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GRAMCI - Risorgimento Italiano
GRAMCI - Risorgimento Italiano
〈I〉. La funzione del Piemonte nel Risorgimento italiano è quella di una «classe dirigente»,
In realtà non si tratta del fatto che in tutto il territorio della penisola esistessero nuclei di
classe dirigente omogenea la cui irresistibile tendenza a unificarsi abbia determinato la
formazione del nuovo Stato italiano. Questi nuclei esistevano, indubbiamente, ma la loro
tendenza a unirsi era molto problematica, e ciò che più conta, essi, ognuno nel suo ambito,
non erano «dirigenti». Il dirigente presuppone il «diretto», e chi era diretto da questi
nuclei? Questi nuclei non volevano «dirigere» nessuno, cioè non volevano accordare i loro
interessi e aspirazioni con gli interessi ed aspirazioni di altri gruppi. Volevano «dominare»
non «dirigere», e ancora: volevano che dominassero i loro interessi, non le loro persone,
cioè volevano che una forza nuova, indipendente da ogni compromesso e condizione,
divenisse arbitra della Nazione: questa forza fu il Piemonte e quindi la funzione della
monarchia. Il Piemonte ebbe pertanto una funzione che può, per certi aspetti, essere
paragonata a quella del partito, cioè del personale dirigente di un gruppo sociale (e si parlò
sempre infatti di «partito piemontese»); con la determinazione che si trattava di uno Stato,
con un esercito, una diplomazia ecc.
Questo fatto è della massima importanza per il concetto di «rivoluzione passiva»: che cioè
non un gruppo sociale sia il dirigente di altri gruppi, ma che uno Stato, sia pure limitato
come potenza, sia il «dirigente» del gruppo che esso dovrebbe essere dirigente e possa
porre a disposizione di questo un esercito e una forza politico-diplomatica. Si può
riferirsi a quella che è stata chiamata la funzione del «Piemonte» nel linguaggio politico-
storico internazionale. La Serbia prima della guerra si atteggiava a «Piemonte» dei Balcani.
(Del resto la Francia, dopo il 1789 e per molti anni, fino al colpo di Stato di Luigi
Napoleone fu, in questo senso, il Piemonte dell’Europa). Che la Serbia non sia riuscita
come è riuscito il Piemonte è dovuto al fatto che nel dopoguerra si è avuto un risveglio
politico di contadini quale non esisteva dopo il 1848. Se si studia da vicino ciò che avviene
nel regno Jugoslavo, si vede che in esso le forze «serbiste» o favorevoli all’egemonia serba,
sono le forze contrarie alla riforma agraria. Troviamo un blocco rurale-
intellettuale antiserno, e le forze conservatrici favorevoli alla Serbia sia in Croazia che
nelle altre regioni non serbe. Anche in questo caso non esistono nuclei locali «dirigenti»,
ma diretti dalla forza serba, mentre le forze sovvertitrici non hanno, come funzione sociale,
una grande importanza. Per chi osserva superficialmente le cose serbe, sarebbe da
domandare cosa sarebbe avvenuto se il così detto brigantaggio che si ebbe nel napoletano e
in Sicilia dal ’60 al ’70 si fosse avuto dopo il 1919. Indubbiamente il fenomeno è lo stesso,
ma il peso sociale e l’esperienza politica delle masse contadine è ben diverso dopo il 1919,
da quelli che erano dopo il 1848.
Quaderno 15 (II)
§ (56)
Sulla rivoluzione passiva. Protagonisti i «fatti» per così dire e non gli «uomini individuali».
Come sotto un determinato involucro politico necessariamente si modificano i rapporti
sociali fondamentali e nuove forze effettive politiche sorgono e si sviluppano, che
influiscono indirettamente, con la pressione lenta ma incoercibile, sulle forze ufficiali che
esse stesse si modificano senza accorgersene o quasi.
Gramsci nel suo autorevole e lucido saggio intitolato, appunto, “Sul risorgimento”
definisce la spedizione dei Mille una “radunata rivoluzionaria” che fu resa solo
possibile per due motivi. Primo: Garibaldi s’innestava nelle forze statali
piemontesi. Secondo: le imbarcazioni dello stesso Garibaldi vennero protette dalla
flotta inglese che consentì lo sbarco di Marsala e la presa di Palermo, sterilizzando
la flotta borbonica.
Gramsci, in buona sostanza, nel suo autorevole saggio sul risorgimento, non
faceva altro che delegittimare la “gloriosa” spedizione garibaldina evidenziando
che non fu altro che una grande mistificazione storica. E fu con questa radunata
rivoluzionaria – che Gramsci chiama “rivoluzione passiva” o, meglio ancora,
“rivoluzione-restaurazione” – che trionfò la logica gattopardiana che tutto avvenne
perché nulla cambiasse. Una “rivoluzione-restaurazione” che fa dire allo scrittore e
all’uomo politico sardo che, nel suo contesto, il popolo ebbe un ruolo molto
marginale, anzi subalterno, così che il risorgimento si caratterizzò come
“conquista regia” e non come movimento popolare, perché appunto mancava al
popolo una coscienza nazionale.