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Il presente manuale fa parte della Collana di Studi Giuridici, nella Sezione di Manualistica,
pubblicata da Edicusano s.r.l. e si propone quale strumento di studio aggiornato e completo, di
taglio pratico, teso a fornire un supporto indispensabile per gli studenti, per i professionisti di
settore e per coloro che intendono affrontare prove di concorso.
Il Manuale di Diritto Ecclesiastico costituisce un indispensabile strumento di studio per
comprendere il fenomeno religioso all'interno della società italiana, sempre più multietnica e
multireligiosa. Sono analizzati i rapporti tra lo Stato ed il fattore religioso, l’Ordinamento dello
Stato della Città del Vaticano, la Chiesa nel Diritto Italiano, il matrimonio canonico con effetti civili
ed il fattore religioso nell’ordinamento giuridico italiano.
Per come concepito, questo volume costituisce uno strumento indispensabile che, consente
all’utilizzatore una preparazione ampia ed esaustiva della materia e l’apprendimento di un
metodo di studio che garantisca capacità critica ed analitica; la capacità di comprendere e di
utilizzare consapevolmente il linguaggio giuridico; la capacità di impiegare gli strumenti giuridici
per un sicuro dominio delle competenze richieste nelle tradizionali professioni giuridiche:
notariato, magistratura e avvocatura.
Studi Giuridici

manuali
Scuola Specialistica degli Studi Giuridici, Economici e Sociali

Manuale
di Diritto Ecclesiastico
Collana
Studi Giuridici - Manuali

Il presente volume fa parte della Collana di Studi Giuridici, nella Sezione di Manualistica, pubblicata da Edicusano s.r.l. e costitui-
sce un'opera di taglio pratico tesa a fornire un supporto indispensabile per gli studenti, per i professionisti di settore e per coloro
che intendono affrontare prove di concorso.
Alla prospettiva scientifica di stampo universitario si unisce pertanto una prospettiva di carattere operativo che, da una parte,
mette in evidenza i tratti salienti dell'argomento così come sono stati elaborati nel nostro ordinamento, e dell'altra si proietta
verso i vari sviluppi interpretativi offerti dagli studiosi della materia trattata.
Tutti i volumi della Collana mantengono oltremodo una freschezza ed una attualità indiscutibile proprio per l'impostazione
che si è voluta dare al lavoro, che parte sempre dai fondamenti della disciplina e dell'istituto e si sofferma sulle problematiche
essenziali sottese ai diversi argomenti.

Coordinatore Scientifico della Sezione dei Manuali di Scienze Giuridiche: prof. Bruno Cucchi
Coordinatore Didattico della Sezione dei Manuali di Scienze Giuridiche: prof. Federica Simonelli

© 2019 Edizioni Edicusano

Edicusano s.r.l., via Don Carlo Gnocchi 3, 00166 Roma

È vietata la riproduzione, anche parziale, non autorizzata in forma scritta dall’editore, realizzata con qualsiasi mezzo, compresa
fotocopia, anche ad uso interno o didattico.

ISBN: 978-88-98948-77-2

Progetto grafico e di impaginazione


Pioda Imaging s.r.l.

Stampa e allestimento:
Marzo 2019 • Pioda Imaging s.r.l. • Viale Ippocrate 154 • 00161 Roma

Immagine di copertina
"La Giustizia" - Paolo veronese - 1551- affresco del Duomo di Castelfranco Veneto
Indice

Indice

Capitolo 1
Il Diritto Ecclesiastico .........................................................................7
1. Definizione di diritto Ecclesiastico...................................................7
2. Modelli e atteggiamenti dello Stato nei confronti del fenomeno reli-
gioso.................................................................................................. 8
3. Le fasi del diritto Ecclesiastico in Italia.............................................9
Capitolo 2
Le fonti..............................................................................................15
1. Le fonti del diritto ecclesiastico......................................................15
2. I conflitti tra norme........................................................................16
Capitolo 3
Lo Stato ed il fattore religioso.............................................................19
1. Il diritto Ecclesiastico e la Costituzione italiana..............................19
2. La competenza degli organi statuali in materia di culto...................21
Capitolo 4
L’ordinamento dello Stato della Città del Vaticano.............................23
1. Lo Stato della Città del Vaticano e i suoi rapporti con lo Stato
italiano.........................................................................................23
2. Garanzie di carattere personale e reale.............................................27
3. I rapporti fiscali tra l’Italia e la Santa Sede .....................................30
Capitolo 5
La chiesa nel diritto italiano...............................................................31
1. Premessa.........................................................................................31
2. L’organizzazione territoriale della Chiesa in Italia ...........................32
Capitolo 6
Le persone fisiche nel diritto ecclesiastico ..........................................35
1. Premessa ........................................................................................35
2. L’Ecclesiastico.................................................................................35
3. Il ministro di culto.........................................................................35
4. I religiosi........................................................................................38
5. La previdenza sociale del clero........................................................39
Capitolo 7
Gli enti ecclesiastici ...........................................................................41
1. La nozione e le fonti.......................................................................41
2. Il riconoscimento della personalità giuridica ..................................43
3. I singoli enti ecclesiastici ................................................................45
Capitolo 8
Il patrimonio ecclesiastico e le entrate degli enti ecclesiastici...............49
1. Definizione....................................................................................49
2. Le fonti del patrimonio ecclesiastico...............................................49
4. Il regime tributario del patrimonio ecclesiastico. Cenni..................55
5. I beni culturali religiosi...................................................................58
Capitolo 9
Il matrimonio canonico con effetti civili.............................................61
1. Premessa storica .............................................................................61
2. Il riconoscimento degli effetti civili del matrimonio canonico ........62
3. La celebrazione del matrimonio canonico.......................................64
4. La trascrizione del matrimonio ......................................................64
5. La giurisdizione ecclesiastica in materia matrimoniale....................65
6. La delibazione delle sentenze ecclesiastiche di nullità......................66
7. Il matrimonio rato e non consumato..............................................68
8. Il matrimonio celebrato dagli appartenenti alle confessioni acat-
toliche..........................................................................................69
9. Il matrimonio dello straniero in Italia.............................................70
Capitolo 10
La disciplina dei culti acattolici...........................................................71
1. Caratteri generali dei culti acattolici...............................................71
2. Il finanziamento delle confessioni acattoliche.................................73
3. Caratteristiche delle intese. Cenni..................................................73
Capitolo 11
Il fattore religioso nell’ordinamento giuridico italiano........................79
1. L’assistenza spirituale nelle strutture obbliganti...............................79
2. L’insegnamento della religione cattolica..........................................80
3. Le scuole confessionali....................................................................82
4. Il Diritto Penale nel fenomeno religioso.........................................83
5. Esposizione di simboli religiosi in luoghi pubblici..........................89
6. La tutela dei dati personali .............................................................92
7. L’uso di vestiario simbolico.............................................................93
Appendice Normativa........................................................................95
Capitolo 1
Il Diritto Ecclesiastico

1. Definizione di diritto Ecclesiastico

Il diritto ecclesiastico studia il settore dell’ordinamento giuridico dello


Stato che è volto alla disciplina del fenomeno religioso. L’importanza
sociale di detto fenomeno, comporta un intervento del legislatore na-
zionale, coinvolgendo a vari livelli ed in molti settori l’attività di tutta la
pubblica amministrazione. Nonostante l’aggettivo ecclesiastico possa far
pensare che abbia come oggetto lo studio di un ordinamento confessio-
nale, esso riguarda uno degli aspetti dell’ordinamento statale.
Il diritto ecclesiastico appartiene all’area del diritto pubblico ma que-
sta collocazione non esclude che esso trovi terreno di incontro in altre
aree giuridiche. Tutto ciò ha portato parte della dottrina (Finocchiaro)
ad affermare che il diritto ecclesiastico, nell’ambito degli studi giuridici,
occupa una marca di confine nella quale si incontrano norme e principi
di varia derivazione non sempre agevoli a ricondursi a comun denomi-
natore.
La dottrina, dalla fine del secondo conflitto mondiale, esaminando i
problemi posti dal diritto ecclesiastico, ha fornito una lettura delle norme
da esso considerato che mettesse in risalto la posizione soggettiva dell’in-
dividuo nei confronti sia dello Stato che delle confessioni religiose, ed
ha perciò qualificato la disciplina come analisi di una leglislatio libertatis.
Tale qualificazione però può trovare riscontro nelle norme costituzionali
riguardanti il fenomeno religioso, mentre poco si concilia con altre nor-
me dell’ordinamento statuale, le quali non rientrano certamente tutte
nello schema della garanzia della libertà individuale (si pensi ad esempio
alle disposizioni previste in tema di enti ecclesiastici).
Per tale motivo, il diritto ecclesiastico non si presenta solamente
come studio di una legislatio libertatis, ma bensì come analisi di un setto-
re dell’ordinamento statuale in cui, oltre alla garanzia della libertà indi-
viduale, vi è la considerazione delle vicende organizzative dalle quali trae
origine il fattore religioso.
8 MANUALE DI DIRITTO ECCLESIASTICO

2. Modelli e atteggiamenti dello Stato nei confronti del fenomeno religioso

Il fenomeno religioso nell’ambito sociale ha da sempre avuto una rile-


vanza primaria. Lo Stato può qualificare il proprio operato in materia
religiosa a seconda della posizione assunta nei confronti del fenomeno
religioso. Nella specie può configurarsi come:
• Confessionista: quando manifesta un atteggiamento di favore nei
confronti di una determinata confessione religiosa non tolleran-
do le altre.
• Unionista: quando il potere temporale e quello religioso sono
concentrati nelle mani delle medesime autorità. In tale contesto
si possono cogliere diverse esperienze:
può condurre ad una teocrazia, dove l’elemento religioso è preponde-
rante su quello politico. Tale sistema non si è mai realizzato pienamente
nell’esperienza della civiltà europea. Nel periodo di maggior potere della
Santa Sede (ossia tra il 1073 d.c. ed il 1303 d.c. ) al Papa apparteneva-
no tutti i poteri esercitabili, sia d’ordine spirituale che temporale. Tutto
questo comportava che solamente alla Chiesa spettasse il potere di de-
cidere in modo unilaterale su ciò che fosse di sua competenza e su ciò
che fosse di competenza dello Stato, inoltre tutta la materia ecclesiastica
era sottratta ad ogni ingerenza del potere civile. Nel contrasto tra legge
civile e legge ecclesiastica era quest’ultima a dover prevalere, anzi, se la
legge civile contrastava con quello ecclesiastica, la prima era considerata
illegittima. Queste posizioni così forti non poterono certo mantenersi in
vita con l’indebolimento dell’autorità papale e dopo la rottura dell’unità
dei cristiani di occidente in seguito alla riforma.
Può condurre ad un cesaropapismo, quando è l’autorità religiosa a
seguire la titolarità del potere statuale: una situazione di unione del po-
tere civile con il potere ecclesiastico. Il cesaropapismo cessò nell’Europa
occidentale con la fine dell’Impero Romano di occidente, ma persistette
nell’Impero Bizantino sino al suo crollo. Il sistema cesaropapista era stato
adottato anche dagli zar ed è sopravvissuto nell’impero russo sino alla
fine della monarchia zarista (1917).
• Separatista: quando tiene separati i due ordini non introducendo
alcuna regolamentazione del fenomeno religioso, né a favore né
limitativa (libera Chiesa in libero Stato). È un’espressione tipica
della dottrina liberale che tende alla riconduzione del fenomeno
religioso a fatto privato. L’idea separatista è stata proposta origina-
riamente per realizzare l’indipendenza della Chiesa, tutelandone
gli interessi, anche contro quelli dello Stato. Le correnti europee
fondanti tale atteggiamento, sostenevano che la Chiesa poteva
Il Diritto Ecclesiastico 9

dipendere solamente da Cristo, mentre ogni dominazione dello


Stato sulla Chiesa era dominazione dell’anti cristo. John Milton,
teorico dei Congregazionalisti ed Indipendentisti in Inghilterra,
sosteneva che il patrimonio ecclesiastico avrebbe dovuto essere
utilizzato per scopi di pubblica utilità e la Chiesa avrebbe dovuto
svolgere la propria attività solo con le libere offerte dei fedeli. Il
separatismo in Italia, invece, è rappresentato più che altro un
mezzo politico per risolvere la c.d. questione romana nel quadro
dell’unità d’Italia.
• Laico: quando accoglie la distinzione fra sfera temporale e spiri-
tuale e riconosce e garantisce il pluralismo confessionale. Esisto-
no alcuni modelli di laicità:
Modello italiano: cerca di contemperare il riconoscimento di alcune esi-
genze confessionali con il principio di uguaglianza dei cittadini davanti
alla legge e con l’eguale libertà delle confessioni religiose. Sul punto vi è
da osservare che in realtà lo Stato italiano non assume un atteggiamen-
to indifferente nei confronti del fenomeno religioso, in quanto pone in
essere, con le diverse religioni presenti, una serie di intese, volte a regola-
mentare i rapporti con ciascuna di esse.
Modello francese: quando l’incompetenza dello Stato in materia re-
ligiosa è sostituito dalla laicità- neutralità dello spazio pubblico implican-
do quindi una forte ingerenza della legge nella sfera religiosa.

3. Le fasi del diritto Ecclesiastico in Italia

Possiamo individuare tre fasi del diritto Ecclesiastico in Italia.


La prima fase si individua dall’adozione dello Statuto Albertino
(1848), il quale all’art. 1 proclamava il principio che la religione cattolica
apostolica romana è la sola religione dello Stato e che gli altri culti sono
semplicemente tollerati conformemente alle leggi. Questo importante
principio fu però attenuato a seguito dell’entrata in vigore della legge n.
735/1848, con la quale si stabilì che la differenza di culto non formava
eccezione al godimento dei diritti civili e politici o all’ammissibilità alle
cariche civili e militari. Vanno poi ricordate le c.d. “Leggi Siccardi”, che
abolirono il privilegio del foro ecclesiastico (per cui gli ecclesiastici in pre-
cedenza erano sottratti, qualora si fossero resi autori di fatti penalmente
rilevanti, alla giurisdizione dello Stato e affidati al tribunale del Vescovo):
si volle proclamare l’unicità della giurisdizione dello Stato come espres-
sione della sovranità.
10 MANUALE DI DIRITTO ECCLESIASTICO

Nel 1861, contestualmente alla proclamazione del Regno d’Italia,


venne attuata una politica restrittiva (le c.d. leggi eversive) nei confronti
della Chiesa che andò ad incidere in particolar modo sugli enti eccle-
siastici. Si era posta “la questione romana” ossia la necessità che Roma,
facente parte ancora dello Stato pontificio, divenisse la capitale del nuovo
Stato unificato sotto il regno dei Savoia. Tale movimento suscitò l’osti-
lità del Papato e si sviluppò quindi un diritto ecclesiastico caratterizzato
dall’esigenza di creare le categorie dogmatiche e le norme positive per
l’assoggettamento delle forme sociali organizzate del fenomeno religioso
al potere unitario ed esclusivo dello Stato di diritto. Venne infatti procla-
mata la L.3036/1866 con la quale venne negato il riconoscimento agli
ordini corporazioni e congregazioni religiose regolari nonché conserva-
tori e ritiri a carattere ecclesiastico. Inoltre il patrimonio di tali enti fu
devoluto allo Stato con l’obbligo di iscrivere una rendita del 5% a favore
del neo costituito Fondo per il Culto.
Dopo la presa di Roma del 20 settembre 1870 da parte delle truppe
italiane, che provocò la fine per debellatio dello Stato pontificio, la legge
più importante fu indubbiamente la legge delle Guarentigie Pontificie,
che fu legge unilaterale dello Stato (L.214/1871), emanata per salvaguar-
dare la persona del Sommo Pontefice, proclamandola sacra e inviolabile e
attribuendo ad essa gli onori sovrani; era inoltre garantita la concessione
dei palazzi apostolici, il divieto alla polizia di introdursi nei palazzi vatica-
ni ed il riconoscimento di immunità ai diplomatici esteri. In essa all’art.
2 si proclamava la piena libertà di discussione in materia religiosa. Tale
legge non fu accettata dal Pontefice e la “questione romana” rimase aperta
con profonde lacerazioni negli equilibri politici del nuovo Stato.
Una seconda fase si individua a partire dalla data dell’11 febbraio
1929, giorno in cui furono stipulati tra il Regno d’Italia e la Santa Sede
i Patti Lateranensi (in quanto firmati a Roma nel palazzo del Laterano)
resi esecutivi con la legge 27 maggio 1929, n. 810. Essi constavano di tre
strumenti:
Trattato: abrogò la legge delle Guarentigie e risolse la “questione ro-
mana” con la costituzione dello Stato della Città del Vaticano (territorio
di 0,44Km\q) , luogo di esclusiva sovranità del Pontefice. Inoltre l’art. 1
del Trattato richiamava il principio di cui all’art. 1 dello Statuto Alber-
tino (“L’Italia riconosce e riafferma il principio consacrato nell’articolo 1°
dello Statuto del Regno 4 marzo 1848, pel quale la religione cattolica, apo-
stolica e romana è la sola religione dello Stato”), conferendo al nuovo regi-
me un carattere confessionista, nel quale si ripristinava una vera e propria
presenza privilegiata della Chiesa cattolica nell’ordinamento dello Stato.
Concordato: disciplinava la situazione della Chiesa cattolica in Ita-
lia riconoscendole una condizione di privilegio nei confronti delle altre
Il Diritto Ecclesiastico 11

confessioni religiose. Prevedeva inoltre tutta una serie di privilegi fiscali e


norme di intervento finanziario nei confronti del clero (le c.d. congrue).
La Convenzione finanziaria: con la quale furono regolati i rappor-
ti economici pregressi tra Stato italiano e Santa Sede, riconoscendo a
quest’ultima una somma a titolo di indennizzo per la perdita degli stati
pontifici.
Per l’applicazione del Concordato furono emanate due leggi: la legge
n.847/1929 per il matrimonio e la legge n.848/1929 per gli enti ecclesia-
stici. In queste materie si affermò il principio per cui ciò che era esistente
e valido per l’ordinamento della Chiesa, doveva esserlo anche per quello
dello Stato. Si ricorda altresì che con la legge n.1159/1929 fu disciplina-
to “l’esercizio dei culti ammessi nello Stato” e il “matrimonio celebrato
davanti ai ministri dei culti medesimi”. Detta legge, tra l’altro, prevedeva
che potessero essere ammessi nello Stato italiano i culti diversi dalla re-
ligione cattolica purché non professassero principi o non seguissero riti
contrari all’ordine pubblico o al buon costume. La legge prevedeva inol-
tre una serie di controlli da parte dello Stato riguardo alla costituzione,
alla gestione degli enti e alla nomina dei ministri dei culti ammessi. Nel
1930 fu pubblicato il nuovo codice penale che prevedeva una serie di
reati che tutelavano il sentimento religioso. L’art. 402 c.p. puniva il vili-
pendio della sola religione dello Stato, ossia della sola religione cattolica;
mentre gli articoli successivi punivano il vilipendio di persone e di cose e
la turbativa di funzioni religiose (artt. 403-405 c.p.); la pena era tuttavia
diminuita (art. 406 c.p.) se i fatti di reato, di cui agli artt. 403-405, si
fossero realizzati contro i culti ammessi. La ratio stava in ciò che solo la
religione cattolica costituiva tradizione secolare e quindi elemento unifi-
catore del popolo italiano nel regime fascista, mentre i culti ammessi, pur
essendo fattori di elevazione morale, non rientravano in quella tradizione
italiana e rappresentavano la “diversità”.
La terza fase prende le mosse dalla caduta del fascismo e dalla ri-
costruzione dell’ordinamento in senso democratico e pluralista, attuato
dalla Costituzione repubblicana entrata in vigore il 1° gennaio 1948 che
innovò grandemente il diritto ecclesiastico italiano.
La Costituzione pose infatti norme fondamentali che sancivano la
nuova posizione della Repubblica rispetto al sentimento religioso dei cit-
tadini. Sono proclamati i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo
sia nelle formazioni sociali in cui si svolge la sua personalità (art. 2 Cost.),
il diritto di libertà religiosa, la uguale libertà delle confessioni: artt. 19 e
8 Cost.; è introdotto il principio di uguaglianza davanti alla legge senza
distinzione di religione (art. 3 Cost.) e di non discriminazione di asso-
ciazioni o istituzioni a causa del loro carattere ecclesiastico o del fine di
religione o di culto (art. 20 Cost.). Sono posti, con la proclamazione
12 MANUALE DI DIRITTO ECCLESIASTICO

dell’indipendenza e della sovranità di Stato e Chiesa cattolica, ciascuno


nel proprio ordine, i principi di distinzione degli ordini civile e religioso
(art. 7, 1° comma) e di autonomia delle confessioni (art. 8, 2° comma);
infine sono poste due norme (art. 7, 2° comma e art. 8, 3° comma) sulla
produzione giuridica laddove si tratti di disciplinare i rapporti tra Stato e
Chiesa cattolica e tra Stato e confessioni diverse dalla cattolica.
Emergeva però col passare degli anni la necessità di rivisitare le nor-
me concordatarie per adeguarle ai nuovi principi costituzionali, così que-
sto processo di revisione culminò il 18 febbraio 1984 nell’Accordo di
Villa Madama. Tale Accordo, reso esecutivo con legge 2 marzo 1985 n.
121, abrogava e sostituiva il Concordato lateranense e apportava alcune
modifiche al Trattato del Laterano.
L’Accordo di Villa Madama viene considerato di modifica del prece-
dente concordato ma in realtà costituisce uno strumento nuovo di rego-
lamentazione dei rapporti fra Stato e Chiesa.
L’Accordo di Villa Madama si compone di un Preambolo, 14 articoli
in cui sono concentrati i principi ispiratori dei nuovi rapporti tra Stato
e Chiesa in Italia ed un protocollo addizionale, articolato in sette punti,
destinato a fornire utili precisazioni al chiaro fine di evitare ogni difficoltà
di interpretazione.
Nel preambolo, si fa riferimento alle trasformazioni della società ita-
liana a partire dall’emanazione della Costituzione italiana ed all’impor-
tanza degli sviluppi promossi nella Chiesa dal Concilio Vaticano II.
Nel corpo normativo dell’Accordo va evidenziato quanto previsto
dall’art. 1 in base al quale “La Repubblica italiana e la Santa Sede riaf-
fermano che lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine,
indipendenti e sovrani, impegnandosi al pieno rispetto di tale principio nei
loro rapporti ed alla reciproca collaborazione per la promozione dell’uomo e
il bene del Paese”; tale norma, letta in combinato disposto con l’art. 1 del
protocollo addizionale in base al quale “Si considera non più in vigore il
principio, originariamente richiamato dai Patti Lateranensi, della religione
cattolica come sola religione dello Stato italiano”, introduce il principio di
laicità dello Stato.
All’art. 2 viene assicurata alla Chiesa la piena libertà di svolgere la
sua missione pastorale, educativa e caritativa, di evangelizzazione e di
santificazione.
All’art.3 viene consacrata la libertà dell’autorità ecclesiastica nella
determinazione della circoscrizione delle diocesi e delle parrocchie ed è
inoltre prevista la libertà nella nomina dei titolari di uffici ecclesiastici.
L’art. 4 delinea le immunità ed i privilegi personali degli ecclesiastici,
mentre all’art. 5 sono specificati quelli di natura reale. L’art. 7 prevede di-
sposizioni generali relative alle associazioni ed alle istituzioni ecclesiastiche.
Il Diritto Ecclesiastico 13

L’art. 8 concerne la materia matrimoniale, in cui è previsto il ricono-


scimento degli effetti civili ai matrimoni contratti secondo le norme del
diritto canonico.
Agli artt. 9 e 10 è presa in considerazione la libertà di scuola e di
insegnamento oltre alla previsione di garanzie di libertà per gli istituti
universitari e gli enti educativi della Santa Sede. Nell’art. 11 sono previste
regole circa l’assistenza spirituale delle forze armate, mente nell’art. 12
sono previste regole generali circa la collaborazione che lo Stato e la Chie-
sa cattolica si concedono per la tutela del patrimonio storico ed artistico.
Infine l’art. 14 impone alle parti contraenti di addivenire ad una
amichevole soluzione in caso di contrasti sopravvenuti in tema di in-
terpretazione e applicazione delle disposizioni pattuite: “Se in avvenire
sorgessero difficoltà di interpretazione o di applicazione delle disposizioni
precedenti, la Santa Sede e la Repubblica italiana affideranno la ricerca di
un’amichevole soluzione ad una Commissione paritetica da loro nominata”.
All’Accordo del 1984 seguì la legge n. 206 del 20 maggio 1985 e la
legge n. 222 del 20 maggio 1985 (Disposizioni sugli enti e beni eccle-
siastici in Italia e per il sostentamento del clero cattolico in servizio nelle
diocesi) con il relativo regolamento d.p.r. n. 33 del 1987.
Furono stipulate, inoltre, tra le competenti autorità dello Stato e la
CEI una serie di intese in materia di insegnamento della religione catto-
lica, in materia di assistenza spirituale, in materia di beni culturali di in-
teresse religioso appartenenti ad enti ed istituzioni ecclesiastiche (intese,
intese di 2° grado, c.d. intese subconcordatarie, e anche intese e protocol-
li di carattere locale). Contestualmente alla sottoscrizione del nuovo Ac-
cordo con la Santa Sede fu sottoscritta e subito approvata l’intesa con la
Tavola Valdese (legge n. 449/ 1984), cui seguirono altre: con gli Avventi-
sti, legge n. 516/1988; con le Assemblee di Dio in Italia, legge 517/1998;
con l’Unione delle Comunità Ebraiche, legge n. 101/1989; con l’Unione
Cristiana Evangelica Battista d’Italia, legge n. 116/1995; con la Chiesa
Evangelica Luterana in Italia, legge n. 520/1995, che mutarono grande-
mente la situazione delle confessioni diverse dalla cattolica liberandole
dai vincoli della legge n. 1159 del 1929. Alcune di tali intese sono state
modificate in seguito a nuovi accordi approvati con legge (concernenti
per lo più il sistema di finanziamento diretto dell’otto per mille). Dopo
un pausa di anni, in data 4 aprile 2007, furono sottoscritte sei nuove
intese, delle quali cinque sono state approvate con leggi 30 luglio 2012,
n.126 (Sacra Arcidiocesi Ortodossa d’Italia ed Esarcato per l’Europa Me-
ridionale), n. 127 (Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli ultimi giorni) e
n. 128 (Chiesa Apostolica in Italia) e con leggi 31 dicembre 2012 n. 245
(Unione Buddhista Italiana) e n. 246 (Unione Induista Italiana, Sanatana
Dharma Samgha), mentre quella con la Congregazione Cristiana dei Te-
14 MANUALE DI DIRITTO ECCLESIASTICO

stimoni di Geova è stata stipulata, ma manca per ora la legge di approva-


zione. È stata sottoscritta infine in data 27 giugno 2015 l’intesa, sempre
ai sensi dell’art. 8, 3° comma, Cost., tra la Repubblica italiana e l’Istituto
Buddista Italiano Soka Gakkai,che è stata resa esecutiva con Legge 28
giugno 2016, n.130. Le nuove norme dell’Accordo quadro del 1984 rese
esecutive dalla legge 121 del 1985 e quelle di approvazione delle intese di
secondo grado hanno avuto un effetto moltiplicatore anche nei confronti
degli interventi normativi sviluppati in via unilaterale da parte dello Sta-
to, tanto a livello centrale che regionale.
Capitolo 2
Le fonti

1. Le fonti del diritto ecclesiastico

Le norme dell’ordinamento statale che concorrono a costituire il diritto


Ecclesiastico hanno origine differente in quanto alcune di esse sono di im-
mediata derivazione statale (norme che lo Stato emana direttamente quan-
do intende disciplinare un determinato aspetto del diritto ecclesiastico, ad
esempio art. 629 c.c. “disposizioni a favore dell’anima” , art. 831 c.c. “Beni
degli enti ecclesiastici ed edifici di culto”, leggi relative ai culti acattolici L.
n.1159/1929 ecc.), altre invece sono prodotte dagli ordinamenti giuridici
confessionali tese a determinare specifici rapporti e alle quali lo Stato con-
ferisce valore giuridico (sono quindi recepite dall’ordinamento giuridico
statuale), mentre altre ancora sono di natura bilaterale (concordataria), os-
sia norme redatte come attuazione di un impegno assunto con altro ordi-
namento (le leggi di attuazione delle intese ex art. 8 comma 3 Cost.).
Anche il diritto Canonico costituisce una delle fonti del diritto ec-
clesiastico. In questo caso il collegamento tra l’ordinamento italiano e
l’ordinamento confessionale avviene attraverso le modalità del rinvio for-
male, ossia quando lo Stato, anziché disciplinare direttamente una certa
materia, preferisce attribuire efficacia civile al diritto confessionale, con-
tinuando ad essere in vigore nell’ordinamento di origine e rimanendo
estraneo all’ordinamento italiano (G. Dalla Torre).
A tali fonti si aggiungono quelle di diritto internazionale. Gli atti
emanati in sede internazionale trovano applicazione nell’ordinamento
italiano mediante leggi di esecuzione e assumono il rango di leggi atipi-
che o rinforzate.
Fra le fonti internazionali assume particolare rilievo la “Convenzione
Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fonda-
mentali” (CEDU) che all’art. 9 riconosce ad ogni individuo il diritto
alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione, all’art. 8 il diritto al
rispetto della vita privata e familiare, all’art.10 la libertà di pensiero e di
espressione e all’art. 14 il divieto di discriminazione.
Il Trattato di Amsterdam firmato nel 1997 e reso esecutivo in Italia
il attraverso la legge n.209/1998 stabilisce che “l’Unione rispetta i diritti
fondamentali quali sono garantiti dalla Convenzione europea per la salva-
16 MANUALE DI DIRITTO ECCLESIASTICO

guardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali firmata a Roma il


5 novembre 1950 e quali risultano dalle tradizioni costituzionali comuni
degli Stati membri, in quanto principi generali del diritto comunitario”.
Anche la Carta Europea dei diritti fondamentali proclamata a Nizza
nel 2000 si occupa della libertà di pensiero, di coscienza e di religione.
La partecipazione all’Unione Europea comporta inoltre per l’Italia
una serie di obblighi di adattamento nazionale alla normativa emanata
dagli organi comunitari. In ambito europeo si segnala la Risoluzione del
Parlamento Europeo del 19 gennaio 2016 sul ruolo del dialogo intercul-
turale e della diversità culturale. L’obbiettivo principale della risoluzione
consiste nell’esortare tutti gli Stati membri ad attivarsi per eliminare ogni
forma di discriminazione fra le varie culture e religioni e al contempo
favorire protezione di tutte le comunità disagiate e delle minoranze.
L’art. 117 comma 2 della Costituzione Italiana sancisce la potestà
legislativa esclusiva dello Stato nella materia dei rapporti tra Repubblica
e le confessioni religiose. Da tale disposizione deriverebbe che le Regio-
ni non possano in nessun modo legiferare in materia religiosa. In realtà
il comma 5 nonché l’ultimo comma della norma testé citata, riconosce
alle Regioni una vera e propria soggettività esterna nei rapporti con al-
tri ordinamenti con espresso riferimento “all’attuazione e all’esecuzione
degli accordi internazionali e degli atti dell’Unione Europea” nonché di
“concludere accordi con Stati e intese con enti territoriali interni ad altro
Stato nei casi e con le forme disciplinati da leggi dello Stato.
Nelle materie che rientrano nella competenza legislativa delle Regio-
ni segnaliamo invece l’istruzione, la formazione, il turismo religioso, gli
edifici di culto, rispetto ai quali l’art. 117 comma 2 lettera m) Cost. sta-
bilisce il compito dei medesimi enti locali di assicurare “i livelli essenziali
delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali” tra cui è ricompresa
la libertà religiosa.
Anche le pronunce della Corte Costituzionale hanno inciso notevol-
mente sulla materia religiosa in quanto molte sentenze hanno dichiarato
l’illegittimità costituzionale di norme unilaterali e di derivazione pattizia,
mentre con alcune sentenze additive è stata dichiarata l’illegittimità di
una norma nella parte in cui ometteva alcune garanzie.

2. I conflitti tra norme

Può accadere che sorga contrasto tra una norma pattizia ed un’altra
dell’ordinamento statale. Se tale contrasto coinvolge una norma statale,
Le fonti 17

dato il riconoscimento costituzionale del diritto concordatario, si avrà


prevalenza della norma pattizia nei confronti di quella interna.
In caso di contrasto con norma costituzionale, invece, parte della
dottrina (Jemolo) è stata dell’avviso che debba prevalere in ogni caso la
norma costituzionale, mentre altra parte della dottrina (Del Giudice) ri-
tiene che debba prevalere la norma pattizia in quanto a carattere speciale.
Quest’ultima soluzione è stata adottata, con alcuni temperamen-
ti, dalla Corte Costituzionale, la quale, con sentenze n.30/1971 e
n.175/1973, ha affermato la giuridica rilevanza delle norme pattizie an-
che quando contrastino con altre disposizioni della Costituzione, a meno
che non si tratti dei principi supremi dell’ordinamento costituzionale
dello Stato.
Capitolo 3
Lo Stato ed il fattore religioso

1. Il diritto Ecclesiastico e la Costituzione italiana

Nei paragrafi precedenti abbiamo osservato come inizialmente lo Stato


liberale scelse la linea del separatismo (libera Chiesa in libero Stato), poi
si passò all’emanazione dello Statuto Albertino che si professava confes-
sionista per poi addivenire, durante il regime fascista, all’adozione di un
duplice binario, una sorta di confessionismo diseguale tra la Chiesa catto-
lica e gli altri culti.
L’ordinamento repubblicano invece valorizza il fenomeno della reli-
giosità dei consociati, in quanto aspetto fondamentale della libertà sia del
singolo che delle formazioni sociali. Il suo atteggiamento pertanto non
può considerarsi passivo, neutrale ed indifferente, ma necessariamente
“interventista” in quanto volto ad eliminare ogni ostacolo di ordine eco-
nomico e sociale per salvaguardare la libertà di religione in regime di
pluralismo confessionale e culturale.
Molte norme Costituzionali prendono in considerazione il fenome-
no religioso; in particolare si rinvengono nel testo Costituzionale alcuni
principi fondamentali volti a garantire e tutelare la libertà confessionale.
Il principio della c.d. “libertà religiosa”, ossia, in base alla definizio-
ne fornita da D’Avack “la libertà, garantita dallo Stato a ogni cittadino,
di scegliere la propria credenza in fatto di religione” è garantito in Costi-
tuzione sia sotto il profilo individuale che collettivo.
Il diritto di libertà religiosa (da non confondersi con la libertà di
religiosità ossia la libertà di ciascun individuo di determinarsi rispetto al
sentimento religioso) essendo un diritto pubblico subiettivo, differen-
ziandosi quindi dai c.d. diritti sociali, implica la pretesa di una presta-
zione negativa da parte dello Stato, il quale è tenuto ad astenersi da tutti
quegli atti che possano impedirne il libero esercizio.
L’art. 19 prevede infatti che “Tutti hanno diritto di professare libera-
mente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata,
di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purchè
non si tratti di riti contrari al buon costume”.
A contrario di altre norme costituzionali, l’art. 19 Cost. ha quali
destinatari “tutte” quelle persone che si trovano nel territorio italiano,
20 MANUALE DI DIRITTO ECCLESIASTICO

quindi anche i non cittadini. L’unico limite previsto dalla norma è rap-
presentato dal divieto di riti contrari al buon costume, ossia quei riti che
offendono il pudore sessuale, la libertà sessuale (Finocchiaro). Si tratta
ovviamente di un concetto elastico caratterizzato dal principio di relati-
vità storica. Oltre a questo limite, ne sussiste un altro, un limite implici-
to, volto a tutelare altri diritti o interessi aventi rilevanza costituzionale
(si veda Legge n.7/2006 che ha introdotto il reato di mutilazione degli
organi genitali femminili pratica che trovava in fini religiosi il suo fon-
damento).
Con l’art. 20 Cost. invece, il quale prevede che “Il carattere eccle-
siastico e il fine di religione o di culto d’una associazione od istituzione non
possono essere causa di speciali limitazioni legislative, ne´ di speciali gravami
fiscali per la sua costituzione, capacita` giuridica e ogni forma di attivita”,
viene garantita la facoltà di creare associazioni o istituzioni aventi carat-
tere ecclesiastico o finalità religiosa senza che lo Stato possa introdurre
speciali limitazioni sfavorevoli o discriminatorie a loro carico e senza che
possano introdursi politiche fiscali oppressive per limitarne l’istituzione
ed il funzionamento.
Il principio di eguaglianza trae origine dall’art. 3 della Carta Costi-
tuzionale, il quale prescrive di considerare la pari dignità sociale di tutti
i soggetti, prescindendo dalla loro adesione ad una qualche confessione
religiosa. A tal fine è compito dello Stato porre in essere attività atte ad
impedire che la realizzazione di tale principio sia messa in pericolo da
differenze economiche e sociali. Dovranno pertanto essere rimossi tutti
quegli ostacoli che potrebbero impedire il pluralismo confessionale.
Il principio di laicità dello Stato ed il principio di separazione dei
due ordinamenti è sancito dall’art. 7 della Carta Costituzionale; è infatti
previsto che “Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine,
indipendenti e sovrani.
I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi. Le modificazioni dei
Patti, accettate dalle due parti, non richiedono procedimento di revisione
costituzionale”.
Analizzando il primo comma della norma sopra citata, si compren-
de come il legislatore costituzionale abbia voluto prevedere l’esistenza di
due istituzioni indipendenti e sovrane che esercitano, autonomamente
nel proprio ordine, le loro potestà di regolamento giuridico delle materie
proprie di ciascuna (c.d. ordinamenti giuridici primari). Molti autori (Je-
molo, Giacchi) sul punto, hanno evidenziato come lo Stato abbia voluto
dichiarare l’esistenza di un ordine in cui la Chiesa è sovrana potendo
organizzarsi come vuole senza ingerenza dello Stato italiano.
L’art. 7 Cost. al suo comma secondo, invece, sancisce che la regola-
mentazione delle materie mixtae, vada fatta in base ai Patti Lateranensi in
Lo Stato ed il fattore religioso 21

vigore al momento della stesura della Carta Costituzionale.


Il principio di eguaglianza religiosa è previsto invece dall’art. 8
Cost. il quale testualmente recita: “Tutte le confessioni religiose sono egual-
mente libere davanti alla legge. Le confessioni religiose diverse dalla cattolica
hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contra-
stino con l’ordinamento giuridico italiano. I loro rapporti con lo Stato sono
regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze.”
Viene sancito pertanto un principio di pluralismo confessionale che
esclude ogni forma di confessionismo di Stato. (recentemente il TAR
Veneto Venezia, con sentenza n.91/2015, ha disposto che gli artt. 8 e 19
della Costituzione stabiliscono il dovere dello Stato di salvaguardare la
libertà religiosa in un regime di pluralismo confessionale).
Non può essere fonte di discriminazione neppure l’esistenza di
un’intesa con lo Stato. Questo principio di pari libertà delle confessioni
religiose non esclude che attraverso l’intesa possa invece introdursi un
regime giuridico differenziato volto alla valorizzazione dell’identità della
singola confessione.
I commi 2 e 3 dell’art. 8 Cost. prendono in esame la disciplina dei
culti acattolici, prevedendo appunto la loro libertà di organizzazione con
i dovuti limiti e la disciplina dei loro rapporti con lo Stato italiano.
Ai culti acattolici è stata riservata un’autonomia mai avuta nella storia
del diritto ecclesiastico (Finocchiaro), ossia il potere di autodeterminarsi, di
porre norme efficaci anche nei confronti dello Stato attraverso statuti inter-
ni alle singole confessioni. L’unica limitazione deriva dal fatto che tali statu-
ti non possono in nessun caso contrastare l’ordinamento giuridico italiano,
ossia, secondo la giurisprudenza costituzionale, i principi fondamentali
dell’ordinamento stesso (Corte Cost. sent. 43/1998 delimita il significato
di principi fondamentali: “Questa espressione si può intendere riferita difatti
solo ai principi fondamentali dell’ordinamento stesso e non anche a specifiche
limitazioni poste da particolari disposizioni normative […]”.)
In dottrina invece, Jemolo sostiene che la formula “ordinamento giu-
ridico italiano” comprenda l’ordine pubblico e il buon costume.

2. La competenza degli organi statuali in materia di culto

Diversi organi dell’ordinamento italiano hanno competenza in materia


di culti ed esercitano particolari funzioni politiche ed amministrative in
rapporto a determinate materie; nella specie:
-- Il Presidente della Repubblica, ai sensi del combinato disposto
22 MANUALE DI DIRITTO ECCLESIASTICO

degli artt. 80, 87 Cost. ed art. 12 comma 4 del Trattato del ’29,
accredita l’ambasciatore italiano presso la Santa Sede e riceve il
Nunzio pontificio presso l’Italia, nomina i plenipotenziari desi-
gnati dal Governo, per le trattative concordatarie e promulga le
leggi di esecuzione della revisione concordataria e delle intese con
i culti diversi dalla religione cattolica, ratifica i trattati internazio-
nali compresi quelli con la Santa Sede.
-- Il Presidente del Consiglio Dei Ministri, dirige e coordina l’o-
pera dei singoli Ministri anche in materia ecclesiastica; ex art. 2
comma 2 lett.e) del D.Lgs. 303/1999, si avvale della Presiden-
za per l’esercizio delle funzioni attinenti i rapporti del Governo
con le confessioni religiose, ai sensi degli articoli 7 e 8, ultimo
comma, della Costituzione; inoltre alla Presidenza del Consiglio
spetta definire le politiche e gli indirizzi generali concernenti la
elaborazione delle leggi e degli atti pattizi in materia religiosa.
Presso la Presidenza sono istituite svariate Commissioni con com-
petenza in materia ecclesiastica tra cui ricordiamo, tra le altre, la
Commissione consultiva per la libertà religiosa, la Commissione
governativa per l’attuazione delle disposizioni dell’Accordo tra
Italia e Santa Sede, la Commissione interministeriale per le intese
con le confessioni religiose.
-- Il Ministro dell’Interno esercita le competenze generali in ma-
teria di Culti; svolge i compiti in materia di confessioni religiose
attraverso il Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione
ossia attraverso la Direzione centrale degli affari dei culti e la Di-
rezione centrale per l’amministrazione del Fondo edifici di culto,
organo dotato di personalità giuridica che a partire dal 1° gennaio
1987 riunisce i patrimoni delle soppresse Aziende di Culto ed ha
il compito di provvedere alla conservazione, al restauro, tutela e
valorizzazione degli edifici di culto appartenenti al fondo stesso.
-- Il Prefetto ha visto ridursi notevolmente le proprie competenze
in ambito ecclesiastico a seguito dell’entrata in vigore delle norme
del nuovo Concordato. Ai sensi dell’art. 37 della L.222/1985,
l’Istituto per il sostentamento del clero che intende vendere, a de-
terminati soggetti, un immobile per un prezzo superiore ai vecchi
1.500 milioni di lire, deve darne, con atto notificato, comunica-
zione al Prefetto della provincia nella quale è ubicato l’immobile,
dichiarando il prezzo e specificando le modalità di pagamento e
le altre condizioni essenziali alle quali la vendita dovrebbe essere
conclusa.
Capitolo 4
L’ordinamento dello Stato della Città del Vaticano

1. Lo Stato della Città del Vaticano e i suoi rapporti con lo Stato italiano

Molti termini usati relativamente alla religione cattolica (ad es. Chiesa,
Santa sede, ecc.) vengo sovente confusi tra loro. Per comprendere meglio
la materia di cui ci stiamo occupando è indispensabile comprendere che
tra gli stessi esiste una profonda differenza.
Pertanto è bene capire che la Chiesa, ossia la società dei battezzati
che professano la stessa fede, partecipando ai soliti sacramenti e tendendo
alla realizzazione degli stessi fini spirituali sotto la potestà del Romano
Pontefice e dei Vescovi, si differenzia dalla Santa Sede, con la quale, in
base al can. 361 del Codice di diritto Canonico, si intende “non solo il
Romano Pontefice, ma anche, se non risulta diversamente dalla natura della
questione o dal contesto, la Segreteria di Stato, il Consiglio per gli affari pub-
blici della Chiesa e gli altri Organismi della Curia Romana”.
La Curia, invece, in base all’art.360 can. Dir. Can. mediante la quale
il Sommo Pontefice è solito trattare le questioni della Chiesa universale,
“è composta dalla Segreteria di Stato o Papale, dal Consiglio per gli af-
fari pubblici della Chiesa, dalle Congregazioni, dai Tribunali, e da altri
organismi” .
Da ultimo è bene comprendere che lo Stato della Città del Vaticano
(S.C.V.) è quel territorio sul quale la Santa sede è sovrana.
Lo Stato della città del Vaticano è sorto in virtù del Trattato del Late-
rano del 1929, ed ha iniziato ad esistere il 7 giugno del medesimo anno.
Con il Trattato summenzionato, l’Italia riconobbe alla Santa Sede,
ex art. 3, la piena proprietà e l’esclusiva ed assoluta potestà e giurisdi-
zione sovrana sul Vaticano, (com’è attualmente costituito, ossia in base
alla Legge 214/1871 la c.d. legge delle Guarentigie), con tutte le sue
pertinenze e dotazioni e con qualche piccola aggiunta. (I confini della
Città del Vaticano sono indicati nella Pianta che costituisce l’Allegato I°
del Trattato).
In tale Città, tale riconoscimento di sovranità esclusiva della Santa
Sede, importava che non potesse esplicarsi alcuna ingerenza da parte del
governo italiano e che non vi fosse altra autorità che quella della Santa
Sede. L’Italia inoltre si impegnò a garantire un’adeguata dotazione di ac-
24 MANUALE DI DIRITTO ECCLESIASTICO

que in proprietà, alla comunicazione con le ferrovie dello Stato mediante


la costruzione di una stazione ferroviaria nella Città del Vaticano, al col-
legamento, direttamente anche con gli altri Stati, dei servizi telegrafici,
telefonici, radiotelegrafici, radiotelefonici e postali ed al coordinamento
degli altri servizi pubblici.
Acquistando la proprietà del Palazzo Vaticano e delle sue pertinenze
ed accessori, la Santa Sede è divenuta un ente sovrano su quel territorio
(ricordiamo che detto territorio ha una superficie di appena 0,49 Kmq).
Il fatto che il territorio dello Stato sia di proprietà dell’ente sovrano ha
fatto sì che in pieno XX secolo si sia creato uno Stato patrimonio del
Sovrano (Finocchiaro). Inoltre a differenza degli altri Stati, lo S.C.V. non
è stato creato per provvedere all’organizzazione sociale dei suoi cittadini,
ma per assicurare alla Santa Sede l’assoluta indipendenza e per garantire
alla stessa una sovranità anche in campo internazionale.
In tale campo inoltre, la Santa Sede è e si mantiene estranea alle com-
petizioni temporali tra gli Stati salvo che i contendenti facciano concorde
appello alla sua missione di pace ed è per questo che è considerato terri-
torio neutrale ed inviolabile (art. 24 Trattato). Così come affermato da
Ricciardi Celsi, “Il magistero della Chiesa e in particolare quello degli ultimi
Pontefici ha contribuito a sviluppare e incrementare il ruolo della Chiesa –
come autorità morale –nella costruzione della pace nel mondo (Pacem in
Terris e Gaudium et Spes). L’impegno della Santa Sede e del magistero degli
ultimi pontefici per la pace nel mondo, affonda le sue radici nella profonda
connessione che esiste tra pace, diritti umani e solidarietà internazionale. An-
che recentemente, come più volte in passato, la Chiesa si è fatta promotrice di
importanti iniziative per la pace (ci riferiamo in particolare alla situazione
in Medio Oriente per porre fine allo spargimento di sangue in Siria).”
Oltre al territorio proprio dello Stato la giurisdizione del Vaticano
comprende alcuni altri edifici in Roma e fuori Roma che godono del
diritto all’extraterritorialità. Tali immobili godono delle immunità rico-
nosciute dal diritto internazionale alle sedi degli agenti diplomatici di
Stati esteri e sono esenti da espropriazioni e tributi.
I beni extraterritoriali della Santa Sede in Roma sono attualmente:
-- il complesso di S. Giovanni in Laterano (Basilica, Palazzo Aposto-
lico Lateranense con gli edifici annessi e la Scala Santa);
-- la Basilica di S. Maria Maggiore con gli edifici annessi;
-- la Basilica di S. Paolo fuori le Mura con gli edifici annessi;
-- il Palazzo della Cancelleria;
-- il Palazzo di Propaganda Fide, sede della Congregazione per l’E-
vangelizzazione dei Popoli;
-- il Palazzo di S. Callisto in Trastevere;
-- il Palazzo del Sant’Offizio ed adiacenze, sede della Congregazione
L’ordinamento dello Stato della Città del Vaticano 25

della Dottrina della Fede (chiamata fino al 1965 Suprema Sacra


Congregazione del Sant’Offizio);
-- il Palazzo dei Convertendi, sede della Congregazione per le Chie-
se Orientali;
-- il Palazzo Maffei o del Vicariato (già sede della Curia diocesana
di Roma);
-- il Palazzo delle Congregazioni ai Propilei;
-- il Palazzo Pio, dichiarato extraterritoriale nel 1979 (con esclusio-
ne tuttavia dei locali che ospitano attualmente l’Auditorium) in
sostituzione del Palazzo della Dataria, non più di proprietà della
Santa Sede;
-- il Pontificio Seminario Romano Minore;
-- gli immobili sul Gianicolo (Pontificio Collegio Pio Romeno,
Pontificio Collegio Ucraino di S. Giosafat, Pontificio Collegio
Americano del Nord, Ospedale del Bambino Gesù, Chiesa di S.
Onofrio e Convento, Pontificio Università Urbaniana, Area dei
Servizi Tecnici della Santa Sede, Collegio Internazionale S. Moni-
ca, Curia Generalizia della Compagnia di Gesù, Istituto di Maria
Bambina, Chiesa dei Ss. Michele e Magno, Edificio delle Suore
Calasanziane, Casa delle Suore dell’Addolorata, Immobili su Bor-
go Santo Spirito contigui alla Curia dei Gesuiti).
In definitiva, lo S.C.V. è uno Stato patrimoniale, neutrale, la cui sovrani-
tà spetta ad un monarca elettivo.
Lo S.C.V ha una popolazione, rappresentata da Cardinali residenti
in Roma, anche fuori dalla Città del Vaticano, da coloro che vi hanno
stabile residenza, da coloro che sono autorizzati dal Sommo Pontefice a
risiedervi e dai coniugi, figli, ascendenti, fratelli e sorelle dei cittadini va-
ticani ed una sua organizzazione amministrativa, giudiziaria e legislativa.
Lo S.C.V. si è dato nel 1929, con la conclusione dei Patti Lateranen-
si, sei leggi organiche:
-- la prima è detta “fondamentale”in quanto determina gli organi
costituzionali dello Sato, la bandiera, lo stemma ed il sigillo uffi-
ciale (sostituita nel 2001 da Giovanni Paolo II con la legge “Motu
Proprio”;
-- la seconda riguarda le fonti del diritto (tra le quale dovranno an-
noverarsi il codice di diritto canonico, le costituzioni apostoli-
che emanate dal Pontefice, le leggi emanate dal Pontefice, le leggi
emanate attraverso il c.d. rinvio recettizio alle normative vigenti
in Italia );
-- la terza legge organica riguarda la cittadinanza ed il soggiorno;
-- la quanta l’ordinamento amministrativo;
-- la quinta l’ordinamento economico;
26 MANUALE DI DIRITTO ECCLESIASTICO

-- la sesta l’ordina pubblico.


Per le materie non contemplate da queste fonti occorre fare rinvio in via
suppletiva e previa accettazione da parte vaticana a leggi ed atti normativi
emanati dallo Stato italiano.
La legge n. LXXI del 2008, al suo articolo 3, sancisce che può essere
fatto riferimento a norme della legislatura italiana sempre che quest’ul-
time non siano contrarie ai precetti del diritto divino o ai principi del
diritto canonico.
Il potere legislativo, cui è titolare il Sommo Pontefice, è esercitato da
una Commissione composta da un Cardinale presidente e da altri Cardi-
nali tutti nominati dal Sommo Pontefice per 5 anni.
Il potere esecutivo è esercitato dal Presidente della Commissione,
coadiuvato dal Segretario Generale e dal Vice Segretario Generale.
Il potere giudiziario è esercitato a nome del Sommo Pontefice dagli
organi costituiti secondo l’ordinamento giudiziario e sono:
Giudice unico: competenza in materia civile e penale
Il Tribunale di prima istanza: organo collegiale di seconda istanza
nella causa di competenza del giudice unico ed in primo grado in alcune
materie non deferite al Giudice Unico. Ha competenza specifica in ma-
teria di stato civile e tributaria.
La Corte d’Appello: composta dal Decano della Rota Romana e da
Due uditori; decide sulle impugnazioni avverso i provvedimenti del Tri-
bunale di prima istanza e sulle delibazioni delle sentenze straniere.
La Corte di Cassazione: costituita dal Cardinale Prefetto del Supremo
Tribunale della Segnatura Apostolica e da altri due Cardinali.
Il qualunque stato del processo, sia esso civile che penale, il Som-
mo Pontefice può deferirne l’istruttoria e la decisione ad una particolare
istanza, potendo pronunciare anche secondo equità. Può inoltre conce-
dere amnistie, indulti, condoni e grazie
Durante il periodo di “Sede Vacante” il potere legislativo appartiene
al Collegio dei Cardinali, che tuttavia potrà esercitarlo soltanto nei casi
di urgenza e con efficacia limitata alla durata della vacanza, salva ipotesi
ratificata dal Sommo Pontefice successivamente eletto.
Circa invece i rapporti giudiziari tra lo Stato Italiano e lo S.C.V. si
evidenzia che l’Italia provvederà nel suo territorio alla punizione dei de-
litti commessi nella Città del Vaticano, così, una volta concessa la delega
l’azione penale diventa obbligatoria per lo Stato italiano. La Santa Sede
consegnerà allo Stato italiano le persone, che si fossero rifugiate nella
Città del Vaticano, imputate di atti, commessi nel territorio italiano, che
siano ritenuti delittuosi dalle leggi di ambedue gli Stati. Qualora tuttavia
la persona rifugiatasi nel territorio vaticano sia imputata in Italia di un
delitto commesso nello Stato Vaticano, la Santa Sede non è tenuta, alla
L’ordinamento dello Stato della Città del Vaticano 27

sua estradizione. Nessun obbligo incombe per la Santa Sede qualora la


persona rifugiatasi in Vaticano sia imputata in Stato diverso dall’Italia
di un delitto commesso sul territorio di detto Stato. L’estradizione non
sarebbe possibile qualora l’autore del fatto criminoso fosse cittadino va-
ticano, qualora il fatto che forma oggetto della domanda di estradizione
non fosse previsto come reato dalla legge vaticana e nel caso di delitti
politici o di reati a questi connessi. Caso diverso è quello in cui autori
di reati commessi in territorio italiano si siano successivamente rifugiati
negli immobili pontifici coperti da extraterritorialità. Al riguardo il terzo
comma dell’art. 22 Trattato prevede per la Santa Sede l’obbligo della loro
consegna allo Stato italiano.

2. Garanzie di carattere personale e reale

Data la posizione di enclave dello S.C.V. rispetto allo Stato italiano, im-
portantissime sono le norme che disciplinano i rapporti tra i due, sia
in relazione al territorio che alle prerogative degli organi centrali della
Chiesa cattolica.
Oltre alle già citate norme del Trattato sui servizi essenziali che l’Ita-
lia deve garantire allo S.C.V., si ricordano:
• ex art. 12 comma 3 del Trattato: libertà di corrispondenza da
tutti gli Stati compresi i belligeranti, alla Santa Sede e viceversa,
nonché il libero accesso dei Vescovi di tutto il mondo alla Sede
Apostolica;
• ex art. 19 del Trattato: i diplomatici e gli inviati della Santa Sede,
i diplomatici e gli inviati dei Governi esteri presso la Santa Sede
e i dignitari della Chiesa provenienti dall’estero diretti alla Città
del Vaticano e muniti di passaporti degli Stati di provenienza,
vistati dai rappresentanti pontifici all’estero, potranno senz’altra
formalità accedere alla medesima attraverso il territorio italiano;
• ex art. 20 del Trattato: Le merci provenienti dall’estero e dirette
alla Città del Vaticano, o, fuori della medesima, ad istituzioni od
uffici della Santa Sede, saranno sempre ammesse da qualunque
punto del confine italiano al transito per il territorio italiano con
piena esenzione dai diritti doganali e daziari;
• ex art. 21 comma 2 e 4 del Trattato: libero transito ed accesso dei
Cardinali attraverso il territorio italiano al Vaticano.
Per converso lo S.C.V. si obbliga a lasciare Piazza S. Pietro aperta al
pubblico e soggetta ai poteri di polizia delle autorità italiane, almeno
28 MANUALE DI DIRITTO ECCLESIASTICO

fino ai piedi della scalinata della basilica, nella quale le autorità potranno
accedere solo se richiesto dalle competenti autorità vaticane.
Le ulteriori c.d. guarentigie reali riconosciute dal Trattato del 1929
attengono oltre che alla piena proprietà delle Basiliche patriarcali di San
Giovanni in Laterano, Santa Maria Maggiore e San Paolo, del Palazzo
Pontificio e della Villa Barberini di Castel Gandolfo, al riconoscimento
a tali immobili delle immunità previste dal diritto internazionale. Tali
immunità si applicano anche alle Chiese, in qualsiasi parte del territorio
italiano, quando vi sono celebrate funzioni con l’intervento del Papa,
purché non siano aperte al pubblico (per Finocchiaro, questo non signi-
fica che le funzioni devono essere celebrate a porte chiuse, ma importa
solo che ciascuno degli intervenuti abbia ricevuto un biglietto d’invito
personale).
Dai Patti Lateranensi derivano anche le c.d. guarentigie personali,
le quali riguardano in primo luogo la figura del Pontefice. L’art. 8 del
Trattato infatti considera sacra ed inviolabile la persona del Sommo Pon-
tefice e ne parifica la tutela al Presidente della Repubblica. Egli non può
rispondere di alcun atto penalmente rilevante nei confronti della giustizia
italiana sia che si tratti di atti compiuti nell’esercizio delle funzioni sia che
si tratti di atti o fatti privati. E’ previsto inoltre che l’attentato alla sua
persona, così come la provocazione a commetterlo è punibile con le stesse
pene previste per l’attentato e la provocazione a commetterlo effettuato
contro la persona del Presidente della Repubblica.
Vi sono anche prerogative riconosciute ai Cardinali, ai quali godono
in Italia degli onori dovuti ai “Principi del sangue”; ove testimoni in cau-
se civili o penali possono essere ascoltati nel proprio domicilio, possono
dispensarsi dall’assumere l’ufficio di tutore, e se stranieri, non sono sog-
getti alle disposizioni sull’ingresso e soggiorno così come da T.U. immi-
grazione. È previsto inoltre dall’art. 21 comma 2 del Trattato che durante
la vacanza della Sede Pontificia, l’Italia provvederà in modo speciale a che
non sia ostacolato il libero transito ed accesso dei Cardinali attraverso il
territorio italiano al Vaticano, e che non si ponga impedimento o limita-
zione alla libertà personale dei medesimi.
Attraverso l’art. 10 è stabilita l’esenzione dal servizio militare, dalla
giuria e da ogni prestazione di carattere personale per i dignitari della
Chiesa e le persone appartenenti alla Corte Pontificia, degli Ufficiali di
curia e dei funzionari di ruolo indispensabili agli uffici della Santa Sede
che verranno indicati in un elenco da concordarsi fra le Alte Parti contra-
enti, anche quando non fossero cittadini del Vaticano .
Esistono inoltre un complesso di norma volte a garantire alla Chiesa
il libero esercizio ella sua potestà di governo. Ricordiamo che l’art. 11 del
Trattato esclude ogni ingerenza da parte dello Stato italiano nei confronti
L’ordinamento dello Stato della Città del Vaticano 29

degli enti centrali della Chiesa cattolica. Per dare concreta applicazione a
tale norma è necessario comprendere che per “enti centrali”, si intendono
quegli enti che sono in collegamento diretto con la Santa Sede, la quale li
utilizza per il perseguimento dei propri fini. Aderendo all’interpretazione
fornita da Ricciardi Celsi occorre distinguere tra gli “enti centrali della
Chiesa” e gli “enti ecclesiastici civilmente riconosciuti”. I primi, essendo
direttamente collegati alla Santa Sede sfuggono dalla giurisdizione ita-
liana, mentre i secondi, pur perseguendo fini istituzionali ecclesiastici,
sono disciplinati da norme italiane e sottoposti alla giurisdizione del giu-
dice italiano (ad esempio era stato individuato quale ente centrale della
Chiesa lo IOR, mentre in senso diametralmente opposto si era espressa
la Corte di Cassazione in relazione alla questione di Radio Vaticana af-
fermando che i c.d. enti centrali sarebbero solamente quelli facenti parte
della Curia Romana).
Inoltre, per obbligo di non ingerenza deve intendersi il dovere di non
esercitare le funzioni pubbliche della sovranità in detti enti centrali della
Chiesa, fra i quali la giurisdizione. In quest’ultimo ambito, la norma pro-
pone il tradizionale principio internazionalistico della esenzione giurisdi-
zionale civile e penale degli Stati esteri nell’ambito delle attività compiute
nell’esercizio del proprio potere statale (iure imperii), con l’esclusione di
quelli aventi natura di puri negozi giuridici (iure gestionis).
Tra le garanzie relative al libero esercizio del potere di governo della
Santa Sede si annovera, ai sensi dell’art. 2 comma 2 del Nuovo Concor-
dato, il diritto di pubblicare liberamente e fare affiggere, nell’interno e
alle porte esterne delle Chiese, gli atti riguardanti il governo spirituale
dei fedeli.
L’art. 12 del Trattato, prevedendo che “L’Italia riconosce alla Santa
Sede il diritto di legazione attivo e passivo secondo le regole generali del dirit-
to internazionale” ha riconosciuto che i rappresentanti diplomatici presso
la Santa Sede, quando si trovano in Italia, sono coperti da inviolabilità
personale e sono esentati dalla giurisdizione penale e civile, così come le
sedi della rappresentanza diplomatica risultano coperte da immunità re-
ali quindi sottratte da controlli e ispezioni da parte delle autorità italiane
salvo consenso dell’agente diplomatico.
I rapporti diplomatici tra Santa Sede e l’Italia sono concretizzati at-
traverso la nomina di Ambasciatore italiano presso la Santa Sede il quale
risiede nello Stato e di un Nunzio pontificio presso l’Italia il quale è il
decano del corpo diplomatico. I diplomatici della Santa Sede ed i corrie-
ri spediti in nome del Sommo Pontefice godono nel territorio italiano,
anche in tempo di guerra, dello stesso trattamento dovuto ai diplomatici
ed ai corrieri di gabinetto degli altri Governi esteri, secondo le norme del
diritto internazionale.
30 MANUALE DI DIRITTO ECCLESIASTICO

3. I rapporti fiscali tra l’Italia e la Santa Sede

Attraverso la legge n.137 del 2016 è stata ratificata la Convenzione tra il


Governo della Repubblica italiana e la Santa Sede in materia fiscale, fatta
nella Citta’ del Vaticano il 1° aprile 2015, con relativo Scambio di Note
verbali del 20 luglio 2007. Tenuto conto infatti della speciale rilevanza
dei rapporti tra la Repubblica italiana e la Santa Sede, caratterizzati da
mutua collaborazione ed improntati alla ricerca di soluzioni condivise in
materie di interesse comune e tenuto conto del processo in atto verso
l’affermazione a livello globale della trasparenza nel campo delle relazioni
finanziarie, le parti contraenti hanno concordato sull’opportunità di assi-
curare la più ampia trasparenza anche attraverso lo scambio di informa-
zioni ai fini fiscali nell’ambito della cooperazione amministrativa, anche
considerata la peculiarità geografica dello Stato della Città del Vaticano.
Le autorità competenti delle Parti contraenti si scambiano le informazio-
ni verosimilmente rilevanti per applicare le disposizioni della presente
Convenzione oppure per l’amministrazione o l’applicazione del diritto
interno relativo alle imposte di qualsiasi natura o denominazione riscosse
per conto delle Parti contraenti, delle loro suddivisioni politiche o enti
locali nella misura in cui l’imposizione prevista non sia contraria alla
Convenzione. Le informazioni ricevute ai sensi di quanto sopra previsto
da una Parte contraente sono tenute segrete analogamente alle informa-
zioni ottenute in applicazione della legislazione fiscale di detta Parte e
sono comunicate soltanto alle persone o autorità (compresi i Tribunali
e le autorità amministrative) che si occupano dell’accertamento o della
riscossione delle imposte.
All’art.2 della Convenzione è disciplinato l’ambito di applicazione
delle disposizioni relative alla determinazione e al versamento delle im-
poste sui redditi di capitale e sui redditi diversi delle attività finanziarie.
Si tratta di soggetti fiscalmente residenti Italia che siano titolari di attività
finanziarie presso enti che svolgono professionalmente un’attività di na-
tura finanziaria nello Stato della Città del Vaticano.
Degna di nota risulta la disposizione di cui all’art. 7 della Conven-
zione concernente la procedura di notifica degli atti tributari.
Capitolo 5
La chiesa nel diritto italiano

1. Premessa

La Chiesa cattolica si presenta quale istituzione autonoma, indipendente


e sovrana.
La consacrazione di tale aspetto è avvenuta con l’art. 7 della Carta
Costituzionale e con l’art. 1 del nuovo Concordato in base al quale “La
Repubblica italiana e la Santa Sede riaffermano che lo Stato e la Chiesa
cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani, impe-
gnandosi al pieno rispetto di tale principio nei loro rapporti ed alla reciproca
collaborazione per la promozione dell’uomo e il bene del Paese”.
Sebbene Chiesa e Stato italiano rappresentano due ordini distinti,
in concreto, la determinazione dei rapporti costituenti l’ordine statuale
e quello ecclesiastico risulta complicata. Alcune materie infatti si pre-
sentano con aspetti borderline, ossia difficilmente incasellabili nell’uno o
nell’altro campo. Il nuovo Concordato ha cercato di dirimere tale possi-
bile disguido pratico prevedendo che “Se in avvenire sorgessero difficoltà di
interpretazione o di applicazione delle disposizioni precedenti, la Santa Sede
e la Repubblica italiana affideranno la ricerca di un’amichevole soluzione ad
una Commissione paritetica da loro nominata”.
Dottrina autorevole (Del Giudice, Spinelli) ha da sempre negato
l’esistenza di una capacità privatistica della Chiesa nel diritto italiano
fondando tale convincimento sul presupposto che la Chiesa non ebbe
alcuna personalità privatistica negli ordinamenti degli Stati Italiani (art.
433 cod. Albertino) oltre che sul presupposto che è peculiare della tradi-
zione giuridica italiana indicare come soggetti titolari dei beni ecclesiasti-
ci i singoli enti della Chiesa e non questa considerata in modo unitario.
Di diverso avviso è invece la solita dottrina circa la personalità di
diritto pubblicistico nell’ambito del diritto italiano. Sostiene infatti Spi-
nelli che ove ad un ente vengano riconosciuti diritti di “supremazia ed
imperio” con annessa titolarità e capacità di diritti pubblici subbiettivi e
di doveri pubblici speciali esista soggettività di diritto pubblico.
Per D’Avack, infatti, è da annoverare ai sensi dell’art.11 c.c. tra gli
enti pubblici o persone giuridiche pubbliche che godono dei diritti se-
condo le leggi e gli usi osservati come diritto pubblico.
32 MANUALE DI DIRITTO ECCLESIASTICO

Per effetto dell’art. 7 della Costituzione sopra citato e dei Patti Late-
ranensi, l’ordinamento italiano ha riconosciuto alla Chiesa un ventaglio
di competenze e diritti, maggiori rispetto a qualsiasi altra confessione
religiosa o altro ente privato.
Alla Chiesa è infatti riconosciuto un ampio potere esecutivo, in
quanto gli atti delle competenti autorità ecclesiastiche, in alcuni casi,
riverberano effetti anche nel diritto italiano, così come ad esempio accade
per il conferimento degli uffici ecclesiastici, per gli atti di certificazione
rilasciate dai parroci per lo stato delle persone, anteriormente alla istitu-
zione dei registri di stato civile, e per la erezione canonica di nuovi enti.
Alla Chiesa è riconosciuto anche un importante potere giudiziario
per alcune controversie concernenti la nullità del matrimonio canonico
trascritto agli effetti civili.
Questo potere della Chiesa però talvolta risulta limitato, in quanto
alcuni provvedimenti emanati dall’autorità ecclesiastica, per essere effi-
caci agli effetti civili hanno bisogno di un atto di registrazione da parte
delle autorità civili, mentre altri costituiscono un mero presupposto per
l’emanazione di un provvedimento discrezionale dell’autorità italiana.

2. L’organizzazione territoriale della Chiesa in Italia

In base al diritto Canonico, la Chiesa cattolica si divide territorialmente


in diocesi (Chiese particolari), e i loro raggruppamenti, ossia le province
ecclesiastiche, le regioni ecclesiastiche, le conferenze episcopali.
Le circoscrizioni più rilevanti nell’ordinamento italiano sono le dio-
cesi e le parrocchie.
La circoscrizione delle diocesi e delle parrocchie è liberamente deter-
minata dall’autorità ecclesiastica mentre la Santa Sede si impegna a non
includere alcuna parte del territorio italiano in una diocesi la cui sede
vescovile si trovi nel territorio di altro Stato.
Le diocesi sono affidate alla cura pastorale di un Vescovo il quale, in
base al diritto canonico è definito “[…] successori degli Apostoli, mediante
lo Spirito Santo che è stato loro donato, sono costituiti Pastori nella Chiesa,
perché siano anch’essi maestri di dottrina, sacerdoti del sacro culto e ministri
del governo”.
Sono detti “diocesani” i Vescovi ai quali è stata affidata la cura di
una diocesi, al quale compete tutta la potestà ordinaria nella comunione
gerarchica con il Romano Pontefice, mentre gli altri Vescovi sono detti
“titolari”.
La chiesa nel diritto italiano 33

Una figura particolare è assunta dal c.d. Arcivescovo, il quale ha po-


testà vescovile su una diocesi e nel contempo ha poteri di giurisdizione
ecclesiastica sulle diocesi c.d. suffraganee.
Gli organi fondamentali della “diocesi” sono:
• il Vescovo,
• la Curia Diocesana (La curia diocesana consta degli organismi e
delle persone che aiutano il Vescovo nel governo di tutta la dio-
cesi, soprattutto nel dirigere l’attività pastorale, nel curare l’am-
ministrazione della diocesi come pure nell’esercitare la potestà
giudiziaria. La nomina di coloro che esercitano un ufficio nella
curia diocesana spetta al Vescovo diocesano)
• il Capitolo dei canonici (è il collegio di sacerdoti al quale spetta
assolvere alle funzioni liturgiche più solenni nella Chiesa catte-
drale o collegiale; spetta inoltre al capitolo cattedrale adempiere
i compiti che gli vengono affidati dal diritto o dal Vescovo dio-
cesano).
I Vescovi sono nominati liberamente dal Sommo Pontefice (can.377 cod.
dir. Can.).
La parrocchia è una determinata comunità di fedeli che viene co-
stituita stabilmente nell›ambito di una Chiesa particolare, la cui cura pa-
storale è affidata, sotto l›autorità del Vescovo diocesano, ad un parroco
quale suo proprio pastore. Il conferimento dell’ufficio di Parroco spetta
al Vescovo diocesano (la c.d. provvista).
Sul punto si rileva che a seguito del nuovo concordato l’ingerenza
dello Stato italiano in tema di provvista è venuta meno.
In particolare la nomina dei titolari di uffici ecclesiastici è liberamen-
te effettuata dall’autorità ecclesiastica salvo l’obbligo di comunicazione
alle competenti autorità civili della nomina degli Arcivescovi e Vescovi
diocesani, dei Coadiutori, degli Abati e Prelati con giurisdizione territo-
riale, cosi come dei Parroci e dei titolari degli altri uffici ecclesiastici ri-
levanti per l’ordinamento dello Stato. L’unica limitazione prevista (salvo
che per la diocesi di Roma e per quelle suburbicarie), è che i titolari degli
uffici di cui sopra siano cittadini italiani.
Anche i parroci, al pari dei Vescovi, godono di ampie prerogative e
poteri così come riconosciuti dallo Stato italiano, nella specie hanno il
diritto di certificare l’avvenuta celebrazione del matrimonio canonico ai
fini della trascrizione e del riconoscimento degli effetti civili, pubblicare
e diffondere gli atti e i documenti relativi al governo spirituale dei fedeli
senza alcun onere fiscale, eseguire collette all’interno ed all’ingresso delle
Chiese, disporre liberamente circa l’esercizio del pubblico culto da ese-
guirsi nella Chiesa.
Un altro organismo che assume particolare rilevanza nei rapporti tra
34 MANUALE DI DIRITTO ECCLESIASTICO

la Chiesa e lo Stato è la Conferenza Episcopale Italiana (C.E.I.), persona


giuridica pubblica civilmente riconosciuta con sede a Roma. Ne sono
membri di diritto gli Arcivescovi ed i Vescovi. La C.E.I. fornisce orienta-
menti nel campo dottrinale e pastorale, mantiene i rapporti con le pub-
bliche autorità dello Stato italiano e studia i problemi che interessano la
vita della Chiesa in Italia. Essa è articolata in conferenze episcopali regio-
nali dipendenti da quella nazionale che a sua volta fa parte del Consiglio
Europeo delle Conferenze Episcopali.
La presidenza della C.E.I. si compone del Presidente (nominato dal
Sommo Pontefice), di tre vice presidenti e del segretario generale. Al Pre-
sidente compete di:
• rappresentare legalmente la C.E.I.;
• riferire periodicamente sulla vita della Chiesa e sulla situazione
religiosa in Italia;
• convocare e presiedere il Consiglio Episcopale Permanente;
• promulgare le deliberazioni della Conferenza Episcopale Italiana
giuridicamente vincolanti;
• compiere gli atti di straordinaria amministrazione;
• convocare i Presidenti delle Conferenze Episcopali Regionali.
Capitolo 6
Le persone fisiche nel diritto ecclesiastico

1. Premessa

In ambito religioso, si assiste sovente alla possibilità di incontrare termini


che fanno riferimento a specifiche categorie di fedeli.
La qualità di fedele, di per sé, non determina alcuna differenza di
trattamento rispetto ad altre categorie (Art. 3 Cost).

2. L’Ecclesiastico

Termine che si rinviene molto di frequente nelle fonti è quello di “eccle-


siastico”.
Attraverso esso, l’ordinamento italiano intende indicare coloro che
sono chiamati nell’ordinamento canonico “ministri sacri” o “chierici”,
vale a dire coloro che hanno ricevuto l’ordine sacro, i quali si distinguono
in vescovi, presbiteri (sacerdoti) e diaconi.

3. Il ministro di culto

Altro termine importante, riscontrabile nella normativa afferente al feno-


meno religioso e quello di “ministro di culto”.
Con esso si intende il soggetto che nell’ambito della sua confessione
religiosa svolge un ruolo specifico dal punto di vista funzionale e organiz-
zativo (rabbino ebraico, sacerdote cattolico).
È facilmente intuibile che non tutti gli ecclesiastici sono anche mi-
nistri di culto (ad esempio i seminaristi) e che per individuare concreta-
mente quest’ultimi occorre tener conto delle regole che seguono i vari
ordinamenti religiosi.
La condizione giuridica dei ministri di culto si ricava sia dal Con-
36 MANUALE DI DIRITTO ECCLESIASTICO

cordato, sia dalle varie intese stipulate con le diverse confessioni, sia dalle
fonti di origine unilaterale statale. Comun denominatore è quello della
libertà delle singole confessioni religiose di nominare i propri ministri
senza ingerenza alcuna da parte dello Stato.
Per i culti che non hanno ancora stipulato intese con lo Stato, invece,
ai sensi dell’art. 3 L.1159/1929 (c.d. legge sui culti ammessi), la nomi-
na dei ministri di culto deve essere approvata dal Governo secondo un
procedimento amministrativo ad hoc. (la differenziazione, sostiene Dalla
Torre, deriverebbe dal fatto che la legge sui culti ammessi è stata emana-
ta in epoca fascista e rispondeva a principi politici e giuridici del tutto
diversi da quelli sottesi all’odierna Costituzione. L’unico motivo per non
ritenere del tutto illegittima costituzionalmente tale procedura potreb-
be essere individuato nel fatto che in mancanza di un accordo, lo Stato
potrebbe essere impossibilitato a conoscere preventivamente gli ordina-
menti confessionali e a verificare la loro contrarietà con l’ordinamento
giuridico italiano)
Vi sono poi alcune disposizione particolari previste per i ministri di
culto.
L’art. 4 del nuovo Concordato prevede che i sacerdoti, i diaconi ed
i religiosi che hanno preso i voti possono ottenere l’esonero dal servizio
militare ed essere assegnati al servizio civile sostitutivo (norma al momen-
to inoperante in considerazione della sospensione del servizio militare
obbligatorio).
Sono previste altresì alcune ipotesi di incompatibilità (dall’ufficio di
giudice popolare, notaio, avvocato ecc.) e ineleggibilità nel territorio nel
quale esercitano il loro ufficio (Sindaco, Consigliere comunale e regiona-
le ecc.).
Inoltre, ai sensi dell’art. 609 c.c., quando il testatore non può valersi
delle forme ordinarie di testamento, perché si trova in luogo dove domi-
na una malattia reputata contagiosa, o per causa di pubblica calamità o
d’infortunio , il testamento è valido se ricevuto da un ministro di culto,
in presenza di due testimoni di età non inferiore a sedici anni.
Anche sotto il profilo patrimoniale sono previste alcune norme par-
ticolari riguardanti i ministri di culto. Il concordato del 1929 prevedeva
all’art. 30 che lo Stato italiano assumeva l’impegno di continuare a ga-
rantire ai titolari degli uffici ecclesiastici un reddito minimo, facendo
integrare dal Fondo culto i redditi beneficiari risultati inadeguati (c.d.
supplemento di congrua).
Tale norma fu abrogata con l’entrata in vigore della L. 222/1985
“Disposizioni sugli enti e beni ecclesiastici in Italia e per il sostentamento
del clero cattolico in servizio nelle diocesi”.
In base a tale Legge, che ha introdotto un sistema volto ad assicurare
Le persone fisiche nel diritto ecclesiastico 37

un dignitoso sostentamento di tutti gli appartenenti al clero cattolico che


svolgono servizio in favore delle diocesi (a cui si è dato attuazione inte-
grale solamente nel 1990), è stato eretto in ogni diocesi l’istituto per il
sostentamento per il clero, mentre la CEI (Conferenza Episcopale Ita-
liana) ha creato l’Istituto centrale per il sostentamento del clero (enti
ecclesiastici civilmente riconosciuti).
Per poter beneficiare di tale sostentamento i sacerdoti devono comu-
nicare le proprie entrate al proprio istituto diocesano (sia la remunerazio-
ne che ricevono dagli enti ecclesiastici che gli stipendi corrisposti da latri
soggetti) in modo tale che tali istituti possano integrare la somma qualora
non raggiunga la misura determinata dalla CEI con i redditi del proprio
patrimonio. Nel caso questi non riescano ad integrare possono chiedere
supporto economico all’istituto centrale.
Le entrate dell’istituto centrale sono costituite principalmente da
una quota dell’8 per mille, dalle erogazioni in denaro ricevute da persone
fisiche e da una quota degli avanzi di gestione degli istituti diocesani.
Questa riforma (che Dalla Torre definisce “epocale”) ha fornito la
base sulla quale si sono modellate anche alcune intese con confessioni
diverse dalla cattolica.
L’istituto centrale e l’istituto diocesano per il sostentamento del clero
svolgono anche funzioni previdenziali.
Gli ecclesiastici, oltre ad essere iscritti nelle specifiche forme di previ-
denza, se prestano opera retribuita alle dipendenze di terzi (privati ovvero
Stato), devono essere iscritti ad uno specifico fondo previdenziale del
clero. A tale fondo, gestito dall’INPS, devono essere obbligatoriamente
iscritti tutti i sacerdoti cattolici secolari ed i ministri di culto diversi da
quello cattolico, e le prestazioni erogate, oltre alla pensione di vecchiaia
al maturare di determinate circostanze, sono la pensione di invalidità e la
pensione ai superstiti.
Anche nell’ambito del diritto penale, la qualifica di ministro di culto
è certamente rilevante.
Circa i reati commessi da un ministro di culto l’art. 61, n. 9 , c.p.
costituisce circostanza aggravante “l’avere commesso il fatto con abuso dei
poteri, o con violazione dei doveri inerenti a una pubblica funzione o a un
pubblico servizio, ovvero alla qualità di ministro di un culto” di contro l’art.
61, n. 10, c.p. prevede un’ulteriore aggravante “l’avere commesso il fatto
contro un pubblico ufficiale o una persona incaricata di un pubblico servizio,
o rivestita della qualità di ministro del culto cattolico o di un culto ammesso
nello Stato, ovvero contro un agente diplomatico o consolare di uno Stato
estero, nell’atto o a causa dell’adempimento delle funzioni o del servizio”.
Rilevanti sono poi le norme, sia di origine unilaterale statale che di
origine bilaterale convenzionale in materia di segreto dei ministri di culto.
38 MANUALE DI DIRITTO ECCLESIASTICO

L’art. 200 c.p.p. prevede infatti che “Non possono essere obbligati a deporre
su quanto hanno conosciuto per ragione del proprio ministero, ufficio o profes-
sione, salvi i casi in cui hanno l’obbligo di riferirne all’autorità giudiziaria:
a) i ministri di confessioni religiose, i cui statuti non contrastino con l’ordi-
namento giuridico italiano […]”.
La violazione della norma comporta l’inutilizzabilità della prova
raccolta ma, tuttavia, il giudice può disporre accertamenti per valutare
la fondatezza delle ragioni addotte dal ministro di culto nell’invocare il
principio della tutela del segreto. Illustre dottrina (Dalla Torre), sostiene
che “tali disposizioni non sono poste a tutela della persona del ministro di
culto, ma della sua funzione e quindi della libertà religiosa del fedele che
acceda al suo ministero”. Letta in questa prospettiva si comprende ancor
meglio il disposto dell’art. 622 c.p. in base al quale “Chiunque, avendo
notizia, per ragione del proprio stato o ufficio, o della propria professione o
arte, di un segreto, lo rivela, senza giusta causa, ovvero lo impiega a proprio
o altrui profitto, è punito, se dal fatto può derivare nocumento, con la reclu-
sione fino a un anno o con la multa da euro 30 a euro 516”.
Sul medesimo tema si segnala l’art. 4, comma 4 del Concordato il
quale dispone che “Gli ecclesiastici non sono tenuti a dare a magistrati o
ad altra autorità informazioni su persone o materie di cui siano venuti a
conoscenza per ragione del loro ministero”. (norme analoghe sono previste
anche per altre confessioni).
La norma appena citata amplia quanto previsto dal diritto comune
in quanto prevede l’opponibilità del segreto non solo all’autorità giudizia-
ria, ma anche ad ogni altra autorità. Inoltre la disposizione ha una portata
generale in quanto non riguarda solamente quanto appreso nell’ammini-
strazione del sacramento della penitenza (o confessione) ma tutto quanto
appreso nell’esercizio del suo ministero, anche fuori del sacramento della
penitenza. Per contro, sostiene Finocchiaro, non è garantito dal segreto
d’ufficio quanto tali persone abbiano appreso in qualità di comuni citta-
dini o amici.

4. I religiosi

Sovente si assiste altresì, nell’ordinamento, all’uso del termine “religioso”.


Quest’ultimo sta ad indicare i fedeli, uomini o donne, che si consa-
crano a Dio in un istituto religioso o di vita consacrata approvato dalle
competenti autorità ecclesiastiche, pronunciando voti di castità povertà
ed obbedienza, che solitamente conducono vita in comune.
Le persone fisiche nel diritto ecclesiastico 39

Il nostro ordinamento non riconosce gli effetti dei voti stabiliti dal
diritto canonico e pertanto i religiosi conservano nel diritto italiano la
loro capacità patrimoniale.
Questo rileva soprattutto in merito a quanto disposto dal diritto
canonico, in base al quale il novizio deve cedere l’amministrazione dei
propri beni a chi preferisce e, se le costituzioni non stabiliscono altrimen-
ti, deve liberamente disporre del loro uso e usufrutto. Essi devono poi,
almeno prima della professione perpetua, redigere il testamento.
Per modificare queste disposizioni per giusta causa, come anche per
porre qualunque atto relativo ai beni temporali, devono avere la licenza
del Superiore competente a norma del diritto proprio.
Viene altresì disposto che tutto ciò che un religioso acquista con la
propria industriosità o a motivo dell’istituto, lo acquista per l’istituto
stesso. Ciò che riceve come pensione, sussidio o assicurazione, a qualun-
que titolo, è acquisito per l’istituto, a meno che non sia disposto altri-
menti nel diritto proprio.
Inoltre è previsto che chi, per la natura dell’istituto deve compiere
la rinuncia radicale ai propri beni, deve redigerla in forma valida anche
secondo il diritto civile, prima della professione perpetua.
Tutto ciò, seppur effettuato secondo la forma valida per il diritto
civile, potrà essere riconosciuto sempre che non vengano violate le dipo-
sizioni di cui agli art. 679 c.c. e 771 c.c. in base alle quali non si può in
alcun modo rinunziare alla facoltà di revocare o mutare le disposizioni
testamentarie, e la donazione non può comprendere che i beni presenti
del donante. Se comprende beni futuri è nulla rispetto a questi.
Per tale motivo, autorevole dottrina (Jemolo), ritiene che ogni bene
che venga al religioso, dopo la professione, è per la il diritto civile, di sua
libera disponibilità.

5. La previdenza sociale del clero

La Chiesa si è da sempre adoperata per assicurare agli ecclesiastici mezzi


adeguati per sopperire alle necessità della propria vita.
Il comma secondo del can. 281 prevede, infatti, il diritto dei chierici
ad “usufruire della previdenza sociale con cui sia possibile provvedere
convenientemente alle loro necessità in caso di malattia, di invalidità o
di vecchiaia”.
Sin dal 1941 è stata costituita una cassa di sovvenzioni per il clero se-
colare d’Italia oltre la possibilità prevista per l’Istituto centrale\diocesano
40 MANUALE DI DIRITTO ECCLESIASTICO

per il sostentamento per il clero di svolgere anche funzioni previdenziali


integrative autonome per il clero.
Gli ecclesiastici godono altresì di una tutela previdenziale generale in
quanto cittadini e una particolare in quanto sacerdoti.
In quanto cittadini, se operano attività retribuita alle dipendenze di
terzi, sono iscritti alle rispettive forme previdenziali per i rischi di vec-
chiaia e invalidità, oltre godere delle prestazioni del Servizio sanitario
nazionale.
È stato altresì istituito un fondo, a cui devono essere obbligatoria-
mente iscritti gli ecclesiastici cattolici ed i ministri di culto acattolici dal
momento dell’ordinazione sacerdotale o dall’inizio del ministero, gestito
direttamente dall’INPS.
L’iscrizione è estesa anche ai non cittadini italiani, purché l’interessa-
to sia presente in Italia al servizio delle diocesi italiane o di Chiese ovvero
di enti acattolici riconosciuti.
Le prestazioni erogate sono:
la pensione di vecchia al raggiungimento di determinati presuppo-
sti: il limite di età, a decorrere dal 1° gennaio 2003 è stato elevato a 68
anni, mentre sono sufficienti 65 anni per coloro che hanno un’anzianità
contributiva pari o superiore a 40 anni. Il requisito contributivo minimo
richiesto è di 20 anni.
la pensione di invalidità che spetta agli iscritti che abbiano contri-
buito al Fondo per almeno 5 anni e si trovino nella situazione di impos-
sibilità materiale di esercitare il proprio ministero a causa di malattia o
difetto fisico mentale;
la pensione ai superstiti che spetta ai superstiti di iscritti che al mo-
mento del decesso avevano maturato almeno 15 anni di contribuzione.
Nel caso in cui il sacerdote sia ridotto allo stato laicale ed abbia ver-
sato parte del periodo di contribuzione nei confronti del fondo di pre-
videnza per il clero ed un ulteriore periodo di contribuzione all’INPS,
parte della dottrina ritiene che costui abbia diritto al ricongiungimento
presso un’unica gestione di tutti i periodi di contribuzione, al pari di ogni
lavoratore.
Capitolo 7
Gli enti ecclesiastici

1. La nozione e le fonti

Nell’ordinamento giuridico italiano, di regola, le confessioni religiose


non sono dotate di personalità giuridica, mentre possono ottenere tale
status gli enti cui tali confessioni danno vita.
Nell’ordinamento italiano, la materia degli enti ecclesiastici, oltre ad
essere disciplinata nell’art. 7 dell’Accordo di Villa Madama, è amplia-
mente trattata dalla Legge 20 maggio 1985, n. 222 “Disposizioni sugli
enti e beni ecclesiastici in Italia e per il sostentamento del clero cattolico
in servizio nelle diocesi”.
La materia è trattata inoltre, in modo altrettanto specifico e pun-
tuale, nell’ambito delle intese stipulate tra lo Stato e le altre confessioni
religiose.
Per le confessioni diverse dalla cattolica e da quelle che non hanno
stipulato intese, la normativa di riferimento è la c.d. Legge sui culti am-
messi (n. l159/1929), in quanto tutt’ora in vigore.
La disciplina pattizia è il risultato degli impegni assunti a seguito
della promulgazione della Costituzione Repubblicana (artt. 7 e 8 Cost.)
al fine di dare attuazione ai principi di indipendenza e autonomia delle
confessioni religiose.
La legge sui culti ammessi invece si inquadra all’interno dei dettami
dell’art. 8 Cost., dove viene riconosciuto il diritto per le confessioni di-
verse dalla cattolica, di organizzarsi secondo propri statuti in quanto non
contrastanti con l’ordinamento giuridico italiano.
Come sopra ricordato, la disciplina degli enti ecclesiastici della
Chiesa Cattolica trova il suo principale fondamento, oltre che nella L.
n.222/1985 artt. 1, 2 e 3, nel c.d. Accordo di Villa Madama del 1994.
Tale Accordo, al suo art. 7, al primo comma, richiamando direttamente
e riproducendo in modo pedissequo il contenuto dell’art. 20 Cost., sta-
bilisce che “La Repubblica italiana, richiamandosi al principio enunciato
dall’art. 20 della Costituzione, riafferma che il carattere ecclesiastico e il fine
di religione o di culto di una associazione o istituzione non possono essere cau-
sa di speciali limitazioni legislative, né di speciali gravami fiscali per la sua
costituzione, capacità giuridica e ogni forma di attività”, mentre ai commi
42 MANUALE DI DIRITTO ECCLESIASTICO

successivi (ed è questo il punto che qui interessa maggiormente) stabilisce


che “Ferma restando la personalità giuridica degli enti ecclesiastici che ne
sono attualmente provvisti, la Repubblica italiana, su domanda dell’autorità
ecclesiastica o con il suo assenso, continuerà a riconoscere la personalità giu-
ridica degli enti ecclesiastici aventi sede in Italia, eretti o approvati secondo
le norme del diritto canonico, i quali abbiano finalità di religione o di culto.
Analogamente si procederà per il riconoscimento agli effetti civili di ogni
mutamento sostanziale degli enti medesimi.
Agli effetti tributari gli enti ecclesiastici aventi fine di religione o di cul-
to, come pure le attività dirette a tali scopi, sono equiparati a quelli aventi
fine di beneficenza o di istruzione.
Le attività diverse da quelle di religione o di culto, svolte dagli enti eccle-
siastici, sono soggette, nel rispetto della struttura e della finalità di tali enti,
alle leggi dello Stato concernenti tali attività e al regime tributario previsto
per le medesime.[…]
L’amministrazione dei beni appartenenti agli enti ecclesiastici è soggetta
ai controlli previsti dal diritto canonico […]”.
Dalla semplice lettura della norma, emergono chiaramente due re-
quisiti fondamentali, uno soggettivo e l’altro oggettivo.
Il primo è che gli enti siano costituiti o approvati dall’autorità eccle-
siastica e che tale autorità abbia dato il proprio assenso a che l’ente faccia
istanza per ottenere la personalità giuridica civile.
Il requisito oggettivo invece, oltre a quello territoriale della sede in
Italia dell’ente, richiede che il fine da essi perseguito sia di religione o
di culto. Tale fine deve essere inoltre costitutivo ed essenziale anche se
connesso a finalità di carattere caritativo previste dal diritto canonico.
L’art. 2, 1° comma della L.222/1985 considera “aventi fine di reli-
gione o di culto gli enti che fanno parte della costituzione gerarchica della
Chiesa, gli istituti religiosi e i seminari”. La dottrina, (Finocchiaro) ritiene
tale elencazione non tassativa sul presupposto che anche gli enti per il
sostentamento per il clero, pur non avendo un fine costitutivo ed essen-
ziale di religione o di culto, hanno un riconoscimento civile come enti
ecclesiastici.
Il fine di religione o di culto deve invece essere valutato di volta
in volta (in conformità dell’art. 16 L. 222/1985) per gli enti diversi da
quelli elencati nel citato art. 2 primo comma, ossia per le altre persone
giuridiche canoniche, per le fondazioni e in genere per gli enti ecclesiasti-
ci che non abbiano personalità giuridica nell’ordinamento della Chiesa.
L’art. 16 della L. 222/1985 testé menzionato, prevede infatti che
“Agli effetti delle leggi civili si considerano comunque: a) attività di religione
o di culto quelle dirette all’esercizio del culto e alla cura delle anime, alla
formazione del clero e dei religiosi, a scopi missionari, alla catechesi, all’edu-
Gli enti ecclesiastici 43

cazione cristiana; b) attività diverse da quelle di religione o di culto quelle


di assistenza e beneficenza, istruzione, educazione e cultura e, in ogni caso, le
attività commerciali o a scopo di lucro.”
Abbiamo visto che il fine di religione o di culto deve essere anche
“costitutivo ed essenziale”, ma non pare semplice dare un significato con-
creto a tale locuzione.
Dottrina autorevole (Finocchiaro) sostiene che tale requisito si rin-
viene nel fine che l’ente persegue, non solo secondo il suo statuto o le sue
tavole di fondazione, ma anche in quello che esso svolge nel suo concreto
operare.
Quindi, non basta che l’ente appartenga all’organizzazione ecclesia-
le, ma occorre che dall’attività svolta si deduca l’esistenza del fine costitu-
tivo ed essenziale di religione o di culto consistente nello svolgimento di
una delle attività elencate all’art. 16 di cui sopra.
Circa “l’erezione canonica” (citando la norma “enti costituiti o ap-
provati dall’autorità ecclesiastica”) si rileva che il significato da attribuirvi
è che non può esservi ente ecclesiastico che prima non sia stato eretto
dall’autorità ecclesiastica. La formazione del singolo ente deve intendersi
regolata esclusivamente dal diritto canonico.
Per determinate categorie di enti, la L.222/1985, richiede requisiti
ulteriori per il riconoscimento.
Ad esempio, l’art. 11 circa le Chiese aperte al pubblico, richiede una
sorta di sufficienza dei mezzi per il raggiungimento dei propri fini
“Il riconoscimento delle Chiese e’ ammesso solo se aperte al culto pubblico e
non annesse ad altro ente ecclesiastico, e sempre che siano fornite dei mezzi
sufficienti per la manutenzione e la officiatura”. Medesimo concetto è rin-
venibile nell’art. 12, dove in merito al riconoscimento delle fondazioni
di culto è previsto che “Le fondazioni di culto possono essere riconosciute
quando risultino la sufficienza dei mezzi per il raggiungimento dei fini e la
rispondenza alle esigenze religiose della popolazione”. Quest’ultima norma
però richiede un ulteriore requisito, ossia una sorta di necessità ed utilità
dell’ente: lo Stato vuole la dimostrazione che l’ente sia effettivamente
utile alle esigenze dei fedeli.

2. Il riconoscimento della personalità giuridica

Quanto al riconoscimento della personalità giuridica, la L.222/1985 pre-


vede tre possibili procedimenti:
Per legge: come previsto per la C.E.I.. In particolare l’art. 13 della
44 MANUALE DI DIRITTO ECCLESIASTICO

L. 222/1985 prevede che “La Conferenza episcopale italiana acquista la


personalità giuridica civile, quale ente ecclesiastico, con l’entrata in vigore
delle presenti norme”.
Per decreto ma con procedura abbreviata: come ad esempio per l’istitu-
to centrale e diocesani per il sostentamento del clero ovvero per le diocesi
o le parrocchie, che hanno acquistato la personalità giuridica civile con la
pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale dei decreti del Ministero dell’In-
terno che hanno conferito loro la qualifica di enti ecclesiastici civilmente
riconosciuti, emanati entro 60 gg. dalla data di ricezione dei provvedi-
menti canonici di erezione.
Per decreto ma con procedura ordinaria: il procedimento per il rico-
noscimento si articola in varie fasi; dapprima si deve formulare apposita
domanda presso gli uffici della Prefettura del luogo in cui l’ente ha la sede,
contente la richiesta di riconoscimento (da parte dell’autorità ecclesiastica
o con il suo assenso) da cui devono risultare denominazione, natura, fini,
sede e la persona del rappresentante legale. Alla domanda deve essere alle-
gata tutta la documentazione comprovante il possesso da parte dell’ente
dei requisiti richiesti dalla legge (provvedimento canonico di erezione o
approvazione dell’ente, un estratto dello statuto, documenti comprovanti
il fine di religione e di culto, salvo che per gli enti che appartengono alla
costituzione gerarchica della Chiesa per i quali tale finalità è iuris et de iure
dalla legge). Successivamente sarà espletata l’istruttoria, ossia, il Prefetto,
dopo aver esaminato la domanda, se indispensabile, acquisisce ulteriori ele-
menti di giudizio, rivolgendosi all’ente stesso ovvero ad altri organi della
pubblica amministrazione. Segue la trasmissione al Ministero, il quale se lo
ritiene necessario e/o opportuno richiede un parere al Consiglio di Stato.
Al riscontro positivo dei requisiti richiesti dalla legge, il Ministro emana il
decreto con il quale è concesso il riconoscimento.
Una volta ottenuta la personalità giuridica, tali enti – che assumono
la qualifica di ‘enti civilmente riconosciuti’ – devono iscriversi nel ‘regi-
stro delle persone giuridiche’ (artt. 3 e 4 del d.p.r. 361/2000) presso la
Prefettura, da cui devono risultare, a tutela dei terzi, ‘le norme di fun-
zionamento e i poteri degli organi di rappresentanza dell’ente (art. 5,
L. 222/1985). Solo a seguito di tale iscrizione l’ente acquista, infatti, la
capacità negoziale (art. 6, comma 4).
Alla medesima procedura è, altresì, sottoposta ogni modificazione
degli enti medesimi (art. 7, comma 2, L. 121/1985).
L’estinzione di un ente ecclesiastico avviene di norma con un prov-
vedimento di soppressione da parte dell’autorità ecclesiastica. Il codice
canonico prevede una ipotesi di estinzione naturale, senza la necessitò di
alcun provvedimento canonico, (can.120 cod. dir. can.) nel caso in cui
l’ente abbia cessato di agire nello spazio di cento anni.
Gli enti ecclesiastici 45

In ogni caso la soppressione degli enti ecclesiastici civilmente ricono-


sciuti e la loro estinzione per altre cause hanno efficacia civile mediante
l’iscrizione nel registro delle persone giuridiche del provvedimento dell’au-
torità ecclesiastica competente che sopprime l’ente o ne dichiara l’avvenuta
estinzione. L’autorità ecclesiastica competente trasmette il provvedimen-
to al Ministro dell’interno che, con proprio decreto, dispone l’iscrizione e
provvede alla devoluzione dei beni dell’ente soppresso o estinto.
Tale devoluzione avviene secondo quanto prevede il provvedimento
ecclesiastico, salvi in ogni caso la volontà dei disponenti, i diritti dei terzi
e le disposizioni statutarie, e osservate, in caso di trasferimento ad altro
ente, le leggi civili relative agli acquisti delle persone giuridiche.
Il Ministro dell’Interno non può sindacare il merito della scelta ope-
rata dalla confessione religiosa, dovendone invece, obbligatoriamente,
rispettarne le decisioni.

3. I singoli enti ecclesiastici

Le Chiese aperte al culto pubblico: il riconoscimento delle Chiese è am-


messo solamente se aperte al culto pubblico (ossia quando servono per
lo svolgimento del servizio religioso per la comunità dei fedeli e se vi
sia l’attualità della funzione cui la Chiesa adempia. La richiesta di rico-
noscimento deve essere avanzata dall’Ordinario Diocesano e deve essere
corredata da documenti atti a provare che la Chiesa è stata dedicata al
culto divino e che è fornita dei mezzi sufficienti per provvedere alla ma-
nutenzione e alla officiatura. Il decreto di riconoscimento della persona-
lità giuridica deve essere trascritto nell’apposito registro detenuto dalla
Prefettura. Infine il Prefetto emanerà l’ordine, esecutivo nei confronti di
chiunque, che la Chiesa sia consegnata al suo rappresentante.
Le fabbricerie: si tratta di enti nati nel diciottesimo secolo per fa-
vorire l’amministrazione laica dei beni ecclesiastici. Sono enti costituiti
da una massa patrimoniale gestita da un consiglio di amministrazione a
composizione mista (ecclesiastici e laici) adibita alla manutenzione di un
edificio di culto.
Secondo la dottrina prevalente le stesse sono dotate di personalità
giuridica se l’avevano prima dell’emanazione del concordato, altrimen-
ti potranno essere riconosciute solo quelle che abbiano avuto l’erezio-
ne canonica. La vigilanza sull’amministrazione delle Chiese aventi una
fabbriceria è esercitata dal Ministro dell’Interno, d’intesa con l’autorità
ecclesiastica.
46 MANUALE DI DIRITTO ECCLESIASTICO

I santuari: il termine santuario è stato usato soprattutto nel diritto


statuale per indicare quelle Chiese, mete di pellegrinaggi, dove vengono
venerate immagini o reliquie. Il termine perciò serve ad indicare una
Chiesa che soddisfa necessità di culto diverse da quelle ordinarie.
Secondo il diritto canonico invece (can. 1230 cod. dir.can.) “con il
nome di santuario si intendono la Chiesa o altro luogo sacro ove i fedeli, per
un peculiare motivo di pietà, si recano numerosi in pellegrinaggio con l’ap-
provazione dell’Ordinario del luogo”.
I santuari possono essere nazionali (devono avere l’approvazione del-
la Conferenza Episcopale) ed internazionale (richiedono invece l’appro-
vazione della Santa Sede) e sono retti da statuti approvati dall’autorità
ecclesiastica.
Le associazioni dei fedeli: in virtù di can. 298 cod. dir. can., nella
Chiesa vi sono associazioni, distinte dagli istituti di vita consacrata e dalle
società di vita apostolica, in cui i fedeli, sia chierici, sia laici, sia chierici e
laici insieme, tendono, mediante l’azione comune, all’incremento di una
vita più perfetta, o alla promozione del culto pubblico o della dottrina
cristiana, o ad altre opere di apostolato, quali sono iniziative di evange-
lizzazione, esercizio di opere di pietà o di carità, animazione dell’ordine
temporale mediante lo spirito cristiano.
Tali associazioni si distinguono in private (se costituite da fedeli me-
diante accordo privato e successivo riconoscimento da parte della Chiesa)
ovvero pubbliche (se erette dall’autorità ecclesiastica). Devono avere pro-
pri statuti e la loro autonomia è relativa ed imperfetta (Tedeschi).
Le confraternite, (associazioni di laici erette in persone giuridiche)
possono essere con scopo prevalente o esclusivo di culto, quindi essere
assoggettate esclusivamente all’autorità ecclesiastica e quindi essere con-
siderate come enti ecclesiastici, ovvero non aventi scopo esclusivo o pre-
valente di culto le quali sono disciplinate dalla legge dello Stato fatta salva
la competenza dell’autorità ecclesiastica in merito alle attività dirette a
scopi di culto.
La qualifica di ente ecclesiastico civilmente riconosciuto potrà essere
attribuito soltanto previo assenso della Santa Sede alle sole associazioni
pubbliche di fedeli (quindi costituite dall’autorità ecclesiastica) e sempre
che non abbiano carattere locale.
Per tutte le altre il riconoscimento è disciplinato unicamente dalle
norme del codice civile.
Le fondazioni di culto: le fondazioni di culto possono essere ricono-
sciute quando risultino la sufficienza dei mezzi per il raggiungimento dei
fini e la rispondenza alle esigenze religiose della popolazione. È necessario
in ogni caso un provvedimento canonico di erezione.
Le associazioni religiose: il codice canonico disciplina due categorie di
Gli enti ecclesiastici 47

associazioni religiose a seconda che vi sia la professione dei voti, presente


negli istituti di vita consacrata (istituti religiosi e istituiti secolari) ed as-
sente nelle società di vita apostolica.
Gli istituti religiosi e le società di vita apostolica non possono essere
riconosciuti se non hanno la sede principale in Italia.
Le province italiane di istituti religiosi e di società di vita apostolica
non possono essere riconosciute invece se la loro attività non e’ limitata al
territorio dello Stato o a territori di missione. Tali enti e le loro case non
possono essere riconosciuti se non sono rappresentati, giuridicamente e
di fatto, da cittadini italiani aventi il domicilio in Italia.
Capitolo 8
Il patrimonio ecclesiastico e le entrate degli enti ecclesiastici

1. Definizione

Secondo una parte della dottrina (Del Giudice), per patrimonio ecclesia-
stico si intende il patrimonio dei singoli istituti ecclesiastici riconosciuti
nel diritto italiano come persone giuridiche.
Altri autori, invece, ritengono che per determinare la sostanza del
patrimonio ecclesiastico occorra guardare allo scopo cui i beni sono de-
stinati, nel senso che sarebbe rinvenibile proprio nel diritto canonico una
distinzione fra beni ecclesiastici, considerati tali in ragione dell’apparte-
nenza e patrimonio ecclesiastico comprensivo anche dei beni, ad esempio
cose sacre, che sono vincolati alla loro destinazione anche nel caso in cui
fossero di proprietà di privati.
Una terza teoria individua il patrimonio ecclesiastico in tutti quei
beni sui quali il diritto statale riconosce un qualche potere all’autorità
ecclesiastica. (Petroncelli).
Concludendo, si può affermare che il patrimonio ecclesiastico è quel
complesso di beni mobili ed immobili che l’ordinamento statuale rico-
nosce come sottoposto al potere dell’autorità ecclesiastica, per il raggiun-
gimento dei propri fini.
Restano pertanto esclusi quei beni destinati dalla volontà dei privati
a scopo di culto ed i beni che lo Stato, senza riconoscimento della Chiesa,
volesse dedicare a scopo di culto.

2. Le fonti del patrimonio ecclesiastico

Nell’ordinamento canonico, si distinguono i beni o cose sacre che sono


destinati, in seguito a consacrazione o benedizione, al culto divino in
modo diretto e, beni ecclesiastici comuni che servono al culto in modo
indiretto, in quanto costituiscono mera fonte di reddito per il manteni-
mento del Clero.
Tra i beni e le cose sacre destinate al culto divino, un posto impor-
50 MANUALE DI DIRITTO ECCLESIASTICO

tante rivestono gli immobili definiti sacri dal cod. canonico (can 1205,
“Sono luoghi sacri quelli che vengono destinati al culto divino o alla sepoltura
dei fedeli mediante la dedicazione o la benedizione, a ciò prescritte dai libri
liturgici”) e tra questi le Chiese (can 1214, “Con il nome di Chiesa si in-
tende un edificio sacro destinato al culto divino, ove i fedeli abbiano il diritto
di entrare per esercitare soprattutto pubblicamente tale culto”).
Il nuovo Concordato del 1984, all’art. 5 stabilisce in merito che “Gli
edifici aperti al culto non possono essere requisiti, occupati, espropriati o de-
moliti se non per gravi ragioni e previo accordo con la competente autorità
ecclesiastica”, mentre l’art. 831, comma 2, c.c. stabilisce che “Gli edifici
destinati all’esercizio pubblico del culto cattolico, anche se appartengono a
privati, non possono essere sottratti alla loro destinazione neppure per effetto
di alienazione, fino a che la destinazione stessa non sia cessata in conformità
delle leggi che li riguardano”.
Con la succitata norma, applicabile unicamente agli edifici destinati
all’esercizio pubblico del culto cattolico, si è creato un vincolo di desti-
nazione, valido fino a che questa non sia cessata in base alle leggi che
riguardano detti edifici.
Mentre il nuovo Concordato parla semplicemente di “edifici aperti al
culto”, il codice civile parla di “destinazione all’esercizio pubblico del culto”
volendo così dimostrare di non voler tutelare il vincolo di destinazione
ove esso non abbia per scopo l’esercizio pubblico del culto nell’edificio
(nel senso di possibilità di accesso di tutti i fedeli senza discriminazioni
di sorta), ma solo l’uso privato di culto.
La condizione giuridica di cui sopra, si estende anche alle pertinenze
dell’edificio (ricordiamo che non è necessaria la materiale unicità di co-
struzione bensì la loro destinazione durevole al servizio dell’edificio prin-
cipale). Si è ritenuta pacifica in dottrina la condizione di pertinenza della
sacrestia e del campanile rispetto alla Chiesa mentre qualche divergenza è
sorta per la casa canonica o episcopio (casa del Vescovo).
Costituiscono luoghi sacri anche i cimiteri e i sepolcri, ossia quei
luoghi destinati alla sepoltura dei fedeli. I cimiteri possono essere di pro-
prietà dei Comuni, delle persone giuridiche ecclesiastiche o di privati. Il
loro uso, oltre a dover sempre rispettare le leggi di polizia mortuaria, nel
caso sia di proprietà ecclesiastica è sottoposto anche alle norme del diritto
canonico.
Tra le cose mobili sacre destinate per l’esercizio del culto e per l’am-
ministrazione dei sacramenti si ricordano gli altari, confessionali, cande-
labri ecc. Tutti questi oggetti, devono essere considerati quali pertinenze
mobili della cosa immobile principale, con conseguente estensione ad
esse del regime della cosa principale (Chiesa).
Anche il codice di procedura civile si occupa delle cose sacre in
Il patrimonio ecclesiastico e le entrate degli enti ecclesiastici 51

quanto all’art. 514 comma 1 n.1 c.p.c., rubricato “Cose mobili as-
solutamente impignorabili” dispone che “Oltre alle cose dichiarate
impignorabili da speciali disposizioni di legge, non si possono pignorare:
1) le cose sacre e quelle che servono all’esercizio del culto”.
[…]
Un cenno particolare merita l’altra cosa mobile destinata al culto, so-
vente oggetto di molte discussioni, ossia la campana. Le problematiche,
in merito a tale oggetto, si verificano circa il diritto d’uso ed intollerabi-
lità del rumore. È bene distinguere tra suono delle campane al di fuori
delle esigenze liturgiche e uso delle campane collegato con la liturgia; è
necessario, in entrambi i casi, fare riferimento al concetto di NORMA-
LE TOLLERABILITÀ per verificare l’avverarsi dell’illecito di cui all’art.
659, c. 1, c.p.
Per l’impiego NON LITURGICO “l’uso delle campane non differi-
sce dall’uso di qualsiasi altro strumento sonoro” e non gode di particolare
tutela: pertanto “non può invocarsi l’applicazione dell’art. 2 dell’Accordo
tra Stato e Santa Sede, né l’applicazione di regolamenti ecclesiastici locali,
qualora le campane siano utilizzate in tempi e con modalità non attinenti
l’esercizio del culto”. In particolare “l’uso di un OROLOGIO CAMPA-
NARIO di una Chiesa, che scandisca regolarmente l’ora, non costitui-
sce esercizio del culto ed è perciò estraneo alla tutela assicurata al libero
esercizio del culto” mentre la regolamentazione del suono delle campane,
se collegato a funzioni liturgiche, in quanto esplicazione della libertà di
esercizio del culto cattolico, tutelata dall’art. 2 dell’Accordo di revisio-
ne del Concordato, è, invece, di competenza dell’autorità ecclesiastica
(e non di altre autorità, compresi i comuni): “lo Stato ha riconosciuto
all’Autorità ecclesiastica il potere di regolamentare l’uso delle campane”;
tale riconoscimento, però, “non significa che l’uso delle campane possa
essere indiscriminato e non incontri dei limiti”. In particolare lo Sta-
to non può rinunciare alla tutela, anche penale, dei beni fondamentali,
quali la salute dei cittadini, con riferimento al concetto di normale tolle-
rabilità. Tale concetto, però, deve essere identificato con riferimento alle
specifiche disposizioni emanate dall’autorità ecclesiastica intese a recepire
tradizioni e consuetudini atte a meglio identificare, in relazione alla non
continuità del suono e al suo collegamento con particolari ‘momenti for-
ti’ della vita della Chiesa, il limite della normale tollerabilità.
A differenza dei beni sacri sopra ricordati, i beni patrimoniali comu-
ni del patrimonio ecclesiastico, costituiscono quella parte del patrimo-
nio destinata al mantenimento del Clero, all’acquisto dei mezzi necessari
all’ufficiatura delle Chiese ecc.
Tali beni possono essere mobili (denaro ecc.) o immobili (terreni).
L’appartenenza di un bene immobile ad un ente ecclesiastico, oltre a
52 MANUALE DI DIRITTO ECCLESIASTICO

comportare speciali agevolazioni fiscali, comporta il suo assoggettamento


a norme particolari sia per l’amministrazione che per l’alienazione.
Le fonti, da cui i soggetti di diritto ecclesiastico traggono i mezzi
economici per il loro sostentamento, sono le c.d. entrate ecclesiastiche.
Quest’ultime si suddivvidono in entrate di diritto pubblico (com-
prendono le prestazioni corrisposte obbligatoriamente in virtù di un
rapporto di imperio di diritto canonico riconosciuto dallo Stato, sia da
prestazioni degli enti pubblici per scopi di culto) e entrate di diritto
privato (ossia entrate che gli enti percepiscono alla stregua di ogni altro
soggetto).
Le entrate di diritto pubblico sono in larga parte costituite dal siste-
ma di intervento dello Stato a favore della Chiesa così come determinato
dall’Accordo di Villa Madama; infatti, una parte del gettito fiscale statale
viene destinata al mantenimento della Chiesa cattolica (medesima con-
dizione si ripete per quelle confessioni che hanno stabilito ciò in sede
di intese) al fine di rendere godibile sia per i singoli che per i gruppi, il
diritto di libertà religiosa.
Stabilisce l’art.47 della L.222/1985, commi 2 e 3, che “a decorrere
dall’anno finanziario 1990 una quota pari all’otto per mille dell’imposta sul
reddito delle persone fisiche, liquidata dagli uffici sulla base delle dichiara-
zioni annuali, e’ destinata, in parte, a scopi di interesse sociale o di carattere
umanitario a diretta gestione statale e, in parte, a scopi di carattere religioso
a diretta gestione della Chiesa cattolica. Le destinazioni di cui al comma
precedente vengono stabilite sulla base delle scelte espresse dai contribuenti
in sede di dichiarazione annuale dei redditi. In caso di scelte non espresse da
parte dei contribuenti, la destinazione si stabilisce in proporzione alle scelte
espresse.”
Il sistema di finanziamento pubblico della Chiesa deve essere per-
tanto considerato come corrispondente al compito dello Stato di rendere
concretamente fruibile, da parte dei singoli e dei gruppi, il diritto di
libertà religiosa.
Sempre in tema di entrate di diritto pubblico, circa la costruzione di
edifici di culto, si evidenzia l’art. 53 della L.222/1985 il quale prevede il
contributo di alcuni enti locali (Comuni e Regioni) alla costruzione di
edifici di culto: stabilisce infatti che “Gli edifici di culto e le pertinenti opere
[…] costruiti con contributi regionali e comunali, non possono essere sottratti
alla loro destinazione, neppure per effetto di alienazione, se non sono decorsi
venti anni dalla erogazione del contributo. Il vincolo e’ trascritto nei registri
immobiliari. Esso può’ essere estinto prima del compimento del termine, d’in-
tesa tra autorità’ ecclesiastica e autorità’ civile erogante, previa restituzione
delle somme percepite a titolo di contributo, in proporzione alla riduzione del
termine, e con rivalutazione determinata con le modalità di cui all’articolo
Il patrimonio ecclesiastico e le entrate degli enti ecclesiastici 53

38. Gli atti e i negozi che comportino violazione del vincolo sono nulli.”
Con tale disposizione si è dato luogo ad un ulteriore vincolo di desti-
nazione rispetto a quello contemplato dall’art. 831 c.c.
Le Regioni, in attuazione del potere di finanziamento, hanno adot-
tato criteri differenti per l’individuazione delle confessioni beneficiarie,
in quanto, alcune di esse hanno ammesso al finanziamento tutte le con-
fessioni religiose, mentre altre hanno richiesto, quale requisito di ammis-
sibilità al finanziamento, la stipulazione di un’Intesa con lo Stato Italia-
no. (differenziazione considerata illegittima dalla Corte Costituzionale,
la quale ha affermato che la stipulazione o meno di un’intesa non può
costituire elemento di discriminazione. La Corte ha affermato altresì che
l’unica distinzione legittima che può essere operata attiene alla effettiva
incidenza sociale della confessione richiedente).
Le entrate di diritto privato invece sono riconducibili ad oblazioni
volontarie, donazioni, eredità lasciti ecc., che vengono ad incrementare
il patrimonio ecclesiastico. Quest’ultime sono rette principalmente dalla
comune disciplina civilistica; basti considerare che in alcuni casi, il legi-
slatore statale ha previsto disposizioni specifiche in materia, ad esempio
l’art. 629 c.c. “Disposizioni a favore dell’anima”: riguarda le disposizioni
testamentarie con cui il testatore destina una parte almeno delle sue so-
stanze per la celebrazione di messe in suo suffragio, ovvero ad apparte-
nenti alla sua famiglia. Poiché siano valide, l’art. 629 c.c. richiede che sia
determinato o determinabile il loro oggetto, inoltre si considerano come
un onere a carico dell’erede o del legatario. Se il beneficiario è determina-
to, per l’adempimento di tale onere può agire qualunque interessato ed in
caso di inadempimento l’onerato perderà il diritto al lascito testamenta-
rio. Se in beneficiario è invece indeterminato, l’adempimento dell’onere
è lasciato alla volontà dell’onerato. Il testatore può designare una persona
che curi l’esecuzione della disposizione. Tale lascito può essere effettua-
to o direttamente, istituendo un legato a favore dell’ente ecclesiastico o
creando una fondazione di culto ovvero come onere a carico di eredi o
dei legatari.
In rari casi la materia è disciplinata da norme concordatarie: ad
esempio l’art. 7 comma 5 dell’Accordo di Villa Madama prevede che
“le collette effettuate nei predetti edifici, continueranno ad essere soggetti al
regime vigente” (ossia possibilità di svolgere collette, senza ingerenza delle
autorità civili, all’interno ed all’ingresso delle Chiese nonché degli edifici
di loro proprietà).
Sul punto si discute se alle entrate di diritto privato (e non quindi
di diritto pubblico) possano essere ricondotte le ragioni di credito che la
Chiesa può vantare verso i fedeli in forza di un titolo che non ha indole
privatistica, in quanto rapporti di imperio connessi al potere di governare
54 MANUALE DI DIRITTO ECCLESIASTICO

i fedeli nella vita sociale della Chiesa (ad esempio il potere impositivo
della Chiesa suddiviso in tributi, prestazioni dovute a titolo di apparte-
nenza ad una Chiesa ovvero tasse, prestazioni dovute in relazione ad atti
della potestà esecutiva della Chiesa a vantaggio dei singoli fedeli come ad
esempio certificazioni, autorizzazioni ecc.)
Secondo un orientamento dottrinale (Jemolo) questi rapporti devo-
no essere considerati di diritto privato e non di diritto pubblico in quanto
l’art. 23 Cost. dispone che “nessuna prestazione personale o patrimoniale
può essere imposta se non in base alla legge”. Però si potrebbe obbiettare
che lo Stato italiano attraverso l’art. 7 primo comma Cost. nonché artt.
1 e 2 dell’Accordo di Villa Madama si è impegnato a riconoscere l’indi-
pendenza e la sovranità della Chiesa, ossia si è impegnato a riconoscere
agli effetti civili le funzioni e gli atti che costituiscono dimostrazione della
sovranità fra cui va annoverato il potere impositivo.
Al di là di tutto quanto sopra, si pone un problema pratico di esa-
zione di dette somme in quanto mancano nell’ordinamento canonico
meccanismi di riscossione di detti tributi e nella disciplina concordataria
non vi è traccia di previsione in merito alla possibilità che eventuali titoli
esecutivi canonici possano essere considerati tali nel diritto dello Stato
(sul punto la sentenza della Corte di Cassazione n.7449/2007 ha accolto
la tesi della natura contrattuale del rapporto intercorrente tra il parroco e
il fedele in merito alla celebrazione della messa in suffragio dell’anima del
defunto, anziché quella della mera obbligazione naturale).
Pertanto, il dovere gravante sul fedele nell’ordinamento canonico, ri-
sulta irrilevante nell’ordinamento italiano cosicché una volta effettuato il
pagamento, non potrà più essere richiesta la ripetizione ex art. 2034 c.c.
Tra le entrate di diritto privato devono annoverarsi altresì le eroga-
zioni liberali in denaro a favore dell’Istituto Centrale per il sostentamen-
to del clero ex art. 46 L.222/1985, in quanto trattasi di veri e propri atti
di liberalità dei fedeli, ed a nulla ostando il fatto che tali liberalità siano
agevolate dallo Stato (G. Dalla Torre).

3. L’amministrazione del patrimonio ecclesiastico

L’amministrazione del patrimonio della Chiesa Cattolica è retta dal prin-


cipio di autonomia e non ingerenza da parte dell’autorità statale, contem-
perato, ovviamente dal principio della certezza del diritto e della tutela dei
terzi che entrano in rapporti negoziali con gli enti ecclesiastici. L’art.831
c.c., stabilisce che “I beni degli enti ecclesiastici sono soggetti alle norme del
presente codice, in quanto non è diversamente disposto dalle leggi speciali
Il patrimonio ecclesiastico e le entrate degli enti ecclesiastici 55

che li riguardano” ; l’art. 7 comma 6 Accordo di Villa Madama stabilisce


che “l’amministrazione dei beni appartenenti agli enti ecclesiastici è soggetta
ai controlli previsti dal diritto canonico. Gli acquisti di questi enti sono però
soggetti anche ai controlli previsti dalle leggi italiane per gli acquisti delle per-
sone giuridiche” mentre l’art. 18 della L.222/1985 “Ai fini dell’invalidità o
inefficacia di negozi giuridici posti in essere da enti ecclesiastici non possono es-
sere opposte a terzi, che non ne fossero a conoscenza, le limitazioni dei poteri di
rappresentanza o l’omissione di controlli canonici che non risultino dal codice
di diritto canonico o dal registro delle persone giuridiche”.
Tutto questo sta a significare che l’amministrazione dei beni eccle-
siastici deve svolgersi in conformità con le norme stabilite in materia dal
diritto canonico (per espresso rinvio formale), fatta eccezione delle dero-
ghe di cui alle disposizioni civili e concordatarie.
Gli istituti del sostentamento del clero hanno fatto venir meno il
controllo dello Stato sugli atti eccedenti l’ordinaria amministrazione, di
contro, è stata introdotta dall’art. 37 della L.222/1985 una prelazione
dello Stato sulla vendita di beni immobili; è infatti previsto che l’Istituto
per il sostentamento del clero che intenda vendere un immobile per un
prezzo superiore ad €774.685,35 deve darne comunicazione al Prefetto
della Provincia nella quale e’ ubicato l’immobile, dichiarando il prezzo e
specificando le modalità di pagamento e le altre condizioni essenziali alle
quali la vendita dovrebbe essere conclusa. Entro sei mesi dalla ricezione
della proposta, il Prefetto comunica all’Istituto, con atto notificato, se e
quale ente tra Stato, Comune, Università degli studi, Regione e Provincia
intenda acquistare il bene per le proprie finalità istituzionali, alle condi-
zioni previste nella proposta di vendita, trasmettendo contestualmente
copia autentica della deliberazione di acquisto alle medesime condizioni
da parte dell’ente pubblico.
Il diritto di prelazione non vale se l’acquirente è un altro ente ec-
clesiastico ed in caso di inosservanza dell’onere di notifica al Prefetto, il
contratto di compravendita è nullo.

4. Il regime tributario del patrimonio ecclesiastico. Cenni

La principale fonte normativa in materia tributaria si rinviene nell’art. 20


della Costituzione, il quale dispone che “il carattere ecclesiastico e il fine
di religione o di culto di una associazione od istituzione non possono essere
causa di speciali limitazioni legislative, né di speciali gravami fiscali per la
sua costituzione, capacità giuridica e ogni forma di attività”.
56 MANUALE DI DIRITTO ECCLESIASTICO

Il Concordato tra la Santa Sede e l’Italia, all’art. 29, lett. h), sancisce
invece che, ferme restando le agevolazioni tributarie già stabilite per gli
enti ecclesiastici, il fine di religione o di culto è equiparato, a tutti gli
effetti tributari, ai fini di beneficenza e di istruzione.
Questi principi sono stati precisati e codificati dall’art. 7 dell’Accor-
do modificativo del Concordato del 18 febbraio 1984 (L. n. 121/1985),
in base al quale il fine di religione o di culto non può essere causa di
speciali limitazioni legislative né di speciali gravami fiscali per la costitu-
zione, la capacità giuridica ed ogni forma di attività dell’ente.
Sono stati equiparati agli effetti tributari, il fine di religione o di cul-
to al fine di beneficenza o di istruzione, anche se con una portata diversa
rispetto al Concordato: da un lato precisa che l’equiparazione è limitata
ai soli enti ecclesiastici aventi fine di religione o di culto, mentre l’art.
29 lett. h) del Concordato si riferiva in generale agli enti ecclesiastici e
dall’altro lato amplia la portata della norma concordataria, comprenden-
do, nel fine di religione o di culto, anche le attività dirette a tali scopi,
quindi, in altri termini, le attività strumentali.
L’art. 7, comma 3° della Legge n. 121/1985 precisa, inoltre, che le
attività degli enti ecclesiastici diverse da quelle di religione o di culto
siano soggette, nel rispetto della struttura e della finalità di tali enti, alle
leggi dello Stato concernenti tali attività e al regime tributario previsto
per le medesime. I principi sopra citati sono stati confermati dal legisla-
tore anche con riferimento agli enti ecclesiastici di culto acattolico. Vi é,
tuttavia, anche qualche eccezione al riguardo, così come previsto dall’art.
12, ultimo comma della Legge n.449/1984 (Norme per la regolazione
dei rapporti tra lo Stato e le Chiese rappresentate dalla Tavola Valdese)
il quale stabilisce che gli enti da esso disciplinati “sono soggetti al regime
tributario previsto dalle leggi dello Stato” oppure come nel caso dell’art.
17 della Legge n.517/1988 (Norme per la regolazione dei rapporti tra lo
Stato e le Assemblee di Dio in Italia). Secondo parte della dottrina, l’e-
quiparazione agli effetti fiscali del fine di religione e di culto ai fini di be-
neficenza e di istruzione opera soltanto per gli enti ecclesiastici che siano
regolamentati in base a leggi negoziate tra Stato e confessioni religiose o
che abbiano almeno ottenuto il riconoscimento agli effetti civili; secondo
un diverso orientamento, invece, la suddetta equiparazione ai fini fiscali
opera per tutti gli enti religiosi, anche se privi del riconoscimento dello
Stato. Infine, l’art. 8 D.P.R. 13 febbraio 1987, n. 33 stabilisce che l’ente
ecclesiastico che svolga attività per le quali le leggi tributarie prescrivano
la tenuta di scritture contabili, sia obbligato ad adeguarsi al dettato della
normativa.
In merito alle principali agevolazioni fiscali concernenti gli enti ec-
clesiastici si evidenzia che:
Il patrimonio ecclesiastico e le entrate degli enti ecclesiastici 57

Non avendo gli enti ecclesiastici come oggetto principale l’esercizio


abituale di un’attività commerciale, l’IVA non è dovuta; tuttavia sono
considerate commerciali le cessioni di beni nuovi prodotti per la vendita.
Sono invece considerate esenti IVA le cessioni gratuite di beni fatte ad
associazioni riconosciute ed a fondazioni aventi esclusivamente finalità
di assistenza, beneficenza, educazione, istruzione, ricerca scientifica e alle
ONLUS;
L’IRES è ridotta alla metà nei confronti degli enti il cui fine è equi-
parato per legge ai fini di beneficenza o di istruzione, purché abbiano
personalità giuridica;
L’IMU non deve essere versata per i fabbricati destinati esclusiva-
mente all’esercizio del culto e le loro pertinenze, nonché per i fabbrica-
ti di proprietà della Santa Sede. È prevista dalla normativa un’ulterio-
re esenzione nel caso di immobili utilizzati dagli enti non commerciali
destinati esclusivamente allo svolgimento di attività assistenziali, previ-
denziali, sanitarie, didattiche, culturali, sportive ecc., con modalità non
commerciali. Rispetto al passato, se l’unità immobiliare ha un’utilizzazio-
ne mista, l’esenzione si applica solo alla frazione di unità nella quale di
svolge l’attività di natura non commerciale. Sul punto si segnala un’in-
teressante sentenza della Corte di Cassazione, la n. 4340/2015 in cui si
afferma che “In tema di imposta comunale sugli immobili (ICI), l’esen-
zione prevista dall’art. 7, comma 1, lett. i),del d.lgs. 30 dicembre 1992,
n. 504 è limitata all’ipotesi in cui gli immobili siano destinati in via esclu-
siva allo svolgimento di una delle attività di religione o di culto indicate
nell’art. 16, lett. a), della legge 20 maggio 1985, n. 222, e pertanto non
si applica ai fabbricati di proprietà di enti ecclesiastici nei quali si svolga
attività sanitaria (come è nel caso di specie), non rilevando in contrario
né la destinazione degli utili eventualmente ricavati al perseguimento di
fini sociali o religiosi, che costituisce un momento successivo alla loro
produzione e non fa venir meno il carattere commerciale dell’attività, né
il principio della libertà di svolgimento di attività commerciale da parte
di un ente ecclesiastico”;

L’imposta comunale sulle affissioni è ridotta del 50% per la pubblicità re-
lativa a manifestazioni religiose, da chiunque realizzate con il patrocinio
degli enti pubblici territoriali e per la pubblicità relativa a festeggiamenti
religiosi. Sono esenti invece gli avvisi e le pubblicazioni riguardanti il
governo dei fedeli esposti sulle porte ovvero sulle facciate esterne degli
edifici destinati al culto;
L’imposta sulle successioni e donazioni non si applica ai trasferimen-
ti a favore di fondazioni ed associazioni legalmente riconosciute che ab-
biano come scopo esclusivo l’assistenza, lo studio, la ricerca, l’istruzione
58 MANUALE DI DIRITTO ECCLESIASTICO

ecc. Data l’equiparazione ai fini tributari tra le attività di beneficenza ed


istruzione e quelle aventi finalità religiose o di culto, tale esenzione può
essere estesa anche a quest’ultime.
Il Testo Unico delle Imposte sui Redditi dispone invece una serie di
esenzioni e deduzioni fiscali prevedendo che:
non si considerano produttive di reddito , se non sono oggetto di
locazione, le unità immobiliari destinate esclusivamente all’esercizio del
culto;
dal reddito complessivo delle persone fisiche si deducono le eroga-
zioni liberali in denaro fino all’importo di €1.032,91 a favore dell’Istituto
centrale per il sostentamento del clero della Chiesa cattolica italiana e
le erogazioni liberali in denaro alle condizioni e nei limiti previsti dalla
legge.

5. I beni culturali religiosi

L’art. 12 comma 1 del nuovo concordato dispone che “La Santa Sede e
la Repubblica italiana, nel rispettivo ordine, collaborano per la tutela del
patrimonio storico ed artistico”.
Con tale norma viene introdotto un principio di collaborazione nella
tutela del patrimonio artistico, senza limiti di appartenenza proprietaria,
fondato sulla considerazione che in Italia il patrimonio artistico cattolico
qualifica in modo preponderante l’identità nazionale.
I commi successivi della citata norma, invece, attengono al piano
della attuazione amministrativa; in effetti sulla base della citata diposi-
zione sono state stipulate intese sia a livello nazionale che regionale (ri-
cordiamo quelle del 18 aprile del 2000 relativamente alla conservazione e
consultazione degli archivi di interesse storico e delle biblioteche ed isti-
tuzioni ecclesiastiche e quella del 26 gennaio 2005 riguardante la tutela
dei beni culturali di interesse religioso appartenenti ad enti ed istituzioni
ecclesiastiche).
Anche il Codice dei beni culturali e del paesaggio (D. Lgs. 42/2004),
al suo art. 9, prende in considerazione i “Beni culturali di interesse re-
ligioso” estendendone però la portata applicativa anche a quei beni ap-
partenenti ad altre confessioni. La norma dispone che il Ministero e, per
quanto di competenza, le Regioni provvedono, relativamente alle esigen-
ze di culto in accordo con le rispettive autorità ed osservate le disposizio-
ni stabilite dalle intese concluse ai sensi dell’articolo 12 dell’Accordo di
modificazione del Concordato ovvero dalle leggi emanate sulla base delle
Il patrimonio ecclesiastico e le entrate degli enti ecclesiastici 59

intese sottoscritte con le confessioni religiose diverse dalla cattolica, ai


sensi dell’articolo 8, comma 3, della Costituzione.
A livello internazionale esistono una serie di normative che si oc-
cupano della materia in questione, ad esempio la legge n.279/1958, di
ratifica della Convenzione dell’Aja del 1954 sulla protezione dei beni
culturali in caso di conflitto armato, l’art. 53 della legge n.762/1985 che
ratifica il Protocollo Addizionale I della Convenzione di Ginevra sulla
protezione delle vittime dei conflitti internazionali, la legge n.184 del
1977, di ratifica della convenzione UNESCO di Parigi per la tutela del
patrimonio culturale e naturale mondiale, l’art. 2 della legge n.213/1999,
di ratifica della convenzione UNIDROIT sui beni culturali rubati o ille-
citamente espropriati, la legge n.45/2009 di ratifica ed esecuzione del II
Protocollo relativo alla Convenzione dell’Aja del 1954 per la protezione
dei beni culturali in caso di conflitto armato, fatto a l’Aja il 26 marzo
1999, nonché norme di adeguamento dell’ordinamento interno.
Capitolo 9
Il matrimonio canonico con effetti civili

1. Premessa storica

Il matrimonio, prima dell’entrata in vigore del codice civile del 1865, era
regolato unicamente dalle norme del diritto della Chiesa, nel senso che,
era soggetto alla competenza ecclesiastica quando concluso tra battezzati.
Con l’introduzione del codice, il matrimonio civile rappresentò l’u-
nica forma di celebrazione avente effetti sul piano dell’ordinamento in-
terno. In Italia, infatti, fino al 1929, vigeva il regime del matrimonio
civile obbligatorio, ossia l’unica forma di matrimonio valida per il nostro
ordinamento era quella del matrimonio civile regolato interamente dal-
le leggi dello Stato; il matrimonio canonico era pertanto irrilevante per
l’ordinamento giuridico italiano e dunque i cittadini italiani professanti
la fede cattolica erano obbligati ad effettuare una doppia celebrazione.
L’unificazione dei due riti (cattolico e civile) avvenne solamente a
seguito della stipulazione dei Patti Lateranensi del 1929; in base all’art.
34 infatti, il matrimonio canonico divenne rilevante anche agli effetti
civili, purché trascritto nei registri dello Stato civile. Inoltre, il matrimo-
nio civile, da obbligatorio divenne facoltativo, potendo i cittadini italiani
scegliere se sposarsi con il rito civile ovvero religioso con effetti civili. Lo
Stato mantenne una propria presenza all’interno dell’istituito del ma-
trimonio, prevedendo il regime delle pubblicazioni e della lettura degli
articoli del codice civile durante la celebrazione del matrimonio.
Contemporaneamente alla stipulazione dei Patti Lateranensi, fu
introdotto nella nostra legislazione un nuovo tipo di matrimonio c.d.
acattolico, affinché i fedeli degli altri culti ammessi nello Stato potessero
celebrare il proprio matrimonio davanti ai ministri dei rispettivi culti,
osservando però le formalità delle leggi statali. (L. n.1159 del 24/6/1929
artt. 7-12).
Per le confessioni acattoliche che hanno stipulato intese con lo Sta-
to, vige invece un particolare tipo di matrimonio molto affine a quello
concordatario.
Con l’Accordo di Villa Madama, i rapporti tra Stato e Chiesa, in ma-
teria matrimoniale, sono stati rivisti e quindi regolamentati in maniera
diversa. Questo cambiamento è derivato dal fatto che, con l’introduzione
62 MANUALE DI DIRITTO ECCLESIASTICO

della Costituzione repubblicana, si manifestarono le prime incompatibi-


lità, evidenziate anche da alcune pronunce della Corte Costituzionale.
Venne così completamente sostituito l’art. 34 di cui sopra, con il
nuovo art. 8 dell’Accordo di Villa Madama, in base al quale, oltre a ve-
nir meno qualsiasi accenno al matrimonio quale sacramento, è sancito
il riconoscimento degli effetti civili al matrimonio contratto secondo le
norme del diritto canonico a condizione che l’atto relativo sia trascritto
nei registri dello stato civile. Risultano inoltre aumentati gli impedimenti
alla trascrizione oltre all’aver riconosciuto ai soli coniugi la possibilità di
richiedere la c.d. trascrizione tardiva.
In Italia, quindi, il matrimonio può essere regolato dal diritto civile
(celebrato davanti all’ufficiale di stato civile) ovvero dal diritto canonico (
celebrato davanti al Ministro del culto cattolico, secondo la disciplina del
diritto canonico e successivamente trascritto nei registri dello stato civile)
in base a quanto scelto dalle parti contraenti (non esiste infatti alcuna
norma che imponga una forma di matrimonio piuttosto che un’altra in
rapporto all’appartenenza ad una confessione delle parti).
La società coniugale, indipendentemente dalla scelta effettuata, ri-
mane governata esclusivamente dalle norme della legislazione statale. I
diritti e doveri dei coniugi, i rapporti con la prole e gli aspetti patrimo-
niali sono sempre regolati delle leggi civili.

2. Il riconoscimento degli effetti civili del matrimonio canonico

Vi sono una serie di atti, precedenti e successivi alla celebrazione del


matrimonio canonico, che servono a far conseguire effetti civili al matri-
monio religioso. Nella specie, si evidenziano:
le pubblicazioni (art. 8 Nuovo Conc.): la celebrazione del matrimo-
nio canonico con effetti civili deve essere preceduta dalle pubblicazioni.
Quest’ultime hanno la funzione di accertare che non vi sia alcun impedi-
mento e che, attraverso la trascrizione, il matrimonio canonico acquisti
effetti civili. Le pubblicazioni hanno una funzione di pubblicità-notizia
della volontà degli sposi di celebrare il matrimonio, e sono effettuate
dall’Ufficiale dello stato civile, il quale, verifica che non vi siano impe-
dimento e che le dichiarazioni siano esatte. L’atto di pubblicazione deve
restare affisso alla porta della casa comunale per almeno 8 giorni (art. 55
DPR 396/2000) (oggi sostituita dalla pubblicazione sull’albo pretorio
on-line) ma il Tribunale può ridurre detto termine per gravi motivi o di-
spensare del tutto dalle pubblicazioni per causa gravissime (art. 100 c.c.).
Il matrimonio canonico con effetti civili 63

L’ufficiale di stato civile ha l’obbligo di effettuare la pubblicazione ove


venga richiesta, salvo che riscontri l’esistenza di uno degli impedimenti
alla trascrivibilità del matrimonio canonico ovvero un impedimento co-
mune al diritto civile e a quello canonico non dispensato dall’autorità
ecclesiastica.
Se l’ufficiale ritiene di non poter procedere alla pubblicazione , ri-
lascia un certificato con i motivi del rifiuto. Contro il rifiuto è possibile
presentare ricorso al Tribunale che provvede in camera di consiglio udito
il Pubblico Ministero.
La pubblicazione perde efficacia se entro 180 giorni non segue la
celebrazione del matrimonio.
le eventuali opposizioni: con la pubblicazione si rende noto che in
quel determinato giorno si celebrerà il dato matrimonio così da permet-
tere, alle persone previste dall’art. 102 c.c., nel caso in cui vi sia una causa
di impedimento, la possibilità di fare opposizione.
La presentazione della domanda di opposizione non sospende auto-
maticamente la celebrazione del matrimonio, facoltà lasciata al Presiden-
te del Tribunale ove ne sussista l’opportunità.
Il diritto di presentare opposizione spetta al coniuge della persona
che vuole contrarre altro matrimonio, ai genitori, al tutore o curatore
se uno dei nubendi è soggetto a curatela o tutela, al Pubblico Ministero
quando sia a conoscenza della esistenza di qualche impedimento, ai pa-
renti del precedente marito quando il matrimonio è contratto in contrav-
venzione al divieto di nozze ai sensi dell’art. 89 c.c.
Se durante gli otto giorni non vengono notificate alcune opposizio-
ni, trascorsi i successivi 3 giorni, l’Ufficiale dello stato civile deve rilascia-
re un certificato in cui dichiara che non risulta l’esistenza di cause che si
oppongono alla celebrazione di un matrimonio valido agli effetti civili.
Se invece risulta notificata opposizione (art.59 c.2 DPR 396/2000),
l’ufficiale dello stato civile deve astenersi dal rilascio del certificato e dare
comunicazione al Parroco della opposizione notificatagli.
Sull’opposizione deve decidere il Tribunale civile il quale potrà deci-
dere sul merito se si tratta di contestazione concernenti gli artt. 84 e ss.
c.c. (difetto di età, pronuncia di interdizione per infermità di mente, esi-
stenza di precedente vincolo matrimoniale, affinità in linea retta, delitto).
In altri casi (ossia impedimenti civili diversi da quelli di cui sopra, ovvero
un impedimento canonico) dovrà pronunciare sentenza di non luogo a
deliberare, per significare il disinteressamento del magistrato civile per il
matrimonio religioso che deve celebrarsi, e la necessità che la parte inve-
sta le competenti autorità ecclesiastiche.
Una volta venuta meno la causa ostativa per una delle ragioni di cui
sopra, l’Ufficiale dello stato civile deve rilasciare il certificato.
64 MANUALE DI DIRITTO ECCLESIASTICO

3. La celebrazione del matrimonio canonico

La celebrazione del matrimonio canonico deve essere fatta secondo le


disposizioni del diritto canonico, inoltre ad essa devono seguire determi-
nati adempimenti a cura dell’autorità ecclesiastica, ossia :
il Parroco deve spiegare agli sposi gli effetti civili del matrimonio
dando lettura degli artt. 143, 144 e 147 c.c. (diritti e doveri dei coniugi).
Il parroco in tale attività agisce in qualità di ministro di culto, mentre
agisce in qualità di pubblico ufficiale, esercitando una pubblica funzione
di certificazione, quando redige e trasmette all’ufficiale dello stato civile
l’atto attestante la celebrazione del matrimonio.
Deve essere compilato l’atto di matrimonio in duplice originale (uno
solitamente su libro parrocchiale e l’altro per lo stato civile da consegnar-
si, a cura del Parroco entro e non oltre 5 gg. dalla celebrazione, nel Co-
mune in cui il matrimonio è stato celebrato a fini della successiva trascri-
zione,). L’atto, oltre a dovere essere redatto in lingua italiana e riportare
la menzione dell’eseguita lettura, potrà contenere eventuali dichiarazioni
degli sposi sul regime di separazione dei beni.

4. La trascrizione del matrimonio

Ai sensi dell’art. 8 nuovo Concordato, il matrimonio ha effetti civili dal


momento della celebrazione, anche se l’ufficiale dello stato civile, per qual-
siasi ragione, abbia effettuato la trascrizione oltre il termine prescritto.
La trascrizione può essere effettuata anche posteriormente su richie-
sta dei due contraenti, o anche di uno di essi, con la conoscenza e senza
l’opposizione dell’altro, sempre che entrambi abbiano conservato inin-
terrottamente lo stato libero dal momento della celebrazione a quello
della richiesta di trascrizione (c.d. trascrizione tardiva).
Sia che la trascrizione si tempestiva, sia che essa sia stata effettuata
tardivamente, la stessa ha effetti retroattivi e la sua efficacia è di natura
costitutiva. Pertanto gli sposi, sul piano degli effetti civili, risultano legati
da rapporto di coniugio dal momento di celebrazione del matrimonio
e non dalla data della trascrizione. La retroattività degli effetti è però
limitata agli sposi, in quanto la trascrizione non pregiudica i diritti legit-
timamente acquistati dai terzi.
La Corte di Cassazione, con sentenza n.2893/1994 ha stabilito che la
morte di uno dei due coniugi aventi optato, al momento della celebrazione
Il matrimonio canonico con effetti civili 65

del matrimonio canonico, per la trascrizione tardiva, comporta la nullità di


tale scelta e l’automatica efficacia del matrimonio anche ai fini civili.
In tutti i casi in cui a livello civilistico sia impossibile la celebra-
zione del matrimonio, risulterà parimenti impossibile la trascrizione del
matrimonio religioso (circostanza dovuta all’unificazione realizzata fra il
regime canonico e quello civile circa le cause ostative alla trascrizione).
Nella specie, la trascrizione, non potrà avere luogo nei seguenti casi:
a. quando gli sposi non rispondano ai requisiti della legge civile
circa l’età richiesta per la celebrazione;
b. quando sussiste fra gli sposi un impedimento che la legge civile
considera inderogabile (articoli codice civile 85 “Interdizione per
infermità di mente”, 86 “Libertà di stato”, 87 “Parentela, affinità,
adozione” e 88 “Delitto”)
La trascrizione è tuttavia ammessa quando, secondo la legge civile, l’azio-
ne di nullità o di annullamento non potrebbe essere più proposta.
Un ulteriore impedimento alla trascrizione è rappresentato dalla
consanguineità in linea retta e in secondo grado della linea collaterale, da
adozione e affiliazione.
Esistono alcune forme di celebrazione del matrimonio canonico non
trascrivibili (quindi improduttive di effetti civili):
-- il matrimonio celebrato all’estero secondo il rito canonico, che
non ottenga effetti civili nello Stato in cui è stato celebrato;
-- il matrimonio segreto o di coscienza, celebrato in presenza di
gravi ed urgenti ragioni segretamente davanti al Parroco e a due
testimoni (in questo caso non vengo effettuate le pubblicazioni e
non viene data lettura degli artt. del c.c.)
-- il matrimonio coram solis testibus, ossia una forma di matrimonio
canonico celebrato in assenza del ministro di culto, alla presenza
di soli testimoni.

5. La giurisdizione ecclesiastica in materia matrimoniale

Le sentenze ecclesiastiche di nullità del matrimonio pronunciate dai tri-


bunali ecclesiastici possono essere rese esecutive in Italia attraverso un
procedimento speciale, di competenza della Corte d’Appello territorial-
mente competente.
Il tema della riserva di giurisdizione dei tribunali ecclesiastici sulle
cause di nullità dei matrimoni canonici trascritti è al centro di divergenti
interpretazioni dottrinarie e giurisprudenziali.
66 MANUALE DI DIRITTO ECCLESIASTICO

La questione nasce dal fatto che l’art. 34 del Concordato del 1929
enunciava una riserva esclusiva di giurisdizione in materia matrimoniale
a favore dell’autorità ecclesiastica, mentre l’art. 8 n. 2 del nuovo concor-
dato del 1984 pare configurare una giurisdizione concorrente, nel senso
che competenti a giudicare della nullità del matrimonio canonico, al fine
di provocare la cessazione degli effetti civili prodotti dalla trascrizione del
matrimonio stesso dichiarato nullo, siano sia il giudice ecclesiastico che
quello civile (G. Della Torre).
Parte della dottrina sostiene infatti che nel nuovo testo non vi sareb-
be più la riserva a favore della giurisdizione ecclesiastica per le cause di
nullità, ma vi sarebbe soltanto il riconoscimento delle sentenze emanate
dai tribunali ecclesiastici con l’adattamento al caso delle norme previste
dal c.p.c. per la delibazione delle sentenze straniere.
Altra parte della dottrina invece, ritiene che nel nuovo testo si sia
mantenuta la riserva giurisdizione a favore dei tribunali ecclesiastici, la
cui legittimità costituzionale era stata più volte ribadita dalla Corte Co-
stituzionale nel regime precedente. In base a questa corrente, con l’Ac-
cordo del 1984, il sistema matrimoniale concordatario definito nel 1929
è stato soltanto aggiornato alle nuove esigenze fattuali e di diritto, fermi
restando i capisaldi, tra i quali non può rientrare la riserva di giurisdizio-
ne a favore dei tribunali ecclesiastici.
Su tale dibattuto tema, si sono pronunciate le Sezioni Unite del-
la Corte di Cassazione (sent. n.1824/1993), le quali hanno affermato
che con l’Accordo del 1984, nella specie con l’art. 13, deve considerarsi
abrogata implicitamente la disposizione contenuta nell’art. 34 del Con-
cordato del 1929. L’art. 8 n.2 dell’Accordo di revisione, infatti, riproduce
le disposizioni dell’art. 34 relative alla delibazione, ma non anche quelle
contenenti la riserva di giurisdizione ai tribunali ecclesiastici delle cause
concernenti la nullità del matrimonio. Per tali motivi, l’eventuale con-
corso tra giurisdizione italiana ed ecclesiastica andrà risolto mediante il
criterio della PREVENZIONE, che dà prevalenza al giudizio che abbia
avuto inizio per primo.

6. La delibazione delle sentenze ecclesiastiche di nullità

Dobbiamo premettere che l’ordinamento statuale si disinteressa totalmente


del processo dinnanzi all’autorità ecclesiastica (le uniche eccezioni sono rap-
presentate dai casi in cui la sentenza ecclesiastica debba formare pregiudiziale
di altra controversia civile, penale o amministrativa o quando in pendenza
Il matrimonio canonico con effetti civili 67

del giudizio di nullità innanzi al tribunale ecclesiastico venga richiesta al tri-


bunale civile la pronuncia di separazione temporanea tra i coniugi).
La possibilità di riconoscere efficacia civile alle sentenze che dichiara-
no nullo il matrimonio religioso, emesse dai tribunali ecclesiastici è stata
riformata dall’Accordo di Villa Madama, attraverso la previsione di un
processo definito di “delibazione”.
La competenza spetta alla Corte di Appello del luogo in cui è avve-
nuta la trascrizione del matrimonio canonico.
Il procedimento si instaura “su domanda della parti o di una di esse”
ed in base a ciò assumerà la forma del ricorso ovvero della citazione.
Possono essere delibate soltanto le sentenze passate in giudicato, os-
sia quelle sentenze che siano divenute esecutive in base al diritto canoni-
co che siano state sottoposte alla regola della “doppia conforme”, ossia è
previsto che ogni sentenza deve essere confermata sul medesimo capo di
nullità da un’altra sentenza pronunciata da un organo superiore.
Lo Stato però richiede un requisito ulteriore, ossia per il processo di
delibazione, le sentenze devono essere munite del decreto di esecutività
fornito dal superiore organo di controllo ecclesiastico, ovvero il Supremo
Tribunale della Segnatura Apostolica.
Sul punto, la Corte di Cassazione (sent. 814/2009) si è pronunciata in
merito alla possibilità di instaurare il giudizio di delibazione quando non è
stato ancora emesso il decreto di esecutività da parte della Segnatura Apo-
stolica, ed ha statuito che “La ricorrente erroneamente qualifica il decreto di
esecutività del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica quale presupposto
processuale, trattandosi invece di una condizione dell’azione. Non incide in-
fatti sulla esistenza o validità del rapporto giuridico processuale (come si verifica,
ad esempio, in mancanza o nullità della domanda giudiziale oppure nell’ipotesi
in cui la domanda sia rivolta a giudice incompetente), ma incide sul diritto ad
ottenere una sentenza favorevole. Essendo una condizione dell’azione (condi-
zione della sentenza positiva di accoglimento), è necessario che sussista non nel
momento in cui viene introdotto il giudizio, ma nel momento in cui la lite viene
decisa. Pertanto detta condizione può venire ad esistenza, senza alcun pregiudi-
zio per l’attore, anche in corso di causa, com’è avvenuto nel caso di specie”
Dunque, il decreto di esecutività può venire ad esistenza anche in
corso di causa.
La Corte di Appello territorialmente compente, non dovendo svol-
gere alcun riesame del merito della pronuncia ecclesiastica, dovrà sola-
mente accertare che:
-- il giudice ecclesiastico era il giudice competente a conoscere della
causa in quanto matrimonio celebrato in conformità del presente
articolo;
-- nel procedimento davanti ai tribunali ecclesiastici è stato assicurato
68 MANUALE DI DIRITTO ECCLESIASTICO

alle parti il diritto di agire e di resistere in giudizio in modo non


difforme dai principi fondamentali dell’ordinamento italiano;
-- ricorrono le altre condizioni richieste dalla legislazione italiana
per la dichiarazione di efficacia delle sentenze straniere;
-- la sentenza ecclesiastica non dovrà essere contraria ad altra sen-
tenza pronunciata da un giudice italiano passata in giudicato;
-- non dovrà essere pendente davanti al giudice civile un processo
per il medesimo oggetto e fra le stesse parti;
-- non dovrà essere contraria all’ordine pubblico italiano, ossia che
non risultino lesi principi costituzionali e quelli fondamentali
dell’ordinamento italiano.
Contro la sentenza della Corte d’Appello è esperibile unicamente il rime-
dio del ricorso per Cassazione ex art. 360 comma 1, c.p.c.
L’efficacia della sentenza ecclesiastica, che ha dichiarato nullo il ma-
trimonio canonico e che la Corte d’Appello ha reso esecutiva, retroagisce
alla data di celebrazione del matrimonio.
La sentenza n.16379 del 2014 delle Sezioni Unite della Corte di
Cassazione ha statuito un importante principio di diritto in tema di li-
mite di ordine pubblico ostativo alle delibazione di una sentenza cano-
nica di nullità. Viene previsto in essa che la convivenza tra i coniugi,
quale elemento essenziale del matrimonio rapporto, ove si sia protratta
per almeno tre anni dalla celebrazione del matrimonio concordatario re-
golarmente trascritto, integra una situazione giuridica di ordine pubblico
italiano, ostativa alla dichiarazione di efficacia della sentenza ecclesiastica
di nullità per qualsivoglia vizio genetico del matrimonio atto.
L’art. 8 n.2 del nuovo concordato ha previsto altresì che la Corte
d’Appello possa, nella sentenza intesa a rendere esecutiva una sentenza
canonica, statuire provvedimenti economici provvisori a favore di uno
dei coniugi il cui matrimonio sia stato dichiarato nullo, rimandando le
parti al giudice competente per la decisione sulla materia.
Si tratta di provvedimenti anticipatori subordinati all’accertamento
del diritto del richiedente al conseguimento dell’indennità e degli ali-
menti e dell’esistenza del pericolo di grave pregiudizio durante il tempo
occorrente per farlo valere davanti al giudice competente.

7. Il matrimonio rato e non consumato

Come abbiamo detto, la dichiarazione di nullità del matrimonio reli-


gioso non comporta l’immediato annullamento del matrimonio civile
Il matrimonio canonico con effetti civili 69

in quanto lo Stato deve accogliere la sentenza ecclesiastica attraverso la


procedura di delibazione.
Tale riconoscimento però, in alcuni casi, può essere anche negato,
come nel caso di cause di nullità valide per il diritto canonico ma non per
l’ordinamento italiano.
Sul punto si segnala che l’art. 34 della normativa concordataria del
1929 consentiva che il provvedimento canonico di scioglimento del ma-
trimonio canonico (trascritto) rato e non consumato (nella Chiesa cat-
tolica viene concesso dal Pontefice nei casi in cui sia stato accertato che
il matrimonio, malgrado la corretta celebrazione, non sia stato poi con-
sumato attraverso l’atto coniugale) acquistasse valore anche nel diritto
italiano, a seguito di determinati adempimenti.
Nell’Accordo di revisione del Concordato non si menziona più l’at-
tribuzione di effetti civili ai provvedimenti pontifici di dispensa dal ma-
trimonio rato e non consumato, che pertanto deve ritenersi abrogata.
Secondo la dottrina dominante, tale esclusione è imputabile al fatto che
“trattasi di provvedimenti graziosi e del tutto discrezionali, emessi con
un procedimento di carattere amministrativo e non giudiziario, nel quale
sono assenti le fondamentali garanzie giurisdizionali sancite dalla Costi-
tuzione repubblicana a favore di ogni cittadino italiano”.

8. Il matrimonio celebrato dagli appartenenti alle confessioni acattoliche

Per matrimonio “acattolico” s’intende il matrimonio celebrato innanzi ai


ministri di culto appartenenti a una confessione diversa dalla cattolica.
Esso si caratterizza per essere una forma particolare del matrimonio civile.
La procedura di celebrazione si differenzia a seconda che la confes-
sione abbia o meno stipulato un’intesa con lo Stato ex art. 8 Cost.
Per le confessioni prive di “intese” si applica il regime previsto dalla
L.1159 del 1929 ossia, l’ufficiale di stato civile deve provvedere su richie-
sta dei nubendi, ad adempiere le formalità stabilite dal c.c., al fine di ac-
certare che nulla si opponga alla celebrazione del matrimonio; effettuati
gli accertamenti, l’ufficiale dello stato civile rilascerà autorizzazione scrit-
ta con l’indicazione nominativa del ministro di culto acattolico dinanzi
al quale la celebrazione avrà luogo.
Il ministro di culto sopra individuato (in possesso ovviamente
dell’autorizzazione del Ministero dell’interno) dovrà dare lettura agli spo-
si del artt. 143, 144 e 147 c.c. e ricevere alla presenza di due testimoni la
dichiarazione espressa di entrambi gli sposi.
70 MANUALE DI DIRITTO ECCLESIASTICO

Dopo la celebrazione dovrà essere redatto in originale e in lingua ita-


liana, l’atto di matrimonio. Non oltre 5 gg. dalla celebrazione, tale atto,
a cura del ministro di culto, dovrà essere trasmesso all’ufficiale di stato
civile autorizzante il quale, entro le 24 ore, dovrà curarne la trascrizione
nei registri dello stato civile.
Per le confessioni che abbiano stipulato un’intesa invece, la discipli-
na di celebrazione del matrimonio contenuta in essa, solitamente ricalca
pressoché fedelmente il contenuto dell’art. 8 n.1 del nuovo Concordato,
prevedendo il riconoscimento degli effetti civili dei matrimoni a condi-
zione che l’atto relativo sia trascritto nei registri dello stato civile, previe
pubblicazioni nella casa comunale. Per i ministri di culto delle confessio-
ni che hanno stipulato intese non è più necessaria l’approvazione gover-
nativa, così come l’indicazione, da parte dell’ufficiale di stato civile, del
ministro di culto davanti al quale il matrimonio deve aver luogo.

9. Il matrimonio dello straniero in Italia

La persona straniera che voglia contrarre matrimonio in Italia, potrà spo-


sarsi sia seguendo il rito civile che quello religioso in quanto ai sensi della
L.218/1995 art. 28, è la legge del luogo di celebrazione a regolare la
forma del relativo atto.
Lo straniero però è soggetto alla propria legge nazionale per quanto
concerne i requisiti necessari per contrarre matrimonio oltre al rispetto
di particolari condizioni, imprescindibili per la legge italiana (art. 85 e
ss. c.c.).
Lo straniero dovrà presentare all’ufficiale dello stato civile una di-
chiarazione dell’autorità competente del proprio paese di origine da cui
risulti il nulla osta al matrimonio in base alle leggi cui è sottoposto.
Capitolo 10
La disciplina dei culti acattolici

1. Caratteri generali dei culti acattolici

Le confessioni acattoliche si pongono rispetto allo Stato in una posizione


di autonomia ed indipendenza, potendosi autodeterminarsi ed organiz-
zarsi con l’unico limite del rispetto dell’ordinamento giuridico italiano.
Le fonti che disciplinano le confessioni acattoliche sono contenute
in primo luogo nella Carta Costituzionale negli artt. 8, 19 e 20 (indiriz-
zate a tutte le confessioni), mentre nell’art. 8 comma 3, con riguardo alle
confessioni che hanno stipulato un’intesa, trovano applicazione le dispo-
sizioni contenute nelle leggi di attuazione delle intese stesse.
Per le confessioni prive di intese, la principale fonte è la Legge 24
giugno 1929, n.1159 contenente disposizioni sull’esercizio dei culti am-
messi nello Stato e sul matrimonio davanti ai ministri dei medesimi culti.
In relazione alla definizione di confessione religiosa, la giurispru-
denza costituzionale ha individuato dei criteri di identificazione che pre-
vedono una serie di caratteristiche, le quali possono così sintetizzarsi:
in primo luogo, un’insieme di individui numericamente rilevanti, che
condividano un culto o un credo religioso con una anche ben minima
organizzazione. Oltre a ciò si richiede una rilevanza storica del gruppo,
intesa come minima stabilità temporale nell’esercizio delle normali fun-
zioni della confessione; una rilevanza esterna, ossia la percezione da parte
della società civile che quel gruppo sia preordinato all’esercizio comune
del culto, ed una rilevanza interna, ossia la consapevolezza, da parte dei
membri stessi, di far parte di una formazione sociale che esprima il pro-
prio sentimento religioso.
L’autonomia organizzativa che la Costituzione concede alle confes-
sioni acattoliche permette loro di organizzarsi in strutture proprie, con i
seguenti limiti:
-- le norme che la confessione acattolica si è data non devono con-
trastare con l’ordinamento giuridico italiano ossia, secondo la
giurisprudenza costituzionale, i principi fondamentali dell’ordi-
namento stesso (Corte Cost. sent. 43/1998 delimita il significa-
to di principi fondamentali: “Questa espressione si può intendere
riferita difatti solo ai principi fondamentali dell’ordinamento stesso
72 MANUALE DI DIRITTO ECCLESIASTICO

e non anche a specifiche limitazioni poste da particolari disposizioni


normative […]”.)
In dottrina invece, Jemolo sostiene che la formula “ordinamento
giuridico italiano” comprenda l’ordine pubblico e il buon costu-
me, (questo limite troverebbe fondamento nel dettame dell’art. 1
della L. 1159 del 1929 dal quale si evince che sono ammesse reli-
gioni diverse da quella cattolica purché le proprie ideologie e riti
non contrastino con l’ordine pubblico e con il buon costume).
-- l’autonomia statutaria non consente alle confessioni religiose mi-
noritarie di regolare materie la cui competenza spetta allo Stato.
Le confessioni acattoliche organizzate in base all’art. 8 comma 2 della
Costituzione, quindi, si pongono rispetto allo Stato in una posizione di
autonomia ed indipendenza, potendo auto-organizzarsi a proprio piaci-
mento, sia pure con il limite sopra descritto.
Così come disposto dall’art. 8 comma 3 della Costituzione, i rappor-
ti tra le confessioni e lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese
con le relative rappresentanze.
Parte della dottrina ha ravvisato nell’intesa una natura giuridica non
dissimile a quella del concordato, mentre altri le hanno considerate nuo-
ve convenzioni di diritto pubblico.
Attraverso le intese vengono riconosciti alle confessioni interessate
un ampio regime di libertà per garantire un trattamento non dissimile da
quello riservato dallo Stato alla Chiesa Cattolica.
La differenziazione tra confessione che abbia stipulato un’intesa e
confessione priva di intesa, concerne anche la posizione giuridica dei pro-
pri ministri di culto.
Per le confessioni che non abbiano stipulato un’intesa la nomina di
ministro di culto deve essere accompagnata da un decreto di approvazio-
ne emesso a cura del Ministro dell’Interno ex art. 3 L. 1159/1929.
La mancata approvazione governativa impedisce che gli atti compiu-
ti dal ministro di culto abbiano valore nell’ordinamento giuridico statale.
(non può ad esempio ricevere un testamento, esercitare l’assistenza reli-
giosa ai militari acattolici, essere esentato dall’obbligo di deporre in un
procedimento civile o penale su ciò che abbia appreso per ragioni del suo
ministero e chiedere che siano celebrati matrimoni innanzi a lui).
Per le confessioni che invece abbiano stipulato INTESE , rivestono
la figura di ministro di culto quei soggetti nominati liberamente dalle ri-
spettive confessioni religiose, in quanto non vi è ingerenza da parte dello
Stato nella rispettiva nomina.
Anche in merito all’istituzione di enti e di gestione di enti con fina-
lità di culto, esiste una sostanziale differenza fra le confessioni acattoliche
che abbiano stipulato intese e quelle prive di intesa.
La disciplina dei culti acattolici 73

Nel caso in cui abbiano stipulato un’intesa, il riconoscimento della per-


sonalità giuridica risulta diversificato da confessione a confessione in quan-
to lo stesso varia a seconda delle rispettive leggi di attuazione delle intese.
Circa invece la gestione ordinaria, così come gli atti di straordinaria
amministrazione, essa di svolge sotto il controllo delle sole competenti
autorità ecclesiastiche senza alcuna ingerenza da parte dello Stato.
Nel caso di confessioni acattoliche che non abbiano stipulato intese
con lo Stato, il riconoscimento della personalità giuridica potrà essere
ottenuto con decreto del Presidente della Repubblica su proposta del Mi-
nistro dell’Interno, udito il Consiglio dei ministri, così come disposto
dall’art. 2 L.1159/1929.

2. Il finanziamento delle confessioni acattoliche

Il sistema di finanziamento statale previsto in favore delle Chiesa catto-


lica basato sulla possibilità di partecipare alla destinazione dell’otto per
mille del gettito annuale IRPEF e dalla possibilità per i cittadini di de-
durre dal proprio reddito le erogazioni volontarie (entro certi limiti), è
stato ripreso come modello di riferimento, con alcune varianti, anche per
le confessioni acattoliche.
In generale, anche le confessioni acattoliche concorrono alla riparti-
zione della quota pari all’otto per mille dell’IRPEF sulla base delle scelte
espresse dai contribuenti in sede di dichiarazione dei redditi.
È previsto in alcune intese (Unione Italiana delle Chiese Cristiane
Avventiste del Settimo Giorno, Chiesa Evangelica Luterana in Italia e in
quella con le Comunità Ebraiche) che, in caso di scelte non espresse, l’at-
tribuzione delle somme debba essere effettuata in proporzione alle scelte
espresse, a differenza di quanto previsto dall’Intesa con le Assemblee di
Dio in Italia, ove è previsto, che in caso di scelte non espresse, gli importi
rimangano di esclusiva competenza dello Stato.

3. Caratteristiche delle intese. Cenni

Il comma 3 dell’art. 8 della Costituzione prevede che i rapporti tra lo


Stato e le confessioni religiose diverse dalla cattolica siano regolate sulla
base di intese.
74 MANUALE DI DIRITTO ECCLESIASTICO

L’intesa consiste in un accordo tra la confessione religiosa e lo Stato


su questioni concernenti entrambe le parti.
Le intese, una volta recepite in legge, godono di una forza passiva
rinforzata in quanto possono essere modificate soltanto da successive leg-
gi che recepiscono una nuova intesa fra le parti.
La competenza ad avviare le trattative per stipulare un’intesa spetta
al Governo.
Le intese non sono negozi che debbano essere valutati sotto il pro-
filo della conformità a preesistenti regole giuridiche essendo accordi che
devono essere valutati sia sotto il profilo dell’opportunità politica che del
rispetto della Costituzione.
Le confessioni interessate dovranno inviare formale istanza alla Presi-
denza del Consiglio dei Ministri (per le intese a carattere generale o aven-
ti contenuti molteplici), ovvero, quando l’intesa investa la competenza
di un singolo dicastero, è necessario l’intervento del Ministro che ha la
direzione politica del settore interessato.
Le trattative potranno essere avviate solamente con confessioni
che abbiano ottenuto il riconoscimento della personalità giuridica ex
L.1159/1929. Con la conclusione delle trattative, le intese, siglate dal
Sottosegretario del Consiglio dei Ministri e dal rappresentante della con-
fessione religiosa, sono sottoposte all’esame del Consiglio dei Ministri ai
fini dell’autorizzazione alla firma da parte del Presidente del Consiglio.
Dopo la firma di quest’ultimo e del presidente della confessione religiosa,
le intese sono trasmesse al Parlamento per la loro approvazione in legge.
Il disegno di legge dell’intesa potrà essere accettato o respinto dal
Parlamento ma non modificato. Nel caso di mancata approvazione da
parte delle Camere il testo dovrà tornare al Governo, il quale sarà tenuto
a riaprire le trattative per le ulteriori modifiche.
Circa la competenza a regolare i rapporti con le confessioni non cat-
toliche è intervenuta un’interessante pronuncia della Corte Costituzio-
nale, la n.52 del 2016, la quale ha affermato che “Spetta, al Consiglio dei
ministri valutare l’opportunità di avviare trattative con una determinata
associazione, al fine di addivenire, in esito ad esse, alla elaborazione bilate-
rale di una speciale disciplina dei reciproci rapporti. Di tale decisione – e, in
particolare, per quel che in questa sede interessa, della decisione di non avvia-
re le trattative – il Governo può essere chiamato a rispondere politicamente di
fronte al Parlamento, ma non in sede giudiziaria. Non spettava perciò alla
Corte di cassazione, sezioni unite civili, affermare la sindacabilità di tale
decisione ad opera dei giudici comuni.
Va, tuttavia, precisato che – così come la valutazione riservata al Gover-
no è strettamente riferita e confinata all’oggetto di cui si controverte nel pre-
sente conflitto, cioè alla decisione se avviare le trattative in parola – allo stesso
La disciplina dei culti acattolici 75

modo l’atto di diniego di cui si ragiona non può produrre, nell’ordinamento


giuridico, effetti ulteriori rispetto a quelli cui è preordinato. Tale atto – nella
misura e per la parte in cui si fondi sul presupposto che l’interlocutore non sia
una confessione religiosa, come avvenuto nel caso da cui origina il presente
conflitto – non determina ulteriori conseguenze negative, diverse dal manca-
to avvio del negoziato, sulla sfera giuridica dell’associazione richiedente, in
virtù dei principi espressi agli artt. 3, 8, 19 e 20 Cost. Le confessioni religiose,
a prescindere dalla circostanza che abbiano concluso un’intesa, sono desti-
natarie di una serie complessa di regole, in vari settori. E la giurisprudenza
di questa Corte afferma che, in assenza di una legge che definisca la nozio-
ne di “confessione religiosa”, e non essendo sufficiente l’auto-qualificazione,
«la natura di confessione potrà risultare anche da precedenti riconoscimenti
pubblici, dallo statuto che ne esprima chiaramente i caratteri, o comunque
dalla comune considerazione», dai criteri che, nell’esperienza giuridica, ven-
gono utilizzati per distinguere le confessioni religiose da altre organizzazioni
sociali (sentenza n. 195 del 1993; in termini analoghi, sentenza n. 467
del 1992). In questo contesto, l’atto governativo di diniego all’avvio delle
trattative, nella parte in cui nega la qualifica di “confessione religiosa” all’as-
sociazione richiedente, non può avere efficacia esterna al procedimento di cui
all’art. 8, terzo comma, Cost., e non può pregiudicare ad altri fini la sfera
giuridica dell’associazione stessa. Un eventuale atto lesivo, adottato in conte-
sti ovviamente distinti rispetto a quello ora in questione, potrà essere oggetto
di controllo giudiziario, nelle forme processuali consentite dall’ordinamento,
allo scopo di sindacare la mancata qualificazione di confessione religiosa che
pretendesse di fondarsi sull’atto governativo.
Nel delicato ambito del pluralismo religioso disegnato dalla Costituzione,
non sono infatti configurabili “zone franche” dal sindacato del giudice, che è
posto a presidio dell’uguaglianza di tutte le confessioni garantita dagli artt. 3,
8, 19 e 20 Cost. In definitiva, un conto è l’individuazione, in astratto, dei
caratteri che fanno di un gruppo sociale con finalità religiose una confessione,
rendendola, come tale, destinataria di tutte le norme predisposte dal diritto
comune per questo genere di associazioni. Un altro conto è la valutazione del
Governo circa l’avvio delle trattative ex art. 8, terzo comma, Cost., nel cui am-
bito ricade anche l’individuazione, in concreto, dell’interlocutore. Quest’ultima
è scelta nella quale hanno peso decisivo delicati apprezzamenti di opportunità,
che gli artt. 8, terzo comma, e 95 Cost. attribuiscono alla responsabilità del
Governo. In quest’ambito circoscritto, e solo in esso, appartiene dunque al Con-
siglio dei ministri discrezionalità politica, sotto il sempre possibile controllo del
Parlamento, cui non può sovrapporsi il sindacato del giudice.”

La prima intesa ad essere stata sottoscritta e sulla base della quale


si sono ispirate anche le successive è stata quella con la Tavola Valdese
76 MANUALE DI DIRITTO ECCLESIASTICO

avvenuta con la legge 11 agosto 1984, n. 449 “Norme per la regolazione


dei rapporti tra lo Stato e le Chiese rappresentate dalla Tavola valdese”.
I punti salienti e caratterizzanti di detta intesa sono sintetizzabili nei
seguenti punti:
• Il riconoscimento dell’autonomia e della indipendenza dell’ordi-
namento valdese;
• Viene disposto che le nomine dei ministri di culto, la organiz-
zazione ecclesiastica e la giurisdizione in materia ecclesiastica,
nell’ambito dell’ordinamento valdese, si svolgono senza alcuna
ingerenza statale.
• Viene cancellato dal bilancio dello Stato il capitolo delle spese
fisse relativo all’assegno perpetuo per il mantenimento del culto
valdese
• la rinuncia da parte dello Stato all’insegnamento obbligatorio
della religione nelle scuole pubbliche, garantendo però il diritto
della Tavola Valdese di assicurare, secondo le modalità concorda-
te con gli organismi scolastici competenti, lo studio del proprio
credo, qualora ne facciano richiesta gli alunni o i loro genitori.
• Il riconoscimento della personalità giuridica agli enti ecclesiastici
valdesi aventi fini di culto, istruzione o beneficenza.
• Il riconoscimento delle lauree e dei diplomi rilasciati dalla Facol-
tà valdese di teologia.
• Il riconoscimento degli effetti civili al matrimonio celebrato se-
condo le norme del rito valdese
• La tutela dei diritti dei valdesi se tenuti a prestare servizio militare
e della relativa assistenza spirituale.
Degna di nota è anche l’intesa sottoscritta con l’Unione delle comunità
Ebraiche Italiane (ente rappresentativo dell’ebraismo italiano) legge 8
marzo 1989, n. 101 “Norme per la regolazione dei rapporti tra lo Stato e
l’Unione delle Comunità ebraiche italiane” in quanto dotata di specifici
connotati che la rendono peculiare rispetto alle altre intese.
È previsto infatti il riconoscimento agli ebrei del diritto di poter os-
servare il riposo sabbatico che va da mezz’ora prima del tramonto del sole
del venerdì ad un’ora dopo il tramonto del sabato.
A tal proposito, gli ebrei dipendenti dallo Stato, da enti pubblici o
da privati o che esercitano attività autonoma o commerciale, i militari e
coloro che siano assegnati al servizio civile sostitutivo, hanno diritto di
fruire, su loro richiesta del riposo sabbatico come riposo settimanale.
Tale diritto e’ esercitato nel quadro della flessibilità dell’organizzazione
del lavoro. In ogni altro caso le ore lavorative non prestate il sabato sono
recuperate la domenica o in altri giorni lavorativi senza diritto ad alcun
compenso straordinario.
La disciplina dei culti acattolici 77

Sono inoltre previste deroghe per la macellazione animale rispettose


delle prescrizioni alimentari degli ebrei.
Gli edifici destinati all’esercizio pubblico del culto ebraico, anche se
appartengono a privati, non possono essere sottratti alla loro destinazio-
ne, neppure per effetto di alienazione, fino a che la destinazione stessa
non sia cessata con il consenso della Comunità competente o dell’U-
nione. Tali edifici non possono essere requisiti, occupati, espropriati o
demoliti se non per gravi ragioni e previo accordo con l’Unione.
Capitolo 11
Il fattore religioso nell’ordinamento giuridico italiano

1. L’assistenza spirituale nelle strutture obbliganti

La nostra Costituzione, riconoscendo la libertà religiosa a tutti, intende


tutelare anche coloro che momentaneamente si trovino in strutture ob-
bliganti per libera scelta o per costrizione, così come chi si trova in istituti
penitenziari, centri per l’immigrazione, ospedali ovvero semplicemente
all’interno di caserme in quanto militare.
L’ordinamento garantisce che sia prestata assistenza spirituale ai sog-
getti che si trovino in tali luoghi.
L’art. 11 del nuovo concordato del 1984, prevede infatti che la “La
Repubblica italiana assicura che l’appartenenza alle forze armate, alla po-
lizia, o ad altri servizi assimilati, la degenza in ospedali, case di cura o di
assistenza pubbliche, la permanenza negli istituti di prevenzione e pena non
possono dar luogo ad alcun impedimento nell’esercizio della libertà religiosa
e nell’adempimento delle pratiche di culto dei cattolici.”
In tali strutture l’assistenza spirituale è assicurata dalla presenza di
ecclesiastici nominati dalle autorità italiane su designazione dell’autorità
ecclesiastica.
Ad esempio il servizio di assistenza spirituale alle Forze armate dello
Stato (ovviamente per gli appartenenti alla Chiesa Cattolica) è esercitato
ex D. Lgs. 66/2010 (“codice dell’ordinamento militare”) da sacerdoti in
qualità di cappellani militari, legati da rapporto di impiego con l’ammi-
nistrazione militare ed inquadrati nelle gerarchie militari. Sul punto si
segnala che i sacerdoti, da nominarsi cappellani militari, devono godere
dei diritti politici ed essere idonei al servizio militare; prima di assumere
l’incarico devono prestare giuramento e una volta nominati risultano in-
tegrati all’interno delle forze armate con rapporto di lavoro riconducibile
alla categoria del pubblico impiego.
Per i detenuti invece, visto che l’art. 26 della L.354/1975 prevede
che si possa professare la propria fede religiosa e praticarne il culto, lo
Stato ha previsto per i fedeli cattolici la presenza in ciascun istituto di
reclusione di un cappellano, legato da un rapporto di impiego con l’am-
ministrazione penitenziaria.
Per i culti acattolici che non hanno stipulato intese, il R.D. 289/1930
80 MANUALE DI DIRITTO ECCLESIASTICO

consente ai ministri di culto di prestare assistenza religiosa ai ricoverati


in luoghi di cura, agli internati ecc., previa autorizzazione delle autorità
preposte a tali luoghi e tale l’attività si svolge nell’osservanza nelle nor-
me contenute nei regolamenti (negli istituti penitenziari è necessaria la
richiesta dell’interessato).
Per i culti i cui rapporti sono regolati da intese recepite in legge,
occorrerà considerare le disposizioni specifiche contenute in esse. Si evi-
denzia che, rispetto a quanto accade per la Chiesa cattolica, gli oneri
finanziari necessari per lo svolgimento delle forme di assistenza spirituale
sono a carico degli organi ecclesiastici.
Assume notevole importanza la regolamentazione dell’assistenza
spirituale nei centri di accoglienza per immigrati. In tali centri, gestiti
dalle Prefetture, deve essere assicurato ad ogni singolo immigrato l’eser-
cizio dell’attività religiosa relativa al proprio culto e quindi dovrà essere
organizzata una o più attività dedicata all’espletamento delle funzioni
religiose.

2. L’insegnamento della religione cattolica

La religione Cattolica, per ragioni sostanzialmente storiche e per la diffu-


sione che riveste nel tessuto sociale italiano, può essere considerata parte
fondamentale delle radici culturali del nostro paese. Proprio per tale ca-
ratteristica, è normale che il suo insegnamento debba far parte dell’edu-
cazione dei giovani, ovviamente tenendo in considerazione che l’ordina-
mento deve garantire obbligatoriamente la diversità confessionale.
La riforma Gentile del 1923 ha introdotto l’obbligatorietà dell’inse-
gnamento della religione cattolica nelle scuole elementari. Tale obbligo
fu esteso a seguito dei Patti Lateranensi anche nelle scuole medie, infe-
riori e superiori.
Successivamente, per bilanciare questa previsione, fu disposto che gli
alunni potessero non partecipare all’insegnamento religioso previa espli-
cita richiesta da formularsi secondo specifiche modalità.
L’art. 9 n. 2 dell’Accordo di Villa Madama dispone che la Repubblica
italiana, riconoscendo il valore della cultura religiosa e tenendo conto che
i principi del cattolicesimo fanno parte del patrimonio storico del popolo
italiano, continuerà ad assicurare, nel quadro delle finalità della scuola,
l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche non uni-
versitarie di ogni ordine e grado.
Nel rispetto della libertà di coscienza e della responsabilità educativa
Il fattore religioso nell’ordinamento giuridico italiano 81

dei genitori, è garantito a ciascuno il diritto di scegliere se avvalersi o non


avvalersi di detto insegnamento.
In particolare, all’atto dell’iscrizione, gli studenti o i loro genito-
ri (nella scuola materna, elementare e media dai genitori mentre nella
scuola secondaria superio direttamente dagli alunni anche se non ancora
minorenni) eserciteranno tale diritto, su richiesta dell’autorità scolastica,
senza che la loro scelta possa dar luogo ad alcuna forma di discrimina-
zione.
La normativa circa gli insegnanti che procederanno all’insegna-
mento della religione cattolica negli istituti è stata rivisitata attraverso la
L.186/2003. È stata introdotta l’equiparazione fra la condizione giuridi-
ca dei docenti di religione cattolica e la condizione giuridica degli altri
insegnanti di ruolo, con la previsione dell’assunzione attraverso concor-
so, fermo restando le disposizioni pattizie circa l’idoneità e alla qualifica-
zione professionale degli insegnanti di religione.
La facoltà di non avvalersi dell’insegnamento della religione cattoli-
ca è frutto dell’applicazione del principio della libertà di coscienza (così
come precisato dalla Corte Cost. con sentenza n.203/1989). Inizialmen-
te, costoro, nell’ora dedicata all’insegnamento della religione cattolica,
potevano scegliere se frequentare ulteriori attività didattiche oppure non
dedicarsi ad alcuna attività senza la possibilità di allontanarsi dall’istitu-
to. Successivamente la Corte Costituzionale è ritornata sul punto (Sent.
n.13/1991) stabilendo che tutti coloro che rifiutano tale insegnamento
possono allontanarsi dall’istituto.
L’ordinamento italiano riconosce ampia importanza all’insegnamen-
to della religione cattolica all’interno degli istituti statali, tuttavia, essen-
do lo Stato italiano uno Stato laico, come tale non potrebbe escludere
l’insegnamento di altre religioni.
In ogni caso, nella maggior parte delle leggi che recepiscono le intese
con le religioni diverse dalla cattolica, è previsto che non venga svolta
alcuna attività relativa all’insegnamento della specifica dottrina religiosa,
essendo la formazione religiosa dei ragazzi di specifica competenza delle
famiglie e delle Chiese di appartenenza.
In concreto sussistono due differenze pratiche tra l’insegnamento
della religione cattolica e le altre religioni: l’insegnamento della prima è
“oggettivamente obbligatorio e soggettivamente facoltativo” ( G. Dalla
Torre) e i relativi oneri sono a carico dello Stato, mentre l’insegnamento
delle seconde è attivabile solamente su richiesta dell’interessato e i relativi
oneri economici restano in capo alle confessioni interessate.
Attualmente, l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole
pubbliche è disciplinato dal DPR n.175/2012, con cui si è data esecuzio-
ne dell’intesa tra il Ministro dell’istruzione, dell’Università e della ricerca
82 MANUALE DI DIRITTO ECCLESIASTICO

e il Presidente della Conferenza episcopale italiana. Nel citato decreto


sono fornite alcune importanti premesse caratterizzanti la materia. È in-
fatti previsto che l’insegnamento della religione cattolica e’ impartito,
nel rispetto della libertà di coscienza degli alunni, secondo indicazioni
didattiche che devono essere conformi alla dottrina della Chiesa e collo-
carsi nel quadro delle finalità della scuola. Le modalità di adozione delle
indicazioni didattiche stesse sono determinate per ciascun ordine e grado
di scuola con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del
Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca previa intesa con la
Conferenza episcopale italiana, ferma restando la competenza esclusiva
di quest’ultima a definirne la conformità con la dottrina della Chiesa.
Con le medesime modalità potranno essere determinate, su richiesta di
ciascuna delle Parti, eventuali modifiche delle indicazioni didattiche.
È previsto altresì che il diritto di scegliere se avvalersi o non avvaler-
si dell’insegnamento della religione cattolica assicurato dallo Stato non
deve determinare alcuna forma di discriminazione, neppure in relazione
ai criteri per la formazione delle classi, alla durata dell’orario scolastico
giornaliero e alla collocazione di detto insegnamento nel quadro orario
delle lezioni.

3. Le scuole confessionali

L’art. 33 della Costituzione stabilisce che gli enti e i privati hanno il di-
ritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato.
Stabilisce altresì che la legge, nel fissare i diritti e gli obblighi delle scuole
non statali che chiedono la parità, deve assicurare ad esse piena libertà e ai
loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni
di scuole statali.
L’art. 9 n.1 del nuovo concordato in aderenza a quanto sopra, stabi-
lisce che “La Repubblica italiana, in conformità al principio della liber-
tà della scuola e dell’insegnamento e nei termini previsti dalla propria
Costituzione, garantisce alla Chiesa cattolica il diritto di istituire libe-
ramente scuole di ogni ordine e grado e istituti di educazione” e all’art.
10 che  “Gli istituti universitari, i seminari, le accademie, i collegi e gli
altri istituti per ecclesiastici e religiosi o per la formazione nelle discipline
ecclesiastiche, istituiti secondo il diritto canonico, continueranno a di-
pendere unicamente dall’autorità ecclesiastica”.
Disposizioni analoghe sono contenute anche nelle leggi che recepi-
scono le intese con le confessioni acattoliche.
Il fattore religioso nell’ordinamento giuridico italiano 83

Le scuole confessionali rappresentano organizzazioni di tendenza


e questo comporta un necessario bilanciamento fra libertà di insegna-
mento e libertà dei discenti di ricevere un’istruzione confessionalmente
orientata. Esiste altresì un delicato rapporto tra la libertà della scuola e
la libertà di insegnamento. L’esigenza di tutela dell’orientamento confes-
sionale della scuola presuppone poteri di controllo sulle opzioni cultu-
rali e ideologiche del personale docente sia in sede di assunzione che di
svolgimento dell’attività didattica. (si pensi al licenziamento del docente
che nell’esercizio dell’insegnamento non rispetti più la tendenza dell’i-
struzione scolastica).
Ad esempio, ai sensi dell’art. 10 comma 3 del nuovo concordato,
le nomine dei docenti dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e dei
dipendenti istituti sono subordinate al gradimento, sotto il profilo reli-
gioso, della competente autorità ecclesiastica.
Analogo ragionamento dovrà effettuarsi circa la possibilità di iscri-
zione in tali istituiti. Se è vero che deve necessariamente sussistere un
principio di eguaglianza degli alunni e che non possano certamente sus-
sistere discriminazioni di ordine sociale e familiare, è altrettanto vero che
non debbano sussistere discriminazioni relative ai convincimenti religiosi
o a valori etici professati. La legittimità dell’eventuale apposizione di li-
miti al diritto di iscrizione a scuole cattoliche per ragioni attinenti alla
fede e/o morale è strutturalmente collegata alla loro identità di istituzioni
di tendenza (G. Dalla Torre).
Per concludere si evidenzia come il nuovo concordato abbia stabilito
che i titoli accademici in teologia e nelle altre discipline ecclesiastiche,
conferiti dalle Facoltà approvate dalla Santa Sede, sono riconosciuti dallo
Stato, così come sono parimenti riconosciuti i diplomi conseguiti nelle
Scuole vaticane di paleografia, diplomatica e archivistica e di biblioteco-
nomia.
Devono essere anche riconosciuti dallo Stato i c.d. baccalaureati. Si
tratta di diplomi universitari che non costituiscono automaticamente ti-
tolo per la partecipazione a concorsi pubblici.

4. Il Diritto Penale nel fenomeno religioso

L’adesione al principio di laicità delle maggior parte delle democrazie


contemporanee ha eliminato qualsiasi tendenza confessionale e qualsiasi
fondamento religioso negli ordinamenti giuridici.
In Italia, sotto la vigenza del Codice Rocco (emanato nel 1930 e di
84 MANUALE DI DIRITTO ECCLESIASTICO

impronta fascista e confessionale) la religione cattolica aveva assunto il


rango di bene giuridico protetto, basti considerare la previsione di un
Capo (nella specie I) del Libro II, Titolo IV, intitolato “dei delitti contro
la religione di Stato e i culti ammessi”.
La religione di Stato riceveva un trattamento di favore rispetto alle
altre religioni sul presupposto che essa coinvolgeva la quasi totale mag-
gioranza degli italiani.
Con l’entrata in vigore della Costituzione, tali previsioni si sono ap-
palesate incompatibili con i principi di libertà ed uguaglianza religiosa.
La Corte ha pertanto ridisegnato l’intera disciplina dei reati contro il
sentimento religioso attraverso le c.d. “sentenze caducatorie”, dichiaran-
do quindi illegittima qualsiasi norma che violava i principi costituzionali,
ed attraverso una manipolazione delle pene edittali, dichiarando inco-
stituzionali le norme che prevedevano una pena edittale più grave per la
religione di Stato rispetto agli altri culti.
Un’innovazione di non poca importanza sul punto è comparsa a
seguito dell’introduzione dell’Accodo di Villa Madama. Nel protocollo
addizionale, in particolare, è sancita l’abolizione del principio secondo il
quale la religione Cattolica è l’unica religione di Stato.
Attualmente la disciplina penale del sentimento religioso, anche at-
traverso l’introduzione della Legge 24 febbraio 2006, n. 85 apportante
“Modifiche al codice penale in materia di reati di opinione” si presenta
così:
• Art. 403 c.p. - Offese a una confessione religiosa mediante vi-
lipendio di persone: “Chiunque pubblicamente offende una con-
fessione religiosa, mediante vilipendio di chi la professa, è punito con
la multa da euro 1.000 a euro 5.000.
Si applica la multa da euro 2.000 a euro 6.000 a chi offende una
confessione religiosa, mediante vilipendio di un ministro del culto”.
In giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 41044/2015), si è ri-
tenuto che : “In materia religiosa, la critica è lecita quando - sulla
base di dati o di rilievi già in precedenza raccolti o enunciati - si tra-
duca nella espressione motivata e consapevole di un apprezzamento
diverso e talora antitetico, risultante da una indagine condotta, con
serenità di metodo, da persona fornita delle necessarie attitudini e
di adeguata preparazione, mentre trasmoda in vilipendio quando
- attraverso un giudizio sommario e gratuito - manifesti un atteg-
giamento di disprezzo verso la religione cattolica, disconoscendo alla
istituzione e alle sue essenziali componenti (dogmi e riti) le ragioni di
valore e di pregio ad essa riconosciute dalla comunità, e diventi una
mera offesa fine a se stessa”.
• Art. 404 c.p. - Offese a una confessione religiosa mediante vili-
Il fattore religioso nell’ordinamento giuridico italiano 85

pendio o danneggiamento di cose : “Chiunque, in luogo destinato


al culto, o in luogo pubblico o aperto al pubblico, offendendo una
confessione religiosa, vilipende con espressioni ingiuriose cose che for-
mino oggetto di culto, o siano consacrate al culto, o siano destinate
necessariamente all’esercizio del culto, ovvero commette il fatto in
occasione di funzioni religiose, compiute in luogo privato da un mi-
nistro del culto, è punito con la multa da euro 1.000 a euro 5.000.
Chiunque pubblicamente e intenzionalmente distrugge, disperde,
deteriora, rende inservibili o imbratta cose che formino oggetto di
culto o siano consacrate al culto o siano destinate necessariamente
all’esercizio del culto è punito con la reclusione fino a due anni”.
L’interesse tutelato dalla norma sono le confessioni religiose, le
quali sono protette attraverso la punibilità di comportamenti il-
leciti commessi nei confronti di cose oggetto di culto. L’elemento
oggettivo consiste nel pregiudicare il prestigio della confessione
attraverso:
-- il vilipendio di cose che formano oggetto di culto (ossia oggetti
venerati dai fedeli), cose consacrate al culto (oggetti consacrati dai
ministri di culti quali ad esempio i calici ecc.) ovvero cose desti-
nate necessariamente all’esercizio del culto (oggetti non necessa-
riamente consacrati, ma necessari per svolgere l’attività liturgica
ed i riti sacri, come ad esempio i ceri).
-- la distruzione, la dispersione , il deterioramento, il rendere in-
servibili o imbrattatura delle cose che formino oggetto di culto o
siano consacrate al culto o siano destinate necessariamente all’e-
sercizio del culto.
Per la configurabilità del reato è altresì necessario che la condotta
incriminata sia posta in essere in un luogo in cui vengono celebrate
le cerimonie e i riti sacri (luogo destinato al culto), che sia accessibi-
le a tutti senza condizioni (luogo pubblico) e che sia aperto.
È un reato comune perché può essere commesso da chiunque, e
di danno, perché richiede l’offesa in senso naturalistico del bene
protetto.

• Art. 405 c.p. - Turbamento di funzioni religiose del culto di


una confessione religiosa :  “Chiunque impedisce o turba l’eserci-
zio di funzioni, cerimonie o pratiche religiose del culto di una con-
fessione religiosa, le quali si compiano con l’assistenza di un ministro
del culto medesimo o in un luogo destinato al culto, o in un luogo
pubblico o aperto al pubblico, è punito con la reclusione fino a due
anni. Se concorrono fatti di violenza alle persone o di minaccia, si
applica la reclusione da uno a tre anni”.
86 MANUALE DI DIRITTO ECCLESIASTICO

La giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 28030/2009) ha rileva-


to l’integrazione del reato di cui all’art. 405 c.p. nella turbativa di
una funzione funebre effettuata dopo la celebrazione del rito reli-
gioso, quando la salma è ancora esposta in Chiesa. (Nella specie,
gli imputati, appena terminata la Messa, avevano manifestato con
grida all’interno della Chiesa, proferendo ingiurie alle autorità ci-
vili presenti al funerale).

• Art.407 c.p. Violazione di sepolcro.: “Chiunque viola una tom-


ba, un sepolcro o un’urna è punito con la reclusione da uno a cinque
anni”.
L’interesse tutelato è la pietà dei defunti. Secondo la giurispru-
denza, il termine violazione esprime un concetto non meramente
materiale, ma anche normativo, consistente in ogni comporta-
mento in grado di ledere l’interesse protetto dalla norma.

• Art.408 c.p. Vilipendio delle tombe.: “Chiunque, in cimiteri o


in altri luoghi di sepoltura, commette vilipendio di tombe, sepolcri
o urne, o di cose destinate al culto dei defunti, ovvero a difesa o ad
ornamento dei cimiteri, è punito con la reclusione da sei mesi a tre
anni”.

• Art.409 c.p. Turbamento di un funerale o servizio funebre.


“Chiunque, fuori dei casi preveduti dall’articolo 405, impedisce o
turba un funerale o un servizio funebre è punito con la reclusione
fino a un anno”
In questo caso, perché possa ritenersi concretizzata l’ipotesi cri-
minosa, è necessario che si sia in presenza di un funerale o di un
servizio funebre di natura civile o relativo ad un culto non cat-
tolico o celebrato in assenza di del ministro di culto cattolico, in
quanto si integrerebbe la diversa ipotesi di reato di cui all’art. 405
c.p. Turbamento di funzioni religiose del culto di una confessione
religiosa.

• Art.410 c.p. Vilipendio di cadavere : “Chiunque commette atti


di vilipendio sopra un cadavere o sulle sue ceneri è punito con la
reclusione da uno a tre anni.
Se il colpevole deturpa o mutila il cadavere, o commette, comunque,
su questo atti di brutalità o di oscenità, è punito con la reclusione da
tre a sei anni”
L’uso del termine “atti” comporta che l’azione incriminata richie-
de il concreto compimento di un comportamento positivo, non
Il fattore religioso nell’ordinamento giuridico italiano 87

essendo sufficiente il solo utilizzo di espressioni offensive del pre-


stigio del cadavere.

• Art. c.p. 411.Distruzione, soppressione o sottrazione di cada-


vere.: “chiunque distrugge, sopprime o sottrae un cadavere, o una
parte di esso, ovvero ne sottrae o disperde le ceneri, è punito con la
reclusione da due a sette anni.
La pena è aumentata se il fatto è commesso in cimiteri o in altri luo-
ghi di sepoltura, di deposito o di custodia.
Non costituisce reato la dispersione delle ceneri di cadavere autoriz-
zata dall’ufficiale dello stato civile sulla base di espressa volontà del
defunto.
La dispersione delle ceneri non autorizzata dall’ufficiale dello stato
civile, o effettuata con modalità diverse rispetto a quanto indicato dal
defunto, è punita con la reclusione da due mesi a un anno e con la
multa da euro 2.582 a euro 12.911”
La condotta che integra il reato si sostanzia nel distruggere (eli-
minare in maniera definitiva), sopprimere (il renderlo introvabile),
sottrarre (togliere la cosa dalla disponibilità di qualcuno) e disper-
dere (scindere la cosa sino ad eliminarla). È bene comprendere che
la punibilità del reato viene meno quando la dispersione delle ce-
neri è frutto della volontà del defunto ed autorizzata dall’ufficiale
dello stato civile, mentre si integra la fattispecie quando manca tale
autorizzazione ovvero la dispersione delle ceneri viene effettuata se-
condo modalità differenti da quelle volute dal defunto.

• Art.412. c.p. Occultamento di cadavere. “Chiunque occulta un


cadavere, o una parte di esso, ovvero ne nasconde le ceneri, è punito
con la reclusione fino a tre anni”.
Il tratto distintivo di questa fattispecie criminosa rispetto a quella
precedentemente esaminata sta nel fatto che nella presente, l’oc-
cultamento ha carattere temporaneo, nel senso che la condotta
del soggetto agente presuppone la volontà di far ritrovare la cosa
entro un breve lasso di tempo. La giurisprudenza di legittimità
ritiene che il delitto di occultamento si distingue da quello di
soppressione di cadavere per la precarietà del nascondimento in
quanto l’occultamento definitivo costituisce soppressione del ca-
davere.
Perché possa integrarsi l’occultamento di cadavere non è necessa-
rio che la condotta sia posta in essere quando il corpo sia già privo
di vita ma occorre che sia intenzionalmente diretta a realizzare
l’occultamento del cadavere.
88 MANUALE DI DIRITTO ECCLESIASTICO

• Art.413. c.p. Uso illegittimo di cadavere. : “Chiunque dissezio-


na o altrimenti adopera un cadavere, o una parte di esso, a scopi
scientifici o didattici, in casi non consentiti dalla legge, è punito
con la reclusione fino a sei mesi o con la multa fino a euro 516.
La pena è aumentata se il fatto è commesso su un cadavere, o su una
parte di esso, che il colpevole sappia essere stato da altri mutilato,
occultato o sottratto.”
Il regolamento di polizia mortuaria (Dpr. 285/1990) disciplina
la materia del rilascio di cadavere a scopo di studio. La consegna
di cadaveri alle sale anatomiche universitarie per scopi di studio
ovvero indagini scientifiche, deve avvenire solamente trascorso il
periodo di osservazione prescritto dalla legge.

• Art. 664 - Distruzione o deterioramento di affissioni: chiun-


que stacca, lacera o rende comunque inservibili o illeggibili scritti
o disegni fatti affiggere dalle autorità civili o da quelle ecclesiasti-
che, è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro
77 a euro 464. Se si tratta di scritti o disegni fatti affiggere da
privati  nei luoghi e nei modi consentiti dalla legge o dall’autori-
tà, si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 51
a euro 309.

• Art. 724 - Bestemmia e manifestazioni oltraggiose verso i de-


funti: Chiunque pubblicamente bestemmia, con invettive o parole
oltraggiose, contro la divinità è punito con la sanzione amministra-
tiva pecuniaria da euro 51 a euro 309.

Un altro aspetto da considerare e che in dottrina ha suscitato un


vivace dibattito, è rappresentato dalla domanda se il vilipendio
del Pontefice costituisca una forma autonoma di reato in quan-
to, l’art.8 comma 2 del Trattato del Laterano, non certificato dal
nuovo concordato, prevede che “Le offese e le ingiurie pubbliche
commesse nel territorio italiano contro la persona del Sommo Ponte-
fice con discorsi, con fatti e con scritti sono punite come le offese e le
ingiurie alla persona del Re”.
Ad oggi l’art. 278 c.p. prevede che “Chiunque offende l’onore  o
il prestigio del Presidente della Repubblica è punito con la reclu-
sione da uno a cinque anni”.
Sul punto parte della dottrina (Casuscelli) ritiene inapplicabile
questa equiparazione riservata unicamente al capo della religione
cattolica, riconoscendo invece a quest’ultimo le medesime tutele
Il fattore religioso nell’ordinamento giuridico italiano 89

in tema di ingiuria e diffamazione previste per qualsiasi capo di


uno Stato estero.

5. Esposizione di simboli religiosi in luoghi pubblici

Superato il principio in base al quale il cattolicesimo rappresentava la


religione di Stato, ed affermato invece il principio di laicità dello Stato
italiano, si è posto il problema della possibilità di esporre simboli religiosi
all’interno di luoghi pubblici, in particolare il crocifisso.
Sul punto si sono susseguiti diversi orientamenti giurisprudenziali,
così sintetizzabili:
-- nel 1988, il Consiglio di Stato ha rilasciato un parere in cui ri-
teneva che il crocifisso, rappresentasse un simbolo della civiltà e
della cultura cristiana, indipendentemente dalla specifica confes-
sione religiosa, per cui la Costituzione, nel garantire la pari libertà
delle confessioni religiose, non prescriverebbe alcun divieto alla
esposizione nei pubblici locali.
-- Nel 2000, la Corte di Cassazione, con sentenza n.439/2000, ha
ritenuto che il principio di laicità dello Stato presuppone la plu-
ralità dei sistemi di senso e di valore e che tutti godono di uguale
dignità. Per tale motivo nei luoghi pubblici non poteva essere
posta in essere la competizione fra i diversi culti.
-- Nel 2005, una sentenza del TAR Veneto, la n.1110/2005, ha sta-
bilito che il crocifisso deve essere considerato come simbolo stori-
co-culturale, non riconducibile esclusivamente alla religione cattoli-
ca, bensì di buona parte delle confessioni cristiane presenti in Italia.
-- Nel 2011, nella sentenza definitiva della Grande Camera, pro-
nunciata in data 18 marzo 2011 nel caso “Lautsi e altri Vs. Italia”,
la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha concluso a maggio-
ranza (quindici voti contro due) stabilendo che la presenza del
crocifisso nelle aule scolastiche italiane non costituisce alcuna vio-
lazione dell’articolo 2 del Protocollo n. 1 (diritto all’istruzione)
della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.
L’intervento riguardava un’istanza proposta dalla Sig.ra Lautsi in merito
all’esposizione del crocifisso nelle classi frequentate dai figli. La questione
era stata sollevata nel corso di una riunione scolastica e nel maggio del
2002 la direzione scolastica, investita della questione, aveva deciso di la-
sciare i crocifissi nelle aule; ne era seguito un ricorso amministrativo di
fronte al Tribunale della regione Veneto.
90 MANUALE DI DIRITTO ECCLESIASTICO

Quest’ultima intravedendo una possibile ipotesi di incostituzionalità


aveva investito la Corte Costituzionale che a sua volta aveva respinto la
questione ritenendola di non sua competenza.
Il Tar investito nuovamente della questione respinse il ricorso, por-
tando la Sig.ra Lautsi a rivolgersi al Consiglio di Stato che, affermando
che il crocifisso sia uno dei valori laici della Costituzione italiana, confer-
mava quanto stabilito dal Tar Veneto.
Non paga delle pronunce degli organi nazionali di competenza, la
Signora Lautsi decise di formulare istanza alla Corte Europea dei Diritti
dell’Uomo, la quale ritenne ammissibili le doglianze proposte.
Avverso la pronuncia della Corte Europea lo Stato italiano tramite
il suo Governo presentò ricorso, poi accettato dalla Corte il 29 gennaio
2010.
Il 18 marzo del 2011 la Grande Camera della Corte Europea dei
Diritti dell’Uomo di Strasburgo ha emesso sentenza definitiva puntualiz-
zando che ogni Stato membro può mantenere una certa autonomia nella
disciplina interna esplicitando il principio di sussidiarietà; ogni Stato può
adottare scelte rispettose dei propri valori.
Nello specifico la sentenza di cui sopra ha ritenuto che “La Corte deve
quindi di regola rispettare le scelte degli Stati contraenti in questo campo, com-
preso lo spazio che questi intendono consacrare alla religione, sempre che tali
scelte non conducano a una qualche forma d’indottrinamento. In quest’ottica,
la scelta di apporre il crocifisso nelle aule delle scuole pubbliche rientra in prin-
cipio nell’ambito del margine di discrezionalità dello Stato, a maggior ragione
in assenza di un consenso europeo. Tuttavia questo margine di discrezionalità si
accompagna a un controllo della Corte, la quale deve garantire che questa scelta
non conduca a una qualche forma di indottrinamento.
A tal proposito la Corte constata che nel rendere obbligatoria la pre-
senza del crocifisso nelle aule delle scuole pubbliche, la normativa italiana
attribuisce alla religione maggioritaria del Paese una visibilità preponde-
rante nell’ambiente scolastico. La Corte ritiene tuttavia che ciò non basta
a integrare un’opera d’indottrinamento da parte dello Stato convenuto e a
dimostrare una violazione degli obblighi previsti dall’articolo 2 del Protocollo
no 18. Quanto a quest’ultimo punto, la Corte ricorda che ha già stabilito che,
in merito al ruolo preponderante di una religione nella storia di un Paese, il
fatto che, nel programma scolastico le sia accordato uno spazio maggiore ri-
spetto alle altre religioni non costituisce di per sé un’opera d’indottrinamento.
La Corte sottolinea altresì che un crocifisso apposto su un muro è un simbolo
essenzialmente passivo, la cui influenza sugli alunni non può essere parago-
nata a un discorso didattico o alla partecipazione ad attività religiose.
La Corte ritiene inoltre che gli effetti della grande visibilità che la pre-
senza del crocifisso attribuisce al cristianesimo nell’ambiente scolastico deb-
Il fattore religioso nell’ordinamento giuridico italiano 91

bono essere ridimensionati alla luce di quanto segue: tale presenza non è as-
sociata a un insegnamento obbligatorio del cristianesimo; secondo il Governo
lo spazio scolastico è aperto ad altre religioni (il fatto di portare simboli e di
indossare tenute a connotazione religiosa non è proibito agli alunni, le pra-
tiche relative alle religioni non maggioritarie sono prese in considerazione, è
possibile organizzare l’insegnamento religioso facoltativo per tutte le religioni
riconosciute, la fine del Ramadan è spesso festeggiata nelle scuole…); non
sussistono elementi tali da indicare che le autorità siano intolleranti rispetto
ad alunni appartenenti ad altre religioni, non credenti o detentori di convin-
zioni filosofiche che non si riferiscano a una religione. La Corte nota inoltre
che i ricorrenti non si lamentano del fatto che la presenza del crocifisso in
classe abbia implicato delle pratiche di insegnamento volte al proselitismo o
che i figli della ricorrente siano stati confrontati a un insegnamento condi-
zionato da tale presenza. Infine la Corte osserva che il diritto della ricorrente,
in quanto genitrice, di spiegare e consigliare i suoi figli e di orientarli verso
una direzione conforme alle proprie convinzioni filosofiche è rimasto intatto.
La Corte conclude dunque che, decidendo di mantenere il crocifisso nelle
aule delle scuole pubbliche frequentate dai figli della ricorrente, le autorità
hanno agito entro i limiti dei poteri di cui dispone l’Italia nel quadro del suo
obbligo di rispettare, nell’esercizio delle proprie funzioni in materia di edu-
cazione e d’insegnamento, il diritto dei genitori di garantire tale istruzione
secondo le loro convinzioni religiose e filosofiche; di conseguenza, non c’è stata
violazione dell’articolo 2 del Protocollo no 1 quanto alla ricorrente. La Corte
considera inoltre che nessuna questione distinta sussiste per quanto riguarda
l’articolo 9.”
-- sempre nel 2011 le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con
sentenza n.5924 del 14 marzo, hanno affermato che sul piano
teorico, il principio di laicità è compatibile sia con un modello di
equiparazione verso l’alto (laicità per addizione) che consenta ad
ogni soggetto di vedere rappresentati nei luoghi pubblici i simboli
della propria religione, sia con un modello di equiparazione verso
il basso (laicità per sottrazione). Tale scelta legislativa, però, pre-
suppone che siano valutati una pluralità di profili, primi tra tutti
la praticabilità concreta ed il bilanciamento tra l’esercizio della
libertà religiosa da parte degli utenti di un luogo pubblico e l’a-
nalogo esercizio della libertà religiosa negativa da parte dell’ateo o
del non credente, nonché il bilanciamento tra garanzia del plura-
lismo e possibili conflitti tra una pluralità di identità religiose tra
loro incompatibili.
92 MANUALE DI DIRITTO ECCLESIASTICO

6. La tutela dei dati personali

Con l’introduzione della normativa sulla protezione dei dati personali


(da ultimo contenuta nel D. Lgs. 196/2003) si è posto il problema
del trattamento dei dati personali in ambito religioso ed in particolar
modo se si possa pretendere la cancellazione dei propri dati personali
dai registri ecclesiastici conservati presso le competenti istituzioni della
Chiesa (ad esempio la cancellazione dei dati personali dal registro dei
battesimi).
La normativa generale in materia (art. 26) dispone che i dati sen-
sibili possono essere oggetto di trattamento solo con il consenso scritto
dell’interessato e previa autorizzazione del Garante. Al suo terzo comma
la norma prevede però una deroga relativamente ai dati degli aderenti
alle confessioni religiose e ai soggetti che con riferimento a finalità di
natura esclusivamente religiosa hanno contatti regolari con le medesi-
me confessioni, effettuato dai relativi organi, ovvero da enti civilmente
riconosciuti, sempre che i dati non siano diffusi o comunicati fuori
delle medesime confessioni. Queste ultime devono determinare idonee
garanzie relativamente ai trattamenti effettuati, nel rispetto dei principi
indicati al riguardo con autorizzazione del Garante.
Si è a lungo discusso a proposito della domanda di cancellazione
dal registro dei battezzati nella Chiesa cattolica avanzata da alcuni sog-
getti proprio in virtù del disposto di cui al D. Lgs. 196/03.
La risposta non potrebbe che essere negativa proprio in virtù di
quanto stabilito dall’art. 7, primo comma Cost. in quanto l’aver rico-
nosciuto una sovranità alla Chiesa Cattolica nel suo ordine, fa discen-
dere l’inammissibilità di qualsiasi interferenza dei poteri dello Stato
nei confronti degli organi e delle attività in cui il potere della Chiesa si
estrinseca.
In base all’art. 2 del Concordato, ossia della norma che in concreto
definisce gli ambiti di competenza dello Stato e della Chiesa, in partico-
lar modo laddove viene garantita alla Chiesa la piena libertà di svolgere
la sua missione pastorale e di evangelizzazione, e laddove viene assicu-
ra alla Chiesa la piena libertà di organizzazione, si evince che qualora
le registrazioni riguardino l’amministrazione di sacramenti ci si trova
innanzi alla attività propria della Chiesa, attinente alla sua specifica
missione spirituale, la cui disciplina giuridica attiene all’ordinamento
istituzionale della Chiesa. In virtù di tutto ciò si comprende come l’in-
tervento di autorità statali sul punto appaia precluso.
Il fattore religioso nell’ordinamento giuridico italiano 93

7. L’uso di vestiario simbolico

La libertà religiosa abbraccia molti aspetti della vita quotidiana del singo-
lo, tra cui il diritto di manifestare liberamente la propria identità religiosa
attraverso l’uso di simboli nel vestiario.
In base a quanto stabilito dall’art. 5, Legge 152/1975 “E’ vietato l’uso
di caschi protettivi, o di qualunque altro mezzo atto a rendere difficolto-
so il riconoscimento della persona, in luogo pubblico o aperto al pubblico,
senza giustificato motivo. E’ in ogni caso vietato l’uso predetto in occasione
di manifestazioni che si svolgano in luogo pubblico o aperto al pubblico,
tranne quelle di carattere sportivo che tale uso comportino. Il contravventore
e’ punito con l’arresto da uno a due anni e con l’ammenda da 1.000 a 2.000
euro. Per la contravvenzione di cui al presente articolo e’ facoltativo l’arresto
in flagranza.”
La ratio della norma è di evitare che l’utilizzo di caschi o di altri
mezzi di travisamento del volto, possano evitare il riconoscimento in oc-
casione di manifestazioni che si svolgano in luoghi pubblici o aperti al
pubblico, tranne quelle che tale usanza comportino (es. carnevale).
Il velo islamico ha creato una molteplicità di problemi in alcuni paesi
europei, ma in linea di principio il suo uso può farsi rientrare nell’ambito
del multiculturalismo compatibile.
L’uso del velo che copre il volto, in particolare il burqa, non è diretto
ad evitare il riconoscimento ma costituisce attuazione di una tradizione
di determinate popolazioni e culture. In tale tema il Consiglio di Stato
con sentenza n.3076/2008, circa l’uso del burqa ha rilevato che “non si è
in presenza di un mezzo finalizzato a impedire senza giustificato motivo il
riconoscimento. Il citato art. 5 consente nel nostro ordinamento che una per-
sona indossi il velo per motivi religiosi o culturali; le esigenze di pubblica si-
curezza sono soddisfatte dal divieto di utilizzo in occasione di manifestazioni
e dall’obbligo per tali persone di sottoporsi all’identificazione e alla rimozione
del velo, ove necessario a tal fine. Resta fermo che tale interpretazione non
esclude che in determinati luoghi o da parte di specifici ordinamenti possano
essere previste, anche in via amministrativa, regole comportamentali diverse
incompatibili con il suddetto utilizzo, purché ovviamente trovino una ragio-
nevole e legittima giustificazione sulla base di specifiche e settoriali esigenze.
Tale ultima questione non costituisce comunque oggetto del presente giudizio,
in cui ci si deve limitare e rilevare che il Prefetto ha fatto applicazione dei
sopra menzionati principi e, conseguentemente, ha annullato la citata ordi-
nanza sindacale”.
Soltanto in Francia e in Turchia è fatto divieto di portare il velo nelle
scuole e negli uffici pubblici, mentre nel resto del continente esso viene
94 MANUALE DI DIRITTO ECCLESIASTICO

generalmente accolto senza provocare particolari conflitti.


In Francia in cui è radicata la tradizione di rigorosa laicità che tende
ad emarginare dagli spazi pubblici ogni simbolo o presenza religiosa, con
legge del 15 marzo 2004 si è stabilito Che “nelle scuole, nei collegi e nei
licei pubblici è vietato l’uso di segni o di abbigliamento di manifesta ap-
partenenza religiosa.”
Anche in altri Paesi si è presentata la tentazione di seguire la strada
francese, ed in Belgio, Bulgaria, Olanda, sono stati elaborati progetti le-
gislativi per sancire il divieto di indossare il velo, ma non sono mai stati
approvati, mentre in generale il velo è ammesso, ed è lasciato alla giuri-
sprudenza valutare caso per caso quando nascono particolari conflitti in
relazioni a situazioni specifiche. (G. Bassetti)
L’Italia è probabilmente il Paese europeo più accogliente, e sin dall’i-
nizio accetta l’uso del velo islamico in pubblico e nei documenti di rico-
noscimento: il diritto comune, atti di normazione secondaria, la prassi,
affrontano la questione non imponendo alcun divieto. Ad esempio la
Circolare del ministero dell’Interno del 14 marzo 1995, n. 4, suggerisce
alle amministrazioni comunali di accogliere le richieste di carte di iden-
tità con foto che ritraggono il soggetto a capo coperto “purché i tratti
del viso siano ben visibili” e la circolare del 14 luglio 2000 dello stesso
Ministero precisa che il turbante, il chador e il velo, imposti da motivi
religiosi “sono parte integrante degli indumenti abituali e concorrono,
nel loro insieme, ad identificare chi li indossa, naturalmente purché si
mantenga il viso scoperto”.
La libertà di manifestare liberamente la propria identità religiosa at-
traverso l’uso di simboli nel vestiario religioso può essere rappresentata
anche dall’indossare una croce al collo, pratica d’uso soprattutto nel no-
stro Paese.
Il caso pratico si era posto a seguito del licenziamento di una dipen-
dente della compagnia aerea British Airways (nella specie si trattava di
una Hostess), la quale in contravvenzione alle regole poste della compa-
gnia, aveva indossato sul posto di lavoro una catenina al collo contenente
una croce.
La Corte di Strasburgo chiamata a pronunciarsi sul ricorso, ritenen-
do che vi fosse perpetrata una violazione dell’art. 9 della Convenzione
Europea dei diritti dell’Uomo da parte del Regno Unito, ha affermato
che nei confronti della ex dipendente della British, i giudici nazionali
non avevano valutato correttamente la legittimità e proporzionalità dei
limiti alla libertà religiosa.
Appendice Normativa

COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA ITALIANA (GU


n.298 del 27-12-1947) Entrata in vigore il 1° GENNAIO del 1948
(ESTRATTO)
Art. 3. Tutti i cittadini hanno pari dignita’ sociale e sono eguali da-
vanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione,
di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. E’ compito della
Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che,
limitando di fatto la liberta’ e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il
pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i
lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

Art. 7. Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio


ordine, indipendenti e sovrani. I loro rapporti sono regolati dai Patti
Lateranensi. Le modificazioni dei Patti, accettate dalle due parti, non
richiedono procedimento di revisione costituzionale.

Art. 8. Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti


alla legge. Le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di
organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l’or-
dinamento giuridico italiano. I loro rapporti con lo Stato sono regolati
per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze.

Art. 19. Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede


religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda
e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purche’ non si tratti di
riti contrari al buon costume.

Art. 20. Il carattere ecclesiastico e il fine di religione o di culto d’una


associazione od istituzione non possono essere causa di speciali limita-
zioni legislative, ne’ di speciali gravami fiscali per la sua costituzione,
capacita’ giuridica e ogni forma di attivita’.

ACCORDO TRA LA SANTA SEDE E LA REPUBBLICA ITA-


LIANA CHE APPORTA MODIFICAZIONI AL CONCORDATO
LATERANENSE

LA SANTA SEDE E LA REPUBBLICA ITALIANA tenuto conto


del processo di trasformazione politica e sociale verificatosi in Italia negli
96 MANUALE DI DIRITTO ECCLESIASTICO

ultimi decenni e degli sviluppi promossi nella Chiesa dal Concilio Va-
ticano II; avendo presenti, da parte della Repubblica italiana, i principi
sanciti dalla sua Costituzione, e, da parte della Santa Sede, le dichiara-
zioni del Concilio Ecumenico Vaticano II circa la libertà religiosa e i rap-
porti fra la Chiesa e la comunità politica, nonché la nuova codificazione
del diritto canonico; considerato inoltre che, in forza del secondo comma
dell’art. 7 della Costituzione della Repubblica italiana, i rapporti tra lo
Stato e la Chiesa cattolica sono regolati dai Patti Lateranensi, i quali per
altro possono essere modificati di comune accordo dalle due Parti senza
che ciò richieda procedimenti di revisione costituzionale; hanno ricono-
sciuto l’opportunità di addivenire alle seguenti modificazioni consensuali
del Concordato lateranense:

ART. 1
La Repubblica italiana e la Santa Sede riaffermano che lo Stato e la
Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovra-
ni, impegnandosi al pieno rispetto di tale principio nei loro rapporti ed
alla reciproca collaborazione per la promozione dell’uomo e il bene del
Paese.

ART. 2
1. La Repubblica italiana riconosce alla Chiesa cattolica la piena li-
bertà di svolgere la sua missione pastorale, educativa e caritativa, di evan-
gelizzazione e di santificazione. In particolare è assicurata alla Chiesa la
libertà di organizzazione, di pubblico esercizio del culto, di esercizio del
magistero e del ministero spirituale nonché della giurisdizione in materia
ecclesiastica.
2. È ugualmente assicurata la reciproca libertà di comunicazione e
di corrispondenza fra la Santa Sede, la Conferenza Episcopale Italiana, le
Conferenze Episcopali regionali, i Vescovi, il clero e i fedeli, cosi come
la libertà di pubblicazione e diffusione degli atti e documenti relativi alla
missione della Chiesa.
3. È garantita ai cattolici e alle loro associazioni e organizzazioni la
piena libertà di riunione e di manifestazione del pensiero con la parola,
lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.
4. La Repubblica italiana riconosce il particolare significato che
Roma, sede vescovile del Sommo Pontefice, ha per la cattolicità.

ART. 3
1. La circoscrizione delle diocesi e delle parrocchie è liberamente
determinata dall’autorità ecclesiastica. La Santa Sede si impegna a non
includere alcuna parte del territorio italiano in una diocesi la cui sede
Appendice Normativa 97

vescovile si trovi nel territorio di altro Stato.


2. La nomina dei titolari di uffici ecclesiastici è liberamente effettua-
ta dall’autorità ecclesiastica. Quest’ultima dà comunicazione alle compe-
tenti autorità civili della nomina degli Arcivescovi e Vescovi diocesani,
dei Coadiutori, degli Abati e Prelati con giurisdizione territoriale, cosi
come dei Parroci e dei titolari degli altri uffici ecclesiastici rilevanti per
l’ordinamento dello Stato.
3. Salvo che per la diocesi di Roma e per quelle suburbicarie, non
saranno nominati agli uffici di cui al presente articolo ecclesiastici che
non siano cittadini italiani.

ART. 4
1. I sacerdoti, i diaconi ed i religiosi che hanno emesso i voti hanno
facoltà di ottenere, a loro richiesta, di essere esonerati dal servizio militare
oppure assegnati al servizio civile sostitutivo.
2. In caso di mobilitazione generale gli ecclesiastici non assegnati
alla cura d’anime sono chiamati ad esercitare il ministero religioso fra le
truppe, oppure, subordinatamente, assegnati ai servizi sanitari.
3. Gli studenti di teologia, quelli degli ultimi due anni di propedeu-
tica alla teologia ed i novizi degli istituti di vita consacrata e delle società
di vita apostolica possono usufruire degli stessi rinvii dal servizio militare
accordati agli studenti delle università italiane.
4. Gli ecclesiastici non sono tenuti a dare a magistrati o ad altra au-
torità informazioni su persone o materie di cui siano venuti a conoscenza
per ragione del loro ministero.

ART. 5
1. Gli edifici aperti al culto non possono essere requisiti, occupati,
espropriati o demoliti se non per gravi ragioni e previo accordo con la
competente autorità ecclesiastica.
2. Salvo i casi di urgente necessità, la forza pubblica non potrà en-
trare, per l’esercizio delle sue funzioni, negli edifici aperti al culto, senza
averne dato previo avviso all’autorità ecclesiastica.
3. L’autorità civile terrà conto delle esigenze religiose delle popola-
zioni, fatte presenti dalla competente autorità ecclesiastica, per quanto
concerne la costruzione di nuovi edifici di culto cattolico e delle perti-
nenti opere parrocchiali.

ART. 6
La Repubblica italiana riconosce come giorni festivi tutte le domeni-
che e le altre festività religiose determinate d’intesa tra le Parti.
98 MANUALE DI DIRITTO ECCLESIASTICO

ART. 7
1. La Repubblica italiana, richiamandosi al principio enunciato
dall’art. 20 della Costituzione, riafferma che il carattere ecclesiastico e il
fine di religione o di culto di una associazione o istituzione non possono
essere causa di speciali limitazioni legislative, né di speciali gravami fiscali
per la sua costituzione, capacità giuridica e ogni forma di attività.
2. Ferma restando la personalità giuridica degli enti ecclesiastici
che ne sono attualmente provvisti, la Repubblica italiana, su domanda
dell’autorità ecclesiastica o con il suo assenso, continuerà a riconoscere la
personalità giuridica degli enti ecclesiastici aventi sede in Italia, eretti o
approvati secondo le norme del diritto canonico, i quali abbiano finalità
di religione o di culto. Analogamente si procederà per il riconoscimento
agli effetti civili di ogni mutamento sostanziale degli enti medesimi.
3. Agli effetti tributari gli enti ecclesiastici aventi fine di religione o
di culto, come pure le attività dirette a tali scopi, sono equiparati a quelli
aventi fine di beneficenza o di istruzione.
4. Le attività diverse da quelle di religione o di culto, svolte dagli enti
ecclesiastici, sono soggette, nel rispetto della struttura e della finalità di
tali enti, alle leggi dello Stato concernenti tali attività e al regime tributa-
rio previsto per le medesime.
5. Gli edifici aperti al culto, le pubblicazioni di atti, le affissioni
all’interno o all’ingresso degli edifici di culto o ecclesiastici, e le collette
effettuate nei predetti edifici, continueranno ad essere soggetti al regime
vigente.
6. L’amministrazione dei beni appartenenti agli enti ecclesiastici è
soggetta ai controlli previsti dal diritto canonico. Gli acquisti di questi
enti sono però soggetti anche ai controlli previsti dalle leggi italiane per
gli acquisti delle persone giuridiche.
7. All’atto della firma del presente Accordo, le Parti istituiscono una
Commissione paritetica per la formulazione delle norme da sottoporre
alla loro approvazione per la disciplina di tutta la materia degli enti e
beni ecclesiastici e per la revisione degli impegni finanziari dello Stato
italiano e degli interventi del medesimo nella gestione patrimoniale degli
enti ecclesiastici.
In via transitoria e fino all’entrata in vigore della nuova disciplina
restano applicabili gli articoli 17, comma terzo, 18, 27, 29 e 30 del pre-
cedente testo concordatario.

ART. 8
1. Sono riconosciuti gli effetti civili ai matrimoni contratti secondo
le norme del diritto canonico, a condizione che l’atto relativo sia trascrit-
to nei registri dello stato civile, previe pubblicazioni nella casa comunale.
Appendice Normativa 99

Subito dopo la celebrazione, il parroco o il suo delegato spiegherà ai con-


traenti gli effetti civili del matrimonio, dando lettura degli articoli del co-
dice civile riguardanti i diritti e i doveri dei coniugi, e redigerà quindi, in
doppio originale, l’atto di matrimonio, nel quale potranno essere inserite
le dichiarazioni dei coniugi consentite secondo la legge civile.
La Santa Sede prende atto che la trascrizione non potrà avere luogo:
a) quando gli sposi non rispondano ai requisiti della legge civile circa
l’età richiesta per la celebrazione;
b) quando sussiste fra gli sposi un impedimento che la legge civile
considera inderogabile.
La trascrizione è tuttavia ammessa quando, secondo la legge civile,
l’azione di nullità o di annullamento non potrebbe essere più proposta.
La richiesta di trascrizione è fatta, per iscritto, dal parroco del luogo
dove il matrimonio è stato celebrato, non oltre i cinque giorni dalla cele-
brazione. L’ufficiale dello stato civile, ove sussistano le condizioni per la
trascrizione, la effettua entro ventiquattro ore dal ricevimento dell’atto e
ne dà notizia al parroco.
Il matrimonio ha effetti civili dal momento della celebrazione, anche
se l’ufficiale dello stato civile, per qualsiasi ragione, abbia effettuato la
trascrizione oltre il termine prescritto.
La trascrizione può essere effettuata anche posteriormente su richie-
sta dei due contraenti, o anche di uno di essi, con la conoscenza e senza
l’opposizione dell’altro, sempre che entrambi abbiano conservato inin-
terrottamente lo stato libero dal momento della celebrazione a quello
della richiesta di trascrizione, e senza pregiudizio dei diritti legittima-
mente acquisiti dai terzi.
2. Le sentenze di nullità di matrimonio pronunciate dai tribunali
ecclesiastici, che siano munite del decreto di esecutività del superiore or-
gano ecclesiastico di controllo, sono, su domanda delle parti o di una di
esse, dichiarate efficaci nella Repubblica italiana con sentenza della corte
d’appello competente, quando questa accerti:
a) che il giudice ecclesiastico era il giudice competente a conoscere
della causa in quanto matrimonio celebrato in conformità del presente
articolo;
b) che nel procedimento davanti ai tribunali ecclesiastici è stato as-
sicurato alle parti il diritto di agire e di resistere in giudizio in modo non
difforme dai principi fondamentali dell’ordinamento italiano;
c) che ricorrono le altre condizioni richieste dalla legislazione italiana
per la dichiarazione di efficacia delle sentenze straniere.
La corte d’appello potrà, nella sentenza intesa a rendere esecutiva
una sentenza canonica, statuire provvedimenti economici provvisori a
favore di uno dei coniugi il cui matrimonio sia stato dichiarato nullo,
100 MANUALE DI DIRITTO ECCLESIASTICO

rimandando le parti al giudice competente per la decisione sulla materia.


3. Nell’accedere al presente regolamento della materia matrimonia-
le la Santa Sede sente l’esigenza di riaffermare il valore immutato della
dottrina cattolica sul matrimonio e la sollecitudine della Chiesa per la
dignità ed i valori della famiglia, fondamento della società.

ART. 9
1. La Repubblica italiana, in conformità al principio della libertà
della, scuola e dell’insegnamento e nei termini previsti dalla propria Co-
stituzione, garantisce alla Chiesa cattolica il diritto di istituire liberamen-
te scuole di ogni ordine e grado e istituti di educazione.
A tali scuole che ottengano la parità è assicurata piena libertà, ed ai
loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni
delle scuole dello Stato e degli altri enti territoriali, anche per quanto
concerne l’esame di Stato.
2. La Repubblica italiana, riconoscendo il valore della cultura reli-
giosa e tenendo conto che i principi del cattolicesimo fanno parte del pa-
trimonio storico del popolo italiano, continuerà ad assicurare, nel quadro
delle finalità della scuola, l’insegnamento della religione cattolica nelle
scuole pubbliche non universitarie di ogni ordine e grado.
Nel rispetto della libertà di coscienza e della responsabilità educativa
dei genitori, è garantito a ciascuno il diritto di scegliere se avvalersi o non
avvalersi di detto insegnamento.
All’atto dell’iscrizione gli studenti o i loro genitori eserciteranno tale
diritto, su richiesta dell’autorità scolastica, senza che la loro scelta possa
dar luogo ad alcuna forma di discriminazione.

ART. 10
1. Gli istituti universitari, i seminari, le accademie, i collegi e gli
altri istituti per ecclesiastici e religiosi o per la formazione nelle discipline
ecclesiastiche, istituiti secondo il diritto canonico, continueranno a di-
pendere unicamente dall’autorità ecclesiastica.
2. I titoli accademici in teologia e nelle altre discipline ecclesiastiche,
determinate d’accordo tra le Parti, conferiti dalle Facoltà approvate dalla
Santa Sede, sono riconosciuti dallo Stato.
Sono parimenti riconosciuti i diplomi conseguiti nelle Scuole vatica-
ne di paleografia, diplomatica e archivistica e di biblioteconomia.
3. Le nomine dei docenti dell’Università Cattolica del Sacro Cuore
e dei dipendenti istituti sono subordinate al gradimento, sotto il profilo
religioso, della competente autorità ecclesiastica.

ART. 11
Appendice Normativa 101

1. La Repubblica italiana assicura che l’appartenenza alle forze arma-


te, alla polizia, o ad altri servizi assimilati, la degenza in ospedali, case di
cura o di assistenza pubbliche, la permanenza negli istituti di prevenzione
e pena non possono dar luogo ad alcun impedimento nell’esercizio della
libertà religiosa e nell’adempimento delle pratiche di culto dei cattolici.
2. L’assistenza spirituale ai medesimi è assicurata da ecclesiastici no-
minati dalle autorità italiane competenti su designazione dell’autorità
ecclesiastica e secondo lo stato giuridico, l’organico e le modalità stabiliti
d’intesa fra tali autorità.

ART. 12
1. La Santa Sede e la Repubblica italiana, nel rispettivo ordine, colla-
borano per la tutela del patrimonio storico ed artistico.
Al fine di armonizzare l’applicazione della legge italiana con le esi-
genze di carattere religioso, gli organi competenti delle due Parti concor-
deranno opportune disposizioni per la salvaguardia, la valorizzazione e il
godimento dei beni culturali d’interesse religioso appartenenti ad enti e
istituzioni ecclesiastiche.
La conservazione e la consultazione degli archivi d’interesse storico e
delle biblioteche dei medesimi enti e istituzioni saranno favorite e agevo-
late sulla base di intese tra i competenti organi delle due Parti.
2. La Santa Sede conserva la disponibilità delle catacombe cristiane
esistenti nel suolo di Roma e nelle altre parti del territorio italiano con
l’onere conseguente della custodia, della manutenzione e della conserva-
zione, rinunciando alla disponibilità delle altre catacombe.
Con l’osservanza delle leggi dello Stato e fatti salvi gli eventuali dirit-
ti di terzi, la Santa Sede può procedere agli scavi occorrenti ed al trasferi-
mento delle sacre reliquie.

ART. 13
1. Le disposizioni precedenti costituiscono modificazioni del Con-
cordato lateranense accettate dalle due Parti, ed entreranno in vigore
alla data dello scambio degli strumenti di ratifica. Salvo quanto previsto
dall’art. 7, n. 6, le disposizioni del Concordato stesso non riprodotte nel
presente testo sono abrogate.
2. Ulteriori materie per le quali si manifesti l’esigenza di collabora-
zione tra la Chiesa cattolica e lo Stato potranno essere regolate sia con
nuovi accordi tra le due Parti sia con intese tra le competenti autorità
dello Stato e la Conferenza Episcopale Italiana.

ART. 14
Se in avvenire sorgessero difficoltà di interpretazione o di applica-
102 MANUALE DI DIRITTO ECCLESIASTICO

zione delle disposizioni precedenti, la Santa Sede e la Repubblica italiana


affideranno la ricerca di un’amichevole soluzione ad una Commissione
paritetica da loro nominata.

PROTOCOLLO ADDIZIONALE
Al momento della firma dell’Accordo che apporta modificazioni al
Concordato lateranense la Santa Sede e la Repubblica italiana, desiderose
di assicurare con opportune precisazioni la migliore applicazione dei Pat-
ti Lateranensi e delle convenute modificazioni, e di evitare ogni difficoltà
di interpretazione, dichiarano di comune intesa:
1. In relazione all’Art. 1
Si considera non più in vigore il principio, originariamente richia-
mato dai Patti Lateranensi, della religione cattolica come sola religione
dello Stato italiano.
2. In relazione all’Art. 4
a) Con riferimento al n. 2, si considerano in cura d’anime gli Or-
dinari, i parroci, i vicari parrocchiali, i rettori di Chiese aperte al culto
ed i sacerdoti stabilmente addetti ai servizi di assistenza spirituale di cui
all’art. 11.
b) La Repubblica italiana assicura che l’autorità giudiziaria darà co-
municazione all’autorità ecclesiastica competente per territorio dei pro-
cedimenti penali promossi a carico di ecclesiastici.
c) La Santa Sede prende occasione dalla modificazione del Concor-
dato lateranense per dichiararsi d’accordo, senza pregiudizio dell’ordina-
mento canonico, con l’interpretazione che lo Stato italiano dà dell’art.
23, secondo comma, del Trattato lateranense, secondo la quale gli effetti
civili delle sentenze e dei provvedimenti emanati da autorità ecclesiasti-
che, previsti da tale disposizione, vanno intesi in armonia con i diritti
costituzionalmente garantiti ai cittadini italiani.
3. In relazione all’Art. 7
a) La Repubblica italiana assicura che resterà escluso l’obbligo per
gli enti ecclesiastici di procedere alla conversione di beni immobili, salvo
accordi presi di volta in volta tra le competenti autorità governative ed
ecclesiastiche, qualora ricorrano particolari ragioni.
b) La Commissione paritetica, di cui al n. 6, dovrà terminare i suoi
lavori entro e non oltre sei mesi dalla firma del presente Accordo.
4. In relazione all’Art. 8
a) Ai fini dell’applicazione del n. 1, lett. b), si intendono come impe-
dimenti inderogabili della legge civile:
1) l’essere uno dei contraenti interdetto per infermità di mente;
2) la sussistenza tra gli sposi di altro matrimonio valido agli effetti
civili;
Appendice Normativa 103

3) gli impedimenti derivanti da delitto o da affinità in linea retta.


b) Con riferimento al n. 2, ai fini dell’applicazione degli articoli 796
e 797 del codice italiano di procedura civile, si dovrà tener conto della
specificità dell’ordinamento canonico dal quale è regolato il vincolo ma-
trimoniale, che in esso ha avuto origine. In particolare,
1) si dovrà tener conto che i richiami fatti dalla legge italiana alla
legge del luogo in cui si è svolto il giudizio si intendono fatti al diritto
canonico;
2) si considera sentenza passata in giudicato la sentenza che sia dive-
nuta esecutiva secondo il diritto canonico;
3) si intende che in ogni caso non si procederà al riesame del merito.
c) Le disposizioni del n. 2 si applicano anche ai matrimoni celebra-
ti, prima dell’entrata in vigore del presente Accordo, in conformità alle
norme dell’art. 34 del Concordato lateranense e della legge 27 maggio
1929, n. 847, per i quali non sia stato iniziato il procedimento dinanzi
all’autorità giudiziaria civile, previsto dalle norme stesse.
5. In relazione all’Art. 9
a) L’insegnamento della religione cattolica nelle scuole indicate al n.
2 è impartito – in conformità alla dottrina della Chiesa e nel rispetto del-
la libertà di coscienza degli alunni – da insegnanti che siano riconosciuti
idonei dall’autorità ecclesiastica, nominati, d’intesa con essa, dall’autorità
scolastica.
Nelle scuole materne ed elementari detto insegnamento può essere
impartito dall’insegnante di classe, riconosciuto idoneo dall’autorità ec-
clesiastica, che sia disposto a svolgerlo.
b) Con successiva intesa tra le competenti autorità scolastiche e la
Conferenza Episcopale Italiana verranno determinati:
1) i programmi dell’insegnamento della religione cattolica per i di-
versi ordini e gradi delle scuole pubbliche;
2) le modalità di organizzazione di tale insegnamento, anche in rela-
zione alla collocazione nel quadro degli orari delle lezioni;
3) i criteri per la scelta dei libri di testo;
4) i profili della qualificazione professionale degli insegnanti.
c) Le disposizioni di tale articolo non pregiudicano il regime vigente
nelle regioni di confine nelle quali la materia è disciplinata da norme
particolari.
6. In relazione all’Art. 10
La Repubblica italiana, nell’interpretazione del n. 3 – che non inno-
va l’art. 38 del Concordato dell’11 febbraio 1929 – si atterrà alla sentenza
195/1972 della Corte Costituzionale relativa al medesimo articolo.
7. In relazione all’Art. 13 n. 1
Le Parti procederanno ad opportune consultazioni per l’attuazione,
104 MANUALE DI DIRITTO ECCLESIASTICO

nel rispettivo ordine, delle disposizioni del presente Accordo.


Il presente Protocollo addizionale fa parte integrante dell’Accordo
che apporta modificazioni al Concordato lateranense contestualmente
firmato tra la Santa Sede e la Repubblica italiana.

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