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ATTI DELL'ACCADEMIA

DSL

R. ISTITUTO MUSICALE

DI

FIRENZE.

ANNO QUARTO

FIRENZE
STABILIMENTO 'CIVELLI
Via Panicele, N. 39

1866.
ATTI DELL' ACCADEMIA
DEL

REGIO ISTITUTO MUSICALE

DI FIRENZE

PROCESSO VERBALE

DELLA QUARTA ADUNANZA PUBDLICA

TEMJTA DALL' ACCADEMIA

La mattina del 6 Gennaio 1866 a ore dodici e


mezzo il Collegio degli Accademici Residenti si aduna
pubblicamente in una sala del R. Istituto.
Sono presenti i Signori Accademici Residenti

CASAMORATA Cav. LUIGI, Presidente


Manetti Enrico
Savinelli Angelo Componenti il famiglio Gemorio
Gamucci Baldassarre
Sbolci Geremia
Maglioni Giovacchino
Ceccherini Giuseppe
Anichini Francesco
Biagi Alessandro
Kraus Alessandro
Cianchi Emilio
Fodale Paolo
Biaggi A. Gerolamo
Mariotti Olimpo, Segretario.
Stabilitisi i Signori Accademici ai posti loro respet-
tivamente spettanti, il Segretario legge la relazione
dei lavori dell'Accademia nel corso dell'anno 1865;
facendo anche mesto ricordo degli Accademici defunti
nell' anno predetto.
Legge quindi l' Accademico Residente Alessandro
Biagi una memoria, avente per oggetto alcune ricerche
storiche sulla Musica melodrammatica.
Dopo di che a ore 2 pomerid. ha fine l'adunanza
con la esecuzione di due tempi del settimetto op. 20
di Beethoven suonati da alcuni degli alunni tanto eme
riti che effettivi del R. Istituto.

V.° L. F. Casamorata
Presidente
Olimpo Mariotti
Segretario
RELAZIONE

DEL SEGRETARIO

INTORNO AI LAVORI ACCADEMICI

CENNI NECROLOGIO DEGLI ACCADEMICI DEFUNTI

L'articolo 51 del nostro Statuto prescrive (Voi ben lo


sapete, o Signori) che « al chiudersi dì ogni anno scolastico
V Accademia tenga pubblica solenne tornata. » E così appunto
in ogni anno fu praticato, fino dalla ricostituzione di questo
nostro collegio accademico per virtù del decreto del 15
marzo 1860.
Ma le preoccupazioni che conturbavano gli animi negli ultimi
mesi dell' estate decorsa, per timore che 1' asiatico morbo, var
cati già gli Appennini, non avesse a menare sue stragi an
che in questa Città, consigliarono saviamente al R. Governo
di anticipare all' improvviso le autunnali ferie del E. Istituto,
per lo che la nostra pubblica tornata non potè tenersi in quel
tempo.
Cessate le ferie, la Presidenza, e i maestri, che seggon
qui come accademici, doverono rivolgere le loro precipue
cure al riordinamento dei corsi scolastici. Sopravvennero al
lora le feste natalizie, e così la nostra pubblica tornata dovè
protrarsi fino a quest' oggi, e così appunto, e per tale effetto,
eccoci qui in questa stanza oggi modeetamente raccolti.
Sennonchè la modestia appunto di questa nostra adunanza
mi sembra già dovervi spingere sul labbro la inchiesta, dove
in questo nostro convegno si riscontri la solennità voluta dallo
statuto, dove il solito apparato, dove i suoni degli alunni che
— 6 —
ci festeggiavano entrando, che ci salutavano uscendo, dove in
fine la ridente e vasta sala che ci accoglieva negli anni de
corsi. Ahimè ! quella sala, l'uso della quale noi dovevamo alla
cortesia dei rettori della limitrofa Accademia delle Arti del
disegno, ad essi ed a noi fu tolta, per la necessita che il
E. Governo ebbe di ricoverarvi, lice sperare provvisoriamente,
l'Istituto di Studi superiori, restato privo della sua sede in
questo rimescolamento di uomini e di cose che avvenne in
Firenze, sorpresa di accogliere improvvisamente la sede del
Governo del Eegno d'Italia.
Affretto pertanto coi voti il tempo in cui l'Istituto di
Studi superiori possa avere a sede un apposito locale, confa
cente appieno al suo decoro, e la sala del Buon Umore sia
restituita alla E. Accademia delle Arti del disegno e con
essa al E. Istituto Musicale, cui la mancanza di una sala suf
ficiente ad accogliere la sua orchestra, il suo corpo corale,
riesce tanto funesta.
Intanto quanto a me, lo confesso candidamente, o Signori,
provo una soddisfazione egoistica, se vuoisi, ma sincera, nel
trovarmi con Voi fra queste più modeste mura poichè, con
scio della mia pochezza e perciò a buon dritto peritoso, mi
par qui di trovarmi quasi in famiglia, di respirare più libe
ramente, di non gemere, in una parola, sotto il peso di quel-
l' imbarazzo, di quel turbamento che mi opprimeva quando
dovea parlarvi con tanta pompa di apparato, con tanta so
lennità di forma.
Se la modestia di questa nostra adunanza fa contro il
disposto di quell'art. 51 del nostro statuto che in prin
cipio vi rammentai, ben più ne violerei io stesso la prescri
zione (1) se più a lungo v' intrattenessi parlandovi di cose
sostanzialmente non risguardanti gli atti dell'Accademia, dei
quali soli debbo farvi parola.
Entro dunque senz' altro in materia.
Due sono stati i concorsi che l'Accademia nostra è stata
chiamata a giudicare. — Quello accademico che aveva per
(I) Art, 51. « 11 Segretario dà conto brevemente dei lavori Accademici ee. •
tema un Mottetto 0 Salutaris Hostia a otto parti reali in stile
osservato : quello aperto dal nostro collega benemerito Dot
tor Abramo Basevi per la composizione di un Quartetto a
piano-forte, violino, viola e violoncello.
Il premio per il mottetto non fu conferito.
Nella composizione del quartetto ottenne il 1° premio di
L. 400 Giorgio Miceli di Napoli ; il 2° premio di L. 200
Gr. H. Witte di Utrecht, allievo del Conservatorio di Lipsia.
Furono distinti con la onorevole menzione Francesco Ani-
chini di Firenze, Giulio Eicordi di Milano.
I concorrenti al premio Basevi furono sedici. Di tre di que
sti, le opere non furono ammesse al concorso, per essere ar
rivate fuori del tempo prestabilito dal programma. L'Accade
mia chiamata a decidere sulla loro ammissibilità o inammissi
bilità, dopo lunga discussione dovè respingerle, facendo giu
stamente prevalere ai riguardi di cortesia le ragioni del
diritto.
La Germania e la Francia più d' ogni altra inviarono com
posizioni: lo che deve essere di somma compiacenza al Ba
sevi primo propugnatore di concorsi in cosiffatto genere di
musica; come deve essere stato di grandissimo contento per
lui Italiano, e del risorgimento della musica italiana caldissi
mo fautore, il vedere vinto il primo premio da un Italiano ;
lo che non avvenne nel precedente concorso, aperto nel 1864
dalla liberalità del Basevi per la composizione di un Quar
tetto per .2 violini, viola e violoncello , nel qual concorso
vinceva il primo premio Guglielmo Langhans di Parigi ; il
secondo Giulio Ricordi di Milano; ottenevano la onorevole
menzione Giovanni Ellerton di Londra, Carlo Dancla di Pa
rigi, Tommaso Taègliesbech di Monaco di Baviera, M. Sum-
mers di Parigi, e Luigi Laschi di Firenze.
Nel concorso del 1864 venivano presentate 32 composi
zioni, delle quali 29 furono ammesse ; ho già detto che in
quello del 1865 delle 16 composizioni che furono presentate
sole 13 poterono ammettersi. Del resto di tutto ciò avrei
dovuto tenervi parola nella pubblica adunanza dell'anno 1864:
non lo potei per altro, perchè in quell' epoca, come sapete,
il giudizio accademico non era ancor proferito.
Stando alle cifre surricordate potrebbe credersi a prima
giunta che il concorso del 1865 fosse creduto meno importante
di quello del 1864 ; ma se invece delle cifre si prende a raf
frontare i temi dati negli anni predetti, nella maggior dif
ficoltà a ben svolgere il tema si ritrova la cagione della di
minuzione dei concorrenti nel 1865. Difficile è ben scrivere
un Quartetto per strumenti a corda; maggiormente difficile
è ben scrivere un Quartetto in cui prenda parte il Piano-forte
in quella giusta misura che lo renda nè dominatore, nè do
minato.
Del concorso accademico per la composizione di un 0 Sa-
lutarìs Hostia, mottetto a otto parti reali in stile osservato,
potrebbe apparir troppo ciò che ne accennai fin dianzi, se do
vere di grato animo non obbligasse il vostro Segretario a tri
butare vive azioni di grazie ai nostri colleghi corrispondenti,
Don Gio. Battista Candotti e Don Giacomo Tomadini per avere
inviato ciascuno di essi in dono a quest'Accademia appunto
un Mottetto composto secondo le condizioni del programma
con animo di sottoporlo al concorso, non ricordando le dispo
sizioni dei nostri regolamenti, che vietano non solo agli accade
mici residenti, ma ai corrispondenti altresì il prender parte
ai concorsi accademici.
Il Candotti con 1' aurea sua semplicità, il Tomadini con
le sue austere forme alla Palestrina ci consolarono l'animo,
afflitto nel vedere che dalla maggior parte dei concorrenti non
si fosse inteso neppure il programma, avendo scambiato le
otto parti reali con otto voci, come se fosse la cosa stessa,
senza tener conto di guai più essenziali ed esiziali. Questi due
bravi maestri ci provarono una volta ancora, che fra noi
non è morto
Lo bello stile che ci ha fatto onore.

L'Accademia non conferendo il premio, a mio credere, ben


meritò dell' Arte ; come dell' Arte ben meritò confermando a
tema del concorso per l'anno 1866, un O Salutaris Hostia,
mottetto a otto parti reali in stile osservato.
Fa d' uopo che i nostri giovani si persuadano alla perfine
che per divenire buoni compositori occorrono tre cose : studio,
studio e studio. Studio dei Classici ; prima dei nostrani (per
mettetemi che una volta ancora lo ripeta) prima dei nostrani,
poi degli stranieri: studio teorico e di cartella: studio pratico.
Chi dell'ultimo solo si contenta si lamenterà sempre ma in
vano del monopolio dei negozianti di musica, delle angherie
degli impresari, che lo lasciano genio incompreso e incomprensi
bile a intristire nel giardino dell'arte ; lo che poi per chi vede le
cose quali sono non è che pretta giustizia. — Per far bene non
basta avere attitudine a fare, bisogna saper fare, nè si per
viene a ciò che per una sola via, per quella dello studio.
Il Candotti ed il Tomadini, che sono maestri, e valenti,
nel fare all' Accademia dono delle composizioni poc'anzi citate,
esternarono con rara modestia il desiderio che l'Accademia
stessa si pronunziasse francamente sul merito delle composi
zioni donate.
L' Accademia ben volentieri avrebbe accettato questo in
carico, abbenchè delicatissimo, ma non arduo nel caso nostro,
se una massima già sancita non le vietasse di prendere a giu
dicare qualsiasi composizione sulla richiesta particolare del
l' autore.
Se questa legge troppo severa forse, ma più che utile ne
cessaria, vi ha, onorandi colleghi, impedito di assecondare il
gentile desiderio del Tomadini e del Candotti, vi ha pòrto
però il mezzo di constatare un fatto luminoso e da addursi
in esempio : vale a dire che il vero merito non rifugge dalla
critica ma la provoca esso stesso; non si fa scudo della bal
danza e dell' orgoglio, ma diffidente del valore che pur sa di
possedere, teme e dubita. Teme una sconfitta che non può
toccargli; dubita della vittoria che già tiene in pugno.
D'altro lato sancita una volta una massima, non si può
da essa recedere per considerazioni di persone o di cose.
Son certo che il Tomadini ed il Candotti, perchè Voi così
2
— 10 —
adoperaste, ven sapranno grado, e quale io ven do, pur essi
vi daranno sincera lode. E laude non minore, nè meno sin
cera vi do, Onorandi Colleglli, per avere adottata la massima
non dovere l'Accademia accettare dediche da chissisia. — Ciò
che di scortese sembra contenere questa massima sparirà quando
si* rifletta su qual letto di Procuste potrebbe trovarsi l'Acca
demia in certi casi, in certe circostanze. Il provvedere quando
casi e circostanze fossero avvenuti avrebbe potuto apparire più
che scortesia, personalità; l'antivedere e gli uni e le altre fu
prudenza e lodevole accortezza, perchè cosi vennero eliminate
le possibilità di un disgustoso rifiuto, o di una compromittente
accettazione.
Zelante qual è il nostro benemerito Preside per tutto
che può ridondare a onore dell' Accademia nostra, se pro
mosse a tempo queste adozioni di massima, a tempo ancora
curò che nelle solenni occasioni fosse condegnamente rappre
sentato il collegio, del quale e Voi ed io ci onoriamo di far parte.
Infatti se nel decorso anno una Deputazione Accademica
assistè alle feste Rossiniane in Pesaro, una Deputazione Ac
cademica, a tal uopo espressamente eletta nelle persone del
Cav. Ferdinando Morini, di Angiolo Savinelli, di Emilio Cian
cili, tutti tre Accademici residenti, rappresentò l' Accademia
nostra nelle feste centenarie di quel sommo, che fattici prima
Italiani nel dire, ad essere Italiani ci apparò e nei pensieri
e nelle opere. Con lodevole accorgimento la Deputazione Ac
cademica si unì a quella composta di Maestri e di Alunni che
le Scuole dell'Istituto Musicale inviarono alle memorande feste.
Nè l'Accademia nostra si ristette, ove l' occasione ne pre
sentava l' opportunità , di tributare vivi ringraziamenti ed i
possibili omaggi a chi alto locato colla sapienza degli ordina
menti provvedeva a che l'Arte Musicale fosse per così dire
resa universale, ed i suoni ritornassero ai loro naturali confini.
Che se queste manifestazioni di ben meritati omaggi non hanno
potuto aver finora la desiderabile pubblicità, ciò debbesi attri
buire a ragioni di convenienza che non permettono di più oltre
trattenersi su questo argomento.
Nè per me si debbon tacere quelle due vostre importanti
deliberazioni, con le quali approvaste e faceste vostre le rela
zioni presentatevi da due apposite commissioni accademiche
intorno ai modi di ricondurre fra noi l'arte del canto al pri
mitivo splendore, ed a quelli di coadiuvare l'adozione di un
Corista italiano uniforme. Quei due quesiti furono diretti alla
nostra Accademia dalla Commissione esecutiva del 1° Con
gresso musicale, e le risposte avrebbero dovuto presentarsi al
2° Congresso che dovea tenersi in Bologna, se le condizioni
della pubblica salute lo avessero permesso. Kammentare a Voi
le massime che allora proclamaste sarebbe tempo perduto; agli
altri potranno esser note col mezzo della stampa degli atti
accademici, nei quali codeste relazioni saranno inserite.
Nel caduto anno 1865, ai primi di novembre, voi assi
steste, non ne dubito, onorandissimi Colleghi, al Concerto
Classico di cui avevate già preordinati i materiali. In questo
Concerto veniva eseguita la sinfonia in la di Beethoven, e la
messa di Requiem in do min. di Cherubini.
Credo di ripetere la opinione generale dicendo che l' ul
timo Concerto Classico, dato a cura della nostra Accademia,
nella sala che la Società Inlarmonica gentilmente all' uopo
cedeva, fu un buon Concerto, forse il migliore dei quattro
che abbiamo dati fin qui. La esecuzione specialmente della
Messa del Cherubini raggiunse in alcuni punti quella perfe
zione che da qualche tempo le nostre orchestre ci fanno invano
desiderare. Per me la bravura di un' orchestra non consiste
nella automatica esecuzione dei piano, dei pianissimo, dei forte
e fortissimo e via discorrendo, cose tutte che con molta per
severanza e con molta pazienza (pregi futuri delle orchestre
italiane) possono ottenersi, ma bensì in quell'accento, in
quello slancio (mi si permetta il termine) di passione e di
affetto che va a ricercarti le più recondite fibre del cuore,
e che ti agita con una commozione indefinita e indefinibile :
accento e slancio che conviene senta prima il direttore d'or
chestra per poterlo trasmettere negli esecutori che dipen
dono dal suo cenno.
E questo accento e questo slancio, nell'esecuzione della
messa di Cherubini, vi fu, e vi fu in quei punti in cui la
musica o lo richiedeva, o lo comportava. Lode ne abbiano gli
esecutori e più di tutti il bravo direttore cav. Teodulo Mabel-
lini. Il convenzionalismo nella esecuzione della musica per
noi Italiani è una bottiglia di Sciampagna che non spuma.
Naviga bene chi naviga fra Scilla e Cariddi. Naviga male
chi per evitare quella in questo cade e viceversa.
Già quasi alla fine del mio rendiconto vi farà meraviglia,
o Signori, il non avere udito fin qui rammentare il nome
del Duca di S. Clemente. Forse che 1' Illustre Mecenate si
è stancato dei concorsi ? Mai no. Il Duca di S. Clemente
trovò un più sicuro mezzo per aumentare il catalogo delle
buone composizioni. — Anzichè aprire un concorso di esito
incerto, volle andare sul sicuro, e per ottenere ciò commise ai
chiarissimi colleghi nostri cav. Antonio Bazzini e cav. Ferdi- 1
nando Giorgetti di musicare ciascuno un salmo, che tenuto conto
delle mutate condizioni dei tempi facesse seguito ai cinquanta
già musicati dal famigerato Benedetto Marcello. Il Mecenate
non dorme : veglia. Piacesse al cielo, che molti com' esso ve
gliassero, ma invece. . . . dormono profondamente.
L' Albo accademico nel decorso anno fu arricchito dei nomi :
del Cav. Carlo Gounod
del Cav. Antonio Cagnoni e
del Cav. Niccola De Giosa quali Accademici corri
spondenti; e dei nomi:
dell'insigne Violinista Gio. Becker
del Maestro Adolfo Noseda
della Principessa Nadina Lobanofp nei Bumbold
del Violinista Luigi Brenner
del Violinista Giovanni Bruni e
del Cav. Ferdinando Bonamici fondatore del Cir
colo Musicale di Napoli, quali Accademici onorarii.
Molti doni furono fatti alla Biblioteca del E. Istituto da
diversi nostri colleghi residenti, corrispondenti e onorarii.
Fra tutti i doni, come più cospicuo, non posso passare
sotto silenzio quello fatto per legato testamentario dal com
pianto Marchese Leonardo Martellini, degli uomini e delle
cose musicali giustissimo apprezzatore. Egli, il Marchese Mar
tellini, lasciava in dono al R. Istituto Musicale di Firenze
la sua magnifica collezione di trii, quartetti, quintetti, dei
più famigerati autori, perchè la gioventù, come ei diceva,
si addestrasse in profittevoli esercitazioni, come poco tempo
avanti la sua morte aveva donato una copia del 7'anhaùsser
di Wagner perchè i giovani conoscessero quello che non do
vevano fare; sono le sue precise parole.
La nobilissima di lui consorte, nell'inviare all'Istituto Mu
sicale la magnifica collezione sopracitata, aggiunse al dono la
partitura e le parti della Notte di Valpurgo, cantata di Men-
delsson della quale udiste la esecuzione nel nostro 3° concerto
classico.
Eccomi finalmente a quella parte del mio rapporto che se
mi riesce grata, perchè accenna prossimo il termine del mio
dire, mi è anche oltremodo incresciosa, perchè mi costringe
mal mio grado a contristarvi rammentandovi le dolorose per
dite da noi fatte nel corso dell' anno caduto, che in questo
solo simile al precedente nella tomba travolse altri i tre nostri
colleghi :
Luigi PicchiantiJ Accademico residente,
Carlo Gambini Accademico corrispondente,
Antonio Palafuti, Accademico residente.
Luigi Picchianti, nacque in Firenze il 29 Agosto 1787,
e vi morì il 19 Ottobre 1864.
Nato in povera ed umile ma onesta condizione, colla sua
perseveranza e col suo amore allo studio, specialmente del
l'Arte Musicale, seppe da semplice emanuense divenire maestro
di musica di tanta vaglia da essere universalmente ricono-
sciato come uno fra i migliori precettori nel contrappunto.
Dotato di una fermezza di animo e di una costanza nei
propositi veramente esemplare, seppe in mezzo ai triboli della
, miseria divenire dottissimo musicista e culto scrittore di cose
musicali. In età molto avanzata potè ottenere un qualche pre
mio alle sue fatiche venendo nominato maestro di contrap
punto nelle ora soppresse Scuole Musicali addette alla Accade
mia di Belle Arti. Contava egli in allora il sessantesimosesto
anno di sua età!
Nella istruzione addimostrossi precettore solerte ed ope
roso, e pose ogni sua cura a semplificare l' insegnamento
spogliandolo di tutto quel fare soverchiamente pedantesco, e
di quell'empirismo in cui trovavasi in quei giorni, non molto
da noi lontani, ravvolto.
La testimonianza di quanti profittarono delle sue lezioni,
l'esame delle sue pregevoli opere didascaliche offrono di ciò
splendida prova.
Esperto suonatore di chitarra, compose per questo stru
mento un buon metodo e molta musica, pregevole per buona
fattura, ma adesso obliata pel disuso in cui cadde lo stru
mento pel quale fu scritta. Compose alcune buone cose di
genere ecclesiastico e severo, che fatte per circostanze speciali,
non sono oggi generalmente conosciute come meriterebbero
per vero di esserlo.
Allorchè nel riordinamento delle Scuole Musicali, operato
nel 1860, queste si trasformarono in Istituto avente vita sua
propria, 51 Picchianti venne nominato Professore di Storia e
di Estetica Musicale. Con un ardore giovanile si accinse al
l'opra di raccogliere materiali per aprire il corso delle le
zioni cattedratiche sulle materie anzidette, ma le forze fisiche
andavano giornalmente consumandosi, tanto che non gli fu
dato neppure di porre il piede nel nuovo locale destinato a
sede dell'Istituto, e nell'età di anni 77 morì compianto da
gli amici, dai moltissimi suoi estimatori e dai numerosi suoi
allievi, che egli amò come figli, e dai quali fu venerato come
un padre.
Carlo Andrea Gambini era nato il 22 Ottobre 1819.
Pianista esimio, coltivò anche ogni genere di composizione.
Scrisse pertanto e pel teatro e per la camera e per la
chiesa, ed in ciascun genere si fece distinguere come valente
scrittore. Se il Gambini non rifulse come genio innovatore,.
— 15 — l
fu sempre però lodato ed apprezzato pel suo buon gusto, per
la sodezza della dottrina, scevra affatto d' ogni pedanteria, e
per la versatilità del suo ingegno.
Il Gambini fu uno di quei non molti artisti, che fanno
rispettare l' arte che professano, perchè la professano con
quel decoro e con quell' amore che inducono a riverenza.
Genova perse nel Gambini non solo un eccellente musi
cista, ma ancora un ottimo padre di famiglia, ed un operoso
cittadino.
L' arte musicale perde in lui uno dei suoi più zelanti
cultori.
Le onoranze che si ebbe la sua salma da un' intiera popo
lazione provarono luminosamente che egli era sommamente
stimato ed amato.
Il 14 di febbraio 1865, fu l'ultimo di sua vita; morte lo
rapì nella verde età di anni 46 alla famiglia agli amici,' al
l' arte, alla patria.
Dirò ora poche parole di Antonio Palafitti.
Egli era il decano dei fiorentini maestri di piano-forte.
Maestro di questo istrumento nelle sopra rammentate Scuole
di Musica, cuoprì tal posto dall' anno 1825 all' anno 1855.
Egli era anche maestro di cappella ed organista.
Come maestro di cappella poco egli fece ma decorosa
mente.
Come organista lodare si deve qual valente accompa
gnatore, sia che l' accompagnamento fosse obbligato, sia che
fosse numerico. Lodare si deve anche qual valentissimo
suonatore specialmente nello stile che chiamasi legato, stile
che ai nostri giorni è andato tanto in disuso, da dover fare
le più grandi meraviglie se lo senti posto in uso anche a
parole.
Come pubblico insegnante il Palafuti esercitò le sue fun
zioni sempre con molto decoro. Nella scuola da lui per tren-
t' anni diretta si eseguirono le più moderne composizioni,
come eseguivansi le composizioni classiche più accreditate, sì
italiane che straniere.


— 16 —
Del resto il nostro Palafuti come artista si spense quasi
inosservato, perchè datosi in questi ultimi tempi ad una vita
ritirata, si limitò a sopravegliare a quel ricco censo che, pri
vo di figli, lasciò all'unica nipote superstite.
II Palafuti era nato il 15 Gennaio 1775, e morì 1' 11
Novembre 1865.

Compito così il mio rapporto, non mi resta, Onorandissimi


Colleghi, che a ringraziarvi della benevolenza addimostratami
fin quì, ed esternarvi tutta la mia gratitudine per la bontà
con cui mi tolleraste per quattro anni relatore dei vostri atti.
Il carico non è per le mie forze ; io ben lo veggo e lo sento :
e mi chiamerò ben fortunato se Voi, unendo alle mie le vo
stre premure, farete sì che finalmente la nostra Accademia
abbia stabilmente un Segretario degno di lei e dell' ufficio
eh' ei deve disimpegnare.
RICERCHE STORICHE
i
SULLA.

MUSICA MELODRAMMATICA

dell'Accademici) residente
ALESSANDRO BIAGI
DI FIRENZE.

Onorandissimi Colleghi !

Bene a ragione potreste meravigliarvi in vedendomi que-


st' oggi fra Voi nella posizione di uomo che imprende a par
larvi di cose d'arte; di quell'arte nella quale per tante splendide
prove avete ormai dimostrato essere esemplarmente sapienti:
così non che giovarvi, potrà solo riuscirvi molesto 1' essere ora
costretti per qualche poco ad ascoltarmi.
Prima però che io^mi addentri nell'argomento che im
prendo a trattare , concedetemi una parola per giustificare l' ar
dire che io mi prendo di presentarmi a Voi come lettore di
un' artistica dissertazione, in questa stessa adunanza ove negli
anni decorsi altri nostri colleghi discorsero eruditissime cose,
in confronto alle quali ogni penna del genere della mia dovrebbe
ristarsi.
A me non occorre il farmi officioso lodatore di quella di
sposizione dello Statuto imposto alla nostra Accademia nell'atto
di sua fondazione, per la quale noi siamo tenuti a convenire
annualmente in pubblica tornata all' effetto di render conto per
bocca del nostro Segretario, di ciò che nell'anno andava ope
rando il Collegio Accademico; nè mi occorre tampoco lo spen
der parole a lodare quell' altra disposizione per la quale nella
stessa occasione dobbiamo fare per turno pubblica lettura di
3

(
— 48 —
qualche memoria, il subbietto della quale attenga alla storia
o alla teoria dell'arte nostra. D'altro lato la saviezza e la
congruità di codeste disposizioni si fanno di per se stesse ma
nifeste senza bisogno di dimostrarle. Solo mi resta a rimpian
gere che i numerosi artistici impegni dell' onorevole collega
cui quest'anno incombeva il turno, non gli abbian concesso
di sviluppare il subbietto che aveva scelto a tema del suo
discorso, di quello la trattazione a me deferendo: a me, per
la pochezza del mio ingegno atto men che ogn' altro a so
stenerne il grave pondo, e a rispondere degnamente alle be
nevole mire del datare del nostro Statuto, che ordinando così,
ci preparava continua occasione di rivendicare la classe de' mu
sicisti da quella oltraggiosa stima che i più sogliono farne ,
quando vanno opinando che atta non sia a sollevarsi più in
alto della nuda pratica dell'arte bella di che fa professione.
Ciò premesso, entro senz' altro in materia.
Scopo principalissimo di chi imprende a parlare di un' arte,
quello esser deve, a mio credere, di guidarne, di spingerne i cul
tori verso una meta di tal perfezione da riuscire insieme di
gloria ad essi, e di lustro all'arte che professano; che se per
trascuranza o per falsi concetti accennino ad una via che possa
trarre a perdizione essi stessi e l' arte da loro professata, sarà
allora il momento di alzare severa la voce ; di far tutto che
valga a ricondurre i traviati sul retto sentiero. — Sennonché
ciò facendo, facile è pur troppo il dipartirsi da quei limiti di
severa e pacata discussione oltre i quali non può essere utile
ricerca del vero; oltre i quali la polemica si converte in una
miseranda miscela di verità e di esagerazioni ; spesso anche di
vergognose personalità che le tolgono qualunque efficacia, che
la rendono esosa agli animi onesti e leali.
All' effetto pertanto che a me pure ciò non avvenga, per
mettetemi, o Signori, che io entri addirittura nel tranquillo
regno della storia, brevemente indagando le principali epoche
di splendore, di, decadenza e di risorgimento dell'arte nostra.
Tutti gli storici musicali si accordano nel dire che gli an
tichi Greci furono i più grandi musicisti del mondo. Una non
mai interrotta tradizione ci dimostra che la musica di quei
sapientissimi compositori era talmente espressiva e filosofica
da far sorgere negl' animi i più sublimi sentimenti. — Per
essa i costumi nazionali, la pubblica educazione, la gloria
delle armi mantenevansi al più alto grado; e tanta e tale era
la importanza della melodìa, che la legge avrebbe severamente
punito chiunque avesse osato cambiare una sola nota, spe
cialmente ne' canti religiosi , quasi ciò facendo , fossero per
soffrirne le religiose credenze. Ciò dimostra che gli antichi
Greci mettevano gran cura acciocchè la melodìa servisse per
fettamente al senso della parola, e, come accenna il celebre
Padre Martini, è da credersi che questa non avrebbe potuto
in alcun modo trasportarsi sopra ad altri versi (fossero pure
dell' istesso ritmo) tanta era la verità degli affetti che essa
sapeva esprimere.
Però: se così era grande la impressione che essa faceva
sugli animi, non minore era la potenza de' poetici componi
menti a' quali essa univasi. Di ciò fanno fede i celeberrimi
nomi di Omero e di Ésiodo per i poemi ; di Teocrito e di
Bione per gl' idilj ; di Callimaco e di Mimnermo per le ele
gìe. ; di Alceo e di Saffo per le odi ; di Archiloco per i di
tirambi, e di tanti altri celebri autori d' inni sacri, di drammi,
e di tragedie. Accettata dunque la grande superiorità del
l'antica musica, non parlo della perfezione dell'arte poetica
in quei tempi, tentiamo di ben chiarirci sulla qualità de' prin
cipi cne potevano imprimere all' arte nostra que' sublimi ef
fetti che tutti gli storici le attribuiscono.
Io non pretendo, o Signori, in questa interessante disa
mina, esporvi criterj o massime che dalla sola mia povera
mente provengano : ma per ottenere da voi piena fede pia-
cemi evocare l' autorità di due celebri filosofi che vissuti in
un' epoca più recente di quella da me già descritta, erano
anch' essi nella triste condizione, in cui pur troppo noi siamo,
di dover deplorare la decadenza dell'arte musicale.
Platone e Plutarco! ecco le autorità che io vi presento.
Il primo, nel trattato della Repubblica, rimpiangendo l'antica
musica, raccomanda a' maestri di adattare il modo al soggetto
e alle parole, e non queste al modo o all'armonia. Consi
glia poi con maggior calore di concertar col poeta quali
piedi o misure siano adattate per esprimere l'avarizia, la pe
tulanza, il fanatismo e gli altri vizi, e quali metri esprimano
meglio le virtù contrarie, osservando che il ritmo e i numeri
acquistano la loro forza nella educazione musicale, ed eser
citano la loro influenza sulle passioni dell'anima. Il secondo,
consenziente in questa opinione, mette a confronto i tempi
antichi con i suoi e prova che in quelli, era in grandissimo
credito la varietà de' piedi e della misura, mentre in questi
facevasi conto soltanto della varietà dei modi trascurando
quella del ritmo.
Il ritmo e la melodìa sono adunque le basi principali
della musica. Esse sono le due potenze che, bene insieme
collegate, possono risvegliare i sentimenti più vivi e tutte le
passioni a cui va soggetta l'umana- natura ; ed essendo que
sto il solo scopo che l'arte musicale deve prefiggersi, noi non
avremo mai buona musica se non se quella informata dai
suddetti principj.
Contuttociò ; per quanto sia così unanimemente celebrata
da tutti gli storici l'eccellenza dell'antica musica greca, noi
non sapremmo davvero accennare come, o quale veramente
quella musica si fosse poichè, come saviamente riflette l'in
glese Brown, nel suo trattato « Forza e unione della Musica e
della Poesia, » l'idea che noi abbiamo del loro genere enarmo
nico deve essere alterata e falsa inquantochè, se fosse vero,
come si dice, che le corde medie si distinguevano per quarti
di voce con una frapposta mescolanza di due tuoni interi,
bisognerebbe ritenere che quel genere presentasse una mi
stura di suoni di esecuzione oltremodo difficile e sgradevole.
Rispetto ai modi, non troviamo negli antichi o moderni
scrittori alcuna guida che possa condurci a formarcene idea
costantemente precisa. Circa gli strumenti ci è quasi del tutto
ignota la maniera con cui si collocavano le corde; se esse sa
lissero per quarti di voce, per semituoni, per tuoni, o per
— 21 —
maggiori intervalli ; cosa fossero i flauti doppj , sinistri e
destri ; cosa infine fossero veramente le loro tibie.
Rousseau nel suo Saggio sull'origine delle lingue, avverte
che non conoscendo i Greci l'intervallo del tuono minore,
non chiamando consonanze se non che quelle che noi chia
miamo perfette ; escludendo così dal loro novero la 3a, e la
6% noi non possiamo trovare alcuna relazione fra la loro
musica e la nostra.
In tale e tanta ignoranza sarebbe dunque temerità il vo
lere giudicare appuntino di quell'antica musica, e solo ci re
sta, a parer mio, di volgere la mente alla cultura delle let
tere che in quell' epoca e da quei popoli facevasi per trarne
la massima, che coloro che aspirano a divenir compositori di
musica debbono anzi tutto coltivar lo spirito per mezzo di
buoni studj letterarj con i quali soltanto il cuore e l'intelletto
si dirigono alla cognizione del bello e del buono, e la filosofia
viene in aiuto dell'ispirazione e del genio all'effetto d' impri
mere giuste e regolari forme a' concetti.
E quindi da ritenersi che le arti camminano sempre di
pari passo con la sapienza e con la civiltà de' popoli , come
ne fa fede la decadenza della greca musica al sorger della
strana filosofia di Pirrone, la quale, allontanandosi sempre
più dal vero e dirigendo le menti al più strano materialismo,
influì moltissimo a che la beli' arte de' suoni prendesse an
ch'essa un' aspetto confuso, incerto e complicato, allontanan
dosi da quella semplice verità che l' aveva fatta sino allora
servire così bene alla pura espressione degli affetti.
Non essendo per me quì tempo nè luogo a tessere una
storia musicale, ma intendendo bensì di dare, come poc' anzi
dissi, una rapida scorsa alle più interessanti fasi dell'arte no
stra, io non starò a dire dell' epoca in cui la civiltà de' Greci
trasportossi a Roma, essendochè, prima stazionario, e quindi
decadentissimo il genio musicale si addimostrasse nella gran
metropoli dell' Occidente. Nè dirò de' primi secoli dell' Era
Cristiana, ne' quali la religione e il desiderio di rendere im
ponente e magnifico il divin culto furono bensì bastanti a
— 22 —
promuovere la musica sacra, ma non già la profana, di cui
particolarmente ho preso a parlare.
Eccomi dunque d' un salto al secolo decimosecondo.
Quel cumulo di cause politiche che sole influiscono in un
paese sulla coltivazione delle arti : vale a dire la tranquillità,
una certa morbidezza di costumi, e una generale floridezza,
mancavano da lungo tempo agi' Italiani che , sopraffatti da
tante orde di barbari , sconvolti da rabbiose fazioni e di
visi in tanti piccoli stati, non più pensavano ad esercitare le
arti gentili, e così nemmeno la musica. — Toccò in sorte ai
Provenzali di dar la prima mossa al gusto di questa celebre
Nazione la quale, ben presto superandoli, potè, anche nelle
cose musicali, con rapidi successi gloriosamente distinguersi.
Allorchè Carlo d'Angiò discese per la seconda volta in
Italia per impadronirsi di Napoli e di Sicilia, trovatori e
menestrelli che in gran numero seguivano quella corte, spar
sisi per tutto il paese, con la loro maniera di poetare, con le
prime rozze idee della drammatica e del ballo in azione, riu
scirono a introdurre anche presso il popolo italiano la mu
sica sì vocale che strumentale.
Quel genere di poesia, poverissimo nella sua origine, tra
piantato che fu sotto il nostro cielo, divenne in breve tempo
così gentile e bello da poter gareggiare con le più squisite
liriche latine e greche.
Cresciuto il pregio della lingua italiana crebbe ancor l'uso
di accoppiar la poesia alla musica, donde ne sorsero le ballate,
le maggiolate, le canzonette, i canti carnascialeschi, i madri
gali, le villotte, ec. Questo genere di componimenti però non
era tale da poter procurare agl'Italiani quella celebrità che
più tardi seppero meritarsi, poichè piegò ben presto all'uso
di quella così detta lirica amatoria, o parlamenti d'amore,
che dalla licenziosa mollezza della corte papale d' Avignone
erasi propagata nell'altre città della Francia, e quindi per
tutta l' Italia.
Per lungo tempo durava quest' arte divina a rimanersi
in quella cerchia ristretta, quando la Provvidenza per uno di
— 23 —
quelli imprescrutabili fini che all'uomo non è dato discernere,
permise uno di quei grandi rivolgimenti che cambiano l'aspetto
dell'umanità. Desso fu che venne ad aprirle un nuovo va
stissimo campo.
Il feroce Mussulmano, sbucando dalle foci del Caucaso e
scorrendo tutta 1' Asia come turbine rovinoso , rivolse final
mente i suoi vittoriosi stendardi verso Costantinopoli. La
Grecia intera fu una piccola parte dell' immense sue conqui
ste. I pacifici cultori delle lettere, che abitavano quel paese,
ricoverando in Italia, portarono ivi i più preziosi frammenti
della greca letteratura.
GÌ' Italiani godevano allora di quella pace e prosperità
che sprona lo spirito alla ricerca di nuovi ed onesti piaceri;
quindi, rivolta ogni cura all' incremento delle lettere e dell'arti,
fu per essi non solo piacevole ma utilissima cosa poter de
liziare ed arricchir la mente collo studio de' celebri trattati
di Boezio, Tolomeo, Quintiliano, Aristotile, Gaudenzio, Plu
tarco, e tanti altri classici autori.
Con questo nuovo corredo di preziose cognizioni, nacque
naturalmente la volontà di riunirsi e di discutere. Così più
chiara luce si sparse con le accademie di musica e di poesia
istituite a promuovere per ogni dove l' una e l' altra. Sorse
quindi sotto gli auspicj di Re Ferdinando di Napoli la prima
accademia musicale, che sviluppò col tempo i più grandi genj
che in cotal genere siansi ammirati in Italia.
Siena ebbe di poi la congrega de' Eozzi, la quale riuscì
oltremodo utile al teatro italiano alternando intermezzi di
canto o di suono alle farse o commedie. Alberto Lavezzola
istituì in Verona una Filarmonica che acquistò presto moltis
sima celebrità. Si fondarono ancora in Milano, Bologna e al
trove cattedre di musica teorica, dove incominciossi a disser
tare intorno a' principi speculativi di questa bell'arte e vennero
illustrandola moltissimi fra' più dotti di quell' epoca, fra' quali
giova nominare l' insigne Zarlino di Chioggia, che, con le sue
istituzioni armoniche divenne maestro primo del genere pra
tico. — Il rinascimento della poesia teatrale e la perfezione
— 24 —
a cui giunsero le arti del disegno sotto il pennello di Raf
faello da Urbino,- del Peruzzi, del Negroni e d'altri, segna
rono un' altra epoca all' incremento della musica italiana. I
Principi d' allora, bramosi di accrescer lustro alle pubbliche fe
ste, onorando e stimando le arti quanto sarebbe da desiderarsi
che sempre lo fossero, si prevalsero a ciò della unione delle
tre arti. Allora si sentì sulla scena la musica accompagnare le
tragedie ne' cori, e le commedie ne'prologhi e negl'intermezzi.
Allora 1' Ariosto, il Bibbiena, il Machiavello con le comme
die ; il Trissino, il Giraldi e il Rucellai con le tragedie, por-
gevan soggetto a questi nuovi spettacoli che aiutati dalla pit
tura prospettica, e di mano in mano perfezionandosi, diven
nero ben presto azioni musicali da rappresentarsi nei tempi
di pubbliche allegrezze.
Così progredendo dalle ballate alle canzoni, da queste alle
maggiolate, carnascialeschi e madrigali, poi a' cori, agi' inter
mezzi ed alle scene drammatiche, noi abbiamo potuto abba
stanza vedere per quali gradi la musica sia pervenuta al punto
di costituire il pomposo spettacolo dell' opera.
Risvegliatosi il genio musicale in Italia, non poteva però
rimanersi ristretto in quei limiti a cui la poesia di quel tempo lo
costringeva, poichè per la maggior parte quei versificatori, sebben
puri e regolari, non potevano con le loro forme somministrar
gran materia all'arte. L'Ariosto e il Tasso, sebben facessero
spesso maestrevolmente parlare la passione, eran pure nello
stesso caso per l' indole de' loro poemi narrativi, e per la lun
ghezza de' canti.
Una letteraria accademia esisteva frattanto in casa di Ja
copo Corsi gentiluomo fiorentino espertissimo nelle arti, e
particolarmente nella musica teorica. Giulio Caccini e Jacopo
Peri valentissimi musici, e Ottavio Rinuccini, gentiluomo e
bravo poeta, erano fra' più autorevoli membri di essa accade
mia. Messisi questi d' accordo, tanto studiarono, che trovarono,
o crederono di aver trovata la maniera dell' antico recitativo
de' Greci.
Animati da questo felice risultato, fu scelto il Rinuccini
— 25 —
a comporre una poesia drammatica, ed egli fece la Dafne,
che si rappresentò con gran successo in casa del Corsi l'an
no 1594. — Scrisse quindi il Kinuecini V Euridice , tragedia
per musica, la quale fu per la maggior parte musicata dal
Peri, fuori di alcune bellissime arie composte dal Corsi, e
quelle del personaggio di Euridice e de' cori, dal Caccini.
Questa tragedia, che fu la prima opera italiana in mu
sica, fu scritta e rappresentata in Firenze per le nozze di
Maria Medici con Arrigo IV Re di Francia.
A questo punto, 1' arte, per lo zelo e per la sapienza di
que' sommi cultori, aveva certamente segnato un gran passo
nella via del risorgimento. Contuttociò quegli artisti non
avevan posto mente all' intrinseca differenza che passava tra
l' antica lingua greca e quella italiana.
Priva la nostra lingua di quelle qualità che rendevano la
greca di per se stessa una specie di melodìa, doveva questa
naturalmente, di fronte alla musica, restare in una relazione
d'inferiorità quanto quella vi si trovava in stato di preva
lenza.
La musica vocale greca, per quanto sappiamo, altro non
era che un modo di recitazione ; e così si cercò che nel
melodramma italiano si fosse. Ma poichè il genio della melo
dìa andava sempre sviluppandosi e prendendo forma, fu ben
presto sentito il bisogno di abbellire con fiori melodici la pe
sante e monotona recitazione del melodramma.
Claudio Monteverde, svincolando la musica dalle pastoie
del canto fermo, gettò le basi della moderna tonalità facili
tando lo svolgimento di più ricche e svariate forme melodiche.
Aperta così una più ampia strada all' espressione degli af
fetti, non andò guari che i maestri, accordatisi al solito con
i poeti, stabilirono che la lunga sequela degli endecasillabi,
onde il dramma formavasi, desse luogo ogni tanto a delle
strofette liriche, e di queste si fecero le arie che servivano
come d'illustrazione morale della tela del dramma, mentre
questo s'intrecciava e si scioglieva nella parte recitativa.
S' introdussero quindi i duetti, i terzetti e gli altri pezzi
i
'"concertati, i quali fecero sparire sempre più la capitale dif
ferenza che esisteva fra la parte recitativa e la lirica. Pure,
fino a' tempi successivi al Metastasio, questa differenza si man
tenne abbastanza distinta ; e se da questi fino a' tempi Ros
siniani essa erasi un poco diminuita, non cessava però di es
sere sempre sensibile.
Il non mai abbastanza conpianto Vincenzo Bellini, che
inesorabil morte ci tolse nel più bel fiore dell'età sua, si era
posto d'accordo col bravo poeta Felice Romani al quale
piacque intitolare tragedie liriche i suoi drammi di tragico ar
gomento.
Quel nuovo titolo che molti hanno creduto, e credono forse
ancora, essere stato un vezzo da poeta pel solo gusto di cambiar
gli antichi nomi, o un'omaggio prestato a' romantici in quel
l'epoca di accanita guerra fra il romanticismo e il classicismo,
altro non fu che la giusta espressione del carattere assunto
dal nuovo melodramma, che, abbandonata del tutto 1' antica
separazione tra la parte dialogica e recitativa e quella lirica,
s'intreccia e si svolge quasi tutto liricamente, restato essendo
il recitativo per quei soli punti del dramma che presentano
meno movimento e interesse.
Non appena si era istituita in Italia questa nuova forma
del dramma, che apriva un più vasto campo a' voli del genio
melodico, ecco sorgere in Germania per opera del Wagner,
una nuova scuola che, chiamata da chi poco o nulla sapeva
la « Scuola dell' Avvenire, » altro non è in sostanza che un
ritorno al passato : a quelle idee che informavano il primo
sorgere del melodramma ; ad una continua recitazione misu
rata ; in una parola, a tre secoli addietro ! !
Se questa mia asserzione sembrasse esagerata, io non farò
altro che invitare i miei oppositori a dare un'attenta occhiata
alle opere del predetto innovatore. — Basterà soltanto osser
vare il Tannhàuser, spartito in tre atti che porta il titolo
di poema per musica. Io mi contenterò di citare particolar
mente tre soli pezzi ne' quali, per la situazione drammatica si
dovrebbe presumere che l' autore avesse dovuto sfoggiare di
tutta la sua possibile forza di sentimento e di passione ; que
sti pezzi sono : il duo fra Venere e Tannhàuser, l' aria del
pastore, e il settimetto finale primo, ne' quali non si riscon
tra sennon se una continua serie di dissonanze, di moti sin
copati, di legature, moti contrarj, imitazioni ; tutti insomma
gli artifizj che il calcolo in un'arte complicatissima può pro
durre ; e se ogni tanto scappano fuori come per caso quattro
o sei note che accennino a qualche poco di melodìa, noi le
vediamo interrompere e direi quasi subbissare da una folla
di note che scendendo per un lato, salendo per un'altro, ed
intrecciandosi per tutti i versi, fanno rispetto al cantante lo
stesso effetto che farebbe una mano posata sulla bocca di
chi fosse al principio di un' interessante discorso.
E egli questo, onorandi Colleghi, il modo che noi pos
siamo torre a modello per preparare alla nostra arte un bello
avvenire ? — Giovami sperare che la risposta sia del tutto
negativa.
Ma già sento che con queste mie lunghe dicerie io vi
debbo avere abbastanza tediati. Pure ardisco chiedervi an
cora un poco d' indulgenza per provare se le mie poche forze
potessero giungere a tale da trovare argomento che possa
rianimare le nostre speranze, ora, che da per tutto e con
molta ragione si grida alla decadenza della musica teatrale,
e, quel che è peggio, alla mancanza quasi assoluta di essa.
Una dolorosa ma troppo giusta verità veniva messa in
luce, or fa già un'anno, in questa stessa riunione, da un'eru
ditissimo nostro collega. La verità è questa : che da una tren
tina d' anni in qua noi assistiamo al tristo spettacolo di una
miriade di compositori italiani i quali, con tutte le loro fa
tiche, con tutti i loro sforzi, non sono riusciti a rendere ac
cettabili i loro lavori nè all'arte, nè alle masse degli uditori
ne' pubblici teatri.
Fu detto quindi che il male deriva dall' essere oggi la
musica in un tempo di transizione: in un tempo in cui nulla
vi ha di stabile, determinato, o fisso ; in un tempo insomma
in cui tutto si discute : teorie, storia, tradizioni, avviamento
estetico. E può anche darsi che codesta sia la causa del
fatto sovralamentato : in quanto a me non la reputo tale, o
almeno non credo che sia la causa prima o la sola. Pure,
se altro non si dicesse, mi guarderei dallo entrar quì in
una discussione , che , o Signori , vi prolungasse il tedio di
questo mio già lungo discorso. Ma quando vedo che alcuni
prendono le mosse da codesto asserto e si spingono a lamen
tare quello spirito di disquisizione che nel campo dell'arte
nostra, del pari che presso le arti sorelle, surse ai dì nostri ;
quando li sento rimpiangere i tempi nei quali lo studio si
riduceva ad accettare in ossequioso silenzio pratiche tradi
zionali ed empiriche ; a subire come dogmi superiori ad ogni
discussione regole tradizionali anch' esse e venerande , ma
empiriche non meno ; allora non so tacermi, e valendomi del
l' ampia libertà che la repubblica delle arti a tutti concede ,
vorrei mi permetteste di svolger quì alcune mie idee, diame
tralmente opposte a codeste massime, se altro non fosse per
togliere i giovani studenti dalla pena, dallo scoramento, anzi,
dall'incubo sotto cui li getterebbe l'idea di studiare un'arte
così difficile , ove non fosse loro concessa quella discussione
che è il solo mezzo efficace a raggiungere il vero. — L'in
segnamento a cui quasi niuno di noi quì raccolti è estraneo,
conduce di per se stesso l' insegnante e l' alunno alla neces
sità di discutere, senza di che, o l'insegnante non potrebbe
accertarsi che i suoi precetti fossero penetrati nella mente
dell' alunno, o questo, conscio della proibizione di discutere,
fingerebbe, per ossequio al maestro, di avere intesa una re
gola che la sua mente non avesse afferrata. — Si grida da
per tutto, e con la più sana e la più santa ragione, che i
giovani che si dedicano alla nostra difficile arte debbono farsi
anche un corredo di letteratura tale, che se non basti a chia
rirli veri letterati e sapienti, sia tale da meritar loro il nome
di culti cittadini, sia tale da renderli atti a poter di per se
stessi ritrarre il bello ed il buono dalla lettura delle istorie,
dagli scritti dell'arte,' dai trattati di estetica e così via discor
rendo. — Giunti i giovani a questo grado di cultura che noi
desideriamo, ed istruiti bastantemente nelT armonia e nel con
trappunto, sarà di necessita che essi si dedichino alla lettura
de' trattatisti e degli storici musicali. E non è ella, la storia
musicale, di per se stessa il campo di una continua discus
sione ? non ci presenta essa continui paralleli fra un' epoca e
un' altra, fra un modo di composizione ed un' altro ? non ci
nota essa le stranezze, i miglioramenti, le epoche di perfe
zione, di decadenza e di sosta ? non avvezza essa lo studioso
ad una continua discussione venendo dagli antichi tempi fino
al giorno d' oggi ? .
E ciò sta bene ed è naturale : inquantochè le arti, inesti-
mabil dono della Provvidenza, scesero fra noi adattate a tutte
le gradazioni dell' intelligenza umana e subietto per essa di
nobile esercitazione. Guai a coloro che volessero applicare il
credi e taci, che alle sole cose di fede appartiene.
Le arti hanno un campo senza confine nel quale 1' umana
mente può spaziare a suo bell'agio per deliziarsi, per scuo-
prire, per apprender sempre, per creare.
Un grido continuo a cui il mio spirito si rivolta viene
ogni giorno a rintronarci le orecchie : grido scoraggiante, grido
funesto che ad altro non serve che a seminare la sfiducia nel
cuore degli studiosi, i quali, per naturai sentimento sarebbero
spinti a riguardare il precettore come una loro speranza ....
ma quel grido è sempre là per ripetere che mancano i buoni
sistemi d'istruzione; che i musicisti non sentono, non inten
dono l' arte. Che i più abili professori si nutrono di falsi con
cetti, che gli alunni vogliono conservarsi nell'ignoranza, che
sono svogliati, sono presuntuosi!!! Ma, mio Dio! cessate per
carità, o voi che tanto gridate! io non posso associarmi alle
vostre opinioni, e le rigetto, perchè credo che con maggior
pacatezza d' animo, con meno appassionata severità possano ri
scontrarsi cagioni vere, ma assai meno scoraggianti, della ec
cessiva miseria a cui pur troppo è discesa l' odierna composi
zione melodrammatica.
La natura ha bisogno de' suoi riposi. Noi avemmo, fino
verso la iretà del presente secolo, troppa ricchezza, troppa
— 30 —
abbondanza di genj, perchè una sosta non dovesse natural
mente accadere. Un terreno troppo ferace potrà quest'anno
ampiamente ricompensare i sudori del colono con una sovrab
bondanza di messi; ma guai a lui, se lusingato da quell' ab
bondanza non penserà ad usar parcamente di quei ricchi rac
colti .... T anno venturo, quella terra così produttiva, si mo
strerà sterile e ingrata ; ma di tale sterilità sarà giusto incol
parne il coltivatore? no certo, io già lo dissi, la natura ha
bisogno de' suoi riposi.
Se noi volgiamo uno sguardo spassionato allo stato attuale
della musica in Italia, possiamo affermare che la cultura di
quest' arte si è per ogni dove grandemente dilatata. Oltre le
moltiplici società del quartetto costituitesi in diverse città, noi
vediamo anche sorgere delle riunioni di artisti col lodevole
scopo di migliorare le condizioni dell'arte, tanto che, se le
condizioni igieniche non lo avessero impedito, noi potremmo
a quest' ora aver còlto qualche buon frutto dal congresso mu
sicale di Bologna, che sarebbe stato il secondo dopo quello
promosso in Napoli dallo zelante e benemerito maestro Fer
dinando Bonamici.
Un' altra circostanza sta ancora a provare i lodevoli sforzi
che in quest'epoca si fanno. Il giornalismo musicale è al dì d'oggi
così diffuso, che mai in nessun' epoca si riscontra l' eguale. — In
esso noi troviamo una gran quantità di dottissimi articoli for
manti dissertazioni artistiche, critiche ragionate sulle opere di
ogni genere, insegnamenti chiarissimi sul modo di ben comporre,
e mille altre bellissime cose .... ma frattanto, un genio non
si presenta. Ciò prova, a mio credere, che la deficienza di com
positori non proviene da cattivi sistemi d' istruzione o da man
canza di sapere : poichè, se il sapere bastasse a ben comporre,
nessuno meglio di tanti dottissimi scrittori potrebbe deliziare
le moltitudini con opere egregie.
Se il genio musicale è fra noi precariamente sopito, non
è nè" può essere spento. Pazienza e fiducia, e nuovi genj deb
bono necessariamente sorgere.
Coltivino dunque i giovani il loro spirito per mezzo di
— 31 — '
buoni studj letterarj ; quindi, resi abbastanza padroni dell' ar
monìa e del contrappunto, prendano con l'aiuto de' loro mae
stri ad esaminare le opere de' classici autori antichi e moderni,
per ammirare in quelle la bellezza del lavoro, per vedere come
essi curarono a che la musica servisse alla situazione dram
matica e all' espressione del sentimento. Studino i belli arti
fizi della loro strumentazione, la ragionata condotta de' loro
pezzi.... studino sì; ma per carità non imitino, perchè l'imi
tazione è una rinunzia al proprio modo di sentire; è un' onta
alla propria inspirazione, mentre la musica, come la poesia,
dalla sola inspirazione procedono.
Il gran Rossini studiò indefessamente tutta la musica dei
più celebri stranieri e nazionali ; ma se dopo averne ammirate
le bellezze, dopo essersi, per -così dire, imbevuto di quelle
forme ragionate e di que' severi artifizj, egli avesse voluto
soltanto imitarli, noi non avremmo avuto una Semiramide, un
Mose, un'Otello, un Barbiere di Siviglia, un Guglielmo Teli,
e mille altri tesori che quel genio largì non alla sola Italia,
ma al mondo.
Così diremo di Generali, di Pàer, di Pacini, Donìzzetti,
Mercadante, Bellini, e finalmente di "Verdi, i quali, indefes
samente studiosi, culti, e taluni anche eruditi, hanno arric
chito il mondo di peregrine melodìe, e tutti con un tipo, con
una originalità propria la quale dimostra che, dopo aver fatto
tesoro dello studio de' Classici, e dopo esser giunti alla certezza
di saper ben fare, sciogliendo il freno a quell' immaginazione
che tanto più si fa viva quanto più la mente ed il cuore sono
educati al bello ; dotati di quel giusto e forte sentire che Dio
concede a pochi; hanno decorata la prima metà del secolo
presente con una ricchezza di forme musicali e di concetti
melodici di cui la storia non ha, in così breve spazio, alcun
riscontro.
Perdonatemi ora, o Signori, se lasciando libera e rispet
tata 1' opinione di ognuno , io esposi francamente la mia ,
per la quale credo che gli animi nostri potrebbero rial
zarsi a più liete speranze; prima di tutto, perchè il vacuo, o
la sterilità, hanno già durato lungo tempo; secondariamente
perchè mi sembra di avere abbastanza provato con queste mie
ricerche storiche, che la musica ha segnata un' epoca di ri
sorgimento ogni qualvolta gli artisti si sono riuniti in acca
demie o congressi, come appunto si va facendo presentemente
fra noi.
Non ci abbandoniamo dunque allo scoraggiamento, ma rad
doppiamo invece i nostri sforzi; diamoci corpo ed anima a re
staurare la nostra pericolante rinomanza, e confidiamo che non
sarà lontano il giorno di nuove glorie, poichè la Provvidenza
che ha dato ad ogni contrada la sua specialità, non vorrà to
gliere alla nostra Italia quel naturale istinto della buona mu
sica che 1' ha resa fino da' più remoti tempi così famosa.
RELAZIONE

DELLA COMMISSIONE

ELETTA

DALL' ACCADEMIA DEL R. ISTITUTO MUSICALE


DI FIRENZE

nella sua (ornala del dì 12 Giugno 1865

per referire e proporre intorno ai modi da tenersi ali1 effetto di rialzare


la scuola del canto dalla odierna sua decadenza, secondochè gliene fu
fatto invito dalla Commissione esecutiva del 1° Congresso dei Musicisti
italiani. ,

Signori e Colleghi !

Non può a meno di riconoscersi che prima origine del


l' odierna decadenza dell' arte del canto sta nell' abbandono del
canto fiorito e vocalizzato per sostituirvi quasi esclusivamente
il canto spianato e sillabico.
Per cantar bene il canto spianato e sillabico la voce del
cantore bisogna che sia educata del pari che per cantare il
canto Vocalizzato e fiorito : ma mentre questo senza buona
educazione della voce non si canta nè bene nè male, quello
si canta, quantunque non bene, anche senza veruna educazione,
quando si abbia un po' di voce e di orecchio. Ond' è che i
nuovi cantori, per risparmiarsi la fatica della scuola, giovan
dosi solo della voce , dell' orecchio e della forza dei polmoni
quali avean sortito dalla natura, si dettero a vociare a tutto
uomo le nuove cantilene; e il rozzo pubblico, sorpreso dalla
nuovità, ad applaudire; e i cantanti a persuadersi vie più es
sere inutile per cantare ogni studio sistematico e prolungato.
E a confermare il male, sovraggiunse la ignavia presun
si
1

— 34 —
tuosa e l'orrore allo studio per parte di coloro che venivano
tirandosi su per maestri: i quali si persuasero di potere in
segnare a cantare senza avere imparato l'arte del canto, ed
ebbero la presunzione di prendere a scrivere pel canto igno
randone perfino i primi elementi. D' onde la scuola di canto
ridotta a un puro strazio della gola degli studenti, e il ma
ledetto sistema invalso fra i giovani scrittori di trattare il
canto come un raddoppio o un accessorio degli strumenti ; di
spaziarsi in melodie di un genere sempre esagerato; di tes
sere i canti fuori dei limiti naturali delle voci ; di praticare
la sillabazione nel registro il più acuto; di non avere alcun
riguardo a un adeguato equilibrio fra la forza strumentale e
la forza vocale; di non si dar pensiero delle esigenze di una
buona respirazione, e così via discorrendo.
Fortunatamente siam giunti ormai a tal grado di corru
zione che il buon gusto delle masse comincia salutarmente a
reagire. Che fare perchè la corruzione cessi del tutto ? — In
vocare forse prescrizioni o coercizioni per parte della pubblica
autorità? — Dio ce ne guardi! D'altro lato sarebbe inutile il
farlo, comecchè il R. Governo abbia già saviamente dichiarata
la propria incompetenza ad immischiarsi in queste faccende.
Ciò che di meglio possa farsi, sta dunque nel secondare il
risvegliarsi del buon gusto negli esecutori e nel pubblico:
altro rimedio diretto e veramente efficace non saprebbe vedersi.
Metodi per istudiare il canto elaborati e buoni, numerosi
e diffusi, non mancano : manca chi li studj e li faccia stu
diare. E che il male stia principalmente nella deficenza di
studi lo si vede con l'esperienza. Dagli Istituti Musicali qualche
buona cantante esce talora, anzi non senza una qualche fre
quenza : è per lo contrario un caso rarissimo che ne esca un
uomo che canti passabilmente. E ciò perchè le ragazze, che
stanno sotto la guardia dei genitori è in casa, studiano e si
trattengono qualche anno nelle scuole: ma i maschi, general
mente poco sommessi e girovaghi, distolti dalle ciarle degli
amici e dalle istigazioni dei maestrucoli, appena han fatto la
scala e i salti non voglion più saperne di studio, si fanno in
— 35 —
segnare a memoria due o tre opere e con questo bel baga
glio si lanciano sulla scena : con quai bei risultati, non vi è
chi noi sappia.
E strano il vedere come li strumentisti , prima di porsi a
suonare pubblicamente come concertisti e pur anche come
suonatori di orchestra, spendono degli anni nel rendersi pa
droni del meccanismo del proprio strumento: e come i cantanti
per lo contrario presumono di cantare alla bella prima senza
neppure imparare a conoscere il proprio strumento ; quello
strumento che non ha tasti, che non ha fori, che non ha corde;
che non consta di duro legno o metallo, ma di cartilagini de
licatissime; che è fuori del dominio del tatto e della vista,
quello strumento insomma che è la gola, vale a dire il più
geloso e il più difficile degli strumenti.
Giova al cantante più che ad ogni altro musicista esecu
tore il possesso di buone cognizioni letterarie, storiche, filo
sofiche; e gli giova per certo 1' essere buon musicista: ma
questo prezioso corredo di cognizioni di per se solo non serve a
fare eh' egli canti bene. Sappiamo che molti e dei preclari
cantanti dei tempi passati, anzichè buoni musicisti, erano poco
più che orecchianti; e in quanto concerne la cultura, fosse
anche la più volgare, passavano proverbialmente per essere
della più crassa ignoranza. Anzi, per esser giusti, non si può
a meno di confessare francamente in questo proposito che in
generale i moderni anche mediocri cantanti ne sanno in tali
discipline ben più che non ne sapessero i celebri della vecchia
scuola. Pur nonostante i vecchi cantavano bene, i moderni
(sempre generalmente parlando) cantan male; quelli continua
vano a cantare sempre floridi e freschi per venti, trenta e più
anni continui; questi dopo cinque o sei anni di canto son già
belli e sfiatati : quelli cantando commovevano fino alle lacrime,
questi se riescono a farsi applaudire, vi riescono piuttosto per
islancio d' incomposto entusiasmo o per drammatica declama
zione, che per abilità vera nel canto. — Ora, di tutto ciò quale
è la cagione ? — La cagione è facile a rintracciarsi, e i1 ab
biamo già detta di sopra : i vecchi studiavano lungamente
— 36 —
l' arte del canto ; la massima parte dei moderni non conoscono
di quest' arte quasi nemmeno la esistenza.
Perchè un cantore possa dirsi possedere gli elementi del
l' arte sua, bisogna in prima che abbia bene stabilita e siste
mata la voce; che la sappia emetter bene, e che bene del
pari la sappia sostenere , spingere e raffrenare : bisogna che
sappia ben prendere, emettere, economizzare e riprendere il
fiato: bisogna che sia ben sicuro della intuonazione e del tempo;
bisogna che unita, pastosa, scorrevole abbia la voce : bisogna
che sappia ben fraseggiare : bisogna in fine che sappia bene
articolare o sillabare. Tutto ciò non è tutto ; poichè alla fin
fine tutte codeste abilità non costituiscono altro che gli ele
menti diremo meccanici dell' arte del canto : per essere per
fetto nell' arte sua , bisogna che il cantante impari a porre in
opera con gusto squisito tutte codeste meccaniche abilità ; bi
sogna in una parola eh' ei si formi lo stile.
Che se il cantore si destini alla scena, sarà bene pur an
che lo studio ragionato eh' ei faccia della mimica teatrale , con
che vogliam dire l'arte di bene atteggiare e muovere la per
sona, e di esprimere coi movimenti del volto e della persona
stessa le diverse passioni. Non parlammo appositamente della
declamazione, in quanto per essa intendesi l'arte della con
veniènte inflessione della voce parlata, perchè lo studio ne è
faticoso ed esiziale alla voce del cantante; e perchè lo studio
di essa di per se sola e disgiunta dal canto serve solo a
confermare quel falso concetto altro non essere il canto che
un modo di declamazione. Il canto è musica ; è dunque crea
zione , poesia. Se questa poesia dei suoni si associa alla poesia
delle parole per conseguire l' effètto estetico, la mozione de
gli affetti, vi si associa per cospirare alla consecuzione del
fine coi mezzi propri, non con quelli accattati dall'arte so
rella. Il caDtore deve declamare cantando; il falso concetto
ch'ei debba cantare declamando è quello appunto che rias
sume l' odierna decadenza dell' artè del canto.
Ora per giungere a tanto di possedere tutte le numerose
e svariate doti che formano il buon cantante non basta lo
— 37 —
studio di settimane, non quello di mesi: ci vuole studio co
stante e continuato per anni. Se si dà un anno (e non è molto)
per apprendere gli elementi, la lettura, la divisione: se tre
se ne danno pel solfeggio , il vocalizzo , l' articolazione ; se due
per la scuola complementare e di bel canto, non si avranno
meno di sei anni di studio per formare un cantante. Certo
se l'alunno possiede buone doti naturali e molta attitudine;
se il maestro, anzichè fare come tanti dei moderni maestri ,
i quali con lo stesso metodo , con li stessi solfeggi , con li
stessi vocalizzi pretendono insegnare indistintamente a tutti i
loro alunni ; se il maestro per lo contrario farà come una
volta facevano i buoni maestri, vale a dire, bene indagata
l'indole e la natura delle attitudini dell'alunno, modificherà
correspettivamente il suo metodo, variandone , ristringendone,
ampliandone gli esercizj ; se invece di fare uso indistinto di
esercizj e vocalizzi quali si trovano in commercio, si darà la
pena di scriverli appositamente secondo le speciali esigenze
della voce dell' alunno , questo tempo potrà di alquanto ab
breviarsi; ma ridurlo, come dai più si vorrebbe, ad esser
quasi nullo, è una pazzia pur anco lo immaginarlo.
Evvi alcuno per altro che, senza negare la necessità degli
studi cui sopra accennavasi, in luogo di far passare per essi
progressivamente e successivamente l'alunno, vorrebbe che
gli si facessero fare simultaneamente e promiscuamente, cre
dendo che così ne verrebbe accorciato il tempo del suo tiro
cinio. Ma intorno a ciò crediamo che, come in ogni altro
ramo dell'insegnamento, non possa darsi un assoluta sen
tenza; poichè la sentenza stessa dipende dall'indole delle doti
naturali dell'alunno e dalla relativa capacità del maestro. Lo
alternare o far procedere simultaneamente gli esercizi di scale,
salti, messa di voce, solfeggio, vocalizzo, agilità, articolazione,
cui sopra accennammo, può essere, se altro non fosse, un
equo modo di conciliazione fra le esigenze dello studio e la
odierna febbre del far presto, da che le impazienze degli
alunni e delle loro famiglie : ma in massima non è da scor
darsi che generalmente parlando le difficoltà ginnastiche, ed


il canto in quanto concerne la materiale esecuzione è pure
una specie di ginnastica della gola, non si vincono bene che
procedendo ordinatamente una ad una a combatterle. Tanto
chè alla fine coloro che si saranno assoggettati alle apparenti
lungaggini di un corso metodico, quale di sopra lo abbiamo
adombrato, alla fine si troveranno ad aver fatto più presto
di coloro che sparpagliarono le loro forze sopra studi simul
tanei diversi: poichè questi canteranno per certo un'aria più
presto di quelli; ma quelli alla fine del corso la canteranno
come buoni artisti; questi tutto al più come buoni scuolari.
Negli studi che diremo preparatorj non sapremmo dun
que quali intrinseche innovazioni potessero introdursi: crediamo
anzi che nessuna sia da introdurvene : e negli studi comple
mentari, non sapremmo che raccomandare ai maestri di for
mare a dovere il gusto degli alunni, acciocchè tenendosi lon
tani dalle rozze odierne esagerazioni declamatorie, del pari che
da quella svenevole affettazione e da quella barocca ampollosità,
che costituivano talora i vizj dell'antica scuola; si avvezzino
a cantar bene e a declamare non urlando ma cantando.
Inutile poi ci sembra 1' accennare pur anco che un gran
sussidio troveranno li studenti il canto ai loro progressi, se
ai loro studi aggiungeranno pur quello dell'accompagnamento.
Del resto gridare e gridar tutti e forte, perchè la pub
blica opinione, nella quale già scorgesi, come avvertimmo,
una salutare reazione, si faccia tanto imponente da coartare
la ignavia dei discepoli e dei maestri. Non risparmiare pa
role e critiche severissime per conquidere tutti coloro che presu
mono cantare e far cantare senza studio dell'arte del canto,
ed in ispecie tutti quei pianisti o scrittori che s'impancano
ad insegnare o a scrivere il canto senza possederne essi stessi
l'arte, neppure nei suoi elementarissimi rudimenti. Finalmente
adoprarci tutti e a tutt' uomo perchè nelle pubbliche scuole
s' insegni il canto con quel sistema metodico e razionale ,
senza cui è follìa lusingarsi di giungere a cantare pur fosse me
diocremente. Se gli alunni si noieranno ed abbandoneranno
la scuola, pazienza ! Si persista inflessibili e alla lunga la vin
— 39 —
-ceremo. D1 altro lato se da una scuola ogni anno uscirà un
solo cantante piuttosto che dieci, sarà tanto di guadagnato se in
luogo di dieci gridatori ne uscirà un buono e vero cantante.
E ad altra cosa intendiamo pure con tutto l'animo: vo
gliaci dire cerchiamo che negli Istituti di musicale istruzione
tutti coloro che si danno allo studio del comporre , studino
pure metodicamente e razionalmente il canto. Che se riusci
remo a tanto , sarà forse il meglio che possa farsi ; poichè
sembra inutile sperare che l'arte del canto possa rialzarsi,
finchè i maestri non sieno i primi a conoscerla, finchè se
guitino a scrivere il canto come oggi fra i più è invalso il
sistema di scriverlo.
Ma tutto ciò si procuri farlo più presto che sia possibile,
perchè invida morte non involi frattanto con quei pochi buoni
artisti che restano ogni buona tradizione della nostra classica
scuola di canto: la quale, se, come sopra osservammo, peccava
talora per la esagerazione dei suoi pregi stessi ; se nella pra
tica applicazione andava censurata per quel manierismo che
era invalso nelle arti tutte durante il secolo XVIII , dal
lato del meccanismo, che è ciò in fine che veramente concerne
la scuola del canto, nulla lasciava a desiderare.
In questo senso pertanto è nostra opinione che l' Accade
mia debba rispondere al quesito che le fu fatto e sul quale
fummo chiamati a informare ; e queste massime debba essa
propugnare tanto in occasione del prossimo congresso dei
musicisti italiani, quanto in ogni altra favorevole occasione
che offrir le si possa.

Firenze, li 7 luglio 1865


Devotissimi
Pietro Romani
G. Alessandro Biaggi
Luigi Casamorata, estensore.

La soprascritta relazione fu approvata dal Corpo Accademico nella sua tornata


del o settembre 186j con partito di voti lutti concordi.
RELAZIONE

DELLA COMMISSIONE

ELETTA

DALL'ACCADEMIA DEL R. ISTITUTO MUSICALE


DI FIRENZE

nella sua tornata del di 12 Giugno 1865


per referire e proporre intorno alla conveniema di stabilire un Corista
uniforme italiano, secondochè glie ne fu fatto invito dalla Commissione
esecutiva del 1° Congresso dei Musicisti italiani.

Messa in campo nel 1834 dal congresso musicale di Stut-


garda: largamente e dottamente trattata nel 1859 dall' Ha-
lévy: discussa lo scorso anno, e dottamente del pari, dal signor
Palmieri nel congresso de' musicisti italiani tenuto in Napoli,
la quistione concernente il bisogno di abbassare e di fissare
il Corista può considerarsi, pel rispetto speculativo, come ri
solta ed esaurita.
Non è oramai cultore dell' arte nostra, il quale non veda
i danni cagionati dalla grande molteplicità de' coristi e più.
dalla continua loro tendenza ad elevarsi. Però non fu accade
mia, nè scuola, nè istituzione musicale europea che non ade
risse con sentimento di gratitudine al governo francese ,
quando nel maggio 1859 tradusse in legge le proposte della
Commissione delegata a studiare i modi di provvedere a co
desti bisogni della musica.
Ma la legge del 1859, se non siamo male informati, non
ebbe 1' effetto che se ne sperava. Le difficoltà pratiche usci
rono numerosissime : enormi risultarono le somme necessarie
5
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a fornire ci' istrutnenti, accordati sul corista-tipo, le scuole, le
bande militari e le altre istituzioni musicali dipendenti dallo
stato : impossibile l' obbligare i componenti le orchestre al
l'acquisto di nuovi strumenti: difficile il mettere la legge in
atto: più difficile ancora il vederne le trasgressioni, il repri
merle , il punirle. Di più que' medesimi fabbricatori d' istru-
menti, Erard, Pleyel, Sax, Herz, Alexandre, Williaume e CC.
che furono i primi a invocare dal governo quella legge, vedute
le gravi spese cui andavano incontro , e temendo incagli e
disvii nelle loro relazioni commerciali, furono pure i primi a
muoverne lamento e a desiderarne l' abolizione.
Queste difficoltà e questi ostacoli, non giova dissimularlo,
sono nella essenza della cosa , sono inevitabili e sono tali che
il vincerli esce dalle possibilità dei privati.
Tuttavia, siccome sarebbe ingeneroso consiglio il cedere
agli ostacoli, pare a noi che se v'ha modo di renderli meno
ardui, sia quello di accettare le conclusioni della Commissione
francese e di adottare per corista-tipo il la a 870 vibrazioni
per minuto secondo. Così, se non altro, si sarebbe già fatto
verso l' intento un bel cammino , e fra noi e la Francia sa
rebbero favorite e assicurate tanto le relazioni artistiche quanto
le commerciali.
Tuttochè ammiratori dell'ingegno e della dottrina del
signor Palmieri, noi ci scostiamo qui dalle sue opinioni; ma
ci scostiamo solo per questo che, buone innegabilmente e in
negabilmente giuste e accettabili se fossero uscite prima della
legge francese, ora ci sembrano inopportune, in quanto au
mentano evidentemente le difficoltà senza poter dare e nem-
men promettere un congruo risultato; imperocchè trovata e
nominata una commissione, fatte le ricerche e fatti gli studi
necessari intorno all'antico o agli antichi coristi italiani (cose
per noi e pei giorni che corrono non facilmente verificabili)
la conclusione pratica a cui potrem venire sarà quella d' adot
tare un la a quattro o sei vibrazioni in più o in meno di quello
adottato in Francia, differenza da non potersene far conto,
i Del rimanente, prima di chiudere questo scritto, ci si per
metta osservare : che dei danni cagionati dalla soverchia ele
vatezza del corista, il più grave di tutti è quello di rendere
pressochè ineseguibili gli antichi capolavori, specialmente me
lodrammatici, e che da questo, per nostra vergogna, noi Ita
liani ne andiamo immuni. In quanto all'altro, certamente non
piccolo, di costringere i cantanti a perpetui sforzi, potrebbesi
trovare, crediam noi, un validissimo rimedio ne' Licei e nei
Conservatorii, assoggettando indeclinabilmente i giovani com
positori ad uno studio accurato e continuo dell'arte del Canto,
e ammaestrandoli a trovare gli effetti drammatici nel carattere
e nell'espressione della melodìa, e non nel vigore materiale e
nella materiale efficacia delle voci.

L. F. Casamokata
D.re Àbramo Basevi
G. Alessandro Biaggi, relatore.

La soprascritta relazione fu approvata dal Corpo Accademico nella sua tornata


del 5 Settembre 1865 con partito di voti tutti concordi.

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