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in “150 anni. L’identità linguistica italiana”. Atti del XXXVI Convegno della Società Italiana di Glottologia.

Testi
raccolti a cura di Raffaella Bombi e Vincenzo Orioles. Udine, 27-29 ottobre 2011, Roma 2012: Il Calamo, 29-73.

Domenico Silvestri

L’Italia prima e oltre Roma.


Premesse, storia e destino di un nome

SOMMARIO

1. La ricerca dell’ “antica madre” (Virgilio, Aen. 3, 94-101) e la Saturnia tellus “magna parens frugum… magna virum”
(Virgilio, Georg. 173-174) nel quadro delle prime navigazioni verso occidente (scopi primari: terre da coltivare ed
estrazione o compravendita di metalli) e in vista delle premesse preistoriche e protostoriche del nome Italia. 2. Epos di
viaggi ed enfasi di peripli e di ritorni con possibili “reinterpretazioni” o “rimozioni” di un nome antichissimo: Eracle,
Giasone, Odisseo. 3. L’ dei Greci e l’Ītalia dei Romani: continuità culturale di un nome. 4. Discontinuità
ideologica, peculiarità (e precarietà) della vítel(l)iú della guerra sociale (90-88 a. C.). 5. Il destino di un nome: per una
rilettura di Strabone, Geogr. V e VI. 6. Altri nomi e uno in particolare (Atua). 7. Unità, pluralità e armonizzazione delle
diversità: l’Italia prima e oltre Roma.

1. La ricerca dell’ “antica madre” (Virgilio, Aen. 3, 94-101) e la Saturnia tellus “magna parens
frugum… magna virum” (Virgilio, Georg. 173-174) nel quadro delle prime navigazioni verso
occidente (scopi primari: terre da coltivare ed estrazione o compravendita di metalli) e in vista delle
premesse preistoriche e protostoriche del nome Italia.

1.1. A proposito di alcune fondamentali testimonianze virgiliane

Per una giusta percezione della storia e del destino del nome Italia l’opera di Virgilio e l’Eneide in
particolare costituiscono un riferimento indispensabile. Il viaggio di Enea non casualmente si
inserisce nella tradizione di altri nostoi importanti (Antenore ed Egesto per parte troiana, Diomede e
Filottete per parte greca per tacere per ora sull’indubbia salienza odissiaca),1 a loro volta preceduti
dal viaggio di Minosse in Sicilia alla corte del re Kokalos (sul cui nome morfologicamente
significativo non mancherò di tornare più avanti).2 In tutti questi casi è legittimo scorgere una serie
congruente di riscritture mitostoriche di indubbi viaggi per mare verso occidente di epoca prima
minoica e poi micenea.3 In questo orizzonte culturale diventa significativo l’invito di Apollo di Aen.
3, 94-96 di concepire il viaggio di Enea come un “ritorno”: “Dardanidae duri, quae vos a stirpe
parentum / prima tulit tellus, eadem vos ubere laeto / accipiat reduces: antiquam exquirite matrem”
con implicito riferimento ad un’epoca assai più antica della guerra di Troia. Ma altrettanto
significativo è l’equivoco interpretativo di Anchise (Aen. 3, 104-110), che crede di riconoscere
l’antiqua mater nell’isola di Creta, da dove Teucro maximus...pater sarebbe mosso per approdare
alle spiagge retee, quando “nondum, Ilium et arces / Pergameae steterant” (Aen. 3, 109-110).
Dardano che muove verso l’Anatolia dall’etrusca Corito (poi Cortona)4 e a lui si associa Iaso,

1
Cfr. in ogni caso in tema di navigazione leggendaria nell’Adriatico Braccesi (1969). Per i rapporti tra Filottete ed
Egesto v. Moscati Castelnuovo (1995). Per una lucida rivisitazione storica delle “rotte di Ulisse” cfr. ora Braccesi
(2010).
2
Per il rapporto tra Minosse e Kokalos (e Daidalos! Si noti sin da ora la congruenza morfologica tra questi due nomi e
Italos, l’eponimo dell’Italia!) importanti riferimenti bibliografici sono Pugliese Carratelli (1956) e Sammartano (1989).
3
Sull’argomento la letteratura è vastissima (segnalo in ogni caso Consani 1982). Per un orientamento essenziale rinvio
ai lavori di Pugliese Carratelli e di Marazzi citati in bibliografia. “Fuori dal coro” e per una rivalutazione di una
componente “fenicia prima e poi filistea” della precolonizzazione è Garbini (2000).Per i rapporti tra Egeo, Calabria e
ambiente tirrenico nel tardo II millennio v. Vagnetti (1982). Per le presenze egee in Italia v. anche Ampolo (1990).
4
Su Dardano (e non si dimentichi che Enea è re dei Dardanidi!) v. Colonna (1980) e Musti (1984).

1
Teucro che fa lo stesso viaggio partendo da Creta sembrano esprimere rispetto al Drang nach
Westen della colonizzazione seriore una fase precoloniale estremamente arcaica, la cui figura
protostorica saliente è certamente quella di Minosse. Sottolineo questo punto perché proprio in esso
sta a mio giudizio la chiave interpretativa di certe implicazioni “taurine” nelle spiegazioni già
antiche dell’origine del nome Italia. Ma anche su questo conto di tornare ampiamente più avanti.
L’Italia, quella nota ai Greci già in epoca micenea e che dai greci Micenei riceve il nome (v.
avanti), non è solo antiqua mater di genti anatoliche, ma è anche la Saturnia tellus “magna parens
frugum… magna virum” (Virgilio, Georg. 173-174). A questo proposito vorrei far notare che pochi
versi prima (Georg., 165-167) essa è così definita: “haec eadem argenti rivos aerisque metalla /
ostendit venis atque auro plurima fluxit”. Il riferimento agli aeris metalla “le miniere di rame”,
incastonato tra due richiami generici a due metalli preziosi come l’argento e l’oro, non può essere se
non realistico e rivolto alla parte della più antica  che già nella ben nota testimonianza
omerica coincide con l’area di Témesa. Virgilio “fotografa” –mi si passi l’espressione- i due fattori
motivanti delle più antiche navigazioni: terre da coltivare ed estrazione o compravendita di metalli.
Ma (ri)leggiamo ancora una volta due passi del testo dell’Eneide: il primo riguarda la profezia che
l’ombra di Creusa rivolge ad Enea, in particolare

Aen. 2, 780-782

Longa tibi exilia et vastum maris aequor arandum.


Et terram Hesperiam venies, ubi Lydius arva
inter opima virum leni fluit agmine Thybris

dove il riferimento all’Italia è ancora generico (terra Hesperia, come dire “la terra d’occidente”)
anche se il sintagma opima virum è un chiaro richiamo al magna (sc. parens) virum del sopra citato
passo delle Georgiche e il Lydius...Thybris conferma e consolida il quadro delle ascendenze
anatoliche (di cui Enea è allo stesso tempo premessa e conseguenza). Il secondo passo è assai più
noto ed importante (e qui parlano i Penati, impegnati a correggere –tra l’altro- l’equivoco
interpretativo di Anchise circa il riferimento a Creta)

Aen. 3, 163-171

Est locus, Hesperiam Grai cognomine dicunt,


terra antiqua, potens armis atque ubere glebae;
Oenotri coluere viri, nunc fama minores
Italiam dixisse, ducis de nomine, gentem.
Hae nobis propriae sedes, hinc Dardanus ortus
Iasusque pater, genus a quo principe nostrum.
Surge age et haec laetus longaevo dicta parenti
haud dubitanda refer, Corythum terrasque requirat
Ausonias: Dictaea negat tibi Iuppiter arva.

Il brano è giustamente famoso, se non altro per il fatto che riassume, secondo una successione
significativa, diversi nomi decisamente antichi dell’Italia su cui è possibile fare alcune (inedite)
puntualizzazioni linguistiche. Tutti questi nomi (Hesperia, Oenotria, Italia, Ausonia), di cui uno
solo ha conosciuto il successo che sappiamo (e anche di ciò va cercata o almeno tentata una
spiegazione), sono riassunti nell’espressione coreferenziale Est locus, che appare in una posizione
di forte topicalizzazione. Ettore Paratore, nel commento all’edizione dell’Eneide della Fondazione
Lorenzo Valla (vol.II, pp.129-131), omette di segnalare che Est locus, Hesperiam etc. è una chiara
ripresa di un verso del primo libro degli Annales (XVIII, 22) di Ennio (“Est locus, Hesperiam quam

2
mortales perhibebant”),5 che era stata invece puntualmente segnalata a suo tempo da Macrobio (Sat.
6, 1, 11). Importante è in ogni caso l’uso di cognomine da intendersi qui come “soprannome” o
“epiteto” in bocca greca, non certe come nome canonico, mentre l’apposizione terra antiqua, potens
armis atque ubere glebae del verso successivo è una ripresa con variazione sia del già visto antiqua
mater sia degli ugualmente già visti magna (sc. parens) virum e arva...opima virum. Virgilio, che in
ciò segue Antioco di Siracusa (v. avanti), sottolinea una priorità (anche onomastica!) degli Enotri
nella parte meridionale e orientale della penisola: ciò si ricava non solo dall’uso preteritale di
coluere (che ha per altro un’interessante implicazione abitativa e coltivativa, che allude forse ad una
fase di precolonizzazione più antica di specifica impronta vitivinicola), ma anche dal fatto che
subito dopo entrano in gioco precolonizzatori minores, cioè “più recenti” che –si badi bene-
chiamano non il locus ma la gens con il nome collettivo e sinecistico di Italia (e anche in questo
Virgilio è allineato su Antioco!). Insisto: Italia è per Virgilio (e non casualmente) una
denominazione unificante, per cui il singolare gentem esprime di fatto una pluralità di gentes
(Enotri, Coni, Morgeti, Siculi) viste come entità unica secondo gli occhi seriori e conclusivi della
colonizzazione greca.6 Nei versi successivi il nome Italia è già dilatato, secondo una fuga
prospettica, fino a comprendere con Dardano e Iaso la più ampia Tirrenia e il suo cuore etrusco
nella città di Cortona. Di nuovo compare l’emblematico verbo della “ricerca” sia pure con diverso
prefisso (exquirite vs requirat), mentre il riferimento alle terras...Ausonias costituisce di fatto
un’ulteriore spostamento ad occidente del fatidico percorso. Infine a proposito di Dictaea… arva
faccio notare che il riferimento all’isola di Creta è di grande salienza nel contesto mitostorico della
prima colonizzazione occidentale che è minoica prima ancora di essere micenea (e Minosse si reca
appunto dal re Kokalos in Sicilia, ma ha anche implicazioni con la Sardegna e con la Iapigia!). Enea
è indirizzato non verso le origini della precolonizzazione (Creta, appunto), ma verso le prospettive
di approdo di questa (quella che io ho chiamato l’* alias , appunto). Non a caso
Virgilio usa l’espressione fortemente realistica e assolutamente contingente procul obscuros colles
humilemque videmus Italiam (Aen. 3, 522-523) nella descrizione di questo approdo. A distanza
(procul) prima si intravedono colli (colles) costieri ancora oscuri (obscuros) dal momento che
siamo appena all’inizio del giorno (ma v. avanti!), poi si riconosce la costa bassa dell’ Italia, cioè
quella corrispondente grosso modo alla costa bassa di Otranto (secondo il racconto di Dionigi di
Alicarnasso). Un’Italia alta è invece, a mio giudizio, quella canonica e arcaica (cfr. Antioco)
dell’estrema penisola calabrese. Un richiamo e contrario e un’accorta anticipazione è qui tuttavia,
in chiave puramente evocativa, anche agli altae moenia Romae di Aen. 1, 7. (e ai suoi colles che,
almeno metaforicamente, sono tutt’altro che obscuri). Anzi a questo proposito faccio notare che gli
obscuros colles del passo virgiliano qui in esame potrebbero non rappresentare un effetto ottico così
come comunemente si intende, ma evocare l’antica prassi della navigazione sottocosta, nella quale
le colline costiere (quelle note!) costituiscono punti di riferimento e di orientamento. 7 In questa
prospettiva non mi convince la spiegazione «razionalista» di Servio (quia procul visentibus terra
humilis semper videtur) tanto più che in questo caso si parla in prima battuta di obscuri colles e solo
in seguito ad un avvicinamento effettivo si constata la natura humilis cioè bassa della costa italiana.

5
Per quam riferito a Hesperiam invece di quem riferito a locus cfr. Quinto Ennio, Annali (Libri I-VIII). Introduzione,
testo critico con apparato, traduzione di Enrico Flores, volume I, p.36; Commentari a cura di Enrico Flores, Paolo
Esposito, Giorgio Jackson, Domenico Tomasco, volume II, p.37, Napoli 2000 e 2002: Liguori Editore.
6
A proposito della quale il riferimento indispensabile resta Bérard (19572). Ma per approfondimenti e aggiornamenti si
vedano anche, oltre al “classico” Ridgway (1984) soprattutto i lavori di Braccesi, di Mele e di Musti citati in
bibliografia.
7
Cfr. Braccesi (2010:58): a proposito del “Colle degli Antenoridi” (reminiscenza troiana, retrodatazione della
denominazione!) localizzabile presso Cirene e attestato da Lisimaco di Alessandria (FGrHist 382 F 6) egli fa
giustamente notare che “anche i poggi che all’improvviso emergono dalle bassure, o dai piatti litorali sabbiosi,
costituiscono importante elemento di supporto ottico sulla rotta del navigante antico”. Tale è, in quanto vistosa
presenza, il Monte Titano sulle coste adriatiche per le protonavigazioni greche (Braccesi 2010:96-116). Tali non
potevano essere gli obscuri colles del litorale otrantino per Enea alla sua prima esperienza di approdo nell’

3
1.2. Le prime navigazioni verso occidente e le premesse preistoriche e protostoriche del nome Italia
(scopi primari: terre da coltivare ed estrazione o compravendita di metalli)8

I numerosi studi condotti sull’argomento (e tra questi i più illuminanti fra tutti sono senza dubbio
ascrivibili all’indagine acuta e competente di Pugliese Carratelli) dimostrano che la colonizzazione
greca è stata preceduta nell’Italia meridionale da una serie di traffici marini imputabili a genti
minoiche e micenee. Per parte mia ritengo che su queste stesse rotte si siano mossi, a partire dal
tramonto della civiltà micenea e in stretto nesso con la provenienza anatolica degl Etruschi, genti
“tirreniche” con gli Etruschi strettamente imparentate, responsabili prima della colonizzazione
“tirrenica” di Lemno, poi di quella (finora non riconosciuta o misconosciuta) dell’estrema punta
della penisola, una sorta di “Tirrenia sommersa” (come mi è capitato di chiamarla) fortemente
indiziata dalla copiosa presenza di specifici relitti toponomastici (v. avanti). Queste genti
antichissime si muovono alla ricerca di terre da coltivare (il che presuppone un loro insediamento
stabile) e prima ancora di miniere di rame in particolare (il che presuppone estrazione e lavorazione
del metallo in loco e in appositi siti metallurgici piuttosto che la sua esportazione via mare). Un
fatto colpisce: l’indubbia presenza “tirrenica” a Lemno e all’Elba, che sono aree di gravitazione
metallurgica assai antiche. Un fatto si aggiunge: entrambe le isole portano anche un nome greco,
per me di epoca micenea, che allude senza ombra di dubbio al fumo e al bagliore delle fornaci di
fusione (, ,  sono le congruenti varianti). Un terzo fatto si impone: dal
momento che la terza grande area metallurgica sulle più precoci rotte commerciali è quella di
Témesa nel Bruttium, cioè nell’ , diventa lecito chiedersi se questo nome così
importante per i Greci più antichi non sia altro che una eco –sia pure occultata in gran parte da una
specifica evoluzione fonetica (v. avanti)- di una terza *, anch’essa di epoca micenea, ma
poi rivissuta in bocca tirrenica prima come *Eitalía (questo mutamento fonetico coincide con una
ben nota evoluzione etrusca!), poi come Ītalía con facile monottongazione seriore. Su questa trafila
fonetica mi sono già soffermato a suo tempo come pure sul fatto che la dentale occlusiva sorda –t-
di  rispetto al –- presupposto dalla sua presunta origine greca (in nesso con il verbo 
“brucio, produco fumo”) trova un parallelo e una conferma nel nome del vicinissimo vulcano
dell’Etna (gr. A) che è con ogni evidenza “la montagna che brucia, produce fumo” (senza
trascurare il fatto che essa è anche la sede del dio-fabbro Efesto e dei Ciclopi suoi metallurgici
assistenti). Ma su questi aspetti tornerò ancora più avanti.9

1.2.1. Témesa (nell’  e nella presumibile *.10

Di inestimabile valore è la testimonianza precoce e autorevolissima di Omero, Od. 1, 180-184 che


fa comparire Atena nelle vesti di Mentes, re dei Tafi “amanti del remo” e per di più “figlio di
Anchíalo saggio”, cioè di uno che anche nel nome (che vale “nei pressi del mare, marittimo”) porta
un esplicito riferimento al mare. Compito del sedicente Mentes è di andare sulla rotta occidentale o
“sul mare colore del vino” verso genti straniere per comprare bronzo e vendere ferro e proprio per
questo egli dichiara di volersi recare a Témesa. Ma si ricordi anche che in Od. 15, 427 si fa cenno ai
pirati di Tafo, rapitori di donne, atteggiamento questo che ha evidenti ricadute “tirreniche”
(Giuffrida Ientile 1983) ma anche chiari antecedenti minoici di cui parleremo più avanti, quando
cercheremo di ricondurre a specifiche realtà protostoriche certe peculiari e altrimenti
incomprensibili ...”nuotate taurine” (compresa quella accreditata da Dionigi di Alicarnasso nello
stretto di Messina!). Qui vale la pena di far notare subito che chi da Tafo va verso l’ per
raggiungere Témesa, che è sull’opposta sponda tirrenica, è quasi necessariamente indotto ad

8
Su questo topic un esauriente orientamento è acquisibile in Giardino (1998), ma spunti e osservazioni importanti, nel
quadro delle più antiche navigazioni focee in occidente, sono reperibili in Antonelli (2008).
9
Per la valenza “tirrenica” di questa corrispondenza fonetica v. Devoto (1942: 414-415).
10
Su Témesa fondamentale è il volume collettivo di Maddoli (1982), che fa il punto anche sulla ricerca precedente. Per
la topografia della zona rinvio inoltre ai puntuali lavori di Greco citati in bibliografia.

4
approdare nel golfo di Squillace e a seguire un percorso “istmico” che per la via più breve lo porta
nella parte superiore del golfo di Sant’Eufemia, dove appunto si trova Témesa. L’alternativa è un
periplo lungo e pericoloso, che comporta anche l’attraversamento ancora più pericoloso dello stretto
di Messina. Che il sito di Témesa potesse apparire ai viaggiatori più antichi infuocato e annerito dal
fumo delle fornaci metallurgiche (una vera e propria ... * insomma!) è più che credibile. In
questa prospettiva (che è poi una prospettiva pregreca e necessariamente premicenea, ma non
necessariamente preindoeuropea!) lo stesso nome di Témesa potrebbe diventare significativo, se lo
riconduciamo all’antecedente i.e. di lat. tenebrae, che è ricostruibile come *temə-s-r-ā, dove il
secondo elemento suffissale (-r-) è chiaramente cromonimico, mentre la formazione più antica con
elemento suffissale –s- (a parer nostro continuata in Temesā) è ampiamente legittimata dai suoi
riflessi deuteroetnici (cfr. sanscr. támah ‘tenebre’ con gen. támasah, lit. témsta ‘l’oscurità viene’,
lett. timsa, tumsa ‘oscurità’, ma anche con diversa formazione ant. irl. temel ‘tenebre’ e con
interessanti modulazioni semantiche med. bret. teffal ‘scuro’ e ant. alto ted. demar che è la
condizione di luce relativa dell’alba e del crepuscolo).11 Niente di più probabile che un sito come
quello che ci interessa fosse stato precocemente denominato con un termine di esplicito riferimento
alle nozioni di ‘fosco’ e di ‘scuro’.12 In ogni caso dopo Omero il riferimento al bronzo nel caso di
Témesa diventa topico. In epoca alessandrina Callimaco (fr.85) con riferimento alla fusione a cera
perduta di una statua di bronzo a Locri impiega non casualmente l’aggettivo  poi ripreso
da Ovidio, cfr. infra) mentre in altro frammento (fr.98-99) fa un riferimento ad Eutimo e all’ “eroe
di Temesa”, (cfr. Strabone, Geogr. 6, 1, 5 che parla di Temesa, delle sue miniere di rame e racconta
la storia del pugile Eutimo che ha evidenti e per noi assai significative implicazioni odissiache, cfr.
Od. 10, 224).13 Un cenno va pure fatto a Plinio, N.H. 3, 72 (a proposito del nome più recente
Tempsa), mentre una più attenta considerazione merita Ovidio, sia per il passo di Met. 7, 207-208
(la preghiera di Medea alla Notte e il richiamo ai Temesaea…aera “i bronzi di Temesa”) sia per
quello di Met. 15, 707 (il viaggio di Esculapio, le sue tappe istruttive e soprattutto i
Temeses…metalla “le miniere di Tèmesa”, che sembrano essere un riecheggiamento, anzi una
opportuna puntualizzazione geografica degli aeris metalla evocati da Virgilio in Georg.165-167, v.
sopra).14

1.2.2. Lemno

Se Témesa e la presunta * rappresentano nel Bruttium il fuoco tematicatico della nostra
rilettura preistorica dell’ della seriore colonizzazione greca, Lemno (l’ di Polibio
34, 11, 4 in Stefano di Bisanzio!) nella parte settentrionale dell’Egeo, isola “tirrenica” per
eccellenza (De Simone 1996 è un riferimento imprescindibile) costituisce il primo prezioso tassello
ad oriente di un mosaico metallurgico protostorico che ha –come vedremo- prolungamenti pontici
ed iberici o, ma è lo stesso, costituisce la prima tappa di una “via tirrenica dei metalli strumentali”
di cui Témesa e l’ sono plausibile tappa intermedia e l’Elba è evidente approdo conclusivo.
Lemno è ben documentata in Omero: si considerino Il. 1, 591-594 (estromissione, caduta ed impatto
non casuale di Efesto il dio fabbro a Lemno “col tramonto del sole”, che è appunto un topico punto
di riferimento se si va   ó, cioè –come intendo io questo saliente riferimento
cromonimico- “sulla rotta occidentale”); 2, 722 (Lemno divina); 7, 467-473 (Lemno in rapporto non
casuale con vino, bronzo e ferro); 8, 230-232 (Lemno ancora in rapporto con il vino abbondante);
11
I dati sono desunti dal dizionario etimologico di Ernout e Meillet (s. v. tenebrae).
12
Queste nozioni sembrano ricomparire nella possibile spiegazione etimologica di Atua, che secondo la testimonianza
di Festo sarebbe un altro nome dell’ di esplicita origine “lidia” (nella nostra ottica di presumibile origine
“tirrenica”). Per questo nome si rinvia a quanto diciamo più avanti e nel par.6.
13
Su questa vicenda cfr. Camassa (1982) con interessanti (ma non tutti condivisibili) spunti linguistici.
14
In PWRE il Philipp è reciso nel negare l’identificazione con la città del Bruzzio a vantaggio di quella con una località
quasi omofona di Cipro. Per me invece è decisivo il riferimento omerico alla “rotta occidentale” in nesso con il colore
del mare (cfr. Silvestri 2007). La presenza di rame nell’antichità non è per altro esclusa per l’area, cfr. Guarascio
(1982).

5
14, 230 (Lemno, luogo di incontro tra Hera e Hypnos, ma anche “città del divino Tòante”, padre di
Issipile, che accoglie Giasone e gli argonauti);15 cfr. pure 14, 281 (Hera e Hypnos lasciano Imbro e
Lemno, non “vestiti d’aria” secondo la traduzione della Calzecchi Onesti del duale  
che renderei invece con “avvolti nella caligine”, che poi è quella prodotta dai fumi delle fornaci
metallurgiche: per una conferma callimachea v. avanti!); 21, 40 (Lemno la “ben costruita”, che è
motivo pelasgico e per transizione “tirrenico”); v. anche 21, 46 (“tornato da Lemno”, detto di
Licaone, figlio di Priamo); 21, 58 e 79 (ancora Lemno divina); 24, 753 (Lemno “fumante”! Cfr.
Callimaco, fr. 18, 10, che avvalora questa interpretazione semantica dell’epiteto ó,
che finisce per costituirsi come glossa dell’altro nome ’ attestato da Polibio). Più ristrette
ma non meno significative sono le testimonianze di Od. 8, 283-284 (Lemno: la città ben costruita, la
più cara fra tutte ad Efesto, con doppia valenza pelasgo-tirrenica e metallurgica!), 294 (Lemno e
l’alterità linguistica dei Sinti “dall’accento selvatico”, ma si ricordi che anche gli abitanti di Témesa
sono definiti in Il. 1,183 “genti straniere”, il che indizia fortemente il fatto che in fase postmicenea
sia Lemno sia l’ sono aree non grecofone, e potrebbero essere linguisticamente “tirreniche”),
cfr. anche 301 (la terra di Lemno volutamente non raggiunta da Efesto, che proprio a Lemno è di
casa!). In ogni caso a proposito dell’indubbio carattere “tirrenico” di Lemno rinvio nuovamente a
De Simone 1996, che è molto istruttivo anche riguardo alle implicazioni pelasgiche, e faccio notare
che in etrusco sono attestate forme con forte congruenza fonetica quali lemni (Tarq. Tuscana 5692:
lemni thala), lemniśa (Tarq. 5447, TLE 105: vel:aties:velthurus / lemniśa), lemniteś (Aem. Felsina
NRIE 113 > MAL XX, c.385: lemnitiś), lemnitru (Vols. Ferentium 5643: petrus : velthur : lemnitru)
su cui bisognerà riflettere eventualmente in altra sede.16

1.2.3. Elba

Il nome locale, probabilmente pre-etrusco, è gr. , lat. Ilva, ma l’isola è nota nell’antichità con
nomi di presumibile ascendenza micenea, attestati secondo le varianti greche: ,  e
. Tutt’e tre le varianti sono assai interessanti: la prima è la corrispondente al femminile di
un maschile  attestato come nome di un  (!), cioè di un “fabbro” (ma il riferimento
al metallo specifico è evidente) nella forma ataro in un testo miceneo di Pilo secondo la puntuale
segnalazione di Pugliese Carratelli (1976: 263-267), che non manca di chiamare in causa l’isola
d’Elba.17 L’illustre studioso precisa che la grafia micenea ataro “si alterna con aitaro” per cui “di
aitaro...non si dà altra interpretazione che ” (che -aggiungo io- è con ogni evidenza un
“nome parlante”!). Per parte mia faccio notare, a sostegno di una presumibile * bruzzia,
che l’altro (e negletto!) nome della più antica Italia attestato da Festo Atua potrebbe stare nello
stesso rapporto con una variante non attestata *Aitua le cui proponibili connessioni con fuoco e
fumo metallurgici (gr. !) diventano a questo punto particolarmente evidenti (e non isolata e
probabilmente di matrice tirrenica è, come abbiamo visto, la deaspirazione dell’occlusiva dentale, v.
sopra). In più faccio notare (ma ho già fatto cenni in tal senso, v. sopra) che una formazione
micenea in –-, quale appunto si candida ad essere , sembra avere perspicui antecedenti
“minoici” (, ), mentre l’eponimo ó che morfologicamente “fa sistema”
con questi mostra (e non casualmente) con la sua ossitonia una precoce gravitazione referenziale
verso la condizione di etnico (tipo ó). La seconda variante () fa con ogni evidenza

15
Una curiosa coincidenza fa sì che Témesa, città metallurgica (v. sopra) di precocissima fondazione ausone, sia
rifondata proprio da un Toante, capo degli Etoli alla guerra di Troia (Il. 2, 683), secondo il racconto di Strabone 6, 5.
Per un avvicinamento “tirrenico” di Toante alla più antica Enotria v. avanti, nel testo. Nel fr.71 P. delle Origines di
Catone la fondazione di Témesa viene anche ricondotta “ad Achei di ritorno da Troia”, cfr. su tutto Biraschi (1982).
16
Cenni ma non approfondimenti su lemnitru sono quelli di Battisti in “SE” 31, p.480 e di Colonna, “SE” 40, pp.460-
461. Interessante è lemniteś perché presenta la morfologia derivativa di un etnico (v. in ogni caso “SE” 50, p.308).
17
Per me è altamente sintomatico che il nome del re siciliano  ricompaia come kokaro e attribuito proprio a
un  in un testo di Pilo, cfr. Pugliese Carratelli 1956 in Pugliese Carratelli (1990: 51). La presunzione di un re
“fabbro”non è poi tanto vaga in una Sicilia minoica!

6
sistema non solo con l’ che qui ci interessa ma anche con  in Corsica e con
, che a sua volta sembra configurare un antecedente minoico sulle rotte focee
d’occidente.18 Nel caso della terza variante  può valere dal punto di vista della morfologia
derivativa il confronto con , nome più antico (di fase omerica) della città di Lampsaco della
Propontide (nell’area metallurgica dei Bebrykes!), colonia fondata dai Focei intorno alla metà del
VI sec. a. C. (Antonelli 2008, 75 e cfr. Stefano di Bisanzio, s. v. ). Secondo la
testimonianza di Deioco o Deiloco di Proconneso (FGrHist 471 F 3) “attivo probabilmente attorno
alla metà del V secolo” (Antonelli 2008, 78) la città era   . Essa fu
chiamata anche  secondo la testimonianza di Epafrodito citato nella stessa voce di
Stefano di Bisanzio. Sempre Epafrodito precisa che il nome  è impiegato da Omero (Il.
2,829)     , cioè “perché vi si trovano molti pini” (Antonelli 2008, 78). I
Focei, optando per la forma  come antecedente del poleonimo successivo  o
 (per la cui eziologia si rimanda ad Antonelli 2008, 75-78, che si basa su Carone di
Lampsaco FGrHist 262 F 7 a, F7b e F 8), sembrano riconoscere in essa una legittimazione
omerica, più esattamente “troiana”, ma a questo punto sorge il problema dell’inquadramento
storico-linguistico della forma , che i Focei sembrano aver trovato come traccia di una
preesistenza greca se proprio Carone di Lamsaco parla di un loro incontro con “Bebrykes detti
Pityoessenoi” e di “territorio di Pityoessa” e che forse non casualmente ricompare come punto
saliente di un antico periplo massaliota al largo della costa iberica, di fronte all’insediamento
peninsulare greco di Hemeroskopeion, nel nome delle Pityussae... insulae (Avieno, ora, v.470, v.
anche Strabone 3, 5, 1), le attuali Ibiza e Formentera. Un’indagine sistematica sui nesonimi greci in
– e in – ci potrebbe consentire di ricostruire importanti momenti di protostoria
linguistica. Per quanto riguarda l’ulteriore nome  e la sua scontata eponimia (che chiama
in causa la figlia del re locale Mandrone), faccio notare che esso è isomorfico con 
(Erodoto 1, 57) nell’Ellesponto, nome di un insediamento che lo storico attribuisce a Pelasgi che
avevano condiviso con gli Ateniesi le stesse sedi territoriali(!). In ogni caso  sembra far
sistema (ed è circostanza assai significativa!) proprio con una variante del nome  attestata
nell’Antigone di Sofocle (v. avanti).
La documentazione del nome greco (“l’infuocata”, “la fumosa”) dell’isola d’Elba comincia assai
precocemente con Ecateo nell’Europa (FGrHist 1 F 59), mentre Filisto (V-IV sec. a. C.) appena un
secolo dopo lo cita nel quinto libro dei Sikelikà (FGrHist 556 F 21). Assai interessante (e a suo
modo “sintomatica”) è subito dopo la testimonianza di Aristotele, che nei Mir. 837b, 26-27 (93)
rammenta a proposito di  la “miracolosa” conversione delle miniere di rame in miniere di
ferro, come dire il passaggio da un età metallica ad un’altra, per altro già adombrato nel passo
omerico su Témesa (v. sopra). Coeva è la testimonianza di Scilace 6, che qui ci interessa per la
variante  la cui sagoma morfologica risulta essere quella maggiormente confrontabile con
 in Corsica e con  da una parte, con  dall’altra, di cui a parer nostro
potrebbe essere addirittura l’antecedente formale. Circa un secolo dopo Apollonio Rodio 4, 654
rammenta nuovamente questo solido nome greco dell’Elba, nella forma , e l’Elba nella
nostra ottica “metallurgica” è di fatto un passaggio “obbligato” nel viaggio argonautico.
Successivamente nel I sec. a. C. Diodoro Siculo 4, 56 cita l’isola con rinvio a Timeo, ma a noi
interessa soprattutto 5, 13 dal momento che in questo luogo  (si noti la ricorsività della
forma!) è accompagnata dalla spiegazione del nome con esplicito riferimento alla grande quantità di

18
Importante è quanto dice a proposito di queste formazioni Battisti, Sostrati e parastrati nell’Italia preistorica, Firenze
1959 : Felice Le Monnier, p.12 nota 1 con rinvio a Bertoldi, Colonizzazioni nell’antico Mediterraneo occidentale alla
luce degli aspetti linguistici, Napoli 1950. Libreria Editrice Liguori, p.53-56, a proposito di  e delle sue
cospicue connessioni cretesi Più vago, sempre in Battisti, o.c., p.318 il discorso su Aleria (replica latina di gr.
). Per la dimensione «argonautica» di  è da ricordare la testimonianza di Apollonio (4, 552-556 e
650-654) a proposito delle isole , con morfologia derivativa greca, che sono definite  (acc.) e
sono localizzate in successione (!) «al largo del tratto di costa tra Antibes e Marsiglia» (Paduano-Fusillo).

7
fuliggine. A questo proposito tengo ad osservare che è stato precisato, in modo competente, che le
fornaci metallurgiche destinate a trattare il materiale ferroso proveniente dall’Elba sono da
localizzare soprattutto sulla terraferma toscana antistante,19 per cui si configura non solo
come nesonimo in senso stretto ma anche come coronimo o nome regionale in senso più ampio e
questa circostanza potrebbe spiegare egregiamente anche l’* come supposto nome più
antico del Bruttium. In ogni caso sempre per Diodoro Siculo 11, 88 l’isola d’Elba entra nel dominio
di Siracusa nel 453 a.C. Virgilio, Aen. 10, 174 colloca l’Ilva nella topicità di un’ “isola generosa
dalle inesauste cave del metallo caro ai Calibi”). Successivamente tra I sec. a. C e I sec. d. C.
Strabone 2, 123, ma soprattutto 5, 223-224 con evidente rimbalzo aristotelico (v. sopra) racconta la
“mirabile” circostanza per cui le miniere dell’isola si riempiono continuamente per rigenerazione
del metallo.
Il quadro onomastico che stiamo indagando prende un ulteriore respiro panmediterraneo con la
notizia di Livio 37, 13 che si chiama Aethalia un’isola nel golfo di Efeso, mentre in pieno I sec. d.
C. Plinio, n.h. 3, 12 conferma che Ilva è stata “a Graecis Aethalia dicta”) e in modo ancora più
puntuale per quanto attiene all’arcaicità del nome precisa (n.h. 5, 38) che il priscum nomen
dell’isola di Chio è stato Aethalia. Per tornare all’isola etrusca che Silio Italico 8, 615 chiama con il
nome indigeno di Ilua faccio notare che successivamente Tolomeo (3, 1, 69) ritorna alla forma
greca , mentre in 3, 3, 8 informa che si chiama  anche una piccola isola a nord della
Sardegna. A questo punto non mi posso esimere dal fare osservare che Ilva/ presente la stessa
morfologia derivativa (a parer mio etrusco-mediterranea) del sopra richiamato nome Atua, per la
quale morfologia ho recentemente avanzato l’ipotesi di un’antichissima funzione designativa di
collettivo. Se Atua fosse interpretabile come “la terra delle fornaci” (v. sopra e anche avanti), Ilua
potrebbe avere un valore analogo anche se confronti con il suo presunto elemento radicale *Il- mi
appaiono al momento singolarmente difficili. In ogni caso Ilva è il nome documentato anche da
Rutilio Namaziano 1, 351 a cavallo tra il IV e il V sec. d. C., mentre l’ancora più tardo Stefano di
Bisanzio con rinvio a Filisto, databile tra il V-IV sec. a. C., usa la forma , per la quale
rinviamo a quanto già detto in precedenza.

1.3. Indizi per l’* nell’area dell’antica  nel quadro protostorico di una «Tirrenia
sommersa»

Li abbiamo già presi in considerazione a proposito della città di Temesa, sulla costa tirrenica appena
al di sopra dell’istmo tra i golfi di Sant’Eufemia e di Squillace, rammentata nell’Odissea (1, 184)
con un riferimento non casuale al bronzo e pertanto alle miniere di rame e alle fornaci metallurgiche
e ci siamo soffermati per un’identica imposizione del nome sui casi dell’Elba e di Lemno. Ma esiste
un indizio assai più importante, sul quale intendiamo ora soffermarci per un doveroso
approfondimento. In Apollonio Rodio è documentato due volte e sempre in condizioni di salienza
testuale , che è un argonauta importante e che compare nell’elenco degli eroi tessali,
compagni di Giasone (1, 51-56). La sua città natale è Alope, nei pressi della costa settentrionale del
golfo Maliaco; suoi fratelli, come lui figli di Hermes (il dio messaggero e ingannatore, ma solo lui
porta un nome che è un patronimico!), sono Erito ed Echione, ‘ricchissimi’ (), ‘abili,
esperti di inganni’ (  : si noti il passaggio al duale, che ne fa una coppia topica,
dentro la topicità odissiaca e marinaresca dell’inganno!), sua madre è Eupolomea, figlia di
Mirmidone, di «Ftiotide» (così nella traduzione di Paduano, ma il testo greco dice solo  ‘di
Ftia’, che è etnico in –-, quindi ‘Ftiade’ con riferimento toponomastico omerico!), che lo
partorisce presso le correnti dell’Anfrisso, le cui sorgenti sono sul monte Othris (altra madre,
Antianira, figlia di Menete, per gli altri fratelli!). Le maggiori (e più sintomatiche) notizie su
 provengono tuttavia dai vv.640-652 del I libro, dove egli in funzione di «rapido araldo»
si reca da Issipile, regina di Lemno, per convincerla ad accogliere gli Argonauti. Di lui si dice «a lui

19
dal prof. Giorgio Marinelli dell’Università di Pisa, citato in Pugliese Carratelli (1976. 267-268)

8
affidavano ogni ambasciata/e lo scettro di Hermes, suo padre, che gli concesse/una memoria
incorrotta di tutte le cose,/e anche quando se ne andò alle acque ineffabili dell’Acheronte,/neanche
allora è calato sulla sua mente l’oblio,/ma il suo destino è una salda alternanza,/quando sotto la
terra, quando ai raggi del sole,/in mezzo agli uomini…» e questa descrizione corrisponde
perfettamente alla prima incarnazione di Pitagora, il cui nome è non casualmente (!), il
che ci riconduce alla sede protostorica della prima Italia (alias *), in quanto Pitagora
potrebbe essere stato chiamato così per la sua appartenenza a questo spazio (e a Crotone in
particolare). La fonte è Diogene Laerzio VIII 4 che cita Eraclide Pontico, fr.89 Wehrli = fr.37 Voss;
lo scoliasta invece cita Ferecide (di Siro?) come fonte diretta. In ogni caso  ricompare in
un altro momento topico del poema (3, 1174-1175), quando gli Argonauti «mandarono ad Eeta due
uomini a chiedere il seme,/il prode Telamone ed Etalide, il figlio di Hermes» (cfr. la mia
interpretazione complessiva del passo in chiave «protocerealicola» in Silvestri 2000: 225-230). Su
Pitagora alias  e sul suo essere «Tirreno» alias «protoetrusco» notizie fondamentali sono
in DK 14 B 7, 8. Importante in questa prospettiva mi sembra un altro , un predone tirreno
(!) che Dioniso trasforma in delfino (Hyginus, Fab. 134; altro suo nome è , cfr. Ovidio,
Met. 3, 647, che tuttavia è come  un patronimico, cfr.  e  che in Omero
hanno lo stesso valore di patronimico per designare Zeus). Sulla pirateria tirrena rinvio a Giuffrida
Ientile (1983) e a Briquel (1984).20 Infine non si dovrà trascurare il demo attico di  con
interessanti varianti nel nome (Suida , che per la base richiama il nome greco di Lemno
 di Polibio 34, 11, 4; l’importantissimo  in Esichio, praticamente identico –a
parte l’accento- ai nesonimi già ricordati; infine i demotici , identico all’antroponimo già
visto, e , entrambi documentati da Stefano di Bisanzio). In ogni caso  è l’eroe
eponimo del demo e per lui non sarebbe azzardato ipotizzare una provenienza (o un ritorno)
dall’*, cioè dall’Italia meridionale come abbiamo fatto per Pitagora e mutatis mutandis per
, predone tirreno. A questo punto può (potrebbe) diventare significativo che un greco di
nome  sia vittima di Enea secondo il racconto di Quinto Smirneo (Posthomerica 11,
201ss.).
Per la sagoma morfologica di , che coincide con quella dei patronimici greci in –
(Chantraine, Formation, p.339 e 362-363), che condividono il suffisso –id- con i patronimici
femminili (tipo figlia di Atlante’), si può osservare che come esiste accanto al
patronimico figlia di Atlante’ anche l’etnico femminile con la stessa formazione (tipo
 ‘donna greca’) così accanto ad  ‘figlio di Atreo’ o  ‘discendente di
Priamo’ (ma cfr. anche figlia di Priamo’!) può essere esistito  in quanto
originario patronimico di un epiteto di Ermes  (v. avanti) poi diventato nome
etnico’ con riferimento ad una * nella sede protostorica della prima Italia (il cui
etnico femminile di matrice morfologica greca ma di tradizione latina, cfr. Virgilio, Ovidio,
Marziale, Stazio, etc., è appunto Italis, Italides). Questo significa che gli scrittori latini sentivano il
toponimo come di origine greca o, comunque sia, di tradizione greca (cfr. in Apollonio Rodio una
situazione omomorfica per il rapporti tra  e ), il che avvalora ulteriormente
l’impiego come etnico delle Italides matres di Ovidio nei Fasti 2, 441 e di Italides riferito alle
compagne di Camilla in Virgilio, Aen. 11, 657. Più significativo ancora è in Virgilio, Aen. 10, 564,
11, 297 e 12, 121 l’uso di Ausonidae con l’indubbio valore di etnico di Ausonia, cfr. gr. 
(considerazioni analoghe si possono fare per l’assai più documentato Dardanidae rispetto a
Dardania, cfr. gr. ). Decisivo, se confermato in Callimaco, , maschile plurale,
cfr. anche Anth. Pal. 9, 344.
Si rileggano anche per la salienza mitica dei Ciclopi e dell’Etna Apollonio Rodio, 4, 925-929 e
soprattutto Callimaco, Inno ad Artemide, 46-79 in entrambi i casi con un non casuale
coinvolgimento di Efesto. In Callimaco, l. c., vv.78-79 questo coinvolgimento sembra consentirci
un’agnizione insperata e forse decisiva, dal momento che Hermes coadiuva i Ciclopi (in questo caso

20
Ma si veda anche Biraghi (1952).

9
Arge o Sterope) per spaventare e punire una bambina e questa è la scena:    
 /      «dai recessi della casa arriva Hermes
impiastricciato di cenere nera» (tr. D’Alessio). Per una netta implicazione di Hermes con il fuoco
(in quanto suo sintomatico inventore!) in stretta (e non casuale!) sinergia con Efesto cfr. l’inno
omerico ad Hermes, sp. vv.108-115. Nel caso nostro della supposta * e di  che –
si badi bene!- è un patronimico (convertibile in un etnico, v. sopra!) diventa quasi necessario
pensare al fuoco delle fornaci metallurgiche dei Ciclopi e ad * ‘fiammeggiante e
fuligginoso’ come epiteto encorico di Ermes. Ma in questo modo, se non mi inganno, il cerchio si
chiude e si avvalora ulteriormente l’ipotesi di una più antica * che dopo una sua vicenda
«tirrenica» che ne ridisegna il nome (e di cui si è già detto, ma v. anche avanti) si converte per i
greci della colonizzazione nella seminale ed evocativa .
Giunti a questo punto conviene riprendere e approfondire un nostro discorso già fatto a proposito
della “Tirrenia sommersa” nell’area della più antica  e dei problemi della definizione
fonetica del nome (trafila etrusco-tirrenica del passaggio ai > ei > e/i con intervento per
quest’ultima esitazione di una componente enotria21 e deaspirazione siculo-protolatina del th greco
come nel caso del nome del vulcano ). Faccio notare che salvo diversa lettura (La Regina)
l’esitazione e/i ricompare anche nell’etalicom del bronzo marsicano di Caso Cantovio (senza traccia
di v- italica come vorrebbe la tradizione indigena del nome!): la cosa è stata da me segnalata
(Silvestri 2000:247-248) e non era sfuggita a Domenico Musti (Musti 1987:37).
Per un corretto percorso protostorico in questa direzione non cercherò in nessun modo (implicito o
esplicito) di evocare gli antichi fantasmi del sostrato mediterraneo per appagarmi delle sue (vaghe)
assonanze radicali con il lessico etrusco. Cercherò invece di mostrare che sussiste una comparabilità
apprezzabile, cioè secondo una pienezza lessematica, tra il patrimonio toponomastico etrusco (e, più
in generale, pelasgo-tirrenico) e quello reperibile nell’area della più antica  e nei suoi
immediati dintorni (area bruzio-lucana). Un fatto, in ogni caso, è da sottolineare: i Tirreni orientali
(e l’isola di Lemno è una tappa evidente del loro viaggio verso occidente, cfr. De Simone 1996),
che qui sono da me assunti come possibili protocolonizzatori del Bruttium in concomitanza o in
immediata contiguità cronologica con la precolonizzazione micenea, potrebbero essere stati i
responsabili del nome del Golfo di Squillace (la via d’accesso all’istmo e, sulla costa opposta, a
Témesa famosa nella tradizione omerica per le sue miniere di rame e per il suo bronzo!), se, dopo le
accertate connessioni tirreno(orientali)-pelasgiche ad opera di De Simone (1996), è vero che la
variante Scyl(l)aceum (forma seriore: Scolacium), che sembra rispecchiare una tradizione più
autentica rispetto alla forma di tradizione greca , ricorda molto da vicino il nome
dell’insediamento (tirreno-)pelasgico di ÓêõëÜêç nell’Ellesponto (Erodoto 1, 57). A questo
proposito si noti che nella stessa area, in provincia di Reggio Calabria, è attestato il sito moderno di
Plàcanica (cfr. sec. XVI «Paganica vulgo Motta Placanica e v. gr.ðëÜêá “pietra piatta»)22, il cui
nome sembra essere uno sviluppo neolatino di un termine che è praticamente identico al toponimo
Ðëáêßá, l’altra città tirreno(orientale)-pelasgica attestata da Erodoto (l.c.) ad oriente di Cizico
(Misia minore). Se questi sono i possibili riflessi toponomastici di una provenienza tirrenica
orientale di protocolonizzatori dell’ , altre coincidenze toponomastiche tra “Tirrenia
sommersa” ed Etruria sembrano costituire un reticolo non casuale che tende ad avvalorare la nostra
ipotesi protostorica. L’elenco che segue non è frutto di uno spoglio sistematico ed ha pertanto una
funzione puramente orientativa:

, città degli Enotri (Erodiano ed Ecateo in Stefano Bizantino), l’attuale località di Rende in
provincia di Cosenza, cfr. etr. Arnth;

21
Casi segnalati in Poccetti (2001:158-162).
22
Cfr. Gasca Queirazza, G., Marcato, C., Pellegrini, G. B., Petracco Sicardi, G., Rossebastiano, A. (a cura di),
Dizionario di toponomastica. Storia e significato dei nomi geografici italiani, Torino1990: UTET, s.v .

10
, città della Lucania (St.Byz.), cfr. l’idronimo Arnus;

, insediamento enotrio, cfr. etrusco-italico Ariminum (sud-piceno eriminu!) e, per la


varianza vocalica iniziale, etr. alcsentre/elachsantre, etc. e IÁñçò , IÅñçò , fiume del Bruzio
(Licofrone, Alessandra 730 e scolii a Licofrone);

, fiume del Bruzio, che segna il confine tra la Locride e il territorio di Reggio (Pausania 6,
6, 4) e fiume etrusco-latino Caecina (attuale Cècina): per la forma con lunga nella vocale suffissale
tonica, cfr. l’identico rapporto tra  di Str. 6, 254 e l’attuale Vèrtine (v. avanti). Faccio
tuttavia notare che in Stefano di Bisanzio è attestato con interessante ritrazione dell’accento
   con riferimento al secondo libro dei  di Filisto. Si può
trattare, in prima istanza, di formazione “tirreno(etrusca)” in -na, per cui si avvalorerebbe una
connessione (importante per il nostro assunto) con il fiume micrasiatico Êáßêïò (Misia: Esiodo,
Teog. 343; Erodoto 6, 28; 7, 42; Virgilio, Georg. 4, 370).23 D’altra parte Caicus è in Virgilio. Aen.
1, 183 uno dei condottieri della flotta troiana (forse non casualmente associato ad un altro
condottiero, Capys, che è l’eponimo di Capua (per Ecateo FGrHist 1, 25 Capua è 
!)24 e ritorna con una certa salienza in Aen. 9, 35. Qui attiro l’attenzione sulla variante
 (Pausania 6, 4, 4), che rispecchia una condizione di monottongazione assai antica e
straordinariamente importante per il nostro assunto etimologico intorno all’origine e alla trafila
fonetica del nome  (v. sopra) e faccio notare che proprio in etrusco è attestata la stessa
trafila (per es. in Kaikna > Ceicna > Cecna) che porta alla monottongazione.

, identica all’etrusca Cortona, che le fonti greche attestano spesso come , in perfetta
omofonia con la città del Bruttium: in realtà qui è in gioco un’alternanza fonotattica -rC-/-Cr- con
preferenza della prima alternativa nell’Etruria proprie dicta, della seconda in area latino-italica (cfr.
etr. persipnai rispetto a lat. Proserpina, etr.-lat. Tarsumennus di Quintiliano (Institutiones
Oratoriae 1, 5, 13)25 rispetto a lat. Trasimenus, *Turs-na, con plausibile sagoma morfologica
indigena, cfr. Rasna, rispetto ad [E]trus-c[us] con protesi vocalica e allotropia derivativa).26 Il fatto
che gli autori greci usino la seconda alternativa fonotattica per designare la città etrusca non è solo
indizio di un modello magnogreco estraneo all’Etruria proprie dicta, ma anche riprova di una
percezione di identità onomastica. Preziosa è, in ogni caso, la testimonianza di Stefano Bizantino,
che parla di tre “Crotone”, la prima “celebre città” dell’, la seconda “metropoli” della
 (la città etrusca appunto), la terza -evidentemente meno importante, ma non meno
significativa, proprio per la sua collocazione geografica- ancora nell’. E’ evidente che in
questa moltiplicazione dei nomi si cela un valore generico del termine (“città recintata”, se diamo
rilievo alla sua etimologia, che è piuttosto evidente, cfr. lat. hortus e forme affini), che definirei per
evidenti motivi indoeuropeo o, meglio, dato il contesto areale, perindoeuropeo;

Teuranus ager, Bruttium, CIL I 581, cfr. etr. theuru “toro” in eurumines “Minotauro” in un’idria
attica da Cerveteri: il confronto è importante anche per a/e, che ritroviamo nella già vista coppia
onomastica etrusca alcsentre/elachsantre e, fatto ancora più significativo, in IÁñçò/IÅñçò, fiume del
23
Per un’interpretazione etimologica del nome vale forse il riferimento a gr. ‘vento di nord-est’, che ha lo
stesso valore dell’anemonimo lat. volturnus rispetto all’idronimo Volturnus (un fiume con molte anse, un vento con
molti mulinelli?)
24
Questo crea problemi agli storici, ma potrebbe essere la prova che sia esistita nel Bruzzio un’altra Capua in
solidarietà morfologica con Atua, altro nome dell’  attestato in Paolo Festo, a sua volta ricollegata ad un
eponimo Atys, che è un re lidio (!) e su cui torneremo più avanti.
25
Questa fonotassi è confermata dalla forma indigena etrusca taršminass nella Tabula Cortonensis.
26
In realtà la variazione suffissale è “marca” etnolinguistica di “provenienza” e si inquadra perfettamente nel suo
impiego latino a Roma. Per il problema della pertinentizzazione dell’ “appartenenza” e della “provenienza” nell’Italia,
nel quadro di un complesso gioco di autonimia ed eteronimia, cfr. Silvestri 2005-2006 e v. anche avanti.

11
Bruzzio (v. sopra): cfr. in questa prospettiva anche “enotrio” IÅñéìïí rispetto ad etrusco-italico
Ariminum e sud-piceno eriminu;

Tursi (Mt), cfr.   di Filisto, FGrHist. 556 e : la forma del
toponimo greco è derivata da etnico (cfr. , popolazione locale, e il già visto 
per l’evidente omologia morfotattica dell’elemento –-), mentre Tursi è da un *Tursium (formato
come Bruttium e ), che presenta l’elemento onomastico radicale *Turs- (v. sopra) che in
 appare con il “canonico” suffisso derivativo greco; questo, a sua volta, è per me
“riscrittura” della formante etrusca -na, cfr. il tipo Velzna- e l’inferibile *Tursna, v. sopra, da cui
forse con normale adattamento fonetico anche il virgiliano Tur[s]nus);

Vèlatro, nome di una montagna della Calabria settentrionale, cfr. etr. Velathri e volsco Velītrae
(l’elemento derivativo -tr- potrebbe essere lo stesso che ricompare in  e in vari altri
toponimi antichi di area centro-meridionale);

 di Strabone VI,254, cfr. l’attuale Vèrtine, piccolo insediamento presso Radda in Chianti
(e v. il caso analogo di  / Cècina trattato in precedenza);

Volcei , cfr. Vulci e ora il nome individuale  su piccola olpe della necropoli di Fratte.27

A parer nostro questa breve elencazione è sufficiente a corroborare, se non addirittura a confermare
l’ipotesi di una “Tirrenia sommersa”, una sorta di fase linguistica finora (quasi) ignorata o, almeno,
non sufficientemente apprezzata del Bruttium (o, meglio, della seminale ), compresa tra
quella delle ondate di avanzamento egeo-anatoliche con sicure componenti indoeuropee o, almeno,
micenee, e quelle delle emergenze storiche della colonizzazione greca e dell’espansione protoitalica
(componente enotria), italica (componente brettio-lucana) e, infine, latina (conquista romana).

2. Epos di viaggi ed enfasi di peripli e di ritorni con possibili “reinterpretazioni” o “rimozioni” di un


nome antichissimo: Eracle, Giasone, Odisseo.

2.1. Eracle

Eracle, topicamente collegato alle dodici canoniche “fatiche” è indubbiamente un eroe di viaggi non
casualmente associato a quello prototipico degli Argonauti. Tra questi viaggi due in particolare ci
interessano per le loro più e meno evidenti implicazioni “minoiche” e “taurine”, che dal mio
particolare punto di vista è come dire la stessa cosa. Il primo, secondo il racconto di Apollodoro
(Biblioteca II, 5, 94-95) lo porta proprio a Creta per catturare e domare d’intesa con Minosse un
toro furioso. Il secondo viaggio è assai più lungo ed impegnativo (cfr. Apollodoro, Biblioteca II, 5,
106-112): Euristeo impone come decima fatica ad Eracle di portargli da Erizia le vacche di Gerione
ed Erizia è appunto un’isola situata vicina all’Oceano nell’estremo occidente. Interessante è il
percorso “paralico” di Eracle che, attraversata l’Europa, “giunse in Libia e poi a Tartesso, dove
collocò a memoria del suo passaggio, due colonne, una di fronte all’altra, ai confini dell’Europa e
della Libia” (tr. di M. G. Ciani), perché questo è un percorso “paralico” eubeo;28 ma ancora più
interessante è il viaggio di ritorno, dopo l’uccisione di Gerione e il prelevamento dell’armento,
perché con esso si realizza l’intero periplo del Mediterraneo occidentale e questo è un percorso
“paralico” foceo.29 Tale percorso nel caso di Eracle comincia da Tartesso, prosegue, costeggiando la
penisola iberica, fino alla Liguria, continua con l’attraversamento della Tirrenia e ha un suo

27
Per un possibile inquadramento non etrusco ma illirico di questo nome cfr. Krahe (1940).
28
Illuminanti in tal senso sono le considerazioni di Braccesi (2010:39-70), che tuttavia non fa richiami al percorso di
Eracle.
29
Cfr. in tal senso Antonelli (2008:145-160), che parla di “nuova rotta verso Tartesso”.

12
episodio saliente nella zona che ci interessa: “A Reggio, un toro si allontana, si tuffa in mare,
raggiunge a nuoto la Sicilia, e, dopo aver attraversato il paese vicino [che dal suo nome fu chiamato
Italia (i Tirreni chiamano infatti il toro italos)] giunge nella pianura di Erice che regnava sugli
Elimi” (tr. di M. G. Ciani). Tutto il brano riportato tra parentesi quadre nella sua ingenua e
tautologica eziologia ha l’aria di un’interpolazione,30 ma l’episodio del toro nuotatore rappresenta
una salienza importante, se consideriamo la notizia riportata in Diodoro Siculo 4, 22 ed assunta da
Timeo secondo la quale Eracle fece passare la mandria attraverso lo stretto di Messina e lui stesso
l’attraversò (    ó   ó) avendo preso il toro ...per
le corna con l’evidente intenzione di guidarlo meglio nella sua funzione di strano (ma non troppo!)
mezzo di navigazione. Qui non si tratta (come in Dionigi di Alicarnasso, che cita Ellanico di Lesbo,
v. avanti) di improbabili vitelli o meglio vitelle “smarrite” che diventano (con mirabile cambio di
sesso e crescita miracolosa!) un rispettabile toro (che notoriamente è animale totemico italico), ma
di un “toro” tutto particolare che nuota con Eracle (e per Eracle!) attraverso lo stretto di Messina.
Ma di che cosa si tratta? La risposta viene da una rivisitazione di antiche storie di rapimenti
femminili (Io, Europa) realizzati per mezzo di tori natanti o apparentemente tali. A proposito del
toro usato da Eracle come “natante” solo apparentemente improprio per attraversare lo stretto faccio
notare che Alessandro Barchiesi, nel suo commento al libro II (vv.852-856) delle Metamorfosi, in
cui è descritto il ratto di Europa da parte di Zeus mutato in candido toro (cfr. Ovidio, Metamorfosi,
Volume I, Libri I-II, Fondazione Lorenzo Valla, Milano 2005: Arnoldo Mondadori Editore, p.309)
dice: “La stranezza, anzi l’unicità assoluta, di questo toro navigante desta meraviglia (cfr. Mosco,
Europa 141-5; Nonno, I 93-7…”. Non è così, se si tiene nel debito conto la testimonianza di Timeo;
se ci si ricorda che il dio-toro egiziano Min (a cui a mio giudizio non è estraneo il nome di
Minosse!) è di colore bianco; se si valorizza il carattere di redender Name di , amata da
Zeus, a sua volta fortemente associato a Creta, e madre di Minosse (!), cioè “dai grandi occhi”
bovini (cfr. , che è epiteto omerico con possibili echi minoici di Hera); se, infine, si inscrive
la dimensione “bovina” che riguarda la più antica  in un orizzonte mitostorico di
protonavigazioni minoiche, di cui il recupero “italico” è solo replica identitaria tardiva e con
specifica riscrittura eziologica. Anche la trasformazione di Io, figlia del fiume Inaco ed amata da
Zeus, in vacca (Ovidio, Met. 1, 583-750) e la sua ricomparsa nella veste della dea egizia Iside (!)
con corna lunari (Ovidio, Met. 9, 687-694) e corteggio di dei egizi ( Anubi, Bubasti, Api, Osiride) si
inscrive in un orizzonte di rapporti marittimi sicuramente premicenei. Notevole è il fatto che
proprio nel poemetto Europa di Mosco (di Siracusa, II sec. a. C.!), citato da Barchiesi, ci sia nella
descrizione del canestro istoriato di Europa l’ di alcune scene del mito di Io. Per una
testimonianza che demitizza e allo stesso tempo conferma questo quadro cfr. Erodoto 1, 1-3 (Io è la
figlia del re di Argo, è rapita dai Fenici e giunge in Egitto; Greci, provenienti da Creta, vanno a Tiro
in Fenicia e rapiscono Europa; Giasone va in Colchide e rapisce Medea; Paride va a Sparta e rapisce
Elena; e tutto avviene prima della guerra di Troia, in una dimensione minoico-micenea appunto con
cui si misurano tutte le grandi dimensioni etniche e marinaresche dell’epoca protostorica…). Per
una doppia testimonianza che riconduce al mito e lo spiega cfr. Licofrone, Alessandra, vv. 1291-
1295: ratto di Io; vv.1296-1301: ratto di Europa). A proposito della prima eroina segnalo la
descrizione-interpretazione (“vergine bovina dai grandi occhi”, tr. di V. Gigante Lanzara); a
proposito della seconda la chiosa risolutiva (“prigioniera in una nave con l’insegna del toro”, tr. di
V. Gigante Lanzara), che spiega oltre ogni legittimo dubbio che lo stretto di Messina e la Calabria
meridionale, quando si fa riferimento a tori nuotatori, serbano l’eco di remote imprese della
talassocrazia cretese (navi con l’insegna del toro appunto!) e non attestano affatto salienze indigene
bovine nel quadro di mal rivendicate eziologie italiche. A questo punto risulta piuttosto facile
smontare la testimonianza di Ellanico (V sec. a. C.) letta tuttavia con seriori “occhiali italici” da
Dionigi di Alicarnasso (1, 35). In questo caso faccio notare che nel racconto di Ellanico a proposito
30
In ogni caso quando nelle fonti greche si fa riferimento ai “Tirreni” non è sempre necessario intendere in senso stretto
gli Etruschi, tanto più che abbiamo appena visto che in etrusco il ‘toro’ è denominato euru (cfr. anche euruclnas,
epiteto di Dioniso, cioè “” secondo l’indicazione di Kretschmer in “Glotta” 28, p.266).

13
del passaggio di Eracle nello stretto di Messina si parla in primo luogo di    (cioè
di un animale giovane che in greco è costantemente femminile), poi gli si fa cambiare sesso (
!) e questo è in greco un unicum di genere maschile palesemente strumentale ai fini
dell’eziologia da proporre, poi gli si attribuisce il nome indigeno (in realtà palesemente ed
anacronisticamente latino)  e conseguentemente si chiama  il territorio dove è
avvenuto questo fugace passaggio (altri poi correrà ai ripari inventando per la povera  un
altrettanto improbabile  ‘vitello’, confermato per altro solo in Dione Cassio, fr.4, 2), che non
riesce a rimettere a posto le cose. Bizzarra, ma non frutto di lapsus calami, semmai indizio di
lapsus...freudiano, è la soluzione mulleriana nell’edizione del frammento in cui da un 
(che sembra la trascrizione di una parola latina!) si fa derivare una  che di fatto
rappresenta un autentico compromesso storico-linguistico (in cui si tenta di porre rimedio anche a
una mancata corrispondenza vocalica). Per altro solo alcune righe più avanti a proposito
dell’ appena istituita si fa riferimento a un , il che equivale a dire che questo
prodigioso (e improbabile) animale è nel frattempo e in un batter d’occhi... cresciuto! Siamo in
presenza di una chiara (anche se maldestra) operazione eziologica, che poi sarà riciclata in chiave
italica e provvisoriamente antiromana con un altrettanto improbabile e strumentale (ma non casuale)
richiamo a “vitelli” contingenti e con maggiore pertinenza a... tori di lunga durata. Ma su questo
torneremo più avanti.

2.2. Giasone

Nel caso del grande poema di Apollonio Rodio (III sec. a. C.) ci siamo già soffermati su 1, 51-56 a
proposito di  e dei suoi fratelli con un sintomatico padre divino comune, il cui epiteto di
fase micenea  è di fatto un nome evocativo di evidenti implicazioni metallurgiche. Lo
stesso discorso implicativo vale per 1,202-206 a proposito di un altro argonauta, Polemonio, figlio
di Efesto ( secondo la testimonianza di Apollodoro, Biblioteca I, 9, 112, e questo è il
nome con il quale, sempre secondo Apollodoro, Biblioteca III, 4, 29 i naviganti in difficoltà
invocano Melicerte, figlio di Ino, che invece nelle stesse circostanze viene chiamata Leucotea).
Faccio notare che in 1, 229-233 compare il vero nome collettivo degli argonauti  (acc.), che
potrebbe configurarsi come un eteronimo minoico e che è in ogni caso il nome omerico degli
abitanti di Orcomeno, città della parte settentrionale della Beozia. In 1, 579-591 si fa menzione
della fertile terra pelasga con riferimento alla prima navigazione costiera, mentre in un orizzonte
pelasgico si colloca in ogni caso l’episodio dell’approdo e del soggiorno a Lemno (1, 607-909). Si
noti che Toante, il vecchio re di Lemno porta lo stesso nome di Toante, capo degli Etoli alla guerra
di Troia (Il. 2, 683) e, fatto ancora più significativo, si chiama così il (ri)fondatore di Temesa (!),
mentre l’isola  dove il re di Lemno trova asilo richiama più da lontano l’evocativa 
Ai nostri fini momenti salienti in chiave di protocolonizzazione riguardano  come
messaggero di Giasone (ed esperto di lingua lemnia?), e ovviamente il vino e la fertilità di Lemno.
In 2,2 si rammentano i Bebrici in Bitinia, per i quali è inevitabile il confronto con i Bebrici,
popolazione iberica della Gallia Narbonense, in una ben nota area di miniere di metalli31, mentre in
2, 141 si mettono in stretto rapporto i Bebrici e la regione ricca di ferro. Sintomatico è anche in 2,
374-376 il richiamo ad un topico popolo siderurgico, i Calibi, che lavorano «un suolo durissimo e
aspro e ne estraggono il ferro» (tr. di G. Paduano). Sempre in 2, 1000-1008 i Calibi sono fortemente
caratterizzati come «uomini che non si curano di arare coi buoi, non coltivano / i dolci frutti degli
orti, non portano al pascolo / le bestie sui prati bagnati dalla rugiada, / ma aprono il duro terreno che
produce ferro / e vendono il ferro e ne traggono i mezzi di vita. / Non sorge per loro un’alba senza
fatica, e sopportano / il duro lavoro in mezzo al fumo ed alla fuliggine» (tr. di G. Paduano). Questi
cenni fanno agevolmente comprendere che il viaggio degli argonauti non si svolge in modo casuale,
ma tocca invece tappe salienti di una «via dei metalli» (Lemno, i Bebrici, i Calibi). Non

31
A questo proposito ha fatto opportune puntualizzazioni Antonelli (2008:75-85).

14
casualmente, al loro arrivo, essi si trovano (3, 218-221) davanti ai capitelli di bronzo della reggia di
Eeta, a proposito della quale (3, 222-240) sono accuratamente descritte le altre sintomatiche opere
di Efesto(!). A questo punto non può essere casuale che in 3, 248 essi si imbattano in Calciope o
, sorella di Medea, che porta con ogni evidenza un nome che evoca il bronzo, come pure
mutatis mutandis in 3, 309-313 Circe, sorella di Eeta, si colloca non casualmente in una dimensione
«tirrenica». Si può anche osservare che in modo sintomatico in 3, 401-421 Eeta propone a Giasone
la prova dei tori dagli zoccoli di bronzo, che sputano fuoco dalle narici (come vere e proprie
fornaci!) ed altre prove successive che adombrano le tecniche del debbio (con ulteriore ricorso al
fuoco!) e delle conseguenti aratura, semina, mietitura e molitura. In 3, 1090-1101 Giasone,
rispondendo a Medea, parla di Minia, il figlio di Eolo, e poi evoca non casualmente Arianna con le
sue implicazioni minoiche. Sempre in 3, 1174-1190 ricompare il già da noi valorizzato 
che va a raccogliere i denti del drago nella loro funzione di semi, mentre in 3, 1278-1407 è
raccontata la vittoriosa prova di Giasone con i suoi sintomatici particolari, attentamente e
consapevolmente ripresi da Ovidio (v. avanti). Nel libro conclusivo (in particolare 4, 552-556) si
sottolinea l’apparentemente paradossale ritorno degli argonauti che li proietta attraverso un percorso
fluviale abbastanza indefinito su una rotta occidentale dove essi si imbattono prima (4, 649-664)
nelle isole Stecadi, che in coerenza con il loro nome stanno bene «allineate» al largo della costa
compresa tra Antibes e Marsiglia. Segue, sulla già evocata «via dei metalli», ma in questo caso
secondo una vera e propria logica di periplo, l’immancabile tappa dell’isola Etalia (citata secondo la
forma più ricorsiva ), che a detta di Apollonio serba ancora ai suoi tempi tracce fattuali e
onomastiche del passaggio degli argonauti. Poi essi secondo un consolidato percorso paralico
scendono lungo le coste tirreniche dove avviene l’incontro con Circe. Più avanti (4, 885-929)
l’appuntamento altrettanto topico con le Sirene, il passaggio periglioso di Scilla e Cariddi, e
soprattutto con enfasi metallurgica evidente (ma siamo nell’!) l’agnizione della terra del
fuoco e del lavoro di Efesto: «e là dove prima era scaturita la fiamma / dalla cima degli scogli, sopra
la roccia infuocata, / l’aria era scura dal fumo e non si vedevano / i raggi del sole. E anche allora,
sebbene Efesto / avesse smesso il lavoro, il mare esalava un caldo vapore» (tr. di G. Paduano). Due
cenni conclusivi farò a proposito di questo sintomatico viaggio: l’insistenza con la quale in 4, 982-
994 la terra dei Feaci è associata alla coltivazione del grano (terre da coltivare appunto) e in 4,
1638-1688 l’episodio quasi conclusivo a Creta dell’incontro non casuale con Talos, l’ «uomo di
bronzo» (come dire: metalli da acquisire, appunto, e tra questi l’emblematico bronzo!).
Ovidio, un paio di secoli dopo, replica da par suo in Met. 7, 100-142 la lotta di Giasone contro i tori
dagli zoccoli di bronzo e le altre imprese immediatamente successive: ignicoltura o debbio,
aggiogamento, aratura, semina, mietitura, trebbiatura e molitura!

2.3. Odisseo

Momenti e luoghi omerici salienti sono come è noto Corcira e l’isola dei Feaci, Scilla e Cariddi
nello stretto di Messina, il pascolo dei buoi del Sole nell’area nord-orientale della Sicilia (cfr. in tal
senso le le già rilevate implicazioni minoiche di Eracle e del re siciliano Kokalos), l’Etna e i Ciclopi
nella stessa zona, i Lestrigoni a Leontini, Eolo e l’arcipelago delle Lipari (con implicazioni
ciclopiche in Callimaco, v. avanti), le Sirene negli scogli davanti alla penisola sorrentina, i Campi
Flegrei e il lago di Averno dove Ulisse interroga i morti, Circe e il suo omonimo promontorio. Tutti
questi luoghi hanno frequentazioni più e meno arcaiche in fase di precolonizzazione e di successiva
colonizzazione greca (echi di ciò in Tucidide e prima ancora in Esiodo, che parla in Teog. 1011-
1016 di Agrio e Latino, figli di Ulisse e Circe, che “regnavano molto lontano, nel mezzo di isole
sacre, su tutti gli illustri Tirreni”). Qui si allude all’arcipelago toscano e in particolare all’Elba con
tutte le sue già viste implicazioni metallifere e metallurgiche. In ogni caso l’Odissea non enfatizza
in nessun modo il periplo, come abbiamo invece visto nella vicenda argonautica, semmai esaspera
in una divagante iterazione la dimensione del “ritorno”. Dietro tuttavia ci sono, come ha dimostrato
da par suo, Lorenzo Braccesi (2010) echi trasfigurati di antichissime rotte marine mediterranee fino

15
all’ultima scommessa, che è appunto la navigazione dell’oceano (Braccesi 2010:117-134). Sulla
“rotta nord-mediterranea: dallo Ionio al Tirreno” (Braccesi 2010:14-38) come pure su quella “sud-
mediterranea: dal Ponto Eussino all’Atlantico” (Braccesi 2010:39-70) si muovono gli Eubei, che nel
secondo caso si spingono fino a Tartesso secondo significative tradizioni tessale e troiane.32 Ma le
“Odýsseiai” riguardano anche la “rotta settentrionale: dallo Ionio al ‘caput Adriae’ (Braccesi
2010:71-95) e “l’Adriatico e il monte Titano” (Braccesi 2010: 96-116). Qui è impossibile rendere
conto delle molteplici acquisizioni di uno Studioso dalla cui opera complessiva discende una assai
migliore e più puntuale conoscenza del progressivo costituirsi della grecità d’occidente. Odisseo,
dopo la lettura del suo libro, è –come l’ha visto il Ciclope- un po’ mercante un po’ pirata, è
insomma un greco prototipico della precolonizzazione. I “mercanti greci... già da un’epoca
remotissima, per importare metalli giungono in Etruria, diretti in particolare all’Elba” (Braccesi
2010:18), ma aggiungiano noi giungono anche a Témesa e all’, che porta un nome molto
simile a quello miceneo dell’isola d’Elba e costituisce una situazione molto simile se dobbiamo
prestar fede alla testimonianza omerica (v. sopra).33

3. L’  dei Greci e l’Ītalia dei Romani: continuità culturale di un nome.

Tra VI e V sec. a. C. Ecateo di Mileto con riferimento a Capua e a Capri parla rispettivamente di
  e di   (FGrHist 1 F 62-63) secondo una visione areale “tirrenica”
precocemente dilatata rispetto alla successiva restrizione antiochea (v avanti), alla quale fa eco
sempre in Ecateo con riferimento alla Japigia (FGrHist 1 F 86-87) una visione areale “ionica” con
analoga ma meno cospicua dilatazione, mentre da altri frammenti ecataici (FGrHist 1 F 81, 83, 84,
85) relativi agli insediamenti di Locri, Medma, Caulonia e Crotalla non risulta chiaro il limite
settentrionale di questa comunque sia estesa .34 Al riguardo rinvio alle acute osservazioni di
Ettore Lepore (1963:93-94) che si chiede se lo storico di Mileto “non abbia potuto avere un
concetto ‘geografico’ (ma già non solo geografico) della , esteso quanto la potenza sibaritica
poteva già imporre” e fa notare che “Temistocle, così legato a prospettive ed ‘eredità’ ioniche
chiamerà una figlia Sibari e un’altra Italia”. Già da queste prime osservazioni si può agevolmente
ricavare quanto conti il punto di vista greco nella più antica storia del nome che ci interessa e in
particolare nella sua capacità di espanderne il riferimento territoriale e di focalizzarne allo stesso
tempo la forza evocatrice. In ogni caso sono molto importanti le osservazioni di Lepore nel lavoro
citato (1963) a proposito dell’amalgama costituito nei secoli successivi dall’ greco-bruzia,
che dà l’impronta alla successiva “recezione del concetto d’Italia” in cui “non si può ...distinguere
nettamente...l’apporto greco da quello sabellico”. Altrettanto importanti, alla luce di una lucida
percezione storica, sono le sue considerazioni a proposito dell’etimologia tràdita del nome, quando
di Ellanico (ripreso e a parer mio filtrato e ulteriormente deformato attraverso la seriore citazione di
Dionigi di Alicarnasso, v. sopra) dice “che forse il nome  ritenne derivato dal nome locale
del vitello () presupponendo un digamma dinanzi al nome greco più antico dell’Italia dei
suoi tempi (). Qui più che la legittimità dell’etimologia, ormai sconfessata, interessa il
fatto che l’etimo della  ha subíto una reinterpretazione, ai tempi almeno di Ellanico,
appigliandosi a una parola che non ci sentiamo più di assumere come una glossa protoitalica, ma
che vien fatto di sospettare, immediatamente, come riflesso del nuovo strato culturale ‘italico’, che
affacciandosi nella zona, vi si radicava, in fondo proprio nell’età di Ellanico. Quella
reinterpretazione ebbe duratura fortuna –e potrebbe essere un segno della sua ispirazione etnica-
fino in piena età romana, imponendo la coscienza di una continuità, come testimonia la equivalenza
Italia-Viteliu sulle monete della guerra sociale”.

32
Sulla colonizzazione eubea si rinvia anche ad Autori Vari (1984) e a Bats – d’Agostino (1998).
33
V. anche Braccesi (1993) a proposito di Eubei e di geografia dell’Odissea.
34
Wikén (1937: 44) ritiene troppo frettolosamente che l’attribuzione di Capua e Capri all’ non si possa far
risalire ad Ecateo (ma come si vedrà non è Ecateo che allarga questo concetto, è semmai Antioco che lo restringe).

16
Non molti anni dopo Antioco di Siracusa, nel suo programmatico   fa un’operazione di
segno opposto: egli da una parte, per così dire, condensa la più antica pertinenza del nome al disotto
della regione istmica costituita dai due opposti golfi di S.Eufemia e di Squillace, dall’altra non cerca
eziologie o almeno implicazioni taurine come aveva fatto Ellanico e come farà Timeo (v. sopra), ma
“inventa” o meglio ricicla come eponimo l’etnico Italo su cui ci siamo già soffermati, in ciò
accreditato da Virgilio (v. sopra). In realtà Antioco proietta su l’immaginato Italo la sostanza
politica del tiranno siracusano Dionisio il Vecchio e le sue mire sulla regione di Reggio al disotto
dell’istmo, per cui Italo diventa di fatto una proiezione protostorica di ben precise vicende
storiche.35 Del resto –e lo abbiamo appena visto- la primissima storia d’Italia (e del suo concetto
storico-geografico) è sotto il segno di una forte variabilità diacronica e diatopica: i punti di
riferimento sono di volta in volta l’impero di Sibari, le mire espansionistiche di Dionisio il Vecchio
e quello, di più lunga durata, che abbiamo chiamato l’amalgama dall’ greco-bruzia, che
fornisce un modello prototipico alla seriore operazione identitaria non solo degli insorti della guerra
sociale ma anche e soprattutto della definitiva e riassuntiva Italia romana.
In questa ottica abbiamo riletto con l’indispensabile aiuto di Lepore (v sopra) il contributo di
Ellanico in Dionigi di Alicarnasso (1, 35), ma per una visione più complessiva e più coinvolgente
bisogna ora rivolgersi a Erodoto. Il grande storico in vari punti della sua opera non ha una visione
particolaristica dell’. Già in 1, 24, 2. 27, quando si racconta la storia di Arione e del suo
desiderio di andare per mare in  e in , queste due mete emblematiche della
navigazione greca si presentano nella loro interezza (e, nel caso dei due nomi, nella loro non casuale
divergenza nella morfologia formativa). In ogni caso il punto di approdo in  per Erodoto è
Taranto, il luogo di partenza è Corinto, secondo un’evidente rotta ionica che sicuramente riproduce
percorsi più antichi. Invece in 1, 145, 6 si parla della dodecapoli ionica e si rammenta il fiume Crati
«dalle acque perenni e da cui ebbe il nome il fiume d’Italia» e anche in questo caso il riferimento è
tutt’altro che restrittivo. In 3, 136, 1 in occasione dell’arrivo di Persiani a Taranto l’appartenenza
areale di questa città è nuovamente definita mediante il riferimento onnicomprensivo   e
ciò è confermato in 3, 138, 2 quando viene proposta l’ipotesi che una grande flotta persiana faccia
vela verso l’  per raggiungere Taranto. In 4, 15, 1 si rammenta la comparsa di Aristea,
mitizzato in ambito pitagorico (!) a Metaponto   (cfr. in tal senso anche 15, 2) mentre in 5,
43 si racconta di Dorieo che si reca a fondare una colonia    e nel far questo entra
in contatto con gli abitanti di Crotone. In 6, 127, 1-2 tra i pretendenti della figlia di Clistene, tiranno
di Sicione, sono rammentati Smindiride di Sibari, che giunge  , e Damaso di Siri e di
entrambi si ribadisce la loro provenienza . Infine in 8, 62, 2 si rammenta Siri 
 in un discorso di Temistocle. In tutti questi casi sembra consolidarsi l’uso di un nome con
ampio spettro referenziale che comprende e riassume in sé alcuni importantissimi insediamenti
coloniali greci. È questa, a conti fatti, l’ dei Greci e proprio ai Greci si deve, a parer mio,
l’origine e la successiva fortuna del nome.36
Questa è anche l’ di Sofocle, che in pieno V sec., più esattamente nel 442 a. C. rappresenta
una delle sue tragedie più importanti, l’Antigone, di cui qui ci interessano i vv.1115-1121 e più
esattamente il passo in cui il Coro si esprime nel modo seguente:   
 /    /     /    / 
 /      “O Bacco, tu dai molti nomi, ornamento della sposa
figlia di Cadmo e di Zeus che cupo rimbomba figlio, l’Italia famosa proteggi e regni nei golfi
dell’Eleusinia Dea che tutti accolgono”. Il “glorioso” Rocci qui (fra)intende: “regni nel comune
grembo di Cerere eleusina”, mentre qui si impongono due agnizioni: in primo luogo il fatto che in
questo caso la diade Dioniso-Demetra è sicura ipostasi teonimica della coltivazione della vite e del

35
Quando Antioco (in Dionigi di Alicarnasso 1, 35) dichiara che Italo assoggetta i popoli vicini in parte con trattative
verbali in parte usando la forza in ciò traspare la situazione “siracusana” del suo tempo. Per un approfondimento v.
Ronconi (1995). Per la documentazione antiochea fondamentale resta Calderone (1956). Si vedano anche Luraghi
(1990) e Cuscunà (1995).
36
Per un esame approfondito delle testimonianze erodotee si rinvia a Ronconi (1988-89).

17
grano in Italia. A questo proposito ricordo che Plinio il Vecchio nella sua Storia Naturale (18, 65)
parla di un’altra tragedia di Sofocle, il Trittolemo, una delle più antiche (databile al 468 a. C.) e che
è andata perduta, di cui egli dichiara di voler tradurre “letteralmente” un verso (Et fortunatam
Italiam frumento canere candido “E la prospera Italia biancheggia di candido frumento”). In
secondo luogo faccio notare anche che i golfi “che tutti accolgono” sono proprio quelli maggiori e
minori della più antica  (per un motivato elenco, di forte sapore evocativo per le prime
navigazioni greche, cfr. Turano 1975: 66-68), che cita tra i maggiori il  
(Aristotele, Pol.VII,9,2), l’attuale Golfo di S.Eufemia, sul Tirreno e il  
(Aristotele, Pol.VI,9,2; Strabone 6, 255; 261 con attribuzione ad Antioco), l’attuale Golfo di
Squillace, sullo Ionio, mentre ancora più ampio e meta privilegiata di seriori approdi greci, come
testimonia lo stesso Erodoto (v. sopra), è il sinus Tarentinus, che va dal promontorio Lacinium a
quello Sallentinum. I due golfi (quello ionico e quello tirrenico) sono a loro volta collegati da un
rapporto istmico (Plinio, N.H. 3,15,95: nusquam angustiore Italia “in nessun punto l’Italia è più
stretta”, cfr. Aristotele, Pol. 1329 b, che parla di “mezza giornata di cammino”), il che diventa una
evidente alternativa per evitare un periplo topicamente pericoloso attraverso lo stretto di Messina se
si vuole raggiungere, al margine settentrionale del   la città di Témesa, dove
appunto si andava già in epoca precoloniale   “per il bronzo” (cfr. Odissea 1,180-184 e
la dichiarazione della dea Atena nelle vesti di Mentes, “signore dei Tafi amanti del remo”). 37
Un’osservazione mi sembra importante: la forma tràdita  del testo sofocleo è il risultato di
un emendamento editoriale della forma  dell’autorevolissimo codice laurenziano. Ma,
dopo quanto abbiamo appreso a proposito della condizione derivativa di , nome greco
dell’Elba e di Lemno, qui non sembra azzardata una presunzione di lectio difficilior (e magari
difficillima!) a cui gli editori ovviamente non potevano pensare e che hanno pertanto trascurata! Un
fatto in ogni caso è certo: nella prospettiva sofoclea l’ non solo si propone secondo
un’interezza referenziale che non privilegia segmentazioni territoriali in quanto va per così dire da
golfo a golfo o, se si vuole, dallo Ionio al Tirreno; ma anche, a ben guardare, secondo una salienza
topica, che è tutta compresa e riassunta nell’aggettivo . Ma guardiamo ora un po’ oltre.
Sempre in pieno V sec. Tucidide (1, 12, 4; v. anche 1, 36, 2 e 1, 44, 3; 2, 7, 2) associa nella loro
interezza (più esattamente nella loro “maggior parte”e in un periodo posteriore alla guerra di Troia)
l’ e la  in quanto oggetto della colonizzazione dei Peloponnesi. Nel caso di Reggio e
di Locri Tucidide (3, 86, 2 e 5) riconosce la loro canonica pertinenza all’, mentre in 4, 24, 4
sono nuovamente in gioco in una sorta di complementarietà geografica che riguarda i promontori
l’ e la . Stesso discorso vale mutatis mutandis per 5, 4, 1 e per 5, 5, 1. Nel caso di 6,
2, 4, sempre nel quadro di questa insistita complementarietà tra l’ e la , si narra che
«i Siculi dall’Italia (ivi infatti abitavano) passarono nella Sicilia, fuggendo gli Opici, su
zattere...Nell’Italia vi sono ancora dei Siculi e il paese fu chiamato Italia da Italo, un re dei Siculi
che aveva questo nome» (tr. di F. Ferrari). Come si vede, Italo (per Antioco un re enotrio, il che
comporta necessariamente una retrodatazione) diventa o, se si preferisce, si aggiorna per Tucidide
come re dei Siculi, ma questo non aumenta in nessun modo la sua consistenza storica e non gli fa
superare la sua in fondo banale funzione di eziologia onomastica. In ogni caso per i patiti di
etimologie...bovine, Tucidide prima e Virgilio poi non sono di alcun conforto! Procediamo: il
binomio toponomastico su cui abbiamo attirato l’attenzione ricompare in 6, 34, 1, in 6, 42, 2,
mentre in 6, 44, 2 e 3 è l’ con il promontorio Iapigio, Taranto, Locri, Reggio l’indiscussa
protagonista (cfr. anche 6, 88, 7). Mentre in 6, 90, 2 (ma anche in 6, 91, 3) Italia e Sicilia sono di
nuovo associate, in 6, 90, 3 è la sola  che pour cause è vista nella sua salienza di produttrice
di «legname in quantità» (utilissimo per la costruzione di navi, ma non irrilevante –aggiungiamo
noi- anche per una più antica attività metallurgica!). Il sintagma etnostorico Italia-Sicilia ricompare

37
Per la rilevanza di una “via commerciale interna per il rifornimento dei metalli della famosa zona di Temesa” cfr.
Panebianco (1971), che a proposito del fiume Mércure-Lao “con accento iniziale mediterraneo” (p.321) evoca il culto di
Mercurio, che è la replica latina di Hermes alias * (ma anche così il cerchio si chiude!).

18
in 6, 103, 2 e in 6, 104, 1, mentre in 6, 104, 2 si fa menzione della sola Italia e del golfo Terineo
secondo una dimensione decisamente tirrenica. In 7, 14, 3 e in 7, 25, 1 si rammenta invece la sola
 Interessante è la restrizione sintomatica di 7, 33, 4 della nozione di  al Bruzio e alla
Lucania, mentre in 7, 57, 11 (ma anche in 7, 87, 3) Italioti e Sicelioti sono associati e insieme tenuti
ben distinti da vari popoli barbari. Infine in 8, 91, 2 si riconferma la coppia onomastica (ma il
riferimento è da una parte a navi degli Italioti, dall’altra non a navi Siceliote ma a più generiche
navi ).38
Nel caso di Platone, a cavallo tra V e IV sec. a. C., mi limiterò a ricordare che in Leggi II, 659 B
Sicilia e Italia sono nuovamente accomunate in un giudizio collettivo negativo. Per Aristotele
Politica 1329 b (che è importante) rinvio invece al già detto. Nel III sec. a. C. (che è un momento di
snodo importante in direzione di una lettura romana del problema) meritano attenzione, proprio per
il loro recupero di dimensioni arcaiche, alcune testimonianze di Callimaco. Mi riferisco in
particolare all’Inno ad Artemide 46-71, sp. 56-58 e 68-69, dove si trova uno specifico riferimento
all’  più antica in quanto vicina alla Sicilia, nel quadro delle operazioni metallurgiche dei
Ciclopi, che sarà ripreso da Virgilio, Aen. 3, 670-674 con annesso fraintendimento nel commento di
Ettore Paratore (v. avanti). Si ricordi che proprio in questo inno compare, insieme ai ciclopi Arge e
Sterope, Hermes, in funzione di spaventabambine, che “dai recessi della casa / arriva ...
impiastricciato di cenere nera –  -, il che ci ha permesso (v. sopra) di
riaprire il problema del nome dell’argonauta , figlio di Hermes, e a questo proposito si
ricordino nuovamente le implicazioni di quest’ultimo con fuoco, fornaci e cenere. Sempre a
proposito di Callimaco, che (giova ricordarlo) è contemporaneo di Apollonio Rodio e della sua
prospettiva argonautica, di un qualche interesse sono il fr. 617, dove si parla di terreni pianeggianti -
 ...!- a proposito della fondazione di Taranto, ovviamente secondo l’immagine
allargata di una  che potremmo chiamare “erodotea”; il fr. 635, dove secondo un’ottica più
“antiochea” si parla delle mura italiche di Locri e si usa l’etnico ; il fr. 670 dove restando
nella stessa ottica si rammenta il poeta e musicista Senocrito di Locri, seguendo da vicino un verso
di Pindaro (fr. 140b) e si usa l’espressione evocativa .... Infine nell’Inno a Delo
141-147 in un quadro di sommovimento del terreno si descrivono nuovamente l’Etna e le opere
metallurgiche di Efesto seguendo un filo tematico profondo a cui si ricollegano, a parer nostro, le
motivazioni onomastiche più antiche dell’
Del valore eminentemente “minoico” del toro usato da Eracle come “natante” per attaversare lo
stretto di Messina (Timeo in Diodoro Siculo 4, 22) abbiamo già parlato (v. sopra), ma di questo
storico di III sec. a. C. che, essendo nativo di Tauromenio, potremmo considerare come ... “persona
informata dei fatti”, andrà pure ricordata la testimonianza ripresa da Gellio, Noct. Att. 11,1

38
Tucidide impiega l’etnico  già presente in Erodoto 4, 15, e usa per la prima volta (7, 32, 2) quello
perfettamente parallelo . Entrambi dovevano appartenere alla tradizione (anche) orale greca, ma in ogni
caso essi non sono morfologicamente “banali”. Sarà un caso che due fondamentali luoghi di riferimento per le
protonavigazioni greche, l’Epiro (si consideri che gr.  vale ‘terra ferma’ proprio dal punto di vista di chi va per
mare!) e Marsiglia (la greca a!) presentano nei loro nomi etnici la stessa derivazione? Comunque sia Antioco
(in Dion. Hal. 1, 12) è l’unico ad attestare la variante , che a parer mio è forma rifatta su  che la
precede direttamente nella citazione verbum de verbo che in questo caso Dionigi fa dello storico siracusano. Cuscunà
(1995:71) si spinge a dichiarare che  è “una vera e propria invenzione” di Antioco. Per parte mia sarei più
prudente: dal momento che si tratta di forma foneticamente ionica (e questo vale anche per  e per gli aggettivi
geografici contermini  e ) e non si può ignorare il fatto che Erodoto 1, 57 attesti accanto a
, che designa una parte della Tessaglia, anche  con lo stesso valore. Non si può ignorare
innanzi tutto perché i Tessali hanno forti implicazioni argonautiche e sono altresì legati alle protonavigazioni (Braccesi
2010: 58-61), ma anche per un’evidenza linguistica: l’etnico  sta al coronimo  come l’etnico
 sta al coronimo ! Su queste congruenze morfologiche e sulle loro implicazioni protostoriche bisognerà
ulteriormente riflettere. In ogni caso per l’equivalenza “etnica” tra Pelasgi e Tessali, di fondamentale importanza per il
nostro assunto, v. Braccesi (1969:134).
39
In un luogo per me al momento non precisabile di Callimaco sembrerebbero essere documentati anche degli
, che ricomparirebbero anche in Anth. Pal. 9, 344!

19
(“Timaeus in historiis quas oratione Graeca de rebus populi Romani composuit et M. Varro in
antiquitatibus rerum humanarum terram Italiam de graeco vocabulo appellatam scripserunt
quoniam boves Graeca vetere lingua  vocitati sint, quorum in Italia magna copia fuerit,
bucetaque in ea terra gigni pascique solita sint complurima”). A questo proposito faccio notare che
secondo la vicenda più antica di Eracle i buoi nell’ sono semmai di...passaggio, mentre nella
prospettiva odissiaca sono semmai stanziali in Sicilia e che l’unica traccia, per altro tarda e sospetta,
di un ó “vitello” sembra essere consegnata nel fr. 4, 2 di Dione Cassio. In ogni caso Timeo
rappresenta il terminus ad quem per il consolidamento dell’etimologia popolare di chiara matrice
italica. Sempre in Timeo, in ogni caso mi sembrano significativi i cenni all’arrivo di Diomede in
Italia (in Tzetzes ad Lycophr.) o con riferimento a tradizioni italiote la notizia (FGrHist 1, 63
Müller) sulla particolare virtù del fiume Crati   di far diventare i capelli biondi.
Il primo autore latino a far riferimento ad una dimensione “italica” è Plauto che tra III e II sec. a. C.
nei Menaechmi 235-238 in una prospettiva di peregrinazioni panmediterranee parla, in particolare ai
vv. 236-237, di “Graeciamque exoticam / orasque Italicas omnis”. Qui sarebbe difficile
circoscrivere queste Italicae orae, per altro intese nella loro pluralità totalizzante (omnis), alla sola
dimensione magnogreca, anche perché con l’altro riferimento geografico (Graecia...exotica) si
intende appunto la Magna Grecia. Ma allora le Italicae orae rappresentano un indubbio progresso
geoculturale del nome. In questa prospettiva una rilettura di Lucilio (ormai nel II sec. a. C.) 29,
fr.951 (detrusus tota vi deiectusque Italia a proposito della cacciata di Annibale del 203 a. C.) ci
impone di riconoscere in tota Italia una capacità designativa che non è più bruzzia o
“micropeninsulare”, ma è ormai decisamente italiana o “macropeninsulare”. Del resto la migliore
conferma di questa inarrestabile dilatazione greco-romana del nome ci viene in modo coevo da
Polibio 3, 54, 1-4 che proprio a proposito di Annibale dice che con gesto eloquente dalle Alpi
mostra ai suoi soldati l’Italia, tutta l’Italia appunto (  è la luciliana tota Italia che
abbiamo appena visto!), non certo quella che da Polibio in poi coinciderà con la Magna Grecia.
Quanto a Varrone, da collocare tra II e I sec. a. C. e sicuramente testimone della guerra sociale (v.
avanti), diremo che non casualmente nel De lingua latina 5, 96 mette in rapporto la più che presunta
voce greca arcaica  e il lat. vitulus con un’errata presunzione di dipendenza di questo da
quella; mentre nel De re rustica 2, 1, 9; 2, 5, 3 torna a sostenere la tesi tutta “italica” della
dipendenza del nome Italia da quello del vitello. Più significativo è il fatto che Catullo, nato subito
dopo la guerra sociale (87 a. C.) in 1,1 definisca Cornelio Nepote per sue virtù storiografiche unus
Italorum, perché qui è in gioco ormai un’Italia totalmente romana o, se si preferisce, una romanità
italica. Di questa il massimo interprete è, come si sa, Virgilio in particolarissimo modo nell’Eneide.
In questa sede ci possiamo permettere solo una cursoria rassegna.
I passi dove è rammentata l’Italia sono: Aen. 1, 1-2 (l’incipit e il fatale arrivo in Italia prima, alle
“sponde lavinie” dopo, dove si noterà non solo la successione cronologica dei due eventi ma anche
il “campo largo” del primo approdo, quello necessariamente più ristretto del secondo); 1, 37-38 (qui
Giunone è intesa a “sviare dall’Italia”, si potrebbe dire da “tutta l’Italia” il re dei Teucri); 1, 66-67
(ancora Giunone e la gente a lei ostile che naviga il mare Tirreno “portando Ilio in Italia e i vinti
Penati”); 1, 233 (qui Venere si duole che a causa dell’Italia ad Enea e ai Troiani si chiude il mondo
intero); 1, 263-264 (qui è Giove che dice che Enea farà una terribile guerra in Italia); 1, 380 (qui è
Enea che dichiara testualmente: “cerco la patria Italia, e la culla della mia razza, discesa dal sommo
Giove”); 1, 530-533 (qui si ha la prima formulazione in bocca a Ilioneo della sequenza diacronica
Esperia, Enotri e Italia); 1, 554 (ancora Ilioneo, quasi a replica di 1, 1-2: “tendiamo lieti all’Italia e
al Lazio”; 3, 161-171 (i Penati e la consolidata sequenza Esperia, Enotri, Italia, a cui si aggiungono
le “terre Ausonie” secondo una conclusiva prospettiva “tirrenica”); 3, 253-254 (Celeno: voi
navigate verso l’Italia e vi giungerete con grandi sofferenze); 3, 381-387 (Eleno: l’Italia è ancora
lontana e queste sono le tappe); 3, 458 (i popoli d’Italia e le guerre future); 3, 505-507 (l’ultimo
percorso prima dell’approdo in Italia); 3, 521-524 (l’approdo, presumibilmente secondo una più
antica rotta “egea”, che forse toccava in modo “paralico” l’Epiro, presso Otranto a Castrum
Minervae, all’incirca l’attuale Porto Badisco); 3, 672-674 (l’urlo immenso di Polifemo e la più

20
antica Italia che trema, cfr. il già citato Callimaco e il fraintendimento di Paratore, che chiosa: “nota
la singolarità dell’uso di questo nome per le coste sicule”!); 4, 105-107 (Venere intuisce che
Giunone vuole “sviare il regno d’Italia sulle libiche sponde”); 4, 229-231 (Giove e la profezia che
Enea reggerà l’Italia “pregna di imperi e fremente di guerra”); 4, 262-290 (a Iulo spettano il regno
d’Italia e la terra romana); 4, 345-346 (Enea: Apollo mi ordina di raggiungere “la grande Italia” e di
occuparmi delle sue sorti); 4, 360-361 (Enea: “l’Italia non spontaneamente cerco”); 5, 17-18
(Palinuro e le difficoltà di raggiungere l’Italia); 5, 629 (le donne troiane: “inseguiamo l’Italia
fuggente e siamo sbattute dai flutti”); 5, 729-730 (Anchise e il consiglio di portare in Italia i giovani
scelti e i cuori più forti); 6, 61 (Enea: “infine teniamo le rive della fuggente Italia”); 6, 357 (Palinuro
naufrago scorge l’Italia “alto dalla cima di un’onda”); 6, 718 (Anchise e la gioia dell’Italia trovata);
7, 469 (Turno esorta a difendere l’Italia); 7, 563-565 (un luogo in mezzo all’Italia, la valle
dell’Ampsancto, con ovvio riferimento a un’Italia “macropeninsulare”); 9, 267 (Ascanio e l’augurio
“di prendere vittoriosi l’Italia”); 9, 601 (Numano e l’idea che sia stata follia per i Frigi spingersi in
Italia); 10, 8 (Giove e il divieto che l’Italia combattesse con i Teucri); 10, 31-32 (la supposizione
che i Teucri abbiano raggiunto l’Italia senza il consenso di Giove); 10, 67 (Giunone ammette che
Enea abbia raggiunto l’Italia “con l’auspicio dei fati”); 11, 219 (la pretesa di Turno sul regno
d’Italia, da intendersi l’intera Italia, secondo un’ottica luciliana e polibiana, v. sopra); 11, 508
(Turno chiama Camilla “onore d’Italia”); 12, 40-41 (un riferimento ai Rutuli e alla cetera...Italia).
L’Italia di Virgilio è anche quella di Strabone così come si configura nel I sec. a. C. e come poi
viene sancita da Augusto (v. avanti, par.5), ma proprio in Virgilio è singolarmente e
significativamente assente quella curvatura etimologica «italica» e... «bovina» su cui insisteranno,
come abbiamo visto, nel I sec. d. C. Apollodoro Bibl. 2, 5, 109-113 ( il viaggio quasi argonautico di
Eracle con le vacche di Gerione, il toro fuggitivo, il richiamo al nome «tirrenico» del toro e altro
ancora) e Dionigi di Alicarnasso I 35 con la già discussa citazione di Ellanico, ma anche (si badi
bene!) con una esplicita dichiarazione di preferenza (   ó ) per la
spiegazione del nome da parte di Antioco.
Nello stesso periodo una preziosa notizia di Plinio il Vecchio N. H. 3, 10, 71 traccia l’elenco
cronologico degli abitanti della Lucania e del Bruttium, come dire della più antica : “A
Silero regio tertia et ager Lucanus Bruttiusque incipit, nec ibi rara incolarum mutatione. Tenuerunt
eum Pelasgi, Oenotri, Itali, Morgetes, Siculi, Graeciae maxime populi, novissime Lucani
Samnitibus orti duce Lucio”. La presenza precocissima di popolazioni pelasgo-tirreniche
nell’ (per gli eloquenti e incontrovertibili indizi toponomastici v. sopra) è qui documentata e
non può essere sminuita, come invece fa con tesi unilaterale Briquel (1984:591-626). In particolare
vorrei far notare che, quando Licofrone (Alex. 1083-1086) parla di   
 e lo scoliaste precisa che si tratta di un     , questo
idronimo rientra optimo iure nel quadro morfologico derivativo da me (Silvestri 1988) a suo tempo
tracciato proprio per gli idronimi del Bruttium.
Con la testimonianza di Festo siamo ormai nell’età di Tiberio o forse nel II sec. d. C.: «Italia dicta,
quod magnos italos, hoc est boves, habeat. Vituli etenim ab Italis <itali> sunt dicti. Italia ab Italo
rege. Eadem ab Atye Lydo Atya appellata». Essa, oltre ad essere come nel caso già visto di Dionigi
di Alicarnasso, sintomaticamente «bipartizan» rispetto ad Ellanico ed Antioco, è anche
curiosamente contraddittoria: infatti prima parla di magni itali, hoc est boves, poi li ringiovanisce e
li rimpicciolisce facendoli diventare ...vituli! Sul secondo nome Atya, normalmente molto trascurato
se non addirittura ignorato dagli etimologi addetti a questo genere di lavori, mi sono già espresso e
tornerò ancora brevemente più avanti. Delle testimonianze di Gellio 11, 1-2 (buoi «in grande
abbondanza» con richiamo a Timeo e Varrone) e Cassio Dione (II-III sec. d. C.) nel fr. 4, 2 (
con il significato di ‘vitello’) mi sono già occupato. Assai più interessante appare in una fase
decisamente tarda quanto dice Claudiano (IV-V sec. d. C.). Mi colpisce nel De raptu Proserpinae
quanto è affermato nel libro 1, vv.142-143: “... Trinachia quondam / Italiae pars magna fuit...”40,
40
Cfr. Claudiano, Il rapimento di Proserpina, La guerra dei Goti, introduzione, traduzione e note di Franco Serpa, testo
latino a fronte, Rizzoli, BUR Poesia L 311: Milano 1981, pp. 60-61

21
che il curatore (ipo)traduce con “... La Sicilia un tempo / era congiunta all’Italia...”, ignorando il
sintagma “pars magna” nella sua funzione di componente attributiva. Qui, a parer mio, non
possiamo intendere l’intera penisola perché in tal caso non si giustificherebbe il riferimento alla
“grandezza” (sc. “magna”), ma dobbiamo –proprio con riferimento ad una dimensione
cronologicamente remota- pensare all’Italia magnogreca, per cui sembrerebbe legittimarsi l’idea di
una grande  che in epoca protostorica si configura per i navigatori (minoici e micenei prima,
eubei, focei e rodii subito dopo) come terra occidentale del “fuoco” (il vulcano Etna) e delle fornaci
metallurgiche (Ciclopi etnei, Temesa, ma anche l’arcipelago eolico, cfr. Callimaco, v. sopra) e che
comprende la parte peninsulare e quella insulare prima che quest’ultima si ripertinentizzi in senso
elimo e siculo-sicano.41
Un’ultima testimonianza, quella dell’ «incolpevole» Esichio ormai nel V sec. d. C. o non molto
prima:  . Sotto l’antica etichetta greca, come si vede, finiscono in una
impropria compagnia omofonica uomini illustri, quali gli antichi Romani, e bestie rispettabili (tali
sono i tori di tutti i tempi!). Ma la confusione è sintomatica e denuncia una forzatura etimologica
già antica, a proposito della quale gioverà a questo punto ricordare il duro e inappellabile giudizio
contenuto nell’irrinunciabile dizionario etimologico di Ernout e Meillet: «Le rapprochement de
uitulus, qui fait de l’Italie ‘la terre de veaux’...n’est qu’un calembour».

4. Discontinuità ideologica, peculiarità (e precarietà) della vítel(l)iú della guerra sociale (90-88 a.
C.).

Parlo di discontinuità ideologica perché con il bellum sociale l’assunzione del nome Italia e del suo
preteso corrispondente osco vítel(l)iú (si noti l’oscillazione tra forma semplice e forma geminata
per quanto concerne la grafia di [l], che è indizio di una precaria istituzionalizzazione del nome)
non rispecchia la già vista pertinentizzazione “macropeninsulare” ma vuole invece sottolineare una
sua peculiarità contingente (il bellum appunto) arealmente e politicamente assai più ristretta, che
deve a sua volta fare i conti con evidenti (ma tutt’altro che secondari) particolarismi. Mi riferisco al
fatto che nella monetazione di uno dei capi degli insorti Papio Mutilo, in un caso definito embratur
e associato a víteliú (Ve. 200 G 4), in un altro caso compare nel verso safinim (Ve. 200 G 2), cioè
un esplicito riferimento al vero nome nazionale degli Italici, quello che latinamente suona Samnium.
Le monete su cui compare víteliú costituiscono in ogni caso la maggioranza assoluta (5 casi su 6!)in
controtendenza con quella che doveva essere la pronuncia reale del nome con palatalizzazione di [l]
adombrata una sola volta nella grafia geminata e ancora una volta palesano una sorta di volontà
metalinguistica di aumentare la congruenza con l’ormai canonica forma greco-romana. Questa
infatti è ben rappresentata nella totalità dei trenta tipi monetari censiti con riferimento alla guerra
sociale (in ben 14 casi, come dire il 50% per cento delle occorrenze, mentre víteliú compare solo in
sei casi, cioè nel 20% delle occorrenze). Ma occupiamoci, a questo proposito, anche di linguaggio
non verbale: sui trenta tipi monetari i Dioscuri al galoppo o impennati o stanti compaiono nel verso
cinque volte mentre nel dritto quattro volte è rappresentata con testa femminile l’Italia, una volta
compare una testa maschile che presumibilmente è quella di Apollo (ma in basso c’è in ogni caso la
scritta ITALIA). Un’altra icona ricorsiva è costituita da otto guerrieri impegnati in un giuramento
(in tutto sei casi), le cui varianti sono date da un caso di giuramento a sei, da un caso di giuramento
a quattro e da un caso di giuramento a due. In tutti questi casi (tranne in quello del giuramento a
quattro, in cui compare un busto di Marte) compare nel dritto la testa per lo più laureata dell’Italia.
Ma occupiamoci ora di altri aspetti iconici per noi in un certo senso più significativi: in ben nove
casi (praticamente il 33% per cento!) compare un guerriero che calpesta la lupa romana e che è
affiancato da un toro (chiaro totem italico!) che è accovacciato di fronte (per l’esattezza in sei casi);
nei casi restanti tre volte il toro abbatte la lupa e nella scena si affianca la testa di Bacco, una volta
compare Ercole (ma per noi è una ricomparsa!) che poggia la mano destra sulla testa di un toro
41
In realtà sia Elimi sia Sicani sia infine Siculi non sono mai documentati come indigeni in Sicilia, ma vi arrivano da
Troia, dall’Iberia e dalla Calabria rispettivamente. Per i Siculi in particolare cfr. Manni ((1957).

22
accovacciato. Non mi soffermo su altre (e piuttosto scontate) tipologie iconiche che riguardano
l’Italia seduta e coronata o la Vittoria seduta, ma faccio notare che in tutti i casi precedenti è
chiaramente in gioco un toro adulto e non un vitello! A questo punto non possiamo fare a meno di
chiederci se víteliú come nome degli insorti confederati non sia sorto per caso nella volontà di
offrire una “traduzione” osca al presunto o preteso nome greco che con il valore di “terra dei tori”
semmai era associato al nobile bovino adulto (il toro, non il vitello è appunto totem italico!),
tuttavia con una sorta di ammiccamento ideologico: gli insorti, in quanto figli del toro, si
riconoscono nei vitelli, che sono animali giovani e fanno in tal modo una rilettura politica e
contingente della tradizione onomastica che risale in definitiva ad Ellanico. Se è così (e potrebbe
anche essere così) quello che è accaduto tra il 90 e l’88 a. C. potrebbe essere ridefinito nei termini
non tanto paradossali di una ...“Giovane Italia” ante litteram!

5. Il destino di un nome: per una rilettura di Strabone, Geogr. V e VI.42

L’Italia che ci interessa non è quella precaria e peculiare della guerra sociale alla quale va
riconosciuto in ogni caso il merito di aver svolto una funzione unificante anche e soprattutto sul
piano della richiesta (e poi ottenuta) condivisione dei diritti, ma quella che appare nella sua
raggiunta pienezza nella visione di Strabone, che alla visione poetica e culturale di Virgilio offre un
compiuto e convinto riscontro storico-geografico. In questo secondo caso matura il destino di un
nome che si proietta, attraverso lunghe e complesse vicende, fino all’Italia attuale. Rileggere
Strabone può essere istruttivo anche in tal senso.
In 5, 1, 1 la presentazione generale dell’Italia si svolge con esemplare ed esaustiva chiarezza: 
       , che non bisogna tradurre “Alle falde delle
Alpi inizia quella che ora si chiama Italia” (come invece fa A. M. Biraschi), ma “Alle falde delle
Alpi inizia l’Italia di ora” in omaggio a quel dinamismo diatopico e diacronico del nome che si
corona con la discriptio augustea ma che era già chiaro nelle sue prime fasi in Dionigi di
Alicarnasso 1, 35, 1 (    ...). In 5, 1, 2 la figura “geometrica”
dell’Italia viene proposta “con il vertice sullo stretto di Sicilia e con le Alpi come base” e con ogni
evidenza siamo in presenza di una tota Italia nel senso già sopra proposto; in 5, 1, 3 si parla ancora
delle Alpi e dell’Italia e dopo aver descritto la regione Celtica Cisalpina si rammenta, in un quadro
di unità innegabile,   ; in 5, 1, 9 in una prospettiva nordorientale assai interessante
riecheggiata in Dante(Inferno 9, 110-111 “sì come a Pola presso del Carnaro / ch’Italia chiude e i
suoi termini bagna) si parla di Pola e della sua appartenenza all’Italia; in 5,1,11 è nuovamente
considerata la regione Celtica Cisalpina con i suoi confini con la restante Italia; in 5, 2, 10 si
puntualizza ancora a proposito di variabilità di confini tra Italia e Celtica “spesso modificati da chi
era al potere”.43 Bellissimo è in 5, 3, 1 l’elogio dell’Italia e della sua varietà nell’eccellenza: “Tutta
l’Italia è insomma una terra eccellente che fa crescere armenti e prodotti agricoli e le varie regioni
occupano il primo posto chi per un aspetto particolare chi per un altro”, tr. di A. M. Biraschi). In 5,
4, 2 si fa infine ovvia menzione della guerra sociale e della peligna Corfinio ridenominata Italica. In
6, 1, 1 e 2 si fa menzione degli scontri tra Greci e Lucani nella più antica Italia e anche dei
successivi conflitti con i Cartaginesi-; in 6, 1, 4 è ben descritta la prima Italia di Antioco come pure
in 6, 1, 15 il vecchio confine tra l’ di un tempo e la Iapigia. In 6, 2, 1 è descritta la Sicilia e
sono precisati i suoi confini con l’Italia, mentre in 6, 4, 1 2 molto apprezzabili, in sede di
conclusioni, sono la sintesi geografica dell’Italia e la messa in evidenza dei rapporti tra l’Italia e
Roma.

6. Altri nomi e uno in particolare (Atua, cfr. Atya in PF 106, 11).

42
Per Strabone e l’Italia antica v. almeno Maddoli (1988) e Musti (1988). Utile è anche Prontera (1984).
43
Ci auguriamo che chi è o sarà al potere nell’Italia d’oggi non si faccia venire tentazioni in tal senso...

23
Se ci rifacciamo a Eneide 3, 163-171 e alla Saturnia tellus di Georgiche 173-174 i nomi
onnicomprensivi della (parte più meridionale) della nostra penisola sembrano essere, a parte quello
puramente evocativo di ascendenza teonomastica, e in ogni caso secondo un’evidente ottica greca
Hesperia, Oenotria e Ausonia, a parte quello di Italia che in base a un potente amalgama greco-
romano-italico (v. sopra) ha avuto non casualmente il sopravvento su tutti. In realtà Hesperia è
denominazione generica che nel suo trasparente rivolgersi a terre occidentali se non addirittura
all’estremo occidente costituito dalla penisola iberica non è altro che un cognomen, secondo
l’opportuna puntualizzazione lessicale di Virgilio (v. sopra). Oenotria e Ausonia, anche se spesso
usati estensivamente, hanno in prima istanza una gravitazione referenziale orientale o ionica e
occidentale o tirrenica rispettivamente. Le premesse del nome Italia sono invece, per ragioni
culturali e linguistiche, antichissime: sono in ogni caso micenee (con plausibili antefatti minoici),
poi pelasgo-tirreniche, poi greche di seconda e canonica colonizzazione. In questa prospettiva di
retrodatazione un ulteriore tassello pelasgo-tirrenico è rappresentato dal nome Atua che in PF 106,
11 viene ricondotto ad un Atys “lidio”. In realtà sappiamo da Erodoto 1, 34, 2 che questo presunto
eponimo corrisponde al nome di uno dei due figli di Creso, morto –nonostante un sogno
premonitore- in un incidente di caccia sul monte Olimpo in Misia (cfr. sempre in Erodoto 1, 34-45)
e quindi in tal modo inibito dallo svolgere la sua funzione eponimica in terre d’oltremare.
Comunqua sia pervenuta l’informazione a Festo, resta tuttavia il fatto che una componente lidia o
altrimenti detto pelasgo-tirrenica sembra avere coinvolgimenti, già da noi per altro rilevati, con la
più antica .44 In realtà –e lo abbiamo già detto- Atua con il presunto valore di «terra ricca di
fornaci metallurgiche» (v. sopra) rientra optimo iure nella serie dei collettivi mediterranei in –ua
(tra i toponimi si ricordino almeno Genua, Mantua, Capua tutti con fortissime implicazioni
etrusche) ai quali sembra associabile il morfema etrusco -()va notoriamente usato per indicare il
collettivo inanimato.45

7. Unità, pluralità e armonizzazione delle diversità: l’Italia prima e oltre Roma.

Sulle premesse, sulla storia e sul destino del nome Italia prima e oltre Roma, in una parola sulla sua
etimologia, intesa come sua complessiva interpretazione,46 si sono affannati generazioni di studiosi
a volte con spunti originali, più spesso con caparbie reiterazioni del già detto. Anche chi ora scrive
(e prima, in occasione del convegno, ha parlato ad ascoltatori pazienti e benevoli) dichiara senza
mezzi termini che su un argomento così impegnativo la cosa più ovvia è...andare in debito di
ossigeno. Non farò qui una rassegna delle etimologie (quella mia del 2000 l’ho praticamente qui
riproposta con un’ampia serie di ulteriori dati e argomentazioni a supporto).47 Ma, proprio per
sottolineare in modo irrituale il carattere per lo più provvisorio delle etimologie “difficili”, mi
permetterò di riproporre il “grido di dolore” del venerando dizionario del Forcellini a proposito di
Servio e delle spiegazioni etimologiche del nome: “De significatione nominis, quae cum ejus
origine connectitur, multa scripta sunt. Antiquiorum opiniones Serv. ad Virg. 1. Æn. 533. ita
exponit, ut nihil concludi possit; scribit enim: ‘Italus rex Siciliae ad eam partem venit, in qua
regnavit Turnus, quam a suo nomine appellavit Italiam. Alii Italiam a bubus, quibus est Italia
fertilis: Graeci boves , nos vitulos dicimus: alii a rege Ligurum Italo: alii a Veneris filio,
rege Lucanorum: alii a quodam augure, qui cum Siculis in haec loca venerit, quamque his regionem
inauguraverit: plures a Minois, regis Cretensium, filia, Italia dicta’. Quid plura?”. Proprio così: ma è
domanda senza risposta.

44
Per il problema dell’origine lidia degli Etruschi il riferimento indispensabile è Briquel (1991).
45
Per un approfondimento e per un ulteriore supporto documentario cfr. Silvestri (in stampa).
46
Ottima rassegna storica e puntuali osservazioni sull’argomento sono reperibili nel bel libro di Alberto Manco (Manco
2009), di cui si consiglia la lettura a quanti vogliano occuparsi del problema con sguardo laico e relativistico.
47
Un elenco che non pretende (e come potrebbe?) di essere esaustivo è ricavabile dai “riferimenti bibliografici” (v.
avanti).

24
In realtà tutta la storia più antica dell’Italia (e quindi anche la sua etimologia) è sotto il segno
dell’unità (che non è omogeneità), della pluralità (che non è divaricazione) e infine
dell’armonizzazione della diversità. La storia più antica dell’Italia è prima minoico-micenea, poi
pelasgo-tirrenica, poi greca, poi osco-sannitica, poi romana e proprio per questo è, prima e oltre
Roma,48 è riconoscibile in una irrinunciabile conciliazione che vorrei, in conclusione, sintetizzare
nella stupenda affermazione di Eraclito (DK 22 B 8):      
   “ciò che si oppone converge e da ciò che discorda sorge la più
bella armonia”.

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48
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medioevo, poi Spagnoli (Aragonesi) e Francesi e altre più cursorie presenze nell’età moderna. L’età contemporanea ci
consegna imponenti fenomeni migratori... “Quid plura?”.

25
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