. E bene ! che vi pare di
questi sogni? Vi sembrano forse stravaganti? — AITè, rispose lo stu-
Oh I oh ! gridò lo scolaro ,
chi è quel tale che fregasi gli occhi
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462 IL DIAVOLO ZOPPO
, ‘ •'(
talvolta l’importunità.
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CAPITOLO DECIMOSESTO 263
— Egli ha per vicino un mercatante di stoffe in seta che suol ven-
spendenti invece sognano eli’ egli è fallito. — Questi due sogni, disse
lo studente, non saranno usciti dal tempio del Sonno per la medesima
porta. — No, certo, rispose il Demone, il primo, senza fallo, usci dalla
moso libraio. Pubblicava già poco un libro che fu assai bene accolto
dal pubblico. Facendolo di pubblica ragione promise all’autore cin-
quanta doppie, se fatta se ne fosse una seconda edizione; sogna ora
di stamparla senza parteciparglielo.
sogno, disse Zambullo, e giurerei quasi ch’egli avrà il suo pieno ef-
fetto. Conosco i signori librai, e so che non hanno scrupolo alcuno ad
ingannar gli autori. — Non v’ha nulla di più vero, rispose lo zoppo;
quali non sono gran fatto più scrupolosi dei librai. Un’avventura,
geva sulla scarsezza di buoni libri nuovi. — Amici, disse uno dei con-
vitati, vo’ dirvi confidenzialmente come alcuni giorni sono ho fatto un
terzo ,
non voglio avere minor confidenza in voi ,
e vo’ farvi vedere
la perla dei manoscritti; oggi solo ne feci il fortunato acquisto. E
tutti e tre levarono di tasca il prezioso capo d’ opera che dicevano
di aver comprato, e, ohi II giudeo errante è il titolo di tutti tre i ma-
noscritti, è un dramma si l’un che l’altro, è lo stesso in somma che
un solo autore vendeva separatamente a que’ meschini librai che cre-
devano di aver in pugno la propria sorte.
— Scorgo in un’altra casa, prosegui il Demonio, un amante Umido
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'
r •
•
li DIAVOLO ZOPPO
264 IL
I !
I
e rispettoso che svegliassi or ora. Egli ama una vedova vivace mollo,
e sognava, son pochi istanti, d'essere con la sua bella in una folta
I
boscaglia ove con tenere parole le diceva qual fosse l'amor suo, a cui
rispondea la vedova : — Ah !
quanto siete seducente ! e mi persua-
dereste quasi, se non diffidassi di tutti gli uomini ; ma io li conosco... ,
sono ingannatori e non credo alle lor parole : voglio dei fatti. —E
quali fatti, o signora, esigete da me? Amate ch’io vi provi la violenza
lico quanto buon medico. — Al secondo piano, nella stessa casa del li-
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CAPITOLO DECIMOSESTO «65
Diavolo ,
poiché non è mollo che a lui medesimo accadde una tal
disgrazia.
— Volete ch’io vi mostri un sonnambulo? non avete che a volgere
lo sguardo alle scuderie dello stesso palazzo: chi vedete? — Scorgo, disse
Leandro Perez, un uomo in camicia che cammina elicne fra le mani,
a quel che pare, una stregghia. — Ebbene, soggiunse il Diavolo, egli è
un palafreniere che dorme. Non vi ha notte che non si alzi dal letto
Si crede da tutti quei di casa che sia questa l’ opera dello spirito fol-
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—
alla fuga e scampò cosi dal lor furore. Dopo gli parve d’essere in una
gran sala tutta addobbata di neri panni, ove incontrò suo padre e
l’avolo suo seduti ad una mensa su cuieranvi tre coperti. Questi due
melanconici convitati gli fccer cenno d’avvicinarsi, e suo padre gli disse
Sogna che suo zio, di cui è l’unica erede, non vive piò, c sembrale
d’essere circondata da una folla di vezzosi bellimbusti che si contra-
che nulla ama più della maldicenza. Sogna d’essere a stretto collo-
quio con una vecchia bacchettona, le cui ammonizioni la fanno ridere
di tutto cuore.
—E rido anch’io in vedendo in una camera, sotto a quella della
vedova, un tale che vive stentatamente del poco che possiede, e sogna
tuttavia di accumular monete d’oro c d’argento, e che più ne accu-
mula più ne trova da ammassare, si che già n’empiè una grandissima
cassa di ferro. — Meschino! disse Leandro; sarà breve la gioia d’esser
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•>
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—
casa alcuni cani levrieri e danesi che furon già per lungo tempo la
sua delizia, non volendo più aver con sè che un botolino dei più
gentili ,
a cui consacrò tutta la sua amicizia.
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CAPITOLO DECIMOSE5TO 269
data parola. La prima che sogna di spennacchiar la selvaggina per
darla al gatto, è tale donna che trae di tasca a’ suoi adoratori fin
da letto, senza di che non potrebbe chiuder occhio tutta la notte. Ieri
a sera leggeva le metamorfosi d’ Ovidio, e questa lettura le fa fare
dei che quel celebre commediante, dopo aver avuto l’onore di rappre-
sentare sì di sovente Giove e gli altri principali numi, non dcbb’essere
soggetto al comun fato dei mortali, essendo degno d’essere ammesso
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1
bero sì presto.
— Non ci vedranno, risposegli il Demone, poiché sono potente
al par di quelle famose divinità di cui parlammo or ora ;
e come
l’amoroso figlio di Saturno si coprì sul monte Ida d’una nube per
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,
così a noi d’ intorno un deuso vapore cui umana vista non potrà pe-
netrare e che non v’ impedirà di scorgere le cose che vi farò osser-
vare. Furouo didatti, e a un tratto, circondali da un fumo il quale,
della loro vita, per valicare il meno tristamente che loro sia possi-
bile la breve distanza che corre dal dì della loro nascita a quello
della loro morte.
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I
I
CAPITOLO XVII
delle più raffinate non saprebbe meglio acconciarsi per suscitare una
passione nel cuore d’un inesperto giovinetto.
— Considerate attentamente quei tre che vanno insieme. Colui che
si appoggia su due stampelle, che fa tremar tutte le sue membra e che
sembra dover cadere bocconi ad ogni passo, è un lesto e svegliato gio-
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,
recita da tignoso, è un bel fanciullo che sotto una lucida [ielle nasconde
una. capigliatura degna d'un paggio di corte; e l’altro che par tutto
attratto , è un furbo che trae dal suo gorguzzolo cosi lamentevoli
suoni da couunovere tutte le donnicciuoie del quartiere, che discendono
dal quarto, dal quinto piano per portargli un maravedis.
Intanto che questi oziosi vanno, sotto la maschera della più squal-
lida miseria, a truffare il pubblico, veggo parecchi laboriosi cortigiani
benché SpagBUoli, che recansi a guadagnarsi il pane col sudore della
loro fronte. Veggo per tutto ovunque degli uomini che si alzano e si
vestono in tutta fretta per andare ad accudire alle loro rispettive in-
combenze. Quanti progetti ideati in questa notte verranno eseguiti
o svaniranno in questo giorno I Quante mene in un sol di per inte-
interessa molto a ciò che dee succedere : poi ohe i parti delle comme-
dianti s’assomigliano d’assai a quelli d’ Alcmene : sono esse assistite
per introdursi, sotto quest’ abito, in una fattoria ove abita la sua in-
namorata, gelosamente custodita da una severa e vigilante madre.
— Quel giovine baccelliere che cammina lento lento, è solito
trasferirsi tutte le mattine a far la corte ad un vecchio canonico
suo zio ,
alta cui eredità aspira già da qualche tempo. — Guardate
in questa casa dicontro a noi, un uomo che prende il mantello c
»
274 IL DIAVOLO ZOPPO
inviti a pranzo persone d’alto affare. Oggi ha per convitati due con-
siglieri di stato, e manda quindi in traccia d’ un pasticciere e d’un
cuoco , per andar poscia con essi a mercanteggiare in sulla piazza i
non era del solito umore, gliene domandò la ragione. Le svelò egli
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CAPITOLO OHCIMOSETT1MO 275
ogni cosa, accertandola però clic tutte le opposizioni della sua famiglia
non avrebbero mai potuto far vacillare la sua costanza, Soddisfatta
la vedova della fermezza , l’ accommiatò a mezzanotte , lasciandosi
contentissimi l’uno deU’altro.
Mnnsalvn tornò da lei questa mattina, trovò la dama alla loilelle
vedova tolse dalle ciocche de’ suoi capelli le carte in cui stavano av-
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,
e diede quasi tutti i suoi beni agii amici indigenti, tenendosi solo quel
tanto che potea bastare per menar la vita che vi dissi, chè gli sem-
brava men disdicevole per un filosofo l’andar a chiedere la elemosina
al popolo che ai grandi.
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CAPITOLO DKCWOSETTIMO 277
giorni i suoi amici e festeggiando soprattutto le nascite e j matri-
scrisse anzi questa mattina al tesoriere che a ragione, era irritato centra
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278 IL DIAVOLO ZOPPO
di lei, cbe non dovea più guardarla che con disprezzo, giacché fa
capace di tradire un uom ai buono ; eh’ ella riconosceva- il suo fallo,
lo detestava, e che per punirsene si era già tagliati i suoi bei cape-
gli, che sapea ben egli se tenevali cari, e che uvea risoluto infine di
andarsi a chiudere in un ritiro per ivi passare nella penitenza il
Il vecchio amante non seppe resistere all’ idea dei rimorsi della
sua bella ,
e si alzò tosto per andar da lei ;
la trovò immersa nel
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,
!
gli altri che una ricca -signora.... Tutti ingomma voleano dir la sua
sema che mai.... — Ma voi però sapete la verità, interruppe don
Cleofa. —Oh si, soggiunse il Demonio, ed ecco che vi svelo il mistero.
Un giorno che il nostro novizio scavava nel giardino una pro-
fonda fossa per piantarvi un albero, scopri' una cassetta di rame che
tosto aperse: cravi dentro una scatola d’oro che eonteneva trenta
diamanti di gran bellezza. Benché non fosse gran fatto intelligente
in pietre preziose, si accorse però di aver fatto una bella scoperta,
j
;
! che gli dà un grado nella società.
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CAPITOLO XVIII
tate attento
,
prosegui Asmódeo, che vo’ farvi
ridere narrandovi un fatto di quell’ uomo là
impiega a giuncare non sarebbero i più fatali per essi. Non trascura
mai di recarsi ogni sera da una vezzosa e ricca vedova che ambi-
rebbe di sposare, e per cui finge un’ amorosa violentissima passione.
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CAPITOLO DECIM0TTAVO 281
zoppo, hanno le attrattive delle seguaci di Diana, non giurerei però che
avessero la virtù sua prima. Sono esse quattro o cinque corifee clic
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I
mandò se fabbricavasi essa per una qualclte chiesa. — No, gli rispose il
{
! le nuvole, non sarebbe mai degna dei versi latini che le si debbono
sovrapporre.
— Che mi dite, sciamò Leandro; debbo» essere i gran bei versi!
muoio di volontà d'udirli. — Eccoli, soggiunse il Demonio, cd amnii-
j
rateli :
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CAPITOLO DKCIMOTTAVO 285
alla gioventù le umane lettere ? I reggenti di questo collegio vi fa-
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28 i IL DIAVOLO ZOPPO
Calalrava, non fa d'uofio, coni’ altre volte per diventar cavaliere ro-
mano, d’aver ventieinqueinila scudi di patrimonio : e didatti ve n’ba
di ricchi e di poveri.
— Guardale questa faccia scipita che sta dietro di voi. — Pariate
supplica al re, [>cr ottenere un certo posto in premio de’ suoi ser-
vigi: ma temo che min ne faremo niente, per non essersi indirizzato
prima al ministro di guerra.
— Veggo alla diritta di questo tilibustiere, disse Leandro Perez ,
dir qual sia la sua condizione dall' orgoglio die gli traspare in volto,
grande.
— Ma veggo un licenzialo, degno d’essere osservato. Egli è quello
che vedete a colloquio vicino alla prima finestra con un cavaliere ve-
stito di velluto cincrino. Le loro parole hanno per argomento un afTare
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CAPITOLO DKCIMOTTAVO 285
decisione del re: comandò che que’ medesimi accademici di Toledo,
che d’ora in |xti avessero scritto a seconda dello stile del licenziato,
non potessero più compor libri in avvenire; ed anzi che per meglio
conservare la purezza della lingua casligliana, non fissano succedere
agli accademici, do|N> la lor morte, personaggi d’alta sfera.
all’accademia di Toledo.
— Uu desideroso don Cleofa di saper chi fosse il cavaliere vestito di
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286 IL DIAVOLO ZOPPO
spirito, citarvi una risposta che diede ieri ad una dama, iu una nu-
merosa e gentile società; ma perchè nulla dobbiate perdere della bel-
lezza e dello spirito di questa risposta è d'uopo sapere ch'egli Ita
un fratello chiamato don Andrea l'rada, eh’ era, non son molli anni,
ufficiale come lui nello stesso reggimento.
dispetto degli avi nostri. Dal canto mio, i>er gratitudine, vi regalerò
ciò, stava ieri ad una tavola dove [tarlavasi del signor di Pruda, lit-
taiuolo delle possessioni del re, ed una dama della brigata volgendo
la parola a questo giovine ufliziale, gli domandò se il fittaiuolo era
Lo scolaro die in uno scroscio di risa a tale ris|>osla, che gli sembrò
molto a proposito e spiritosa. Scorgendo |>oscia tutto a un tratto un
omiccino che stava dietro ad un cortigiano, sciamò: — Oh cielo, quante
riverenze fu quell' uomo die vien dietro a quel signore; senza dubbio
vuol domandargli una qualche grazia. — Davvero che vale ben la pena
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CAPITOLO DECIMOTTAVO 287
acque minerali che godono di molto credito. Egli cedè per tre mesi,
senza interesse alcuno ,
la sua casa a questo signore che vi andò a
prendere le acque: prega ora, quel povero infelice, ferventemente
questo cortigiano gonfio di sò, che cammina pettoruto, siccome fosse
l’imperatore della Citta, a volergli essere favorevole in un affare
che gli sta mollo a cuore, ed egli, con tutta cortesia, ricusa di
compiacerlo.
— Non bisogna lasciar [lassare inosservato quel cavaliere di razza
plebea ,
che rompe la folla affettando l’ uomo d’ alto affare. Egli è
diventato immensamente ricco in pochissimo tempo con la scienza sola
dei numeri: egli ba al suo servigio tanti famigli quanti ne può avere
un grande, e la sua mensa è meglio bandita di quella d’un ministro
si per isquisitezza di manicaretti che per abbondanza. Ha un treno
per lui, uno per la sua consorte, un altro jior i suoi figli e nelle
sue scuderie le più belle mule ed i più bei cavalli di questo mondo.
Comprò ben anche, in uno dei passati giorni, e pagò in danari con-
tanti, una superba coppia di cavalli che lo stesso prìncipe di Spagna
avea mercanteggiata c trovata troppo cara. - Affé, sciami) Leandro,
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288 IL DIAVOLO ZOPPO
— Veramente, Zambnllo,
disse conosce dal suo si volto esser egli
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CAPITOLO DECIMOTTAVO 28 !»
colpevoli, senza abbandonarli |>crò alla squali ula miseria che reggo per
In più nelle (irigioni. Visita egli stesso que’ sciagurati, e nulla tralascia
10 già, questi tre spiriti son quelli che di diritto attorniano i principi.
È proibito agli altri di metter piede nelle corti, e non sapea che mi fa-
cessi, quando mi azzardai di «pii condurvi il confessi), fui un teme- :
luogo: sarei addoloralo di vedervi fare alle pugna con i vostri con-
fratelli, senza |H>ler correre in vostro aiuto; poiché m’ immagino che
quand'anche pigliassi parte nel combattimento, non vi sarei utile gran
fatto. — No, senza dubbio, risposi: Asmodeo, poiché non sentirebbero
essi i vostri colpi, c voi perireste sotto il ferreo peso delle loro mani.
Ma, soggiuns’egli, non potendo farvi entrare nel gabinetto del vostro
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CAPITOLO XIX
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CAPITOLO DKCIMOVOltO 29
degli sventurati ; ma quando saprete che moslrandoveli ho divisato di
scoprirvi diverse particolarità della schiavitù di alcuni, ed il belt’im-
broglio in cui si troveranno alcuni altri tornando alle proprie case,
son persuaso non sarete voi mal contento che vi abbia procurato
questo divertimento. — Oh, no! rispose lo scolaro: sì dicendo, cam-
biaste faccia alla cosa, ed anzi vi sarò grato se manterrete la vostra
promessa.
ordine che segue. Andavano essi a piedi , due a dne, con tuttavia in
dosso i loro abiti da schiavi, portando ciascuno la catena sulle spalle.
Un gran numero di religiosi delia Redenzione li precedevano a ca-
vallo di mule bardate di stamigna nera, come se fossero in lutto, ed
uno di que’buon padri portava lo stendardo della Redenzione. I più 1
giovani dei cattivi marciavano alla testa, i più vecchi gli seguitavano:
veniva poscia dietro a tutti, sur uu picciolo cavallo, un religioso dello |
stesso ordine , che avea tutta l’aria d’un profeta. Era infatti il capo
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della missione. Tutti gli occhi degli spettatori erano a lui rivolti per
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la sua gravità, siccome per una lunga e bianca barba che gli dava
un aspetto venerabile. Leggevasi in faccia a questo Musò spaglinolo
la non dicibil gioia che sentiva in ricondurre tanti cristiani ai putrii
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focolari.
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fu rapito daun corsaro, sarnn quatt