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IL FALLIMENTO
PERFETTO
Le carte segrete, i protagonisti,
i retroscena dell’inchiesta
sulla vendita dell’Italsider,
il crac dello stabilimento Omsav
e l’operazione immobiliare
della Darsena di Savona.
viennepierre • edizioni
D edicato a tu tti coloro
che cantano fu o ri d a l coro.
IL FA LLIM EN TO
PE R FE T T O
Le carte segrete, i protagonisti,
i retroscena dell’inchiesta
sulla vendita dell’Italsider,
il crac dello stabilimento Omsav
e l’operazione immobiliare
della Darsena di Savona.
viennepierre • edizioni
PREFAZIONE
Giorgio Galli
Introduzione
1. Italsider addio
2. Omsav, la fabbrica dimezzata
3. L’assalto degli immobiliaristi
4. La “dote” dell’Uva
5. Irrompe Orsa 2000
6. La crisi Omsav e l’inchiesta
7. Case e alberghi al posto dell’industria
8. Gli imprenditori escono alla scoperto
9. La Cgil trova casa
10. La procura stringe i temi
11. Il valzer delle quote
12. L’ultimo verbale della Digos
Conclusione
Postfazione
INTRODUZIONE
Fra il 1993 e i primi mesi del 1996 la procura della Repubblica di Savona condusse
un’inchiesta sul fallimento della fabbrica siderurgica Omsav che aveva acquistato lo
stabilimento Italsider ormai in liquidazione, insediandosi sulle prestigiose aree
affacciate alla vecchia darsena, tra il porto e la fortezza del Priamàr. La Digos prima e
il procuratore capo Renato Acquarone in un secondo tempo, ascoltarono alcuni
imprenditori protagonisti della vicenda, come persone informate sui fatti. Mentre due
consulenze tecniche, commissionate sempre dalla procura, gettavano ombre sia sulle
vicende che portarono FOmsav al tracollo nell’arco di due anni e mezzo, sia sulla
congruità del prezzo al quale la società immobiliare Orsa 2000 aveva acquistato
dall’Uva i terreni in quel momento occupati dalla fabbrica. La magistratura sospettava
che il fallimento fosse stato pilotato per spianare la strada all’operazione immobiliare
su aree che nel frattempo cambiavano destinazione d’uso secondo i desiderata degli
imprenditori-proprietari: da zona industriale a zona turistico-residenziale. Allo stesso
modo gli inquirenti ritenevano strano l’atteggiamento di favore che lo Stato,
attraverso l’Uva, aveva riservato ai nuovi proprietari dello stabilimento, prima con la
cessione della fabbrica a prezzo di saldo, poi con generose elargizioni di denaro
pubblico. Circostanze che illusero per un po’ gli investigatori di poter giungere,
attraverso quelle indagini, a smascherare un sistema politico-affaristico esteso e ben
radicato in città.
Ma l’inchiesta ebbe decisamente poca fortuna. Abbandonato da Acquarone
nell’estate del 1996, quando il magistrato venne promosso alla Corte di Cassazione, il
fascicolo Omsav finì inspiegabilmente dimenticato nei meandri del palazzo di
giustizia. Qualche funzionario zelante si ricordò della sua esistenza, solo per
distruggerlo, cinque anni più tardi, come prevede il Regolamento per l’esecuzione del
codice di procedura penale. E’ il destino assegnato ai fascicoli iscritti al cosiddetto
registro anonimi. In effetti, proprio da un esposto anonimo, estremamente
circostanziato, era scaturita l’inchiesta della procura.
Le annotazioni della polizia di Stato attraverso le quali racconto in questo volume un
piccolo ma credo significativo frammento di storia di Savona sono, dunque,
probabilmente l’unica testimonianza rimasta di quei tre anni di indagini incompiute.
Svelano i nomi di tutti i protagonisti della vicenda, i loro movimenti all’interno di
società simili a scatole cinesi, le trattative, i passaggi di quote, i retroscena. I verbali
riportano inoltre le dichiarazioni rese dagli imprenditori agli inquirenti. E proprio
questi colloqui rappresentano forse la parte più interessante, più viva del lavoro. Il
lettore vi troverà nomi ancora oggi di primissimo piano nella realtà economica
savonese.
Se sotto il profilo giudiziario questi atti non hanno più alcuna rilevanza, conservano
intatto il loro valore storico. Hanno infatti il merito di aver portato alla luce
l’intreccio tra politica e affari che tornò ad essere in quegli anni il tratto distintivo di
Savona, a meno di un decennio di distanza dallo scandalo-Teardo e in concomitanza
con la Tangentopoli milanese.
La prospettiva di grandi speculazioni immobiliari era il collante che teneva insieme
gli interessi di facoltosi imprenditori locali, amministratori pubblici, partiti (il Pds in
prima fila) e cooperative rosse. Tutti uniti in una specie di rapporto osmotico al quale
non si sottrassero neppure i sindacati. C’era un gruppo di potere che marciava in
un’unica direzione, con un unico obiettivo: realizzare affari utilizzando come pretesto
la riqualificazione urbanistica del quartiere del porto antico. L’Italsider prima e
l’Omsav dopo erano gli ostacoli da rimuovere. L’operazione riuscì a tempo di record.
Quello dell’Omsav, in particolare, fu un fallimento perfetto. Consumato nell’arco di
pochi mesi come era negli auspici di chi aveva messo gli occhi sulle aree industriali,
immaginandovi palazzi affacciati alla darsena.
Ne uscirono senza ferite i soci, per alcuni dei quali, anzi, il tracollo della fabbrica aprì
appunto la prospettiva di una lucrosa operazione immobiliare. Limitarono i danni gli
stessi lavoratori che furono o ricollocati o prepensionati, in alcuni casi con cifre
generose. E così salvarono la faccia pure i sindacati e le istituzioni. Le tensioni sociali
si limitarono ad alcuni cortei di fronte all’Unione Industriali, alla Prefettura, e a
qualche animato consiglio di fabbrica. Poco o nulla, se si pensa che la parabola
dell’Omsav chiudeva una stagione della storia economica della città, legata alla
grande industria (in quegli anni falliva anche la Metalmetron lasciando a casa oltre
cento lavoratori), senza aprire nuovi scenari di sviluppo, se non immobiliare. Savona
era in mezzo al guado. Priva di chiare prospettive economiche e con un tessuto
sociale contaminato da rapporti clientelari che sacrificavano l’interesse collettivo a
quello, particolare, di un gruppo di potere che da lì in avanti avrebbe spadroneggiato
in città.
ITALSIDER ADDIO
La condanna a morte della grande industria a Savona viene sancita il 29 ottobre del
1990 con il passaggio di proprietà dell’Italsider, in liquidazione, dal gruppo Ilva
all’azienda privata Omsav. Ma quella fredda giornata d’autunno nessuno ne ha la
consapevolezza. Per l’opinione pubblica la firma nell’ufficio del notaio genovese
Umberto Morello rappresenta, anzi, la resurrezione di una fabbrica che negli anni
Cinquanta garantiva 4 mila posti di lavoro, e con la quale la città aveva vissuto per un
secolo e mezzo in simbiosi, ma che era stata definitivamente cancellata dalla mappa
dell’industria di Stato. Si chiude un’epoca, un capitolo di storia legata all’Uva e alle
Partecipazioni statali. La siderurgia pubblica, nel contesto di un piano di
ridimensionamento a livello nazionale, dismette lo stabilimento di corso Mazzini 3.
Pochi mesi prima di quel 29 ottobre, nella sede dell’Unione Industriali di Savona, si
era consumata l’ultima resistenza di un gruppo di lavoratori contrari all’accordo per il
passaggio di proprietà dello stabilimento, che i sindacati stavano siglando con un pool
di industriali savonesi rappresentati dagli imprenditori Pietro Guglielmone e
Gianfranco Roselli. A metà pomeriggio del 15 giugno, completata l’illustrazione del
piano industriale, Gaetano La Rocca, delegato di fabbrica per Cgil, già da qualche
mese in cassa integrazione, esponente di Lotta comunista, si rifiuta di firmare il
documento. E’ uno “strappo” inatteso. Romano Pintus (Cisl) e Marco Pozzi (Uil)
saltano sulla sedia. Avevano già la penna in mano. Guglielmone non batte ciglio. La
delegazione della Cgil chiede la temporanea sospensione dell’incontro. Si appartano.
La Rocca, il segretario provinciale della Fiom Renato Viazzi, Gioacchino Stelvio,
Marcello Penner, Silvano Ulivi, Andrea Rombolà. La tensione è altissima. <Cristo!
Dobbiamo trattare ancora, non possiamo accontentarci di questo straccio di piano.
Non mi convince...non mi convince>, protesta La Rocca. <Gaetano, non possiamo
permetterci di tirare troppo la corda con questa gente - gli risponde Viazzi -. Oggi
stiamo scegliendo il male minore. Se ci mollano loro è finita>. Ma La Rocca insiste:
<Trattiamo, trattiamo ancora>. Gli altri ascoltano in silenzio.
Viazzi capisce che non è il momento di forzare la mano. Torna da Guglielmone e
Roselli e spiega che la riunione va aggiornata alle sera perché lui ha un altro impegno
sindacale. Lascia l’Unione Industriali con Pozzi e Pintus che ancora sulle scale
cercano invano di fermarlo: <La firma, prima la firma>. Penner e Rombolà
approfittano della pausa per recarsi in fabbrica. Vogliono illustrare la proposta dei
privati, sentire l’umore dei colleghi. La maggioranza è per chiudere: <Va bene
l’Omsav. Alternative non ce ne sono e se scappano questi siamo morti. Firmate>. La
riunione riprende in prima serata. Si tratta ancora sugli organici, si definiscono altri
dettagli minori, si discute ancora all’interno della folta delegazione della Cgil, ma si
capisce che il clima è cambiato rispetto a poche ore prima. Ora c’è la volontà di
trovare un’intesa. Le firme arrivano intorno alle due del mattino. Non ci sarà quella di
La Rocca.
Ai privati il 70 per cento delle azioni della nuova società di gestione. L’Ilva tiene per
sé il 30 per cento. L’azienda cambierà anche produzioni e cederà al porto 20 mila
metri quadrati di aree. Altri 33 mila verranno dismessi dall’attività produttiva che <si
concentrerà su 102 mila metri quadrati, interamente in concessione>, si legge
nell’accordo.
Per l’ex Italsider sembrano aprirsi nuove prospettive. Il piano di investimenti prevede
l’impiego di risorse per 21,5 miliardi fino al 1995 e 429 dipendenti, 105 dei quali già
in cassa integrazione, ritrovano la speranza di conservare il posto di lavoro.
All’apparenza è un buon risultato. Un successo della politica e dell’imprenditoria
locali. Un successo del Comune, guidato dal sindaco Armando Magliotto (Pei),
dell’Amministrazione provinciale rappresentata nella lunga trattativa con i nuovi
proprietari dal vicepresidente e assessore all’urbanistica Lino Alonzo (Pei), dei
senatori savonesi Giancarlo Ruffino (De) e Umberto Scardaoni (Pei) e dell’Unione
Industriali. Senza dimenticare il ruolo decisivo dei sindacati, abili a mediare con
quella parte del consiglio di fabbrica contraria all’accordo.
Magliotto si assume il ruolo di garante dell’operazione. Oltre ad essere il sindaco
eletto da pochi mesi con ampi consensi (anche dal mondo imprenditoriale), è uno fra i
più autorevoli esponenti della sinistra ligure. Ex segretario della Camera del lavoro,
ex segretario provinciale del Pci-Pds, presidente della giunta regionale per una breve
stagione, grande comunicatore, tiene abilmente le fila della trattativa tra imprenditori
e sindacati. E’ un momento delicato, questo, per Savona. La politica locale deve
ancora scrollarsi di dosso il fango della tangentopoli “firmata” dal socialista Alberto
Teardo, il presidente della Regione arrestato nel 1983 insieme ai principali dirigenti
del suo partito, e successivamente condannato per associazione a delinquere. La
“questione morale” è evocata in ogni dibattito, è vissuta dai savonesi come punto
fermo dal quale ripartire. Pds e De, seppure non direttamente coinvolti nello
scandalo, sentono comunque la responsabilità di aver accettato i metodi teardiani in
cambio di vantaggi elettorali e politici. Il Psi, da parte sua, cerca di ricostruirsi
un’immagine ripartendo da quei pochi uomini usciti indenni dalla tempesta. A
Magliotto il compito di costruire proprio con i socialisti e i repubblicani un governo
pulito, credibile. Impresa difficile, perché la trama politico-affaristica resiste, seppure
sotto traccia e con sembianze mutate. E poi Magliotto, per i suoi trascorsi di
contiguità con il partito socialista di Teardo, può essere considerato tutto meno che
l’uomo del rinnovamento. Una parte della sinistra lo considera, anzi, il sindaco della
“restaurazione”. Un politico di valore, certamente, ma che non chiude con il passato.
Questo il clima politico i cui si gioca la delicata partita del futuro dell’ex Italsider.
A fine ottobre del ’90, dunque, una società per azioni savonese è pronta ad accollarsi
il fardello di quella che fu una grande industria siderurgica oggi considerata non più
strategica dall’Ilva. La ciambella di salvataggio si chiama Omsav, Officine
meccaniche savonesi. Dietro Tacronimo, tre gruppi privati: la Sicma srl che detiene il
67 per cento delle quote, la Sofin spa proprietaria del 30 per cento e la Cormin seri
con il restante 3 per cento. La Sicma è a sua volta di proprietà dell’imprenditore
lombardo di aziende meccaniche Pietro Guglielmone (39 per cento), del Consorzio D
& B impianti (39 per cento) di cui è presidente e consorziato di maggioranza il
presidente dell’Unione Industriali di Savona Aldo Dellepiane, della Sima spa (16 per
cento) di cui è presidente Mario Malacalza, e di Gianfranco Roselli (6 per cento), già
dirigente dell’Ansaldo di Genova e amministratore delegato della società Steel works
Sud srl, del gruppo Ilva. La Sofin è una società dellTri. La Cormin, con sede a Vado
Ligure, è iscritta alla Lega delle cooperative e svolge attività di costruzione,
riparazione e montaggi industriali.
OMSAV, LA FABBRICA DIMEZZATA
LA “DOTE” DELL’ILVA
Tuttavia, per il momento l’Omsav pare offrire garanzie di tenuta, anche per gli stretti
legami con i dirigenti dell’Ilva che riconosce a Dellepiane, Guglielmone, Malacalza e
soci un “fondo rischi” di 5,5 miliardi, più 8 miliardi per i costi di personale a cui
andrà incontro. Particolarmente generosa è l’Uva con i dipendenti in esubero, ai quali
oltre al normale trattamento di fine rapporto eroga oltre due miliardi tra complementi
di liquidazione ed integrazioni ai complementi di liquidazione. Denaro dello Stato
che attraverso Tiri arriva in “dote” ad un’azienda privata. Un bel gesto di fiducia.
Altri 2 miliardi circa vengono erogati sempre dall’Ilva per la copertura dei costi
relativi allo spostamento di attrezzature dalle aree in comodato a quelle demaniali.
C’è poi una lettera della dirigenza dellTlva al ministro delPIndustria Paolo Savona
che conferma le grandi attenzioni verso l’Omsav. La missiva rivela l’esistenza di patti
che garantiscono all’azienda savonese un carico di lavoro per alcuni anni, prevedendo
il pagamento di una penale in caso di inadempienza. Penale che le indagini della
procura, qualche anno più tardi, non riusciranno ad accertare se sia mai stata pagata.
Inoltre spunta fuori un credito di oltre 6 miliardi vantato dalPOmsav nei confronti
della Alti forni e ferriere di Servola. Credito che l’azienda ha ceduto allTlva con la
formuna pro-solvendo (ossia che deve essere pagato da un terzo in futuro), ma con
l’accordo di trasformare poi la clausola in pro-soluto, vale a dire in un pagamento
dato per effettuato. Cosa mai successa. Di più: l’Omsav, finanziata da società di
proprietà dell’Uva, acquisisce partecipazioni per oltre 3 miliardi in altre società
sicuramente non strategiche per le proprie attività. Circostanza, questa, che farà
sospettare gli inquirenti che l’Ilva utilizzasse l’Omsav per acquisizioni nelle quali non
dovesse comparire. Insomma, l’azienda savonese in quell’autunno del 1990 sembra
avere le spalle coperte dal punto di vista finanziario e dei rapporti che contano.
Ma di lì a un anno lo scenario cambia repentinamente. Nonostante l’Omsav dichiari
un attivo di 10 milioni, la curatela fallimentare accerterà che nel 1991 le perdite
ammontavano già a 4,9 miliardi e l’anno dopo erano schizzate a 25,9 miliardi, “solo”
18,9 secondo le dichiarazioni dell’azienda. L’Omsav si è bruciata in quattordici mesi
13,5 miliardi di liquidità. Circa un miliardo al mese. Denaro utilizzato per la gestione
finanziaria corrente, ossia per acquisti di materie e pagamento di stipendi. Poiché le
commesse affidate all’azienda hanno determinato un incremento dei costi (la
proprietà tirerà in ballo fra l’altro l’inattesa impennata del prezzo dell’acciaio) di gran
lunga superiore ai corrispettivi incassati, la disponibilità finanziaria si è azzerata in un
baleno. In fabbrica c’è lavoro. Si costruiscono serbatoi per navi gasiere. Il che fa
pensare alle maestranze, ovviamente all’oscuro dei conti, che sia stata imboccata la
strada giusta. Quel che preoccupa i lavoratori è piuttosto il clima quasi intimidatorio
instaurato dai dirigenti della fabbrica. E’ una caccia continua all’operaio che si ferma
a fumare la sigaretta o a scambiare quattro chiacchiere con il collega. La tensione sale
di giorno in giorno e rischia di trascendere quando l’azienda avvia un sondaggio per
introdurre turni di lavoro di dieci ore. Una provocazione alla quale il consiglio di
fabbrica risponde minacciando lo sciopero. E il sondaggio viene saggiamente riposto
in un cassetto.
Nel 1991, sei giorni prima di Natale, c’è un nuovo passaggio di proprietà delle aree in
comodato all’azienda savonese. Ed è un passaggio cruciale. Davanti al notaio Flavio
Brundu l’Ilva gestioni patrimoniali cede i terreni a Orsa 2000 srl (che si era costituita
pochi mesi prima, il 15 luglio), per la somma di 3 miliardi e 952 milioni, circa 120
mila lire a metro quadrato. L’Ilva è rappresentata al tavolo dal dirigente Giuseppe
Bargiacchi, mentre per Or. Sa 2000-Orizzonte Savona 2000 srl (questo il nome per
esteso della società) si presenta il presidente del consiglio d’amministrazione Aldo
Dellepiane, imprenditore valbormidese in grande ascesa e presidente degli industriali
savonesi. L’atto di compravendita riguarda, per la precisione, la zona portuale “P4” e,
nello specifico, il complesso immobiliare costituito dallo stabilimento Italsider. Il
lotto è composto da un appezzamento di terreno di 32.524 metri quadrati, da
fabbricati civili e fabbricati industriali. Un affare per chi acquista, dal momento che il
terreno in questione è collocato nell’area urbana di maggiore pregio della città, anche
se al momento vincolata dal piano regolatore ad una destinazione produttiva. Una
consulenza tecnica commissionata dalla procura di Savona accerterà a questo
proposito, quattro anni più tardi, che il prezzo congruo per la cessione sarebbe stato
di 15,2 miliardi. L’Ilva, insomma, ha svenduto la sua proprietà.
Chi compra confida oltretutto che per il cambio di destinazione d’uso dei terreni sia
solo questione di tempo. Non sbaglia. E mette a segno un colpo magistrale. Chi
sbaglia è invece un certo ingegner Paolo Trocca, romano, titolare dell’azienda Tre Pi
Progetti. Trotta si defila all’ultimo momento dall’acquisto perché non ritiene
soddisfacenti <né il piano industriale né la pianificazione dell’area>. Per conto della
Tre Pi segue le trattative Gianfranco Roselli, socio di minoranza dell’Omsav, ex
collega di Gambardella all’Ansaldo e ora con lui nella “grande famiglia” dellTlva.
Ma facciamo un passo indietro, all’atto di costituzione di Orsa 2000. E’, come detto,
il 15 luglio del 1991. L’oggetto sociale della nuova compagine fa riferimento ad
attività immobiliari in genere. La sede, corso Mazzini 3, è la stessa dell’Omsav. I soci
sono ancora una volta personaggi di spicco dell’imprenditoria locale. La famiglia
Lombardini, dell’omonima società di cui è presidente, come detto, Licio Claudio
Lombardini, è proprietaria del 20 per cento delle quote. Un altro 20 per cento
appartiene alla Ireos srl a sua volta controllata dall’Edil Coop e dalla Cooperativa
edile. Con una quota del 25 per cento ritroviamo la Sicma di Guglielmone,
Dellepiane, Malacalza e Roselli. Un altro 25 per cento è detenuto dall’Uva gestioni
patrimoniali. Il restante 10 per cento è della Sinedil sas, di proprietà di Carlo De
Filippi dell’omonima famiglia titolare della concessionaria Fiat a Savona. Riccardo
Macor, genovese, è l’amministratore delegato, oltreché procuratore dell’Uva gestioni
patrimoniali.
I proprietari dell’Omsav sono per buona parte gli stessi di Orsa 2000, la società che
sulle disgrazie della prima conta di fondare le proprie fortune. E molti di quei nomi si
ritrovano anche all’interno del consorzio che sta studiando la valorizzazione a fini
turistico-residenziali dei terreni appena acquistati da Orsa 2000.
Non ci vuole molto a capire che la società appena nata punta diritta all’acquisizione
dei 33 mila metri quadrati di aree affacciate sulla darsena. Obiettivo che è già chiaro
nei verbali della Ireos. L’11 luglio del 1991 il presidente della società che rappresenta
le coop rosse savonesi afferma esplicitamente in consiglio d’amministrazione che è
intenzione dell’Uva gestioni patrimoniali liberare le aree ex Italsider, adatte ad una
diversa valorizzazione. Si tratta solo di decidere tempi e modalità, da concordare
ovviamente con il Comune cui spetta la gestione degli strumenti urbanistici. E sotto
questo profilo l’Amministrazione di Savona non si fa cogliere certo impreparata. La
giunta-Magliotto nell’autunno del ’90, proprio mentre l’Omsav acquisiva lo
stabilimento Italsider, aveva dichiarato esaurito il Pris, il Piano regolatore
intercomunale savonese che vincolava ad uso industriale le aree nel mirino degli
immobiliaristi. Esaurito perché <figlio di una visione urbanistica troppo rigida>,
spiegarono il sindaco e l’allora assessore alla pianificazione territoriale Sergio
Tortarolo, pidiessino, insegnante di matematica, uomo di cultura considerato il volto
nuovo e pulito della politica savonese. La chiusura del Pris fu un atto fondamentale.
A Savona si apriva ufficialmente la stagione delle varianti urbanistiche, così gradite
agli immobiliaristi.
Tra l’autunno del ’91 e la primavera del ’92 si intrecciano le vicende del consorzio
Vecchia darsena e di Orsa 2000. Il 2 aprile del 1992, mentre sul fronte industriale
dall’Omsav trapelano i primi segnali di crisi e si fanno sempre più frenetiche le
iniziative dei gruppi interessati ad approfittare dell’occasione, il consorzio Vecchia
darsena acquista due nuovi soci. Sono l’Uva gestioni e la Sicma di Guglielmone, già
co-proprietaria di Orsa 2000. Vengono, dunque, redistribuite le quote del consorzio.
Lombardini e la Sci scendono dal 33 al 25 per cento, Edil Coop, Cooperativa edile e
Ccpl si dividono equamente un altro 25 per cento, Ilva e Sicma si prendono il 12,5
per cento a testa.
Lo stesso 2 aprile viene eletto presidente del consorzio Andrea De Filippi, presidente
della Camera di Commercio e fratello di Carlo De Filippi, socio di Orsa 2000,
dapprima in nome proprio e poi attraverso la società di famiglia, Sinedil. Nel
consiglio direttivo entrano Macor e Aldo Dellepiane. A questo punto i presidenti di
Camera di Commercio e Unione Industriali si possono definire ufficialmente
interessati al business immobiliare. E siccome sono note le buone entrature di
entrambi con le amministrazioni di sinistra di Comune e Provincia, compiaciute dalla
presenza delle cooperative nell’operazione, il consorzio parte con ottime credenziali.
Intanto il clima comincia a farsi pesante intorno all’Omsav. Sale la tensione in
fabbrica ad ogni voce che trapela dai palazzi della politica. I giornali locali,
naturalmente, fanno da cassa di risonanza. Il gioco ormai è svelato e i sindacati sono
sempre più stretti nella morsa dei lavoratori che vorrebbero azioni più incisive a
difesa della fabbrica e del sistema politico-affaristico che chiede a Cgil, Cisl e Uil di
mantenere un profilo basso. Imprenditori, amministratori pubblici, partiti, cooperative
rosse: tutti a questo punto lavorano in perfetta osmosi per il raggiungimento dello
stesso obiettivo: seppellire l’industria e spianare la strada all’operazione turistico-
residenziale.
Alla procura della Repubblica di Savona arriva proprio in quelle settimane (siamo
nell’autunno del ’92) una missiva anonima sulle vicende societarie dall’Omsav. Su
disposizione del procuratore capo Renato Acquarone partono, nel 1993, una serie di
accertamenti affidati alla polizia di Stato. Da una fonte fiduciaria arriva agli
investigatori qualche chiarimento sull’utilizzo dei 13,5 miliardi di fondi ricevuti
dall’Uva all’atto della costituzione. Sarebbero stati spesi per diminuire il personale da
429 unità alle 269 del febbraio 1993. La stessa fonte riferisce che la costituzione dei
fondi fu giustificata con il fatto che non era opportuno per un’azienda pubblica
ridurre così drasticamente il personale, fra l’altro a meno di due anni e mezzo
dall’impegno preso con i sindacati di riassumere tutti i dipendenti Italsider.
Comunque, l’insufficienza e forse anche la cattiva gestione di quel denaro, sarebbero
state le cause del dissesto dell’Omsav, secondo quanto riferito per iscritto da un
funzionario Ilva ad un suo superiore, quando ormai il destino dell’azienda era
segnato.
L’Omsav “infila” una serie impressionante di commesse in perdita. Sembra una
maledizione. E’ il bilancio del 1992 a decretare il crollo. Viene approntato nei primi
mesi del 1993. Un documento interno alla società prevede una perdita di 4,4 miliardi,
ma in uno stralcio del bilancio il “buco” sale già a 8 miliardi che diventeranno 18,9
nella versione approvata dal consiglio d’amministrazione.
L’azienda è in caduta libera. I dipendenti sono quasi tutti in cassa integrazione
straordinaria. I sindacati giocano la carta della disperazione. Lanciano l’idea
dell’azionariato dei lavoratori per salvare la fabbrica. Particolarmente attivo il neo
segretario della Fiom-Cgil, Livio Di Tullio che riesce ad aprire un canale di dialogo
privilegiato con la proprietà. Dellepiane non rifiuta l’idea dell’azionariato, <purché
sia su base volontaria>, puntualizza. Persuadere i dipendenti Omsav a comprare le
quote di una società ormai decotta, sembra un’idea davvero scellerata. Eppure se ne
discute per settimane. I sindacati, la Cgil in testa, la cavalcano con apparente
convinzione. Si decide per un referendum interno alla fabbrica. L’esito è negativo.
La dichiarazione di fallimento dell’Omsav arriverà nella primavera del 1994. E ora
diventa chiaro il motivo per il quale tre anni prima l’Uva non cedette i propri terreni
all’azienda savonese ma direttamente ad Orsa 2000. Diversamente quei 33 mila
quadrati di aree sarebbero rimasti invischiati nelle procedure di fallimento
dell’Omsav. I registi dell’operazione, dunque, non avevano lasciato nulla al caso,
prevedendo con due anni d’anticipo il tracollo finanziario. Un tracollo, si direbbe, “ad
orologeria”. Tant’è che la procura ipotizza il fallimento pilotato. L’idea che si è fatto
il procuratore Acquarone è che l’Ilva abbia delegato ai privati il lavoro sporco di
liquidare l’azienda, dirottando oltretutto sull’Omsav fiumi di finanziamenti statali a
“fondo perduto”. Non viene formulata una vera e propria ipotesi di reato, ma la pista
seguita dal magistrato porta diritta alla bancarotta fraudolenta, all’appropriazione
indebita ai danni dello Stato. Sullo sfondo, poi, c’è quell’intreccio di rapporti tra
politica e affari che richiama alla Tangentopoli milanese scoperta un anno prima. La
differenza è che a Savona gli inquirenti non trovano traccia di mazzette.
Due mesi dopo il consorzio è pronto a presentare alla città il piano di recupero
urbanistico della vecchia darsena, firmato dall’architetto americano Raoul De Armas.
La cronaca dell’incontro con la città è raccontata dal Secolo XIX. Nella sala
consiliare di Palazzo Nervi, sede dell’Amministrazione provinciale, si raduna tutta la
Savona che conta: amministratori pubblici, parlamentari, imprenditori, organizzazioni
di categoria. C’è anche una delegazione di lavoratori dell’Omsav tenuti a bada dai
sindacati. Assistono in silenzio ai lavori di quello che è un vero e proprio convegno
sul futuro della darsena dopo il funerale dell’industria. Gli amministratori pubblici
accolgono favorevolmente la proposta del consorzio che promette fra l’altro 2.500
posti di lavoro legati alle attività turistiche previste nel piano, a cominciare dalla
nautica. Agli operai presenti vengono inoltre garantiti il mantenimento degli attuali
livelli occupazionali e il rilancio dell’industria.
L’Omsav, o chi per essa, si dividerà le aree del porto con un quartiere residenziale.
Sì, la fabbrica accanto a case e barche di lusso. D’altra parte Andrea De Filippi
dichiara nel suo intervento che industria e turismo non sono incompatibili>.
Concetto ribadito dal sindaco Tortarolo che manifesta <grande interesse> per
l’operazione e aggiunge: <Non diremo no a questo piano; chiederemo modifiche nel
senso dell’interesse pubblico e della salvaguardia e del rilancio dell’industria>.
Alonzo, ex segretario provinciale della Cgil ed ora vicepresidente della Provincia,
non nasconde la soddisfazione, lasciando esterrefatti i lavoratori: <Finalmente un
progetto di sviluppo urbanistico!>. Altrettanto esplicito l’assessore comunale
all’urbanistica, Massimo Zunino (Pds) che definisce la proposta <indubbiamente
bella>.
Ma il presidente dell’Ente porto, Leonardo Fontana, avverte: <11 problema centrale è
la coesistenza tra il porto commerciale e la nuova realtà disegnata dai progettisti. E
l’assessore comunale del Pri, Renzo Brunetti, cerca di spegnere gli entusiasmi con un
monito che passerà inascoltato: <Non è certamente il caso di alimentare ulteriori
tensioni sociali nella nostra città>. Parlano anche i sindacati. Giancarlo Pinotti,
segretario generale della Cgil, vede <Una proposta piena di contraddizioni>; mentre
Antonio Falasco, della Cisl, sottolinea: finalm ente arriva un segnale di grande
vitalità>. Il messaggio conclusivo dei costruttori alla platea è che l’operazione dovrà
realizzarsi nell’arco di sei anni. <Perché siamo imprenditori, non possiamo tenere
imbrigliate troppo a lungo le nostre energie>. I lavoratori dell’Omsav abbandonano
Palazzo Nervi con la chiara sensazione di essere soltanto un ostacolo da rimuovere.
E’ il 7 aprile del 1993 e ormai il disegno è chiaro a tutti. Non sembrano rappresentare
un problema né l’aria di crisi a Palazzo Sisto che porterà di lì a pochi mesi
all’autoscioglimento del consiglio comunale e alla conseguente uscita di scena di
Sergio Tortarolo, né l’inchiesta bis sull’appalto per la costruzione di Palazzo di
Giustizia che vede coinvolti ex amministratori del Pei e le onnipresenti cooperative.
L’amministrazione provinciale continua ad offrire una solida sponda all’operazione
Orsa. E la grande intesa tra partiti (con il Pds capofila), imprenditori, istituzioni e
sindacati regge l’onda d’urto.
Intanto, in quello stesso periodo si gioca un’altra partita immobiliare che ha per
protagonisti ancora una volta l’Uva gestioni patrimoniali e la Camera del Lavoro di
Savona. Quest’ultima si sta preparando al trasferimento di sede in via Boito, nella
palazzina del circolo Italsider. Un immobile che l’Uva G. P. aveva acquistato
dall’Uva spa il 21 dicembre del 1990. Esattamente tre anni dopo l’Uva G. P. cede il
bene alla immobiliare Cesas srl, società di proprietà della Cgil. Il prezzo pattuito per
un’area di 2.700 metri quadrati (terreni compresi) è di 1 miliardo e 200 milioni.
Anche in questo caso la valutazione dell’immobile non convince gli investigatori.
Pare che un imprenditore di Albenga (peraltro mai identificato) avesse offerto una
cifra decisamente superiore, ma fosse poi stato convinto a non intralciare i piani della
Cgil. La stessa Cisl alla quale in un primo tempo l’Uva aveva offerto il circolo di via
Boito, compresi i terreni circostanti, si tirò indietro per ragioni di opportunità.
Lombardi, che gestiva la vendita per conto dell’Uva G. P., racconterà un paio d’anni
dopo agli inquirenti che si fece avanti anche un imprenditore di Varazze,
Giambattista Cerniti, il quale si spinse ad offrire 1 miliardo e 500 milioni. A quel
punto <noi facemmo delle azioni con Omsav, titolare di un comodato sul circolo, per
liberare l’immobile - spiegherà Lombardi -. Ma il Dellepiane mi chiamò cercando di
sensibilizzarmi sul fatto che la chiusura del circolo avrebbe potuto provocare una
reazione del sindacato, controproducente per Orsa 2000. Feci osservare al Dellepiane,
in modo fermo, che io non potevo farmi carico esclusivo dei problemi della società
Orsa 2000 e quindi gli dissi di comprare direttamente l’immobile>.
Anche Guglielmone dirà qualcosa in proposito: <L’Ilva G. P. mi mise al corrente di
trattative per la cessione delle aree di via Boito. E il Dellepiane mi ha più volte
parlato dell’eventuale cessione del circolo ai sindacati, probabilmente pressato dagli
stessi, per trovare da una parte una soluzione che permettesse all’Ilva di vendere il
circolo ad un prezzo di mercato e dall’altra di far sborsare ai sindacati la cifra minore
possibile>. Diversa la versione di Dellepiane che affermerà di avere agito solo per
tutelare l’Omsav.
Comunque sia, la partita la vince la Cgil, anche perché nel frattempo Cerniti si fa da
parte. Lombardi riferirà alla polizia di probabili pressioni nei confronti
dell’imprenditore a lasciare via libera al sindacato. Circostanza che Cerruti tuttavia
smentirà.
L’operazione immobiliare di via Boito, comunque, lascia aperti una serie di
interrogativi, anche perché avviene in concomitanza con la fase più delicata delle
trattative tra le organizzazioni sindacali e la proprietà dell’Omsav ormai pronta a
dismettere l’attività per favorire l’operazione turistico-residenziale.
Nell’ottobre del 1993, intanto, cambia qualcosa nel consorzio “Vecchia darsena”.
Esce di scena la Sci spa che deteneva il 25 per cento delle quote. Un mese prima era
stato arrestato il suo amministratore delegato, Emanuele Romanengo. Il 29 dicembre
di quello stesso anno novità anche in casa Orsa 2000. La Sicma, ora interamente di
proprietà della D & B di Aldo Dellepiane, cede la propria quota di partecipazione in
Orsa 2000, pari a 375 milioni, alla società Gesco, anch’essa di proprietà di
Dellepiane, per un corrispettivo di 1 miliardo e 900 milioni.
Altri movimenti di lì a pochi mesi indicano l’interesse crescente intorno al sodalizio
che, ormai è chiaro, controllerà l’affare immobiliare della Darsena, una volta
archiviata la pratica Omsav. Accanto al nome di Dellepiane appare per la prima volta
quello di Paolo Campostano, imprenditore portuale in grande ascesa, con un fiuto
particolare anche per gli affari immobiliari. Campostano, attraverso la società
Poseidone, si divide ora con Gesco il 55 per cento delle quote. Escono invece a
sorpresa dalla compagine societaria la Sinedil dei De Filippi e la famiglia
Lombardini.
Gli altri partner di Orsa sono l’I.G.P (del gruppo Ilva) con il 25 per cento del
pacchetto azionario, la Copi (15 per cento) e la Ireos (5 per cento) entrambe aderenti
alla Lega delle cooperative. Gli amministratori della prima sono fra l’altro inquisiti
dalla procura di Savona per i lavori di edificazione del Palazzo di Giustizia. Ma
torniamo a Campostano. Il suo è un ingresso con il botto, perché oltre ad acquisire
insieme a Dellepiane il controllo della società ne diventa anche presidente del
consiglio d’amministrazione. E’ la primavera del 1994. E Orsa 2000 può vantare già
un patrimonio di poco meno di 5 miliardi rappresentato in gran parte dal valore dei
terreni ex Italsider acquistati due anni prima al prezzo di 3 miliardi e 952 milioni.
L’investimento comincia a dare i suoi frutti. Più scendono le quotazioni deH’Omsav
(ormai dichiarata fallita) più salgono quelle di Orsa 2000.
CONCLUSIONE
La pratica Orsa 2000 nel 1994 passò di mano. Da quelle del commissario prefettizio
che resse per alcuni mesi le sorti del Comune dopo la crisi della giunta-Tortarolo, a
quelle della prima amministrazione di centrodestra, a Savona, dal Dopoguerra. Ma
sotto il governo di Francesco Gervasio il piano di recupero a fini turistico-residenziali
delle ex aree Italsider non decollò, nonostante, come sempre, i potentati economici
avessero collocato almeno un paio di uomini di fiducia nell’esecutivo di Palazzo
Sisto. Troppo debole e litigiosa la maggioranza per spingere l’operazione. Poco
convincenti anche i progetti presentati da Orsa 2000 per il nuovo quartiere del porto.
E fallirono pure i tentativi (per altro blandi) di trovare un gruppo industriale
interessato a rilevare l’Omsav i cui lavoratori erano stati nel frattempo collocati in
cassa integrazione.
Il 16 marzo del 1995, intanto, il Secolo XIX e la Stampa davano notizia delle novità
introdotte dal Piano territoriale di coordinamento della Regione, guidata in quegli
anni dal centrosinistra. La giunta del democristiano Giancarlo Mori indicava il
recupero a fini portuali e di servizio delle aree demaniali dell’ex Italsider. Il Ptc aveva
inoltre stabilito che il 30 per cento dei 33 mila metri quadrati di terreni di proprietà di
Orsa 2000, affacciati alla vecchia darsena, dovessero essere destinati ad attività
artigianali collegate alla nautica. Ferma restando la possibilità di costruire palazzi
sulla quota rimanente. Un piano urbanistico specifico (Sua), soggetto ad
approvazione regionale, avrebbe definito il tutto.
La reazione dei sindacati non si fece attendere. I contenuti del Re erano per loro una
pietra tombale sul futuro dell’industria in porto. Fra l’altro la novità arrivava in un
momento molto delicato: ad un paio di mesi dalla scadenza della cassa integrazione e
nel pieno della trattativa tra imprenditori, tribunale e curatore fallimentare, in vista di
una possibile acquisizione delle aree. Che infatti non si realizzò. Ma in quei giorni di
alta tensione scese in campo il vicepresidente della Rovincia ed ex sindacalista. Lino
Alonzo, per tranquillizzare le maestranze. Dichiarò al Secolo XIX: <La Regione ha
apportato una parziale correzione. L’uso produttivo delle aree viene confermato,
però, in prospettiva, prevede un’evoluzione per parte di queste aree (l’ex fonderia
adiacente al Riamàr) da utilizzare per recupero urbano e servizi. Nei prossimi mesi,
con le osservazioni degli Enti - assicurò Alonzo - sarà possibile arrivare alle
correzioni più opportune. Occorre vedere le carte dei gruppi industriali interessati alle
aree, per poi definire le scelte insediative più appropriate e utili all’occupazione, alla
produzione, alla prospettiva futura>.
Anche il sindaco Gervasio cercò di gettare acqua sul fuoco e, nello stesso tempo,
prendere le distanze dalle decisioni della Regione. <Non conosciamo le scelte del Ptc
- disse quel 16 marzo comunque questa giunta non ha fatto nulla per modificare
indicazioni ben note, rivolte a salvaguardare la presenza produttiva e occupazionale
nelle aree Omsav>.
Venti giorni dopo, ancora dalle pagine del Secolo XIX, arrivava l’allarme degli
artigiani. <Qualcuno ha tagliato in due le aee ex Italsider per fini di sfruttamento
edilizio - dichiarò il presidente della Cna, Stelvio Berruti - dimenticando che quei
terreni sono essenziali per lo sviluppo delle attività in banchina. Se arriva un’azienda
che riesce ad occupare tutto, è la benvenuta. Purché non si ripeta come in passato,
quando Dellepiane bloccò tutte le aree per poi destinarne solo una parte alla
produzione>.
Il 30 maggio del 1997 Orsa 2000 era pronta a presentare il progetto definitivo del
quartiere della Darsena, firmato all’architetto Gambacciani. Progetto che non superò
tuttavia l’ostacolo della Soprintendenza ai Beni ambientali. Paolo Campostano, che
all’epoca controllava il 52 per cento delle quote (le altre erano in mano a Dellepiane
27,5 per cento e Cooperative 20 per cento), amareggiato dall’imprevisto stop, fù sul
punto di mollare tutto. Manifestò pubblicamente la propria delusione, salvo poi
rientrare nei ranghi in attesa degli eventi. Scelta oculata la sua, perché il clima
divenne favorevole di lì a pochi mesi.
Nel ’98 Gervasio perse le elezioni. E il ritorno in Comune del centrosinistra, ma
soprattutto dei tradizionali uomini di riferimento dell’imprenditoria locale, sbloccò la
situazione. Nel giro di un anno il sindaco diessino Carlo Ruggeri, che aveva seguito
da vicino tutta la vicenda Omsav come presidente provinciale della Lega delle
cooperative, commissionava la stesura di un Sau, uno schema d’assetto urbanistico
che stabiliva i confini entro i quali i privati avrebbero dovuto muoversi nel progettare
i volumi del nuovo waterfront. Naturalmente l’edilizia residenziale era il cardine
dell’operazione. La Soprintendenza questa volta si lasciò convincere. Il placet arrivò
nell’aprile del 1999. C’era ancora da superare l’ostacolo del voto in consiglio
comunale. Il centrosinistra doveva misurarsi con alcune defezioni al suo interno, ma
arrivarono in soccorso una manciata di voti del centrodestra. E la pratica venne
approvata con 26 voti a favore su 39. Savona aveva scelto: palazzi sulle ex aree
Italsider. I soci di Orsa 2000 potevano rimettersi al lavoro, con nuovi stimoli.
Avevano trovato nell’Amministrazione comunale e nell’Autorità Portuale (per le aree
di propria competenza) gli interlocutori giusti per centrare i propri obiettivi. La
completa sintonia fra i due enti pubblici, oltretutto, semplificava le cose.
La risposta dei privati non si fece attendere. Il primo colpo di scena fu il
“licenziamento” dell’architetto Gambacciani che da cinque anni lavorava al progetto.
Il secondo, l’ingresso sulla scena dell’imprenditore portuale Raffaello Orsero, titolare
del GF Group, leader mondiale nell’import-export di prodotti ortofrutticoli, con un
fatturato di oltre 1.500 milioni di euro l’anno. Trattato con i guanti bianchi
dall’Autorità Portuale, ma anche da sindaci, parlamentari, sottosegretari, ministri,
Orsero aveva fiutato l’affare ed era pronto a lanciarsi nella sfida del mattone. Non
avrebbe sbagliato neppure questa volta. Acquistò Tautosilo della Zust Ambrosetti,
che nel frattempo era stato trasformato in parcheggio pubblico. Un manufatto
costruito su aree di proprietà del Demanio dello Stato, come specificavano i
progettisti nel famoso piano di fattibilità redatto per conto del consorzio Vecchia
darsena. Orsero ebbe la pazienza di attendere che Comune e Autorità Portuale lo
autorizzassero a demolirlo e divenne il “motore” dell’intera operazione immobiliare
della Darsena.
Trovò interlocutori sensibili e prodighi di consigli: dal sindaco Ruggeri a Sandro
Becce e Rino Canavese, rispettivamente presidente e segretario generale del Porto,
dal presidente della Provincia Alessandro Garassini fino a Claudio Scajola, all’epoca
deputato di Forza Italia e leader indiscusso del centrodestra ligure. Orsero si convinse
che esistevano le condizioni per realizzare un progetto ambizioso e propose la sua
idea a Dellepiane e Campostano: solo un architetto di fama intemazionale avrebbe
dato la spinta decisiva all’operazione che prevedeva, fra l’altro, accanto ai palazzi, la
stazione marittima di Costa Crociere. Orsero, naturalmente, aveva già il nome in
tasca: l’architetto catalano Ricardo Bofill era l’uomo destino. L’8 settembre del 2000
Bofill accettò l’incarico e visitò per la prima volta le aree demaniali dell’autosilo e
quelle, ben più grandi, dell’ex stabilimento Italsider. Al suo fianco il sindaco
Ruggeri, Becce e Canavese,
Il 12 gennaio del 2001, a sorpresa, le Cooperative cedettero le quote di Orsa 2000. In
quegli stessi giorni Bofill presentò alla città il master pian del suo quartiere
residenziale. Di lì a poco arrivò anche il parere favorevole della Soprintendenza ai
beni architettonici. La scommessa del “DOC” (Dellepiane-Orsero-Campostano) era
vinta.
POSTFAZIONE
E’ all’Italsider, aH'intemo delle alte mura e dei capannoni della fabbrica, che si è
sviluppata gran parte della storia di oltre un secolo e mezzo a Savona. Migliaia di vite
umane hanno accavallato le loro vicende nel corso degli anni, considerando la
“fabbrica” il luogo centrale della loro vita.
In fabbrica hanno studiato, sono cresciuti, hanno faticato, si sono uniti, nel sindacato
e nella politica. In fabbrica, ad un certo punto, si sono trovati perfino a combattere
per difendere la loro possibilità di continuare ad essere “operai”. Ecco: Savona è stata
una città operaia. Questo è il presupposto da cui partire, quando se ne analizza la
realtà economica, sociale, politica.
Il primo nucleo industriale sotto il Priamàr risale al 1861, quando due imprenditori,
Giuseppe Tardy e Stefano Benech, decisero di insediare una ferriera tra i bastioni
della fortezza e il porto. Diciotto anni più tardi la ferriera trovò collocazione proprio
nell’area dello stabilimento (zona terrazzette) di recente demolito dalle ruspe. Nel
1918 la fabbrica entrò a fare parte dell’Uva Alti forni, sviluppando nuove attività:
acciaieria, fonderia, laminatoi. Durante la seconda guerra mondiale gli impianti
subirono danni pesanti e alla fine del conflitto cominciò la paziente opera di
ristrutturazione e conversione. Inserito nell’Italsider, lo stabilimento si indirizzò verso
funzioni di supporto alla siderurgia. Intanto i lavoratori, che avevano toccato quota 4
mila nel 1938, cominciarono a scendere fino ai 1.200 della metà degli anni Settanta e
ai 700 del 1985, ai 500 dell’ultima fase della storia della fabbrica.
Con il fallimento dell’Omsav si è “strappato” il cuore di una identità. E ciò al di là
della consapevolezza delle trasformazioni subite dal ciclo industriale, dell’esigenza di
nuova produzione, del mutamento di scenari sul piano intemazionale. Il tempo
dell’Italsider era davvero finito, ma esistevano possibilità concrete per riconvertire
l’area in diversi settori produttivi, avanzati, di elevata valenza tecnologica. Era solo
necessario crederci.
Il superamento del vecchio modello siderurgico stava nei fatti, non è questo il punto.
Il punto sta nell’aver cancellato un’identità. Cancellato scientemente per trasformare
il luogo della fatica e del sapere operaio, nel luogo - simbolo di un cambiamento
destinato a fini speculativi.
Savona città operaia, si diceva. I nuovi quartieri, del primo ventennio del Novecento,
erano raccolti attorno alle fabbriche: Oltreletimbro e le Vetrerie Viglienzoni;
Villapiana (il prosieguo dell'antico “Borgo d'Alto”) abbracciata alla Scarpa e
Magnano, poi Magrini. Ma la città si collocava attorno alla Fabbrica, quella per
antonomasia. L’Ilva, cioè, piazzata là sul mare, in posizione strategica, in stretto
connubio con il porto: una storia lunga da raccontare. Dai savojardi Tardy e Benech ,
alla Siderurgica, alla Terni, alfllva (denominazione assunta durante la prima guerra
mondiale) all'Italsider (negli anni Sessanta), poi di nuovo Ilva. E ancora, la
privatizzazione, il fallimento con questa strana sigla Omsav.
La città stava attorno alla fabbrica che negli anni Cinquanta era arrivata a dare lavoro
a 4 mila operai. Dalla fabbrica uscirono perseguitati antifascisti, martiri per la
Resistenza, deportati a Gusen, Mauthausen, Ebersee. Fu la fabbrica a chiamare la
solidarietà di tutti nelle grandi lotte del Dopoguerra, al centro delle scelte difficili di
riconversione dell'industria bellica. Fu ancora la fabbrica a segnalare il declino e a
determinare, attorno al mantenimento dell'identità industriale, l'ultimo tentativo di
programmazione pubblica del nostro territorio (il Pris redatto nel 1977). Trentanni
dopo una città senz’anima assiste al gran bazar immobiliare della Darsena, allestito
sui luoghi della memoria savonese. I costruttori incassano cifre da capogiro e gli
amministratori pubblici, piegati agli interessi dei primi, si compiacciono per aver
ridisegnato il fronte mare di Savona. La missione è compiuta.
PERSONAGGI
Renato Acquarone. Procuratore capo della Repubblica, a Savona, dalla fine degli
anni Ottanta fino alla primavera del 1996, quando è promosso giudice della Corte di
Cassazione. Oggi è in pensione.
Lino Alonzo. Nato a Finale Ligure nel 1941. Dirigente della segreteria provinciale
del Pei e segretario generale della Camera del Lavoro negli anni che vanno dal 1980
al 1988. Successivamente alla vicepresidenza della Provincia di Savona, con delega
alla pianificazione territoriale. Alla fine degli anni Novanta assessore all’Ambiente
della Regione Liguria, nella giunta-Mori. Oggi è consigliere della Fondazione De
Mari-Carisa e presidente della società mista Cengio Sviluppo.
Paolo Campostano. Nato a Genova nel 1939, spedizioniere marittimo, leader nei
traffici di prodotti forestali e acciai. Terminalista nei porti di Genova e Savona,
membro di giunta della Camera di Commercio di Savona, co-proprietario della
Società Funivie Miramare.
Aldo Dellepiane. Nato a Osiglia (Savona) nel 1945, perito industriale. Da impiegato
a proprietario della Demont, gruppo di punta a livello europeo nell’impiantistica e
cantieristica navale. Presidente dell’Unione Industriali nei primi anni Novanta,
Cavaliere del lavoro. Oggi anche importante costruttore edile.
Livio Di Tullio. Segretario della Figc nei primi anni Ottanta, poi sindacalista della
Cgil. Parte dal settore degli alimentaristi per approdare, nei primi anni Novanta, alla
segreteria provinciale della Fiom e successivamente dei chimici. Agli inizi del 2000
diventa segretario provinciale della Camera del Lavoro. Oggi è assessore ai lavori
pubblici nel Comune di Savona.
Armando Magliotto. Nato a Villefranche sur mer nel 1927. Segretario generale della
Camera del Lavoro di Savona negli anni Settanta, presidente della Regione Liguria
dal 1979 al 1980, segretario provinciale del Pci-Pds alla fine degli anni Ottanta.
Sindaco di Savona dal 1990 al 1992 e presidente della Spes, la società che gestisce
FUniversità di Savona, dal 1996 fino alla sua morte avvenuta nel 2005.
Giancarlo Pinotti. Nato nel 1944, militante comunista dalle origini, operai dei
cantieri navali Campanella di Savona, segretario della Fiom-Cgil e alla fine degli anni
Ottanta segretario generale della Camera del Lavoro di Savona. E’ morto nel 1997.
Sergio Tortarolo. Nato nel 1949, insegnante di matematica, assessore del Comune di
Savona, prima alla cultura poi all’urbanistica a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta,
sotto il simbolo del Pci-Pds. Sindaco di Savona dal 1992 ai primi mesi del 1994.
Negli anni successivi è stato presidente del consiglio comunale di Savona e
capogruppo dei Ds. Nel 2006 ha lasciato la politica attiva.
Renato Viazzi. Segretario della Filcea-Cgil, della Fiom, tra la fine degli anni Ottanta
e il 1991, poi ancora impegnato nel sindacato fino a pochi anni fa.
Massimo Zunino. Consigliere comunale di Savona negli anni Settanta, nelle fila del
Pei, poi assessore allo sport e successivamente all’urbanistica nella giunta-Magliotto.
Attualmente è deputato alla Camera per i Ds.
SCHEMI SOCIETARI
ITALSIDER
Proprietaria TRI (presidente Franco Nobili)
O.M.SAV. spa
i_____
SICMA srl SOF] [N spa CORMIN seri
67% 30 % 3%
-Pietro Guglielmone 39% Società dell’IRI Presidente: Nicolò
-Consorzio D e B impianti Esposto
39% presidente Aldo vice: Claudio Filippi
Dellcpiane (presidente
anche dell’Unione Società aderente alla
Industriali-Savona) Lega delle Cooperative
-Sima SpA 16% (presidente Carlo
(presidente Mario Ruggeri)
Malacalza)
-Gianfranco Rosclli 6%
(già dirigente Ansaldo e
amministratore delegato
Steel Works Sud srl -
gruppo Uva)
CONSORZIO VECCHIA DARSENA
costituito ne l 1 9 9 1
Il 2 aprile 1992 il Consorzio Vecchia Darsena acquista nuovi soci: ILVA gestioni patrimoniali e
S1CMA, con una redistribuzione delle quote:
Nel 1993 il Consorzio Vecchia Darsena perde il socio SCI, e le quote vengono redistribuite
ORSA 2000
Orizzonte Savona 2000 srl
costituita il 15 luglio 1991
T t V V
LOMBARDINI IREO S srl SICMA ILVA SINEDIL
spa Società controllata 25% gestioni spa
Q di Licio Claudio da Edilcoop e -Pietro patrimoniali di Carlo De
1 Lombardini 20% Cooperativa edile Guglielmone 39% 25% Filippi
5% -Consorzio D e B 10%
CCPL 15% impianti 39%
presidente Aldo
Dellepiane
(presidente anche
dell’Unione
Industriali-Savona)
-Sima spa 16%
(presidente Mario
Malacalza)
-Gianfranco Roselli
6% (già dirigente
Ansaldo e
amministratore
delegato Steel
Works Sud srl -
gruppo Ilva)
SICMA
liquida
Guglielmone,
Roselli e Sima spa
proprietario unico
Aldo Dellepiane
SICMA cede le
quote a GESCO
Esce di scena Esce di
LOMBARD1NI scena
SINEDIL
1 ORSA 2000
9 Orizzonte Savona 2000 srl
9
3
Or.Sa 2000 - i passaggi di quote dal maggio ’95 al maggio ’07
Lorenza Dellepiane
Valeria Dellepiane
19-dic-2006 c e ssio n e quo te a
Defin srl
Situazione al
Il g ru p p o Dellepiane a ttra ve rso Demont srl - Fidia srl - Defin srl p o ssie d e in te ra m e n te O r.S a 2 000
16-mag-2007
IPS
Società a capitale misto (pubblico e privato)
1990-1991
Comuni di Savona, Vado Ligure, Albisola Superiore,
Cassa di Risparmio di Savona
FI.L.S.E. spa società Finanziaria Ligure per lo Sviluppo Economico
Camera di Commercio
Unione Industriali
Tecnoimmobiliare spa Carcare
Sonfincoop (finanziaria cooperative)
Presidente: Luciano Pasquale.
DOCUMENTI
\
\
Addì 15 giugno 1990 presso l’Unione ili della Provincia di Savona
era
la OMSAV S.r.l., nelle persone dei Signori Log. Pietro Guglielmone, Ing. Gianfranco Roselli e
Dott. Vincenzo De Luca, assistita dall’Unione Industriali della Provincia di Savona, nelle persone
dei Signori Dott Luciano Pasquale, Dott. Giancarlo Acquaviva e DotL Gabriele Barlocco
le R.S.A. dello Stabilimento di Savona della Itaisider S.p.A. in liquidazione, nelle persone dei
Signori Silvano Ulivo, Giuseppe Moretti, Giovanni De Salvo, Amelio Custodi, Francesco
Zimino e Adriano Gambetta, assistita dalle Federazioni Provinciali FIOM-CG1L, FIM-CISL e
UtLM-UIL, nelle persone dei Signori Renato Viazzi, Romano Pintus e Marco Pozzi
premesso che:
• in relazione a quanto sopra è in fase conclusiva la trattativa per il conferimento alla OMSAV
S.r.l. del ramo di azienda costituto dallo stabiiimer.co di Savona della Itaisider S.p.A. in licci-
dazione;
Ove possibile, tali necessità, saranno preventivamente fronteggiate con lo strumento della
mobilità interna o ricorrendo agli istituti contrattuali, quali le ferie, i permessi individuali
per ex festività e la riduzione di orano dì lavoro.
A tutti i lavoratori interessati aila CIGSvalle singole scadenze mensili, verrà anticipato il
trattamento economico a carico deU’INPS.
Per i lavoratori sospesi dal lavoro, che non hanno maturato o che non matureranno entro
il 31 dicembre 1991 i requisiti per il prepensionamento, la OMSAV S.r.l. si impegna a
predisporre - entro il 31 1990 - un programma di ricollocazione presso società
facenti capo alla ILVA S.p.A. operanti nel territorio della Liguria e del basso Piemonte
e/o presso società collegate aH’attività dell’Ente Autonomo del Porto di Savona.
Per i predetti lavoratori sospesi dal lavoro, n^n.rioccupabili nelle sopra aiate società, la
OMSAV S.r.l. -entro la stessa data del 31 ,1990 - predisporrà un programma di
assorbimento delle unità residue neH'amòuo della propria attività.
La Società OMSAV si impegna a rinnovare, per ulteriori due anni dalla data del conferimento,
il contratto di Comodato con il Circolo ITALSTDER per l’uso gratuito dell’immobile sito a
Savona in Via Boito.
In via eccezionale, la OMS AV S.r.l. elargirà al Circolo un contributo una tantum per le spese di
esercizio, di importo pari a L. 20.000.000 nel biennio.
Per il funzionamento della Società di Mutuo Soccorso e deila Cassa Mutua Interna, la Società
Omsav continuerà a svolgere il servizio di riscossione su delega de! contributo volontario dei
lavoratori e ad effettuare t relativi versamenti.
Ai lavoratori incaricati della gestione deila S.M.S. e della CALI, verranno concessi brevi
permessi sino ad un massimo di 100 ore complessive annue.
7.1 Per le aree in concessione demaniale su cui si concentrerà l’attività aziendale, la OMSAV
S.r.l. ha ricevuto formali assicurazioni dall’Ente Autonomo del Porto di Savona per l’au
torizzazione al subentro nella concessione in essere e per il rinnovo successivo della stessa
per quindici anni.
Le aree che verranno trasferite in proprietà non saranno cedute a terzi prima dell’ottenimen
to dell'atto di rinnovo della predetta concessione demaniale.
7.2 Per le aree in proprietà da dismettere, pari a circa 33.000 mq., la OMSAV S.r.l. affiderà alla
IPS S.p.A. di Savona l’incarico di studiare e realizzare un progetto finalizzato al loro
Il urogetto dovrà in ogni caso contenere soluzioni compatìbili con la natura industriale del-
I’attività della OMSAV S.r.l. ed orientate alla sua valorizzazione.
Sino alla realizzazione, anche parziale, del nuovo assetto delle aree, lo Spaccio e la Mensa
Aziendale potranno mantenere Fattuale ubicazione.
Vi FIM-CISL (
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Q s r . ^
Qm ' n i.•'» V
_j“ 1j]
OMSAV S . r . l .
S ta b ilim e n to dì SAVONA
COMUNICATO AZIENDALE N R . 1
30 Ottobre 1990
iHegato *«»
OR.SA. 2000 ORIZZONTE SAVONA 2000 S.r.l,
-- O M I S S I S ----
-- O M I S S I S ----
amministrazione:
- De F ì IÌ odì Carlo
Musso.
deliberare.
__ O M I S S I S . - - . .. __
Per il secondo punto all’ordine del giorno, il presidente
come segue:
29 30 31 48 64 66 67 63 69 70 77 78 79 80 81 82 88 per
particella 4 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34
48 66 67 68 69 70.
ogito notarile.
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ale, Nessuno chiedendo la parola e nuli'altro restando da
7 vg Il segretario Il presidente
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Piazza Memtfi f 4 SAVONA
Tel. 01 5/.: 2.4Ó.44
Telefox C iy &2.4Ó.46
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L'OPZIONE
per l'acquisto di:
quota del 20% della ORSA 2000 ORIZZONTI SAVONA 2000 S.r.l.
corrente in Savona Corso Mazzini n. 3 C.F. 01009470095
al prezzo complessivo di L. 1.650.000.000.= (unmiliardoseicen-
tocinquantamilioni)
Tale opzione ai sensi dell'art. 1329 Cod. Civ. dovrà essere
esercitato entro il termine del
Decorso tale termine l'opzione si intenderà automaticamente
decaduta.
Savona, lì 27.09.1993
Acci: -1 maggio !993 presso l'Unione industriai; celia Provincia di Savona si sono
incontrali:
- la OMSAV S.p.A., Stabilimento rii Savona, nella persona del Liquidatore Signor Doti.
Luigi Pollano:
- l'Unione Industriali della Provincia di Savona nelle persone dei Signori Dote. Luciano
Pasquale e Dott. Giancarlo Acquaviva:
- le RSA dello Stabilimento di Savona delia OMSAV S.p.A., nelle persone dei Signori
Silvano Ulivo, Andrea Rombolà, Amelio Custode Roberto Porro, Anselmo Camillo,
Davide Secci e Gianfranco Zoppi;
Premesso
* che da parte dei Liquidatore è stata rappresentata, nell'attuale fase di liquidazione della
Società, da un iato ia difficoltà di reperire in tempi brevissimi le somme necessarie ai
pagamento delle competenze maturate e spettatiti e dall'altro i'inaccoglibilità della
richiesta relativa alla corresponsione di detta anticipazione per motivi di ordine legale.
t lavoratori ex-Omsav, il loro sindacato, sono ancora qui e sapranno chiedere conto
a ciascuno deile proprie scelte
Cicl in prop. - Via Boito 9 R.
ISBN 978-88-7601-069-9
9 788876 010699
€ 8,50