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Né assolto né condannato

«Pronto? Pronto?»

Un uomo, in lontanza, cammina tenendo un distacco. La voce sua arriva, tesa.

«Finalmente! Eh, sì, lo so. Vabbè, almeno ascolta...»

Respira affannoso, eppure la strada è piana, la strada è pressoché sgombra. L'animo


s'esprime, e spreme il corpo che sputa fuori la voce.

«Guarda, ce ne sarebbero tante da dire, da fare, sopratutto domande. Tante cose vorrei,
io da te sapere, ma è questo converso mal funzionante che... mi comprendo solo io,
insomma!»

Ampi gesti, gesticolare, una presenza decisa, teatrale. Forse un attore? Più che altro
agito, mi pare, esagitato, se non altro.

«Vado subito al punto. Dimmi, almeno questo dimmelo...»

Mentre, curioso m'avvicino, qualcosa lo fa interrompere e me lo fa, solo adesso,


squadrare, quell'uomo. Dovrei meglio dire, mi fa praticamente squadrare,
riconoscendomi simile e diverso, in quell'uomo.

«Come sempre sai fare, e solo tu, mi lasci al cappio spinato di quest'interrogativo
aguzzo: né assolto né condannato!»

Pensavo fosse al telefono, di quelli con l'auricolare quasi invisibile. Invece non ne è
equipaggiato. Non è al telefono.
A questo punto mi chiedo, io, se stia telefonando.
Mi chiedo, io, se stia parlando.

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