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Non vivere nell’ansia

Edvard Munch, L’ansia, 1894, Oslo, Munch Museum

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Nell’arte di Munch c’è un’indagine della realtà, filtrata è rappresentata attraverso
i suoi stati d’animo. La dolce malinconia Romantica ormai è un ricordo, nell’arte del
norvegese l’uomo è solo in una natura ostile e indifferente. Nel mondo dell’artista
non c’è spazio per la speranza, ma solo per l’angoscia e la paura.
In fondo un’opera d’arte è un mondo sommerso fatto di tecnica e sentimenti70, e
Munch è un maestro nel rappresentare la sua ansia e la sua angoscia. Disse infatti
“non si possono più dipingere interno con uomini che leggono e donne che lavorano
a maglia. Si dipingeranno esseri viventi che respirano e sentono, soffrono e amano”.
Munch non ebbe una vita facile, ma piena di lutti (la morte della madre e della
sorellina lo segneranno profondamente) e il suo male di vivere lo racconterà nella sua
arte, con una straordinaria tecnica, anticipando l’uomo angosciato del Novecento.
L’artista aveva disturbi psicopatologici, ed era affetto probabilmente di agorafobia e
acrofobia, che lo porteranno a dipingere uno dei quadri più celebri dell’arte, il famoso
Urlo. L’ansia è un’opera straordinaria per conoscere le paure dell’artista: solo grazie
alla sua arte riuscì a convivere con i suoi demoni e le sue angosce. L’opera fa parte
del ciclo Il Fregio della vita: Poema sulla Vita, l’Amore e la Morte che Munch dipinse
tra il 1893 e il 1900, esposto per la prima volta a Berlino nel 1902 e lo sfondo della
composizione (il fiordo di Christiania, o Kristiania, oggi nota come Oslo) è identico
al suo celebre Urlo. Ma qua il protagonista non è l’artista ma un gruppo di persone:
sono prive di emozioni, tutte uguali, con i loro visi assenti e gli occhi spalancati. Nella
loro vita portano una maschera, amano e desiderano le stesse cose, rappresentano la
banalità del quotidiano della società borghese. Loro, l’urlo disperato di Munch non
possono sentirlo, sono burattini della società persi nella loro inutile quotidianità.
La pittura di Munch affascina, è come per la Divina Commedia dove attrae più
l’inferno del paradiso, l’arte per il norvegese è una terapia per la sua anima malata e
racconta una solitudine lacerante, e un’umanità alienata dalla società. L’arte può
diventare un ancora di salvezza e un aiuto nelle nostre esistenze eliminando la
finzione e restituendoci la realtà. Quanto alle maschere è vero che quando nella vita
di un uomo si cominciano ad accumulare gli anni, ognuno finisce con l’aver assunto
quasi tutte le facce possibili in commedia; basta interpellare un numero abbastanza
ampio di testimoni71. È naturale, ma non dobbiamo però alienarci o identificarci in
una maschera. A volte infatti ci creiamo un personaggio fino a quasi identificarsi con
esso e non c’è niente di più sbagliato nell’esistenza. Il teatro della vita invece chiede
di affrontare la quotidianità con occhi sempre nuovi.
Cerca di non vivere nell’ansia e combatti le tue paure.

70Carlo Vanoni, A piedi nudi nell’arte, Una passeggiata alla scoperta dei capolavori antichi e moderni,
Solferino editore, Milano, versione Apple Books, p.27.
71 Antonio Franchini, Cronaca della fine, Marsilio editore, Venezia, 2003, versione Kindle, p. 523.

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