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Il Cammino Di Maat. Luci Sull'antica Sapienza Egizia - Associazione PDF
Il Cammino Di Maat. Luci Sull'antica Sapienza Egizia - Associazione PDF
Il Cammino di Maat
Luci sull’antica sapienza egizia
La citazione in copertina: “…poiché non esistono saggi per nascita”, è tratta dal prologo de
Gli Insegnamenti di Ptah-Hotep (41).
3
4
Alla memoria di Antonio,
un seguace di Horus della nostra epoca.
5
6
INDICE
Ringraziamenti 9
Premessa 11
Introduzione 13
I. L’INSPIEGABILE NOSTALGIA 15
Cosa si nasconde dietro il linguaggio geroglifico 17
I limiti della razionalità 17
La riscoperta dei simboli 19
Un archeologo alieno 22
Principi cabalistici 25
Simboli vivi e simboli artificiali 29
Sulla soglia dell’antico Egitto 33
Il mistero della vita 33
La terra d’Egitto 35
La scienza degli dei 38
I geroglifici si rivelano 43
Il Tao egizio 48
II. SULLA SOGLIA DEL TEMPIO 55
Una civiltà solare 57
Coscienza osiridea e coscienza horusiana 57
La mitologia dell’Essenza 61
L’Egitto biblico 69
La ricerca della perfezione 75
La teocrazia faraonica 75
Le corone della vita 78
L’arte del cambiamento 87
La natura dei conflitti 94
Il servizio disinteressato 102
III. CON NUOVI OCCHI 109
La Casa della Vita 111
Due livelli di insegnamento 111
La meta della felicità 115
Il valore dell’amicizia 118
L’Insegnamento Universale 121
La funzione di un maestro e di una scuola 125
Il metodo 131
7
L’importanza della gratuità 135
La struttura dell’essere umano 139
La conquista dell’immortalità 139
Il desiderio di esistere 142
L’arte di ascoltare il proprio cuore 145
L’uovo-microcosmo 149
Energia ed Essenza 153
Il contatto con il divino 159
IV. OLTRE IL PENSIERO 163
La pesatura del cuore 165
Libro dei morti o libro dei vivi? 165
La consapevolezza del proprio destino 168
Il contrappeso 172
Il verdetto della bilancia 177
La forza attrattiva delle illusioni 183
I differenti piani di esistenza 186
Il nuovo Egitto 193
Attraverso le ere 193
L’eone di Maat 198
La comprensione dell’Amore 201
L’arte di ascoltare 204
Tutti sotto un unico cielo 207
V. L’ADDIO 215
Conclusione 219
Bibliografia 221
8
Ringraziamenti
9
10
Premessa
11
12
Introduzione
13
portata vitale impossibile da racchiudersi all’interno di sterili
classificazioni, così come non è possibile contenere entro argini
artificiali e definiti la vitalità di un fiume in piena.
Non nascondo infatti le difficoltà nell’esporre in forma
sequenziale una dottrina di natura tutt’altro che analitica, e a tal
proposito mi affido allo sforzo del lettore nel cercare di assimilarla
in una visione vitale e compenetrata, dove ogni concetto non segue
né precede un altro, ma dove tutti coesistono simbolicamente legati
tra loro come cellule di un unico organismo.
Ogni parola spesa in merito ad un messaggio spirituale di natura
simbolica sarà infatti nel migliore dei casi un’onesta menzogna, nel
senso che non potrà non tradirne il profondo messaggio evocativo,
per sua peculiarità situato ad un livello superiore al comune
linguaggio del pensiero. Esorto dunque il lettore ad accogliere ogni
nozione che verrà qui esposta unicamente come un modesto
tentativo di offrire spunti di riflessione per un’indagine interiore del
tutto intima e personale.
Ogni due capitoli, lo scritto sarà inoltre intervallato dal racconto
di un giovane cercatore della Verità nell’antica terra d’Egitto, la cui
avventura proverà ad accompagnare il lettore nel cuore
dell’insegnamento faraonico.
14
La ricerca di Ak-Yb-Ka
I.
L’INSPIEGABILE NOSTALGIA
15
No, dietro tutto ciò doveva necessariamente nascondersi qualcosa di
diverso, un altro tipo di conoscenza.
Tutta la sua curiosità iniziò a rivolgersi verso ciò che si celava
dietro al Tempio, oltre la sua funzione manifesta cui tutti
sembravano accontentarsi, nell’ineffabile Scuola dei Misteri che
lontano dagli occhi del mondo operava silenziosamente. L’intero
popolo d’Egitto era consapevole di questo nucleo di persone, di
questi grandi saggi cui il faraone stesso apparteneva. Ma nessuno
sapeva nulla di più, nessuno ne conosceva l’identità oltre a quella
visibile del re. Coperti infatti dal voto di sacra umiltà, quei sapienti
vivevano nel mondo quotidiano nelle insospettabili vesti di qualsiasi
funzione sociale, dagli scribi agli artigiani, commercianti, pescatori
o contadini.
Sì, non vi erano più dubbi ormai, Ak-Yb-Ka riconobbe
chiaramente ciò che il suo cuore desiderava ardentemente: entrare
a far parte della Scuola della Vita, fino alla sfera più intima di essa,
lì dove ogni segreto cessa di essere tale.
Fu così che si mise in viaggio attraverso tutto l’Egitto,
guadagnandosi da vivere con umili mansioni sempre diverse, e nella
speranza di arricchirsi il più possibile di quelle occulte conoscenze
che gli avrebbero con certezza aperto le porte del Tempio Interiore.
16
Cosa si nasconde dietro il linguaggio geroglifico
1
John Anthony West, Il serpente celeste, Corbaccio, Milano, 1993.
17
Ma esistono realmente le prove di questo assunto? È tale
convinzione una reale sicurezza nelle nostre virtù, o è forse una
scorciatoia per compensare un vuoto di insicurezze che dal fondo di
noi stessi reclamano il loro diritto ad essere affrontate e rimesse in
discussione? Proviamo ad esaminare più da vicino la semplice vita
quotidiana che accomuna tutti quanti. Anche perché lo scopo di tale
trattato è proprio quello di parlare di noi, del nostro mondo interiore
più che di quello esteriore, perché è qui che troveremo le “prove”
dell’esistenza di un attuale antico Egitto, oltre gli schemi classici
convenzionali.
Approfondiamo dunque il nostro approccio razionale alla vita in
relazione ad un approccio chiaramente simbolico e ben conosciuto
da tutti: la PUBBLICITÀ, i cui fondamenti poggiano sulla scienza
del comportamento umano. Per esempio, chiunque di noi,
aggirandosi tra gli scaffali di un supermercato alla ricerca di una
confezione di biscotti, sarà propenso a lasciarsi attrarre molto più
facilmente da un’etichetta nota piuttosto che da una sconosciuta. Se
poi la marca è stata ripetutamente vista o sentita in televisione, le
probabilità aumentano vertiginosamente.
Ma da cosa è guidato questo strano impulso d’acquisto? Dal fatto
che negli spot vengono illustrate e dimostrate nel dettaglio la
provenienza delle materie prime, la loro preparazione tradizionale
senza l’aggiunta di sostanze additive dubbie per la nostra salute? Il
tutto magari attraverso un rigoroso metodo scientifico e razionale
che ne certifica l’indiscussa qualità? Facile immaginare la risposta.
Qualsiasi azienda con un minimo di senso commerciale, saprebbe di
buttare via i soldi nell’investire in una propaganda di questo genere.
Buona parte degli stimoli pubblicitari fanno leva su
caratteristiche che con il prodotto non hanno quasi mai una reale
relazione. Basti pensare proprio alla famiglia perfetta cui tutta la
felicità sembra ruotare intorno a una merendina, o alla frequente
associazione che vede a fianco di un nuovo modello di auto una
splendida modella. Gli esempi potrebbero continuare per pagine e
pagine, ma ciò che ci interessa ora è constatare come tutte le
strategie psicologiche siano edificate sulla base di tre materie prime
indissolubilmente legate tra loro: EMOZIONI, ILLUSIONI e
DESIDERI.
18
Nel profondo di noi stessi, nel nostro intimo, siamo molto più
attratti dall’idea – seppur evanescente ed illogica – di ritrovare forse
un po’ di quella felicità che viene presentata, piuttosto che dirigere
in modo razionale, obiettivo e scientifico la nostra attenzione verso
aspetti che sappiamo essere di gran lunga molto più importanti e
seri, ad esempio gli ingredienti di un alimento che potrebbero
influire sulla salute, o le caratteristiche tecniche di un’auto
necessarie e sufficienti per l’utilizzo reale che ne andremo a fare.
Non è necessario scandagliare ulteriormente tutti gli ambiti in cui
la nostra stabilità razionale viene a mancare, anche perché tali
tentativi di condizionamento sono talmente presenti e ramificati, che
in molti casi è addirittura impossibile delineare quella linea interiore
che separa ciò che siamo realmente da ciò che le forze esterne
concorrono a delineare della nostra immagine.
La verità è che oggi più che mai, specialmente nell’ambito delle
scienze umane, si è giunti all’inequivocabile conclusione che i fili
che muovono la nostra vita sono tutt’altro che razionali. Se è pur
vero che i recinti della nostra cultura sembrano nettamente stabiliti
entro limiti logici e di parvenza scientifica, è anche fin troppo
evidente quanto all’interno di essi si muovano caoticamente un
marasma di impulsi soggettivi, irrazionali, incoerenti ed instabili.
Eppure, alla prima occasione troviamo sempre la forza di
riaffermare: sono un tipo razionale con i piedi per terra, io.
19
linguaggio razionale nell’esprimere ciò che progressivamente il
linguaggio simbolico matematico portava alla luce.
La realtà che si è dispiegata agli occhi dei grandi ricercatori delle
diverse discipline scientifiche, appare incomunicabile tramite i
comuni canali logici, attraverso i quali non potrebbe che scontrarsi
in continue definizioni contraddittorie. Pensiamo ad esempio al
fenomeno della dualità onda-particella, per il quale la natura della
luce può essere osservata e descritta sia tramite caratteristiche
corpuscolari che ondulatorie, due aspetti razionalmente inconciliabili
tra loro. Ciò che potrebbe sembrare un koan zen, è divenuto invece
un assunto scientifico.
È sorta quindi l’esigenza di rivolgersi a strumenti comunicativi
più evoluti, in grado di sopperire alle limitate restrizioni del
linguaggio e della logica umana. Quale migliore strumento del
linguaggio simbolico? Come affermò Georg Groddeck, principale
fonte di ispirazione del pensiero psicoanalitico di Sigmund Freud:
2
Georg Groddeck, Il libro dell’Es, Adelphi, Milano, 1990.
20
il mondo del denaro. La maggior parte delle persone di questo
pianeta assocerà alla vista di questa immagine una serie di concetti
ed emozioni relativi agli affari, all’economia, al potere di acquisto,
alle banche. Altri potrebbero associarlo alla corruzione, alla
malavita, alla causa della povertà nel mondo, ed altri ancora ai
propri sogni di ricchezza, di successo e fama, di vincita a qualche
lotteria. Si potrebbe scrivere un intero libro per racchiudere tutte le
associazioni possibili che un simbolo del genere è in grado di
risvegliare nell’essere umano, ma ciò che si può facilmente
constatare è come esso sia a tutti gli effetti una sorta di chiave in
grado di aprire la porta ad un flusso di emozioni, aspettative, idee e
pregiudizi.
21
oppure può richiamare scene di guerre sante, inquisizioni e genocidi
in virtù di una conversione forzata. Se ci sforzassimo di mettere in
parole tutto ciò che racchiude il simbolo della croce per poter
trasmettere pienamente il suo significato ad altre persone, ci
troveremmo in seria difficoltà.
Un archeologo alieno
22
ancora – orrore e disgusto – potremmo essere marchiati di inciviltà
per torturare e uccidere un animale costringendolo a passare per
un’apertura così piccola, in una sorta di brutale rituale di battesimo
per una macchina.
Ritorniamo ora indietro fino ai giorni nostri, e proviamo a
rimetterci nelle vesti dell’umano-alieno che cerca di conoscere una
possente civiltà ormai scomparsa da diversi secoli, e il cui ricordo è
sopravvissuto solo tramite una serie di immagini, di scritti
difficilmente comprensibili, di opere architettoniche maestose
quanto misteriose e di pochissime testimonianze dirette. Stiamo
parlando dell’antico Egitto.
Come possiamo studiare e interpretare i lasciti di una civiltà
senza compiere le sforzo di calarci il più possibile nella visione
dell’esistenza che essa esprimeva e ricercava, nel concreto modo di
affrontare la vita degli individui che la formavano? Generalmente
noi ci illudiamo di effettuare questo tipo di lavoro, ma il più delle
volte non facciamo che far accomodare barlumi di idee differenti
dalle nostre in una ben stabile e radicata costruzione di preconcetti
culturali indiscutibili.
Perfino nella nostra quotidianità abbiamo spesso la sensazione di
vivere in mezzo ad estranei, perfino con le persone con cui
condividiamo lo stesso tetto sopra la testa: genitori, fratelli, sorelle,
marito, moglie, figli, ecc. Non riusciamo a comprendere certi loro
ideali, certe loro prese di posizione e scelte di vita. Ogni nostro
sforzo di calarci nei loro panni, nei rari casi in cui le nostre energie
non siano convogliate nel tentativo di convincerli altrimenti, si
concretizza nel confrontare le altrui prospettive con le nostre,
trovando una sorta di compromesso accettabile; per farcene
insomma una ragione, non certo per provare ad accoglierle come
innovazioni esistenziali da poter sperimentare.
E quante volte ci ritroviamo a chiederci: io quello proprio non lo
capisco, come è possibile ragionare in quel modo? La realtà è che
siamo completamente assorbiti in una sorta di incantesimo culturale-
egocentrico per il quale tutto ciò che non si conforma ai nostri
ordinari processi di pensiero ci spaventa. Ora più che mai sono state
attivate delle paure ancestrali di autodifesa verso alcune culture
come quella musulmana; la stessa parola rimanda per i più a concetti
23
di fanatismo, di maschilismo, di terrorismo, di inciviltà. E poi, la
nostra religione è senz’altro la migliore!
Poco importa se noi, magari, non abbiamo mai letto neanche una
volta il Vangelo o la Bibbia, se ne conosciamo molto
approssimativamente i dettami guida e non ci siamo mai realmente
posti il problema di come poterli vivere praticamente. Già, perché è
risaputo che la maggior parte dei musulmani sono più dediti di noi
allo studio del Corano e alle pratiche quotidiane di preghiera.
Per tali motivi possiamo giungere ad una clamorosa conclusione:
gli alieni esistono, e sono proprio in mezzo a noi, al nostro fianco,
nella casa in cui viviamo, sul posto di lavoro, ovunque. Si, siamo
tutti alieni l’un con l’altro, e anche con noi stessi. Non c’è alcun
bisogno di andare a disturbare l’abitante di qualche mondo lontano.
Come fare dunque per superare questo empasse? Come fare per
allargare lo sguardo oltre i paraocchi che da sempre ci
accompagnano stabili ed immobili? La risposta implica una nostra
totale volontà a metterci in gioco, a buttarci verso il nuovo, non
necessariamente per distruggere tutto ciò in cui crediamo, ma
perlomeno per accogliere altre prospettive con sincera
predisposizione. Tale è il motivo per cui gli antropologi conducono
buona parte della loro vita nel mezzo della civiltà che studiano,
vivendo con loro ogni prezioso istante della vita quotidiana. E
quanto imparano da queste esperienze: aspetti che non avrebbero
mai immaginato, e che con stupore li colpiscono spesso a tal punto
da segnare per sempre la loro vita.
Ovviamente a noi ora non è data la possibilità di vivere in mezzo
al popolo dell’antica terra d’Egitto, ma non sono pochi coloro che ci
sussurrano come la strada per una comprensione più profonda sia
comunque ancora possibile, passando attraverso una riscoperta di sé
che viaggia di pari passo con il riconoscimento del messaggio che
questa sacra civiltà sembrava permeare in ogni suo aspetto. Come
scrisse René Schwaller de Lubicz:
24
tutto, una sintesi che non potrebbe essere trascritta in
vocaboli di un dizionario. 3
Principi cabalistici
3
René Adolphe Schwaller de Lubicz, I Templi di Karnak (vol. I), Mediterranee, Roma, 2001.
4
Jean-François Champollion, citato da Jves Naud, La vendetta dei faraoni, Famot, Ginevra,
1977.
25
L’intero corpo geroglifico è composto da oltre settecento
caratteri, che nel loro complesso offrono l’immagine di tutte le classi
di esseri presenti nella creazione, o perlomeno nella creazione
conosciuta a quell’epoca nella terra d’Egitto. Vi possiamo
riconoscere infatti la rappresentazione dei diversi corpi celesti,
dell’uomo in tutte le sue forme, degli animali domestici e selvaggi,
degli uccelli, dei rettili, dei pesci, degli insetti, dei vegetali, fiori e
frutti. Il tutto affiancato da altri generi di segni rappresentanti tutti i
tipi di attrezzature e prodotti utilizzati dall’uomo e dalla donna per lo
svolgimento della vita quotidiana, e da altri segni ancora di forme
geometriche. Ma oltre a ciò che l’essere umano poteva osservare nel
campo dell’esistenza visibile e – apparentemente – reale, compaiono
anche una serie di caratteri che raffigurano esseri fantastici, forse
mitologici.
Solo una piccola parte di questa moltitudine di segni, dai
ventidue ai ventotto a seconda dell’interpretazione, assumono la
funzione di lettere alfabetiche, e vengono denominati
GEROGLIFICI FONDAMENTALI, cioè i mattoni che costituiscono
le fondamenta dell’intera scrittura. Altri caratteri rappresentano con
una sola immagine il suono di una sillaba o addirittura una parola
intera; altri ancora esprimono un’idea che determina il significato
della parola.
Vi è poi un elevato numero di geroglifici comunemente chiamati
biconsonantici e triconsonantici, che individuano l’associazione di
due o tre segni fondamentali. Per chiarire meglio il concetto (che
tornerà utile in seguito) possiamo prendere come esempio un
geroglifico triconsonantico tra i più noti, il famoso ankh,
comunemente conosciuto come CHIAVE DELLA VITA, e la sua
relativa composizione:
26
Se proviamo a fare un piccolo salto nella tradizione ebraica, che
ci verrà in soccorso diverse volte nel corso di questo lavoro,
possiamo vedere come in tale scrittura valga lo stesso principio di
assenza di vocali. Anche in questo caso esse vengono
convenzionalmente inserite in un secondo momento dall’apparizione
di un testo sacro – composto unicamente da consonanti – tramite
l’utilizzo di piccoli segni denominati masoretici e che vengono
situati sotto le lettere o all’interno di esse. Il tutto per rendere
possibile perlomeno un primo livello di lettura razionalmente
comprensibile.
Immaginiamo un libro scritto interamente da una serie
ininterrotta di caratteri, senza vocali e senza punteggiatura, un vero e
proprio codice cifrato la cui genialità dell’autore ha permesso che vi
si possano ritrovare diversi livelli di lettura semplicemente
modificando al suo interno le vocali e la punteggiatura secondo uno
schema criptico ben definito.
Permettiamoci ora di considerare un esempio estremamente
banale e riduttivo, ma di altrettanta efficacia per comprendere i
principi di cui stiamo parlando. Data una serie di consonanti:
C N S C T S T S S
CoNoSCi Te STeSSo
ecc…
Uno dei testi più noti al mondo redatto tramite un sistema del
genere è proprio la Bibbia (per essere più precisi i primi cinque libri,
che costituiscono la Torah ebraica). La traduzione comunemente
conosciuta e considerata da diverse religioni non rappresenta infatti
27
che un primo livello di lettura, piccolissima parte di un messaggio in
realtà molto più vasto e profondo.
Si vocifera che secondo la Cabalà, definibile altrimenti come la
corrente esoterica (quindi interiore) della cultura ebraica, esistano in
realtà quindici livelli di lettura differenti, e che ognuno di essi riveli
aspetti dettagliati della natura umana e della realtà non
comunemente visibile.
Non dimentichiamoci infatti che la Bibbia adottata dalla cultura
cristiana è la traduzione effettuata a partire da una versione ebraica
divulgata nel X secolo d.C., e che ne esistevano e ne esistono in
realtà molte altre versioni, la maggior parte delle quali
probabilmente ancora oggi sconosciute ai più.
Oltretutto, nelle versioni che si possono ottenere dai codici
consonantici delle lingue sacre, emergono spesso delle omonimie su
cui è altrettanto possibile lavorare. Anche in questo caso possiamo
considerare un semplice esempio a partire dalle parole:
28
intimamente correlata alla propria quotidianità. Sì, perché anche
nella versione ufficiale dai più oggi conosciuta, sono nascoste una
miriade di sfaccettature in grado di offrire insegnamenti di carattere
metaforico e simbolico.
Un discorso analogo vale per la tradizione egizia, per i suoi testi
sacri e i geroglifici che li compongono. Nulla è lasciato al caso, tutto
è codice, tutto è metafora, tutto è simbolo. Lo stesso Champollion si
rese conto di questa realtà, e il suo colpo di genio fu proprio quello
di non scindere le diverse parti tra loro, ma di approcciarsi ad esse
con una visione più olistica. Scrive a tal proposito:
5
Jean-François Champollion, Compendio del sistema geroglifico, su www.aton.ra.com.
29
è tanto assurdo quanto voler far passare una tigre attraverso il foro di
un serbatoio.
Fino a quando terremo ben stretti un paio di occhiali con le lenti
grigie, come potremmo pensare di cogliere tutte le sfaccettature di
un mondo colorato? Necessitiamo allora di un aiuto che possa porci
il più possibile in sintonia con una prospettiva che ha consentito agli
antichi saggi di dar vita ad una lingua sacra così perfetta e compiuta,
in grado – non dimentichiamocelo – di apparire quasi
improvvisamente nella storia della civiltà e di rimanere
sostanzialmente inalterata per almeno quattromila anni.
Il metodo interpretativo che più di ogni altro può oggi avvicinarsi
alla scrittura geroglifica è il REBUS, dove il significato delle
immagini e delle parole varia a seconda del contesto, basato su
forme grammaticali e figurative miste tra loro. Inoltre, non esistendo
l’interpunzione nella lingua sacra, sarà il testo stesso ad evocarla alla
nostra coscienza in parallelo con la personale predisposizione ad
accoglierne un significato piuttosto che un altro. Non è azzardato
affermare che solo colui che raggiunge la piena realizzazione
interiore, il contatto con la parte più intima e sacra di sé, potrà
disporre di tutte le chiavi per una lettura definitiva e completa. Da
tale punto di vista lo studio dei geroglifici diviene implicitamente
anche uno sprono a percorrere un cammino per ampliare la propria
consapevolezza ed ottenere così nuovi stimoli a proseguire.
Un ultimo tratto essenziale da considerare per un approccio del
genere, impone di non cadere nella trappola di confondere ciò che la
nostra mentalità intende comunemente con la parola simbolo e ciò
che intendeva invece la mentalità faraonica. Il simbolismo dei
geroglifici è sempre naturale, universale, mai convenzionale. Esso
non è un’invenzione umana, è una trasmissione divina, e come tale
coglie ed esprime una particolare ESPRESSIONE VITALE
dell’esistenza, comunicandola per mezzo del principio di
evocazione. Compito del neofita che gli si avvicina è quello di creare
le condizioni interiori affinché tale evocazione possa trovare lo
spazio per esprimersi.
Cosa si intende dunque per simbolo convenzionale, e come fare a
riconoscerlo? Prendiamo come esempio le bandiere che
contraddistinguono le diverse nazioni. Esse sono state create
artificialmente dall’intelletto umano per esprimere tramite alcuni
30
segni e colori le caratteristiche che possono sommariamente
rappresentare una popolazione. Noi sappiamo infatti che il
significato dei colori che compongono la bandiera italiana può
essere sintetizzato nel seguente modo: verde per la speranza, bianco
per la fede e rosso per la carità. Una simbologia del genere, nel caso
della nostra nazione come per le altre, acquisisce poi un valore
rappresentativo estremamente forte, tanto da costituire precise
condanne per coloro che la oltraggiano in qualsivoglia forma.
Diviene difficile quindi non considerare viva una bandiera del
genere.
Eppure, se volgiamo l’attenzione verso una bandiera dai colori
analoghi alla nostra, come quella messicana, ritroviamo una serie di
significati completamente diversi associati ai colori: il verde per
l’indipendenza, il bianco per la religione e il rosso per l’unione. Non
solo, ma gli stessi colori possono nel tempo acquisire modificazioni
nel loro significato, infatti – rimanendo in Messico – intorno al 1870
è stata introdotta dal presidente Benito Juàrez una nuova
interpretazione: il verde per la speranza, il bianco per l’unità e il
rosso per il sangue degli eroi della patria.
Ma come è possibile che un colore possa assumere
arbitrariamente significati diversi? La risposta diviene piuttosto
complessa, dato che non vi è limite alle possibilità di associazione.
In tutti i casi tali significati acquisiranno comunque un certo valore e
connotato emotivo per coloro che li hanno scelti, ma ciò nonostante
potrebbero non riguardare il vero significato vitale di cui il colore è
portatore.
Se rappresentassimo il sole tramite un segno stilizzato, e
volessimo poi rappresentare tramite questa immagine un circolo
culturale di speleologia, non ci sarebbe alcun problema. Anzi,
nessuno escluderebbe che tale immagine possa raccogliere intorno a
sé molte persone attratte dal mondo delle grotte, e che in breve
tempo tali persone possano anche associare questa loro passione al
simbolo del sole. Eppure, volenti o nolenti, il sole continuerà ad
essere tale, e nessun ragionamento o decisione umana potrebbe mai
modificare uno dei suoi profondi ed evidenti significati vitali poco
conformi al mondo delle grotte: luce e calore.
La scrittura geroglifica rientra nell’inalienabile patrimonio
simbolico universale che da sempre ha accompagnato – e
31
accompagna tuttora – l’essere umano nel suo percorso di risveglio. I
simboli che la compongono sono veri, vivi, finestre verso una realtà
molto più vasta di quella visibile e tangibile, una realtà interiore. A
noi compete il compito di renderli nuovamente vivi dentro di noi,
sperimentarli nella vita quotidiana, lasciare che ci possano
trasmettere i messaggi di cui sono portatori. Non ci saranno limiti
per coloro che vi si pongono di fronte con cuore sincero e onesto,
non ci saranno domande alle quali non forniranno risposta.
Ma occorre procedere con prudenza, perché la nostra coscienza
logica e razionale è sempre in agguato, e tende ad offrirci ad ogni
passo delle comode soluzioni ed approssimative interpretazioni sulle
quali poter speculare senza sosta. L’essenza vitale di un simbolo non
potrà mai essere rinchiusa in una descrizione, per quanto
soddisfacente essa sia. Attenti dunque a non soffocarne i messaggi.
Manteniamo sempre acceso il desiderio della ricerca.
Non occorre dilungarci oltre la breve panoramica fin qui esposta,
giacché non è l’obiettivo di tale trattato scendere nel dettaglio della
grammatica geroglifica. Fondamentale è però scorgere l’enigma che
ancora oggi rappresentano le scritture sacre, il profondo mistero che
si cela dietro di esse, e verso il quale non si potrà giungere attraverso
i metodi classici di ricerca.
Ciò che le lingue antiche reclamano è di essere continuamente
studiate e vissute. Le tradizioni tramandano che la loro
comprensione viaggia di pari passo con lo sviluppo coscienziale di
chi le legge. D’altronde, è probabile che molti di noi abbiano toccato
con mano un simile principio nella propria vita ogni qual volta si
sono apprestati a rileggere uno stesso libro a distanza di anni,
ritrovandosi poi a pensare: mi sembra di aver letto un altro libro,
quante cose mi erano sfuggite la scorsa volta! Applicando dunque la
stessa regola ai testi sacri, depositari del mistero della vita e
volutamente scritti con l’intento di rivelarlo a coloro che con zelo e
perseveranza lo ricercano, il risultato sarà analogo ma molto, molto
più travolgente.
32
Sulla soglia dell’antico Egitto
33
diviene una moda speculativa priva di ogni risvolto pratico se non
quello di alimentare la propria autostima, come non ci si può sentire
frastornati e delusi? Tutti noi siamo dunque chiamati a ritornare sui
nostri passi, a lottare per ridare dignità a questi antichi saperi
millenari il cui cuore continua a pulsare più che mai dietro la coltre
di banalità con cui li abbiamo ricoperti.
L’antico Egitto rappresenta la culla della nostra civiltà
occidentale, il primo luogo in cui si è storicamente manifestata la
GNOSI, e la prima civiltà da noi oggi conosciuta che ha dato così
tanto risalto a questo messaggio universale. Ogni testo, ogni
immagine, ogni costruzione, ogni gesto quotidiano, religioso,
scientifico, medico, politico e poetico ci parla in modo più o meno
velato di tale rivelazione divina.
L’antico Egitto è dunque qualcosa di più di un insieme di reperti
archeologici e di dati storici. Una sintesi magistrale venne esposta
dal prof. Pasquier (che conobbe e frequentò la coppia Schwaller de
Lubicz) in una conferenza tenuta nel 1986 presso il castello di
Guardea.
6
Prof. Pasquier, L’Egitto di Schwaller de Lubicz - AOR, su
www.accademiehermetichekremmerzianeunite.org.
34
La SFINGE simboleggia proprio questo mistero della vita che
ogni individuo è chiamato a ricercare. Lei rimane sempre lì,
imperturbabile, e con una pazienza senza tempo e senza spazio ci
attende sulla soglia di un nuovo viaggio, il ritorno verso casa, la cui
dimora si trova nascosta dentro di noi. Ecco perché la sfinge non
scruta nessun paesaggio terreno, il suo sguardo immobile è sempre
rivolto all’interno, e il segreto del suo enigmatico sorriso è la
conoscenza del Sé.
La sfinge, il cui nome significa STATUA VIVENTE, in egizio
shesep ankh, e in geroglifico
La terra d’Egitto
35
Comunemente l’Egitto viene associato ad un luogo desertico,
tuttavia, ad una indagine più approfondita, si può evincere come
anticamente era al contrario noto per la sua eccezionale fertilità e
rigogliosità, dovuta proprio al limo grigio-nero portato dal Nilo
durante le sue regolari inondazioni.
In altre occasioni il paese assumeva l’epiteto di ta neteru, ossia
TERRA DEGLI DEI, in geroglifico
36
dove il carattere raffigura un terreno inondato dal quale
spuntano dei germogli, per indicare il senso di ciò che inizia. Il suo
nome è basato sulla radice della parola akh, che significa LUCE; tale
momento era infatti luminoso, benedetto, in quanto le terre venivano
irrigate dalla piena del Nilo che deponeva il suo fertile limo sulle
coltivazioni.
37
La seconda stagione si estendeva dalla fine di Novembre alla fine
di Marzo, e prendeva il nome di peret, ossia la STAGIONE DEI
GERMOGLI, in geroglifico
era il tempo dei raccolti ed anche del caldo più intenso dell’anno.
In quanto periodo più secco dell’anno, il segno che
contraddistingue il suo nome evidenzia il necessario utilizzo
dell’acqua contenuta nei bacini idrici di riserva.
38
Procediamo allora per gradi, iniziando ad analizzare il termine
neter, che contraddistingue il concetto di Dio, in geroglifico
39
perciò quando ascolterai le storie che gli egiziani raccontano
sugli dei – peregrinazioni, smembramenti e altre avventure
del genere – dovrai ricordarti di quello che abbiamo detto, e
non credere che quanto essi affermano corrisponda a fatti
realmente accaduti. […] solo così potrai sfuggire alla
superstizione, che è un male certo non inferiore all’ateismo
stesso.7
7
Plutarco, Iside e Osiride, Adelphi, Milano, 2002.
40
ognuno dei quali incarna proprio degli aspetti vitali divinizzati.
Nulla di diverso dalle strutture deistiche antiche. In tale ottica non
possono allora non nascere seri dubbi sulla possibilità o meno di
confinare una religione entro parametri definiti. Dove risiede la linea
di confine che separa il monoteismo dal politeismo? E ancora, quale
superbia ci fa sentire in diritto di volgere lo sguardo con superiorità e
sufficienza verso un’antica tradizione come quella egizia?
I differenti neter, al plurale neteru, sono l’espressione di un’unica
potenza divina originaria, il Neter Neteru, il PRINCIPIO DEI
PRINCIPI, in geroglifico
41
non meglio sintetizzabile che con le parole di un suo eccellente
portavoce attuale, Rabbi Rami Shapiro.
8
Rami Shapiro (a cura di), Un silenzio straordinario. Racconti chassidici, Giuntina, Firenze,
2004.
42
Tutta la scenografia del mondo manifesto che ci circonda non è
altro che uno specchio magico in grado di riflettere la nostra
interiorità, un concetto forse semplice da comprendere
razionalmente (anche grazie alle ultime ricerche in ambito
scientifico) ma estremamente complesso da applicare nel quotidiano.
I geroglifici si rivelano
43
principi] sono dappertutto le stesse, nel mondo come
nell’uomo. […] Rendendosi conto dell’imperfezione e della
debolezza del linguaggio ordinario, gli uomini che
possedevano la conoscenza oggettiva hanno cercato di
esprimere l’idea dell’unità sotto forma di “miti”, di
“simboli”, e di “aforismi” particolari che, trasmessi senza
alterazione, hanno tramandato questa idea da una scuola
all’altra, sovente da un’epoca all’altra. […] I simboli
impiegati per trasmettere le idee della conoscenza oggettiva
racchiudevano i diagrammi delle leggi fondamentali
dell’universo, e non trasmettevano soltanto la conoscenza
stessa, ma indicavano anche la via per raggiungerla. […] I
simboli erano suddivisi in fondamentali e secondari. I primi
comprendevano i principi dei differenti rami della
conoscenza; i secondi esprimevano la natura essenziale dei
fenomeni in relazione con l’unità.9
9
G. I. Gurdjieff, citazione in P.D. Ouspensky, Frammenti di un insegnamento sconosciuto,
Astrolabio, Roma, 1976.
44
tentativo di ripristinare un “giusto” ordine di vita. Non creò forse
Dio l’uomo a sua immagine e somiglianza?
45
finisce infatti la figura di un Dio buono e compassionevole pronto ad
intervenire per mezzo di suppliche e preghiere?), è anche vero che
una prospettiva del genere pone una luce molto più nitida su diversi
aspetti apparentemente inspiegabili dell’esistenza. Ma per fare
questo è necessario invertire la tendenza attuale, nella quale è
l’essere umano ad aver creato un Dio a sua immagine e somiglianza.
Occorre sforzarsi di lasciare alle spalle i propri moralismi, le
proprie personalissime concezioni di giustizia od ingiustizia divina,
di bene e di male. Se ad esempio ci capitasse di ritrovarci in alcune
località esquimesi, potremmo imbatterci in una tipica usanza del
luogo per la quale gli uomini offrono ad altri uomini la propria
moglie in “regalo” per una notte come gesto di ospitalità. Inutile
precisare che un nostro rifiuto provocherebbe una grave offesa, per
l’uomo e per la donna. Nel caso volessimo invece dimostrare con lo
stesso sistema la nostra gratitudine per l’ospitalità in un altro angolo
del mondo, ci ritroveremmo con altissima probabilità ad essere
cacciati malamente da chi, poco prima, ci ha calorosamente invitato.
Siamo dunque sinceramente in grado di definire cosa è
universalmente giusto o sbagliato?
Ci reputiamo una civiltà evoluta in quanto improntata su
fondamenta scientifiche, obiettive ed oggettive; eppure, non appena
volgiamo lo sguardo in una direzione considerata “spirituale”
perdiamo completamente le qualità che contraddistinguono una
mentalità razionale.
Ci sogneremmo mai di giudicare ingiusta la legge di gravità nel
vedere un individuo cadere per terra dopo essere inciampato sopra
una pietra? Oppure potremmo additare come cattivo il fuoco
nell’assistere ad un’ustione di un incauto giocoliere alle prese con
torce infuocate? O ancora, chi accuserebbe l’acqua di essere maligna
se per una propria incapacità di nuotare dovesse ingurgitarne un po’
durante un bagno al mare?
È evidente che tali domande potrebbero continuare all’infinito. È
altrettanto evidente come vi siano alcuni aspetti naturali
dell’esistenza la cui neutralità è data ormai per scontata: non sono
tali entità a manifestare caratteristiche di bene o male, ma sarà il
nostro approccio ad esse a determinarne gli esiti.
Ipotizziamo allora che i principi spirituali che regolano
l’esistenza non siano differenti dalle leggi scientifiche, ma anzi le
46
incorporino al loro interno. Immaginiamo inoltre che tali principi,
disponendo di un linguaggio simbolico estremamente più ampio e
completo di quello logico-razionale, rivelino anche aspetti
dell’esistenza molto più sottili di quelli osservabili da un punto di
vista fisico, scandagliando la natura umana da una prospettiva
organica, psicologica, energetica e spirituale. Se tutto ciò fosse vero,
ogni nostra recriminazione nei confronti dell’esistenza dovrebbe
essere imputata ad un problema di inconsapevolezza piuttosto che un
problema di ingiustizia.
Il monito biblico per il quale occorre assumere un atteggiamento
timoroso verso il Signore potrebbe non essere interpretato come una
sorta di minaccia di un Dio severo e vendicativo, bensì come un
avvertimento, un consiglio di procedere con prudenza ed attenzione
nella propria vita, alla stregua di come si fronteggerebbe un
fenomeno naturale ancora ignoto, per poterlo meglio conoscere, a
piccoli passi e, perché no, per prove ed errori compiuti in modo
consapevole.
La condizione di schiavitù e sofferenza dell’essere umano cui
tante tradizioni fanno riferimento, viene infatti attribuita proprio
all’ignoranza, non ad un male oggettivo, non alla cattiveria, non ad
entità demoniache. Non siamo realmente vittime della vita più di
quanto non lo sia un principiante sul bordo di una piscina che si
appresta ad entrare senza saper nuotare. Il problema è che nella
maggior parte dei casi ci ostiniamo a volerci buttare senza prima
fermarci un attimo per acquisire le nozioni basilari, oppure
preferiamo rimanere all’asciutto fantasticando sulla bellezza del
nuoto!
In entrambi i casi non potremmo mai fare realmente esperienza di
come i principi dell’acqua agiscono sul nostro corpo, e non
potremmo mai acquisire un reale ed efficace stile di nuoto, piacevole
ed elegante. Tale appare infatti lo stile di vita di coloro che ricercano
la perfezione nell’arte della vita.
Ma, ahimè, non esisterà manuale tecnico in grado di esporre i
principi divini con una chiarezza logica tanto cara alla nostra
razionalità. La maturazione di una tale conoscenza – per sua stessa
natura simbolica – deve inevitabilmente passare attraverso una
sperimentazione concreta nel quotidiano di ciò che viene trasmesso
dagli insegnamenti tradizionali. Così come la pratica senza studio
47
può divenire pericolosa, lo studio senza la pratica rimane sterile ed
inutile. Il vero manuale è il LIBRO DELLA VITA, e le sue pagine
sono le esperienze che ci vengono presentate in ogni momento.
Non dimentichiamo che nella storia occidentale Socrate fu il
primo a parlare esplicitamente dell’esistenza di questi principi
divini, le cui forze si dispiegano costantemente mostrando i loro
effetti attraverso i diversi elementi organici ed inorganici che si
muovono intorno a noi.
Il Tao egizio
10
Socrate, citazione in Mario Pincherle, Archetipi. Le Chiavi dell’Universo, Macro edizioni,
Diegaro di Cesena (FC), 2002.
48
ovvie motivazioni che abbiamo precedentemente affrontato, ma ne
possiamo delineare approssimativamente alcune evidenti peculiarità.
49
costantemente coinvolto e sommerso, ma vi cammina con
leggerezza ed agilità, in mezzo ad essi ed allo stesso tempo al di
fuori di essi. Egli trova la pace interiore, una serenità che nulla ha a
che vedere con gli eccessi di una gioia entusiastica o di una cupa
tristezza.
50
La sapienza faraonica esprime tale principio dualistico attraverso
la simbologia di uno dei geroglifici fondamentali, vero e proprio Tao
egizio:
51
funzione di tessitura della vita, il misterioso sistema di intreccio alla
base della realtà visibile.
52
scoperto l’occulto sistema di intreccio che sta a monte della
Manifestazione.11
11
Luigi Anzoli, Neith. Custode dell’ultimo segreto alchimico, Kemi, Milano, 1999.
53
54
La ricerca di Ak-Yb-Ka
II.
55
basso, soffermandosi un solo istante sui calzari dell’aspirante. Poi il
suo sguardo gli si pose pieno di compassione e tenerezza negli
occhi, ma con tono severo e grave parlò:
“Forse sarebbe meglio iniziare prima con l’imparare ad
allacciarsi i sandali…”
56
Una civiltà solare
57
Figura 8 – Il dio Osiride.
58
La coscienza osiridea concede all’uomo la padronanza sul piano
terreno e sul piano astrale, da non confondersi però con le “questioni
di Dio”. Ecco perché il geroglifico che contraddistingue il suo nome
– il trono – è il seggio fisico su cui poggia la volontà divina per
espletarsi ma senza rivelare apertamente i suoi intenti.
Il secondo tipo di maturazione spirituale viene invece identificata
con il dio HORUS (figura 9), in egizio Hor e in geroglifico
che può essere tradotto sia come SOLE che come VERBO IN
AZIONE (facilmente deducibile dal segno della bocca congiunto a
quello del braccio), a sottintendere il fatto che la Parola che Dio
proferì al principio divenne realtà, ossia visibile. Il sole è infatti la
manifestazione visibile più vicina alla divinità, simbolo di sorgente
di ogni vita sulla terra, di potenza, di punto di riferimento e centro
dal quale irradia la luce che rende visibile tutte le forme del creato.
La parola Ra è anche una sillaba-seme, un suono che denota il
potere creativo, concetto analogo a quello espresso dalla Om
secondo la tradizione induista.
L’animale che rappresenta entrambi i neteru Horus e Ra è il
falco, i cui occhi possono affrontare meglio di chiunque altro i raggi
del sole senza che questi disturbino o possano danneggiare
minimamente la vista; inoltre è il solo in grado di volare diritto verso
l’alto, mentre gli altri uccelli devono salire obliquamente.
Simboleggia anche la superiorità e la vittoria, in quanto superiore a
tutti gli altri uccelli presenti nella terra d’Egitto ed in grado di
vincerli nella lotta.
59
Figura 9 – Il dio Horus, figlio di Ra. Figura 10 – Il dio supremo Ra.
60
della volontà orientata allo spirito, sono sorti tanti nomi e tante
immagini quante lingue e culture hanno solcato il mondo nel corso
dei millenni.
Chi realizza se stesso risvegliando il proprio Horus, o meglio,
diventano egli stesso Horus, entra a far parte di coloro che gli egizi
conoscevano come la confraternita dei SEGUACI DI HORUS,
Shemes Hor e in geroglifico
La mitologia dell’Essenza
61
o
62
Durante il periodo della gravidanza, Iside si nascose per evitare
di essere scoperta dall’invidioso e spietato Seth. In altri termini, il
principio germinale dell’Essenza – ancora molto fragile – tende
spontaneamente a non manifestarsi troppo per non consentire alle
forze caotiche della vita illusoria di sopprimere quella debole voce
che reclama il diritto alla vita, alla vera vita, per fuoriuscire
dall’opprimente ciclicità terrena, osiridea.
63
che rappresenta la SCINTILLA SPIRITUALE risvegliata a
nuova vita. Le numerose raffigurazioni di questa importante fase del
mito lo rappresentano nelle braccia di Iside da cui viene
amorevolmente allattato (figura 13), una rappresentazione per nulla
differente dal significato veicolato dalle immagini cristiane della
Madonna che allatta Gesù bambino.
In tale fase Iside rivela un nuovo aspetto di se stessa, fino ad ora
rimasto celato agli occhi e alla coscienza dell’iniziato, assumendo il
nuovo nome di HATHOR (figura 14), in egizio Het-het, in
geroglifico
12
Vangelo (Mt 6,25).
13
Gli insegnamenti di Ptah-Hotep (115).
64
Figura 13 – La dea Iside (qui ha già assunto
l’aspetto di Hathor) che allatta Horus bambino.
65
mitologia Horus dichiarò infatti guerra a suo zio per vendicare la
morte del padre. La loro è l’eterna battaglia della luce contro le
tenebre, l’essere contro il non-essere, la conoscenza contro
l’ignoranza.
Ma proprio quando Horus sembrò avere la meglio contro Seth,
nel momento in cui stette per infliggergli il colpo di grazia,
intervenne il dio THOT (figura 15), in egizio Thehuty e in
geroglifico
colui che riflette la luce di Ra come la luna riflette la luce del sole
nella notte, confortando coloro che vagano nel buio.
Egli simboleggia la SCIENZA SACRA DELLO SPIRITO, la
reale conoscenza e comprensione della vita, è il mediatore tra gli
esseri umani e il mondo divino, il neter che veicola la Gnosi
stimolandone la ricerca ed occultandola allo stesso tempo.
L’Insegnamento Universale di cui è portatore viene modellato e
plasmato attraverso i tempi, adattandosi alla cultura e alla mentalità
del momento in cui si manifesta, rimanendo però sempre invariato
ed immutabile nella sua essenza.
Il suo animale sacro – l’ibis – simboleggia il cuore, luogo in cui
risiede la conoscenza divina. In natura infatti, quando la testa
dell’ibis è ripiegata sul suo petto, forma con il corpo e le ali una
figura simile al geroglifico del cuore. Tale uccello utilizza inoltre il
suo lungo becco per pescare nel fango, e questa caratteristica di
attingere il nutrimento dentro un fondale melmoso apparentemente
privo di vita, indica per analogia la funzione di cogliere le
caratteristiche dell’Essenza assopite e nascoste all’interno di noi.
Thot assume nel mito il ruolo di portatore di SERENITÀ, di pace
interiore, di pacificatore nell’interminabile conflitto tra Seth e Horus,
impedendo a quest’ultimo di uccidere lo zio, ed offrendogli allo
stesso tempo la sublime coscienza del progetto divino, della Grande
Opera. La realizzazione ultima è l’unione in amicizia tra i due rivali,
la loro conciliazione.
Horus ottenne allora il potere supremo non uccidendo Seth, ma
piuttosto tenendolo sotto controllo, mantenendo un equilibrio tra i
66
due principi che rappresentano. Ecco perché l’iniziato che raggiunge
un tale livello di consapevolezza viene raffigurato con i due neteru
ai lati in atteggiamento di riverenza (figura 16).
67
che aspira ad autorealizzarsi. Esso diviene specificatamente
malvagio quando gli si permette di agire senza essere
controbilanciato dall’istinto del bene. Quando agiamo solo per noi
stessi, il lavoro diventa sfruttamento, il matrimonio oppressione, il
sesso violenza. Quando agiamo invece sia per noi che per gli altri, il
yetzer harà è sotto controllo, segue la guida dell’istinto buono e gli
fornisce l’energia per raggiungere il bene, diviene il suo veicolo
fondamentale in terra.
68
matrimoniale con Hathor, il cui nome significa letteralmente la
DIMORA DI HORUS, e che esprime il sentimento divino nella sua
purezza più elevata. Colei che in una fase precedente era la madre
dell’Essenza in divenire, ne diviene infine anche la sposa fondendosi
con essa.
Le corna di bovino raffigurate sul suo copricapo (figura 14)
rivestono un’elevata importanza per gli egizi, evocando l’idea di
aprire o inaugurare la capacità di DISCERNIMENTO, di giudicare
non più attraverso parametri umani ma secondo la volontà divina. Le
due corna rappresentano infatti i due aspetti della realtà all’interno
dei quali è sorto il Sole, simbolo dell’intelligenza divina per
eccellenza, unica in grado di discernere senza mettere in opposizione
e separare. Da ciò si può dedurre che l’iniziato che realizza se stesso,
che diviene Horus, dimora stabile nell’Amore e con l’Amore.
Con questa breve panoramica sul mito di Horus non abbiamo che
sorvolato solo alcuni dei possibili messaggi contenuti al suo interno.
Ogni fase della storia potrebbe infatti essere ulteriormente
approfondita, ricercandone i significati nella genesi del nostro
mondo interiore così come in quello esteriore, senza però mai
perdere di vista il fatto che il linguaggio con cui cerca di comunicare
è il simbolo.
L’Egitto biblico
69
non vi è consapevolezza reale di ciò che risiede dietro le apparenze,
e in cui le illusioni della manifestazione continuano a dominare
indisturbate.
Ma proviamo a scendere ad un livello interpretativo allegorico-
simbolico più profondo. Nel fare questo, possiamo cogliere
l’occasione per sfatare la tanto radicata quanto falsa idea della
schiavitù del popolo ebraico in Egitto, per la quale non esiste
nessuna testimonianza né reperto archeologico che faccia supporre la
veridicità della narrazione biblica.
Secondo l’opinione della maggioranza degli studiosi, la Bibbia è
dal punto di vista storico un poema epico che coniuga molte
invenzioni ed alcuni avvenimenti reali all’interno di una narrazione
mitologica.
Esaminiamo allora gli avvenimenti che vedono co-protagonisti
gli antichi egizi, partendo proprio dalla parola comunemente tradotta
con Egitto, in ebraico Mytzraym, scritto
70
Una tale lettura dell’Esodo biblico potrebbe venire altresì
avvalorata dall’analisi del termine utilizzato per designare il faraone,
in ebraico phara’oh, scritto
71
Seguendo tale interpretazione il popolo eletto, ISRAELE, altro
non è che la rappresentazione mitica della coscienza umana che
prende atto della sua condizione di schiavitù e decide di
intraprendere un cammino di consapevolezza che la condurrà verso
il regno divino, oltre le apparenze del mondo.
Uno dei tanti paradossi che costellano la Bibbia vuole che la
stirpe prescelta da Dio sia stata da egli stesso nominata con il
termine ebraico Yshra‘el, scritto
72
di speranze e di immaginazioni e nella fede o nella mancanza
di fede cerca un appoggio che gli consenta di agire in un
determinato modo. […] Per scoprire Dio, per scoprire la
verità – e io affermo che esistono, io li ho scoperti – la mente
deve essere libera da qualsiasi impedimento creato nel corso
dei secoli dalla sua continua ricerca di sicurezza e di
protezione.14
14
Jiddu Krishnamurti, Il libro della vita, Aequilibrium, Milano, 1997.
73
Mosè sembra infatti seguire i dettami del suo Signore, sembra
accettare le regole del gioco divino, i principi che governano il
mondo terreno a cui non ci si può sottrarre, ma la sua sete di
comprensione si spinge anche oltre, affrontando con un
RAGIONEVOLE DUBBIO la voce divina e contrapponendosi ad
essa laddove la sua valutazione cosciente non gli permette di
obbedire ciecamente, in alcune occasioni addirittura
rimproverandola!
15
Bibbia, Esodo 32, 9.
74
La ricerca della perfezione
La teocrazia faraonica
75
quindi, della sua Volontà. In estrema sintesi egli era il simbolo
dell’ESSERE UMANO REALIZZATO, l’esempio vivente – sotto
gli occhi di tutti – di un percorso evolutivo potenzialmente aperto a
chiunque ne avverta il richiamo.
È dunque di vitale importanza non confondere la figura storica
del faraone cui siamo generalmente abituati con la sua immagine
simbolica, che si situa per definizione al di fuori del tempo e dello
spazio, veicolando un messaggio sempre attuale di speranza, di
possibilità di incarnare il PRINCIPIO REGALE attraverso un serio
percorso di conoscenza interiore. La funzione faraonica non si limita
nel mostrare come diventa un essere umano realmente libero, ma
principalmente come lo si diventa.
Diversi sono gli appellativi che contraddistinguono i suoi
attributi. Vediamone alcuni tra quelli più significativi.
Nelle vesti di sovrano del sud, cioè dell’Alto Egitto, egli porta in
capo la corona bianca ed assume l’epiteto di nesut, ossia QUELLO
DEL GIUNCO, in geroglifico
76
di compiere una vera e propria trasmutazione alchemica producendo
l’oro liquido, il miele, estremamente prezioso per le sue qualità
terapeutiche antisettiche e cicatrizzanti; ecco che il faraone incarna
colui che si prende cura della salute fisica e spirituale del suo
popolo.
Il suo potere è associato al bastone heqa (visibile in mano ad
Osiride nella figura 8), in geroglifico
77
che significa letteralmente ALBERO DELLA VITA, a
simboleggiare il fatto che egli è il vero albero della civiltà egizia,
colui che le apporta nutrimento spirituale e materiale così come il
fusto e i rami sostengono le numerose foglie. Tale appellativo
rimanda inoltre allo stesso concetto presente nella Cabalà,
simboleggiando la sintesi del sentiero che conduce dalla condizione
umana istintuale a quella divina.
Nei tempi antichi, nella stanza dedicata a Ra sulla terrazza del
tempio di Amon a Karnak, durante la processione più importante che
si svolgeva al suo interno per festeggiare il nuovo anno, il faraone
rinnovava la sua unione con il Padre per mezzo di un rito conosciuto
come knem yten, in geroglifico
78
all’interno delle principali dottrine del mondo, da occidente a oriente
(figura 17).
Da una tale evidenza non possiamo non riconoscere la possibilità
dell’esistenza di una sorta di sfera energetica che viene attivata
all’altezza del capo in concomitanza ad una determinata
consapevolezza vitale, per quanto i nostri occhi fisici non la riescano
a scorgere e per quanto non esistano ad oggi comprovati strumenti di
misurazione che ne attestino la presenza.
79
Anche questo tipo di analisi ci impone uno sforzo di
comprensione in grado di superare gli attuali stereotipi, che
associano le corone regali ad un concetto di potere puramente
egocentrico, senza alcuna correlazione con la reale maturazione
interiore di coloro che le portano in capo.
È infatti facilmente deducibile dalla storia a noi più prossima
come il diritto al trono potesse essere ereditato unicamente per linea
di sangue o per conquista militare. Non compaiono allusioni al fatto
che un regnante avesse dovuto intraprendere un determinato
percorso iniziatico per poter assumere la funzione di guida del
popolo, né ciò lo si può dedurre dalle molteplici evidenze di
atteggiamenti unicamente egoistici, avidi e crudeli che hanno mosso
diverse scelte politiche nella storia.
Il profondo significato dei diademi regali si è affievolito nel
tempo fino a perdere quasi completamente l’originario valore. La
responsabilità cui era messo di fronte un sovrano in Egitto – come in
diversi altri antichi popoli nel mondo – era un qualcosa di
estremamente serio, di vitalmente sacro. La sua saggezza e la sua
coscienza dovevano essere così limpide da non rischiare di essere
compromesse da aspettative personali, interessi economici o ideali di
auto-affermazione; ogni decisione o presa di posizione era
determinata da una forza interiore in grado di travalicare il comune
limite individuale.
Uno dei copricapi egizi più noti dalle comuni raffigurazioni è il
nemes (figura 18), in geroglifico
80
Figura 18 – Tutankhamon con il copricapo nemes
81
Passiamo ora ad esaminare le tre corone fondamentali, le tre
tappe del risveglio dell’essere umano. Il potere di accesso al Regno
dei Cieli – che è dentro di noi – è simboleggiato nel cristianesimo
attraverso la CHIAVE D’ARGENTO e la CHIAVE D’ORO, ben
espresso nello stemma pontificio (figura 19).
Nell’arte egizia tali chiavi sono espresse per mezzo di due
copricapo, il primo dei quali è il khedyet, la CORONA BIANCA
(figura 20), in geroglifico
82
La coscienza dell’Io fornisce all’uomo la chiave della padronanza
dei tre stati inferiori del suo essere: fisico, emotivo e mentale. Tale
padronanza non è però che il piano inferiore del regno sovraumano,
riferendosi ancora agli affari degli uomini e non al mistero di Dio.
Questo punto è di vitale importanza, dato che frequentemente siamo
portati a confondere un percorso di carattere spirituale con un
percorso di carattere personale.
L’attrazione verso il mistero della vita rischia di approdare verso
campi comunemente ignorati che possono profondamente ammaliare
per il potere in grado di sprigionare; è quindi molto facile lasciarsi
conquistare da essi scivolando nell’errore di identificarli con il regno
divino. Rientrano in tal senso molte tecniche cosiddette
“energetiche” che promettono all’uomo di migliorare la sua
esistenza, celebrando per questo obiettivo retaggi tradizionali come
la meditazione, danze sacre, cerimonialità varie, studi simbolici,
eccetera. E, in molti casi, la confusione aumenta.
Estrapolare alcune nozioni da contesti molti più ampi e per
millenni indissociabili dalle dottrine che le hanno veicolate, con tutti
gli accorgimenti del caso, è tanto sciocco quanto pericoloso.
Laddove anche i risultati di determinate tecniche possano rivelarsi
estremamente efficaci, ciò non significa che corrispondano a “salti
evolutivi”.
Il fatto che si possa accumulare più energia per realizzare i propri
desideri, per ottenere dalla vita ciò che si reputa giusto per se stessi,
per affermare la propria immagine agli occhi altrui o per ostentare
qualche potere in grado di far distinguere dalla massa, non farà
necessariamente di noi delle persone migliori, più libere. Eppure
quanto è facile confondere la propria elevatura energetica per
elevatura spirituale.
Se un antico romano fosse improvvisamente proiettato qui oggi e
fosse messo davanti a un televisore, con molta probabilità vedrebbe
in esso uno strumento divino, messaggero di realtà più sottili ed
inspiegabili, e dunque spirituali. Ma noi ben sappiamo, a livello più
o meno tecnico, cosa si nasconde dietro un televisore. Eppure la
tendenza psicologica umana è da sempre quella di associare
l’inspiegabile al divino, come se fosse istintivamente preclusa la
ricerca di Dio negli aspetti più semplici e banali della vita
quotidiana.
83
La corona bianca simboleggia dunque uno stato di coscienza
potenzialmente pericoloso per i risvolti in cui rischia di far
inciampare, ma è altrettanto fondamentale come tappa per un
risveglio sovraumano, dato che tale passaggio permette all’individuo
di uscire dalla sua condizione di automa e di divenire cosciente di
tutti i recinti concettuali ed emotivi che lo tengono prigioniero.
La seconda chiave è invece rappresentata con la CORONA
ROSSA (figura 20), il desheret, in geroglifico
84
coscienza divina, il potere supremo che dona l’immortalità
definitiva, l’ingresso nel regno dell’Eterno.
Tale è la REALIZZAZIONE HORUSIANA, in cui la propria
personalità terrena si purifica dalle incontrollabili tendenze egoiche
per conciliarsi con la volontà divina e servirla. Colui che pone in
capo entrambe le corone, è uscito dal ciclo delle reincarnazioni e non
appartiene più al mondo dei vivi né a quello dei morti, pur
continuando a vivere in mezzo a loro per aiutarli. Non ci si libera
per se stessi, ma per assistere gli altri nel loro percorso.
85
nota più propriamente come la CORONA DEL TRIONFO. Essa
è simbolo per eccellenza dell’iniziato posto consapevolmente di
fronte ai propri conflitti interiori, e di come la forza di volontà del
suo spirito possa raggiungere la supremazia sulle energie avverse
che ne opprimono la vitalità.
Il tema del conflitto, delle battaglie e delle innumerevoli guerre
cui sembra costellata la storia antica, è di fondamentale importanza
quanto di delicata analisi.
Possiamo infatti notare che buona parte dei testi sacri sono
strettamente collegati a temi di carattere bellico: è il caso della
Bhagavad Gita, della Bibbia, del Corano e della simbologia egizia
stessa. Ciò potrebbe apparire ovviamente insensato: come possono
parlare di guerra i libri che insegnano a perseguire il vero Amore
verso la vita e il prossimo?
86
Eppure i paradossi sono chiarissimi e sotto gli occhi di tutti, basti
pensare al fatto che nel libro sacro più letto al mondo coesiste a
fianco del comandamento di non uccidere un incitamento alla
battaglia per l’invasione di terre e popoli stranieri. È evidente che se
non vogliamo farci trarre in inganno da una visione letterale, occorre
approfondire ulteriormente la questione.
87
Figura 22 – Il dio Khepry.
88
simili in modo distaccato e libero, con il solo fine di indicare loro la
Via.
89
Ecco allora che lo stato coscienziale rappresentato da Khepry
individua quella forza in grado di guidarci nelle lotte interiori cui ci
troviamo immersi quotidianamente, dove uno schieramento tende a
tenerci vincolati alla natura ciclica mentre l’altro a spingerci fuori da
essa per risorgere a nuova vita.
Una considerazione del genere ci porta a comprendere più da
vicino il motivo per cui il simbolo di questo dio è stato scelto come
geroglifico per delineare il nome della corona del trionfo, laddove
colui che la porta in capo ne è ispirato a tal punto da trovare la forza
di perseguirne i dettami attraverso le difficoltà dell’esistenza, mosso
da un desiderio di libertà in grado di trascendere le forze avverse: le
illusioni.
Non a caso il piccolo insetto nero, lo scarabeo, si può osservare in
natura nel suo paziente lavoro di raccogliere gli escrementi per
deporvi le uova, e poi formarne delle pallottole nere da cui
nasceranno i suoi piccoli. Quale migliore rappresentazione
alchemica! Elaborare pazientemente la materia informe e putrida per
trasformarla in un ambiente fertile da cui nascerà nuova vita. Da ciò
possiamo facilmente dedurre il motivo per cui ancora oggi lo
scarabeo viene associato – seppur in modo molto sbrigativo – alla
fortuna e al buon auspicio, divenendo forse il souvenir più noto nelle
attuali mete turistiche egiziane.
Khepry incarna il risveglio di un rivoluzionario modo di vedere la
vita e di porsi in essa, un approccio creativo completamente
svincolato dai classici modelli trasmessi dall’educazione e dalla
cultura. Egli è più propriamente l’INTELLIGENZA DEL CUORE,
generalmente assopita nella maggior parte degli esseri umani e
facilmente confusa con aspetti caratteriali emotivi o buonisti. Tale
intelligenza va al di là di parametri specifici con cui poterla
identificare dall’esterno; essa emerge in ciascuno di noi a mano a
mano che si dissolvono i veli delle proprie false personalità tenute in
vita da una moltitudine di paure e attaccamenti.
Interessante notare infatti come la prospettiva dello scarabeo
visto dall’alto ricordi quella della calotta cranica, custode
dell’organo preposto alla ragione umana, così come Khepry lo è
dell’intuito (figura 24).
90
È a questo tipo di intelligenza, la ROSA DEL CUORE, nella sua
disarmante semplicità, cui tutte le dottrine fanno riferimento come
prerogativa per riscoprire la realtà divina dentro di sé.
16
Vangelo (Mt 4,17).
91
Ma i principi alla base di ogni tradizione, vissuta nella sua
purezza, sono estremamente chiari e rigorosi nell’escludere ogni
forma di coercizione nel cammino spirituale. Tutte le dottrine sono
consapevoli di portare in serbo lo stesso Insegnamento Universale,
come potrebbero dunque veicolare messaggi di superiorità nei
confronti delle altre?
Non si pone certo come voce fuori dal coro il cristianesimo: la
parola conversione è infatti la traduzione del termine greco
originario di metanoein, che significa letteralmente CAMBIARE
MENTALITÀ o CAMBIARE NEL CUORE. Ben lontani dunque da
un dover aderire ad una religione piuttosto che un’altra.
Sostituire un credo con un altro, senza effettuare un’effettiva
conversione nel proprio intimo, equivale semplicemente a riempire
la propria mente di pensieri diversi da quelli precedenti, cosa che
non provocherà nessun reale cambiamento.
Parimenti, mantenere una stessa fede religiosa con una
disposizione d’animo tanto flessibile da permettere una continua
messa in gioco del proprio modus operandi, rimanendo sempre tesi
verso l’ascolto di un’intelligenza di fondo in grado di valicare i
limiti di una logica assordante, potrebbe coincidere a pieno titolo
con un’effettiva conversione.
Un approccio di questo tipo non implica l’abbattimento della
ragione, ma un suo decisivo ridimensionamento nelle scelte vitali
che siamo chiamati ad affrontare nel corso dell’esistenza. È infatti
importante comprendere che è il pensiero discorsivo a governare
tutta la nostra vita, e che per sua stessa natura non può offrire
soluzioni creative ai problemi, ma ci spinge nel rimuginare sempre
all’interno di rivisitazioni di esperienze passate o ipotesi future. Ogni
attimo è unico ed irripetibile, e non vi sarà razionalità in grado di
fissarlo ed analizzarlo senza perderne il valore vitale.
Il giusto posto della ragione è quello di affiancare gli impulsi di
una coscienza superiore, dell’intelligenza del cuore appunto, senza
soffocarne i sussurri o filtrarne i messaggi per meglio adattarli al
proprio egoismo. In altre parole, mente e cuore devono imparare a
collaborare armonicamente; ogni dissonanza tra loro non potrebbe
portare buoni frutti ma solo dogmatismo, fanatismo, sofferenza e
caos. Ben identificò Gesù questa necessità vitale.
92
Ma il vostro parlare sia: “Sì, sì; no, no”; poiché il di più viene
dal maligno.17
17
Vangelo (Mt 5,37).
93
La natura dei conflitti
94
tenuto ad affrontare ed uccidere sono i membri della sua stessa
famiglia, parenti, mentori ed amici del passato.
Possibile che la divinità sia così crudele da condurre il devoto a
macchiarsi le coscienza con simili omicidi, contravvenendo al
dettame universale di non uccidere? Eppure non è necessario
giungere fino alla tradizione indiana per scorgere simili paradossi.
Non pensate che io sia venuto a mettere pace sulla terra; non
sono venuto a metter pace, ma spada. Perché sono venuto a
dividere il figlio da suo padre, la figlia da sua madre, la nuora
dalla suocera; e i nemici dell’uomo saranno quelli stessi di
casa sua. Chi ama padre e madre più di me, non è degno di
me; e chi ama figlio e figlia più di me, non è degno di me.
Chi non prende la sua croce e non viene dietro a me, non è
degno di me. Chi avrà trovato la sua vita la perderà; e chi
avrà perduto la sua vita per causa mia, la troverà.18
18
Vangelo (Mt 10,34).
95
consigliato di volgere dentro di sé l’attenzione – ma significa
riconoscere uno stato d’essere cui siamo inevitabilmente soggetti,
volenti o nolenti.
Un cammino iniziatico (al di là del nome altisonante che può far
pensare a chissà quale tecnica occulta e segreta) passa proprio
attraverso un meticoloso studio di sé, dei conflitti in atto, degli
schieramenti in gioco e del movente che li ha condotti a
fronteggiarsi in battaglia.
Il primo passo è quello di divenire uno spettatore cosciente
dell’arena interiore, di aprire gli occhi di fronte ad una sottile guerra
che si svolge quotidianamente nelle profondità dell’animo. A ben
osservare vi possiamo scorgere molteplici personalità che si
contendono la supremazia le une sulle altre, in una lotta di potere
senza sosta, nonostante talmente impercettibile da mantenere in noi
viva l’illusione di essere persone integre e dotate di un Io stabile.
Ma le sensazioni di disagio che accompagnano spesso la nostra
esistenza possono ritrovare le loro radici anche in altri aspetti
conflittuali, come ad esempio la dissonanza causata tra ciò che si è e
ciò che si vorrebbe essere, o ancora tra ciò che si è e ciò che si pensa
di dover essere. Nulla provoca più spossatezza del prendere atto di
come le nostre azioni e i nostri comportamenti siano spesso in piena
contraddizione con pensieri e buoni propositi.
Una tale prospettiva offre una solida base interpretativa per
comprendere a fondo gli accadimenti bellici descritti nei più
importanti poemi sacri, per i quali sono sorte non poche perplessità
in merito all’effettiva veridicità dei fatti narrati. Potremmo allora
decidere di scartarne a priori ogni validità per via della loro
infondatezza storica, o volgerci ad essi con un punto di vista meno
comune ma sicuramente più prezioso.
Per esempio, la tanto nota battaglia di Kadesh (figura 21),
documentata nelle raffigurazioni di ben sette monumenti dell’antico
Egitto, rappresenta uno scontro bellico avvenuto tra il faraone
Ramesse II e l’esercito Ittita sulle rive del fiume Oronte in Siria.
Secondo il resoconto egizio il faraone ottenne una memorabile e
gloriosa vittoria, sottomettendo gli stranieri alla sua volontà; peccato
che gli storici moderni siano propensi ad affermare che a vincere
furono gli Ittiti.
96
Il poema egizio si rivela essere un’opera surreale delle gesta del
faraone, di carattere quasi propagandistico e di molto lontano dal
potersi considerare un effettivo resoconto della battaglia. Di fronte
ad esso ci si può dunque porre con un duplice atteggiamento: o
credere che il faraone abbia voluto ingannare il suo popolo per
coprire l’umiliazione di una sconfitta subita – in tal caso risulta
difficile comprendere come possa aver nascosto l’evidenza di una
ritirata di circa 20.000 uomini – oppure considerare tale battaglia
come un’occasione storica per mettere in scena un’avventura mitica
di natura quasi esclusivamente simbolica.
Ciò cui l’iniziato ambisce è proprio il raggiungimento della
PACE INTERIORE, ponendo fine ai conflitti che attanagliano la sua
vita. Mentre il faraone simboleggia la nostra Essenza, gli stranieri
sono i nemici da affrontare e sconfiggere, in altre parole gli aspetti di
noi che non ci appartengono, estranei appunto, e che mirano a
tenerci legati ad essi nel caos del mondo dialettico. Tra essi vi
troviamo le paure, insicurezze, invidie, avidità, dubbi, pregiudizi,
abitudini, eccetera. Se volessimo identificarli in una parola sola: ego.
È interessante osservare come la parola egizia pace, hotep, in
geroglifico
97
associabile sia ad un personaggio realmente esistito quanto ad
una figura simbolica, per nulla dissimile dalla possibile realtà
storico-mitologica di Gesù Cristo o Cristiano Rosacroce. Il nome
Ptah-Hotep si presta infatti a molteplici possibilità di traduzione ed
interpretazione, la prima delle quali potrebbe essere COLUI NEL
QUALE LA SCINTILLA DIVINA HA TROVATO LA PACE.
P-T-H-H-T-P
98
che individua nel suo centro il proprio equilibrio, la stabilità
interiore, il ritrovamento del proprio centro di gravità permanente,
così come le due intelligenze dell’essere umano (analizzate in
precedenza) trovano la loro piena e corretta vitalità nell’equilibrio.
L’unione delle due parole che compongono il termine Ptah-Hotep
rimandano infatti all’idea di una scintilla divina cui è stata offerta
l’opportunità di ritrovare la pace, liberandosi dalle costrizioni
illusorie del mondo, ponendo fine all’eterna lotta contro i “nemici”
interiori che mirano al lento soffocamento della sua voce.
Ad una figura di così ampia portata viene attribuito un magnifico
testo sacro, valutato come uno dei più antichi scritti dell’umanità,
risalente a circa 4500 anni or sono. Stiamo parlando
dell’INSEGNAMENTO DI PTAH-HOTEP, considerato a tutti gli
effetti come l’equivalente egizio del Tao Te Ching cinese.
Tale libro è costituito da una serie di massime che sono state a
lungo presenti nella storia dell’antico Egitto, sopravvivendo fino ai
giorni nostri grazie alla protezione dei monaci copti, i probabili
discendenti dell’originaria civiltà faraonica (oggi infatti la maggior
parte degli abitanti del paese d’Egitto sono i discendenti dei
colonizzatori arabi) che hanno cercato di mantenere viva la Gnosi
egizia velandone il messaggio per mezzo del simbolismo cristiano.
Ma per tornare all’analisi della natura conflittuale, anche nella
Bibbia possiamo trovare diversi riferimenti, alcuni più espliciti
mentre altri più velati. Un esempio tanto evidente quanto enigmatico
lo si incontra nell’Esodo.
19
Bibbia, Esodo 4,21.
20
Bibbia, Esodo 11, 10.
99
merito al popolo ebraico, pronto a lasciarlo partire in pace verso la
sua terra promessa; ma ogni volta interviene il Signore per indurirgli
il cuore.
Per quale assurdo motivo Dio avrebbe allora chiesto al suo più
caro devoto di compiere un’impresa nella quale lui stesso sarebbe
poi intervenuto per interferire? Ci troviamo forse di fronte ad
un’ingiustizia e un sadismo divini? Oppure questo aneddoto
potrebbe rivelare la necessità vitale di passare attraverso le diverse
esperienze conflittuali?
In questo caso è infatti Dio stesso a spronare continuamente
Mosè nel recarsi al cospetto del faraone, figura autoritaria che il
profeta teme e che non si sente all’altezza di affrontare. Ma il
destino lo chiama a compiere una simile impresa, così come Krishna
chiama Arjuna ad impugnare con coraggio le sue armi per
l’imminente battaglia. Saranno proprio le difficoltà insite in una tale
esperienza che gli permetteranno di fuoriuscirne più forte, più
consapevole.
Potremmo dedurre che proprio grazie a questo difficile compito
Mosè ha potuto maturare più che mai il forte senso della presenza
divina dentro di sé. A ben guardare infatti la più corretta traduzione
delle parole rivoltegli da Dio, emerge un particolare di straordinaria
importanza:
21
Bibbia, Esodo 9,1.
100
di Mosè – sarà sempre lui a dar vita alle nostra battaglie e ad agire in
noi anche per mezzo di coloro che consideriamo nemici.
101
Ecco infine lo scopo di ogni battaglia interiore: la conoscenza di
sé e il senso della Presenza. Diviene ora più chiara l’immagine di
Horus spesso raffigurata nella corona del trionfo (figura 27) o
scolpita dietro il capo nelle statue dei faraoni (figura 28). Tale è
infatti il simbolo della VOCE DI HORUS, della Presenza divina, del
Signore al nostro fianco, dell’amicizia di Krishna.
Il servizio disinteressato
102
degli altri […] Servire gli uomini è il solo modo per ottenere
la resa di sé. Solo servendo gli altri infatti s’impara a
dimenticare se stessi; solo mettendosi al servizio degli uomini
l’Io è eliminato, annientato, purificato. Solo mettendosi al
servizio degli uomini si può percorrere il cammino.22
22
Jan van Rijckenborgh, La Gnosi nella sua manifestazione attuale, Edizioni Lectorium
Rosicrucianum, Milano, 1991.
103
comunemente tradotto come SUA MAESTÀ, che ha in realtà il
significato letterale di SERVO.
Il simbolo della parola raffigura un picchetto, ossia ciò che
designa l’asse, la stabilità interiore, la lealtà incorruttibile verso il
benessere del proprio popolo, la capacità di non essere influenzati da
interessi personali nell’adempiere alla propria missione. Il rimando
alla scena del Vangelo in cui Gesù lava i piedi ai suoi discepoli è
evidente; tale compito era infatti una consuetudine dei servi.
Sempre al concetto di servizio è legato il termine SACERDOTE,
hem neter, in geroglifico
104
Occorre dunque uno sforzo elevato per comprendere la
profondità di questo messaggio, giacché la prospettiva vitale radicata
nelle nostre cellule è viziata da una forte cultura utilitaristica, per la
quale ogni nostra azione deve mirare ad un preciso fine, sia esso
materiale od affettivo, anche a scapito del benessere altrui. E il
problema non si esaurisce qui, dato che nella maggior parte dei casi
coloriamo ogni nostra azione con splendide motivazioni altruistiche,
senza valutare realmente ciò che ha mosso l’agire.
Eppure ritroviamo in tutte le dottrine la necessità di divenire
consapevoli delle reali cause che muovono la nostra vita, per
trasmutare infine la volontà personale nella volontà di Dio. Possiamo
infatti leggere ciò che Krishna insegna ad Arjuna:
23
Bhagavad Gita, (III, 19; III, 25; IV, 12).
105
Non chiunque mi dice: “Signore, Signore”, entrerà nel regno
dei cieli, ma chi fa la volontà del Padre mio che è nei cieli.
Molti mi diranno in quel giorno: “Signore, Signore, non
abbiamo forse profetato nel tuo nome, e col tuo nome
abbiamo cacciato i demoni e col tuo nome abbiamo fatto
molti prodigi?” E allora dirò loro apertamente: “Mai vi
conobbi. Allontanatevi da me operatori di iniquità”.24
24
Vangelo (Mt 7,21).
106
significa voler dare e poter dare; significa saper attingere alla
fonte inesauribile e offrire questo alimento a coloro che
hanno fame e sete, nella forma che a loro si confà.
L’Altruismo è il criterio per riconoscere l’uomo che
oltrepassa l’umanità.25
Risulta forse ora ancora più chiaro quanto sia difficile giudicare
dal di fuori la purezza o meno di un’azione altruistica. Grandi
personaggi noti per la loro propensione al prossimo possono in realtà
nascondere doppi fini di carattere personale, mentre altri individui
sconosciuti che agiscono nella loro sfera vitale con piccoli gesti
sinceri possono incarnare pienamente la passività vivente, liberi da
ogni vincolo egoico.
In conclusione, è importante considerare che l’analisi del
concetto di volontà divina rimanda subito all’idea di enormi imprese,
di gesta eclatanti che necessitano di una certa mole di energia per
essere attuate. Nulla di più lontano dalla realtà. Ogni dottrina
sottolinea che la Via è per tutti e alla portata di tutti, ed è proprio
nelle piccole cose che essa può e deve essere vissuta e sperimentata.
Occorre dunque vigilare affinché l’idea di una “inarrivabile Volontà
di Dio” non diventi una buona giustificazione per la propria pigrizia
interiore.
25
R.A. Schwaller de Lubicz, Verbo Natura, Tre Editori, Roma, 1998.
107
108
La ricerca di Ak-Yb-Ka
III.
109
Anche il faraone era ben consapevole di questa sua realtà
interiore, e la riconobbe subito al primo incontro. Per tale motivo lo
affidò direttamente alla protezione e alla guida del Grande Maestro
del Tempio d’Egitto, cui il faraone stesso si rivolgeva in segreto per
chiedere consiglio sulle questioni più difficili e delicate.
Severo l’insegnamento, ma delicata ed accogliente la Luce cui
esso conduce.
Ad Ak-Yb-Ka venne così rivelato il nome e l’aspetto di colui che
svolgeva una semplicissima vita in mezzo al popolo – a parità di
diritti e doveri – pur non essendo riconosciuto da esso per la sua
incommensurabile funzione spirituale. E fu per questo motivo che
venne chiesto al novizio di custodire per sempre in segreto tale
identità.
110
La Casa della Vita
111
In compenso, qualsiasi persona – indipendentemente dal sesso,
dall’età e dalla classe sociale di appartenenza – poteva risalire tutti i
gradini della scala del TEMPIO, hut neter, in geroglifico
112
mentalità ed accettare senza riserve le forti responsabilità che una
scelta del genere imponeva.
Così come oggi, anche allora era infatti essenziale rispettare e
tutelare gli insegnamenti fondamentali come l’unico vero tesoro cui
l’essere umano possa ambire. Tale è il motivo per cui la cerchia
ristretta della sfera più interiore del Tempio, composta dai grandi
saggi – cui il faraone apparteneva non come figura dominante ma
come confratello paritario – prestava una particolare attenzione al
mantenimento del SEGRETO, seshetet, in geroglifico
26
Vangelo (Mt 7,6).
113
via via più profondi a seconda dello stato di coscienza di colui che si
appresta a studiarli.
L’insegnamento faraonico era infatti esposto sotto gli occhi di
tutti, sui muri dei templi, sulle steli, obelischi, nelle tombe; eppure la
vera scienza era inaccessibile a coloro che non erano educati alla
mentalità dei saggi, non per avidità di sapere ma per evitare che tali
messaggi potessero essere travisati od utilizzati per fini egoistici.
È interessante considerate come il verbo INSEGNARE, seba, in
geroglifico
114
Il penultimo geroglifico – una stella – è invece la
rappresentazione simbolica per eccellenza dell’insegnamento; la
stella è infatti una guida luminosa nel buio della notte, nel caos
dell’esistenza. Lo stesso segno individua anche i concetti di PORTA
e di LUCE, precisando proprio il fatto che gli insegnamenti sono un
corpus di saggezze in grado di aprire la porta ed illuminare il
cammino verso un nuovo modo di vedere e vivere la vita, oltre le
apparenze (figura 29).
27
Seneca, Lettere a Lucilio, BUR, Milano, 2002.
115
con flessibilità ed armonia, e ciò può realizzarsi solo tramite la
riscoperta di uno stile strettamente personale. Ogni altra forma di
indottrinamento non si potrà mai definire realmente formativa e
costruttiva, ma piuttosto un modo per ricalcare sterilmente idee
altrui.
Sorge però il problema di comprendere cosa si intenda per
felicità, dato che intorno a questa parola si raggruppano spesso i
significati più disparati. Se è pur vero che la maggior parte di noi
condivide il fatto per cui dietro tutti i desideri che riempiono la vita
si nasconde la speranza di raggiungere definitivamente una tale
condizione, è anche vero che difficilmente ci soffermiamo nel
cercare di capire a fondo cosa essa sia.
Potremmo allora partire dall’analisi di ciò che non è la felicità.
Siamo infatti generalmente portati ad identificarla con l’entusiasmo,
ma a ben vedere esso è solo una saltuaria scossa emotiva destinata
presto a svanire per lasciare il posto ad una sensazione contraria di
pari intensità.
Alcuni pongono invece il fine della felicità nel raggiungimento di
una stabilità economica o nel mantenimento di una buona salute, o
ancora nella realizzazione delle proprie ambizioni di notorietà,
carriera lavorativa, eccetera.
La cruda verità è che nulla di tutto questo riesce mai ad
acquietare e soddisfare definitivamente la nostra ricerca; come veri e
propri tossicodipendenti ritorniamo in breve tempo alla carica per
colmare nuovamente una profonda insoddisfazione.
Come potrebbe infatti una reale serenità d’animo dipendere da
eventi esterni? La natura stessa della vita è impermanente e
imprevedibile. Vincolare dunque un’idea di felicità a condizioni
esistenziali incontrollabili equivale a costruire una casa sulle pendici
di un vulcano attivo. Diviene dunque indispensabile un cambio di
rotta per concentrare la ricerca direttamente all’interno.
Il concetto di felicità viene espresso nella scrittura sacra egizia
per mezzo della parola au-yb, definibile anche come GIOIA, in
geroglifico
116
che significa letteralmente LARGHEZZA DI CUORE, in
esplicita contrapposizione ad un atteggiamento di contrazione, di
chiusura verso la vita e le altre persone.
La vera gioia è dunque la capacità di condividere il proprio
cammino con il prossimo, metterne al servizio le esperienze affinché
possano arricchire quelle altrui, sapersi porre in discussione per
poter accogliere altri punti di vista, offrire il proprio aiuto ogni qual
volta le situazioni lo richiedano.
In così poche parole può dunque racchiudersi il segreto della
felicità? Secondo la dottrina egizia, sì. Nulla di occulto, nulla di
complesso. La semplicità più disarmante. Eppure, bastano pochi
tentativi per toccare con mano quanto il nostro modo d’essere sia
lontano da una spontaneità del genere.
Potremmo leggere tutta la vita i più diversi testi sacri,
memorizzarne gli insegnamenti carichi di amore verso il prossimo,
ma rimanere negli anni esattamente quelli di sempre, con le proprie
paure, insicurezze, avidità, invidie. Certo, forse con qualche sforzo
di volontà potremmo ricalcare più o meno goffamente qualche
amorevole atteggiamento, ma presto o tardi una tale finzione sarebbe
destinata a smascherarsi. Quindi? Esiste una via di uscita?
I saggi egizi riconducono ancora una volta l’esame del problema
negli aspetti più quotidiani e semplici dell’esistenza. Non abbiamo
infatti altre unità di misura per conoscerci se non le nostre stesse
azioni, i fatti concreti con cui costruiamo giorno per giorno la nostra
esistenza. Ogni altra analisi rischia di dissolversi in elucubrazioni
mentali fine a se stesse. Non saranno i nostri splendidi ideali o le
nostre ambizioni spirituali a certificare chi siamo realmente.
117
con la gente, elargendo benefici. Perciò, finché ti basi sulle
apparenze, come puoi penetrare la volontà di Dio?”28
Il valore dell’amicizia
28
Leonardo Vittorio Arena (a cura di), 101 Storie Sufi, Il Punto d’Incontro, Vicenza, 2003.
118
traducibile sia come PENETRARE NEL CUORE che come
OTTENERE LA CONFIDENZA, una condizione essenziale che ne
sottende velatamente molte altre: intimità, disponibilità, sincerità,
lealtà, discrezione e affetto.
Forse sono proprio queste ultime qualità ad ergere l’amicizia
come il veicolo più sacro per mezzo del quale si può manifestare la
rivelazione divina. Basti pensare all’epopea della Bhagavad Gita,
dove il Signore si cela dietro le vesti del suo fedele amico per
iniziarlo alla scienza del Vero. Ma troviamo riferimenti espliciti
anche nel Vangelo.
29
Vangelo (Gv 15,12-14).
119
Se mi fosse concessa la saggezza, a patto di tenerla nascosta
in me, senza comunicarla ad altri, la rifiuterei: nessun bene ci
dà gioia, senza un compagno.30
30
Seneca, Lettere a Lucilio, BUR, Milano, 2002.
31
Vangelo (Mt 5,23).
120
lontananza una piccola luce provenire da una grotta non molto
distante da lui. Senza pensarci troppo, si diresse subito verso
quell’apertura. Giunto all’ingresso, vide all’interno un vecchio
asceta seduto in meditazione vicino al fuoco e con al fianco una
sacca colma di cibo. Il topolino, superando per la fame le sue
titubanze, raggiunse i piedi del monaco per spronarlo leggermente
con la sua zampina; ma il vecchio non sembrò dargli molto peso,
scuotendo semplicemente il piede per allontanarlo. Il topolino,
credendo di avergli fatto solo solletico, gli si rifece appresso
scuotendogli con più forza il piede. A questo punto l’asceta aprì gli
occhi, vide il topolino, e lo allontanò con più decisione
rimproverandolo: “Topo! Come osi disturbarmi nella mia
meditazione trascendentale? Non capisci che io sto raggiungendo
l’unione con Dio? Và dunque a disturbare qualcun altro!” Il topolino
rimase alcuni secondi a fissare con occhi spiaciuti e increduli il
monaco, poi disse: “Sono giunto fin qui a disturbarti perché sono
infreddolito ed affamato, mi sarebbe bastato molto poco per trovare
sollievo. Se non sei dunque in grado di unirti con un piccolo topo
come me, come potrai mai unirti con Dio?” Detto ciò, si girò con
delusione ed uscì dalla caverna.
L’Insegnamento Universale
121
profondo contatto con l’Insegnamento Universale, i loro sforzi erano
semplicemente tesi a tradurne il messaggio tramite un simbolismo
naturale consono al luogo e alla cultura in cui vivevano.
Un’antica leggenda narra che Buddha, dopo aver donato agli
uomini la dottrina per un nuovo risveglio spirituale ed aver così
lasciato questo mondo al termine dalla sua missione, constatò che in
seguito alla sua apparizione si scatenarono terribili lotte tra i
sostenitori e conservatori dell’induismo e i portavoce del nuovo
buddismo. Il Maestro, il cui unico fine era quello di servire
l’umanità portando ad essa un messaggio di amore e libertà, soffrì
profondamente nel veder compiere omicidi nel suo nome. Decise
allora di tornare sulla terra circa dodici secoli dopo la sua scomparsa,
assumendo la nuova identità di Shankara il Sublime. Egli insegnò la
sintesi di tutta la saggezza divina contenuta nei Veda, nelle
Upanishad e negli insegnamenti buddisti, mostrando come
parlassero in realtà della medesima natura interiore e di come
perseguissero lo stesso obiettivo, pur utilizzando linguaggi e
simbologie differenti.
Attraverso questa prospettiva, possiamo subito renderci conto in
quale particolare momento storico ci ritroviamo oggi a vivere. La
velocissima globalizzazione degli ultimi anni – fenomeno del tutto
nuovo per la civiltà umana – sta causando una sempre più evidente
compenetrazione di razze, culture e usanze. Ciò ha permesso alle
diverse filosofie spirituali di divenire manifeste potenzialmente per
chiunque; un’occasione tanto meravigliosa quanto pericolosa.
Meravigliosa perché i diversi linguaggi si confanno alle più
disparate strutture mentali che tanto ci contraddistinguono gli uni
dagli altri, offrendo l’opportunità di perseguire il medesimo
cammino pur partendo da presupposti apparentemente tanto diversi.
Pericolosa perché le diverse dottrine possono da un lato essere
osteggiate e giudicate ponendosi nella rigida e fanatica prospettiva di
una sola di esse, o dall’altro lato essere inserite con estrema
leggerezza in un unico calderone caotico che rischia di confonderle e
denaturalizzarne. Ogni dottrina esige infatti uno studio e una sua
applicazione seria e meticolosa.
122
Figura 30 – La gamba sinistra avanti sul Cammino:
“Questa strada ha un cuore?Se lo ha, la strada è buona.”
123
sportiva fra le tante, a lui più affine e più in sintonia, perseguirla con
passione e dedizione, ma senza per questo considerare di minor
importanza tutte le altre, né tantomeno tirarsi indietro laddove le
circostanze offrano la possibilità di confrontarsi con esse e di
sperimentarle per arricchirsi di nuove prospettive.
Emerge dunque con evidente urgenza la necessità di palesare più
chiaramente il filo d’oro che da sempre lega ed anima ogni dottrina
spirituale. Compito assai arduo per lo stato di consapevolezza, di
chiarezza e di onestà che un tale lavoro richiede.
Il mondo attuale offre miriadi di offerte spirituali attraverso libri,
corsi, stage, scuole, facenti riferimento alle diverse tradizioni o al
mondo della scienza moderna. Innanzitutto, è importante evidenziare
come primo elemento discriminatorio il fatto che un reale percorso
di consapevolezza non potrà mai passare tramite una didattica di tipo
informativo, ma unicamente per mezzo di una trasmissione
formativa.
32
Bibbia, Prima lettera ai Corinzi, 8:1.
124
attentamente e deliberatamente. Mettila alla prova tutte le
volte che lo ritieni necessario. Quindi poni a te stesso, e a te
stesso soltanto, una domanda […]: Questa strada ha un
cuore? Se lo ha, la strada è buona. Se non lo ha, non serve a
niente.33
125
spirituale. Tale organizzazione era dunque una vera e propria Scuola,
riconosciuta e rispettata da tutta la popolazione come il più elevato
centro di formazione in grado di condurre un individuo verso il
contatto con la sfera più profonda di sé.
È interessante osservare come il suo nome, per-ankh, non si
traduce però con il termine scuola della vita ma con casa della vita.
Evidenziando brevemente una differenza tra le due parole, emerge
spontaneamente il fatto che la casa contraddistingue un ambiente più
familiare, più intimo, confidenziale, in cui determinate dinamiche
caratteriali si manifestano più facilmente sotto gli occhi di tutti, ed in
cui la solidarietà quotidiana trova un terreno più fertile.
Inoltre il concetto di casa fa piazza pulita di ogni illusoria
convinzione o speranza di poter raggiungere una qualsivoglia vetta
spirituale in piena autonomia e solitudine. Se è pur vero che la
ricerca non può che essere strettamente personale, è altrettanto vero
che necessita vitalmente di un continuo confronto con i propri simili.
34
Jiddu Krishnamurti, Il libro della vita, Aequilibrium, Milano, 1997.
126
Sempre collegato al concetto di casa fa seguito il concetto di
maestro, la cui parola non trova realmente spazio nella lingua sacra
se non per mezzo del termine yty, in geroglifico
127
fermato davanti a una pozzanghera e la sua figura si rifletteva
nell’acqua. Subito mi accorsi che era impaurito e non
smetteva di contemplare la sua immagine. In realtà, credeva
che un altro cane lo stesse minacciando. Ecco perché non si
muoveva, per paura di essere attaccato! Ma poi, finalmente,
vinse l’esitazione e si gettò nella pozzanghera. Fu allora che,
come per incanto, l’altro cane svanì, lasciandolo padrone del
campo. Riuscite ora a capirmi, se vi dico che fu un cane a
indicarmi la Via?”35
35
Leonardo Vittorio Arena (a cura di), 101 Storie Sufi, Il Punto d’Incontro, Vicenza, 2003.
128
delegare la propria evoluzione personale, è una contraddizione in
termini. Niente e nessuno potrà mai compiere una ricerca interiore al
posto nostro, ma al limite solo offrire spunti di riflessione.
Emblematiche sono state le parole di Krishnamurti il giorno in cui
rifiutò ufficialmente la nomina di nuovo messia:
36
Krishnamurti, citazione in Mary Lutyens, La vita e la morte di Krishnamurti, Ubaldini,
Roma, 1990.
129
esperienziale veicola in sé una benedizione e una maledizione allo
stesso tempo. Benedizione in quanto la vita può concederci più
facilmente l’occasione di entrare a contatto con una parte più vera di
noi, tramite l’aiuto di persone che stanno compiendo un percorso
analogo e che ci possono offrire un apporto in tale direzione;
maledizione in quanto la sensazione di appagamento verso le proprie
sicurezze può spingerci ad accomodarci e a creare alibi per non
accettare le proprie responsabilità.
È invece essenziale non dimenticare mai che potremmo
trascorrere tutta la nostra vita in compagnia di cento persone
realizzate e pur giungere alla fine senza aver apportato nessun reale
cambiamento dentro di noi. Se anche Cristo nascesse mille volte a
Betlemme, ma non in noi, saremmo nondimeno perduti, scrisse
Angelus Silesius. Oppure potremmo non conoscere nulla in merito a
concetti spirituali di evoluzione e liberazione, e nonostante ciò
riuscire a risvegliare quella scintilla divina che giace assopita nei
recessi del cuore.
37
R.A. Schwaller de Lubicz, Insegnamenti e scritti inediti, Mediterranee, Roma, 2008.
130
Il metodo
38
Rami Shapiro (a cura di), Un silenzio straordinario. Racconti chassidici, Giuntina, Firenze,
2004.
131
Potremmo passare in rassegna centinaia di storie ed insegnamenti
tradizionali per ricercare chiare e lapidarie istruzioni su quale tipo di
strada seguire e sul modo in cui farlo. È il nostro innato desiderio di
certezza a condurci attraverso una ricerca del genere. Ma nessun
vero maestro potrà mai lasciare in eredità una ricetta di liberazione
predefinita per tutti, ciò equivarrebbe infatti a ledere quel puro senso
di riscoperta di sé che ognuno di noi è chiamato a compiere.
Come abbiamo anticipato nella premessa, la spiritualità è
consapevolezza, ed una reale e profonda presa di coscienza non
potrà mai essere delegata a qualcun altro, non la si potrà realizzare
conformandosi ciecamente ad una pratica, né tanto meno per mezzo
di un’esecuzione meccanica di una serie di regole e prescrizioni da
rispettare.
Meglio possiamo ora comprendere perché i grandi saggi hanno
lottato e lottano tutt’ora per liberare l’essere umano dalla sua
condizione di inconsapevolezza, senza voler ovviamente aggiungere
nuove illusioni; essi si limitano dunque ad evocare il desiderio di
salvezza che si cela in noi, mostrandoci con la forza del loro
esempio che vivere in una condizione di gioioso contatto con la
Luce è possibile. Il vero Amore non si concretizza semplicemente
nell’offrire pietosamente il pane all’affamato, ma nel prendersene
cura affinché egli possa imparare a procurarselo da solo.
Ecco perché, a dispetto di ogni nostro desiderio di ottenere
risposte definitive o scorciatoie per una rapida realizzazione, un vero
insegnamento ci pone di fronte ad uno specchio in grado di riflettere
un’immagine nella quale non sempre avremo il coraggio di
riconoscerci. Eppure, è proprio nel banale quanto difficile atto di
osservare che possiamo ritrovare l’unico metodo guida all’interno di
un non-metodo.
Avvicinarsi ad un qualsiasi percorso spirituale senza la
predisposizione e il coraggio di constatare la propria natura è nella
migliore delle ipotesi completamente inutile e nel peggiori dei casi
tremendamente pericoloso. La nostra mente è costantemente alla
ricerca di “buone motivazioni” con cui continuare a mantenere in
piedi ed alimentare i desideri egoici, e quale occasione migliore per
colorire le nostre viltà con splendidi pensieri di carattere spirituale!
Non dimentichiamo mai il detto secondo cui la strada per l’inferno è
lastricata di buone intenzioni.
132
L’osservazione nuda e cruda dei fatti è il primo gradino che ogni
dottrina pone di fronte a chiunque voglia intraprendere un reale
cammino di conoscenza. Nell’antica scienza sacra la parola
OSSERVARE, o VEDERE, in egizio maa e in geroglifico
39
Vangelo (Tm 5).
133
Mentre potremmo infatti essere spontaneamente portati a porre su
piani differenti la capacità di osservare rispetto alla facoltà di
intravedere i piani divini, per i saggi egizi non esisteva un preciso
limite di demarcazione: il primo conduce inesorabilmente al
secondo. Essi erano consapevoli di quanto la mente e le emozioni
umane cooperino insieme come abilissimi architetti nel costruire e
perpetuare le prigioni illusorie che più si confanno a ciascun
individuo, portandolo a vivere entusiasmi passeggeri, sofferenze,
preoccupazioni, liti, eccetera.
Sviluppando l’attitudine a confrontare la realtà dei fatti privi di
ogni personale deduzione e distorsione con i flussi di pensiero ed
emozioni, emergerà una dissonanza disarmante, ma sicuramente
edificante per porre delle nuove basi da cui partire per vivere
veramente. Gli occhiali con i quali osserviamo e filtriamo
continuamente il mondo, non sono altro che congegni olografici di
una realtà totalmente soggettiva, e che quindi lasciano pochissimo
spazio per un sincero e aperto confronto con il mondo circostante.
Questo è il motivo per cui anche la cultura indo-vedica propone
con estrema concretezza di partire dalla semplice analisi di ciò che è,
come possiamo leggere nelle parole di uno dei più grandi maestri
rappresentativi dell’Advaita Vedanta, Sri Ramana Maharshi:
40
Sri Ramana Maharshi, Il Vangelo, I Pitagorici, Catania.
134
Una visione del genere diviene l’unico strumento in grado di
condurci verso la consapevolezza dei nostri processi di pensiero, di
quanto il loro rumore e il loro lavorio caotico ci imprigioni e non ci
permetta di vedere altro; solo questa chiarezza può aprire le porte ad
una nuova vita. Quale cammino seguire dunque?
41
R.A. Schwaller de Lubicz, Verbo Natura, Tre Editori, Roma, 1998.
135
Ma gli antichi sistemi tradizionali, veicoli dell’Insegnamento
Universale, parlano chiaro:
42
Vangelo (Mt 10,8).
43
Vangelo (Mc 1,15-17).
136
grosso è il bidone, sottintendendo proprio l’impossibilità di porre sul
medesimo piano la vera trasmissione spirituale con interessi di
carattere economico.
Nel testo egizio che raccoglie gli insegnamenti di Ptah-Hotep,
compare una massima che delinea chiaramente questo aspetto:
44
Gli Insegnamenti di Ptah-Hotep (X, 183).
45
Carlos Castaneda, Viaggio a Ixtlan, Rizzoli, Milano, 2000.
46
Carlos Castaneda, Il potere del silenzio, Rizzoli, Milano, 1988.
137
Hillèl infatti soleva dire: “Chi trae vantaggio personale dalla
Corona della TORAH è finito”. Impari così che chi riceve
profitto dalle parole della TORAH trae la sua persona fuori
dal mondo.47
47
Massime dei Padri, Mamash, Genova, 2007.
138
La struttura dell’essere umano
La conquista dell’immortalità
139
È buona norma non dare mai nulla per scontato ma osservare con
curiosità silenziosa – priva di giudizi di valore – i propri
atteggiamenti paradossali. Non di rado capita infatti di volgere le
attenzioni più meticolose verso la manutenzione di un’automobile,
senza badare a spese per i pezzi di ricambio, le gomme e l’olio
migliori, trascurando d’altro lato senza troppi problemi la qualità dei
cibi per la propria alimentazione. E questo non rappresenta che uno
tra i tanti possibili esempi.
La salute del corpo è una condizione essenziale per colui che
decide di volgere la sua esistenza alla ricerca del vero celato dietro le
apparenze; egli dovrà necessariamente compiere i primi passi verso
uno stile di vita improntato sulla qualità e non più sulla quantità. E
quale prevenzione migliore di una equilibrata e sana alimentazione,
in grado di rispettare il più possibile i cicli stagionali di ciò che la
natura offre nel luogo in cui si vive? La tradizione egizia poneva in
risalto il sublime atto del MANGIARE, unem, in geroglifico
140
minerali, ma non si ferma qui, porta in serbo anche qualità
energetiche di carattere più sottile, di natura sia emotiva che
spirituale, inevitabilmente in grado di influenzare il nostro approccio
verso la vita. D’altronde è ormai riconosciuto il fatto che, ad
esempio, il nutrirsi di carne incida sul livello di aggressività e
reattività istintiva, e questa è una prima motivazione per la quale
moltissimi ordini tradizionali prevedevano e prevedono una dieta
vegetariana.
Un argomento del genere meriterebbe un ampio approfondimento
ma, senza intraprendere analisi troppo complesse, potremmo molto
semplicemente constatare ad esempio gli effetti causati da un solo
pasto eccessivamente ricco di grassi nelle ore successive alla sua
assunzione: senso di pesantezza, sonnolenza, lentezza, scarsa
capacità di concentrazione. Situazione evidentemente ben lontana da
una condizione di leggerezza tale da facilitare una presenza in se
stessi.
La cura del corpo si estende però anche oltre l’alimentazione, e
riguarda anche la sessualità, il sonno, il movimento e tutto ciò che ha
a che fare con il corpo fisico e i suoi bisogni. Trascurare questi
aspetti come non degni di nota, come non inerenti ad un percorso
spirituale, è un grave errore da cui ogni tradizione cerca di mettere in
guardia. Ricordiamo le parole che Krishna rivolge ad Arjuna:
48
Bhagavad Gita, (VI, 16).
141
spontanea la domanda di chi – o cosa – siamo realmente prima di
una tale conquista.
Il desiderio di esistere
142
Tale volontà di esistenza tende ad accentrare in sé tutti gli
elementi vitali che la vestono: essa è la forza che permette
l’esistenza ad ogni essere umano, mantenendolo e riportandolo
costantemente in vita fino alla sua definitiva realizzazione e
liberazione, o fino alla sua dissoluzione in una seconda morte.
I due geroglifici che compongono internamente il termine Io,
143
predisposizione egoica, è perfettamente inutile se non
controproducente.
Emerge a questo punto una delicata ma importante
differenziazione tra ciò che si intende per Io e ciò che si intende per
ego. Quest’ultimo non è infatti equivalente al primo ma ne
costituisce il nucleo, il motore che sprona il movimento orientando
la direzione, rimanendo comunque sempre velato dietro al modo con
cui ci si presenta al mondo.
Ecco perché il termine ego (nuk), si pone figurativamente nel
geroglifico Io (y-nuk) dietro il simbolo della canna, determinativo
utilizzato proprio per contraddistinguere l’individualità, la
membrana che ci differenzia dagli altri rendendoci unici. Ma tale
individualità non è realmente un avversario nel cammino verso la
Luce, essa deve piuttosto divenire un alleato volgendo i suoi servigi
al principio divino.
Sarebbe sciocco ed avventato, per non dire contro natura,
dichiarare interiormente ed esteriormente guerra al senso di
individualità; esso è infatti tanto inevitabile quanto naturale. È grazie
a lui che possiamo muoverci nel mondo, svolgere il lavoro
necessario per vivere dignitosamente, fare esperienza degli eventi
della vita, comunicare con il prossimo ed aiutarci reciprocamente
con esso anche all’interno di un cammino spirituale. Negare dunque
l’importanza di una tale funzione, confondendola in modo
indissociabile con la tendenza egoica, equivale a sopprimerne
l’immensa potenzialità.
Possiamo in tal senso arricchire la nostra analisi osservando
come, secondo la tradizione ebraica, la parola Io, anì, scritto
sia composta dalle tre lettere alef, nun (che assume un connotato
grafico differente quando si trova in fondo alla parola) e yod, le
stesse che compongono anche la parola NULLA, ayn, scritto
144
corrispondente al nome con cui la Cabalà contraddistingue Dio,
più precisamente ayn sof, il NULLA SENZA FINE.
Sappiamo che quando parole diverse sono composte dalle
medesime lettere, si ritiene che condividano una profonda unità. In
questo caso è interessante porre l’attenzione sul fatto che nel primo
termine la yod si trova alla fine, mentre nel secondo si trova nel
centro. Considerando che tale lettera rappresenta yadà, la
CONSAPEVOLEZZA, ne possiamo dedurre che quando essa è
rivolta all’esterno emerge il principio egoico dell’Io, mentre quando
è rivolta verso l’interno emerge la presenza di Dio.
Nei piccoli particolari, nella totale semplicità, si nascondono le
chiavi di volta in grado di trasformare radicalmente il proprio stato
di coscienza nei confronti della vita, di come la si osserva, la si
comprende e la si vive. In ciò è racchiuso il prezioso insegnamento
dei saggi.
145
In uno stato coscienziale del genere non saranno più le pulsioni
inconsce ed animali a governare le azioni, le parole e i pensieri,
vincolando ad un’esistenza ciclica priva di ogni creatività, ma
interverrà un'altra natura più consapevole, realmente libera di
muoversi e di procedere nella vita – da cui il geroglifico della gamba
in movimento.
In questo livello scomparirà anche l’esigenza di manifestare
apertamente la propria presenza nel mondo, dato che emergerà
spontaneamente la profonda percezione di sentirsi già parte di un
tutto; il bisogno di auto-affermazione lascerà il posto alla semplicità
e all’umiltà.
146
una forza di gravità. Dunque, uno stesso organo per due aspetti vitali
apparentemente opposti.
Per complicare ulteriormente la faccenda, è importante
considerare come anche nel termine DESIDERIO, in egizio set-yb e
in geroglifico
147
“abbiamo creato l’uomo forte ed ingegnoso, prima o poi troverà il
modo per raggiungere le vette più alte del mondo”. Poco dopo, ad un
altro dio venne l’idea di nascondere il segreto della vita nell’abisso
più profondo dell’oceano. “No, no”, ribadirono gli altri dei,
“abbiamo creato l’uomo coraggioso e temerario. Verrà un giorno in
cui egli escogiterà il modo per sondare gli abissi di tutti i mari”.
Dopo un lungo silenzio, un altro dio che rimase in silenzio e
pensieroso fino a quel momento, esclamò: “Io lo so, dov’è il
nascondiglio più sicuro. Nascondiamo il segreto dell’universo in
fondo al cuore di ogni essere umano. Là, potremo starne certi, non
guarderanno mai”. Fu così che tutti gli dei furono concordi.
Questa semplice storia porta in serbo una verità autentica: il
cuore come chiave di volta di tutte le dottrine. Ogni tradizione
riconosce ad esso un ruolo fondamentale, senza il quale ogni studio
rimane sterile ed ogni pratica diviene fuorviante e pericolosa. Ma la
stessa leggenda è anche portatrice di un’altra amara verità: la nostra
naturale tendenza a ricercare risposte altrove, o peggio ancora a
confondere con estrema facilità – e comodità – emozioni, fantasie,
aspettative e debolezze con i sussurri del cuore.
Se è vero che esplorare il proprio cuore significa conoscere
l’universo intero, è altrettanto doveroso non illudersi sul fatto che un
tale processo sia privo di ostacoli e difficoltà, certamente non
imputabili a un qualsivoglia evento esteriore.
L’ombra delle nostre paure e le astute seduzioni dell’ego sono
costantemente in agguato, in grado di portarci a compiere i più
deplorevoli atti pur mantenendo elegantemente in piedi compiacenti
alibi spirituali. La storia è costellata di genocidi, inquisizioni e
guerre compiute nel nome della pace o del Signore.
Un efficace aiuto chiarificatore ci viene offerto dalla tradizione
Sumarah, originaria dell’isola di Giava, nella quale il principio
egoico dell’Io, aku in giavanese, viene paragonato simbolicamente
all’immagine di un’anguilla bianca.
148
pretesa di candore, vive nella convinzione di essere
perennemente nel giusto, nel bene, nell’onesto.50
L’uovo-microcosmo
149
sacrale di scegliere un nome equivale a ricercare le reali
caratteristiche energetiche dell’individuo per poterle esprimere, non
certo una convenzione sociale con il solo fine di riconoscersi e
distinguersi dagli altri.
Il ren è dunque l’attributo con cui la dottrina egizia designa
l’individualità di un essere umano senza necessariamente riferirsi ai
suoi corpi spirituali. Esso costituisce piuttosto l’ambiente di base
dove sono presenti tutte le condizioni necessarie per permettere una
gestazione della scintilla divina, ma la scelta di intraprendere ed
alimentare un processo del genere è strettamente vincolata al libero
arbitrio personale.
All’interno del ren, nel punto centrale del suo spazio, vibra l’Io-
inek, intorno al quale gravitano caoticamente tutti i desideri e gli
impulsi ad esso collegati. Essi traggono infatti origine dal principio
egoico e lo alimentano a loro volta attraverso un circolo vizioso
apparentemente senza uscita. Solo il graduale processo di
sostituzione della natura egocentrica con quella altruistica, propria
dell’elemento cuore, condurrà inesorabilmente verso un collasso dei
desideri ed una liberazione dell’aspetto divino fino a quel momento
celato e soffocato.
150
A ben vedere il simbolo che rappresenta il ren (figura 32), non
raffigura nient’altro che il tratto di una corda avvolta su se stessa in
modo da formare una sorta di anello, e legata poi alla base. Tale
corda è il confine che delimita il senso di identità microcosmica
dalla realtà macrocosmica, ma è anche la FORZA CONDUTTRICE
che lega un’esistenza all’altra. Il singolo cartiglio coincide infatti
con una sola esperienza vitale terrena, ma non per questo ne esclude
altre.
Il concetto della reincarnazione non è certamente un’esclusiva
delle dottrine orientali. Sembra che il cristianesimo la contemplasse
già all’interno della sua fede originaria, tanto che possiamo
ritrovarne espliciti riferimenti negli scritti di uno dei più grandi
teologi cristiani, Origene di Alessandria.
51
Origene di Alessandria, cit. in David Donnini, Nuove ipotesi su Gesù, Macro Edizioni,
Diegaro di Cesena (FC), 2001.
151
per loro stessa natura sono aggregati energetici precari ed
evanescenti.
Non è quindi possibile affermare che esiste per tutti la possibilità
di una reincarnazione così come comunemente la si può intendere,
ma più precisamente una continuità confusa della vita istintiva
contenuta all’interno dell’involucro microcosmico; solo la graduale
condensazione di un nucleo cosciente potrà beneficiare di una reale
continuità cosciente attraverso le diverse vite terrene. Tale è il
motivo per cui la dottrina egizia introduceva il concetto della
reincarnazione unicamente all’interno della Scuola dei Misteri,
laddove i partecipanti avevano già scelto volontariamente e
consapevolmente di intraprendere un cammino di conoscenza
interiore.
Mentre la nascita terrestre crea lo spazio in grado di associare i
diversi elementi che costituiranno poi le caratteristiche della
persona, la morte li dissolverà nuovamente nel mare energetico
circostante, trasmettendo ad una vita successiva solo quelle
informazioni relative al grado di risveglio del proprio seme divino.
152
L’esistenza compresa tra la nascita e la morte corrisponde
all’anello formato sulla corda, il ren, altrimenti rappresentato anche
tramite spirali collegate e sostenute l’una all’altra grazie
all’impersonificazione simbolica del destino (figura 33). La corda
può formare degli avvolgimenti, degli anelli e dei nodi caotici, può
mutare direzione o mutare nome, ma essa resterà sempre quella forza
di coesione che lega un’esistenza all’altra, vincolata e soggiogata
dall’attrazione dialettica.
Solo una piena consapevolezza interiore permetterà di liberarsi
dalla sua morsa incontrollata per divenirne pienamente padroni; tale
è lo stato di colui che fuoriesce dal ciclo delle rinascite per rientrarvi
consapevolmente al servizio dei suoi simili. Il ren di un tale essere
diviene un veicolo perfetto per l’espressione della sua immagine
divina in terra, in completa armonia con gli altri microcosmi e con il
macrocosmo circostanti.
Energia ed Essenza
153
Lo sviluppo di una tale facoltà coincide con la formazione di uno
specifico corpo interiore ad essa correlato, simbolicamente
rappresentato dalla presenza del geroglifico sopra il capo
dell’iniziato (figura 34).
La caratteristica fondamentale del ka è il fatto di essere in origine
una FORZA NEUTRA, un’energia non polarizzata, ancora non
“contaminata” dall’alternanza duale del manifesto. Il fine di
ciascuno di noi è proprio quello di accedere alla sua sorgente più
pura, risalendo i cosiddetti ka inferiori per nutrirsi dei ka superiori.
154
Il ka è il primo nucleo imperituro del microcosmo che assicura
all’essere umano il mantenimento di un’identità non egoica
attraverso le diverse incarnazioni. Rappresenta il primo livello di
consapevolezza oltre quello razionale e morale, il primo stato di
coscienza potenzialmente esente dall’influenza delle alternanze
ordinarie della vita. Grazie al ka è possibile osservare la vita da una
prospettiva più obiettiva, in quanto non più preda dei coinvolgimenti
emotivi delle circostanze.
Si potrebbe affermare che ciascun individuo possiede questo
corpo già dalla nascita, ma che solo in alcuni casi si struttura in
forma libera ed autonoma. Il modo più semplice per comprendere il
suo processo di sviluppo è immaginarlo come un sintonizzatore di
energie. Fino a quando queste energie saranno di carattere animale,
istintuale e passionale (i ka inferiori), esse continueranno ad
alimentare l’aspetto egoigo, instabile ed impermanente.
Ma perseguendo un percorso di discernimento interiore, e
adottando uno stile di vita il più possibile in sintonia con qualità
energetiche di natura consapevole, altruistica e aggregativa (i ka
superiori), queste stesse si accorderanno gradualmente fino a
costituire un vero e proprio organo spirituale, strettamente collegato
con l’elemento cuore.
Abbiamo già anticipato come tutto ciò che esiste nell’universo sia
permeato da energia. Si impone dunque la necessità di passare da
una tipologia di ragionamento di tipo quantitativo ad un tipo
qualitativo o, più correttamente, vibrazionale.
In questa prospettiva ogni essere umano si nutre, consciamente o
meno, di tutto ciò che lo circonda, dai cibi solidi alla musica, alle
letture, agli ambienti che frequenta; e concorre lui stesso ad
immettere nutrimenti nel sistema, tramite azioni, parole e pensieri.
Tutto è ka. In accordo con quanto afferma l’Ayurveda, tutto è cibo.
Vigilando con pazienza e perseveranza sul proprio modo di
relazionarsi con il mondo, e cercando instancabilmente di porre
ascolto all’intelligenza del cuore, si metterà in sintonia il ka
personale con gli altri ka umani e animali, così come vegetali ed
inorganici, instaurando con loro un contatto di inimmaginabile
profondità.
Sarà forse ora più semplice comprendere il delicato concetto di
MAGIA, in egizio heka e in geroglifico
155
letteralmente l’AZIONE DEL KA SUI TRE PIANI, in quanto il
primo segno simboleggia proprio l’unione indissociabile di terra,
uomo e cielo.
L’arte magica è accessibile solo a colui che ha acquisito la
capacità di vedere e sentire coscientemente la vita, in grado di
muoversi agilmente all’interno dei diversi piani dell’esistenza.
Ancora una volta, il fine regale dell’arte magica è quello di metterla
al servizio dei propri simili, per aiutarli e sostenerli nel cammino
della vita.
Mago è colui capace di scorgere in profondità le cause al di là
delle apparenze, consapevole delle trame che muovono l’esistenza e
delle leggi che la regolano; egli può dunque alleggerire il fardello di
un proprio simile consigliandolo e sostenendolo rettamente (senza
però mai interferire o lederne la volontà), ma non è difficile
immaginare quanto siano pericolose simili conoscenze in mano a
coloro che sono ancora pieni di ambiziose velleità.
Coloro che non hanno sviluppato il proprio ka ritornano sulla
terra innumerevoli volte. Essi non beneficiano però coscientemente
di questi ritorni, ne restano piuttosto all’oscuro perché la coscienza
individuale sussiste solo attraverso il corpo del ka. Non si può quindi
dire che vi sia reincarnazione, ma più propriamente una continuità
della vita istintiva confusa in mezzo ad altre esistenze istintive.
Questo delucida in forma più completa il motivo precedentemente
accennato dell’inutilità di estendere la dottrina della metempsicosi al
popolo immerso nella vita istintiva.
Viceversa, colui che acquisisce la coscienza del ka, inizia a
sviluppare un senso di responsabilità verso le conseguenze future di
tutti i suoi atti all’interno del sistema universo in cui è inserito, al
pari di una cellula di un organismo.
Camminare nel sentiero della consapevolezza equivale ad elevare
la qualità del ka personale risvegliandone le facoltà spirituali e
riducendo proporzionalmente la tirannia dei ka inferiori, fino al
momento in cui qualcos’altro riconoscerà nell’individuo lo
156
strumento ideale per accoglierlo ed esprimerlo: la PRESENZA
DIVINA, il ba, in geroglifico
157
sappiamo quanto esso ne rappresenti a tutti gli effetti un corpo
interiore. Tale paradosso è rivelatore di uno dei più meravigliosi
misteri della vita cui siamo chiamati a sperimentare e a svelare in noi
stessi.
Il ba è la scintilla divina che reclama il suo diritto alla vita.
Ostacolarla, impedendogli di poter trovare un adeguato rifugio
dentro di sé, equivale a condannarsi alla morte spirituale, alla
dissoluzione.
Ecco il motivo per cui ogni dottrina prescrive un lavoro di
predisposizione interiore atto a creare le condizioni ideali affinché
l’Ospite possa riconoscere il suo regale alloggio. Una dieta specifica
e morigerata, uno stile di vita lontano dal chiasso mondano,
l’adesione a particolari norme di vita, sono tutte forme preparatorie
con il preciso fine di pulire ed ordinare il proprio Tempio, renderlo
pronto.
Il motivo per cui il ba resta in disparte nelle raffigurazioni, è
perché esso è neutro, impassibile ed indifferente alle vicende della
persona, al di fuori dalle tempeste emotive e da ogni sorta di
elucubrazione mentale. Esso è il vero IO SONO, e come tale può
essere percepito solo attraverso un silenzio interiore, una
sospensione del pensiero discorsivo capace di aprire le porte ad una
realtà del tutto nuova.
Si può ora facilmente immaginare come lo sviluppo del ka
costituisca un costante richiamo per il ba, che ne ritrova il supporto
energetico ideale e necessario. Mentre ba rispetto a ka è lo spirito
animatore, ka rispetto a ba è l’individualizzazione della coscienza
(un gioco continuo di intercambio che dà ad ognuno di loro un ruolo
sia passivo che attivo, considerazione importante per non cadere
nell’errore di interpretarne schematicamente le funzioni).
Laddove non si realizza nell’individuo una tale unione, il ba
ritornerà al suo luogo di origine confondendosi nuovamente con Dio,
così come una goccia d’acqua ritorna nell’oceano per dissolversi in
esso, mentre il principio egoico umano lotterà in terra per la sua
sopravvivenza, disgregandosi però anch’esso nel corso del tempo.
158
Il contatto con il divino
159
È il sujud harian, la meditazione “quotidiana”, il momento in
cui portiamo le nostre conquiste e la nostra nuova e sempre
rinnovata consapevolezza nella vita di tutti i giorni. Possiamo
per un attimo avere l’illusione che sarà facile o in qualche
modo meno impegnativo meditare in mezzo alla vita che non
sedersi a meditare, ma ci accorgeremo presto che invece è
vero il contrario, soprattutto perché è proprio qui, nella
cosiddetta normalità della vita quotidiana che il nostro ego si
sbizzarrisce esibendosi in tutti i suoi più sofisticati giochi e
illusionismi.52
52
Laura Romano, Sumarah. Il risveglio del maestro interiore, Ubaldini, Roma, 1999.
160
che può essere tradotto come MAGO e contraddistingue il
CORPO DIVINO, attraverso il quale l’individuo raggiunge un totale
contatto con la sfera celeste, unendosi ad essa per divenire a tutti gli
effetti un Dio in terra. Ecco perché il primo geroglifico della parola
simboleggia un particolare nodo che fissa nell’uomo la natura
divina, pur rappresentando allo stesso tempo un fluido vitale che
circola senza impedimenti al di fuori del tempo e dello spazio.
Sa-hu è il corpo iperspaziale capace di muoversi liberamente
attraverso tutti i mondi e le dimensioni; vivendo nell’Eternità, egli
non è più soggetto a limitazioni di nessun tipo. La discesa nei più
profondi meandri di se stessi conduce infatti alla percezione
dell’elemento sottile che dà vita e sostiene ogni cosa, travalicando la
materialità cristallizzata nello spazio-tempo. È in tale luogo
coscienziale che il mago, non più stregato dallo spettacolo illusorio
della vita, può coglierne le cause e i disegni soggiacenti in modo
presensoriale.
161
162
La ricerca di Ak-Yb-Ka
IV.
OLTRE IL PENSIERO
163
Ak-Yb-Ka sapeva di trovarsi ormai sulla soglia tra il vecchio
mondo ed un nuovo universo inesplorato, e temeva profondamente
di spingersi oltre, ben sapendo però che nulla sarebbe stato più lo
stesso tornando indietro. Riportò alla memoria il passato,
quell’antica sensazione di tristezza ed amarezza che per molto
tempo lo accompagnarono. Non volle essere nuovamente inghiottito
dal caos. Giurò a se stesso che non avrebbe più indossato i vecchi
abiti. E si sentiva nudo, completamente nudo. Non era più sufficiente
la comoda illusione di appartenere all’elité del Tempio. Poteva forse
chiunque altro risvegliarlo al posto suo?
Fu allora che Ak-Yb-Ka si accorse della presenza silenziosa del
maestro alle sue spalle, e fu in quel momento che vide ridere e
danzare la separazione illusoria che tutto invade. Allora sentì di
essere parte del Tutto, di partecipare al Tutto. Lo vedeva senza
occhi, lo sentiva senza orecchie. L’esplosione del Sole nel cuore. Il
padre, la madre, i fratelli, gli amici, i nemici… il suo maestro, il
faraone, l’Egitto, il mondo, l’universo, la vita. Incontenibile il Tutto,
la suprema gioia nel Vuoto. Un silenzio assordante in cui uscire dal
tempo. E poi il pianto di una bambina in lontananza, lo smarrimento
dei suoi compagni, laggiù nel mondo; la paura, la solitudine.
Irrefrenabile il desiderio di tornare, per portare speranza, per
testimoniare la Luce.
164
La pesatura del cuore
165
raffigurazione della pesatura del cuore (figure 36-37-38), dato il suo
ricchissimo ed esplicativo simbolismo.
166
Figura 38 – La pesatura del cuore (c).
167
sente in fondo al suo cuore. L’animale che lo contraddistingue è lo
sciacallo, le cui qualità naturali gli consentono di ingerire carne
putrefatta per trasformarla in nutrimento, in analogia con la capacità
alchemica di trasmutare gli eventi della vita apparentemente privi di
senso in esperienze realmente spirituali, consapevoli, vere.
Anubi è dunque l’iniziatore, la guida che accompagna l’individuo
attraverso i molteplici ostacoli presenti sul Cammino; incarna infatti
la SPERANZA, qualità necessaria per procedere verso quella luce di
cui ancora non si conosce nulla ma di cui si può presagire l’esistenza
attraverso una profonda ed inspiegabile nostalgia interiore.
Il motivo per cui questo dio è spesso associato al concetto di
morte – le sue statue presiedevano i sarcofagi e i rituali di
mummificazione – è perché il suo compito consiste
nell’accompagnare da un vecchio stato di coscienza ad uno nuovo,
verso una vera e propria rinascita interiore.
53
Vangelo (Gv 12,24).
168
impersonificazione del DESTINO individuale cui ognuno di noi è
inesorabilmente legato.
Occorre però anche in questo caso compiere lo sforzo di superare
il dualismo bene-male per non interpretare il fato come
un’ingiustizia o una punizione divina, nonostante la raffigurazione
simbolica lo ponga volontariamente in una posizione minacciosa nei
confronti del giudicato.
Shay equivale a tutti gli effetti al concetto orientale di KARMA o
a quello occidentale di SEMINA E RACCOLTA; una vera e propria
legge di causa-effetto cui risponde inevitabilmente ogni passo
compiuto nella vita. Non esiste dunque al suo interno distinzione di
positivo e negativo più di quanto non si possa definire negativa o
positiva la legge di gravità, ma sono solo i nostri giudizi e significati
ad interpretarla in un senso piuttosto che un altro.
Possiamo considerare, per esempio, il più condiviso consenso
comune per il quale la fortuna sia direttamente collegata ad
un’ampia disponibilità economica. Eppure è sotto gli occhi di tutti
che esistono persone estremamente ricche e famose profondamente
insoddisfatte e disperate, mentre altre persone particolarmente
povere sono invece piene di vitalità e gratitudine verso la vita.
La legge del karma incombe sul capo fino a quando il nostro
sguardo, la nostra attenzione, rimane rivolta sul piano orizzontale
della vita, totalmente concentrata sugli eventi esterni, interpretandoli
quindi sulla base di casualità fortuite o accidentali. Solo un
capovolgimento di prospettiva in grado di accogliere gli stessi eventi
come il riflesso di una realtà interiore ancora incompresa, permetterà
di accettare le circostanze presentate dal karma come un vero e
proprio insegnamento, un’occasione unica ed irripetibile per mettere
in luce parti di sé nascoste ed impensate.
Diviene inoltre indispensabile considerare come il destino non sia
propriamente qualcosa di inesorabile. Per quanto paradossale possa
sembrare, comprendere il proprio karma equivale anche ad andare al
di là di esso.
169
Simbolicamente quanto graficamente, all’interno del microcosmo
umano (figura 32) coesistono differenti personalità, desideri,
significati, azioni, parole e pensieri strettamente connessi tra loro.
Tutto ciò dà vita ad un sistema psichico ed organico che si muove
nella vita seguendo precisissimi binari prestabiliti dalla sua stessa
organizzazione interna, ricreando intorno a sé condizioni esistenziali
ad essa speculari secondo il principio ermetico così in alto, così in
basso.
170
La parola stessa micro-cosmo si contrappone analogicamente a
quella di macro-cosmo, evidenziando implicitamente come i due
sistemi siano l’uno lo specchio dell’altro. Tale è il motivo per cui
anche nella tradizione astrologica l’essere umano viene
rappresentato con i segni zodiacali impressi interiormente nel corpo
ed in corrispondenza esteriore con quelli universali (figura 39), dove
nello spazio racchiuso nell’involucro individuale compare una
moltitudine caotica di piccole nuvole scure, gli elementi karmici non
ancora manifestati che si riflettono in tendenze automatiche ed
innate.
La vera funzione di un TEMA NATALE astrologico è proprio
quella di rivelare le peculiarità impresse nel microcosmo, offrendo
nel qui ed ora l’occasione di prenderne coscienza per divenirne
liberi e non più vittime inconsapevoli.
I saggi egizi ben conoscevano la condizione in cui ogni essere
umano si trova, per nulla dissimile da quella di un burattino mosso
da fili invisibili, e hanno racchiuso nel simbolo dell’ankh il fine
esistenziale cui ambire, il superamento delle proprie costrizioni
astrologiche. Attualmente nota come CHIAVE DELLA VITA, in
geroglifico
171
quotidiana, si può infatti scorgere il riflesso di se stessi, come
realmente siamo, non come pensiamo di essere.
È proprio grazie ad un percorso di riconoscimento, di
smascheramento di tutti quegli aspetti con i quali spesso ci
identifichiamo, che passo dopo passo verrà posto ordine e chiarezza
nel microcosmo, fino a ristabilire il giusto equilibrio e la giusta
stabilità interiore, fissando l’ankh in perfetta armonia nel ren (figura
40), e aprendo finalmente il portale nel centro del proprio essere, là
dove Khepry – la ROSA DEL CUORE – potrà finalmente sbocciare.
Il contrappeso
172
dall’altro una piuma, simbolo della dea MAAT (figura 41), in egizio
maat e in geroglifico
173
Nell’antico Egitto il ruolo del faraone era proprio quello di essere
il suo principale tutore e la sua vivente manifestazione agli occhi del
popolo. Tutta la sua condotta era tesa ad offrire Maat alla vita in
ogni gesto quotidiano (simbolicamente espresso nella figura 42), sia
pubblicamente che intimamente.
Vivere Maat, in Maat e di Maat, non significa farne filosofia né
tantomeno ostentare sorprendenti poteri in grado di affascinare le
altre persone; significa invece riconoscere i disegni di una volontà
superiore e ricercare con gioia di muoversi in armonia con essi.
Una tale condizione interiore non lascia spazio a secondi fini
egoistici e nemmeno a personali concezioni di giustizia. Si narra a
tal proposito nella tradizione sufi di un allievo che ambiva ad entrare
in possesso della più alta conoscenza divina, che gli avrebbe aperto
le porte ad ogni sorta di potere spirituale.
54
Leonardo Vittorio Arena (a cura di), 101 Storie Sufi, Il Punto d’Incontro, Vicenza, 2003.
174
Figura 42 – Il faraone intento ad offrire Maat alla vita, a Dio.
175
umano, dato che di fronte ad una stessa situazione vi potranno essere
molteplici possibilità di azione e, per quanto differenti, ciascuna
impeccabile per quel particolare tipo di microcosmo. Ma è altresì
importante considerare che prendere coscienza della propria Maat
individuale equivale ad aprire anche un canale diretto con la Maat
universale, tanto da non poterle più realmente scindere.
Il Cammino di Maat cerca di risvegliare nell’essere umano la sua
reale facoltà di libera scelta. Mentre il microcosmo risentirà sempre
dell’inclinazione degli astri, esiste la possibilità di rimanerne in un
certo senso neutrali e distaccati, non facendosi turbare da esse ma
trascendendole seguendo le direttive del proprio cuore.
Tale pratica consiste nell’operare ogni giorno affinché siano
perseverate nella vita intorno a sé la coesione, la bellezza e
l’armonia. Ma per fare questo è necessario prendere coscienza di
quelle forze caotiche che lottano per mantenere l’essere umano in
uno stato di sonno e confusione.
L’opposto dell’espressione divina Maat è yspet, in geroglifico
176
Questo termine simboleggia il luogo segreto di ogni generazione,
centro oscuro e nascosto che ospita il potere creativo senza poterlo
però vedere e conoscere, in attesa che esso si possa manifestare
apertamente. Il terzo geroglifico raffigura le braccia in un gesto di
negazione ed impotenza, rivelando così un'altra possibile traduzione
della parola, ossia DISTRUGGERE, nuocere, essere secco, arido;
tutte condizioni cui l’ignoranza conduce.
Ma il suo effetto più deleterio per l’essere umano è ciò che viene
considerato dagli egizi come il peggiore male che può insinuarsi
nell’animo di un individuo, in grado di corroderlo poco a poco fino
ad annullarne ogni vera energia vitale, ogni spiraglio di luce. Si
tratta dell’AVIDITÀ, in egizio aun-yb e in geroglifico
177
mille persone non modificherà di una sola virgola la propria reale
condizione interiore.
Nel tentativo di fare chiarezza accorre in aiuto il simbolismo
adottato dai saggi egizi (figura 31), dove il cuore è rappresentato da
un vaso, una coppa, in altre parole un contenitore. In esso vengono
così posti per legge naturale ogni azione, parola e pensiero,
seguendo un ordine di importanza pari a quello appena riportato.
La condizione umana è caratterizzata da una costante immersione
nei pensieri discorsivi, da rivisitazioni del passato e da
prefigurazioni del futuro, da preoccupazioni, paure, idee,
interpretazioni delle proprie azioni e relative giustificazioni o
colpevolizzazioni. Insomma, non è molto difficile comprendere il
motivo per cui tutte le dottrine spirituali incitano al risveglio, a
vivere realmente il presente, ad aprire gli occhi.
55
Anguttara Nikaya, Il Libro dei Quattro (Dona Sutta).
178
vedere quali azioni, parole e pensieri siano in esso contenuti. Un tale
lavoro, per quanto apparentemente semplice e banale, portato a
livello pratico manifesta non poche difficoltà, date le forti resistenze
cui il proprio orgoglio si trova costretto ad affrontare. Si tratta infatti
di una vera opera di smascheramento di tutte quelle fasulle immagini
di noi stessi, capace di mettere in luce ogni dissonanza tra ciò che
pensiamo e ciò che diciamo, tra ciò che diciamo e come agiamo.
Arduo è il Cammino di Maat, alla portata di tutti ma non per tutti,
esso ci pone di fronte a quel vuoto esistenziale insostenibile ed
insaziabile delle mille distrazioni del mondo. Eppure non vi sono
scappatoie: la consapevolezza necessita di essere coltivata per mezzo
di continue osservazioni, perché solo un tale processo conduce alla
formazione di un preciso organo interiore denominato TESTIMONE
INTERIORE, in egizio tekh e in geroglifico
179
Ogni ricercatore subisce fortemente la tentazione di perdersi nei
particolari, di interpretare ciò che percepisce o di studiare in base a
opinioni emotive o pregiudizi personali, e di considerare assurdo ciò
che momentaneamente gli è inaccessibile. È difficile voltare le spalle
al pensiero razionale, al senso utilitaristico, alla dialettica orgogliosa;
esse confondono la realtà sventolando ipocritamente bandiere
idealistiche o impugnando la logica, là dove il cuore vedrebbe
lucidamente e senza interferenze. Ma una visione di questo tipo
potrebbe apparire cinica se non compresa a fondo.
Un cuore puro non è mosso da sentimenti pietisti o romantici,
così come le sue scelte non si basano sui principi relativi di bene e
male. Egli sa perfettamente quanto dietro a questi due aspetti si
nascondano spesso desideri di ottenere vantaggio e piacere personale
(il bene) contro desideri di allontanare da sé ciò che risulta
svantaggioso e spiacevole (il male).
La caratteristica del cuore è proprio quella di discernere con una
chiarezza ed onestà disarmanti ogni significato illusorio che la mente
e le emozioni tendono ad associare a qualsiasi atto, senza farsi
destabilizzare né corrompere da nulla. Ecco perché il termine che
contraddistingue il cuore nella tradizione indiana è anahata, in
sanscrito
180
Molte consuetudini del giorno d’oggi hanno perso quel reale
significato che tradizionalmente veniva loro assegnato. Pensiamo
alla leggerezza con cui spesso parliamo di altre persone in loro
assenza – il più delle volte per metterle in cattiva luce – senza
considerare l’ampia portata di un comportamento del genere: la
nostra limitatissima e distorta idea della persona in questione diverrà
a tutti gli effetti una malattia psichica infettiva che ruoterà intorno
alla sfera del malcapitato per portare nella sua vita delle inevitabili
conseguenze. Non per esagerazione secondo la tradizione ebraica la
maldicenza è da sempre considerata una colpa superiore a quella
dell’omicidio.
56
Vangelo (Mt 15,10).
181
contraddistingue la tensione verso la purezza, dove l’intento
dell’individuo è ormai saldo nella sua ricerca ma ancora ostacolato
dalle molteplici difficoltà presenti sul Cammino, simboleggiate
dall’alternanza della dualità (la gamba) e dall’idea dei conflitti
interiori che ancora rendono confusa la naturale percezione ed
espressione dell’Essenza (il corno che incrocia l’acqua che sgorga
dalla brocca). Mentre il secondo caso
57
Vangelo (Tm 62; Mt 6,3).
182
impassibile ma attento, rimane ad osservare la pesatura del cuore in
attesa che le condizioni del suo tempio divengano ideali per la salita
al trono.
183
DELLE ENERGIE MATERIALI, il caos delle passioni e dei
desideri in cui si dissolvono i costituenti di un essere umano non
sublimati e spiritualizzati.
Troviamo nella Ruota della Vita buddista (figura 23) un analogo
simbolismo rappresentato nel cerchio interno (figura 43), dove
compaiono un gallo, un serpente e un cinghiale che si rincorrono
ciclicamente, indicando rispettivamente i deleteri difetti mentali
dell’avido attaccamento, dell’ira e dell’ignoranza, fonte di ogni sorta
di sofferenza.
184
disperdendolo nelle energie caotiche del mondo materiale,
l’INFERNO.
È però altresì importante comprendere come questi due luoghi
siano in realtà stati coscienziali, e come l’inferno non corrisponda ad
una condizione definitiva e priva di possibilità di riscatto, tutt’altro!
Esso dovrebbe essere più propriamente considerato come un
PURGATORIO nel quale è comunque sempre offerta la possibilità
di compiere le opportune esperienze per comprendere appieno i
disegni della Grande Opera.
Una toccante storia zen affronta in maniera estremamente
esplicativa il tema del paradiso e dell’inferno.
58
Nyogen Senzaki e Paul reps (a cura di), 101 Storie Zen, Il Punto d’Incontro, Vicenza, 1996.
185
colui che riconosciamo come il principe degli inferi, LUCIFERO,
dal latino luciferus, significa letteralmente PORTATORE DI LUCE.
186
Il regno della duat, dal punto di vista interiore, non è
sostanzialmente differente dal mondo in cui stiamo vivendo ora. In
entrambi i casi coesistono tutte le possibilità di attingere alla Luce o
di rimanere incatenati all’oscurità, nonostante le condizioni vitali
siano per natura fisico-energetica ovviamente differenti.
L’ordine di esistenza dialettico in cui l’essere umano si trova
ciclicamente incatenato include al suo interno sia la sfera materiale,
il campo di vita terrena, sia la sfera RIFLETTRICE, il processo di
passaggio tra la morte di una personalità e la vivificazione di quella
successiva. La duat che conduce al ritorno è a tutti gli effetti uno
specchio – un riflesso appunto – del luogo in cui ora ci troviamo.
Ecco perché nella rappresentazione simbolica viene espressa
all’interno della Creazione come la sua controparte capovolta
(evidenziata con il cerchio nella figura 44). Entrambe le sfere
esistenziali hanno dunque una durata temporanea, ritrovando solo al
centro di esse – nel sole sorretto da Khepry – il nucleo immutabile
ed eterno.
Nell’approfondire più dettagliatamente le regioni della duat
riflettrice, si può osservare come esse siano simbolicamente ben
caratterizzate e distinte le une dalle altre, affinché ciascuno possa
riconoscere in se stesso la relativa affinità e dunque il proprio grado
di liberazione.
I saggi egizi evocavano tali ambienti interiori tramite
raffigurazioni di ambienti naturali, offrendo in tal modo immagini
familiari agli esseri umani nel tentativo di far comprendere concetti
astratti incomunicabili in altri modi. Ad esempio, le rappresentazioni
di laghi o corsi d’acqua esprimono l’idea di galleggiare sopra di essi
nell’attesa di ulteriori trasformazioni, così come le isole esprimono
la stabilizzazione di certi stati, oppure come i campi paludosi nei
quali è sempre possibile ricercare il giusto nutrimento per far
germogliare ed emergere come un loto la propria Essenza.
Una di queste regioni è seket yaru, in geroglifico
187
miraggi del deserto, pur sembrando reali, non sono altro che
immagini fittizie, proiezioni della propria mente, così anche le scene
presenti nell’oasi dei giunchi sono illusorie.
188
Per comprendere meglio questa sfera esistenziale occorre
delineare un nuovo aspetto dell’essere umano, giacché i suoi abitanti
sono esseri comunemente conosciuti con il nome di FANTASMI, in
egizio shut o khaibit e in geroglifico
189
marginale e non più tirannico, limitandosi unicamente alle sue
affinità terrestri.
190
dell’ego, dominati dalle tendenze tiranniche del proprio ka inferiore,
fanno di tutto per moltiplicare e tenere legati a sé i propri compagni
di schiavitù.
Esiste poi un’altra località all’interno del regno della duat, ossia
il seket hotep, in geroglifico
191
192
Il nuovo Egitto
Attraverso le ere
193
Figura 46 – Il toro sacro a Ptah.
194
Figura 47 – Il dio Amon.
195
ossirinco a preservarne l’organo genitale dopo la frammentazione,
permettendo così una rinascita a nuova vita del Cristo-Horus.
196
prospettiva non possiamo non considerare le sue ultime parole in
conclusione al vangelo di Matteo:
Ed ecco: io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine dell’età
presente.59
Il termine età presente si può tradurre come eone, aeon dal testo
originale greco.
59
Vangelo (Mt 28,20).
197
porta con sé ancora le tracce di quello precedente, così gli anni che
volgono al termine contengono già i semi di quello futuro.
Per molte correnti tradizionali infatti – alcune basandosi su
calcoli astronomici effettuati sulla piramide di Giza – l’anno 2001
sarebbe proprio coinciso con una sorta di prima inaugurazione della
nuova epoca, un primo decisivo input di trasformazione, un punto di
non ritorno.
È opportuno inoltre considerare come molti scenari apocalittici
contenuti nei testi sacri non siano solo espressione di calamità e
catastrofi, ma anche simbolo di rinascita e presa di coscienza di
nuove realtà. La parola APOCALISSE trae infatti il suo significato
dal greco apokalypsis, letteralmente RIVELAZIONE, un concetto
estremamente lontano dalla consueta e fuorviante accezione del
termine.
L’eone di Maat
198
tutta la potenza creatrice. L’era dei Pesci che volge al termine è
contraddistinta da:
199
corrisponde ad un messaggio spirituale introdotto alcuni anni
prima dall’opera di Alessandro conte di Cagliostro, la cui eccelsa
figura è stata nel tempo confusa – forse volutamente – con un
ciarlatano di nome Giuseppe Balsamo. Il vero Cagliostro girò invece
le diverse corti europee dell’epoca per promuovere una
trasformazione di pensiero nel tentativo di restituire maggiore
dignità all’essere umano, senza ostentare le sue doti alchemiche ma
mettendole instancabilmente al servizio delle classi più deboli,
operando guarigioni ed elargendo sostentamenti economici per i
poveri.
Stante alle testimonianze storiche, la sua vita e il suo influsso
spirituale non appaiono per nulla differenti dall’opera svolta da Gesù
circa 1800 anni prima. Il pensiero di Cagliostro influenzò
positivamente moltissime persone del suo tempo, inaugurando un
mutamento culturale, filosofico e sociale decisamente significativo.
Lui stesso – come peraltro presagì – fu l’ultima vittima
dell’inquisizione che per molti secoli dominò incontrastata in
Europa.
Ma le debolezze e le cupidigie umane sono sempre in agguato ed
anche in questo caso, a fianco di un risveglio di coscienza, il suo
messaggio di rivoluzione interiore si prestò facilmente ad essere
utilizzato come alibi per una rivoluzione di fatto anche esteriore, e
poco dopo la sua morte venne affiancato al sopracitato motto
un’appendice: nessuna libertà per i nemici della libertà. A ciascuno
dunque la facoltà di effettuare opportune riflessioni in merito.
Giungendo infine al giorno d’oggi, l’impulso spirituale veicolato
dall’eone di Maat è simboleggiato nel motto:
200
FAI CIÒ CHE SEI
La comprensione dell’Amore
201
L’amore è l’inconoscibile. Lo si può incontrare solo quando
il conosciuto viene capito e trasceso. C’è amore solo quando
la mente è libera dal conosciuto. Per questo dobbiamo
accostarci all’amore mediante la negazione, non mediante
l’affermazione. Che cos’è l’amore per la maggior di noi? Nel
nostro amore c’è possessività, un senso di dominazione o di
sottomissione. Dal bisogno di possedere nascono la gelosia, il
timore di perdere quello che amiamo e così promulghiamo
delle leggi per difendere questo nostro senso di proprietà. È il
bisogno di possedere che scatena la gelosia e gli infiniti
conflitti che tutti noi conosciamo bene. Ma questo non è
amore. L’amore non è sentimentalismo. Sentimentalismo ed
emotività impediscono l’amore.60
60
Jiddu Krishnamurti, Il libro della vita, Aequilibrium, Milano, 1997.
61
Vangelo (Lc 9,61).
202
Per esempio, un ulteriore aspetto viene meravigliosamente
evidenziato dalle lettere che compongono la parola amore in ebraico,
generalmente letta come ahavà, scritto
203
del mondo e dell’essere umano, riflettevano la luce solare e
diffondevano un chiarore abbagliante.
Un’altra palese distorsione storica ad esse correlata è il fatto di
ritenere che la loro costruzione sia stata effettuata ad opera di
schiavi. Diverse testimonianze dimostrano al contrario come gli
operai di quei tempi fossero tutti mastri artigiani estremamente
preparati nell’arte dell’architettura sacra, la quale non sarebbe quindi
potuta essere delegata nelle mani di persone impreparate, sfruttate o
maltrattate.
I complessi piramidali avevano una precisa funzione rituale di
iniziazione rivolta ai vivi, e il loro scopo era quello di condurre
l’individuo a contatto diretto con i neter o, meglio, con il Neter
Neteru. Ecco il motivo per cui tali costruzioni sono generalmente
accompagnate da piccoli templi di purificazione attraverso i quali
era necessario passare prima di procedere oltre.
Anche la presenza nella loro sala centrale di un SARCOFAGO,
in egizio neb-ankh e in geroglifico
L’arte di ascoltare
204
quotidianità, per comprendere finalmente qualcosa in più di noi
stessi?
A quale illusorio stato di consapevolezza potrebbero mai portare
anni e anni di studio esoterico se giunti di fronte ad un nostro simile
non fossimo in grado di ascoltarlo con semplicità per instaurare una
sincera relazione con lui?
Ogni disciplina, ogni sistema oracolare o divinatorio, sono stati
originariamente offerti all’essere umano con il preciso obiettivo di
condurlo oltre i limiti che lo imprigionano, anche se spesso tali
insegnamenti vengono utilizzati come nascondiglio per le proprie
insicurezze o come stratagemmi spirituali per realizzare i propri fini
egoistici. La riprova della validità di ogni percorso intrapreso non
potrà che riflettersi nella capacità di vivere pienamente e
profondamente la vita in mezzo agli altri, attraverso le difficoltà
quotidiane che costantemente mettono in gioco il proprio modo di
relazionarsi con chi ci circonda.
Chiunque di noi potrebbe col tempo raggiungere la facoltà di
materializzare oggetti o polveri, di leggere nel pensiero, di parlare
con entità sottili e conoscere a memoria tutti i testi sacri del mondo;
ma se il proprio atteggiamento verso la vita e il prossimo rimarrà
invariato – mosso da aspettative ed ambizioni – tutto sarà stato vano.
Ecco perché l’Insegnamento Universale pone l’importanza delle
discipline che lo veicolano come secondaria in relazione alla
necessità di prendere coscienza di sé nel quotidiano.
Generalmente il nostro flusso di pensieri occupa tutto, ma proprio
tutto, e non v’è spazio per nulla. Poco importa se il tema portante di
questo ininterrotto caos mentale sia di natura materiale o spirituale.
Fino a quando non saremo in grado di volgere la nostra attenzione al
mondo e a noi stessi da una prospettiva più ampia, più profonda,
allora continueremo ad essere niente o, meglio, illusi di essere tutto.
Senza rendercene conto, le paure insinuate nei recessi del nostro
animo continueranno a governarci la vita, come binari prestabiliti e
rigidi nel bel mezzo di una splendida e vastissima prateria che non
aspetta altro che essere esplorata e vissuta in tutti i suoi angoli. Gli
antichi saggi erano a conoscenza di questa condizione umana, e ben
sapevano come il fondamento su cui poggia e si mantiene in vita
l’ignoranza sia la PAURA, in egizio sened e in geroglifico
205
raffigura un volatile – un’oca pronta per la cottura – il cui
cadavere è spogliato di tutti gli elementi in movimento, a
simboleggiare come la paura blocchi completamente il corso della
vita. Tale significato diviene ancora più evidente se consideriamo
che l’immagine dell’oca viva era utilizzata per veicolare il concetto
di essere ben equipaggiati, forniti di tutto il necessario; dunque
un’oca morta e spiumata è l’INANIMAZIONE per eccellenza,
l’annichilimento degli impulsi vitali, l’immobilità esperienziale che
si contrappone alla crescita, al mutamento, alla trasformazione
alchemica.
E sono proprio le paure infatti a tenerci ancorati alle nostre
certezze, confinati in una piccola sfera vitale colma di ansie e
preoccupazioni che non lasciano quasi mai spazio ad una reale
comprensione di se stessi e degli altri. Sì, perché anche dietro le
eccessive apprensioni per familiari e amici si annidano spesso
personalissime idee ed aspettative, pur mascherate da una coltre di
pensieri altruistici.
Privi della consapevolezza di questo mal celato caos interiore,
come potremmo mai illuderci di conoscere realmente le persone con
cui ci relazioniamo quotidianamente? Come potremo mai seriamente
pensare di raggiungere un contatto con Dio?
62
Jiddu Krishnamurti, Il libro della vita, Aequilibrium, Milano, 1997.
206
e il cuore e stordisce inconsapevolmente la mente, bensì di un
ascolto attivo, silenziosamente presente e sinceramente aperto verso
la comprensione e la condivisione della sfera vitale altrui.
Un solo attimo di lucidità potrebbe infatti sconcertare l’assodata
convinzione di essere in grado di instaurare veritieri rapporti sociali
e familiari. Le parole altrui non vengono generalmente mai accolte
per quello che tentano di veicolare, ma vengono istantaneamente
soppesate e valutate in base a personalissimi parametri.
Così come nella Torah il concetto di ricordare è considerato una
chiave di volta, negli Insegnamenti di Ptah-Hotep assume un
medesimo valore il concetto di ascoltare:
63
Gli Insegnamenti di Ptah-Hotep (XXXIX, 534).
207
La nostra epoca ha assistito negli ultimi decenni ad un
rapidissimo ed inimmaginabile interscambio di culture, filosofie e
religioni, tale da potersi attualmente definire a tutti gli effetti come
un villaggio globale. La tecnologia nei trasporti ha favorito la
possibilità di muoversi con grande facilità all’interno del pianeta,
così come gli sviluppi in ambito informatico hanno permesso di
comunicare istantaneamente – privatamente o pubblicamente – da
qualsiasi parte ci si può trovare nel mondo.
Ma questo tipo di progresso non deve essere frainteso con
un’evoluzione di consapevolezza. Possiamo infatti constatare quanto
siano ancora ben presenti e radicati tutti i limiti e le debolezze che
contraddistinguono l’essere umano. Di guerre ed ingiustizie è pieno
il mondo, e a nulla sembra esser valso ogni sforzo e sviluppo
tecnologico in tal senso.
Osservando le condizioni di vita attuali dell’essere umano in
generale, possiamo riconoscere forse un miglioramento sul piano
della comodità ma non certamente sul piano della serenità. I
malumori esistenziali continuano ad essere ben presenti dentro
ciascuno di noi, e in alcun modo potrà aiutarci ogni sorta di
benessere o ricchezza esteriore. È proprio la negazione di questa
realtà che continua a mantenere in vita le moltitudini di conflitti in
cui ci ritroviamo, sia a livello macrocosmico che microcosmico.
64
Jan van Rijckenborgh, La Gnosi nella sua manifestazione attuale, Edizioni Lectorium
Rosicrucianum, Milano, 1991.
208
Non vi è nulla di aleatorio, di teorico, di psicologico o filosofico
nel decidere di trasferire la propria attenzione dal mondo esteriore
all’universo interiore, senza far sì che una tale scelta possa divenire
una fuga dai propri doveri quotidiani, ma al contrario un modo per
comprenderli, per viverli profondamente e pienamente, in altre
parole, consapevolmente.
Una rivoluzione del genere implica una viscerale maturazione,
dove non vi sarà più spazio per infantili sensi di colpa od alibi
spirituali con cui giustificare le proprie negligenze verso i doveri del
mondo in cui si vive. Al contrario ogni aspetto esistenziale sarà
curato nei minimi dettagli, e tutto quell’immenso spazio prima
occupato da ansie, preoccupazioni ed aspettative, sarà colmato da un
sincero interesse verso la vita e i propri simili.
Il grosso problema è che non esiste cammino esente dal pericolo
di essere adattato e comodamente interpretato in base ai propri
specifici limiti e restrizioni mentali. Colui che non ha mai visto il
mare ma sogna di raggiungerlo, potrà facilmente lasciarsi abbattere
dalle avversità ed accontentarsi di contemplarne ogni tanto un
dipinto. Ma un disegno – per quanto ricco di particolari – non potrà
mai contenere al suo interno l’immensità dell’oceano.
Così è il cercatore di fronte alle diverse dottrine nate con
l’obiettivo di condurlo oltre il suo involucro egoico, fino a farlo
attingere ad una sorgente indecifrabile per il pensiero ordinario.
Eppure è proprio la mente dialettica a rimanere spesso affascinata e
quindi vincolata dalla teoria piuttosto che dalla pratica, ricadendo
nuovamente all’interno di un’altra gabbia, per quanto
apparentemente più comoda ed affascinante. Non dobbiamo mai
dimenticare che il dito che indica la luna non è la luna.
209
la scoperta”. Dopo una breve pausa, aggiunse: “Come vedi,
non c’è da preoccuparsi!”65
65
Leonardo Vittorio Arena (a cura di), 101 Storie Sufi, Il Punto d’Incontro, Vicenza, 2003.
66
Bibbia, Deuteronomio 30, 11-14.
210
tradizione, giacché la diversità dello stile di vita era decisamente
marcata, sia per qualità di pensiero che per struttura fisico-organica
degli individui.
Oggi una visione di questo tipo sta divenendo contraddittoria se
paragonata alla realtà che ci ritroviamo a vivere. Gli interscambi di
usi e costumi culturali e religiosi stanno ormai permeando l’intero
globo, e solo alcune sperdute tribù africane, aborigene o
amazzoniche possono forse considerarsi ancora al di fuori di questa
compenetrazione. Possiamo infatti constatare come differenti
correnti esoteriche di matrice cristiana, induista, sufi, buddista,
taoista ed altre ancora, siano presenti come focolai sparsi in tutti i
paesi del mondo.
Ora più che mai vibra nell’aria la necessità di riportare allo
scoperto quel messaggio universale che pulsa come un cuore nel
corpo di ogni insegnamento: la verità di se stessi, di come si è, dei
propri limiti e delle proprie potenzialità, di quanto sia in realtà
spenta la nostra vita ma di come esista la possibilità di
rivoluzionarla, di trasformarla in qualcosa di creativo, di
effettivamente spirituale.
Nel fare questo ognuno potrà scegliere il simbolismo che meglio
lo aggrada per “arredare” il proprio spazio interiore, che meglio gli
si confà, con cui sente maggior sintonia e grazie al quale riuscirà ad
attingere con maggior intensità a quella forza in grado di spronarlo
oltre il muro delle proprie radicate certezze e cristallizzate abitudini.
Non esiste una strada più spirituale di un’altra! Potrà solo esistere
una maggior onestà e sincerità nel modo di perseguirne gli
insegnamenti, ma ciò non potrà mai sostituirsi all’impegno
personale, alla propria umile predisposizione ad accogliere i
messaggi che si celano dietro ogni angolo nella vita. Cosicché
possono esistere perfetti cristiani, ebrei, induisti, musulmani o
buddisti senza nulla conoscere delle suddette tradizioni; o perfetti
studiosi e conoscitori di tali dottrine senza per questo viverle
minimamente.
211
noi. Chiunque infatti vi dia da bere un bicchiere d’acqua nel
mio nome perché siete di Cristo, in verità vi dico che non
perderà affatto il suo salario.67
67
Vangelo (Mr 9,1).
212
Non si tratta qui di offerte intese come sacrifici dolorosi od
immani sforzi contro natura, ma semplicemente di un donare se
stessi esattamente per quello che si è, secondo il principio fai ciò che
sei, oltre le maschere, le illusioni, le avidità, insomma, oltre tutto ciò
che opprime e soffoca la libertà di lasciare spazio a quell’espressione
horusiana che giace in noi. Per questo motivo i raggi divini
“ricambiano” simbolicamente i suoi figli con l’ankh (figura 52), la
chiave per divenire padroni del proprio destino ed accedere a quel
regno interiore eterno, immortale.
68
R.A. Schwaller de Lubicz, Insegnamenti e scritti inediti, Mediterranee, Roma, 2008.
213
214
La ricerca di Ak-Yb-Ka
V.
L’ADDIO
215
attraverso il sangue. Sì, ora era realmente pronto. Si inginocchiò,
alzò le mani al cielo e lasciò parlare il suo cuore:
216
poiché non esiste arma più potente dell’Amore.
Così io so pregarti,
così io so amarti.”
Si alzò, aprì gli occhi, e vide che di fronte a lui non vi era più
solo il suo maestro, ma il faraone, i saggi della Scuola e i suoi
compagni. Tutti lo guardavano colmi di gioia. Hem-Ba li abbracciò
uno per uno teneramente, sussurrò infine una parola a colui che lo
aveva accompagnato fino a quel giorno, poi si girò, e si abbandonò
nell’ignoto della vita, cullato dalle onde del tempo.
217
218
Conclusione
69
Leonardo Vittorio Arena (a cura di), 101 Storie Sufi, Il Punto d’Incontro, Vicenza, 2003.
219
spirituale dell’antica tradizione egizia, René Schwaller de Lubicz. Le
toccanti parole che seguiranno furono da lui rivolte a sua moglie
Isha poco prima di morire, e rappresentano allo stesso tempo un
omaggio in suo onore ed un monito per tutti i sinceri cercatori:
Ora vedo il suo gioco: egli è stato mio nemico per tutta la mia
vita... non lo credevo così feroce! Sapevo che egli era
l’ostacolo, ma non avevo riconosciuto tutti i suoi inganni,
tutte le forme che egli ha potuto prendere per deviarmi dal
cammino... È terrificante, Isha! Vorrei che tu potessi vederlo,
anche tu, per poter insegnare agli altri a liberarsi delle proprie
paure… Perché è lui, vedi, è lui, il Mentale, che crea la
paura… e tutti i nostri dubbi, i nostri spaventi… […]
Guarda, Isha: tu vedi come me, ora, il Reale… Vedi che è
impossibile da descrivere… impossibile da spiegare!... Ma io
te lo faccio vivere perché tu possa affermarlo, ed anche
portarvi coloro che oseranno accettare di lasciare tutto per
porsi in comunione in questo Reale…70
70
R.A. Schwaller de Lubicz, cit. in Massimo Marra, R.A. Schwaller de Lubicz. La politica,
l’esoterismo, l’egittologia, Mimesis, 2008.
220
Bibliografia
Book of the Dead (a cura di E.A. Wallis Budge), Kessinger Publishing, United
States.
Bonder Nilton, La teoria della felicità economica, Sperling & Kupfer, Milano,
1999.
221
Mails Thomas E., Fools Crow: saggezza e potere, Il Punto d’Incontro, Vicenza,
2001.
Pabonka Rimpoche, La Liberazione nel palmo della tua mano, Chiara Luce
Edizioni, Padova, 2003.
Zenji Dogen, Shobogenzo, Editrice Pisani, Isola del Liri (FR), 2003.
222
L’autore può essere contattato al seguente indirizzo mail:
joannes.yrpekh@virgilio.it
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