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Biografia di Lorenzo de Medici: i primi anni

Introduzione

Il Magnifico fu alle redini dello Stato di Firenze dal 1453, inizialmente insieme al fratello Giuliano,
dal 1478 da solo, sostanzialmente consolidando quel potere personale, tirannico ma informale, le
cui basi erano state poste dal nonno Cosimo (detto il vecchio) e confermate dal padre Piero. Come
loro, inoltre, Lorenzo si dedicò anche alla promozione delle arti e della cultura, con l’importante
differenza che fu un importante poeta egli stesso. Morì nel 1492 a soli 43 anni per via di
complicazioni dovute alla gotta. 

Educazione di prim’ordine

Quando Lorenzo de’ Medici nacque da Piero di Cosimo e Lucrezia Tornabuoni, suo nonno Cosimo
teneva ancora saldamente le redini di Firenze. Per questo, insieme a suo fratello Giuliano, ebbe il
privilegio di ricevere un’educazione di prim’ordine, anche se non particolarmente approfondita
da un punto di vista finanziario.  

Viaggi

Nel 1464, alla morte di Cosimo, Piero di Cosimo, già gravemente afflitto dalla gotta, prese le redini
dello Stato ed iniziò a preparare il giovane Lorenzo alla futura successione, spedendolo presso
numerose corti italiane affinché iniziasse ad orientarsi nel complicato scacchiere politico degli
Stati italiani, familiarizzando allo stesso tempo con le attività finanziarie della banca di famiglia. 

Primi incarichi politici di rilievo

Nel 1466, oltre a giocare un ruolo di primo piano nella risoluzione di un conflitto politico interno
(alcuni magnati e cittadini erano decisi a rovesciare il potere dei Medici), Lorenzo ebbe i primi
incarichi politici di rilievo negli organismi governativi di Firenze, partecipando tra le altre cose
alle sedute del Consiglio dei Cento. 

Matrimonio con Clarice Orsini

Nel 1468 Lorenzo, pur avendo amato in gioventù la bella e colta gentildonna fiorentina Lucrezia
Donati (a cui dedicherà alcune tra le sue principali opere poetiche), dovette sposare la nobildonna
romana Clarice Orsini: il matrimonio con una forestiera, che sarebbe stato celebrato e festeggiato
soltanto l’anno dopo, era contrario alle consuetudini fiorentine. I Medici erano una famiglia ricca
ma di origini oscure ed incerte: per questo bisogno avevano bisogno di un matrimonio prestigioso
che li legasse alla nobiltà romana di vecchia data, molto legata alla corte pontificia. 

2Lorenzo il Magnifico e il potere

Morte di Piero di Cosimo de Medici

Nel gennaio del 1469 Lorenzo si batté con ottimi risultati in una giostra pubblica: questa
celebrazione pubblica segnava in qualche modo il suo passaggio all’età adulta. Alla fine dell’anno,
a confermare in modo molto più oneroso che la vita di Lorenzo stava per cambiare in modo
definitivo, ci fu la morte, dopo cinque anni di governo, di suo padre Piero. 

Lorenzo e Giuliano al potere

La giovane età di Lorenzo (20 anni) e di suo fratello Giuliano (16 anni) era poco consona
all’esercizio del potere, ma i partigiani dei Medici decisero di appoggiarli, anche nella speranza di
poterli manovrare facilmente proprio perché così giovani. Lorenzo e suo fratello non potevano
fare altro che accettare il ruolo paterno: Firenze era una città di mercanti e banchieri, in cui il
potere politico era necessario a salvaguardare la propria fortuna economica - e i Medici
intendevano conservare la propria posizione dominante. 

Il potere informale di Lorenzo

Come era avvenuto per suo padre e per suo nonno, il potere di Lorenzo sarebbe stato un potere
informale: in pratica sarebbe rimasto un semplice cittadino, che giurò solennemente di
rispettare le istituzioni repubblicane di Firenze, dove i governi venivano eletti. In realtà il potere
personale di Lorenzo dipendeva dall’appoggio non soltanto di amici e clienti dei Medici, ma
anche di potenze esterne come Milano e la Francia. 

Consolidamento del potere dei Medici su Firenze

Fronteggiando con un certo successo alcune tensioni interne e riformando alcuni meccanismi di
potere, Lorenzo riuscì già nei primi anni a consolidare ulteriormente il potere dei Medici su
Firenze, che non era garantito da nessun titolo nobiliare. Il suo regime, stando alle parole allo
storico Francesco Guicciardini, avrebbe portato a Firenze la “somma pace”, anche perché Lorenzo
era talmente potente che nessuno “si ardiva contradirlo”. 

3Lorenzo de Medici e i rapporti con la Chiesa di Sisto IV

Problemi economici e conflitti territoriali con Sisto IV

Nel 1471 salì al soglio pontificio Sisto IV, con cui Lorenzo, nonostante una cordialità iniziale,
non ebbe rapporti facili. Oltre ad alcuni problemi economici, c’era un conflitto di interessi
rispetto alla città di Imola, ambita sia da Firenze che dal pontefice. 

Sisto IV e l’appoggio della famiglia Pazzi

Il Banco dei Medici rifiutò (anche per carenza di liquidità) di anticipare al papato il denaro per
l’acquisto di Imola, che fu invece anticipato dal banco dei Pazzi, una delle più importanti
famiglie di Firenze. Per queste ragioni Lorenzo non riuscì ad ottenere un cardinalato per il fratello
Giuliano. Ma in seguito ci sarebbero state conseguenze molto più gravi. 

Sisto IV e Città di Castello

Nuovi conflitti con il papato peggiorarono ulteriormente la situazione. Sisto IV puntava a


riottenere il controllo di Città di Castello, formalmente parte dello Stato Ecclesiastico, ma nei
fatti governata da un signore protetto da Firenze. Lorenzo ordinò alle proprie truppe di tagliare i
rifornimenti all’esercito del papa, che nel 1474 marciò in Umbria allo scopo di riconquistare
Città di Castello, compromettendo i rapporti con Sisto IV. 

Controversia sulla nomina dell’arcivescovo di Firenze

Ci fu poi una controversia sulla nomina del nuovo arcivescovo di Firenze: Lorenzo estromise dalla
carica Francesco Salviati, un personaggio vicino ai Pazzi, che fu poi nominato vescovo di Pisa.
Un vescovato venne concesso anche ad un membro dei Pazzi: in risposta a ciò, Lorenzo fece
approvare una legge apposita per privare i Pazzi di una cospicua eredità. A questo punto la
famiglia rivale, appoggiata dal papa, iniziò a tramare per il rovesciamento del regime mediceo. 

L’attentato del 26 aprile

Dopo alcuni tentativi falliti o abortiti, il 26 aprile 1478, nel bel mezzo della messa di Pasqua,
Lorenzo e Giuliano de’ Medici subirono un attentato nella Cattedrale di Santa Maria del
Fiore. Appena dopo il sacramento della comunione, Lorenzo e Giuliano vennero
contemporaneamente attaccati da sicari armati di pugnali. La congiura centrò l’obiettivo soltanto
per metà: Giuliano venne assassinato di fronte all’altare, mentre Lorenzo riuscì a difendersi in
modo rocambolesco, rifugiandosi nella sagrestia Nuova. 

La vendetta contro i congiurati

I congiurati speravano che il popolo di Firenze avrebbe colto l’occasione per ribellarsi al regime
tirannico di Lorenzo. Tuttavia, il popolo era ancora legato ai Medici: dopo l’omicidio di
Giuliano alcuni sicari e congiurati vennero travolti da una folla inferocita, che li fece
letteralmente a pezzi. 

L’esecuzione dei responsabili della Congiura

Tra i congiurati spiccava il vescovo di Pisa Francesco Salviati, al quale secondo i piani sarebbe
toccata la signoria in successione dei due fratelli: fallito il suo tentativo di conquistare il palazzo
della Signoria, fu impiccato da una finestra mentre indossava ancora la veste arcivescovile. In
giornata una sorte simile toccò anche ad un fratello di Salviati, a Franceschino Pazzi (principale
organizzatore della congiura) e a circa trenta altre persone. Nei giorni seguenti ci sarebbero state
moltissime altre esecuzioni. 

La guerra di Sisto IV contro Lorenzo e l'interdetto su Firenze

Ciò non poteva non suscitare l’ira del papa, che il 1° giugno scagliò su Lorenzo e sull’intera città
di Firenze, colpevoli di aver ucciso e imprigionato ecclesiastici, un interdetto. In supporto del
papato si schierò con decisione Ferdinando I, il re di Napoli, che a luglio invase il territorio
fiorentino ergendosi a braccio secolare dell’autorità papale.  

L’autorità di Lorenzo su Firenze era in pericolo

Dal canto suo, Lorenzo poteva contare soltanto sul limitato supporto di Milano e su un timido
appoggio da parte del re di Francia. La guerra, che si protrasse fino alla fine dell’anno con
risultati piuttosto infelici, metteva seriamente a repentaglio l’autorità di Lorenzo sulla città.  
Curiosità

Chi ha ucciso Giuliano de Medici? Giuliano de Medici, fratello minore di Lorenzo, è rimasto
vittima della congiura dei Pazzi il 26 aprile del 1478. La cospirazione era stata organizzata dalla
famiglia dei Pazzi, banchieri fiorentini che puntavano ad eliminare il predominio mediceo a
Firenze. Erano stati incaricati di compiere questo gesto efferato Stefano da Bagnone e Antonio
Maffei da Volterra. Il piano inizialmente prevedeva l’avvelenamento dei due fratelli Medici durante
un banchetto ma il piano saltò per l’indisposizione di Giuliano de Medici. Il giorno dopo Giuliano,
ancora indisposto, fu condotto alla messa in Duomo dai suoi stessi aguzzini – ignaro delle loro vere
intenzioni - e lì pugnalato a morte. Lorenzo de Medici si salvò grazie all’aiuto dei suoi fidati amici
– Angelo Poliziano, Andrea e Lorenzo Cavalcanti - e di Francesco Nori, anche lui nobile banchiere
fiorentino che si mise tra Lorenzo e i suoi aggressori sacrificando la sua vita ma dando la possibilità
a Lorenzo di salvarsi.

La pace tra Lorenzo e Papa Sisto IV

A questo punto, Lorenzo azzardò una mossa piuttosto audace: si recò personalmente a Napoli per
trattare personalmente con Ferdinando I. Dopo più di due mesi di trattative (da dicembre del 1479
alla fine di febbraio dell’anno successivo) riusciva ad ottenere una pace, in verità piuttosto
incerta, grazie alla quale alla fine del 1480 Sisto IV liberò la città di Firenze dalla scomunica. 

Il Consiglio dei Settanta

Dopo questi drammatici eventi, Lorenzo consolidò il proprio potere intervenendo pesantemente
sulla costituzione della città, riordinando le finanze, e creando un nuovo consiglio (il Consiglio
dei Settanta) composto da membri molto fidati, che rafforzava il controllo dei Medici su
Firenze, ma seminava scontento in particolare nelle famiglie escluse. 

Politica matrimoniale di Lorenzo

Ci furono tentativi di nuove congiure ai danni di Lorenzo, che allo scopo di riappacificare la
situazione avviò una politica matrimoniale volta a creare legami tra i Medici e i loro
partigiani, da un lato, e le famiglie dei Pazzi e dei Salviati dall’altro lato. 

Declino del banco Medici

La guerra aveva inoltre prosciugato le finanze di famiglia, in un periodo in cui il banco Medici
doveva fronteggiare nuovi rivali in tutta Europa, trovandosi a dover chiudere le filiali in città come
Milano e Bruges. Lorenzo avviò quindi una gestione spregiudicata delle casse pubbliche, che
causarono un certo malumore a Firenze. 

Lorenzo mecenate

Anche il fatto che Lorenzo si aggirava con una scorta armata contribuiva ad alimentare nella città
forti sospetti di tirannia, controbilanciati però dagli ingenti sforzi compiuti per rendere Firenze
un centro culturale di spessore internazionale.  

Giovanni de Medici: futuro papa Leone XTra gli ultimi successi di Lorenzo bisogna infine
ricordare il tanto agognato conferimento di un cardinalato a Giovanni de’ Medici (nato nel 1475),
ottenuto dopo estenuanti trattative ed ingenti spese nel 1489 da papa Innocenzo VIII: il cardinale,
appena tredicenne, sarebbe diventato papa Leone X nel 1513. 
Il Corinto

Lorenzo de’ Medici non era soltanto un politico ma anche un uomo di lettere: a quindici anni
scrisse il suo primo componimento, un’operetta pastorale intitolata il Corinto, nonché vari sonetti e
canzoni di tema amoroso che si svilupperanno in seguito nel Canzoniere.  

Canzoni e canti, poemetti satirici e filosofici

L’opera di Lorenzo il Magnifico comprende inoltre canzoni e canti, poemetti satirici e


filosofici. Altre opere filosofiche scaturirono dai rapporti tra Lorenzo ed il filosofo neoplatonico
Marsilio Ficino, in passato protetto da suo nonno.  

Raccolta aragonese

Di grande importanza è inoltre la Raccolta aragonese, che raccoglie alcune tra le più importanti
composizioni poetiche in lingua toscana sin dal XIII secolo, ma che includeva alcune poesie
dello stesso Lorenzo: l’intento era quello di rivendicare per il toscano un ruolo di modello
linguistico dominante. 

Comento de’ miei sonetti

Il tema dell’egemonia della lingua toscana nella cultura italiana, molto caro a Lorenzo, sarebbe
tornato nel Comento de’ miei sonetti, iniziato nel 1480, una parafrasi in prosa dei suoi vecchi
sonetti amorosi, nel cui proemio Lorenzo rifletteva su come la poesia potesse essere un veicolo
per propagare in tutta Italia il prestigio culturale di Firenze. 

Opere religiose

Non mancano poi, negli ultimi anni di vita, opere di carattere religioso come la Rappresentazione
di san Giovanni e Paolo (1491).  

Lorenzo de Medici come poeta universale

L’opera poetica di Lorenzo è contraddistinta da una grande varietà stilistica e di genere, che
testimonia come il Magnifico puntasse ad essere ricordato come un poeta universale.  

Villa di Poggio a Caino

Lorenzo il Magnifico puntava a fare di Firenze una vera e propria capitale culturale d’Italia, e
per questo si adoperò molto nel coltivare nella sua città un’intensa vita intellettuale e artistica. Se
suo nonno Cosimo aveva abbellito Firenze con chiese e palazzi, Lorenzo dovette fare i conti con
una disponibilità finanziaria ridotta: tra le poche opere architettoniche di rilievo si ricorda la villa di
Poggio a Caiano (1485). 

Lorenzo: patrono di architetti e pittori

Pur senza finanziare grandi opere architettoniche, Lorenzo fu riconosciuto dai suoi
contemporanei come un patrono di architetti e pittori: non soltanto li protesse e li ospitò presso
la sua corte, ma favorì presso le corti di tutta Italia architetti come Giuliano da Sangallo, ed artisti
come il Ghirlandaio, Botticelli ed il Perugino, diffondendo e in tutta Italia l’eccellenza dell’arte di
Firenze. 

Gli artisti di Lorenzo de Medici

Ancora più significativa fu la protezione accordata da Lorenzo a scrittori di ogni tipo: non
soltanto poeti e letterati, ma anche umanisti e filosofi. Oltre al già menzionato Ficino, vanno
ricordati Angelo Poliziano, che per conto del Magnifico collezionò centinaia di manoscritti greci di
inestimabile valore, con l’obiettivo di rendere Firenze una nuova Atene, e Pico della Mirandola,
che dedicò a Lorenzo il suo Heptaplus.   

8Gli ultimi anni


Lorenzo il Magnifico circondato dagli artisti: affresco di Ottavio Vannini — Fonte: getty-images

La malattia

Quando nell’estate del 1488 morì sua moglie Clarice Orsini, da cui aveva avuto sette figli,
Lorenzo era ormai, come i suoi antenati, gravemente ammalato di gotta, tanto da non potersi
praticamente più muovere.  

Girolamo Savonarola

Se la reputazione di Lorenzo il Magnifico, signore di Firenze, era viva in tutta Europa, la sua
effettiva importanza politica non fece di lui l’ago della bilancia d’Italia: al contrario, Lorenzo
seppe muoversi con cautela e intuito in un complesso mondo politico e diplomatico fatto di
equilibri precari, pesi e contrappesi. Nei suoi ultimi anni di vita, a Firenze il ceto popolare
iniziava a manifestare un certo malumore, abilmente captato dal predicatore domenicano
Girolamo Savonarola.  

Ascesa al potere del figlio Piero

Lorenzo il Magnifico morì l’8 aprile del 1492: se alcuni fiorentini speravano che sarebbe stata
l’occasione giusta per rendere di nuovo libera la Repubblica di Firenze, il potere venne ereditato in
modo relativamente indolore da suo figlio Piero.  

Indebolimento fisico e morte di Lorenzo

Lorenzo de Medici morì vittima della gotta, malattia ereditaria di cui avevano sofferto altri
Medici prima di lui. La sottovalutazione di ulcera presto andata in gangrena portò ad un
indebolimento fisico e alla morte del magnifico a soli 43 anni, l’8 aprile del 1492. 

"Trionfo di Bacco e Arianna" di Lorenzo de' Medici: riassunto e commento

Oltre alla Nencia da Barberino, un altro componimento popolareggiante di Lorenzo de’ Medici è il
Trionfo di Bacco e Arianna, detta anche Canzona di Bacco, che fa parte dei Canti carnascialeschi.
Questi canti vengono composti in occasione di feste popolari, come il carnevale, e vengono pensati
per essere intonati nelle processioni carnevalesche dei carri dalle compagnie di attori e musici
mascherati.

La Canzona di Bacco è forse il più noto canto carnascialesco a noi giunto ed era destinato ad essere
cantanto durante un corteo mitologico trionfale, dedicato al dio del vino, Bacco, accompagnato
dalla sua sposa, Arianna. Metricamente, si tratta di una ballata di ottonari. Il coro descrive appunto
il corteo, presentando i diversi personaggi che lo compongono. Le descrizioni sono intervallate dal
ritornello (o ripresa): “chi vuol essere lieto, sia: | di doman non c’è certezza”. Il tema centrale,
espresso fin dai primi versi e dalla ripresa ("Quant’è bella giovinezza, | che si fugge tuttavia!”), è la
giovinezza gioiosa, ma effimera, in quanto solo di passaggio. Il poeta invita quindi a godere di
questi momenti lieti, dal momento che passeranno rapidamente e non si possono conoscere gli
avvenimenti futuri. La tematica del trascorrere del tempo e delle gioie passeggere della vita è tipica
della tradizione classica - si consideri, per esempio, l’ode 1,11 di Orazio con il celeberrimo verso
“carpe diem quam minimum credula postero”.

L’originalità del testo del Magnifico è la vivacità popolare con cui riesce ad esprimere questo amaro
concetto. Tutto il componimento è caratterizzato da una forza gioiosa, velata pacatamente da un
sentimento di malinconia, dettato dall’incertezza del domani e dal fuggire del tempo. Solo la festa e
la gioia dell’amore e dell’ebbrezza permettono di dimenticare questi tristi aspetti della vita:

Donne e giovinetti amanti,

viva Bacco e viva Amore!

Ciascun suoni, balli e canti!

Arda di dolcezza il core!

Non fatica, non dolore!

La conclusione tuttavia lascia emergere l’amara realtà di un destino ignoto.

Quant’è bella giovinezza,

che si fugge tuttavia!

chi vuol esser lieto, sia:

di doman non c’è certezza.

     Quest’è Bacco e Arïanna,

belli, e l’un dell’altro ardenti:


perché ’l tempo fugge e inganna,

sempre insieme stan contenti.

Queste ninfe ed altre genti

sono allegre tuttavia.

Chi vuol esser lieto, sia:

di doman non c’è certezza.

       

     Questi lieti satiretti,

delle ninfe innamorati,

per caverne e per boschetti

han lor posto cento agguati;

or da Bacco riscaldati

ballon, salton tuttavia.

Chi vuol esser lieto, sia

di doman non c’è certezza.

     Queste ninfe anche hanno caro

da lor essere ingannate:

non può fare a Amor riparo

se non gente rozze e ingrate:

ora, insieme mescolate,

suonon, canton tuttavia.

Chi vuol esser lieto, sia:

di doman non c’è certezza.

     Questa soma, che vien drieto


sopra l’asino, è Sileno:

così vecchio, è ebbro e lieto,

già di carne e d’anni pieno;

se non può star ritto, almeno

ride e gode tuttavia.

Chi vuol esser lieto, sia:

di doman non c’è certezza.

     Mida vien drieto a costoro:

ciò che tocca oro diventa.

E che giova aver tesoro,

s’altri poi non si contenta?

Che dolcezza vuoi che senta

chi ha sete tuttavia?

Chi vuol esser lieto, sia:

di doman non c’è certezza.

     Ciascun apra ben gli orecchi,

di doman nessun si paschi;

oggi siam, giovani e vecchi,

lieti ognun, femmine e maschi;

ogni tristo pensier caschi:

facciam festa tuttavia.

Chi vuol esser lieto, sia:

di doman non c’è certezza.

 
     Donne e giovinetti amanti,

viva Bacco e viva Amore!

Ciascun suoni, balli e canti!

Arda di dolcezza il core!

Non fatica, non dolore!

Ciò c’ha a esser, convien sia.

Chi vuol esser lieto, sia:

di doman non c’è certezza.

TRIONFO DI BACCO E ARIANNA, ANALISI DEL TESTO

Quali temi sono trattati nel poema? Di cosa parla l'opera?

Nelle ultime due strofe il poeta esorta il lettore (o l’ascoltatore) a far finta e a giocare senza pensare
al domani con tristezza, abbandonandosi a gioie e piaceri poiché “di domani non c’è certezza”.

La concezione dell’amore di Lorenzo de Medici in questo componimento è di tipo naturalistico ed


edonistico, ma con accenni di tradizione cortese nei versi 23-24.

Nella poesia vengono citati due personaggi del mito, Sileno e Mida, metafore della vecchiaia e
dell’avidità di ricchezza. Il primo, felice ed ebbro, è il precettore di Bacco e ci viene presentato così
grasso e vecchio da dover procedere nella festa su un asino da soma; il secondo fu il re Mida, che si
fece donare da Zeus la capacità di trasformare in oro qualsiasi cosa toccasse.

Nel brano prevalgono termini di uso comune coerenti per lo scopo del componimento, ovvero di
cantare la poesia in piazza o per le strade tra la folla a carnevale.

Le proposizioni vengono principalmente spezzate da virgole senza mettere in evidenza forti


“stacchi” (infatti c’è un solo enjambement). Il ritmo incalzante e rapido tuttavia nasconde un tono
malinconico, di vana speranza riguardo allo scampare la fine delle gioie.

In questo componimento vengono esaltati tutti gli elementi caratteristici dell’edonismo idillico:
bellezza, giovinezza, grazia e armonia. Il piacere sfugge in fretta e bisogna approfittare oggi, dato
che “del domani non c’è certezza”; è importante godere della giovinezza e delle sue gioie graziose
oggi che si fa festa, senza badare alla tristezza ed è auspicabile non pensare  al futuro, poiché il bene
e il piacere terreno non è eterno. Inoltre si distinguono altri elementi un po’ di cornice che sono
tipici di questa mentalità: l’allegoria tratta dal mito e il luogo idilliaco del locus amoenus.

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