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Ihra italian chairmanship 2018

International Conference in Rome


the racist laws before and after the shoah
models, practices and heritage

Presidenza italiana IHRA 2018


CONFERENZA INTERNAZIONALE
le leggi razziali prima e dopo la shoah
modelli, pratiche ed eredità

Edited by | A cura di

IHRA Italian Chairmanship 2018


Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca
Direzione Generale per lo Studente, l’Integrazione e la
Partecipazione
Fondazione per le scienze religiose Giovanni XXIII
Le leggi razziali.
Prima e dopo la Shoah: modelli, pratiche ed eredità

Atti della conferenza sotto l’alto patrocinio del presidente


della Repubblica italiana
Roma, 27 maggio 2018

Organizzata da

OCAUST
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Fondazione
Centro di
Documentazione
Ebraica
Contemporanea
CDEC - Onlus

Prima edizione 2019


ISBN 978-88-96118-08-5
© 2019 Fondazione per le scienze religiose Giovanni XXIII
via San Vitale 114
40125 Bologna

Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte di questa pubblicazione può


essere fotocopiata, riprodotta, archiviata, memorizzata o trasmessa in
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se non nei termini previsti dalla legge che tutela il Diritto d’Autore.
Contents

9 Opening Addresses | Saluti iniziali 


Sandro De Bernardin
15 Opening Addresses | Saluti iniziali  Giuseppe Pierro
19 Foreword | Prefazione  Giuliano Amato
25 Separare e punire: il razzismo nell’Impero fascista 
Lucia Ceci
39 Il destino dei professori italiani espulsi nel 1938 
Roberto Finzi
55 Canon Law and Jewish Children in Liberated France 
Alberto Melloni
51 1. The Problem
54 2. A Citation
61 3. A Polemic
66 4. Clarification
70 5. A ‘True’ Test?
75 6. A Comparison
79 7. Closure
83 8. A Tone
88 9. Conclusion
97 La legislazione fascista contro gli ebrei 
Michele Sarfatti
111 Crossing Bridges: Racist Policy from Research to Politics 
Wichert ten Have
110 1. Persecution in Context
114 2. The Gradual Character of the Persecution
118 3. Conclusion and Relevance
127 Concluding Speech | Saluti finali  Yehuda Bauer
132 Names Index
Separare e punire: il razzismo
nell’Impero fascista
Lucia Ceci

Se, in riferimento alla genesi del nazismo, l’importanza del


laboratorio coloniale come prima sintesi tra ‘massacro’ e
‘amministrazione’ fu descritta da Hannah Arendt mentre
la seconda guerra mondiale era ancora in corso,1 per la sto-
ria del fascismo il nesso tra violenza coloniale e antisemi-
tismo è stato oggetto di attenzione solo negli ultimi lustri,
nell’ambito di un più generale rinnovamento degli studi
volti a ricostruire le origini culturali e l’autonomia del pen-
siero razzista e antisemita italiano rispetto al nazismo.
La centralità del razzismo verso i neri in generale e le
popolazioni dell’Africa Orientale Italiana (Etiopia, Eritrea
e Somalia) in particolare nell’elaborazione della ideologia
e della politica della razza fu tematizzata da Michele Sar-
fatti nel volume, pubblicato nel 2000, Gli ebrei nell’Italia
fascista. Vicende, identità, persecuzioni,2 il cui nucleo cen-

1
Mi riferisco naturalmente a The Origins of Totalitarianism (New York:
Harcourt, Brace and Co., 1951) pubblicato nel 1951 ma nato dalla fusione
di testi scritti in gran parte durante la guerra.
2
M. Sarfatti, Gli ebrei nell’Italia fascista. Vicende, identità, persecuzioni (To-
rino: Einaudi, 2000), 131–139.

25
Lucia Ceci

trale era già stato anticipato dall’autore in un ampio saggio


inserito negli Annali della Storia d’Italia edita da Einaudi.3
L’indicazione divenne un punto di riferimento costante
negli studi sull’antisemitismo, impegnati in un percorso di
profondo ripensamento dal finire degli anni Ottanta, ov-
vero dalla celebrazione, nel 1988, del cinquantesimo anni-
versario delle leggi razziste fasciste, con cui i primi bilanci
storiografici sulla Shoah italiana fanno coincidere la svolta
sul tema.4 Fu infatti allora che, per la prima volta, due tra le
massime autorità della Repubblica italiana, la Camera dei
Deputati e il Senato, in collaborazione con l’Unione delle
Comunità Ebraiche Italiane e del Centro di Documenta-
zione Ebraica Contemporanea, promossero iniziative vol-
te a sensibilizzare l’opinione pubblica sulla persecuzione
degli ebrei in Italia e sul contrastato percorso della resti-
tuzione nel dopoguerra.5 Le ricerche maturate di lì a poco
rappresentarono anche la risposta a una dichiarazione, di-
venuta celebre, di Renzo De Felice secondo cui il fascismo
era stato “fuori dal cono d’ombra dell’Olocausto”:6 frase

3
M. Sarfatti, “Gli ebrei negli anni del fascismo: vicende, identità, per-
secuzione”, in Storia d’Italia, Annali 11/2, Gli ebrei in Italia, a cura di C.
Vivanti (Torino: Einaudi, 1997) 1623–1664.
4
G. Schwarz, “Les saisons de la mémoire. Les années 1980 et l’émergence
de la Shoah dans le discours public italien”, Revue d’Histoire de la Shoah
206 (2017) 47–62.
5
La legislazione razziale in Italia e in Europa (Roma: Camera dei Deputati,
1989) e M. Toscano (ed.), L’abrogazione delle leggi razziali in Italia (1943–
1987) (Roma: Senato della Repubblica, 1988).
6
Intervista di Giuliano Ferrara a Renzo De Felice, “Perché deve cadere la
retorica dell’antifascismo”, Corriere della Sera, 27 dicembre 1987.

26
Separare e punire: il razzismo nell’Impero fascista

che, più di altre, risultò paradigmatica dell’atto di rimo-


zione e autoassoluzione delle responsabilità della società
italiana rispetto al regime fascista.7
Da allora, in un evidente intreccio tra mutamenti po-
litici e avanzamento della ricerca storica, gli studi relativi
alle persecuzioni antiebraiche hanno spostato i riflettori
dal periodo 1943–1945 agli anni 1938–1943 e quindi al trien-
nio 1935–1938, considerando la politica fascista contro gli
ebrei come appartenente “tout court alla storia del fasci-
smo e della società italiana sotto il fascismo”,8 con il risul-
tato di consentire il superamento, almeno sul piano sto-
riografico, del cosiddetto paradigma del ‘bravo italiano’.9
La revisione storiografica è stata consolidata dalla rico-
struzione delle teorie eugenetiche, elaborate su entrambe
le sponde dell’Atlantico,10 e ha coinvolto negli ultimi 30
anni diverse generazioni di storici.11 Ma è soprattutto la

7
F. Focardi, La guerra della memoria (Roma: Laterza, 2005), 252–258.
8
Lo ha sottolineato con particolare forza Enzo Collotti nel volume, a sua
cura, Razza e fascismo. La persecuzione degli ebrei in Toscana. 1938–1943 (2
vol.; Roma/Firenze: Carocci/Regione Toscana, 1999), 19–20.
9
D. Bidussa, Il mito del bravo italiano (Milano: Il Saggiatore, 1993).
10
F. Cassata, Molti, sani e forti. L’eugenetica in Italia (Torino: Bollati Bo-
ringhieri, 2006).
11
Si vedano I. Pavan, “Gli storici italiani e la Shoah”, in M. Flores/S. Levis
Sullam/M.-A. Matard-Bonucci/E. Traverso (ed.), Storia della Shoah in Ita-
lia. Vicende, memorie, rappresentazioni (2 vol.; Torino: Utet, 2010) 133–164;
V. Galimi, “Politica della razza, antisemitismo, Shoah”, Studi storici 55, 1
(2014) 169–181; M. Toscano, “Il dibattito storiografico sulla politica raz-
ziale del fascismo”, in Leggi razziali. Passato/presente, a cura di G. Resta/V.
Zeno-Zencovich (Roma: Roma TrE-Press, 2015) 9–41.

27
Lucia Ceci

ricostruzione del dibattito giuridico,12 mi sembra, ad aver


messo in luce la centralità del turning point del 1935–1937,
quando la razza entra nei programmi di governo, trova
formulazione in testi legislativi, crea le condizioni di pre-
dicabilità dei fenomeni sociali, producendo categorie in
grado di subordinare il godimento dei diritti civili e poli-
tici alle origini biologiche di ciascun individuo: meticcio,
razza, poi ariano.13
Benché anche tra i giuristi le posizioni non fossero uni-
formi in tema di razzismo, collegandosi spesso a tradizioni
culturali diverse, la conquista dello Stato sovrano dell’E-
tiopia e la successiva proclamazione dell’Impero impresse-
ro un’accelerazione decisiva alla elaborazione giuridica del
concetto di razza e delle politiche in sua ‘difesa’.14
Nel progetto di purificazione razziale messo in campo
dal governo fascista in Africa Orientale risultò cruciale la
questione dei ‘meticci’, individui nati da relazioni tra cit-
tadini italiani e sudditi coloniali. Il tema è molto ampio,
andrebbe inserito nella storia del colonialismo italiano,
comparato con altre storie coloniali, affrontato sul piano

12
Rinvio alle rassegne storiografiche: S. Falconieri, “Razzismo e anti-
semitismo. Percorsi della storiografia giuridica”, Studi storici 55, 1 (2014)
155–168; I. Stolzi, “Fascismo e cultura giuridica”, ibid., 139–154.
13
A. Mazzacane, “Il diritto fascista e la persecuzione degli ebrei”, Studi
storici 52, 1 (2011) 94.
14
O. De Napoli, “The Origin of the Racist Laws under Fascism. A Pro-
blem of Historiography”, Journal of Modern Italian Studies 17, 1 (2012)
106–122.

28
Separare e punire: il razzismo nell’Impero fascista

della storia culturale e di genere.15 Per ragioni di tempo e


nel tentativo di fornire un quadro limitato ma coerente mi
concentro su alcune questioni.
Nei testi di legge la nozione di razza compare per la
prima volta nella Legge organica per l’Eritrea e la Somalia
del 1933, che stabiliva i principi generali in base ai quali si
poteva accedere alla cittadinanza italiana da parte dei nati
da genitori ignoti in territorio coloniale. Si trattava di un
ordinamento che, nel complesso, tendeva all’assimilazio-
ne dei meticci alla cittadinanza metropolitana in misura
maggiore della precedente normativa giolittiana, ma che
apriva, cionondimeno, la costruzione del concetto giuri-
dico di razza. Le disposizioni più innovative erano conte-
nute negli articoli 17 e 18, laddove si faceva riferimento alla
possibilità, per i meticci nati in colonia da un genitore ‘di
razza bianca’ rimasto ignoto, di richiedere al compimento
del diciottesimo anno di età la cittadinanza italiana che
il giudice poteva concedere dopo aver accertato caratteri
somatici, livello culturale, requisiti comportamentali.16
Nel discorso di presentazione del disegno di legge alla
Camera dei Deputati il ministro delle Colonie Emilio De

15
Cf. G. Gabrielli, “Un aspetto della politica razzista nell’impero: il ‘pro-
blema dei meticci’”, Passato e presente 15, 41 (1997) 77–115; B. Sòrgoni, Pa-
role e corpi. Antropologia, discorso giuridico e politiche sessuali interrazziali
nella colonia Eritrea (1890–1941) (Napoli: Liguori, 1998) e R. Giuliani Ca-
ponetto, Fascist Hybridities. Representations of Racial Mixing and Diaspora
Cultures under Mussolini (New York: Palgrave Macmillan, 2015).
16
O. De Napoli, La prova della razza. Cultura giuridica e razzismo in Italia
negli anni Trenta (Napoli: Le Monnier, 2009), 3–7.

29
Lucia Ceci

Bono introdusse un’espressione, “la prova della razza”, de-


stinata di lì a poco ad entrare nella gius-pubblicistica come
fosse una nozione giuridica.17 “La prova della razza” diven-
ne anche il titolo di un noto articolo di Ernesto Cucinotta,
pubblicato sulla Rivista delle colonie italiane nel settembre
1934. L’autore, giudice in Somalia dal 1914 e membro tra il
1931 e il 1935 del Consiglio superiore coloniale, evidenzia-
va, in riferimento alla normativa del 1933, l’assoluta novità
rappresentata dall’introduzione nell’ordinamento positivo
italiano del concetto di razza inteso in senso biologico:

Con le nuove disposizioni il concetto di razza […] viene


così ad essere introdotto nella nostra legislazione positi-
va, a rappresentare un carattere del concreto status delle
persone ai fini della loro appartenenza ad una data nazio-
ne ed a costituire, in altri termini, un concetto stretta-
mente giuridico.18

È a partire da questo momento che la cultura giuridica ita-


liana iniziò a discutere categorie e formule che rendevano
pensabili e quindi applicabili provvedimenti di tipo raz-
ziale. Nel dibattito intervennero Berlindo Giannetti, Ste-
fano Mario Cutelli, naturalmente Carlo Costamagna, tra
i più brillanti teorici del razzismo italiano, chiamato, non

17
Atti Parlamentari, Camera dei Deputati, Disegno di legge presentato dal
ministro delle Colonie, leg. XXVIII, sessione 1929–1933, Documenti, Dise-
gni di legge e relazioni, n. 1704, 1–3.
18
E. Cucinotta, “La prova della razza”, Rivista delle colonie italiane 7 (1934)
743–751.

30
Separare e punire: il razzismo nell’Impero fascista

a caso, a redigere la voce ‘Razza’ del Dizionario di politica


a cura del Partito nazionale fascista.19 Il dibattito interagì
naturalmente con il discorso politico fascista, individuò
continuità e discontinuità nella legislazione coloniale del
Regno, stabilì confronti con i sistemi giuridici di altre po-
tenze coloniali, contribuendo alla messa a punto di un di-
ritto razziale nella pubblicistica, nelle dottrine giuridiche
e nella stessa giurisprudenza.20
La conquista dell’Impero aprì una fase politica caratte-
rizzata da una più accentuata intenzione razzista, con un
crescente protagonismo del capo del governo. Per Musso-
lini l’Impero fascista doveva avere una omogeneità cultu-
rale, antropologica e biologica ‘italiana’: esso doveva rap-
presentare una vetrina per le realizzazioni del regime. In
questo quadro un ostacolo da rimuovere era rappresenta-
to dai meticci, la cui stessa esistenza era considerata lesiva
del prestigio della razza italiana in quanto faceva saltare la
netta linea di separazione tra padroni e sudditi.
La regolamentazione della sessualità interrazziale non
costituiva una prerogativa del fascismo, ma un elemento
chiave di tutti i governi coloniali. Durante i primi decenni
del Novecento norme contro il concubinaggio erano state
applicate anche nelle colonie africane di altre potenze eu-
ropee (Gran Bretagna, Olanda, Francia). La regolamenta-
zione della sessualità interrazziale era infatti considerata

19
C. Costamagna, “Razza”, in Dizionario di politica (4 vol.; Roma: Istituto
della Enciclopedia italiana, 1939–1940) 26.
20
De Napoli, La prova della razza, 3–7.

31
Lucia Ceci

un elemento chiave delle strategie di governo coloniale,


in quanto mirava a definire i confini tra colonizzatori e
colonizzati, e a costruire o rafforzare gerarchie coloniali
quando queste ultime erano percepite come vulnerabili.21
Ma se costruire una società coloniale pienamente se-
gregata non era una cifra specifica del fascismo, peculiari
furono invece i mezzi e gli stili della politica razziale del re-
gime. Al controllo della sessualità nell’Impero fu attribuita
massima importanza già mesi prima della guerra attraverso
l’apertura di postriboli in cui i servizi sessuali erano offerti
esclusivamente da prostitute bianche.22
Nella fase della conquista militare il dominio sugli afri-
cani era passato attraverso il linguaggio delle armi e una ses-
sualità predatoria: basti pensare al successo della canzone
Faccetta nera o al fitto traffico di cartoline e foto raffiguranti
donne africane nude. Come ha mostrato Sandra Ponzanesi
nelle sue analisi dei rapporti tra razza e gender, nel contesto
politico della dominazione coloniale, alle donne etiopi era-
no attribuiti fascino sessuale e volontà di essere conquista-
te: tratti, atteggiamenti che non erano permessi alle donne
europee o che quest’ultime sembravano aver perso.23

21
A.L. Stoler, Carnal Knowledge and Imperial Power: Race and Intimate in
Colonial Rule (Berkley: University of California Press, 2002).
22
G. Barrera, “Mussolini’s Colonial Race Laws and State-settler Relations
in Africa Orientale Italiana (1935–1941)”, Journal of Modern Italian Studies
8 (2003) 425–443.
23
S. Ponzanesi, “The Color of Love. Madamismo and Interracial Rela-
tionships in the Italian Colonies”, Research in African Literatures 2 (2012)
155–172.

32
Separare e punire: il razzismo nell’Impero fascista

Terminata la conquista militare, l’obiettivo divenne for-


mare un impero popolato da famiglie italiane e scongiurare
il formarsi di una generazione di meticci, visti come un’of-
fesa alla dignità della ‘razza dominatrice’ e un serio peri-
colo per l’ordine pubblico. Numerose sono le attestazioni
documentarie di tale indirizzo. Inizio da una fonte privata,
il Diario di Claretta Petacci, riferendomi però solo alle pagi-
ne passate al vaglio di Giorgio Fabre nelle carte conservate
presso l’Archivio Centrale dello Stato. Il 28 agosto 1938 la
Petacci, nel descrivere alcune ore trascorse con il suo Be-
nito, ne riporta la reazione rabbiosa a seguito della lettura
di un rapporto proveniente dalle colonie africane. Il duce si
scalda e si scaglia contro gli italiani “schifosi e incoscienti”,
senza dignità e “senza coscienza della razza”, che vivono nei
tukul con le negre o hanno con esse relazioni sessuali. “Bi-
sogna dare il senso della razza agli italiani – avrebbe affer-
mato Mussolini in un’altra occasione – che non creino dei
meticci, che non guastino ciò che c’è di più bello in noi”.24
Ma il piano più rilevante è quello pubblico. Il 9 gen-
naio 1937, in occasione della presentazione al Consiglio
dei ministri del progetto dal titolo “Provvedimenti per
l’integrità della razza”, poi modificato in “Provvedimenti
per i rapporti tra nazionali e indigeni”, La Stampa ospi-
tò in prima pagina l’articolo del ministro delle Colonie
Alessandro Lessona, ‘Gli italiani nell’impero. Politica di
razza’, in cui si definiva il meticciato “una dolorosa piaga”

24
G. Fabre, “Mussolini, Claretta e la questione della razza, 1937–38”, An-
nali della Fondazione Ugo La Malfa 24 (2009) 347–367.

33
Lucia Ceci

e l’“accoppiamento con creature inferiori” “anormale” sul


piano fisiologico e “deleterio” per la “stirpe dominatrice”.
Il 19 aprile 1937 venne quindi emanato il decreto Lesso-
na, noto come legge sul madamato, pubblicato in Gazzet-
ta il 24 giugno 1937, che prevedeva la reclusione da uno a
cinque anni per “il cittadino italiano che nel territorio del
Regno o delle Colonie tiene relazione d’indole coniugale
con una persona suddita dell’Africa Orientale Italiana o
assimilata”.25 Il concetto di razza non compariva nel testo
normativo; ne era però il fondamento poiché rappresen-
tava il bene giuridico che la norma era volta a tutelare.26
L’intervento legislativo, voluto da Mussolini, era stato an-
ticipato da alcune direttive impartite dal ministro delle
Colonie Alessandro Lessona al viceré Rodolfo Graziani il 5
agosto 1936, nelle quali si erano fornite indicazioni molto
più dettagliate sulle iniziative da intraprendere per far sì
che i bianchi conducessero una vita “nettamente distin-
ta da quella degli indigeni”: misure tra cui rientrava l’or-
ganizzazione di “case di tolleranza, anche ambulanti, con
donne di razza bianca” con assoluto divieto di accesso agli
indigeni.27
La segregazione razziale fu perseguita utilizzando una
pluralità di strumenti: campagne propagandistiche, re-
pressione, pianificazione urbanistica politica scolastica,

25
Emanato come regio decreto legge n. 880, il provvedimento fu pubbli-
cato nella Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia, n. 145, il 24 giugno 1937, e
convertito in legge n. 2590 il 30 dicembre 1937.
26
De Napoli, La prova della razza, 65.
27
G. Rochat, Il colonialismo italiano (Torino: Loescher, 1973), 188–189.

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Separare e punire: il razzismo nell’Impero fascista

decreti governatoriali, regolamenti, circolari, leggi dello


Stato; il tutto dietro il personale, costante impulso del
duce. In questo si può individuare una specificità fascista
della segregazione sessuale attuata nelle terre dell’Impe-
ro. Essa venne portata avanti con un alto grado di inter-
ventismo del governo e del capo del governo, attraverso il
ricorso allo strumento della legge penale, caso unico nel
contesto del colonialismo europeo.28
Allo stesso tempo nella memoria popolare italiana è ri-
masta un’immagine bonaria e lassista del controllo della
sessualità interrazziale in colonia, anche grazie alle bana-
lizzazioni offerte da figure pubbliche come Indro Monta-
nelli, che in più di una circostanza ha ricordato di avere
acquistato nel 1936 una giovanissima bambina eritrea
prendendola con sé come ‘madama’, o alla notorietà dei
costumi sessuali del governatore dell’Ahamara, il generale
Pirzio Biroli, spesso visto nel mercato di Gondar scegliere
di persona le donne da portare nella sua residenza per la
notte. Banalizzazioni che vanno comprese all’interno del-
la difficoltà di abbandonare la concezione predatoria della
sessualità interrazziale (pensiamo a Tempo di uccidere di
Ennio Flaiano), paradigmatiche, al tempo stesso, delle dif-
ficoltà della macchina repressiva del regime a operare fra
gli stessi quadri dirigenti.29

28
N. Labanca, La guerra d’Etiopia. 1935–1941 (Bologna: Il Mulino, 2015),
153–181.
29
G. Melis, La macchina imperfetta. Immagine e realtà dello Stato fascista
(Bologna: Il Mulino, 2018).

35
Lucia Ceci

Per non aprire fronti con il Vaticano, proprio mentre


era in pieno corso la polemica tra Pio XI e la Germania na-
zista,30 il decreto Lessona non menzionava i matrimoni – a
differenza dei provvedimenti del novembre 1938 – bensì le
“relazioni di indole coniugale”. Il provvedimento toccava
però ambiti come la sessualità, la natalità, la genitorialità
particolarmente importanti sul piano pastorale e magi-
steriale. I vertici della Chiesa cattolica, che non avevano
fatto mancare il proprio sostegno al regime nella fase del-
la conquista militare, offrirono anche in questo passaggio
piena collaborazione al governo italiano, nonostante l’e-
straneità di prospettive razziste verso le popolazioni nere
nel magistero di Pio XI. Sollecitata a dare un parere nel
merito dal cardinal Eugène Tisserant, prefetto della con-
gregazione per la Chiesa orientale, la Segreteria di Stato
guidata da Eugenio Pacelli assunse una posizione molto
spregiudicata, negando che potessero sussistere, dal punto
di vista cattolico, differenze di razza tali da impedire unio-
ni matrimoniali, ma offrendo in conclusione sostegno al
governo per l’attuazione del decreto in colonia in nome
degli effetti moralizzatori, sul piano dell’etica matrimonia-
le, di una legge che condannava il concubinato tra italiani
e indigeni e auspicando anzi un’analoga disposizione che
condannasse tutte le forme di concubinato.31

30
L. Ceci, “La réception de Mit Brennender Sorge en Italie”, in F. Bouthillon/
M. Levant (ed.), Pie XI, un Pape contre le nazisme? L’encyclique Mit
brennender Sorge (14 mars 1937) (Brest: éditions dialogues, 2016) 277–296.
31
L. Ceci, Il papa non deve parlare. Chiesa, fascismo e guerra d’Etiopia
(Roma: Laterza, 2010), 160–169.

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Separare e punire: il razzismo nell’Impero fascista

Non entra nei tempi di questo mio intervento ricorda-


re la drammatica accelerazione, in questi stessi mesi, delle
iniziative antisemite: la pubblicazione del noto libello di
Paolo Orano, della nuova edizione dei Protocolli dei Savi
di Sion, degli articoli di Telesio Iterlandi e di esponenti
del mondo scientifico, cui possiamo aggiungere la ratifica
dell’istituzione di un dipartimento governativo presso il
ministero dell’Interno cui dodici mesi dopo sarebbe stata
affidata anche la politica della razza. Voglio invece con-
cludere stringendo in estrema sintesi il focus su tre punti.
Con la conquista dell’Etiopia l’Italia divenne ufficialmen-
te uno Stato razzista. La legislazione antiebraica rappre-
sentò un salto di qualità, una frattura che non può essere
considerata una conseguenza inevitabile della normativa
razzista coloniale. Allo stesso tempo le discriminazioni
introdotte verso i neri consentirono, a livello giuridico, il
sovvertimento delle fonti del diritto e furono accompa-
gnate da un’azione di propaganda che contribuì ad alzare
la febbre del razzismo.
Diversi anni orsono, intervenendo sulla Shoah, Gio-
vanni Miccoli richiamò l’attenzione sull’assenza di anti-
corpi, nella società italiana, per reagire all’antisemitismo,
con riferimento soprattutto alla mancanza di anticor-
pi culturali, etici, religiosi. Credo che la pagina di storia
sommariamente descritta in queste pagine metta in luce
come a metà degli anni Trenta il sistema immunitario
della società italiana, nelle sue diverse componenti, fos-
se già piuttosto infiacchito per reagire a un virus razzista
politicamente, culturalmente, giuridicamente già molto
aggressivo.

37

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