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ITINERARIUM

RIVISTA MULTIDISCIPLINARE
DELL’ISTITUTO TEOLOGICO “SAN TOMMASO”
MESSINA – Italy

61
Anno 23 - 2015/3
Indice

Itinerarium 23 (2015) n. 61, settembre-dicembre 2015

Editoriale
Cassaro Giuseppe Carlo, La misericordia: potenza che trasforma il mondo . . 11

Sezione Monografica (a cura di Carmelo Sciuto e Gaspare Ivan Pitarresi):


Verso Firenze 2015. Ritrovare il “gusto per l’umano”
Raspanti Antonino, In Gesù Cristo il nuovo umanesimo.
La traccia: uno strumento per un cammino sinodale . . . . . . . . . . . . 21
Pitarresi Gaspare Ivan, Dire l’uomo nell’epoca della ‘crisi’.
Per un umanesimo in ascolto “dell’urlo dell’uomo solo” . . . . . . . . . . 31
Sciuto Carmelo, La famiglia: culla di un nuovo umanesimo.
Annunciare la fede “in” e “con” la famiglia . . . . . . . . . . . . . . . . 45
Diaco Ernesto, La Chiesa italiana a Firenze: l’umanesimo della prossimità . . . 61
Donatello Veronica Amata, Guardando all’altro mi scopro onni-debole anch’io…
piuttosto che onnipotente. Per un umanesimo davvero “inclusivo” . . . . . 73

Laboratorio di Bioetica
Suaudeau Jacques, Cellule staminali pluripotenti indotte (iPSCs). Prima parte . . . 85

Monografia (a cura di Giovanni Russo):


Fecondazione eterologa. Questioni biogiuridiche
Agosta Stefano, Tra seguito normativo e giurisprudenziale: la riespansione
del diritto di formare una famiglia con figli all’indomani della caducazione
del divieto di eterologa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 107
Randazzo Alberto, Brevi note sulla giurisprudenza della Corte europea
dei diritti umani in tema di fecondazione eterologa . . . . . . . . . . . . . 115
Mollica Poeta Loredana, La fecondazione eterologa: dubbi ed incertezze
ad un anno dalla sentenza n. 162 del 2014 della Corte costituzionale . . . 121

Miscellanea
Conte Nunzio, «Scelto per annunciare il Vangelo di Dio» (Rm 1,1b).
Abilità e qualità dell’omileta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 127
Mursia Antonio, «Ad effectum costruendi conventum cappuccinorum».
Alcune note sulla fondazione del convento dell’Immacolata Concezione
di Adrano (1608-1668) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 145

Discussioni
Gensabella Furnari Marianna, La bellezza che salva.
A proposito di un recente saggio di Nunziella Scopelliti . . . . . . . . . . . 155

Biblioteca . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 161
Cineteca . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 168
Libri pervenuti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 174
Collaboratori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 176
Sezione Monografica

VERSO FIRENZE 2015


RITROVARE IL “GUSTO PER L’UMANO”
(a cura di Carmelo Sciuto - Gaspare Ivan Pitarresi)

In Gesù Cristo il nuovo umanesimo


La traccia: uno strumento per un cammino sinodale
Antonino Raspanti

Dire l’uomo nell’epoca della ‘crisi’


Per un umanesimo in ascolto “dell’urlo dell’uomo solo”
Gaspare Ivan Pitarresi

La famiglia: culla di un nuovo umanesimo


Annunciare la fede “in” e “con” la famiglia
Carmelo Sciuto

La Chiesa italiana a Firenze:


l’umanesimo della prossimità
Ernesto Diaco

Guardando all’altro mi scopro


onni-debole anch’io… piuttosto che onnipotente
Per un umanesimo davvero “inclusivo”
Veronica Amata Donatello
21

Itinerarium 23 (2015) 61, 21-30

IN GESÙ CRISTO IL NUOVO UMANESIMO.


LA TRACCIA: UNO STRUMENTO PER UN CAMMINO SINODALE

Antonino Raspanti*

Il principale documento preparatorio al prossimo Convegno Ecclesiale di Fi-


renze (9-13 novembre 2015), cioè la Traccia pubblicata il 9 novembre 2014,1 ha
avuto una gestazione molto articolata. Nella sua composizione e redazione, infatti, è
stato seguito uno stile sinodale. Per comprenderne bene il senso e la portata è neces-
sario perciò fare cenno alla sua storia, almeno nelle sue tappe essenziali.

1. Verso Firenze 2015, “per incidere nella realtà”

Il Convegno si svolge ogni cinque anni ed è occasione di verifica del tema che
la Chiesa italiana sceglie per ciascun decennio negli orientamenti pastorali; attual-
mente siamo sul tema educativo disegnato dal testo Educare alla vita buona del Van-
gelo.2 Con la verifica si rilancia per il quinquennio successivo cercando di sviluppare
la tematica educativa nei risvolti che essa ha entro l’ampia società civile. Il tema di
Firenze, In Gesù Cristo il nuovo umanesimo, fu scelto dall’Assemblea Generale dei
Vescovi, mentre il Consiglio Episcopale Permanente elesse tra i componenti dell’in-
tero corpo episcopale, il presidente del Comitato preparatorio e tre vicepresidenti,
rispettivamente uno per il nord Italia, uno per il centro e uno per il sud, a cui si è
aggiunto per ragioni di ufficio il Segretario Generale della CEI. Questi cinque Vesco-
vi, hanno creato un gruppo di ventidue esperti (sacerdoti, religiosi e laici) chiamato
Giunta e determinato i criteri per la creazione del Comitato.
La Giunta, con funzione esecutiva rispetto all’intero Comitato, si è radunata
circa sei volte all’anno, a differenza del Comitato che è un organismo molto più
complesso (circa centoventi membri), dove confluiscono non soltanto la Giunta, ma
anche i rappresentanti delle sedici regioni ecclesiastiche italiane, eletti dalle rispetti-
ve Conferenze Episcopali Regionali, e delle maggiori componenti ecclesiali nazio-

*
Vescovo di Acireale e Vice presidente per il sud del Comitato preparatorio di Firenze 2015.
1
Cfr. Conferenza Episcopale Italiana (=CEI) – Comitato preparatorio del 5° Convegno Eccle-
siale Nazionale, In Gesù Cristo il nuovo umanesimo. Una traccia per il cammino verso il 5° Convegno
Ecclesiale Nazionale, 9 novembre 2014, Paoline, Milano 2014. Il testo è scaricabile gratuitamente da:
www.chiesacattolica.it oppure www.firenze2015.it (= Traccia).
2
Cfr. CEI, Educare alla vita buona del Vangelo. Orientamenti pastorali dell’episcopato italiano
per il decennio 2010-2020, 4 ottobre 2010, in: “Notiziario della Conferenza Episcopale Italiana” 44
(2010) 243-302.
22 Antonino RASPANTI

nali. Il Comitato, si è riunito tre volte all’anno, ha elaborato idee, contenuti e metodi.
Frutto di questo lavoro sinodale è la Lettera di invito del settembre 2013, con la
quale si è voluto dare una overture-idea generale del tema, con l’annuncio e l’invito
ad avviare i lavori del Convegno e delle maggiori componenti ecclesiali nazionali.3
L’Invito ha permesso di delineare un metodo: tenendo sempre in primo piano
il vissuto ecclesiale, procedere cercando di raccogliere le istanze e le esperienze pro-
venienti dalle Diocesi. Un’iniziale domanda s’è imposta alla riflessione della Giunta:
partire dall’alto o dal basso? Metodo induttivo o deduttivo? Dall’Invito emerge che
la scelta è caduta su un metodo integrato, prevalentemente. Si è, infatti, chiesto a
ogni Chiesa locale di rispondere all’Invito con una scheda che raccontasse una o
due esperienze di vita (solitamente buone pratiche), che ricevono significato dalla
luce della fede in Gesù. Sono state raccolte più di duecento schede contenenti alcune
esperienze “straordinarie”, come case della carità o di accoglienza educativa, e altre
di “vita ordinaria” di catechesi e di vita parrocchiale in genere.
La scelta metodologica è stata dettata dalla volontà di far evolvere la stagione
convegnistica avvicinandola alla prassi pastorale reale. Molti lamentano, infatti, che
la celebrazione di convegni non dia i frutti sperati, in quanto poco incisiva sulla vita
quotidiana delle comunità ecclesiali. Ecco, dunque, la scelta di guardare e di far
guardare alle pratiche, alle prassi ed esperienze, con la consapevolezza che il Conve-
gno può essere sempre una grande delusione se si carica di un’attesa non commisu-
rata. Esso è un luogo celebrativo dove si mettono a fuoco alcune linee operative in un
momento di visibile unità. È necessario, però, che nelle singole Diocesi s’inneschino
delle dinamiche e che non si arrestino ad esso. Si tratta di intercettare processi inter-
ni, già in atto (ecco perché il racconto delle esperienze!), vagliandone sia la bontà sia
le maggiori criticità nel campo dell’annuncio e dell’educazione
L’iter descritto ha avuto un’accelerazione con la pubblicazione dell’Evangelii
Gaudium, dove papa Francesco invita a non rimanere sul piano delle idee astratte,
ma a sforzarsi di incidere nella realtà.4 Concetto ribadito ai Vescovi italiani duran-
te l’Assemblea generale del 2014: «Il discernimento comunitario sia l’anima del
percorso di preparazione al Convegno ecclesiale nazionale di Firenze nel prossimo
anno: aiuti per favore, a non fermarsi sul piano – pur nobile – delle idee, ma inforchi
occhiali capaci di cogliere e comprendere la realtà e, quindi, strade per governarla,
mirando a rendere più giusta e fraterna la comunità degli uomini».5 Parole dirette:
non bisogna fermarsi al piano delle idee ma bisogna servirsi di occhiali capaci di
cogliere e comprendere la realtà.
La via esperienziale, dunque, è la vera via di Firenze 2015 “per incidere nella
realtà”. È la strada che ha inteso percorrere la Traccia: non un “grande contenitore”

3
Cfr. CEI – Comitato preparatorio del 5° Convegno Ecclesiale Nazionale, Invito al Convegno,
11 ottobre 2013, in: “Notiziario della Conferenza Episcopale Italiana” 47 (2013) 236-248.
4
Francesco, Evangelii gaudium. Esortazione apostolica sull’annuncio del Vangelo nel mondo
attuale, 24 novembre 2013, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2013, n. 233.
5
Francesco, Discorso alla 66a Assemblea Generale della Conferenza Episcopale Italiana, 19
maggio 2014, in: https://w2.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2014/may/documents/papa-fran-
cesco_20140519_conferenza-episcopale-italiana.html (26.10.2015).
In Gesù Cristo il nuovo umanesimo 23

dove deve esserci tutto, né un documento pastorale come quello del decennio, ma un
testo agile per aiutare la riflessione personale e comunitaria in vista del Convegno.
Accanto al testo scritto, si è dato spazio ai nuovi strumenti di comunicazione per cre-
are un’osmosi continua tra centro e periferia, tra base e vertice: il sito web (www.fi-
renze2015.it), i profili Facebook (www.facebook.com/firenze2015) e Twitter (www.
twitter.com/firenze_2015, @Firenze_2015). Sul sito, ad esempio, sono confluiti i
materiali provenienti dalle Diocesi: alcuni pii esercizi (Via Crucis, Santo Rosario)
che qualche diocesi ha preparato seguendo lo spunto dalla Traccia; documenti di
convegni diocesani; materiali elaborati dall’Università Cattolica, dalle Facoltà teolo-
giche, da gruppi ecclesiali, dall’Azione Cattolica… I lavori assembleari del Conve-
gno potranno essere seguiti in diretta streaming, per cui non saranno solo i duemila e
quattrocento delegati a partecipare, ma tutti coloro che vorranno essere virtualmente
a Firenze tramite i media. Ciò permetterà a ciascuno di sentirsi vero protagonista di
questo grande evento ecclesiale.

2. Dalle Chiese locali “il di più” dello sguardo cristiano

Nella prima parte della Traccia è confluito il materiale proveniente dalle dio-
cesi. È opportuno ricordare che in questi ultimi tre anni la nostra Nazione è preda di
una crisi angosciosa che in Sicilia, ad esempio, morde con la ripresa delle migrazioni
(nel 2014 centomila persone, soprattutto dei giovani, sono andati via dalla Sicilia;
la disoccupazione giovanile che tocca il 75% dei giovani sotto i trent’anni). Ma la
crisi economica, così come ha detto il Santo Padre ai Vescovi italiani, è crisi morale,
culturale, delle relazioni umane e in particolare della famiglia. Nonostante questa
depressione, le diocesi hanno risposto con entusiasmo, sottolineando quel “di più” di
cui si accorge uno sguardo cristiano.
Dalle risposte appare un tessuto italiano e cattolico vivace, con la voglia di ac-
cettare le sfide, di non rimanere compressi e depressi dalla crisi, con la voglia di resi-
stere attraverso tante organizzazioni e soprattutto con la consapevolezza e il senso di
responsabilità nei riguardi della coesione sociale. Si riconosce, infatti, che i legami
sociali sono fortemente logorati, corrosi e tendono a sfilacciarsi e frammentarsi. Con
legami sociali non s’intendono solo i macrolegami, quali i legami lavorativi, quelli
ampi delle città, dentro le istituzioni, dentro gli enti, i corpi intermedi, le associazio-
ni di volontariato, gli enti pubblici e quelli privati, ma anche i microlegami, cioè la
piccola unità, i legami interni alla famiglia, la parentela, il quartiere, la parrocchia, la
periferia di una città, di un paese. I legami sociali sono generalmente corrosi perché
è venuta meno la fiducia, cioè quel capitale sociale che unisce le persone in un’unità
organica. I fatti di cronaca lo evidenziano: alcuni decenni addietro il nemico rima-
neva “fuori” dal proprio nucleo familiare; oggi lo si ritrova all’interno dello stesso,
come dimostrano i continui figlicidi, matricidi e incesti. Il nemico, quindi, è a casa e
non si sa quando colpisce; è nella porta accanto del condominio, divenuto estraneo
e potenzialmente ostile. La corrosione della fiducia e della solidarietà apre alla sfida
di un nuovo umanesimo.
24 Antonino RASPANTI

3. La sfida principale: l’Umanesimo

L’adozione del termine umanesimo per il Convegno è stato criticato da alcuni


teologi e filosofi in quanto è un termine a rischio, storicamente appesantito e un po’
astratto. Quando ci si riferisce all’umanesimo, infatti, viene in mente un preciso
movimento, una precisa moda culturale, un preciso assetto sociale di alcuni secoli fa.
Pascal, nel XVII secolo, affermava che: «l’uomo è solo una canna, la più fragile
della natura; ma una canna che pensa».6 In questo autore emerge una visione positiva e
di grande apprezzamento per l’uomo, una visione diremmo dell’uomo cristiano, grazie
anche alla sua vita religiosa, alla sua conversione ed esperienza diretta e personale di
Cristo, seppur nella confessione cristiana del protestantesimo. Appena tre secoli dopo,
Nietzsche afferma invece che «l’uomo è qualcosa che deve essere superato».7 E il filo-
sofo poeta rumeno Emil Cioran, quasi nostro contemporaneo, sosteneva che «l’uomo è
una questione passata di moda».8 Nell’arco dei tre secoli della cosiddetta modernità si
è passati dall’esaltazione nell’individuo a uno svuotamento di fiducia, fino a giungere
al nichilismo novecentesco e al tentativo di superare l’uomo con un Superuomo, una
sorta di potenziamento delle capacità presunte dell’uomo, ormai spogliato e senza Dio.
Il tentativo di svuotamento è direttamente proporzionale alla distruzione dell’uomo
stesso: non c’è più fiducia nell’uomo. Questo nichilismo ha poi assunto toni cupi a
motivo delle grandi distruzioni e stragi occorse nel ‘900, dal nazismo allo stalinismo.
La riflessione precedente la celebrazione del Convegno descrive, inoltre, la plura-
lità degli umanesimi. Si parla ad esempio di trans-umanesimo, tendente ad andare oltre
l’uomo attraverso le moderne tecnologie con le quali potenziare le capacità dell’uomo;
si pensi alla robotica o all’intelligenza artificiale o comunque a una certa programmabi-
lità di azioni dell’uomo. Sono tentativi ormai compiuti di potenziare con delle protesi
tecnologiche l’uomo nelle sue capacità. Sperimentiamo pure su larga scala la velocità di
spostamenti e di scambi di comunicazione. Come sempre, queste frontiere si confronta-
no continuamente con i limiti del possibile e del lecito, del legale e dell’eticità. In altre
parole, le frontiere della tecnologia non sono solo aggiunte innestate nell’uomo come
strumento esterno di aiuto o anche come strumento interno al suo corpo, protesi di se
stesso, di ossa, di cervello, di cuore, di reni; esse investono il modo di concepire l’umano,
la preservazione del suo bene, i legami fraterni, il rapporto con il creato. Ecco il trans-
umanesimo: cioè l’uomo verso altro da sé, pur rimanendo se stesso.
Come notiamo non è tutto negativo, anche se possono profilarsi scenari di pau-
ra; è piuttosto necessario ragionare e discernere: che visione di uomo è questa? E che
compatibilità ha con il Vangelo? La Gaudium et Spes ricorda che tutto quello che ac-
cade attorno a noi dobbiamo valutarlo alla luce del Vangelo e dell’esperienza umana.9
Sembra opportuno mettere a fuoco punti negativi e positivi di questi umane-
simi. Il principale punto negativo sembra essere la frammentarietà, la disunione,

B. P ascal , Pensieri, a cura di P. Serini, Einaudi, Torino 1967, 160.


6

C fr . F. N ietzsche , Così parlò Zarathustra, Longanesi, Milano 1979, 37-41.


7

8
E. M. C ioran , La tentazione di esistere, Adelphi, Milano 1984.
9
Cfr. Concilio Vaticano II, Gaudium et Spes. Costituzione dogmatica sulla Chiesa nel mondo
contemporaneo, 7 dicembre 1965 (= GS), 46, in: EV, 1, 1466.
In Gesù Cristo il nuovo umanesimo 25

la cosiddetta autoreferenzialità: l’individuo si è frammentato e ha preso a punto di


riferimento le sue esigenze, i suoi istinti, le sue passioni. L’uomo è diventato l’unità
di misura di tutto. L’individuo ha il proprio piano da realizzare, si ritrova il mondo
è attorno a sé con una serie di possibilità in cui e da cui deve costruire la sua iden-
tità, scegliendo le possibilità che esso gli offre, secondo quello che lui vuole, pensa
e ritiene opportuno per sé. Il mondo diventa una sorta di supermercato: io prendo
qualunque cosa mi piace e conviene, faccio una data esperienza affettiva, sessuale,
culturale, lavorativa, economica, mi creo quella formazione… ma qual è il risvolto
della medaglia? È il rischio di entrare e uscire da molteplici esperienze senza legarsi
a nessuna di esse, senza creare rapporti stabili, non solo con il partner, ma anche col
quartiere e con il territorio e la sua cultura. Il soggetto è l’unico riferimento di se
stesso. Estremizzando il ragionamento, si direbbe che si arriva a una totale corrosio-
ne dei legami, a una deresponsabilizzazione del soggetto verso i fratelli e il creato,
con l’instabilità di legami e la scelta di non assumerne di nuovi; sul piano dei legami
familiari si presagisce la difficoltà di pronunciare un per sempre.
Con la modernità si è dato spazio all’esaltazione della cosiddetta autonomia
dell’uomo in contrapposizione alla sua eteronomia. Eteronomo è colui che si libera
da una legge che gli viene imposta da altri, come ad esempio da Dio. Nella post-mo-
dernità dall’autonomia/eteronomia si è giunti all’autoreferenzialità. Questo passaggio
non è indifferente anche per la nostra riflessione. L’autonomia, infatti, come più volte
ricordato dal Concilio Vaticano II, porta con sé dei valori. La creatività del soggetto e la
scoperta dell’individualità che fa dell’uomo non un numero nella massa ma un sogget-
to, sono valori. Alcuni pensatori cristiani hanno sviluppato il cosiddetto personalismo,
evidenziando l’unicità e irripetibilità della persona. Tutto ciò si costituisce come valore
e, in parte, lo si riconosce come dato. L’autoreferenziale, invece, è colui che costitu-
isce valore ciò che vuole, sente, pensa, gli piace o non gli piace. Per i cristiani uno
dei dati fondamentali dell’umano è il riconoscersi figlio. Il non-riconoscimento della
figliolanza sarebbe una cesura originaria che non fa cogliere né chi si è realmente né fa
riferire ad altri fuori di sé. Ciò conduce alla possibilità del nichilismo o dell’illusione
o del delirio di onnipotenza. La rivelazione ebraico-cristiana fonda nel riconoscimento
dell’essere figlio la possibilità umana della soggettività e della creatività.
Il cambiamento della prospettiva può essere visto anche attraverso la com-
prensione di tre termini moderni: io – natura – cultura.10 Io significa il modo con cui
si guarda all’uomo e alla donna; la natura è il modo con cui si classifica tutto ciò che
c’è attorno all’uomo; la cultura è il prodotto della sua interazione con la natura e la
costruzione della civiltà. Questi tre termini rappresentano tre modi di leggere e di
dare un’identità agli uomini, alle cose, al prodotto dell’attività umana. Se, invece, os-
serviamo altre tre parole, ci accorgiamo che il riferimento è completamente diverso:
Dio – creazione – culto. Dio è altro dall’io umano; la creazione è un modo di leggere
la realtà in riferimento ad un Creatore, in quanto la creazione è sempre riferita a
qualcuno, ad un progetto che viene condotto verso un fine. Il culto è il modo con cui
la creatura riconsegna con gratitudine al Creatore il dono che ha ricevuto.

10
Cfr. M. Naro, In Cristo Gesù un umanesimo sempre nuovo. Una riflessione sull’orizzonte tema-
tico del V Convegno ecclesiale nazionale, in: “Aisthema” 2 (2015) 225-258.
26 Antonino RASPANTI

Qual è dunque la differenza tra queste due visioni? La prima taglia fuori tutto
ciò che non sia l’uomo, l’altra vede la realtà in riferimento a qualcuno, ed in ultima
analisi, a Dio. Notiamo come siano due modi opposti di leggere la realtà.

4. Le ragioni della nostra speranza

Secondo quanto finora riflettuto, sorge imperante una domanda: il Convegno


vuol proporre un “nuovo umanesimo” che si opponga o si affianchi ai “tanti umane-
simi” (post umanesimo, trans umanesimo…) oggi presenti? Si vuole “costruire” una
nuova antropologia? La risposta è fondamentalmente no, perché si rischierebbe di
non comprendere l’Incarnazione evangelica. La Chiesa, infatti, non ha una visione
da contrapporre al mondo, che per altro apparirebbe difensiva e farebbe percepire
una visione di uomini non in cammino con gli altri.
È solo con la luce portata da Gesù di Nazareth che l’uomo comprende chi sia
realmente. La Sua conoscenza affranca e offre già la soluzione al vivere svelando
la Verità. Pertanto si rende necessario entrare e scavare bene nella figura di Gesù di
Nazareth come modello di uomo. Già la GS al n. 22 lo affermava chiaramente: Cristo
rivela l’uomo all’uomo.11 In Cristo c’è la pienezza del senso dell’uomo.
L’esperienza del Gesù terreno è quella dell’uomo compiuto e perfetto in pa-
role e obbedienza alle cose che patì (Eb 5,8). Cristo fece un cammino e raggiunse
la perfezione e il compimento nella sua umanità che è la piena figliolanza. Quando
guardiamo Gesù di Nazareth sorge la domanda evangelica: Chi dice la gente che io
sia… e voi chi dite che io sia?12 Pietro dà la risposta di un uomo in cammino, perché
pur tra resistenze e rinnegamenti saprà andare avanti.
Gesù ha un volto, ma rimanda al volto di un Altro, quello del Padre: Mostraci
il Padre e ci basta… Chi vede me vede il Padre.13 Gesù è l’uomo nuovo, che rivela
l’uomo all’uomo, ma egli no ha un’identità piatta, né immediatamente definibile.
Per conoscerla dobbiamo scavare ed entrare nella sua vita. Per far ciò è necessario
lasciarsi coinvolgere da Lui, fare il cammino con Lui. Da ciò comprendiamo che
la Chiesa, con ogni singolo credente, non ha una visione di uomo da proporre, ma
un’esperienza, un annuncio da fare: è l’esperienza da compiere con gli altri uomini
verso di Lui. Gesù continua a rispondere a chi gli chiede: Dove abiti? Vieni e vedi.14
Il Gesù terreno invita ad accogliere la Sua Parola, a convertirsi e a credere al
Vangelo,15 a seguirlo per fare esperienza di Lui. Quando si arriva a Lui ci si ritrova
invitati a non fermarsi a Lui ma ad andare verso l’altro, verso un Altro. In fondo, l’i-
dentità di Gesù è quella del Figlio di Dio incarnato e che attraverso la Sua umanità, fa
entrare nella Sua divinità: la cogli non in sé, ma in riferimento ad un Altro, al Padre.
Questa è la pericoresi trinitaria, la vita trinitaria. Io da me non faccio nulla – ripete

11
Cfr. GS, 22, in: EV, 1, 1385.
12
Cfr. Mt 16,13-15.
13
Cfr. Gv 14,8-9.
14
Cfr. Gv 1,38.
15
Cfr. Mc 1,15.
In Gesù Cristo il nuovo umanesimo 27

Gesù – compio le opere che il Padre mi ha dato di compiere, da me non dico nulla,
dico quello che il Padre mi ha detto di dire.16 Egli è rivolto verso il seno del Padre ed
è il rivelatore del Padre, non compie nulla da se stesso: il Padre gli ha messo nelle
mani il giudizio, perché è Figlio dell’Uomo, perciò ha accettato di incarnarsi e si è
fatto uomo. È quanto si dice in Col 1,15 (immagine del Dio invisibile) riprendendo
Gen 1,26 (l’uomo creato ad immagine di Dio).
In queste due “definizioni”, cogliamo l’essere proprio dell’uomo ad imaginem
che dice a sua volta una dinamica referenziale, è cioè riferito a ad un altro. L’identità
di Gesù è nella “relazione” così come gli uomini sono riferiti e relazionati a Gesù
e con Gesù al Padre. Gesù diventa, dunque, la via. In questo senso, l’icona biblica
scelta per Firenze è illuminante.
La giornata a Cafarnao del Vangelo di Marco, infatti, racconta delle azioni di
Gesù: il miracolo, gli annunci, l’incontro e la guarigione della suocera di Pietro e poi il
ritirarsi sul monte a pregare tutto solo. Da quest’icona è possibile cogliere due grandi
direttive nell’agire di Gesù: il curare, prendersi cura, guarire, e il contemplare, pregare
ritirandosi col Padre. La relazione terrena con gli altri uomini è di cura nel doppio
senso del guarire ciò che è malato, ma anche del farsi carico dell’altro. La relazione
verticale è riferita al Padre, dove l’umanità di Gesù vive la figliolanza. Gesù vive nella
carne umana l’essere Figlio. L’io unico di Gesù ha vissuto nell’intelligenza umana,
nella psiche umana, nei sentimenti umani il suo esser Figlio, il riferirsi a un Padre che
gli ha rivelato il suo compiacimento (cfr. Battesimo, Trasfigurazione e Getsemani).
Il cammino del Gesù terreno è anche quello di noi discepoli che percorriamo
la strada nella fede e nel silenzio, nell’abbandono e nel prenderci cura, nell’esser
guariti e nel curare noi stessi e gli altri, radicati sempre nella fede al Padre. L’uomo
nuovo è l’uomo che, dopo essere nato facendo strada verso Cristo, rinasce in Lui.

5. La persona al centro dell’agire ecclesiale

La Traccia recita: «Le ragioni dell’uomo e la prassi ecclesiale possono e devono


incontrarsi».17 Se l’esperienza dell’uomo e quella di Gesù si congiungono fino a unifi-
carsi e noi stessi comprendiamo ed entriamo nell’umano di Gesù, ciò significa che Gesù
è in grado di dare un senso e una verità a qualsiasi esperienza umana. L’agire ecclesiale,
allora, deve vivere e portare questo “trovare senso e verità” dentro la propria esperienza.
Gesù – Verità significa che se lo incontri, ricevi da lui ciò in cui credere, quello
da sognare e sperare, la verità di ciò per cui lottare… valori tutti che permangono e non
passano. Se non incontri Gesù – Verità, allora, tu cristiano non puoi vivere unito a lui
né per osmosi favorire l’incontro del fratello con Lui – Verità. Così facendo non ci sa-
rebbe nessun uomo nuovo, in quanto Gesù non riuscirebbe a parlare all’uomo di oggi.
Che proposta di umanesimo sarà? Riproporre l’uomo-Gesù che passa, guari-
sce e predica, non è fare prediche ma, come afferma la Costituzione GS, implica che
le gioie e i dolori, le fatiche e le speranze degli uomini di oggi siano quelle stesse

16
Cfr. Gv 5,19-30.
17
Traccia, 42.
28 Antonino RASPANTI

della Chiesa. Questa è la capacità della Chiesa di stare accanto a ciascuno e, con cia-
scuno, scoprire che Gesù è Via, Verità e Vita per tutti, che dà senso al nostro vivere,
che conferisce verità alle nostre azioni e scelte. È necessario, dunque, operare scelte
di campo, precise e concrete, come chiede papa Francesco, fuggendo le chiacchiere
astratte. Essendo segno di verità, i discepoli diverranno anche segno di contraddizio-
ne e di rottura, là dove questa verità non si vuole fare; là dove, come ricorda Gesù
a Nicodemo, le tenebre aborriscono la luce perché le loro opere erano malvagie sì
che gli uomini preferissero le tenebre alla luce perché le loro opere erano malvagie.18
Cioè le tenebre non hanno voluto la luce e si scopre la malvagità delle loro opere.

6. I cinque verbi dell’humanum

Nella redazione della Traccia, il Comitato si è chiesto se utilizzare gli “ambiti


dell’umano” coniati nell’ultimo Convegno Ecclesiale di Verona (la festa e il lavoro, la cit-
tadinanza, l’affettività e la fragilità, la tradizione) oppure lasciando l’attenzione sul desti-
natario dell’annuncio evangelico e della cura pastorale, scegliere dei verbi che esprimano
meglio la dinamica dell’incontro e della concretezza del vivere umano. Si è scelto così di
sintonizzarsi su quelle azioni che la comunità credente compie per portare Gesù-Senso e
Gesù-Verità nella vita degli uomini e delle donne di oggi. Sono le azioni che costruiscono
la comunità, perché portando Gesù si creino legami e relazioni, si crei comunità.
Uscire, abitare, annunciare sono i verbi assunti da Evangelii gaudium, mentre
educare è il tema del decennio e trasfigurare è quello più strettamente religioso.
Il verbo uscire è chiaro, soprattutto alla luce del magistero di Papa Francesco
che ha coniato la felice espressione di una Chiesa in uscita, ma sorge la domanda:
come mai, nonostante l’insistenza così prolungata sulla missione, le comunità faticano
a uscire da loro stesse per aprirsi? Uscire non implica solo il dato fisico, cioè raggiun-
gere chi sta fuori la cerchia delle sacrestie e degli “impegnati”, per fare ad altri la pre-
dica fatta in chiesa. Uscire, significa che le gioie, le speranze e i dolori dell’umanità,
diventino quelle della Chiesa. La capacità di entrare nella vita concreta, di conoscerla
e di saperci stare, di conoscerne le dinamiche pur nella differenziazione dei ruoli, di
avere un corpo clericale che abbia passione e competenza per l’umano. Se ciò si rea-
lizza, allora ci sarà chi si occuperà delle carceri, chi degli ospedali, chi della catechesi
ai fanciulli… importante è che ci sia una passione per l’umano. Questa è la Chiesa in
uscita: una chiesa che ha passione per l’umano e, divenuta nei suoi membri trasparente
sacramento di Cristo, lo rende manifestamente presente nel mondo. Una Chiesa che si
chiede come far sì che i cambiamenti demografici, sociali, culturali, con i quali è chia-
mata a misurarsi, siano abitate dai discepoli che ritrovano così nuove strade attraverso
cui la buona notizia della salvezza, donata da Dio in Gesù, sia accolta.19
Annunciare: «La gente ha bisogno di parole e gesti che, partendo da noi, in-
dirizzino lo sguardo e i desideri a Dio».20 Annunciare, allora, non vuol dire forzare,

18
Cfr. Gv 3, 1-21.
19
Cfr. Traccia, 47.
20
Ibidem, 48.
In Gesù Cristo il nuovo umanesimo 29

ma indicare con parole e gesti. Ci vogliono le parole, perché i gesti possono rimanere
ambigui, ma le parole senza i gesti mancano di rischio e di sacrificio. L’annuncio è,
dunque, esser presenti con parole e gesti che indirizzino e ricordino. L’annuncio è
concreto e si deve occupare pienamente delle realtà terrene. La Traccia pone la que-
stione in questi termini: «Le comunità cristiane stanno rivedendo la loro forma per
essere comunità di annuncio del Vangelo? Sono capaci di annunciare e motivare le
scelte di vita, rendendole luogo in cui la luce dell’umano si manifesta al mondo?».21
Allora, occorrerà chiedersi se il discepolo, uomo o donna, trasmette qualcosa che
viene dalla luce di Dio. Questa luce, infatti, è venuta a lui e l’ha illuminato; è egli in
grado di generare un desiderio, di edificare e confessare, esprimendo con umiltà, ma
anche con fermezza, la propria fede nello spazio pubblico degli enti locali, dei me-
dia, della politica, dei sindacati, dell’opinione pubblica? Si è in grado di generare un
desiderio di edificare e confessare, non di imporre e nemmeno di limitarsi a semplici
proposte? In altri termini, la presenza dei discepoli è generativa?
Abitare è un altro verbo del Papa: abitare la città, vivere la città. Non basta sa-
perne di religione o di economia, di diritto o di architettura e urbanistica: è un mondo
che si apre e non c’è una soluzione facile che i cattolici possiedono. La soluzione è
nel mettersi a ricercare soluzioni buone insieme a tutti gli altri. In questo senso, Fi-
renze sarebbe una grande delusione se ci si aspettassero le ricette sull’abitare questi
luoghi!
Educare è il verbo del decennio della Chiesa italiana. In quasi tutte le diocesi
italiane si è riflettuto su questo tema, non solo nel mondo della scuola o in quello
della famiglia, ma nei grandi passaggi culturali, nella consegna dei valori da una ge-
nerazione all’altra, che fa la vera ricchezza. La questione dell’educare è la capacità
di prendersi in carico un valore, e ciò comporta processi lunghi, ma non eludibili.
Entrare nella mentalità corrente e costruire progetti educativi in vari campi (non
solo quelli naturalmente di educare alla fede e nella fede) significa generare creando
sinergie profonde con tutti coloro che hanno a cuore il futuro e i giovani. Limitarsi
a trasmettere palazzi, soldi, pratiche, vecchie tradizioni, musei, processioni, oggetti,
rischia la chiusura in un ghetto vecchio e sorpassato.
Trasfigurare è il verbo meno immediato. Naturalmente si tratta del culto; non
soltanto della liturgia ma anche della capacità di offrire a Dio il mondo, di ridare
tramite Cristo il mondo al Padre: il lavoro, le fatiche, i sentimenti, gli affetti. Sap-
piamo che per i sacramenti, questo mondo già per noi è trasfigurato, il lavoro non è
schiavitù, ma ha una sua dignità, potenzia l’uomo, lo nobilita, e non lo rende schia-
vo. Noi siamo consacrati per il Battesimo, e quindi siamo in Cristo e vediamo che il
mondo è in Lui, e il mondo è nelle nostre mani e noi, attraverso il lavoro quotidiano,
riusciamo a trasfigurare, cioè a condurre la figura, l’immagine del mondo e di come
ci appare oggi in Lui. Il culto è la vita, la liturgia è la vita, la vita nella bellezza e nel-
la Trasfigurazione! La vita che, con tutta la creatività dell’arte, dei suoni, dei canti,
della manifattura, delle architetture e dei colori sappiamo significare, simboleggiare
e offrire, perché la gente, nonostante il periodo di grande povertà, è sempre attratta

21
Ibidem.
30 Antonino RASPANTI

dal bello. Ecco perché si è sempre pronti a fare delle raccolte per abbellire le chiese,
i parati, le suppellettili, in quanto il bello attrae sempre anche se si è nella miseria,
come insegna Dostoevskij (la bellezza salva il mondo), perché esso dà speranza e,
quindi, futuro.

Conclusione

In conclusione, desidero citare il cardinale Gianfranco Ravasi in una confe-


renza tenuta nella Cattedrale di Monreale:
«La Sicilia, come tutta l’Italia, Milano e Roma, Torino e Firenze, Monreale e Bolo-
gna, Palermo e Venezia, incrocia continuamente questi due volti: paesaggi straordina-
ri, vere e proprie storie culturali epifaniche e, al tempo stesso, tanta bellezza incasto-
nata in orribili agglomerati urbani, a cui fanno da contorno devastazioni ambientali,
corruzione, illegalità, degenerazione. Quelle stesse pietre che hanno visto momenti di
splendore portano impressi i segni della “passione”, ad esempio in Sicilia e altrove,
con la firma inquietante della mafia. La bellezza, dunque, che non è da confondere
con l’estetismo retorico, viene ininterrottamente costretta in grembi oscuri, perciò
inquieta, invoca di essere riportata alla luce, di rinascere, così da dominare il tremendo
e lenire l’angoscia, come diceva Virginia Woolf, ma chiede anche di essere parados-
salmente cercata nei grovigli di bruttezze e di bruttura».22

Per i siciliani quella Cattedrale ha un valore, un senso, rappresenta qualcosa,


anche nella nostra consapevolezza quotidiana, perché c’è una teologia nell’architet-
tura che dispone lo spazio, c’è un piano iconologico e iconografico guidato da una
solida teologica, dove Cristo è Pantocratore, regge tutto. Da Cristo tutto proviene,
a Lui tutto s’indirizza. Ciò è affermato in un territorio in cui uomini e donne hanno
dato prova di delirio di onnipotenza, di presunzione di disporre dei fratelli come si
vuole, di provare ad annientare la persona in qualunque momento e di farla risorgere
a piacimento; in altre parole in un luogo dove pretende di trionfare la pretesa dell’uo-
mo mafioso che pensa di manipolare Dio, convinto di accattivarsi il Suo placet con
riti e gesti simbolici. Ebbene in quello stesso luogo, Cristo Pantocratore sta lì per
ciascuno. Abita quel luogo e pur nelle contraddizioni, si erge come speranza, luce e
forza. Questo è trasfigurare: una luce e una speranza che non si spegne ma che, per
suo dono, è presenza esigente. Lì si raduna la Chiesa, con i suoi sacramenti e special-
mente con la Messa; lì si offre, lì si immola, lì ci si compromette in Cristo e con Lui
ci si offre al Padre. Se così non fosse tutto diventerebbe una sterile rappresentazione
di qualcosa che non ci appartiene. Giacché, come indica la Traccia, assumendo il
pensiero del teologo Romano Guardini: «L’uomo è radicalmente compreso nella pa-
rola di Gesù più di quanto egli stesso non sia in grado di comprendersi».23

22
G. Ravasi, Società, cultura e fede, in: A. Raspanti (ed.), Cultura della legalità e società multire-
ligiosa, Il pozzo di Giacobbe, Trapani 2013, 20.
23
Traccia, 57.
ITINERARIUM
RIVISTA MULTIDISCIPLINARE
DELL’ISTITUTO TEOLOGICO “SAN TOMMASO”
MESSINA – Italy

61
Anno 23 - 2015/3
Indice

Itinerarium 23 (2015) n. 61, settembre-dicembre 2015

Editoriale
Cassaro Giuseppe Carlo, La misericordia: potenza che trasforma il mondo . . 11

Sezione Monografica (a cura di Carmelo Sciuto e Gaspare Ivan Pitarresi):


Verso Firenze 2015. Ritrovare il “gusto per l’umano”
Raspanti Antonino, In Gesù Cristo il nuovo umanesimo.
La traccia: uno strumento per un cammino sinodale . . . . . . . . . . . . 21
Pitarresi Gaspare Ivan, Dire l’uomo nell’epoca della ‘crisi’.
Per un umanesimo in ascolto “dell’urlo dell’uomo solo” . . . . . . . . . . 31
Sciuto Carmelo, La famiglia: culla di un nuovo umanesimo.
Annunciare la fede “in” e “con” la famiglia . . . . . . . . . . . . . . . . 45
Diaco Ernesto, La Chiesa italiana a Firenze: l’umanesimo della prossimità . . . 61
Donatello Veronica Amata, Guardando all’altro mi scopro onni-debole anch’io…
piuttosto che onnipotente. Per un umanesimo davvero “inclusivo” . . . . . 73

Laboratorio di Bioetica
Suaudeau Jacques, Cellule staminali pluripotenti indotte (iPSCs). Prima parte . . . 85

Monografia (a cura di Giovanni Russo):


Fecondazione eterologa. Questioni biogiuridiche
Agosta Stefano, Tra seguito normativo e giurisprudenziale: la riespansione
del diritto di formare una famiglia con figli all’indomani della caducazione
del divieto di eterologa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 107
Randazzo Alberto, Brevi note sulla giurisprudenza della Corte europea
dei diritti umani in tema di fecondazione eterologa . . . . . . . . . . . . . 115
Mollica Poeta Loredana, La fecondazione eterologa: dubbi ed incertezze
ad un anno dalla sentenza n. 162 del 2014 della Corte costituzionale . . . 121

Miscellanea
Conte Nunzio, «Scelto per annunciare il Vangelo di Dio» (Rm 1,1b).
Abilità e qualità dell’omileta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 127
Mursia Antonio, «Ad effectum costruendi conventum cappuccinorum».
Alcune note sulla fondazione del convento dell’Immacolata Concezione
di Adrano (1608-1668) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 145

Discussioni
Gensabella Furnari Marianna, La bellezza che salva.
A proposito di un recente saggio di Nunziella Scopelliti . . . . . . . . . . . 155

Biblioteca . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 161
Cineteca . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 168
Libri pervenuti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 174
Collaboratori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 176
Sezione Monografica

VERSO FIRENZE 2015


RITROVARE IL “GUSTO PER L’UMANO”
(a cura di Carmelo Sciuto - Gaspare Ivan Pitarresi)

In Gesù Cristo il nuovo umanesimo


La traccia: uno strumento per un cammino sinodale
Antonino Raspanti

Dire l’uomo nell’epoca della ‘crisi’


Per un umanesimo in ascolto “dell’urlo dell’uomo solo”
Gaspare Ivan Pitarresi

La famiglia: culla di un nuovo umanesimo


Annunciare la fede “in” e “con” la famiglia
Carmelo Sciuto

La Chiesa italiana a Firenze:


l’umanesimo della prossimità
Ernesto Diaco

Guardando all’altro mi scopro


onni-debole anch’io… piuttosto che onnipotente
Per un umanesimo davvero “inclusivo”
Veronica Amata Donatello
31

Itinerarium 23 (2015) 61, 31-44

DIRE L’UOMO NELL’EPOCA DELLA ‘CRISI’.


PER UN UMANESIMO IN ASCOLTO “DELL’URLO DELL’UOMO SOLO”

Gaspare Ivan Pitarresi*

Introduzione

Da quale concezione di uomo partire? È la domanda che nasce dinanzi al tema del
5° Convegno Ecclesiale Nazionale, In Cristo Gesù il nuovo umanesimo. I rischi verso
cui ci si può imbattere sono diversi: quello di dover rifondare un’antropologia ex novo,
di ricalcare visioni di uomo del passato, oppure di produrre un’analisi anacronistica della
realtà attuale e distaccata dalla contemporaneità. Piuttosto, se proprio di “ritorno” occor-
re parlare, sarebbe forse più ragionevole riferirsi a un ritorno al fondamento originario
dell’umano attraverso la trasformazione concreta della vita interiore nella sua totalità.1
La sfida del nuovo umanesimo è quella di volgere lo sguardo al dispiegarsi
della concretezza della vita degli uomini. Un umanesimo dal di dentro della storia,2
incarnato, con un di più da rilevare: cogliere il valore umanizzante dell’annuncio
e abitare l’umano per renderlo nuovo a partire da Gesù.3 Per questo motivo, si può
considerare la secolarizzazione come principio ermeneutico,4 non in senso ridutti-
vo, bensì una vera e propria interpretazione di quel dato alla luce della novità che
comporta il Cristianesimo per gli uomini e le donne di oggi. D’altronde, sostiene il
teologo Carmelo Dotolo: «il cristianesimo, nell’inserire la secolarizzazione come
indicatore di un progetto umanizzante, porta la trascendenza a confrontarsi con le
domande concrete della vita. Cioè fa sì che la trascendenza, lo spazio di un’alterità
che ci precede e che ci viene incontro, ci chiama innanzitutto a una responsabilità
della concretezza storica».5 Lo spazio del quotidiano diviene allora “laboratorio”
nel quale auto-comprendersi, in una disposizione di ricerca non verso una qualche

*
Dottore in Filosofia, Insegnante di Religione Cattolica, Docente di Teologia nella Scuola Teolo-
gica di Base “San Luca Evangelista” di Palermo.
1
Cfr. M. B uber , Umanesimo ebraico, Il Melangolo, Genova 2015, 84.
2
Cfr. Francesco, Evangelii gaudium. Esortazione apostolica sull’annuncio del Vangelo nel mondo
attuale, 24 novembre 2013, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2013 (=EG), 40.154.233.
3
Cfr. Relazione di mons. Nunzio Galantino, Segretario Generale della CEI dal titolo «Evangelii
gaudium»: il Vangelo per l’esistenza umana al Convegno nazionale dei direttori degli Uffici Catechi-
stici Diocesani «La gloria di Dio è l’uomo vivente». Essere annunciatori e catechisti in Italia, oggi
(Salerno, 24 giugno 2015), in: www.firenze2015.it/wp-content/uploads/2015/06/SALERNO2-Conve-
gnoUCN-24-Giugno-2014.pdf (29.10.2015).
4
Cfr. G. V attimo – C. D otolo , Dio: la possibilità buona. Un colloquio sulla soglia tra filosofia
e teologia, a cura di G. G iorgio , Rubbettino, Soveria Mannelli 2009, 29.
5
Ibidem, 30.
32 Gaspare Ivan PITARRESI

“idea” di Trascendenza, ma un incontro con un Volto, una Persona, un evento che in


qualche modo ha fatto la stessa esperienza a cui siamo invitati.6

1. Partire dall’uomo che ciascuno di noi è

L’attenzione alla storia concreta dell’uomo di oggi porta a ritenere impossibi-


le continuare a considerarlo con categorie e con strutture concettuali, politiche e/o
ideologiche che hanno contribuito a costruirlo male.7 Tuttavia, non si può rimanere
semplici spettatori delle mutazioni antropologiche in atto, occorre prendere coscien-
za che l’uomo si caratterizza in maniera sempre nuova.8 L’irriducibilità dell’essenza
dell’uomo, infatti, ci costringe ad affermare che non vi è nessun “uomo”, considerato
come categoria astratta o modello precostituito, ma esistono “uomini”, che nella re-
altà concreta lavorano, soffrono, muoiono, s’innamorano, credono. Un concetto uni-
versale di uomo non ci consente di prendere coscienza di ciò che realmente siamo,
ma appare fuorviante poiché rischia di apparire un’etichetta ben circoscritta e adatta
a definire qualsiasi uomo di qualsiasi epoca. Del resto, è anche riduttivo definire o
identificare l’uomo con uno dei suoi aspetti: l’essenza dell’uomo è indefinibile. È
necessario affermare la molteplicità dei suoi significati piuttosto che la penuria di
una sola definizione. Affermare l’indefinibilità dell’anthropos vuol dire prendere co-
scienza del fatto che l’uomo è sempre di più di ciò che noi sappiamo o che possiamo
affermare di lui.9 L’uomo, ha affermato Karl Jaspers, è di per sé qualcosa d’incom-
piuto per il semplice fatto di essere finito: «l’esperienza fondamentale dell’essenza
umana contiene, aldilà di ogni possibile conoscenza, la sua incompiutezza e la sua
infinita possibilità, i suoi legami e la sua prorompente libertà».10
L’uomo su cui cominciare a riflettere, è l’uomo che ciascuno di noi è, ciascun
uomo che si pone la domanda sulla sua essenza, su “cosa egli sia”. Pertanto, per
intraprendere una riflessione sull’uomo occorre avere un occhio attento al nostro
contesto culturale e la preoccupazione di non prendere mai le distanze dall’uomo
che si è.11 La risposta alla domanda “Chi è l’uomo?” è frutto di una fervente ricerca
introspettiva, ma necessita soprattutto del confronto con la realtà, con le società in
cui abitiamo e le correnti di pensiero che incidono, e talvolta decidono, una certa
visione dell’uomo.
Oltrepassando, dunque, l’idea di una definizione ad hoc, occorre considerare l’uo-
mo, ogni uomo, come “presenza di mistero”. Difatti, «la dimensione del mistero sotto-
linea l’irriducibilità della persona rispetto ad ogni oggettivazione, rispetto al mondo che
pure la costituisce, rispetto alle relazioni di cui pure è intessuta, rispetto al suo stesso

6
Cfr. Ibidem.
7
Cfr. N. G alantino , Dire Uomo Oggi. Nuove vie nell’antropologia filosofica, Paoline, Cinisello
Balsamo 1993, 52.
8
Cfr. R. G uardini , Persona e personalità, Morcelliana, Brescia 2006, 36.
9
Cfr. K. J aspers , La Fede Filosofica, Raffaello Cortina, Milano 2015, 116.
10
Ibidem, 122.
11
Cfr. N. G alantino , Dire Uomo Oggi, 9.
Dire l’uomo nell’epoca della ‘crisi’ 33

io».12 Parlare dell’uomo è pertanto possibile attraverso il rapporto umano all’altro uomo:
«il soggetto (ego, persona) trova nell’incontro con altri non soltanto la evidente certez-
za di sé come soggetto originario, ma anche un tratto fondamentale dell’essere umano.
L’essere con gli altri e per gli altri appartiene al nucleo stesso dell’esistenza umana: la
relazione con altri soggetti è costitutiva e fa parte della definizione dell’uomo».13

1.1. Oltre la crisi: la passione per l’umano

Dal punto di vista antropologico, il XX secolo, pur essendo stato primaria-


mente il secolo della “crisi dell’umano”, il cui massimo exploit lo si rintraccia nel
proclama sartriano “l’uomo è una passione inutile”, si è rivelato, paradossalmente,
anche il secolo che ha riproposto, attraverso i differenti umanesimi,14 la “passione
per l’uomo”15 sia sul piano culturale-filosofico sia sul piano etico.
Nel Novecento l’antiumanesimo16 ha qualificato la condizione umana produ-
cendo le pagine più amare della storia dell’umanità. In Europa si forma la “società di
massa”, nascono i sistemi totalitari che si ergono come “la minaccia dell’umanità”:
«La follia delle masse è stata quella di ricercare nel corpo dell’Ideologia un rifugio
sicuro di fronte all’angoscia insopportabile della libertà. La follia del Novecento è
stata, come ha mostrato bene Hannah Arendt, follia dell’ideologia».17 L’unico per-
sonaggio che si affaccia sulla scena del mondo è la folla anonima, privata del suo
carattere personale, e senza più un’identità, un Volto.
Dalle proposte degli umanesimi del ‘900 filosofico emerge lo sforzo anti-indi-
vidualista. Celebri filosofi/e come Levinas, Buber, Mounier, Stein, Hillesum, hanno
adottato categorie alternative, dei termini-chiave come relazione, dialogo, incontro,
comunione, che si contrappongono alle istanze totalizzanti e individualiste che corro-
dono il noi, sostenendo che l’individualismo porta alla solitudine che è la mutilazione
dell’uomo fatto per la comunione. Essi sono convinti che ciò che costituisce l’essere
umano è “vivere insieme agli altri” ed “entrare in rapporto con gli altri senza sottomet-
terli”, poiché fa parte dell’esperienza originaria. La relazione, infatti, «essendo cate-
goria ontologica, in quanto fondamento della realtà, che esprime la struttura originaria
dell’essere, la profondità ontologica del reale, riguarda il rapporto dell’uomo con se
stesso, con il mondo, con l’altro uomo e con le essenze spirituali».18 Si tratta, dunque,

12
M. N icoletti , Introduzione, in: R. G uardini , Persona e personalità, 13.
13
J. G evaert , Il problema dell’uomo. Introduzione all’antropologia filosofica, Elledici, Leumann
2010³, 33.
14
Per una ricostruzione delle filosofie del novecento, e nello specifico dei vari umanesimi, si riman-
da: G. F ornero – S. T assinari , Le filosofie del Novecento, Bruno Mondadori, Milano 2002.
15
Cfr. N. G alantino , Dire Uomo Oggi, 38.
16
Per un approfondimento si veda la parola “antiumanesimo” in: N. A bbagnano , Dizionario di
filosofia, UTET, Torino 2011, 63-65.
17
M. R ecalcati , Il complesso di Telemaco. Genitori e figli dopo il tramonto del padre, Universale
Economica Feltrinelli, Milano ³2015, 45-46.
18
C. C altagirone , Ritessere le relazioni dell’umano. La relazionalità come promozione di uma-
nità, in: “Ho Theológos” 28 (2010) 12.
34 Gaspare Ivan PITARRESI

di rinegoziare la persona nella sua caratterizzazione sociale, come modo di esserci nel
mondo, fulcro di relazioni, aperta all’altro da sé, al Volto dell’altro uomo, al Trascen-
dente.

1.2. L’uomo di oggi: un grido

Ciò che si (im-)pone come sfida per il nuovo umanesimo, è senza dubbio
la crisi dell’uomo contemporaneo che, potrebbe essere resa attraverso l’immagine
dell’urlo dell’uomo solo che cerca una risposta di senso. Così scriveva Martin Buber:
«L’uomo che da qualche parte nella notte, nel silenzio della sua stanza, emette un urlo
dalla sua miseria, e forse nemmeno rivolto a Dio. Forse la parola dio gli è odiosa,
cosicché egli può portarla alla bocca meno di chiunque altro, e il suo urlo s’innalza in
lui inconsapevolmente e rivolto a chi, se non a chi è il Tu? Quest’urlo dalle estreme
profondità della necessità, anche se quest’uomo non lo sa, è già, di fatto, un rivolgersi,
e come un rivolgersi viene accolto».19

Di recente, Massimo Recalcati ha affermato che: «Per Lacan il luogo prima-


rio dell’umanizzazione della vita è quello del grido. Siamo stati tutti gridi perduti
nella notte. Ma cos’è un grido? Nell’umano esprime l’esigenza della vita di entrare
nell’ordine del senso, esprime la vita come appello rivolto all’Altro. Il grido cerca
nella solitudine della notte una risposta nell’Altro».20 Verso la fine dell’Ottocento,
anche il pittore Evard Munch, nel dipinto che ha come titolo Il Grido, aveva espresso
i sentimenti d’indifferenza, di angosciosa solitudine, di drammaticità esistenziale, in
un urlo che si espande nell’universo circostante. Si tratta di un urlo che interpella
l’altro all’ascolto.
Il verbo “ascoltare”, al centro della Traccia, configura l’umanesimo “in ascol-
to”. Una prerogativa obbligatoria, poiché ha il compito di riconoscere la bellezza
dell’umanità “in atto”.21 L’ascolto mette in moto una serie di azioni sottese nella
dimensione storica del cristianesimo. Innanzitutto la “traduzione”, poi la “rilettura”,
poiché è fondamentale rileggere con uno sguardo attento le situazioni e i problemi
sociali per poter, infine, “interpretare” quest’urlo.

2. Tratti di uomo nello scenario contemporaneo

In un momento di “crisi” dell’uomo e dei modelli antropologici ad esso non


più rispondenti, «l’uomo, infine, diventa problema a se stesso nel momento in cui il
modello che “lo descrive” non gli risponde più».22

M. B uber , Umanesimo ebraico, 50.


19

M. R ecalcati , Il complesso di Telemaco, 39


20

21
Traccia, 13.
22
C. C anullo , L’immagine irrappresentabile: l’uomo, in: Fenomenologia e Umanesimo. L’uomo
immagine irrappresentabile, Aracne, Roma 2015, 18.
Dire l’uomo nell’epoca della ‘crisi’ 35

Quello che abitiamo è sovente definito “tempo di Crisi”, “epoca delle passioni
tristi”,23 “epoca del disincanto”, “dei soggetti depressi”, “dell’assenza di senso”. Evi-
dentemente occorre cogliere la verità di tali definizioni: siamo nell’era in cui le rela-
zioni, più che mai, possono definirsi “fragili”.24 L’uomo contemporaneo vive come
in una situazione di “solitudine senza tregua” provocata dall’inquietudine che viene
da fuori, e perciò inghiottito nel sistema sociale-culturale in cui vive. È l’inquietudi-
ne dell’incertezza che getta l’uomo di oggi in uno stato di confusione:
«la crisi mostra le viscere della vita umana, l’abbandono dell’uomo che è rimasto
senz’appiglio, senza un riferimento, il riferimento di una vita che non ha alcuna meta
e non trova alcuna giustificazione. In mezzo a tanta sventura allora, noi che viviamo in
crisi, abbiamo forse il privilegio di poter vedere chiaramente la vita umana, la nostra
vita, come se fosse allo scoperto grazie a se stessa e non per merito nostro, perché si è
rivelata e non perché si è scoperta. Questa è l’esperienza peculiare della crisi […] La
vita umana sembra infatti essere il territorio della possibilità, delle più ampie possibilità,
e la storia il processo che le va purificando, fino all’estremo e fino alla sua radice».25

È necessario capire le strutture e le complesse dimensioni caratterizzanti l’uo-


mo di oggi. La domanda che ci spinge alla riflessione è tratta dalla Traccia: «come
sarà possibile rigenerare questi legami costitutivi per dar voce al desiderio di ricono-
scimento, unità e comunione della famiglia umana?».26

2.1. Senza identità unitaria e stabile

Un uomo verosimilmente inconsistente, “senza radici”, che cosa possiede


ancora di “umano”? È ridondante già dagli anni Novanta la definizione dell’uomo
come rizoma. Di cosa si tratta? Per dirla con i filosofi Deleuze e Guattari: «Un ri-
zoma è qualcosa che può essere rotto, spezzato in un punto qualsiasi, ma riprende
seguendo questa o quella delle sue linee o seguendo altre linee. E non è mai finita con
le formiche, perché formano un rizoma animale di cui la maggior parte può essere
distrutta senza che esso cessi di ricostruirsi».27 L’opera omonima dei due autori fran-
cesi, Rizoma, apre al significato dell’uomo come qualcosa di frammentario, spezza-
to. Inoltre, rizoma è anche un sistema acentrico, non gerarchico e non significante.28
L’immagine tratta dalla botanica ha costruito le premesse di un Pensiero nega-
tivo, e cioè di quel pensiero che distrugge ogni possibilità di pensare un centro uni-
tario in senso ontologico. Ciò che si vuole affermare è l’assenza di ogni fondamento,
anzi: la perdita di quest’ultimo. Rizoma rappresenta, dunque, l’idea culminante di

23
Cfr. M. B enasayag – G. S chimt , L’epoca delle passioni tristi, Feltrinelli, Milano 2004.
24
Cfr. Z. B auman , Amore liquido. Sulla fragilità dei legami affettivi, Laterza, Bari 2006.
25
M. Z ambrano , Verso un sapere dell’anima, Raffaello Cortina, Milano 1996, 81-82.
26
Traccia, 25.
27
G. D eleuze – F. G uattari , Rizoma, Pratiche, Parma-Lucca, 1977, 33.
28
Cfr. C. S cilironi , Il volto del prossimo. Alla radice della fondazione etica, Dehoniane, Bologna
1991, 158.
36 Gaspare Ivan PITARRESI

un pensiero che raccoglie un processo di de-costruzione della soggettività. Ciò che


inaugura il pensiero rizomatico è la destituzione di un’ontologia.
L’allusione immediata è all’assenza di un piano di consistenza. Un uomo, poi-
ché originariamente molteplice, dunque privo di un significato ma con diversi signi-
ficati, un individuo sradicato dal suo passato e privo di ogni direzione verso un futu-
ro, privo di memoria e di attesa, si risolve in un consumo sperimentale del presente.29
In breve, la mancanza di “identità unitaria e stabile” è la caratteristica di que-
sto tratto rizomatico dell’uomo contemporaneo. Un elemento non indifferente per
chi è chiamato a formare, giacché l’intero percorso dell’essere umano deve fare i
conti con la parola “crisi” d’identità, che è legata alla crescita, all’esperienza, e crisi
del limite, del distacco.30 Appare opportuno, anche se sfuggevolmente, un richiamo a
queste riflessioni per il processo educativo. L’intero iter educativo deve aiutare a far
emergere fuori il proprio sé. Non esiste un io identificato una volta per tutte, perché
la soggettività è un movimento continuo di singolarizzazione che si costituisce come
un andirivieni tra il “dentro” e il “fuori” del proprio io.31

2.2. L’Homo consumens

Un secondo tratto lo ritroviamo direttamente nelle analisi del sociologo


Zigmunt Bauman. La percezione sociologica dell’autore approda a risultati interes-
santi che costituiscono una tappa per la teoria sociale contemporanea. L’autore ha
fatto della parola liquidità la chiave di lettura della sua attività di pubblicazione;
quando si riferisce alla società liquida interpreta città dove niente è certo, tutto scor-
re fluidamente, nulla è permanente e tutto è temporaneamente: «in mezzo alle onde
del mare sembra mancare un’isola stabile e sicura».32
Il consumismo è la caratteristica più esaustiva della città liquida in cui la vita verte
attorno ai consumi. Secondo Bauman, le società odierne appaiono inghiottite dalle mode
volatili cui gli uomini devono costantemente adeguarsi per non rimanerne esclusi; gli
uomini della società liquida devono essere al passo con questo sistema in cui, soddisfatto
un bisogno, occorre subito inventarne un altro per non cedere alla depressione. I legami
umani sono minacciati, in quanto «passano generalmente per il mercato dei beni di con-
sumo, il senso di appartenenza non si ottiene eseguendo le procedure stabilite e sanziona-
te dalla “moda del branco” a cui uno aspira, bensì tramite l’identificazione dell’aspirante,
per metonimia, con il suo “branco” stesso».33 L’unica cosa che nelle tribù postmoderne
accumuna indistintamente tutti è l’acquisto, lo shopping, il consumo di beni, la fretta, la
fluidità del tempo perché “non c’è tempo da perdere” e la lentezza, invece, è presagio di

29
Cfr. Ibidem, 159.
30
Cfr. R. G uardini , Le età della vita, Vita e Pensiero, Milano ³2011, IX.
31
Cfr. M. R ecalcati , Cosa resta del padre? La paternità nell’epoca ipermoderna, Raffaello Cor-
tina, Milano 2011, 16.
32
Z. B auman , Vita liquida, Laterza, Bari 2012, 135.
33
I dem , Homo consumens. Lo sciame inquieto dei consumatori e la miseria degli esclusi, Erickson,
Trento 2007, 16.
Dire l’uomo nell’epoca della ‘crisi’ 37

morte sociale giacché ti lascia distante dal branco. Bauman coglie la causa nel passaggio
dallo spazio pubblico della civitas ai grandi centri commerciali, definiti “non luoghi”.
Ciò che sembra contraddistinguere l’uomo di oggi è indubbiamente il fatto di
essere un consumatore incallito e far parte di una società dei consumi. L’unica sua
certezza ferma è la dimensione finita dell’esistenza, dal momento che non si configu-
ra alcuna prospettiva escatologica, né tantomeno kairologica. Una ossessiva “mania
del nuovo” che è preludio di un uomo continuamente in movimento, che gira e rigira
insoddisfatto, e che si trova sempre davanti un “nuovo inizio”. Tutto ciò si ripercuo-
te, a sua volta nei legami affettivi, così scrive lo stesso Bauman:
«Si innesca in tal modo un altro circolo vizioso: quanto meglio riescono a “materializ-
zare” le proprie relazioni affettive […], tanto minori le opportunità che rimarranno per
quella comprensione vicendevole, necessaria per non lasciarsi intrappolare dagli am-
bigui risvolti di potere e di cura, insiti nell’amore. I componenti di una stessa famiglia
sono quindi tentati di evitare di confrontarsi apertamente, e di mettersi al riparo […]
dai conflitti domestici; d’altro canto, l’impulso a “materializzare” l’amore e i rapporti
affettivi si fa tanto più impetuoso, quanto le alternative […] si fanno sempre meno per-
corribili, proprio laddove sarebbero rese ancora più necessarie a causa dei sembri nuovi
dissidi, dei rancori da placare, dei dissensi che richiederebbero di essere risolti».34

Una società simile assume più la dimensione di uno “sciame”35 che di una “co-
munità”. La rielaborazione di rapporti nuovi tra l’uomo e la sua comunità, tra spazio
pubblico e privato, appare come sfida d’emergenza per recuperare narrazioni uma-
nizzanti dei luoghi in cui abitiamo. Nella società consumistica lo sciame sostituisce il
gruppo o la squadra e la sua articolazione gerarchica, fatta di leader e ordine. In uno
sciame non c’è scambio, né cooperazione, né complementarietà, ma solo una gene-
rale direzione di movimento.36 Ciò può essere spiegato dal fatto che, a differenza dei
gruppi, lo sciame, essendo attinente all’attività consumistica, è un’attività solitaria. Lo
sciame rivela, dunque, la disgregazione del gruppo. Nella società consumistica viene
meno la dimensione della progettualità, giacché ogni legame durevole è rifiutato.
Bauman parla, infine, di un’economia dell’inganno, che porta verso quell’in-
soddisfazione permanente che è specchio dell’infelicità dell’uomo contemporaneo.

2.3. Senza padre37

Le analisi sull’identità inconsistente e l’insoddisfazione del soggetto sono


supportate da studi recenti di psicologia in cui si parla di “epoca dei traumi”,38 “vita

34
Ibidem, 33-34.
35
Lo sciame è un non-luogo disgregativo, chi ne fa parte sa che permarrà solo per un breve momento.
36
Cfr. Z. B auman , Homo consumens, 49.
37
Per l’approfondimento si rimanda a: M. R ecalcati , Cosa resta del padre?; I dem , Jacques La-
can. Desiderio, godimento e soggettivazione, Raffaello Cortina, Milano 2012; I dem , Il complesso di
Telemaco. Genitori e figli dopo il tramonto del padre, Feltrinelli, Milano ³2015.
38
Cfr. C. S oler , L’epoca dei traumi, Biblink, Roma 2004.
38 Gaspare Ivan PITARRESI

sganciata di senso”. Quest’assenza del senso è legata alla crisi dell’autorità resa con
una formula già utilizzata da Lacan, “evaporazione del padre”. Tale evaporazione dei
padri, tuttavia, non provoca solo il venir meno dell’esercizio dell’autorità da parte
del padre, ma anche il venir meno della funzione orientativa dell’Ideale nella vita sia
individuale sia collettiva,39 toccando così anche il modello di famiglia tradizionale.
Cosa resta del padre oggi, nella società segnata dalla crisi dell’educazione, dell’au-
torità, dalla messa in discussione di tutto ciò che è mappato come tradizionale? Che ne è
delle figure tradizionali? Pare che i papà di oggi non sappiano prendere più la parola, non
sappiano sostenere il peso simbolico della loro “funzione pubblica”, anzi, anche loro ap-
paiono smarriti, evaporati.40 Mentre, fino a qualche tempo fa, attorno alla figura del padre
ruotavano parole come “fondamento”, “garanzia”, “unicità”, “stabilità”. Pensare oggi la
paternità nei termini dell’evaporazione, del dissolvimento, vuol dire far decadere questa
impalcatura che trovava nell’autorità e nella Legge un fondamento stabile.
Scrive Recalcati:
«In altre parole, se la Legge simbolica della castrazione sembra non poter vantare più
alcuna credibilità di fronte a un sistema sociale che sponsorizza il godimento imme-
diato come unica forma di “dovere”, se questa Legge non è più sostenuta con efficacia
dalle istituzioni ideologicamente forti, quello che resta del padre è la dimensione in-
carnata della testimonianza».41

Il cambiamento dall’auctoritas paterna alla sua forma in chiave testimoniale


ci obbliga a riflettere su nuove frontiere dell’azione educativa e con una certa emer-
genza, poiché si tratta di ri-trattare la funzione del padre come custode di un “vuoto”,
del non-sapere, come condizione attuale della trasmissione del desiderio.42
Il passaggio può essere compreso in questo modo: dal padre che prescrive
una ricetta per tutto (compresa l’intera esistenza della vita) a un altro significato di
padre che sfodera la dote del riconoscimento. Non è tutto, poiché anche Dio è pre-
dicato in termini di “Padre”. Per la comunità ecclesiale, che si sa famiglia di Dio,
riflettere sull’evaporazione del modello familiare è urgente e opportuno, affinché si
colga meglio l’avventura, anche spirituale, che vede padri e figli in un rapporto di
trasmissione (narrazione, annuncio) e di responsabilità. Ogni paternità (di sangue, di
carne e spirituale) è chiamata a con-vertirsi da una logica di potere a una logica di
riconoscimento del dono dell’altro.

2.4. Senza Dio

Tra i tratti forse più emancipati dell’uomo contemporaneo è rilevante l’insen-


satezza del credere in Dio e l’inutilità di una qualsiasi esperienza comunitaria, esa-

39
Cfr. M. R ecalcati , Il complesso di Telemaco, 20.
40
Cfr. Ibidem, 23.
41
I dem , Cosa resta del padre?, 83-84.
42
Cfr. Ibidem, 85.
Dire l’uomo nell’epoca della ‘crisi’ 39

sperazioni di uno sfogo ateistico del ‘900. L’eclissi di Dio ha reso l’uomo libero, sen-
za nessun vincolo con il passato, anzi, egli diventa l’arbitro della propria vita e del
senso della sua esistenza. Dietro il proclama della morte di Dio si attualizza il crollo
delle certezze create dal cristianesimo; l’uomo nuovo, senza Dio, non ha, infatti,
punti di riferimento sicuri, diventando l’unico autore della propria vita.43 L’annuncio
nietzschiano “Dio è morto” raccoglie il grido liberatorio dell’uomo contemporaneo.
Tuttavia, afferma il filosofo italiano Sergio Quinzio:
«La solitudine dell’uomo è il tema della filosofia e dell’arte ai nostri giorni. Il rifiu-
to, che ieri era un atto di padronanza e di libertà, torna oggi all’uomo sotto forma di
peso, di limitazione, di chiusura, e l’uomo si sente solo perché gli manca quel che ha
rifiutato».44

Liberatosi di quest’assoluta presenza, l’uomo non tarda a sperimentare la sua


assoluta solitudine. «L’uomo – scrive D. Bonhöffer – ha imparato a bastare a se
stesso in tutte le questioni importanti senza l’ausilio dell’ipotesi di lavoro: Dio»; si è
visto che tutto funziona anche senza «Dio», e non meno bene di prima. Esattamente
come nel campo scientifico, anche nell’ambito generalmente umano Dio viene sem-
pre più respinto fuori dalla vita e perde terreno.45 Tuttavia, tolto Dio, all’uomo resta
la cura autonoma del proprio essere. L’autonomia dell’uomo è il grande mito della
razionalità moderna, ormai post-cristiana, in cui cerca ancora rifugio la solitudine
dell’uomo che ha perduto i suoi dei.46
Il teologo De Lubac, in Il dramma dell’umanesimo ateo, offre una sintesi che
individua alcuni sintomi che ci aiutano a fare un’analisi dell’uomo contemporaneo:
«Che cosa è avvenuto dell’uomo di questo umanesimo ateo? Un essere che appena si
osa chiamare ancora “essere”; una cosa che non ha interiorità, una cellula interamente
immersa in una massa in divenire; “uomo sociale e storico” di cui altro non resta che
una pura astrazione, al di fuori dei rapporti sociali e della situazione nella durata per
cui si definisce. Non c’è più in lui fissità, né profondità. (…) Questo uomo è letteral-
mente dissolto: che sia in nome del mito o della dialettica, l’uomo, perdendo la verità,
perde se stesso. In realtà non c’è più uomo, perché non c’è più nulla che trascenda
l’uomo».47

Occorre, allora, chiedersi: Cosa resta, dunque, dell’uomo “senza Trascenden-


za”? Oggi alcuni pensatori parlano già di post-umano. Si parla di “perdita di Dio”,
che diventa una perdita anche dell’uomo, poiché l’essere dell’uomo è la premessa
fuori discussione. Prima di perdere Dio «ha subìto la perdita dell’esperienza di al-

43
Cfr. G. B ucaro , Filosofia della religione. Forme e figure, Città Nuova, Roma 1986, 108.
44
S. Q uinzio , Religione e futuro, Adelphi, Milano 2001, 25.
45
Cfr. G. S avagnone , Il Vangelo nelle periferie. Comunicare la fede nella società-liquida, Deho-
niane, Bologna 2014, 85.
46
Cfr. M. R uggenini , Il Dio assente. La filosofia e l’esperienza del divino, Bruno Mondadori,
Milano 1997, 93.
47
H. D e L ubac , Il dramma dell’umanesimo ateo, Morcelliana, Brescia ¹³2013, 41.
40 Gaspare Ivan PITARRESI

terità che e-voca l’uomo nel suo essere: l’esperienza che lo chiama a esistere e a
pensare».48 Pertanto rimane emblematico il problema se sia morto davvero Dio o se
non sia morto l’uomo (almeno in senso spirituale).

2.5. Fuori-di-luogo

Un’ulteriore riflessione va avanzata sul rapporto dell’uomo con la località in cui


abita, giacché “abitare” vuol dire personalizzare il contesto o umanizzare lo spazio.
Secondo le intuizioni dell’etnologo Franco La Cecla, la facoltà di abitare vie-
ne a coincidere con la facoltà di perdersi, con la capacità di spaesamento e pertanto
di autentica esperienza:49 «Ci si perde nello stesso ambiente in cui si vive. Non gli si
appartiene: si è, rispetto ad esso, forestieri, distratti. Il cittadino di un territorio indu-
striale o postindustriale è, lo voglia o no, un consumatore di domicili».50 La condi-
zione di spaesamento ambientale indica l’essere fuori-di-luogo, tipica dell’uomo di
oggi che ha svanito il suo rapporto col mondo circostante. Come imparare a trovare
un “senso”, una direzione, nella minacciosa confusione del luogo che ci circonda?
Ebbene, perdersi si presenta inizialmente come un’esperienza di pericolo, ma può
anche manifestarsi come un’occasione per un oltrepassamento della situazione: per-
dersi in questi casi è la situazione d’origine, il bisogno e il terreno su cui si comincia
(o si ricomincia) ad orientarsi.51 Una possibile rilocazione è possibile, secondo l’au-
tore, a partire dall’iter d’insediamento. Termini come approdare, fondare, trasferire
e ricostruire identificano l’abitare come facoltà tipicamente umana.
Un’intuizione che vale la pena far emergere è il collegamento con la casa, in
quanto metafora antropologica. Un uomo senza ambiente e senza dimora è di fatto
un uomo che fatica a ritessere le relazioni “umane”: «la casa o l’insediamento sono
l’immagine invertita, riflessa, allo specchio, del mondo: una immagine parallela e
non illusoria, un microcosmo, un cosmo entrato per porta e riflesso in un interno».52
La riflessione a partire dalla località, che è un altro nome per indicare l’appartenenza,
è interessante perché affronta la questione dell’identità che si fonda su un distacco
e su di un passaggio: «È la forma del possesso di un luogo da parte dei suoi abitanti
e viceversa. Si può anche chiamare “appartenenza”, traducendo il termine inglese
belonging (A. Cohen, 1982) che è attivo in due sensi, dei luoghi e delle persone».53
Si afferma la necessità di ricentrare le città in cui abitiamo, giacché si è passati
dai centri delle città, dei borghi e delle piazze di ritrovo ai “centri commerciali” dello
shopping. L’assenza del senso di centro, di direzione, di località, di spazio rimanda a
ben altra riflessione: si deve centrare l’uomo stesso, è prioritario ritornare ad abitare
il luogo che si è fondamentalmente, ritrovando un centro (centrarsi), ri-trovarsi.

48
M. Ruggenini, Il Dio assente, 102.
49
Cfr. G. Vattimo, Prefazione, in: F. La Cecla, Perdersi. L’uomo senza ambiente, Laterza, Bari 2005, IX-X.
50
Ibidem, IV.
51
Ibidem, 16.
52
Ibidem, 111.
53
Ibidem, 33.
Dire l’uomo nell’epoca della ‘crisi’ 41

3. Essere senza appartenere

I tratti di uomo analizzati ci consegnano un ritratto abbastanza verosimile


dell’uomo che ciascuno di noi è. Ci invitano a una seria e significativa ri-trattazione
dell’humanum, obbligandoci a porre l’attenzione su alcune domande: come annun-
ciare o parlare di Dio all’uomo contemporaneo? Attraverso quali categorie è ancora
possibile educare alla fede oggi? Da quale paradigma poter ripartire, considerata la
complessità delle dimensioni che attraversano l’umano e l’irriducibilità della Per-
sona? Quale umanesimo prospettare alla luce di un’antropologia che tramonta, e
si caratterizza attraverso la privazione come elemento caratterizzante? E ancora:,
«come sarà possibile rigenerare questi legami costitutivi per dar voce al desiderio di
riconoscimento, unità e comunione della famiglia umana?».54
È possibile essere senza appartenere? Si tratta di una domanda rischiosa per
la Verità stessa dell’uomo, poiché minaccia la sua unità nel Tutto. Questo impegna
non solo i cammini dell’antropologia come riflessione filosofica specifica sull’uomo,
ma anche un sinergico dialogo tra agenzie educative capaci di rielaborare, insieme
e non solo settorialmente, il luogo antropologico (dalla de-costruzione del soggetto
alla sua possibile ri-costruzione).
Il fil-rouge che tiene uniti i vari tratti dell’uomo contemporaneo, può essere
individuato nell’incapacità di costruire legami di appartenenza. Ricucire l’unità di
questi ambiti scollati è fondamentale perché attraverso gli altri si matura il senso
di sé, e in tale paradigma dell’appartenenza entrano in gioco le dinamiche ineren-
ti alterità, differenze, conflitto, necessari per divenire sé, o detto altrimenti: per la
costruzione dell’identità. Il problema già avanzato della crisi dell’identità, di fatto,
non è che un rimando all’incapacità di relazionalità. Si avverte una certa incapacità
a far dialogare quegli elementi55 che articolano l’umano: interno-esterno, io-altro,
io-comunità, io-Dio. La sfida è recuperare la specificità ontologica, in quanto essere
aperto alla relazione, perché: «senza la presenza dell’Altro la vita umana muore,
appassisce, perde il sentimento stesso della vita, si spegne».56
Alla luce delle analisi sull’homo consumens, il risultato preponderante è quel-
lo di un individuo che ingozzandosi di prodotti e godendo di beni fabbricati diviene
succube della società “Grande Madre” (=soddisfazione dei bisogni).57
L’idea di “appartenenza ad una comunità” allude immediatamente al lega-
me primario dell’essere insieme dell’ambiente familiare e declinato all’interno della
casa. Recalcati individua la dialettica “socialismo” (appartenenza alla cultura del
proprio gruppo) e “narcisismo” (differenziazione dal gruppo di appartenenza), e sug-
gerisce che la malattia di ogni legame (anche quello della famiglia) scaturisce dalla
frattura di questa.58 L’esistenza umana non è un’autosufficienza, non dipende solo
da se stessa; il debito simbolico indica che la nostra esistenza dipende sempre da ciò

54
Traccia, 25.
55
Identità, relazionalità, storicità.
56
M. R ecalcati , Il complesso di Telemaco, 33.
57
Cfr. C. Risè, Il padre, l’assente inaccettabile, San Paolo, Cinisello Balsamo (Milano) 2003, 70.106-107.
58
Cfr. M. R ecalcati Cosa resta del padre?, 94.
42 Gaspare Ivan PITARRESI

che avviene o è avvenuto nell’Altro,59 da un farsi che addita un divenire sé sempre e


attraverso la grazia di un altro, d’altro, dell’Altro.
Le dinamiche dei nostri cammini di fede ecclesiale, dell’annuncio e anche
della testimonianza non sono esenti da questi meccanismi. La destabilizzazione dei
legami d’appartenenza è stata definita attraverso la categoria delle relazioni liquide
che dà adito a una società piuttosto narcisistica (società dell’immagine, dei profili,
delle pubblicazioni delle foto, delle visualizzazioni, ecc.).

4. Crisi dell’uomo: crisi dell’educazione?

A partire dall’interrogativo del Convegno ecclesiale di Firenze, che intende farsi


carico di ripensare, guardando a Cristo Gesù, il rapporto tra Dio e l’uomo e degli uomini
tra di loro, si delinea il compito di tutta la comunità ecclesiale (e al suo interno nei vari
settori: giovanile, familiare, culturale), di predisporre un ri-pensamento dell’azione edu-
cativa. C’è un’evidente richiesta: ri-condurre all’unità gli ambiti che risultano scollati
dalla modernità, poiché l’uomo contemporaneo è stato modellato dalla civiltà moderna.60
Da tutto ciò nasce l’esigenza di recuperare quell’umano che si è frantumato.
Come afferma in maniera coincisa Salvatore Currò:
«La crisi della pastorale attuale è infatti crisi antropologica. Più precisamente, è in
crisi l’antropologia che fa da orizzonte all’attuale pastorale. Il sospetto è che tale
antropologia non interpreti a fondo la verità dell’umano e allo stesso tempo non sia
all’altezza della misura della Rivelazione. Ma qual è questa antropologia? […] Sono
le categorie legate alla ricerca di senso e al progetto di vita, facilmente riscontrabili
nei più importanti documenti della Chiesa italiana».61

Il richiamo antropologico all’esperienza originaria dell’uomo come essere re-


lazionale è opportuno soprattutto per pensare percorsi e/o progetti di annuncio. È
la via delle relazioni che vogliamo perseguire come azione di recupero per l’uomo
di oggi, o detto altrimenti, per ritrovare il gusto dell’umano. Gli stessi rapporti in-
ter-personali vanno individuati come veri e propri “luoghi d’annuncio”, le relazioni
sono il luogo di trasmissione per l’annuncio del Vangelo.62 Papa Francesco afferma
che: «uscire da sé stessi per unirsi agli altri fa bene. Chiudersi in sé stessi significa as-
saggiare l’amaro veleno dell’immanenza, e l’immanenza, e l’umanità avrà la peggio
in ogni scelta egoistica che facciamo».63 E ancora: «l’individualismo postmoderno e
globalizzato favorisce uno stile di vita che indebolisce lo sviluppo e la stabilità dei
legami tra le persone, e che snatura i vincoli familiari».64

Cfr. Ibidem, 102.


59

Cfr. S. Q uinzio , Religione e futuro, 13.


60

61
S. C urrò , Il soggetto, le relazioni e l’iniziativa di Dio. Il nodo antropologico della pastorale, in:
“Ho Theológos” 28 (2010) 29-30.
62
EG, 127.
63
Ibidem, 87.
64
Ibidem, 67.
Dire l’uomo nell’epoca della ‘crisi’ 43

C’è una dinamica testimoniale che viene prima di ogni bel discorso che pos-
siamo fare sul Vangelo. Il dialogo “personale”, “familiare” – narrativo - precede ogni
catechesi. Sottolinea, difatti che dall’impoverimento e dalla frammentazione delle
relazioni sorge la domanda sul modo con cui può avvenire oggi la trasmissione della
fede.65 Se è vero che occorrono nuovi modelli antropologici, questo è già affermare
che occorrono anche nuovi modelli di pastorale e di catechesi.

5. L’ a-priori della relazione

L’educazione chiama “in rel-azione” educatore ed educando soprattutto alla


formazione dell’identità. La dialettica sé-altro è fondamentale nella costruzione del-
la personalità che avviene durante le diverse tappe del cammino della vita. Costruire
l’identità del sé in rapporto all’altro è indubbiamente l’elemento più importante e
fragile della relazione educativa, perché è qui che si gioca l’“essere e divenire per-
sone più autenticamente umane”. Nelle relazioni l’uomo è chiamato a formare la sua
identità, lo stesso apprendimento è sempre questione di relazione.
L’educatore non è soltanto colui che applica un metodo, un “tecnico” che dopo
aver appreso dei contenuti li applica in un contesto ben delineato, come spesso si è
tentati di pensare, ma è anche una persona fatta di cuore, mente, corpo. È cambiato
il paradigma educativo, “da me verso l’altro” si è passati al punto di vista dell’altro,
che presuppone l’inclusione delle differenze, la necessità dell’altro per divenire più
“io”. Gli orientamenti della filosofia contemporanea ci indirizzano verso questo ca-
povolgimento che si può riassumere nel movimento “dall’altro a me”.
«La crisi del discorso educativo non è solo crisi del potere disciplinare nel processo
della formazione, ma è soprattutto crisi del senso stesso e, più fondamentale, di quel proces-
so che si vuole definire «educazione» e che Françoise Dolto propone di chiamare più este-
samente “umanizzazione della vita”, da cui dipende il nostro poter diventare soggetti».66
Se, allora, l’educazione può essere definita come “umanizzazione della vita”,
la scuola rischia di non essere più il luogo (pubblico) della formazione dei soggetti.
È evaporata la metafora, tratta dalla botanica, della “vite storta” da raddrizzare che
ha scandito per più di vent’anni il nostro modello educativo. La metafora più idonea
oggi è quella dell’informatica, del PC. Si è persa quella verticalità gerarchizzante,
giacché ogni riferimento istituzionale, accentratore, persino la conoscenza stessa si
estendono adesso orizzontalmente. Ciò che si viene a perdere è il rapporto indispen-
sabile del sapere con la vita. Occorre ridisegnare un modello educativo capace di
ricongiungere il sapere (le conoscenze, i contenuti) con l’esistenza, con i vissuti.
Una prima accezione che si può dare ai nostri itinerari di formazione è indub-
biamente quella del “prendersi cura di sé e dell’altro”. Un educatore deve fare i conti
con persone, e la persona è un centro vitale che include in sé diversi aspetti di cui non

65
Cfr. CEI, Educare alla vita buona del Vangelo. Orientamenti pastorali dell’episcopato italiano
per il decennio 2010-2020, 4 ottobre 2010, in: “Notiziario della Conferenza Episcopale Italiana” 44
(2010) 243-302.
66
M. R ecalcati , L’ora di lezione. L’ora dell’insegnamento, Einaudi, Torino 2014, 11.
44 Gaspare Ivan PITARRESI

possiamo mortificarne la valenza (Corpo, Relazione e Libertà). Oltre tutto, le condi-


zioni per la realizzazione di tale “relazione” sono possibili se si tiene bene in conside-
razione la persona nella sua fragilità, sviluppando un graduale atteggiamento di cura.
È nella condivisione e nella docilità, rilevabili nel gesto del curare, che l’educatore
accompagna l’educando a crescere. Ogni relazione contribuisce alla costruzione del
sé, da quando siamo accolti nella vita tramite la madre fino alla fine. Proprio per questo
l’educazione va orientata come un itinerario di personalizzazione, e cioè se questa si
presenta, non solo nelle apparenze, come un cammino. L’immagine del cammino ci
dice che l’educazione è un per-corso in divenire, progressivo. È una relazione che si
trasforma nel tempo.67 Condividere un cammino, cioè essere educatori/compagni di
strada vuol dire anche incontrarsi, ascoltarsi, essere corresponsabili gli uni degli altri,
perché in questo spazio ci giochiamo la possibilità dell’altro, di prendere coscienza del
proprio essere (dimensione ontologica) e dover-essere (dimensione etica).
In parole semplici, all’educatore è chiesto l’inaudito: ri-comporre la frattura
dell’essere in frantumi (fragilità), ovvero recuperare l’unità della persona, giacché,
«la via dell’intero è riconosciuta come via dell’umano».68

6. Per un Umanesimo com-passionevole

È stato rilevato con insistenza: la crisi dell’uomo è un grido, un appello alla


Chiesa. Il verbo “ascoltare” è la chiave di lettura per una Chiesa che si presenti com-
passionevole, non solo nella sua immagine, ma anche ‘spazialmente’ e nel suo esse-
re-segno che orienta in Gesù Cristo. C’è un cercare inquieto del cuore dell’uomo, per
cui il nuovo umanesimo è chiamato a mettersi in ascolto del “dolore dell’umanità”.69
Mettersi in ascolto è già compatire, «aprire il nostro spazio interiore»,70 perché «la
Chiesa è chiamata ad essere sempre la casa aperta del Padre».71
Una Chiesa che, fedele al suo Sposo, è chiamata ad assumere tutti gli strati e i
vissuti dell’umano - tutto l’uomo -, dal momento che, come si evince anche dal celebre
principio soteriologico usato nella Cristologia, tutto ciò che è assunto è salvato in Cri-
sto. Un umanesimo nuovo che diviene auto-espressione dell’ascolto delle dimensioni
che intersecano l’uomo, per potersi tradurre in tutti gli ambiti della fede comune (teolo-
gia, diaconia, magistero, azione pastorale, diritto). Occorre riscoprire tutta l’umanità di
Gesù nel dialogo col mondo, assumendo una disposizione kenotica per meglio “entrare
in rapporto con l’altro”, incidere sulla realtà, per manifestare che è ancora possibile
riconciliare l’uomo con l’altro uomo, l’uomo a Dio, l’uomo a se stesso.
Un umanesimo nuovo e “altro”, storico e concreto, integrale e comunitario, inclusi-
vo e compassionevole può essere credibile solo se si basa sull’insegnamento del Maestro
di Nazareth, di avere il proprio cuore (cor) vicino ai miseri (poveri, bisognosi, immigranti).

67
Cfr. CEI, Educare alla vita buona del Vangelo, 31, in: “Notiziario della Conferenza Episcopale
Italiana” 44 (2010) 273-274.
68
Traccia, 19.
69
E. H illesum , Diario 1941-1943, a cura di J.G. G aarlandt , Adelphi, Milano 1996, 48.
70
Ibidem, 49.
71
EG, 47.
ITINERARIUM
RIVISTA MULTIDISCIPLINARE
DELL’ISTITUTO TEOLOGICO “SAN TOMMASO”
MESSINA – Italy

61
Anno 23 - 2015/3
Indice

Itinerarium 23 (2015) n. 61, settembre-dicembre 2015

Editoriale
Cassaro Giuseppe Carlo, La misericordia: potenza che trasforma il mondo . . 11

Sezione Monografica (a cura di Carmelo Sciuto e Gaspare Ivan Pitarresi):


Verso Firenze 2015. Ritrovare il “gusto per l’umano”
Raspanti Antonino, In Gesù Cristo il nuovo umanesimo.
La traccia: uno strumento per un cammino sinodale . . . . . . . . . . . . 21
Pitarresi Gaspare Ivan, Dire l’uomo nell’epoca della ‘crisi’.
Per un umanesimo in ascolto “dell’urlo dell’uomo solo” . . . . . . . . . . 31
Sciuto Carmelo, La famiglia: culla di un nuovo umanesimo.
Annunciare la fede “in” e “con” la famiglia . . . . . . . . . . . . . . . . 45
Diaco Ernesto, La Chiesa italiana a Firenze: l’umanesimo della prossimità . . . 61
Donatello Veronica Amata, Guardando all’altro mi scopro onni-debole anch’io…
piuttosto che onnipotente. Per un umanesimo davvero “inclusivo” . . . . . 73

Laboratorio di Bioetica
Suaudeau Jacques, Cellule staminali pluripotenti indotte (iPSCs). Prima parte . . . 85

Monografia (a cura di Giovanni Russo):


Fecondazione eterologa. Questioni biogiuridiche
Agosta Stefano, Tra seguito normativo e giurisprudenziale: la riespansione
del diritto di formare una famiglia con figli all’indomani della caducazione
del divieto di eterologa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 107
Randazzo Alberto, Brevi note sulla giurisprudenza della Corte europea
dei diritti umani in tema di fecondazione eterologa . . . . . . . . . . . . . 115
Mollica Poeta Loredana, La fecondazione eterologa: dubbi ed incertezze
ad un anno dalla sentenza n. 162 del 2014 della Corte costituzionale . . . 121

Miscellanea
Conte Nunzio, «Scelto per annunciare il Vangelo di Dio» (Rm 1,1b).
Abilità e qualità dell’omileta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 127
Mursia Antonio, «Ad effectum costruendi conventum cappuccinorum».
Alcune note sulla fondazione del convento dell’Immacolata Concezione
di Adrano (1608-1668) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 145

Discussioni
Gensabella Furnari Marianna, La bellezza che salva.
A proposito di un recente saggio di Nunziella Scopelliti . . . . . . . . . . . 155

Biblioteca . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 161
Cineteca . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 168
Libri pervenuti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 174
Collaboratori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 176
Sezione Monografica

VERSO FIRENZE 2015


RITROVARE IL “GUSTO PER L’UMANO”
(a cura di Carmelo Sciuto - Gaspare Ivan Pitarresi)

In Gesù Cristo il nuovo umanesimo


La traccia: uno strumento per un cammino sinodale
Antonino Raspanti

Dire l’uomo nell’epoca della ‘crisi’


Per un umanesimo in ascolto “dell’urlo dell’uomo solo”
Gaspare Ivan Pitarresi

La famiglia: culla di un nuovo umanesimo


Annunciare la fede “in” e “con” la famiglia
Carmelo Sciuto

La Chiesa italiana a Firenze:


l’umanesimo della prossimità
Ernesto Diaco

Guardando all’altro mi scopro


onni-debole anch’io… piuttosto che onnipotente
Per un umanesimo davvero “inclusivo”
Veronica Amata Donatello
45

Itinerarium 23 (2015) 61, 45-60

LA FAMIGLIA: CULLA DI UN NUOVO UMANESIMO.


ANNUNCIARE LA FEDE “IN” E “CON” LA FAMIGLIA

Carmelo Sciuto*

Introduzione: “abitiamo” il nostro tempo in “crisi”!

«A chi posso paragonare questa generazione? È simile a bambini che stanno


seduti in piazza e, rivolti ai compagni, gridano: “Vi abbiamo suonato il flauto e non
avete ballato, abbiamo cantato un lamento e non vi siete battuti il petto!”» (Mt 11,16-
17). Questo brano di Matteo esprime bene i sentimenti di tanti sacerdoti, catechisti
e operatori pastorali, quando si parla di catechesi di iniziazione cristiana (=IC) e del
relativo coinvolgimento/accompagnamento delle famiglie nel cammino formativo
dei figli. La situazione è facilmente descrivibile: i bambini e i ragazzi abbandonano
le parrocchie dopo la cresima; la parrocchia diventa un “sacramentificio” o, meglio,
un “distributore automatico” di sacramenti; le famiglie sono poco interessate alla
fede e alla vita cristiana; i genitori spesso delegano alle parrocchie l’educazione
cristiana dei loro figli; gli adulti non sono più capaci di comunicare la fede; la ca-
techesi è ridotta alla pari di qualunque altra attività che i ragazzi svolgono durante
la settimana, qualche volta, anzi, è l’ultima delle loro preoccupazioni; le catechiste
(al femminile, perché i catechisti sono pochi!) diminuiscono di numero e si fatica a
coinvolgere in questo servizio nuove figure educative.
Di fronte a questa situazione “scoraggiante”, la Parola richiama alla fiducia
nella promessa fedele di Gesù: «Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del
mondo» (Mt 18,20). Quindi, senza abbandonarsi a facili entusiasmi, è necessario
ri-dare fiato alla speranza, prendendo le distanze da dolorose e sterili rassegnazioni,
lontane dallo spirito evangelico. D’altronde, ha affermato papa Francesco in Evan-
gelii Gaudium, «La gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si
incontrano con Gesù. Coloro che si lasciano salvare da Lui sono liberati dal peccato,
dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall’isolamento. Con Gesù Cristo sempre nasce e
rinasce la gioia».1
È vero, la situazione di “crisi della fede” e della sua comunicazione è sotto
gli occhi di tutti e gli elementi a cui si è accennato, sono manifestazione ed effetto
di cambiamenti radicali che sono avvenuti: il mondo sta cambiando. Si trasforma
il modo di pensare, di agire, di scegliere, di valutare, di comunicare... Aumenta la
mobilità e la globalizzazione. Cambia la geografia delle culture e degli stili di vita.

*
Docente di Catechetica presso lo Studio Teologico “S. Paolo” di Catania.
1
Francesco, Evangelii gaudium. Esortazione apostolica sull’annuncio del Vangelo nel mondo
attuale, 24 novembre 2013, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2013, 1.
46 Carmelo SCIUTO

Tutto ciò sfida i meccanismi abituali della trasmissione della fede. Spesso si parla
di eclissi di Dio, indifferenza religiosa, fede bricolage… La “crisi”, quindi, è reale
e non va sottovalutata; interpella la Chiesa a recuperare uno sguardo di fede: anche
questo tempo, è tempo di grazia, di iniziativa gratuita di Dio; un tempo da “abitare”
con tutto il nostro essere uomini e donne di oggi.2 Dio ci precede “in Galilea”, nella
Galilea delle genti, dove la vita avviene (cfr. Mt 28,7). Dio non ha disertato il mondo
e continua a pronunciare una parola di bene anche su questo mondo, per gli uomini
e le donne di questo nostro tempo.3 La “crisi”, allora, può essere feconda perché,
come ogni “crisi”, può ricondurre all’essenziale. A quell’essenziale della Chiesa che
è la missione di annunciare il Vangelo, la “buona notizia” della prossimità di Dio per
l’uomo.4

1. La famiglia nell’IC: “problema” o “risorsa”?

Sebbene il catecumenato antico, a cui si ispirano i nuovi percorsi d’IC, non


conosca il ruolo formativo della famiglia, «anche quando a convertirsi era una fa-
miglia intera, infatti, il tramite con la comunità cristiana era il garante, la persona
che con il suo agire o la sua parola aveva suscitato un interesse nei futuri catecume-
ni, e si offriva di accompagnarli personalmente nel cammino»,5 la proposta attuale
considera, giustamente, le famiglie come una realtà fondamentale per l’educazione
cristiana dei figli, offrendo loro l’occasione per siglare un patto di corresponsabilità
con la comunità cristiana per “l’educazione della fede” di coloro che hanno generato
alla vita.6
Così, nonostante l’istituzione familiare costituisca oggi un “problema” pasto-
rale, è considerata pure una “risorsa” per il processo di IC.7 I documenti ecclesiali,

2
Cfr. Conferenza Episcopale Italiana (=CEI) – Comitato preparatorio del 5° Convegno Eccle-
siale Nazionale, In Gesù Cristo il nuovo umanesimo. Una traccia per il cammino verso il 5° Convegno
Ecclesiale Nazionale, 9 novembre 2014, Paoline, Milano 2014 (= Traccia), 49-51.
3
Cfr. Traccia, 32-36.
4
Cfr. Ibidem, 48.
5
U. Lorenzi, L’ispirazione catecumenale dell’IC dei ragazzi per una ripresa sostenibile, in: M. R.
Attanasio (ed.), Iniziazione cristiana per i nativi digitali. Orientamenti socio-pedagogici e catechistici,
Paoline, Milano 2012, 29.
6
Cfr. G. Alcamo, La famiglia e la Chiesa nell’attuale sfida educativa, in: “Itinerarium” 19 (2011)
88-89.
7
Oggi la realtà familiare italiana appare alquanto complessa e problematica. Dal punto di vista
religioso sono compresenti “lontananza” teorica o pratica più o meno consapevole, pratiche religiose
tradizionali, accanto ad autentiche riappropriazione della vita di fede riscoperta dopo anni di “lonta-
nanza”. A tutto ciò si aggiungono: il fenomeno migratorio che vede le famiglie non cristiane chiedere i
sacramenti per i figli a motivo della loro “piena integrazione”; l’aggregazione alla comunità cristiana; la
richiesta di Battesimo da parte di genitori adottivi o affidatari; l’aumento di genitori che non battezzano
i figli in nome di una “libertà di scelta”. Cfr. A. Castegnaro, Risorse e limiti della famiglia in ordine
all’educazione cristiana dei fanciulli e dei ragazzi, in: “Notiziario Ufficio Catechistico Nazionale” 34
(2005) 22-43; R. Bonetti, Catechisti e catechesi per la famiglia: nuovi percorsi e nuove competenze
per una rinnovata prassi familiare, in: “Itinerarium” 23 (2015) 81-94.
La famiglia: culla di un nuovo umanesimo 47

infatti, parlano di famiglia come “Chiesa domestica” nel cui interno i genitori sono i
primi educatori nella fede dei figli:8 si tratta di far loro la proposta di fede esplicita,
perché possano aiutare i figli a vivere il loro cammino in un sistema di “alleanze
educative”.
Gli orientamenti decennali sull’educazione della Chiesa italiana, a questo pro-
posito, affermano:
«La famiglia va […] amata, sostenuta e resa protagonista attiva dell’educazione non
solo per i figli, ma per l’intera comunità. Deve crescere la consapevolezza di una mi-
nisterialità che scaturisce dal sacramento del matrimonio e chiama l’uomo e la donna
a essere segno dell’amore di Dio che si prende cura di ogni suo figlio».9

Ed Incontriamo Gesù sollecita a

«pensare ai genitori cristiani, qualunque situazione essi vivano, come i primi educatori
nella fede: essi, salvo espliciti rifiuti, con il dono della vita desiderano per i propri figli
anche il bene della fede. Proprio per questo, la comunità cristiana deve alla famiglia
una collaborazione leale ed esplicita, considerandola la prima alleata di ogni proposta
catechistica offerta ai piccoli ed alle nuove generazioni. In tal senso va valorizzato
ogni autentico sforzo educativo in senso cristiano compiuto da parte dei genitori».10

In effetti, «la realtà familiare e l’amore dei genitori verso i figli sono l’ambito
naturale e primordiale nel quale la proposta di fede è chiamata a manifestare il suo
carattere di promessa, di speranza e fiducia nell’affrontare la vita».11
Gesù nel vangelo interviene spesso con i genitori e i figli, a partire da “moti-
vazioni umane”.
Il celebre brano di Mt 19,13-15 racconta dell’incontro di Gesù con i genitori
che gli presentano i loro bambini in base a una domanda religiosa: «Allora gli furo-
no portati dei bambini perché imponesse loro le mani e pregasse; ma i discepoli li
rimproverarono. Gesù però disse: “Lasciateli, non impedite che i bambini vengano
a me; a chi è come loro, infatti, appartiene il regno dei cieli”. E, dopo avere imposto
loro le mani, andò via di là».
Il rimprovero del Maestro non è rivolto ai bambini ma a coloro che li portano
da Gesù, ai genitori che cercano in Gesù un gesto di attenzione simile a quello che
veniva richiesto ai rabbì del tempo. Lo “zelo” dei discepoli vorrebbe far capire a
quegli adulti che Gesù non è un rabbì come gli altri e, che quindi, vanno “verificate”
le motivazioni di fede.

8
Cfr. Concilio Vaticano II, Lumen Gentium. Costituzione dogmatica sulla Chiesa, 21 novembre
1964, 11, in: EV, 1, 314; Giovanni Paolo II, Familiaris consortio. Esortazione apostolica circa i com-
piti della famiglia cristiana nel mondo di oggi, 22 novembre 1981, 49, in: EV, 7, 1678; A. Bollin, La
famiglia, “Chiesa domestica” per la catechesi, in: “Catechesi” 84 (2014-2015) 3, 27-40.
9
CEI, Educare alla vita buona del Vangelo. Orientamenti pastorali dell’episcopato italiano per il de-
cennio 2010-2020, 4 ottobre 2010, 38, in: “Notiziario della Conferenza Episcopale Italiana” 44 (2010) 280.
10
CEI, Incontriamo Gesù. Orientamenti per l’annuncio e la catechesi in Italia, 29 giugno 2014, 28,
in: “Notiziario della Conferenza Episcopale Italiana” 48 (2014) 228.
11
Ibidem, 69, in: “Notiziario della Conferenza Episcopale Italiana” 48 (2014) 265.
48 Carmelo SCIUTO

Gesù, invece, riduce questa preoccupazione dei discepoli, accogliendo incon-


dizionatamente la richiesta di quei genitori: impone le mani sui figli e poi li indica
come segno dell’accoglienza del regno. Quest’accoglienza dei bambini da parte di
Gesù diventa, allora, insegnamento per gli adulti. Gesù utilizza due verbi “impor-
tanti”: lasciateli; i discepoli sono invitati a “lasciare” che gli adulti con i loro figli si
possano accostare a Gesù anche con motivazioni deboli (si parte proprio da lì). E poi:
non impedite che i bambini vengano a Lui, perché la sua proposta è rivolta anche a
loro, pienamente partecipi di quel regno che egli è venuto a inaugurare. In sintesi,
il brano sembra suggerire alla prassi catechistica la necessità di riconoscere una re-
lazione virtuosa genitori-figli in relazione ai percorsi religiosi o di fede. I bambini
portati da Gesù con varie motivazioni, sono l’occasione rivolta anche agli adulti di
crescere secondo le prospettive del regno.
Mc 5,21-24.35-43, invece, mostra l’intervento di Gesù in un’esperienza fami-
liare segnata dalla malattia e dalla morte:
«Essendo Gesù passato di nuovo in barca all’altra riva, gli si radunò attorno molta
folla ed egli stava lungo il mare. E venne uno dei capi della sinagoga, di nome Giàiro,
il quale, come lo vide, gli si gettò ai piedi e lo supplicò con insistenza: “La mia figlio-
letta sta morendo: vieni a imporle le mani, perché sia salvata e viva” […] Egli, cacciati
tutti fuori, prese con sé il padre e la madre della bambina e quelli che erano con lui
ed entrò dove era la bambina. Prese la mano della bambina e le disse: “Talità kum”,
che significa: “Fanciulla, io ti dico: àlzati!”. E subito la fanciulla si alzò e camminava;
aveva infatti dodici anni».

Ciò che muove il padre, non è la “richiesta dei sacramenti” o il “catechismo”


da frequentare, o “l’abito della prima comunione” da indossare, ma la drammatica
“richiesta di vita” per la figlia. L’incontro con Gesù è rivolto solo a questa “esigenza
umana”. Il brano consente di capire che la vita vera non è separabile dalla fede: «Non
temere, soltanto abbi fede!» (Mc 5, 36). Solo custodendo la fede in Gesù l’uomo
trova pienezza di vita.12 Avere fede significa fidarsi di Gesù, pregarlo di intervenire,
sfidare la mentalità corrente e la rassegnazione, essere testimoni di quello che com-
pie, agire responsabilmente per custodire il dono.
Il brano suggerisce, allora, la necessità di incrociare la catechesi con una
richiesta di vita.13 Si tratta di “fare alleanza” con il “desiderio” di un genitore di
veder crescere un figlio in maniera sana e armoniosa, perché la sua vita sia custodita
e preservata dai pericoli. Al contempo si vuole aiutarlo a capire che le misure della
vita, quella vera, le conosce e le apre solo Gesù.
La proposta cristiana non è rivolta all’indottrinare ma a “liberare la vita”. La
catechesi, diventa così l’occasione per conoscere la vita, incoraggiarla, liberarla da
quello che la riduce o la blocca. È l’occasione per rialzare quella parte di vita che tal-
volta è addormentata anche a motivo di un’azione educativa assopita: «Talità kum»,

12
Cfr. Concilio Vaticano II, Gaudium et Spes. Costituzione dogmatica sulla Chiesa nel mondo
contemporaneo, 7 dicembre 1965, 22, in: EV, 1, 1385.
13
Cfr. Traccia, 32-34.
La famiglia: culla di un nuovo umanesimo 49

che significa «Fanciulla, io ti dico: àlzati!» (Mc 5, 41), è la prospettiva della risurre-
zione che Gesù indica, perché solo essa rende piena la vita.14
Le maggiori esperienze rinnovate di IC italiane vedono una costante parteci-
pazione dei genitori nei cammini iniziatici dei figli, spostando di fatto e gradualmen-
te il centro gravitazionale dai piccoli (puerocentrismo) agli adulti. Ciò non per smi-
nuire l’itinerario dei ragazzi, ma per passare «significativamente a un vero processo
di catechesi di adulti, nella convinzione poi che questa è la premessa migliore per
garantire allo stesso tempo la riuscita dell’azione pastorale con i figli».15
Questo coinvolgimento nasce dalla consapevolezza che «la sensibilizzazio-
ne delle comunità cristiane e una considerazione non superficiale dei ragazzi stessi
servirebbe a poco se i genitori non comprendessero l’opportunità di contribuire alla
realizzazione di un’iniziazione più efficace».16 Una delle lacune dell’attuale prassi
catechistica, infatti, è la tendenziale carenza di dialogo tra famiglie e comunità cri-
stiana, evidenziata dalla sostanziale estraneità della prima fase della vita del bambi-
no che va dal Battesimo all’iscrizione al catechismo a 7/8 anni.
Riteniamo, invece, essenziale il coinvolgimento delle famiglie e in modo par-
ticolare dei genitori, nell’IC cristiana dei figli almeno per un duplice motivo: la loro
responsabilità originaria nella trasmissione della fede ai figli; l’opportunità offerta
dalla comunità per essere re-iniziati alla fede.17

2. La famiglia: una realtà al plurale

Oggi si discute molto sulla famiglia: è analizzata, apprezzata, amata e a


volte, anche idealizzata, a seconda dei motivi che preoccupano chi è interessato
all’argomento. Se da un lato, lo studio della famiglia «costituisce non solo uno
dei nodi antropologici più cruciali della nostra società, ma un crocevia di nodi,
al punto da essere il coagulo di tutte le questioni antropologiche fondamentali:
amore, sessualità, corporeità, futuro, libertà e scelta, educazione, politica, ecc.»;18
dall’altro, nessun’altra istituzione sociale appare oggi così avversata dalla cultura
contemporanea e dai mezzi di comunicazione, minacciandone il concetto tradi-
zionale o proponendo altri modelli che vogliono essere riconosciuti con la stessa
identità e dignità.19
La famiglia, secondo la psicologia delle relazioni e quella sociale, è la forma
sociale primaria

14
Cfr. Traccia, 35-36.
15
S. Giusti, La via italiana alla catechesi familiare, Paoline, Milano 2008, 32.
16
P. Sartor, I soggetti in cammino. III. I genitori, in: Idem – A. Ciucci (edd.), Nella logica del
catecumenato. Pratica dell’iniziazione cristiana con i ragazzi, Dehoniane, Bologna 2010, 63.
17
Cfr. P. Sirianni, La famiglia “punto nodale della nuova evangelizzazione”, in: “Catechesi” 84
(2014-2015) 5, 53-64.
18
P. Del Core, Quale famiglia? Le coordinate psico-sociologiche di una situazione in cambiamen-
to, in: “Rivista di Scienze dell’Educazione” 47 (2009) 266.
19
Cfr. J. Vallabaraj, Formazione della famiglia per la comunicazione della fede, in: “Catechesi”
80 (2010-2011) 5, 64.
50 Carmelo SCIUTO

«perché sta all’origine della stessa civilizzazione in quanto luogo che garantisce il
processo generativo da un punto di vista biologico, psicologico, sociale e culturale.
Dalla sua tenuta dipende in larga misura la salute della società. Quando infatti la
famiglia non funziona su larga scala la società si trova di fronte a problemi sociali
irrisolvibili (criminalità diffusa, malattia psichica, droga, ecc.). Essa è poi una forma
sociale primaria perché assolve ad alcune funzioni fondamentali senza le quali la so-
cietà stessa non potrebbe vivere».20

Guardando all’istituto familiare dal punto di vista antropologico-sociale nel


mondo occidentale «il quadro complessivo dei vissuti matrimoniali e delle dinami-
che familiari è decisamente in evoluzione, porta in sé diverse fragilità ed ogni esem-
plificazione si rivela inadeguata, anche se alcune costanti è possibile individuarle».21
Lontani da voler esprimere giudizi morali, possiamo individuare schematica-
mente almeno cinque modelli di famiglia (patriarcale, nucleare o “affettiva”, “ne-
goziabile”, spezzata e non famiglie) in cui si tende a rivendicare una progressiva
privatizzazione della identità e dei comportamenti familiari; per cui i sentimenti, le
aspirazioni, i gusti, le preferenze e le aspettative vengono viste come un fatto priva-
to, individuale e soggettivo, slegato da vincoli sociali e morali.
Nella famiglia patriarcale, tutto è predominato dalla figura del padre, verso
cui si nutre una certa soggezione, per cui i legami familiari sono basati sull’obbe-
dienza (questo modello oggi è quasi totalmente scomparso). Nella famiglia nucle-
are (composta da un padre e una madre sposati e uno o più figli propri o adottati),
c’è un rafforzamento dei vincoli affettivi tra i membri al suo interno: l’affetto tra
gli sposi è maggiore e i rapporti padre-figli più distesi. Nella famiglia “negoziale”
(composta da una coppia non sposata ma convivente con figlio/i), concepita attorno
all’individuo, ciascuno ha una sua libertà, spogliando di fatto l’istituto familiare del
senso comunitario attorno ai valori. Quella spezzata a causa di separazioni o divorzi,
destruttura la compagine familiare “classica” per strutturarne una “composita” (ge-
nitori affidatari con figlio/i; coppia di genitori divorziati, risposati o semplicemente
conviventi, con figli di uno o di entrambi i partner). Infine, le non famiglie sono le
coppie di fatto e le monocomponenti dove si vive l’individualismo libertario, riven-
dicando gli stessi diritti della famiglia riconosciuta dalla costituzione e a volte si
fatica ad assumerne pienamente i doveri.
L’odierna configurazione della famiglia come nucleare, cioè composta da ge-
nitori e pochi figli ed il tramonto della famiglia estesa come luogo in cui conviveva-
no sotto lo stesso tetto più generazioni, però, non fa sottovalutare l’importanza dello
scambio tra le generazioni, anche se a distanza e anche se non si vive più sotto lo
stesso tetto. Per cui, l’influenza, pur essendo meno evidente e più difficile da cattu-
rare, è sottolineata nella prassi quotidiana dalla fitta rete di aiuto, per esempio, tra la
famiglia “giovane” e quelle “d’origine” quando si è in presenza di bambini.
Nella nascita di un figlio, infatti, per la potenza relazionale che questa cau-
sa, la dimensione generazionale è di tutta evidenza: i coniugi diventano d’incanto

20
E. Scabini – R. Iafrate, Psicologia dei legami familiari, Il Mulino, Bologna 2003, 19.
21
G. Alcamo, La famiglia e la Chiesa nell’attuale sfida educativa, 83.
La famiglia: culla di un nuovo umanesimo 51

genitori, i genitori nonni, i fratelli, gli zii… I nonni, in particolare, attraverso le


loro narrazioni, permettono di ritrovare le proprie radici e di conservare la memoria
dell’avventura della fede nella storia familiare. In questo senso, allora, distinguiamo
il ruolo educativo della fede, sia dei genitori in senso stretto, sia della famiglia in
senso generazionale, dove si vivono rapporti educativi in chiave intergenerazionale.
Nella situazione sociale post-moderna, da cui talvolta subisce notevoli in-
fluenze e condizionamenti, ritroviamo la famiglia cristiana, fondata sul sacramento
del matrimonio: «comunità di fede, di speranza e di carità […]; segno e immagine
della comunione del Padre e del Figlio nello Spirito Santo […]; comunità privile-
giata chiamata a realizzare “un amorevole apertura tra i coniugi e… una continua
collaborazione tra i genitori nell’educazione dei figli”».22 A queste famiglie, allo
stesso tempo iperattive e intorpidite, disorientate nel loro ruolo educativo e indivi-
dualiste-presuntuose,23 la Chiesa ricorda il loro compito primario ed insostituibile di
educatori-generatori della vita di fede dei figli24 e si mette accanto per sostenerle nel
cammino.

3. Il ruolo della famiglia nell’educazione cristiana dei figli

La Chiesa ha sempre sottolineato il ruolo primario ed insostituibile della fami-


glia nell’educazione alla vita di fede dei figli, come affermava anche il Documento di
Base: «La famiglia è come la madre e la nutrice dell’educazione (cf. GS 61) per tutti
i suoi membri, in modo particolare per i figli».25 Il Vaticano II segna una svolta de-
cisiva riguardo all’impegno educativo dei genitori: in molteplici documenti, infatti,
sottolinea la loro responsabilità riguardo all’educazione cristiana dei figli, indican-
done anche le motivazioni.26 LG al n. 11, ad esempio, sottolinea: «In questa per così
dire chiesa domestica i genitori siano per i loro figli i primi annunciatori della fede
con la parola e l’esempio».27 E GE ricorda che:
«I genitori, poiché han trasmesso la vita ai figli, hanno l’obbligo gravissimo di edu-
care la prole: vanno pertanto considerati come i primi e i principali educatori di essa.
Questa loro funzione educativa è tanto importante che, se manca, può a stento essere
supplita. Tocca infatti ai genitori creare in seno alla famiglia quell’atmosfera vivifi-

22
Catechismo della Chiesa Cattolica, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1992, 2204-
2006.
23
Cfr. U. Lorenzi, Fateli crescere nella disciplina del Signore (Ef 6,4). L’educazione cristiana dei
figli, in: “La Scuola Cattolica” 140 (2012) 157-171.
24
Sul rapporto tra educazione e generazione, e sull’opportunità d’intraprendere la strada della pa-
storale generativa, cfr. R. Carelli, Evangelizzazione e educazione. Verso una pastorale in chiave gene-
rativa, in: “La Rivista del Clero Italiano” 93 (2012) 111-133.
25
CEI, Il rinnovamento della catechesi. Documento pastorale dell’Episcopato italiano, 2 febbraio
1970, 152, in: ECEI, 1, 2829.
26
Cfr. Concilio Vaticano II, Lumen Gentium, 35, 41, in: EV, 1, 376-377, 394; Idem, Gaudium et
Spes, 47-52, in: EV, 1, 1468-1491.
27
Idem, Lumen Gentium, 11, in: EV, 1, 314.
52 Carmelo SCIUTO

cata dall’amore e dalla pietà verso Dio e verso gli uomini, che favorisce l’educazione
completa dei figli in senso personale e sociale. La famiglia è dunque la prima scuola
di virtù sociali, di cui appunto han bisogno tutte le società».28

Il Magistero post-conciliare ribadisce e approfondisce la responsabilità edu-


cativa dei genitori e della famiglia in genere. In questo senso il Direttorio Generale
per la Catechesi sottolinea che: «I genitori sono i primi educatori nella fede. Assie-
me a loro, soprattutto in certe culture, tutti i membri della famiglia hanno un compito
attivo in ordine all’educazione dei membri più giovani».29
Questo compito dei genitori si concretizza nell’aiutare «i figli a tirar fuori
l’anima: a scoprire la loro unicità, il motivo per cui sono venuti al mondo […] e si
completa con l’azione del condurre verso. […] Da questo punto di vista l’educazione
alla fede è anche scontro per l’irrompere dell’immaginazione del genitore nell’anima
del figlio. Scontro perché il genitore è uno che prova e che provoca, che pungola e
propone, che ritorna e riparte».30 Perché ciò si realizzi, è necessario che i genito-
ri lascino che la parola di Dio passi attraverso di loro, assumendo tre prospettive:
l’essere “ospitali” verso qualcuno, perché si ha dentro Qualcuno da curare; l’essere
“assetati” per creare occasioni di sete per gli altri; l’essere “vivi”, compiere scelte di
vita e renderla atta al Regno di Dio che viene.
La famiglia, in quanto “chiesa domestica”, riflette in sé i differenti aspetti
o funzioni della vita dell’intera Chiesa (missione, catechesi, testimonianza, orazio-
ne…) e come “luogo” di catechesi ha la prerogativa unica di trasmettere il Vangelo
radicandolo nel contesto di profondi valori umani.
Il dono e il contenuto tipico dell’opera evangelizzatrice della famiglia cristiana
consiste proprio nell’annuncio e nella testimonianza, attraverso il vissuto quotidiano,
della grandezza di questo mistero e di questo amore totale, fedele, definitivo e datore
di vita: «La famiglia cristiana, soprattutto oggi, ha una speciale vocazione ad essere
testimone dell’alleanza pasquale di Cristo, mediante la costante irradiazione della gioia
dell’amore e della sicurezza della speranza, della quale deve rendere ragione».31
I vescovi italiani nella Nota per l’accoglienza e l’utilizzazione del catechismo
della CEI chiedono il coinvolgimento attivo e responsabile dei genitori e della fami-
glia dei ragazzi, nella consapevolezza che i genitori sono i primi e principali educa-
tori dei figli nella fede, concetto ribadito anche nella IC/2.32 Nel volto missionario
delle parrocchie in un mondo che cambia aggiungono:

28
Idem, Gravissimum educationis. Dichiarazione sull’educazione cristiana, 28 ottobre 1965, 3, in: EV, 1, 826.
29
Congregazione per il clero, Direttorio generale per la catechesi, 15 agosto 1997, Libreria
Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1997, 255.
30
M. Tuggia, Educazione e trasmissione della fede in famiglia. «Col viso volto a oriente», in: “Ca-
techesi” 79 (2009-2010) 2, 10-11.
31
Giovanni Paolo II, Familiaris consortio, 52, in: EV, 7, 1689.
32
Cfr. Ufficio Catechistico Nazionale (=UCN), Il catechismo per l’Iniziazione Cristiana dei fan-
ciulli e dei ragazzi. Nota per l’accoglienza e l’utilizzazione del catechismo della CEI, 15 giugno 1991,
6/c, 8/b, in: ECEI, 5, 258, 261; Consiglio Episcopale Permanente, L’Iniziazione Cristiana 2. Orien-
tamenti per l’iniziazione dei fanciulli e dei ragazzi dai 7 ai 14 anni. Nota pastorale, 23 maggio 1999
(=IC/2), 29, in: ECEI, 6, 2085.
La famiglia: culla di un nuovo umanesimo 53

«L’iniziazione cristiana dei fanciulli interpella la responsabilità originaria della fa-


miglia nella trasmissione della fede. Il coinvolgimento della famiglia comincia prima
dell’età scolare, e la parrocchia deve offrire ai genitori gli elementi essenziali che li
aiutino a fornire ai figli l’“alfabeto” cristiano. Si dovrà perciò chiedere ai genitori di
partecipare a un appropriato cammino di formazione, parallelo a quello dei figli. Inol-
tre li si aiuterà nel compito educativo coinvolgendo tutta la comunità, specialmente
i catechisti, e con il contributo di altri soggetti ecclesiali, come associazioni e movi-
menti. Le parrocchie oggi dedicano per lo più attenzione ai fanciulli: devono passare
a una cura più diretta delle famiglie, per sostenerne la missione».33

Per questo - sottolinea il documento La formazione dei catechisti per l’ini-


ziazione cristiana dei fanciulli e dei ragazzi - i catechisti e gli operatori pastorali
dovranno
«dedicare tempo a motivare i genitori, sensibilizzandoli e aiutandoli a riscoprire la
propria identità di adulti nella fede; stare accanto alla famiglia che si interroga sull’e-
ducazione cristiana, come componente vitale per i propri figli; offrire occasioni di
conoscenza e di incontro perché cresca, anche tra le famiglie, lo spirito comunitario e
solidale; proporre esperienze di vita cristiana per maturare uno stile di collaborazione
con la comunità cristiana e le altre istituzioni educative».34

Educare alla vita buona del Vangelo, infine, riprendendo proprio Familia-
ris consortio, riafferma che «la famiglia resta la prima e indispensabile comuni-
tà educante. Per i genitori, l’educazione è un dovere essenziale, perché connesso
alla trasmissione della vita; originale e primario rispetto al compito educativo di
altri soggetti; insostituibile e inalienabile, nel senso che non può essere delegato né
surrogato».35
Non è compito facile, ricordano gli orientamenti: è esposto alla fragilità della
famiglia e ai condizionamenti esterni. Tale primato tuttavia permane e riguarda an-
che l’educazione alla fede.
«Nonostante questi aspetti, l’istituzione familiare mantiene la sua missione e la re-
sponsabilità primaria per la trasmissione dei valori e della fede. Se è vero che la fa-
miglia non è la sola agenzia educatrice, soprattutto nei confronti dei figli adolescenti,
dobbiamo ribadire con chiarezza che c’è un’impronta che essa sola può dare e che
rimane nel tempo. La Chiesa, pertanto, si impegna a sostenere i genitori nel loro ruolo
di educatori, promuovendone la competenza mediante corsi di formazione, incontri,
gruppi di confronto e di mutuo sostegno».36

33
CEI, Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia. Nota pastorale dell’episco-
pato italiano, 30 maggio 2004, 7, in: ECEI, 7, 1452.
34
UCN, La formazione dei catechisti per l’iniziazione cristiana dei fanciulli e dei ragazzi, 4 giugno
2006, 9, in: ECEI, 8, 461.
35
CEI, Educare alla vita buona del Vangelo, 36, in: “Notiziario della Conferenza Episcopale Italia-
na” 44 (2010) 278.
36
Ibidem, 36, in: “Notiziario della Conferenza Episcopale Italiana”, 44 (2010) 279.
54 Carmelo SCIUTO

La casa,37 quindi, diventa la prima visione del mondo che circonda lo sguar-
do di un bimbo, il luogo dove si prende confidenza con il mondo, dove s’impara a
camminare sorretti da mani attendibili: «Nel dare da mangiare ai figli, troviamo la
prima esperienza, per un bimbo, del bisogno dell’altro, la prima educazione contro
l’onnipotenza dell’io. Non sarà difficile avere la possibilità di mostrare ai genitori il
legame di queste grammatiche di vita con ciò che Dio fa per noi, con la lingua della
fede e degli itinerari che la comunità cristiana propone».38
In questo senso, nel quadro di una educazione integrale della persona, è necessario
«che i genitori si interroghino sul loro compito educativo in ordine alla fede: “come vivia-
mo la fede in famiglia?”; “quale esperienza cristiana sperimentano i nostri figli?”; “come
li educhiamo alla preghiera?”. Esemplare punto di riferimento resta la famiglia di Nazaret,
dove Gesù “cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini” (Lc 2,52)».39
Ci sembra, infine, che la Scrittura indichi la via per questa educazione alla
fede esortando a privilegiare la dimensione narrativa: “ripeterai, parlerai, insegnerai
parlando…” sono i verbi più usati. Occorrerà, quindi, che i genitori, sostenuti anche
dalla figura non secondaria dei nonni, riprendano anche oggi a “raccontare” ai loro
figli il proprio cammino di fede, con tutte le sue difficoltà, crisi, momenti di crescita,
e che diano ragione delle loro scelte.40

4. L’esperienza genitoriale: occasione per il risveglio della fede

Il coinvolgimento attivo e responsabile della famiglia nell’IC dei figli, in un para-


digma missionario della comunità parrocchiale, diventa anche occasione propizia per fa-
vorire il suo risveglio della fede.41 In questo senso la pastorale battesimale è il momento
più favorevole per riscoprire ed approfondire il messaggio cristiano, in quanto l’esperienza
della paternità e della maternità inaugura una “novità” nella vita delle persone: è come una
vera nascita/rinascita sia dal punto di vista umano che della fede. «quando due persone
accolgono un figlio, danno credito alla vita e alla sua promessa, si fidano, fanno un atto di
fede e questa è una forma di testimonianza di cui essi possiedono la grammatica di base».42
L’essere padri e madri è introdurre i figli nell’alfabeto della vita con il quale poi
ciascuno elabora il suo primo discorso di significato. Trasmettere la vita, allora, non è solo
ricevere l’esistenza, ma anche una sua interpretazione: il senso della vita stessa. La famiglia

37
Non dimentichiamo che l’Eucaristia si spezzava nelle Domus, pertanto, anche la casa, la tavola,
l’ambiente familiare si rivela l’essenziale capace di rendere più familiari le relazioni e a ritessere le
relazioni comunitarie. Le comunità oggi non possono tradire il dato originario: la chiesa nasce in am-
biente domestico (domus ecclesiae) per celebrare l’Eucaristia.
38
B. Padovani – S. Pozzoli, Per l’IC i genitori vanno sempre coinvolti, in: “Settimana” 47 (2012) 13.
39
CEI, Educare alla vita buona del Vangelo, 37, in: “Notiziario della Conferenza Episcopale Italia-
na” 44 (2010) 279.
40
Cfr. S. Giusti, La via italiana alla catechesi familiare, 18-20.
41
Il valore e lo slancio missionario prenda forma dalla celebrazione domenicale dell’Eucaristia;
si riaffermi allora la centralità della cura pastorale verso tutte le fasi di vita che attraversa la famiglia:
percorsi pre-matrimoniali, preparazioni battesimali, catechesi pastorale della famiglia, anziani, ecc...
42
B. Padovani – S. Pozzoli, Per l’IC i genitori vanno sempre coinvolti, 13.
La famiglia: culla di un nuovo umanesimo 55

si preoccupa di fare crescere i figli dentro una relazione di amore, imparando dai picco-
li la docilità dell’essere e l’abbandono fiducioso alla vita. Potremmo dire che «gli adulti,
generando alla vita, si rigenerano al valore della vita donata; sentono la bellezza di essere
creature. Vivono, in comune con i loro figli un fondamentale senso di fiducia, alimentato e
inverato nell’esperienza della paternità e della maternità, modello di ogni identità dell’esse-
re. Si tratta di una grande opportunità per “ri-cominciare” a vivere diversamente».43
La stessa cosa avviene per quanto riguarda la fede: gli adulti che generano i bam-
bini alla vita si possono “ri-svegliare” a una vita che va verso “l’oltre”, che può far emer-
gere interrogativi esistenziali che sono sopiti. Lo stesso iniziare all’esperienza cristiana
attraverso l’insegnare ai bambini a pregare, permette agli adulti di stare semplicemente
davanti a Dio come figli, a sentirlo Padre per ciascuno, a rendersi conto che tutto ciò che
stanno vivendo è frutto della sua grazia. Durante la crescita, poi, i bambini con le loro
semplici domande, ma allo stesso tempo profonde, senza rendersene conto, riescono a
dar voce a quelle sopite dei loro genitori, offrendo loro l’occasione per ricercare insieme
le risposte giuste: mentre, cioè, i genitori aiutano i figli a credere, essi stessi compiono in
loro compagnia un tratto di strada della fede e ricominciano a credere.44
Le esperienze di “secondo annuncio”, per dirla con il catecheta Enzo Biemmi,
fanno proprio leva sulla genitorialità in occasione dei sacramenti dei figli. Se, infatti,
per i ragazzi il tempo dell’IC è propizio per imprimervi i punti di riferimento, i va-
lori, la grammatica della fede e gli atteggiamenti positivi nei riguardi della comunità
ecclesiale - elementi tutti che offrono al ragazzo il “materiale” per le future decisioni
di fede cristiana45 - per i loro genitori, invece, se acconsentono, può diventare l’oc-
casione propizia per una loro re-iniziazione alla fede.

5. La reciprocità tra famiglia e comunità

Nella riflessione confermata dalla prassi, è ormai un dato acquisito che è la


comunità cristiana, ed in concreto la parrocchia, il luogo ordinario e privilegiato
dell’IC: il luogo dove si educa, si fa esperienza di vita, si celebrano i sacramenti,
si continua il proprio cammino di crescita. Questo principio è coniugato con l’altro
che afferma come la comunità senza una vera ed efficace alleanza educativa con le
famiglie, diventa inefficace per educare pienamente alla fede le nuove generazioni.46
Per cui se la comunità cristiana non ha questo grembo che sono le famiglie, non
riuscirebbe a trasmettere la fede con sufficiente validità. Potremmo, dunque, parlare
di primato della comunità cristiana, e di com-primato della famiglia nell’ambito
della educazione alla fede. Per natura, infatti, la famiglia è l’agenzia educativa che

43
E. Biemmi, Generare alla fede. Dalla catechesi all’itinerario di iniziazione cristiana, in: Diocesi
diRimini – Ufficio Pastorale, Famiglia e iniziazione cristiana, Il Ponte, Rimini 2010, 57.
44
Cfr. F. Feliziani Kannheiser, Quando i bambini domandano, in: “Evangelizzare” 42 (2012) 58-59.
45
È il concetto di “IC a carattere catecumenale in senso analogico”, in quanto il ragazzo normal-
mente non può compiere pienamente un atto di libera decisione e di conversione di vita a Cristo Gesù.
Atteggiamenti propri di un adulto o di un giovane adulto.
46
Cfr. G. Alcamo, La famiglia e la chiesa nell’attuale sfida educativa, 86-89.
56 Carmelo SCIUTO

incide maggiormente sulla struttura di personalità di un individuo ed ha una notevole


influenza nella trasmissione dei valori e della fede da una generazione all’altra.
Perché ciò avvenga è di vitale importanza che la famiglia si riappropri del pro-
prio naturale compito educativo, superando la tentazione della delega. In questo con-
testo, però, ci sembra che bisogni evitare due estremi: il totale disinteresse dell’educa-
zione cristiana dei figli da parte della famiglia (delega in bianco alla parrocchia) e la
pretesa totale “restituzione” del loro ruolo educativo (delega in bianco alla famiglia),
quasi che la possibilità di sopravvivere per la Chiesa dipenda dalle famiglie-chiese
domestiche, che la vita della Chiesa avrà un futuro se saprà appoggiarsi ad esse.
Pensare la famiglia come quella da cui dipendono la sorti della Chiesa ci sem-
bra diventi quasi un modo di clericalizzarla e cioè di ridurre il cristianesimo ad una
faccenda familiare “privata”, senza un orizzonte pubblico e universale e di svuotare
la famiglia della sua densità umana, della proprietà di essere famiglia nell’amore e
nelle relazioni, con la pretesa di chiederle più di quanto possa dare.
Certamente l’intreccio tra famiglia e Chiesa47 deve essere presente, ma va posto
in maniera corretta per non privare il cristianesimo della sua densità di testimonianza
pubblica e la famiglia dei sui propri diritti/doveri: se da un lato è scorretto l’antifamili-
smo, cioè denigrarne l’importanza per l’educazione alla fede, dall’altro non va sostenuto
neppure il familismo, affidandole il ruolo di attori unici. Infatti, pur consapevoli della
necessità di un coinvolgimento attivo e responsabile della famiglia dei ragazzi in quanto
i genitori sono i primi e i principali educatori della fede dei figli, e che questo li aiuta
a riscoprire-scoprire la propria fede, non si può nascondere oggi la fragilità educativa
della famiglia che non riesce ad impartire un’educazione cristiana e continua a delegarla
alla comunità: è, perciò, necessario impegnarsi perché la famiglia diventi il luogo nella
trasmissione della fede, ma è altrettanto importante ri-affermare che non basta la sola
famiglia, in quanto la comunità ecclesiale, che accompagna nel cammino di fede, è più
e oltre la famiglia, in particolare quando questa è assente o non è in grado di educare.
Occorre ritrovare una sinergia virtuosa e vitale con la comunità cristiana, vero
grembo che genera alla fede. Proprio nell’IC è possibile sperimentare quel rapporto
inclusivo e vicendevole che relaziona tra loro la comunità cristiana locale e la fami-
glia. In questo rapporto è opportunamente manifestato il mistero della Chiesa.48

6. Il coinvolgimento progressivo dei genitori e le sue tipologie

Appare evidente che la richiesta dei sacramenti per i figli costituisce ancora oggi
una grande opportunità pastorale da accogliere e valorizzare. Se da un lato, infatti, occorre
“educare” la domanda del sacramento per trasformarla in richiesta di aiuto per una crescita

47
La famiglia può assumersi l’impegno di seguire il “processo” dell’iniziazione cristiana che la
chiesa celebra attraverso la duplice scansione: rottura e trasformazione. Chi meglio delle famiglie che
vivono già l’esperienza di fede comunitaria può accompagnare a questa rottura col passato e alla tra-
sformazione della vita passata in vita nuova “in” Cristo? (vita di grazia, sacramentale).
48
Cfr. A. Romano, Genitori e iniziazione cristiana dei figli. Dal contributo esterno alla correspon-
sabilità piena nella comunità, in: “Catechesi” 83 (2013-2014) 2, 13-28.
La famiglia: culla di un nuovo umanesimo 57

cristiana dei figli, dall’altro è fondamentale considerare i genitori persone destinatarie del
Vangelo, educando la domanda del cammino per i figli fino a farla diventare domanda
di aiuto per un loro cammino di fede personale e familiare, e di esperienza cristiana. Ciò
comporta la creazione da parte della comunità cristiana di relazioni vere e profonde con
i genitori fin dai primi momenti (evitando di porre delle condizioni che possano apparire
come ricatti), trattandoli da adulti, offrendo loro esperienze di vita e chiedendo/offrendo
collaborazione fin dal principio: stabilendo così un vero e proprio “patto educativo”.
A tale scopo sembra necessario accostare i genitori là dove essi vivono e sta-
bilire con loro un rapporto di amicizia e di fiducia; ridestare in loro il senso religioso
e la necessità di percorrere un cammino di fede; far riscoprire il Primo annuncio
della fede e il suo significato vitale;49 invitarli a fare esperienze significative di vita
cristiana comunitaria in parrocchia; aiutarli a riscoprire il vangelo del matrimonio e
della famiglia; illuminare il loro compito educativo di primi educatori della fede dei
figli; metterli a conoscenza degli itinerari d’IC dei figli.50
Il n. 7 del volto missionario della parrocchia in un mondo che cambia invita ad un
coinvolgimento effettivo della famiglia, capace di valorizzarne le potenzialità, le risorse
e le aspettative. Si tratta, quindi, di superare il rischio di un “coinvolgimento” che diventi
obbligante (i genitori accettano di partecipare per timore di vedersi rifiutato il sacramento
per il figlio); avvilente (gli operatori propongono agli adulti iniziative dal sapore generi-
co o infantile); esagerato (con ritmi non sostenibili dall’effettiva vita familiare); tardivo
(quando i figli hanno 10-12 anni) e formale (con proposte “pre-confezionate”, senza un
effettiva interazione sulla specifica situazione personale o familiare).51
Nel panorama delle esperienze presenti in Italia si delineano almeno quattro
tipologie di coinvolgimento delle famiglie negli itinerari iniziatici dei figli: la cate-
chesi alle famiglie, nelle famiglie, con le famiglie e familiare.52
La catechesi alle famiglie è la forma più diffusa delle proposte attualmente pre-
senti nelle parrocchie: sono incontri ai genitori dei ragazzi della catechesi su varie tema-
tiche. Questa esperienza assume almeno due modalità: una serie di incontri annuali (2-3)
che servono a informare i genitori sul percorso catechistico proposto ai figli e la propo-
sta di incontri formativi ai genitori, sia su problematiche educative, sia su aspetti della
fede. Nella prima modalità, gli incontri mirano ad un coinvolgimento minimale, avendo
a cuore di stabilire rapporti positivi con le famiglie, e in particolare con le mamme; nella
seconda, il percorso formativo offerto ai genitori è non di rado in parallelo con quello
dei figli quanto ai temi e con una periodicità mensile. Naturalmente, «questa tipologia, ri-
spetto alla prima, aggiunge una preoccupazione di riavviare i genitori ad una riscoperta
della fede, di cui è occasione il percorso sacramentale dei figli»,53 nella consapevolezza
che senza la presenza di genitori credenti, l’IC dei ragazzi rischia il fallimento.
La catechesi nelle famiglie consiste nel farla vivere, in alcuni momenti
dell’anno, o per tutto l’intero itinerario, nell’ambiente domestico come “luogo fa-

49
Non va data per scontata la conoscenza del Vangelo.
50
Cfr. CEI-UCN, La catechesi con la famiglia. Orientamenti, Elledici, Leumann 1994, 63-64.
51
Cfr. P. Sartor, I soggetti in cammino. III. I genitori, 64-65.
52
Cfr. CEI-UCN, La catechesi con la famiglia, 9-14, 51-76; E. Biemmi, Generare alla fede, 60-65.
53
E. Biemmi, Generare alla fede, 61
58 Carmelo SCIUTO

vorevole” per il germogliare e il crescere della fede cristiana come centro d’irradia-
zione del vangelo54 e come punto di accoglienza (la “casa”) per tutti.55 Includiamo
in questa modalità: gli incontri pre e post-battesimali; le forme “miste” di catechesi
parrocchiale e catechesi familiare; i centri di ascolto quaresimali per i ragazzi nelle
famiglie. Queste modalità, oltre che riavviare nei genitori la riscoperta della fede,
assumono i tratti propri dell’esperienza famigliare: la relazione, la quotidianità, la
ritualità, la gestualità e la concretezza della vita, pur mantenendo un contatto siste-
matico con la comunità parrocchiale sia da parte dei ragazzi che dei loro genitori.
La catechesi con le famiglie comprende tutte quelle esperienze che le propongono
come soggetto attivo del cammino di fede. In questa modalità inseriamo la domenica insie-
me, o “feste delle famiglie”, che fa vivere a tutta la famiglia, durante il giorno del Signore
(o il sabato pomeriggio), momenti di relazione, di riflessione su temi inerenti il percorso
catechistico dei figli, di convivialità con il consumo del pasto insieme, di celebrazione con
la preparazione e la partecipazione di tutti all’Eucaristia della comunità. Questa modalità
punta a far vivere esperienze forti di comunità cristiana nel giorno del Signore.
La quarta tipologia, la catechesi familiare, è la più esigente perché prevede un
percorso nel quale il genitore, aiutato dalla comunità, diventa progressivamente il cate-
chista del figlio: «È l’assunzione in proprio della responsabilità di esercitare il magiste-
ro della parola e della vita […] da parte dei coniugi e genitori nei confronti dei figli, sia
nel ritmo ordinario della vita familiare, sia nelle occasioni che maggiormente incido-
no sullo sviluppo della fede, come i sacramenti, l’educazione morale, la preghiera».56
Questa modalità, che si fonda sul principio di catechesi intergenerazionale, tende a
coinvolgere tutti i soggetti della famiglia e un nucleo di comunità di cui fanno parte an-
che i catechisti familiari, saggi accompagnatori dei genitori, restituendo così il compito
della catechesi ad un gruppo più che ad uno solo catechista:57 «Essa segna in qualche
modo il passaggio graduale dall’itinerario tradizionale fondamentalmente puerocentri-
co, al coinvolgimento della famiglia, all’attivazione della comunità ecclesiale».58

7. Il ruolo dei nonni

Una nota finale la diciamo sui nonni ritornando a quanto abbiamo affermato in
precedenza sul concetto di famiglia generazionale. Una novità dell’attuale contesto
socio-culturale è la ri-valutazione del ruolo educativo dei nonni anche in ordine alla
trasmissione della fede cristiana alle nuove generazioni.59

54
Cfr. Paolo VI, Evangelii Nuntiandi. Esortazione apostolica sull’evangelizzazione nel mondo
contemporaneo, 8 dicembre 1975, 71, in: EV, 5, 1688.
55
Cfr. CEI-UCN, La catechesi con la famiglia, 11.
56
Ibidem, 12.
57
Cfr. J. Vallabaraj, Primo annuncio nell’ambito della famiglia, in: “Catechesi” 79 (2009-2010)
4, 33-43; Idem, Catechesi familiare come apprendimento catechetico intergenerazionale, in: “Cateche-
si” 79 (2009-2010) 5, 31-43.
58
E. Biemmi, Generare alla fede, 62.
59
La relazione nonne/i-nipoti per la nostra società è relativamente nuova: per molti secoli, infatti,
i bambini non hanno conosciuto i nonni e soltanto negli ultimi decenni è divenuto normale per loro
La famiglia: culla di un nuovo umanesimo 59

La figura del nonno, infatti, oggi rappresenta una delle presenze più importanti
del mondo relazionale dei bambini, in quanto è colui che, trasformando in fiaba la
storia della famiglia, custodisce e trasmette il senso di appartenenza, cioè la possibi-
lità di sentirsi parte di una storia. I nonni, inoltre, sono coloro che “hanno il tempo”
di poter stare con i nipoti, riuscendo a vivere con loro non solo momenti ludici ma
anche e soprattutto educativi: sono tenuti, cioè, ad un’opera educativa di sostegno a
quella dei genitori, non di sostituzione o contrapposizione.60
Di fronte a quella che Armando Matteo chiama la prima generazione incredu-
la con il risultato della fuga delle quarantenni dalla Chiesa rinunciando anche al loro
compito materno di trasmettere la fede,61 i nonni assumono questo ruolo educativo
della fede dei piccoli: «trascorrendo molto tempo con i nipoti, possono introdurli alla
fede in Cristo Gesù e al vivere cristiano, tramite la catechesi occasionale della vita
quotidiana».62 Questa prende spunto da occasioni particolari (una festa, il passaggio
davanti a una chiesa, un funerale, un racconto, la malattia, un compleanno, la nascita
di un cuginetto…) che vengono interpretate in senso religioso e cristiano.
L’occasione ha un grande valore educativo, in quanto momento della vita del
soggetto in cui è totalmente attivo, recettivo e presente. In questo caso l’elemento
specifico è la testimonianza dell’adulto: la sua parola non è solo la spiegazione, ma
anche la sua convinzione e il suo impegno pratico.
Ci sembra, dunque, che il compito educativo dei nonni sia diventato importante:
sia quando per diverse ragioni i genitori non sono in grado di assicurare un’adeguata
educazione alla fede; sia per «promuovere l’educazione reciproca della fede come ri-
sposta alle sfide attuali; una educazione capace di coinvolgere tutte le generazioni per
far fronte alla loro diversità nel modo di rapportarsi alla fede, cercando di creare una
partecipazione incrociata tra le generazioni stesse presenti nella famiglia cristiana».63

Conclusione

Il cammino verso il 5° Convegno Ecclesiale Nazionale di Firenze ci sugge-


risce alcune piste percorribili affinché la famiglia sia sempre più luogo privilegiato
di trasmissione della fede. Preliminare ad ogni “strategia pastorale” ci sembra sia
opportuna una conoscenza accurata delle famiglie. Perché ciò avvenga in modo ret-
to, è necessaria una grande attenzione e sensibilità all’incontro e al dialogo, quindi
alla “relazione”. Un primo passo da compiere è l’accoglienza. Accogliere significa

non solo conoscerli, grazie all’allungamento della vita media, ma anche avere con loro un rapporto di
intimità, ben diverso dal “timore reverenziale” di qualche generazione fa. Cfr. A. Bollin, Nonne/i e
catechesi delle nuove generazioni, in: “Catechesi” 79 (2009-2010) 5, 45.
60
Cfr. G. Gillini – M. Zattoni, Nonni, che fortuna!, àncora, Milano 2012.
61
Cfr. A. Matteo, La prima generazione incredula. Il difficile rapporto tra i giovani e la fede,
Rubbettino, Soveria Mannelli 2010; Idem, La fuga delle quarantenni. Il difficile rapporto delle donne
con la Chiesa, Rubbettino, Soveria Mannelli 2012.
62
Bollin, Nonne/i e catechesi delle nuove generazioni, 46.
63
Vallabaraj, Formazione della famiglia per la comunicazione della fede, 72.
60 Carmelo SCIUTO

rispettare, onorare e amare ogni famiglia, qualunque sia la sua situazione umana,
sociale e, oserei dire, morale. Accogliere realmente significa essere disponibili all’a-
scolto attento ed empatico; essere affabili e cordiali; venire incontro alle esigenze
delle singole famiglie; evitare toni di requisitoria e/o di ricatto; offrire, proporre e
non imporre; essere attenti alle famiglie così come sono, prendendo in considera-
zione il loro diverso vissuto di fede, le precedenti esperienze di fede e di incontro
(o, forse di scontro!) con la realtà ecclesiale; creare un clima relazionale favorevole
perché si accetti la possibilità del cambiamento e si compiano i passi per attuarlo.
L’accoglienza conduce naturalmente a partire dalla vita delle persone e dai loro
ruoli: al centro ci sono i genitori con i loro progetti, le loro speranze e paure, il loro ruo-
lo parentale sperimentato a volte come difficile e faticoso; queste attenzioni potrebbero
essere tenute presenti anche nella individuazione dei contenuti per il primo approccio
come l’educazione dei figli e la propria esperienza familiare possono essere dei temi di
aggancio molto significativi e fecondi. La cura delle motivazioni: l’adulto ha bisogno di
percepire l’utilità di ciò che sta facendo. La partecipazione ai percorsi proposti dalle par-
rocchie ai genitori è spesso contrassegnata da motivazioni “povere”, per questo è neces-
sario accompagnarli in un approfondimento delle motivazioni più consapevoli e mature.
Non bisogna dare per scontato che i genitori sono adulti e come tali devono essere
trattati. In questo senso, appare necessario che si impari a “lasciare spazio” ai genitori,
instaurando relazioni interpersonali aperte e sincere. Come sottolineato più volte da In-
contriamo Gesù, questo coinvolgimento/accompagnamento della famiglia deve iniziare
con la richiesta del battesimo e, là dove è possibile, già dall’attesa del figlio. Più ampia-
mente, l’attenzione pastorale verso i genitori dev’essere considerata parte della pastorale
familiare e, perciò dovrebbe essere pensata e progettata insieme alle coppie guida degli
itinerari di formazione al matrimonio e dei gruppi famiglia esistenti in parrocchia.64
Iniziare, sostenere, accompagnare, infine, si rivelano verbi-chiave per disegna-
re e designare ancora una volta la centralità della famiglia nella vita cristiana dei figli,
anche se i genitori di oggi condividono ansie e preoccupazioni, soprattutto in un tempo
di profonda alterazione dei processi di filiazione simbolica delle generazioni. Scrive a
tal proposito Massimo Recalcati: «i genitori di oggi sono, infatti, assai preoccupati, ma
questa preoccupazione non è spesso in grado di offrire sostegno alla formazione dei loro
figli».65 Pertanto questi verbi offrono anche una chiave immediata alla progettazione di
metodiche di annuncio a partire dalle relazioni umanizzanti che per natura sono congeni-
te alla funzione genitoriale (maternità, paternità, fraternità). Il gesto del portare alla luce,
del cullare, dell’accompagnare, del guidare, rimanda al gesto testimoniale per i figli e le
figlie di oggi che vivono nel disagio della “Legge della Parola”.66 Gesti che rimandano a
relazioni, relazioni che reinventano i nuovi modi dell’annuncio. Ri-centrare l’annuncio
“in” e “con” la famiglia, significa allora farla divenire la culla di un “nuovo” umanesimo.

64
Cfr. A. Fontana, La pastorale battesimale: un’opportunità per accogliere ed evangelizzare le
famiglie/1, in: “Catechesi” 83 (2013-2014) 1, 25-37; Idem, La pastorale battesimale: un’opportunità
per accogliere ed evangelizzare le famiglie/2, in: “Catechesi” 83 (2013-2014) 2, 3-12.
65
M. Recalcati, Il complesso di Telemaco. Genitori e figli dopo il tramonto del padre, Universale
Economica Feltrinelli, Milano ³2015, 76.
66
Cfr. Ibidem, 59.
ITINERARIUM
RIVISTA MULTIDISCIPLINARE
DELL’ISTITUTO TEOLOGICO “SAN TOMMASO”
MESSINA – Italy

61
Anno 23 - 2015/3
Indice

Itinerarium 23 (2015) n. 61, settembre-dicembre 2015

Editoriale
Cassaro Giuseppe Carlo, La misericordia: potenza che trasforma il mondo . . 11

Sezione Monografica (a cura di Carmelo Sciuto e Gaspare Ivan Pitarresi):


Verso Firenze 2015. Ritrovare il “gusto per l’umano”
Raspanti Antonino, In Gesù Cristo il nuovo umanesimo.
La traccia: uno strumento per un cammino sinodale . . . . . . . . . . . . 21
Pitarresi Gaspare Ivan, Dire l’uomo nell’epoca della ‘crisi’.
Per un umanesimo in ascolto “dell’urlo dell’uomo solo” . . . . . . . . . . 31
Sciuto Carmelo, La famiglia: culla di un nuovo umanesimo.
Annunciare la fede “in” e “con” la famiglia . . . . . . . . . . . . . . . . 45
Diaco Ernesto, La Chiesa italiana a Firenze: l’umanesimo della prossimità . . . 61
Donatello Veronica Amata, Guardando all’altro mi scopro onni-debole anch’io…
piuttosto che onnipotente. Per un umanesimo davvero “inclusivo” . . . . . 73

Laboratorio di Bioetica
Suaudeau Jacques, Cellule staminali pluripotenti indotte (iPSCs). Prima parte . . . 85

Monografia (a cura di Giovanni Russo):


Fecondazione eterologa. Questioni biogiuridiche
Agosta Stefano, Tra seguito normativo e giurisprudenziale: la riespansione
del diritto di formare una famiglia con figli all’indomani della caducazione
del divieto di eterologa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 107
Randazzo Alberto, Brevi note sulla giurisprudenza della Corte europea
dei diritti umani in tema di fecondazione eterologa . . . . . . . . . . . . . 115
Mollica Poeta Loredana, La fecondazione eterologa: dubbi ed incertezze
ad un anno dalla sentenza n. 162 del 2014 della Corte costituzionale . . . 121

Miscellanea
Conte Nunzio, «Scelto per annunciare il Vangelo di Dio» (Rm 1,1b).
Abilità e qualità dell’omileta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 127
Mursia Antonio, «Ad effectum costruendi conventum cappuccinorum».
Alcune note sulla fondazione del convento dell’Immacolata Concezione
di Adrano (1608-1668) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 145

Discussioni
Gensabella Furnari Marianna, La bellezza che salva.
A proposito di un recente saggio di Nunziella Scopelliti . . . . . . . . . . . 155

Biblioteca . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 161
Cineteca . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 168
Libri pervenuti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 174
Collaboratori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 176
Sezione Monografica

VERSO FIRENZE 2015


RITROVARE IL “GUSTO PER L’UMANO”
(a cura di Carmelo Sciuto - Gaspare Ivan Pitarresi)

In Gesù Cristo il nuovo umanesimo


La traccia: uno strumento per un cammino sinodale
Antonino Raspanti

Dire l’uomo nell’epoca della ‘crisi’


Per un umanesimo in ascolto “dell’urlo dell’uomo solo”
Gaspare Ivan Pitarresi

La famiglia: culla di un nuovo umanesimo


Annunciare la fede “in” e “con” la famiglia
Carmelo Sciuto

La Chiesa italiana a Firenze:


l’umanesimo della prossimità
Ernesto Diaco

Guardando all’altro mi scopro


onni-debole anch’io… piuttosto che onnipotente
Per un umanesimo davvero “inclusivo”
Veronica Amata Donatello
61

Itinerarium 23 (2015) 61, 61-72

LA CHIESA ITALIANA A FIRENZE: L’UMANESIMO DELLA PROSSIMITÀ

Ernesto Diaco*

Per la quinta volta in quarant’anni, la Chiesa che vive in Italia si dà appuntamento


per il proprio convegno nazionale. A Firenze, dal 9 al 13 novembre 2015, si rinnova infat-
ti l’evento più significativo del cattolicesimo italiano, per i cui lavori si è scelto un titolo
particolarmente evocativo nel capoluogo toscano: “In Gesù Cristo il nuovo umanesimo”.
Se i primi passi verso l’incontro si sono mossi sotto il pontificato di Benedetto XVI,
ora sono la parola e lo stile di Francesco a interpellare la comunità cristiana. La “conver-
sione pastorale” chiesta da Giovanni Paolo II a Palermo, diventata poi “pastorale integrata”
nel decennio scorso, passa oggi da quella “Chiesa in uscita” che papa Bergoglio non si
stanca di additare e impersonare. Alla vigilia del nuovo appuntamento, le attese sono molte
e la traduzione del tema del convegno in numerose iniziative locali lascia ben sperare. A
Firenze però arriva una Chiesa che deve fare i conti anche con la difficoltà di rinnovare se
stessa e con un contesto culturale che non di rado mette in discussione i punti di riferimento
fino a ieri condivisi sulla natura umana, la famiglia, l’educazione, la solidarietà.

1. I convegni ecclesiali servono ancora?


È un interrogativo dalla risposta nient’affatto scontata. Prima di avviare il lungo
iter preparatorio, nel gennaio 2012, se lo sono posti anche i vescovi del Consiglio Epi-
scopale Permanente della CEI. Al termine di un’ampia discussione, la scelta di rinnovare
l’appuntamento decennale fu motivata dall’aver riconosciuto ad esso «il compito di fare
sintesi del cammino degli Orientamenti pastorali e di declinare in termini sempre ade-
renti al vissuto la testimonianza ecclesiale dentro il tessuto storico e sociale del Paese».1
Lo stesso “Invito al Convegno” di Firenze, il primo documento ufficiale in
vista dell’appuntamento, esplicita la questione:
«Si può discutere – come del resto s’è fatto – su modalità, contenuti ed esiti di questi
Convegni ecclesiali, ma non si può non riconoscere che essi hanno contribuito a de-
lineare il volto storico delle nostre Chiese, innescando una serie di reazioni virtuose
utili a dare vitalità alle nostre Diocesi. La stagione dei Convegni nazionali esprime
tutto ciò in un rinnovato stile ecclesiale, che porta a convenire, traduzione permanente
del paradigma sinodale rappresentato dal Concilio».2

*
Direttore dell’Ufficio Nazionale per l’Educazione, la Scuola e l’Università della CEI.
1
Conferenza Episcopale Italiana (=CEI), Comunicato finale del Consiglio Episcopale Perma-
nente (Roma, 23-26 gennaio 2012), in: “Notiziario della Conferenza Episcopale Italiana” 46 (2012) 22.
2
CEI – Comitato preparatorio del 5° Convegno Ecclesiale Nazionale, Invito al Convegno, 11
ottobre 2013, in: “Notiziario della Conferenza Episcopale Italiana” 47 (2013) 239.
62 Ernesto DIACO

Un occhio al cammino ecclesiale in corso e uno al più ampio contesto italiano,


dunque, per offrire ad esso un peculiare contributo. In questi termini occorre pensare
all’assise di Firenze, convocata per affermare ancora una volta che Chiesa e società
non sono estranee e indifferenti l’una all’altra, così come le linee di impegno indivi-
duate per l’oggi non prescindono dalla storia – ecclesiale e non – da cui si proviene
e in cui ci si colloca con speranza cristiana e senso di responsabilità.

1.1. Lo stile della sinodalità

Il confluire di vescovi, presbiteri, religiosi e laici dalle oltre duecento diocesi del
Paese manifesta poi in modo del tutto speciale la comunione pastorale fra le Chiese in
Italia. Non si tratta certo dell’unico strumento che ne evidenzi l’unità di pensiero e di
azione, basti pensare all’assunzione di “orientamenti pastorali” comuni su scala decennale
da ormai cinquant’anni a questa parte. Le stesse assemblee generali dell’episcopato che
si tengono ogni anno esprimono la varietà e insieme la coesione del cattolicesimo italiano
e il suo stretto rapporto con il Papa. Nei convegni ecclesiali nazionali, però, la presenza
numerosa e prolungata di rappresentanti di tutte le componenti del popolo di Dio, il loro
pregare e riflettere insieme, ascoltare e discutere, è un segno ancora più efficace e pubbli-
camente rilevante di tale unità e corresponsabilità. A Firenze si vedrà ancora una volta il
volto della Chiesa nella sua interezza e pluralità di vocazioni, soggettività ed esperienze.
Se la trasmissione nelle Chiese particolari dei risultati dell’evento è necessa-
riamente mediata dai mezzi di comunicazione, dai testi prodotti e dai racconti dei
partecipanti, per coloro che lo vivono direttamente il convegno ecclesiale nazionale
è un’occasione importante di confronto ricca di stimoli da riportare nelle realtà di
appartenenza, preziosa forse più per gli incontri fatti e l’atmosfera respirata che per
l’elaborazione intellettuale o le conclusioni ufficiali.
Appuntamenti come questi, infatti, possono aiutare a non sentirsi soffocare dalle
difficoltà che si incontrano quotidianamente nel lavoro pastorale e dalle diffuse tenta-
zioni segnalate da papa Francesco nell’esortazione Evangelii Gaudium, come «il grigio
pragmatismo della vita quotidiana della Chiesa», il «pessimismo sterile», la «guerra tra
di noi».3Un contesto così ampio e articolato è favorevole per intercettare anche le do-
mande più scomode, tutt’altro che assenti nel cammino di preparazione al convegno di
Firenze. «Come mai – chiede ad esempio la Traccia – nonostante un’insistenza così pro-
lungata sulla missione, le nostre comunità faticano a uscire da loro stesse e ad aprirsi?».4

1.2. Verifica e discernimento “in itinere”

Per usare un’immagine evangelica, la logica di questi appuntamenti periodici


somiglia molto a quando i discepoli, di ritorno dalla missione nei villaggi dove Gesù

3
Francesco, Evangelii Gaudium. Esortazione apostolica sull’annuncio del Vangelo nel mondo
attuale, 24 novembre 2013, 83-84, 98.
4
CEI – Comitato preparatorio del 5° Convegno Ecclesiale Nazionale, In Gesù Cristo il nuovo
umanesimo. Una traccia per il cammino verso il 5° Convegno Ecclesiale Nazionale, 9 novembre 2014,
in: “Notiziario della Conferenza Episcopale Italiana” 48 (2014) 418.
La Chiesa italiana a Firenze: l’umanesimo della prossimità 63

li aveva mandati, si fermavano con il Maestro e raccontavano l’esperienza fatta,


ricevendo da Lui luce, conforto, correzioni e nuovo impulso a riprendere l’annuncio
del Regno di Dio. I momenti di spiritualità e ascolto della Parola, all’interno dei con-
vegni ecclesiali, non attirano forse l’attenzione degli osservatori, eppure non sono né
pochi né di puro contorno alle relazioni o alla discussione nei gruppi.
Pensati come soste di metà percorso lungo il decennio scandito dagli orientamenti
pastorali decennali, i convegni ecclesiali decennali trovano motivazione nel cercare di
raccogliere le indicazioni maturate nei primi anni della loro assimilazione e di rilanciare
la meta, affinando le prospettive per il cammino che resta da compiere. Si tratta, dunque,
di una preziosa e non così frequente occasione di verifica del cammino ecclesiale, con la
ricchezza delle prospettive che l’esperienza ha fatto emergere sul campo.
Nel decennio scorso, ad esempio, gli orientamenti dei vescovi italiani invita-
vano a «comunicare il Vangelo in un mondo che cambia».5 Il convegno ecclesiale di
Verona scelse di dare un taglio particolare all’atto comunicativo della Chiesa, ossia
quello della testimonianza, e di delineare il «mondo che cambia» soprattutto come
l’universo dell’esperienza umana, letta nei suoi elementi fondamentali: la vita affet-
tiva, il lavoro e la festa, la fragilità umana, la tradizione e la cittadinanza. In essi e
attraverso di essi, la speranza scaturita dalla Risurrezione di Gesù trovava le vie per
innervare la vita delle persone, dei gruppi, dell’intera comunità nazionale.6
È stato questo discernimento condiviso a condurre la Chiesa italiana a indivi-
duare nel compito educativo la cifra sintetica della missione della comunità cristiana
nel momento presente, e dunque la prospettiva di fondo dei conseguenti orientamenti
pastorali decennali, attirando l’attenzione su un tema centrale anche per l’intera so-
cietà italiana.

1.3. Una parola all’Italia di oggi

Questa è infatti un’ulteriore prerogativa dei convegni ecclesiali: si tratta di oc-


casioni per offrire una parola pubblica e condivisa della Chiesa sul momento storico
che il Paese sta vivendo. Il tema dell’incontro è legato agli orientamenti pastorali
del decennio in corso, ma ne sottolinea sempre un aspetto missionario e di apertura
ad extra: i convegni ecclesiali non sono per i cattolici italiani una mera questione
interna, tanto meno un’assemblea costituente o una valvola di sfogo, ma una forma
della comunione e della testimonianza, due azioni che si nutrono di pensiero e di
adorazione e non finiscono all’ombra del campanile. Come sempre avvenuto, in que-
sto dialogo con la cultura diffusa ha un posto di grande rilievo il Magistero del Papa.

5
CEI, Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia. Orientamenti pastorali dell’Episcopato
italiano per il primo decennio del Duemila, 29 giugno 2001, in: “Notiziario della Conferenza Episco-
pale Italiana” 35 (2011) 125-178.
6
Cfr. CEI – Comitato preparatorio del IV Convegno Nazionale Ecclesiale, Testimoni di Gesù
Risorto, speranza del mondo. Traccia di riflessione del IV Convegno Ecclesiale Nazionale (Verona,
16–20 ottobre 2006), 29 aprile 2005, in: “Notiziario della Conferenza Episcopale Italiana” 39 (2005)
277-310.
64 Ernesto DIACO

Nella sua opera di discernimento, la comunità cristiana non si astrae dal conte-
sto sociale, come se lo guardasse dall’esterno per individuarne i limiti e le contraddi-
zioni. La Chiesa sa bene di essere anche figlia del suo tempo e di quanto il momento
storico influisca sulla sua vita. In ognuno degli appuntamenti ecclesiali decennali si
è sempre riflesso quanto andava emergendo nel Paese: i fermenti e la domanda di
partecipazione degli anni Settanta, così come il desiderio di riconciliazione e di una
nuova cultura nel periodo successivo. La stessa scelta della città di Palermo per il
terzo convegno ecclesiale fu motivata dagli avvenimenti drammatici che avevano
scosso i primi anni Novanta, fra cui il terrorismo mafioso, e dai segni di risveglio
spirituale e civile che si riscontravano nel capoluogo siciliano. Nel corso dei lavori,
poi, non ci si nascose di dover fare i conti con l’inedito panorama politico, segnato
dalla fine del partito di ispirazione cattolica e delle altre compagini nate dopo il se-
condo conflitto mondiale e messe in crisi dal crollo delle ideologie novecentesche.
Non sbaglierebbe, infine, chi vedesse nella decisione di celebrare il quinto con-
vegno nella culla del Rinascimento, anche un diffuso bisogno di fiducia nell’uomo e di
bellezza, intesa non come mera proporzione delle forme, ma come necessità di riguada-
gnare un’idea alta di umanità, in armonia con la sua dignità trascendente, con il mondo
divenuto villaggio globale, con le promesse della tecnologia e la potenza ferita del creato.

2. La “via italiana” per la recezione del Concilio

All’inizio dell’estate del 1973 il cardinale Antonio Poma, presidente della


Conferenza Episcopale Italiana, firma il documento “Evangelizzazione e sacramen-
ti”, contenente «alcune linee comuni di azione pastorale, che orientino, sostengano
e ravvivino la vita religiosa del nostro Paese».7 Non è intenzione dei vescovi elabo-
rare un piano pastorale vero e proprio, compito attribuito invece alle singole Chiese
particolari. Senza lasciarsi incantare dal fascino della pianificazione, appariva però
utile «potersi orientare, in tutta la Chiesa, in Italia, su direttive fondamentali unitarie,
tanto più se avvalorate da scambio di informazioni, di sussidi e di esperienze».8
La prospettiva di fondo che sta a cuore ai vescovi è il rinnovamento della Chiesa
in Italia, mediante una conversione di mentalità delle comunità ecclesiali e una loro
valida testimonianza di fede nel mondo contemporaneo, «secondo le indicazioni del
Concilio e il costante appello di Paolo VI».9 Per far questo, il documento elenca una
serie di indicazioni pastorali, a partire dal primato dell’evangelizzazione, capace di im-
primere una spinta vigorosa all’azione apostolica della Chiesa in tutti i suoi settori. Tra
le deliberazioni conclusive, il documento annuncia «la celebrazione di un Congresso
Nazionale con la partecipazione di tutte le componenti ecclesiali, da tenersi dopo il
prossimo Sinodo, sul tema “Evangelizzazione e promozione umana”».10 Nasceva così

7
CEI, Evangelizzazione e Sacramenti. Documento pastorale dell’Episcopato italiano, 12 luglio
1973, 59, in: “Notiziario della Conferenza Episcopale Italiana” 7 (1973) 92.
8
Ibidem.
9
Ibidem, 104.
10
Ibidem, 105-106.
La Chiesa italiana a Firenze: l’umanesimo della prossimità 65

la scansione in decenni del cammino pastorale e la serie dei convegni ecclesiali nazio-
nali, sotto il segno del rinnovamento conciliare e del primato dell’evangelizzazione.

2.1. Partecipazione nella Chiesa e servizio all’uomo

Nell’autunno del 1976, Roma accoglie i 1500 delegati indicati dalle diocesi
italiane per l’atteso appuntamento nazionale. Paolo VI celebra l’Eucaristia nella mat-
tina del secondo giorno. Durante l’omelia, prendendo spunto dal tema del convegno,
invita la Chiesa italiana
«ad un ripensamento della sua missione nel mondo contemporaneo, ad una coscienza
religiosa autentica e nuova, ad un confronto col vertiginoso mondo moderno, anzi ad
un dialogo di salvezza per chi assume la non facile missione di aprirlo, e per chi abbia
la felice sorte di accoglierlo».11

Dai lavori emerge una forte istanza di partecipazione e una spiccata attenzione
ai fenomeni sociali e culturali che interessano il Paese, compresa la crisi religiosa che si
va delineando. L’impegno storico del credente viene accentuato, anche alla luce di una
riscontrata carenza da parte dei cattolici dell’uso degli strumenti della comunicazione
sociale e più in generale nel campo della cultura. Di contro, si rilevano i passi fatti sulla
via dell’aggiornamento liturgico e catechetico. «Una Chiesa in ricerca, servizio, crescita»
è la formula usata da padre Bartolomeo Sorge nel suo intervento di sintesi dei lavori.
«La celebrazione del Concilio e l’approfondimento dell’ecclesiologia da esso operato
– riconosce il gesuita – da una parte hanno messo in crisi precedenti sintesi ed orien-
tamenti, dall’altra hanno aperto nuovi orizzonti all’impegno della Chiesa nel mondo,
hanno offerto gli strumenti dottrinali e operativi per il necessario rinnovamento e per
una risposta adeguata alla nuova domanda culturale».

2.2. Unità ecclesiale e superamento della frattura tra vangelo e cultura

“Riconciliazione cristiana e comunità degli uomini” è il titolo del secondo


convegno ecclesiale, che si tiene a Loreto dal 9 al 13 aprile 1985. All’inizio degli
anni Ottanta i vescovi italiani avevano lanciato il piano “Comunione e comunità”,
nella convinzione che
«il mistero della comunione sta al centro del pensiero ecclesiologico del concilio Vaticano
II e convinti che l’impegno a viverlo nella fede è premessa indispensabile a ogni rinnova-
mento. Riteniamo pure che l’esperienza della comunione e l’impegno a viverla rappresenti
una risposta valida e concreta alle attuali situazioni della Chiesa e della società italiana».12

11
Omelia di Papa Paolo VI, 31 ottobre 1976, in: CEI, Evangelizzazione e promozione umana. Atti
del convegno ecclesiale (Roma, 30 ottobre – 4 novembre 1976), Ave, Roma 1977, 27.
12
CEI, Comunione e comunità. Documento dell’episcopato italiano, 1° ottobre 1981, 1, in: “Noti-
ziario della Conferenza Episcopale Italiana” 15 (1981) 126.
66 Ernesto DIACO

Il convegno di metà decennio assume questa tesi e mette a tema la comunione


articolandola in cinque ambiti: la coscienza personale, luogo primario della riconci-
liazione; la mediazione educativa; la riconciliazione nella Chiesa, il ministero della
riconciliazione; la Chiesa e il Paese in un cammino di riconciliazione. La discussione
è vivace e lascia trasparire la forte dialettica fra le diverse sensibilità del mondo cat-
tolico, specialmente tra i fautori della “presenza” e i sostenitori della “mediazione”
nel rapporto Chiesa-mondo.
L’11 aprile arriva Giovanni Paolo II, che invita a dare testimonianza di unità, a
vivere in piena sintonia con la Chiesa, ad operare affinché la fede cristiana «in una società
pluralistica e parzialmente scristianizzata [...] recuperi un ruolo guida e un’efficacia trai-
nante nel cammino verso il futuro».13 La condizione perché ciò accada è che venga supe-
rata quella frattura tra Vangelo e cultura che già Paolo VI aveva indicato come il dramma
della nostra epoca. Occorre un’opera di inculturazione del Vangelo che trasformi le linee
di pensiero e i modelli di vita, avendo cura anche che non si appiattisca la verità cristiana
e non si nascondano le differenze, finendo in ambigui compromessi.

2.3. I cattolici italiani nella società: progetto culturale e pluralismo politico

Il terzo convegno nazionale della Chiesa italiana ha luogo a Palermo dal 20 al


24 novembre 1995. Il tema è disegnato sugli orientamenti pastorali degli anni Novanta:
“Il Vangelo della carità per una nuova società in Italia”; i duemila delegati lo affrontano
suddivisi in cinque ambiti: cultura e comunicazione sociale, impegno sociale e politico,
amore preferenziale per i poveri, famiglia, giovani. Il senso globale di questa scelta è che
la verità sull’uomo, manifestata pienamente dal Vangelo della carità, si traduce in una
cultura della responsabilità e della solidarietà nelle molteplici dimensioni della vita.
Come era successo a Loreto, anche a Palermo le parole di Giovanni Paolo II danno
un deciso orientamento ai lavori: «Il nostro – afferma – non è il tempo della semplice con-
servazione dell’esistente, ma della missione».14 È la «conversione pastorale» nella prospet-
tiva dell’evangelizzazione divenuta sempre più il filo rosso del cammino postconciliare.
In uno scenario politico profondamente mutato, da Palermo viene una parola
chiara sulla presenza politica dei cattolici dopo la fine della Dc. La pronuncia ancora
il Papa: «La Chiesa – afferma – non deve e non intende coinvolgersi con alcuna scelta
di schieramento politico o di partito». Il pluralismo politico dei cristiani è dunque le-
gittimo, ma esso «non ha nulla a che fare con una “diaspora” culturale dei cattolici».15
Il “progetto culturale orientato in senso cristiano” è il frutto più maturo del
convegno. Il cardinale Ruini, nelle conclusioni dei lavori, ne parla sottolineando
la necessaria complementarietà tra la pastorale ordinaria, la vita quotidiana delle

13
Allocuzione del Santo Padre, in: CEI, Riconciliazione cristiana e comunità degli uomini. Atti del
2° Convegno ecclesiale (Loreto, 9-13 aprile 1985), AVE, Roma 1985, 55.
14
Discorso del Santo Padre Giovanni Paolo II all’assemblea del convegno, in: CEI, Il Vangelo
della carità per una nuova società in Italia. Atti del III Convegno ecclesiale (Palermo, 20-24 novembre
1995), AVE, Roma 1997, 56.
15
Ibidem, 62-63.
La Chiesa italiana a Firenze: l’umanesimo della prossimità 67

comunità, la ricerca intellettuale e l’interlocuzione nel dibattito pubblico. C’è chi


commenta: al “cattolico spiritualista” e al “cattolico presenzialista” il convegno di
Palermo ha sostituito la figura del “cattolico inculturato”, preoccupato di mantenere
limpida la propria identità di fede, ma incarnandola nella storia, condividendo i pro-
blemi, le lotte e le speranze degli uomini di oggi.

2.4. L’educazione integrale della persona, incontrata negli ambiti dell’esistenza

Il quarto convegno ecclesiale si colloca all’interno del decennio su “Comunicare


il Vangelo in un mondo che cambia”. È Verona ad ospitare i lavori, dal 16 al 20 ottobre
2006, all’insegna dello slogan “Testimoni di Gesù risorto, speranza del mondo”. È il
convegno dei “cinque ambiti” esistenziali (la vita affettiva, il lavoro e la festa, la fragilità
umana, la tradizione, la cittadinanza), individuati come banco di prova della capacità dei
credenti di tradurre il progetto di Dio sull’uomo, e la speranza che ne scaturisce, nella
cultura diffusa. Una scelta che intende porre le premesse per un ripensamento complessi-
vo della pastorale e un “ritorno” della vita quotidiana nell’agenda della comunità cristia-
na, talvolta dimentica dell’unità della persona e della sua esperienza vitale.
Come già era accaduto a Palermo, anche da Verona esce infatti rafforzata l’at-
tenzione per il rapporto tra fede e cultura. Si ribadisce l’importanza della comuni-
cazione e la centralità della “questione antropologica”, da considerare insieme alla
“questione di Dio”. Per continuare ad essere “Chiesa di popolo”, al cattolicesimo
italiano è chiesto di mettere al centro le persone, dando nuovo valore alla vocazione
laicale e sviluppando una “pastorale integrata” e centrata sulle relazioni.
Il discorso di Benedetto XVI alla Fiera di Verona contribuisce a delineare l’oriz-
zonte per le scelte pastorali successive, compresa quella dell’educazione come prospet-
tiva di fondo degli Orientamenti pastorali del nuovo decennio. Il papa ricorda il “grande
sì” che Dio in Gesù Cristo dice all’uomo, alla sua intelligenza, libertà, amore. Quella
delineata da Benedetto XVI è «una fede amica dell’intelligenza e una prassi di vita ca-
ratterizzata dall’amore reciproco e dall’attenzione premurosa ai poveri e ai sofferenti»,
capace di affrontare la «questione fondamentale e decisiva» dell’educazione.16
Assumendo l’educazione come chiave di lettura della sua missione nell’Ita-
lia contemporanea, la Chiesa ha inteso lanciare un duplice messaggio. All’interno
della comunità ecclesiale, invitando a una verifica dei percorsi ecclesiali (con cui si
annuncia il vangelo, si diventa cristiani e si è accompagnati a esserlo lungo l’intera
esistenza). Verso l’esterno, tendendo la mano per affrontare insieme la sfida educati-
va nel senso più ampio del termine, ossia la ricerca di quei presupposti solidi su cui
fondare la costruzione di una autentica “vita buona” per tutti.17

16
Discorso del Santo Padre Benedetto XVI all’assemblea del Convegno, in: CEI, Testimoni di
Gesù risorto, speranza del mondo. Atti del 4° Convegno Ecclesiale Nazionale (Verona, 16-20 ottobre
2006), Dehoniane, Bologna 2008, 56-57.
17
Cfr. CEI, Educare alla vita buona del Vangelo. Orientamenti pastorali dell’episcopato italiano
per il decennio 2010-2020, 4 ottobre 2010, in: “Notiziario della Conferenza Episcopale Italiana” 44
(2010) 241-302.
68 Ernesto DIACO

3. Le acquisizioni del cammino verso Firenze

Il lungo percorso di avvicinamento all’assise fiorentina è iniziato nell’ottobre


2013 con la diffusione dell’“Invito al Convegno” da parte del Comitato preparatorio,
presieduto dall’arcivescovo di Torino, monsignor Cesare Nosiglia. Nel testo viene
fortemente sottolineata la consonanza con gli orientamenti pastorali del decennio e
l’attenzione alla “questione antropologica” da parte della Chiesa, esperta in umanità
e capace di dialogare col mondo.
A ben vedere, questo è un filo conduttore che unifica e percorre tutti i con-
vegni decennali: la fede cristiana, ossia il Vangelo vissuto, è sorgente di vita nuova
(buona) per l’esistenza personale e sociale. Il convegno di Firenze, fin dall’inizio,
nasce attorno alla stessa domanda: «Come la fede in Gesù Cristo illumina l’umano e
aiuta a crescere in umanità?».18

3.1. La scelta esperienziale

Per rispondere all’interrogativo, alle comunità cristiane si chiedono la narra-


zione di un’esperienza positiva, l’indicazione di un nodo problematico, la segnala-
zione delle vie attivate per il superamento delle difficoltà. È un approccio nuovo ri-
spetto al passato, volto a privilegiare la condivisione del vissuto. Non si tratta infatti
di «disegnare in astratto i termini e i confini di un nuovo umanesimo», sottolinea
monsignor Nosiglia presentando la Traccia di preparazione dell’evento, una sorta di
documento intermedio nel lungo iter di avvicinamento a Firenze: «Si sceglie invece
di partire dalle testimonianze che sono esperienza vissuta della fede cristiana e che si
sono tradotte in spazi di “vita buona del Vangelo” per la società intera».19
Così, fin dalle prime battute del percorso preparatorio, le Diocesi sono state
coinvolte con la richiesta di indicare segni concreti di “nuova umanità” presenti nei
loro territori. Dopo averne raccolte un ampio numero, al convegno si chiederà di
«continuare un dialogo e un cammino – è ancora l’arcivescovo di Torino a parlare –,
stimolando la consapevolezza ecclesiale, e cercare insieme vie nuove per affrontare le
sfide coltivando la pienezza della nostra umanità, più che formulare teorie umanisti-
che astratte o offrire programmi e schemi pastorali precostituiti».20

3.2. Parole e azioni del Papa “venuto dalla fine del mondo”

Quando la fumata bianca annuncia l’elezione del cardinale Jorge Mario Ber-
goglio al soglio di Pietro, il 13 marzo 2013, l’iter verso il convegno di Firenze è già

CEI – Comitato preparatorio del 5° Convegno Ecclesiale Nazionale, Invito al Convegno, 247.
18

Idem, In Gesù Cristo il nuovo umanesimo. Una traccia per il cammino verso il 5° Convegno
19

Ecclesiale Nazionale, 398-399.


20
Ibidem, 399.
La Chiesa italiana a Firenze: l’umanesimo della prossimità 69

impostato a grandi linee. Ciò non impedisce di accogliere fin dalle prime fasi lo stile
e il linguaggio del nuovo papa. Da parte sua, Francesco approfitta degli incontri con
l’episcopato italiano per invitare al coraggio e alla concretezza. Intervenendo all’As-
semblea generale della CEI, il 19 maggio 2014, condensa in poche battute le sue attese.
«Il discernimento comunitario – chiede il pontefice – sia l’anima del percorso di pre-
parazione al Convegno ecclesiale nazionale di Firenze nel prossimo anno: aiuti, per
favore, a non fermarsi sul piano – pur nobile – delle idee, ma inforchi occhiali capaci
di cogliere e comprendere la realtà e, quindi, strade per governarla, mirando a rendere
più giusta e fraterna la comunità degli uomini».21

Poco prima Francesco aveva accennato alla difficile situazione del mondo con-
temporaneo, elencando fra i punti problematici tutti i principali temi del suo magistero
sociale: la lotta all’esclusione, un modello di sviluppo attento al creato, l’ingiusta di-
vinizzazione del profitto, il bisogno di speranza e di misericordia che sale dal pianeta.
Il linguaggio e lo stile di papa Francesco sono entrati a pieno titolo nel vo-
cabolario del convegno: lo dimostrano, tra l’altro, le cinque azioni scelte come im-
pianto attorno a cui articolare la riflessione previa e gli stessi lavori di gruppo a
Firenze: uscire, annunciare, abitare, educare, trasfigurare. Si tratta di verbi ampia-
mente presenti nell’esortazione apostolica Evangelii Gaudium, che immediatamente
rimandano all’insistenza del papa sull’estroversione ecclesiale e l’immersione nelle
problematiche del nostro tempo, in amorevole vicinanza alle persone.

3.3. Partecipazione e interattività

Le prospettive delineate di una Chiesa aperta, attenta all’uomo e impegnata


a camminare insieme fanno emergere l’esigenza che l’esperienza di Firenze non sia
limitata ad alcuni “addetti ai lavori”, ma si caratterizzi per una partecipazione e un
coinvolgimento più ampi possibile. Al convegno, naturalmente, potranno prendere
parte solo un certo numero di delegati per ogni Diocesi e realtà ecclesiale. Al fine
però di permettere alle comunità locali di entrare in interazione con l’evento, un
grande investimento è stato compiuto dal punto di vista tecnologico.
Anima del cammino preparatorio è stato il sito www.firenze2015.it, cresciuto
a dismisura in questi due anni grazie all’inserimento delle esperienze diocesane, alla
pubblicazione di materiali utili e di rubriche, alla segnalazione di articoli e incontri
lungo tutta la penisola. I tre laboratori nazionali, tenuti da maggio ad ottobre 2015
nelle città di Perugia, Napoli e Milano, sono stati seguiti anche a distanza, mediante
la diretta streaming, consentendo la raccolta di domande e osservazioni in diretta
mediante i social network.
La stessa dinamica caratterizzerà i giorni del convegno: il sito web, che già
pubblica le tracce che guideranno i lavori di gruppo, trasmetterà tutti i momenti as-

21
Discorso del Santo Padre Francesco alla 66ª Assemblea Generale della Conferenza Episcopale
Italiana (Roma, 19-22 maggio 2014), in: “Notiziario della Conferenza Episcopale Italiana” 48 (2014) 154.
70 Ernesto DIACO

sembleari e diversi strumenti digitali permetteranno di interagire con i delegati pre-


senti a Firenze. Un’applicazione per smartphone, appositamente realizzata, faciliterà
l’informazione e la partecipazione sia in loco che a distanza.
Quello che potrebbe sembrare uno sfoggio di tecnologia risponde in realtà alle
caratteristiche ecclesiali dell’appuntamento, contribuendo a renderlo un’occasione
di incontro e di ascolto allargato. Resta aperto il rischio di una qualche spettacolariz-
zazione di un evento dalle forte caratteristiche spirituali e culturali, che però sarebbe
certamente più povero se rimanesse confinato nel chiuso dei locali di un fiera.

4. L’umanesimo della prossimità

«“In Gesù Cristo il nuovo umanesimo” è il titolo, definito dall’Assemblea Generale,


del prossimo Convegno Ecclesiale Nazionale (Firenze 2015). Già nella sua definizione
mira a non ridurre la fede cristiana a uno dei tanti fattori umani che innestano processi
culturali e sociali, ma a riconoscerla come la sorgente della vita nuova per ogni persona
e per l’intera società. Il confronto culturale – per cui anche la scelta della sede nel capo-
luogo toscano risulta particolarmente significativa – intende rivendicare che l’originario
umanesimo non solo non esclude la trascendenza, ma ha radici cristiane».22

Così, nel maggio 2013, il Comunicato finale dell’assemblea generale dei vescovi
italiani riassumeva la scelta del “nuovo umanesimo” cristiano come prospettiva tematica
del convegno ecclesiale di metà decennio. Con parole simili, il Consiglio permanente
della CEI, qualche mese prima, aveva raccomandato «che venga evidenziata la natura
cristiana dell’umanesimo, a dire quanto il Cristianesimo sia indispensabile per la storia,
la cultura e l’attualità del Paese, e come l’erosione di tali radici comprometta la base su
cui è fondata la comunità nazionale».23 L’attenzione per l’uomo e la sua progettualità
sociale e culturale – proseguiva la sintesi dei lavori – trova giustificazione «nella consa-
pevolezza di essere, come credenti, portatori di una parola decisiva circa l’umano, quindi
la libertà, la responsabilità e le relazioni, vissute in chiave trinitaria: con l’Apostolo, i
Vescovi annunciano che “se uno è in Cristo, è una nuova creatura” (2Cor 5,17)».24

4.1. L’emergere della domanda di relazioni buone

Nel corso del cammino preparatorio si è ripetutamente avvertito che il termi-


ne “umanesimo” non doveva far pensare alla volontà di costruire complessi sistemi
di pensiero, né limitarsi alla riaffermazione dei principi dell’antropologia cristiana.
Sulla scorta del metodo indicato dalla Traccia, i principali riferimenti sono divenuti
la Parola di Dio e il “magistero” della vita quotidiana.

22
CEI, Comunicato finale della 65ª Assemblea Generale della Conferenza Episcopale Italiana
(Roma, 20-24 maggio 2013), in: “Notiziario della Conferenza Episcopale Italiana” 47 (2013) 134.
23
CEI, Comunicato finale del Consiglio Episcopale Permanente (Roma, 24-27 settembre 2012),
in: “Notiziario della Conferenza Episcopale Italiana” 46 (2012) 214.
24
Ibidem.
La Chiesa italiana a Firenze: l’umanesimo della prossimità 71

In questa prospettiva, c’è chi ha visto nelle beatitudini evangeliche il modo in


cui uomini e donne possono attuare pienamente la loro umanità,25 e chi, come don
Paolo Gentili, ha individuato la vera questione nel riscoprire le radici sponsali della
persona umana, costruendo il “villaggio dell’umano”, in cui annunciare la verità
sull’uomo, restituire dignità alle famiglie e curare le ferite di una cultura che mira a
cancellare le differenze.26
Di un umanesimo “del dono di sé” ha parlato il cardinale Angelo Scola nel suo
discorso per la festa di Sant’Ambrogio del 7 dicembre 2014.27 L’arcivescovo del ca-
poluogo lombardo sottolinea la costitutiva relazionalità dell’essere umano e propone
una “amicizia civica” per dare forma alla città metropolitana. Ciò che Scola chiede
al nuovo umanesimo è un profilo di vita buona molto concreto e quotidiano, che si
costruisce con l’amare e il generare, lavorare e riposare, educare, condividere gioie
e dolori, entrare nei processi storici, accompagnare e prendersi cura della fragilità,
promuovendo la libertà e la giustizia.
A dare voce alla domanda diffusa di una relazionalità matura e fraterna è an-
che monsignor Vincenzo Bertolone.28 Procediamo davvero a grandi passi verso un
nuovo umanesimo? Si chiede l’arcivescovo di Catanzaro, convinto che la luce della
fede sia in grado di valorizzare la ricchezza delle relazioni umane, la loro capacità di
mantenersi, di essere affidabili, di arricchire la vita comune. È qui che per Bertolone
si colloca la proposta del convegno di Firenze, che invitando a cercare in Cristo il
nuovo umanesimo «non fa che echeggiare nel terzo millennio l’atteggiamento del
Concilio: la Chiesa è in simpatia con il mondo ed è la Chiesa della carità».29
Un interrogativo provocatorio apre anche la riflessione del professor Giuseppe
Savagnone: è davvero possibile un nuovo umanesimo?30 Il direttore dell’ufficio per
la pastorale della cultura della Diocesi di Palermo passa in rassegna le contraddizioni
che attraversano lo scenario contemporaneo e che sembrano negare il concetto stes-
so di essere umano, mettendo in discussione la sua unicità e la superiorità sul resto
della natura. Tra queste, lo studioso colloca il fenomeno dell’ecologismo, la difficile
composizione tra individualità e relazionalità, la riduzione della distanza tra naturale
e artificiale, le spinte verso la negazione della differenza sessuale. Per Savagnone,
dunque, la sfida del nuovo umanesimo è riportare la complessità dei processi in cor-
so nell’orizzonte di un’identità a cui non possiamo cessare di essere fedeli. In questo
orizzonte, il Vangelo può aiutare a superare le posizioni unilaterali, favorendo «un
equilibrio sempre instabile e sempre da ricostruire».31

25
Cfr. A. Fabris – C. Giaccardi – S. Morandini – F. Scarsato, Le beatitudini. Vangelo del nuovo
umanesimo, Messaggero, Padova 2015.
26
Cfr. P. Gentili, Il giardino del principio. Cinque vie per un nuovo umanesimo in famiglia, Città
Nuova, Roma 2015.
27
Cfr. A. Scola, Un nuovo umanesimo. Per Milano e le terre ambrosiane, Centro Ambrosiano, Milano 2014.
28
Cfr. V. Bertolone, I care humanum. Passare la fiaccola della nuova umanità, Rubbettino, Sove-
ria Mannelli 2014.
29
Ibidem, 20.
30
G. Savagnone, Quel che resta dell’uomo. È davvero possibile un nuovo umanesimo?, Cittadella,
Assisi 2015.
31
Ibidem, 175.
72 Ernesto DIACO

4.2. Il “nuovo umanista” è il buon samaritano


Nel suo discorso durante l’ultima sessione del Concilio Vaticano II, il 7 dicembre
1965, Paolo VI rivendicava per la Chiesa una particolare competenza in umanità. «Date-
gli merito di questo almeno – dichiarava rivolgendosi al mondo intellettuale secolarizza-
to, voi umanisti moderni, rinunciatari alla trascendenza delle cose supreme, e riconosce-
rete il nostro nuovo umanesimo: anche noi, noi più di tutti, siamo i cultori dell’uomo».32
Ad attribuire questo titolo alla comunità cristiana, per papa Montini, era pro-
prio l’esperienza condotta insieme ai vescovi di tutto il mondo: «L’antica storia del
Samaritano è stata il paradigma della spiritualità del Concilio. Una simpatia immen-
sa lo ha tutto pervaso. La scoperta dei bisogni umani (e tanto maggiori sono, quanto
più grande si fa il figlio della terra) ha assorbito l’attenzione del nostro Sinodo».33
Cinquant’anni dopo, il convegno di Firenze intende percorrere la stessa via.
L’umanesimo di cui si fa propugnatore è quello di chi si china sulle piaghe dell’u-
manità ferita, per portare ad essa soprattutto ciò che può risanare la sua povertà di
amore e di speranza. L’immagine biblica scelta a far da sfondo ai lavori del convegno
è la giornata di Gesù a Cafarnao raccontata dall’evangelista Marco – tra guarigioni,
insegnamento e preghiera – ma l’icona del Samaritano in qualche modo si impone,
con la sua carica di provocazione e concretezza.
Il solco è quello che già il convegno di Verona ha iniziato a scavare, invitando
a promuovere un’esistenza redenta negli affetti, nel lavoro e nella festa, nella fragilità,
nella trasmissione dei valori, nel partecipare alla vita sociale. Il principale filo di conti-
nuità tra i due convegni risiede nel reiterato invito a porre la persona al centro dell’agire
ecclesiale, ma non mancano alcuni elementi carichi di novità, a partire dallo stile spiaz-
zante di papa Francesco. E se l’umanesimo storico fa subito pensare alle opere d’arte e
dell’ingegno che hanno fatto risplendere l’Italia, le opere d’arte del “nuovo umanesimo”
sono soprattutto le persone e la cura della loro umanità. Una cura che se non vuole restare
chiusa nelle gabbie teoriche di una “Chiesa di carta”, deve farsi progetto.
Dopo la fine delle grandi costruzioni ideologiche e pienamente immersi nel vor-
tice narcisistico dell’auto-comunicazione odierna, c’è grande bisogno di un aiuto a
saper guardare le dimensioni deboli della vita, a prendersi cura delle sue immancabili
ferite, ad accompagnare la vulnerabilità dell’essere umano con una cultura del contat-
to, della sensibilità, della compagnia. Si tratta, spiega il teologo austriaco Kurt Appel,
«di mostrare che il contributo del cristianesimo a un nuovo umanesimo è nella fragi-
le, spesso fungente, narrazione della genesi di uno sguardo rivolto alla fragilità, alla
vulnerabilità, ma anche alla sensibilità e al sottrarsi dell’esistenza umana. La parola
cristiana centrale, “misericordia”, ne dà testimonianza».34

Ecco perché il convegno ecclesiale di Firenze, che si celebra tra la fine del
Sinodo sulla famiglia e l’inizio del Giubileo straordinario, può trovare nell’anno
santo della misericordia il primo banco di prova del “nuovo umanesimo” invocato
e un’occasione per costruire ponti, vie di comunicazione, inediti terreni di incontro.

32
Paolo VI, Omelia nella 9ª sessione pubblica, 7 dicembre 1965, in: EV, 1, 303.
33
Ibidem.
34
K. Appel, Apprezzare la morte. Cristianesimo e nuovo umanesimo, Dehoniane, Bologna 2015, 9.
ITINERARIUM
RIVISTA MULTIDISCIPLINARE
DELL’ISTITUTO TEOLOGICO “SAN TOMMASO”
MESSINA – Italy

61
Anno 23 - 2015/3
Indice

Itinerarium 23 (2015) n. 61, settembre-dicembre 2015

Editoriale
Cassaro Giuseppe Carlo, La misericordia: potenza che trasforma il mondo . . 11

Sezione Monografica (a cura di Carmelo Sciuto e Gaspare Ivan Pitarresi):


Verso Firenze 2015. Ritrovare il “gusto per l’umano”
Raspanti Antonino, In Gesù Cristo il nuovo umanesimo.
La traccia: uno strumento per un cammino sinodale . . . . . . . . . . . . 21
Pitarresi Gaspare Ivan, Dire l’uomo nell’epoca della ‘crisi’.
Per un umanesimo in ascolto “dell’urlo dell’uomo solo” . . . . . . . . . . 31
Sciuto Carmelo, La famiglia: culla di un nuovo umanesimo.
Annunciare la fede “in” e “con” la famiglia . . . . . . . . . . . . . . . . 45
Diaco Ernesto, La Chiesa italiana a Firenze: l’umanesimo della prossimità . . . 61
Donatello Veronica Amata, Guardando all’altro mi scopro onni-debole anch’io…
piuttosto che onnipotente. Per un umanesimo davvero “inclusivo” . . . . . 73

Laboratorio di Bioetica
Suaudeau Jacques, Cellule staminali pluripotenti indotte (iPSCs). Prima parte . . . 85

Monografia (a cura di Giovanni Russo):


Fecondazione eterologa. Questioni biogiuridiche
Agosta Stefano, Tra seguito normativo e giurisprudenziale: la riespansione
del diritto di formare una famiglia con figli all’indomani della caducazione
del divieto di eterologa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 107
Randazzo Alberto, Brevi note sulla giurisprudenza della Corte europea
dei diritti umani in tema di fecondazione eterologa . . . . . . . . . . . . . 115
Mollica Poeta Loredana, La fecondazione eterologa: dubbi ed incertezze
ad un anno dalla sentenza n. 162 del 2014 della Corte costituzionale . . . 121

Miscellanea
Conte Nunzio, «Scelto per annunciare il Vangelo di Dio» (Rm 1,1b).
Abilità e qualità dell’omileta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 127
Mursia Antonio, «Ad effectum costruendi conventum cappuccinorum».
Alcune note sulla fondazione del convento dell’Immacolata Concezione
di Adrano (1608-1668) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 145

Discussioni
Gensabella Furnari Marianna, La bellezza che salva.
A proposito di un recente saggio di Nunziella Scopelliti . . . . . . . . . . . 155

Biblioteca . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 161
Cineteca . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 168
Libri pervenuti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 174
Collaboratori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 176
Sezione Monografica

VERSO FIRENZE 2015


RITROVARE IL “GUSTO PER L’UMANO”
(a cura di Carmelo Sciuto - Gaspare Ivan Pitarresi)

In Gesù Cristo il nuovo umanesimo


La traccia: uno strumento per un cammino sinodale
Antonino Raspanti

Dire l’uomo nell’epoca della ‘crisi’


Per un umanesimo in ascolto “dell’urlo dell’uomo solo”
Gaspare Ivan Pitarresi

La famiglia: culla di un nuovo umanesimo


Annunciare la fede “in” e “con” la famiglia
Carmelo Sciuto

La Chiesa italiana a Firenze:


l’umanesimo della prossimità
Ernesto Diaco

Guardando all’altro mi scopro


onni-debole anch’io… piuttosto che onnipotente
Per un umanesimo davvero “inclusivo”
Veronica Amata Donatello
73

Itinerarium 23 (2015) 61, 73-84

GUARDANDO ALL’ALTRO MI SCOPRO ONNI-DEBOLE ANCH’IO…


PIUTTOSTO CHE ONNIPOTENTE.
PER UN UMANESIMO DAVVERO “INCLUSIVO”

Veronica Amata Donatello*

Ogni uomo può sentire l’amore di Dio nei suoi riguardi e può intravedere la
Sua presenza negli altri e nella realtà circostante. Tutta la bellezza che ci circonda
rispecchia quella divina ma a volte siamo anche sgomenti davanti al Mistero che ci
presenta la vita. Ecco cosa accade quando nella vita siamo visitati dalla disabilità:
il senso di impotenza ci attanaglia e non si vede la luce per uscire dalla situazione.
La Chiesa, fin dalle sue origini, ha invece cercato di leggere questa realtà come un
segno di Amore senza misura, dove adorare il Mistero che apre quella corale liturgia
di quella bellezza, che sola, salverà il mondo.1
In tale logica, s’inserisce l’intervento dei Vescovi nell’Instrumentum laboris
per il Sinodo sulla famiglia:
«Uno sguardo speciale occorre rivolgere alle famiglie delle persone con disabilità, in
cui l’handicap, che irrompe improvvisamente nella vita, genera una sfida, profonda e
inattesa, e sconvolge gli equilibri, i desideri, le aspettative. Ciò determina emozioni
contrastanti da gestire ed elaborare, mentre impone compiti, urgenze e bisogni nuo-
vi, ruoli e responsabilità differenti. L’immagine familiare e l’intero suo ciclo vitale
vengono profondamente turbati. Tuttavia, la famiglia potrà scoprire, insieme alla co-
munità cristiana a cui appartiene, diverse abilità, competenze impreviste, nuovi gesti
e linguaggi, forme di comprensione e di identità, nel lungo e difficile cammino di ac-
coglienza e cura del mistero della fragilità. Tale processo, di per sé straordinariamente
complesso, diventa ancor più faticoso in quelle società in cui sopravvivono forme im-
pietose di stigma e di pregiudizio, che impediscono l’incontro fecondo con la disabilita
e l’emergere della solidarietà e dell’accompagnamento comunitario. Un incontro che
in realtà può costituire, per ciascuno e per la comunità intera, un’occasione preziosa
di crescita nella giustizia, nell’amore e nella difesa del valore di ogni vita umana, a
partire dal riconoscimento di un profondo senso di comunanza nella vulnerabilità. È
da augurarsi che, in una comunità ecclesiale che viva la sua dimensione di Noi, la fa-
miglia e la persona con bisogni speciali non si sentano sole e scartate, ma sia dato loro
di trovare sollievo e sostegno, specialmente quando le energie e le risorse familiari
vengono meno. A questo proposito, va considerata la sfida cosiddetta del “dopo di
noi”: pensiamo alle situazioni familiari di povertà e solitudine, o al recente fenomeno
per cui, nelle società economicamente più avanzate, l’allungarsi dell’aspettativa di

*
Responsabile del Settore “Catechesi delle persone disabili” dell’Ufficio Catechistico Nazionale.
1
Cfr. A.M. C anopi , La liturgia della Bellezza, Messaggero, Padova 2009.
74 Veronica Amata DONATELLO

vita consentirà alle persone con disabilita di sopravvivere, con alta probabilità, ai loro
genitori. Se la famiglia riesce ad accettare con occhi di fede la presenza nel suo seno
di persone con disabilita, essa potrà anche aiutarli a non vivere il proprio handicap
soltanto come un limite e a riconoscere il proprio differente e originale valore. Potrà
così essere garantita, difesa e valorizzata la qualità possibile di ogni vita, individuale
e familiare, con i suoi bisogni, con il suo diritto a pari dignità e opportunità, a servizi e
cure, a compagnia ed affettivi, a spiritualità, bellezza e pienezza di senso, in ogni fase
della vita, dal concepimento all’invecchiamento e alla fine naturale».2

1. L’altro, la persona disabile: risorsa o ostacolo per un nuovo umanesimo?

Nel linguaggio della gente comune, per strada, sui mezzi pubblici, in parroc-
chia, sovente sentiamo espressioni di questo tipo: oggi è arrivato in classe un ragaz-
zo autistico… a Maria è nato un figlio down e meno male che non è successo a noi…
quest’anno si sono iscritti tre ragazzi disabili. Spesso la persona disabile e la sua
famiglia vengono stigmatizzati con i termini della loro disabilità come, ad esempio,
“down”, “spastico”, “handicappato”, “muto” o “ritardato”. L’accento per identificare
la persona, viene posto sull’aspetto deficitario e sulle categorie a cui appartiene, evi-
denziando il limite che si trasforma in realtà ghettizzante. Ciò porta subito a pensare
queste persone in modo pietistico e assistenziale per le loro problematiche di autono-
mia e spingono la comunità ad attivare soluzioni “ai problemi” perché turbata da una
certa idea di “normalità”. In tal modo, però ci si dimentica che il disabile è invece, e
innanzitutto, una persona e come tale va riconosciuto ed accolto.
Il concetto di persona con disabilità in Incontriamo Gesù,3 in linea con l’ap-
proccio scientifico e pedagogico,4 vuole evidenziare non i deficit e gli handicap che
rendono precarie le condizioni di vita delle persone, ma vuole essere un concetto
inserito in un continuum multidimensionale. Infatti, chiunque potrebbe imbattersi in
un contesto ambientale precario che gli possa causare qualche disabilità. Pensiamo
ad una persona che abbia qualche difficoltà: ha poca importanza se la causa del suo
disagio è di natura fisica, psichica o sensoriale; ciò che è necessario è cambiare il
contesto sociale in cui vive intervenendo con la costruzione di reti di aiuto significa-
tive che riducano le difficoltà.
La disabilità non è solo deficit, mancanza, privazione a livello organico o psi-
chico, ma è una condizione di vita che va oltre la limitazione, che supera le barriere
mentali ed architettoniche. La disabilità, potremmo affermare, è una condizione uni-
versale di vita in cui tutti siamo chiamati a vivere temporaneamente. È fondamentale

2
Sinodo dei Vescovi, La vocazione e la missione della famiglia nella Chiesa e nel mondo con-
temporaneo. Instrumentum laboris della XIV Assemblea generale ordinaria, Libreria Editrice Vaticana,
Città del Vaticano 2015, 21-23.
3
Cfr. Conferenza Episcopale Italiana (=CEI), Incontriamo Gesù. Orientamenti per l’annuncio e
la catechesi in Italia, 29 giugno 2014, 17. 41. 54. 56. 67. 71-72. 88. 93, in: “Notiziario della Conferenza
Episcopale Italiana” 48 (2014) 216-218. 239-240. 251-254. 264. 267-268. 278-280. 282.
4
Organizzazione Mondiale della Sanità - International Classification of Functioning, Disability
and Health.
Guardando all’altro mi scopro onni-debole anch’io… 75

valutare l’influenza dell’ambiente sulla vita degli individui perché il contesto sociale
e lavorativo, unitamente alla famiglia, potrebbe influenzare lo stato di salute, dimi-
nuire le capacità di svolgere le mansioni che vengono richieste e porre di conseguen-
za la persona in una situazione di difficoltà.
L’importanza dell’utilizzo di uno strumento, come ICF_CY, che rivisita la
terminologia “persona disabile”, è basilare, in quanto aiuta a impostare progettazio-
ni nuove in tal senso.5 Anche per la comunità cristiana il temine “persona” è assai
familiare perché rimanda a guardare l’altro come fratello e ricorda l’origine comune
dell’uomo creato a immagine e somiglianza di Dio.6
Nel Vangelo, l’idea di normalità è lo stile di Cristo che diventa pluralità di dif-
ferenze, non uniformità fissa definita attraverso standard, medie e misurazioni stati-
stiche. È evidente in tutto l’annuncio evangelico che l’inclusione implica un radicale
insieme di cambiamenti che spingono a trasformare la struttura educativa delle rela-
zioni e avviano percorsi di “buone prassi”. Pensiamo all’episodio del cieco di Gerico
che, a differenza dei Farisei, da “cieco”, passa da un’ignoranza sulla condizione di
Gesù alla Sua piena conoscenza. Questo è il paradosso: il cieco diventa discepolo.
Gesù lo proietta verso un futuro luminoso e sempre in compagnia, sottraendolo così
alla schiavitù dell’isolamento e inviandolo alla comunità.
Pertanto, oggi è più che mai urgente il bisogno di rivedere e superare dentro
gli ambienti educativi e pastorali, le attuali prospettive epistemologiche, le teorie e i
linguaggi che si basano sulle abilità e che leggono le persone in termini di deficit, di
mancanze, di bisogno. Occorre un’azione pastorale con una vera attenzione alla per-
sona in cui la proposta inclusiva è quella di applicare questo metodo, valido non solo
in ambito scolastico, poiché la categoria dell’inclusione si rivolge a tutti, fondandosi
sull’epistemologia delle differenze.7
Infatti, una società, una comunità ecclesiale, un ambiente inclusivo, richiede
continuamente di riflettere su un nuovo modo di pensare per imparare a vivere con
l’altro avendo delle relazioni significative e di pensare e avere modi di porsi alternativi
rispetto al modello prevalentemente acquisito. È un invito a ragionare per differenze
e non significa negare la realtà della disabilità ma sollecitare a comprendere che la
persona ha bisogno di essere sempre riconosciuta e sostenuta anche nella sua disabilità
e deve poter trovare ambienti inclusivi che sappiano promuovere le sue capabilities.
Negli anni passati, per i disabili, si è corso il rischio di creare ambienti protetti
e non inclusivi chiamandoli “speciali” per le difficoltà che insorgevano a causa del
deficit. Quest’attenzione esclusiva e non inclusiva ha imprigionato la persona disa-

5
Si utilizza ICF-CY proprio perché ben si collega con il costrutto dell’inclusione in particolare
nella fascia d’età 0-16 anni, assumendo un significato che va oltre la scuola e che «invade tutte le sfere
vitali e sociali, i luoghi concettuali e quelli spaziali, per diventare processo culturale e mentale e non
solo un intervento organizzativo»: R.C. P upulin , Introduzione alla Pedagogia Speciale, Cleup, Pado-
va 2001, 128.
6
Cfr. CEI, Incontriamo Gesù, 10, in: “Notiziario della Conferenza Episcopale Italiana” 48 (2014)
211-212.
7
Cfr. C. G iorgini , Integrare i disabili nel mondo del lavoro. Problemi culturali, fonti giuridiche,
ostacoli sociali, Libreria Ateneo Salesiano, Roma 2010, 68.
76 Veronica Amata DONATELLO

bile, l’ha categorizzata, spogliandola del suo essere “altro”. In realtà, frequentare
classi speciali e gruppi di catechesi speciali non aiuta nessuno nell’autostima perché
la persona si sente inferiore. Piuttosto partecipare ad un incontro insieme agli altri,
aiuta nel processo di compensazione. È ormai noto che la disabilità è un fenomeno
sociale, storico e culturale che deve tener conto da un lato dello sviluppo sociale,
dall’altro dell’inclusione e del processo di compensazione che mette in atto un ra-
gazzo disabile in un contesto normale. In questo campo, la pedagogia speciale, le
scienze dell’educazione e l’apporto delle scienze inclusive, possono essere di aiuto
e sostegno, «tendendo a costruire dei ponti, concepire l’educazione prima di tutto
come un modo di pensare altro e se stessi, e promuovere una teoria della cosiddetta
“umanitudine” con la mediazione del sapere».8

2. La relazione educativa a partire dal ‘volto’

Attorno alla persona disabile vi sono vari volti, il volto dei familiari, il volto
dell’educatore, del terapista. L’educatore, l’accompagnatore, il catechista deve sem-
pre ricordare che, come ha affermato il filosofo ebreo Martin Buber, «per poter an-
dare verso l’altro occorre essere consapevoli di un punto di partenza. Occorre essere
stati, essere, presso di sé».9
Sappiamo bene che l’educazione prende corpo nel volto dell’educatore, che
svolge il servizio prioritario di aiutare a costruire relazioni stabili, di formare all’o-
blatività, di aiutare nella conoscenza delle proprie potenzialità, e nella formazione
di una sana autonomia. Ma per far questo è necessario che l’educatore, proprio per
accogliere profondamente l’altro, abbia un’identità soggettiva e personale ben strut-
turata, sappia vivere una relazione asimmetrica per generare l’altro alla vita adulta.
L’io e il tu si appartengono ma non si fondono, è importante avere una propen-
sione comunicativa, un atteggiamento empatico, essere in-formazione, saper gestire
la tonalità affettiva della relazione, in quanto lo scarso equilibrio psicologico dell’e-
ducatore rischia di mettere in seria discussione il cammino dell’educando. Un edu-
catore è chiamato ad educarsi mentre educa, ad essere testimone credibile ed umile
dei valori, delle idee, delle esperienze che tessono il senso dello stare nel mondo; un
educatore che abita se stesso, è capace di guardare l’altro cogliendone l’unicità, la
singolarità, con uno sguardo che è relazione, interesse, cura, che va oltre l’approccio
fenomenologico e sa cogliere lo sviluppo possibile partendo dalla realtà. Occorre
abitare presso di sé, avere un’identità certa per evitare il burn-out, l’assistenzialismo,
il pietismo per evitare condizionamenti all’interno di un processo formativo e soprat-
tutto rischia di non permettere alla persona disabile di vivere in comunità da adulto,
ma di avere una relazione duale solo con l’educatore.
Il volto è un nuovo modo di guardare l’uomo che sconvolge gli abituali riferimenti
di senso, costringe ad uscire da sé, produce un’etica diversa, una pedagogia in cui si ap-

8
C. G ardou , Diversità, vulnerabilità e handicap. Per una nuova cultura della disabilità, Erickson,
Trento 2005, 170.
9
M. B uber , Il cammino dell’uomo, Qiqajon, Bose 2000, 199.
Guardando all’altro mi scopro onni-debole anch’io… 77

prende e si insegna a guardare il volto. Oggi nella nostra società soggettiva questa è una
cultura nuova, che ci invita a formare persone che siano in grado di guardarsi.
Nel suo saggio “Io e Tu” Buber riconosce come fatto fondamentale dell’esi-
stenza che l’uomo è “l’uomo-con–l’uomo”: è infatti questa relazione che fa dell’uo-
mo un uomo.10 L’Io soggetto deve riconoscere nell’altro se stesso – l’Uomo – e apri-
re una breccia verso l’altro perché l’incontro possa essere motivo di trasformazione.
L’esistenza autentica si costruisce attraverso il dialogo, che per Buber è il fulcro su
cui si fonda l’incontro ed è la base di tutte le dinamiche della relazione educativa.
È una critica al soggettivismo, in quanto non si può riconoscere la propria esistenza
senza l’altro.
Educazione è accogliere il mondo dell’interiorità dell’uomo in un’esperienza
di reciprocità. Educare è un modo di accogliere un desiderio dell’altro che non sia
né possesso, né strumentalizzazione. Il compito educativo è formare gente che nei
nostri contesti, sappia accogliere e accettare l’invito che si presenta all’uomo nel
volto di un’altra creatura.

3. Si è “persone” attraverso l’altro

Secondo Paul Ricoeur, vi è un’etica della reciprocità che passa attraverso tre
momenti, la stima di sé, la cura dell’altro e il desiderio di vivere insieme situazioni
giuste. Per questo è importante nella dinamica educativa educare a raccontare e a
raccontarsi, mettendo in atto le modalità dell’ascolto empatico, che rappresenta una
condizione privilegiata da offrire ad ogni persona, per potersi conoscere e compren-
dere, dato che «l’io è percepibile attraverso l’interpretazione delle tracce che lascia
nel mondo».11 Ricoeur parla di «uomo parlante, uomo agente, uomo narratore e,
infine, uomo responsabile».12
Questi quattro aspetti rappresentano le quattro dimensioni della persona, o
meglio i quattro modi attraverso i quali riesce ad esprimersi e a divenire: parlare,
agire, narrare e farsi responsabile. Tutto il processo educativo, d’altronde, è incen-
trato in queste quattro dimensioni: suscitare il parlare, sollecitare e spronare l’agire,
sviluppare e assecondare il raccontare – attraverso la rappresentazione di sentimenti
e pensieri – e, a completamento del divenire persone adulte, incoraggiare l’attivazio-
ne dei vari modi del farsi responsabili rispetto alla propria vita e a quella degli altri.
Ci si costituisce persona, attraverso la relazionalità. Educare al senso dell’al-
tro pertanto, rappresenta la maggiore opportunità per la piena attuazione della per-
sona. In tale prospettiva la sollecitudine verso l’altro ed il senso della reciprocità
rappresentano le due modalità privilegiate per attivare un’autentica relazione con
l’altro. Si tratta di trasformare l’altro che ci sta davanti senza volto in un possibile
«ciascuno» da incontrare e con cui poter attivare una relazione autentica ancor più

10
Idem, Io e tu, in: Idem, Il principio dialogico e altri saggi, Edizioni di Comunità, Milano 1983,
9-10, 57-58.
11
P. Ricoeur, Tempo e racconto. Volume 3. Il tempo raccontato, Jaca Book, Milano 1998, 379.
12
Idem, La Persona, Morcelliana, Brescia 1998, 39.
78 Veronica Amata DONATELLO

quando l’altro è fragile. Si passa così da una società impostata individualisticamente


a una vita sociale fondata sulla reciprocità e sulla cooperazione.
Tale dimensione richiede il mettersi in condizione di farsi comprendere e di
poter comprendere l’altro, fattore questo indispensabile per ogni ambito della con-
vivenza umana.
Come ha ben evidenziato il filosofo lituano Emmanuel Lévinas, la relazione
è prossimità e non potenza. Ma per vivere ciò, bisogna mettere in discussione le
proprie barriere mentali, i propri pregiudizi cognitivi e comunitari. Solo così ci sarà
un modo nuovo di porsi come cristiani nella storia attraverso un’educazione all’a-
scolto ponendosi in un contesto dialogico e decentrandosi, educando alla scelta del
Vero, del Bene e del Bello, a riconoscimento dell’autenticità di ciascuno. Il filosofo
evidenzia la necessità di educare al volto dell’altro abitando anche il suo limite, aiu-
tando a narrarlo in modo sapienziale.
L’educatore, il compagno di viaggio del domani, attraverso la pedagogia del
volto, è chiamato ad umanizzare la realtà, attraverso il coraggio e la capacità di con-
vertire lo sguardo. Il volto ha significato solo dopo averlo conosciuto. È allora che si
diventa responsabili dell’altro. Pertanto uno dei presupposti base per una relazione
educativa è la conoscenza e il coinvolgimento dell’educando.
Secondo lo psicoterapeuta C.R. Rogers, l’educatore, la famiglia, il terapista
sono chiamati a creare l’uomo attraverso la relazione empatica, il dialogo, l’ascolto
e la ricerca del senso della vita, ponendo la fiducia nelle potenzialità dell’altro e
avendo una visione positiva della persona.13
Un possibile progetto pastorale dovrebbe insegnare il dialogo con il volto
dell’altro, sia esso disabile o straniero. Educare a partire dall’altro è un avventura,
in quanto richiede di creare spazi di conoscenza, di ascolto attivo, di reciprocità, di
collaborazione uscendo da modelli passati e aprendosi a metodologie nuove, dove la
differenza non è avvertita come una minaccia.
Siamo chiamati ad educare i giovani ad abitare il limite, direbbe Lévinas, as-
sumere la nostra finitezza dato che,
«quando l’uomo dimentica di abitare il limite, non è più capace di prossimità e preten-
de di abitare nella totalità. Ma il pensiero di totalità non riconosce più alcuna esteriori-
tà, differenza e diventa totalitarismo, nazismo, e olocausto. Educare dopo i fallimenti
del XX secolo significa allora accettare di abitare il limite, condizione per rispondere
sinceramente “eccomi” al volto che mi fa visita».14

4. La famiglia della persona disabile

Oggi la famiglia, grazie al contributo delle teorie sistemiche e dell’approccio


biopsico-sociale (ICF), essendo un sistema di relazioni, a sua volta in rapporto di

13
Cfr. C. R. R ogers , Un modo di essere. I più recenti pensieri dell’autore su una concezione di
vita centrata - sulla - persona, Giunti, Firenze 2001.
14
S. Curci, Pedagogia del volto. Educare dopo Lévinas, Editrice Missionaria Italiana, Bologna 2002, 109.
Guardando all’altro mi scopro onni-debole anch’io… 79

interdipendenza con altri sistemi sociali più ampi, non può accontentarsi di inter-
venti mirati unicamente in ambito terapeutico, ma deve cercare un nuovo approccio:
empowerment psicologico, la self-advocacy, lo sviluppo di iniziative di mutualità.15
Ogni vita è inserita, con la sua venuta nel mondo, nella storia della sua fami-
glia, in un certo contesto socio culturale ed economico. La famiglia che ha un figlio
con disabilità è una “famiglia disabile”. La nascita di un bambino disabile comporta
un terremoto all’interno del nucleo familiare, sia nelle relazioni tra i coniugi sia in
quelle tra i genitori e gli altri figli, ove ne siano. Cambia lo stile di vita della fami-
glia, della coppia, delle relazioni con la società, con la famiglia allargata. Anche dal
punto di vista economico, un figlio disabile spesso condiziona attività, tempo, pre-
occupazioni quotidiane e porta stress e tensione ai familiari. La famiglia vive un’ac-
celerazione della vita nell’aspetto comunicativo, in quanto il bambino richiede delle
decisioni da prendere in breve. Alcune famiglie riescono a salvaguardare il nucleo
familiare vivendo serenamente la situazione ma con il rischio di negare la sofferenza
e la rabbia. Un passaggio avviene quando i genitori riescono ad attribuire valori sani
all’accaduto, realizzando un’integrazione nella società e una cooperazione. Infatti
pur rimanendo la famiglia come sorgente della significazione per il ragazzo, anche le
alleanze esterne sono importanti.
È importante il rapporto tra la famiglia e la comunità, intesa come paren-
ti, amici, operatori sociali, assistenti, educatori, professori, coetanei. Queste buone
alleanze sono utili per l’equilibrio della coppia. Infatti un tipo di sostegno ritenuto
necessario nei primi anni di vita del bambino disabile è il parent training, percorso
che «ha lo scopo di stimolare cambiamenti nella funzione educativa […] tramite
strumenti quali l’informazione e la formazione. In particolare si tende a trasmettere
ai genitori una cultura educativa di base».16
È importante tutto ciò per evitare, come spesso accade, che le famiglie del-
le persone disabili corrano il rischio di un isolamento. I genitori, condividendo la
quotidianità con i disabili, pur non possedendo un sapere scientifico, sono i primi
protagonisti dell’educazione dei loro figli, dotati di un “sapere genitoriale” ed espe-
rienziale insostituibile. Occorre dunque sostenerli e soprattutto valutarli all’interno
di un cammino progettuale del quale dovranno far parte anche fratelli o sorelle della
persona disabile. Infatti sebbene non possiamo paragonare lo stesso dolore di un ge-
nitore con quello dei fratelli, è altrettanto vero che quest’ultimo non può non essere
considerato.
L’arrivo della persona disabile e della sua famiglia in parrocchia può essere
riconosciuto come una vera e propria “visita”, al pari di quella dell’Angelo a Na-
zareth: è un’irruzione nella storia della comunità che chiede accoglienza e ascolto,
esortando a prendersi cura dell’altro e scardina ogni progetto precostituito.
E giacché la Chiesa è chiamata a fare da supporto alla famiglia innanzitutto
con l’accoglienza, la cura e il sostegno continuo, sarebbe auspicabile - all’interno dei

15
Cfr. D. I anes , Progetto di vita e famiglia alla luce dell’ICF/OMS, in: M. Pavone (ed.), Famiglia
e progetto di vita. Crescere un figlio disabile dalla nascita alla vita adulta, Erickson, Trento 2009, 166.
16
M. M anetti – M. Z anobini – M.C. U sai , La famiglia di fronte alla disabilità. Stress, risorse
e sostegni, Erickson, Trento 2002, 160.
80 Veronica Amata DONATELLO

consultori familiari cristiani – attivare un servizio di ascolto e formazione, rivolto ai


genitori di bambini e ragazzi disabili, al fine di sviluppare maggiore consapevolezza
e competenza nella risoluzione di problematiche inerenti la gestione e l’educazione
dei figli. In questo modo gli operatori potranno essere messi nelle condizioni di pro-
muovere anche le capacità del giovane, accompagnandolo nel cammino verso l’età
adulta ed iniziarlo alla fede.
Il primo handicap da superare nelle nostre vite è però la difficoltà di incontrare
e accogliere l’altro, l’incapacità di abbattere le barriere dei nostri monologhi e del
nostro egoismo perché tutto questo è compito difficile, che chiede un atto eroico:
amare il Volto dell’altro.
Come ci ricorda papa Francesco «Gesù, l’evangelizzatore per eccellenza e il
Vangelo in persona, si identifica specialmente con i più piccoli (cfr Mt 25,40). Que-
sto ci ricorda che tutti noi cristiani siamo chiamati a prenderci cura dei più fragili
della Terra. Ma nel vigente modello “di successo” e “privatistico”, non sembra abbia
senso investire affinché quelli che rimangono indietro, i deboli o i meno dotati pos-
sano farsi strada nella vita».17
Nel corso della sua storia la Chiesa ha avuto, e ancora ha – anche grazie ai
nuovi linguaggi e ai sussidi mediatici –, una grande responsabilità nel proporre
un’immagine positiva della persona con disabilità. La stessa Conferenza Episco-
pale Italiana, sin da subito dopo il Concilio Vaticano II, è stata attenta ad inserire la
persona disabile e l’accoglienza della famiglia nella comunità ecclesiale, parlando
di dignità, di diritto alla fede, di strumenti inclusivi e nuovi linguaggi. A volte per
quanto riguarda la progettualità della persone disabili, vi sono due poli: far crescere
la famiglia e la società per ottenere una visione nuova dalla persone disabili. Am-
bedue sono carenti di progettualità pedagogica, puntando solo sul presente e sulla
fatica di immaginare un progetto di vita. Si ha paura del suo impatto con il mondo,
con la realtà, con il suo limite, soprattutto nella fase dell’adolescenza, dove non
mancheranno delusioni.
La riflessione dell’ICF ci aiuta a pensare noi stessi in modo globale, inter-
connesso e sistemico, in quanto in essa vi è l’identità e il concetto di sé in relazione
ai vari fattori contestuali. Anche nella disabilità intellettiva è necessario progettare
quello che si vorrebbe attraverso l’autoconsapevolezza e il modello ICF nei suoi
quattro ambiti (motivazioni, autoefficacia, attribuzione, stima).18 Da qui scaturisce
la percezione del maschile e del femminile, del sé e dell’autonomia. Un’identità
cresce in un cammino progettuale solo se sono stati dati dei confini (io sono x tu sei
y): è quindi da evitare la dipendenza tipica nella relazione con le persone disabili, in
quanto non porta a redigere un progetto di vita.
Siamo chiamati a tracciare un nuovo volto, non con una visione dualistica
“normali” e “disabili”, ma accogliendo «un concetto ibrido dove la diversità diviene
non l’accostamento dei contrari, ma la coesistenza della molteplicità, l’infinità degli

17
Francesco, Evangelii gaudium. Esortazione apostolica sull’annuncio del Vangelo nel mondo
attuale, 24 novembre 2013, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2013, 209.
18
Cfr. A. C anevaro – C. B alzaretti – G. R igon , Pedagogia speciale dell’integrazione. Handi-
cap: conoscere e accompagnare, La Nuova Italia, Firenze 1997.
Guardando all’altro mi scopro onni-debole anch’io… 81

aspetti della vita e l’abbondanza delle sue forme».19 Questa è l’unica via per non con-
tinuare a stigmatizzare le persone disabili, alimentando pietismo e senso di inferiori-
tà, affinché la loro presenza conferisca una nuova pienezza alla società e all’altro. Se
alla persona disabile non è permesso di riconoscersi come persona senza etichetta,
come potrà progettare la sua vita? Il progetto avviene all’interno della comunità. Se
i progetti nella società, avviati per e con loro, appaiono illusori è perché la realtà è
amputante. Ci arriva conferma di ciò dalle persone disabili che hanno progettato la
loro vita e hanno aiutato la società: Beethoven era sordo, Braille cieco, Roosevelt
paraplegico etc. Si ritiene che quando la disabilità non è grave, ognuno deve essere
in grado di poter scegliere il suo progetto di vita e in questo tutti sono partecipi. I
compagni di viaggio non hanno rapporti up-down, ma insieme decidono e insieme
vivono l’esperienza. Per gli educatori cui è richiesto di lavorare in un ambito speci-
fico è più facile progettare, scegliendo degli obiettivi orientati alla vita adulta e usare
delle modalità adulte per far apprendere gli obiettivi.
Secondo quanto ci ricorda la prospettiva dell’ICF, la persona è il risultato di
varie realtà. Non ci sono scuse, ma solo il coraggio di osare. Questo sarà possibi-
le se ci sarà un’azione collettiva tra soggetto, famiglia, compagni di classe/lavoro,
amici, vicinato, associazioni e gruppi e operatori sociali: «Un progetto di vita non
può essere dunque il prodotto di un’ottica individualistica (ce la posso fare da solo)
[…] è invece un’impresa collettiva, con a capo proprio il soggetto con disabilità, nel
contesto della sua famiglia».20

5. Per un umanesimo davvero inclusivo

Il termine inclusione deriva dall’inglese inclusion e significa “far parte di


qualcosa, essere accolti”, il contrario è «il rischio di esclusione che occorre preve-
nire attivamente».21 Nei recenti documenti internazionali, il termine viene utilizzato
quando la persona disabile entra a pieno titolo nella comunità come tutti gli altri.
«Ciascuno è portatore della sua specificità. […] È un modo di vivere basato sulla
convinzione che ogni persona ha valore e appartiene alla comunità. Questo avviene
non solo nella scuola, ma in molteplici ambienti: lavoro, gioco ecc.[…] È intima-
mente connesso ai processi socioculturali, politici, filosofici ed etici».22 In questo
modo si cerca di far superare la logica dello “speciale” per approdare alla logica
dell’inclusione per tutti.
Ciò che si è posto all’attenzione è il nuovo volto della persona disabile in
base alla Classificazione ICF-CY, i volti dei formatori e, per mezzo della pedagogia
del volto, le strategie e le metodologie inclusive. Attraverso l’utilizzo dell’ICF, ed

19
C. G ardou , Diversità, vulnerabilità e handicap, 22.
20
D. I anes , Progetto di vita e famiglia alla luce dell’ICF/OMS, 187.
21
Cfr. F. D ovigo , Fare differenze. Indicatori per l’inclusione scolastica degli alunni con bisogni
educativi speciali, Erickson, Trento 2007, 7-42.
22
M. P avone , Dall’esclusione all’inclusione. Lo sguardo della pedagogia speciale, Mondadori
Università, Milano 2010, 142.
82 Veronica Amata DONATELLO

in particolare ICF-CY, l’obiettivo prefissato è stato quello di fornire delle linee me-
todologiche ed organizzative che possano mettere in dialogo le diverse realtà che si
muovono intorno alla persona disabile, spostando il focus dall’assistenzialismo e da
una visione esclusiva e speciale alla disabilità. Per favorire l’inclusione – oltre, chia-
ramente, alla necessità di occuparsi dello stato di salute della persona - occorre tener
conto dell’interazione tra la persona disabile e il contesto di vita (famiglia, scuola, la-
voro, parrocchia, oratorio, tempo libero) anche attraverso la rimozione delle barriere
e la promozione di facilitatori: un insieme di attenzioni, dunque, che rappresentano
la premessa ad un cambiamento culturale e che, al tempo stesso, sottolinea i bisogni
reali e le attese che dovranno entrare a far parte di un progetto di vita alla cui pro-
grammazione dovrà prendere parte in prima persona lo stesso disabile. Allontanato
lo sguardo miope, fermo cioè sui limiti del ragazzo, questa nuova visione aiuta inve-
ce a porsi domande, a elaborare e modificare l’ambiente intorno, e a porre in risalto
le potenzialità dell’inclusione, realizzabile attraverso strategie educative, utilizzando
il CL, progettando il parent training nelle realtà locali, ricorrendo alle nuove tecno-
logie, lavorando in rete, creando sussidi pedagogici di sostegno e lasciandosi provo-
care dalle inaspettate risorse del disabile.

6. Il “senso” della persona disabile alla “luce” dell’evento Cristo.


Per una pastorale inclusiva

La necessità di un rilievo antropologico “significativo” è la sfida che oggi


coinvolge la Chiesa che si appresta a celebrare il 5° Convegno Ecclesiale Nazionale
di Firenze. Questo ci obbliga a considerare la persona come il centro della vita della
Chiesa. Tuttavia, nello specifico, si deve tener conto delle dinamiche per il recupero
dell’essere “fragile”, per guardare di conseguenza, a una pastorale integrata a servi-
zio della persona disabile.
Il punto di partenza è il “senso” della persona alla “luce” dell’Evento Cristo:
«nel mistero del Verbo incarnato viene chiarito il mistero dell’uomo. […] Cristo, che
è l’Adamo definitivo e pienamente riuscito, mentre rivela il mistero del Padre e del
suo amore, pure manifesta compiutamente l’uomo all’uomo e gli rende nota la sua
altissima vocazione».23
Cristo ci incontra nella nostra fragilità, dunque, ogni uomo ferito, reietto, ri-
fiutato, emarginato, scartato, è anche più uomo. Il nodo viene al pettine: com’è pos-
sibile oggi, per la pastorale, ripensare ad azioni che mirino a recuperare (integrare,
includere) tutti i fratelli (siano essi le persone disabili, straniere, fragili)? Doman-
de lecite che ci obbligano a una riflessione che assuma il dato della fragilità come
condizione dell’essere umano (il limite, la finitezza). La fragilità è la condizione
che definisce l’essere umano, che ci impone un atto etico, l’atto del prendersi cura
dell’altro. Questa possibilità di riconsiderare la fragilità umana invita a riscoprire la
bellezza dell’essere uomini e donne, con una meraviglia e gratitudine nuova.

Concilio Vaticano II, Gaudium et Spes. Costituzione dogmatica sulla Chiesa nel mondo contem-
23

poraneo, 7 dicembre 1965, 22, in: EV, 1, 1385.


Guardando all’altro mi scopro onni-debole anch’io… 83

Non è sempre così facile da sopportare la diversità e l’altro. Trasportare le idee


in realtà richiede un coinvolgimento e una sinergia tra pastorale e visione dell’uomo.
Ancor più, la tensione si acuisce se si prende in considerazione la disabilità. La re-
lazione con l’alterità emerge con trasparenza. L’altro è un pungolo per me. Il volto
dell’altro mi obbliga a “guardarlo”. E, nell’intensità del mio sguardo si gioca la capa-
cità di essere ostile e/o violentare il suo Volto (hostis); al contempo la debolezza, la
fragilità dell’altro ricorda a me stesso la mia impotenza: di fronte all’altro mi scopro
onni-debole anch’io, piuttosto che onnipotente.
Occorre uno sguardo che non colpisce l’altro. Allora guardare sarà ascoltare.
Ascoltare le piaghe di Cristo, ascoltare l’humanum che s’incarna nella differenza che
il Volto dell’altro impone. Ogni volto è indice di differenze. L’identità di ciascuno
non può far a meno di confrontarsi con il Volto delle differenze. Il Prometeo scate-
nato, che ci rammenta il filosofo ebreo Hans Jonas, richiama appunto la pretesa di
“autosufficienza” di ciascun uomo, che in fin dei conti non solo lo rende triste, ma
disperatamente solo. Non sono molto disancorate dalla realtà queste riflessioni, oggi
si assiste a costatare come le Identità dell’uomo sono sempre più tristi, disperate,
depresse. Allora ci si chiede: perché si fa fatica a cogliere nel volto della persona con
fragilità, con una disabilità, con un limite la sua bellezza, le sue risorse?
La Bellezza del discepolo non è data dalla conoscenza dell’Uomo-Gesù, ma
del sentirsi guardati da Lui, dalla forza attrattiva della sua Luce, e nel suo sguardo
ri-conoscersi riconosciuti, scorgere la bellezza d’essere uomini e donne. La sfida non
è soltanto quella del guardare, ma la pastorale inclusiva richiede anche il gesto con-
trapposto del sentirsi guardati. Un gesto che coinvolge la tenerezza, il tatto, il con-
tatto, il gusto. Lo sguardo dell’Altro verso me questa volta. Lo sguardo di Dio che in
Cristo manifesta il punto vertiginoso della sua passione per l’uomo, che si declina in
tenerezza cristica (“si prese cura di lui”: Lc 10,34b). È lo sguardo risanante che ci
permette di ridare ai brandelli il senso di un Tutto, d’integrare il molteplice nell’Uno,
la pluralità dei tratti nell’unico ri-tratto. L’artista, in un mosaico deve saper disporre
la pluralità di toni, colori, sfumature, che infine ci fanno avere una visione d’insieme
del risultato dell’opera d’arte. Il tutto, apparentemente in frantumi, la pluralità delle
tessere nell’unico mosaico.
Guardare con gli occhi di Cristo è allora avere uno sguardo sanante… uno
sguardo nitido, che guarda senza colpire, senza violare il Volto dell’altro, ma che
risana ciò che è infranto, recupera ciò che è frantumato, lega ciò che è spezzato, sana
ciò che è malato, fragile. C’è una dimensione ecclesiale che si fa carico della coralità
di questo pensiero: in quanto Corpo di Cristo, la comunità ecclesiale è composta da
frammenti di un Tutto che vanno articolati pazientemente e sapientemente, perché
ciascun battezzato è parte di un Tutto.
Allora, per ricongiungerci alla domanda originaria, alla luce di queste rifles-
sioni, una persona disabile come si percepisce nei nostri contesti “Immagine” di
Dio? Fino a quanto siamo capaci di “vedere” nell’Immagine di Cristo le immagini
dei tanti uomini e donne disabili? Quanto siamo davvero poco educati a vedere la
Bellezza in ciò che apparentemente si manifesta brutto, recluso, ignaro, debole, fra-
gile! Occorre educare a “guardare” e riconoscere la Bellezza dell’umano nelle sue
differenti sfumature, abbracciare la croce di Cristo sarà allora sentirsi pienamente
84 Veronica Amata DONATELLO

coinvolti nella sua umanità, significa arrivare al Golgota e scorgere raggi luminosi
anche là dove tutto parla di arresa, stanchezza, fallimento. «Uno sguardo grato vede
diversamente, vede anche l’invisibile, perché potenziato dall’amore».24

Conclusione

Un umanesimo integrale addita una pastorale integrale quando esso si fa por-


tavoce del superamento di tutti quei dualismi italiano/straniero, normodotato/disabi-
le, perché la via dell’intero è la Via dell’Umano.
Se dovessimo rispondere alla domanda “come?”, forse una possibile risposta
potrebbe essere “la fraternità”: amare è abitare l’umano. Un cristianesimo credibile
può ripartire solo se esso si ricomprende come stile (scegliere Cristo). Al di là di
un’opera di solidarietà invece, investe il prendersi corporalmente e pastoralmente
“cura” dell’altro (di ogni alterità). Occorre convertire, ad intra, la pastorale, porre
maggiore attenzione alla persona, alle relazioni (= di cura), alle periferie esistenziali.
C’è bisogno di ri-tessere una società con una spiccata sensibilità per la fraternità.
Ciò sarà possibile solo se si guarda all’inclusione; solo se si è capaci di ripensare
progetti di una pastorale integrata che mirino alla considerazione delle persona con
disabilità, alla formazione degli educatori e degli stessi sacerdoti, ad una pluralità di
linguaggi,25 per impostare un’azione catechistica di annuncio che tenga conto della
persona nella integralità della sua capacità di apprendimento e di comunicazione. In
ultimo, tutto ciò non può essere ridotto a una progettazione “per”, che rischia sterili
risultati perché mancanti della persona che abita certe difficoltà, dunque occorre
anche progettare “con”.
Solo allora, i nostri progetti di pastorale integrale incideranno sul “popolo di
Dio”, faranno cultura e creeranno società più giuste e fraterne. Per noi credenti: gli
occhi del discepolo/della discepola, sono gli occhi di colui/di colei, che sa guardare
a partire da un Evento di Vita, la Risurrezione; l’uomo sfigurato allora può ri-cono-
scersi trasfigurato dalla Bellezza, e può nuovamente guardarsi e guardare perché è
ancor prima guardato. È una Luce cristica che fa da sfondo, dove il mistero che sia-
mo ci è s-piegato aldilà delle nostre piaghe, con la certezza che «Cristo agisce negli
uomini, nel singolo credente come nella chiesa. Egli impera su tutte le cose create.
È in tutto e tutto è in Lui».26

24
CEI – Comitato preparatorio del 5° Convegno Ecclesiale Nazionale, In Gesù Cristo il nuovo
umanesimo. Una traccia per il cammino verso il 5° Convegno Ecclesiale Nazionale, 9 novembre 2014,
Paoline, Milano 2014, Presentazione.
25
Cfr. CEI, Incontriamo Gesù, 17. 26. 46. 73, in: “Notiziario della Conferenza Episcopale Italiana”
48 (2014) 216-218. 225-226. 242-243. 268-269.
26
R. G uardini , La figura di Gesù Cristo nel Nuovo Testamento, Morcelliana, Brescia 2000, 118.

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