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IL SACRO E LA SCENA

3-17 L'ACTIO LITURGICA


Il termine "liturgia", nella lingua greca classica, indicava un'opera pubblica imposta ai cittadini dallo Stato al
fine di proporre iniziative di vario genere a favore della comunità, come organizzare giochi, opere teatrali,
feste, e cosi via. Il termine venne poi ripreso dai cristiani per indicare le azioni simboliche di carattere
cultuale con cui la Chiesa fa memoria della redenzione compiuta da Cristo, presentandola simbolicamente.
Si ritiene che nella liturgia vi sia una componente di teatralizzazione, anche se vi sono differenze sostanziali
tra actio liturgica e opera teatrale, a partire dalla concezione del tempo e dello spazio. L'actio liturgica,
infatti, per quanto si esprima nei simboli, viene ritenuta azione reale, dunque non finzione e né ricordo. Il
tempo della liturgia si sviluppa inoltre in una dimensione di "eternità", all'interno della quale il fedele vive il
presente, il passato e il futuro, che sono combinati in una sintesi. Pertanto, la liturgia è sempre una
messinscena storicamente determinata, ma viene vissuta dal fedele come "reale" nel senso che propone
valori attualizzanti e contemporanei alla rappresentazione. Il teatro gode anche di una dimensione storica
(mette in scena miti, si fa portatore di ideologie), ma non si realizza nel luogo e nel tempo della
rappresentazione, dunque è finzione. Al contrario, dunque, la liturgia determina in quel luogo e in quel
momento (hic et nunc) il dialogo tra la sfera divina e quella umana. Per questa ragione, la rappresentazione
messa in atto dalla liturgia è per il credente azione reale. Un'altra differenziazione da compiere è quella
secondo cui la liturgia, diversamente dal teatro, non concede variabili interpretative nei canti, nei gesti e
nelle parole. Semmai l'arte, nelle sue espressioni tecniche, è parte integrante della liturgia al punto da
diventare liturgia essa stessa. La liturgia viene ritenuta una delle prime forme di "messinscena" in quanto
composta dalla "scenografia" intesa sia come spazio architettonico di svolgimento della cerimonia, sia come
l'insieme delle pratiche poste in essere dalla liturgia stessa. Quando l'actio si sposterà fuori dalla chiesa, la
scenografia costruita per la rappresentazione dell'argomento sacro si configurerà come componente
tecnica della messinscena (le origini delle tecniche scenografiche sono individuate nell'actio liturgica; essa
diviene scenografia tout court dal momento in cui la rappresentazione si svolge in un contesto
extraliturgico). Anche l'articolazione del tempo cristiano viene ritenuta un altro strumento di
rappresentazione del sacro posto a fondamento dello sviluppo della messinscena laica: qui lo spazio
architettonico, insieme alle dinamiche della luce che si propaga in esso, costituiscono argomenti che
diverranno riferimenti importanti per la scenografia laica. Lo spazio nel quale normalmente si realizza
l'azione liturgica è l'aula ecclesiale, contesto soggetto ad assumere diverse articolazioni architettoniche in
rapporto all'evoluzione della liturgia stessa. L'aula costituisce il riferimento primario di quello che è oggi lo
spazio scenico. Nella liturgia sono previsti precisi percorsi legati alla dinamica teatrale che sono collegati
alla geometria di base della chiesa. Il primo va da est a ovest e viceversa, il secondo da nord a sud e
viceversa. In particolare, il percorso est- ovest è architettonicamente indotto dalla porta di ingresso,
collocata in
posizione polare rispetto all'altare e che sancisce anche l'ingresso di un fascio di luce nello spazio
(in Sicilia, la disposizione geometrica di base è influenzata dal calcolo matematico degli arabi).
Oltre alla geometria di base, esistono anche altre sovrapposizioni artistico-decorative come ulteriore
strumento di comunicazione della verità cristiana (affreschi, statue, le stesse vesti degli officianti
della funzione liturgica). La sacralizzazione del luogo è quindi in parte determinata dalle opere
figurative e dagli oggetti che vengono intesi come "attori" di alcuni momenti della liturgia (elementi
che amplificano la tensione drammatica). Lo stesso ragionamento viene ripetuto per i codici
utilizzati come elementi di "spectaculum" per mezzo dell'articolazione dei gesti teatrali nel mostrare
le sacre scritture. Segni grafici e iconografici sono anche collocati nella superficie del suolo in
quanto segni espressivi che entrano nella drammatica del rito: si possono trovare personificazioni
delle stagioni, scene di agricoltura o di caccia e di pesca, personificazioni dello spazio e del tempo.
Anche l'uso del tappeto consiste in un altro elemento scenografico. Infine, altri dispositivi ancora
sono individuati nella mescolanza di effetti plurisensoriali dati dai canti, dall'uso della luce, dalla
visione delle vesti preziose, dai profumi, e così via. La luce ha un ruolo fondamentale nello spazio
ecclesiale come luogo di liturgia: essa è infatti energia che entra attraverso la porta, ma che al tempo
stesso si diffonde all'interno dell'aula garantendo il dinamismo grazie anche ad un articolato
sviluppo di lampadari e candelieri. L'intensità luminosa cresce mano a mano che il fedele prosegue
verso il presbiterio. Ciò al fine di attirare il fedele verso lo spazio liturgico per eccellenza.
L'introduzione delle vetrate, poi, non farà altro che amplificare la dimensione spettacolare della
luce. Dunque la luce viene trattata in maniera attiva e dinamica in quanto essa si articola in maniera
sempre diversa per mettere in risalto le aree dell'azione liturgica.

17-29 Carlo Magno ed il teatro sacro imperiale


Carlo Magno fu responsabile del processo di cristianizzazione e di rimodulazione dell'assetto politico di
buona parte dell'Europa, ma anche del recupero dell'antichità classica dell'assimilazione della cultura
bizantina. Tutto questo è reso evidente anche sul piano della liturgia, in cui luogo della rappresentazione
per eccellenza divenne la cattedrale di Aquisgrana, e in particolare la Cappella Palatina al suo interno. La
Cappella Palatina è oggi uno degli esempi più significativi di architettura liturgico-imperiale, infatti tutte le
sue parti simboleggiano l'espressione del diritto divino dell'imperatore. Che la Cappella Palatina sia la più
grande macchina celebrativa del secolo é testimoniato dalla rappresentazione simbolica della Resurrezione,
che metaforicamente diviene il simbolo della storia salvifica di cui Carlo Magno è protagonista (si allude al
processo di cristianizzazione dell'Europa occidentale). Collocato in corrispondenza del trono, il dipinto
raffigura Cristo insieme agli anziani adoranti, nel gesto di tendere a quest'ultimo la loro corona; in una
connotazione liturgica, quindi, la stessa raffigurazione posta sull'immagine di Carlo Magno seduto in trono
tenderebbe a celebrare l'imperatore stesso, nonché Cristo, in quanto l'imperatore ne è in terra il riflesso. La
dimensione della spettacolarità e poi arricchita dalla preziosità dei marmi e delle colonne, dalle decorazioni
e dagli arredi, mentre la stessa presenza dell'imperatore nel tempio non fa altro che attivare la tensione
partecipativa a questo grande teatro ecclesiale. Si ricorda che, nella monarchia di quel tempo, l'imperatore
doveva essere il rappresentante diretto di Dio in terra. Con la conversione di Costantino, infatt,i
l'imperatore è sia patrono che protettore della Chiesa, a conferma della sacralità della persona del re
e della sua autorità. In definitiva, la Cappella Palatina si dimostra il santuario destinato al culto
dell'imperatore. Dopo il dipinto della Resurrezione, altri dispositivi, come l'altare della Vergine e il
popolo stesso, collocato al di là dell'altare, di fatto aumentano la tensione partecipativa. Infine, tutto
quanto l'ambiente architettonico viene esaltato dalle laudi e dal canto liturgico dei monaci imperiali.
Il rito prende così una dimensione totale. Successivamente, Carlo Magno avvertì la necessità della
regolarizzazione del preesistente, in particolare in campo liturgico, mosso dalla volontà di rendere
chiaro il messaggio cristiano. Per meglio comprendere l'importanza storica di queste strategie si
dimostra utile prendere in considerazione due aspetti: da un lato la necessità di arricchire la liturgia
romana fine di coinvolgere anche i più giovani; dall'altro, vi era invece la necessità di mettere
ordine fra le molteplici forme di ritualizzazione in parte importate da pellegrini, viaggiatori,
mercanti e guerrieri (fino ad allora non vi era stato un coordinamento fra le iniziative devozionali).
In questo modo, Carlo Magno attraverso l'inculturazione religiosa diffuse i suoi principi morali che
garantirono ordine civile e piena sottomissione al sovrano, realizzando di fatto una vera e propria
azione politica piuttosto che religiosa. Concepita secondo il modello della città santa, la cattedrale
di Aquisgrana presentava, oltre alla Cappella Palatina, la basilica ad essa congiunta. Già l'ingresso
alla Cappella Palatina era costituito da una struttura a portico, dalla quale l'imperatore si presentava
alle masse raccolte all'esterno per porre il suo saluto prima della salita in trono. Il modello della
Cappella Palatina divenne in seguito l'archetipo dell'architettura ecclesiale di età carolingia. Le
chiese- portico, infatti, costituiscono le più significative testimonianze di edifici considerati oggi
veri teatri della liturgia. Esemplare, da questo punto di vista, è il complesso monastico di Centula-
St.Riquier, la più completa testimonianza architettonica della riforma liturgica attuata da Carlo
Magno. In esso, la chiesa del SS. Salvatore consisteva in un impianto architettonico alzato su due
quote, in cui in corrispondenza del primo livello vi era una piattaforma praticabile, al centro della
quale vi era situato l'altare del SS. Salvatore (contrapposto a quello di St. Riquier, collocato nella
parte diametralmente opposta). All'interno di questo impianto si svolgevano le cerimonie del Natale
e della Pasqua, di fronte al popolo collocato in settori diversi, e gli spettacoli liturgici vedevano
come protagonisti cori formati da più di 400 unità; tutto era poi amplificato dai movimenti di
discesa e ascesa degli stessi coristi per le scale della cattedrale nell'atto di ricevere la comunione al
primo livello. Nella basilica di St. Riquier, invece, si trovavano più luoghi coinvolti nella
rappresentazione sacra, e l'immagine che si creava era data dalla compresenza del coro e delle
reliquie dei santi. In tal modo, si voleva proporre l'idea di una scena a "spazio totale". Grazie alla
particolare disposizione degli elementi liturgici, all'interno della chiesa poteva attuarsi una liturgia
caratterizzata da uno specifico ordine di processione, che procedeva dal santuario del SS. Salvatore
verso quello di St. Riquier. Questo lascia intendere che, prima dell'avvento del cosiddetto dramma
liturgico, già in età carolingia esistevano azioni liturgiche che impegnavano ampi spazi dell'aula e
che collegavano anche luoghi diversi.
Oltretutto, la presenza del canto, del movimento e dell'immagine figurata consentiva articolazioni
spettacolari. Ma ancora, il culmine massimo della rappresentazione liturgica consistette nella
visione insieme nel complesso monastico di Centula in occasione della processione della Pasqua ,
durante la quale vennero collegati 27 altari. Nell'insieme si trattava di spazi vasti che formavano
una città sacra che fosse in grado di accogliere l'intera popolazione del borgo. In quanto tale, la
manifestazione liturgica a partecipazione collettiva aveva quindi il compito di sintetizzare
l'obbedienza da parte della comunità del territorio. Anche questa volta l'animazione degli spazi delle
architetture, sia in orizzontale che in verticale, costituiva la testimonianza dell'esaltazione
dell'imperatore/Cristo, e gli stessi rituali applicati dalle processioni non erano altro che espressione
della volontà dell' imperatore. In generale, dunque, la mobilità messa in campo dai monaci
consentiva ai partecipanti di prendere parte alla dinamica del rito, essendone coinvolti. In ogni caso,
durante la dominazione di Carlo Magno, la liturgia raggiunse un'unità espressiva riconoscibile tale
che il culto religioso divenne anche quello dell'impero.

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