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collana diretta da

Costantino Esposito e Pasquale Porro

23
© 2016, Pagina soc. coop., Bari

Biblioteca filosofica di Quaestio • Comitato Scientifico


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Michele Trizio

Il neoplatonismo
di Eustrazio di Nicea
La pubblicazione di questo volume rientra
nel progetto FIRB 2012 IAELW - «L’impatto
dell’etica aristotelica sull’Occidente latino
(1240-1290): le radici medievali di un nuovo
approccio all’agire umano, ai diritti individuali
e al bene comune. Edizioni critiche di testi
e studi storico-dottrinali» (coordinatore
nazionale: Fiorella Retucci; responsabile
dell’unità di ricerca di Bari: Michele Trizio)
ed è stata inoltre realizzata anche grazie
a un contributo del Dipartimento di Studi
Umanistici [DISUM] dell’Università degli Studi
di Bari Aldo Moro.

Proprietà letteraria riservata


Pagina soc. coop. - Bari
Finito di stampare nel settembre 2016
da Mediagraf S.p.A. - Noventa Padovana (Pd)
ISBN 978-88-7470-536-8
ISSN 1973-977X
Introduzione

Quella che qui andiamo ad introdurre è la prima monografia mai pubblicata


sulla vita e l’opera filosofica del teologo di corte e commentatore Eustrazio di
Nicea († ca. 1120). Si tratta di un lavoro che ha la sua origine in una tesi di
dottorato nell’ambito del dottorato di ricerca in “Filosofia e Storia della Filo-
sofia”, XVIII ciclo, svolto presso l’Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”,
e che raccoglie inoltre più di dieci anni di ricerca e studio su questo autore.
Quella di Eustrazio è una figura assai di rilievo nel panorama della let-
teratura bizantina della prima età comnena. Cionondimeno, si tratta di una
figura che ha ricevuto molta meno attenzione di quella che avrebbe meritato.
Paradossalmente ad occuparsi maggiormente di Eustrazio nel corso degli
ultimi anni sono stati gli studiosi del pensiero latino medievale, i quali hanno
progressivamente riconosciuto l’importanza della traduzione latina del vesco-
vo inglese Roberto Grossatesta († 1253) dei commenti di Eustrazio ai libri I e
VI dell’Ethica Nicomachea per la ricezione medievale dell’opera aristotelica
in questione. Per questa ragione speriamo che questo nostro lavoro possa
colmare un vuoto esistente negli studi di bizantinistica e magari possa aprire
la strada a futuri lavori di altri studiosi su Eustrazio.
Questo lavoro si divide in due parti. Nella prima parte ci siamo occupati
della ricostruzione del contesto all’interno del quale l’autore si trovò ad ope-
rare, ossia la Costantinopoli tra la fine del secolo XI e l’inizio del secolo XII.
Si tratta di un momento storico di grandi cambiamenti, tanto per quel che
concerne la scena politica, quanto per quel che riguarda quella intellettuale
e culturale. È infatti un momento segnato dalla fine della dinastia dei Doukai
e dall’avvio della dinastia comnena. Ma è anche il momento di profonde tra-
sformazioni dal punto di vista culturale. Eustrazio si trova infatti nella prima
parte della sua vita ad operare in un contesto segnato dal vuoto, per così dire,
lasciato da una personalità di massimo spessore per quello che riguarda gli
VI Il neoplatonismo di Eustrazio di Nicea

studi filosofici quale Michele Psello, che proprio in quelli anni moriva; e nel
contempo, caratterizzato da complesse e travagliate vicissitudini dottrinali
legate alla circolazione di testi filosofici, e qui pensiamo alla condanna di
colui che di Eustrazio fu maestro, ossia Giovanni Italo.
Al fine di ricostruire al meglio questa variegata situazione, abbiamo nuo-
vamente analizzato tutti i dati a nostra disposizione relativi alla vita di Eustra-
zio, reinterpretando quelli già noti, rivalutando quelli noti che non avevano
a nostro parere ricevuto la giusta considerazione, e infine presentandone di
nuovi. Il risultato conseguito è stato duplice: da un lato, abbiamo precisato in
maniera assai più dettagliata e precisa le tappe della vita di questo autore e
la consistenza della sua opera; dall’altro, abbiamo inquadrato in maniera più
adeguata di quanto fatto in passato il contesto sociale e culturale all’interno
del quale Eustrazio operò come teologo di corte e commentatore di opere
aristoteliche.
Nella seconda parte, invece, abbiamo condotto uno studio dottrinale sull’o-
pera filosofica di questo autore al fine di delineare la fisionomia dell’Eustra-
zio commentatore. Il risultato principale che abbiamo raggiunto consiste in
una ricollocazione dell’autore all’interno della storia della filosofia medievale
e della bizantinistica. Non si tratta più di un autore cui legare un presunto
revival di studi aristotelici nella Bisanzio dell’inizio del XII secolo; al con-
trario, Eustrazio si trova ben più a suo agio con quella letteratura neoplato-
nica che aveva attratto l’attenzione del già citato Michele Psello, nel secolo
precedente.
In questa seconda parte abbiamo seguito un metodo rigorosamente filolo-
gico. Abbiamo cioè analizzato riga per riga i commenti di Eustrazio al libro
II degli Analytica Posteriora (= In II A.Po.) e al libro I (= In I EN) e VI (=
In VI EN) dell’Ethica Nicomachea nella direzione di studiare il vocabolario
impiegato da Eustrazio e i suoi referenti a livello di fonti. In questo senso
sono emersi almeno sei percorsi tematici, sei temi ricorrenti nell’opera di
questo commentatore, a cui è dedicata la seconda parte del presente lavoro
nella sua interezza. Ciascuno dei passi presi in esame è stato analizzato in
tutti i suoi aspetti, da quelli filologici a quelli più propriamente dottrinali.
Il risultato che è emerso da questa indagine è – ci pare di poterlo dire con
sicurezza – assai chiaro: ci troviamo di fronte ad un autore che attinge dal
tardo neoplatonismo per costruire la propria esegesi al testo di Aristotele.
In questo senso non ci siamo limitati a sottolineare affinità generiche con
dottrine tipicamente neoplatoniche, ma ci siamo impegnati ad identificare
e tracciare in maniera attendibile le fonti dirette dei vari passi analizzati,
riconducendo finanche il linguaggio dell’autore ai testi da cui esso trae origi-
Introduzione VII

ne. Il risultato di questa indagine ha permesso di individuare nella figura del


tardo neoplatonico Proclo l’ombra onnipresente che emerge con forza dietro
il profilo filosofico dell’Eustrazio commentatore.
Veniamo adesso a quelli che sono i limiti di questo nostro lavoro. Essi sono
di due tipi, il primo è dovuto ad una nostra scelta, il secondo a delle condi-
zioni oggettive di fronte alle quali ci siamo trovati nell’intraprendere questo
lavoro. Per quanto riguarda il primo punto, occorre segnalare che abbiamo
deliberatamente messo da parte l’analisi delle opere teologiche di questo
autore, concentrandoci invece sulla sola opera filosofica. Le opere teologiche
di Eustrazio sono assai interessanti, anche per quel che concerne l’utilizzo
di argomenti filosofici. Tuttavia trattare nel dettaglio questa produzione ci
avrebbe allontanato troppo da quello che è lo scopo del presente lavoro, cioè
inquadrare per la prima volta la figura di Eustrazio all’interno della tradizione
dei commentatori tardo-antichi e greco-medievali di Aristotele.
Il secondo limite del presente lavoro è di natura oggettiva e riguarda il testo
greco dell’opera filosofica di Eustrazio. In particolare, i commenti ai libri I
e VI dell’Ethica Nicomachea sono attualmente disponibili, come tanti altri
commenti tardo-antichi e bizantini, nella sola edizione dei Commentaria in
Aristotelem Graeca. A differenza però di altri testi editi in questa prestigiosa
serie, il testo dei commenti di Eustrazio edito nei Commentaria è partico-
larmente lacunoso. In primo luogo si tratta di un testo edito su di un solo
testimone dell’opera; in secondo luogo, non sempre le scelte editoriali dell’e-
ditore sono state felici, a volte (duole rimarcarlo) a causa dell’imperizia dello
stesso. Il risultato è un testo che spesso risulta difficilmente intellegibile e
persino corrotto. Tra i tanti problemi che da questo conseguono figurano non
solo diversi problemi particolari relativi all’intellegibilità di singoli passi,
bensì anche un problema più generale legato alla difficoltà di ricostruire in
maniera attendibile lo stesso testo greco di Aristotele che Eustrazio si trovò
a commentare.1
Al fine di arginare questa situazione, abbiamo confrontato, sempre per
quel che concerne i commenti ai libri I e VI dell’Ethica Nicomachea, il testo
greco dei passi esaminati nella seconda parte del presente lavoro con altri
due testimoni. Il primo è la versione latina di questi testi operata dal già ci-
tato Roberto Grossatesta poco prima della metà del secolo XIII. Nel caso del
commento al I libro, ci siamo affidati al testo già edito da Mercken all’inizio
degli anni ’70; nel caso invece del testo del commento al VI libro, abbiamo

1 Per convenzione abbiamo sempre citato Aristotele nell’edizione di I. BYWATER, Aristotelis Ethica

Nicomachea, Clarendon Press, Oxford 1894 (rist. 1962).


VIII Il neoplatonismo di Eustrazio di Nicea

collazionato i quattro mss. principali rappresentativi delle diverse famiglie


di mss. a noi noti. Il secondo testimone è invece un ms. greco della seconda
metà del XII secolo, il ms. Vat. gr. 269. Questo testimone sembra trasmettere
una recensione del testo di Eustrazio diversa da quella su cui si basò l’editore
del volume dei Commentaria. Il lettore troverà informazioni su questo ms. e
in generale sulle vicende testuali dei commenti di Eustrazio nella I parte del
presente lavoro. Qui tuttavia ci preme segnalare come abbiamo fatto ricorso
a questi due testimoni aggiuntivi con la massima cautela, vagliando caso per
caso le lectiones alternative offerte. Questo perché, non essendo disponibile
uno stemma codicum che descriva la storia della tradizione del testo, non è al
momento possibile stabilire esattamente il valore di queste due testimonian-
ze all’interno di questa stessa tradizione. Per questa ragione ogniqualvolta
abbiamo preferito al testo dei Commentaria le lectiones di questi altri due
testimoni, lo abbiamo fatto senza operare in alcun modo una qualche valu-
tazione assoluta sul valore di questi testimoni per la costituzione del testo.
Al termine di questa introduzione troviamo doveroso ringraziare tutti co-
loro i quali in questi anni hanno seguito a diverso titolo le nostre ricerche.
Si tratta di amici e colleghi dai quali abbiamo avuto modo di imparare pur
non avendo molto da offrire in cambio. Tra questi desideriamo citare parti-
colarmente Nikos Agiotis, Charles Barber, Alessandra Beccarisi, Marien-
za Benedetto, Luca Bianchi, Daniele Bianconi, Alessandra Bucossi, Börje
Bydén, Costantino Esposito, Pantelis Golitsis, Guy Guldentops, Katerina
Ierodiakonou, Christoph Helmig, Tobias Hoffmann, Anthony Kaldellis, Ge-
orgi Kapriev, Lutz Koch, Marialucrezia Leone, Divna Manolova, Dominique
O’Meara, Francesco Marrone, Stratis Papaioannou, Paolo Ponzio, Fiorella
Retucci, Filippo Ronconi, Loris Sturlese, David Wirmer.
Ringraziamo inoltre Carlos Steel per averci ospitato con grande generosità
e gentilezza presso il De Wulf-Mansioncentrum for Ancient and Medieval
Philosophy della Katholieke Universiteit Leuven nel biennio 2004-2006 e
per essere stato di fatto la causa efficiente di questo nostro interesse per
Eustrazio.
Buona parte del presente lavoro è stato svolto grazie all’attività di ricerca
svolta tra il 2011 e il 2012 presso la Dumbarton Oaks Research Library and
Collection (a trustees for Harvard University). Si coglie qui l’occasione per
ringraziare il direttore di questo centro di ricerca, Jan Ziolkowski, l’allora
direttrice del programma di ricerca in studi bizantini, Margaret Mullet, e la
bibliotecaria Deborah Brown per aver costantemente sostenuto e creduto in
questa nostra ricerca.
Un ringraziamento speciale va anche ad Averil Cameron, per aver seguito
Introduzione IX

con la più grande serietà i nostri studi sulla storia intellettuale di Bisanzio. A
Kent Emery Jr., a John Monfasani e ad Antonio Rigo saremo poi eternamente
grati per aver sempre appoggiato la nostra ricerca con immensa generosità.
Una menzione speciale va ad Andreas Speer, poiché senza il suo appoggio
costante e disinteressato difficilmente questo volume e tutti i nostri studi su
Eustrazio degli ultimi dieci anni avrebbero potuto vedere la luce.
Infine, alcune parole sul maestro e amico che abbiamo avuto la fortuna di
incontrare nel nostro percorso di vita e di studio: a Pasquale Porro saremo
eternamente debitori per il sostegno e gli insegnamenti ricevuti. È appena il
caso di segnalare che delle tante imperfezioni di questo lavoro siamo invece
interamente responsabili.
Parte prima
Eustrazio di Nicea:
biografia intellettuale di un teologo
e commentatore bizantino
1. La vita
Della vita di Eustrazio di Nicea conosciamo pochi e frammentari dati. L’unica
ipotesi relativa alla data di nascita e di morte dell’autore che nell’Occidente
latino condividerà con Averroè il titolo di Commentator risale ad un contribu-
to di Draeseke della fine del XIX secolo. L’autore ritenne di poter approssi-
mativamente collocare gli estremi biografici di Eustrazio tra il 1050 e il 1120
circa.1 A questa datazione sembra sostanzialmente adeguarsi la storiografia,
già a partire dal lemma “Eustratios Metropolit von Nikaia” curato dal Martini
per la Paulys Realenenzyklopedie.2
Non esistono allo stato attuale altri elementi che possano mutare l’ipote-
si del Draeseke, nonostante nel 1962 Browning abbia definito la datazione
proposta da questo studioso come il frutto di una labile deduzione.3 Tuttavia,
lo stesso Browning ha omesso di produrre un’ipotesi alternativa a quella del

1 Cfr. J. DRAESEKE, Zu Eustratios von Nikaea, «Byzantinische Zeitschrift», 5 (1896), 319-336.


2 Cfr. E. MARTINI, Eustratios Metropolit von Nikaia, in Paulys Realencyclopaedie, VI,1, 1907, coll.
1490-1491. Sulla biografia di Eustrazio il più recente contributo attualmente disponibile è M. CACOUROS,
Eustrate de Nicée, in R. GOULET (éd.), Dictionnaire des Philosophes Antiques, III, CNRS, Paris 2000,
378-388. Tuttavia segnaliamo come questa voce manchi completamente del riferimento all’episodio che
vide Eustrazio contrapporsi a Leo di Calcedonia (cfr. infra, 9-10) e inoltre risulta priva di un computo
anche solo provvisorio delle opere teologiche di Eustrazio (cfr. infra, 14-16). Su Eustrazio si veda anche
B. SKOULATOS, Les personagges Byzantins de l’Alexiade. Analyse prosopographique et synthèse, Bureau du
recueil, Collège Erasme, Louvain-la-Neuve 1980 («Recueil de travaux d’histoire et de philologie de
l’Université de Louvain», 6e série, fasc. 20), 89-90.
3 Cfr. R. BROWNING, An Unpublished Funeral Oration on Anna Comnena, «Proceedings of the Cam-

bridge Philological Society», 188, n.s. 8 (1962), 1-12, in part. 6-7 [ristampato come saggio VII in ID.,
Studies on Byzantine History, Literature and Education, Variorum Reprints, London 1977 e con qual-
che modifica in R. SORABJI (ed.), Aristotle Transformed. The Ancient Commentators and their Influence,
Cornell, Ithaca (NY) 1990, 393-406].
4 Il neoplatonismo di Eustrazio di Nicea

Draeseke. Questa ipotesi ha ricevuto una conferma indiretta da parte di Zèsès, il


quale pubblicò nel 1973 l’edizione critica di una confutazione di Eustrazio redat-
ta da Niceta Seida e composta tra il 1116 e il 1117. Di questo testo e dell’episodio
che ne fu l’origine parleremo a breve. Qui sarà invece sufficiente ricordare come
Zèsès abbia ritenuto di poter mostrare come al tempo della composizione di que-
sto scritto contro Eustrazio quest’ultimo doveva avere la medesima età di Niceta,
il che ha portato alla formulazione di una datazione degli estremi biografici del
nostro commentatore non difforme rispetto all’ipotesi di Draeseke.4
Nonostante la penuria di documenti e fonti relative alla vita e all’opera di
Eustrazio, le poche testimonianze a nostra disposizione restituiscono l’idea di un
personaggio ben inserito nei più alti ambienti della corte imperiale sotto Alessio I
Comneno, al trono dal 1081 fino all’anno della sua morte, nel 1118. Di Eustrazio
sappiamo che fu Metropolita di Nicea, per quanto non conosciamo esattamente
l’anno in cui egli acquisì tale titolo. Prima di questa nomina vi sono alcuni ele-
menti di grande interesse che collocano questa figura all’interno di alcuni tra i
più importanti eventi della storia intellettuale della Bisanzio del secolo XI. La
prima menzione in un documento ufficiale di Eustrazio è relativa ad un episodio e
a circostanze che sicuramente per il nostro autore non dovettero essere piacevoli.
Infatti il nome di Eustrazio compare per la prima volta negli atti del processo per
eterodossia celebrato contro Giovanni Italo, il discepolo e successore di Psello
alla carica di console dei filosofi,5 il direttore della scuola di filosofia che, appren-
diamo dallo stesso Psello, doveva essere stata costituita assieme alla scuola delle
leggi – diretta inizialmente da Giovanni Xifilino – grazie all’attività riformatrice
dell’imperatore Costantino IX Monomaco († 1055).6

4 NICETAS SEIDES, Λόγος κατὰ Εὐστρατίου, ed. Th. N. ZÈSÈS, Νικήτα Σεΐδου Λόγος κατὰ Εὐστρατίου

Νικαίας, University of Thessaloniki, Thessaloniki 1973 (Ἐπιστημονικὴ Ἐπετηρὶς Θεολογικῆς Σχολῆς 19


(Supplement), introd., 7-9. Per alcune considerazioni sulla cronologia di Eustrazio, specie per quel che
concerne gli ultimi anni della vita del metropolita di Nicea, cfr. infra, 53-55.
5 Su Italo si veda A. RIGO, Giovanni Italo, in Dizionario biografico degli Italiani, vol. 56, Istituto dell’En-

ciclopedia Italiana, Roma 2001, 62-67. I documenti e gli atti del processo sono stati raccolti in J. GOUILLARD,
Le Procès officiel de Jean l’Italien. Les actes et leurs sous-entendues, «Travaux et Mémoires», 9 (1985), 133-
174. Sulle implicazioni dottrinali e culturali degli eventi relativi al processo ai danni di Italo, si veda L.
CLUCAS, The Trial of John Italos and the Crisis of Intellectual Values in Byzantium in the Eleventh Century,
Institut für Byzantinistik, Neugriechische Philologie und Byzantinische Kunstgeschichte der Universität,
Munich 1981 («Miscellanea Byzantina Monacensia», 26). La ricostruzione storica degli eventi relativi a
questo processo contenuta in Clucas non è esente da errori. Essa andrebbe rivista alla luce dello studio di
Gouillard prima citato.
6 Sul rapporto tra Psello e Xifilino si veda U. CRISCUOLO, Sui rapporti tra Michele Psello e Giovanni Xi-

filino (ep. 191 Kurtz-Drexl), «Atti dell’Accademia Pontaniana», XXIV (1975), 121-128. A Xifilino Psello
indirizzò una lettera e per lui scrisse un epitaffio. Studi specifici sul testo dell’epitaffio per Xifilino (inclusi
i problemi di tradizione testuale) e sulla corrispondenza tra Psello e Xifilino sono R. ANASTASI, Sull’epitaffio
I. Eustrazio di Nicea: biografia intellettuale di un teologo e commentatore bizantino 5

Il 20 e il 21 marzo 1082, preso atto della semeiôsis imperiale (un documento


con il quale l’imperatore, su richiesta del patriarca, entrava direttamente nella
vicenda con una propria indagine), la commissione giudicante si riunì per de-
liberare sui provvedimenti da adottare contro Italo.7 La condanna, soprattutto
dopo il severo giudizio espresso da Alessio I, in cui l’imperatore ricordava come
Giovanni Italo avesse un grosso seguito di discepoli, benché numerosi dei suoi
insegnamenti avessero destato scandalo in quanto manifestamente antitetici ri-
spetto ai dogmi cristiani,8 fu profondamente dura: esilio e inserimento dei dieci
articoli già condannati ai tempi di Michele VII Doukas nel 1076-1077,9 con l’ag-
giunta di un undicesimo ad opera dello stesso Alessio Comneno, nel Synodikon
dell’Ortodossia, a sancire un’eterna damnatio memoriae.10

di Psello per Giovanni Xifilino, «Siculorum Gymnasium» 19 (1966), 52-56; ID., Sulla fine dell’epistola di
Psello a Giovanni Xifilino, «Byzantion», 65 (1988), 455-456; E.V. MALTESE, Un nuovo testimone dell’epistola
di Psello a Giovanni Xifilino (Par. gr. 1277), «Byzantion», 52/7 (1987), 427-432. Il testo dell’epistola è
edito in U. CRISCUOLO (ed.), Michele Psello, Epistola a Giovanni Xifilino, Seconda edizione riveduta e ac-
cresciuta, Bibliopolis, Napoli 1991 («Hellenica et Byzantina Neapolitana», 14). Si veda la nuova edizione:
MICHAEL PSELLUS, Epitaphius in patriarchem Joannem Xiphilinum, ed. I. POLEMIS, Orationes funebres, v. 1,
De Gruyter, Berlin 2014 («Bibliotheca Scriptorum Graecorum et Romanorum teubneriana»), 115-169. Il
testo è lacunoso e manchevole della parte conclusiva. Cfr. A. SIDERAS. Der unedierte Schlußteil der Grabrede
des Michael Psellos auf den Patriarchen Johannes Xiphilinos, «Göttinger Beiträge zur Byzantinischen und
Neugriechischen Philologie», 2 (2002), 113-132. Si segnala la recente traduzione in lingua inglese: A.
KALDELLIS/I. POLEMIS, Psellos and the Patriarchs. Letters and Funeral Orations for Keroullarios, Leichoudes,
and Xiphilinos, University of Notre Dame Press, Notre Dame (IN) 2015, 180-228. Non ci è giunto alcun
documento ufficiale relativo alla fondazione della scuola di filosofia di cui Psello sembra essere stato il
primo direttore con il titolo di “console dei filosofi”; per testimonianze su questa carica, si veda P. LEMERLE,
Cinq études sur le XIe siècle byzantin, CNRS, Paris 1977, 224-225. Psello stesso ricorda la propria nomina a
console dei filosofi in un opuscolo databile attorno al 1156, ma riferentesi ad eventi precedenti; cfr. MICHAEL
PSELLUS, Orationes forenses et acta, 4, ed. G.T. DENNIS, Teubner, Stuttgart 1994 («Bibliotheca Teubneriana»),
ll. 18-20. Riguardo invece la scuola di diritto di cui Xifilino era nomofylax, “guardiano delle leggi”, abbiamo
una Novella promulgata dall’imperatore nel 1047 e redatta dal maestro di Psello, Giovanni Mauropode. Per
l’edizione del testo della Novella, si veda A. SALAC, Novella Constitutio Saec. XI Medii a Ioanne Mauropode
conscripta a Constantino IX Monomacho promulgata, Academia Scientiarum Bohemoslovenica, Prague
1954 («Textus Breves Graeci et Latini», 1). Il testo si trova censito come documento ufficiale promulgato
dall’autorità imperiale in F. DÖLGER (P. WIRTH), Regesten der Kaiserurkunden des oströmische Reich von 565-
1453, II Teil, Regesten von 1025-1204, Beck, Munich 19772, n. 863 (con riferimento alle altre edizioni del
testo della Novella). Sul testo della Novella, si veda anche R. ANASTASI, Filosofia e techne a Bisanzio nel XI
secolo, «Siculorum Gymnasium», 27 (1974), 352-386; E. FOLLIERI, Sulla Novella promulgata da Costantino
IX Monomaco per la restaurazione della facoltà giuridica a Costantinopoli, in Studi in onore di E. Volterra,
II, A. Giuffrè, Milano 1971, 647-664.
7 Cfr. V. GRUMEL/V. LAURENT/J. DARROUZÉS, Les regestes des actes du patriarchat de Constantinople, vol.

I, fasc. II-III, Les regestes de 715-1206, Institut Français d’Études Byzantines, Paris 1989, nn. 925, 926.
8 Cfr. GOUILLARD, Le procès cit., 141,108-143,112.
9 GRUMEL/LAURENT/DARROUZÉS, Les regestes cit., n. 907.
10 Per una valutazione di insieme degli eventi relativi alla condanna di Italo, si vedano le riflessioni di

GOUILLARD, Le procès cit., 167-169.


6 Il neoplatonismo di Eustrazio di Nicea

Sulle vicende processuali che, come si è accennato, vedono un primo inter-


vento di Michele VII Doukas e un successivo intervento del nuovo imperatore
Alessio I Comneno, non ci soffermeremo più di tanto. Per il momento può risul-
tare di maggiore interesse per questa nostra introduzione sulla vita di Eustrazio
notare come nei documenti relativi alla seduta del 21 marzo 1082 si faccia un
riferimento all’estensione dell’inchiesta sull’ortodossia di Italo anche ai suoi di-
scepoli.11 Il testo è importante perché riporta in maniera esplicita i nomi dei
discepoli sotto indagine, tutti definiti diakonoi, il che significa che tutti avevano
già intrapreso una carriera ecclesiastica. Tra di essi è menzionato un tale Eu-
strazio, già maestro della scuola sita nel monastero di S. Teodoro nel quartiere
detto Τὰ Σφορακίου.12
Cerchiamo di discutere in maniera analitica le informazioni contenute in que-
sta prima menzione di Eustrazio e di ricostruire qualche notizia sulla figura
del nostro autore. In primo luogo prendiamo in esame le informazioni relative,
per così dire, all’affiliazione del nostro autore: Eustrazio risulta riconducibile
all’insegnamento e alla figura, controversa per i motivi a cui si è fatto cenno, di
Giovanni Italo, del quale egli doveva essere discepolo. Questo dato viene inoltre
confermato dalla testimonianza rinvenibile in uno scritto di Niceta, metropolita
di Eraclea, datato dall’autore dell’edizione critica del testo, Jean Darrouzès, alla
metà del 1117 e relativo alle vicende che segneranno la fine della carriera ec-
clesiastica di Eustrazio.13 In particolare Niceta ricorda polemicamente, a riprova
della compromissione di Eustrazio con dottrine empie e eterodosse, il precedente
del processo di Giovanni Italo, quando l’ortodossia di Eustrazio era stata posta al
vaglio dell’autorità ecclesiastica.14 In quell’occasione tutti i discepoli interrogati
dal sinodo avevano preso le distanze dall’insegnamento del maestro e se n’erano
dichiarati estranei. Niceta ricorda evidentemente questo episodio per dimostrare
il carattere mendace delle dichiarazioni di Eustrazio, tanto ai tempi del processo
ai danni di Italo, quanto al tempo del processo che invece nel 1116-1117 vedrà
imputato lo stesso Eustrazio. Questo dato, oltre a confermare (qualora ve ne fosse
bisogno) che l’Eustrazio menzionato negli atti del processo ai danni di Italo e
l’Eustrazio metropolita di Nicea menzionato da Niceta sono la stessa persona,

11 GOUILLARD, Le procès cit., 159,431-161,463.


12 GOUILLARD, Le procès cit., 159,434.
13 Cfr. J. DARROUZÈS, Documents inédits d’ecclésiologie byzantine. Textes édités, traduits et annotés par

J. Darrouzès, Institut Français d’Études Byzantines, Paris 1966 («Archive de l’Orient Chrétien», 10), 54-
65; 276-309 (Sur les hérésiarques). Testo precedentemente edito anche in P. JOANNOU, Le sort des Évêques
hérétique réconciliés. Un discours inédit de Nicétas de Serres contre Eustrate de Nicée, «Byzantion», 28
(1958), 1-30.
14 Cfr. NICETAS HERACLEENSIS, Oratio apologetica, ed. DARROUZÈS, Documents inédits cit., 304,4-15.
I. Eustrazio di Nicea: biografia intellettuale di un teologo e commentatore bizantino 7

testimonia come l’aver intrattenuto rapporti con Italo doveva risultare assai com-
promettente, anche a quasi quarant’anni dalle vicende relative al processo che
avevano visto la condanna di questo personaggio.
In secondo luogo apprendiamo che Eustrazio doveva essere stato in passato,
in quanto nel documento si trova il termine γεγονώς, maestro (proximos) presso
la scuola sita nel monastero di S. Teodoro, nel quartiere di Costantinopoli detto
di Τὰ Σφορακίου.15 La scuola in questione doveva essere piuttosto nota, se
non rinomata, visto che alcune testimonianze attestano la buona qualità dell’in-
segnamento impartito, per quanto questi documenti riguardino esclusivamente
la pratica della schedografia, che sappiamo essere parte dell’insegnamento di
base.16 In due componimenti, Cristoforo di Mitilene sembra elogiare il proximos
della scuola di S. Teodoro, quello Stiliano menzionato in relazione alla schedo-
grafia dalla stessa Anna Comnena,17 e un maestro della stessa scuola, tale Leone.
Cristoforo elogia Stiliano per aver garantito agli allievi della scuola la necessaria

15 Su questa chiesa si veda R. JANIN, La géographie ecclésiastique de l’empire byzantin. Première partie:

le siège de Constantinople et le patriarcat œcuménique. III tome, Les églises et les monastère, CNRS, Paris
19692, 152-153.
16 Sulla schedografia a Bisanzio si veda S.G. MERCATI, Intorno agli Σχέδη μυός, «Studi Bizantini», 2

(1927), 13-17, dove l’autore riporta il caso di alcune schede (cioè modelli scolastici di composizione) rin-
venibili in cinque mss., il più antico dei quali è il ms. Vat. gr. 711, ff. 80-82, della fine del XIV secolo; ID.,
Giambi di Giovanni Tzetze contro una donna schedografa, «Byzantinische Zeitschrift», 44 (1951), 416-418;
A. DEBIASI GONZATO, Osservazioni ad alcuni esercizi schedografici del cod. Marc. gr. XI.16, f. 220, «Rivista
di Studi Bizantini e Neoellenici», 8-9 (1971-1972), 109-125; L. MARCHESELLI-LOUKAS, Note schedografiche
inedite del Marc. gr. Z 487=883, «Rivista di Studi Bizantini e Neoellenici», 8-9 (1971-1972), 241-260 (si
tratta di una schedografia sul De natura animalium di Eliano); sempre a proposito di un codice Marcia-
no, R. BROWNING, O Markianos hellênikos kôdikas XI, 31 kai hê buzantinê schedografia, «Parnassos», 15
(1973), 508-519. Per una ricostruzione generale del fenomeno, si vedano H. HUNGER, Die hochsprachliche
profane Literatur der Byzantiner, bd. 2, C.H. Beck, Munich 1978, 26-29; R.H. ROBINS, The Byzantine Gram-
marians and their Place in History, De Gruyter, Berlin-New York 1993 («Trends in Linguistics. Studies
and Monographs», 70), 125-148. La pratica schedografica viene stigmatizzata da Anna Comnena, che
in Alexias, 15,7,9,21-15,7,9,29, ed. D.R. REINSCH/A KAMBYLIS, De Gruyter, Berlin-New York 2001 («Cor-
pus Fontium Historiae Byzantinae, Series Berolinensis», XL/1) scrive: Ταῦτα δὲ λέγω ἀχθομένη διὰ τὴν
παντελῆ τῆς ἐγκυκλίου παιδεύσεως ἀμέλειαν. Τοῦτο γάρ μου τὴν ψυχὴν ἀναφλέγει, ὅτι πολὺ περὶ ταὐτὰ
ἐνδιατέτριφα, κἂν, ἐπειδὰν ἀπήλλαγμαι τῆς παιδαριώδους τούτων σχολῆς καὶ εἰς ῥητορικὴν παρήγγειλα
καὶ φιλοσοφίας ἡψάμην καὶ μεταξὺ τῶν ἐπιστημῶν πρὸς ποιητάς τε καὶ ξυγγραφέας ᾖξα καὶ τῆς γλώττης
τοὺς ὄχθους ἐκεῖθεν ἐξωμαλισάμην, εἶτα ῥητορικῆς ἐπαρηγούσης ἐμοὶ κατέγνων τῆς [τοῦ] πολυπλόκου
τῆς σχεδογραφίας πλοκῆς. [«Queste cose le dico a causa della sofferenza per la completa non curanza per
l’educazione primaria, poichè molto mi sono occupata di queste cose; e dopo aver terminato con il ciclo
di studi primario, mi sono data alla retorica, mi sono accostata alla filosofia, per poi rivolgermi tramite le
scienze ai poeti ed agli storiografi e in questo modo ho smussato le improprietà del mio languaggio. Ma con
l’aiuto della retorica, ho condannato la tortuosa intricatezza della schedografia»].
17 ANNA COMNENA, Alexias cit.. 15,7,9,14-18.
8 Il neoplatonismo di Eustrazio di Nicea

preparazione per affrontare agoni grammaticali senza correre il rischio di essere


sconfitti.18
Prima di seguire le vicende relative agli eventi successivi al processo ai danni
di Italo e, evidentemente, ai danni della sua scuola, vista l’estensione del proce-
dimento anche ai suoi discepoli, può essere interessante soffermarsi sul modo in
cui i discepoli di Italo si discolparono dall’accusa di aver seguito il maestro negli
errori a lui imputati. Tutti e cinque i personaggi chiamati a rispondere della loro
frequentazione con Giovanni Italo, rinnegarono il proprio antico maestro pren-
dendone nettamente le distanze.19 Addirittura uno di questi, Michele figlio di
Matzô, secondo il documento in questione avrebbe sostenuto la propria estraneità
rispetto all’insegnamento di Italo, ricordando come di fatto sia stato effettivamen-
te suo discepolo, ma di averlo seguito solo per quanto riguarda l’insegnamento
della logica, per poi allontanarsene allorquando lo stesso Michele fu nominato
dal patriarca Giovanni VIII Xifilino (1064-1075) esarca per i monasteri d’Occi-
dente.20 Evidentemente la logica, in quanto disciplina di base, era considerata
neutra, innocua rispetto alle ben più pericolose dottrine metafisiche attribuite ad
Italo.21 Quanto a Eustrazio e agli altri discepoli, il testo del documento afferma
la loro assoluta innocenza. Non sarebbero costoro i referenti oggetto di anatema
nell’undicesimo articolo aggiunto da Alessio I a quelli redatti sotto Michele VII
Dukas, dove ad essere condannato è Italo e i suoi seguaci.22 Al contrario, tutti
i discepoli di Italo posti sotto indagine sarebbero usciti dal procedimento «puri
e indenni» da ogni sospetto di aver condiviso l’eterodossia del loro maestro.23
Torniamo ad Eustrazio. Uscito indenne dal processo ai danni del proprio ma-
estro ripudiandone l’insegnamento, Eustrazio riappare alcuni anni dopo nelle
vesti di teologo di corte, uomo di fiducia di Alessio Comneno. Dopo il 1082
(e probabilmente prima del 1086) Eustrazio fu nominato presbitero, come te-
stimoniato da alcuni manoscritti che preservano uno scolio di Eustrazio ad un
passo di difficile comprensione di Giovanni Damasceno.24 Poi vi è un dato fino
a poco tempo fa ignoto agli studiosi che ci permette di ricostruire ulteriormente

18 CHRISTOPHORUS MYTILENAEUS, Versus varii, 9 & 10, ed. M. DE GROOTE, Christophori Mitylenaii versuum

variorum collectio cryptensis, Brepols, Turnhout 2012 («Corpus Christianorum. Series Graeca», 74).
19 Cfr. GOUILLARD, Le procès cit., 159,447-452.
20 GOUILLARD, Le procès cit., 159, 435-442.
21 J. GOUILLARD, Le Synodikon de l’Orthodoxie, «Travaux et mémoires», 2 (1967), 57,185-71,403.
22 GOUILLARD, Le Synodikon cit., 61, 243-246: Tοῖς παρὰ τὴν χριστιανικὴν καὶ ὀρθόδοξον πίστιν

εἰσαχθεῖσι παρά τε τοῦ Ἰταλοῦ Ἰωάννου καὶ τῶν μετασχόντων τῆς ἐξ αὐτοῦ λύμης μαθητῶν αὐτοῦ
ἑλληνικοῖς καὶ ἑτεροδόξοις δόγμασι καὶ διδάγμασιν ἢ καὶ τῇ καθολικῇ καὶ ἀμωμήτῳ τῶν ὀρθοδόξων
πίστει ἐναντίοις, ἀνάθεμα.
23 Cfr. GOUILLARD, Le Procès cit., 159,452-463.
24 Cfr. infra, nt. 48.
I. Eustrazio di Nicea: biografia intellettuale di un teologo e commentatore bizantino 9

il percorso del nostro autore dopo il processo contro Italo, fino alla successiva
menzione di Eustrazio a noi nota, che occorre nell’ambito delle travagliate vicen-
de relative alla condanna e alla successiva riabilitazione di Leo di Calcedonia.
Questo nuovo dato sulla biografia di Eustrazio è rinvenibile in un ms., Utrecht,
Bibliotheek Rijksuniversiteit gr. 1 E 01 (Tiele 3).25 Si tratta di un ms. cartaceo
della fine del XII secolo che contiene diverse opere teologiche di età Comnena,
tra cui il dialogo sulle immagini (ff. 71r-76r) scritto da Eustrazio (lo vedremo in
seguito) in occasione della polemica che vide la condanna di Leo nel 1086 e la
sua successiva riabilitazione tra il 1094-1095.26 Il titolo dell’opera di Eustrazio
in questo ms. recita: Εὐστρατίου διακόνου τῆς τοῦ Θεοῦ εγάλης ᾽Εκκλησίας
καὶ χρηματίσαντος τῶν ῥητόρων μαΐστωρως κ.τ.λ. In margine si legge inoltre:
νυνὶ καὶ ικαίας μητροπολίτου. In sostanza il copista ha qui riportato delle indi-
cazioni e note rinvenibili nel modello, evidentemente un codice prodotto quando
Eustrazio era ancora in vita, visto che la nota in margine ci dice che Eustrazio è
«anche l’attuale metropolita di Nicea». Come vedremo la data della nomina di
Eustrazio a questa carica è sicuramente da far risalire a prima del 1112, anche
se non si sa con precisione l’anno esatto.
Ciò che in realtà ci interessa invece non è tanto questa nota marginale, quan-
to il titolo dell’opera in questione tramandato dal nostro ms. Dal titolo infatti
apprendiamo, cosa in realtà già nota (lo si è visto) dagli atti del processo contro
Italo, che Eustrazio era, prima del momento in cui il testo del Dialogo veniva
copiato, diacono a santa Sofia. La vera novità però è quanto leggiamo dopo: si
dice infatti che Eustrazio portava il titolo di «maestro dei retori».27 Si tratta di
una carica, dipendente direttamente dall’imperatore, il cui titolare era respon-
sabile per l’insegnamento ufficiale della retorica presso la cosiddetta “Accade-
mia Patriarcale”, su cui diremo qualcosa in seguito.28 Questa notizia è a tutti
gli effetti nuova ed aggiunge alle nostre conoscenze un capitolo fino a questo
momento sconosciuto della carriera del nostro autore. La nomina deve essere
avvenuta sicuramente dopo il 1082, anno della condanna di Italo, e deve essere
considerata come un grado intermedio di avvicinamento alla nomina di Eustrazio

25 Cfr. la descrizione in A. RIGO, Les premières sources Byzantines sur le Bogomilisme et les œuvre contre

les Phoundagiagites d’Euthyme de la Péribleptos, in V. GJUZELEV/G.N. NIKOLOV (eds), South-Eastern Europe in


the Second Half of the 10th - the Beginning of the 11th Centuries: History & Culture. International Conference
Proceedings, Sofia, 6-8 October 2014, Bulgarian Academy of Sciences, Sofia 2015, 528-552, 535-540. La
scoperta del nuovo dato biografico su Eustrazio è da ascrivere interamente ad Antonio Rigo.
26 Per una ricostruzione delle vicende legate a questa controversia, si vedano i documenti raccolti in

GRUMEL/LAURENT/DARROUZÉS, Les regestes cit., nn. 939, 940, 943, 952, 965, 966. Il testo di Eustrazio è edito
in A. DEMETRAKOPOULOS, Ἐκκλησιαστικὴ Βιβλιοθήκη, vol. 1, Leipzig 1866, 151-160.
27 Cfr. RIGO, Les premières cit., 539.
28 Cfr. infra, 39.
10 Il neoplatonismo di Eustrazio di Nicea

a metropolita di Nicea. Certamente, come detto, si trattava del titolo con il quale
Eustrazio affrontò la polemica con Leo di Calcedonia, probabilmente nei primi
anni ’90 del secolo XI. A questo periodo, infatti, risale la composizione dello
scritto sulle immagini che Eustrazio compose contro Leo.
La carriera di Eustrazio sembra continare in maniera lineare. Nel 1112 il
nostro autore viene coinvolto in un incontro ufficiale con una delegazione lati-
na guidata da Pietro Grossolano.29 Si tratta di un evento di un certo rilievo. La
partecipazione di Eustrazio come teologo ufficiale della delegazione greca lascia
intendere che quasi certamente in quella data egli doveva aver già ottenuto il
titolo di metropolita di Nicea. In quell’occasione Eustrazio era affiancato da
Niceta Seida e da Giovanni Phournos, il protôs dei monasteri del Monte Ganos.
Una fonte di molto successiva, probabilmente già condizionata dalle travagliate
vicende che coinvolsero Eustrazio, ossia il Thesaurus Orthodoxae fidei di Niceta
Coniata, riporta la notizia secondo la quale Eustrazio avrebbe difeso la tesi gre-
ca della processione dello Spirito a solo patre in maniera incerta e non appro-
priata.30 Non vi sono tuttavie testimonianze che confermino quanto riportato da
Coniata sugli eventi del 1112.
La successiva menzione del nostro autore si trova nell’Alessiade di Anna
Comnena, dove si ricorda un viaggio a Filippopoli dell’imperatore Alessio. An-
na ricorda come ad accompagnare Alessio in quell’occasione vi fosse proprio
Eustrazio.31 Il contesto del viaggio di Alessio e Eustrazio viene ricondotto da
Anna alla presenza, scomoda, dei pauliciani in quella zona.32 Anna parla di
persecuzioni dei “manichei” (i.e. dei pauliciani) ai danni della popolazione cri-
stiana, ma lascia di fatto ben intravedere il vero motivo della visita di Alessio,
cioè sedare la riottosità dei pauliciani, che al tempo dell’imperatore Giovanni
Tzimisce (969-976) erano stati ricollocati dall’Armenia nella zona di Filippopoli
per essere impiegati come mercenari.33
In realtà la successiva testimonianza di Niceta Coniata sembrerebbe invece
attribuire la causa del viaggio a Filippopoli ad una disputa con una delegazione
armena su problemi cristologici.34 Indipendentemente dal luogo in cui la disputa

29 Cfr. V. GRUMEL, Autour du Voyage de Pierre Grossolanus archevêque de Milan à Constantinople, en 1112.

Note d’histoire et de littérature, «Échos d’Orient», 32 (1933), 22-33.


30 NICETAS CHONIATES, Ex libro XXIII Thesauri Orthodoxae fidei, Patrologia Graeca, 140, 135-138.
31 ANNA COMNENA, Alexias cit., XV,8.
32 CACOUROS, Eustrate de Nicée cit., 380 riconduce il motivo del viaggio di Eustrazio a Filippopoli alla

successiva disputa che vide Eustrazio confrontarsi con una delegazione armena su questioni di cristologia.
33 L’episodio è ricordato in JOHANNES ZONARAS, Epitome historiarum, ed. T. BÜTTNER-WOBST, Ioannis Zona-

rae epitomae historiarum libri xviii, vol. 3, Weber, Bonn 1897 («Corpus scriptorum historiae Byzantinae»),
92,26-93,4.
34 NICETAS CHONIATES, Ex libro cit., 136D.
I. Eustrazio di Nicea: biografia intellettuale di un teologo e commentatore bizantino 11

avvenne (se a Costantinopoli, a Filippopoli o in entrambi i luoghi), questo episo-


dio (quello cioè legato al dibattito con gli armeni) è quello che segna la fine della
carriera ecclesiastica del nostro autore. Le vicende in questione sembrerebbero
collocarsi tra gli anni 1116 e il 1117.35 Su quello che accadde a seguito di questo
incontro teologico abbiamo diversi documenti.36 Sembra che i testi presentati da
Eustrazio in quell’occasione non furono ritenuti ortodossi. In particolare destò
scalpore il modo in cui Eustrazio doveva aver interpretato alcuni scritti di Cirillo
di Alessandria. Lo scalpore per l’eterodossia degli opuscoli redatti da Eustrazio
fu tale che il Patriarca Giovanni IX Agapeto (1111-1134) fu costretto a indire
un sinodo per dirimere la questione. A segnalare e denunciare la presunta espo-
sizione da parte di Eustrazio di dottrine empie e eterodosse sarebbero stati gli
stessi armeni, come ricordato da Niceta Coniata.37 Il 27 aprile 1117, alla pre-
senza dell’imperatore Alessio I e dello stesso Patriarca Giovanni, venne letta una
confessione di fede redatta dallo stesso Eustrazio, in cui il nostro autore abiurava
ufficialmente. Nonostante il Patriarca avesse pubblicamente invocato clemenza
per Eustrazio, la maggior parte dei membri del sinodo si espressero contro il me-
tropolita di Nicea. Un’ultima sessione del sinodo, alla presenza ancora di Alessio
I Comneno, vede il discorso di Niceta di Eraclea,38 durissimo nei confronti di
Eustrazio, e uno di uguale tenore di quel Niceta Seida che avevamo visto accom-
pagnare proprio Eustrazio nel 1112 nel corso delle trattative teologiche con la
delegazione latina guidata dall’arcivescovo di Milano, Pietro Grossolano.39 Non
ci sono giunti tuttavia gli atti e i documenti relativi all’esito del processo, che
terminò con una condanna. La sola fonte che di fatto testimonia della condanna

35 La cosa appare chiara dalla testimonianza di Niceta Seida in una denuncia inviata all’imperatore

contro Eustrazio, nel 1116, edita da Darrouzès (Documents inédits cit., 307-309). Sulla composizione della
delegazione armena, si veda ZÈSÈS, Νικήτα cit, 14-17; 19-20.
36 Cfr. P. JOANNOU, Der Nominalismus und die menschliche Psychologie Christi. Das semeioma gegen

Eustratios von Nikaia (1117), «Byzantinische Zeitschrift», 47 (1954), 369-378; ID., Eustrate de Nicée. Trois
pièces inédites de son proces (1117), «Revue des études byzantines», 10 (1952), 24-34; ID, Le sort de l’évêques
hérétiques réconcilié. Un discurs de Nicétas de Serres contre Eustrate de Nicée, «Byzantion», 28 (1958), 1-30.
Si segnala anche S. SALAVILLE, Philosophie et théologie ou épisode scholastique à Byzance, «Échos d’Orient»,
29 (1930), 132-156, la cui analisi del procedimento ai danni di Eustrazio risulta alquanto superata rispetto
ai contributi di Joannou prima menzionati e soprattutto di Darrouzès (cfr. supra, nt. 13) sulla ricostruzione
dei vari momenti del processo, si veda GRUMEL/LAURENT/DARROUZÉS, Les regestes cit., nn. 1002, 1003, 1003a,
1003b.
37 NICETAS CHONIATES, Ex libro cit., 136-138.
38 Per le edizioni di riferimento, cfr. supra, nt. 4 e 14. Su Niceta di Eraclea si veda la voce ‘Niketas of

Herakleia’, in A. KAZDHAN (ed.), The Oxford Dictionary of Byzantium, vol. 3, Oxford University Press, New
York/Oxford 1991, 1481.
39 Testo dell’abiura in JOANNOU, Der Nominalismus cit., 369-378.
12 Il neoplatonismo di Eustrazio di Nicea

di Eustrazio è ancora una volta Niceta Coniata, il quale ricorda che a seguito
delle sanzioni ricevute, Eustrazio fu deposto dal suo ufficio.40
La condanna di Eustrazio venne inserita nel testo del Synodikon dell’Ortodos-
sia. Sulle motivazioni reali che portarono alla condanna possono essere fatte solo
supposizioni; come spesso accade nella storia ecclesiastica bizantina, tuttavia, le
motivazioni dottrinali sono difficilmente separabili da quelle politiche, che pure
in questo caso sfuggono nella loro completezza.41 Sicuramente la rimozione di
Eustrazio dagli incarichi ecclesiatici, nonostante l’abiura dello stesso Eustrazio,
nasconde una questione tecnica di diritto canonico. Come ben ricostruito da Dar-
rouzès nell’introduzione all’edizione critica dell’atto d’accusa contro Eustrazio
redatto da Niceta d’Eraclea, l’imperatore e il Patriarca avrebbero probabilmente
preferito una soluzione che prevedesse il mantenimento della carica di metro-
polita di Nicea, con una sospensione temporanea dall’esercizio delle funzioni
episcopali. Niceta evidentemente doveva rappresentare una posizione ancora
più radicale, ossia la sospensione a vita dello stesso Eustrazio.42 Sappiamo in-
fatti che a partire dal concilio del 787, le eresie inevitabilmente comportavano
la sospensione permamente dal sacerdozio. Da quanto apprendiamo da Coniata,
la posizione più estrema deve aver prevalso, nonostante a rappresentare la posi-
zione più moderata vi fosse l’imperatore in persona.43
Per quanto riguarda le dottrine condannate, non si può non notare come l’ul-
tima delle ventiquattro tesi attribuite ad Eustrazio e condannate dal sinodo sia
analoga ad una proposizione condannata nel processo di Giovanni Italo.44 In essa
viene condannata la pretesa di applicare i metodi della dialettica e della logica
alla spiegazione dei misteri della fede, i quali esulerebbero dalla dimensione
accessibile alle capacità argomentative propriamente umane. In particolare la
proposizione attribuita ad Eustrazio e poi condannata consiste nell’affermazione
secondo cui nelle Sacre Scritture Cristo stesso si sarebbe espresso tramite sillo-
gismi aristotelici. Si tratta chiaramente di una esagerazione che, ci pare di poter
affermare, Eustrazio difficilmente avrebbe mai potuto sostenere alla lettera. In
effetti ci si trova di fronte ad un luogo comune assai diffuso in età patristica e
post-patristica che vede nell’errato uso della logica e dell’argomentazione ra-

40NICETAS CHONIATES, Ex libro cit., 136-137.


41Si veda ad esempio JOANNOU, Le sort de l’évêques cit., 7, dove si suggerisce a titolo puramente ipotetico
il coinvolgimento di Eustrazio nelle vicende legate alla successione imperiale immediatamente successive
alla morte di Alessio I Comneno (1118).
42 Cfr. DARROUZÈS, Documents inédits cit., 60.
43 DARROUZÈS, Documents inédits cit., 61-62 e GRUMEL/LAURENT/DARROUZÉS, Les regestes cit. 1003b,
44 Le proposizioni sono elencate in JOANNOU, Eustrate de Nicée cit., 32-34. Per il testo dell’anathema

contro Italo, si veda GOUILLARD, Le Synodikon cit., 71,395-403.


I. Eustrazio di Nicea: biografia intellettuale di un teologo e commentatore bizantino 13

zionale la causa dell’errore in teologia. Una felice formula, fortunatissima in


età bizantina, per descrivere questo principio si trova in Gregorio Nazianzeno,
il quale invitava a fare teologia «alla maniera dei pescatori, non alla maniera
di Aristotele» (ἁλιευτικῶς, ἀλλ’ οὐκ Ἀριστοτελικῶς).45 Ci pare che la retorica
dell’ortodossia presente nell’ultimo articolo della condanna di Eustrazio, così
citato dalla storiografia contemporanea, non debba far passare in secondo piano
il fatto che le altre ventitre tesi condannate vertono tutte su specifiche questioni
di cristologia. È questo il terreno sul quale si consumarono le vicende che por-
tarono alla destituzione di Eustrazio e alla fine della sua carriera ecclesiastica.46
Su quanto accadde invece negli ultimi anni della vita del nostro autore, nel
periodo cioè successivo alla condanna del 1117, non sappiamo molto. Si ritie-
ne comunemente che in questi anni Eustrazio sia stato coinvolto nel progetto
sponsorizzato da Anna Comnena di commentare alcune opere di Aristotele. Su
questa ipotesi e su questo progetto, torneremo in seguito. Ci si permetta invece
di segnalare quelle che sono le criticità legate all’interpretazione dei pochi dati
a nostra disposizione sulla vita e la carriera di Eustrazio. Tali criticità riguar-
dano in entrambi i casi la successiva testimonianza di Coniata: in primo luogo,
quella secondo cui già in occasione dell’incontro con Pietro Grossolano nel 1112
sarebbero emersi problemi relativi all’ortodossia di Eustrazio; in secondo luogo,
quella secondo la quale il viaggio del 1114 con Alessio I a Filippopoli avrebbe
avuto come scopo discussioni teologiche con gli Armeni, e non con i pauliciani,
come invece suggerisce Anna Comnena.
Quel che è certo è che Eustrazio, a discapito della frammentarietà delle in-
formazioni a nostra disposizione, doveva essere una personalità assai in vista e
ben connessa con le più alte sfere della corte imperiale. Potrebbe non essere
in questo senso casuale che la condanna di Eustrazio nel 1117 sia avvenuta in
un momento in cui l’imperatore Alessio I, il protettore e grande sostenitore di
Eustrazio, doveva essere stanco e malato, comunque impossibilitato a difendere
il proprio protégé come avrebbe forse dovuto. Alessio sarebbe infatti morto di lì
a poco, nel 1118, di un male incurabile.

45 GREGORIUS NAZIANZENUS, Orat. 23, Patrologia Graeca, 35, 1164D.


46 Tuttavia è pur vero che quello della possibilità e dei limiti dell’argomentazione dialettica nella for-
mulazione di un discorso teologico è un problema di enorme portata all’interno della storia della teologia
bizantina. Non si può negare che questa attitudine positiva nei confronti della costituzione del discorso teo-
logico su di un impianto dialettico sia attribuibile, o per lo meno tale risulta dalle fonti coeve, alla tradizione
pselliana, cui Eustrazio appartiene in quanto discepolo di Giovanni Italo. Su questo delicato problema, si
veda G. PODSKALSKY, Theologie und Philosophie in Byzanz. Die Streit um d. theol. Methodik in d. spatbyzan-
tin. Geistesgeschichte (14.-15. Jh.), seine systemat. Grundlagen u. seine histor. Entwicklung, Munich 1977
(«Byzantinisches Archiv», 15), 107-124.
14 Il neoplatonismo di Eustrazio di Nicea

2. Le opere
Conviene ricordare quali sono le opere a noi giunte attribuibili ad Eustrazio
di Nicea. Tali opere si lasciano dividere in opere a sfondo teologico, relative
all’attività di Eustrazio come teologo di corte, e opere filosofiche, nella forma
di commenti o trattati su singole problematiche. Anche in questo caso riportare
l’elenco completo delle opere attribuite con certezza a Eustrazio sarà un’occa-
sione per mettere ordine tra le varie e spesso divergenti indicazioni rinvenibili
nella letteratura.
Riguardo le opere teologiche, la maggiorparte di esse sono state pubblicate
nella Ἐκκλησιαστικὴ Βιβλιοθήκη di Demetrakopoulos (1866) e sono relative a
diverse questioni, come quelle relative all’iconologia, quelle cristologiche re-
lative alla disputa con gli Armeni menzionata in precedenza e quelle relative
alla processione dello Spirito Santo ex solo Patre, tesi difesa da Eustrazio in
occasione del soggiorno costantinopolitano dell’arcivescovo di Milano, Pietro
Grossolano tra il 1112 e il 1113.47 Si tratta cioè di opere scritte da Eustrazio in
occasione delle dispute teologiche cui, come si è visto, prese parte. Infine, si
segnala un trattatello che alcuni manoscritti tramandano con il titolo di “Defini-
zione generale della filosofia di Platone”, e che in realtà è uno scolio ad un passo
di Giovanni Damasceno.48
Riportiamo di seguito un elenco delle opere teologiche di Eustrazio con i titoli
con cui esse sono state edite da Demetrakopoulos, e con l’aggiunta di alcune
opere non edite nella Ἐκκλησιαστικὴ Βιβλιοθήκη.49

47 DEMETRAKOPOULOS, Ἐκκλησιαστικὴ cit., 127-160 (questioni di iconologia); 160-198 (disputa con gli

armeni); 47-127 (dispute con i latini). Riguardo gli scritti teologici, Leone Allacci (in De Eccl. Occid. et
Orient. perpet cons., II, X, Apud Jodocum Kalcovium, Coloniae Agrippinae 1648, col. 629) già segnalava ben
sei scritti anti-latini attribuibili ad Eustrazio, uno dei quali diviso in due scritti. Quattro ne aveva segnalati
Niceta Coniata (cfr. JOANNOU, Eustrate de Nicée cit., 25, nt. 3).
48 JOHANNES DAMASCENUS, In dormitionem Sanctae Dei genitricis Mariae orationes tres, II, ed. B. KOTTER,

Die Schriften von Johannes von Damaskos, V, Opera homiletica et hagiographica, De Gruyter, Berlin-New
York 1988 («Patristische Texte und Studien», bd. 29), 516-540, 524,34-37. Il testo è edito in P. JOANNOU,
Die Defintion des Seins bei Eustratios von Nikaia. Die Universalienlehre in der Byzantinischen Theologie im
XI.Jh., «Byzantinische Zeitschrift», 47 (1954), 358-368. Edizione successivamente rimpiazzata da quella
di K. ALPERS, Die „Definition des Seins“ des Eustratios von Nikaia. Kritische Neuausgabe, in D. HARLFINGER
(Hrsg.), Φ ΟΦΡΟ Η Α. Festschrift für Martin Sicherl zum 75. Geburtstag. Von Text- kritik zu Humani-
smusforschung, F. Schöningh, Paderborn 1990 («Studien zur Geschichte und Kultur des Altertums, Neue
Folge», 1. Reihe: Monographien, 4. Band), 141-159.
49 Per l’elenco delle opere contro i latini di Eustrazio abbiamo fatto affidamento su A. BARMIN, Полемика

и схизма. История греко-латинских споров IX-XII веков. М.: Изд-во института философии,
богословия и истории им. св. Фомы Аквинского, Москва, 2006, 623. A queste opere andrebbero
aggiunte quelle che – almeno due – Eustrazio compose in occasione del dibattito con gli Armeni e che
furono ritenute non ortodosse. Vi sono almeno tre mss. che contengono, stando alla descrizione presente nei
I. Eustrazio di Nicea: biografia intellettuale di un teologo e commentatore bizantino 15

1. όγος πρὸς τοὺς λέγοντας, ὅτι ἐκ τοῦ Πατρὸς καὶ ἐκ τοῦ Υἱοῦ τὸ Πνεῦμα τὸ ἅγιον
ἐκπορεύεται, κατασκευάζων ὅτι ἐκ τοῦ Πατρὸς διὰ τοῦ Υἱοῦ, οὐχὶ δὲ καὶ ἐκ τοῦ
Υἱοῦ τὸ Πνεῦμα τὸ ἅγιον ἐκπορεύεται (Inc.: Οὐ πρὸς ἔριν ὁ λόγος. Ἐκκλησιαστικὴ
Βιβλιοθήκη, 47-71);
2. όγος δεύτερος περὶ τοῦ ἁγίου Πνεύματος (Inc.: Ἀλλ’ ἔρις ἥδε οὐκ ἀγαθὴ.
Ἐκκλησιαστικὴ Βιβλιοθήκη, 71-84);
3. Ἔκθεσις τῆς γεγονυίας διαλέξεως ἐνώπιον τοῦ Αὐτοκράτορος υρίου Ἀλεξίου τοῦ
ομνηνοῦ πρὸς Γροσολάνον Ἀρχιεπίσκοπον εδιολάνων περὶ τῆς τοῦ παναγίου
Πνεύματος ἐκπορεύσεως, πρὸ τῶν ἀντιρρητικῶν ῥηθεῖσα (Inc.: Πρώην μὲν ἡμῖν
δύο. Ἐκκλησιαστικὴ Βιβλιοθήκη, 84-99);
4. όγος πρὸς τοὺς ατίνους περὶ τῶν προσφερομένων ἀζύμων, ἅτε παρὰ τοὺς
θείους κανόνας ταῦτα ποιοῦντας (Inc.: Περὶ μὲν δὴ τοῦ παναγίου. Ἐκκλησιαστικὴ
Βιβλιοθήκη, 100-127);
5. όγος περὶ τοῦ παναγίου Πνεύματος (Inc.: Τοῖς φιλολόγοις βασιλεῦσι. Ed. Barmin,
520-56550);
6. όγος τρίτος (Inc.: Ποιήσεις φησίν. Cfr. Leo Allatius, De Eccl. Occid. et Orient. per-
pet. cons., col. 62951);
7. όγος τέταρτος πρὸς τὰ γραφέντα τοῦ τῶν εδιολάνων (Inc.: Πάλιν ατῖνος ἡμῖν.
Ms. Mosq. gr. 239, ff. 58v-65; Mosq. gr. 240, ff. 52-58v);
8. όγος πέμπτος (Inc.: Ἀλλ᾽ἀναπτητέον εἰσέτι. Ms. Mosq. gr. 240, ff. 159v-167v);
9. όγος β´(Inc.: Ἐτι προστίθησιν ὥσπερ. Ms. Mosq. gr. 240, ff. 167v-172v);
10. Περὶ τῶν ἀζύμων (Inc.: Ἔδει μὲν. Ed. Dositeo (Patriarca), Tomos agapēs kata Latinōn
syllegeis kai typotheis para Dositheu patriarchu Hierosolymōn, Giasiō tēs moldobla-
chias 1698, 504-516, qui attribuito a Giovanni di Gerusalemme);
11. Τοῦ αὐτοῦ διάλογος ἐκτεθεὶς ὅτε ἡ ἀμφισβήτησις περὶ τῶν ἁγίων εἰκόνων ἐγένετο,
πῶς δεῖ προσκυνεῖσθαι καὶ τιμᾶσθαι αὐτὰς σχετικῶς ἢ λατρευτικῶς, τοῦ τῆς ἐν
Βιθυνίᾳ Χαλκηδόνος ητροπολίτου έοντος καὶ τῶν συνισταμένων αὐτῷ πρὸς
τὸ λοιπὸν ἅπαν πλήρωμα τῆς ἐκκλησίας ἀντιπιπτόντων καὶ λατρευτικὴν ἀπονέμειν
φιλονεικούντων τὴν προσκύνησιν ταῖς γεγραμμέναις εἰκόσι τοῦ σωτῆρος Χριστοῦ,
ἣν μόνῃ τῇ θεότητι ἡ ἐκκλησία ἔλεγεν ἐποφείλεσθαι, τῇ δὲ ἁγίᾳ εἰκόνι τὸ σχετικόν
τε καὶ ἀναφορικὸν τῆς προσκυνήσεως ἐφαρμόττειν καὶ τῆς τιμῆς (Inc.: Τὰ τοῦ
διαλόγου πρόσωπα. Ἐκκλησιαστικὴ Βιβλιοθήκη, 127-151);
12. Περὶ τοῦ τρόπου, τιμῆς τε καὶ προσκυνήσεως τῶν σεβασμίων εἰκόνων συλλογιστικὴ
ἀπόδειξις (Inc.: Ἡ λατρεία μόνη. Ἐκκλησιαστικὴ Βιβλιοθήκη, 151-160);
13. Τοῦ αὐτοῦ Εὐστρατίου ἔλεγχος καὶ ἀνατροπὴ τῶν λεγόντων μίαν φύσιν ἐπὶ τοῦ
Χριστοῦ τοῦ ἀληθινοῦ Θεοῦ ἡμῶν ἐκ λογικῶν καὶ φυσικῶν καὶ θεολογικῶν

cataloghi, del materiale inedito che sembra corrispondere all’identikit di queste opere composte dal nostro
autore contro gli Armeni. Questi sono i mss. Ambros. M 88 sup. (ff. 287v-291v), Par. gr. 3115 (ff. 49-62) e
Athos, Monê Dionusiou 120 (ff. 705-706). Va da sè che il contenuto di questi codici per quel che riguarda
le opere contro gli Armeni di Eustrazio è tutto da verificare.
50 Cfr. nt. 49.
51 Cfr. nt. 47.
16 Il neoplatonismo di Eustrazio di Nicea

ἐπιχειρήσεων, ἐξ ὧν δείκνυται ἀναγκαίως ἐκ δύο φύσεων εἶναι τὸν σωτῆρα


Χριστόν μου, τὴν ἄρρητον αὐτοῦ κατὰ σάρκα οἰκονομίαν ἀφύρτως καὶ ἀσυγχύτως
καὶ ἀτρέπτως ἀλλήλαις ἥνωνεν ἐν μιᾷ καὶ τῇ αὐτῇ ὑποστάσει. Ἐξεδόθη δὲ μετὰ
τὴν γενομένην διάλεξιν παρὰ τοῦ βασιλέως υρίου Ἀλεξίου τοῦ ομνηνοῦ πρὸς
Ἀρμένιον τὸν Τιγράνην (Inc.: Γυμνασίας ἕνεκεν τῆς εἰς ἀλήθειαν. Ἐκκλησιαστικὴ
Βιβλιοθήκη, 160-198);
12. Ὅρος καθολικώτατος φιλοσοφάς Πλάτωνος (Inc.: Τουτέστιν, οὐκ ἔστιν. Ed.
Alpers52).

Per quanto riguarda le restanti opere, quelle filosofiche e scientifiche, la situ-


zione è assai più chiara e agevole da ricostruire. Tali opere si lasciano dividere
tra commenti ad Aristotele e trattati (in forma breve) su specifiche tematiche fil-
sofiche. Riguardo queste ultime, si segnala un trattato di meteorologia composto
da più sezioni dedicato all’imperatrice Maria di Alania (ca. 1050-1103), sposa
dell’imperatore Michele VII Doukas († 1090) e, successivamente, di Niceforo III
Botaneiate (imperatore dal 1078 al 1081).53 Riguardo i commenti a opere filoso-
fiche antiche, ci sono giunti i commenti di Eustrazio al libro II degli Analytica
Posteriora e i commenti ai libri I e VI dell’Ethica Nicomachea, tutti editi nella
serie Commentaria in Aristotelem Graeca. Anche in questo caso per comodità
del lettore riportiamo un elenco delle opere filosofiche e scientifiche attribuite
al nostro autore e l’edizione moderna di riferimento.

1. Περὶ βροντῶν καὶ ἀστραπῶν κ.τ.λ.;


2. In Aristotelis analyticorum posteriorum librum secundum commentarium, ed. M.
HAYDUCK, Eustratii in analyticorum posteriorum librum secundum commentarium,
Reimer, Berlin 1907 («Commentaria in Aristotelem Graeca», XXI,1), 1-270;54
3. In Aristotelis ethica nicomachea i commentaria, ed. G. HEYLBUT, Eustratii et Michaelis

52Cfr. nt. 48.


53Cfr. P. POLESSO SCHIAVON, Un trattato inedito di meteorologia di Eustrazio di Nicea, «Rivista di Stu-
di Bizantini e Neoellenici», N.S. 2-3 (XII-XIII) (1965-1966), 285-304. Si segnala il recente contributo su
questo testo di Anne-Laurence Caudano (Eustratios of Nicaea on Thunder and Lightning, «Byzantinische
Zeitschrift», 105/2 [2012], 611-634), la quale sulla base dell’analisi di un testimone del testo non noto a
Polesso Schiavon suggerisce l’attribuzione ad Eustrazio di solo una parte del testo precedentemente edito
dalla studiosa italiana. La questione merita di essere ulteriormente approfondita in altra sede. Nello stesso
articolo Caudano ha anche offerto una nuova edizione critica della parte di testo relativa ai tuoni e ai lampi.
54 L’edizione di questo commento curata da Hayduck si basa solo sul Marc. gr. 257 e sull’Escor. Φ I 14.

Ignoti ad Hayduck sono i mss. Laur. Plut. 71,32 (ff. 212-270v), Udin. Bibl. Arch. gr. 256 (ff. 1-339), Monac.
gr. 29 (ff. 183v-315) e 75 (ff. 124-295v), questi ultimi tuttavia assai tardi. Quest commento ha una certa
importanza per la ricostruzione del commento perduto agli Analytica Posteriora di Alessandro di Afrodisia.
Su questo si veda P. MORAUX, Le Commentaire d’Alexandre d’Aphrodise aux «Seconds Analytiques» d’Aristote,
De Gruyter, Berlin-New York 1979 («Peripatoi. Philologisch-historische Studien zum Aristotelismus», 13).
I. Eustrazio di Nicea: biografia intellettuale di un teologo e commentatore bizantino 17

et anonyma in ethica nicomachea commentaria, Reimer, Berlin 1892 («Commentaria


in Aristotelem Graeca», 20), 1-121;
4. In Aristotelis ethica nicomachea vi commentaria, ed. G. HEYLBUT, Eustratii et Michaelis
et anonyma in ethica nicomachea commentaria, Reimer, Berlin 1892 («Commentaria
in Aristotelem Graeca», 20), 256-406.

3. I commenti greco-bizantini all’Ethica Nicomachea


Il corpus dei commenti greco-bizantini all’Ethica Nicomachea, in cui i commenti
di Eustrazio ai libri I e VI dell’Ethica Nicomachea sono trasmessi, è una raccolta
composita (e trasmessa in diverse versioni) di commenti tardo-antichi e bizantini
ai vari libri che costituiscono quest’opera aristotelica.55 Come avremo modo di
vedere lo stato dell’arte relativo a questa collezione, o per meglio dire collezioni,
di commenti e dei manoscritti che ne tramandano il testo è ancora caratterizzato
dalla più grande provvisorietà. Cercheremo qui di delineare in generale le varie
questioni ancora aperte relative a questo insieme di testi.
Partiamo da un elenco dei mss. a noi noti che trasmettono questi commenti.
I manoscritti contenenti il corpus dei commenti greco-bizantini all’Ethica Nico-
machea nella versione greca sono i seguenti:

– Ambros. B 95 sup. (sec. XIV).


– Ambros. G 62 sup. (XIV)
– Barb. 223 (sec. XVI).
– Berolin. 1.58; 1.59 (294) (sec. XV).
– Laur. 81.3 (sec. XV)
– Laur. 85,1 (sec. XIII, Heylbut recensisce come sec. XIV).
– Mut. α. V. 6. 4 (sec. XV-XVI).
– Neap. Bibl. Orat. Girol. XVI.16 (XVI sec.)
– Oxon. Collegi Novi 240/241 (anno 1497).
– Oxon. Corporis Collegii Christi 106 (anno 1495).
– Par. Coisl. gr. 161 (sec. XIV).
– Par. gr. 1927 (sec. XVI).
– Vat. gr. 1622 (sec. XVI).
– Vat. gr. 269 (sec. XII).
– Vat. gr. 320 (sec. XIII).
– Vossian. fr. F 12 (sec. XVII).

Abbiamo riportato qui i manoscritti recensiti da Heylbut nell’introduzione

55 L’edizione di riferimento è Eustratii et Michaelis et anonyma In Ethica Nicomachea commentaria, ed.

G. HEYLBUT, Reimer, Berlin 1892 («Commentaria in Aristotelem Graeca», 20).


18 Il neoplatonismo di Eustrazio di Nicea

all’edizione dei Commentaria, basata sul testo del ms. Par. Coisl. gr. 161 e dell’E-
ditio Aldina,56 con alcune aggiunte reperite grazie al database Pinakes. Nel ca-
talogo di Wartelle57 sono aggiunti i seguenti manoscritti:58

– Ambros. O 122 sup. (sec. XV-XVI).


– Grottaferrata Z. d. 006 (048) (sec. XVII, frammentario).
– Marc. gr. Z 253 (sec. XV)
– Mosq. 451 (sec. XVI).
– Orator. XVI (sec. XVI).
– Par. gr. 1926 (sec. XVI).
– Par. gr. 2060 (sec. XV).
– Vat. gr. 2368 (sec. XVI).

In totale avremmo 24 manoscritti. Sfortunatamente non siamo in grado di


garantire la correttezza assoluta di questa recensione, a causa della nota scarsa
affidabilità del catalogo di Wartelle. Il supplemento del suddetto catalogo curato
da Argyropoulos e da Caras non sembra modificare la situazione;59 vi è solo
un’aggiunta rispetto a quest’ultimo catalogo: al n. 86 viene riportato nell’indice
un codice della biblioteca dell’Accademia Rumena di Bucarest in cui sarebbe
presente parte del commento di Eustrazio all’Ethica Nicomachea; non potrà non
provare sorpresa il lettore allorquando, consultando quanto effettivamente ri-
portato al n. 86, si troverà di fronte ad un commento alla Physica del bibliofilo
del XVII secolo Gerasimo Blaco, senza alcun riferimento nella descrizione dei
contenuti del manoscritto alla presenza di uno o più frammenti riconducibili
ad un’opera di Eustrazio. Certamente una nuova e più affidabile recensione dei
mss. che trasmettono questa collezione di commenti è quanto meno auspicabile,
anche nella direzione di un’eventuale nuova edizione che aggiorni e corregga il
testo, assai lacunoso, di Heylbut e dia conto della tradizione testuale dei testi
che compongono questa collezione di commenti.
Veniamo adesso alla questione della composizione del corpus dei commenti
greco-bizantini all’Ethica Nicomachea. Come abbiamo avuto modo di accennare,
questa raccolta di commenti è giunta in più versioni, almeno due, che differisco-
no quanto alla loro composizione interna. I libri costitutivi della versione latina

56 Eustratii et aliorum insignium Peripateticorum commentaria in libros decem Aristotelis De moribus ad

Nicomachum, Venetiis, in aedibus haeredum Aldi Manutii, et Andreae Asulani soceri, 1536.
57 A. WARTELLE, Inventaire des manuscrits grecs d’Aristote et de ses commentateurs, Les Belles Lettres,

Paris 1963.
58 Il Vat. gr. 1622 viene recensito come risalente al XV secolo, al XVI secolo da Wartelle (n. 1810).
59 R.D. ARGYROPOULOS/I. CARAS, Inventaire des manuscripts Grecs d’ Aristote et de ses Commentateurs.

Supplément, Les Belles Lettres, Paris 1980.


I. Eustrazio di Nicea: biografia intellettuale di un teologo e commentatore bizantino 19

redatta da Roberto Grossatesta poco prima della metà del XIII secolo possono
costituire il modello base per operare una classificazione dei manoscritti in base
ai rispettivi contenuti ed alle rispettive omissioni. Il contenuto risulta piuttosto
eterogeneo; abbiamo due commenti ai libri I e VI redatti da Eustrazio di Nicea,
anonimi scholia ai libri II-III-IV-V probabilmente risalenti al III secolo d.c.,60
i commenti ai libri V, IX e X redatti da Michele di Efeso (XI-XII sec.), un com-
mento al libro VII anonimo, forse addirittura del XII secolo, infine un commento
al libro VIII riconducibile al peripatetico del II secolo d.c. Aspasio.61
Sulla base di questo modello possono essere fatte alcune considerazioni. In
primo luogo, sembra che siano solo due i manoscritti che riportano esattamente
l’insieme di testi oggetto della traduzione del Grossatesta: si tratta dei mss. del
XV secolo Oxon. Collegi Novi 240/241 e dell’Oxon. Corporis Collegii Christi 106,
due codici gemelli vergati da Giovanni Servopoulos in Inghilterra.62
Vi sono due manoscritti, invece, i quali si distinguono dai manoscritti copiati
da Giovanni Servopoulos per l’omissione degli anonimi scholia al libro V. Re-
lativamente a questo libro essi presentano dunque solo il commento di Michele
di Efeso. Si tratta dell’ Ambr. B 95 e del Par. Coisl. gr. 161, sul quale Heylbut,
come già ricordato, ha condotto la propria edizione.
In generale, la vera grossa variante riguarda la composizione di questa col-
lezione per quel che concerne i libri II-V. In questo senso i manoscritti a noi
noti possono essere catalogati in due classi: quelli che contengono per lo più
il corpus di libri tradotto dal Grossatesta e quelli che invece non presentano gli
scholia anonimi ai libri II-V, sostituiti dai relativi commenti di Aspasio, di cui
sono rimasti i commenti ai libri I-IV e i commenti al grosso dei libri VII e VIII.
Si rinviene, sempre in questa seconda classe, anche l’aggiunta dei capita moralia
tratti dalle Quaestiones attribuite ad Alessandro di Afrodisia, collocati dopo il
commento di Eustrazio a libro VI dell’Ethica. Ad eccezione del Vat. gr. 269 e

60 Cfr. H.P.F. MERCKEN, The Greek Commentators on Aristotle’s Ethics, in SORABJI (ed.), Aristotle cit., 407-

443, 408-410. Gli scholia presentano sicuramente l’influenza di Adrasto di Afrodisia (I metà del II secolo
d.C.), cui Ateneo (Deipnosophistae, XV,15,12) attribuisce un commento all’Ethica Nicomachea, ma non sono
a lui attribuibili direttamente. Per una discussione di questi scholia si veda P. MORAUX, Der Aristotelismus
bei den Griechen von Andronikos bis Alexander von Aphrodisias, vol. II: Der Aristotelismus im I. und II. Jh, n.
Chr., De Gruyter, Berlin-New York 1984 («Peripatoi», 6), 323-330.
61 Su Aspasio si veda MORAUX, Der Aristotelismus cit., 226-293 e A. ALBERTI/R.W. SHARPLES (eds), Aspa-

sius: The Earliest Extant Commentary on Aristotle’s Ethics, De Gruyter, Berlin-New York 1999 («Peripatoi»,
17). Di recente è stata pubblicata una traduzione inglese dei commenti ai libri VIII e IX dell’Ethica Nico-
machea redatti da Aspasio, dallo sconosciuto ed enigmatico Eliodoro di Prusa e da Michele di Efeso (libro
IX) (Cfr. D. KONSTAN, On Aristotle’s Nicomachean Ethics 8 and 9. Aspasius, Anonymus, Michael of Ephesus,
Duckworth/Cornell University Press, Ithaca-New York 2001).
62 Cfr. infra, 25-26.
20 Il neoplatonismo di Eustrazio di Nicea

del Par. gr. 1927, questi manoscritti presentano il commento di Aspasio al libro
VII in aggiunta a quello dell’anonimo bizantino. Per quello che siamo riusciti
a ricostruire, a questa seconda classe dovrebbero appartenere il Laur. 85,1, il
Mutin. 197, il Berolin. 294; in uno stato frammentario, ma che lascia presagire il
medesimo modello di composizione, il Barb. II 44, il Vossian. fr. F 12, il Vat. gr.
269, il Par. gr. 1927, il manoscritto Mosq. 451. Infine, il Vat. gr. 320 contiene
solo i commenti ai libri IX e X di Michele di Efeso. I restanti manoscritti sono
descritti come lacunosi e frammentari.63
Di fronte a questa situazione ci si può legittimamente interrogare sulla genesi
di queste diverse versioni della nostra compilazione. In particolare, la questione
riguarda l’identificazione tra le due versioni a noi note e quella originaria. Su
questa questione, assai complessa, gli studiosi sembrano aver accettato l’ipotesi
di Rose secondo la quale la composizione originaria sarebbe quella costituita dai
mss. costitutivi della prima classe, mentre la seconda classe di mss. deriverebbe
dalla sostituzione, in un particolare momento della tradizione del testo, degli
anonimi scholia ai libri II-V con i commenti ai libri I-IV di Aspasio.64
A questo problema se ne aggiunge un altro, relativo non già alla composizione
delle collezioni di commenti, ma piuttosto alla recensione del testo trasmesso dai
manoscritti delle due classi. Già Mercati, in una recensione assai severa dell’e-
dizione di Heylbut, aveva notato come il ms. Vat. gr. 269 presenta un testo più
esteso di quello del Par. Coisl. gr. 161 collazionato da Heylbut per l’edizione.65
Mercati non esita a dare preferenza al ms. Vat. gr. 269 in tutta una serie di passi
in cui il Par. Coisl. gr. 161 appare lacunoso. Non solo: alla luce di un’analisi
dell’apporto del ms. vaticano alla costituzione del testo, egli sostiene esplicita-
mente che il testo originario sarebbe proprio quello del codice vaticano, rispetto
al quale il parigino preserverebbe un testo epitomato, un testo “volgato”. Mercati
ovviamente lasciò aperta la questione di chi abbia alla fine epitomato il testo,
se un copista successivo o lo stesso Eustrazio, il quale in questo modo avrebbe
curato diverse redazioni della medesima opera. E allo stesso modo anche noi
siamo costretti per il momento a lasciare la questione aperta. Ma per ovvi motivi

63Cfr. MERCKEN, The Greek cit., 409-410.


64V. ROSE, Ueber die griechischen Kommentare zur Ethik des Aristoteles, «Hermes», 5 (1871), 61-113,
71-73. Della stessa opinione anche MORAUX, Der Aristotelismus cit., 252, che evidentemente si fonda sulla
datazione comunemente accettata dei mss. della seconda classe (quelli per inciso che presentano i com-
menti di Aspasio al posto di quelli dell’anonimo tardo-antico) per sostenere la tesi per cui i commenti di
Aspasio sarebbero stati riscoperti solo nel XIII secolo. Tesi che sulla base della nuova datazione del ms.
Vat. gr. 269 è da rivedere (cfr. infra, 21).
65 G. MERCATI, Fra i commentatori greci di Aristotele, «Byzantinische Zeitschrift», 18 (1909), 516-538

[Ristampato in G. MERCATI, Opere Minori, t. III, Biblioteca Apostolica Vaticana, Città del Vaticano 1937
(«Studi e testi», 78), 458-467].
I. Eustrazio di Nicea: biografia intellettuale di un teologo e commentatore bizantino 21

l’operazione deve risalire a prima della metà del XIII secolo, quando cioè Gros-
satesta, che aveva di fronte un testimone con una versione del testo apparentata
strettamente a quella epitomata del ms. parigino, tradusse Eustratius cum aliis
in latino.
Ciò che possiamo invece aggiungere è che il ms. Vat. gr. 269, che per Mercati
appunto trasmette la versione originaria del commento di Eustrazio, non è del
XIII secolo, come ritenuto dallo stesso Mercati, bensì della seconda metà del XII
secolo, un periodo cioè assai più vicino di quanto si fosse pensato in precedenza
rispetto alla composizione effettiva del testo da parte di Eustrazio. Va da sè che
l’anteriorità di un ms. non necessariamente implica l’anteriorità della recensione
del testo tramandato rispetto a quella tramandata da testimoni successivi. Ep-
pure, in virtù di una recente scoperta codicologica, la questione della cronologia
dei testimoni non è in questo caso secondaria. Recentemente infatti sono venuti
alla luce due frammenti pergamenacei contenenti parti del commento di Eustra-
zio al libro I dell’Ethica Nicomachea (1085b8-13; 1095b32-1096a2; 1097b33;
1098a1-3), entrambi preservati a Budapest come fogli di guardia di due copie di
una miscellanea tedesca della metà del XVII secolo contenente opere polemiche
cattoliche antiprotestanti.66 I frammenti sono stati datati paleograficamente al
tardo XII secolo e presentano le caratteristiche di un’edizione di lusso. Inoltre, e
qui il motivo di interesse di questa scoperta, il testo tradito da questi frammenti
appartiene alla stessa famiglia del Vat. gr. 269. Avremmo cioè un altro testimone
del testo risalente, come il Vat. gr. 269, alla seconda metà del XII secolo appa-
rentato con il testo che secondo Mercati sarebbe quello originario.
Cerchiamo di ricapitolare. La tradizione testuale dei commenti greco-bizan-
tini all’Ethica Nicomachea presenta due problemi, distinti ma non necessaria-
mente scollegati: 1) la diversa composizione delle due compilazioni; 2) la diversa
recensione del testo (almeno per quel che concerne il testo di Eustrazio). Fino
a questo momento si è pensato che i mss. prima catalogati come appartenenti
alla seconda classe costituissero una seconda successiva versione rispetto alla
compilazione trasmessa dai mss. della prima classe. Tuttavia, alcuni elementi
relativi alla recensione del testo suggerirebbero quanto meno la necessità di
ripensare questa ipotesi. Il ms. Vat. gr. 269 potrebbe presentare una versione
che appare come originaria rispetto a quella testimoniata dal ms. parigino colla-
zionato da Heylbut. Come detto, lo stesso ms. vaticano andrebbe retrodatato di
diversi anni, precisamente alla seconda metà del XII secolo. Si tratta dello stesso
periodo in cui fu prodotto il codice pergamenaceo da cui provengono i fogli di

66 Cfr. A. NEMETH, Fragments from the Earliest Parchment Manuscript of Eustratius’ Commentary on

Aristotle’s Nicomachean Ethics, «Revue d’historie des textes», n.s. 9 (2014), 51-78.
22 Il neoplatonismo di Eustrazio di Nicea

Budapest, i quali anch’essi trasmettono la recensione del testo del Vat. gr. 269.
Ora, come detto, la questione dell’originarietà della recensione non necessaria-
mente determina quella dell’originarietà della composizione delle compilazioni
di commenti a noi note. Purtuttavia, la cronologia del ms. vaticano e dei fogli di
Budapest impone – lo ripetiamo – di prendere con la massima cautela l’ipotesi
di Rose sulla priorità della compilazione trasmessa dai mss. della prima classe.
In ogni caso occorrerebbe una nuova recensione accurata dei mss. che preser-
vano questo corpus di commenti nelle sue varie versioni e uno studio integrale
della tradizione manoscritta che riguardi anche le caratteristiche paleografiche
e codicologiche dei vari testimoni, cosa che per ovvi motivi non può rientrare
tuttavia nei propositi del presente lavoro. Ciò che ci preme qui segnalare, inve-
ce, è che ci troviamo di fronte ad un corpus assai eterogeneo di testi che include
commenti tardo-antichi e commenti bizantini. I problemi in questo senso aumen-
tano, invece di diminuire. Appare chiaro che nel XII secolo Eustrazio e Michele
hanno lavorato ad integrare un corpus di commenti pre-esistente. Come hanno
proceduto i nostri commentatori? Per quale motivo Eustrazio commenta il libro I,
benché vi fosse già il commento di Aspasio disponbile? Per quale motivo Miche-
le commenta il libro V, benché vi fossero già gli scholia dell’anonimo tardo-antico
sullo stesso libro? E chi è l’autore del commento anonimo al libro VII? Come
si sono originate le diverse compilazioni di commenti a noi note? In rapporto a
tutte queste questioni non possiamo fare altro che segnalare la necessità di studi
futuri che cerchino risposte.

4. Eustrazio di Nicea e il “circolo” di Anna Comnena


tra mito e realtà storica
Un fondamentale articolo di Robert Browning pubblicato nel 1962 è alla base
della più consolidata e affermata ipotesi sul contesto dell’attività di Eustrazio
commentatore di Aristotele. Si tratta della celebre tesi che ammette l’esistenza
di un “circolo” filosofico attorno alla principessa Anna Comnena. Un “circolo”,
appunto, un gruppo di individui riuniti attorno a questo influente personaggio,
volto ad affermare un’istanza dottrinale di matrice aristotelica contraria alla ten-
denza di matrice neoplatonica che invece, grazie a figure quali Michele Psello e
Giovanni Italo, avrebbe caratterizzato lo scenario culturale bizantino preceden-
te, in particolare nella seconda metà del XI secolo.67
In questo capitolo raccoglieremo e discuteremo criticamente tutti gli elementi
sui cui l’ipotesi di Browning poggia, aggiungendone di nuovi o reinterpretando

67 Cfr. supra, nt. 3.


I. Eustrazio di Nicea: biografia intellettuale di un teologo e commentatore bizantino 23

quelli già noti. Raccoglieremo fatti, descriveremo figure e personaggi, analiz-


zeremo dati vecchi e nuovi. In questo modo non solo ci proponiamo di fornire
al lettore una ricostruzione completa del contesto in cui Eustrazio si trovò ad
operare, ma intendiamo anche ripensare un’ipotesi – quella appunto di Browning
– che presenta diverse ombre.

4.1. Fatti, testi e personaggi


Partiamo da Eustrazio. Per quanto ne sappiamo, il suo commento al VI libro
dell’Ethica Nicomachea deve essere considerato l’ultima opera dell’uomo che
Anna Comnena definisce nella Alessiade «sapiente in entrambe: nella sapienza
cristiana ed in quella pagana, esperto nell’arte della dialettica più degli Stoici e
dei membri dell’Accademia».68 Dal canto suo, nel prologo al commento al libro
VI dell’Ethica Nicomachea, Eustrazio aveva speso parole di encomio per una
principessa, a cui viene dedicata di fatto l’opera, definendola «pia, amante della
ragione, del bene e del bello».69 Per quanto egli non ne faccia il nome, quasi
certamente la principessa cui Eustrazio si riferisce altri non è se non la stessa
Anna Comnena.
Nel prologo in questione un Eustrazio che si dichiara vecchio e stanco ri-
corda la protezione e i benefici ottenuti dalla principessa per aver atteso ai
propri obblighi ed aver corrisposto alle sue richieste; alcuni anni prima (πρὸ
χρόνου τινὸς), ricorda Eustrazio, la principessa destinataria di questo breve
encomio introduttivo aveva già fatto richiesta di un commento (σαφήνεια) al I
libro dell’Ethica Nicomachea.70

68 ANNA COMNENA, Alexias cit., 14,8,9.


69 EUSTR., In VI EN, 256,3-8: Εὖ σοι γένοιτο, βασιλὶς θεοσεβής, βασιλὶς φιλολόγε, βασιλὶς φιλάγαθε καὶ

φιλόκαλε, ὅτι ψυχὴν καὶ σῶμα παραθεῖσα πρὸς ἄλληλα καὶ τὴν τούτων διαφορὰν ἐξετάσασα προσετέθης
τῷ κρείττονί τε καὶ ὑπερέχοντι καὶ καλλωπίζειν τοῦτο προῄρησαι τοῦ ὑφειμένου καταφρονήσασα, διὰ
τοῦτο τέχναι σοι λόγων καὶ ἐπιστῆμαι καὶ ἀρεταί, ἐξ ὧν τὸ <τῆς> ψυχῆς κάλλος συνίστασθαι πέφυκε,
περὶ πολλοῦ καὶ διὰ σπουδῆς. [«Possa il bene accompagnarti, pia principessa, principessa amante della
ragione, amante della bontà e del bello; tu che tra anima e corpo, dopo aver colto le rispettive differenze,
ti accostasti a ciò che migliore e supremo, e di questo scegliesti di fregiarti, guardandoti da ciò che invece
risulta essere inferiore; e per questo ti applicasti alle discipline della retorica, alle scienze ed alle virtù da
cui deriva all’anima il bello, con massimo zelo.»]
70 EUSTR., In VI EN, 256,22-257,31: ὥστε καὶ περὶ ἡμῶν τι ὑπολαβοῦσα χρηστὸν πεπείρασαι καὶ ἀφ’

ἡμῶν πορίσασθαί τι τελοῦν εἰς ὄνησιν καίτοι γε ἡμεῖς ὀλιγομαθεῖς καὶ ἀσθενεῖς καὶ γήρᾳ καὶ νόσοις
κατακαμπτόμενοι καὶ διανοίας στενότητα περικείμενοι καί τι χαρίεν ἐκθέσθαι καὶ ἄξιον σπουδῆς
μὴ δυνάμενοι. τοίνυν ἐπεὶ πρὸ χρόνου τινὸς ἐζήτησας ἡμᾶς ἐκθέσθαι σαφήνειαν εἰς τὸ πρῶτον τῶν
ικομαχείων τοῦ Ἀριστοτέλους Ἠθικῶν, καὶ ἡμεῖς σοι πεισθέντες ὃ ἀπῄτησας πεποιήκαμεν, ᾠήθημεν
ἐξ ἐκείνου διαγνῶναί σε τὴν ἡμετέραν περὶ λόγους καὶ νοήσεις ἐλάττωσιν καὶ μηκέτι προσθεῖναι πρὸς
ἡμᾶς ζήτησιν περὶ τοιούτου τινός. ἀλλ’ ὡς ἔοικε τὸ ὑπερβάλλον τῆς προσούσης φιλομαθείας τῇ σῇ
ψυχῇ πείθει καὶ τὰ μικρὰ καὶ μικροῦ λόγου ἄξια ἡγεῖσθαι ὡς περισπούδαστα. διὸ καὶ ἡμεῖς τῷ σῷ περὶ
24 Il neoplatonismo di Eustrazio di Nicea

Ovviamente questo testo abbonda di artifici retorici, come quello – assai co-
mune – per cui l’autore si mostra umile e insignificante di fronte allo splendore
e alla nobiltà d’animo del dedicatario. Ciò detto, la retorica presente nel testo
non racconta uno scenario necessariamente fittizio. Nel nostro caso infatti appare
chiara una cronologia relativa alla stesura del commento al I libro dell’Ethica
Nicomachea e del commento al VI libro della stessa opera. Né abbiamo motivo
di dubitare che il riferimento di Eustrazio alla propria avanzata età corrisponda
al vero. Il commento al VI libro dell’Ethica Nicomachea sembrerebbe dunque a
tutti gli effetti l’ultima opera a noi nota di questo commentatore bizantino.
A questo proposito è necessario aprire una parentesi. Tanto il proemio del
commento al VI libro dell’Ethica, quanto il proemio del commento al I libro sono
stati oggetto di particolare attenzione da parte degli studiosi, proprio nell’ottica
di vagliare l’attendibilità delle informazioni che, dietro la retorica dell’autore,
questi testi ci offrono in rapporto alla loro dinamica di produzione. Secondo Mer-
cken, ad esempio, il progetto di commentare i libri I e VI del testo di Aristotele
non doveva essere stato così organico come Eustrazio vorrebbe farci credere nel
suo commento al VI libro.71 Nel proemio del commento al I libro dell’Ethica

λόγους ἑπόμενοι ἔρωτι, ὅπερ ὁ θεὸς χορηγεῖ, καταβάλλειν οὐκ ἀπεχόμεθα. ὥστ’ ἐπεὶ καὶ τὸ Ζ τῆς αὐτῆς
πραγματείας παρὰ τῆς σῆς φιλομαθείας ἐζήτηται τὴν ἡμῖν δυνατὸν εὑρέσθαι σαφήνειαν, πειραθῶμεν καὶ
ταύτην, θεοῦ τῶν λόγων προϊσταμένου {...} [«Per questa ragione, avendo ricevuto anche da noi qualcosa
di buono, ti adoperasti perchè anche a noi fosse conferito un qualcosa che fosse di guadagno, sebbene noi,
deboli e di poca istruzione, piegati dalle angustie della vecchiaia, la mente ormai annebbiata, non potessimo
offrire nulla che fosse elegante e degno di essere preso in considerazione. Dunque, quando, tempo addietro,
ci chiedesti di esporre con chiarezza il contenuto del primo libro dell’Etica Nicomachea di Aristotele, e noi,
con obbedienza, facemmo ciò che ti aspettavi che facessimo, credevamo che tu ti fossi per questo resa conto
della nostra imperizia nei discorsi e nella conoscenza e che non ci avresti mai più rivolto una richiesta di
questo tipo. Ma sembra che la vastità dell’amore per la conoscenza che pervade la tua anima ti spinga a
considerare degne di considerazione anche le cose piccole e e le cose degne di poco conto. Pertanto anche
noi, nel venire incontro a questo tuo amore per le argomentazioni di ragione, dono di Dio, non ci asteniamo
dal corrispondere alla tua richiesta. Dal momento che il tuo amore per la conoscenza ha richiesto se fosse
possibile per noi operare un’esposizione anche in merito al VI libro, Dio garante della trattazione, abbiamo
tentato di fornirtela {...}»]. L’identificazione della principessa in questione con Anna Comnena sembra
essere l’ipotesi maggiormente convincente. Tale tesi è stata avanzata per primo in maniera argomentata da
BROWNING, An Unpublished cit., 6-7, e pare ormai accettata dagli studiosi. L’unica possibile alternativa è
costituita dall’ipotesi secondo la quale la principessa in questione sia lo stesso personaggio cui è dedicato un
trattato di meteorologia attibuito da P. Polesso Schiavon ad Eustrazio (cfr. supra, 16). Sappiamo per certo che
la principessa in questione è Maria d’Alania, moglie di Michele VII Doukas (1071-1078), e successivamente
di Niceforo Botaneiate (1078-1081). Tale identificazione è tuttavia assai poco probabile.
71 MERCKEN, The Greek cit., 415. Il testo è EUSTR., In I EN, 1,13-23: τινὸς τῶν μάλιστα λόγου ἀξίων

ἡμᾶς πρὸς τοὖργον ἀνερεθίσαντος καί τινα ἐκθέσθαι σαφήνειαν τοῦ πρώτου τῶν Ἀριστοτέλους Ἠθικῶν
ικομαχείων ἐντειλαμένου, ὃν οὐκ ἦν παραιτεῖσθαι <διὰ τὸ ἐν πολλοῖς αὐτὸν ἀναγκαίοις εὑρεῖν ἡμᾶς εὖ
ἐργασάμενον· ἀθετεῖν δὲ τὸν οὕτω πρὸς ἡμᾶς διακείμενον καὶ παραιτεῖσθαί> τι τῶν δυνατῶν ἐπιτάττοντα
ἄγνωμον ἅμα καὶ ἀφιλόσοφον. εἰ γὰρ τοὺς εὐεργέτας ἀξιοῦντας παραιτησόμεθα, πότε προῖκά τισιν
I. Eustrazio di Nicea: biografia intellettuale di un teologo e commentatore bizantino 25

Eustrazio fa riferimento ad una richiesta di commentare solo il libro I. Questo


passo, assieme al riferimento presente nel proemio del commento al libro VI
ad una richiesta precedente di commentare il libro I, restituisce un’immagine
coerente: Eustrazio commenta il libro I e dopo qualche anno il libro VI. Tuttavia
Mercken ritiene che il riferimento presente nel proemio del commento al libro
I ad una richesta di commentare solo quel libro sia un’interpolazione. Prova
ne sarebbe il fatto che il passo in questione, introdotto da un genitivo assoluto
che di fatto sembra rompere bruscamente l’incipit del prologo, sarebbe assente
nella traduzione latina che il vescovo e teologo inglese Roberto Grossatesta
compose verso la fine della prima metà del XIII secolo. Da questo Mercken
deduce che quasi certamente anche il manoscritto o i manoscritti greci, a noi
non pervenuti, che Grossatesta doveva aver utilizzato per la traduzione latina
dell’opera sarebbero stati privi di questa nota nel proemio al commento al I
libro.72 Questo significa che inizialmente, come sembra evincersi dal prologo
senza interpolazione, Eustrazio avrebbe dovuto commentare l’intero corpus dei
libri costitutivi dell’Ethica Nicomachea; per motivi che ignoriamo, in seguito il
suo ruolo si sarebbe poi ristretto ai commenti ai soli libri I e VI. L’interpolazione
in questione non sarebbe stato altro che un modo per conformare in qualche
modo l’incipit del commento al I libro con quello del commento al VI dell’opera
aristotelica in questione.
In realtà le cose sembrano essere più complicate di come immaginava Mer-
ken. Già nel 1988 Dionisotti puntò infatti l’attenzione su due manoscritti greci,
due codici gemelli, copiati in Inghilterra verso la metà del secolo XV dal copista
greco Giovanni Servopoulos e contenenti la medesima compilazione di commenti
tardo-antichi e Bizantini all’Ethica che Grossatesta aveva tradotto in latino.73

ὠφελείας αἴτιοι φανησόμεθα, ἢ καὶ ἀγνῶτάς τινας ὀνήσομεν, τῆς θείας ἐντολῆς καὶ τοῖς βλάπτουσιν
ἀπαιτούσης ἑτοίμους πρὸς ὄνησιν γίνεσθαι, ἵν’ οὕτως εἴη καθ’ αὑτὸ τὸ φιλάνθρωπον κατορθούμενον, ἅτε
καὶ πρὸς τὸν αἴτιον φέρον μίμησιν, ὃ καὶ τῆς ἀληθοῦς φιλοσοφίας οἰκειότατον μάλιστα.
72 La tesi che ci si trovi di fronte ad un’interpolazione era già stata avanzata in ROSE, Ueber cit., 70.
73 Cfr. C. DIONISOTTI, On the Greek Studies of Robert Grosseteste, in A.C. DIONISOTTI/A. GRAFTON/J. KRAYE

(eds), The Uses of Greek and Latin. Historical Essays, The Warburg Institute, University of London, London
1988, 19-39, 38. Su Servopoulos si vedano P. CANART, Scribes grecs de la Renaissance, Additions et corrections
aux répertoires de Vogel-Gardthausen et de Patrinélis, «Scriptorium», 16/1 (1963), 56-82, 68; R. WEISS,
Humanism in England during the Fifteenth Century, Basil Blackwell, Oxford 1967, 147-148; D. HARLFIN-
GER, Die Textgeschichte der pseudo-aristotelischen Schrift Peri atomôn grammôn: ein kodikologisch-kulturg-
eschichtlicher Beitrag zur Klärung der Überlieferungsverähltnisse im Corpus Aristotelicum, Hakkert, Am-
sterdam 1971, 416; R.W. HUNT, The Survival of the Ancient Literature: Catalogue of an Exhibition of Greek
and Latin Classical Manuscripts Mainly from Oxford Libraries Displayed on the Occasion of the Triennial
Meeting of the Hellenic and Roman Societies 28 July-2 August 1975, Bodleian Library, Oxford 1975, t. 52;
I. HUTTER, Oxford Bodleian Library, III, Hiersemann, Stuttgart 1982, 155; J. HARRIS, Greek Emigres in the
West, 1400-1520, Porphyrogenitus, Camberley 1995, 148; ID., Greek Scribes in England: The Evidence of
26 Il neoplatonismo di Eustrazio di Nicea

Secondo Dionisotti questi due codici sarebbero stati versomilmente copiati da


Servopoulos sul modello greco (o sui modelli) utilizzato da Grossatesta per la sua
traduzione. Mercken invece rifiuta questa conclusione proprio sulla base del fat-
to che entrambi questi codici riportano la parte del proemio al I libro contenente
la presunta interpolazione. In realtà l’argomento di Mercken non appare del tutto
solido. Riesce infatti difficile pensare che il modello greco di cui Servopoulos si
servì non sia stato anche il modello utilizzato da Grossatesta; i codici vergati da
Servopoulos – peraltro nell’Inghilterra di Grossatesta! – sono gli unici a preser-
vare la medesima compilazione di commenti tradotta dallo stesso Grossatesta.
La questione andrebbe ovviamente approfondita a partire da un confronto tra i
due codici greci e la versione latina di Grossatesta.74 Ma occorrerebbe prendere
in seria considerazione l’ipotesi che la lacuna in questione nella versione latina
di Grossatesta si sia originata non già a partire dal modello greco, bensì a causa
di un accidente nella tradizione latina del testo.75
Qual’è la conseguenza di questa ipotesi? Sostanzialmente quella di ripen-
sare la dinamica di produzione di questi commenti da parte di Eustrazio e di

Episcopal Registers, in R. CORMACK/E. JEFFREYS (eds), Through the Looking Glass: Byzantium through British
Eyes. Papers from the Twenty-ninth Spring Symposium of Byzantine Studies, London, March 1995, Aldershot,
Ashgate 2000, 121-126. Sulla composizione del corpus di commenti greco-bizantini all’Ethica Nicomachea,
cfr. supra, 17-22.
74 Si tratta dei codici Oxon. Corpus Christi Coll. 106 e Oxon. Coll. Novi 240/241. Un possibile argomento

a supporto della tesi di Mercken di un’interpolazione viene da un altro riferimento nel testo greco che re-
stringe l’esegesi al solo libro I (EUSTR., In I EN, 4,9). Anche tale riferimento è ugualmente assente dal testo
di Grossatesta. Questo potrebbe corroborare la tesi che le due interpolazioni siano intervenute all’interno
della tradizione greca del testo, ad opera di qualcuno che ad un certo momento ha scientemente aggiunto dei
riferimenti che restringevano l’attività di Eustrazio al solo libro I, invece che all’intera Ethica Nicomachea.
Tuttavia facciamo presente che entrambe le cosiddette interpolazioni sono presenti nel ms. Vat. gr. 269 (su
cui si veda supra, 20-21), un codice che su basi paleografiche può essere datato alla metà del secolo XII
(in un periodo assai vicino alla composizione del commento di Eustrazio). Si noti anche che questo codice
preserva una recensio del testo in cui questo a volte risulta più ampio rispetto a quello trasmesso dal Par.
Coisl. gr. 161 (su cui Heylbut basò l’edizione per la serie dei “Commentaria”). Abbiamo dunque senz’altro
due redazioni di questo corpus di commenti all’Ethica Nicomachea (cfr. supra, 20-21), ma in entrambe le
presunte interpolazioni sono presenti, finanche nel già citato Vat. gr. 269 cronologicamente assai vicino
alla composizione del commento di Eustrazio. La possibilità che queste lacune si siano generate all’interno
della tradizione greca non può essere esclusa, ma appare perlomeno strano che non ve ne sia traccia nella
tradizione greca del testo a noi nota. A maggior ragione non si può ugualmente escludere che delle lacune
di quelle porzioni di testo che restringevano il commento di Eustrazio al solo I libro sia responsabile un
copista latino-medievale, il quale potrebbe aver ritenuto quei riferimenti come del tutto superflui per i lettori
medievali dei commenti. La questione è meritevole di essere approfondita in altra sede.
75 Su cui si veda ARISTOTELES LATINUS, Ethica Nicomachea, Praefatio, quam conscripsit Renatus Antonius

GAUTHIER, XXVI, 1-3, fasciculus primus, Brill, Leiden/Desclée de Brouwer, Bruxelles 1974, CLXXI-CXCIX. Si
vedano le osservazioni alla nt. 74. Aggiungiamo che nell’ipotesi di Mercken vi sono alcuni risvolti che lo
studioso non ha pensato di chiarire. Uno di questi riguarda l’identità dell’autore di questa presunta inter-
polazione. Trattasi dello stesso Eustrazio o di un copista successivo?
I. Eustrazio di Nicea: biografia intellettuale di un teologo e commentatore bizantino 27

aderire ad una proposta che, benché più cauta, appare meglio fondata sui pochi
dati a nostra disposizione. Se infatti la presunta interpolazione fosse il frutto di
una lacuna interna alla tradizione latina del testo, tutta la ricostruzione fino a
questo momento accettata su tempi e modi dell’esegesi dell’Ethica Nicomachea
da parte di Eustrazio verrebbe meno. Cadrebbe cioè la tesi secondo la quale ad
Eustrazio sarebbe stata affidata (da chi? da Anna Comnena o dal coordinatore di
questo progetto di commentare l’Ethica? E chi era costui?) in un primo tempo la
composizione di commenti a tutti i libri dell’Ethica Nicomachea, lavoro che solo
in un secondo momento si sarebbe limitato alla stesura dei commenti ai libri I
e VI. Al contrario, non si può escludere che già da subito Eustrazio abbia colla-
borato alla composizione dei commenti all’Ethica Nicomachea con un compito
ben stabilito, quello di lavorare solo sui libri I e VI (visto che, come si è detto,
esisteva del materiale esegetico precedente per i restanti libri dell’Ethica).76 Ad
ogni modo, allo stato attuale non è possibile formulare ipotesi più precise sulle
modalità dell’intervento di Eustrazio nella costituzione del corpus dei commenti
greco-bizantini a quest’opera aristotelica. Sappiamo che egli commentò solo i
libri I e VI, ma non ne conosciamo la ragione.
Dopo aver discusso il problema del contributo di Eustrazio alla tradizione
dei commenti greco-bizantini all’Ethica Nicomachea e della dinamica, per così
dire, editoriale della loro composizione, resta tuttavia da confrontarsi con un
problema storiografico, quello cioè legato alla tesi di Browning di un “circolo”
filosofico attorno alla principessa Anna Comnena. Torniamo dunque alla que-
stione di partenza.
La fonte principale a partire della quale si è sostenuta l’esistenza di un ta-
le circolo è l’orazione funebre per Anna Comnena redatta da Giorgio Tornikès
attorno al 1155.77 Dopo Browning, di fatto lo scopritore di questo testo, la tesi
che attorno ad Anna vi fosse un sodalizio erudito o, per l’appunto, un circolo di
intellettuali interessati alla filosofia aristotelica è stata di fatto accettata dalla
maggiorparte degli studiosi.78 Tuttavia questa ipotesi risulta problematica per
due ragioni: la prima, di carattere metodologico, è legata ad una certa ambigui-
tà del termine ‘circolo’, che andrebbe a nostro parere chiarito sulla base della
natura dei sodalizi eruditi e delle cerchie intellettuali a Bisanzio; la seconda
di carattere più contenutistico, legata alle effettive informazioni che le fonti ci
restituiscono, in primis appunto l’orazione funebre redatta da Giorgio Tornikès
per Anna Comnena.

76 Cfr. supra, 17-22.


77 Anna muore attorno al 1153.
78 Cfr. supra, nt. 3. L’edizione di riferimento è GEORGIUS TORNICES, In mortem Annae Caesarissae, ed. J.

DARROUZÉS, Georges et Dèmètrios Tornikès, Lettres et Discours, CNRS, Paris 1970, 221-323.
28 Il neoplatonismo di Eustrazio di Nicea

Partiamo da quest’ultimo punto. Il testo di Tornikès è un documento assai im-


portante che fornisce numerose, ma anche problematiche, informazioni. Proble-
matiche, nella misura in cui l’abbondanza talvolta di stilemi e artifici di natura
retorica ci obbliga ancora una volta a decifrare rimandi ed elementi utili ai nostri
scopi tra le righe del testo; ma problematiche anche perchè, alla lettera, non vi
è alcun riferimento alla figura di Eustrazio. Vediamo più da vicino cosa ci dice
Tornikès degli interessi filosofici di Anna.
Il testo parla esplicitamente dell’interesse di Anna per la filosofia, interesse
che avrebbe ereditato dal padre, l’imperatore Alessio I, fautore secondo il testo
dell’orazione di una politica di mecenatismo nei confronti degli intellettuali del
tempo. Alessio, racconta Tornikès, avrebbe favorito gli intellettuali concedendo
loro benefici di natura economica e professionale.79 Il testo rieccheggia di fatto
quanto riportato dalla stessa Anna nella sua Alessiade, quando aveva attribuito
al padre il merito di aver risollevato le sorti della filosofia e dello studio delle
lettere dallo stato disastroso in cui esse si sarebbero trovate prima dell’ascesa
dello stesso Alessio al trono.80
Entrambe queste testimonianze dovrebbero imporre al lettore moderno la
massima cautela. Qui Anna sta plagiando l’opera storica del grande erudito del
secolo XI Michele Psello, il quale aveva attribuito all’imperatore Costantino IX
Monomaco (imperatore dal 1042 al 1055, anno della morte) il merito di aver
risollevato le sorti della filosofia dallo stato in cui essa versava in precedenza,
quando i pochi intellettuali esistenti non erano in grado di andare oltre la cono-
scenza della logica aristotelica.81 Si tratta anche in questo caso di un topos lette-
rario consolidato: dipingere il passato, anche recente, a tinte fosche per esaltare
la condizione presente e, soprattutto, i meriti di colui che della nuova situazione
sarebbe responsabile.82 Tutto in questi testi ci richiama al dovere di separare la
realtà storica dalla leggenda e dal mito.
Soffermiamoci però ancora sul testo di Tornikès e sul racconto del ruolo svolto
da Anna nell’ereditare il mecenatismo paterno. Secondo l’autore, due sarebbero
state le categorie di intellettuali che avrebbero composto l’organigramma di que-
sto progetto di Anna di raccogliere attorno a sé dei filosofi; la prima sarebbe stata
composta dai «filosofi tali per conoscenza e per scelta di vita, i quali si erano

79GEORGIUS TORNICES, In mortem cit., 281,4-8.


80ANNA COMNENA, Alexias cit., V,9,4.
81 La cosa, assieme ad altri prestiti dalla Chronographia presenti nell’Alessiade, è stata tra gli altri

segnalata da ST. LINNÉR, Psellus’ Chronographia and the Alexias. Some Textual Parallels, «Byzantinische
Zeitschrift», 76 (1983), 1-9.
82 Si veda LINNÉR, Psellus’ Chronographia cit., 2 e R. BROWNING, Enlightement and Repression in Byzan-

tium, «Past and Present», 69 (1975), 3-23, 6.


I. Eustrazio di Nicea: biografia intellettuale di un teologo e commentatore bizantino 29

prefissati come scopo proprio questo, cioè di non arricchirsi, di non fare affari,
di non accumulare onori e denari, ma di raccogliere la conoscenza dei libri per
diffonderla a loro volta sulle anime di chi lo voleva, riversando nell’orecchio un
contenuto profondo con parole sobrie»; la seconda sarebbe stata invece composta
da coloro che «erano nel contempo uomini di mondo e filosofi, ammirevoli per
la loro eloquenza, i quali adornavano la loro esposizione con ricchezza di cono-
scenza e che nell’insegnamento si distinguevano tanto per il contenuto del loro
pensiero, quanto per l’espressione esteriore».83
Qui Tornikès gioca volutamente su due significati del termine ‘filosofo’: il
primo è legato, secondo una conseutudine nata nella tarda antichità, alla figura
del monaco, il quale ha scelto di dedicare la propria intera vita all’ascesi e che,
senza fare sfoggio di retorica, con semplicità e umiltà, si accosta ai libri sacri;84
la seconda si configura in antitesi alla prima, ed è caratterizzata dai filosofi
che sono tali non per scelta di vita, ma per professione, e che pertanto traggono
guadagno dal loro insegnamento in una commistione virtuosa tra l’attenzione per
la profondità del contenuto e lo sforzo di esprimerlo con eleganza. Si noti come
Tornikès qui richiami molto da vicino l’autoritratto di intellettuale dipinto da
Michele Psello nel secolo precedente, cioè quello di un polistore, un intellettua-
le appunto di professione, in cui il bagaglio di conoscenze è indissolubile dalla
capacità di articolarlo in un discorso, un intellettuale in cui filosofia e retorica
formano un plesso inscindibile.85
Ciò che segue è ancor più interessante, poiché il testo, quasi certamente rife-
rendosi alla categorie dei filosofi di professione, riporta la circostanza secondo
la quale costoro avrebbero dedicato ad Anna Comnena le proprie opere, cosa che
sembra confermare, a discapito del silenzio del testo in questione su Eustrazio,
il fatto che effettivamente questi servisse con la propria opera di commentatore
proprio Anna Comnena, visto che il VI libro si apre, come si è già visto, con una
dedica ed un encomio ad una principessa.
Il testo di Tornikès qui abbonda di termini tecnici (upomnêmatismos, exêgêsis,
akroasis, safêneia) tradizionalmente usati nel tardo-antico per designare i com-
menti filosofici. Tornikès si riferisce certamente non già ad opere filosofiche in

83 GEORGIUS TORNICES, In mortem cit., 281,8-14, οὓς μὲν φιλοσόφους καὶ τὴν γνῶσιν καὶ τοῦ βίου

τὴν αἵρεσιν, τοῦτο τέλος θεμένους ἑαυτοῖς σκοπιμώτερον, οὐ χρηματίζεσθαι, οὐκ ἐμπορεύεσθαι, οὐ
τιμήν, οὐκ ἀργύριον, συνάγειν δὲ γνῶσιν ἐκ τῶν βιβλίων καὶ διασπείρειν αὖθις ταῖς τῶν θελόντων
ψυχαῖς, ἀκόμψοις ῥήμασι μέγαν νοῦν ταῖς ἀκοαῖς καταχέοντας, οὓς δὲ πολιτικοὺς ἅμα καὶ φιλοσόφους
καὶ γλώσσῃ περιτράνους καὶ μετὰ τοῦ πλούτου τῆς γνώσεως καὶ τὴν ἑρμηνείαν κομψευομένους καὶ
σοφιστεύοντας καὶ λαμπροὺς τά τ’ ἔνδον τοῦ λόγου τά τ’ ἔξω ῥέοντα [...]
84 Si veda G.W.H. LAMPE, A Patristic Greek Lexicon, Clarendon Press, Oxford 1961, s.v. (in particolare B).
85 Su questo si veda S. PAPAIOANNOU, Michael Psellos: Rhetoric and Authorship in Byzantium, Cambridge

University Press, Cambridge 2013.


30 Il neoplatonismo di Eustrazio di Nicea

generale, bensì specificatamente a commenti. Sempre secondo l’autore il compi-


to di questi filosofi sarebbe stato quello, sotto il patrocinio della principessa, di
coprire il vuoto esistente nella tradizione dei commenti tardo-antichi e bizantini
alle opere di Aristotele. Di preparare cioè commenti ad opere aristoteliche di cui
non erano noti commenti tardo-antichi.86
Si tratta dello stesso vuoto rilevato da Praechter nel 1906 in una celebre
recensione dell’edizione di Hayduck del commento di Michele di Efeso al De
partibus animalium. Praechter individuava tre lacune specifiche nei commenti
tardo-antichi dei testi di Aristotele, quelle relative alla Politica, alla Retorica,
alle opere di zoologia87. La stessa considerazione, dunque, sembrerebbe veni-
re attribuita proprio ad Anna Comnena come movente della propria attività di
mecenate: colmare idealmente la mancanza di commenti a quelle opere di Ari-
stotele che di fatto nella tarda antichità erano state messe da parte dai grandi
commentatori neoplatonici.
Nei commenti alle Categoriae di Ammonio, Simplicio e Filopono gli scritti
zoologici e di filosofia naturale erano stati catalogati come intermedi, in virtù
dello statuto particolare dei soggetti di queste opere, tra gli scritti particolari
e quelli più generali. Secondo questi commentatori, solo gli scritti più generali
come il De anima, il De generatione et corruptione, il De caelo, la Physica e i
Meteorologica erano rilevanti poiché si occupavano della vera natura delle cose.
Scritti come le Lettere, invece, erano considerati particolari nella misura in cui
esse erano rivolte ad individui (i destinatari) e trattavano di un argomento parti-
colare. In mezzo, come si è detto, figuravano gli scritti intermedi, i quali partendo
dall’osservazione dei casi concreti, giungevano alla classificazione in generi e
specie degli individui osservati. Questi commentatori avevano ritenuto tanto gli
scritti particolari, quanto quelli intermedi, irrilevanti e non meritevoli di essere
letti e commentati.88

86GEORGIUS TORNICES, In mortem cit., 283,4-8.


87Cfr. K. PRAECHTER, Hayduck 1904, CAG 22.2 (Michaelis Ephesii In Libros De Partibus Animalium
Commentaria), «Göttingische gelehrte Anzeigen», 168 (1906), 861-907. Citato proprio a questo proposito
anche da BROWNING, An Unpublished cit., 7. Per uno sguardo di insieme sui commenti bizantini ad Aristotele
si veda L.G. BENAKIS, Grundbibliographie zum Aristoteles-Studium in Byzanz, in J. WIESNER (Hrsg.), Aristo-
teles Werk und Wirkung, Mélanges P. Moraux, t. II, De Gruyter, Berlin 1987, 352-377; ID., Commentaries
and Commentators on the Logical Works of Aristotle in Byzantium, in R. CLAUSSEN/R. DAUBE-SCHAKAT (Hrsg.),
Gedankenzeichen. Festschrift für Klaus Oehler, Stauffenburg, Tübingen 1988, 3-12; ID., Commentaries and
Commentators on the Works of Aristotle (Except the Logical Ones) in Byzantium, in B. MOJSISCH/B. PLUTA
(Hrsg.), Historiae Philosophiae Medii Aevi: Festchrift für Kurt Flasch, John Benjamins Publishing, Amster-
dam 1991, 45-54.
88 See e.g. AMMONIUS, In Aristotelis Categorias commentarius, ed. A. BUSSE, Reimer, Berlin 1895 («Com-

mentaria in Aristotelem Gracea», IV,4), 3,20-4,5; SIMPLICIUS, In Aristotelis Categorias commentarium, ed. K.
KALBFLEISCH, Reimer, Berlin 1907 («Commentaria in Aristotelem Gracea», VIII), 4,10-17; PHILOPONUS, In
I. Eustrazio di Nicea: biografia intellettuale di un teologo e commentatore bizantino 31

Le cose sembrano andare meglio per la Rhetorica, la Politica e, aggiungiamo


noi, l’Ethica Nicomachea. Si tratta di scritti che invece i commentatori tardo-
antichi consideravano come generali e dunque meritevoli di essere letti all’in-
terno del cursus studiorum neoplatonico. La Politica e l’Ethica Nicomachea
figuravano tra gli scritti pratici; la Rhetorica tra quelli strumentali.89 Eppure
anche queste opere, fatta eccezione per l’Ethica Nicomachea, che fu commen-
tata da Aspasio e da un anonimo commentatore nel II secolo d.c.,90 non furono
commentate dai grandi commentatori della Tarda-Antichità, benché sicuramen-
te la lettura almeno dell’Ethica Nicomachea fosse prevista nel curriculum delle
scuole neoplatoniche tardo-antiche come propedeutica alla lettura delle altre
opere aristoteliche.91
Torniamo a Giorgio Tornikès. Il testo sembra farsi ora meno enigmatico. Al
riferimento agli autori di commenti di opere aristoteliche mai commentate prima,
segue un elogio della cultura libresca in cui Tornikès, con la solita enfasi retori-
ca, definisce i libri «monumento indistruttibile ed inviolabile deposito», mentre
«la cultura orale» sarebbe «violata da oblio».92 Subito dopo si nota un cambia-
mento di registro. L’autore ricorda un aneddoto, un ricordo di natura personale:

Ἐγὼ δὲ καὶ τοῦ ἐξ Ἐφεσίων ἠκηκόειν σοφοῦ ταύτῃ τῆς τῶν ὀφθαλμῶν ἀβλεψίας
τὴν αἰτίαν προσεπιρρίπτοντος, ὅτι παννύχοις σχολάσειεν ἀϋπνίαις ἐπὶ ταῖς τῶν
Ἀριστοτελείων, κελευούσης αὐτῆς, ἐξηγήσεσιν· ὅθεν τὰ ἐλλύχνια τοῖς ὀφθαλμοῖς
διὰ ξηρασίαν παθήματα.93
[«Io stesso ho potuto ascoltare il sapiente di Efeso attribuire la causa della sua cecità

Aristotelis Categorias commentarium, ed. A Busse, Reimer, Berlin 1898 («Commentaria in Aristotelem Gra-
cea», XIII,1), 3,8-4,22. Filopono fornisce una spiegazione dello statuto degli scritti intermedi leggermente
diversa da quella che si ritrova in Simplicio. Secondo Filopono, infatti, gli scritti zoologici e di filosofia
naturale forniscono, da un lato, una descrizione generale degli esseri animati, dall’altro, riguardano una
possibile generazione concreta e individuale. Sulla classificazione degli scritti aristotelici si veda I. HADOT ET
AL., Simplicius, Commentaire sur les Catégories, Fasc.1: Introduction, Première Partie (p. 1-9,3 Kalbfleisch),
Traduc. de Ph. Hoffmann (avec la coll. de I. et P. Hadot). Commentaire et notes à la traduction par I. Hadot
avec des appendices de P. Hadot et J.-P. Mahé, Brill, Leiden/New York 1990 («Philosophia Antiqua», 50),
63-75, in part. 69-70. Sembra fare eccezione il commento alle Categoriae di Elias, che cataloga gli scritti
di zoologia e i Parva Naturalia tra gli scritti generali in cui il Filosofo parla in prima persona. Si veda ELIAS,
In Aristotelis Categorias commentarium, ed. A. BUSSE, Reimer, Berlin 1900 («Commentaria in Aristotelem
Gracea», XVIII,1) 115,21-116,2. Ma probabilmente Elias qui si limita a riprendere una divisione prece-
dente. Si veda ancora HADOT ET AL., Simplicius cit., 85-86.
89 HADOT ET AL., Simplicius cit., 80-85.
90 Cfr. supra, nt. 60.
91 HADOT ET AL., Simplicius cit., 94-95. Si veda anche G. KARAMANOLIS, The Place of Ethics in Aristotle’s

Philosophy, «Oxford Studies in Ancient Philosophy», 40 (2011), 133-156.


92 GEORGIUS TORNICES, In mortem cit., 283,7-9.
93 GEORGIUS TORNICES, In mortem cit., 283,9-12.
32 Il neoplatonismo di Eustrazio di Nicea

alla principessa, nella misura in cui egli avrebbe lavorato notti intere senza riposo sui
commenti di Aristotele da lei stessa commissionati, derivando da questo l’essicazione
dei propri occhi dovuta alla luce delle candele.»]

Il povero sapiente di Efeso avrebbe confidato allo stesso Giorgio Tornikès


di aver perso la vista a causa delle richieste da parte della principessa Anna
Comnena di preparare commenti alle opere di Aristotele, costringendolo a notti
insonni di lavoro a lume di candela, cosa che avrebbe comportato un progressivo
affaticamento della vista, fino alla cecità.
Che si tratti di un aneddoto vero o dell’ennesima concessione alla retorica, il
sapiente di Efeso è senza dubbio Michele di Efeso, l’autore, nell’ambito del cor-
pus dei commenti greco-bizantini all’Ethica Nicomachea, dei commenti ai libri V,
IX e X. La testimonianza di Tornikès, che dunque avrebbe conosciuto Michele di
persona, sembra collocare l’attività di Michele di Efeso nella prima metà del XII
secolo; l’autore dell’orazione funebre per Anna Comnena, redatta come si è detto
attorno al 1155, sembra parlarne come se Michele fosse già morto.94
Proprio grazie alla scoperta dell’orazione funebre composta per Anna, di cui
come si è detto si ha piena notizia solo a partire dal 1962 grazie a Browning,95
la tesi formulata all’inizio del XX secolo da Praechter secondo la quale Michele
sarebbe vissuto ed avrebbe operato nella prima parte del XI secolo non pare
più accettabile.96 La principale argomentazione addotta da Praechter a sostegno
della propria tesi era stata la similarità tra il cosiddetto Anonymus Heiberg,97
un compendio di logica e delle discipline costitutive del quadrivium il cui ma-
noscritto più antico è datato attorno al 1040, e il commento di Michele di Efeso
ai Sophistici Elenchi.98 Nel 1981 Sten Ebbesen ha tuttavia mostrato come l’idea
di Praechter secondo cui il rapporto tra l’Anonymus ed il commento di Miche-
le sarebbe da comprendere nei termini di dipendenza del primo dal secondo,
dovrebbe essere rivista in termini opposti; sarebbe il commento di Michele a
dipendere dall’Anonymus, o al limite entrambi dipenderebbero da una terza
fonte non pervenutaci.99

94 Su Michele si veda P. GOLITSIS, ‘Michel d’Éphèse’, in R. GOULET (éd.), Dictionnaire de philosophes

antiques, CNRS, Paris (i.c.s)


95 Cfr. supra, nt. 3.
96 Cfr. K. PRAECHTER, Michael of Ephesos and Psellos, «Byzantinische Zeitschrift», 31 (1931), 1-12.
97 J.L. HEIBERG (ed.), Anonymi Logica et Quadrivium cum scholiis antiquiis, Andr. Fred. Høst & Søn,

København 1929 («Det Kongelige Danske Videnskabernes Selskab, Historisk-filologiske Meddelelser»


VI,1).
98 MICHAEL EPHESIUS, In Aristotelis Sophisticos Elenchos commentarius, ed. M. WALLIS, Reimer, Berlin 1898

(«Commentaria in Aristotelem Graeca», II,3).


99 Cfr. S. EBBESEN, Commentators and Commentaries on Aristotle’s Sophistici Elenchi. A Study of Post-
I. Eustrazio di Nicea: biografia intellettuale di un teologo e commentatore bizantino 33

Michele, che nel commento al X libro dell’Ethica Nicomachea con fierezza


si definisce concittadino di Eraclito, confermando la propria origine efesina,100
ci ha lasciato una lista di opere già oggetto di un suo commento, ed una lista
di opere aristoteliche che avrebbe avuto in progetto di commentare in futuro.
Tale lista si trova nel commento ai Parva Naturalia.101 Qui Michele sostiene
di aver già commentato il De partibus animalium, il De motu Animalium, il De
generatione animalium, il De incessu animalium e la seconda parte (Z-N) della
Metaphysica,102 promettendo inoltre un commento allo spurio De coloribus.103
Nondimeno, Michele di Efeso è l’autore dell’unico commento bizantino alla
Politica, pervenutoci solo nella forma di scholia rinvenuti in un manoscritto
conservato a Berlino ed edito da Immisch in appendice all’edizione Teubner
di quest’opera.104 Nell’elenco che Michele riporta nel commento ai Parva Na-
turalia non sono menzionati commenti che invece lo stesso autore dichiara
di aver redatto in un analogo elenco rinvenibile nel commento ai Sophistici
Elenchi. Qui l’autore dichiara, tramite rimandi intertestuali, di aver commen-
tato l’Organon aristotelico, la Physica e la Rhetorica. Probabile dunque che il
commento ai Sophistici Elenchi e questo elenco dei nuovi commenti redatti ri-
mandi ad un periodo successivo la redazione del commento ai Parva Naturalia
e dunque alla composizione dei commenti che Michele, in questo commento,

Aristotelian Ancient and Medieval Writings on Fallacies, vol. I: The Greek Tradition, “Michael of Ephesus”,
Brill, Leiden 1981 («CLCAG» 7,1), 268-285.
100 MICHAEL EPHESIUS, In X EN, 570,21 (cfr. supra, nt. 55)
101 MICHAEL EPHESIUS, In Parva Naturalia commentaria, ed. P. WENDLAND, Reimer, Berlin 1903 («Com-

mentaria in Aristotelem Graeca», XXII,1), 149,8-16.


102 I commenti al De incessu animalium, al De partibus animalium, e al De motu sono editi in MICHAEL

EPHESIUS, In libros De partibus animalium, De animalium motione, De animalium incessu commentaria, ed.
M. HAYDUCK, Reimer, Berlin 1904 («Commentaria in Aristotelem Graeca», XX,2); i commenti di Michele a
queste due ultime opere sono stati tradotti in inglese da Preus, in A. PREUS, Aristotle and Michael of Ephesus.
On the Movement and Progression of Animals. Translated with an Introduction and Notes, Olms, Hildesheim-
New York 1981. Per il commento ai Parva Naturalia, cfr. supra, nt. 101. Il commento al De generatione
animalium si trova edito in MICHAEL EPHESIUS, In libros De generatione animalium commentarium, ed. M.
HAYDUCK, Reimer, Berlin 1903 («Commentaria in Aristotelem Graeca», XIV) (attribuito erroneamente a
Filopono). Il commento alla Metaphysica (Z-N) è stato edito (attribuito ad Alessandro di Afrodisia), ancora
da Hayduck. Cfr. MICHAEL EPHESIUS, In Aristotelis Metaphysica Z-N commentarium, Reimer, Berlin 1891
(«Commentaria in Aristotelem Graeca», I), 440-837.
103 Su questo commento si veda V. PAPARI, Der Kommentar des Michael von Ephesos zur ps.-aristotelischen

Schrift De coloribus/Περὶ χρωμάτων. Editio princeps, Hamburg 2013 (tesi di dottorato).


104 ARIST., Politica, ed. O. IMMISCH, Teubner, Leipzig 1909 (II ed.) («Bibliotheca Scriptorum Graecorum

et Romanorum Teubneriana»), 294-329. Alcuni scholia di Michele sono stati tradotti in inglese da Barker,
in E. BARKER, Social and Political Thought in Byzantium, Clarendon Press, Oxford 1954, 136-141. Non è
ancora chiaro se questi scholia siano ciò che rimane di un vero e proprio commento, o se piuttosto essi non
siano stati pensati da Michele sin dall’inizio come note sparse al testo aristotelico.
34 Il neoplatonismo di Eustrazio di Nicea

dichiara di aver già composto. Non sembrano esservi menzioni esplicite, inve-
ce, dei commenti all’Ethica Nicomachea e di quello alla Politica.105
Alcune note aggiuntive sul commento di Michele a Metaphysica Z-N sono
necessarie al fine di precisare meglio i problemi relativi alla tesi di un circolo
filosofico intorno ad Anna Comnena.106 Riguardo questo commento si posso-
no operare considerazioni simili a quelle già operate in merito alla questione
dell’attribuzione a Michele delle due versioni del commento ai Sophistici Elen-
chi edite come Ps-Alessandro 1 e 2. Anche nel caso del commento a Metaphysi-
ca Z-N, infatti, vi è un’attribuzione erronea ad Alessandro di Afrodisia.107 Tutta-
via, se la scoperta del vero autore dei commenti ai Sophistici Elenchi è piuttosto
recente,108 l’attribuzione a Michele di Efeso del commento a Metaphysica Z-N
era già stata avanzata dal Bonitz nella sua edizione del testo del 1847,109 ed ha
trovato sostenitori autorevoli negli anni successivi quali il Rose110 e il Praech-
ter.111
Tuttavia, in tempi più recenti Leonardo Tarán ha cercato di fornire valide argo-
mentazione contro l’attribuzione di questo commento a Michele, rimandando ad
una possibile fonte antecedente al V secolo, periodo in cui Siriano scrive il pro-
prio commento alla Metaphysica.112 Il nome di Siriano è stato associato a quello
dello Pseudo-Alessandro per il fatto che i due testi presentano delle affinità e dei
parallelismi tali da suggerire, secondo Tarán, una relazione tra il commento alla
Metaphysica di Siriano e lo Ps.-Alessandro nei termini di dipendenza del primo
dal secondo.113 Siffatte osservazioni sono state però respinte da Concetta Luna,
la quale sembra aver al contrario corroborato su basi maggiormente solide quella

105 Così come non vi è riferimento alcuno al commento al De Interpretatione attribuito a Michele nel ms.

Par. gr. 1917 (ff. 17r-45v). Si ha notizia anche di un commento di Michele allo spurio De lineis insecabilibus
(cfr. HARLFINGER, Die Textgeschichte cit., 99-100).
106 Per l’edizione di questo commento, cfr. supra, nt. 102.
107 l’attribuzione ad Alessandro risale almeno al 1536, anno di pubblicazione dell’edizione curata da

Juan Ginés de Sepúlveda (Alexandri Aphrodisiei Commentaria in duodecim Aristotelis libros de prima Phi-
losophia, interprete Ioanne Genesio Sepulueda Cordubensi, ad Clementem VII Pont. Max., apud Simonem
Colonaeum, Parisiis 1536).
108 Cfr. supra, nt. 99.
109 Alexandri Aphrodisiensis Commentarius in libros metaphysicos Aristotelis, recensuit H. BONITZ, Rei-

mer, Berlin 1847.


110 Cfr. V. ROSE, De Aristotelis librorum ordine et auctoritate commentatio, Reimer, Berlin 1854, 147.
111 Cfr. PRAECHTER, Hayduck cit., 885-896.
112 Cfr. L. TARÁN, Syrianus and Pseudo Alexander’s commentary on Metaph. E-N, in WIESNER (Hrsg.),

Aristotelis cit., 215-232.


113 TARÁN, Syrianus cit., 231: «neither Ps.-Alexander nor Syrianus had access to Alexander’s lost com-

mentary on Metaph. E-N. For this commentary on books E-N Syrianus made use of Ps.-Alexander’s com-
mentary, wich he mistook for the work of Alexander himself.»
I. Eustrazio di Nicea: biografia intellettuale di un teologo e commentatore bizantino 35

che era stata l’intuizione del Praechter.114 Secondo Luna l’affinità tra Siriano e
lo Ps.-Alessandro si spiegherebbe nei termini di una dipendenza del secondo
dal primo, e non viceversa; Michele di Efeso ne sarebbe l’autore, il commento di
Siriano una fonte privilegiata.
Le vicende dell’attribuzione di questo commento ci portano a formulare al-
meno due osservazioni. La prima riguarda il modus operandi di Michele di
Efeso: proprio come nel caso dei commenti ai vari libri dell’Ethica Nicomachea,
anche nel caso di Metaphysica Z-N il progetto iniziale non era quello di produr-
re un commento ex novo al testo nella sua integrità, bensì quello di integrare
le parti mancanti di un corpus di commenti preesistente.115 La seconda nasce
invece da recenti considerazioni paleografiche e codicologiche sul testimone
più antico di questo commento, il ms. Laur. 87,12. Alcuni anni fa Guglielmo
Cavallo ha infatti dimostrato in maniera assai convincente come ci si trovi di
fronte ad un codice vergato alla fine del secolo XI, in un periodo cioè in cui
Anna Comnena, che è nata nel 1083, difficilmente in virtù della sua giovane età
poteva aver già dato vita al progetto di cui parla Giorgio Tornikès.116 È del tutto
evidente, dunque, che non tutta la produzione di Michele di Efeso può essere
fatta rientrare all’interno della cornice rappresentata dal cosiddetto “circolo” di
Anna Comnena; una parte di questa produzione deve essere invece ricondotta
all’attività di insegnamento che Michele probabilmente svolse in una prima fase
della sua carriera.
Purtroppo, mentre per quel che riguarda l’opera di Michele sembrano essersi
registrati negli ultimi anni significativi passi avanti, appare ancora piuttosto
complessa la questione del contesto o dei contesti all’interno dei quali l’attività
di Michele si sarebbe collocata. La penuria di informazioni biografiche sulla vita
di Michele riguarda in questo senso anche la questione dell’attività professionale
del nostro commentatore. Nei testi riconducibili a questo autore sembrano es-
servi tracce di un insegnamento orale, cosa che lascerebbe aperta la possibilità
che egli fosse di fatto un didaskalos professionista presso una delle istituzioni
preposte alla formazione intellettuale.117 Il ricorrere di una terminologia mutuata

114 Cfr. C. LUNA, Trois études sur la tradition des commentaires anciens à la Métaphysique d’Aristote, Brill,

Leiden/Boston/Köln 2001, 1-71.


115 Sulla questione si veda P. GOLITSIS, Who Were the Real Authors of the Metaphysics Commentary Ascri-

bed to Alexander and Ps.-Alexander?, in R. SORABJI (ed.), Aristotle Re-Interpreted. New Findings on 700
Hundred Years of the Ancient Commentators, Bloomsbury, London 2016 (i.c.s.).
116 G. CAVALLO, Scritture informali, cambio grafico e pratiche librarie a Bisanzio tra i secoli XI e XII,

in G. PRATO (a cura di), I manoscritti greci tra riflessione e dibattito. Atti del V Colloquio Internazionale di
Paleografia Greca (Cremona, 4-10 ottobre 1998), Gonnelli, Firenze 2000 («Papyrologica florentina», 31),
220-238, 233.
117 Alcune di queste sono state debitamente segnalate in PRAECHTER, Hayduck cit., 903. Sulle scuole nella
36 Il neoplatonismo di Eustrazio di Nicea

dal lessico medicale ha anche suggerito che Michele fosse un medico,118 benché
in questo caso occorre segnalare come in quel tempo i confini epistemici tra
filosofia e medicina non fossero affatto rigidi; anzi, ogni didaskalos di filosofia
doveva possedere anche una formazione medica di base.119 Ad ogni modo l’ipo-
tesi che Michele fosse già noto nell’ambito di una delle istituzioni preposte alla
formazione intellettuale, probabilmente nella stessa Costantinopoli, e che abbia
magari anche riutilizzato materiale già impiegato per l’attività di insegnamento
per la propria attività di commentatore ufficiale al servizio della principessa è,
benché indimostrabile, assai verosimile.
Cerchiamo di riassumere quanto emerso fino a questo momento dalla nostra
analisi dei testi. Siamo partiti da due documenti, il prologo del commento di
Eustrazio di Nicea al libro VI dell’Ethica Nicomachea e il testo dell’orazione
funebre per Anna Comnena redatto da Giorgio Tornikès. Nel primo testo trovia-
mo una dedica ad una principessa pia e amante delle lettere identificata dagli
studiosi con Anna Comnena, la quale avrebbe commissionato all’autore (Eustra-
zio) la composizione del commento in questione; nel secondo testo, invece, di
Eustrazio non si parla, mentre emerge sullo sfondo di un progetto di redazione di
commenti ad opere mai commentate nella tarda antichità la figura del «sapiente
di Efeso», il commentatore Michele di Efeso, di cui invece non ci è giunta alcuna
dedica ad Anna.
La tesi di Mercken secondo la quale il silenzio di Tornikès si giustificherebbe
sulla base della problematicità di fare riferimento ad un autore dichiarato ereti-
co come Eustrazio in un testo così importante come un’orazione funebre per la
principessa non regge più di tanto:120 infatti, se citare Eustrazio fosse stato dav-
vero così problematico, come spiegare invece che è la stessa Anna a parlare di

Bisanzio dei secoli IX-XI si vedano tra gli altri A. MARKOPOULOS, De la structure de l’école byzantine. Le maître,
les livres et le processus éducatif, in B. MONDRAIN (éd)., Lire et écrire à Byzance, Collège de France/CNRS, Paris
2006, 85-96; ID., In Search for ‘Higher Education’ in Byzantium, «Zbornik Radova Vyzantoloskog Instituta»,
50/1 (2013), 28-44; ID., Teachers and Textbooks in Byzantium Ninth to Eleventh Centuries, in S. STECKEL/N.
GAUL (eds), Networks of Learning. Perspectives on Scholars in Byzantine East and Latin West, c. 1000-1200,
Lit Verlag Münster/Wien/London 2014 («Byzantinische Studien und Texte», 6), 3-15.
118 PRAECHTER, Hayduck cit., 863-864 e K. IERODIAKONOU, Some Observations on Michael of Ephesus’

Comments on Nicomachean Ethics X, in C. BARBER/D. JENKINS (eds), Medieval Greek Commentaries on the
Nicomachean Ethics, Brill, Leiden/Boston 2009, 185-201, 187-194.
119 Si veda a questo proposito H. HOHLWEG, La formazione culturale e professionale del medico a Bisanzio,

«Koinonia», 13 (1989), 165-188.


120 Tesi sostenuta da Mercken, in H.P.F. MERCKEN, The Greek Commentaries on the Nicomachean Ethics

of Aristotle in the Latin Translation of Robert Grosseteste, Bishop of Lincoln (+1253): The Anonymous Com-
mentator on Book VII, Aspasius on Book VIII and Michael of Ephesus on Books IX and X, Leuven University
Press, Leiden 1991 («Corpus Latinorum commentariorum in Aristotelem Graecorum», 6.1), 24.
I. Eustrazio di Nicea: biografia intellettuale di un teologo e commentatore bizantino 37

Eustrazio nella sua Alessiade?121 Ad ogni modo la sostanza delle cose non muta:
da un lato, abbiamo la tesi sostenuta da Browning e accettata dalla maggiorparte
degli studiosi di un vero e proprio “circolo” filosofico attorno alla principessa;
dall’altro, un’analisi incrociata dei documenti su cui Browning stesso si basò nel
suo fondamentale articolo del 1962,122 permette di ricondurre ad Anna solo due
figure, Eustrazio e Michele di Efeso. Mai come in questo caso il detto «duo non
faciunt collegium» fu più appropriato.
Tuttavia nel corso degli anni altre figure sono state associate al cosiddetto
“circolo” di Anna Comnena. Si tratta di personaggi che gravitavano attorno ad
Anna o che comunque non erano distanti per interessi e frequentazioni dall’am-
biente in cui operavano Eustrazio e Michele, ma di cui non è chiara la relazione
con questi o con la stessa Anna.
Il primo di questi personaggi è colui che Giorgio Tornikès chiama nel testo
dell’orazione funebre come «la radiosa fiamma di Nicomedia», descrivendolo
come il mistagogo personale di Anna.123 È noto come il termine “fiamma” asso-
ciato ad una località geografica ne indica il metropolita.124 L’editore moderno del
testo, Jean Darrouzés, lega esplicitamente questo riferimento al metropolita di
Nicomedia con il passo prima ricordato sui filosofi monaci e i filosofi di profes-
sione, i politikoi, che avrebbero costituito la schiera degli intellettuali al servizio
di Anna. Sempre secondo l’editore il metropolita di Nicomedia qui citato rica-
drebbe all’interno di quest’ultima categoria, quella di coloro che, proprio come
Michele di Efeso, sono philosophoi e al tempo stesso politikoi. Il metropolita in
questione sarebbe dunque un uomo di chiesa, ma non un illetterato.125 Sull’i-
dentità di questo metropolita sembra esservi sostanziale accordo tra gli studiosi:
si tratterebbe di Niceta di Nicomedia.
Niceta è noto per la sua attività di polemista e teologo di corte nell’ambito
delle travagliate vicende relative al Filioque e alle frequenti dispute che videro

121 Cfr. supra, 10. Purtuttavia, è anche vero che Anna non riporta l’episodio della condanna di Eustrazio

nella sua Alessiade. Secondo DARROUZÈS, Documents inédits cit., 62, il silenzio di Anna Comnena sarebbe un
gesto di disapprovazione nei confronti della condanna di un suo protegè, in velata polemica con il padre,
l’imperatore, reo di non aver difeso abbastanza Eustrazio in occasione del processo che lo vide condannato
per eterodossia nel 1117.
122 Cfr. supra, nt. 3
123 GEORGIUS TORNICES, In mortem cit., 299,30-301,2: Τούτοις ἡ βασίλισσα ἐνθεωτάτη συνωργίαζεν· ᾧ

καὶ τἄλλα πλέον διετέλει χρωμένη μυσταγωγῷ, παρὰ τούτου καὶ τὰ τούτων μεμυημένη μυστήρια, τῆς
ικομήδους οὗτος ἦν ὁ φωστήρ, καθαρίῳ γλώσσῃ διατρανῶν τὰ κρυφιοδέστερα.
124 Cfr. LAMPE, A Patristic cit., s.v.
125 Cfr. GEORGIUS TORNICES, In mortem cit., 280, nt. 67. La tipologia di intellettuale incarnata dal metro-

polita di Nicomedia mi pare sia stata ben descritta in P. MAGDALINO, The Empire of Manuel II Komnenos,
Cambridge University Press, Cambridge 1993, 316-412.
38 Il neoplatonismo di Eustrazio di Nicea

protagonisti membri del clero Bizantino e teologi latini nella prima parte del se-
colo XII.126 Testimone di uno di questi episodi è Anselmo di Havelberg, vescovo
e diplomatico, il quale riferisce di una sua visita a Costantinopoli nel 1136 al fine
di prendere parte a discussioni di natura teologica con una delegazione greca.127
Anselmo racconta che il membro principale (praecipuus) di siffatta delegazio-
ne, composta da dodici didaskaloi, sarebbe stato un certo Niceta arcivescovo
di Nicomedia. Anselmo descrive i membri di questa delegazione come esperti
nelle arti liberali e nelle sacre dottrine.128 La descrizione di Anselmo prosegue
con l’attribuzione a Niceta di un’ottima competenza teologica e di una invidiabi-
le capacità speculativa («acerrimus ingenio»), nonché di una vasta conoscenza
dei classici greci e di un’ottima capacità retorica («et eruditissimus Graecarum
litterarum studio, et facundissimus eloqui, et cautissimus in dando et accipien-
do responso»).129 Tutto sembrerebbe lasciar pensare che il Niceta di cui parla
Anselmo sia la stessa “fiamma” di Nicomedia che l’autore dell’orazione funebre
per Anna, Giorgio Tornikès, descrive come teologo personale della principessa.
Qualora non bastasse la testimonianza di Anselmo di Havelberg, vi è anche
quella, relativa ad eventi svoltisi nel 1166, di Ugo Etheriano, anch’egli teologo
e diplomatico latino, il quale ricorda nel proprio De Haeresibus Graecorum come
in occasione di analoghe trattative teologiche un praesul Nicomediae avrebbe

126 Una sintetica ricostruzione delle dispute in cui fu coinvolto Niceta e del loro contesto dottrinale

e culturale si trova in A.E. SIECIENSKI, The Filioque. History of a Doctrinal Controversy, Oxford University
Press, Oxford 2010, 111-132, in part. 121-125.
127 Sulla missione di Anselmo a Costantinopoli, si veda J.T. LEES, Anselm of Havelberg: Deeds into Words

in the Twelfth Century, Brill, Leiden/New York/Köln 1998, 40-47 e W. BERSCHIN, Anselm von Havelberg (†
1158), die Griechen und die Anfänge einer Geschichtsteologie des hohes Mittelalters, in F. KOLOVOLOU (Hrsg.),
Byzanzrezeption in Europa. Spurensuche über das Mittelalter und die Renaissance bis in die Gegenwart, De
Gruyter, Berlin 2012, 27-40.
128 ANSELMUS HAVELBERGENSIS, Dialogi, II, Patrologia Latina 188, 1141AB: «Conservavi autem quantum

memoria subministrabat, tenorem dialogi quem cum venerabili ac doctissimo archiepiscopo Nicodemiae
Nechite in publico convento apud urbem Constantinopolitanam habui, addens quaedam non minus fidei
necessaria, quam huic operi congrua. Fuit autem idem archiepiscopus Nechites praecipuus inter duodecim
didascalos, qui iuxta morem sapientium Graecorum, et liberalium artium et divinarum Scripturarum studia
regunt, et caeteris sapientibus, tanquam omnibus preeminentes in doctrina, praesunt, et ad quos omnes
questiones difficillimae referuntur, et ab eis solutae deinceps sine retractatione et pro confirmata sententia
tenentur et scribuntur».
129 ANSELMUS HAVELBERGENSIS, Dialogi cit., 1162CD: «Valet profecto ad evidentiam huius quaestionis,

ut disputationem quam ego habui in urne regia Constantinopoli cum Nechite archiepiscopo Nicomediae,
in unum colligam, et sub dialogo distinguam, quatenus lectori evidentius appareat, quid vel Graecus, vel
Latinus de processione Spiritus Sancti sentiat. Praedictus namque archiepiscopus cum esset magnus apud
illos religionis typo, et acerrimus ingenio. Et eruditissimus Graecarum litterarum studio, et facundissimus
eloqui, et cautissimus in dando et accipiendo responso...». Su Anselmo e il dibattito con i greci, si veda
LEES, Anselm cit., 224-281.
I. Eustrazio di Nicea: biografia intellettuale di un teologo e commentatore bizantino 39

operato una confutazione di un sillogismo latino.130 Se, come sembra probabile, il


praesul in questione fosse il nostro Niceta, la sua figura acquisirebbe ancora più
interesse, nella misura in cui ci ritroveremmo di fronte ad una personalità chiave
nella storia delle controversie teologiche tra Greci e Latini nel XII secolo.131
Si aggiunga che sempre Ugo riporta anche la notizia della presenza, accanto
a quello che probabilmente doveva essere Niceta, di un tale Nicola vescovo di
Methone;132 costui altri non è se non il Nicola di Metone autore di un’importante
opera interamente dedicata alla confutazione di un’opera di neoplatonismo pa-
gano, l’Elementatio theologica procliana.133
Sono queste le poche notizie che abbiamo su Niceta di Nicomedia. Il tentativo,
a dire il vero assai cauto, da parte di Browning di collocare Niceta all’interno di
una delle istituzioni preposte alla formazione teologica, la cosiddetta “Accade-
mia Patriarcale”, a titolo di oikumenikos didaskalos, sembra basarsi sulla stessa
testimonianza di Anselmo di Havelberg, e come tale non può che considerarsi
come una semplice, per quanto ragionevole, congettura.134
Tuttavia una nostra scoperta recente potrebbe aggiungere un tassello impor-
tante alle scarne notizie su Niceta. Il ms. Par. gr. 1917, preserva ai ff. 70r-73v
un breve testo dal titolo: “Scholia del metropolita di Nicomedia ad alcuni lemmi
del secondo libro degli Analitici Primi che recitano nel seguente modo” (Σχόλια
τοῦ μητροπολίτου νικομηδείας εἰς ῥητὰ τινὰ ἀπὸ τῶν δευτέρων ἀναλυτικῶν

130 HUGO ETHERIANUS, De Haeresibus graecorum, Patrologia Latina, 202, 236D-237A. Su Ugo Eteriano e

le dispute teologiche in cui fu coinvolto durante il suo soggiorno Constantinopolitano, si vedano P. CLASSEN,
Das Konzil von Konstantinopel 1166 und die Lateiner, «Byzantinische Zeitschrift» 48 (1955), 339-368; A.
DONDAINE, Hugues Éthérien et Léon Toscan, «Archives d’histoire doctrinale et littéraire du Moyen Âge» 27
(1952), 67-134; C. MANGO, The Conciliar Edict of 1166, «Dumbarton Oaks Papers» 17 (1963), 315-330; S.N.
SAKKOS, “Ho Pater meizon mou estin”. Erides kai synodikoi kata ton IB’ aiona, Aristoteleion Panepistē mion
Thessalonikē s, Thessaloniki 1968; G. THETFORD, The Christological Councils of 1166 and 1170 in Constan-
tinople, «St Vladimir Theological Quarterly», 31 (1987), 143-161; MAGDALINO, The Empire cit., 287-292; A.
BUCOSSI, Dibattiti teologici alla corte di Manuele Comneno, in A. RIGO/A. BABUIN/M. TRIZIO (a cura di), Vie
per Bisanzio – VIII Congresso dell’Associazione Italiana di Studi Bizantini Venezia, 25-28 novembre 2009,
Pagina, Bari 2012, 311-321.
131 Su questo problema si veda T.M. KOLBABA, Byzantine Perceptions of Latin Religious “Errors”: Themes

and Changes from 850 to 1350, in A.E. LAIOU/R.P. MOTTAHEDEH (eds), The Crusades from the Perspectives of
Byzantium and the Muslim World, Dumbarton Oaks, Washington DC 2001, 117-143.
132 HUGO ETHERIANUS, De Haeresibus graecorum, Patrologia Latina, 202, 237AB.
133 Per un profilo storico-dottrinale della figura di Nicola di Methone, si veda A.D. ANGELOU, Nicholas of

Methone. Refutation of Proclus’ Elements of Theology, Academy of Athens, Athens 1984 («Corpus Philoso-
phorum Medii Aevi. Philosophi Bizantini», 1), IX-LXIV.
134 Cfr. R. BROWNING, The Patriarchal School at Constantinople in the Twelfth Century, «Byzantion», 33

(1963), 11-40, 40 [ristampato come saggio X in ID., Studies on Byzantine History, Literature and Education,
Variorum Reprints, London 1977].
40 Il neoplatonismo di Eustrazio di Nicea

προτέρων τὰ λέγοντα οὕτως).135 La scrittura di questa porzione di testo nel


manoscritto parigino si può senz’altro datare alla seconda metà del secolo XIII,
dunque il nostro testo deve essere stato composto prima. Benché non possa es-
servi ancora certezza assoluta, di tutti coloro che hanno ricoperto la carica di me-
tropolita di Nicomedia solo il Niceta che le fonti latine descrivono come esperto
in dialettica e che Tornikès cita a titolo di teologo personale di Anna pare avere
i requisiti minimi per un’identificazione con il metropolita di Nicomedia autore
del trattatello su Analityca Priora II trasmesso dal manoscritto parigino. Si pensi
alla circostanza per la quale il testo aristotelico in questione è fondamentale per
quel che concerne proprio le tecniche argomentative che potenzialmente pote-
vano risultare utili nell’ambito di una disputa teologica. Se confermata, dunque,
questa identificazione contribuirebbe a gettare nuova luce sul personaggio in
questione.
Che il nostro Niceta fosse in contatto con Anna, questo pare fuori di dub-
bio; tuttavia, che egli abbia avuto a che fare con gli interessi filosofici della
principessa, questo mi pare assai difficile da provare. Contro Darrouzès, che
associa Niceta al progetto di comporre commenti ad Aristotele che Anna avrebbe
sponsorizzato, farei anzi notare come il passo in cui Tornikès parla di Niceta di
Nicomedia si trova in una sezione del testo ben distante dal riferimento dello
stesso Tornikès ai philosophoi politikoi, i commentatori di Aristotele, di cui Anna
si sarebbe circondata.136
Allo stesso modo sembrerebbe non più di un’ipotesi la tesi di Browning secon-
do cui uno dei personaggi vicini ad Anna Comnena ed al progetto a lei attribuito
dall’autore dell’orazione funebre fosse Giacomo da Venezia, Iacobus Veneticus,
membro di una delegazione latina giunta a Costantinopoli nel 1136 per discus-
sioni di ordine teologico.137 Tale ipotesi andrebbe ripensata e presa con le dovute
cautele. Sulla vita di Giacomo si sa pochissimo, tranne che fu un prolifico tradut-
tore attivo nella prima metà del secolo XII.138 A Giacomo sono state ricondotte
diverse traduzioni: una cosiddetta “volgata” degli Analytica Posteriora, la vetus

135 Citato alla nt. 105 in rapporto al commento al De interpretatione attribuito a Michele di Efeso. Il

contenuto del manoscritto in questione è descritto da H. OMONT, Inventaire sommaire des manuscripts grecs
de la bibliothèque nationale, II, Alfons Picard, Paris 1888, 162-163.
136 Dei philosophoi politikoi si parla in GEORGIUS TORNICES, In mortem cit., 281,8-14; di Niceta invece

Tornikès parla in ID., In mortem cit., 299,30-301,2.


137 Cfr. BROWNING, An Unpublished cit., 6.
138 Sulla vita e l’opera di Giacomo Veneto, si veda L. MINIO-PALUELLO, Iacobus Veneticus Grecus: Canonist

and Translator of Aristotle, «Traditio», 8 (1952), 265-304, da aggiornare con: S. EBBESEN, Jacobus Veneticus
on the Posterior Analytics and Some Early Thirteenth-century Oxford Masters on the Elenchi, «Cahiers de
l’Institut du Moyen-Âge grec et Latin», 21 (1977) 1-9; J. BRAMS, La riscoperta di Aristotele in Occidente,
Jaca Book, Milano 2003, 37-51.
I. Eustrazio di Nicea: biografia intellettuale di un teologo e commentatore bizantino 41

translatio della Physica, la Metaphysica vetustissima, le traduzioni dei Parva


naturalia e dei Sophistici Elenchi, quest’ultima giuntaci in forma frammentaria,
dei Topica e degli Analytica Priora, queste ultime andate perdute, quella di un
commento greco agli Analytica Posteriora il cui autore era noto nel mondo latino
come “Alessandro” e del commento di Michele di Efeso ai Sophistici Elenchi,
anch’esso noto in forma frammentaria e attribuito ad Alessandro.139 Quasi inte-
ramente perduti, fatto salvo per alcuni frammenti, sono i commenti che Giacomo
molto probabilmente compose dei Sophistici Elenchi, Topica, e Analytica Priora
e Posteriora.140
A spingere Browning a gettare un ponte tra Michele di Efeso e Giacomo è
senz’altro la circostanza della presenza di Giacomo a Costantinopoli nel 1136,
dove egli si recò assieme al già citato Anselmo di Havelberg per partecipare ad
incontro con i Greci sulla processione dello Spirito Santo.141 Tuttavia, benché
l’ipotesi di Browning secondo cui Giacomo avrebbe conosciuto direttamente Mi-
chele possa in effetti dare conto dell’accesso ai manoscritti greci di cui Giacomo
entrò in possesso, tuttavia un’analisi dei pochi dati a nostra disposizione sugge-
risce maggiore prudenza. Non sappiamo infatti per certo se Giacomo da Venezia
abbia anche solo conosciuto Michele di Efeso. Certo Michele non può essere
considerato l’unico tramite per il reperimento di manoscritti di Aristotele nella
Costantinopoli del XII secolo. Inoltre, quand’anche si riuscisse a stabilire un
ponte tra Michele e Giacomo, questo non generebbe automaticamente un legame
con Anna Comnena, visto che il rapporto tra i primi due avrebbe potuto essere
anche strettamente privato.142
Che la questione dell’accesso ai manoscritti greci da parte di un traduttore
latino attivo a Costantinopoli non possa essere confusa con quella dell’eventuale
collaborazione tra intellettuali, è dimostrato da una vicenda simile a quella di
Giacomo Veneto. Due altri membri della delegazione latina che accompagnò

139 Sul problema specifico della traduzione da parte di Giacomo Veneto del commento di Michele di

Efeso ai Sophistici Elenchi, si veda S. EBBESEN, Anonymi Parisiensis Compendium Sophisticorum Elenchorum,
The Uppsala Version, «Cahiers de l’Institut du Moyen-Âge Grec et Latin», 66 (1996), 253-312.
140 Per una presentazione sintetica dei dati sulla vita e l’opera di Giacomo Veneto si può anche con-

sultare la voce dedicata a questo personaggio a cura di S.J. LIVESEY, in T. GLICK/S.J. LIVESEY/F. WALLIS (eds),
Medieval Science, Technology, and Medicine. An Encyclopedia, Routledge, New York-London 2005, 282, da
cui dipendono le informazioni riportate nel presente contributo.
141 ANSELMUS HAVELBERGENSIS, Dialogi cit., 1162B.
142 Un profilo di Giacomo traduttore e del suo contributo alla riscoperta della logica aristotelica, in

particolare dei Sophistici Elenchi, nel mondo latino, si trova in S. EBBESEN Greek-Latin Philosophical In-
teraction, in K. IERODIAKONOU (ed.), Byzantine Philosophy and its Ancient Sources, Oxford University Press,
Oxford 2002, 15-30, 22-24. Pur riconoscendo la ragionevolezza dell’ipotesi di Browning, Ebbesen sostiene
esplicitamente che essa non può essere comprovata.
42 Il neoplatonismo di Eustrazio di Nicea

Anselmo di Havelberg erano infatti Burgundio Pisano e Mosè da Bergamo, an-


che’essi noti traduttori dal greco al latino.143 Burgundio, in particolare, è noto per
aver collaborato alla copia di manoscritti contenenti opere di Galeno e Aristotele
con un copista costantinopolitano noto come Ioannikios e con altri collaboratori
di quest’ultimo.144 Questo dimostra che nella Costantinopoli della prima metà
del XII secolo per un latino che avesse voluto raccogliere manoscritti filosofici
greci vi dovevano essere molteplici canali per l’accesso a questo tipo di mate-
riale. Dunque non vi è prova certa che Giacomo fosse legato in qualche modo al
cosiddetto “circolo” di Anna Comnena.
Un altro personaggio che è stato associato a questo “circolo” di Anna Comne-
na è Stefano Skylitzes, attivo nella prima metà del secolo XII, metropolita di
Trebisonda, didaskalos presso la cosiddetta “Accademia patriarcale”, maestro
e sodale dell’intellettuale e poeta di corte Teodoro Prodromo.145 Il motivo per
cui Stefano è stato associato ad Anna Comnena è legato all’attribuzione a que-
sta figura di un commento alla Rhetorica edito da Rabe nel 1896 nel cui titolo
compare l’attribuzione ad un certo Stefano.146 Elementi di critica interna al testo
hanno permesso di datare il commento alla prima metà del XII secolo, periodo in
cui appunto Stefano Skylitzes era attivo. Da qui l’identificazione tra Skylitzes e
l’autore del commento. Poiché inoltre la Rhetorica sembra rientrare nell’elenco
delle opere che non furono oggetto di commento nella tarda antichità, a maggior

143 La bibliografia su Burgundio e sulla sua attività di traduttore è assai corposa. Per questa ragione ci

limitiamo a segnalare la messa a punto in BRAMS, La riscoperta cit., 53-60. Dell’opera di traduttore di Mosè
Del Brolo da Bergamo non ci è giunto quasi nulla. Per un profilo di questa personalità, si veda F. PONTANI,
Mosè del Brolo fra Bergamo e Costantinopoli, in C. VILLA/F. LO MONACO (a cura di), Maestri e traduttori berga-
maschi fra medioevo e rinascimento, Bergamo 1998, (Supplemento a «Bergomum», a. XCIII, 1998), 13-26.
144 La scoperta della collaborazione tra Burgundio e Ioannikios è dovuta agli studi paleografici del

Wilson su alcuni manoscritti greci databili attorno agli anni ’40 del secolo XII. Si veda in particolare N.G.
WILSON, A Mysterious Byzantine Scriptorium: Ioannikios and his Colleagues, «Scrittura e Civiltà», 7 (1983),
161-176; ID., Ioannikios and Burgundio: A Survey of the Problem, in G. CAVALLO/M. MANIACI (a cura di), Scrit-
ture, libro e testi nelle aree provinciali di Bisanzio. Atti del seminario di Erice (18-25 settembre 1988), Cisam,
Spoleto 1991, 447-455. Si veda anche G. VUILLEMIN-DIEM/M. RASHED, Burgundio de Pise et ses manuscrits
grecs d’Aristote: Laur. 87.7, Laur. 81.18, «Recherches de Théologie et Philosophie Médiévale», 64 (1997),
136-198. Rispetto ai primi contributi sulla vicenda studi recenti sembrano escludere che Ioannikios fosse
attivo nel contesto dell’Italia meridionale, mentre ha preso sempre più piede l’ipotesi che egli operasse in
ambito Costantinopolitano. Per una messa a punto dell’intera questione si veda P. DEGNI, I manoscritti dello
“scriptorium” di Gioannicio, «Segno e Testo», 6 (2008), 179-248.
145 Prodromo dedicò un’orazione funebre al maestro, edita in L. PETIT, Monodie de Théodore Prodromos

sur Étienne Skylitzès, métropolitain de Trebizonde, «Izvestija Russkogo Archeologicesgkogo Instituta v Kon-
stantinople», 8 (1903), 1-14, 6-14. Sull’attività di Stefano come didaskalos presso l’Accademia Patriarcale,
si veda BROWNING, The Patriarchal cit., 25-26.
146 STEPHANUS (SKYLITZES?), In artem rhetoricam commentarium, ed. H. RABE, Reimer, Berlin 1896 («Com-

mentaria in Aristotelem Gracea», XXI,2).


I. Eustrazio di Nicea: biografia intellettuale di un teologo e commentatore bizantino 43

ragione si è pensato di associare questo commento al progetto filosofico attribuito


da Giorgio Tornikès ad Anna Comnena.147
Abbiamo insomma due questioni diverse: da un lato, l’identificazione dello
Stefano autore del testo con Stefano Skylitzes; dall’altro, il problema del contesto
in cui l’opera fu redatta. Se la prima questione appare risolta da una tesi quanto-
meno ragionevole, la seconda ci sembra sia stata affrontata con la formulazione
di un’ipotesi arbitraria. Benché infatti l’ipotesi che Stefano abbia composto que-
sto commento nel contesto del cosiddetto “circolo” di Anna Comnena non possa
essere esclusa a priori, è opportuno notare come essa non trovi conferma in alcun
dato a nostra disposizione, ma al contrario sembra reggere interamente su di un
argomento nihil obstat. In altre parole pare che il commento attribuito a Skylitzes
sia stato ricondotto al mecenatismo di Anna perché esso non potrebbe essere
stato composto in un contesto diverso da quello del “circolo” della principessa,
come se nella prima metà del XII secolo Anna fosse stato l’unico canale per la
produzione e trasmissione di testi filosofici.
Questo approccio mi pare segnato da un vizio di forma e va pertanto abban-
donato. Non si può infatti utilizzare il “circolo” filosofico di Anna Comnena
come una sorta di contenitore storiografico in cui convogliare tutti i fenomeni
della storia intellettuale della Bisanzio di questo periodo che hanno a che fare
con la produzione di commenti filosofici e di cui non sia immediatamente chiaro
il contesto di appartenenza. Al contrario, in mancanza di dati più solidi, è op-
portuno adottare un atteggiamento di maggiore prudenza. Sono solo due i nomi
associabili direttamente ad Anna e ai suoi interessi per la filosofia: Eustrazio di
Nicea e Michele di Efeso.

4.2. Questioni di cronologia


Prudenza è necessaria anche per affrontare l’altra grande questione legata all’i-
potesi di Browning su di un “circolo filosofico” attorno alla principessa Anna
Comnena: quella del terminus post quem per l’inizio di un tale progetto. Secondo
Browning – tesi oramai largamente diffusa tra gli studiosi – l’inizio di questo
progetto è da fissare al 1118, anno della morte di Alessio Comneno e di profon-
di cambiamenti nella vita della principessa.148 Ma quali sono gli elementi che

147 Cfr. W. WOLSKA-CONUS, À propos de Scholies de Stéphanos à la Rhétorique d’Aristote: l’auteur, l’œuvre, le

milieu, in M. BERZA/E. STǍNESCU (éd.), Actes du XIVe Congrès International des Études Byzantines, 3, Editura
Academiei Republicii Socialiste România, Bucarest 1974-76, 599-606. Tesi accettata, tra gli altri, da T.M.
CONLEY, The Alleged «Synopsis» of Aristotle’s Rhetoric and its Place in the Byzantine Reception of Aristotle,
in G. DAHAN/I. ROSIER CATACH (éds), La Rhétorique d’Aristote. Traditions et commentaires de l’antiquité au
XVIIe siécle, Vrin, Paris 1998, 49-64, 62.
148 BROWNING, An Unpublished cit., 7.
44 Il neoplatonismo di Eustrazio di Nicea

portarono il Browning a formulare questa ipotesi sulla cronologia del cosiddetto


“circolo filosofico” di Anna Comnena?
Un primo elemento è costituito da un passo dell’orazione funebre di Tornikès,
la cui carriera è stata tra le altre cose ben ricostruita dallo stesso Browning.149
Il passo è il seguente:

Ἐπὶ τούτοις ἡ τοῦ βασιλέως αὐτῇ καὶ πατρὸς τελευτὴ φιλοσοφίας ἀρχὴ καὶ
τελεωτέρας καὶ κρείττονος γίνεται, οὐ τῆς ἐν λόγῳ μόνον καὶ περὶ τὴν θεωρίαν
τῶν ὄντων καὶ ἐπιστήμην, ἀλλὰ καὶ ὅσης φιλόσοφον ἐξελέγχειν οἶδεν ἦθος ἢ
ἀφιλόσοφον καὶ ψυχῆς εὐγένειαν ἢ δυσγένειαν.
[«Inoltre, la morte dell’imperatore suo padre divenne per lei l’inizio di una filosofia
perfetta, più completa e superiore; non quella puramente razionale che riguarda la
considerazione degli enti o della scienza, bensì quella che permette di riconoscere
se un comportamento sia filosofico o meno e, riguardo l’anima, se essa sia nobile o
vile.»]150

Apparentemente tale testimonianza non può essere utilizzata come terminus


post quem dell’inizio del mecenatismo di Anna nei confronti di Eustrazio e Mi-
chele di Efeso, per almeno due ragioni.
La prima ragione per questa conclusione è se si vuole banale e parte da un’a-
nalisi del testo di Tornikès e della sua logica interna priva di pregiudizi e attenta
alla struttura. Anche ad un primo sguardo appare evidente che questo riferi-
mento alla morte del padre come all’accesso ad una filosofia perfetta e superiore
rispetto a quella puramente razionale e teoretica non si trova affatto in prossimità
del passo prima citato in cui Tornikès descrive il progetto di commentare opere
aristoteliche mai commentate prima. Al contrario, si trova in tutt’altro contesto,
quello della descrizione degli eventi immediatamente precedenti e immediata-
mete successivi la morte dell’imperatore Alessio I Comneno, avvenuta appunto
nel 1118. Solo in seguito Tornikès riferirà del progetto legato ai commenti filoso-
fici e alla cultura filosofica della principessa.151 Un nesso tra la morte di Alessio
e l’interessi di Anna per i testi filosofici di Aristotele non è presente nel testo.
La seconda ragione che ci porta a dubitare della possibilità di vedere ne-
gli eventi del 1118 l’avvio del mecenatismo di Anna nei confronti di Eustrazio
e Michele risiede nella natura stessa del riferimento di Tornikès alla filosofia
come alla dimensione esistenziale in cui Anna sarebbe entrata a seguito della

149 Cfr. R. BROWNING, The Patriarchal School at Constantinople in the Twelfth Century (Continuation),

«Byzantion», 32 (1962), 167-202 [ristampato come saggio X in ID., Studies cit.].


150 GEORGIUS TORNICES, In mortem cit., 271,18-21.
151 GEORGIUS TORNICES, In mortem cit., 281,4-301,19.
I. Eustrazio di Nicea: biografia intellettuale di un teologo e commentatore bizantino 45

morte del padre. Ci pare che questo riferimento sia stato interpretato, in maniera
scontata, in senso letterale, mentre invece a nostro parere esso deve essere inter-
pretato per quello che è: un topos letterario diffusissimo in età antica, medievale
e moderna, che associa la vita filosofica, vista appunto non come mera specula-
zione razionale, ma come consolazione, contrizione, meditazione sulla caducità
della condizione umana, alla morte di un caro o di un amico. E infatti poco prima
Tornikès aveva utilizzato di nuovo il termine ‘filosofia’, nella forma del verbo
philosophein, per descrivere non già degli studi filosofici, bensì la condizione in
cui Anna si trovava allorquando il padre era in fin di vita: Anna, dice Tornikès,
era divisa tra due sentimenti, la contrizione per il padre, un dolore ben superiore
a qualsiasi possibilità di consolazione, e la necessità di stare vicina alla madre
in quei drammatici frangenti, facendole forza.152
Il seguito del testo sembrerebbe confermare questa interpretazione: la morte
del padre Alessio viene descritta come la perdita di un comandante per una nave
in difficoltà. Anna, di disposizione d’animo inadeguata alla sofferenza, sarebbe
rimasta sola a fronteggiare il mare in tempesta, le vicissitudini di una sorte che
era impreparata ad affrontare. Nonostante ciò, continua Tornikès, la principessa
avrebbe avuto dentro di sè celata la fiamma della resilienza, una fiamma che
l’avrebbe portata ad essere come l’Ermes di Odissea V,50-54, il quale, inviato da
Zeus ad Ogigia per avvertire Calipso che giunto era il momento di lasciar andare
Ulisse, era «come uccello sull’onda, come gabbiano/che nei seni paurosi del
mare infecondo/bagna d’acqua salata le salde ali in caccia di pesci».153 Tornikès
insiste sul paragone di Anna con Ermes e spiega che:

Τότε μὲν οὖν τὸν νοῦν ἐπέγνων τοῦ ποιητοῦ, δι’ ὃν τὸν λόγιον Ἑρμῆν εἰς τὸν ὄρνιθα
τοῦτον ἤμειψεν· οὐ γὰρ δὴ – ὃ νομίζεται τοῖς πολλοῖς – διὰ τὸ τάχος τοῦ λόγου
καὶ τὸ πτερόεν, ἀλλὰ διὰ τὸ χρῆναι μᾶλλον, ἐμοὶ δοκεῖ, τὸν λόγῳ διοικούμενον
ἄνθρωπον ἐν ἀστάτοις πράγμασιν εἶναι στάσιμον, τὸν ποταμὸν μὲν ἐῶντα τοῦ βίου
ῥέειν ὅποι τοῖς παλινστρόφοις πνεύμασι φέροιτο, αὐτὸν δὲ μένειν ἀσάλευτον, οὐκ
ἀντίξουν ἀντιφερόμενον, ἀλλ’ ἐν ταὐτότητι τοῦ τῆς ψυχῆς ἤθους καὶ τῆς ἀρετῆς
συμφορούμενον.
[«Fu dunque allora che compresi l’intenzione del poeta allorquando trasformò Ermes
Logios in quell’uccello. Non infatti – come pensano i più – per la rapidità come un
batter d’ali della favella, ma piuttosto perché, così mi sembra, l’uomo che è governato
dalla ragione deve rimanere saldo di fronte alle situazioni instabili, lasciando da un
lato che il fiume della vita scorra là dove lo conducono dei venti capricciosi, dall’altro

152 GEORGIUS TORNICES, In mortem cit., 269,19-26.


153 GEORGIUS TORNICES, In mortem cit., 271,21-275,2.
46 Il neoplatonismo di Eustrazio di Nicea

restando egli stesso immobile, senza lasciarsi trasportare nella direzione contraria, ma
raccogliendosi nell’identità del carattere e della virtù dell’anima».]154

Il testo conferma in maniera chiara che la filosofia di cui Tornikès parla non è
appunto una filosofia libresca, lo studio della filosofia classica, quanto l’esercizio
della virtù, la resilienza dell’animo di fronte ai turbamenti della vita. Si tratta
di una definizione di vita filosofica e di un repertorio di immagini – la nave in
tempesta ecc. – così diffuse in età ellenistica e tardo-antica da non necessitare
alcun riferimento.155
O ancora, seguendo un canone ugualmente in voga in tutta la letteratura Bi-
zantina, il riferimento di Tornikès a questa filosofia superiore e maggiormente
perfetta di quella associabile alla cultura puramente libresca potrebbe legarsi
all’identificazione tra filosofia e vita monastica presente in centinaia di testimo-
nianze tardo-antiche e bizantine.156 In effetti secondo gli storici Anna avrebbe
trascorso il periodo che va dal 1118 all’anno della sua morte reclusa contro la
sua volontà nel monastero femminile della Theotokos Kekharitômenê. Anche se
Anna ha preso i voti solo sul letto di morte – anche in questo caso seguendo un’u-
sanza assai consolidata –,157 non è da escludere che Tornikès pensasse proprio
alla reclusione in questo monastero quando descriveva la filosofia a cui Anna si
sarebbe accostata dopo la morte del padre.
In realtà, come vedremo a breve, l’idea che Anna sia stata reclusa contro la
sua volontà è da ripensare.158 Ma che il ritiro a vita privata sia stato volontario
o meno, ciò non toglie che il linguaggio utilizzato da Tornikès non è inconcilia-
bile con la descrizione di una vita sempre più appartata, quale appunto quella
trascorsa nel monastero della Theotokos Kekharitômenê. Certo è che questo
passo dell’orazione funebre per Anna non può in alcun modo essere utilizzato
per datare l’inizio del suo mecenatismo nei confronti dei personaggi certamente
associabili alla sua persona, Eustrazio di Nicea e Michele di Efeso. Nulla ci

154 GEORGIUS TORNICES, In mortem cit., 275,2-8.


HADOT, Exercices spirituels et philosophie
155 A questo ideale di vita filosofica è dedicato il noto libro di P.

antique, Études augustiniennes, Paris 1981. («Collection des études augustiniennes. Série antiquité», 88).
156 Su questa identificazione, si vedano F. DÖLGER, Zur Bedeutung von philosophos und philosophia in

byzantinischer Zeit, in ID., Byzanz und die europäische Staatenwelt, Buch-Kunstverlag, Ettal 1953, 197-208;
G. PENCO, La vita ascetica come «filosofia» nell’antica tradizione monastica, «Studia Monastica», 2 (1960),
79-93; G. PODSKALSKY, Theologie und Philosophie in Byzanz. Der Streit um die theologische Methodik in der
spätbyzantinischen Geistesgeschichte (14./15. Jh.), seine systematischen Grundlagen und seine historische
Entwicklung, Beck, München 1977 («Byzantinisches Archiv», 15), 18-22.
157 Cfr. GEORGIUS TORNICES, In mortem cit., 313,14-16.
158 Cfr. infra, 50.
I. Eustrazio di Nicea: biografia intellettuale di un teologo e commentatore bizantino 47

impedisce di pensare che il rapporto tra Anna e questi eruditi abbia avuto inizio
in un periodo precedente.159
Tuttavia, seppure retorico, il linguaggio di Tornikès potrebbe anche riferirsi
all’interesse di Anna per l’Ethica Nicomachea e in generale la filosofia morale
aristotelica. Questo potrebbe essere il senso di quel riferimento alla filosofia di
Anna come «non quella puramente razionale che riguarda la considerazione
degli enti o della scienza, bensì quella che permette di riconoscere se un com-
portamento sia filosofico o meno, e riguardo l’anima, se essa sia nobile o vile». In
altre parole, Tornikès giocherebbe qui con il topos della morte del padre e della
consolatio philosophiae, ma nel contempo alluderebbe ad un evento realmente
avvenuto, quale il mecenatismo di Anna nei confronti dei commentatori bizantini
dell’Ethica Nicomachea o semplicemente ad un interesse (che potrebbe essere
maturato in realtà già in precedenza) per la filosofia morale aristotelica. Che
la cosa sia accaduta prima, o dopo il 1118, su questo è difficile pronunciarsi,
ma se il riferimento alla morte di Alessio potrebbe essere puramente fittizio, il
linguaggio impiegato da Tornikès appare non casuale rispetto al contenuto di
questa nuova filosofia. Questo pare confermato dalle forti assonanze di questo
passo dell’orazione funebre per Anna con un testo scritto diversi anni prima
(probabilmente poco dopo la morte dell’imperatore Alessio I) dal poeta di corte
Teodoro Prodromo, in cui l’interesse di Anna per la filosofia viene descritto con
formule assai vicine rispetto a quelle impiegate da Tornikès.160
Ricapitoliamo quanto detto fino a questo momento sul riferimento di Tornikès
alla morte di Alessio I come l’inizio per Anna di una vita filosofica. Sicuramen-
te qui Tornikès opera una concessione al topos della filosofia come consolatio.
L’interesse di Anna per la filosofia e finanche il suo rapporto con Eustrazio e
Michele di Efeso potrebbe risalire a qualche anno prima o comunque potrebbe
essere maturato in modo indipendente da questo evento. Purtuttavia, il linguag-

159 Questa tesi è stata sostenuta anche da CONLEY, The Alleged cit., 61, su basi però diverse da quelle

da noi proposte. Infatti Conley è tra coloro che interpretano il riferimento operato da Tornikès alla morte di
Alessio e all’accesso di Anna ad una filosofia perfetta e superiore (cfr. GEORGIUS TORNICES, In mortem cit.,
271,18-21.) come relativo al progetto filosofico attribuito dallo stesso Tornikès ad Anna. In questo senso
l’utilizzo da parte di Tornikès dei comparativi τελεωτέρας καὶ κρείττονος per descrivere la nuova filosofia
cui Anna si sarebbe accostata sarebbe, secondo Conley, da intendere in senso continuativo rispetto alla
filosofia di cui Anna si sarebbe occupata in precedenza. In altre parole, ancor più che prima della morte del
padre, suggerisce Conley, Anna si sarebbe occupata di filosofia, continuando quindi un’attività già intrapre-
sa in precedenza in maniera semmai più intensa di prima. A nostro parere questa è un’interpretazione assai
ardita e non rispettosa del testo. Quei comparativi infatti richiamano un salto qualitativo tra una filosofia
intesa come interesse erudito per i testi filosofici e una filosofia dalla dimensione esistenziale, quella legata
al topos della contrizione e della consolazione per la morte di un congiunto. Ad ogni modo, trattandosi di un
topos letterario, non può essere in nessun modo preso alla lettera come pensa Conley.
160 Cfr. infra, 68-70.
48 Il neoplatonismo di Eustrazio di Nicea

gio utilizzato da Tornikès per descrivere questa nuova filosofia cui Anna sarebbe
approdata è fortemente allusivo e presenta richiami all’Ethica Nicomachea e alla
morale aristotelica. Il confronto con il testo di Prodromo, di cui ci occuperemo
più avanti, farà emergere questa allusività in maniera ancora più evidente.
Ma vi è un altro aspetto della vicenda da tenere in considerazione, in quanto
su di esso si basa la convinzione di Browning che il 1118 sia il terminus post
quem per il progetto filosofico ascritto da Tornikès ad Anna. Secondo gli storici
quello di Anna, infatti, non sarebbe stato in realtà – come anticipato – un ritiro
volontario. Su questo il testo dell’orazione funebre nasconderebbe volutamente
un retroscena che mal si sarebbe conciliato con un encomio postumo. La cro-
naca di Giovanni Zonara (composta poco prima della metà del secolo XII e che
termina proprio nel 1118 con la descrizione della morte di Alessio e l’ascesa
al trono del nuovo imperatore) e soprattutto la Historia di Niceta Coniata (com-
posta all’inizio del secolo XIII) offrono particolari che ci aiutano a ricostruire i
tormentati e convulsi momenti seguiti alla morte di Alessio I Comneno: già nel
momento in cui Alessio esalava i suoi ultimi respiri, Anna avrebbe ordito un
complotto ai danni del fratello Giovanni II, legittimo successore ad Alessio, al
fine di favorire l’ascesa al trono del marito, Niceforo Briennio. Si tratta di un
intento che Anna avrebbe covato ancora nel 1119.161 Il complotto, scoperto e
sventato, avrebbe segnato la fine della vita di corte per la principessa, che vie-
ne dunque costretta al ritiro a vita privata presso il monastero della Theotokos
Kecharitômenê.162
Tornikès sembra sorvolare sull’episodio, fornendo anzi un ritratto di Anna in
onorevole lutto.163 Anche qui però sembra emergere qualcosa di interessante:
il fratello di Anna viene dipinto come tutto intento a garantire la continuità
imperiale, allorquando il padre, l’imperatore Alessio I, ancora doveva esalare
l’ultimo respiro. Egli sarebbe immediatamente uscito da palazzo lasciando il
lutto ad Anna, a suo marito, il già citato Briennio, e alla loro prole. Siffatto
atteggiamento viene apparentemente stigmatizzato come normale in situazioni
in cui la continuità imperiale viene prima di ogni cosa. Tuttavia, allorquando
Tornikès passa in rassegna il comportamento di Anna, introduce una clausola

161 JOHANNES ZONARAS, Epitome Historiarum, XVIII,29, ed. T. BÜTTNER-WOBST, Weber, Bonn 1897 («Corpus

scriptorum historiae Byzantinae»), 764,1-765,5; NICETAS CHONIATES, Historia, I, ed. J. VAN DIETEN, De Gruyter,
Berlin 1975 («Corpus Fontium Historiae Byzantinae. Series Berolinensis», XI,1) 10,6-11.29.
162 Un riferimento alla condizione di isolamento di Anna ci viene fornito dalla stessa Anna, in ANNA

COMNENA, Alexias cit., XIV,7,6. Si tratta tuttavia di un riferimento che si colloca in un periodo assai tardo
della vita di Anna, come si evince dal fatto che Anna dice di non vedere o parlare da almeno trenta anni con
alcun amico del padre, il che colloca il riferimento in questione al 1148/1149. Sul monastero della Theotokos
Kecharitômenê, si veda JANIN, La géographie cit., 188-191.
163 GEORGIUS TORNICES, In mortem cit. 269,8-18.
I. Eustrazio di Nicea: biografia intellettuale di un teologo e commentatore bizantino 49

di comparazione-opposizione, forse prendendo di mira le malelingue secondo le


quali Anna avrebbe complottato ai danni del fratello per la successione impe-
riale che Anna avrebbe voluto per il proprio marito Briennio.
In altre parole, silente sui piani di Anna, Tornikès sembra descrivere la prin-
cipessa coscienziosa e pia, a discapito dell’attegiamento freddo e senza scrupoli
di Giovanni. Anna viene dipinta come dimentica di qualsiasi aspirazione al trono
imperiale, seduta vicina al padre in agonia. Giovanni, per quanto giustificato dal
suo ruolo di legittimo successore a garantire l’immediata continuità dell’autorità
imperiale, viene ritratto come preso dalla smania del potere proprio in rapporto
al contro-esempio di Anna, la quale, estranea a qualsiasi desiderio di subentra-
re direttamente o indirettamente al fratello, come invece suggerito da Zonara e
Coniata, priva di smanie di potere e di interessi personali, è in lutto, seduta sul
pavimento, il capo spoglio, a vegliare sugli ultimi attimi di vita del padre.
Forse Tornikès ha in mente lo stesso Zonara allorquando propone la propria
versione dei fatti, sempre ammesso che Zonara avesse già attorno al 1155, data
di composizione dell’orazione funebre per Anna, composto la propria Epitome
historiarum. O forse Tornikès voleva rispondere in generale a voci sul ruolo di
Anna nei momenti immediatamente successivi alla morte di Alessio che, ancora
verso la metà del XII secolo, riportavano una versione degli eventi del 1118
tutt’altro che favorevole alla principessa.164
Mettendo da parte le complesse sfumature della strategia argomentativa di
Tornikès, è chiaro che il 1118 o 1119, con la morte di Alessio e il presunto ritiro
di Anna a vita privata, diventa dunque l’anno chiave per l’avvio del progetto
filosofico descritto nel testo dell’orazione funebre redatto da Tornikès.165 Questo
almeno secondo la ricostruzione storica oggi più diffusa.
In questo capitolo ci stiamo invece sforzando di ripensare criticamente tale
ricostruzione sulla base di una nuova lettura e interpretazione delle fonti. Ab-
biamo già segnalato come il riferimento di Tornikès alla morte di Alessio e al
conseguente inizio per Anna di una nuova filosofia sia in realtà da considerare
più un topos letterario che altro. Venuto meno questo elemento, se ne affaccia
un altro, quello prima citato del presunto ritiro a vita privata di Anna, un ritiro
forzato a seguito del fallito complotto ai danni del legittimo erede al trono, il

164 La ricostruzione secondo cui Anna e suo marito Niceoforo Briennio avrebbero mantenuto rapporti

tesi con Giovanni è stata tuttavia contestata in L. NEVILLE, Anna Komnene: the Life and Work of a Medieval
Historian, Oxford University Press, Oxford 2016, 141-153.
165 Occorre nondimeno segnalare come la tesi per cui Anna si sarebbe ritirata a vita privata nel 1118 non

viene accolta in maniera unanime dagli studiosi. Alcuni infatti hanno sostenuto che l’anno dell’ingresso di
Anna nel monastero della Theotokos Kecharitômenê sia da datare al 1136/37, anno della morte del marito
di Anna, Niceforo Briennio. Cfr. e.g. R. DAELVEN, Anna Comnena, Twayne Publishers, New York 1972, 66.
50 Il neoplatonismo di Eustrazio di Nicea

fratello di Anna, Giovanni Comneno. Anna in questo senso avrebbe avuta salva
la vita in cambio di un’uscita di scena dalla vita pubblica.
Anche questo particolare, a nostro parere, andrebbe ridimensionato. Non esi-
ste infatti alcuna fonte bizantina che parli di un ritiro di Anna a vita privata
contro la volontà della stessa principessa. Non ne parla Zonara, né tantomeno
Niceta Coniata.166 Né si hanno prove certe che l’uscita di scena da parte di Anna,
quand’anche essa sia stata volontaria, si sia concretizzata in un ritiro presso il
monastero della Theotokos Kecharitômenê. Questo assunto, per quanto probabile,
non si legge in alcuna fonte bizantina; esso si poggia unicamente sul tipikon –
della prima decade del XII secolo – di questo monastero firmato dalla madre
di Anna, la già citata Irene Doukaina, e su una clausola, aggiunta però in un
secondo momento, che affidava ad Anna i sontuosi appartamenti fatti edificare
dalla stessa Irene ai tempi della fondazione del monastero, dopo l’avvenuta morte
dell’altra figlia di Irene e sorella di Anna, Eudocia.167
Va da sé che il tipikon di questo monastero descrive una struttura in cui le
donne della famiglia imperiale dovevano avere massima libertà amministrativa e
di movimento, per cui non è improbabile che in un determinato momento Anna
e la stessa Irene abbiamo trasferito in quella sede la loro residenza principale.
Ma nulla prova che siano state forzate a farlo; nulla impedisce, in altre parole,
di pensare che Anna abbia utilizzato le strutture del monastero in piena libertà,
come un luogo dove poter dare vita ai propri interessi filosofici e letterari.
Un discorso simile a quello fatto per il terminus post quem andrebbe fatto per
il terminus ante quem del progetto filosofico che Tornikès attribuisce ad Anna.
Browning in maniera risoluta individua il 1138 come la data entro la quale
l’interesse di Anna per le opere di Aristotele si sarebbe concluso. Infatti, dopo
quell’anno, sostiene ancora Browning, Anna si sarebbe per lo più preoccupata di
comporre l’Alessiade e certo non avrebbe potuto dare seguito ai propri interessi
filosofici.168 In realtà di per sé la data in cui si pensa che Anna abbia intrapreso
la stesura dell’Alessiade non può essere considerata in termini così netti come il
termine ultimo oltre il quale il mecenatismo di Anna per i filosofi di corte non
avrebbe potuto protrarsi. Infatti non si vede come la composizione di commenti

166 Le medesime conclusioni si possono leggere in NEVILLE, Anna cit., 133-141. Neville mette molto

bene in luce come l’ipotesi di un ritiro forzato di Anna nel monastero della Theotokos Kecharitômenê risalga
ai primissimi anni del secolo XX, per poi consolidarsi come dato di fatto acquisito nel corso dello stesso
secolo. Cogliamo in questa sede l’occasione per ringraziare l’autrice per aver voluto condividere con noi in
anteprima le conclusioni del suo studio.
167 L’edizione di riferimento del testo edito è quella curata da P. GAUTIER, Le typikon de la Théotokos

Kécharitôménè, «Revue des Études Byzantines», 43 (1985), 5-65 (il testo della clausola aggiuntiva si trova
alle pp. 137-142, cap. 79).
168 BROWNING, An Unpublished cit., 7.
I. Eustrazio di Nicea: biografia intellettuale di un teologo e commentatore bizantino 51

da parte di eruditi e studiosi per Anna avrebbe potuto interferire con la compo-
sizione dell’Alessiade. In fondo non si tratta di opere composte da Anna stessa,
bensì da terzi per Anna.
Tuttavia, l’anno 1138 rappresenta senz’altro un limite temporale in cui è ra-
gionevole pensare che i commentatori al servizio di Anna avessero già smesso
da tempo di lavorare per conto della principessa; ma questo non tanto per la
concomitanza di un altro progetto quale la composizione dell’Alessiade, quanto
per alcuni elementi relativi alla biografia di Eustrazio e Michele che portano a
pensare che probabilmente negli ultimi anni della quarta decade del secolo XII
questi intellettuali fossero già morti. Analizziamo questi elementi e cerchiamo
di rivedere la cronologia relativa al legame che legò Eustrazio e Michele, da
una parte, e Anna, dall’altra, tenendo ben in disparte il 1118-1119 e il 1138,
cioè gli estremi cronologici che gli studiosi di Anna hanno individuato sulla
base dell’interpretazione (non sempre corretta) di alcuni dati relativi alla vita di
questa figura. Al contrario, prenderemo in esame solo gli elementi relativi alle
figure di Eustrazio e Michele.
Per Eustrazio, come detto, determinare una cronologia in maniera affidabile
è assai problematico. Ma sulla base di quanto detto in precedenza, si può ipo-
tizzare ragionevolmente che Eustrazio sia morto tra il 1120 e il 1130.169 L’opera
di Michele invece offre alcuni spunti interessanti per una datazione più o meno
affidabile dell’attività del sapiente di Efeso. Si è già visto come il primo testi-
mone del commento di Michele a Metaphysica Z-N risalga verosimilmente agli
anni ’80-’90 del secolo XI. Questo ci porta a pensare a Michele come attivo,
probabilmente ancora in giovane età, già in quel periodo.170 Un altro elemento
interessante si trova negli scholia di Michele alla Politica. Qui, nel IV libro,
Aristotele scrive che una costituzione mista dovrebbe essere difesa e preservata
con mezzi propri e non con l’aiuto altrui, e coloro che ne desiderano l’integrità
dovrebbero essere maggiori per numero al suo interno che all’esterno.171 Michele
coglie al balzo l’occasione per un commento di natura personale:

ὡς νῦν οἱ Τοῦρκοι ἔξωθεν ὄντες καὶ πλείους ἡμῶν ὄντες βούλονται ἡμᾶς σῴζεσθαι·
ἡ γὰρ σωτηρία κἀκείνων ἐστί.
[«Come in questo tempo i Turchi, i quali pur essendo esterni e più numerosi di noi,
vogliono che noi li salviamo: infatti la nostra salvezza è anche la loro.»]172

169 Cfr. supra, 3-13.


170 Cfr. supra, 35.
171 ARIST., Politica, IV, 1294b34-37.
172 ARIST., Politica cit., 315,37-38.
52 Il neoplatonismo di Eustrazio di Nicea

Questo riferimento è stato interpretato dagli studiosi come relativo alle com-
plesse vicende geopolitiche che caratterizzavano l’Asia Minore nella prima parte
del secolo XII, dove il sultanato Turco di Iconio si trovava di fatto schiacciato
tra Bisanzio, a ovest, e il regno della dinastia turcomanna dei Danishmendidi, a
est. Questo commento di Michele si riferirebbe in particolare proprio al periodo
delle cinque vittoriose campagne di Giovanni II Comneno contro i Danishmen-
didi, tra il 1130 e il 1136.173 Il riferimento ai Turchi che sarebbero stati salvati
dai Bizantini sembra essere a tutti gli effetti ai Turchi del sultanato di Iconio.
Inoltre sempre gli scholia alla Politica testimoniano più volte della disillusio-
ne di Michele di Efeso in rapporto alla situazione politica a lui contemporanea.
Si tratta di riferimenti, in verità assai polemici, che si conciliano bene con l’astio
che un protégé di Anna Comnena come Michele poteva nutrire nei confronti di
Giovanni II Comneno (il cui regno si colloca tra il 1118 e il 1143), che come si è
avuto modo di ricordare era stato vittima dei piani di Anna per favorire le ambi-
zioni imperiali di suo marito Niceforo Briennio.174 Si aggiunga che ai tempi della
composizione degli scholia alla Politica, Michele denuncia la sua situazione di
profonda indigenza.175 Michele in altre parole appare a tutti gli effetti come un
commentatore che dipende dal sostegno di un committente esterno.
Dunque gli scholia alla Politica sembrano collocarsi tra il 1130 e il 1136, anni
della già citata spedizione di Giovanni contro i Danishmendidi. Cosa pensare in-
vece della restante produzione di Michele? Il commento a Ethica Nicomachea V,
IX e X, che assieme agli scholia alla Politica e al commento al De interpretatione
non è citato nella lista di commenti che Michele ci ha lasciato,176 fu sicuramente
composto in un periodo antecedente, come dimostra un riferimento al commento
al libro X dell’Ethica Nicomachea presente negli scholia alla Politica.177 Lo stes-
so dicasi per un riferimento operato da Michele sempre negli scholia alla Politica
alla propria esegesi del De partibus animalium.178 È del tutto evidente che anche

173 Cfr. G. ARABATZIS, Παιδεία καὶ ἐπιστήμη στὸν Μιχαὴλ ’Εφέσιο. Εἰς Περὶ ζῴων μορίων Α 1,3 - 2,10,

Academy of Athens, Atene 2006, 35. La campagna è descritta da Niceta Coniata (Historia cit., I,18-21).
Sulla complessa situazione geopolitica in Asia Minore nella prima parte del XII secolo, si veda N. OIKO-
NOMIDÈS, Les Danishmendides, entre Byzance, Bagdad et le Sultanate d’Iconium, «Revue Numismatique», 6
(1983), 189-207. Secondo invece BARKER, Social cit., 141, Michele si sarebbe riferito agli eventi del 1096,
anno in cui i Bizantini e i Turchi avrebbero stabilito un patto di non belligeranza per far fronte alla difficile
situazione causata dal passaggio della prima crociata. Si noti tuttavia che Barker scrive prima della scoperta
da parte di Browning dell’orazione funebre per Anna Comnena redatta da Tornikès, senza dunque poter
usufruire di quei nuovi dati che hanno imposto la nuova datazione della vita e opera di Michele Efesio.
174 Si veda e.g. ARIST., Politica cit., 301, 311.
175 ARIST., Politica cit., 324,16-17.
176 Cfr. supra, 32-34.
177 ARIST., Politica cit., 303,20.
178 ARIST., Politica cit., 306,33-34.
I. Eustrazio di Nicea: biografia intellettuale di un teologo e commentatore bizantino 53

quest’opera, e verosimilmente tutti i commenti di Michele alle opere di filosofia


naturale di Aristotele, sono stati composti prima della composizione degli scholia
alla Politica, che come si è detto può essere ricondotta agli anni 1130-1135.
Questa conclusione si concilia bene con il ricordo personale di Giorgio Tor-
nikès, il quale – come si è avuto modo di segnalare – nell’orazione funebre per
Anna racconta di aver conosciuto personalmente Michele di Efeso quando questi
era vecchio, malato e, probabilmente, già inattivo.179 Considerando che il testo
dell’orazione è stato composto attorno al 1155 e che il ricordo di Giorgio non
sembra riferirsi a fatti recenti, bensì ad eventi ormai da tempo trascorsi, si può
verosimilmente pensare che Michele sia stato attivo al servizio di Anna diversi
anni prima, proprio nel decennio 1120-1130.
In realtà, anche raccogliendo e discutendo i pochi dati disponibili sulla bio-
grafia di Eustrazio si giunge ad una conclusione simile. Nel proprio commento
al II libro degli Analytica Posteriora, Eustrazio si dichiara commentatore non
professionista, autore di un commento solo per attendere ad una richiesta di
colleghi o discepoli (διὰ τὴν τῶν ἑταίρων ἀξίωσιν).180 Come abbiamo mostrato
altrove, anche questo riferimento risponde ad un topos letterario ben preciso che
vede in una richiesta di colleghi o amici il motivo che giustifica la composizione
di un’opera da parte di un autore.181 Infatti troviamo una formula pressoché iden-
tica in Galeno, un autore assai apprezzato dagli eruditi Bizantini del tempo.182
Tuttavia la corrispondenza con un topos letterario non vuol dire necessariamente
che questo riferimento ad una richiesta di colleghi sia fittizio; in questo caso, in-
fatti, mancando una dedica ad un mecenate, come invece nel caso dei commenti
ai libri I e VI dell’Ethica Nicomachea, è assai probabile che la composizione del
commento al II libro degli Analytica sia da collocare in un contesto altro rispetto
a quello dell’attività di Eustrazio e Michele al servizio di Anna, forse all’interno
dell’attività di insegnamento in una delle istituzioni costantinopolitane preposte

179 Cfr. supra, 31-32.


180 EUSTR., In II A.Po., 123,27-29.
181 M. TRIZIO, On the Byzantine Fortune of Eustratios of Nicaea’s Commentary on Books I and VI of the

Nicomachean Ethics, in B. BYDÉN/K. IERODIAKONOU (eds), The Many Faces of Byzantine Philosophy, Norwe-
gian Institute at Athens, Athens 2012 («Papers and Monographs from the Norwegian Institute at Athens»,
series 4,1.), 199-224, 201, nt. 10.
182 Cfr. e.g. GALENUS, De compositione medicamentorum per genera libri vii, ed. C.G. KÜHN, Claudii Galeni

opera omnia, vol. 13. Knobloch, Leipzig 1827 (ristampa: Olms, Hildesheim 1965), 362-1058, 887,17-19.
Sul tema, assai vasto, della fortuna di Galeno a Bisanzio, si veda la messa a punto di V. NUTTON, Galen in
Byzantium, in M. GRÜNBART/E. KISLINGER/A. MUTHESIUS/D. STATHAKOPOULOS (Hrsg.), Material Culture and Well-
being in Byzantium (400-1453), Österreichische Akademie der Wissenschaften, Wien 2007 («Veröffentli-
chen zur Byzanzforschung», XI), 171-176.
54 Il neoplatonismo di Eustrazio di Nicea

alla formazione superiore.183 Eustrazio si dichiara invece vecchio all’epoca della


composizione del commento al VI libro dell’Ethica Nicomachea, genericamente
alludendo alla richiesta della principessa di commentare il I libro della stessa
opera qualche «tempo addietro» (πρὸ χρόνου τινὸς),184 cosa che non lascerebbe
presumere un lasso temporale eccessivamente ampio tra la stesura del commento
al I libro e quello del commento al libro VI. Se dunque si accetta l’ipotesi genera-
le che colloca la morte di Eustrazio tra il 1120 e il 1130, e se si tiene conto allo
stesso tempo di questo riferimento dell’autore alla propria avanzata età, si può
concludere che anche l’attività di Eustrazio commentatore si colloca tra il 1120
e 1130, in convergenza con la cronologia ipotizzata per Michele.
C’è però qualche elemento aggiuntivo che permette di precisare ancora meglio
la cronologia della vita e dell’opera di questi due commentatori. Ci si riferisce
in particolare alla discrepanza sussistente in termini di quantità tra i commenti
redatti da Eustrazio e quelli redatti da Michele. Quelli redatti da quest’ultimo
sono di gran lunga superiori per numero rispetto a quelli redatti da Eustrazio, a
maggior ragione se si accetta che il commento al libro II degli Analytica Poste-
riora rientri all’interno di un contesto diverso rispetto a quello del mecenatismo
di Anna Comnena. Anche per Michele, come si è detto, vi è un problema simile,
quello cioè di distinguere tra commenti composti per far fronte ad una richiesta
di Anna, e commenti composti per un altra tipologia di lettore.185 Ma anche così,
i commenti che certamente Michele ha composto per Anna (quelli ai libri V, IX e
X dell’Ethica Nicomachea, quelli ai Parva Naturalia e agli altri trattati zoologici)
superano di gran lunga nel numero quelli composti da Eustrazio (i soli commenti
ai libri I e VI dell’Ethica Nicomachea). La morte, questa la nostra tesi, avrebbe
impedito al nostro autore di proseguire l’attività di commentatore
È possibile di fatto che Michele di Efeso abbia iniziato in parallelo con Eustra-
zio la propria attività di commentatore, ma nondimeno il fatto che tutto il carico
di lavoro sia poi andato a gravare sul primo, con la lunga serie di commenti ad
opere di Aristotele in precedenza menzionate, lascerebbe intendere che da un
certo punto sia stato Michele il vero motore del cosiddetto “circolo filosofico”
di Anna Comnena. Eustrazio, invece, non avrebbe potuto collaborare a tale pro-

183 Sulla natura e struttura delle istituzioni preposte all’educazione superiore si veda la letteratura citata

alla nt. 117. Per uno sguardo sul periodo successivo, si veda invece C.N. CONSTANTINIDES, Higher Education
in Byzantium in the Thirteenth and Early Fourteenth Centuries, 1204-ca.1310, Cyprus Resaerch Centre,
Nicosia 1982 («Texts and studies of the history of Cyprus») e S. MERGIALI, L’enseignement et les lettrés
pendant l’époque des Paléologues (1261-1453), ‘Εταιρεία των φίλων του λαοΰ, Athens 1996 (« έντρον
Έρεύνης Βυζαντίου», 5).
184 EUSTR., In VI EN, 257,1.
185 Cfr. supra, 35.
I. Eustrazio di Nicea: biografia intellettuale di un teologo e commentatore bizantino 55

getto se non in maniera limitata, con la composizione dei commenti ai libri I e


VI dell’Ethica Nicomachea. Sembrerebbe cioè che Eustrazio sia morto prima di
Michele, lasciando di fatto a quest’ultimo la maggiorparte del lavoro.186

4.3. Un circolo di aristotelici?


Passiamo ad un altro aspetto della vicenda, quello cioè della matrice per così
dire ideologica del cosiddetto “circolo” filosofico di Anna Comnena. Anche qui
il punto di partenza obbligato è costituito dal più volte citato studio di Browning,
che anche su questa questione ha segnato profondamente tutti gli studi successi-
vi relativi alla storia intellettuale della Bisanzio tra i secoli XI e XII.
Secondo Browning il progetto che Tornikès attribuisce ad Anna (quello cioè di
raccogliere un gruppo di intellettuali affinché questi componessero commenti ad
opere di Aristotele mai commentate prima) costituirebbe un deliberato tentativo
di restaurare un sistema di tipo aristotelico che si contrapponesse in maniera più
o meno diretta a quella che era stata la tendenza neoplatonizzante di personaggi
quali Michele Psello e Giovanni Italo.187 A nostro parere anche questa lettura
degli eventi è da rivedere per diversi motivi.
In primo luogo che Psello e Italo possano essere definiti come dei neopla-
tonici, come cioè autori che abbiano voluto restaurare un sistema di pensiero
neoplatonico in antitesi al pensiero di Aristotele, oltre che ai dogmi cristiani
accettati in quel tempo, è assai discutibile. È senz’altro vero che Proclo è l’autore
preferito di Psello per quel che concerne la filosofia. Di Proclo Psello sembra
fare un uso assai variegato, mostrandosi dell’opera procliana un lettore attento
e assai interessato.188 Nonostante ciò la lettura pselliana dell’opera di questo

186 Non vi è alcun sostegno alla tesi di Browning (An Unpublished cit., 7), pure avanzata con le dovute

cautele dall’autore, secondo la quale Eustrazio sarebbe stato il vero ispiratore e coordinatore del progetto
di commentare l’Ethica Nicomachea. Va segnalata invece la presenza di numerosi riferimenti in Michele
di Efeso a qualcuno dei suoi colleghi che collaboravano con lui. Ricklin (Der Traum der Philosophie im
12. Jahrhundert. Traumtheorien zwischen Konstantinus Afrikanus & Aristoteles, Brill, Leiden/Boston/Köln
1998, 300-305) e Kalogeridou (Μιχαήλ Εφεσίου Εις το Αριστοτέλους περί ζώων γενέσεως. Από την αρχαία
εξηγητική παράδοση στη βυζαντινή ερμηνευτική πρακτική, University Studio Press, Thessaloniki 2010, 93-
95) ritengono probabile che Michele di Efeso si riferisca a Eustrazio di Nicea, cosa da cui deriverebbe che
anche Michele Efesio sarebbe stato discepolo di Giovanni Italo.
187 Cfr. BROWNING, An Unpublished cit., 7: «If some measure of probability can be accorded to our hypoth-

esis thus far, Anna Comnena played a key role in the revival of Aristotelian scholarship in the Byzantine
world. It has long been a commonplace that the renaissance of Aristotelian exegesis depended ultimately on
the renewed interest in and grasp of ancient philosophical tradition displayed by men like Michael Psellus
and John Italus in the elevent century. But this remains a vague formulation. The tendency of Psellus and
John Italus was Platonist or Neoplatonist rather than Aristotelian».
188 Si veda e.g. PAPAIOANNOU, Rhetoric cit., 88-128 et passim; D.J. O’MEARA, Michael Psellos, in S. GERSH
56 Il neoplatonismo di Eustrazio di Nicea

grande neoplatonico è assai accorta. Infatti Psello non esita a condannare questo
autore allorquando aspetti del suo pensiero contraddicano i principali dogmi
cristiani. Ad esempio in uno dei suoi trattati di meteorologia Psello scrive a
proposito della demonologia degli Oracoli Caldaici che Proclo è semplicemente
un «affabulatore» (ὁ τερατολόγος), qualcuno cioè che racconta storie assurde,189
mentre gli Oracoli Caldaici – alla cui riscoperta, per inciso, lo stesso Psello
aveva contribuito in maniera determinante –190 vengono bollati come «assurdi-
tà» (ληρωδίαι),191 termine questo usato dai Padri Greci per bollare le eresie.192
Altrove lo stesso Psello descrive sommariamente i diversi tipi di anima secondo
i filosofi “ellenici” e conclude:

Ταῦτα μὲν οὖν Ἰάμβλιχοι καὶ Πλωτῖνοι καὶ Πρόκλοι καὶ πρό γε πάντων ὁ τὰς
ἀφορμὰς τούτοις δοὺς Πλάτων περὶ τούτων ληρούντων. ἐγὼ δὲ περὶ τῶν θείων
οὐδέν τι συλλογιζόμενος οὐδὲ μεθόδοις Ἑλληνικαῖς ἑπόμενος, ἀλλὰ τοῖς καθ’ ἡμᾶς
λογίοις ὁμιλῶν.
[«Dunque queste sono le opinioni dei vari Giamblico, Plotino, Proclo; prima di co-
storo, che parlano su queste questioni in maniera assurda, era stato Platone colui che
aveva posto le basi per queste dottrine. Di contro, né io produco sillogismi sulle cose
divine, né seguo i metodi di indagine degli elleni, ma sostengo le nostre dottrine.»]193

Allo stesso modo, dopo aver esposto brevemente le posizioni dei Greci sui
modi di invocare le divinità, Psello scrive:

Ταῦτα δὴ Πορφύριος καὶ Ἰάμβλιχος καὶ ὁ τερατολόγος Πρόκλος ἐλήρησαν· ἐμοὶ γὰρ
ἀποπεφάνθω μηδὲν τούτων τυγχάνειν ἀληθές. ἀλλ’ ἡμεῖς γε οὐ τὰς θεραπευούσας
μόνον βοτάνας, ἀλλὰ καὶ τὰς φαρμακώδεις εἰδέναι ὀφείλομεν, ὡς ἂν ταύταις μὲν
ὑγιαζοίμεθα, ἐκείνων δὲ πόρρω γιγνοίμεθα καὶ μὴ ὡς οἰκείοις τοῖς ἀλλοτρίοις
περιπίπτοιμεν.
[«Queste erano le assurde dottrine di Porfirio, Giamblico e di Proclo l’affabulatore.
Intendo chiarire che nessuna di queste dottrine è veritiera; ma noi dobbiamo impa-

(ed.), Interpreting Proclus. From Antiquity to the Renaissance, Cambridge University Press, Cambridge
2014, 165-181.
189 Il termine in questione possiede una valenza profondamente negativa. Cfr. LAMPE, A Patristic cit., s.v.
190 Su questo si veda P. ATHANASSIADI, Byzantine Commentators on the Chaldean Oracles: Psellos and

Plethon, in IERODIAKONOU (ed.), Byzantine cit., 237-252.


191 MICHAEL PSELLUS, Opuscula logica, physica, allegorica et alia, 19, ed. J. DUFFY, Teubner, Leipzig 1992

(«Bibliotheca Teubneriana»), 74,167-75,176.


192 Cfr. LAMPE A Patristic cit., s.v.
193 MICHAEL PSELLUS, Opuscula Psychologica, theologica, daemonologica, 19, ed. D.J. O’MEARA, Teubner,

Leipzig 1989 («Bibliotheca Teubneriana»), 89,26-29.


I. Eustrazio di Nicea: biografia intellettuale di un teologo e commentatore bizantino 57

rare a riconoscere non solo le erbe terapeutiche, ma anche quelle velenose, così da
diventare sani con le prime e di evitare le seconde, senza fare nostre dottrine che
sono estranee.»]194

Quanto a Italo, il suo approccio appare ancora più radicale di quello suggerito
da Psello. Su questioni quali il concetto di ‘materia’ e di ‘natura’, dove più forte
si poteva avvertire l’inconciliabilità della filosofia ellenica con la Rivelazione,
Italo sostiene esplicitamente che i filosofi pagani sono da rigettare come eretici
e che su queste problematiche occorre seguire solo i Padri Greci.195
Come si può vedere, dunque, è assai problematico parlare di “neoplatonismo”
in rapporto a intellettuali quali Psello e Italo, visto che la loro attitudine nei
confronti della letteratura neoplatonica non era affatto di entusiasmo privo di
senso critico. Alla luce di quanto appena detto, pensare che Anna abbia voluto
contrapporsi in qualche modo ad una presunta tendenza neoplatonizzante pre-
cedente significherebbe sostenere un’inaccettabile generalizzazione di quello
che è il complesso rapporto di Psello e Italo con le fonti neoplatoniche pagane.
A nostro parere se proprio si volesse istituire un paragone con gli autori della
generazione immediatamente precedente, come appunto con il celeberrimo e
autorevole Michele Psello, occorrerebbe lasciare da parte la questione delle fonti
neoplatoniche, per concentrarsi invece sul modo in cui lo stesso Psello conside-
rava gli scritti di filosofia naturale aristotelica. Su questo un passo dell’orazione
funebre composta da Psello per Giovanni Xifilino è assai indicativo:

τὰ δὲ περὶ ἀνθρώπων φύσεως ὁ ἐκ Περγάμου Ἀσκληπιάδης κάλλιον Ἀριστοτέλους


φυσιολογεῖ ἐν τῷ περὶ χρείας μορίων συντάγματι· τὰ δέ γε περὶ ζώων αὐτῷ
συναίρεμά ἐστιν ἀλλοτρίων ἱστοριῶν, καὶ μᾶλλον ἂν ἀπὸ τοῦ είλου πίοιμι ἢ τοῦ
ἀμφορέως ὃς τοῦ ειλῴου ἠρύσατο ῥεύματος.
[«Per quanto riguarda la natura dell’uomo, il medico di Pergamo ne ha investigato la
natura nel suo trattato sull’utilità delle membra del corpo meglio di Aristotele. Quanto
agli scritti sugli animali di quest’ultimo, essi sono solo una collezione di ricerche rac-

194 MICHAEL PSELLUS, Theologica, 74, ed. P. GAUTIER, Michaelis Pselli theologica, vol. 1, Teubner, Leipzig

1989 («Bibliotheca Teubneriana»), 297,145-149. Altre testimonianze dello stesso tipo sono state raccolte
in E.V. MALTESE, La teologia bizantina nell’undicesimo secolo fra spiritualità monastica e filosofia ellenica,
in G. D’ONOFRIO (a cura di), Storia della teologia nel Medioevo, Piemme, Casale Monferrato 1996, 555-587.
195 Sull’approccio di Italo si veda M. TRIZIO, A Late-Antique Debate on Matter-Evil Revisited in Byzantium:

John Italos and his Quaestio 93, in G. VAN RIEL/P. D’HOINE (eds), Fate, Providence and Moral Responsibility in
Ancient, Medieval and Early Modern Thought. Studies in Honour of Carlos Steel, Leuven University Press,
Leuven 2014, 383-394; ID., Eleventh- to Twelfth-Century Byzantium, in GERSH (ed.), Interpreting cit., 182-
215, in part. 181-190.
58 Il neoplatonismo di Eustrazio di Nicea

colte dalle opere di altri autori. Preferirei bere l’acqua direttamente dal Nilo piuttosto
che da un’anfora contenente acqua attinta da quel fiume.»]196

Lo scritto del medico di Pergamo che, secondo Psello, sarebbe di gran lunga
preferibile agli scritti di zoologia e filosofia naturale di Aristotele, è ovviamente
il De usu partium corporis di Galeno. Questa fonte è preferita da Psello agli scritti
aristotelici di fisiologia e zoologia, in quanto questi sarebbero in realtà una col-
lezione di informazioni di seconda mano. Da quali fonti in particolare, questo
Psello non lo dice. Ciò che invece l’erudito Bizantino non risparmia è l’ironia.
Il testo infatti si chiude con un ironico riferimento allo (pseudo) aristotelico De
inundatione Nili, paragonato ad un’anfora contenente l’acqua del Nilo (il che
vorrebbe significare che anch’esso conterrebbe informazioni di seconda mano),
a cui Psello preferisce bere direttamente l’acqua stessa di questo fiume (ossia
fonti di prima mano).197
Sicuramente, invece, i commenti di Michele di Efeso ai Parva Naturalia e
agli scritti di zoologia di Aristotele testimoniano di una considerazione per la
filosofia naturale di Aristotele ben diversa rispetto al severo giudizio di Michele
Psello. Anche rispetto al rapporto tra Aristotele e Galeno la testimonianza di
Michele di Efeso è improntata a moderazione. Nel suo commento ai Parva Na-
turalia, infatti, Michele si limita a segnalare in un caso una divergenza tra Ari-
stotele e Galeno, senza preferire nessuna di queste due fonti;198 in un altro caso,
invece, Michele segnala la convergenza tra questi autori.199 In parole povere, a
differenza di Psello, non vi è in Michele di Efeso alcuna preclusione ideologica
nei confronti degli scritti naturalistici di Aristotele.
Né, tuttavia, nei commenti di Michele di Efeso è presente la traccia di una
virata a favore di Aristotele in alternativa rispetto ad altre fonti come quelle della
tradizione platonica e neoplatonica. Michele infatti sembra animato dall’inten-
zione di produrre un’esegesi meramente esplicativa del testo Aristotelico, senza
partigianeria e senza di fatto contrapporre le varie auctoritates. Del resto, come
si è avuto modo di segnalare, i neoplatonici avevano escluso i Parva Naturalia
e gli scritti di zoologia dal novero delle opere meritevoli di essere lette, per cui
è ovvio che per un commentatore bizantino che avesse voluto cimentarsi con gli

196 MICHAEL PSELLUS, Orationes cit., 160,75-79


197 Sulla considerazione pselliana dell’opera di Aristotele, si veda l’ottimo B. BYDÉN, ‘No Prince of Perfec-

tion’: Byzantine Anti-Aristotelianism from the Patristic Period to Pletho, in D. ANGELOV/M. SAXBY (eds), Power
and Subversion in Byzantium. Papers from the 43rd Spring Symposium of Byzantine Studies, Birmingham,
March 2010, Ashgate, Farnham 2013, 147-176, 169-171.
198 Cfr. e.g. MICHAEL EPHESIUS, In Parva cit., 52,29-20.
199 MICHAEL EPHESIUS, In Parva cit., 67,20-22.
I. Eustrazio di Nicea: biografia intellettuale di un teologo e commentatore bizantino 59

argomenti trattati da Aristotele in quelli scritti la scelta era quasi obbligata, o


comunque essa includeva come alternativa, ad esempio, Galeno e non certo i
testi dei neoplatonici.200 Se Michele, dunque, non sembra accettare il presunto
approccio neoplatonizzante dei suoi illustri predecessori, questo dipende dal
fatto che la letteratura neoplatonica era povera di materiale che potesse essere
utile a questo commentatore bizantino.
Ma che i commenti la cui composizione è da ascrivere al mecenatismo di An-
na non possano essere interpretati come un ritorno ad Aristotele a discapito del
favore per le fonti neoplatoniche che sembra riscontrarsi in autori come Michele
Psello, questo lo dimostra ancora meglio il caso di Eustrazio di Nicea. Infatti una
lettura anche solo superficiale dei commenti di Eustrazio ad Aristotele basta ad
allontanare definitivamente la tesi di Browning sulla matrice ideologica aristote-
lica del cosiddetto “circolo” filosofico di Anna Comnena. Per Eustrazio, infatti,
è ancora il neoplatonico Proclo la fonte primaria attraverso la quale leggere i
testi di Aristotele, al punto da contestare in maniera diretta e aperta il Filosofo
allorquando questi, ad esempio, critica nel I libro dell’Ethica Nicomachea la
teoria platonica del Bene ideale.201 O ancora, quando si tratta di discutere la
teoria aristotelica della conoscenza, rispetto alla quale Eustrazio mostra tut-
te le rimostranze di un neoplatonico.202 Di fronte a questi dati è francamente
impossibile accettare la tesi di Browning sul presunto “aristotelismo” di Anna
Comnena; infatti più che una rottura rispetto al tendenza manifestatasi in Psello,
qui abbiamo una vera e propria continutità rispetto alla preferenza per Proclo
e in generale per i neoplatonici evidente nell’opera pselliana. Di aristotelismo,
inteso come la difesa consapevole di un sistema dottrinale autentico e antitetico
ad altri, in Eustrazio, così come in Michele di Efeso, non vi è traccia.203

4.4. Sul concetto di “circolo”


Come si è avuto modo di vedere la tesi di Browning sull’esistenza di un “cir-
colo” filosofico di matrice aristotelica attorno ad Anna è assai problematica. In
primis abbiamo segnalato la scarsità di dati relativa ai personaggi che avrebbero
frequentato questo circolo. A parte la presenza certa di Eustrazio e Michele di
Efeso, non vi sono prove evidenti della partecipazione di altre figure al progetto

200 Cfr. supra, 57-58.


201 Cfr. infra, 122-142.
202 Cfr. infra, 143-187.
203 Dubbi sulla matrice ideologica aristotelica del cosiddetto “circolo filosofico” di Anna Comnena sono

stati anche espressi in E. DE VRIES-VAN DER VELDEN, Théodore Métochite. Une réévaluation, J.C. Gieben,
Amsterdam 1987, 111, nt. 10.
60 Il neoplatonismo di Eustrazio di Nicea

che Anna avrebbe promosso. Poi abbiamo affrontato la questione della cronolo-
gia, mostrando come di fatto essa vada ripensata sulla base di elementi di diversa
natura rispetto a quelli presi in considerazione dagli studiosi fino a questo mo-
mento. Infine, abbiamo esaminato la parte della tesi di Browning che concerne
l’orientamento ideologico del presunto progetto di Anna Comnena attribuitole da
Tornikès, mostrando come un orientamento di tipo aristotelico, o comunque un
orientamento antitetico rispetto alla tendenza evidente in Psello a prediligere le
fonti neoplatoniche, sia di fatto assente.
È ora invece il momento di approcciare la questione direttamente discutendo
l’idea e l’immaginario stesso cui il termine ‘circolo’ rimanda per noi moderni. Ri-
teniamo infatti che una delle difficoltà più grosse in cui ci si imbatte allorquando
si prenda in esame la tesi di un “circolo” filosofico attorno ad Anna è legata,
oltre che ai problemi già segnalati relativi alle fonti, anche al modo stesso in cui
il termine ‘circolo’ viene compreso.
Secondo l’Oxford Dictionary and Thesaurus il termine ‘circle’ rimanda, tra gli
altri, a «persons grouped round a centre of interest» e, più in dettaglio, ad un
«set, or class, or restricted group».204 Uno degli aspetti che, ad esempio, sfugge
a questa definizione, è la questione del rapporto sociale sussistente tra i membri
del circolo in questione e della dimensione all’interno della quale l’interesse
attorno al quale il circolo si costituisce viene condiviso e comunicato. In questa
definizione, insomma, manca un qualsivoglia accenno alla tipologia di relazione
che lega i sodali e al tipo di comunicazione che intercorre tra di loro.
Per comprendere meglio la cosa è forse opportuno partire dal termine che in
letteratura tardo-antica e bizantina è più vicino all’idea di ‘circolo letterario’. Il
termine in questione è, come noto, quello di ‘theatron’.205 Non esiste una defini-
zione univoca e codificata di questo termine. Esso rimanda a seconda dei con-
testi a diverse realtà. Tuttavia, si tratta di un termine che, nell’accezione che ci
interessa più da vicino, rimanda ad 1) un incontro tra individui che condividono
un interesse comune; 2) ad un contesto in cui viene eseguita una performance
pubblica, spesso consistente nella lettura di un componimento poetico o retorico;
3) ad una particolare relazione inscindibile tra scrittura e oralità; in altre parole
il testo scritto va compreso in quanto destinato alla comunicazione orale di fronte
ad un pubblico; 4) ad una fruizione cui segue inevitabilmente un giudizio o un
riscontro da parte dell’uditorio.

204 Cfr. Oxford Dictionary and Thesaurus, edited by S. TULLOCH, Oxford University Press, Oxford/Mel-

bourne 1995, s.v.


205 Sulle trasformazioni del termine in questione tra tardo-antico e periodo medio e tardo bizantino,

si veda W. PUCHNER, Zur Geschichte der antiken Theaterterminologie im nachantiken Griechisch, «Wiener
Studien», 119 (2006), 79-113.
I. Eustrazio di Nicea: biografia intellettuale di un teologo e commentatore bizantino 61

A seconda dei casi inoltre il termine rimanda anche al particolare tipo di rap-
porto sociale e personale tra i componenti del circolo. Si tratta cioè di momenti
di condivisione di un’espressione artistico-culturale in cui non sempre i parte-
cipanti si trovano nella medesima posizione. L’adesione al medesimo ‘theatron’
non implica quasi mai l’uguaglianza tra i partecipanti. Al contrario, la letteratura
restituisce l’idea che il contesto di performance implicito nel concetto di ‘thea-
tron’ rimandi all’esistenza di figure guida: maestri o comunque personaggi dal
prestigio unanimamente riconosciuto, da un lato, mecenati e patroni, dall’altro.
In altre parole quando si considera la nozione bizantina di ‘circolo’, ‘theatron’,
occorre prestare attenzione al fatto che tale circolo non si costituisce solo attorno
ad un punto di interesse comune – come suggerito invece dalla nozione moderna
di ‘circolo letterario’ prima presa in esame –, ma anche e soprattutto attorno a
delle figure, a dei personaggi dal cui prestigio e dalle cui risorse questo sodali-
zio erudito dipende. Il theatron sarebbe in questo senso anche il riflesso di un
rapporto sociale asimmetrico tra un mecenate, che provvede al sostentamento
degli individui che del circolo fanno parte, e i partecipanti al circolo stesso, che
ricambiano con la loro opera letteraria.206
La maggiorparte delle testimonianze sui theatra per quel che riguarda la lette-
ratura bizantina (IX-XV secolo) sembra concentrarsi (anche in virtù di un nume-
ro maggiore di testimonianze di natura paleografica) sul periodo immediatamen-
te precedente e su quello sucessivo a quello in cui dovettero operare Eustrazio di
Nicea e Michele di Efeso, ossia l’inizio del XII secolo.207 Purtuttavia, benché in

206 Sulla complessità dei fenomeni inclusi nel termine ‘theatron’ in rapporto ai sodalizi eruditi nella

tarda antichità e a Bisanzio, si veda tra gli altri P. MARCINIAK, Byzantine Theatron – A Place of Performance?
in M. GRÜNBART (Hrsg.), Theatron. Rhetorische Kultur in Spätantik und Mittelalter – Rhetorical Culture in
Late Antiquity and the Middle Ages, De Gruyter, Berlin-New York 2007 («Millennium-Studien zu Kultur
und Geschichte des ersten Jahrtausends n. Chr./Millennium-Studies in the Culture and History of the First
Millennium C.E.», 13), 277-285. Si vedano anche le osservazioni di N. GAUL, Thomas Magistros und die
spätbyzantinische Sophistik. Studien zum Humanismus urbaner Eliten in der frühen Palaiologenzeit, Harra-
sowitz, Wiesbaden 2011 («Mainzer Veröffentlichungen zur Byzantinistik», 10), 17-61; 267-272.
207 Tuttavia in merito al secolo XII si può consultare l’eccellente M. MULLETT, Aristocracy and Pa-

tronage in the Literary Circles of Comnenian Constantinople, in M. ANGOLD (ed.), The Byzantine Aristo-
cracy from IX to XIII Centuries, B.A.R., Oxford 1984 («BAR International Series», 221), 173-201.
Sullo stesso periodo si vedano anche le stimolanti riflessioni presenti in P. MAGDALINO, The Empire cit.,
335-356. Sul periodo successivo (secoli XIII-XV) si vedano H. HUNGER, Klassizistische Tendenzen in der
byzantinischen Literatur des 14. Jahrhunderts, in M. BERZA/E. STǍNESCU (éd), Actes du XIVe Congrès In-
ternational des Études Byzantines, 1, Editura Academiei Republicii Socialiste România, Bucarest 1974-
76, 139-151; I. MEDVEDEV, The So-called Theatra as a Form of Communication of the Byzantine Intellec-
tuals in the 14th and 15th Centuries, in N.G. MOSCHONAS (ed.), Πρακτικά του β’ διεθνούς συμποσίου. Η
ἐπικοινωνία στο Βυζάντιο, έντρο Βυζαντινών Ερευνών – Ε Ε, Athens 1993, 227-235; GAUL, Thomas
Magistros cit. (in toto). Sul riflesso nella cultura scritta delle varie pratiche intellettuali legate ai ‘theatra’
si vedano tra gli altri G. CAVALLO, Sodalizi eruditi e pratiche di scrittura a Bisanzio, in J. HAMESSE (éd.),
62 Il neoplatonismo di Eustrazio di Nicea

numero inferiore, anche le notizie sui theatra dei secoli XI e XII sono sufficienti
per operare un confronto con il cosiddetto “circolo” di Anna Comnena. In altre
parole, mettendo per un attimo da parte tutti i problemi prima discussi circa
le fonti, occorre chiedersi: davvero questo “circolo” rientra nella tipologia del
theatron che qui abbiamo sommariamente descritto?
Ad un primo sguardo sembrerebbe che il cosiddetto “circolo” di Anna Comne-
na non sia confrontabile con i più importanti theatra del secolo XII, in primis per
quel che concerne la tipologia letteraria dei prodotti di questi theatra. Si pensi
in particolare a quello che probabilmente fu il più importante theatron di questo
periodo, quello assai noto che vide personaggi del calibro di Teodoro Prodromo,
Giovanni Tzetze, l’autore noto come Prodromo Manganeo, Costantino Manasse
e il monaco Iakovos legarsi alla Sebastokratorissa Irene, cognata dell’impera-
tore Manuele I (1118-1180).208 Proprio in rapporto a questo circolo, il cosid-
detto “circolo” di Anna Comnena appare radicalmente diverso se si pensa alla
particolare produzione letteraria legata al circolo della Sebastokratorissa Irene.
Come accennato, si tratta soprattutto di componimenti poetici o retorici, un tipo
di letteratura che ben si concilia con la dimensione di performance propria del
theatron tardo-antico e bizantino.209 Ma nel caso del “circolo” filosofico di An-
na Comnena ci troviamo di fronte a commenti, di ingenti proporzioni, ad opere
filosofiche; si tratta cioè di un tipo di produzione letteraria che difficilmente
potrebbe adattarsi a quella complessa dinamica interna al theatron caratterizzata
da un momento di comunicazione orale e da un successivo giudizio critico dell’u-
ditorio. È francamente arduo immaginare che commenti quali quelli composti da
Eustrazio e Michele di Efeso fossero destinati ad una lettura pubblica.
È senz’altro vero che nel concludere la sua parafrasi al De interpretatione

Bilan et perspectives des études médiévales (1993-1998). Euroconférence (Barcelone, 8-12 juin 1999). Actes
du IIe Congrès Européen d’Etudes Médiévales, Brepols, Turnhout 2010, 645-665; D. BIANCONI, Eracle e Iolao.
Aspetti della collaborazione tra copisti nell’età dei paleologi, «Byzantinische Zeitschrift», 96 (2004), 521-
558; P. ORSINI, Pratiche collettive di scrittura a Bisanzio nei secoli IX e X, «Segno e Testo», 3 (2005), 265-342.
208 Sugli scarni dati relativi alla biografia di Irene, si vedano O. LAMPSIDIS, Zur Sebastokratorissa Eire-

ne, «Jahrbuch der Österreichischen Byzantinistik», 34 (1984), 91-105; E. JEFFREYS, Who was Eirene the
Sevastokratorissa?, in «Byzantion», 64 (1994), 40-68; Sul circolo costituitosi attorno a questa ancora per
molti versi misteriosa figura, si vedano EAD., The Sevastokratorissa Eirene as Literary Patroness: the Monk
Iakovos, «Jahrbuch der Österreichischen Byzantinistik», 82/3 (1982), 63-71; EAD., The Sebastokratorissa
Eirene as a Patron, in M. MULLET/M. GRÜNBART/L. THEIS (eds), Female Founders in Byzantium and Beyond,
Böhlau Verlag, Wien-Köln-Weimar 2011-2012 («Wiener Jahrbuch für Kunstgeschichte», 60-61), 175-192;
A. RHOBY, Verschiedene Bemerkungen zur Sebastokratorissa Eirene und zu Autoren in ihrem Umfeld, « ἐα
Ῥώμη», 6 (2009), 305-336.
209 Sulla dinamica della performance all’interno del theatron, si veda ancora MARCINIAK, Byzantine cit.,

282-285. Ma si veda anche MULLETT, Aristocracy cit., 179.


I. Eustrazio di Nicea: biografia intellettuale di un teologo e commentatore bizantino 63

aristotelico, Michele Psello utilizza esplicitamente il termine ‘theatron’ per de-


scrivere il suo uditorio:

οὕτω μὲν οὖν ἐγὼ ἐν τῷ λογίῳ τούτῳ θεάτρῳ τοῦ Ἀριστοτέλους πρόσωπον
ἐμαυτῷ περιθέμενος, τὸν ἐκείνου περὶ τῶν ἀποφαντικῶν λόγων ἐξωρχησάμην
ὑπομνηματισμόν, εὐστόχως μὲν παντάπασιν οὐκ ἂν εἴποιμι, ἐπηβολώτατον δὲ καὶ
γενναιότατον.
[«Così dunque io, nell’impersonare Aristotele in questo circolo erudito, ho raccontato
il commento sui discorsi apofantici; magari non potrei dire di averlo fatto nell’in-
sieme in maniera perfetta, ma per lo meno l’ho fatto con massima perizia e nobiltà
d’animo.»]210

Qui Psello racconta di aver impersonato Aristotele di fronte ad un erudito


theatron, lasciando quasi intendere che egli abbia declamato il testo della pa-
rafrasi pubblicamente di fronte ad un uditorio, alla maniera in cui venivano de-
clamati pubblicamente i componimenti poetici nei theatra della tarda antichità
e a Bisanzio. Anche la forma ἐξωρχησάμην impiegata da Psello per descrivere
l’esecuzione dell’esegesi del testo aristotelico è presa dal linguaggio della per-
formance e della gestualità; il termine infatti significa tra le altre cose ‘render
noto tramite la danza’.211
Questa testimonianza sembrebbe suggerire che per certi versi anche
componimenti non poetici come le opere di filosofia godessero di una fruizione
all’interno di una dimensione orale. In realtà le cose sono più complicate di quanto
sembrano. Infatti questo testo di Psello altro non fa se non giocare su quello che
era il canone riconosciuto per il genere letterario della parafrasi, successivamente
codificato in maniera esplicita dal monaco e commentatore Sofonia (XIII-XIV
sec.).212 Secondo questo canone, a differenza che per i commenti letterali, le

210 MICHAEL PSELLUS, In De int. paraphrasis, ms. Laur. Plut. 10,26, f. 176r. La parafrasi pselliana al De

interpretatione è ancora inedita. Informazioni sui mss. e sulla letteratura esistente si trovano in P. MOORE, Iter
Psellianum. A Detailed Listing of Manuscript Sources for All Works Attributed to Michael Psellos, Including a
Comprehensive Bibliography, Pontifical Institute for Medieval Studies, Toronto 2005, 241-246.
211 Cfr. H.H. LIDDEL/R. SCOTT, A Greek-Eglish Lexicon, Revised and Augmented throughout by H.S. JONES,

with the Assisitance of R. MCKENZIE, Clarendon Press, Oxford 1968, s.v. Si veda anche LAMPE, A Patristic
cit., s.v.
212 SOPHONIAS, In Aristotelis libros de anima paraphrasis, ed. M. HAYDUCK, Reimer, Berlin 1883 («Commen-

taria in Aristotelem Graeca», XXIII,1), 1,1-2,3. Su questo interessante testo e le sue radici tardo-antiche, si
vedano H.J. BLUMENTHAL, Sophonias’ Commentary on Aristotle’s De anima, in L. BENAKIS (ed.), Neoplatonisme
et philosophie médiévale, Brepols, Turnhout 1997 («Rencontre de Philosophie Médiévale», 6), 307-317; B.
BYDÉN, Λογοτεχνικές καινοτομίες στα πρώιμα παλαιολόγεια υπομνήματα στο Περὶ ψυχῆς του Αριστοτέλη,
«Υπόμνημα στη Φιλοσοφία», 4 (2006), 221-251; K. IERODIAKONOU, The Byzantine Commentator’s Task:
Transmitting, Transforming or Transcending Aristotle’s Text, in A. SPEER/P. STEINKRÜGER (Hrsg.), Knotenpunkt
64 Il neoplatonismo di Eustrazio di Nicea

parafrasi si caratterizzano per il fatto che il parafraste parla in prima persona,


come se stesse appunto impersonando l’autore stesso del testo, in questo caso
Aristotele.213 Ed è proprio quello che Psello dichiara nella chiosa prima citata:
come un attore di fronte ad una platea, egli ha recitato il ruolo di Aristotele.
In questo caso il riferimento al theatron potrebbe essere quindi figurato: non
tanto una performance realmente avvenuta di fronte ad un pubblico, quanto una
performance immaginaria, quella appunto del parafraste che impersona l’autore
del testo di fronte ad un pubblico di lettori. Questo perché, lo ripetiamo, appare
difficile immaginare come la lettura di un lungo testo come la parafrasi pselliana,
potesse adattarsi alla dimensione della performance di fronte ad un pubblico.
A meno che non si voglia intendere per ‘theatron’ un’adunata di studenti in un
luogo fisico deputato alla pratica dell’insegnaento/apprendimento.
Quale che sia la corretta interpretazione di questo passo, è chiaro che Psello
conosceva assai bene la realtà dei theatra. La scelta accorta del linguaggio
lo conferma. Quanto al riferimento pselliano ad un erudito theatron, esso
non necessariamente va preso alla lettera. Una parafrasi come quella al De
interpretatione, e ancor più un commento come quelli di Eustrazio ai libri I e
VI dell’Ethica Nicomachea (che occupano più di trecento pagine nell’edizione
moderna del testo), non sono prodotti letterari che si adattano alla fisionomia dei
theatra bizantini a noi noti.
È del tutto evidente che il “circolo” di Anna Comnena non ha nulla a che
fare con la dinamica del theatron come contesto di una performance. Se di
“circolo” si vuole ancora parlare, occorre individuare una significazione del
termine in questione diversa da quella relativa al termine ‘theatron’. In questo
senso, se vi è qualcosa che del concetto di ‘theatron’ è opportuno ritenere, questo
è probabilmente la prospettiva del rapporto sociale tra produttori e fruitori di
cultura. Seguendo questa strada si può forse arrivare a ridefinire il contesto in
cui i commenti di Eustrazio e Michele di Efeso furono composti. In particolare
è opportuno richiamare le cautele espresse da Margaret Mullet più di trenta
anni fa in un articolo ancora attualissimo, dove la studiosa metteva in guardia
dal rischio di troppo facili raggruppamenti di individui in circoli e invitava a
ripensare l’intera questione dei circoli intellettuali in età Comnena ponendo la
questione della base sociale della letteratura di questo periodo e della relazione
particolare tra produttori e fruitori di cultura.214

Byzanz, Wissenformen und Kulturelle Wechselbeziehungen, De Gruyter, Berlin-Boston 2012 («Miscellanea


Mediaevalia», 36), 199-209.
213 Sulla dimensione artistica della parafrasi, si veda A. PIGNANI, La parafrasi come forma d’uso strumen-

tale, «Jahrbuch der Österreichischen Byzantinistik», 32/3 (1982), 21-32.


214 MULLETT, Aristocracy cit., 173-174.
I. Eustrazio di Nicea: biografia intellettuale di un teologo e commentatore bizantino 65

La Mullet ha giustamente ricordato come sia stato proprio Browning ad


esortare gli studiosi a resistere dalla tentazione di facili raggruppamenti tra
individui apparentemente accomunati da assonanze stilistiche.215 Eppure, come
si è già detto, è lo stesso Browning ad aver troppo affrettatamente legato vari
personaggi al “circolo” di Anna, come Giacomo Veneto e altri. Ovviamente non si
intende qui sminuire il contributo immenso di questo studioso allo stato dell’arte
dell’intera questione; si vuole solo stigmatizzare la tendenza, a onor del vero non
solo propria della bizantinistica, di far quadrare i dati a nostra disposizione in
maniera, per così dire, concordista, ossia smussando differenze e discontinuità
per ottenere una narrazione plausibile. Così figure che appaiono ad un primo
sguardo affini per gusti e tendenze letterarie vengono collocate nel medesimo
gruppo omogeneo; personalità che magari hanno dedicato indipendentemente le
une dalle altre un prodotto letterario ad un patrono, vengono automaticamente
ricondotte ad un gruppo o circolo di intellettuali, anche se – ed è appunto il caso
di alcuni personaggi associati tradizionalmente al “circolo” di Anna Comnena
– mancano prove di una reale connessione e condivisione di uno spazio di
trasmissione e comunicazione letteraria quale il theatron.216
L’antidoto a questa tendenza è quello di attenersi il più possibile alle fonti e
di esaminare scrupolosamente i testi e la biografia degli autori che si è tentati
di collocare nello stesso gruppo.217 Così abbiamo segnalato come siano solo due
i personaggi associabili direttamente ad Anna, Eustrazio e Michele di Efeso.
Adesso tocca segnalare come in nessuna fonte a nostra disposizione relativa ad
Anna ed ai suoi interessi per la filosofia compaia un termine tecnico associabile
alla nozione di ‘circolo’. Tornikès parla in maniera generica di un numero elevato
di intellettuali che Anna avrebbe avuto al proprio servizio,218 ma di fatto cita solo
il nome di Michele di Efeso, cui non a caso è riconducibile la maggiorparte del
materiale associabile con maggiore sicurezza ad un progetto o intento di Anna.
Purtuttavia, anche la penuria di fonti o la loro insufficienza, non può essere
una scusa per non esaminare il tipo di relazione che lega Eustrazio e Michele,
da una parte, e Anna, dall’altra. La domanda insomma resta: qual’era la funzione
sociale di questo presunto progetto? Chi erano i lettori destinatari dei commentari
composti da Eustrazio e Michele? Quale fu il reale contesto della produzione di
queste opere? Anche in rapporto a queste domande occorre rifuggire da risposte
che, pur in linea di principio corrette, producono nei fatti inaccettabili genera-
lizzazioni che ci allontanano dalle risposte che cerchiamo.

215 MULLETT, Aristocracy cit., 174. Il riferimento è a BROWNING, An Unpublished cit., 7.


216 Cfr. supra, 31-43.
217 Su questo tipo di approccio, si veda MULLETT, Aristocracy cit., 182.
218 GEORGIUS TORNICES, In mortem cit., 281,4-5.
66 Il neoplatonismo di Eustrazio di Nicea

La prima di queste generalizzazioni si lega al concetto di ‘letteratura di corte’.


Se, da un lato, è chiaro che la corte imperiale e l’entourage che ruotava attorno
ad essa erano probabilmente il contesto dove si concentrava il più alto tasso
di alfabetizzazione a Bisanzio, è anche vero che, a parte alcune significative
eccezioni,219 di per sé non esistono testimonianze che legano i circoli intellet-
tuali riconosciuti o supposti dagli studiosi alla corte di un qualche imperato-
re.220
Istituzioni culturali come scuole di varia natura andrebbero ugualmente
escluse. È chiaro infatti – lo si è già fatto notare abbondantemente – che alcuni
dei personaggi associati al “circolo” di Anna hanno composto opere per un udi-
torio fatto di studenti o per colleghi, ma appare ovvio che il tipo di letteratura
cui si fa riferimento quando si parla di ‘theatron’ (poesia, retorica ecc.) non è
quello che si suole associare ad esigenze di scuola. Dove pure, come è ovvio,
lo studio della retorica doveva essere di casa, senza però che si possa associare
alla pratica dell’insegnamento la funzione di produrre componimenti per quel
pubblico di esigenti uditori di cui doveva essere composto il theatron.221 Questo
quadro mi sembra non sia alterato dalla testimonianza della parafrasi pselliana
al De interpretatione prima presa in considerazione.222
L’ultima, più verosimile, collocazione dei theatra o circoli bizantini è quella
del salotto letterario privato raccolto attorno ad un membro dell’aristocrazia o
della corte.223 Nel nostro caso, nel caso cioè della cultura prodotta in età Comne-
na, questi salotti sono dominati dalla presenza di figure femminili che fungono
da centro di attrazione (e da fonte di sostentamento) per degli intellettuali.224 Le
figure che potrebbero essere chiamate in causa sarebbero diverse, ma al fine di
non allontanarci troppo dalla figura di Anna Comnena, ci sofferemeremo su di

219Cfr. MULLETT, Aristocracy cit., 177.


220In qusto senso facciamo nostre le riserve espresse ibid., 176-177.
221 Anche in questo caso condividiamo le riserve della Mullet (ibid., 177).
222 Cfr. supra, 62-64.
223 Cfr. MULLETT, Aristocracy cit., 177-178.
224 Sull’argomento si veda, tra gli altri, L. GARLAND, Imperial Women and Entertainment in the Middle

Byzantine Court, in EAD., (ed.), Byzantine Women. Varieties of Experience, AD 800-1200, Ashgate, Aldershot
2006, 177-192; R.M. PARRINELLO, Theodora Palaeologina, and the Others: Women Scholars, Copysts and Exe-
getes in Byzantium, in K.E. BØRRESEN/A. VALERIO, The High Middle Ages, SBL Press, Atlanta, GA 2015 («The
Bible and Women», 6), 181-201. Per uno sguardo di insieme sul fenomento del mecenatismo ad opera di
donne della corte imperiale nel Medio Evo, si può vedere J.H. MCCASH, The Cultural Patronage of Medieval
Women: An Overview, in EAD., The Cultural Patronage of Medieval Women, The University of Georgia Press,
Athens/London 1996, 1-50. Ci pare che questo contributo individui assai bene alcune caratteristiche che
accomunano il patronato da parte di donne nelle varie culture medievali, come ad esempio la condizione
di vedovanza. Ne parla anche brevemente MULLETT, Aristocracy cit., 177 in merito alle principali figure
femminili promotrici di attività di mecenatismo in età Comnena.
I. Eustrazio di Nicea: biografia intellettuale di un teologo e commentatore bizantino 67

una figura in particolare, quella della madre di Anna, la basilissa Irene Doukaina
(† 1133?).225
Irene è una figura centrale nel panorama culturale della prima parte del se-
colo XII, una figura che, se vogliamo, si staglia come un’ombra sullo sfondo di
quella di Anna. Nella sua Alessiade Anna contrappone la figura di sua madre
Irene a quella di Giovanni Italo. Quest’ultimo viene rappresentato come filosofo
mediocre e soprattutto incauto nel leggere le opere dei filosofi antichi senza
prendere le opportune precauzioni in merito all’incompatibilità di questi testi
con la Rivelazione.226 Irene, al contrario, viene rappresentata come una pia don-
na, una studiosa dei testi dei Padri, al punto da portare con sé i libri di Massimo
il Confessore già dal primo mattino, a colazione.227
Ma Irene sembra a tratti anche una figura ingombrante per Anna. Nel testo
dell’orazione funebre per la nostra principessa, Tornikès narra di una giovane
Anna intenta a leggere i libri di cultura profana di nascosto, al riparo dagli oc-
chi indiscreti dei suoi genitori, che invece erano contrari a che Anna ricevesse
un’educazione nelle lettere.228 In realtà i dati a nostra disposizione sembrano re-
stituire l’immagine di una Irene assai meno indisposta nei confronti della cultura
e delle lettere profane. Su questo al contrario si sa che Irene fu un vero e proprio
fattore di aggregazione per gli intellettuali della prima parte del secolo XII. Le
testimonianze in questo senso abbondano, eccone alcune.
Irene commissionò a Niceforo Briennio († 1137), storico e generale bizantino,
marito di Anna Comnena, la composizione della sua Historia, una cronaca a tutti
gli effetti famigliare che narra l’approdo al regno della dinastia dei Comneni con
il già citato Alessio I.229 Ella era inoltre in contatto con Nicola Kataskepeno,
l’autore di un importante Vita di Cirillo Phileota, come dimostra una lettera che
Nicola inviò ad Irene.230

225 Sulla figura di Irene si veda la relativa voce in D.I. POLEMIS, The Doukai. A Contribution to Byzantine

Prosopography, University of London, The Athlone Press, London 1968, 70-74.


226 Su questi passi dell’Alessiade, si veda G. ARABATZIS, Blâme du philosophe, éloge de la vraie philoso-

phie et figures rhétoriques: la récites d’Anne Comnène sur Jean Italos revisité, «Byzantinische Zeitschrift»,
95 (2002), 403-415.
227 ANNA COMNENA, Alexias cit., V,9,3.
228 GEORGIUS TORNICES, In mortem cit. 243,20-247,3
229 NICEPHORUS BRYENNIUS, Historia, ed. P. GAUTIER, Nicéphore Bryennios. Histoire, Byzantion, Brussels

1975 («Corpus Fontium Historiae Byzantinae. Series Bruxellensis», 9), 71,18-20. La cosa sembrerebbe
essere confermata da ANNA COMNENA, Alexias cit., V,8,3.
230 NICOLAUS CATASCEPENUS, Epistulae, ed. M. GEDEON, «Αρχείον Εκκλησιαστικής στορίας», 1 (1911),

60-62. POLEMIS, The Doukai cit., 73 identifica in Irene la despoina cui Teofilatto di Ocrida († ca. 1109), un
importantissimo intellettuale dalle frequentazioni assai colte (sulle quali si veda M. MULLET, Theophylact of
Ochrid: Reading the Letters of a Byzantine Archbishop, Ashgate, Aldershot 1997) indirizza una lettera (ep.
107, ed. P. GAUTIER, Théophylacte d’Achrida, Lettres, Associations de Recherches Byzantines, Thessaloniki
68 Il neoplatonismo di Eustrazio di Nicea

Ma molto più importante è la produzione poetica e retorica dedicata all’im-


peratrice, che vide i più importanti esponenti di questi generi letterari dedicare
componimenti a questa figura. Nicola Callicle († post 1142), medico e poeta di
corte, compose almeno due componimenti per Irene, uno dei quali in consolazio-
ne per la morte (attorno al 1130) di suo figlio Andronico.231 Per lo stesso tragico
evento, Michele Italico († ca. 1157), retore, medico e successivamente metro-
polita di Filippopoli, legatissimo ad Irene e ai Comneni, compose un’orazione
funebre.232 Lo stesso Michele compose anche un breve elogio dell’imperatrice
in cui (e in questo risiede l’interesse per questo testo) l’autore parla del circolo
di Irene utilizzando un sinonimo di ‘theatron’, ossia ‘kyklos’.233 Il contesto di
questo riferimento è intrigante: si tratta di uno scritto in cui Italico racconta di
essere stato chiamato da Irene ad un’improvvisazione artistica. Di questa im-
provvisazione, di questa performance pubblica, Irene – è lo stesso Italico a ricor-
darlo – era giudice.234 Sempre nella stessa direzione va un’altra testimonianza,
una lettera al già citato Niceforo Briennio, in cui Italico parla esplicitamente
della lettura in pubblico di una lettera dello stesso Briennio all’interno di un
circolo di uditori.235
Manuele Straboromano, un altro intellettuale della prima parte del XII seco-
lo, dedicò versi ad Irene, tra i quali spicca un componiemento in consolazione
della morte del fratello dell’imperatrice, il protostrator Michele Doukas.236 Il po-
eta di corte Teodoro Prodromo († 1165-1170) ha ugualmente scritto per Irene.237
Di un giovanissimo Teodoro (è lui stesso a ricordarlo in un poema in volgare)
Irene fu benefattrice quando questi viveva solo con i suoi libri e lo studio.238
Questo legame con Irene e con altri membri della corte resterà intatto anche
negli anni successivi. Infatti Teodoro compose uno scritto in occasione del ma-
trimonio di due figli di Anna Comnena e Niceforo Briennio con due principesse

1986, [«Corpus Fontium Historiae Byzantinae», 16.2], 525) per rendere grazie di una visita ricevuta. In
realtà secondo l’editore del testo si tratterebbe di Maria di Alania, di cui si è già fatto cenno (cfr. supra, 16).
231 NICOLAUS CALLICLES, Carmina, 2; 6, ed. R. ROMANO, Bibliopolis, Napoli 1980.
232 MICHAEL ITALICUS, Orationes, 3, ed. P. GAUTIER, Michael Italikos. Lettres et Discours, Institut Français

d’Études Byzantines, Paris 1972 («Archives de l’Orient Chrétien», 14), 82-88.


233 MICHAEL ITALICUS, Orationes cit., 15, 146-151, in part. 151,21-24.
234 MICHAEL ITALICUS, Orationes cit., 15, 147,9-14.
235 MICHAEL ITALICUS, Orationes cit., 17, 153,1-154,14.
236 Su Michele si veda POLEMIS, The Doukai cit., 63-65. I componimenti di Straboromano per Irene sono

editi in P. GAUTIER, Le dossier d’un haut fonctionnaire byzantin d’Alexis Ier Comnène, Manuel Straboromanos,
«Revue des études byzantines», 23 (1965), 169-204, 195-201 (per la morte del protostrator Michele); 201
(ad Irene).
237 Alcune di queste testimonianze sono raccolte in POLEMIS, The Doukai cit., 72, nt. 22.
238 Testo edito in A. MAIURI, Una nuova poesia di Teodoro Prodromo in greco volgare, «Byzantinische

Zeitschrift», 23/1 (1919), 398-407, 399,20-24.


I. Eustrazio di Nicea: biografia intellettuale di un teologo e commentatore bizantino 69

straniere. Questo testo è assai importante in quanto contiene un fondamentale


riferimento ad Anna:

[...] εἴ τί που καὶ ἀληθεύουσιν Ἕλληνες, τετάρτην μὲν ταῖς Χάρισι Χάριτα, δεκάτην
δὲ ταῖς ούσαις οῦσαν προσεπιθείημεν, ἣ τὴν μὲν κατ’ ἦθος ὅλην φιλοσοφίαν,
ἧς οὐ γνῶσις ἀλλὰ πρᾶξις τὸ τέλος, αὐτὴ ἑαυτὴν διὰ τῆς κατ’ ἀρετὴν ἐνεργείας
ἐμυσταγώγησεν· ἔπειτα γενναιότερόν τε ὁμοῦ φρονήσασα καὶ βασιλικώτερον
καὶ κόσμον οἰηθεῖσα ὥσπερ βασιλικοῦ σώματος τὴν πορφύραν, οὕτω καὶ ψυχῆς
βασιλικῆς τὴν ἐπιστήμην τῶν ὄντων, τὴν γνῶσιν αὐτῶν ἐτελέσθη καὶ τὴν ἐν τούτοις
ἀλήθειαν ἐθηράσατο καὶ προαιρέσεως οὐ γένους ἔδειξεν εἶναι κτῆμα.
[«E se davvero i Greci dicono qualcosa di vero, potremmo aggiungerla alle Grazie
come quarta Grazia e alle Muse come decima Musa, lei che da sé ha iniziato se stessa
per il suo vigore nella virtù alla filosofia morale, quella che ha il fine non nella co-
noscenza, ma nell’azione. E poiché ella assai nobilmente ritenne e allo stesso tempo
assai regalmente credette che, come la porfira è l’ornamento del corpo regale, così la
scienza degli enti è l’ornamento dell’anima regale, ella si è perfezionata nella cono-
scenza di questi, ne ha indagato la verità e ha mostrato come l’acquisizione della virtù
dipenda non già dalla nobiltà di nascita, bensì da una scelta».]239

Questo passo è centrale non solo perché mostra un legame di Teodoro con
Anna, ma perché utilizza un linguaggio (si pensi al tema della filosofia che ha
per fine l’azione e non la conoscenza, o al tema della virtù che non sarebbe
acquisibile per nobiltà di nascita) che rimanda in maniera inequivocabile all’in-
teresse di Anna per l’Ethica Nicomachea di Aristotele. Sembra anzi registrarsi
una similitudine tra questo testo e quello, successivo, di Giorgio Tornikès, in
cui come si è avuto modo di vedere si parla del 1118, e della morte di Alessio
avvenuta in quell’anno, come dell’inizio di una nuova filosofia, non legata alla
contemplazione degli enti, ma orientata a discernere buoni e cattivi costumi.240
Come si è avuto modo di vedere, il riferimento di Tornikès alla morte dell’im-
peratore Alessio come all’inizio di una vita filosofica per Anna si lega molto al
topos tradizionale della consolatio philosophiae e sarebbe per lo meno incauto
sostenere che l’interesse di Anna per l’Ethica abbia avuto inizio proprio nel 1118
e non prima. Purtuttavia, il linguaggio impiegato da Tornikès è così simile al testo
di Prodromo che, oltre a porre la questione dell’esistenza di un’intertestualità tra
le due fonti, sembra più che probabile che anche Tornikès nel descrivere questa

239 TEODORUS PRODROMUS, Epithalamius fortunatissimis caesaris filiis, ed. GAUTIER, Nicéphore cit., 341-355,

347,24-29.
240 GEORGIUS TORNICES, In mortem cit., 271,18-21.
70 Il neoplatonismo di Eustrazio di Nicea

filosofia che Anna avrebbe adottato avesse in mente l’interesse della principessa
proprio per l’Ethica Nicomachea.241
Torniamo adesso a Prodromo e al suo legame con le donne della corte di
Alessio prima e di Giovanni poi. In un epigramma per la morte della nuora di
Anna, Teodora, un inconsolabile Prodromo dipinge Anna in lutto, e la definisce
«la sapiente Anna, intelletto assoluto, casa delle Grazie».242 In un altro componi-
mento, di natura alquanto belletristica, Teodoro rivolge ad Anna un’invocazione
di aiuto per far fronte alle ristrettezza imposte da una malattia.243 Si tratta forse
della stessa malattia, il vaiolo, di cui Prodromo parla in una lettera al già citato
Stefano Skylitzes, e che è datata attorno al 1140. Se così fosse, anche la lettera
ad Anna potrebbe essere datata attorno allo stesso periodo.244 Infine vi è una
lettera, datata al 1147, del poeta e filologo Giovanni Tzetzes (ca. 1110-1180), in
cui il poeta invoca un aiuto da parte di Anna in una violenta disputa che avrebbe
visto lo stesso Tzetzes opporsi ad un non identificato contendente circa la santità
di una terza persona.245 Mettendo da parte il tono belletristico del testo, è chiaro
che anche Tzetzes era una figura che cercava in Anna una benefattrice e pertanto

241 Questa assonanza tra Prodromo e la successiva orazione funebre composta da Giorgio Tornikès per

Anna era stata già notata dall’editore del testo di Prodromo, Gautier. Secondo questi (GAUTIER, Nicéphore cit.,
340, nt. 1) il matrimonio dei figli di Anna e Niceforo (e di conseguenza il testo di Prodromo) sarebbe di poco
successivo alla morte di Alessio I nel 1118. Diversa la tesi di Kurz (E. KURZ, Unedierte Texte aus der Zeit des
Kaisers Johannes Komnenos, «Byzantinische Zeitschrift», 16 (1907), 69-119, 86), secondo il quale il testo
risalirebbe al 1122. Alla luce della datazione del testo, sia che si accetti la tesi che sia stato composto nel
1119, che quella secondo la quale sarebbe stato composto nel 1122, si sarebbe tentati di datare allo stesso
periodo il progetto di comporre commentari all’Ethica Nicomachea di cui Anna si sarebbe fatta promotrice.
Si tratterebbe tuttavia di una datazione plausibile, ma non certa, in quanto l’interesse di Anna per l’Ethica
testimoniato da Prodromo potrebbe essere maturato già da prima. Su Anna e l’Ethica Nicomachea, si veda
P. FRANKOPAN, The Literary, Cultural and Political Context for the Twelfth-Century Commentary on the Nico-
machean Ethics, in BARBER/JENKINS (eds), Medieval Greek cit., 45-62. Ciò che il testo di Prodromo dimostra
tra le altre cose è che la passione di Anna per la filosofia doveva essere cosa assai nota ai lettori del suo
componimento già all’inizio della seconda decade del secolo XII.
242 THEODORUS PRODROMUS, Carmina historica, XXXIX, ed. W. HÖRANDNER, Theodoros Prodromos, Hi-

storische Gedichte Österreichische Akademie der Wissenschaften, Wien 1974 («Wiener Byzantinistische
Studien», 11), 383,43-44. Questa e altre testimonianze sul rapporto tra Prodromo e Anna sono discusse in
NEVILLE, Anna cit., 115-118.
243 THEODORUS PRODROMUS, Carmina historica cit., XXXVIII, 377-381.
244 THEODORUS PRODROMUS, Epistulae (ex cod. Vat. gr. 305), Patrologia Graeca, 133, 1253-1258. Di questa

stessa malattia Prodromo parla in Carmina cit., LXXVII, 545-546.


245 JOHANNES TZETZES, Epistulae, 55, ed. P.L.M. LEONE, Ioannis Tzetzae epistulae, Teubner, Leipzig 1972

(«Bibliotheca Teubneriana»), 75-77. L’editore del testo identifica la Anna destinataria della lettera con
la figlia dell’imperatore Giovanni II Comneno, fratello di Anna Comnena. Tuttavia la maggiorparte degli
studiosi ritengono che la destinataria sia proprio Anna Comnena. Cfr. e.g. K. BARZOS, He Genealogia ton
Komnenon, 1, Thessaloniki 1984 («Byzantina keimena kai meletai», 20), 194 e M. GRÜNBART, Prosopo-
graphische Beiträge Zum Briefcorpus Des Ioannes Tzetzes, «Jahrbuch der Österreichischen Byzantinistik»,
46 (1996), 175-226, 207.
I. Eustrazio di Nicea: biografia intellettuale di un teologo e commentatore bizantino 71

questa lettera è da aggiungere alla lista di testimonianze sul rapporto tra Anna e
gli intellettuali che orbitavano intorno alla corte in quel periodo.
Le donne della corte Comnena della prima parte del secolo XII costituivano
un centro di attrazione per una serie di personaggi che dipendevano per quel che
concerne il loro sostentamento dalla propria capacità artistica e dalla protezione
di queste stesse donne, loro mecenati. A questo proposito si potrebbe dire che
tanto nella Alessiade, quanto nel testo dell’orazione funebre redatto da Giorgio
Tornikès, ad Irene siano stati attribuiti due ruoli fittizi funzionali al manteni-
mento del giusto equilibrio interno alla narrazione. Nell’Alessiade, Irene gioca il
ruolo di controparte di Giovanni Italo e incarna, contro il discepolo di Psello, la
figura dell’intellettuale pio, cosciente dei limiti del sapere profano. Nell’orazione
funebre per Anna, Irene viene presentata, assieme ad Alessio, come un elemen-
to restrittivo (ma non coercitivo) della curiosità intellettuale di Anna, la quale
avrebbe sfidato la madre, senza per questo tradirla, in merito all’invito rivolto
ad Anna ad astenersi da letture non conformi alla Rivelazione. Ma la realtà dei
fatti suggerisce che Irene doveva essere ben più aperta di vedute di quanto non
suggeriscano la stessa Anna e Giorgio Tornikès. Ed è chiaro che la nozione di
‘circolo’, che pure abbiamo visto essere inadeguata per descrivere il rapporto tra
Eustrazio e Michele di Efeso, da un lato, e Anna Comnena, dall’altro, andrebbe
preservata per quel che concerne il suo presupposto, per così dire, sociale. Si
tratta cioè del rapporto che lega un committente ad un artista all’interno di una
relazione di mecenatismo.
Ma questa nozione, quella cioè di ‘mecenatismo’ o ‘patronato’, pone gli stessi
problemi della nozione di ‘circolo’. Anche in merito al mecenatismo, infatti, vi
è il rischio di operare generalizzazioni che non corrispondono alla verità dei
fatti. Vi è in altre parole il rischio di associare in maniera troppo frettolosa degli
intellettuali ad un mecenate su fragili basi. Il problema è, per così dire, di gra-
dazione: qual’è la cartina di tornasole che ci permette di determinare un rapporto
mecenate-artista? Nella produzione, ad esempio, di epigrammi, troviamo un nu-
mero assai elevato di componimenti con dedica. Basta un semplice riferimento
dedicatorio per stabilire una relazione di patronato tra autore e dedicatario? O
è necessaria una base più stabile, una relazione più continuativa?246 La cosa è
complicata dal fatto che gli autori bizantini spesso scrivevano (e verosimilmente
si legavano) simultaneamente a più committenti.247 Proprio come nel caso del no-

246 Anche in questo caso mi sembrano illuminanti le osservazioni presenti in MULLETT, Aristocracy cit.,
180.
247 MULLETT, Aristocracy cit., 181.
72 Il neoplatonismo di Eustrazio di Nicea

stro Eustrazio, che in un primo momento si legò a Maria di Alania, componendo


per lei un trattato di meteorologia, e poi ad Anna Comnena.248
Sicuramente un’analisi di queste problematiche rischia di portarci lontano
dal nostro scopo, che è e resta quello di comprendere quale sia stato il contesto
di produzione dei commenti di Eustrazio e Michele di Efeso. Certamente quanto
detto fino a questo momento aiuta, per così dire, in negativo a raggiungere una
risposta per lo meno in merito a ciò che questo contesto non fu. Non si trattò cioè
di un ‘circolo’, di un theatron inteso come il luogo di quella complessa dinamica
legata ad una performance, alla sua ricezione e al ritorno all’autore nella forma di
una reazione da parte del pubblico.249 Si trattò piuttosto di un’iniziativa privata
portata avanti da Anna, un’iniziativa che potrebbe anche non essersi strutturata
in maniera coerente e continua, ma che vide in diversi tempi e modalità due
intellettuali ricevere dei benefici, verosimilmente di natura economica, per i
loro servigi. Si trattò di una relazione committente-esecutore di natura ristretta e
privata, lontana da una dimensione pubblica, tanto relativa alla pratica dell’in-
segnamento in una delle scuole della Costantinopoli della prima metà del XIII
secolo, quanto relativa alle sedi in cui veniva esercitato effettivamente il potere,
fossero esse laiche o ecclesiastiche. In essa Eustrazio e Michele si legarono alla
loro committente non già in virtù di una motivazione ideologica, legata ad un
presunto intento di Anna di recuperare l’aristotelismo a discapito della tendenza
platonizzante manifestatasi in precedenza. Come si è già detto, questo intento,
in particolare nelle opere di Eustrazio (ma anche in quelle di Michele), pare non
essere presente.250 Al contrario, lo fecero per acconsentire ad una richiesta di
una committenza assai prestigiosa, dalla cui benevolenza i nostri commentatori
dipendevano pressoché interamente.
Secondo quali modalità e con quali tempi il progetto di commentare l’Ethica
Nicomachea e gli scritti di Aristotele si dipanò, questo non ci è dato saperlo. Ciò
che ci pare chiaro, invece, è che la tesi di un “circolo filosofico” di matrice ari-
stotelica riunitosi attorno alla principessa Anna Comnena dovrebbe, per i motivi
qui esposti, essere abbandonata.

Cfr. supra, 3-13.


248

Secondo MULLETT, Aristocracy cit., 178, ad Anna non si potrebbe riferire un vero e proprio theatron o
249

comunque un salotto distinto e autonomo rispetto a quello della madre, l’imperatrice Irene.
250 Cfr. supra, 55-59.
Parte seconda
I commenti filosofici
e le dottrine
Dopo aver ricostruito, per quanto possibile, la biografia di Eustrazio e il con-
testo in cui maturò la composizione dei commenti di questo autore al libro II
degli Analytica Posteriora e ai libri I e VI dell’Ethica Nicomachea, possiamo
passare ad analizzare alcuni dei principali motivi dottrinali che emergono
dalla lettura di questi testi. Si tratta di motivi che manifestano la loro pre-
senza nell’opera filosofica di Eustrazio in maniera continua e importante,
e che caratterizzano in maniera marcata l’orientamento filosofico di questo
commentatore.
Spesso questi motivi confluiscono simultaneamente all’interno di un me-
desimo passo. Purtuttavia, proveremo a dividere il materiale secondo una
partizione tematica che cerca di isolare e identificare nella loro specificità
i diversi motivi presenti nei testi, anche quando essi si trovano fusi in un
unico argomento.
Studieremo in particolare i seguenti aspetti: 1) la dottrina della causalità;
2) la divisione delle scienze e le sue ragioni; 3) il modo in cui Eustrazio
rilegge la critica aristotelica del Bene ideale platonico nel I libro dell’Ethi-
ca Nicomachea; 4) la posizione di Eustrazio intorno allo statuto dell’anima,
dell’intelletto e della conoscenza; 5) la posizione di Eustrazio sullo statuto
degli universali; 6) La lettura operata da questo commentatore del primato
aristotelico della vita contemplativa.1

1 Abbiamo fornito uno studio preliminare di alcuni di questi temi, limitatamente al commento di

Eustrazio al libro VI dell’Ethica Nicomachea, in M. TRIZIO, Neoplatonic Source-Material in Eustratios


of Nicaea’s commentary on Book VI of the Nicomachean Ethics, in BARBER/JENKINS (eds), Medieval Greek
cit., 71-109. Uno studio sulla risposta di Eustrazio alla critica aristotelica del Bene ideale si trova in
K. GIOCARINIS, Eustratius of Nicaea’s Defense of the Doctrine of Ideas, «Franciscan Studies», 12 (1964),
159-204.
76 Il neoplatonismo di Eustrazio di Nicea

1. La causalità
Un primo aspetto più propriamente dottrinale che emerge dalla lettura dei com-
menti filosofici di Eustrazio è sicuramente costituito dall’insieme delle indica-
zioni fornite da questo commentatore sulla natura della causalità nell’universo.
Analizzare tali indicazioni fornirà una prima, importante caratterizzazione delle
posizioni filosofiche di Eustrazio.
Partiamo da un primo passo tratto dal commento al libro VI dell’Ethica Ni-
comachea:

1.1 In VI EN, 267,17-22: ἀρχὰς δὲ ὠνόμασεν ἢ τὰς τῆς γνώσεως ἢ τὰς τῆς ὑπάρξεως.
τῆς μὲν γὰρ γνώσεως ἀρχαὶ οἱ ὅροι καὶ τὰ ἀξιώματα ἐπί γε τῶν ἀναγκαίων, τῆς δὲ
ὑπάρξεως τὰ ποιητικὰ καὶ τὰ τελικά. ταῦτα γὰρ μόνα κυρίως αἴτια, ὅτι καὶ μόνα τῶν
αἰτιατῶν ἐξῄρηται.
[«Parla di ‘principî’ sia nel senso di principî della conoscenza, che in quello di prin-
cipî dell’esistenza. Infatti, in rapporto alle realtà di tipo necessario, per quanto riguar-
da i principî nell’ordine della conoscenza i principî sono le definizioni e gli assiomi;
nell’ordine dell’esistenza, invece, sono le cause efficienti e finali. Infatti queste sole
sono cause nel senso proprio del termine, poiché sono le sole che trascendono gli
effetti.»]

Il contesto di questo passo è l’esegesi di EN VI,2,1139a3-8, dove Aristotele,


dopo aver proposto la distinzione in due parti dell’anima (tra una componente
razionale e una non razionale), annuncia una ulteriore suddivisione della parte
razionale in due componenti, aventi rispettivamente come oggetto realtà i cui
principî sono necessari e realtà i cui principî sono di ordine contingente.2 A sua
volta Eustrazio sviluppa la distinzione aristotelica tra questi principî a partire
da una duplice prospettiva, in virtù della quale i principî sono presi in conside-
razione o in quanto principî della conoscenza o in quanto principî dell’esistenza
di una cosa.3
Il testo che stiamo analizzando si occupa nello specifico della natura dei
principî nell’ordine della conoscenza e dell’esistenza di realtà di ordine neces-
sario. Per quel che concerne i principî nell’ordine della conoscenza Eustrazio
identifica tali principî nelle definizioni e negli assiomi su cui si basano le scien-

2 ARIST., Ethica Nicomachea, VI,2,1139a3-8: πρότερον μὲν οὖν ἐλέχθη δύ’ εἶναι μέρη τῆς ψυχῆς, τό τε

λόγον ἔχον καὶ τὸ ἄλογον· νῦν δὲ περὶ τοῦ λόγον ἔχοντος τὸν αὐτὸν τρόπον διαιρετέον. καὶ ὑποκείσθω
δύο τὰ λόγον ἔχοντα, ἓν μὲν ᾧ θεωροῦμεν τὰ τοιαῦτα τῶν ὄντων ὅσων αἱ ἀρχαὶ μὴ ἐνδέχονται ἄλλως
ἔχειν, ἓν δὲ ᾧ τὰ ἐνδεχόμενα.
3 L’argomentazione è esposta nella sua interezza in EUSTR., In VI EN, 266,10-268,4.
II. I commenti filosofici e le dottrine 77

ze. Invece, e in questo risiede il motivo di interesse di questo passo, principî


nell’ordine dell’esistenza sono le cause efficienti e finali, che Eustrazio qualifica
come segue: «infatti queste sole sono cause nel senso proprio del termine, poiché
sono le sole che trascendono gli effetti» (ταῦτα γὰρ μόνα κυρίως αἴτια, ὅτι καὶ
μόνα τῶν αἰτιατῶν ἐξῄρηται).4
Su questa affermazione di Eustrazio conviene soffermarsi. Sullo sfondo di
questo argomento, di questa caratterizzazione delle cause efficienti e finali come
«cause nel senso proprio del termine» si staglia infatti un particolare approccio
alle quattro cause di cui Aristotele parla in Physica II,3 e Metaphysica V,2, ricon-
ducibile alla tradizione neoplatonica ateniese della tarda antichità. Si tratta di
un approccio che mostra una condizionata accettazione dei principali elementi
della causalità aristotelica. Condizionata, in quanto gli esponenti di questa cor-
rente filosofica recepiscono le quattro cause aristoteliche con due correzioni fon-
damentali. La prima, consistente nella suddivisione delle quattro cause in cause
propriamente dette (la causa efficiente e quella finale) e cause concomitanti
(forma e materia); la seconda, non presente in questo passo di Eustrazio, ma nota
al nostro commentatore,5 consistente nell’aggiunta alle cause così classificate di
una causa paradigmatica (corrispondente alle forme trascendenti), nel novero
delle cause propriamente dette, e di una causa strumentale, nel novero delle cau-
se concomitanti.6 Si tratta evidentemente di un modo di accomodare la causalità
di matrice aristotelica ad esigenze derivate dall’esegesi dei testi di Platone. Nel
Timeo, in effetti, già si trovava una distinzione tra «cause» (αἴτια), da un lato, e
«cause concomitanti» o «ausiliarie» (συναίτια) di cui Dio si serve per portare a
termine l’idea del migliore, dall’altro.7 Sulla base di questa e altre indicazioni,
si assiste nel tardo neoplatonismo al tentativo di restringere l’ambito di validità
di alcune delle cause aristoteliche, appunto forma e materia (e a volte i quattro

4 EUSTR., In VI EN, 267,21-22.


5 Cfr. infra, 1.3.
6 Su questa particolare ricezione della causalità aristotelica nei neoplatonici della scuola di Atene, si

vedano tra gli altri R.J. HANKINSON, Causes and Explanation in Ancient Greek Thought, Clarendon Press,
Oxford 1998, 444-446; C. STEEL, Why Should We Prefer Plato’s Timaeus to Aristotle’s Physics? Proclus’
Critique of Aristotle’s Causal Explanation of the Physical World, in R.W. SHARPLES/A.D.R. SHEPPARD (eds),
Ancient Approaches to Plato’s Timaeus, Institute for Classical Studies, London 2003, 175-187; J. OPSOMER,
The Integration of Aristotelian Physics in a Neoplatonic Context: Proclus on Movers and Divisibility, in R.
CHIARADONNA/F. TRABATTONI (eds), Physics and Philosophy of Nature in Neoplatonism, Brill, Leiden/Boston
2009 («Philosophia Antiqua», 115), 189-230; A. FALCON, Aristotelianism in the First Century BCE: Xenar-
chus of Seleucia, Cambridge University Press, Cambridge/New York 2012, 158-160. Si vedano anche i passi
discussi e commentati in R. SORABJI, The Philosophy of the Commentators, 200-600AD. A Sourcebook, vol. 2,
Physics, Cornell University Press, Ithaca (NY) 2005, 138-141.
7 PLATO, Timaeus, 46cd: Ταῦτ’ οὖν πάντα ἔστιν τῶν συναιτίων οἷς θεὸς ὑπηρετοῦσιν χρῆται τὴν τοῦ

ἀρίστου κατὰ τὸ δυνατὸν ἰδέαν ἀποτελῶν. Si veda anche ID., Politicus, 281cd.
78 Il neoplatonismo di Eustrazio di Nicea

elementi), al solo mondo sensibile, mentre causa finale e efficiente evidentemen-


te svolgono la propria funzione di cause all’interno del mondo sovrasensibile.8
Ma il passo di Eustrazio non si limita semplicemente a parlare di cause, quella
efficiente e quella finale, che sarebbero cause nel senso proprio del termine.
Infatti il testo in questione fornisce anche una motivazione in virtù della quale
tali cause godrebbero dello statuto di cause nel senso proprio del termine: es-
se sarebbero «le sole che trascendono gli effetti» (ὅτι καὶ μόνα τῶν αἰτιατῶν
ἐξῄρηται).9 Qual’è l’origine di questa clausola? La risposta è da ricercare nell’o-
pera di Proclo, in particolare nella Elementatio theologica. Il testo della propo-
sizione 75 di quest’opera, infatti, recita come segue:

Πᾶν τὸ κυρίως αἴτιον λεγόμενον ἐξῄρηται τοῦ ἀποτελέσματος.

8 Cfr. e.g. PROCLUS, In Platonis Timaeum commentaria, 3 vol., ed. E. DIEHL, Teubner, Leipzig 1903-1906,

1,263,19-30: ἐπειδὴ δὲ ταῦτά ἐστιν αἴτια τοῦ κόσμου, τὸ τελικὸν τὸ παραδειγματικὸν τὸ ποιητικὸν τὸ
ὀργανικὸν τὸ εἰδητικὸν τὸ ὑλικόν, τὸ μὲν τελικὸν ὕστερον ἡμῖν αὐτὸς ἐκ τοῦ λόγου καὶ τῶν ἀποδείξεων
ἀναφαινόμενον ἐπιδείξει, τὸ δὲ ὀργανικὸν καὶ τὸ ὑλικὸν καὶ τὸ εἰδικὸν ἐκ τῶν εἰρημένων πρότερον
ἀξιωμάτων παραδώσει· εἰ γὰρ μὴ ὄν, ἀλλὰ γιγνόμενόν ἐστι τὸ πᾶν, εἶδός ἐστι μετεχόμενον ὑπὸ ὕλης
καὶ τὸ τούτων κινητικὸν προσεχῶς· τὸ δὲ ποιητικὸν ἐκ τῶν νῦν ῥηθέντων ἀποφαίνει· εἰ γὰρ γιγνόμενόν
ἐστι τὸ πᾶν, αἴτιόν ἐστιν αὐτοῦ ποιητικόν· τὸ δὲ παραδειγματικὸν ἐκ τοῦ μετὰ τοῦτο ῥηθησομένου.
Ibid., 2,29,3-7: μόνος δὲ ὁ Πλάτων τοῖς Πυθαγορείοις ἑπομένως παραδίδωσι μὲν καὶ τὰ συναίτια τῶν
φυσικῶν πραγμάτων, τὸ πανδεχὲς καὶ τὸ ἔνυλον εἶδος, δουλεύοντα τοῖς κυρίως αἰτίοις εἰς γένεσιν· πρὸ
δὲ τούτων τὰς πρωτουργοὺς αἰτίας διερευνᾶται, τὸ ποιοῦν, τὸ παράδειγμα, τὸ τέλος, καὶ διὰ ταῦτα νοῦν
τε ἐφίστησι τῷ παντὶ δημιουργικὸν καὶ νοητὴν αἰτίαν, ἐν ᾗ πρώτως ἐστὶ τὸ πᾶν, καὶ τὸ ἀγαθόν, ἐν ἐφετοῦ
τάξει τῷ ποιοῦντι προϊδρυμένον. SIMPLICIUS, In Aristotelis Physicorum libros commentaria, ed. H. DIELS, 2
vols, Reimer, Berlin 1882-1895 («Commentaria in Aristotelem Graeca», IX-X), 316,22-29: Τὸ σχεδὸν
πρόσκειται ἢ ὅτι τὰ κυρίως αἴτια τοσαυταχῶς πολλῶν ὄντων καὶ κατὰ συμβεβηκὸς αἰτίων, ὡς ἐρεῖ, ἢ δι’
εὐλάβειαν εἴρηται, τοῦ Πλάτωνος τὸ μὲν παραδειγματικὸν αἴτιον τοῖς κυρίως αἰτίοις συναριθμήσαντος
τῷ τε ποιητικῷ καὶ τῷ τελικῷ, τὸ δ’ ὀργανικὸν τοῖς συναιτίοις τῷ τε ὑλικῷ καὶ τῷ εἰδικῷ. εἰ δὲ τοσαύτη
τάξις ἐστὶν ἐν τοῖς αἰτίοις, ὡς τὰ μὲν φύσει πρῶτα εἶναι τό τε ποιοῦν καὶ τὸ τέλος καὶ κυρίως αἴτια, τὰ
δὲ συναίτια μᾶλλον ὡς ἡ ὕλη καὶ τὸ εἶδος, εἰκότως τῶν πολλαχῶς λεγομένων ἐστὶ τὰ αἴτια, ἀλλ’ οὐχὶ
τῶν ὡς ἀφ’ ἑνὸς γένους διῃρημένων. Ibid., 3,16-19: ἀρχαὶ δέ εἰσι τά τε αἴτια κυρίως λεγόμενα καὶ τὰ
συναίτια· καὶ αἴτια μὲν τό τε ποιητικόν ἐστι καὶ τὸ τελικὸν κατὰ τούτους, συναίτια δὲ τό τε εἶδος καὶ ἡ
ὕλη καὶ ὅλως τὰ στοιχεῖα. Πλάτων δὲ τοῖς μὲν αἰτίοις τὸ παραδειγματικὸν προστίθησι, τοῖς δὲ συναιτίοις
τὸ ὀργανικόν. Ibid., 11,29-32: μήποτε οὖν ὁ Ἀριστοτέλης τὴν ἀρχὴν ὡς κοινὸν λαβὼν διεῖλε ταύτην εἴς τε
τὰ κυρίως αἴτια, οἷόν ἐστι τὸ ποιητικὸν καὶ τὸ τελικόν, καὶ εἰς τὰ συναίτια ὑπό τινων λεγόμενα, οἷά ἐστι
τὰ στοιχεῖα. Ibid., 26,5-7: καὶ Πλάτων τρία μὲν τὰ κυρίως αἴτια τίθησι τό τε ποιοῦν καὶ τὸ παράδειγμα καὶ
τὸ τέλος, τρία δὲ τὰ συναίτια τήν τε ὕλην καὶ τὸ εἶδος καὶ τὸ ὄργανον. Ibid., 256,28-31: ὁ μέντοι Πλάτων
ἐν Τιμαίῳ μὲν τά τε κυρίως αἴτια καὶ τὰ συναίτια τῆς τοῦ κόσμου ὑποστάσεως παραδιδοὺς τὴν ὕλην τοῖς
συναιτίοις συντάττει καὶ ἄφθαρτον αὐτὴν ὥσπερ καὶ τὸν ὅλον κόσμον φησίν. ID., In Aristotelis Categorias
commentarium, ed. K. KALBFLEISCH, Reimer, Berlin 1908, («Commentaria in Aristotelem Graeca», VIII),
327,10-15: καὶ ὅτι μὲν τὸ ποιητικὸν αἴτιον τὸ ποιοῦν ἐστι, πρόδηλον· πῶς δὲ οὐχὶ τινὸς αἰτίου, ἀλλὰ τοῦ
αἰτίου ἁπλῶς οὐδὲν διαφέρειν φησὶν τὸ ποιοῦν; ἢ ὅτι κυρίως αἴτιον τὸ ποιοῦν ἐστιν· ὕλη μὲν γὰρ καὶ εἶδος
συναίτια μᾶλλόν ἐστιν, ἀλλ’ οὐχὶ αἴτια, τὸ δὲ παράδειγμα καὶ τὸ τέλος οὐ τοῦ ἀποτελέσματος προσεχῶς,
ἀλλὰ τῷ ποιοῦντι τοῦ ποιεῖν ὄντα αἴτια πρός τι ἂν λέγοιτο τοῦ γινομένου κυρίως.
9 EUSTR., In VI EN, 267,22.
II. I commenti filosofici e le dottrine 79

[«Ogni causa propriamente detta trascende l’effetto.»]10

Il lettore può facilmente notare come il testo di Eustrazio corrisponda perfet-


tamente al testo dell’Elementatio.11
Vi è un altro passo, assai simile a questo, in cui viene tematizzata in maniera
esplicita la divisione interna alle quattro cause aristoteliche in cause propria-
mente dette e cause concomitanti a partire da una corrispondenza tra la natura
della singola causa e la relativa forma di conoscenza:

1.2 In II A.Po., 4,24-32: Τεσσάρων δὲ ὄντων αἰτίων κατὰ Ἀριστοτέλην περὶ τοῦ εἰδικοῦ
ὁ πλεῖστος λόγος αὐτῷ ἐνταυθοῖ, διότι καὶ τοῦτο ἐν ταῖς ἀποδείξεσι μέσον ὡς ἐπὶ
τὸ πλεῖστον παραλαμβάνεται. τὸ μὲν γὰρ ὑλικὸν χεῖρον τῶν αἰτίων, καὶ ἡ ἐκ τούτου
γνῶσις ἀμαυροτέρα, συμπαρομαρτοῦν ἔχουσα τὸ τῆς τοιαύτης αἰτίας ἀχλυῶδές τε
καὶ ἀβέβαιον. τὸ δέ γε ποιητικὸν καὶ τὸ τελικὸν ἢ ἄμφω ἐξῄρηται τοῦ οὗ ἐστιν αἴτια,
ἢ εἴ ποτε τούτων θάτερον ἔχεται, ταὐτὸν τῷ εἴδει ἔστι· τοῦτο δέ ἐστι τὸ τέλος. μόνον
δὲ τὸ εἶδος ἀεί τε οἰκεῖον καὶ τελειωτικὸν τῆς οὐσίας τοῦ πράγματος καὶ τὴν γνῶσιν
αὐτοῦ καθαρὰν παρεχόμενον.
[«Delle quattro cause di cui parla Aristotele, qui per lo più l’argomentazione si oc-
cupa della causa formale, per il fatto che proprio questa è il termine medio nelle
dimostrazioni, come è stato ampiamente stabilito. La causa materiale è tra le cause la
meno nobile e la relativa forma di conoscenza è la meno certa, in quanto reca con sé il
relativo carattere confuso e instabile di tale causa. Invece la causa efficiente e finale
o entrambe trascendono ciò di cui sono causa, oppure – nel caso in cui una delle due
fosse posseduta [dall’effetto] – coincidono con la forma. Questo è il caso del fine. Solo
la forma, infatti, è sempre relativa e perfettiva della sostanza di una cosa e fornisce
una conoscenza pura di essa.»]

Questo passo, in rapporto alla causa efficiente e finale, riporta la stessa moti-
vazione per quel che concerne l’attribuzione a queste cause dello statuto di cause
propriamente dette: esse trascendono ciò di cui sono causa. Tuttavia questo se-
condo testo si differenzia dal primo nella misura in cui Eustrazio concede che,
almeno in un caso, quello della causa finale, la causa possa essere intrinseca
all’effetto. Eustrazio pensa qui senza ombra di dubbio alla coincidenza nelle re-

10 PROCLUS, Elementatio theologica, 75, ed. E.R. DODDS, Clarendon Press, Oxford 19632, 70,28-29.

Si veda anche PHILOPONUS, In Aristotelis Physicorum libros commentaria, 2 vols., ed. H. VITELLI, Reimer,
Berlin 1887-1888 («Commentaria in Aristotelem Graeca», XVI-XVII), 186,17-20: τὸ γὰρ κυρίως αἴτιον
ἐξῃρῆσθαι δεῖ τοῦ ἀποτελέσματος, ὥσπερ τὸ ποιητικὸν καὶ τὸ παραδειγματικόν, συναίτιον δ’ ἡ ὕλη, ὡς
συντελοῦσα εἰς τὴν γένεσιν καὶ μέρος γινομένη τοῦ πράγματος.
11 Abbiamo discusso questo passo anche in TRIZIO, Neoplatonic cit., 72.
80 Il neoplatonismo di Eustrazio di Nicea

altà naturali di forma e fine di matrice Aristotelica.12 Si tratta di una concessione


alla causalità aristotelica che di fatto rappresenta un’eccedenza rispetto all’oriz-
zonte della causalità procliana. Infatti nello stesso testo della proposizione 75
dell’Elementatio theologica, Proclo aveva categoricamente escluso la possibilità
che una causa propriamente detta (come ad esempio il fine), potesse essere im-
manente all’effetto, altrimenti: «o sarebbe una parte complementare dell’effetto,
o il suo statuto sarebbe quello di necessitare dell’effetto per la propria esistenza,
e sarebbe in questo senso meno perfetta rispetto al causato» (ἢ συμπληρωτικὸν
αὐτοῦ ὑπάρχον ἢ δεόμενόν πως αὐτοῦ πρὸς τὸ εἶναι, ἀτελέστερον ἂν εἴη ταύτῃ
τοῦ αἰτιατοῦ).13 Come spesso accade, Eustrazio non approfondisce le implica-
zioni derivanti dalla sovrapposizione dei due diversi modelli di causalità poten-
zialmente in contraddizione.
Veniamo adesso ad un terzo passo in cui Eustrazio mostra di conoscere molto
bene la causa paradigmatica e strumentale che i neoplatonici avevano aggiunto
alle quattro cause aristoteliche.

1.3 In II A.Po., 138,34-139,9: εἰ δὲ τέσσαρες αἱ αἰτίαι, κατὰ τὰς τέσσαρας δεῖ γίνεσθαι
καὶ τὰς ἐπιστήμας. εἰσὶ δὲ αὗται ἃς ἀπαριθμεῖται αὐτός. πρῶτον δὲ τὸ εἰδικὸν καὶ τὸ
ὑλικὸν ἔταξεν ὡς συντεταγμένα τῷ πράγματι, καὶ διὰ τοῦτο καὶ ἡμῖν γνωριμώτερα. τὸ
δὲ εἶδος τῆς ὕλης πρῶτον, ὅτι τε κρεῖττον αὐτῆς καὶ ὅτι σαφέστερον καὶ φανότερον·
ἐξ ἀφαιρέσεως γὰρ ἥδε καὶ οὐκ αὐτόθεν καταλαμβάνεται. τοῦ δὲ τελικοῦ τὸ
ποιητικόν, ὅτι τὸ μὲν πρὸ τοῦ πράγματος, τὸ δὲ τῇ ὑπάρξει τοῦ πράγματος ἐπί τε
τῶν φυσικῶν ἐπί τε τῶν τεχνικῶν ἐπακολουθεῖ, κἂν τῇ ἐννοίᾳ τοῦ ποιοῦντος τοῦ
ποιουμένου προτέτακται. τέσσαρας δὲ αἰτίας ταύτας ἀπαριθμεῖται, τὸ ὀργανικὸν
καταλιμπάνων καὶ τὸ παραδειγματικὸν διὰ τὸ πανταχοῦ φυσικεύεσθαι, τὴν δὲ φύσιν
προσεχῶς ἐνεργοῦσαν τοῖς κινητοῖς οὐδενὶ ὡς ὀργάνῳ χρῆσθαι οὐδέ γε πρός τι
ἀφορᾶν ὡς πρὸς προκέντημα καὶ προχάραγμα.
[«Se dunque quattro sono le cause, allora occorre che anche le scienze si diano se-
condo quattro modalità. Si tratta di quelle che Aristotele enumera. Come prime ha
riportato la causa formale e materiale come subordinate alla cosa, e per questo anche
più note a noi. La forma ha la precedenza sulla materia, in quanto più nobile di que-
sta e più evidente e manifesta. Essa è compresa anche per astrazione e in maniera
non immediata. Invece la causa efficiente precede quella finale, in quanto la prima
precede la cosa, mentre l’altra segue nell’ordine dell’esistenza della cosa nelle realtà
fisiche e i prodotti dell’arte, e viene prima nella mente del produttore di ciò che è
prodotto. {Aristotele} Annovera queste quattro cause, tralasciando quella strumentale
e paradigmatica a causa dell’approccio di tipo interamente naturalistico: la natura,

12 ARIST., Physica, II,7,198a22-27. Su questo si veda HANKINSON, Causes and Explanation cit., 127 et

passim.
13 PROCLUS, Elementatio cit., 75, 70,30-31.
II. I commenti filosofici e le dottrine 81

nel suo agire in connesione alle realtà soggette a movimento, non si serve di alcuno
strumento né mira a qualcosa come ad un disegno o ad un percorso.»]

Per prima cosa Eustrazio, in maniera coerente con l’orizzonte di causalità di


matrice neoplatonica che ha delineato in precedenza, stabilisce all’interno delle
quattro cause aristoteliche il primato della forma sulla materia e della causa ef-
ficiente sul fine. Inoltre, e questo è il motivo di interesse in questo testo, sostiene
che Aristotele avrebbe volutamente tralasciato «la causa paradigmatica e finale
in virtù di un approccio interamente naturalistico» (τὸ ὀργανικὸν καταλιμπάνων
καὶ τὸ παραδειγματικὸν διὰ τὸ πανταχοῦ φυσικεύεσθαι).14
Mi sembra che questo assunto, per cui le quattro cause aristoteliche sarebbero
il frutto di un approccio di tipo naturalistico al reale, abbia importanti antece-
denti all’interno della tradizione dei commentatori tardo-antichi di Aristotele.
Pensiamo in particolare ad un passo del commento alla Physica di Giovanni
Filopono, in cui questo commentatore, dopo aver enumerato le sei cause attri-
buite a Platone (segnalando il carattere trascendente della causa paradigmatica,
finale ed efficiente), giustifica il limitarsi di Aristotele a sole quattro cause a
partire dall’approccio fisiologico-naturalistico dello Stagirita. Filopono scrive
che Aristotele «infatti in quanto fisiologo ha tralasciato la causa strumentale
e paradigmatica» (τὸ γὰρ ὀργανικὸν καὶ παραδειγματικὸν ὡς φυσιολόγος
παρῆκεν) e che «dunque in quanto fisico non ha ricordato la causa paradigma-
tica e strumentale» (ὡς οὖν φυσικὸς τοῦ παραδειγματικοῦ καὶ τοῦ ὀργανικοῦ
αἰτίου οὐ μεμνήσεται). A questo Filopono aggiunge una distinzione per quel che
concerne il metodo tra il Timeo platonico, dove si fa «fisiologia in maniera teo-
logica» (φυσιολογεῖν θεολογικῶς) e si considerano le cause trascendenti delle
realtà fisiche, e l’approccio aristotelico nella Metaphysica, dove al contrario si
fa «teologia in maniera fisica» (θεολογεῖν φυσικῶς) e si considerano le realtà
divine a partire da quelle naturali.15 Salvo quest’ultima precisazione, il testo di

14 EUSTR., In II A.Po., 137,7.


15 PHILOPONUS, In Aristotelis Physicorum cit., 5,7-25: Ἀρχὰς δὲ τῶν πραγμάτων πάντων Πλάτων μὲν ἕξ
φησιν εἶναι, ὕλην, εἶδος, ποιητικὸν αἴτιον, παραδειγματικόν, ὀργανικόν, τελικόν· καὶ καλεῖ τὴν μὲν ὕλην
ἐν ᾧ (μητέρα γὰρ αὐτὴν καλεῖ καὶ δεξαμενὴν καὶ τιθηνήν), τὸ δὲ εἶδος ὅ (τοῦτο γάρ ἐστι τὸ ἑκάστου
τῶν πραγμάτων χαρακτηριστικόν, οὐχ ἡ ὕλη μία καὶ ἡ αὐτὴ οὖσα πάντων), τὸ δὲ ποιητικὸν ὑφ’ οὗ, τὸ
ὀργανικὸν δι’ οὗ, τὸ παραδειγματικὸν πρὸς ὅ, τὸ τελικὸν δι’ ὅ. τούτων δὲ τῶν ἓξ τὰ μὲν τρία συναίτια
καλεῖ, τὰ δὲ τρία αἴτια· τὸ μὲν γὰρ ποιητικὸν καὶ τὸ τελικὸν καὶ τὸ παραδειγματικὸν αἴτια καλεῖ ὡς
ἐξῃρημένα καὶ κύρια ὄντα τῆς ἑαυτῶν ἐνεργείας, τὴν δὲ ὕλην καὶ τὸ εἶδος καὶ τὸ ὄργανον συναίτια, διότι
μὴ ἔστι κύρια τῆς ἑαυτῶν ἐνεργείας. ὁ μὲν οὖν Πλάτων, ὡς εἶπον, ἕξ φησιν εἶναι τὰς τῶν ὄντων ἀρχάς, ὁ
δὲ Ἀριστοτέλης τέσσαρας, ὕλην, εἶδος, ποιητικὸν αἴτιον, τελικόν· τὸ γὰρ ὀργανικὸν καὶ παραδειγματικὸν
ὡς φυσιολόγος παρῆκεν (οὐ γὰρ πρὸς παράδειγμα ἡ φύσις ποιεῖ· ζωὴ γάρ τις οὖσα οὕτω ποιεῖ, οὐχὶ δὲ
γνῶσίς τις ὡς ὁ νοῦς). ὡς οὖν φυσικὸς τοῦ παραδειγματικοῦ καὶ τοῦ ὀργανικοῦ αἰτίου οὐ μεμνήσεται·
ἔστι γὰρ καὶ φυσιολογεῖν θεολογικῶς, ὡς ὁ Πλάτων ἐν τῷ Τιμαίῳ περὶ τῶν ἐξῃρημένων αἰτίων τῶν
82 Il neoplatonismo di Eustrazio di Nicea

Eustrazio appare assai simile, se non identico a quello di Filopono per quel che
concerne l’individuazione della motivzione in virtù della quale Aristotele parla
di sole quattro cause.
Abbiamo dunque visto come Eustrazio conosca bene i testi della tradizione
neoplatonica, facendo propri i cardini della causalità procliana; egli conosce as-
sai bene anche la tradizione dei commentatori tardo-antichi di Aristotele, come
il parallelismo tra 1.3 e il commento alla Physica di Filopono suggerisce.
Veniamo ad un altro passo che contribuisce a chiarire in maniera ancora più
chiara il contesto dottrinale all’interno del quale il commentatore si muove. Si
tratta di un passo che si occupa più specificatamente della collocazione dall’a-
nima intellettiva all’interno della gerarchia degli esseri. Per quel che riguarda
questa sezione, questo testo ci interessa per un chiaro riferimento alla nozione
di gerarchia come categoria primaria che caratterizza la dottrina della causalità
elaborata dal nostro autore. Il passo è il seguente:

1.4 In II A.Po., 257,35-37: ἐν τῇ τάξει τῶν εἰδῶν τὰ προσεχῶς μετά τι μετέχει τρανότερον
τοῦ προσεχῶς πρὸ αὐτῶν. ἐπεὶ οὖν ἡ ψυχὴ προσεχῶς μετὰ νοῦν, μετέχει τοῦ νοῦ
μᾶλλον ἤπερ τὰ πόρρω τοῦ νοῦ.
[«Nella gerarchia delle forme quelle che vengono subito dopo una certa forma in ma-
niera più chiara partecipano di ciò che si trova subito prima di queste. Nella misura
in cui dunque l’anima viene subito dopo l’Intelletto, essa partecipa di esso in misura
maggiore di ciò che è più distante rispetto all’Intelletto.»]

Il testo in questione parla appunto di una gerarchia di forme e postula una


relazione tra queste forme secondo una causalità di tipo verticale. La prima parte
del passo non è di immediata comprensione in quanto, vuoi per una corruttela nel
testo, vuoi per una scelta autoriale, essa è priva del secondo termine di paragone.
L’espressione τοῦ προσεχῶς πρὸ αὐτῶν, infatti, è retta dalla forma μετέχει, e non
da τρανότερον. Evidentemente occorre leggere il passo in questo modo: ciò che
è in prossimità, subito dopo nella gerarchia, rispetto ad una causa, partecipa in
maniera più chiara (di ciò che si trova a maggiore distanza dalla causa).
Siamo ancora una volta, come appare chiaro, in un’orizzonte segnato da una
dottrina della causalità neoplatonica. Inoltre la formulazione generale della leg-
ge di causalità, per cui appunto ciò che si trova in prossimità rispetto alla causa
ne partecipa più chiaramente di ciò che si trova a maggiore distanza da essa,
viene precisata e meglio elaborata a partire da un caso specifico, quello dell’a-

φυσικῶν πραγμάτων διαλεγόμενος, καὶ θεολογεῖν φυσικῶς, ὥσπερ ὁ Ἀριστοτέλης ἐν τῇ ετὰ τὰ φυσικὰ
ἐκ τῶν φυσικῶν πραγμάτων τὴν διδασκαλίαν τῶν θείων ποιούμενος.
II. I commenti filosofici e le dottrine 83

nima rispetto all’Intelligenza o Intelletto, la quale partecipa dell’Intelligenza in


misura maggiore di ciò che si trova più distante da essa.
Alcuni elementi ci permettono di individuare il riferimento testuale preciso
alla base di questa formulazione di Eustrazio. In primo luogo l’utilizzo della
forma τρανότερον (e delle forme derivate da τρανής), che compare nell’opera
di Proclo diverse volte per descrivere il carattere più chiaro o distinto della
partecipazione di un effetto alla causa.16 Poi, e qui il riferimento all’opera di
Proclo è assai più diretto, la seconda parte del passo, dove si parla appunto della
prossimità dell’anima all’Intelligenza per quel che concerne la sua origine, è
una chiara ripresa della proposizione 193 dell’Elementatio theologica. Anche in
questo caso il parallelismo tra i due testi è evidente. Il testo di tale proposizione
recita infatti:

Πᾶσα ψυχὴ προσεχῶς ἀπὸ νοῦ ὑφέστηκεν.


[«Ogni anima trae la sua origine prossima da un’Intelligenza.»]

Il passo in questione è problematico in quanto andrebbe compreso sullo sfon-


do della dottrina procliana dei diversi tipi di anime e di intelligenze di cui le
anime partecipano.17 Ci sembra tuttavia che Eustrazio abbia letto in questo passo
il solo principio generale in virtù del quale l’ordine intellettuale è il più prossimo
rispetto all’ordine psichico, adattandolo alle sue esigenze, quelle cioè di costru-
ire un sistema in cui l’ordine delle diverse anime umane individuali procede e
si origina da un’Intelligenza. Come vedremo nella sezione relativa alla teoria
eustraziana dell’intelletto, la posta in gioco sarà per l’anima di mantenere questa
prossimità con l’Intelligenza e riscoprire essa stessa la traccia di questa deriva-
zione operando in maniera puramente intellettiva. Ciò che possiamo dire per il
momento è che colpisce come Eustrazio, almeno in questo passo, non abbia alcu-
na fretta di identificare questa Intelligenza con il Dio della Rivelazione cristiana.
Vi è poi un altro testo, preso questa volta dal commento al libro VI dell’Ethi-
ca Nicomachea, dove Eustrazio propone in maniera definita una causalità di
tipo neoplatonico. Anche questo passo sarà oggetto di studio nella sezione di
questo lavoro dedicata alla teoria dell’intelletto e dell’intellezione di Eustrazio.
In particolare, abbiamo qui isolato uno spezzone di un più ampio passo al fine
di evidenziare ancora gli elementi utili alla contestualizzazione della posizione

16 Cfr. e.g. PROCLUS, Elementatio cit., 145, 128,12; ID., In Platonis Rem publicam commentarii, 2 vol.,

ed. W. KROLL, Teubner, Leipzig 1899-1901, 1,13,23-25; ID, In Platonis Timaeum cit., 1,211,23-24; ID., In
primum Euclidis Elementorum librum commentarii, ed. G. FRIEDLEIN, Teubner, Leipzig 1893, 89,2-3.
17 Si vedano le osservazioni di Dodds in PROCLO, Elementatio cit., 299.
84 Il neoplatonismo di Eustrazio di Nicea

dottrinale del nostro commentatore. Eustrazio, come vedremo, ha appena finito


di dire che l’anima deve mantenere la propria prossimità con l’Intelligenza o In-
telletto, in piena coerenza rispetto a 1.4. Egli aggiunge che questo deve accadere:

1.5 In VI EN, 317,30-32: {...} ἵνα καὶ τῶν ὄντων αἱ πρόοδοι ἐκ τῆς πρώτης αἰτίας καθ’
εἱρμὸν γίνοιντο, ἀεὶ τοῦ ὑφειμένου συναπτομένου τῷ πρὸ αὐτοῦ καί τινα πρὸς
ἐκεῖνο κεκτημένου ὁμοίωσιν.
[«{...} affinché anche le processioni degli enti dalla Causa Prima abbiano luogo in
una concatenazione, con ciò che viene dopo sempre connesso a ciò che viene prima
di esso, preservando una similitudine rispetto a quello.»]

Sono due gli elementi che ci interessano da vicino: l’espressione καθ’ εἱρμόν e
il riferimento al principio di similitudine (ὁμοίωσις) come principio cardine del
legame che caratterizza gli effetti rispetto alle cause. L’espressione καθ’εἱρμόν
(«secondo concatenazione» o «in serie») è un’espressione chiave utilizzata dai
neoplatonici della tarda antichità per caratterizzare l’omogeneità del processo
causale. Essa va compresa in relazione alla nozione di τάξις («gerarchia»). In
questo senso il termine compare in un alto numero di testimonianze di que-
sto periodo.18 Lo stesso si può dire per il termine ὁμοίωσις («similitudine») a
caratterizzare la matrice del rapporto causa-effetto. Nella causazione l’effetto
preserva l’impronta della causa. Tra i molti passi che potrebbero essere riportati
a supporto dell’origine neoplatonica di questo principio,19 sicuramente spicca
la celeberrima proposizione 29 ancora dell’Elementatio theologica procliana:

Πᾶσα πρόοδος δι’ ὁμοιότητος ἀποτελεῖται τῶν δευτέρων πρὸς τὰ πρῶτα.


[«Ogni processione si compie per similitudine del termini secondari rispetto a quelli
primari.»]20

O ancora un passo dalla Theologia Platonica di Proclo, che mi pare ricordi


assai da vicino 1.5. Ricordiamo infatti che in 1.5 Eustrazio aveva affermato che

18 Cfr. e.g. PROCLUS, In Platonis Rem publicam cit., 2,29,14-16; ibid., 2,343,24-25; ID., Theologia Platoni-

ca, ed. H.D. SAFFREY/L.G. WESTERINK, 6 vol., Les Belles Lettres, Paris 1968-1997, 6,14,8-10; ID., Elementatio
cit., 21, 24,15-18; ID., In Platonis Timaeum cit., 2,52,10-11; ibid., 2,26,11-14; ibid., 3,272,25-26.
19 Cfr. e.g. PROCLUS, Theologia, cit., 6,78,23-29: Ὥσπερ οὖν ἡ δι’ ὁμοιότητος πρόοδος τοῖς πᾶσι καὶ

<ἡ> κατὰ τὴν ὁμοίωσιν τὴν πρὸς τὰς αἰτίας ἐπιστροφὴ παρὰ τῶν ἡγεμόνων τῶν ἀφομοιωτικῶν ἐνδίδοται,
καὶ τοῖς οὐρανίοις θεοῖς καὶ ἡμῖν καὶ τοῖς μεταξὺ γένεσιν, οὕτω δὴ καὶ τὸ ἀφειμένον ἀπὸ τῶν μερικῶν
καὶ τὸ εὔλυτον καὶ τὸ ἐπὶ πολλὰ ταῖς ἐνεργείαις αὐτεξουσίως φερόμενον σύνθημα τῶν ἀπολύτων ἐστὶν
ἡγεμόνων.
20 PROCLUS, Elementatio cit., 29, 35,3-4. Si veda anche ibid., 32, 36,3-4. Abbiamo analizzato brevemente

1.4 e 1.5 anche in TRIZIO, Eleventh cit., 193.


II. I commenti filosofici e le dottrine 85

la legge della causalità richiede che «ciò che viene dopo sia sempre connesso a
ciò che viene prima di esso, preservando una similitudine rispetto a quello» (ἀεὶ
τοῦ ὑφειμένου συναπτομένου τῷ πρὸ αὐτοῦ καί τινα πρὸς ἐκεῖνο κεκτημένου
ὁμοίωσιν). Proclo a sua volta scrive:

αὶ γὰρ αὖ καὶ κατ’ ἄλλον τρόπον ἀνάγκη τὰ πρώτως ὄντα διὰ τῶν προσεχῶν αὐτῶν
ἑνάδων μετέχειν τῆς πρωτίστης αἰτίας. Ἕκαστα γὰρ τῶν δευτέρων διὰ τῶν ὁμοίων
συνάπτεται τοῖς πρὸ αὐτῶν, τὰ μὲν σώματα διὰ τῶν καθ’ ἕκαστα ψυχῶν τῇ ὅλῃ,
ψυχαὶ δὲ διὰ τῶν νοερῶν μονάδων τῷ παντὶ νῷ, τὰ δὲ ὄντα δήπου πρῶτα διὰ τῶν
ἑνιαίων ὑπάρξεων τῷ ἑνί.
[«E infatti, per dirlo ancora in un diverso modo, è necessario che ciò che esiste come
primario partecipi della Causa assolutamente prima per tramite delle enadi imme-
diatamente adiacenti. Infatti ciascuno dei termini secondari si congiunge a quelli
precedenti tramite i termini simili: i corpi, tramite la loro anima particolare, all’Anima
Universale; le anime, tramite le monadi intellettuali, all’Intelletto Universale; gli enti
che sono di fatto primari, tramite le loro esistenze unificate, all’Uno.»]21

Prendiamo adesso in esame un passo importante del commento al II libro degli


Analytica Posteriora:

1.6 In II A.Po., 254,2-9: Δῆλον δή, φησίν, ὅτι ἐκεῖνα ἔστιν αἴτια ἀεὶ τοῖς καθ’ ἕκαστα,
ἃ καὶ ἐγγύτατά ἐστιν ἐκείνῳ, ᾧ αἴτιον λέγεται εἶναι τὸ αἴτιον. τοῦ γὰρ ὅλως ἐξ
ἀρχῆς ὑπὸ τὸ μεῖζον εἶναι τὰ καθ’ ἕκαστα τοῦτό ἐστιν αἴτιον· τοῦτο γὰρ περιέχον
προσεχῶς τὰ καθ’ ἕκαστα, δι’ ἑαυτοῦ χορηγεῖ αὐτοῖς τὸ καθόλου ἀνάλογον τῇ τάξει
τῶν εἰδῶν. ἀεὶ γὰρ ταῖς καταδεεστέραις τῶν ὑποστάσεων ἡ μετουσία τοῦ ἀγαθοῦ διὰ
τῶν προσεχῶς αὐτῶν προϊσταμένων παρέχεται, οἷον τοῖς σώμασι διὰ τῆς φύσεως,
τῇ φύσει διὰ τῆς ψυχῆς, τῇ ψυχῇ διὰ τοῦ νοῦ, τούτῳ διὰ τῆς ζωῆς, ταύτῃ διὰ τοῦ
ὄντος.
[«Pertanto è chiaro, dice, che quelle sono sempre le cause per i particolari, che sono
anche le più prossime a quello di cui la causa è detta essere causa. Del fatto che
i particolari sono interamente sin dall’inizio sotto il termine maggiore, questa è la
causa. Questo infatti, nella misura in cui contiene da vicino i particolari, di per sé li
attribuisce all’universale corrispondente nella gerarchia delle forme. Sempre infatti
per le più indigenti tra le ipostasi la partecipazione al bene è garantita attraverso ciò
che viene subito prima rispetto a queste, come per i corpi tramite la natura, per la
natura tramite l’anima, per l’anima tramite l’Intelletto, per questo tramite la vita e per
questa tramite l’essere.»].

21 PROCLUS, Theologia cit., 3, 13,6-12.


86 Il neoplatonismo di Eustrazio di Nicea

Questo passo, in apparenza ostico, può essere meglio compreso se analizzato


in ciascuna delle due parti di cui esso si compone. Intanto vediamo il contesto,
ossia il passo aristotelico oggetto del commento di Eustrazio:

πότερον δ’ αἴτιον τῶν μέσων, τὸ πρὸς τὸ καθόλου πρῶτον ἢ τὸ πρὸς τὸ καθ’ἕκαστον,


τοῖς καθ’ ἕκαστον; δῆλον δὴ ὅτι τὸ ἐγγύτατα ἑκάστῳ ᾧ αἴτιον.
[«Quale dei termini medi è la causa? Quello che è primo nella direzione dell’univer-
sale, o quello che è primo nella direzione del particolare? È chiaro in effetti che è
quello più prossimo a ciascuna cosa di cui è causa.»]22

Nella prima parte del passo Eustrazio non fornisce un’esegesi letterale del
testo, ma introduce già da subito alcuni elementi che, a nostro parere, manife-
stano un orientamento dottrinale alieno al senso del passo aristotelico in que-
stione.23 Del termine maggiore si dice che «nella misura in cui questo contiene
da vicino i particolari, di per sé attribuisce questi all’universale corrispondente
nella gerarchia delle forme» (τοῦτο γὰρ περιέχον προσεχῶς τὰ καθ’ ἕκαστα,
δι’ ἑαυτοῦ χορηγεῖ αὐτοῖς τὸ καθόλου ἀνάλογον τῇ τάξει τῶν εἰδῶν). Il lettore
avrà probabilmente notato la presenza dell’espressione «gerarchia delle forme»
(τῇ τάξει τῶν εἰδῶν), termine già comparso in 1.4 allorquando Eustrazio aveva
ricordato che nella gerarchia delle forme gli effetti che si trovano con maggiore
prossimità rispetto alla causa ne partecipano più chiaramente di ciò che si trova
più distante rispetto ad essa. Il riferimento alla gerarchia delle forme in 1.6 ri-
manda dunque al medesimo sfondo dottrinale di 1.4, caratterizzato, come detto,
dalle leggi della causalità procliana.
Ma quale può essere questo termine che in 1.6 raccoglie dentro di sé i partico-
lari prossimi? In che senso, così facendo, «di per sé attribuisce questi all’univer-
sale corrispondente nella gerarchia delle forme» (δι’ ἑαυτοῦ χορηγεῖ αὐτοῖς τὸ
καθόλου ἀνάλογον τῇ τάξει τῶν εἰδῶν)? Credo la risposta sia da cercare ancora
in Proclo. Penso in particolare alla proposizione 21 dell’Elementatio theologica,
dove si legge:

Πᾶσα τάξις ἀπὸ μονάδος ἀρχομένη πρόεισιν εἰς πλῆθος τῇ μονάδι σύστοιχον, καὶ
πάσης τάξεως τὸ πλῆθος εἰς μίαν ἀνάγεται μονάδα. ἡ μὲν γὰρ μονάς, ἀρχῆς ἔχουσα
λόγον, ἀπογεννᾷ τὸ οἰκεῖον ἑαυτῇ πλῆθος· διὸ καὶ μία σειρὰ καὶ μία τάξις, ἣ ὅλη
παρὰ τῆς μονάδος ἔχει τὴν εἰς τὸ πλῆθος ὑπόβασιν· οὐ γὰρ ἔτι τάξις οὐδὲ σειρά,
τῆς μονάδος ἀγόνου μενούσης καθ’ αὑτήν. τὸ δὲ πλῆθος ἀνάγεται πάλιν εἰς μίαν

22 ARIST., Analytica Posteriora, II,18,99b8-11.


23 EUSTR., In II A.Po., 254,2-6.
II. I commenti filosofici e le dottrine 87

τὴν κοινὴν τῶν ὁμοταγῶν πάντων αἰτίαν. τὸ γὰρ ἐν παντὶ τῷ πλήθει ταὐτὸν οὐκ ἀφ’
ἑνὸς τῶν ἐν τῷ πλήθει τὴν πρόοδον ἔσχε· τὸ γὰρ ἀφ’ ἑνὸς μόνου τῶν πολλῶν οὐ
κοινὸν πάντων, ἀλλὰ τῆς ἐκείνου μόνης ἰδιότητος ἐξαίρετον. ἐπεὶ οὖν καθ’ ἑκάστην
τάξιν ἐστί τις καὶ κοινωνία καὶ συνέχεια καὶ ταυτότης, δι’ ἣν καὶ τάδε μὲν ὁμοταγῆ
λέγεται, τάδε δὲ ἑτεροταγῆ, δῆλον ὡς ἀπὸ μιᾶς ἀρχῆς ἥκει πάσῃ τῇ τάξει τὸ ταὐτόν.
ἔστιν ἄρα μονὰς μία πρὸ τοῦ πλήθους καθ’ ἑκάστην τάξιν καὶ εἱρμὸν τὸν ἕνα λόγον
τοῖς ἐν αὐτῇ τεταγμένοις παρεχομένη πρός τε ἄλληλα καὶ πρὸς τὸ ὅλον. ἄλλο μὲν
γὰρ ἄλλου αἴτιον ἔστω τῶν ὑπὸ τὴν αὐτὴν σειράν· τὸ δὲ ὡς μιᾶς τῆς σειρᾶς αἴτιον
ἀνάγκη πρὸ τῶν πάντων εἶναι, καὶ ἀπ’ αὐτοῦ πάντα ὡς ὁμοταγῆ γεννᾶσθαι, μὴ ὡς
τόδε τι ἕκαστον ἀλλ’ ὡς τῆσδε τῆς τάξεως ὑπάρχον.
[«Ogni ordine ha la propria origine dalla monade e procede in una molteplicità co-
ordinata alla monade, e la molteplicità di ciascun ordine viene ricondotta alla singo-
la monade. Infatti la monade, avendo lo statuto di principio, genera la molteplicità
conforme a se stessa. Per questo anche una è la serie e uno è l’ordine, o detto in altri
termini, l’intera sequenza deriva dalla monade la sua discesa verso il molteplice.
Infatti senza ordine non vi sarà neanche una serie, se la monade permane sterile in se
stessa. A sua volta la molteplicità è ricondotta verso la singola causa comune a tutti
i termini coordinati. Ciò che è identico in ogni membro della molteplicità non è pro-
ceduto da uno di questi membri della molteplicità. Ciò che infatti deriva dal solo uno
dei molti non è comune ai molti, ma è proprio della sua singola individualità. Poiché,
dunque, in ogni ordine vi è un elemento comune, una continuità e un’identità in virtù
della quale alcune cose sono dette essere coordinate, mentre altre di diverso ordine,
è chiaro che l’elemento di identità deriva per ogni ordine dalla singola causa. Per-
tanto vi è una singola monade antecedente rispetto al molteplice per ciascun ordine
e concatenazione, la quale attribuisce a ciò che è sottoposto ad essa l’unica relazione
dei termini tra di loro e nei confronti del tutto. Sia chiaro che all’interno della stessa
serie un termine è causa dell’altro. Mentre invece è necessario che la causa della
singola serie sia antecedente rispetto al molteplice e che tutto, in quanto coordinato,
da questa tragga origine, non in quanto questo termine particolare, ma come termine
della particolare serie.»]24

Mi pare che il testo della proposizione 21 dell’Elementatio si presti molto


bene a spiegare il contesto dottrinale di 1.6, quello cioè di una causa, quella di
cui parla Eustrazio, da intendersi come monade impartecipata che dà origine
alla molteplicità dei termini particolari, e che includendoli, determina questi
termini ad essa coordinati in quanto appartenenti ad una determinata serie in
un determinato piano nella gerarchia del reale.25

24PROCLUS, Elementatio cit., 21, 24,1-21


25Su questo aspetto della causalità procliana, si veda R. CHLUP, Proclus. An Introduction, Cambridge
University Press, Cambridge-New York 2012, 101-102.
88 Il neoplatonismo di Eustrazio di Nicea

In Proclo il principio della monade impartecipata e dei termini da essa de-


rivati e ad essa coordinati viene completato con la teoria del tutto e delle parti,
concetti questi con cui Proclo spiega le diverse prospettive da cui è possibile
guardare il processo di causalità e nello specifico il rapporto tra la monade im-
partecipata e i termini ad essa coordinati. Il testo canonico in questo senso è la
proposizione 67 dell’Elementatio:

Πᾶσα ὁλότης ἢ πρὸ τῶν μερῶν ἐστιν ἢ ἐκ τῶν μερῶν ἢ ἐν τῷ μέρει.


[«Ogni tutto è un tutto prima delle parti o dalle parti o nelle parti.»]26

Questo testo ci dice che la monade impartecipata è un tutto prima delle parti,
in cui la forma di ogni cosa è considerabile a partire dalla causa. Oppure si può
approcciare la causalità dal punto di vista dei particolari derivati dalla monade,
e in questo senso contempliamo la forma in questione come un tutto nelle parti.
Infine, possiamo vedere la sequenza causale dal punto di vista delle parti, nella
misura in cui esse stesse sono un tutto in quanto partecipanti del tutto, e in que-
sto caso approcciamo la sequenza dalla prospettiva del tutto come un insieme di
parti: il tutto di parti o dalle parti.
A conferma del fatto che, a nostro parere, 1.6 è da comprendere all’interno di
questa prospettiva vi è la circostanza per la quale proprio questa distinzione tra
tutto prima delle parti, dalle parti e nelle parti gioca un ruolo fondamentale in
Eustrazio.27 Il commento al II libro degli Analytica Posteriora del nostro autore
contiene in questo senso un’importante testimonianza.

1.7 In II A.Po., 195,26-36: λέγεται δὲ καὶ τὸ ὅλον τριχῶς, ἢ ὡς πρὸ τῶν μερῶν ἢ ὡς
ἐκ τῶν μερῶν ἢ ὡς ἐν τῷ μέρει. αἱ μὲν οὖν πρὸ τῶν μερῶν ὁλότητες, ὡς οἱ περὶ
Πλάτωνα λέγουσιν, αἱ ἀρχικαὶ μονάδες εἰσίν, ἐξ ὧν ἑκάστης ὁ σύστοιχος αὐτῇ
ἀριθμὸς ἀπογεννᾶται, μονάδος μὲν οὔσης αὐτῆς ἀμεθέκτου, πολλῶν δ’ ἐξ αὐτῆς
κατὰ πρόοδον γεννωμένων, αἳ καὶ μέρη ἐκείνης λέγονται, ὡς ἐκείνης μὲν οὔσης
αἰτίας πρὸ αὐτῶν, τούτων δὲ πασῶν μεριζομένων τὴν ἐξ αὐτῆς ὕπαρξιν διὰ τὸ εἰς
πλῆθος ἐκτείνεσθαι, καὶ πασῶν ἀναφερομένων εἰς ἐκείνην ὡς εἰς μοναδικήν τε καὶ
ἀρχικὴν καὶ ὑπερκειμένην τῶν ἐξ αὐτῆς. τὸ δὲ ἐκ πάντων ἄθροισμα ὅλον ἐστὶν ὡς
ἐκ μερῶν τῶν κατὰ μέρος τούτων μονάδων συντεθειμένον. ἑκάστη δὲ τῶν μονάδων
τούτων, ἐξ ὧν τὸ πλῆθος, ὅλον ἐν τῷ μέρει ἐστίν.
[«Il tutto di dice i tre modi: prima delle parti, dalle parti, nelle parti. Le totalità dunque
che precedono le parti, come dicono i platonici, sono monadi originative, dalle quali è

26 PROCLUS, Elementatio cit., 67, 64,1-2.


27 Si veda la sezione 3 della II parte del presente lavoro.
II. I commenti filosofici e le dottrine 89

generata una serie coordinata, essendo essa stessa una monade impartecipata e i molti
essendo generati da questa per processione, i quali sono detti essere anche sue parti,
in quanto essa è la causa antecedente rispetto ad essi, mentre per tutti questi membri
divisi in parti l’esistenza a partire da questa si estende tramite la molteplicità, nella
misura in cui tutti si riferiscono ad essa come alla singola monade che dà loro l’origi-
ne e che è trascendente rispetto a ciò che da essa deriva. Il tutto come assemblato a
partire dai molti è un tutto composto dalle parti di queste monadi prese ciascuna nel
suo essere parte. Ciascuna di queste monadi, nella misura in cui dà vita al molteplice,
è un tutto nelle parti.»]28

Difficile trovare un passo più eloquente di questo. La posizione dei platonici,


di cui Eustrazio parla, è chiaramente da ricondurre al testo della proposizione 21
dell’Elementatio theologica di Proclo. Se non bastasse, quando descrive le mo-
nadi impartecipate secondo i platonici, Eustrazio sostiene che tali monadi «sono
monadi originative, dalle quali è generata una serie coordinata» (αἱ ἀρχικαὶ
μονάδες εἰσίν, ἐξ ὧν ἑκάστης ὁ σύστοιχος αὐτῇ ἀριθμὸς ἀπογεννᾶται). Si con-
fronti questo testo con un passo della Theologia Platonica di Proclo:

{...} ὡς ἀνάγκη πᾶσαν μονάδα παράγειν ἀριθμὸν αὑτῇ σύστοιχον, τὴν μὲν φύσιν
φυσικόν, τὴν δὲ ψυχὴν ψυχικόν, τὸν δὲ νοῦν νοερόν.
[«{...} poiché è necessario che ogni monade produca una serie coordinata, la natura il
naturale, l’anima lo psichico, l’intelletto l’intellettuale.»]29

Anche in questo caso il confronto tra 1.7 e questo passo della Theologica Pla-
tonica non lascia dubbio sulla dipendenza di Eustrazio da Proclo. A nostro pa-
rere nella prima parte di 1.6 si postula l’esistenza di una monade impartecipata
e di una serie di effetti molteplici coordinati, i quali dall’appartenenza alla serie
derivano la loro collocazione nella gerarchia del reale. Sarebbe questa, secondo
Eustrazio, la causa prossima ai particolari, il termine maggiore che li include. Ci
pare inoltre che anche l’occorrenza del termine ἄθροισμα per designare il tutto
dalle parti derivi dal lessico procliano.30
Tra le altre cose, qualora si legga il seguito di 1.7, ci si accorge che Eustrazio
applica direttamente il principio procliano del tutto e delle parti al caso degli
universali, facendo l’esempio classico dell’uomo, esempio che già si trovava in
Ammonio.31 Questo suggerisce che qui Eustrazio sta giustapponendo la teoria

28 Abbiamo analizzato brevemente questo passo anche in TRIZIO, Eleventh cit., 193-194.
29 PROCLUS, Theologia cit., 3,7,29-8,1.
30 Si veda e.g. PROCLUS, In Platonis Rem publicam cit., 1,222,27.
31 EUSTR., In II A.Po., 195,37-196,16: ὁ γάρ τις ἄνθρωπος, μέρος ὢν τοῦ ἁπλῶς ἀνθρώπου, ὅλον ἐν
90 Il neoplatonismo di Eustrazio di Nicea

procliana del tutto e delle parti con la teoria del triplice statuto dell’universale,
prima, nei e dopi i molti fatta propria dai commentatori tardo-antichi di Aristo-
tele.
Ecco che questo testo ci aiuta ad anticipare ciò che vedremo nella sezione di
questo lavoro dedicata alla posizione di Eustrazio sulla teoria degli universali.
Tale teoria si fonda sull’estensione della teoria procliana di tutto prima, dalle e
nelle parti al tema del legame di partecipazione tra le forme separate e i parti-
colari. Si presti anche attenzione al fatto che, è vero, Eustrazio è partito da una
descrizione della posizione dei platonici, ma di fatto, nel proseguo del testo,
sembra farne un utilizzo positivo fino ad identificarsi con essa.
Torniamo adesso alla seconda parte di 1.6. Nel testo si diceva che:

ἀεὶ γὰρ ταῖς καταδεεστέραις τῶν ὑποστάσεων ἡ μετουσία τοῦ ἀγαθοῦ διὰ τῶν
προσεχῶς αὐτῶν προϊσταμένων παρέχεται, οἷον τοῖς σώμασι διὰ τῆς φύσεως, τῇ
φύσει διὰ τῆς ψυχῆς, τῇ ψυχῇ διὰ τοῦ νοῦ, τούτῳ διὰ τῆς ζωῆς, ταύτῃ διὰ τοῦ ὄντος.
[«Sempre infatti per le più indigenti tra le ipostasi la partecipazione al bene è garantita
attraverso ciò che viene subito prima rispetto a queste, come per i corpi tramite la na-
tura, per la natura tramite l’anima, per l’anima tramite l’Intelletto, per questo tramite
la vita e per questa tramite l’essere.»]32

ἑαυτῷ καὶ ἀνελλιπῆ τὸν ἐκείνου περιφέρει λόγον, καὶ ὅλον ἐν τῷ μέρει ἐστίν· ὡς ἐν τῷ μέρει τοῦ ὅλου
ὅλον ἔχων τὸ ὅλον κατὰ τὸν λόγον. τὸ δὲ εἶδος ὅλον ὡς ἐκ μερῶν τῶν ὑπ’ αὐτὸ συγκείμενον, καὶ τὸ γένος
αὖθις ἐκ τῶν εἰδῶν· ὡς εἰ εἶδος ἐπιλείπει, κολοβοῦσθαι τὸ ὡς γένος ὅλον, καὶ εἰ τῶν καθ’ ἕκαστά τι,
κολοβοῦσθαι τὸ ὡς εἶδος ὅλον οὐ κατὰ τοὺς οἰκείους λόγους (οὐ γὰρ καθὸ οὐσία ἔμψυχος αἰσθητικὴ τὸ
ζῷον κολοβωθήσεται, εἰ ἵππος ἐπιλείποι ἢ βοῦς ἤ τι τῶν ὑπ’ αὐτὸ εἰδῶν ἕτερον, ὥσπερ οὐδὲ ᾗ ζῷον πεζὸν
δίπουν ὁ ἄνθρωπος, Σωκράτους ἐπιλείποντος ἢ Πλάτωνος), ἀλλ’ ἐπεὶ τὰ οὕτω καθόλου ὡς ἐννοηματικὰ
ἐν τούτῳ ἔχει τὸ εἶναι καὶ ἐνεργεῖν, ἐν τῷ περιέχειν τὰ ὑπ’ αὐτὸ καὶ κατηγορεῖσθαι αὐτῶν, εἴ τι ἐπιλείποι
τῶν ὑπ’ αὐτὰ, κεκολόβωται κατὰ τὸ λεῖψαν, ἐκεῖνο μὴ περιέχοντα μήτε μὴν ἐκείνου κατηγορούμενα.
λέγονται δὲ τὰ τοιαῦτα ὅλα καὶ ἐν τοῖς μέρεσιν ὡς ἐν τοῖς ὑπ’ αὐτὰ θεωρούμενα ὅλα κατὰ τοὺς οἰκείους
αὐτῶν λόγους· οὐ γὰρ ὡς ποὺς ἢ χείρ, οὕτω τὸ γένος ὅλον πρὸς τὸ εἶδος, ἢ τὸ εἶδος πρὸς τὰ καθ’ ἕκαστα,
ἀλλ’ ὡς ὅλων ἑαυτῶν μεταδιδόντα τοῖς ὑπ’ αὐτὰ καὶ ὅλα ἐν αὐτοῖς θεωρούμενα. Questo passo è proble-
matico nella misura in cui come esempio del tutto composto di parti Eustrazio adduce il caso del genere e
della specie. Eustrazio utilizza genere e specie per esemplificare il principio del tutto composto di parti,
un tutto composto dalla somma di tutte le parti. Se si toglie una sola delle parti del tutto, dice Eustrazio, il
tutto viene meno. Se viene meno una specie, viene danneggiato il genere come tutto, e se viene meno un
individuo, viene meno la specie. Poi, senza marcare il passaggio al terzo caso, quello del tutto nelle parti,
utilizza genere e specie come elementi che di fatto non vengono meno qualora un termine che cada sotto
il genere o la specie venga meno. Questo perché nel caso del tutto nelle parti, genere e secie sono concetti
mentali. Sull’utilizzo del caso dell’uomo per la spiegazione del triplice statuto dell’universale nella tarda
antichità, si veda AMMONIUS, In Porphyrii isagogen sive quinque voces, ed A. BUSSE, Reimer, Berlin 1891
(«Commentaria in Aristotelem Graeca», IV,3), 41,20-42,26.
32 EUSTR., In II A.Po. 254,6-9.
II. I commenti filosofici e le dottrine 91

A costo di essere ripetitivi, siamo costretti anche in questo caso a rimandare a


Proclo. Questo testo mira a mostrare che, come ciascun termine della serie deriva
dalla monade impartecipata, che è il termine prossimo rispetto ai particolari,
così in generale ciò che è inferiore partecipa del bene per tramite dei termini
immediatamente precedenti. Il discorso qui non è più relativo alla monade e alla
serie coordinata, ma ai diversi ordini della realtà e ai rapporti gerarchici tra di
loro. Eustrazio qui altro non fa se non riportare una lista di ordini nell’ordine in
cui essi si trovano collocati nell’universo procliano.33
Certo, un seguace ortodosso di Proclo potrebbe obiettare che nei fatti i termi-
ni di questa contiguità tra i vari ordini andrebbero leggermente modificati sulla
base di quanto si legge ancora nella Theologia Platonica, dove Proclo ricorda
come il livello contiguo a quello del corpo sia costituito da quello dell’anima,
e non dalla natura, come invece dice Eustrazio.34 Cionondimeno, l’aderenza di
Eustrazio ai principi generali della metafisica procliana è indubbia. Lo si può
vedere in un altro passo del commento al libro VI dell’Ethica Nicomachea, con
il quale terminiamo questa rassegna della posizione di Eustrazio intorno alla
causalità.

1.8 In VI EN, 288,18-24: Ἑκάστου τῶν ὄντων ἢ γινομένων ἡ μὲν οὐσία κατὰ τὴν ἐκ
τοῦ ποιητικοῦ αἰτίου θεωρεῖται πρόοδον, ἡ δὲ τελειότης κατὰ τὴν πρὸς ἐκεῖνο
ἐπιστροφὴν τῆς πρὸς ἐκεῖνο ἀντιποιουμένου ἐφέσεως κἀκεῖνο κατὰ μέτρον
μιμεῖσθαι σπουδάζοντος, ἵν’ ὡς ἐκεῖνο τέλειον, οὕτω καὶ αὐτὸ τέλειον κατὰ τὴν
αὐτῷ ἁρμόζουσαν τελειότητα γίνοιτο. διὸ καὶ τῇ ψυχῇ καὶ τοῖς μορίοις αὐτῆς
ἀναγκαῖον τὴν πρὸς ἐκεῖνο ποιεῖσθαι ἐπιστροφὴν κἀκεῖνο μιμεῖσθαι ταῖς ἀγαθαῖς
ἕξεσι καὶ ἐνεργείαις.
[«Di ciascuno degli esseri o delle cose che vengono all’essere la sostanza è considerata
dal punto di vista dalla processione dalla causa produttiva; la perfezione, invece, dal
punto di vista del ritorno verso la causa del desiderio che è orientato a questa e che
si sforza di imitarla secondo misura, affinché, come la causa è perfetta, così anche
l’effetto diventi perfetto secondo la perfezione appropriata. Per questo è necessario
che sia l’anima che le sue parti facciano ritorno alla causa e la imitino nelle buone
disposizioni e operazioni.»]35

Abbiamo qui una sintesi della principale legge di causalità procliana, in virtù

33 Si veda lo schema in L. SIORVANES, Proclus: Neo-Platonic Science and Philosophy, Edimburgh Uni-

versity Press, Edinburgh 1996, 125.


34 Si veda e.g. PROCLUS, Theologia cit., 3,6,14-26,11.
35 Una menzione di questo passo si ritrova anche in TRIZIO, Eleventh cit., 193-194, dove come parallelo

in Proclo abbiamo segnalato PROCLUS, Theologia cit., 2,41,20-28.


92 Il neoplatonismo di Eustrazio di Nicea

della quale tutto ciò che procede da una causa si converte e ritorna alla causa
stessa. Il rimando, tra i tanti passi, è sicuramente alla proposizione 31 dell’E-
lementatio theologica, dove appunto questa legge è enucleata nei suoi termini
generali, che includono il ritorno alla causa come ad oggetto di appetizione.36
Questo avviene, leggiamo in Eustrazio, «secondo misura» (κατὰ μέτρον), ossia
in relazione alla collocazione di un determinato effetto nella gerarchia del reale
che ne determina la potenza e capacità operativa. Anche qui ritroviamo un prin-
cipio cardine della causalità propriamente neoplatonica, secondo il quale tutto
partecipa della causa in relazione alla propria capacità, nella misura in cui, come
si è già avuto modo di vedere, gli effetti più prossimi partecipano maggiormente
della causa rispetto agli effetti più remoti.37
Da quanto visto fino a questo momento, Eustrazio eredita i principî di base
della dottrina procliana della causalità. Si tratta di una causalità di tipo verti-
cale, che presuppone una processione verso il basso e, come vedremo quando
analizzeremo da vicino la posizione di Eustrazio su intelletto e intellezione, una
risalita o ritorno degli effetti alle cause.
Di fatto anche in 1.8, dove pure l’autore descrive una legge della causalità
neoplatonica in termini generali (se non generici), la sua attenzione finisce al
caso particolare dell’anima, la quale anch’essa deve rivolgersi alla sua causa
produttiva.38 Questa attenzione si riflette in numerosi passi in cui Eustrazio si
propone di dare conto dello statuto dell’intelletto umano e della natura del pro-
cesso intelletivo, come vedremo nella sezione 4 della II parte del presente lavoro.

2. La divisione delle scienze e le sue ragioni


In EN, VI,8,1142a16-19 Aristotele, riportando un’opinione comune, ricorda co-
me solitamente i giovani possano essere considerati buoni matematici, ma non
sapienti, né tantomeno fisici; il motivo sarebbe dovuto al fatto che gli oggetti del-
la matematica deriverebbero per astrazione (δι’ ἀφαιρέσεώς), mentre i principî
della sapienza e della fisica sarebbero derivati dall’esperienza (ἐξ ἐμπειρίας).39

36 PROCLUS, Elementatio cit., 31, 34,28-35,2: Πᾶν τὸ προϊὸν ἀπό τινος κατ’ οὐσίαν ἐπιστρέφεται πρὸς

ἐκεῖνο ἀφ’ οὗ πρόεισιν. εἰ γὰρ προέρχοιτο μέν, μὴ ἐπιστρέφοι δὲ πρὸς τὸ αἴτιον τῆς προόδου ταύτης, οὐκ
ἂν ὀρέγοιτο τῆς αἰτίας· πᾶν γὰρ τὸ ὀρεγόμενον ἐπέστραπται πρὸς τὸ ὀρεκτόν. ἀλλὰ μὴν πᾶν τοῦ ἀγαθοῦ
ἐφίεται, καὶ ἡ ἐκείνου τεῦξις διὰ τῆς προσεχοῦς αἰτίας ἑκάστοις· ὀρέγεται ἄρα καὶ τῆς ἑαυτῶν αἰτίας
ἕκαστα. δι’ οὗ γὰρ τὸ εἶναι ἑκάστῳ, διὰ τούτου καὶ τὸ εὖ· δι’ οὗ δὲ τὸ εὖ, πρὸς τοῦτο ἡ ὄρεξις πρῶτον·
πρὸς ὃ δὲ πρῶτον ἡ ὄρεξις, πρὸς τοῦτο ἡ ἐπιστροφή.
37 Su questo principio si veda, tra i tanti passi che potrebbero essere citati, PROCLUS, Elementatio cit.,

103, 92,13-14.
38 EUSTR., In VI EN, 288,22-24.
39 ARIST., Ethica Nicomachea, VI,8,1142a16-19: ἐπεὶ καὶ τοῦτ’ ἄν τις σκέψαιτο, διὰ τί δὴ μαθηματικὸς
II. I commenti filosofici e le dottrine 93

Il passo in questione viene a conclusione di una precedente argomentazione


(EN, VI,8,1142a11-15) secondo la quale la motivazione di tale iato nei giovani
individui tra il possesso di conoscenze di tipo scientifico, come nel caso della
matematica, e l’attitudine a destreggiarsi nell’ambito delle azioni risiederebbe
nel fatto che il soggetto delle azioni è costituito dall’ambito dei particolari, e
l’attitudine a destreggiarsi nelle circostanze di ordine particolare proprie dell’a-
gire morale può solo essere acquisita e consolidata per esperienza, la quale però
richiede del tempo.40
Di fronte a EN, VI,9,1142b16-19, la già citata conclusione dell’argomenta-
zione aristotelica in cui al procedimento astrattivo proprio delle discipline ma-
tematiche Aristotele oppone l’esperienza come fonte di derivazione dei principî
per sapienza e fisica, Eustrazio offre una lunga digressione, che occupa circa
cinque pagine nell’edizione Heylbut, relativa allo statuto e la natura degli oggetti
matematici, di quelli propri dell’indagine nell’ambito fisico e di quelli propri
della sapienza (sophia). Ad eccezione di una lunga digressione anti-islamica pre-
sente nel commento al libro VI dell’opera aristotelica in questione,41 si tratta del
più lungo commento ad un lemma del testo aristotelico presente nei commenti
filosofici di Eustrazio, a testimonianza del grande interesse che l’autore mostra
per il lemma in questione e per questo tipo di problematiche. La questione ac-
quisisce interesse specie se si pensa alla tradizione di queste problematiche
all’interno dei commentari tardo-antichi alle opere di Aristotele e all’interno
della tradizione più specificatamente neoplatonica. Per questa ragione l’analisi
di questa lunga nota esegetica offre uno spaccato importante sulla posizione del
nostro commentatore in merito alla divisione delle scienze speculative e sulle
sue ragioni e ci permette di collocare meglio l’autore all’interno della tradizione
esegetica precedente.42
Per facilitare la comprensione del testo, abbiamo deciso di scomporlo in vari
spezzoni, ricostruendo così in maniera organica il modo in cui Eustrazio defi-

μὲν παῖς γένοιτ’ ἄν, σοφὸς δ’ ἢ φυσικὸς οὔ. ἢ ὅτι τὰ μὲν δι’ ἀφαιρέσεώς ἐστιν, τῶν δ’ αἱ ἀρχαὶ ἐξ ἐμπειρίας.
40 ARIST., Ethica Nicomachea, VI,8,1142a14-15: σημεῖον δ’ ἐστὶ τοῦ εἰρημένου καὶ διότι γεωμετρικοὶ

μὲν νέοι καὶ μαθηματικοὶ γίνονται καὶ σοφοὶ τὰ τοιαῦτα, φρόνιμος δ’ οὐ δοκεῖ γίνεσθαι. αἴτιον δ’ ὅτι καὶ
τῶν καθ’ ἕκαστά ἐστιν ἡ φρόνησις, ἃ γίνεται γνώριμα ἐξ ἐμπειρίας, νέος δ’ ἔμπειρος οὐκ ἔστιν. Questi
passi vanno letti in parallelo a ibid., I,3,1095a2-4 (il commento di Eustrazio a questo passo è discusso in 6.5)
e ibid., II,1,1103a15-17, dove si dice che il tempo e l’esperienza sono i prerequisiti per l’acquisizione delle
virtù etiche.
41 Ci siamo occupati di questa digressione in M. TRIZIO, A Neoplatonic Refutation of Islam from the Time

of the Komnenoi, in A. SPEER/P. STEINKRÜGER (Hrsg.), Knotenpunkt Byzanz: Wissensformen und kulturelle We-
chselbeziehungen. 37. Kölner Mediaevistentagung 14.-17. September 2010, De Gruyter, Berlin-New York
2012 («Miscellanea Mediaevalia», 36), 145-165.
42 Abbiamo discusso questo problema in TRIZIO, Neoplatonic cit., 72-89.
94 Il neoplatonismo di Eustrazio di Nicea

nisce lo statuto epistemico di fisica, matematica e filosofia prima (sophia). Par-


tiamo dai passi del commento al libro VI dell’Ethica Nicomachea dedicati al
problema dello statuto degli oggetti proprio dell’indagine matematica.

2.1 In VI EN, 344,30-345,8: ἔστι δὲ τὸ λεγόμενον τοιοῦτον, ὅτι τὰ μὲν μαθηματικὰ


φανταστικὰ καὶ διανοητὰ καὶ ἐν φαντασίᾳ καὶ διανοίᾳ ἔχει τὴν σύστασιν, ἐν μὲν τῇ
φαντασίᾳ τυπούμενα, ὑπὸ δὲ τῆς διανοίας ἐξεταζόμενα· τὰ δὲ τοιαῦτα ἐξ ἀφαιρέσεως
λαμβάνομεν, ἤτοι ἐκσπῶντες αὐτὰ καὶ ἀφαιροῦντες ἀπὸ τῶν ὑποκειμένων ἐν οἷς
ὑφεστήκασι καὶ τυποῦντες αὐτὰ ἐν τῇ φαντασίᾳ ἀύλως καὶ ἀσωμάτως δεχομένῃ
ταῦτα ἀπὸ τῆς αἰσθήσεως, ἢ ἀμέσως ὡς αἰσθητοῖς οὖσι καὶ ἐν ὑποκειμένῳ αὐτοῖς
ἐπιβάλλουσα, παραπέμπει τῇ φαντασίᾳ τοὺς τύπους αὐτῆς, ἡ δ’ ἐν ἑαυτῇ τούτους
δεχομένη καὶ συντηροῦσα ὥσπερ τις πίναξ ὑποτίθησι τῇ διανοίᾳ αὐτούς, ἡ δ’ ὡς
ὄμμα τῆς ψυχῆς αὐτοῖς ἐπιβάλλουσα ἐξετάζει περὶ αὐτῶν καὶ τῶν ἑπομένων αὐτοῖς
καὶ εὑρίσκει ταῦτα καὶ τοὺς λόγους αὐτῶν ἀποδίδωσι. τοῦτο δὲ γίνεται ἐπὶ τῶν
ἀριθμῶν καὶ μεγεθῶν, ἃ ὑποκείμενα ταῖς μαθηματικαῖς ἐπιστήμαις εἰσίν.
[«Il senso di questo passo è il seguente: gli oggetti matematici, in quanto oggetti
dell’immaginazione e del pensiero discorsivo, possiedono la loro consistenza nell’im-
maginazione e nel pensiero discorsivo; sono impressi nell’immaginazione e vengono
analizzati dal pensiero discorsivo. Noi ricaviamo tali oggetti per astrazione, cioè estra-
polandoli ed astraendoli dai soggetti in cui sussistono, e imprimendoli nella facoltà
immaginativa, la quale riceve questi oggetti in maniera immateriale ed incorporea
dalla sensazione. Questa, a sua volta, nell’apprenderli in maniera immediata a titolo
di oggetti sensibili sussistenti in un soggetto, trasferisce le impronte in essa impresse
all’immaginazione, la quale, a sua volta, nel riceverle e preservarle in se stessa come
se fosse una qualche tavoletta, le sottopone al pensiero discorsivo. Infine, questo, in
qualità di occhio dell’anima, nell’apprenderle in maniera immediata, indaga su di
esse e su ciò che ne deriva, le individua e assegna loro le proprie ragioni. Tutto ciò
accade in relazione ai numeri ed alle grandezze, che costituiscono i soggetti delle
scienze matematiche.»]

E ancora:

2.2 In VI EN, 345,39-346,7: ἐξ ἀφαιρέσεως μὲν οὖν τὰ μαθηματικὰ λέγονται, ἀριθμοὶ ὄντα
καὶ μεγέθη ἤτοι σχήματα μεγεθῶν, ὅτι ποσὰ μέν εἰσι καὶ ποιά, καὶ ἐν ὑποκειμέναις
οὐσίαις τὴν ὑπόστασιν ἔχουσι, χωρὶς τῶν ὑποκειμένων κατ’ἐνέργειαν ὑφίστασθαι
μὴ δυνάμενα, ἀφαιροῦνται δὲ κατ’ ἐπίνοιαν ἐκ τῶν ὑποκειμένων ἐν οἷς ὑφεστήκασι
καὶ ὡς ἐν φαντασίᾳ ὑφεστηκότα περὶ τῆς διανοίας τὴν ἐξέτασιν δέχονται παρὰ τῶν
ἑπομένων αὐτοῖς. ἀφαιροῦνται δέ, ὅτι μὴ ἕν τι τῷ γένει ὑποκείμενον ἔχουσιν ἀλλ’
ἐν διαφόροις ὑποκειμένοις δύνανται γίνεσθαι.
[«Sono detti, dunque, derivare per astrazione gli oggetti delle scienze matematiche,
quali numeri e grandezze, ossia figure di grandezze, in quanto sono quantità e qua-
II. I commenti filosofici e le dottrine 95

lità, le quali possiedono la propria esistenza all’interno dei sostrati sostanziali in cui
ineriscono, senza poter esistere in atto privi dei soggetti di inerenza; d’altra parte,
questi oggetti vengono astratti intellettivamente dai soggetti in cui sussistono e, a
titolo di forme immaginative, diventano oggetto del pensiero discorsivo in merito alle
loro proprietà. Sono oggetto di astrazione, dunque, poiché non sussistono in un solo
determinato soggetto quanto al genere, ma possono essere in diversi soggetti.»]

La fonte primaria della problematica qui enucleata da Eustrazio, e risolta


ricorrendo alla tesi secondo cui gli oggetti della matematica deriverebbero per
astrazione (ἐξ ἀφαιρέσεως) dai soggetti in cui essi sussistono, sembra essere
la Physica di Aristotele, in particolare II,2,193b31-35.43 Qui Aristotele solleva
proprio il problema della relazione tra le scienze matematiche e la fisica in rela-
zione allo statuto dei loro oggetti. Il matematico si occupa ad esempio di linee o
figure, ma non nel loro essere in quanto tali in un corpo, né tantomeno si occupa
delle proprietà accidentali che derivano ai suoi oggetti nel momento in cui si
trovano in ciascun corpo; pertanto, sostiene Aristotele, il matematico separa,
considera cioè i propri oggetti astraendoli dalle condizioni fisiche di sussistenza,
in primis dal movimento. In altre parole Aristotele evidenzia come il filosofo del-
la natura e il matematico abbiano a che fare ugualmente con linee, figure, forme.
Tuttavia, se il primo deve prendere in considerazione tanto la forma, quanto la
materia, il secondo non prende in considerazione questi concetti in quanto limite
di ciascun corpo naturale, né assieme alle determinazioni accidentali di siffatto
corpo; al contrario, il matematico opera una separazione da questi fattori e li
esamina come separati mentalmente dal movimento. Il fatto che subito dopo lo
stesso Aristotele faccia riferimento ai sostenitori della dottrina delle idee, ossia
al modello platonico, rimanda ad un altro luogo classico aristotelico relativo alla
natura degli oggetti matematici, ossia Metaphysica, XIII,3,1078a21-25, dove la
critica aristotelica della dottrina platonica dei numeri ideali si conclude con
l’affermazione che il modo migliore possibile per considerare siffatti oggetti sa-
rebbe quello di separare ciò che in natura non sussiste secondo il modo della
separatezza.44
Non è qui il caso di discutere le difficoltà che gli assunti aristotelici sembra-

43 ARIST., Physica, II,2,193b31-35: περὶ τούτων μὲν οὖν πραγματεύεται καὶ ὁ μαθηματικός, ἀλλ’

οὐχ ᾗ φυσικοῦ σώματος πέρας ἕκαστον· οὐδὲ τὰ συμβεβηκότα θεωρεῖ ᾗ τοιούτοις οὖσι συμβέβηκεν·
διὸ καὶ χωρίζει· χωριστὰ γὰρ τῇ νοήσει κινήσεώς ἐστι, καὶ οὐδὲν διαφέρει, οὐδὲ γίγνεται ψεῦδος
χωριζόντων.
44 ARIST., Metaphysica, XIII,3,1078a21-25: ἄριστα δ’ ἂν οὕτω θεωρηθείη ἕκαστον, εἴ τις τὸ μὴ

κεχωρισμένον θείη χωρίσας, ὅπερ ὁ ἀριθμητικὸς ποιεῖ καὶ ὁ γεωμέτρης. ἓν μὲν γὰρ καὶ ἀδιαίρετον
ὁ ἄνθρωπος ᾗ ἄνθρωπος· ὁ δ’ ἔθετο ἓν ἀδιαίρετον, εἶτ’ ἐθεώρησεν εἴ τι τῷ ἀνθρώπῳ συμβέβηκεν ᾗ
ἀδιαίρετος.
96 Il neoplatonismo di Eustrazio di Nicea

no presentare; la posizione aristotelica è probabilmente più complessa, anche


solo in virtù del procedimento aporematico all’interno della quale essa matura,
specialmente nel contesto di Metaphysica XIII,3.45 Non è il caso qui di darne
conto in profondità per il semplice motivo che è lo stesso Eustrazio a fornire
una versione standard e generale della posizione aristotelica su questo tema.
Si tratta della tradizionale comprensione della posizione aristotelica fatta pro-
pria anche dalla tradizione dei commentatori tardo-antichi. Che la problematica
in questione rimandi terminologicamente ad Aristotele è chiaro allorquando si
prenda in esame Metaphysica XI,3,1061a28-30, dove si ritrova l’espressione ἐξ
ἀφαιρέσεως, «per astrazione», proprio in relazione agli oggetti propri dell’inda-
gine matematica, a testimonianza del fatto che in Aristotele il termine «astrazio-
ne» sembra essere termine tecnico per denotare la modalità acquisitiva di questi
oggetti.46 Si tratta della medesima espressione impiegata da Eustrazio nei due
passi prima citati. Tuttavia la questione è molto più complessa di quanto non
possa sembrare; tra Aristotele ed Eustrazio vi è un’intera stagione di commenti
e commentatori di Aristotele di cui occorre tenere conto. Vediamo più da vicino
cosa dicono i commentatori a questo proposito.
In primo luogo i due passi di Eustrazio sembrano ricordare molto da vicino
alcune formulazioni di Ammonio, in particolare nel commento all’Isagoge di
Porfirio, e di Giovanni Filopono, in particolare il commento al De anima e alla
Physica. L’idea che gli oggetti della matematica non possano sussistere in atto
al di fuori dei soggetti di inerenza, e che siano oggetto di una considerazione
astrattiva di natura mentale, si trova sviluppata in maniera consistente proprio
in Ammonio. Si veda ad esempio:

κύκλος γὰρ καὶ τρίγωνον καὶ τὰ τοιαῦτα καθ’ ἑαυτὰ ὑποστῆναι δίχα ὕλης τινὸς οὐ
δύνανται καὶ κατὰ τοῦτο ἀχώριστά ἐστι τῆς ὕλης, ἐπειδὴ δὲ θεασαμένοι κύκλον
ξύλινον καὶ χαλκοῦν καὶ λίθινον ἀνεμαξάμεθα αὐτοῦ τοῦ κύκλου τὸ εἶδος ἐν τῇ

45 Si veda I. MUELLER, Aristotle on Geometric Objects, in J. BARNES/M. SCHOFIELD/R. SORABJI (eds), Articles

on Aristotle, v.3, Duckwort, London 1979, 96-107. Ma soprattutto J.J. CLEARY, Aristotle and Mathematics.
Aporetic Method in Cosmology and Metaphysics, Brill, Leiden/New York/Köln 1995, 278-344.
46 ARIST., Metaphysica, XI,3,1061a28-30: καθάπερ δ’ ὁ μαθηματικὸς περὶ τὰ ἐξ ἀφαιρέσεως τὴν

θεωρίαν ποιεῖται (περιελὼν γὰρ πάντα τὰ αἰσθητὰ θεωρεῖ [...]. Su questo uso del termine ‘astrazione’ da
parte di Aristotele, si vedano M.-D. PHILIPPE, Ἀφαίρεσις, πρόςθεσις, χωρίζειν dans la philosophie d’Ari-
stote, «Revue thomiste», 48 (1948), 461-479; J.J. CLEARY, On the Terminology of ‘Abstraction’ in Aristotle,
«Phronesis», 30 (1985), 13-45; A. BÄCK, Aristotle’s Theory of Abstraction, Springer, Heidelberg-New York-
Dordrecht-London 2014. Si veda anche ARIST., Metaphysica, XIII,3,1077b17-20. In quest’ultimo passo Ari-
stotele utilizza la clausola ᾗ τοιαδί per giustificare l’operazione di astrazione, o per meglio dire sottrazione,
necessaria per indagare oggetti, quali appunto quelli matematici, come separati benché il loro statuto non
sia quello della separatezza.
II. I commenti filosofici e le dottrine 97

διανοίᾳ καὶ ἔχομεν παρ’ ἑαυτοῖς δίχα τῆς ὕλης (ὥσπερ εἰ κηρὸς λάβοι τὸ ἐκτύπωμα
τοῦ δακτυλίου μὴ προσλαβών τι τῆς ὕλης), κατὰ τοῦτο χωριστά ἐστι τῆς ὕλης, καθὸ
τῇ ἐπινοίᾳ χωρίζεται.
[«Infatti un cerchio o triangolo o cose di questo tipo non possono sussistere di per sé
separate da una qualche materia e in questo senso sono inseparabili dalla materia;
quando d’altra parte vediamo un cerchio di legno, di metallo o pietra riceviamo la
forma dello stesso cerchio nella ragione discorsiva e preserviamo queste impressioni
in quanto tali a parte dalla materia, proprio come un sigillo riceve l’impronta senza
ricevere alcuna materia; per questo motivo sono separabili dalla materia nel senso di
separabili secondo considerazione mentale.»]47

Il vocabolario impiegato da Ammonio è assai vicino a quello di 2.1. Anche


l’analogia utilizzata da Ammonio, quella del sigillo, non è distante da quella
della tavoletta impiegata da Eustrazio. Nel proemio del commento all’Isagoge,
Ammonio si trova a dare conto della tripartizione interna alla filosofia nella sua
dimensione speculativa, in teologia, fisica e matematica; si tratta di una triparti-
zione il cui criterio è costituito proprio dallo statuto e dal modo di sussistenza dei
rispettivi oggetti. La teologia si occuperebbe in questo senso di oggetti separati
dalla materia nella loro stessa esistenza e nel pensiero, la fisica di quelle realtà
inseparabili tanto nell’esistenza quanto nella dimensione mentale, la matematica
di oggetti separati nel pensiero, ma non nella realtà.48
Come vedremo, l’operazione che compie Eustrazio commentando il lemma
aristotelico oggetto del nostro interesse è la medesima: determinare lo statuto
di fisica, matematica e sophia/filosofia prima a partire dal modo di sussistenza
dei rispettivi oggetti. Prima di passare alle altre tipologie di oggetti, quelli della
fisica e quelli della sophia, occorre tuttavia spendere ancora alcune parole su
questa prima tipologia di oggetti esaminati dal nostro commentatore, ossia quelli
matematici.
Dalle indicazioni presenti nel commento di Ammonio all’Isagoge di Porfirio

47 AMMONIUS, In Porphyrii cit., 11,31-12,6.


48 AMMONIUS, In Porphyrii cit., 11,23-31: πάλιν τὸ θεωρητικὸν διαιρεῖται εἰς θεολογικὸν μαθηματικὸν
καὶ φυσιολογικόν. εἰκότως καὶ τοῦτο· ἐπειδὴ γὰρ πάντα τὰ ὄντα βούλεται θεωρεῖν ὁ φιλόσοφος, τῶν
δὲ ὄντων πάντων τρεῖς εἰσι τάξεις· τὰ μὲν γὰρ τῶν πραγμάτων παντάπασίν ἐστι χωριστὰ τῆς ὕλης καὶ
τῇ ὑποστάσει καὶ τῇ περὶ αὐτῶν ἐπινοίᾳ, οἷά ἐστι τὰ θεῖα, τὰ δὲ παντάπασιν ἀχώριστα τῆς ὕλης καὶ τῇ
ὑποστάσει καὶ τῇ περὶ αὐτῶν ἐπινοίᾳ, οἷά ἐστι τὰ φυσικὰ καὶ ἔνυλα εἴδη, ξύλον καὶ ὀστοῦν καὶ σὰρξ
καὶ πάνταἁπλῶς τὰ σώματα (ταῦτα δὲ φυσικὰ καλοῦμεν ὡς ὑπὸ φύσεως δημιουργούμενα προσεχῶς), τὰ
δὲ μέσα τούτων ὄντα κατά τι μέν ἐστι χωριστὰ κατά τι δὲ ἀχώριστα, οἷά ἐστι τὰ μαθηματικά. Eustrazio
riprende da questo testo di Ammonio in un certo qual modo la descrizione della prima tipologia di oggetti,
quella propri della teologia, nel proprio commento agli Analytica posteriora; cfr. EUSTR., In II A.Po., 183,30-
31: ἐξ ἀνάγκης δὲ κυρίως ὑπάρχουσι τὰ μήτε ἐνεργείᾳ μήτε ἐπινοίᾳ χωρίζεσθαι δυνάμενα.
98 Il neoplatonismo di Eustrazio di Nicea

dipendono analoghe formulazioni rinvenibili nei Prolegomena philosophiae di


David, dove la dipendenza da Ammonio appare chiara fatta eccezione per la
determinazione particolareggiata del soggetto della teologia, costituito da quelle
realtà separate tanto nell’esistenza, quanto nel pensiero; tali realtà sarebbero
Dio, le creature angeliche, l’anima umana.49 Ma è un passo del commento al De
anima attribuito a Filopono a destare maggiore interesse:

Ὁ δὲ μαθηματικὸς καὶ αὐτὸς καταγίνεται περὶ τὰ εἴδη τὰ ἀχώριστα τῆς ὕλης, οὐ


πάντα ἀλλ’ ὅσα δυνατὰ τῇ ἐπινοίᾳ χωρίζεσθαι. ταῦτα δ’ἐστὶ τὰ καλούμενα κοινὰ
αἰσθητά, οἷον μεγέθη καὶ σχήματα. σαρκὸς γὰρ εἶδος καὶ ὀστοῦ καὶ τῶν τοιούτων
οὐδὲ κατ’ ἐπίνοιαν χωρισθῆναι τῆς ὕλης δύναται· τὸ γὰρ μαλθακὸν καὶ ὑγρὸν καὶ
ἐρυθρὸν καὶ ἐξ ὧν ἄλλων εἰδοποιεῖται ἡ σὰρξ ἅμα τῷ νοηθῆναι συνεπινοουμένην
ἔχει τὴν οἰκείαν ὕλην, ἀφαιρουμένης δὲ τῆς ὕλης καὶ αὐτὰ συναφῄρηται. ἀποδίδωσιν
οὖν ὁ μαθηματικὸς τῶν καθ’ αὑτὰ τῶν εἰδῶν τῶν ἐξ ἀφαιρέσεως τοὺς ὁρισμοὺς
οὐχ ὑπολογιζόμενος ὕλην, ἀλλ’ αὐτὰ καθ’ αὑτὰ ἀποδιδούς. διὸ οὐδὲ τῆς αἰτίας
ἐν τῷ ὁρισμῷ μέμνηται· εἰ γὰρ καὶ τὴν αἰτίαν ὡρίζετο, πάντως ἂν καὶ τὴν ὕλην
παρελάμβανεν· ἐπειδὴ οὖν οὐ διαλέγεται περὶ ὕλης, διὰ τοῦτο οὐδὲ τῆς αἰτίας
μεμνήσεται· οἷον τί ἐστι τρίγωνον; σχῆμα ὑπὸ τριῶν εὐθειῶν περιεχόμενον· τί ἐστι
κύκλος; σχῆμα ὑπὸ μιᾶς γραμμῆς περιεχόμενον. ἐν τούτοις οὔτε ὕλης ἐμνήσθη
καὶ διὰ τοῦτο οὐδὲ αἰτίας, δι’ ἣν ἐν τῇδε τῇ ὕλῃ τόδε τὸ εἶδός ἐστιν· ἀλλ’ ἐὰν ἄρα,
τῶν συμπτωμάτων τῶν καθ’ αὑτὰ συμβαινόντων τοῖς σχήμασι τούτων τὰς αἰτίας
ἀποδώσει, οἷον διὰ τί τὸ τρίγωνον δύο ὀρθαῖς ἴσας ἔχει.
[«Il matematico si occupa allo stesso modo di forme inseparabili dalla materia, ma
non di tutte, bensì solo di quelle che è possibile separare mentalmente. Queste sono
chiamate sensibili comuni, come grandezze e figure. Infatti non è possibile separare
dalla materia le forme della carne, delle ossa e di cose di questo genere finanche
mentalmente. Questo accade perchè allorquando si sia percepita la morbidezza, la
fluidità, la ruvidezza e qualsiasi cosa dia forma alla carne, allora contemporaneamente
si percepirà la materia appropriata: se uno astrae dalla materia, astrae anche da queste
cose. Pertanto il matematico fornisce definizioni delle forme che di per sé possono es-

49 DAVID, Prolegomena philosophiae, ed. A. BUSSE, Reimer, Berlin 1904 («Commentaria in Aristotelem

Graeca», XVIII,2), 57,26-58,12: Ἄξιον δὲ ζητῆσαι διὰ τί εἰς τρία ὑποδιαιρεῖται τὸ θεωρητικόν, τοῦτ’
ἔστιν εἰς φυσιολογικόν, μαθηματικόν, θεολογικόν. καὶ ἔστιν εἰπεῖν ταύτην τὴν ἀπολογίαν· τῷ θεωρητικῷ
πάντα τὰ ὄντα ὑπόκεινται πρὸς γνῶσιν, τὰ δὲ ὄντα τριττά ἐστιν· ἢ γὰρ καὶ τῇ ὑποστάσει καὶ τῇ ἐπινοίᾳ
ἔνυλά εἰσιν ὥσπερ ξύλον, λίθος, ὀστοῦν (ταῦτα γὰρ καὶ τῇ ὑποστάσει ἔνυλά εἰσι καὶ τῇ ἐπινοίᾳ· οὐδὲ
γὰρ δύναταί τις ξύλον ἢ λίθον ἢ ὀστοῦν ἐπινοῆσαι ἄυλον), ἢ καὶ τῇ ὑποστάσει καὶ τῇ ἐπινοίᾳ ἄυλά
εἰσιν ὥσπερ ἄγγελος, θεός, ψυχὴ ἡ ἄνευ σώματος οὖσα (ταῦτα γὰρ καὶ τῇ ὑποστάσει ἄυλά εἰσι καὶ τῇ
ἐπινοίᾳ· οὐδὲ γὰρ δύναταί τις ἐπινοῆσαι θεὸν ἢ ἄγγελον ἢ ψυχὴν ἄνευ σώματος οὖσαν ἔνυλον), ἢ τῇ μὲν
ὑποστάσει ἔνυλά εἰσι τῇ δὲ ἐπινοίᾳ ἄυλα ὥσπερ τὰ σχήματα· καὶ γὰρ ταῦτα τῇ μὲν ὑποστάσει ἔνυλά εἰσιν
(οὐδὲ γὰρ δύναται τρίγωνον ἢ τετράγωνον ἤ τι τοιοῦτον σχῆμα ἄνευ ὕλης συστῆναι· ἢ γὰρ ἐν ξύλῳ ἔχει
τὴν ὕπαρξιν ἢ ἐν λίθῳ ἢ ἐν χαλκῷ ἢ ἔν τινι τοιούτῳ), τῇ δὲ ἐπινοίᾳ ἄυλά εἰσι· καὶ γὰρ ἡνίκα τις φαντάζεται
καὶ ἀναπολεῖ τὸ σχῆμα αὐτὸ καθ’ ἑαυτό, ἀνατυποῖ αὐτὸ ἐν τῇ οἰκείᾳ διανοίᾳ.
II. I commenti filosofici e le dottrine 99

sere oggetto di astrazione, senza tenere in considerazione la materia, ma consideran-


dole in quanto tali. In una definizione egli non opera menzione neanche della causa;
questo perché se considerasse la causa dovrebbe prendere in considerazione anche la
materia. Nella misura in cui non considera la materia, allo stesso modo non considera
neanche la causa. Che cosa è un triangolo? Una figura racchiusa da tre linee rette. Che
cosa è un cerchio? Una figura racchiusa in una linea. In queste definizioni la materia
non è tenuta in considerazione, e per questo neanche la causa per la quale una forma
particolare è in una materia particolare. Di conseguenza il matematico fornirà solo
le proprietà che competono necessariamente alle figure, per esempio il motivo per il
quale il triangolo ha angoli uguali a due angoli retti.»]50

Il contesto di questa formulazione di Filopono è quello di una distinzione


operata dallo stesso autore relativa a tre fattori nella considerazione delle realtà
naturali, ossia forma, materia e la causa per la quale una forma è presente nella
materia; cinque metodi sono individuati in relazione a questi fattori: la fisica, le
arti particolari, la dialettica, la matematica e la filosofia prima.51 L’argomenta-
zione di Filopono è la seguente: i primi due metodi concernono tutti e tre i fattori
enumerati, mentre le ultime due solo le forme; in particolare, la filosofia prima
si occupa di forme separate dalla materia, la dialettica delle cause formali delle
realtà materiali, ma non della materia in quanto causa. Gli oggetti della matema-
tica, questo è quanto ci interessa più da vicino, sono conoscibili per separazione
mentale, nel senso che essi sussistono in atto nei vari soggetti, ma allorquando
essi siano considerati in quanto oggetti matematici la componente materiale non
può essere oggetto di considerazione. Tale separazione è solo il frutto di un’o-
perazione, come si è già detto, mentale. Al di fuori di questa considerazione gli
oggetti matematici sussistono in atto solo come forme materiali nei sostrati di
inerenza. Anche in questo caso Filopono anticipa quella che sarà la proposta di
Eustrazio, ossia di determinare lo statuto di matematica, fisica e filosofia prima
in relazione al grado di separatezza dei rispettivi oggetti.
In questa linea interpretativa delle indicazioni aristoteliche precedentemente
analizzate relative alla natura degli oggetti matematici, il ruolo di Alessandro di
Afrodisia sembra avere un peso importante. Vi sono in particolare alcuni passi
degni di nota dal commento alla Metaphysica e dal De sensu. Già Alessandro
chiarisce molto bene quanto abbiamo accennato a proposito di Filopono. Nel
discutere la posizione di Platone sullo statuto intermedio degli enti matematici,
Alessandro chiarisce che tali enti non esistono di per sé, ma solo «per considera-

50 PHILOPONUS, In Aristotelis libros de anima commentaria, ed. M. HAYDUCK, Reimer, Berlin 1897 («Com-

mentaria in Aristotelem Graeca», XV), 57,27-58,6.


51 PHILOPONUS, In Aristotelis libros de anima commentaria cit., 55,26-29.
100 Il neoplatonismo di Eustrazio di Nicea

zione mentale» (ἐπινοίᾳ).52 Il termine συμπτώματα impiegato da Alessandro nel


testo per designare l’insieme delle concomitanze naturali da cui la matematica
opera per astrazione si ritrova anche in Eustrazio, nel commento al II libro degli
Analytica Posteriora, dove per συμπτώματα si intende proprio quelle circostanze
concomitanti e materiali quali grandezza, figura e colore.53
Se nei suoi termini generali 2.1 e 2.2 dipendono da vicino dalla determina-
zione dello statuto degli enti matematici operata dai commentatori tardo-antichi
di Aristotele, il riferimento operato da Eustrazio in 2.1 all’occhio dell’anima,
identificato nella ragione discorsiva (dianoia), costituisce un elemento che ri-
chiede una spiegazione.54 L’espressione in effetti rimanda immediatamente alla
Repubblica di Platone (533cd), dove Socrate opera un resoconto della natura
della dialettica, la quale, eliminando il carattere ipotetico delle premesse, muo-
verebbe fino al principio, consolidandosi in esso. Il metodo dialettico, in questo
senso, viene descritto come quel metodo che, solo ad utilizzare premesse non
ipotetiche, trarrebbe «l’occhio dell’anima» (τὸ τῆς ψυχῆς ὄμμα) da quel «barba-
ro pantano» (ἐν βορβόρῳ βαρβαρικῷ) in cui è finito.55 Il nome con cui Platone

52 ALEXANDER APHRODISIENSIS, In Aristotelis Metaphysica commentaria, ed. M. HAYDUCK, Reimer, Berlin

1891 («Commentaria in Aristotelem Graeca», I), 52,13-19: Ἱστορεῖ καὶ τοῦτο ὅτι Πλάτων τὰ μαθηματικὰ
μεταξὺ φύσεις τινὰς καὶ οὐσίας τῶν τε ἰδεῶν καὶ τῶν αἰσθητῶν ἔθετο. μεταξὺ γὰρ ἦν αὐτῶν κατ’ αὐτόν,
διαφέροντα τῶν μὲν αἰσθητῶν τῷ ἀίδιά τε εἶναι καὶ ἀκίνητα παντάπασιν, τῶν δὲ ἰδεῶν τῷ τὰς μὲν ἰδέας
ἕν τι τῷ ἀριθμῷ εἶναι, τὰ δὲ μαθηματικὰ τὴν ἐν τοῖς πολλοῖς, τουτέστι τοῖς αἰσθητοῖς καὶ τοῖς καθ’
ἕκαστα, δηλοῦν ὁμοιότητα, ἐνυπάρχοντα τούτοις. οὐ γάρ ἐστιν αὐτὰ καθ’ αὑτὰ ὑφεστῶτα, ἀλλ’ ἐπινοίᾳ·
χωρισθείσης γὰρ τῶν ἐνύλων τῆς τε ὕλης καὶ τῆς κινήσεως, καθ’ ἃ καὶ μεθ’ ὧν ἐστιν αὐτοῖς τὸ ὑφεστάναι,
καταλείπεται τὰ μαθηματικὰ τὴν ἐν τοῖς ἐνύλοις καὶ πολλοῖς καὶ διαφέρουσι κατὰ τὰ ὑλικὰ συμπτώματα
ὁμοιότητα δηλοῦντα. ID., In librum De sensu commentarium, ed. P. WENDLAND, Reimer, Berlin 1901 («Com-
mentaria in Aristotelem Graeca», III,1), 12,24-27: μέγεθος γὰρ καὶ σχῆμα καὶ κίνησις καὶ ἀριθμὸς ἐν
τούτοις πρώτως τε καὶ κυρίως. ἀπὸ γὰρ τῶν ἀριθμητῶν καὶ καὶ ἡ τοῦ ἀριθμοῦ ἐπίνοια, ἀριθμητὰ δὲ τὰ
αἰσθητά, ἃ τῷ κεχωρισμένα ἀλλήλων ὁρᾶσθαι καὶ ἀριθμητά ἐστιν. Si noti che in 2.1 Eustrazio paragona
l’immaginazione ad una tavoletta su cui nulla ancora è scritto. Mi pare che la base di questa argomentazione
sia il medesimo uso di questa immagine in Alessandro di Afrodisia per descrivere lo statuto dell’intelletto
materiale. Si veda ID., De anima, ed. I. BRUNS, Reimer, Berlin 1887 («Commentaria in Aristotelem Graeca»,
II,1), 84,25. Sulla considerazione degli enti matematici in Alessandro, si veda K.L. FLANNERY, Mathemati-
cal Entities in Alexander and Pseudo-Alexander of Aphrodisias, in V. CELLUPRICA (a cura di), Il libro B della
‘Metafisica’ di Aristotele, Bibliopolis, Napoli 2003, 127-157.
53 EUSTR., In II A.Po., 194,15-17: Σωκράτης ἐστὶν εὐθὺς ἢ Θεαίτητος ἢ Δίων ἢ ἄλλος τις, τῶν καθ’

ἕκαστον εὐθὺς αὐτῷ καὶ τῶν ὑλικῶν συμπτωμάτων ἐφεπομένων, οἷον μεγέθους, σχήματος, χρώματος
καὶ τῶν τοιούτων ἰδιωμάτων. Simile significazione del termine in questione in SIMPLICIUS, In Aristotelis
Categorias cit., 255,33-256,1: ὅταν οὖν καὶ κυουμένων ἔτι τοιαῦται συνδρομαὶ γένωνται δι’ οἵας δήποτε
αἰτίας, τοιαῦτα φυσικὰ γίνεται χρώματα, καὶ διὰ τοῦτο ἐκ γενετῆς οἱ μὲν τοῖοι φύονται, οἱ δὲ τοῖοι, ὥστε
πᾶσαι αἱ κατὰ τὰς χρόας ποιότητες εἰκότως ἐκ πάθους γίνεσθαι λέγονται καὶ συμπτώματά εἰσιν.
54 EUSTR., In VI EN, 345,4-5. Si noti come l’espressione in questione compaia anche in EN, VI,1144a30,

dove però esso è associato alla δεινότης, quella particolare abilità a calcolare i mezzi per un fine indifferente
ad una qualsivoglia qualificazione morale.
55 PLATO, Respublica, 533cd: Οὐκοῦν, ἦν δ’ ἐγώ, ἡ διαλεκτικὴ μέθοδος μόνη ταύτῃ πορεύεται, τὰς
II. I commenti filosofici e le dottrine 101

definisce l’insieme delle tecniche e dei saperi di cui occorre servirsi per operare
siffatta conversione è quello di «pensiero discorsivo», ossia dianoia. A partire
da Platone, si riscontrano nei neoplatonici della tarda antichità diverse letture
dell’espressione «occhio» o «occhi dell’anima» proprio in relazione alla dianoia.
Vediamo alcuni esempi.
Nella Vita di Pitagora redatta da Giamblico ritroviamo la stessa espressione,
«occhio dell’anima», riferita alla capacità catartica delle discipline matematiche
e delle scienze in generale. Pitagora avrebbe fatto dono ai Greci di un sapere in
grado di donare «occhi all’anima», di purificare l’intelletto dalla propria cecità
permettendo in questo modo l’accesso alle cause ed ai principi dell’universo.56
Tuttavia ci pare che sia ancora Proclo la figura centrale in questo percorso.
Prendiamo ad esempio in esame due passi dal commento di questo autore al I
libro degli Elementi di Euclide.
Il primo è il seguente:

ὁ μὲν οὖν Τίμαιος κατὰ παίδευσιν ὁδὸν τὴν τῶν μαθημάτων γνῶσιν ἀποκαλεῖ.
διότι δὴ τοῦτον ἔχει τὸν λόγον πρὸς τὴν τῶν ὅλων ἐπιστήμην καὶ τὴν πρώτην
φιλοσοφίαν, ὃν ἡ παιδεία πρὸς τὴν ἀρετήν. ἡ μὲν γὰρ προευτρεπίζει τὴν ψυχὴν
ἔθεσιν ἀδιαστρόφοις εἰς τὴν τελείαν ζωήν, ἡ δὲ προπαρασκευάζει τὴν διάνοιαν
ἡμῶν καὶ τὸ ὄμμα τῆς ψυχῆς εἰς τὴν ἐντεῦθεν περιαγωγήν. διὸ καὶ ὁ ἐν πολιτείᾳ
Σωκράτης ὀρθῶς εἶπεν· ὄμμα γὰρ τῆς ψυχῆς ὑπὸ τῶν ἄλλων ἐπιτηδευμάτων
ἀποτυφλούμενον καὶ κατορυττόμενον ὑπὸ τῶν μαθημάτων μόνων ἀναζωπυρεῖσθαί
τε καὶ ἀνεγείρεσθαι πάλιν εἰς τὴν θέαν τοῦ ὄντος καὶ ἀπὸ τῶν εἰδώλων ἐπὶ τὰ
ἀληθῆ καὶ ἀπὸ τοῦ σκοτώδους εἰς τὸ νοερὸν μεθίστασθαι φῶς, καὶ ὅλως ἀπὸ τοῦ
σπηλαίου καὶ τῶν ἐν τούτῳ γενεσιουργῶν δεσμῶν καὶ τῶν ἀγκτήρων τῆς ὕλης ἐπὶ
τὴν ἀσώματον ἀνατείνασθαι καὶ ἀμέριστον οὐσίαν.
[«Pertanto il Timeo definisce la conoscenza delle discipline matematiche ‘cammino
dell’educazione’, per il fatto che essa possiede con la scienza degli universali e con
la filosofia prima la stessa relazione che l’educazione possiede con la virtù; l’educa-
zione inculca nell’anima, con severi costumi, l’attitudine alla vita perfetta, mentre la
matematica predispone la nostra facoltà dianoetica e l’occhio dell’anima ad orientarsi
verso più alti lidi. Anche per questo motivo Socrate, nella Repubblica, si è espresso
correttamente dicendo che l’occhio dell’anima, accecato ed impedito dalle varie occu-
pazioni, solo grazie alla matematica può ridestarsi e riaccendersi alla contemplazione

ὑποθέσεις ἀναιροῦσα, ἐπ’ αὐτὴν τὴν ἀρχὴν ἵνα βεβαιώσηται, καὶ τῷ ὄντι ἐν βορβόρῳ βαρβαρικῷ τινι τὸ
τῆς ψυχῆς ὄμμα κατορωρυγμένον ἠρέμα ἕλκει καὶ ἀνάγει ἄνω, συνερίθοις καὶ συμπεριαγωγοῖς χρωμένη
αἷς διήλθομεν τέχναις.
56 IAMBLICHUS, De Vita Pythagorica, ed. U. KLEIN (post L. DEUBNER), Teubner, Leipzig 1937, 31,5-32,1.

Sulla filosofia della matematica in Giamblico, si veda A. SHEPPARD, Phantasia and Mathematical Projection
in Iamblichus, in Iamblichus the Philosopher, «Syllecta Classica», 8 (1997), 113-120.
102 Il neoplatonismo di Eustrazio di Nicea

dell’essere, muovendosi dai fantasmi alle realtà autentiche, dall’oscurità alla luce
intellettuale; in generale: dalla caverna e dai suoi ceppi derivati dal processo di gene-
razione e dalle catene della materia si innalza alla sostanza incorporea ed indivisa.»]57

E ancora:

εἰς γὰρ ἐκείνην ἡμᾶς ποδηγεῖ καὶ προευτρεπίζει, τὸ ὄμμα τῆς ψυχῆς ἀποκαθαίρουσα
καὶ ἀφαιροῦσα τὰ ἀπὸ τῶν αἰσθήσεων ἐμπόδια πρὸς τὴν γνῶσιν τῶν ὅλων. ὥσπερ οὖν
τὴν καθαρτικὴν ὅλην ἀρετὴν οὐ πρὸς τὰς βιωτικὰς χρείας ἀποβλέποντες χρησίμην
ἢ ἄχρηστόν φαμεν, ἀλλὰ πρὸς τὸν ἐν θεωρίᾳ βίον, οὑτωσὶ καὶ τῆς μαθηματικῆς τὸ
τέλος εἰς νοῦν ἀναπέμπειν προσήκει καὶ τὴν σύμπασαν σοφίαν. διὸ καὶ ἡ περὶ αὐτὴν
ἐνέργεια καθ’ αὑτήν τέ ἐστιν ἀξία σπουδῆς καὶ διὰ τὴν νοερὰν ζωήν.
[«Infatti a questa [scil. la conoscenza intellettuale] essa [scil. la matematica] ci con-
duce e ci predispone purificando l’occhio dell’anima e sottraendolo agli ostacoli co-
stituiti dalle sensazioni, lanciandoci nella conoscenza di tutte le cose. Come dunque
riteniamo utile o inutile la virtù purificatrice nella sua interezza non pensando alle
necessità che ci derivano dalla nostra vita, ma alla vita contemplativa, allo stesso
modo occorre riferire il fine della matematica all’intelletto ed alla sapienza nel suo
complesso. Per questa ragione adoperarsi intorno alla matematica è degno di riceve-
re un serio impegno sia per l’importanza della matematica di per sè che per la vita
intellettuale.»]58

Questi passi ci pare mettano ben evidenza l’associazione tra dianoia e l’im-
magine dell’occhio dell’anima, nonché un punto chiave della filosofia della ma-
tematica dei neoplatonici, ossia la funzione di ponte che la matematica ricopre
per il passaggio dalla conoscenza sensibile a quella intellegibile. La matematica
in questo senso svolge una fondamentale funzione purificatrice, quella di ride-
stare la conoscenza innata nell’anima.59 Si tratta di una dottrina chiave per il

57 PROCLUS, In primum Euclidis cit., 20,10-12.


58 PROCLUS, In primum Euclidis cit., 28,4-13. Ma si veda anche, ibid., 46,13-47,6:δεσμῶται δὲ ὄντες καὶ
τὸ ὄμμα τῆς ψυχῆς μύοντες οὐ μή ποτε τὴν προσήκουσαν ἡμῖν τελειότητα σχοίημεν. αὕτη τοίνυν ἐστὶν
ἡ μάθησις ἡ τῶν ἀϊδίων ἐν ψυχῇ λόγων ἀνάμνησις, καὶ μαθηματικὴ διὰ ταύτην ἡ πρὸς τὰς ἀναμνήσεις
ἡμῖν τὰς ἐκείνων συντελοῦσα γνῶσις διαφερόντως ἐπονομάζεται. καὶ τὸ ἔργον ἄρα τῆς ἐπιστήμης ταύτης
ὁποῖον δὴ τί ἐστιν ἐκ τοῦ ὀνόματος δηλοῦται κινητικὸν τῆς ἐμφύτου γνώσεως καὶ ἐγερτικὸν τῆς νοήσεως
καὶ καθαρτικὸν τῆς διανοίας καὶ ἐκφαντορικὸν τῶν κατ’ οὐσίαν ἡμῖν ὑπαρχόντων εἰδῶν, λήθης τε καὶ
ἀγνοίας ἀφαιρετικόν, ὧν ἀπὸ τῆς γενέσεως ἔσχομεν, καὶ ἀπολυτικὸν τῶν ἐκ τῆς ἀλογίας δεσμῶν, κατὰ
τὸν θεὸν ὄντως τὸν τῆς ἐπιστήμης ταύτης ἔφορον, ὃς προάγει μὲν εἰς τὸ ἐμφανὲς τὰ νοερὰ δῶρα, πληροῖ
δὲ πάντα τῶν θείων λόγων, κινεῖ δὲ τὰς ψυχὰς ἐπὶ νοῦν, καὶ ὥσπερ ἐκ κάρου βαθέος ἀνεγείρει, διὰ
ζητήσεως δὲ ἐπιστρέφει πρὸς ἑαυτάς, καὶ διὰ μαιείας τελειοῖ, καὶ δι’ εὑρέσεως τοῦ καθαροῦ νοῦ περιάγει
πρὸς τὴν μακαρίαν ζωήν.
59 Sulla filosofia della matematica di Proclo, si veda J.J. CLEARY, Proclus’ Philosophy of Mathematics,
II. I commenti filosofici e le dottrine 103

tardo-neoplatonismo, che nondimeno in Eustrazio non appare sviluppata. I neo-


platonici infatti distingueranno tra la facoltà opinativa, la doxa, come la facoltà
preposta agli oggetti dell’aritmentica, e l’immaginazione, come la facoltà pre-
posta all’analisi degli enti geometrici.60 Non solo, ma i neoplatonici leggeranno
queste indicazioni sullo statuto della matematica nell’ambito di una prospettiva
che rifiuterà esplicitamente la categoria dell’astrazione per adottare un’ottica di
tipo proiezionista, dove cioè gli enti matematici sarebbero proiezioni nella doxa e
nell’immaginazione di logoi immanenti nell’anima.61 Nulla di tutto questo emer-
ge, tuttavia, in Eustrazio. Mentre infatti nella prima parte di 2.1 e in 2.2 emerge
una prospettiva di tipo astrazionista assai diffusa tra i commentatori, la seconda
parte di 2.1 sembrerebbe, con quella fugace menzione dell’occhio dell’anima,
aprire uno squarcio su un orizzonte di tipo neoplatonico. Tuttavia Eustrazio non
si preoccupa di svilupparne le implicazioni, né di armonizzare eventualmente
un riferimento di questo tipo all’occhio dell’anima e alla dianoia con il modello
astrattivo che egli stesso aveva delineato. Questa operazione, come vedremo,
caratterizzerà invece la posizione di Eustrazio sulla natura del processo di for-
mazione dei concetti, dove in piena conformità ad alcune indicazioni presenti
ancora in Proclo, Eustrazio sosterrà esplicitamente l’utilità dei concetti derivanti
per astrazione dai particolari sensibili per riattivare la conoscenza innata dell’a-
nima.62 Si tratta di un approccio che lo stesso Proclo aveva posto in essere già
nel caso degli oggetti della matematica,63 ma che Eustrazio invece non sviluppa
nell’ambito della sua trattazione dello stesso problema. Quell’accenno all’occhio
dell’anima, alla dianoia, nella seconda parte di 2.1 resta un cenno isolato, un
riferimento ad un orizzonte dottrinale che si intravede sullo sfondo, senza mai
emergere realmente.
Vediamo adesso come Eustrazio affronta il problema dello statuto degli oggetti
della fisica. Anche qui abbiamo scelto due passi che offrono due prospettive
complementari su questo tema.

2.3 In VI EN, 348,7-22: ὁ τοίνυν παρὰ τὴν τῶν φυσικῶν εἰδῶν γνῶσιν ἐνεργῆσαι

in G. BECHTLE/D. O’MEARA (eds), La Philosophie des mathématique de l’Antiquité tardive. Actes du colloque
international Fribourg, Suisse, 24-26 septembre 1998, Ed. Univ. de Fribourg, Fribourg 2002, 85-101.
60 Si vedano i testi raccolti e discussi in R. SORABJI (ed.), The Philosophy of the Commentators, 200-

600AD, vol. 3, Logic and Metaphysics, Cornell University Press, Ithaca (NY) 2005, 293-304.
61 Cfr. e.g. I. MUELLER, The Commentary on Euclid’s Elements, in J. PÉPIN/H.D. SAFFREY (eds), Proclus

lecteur et interprète des anciennes, actes du colloque international du CNRS, Paris (2-4 octobre 1985), CNRS,
Paris 1987, 305-318.
62 Cfr. infra, 143-187.
63 Si veda e.g. PROCLUS, In primum Euclidis cit., 18,17-20: ἡ δ’ αὖ μαθηματικὴ τῆς μὲν ἀναμνήσεως

ἔξωθεν ἄρχεται, τελευτᾷ δὲ εἰς τοὺς ἔνδον λόγους, καὶ ἀνεγείρεται μὲν ἀπὸ τῶν ὑστέρων [...].
104 Il neoplatonismo di Eustrazio di Nicea

βουλόμενος, ἵν’ ἐντεῦθεν ἀρξώμεθα, παρὰ τὰ ὑπὸ τῆς φύσεως γινόμενα τὴν σπουδὴν
ἐνδείξασθαι βούλεται. ταῦτα δέ εἰσι τὰ ἔνυλα καὶ καθ’ ἕκαστα. οὐ γὰρ τὸν ἁπλῶς
ἄνθρωπον ἡ φύσις ποιεῖ, ἀλλὰ τὸν τινὰ καὶ τὸν ἵππον ὡσαύτως καὶ τῶν φυσικῶν
ἕκαστον, ὥστε ὁ μὴ λογικῶς ἀλλὰ φυσικῶς ἐξετάζειν τὰ φυσικὰ προτιθέμενος ἐκ
τῶν καθ’ ἕκαστα τὰς ἀρχὰς τῆς γνώσεως λήψεται. ταῦτα δὲ αἰσθητά, ὥστε καὶ ὁ
λόγος τῷ φυσικῷ ἐντεῦθεν ἀρξάμενος, τὴν οἰκείαν θεωρίαν καὶ ἐπιστήμην ἐνύλως
ἐνεργῶν καὶ μετὰ τῆς ὕλης τὴν περὶ τῶν εἰδῶν ποιούμενος διανόησιν καὶ ταῖς
λογικαῖς μεθόδοις παρὰ τὰ ἔνυλα χρώμενος, ὡς εἶναι αὐτῷ τὰς ἐπιβολὰς περὶ τὰ
ἔνυλα καὶ αἰσθητὰ πρώτιστα, οἷς ἐπιφέρειν τὸ καθόλου οὕτως ἔχειν τὴν οἰκείαν
τέχνην ἢ ἐπιστήμην συνίστησιν. ἐκ γὰρ τοῦδε τοῦ ἀνθρώπου ἀρχόμενος καὶ
ἕκαστον οὕτως ἔχειν ὑπολαμβάνων τὸ ἐπὶ πάντων κοινῶς θεωρούμενον καθόλου
τε ἀπεργάζεται καὶ τεχνικὸν ἀποτελεῖ τὸ αἰσθητὸν καὶ ἐπιστημονικόν, οἰκειουμένου
τοῦ λόγου θεωρητικῶς, ἃ αὐτῷ ἐμπειρικῶς ἐκ τῆς αἰσθήσεως ὑποβέβληται. ἐπὶ μὲν
οὖν τῆς φυσικῆς οὕτως.
[«Chi dunque volesse applicarsi alla conoscenza delle forme degli enti naturali, per
iniziare da qui, intende riferire il proprio sforzo verso quelle realtà sottoposte al dive-
nire secondo natura. Queste sono le forme materiali ed i particolari. La natura infatti
non produce l’uomo in generale, bensì un particolare uomo, e lo stesso vale per il
cavallo e per ciascuna delle realtà naturali, in modo che questi, nell’atto di indagare
le realtà naturali non con gli strumenti della logica, bensì secondo i principi della
stessa fisica, ricaverà i principi di questo tipo di conoscenza a partire dai particolari.
Queste realtà sono quelle oggetto di sensazione, in quanto la ragione, allorquando si
occupa del mondo naturale, parte da qui, e operando la considerazione appropriata,
ossia avendo scienza a partire da ciò che sussiste nella materia, conseguendo la co-
noscenza delle forme assieme alla loro componente materiale e servendosi dei metodi
della logica in rapporto alle realtà materiali, nella misura in cui possiede intuizioni
dirette delle forme materiali e dei primissimi oggetti di sensazione da cui inferisce
l’universale, così costituisce la propria arte e la propria scienza. Infatti, partendo da
questo uomo determinato e considerando ciascun individuo in questo modo, ricava
l’universale come ciò che è considerato comune a molti individui e riproduce l’oggetto
di sensazione e l’oggetto di scienza (ossia con l’appropriato uso della ragione), i quali
erano stati empiricamente sottoposti al fisico per il tramite della sensazione. Questo
è il caso della fisica.»]

Questo passo costituisce un resoconto standard dello statuto delle realtà og-
getto della fisica, che vengono qui identificate nelle «realtà che sussistono nella
materia e gli individui» (τὰ ἔνυλα καὶ καθ’ ἕκαστα) e che non possono essere
considerate senza il sostrato materiale. Il metodo di indagine proprio della fisica
è diverso in questo senso da quello proprio della matematica. Eustrazio in questo
senso sostiene che la fisica non considera i suoi oggetti propri «con gli strumenti
della logica» o «in maniera razionale» (μὴ λογικῶς), «ma alla maniera della
II. I commenti filosofici e le dottrine 105

fisica» (ἀλλὰ φυσικῶς). Crediamo che qui Eustrazio voglia dire che la conside-
razione di questo tipo di oggetti non coinvolge quella particolare operazione di
astrazione o sottrazione che caratterizza invece il modo in cui sono conoscibili
gli oggetti della matematica, ma a partire dalla conoscenza sensibile, ricavando
così l’elemento comune ai molti individui. Il testo è aporetico nella misura in cui
dopo aver detto che gli oggetti della fisica non sono appresi «con gli strumenti
della logica» (μὴ λογικῶς), Eustrazio sostiene che il fisico si occupa delle forme
materiali «con gli strumenti della logica» (ταῖς λογικαῖς μεθόδοις). L’aporia po-
trebbe essere risolta sulla base di quanto detto in precedenza, ossia distinguendo
tra l’approccio per astrazione o sottrazione del matematico, il quale considera
tramite un’operazione mentale come separato ciò che in natura non sussiste come
separato, e il fatto che comunque il fisico deriva a partire dai particolari sensibili
e dalla sensazione il tratto universale comune agli individui, cioè il fatto che il
fisico ha comunque bisogno di operare una certa dematerializzazione di tutta
una serie di circostanze materiali in rapporto agli oggetti di cui egli si occupa.
Si tratta di una formulazione, quella di Eustrazio sullo statuto delle realtà
oggetto della fisica, che appare in linea con quello che Aristotele stesso dice in
Physica, II,2,194a12-27 e la tradizione dei commentatori.64 Più interessante,
per quel che concerne almeno la terminologia, è il secondo passo sullo statuto
degli oggetti dell’indagine di tipo fisico che qui analizzeremo.

2.4 In VI EN, 347,10-15: ταῦτα δέ εἰσιν αἱ ἄλογοι ζωαὶ καὶ αἱ φυσικαί, καὶ εἴ τι ταύταις
ἀνάλογον ἕτερον, ἀλλὰ καὶ ἡ φύσις οὕτως ἔχει αὐτή, εἶδος ἔνυλον οὖσα καὶ αὐτὴ καὶ
τοῦ ὑποκειμένου ἀχώριστον καὶ μετὰ τῆς ὕλης ὁριζομένη. διὰ τοῦτο οὔτε αὐτοτελῆ
εἰσι καὶ αὐθέδραστα καὶ65 ὑποκειμένου τινὸς πρὸς τὸ ἑδρασθῆναι δεόμενα, ἵν’ ἐξ

64 ARIST., Physica, II,2,194a12-27: ἐπεὶ δ’ ἡ φύσις διχῶς, τό τε εἶδος καὶ ἡ ὕλη, ὡς ἂν εἰ περὶ σιμότητος

σκοποῖμεν τί ἐστιν, οὕτω θεωρητέον· ὥστ’ οὔτ’ ἄνευ ὕλης τὰ τοιαῦτα οὔτε κατὰ τὴν ὕλην. καὶ γὰρ δὴ
καὶ περὶ τούτου ἀπορήσειεν ἄν τις, ἐπεὶ δύο αἱ φύσεις, περὶ ποτέρας τοῦ φυσικοῦ. ἢ περὶ τοῦ ἐξ ἀμφοῖν;
ἀλλ’ εἰ περὶ τοῦ ἐξ ἀμφοῖν, καὶ περὶ ἑκατέρας. πότερον οὖν τῆς αὐτῆς ἢ ἄλλης ἑκατέραν γνωρίζειν; εἰς
μὲν γὰρ τοὺς ἀρχαίους ἀποβλέψαντι δόξειεν ἂν εἶναι τῆς ὕλης (ἐπὶ μικρὸν γάρ τι μέρος Ἐμπεδοκλῆς
καὶ Δημόκριτος τοῦ εἴδους καὶ τοῦ τί ἦν εἶναι ἥψαντο)· εἰ δὲ ἡ τέχνη μιμεῖται τὴν φύσιν, τῆς δὲ αὐτῆς
ἐπιστήμης εἰδέναι τὸ εἶδος καὶ τὴν ὕλην μέχρι του (οἷον ἰατροῦ ὑγίειαν καὶ χολὴν καὶ φλέγμα, ἐν οἷς ἡ
ὑγίεια, ὁμοίως δὲ καὶ οἰκοδόμου τό τε εἶδος τῆς οἰκίας καὶ τὴν ὕλην, ὅτι πλίνθοι καὶ ξύλα· ὡσαύτως δὲ
καὶ ἐπὶ τῶν ἄλλων), καὶ τῆς φυσικῆς ἂν εἴη τὸ γνωρίζειν ἀμφοτέρας τὰς φύσεις. SIMPLICIUS, In Aristote-
lis Physicorum cit., 306,29-307,2: εἰπὼν δὲ ὅτι περὶ τὰ ἔνυλα εἴδη ὁ φυσικὸς ἕξει καὶ τοῦτο μέχρι τοῦ
τέλους προβήσεται, ὅτι ἔνυλα τὰ φυσικὰ εἴδη ἐστί, δείκνυσιν ἐκ τοῦ καὶ τὰ αἴτια αὐτῶν τά τε προσεχῆ
καὶ τὰ ἀναβεβηκότα καὶ αὐτὰ ἔνυλα εἶναι. καὶ γὰρ τὸ προσεχῶς γεννῶν τὸν ἄνθρωπον ἄνθρωπός ἐστιν
ἔνυλος καὶ αὐτὸς ὤν, καὶ τὸ ἐπαναβεβηκὸς τούτων ποιητικὸν πάντων τῶν γινομένων κατὰ φύσιν αἴτιον
ὁ ἐμφανὴς ἥλιος εἶδος καὶ αὐτὸς ἔνυλον. PHILOPONUS, In Aristotelis De anima cit., 55,7-10: Ἐπειδὴ γὰρ τὰ
φυσικὰ τοιαῦτα εἴδη περὶ ὧν ἐπισκέπτεται ὁ φυσικός, τοιοῦτοι δὲ καὶ οἱ φυσικοὶ ὁρισμοὶ καὶ τὴν ὕλην
παραλαμβάνοντες, φυσικοῦ ἄρα τὸ περὶ τῶν τοιούτων ψυχῶν διαλεχθῆναι τῶν οὐκ ἄνευ ὕλης.
65 Il testo greco edito da Heylbut aggiunge μὴ dopo καὶ. Ma a nostro parere il μὴ andrebbe espunto
106 Il neoplatonismo di Eustrazio di Nicea

ἐκείνου ἀφαιρεθήσονται κατ’ ἐπίνοιαν. ταῦτα δ’ ὅτι ἐν ὑποκειμένῳ θεωρούμενα


τοῦ ὑποκειμένου εἰσὶν ἀχώριστα καὶ συνῃρημένως τῷ ὑποκειμένῳ τὸν ὁρισμὸν
ἐπιδέχονται.
[«Queste sono le vite irrazionali, le realtà naturali e qualsivoglia altra realtà simile a
queste; ma la stessa natura è di questo tipo, cioè una forma materiale essa stessa in-
separabile dal soggetto di inerenza e definita assieme alla materia. Per questa ragione
queste realtà non sono né di per sé perfette, né autosussistenti, poiché in relazione al
loro essere necessitano di inerire in un qualche soggetto, di modo che da questo pos-
sano essere astratte mentalmente. Queste realtà, nella misura in cui sono considerate
in un soggetto, sono inseparabili dal soggetto e ricevono la loro definizione assieme
al soggetto.»]

Il contesto di questo passo è interessante. Eustrazio ha appena terminato di


discutere lo statuto delle realtà che non sussistono nella materia né sono co-
nosciute in quanto astratte dalla materia, ma sono autosussistenti. Si tratta del
passo 2.5 che analizzeremo a breve. Tuttavia Eustrazio individua un caso parti-
colare tra le realtà che godono di questo statuto, quello delle anime razionali, le
quali pur sussistendo in un corpo, restano sostanzialmente indipendenti rispetto
al corpo. Si tratta di un approccio neoplatonizzante alla questione dello statuto
dell’anima che caratterizza tutta la psicologia eustraziana.66 Ci troviamo cioè di
fronte ad una forma, quella appunto costituita dall’anima razionale, che non ha
bisogno di un sostrato per sussistere, ma che al contrario perfeziona il sostrato
cui essa inerisce.67 Eustrazio poi introduce un altro tipo di forme, quelle che, a
differenza dell’anima razionale, non sono separabili in maniera assoluta dai sog-
getti o sostrati in cui ineriscono. In 2.4 queste forme sono le vite irrazionali (un
riferimento forse agli animali privi di ragione) e in generale le realtà oggetto della
fisica; entrambe queste categorie non sono definibili senza il sostrato materiale,
in quanto non esistono al di fuori di tale sostrato.
Eustrazio in realtà non sembra entrare molto nell’ambito, almeno in questo

in quanto in chiaro contrasto con il senso del testo. Al limite, se si volesse preservare il μὴ, si potrebbe
ipotizzare l’esistenza in origine di un χωρίς subito dopo μὴ.
66 Si veda la sezione 4 della II parte del presente lavoro.
67 EUSTR., In VI EN, 346,39-347,10: καὶ αὗται γάρ, ὅταν μετὰ σωμάτων λαμβάνωνται, οὐκ ἐν σώμασιν

ἑδράζονται, ἀλλὰ μᾶλλον ἐν ἑαυταῖς ἐκεῖνα ἑδράζουσι καὶ ἐκεῖναι αὐτὰ συνέχουσιν, ὡς καὶ ἐξ αὐτῶν
χωριζόμενα ἀκίνητα εἶναι καὶ ἀνενέργητα, καὶ μηδὲν τὸν οἰκεῖον ὅρον δυνάμενα δέχεσθαι, ὃς αὐτοῖς
ἥρμοττε, συνεζευγμένοις ἐκείναις οὐχ ὡς σώμασιν ἁπλῶς ἀλλ’ ὡς τοιοῖσδε σώμασιν, ἤτοι οἰκείως
ἔχουσι ταῖς ψυχαῖς, αἷς συνεζευγμένα ἐτύγχανεν, ἢ ἔνυλα ὑπάρχοντα ἀτελῆ μέν εἰσιν ὡς ἐν εἴδεσιν, ἅτε
ὑποκειμένων δεόμενα, οἷς ἐνιδρυνθήσονται, τελειοῦντα δ’ ὅμως τὰ ὑποκείμενα διὰ τὸ δράσεώς τινος
αὐτοῖς ἀξιολόγου γίνεσθαι αἴτια, ἧς ἐστέρητο πρὸ τοῦ τὰ εἴδη αὐτὰ παραδέξασθαι. διὰ τοῦτο καὶ οὐσιώδη
ἐστὶ καὶ φυσικά, ὡς τὴν φύσιν ἀρχὴν ἔχοντα, ἢ τά τε ὑποκείμενα τοῖς εἴδεσι προσήρμοσε καὶ τὰ εἴδη τοῖς
ὑποκειμένοις οἰκεῖα εἰργάσατο.
II. I commenti filosofici e le dottrine 107

passo, di quello che è stato uno dei principali problemi nella tradizione dei
commentatori proprio legato alla questione dello statuto degli oggetti di cui si
occuperebbe la fisica. È lo stesso Aristotele che sembra suggerire (Physica,
II,2,194a21sq.) come in questo senso, vista l’impossibilità per l’indagine fisica
di prescindere dalla componente materiale della natura (e dunque da un fattore
di individuazione per le forme), la stessa fisica sembrerebbe più avvicinarsi
all’arte che ad una scienza nel vero e proprio senso del termine.68 Aristotele
solitamente oppone la possibilità di operare per astrazione, ἐξ ἀφαιρέσεως, nei
confronti degli oggetti matematici, ad un diverso movimento epistemologico; gli
oggetti propri di un’indagine di tipo fisico deriverebbero ἐκ προσθέσεως, ossia
per addizione delle determinazioni che caratterizzano l’oggetto di volta in volta
considerato.69
Invece in Eustrazio non sembra esservi una particolare problematizzazione
dello statuto più o meno scientifico della fisica, né Eustrazio sembra interessarsi
dell’altro grande problema oggetto di indagine presso la tradizione dei commen-
tatori, ossia del problema cui sempre nella Physica (II,2,193b26sq.) Aristotele
allude, ossia se l’astronomia, in virtù del particolare status dei propri oggetti di
indagine – separati ed immutabili, ma al tempo stesso legati ad una particolare
forma di componente materiale –, possa essere considerata una parte della fi-
sica oppure una scienza a sé stante.70 Una eco del primo problema menzionato
sembra ricorrere nel commento al II libro degli Analytica Posteriora, dove Eu-
strazio, nell’affrontare il problema delle differenze tra arte e scienza, preferisce
all’esempio del principio di non contraddizione, come principio primo nell’ordi-
ne delle scienze,71 un esempio tratto dall’ambito di indagine della fisica, ossia

68 ARIST., Physica, II,2,194a21-27: εἰ δὲ ἡ τέχνη μιμεῖται τὴν φύσιν, τῆς δὲ αὐτῆς ἐπιστήμης εἰδέναι τὸ

εἶδος καὶ τὴν ὕλην μέχρι του (οἷον ἰατροῦ ὑγίειαν καὶ χολὴν καὶ φλέγμα, ἐν οἷς ἡ ὑγίεια, ὁμοίως δὲ καὶ
οἰκοδόμου τό τε εἶδος τῆς οἰκίας καὶ τὴν ὕλην, ὅτι πλίνθοι καὶ ξύλα· ὡσαύτως δὲ καὶ ἐπὶ τῶν ἄλλων),
καὶ τῆς φυσικῆς ἂν εἴη τὸ γνωρίζειν ἀμφοτέρας τὰς φύσεις. ἔτι τὸ οὗ ἕνεκα καὶ τὸ τέλος τῆς αὐτῆς, καὶ
ὅσα τούτων ἕνεκα.
69 ARIST., De Caelo, III,1,299a13-17: τὰ μὲν γὰρ ἐπ’ ἐκείνων ἀδύνατα συμβαίνοντα καὶ τοῖς φυσικοῖς

ἀκολουθήσει, τὰ δὲ τούτοις ἐπ’ ἐκείνων οὐχ ἅπαντα διὰ τὸ τὰ μὲν ἐξ ἀφαιρέσεως λέγεσθαι, τὰ μαθηματικά,
τὰ δὲ φυσικὰ ἐκ προσθέσεως. Si veda il commento di Simplicio al passo aristotelico appena citato; cfr.
SIMPLICIUS, In Aristotelis quattuor libros de caelo commentaria, ed. J.L. HEIBERG, Reimer, Berlin 1894, 567,7-
567,17.
70 La soluzione neoplatonica a cui Eustrazio avrebbe potuto attingere, con Proclo in testa, sembra essere

costituita da una sorta di sdoppiamento dell’astronomia; vi sarebbe un’astronomia ordinaria, che si occupa
dei fenomeni celesti in quanto tali, e una che rimanda dai fenomeni celesti alle cause prime e supreme dei
fenomeni stessi. Questa è l’astronomia cui Proclo sembra programmaticamente aderire in PROCLUS, In Pla-
tonis Timaeum cit., 1,202,15-25: Sull’argomento si veda A.Ph. SEGONDS, Proclus: astronomie et philosophie,
in PÉPIN/SAFFREY (éds), Proclus lecteur cit., 319-334.
71 Come in EUSTR., In II A.Po., 257,21-24; 268,25-27.
108 Il neoplatonismo di Eustrazio di Nicea

quello di due corpi che con la stessa velocità percorrono la medesima distanza
nel medesimo tempo.72 L’arte si occuperebbe di quanto viene all’essere in virtù
di un’attività umana; la scienza avrebbe come oggetto le realtà naturali. Si tratta
di una formulazione relativamente diversa da quanto abbiamo visto ampiamente
in precedenza in diversi passi di Eustrazio, ossia l’enfasi sul fatto che la scienza
si occuperebbe solo di realtà eterne ed universali.
Di tutte queste problematiche non sembra esservi eco nei commenti di Eu-
strazio. Nondimeno, sembra non esservi traccia neanche di eccessive preoccu-
pazioni da parte di Eustrazio in merito alle perplessità di una certa letteratura
neoplatonica in rapporto alla scientificità dell’indagine fisica. Se si pensa a
formulazioni come quelle rinvenibili nel commento procliano al Timeo,73 dove
proprio la mancanza di rigore ed esattezza del discorso inerente gli oggetti propri
dell’indagine fisica viene attribuita tanto allo statuto delle realtà fisiche, quanto
ad una costitutiva debolezza di ciò per il quale tali realtà possono essere cono-
sciute, ossia la sensazione.
Se 2.4 è povero di indicazioni relative a quella che è stata la problematizzazio-
ne dello statuto della fisica e dei suoi oggetti in età tardo-antica, è anche vero che
la terminologia di questo passo è interessante per quel che concerne la sua origi-
ne e le sue fonti. Anche in questo caso alcune espressioni impiegate da Eustrazio
sembrano rimandare ad una letteratura più specificatamente neoplatonica. È il
caso, ad esempio, del termine αὐθέδραστα impiegato da Eustrazio proprio in 2.4.
Il termine in questione occorre nel contesto della descrizione dello statuto delle
forme materiali, le quali non sussisterebbero nè sarebbero pensabili senza della
loro componente materiale, ossia del soggetto in cui ineriscono; in questo senso,
continua Eustrazio, non si potrebbe dire che esse siano, appunto, αὐθέδραστα,
ossia inerenti in se stesse.
L’espressione non si ritrova in Proclo; la prima testimonianza a proposito è
rinvenibile nel commento al De anima dello Pseudo-Simplicio (re vera Prisciano
Lido).74 Commentando 410a3, in cui Aristotele discute le difficoltà relative alla
tesi di chi sostiene che l’anima sia composta di elementi, lo Pseudo-Simplicio

72 EUSTR., In II A.Po., 264,20-28.


73 PROCLUS, In Platonis Timaeum cit., 1,351,20-29. Su questo tema si veda A. LERNOULD, Physique et
théologie. Lecture tu Timée de Platon par Proclus, Presses Universitaries du Septentrion, Villeneuve d’Ascq
(Nord) 2001, 291-298 e M. MARTIJN, Proclus on Nature. Philosophy of Nature and its Method in Proclus’
Commentary on Plato’s Timaeus, Brill, Leiden/Boston 2010 («Philosophia Antiqua», 121).
74 (PSEUDO) SIMPLICIUS (re vera PRISCIANUS LYDUS), In Aristotelis libros De Anima commentaria, ed. M.

HAYDUCK, Reimer, Berlin 1882 («Commentaria in Aristotelem Graeca», XI), 68,30-34: Στοιχεῖα ἑκάστου
λέγει γένους τὰ κοινῇ μὲν πᾶσι τοῖς ὑπὸ τὸ γένος ὑπάρχοντα, οὐκέτι δὲ ἄλλῳ τινί, οἷον οὐσίας μὲν τὸ
αὐθέδραστον καὶ μὴ ἐν ὑποκειμένῳ εἶναι, τὸ ἑδραστικὸν τῶν ἄλλων καὶ ὑποκείμενον αὐτοῖς, τὸ ἑαυτοῦ
ὄν, τὸ μηδὲν πρὸς τὸ εἶναι τῶν συμβεβηκότων δεῖσθαι.
II. I commenti filosofici e le dottrine 109

pone un esempio di membri che possiederebbero un qualcosa di comune all’in-


terno di ciascun genere, definendo questo comune elemento di «ciascun gene-
re»; nel caso specifico, si può dire, continua il testo del commento, che è proprio
della sostanza l’essere in se stessa inerente e il non sussistere in un soggetto. Il
testo sembra suggerire che l’espressione in questione possa essere considerata
sinonimo di αὐθυπόστατον. Ed è esattamente questo il significato attribuito
dall’intellettuale bizantino Michele Psello al termine αὐθέδραστον. Nel discute-
re il problema del nesso tempo-movimento, relativo alla discussione aristotelica
(Physica, IV,11,219b1-2) dello statuto del tempo, Psello ricorda come non si
possa dire che il tempo sia «auto-inerente» (αὐθέδραστον) e di conseguenza
«auto-sussistente» (αὐθυπόστατον), ma al contrario ha sempre bisogno di ap-
plicarsi ad una realtà quale quella del movimento.75
Dunque le realtà oggetto della fisica sono realtà che non sussistono al di fuori
del sostrato di inerenza e che, a differenza degli enti matematici, non possono
essere definiti senza la materia. Le forme materiali sono esse stesse indigenti
rispetto al sostrato di inerenza e per questo, aveva ricordato Eustrazio utilizzan-
do una terminologia di origine neoplatonica, non sono auto-inerenti, ma il loro
statuto è quello di inerire in un sostrato. Inoltre Eustrazio in 2.4 aveva anche
ricordato che le forme materiali non sono neanche «auto-perfette» (αὐτοτελῆ).
Anche in questo caso ci sembra si possa suggerire una derivazione neoplatonica
di questo termine.76 Si tratta di una terminologia che di fatto svolge la funzione
di introdurre la considerazione di quelle forme che, al contrario, hanno in sé il
principio della propria esistenza e che sono per questo auto-perfette:

2.5 In VI EN, 346,35-39: τὰ δὲ οὐσιώδη εἴδη οὐχ οὕτως ἔχουσιν, ἀλλ’ ἄυλα ὄντα καὶ
αὐθυπόστατα οὐσίαι εἰσὶν ἄυλοι καὶ οὐδενὸς ὑποκειμένου εἰσὶ χωριζόμενα κατ’
ἐπίνοιαν, ὅτι μηδὲ ἔν τινι ὑποκειμένῳ ἑδράζονται ἀλλ’ αὐτὰ ἑαυτοῖς εἰσιν ἕδραι, ὡς
οἵ τε καθαροὶ νόες καὶ αἱ λογικαὶ ψυχαί.

75 MICHAEL PSELLUS, Theologica, cit., 53,103sq.: διὰ τοῦτο ὁ βουλόμενος ἐρωτᾶν πότερον ‘ἐν χρόνῳ

ἢ οὐκ ἐν χρόνῳ’ περί τινος, ἀφεὶς τὸν χρόνον καὶ τὴν κίνησιν ὡς μὴ αὐθέδραστον ἢ αὐθυπόστατον,
εὐλόγως ἂν ἐρωτῴη περὶ τοῦ κινουμένου σώματος· ὅπως γὰρ ἂν ἔχῃ τοῦτο, οὕτω {καὶ} κἀκεῖνος ἔχειν
νομισθήσεται. L’espressione è rinvenibile sovente anche in Giovanni Damasceno, come in Dialectica, 51,
ed. P.B. KOTTER, Die Schriften des Johannes von Damaskos, vol. 1, De Gruyter, Berlin 1969 («Patristische
Texte und Studien», 7) 118,46-119,54, dove ciò che gode dello statuto di αὐθέδραστον viene contrapposto
a ciò che ha lo statuto di accidente (συμβεβηκός).
76 (PSEUDO) SIMPLICIUS (re vera PRISCIANUS LYDUS), In Aristotelis cit., 13,10-13: Ἅπαν μὲν γὰρ εἰδικώτατον

εἶδος οὐσίας αὐτοτελῆ δηλοῖ ὕπαρξιν καὶ καθ’ ἑαυτὴν οὐσιωμένην, κἂν ἔνυλον ᾖ, οὐκ οὐσιωμένον ἐκ τῆς
ὕλης ἢ τοῦ συνθέτου, ἀλλ’ αὐτὸ οὐσιοῦν μὲν τὰ σύνθετα, τελειοῦν δὲ τὴν ὕλην εἰς ἐνέργειαν τὸ δεκτικὸν
αὐτῆς ἄγον. Ci pare che qui lo Pseudo-Simplicio sostenga un principio assai vicino a quello discusso in
EUSTRAZIO, In VI EN, 346,39-347,10.
110 Il neoplatonismo di Eustrazio di Nicea

[«Invece le forme sostanziali non sono di questo tipo, ma in quanto sostanze imma-
teriali e autosussistenti non sono separate mentalmente da alcun soggetto, poiché
non ineriscono neanche in un determinato soggetto, ma sono esse stesse di per sé
autosussistenti, come gli intelletti puri e le anime razionali.»]

Eustrazio si riferisce qui a quelle realtà oggetto della sophia, che il commen-
tatore individua negli «intelletti puri» (gli angeli?) e nelle «anime razionali».77
Quest’ ultima scelta si giustificherebbe con il fatto che sarebbero i singoli corpi
a dipendere interamente per le loro operazioni dalle anime razionali, e non il
contrario. Come detto, le anime razionali anche quando si trovano nel corpo,
mantengono la loro indipendenza rispetto ad esso.
Tali realtà sono descritte come «immateriali» (ἄυλα) e «autosussistenti»
(αὐθυπόστατα), «non separabili per astrazione mentale da alcun soggetto»
(οὐδενὸς ὑποκειμένου εἰσὶ χωριζόμενα κατ’ ἐπίνοιαν), «in quanto non inerenti
in un determinato soggetto» (ὅτι μηδὲ ἔν τινι ὑποκειμένῳ ἑδράζονται). Si tratta
cioè di tutte quelle caratterische che non competono né agli oggetti della ma-
tematica, in quanto questi sono noti solo per astrazione mentale, né agli oggetti
della fisica, che sono forme materiali che non possono sussistere al di fuori del
sostrato di inerenza.
Anche qui la terminologia impiegata da Eustrazio è marcatamente neoplato-
nica. Per prima cosa, il termine αὐθυπόστατα utilizzato da Eustrazio per descri-
vere lo statuto di queste forme sostanziali, separate in maniera assoluta e auto-
inerenti occorre in maniera assai frequente in Proclo.78 Ci pare poi che quando
Eustrazio dice in 2.5 che le forme sostanziali non sono auto-sussistenti «poiché
non ineriscono neanche in un determinato soggetto, ma sono esse stesse di per

77 Non siamo riusciti a trovare altre occorrenze dell’espressione «intelletti puri» se non in JOHANNES

DAMASCENUS, Sacra Parallela, Patrologia Graeca, 96, 492CD: τοσοῦτον προσοχθίσαντες τῷ τοῦ ἀνθρώπου
σχήματιὡς οὐδὲ αὐτὸν τὸν ὀλίγον καιρὸν, ἕως οὗ φθάσωσι πᾶσαν ἀποβαλεῖν, καὶ ἀποδιαπομπήσασθαι
σωματικὴν φύσιν, καὶ γενέσθαι καθαροὶ νόες, ἀνεχόμενοι, παρὰ τὸ φανὲν αὐτοῖς εὔμορφον σχῆμα
λαβεῖν. Ma in questo caso sembra che Damasceno si riferisca comunque agli individui umani allorquando
essi abbiamo rotto il vincolo con la loro componente materiale. Eustrazio sembrerebbe invece riferirsi a
realtà già sussistenti di per sé come separate. Si può solo supporre che Eustrazio si riferisca qui alle crea-
ture angeliche, per quanto anche qui se si prende in esame la Theologia Platonica procliana si troveranno
diverse occorrenze del lessema in questione, al singolare, in un contesto in cui Proclo discute delle proprietà
competenti agli dei (cfr. e.g. PROCLUS, Theologia cit., 2,45,6; ibid., 5,17,7; ibid., 5,125,10)
78 Cfr. e.g. PROCLUS, Elementatio cit., 40, 42,9; ID., In Platonis Parmenidem, 3 vol., ed. C. STEEL ET AL.,

Clarendon Press, Oxford 2007-2009, 1146,1; ID., In Platonis Timaeum cit., 3,357,21. Nel commento alla
Metaphysica di Asclepio il termine in questione occorre all’interno di una descrizione delle idee platoniche.
Cfr. ASCLEPIUS, In Aristotelis Metaphysica A-Z commentaria, ed. M. HAYDUCK, Reimer, Berlin 1888 («Com-
mentaria in Aristotelem Graeca», VI,2), 390,31-34: οὐ γὰρ δυνατὸν εἰπεῖν ὅτι αἱ ἰδέαι ἐν ταῖς οὐσίαις
θεωροῦνται· οὐ γὰρ κατὰ μέθεξιν, ὥς φησιν αὐτός, θεωροῦνται, ἀλλὰ αὐθυπόστατα ὑπάρχουσιν, εἴδη
ὄντα εἰλικρινῆ.
II. I commenti filosofici e le dottrine 111

sé autosussistenti» (ὅτι μηδὲ ἔν τινι ὑποκειμένῳ ἑδράζονται ἀλλ’ αὐτὰ ἑαυτοῖς


εἰσιν ἕδραι), egli potrebbe avere in mente l’utilizzo, in negativo, di una descri-
zione operata da Proclo delle forme materiali, le quali «ineriscono in determinati
soggetti» (ἔν τισιν ὑποκειμένοις ἑδραζόμενα):

Εἰ γὰρ ἐθελήσεις θεωρῆσαι πᾶσαν τὴν τῶν ὄντων τάξιν, ὄψει τὰ μὲν εἴδη τὰ ἔνυλα
ἐν ἄλλοις ὄντα μόνον καὶ ἄλλων ὄντα καὶ ἔν τισιν ὑποκειμένοις ἑδραζόμενα {...}
[«Se infatti volessi considerare tutta la gerarchia degli enti, vedrai che le forme mate-
riali esistono in altro, appartengono ad altro e ineriscono in determinati soggetti.»]79

È chiaro che la terminologia impiegata da Eustrazio rimanda ad un’analoga


terminologia tipica del tardo neoplatonismo. A questo punto però sorge un pro-
blema esegetico rispetto al passo di EN, VI,9,1142b16-19. Qui, come è stato già
segnalato, Aristotele sostiene che i principî della fisica e della sophia derivano
dall’esperienza. Se alla luce di quanto detto fino a questo momento sullo statu-
to delle forme materiali e in generale sugli oggetti della fisica, la derivazione
dall’esperienza dei principî può essere facilmente spiegabile, lo è molto meno il
modo in cui lo sono i principî della sapienza, sophia. Se si tratta di realtà auto-
sussistenti, separate in senso assoluto dalla materia, non ricavabili tramite un
semplice procedimento astrattivo quale quello proprio degli oggetti della mate-
matica, in che senso i principî della sophia derivano dall’esperienza?
È quanto Eustrazio si chiede nel seguente passo, fornendo anche una prima
risposta:

2.6 In VI EN, 347,37-348,5: ταῦτα μὲν εἴρηται πρὸς γνῶσιν τοῦ τῇ μὲν μαθηματικῇ
ἐπιστήμῃ ἐξ ἀφαιρέσεως εἶναι τὰ ὑποκείμενα, τῇ δὲ φυσικῇ καὶ πρώτῃ φιλοσοφίᾳ,
ἣ καὶ κατ’ ἐξαίρετον σοφία καλεῖται, οὐχί. πῶς δ’ ἐξ ἐμπειρίας αἱ ἀρχαὶ τῇ σοφίᾳ
καὶ τῇ φυσικῇ, ἔτι μαθεῖν λείπεται. οἶμαι δὴ ἡ ἐμπειρία ἐνταῦθα οὐ κατὰ τὸ
σύνηθες σημαινόμενον εἴληπται, ἵνα τὴν ἄλογον σημαίνῃ τριβήν, ἀλλ’ ἀντὶ τῆς
πραγματειώδους καὶ κατ’ ἐπιβολὴν γνώσεως.
[«Queste cose sono state dette, da un lato, per mettere a conoscenza del fatto che
alla scienza matematica conviene il procedere per astrazione dai soggetti, dall’altro,
che alla fisica e alla filosofia prima, che è anche chiamata sapienza per eccellenza,
invece non compete questa modalità. Come dunque i principî della sapienza e della
fisica derivino dall’esperienza, questo resta ancora da comprendere. In questo senso
ritengo che qui l’esperienza non sia presa secondo la significazione usuale, nel senso
cioè di una pratica irrazionale, ma come una conoscenza laboriosa e di tipo intuitivo.»]

79 Cfr. PROCLUS, In Platonis Parmenidem cit., 1136,7-11.


112 Il neoplatonismo di Eustrazio di Nicea

Secondo il commentatore l’unico modo di venir fuori da questa aporia è quello


di intendere il termine ‘esperienza’ (ἐμπειρία) non già nel senso comune del
termine, nel senso cioè di una pratica non razionale in virtù della quale elabo-
riamo in maniera automatica una serie di comportamenti o finanche conoscenze
in relazione al ripetersi secondo le medesime modalità di una certa situazione
da cui inferire, appunto per esperienza, una norma di comportamento generale
o il funzionamento di un certo meccanismo. Al contrario, per Eustrazio si tratta
di qualcosa di diverso, «di una conoscenza laboriosa e di tipo intuitivo» (τῆς
πραγματειώδους καὶ κατ’ ἐπιβολὴν γνώσεως).
Ci sembra che qui, benché la cosa non sia tematizzata direttamente e svilup-
pata, Eustrazio indirizzi il lettore ancora una volta verso fonti neoplatoniche. Lo
vedremo in seguito (nella sezione 4 della II parte del presente lavoro) per quel
che concerne l’espressione κατ’ ἐπιβολὴν, mentre possiamo dire subito qualcosa
per quel che concerne il termine πραγματειώδης, «laborioso» o «relativo a cose
rilevanti». Questo termine gioca un ruolo importante nel commento di Proclo
al Parmenide, dove Proclo pone in essere importanti osservazioni sul termine
πραγματειώδης che compare nel testo in 137b. Secondo Proclo questo termine
si riferisce al «gioco laborioso» di produrre ipotesi e argomenti che costituisce
l’intelaiatura del dialogo, ma anche alla contemplazione delle vere realtà (le
idee).80
Alla luce di questo, insieme all’espressione κατ’ ἐπιβολὴν, che rimanda ad
una conoscenza di carattere intuitivo e non discorsivo degli intellegibili,81 o
in generale ad una conoscenza immediata quale può essere anche la sensazio-
ne (nel caso dell’apprensione degli oggetti della fisica), ci pare che il termi-
ne πραγματειώδης impiegato qui da Eustrazio per caratterizzare l’esperienza
da cui deriverebbero i principi della sophia sia da intendere nel senso di una
conoscenza delle realtà separate, proprio quelle di cui la sophia si occupa.82 In
questo senso Eustrazio sente il bisogno di una spiegazione supplementare circa
la derivazione per esperienza degli oggetti della sophia:

2.7 In VI EN, 348,24-38: {...} ἢ καὶ ἐπὶ ταύτης τὰ πρὸς ἡμᾶς πρῶτα ἀρχαὶ τῆς καταλήψεως
γίνονται, οὐχὶ τὰ φύσει ὑπάρχοντα πρότερον. τὰ μὲν γὰρ φύσει πρότερον ἐν τοῖς θείοις
ἢ τὸ παράγον τοῦ παραγομένου ἐστὶν ἢ τὸ τελεσιουργὸν τοῦ τελεσιουργουμένου
ἢ τὸ φρουρητικὸν τοῦ φρουρουμένου ἢ τὸ καθαρτικὸν τοῦ καθαιρουμένου ἢ τὸ

Cfr. PROCLUS, In Platonis Parmenidem cit., 1036,4-13; ibid., 1051,26-1052,13.


80

Cfr. infra, 4.1 e 4.2


81
82 Che gli oggetti della sophia siano qui intesi come sostanze separate è confermato da EUSTR., In I EN,

42,10-12: σοφία δὲ τῶν ὄντων ἐπιστήμη ᾗ ὄντα· ὄντα δὲ τὰ ἀκίνητα καὶ ἀμετάβλητα καὶ ἀεὶ ὡς ἔχουσιν
ἔχοντα καὶ διὰ παντὸς ἐν ἀκινησίᾳ μένοντα, κἀντεῦθεν ἐν ἀληθείᾳ πάσῃ τὸ εἶναι ἔχοντα.
II. I commenti filosofici e le dottrine 113

φωτιστικὸν τοῦ φωτιζομένου καὶ ἁπλῶς τὸ ὑπερέχον τοῦ ὑπερεχομένου. ἀλλ’ ἡμῖν
οὐκ ἔστιν εὐθὺς ἐξ ἀρχῆς κατειληφέναι τὰ πρότερον, κἀκ τῆς πρὸς ἐκεῖνα ἐπιβολῆς
τοὺς περὶ τῶν δευτέρων λόγους ἀποδιδόναι, ἀλλὰ δῆλα πρώτως ἡμῖν τὰ ἐσχάτως
ἐκεῖθεν ἀποτελούμενα. ταῦτα δὲ τὰ ἐν σώμασι θεωρούμενα, ἅ ἐστιν αἰσθητὰ καὶ
καθ’ ἕκαστα, οἷς ἐπιβάλλοντες καὶ τὴν τούτων ποικιλίαν καὶ σύστασιν καὶ συνοχὴν
καὶ διεξαγωγὴν ἐκπληττόμενοι ἀεὶ πρὸς τὸ προσεχὲς διὰ τῆς λογικῆς καὶ νοερᾶς
θεωρίας ἀνατρέχομεν αἴτιον, ἔστ’ ἂν διὰ τῶν μέσων διακόσμων εἰς τὴν πρώτην
καὶ μίαν ἀρχὴν καταντήσωμεν. ὡς εἶναι κἀνταῦθα τὴν ἀρχὴν τῆς γνώσεως ἐκ τῶν
αἰσθητῶν καὶ καθ’ ἕκαστα ἐξ ἐμπειρίας ἀπαρχομένων.
[«{...} o anche in rapporto alla sapienza i principî della conoscenza muovono da ciò
che è primo per noi, non da ciò che è primo in natura. Infatti ciò che è primo per na-
tura nelle cose divine sono cose come ciò che causa rispetto a ciò che è causato, ciò
che perfeziona rispetto a ciò che è perfezionato, ciò che protegge rispetto a ciò che
è protetto, ciò che purifica rispetto a ciò che è purificato, ciò che illumina rispetto a
ciò che è illuminato e in generale ciò che trascende rispetto a ciò che è trasceso. Ma
a noi non è concesso di comprendere sin dall’inizio ciò che è primo, né è concesso
di assegnare le definizioni delle realtà secondarie a partire da un’intuizione diretta
di queste realtà; ma sono in primo luogo noti a noi gli ultimi effetti di quaggiù. Que-
sti invece sono quelle realtà considerate nei corpi in quanto oggetti di sensazione e
individui, intuendo i quali, nello stupore per la loro varietà, la loro costituzione, la
loro combinazione e la loro disposizione, risaliamo per contemplazione razionale e
intellettuale verso la causa sempre prossima, fino a giungere per livelli intermedi
alla prima e unica Causa. In questo senso anche nel caso della sapienza l’inizio della
conoscenza è costituito dai sensibili e dagli individui che si offrono all’esperienza.»]

Questa spiegazione del carattere esperienziale della sophia consiste nel fatto
che noi trarremmo i principî della sophia da ciò «che è primo per noi» (τὰ πρὸς
ἡμᾶς πρῶτα) e «non da ciò che è primo o anteriore per natura» (οὐχὶ τὰ φύσει
ὑπάρχοντα πρότερον). Sembrerebbe che qui Eustrazio abbia in mente le indica-
zioni aristoteliche dell’incipit della Physica, dove Aristotele sottolinea la neces-
sità che l’indagine propria della fisica parta da ciò che è più immediato e certo
per noi, per poi procedere verso ciò che più immediatamente noto per natura.83
Nondimeno il passo maggiormente accreditato a svolgere il ruolo di diretto refe-
rente dell’argomento di Eustrazio sembra essere quello relativo all’esplicazione
aristotelica in Analytica Posteriora, I,1,71b33-72a5 dei differenti modi di com-
prendere i caratteri di anteriorità e posteriorità. Diverso, dice Aristotele, è ciò
che è primo per natura da ciò che è primo per gli uomini; è più vicino agli uomini

83 ARIST., Physica, I,1,184a16-18: πέφυκε δὲ ἐκ τῶν γνωριμωτέρων ἡμῖν ἡ ὁδὸς καὶ σαφεστέρων ἐπὶ

τὰ σαφέστερα τῇ φύσει καὶ γνωριμώτερα.


114 Il neoplatonismo di Eustrazio di Nicea

ciò che è oggetto di sensazione, mentre ciò che è, sempre in questa prospettiva,
assolutamente universale è in assoluto più lontano.84
Tuttavia, come già accaduto per gli altri testi discussi in questa sezione, è
impossibile ricongiungere Eustrazio ad Aristotele direttamente ignorando il
filtro costituito dalla tradizione dei commentatori tardo-antichi. Ammonio, in
particolare, applica questa distinzione tra diversi modi di concepire anteriorità
e posteriorità proprio alla definizione dei soggetti delle discipline relative alle
discipline teoretiche, ossia teologia, matematica e fisica. Ammonio presenta una
ripartizione gerarchica in cui l’indagine teologica è al primo posto, in quanto
le sostanze divine costituiscono l’ordine dei principî di tutte le cose; l’ambito
legato all’indagine propriamente fisica, che costituisce ciò che per noi è primo,
è all’ultimo posto in relazione all’acquisizione della verità, ossia in relazione
alla sostanza intellegibile. Non sarebbe infatti possibile conoscere la verità per
sensazione.85 Alla matematica, come in realtà abbiamo avuto modo di vedere,
spetterebbe un ruolo intermedio.86 Quanto si sia in realtà in un contesto in cui
l’anteriorità secondo natura viene concepita all’interno di un modello marcata-
mente neoplatonico sembra confermato dal commento alla Metaphysica di Ascle-
pio, in cui l’autore si confronta con il tentativo di rinvenire un soggetto unitario
che raccolga sotto di sè le diverse indicazioni relative ai diversi libri costitutivi
della Metaphysica di Aristotele. Da un lato, noi ricaveremmo i principî delle
scienze da ciò che è ultimo per natura, ossia ciò che è primo per noi; dall’altro,
il soggetto della Metaphysica viene presentato da Asclepio come ciò che è primo

84 ARIST., Analytica Posteriora, I,1,71b33-72a5: πρότερα δ’ ἐστὶ καὶ γνωριμώτερα διχῶς· οὐ γὰρ ταὐτὸν

πρότερον τῇ φύσει καὶ πρὸς ἡμᾶς πρότερον, οὐδὲ γνωριμώτερον καὶ ἡμῖν γνωριμώτερον. λέγω δὲ πρὸς
ἡμᾶς μὲν πρότερα καὶ γνωριμώτερα τὰ ἐγγύτερον τῆς αἰσθήσεως, ἁπλῶς δὲ πρότερα καὶ γνωριμώτερα τὰ
πορρώτερον. ἔστι δὲ πορρωτάτω μὲν τὰ καθόλου μάλιστα, ἐγγυτάτω δὲ τὰ καθ’ ἕκαστα· καὶ ἀντίκειται
ταῦτ’ ἀλλήλοις.
85 AMMONIUS, In Porphyrii cit., 10,13-18: ἀρχαὶ γὰρ πάντων τὰ θεῖα. διὸ καὶ οὐκ ἀκαίρως οἱ παλαιοὶ

τοῦτο προέθηκαν. τὸ δὲ φυσιολογικὸν ὡς μὲν πρὸς ἡμᾶς πρῶτον (οὐ γὰρ ἂν γνοίημεν τὴν νοητὴν οὐσίαν
πρὸ τῆς αἰσθητῆς), ὡς δὲ πρὸς τὸ ἀληθὲς ἔσχατον· ἐσχάτη γὰρ οὐσία ἡ ἔνυλος, διὸ καὶ τὴν ἐσχάτην
εἴληφε τάξιν. μέσον δὲ τούτων τὸ μαθηματικόν, ἐπειδὴ καὶ κατὰ φύσιν μέσην ἔχει τάξιν. Si veda anche
ibid., 52,9-11.
86 AMMONIUS, In Porphyrii cit., 12,8-13,7. Qui Ammonio cita un noto adagio plotiniano (cfr. PLOTINUS,

Enneades, I,3 [20],3, ed. P. HENRY/H.-R. SCHWYZER, Plotini Opera, 1, Desclée de Brouwer, Paris/L’Édition
Universelle, Bruxelles 1951, 75,5-10) in cui l’autore invita a studiare la matematica in quanto conduce alla
contemplazione delle realtà immateriali. Lo stesso adagio è citato, in un contesto assai simile, da ASCLEPIUS,
In Aristotelis Metaphysica, cit., 151,4-6; SIMPLICIUS, In Aristotelis Physicorum cit., 14,4-6; OLYMPIODORUS,
Prolegomena, ed. A. BUSSE, Reimer, Berlin 1902 («Commentaria in Aristotelem Graeca», XII,1), 9,37-10,2;
DAVID, In Porphyrii Isagogen commentaria, ed. A. BUSSE, Reimer, Berlin 1904 («Commentaria in Aristotelem
Graeca», XVIII,2), 59,17-19. Ma si veda anche PROCLUS, In primum Euclidis cit., 12,26-13,26; 13,27-14,17-
20; ID., In Platonis Parmenidem cit., 980,15-24.
II. I commenti filosofici e le dottrine 115

per natura e ultimo per noi, ossia le sostanze ingenerate e non sottoposte al pro-
cesso di generazione e corruzione.87
Si tratta, non lo nascondiamo, di formulazioni assai diffuse nel tardo-antico,
in particolare nella tradizione dei commentatori di Aristotele. Eustrazio ci sem-
bra risentire di questa tradizione senza dipendere direttamente da un testo in
particolare. Ciò che viene dopo, tuttavia, appare una libera rielaborazione da
parte di Eustrazio non già di temi presenti nei commentatori, ma di indicazioni
rinvenibili in Proclo. Riproponiamo il passo:

τὰ μὲν γὰρ φύσει πρότερον ἐν τοῖς θείοις ἢ τὸ παράγον τοῦ παραγομένου ἐστὶν ἢ
τὸ τελεσιουργὸν τοῦ τελεσιουργουμένου ἢ τὸ φρουρητικὸν τοῦ φρουρουμένου ἢ
τὸ καθαρτικὸν τοῦ καθαιρουμένου ἢ τὸ φωτιστικὸν τοῦ φωτιζομένου καὶ ἁπλῶς τὸ
ὑπερέχον τοῦ ὑπερεχομένου.
[«Infatti ciò che è primo per natura nelle cose divine sono cose come ciò che causa
rispetto a ciò che è causato, ciò che perfeziona rispetto a ciò che è perfezionato, ciò
che protegge rispetto a ciò che è protetto, ciò che purifica rispetto a ciò che è purifi-
cato, ciò che illumina rispetto a ciò che è illuminato e in generale ciò che trascende
rispetto a ciò che è trasceso.»]88

Ci pare abbastanza evidente che questi esempi siano stati ripresi da Eustrazio
a partire da una lettura dell’opera del diadoco. Si tratta, in effetti, di proprietà,
caratteristiche, potenze, che nell’opera di Proclo descrivono ora in termini ge-
nerali l’effetto delle cause superiori sulle inferiori, vuoi, più nello specifico, le
proprietà e i poteri di dei e divinità su ciò che viene dopo nella gerarchia dei vari
ordini. Ecco alcuni esempi dall’opera del diadoco:

τὸ παράγον – τοῦ παραγομένου = (1) cfr. e.g. PROCLUS, Elementatio cit., 7, 8,27-28:
πάντῃ ἄρα τὸ παράγον κρεῖττον τῆς τοῦ παραγομένου φύσεως. (2) Ibid., 28, 32,12-
14: ἐπεὶ γὰρ κρεῖττον ἐξ ἀνάγκης ἐστὶ τοῦ παραγομένου τὸ παράγον, τὰ αὐτὰ μὲν
ἁπλῶς καὶ ἴσα κατὰ δύναμιν οὐκ ἄν ποτε εἴη ἀλλήλοις. (3) Ibid., 65, 62,15-19: ἢ
γὰρ ἐν τῷ παράγοντι τὸ παραγόμενον ὁρᾶται, ὡς ἐν αἰτίᾳ προϋπάρχον, διότι πᾶν
τὸ αἴτιον ἐν ἑαυτῷ τὸ αἰτιατὸν προείληφε, πρώτως ὂν ὅπερ ἐκεῖνο δευτέρως· ἢ ἐν
τῷ παραγομένῳ τὸ παράγον (καὶ γὰρ τοῦτο, μετέχον τοῦ παράγοντος, ἐν ἑαυτῷ
δείκνυσι δευτέρως ὃ τὸ παράγον ὑπάρχει πρώτως). (4) ID., In Platonis Parmenidem

87 ASCLEPIUS, In Aristotelis Metaphysica, cit.,1,8-14: ἡ δὲ τάξις, ὅτι ἐκ τῶν φύσει ὑστέρων ἡμεῖς τὰς

ἀρχὰς ποιούμεθα, ἐπειδὴ ταῦτα μᾶλλον συνεγνωσμένα ἡμῖν ὑπάρχουσι. διὰ τοῦτο τοίνυν ὁ Ἀριστοτέλης
πρότερον διελέχθη ἡμῖν περὶ τῶν φυσικῶν πραγμάτων· ταῦτα γὰρ τῇ φύσει ὕστερα ὑπάρχουσιν, ἡμῖν δὲ
πρότερα. ἡ δὲ παροῦσα πραγματεία τῇ μὲν φύσει προτέρα ὡς τὸ τέλειον ἔχουσα, ἡμῖν δὲ ὑστέρα· πρότερα
γὰρ τὰ ἄφθαρτα τῶν φθαρτῶν καὶ τὰ ἀγένητα τῶν γινομένων.
88 EUSTR., In VI EN, 348,26-29.
116 Il neoplatonismo di Eustrazio di Nicea

cit., 739,1-3: ἐπεὶ γὰρ οὐκ ἦν δυνατὸν οὐδὲ θεμιτὸν τῷ παράγοντι ταὐτὸν εἶναι τὸ
παραγόμενον, κατὰ τὴν ὁμοιότητα γέγονεν ἡ πρόοδος, ἥτις ἐξήρτηται προσεχῶς τῆς
ταυτότητος. (5) ID., Theologia cit. 1,88,23-24: ἀνάγκη γὰρ εἶναι τοῦ παράγοντος τὸ
παραγόμενον καταδεέστερον.

τὸ τελεσιουργόν – τοῦ τελεσιουργουμένου = cfr. e.g. (1) PROCLUS, In Platonis Alci-


biadem, ed. A. Ph. SEGONDS, Les Belles Lettres, Paris 1986, 82,18-21: μειζόνως δὲ ἔτι
λεκτέον ὅτι τῶν δαιμόνων οἱ μὲν καθαρτικὴν ἔλαχον δύναμιν καὶ ἄχραντον, οἱ δὲ
γεννητικήν, οἱ δὲ τελεσιουργόν, οἱ δὲ δημιουργικήν, καὶ ὅλως κατὰ τὰς ἰδιότητας
διῄρηνται τῶν θεῶν καὶ τὰς δυνάμεις ὑφ’ ἃς ἐτάχθησαν (il testo qui dice che cia-
scuna divinità intramondana presiede su di un ordine di demoni secondo le sue ca-
ratteristiche e poteri, tra cui quello di portare a perfezione). (2) ID., In Platonis Rem
publicam cit., 1,136,23-26: τοιοῦτοι γὰρ οἱ τῶν κρειττόνων ἔρωτες, ἐπιστρεπτικοὶ
τῶν καταδεεστέρων εἰς τὰ πρῶτα καὶ ἀποπληρωτικοὶ τῶν ἐν αὑτοῖς ἀγαθῶν καὶ
τελεσιουργοὶ τῶν ὑφειμένων (il testo suggerisce che gli dei posseggono dei poteri, tra
cui quello di portare a perfezione e conversione le realtà inferiori). (3) ID., In Platonis
Timaeum cit., 1,87,25-26: διὰ γὰρ δυάδος ἡ μονὰς πρόεισιν ἐπὶ τὴν τελεσιουργὸν
τῶν ὅλων πρόνοιαν (questo testo dice che attraverso la diade, la monade comunica
la propria provvidenza perfettiva a tutto). (4) ID., Theologia cit., 4,52,15; 4,58,11-12;
4,75,14-17; 4,77,17-19; 4,108,5-8 (questi passi riguardano la distinzione tra gli dei
che preservano, in greco συνεκτικοί, e quelli che portano a perfezione, τελεσιουργοί,
che corrispondono al terzo ordine di realtà intellegibili e intelligenti).

τὸ φρουρητικόν – τοῦ φρουρουμένου = cfr. e.g. (1) PROCLUS, In Platonis Timaeum


cit., 1,154,1-2; 1,156,5-6; 3,312,15-16. (2) ID., Elementatio cit., 154, 136,1-3; (3)
ID., In Platonis Alcibiadem cit., 30,9-12 (il testo introduce gli dei protettori e i lo-
ro poteri). (4) ID., In Platonis Timaeum cit., 2,106,15-16; 2,197,16-17; 2,292,10sq.
(questi testi discutono l’attività protettrice dell’Anima del mondo). (5) ID., Theologia
cit., 1,78,19-21 (il testo discute, a partire dagli Oracoli Caldaici, le potenze paterne,
protettive/φρουρητικά, governanti ecc.). (6) Ibid., 1,123,7-10: τῶν δὲ ὑφισταμένων
ἀπὸ τῶν διττῶν ἀρχῶν <τῶν> προϋπαρχουσῶν τῆς ἀπογεννήσεως, τὰ μὲν πρὸς
τὴν πατρικὴν ἀφομοιοῦται καὶ ἔστι ποιητικὰ <καὶ> φρουρητικὰ καὶ συνεκτικὰ τὰ
τοιαῦτα γένη τῶν θεῶν [...] (qui si parla delle classi di dei che sono assimilabili al
paterno). (7) Ibid., 4,53,22-26 la prima triade di dei intellegibili e intelligenti possiede
tre poteri: rivelativo, assemblativo e protettivo (φρουρητική). (8) Ibid., 5,122,13-15
(le proprietà della seconda triade di dei immacolati dipendono dalla causa protettiva/
φρουρητική). (9) ID., Elementatio cit., 156, 136,23-25: Πᾶν μὲν τὸ τῆς καθαρότητος
αἴτιον ἐν τῇ φρουρητικῇ περιέχεται τάξει, οὐκ ἔμπαλιν δὲ πᾶν τὸ φρουρητικὸν
τῷ καθαρτικῷ γένει ταὐτόν (il testo discute della relazione tra il purificativo e il
prottettivo). (10) Ibid., 154, 136,4-6: Πᾶν τὸ φρουρητικὸν ἐν τοῖς θεοῖς ἕκαστον ἐν
τῇ οἰκείᾳ τάξει διαφυλάττει τῶν δευτέρων ἑνοειδῶς ἐξῃρημένον καὶ τοῖς πρώτοις
ἐνιδρυμένον. (11) ID., Theologia cit., 6,67,5-8: πᾶν γὰρ τὸ φρουροῦν πανταχόθεν
II. I commenti filosofici e le dottrine 117

σπεύδει περιλαμβάνειν τὸ φρουρούμενον καὶ τάς τε οὐσίας αὐτῶν καὶ τὰς δυνάμεις
καὶ τὰς ἐνεργείας ἀκλινεῖς διαφυλάττειν.

τὸ καθαρτικόν – τοῦ καθαιρουμένου = cfr. e.g. (1) PROCLUS, In Platonis Timaeum


cit., 1,38,9-10: ὅλως δὲ καὶ περὶ αὐτὰς τὰς ψυχάς εἰσι καὶ ἀναγωγοὶ δυνάμεις καὶ
καθαρτικαί [...] (il testo parla dell’esistenza di potenze anagogiche e purificatrici);
(2) ID., In Platonis Rem publicam cit., 1,122,5-7: δαιμόνων δὲ τάξεις διαφόρους
ἐφεστώσας, τὰς μὲν τιμωρούς, τὰς δὲ κολαστικάς, τὰς δὲ καθαρτικάς, τὰς δὲ
κριτικάς (qui si parla dei diversi ordini di dei, tra cui quelli purificativi). (3) ID., The-
ologia cit., 1,86,23-24 (il testo parla di Δίκη come della divinità purificatrice della
malvagità nelle anime).

τὸ φωτιστικόν – τοῦ φωτιζομένου = cfr. e.g. PROCLUS, In Platonis Rem publicam cit.,
1,289,21-24: τῶν δὲ αὖ εἰκόνων δηλοῦν δυναμένων καὶ ἀγάλματα καὶ ζῳγραφήματα
καὶ πᾶν ὅτι τοιοῦτον, αὐτὸς διοριζόμενος, τίνας εἶναι βούλεται τὰς εἰκόνας, καὶ ὡς
τὰς ἀπὸ τῶν φωτιζόντων ἀποτελουμένας ἐν φωτιζομένοις.

In che senso, dunque, i principî della sophia e in generale i suoi oggetti sono
ricavabili dall’esperienza? Nel senso, suggerisce Eustrazio, che anche quando
ci approcciamo a queste realtà il cui statuto è caratterizzato dalla separatezza
in senso assoluto, siamo comunque costretti a partire dagli effetti e dagli ultimi
termini nel processo di generazione, a noi noti per sensazione. Ecco in che senso
anche i principî della sophia deriverrebbero dall’esperienza. Non è tutto. Riguar-
do gli oggetti sensibili, che di fatto costituirebbero il nostro punto di partenza
anche per quel che concerne le realtà di cui si occuperebbe la sophia, Eustrazio
in 2.7 aveva anche sostenuto che:

ταῦτα δὲ τὰ ἐν σώμασι θεωρούμενα, ἅ ἐστιν αἰσθητὰ καὶ καθ’ ἕκαστα, οἷς


ἐπιβάλλοντες καὶ τὴν τούτων ποικιλίαν καὶ σύστασιν καὶ συνοχὴν καὶ διεξαγωγὴν
ἐκπληττόμενοι ἀεὶ πρὸς τὸ προσεχὲς διὰ τῆς λογικῆς καὶ νοερᾶς θεωρίας
ἀνατρέχομεν αἴτιον, ἔστ’ ἂν διὰ τῶν μέσων διακόσμων εἰς τὴν πρώτην καὶ μίαν
ἀρχὴν καταντήσωμεν. ὡς εἶναι κἀνταῦθα τὴν ἀρχὴν τῆς γνώσεως ἐκ τῶν αἰσθητῶν
καὶ καθ’ ἕκαστα ἐξ ἐμπειρίας ἀπαρχομένων.
[«Queste invece sono quelle realtà considerate nei corpi in quanto oggetto di sensazio-
ne e individui, intuendo i quali, nello stupore per la loro varietà, la loro costituzione,
la loro combinazione e la loro disposizione, risaliamo per contemplazione razionale
e intellettuale verso la causa sempre prossima, fino a giungere per livelli intermedi
alla prima e unica Causa. In questo senso anche nel caso della sapienza l’inizio della
conoscenza è costituito dai sensibili e dagli individui che si offrono all’esperienza.»]

Qui Eustrazio prospetta una risalita anagogica dagli effetti alle cause che ha
118 Il neoplatonismo di Eustrazio di Nicea

inizio a partire dallo stupore per la bellezza della realtà sensibile (la sua varietà,
costituzione ecc.). Il termine impiegato da Eustrazio, ἐκπληττόμενοι, «stupiti» o
«colti da stupore», occorre in alcuni passi dell’opera procliana proprio all’inter-
no della descrizione degli effetti della bellezza per la conversione dell’anima.89
Che sia ancora Proclo, poi, la fonte alla base di questo argomento di Eustrazio,
questo è confermato dalla dipendenza da Proclo anche del seguito del testo. Eu-
strazio, come detto, postula una sorta di ascesi anagogica dell’anima, la quale,
mossa dalla bellezza sensibile, si converte alle cause superiori risalendo nell’or-
dine della causalità fino alla Causa Prima. In particolare Eustrazio aggiunge
due clausole relative al funzionamento di questa risalita. Entrambe rimandano a
Proclo. Vediamole in dettaglio.
Nella prima si diceva che in questa ascesa «risaliamo per contemplazione
razionale e intellettuale verso la causa sempre prossima» (ἀεὶ πρὸς τὸ προσεχὲς
διὰ τῆς λογικῆς καὶ νοερᾶς θεωρίας ἀνατρέχομεν αἴτιον). Si confronti questo
testo con un passo dal commento di Proclo al Parmenide, dove si legge:

ἀπὸ γὰρ τῶν ἐν τοῖς καθέκαστα κοινῶν ἐπὶ τὸ προσεχὲς αἴτιον αὐτῶν ἀνατρέχομεν,
ὃ δή ἐστι πάντως εἶδος φυσικόν.
[«infatti risaliamo dal tratto comune ai particolari fino alla loro causa prossima, che è
oviamente la specie naturale.»]90

Proclo parla per l’appunto della risalita dal tratto comune ai particolari fino
alla causa prossima che è la loro specie naturale, ma Eustrazio, che anche in
questo caso dipende chiaramente da Proclo, legge in questa formulazione un
principio più generale, per cui la risalita verso la Causa Prima avviene sempre
per mediazione, senza per così dire salti ontologici.91 Si risale dunque sempre
attraverso la causa immediatamente precedente. Qui entra in gioco la seconda
clausola annunciata in precedenza. Essa concerne l’espressione διὰ τῶν μέσων
διακόσμων, «per livelli intermedi». Anche qui ci pare entri in gioco una termi-
nologica tipicamente procliana che definisce con i termini διάκοσμος o διακό-

89 Cfr. e.g. PROCLUS, Theologia cit., 3.64,6-12: αὶ ὥσπερ ἐν ταῖς ἁγιωτάταις τελεταῖς πρὸ τῶν μυστικῶν

θεαμάτων ἔκπληξις τῶν μυουμένων, οὕτω δὴ κἀν τοῖς νοητοῖς πρὸ τῆς τοῦ ἀγαθοῦ μετουσίας τὸ κάλλος
προφαινόμενον ἐκπλήττει τοὺς ὁρῶντας καὶ ἐπιστρέφει τὴν ψυχὴν καὶ δείκνυσιν ἐν τοῖς προθύροις
ἱδρυμένον οἷόν ἐστιν ἄρα τὸ ἐν τοῖς ἀδύτοις καὶ τὸ κρύφιον ἀγαθόν. Si veda anche ID., In Platonis Alci-
biadem cit., 328,6-9: παντὶ δὴ οὖν τοῦτο καταφανές, ὅτι τὸ καλὸν ἐράσμιόν ἐστι κατὰ τὴν αὑτοῦ φύσιν,
ὅπου γε καὶ τὸ ἔσχατον κάλλος ὡς ἐν εἰδώλοις φερόμενον ἐραστόν ἐστι καὶ κινεῖ τὰς ψυχὰς [πρὸς] αὑτὸ
καὶ ἐκπλήττει φαινόμενον, ἴνδαλμα φέρον τοῦ θείου κάλλους.
90 PROCLUS, In Platonis Parmenidem cit., 879,12-15.
91 Sul procedere dagli effetti verso le cause si veda anche EUSTR., In II A.Po. 40,3-33.
II. I commenti filosofici e le dottrine 119

σμησις i diversi livelli o piani del reale o ordini.92 Si confronti l’occorrenza di


questa espressione in Eustrazio con il seguente passo in Proclo:

{...} ἄνωθεν δ’ οὖν ἀπὸ τῶν πρωτίστων ἀρχῶν πρόεισι διὰ πάντων τῶν μέσων
διακόσμων ἄχρι τοῦ ἐμφανοῦς κόσμου.
[«{...} dall’alto, dunque, dai principi assolutamente primi scendono attraverso livelli
intermedi fino al mondo visibile.»]93

Proclo descrive qui un processo che va nella direzione opposta rispetto a


quello di cui parlava Eustrazio. Questo procedeva dal basso verso l’alto, quello
dall’alto verso il basso. La sostanza, tuttavia non cambia: entrambi i processi
richiedono che si attraversi i vari livelli intermedi del reale. La dipendenza da
Proclo di quel διὰ τῶν μέσων διακόσμων di cui parla Eustrazio ci pare indubbia.
Così come, dopo quanto detto, in quell’uso dell’espressione πραγματειώδης per
caratterizzare l’esperienza da cui deriverebbero anche i principî della sophia è
indubbio che Eustrazio stia pensando al particolare utilizzo di questa espressione
in Proclo, dove come detto essa occorre per descrivere la conoscenza intellegibile.
Raccogliamo dunque quanto emerso fino a questo momento. Eustrazio ha pro-
dotto una divisione delle scienze speculative e dei suoi oggetti nel solco della
tradizione dei commenti tardo-antichi ad Aristotele. Le ragioni di questa classi-
ficazioni sono determinate dal grado di separatezza dei rispettivi oggetti di questi
tre ambiti del sapere. Inoltre, Eustrazio utilizza dei termini e delle espressioni
che, pur se isolate e non adeguatamente tematizzate da parte del commentatore,
contribuiscono a chiarire meglio il retroterra dottrinale cui l’autore fa riferimento.
Eustrazio in questo senso guarda insistentemente all’opera di Proclo come ad un
repertorio terminologico da cui attingere per costruire le proprie argomentazioni.
Resta un passo da analizzare relativamente allo statuto della sophia. Il passo
è il seguente:

2.8 In VI EN, 320,7-19: ἡ δὲ σοφία ἁπλῶς περὶ τὴν τῶν ὄντων γνῶσιν καταγινομένη, ἤτοι
τῶν οὐσιῶν, οὔ τι ὂν γινώσκει ἀλλ’ ἁπλῶς ὄν, ἤγουν οὐ συμβεβηκὸς ὅ τι ὄν ἐστιν
ἀλλ’ οὐσίαν ἢ ἁπλῶς ὄν [ἐστιν.] ὡς οὖν ἐπὶ τῶν γενέσεων τὴν μὲν τοῦ συμβεβηκότος

92 Non si tratta di un’espressione coniata da Proclo. Essa al contrario occorre anche in autori precedenti.

Si veda e.g. SYRIANUS, In Aristotelis Metaphysica commentaria, ed. W. KROLL, Reimer, Berlin 1902 («Commen-
taria in Aristotelem Graeca», VI,2), 112,35-113,3, dove Siriano identifica cinque livelli o ordini, διακόσμοι,
nel reale: il divino, l’intellettivo, lo psichico, il naturale e il sensibile. Secondo la medesima significazione
il termine compare anche in AMMONIUS, In Aristotelis librum De interpretatione commentarius, ed. A. BUSSE,
Reimer, Berlin 1897 («Commentaria in Aristotelem Graeca», IV,5), 24,22-29.
93 PROCLUS, In Platonis Alcibiadem cit., 112,1-5.
120 Il neoplatonismo di Eustrazio di Nicea

ἐκ τοῦ μὴ εἶναι γένεσιν οὐχ ἁπλῶς γένεσιν ἀλλά τινα γένεσιν λέγομεν, τὴν δὲ τῆς
οὐσίας γένεσιν ὅλως, ἀλλ’ οὔ τινα διὰ τὸ ὅλως ὄντως εἶναι γένεσιν, ὡς καὶ αὐτὸς
ὁ Ἀριστοτέλης ἡμῖν παραδέδωκεν, οὕτω καὶ τὴν γνῶσιν καὶ τὴν σοφίαν τῶν μὲν
συμβεβηκότων ἑκάστου γνῶσίν τινα καὶ σοφίαν τινά, καὶ τὸν κατ’ αὐτὴν σοφόν τι
σοφὸν καί τινα σοφόν, τὸν δὲ κατὰ τὰς οὐσίας σοφὸν καὶ τὰ καθ’ αὑτὸ ταῖς οὐσίαις
ἑπόμενα ὅλως σοφὸν καὶ ἁπλῶς σοφόν, πάντων δ’ εἰσέτι ἐν σοφίᾳ κράτιστον τὸν
περὶ τὰ ἀρχικώτερα τῶν ὄντων καταγινόμενον καὶ σοφίαν κρατίστην τὴν ἐπιστήμην
αὐτοῦ, ἥτις ἐστὶν ἡ θεολογία.
[«La sapienza in assoluto concerne la conoscenza degli enti, ossia delle sostanze; non
conosce un ente in particolare, ma l’ente in assoluto, ossia non l’accidente che è il sin-
golo ente, bensì la sostanza e l’ente in assoluto. Come dunque per quel che concerne
le generazioni non diciamo che la generazione dal non essere di un accidente è una
generazione in senso assoluto, ma una generazione particolare, mentre la generazione
della sostanza è in senso assoluto (essa non è una generazione determinata nel senso
pienamente proprio), come anche lo stesso Aristotele qui ci ha mostrato, allo stesso
modo anche la conoscenza e la sapienza di ciascuno degli accidenti sono una cono-
scenza e sapienza particolari, e chi è sapiente secondo una determinata sapienza, è
sapiente in un rispetto particolare, mentre il sapiente che è sapiente per quel che con-
cerne le sostanze e le cose relative di per sé alle sostanze, è sapiente in senso completo
e generale, poiché tra tutti ancora chi si occupa dei più originativi tra gli enti è il più
potente nella sapienza, e la sapienza è la sua più possente scienza, che è la teologia.»]

Questo passo è problematico nella misura in cui fornisce almeno due diver-
se configurazioni del soggetto della sophia, tutte apparentemente inserite nella
generica definizione che viene data di sophia come la disciplina che «in asso-
luto si occupa degli enti» (ἁπλῶς περὶ τὴν τῶν ὄντων γνῶσιν καταγινομένη).
Secondo una prima formulazione, la sophia «non conosce un ente in particolare,
ma l’ente in assoluto, ossia non l’accidente che è il singolo ente, bensì la sostan-
za e l’ente in assoluto» (ἤτοι τῶν οὐσιῶν, οὔ τι ὂν γινώσκει ἀλλ’ ἁπλῶς ὄν,
ἤγουν οὐ συμβεβηκὸς ὅ τι ὄν ἐστιν ἀλλ’ οὐσίαν ἢ ἁπλῶς ὄν [ἐστιν.]). Questa
prima configurazione, ci pare, ne contiene per lo meno due subordinate: 1) l’i-
dea che la filosofia prima aristotelica sia scienza dell’ente in quanto ente, come
emerge in Metaphysica, IV,1,1003a21-26. Qui infatti si legge che nessuna delle
altre scienze al di fuori della filosofia prima si occupa «in generale dell’ente in
quanto ente» (καθόλου περὶ τοῦ ὄντος ᾗ ὄν), ma solo di una porzione di esso,
«un accidente» (τὸ συμβεβηκός) dell’ente, come fanno ad esempio le scienze
matematiche94; 2) l’idea che la filosofia prima sia scienza della sostanza, come

94 ARIST., Metaphysica, IV,1,1003a21-26: Ἔστιν ἐπιστήμη τις ἣ θεωρεῖ τὸ ὂν ᾗ ὂν καὶ τὰ τούτῳ

ὑπάρχοντα καθ’ αὑτό. αὕτη δ’ ἐστὶν οὐδεμιᾷ τῶν ἐν μέρει λεγομένων ἡ αὐτή· οὐδεμία γὰρ τῶν ἄλλων
II. I commenti filosofici e le dottrine 121

emerge in Metaphysica, VII,1,1028a30-31. Qui si legge una formula definitoria


della sostanza assai vicina a quella vista in Eustrazio nelle prime battute di 2.8:
«per questa ragione ciò che è primariamente ente, e non ciò che è un ente deter-
minato, ma l’ente in assoluto, questo lo chiamiamo sostanza» (ὥστε τὸ πρώτως
ὂν καὶ οὐ τὶ ὂν ἀλλ’ ὂν ἁπλῶς ἡ οὐσία ἂν εἴη).
La seconda configurazione di filosofia prima o sophia che si ritrova in 2.8 vede
nella sophia un sapere di tipo teologico che, proprio come annunciato in 2.5, si
occupa di realtà separate in senso assoluto dalla materia.95 Questa configurazio-
ne teologica della sophia/filosofia prima si fonda anch’essa su quanto Aristotele
dice nella Metaphysica, VI,1,1026a16-18, XI,7,1064a28-1064b1, e in generale
in tutto il libro XII. Essa è ampiamente attestata nei commentatori tardo-antichi
e nei neoplatonici dello stesso periodo, per i quali è l’ipotesi teologica a svolgere
il ruolo di fuoco prospettico nella questione dello statuto della filosofia prima
aristotelica.96 Ed è a questa tradizione che Eustrazio fa qui riferimento, anche
se, nei fatti, le diverse configurazioni della sophia in 2.8 non sono coordinate e
armonizzate come ci si aspetterebbe. Esse, al contrario, sembrano semplicemen-
te giustapposte.97
Questa ci sembra per certi versi una caratteristica di molti dei passi esaminati
in questa sezione. In questi testi, infatti, Eustrazio ha fornito al lettore resoconti
generali della posizione aristotelica sullo statuto delle scienze speculative tratti
dalla tradizione dei commentatori, inserendo a volte termini o espressioni che
rinviano più marcatamente al neoplatonismo procliano. Solo che queste aggiun-
te, tanto occasionali, quanto importanti e significative, spesso aprono problemi
circa la conciliabilità tra il resoconto generale fornito dal commentatore circa
lo statuto delle tre scienze speculative e le prospettive che l’utilizzo della ter-

ἐπισκοπεῖ καθόλου περὶ τοῦ ὄντος ᾗ ὄν, ἀλλὰ μέρος αὐτοῦ τι ἀποτεμόμεναι περὶ τούτου θεωροῦσι τὸ
συμβεβηκός, οἷον αἱ μαθηματικαὶ τῶν ἐπιστημῶν.
95 Si veda anche EUSTR., In VI EN, 330,25-32.
96 Cfr e.g. SYRIANUS, In Aristotelis cit., 80,16-18; AMMONIUS, In Aristotelis librum cit., 27,32-33; ASCLEPIUS,

In Aristotelis Metaphysica cit., 1,7-8; 1,17-18; 4,1-3; 134,10-12; ELIAS, In Porphyrii Isagogen, ed. A. BUSSE,
Reimer, Berlin 1900 («Commentaria in Aristotelem Graeca», XVIII,1), 20,21-22; SIMPLICIUS, In Aristotelis
Physicorum cit., 364, 15-16. Su questa configurazione teologica della Metaphysica aristotelica, si vedano
tra gli altri K. KREMER, Der Metaphysiksbegriff in den Aristoteles-Kommentare der Ammonios Schule, Aschen-
dorff, Münster 1961, 5-77; 105-129; 142-172; 209-216; G. VERBEKE, Aristotle’s Metaphysics as Viewed by the
Ancient Commentators, in D.J. O’MEARA (ed.), Studies in Aristotle, The Catholic University of America Press,
Washington D.C. 1981, 107-127; K. VERRYCKEN, The Metaphysics of Ammonius Son of Hermeias, in SORABJI,
Aristotle cit., 199-132; D.J. O’MEARA, Le problème de la métaphysique dans l’antiquité tardive, «Freiburger
Zeitschrift für Philosophie und Theologie», 33 (1986), 1-14; C. STEEL, Theology as First Philosophy: the
Neoplatonic Concept of Metaphysics, «Quaestio», 5 (2005), 3-21.
97 Sul modo in cui queste articolazioni erano armonizzate nelle fonti neoplatoniche da cui Eustrazio

dipende, si veda STEEL, Theology cit., 6-10.


122 Il neoplatonismo di Eustrazio di Nicea

minologia procliana invece apre. Non vogliamo ovviamente dire che queste due
componenti siano contraddittorie tra di loro, ma semplicemente che esse spesso
non sono ben armonizzate e sviluppate all’interno degli argomenti elaborati da
Eustrazio. Il caso di 2.8 è ancora più emblematico, nella misura in cui, se da
un lato Eustrazio accetta la configurazione teologica della filosofia prima ari-
stotelica che prevale nella tarda antichità, dall’altro egli non si preoccupa di
sviluppare questa ipotesi per quel che concerne l’armonizzazione rispetto ad
essa delle altre ipotesi presenti in 2.8, ossia scienza dell’ente in quanto ente e
scienza della sostanza.

3. Eustrazio e la critica aristotelica dell’idea di Bene


In EN I,6,1096a11-1097b14 Aristotele espone quella che è a tutti gli effetti
una critica della concezione platonica di bene, e in particolare del Bene ideale.
Per ovvi motivi non potremo qui soffermarci tanto sugli argomenti aristotelici
in sé, quanto invece sul modo in cui Eustrazio legge e recepisce i rilievi mossi
da Aristotele a questa teoria platonica. Tuttavia, al fine di permettere al lettore
di comprendere meglio quale sia almeno nei suoi termini generali l’intelaiatura
della critica aristotelica, è opportuno segnalare almeno i suoi tratti salienti.
Aristotele si propone in questa sezione dell’Ethica Nicomachea di discutere
quello che chiama il bene «universale» (καθόλου); si tratta di un’indagine che
rimanda subito a Platone. Secondo Aristotele il presupposto della concezione
platonica del bene è costituito dalla teoria delle idee. Per questo il punto di
partenza della ricostruzione aristotelica di tale concezione riguarda in primo
luogo la natura delle idee, in particolare il tipo di referente proprio delle idee.
In questo senso, scrive Aristotele, i platonici non postulavano l’esistenza di idee
in cose caratterizzate da un rapporto di successione. Per questo, non avrebbero
posto idee dei numeri.98
Successivamente Aristotele passa il bene universale dei platonici sotto la
lente di ingrandimento costituita dalle dieci categorie. Poiché il bene si predica
secondo tutte le categorie, non ci potrà essere nessuna idea comune ad esse.99
Infatti ‘bene’, proprio come ‘essere’, si dice in molti modi, ossia secondo le varie
categorie. Se così stanno le cose, il bene non potrà mai essere qualcosa di uni-
versale, comune e uno. Se così infatti fosse, esso sarebbe predicabile secondo
una sola delle categorie.100 Allo stesso modo, prosegue Aristotele, di ciò che è

98 ARIST., Ethica Nicomachea, I,6,1096a17-19.


99 ARIST., Ethica Nicomachea, I,6,1096a19-23.
100 ARIST., Ethica Nicomachea, I,6,1096a23-29.
II. I commenti filosofici e le dottrine 123

conforme ad una sola idea deve esserci anche una sola scienza, mentre invece
nei fatti esse sono molte, tante quante sono le modalità in cui il bene si può dire;
e in fondo, conclude Aristotele, anche delle cose che cadono sotto una medesima
categoria possono esservi diverse scienze.101
Di seguito Aristotele passa a discutere l’attributo di ‘cosa in sé’ presente nella
caratterizzazione platonica dell’idea di Bene. Tale caratterizzazione è secondo
Aristotele del tutto ininfluente ai fini della conoscenza, nella misura in cui ‘uomo
in sé’ e ‘uomo’ significano l’uomo allo stesso modo.102 Un argomento simile viene
presentato da Aristotele in relazione alla caratterizzazione delle idee, dell’idea
di Bene in questo caso, come una realtà eterna. Anche questa caratterizzazione
appare ad Aristotele come superflua. Infatti il bianco che dura più a lungo –
questo l’esempio addotto da Aristotele – non è per questo più bianco di quello
che dura solo un giorno.103
Aristotele passa poi a prendere in esame la distinzione operata da Platone
tra beni perseguiti per se stessi e beni perseguiti in vista di altro.104 In questo
caso, tuttavia, non potrà esservi un’idea o qualcosa di comune a questi beni,
giacché di diversi beni, anche di quelli che sono considerati essere beni di per
sé, vi sono diverse definizioni: dunque non potrà esservi nulla di predicabile in
comune ai diversi beni. Per questa ragione, ricollegandosi anche a quanto detto
in precedenza circa il fatto che ‘bene’, proprio come ‘essere’ si predica in molti
modi, Aristotele formula il noto argomento dell’omonimia: se il bene fosse una
singola natura comune, esso dovrebbe essere predicabile secondo un solo modo
(esso sarebbe cioè un concetto univoco); tuttavia il bene si predica secondo più
modalità, dunque è omonimo, include cioè una serie di termini dallo stesso no-
me, ma con definizioni diverse.105
Vediamo adesso come Eustrazio legge le argomentazioni aristoteliche. In pri-
mo luogo, Eustrazio sostiene che ciò che Platone avrebbe detto sul bene non
sarebbero argomentazioni da poco; al contrario, si tratterebbe di grandi dottrine
capaci di innalzare massimamente le anime. Per questo egli avanza il dubbio che
Aristotele non si riferisca qui tanto a Platone in sé, ma ad altri che ne avrebbero
distorto le dottrine.106 Ci pare che questa chiosa iniziale sia alquanto indicativa

101 ARIST., Ethica Nicomachea, I,6,1096a29-34.


102 ARIST., Ethica Nicomachea, I,6,1096a34-1096b2.
103 ARIST., Ethica Nicomachea, I,6,1096b3-5.
104 Il riferimento è a PLATO, Respublica, 357b-358a.
105 ARIST., Ethica Nicomachea, I,6,1096b26-28.
106 EUSTR., In I EN, 39,32-36: ἀλλ’ ἐπεὶ ὁ Πλάτων ἐπὶ τοῦ πρώτου ἀγαθοῦ παρέδωκεν οὐκ

εὐκαταφρόνητα θεωρήματα ἀλλὰ μεγάλα καὶ εἰς ὕψος τὸ μέγιστον τὰς ψυχὰς ἀναφέροντα, πειρᾶταί
τινα καὶ πρὸς ἐκεῖνον ὡς ἐν παρόδῳ εἰπεῖν, ἴσως οὐδὲ Πλάτωνι ἀνθιστάμενος ἀλλὰ τοῖς καθὰ μὴ δεῖ τὰ
ἐκείνου ἐκδεχομένοις.
124 Il neoplatonismo di Eustrazio di Nicea

della strategia esegetica del commentatore nella sezione del commento al libro
I dell’opera aristotelica in questione dedicata alla discussione della critica ari-
stotelica del Bene ideale.
Eustrazio per prima cosa ricostruisce quello che, a suo modo di vedere, è il
cuore della posizione di Platone:

3.1 In I EN, 40,4-18: ὁ γὰρ Πλάτων περὶ τῆς ἀρχῆς τῶν ὄντων ἁπάντων ζητήσας, τὸ ἓν
ἐκείνην καὶ ἄρρητον εἶναι καὶ τἀγαθὸν ἀπεφήνατο, πᾶν δὲ ὂν αὐτῆς ἀπέφησεν, ὡς
ὑπερούσης μὲν καὶ ὑπερεχούσης, πάντα δὲ περιεχούσης ἐν αὑτῇ ἀνεννοήτως καὶ
ὑπερουσίως, τὰς προόδους δὲ ποιουμένης πρὸς ἅπαντα ἀνεκφοιτήτως ἑαυτῆς καὶ
πάντα παραγούσης τὰ νοητὰ καὶ νοερά, λογικά τε καὶ ἄλογα, ζῶντά τε ὁπωσοῦν
καὶ τὰ παντελῶς ἄζῳα, καὶ αὐτὰ τὰ ἀμυδράν τινα ἔννοιαν τοῦ εἶναι ἔχοντα διὰ
τὴν αὑτῆς ἀγαθότητα, οὐ τῷ προαιρεῖσθαι καὶ βούλεσθαι ἐπὶ τῆς ποιήσεως ἀλλὰ
αὐτῷ τῷ εἶναι. ὡς καὶ ὁ ἥλιος φωτίζει τῇ παρουσίᾳ αὐτῇ, οὐ προαιρούμενος οὐδὲ
βουλόμενος, ὡς εἶναι τὴν αὐτὴν ἀρχὴν καὶ τέλος τῶν ὁπωσοῦν εἶναι λεγομένων·
ἀρχὴν μὲν ὡς πάντων ἐξ αὐτῆς τὸ εἶναι ἐχόντων, τέλος δὲ ὡς δι’ αὐτὴν καὶ πάντων
ἀναπλουμένων πρὸς αὐτὴν καὶ ἐφιεμένων αὐτῆς ὡς πέφυκεν ἕκαστον ὡς πάντα
τελειούσης καὶ ἀγαθυνούσης καὶ αὐτὴν εἶναι τὸ πρῶτον ἀγαθόν, ὡς οὐσιῶδες
ἀγαθὸν οὗ πάντα ἐφίεται.
[«Infatti, Platone, nell’indagare la natura del primo principio di tutte le cose, sosten-
ne che questo era l’Uno, che era un principio ineffabile e che era il Bene. Di questo
principio disse tutto ciò che è, ossia che è sovrasostanziale e sovratrascendente, che
abbraccia in sé ogni cosa in maniera sovraintellettiva e sovrasostanziale, che produce
le processioni verso ogni cosa senza fuoriuscire da sé e che causa gli ordini delle realtà
intelleggibili e intelligenti, razionali e irrazionali, in qualunque modo viventi e asso-
lutamente non viventi, e tutte queste cose che hanno una qualche flebile definizione
di essere derivano dalla sua bontà, non per una scelta o volontà in rapporto alla pro-
duzione, ma in virtù del suo stesso essere. Come infatti il sole illumina in virtù della
sua stessa presenza, senza sceglierlo né volerlo, così esso è il principio e la fine di
tutte tra le realtà prima menzionate. Esso è, da un lato, il principio di tutte le cose che
traggono l’essere per causa sua; dall’altro, è il fine, nella misura in cui attraverso di
questo le cose si dischiudono verso lo stesso principio, desiderandolo ciascuna come
ciò che per natura perfeziona e rende buona ogni cosa; e questo è il Primo Bene, ciò
che in quanto bene nella sua stessa sostanza, ogni cosa desidera.»]

Questa ricostruzione è molto interessante per quel che concerne le fonti.


Intanto l’identificazione del Bene con l’Uno ineffabile rimanda direttamente
ad un retroterra tipico del tardo neoplatonismo. Come noto agli specialisti, in-
fatti, già Aristotele aveva attribuito a Platone, in Metaphysica, I,7,988a7-17 e
XIV,4,1091b13-15, una teoria in virtù della quale l’Uno, in quanto causa delle
Forme, era identificato con il Bene. Cionondimeno, ci pare più probabile che qui
II. I commenti filosofici e le dottrine 125

Eustrazio si riferisca per l’appunto alla tradizione neoplatonica, in particolare a


Plotino e Proclo.107
Simili considerazioni possono essere svolte per quel che concerne la de-
scrizione dell’Uno-Bene come «sovrasostanziale e sovratrascendente, che ab-
braccia in sé ogni cosa in maniera sovraintellettiva e sovrasostanziale» (ὡς
ὑπερούσης μὲν καὶ ὑπερεχούσης, πάντα δὲ περιεχούσης ἐν αὑτῇ ἀνεννοήτως
καὶ ὑπερουσίως).108 Neoplatonica è anche la descrizione della Causa Prima co-
me ciò che «che produce le processioni verso ogni cosa senza fuoriuscire da sé
e che causa gli ordini delle realtà intelleggibili e intelligenti, razionali e irra-
zionali, in qualunque modo viventi e assolutamente non viventi» (τὰς προόδους
δὲ ποιουμένης πρὸς ἅπαντα ἀνεκφοιτήτως ἑαυτῆς καὶ πάντα παραγούσης τὰ
νοητὰ καὶ νοερά, λογικά τε καὶ ἄλογα, ζῶντά τε ὁπωσοῦν καὶ τὰ παντελῶς
ἄζῳα).109 L’Uno, infine, non causerebbe per scelta, ma in maniera automatica in
virtù del suo stesso essere, proprio come il sole illumina semplicemente in virtù
della sua presenza. Anche questa è una caratterizzazione standard dell’Uno tipi-
ca del tardo neoplatonismo che si ritrova finanche in dossografia successive.110
Dopo questa prima presentazione del Bene ideale secondo Platone (o per
meglio dire secondo i neoplatonici), Eustrazio passa subito ad individuare quello
che, a suo parere, è il pregiudizio della critica aristotelica del bene. Secondo Eu-
strazio, infatti, il fatto che in EN I,6,1096a11 Aristotele parli di «(bene) univer-
sale» (τὸ καθόλου) significa che Aristotele considera il bene di cui parla Platone
alla stregua di un concetto universale ricavato per astrazione dai particolari; al
contrario, secondo Eustrazio il bene platonico è molto di più, ossia un principio
trascendente che è causa di tutto ciò che è.111 Di conseguenza Eustrazio passa ad
una seconda, più precisa, caratterizzazione degli universali in Platone:

3.2 In I EN, 40,22-41,4: οὕτω γὰρ οἱ περὶ Πλάτωνα ἔλεγον, λόγους τινὰς ἐπεισαγαγόντες
ἐνυποστάτους θείους νοερούς, πρὸς οὓς ἔλεγον πάντα τὰ ἔνυλα εἶναι καὶ γίνεσθαι,

107 Ci pare che GIOCARINIS, Eustratius cit., 168, nt. 25 abbia ricostruito molto bene la genesi dell’identifi-

cazione in questione e abbia fornito dei riferimenti precisi all’opera di Plotino e Proclo. Ai riferimenti operati
da Giocarinis si possono aggiungere i seguenti: PROCLUS, Theologia cit., 1,82,2; ibid., 1,110,3; ibid., 6,10,3.
108 Anche su questo ci pare che lo studio delle fonti da parte di Giocarinis sia stato ben condotto; cfr.

GIOCARINIS, Eustratius cit., 169-170, nt. 26. Aggiungeremmo alle fonti citate da Giocarinis anche ASCLEPIUS,
In Aristotelis metaphysicorum cit., 151,29-30: ἐπὶ δὲ τοῦ πρώτου τὸ καθόλου ἀγαθὸν θεωρεῖται τὸ πάντα
ἀγαθῦνον καὶ περιέχον.
109 Cfr. GIOCARINIS, Eustratius cit., 170, nt. 27.
110 GIOCARINIS, Eustratius cit., 170-171, nt. 28.
111 EUSTR., In I EN, 40,18-22: νῦν τὸ καθόλου οὐχ ὡς ἐν ταῖς λογικαῖς θεωρίαις λέγεται· ἐκεῖ μὲν γὰρ

τὸ ἐπὶ τοῖς πολλοῖς καὶ ὑστερογενές, ἐνταῦθα δὲ τὸ πρὸ τῶν πολλῶν ὡς προϋφεστηκὸς αὐτῶν κἀκείνων
πρὸς αὐτὸ δεχομένων τὴν ὕπαρξιν.
126 Il neoplatonismo di Eustrazio di Nicea

οὓς καὶ εἴδη καὶ ἰδέας ἐκάλουν καὶ ὅλα καὶ καθόλου, προϋφεστηκότας μὲν τῶνδε
τῶν ἐν σώμασιν εἰδῶν, ἐξῃρημένους δὲ τούτων ἁπάντων, ἐν τῇ τοῦ δημιουργοῦ
θεοῦ διανοίᾳ ὄντας, ἕτερά τινα κατ’ αὐτοὺς ἐν τῇ ὕλῃ χαράττοντος. καθόλου δὲ
καὶ ὅλα ταῦτα ἐλέγετο, ὅτι ἕκαστον ἐκείνων ἓν ὂν ἔχει πολλὰ ἐξ ἐκείνου καὶ κατ’
ἐκεῖνο γινόμενα ἐν σώματι καὶ ἔνυλα, πρὸς ἃ ἐκεῖνο καθόλου καὶ ὅλον ἐλέγετο οὐκ
ἐννοηματικῶς ἀλλὰ νοερῶς· καθόλου μὲν ὡς ὑπάρχον πολλοῖς ἐξῃρημένον ἃ κατ’
ἐκεῖνο γεγένηται, ὅλον δὲ ὡς ἐν λόγῳ μερῶν τεταγμένων ἃ πρὸς ἐκεῖνο ἀναφέρεται
ὡς πρὸς ὅλον, οὐκ ἐξ αὐτῶν συγκείμενον οὐδ’ ἐπ’ αὐτοῖς ἐννοούμενον, ἀλλὰ πρὸ
αὐτῶν μὲν ὂν καὶ μένον καθ’ αὑτό, ἐκεῖνα δ’ ἔχον ἀναφερόμενα πρὸς αὐτὸ ὡς πρὸς
οἰκείαν ὁλότητα. τριχῶς γάρ φασι λέγεσθαι τὸ ὅλον, πρὸ τῶν μερῶν ἐκ τῶν μερῶν
καὶ ἐν τοῖς μέρεσι. πρὸ τῶν μερῶν μὲν ἐκεῖνα τὰ εἴδη, ὅτι πρὸ τῶν πολλῶν ἕκαστον
ἐκείνων ὑφέστηκεν ἃ πρὸς ἐκεῖνο γέγονεν, ἁπλούστατα ὄντα καὶ ἄυλα· ἐκ τῶν
μερῶν δὲ τὰ σύνθετα καὶ εἰς πολλὰ μεριζόμενα, εἴθ’ ὁμοιομερῆ ὡς λίθος εἰς λίθους
ὅλον ὂν πρὸς μέρη εἰς ἃ καὶ διαιρετός ἐστιν, ὧν ἕκαστον τό τε ὄνομα καὶ τὸν λόγον
τοῦ ὅλου ἐπιδέχεται, εἴτ’ ἀνομοιομερῆ ὡς ἄνθρωπος εἰς χεῖρας πόδας κεφαλήν·
οὐδὲν γὰρ τῶν μερῶν τοῦ ἀνθρώπου ὅμοιον τῷ ὅλῳ, ὡς μήτε τοὔνομα μήτε τὸν
λόγον τοῦ ὅλου δεχόμενον· ἐν τοῖς μέρεσι δέ, ὡς τὰ ἐννοηματικά, ἃ καὶ ἐπὶ τοῖς
πολλοῖς καὶ ὑστερογενῆ λέγεται.
[«Così si esprimevano i seguaci di Platone, i quali introducevano alcuni logoi enipo-
statici con lo statuto di pensieri divini, che chiamavano anche forme, idee, totalità e
universali, i quali, da un lato, preesistono rispetto alle forme che sono presenti nei
corpi, dall’altro trascendono tutti questi corpi; essi sono pensieri nella mente del Dio
creatore, il quale forgia determinate altre cose nella materia a partire da questi mo-
delli. I Platonici chiamavano queste forme anche universali e totalità, nella misura in
cui ciascuna di quelle, essendo una, possiede il molteplice che da essa deriva e che
viene all’essere nei corpi secondo questo modello, e le realtà materiali, in rapporto alle
quali quella veniva detta universale e totalità, ma non da un punto di vista concettuale,
bensì da un punto di vista intellettuale. Universale, perché, in quanto tale, esiste come
trascendente rispetto ai molti che sono venuti all’essere in conformità ad esso; totalità,
invece, nel senso che in rapporto a tutte le parti subordinate che si riferiscono ad essa
nella definizione, essa non è una totalità composta da queste né è considerata dopo
queste, bensì essa è prima delle parti e permane in se stessa, mentre quelle hanno
una relazione a questa come alla propria totalità. In tre modi, infatti, {i platonici}
dicono definirsi il tutto: come tutto prima delle parti, dalle parti e nelle parti. Prima
delle parti vi sono quelle forme, poiché ciascuna di esse esiste prima dei molti che
sono stati prodotti in virtù di questa totalità. Tali forme sono assolutamente semplici e
immateriali. Il tutto dalle parti è costituito dalle realtà composte e quelle parcellizate
in una molteplicità, sia composte di parti uguali, come la pietra in rapporto alle pie-
tre esiste come una totalità in rapporto a quelle parti nelle quali è anche suddivisa,
ciascuna delle quali riceve il nome e la definizione del tutto; sia composte di parti
disuguali come l’uomo in rapporto a mani, piedi, testa. Nessuna delle parti dell’uomo
è infatti uguale al tutto, per cui ciascuna di queste parti non riceve né il nome né la
II. I commenti filosofici e le dottrine 127

definizione del tutto. Nelle parti, infine, come concetti che si dicono essere nei molti
e generati dopo di questi.»]

L’interesse di questo passo risiede nell’identificazione degli universali secon-


do Platone con pensieri sussistenti nella mente divina, paradigmi per la produ-
zione delle cose. Si tratta di una caratterizzazione che ha una lunga storia, che
qui non può essere ricostruita in tutta la sua complessità.112 Segnaliamo qui solo
l’utilizzo del termine ‘enipostatico’ per caratterizzare lo statuto di queste forme
all’interno della mente divina. Il termine in questione significa qui lo statuto di
ciò che esiste solo in qualcosa di altro e ricorda da vicino il lessico teologico dei
Padri della Chiesa, allorquando definivano lo statuto delle due nature del Cristo
nella sua persona.
Crediamo sia ugualmente importante segnalare l’identificazione, che secondo
Eustrazio caratterizzerebbe la teoria platonica degli universali, tra forme, idee,
totalità e universali, nella misura in cui questo costituisce un aggancio al tema
dei diversi tipi di universali come tutto prima delle parti, dalle parti e nelle
parti già vista in 1.6 e 1.7. Come vedremo a breve, infatti, Eustrazio riprenderà
qui questa teoria di cui già si era appropriato in precedenza.113 Prima di torna-
re su questo punto, preme ricordare la chiosa presente in 3.2 circa lo statuto
delle forme/idee/totalità/universali. Qui Eustrazio dice che queste totalità, da
cui procede il molteplice relativo a ciascuna totalità, sussistono in rapporto alle
realtà e forme materiali non da un punto di vista concettuale, bensì da un punto
di vista intellettuale (οὐκ ἐννοηματικῶς ἀλλὰ νοερῶς).114 Mi pare che qui Eu-
strazio voglia dire che queste totalità non sono concetti derivati per astrazione
mentale, bensì sono principi relativi al mondo intelleggibile, sono totalità esse
stesse di natura intellettuale. Viene qui richiamato, dunque, il tema accennato in
precedenza: Aristotele avrebbe approcciato il Bene ideale di Platone come se si

112 Anche in questo caso può essere molto utile consultare GIOCARINIS, Eustratius cit., 172, nt. 30. Una

simile caratterizzazione dello statuto degli universali platonici si trova anche in EUSTR., In I EN, 41,16-
20: ἔλεγον δὲ τὰ εἴδη οἱ λέγοντες παραδείγματα προκεῖσθαι τῷ δημιουργῷ, ἵν’ ἀφορῶν πρὸς αὐτὰ
ὡς προκεντήματα καὶ προχαράγματα κατασκευάζῃ τὰ ἔνυλα, λόγους ὄντα ἐκεῖνα δημιουργικοὺς καὶ
οἱονεὶ νοήματα τοῦ ποιοῦντος καὶ θεωρήματα. E anche ibid., 41,22-29: λόγους γὰρ θείους πάντα τὰ
εἴδη φασί, τοὺς μὲν ὑφειμένους, τοὺς δ’ ὑπερέχοντας· καὶ οὐδὲν αὐτῶν εἶναι ἀδρανές, ὃ μὴ τὴν οἰκείαν
ἐνέργειαν κατὰ πρόβασιν εἰς τὰ ὑπ’ αὐτὸ ἐπιδείκνυται, καθὼς τέτακται. ἔστι μὲν δὴ καὶ ἡ φύσις εἶδος,
ἀλλὰ σωμάτων ἀχώριστον, διεισδῦνον διὰ σωμάτων καὶ ἔνδον αὐτὰ διαπλάττον καὶ διοικοῦν. τὰς δὲ
ἰδέας οὐχ οὕτω φασίν, ἀλλὰ λόγους ἐνυποστάτους, ὑπερανεστηκότας πάντῃ καὶ σωμάτων καὶ φύσεων,
ἀριθμόν τινα θεῖον, δι’ οὗ ὡς παραδείγματος τὸν δημιουργὸν ἐνεργεῖν τὴν ἔνυλον ποίησιν. Sull’origine
degli universali come logoi nella mente divina si veda anche SORABJI (ed.), The Philosophy cit., 3, 144-147.
113 EUSTR., In I EN, 40,24-25.
114 EUSTR., In I EN, 40,29-30.
128 Il neoplatonismo di Eustrazio di Nicea

trattasse di un concetto generale, come il tratto comune a molti beni particolari.


Ma non è così, secondo Eustrazio, che la questione andava affrontata.115
Eustrazio riprende la teoria del tutto e delle parti in una maniera assai simile,
se non identica, a 1.7.116 La cosa interessante di 3.2 è che viene resa esplicita
pienamente l’estensione già vista in 1.6 della teoria procliana del tutto prima,
dalle e nelle parti, che esemplificava il rapporto sussistente tra la monade im-
partecipata e il molteplice che da essa procede costituendo una serie, al caso
degli universali. Infatti Eustrazio associa qui direttamente il tutto prima delle
parti alle forme trascendenti separate, assolutamente semplici e immateriali. Il
commentatore poi parla di tutto dalle parti o composto dalle sue parti, siano esse
omogenee o meno, e infine di tutto nelle parti, corrispondente al livello delle
forme materiali.117 Forme che, dice Eustrazio, non sussistono in atto fuori dai
soggetti di inerenza, ma che sono afferrabili dall’anima allorquando essa ricavi
per astrazione il tratto comune ai molti. Si tratta comunque di prodotti «generati
dopo» (ὑστερογενῆ), scrive Eustrazio, nel senso che sono prodotti di un’opera-
zione mentale successiva rispetto, gioco forza, alla stessa esistenza dei molti.118
Vedremo in seguito l’importanza che questi concetti giocano all’interno della
teoria eustraziana dell’intelletto e dell’intellezione. Qui ci limiteremo a segnalare
due cose: 1) il fatto che Eustrazio accusa Aristotele di aver ridotto il Bene plato-
nico ad un concetto universale ricavato per astrazione dai particolari, alla stessa
stregua degli ὑστερογενῆ; 2) che il principio del tutto prima, dalle e nelle parti
viene esteso al caso degli universali e implicitamente giustapposto all’universale
prima dei molti, nei molti e dopo i molti di cui parlavano i commentatori tardo-
antichi di Aristotele.119

115 Si vedano anche le osservazioni di GIOCARINIS, Eustratius cit., 175.


116 EUSTR., In I EN, 40,34-41,4.
117 La parte di 3.2 relativa ai composti di parti omogenee o meno ha attirato l’attenzione di Alain de Libe-

ra, il quale ha segnalato una possibile dipendenza da Alessandro di Afrodisia (e.g. ALEXANDER APHRODISIENSIS,
In Aristotelis meteorologicorum libros commentaria, ed. M. HAYDUCK, Reimer, Berlin 1899 [«Commentaria
in Aristotelem Graeca», III,2], 226,12-16 et passim). Cfr. A. de LIBERA, L’art des généralités. Théories de
l’abstraction, Aubier, Paris 1999, 260-261. In realtà quella che de Libera attribuisce ad Alessandro era,
ai tempi di Eustrazio, un luogo comune rinvenibile in diversi testi filosofici della tarda antichità. Si veda
e.g. AMMONIUS, In Porphyrii cit., 83,1-23; ID., In Aristotelis liber cit., 15,24-30; SIMPLICIUS, In Physicorum cit.,
482,27-34 et passim; PHILOPONUS, In Physicorum cit., 25,2-4; ibid., 202,24-203,1 et passim.
118 EUSTR., In I EN, 41,4-10: ὑστερογενῆ μὲν ὅτι τὰ καθ’ ἕκαστα ὁμοειδῆ ἢ ὁμογενῆ ἡ ψυχὴ θεωρήσασα

πρότερον ὑφεστηκότα ἐν σώμασι καὶ τὸ ἐν αὐτοῖς κοινῶς θεωρούμενον λόγον κατὰ ἀφαίρεσιν τὴν ἀπὸ
τῆς ὕλης ἐν ἑαυτῇ ὑποστήσασα, ἐπιφέρεται τοῦτον οἰκείως ἑαυτῇ, ἤγουν λογικῶς καὶ ἐπιστημονικῶς·
ἐννοηματικὰ δέ, ὅτι μέχρις ἐννοίας τὴν ὑπόστασιν αἱ τοιαῦται ὁλότητες ἔχουσι, μηδαμῇ χωρὶς τῶν καθ’
ἕκαστα ἐξ ὧν καὶ ἐλήφθησαν ἐνεργείᾳ οὖσαι.
119 La formulazione standard di questa teoria si trova in AMMONIUS, In Porphyri cit., 41,10-42,26. Un

legame tra la teoria standard presente in Ammonio e Eustrazio è stato istituito da K. IERODIAKONOU, Me-
II. I commenti filosofici e le dottrine 129

Veniamo ora all’argomento Aristotelico contro la presunta univocità del Bene


platonico. Aristotele, lo ricordiamo, sostiene qui che il bene, proprio come l’es-
sere, si dice in tanti modi, ossia secondo le dieci categorie. Ma se così stanno
le cose, allora il Bene di cui parlano i platonici non può aspirare ad essere «un
qualcosa di comune, universale e uno» (κοινόν τι καθόλου καὶ ἕν).120 Eustrazio
anche questa volta per prima cosa riassume in maniera sobria l’argomento ari-
stotelico.121 Poi passa a confrontare tale argomento con quella che a suo modo di
vedere è la posizione di Platone. Lo fa sostenendo egli stesso di voler difendere
la verità. Eustrazio giustifica la propria strategia difensiva di Platone alla luce
del fatto che l’argomento di Aristotele farebbe di fatto un torto all’autentica dot-
trina platonica. Se il Filosofo avesse operato una critica dell’autentica posizione
di Platone, il commentatore non avrebbe avuto alcun bisogno di spezzare una
lancia in favore di Platone.122
Questa sezione del testo che riguarda direttamente l’esposizione della teoria
platonica si divide a sua volta in due parti. Entrambe riverberano il medesimo
argomento, secondo il quale il Bene di cui parla Platone sarebbe una realtà extra-
categoriale in virtù della sua assoluta trascendenza. Nella prima parte, Eustrazio
ripropone dunque la caratterizzazione del Bene/Uno già vista in 3.1 e 3.2.123

taphysics in the Byzantine Tradition: Eustratios of Nicaea on Universals, «Quaestio», 5 (2005), 67-82, in part.
71-72. In questo articolo l’autrice sostiene che in 3.2 Eustrazio parlerebbe solo di due universali e non di
tre. In realtà Eustrazio cita tre tipi di universale. Eustrazio parla nel suo commento al libro II degli Analytica
Posteriora di universali prima dei molti, nei molti e dopo i molti (cfr. EUSTR., In II A.Po., 264,14-15). A
proposito di questo passo, sulla base di una variante presente in uno dei mss., dove nell’elenco dei tre tipi
di universale non vengono citati gli universali dopo i molti, Ierodiakonou si chiede se il testo autentico di
Eustrazio non includesse solo due tipi di universali (prima dei molti e nei molti), proprio come nel testo del
commento al libro I dell’Ethica Nicomachea. In realtà, come detto, qui Eustrazio parla di tre tipi di univer-
sale, mentre per quel che concerne l’omissione degli universali dopo i molti in un testimone del commento
eustraziano al commento al II libro degli Analytica Posteriora, è chiaro che si tratta di una semplice omis-
sione da parte del copista senza alcuna implicazione dottrinale. Sulla giustapposizione operata da Eustrazio
tra gli universali visti alla luce della distinzione tutto-parti e il triplice statuto degli universali secondo i
commentatori tardo-antichi, si vedano le acute osservazioni di A. DE LIBERA, La querelle des universaux: De
Platon à la fin du Moyen Age, Éditions du Seuil, Paris 1996, 254-257.
120 ARIST., Ethica Nicomachea, I,6,1096a23-29: ἔτι δ’ ἐπεὶ τἀγαθὸν ἰσαχῶς λέγεται τῷ ὄντι (καὶ γὰρ ἐν

τῷ τί λέγεται, οἷον ὁ θεὸς καὶ ὁ νοῦς, καὶ ἐν τῷ ποιῷ αἱ ἀρεταί, καὶ ἐν τῷ ποσῷ τὸ μέ- τριον, καὶ ἐν τῷ
πρός τι τὸ χρήσιμον, καὶ ἐν χρόνῳ καιρός, καὶ ἐν τόπῳ δίαιτα καὶ ἕτερα τοιαῦτα), δῆλον ὡς οὐκ ἂν εἴη
κοινόν τι καθόλου καὶ ἕν· οὐ γὰρ ἂν ἐλέγετ’ ἐν πάσαις ταῖς κατηγορίαις, ἀλλ’ ἐν μιᾷ μόνῃ.
121 EUSTR., In I EN, 44,14-45,5.
122 EUSTR., In I EN, 45,5-11: ἀλλ’ εἰ μὲν ἦν κατὰ τὴν περὶ τοῦ ἀγαθοῦ τοῦ Πλάτωνος ἔννοιαν τὰς

ἀντιθέσεις ποιούμενος, οὐκ ἔδει τι λέγειν πρὸς αὐτόν, αἰδουμένους τε τὸν ἄνδρα καὶ ἀνάγκην μὴ ἔχοντας
Πλατωνικῆς δόξης προΐστασθαι. ἐπεὶ δ’ ἄλλως μὲν ὁ Πλάτων τὸ ἀγαθὸν ἐλάμβανε, πρὸς ἄλλο δ’ οὗτος
τοὺς λόγους ποιεῖται, δεῖ πρὸς ταύτας τὰς ἐπιχειρήσεις εἰπεῖν τι φιλαλήθως λέγοντας καὶ αὐτούς, καθὼς καὶ
αὐτὸς διωρίσατο ποιεῖν τὸν φιλόσοφον. Ci pare che sia necessario qui aggiungere un ἡμάς dopo πρὸς αὐτόν.
123 EUSTR., In I EN, 45,11-25: ὁ μὲν γὰρ Πλάτων τὸ ἓν καὶ τἄρρητον καὶ τἀγαθὸν τὴν κοινὴν αἰτίαν
130 Il neoplatonismo di Eustrazio di Nicea

La seconda parte è anticipata da un’osservazione personale di Eustrazio circa


la strategia argomentativa di Aristotele. Il commentatore si mostra stupito del
fatto che Aristotele, dopo aver accettato all’inizio dell’opera, in EN I,1,1094a3,
la definizione di bene come «ciò cui tutto tende» (οὗ πάντα ἐφίεται),124 non
abbia poi compreso questo stesso bene come una realtà assolutamente prima e
trascedente.125 In realtà l’obiezione di Eustrazio non è fondata nel testo, visto che
nulla obbliga il lettore ad interpretare la definzione aristotelica di bene come il
riferimento ad una realtà separata. Il punto è che Eustrazio pensa ad un’interpre-
tazione ben precisa della definizione di bene che si ritrova nell’incipit dell’Ethica
Nicomachea, un’interpretazione cui egli si ricollega appunto nella seconda parte
della ricostruzione della teoria platonica del Bene ideale. Vediamo nel dettaglio
cosa dice Eustrazio:

3.4 In I EN, 45,28-38: ἡ γὰρ λέξις ἡ τἀγαθὸν τοῖς περὶ Πλάτωνα ἐπὶ τοῦ πρώτου καὶ
καθόλου ἐτίθετο καὶ αὐτὸ τὸ λέγειν «οὗ πάντα ἐφίεται» τὸ καθολικώτατον δηλοῖ
καὶ πρώτιστον. εἰ γὰρ πάντα ἐκείνου ἐφίεται, ὑπὲρ τὰ πάντα ἐξ ἀνάγκης ἐστί· τὸ
δὲ πάντα οὐδὲν τῶν ὁπωσοῦν ὄντων ἔξω ἑαυτοῦ ἐᾷ νοεῖν. εἰ οὖν πάντα ἐκείνου
ἐφίεται, ὑπὲρ πάντα ἐξ ἀνάγκης ἐστὶ καὶ πρώτιστον πάντων καὶ αἰτιώτατον καὶ
καθολικώτατον, οὐχ ὡς ἐπὶ τοῖς πολλοῖς οὐδὲ δεύτερον τῶν πολλῶν (πῶς γὰρ τοῦ
δευτέρου τὰ πρῶτα ἐφίεται;) ἀλλὰ δηλονότι τοῦ πρωτίστου καὶ ὑπὲρ ἅπαντα, ὥστε
περιττῶς ἔοικεν ἐνίστασθαι πρὸς τοὺς τὸ καθόλου ἀγαθὸν λέγοντας οὕτως ὡς
λέγουσιν, ἐξ ἀρχῆς μὲν καὶ αὐτὸς ὁμολογήσας αὐτό, νῦν δὲ σοφιστικώτερον πρὸς
ἐκεῖνο μαχόμενος.
[«Infatti l’espressione ‘il bene’ viene assunta dai seguaci di Platone nel senso di ciò

τῶν ὄντων πάντων εἶπε, καὶ ὑπὲρ τὰ ὄντα πάντα τὸ ἓν ἔταξεν, αἴτιον μὲν πάντων ἐκεῖνο λέγων, οὐδὲν
δὲ τῶν πάντων διὰ τοῦτο καὶ ὑπὲρ ὂν καὶ μὴ ὄν, οὐχ ὡς τοῦ ὄντος λειπόμενον, ἀλλ’ὡς ὄντος παντὸς
ὑπερκείμενον· πάντα οὖν τὰ δεύτερα ἀγαθὰ ἀναφέρεσθαι εἰς ἐκεῖνο ὡς κοινὸν ἀγαθὸν καὶ ὑπὸ πάντων
τῶν ἀγαθῶν μετεχόμενον. ἕκαστον γὰρ τὸ μετ’ ἐκεῖνο ἀγαθόν, ἄλλο τι ὄν, ἀγαθόν ἐστι κατὰ μετοχὴν τὴν
ἐκείνου, καθὼς ἐκείνου μετέχειν ἕκαστον δύναται· ἐκεῖνο δὲ ὑπερήπλωται καὶ οὐδὲν ἄλλο ἢ τἀγαθόν
ἐστι· διὰ τοῦτο καὶ ἓν κυρίως καὶ πρώτως, ὡς μὴ μετ’ ἄλλου τινὸς θεωρούμενον. τί οὖν ἀδύνατον ἕψεται,
εἰ πάντων ὂν αἴτιον καὶ πᾶσι παρέχον τὸ εἶναι ὅσα κατὰ τὰς δέκα λέγεται κατηγορίας, κοινὸν ἅπασιν
ὡς αἴτιον λέγεται καὶ καθόλου ἀγαθόν, ὡς πρὸ πάντων ὂν τῶν πολλῶν ἀγαθῶν, οἷς τὸ εἶναι καὶ τὸ
ἀγαθοῖς εἶναι παρέχεται, ὅσα τῇ αὐτοῦ μετοχῇ καὶ τῇ πρὸς ἐκεῖνο ἀναγωγῇ ἀγαθὰ λέγεται; Ci pare che
la terminologia impiegata da Eustrazio possa essere ricondotta ancora una volta alla tradizione del tardo
neoplatonismo. Si veda e.g. PROCLUS, In Platonis Parmenidem cit., 620,24: πάντα γοῦν ταῦτα κατὰ μετοχὴν
ὑφέστηκε τοῦ ἑνός. ID., In Platonis Timaeum cit., 1,365,11-13: μετέχει δὲ ὁ ἀγαθὸς τῆς ἀγαθότητος,
καὶ αὕτη μὲν ἡ ἀγαθότης πρώτως ἀγαθόν, ὁ δὲ νοῦς ἢ τὸ ὂν κατὰ μετοχὴν ἀγαθόν. τὸ δ’ αὖ δεύτερον.
124 Si veda anche ARIST., Ethica Nicomachea, X,2,1172b14. Una definizione simile si trova in PLATO,

Philebus, 20D.
125 EUSTR., In I EN, 45,25-28: καὶ αὐτὸς δὲ Ἀριστοτέλης οἷς ἐν ἀρχῇ τοῦδε τοῦ βιβλίου ἐπαινεῖ τοὺς

ἀποφηναμένους τἀγαθὸν εἶναι οὗ πάντα ἐφίεται ὡς καλῶς ἀποφηναμένους, δῆλός ἐστι τὸ πρώτιστον καὶ
καθολικώτατον ὁμολογῶν ἀγαθὸν διὰ τοῦ εἰπεῖν τἀγαθὸν καὶ οὗ πάντα ἐφίεται.
II. I commenti filosofici e le dottrine 131

che è primo e universale, e lo stesso dire ‘ciò che ogni cosa desidera’ significa il bene
massimamente grande e primo. Se infatti ogni cosa lo desidera, allora per necessità
esso è trascendente rispetto ad ogni cosa. Infatti il termine ‘ogni cosa’ non potrebbe
significare nessun altro degli enti se non esso stesso. Se dunque ogni cosa lo desidera,
esso è di necessità sopra ogni cosa, assolutamente primo rispetto ad ogni cosa, asso-
lutamente causa e universale, non come l’universale dopo i molti né come secondario
rispetto ai molti (come infatti le realtà che vengono prima potrebbero desiderare le
realtà secondarie?), ma è chiaro che a ciò che è assolutamente primo spetta l’essere
sopra ogni cosa. Per questa ragione appare superfluo mettersi di traverso rispetto a
chi dice che il bene è universale alla maniera in cui i platonici lo intendono, poiché
questi {scil. Aristotele}, dopo aver ammesso questa definizione, ora la critica in ma-
niera maggiormente sofistica dell’opera.»]

Qui Eustrazio riprende la definzione di bene dell’incipit dell’Ethica Nico-


machea, ossia «il bene è ciò cui ogni cosa tende» (τἀγαθόν οὗ πάντ’ ἐφίεται)
e si sofferma su una parola di questa definizione, ossia il termine τἀγαθόν. Il
commentatore riferisce poi di un’interpretazione di questo lemma da parte dei
seguaci di Platone secondo la quale, come egli stesso aveva anticipato, questa
definizione è valida solo nella misura in cui il Bene in questione è una realtà
separata, una realtà non paragonabile all’universale dopo i molti, i già citati con-
cetti esistenti solo per considerazione mentale. Scrive Eustrazio: «Se infatti ogni
cosa lo desidera [scil. il bene], allora per necessità esso è trascendente rispetto
ad ogni cosa» (εἰ γὰρ πάντα ἐκείνου ἐφίεται, ὑπὲρ τὰ πάντα ἐξ ἀνάγκης ἐστί). E
ancora: «se dunque ogni cosa lo desidera, questo è di necessità sopra ogni cosa,
assolutamente primo rispetto ad ogni cosa, assolutamente causa e universale» (εἰ
οὖν πάντα ἐκείνου ἐφίεται, ὑπὲρ πάντα ἐξ ἀνάγκης ἐστὶ καὶ πρώτιστον πάντων
καὶ αἰτιώτατον καὶ καθολικώτατον). Ma chi sono i platonici che avrebbero in-
terpretato il lemma τἀγαθόν della definizione aristotelica di bene nelle prime
battute dell’Ethica Nicomachea come un principio separato e trascendente? La
risposta va cercata ancora in Proclo, in particolare nella proposizione 8 dell’E-
lementatio theologica. Qui Proclo scrive:

εἰ γὰρ πάντα τὰ ὄντα τοῦ ἀγαθοῦ ἐφίεται, δῆλον ὅτι τὸ πρώτως ἀγαθὸν ἐπέκεινά
ἐστι τῶν ὄντων.
[«Se infatti ogni cosa desidera il bene, è chiaro che questo è il primo Bene che si trova
al di là delle cose che sono.»]126

126 PROCLUS, Elementatio cit., 8, 9,31-32. Abbiamo discusso questo testo in connessione con la dossogra-

fia riportata da Eustrazio in TRIZIO, Eleventh cit., 195-196. Ovviamente in rapporto a questo stesso tema nella
tradizione platonica, ossia la trascendenza del Bene come causa del tutto, si può far riferimento a PLOTINUS,
132 Il neoplatonismo di Eustrazio di Nicea

La dipendenza della dossografia del nostro commentatore da questo passo di


Proclo è indubbia. Cerchiamo di capire meglio cosa è accaduto. Eustrazio si è re-
so conto che il testo della proposizione 8 dell’Elementatio contiene un implicito
riferimento alla definizione di bene fornita da Aristotele nell’incipit dell’Ethica
Nicomachea. Un riferimento, quello di Proclo, chiaramente polemico rispetto ad
Aristotele, e che pertanto ben si prestava ad essere assunto da Eustrazio come
rappresentativo della posizione dei platonici. Così Eustrazio ripropone il testo di
Proclo come strumento per confutare Aristotele. Segnaliamo che nei commenti
filosofici di Eustrazio i riferimenti generici alle posizioni dei seguaci di Platone
sono sempre riferimenti a Proclo, come se il diadoco esemplificasse una forma
di autentico platonismo.
Vediamo adesso la risposta di Eustrazio all’argomento di EN, I,6,1096a29-34,
dove Aristotele argomenta che di ciò che si predica in maniera univoca, deve
esservi una sola scienza, mentre di fatto ve ne sono tante quante le modalità
di predicazione del bene secondo appunto le dieci categorie. Come già fatto in
precedenza, anche in questo caso Eustrazio in primis riassume l’argomento di
Aristotele.127 Poi passa a verificare l’argomento aristotelico alla luce di quella
che a suo modo di vedere è la dottrina di Platone. In questo senso Eustrazio
propone una confutazione di Aristotele che si struttura su diversi livelli.
In primo luogo, Eustrazio delinea quello che a tutti gli effetti appare come un
prerequisito di ordine metafisico per discutere la questione. Tale prerequisito
consiste, ancora una volta, nell’adesione ad una causalità di tipo verticale in cui
tutto partecipa in misura maggiore o minore del Bene in relazione alla posizione
di ciascuna realtà o ordine nella gerarchia del reale. Le realtà sempre identiche
a se stesse e eterne risultano in questo senso più vicine alla Causa Prima rispetto
a quelle più distanti, cioè le realtà oggetto di sensazione e quelle sottoposte a
generazione e corruzione. Pertanto le prime partecipano della Causa in misura
maggiore delle seconde. Se così non fosse, se cioè non esistesse una gerarchia
di realtà che partecipano dell’idea di Bene, tutto sarebbe indistinto, identico
per genere e specie e la differenza ontologica tra le diverse realtà verrebbe a
perdersi.128

Enneades, V,5 [32], 13, ed. P. HENRY/H.-R. SCHWYZER, Plotini Opera, 2, Desclée de Brouwer, Paris/L’Édition
Universelle, Bruxelles 1959, 359,1-361,38.
127 EUSTR., In I EN, 46,2-17.
128 EUSTR., In I EN, 46,20-47,4: ὅτι γὰρ πάντα ἐκεῖνο τὸ ἀγαθῦνον ἐστὶ καὶ πάντα κατὰ τὴν ἑκάστου

ἀνάλογον μετοχὴν ἐκείνου ἀγαθὸν λέγεται οὐδεὶς νοῦν ἔχων ἀμφισβητήσειε. τί γὰρ εἰ τὸ μὲν μᾶλλον
ἀγαθὸν τὸ δ’ ἧττον ἢ τὸ μὲν ἐγγύτερον ἐκείνου τὸ δὲ πορρώτερον ἢ τὸ μὲν ἀγαθὸν καθ’ αὑτό, ὡς
ὑγίεια σώματος καὶ ψυχῆς ἀρετή, τὸ δὲ πρὸς τούτων τι συμβαλλόμενον, ὡς δίαιτα καὶ γυμνάσιον καὶ
φάρμακόν τι καὶ ἴαμα, ἢ ὡς κακουχία καὶ σκληραγωγία σώματος, ἵνα τῇ ψυχῇ τὸ καρτερὸν καὶ ἀπαθὲς
περιγίνοιτο. τάξις γὰρ πᾶσιν, ὡς τὸ μὲν τιμιώτερον ἐν αὐτοῖς εἶναι, τὸ δὲ τῇ τιμιότητι δεύτερον, τὸ δὲ
II. I commenti filosofici e le dottrine 133

Questo argomento, in realtà, sembra almeno in prima istanza mal collocato


nel testo. Infatti, esso sembra una risposta all’asserzione Aristotelica citata in
precedenza di EN, I,6,1096a17-19 secondo la quale i sostenitori della teoria
delle idee non avrebbero ammesso idee di realtà in cui vi è un rapporto di suc-
cessione secondo il primo o il dopo. Eustrazio sembra introdurre la possibilità
che, al contrario, la medesima idea di Bene sia partecipata da diverse realtà
che costituiscono una serie ordinata secondo il prima e il dopo, ovvero secondo
la maggiore o minore prossimità rispetto al Bene.129 In realtà, come vedremo in
seguito, questo è solo il primo momento di un’argomentazione più generale.
Segue un intermezzo in cui Eustrazio introduce il tema, che non appare stret-
tamente necessario ai fini dell’argomentazione, delle diverse modalità conosciti-
ve dell’anima relative ai vari e diversi oggetti. Eustrazio discute in particolare lo

τρίτον καὶ ἐφεξῆς, καὶ τὴν τοῦ ἀγαθοῦ μέθεξιν ὑπάρχειν ἑκάστῳ κατὰ τὴν αὐτοῦ τάξιν. καὶ εἰ ἀγαθὸν ἡ
τάξις τοῖς οὖσιν, ὡς ἡ ἀταξία κακόν, πῶς εὐλόγως ἄν τις ἐρεῖ, ὅτι μὴ κατὰ τάξιν τοῖς πράγμασιν ἡ τοῦ
ἀγαθοῦ μετάδοσις γίνεται. ἢ ἀπαιτείτω τις ὁμοταγῆ πάντα εἶναι, ὁμοειδῆ τε καὶ ὁμοφυῆ καὶ τὸ διάφορον
ἀφαιρείτω τῆς τῶν ὄντων ἁπάντων ὑπάρξεώς τε καὶ τάξεως μηδὲ κόσμον εἶναι μηδ’ ἁρμονίαν τινὰ ἐν
αὐτοῖς, ἀλλ’ εἰκῇ συγκεχύσθαι πάντα ἢ εἰ κόσμος καὶ τάξις καὶ πάντα μὲν ἐξ ἑνός, πλὴν οὐ τὰ αὐτὰ κατ’
εἶδος οὐδὲ κατὰ γένος, ἀλλὰ διαφορὰ πολλὴ ἐν αὐτοῖς, ὡς τὰ μὲν ὑφειμένα εἶναι τὰ δ’ ὑπερέχοντα ἔσται
καὶ τὰ μὲν κρείττω τὰ δὲ χείρω καὶ τὰ μὲν ἐγγύτερα [τοῦ πόρρω] τὰ δὲ πορρώτερα· καὶ ἡ μετουσία τοῦ
πρώτου ἑκάστῳ ἀνάλογος· εἰ οὖν καὶ αἱ φύσεις διάφοροι καὶ τιμιότης καὶ τάξις ἑκάστῃ ἁρμόζουσα, πῶς
οὐχὶ καὶ τὴν ψυχὴν ἀναγκαῖον θεωροῦσαν ἕκαστα οἰκείως ἐπιβάλλειν ἑκάστῳ καὶ οἰκείως θεωρεῖν καὶ
τέχνας συνιστᾶν καὶ ἐπιστήμας κατά τε γένη τῶν πραγμάτων καὶ εἴδη καὶ θεωρεῖν τὰς φύσεις κατὰ τὸ
ἑκάστῃ ἀνάλογον; Il principio qui enucleato secondo cui tutto partecipa della Causa Prima in relazione
alla propria capacità e posizione nella gerarchia del reale era emerso già in 1.8. Ci sembra che alcu-
ne delle formulazioni di Eustrazio di questo principio rimandino a, tra gli altri, PROCLUS, Theologia cit.,
3,18,3-5; ID., Elementatio cit., 173, 150,27-30. Tale principio gioca un ruolo chiave anche nello Pseudo-
Dionigi Areopagita. Cfr. e.g. (PSEUDO) DIONYSIUS AREOPAGITA, De caelesti hierarchia, ed. G. HEIL/A.M. RITTER,
Corpus Dionysiacum II: Pseudo-Dionysius Areopagita. De coelesti hierarchia, de ecclesiastica hierarchia,
de mystica theologia, epistulae, De Gruyter, Berlin 1991 («Patristische Texte und Studien», 36), 37,10.
L’idea espressa poi in questo passo di Eustrazio, secondo cui la minore o maggiore partecipazione al Bene
dipende dal grado di vicinanza ad esso, presenta forti assonanze con analoghi motivi rinvenibili nell’opera
di Proclo. Cfr. e.g. PROCLUS, Theologia cit., 1,67,5-10: Πάντα δ’ οὖν, ὥσπερ εἴπομεν, ἀνήρτηται τοῦ ἑνὸς
διὰ μέσου νοῦ καὶ ψυχῆς· καὶ ὁ μὲν νοῦς ἑνοειδής ἐστιν, ἡ δὲ ψυχὴ νοοειδής, τὸ δὲ σῶμα τὸ τοῦ κόσμου
ζωτικόν, πᾶν δὲ εἰς τὸ πρὸ αὐτοῦ συνῄρηται. αὶ τῶν μετὰ ταῦτα τὰ μὲν ἐγγύτερον τὰ δὲ πορρώτερον
ἀπολαύει τοῦ θείου. Ibid., 2,39,15-22: ἀλλὰ πᾶς ὁ νοῦς καὶ πᾶς θεὸς ὑφειμένην ἔλαχεν ὑπεροχὴν πρὸς
τὰ καταδεέστερα καὶ ὧν ἐστιν αἴτιος ἢ τὸ πρῶτον πρὸς ἕκαστον τῶν ὄντων, ὃ πάντων ὁμοίως ἐκβέβηκε
καὶ οὐ τῶν μὲν μᾶλλον τῶν δὲ ἧττον· οὕτω γὰρ ἂν αὐτῷ σχέσιν πρὸς τὰ δεύτερα μείζω καὶ ἐλάττω
προσάγοιμεν. Δεῖ δὲ ἐκεῖνο μὲν ἄσχετον πρὸς πάντα καὶ ἀφ’ ὅλων ὁμοίως ἐξῃρημένον φυλάττειν, τῶν δὲ
ἄλλων τὰ μὲν ἐγγύτερον ἐκείνου τὰ δὲ πορρώτερον. Ibid., 2,41,29-42,1: Πάντων δὲ ἄρα καὶ ἡνωμένων
ἀεὶ τῷ πρώτῳ, τῶν μὲν πορρώτερον τῶν δὲ ἐγγύτερον {...}. ID., Elementatio cit., 62, 58,22-23: Πᾶν
πλῆθος ἐγγυτέρω τοῦ ἑνὸς ὂν ποσῷ μέν ἐστι τῶν πορρωτέρω ἔλαττον, τῇ δυνάμει δὲ μεῖζον. Ibid., 203,
179,8-9: τὸ γὰρ πορρώτερον τοῦ ἑνὸς πλῆθος μᾶλλόν ἐστι καὶ τὸ ἐγγύτερον ἧττον. Lo stesso principio
è sviluppato anche in EUSTR., In I EN, 47,27-38 e ibid., 48,27-38.
129 Si vedano in questo senso anche le osservazioni di GIOCARINIS, Eustratius cit., 190.
134 Il neoplatonismo di Eustrazio di Nicea

iato sussistente tra la conoscenza del Nous, unitaria e diretta, e l’anima, che nel
tentativo di imitare la perfetta conoscenza del Nous, è costretta ad una sorta di
danza attorno ad esso per afferrare gli intelleggibili uno alla volta, comunque non
simultaneamente. Questo principio, che come vedremo nella sezione dedicata
alla teoria eustraziana dell’intelletto è molto caro a questo commentatore, viene
in questo caso ripreso dal commento di Proclo al Parmenide, come già segnalato
da altri studiosi.130
Come dunque ciascuna cosa partecipa del Bene in relazione alla propria capa-
cità, allo stesso modo da questa determinazione all’interno della gerarchia del re-
ale deriva anche il particolare modus sciendi di ciascuna realtà. Proprio come la
conoscenza degli enti, prosegue Eustrazio, è diversa in relazione al conoscente,
così i beni in quanto beni non sono conoscibili tutti allo stesso modo. Eustrazio
passa adesso ad esaminare la diversità degli oggetti di per sé, non legata cioè alla
capacità del conoscente. Per restare nell’ambito degli oggetti delle varie scienze
speculative, ciascuno degli esseri è in quanto tale un qualcosa di determinato,
come un ente fisico, un ente matematico o una realtà divina; o ancora è un ente
celeste, terrestre, marino ecc. Ciascuno di questi oggetti, dunque, è da investi-
gare secondo la conoscenza appropriata. Per questa ragione, sembra suggerire
Eustrazio, non tutte le realtà sopra elencate possono essere oggetto di una e la
medesima scienza. Lo stesso dovrà dirsi, secondo il commentatore, dei vari beni
determinati: essi non sono oggetto di un’unica scienza.
Fino a questo punto Eustrazio non si distanzia affatto da Aristotele. Che cioè
differenti oggetti siano oggetto di differenti scienze, questo non deve destare
stupore. Il punto però cui mira Eustrazio è un altro: mostrare come il fatto che
tutto partecipi dell’Uno/Bene non significhi affatto che tutti i partecipanti siano
oggetto di una sola scienza, come invece suggerisce Aristotele. Il commentatore

130 EUSTR., In I EN, 47,4-11: νοῦς μὲν γὰρ ὕλης ἀπόλυτος ὢν καὶ σώματος ἀθρόως πάντα θεωρήσει

καὶ ἡνωμένως τὰ πεπληθυσμένα καὶ ἀμερίστως τὰ εἰδητικῶς ἀριθμούμενα καὶ ἀδιαιρέτως τὰ διῃρημένα
περιέχων, ψυχὴ δὲ ἐφίεται μὲν τὴν ἀθρόαν ἐνέργειαν τοῦ νοῦ περιλαβεῖν, ὀρεγομένη τῆς ἐν αὐτῷ
τελειότητος, καὶ τὸ ἓν [an leg. τοῦ ἑνὸς?] ἐκείνου καὶ ἁπλοῦ τῆς νοήσεως εἴδους. μὴ δυναμένη δὲ τῆς
ἀθρόας ἐκείνου ἐφικέσθαι νοήσεως, περιθεῖ τε τὸν νοῦν καὶ περιχορεύει κύκλῳ καὶ ταῖς μεταβάσεσι τῶν
ἐπιβολῶν διαιρεῖ τὸ μεριστὸν τῶν εἰδῶν καὶ διάφορον = PROCLUS, In Platonis Parmenidem cit., 807,20-
808,8: Ὁ μὲν θεῖος καὶ δημιουργικὸς νοῦς ἡνωμένως τὰ πεπληθυσμένα καὶ ἀμερίστως τὰ μεριστὰ
καὶ ἀδιαιρέτως περιέχει τὰ διῃρημένα, τὸ δὲ πρῶτον διαιροῦν τὰ ἐν ἐκείνῳ προϋπάρχοντα κατ’
ἄκραν ἕνωσιν ψυχή ἐστιν, οὐχὶ ἡ ἡμετέρα μόνον, ἀλλὰ καὶ ἡ θεία. Διότι γὰρ ἐν αἰῶνι μόνον τὰς νοήσεις
ἱδρυμένας οὐκ ἔλαχεν, ἐφίεται δὲ τὴν ἀθρόαν ἐνέργειαν τοῦ νοῦ περιλαβεῖν, ὀρεγομένη τῆς ἐν αὐτῷ
τελειότητος καὶ τοῦ ἑνὸς ἐκείνου καὶ ἁπλοῦ τῆς νοήσεως εἴδους περιθεῖ τε αὐτὸν καὶ περιχορεύει
κύκλῳ, καὶ ταῖς μεταβάσεσι τῶν ἐπιβολῶν διαιρεῖ τὸ ἀμέριστον τῶν εἰδῶν. La scoperta di questa
dipendenza testuale è da ricondurre a GIOCARINIS, Eustratius cit., 191, nt. 86. Si veda anche C. STEEL, Ne-
oplatonic Sources in the Commentaries on the Nicomachean Ethics by Eustratius and Michael of Ephesus,
«Bullettin de Philosophie Médiévale», 44 (2002), 49-57, 52.
II. I commenti filosofici e le dottrine 135

invita il lettore ad affiancare ad una prospettiva aristotelica, per così dire, oriz-
zontale, secondo la quale appunto sia l’essere che il bene si predicano secondo
i dieci predicamenti, una prospettiva verticale, secondo la quale tutto partecipa
e si riferisce ad un unico principio. Queste due prospettive, secondo il com-
mentatore, non sono affatto in contraddizione. O per lo meno dal fatto che tutto
partecipa dell’Uno/Bene non deriva l’unitarietà della scienza che si occupa dei
vari beni particolari. Per quel che concerne l’ordine della conoscenza, è chiaro
che, da un lato, ogni oggetto va conosciuto in maniera appropriata rispetto alla
relativa natura, mentre, dall’altro, ogni conoscente conosce in misura propor-
zionata e conforme al proprio posto nella gerarchia degli esseri. Ma nell’ordine
dell’essere, invece, tutto partecipa dell’Uno/Bene. Secondo Eustrazio questi due
ordini, dell’essere e della conoscenza, che di fatto sono strettamente legati da
un punto di vista metafisico, non devono comunque essere sovrapposti, pena
incorrere nell’errore di Aristotele, cioè aver dedotto in maniera surrettizia l’unità
della scienza dall’unità del principio o della causa referente per gli effetti. Tutto
ciò che è partecipa dell’Uno/Bene, viene da esso prodotto e ad esso ritorna, ma
questo non significa che i partecipanti formino una medesima classe oggetto di
un’unica scienza.131
Subito dopo Eustrazio torna ad occuparsi del problema da cui era partito
nell’articolare la sua risposta all’argomento di Aristotele relativo all’unicità del-
la scienza che deriverebbe dall’unicità del bene come principio. Eustrazio, lo
ricordiamo, aveva avanzato la possibilità che le cose partecipassero del Bene
secondo il più e il meno, ovvero secondo la loro maggiore o minore prossimità
a questo principio. Adesso la questione viene riaperta su basi leggermente di-
verse, che coinvolgono direttamente alcuni assunti aristotelici circa la sostanza.
Infatti, Eustrazio si chiede se la sostanza sia predicabile secondo il più e il meno
e se questo tipo di variazioni di intensità nel senso di incremento e decrescita
riguardi solo gli accidenti di una sostanza. Secondo il commentatore, sostenere
che variazioni di intensità riguardino solo gli accidenti, significa compromterre

131 EUSTR., In I EN, 47,11-27: διὰ τοῦτο καὶ τρόπους γνώσεως ἄλλους καὶ ἄλλους ἐπινοεῖ, ἵν’ οἰκείως

ἑκάστῳ τοῖς γνωστοῖς ἐπιβάλλουσα τῆς τῶν πάντων ἐφίκηται γνώσεως. ὡς γὰρ ἄλλῳ ἄλλη φύσις καὶ
τάξις ἐφήρμοσεν, οὕτω καὶ τρόπος γνώσεως ἕτερος ἑτέρῳ. ὥσπερ οὖν ὡς ὄντα οὐ τὸν αὐτὸν τρόπον ἔσχε
τῆς γνώσεως πάντα τὰ ὄντα, οὕτως οὐδὲ τῶν κατὰ μέρος ἀγαθῶν ἁπάντων μία γνῶσις ᾗ ἀγαθὰ οὐδὲ τῶν
καιρῶν ᾗ καιροὶ οὐδὲ τῶν μετρίων ᾗ μέτρια οὐδὲ τῶν ἄλλων τῶν ὁμοίως τούτοις λαμβανομένων. καὶ
ὥσπερ οὐ δεῖ θαυμάζειν εἰ τῶν ὄντων ἕκαστον ᾗ ἕκαστον τόδε ἢ τόδε ἐστίν, οἷον φυσικὸν ἢ μαθηματικὸν
ἢ θεῖον καὶ ἔτι οὐράνιον ἢ χερσαῖον ἢ θαλάττιον ἢ ἀέριον ἢ πύριον ἢ μετέωρον καὶ τὰ λοιπὰ ὡσαύτως
δι’ ἄλλου καὶ ἄλλου τρόπου γινώσκεται γνώσεως, οὕτως οὐδὲ ᾗ καιρὸς ἢ μέτρον ἢ ἄλλο τι ὁμοιότροπον
ἕτερον, ὥστε πάντα μὲν τἀγαθὰ ὡς ἑνὸς μετέχοντα εἰς ἓν ἀναφέρεται, καὶ ἐπιστήμης ἂν εἴη τῆς αὐτῆς
εἰδέναι πάντα, ὡς εἰς ἐκεῖνο ἀναφερόμενα καὶ ἐκείνου μετέχοντα. ᾗ δὲ καθ’ αὑτό ἐστιν ἕκαστον καὶ ᾗ τόδε
ἢ τόδε ἐστὶν ἄλλης καὶ ἄλλης τέχνης καὶ ἐπιστήμης τῇ οἰκείᾳ αὐτοῦ ἐφαρμοζούσης φύσει καὶ τελειότητι.
136 Il neoplatonismo di Eustrazio di Nicea

il principio tipicamente neoplatonico della partecipazione di ogni cosa, in diversi


gradi, al Bene come Causa Prima.132
Ci pare che Eustrazio stia qui mettendo l’una contro l’altra due diverse pro-
spettive. Da un lato, il principio aristotelico, esposto in Categoriae, 4,3b32-4a9
secondo il quale la sostanza non ammette il più e il meno se non nelle sue de-
terminazioni accidentali; dall’altro, il principio della causalità neoplatonica in
virtù del quale ogni cosa partecipa più o meno della Causa Prima in relazione
alla propria capacità. Dal punto di vista di Eustrazio negare che il più e il meno
si possano predicare della sostanza significa inficiare la teoria neoplatonica della
partecipazione. Da ciò conseguirebbe una sorta di livellamento dei diversi gradi
di cui è costituito il reale, al punto che si perderebbero le differenze ontologiche
tra le varie realtà e ordini: le realtà eterne risulterebbero in questo senso iden-
tiche a quelle sottoposte a generazione e corruzione e tutto parteciperebbe al
Bene allo stesso modo. Insomma, tutto il meccanismo della causalità visto nella
sezione 1, che consiste nella produzione di effetti che poi ritornano alle cause
verrebbe ad essere irrimediabilmente compromesso se si accettasse alla lettera
il divieto aristotelico di predicare il più e meno della sostanza.
Per accomodare queste due prospettive, Eustrazio prova ancora una volta a
conciliare la prospettiva, per così dire, orizzontale cui rimanda l’assioma ari-
stotelico in questione e quella verticale tipica della causalità neoplatonica che
Eustrazio accetta e condivide. In questo senso Eustrazio sostiene esplicitamente
che il divieto aristotelico non va concepito in senso assoluto: quando conside-
riamo le cose razionalmente ci troviamo di fronte a sostanze prime e sostanze
seconde. Le sostanze prime sono sostanze nel senso proprio del termine e sono
oggetto di sensazione; le sostanze seconde, invece, sono concetti dall’esistenza
puramente mentale ricavati per astrazione dalle sostanze prime. In rapporto alle
sostanze di quest’ultimo tipo, scrive Eustrazio, sono sostanze in senso seconda-

132 EUSTR., In I EN, 47,27-48,5: δεῖ δὲ καὶ περὶ τῆς οὐσίας ἐξετάσαι εἰ καλῶς εἴρηται πρότερον ὡς οὐκ

ἔστιν ἐν αὐτῇ τὸ μᾶλλον καὶ ἧττον, ὡς εἶναι συμβεβηκὸς πᾶν ὁτιοῦν ἐν ᾧ ἐπίτασις θεωρεῖται καὶ ἄνεσις,
καὶ μηδὲ τῷ αὐτῷ εἴδει τὸ μὲν οἰκειότερον εἶναι τῶν μετεχόντων, τὸ δ’ ἀνοικειότερον, ἵνα μὴ τῇ ἐπιτάσει
καὶ ἀνέσει τῆς μετοχῆς μᾶλλον καὶ ἧττον εἶναι κατ’ ἐκεῖνο τὰ μετέχοντα λέγηται, ὡς εἶναι κινδυνεύειν
συμβεβηκὸς τὸ οὑτωσὶ μετεχόμενον. δόξειε γὰρ ἄν, εἰ μὴ τὸ μᾶλλον καὶ ἧττον κἀν ταῖς οὐσίαις ζητήσεως
ἄξιον, πῶς τῶν ὄντων τὰ μὲν μᾶλλον μεθέξει τοῦ ὄντος, τὰ δὲ ἧττον. εἰ δὲ μὴ μᾶλλον καὶ ἧττον ἡ μέθεξις,
εἴη ἂν ἐπίσης ὄντα τοῖς ἀιδίοις τὰ γεννητὰ καὶ τοῖς ἀφθάρτοις τὰ φθαρτά. ἀλλ’ οὐδὲ τὰ μὲν ἐγγύτερα
τοῦ πρώτως ὄντος, τὰ δὲ πορρώτερα, ἀλλ’ ἔσται πάλιν ὡσαύτως ἡ μέθεξις· οὐδ’ αὐτὸ δὲ τὸ μεταδιδὸν
τῆς ὀντότητος πλεῖον ἕξει τῶν ἄλλων καὶ τῶν ἐξ αὐτοῦ τῇ φύσει πρῶτον ἔσται, ἀλλ’ ἢ μόνον τάξει, ὡς
αἴτιον, τὰ δ’ ὡς αἰτιατὰ δεύτερα, ἵνα μὴ τὸ συμβεβηκότα εἶναι αὐτοῖς γένηται διὰ τὸ μᾶλλον καὶ ἧττον
τῆς οὐσιότητος, οὐδ’ ἡ ἔφεσις αὐτοῖς καὶ ἡ πρὸς τὴν ἀρχὴν ἐπιστροφὴ ἄλλως καὶ ἄλλως, ἀλλ’ ὡσαύτως,
καὶ ἡ αὐτὴ τῶν νοητῶν καὶ νοερῶν, τῶν λογικῶν καὶ αἰσθητικῶν, τῶνζώντων ἁπλῶς καὶ οἷς μόνον τοῦ
εἶναι μέτεστιν, ἃ πάντα καὶ παρ’ αὐτήν ἐστιν τὴν ἐνάργειαν.
II. I commenti filosofici e le dottrine 137

rio, anche se le specie, essendo più prossime alle sostanze prime dei generi, sono
in questo senso sostanze in senso più proprio.133
Poi Eustrazio introduce una distinzione dello stesso tipo applicata al mondo
intellegibile. In questo caso sostanza nel senso proprio del termine, sostanza
prima, è ciò che L’Intelletto separato contempla, l’ente in quanto ente che l’In-
telletto coglie con intuizioni immediate e che abbraccia, neoplatonicamente, in
se stesso.134 Invece le sostanze seconde sono tutte quelle che si dicono essere per
partecipazione al primo essere e al primo intelleggibile. Queste sostanze seconde
si estendono, gradino dopo gradino, fino alle realtà oggetto di sensazione e a que-
le sottoposte a generazione e corruzione. In relazione a queste sostanze seconde
è lecito, secondo Eustrazio, dire che esse sussistono secondo il più o il meno,
secondo cioè il grado di maggiore o minore distanza dalla sostanza prima, ossia
l’ente in quanto ente, la sottoipostasi dell’essere interna all’ipostasi del Nous.135
I tratti generali di questo approccio di Eustrazio al problema in questione
sono riconducibili ad una simile giustapposizione tra il piano orizzontale della
predicazione e quello verticale della causalità operata dai commentatori tardo-
antichi.136 In effetti già Ammonio suggeriva la necessità di approcciare il det-
tame aristotelico delle Categoriae in due modi: «in larghezza» (κατὰ πλάτος)
e «in profondità» (κατὰ βάθος). Il dettame aristotelico che vieta di predicare
la sostanza secondo il più e il meno varrebbe solo orizzontalmente, mentre in
verticale si può dire che le sostanze ammettono un più e un meno, proprio come
la razionalità esiste nell’Intelligenza più che nell’Anima e meno in noi rispetto
tanto all’Intelligenza, quanto all’Anima.137
Quanto poi al principio generale per cui, all’interno di questa prospettiva
verticale, si può dire che le cose partecipano più o meno in relazione alla loro
vicinanza o lontananza dalla Causa Prima/Bene questo ci pare un principio ge-

133 Sul tema della differenza ontologica tra generi e specie in Eustrazio, si veda IERODIAKONOU, Me-

taphysics cit., 75-77.


134 Cfr. e.g. PLOTINUS, Enneades cit., VI, 7 [38], 13, 228,1-230,57; PROCLUS, Elementatio cit., 101, 90,17-

19 et passim.
135 EUSTR., In I EN, 48,5-17: ἢ οὐχ ἁπλῶς τὸ μὴ ἔχειν τὴν οὐσίαν τὸ μᾶλλον καὶ ἧττον λαμβάνεται,

ἀλλ’ ὥσπερ ὅταν λογικῶς θεωρῶμεν, πρῶται οὐσίαι λέγονται καὶ κυρίως καὶ μάλιστα ὅσαι τῇ αἰσθήσει
ὑπόκεινται, δεύτεραι δ’ ὅσαι ἐξ ἀφαιρέσεως [ἐκ] ταύτης λαμβάνονται, ἐννοήματα μόνον οὖσαι χωρὶς
ὑποστάσεως, καὶ τούτων μᾶλλον οὐσίαι αἱ ἐγγύτερον τῆς πρώτης καὶ τόσῳ μᾶλλον ὅσῳ ἐγγύτερον, καὶ
τόσῳ ἧττον ὅσῳ πορρώτερον, οὕτω κἀπὶ τῶν νοητῶν πρώτη οὐσία καὶ μάλιστα ᾗ νοῦς ἐπιβάλλει πρώτως
καθαρὸς καὶ τοῦ ὄντος ᾗ ὂν ἀμέσως ἐποπτικώτατος πᾶν περιλαμβάνων τὸ ὂν ᾗ ὄν ἐστιν, ὡς μηδὲν ἔξω
τῆς αὑτοῦ ἐπιβολῆς φέρεσθαι, δεύτερα δὲ τὰ ἑξῆς, ὅσα τῇ τοῦ πρώτου ὄντος καὶ πρώτου νοητοῦ μετοχῇ
εἶναι λέγεται. καὶ δεύτεραι οὐσίαι αἱ μετ’ ἐκεῖνο, βαθμηδὸν ὡς εἰπεῖν προβαίνουσαι ἄχρι καὶ τῶν ὑπ’
αἴσθησιν καὶ ὑπὸ γένεσιν. καὶ ταύτῃ μᾶλλον καὶ ἧττον εἶναι οὐκ ἄτοπον, οὐδὲ λέγεσθαι, εἴπερ καὶ εἶναι.
136 Questo è stato riconosciuto anche in GIOCARINIS, Eustratius cit., 189, nt. 74.
137 AMMONIUS, In Porphyrii cit., 97,1-25.
138 Il neoplatonismo di Eustrazio di Nicea

nerale proprio del neoplatonismo. Vi sono dei passi interessanti in Proclo che
appaiono assai simili alle formulazioni di Eustrazio. Si veda ad esempio questo
testo di Eustrazio:

ὡς τὰ μὲν ὑφειμένα εἶναι τὰ δ’ ὑπερέχοντα ἔσται καὶ τὰ μὲν κρείττω τὰ δὲ χείρω


καὶ τὰ μὲν ἐγγύτερα [τοῦ πόρρω] τὰ δὲ πορρώτερα· καὶ ἡ μετουσία τοῦ πρώτου
ἑκάστῳ ἀνάλογος.
[«in modo che alcune cose siano inferiori e altre superiori, e così le une saranno mi-
gliori, le altre peggiori, le une più vicine rispetto a ciò che è più lontano, le altre più
lontane. E la partecipazione al Primo è analoga alla natura di ciascuna realtà.»]138

Si confronti questo testo con il De malorum subistentia di Proclo, nella versio-


ne latina di Guglielmo di Moerbeke dal greco originale andato perduto:

Omne bonum quod suscipit eius quod magis et minus differentiam, secundum le
magis quidem perfectius est et propinquius sui ipsius fonti constituitur, secundum
rursum le minus debilitatumque et imperfectius factum, propter defectum distat ad
inferius sue unitatis; quoniam et equale similiter quod quidem maxime, ipsi cogna-
tissimum utique erit et velut consequenter; quod autem magis, secundum habet post
hoc ordinem; quod autem minus, ultimum.139

Il passo di Proclo ricorda in questo caso assai da vicino quello di Eustrazio,


non solo per quel che concerne la dottrina, ma anche per quel che riguarda la
terminologia impiegata. Secondo Eustrazio la prospettiva aristotelica delle Cate-
goriae vale solo per quel che concerne l’approccio, per così dire, orizzontale. In
questo senso ha ragione Aristotele: l’uomo non è più uomo di un altro e variazioni
secondo il più e il meno sono ammissibili solo al livello degli accidenti. Ma la
prospettiva orizzontale non è quella all’interno della quale la questione del Bene
ideale va affrontata. Occorre che subentri una prospettiva verticale. Secondo
questa prospettiva di tipo gerarchico, ha senso predicare della sostanza il più
e il meno e soprattutto ha senso ammettere un prima e un poi, che era ciò che
Aristotele sembrava aver escluso richiamandosi proprio ai platonici e al divieto
di porre idee di numeri. In realtà esiste sia un prima e un poi che una anteriorità
e posteriorità. Queste vanno concepite come prima e poi e anteriorità e posterio-
rità nell’ordine della partecipazione al Bene. Ciò che più ne partecipa, chiosa

138 EUSTR., In I EN, 46,36-38.


139 PROCLUS, De malorum subsistentia, ed. H. BOESE, Procli Diadochi tria opuscula (De providentia, li-
bertate, malo) latine a Guilelmo de Moerbeka vertente et graece ex Isacii Sebastocratoris aliorumque scripta
collecta, De Gruyter, Berlin 1960, 180,1-182,10.
II. I commenti filosofici e le dottrine 139

Eustrazio sono le realtà eterne, ciò che ne partecipa meno, sono le realtà oggetto
di sensazione e sottoposte ai processi di generazione e corruzione.140
Vediamo adesso un ultimo passo di questa lunga sezione del commento di
Eustrazio dedicata alla difesa del Bene ideale di Platone e dei platonici con-
tro la critica aristotelica di questo principio. Eustrazio si trova qui di fronte
a EN,6,1096b26-28, dove Aristotele discute del problema dell’omonimia del
Bene. Aristotele esclude che si tratti di omonimia per caso, e lascia aperta senza
approfondirla la possibilità che il Bene di cui parla Platone sia una realtà omo-
nima secondo gli altri due modi in cui le cose possono configurarsi come tali,
ovvero l’omonimia tra cose che non sono del tutto diverse, in quanto provenienti
da uno stesso principio o che hanno un medesimo fine, e l’omonimia per analo-
gia, quella tra cose diverse tra loro che hanno lo stesso nome, ma il cui rapporto
con oggetti diversi è lo stesso.141 Eustrazio, come sempre, riassume brevemente il
senso dell’argomento Aristotelico e chiarisce al lettore i tre modi qui menzionati
secondo i quali le cose si dicono omonime. Poi, ancora una volta, oppone alla
critica aristotelica il medesimo argomento che aveva addotto nei casi discussi
in precedenza. L’idea di Bene e le idee in generale non sono termini e concetti
comuni o universali, bensì sono realtà trascedenti:

3.5 In I EN, 56,2-9: ἀλλ’ οὐχ αἱ ἰδέαι οὑτωσί, Ἀριστότελες, ἀλλ’ ὡς αὐταὶ καὶ ἑαυτῶν καὶ
ὡς ὅλα καὶ παραδείγματα καὶ ἓν ἑκάστη142 πρὸς πολλὰ κατὰ μετοχὴν τὴν αὐτῆς καὶ
ἀναφορὰν τὴν πρὸς αὐτὴν καὶ ὁμοίωσιν παρὰ τῶν ταύτας εἰσαγόντων ἐτίθεντο οὐκ
ἀντιστρεφούσης ἐνταῦθα τῆς ὁμοιώσεως. ἔνθα μὲν γὰρ πλείοσιν ἑνός ἐστι μετοχή,
ἐκεῖ τὰ μετέχοντα ὅμοια πρὸς ἄλληλα τῷ ταὐτῷ τῆς μεθέξεως, ἔνθα δὲ εἰκὼν καὶ
παράδειγμα, ἡ μὲν εἰκὼν ἐκεῖ τῷ παραδείγματι ὅμοιον ὅτι πρὸς ἐκεῖνο ἀπείκασται.
τὸ δὲ παράδειγμα ὅμοιον οὐ χρὴ τῇ εἰκόνι λέγειν ἀλλ’ εἰκόνος ἀρχέτυπον.
[«Ma le idee non sono di questo tipo, Aristotele, ma venivano ammesse da coloro che
le introdussero in quanto queste sono idee di se stesse, in quanto totalità, paradigmi e
unità ciascuna nei confronti dei molti che ne partecipano, secondo riferimento ad essa
e similitudine, senza che per questo i termini del rapporto di similitudine si invertano.
Dove infatti vi è partecipazione per i molti all’uno, lì i partecipanti sono simili tra di
loro in virtù dell’identità della partecipazione; dove vi è immagine e paradigma, lì
l’immagine è simile al paradigma in quanto sua copia. Mentre invece non segue che
il paradigma si dica simile all’immagine, ma archetipo dell’immagine.»]

EUSTR., In VI EN, 48,33-38.


140

ARIST., Ethica Nicomachea, I,6,1096b26-28: οὐ γὰρ ἔοικε τοῖς γε ἀπὸ τύχης ὁμωνύμοις. ἀλλ’ ἆρά
141

γε τῷ ἀφ’ ἑνὸς εἶναι ἢ πρὸς ἓν ἅπαντα συντελεῖν, ἢ μᾶλλον κατ’ ἀναλογίαν.


142 Leggo qui ἑκάστη seguendo Grossatesta (unaquaeque), invece di ἑκάστῃ del testo edito da Heylbut.
140 Il neoplatonismo di Eustrazio di Nicea

Ci sembra chiaro che qui Eustrazio difende il principio dell’asimmetria sussi-


stente tra l’idea, il paradigma, e le copie. Tra questi vi è una relazione particolare
per cui le copie partecipano del paradigma o archetipo, mentre quest’ultimo
resta, in un certo senso, impartecipato. L’idea e le sue copie non appartengono al
medesimo piano del reale, ma a due piani distinti. Questo argomento è in sintonia
con la teoria procliana del tutto e delle parti di cui si è già detto e che aveva fatto
la sua apparizione in 1.6 e 1.7. Qui avevamo visto come di fatto Eustrazio appli-
chi la teoria procliana del rapporto tra la monade impartecipata e il molteplice
che da essa deriva al rapporto tra le idee e i partecipanti. In 3.5, Eustrazio di
fatto dice che l’idea resta in un certo senso impartecipata, non affetta dalla par-
tecipazione dei molti rispetto ad essa. E anche in questo caso il testo di Eustrazio
rimanda direttamente a Proclo, più precisamente al commento al Parmenide.

Πάλιν δὲ καθ’ ἕτερον τρόπον, εἰ βούλει, λέγωμεν ὅτι καὶ ὅλων μετέχει τὰ τῇδε τῶν
εἰδῶν καὶ μερῶν· ὅλων μὲν, καθόσον ἀμέριστος αὐτῶν ἐστιν ἡ ποίησις, διὸ καὶ
ὅλη πανταχοῦ πᾶσιν ἡ αὐτὴ πάρεστιν ἑαυτῆς οὖσα πρότερον, ἔπειθ’ οὕτω καὶ τὴν
τῶν μετεχόντων οὐσίαν ἀποπληροῦσα τῆς οἰκείας δυνάμεως· μερῶν δὲ, καθόσον
οὐκ αὐτῶν ἐκείνων, ἀλλ’ εἰδώλων μετέχει, τὰ δὲ εἴδωλα μέρη τῶν οἰκείων ἐστὶ
παραδειγμάτων· οὕτω γὰρ ἡ εἰκὼν ἔχει πρὸς τὸ παράδειγμα ἑαυτῆς, ὡς μέρος πρὸς
ὅλον.
[«Ancora, se si vuole, vi è un altro modo secondo il quale diciamo che le cose parte-
cipano delle Forme sia nella totalità che in parte. Nella totalità, nella misura in cui
la produzione da parte delle idee è indivisibile, e per questo essa è presente come
un tutto in tutti i partecipanti, essendo in primo luogo se stessa e in questo modo
riempiendo la sostanza dei partecipanti della propria potenza. Nelle parti, le cose
non partecipano delle stesse idee, ma di immagini di esse; e queste immagini sono
parti dei loro relativi paradigmi. Infatti in questo modo l’immagine si rapporta al suo
paradigma come una parte al tutto.»]143

Questo e altri passi simili sono lo sfondo della posizione di Eustrazio in rap-
porto all’argomento aristotelico dell’omonimia del bene. Tanto in Proclo, quanto
in Eustrazio, la risposta all’approccio aristotelico poggia sul principio della natura
asimmetrica del rapporto di partecipazione. Segnaliamo in questo senso come

143 PROCLUS, In Platonis Parmenidem cit., 875,6-14. Si veda anche ibid., 852,6-9: Τὸν αὐτὸν δὴ

τρόπον, καὶ τὸ ἄνθρωπος ἐπ’ ἀμφοῖν λεγόμενον οὐχ ὡσαύτως ἐστὶν ἀμφοτέρων εἰκών· οὗ μὲν γάρ ἐστι
παραδείγματος εἰκὼν, οὗ δὲ εἰκόνος καὶ εἰδώλου εἴδωλον. Ibid., 1229,7-13: Ἴσως δ’ ἄν τις ζητήσειε
πῶς εἰκόνα καὶ παράδειγμα τῶν πρός τι λέγοντες, τὸ μὲν εἶναί φαμεν, τὸ δὲ γίγνεσθαι καὶ γεννητὸν
εἶναι. Ῥητέον δὲ ὡς εἰκὼν οὐ γίγνεται εἰκὼν, ἀλλά τι ἄλλο γιγνομένη ἐστὶν τῷ εἴκειν καὶ γίγνεσθαι τοῦ
ἑαυτῆς παραδείγματος εἰκών· καθόσον γὰρ εἰκών ἐστι τοῦ ὄντος, ἔχει τὸ εἶναι τοῦτο ὅπερ δὴ καὶ λέγεται
εἰκονικῶς, καὶ ἀεί ἐστιν εἰκὼν ὡς κἀκεῖνο ἀεὶ παράδειγμα.
II. I commenti filosofici e le dottrine 141

proprio nel testo del commento procliano al Parmenide vi sia un riferimento ad


Aristotele e alla teoria dell’omonimia, in generale applicata al rapporto tra l’idea
e i partecipanti. Qui Proclo risponde che non può esservi medesima definizio-
ne tra idea e partecipante, in quanto le idee sono infinitamente trascendenti e
superiori per natura rispetto ai partecipanti.144 Ancora una volta ci pare chiaro
che Eustrazio si sia mostrato un attento lettore di Proclo. Egli ha compreso bene
che la distinzione tra εἰκών e παράδειγμα, a partire dalla quale Proclo nel testo
descrive la natura asimmetrica del rapporto che lega l’archetipo alla copia, poggia
proprio su di una critica a quel prinicpio dell’omonimia che era il cuore della
critica aristotelica dell’idea del Bene di platonica memoria. Infatti, per fornire
al lettore un altro esempio, Eustrazio discute il riferimento aristotelico in EN,
I,6,1096a34 all’attributo di ‘in sé’ che i platonici utilizzerebbero per descrivere lo
statuto dell’idea. L’argomento di Eustrazio poggia interamente sul rapporto di pre-
sunta ominimia tra i termini uomo (particolare) e uomo (l’idea).145 La cosa viene
anche in questo caso discussa a partire da un analogo argomento presente ancora
una volta nel commento al Parmenide di Proclo, dove si spiega la processione del
molteplice dalla Forma impartecipata a partire proprio dall’esempio dell’uomo.146
Abbiamo dunque visto, in maniera necessariamente sintetica, come anche in
questo caso Proclo sia l’ombra sempre presente dietro le argomentazioni del no-
stro commentatore.147 Addirittura, è stato fatto notare come il riferimento presen-
te nel testo di Eustrazio ai platonici come ai «seguaci di Parmenide e Platone»
non sia altro che una perifrasi impiegata da Eustrazio per riferirsi al commento
di Proclo al Parmenide.148
Cionondimeno l’intelaiatura su cui regge la lunga sezione del commento al
libro I dell’Ethica Nicomachea dedicata alla trattazione aristotelica del Bene
platonico poggia a tutti gli effetti su di un argomento ad hominem contro il Filo-
sofo. Eustrazio in questo senso insinua che Aristotele avrebbe volutamente, in
maniera sofistica, presentato la dottrina platonica del Bene ideale in un modo

144 PROCLUS, In Platonis Parmenidem cit., 939,15-22: Τὸ δὲ ὁμώνυμα τὰ αἰσθητὰ τοῖς νοητοῖς εἶναι πάλιν

κατὰ τὴν Πλατωνικὴν εἴρηται διάταξιν, τὰ ὀνόματα τοῖς τῇδε παρ’ ἐκείνων ἐφήκειν λέγουσαν, ὡς ἐν τοῖς
ἀφ’ ἑνὸς καὶ πρὸς ἓν ὁμωνύμοις λεγομένοις· ἃ δὴ καὶ Ἀριστοτέλους ἐστὶν, ὅτε τοῖς ὁμωνύμοις ὑπάγειν
εἴωθε. ηδεὶς οὖν τὸν αὐτὸν ὁρισμὸν ἀπαιτείτω τούτων τε καὶ ἐκείνων ἀσυντάκτων ὄντων καὶ παντελῶς
ἐκβεβηκότων ἀπὸ τούτων, ὥσπερ τὰ αἴτια τὰ ἐξῃρημένα ἀπὸ τῶν αἰτιατῶν. Si noti come la chiosa finale
di questo passo riprenda il testo della proposizione 75 dell’Elementatio theologica circa la differenza tra
cause e concause, testo che abbiamo visto essere la base del passo 1.1 di Eustrazio discusso in precedenza.
145 EUSTR., In I EN, 49,13-34.
146 PROCLUS, In Platonis Parmenidem cit., 811,25-813,2.
147 Ci pare che lo avesse anche compreso proprio in relazione all’uso di Eustrazio del commento proclia-

no al Parmenide, anche GIOCARINIS, Eustratius cit., 192.


148 EUSTR., In I EN, 49,8. Cfr. STEEL, Neoplatonic cit., 52.
142 Il neoplatonismo di Eustrazio di Nicea

non corretto.149 Al limite si può concedere, come sembra emergere implicita-


mente dalla lettura del testo, che le critiche di Aristotele avrebbero un qualche
valore solo se davvero Platone avesse concepito il Bene come un termine comune
o universale sotto il quale catalogare tutti i beni particolari. Ma in realtà per il
commentatore questa non rappresenta la cifra dell’autentico platonismo, che in-
vece stando a quanto ricorda il commentatore postula l’esistenza del Bene come
principio trascedente, Causa Prima del tutto.
Quanto a Eustrazio, egli si presenta come chi, per correttezza, intende svolge-
re une sorta di difesa di ufficio di Platone.150 Tuttavia i toni da invettiva contro
Aristotele presenti nel testo lasciano pensare ad una difesa che sia tutt’altro che
disinteressata. Si tratta di toni che per certi versi ricordano simili argomenti pre-
senti in Attico e, tramite quest’ultimo e altri autori pagani, negli autori cristiani
della tarda-antichità.151
La risposta di Eustrazio ad Aristotele è a tutti gli effetti la risposta di un autore
che accetta i principi di fondo del neoplatonismo dell’Accademia della tarda
antichità. Che le cose stiano così sembra venire confermato da una sorta di ex-
cusatio non petita presente nel testo. Eustrazio infatti sembra voler rassicurare il
lettore sul fatto che nel difendere Platone non sta egli stesso accettando la teoria
delle idee, nella misura in cui questa potrebbe essere confutata facilmente.152
Ci pare una conferma del fatto che lo stesso commentatore si renda conto di non
dare al lettore l’impressione di essere un lettore imparziale. Ad ogni modo, pro-
babilmente qui Eustrazio si riferisce ad una preoccupazione di tipo cristiano per
cui l’ammissione di entità autosussistenti quali le idee potrebbe compromettere
l’attribuzione di tutto il potere causale all’unico e solo Dio della Rivelazione.
Cionondimeno è possibile che così facendo Eustrazio distingua tra un platonismo
rigido, che appunto postula l’esistenza di idee autosussistenti e separate, e un
platonismo cristianizzato, che presenta le idee come entità sussistenti nella men-
te divina. Questo tipo di esemplarismo divino sarebbe potuto essere considerato
dai contemporanei di Eustrazio come ortodosso.

149 EUSTR., In I EN, 45, 37-38; ibid., 46,2-4; ibid., 50,30-33.


150 EUSTR., In I EN, 49,6-7.
151 Su questi argomenti, si veda BYDÉN, ‘No prince...’ cit., 152-153. Molte di queste testimonianze sono

raccolte in I. DÜRING, Aristotle in the Ancient Biographical Tradition, Institute for Classical Studies, Go-
thenburg 1957 («Studia Graeca et Latina Gothoburgensia», 5), 373-395. Su Attico, si veda G. KARAMANOLIS,
Plato and Aristotle in Agreement? Platonists on Aristotle from Antiochus to Porphyry, Clarendon Press,
Oxford 2006, 150-191.
152 EUSTR., In I EN, 54,33-37.
II. I commenti filosofici e le dottrine 143

4. La dottrina dell’intelletto e della conoscenza


Uno degli aspetti più interessanti e affascinanti che emerge dall’esegesi eustra-
ziana ai tre testi aristotelici che Eustrazio effettivamente commentò è sicura-
mente la dottrina dell’intelletto e della conoscenza sviluppata da questo autore.
Dopo aver analizzato la dottrina della causalità, il modo in cui il commentatore
rilegge il tema tardo-antico della divisione delle scienze e infine il modo, tutt’alro
disinteressato, in cui Eustrazio rifiuta la critica aristotelica del Bene ideale pla-
tonico, abbiamo tutti gli strumenti per poter affrontare con piena consapevolezza
le numerose testimonianze relative a problemi quali lo statuto dell’anima umana
e delle diverse modalità con cui essa conosce.153
Partiamo da una prima testimonianza, che come fatto in precedenza verrà
descritta prima per quel che concerne il suo significato generale, poi nelle sue
singole parti. Il contesto di questo passo, lo anticipiamo, è l’identificazione ope-
rata da Aristotele dell’intelletto come la sola disposizione, tra le cinque dispo-
sizioni tramite le quali attingiamo il vero, atta a cogliere i principi.154 Eustrazio,
tuttavia, sembra cogliere l’occasione per operare una distinzione tra diversi tipi
di intelletti e le relative forme di conoscenza degli intellegibili:

4.1 In VI EN, 317,19-32: ὁ μὲν γὰρ κατ’ οὐσίαν νοῦς πάντα ἔχων ἐν ἑαυτῷ τὰ γνωστὰ καὶ
ἁπλαῖς ἐπιβολαῖς καὶ ἀθρόοις καταλαμβάνων αὐτὰ οὐδέποτε ἐξίσταται ἀπ’ αὐτῶν,
ὁ δὲ ἐν ἡμῖν νοῦς καθ’ ἕξιν ἔχων τὸ εἶναι, μόνας ἔχει ἐξ ἀρχῆς τὰς κοινὰς ἐννοίας
οἰκεῖα ἐνεργήματα καὶ νοήματα ἀπηχήματά τινα ἐν ἑαυτῷ τοῦ ἁπλῶς ὑπάρχοντος
νοῦ, ὅταν δὲ τῆς τῶν παθῶν ἀπαλλαγῇ συγχύσεως καὶ τῶν συνηρτημένων ὑπεραρθῇ
δυνάμεων καὶ τὸ τέλειον αὐτοῦ ὑπολήψεται ἑαυτοῦ μόνου γενόμενος, τότε καὶ
ἑκάστῳ τῶν νοητῶν ἁπλῶς ἐπιβάλλειν δύναται, οὐκ ἀθρόον οὐδ’ ἐν αἰῶνι ὡς ὁ
κυρίως νοῦς καταλαμβάνων αὐτὰ ἀλλὰ καθ’ ἓν καὶ ἐν χρόνῳ καὶ μεταβαίνων ἀφ’
ἑτέρου εἰς ἕτερον, ὡς προείρηται. δεῖ γὰρ τὴν ψυχὴν τῇ πρὸς τὸν νοῦν γειτνιάσει ἔχειν
τι νοερὸν τοῦ ὑπὲρ αὐτὴν τεταγμένου μετέχουσαν, ἵνα καὶ τῶν ὄντων αἱ πρόοδοι ἐκ
τῆς πρώτης αἰτίας καθ’ εἱρμὸν γίνοιντο, ἀεὶ τοῦ ὑφειμένου συναπτομένου τῷ πρὸ
αὐτοῦ καί τινα πρὸς ἐκεῖνο κεκτημένου ὁμοίωσιν, ὡς καὶ μετὰ τὴν λογικὴν ψυχὴν
οὐχ ἡ φύσις εὐθὺς καὶ τὰ σώματα ἀλλὰ ζωαί τινες ἕτεραι, ἃς ἐντελεχείας φασὶν
εἶναι, ἀχωρίστους οὔσας σωμάτων καὶ οἰκείως αὐτῶν ἐπιγινομένας ταῖς κράσεσι
καὶ τούτων διαλυομένων συναπιούσας.
[«L’intelletto per essenza, nella misura in cui possiede in se stesso tutti gli intel-

Abbiamo discusso questo problema in TRIZIO, Neoplatonic cit., 90-108.


153

ARIST., Ethica Nicomachea, VI,6,1141a3-8: εἰ δὴ οἷς ἀληθεύομεν καὶ μηδέποτε διαψευδόμεθα περὶ
154

τὰ μὴ ἐνδεχόμενα ἢ καὶ ἐνδεχόμενα ἄλλως ἔχειν, ἐπιστήμη καὶ φρόνησίς ἐστι καὶ σοφία καὶ νοῦς, τούτων
δὲ τῶν τριῶν μηδὲν ἐνδέχεται εἶναι (λέγω δὲ τρία φρόνησιν ἐπιστήμην σοφίαν), λείπεται νοῦν εἶναι τῶν
ἀρχῶν.
144 Il neoplatonismo di Eustrazio di Nicea

legibili e nella misura in cui li considera tramite intuizioni semplici e immediate,


non li abbandona mai; il nostro intelletto, invece, che esiste a titolo di disposizione,
possiede dal principio solo nozioni comuni come propri prodotti e concetti a titolo
di eco in sé dell’Intelletto assoluto. Allorquando sia diventato puro dalla confusione
dovuta alle passioni e abbia trasceso le facoltà associate a queste, acquisirà la propria
perfezione diventando solo se stesso; a questo punto può afferrare gli intellegibili
per intuizioni semplici, per quanto non in maniera simultanea né in maniera eterna,
come l’Intelletto Primo li afferra, ma acquisendoli uno per volta, in maniera tempo-
rale, passando dall’uno all’altro, come si è già detto. È necessario per questo che
l’anima possegga un qualcosa di intellettuale in virtù della prossimità con l’Intelletto,
partecipando del livello superiore rispetto ad essa, in modo che anche le processioni
dalla Causa Prima siano in sequenza, sempre legando assieme ciò che è subordinato
a ciò che è immediatamente sovraordinato, il primo avendo rispetto al secondo una
certa similitudine. In modo che dopo l’anima razionale non vi sia subito la natura e i
corpi, ma certe altre vite, che dicono essere atti, le quali sono inseparabili dai corpi,
sopraggiungono in maniera appropriata ai loro temperamenti, e vengono meno quando
questi si distruggono.»]

Questo testo distingue in generale tra due intelletti, un Intelletto separato,


e l’intelletto particolare dell’individuo umano. Il primo contiene in sé gli intel-
legibili e li conosce in maniera immediata, il secondo invece non ha accesso a
questa modalità conoscitiva, ma può giungervi seguendo le tracce che esso reca
in sé di questi intellegibili presenti nell’Intelletto separato, allorquando lo stesso
intelletto abbia trasceso le passioni e le altre condizioni materiali che caratteriz-
zano la sua esistenza legata al corpo. Tuttavia, quand’anche l’intelletto dovesse
riuscire a recuperare la modalità conoscitiva appropriata, non godrà mai della
perfetta intellezione di cui gode l’Intelletto o Intelligenza separata.
Ci sembra abbastanza chiaro che ci si trovi di fronte ad una prospettiva ancora
una volta marcatamente neoplatonica. In effetti questo argomento è una sorta di
puzzle formato da diversi spezzoni presi dall’opera di Proclo. La cosa emerge
chiaramente qualora si scomponga il testo e lo si analizzi nelle sue singole parti.
Procediamo con ordine.
Il passo si apre con una distinzione tra un intelletto «secondo la sostanza»
(κατ’ οὐσίαν) e un intelletto «secondo disposizione» (καθ’ ἕξιν). Già qui si può
facilmente stabilire un legame con l’opera procliana, in particolare con un passo
del commento al Timeo in cui Proclo distingue tre intelletti: il primo è quello de-
miurgico, il secondo quello partecipato dall’anima, il terzo quello per disposizio-
ne (καθ’ ἕξιν), per il quale l’anima è intelligente.155 Eustrazio sembra proiettare

155 PROCLUS, In Platonis Timaeum cit., 2,313,1-4: τριχῶς γὰρ ὁ νοῦς· πρῶτος μὲν ὁ θεῖος, οἷος δὴ καὶ
II. I commenti filosofici e le dottrine 145

questi statuti dell’intelletto ai due casi particolari dell’Intelligenza separata, da


un lato, e dell’intelletto umano, dall’altro. A ben vedere la stessa distinzione tra
un intelletto tale «secondo la sostanza» (κατ’ οὐσίαν) e uno tale «secondo dispo-
sizione» (καθ’ ἕξιν) richiama da vicino temi procliani. Basta tornare ancora al
commento procliano al Timeo, in un passo dove Proclo si chiede se l’Intelletto, in
quanto superiore all’anima, sia «sostanziale» (οὐσιώδης) o una «disposizione»
(ἕξις). Proclo conclude che esso è sostanziale, mentre ad essere «per disposizio-
ne» (καθ’ ἕξιν) è l’anima, la quale opera intellettivamente muovendosi secondo il
movimento del circolo dell’Identico attorno all’intellegibile.156 Si tratta di quello
stesso movimento circolare dell’anima attorno all’Intelletto visto in precedenza
e ripreso dal commento procliano al Parmenide.
Dunque Eustrazio utilizza questo dittico Procliano applicandolo ai casi parti-
colari dell’Intelligenza separata e dei vari intelletti particolari umani. In effetti
anche la descrizione delle diverse modalità operative che competono a questi
diversi intelletti in virtù del loro diverso statuto è ugualmente tratta da Proclo.
L’argomento generale riguarda il diverso modo in cui l’Intelletto e gli intellet-
ti particolari possiedono gli intellegibili, il primo essendo sempre in contatto
con essi, i secondi in maniera derivata e secondaria. Si tratta di un principio
ben esemplificato da un argomento procliano tratto dall’Elementatio theologica,
proposizione 194, dove si legge che «ogni anima possiede tutte le forme che
l’Intelletto possiede in modo primario» (Πᾶσα ψυχὴ πάντα ἔχει τὰ εἴδη, ἃ ὁ
νοῦς πρώτως ἔχει).157
Nel caso specifico del testo di Eustrazio si legge che l’Intelletto separato «nel-
la misura in cui possiede in se stesso tutti gli intellegibili e nella misura in cui li
considera tramite intuizioni semplici e immediate, non li abbandona mai» (πάντα
ἔχων ἐν ἑαυτῷ τὰ γνωστὰ καὶ ἁπλαῖς ἐπιβολαῖς καὶ ἀθρόοις καταλαμβάνων
αὐτὰ οὐδέποτε ἐξίσταται ἀπ’ αὐτῶν).158 Il dativo ἁπλαῖς ἐπιβολαῖς rimanda
all’utilizzo in Proclo del termine ἐπιβολή e della forma verbale ἐπιβάλλειν per

ὁ δημιουργικός, δεύτερος δὲ ὁ μετεχόμενος ὑπὸ τῆς ψυχῆς, οὐσιώδης καὶ αὐτοτελής, τρίτος δὲ ὁ καθ’
ἕξιν, δι’ὃν ἡ ψυχὴ νοερά ἐστιν. Una simile distinzione compare anche in ID., In Platonis Alcibiadem cit.,
65,19-66,6, dove questi tre tipi di intelletto sono associati a tre tipi diversi di amore.
156 PROCLUS, In Platonis Timaeum cit., 1,406,14-25. Si noti anche che il dittico κατ’ οὐσίαν-καθ’ ἕξιν

o κατὰ μέθεξιν occorre in generale per descrivere diversi modi di esistenza o di possesso di una proprietà.
Come in e.g. ID., Elementatio cit., 20, 22,11-12 e ibid., 119, 104,17. Talora Proclo confronta questi due
statuti con un terzo, ossia κατ’ αἰτίαν. Si vedano anche ID., Theologia cit., 1,64,19-20; ibid., 4,11,19-20;
ibid., 5,51,18-19; ibid., 5,140,13-14; ibid., 6,113,6-7.
157 PROCLUS, Elementatio cit., 194, 168,30. Si veda anche ID., In Platonis Parmenidem cit., 809,1-3: Οὐ δὴ

θαυμαστόν ἐστιν οὐκέτι, τῶν θείων εἰδῶν ὁμοῦ καὶ ἡνωμένως ἐν τῷ δημιουργικῷ νῷ προϋφεστηκότων,
τὴν ἡμετέραν ψυχὴν διῃρημένως αὐτοῖς ἐπιβάλλειν.
158 EUSTR., In VI EN, 317,20-21.
146 Il neoplatonismo di Eustrazio di Nicea

descrivere una forma di conoscenza intuitiva e immediata antitetica rispetto a


quella discorsiva o scientifica che procede per sillogismi.159 Del resto era stato
proprio Proclo che, nel riprendere la caratterizzazione aristotelica dell’intelletto
come ciò tramite cui cogliamo i principi, aveva descritto questa conoscenza come
ciò che impieghiamo «quando conosciamo gli enti tramite intuizioni semplici»
(ἁπλαῖς ἐπιβολαῖς τὰ ὄντα γινώσκοντες).160 Altrove Proclo utilizza questo sin-
tagma anche in rapporto al modus operandi dell’intelletto umano nella sua pie-
na attualizzazione, come nel commento all’Alcibiade, dove Proclo legge ancora
una volta l’indicazione aristotelica sull’intelletto come ciò per cui cogliamo i
principi nel senso di quell’irradiazione che sopravviene all’anima dall’Intelletto
separato che ci permette di contemplare le classi di enti semplici, separati e
immobili «tramite intuizioni semplici e indivise» (ταῖς ἁπλαῖς καὶ ἀμερίστοις
ἐπιβολαῖς).161
Ci pare assai rilevante che in entrambi questi passi Proclo sta rileggendo a
proprio modo la stessa indicazione aristotelica di EN, VI,6,1141a3-8. oggetto
del commento di Eustrazio. Proprio come in 3.4, dove Eustrazio riportava la

159 Si veda e.g. PROCLUS, In Platonis Parmenidem cit., 704,22-705,1: καὶ ὁ μὲν κατὰ τὴν πρώτην

διαλεκτικὴν τὴν ταῖς ἁπλαῖς ἐπιβολαῖς τὰ ὄντα διαλέγουσαν, ὁ δὲ κατά τινα δευτέραν τὴν διὰ συνθέσεως
καὶ λόγων ὁδεύουσαν. αὶ ὁ μὲν ὡς νοῦς· νοῦ γάρ ἐστι τὸ ὂν θεωρεῖν, ἐπειδὴ καὶ τὸ πρώτως ὂν τοῦ
πρωτίστου νοῦ νοητόν ἐστιν· ὁ δὲ ὡς ἐπιστήμη· ταύτης γὰρ ἔργον ἅμα καὶ τὰ ἀντικείμενα θεωρεῖν,
καὶ τὸ μὲν ἀληθὲς ἐγκρίνειν, τὸ δὲ ψευδὲς ἀποδοκιμάζειν. La terminologia in questione è tuttavia già
presente in PLOTINUS, Enneades cit., VI,3 [44],18, 117,11-12: ἡ μὲν αἴσθησις, ὅτι μηδ’ αὐτῆς ὁ λόγος,
ἀλλὰ μόνον μηνύσεις διαφόρους ποιήσασθαι, ὁ δὲ νοῦς ἐν ταῖς αὐτοῦ ἐπιβολαῖς ἁπλαῖς καὶ οὐ λόγοις
χρῆται πανταχοῦ. Si veda anche AMMONIUS, In Aristotelis analyticorum priorum librum i commentarium, ed.
M. WALLIES, Reimer, Berlin 1899 («Commentaria in Aristotelem Graeca», IV,6), 3,17-19: οὐ παρείληπται
δὲ ἡ νοερὰ δύναμις τῆς ψυχῆς, ἐπειδὴ ἐκείνη οὐ διὰ συλλογισμῶν ἀλλ’ ἁπλαῖς ἐπιβολαῖς γινώσκει ἃ
γινώσκει. Ibid., 24,34-35: ἡ μὲν γὰρ πρώτη διὰ τὴν ἀπὸ τοῦ νοῦ ἔλλαμψιν εἰς αὐτὴν ἐφήκουσαν ἁπλαῖς
ἐπιβολαῖς γιγνώσκει ἃ γιγνώσκει. SYRIANUS, In Aristotelis Metaphysica cit., 109,27-28: Ἐνίοτε μὲν καὶ
ἐπιβολαῖς ἐχρῶντο νοεραῖς οἱ ἄνδρες, καὶ εἰκὸς ὅτι διὰ ταύτας οὔ φησιν αὐτούς ποτε συλλογίζεσθαι.
HERMIAS, In Platonis Phaedrum scholia, ed. P. COUVREAUR, Bouillon, Paris 1901, 85,6-7: αθὸ δὲ ἐκ νοῦ
ὑφίσταται, ἔχει τὸ νοερὸν, καθὸ ἁπλαῖς ἐπιβολαῖς καὶ οὐ διεξοδικῶς αἱρεῖ τὰ εἴδη, καθὸ καὶ συνάπτεται
τῷ ὑπὲρ ἑαυτὴν νῷ. Ibid., 89,10-15: Εἶτα ἀποστᾶσα ταύτης τῆς θείας ἑνώσεως κατῆλθεν εἰς νοῦν καὶ
οὐκέτι ἡνωμένως καὶ ἐν ἑνὶ εἶχε τὰ ὄντα, ἀλλὰ ἁπλαῖς ἐπιβολαῖς καὶ οἷον θίξεσι τοῦ νοῦ αὐτῆς αὐτὰ
ἤθρει καὶ ἑώρα. Ἔπειτα καὶ τοῦ νοῦ ἀποστᾶσα καὶ εἰς λογισμὸν καὶ διάνοιαν κατελθοῦσα, οὐκέτι οὐδὲ
ἁπλαῖς ἐπιβολαῖς αὐτὰ ᾕρει, ἀλλὰ συλλογιστικῶς καὶ μεταβατικῶς καὶ ἄλλο ἐξ ἄλλου, ἀπὸ προτάσεων
ἐπὶ συμπεράσματα ἐρχομένη. Si veda, dopo Proclo, PHILOPONUS, In Aristotelis libros de anima commentaria,
ed. M. HAYDUCK, Reimer, Berlin 1897 («Commentaria in Aristotelem Graeca», XV), 2,7-8: τοῦ δὲ νοῦ ἔργον
τὸ ἁπλαῖς ἐπιβολαῖς κρειττόνως ἢ κατὰ ἀπόδειξιν ἐπιβάλλειν τοῖς πράγμασιν. ASCLEPIUS, In Aristotelis
Metaphysicorum cit., 374,8: ὁ γὰρ νοῦς αἱρεῖ τὰ ἁπλᾶ, τουτέστι τὰ νοητά, ἁπλαῖς ἐπιβολαῖς.
160 PROCLUS, In Platonis Timaeum cit., 1,438,29-439,1.
161 PROCLUS, In Platonis Alcibiadem cit., 247,4-7: ἐπὶ τοῦτον τοίνυν τὸν νοῦν ἀναβάντες μετ’ αὐτοῦ τὴν

νοητὴν οὐσίαν θεασώμεθα, ταῖς ἁπλαῖς καὶ ἀμερίστοις ἐπιβολαῖς τὰ ἁπλᾶ καὶ ἀτρεμῆ καὶ ἀμέριστα
τῶν ὄντων ἐποπτεύοντες γένη.
II. I commenti filosofici e le dottrine 147

lettura procliana (rinvenuta nel testo della prop. 8 dell’Elementatio theologica)


dell’espressione τἀγαθὸν nella definizione di bene come ciò cui ogni cosa tende
con cui si apre l’Ethica Nicomachea. Anche nel caso di 4.1 ci pare chiaro che
Eustrazio presta particolare attenzione a quei passi in Proclo dove vengono ri-
lette indicazioni aristoteliche dall’Ethica Nicomachea.
Torniamo adesso alla prima parte di 4.1, dove Eustrazio descrive la modalità
di possesso degli intellegibili da parte dell’Intelletto separato. Oltre a possederli
in se stesso e a coglierli in maniera intuitiva e immediata, Eustrazio aggiunge
che «non li abbandona mai» (οὐδέποτε ἐξίσταται ἀπ’ αὐτῶν). Qui Eustrazio sta
riprendendo un passo dal commento procliano all’Alcibiade I, dove Proclo parla
della modalità conoscitiva delle classi superiori rispetto alla nostra anima. Que-
ste non raggiungono la conoscenza per tramite di un processo di apprendimento,
bensì sono sempre unite agli intellegibili e «non li lasciano mai» (οὐδέποτε
ἀφίσταται αὐτῶν).162
Dunque all’intelletto che Eustrazio definisce tale «secondo la sostanza» (κατ’
οὐσίαν) spetta una conoscenza unitaria e immediata degli intellegibili. Tale in-
telletto è sempre in contatto con essi. Non così l’intelletto che Eustrazio definisce
«secondo disposizione» (καθ’ ἕξιν). Scrive a questo proposito il commentatore:
«il nostro intelletto, invece, che esiste a titolo di disposizione, possiede dal prin-
cipio solo nozioni comuni come propri prodotti e concetti a titolo di eco in sé
dell’Intelletto assoluto» (ὁ δὲ ἐν ἡμῖν νοῦς καθ’ ἕξιν ἔχων τὸ εἶναι, μόνας ἔχει
ἐξ ἀρχῆς τὰς κοινὰς ἐννοίας οἰκεῖα ἐνεργήματα καὶ νοήματα ἀπηχήματά τινα
ἐν ἑαυτῷ τοῦ ἁπλῶς ὑπάρχοντος νοῦ).163 Viene qui presentata una situazione
opposta a quella che caratterizzava l’Intelletto separato. L’intelletto secondo di-
sposizione, infatti, non gode dello stesso privilegio dell’Intelletto separato. Es-
so possiede secondo Eustrazio due tipi di concetti: delle nozioni comuni che
risultano da una propria operazione e dei concetti che costituiscono delle eco
dell’intelletto che esiste in maniera assoluta, ossia lo stesso Intelletto separato.
Vediamo di cosa si tratta.
Come vedremo in altri passi di questa sezione, Eustrazio ritiene che l’ani-
ma intellettiva umana di per sé non sia capace di altra operazione che quella
riconducibile alla ragione discorsiva o dianoia. Si tratta di un’operazione che
si articola all’interno di una sequenza sillogistica i cui punti di partenza sono
costituiti da termini ricavati per astrazione dai particolari sensibili. Quello di
«nozione comune» è un concetto di derivazione stoica che indica quell’insieme

162 PROCLUS, In Platonis Alcibiadem cit., 187,8-11: οὔτε γὰρ τὰ κρείττονα γένη τῆς ἡμετέρας ψυχῆς

διὰ μαθήσεως ἢ εὑρέσεως τυγχάνει τῆς ἑαυτῶν τελειότητος· ἀεὶ γὰρ σύνεστι τοῖς ἑαυτῶν γνωστοῖς καὶ
οὐδέποτε ἀφίσταται αὐτῶν {...}.
163 EUSTR., In VI EN, 317,21-23.
148 Il neoplatonismo di Eustrazio di Nicea

di conoscenze non derivate da insegnamento e, per così dire, naturali, su cui tutti
gli uomini concordano. Si tratta di una nozione con una storia importante che
qui non può, per ovvi motivi, venire richiamata nella sua completezza. Ciò che
qui ci interessa è notare come Eustrazio sembri risentire dell’utilizzo del termine
in questione nell’opera dei tardi neoplatonici, dove il termine viene usato per
definire proprio i punti di partenza dell’argomentazione discorsiva, fino ad essere
identificato interamente con gli assiomi indimostrabili delle scienze.164 Semmai
il problema è che in 4.1, descritte come il risultato di un’attività dell’anima,
sembra che tali nozioni derivino da una sorta di induzione e non siano relative
alle ragioni innate presenti nell’anima.165 Infatti subito dopo Eustrazio parla di
«concetti a titolo di eco in sé dell’Intelletto assoluto» (νοήματα ἀπηχήματά τινα
ἐν ἑαυτῷ τοῦ ἁπλῶς ὑπάρχοντος νοῦ), come a voler distinguere chiaramente tra
questi concetti, che sarebbero una traccia in noi del mondo intellegibile e che
sembrano coincidere proprio con le ragioni innate nell’anima, e le nozioni comu-
ni che, al contrario, non sarebbero equiparabili a delle ragioni innate. La fonte di
questa distinzione potrebbe derivare da un’altra indicazione procliana, tratta dal
commento al Parmenide, in cui Proclo distingue chiaramente tra νοήματα, nel
senso delle proiezioni dei logoi presenti nell’anima, e ἐννοήματα, «concezioni»
(qui Proclo pensa alle nozioni comuni degli Stoici) «le quali sono infatti prodotti
che sono ridestati a partire dalle impressioni sensoriali» (ἐνεργήματα γάρ εἰσιν
ἐκεῖνα ἀπὸ τῶν φαντασιῶν ἀνεγειρόμενα).166 Eustrazio, lo abbiamo visto, cono-
sce assai bene questo testo di Proclo, e il fatto che proprio come il commento al
Parmenide egli definisca ciò che deriva in qualche modo all’anima dall’esterno,
in antitesi alle conoscenze innate nell’anima, con il termine ἐνεργήματα ci pare
costituisca un indizio serio per stabilire un legame diretto tra i due testi.
Passiamo adesso alla descrizione dei contenuti innati nell’anima. Essi sareb-
bero dei «concetti che sussistono a titolo di eco in noi di un Intelletto assoluto»
(νοήματα ἀπηχήματά τινα ἐν ἑαυτῷ τοῦ ἁπλῶς ὑπάρχοντος νοῦ). Il termine
ἀπηχήματα, «eco» o «risonanze» come descrizione del patrimonio conoscitivo

164 Su questa dottrina si vedano, D.J. O’MEARA, Le problème de la métaphysique dans l’antiquité tardive,

«Freiburger Zeitschrift für Philosophie und Theologie», 33 (1986), 1-14, in part. 12-13; A.C. LLOYD, The
Anatomy of Neoplatonism, Clarendon Press, Oxford 1998, 23. Per alcuni riferimenti alla letteratura prima-
ria in cui il termine occorre secondo questa accezione, si vedano SYRIANUS, In Aristotelis Metaphysica cit.,
18,9-10; ibid., 21,31-34; PROCLUS, In Euclidis cit., 240,11-14; AMMONIUS, In Aristotelis librum cit., 7,16-22;
ASCLEPIUS, In Aristotelis cit., 158,11-13. L’assimilazione delle nozioni comuni con gli assiomi occorre però
già in ALEXANDER APHRODISIENSIS, In Aristotelis topicorum libros octo commentaria, ed. M. WALLIES, Reimer,
Berlin 1891 («Commentaria in Aristotelem Graeca», II,2), 18,19-21.
165 Su questo problema si veda C. HELMIG, Forms and Concepts. Concept Formation in the Platonic Tra-

dition, De Gruyter, Berlin-Boston 2012 («Commentaria in Aristotelem Graeca et Byzantina», 5), 270-272.
166 PROCLUS, In Platonis Parmenidem cit., 895,29-896,17.
II. I commenti filosofici e le dottrine 149

insito nell’anima rimanda ancora una volta a Proclo, dove esso viene impiegato
per descrivere le ultime diramazioni della potenza causale degli ordini supe-
riori.167 Queste eco sono vestigia del mondo intellegibile che l’anima reca in sé
anche dopo che essa è caduta incarnandosi in un corpo.
Vedremo a breve in che modo Eustrazio descrive questa caduta. Seguiamo
invece ancora il filo di 4.1. Il fatto che l’anima rechi in sé tracce del mondo
intellegibile nella forma di contenuti innati nell’anima stessa suggerisce che
l’anima può, in qualche modo, colmare quella divaricazione quanto all’operare
intellettivo che la separa dalla perfetta e immediata intellezione dell’Intelligenza
separata. In maniera coerente rispetto all’approccio neoplatonico del commenta-
tore, questo avviene evidentemente tramite il trascendimento degli ostacoli che
si frappongono tra l’anima e la riscoperta della sua dimensione autenticamente
intellettuale. Si tratta di ostacoli derivati dal legame con il corpo.
È questo un tema molto caro a Eustrazio, il quale lo elabora a partire da un
insieme variegato di fonti, come si avrà modo di vedere in maniera dettagliata
nella sezione 6 della II parte di questo lavoro. In rapporto a 4.1, tuttavia, è ancora
al tardo neoplatonismo che Eustrazio guarda come ad un repertorio di parole e
immagini. Qui infatti Eustrazio scrive che l’intelletto potrà tornare ad operare in
maniera autenticamente intellettuale «allorquando sia diventato puro dalla con-
fusione dovuta alle passioni e abbia trasceso le facoltà associate a queste» (ὅταν
δὲ τῆς τῶν παθῶν ἀπαλλαγῇ συγχύσεως καὶ τῶν συνηρτημένων ὑπεραρθῇ
δυνάμεων).168 In un passo dal commento all’Alcibiade I, Proclo parla in maniera
analoga della necessità dell’anima di riscattarsi dalla condizione seguita alla
discesa nel corpo. In particolare l’anima dovrebbe «mettere ordine alle potenze
secondarie e terziarie associate ad essa» (κοσμῆσαι μὲν τὰς δευτέρας καὶ τρίτας
δυνάμεις τὰς συνηρτημένας αὐτῇ).169 Qui Proclo pensa, conformemente ad
una prospettiva di tipo platonico, ad una tripartizione delle facoltà dell’anima
in razionale, irascibile e concupiscibile. Sono queste ultime due, appunto la
seconda e la terza, le potenze che l’anima ha ricevuto per così dire in dote dal
suo legame con il corpo.
Come si può vedere Proclo rappresenta per Eustrazio una sorta di repertorio
lessicale da cui attingere in maniera libera termini, lessemi, espressioni, frasi

167 Cfr. e.g. PROCLUS, In Platonis Alcibiadem cit., 99,13-19; ID., Theologia cit., 1,125,3-8; ID., Elementa-

tio cit., 129, 114,26-28. L’origine procliana del termine in questione è stata anche difesa da IERODIAKONOU,
Metaphysics cit., 81, nt. 30. Il termine ἀπηχήμα viene anche da Proclo utilizzato per descrivere lo statuto
dei concetti derivati per astrazione dai particolari in rapporto alla conoscenza primaria e divina in PROCLUS,
In Platonis Parmenidem cit., 895,29-30.
168 EUSTR., In VI EN, 317,24-25.
169 PROCLUS, In Platonis Alcibiadem cit., 224,9-10.
150 Il neoplatonismo di Eustrazio di Nicea

ecc., che il nostro commentatore rielabora in maniera libera all’interno di argo-


menti che egli forgia in maniera autonoma. Tuttavia anche questa operazione
si regge su di un accordo di fondo con i presupposti dottrinali su cui poggia la
psicologia procliana. Questo appare evidente in 4.1, quando subito dopo aver
presentato la possibilità per l’anima di trascendere gli ostacoli derivati all’in-
telletto umano dal suo essere in un corpo, il commentatore aggiunge: «a questo
punto può afferrare gli intellegibili per intuizioni semplici, per quanto non in
maniera simultanea né in maniera eterna, come l’Intelletto Primo li afferra, ma
acquisendoli uno per volta, in maniera temporale, passando dall’uno all’altro»
(τότε καὶ ἑκάστῳ τῶν νοητῶν ἁπλῶς ἐπιβάλλειν δύναται, οὐκ ἀθρόον οὐδ’ ἐν
αἰῶνι ὡς ὁ κυρίως νοῦς καταλαμβάνων αὐτὰ ἀλλὰ καθ’ ἓν καὶ ἐν χρόνῳ καὶ
μεταβαίνων ἀφ’ ἑτέρου εἰς ἕτερον).
Questa parte di 4.1 è importante nella misura in cui emerge chiaramente che,
anche quando l’intelletto abbia trasceso gli ostacoli materiali e abbia raggiunto
una conoscenza puramente intellettuale e non discorsiva, tuttavia la frattura tra
l’operare intellettivo dell’intelletto umano e l’operare intellettivo dell’Intelligen-
za separata resta incolmabile. Adesso però la frattura non è più tra un operare
di tipo discorsivo e un operare intuitivo, bensì all’interno del medesimo tipo di
intellezione «per intuizioni semplici» tra un’intellezione eterna, simultanea e
continuata (quella dell’Intelligenza) e un’intellezione discontinua, temporale,
costretta a cogliere gli intellegibili che l’Intelligenza coglie in maniera simulta-
nea in maniera individuale uno alla volta, passando da uno all’altro.
Eustrazio accetta pienamente il principio elaborato da Proclo secondo il quale
l’anima umana sarebbe caratterizzata da una frattura tra la propria essenza, eter-
na, e il proprio operare, che è necessariamente di natura temporale. Se il Nous
e le anime di rango superiore alla nostra pensano senza interruzione, l’anima
umana agisce e pensa in maniera discontinua. Nelle entità superiori all’anima
la conoscenza è in un certo senso coestensiva rispetto all’essenza; nell’anima
umana, invece, si registra una separazione tra essenza e attività.170 Avevamo
già incontrato questo principio in precedenza, quando Eustrazio aveva citato
(questa volta alla lettera) un passo dal commento di Proclo al Parmenide in cui
si raccontava appunto della necessità per l’anima di danzare in circolo attor-

170 Si tratta di un principio ben esemplificato in PROCLUS, Elementatio cit., 191, 166,26-27: Πᾶσα ψυχὴ

μεθεκτὴ τὴν μὲν οὐσίαν αἰώνιον ἔχει, τὴν δὲ ἐνέργειαν κατὰ χρόνον. Su questo si veda C. STEEL, Breathing
Thought: Proclus on the Innate Knowledge of the Soul, in J.J. CLEARY (ed.), The Perennial Tradition of Ne-
oplatonism, Leuven University Press, Leuven 1997, 293-309, in part. 296-297; D.J. O’MEARA, La science
métaphysique (ou théologie) de Proclus comme exercise spirituel, in A.PH. SEGONDS/C. STEEL (éds), Proclus et
la Théologie platonicienne. Actes du Colloque International de Louvain (13-16 mai 1998) en l’honneur de
H.D. Saffrey et L.G. Westerink, Les Belles Lettres, Paris/Leuven University Press, Leuven 2000, 279-290.
II. I commenti filosofici e le dottrine 151

no all’Intelletto per cogliere attraverso singoli atti cognitivi quanto l’Intelletto


coglie in maniera unitaria e simultanea. In particolare, in 4.1 Eustrazio scrive
che l’intelletto per disposizione coglierebbe gli intellegibili «passando da uno
all’altro» (μεταβαίνων ἀφ’ ἑτέρου εἰς ἕτερον). L’uso della forma μεταβαίνειν
per descrivere questa parcellizzazione dell’intellezione in distinti atti cognitivi
è tipico di Proclo.171 Si confronti questo passo di Eustrazio con un passo dal
commento procliano al Timeo:

καὶ ἔοικεν ὁ λόγος πᾶσαν γνῶσιν τοῦ ἀεὶ ὄντος ἐκφαίνων νόησιν μὲν αὐτὴν εἰπεῖν
τὴν πρώτην, ὅπως δὲ μὴ μόνην αὐτὴν ὑπολάβῃ, προσθεῖναι τῇ νοήσει τὸν λόγον,
τῷ μεταβατικῷ διελών, ὡς ὅταν γε λόγος νοῇ τὸ ἀεὶ ὄν, ὡς μὲν λόγος ἐνεργεῖ
μεταβατικῶς, ὡς δὲ νοῶν μετὰ ἁπλότητος, ἕκαστον μὲν ὡς ἁπλοῦν ἅμα νοῶν,
οὐ πάντα δὲ ἅμα, ἀλλὰ μεταβαίνων ἀπ’ ἄλλων ἐπ’ ἄλλα, νοῶν δὲ πᾶν ὃ νοεῖ
μεταβαίνων ὡς ἓν καὶ ἁπλοῦν.
[«Sembra che l’argomento, che mostra ogni conoscenza dell’eterno, dica che questa
conoscenza sia la prima; ma, in modo che non venga considerata questa sola, aggiunge
alla conoscenza la caratterizzazione di ‘razionale’, distinguendola in virtù del suo ca-
rattere transitivo, nella misura in cui quando la ragione pensa l’eterno, come ragione
opera in maniera transitiva, come intelletto opera in maniera semplice, pensando ogni
cosa in maniera semplice e immediata; ma non pensa tutto in maniera simultanea,
bensì passando da uno all’altro, per quanto pensando tutto ciò che pensa in questa
transizione come uno e semplice.»]172

Questo passo verrà richiamato a breve in merito ad un altro testo di Eustrazio.


Qui basta tuttavia segnalare quanto il carattere transitivo della conoscenza in
Eustrazio, in virtù del quale l’intelletto particolare umano può solo passare da
un intellegibile all’altro, senza godere dell’intellezione simultanea delle entità
superiori, sia ripreso finanche terminologicamente da Proclo.
Ci avviamo verso il termine di 4.1. Eustrazio sembra porre adesso il presup-
posto metafisico in grado di dare conto dell’operare intellettivo dell’intelletto
umano. Il testo recita nel seguente modo:

δεῖ γὰρ τὴν ψυχὴν τῇ πρὸς τὸν νοῦν γειτνιάσει ἔχειν τι νοερὸν τοῦ ὑπὲρ αὐτὴν
τεταγμένου μετέχουσαν, ἵνα καὶ τῶν ὄντων αἱ πρόοδοι ἐκ τῆς πρώτης αἰτίας καθ’

171 Si vedano anche PROCLUS, Theologia cit., 4,43,20-22; ID., In Platonis Timaeum cit., 1,249,1-2; ibid.,

1,343,12-13; ibid., 2,289,4-5.


172 PROCLUS, In Platonis Timaeum cit., 1,246,2-9. Si vedano anche ID., Theologia cit., 4,43,20-22; ID., In

Platonis Timaeum cit., 1,249,1-2; ibid., 1,343,12-13; ibid., 2,289,4-5.


152 Il neoplatonismo di Eustrazio di Nicea

εἱρμὸν γίνοιντο, ἀεὶ τοῦ ὑφειμένου συναπτομένου τῷ πρὸ αὐτοῦ καί τινα πρὸς
ἐκεῖνο κεκτημένου ὁμοίωσιν.
[«È necessario per questo che l’anima possegga un qualcosa di intellettuale in virtù
della prossimità con l’Intelletto, partecipando del livello superiore rispetto ad essa, in
modo che anche le processioni dalla Causa Prima siano in sequenza, sempre legando
assieme ciò che è subordinato a ciò che è immediatamente sovraordinato, il primo
avendo rispetto al secondo una certa similitudine»].173

Si tratta di un passo che, in parte, abbiamo già analizzato in precedenza all’in-


terno della sezione del presente lavoro dedicata alla causalità.174 In quel contesto
ci eravamo soffermati proprio in rapporto a quanto emerge in questo passo su
due elementi: il carattere di necessaria omogeneità della catena di cause ed ef-
fetti e il principio di similitudine quale cardine su cui si base l’intera sequenza
causale. In entrambi i casi erano emersi dei paralleli nell’opera di Proclo. Qui
ci soffermeremo invece sull’espressione «in virtù della prossimità con l’Intel-
letto» (τῇ πρὸς τὸν νοῦν γειτνιάσει) che Eustrazio utilizza per dare conto del
come l’anima possa acquisire la capacità di operare in maniera intellettuale.
Ci pare evidente che anche in questo caso Eustrazio stia escertando dall’opera
di Proclo. In particolare si segnala un passo dalla Theologia Platonica, in cui
Proclo scrive che l’anima, benché operi in maniera temporale (e si noti quanto
questo passo di Proclo sia vicino per quel che concerne il contesto a quello di
Eustrazio), partecipa dell’Intelletto e «possiede» una vita caratterizzata da una
condizione di veglia «dalla sua prossimità con l’Intelletto» (ἐκ τῆς πρὸς τὸν
νοῦν ἔχει γειτνιάσεως).175
Ma questa omogeneità, intesa come requisito nella sequenza causale e nella
catena di cause ed effetti, non ha, per così dire, solo un risvolto per quel che
concerne la sfera dell’anima e quella dell’Intelletto. Si tratta infatti di un princi-
pio che vale anche per quel che concerne il rapporto tra l’anima e ciò che viene
subito dopo. In questo senso si spega la conclusione di 4.1:

ὡς καὶ μετὰ τὴν λογικὴν ψυχὴν οὐχ ἡ φύσις εὐθὺς καὶ τὰ σώματα ἀλλὰ ζωαί τινες
ἕτεραι, ἃς ἐντελεχείας φασὶν εἶναι, ἀχωρίστους οὔσας σωμάτων καὶ οἰκείως αὐτῶν
ἐπιγινομένας ταῖς κράσεσι καὶ τούτων διαλυομένων συναπιούσας.
[«In modo che dopo l’anima razionale non vi sia subito la natura e i corpi, ma certe
altre vite, che dicono essere atti, le quali sono inseparabili dai corpi, sopraggiungo-

173 EUSTR., In VI EN, 317,28-32.


174 Si tratta del passo 1.5.
175 PROCLUS, Theologia cit., 1,66,23.
II. I commenti filosofici e le dottrine 153

no in maniera appropriata ai loro temperamenti, e vengono meno quando i corpi si


distruggono.»]176

Il testo è assai interessante e rivela ancora una volta un retroterra neoplato-


nico. Esso dice che, in virtù di una radicale eterogeneità sostanziale tra l’anima
e la natura e i corpi (ma a Eustrazio sembra interessare più il caso dei corpi),
l’anima si lega al corpo in maniera indiretta, proiettando cioè delle «vite», come
delle radici che, se da un lato, permettono all’anima di animare il corpo in quelle
che sono le sue funzioni biologiche e vegetative, dall’altro permettono alla stessa
anima di mantenere una certa indipendenza rispetto al corpo stesso.177 Non è
solo l’aspetto dottrinale in sé ad essere qui meritevole di analisi, ma ancora una
volta il gioco di rimandi intertestuali con l’opera di Proclo che la chiosa finale
di 4.1 evidenzia. Partiamo con ordine, cioè con l’individuazione del testo di
Proclo che Eustrazio sta qui escertando. Si tratta a nostro parere di un passo dal
commento al Timeo:

τί οὖν; ἔτι τὴν διαπλοκὴν τοιαύτην ἀνεξόμεθα λέγειν, οἵαν τινὲς λέγουσιν, ὡς
μερισταῖς δυνάμεσι καὶ ἐντελεχείαις καὶ ζωαῖς ἀχωρίστοις τῆς ψυχῆς τῷ σώματι
παρούσης; μηδαμῶς.
[«Cosa dunque? Continueremo a parlare di siffatta commistione, come alcuni dicono,
come se l’anima fosse presente nel corpo per tramite di potenze individuali, atti e vite
inseparabili? Giammai.»]178

Il contesto di questo passo è interessante. Proclo qui non sta esponendo una
sua propria dottrina, ma sta rispondendo a ipotetiche obbiezioni circa il legame
tra gli ordini dell’anima e del corpo. Con forza, in particolare, Proclo respinge
l’idea di una commistione che si espleta grazie a delle vite inseparabili, degli
atti del corpo. Con ogni probabilità qui il diadoco pensa ad un approccio di tipo
peripatetico al problema, un approccio che rimanda a De anima II,2,412a28,
dove notoriamente l’anima è definita da Aristotele come l’atto primo di un corpo
avente la vita in potenza.

176 EUSTR., In VI EN, 317,32-35.


177 Il termine «vite» per descrivere queste funzioni che l’anima proietta nel corpo per garantire a questo
il funzionamento delle funzioni biologiche occorre assai spesso nel tardo neoplatonismo (probabilmente a
partire da Giamblico). Si veda e.g. (PSEUDO) SIMPLICIUS (re vera PRISCIANUS LYDUS), In Aristotelis libros de anima
cit., 77,19; ibid., 218,33-40; ibid., 219,32-34; ibid., 242,4-6; ibid., 246,37 et passim. Su questa dottrina si
veda C. STEEL, The Changing Self: a Study on the Soul in Later Neoplatonism, Paleis d. Academie, Brussels
1978 («Verhandelingen van de Koninklijke Academie voor Wetenschappen, Letteren en Schone Kunsten
van België, Klasse der Letteren», 85).
178 PROCLUS, In Platonis Timaeum cit., 2,285,23-26.
154 Il neoplatonismo di Eustrazio di Nicea

Ciò che Proclo contesta di questo approccio non è tanto il fatto che l’anima
animi il corpo tramite delle vite. L’esistenza di queste vite o funzioni organizza-
tive dell’esistenza biologica del corpo è infatti ammessa dallo stesso Proclo.179
Ciò che Proclo contesta ai peripatetici è semmai di aver ridotto l’anima solo a
questo insieme di funzioni corporali inseparabili da esso. Al contrario, per Pro-
clo l’anima mantiene la sua indipendenza rispetto al corpo in quella che nello
stesso commento al Timeo egli definisce «un’unione senza mescolanza» (ἕνωσις
ἀμιγὴς), preservando cioè la propria integrità sostanziale.180 Ed è proprio ai
peripatetici che Proclo pensa con quel generico τινὲς λέγουσιν.
Cosa fa invece Eustrazio? Il commentatore a ben vedere opta per una strategia
singolare. Egli cioè prende dal riferimento ai peripatetici presente nell’obbie-
zione di Proclo l’espressione «vite inseparabili» e la utilizza in chiave positiva,
come cioè il medio necessario tra l’anima, per sostanza intellettuale, e il corpo.
Del passo di Proclo però resta anche la parte, per così dire, dossografica. Proclo
infatti aveva parlato di questa commistione tra anima e corpo «come dicono
alcuni» (οἵαν τινὲς λέγουσιν); Eustrazio parla di vite «che dicono essere atti»
(ἃς ἐντελεχείας φασὶν εἶναι), una formula cioè in cui viene pienamente riflessa
l’analoga formula presente in Proclo. Ci pare che qui ci si trovi di fronte ad un en-
nesimo esempio della strategia ermeneutica adottata da Eustrazio nei confronti
dell’opera del diadoco. Eustrazio utilizza l’opera procliana come un repertorio da
cui attingere liberamente per costruire nuove argomentazioni neoplatonizzanti in
quello che a tutti gli effetti si può definire un approccio mimetico al testo dello
stesso Proclo.
In 4.1 dunque Eustrazio ha presentato alcuni dei cardini su cui poggia la
teoria dell’intelletto di questo autore. Abbiamo due intelletti, il primo tale per
la sua propria sostanza, il secondo tale per disposizione. Nel primo caso si tratta
dell’Intelletto separato, nel secondo caso degli intelletti particolari, nel caso
specifico degli intelletti umani. A queste due tipologie di intelletto corrispondo-
no diverse capacità intellettive. La peculiarità di questa divaricazione consiste
nel fatto che, quand’anche l’intelletto secondo disposizione agisca al massimo
delle proprie potenzialità, esso non potrà mai eguagliare la perfetta intellezione
dell’Intelletto separato. L’intelletto per disposizione è in questo senso caratte-
rizzato da una frattura tra essenza e operazione: la prima è di natura eterna, la
seconda è di natura temporale. Tuttavia l’anima deve, secondo Eustrazio, pre-
servare una prossimità con l’Intelligenza, per poter partecipare della sua intel-
lettualità. Il caso del rapporto tra Intelligenza separata e intelletto particolare

179 Cfr. supra, nt. 177.


180 Cfr. PROCLUS, In Platonis Timaeum cit., 2,285,31-32.
II. I commenti filosofici e le dottrine 155

umano viene presentato da Eustrazio come un caso della necessaria omogeneità


che deve caratterizzare la relazione tra le cause e gli effetti. Questa legge della
mediazione vale anche verso il basso, per quel che riguarda i livelli successivi
rispetto all’anima. I corpi, ad esempio, non possono subentrare subito dopo il
livello delle anime; in virtù della radicale eterogeneità della natura di queste
entità, è necessario secondo Eustrazio che l’anima proietti nel corpo delle vite,
degli atti che permettano l’espletamento delle funzioni biologiche primarie del
corpo stesso. In tutto questo il riferimento dottrinale e terminologico di Eustrazio
è sempre stato Proclo.
Tra gli elementi di interesse che erano emersi in 4.1 vi era il duplice volto
dell’intelletto per disposizione, il quale è capace di operazioni proprie, da un
lato, e di operazioni derivate da una disposizione partecipata, dall’altro. Per
far ciò esso deve trascendere le condizioni che ostacolano l’operare puramente
intellettivo: si tratta delle passioni e del vincolo caratterizzato dal corpo. Il pros-
simo passo, 4.2, partirà proprio da qui: se in 4.1 la differenza principale era tra
Intelletto separato e intelletto particolare umano, in 4.2 ci troviamo di fronte ad
una distinzione tutta interna al caso dell’intelletto secondo disposizione, quello
appunto umano. In questo passo, cioè, Eustrazio presenta i due volti dell’anima.
Il contesto di 4.2 è il commento a EN, VI,5,1140a24-28, dove Aristotele in-
troduce la discussione della saggezza come una delle disposizioni atte a cogliere
il vero.181 Tuttavia, dopo poco descrive lo statuto intermedio della saggezza come
intermedia tra arte e scienza, da un lato, e sapienza e intelletto, dall’altro.182
Eustrazio sente il bisogno di soffermarsi un attimo sull’intelletto, benché il testo
del lemma riguardi la saggezza.

4.2 In VI EN, 303, 16-26: νοῦν δὲ λέγομεν ἐνταῦθα οὐ τὸν ἁπλῶς καὶ καθ’ ὕπαρξιν ἀλλὰ
τὸν καθ’ ἕξιν καὶ κατὰ μέθεξιν. οὐ γὰρ ἂν ταῖς ἀληθευτικαῖς ἕξεσι συνετάττετο, εἰ
μὴ ὡς τοῦτο σημαίνων παρελαμβάνετο. ἡ γὰρ ψυχὴ ὡς μὲν ψυχὴ ἀνειλιγμένως
ἐνεργεῖ, συλλογιζομένη καὶ μεταβαίνουσα εἰς συμπεράσματα ἐκ προτάσεων, ὡς δὲ
μετέχουσα νοῦ ἁπλῶς ἐπιβάλλει, ἔχουσα μὲν καὶ τὰς ἀρχὰς καὶ τοὺς ὅρους ὡς νοῦ
ἀπηχήματα, γινομένη δὲ καὶ τούτων ἐπέκεινα, ὅταν νοερὰ γένηται, τοῖς νοητοῖς
νοητῶς ἐπιβάλλουσα, εἰ καὶ μὴ ἀθρόως καὶ ὁμοῦ ὡς ὁ καθ’ ὕπαρξιν, ἀλλὰ καθ’
ἓν περιεχομένη τὰ πάντα καὶ νοοῦσα καθ’ ἕκαστον, διὸ καὶ ἡ τοιαύτη κατάστασις
οὐ φύσις ἀλλὰ ἕξις τῆς ψυχῆς ὀνομάζεται, ὡς ἔξωθεν ἐπεισιοῦσα καὶ γινομένη
ἐπίκτητος.

181 ARIST., Ethica Nicomachea, VI,5,1040a24-28: Περὶ δὲ φρονήσεως οὕτως ἂν λάβοιμεν, θεωρήσαντες

τίνας λέγομεν τοὺς φρονίμους. δοκεῖ δὴ φρονίμου εἶναι τὸ δύνασθαι καλῶς βουλεύσασθαι περὶ τὰ αὑτῷ
ἀγαθὰ καὶ συμφέροντα, οὐ κατὰ μέρος, οἷον ποῖα πρὸς ὑγίειαν, πρὸς ἰσχύν, ἀλλὰ ποῖα πρὸς τὸ εὖ ζῆν
ὅλως.
182 EUSTR., In VI EN, 303,14-16.
156 Il neoplatonismo di Eustrazio di Nicea

[«Diciamo che l’intelletto di cui qui si parla non è quello assoluto o secondo esisten-
za, ma quello secondo disposizione e partecipazione. Non potrebbe infatti figurare
tra le disposizioni tramite cui cogliamo il vero, se non fosse assunto secondo questa
significazione. L’anima, in quanto anima, opera per dispiegamento, operando sillogi-
smi e giungendo, a partire dalle premesse, alle conseguenze; in quanto partecipante
dell’Intelletto, essa invece è capace di apprensione semplice e diretta, nella misura
in cui possiede i principi e le definizioni come eco dell’intelletto, e nel trascendere
queste cose, qualora divenga di natura intellettuale, apprende gli intelleggibili in ma-
niera intellettuale, per quanto non in maniera unitaria e simultanea come l’intelletto
secondo esistenza, ma ogni cosa la comprende e la pensa una per una. Per questo
siffatta condizione viene definita non naturale, bensì una disposizione dell’anima,
nella misura in cui proviene ed è acquisita dall’esterno.»]

Anche in questo caso daremo uno sguardo al passo nel suo insieme per poi
concentrarci sulle sue singole parti. Si presentano qui le caratteristiche delle due
operazioni che competono all’anima, quella propria, cioè il ragionare discorsi-
vo, e quella cui essa viene abilitata grazie alla partecipazione ad un principio
estrinseco. Anche in quest’ultimo caso – e qui forte è l’assonanza con analoghe
formulazioni di 4.1 – l’anima comunque non sarà in grado di recuperare il divario
che la separa dall’intellezione propria dell’Intelletto separato. Infine, Eustrazio
chiarisce ancora una volta che l’anima è intellettuale per partecipazione, cioè
necessita di un apporto esterno che la abiliti ad operare in un modo altro rispetto
a quello che le compete per natura, nell’attuale condizione in cui essa è legata
ad un corpo.
Vediamo 4.2 nel dettaglio. Intanto alcune osservazioni sulla terminologia usa-
ta da Eustrazio per descrivere l’Intelletto separato e l’intelletto particolare. In
4.1 Eustrazio aveva opposto un intelletto «secondo sostanza» (κατ’ οὐσίαν) a un
intelletto «per disposizione» (καθ’ ἕξιν); in 4.2, invece, la stessa caratterizzazio-
ne dei due intelletti viene espressa nella forma di una contrapposizione tra un
Intelletto che esiste «in modo assoluto» (ἁπλῶς) ed è tale «secondo l’esistenza»
(καθ’ ὕπαρξιν), e un intelletto tale «per disposizione e partecipazione» (καθ’ ἕξιν
καὶ κατὰ μέθεξιν). Ci pare che questo duplice modo di considerare la distinzione
tra gli intelletti in 4.1 e 4.2 non sia il segno di una divergenza, quanto di una
complementarità tra i due resoconti. Una complementarità, questa, confermata
dal fatto che anche il linguaggio di 4.2 deriva dal vocabolario procliano. Proprio
come in Eustrazio il possesso κατ’ οὐσίαν di un carattere si oppone al possesso
καθ’ ἕξιν del medesimo carattere, così in Proclo il termine καθ’ ὕπαρξιν si con-
trappone al termine κατὰ μέθεξιν come due modi distinti e opposti di possedere
un carattere. Per essere precisi in Proclo il dittico καθ’ ὕπαρξιν/κατ’ οὐσίαν -
καθ’ ἕξιν/κατὰ μέθεξιν si inserisce all’interno di un triplice modo in cui si può
II. I commenti filosofici e le dottrine 157

dire che un carattere esiste: esso può esistere κατ᾽αἰτίαν, cioè nella causa; come
un carattere che appartiene in maniera sostanziale ad una classe di entità, negli
effetti, appunto καθ’ ἕξιν/κατὰ μέθεξιν; o di per sé in assoluto come un predicato
sostanziale (καθ’ ὕπαρξιν). Il lettore non sbaglierà se assimilerà questa triplice
distinzione al triplice modo in cui il tutto si rapporta alle parti. Questa operazione
infatti è compiuta dallo stesso Proclo.183
Anche in questo caso Eustrazio, nel riprendere Proclo, opera una sempli-
ficazione della complessa concettualità procliana e della complessa struttura
dell’Universo che in Proclo è caratterizzata dall’esistenza di una pluralità di
ordini e entità, mentre in Eustrazio è imperniata sostanzialmente su di un Intel-
letto/Dio, da una parte, e gli intelletti umani particolari, dall’altra. Forse proprio
per questo i primi due livelli, κατ᾽αἰτίαν e καθ’ ὕπαρξιν vengono sovrapposti da
Eustrazio per diventare funzionali alla caratterizzazione della differenza ontolo-
gica sussistente tra l’Intelletto separato, da un lato, e i vari intelletti particolari,
dall’altro. Eustrazio vuole dire che nell’Intelletto separato l’operare intellettuale
è perfettamente coestensivo rispetto all’essenza; mentre nel caso degli intelletti
particolari, essi necessitano di partecipare di un principio superiore. In queste
entità l’operare non è coestensivo rispetto all’essenza.
Ma il vero motivo di interesse di 4.2 consiste nella caratterizzazione dei due
volti dell’anima proposta dal commentatore. Abbiamo un’anima «in quanto
anima» (ὡς μὲν ψυχὴ) e un’anima «in quanto partecipe dell’Intelletto» (ὡς δὲ
μετέχουσα νοῦ). A questi due volti dell’anima corrispondono due diversi tipi
di operazioni: all’anima in quanto tale spetta di operare «per dispiegamento,
operando sillogismi e giungendo, a partire dalle premesse, alle conseguenze»
(ὡς μὲν ψυχὴ ἀνειλιγμένως ἐνεργεῖ, συλλογιζομένη καὶ μεταβαίνουσα εἰς
συμπεράσματα ἐκ προτάσεων); invece, l’anima in quanto partecipe dell’Intel-
letto «è capace di apprensione semplice e diretta, in quanto possiede i principi
e le definizioni come eco dell’intelletto» (ἁπλῶς ἐπιβάλλει, ἔχουσα μὲν καὶ τὰς
ἀρχὰς καὶ τοὺς ὅρους ὡς νοῦ ἀπηχήματα).
La terminologia impiegata per descrivere quest’ultimo caso è stata già ana-
lizzata nel corso della nostra discussione di 4.1.184 Anche la descrizione delle

183 Si veda e.g. PROCLUS, Elementatio cit., 65, 62,13-14; ibid., 67,64,9-11; ibid., 102, 92,17-20; ibid.,

140, 124, 17-18. Si veda anche ID., In Platonis Rem publicam, 1,234,23-24. Su questo si veda C. STEEL,
ΥΠΑΡΞΙΣ chez Proclus, in F. ROMANO/D.P. TAORMINA (a cura di), Yparxis e hypostasis nel neoplatonismo. Atti
del I colloquio internazionale del centro di ricerca sul neoplatonismo, Università degli Studi di Catania, 1-3
ottobre 1992, Olschki, Firenze 1994, 79-100.
184 Cfr. e.g. ἁπλῶς ἐπιβάλλει, per il quale si rimanda a e.g. PROCLUS, In Platonis Parmenidem cit.,

704,19-705,1; ID., In Platonis Alcibiadem cit., 246,15-18; ID., In Platonis Timaeum cit., 2,313,13-15. Cfr.
supra, nt. 159.
158 Il neoplatonismo di Eustrazio di Nicea

ragioni innate come «eco» dell’Intelletto separato è stata già vista in prece-
denza. In 4.1 ad essere «eco» (ἀπηχήματα) erano genericamente dei concetti
(νοήματα), ora in 4.2 ad essere «eco» in noi dell’Intelligenza sono principi e
definizioni. Ma a costituire elemento di grande interesse è l’utilizzo dell’av-
verbio ἀνειλιγμένως per descrivere l’operare tramite ragionamento discorsivo
(all’interno cioè di una sequenza sillogistica) dell’anima in quanto tale. Ci pare
assai evidente che questo principio si ricollega a quanto si era visto all’inizio
di 4.1, dove Eustrazio aveva detto che mentre l’Intelletto separato ha in sé tutti
gli intellegibili in maniera unitaria e concentrata, l’intelletto «per disposizio-
ne» al contrario ha solo delle eco provenienti dallo stesso Intelletto. Il termine
ἀνειλιγμένως di 4.2 ci permette di caratterizzare meglio questo assunto. L’anima
possiede infatti anch’essa le forme presenti nel Nous separato, ma in maniera
coordinata alla propria esistenza, sviluppandoli o dispiegandoli all’interno della
dimensione discorsiva – questo il signficato di ἀνειλιγμένως – e passando dalle
premesse alle conclusioni all’interno di una sequenza sillogistica. L’espressione
ἀνειλιγμένως rinvia ancora una volta all’opera di Proclo.185
Il seguito del testo rispecchia anche in questo caso quanto già visto in 4.1.
Eustrazio infatti sostiene chiaramente che, anche quando l’anima riesca a tra-
scendere gli ostacoli che ne impediscono l’operare autenticamente intellettuale,
essa non può fare altro che cogliere gli intellegibili uno alla volta, danzando in-
torno al Nous (come si è già visto in 4.1). In altre parole, l’anima al massimo delle
proprie possibilità riesce ad eguagliare per natura la conoscenza del Nous, ossia

185 Cfr. e.g. PROCLUS, In Euclidis cit., 11,19-20; ibid., 16,10-16; ID., In Platonis Parmenidem cit., 897,

28-29. Altrove Proclo utilizza in alternativa al termine ἀνειλιγμένως, il termine διῃρημένως, «in maniera
divisiva». Cfr. e.g. ID., In Platonis Parmenidem cit., 809,1-3: Οὐ δὴ θαυμαστόν ἐστιν οὐκέτι, τῶν θείων
εἰδῶν ὁμοῦ καὶ ἡνωμένως ἐν τῷ δημιουργικῷ νῷ προϋφεστηκότων, τὴν ἡμετέραν ψυχὴν διῃρημένως
αὐτοῖς ἐπιβάλλειν. Vi sono inoltre dei passi del neoplatonico Ermia che appaiono assai vicini a questa
formulazione di Eustrazio. In particolare Ermia contrappone, proprio come Eustrazio e prima di lui Proclo,
l’operare dell’intelletto per intuizioni immediate a quello dianoetico, caratterizzato dall’essere di natura
sillogistica e transitiva, nella misura in cui in questa dimensione la conoscenza si manifesta come passag-
gio dalle premesse alle conseguenze di una sequenza sillogistica. Si vedano e.g. HERMIAS, In Platonis cit.,
89,12-15: Ἔπειτα καὶ τοῦ νοῦ ἀποστᾶσα καὶ εἰς λογισμὸν καὶ διάνοιαν κατελθοῦσα, οὐκέτι οὐδὲ ἁπλαῖς
ἐπιβολαῖς αὐτὰ ᾕρει, ἀλλὰ συλλογιστικῶς καὶ μεταβατικῶς καὶ ἄλλο ἐξ ἄλλου, ἀπὸ προτάσεων ἐπὶ
συμπεράσματα ἐρχομένη. Ibid., 145,27-28: ἀλλὰ τὸ ἴδιον τῆς ψυχικῆς νοήσεως τὸ ἀεὶ μεταβατικῶς
καὶ διεξοδικῶς αἱρεῖν τὰ εἴδη. Il termine ἀνειλιγμένως compare anche in un altro passo dell’opera di
Eustrazio, sempre per descrivere l’operazione della ragione discorsiva come il modo di possedere le forme
coordinato all’essenza dell’anima. Cfr. EUSTR., In VI EN, 283,5-8: ὀνομάζεται γὰρ καὶ ἡ διάνοια νοῦς ὡς
νοῦ μίμημα. ὃ γὰρ κυρίως νοῦς ἁπλαῖς ἐπιβολαῖς γινώσκειν πέφυκε, τούτῳ μέσῳ χρωμένη ἡ διάνοια
οἰκείῳ τοῦ πράγματος ἀνειλιγμένως καταλαμβάνει. [«Chiama {Aristotele} infatti la ragione discorsiva
anche ‘intelletto’, nel senso che è un’imitazione dell’intelletto. Ciò che l’intelletto nel senso proprio del
termine per natura conosce per intuizioni immediate, la ragione discorsiva, servendosi di questo suo mezzo,
giunge alla cosa per dispiegamento»].
II. I commenti filosofici e le dottrine 159

entrambi conoscono per intuizioni semplici ed immediate. Tuttavia rispetto al


Nous, la conoscenza dell’anima resta sempre non simultanea e non unitaria; essa
è al contrario parcellizzata in una serie di singoli atti cognitivi.186 In particolare
Eustrazio scrive che l’anima ad un certo punto può conoscere gli intellegibili per
mezzo di intuizioni immediate e semplici, «per quanto non in maniera unitaria
e simultanea come l’intelletto secondo esistenza» (εἰ καὶ μὴ ἀθρόως καὶ ὁμοῦ
ὡς ὁ καθ’ ὕπαρξιν). Si tratta, come si è avuto modo di vedere, di un principio
cardine della psicologia neoplatonica. Nel caso specifico, i termini impiegati
da Eustrazio rimandano ad un passo del commento al Parmenide, dove si legge
in rapporto all’anima che «ella non si presenta nella sua interezza ai processi
cognitivi dell’Intelletto; infatti per natura non può coglierli simultaneamente»
(οὔτε γὰρ ὅλην αὐτὴν ὁμοῦ τοῖς τοῦ νοῦ παράγειν νοήμασιν· οὐ γὰρ ἀθρόως
αὐτὰ πέφυκεν ὁρᾷν).187
Ma a ben vedere è tutta la parte centrale di 4.2 ad essere una libera riproposi-
zione di un argomento di Proclo. In particolare del passo dal commento al Timeo
già visto in precedenza.188 Riproponiamo la parte più interessante di quel passo:

ὡς μὲν λόγος ἐνεργεῖ μεταβατικῶς, ὡς δὲ νοῶν μετὰ ἁπλότητος, ἕκαστον μὲν ὡς


ἁπλοῦν ἅμα νοῶν, οὐ πάντα δὲ ἅμα, ἀλλὰ μεταβαίνων ἀπ’ ἄλλων ἐπ’ ἄλλα, νοῶν δὲ
πᾶν ὃ νοεῖ μεταβαίνων ὡς ἓν καὶ ἁπλοῦν.
[«come ragione opera in maniera transitiva, come intelletto opera in maniera sempli-
ce, pensando ogni cosa in maniera semplice e immediata, non pensa tutto in maniera
simultanea, bensì passando da una cosa all’altra, per quanto pensando tutto ciò che
pensa in questa transizione come uno e semplice.»]

Riproponiamo invece la parte di 4.2 che ci pare riprendere questo testo di


Proclo:

ἡ γὰρ ψυχὴ ὡς μὲν ψυχὴ ἀνειλιγμένως ἐνεργεῖ, συλλογιζομένη καὶ μεταβαίνουσα


εἰς συμπεράσματα ἐκ προτάσεων, ὡς δὲ μετέχουσα νοῦ ἁπλῶς ἐπιβάλλει.
[«L’anima, in quanto anima, opera per dispiegamento, operando sillogismi e giungen-
do, a partire dalle premesse, alle conseguenze; in quanto partecipante dell’Intelletto,
essa invece è capace di apprensione semplice e diretta.»]

186 EUSTR., In VI EN, 317,22-26.


187 PROCLUS, In Platonis Parmenidem cit., 1165,18-19. Si vedano anche ibid., 808,20-809,21: οἰκεῖον
οὖν αὐτῇ καὶ τὸ εἶδος τῆς διαιρετικῆς καὶ τὸ θεωρεῖν μεταβατικῶς. ID., Theologia cit., 4,43,20-22: Αὕτη
μὲν οὖν περὶ ἐκείνην ἐνεργεῖ ὡς περιχορεύουσα τὸ ὂν μεταβατικῶς, νοῦς δὲ θεᾶται αὐτὴν ὡς ἁπλῇ νοήσει
χρώμενος.
188 Cfr. supra, 151.
160 Il neoplatonismo di Eustrazio di Nicea

Il lettore può agevolmente notare come il secondo passo sia una riformula-
zione del primo. In entrambi i passi, infatti, si ammette la duplice dimensione
operativa dell’anima tramite un’opposizione tra ὡς μὲν e ὡς δὲ. In Proclo il sog-
getto è il logos, la ragione. «In quanto logos» (ὡς μὲν λόγος), la ragione opera
«in maniera transitiva» (μεταβατικῶς). Eustrazio analizza il caso dell’anima «in
quanto anima» e scioglie il μεταβατικῶς in una frase che di fatto è una chiarifi-
cazione ispirata alla dottrina e al vocabolario di Proclo di cosa implica l’operare
transitivo dell’anima in quanto tale: «opera per dispiegamento, operando sillo-
gismi e giungendo, a partire dalle premesse, alle conseguenze» (ἀνειλιγμένως
ἐνεργεῖ, συλλογιζομένη καὶ μεταβαίνουσα εἰς συμπεράσματα ἐκ προτάσεων).
Ancora, in Proclo si legge che, in quanto intellettuale, quando cioè la ragione
supera la dimensione della discorsività, il logos opera «in maniera semplice»
(μετὰ ἁπλότητος); Eustrazio scrive che l’anima, «in quanto partecipa dell’Intel-
letto, coglie [gli intellegibili] in maniera semplice» (ὡς δὲ μετέχουσα νοῦ ἁπλῶς
ἐπιβάλλει). Ci pare chiaro che qui Eustrazio sta compiendo una libera variazione
sul tema stabilito dal testo del commento al Timeo di Proclo. Il commentatore
ha in particolare compreso molto bene che questo testo di Proclo ammette che
la conoscenza dell’anima sia μεταβατικῶς, cioè «di natura transitiva», in due
sensi: in primo luogo, nella misura in cui in quanto tale l’anima opera in maniera
dianoetica, ossia passando dalle premesse alle conseguenze all’interno di una
sequenza di tipo sillogistico; in secondo luogo, la conoscenza dell’anima è tran-
sitiva anche allorquando essa sia abilitata ad una conoscenza che procede per
intuizioni semplici. Anche in questo caso, infatti, l’anima è costretta a passare
da un intellegibile ad un altro, operando dunque in maniera transitiva.
4.2 si conclude poi con una caratterizzazione dell’operare intellettivo dell’ani-
ma che spiega e si ricollega al carattere di «disposizione» (καθ’ ἕξιν), nel senso
di «secondo partecipazione» (κατὰ μέθεξιν), dell’intelletto umano già emerso in
4.1 e nelle prime battute di 4.2. Scrive Eustrazio «Per questo siffatta condizione
viene definita non naturale, bensì una disposizione dell’anima, nella misura in
cui proviene ed è acquisita dall’esterno» (διὸ καὶ ἡ τοιαύτη κατάστασις οὐ
φύσις ἀλλὰ ἕξις τῆς ψυχῆς ὀνομάζεται, ὡς ἔξωθεν ἐπεισιοῦσα καὶ γινομένη
ἐπίκτητος).
Il commentatore qui rimarca il carattere non sostanziale dell’operare intel-
lettivo dell’anima. Essa può agire intellettivamente solo per partecipazione. Ab-
biamo già visto nell’analisi di 4.1 e 4.2 cosa implichi realmente ciò. Ora Eustra-
zio aggiunge due termini importanti per caratterizzare ulteriormente lo statuto
dell’anima che sia diventata intelligente: si tratta di una disposizione che «pro-
viene dall’esterno» (ἔξωθεν ἐπεισιοῦσα) ed è «acquisita» (ἐπίκτητος). Non è un
caso che il termine ἐπίκτητος in Proclo occorra per descrivere una condizione o
II. I commenti filosofici e le dottrine 161

stato che non appartiene a qualcosa in maniera essenziale, ma solo tramite par-
ticipazione. Tra i tanti esempi che possono essere addotti, ne segnaliamo qui tre.
Il primo è tratto da un passo del commento alla Repubblica in cui Proclo
scrive che ogni dio è «sostanzialmente» (ὄντως) buono nella misura in cui egli
è «costituito nella sua sostanza» (οὐσιωμένος) secondo il bene. In questo senso
non possiede il bene come qualcosa di «acquisito» (ἐπίκτητον) né «a titolo di
una disposizione» (ὡς ἕξιν), nella misura in cui ciò che è buono in questo modo
non lo è di per sé, bensì per partecipazione.189
Il secondo passo è invece tratto dal commento procliano al Timeo. Qui Proclo
scrive:

ἔτι δέ, εἰ αἱ γνώσεις κατ’ οὐσίαν εἰσὶν ἐπὶ τῶν θεῶν καὶ ἔστιν οὐκ ἐπίκτητος ἡ
νόησις αὐτῶν, ὡς εἰσίν, οὕτω καὶ γιγνώσκουσιν, ἃ γινώσκουσιν.
[«Ancora, se nel caso degli dei la loro conoscenza è secondo sostanza e la loro intelle-
zione non è acquisita , allora proprio in questo modo conoscono ciò che conoscono.»]190

Il terzo è assai interessante in quanto il termine ἐπίκτητος si riferisce diret-


tamente alla capacità intellettiva dell’anima:

καὶ γὰρ εἰ μὲν καθὸ ψυχὴ νοερὰ γίνεται, ἔδει πᾶσαν ψυχὴν εἶναι τοιαύτην, εἰ δὲ κατὰ
τὴν νοῦ μέθεξιν, ἀνάγκη νοῦ μετέχειν αὐτὴν τοῦ συμμέτρου πρὸς αὐτήν. τοιοῦτος
δέ ἐστιν οὐχ ὁ αὐτὸ νοῦς, ἀλλ’ ὁ μέσος τοῦ αὐτὸ νοῦ καὶ ψυχῆς τῆς ἐπίκτητον τὸ
νοεῖν ἐχούσης {...}.
[«E se l’anima diventasse intellettiva in quanto anima, allora tutte le anime lo sarebbe-
ro; se lo diventa invece per partecipazione, è necessario che essa partecipi dell’Intellet-
to commensurato ad essa. Non già dello stesso Intelletto, ma di quello intermedio tra lo
stesso Intelletto e l’anima che possiede l’intellezione come una capacità acquisita.»]191

È evidente che in Proclo il termine ἐπίκτητος viene utilizzato come termine


esplicativo del possesso non sostanziale di un carattere. Quest’ultimo esempio è
importante non solo in quanto il termine occorre in riferimento all’anima razio-
nale, ma anche perché è chiaro che ἐπίκτητος sta per κατὰ μέθεξιν. In effetti in
Eustrazio assistiamo all’applicazione al caso concreto della differenza tra Intel-

189 PROCLUS, In Platonis Rem publicam cit., 1,28,17-20: πᾶς οὖν θεὸς ὄντως ἀγαθός, οὐσιωμένος κατὰ

τὸ ἀγαθὸν καὶ οὐκ ἔχων ἐπίκτητον οὐδ’ ὡς ἕξιν τὸ ἀγαθόν (τὸ γὰρ οὕτως ἀγαθὸν οὐ τῷ ὄντι ἀγαθὸν <ὂν>
τοῦ ἀγαθοῦ μετέσχεν).
190 PROCLUS, In Platonis Timaeum cit., 1,352,19-22. Si veda anche ID., In Platonis Alcibiadem cit., 104,7-

8, dove gli dei sono detti autosufficienti καθ’ ὕπαρξιν, mentre tutto il resto lo è κατὰ μέθεξιν.
191 PROCLUS, In Platonis Timaeum cit., 1,405,22-27.
162 Il neoplatonismo di Eustrazio di Nicea

letto separato e intelletto particolare umano di una terminologia procliana che


in generale denota le diverse modalità di possesso di un carattere, κατ’ οὐσίαν o
καθ’ ὕπαρξιν, da un lato, καθ’ ἕξιν, κατὰ μέθεξιν o finanche ἐπίκτητος, dall’al-
tro. L’intelletto umano non opera in maniera intellettiva in virtù del suo stesso
essere, ma per partecipazione. Esso possiede dunque una natura avventizia, esso
proviene dall’esterno.
Questo ci porta direttamente al terzo passo che esamineremo in questa se-
zione.

4.3 In VI EN, 314,8-18: εἰ γὰρ καὶ νοερὰν λέγει τὴν ψυχὴν καὶ νοῦν ὑπάρχειν φησὶν ἐν
αὐτῇ, ἀλλ’ οὐκ οὐσιωδῶς ὑπάρχειν ἐν αὐτῇ τὸν νοῦν τίθεται, ἀλλά γε κτητὸν καὶ ὡς
ἕξιν ἐπιγινόμενον, καθὰ καὶ πρότερον εἴρηται. διὰ τοῦτο καὶ ταῖς ἀληθευτικαῖς ἕξεσιν
αὐτὸν συνηρίθμησεν, ὁρῶν αὐτὸν καὶ κτώμενον ἔξωθεν καὶ ἀποβαλλόμενον.192
καθαρὰ γὰρ γενομένη καὶ ἐλευθέρα τῶν παθῶν ἡ ψυχή, ἐλλάμπεται μὲν τῇ πρὸς
νοῦν γειτνιάσει, δέχεται δὲ ἐκεῖθεν τὸ νοερῶς ἐνεργεῖν, καὶ οὕτω τὴν τῶν ὄντων
προσλαμβάνει κατάληψιν ἁπλαῖς ἐπιβολαῖς ἐφαπτομένη αὐτῶν, οὐκ ἀθρόον ὡς ὁ
κύριος νοῦς οὐδὲ πάντων ὁμοῦ, ἀλλὰ καθ’ ἓν ἕκαστον αὐτῶν τὸν νοῦν περιχορεύουσα
καὶ ἐξ ἑτέρων τῶν ὑπ’ αὐτοῦ νοουμένων εἰς ἕτερον μεταβαίνουσα.
[«Anche se {Aristotele} definisce razionale l’anima e dice che in essa vi è l’intelletto,
non ammette che l’intelletto esista in maniera sostanziale in essa, bensì esso è acquisi-
to ed è una disposizione avventizia, come anche in precedenza è stato detto. Per questa
ragione lo ha annoverato anche tra le disposizioni atte a cogliere il vero, vedendo che
questo è aquisito dall’esterno e che dall’esterno è depositato. Quando infatti l’anima
diventa pura e libera dalle passioni, è illuminata dalla prossimità dell’Intelletto e da
qui riceve la capacità di operare in maniera intellettuale, e in questo modo acqusisice
la conoscenza degli enti cogliendoli con intuizioni semplici, anche se non in maniera
simultanea come l’Intelletto supremo, né tutti insieme, ma uno alla volta, come in una
danza attorno all’Intelletto e passando da uno degli intellegibili pensati dall’Intelletto
all’altro.»]

Questo passo si inscrive all’interno dell’esegesi di EN, VI,5,1140b25-28,


dove Aristotele presenta la saggezza come la virtù di una delle parti della com-
ponente razionale dell’anima, in particolare di quella opinativa. Questo testo
riprende molte delle cose già viste nella nostra analisi di 4.2. La cosa interes-
sante è che Eustrazio qui riferisce la definizione di intelletto come capacità
acquisita e partecipata allo stesso Aristotele, probabilmente avendo in mente
De anima, III,5,430a10-25, dove l’intelletto agente è detto essere separato, o
De generatione animalium II,3,736b28, dove l’intelletto è detto sopraggiungere

192 An leg. ἐπιβαλλόμενον?


II. I commenti filosofici e le dottrine 163

«da fuori» (θύραθεν). Per il resto incontriamo in 4.3 molti dei temi già visti in
precedenza. Eustrazio in particolare descrive l’intelletto come una disposizione
«non posseduta sostanzialmente» (οὐκ οὐσιωδῶς), bensì «una disposizione ac-
quisita e come una disposizione avventizia» (κτητὸν καὶ ὡς ἕξιν ἐπιγινόμενον),
«acquisita dall’esterno» (κτώμενον ἔξωθεν).
Questa terminologia riflette la simile terminologia utilizzata dal commentatore
per descrivere lo statuto dell’operare intellettivo nelle anime umane in 4.1 e 4.2.
Anche la descrizione del come l’anima acquisisca questa disposizione avventizia
corriponde a quanto già visto in precedenza: l’anima si libera dalle passioni ed
è illuminata «dalla vicinanza dell’Intelletto» (τῇ πρὸς νοῦν γειτνιάσει), espres-
sione questa già vista in 1.5 e 4.1. Lo stesso dicasi per l’immagine della danza
dell’anima attorno all’Intelletto, per la quale la stessa anima coglie in distinti
atti cognitivi gli intellegibili presenti unitariamente nel Nous (già vista in 4.1).
Inoltre, Il termine ἐφαπτομένη che qui occorre per descrivere l’apprensione
degli intelleggibili per mezzo di «intuizioni semplici» (ἁπλαῖς ἐπιβολαῖς) rinvia
a Proclo, dove questo termine viene usato come sinonimo di ἐπιβάλλειν.193 Infi-
ne segnaliamo che l’espressione ὡς ἕξιν ἐπιγινόμενον, che descrive l’intelletto
umano in 4.3 e l’espressione ὡς ἔξωθεν ἐπεισιοῦσα, che descrive l’intelletto
come disposizione acquisita in 4.2, compaiono in uno e il medesimo passo di
Proclo, in particolare nel commento al Parmenide, dove Proclo contrappone la
molteplicità presente nelle forme, che è una molteplicità essenziale (οὐσιῶδες),
ad un altro tipo di molteplicità, tipica delle realtà sensibili, che «sopraggiunge
da fuori ed è avventizia» (ἔξωθεν ἐπιγιγνόμενον καὶ ἐπεισοδιῶδες).
Crediamo sia qui opportuno precisare che questa terminologia impiegata da
Eustrazio presenta delle similarità rispetto ad un’analoga terminologia presen-
te in Alessandro di Afrodisia. Anche qui infatti si parla di «intelletto per di-
sposizione» (καθ’ ἕξιν), che è «acquisito» (ἐπίκτητος) e «sopraggiunge dopo»
(ὕστερον ἐγγινόμενος) in termini assai vicini a quelli che abbiamo evidenziato
nel testo di Eustrazio.194 Tuttavia l’intelletto di cui parla Alessandro è ben altra
cosa rispetto alla caratterizzazione eustraziana dell’intelletto per disposizione/
partecipazione. In Alessandro infatti l’intelletto così caratterizzato rimanda alla
condizione dell’intelletto intesa come la perfezione o atto dell’intelletto materia-
le, come cioè quella disposizione che sopraggiunge a seguito di un processo di
apprendimento consistente nel possesso degli intellegibili senza pensarli in atto.

193 Cfr. e.g. PROCLUS, In Platonis Parmenidem cit., 813,11; ibid., 931,7; ID., Elementatio cit., 123, 108,31;

ID., In Platonis Timaeum, 1,347,29.


194 ALEXANDER APHRODISIENSIS, De anima cit., 81,26-82,1. Si vedano anche THEMISTIUS, In Aristotelis libros

De anima paraphrasis, ed. R. HEINZE, Reimer, Berlin 1899 («Commentaria in Aristotelem Graeca», V,3),
95,30-31; ibid., 100,2-3.
164 Il neoplatonismo di Eustrazio di Nicea

In Eustrazio, come abbiamo avuto modo di vedere, questa descrizione dell’in-


telletto rientra invece in un generale schema metafisico di matrice procliana
segnato da uno iato tra tutto cioè che è e agisce in virtù di se stesso e tutto ciò
che è e agisce in virtù di altro. Malgrado l’assonanza terminologica, Eustrazio si
muove in un orizzonte radicalmente antitetico rispetto a quello di Alessandro.
Ricapitoliamo adesso le principali caratteristiche dell’Intelletto separato e
dell’intelletto particolare a partire dalla terminologia emersa in questi tre passi.
Eustrazio descrive l’Intelletto separato come κατ’ οὐσίαν (4.1), ἁπλῶς καὶ καθ’
ὕπαρξιν (4.2), κύριος νοῦς (4.3). Mentre egli descrive l’intelletto particolare
come καθ’ ἕξιν (4.1), καθ’ ἕξιν καὶ κατὰ μέθεξιν (4.2), ἐπίκτητος (4.2), κτητὸν
καὶ ὡς ἕξιν ἐπιγινόμενον (4.3), κτώμενον ἔξωθεν (4.3). A questi due tipi di
intelletti corrispondono due forme di conoscenza diverse. Esse sono diverse non
tanto secondo la loro natura, in quanto entrambe consistono in una conoscenza
intuitiva ed immediata degli intellegibili, quanto per il loro carattere più o me-
no continuativo: l’Intelletto separato gode di una intellezione degli intellegibili
unitaria e simultanea. L’intelletto particolare, invece, gode di una conoscenza di
tipo transitivo. A onor del vero, l’intelletto particolare non possiede l’intellezio-
ne come un carattere sostanziale, bensì come una disposizione partecipata. Di
per sé l’anima è solo capace di pensiero discorsivo e dianoetico, ossia operante
tramite sillogismi.
Siamo adesso nelle condizioni di esaminare in maniera agevole anche altri
passi simili a quelli esaminati in precedenza in cui Eustrazio fornisce indi-
cazioni sulla natura dell’intelletto nell’individuo umano. Nel commentare EN,
VI,6,1140b31-1141a1, dove Aristotele introduce la descrizione dell’intelletto
come una delle cinque disposizioni atte a cogliere il vero, Eustrazio sottolinea
come ci si trovi di fronte a quella disposizione atta al coglimento dei principi
delle scienze. A proposito di questi Eustrazio scrive:

4.4 In VI EN, 315,33-37: τὰ γὰρ ἀξιώματα ἀρχαὶ ὄντα τῶν ἐπιστημῶν ἀπηχήματά
εἰσι τοῦ νοῦ. ἐνεργεῖ γὰρ περὶ ταῦτα ἡ ψυχὴ νοοειδῶς, τουτέστι κατὰ μίμησιν τοῦ
κυρίως νοῦ ἁπλαῖς καὶ ἀσυλλογίστοις ἐπιβολαῖς αὐτοῖς ἐπιβάλλουσα, καὶ ὑπὲρ
συλλογισμὸν ἅπασαν195 τὴν αὐτῶν ποιουμένη κατάληψιν.
[«Infatti gli assiomi, che sono i principî delle scienze, sono eco dell’Intelletto. L’anima
opera in rapporto a questi in maniera intellettiva, cioè per imitazione dell’Intellet-
to propriamente detto e li coglie con intuizioni non sillogistiche, e costituisce tutta
quanta la comprensione di questi oggetti al di sopra della dimensione sillogistica.»]

195 Seguendo il latino di Grossatesta, leggo ἅπασαν invece di ἅπαντα del testo Heylbut.
II. I commenti filosofici e le dottrine 165

Gli assiomi su cui poggiano le scienze vengono descritti come «eco» dell’In-
telletto separato, termine che in 4.1 era stato da Eustrazio riferito ai νοήματα
che costituirebbero l’insieme dei contenuti intellegibili innati nell’anima. Ap-
pare dunque chiaro che finanche gli assiomi delle scienze e i punti di partenza
delle dimostrazioni scientifiche non sono per Eustrazio derivati da esperienza
sensibile, ma sono anteriori rispetto ad essa, sono cioè contenuti innati. Su que-
sto punto Eustrazio è concorde con i tardo-neoplatonici.196 Come ugualmente
neoplatonica è l’idea espressa in questo passo che l’anima diventa intellettuale
imitando l’Intelletto, idea espressa tra gli altri da Proclo proprio nel passo del
commento al Parmenide da cui Eustrazio aveva ripreso l’immagine della danza
dell’anima in circolo intorno all’Intelletto vista in precedenza.197 4.4 sostiene
esplicitamente che imitando l’Intelletto l’anima diviene intelligente e supera
la dimensione del pensiero discorsivo e sillogistico che le spetta come propria
operazione; ma come si è visto in 4.1, 4.2 e 4.3 essa continua a non poter egua-
gliare l’Intelletto per quel che concerne il carattere simultaneo e unitario della
sua intellezione.
Abbiamo visto che Eustrazio definisce i contenuti intellegibili nell’anima co-
me «eco» degli intellegibili presenti nel Nous separato. Vi sono almeno due
passi dal commento di Eustrazio al II libro degli Analytica Posteriora dove il
commentatore utilizza lo stesso termine impiegato dai neoplatonici della tarda
antichità per descrivere questo bagaglio concettuale presente nell’anima, ossia
logoi.198 Vediamo questi passi nel dettaglio:

4.5 In II A.Po., 265,6-10: τοιοῦτον γὰρ καὶ ἐπὶ τοῦ καθόλου γίνεται· κατακρατεῖται γὰρ
ὑπὸ τῆς ὁρμῆς ἡ ψυχὴ τῶν ἀλόγων δυνάμεων καὶ τοὺς ἐν αὐτῇ λόγους ἀνενεργήτους
φέρει· εἶθ’ ἑνὸς ληφθέντος αὐτῇ ἐκ τῆς αἰσθήσεως τῶν καθ’ ἕκαστα, καὶ ἐπ’ αὐτῷ
ἄλλου καὶ τρίτου ἑτέρου καὶ τετάρτου αὖθις, οὕτω κατὰ μικρὸν ἡ τοῦ καθόλου
στάσις καὶ στερέωσις ἐν αὐτῇ γίνεται.
[«Questo succede anche in rapporto all’universale. L’anima infatti è soggiogata dall’im-
pulso delle potenze irrazionali e reca i logoi in se stessa in uno stato di inattività. Qua-
lora una cosa sia colta dall’anima a partire dalla conoscenza sensibile dei particolari,

196 Cfr. e.g. SYRIANUS, In Aristotelis cit., 90,19-21; ibid., 161,24-29. Questi passi sono citati e discussi in

HELMIG, Forms cit., 214-215.


197 PROCLUS, In Platonis Parmenidem cit., 808,12-16: ὁ δὲ νοῦς ὡς ἓν πάντα νοεῖ, ἡ δὲ ψυχὴ καθ’ ἓν

πάντα ὁρᾷ. Ταύτῃ τοίνυν προσήκει τὸ διαιρεῖν πρώτως, ἥτις τῆς ἐν ἑνὶ καὶ ἀθρόας πάντων ἀπολειπομένη
νοήσεως τὴν καθ’ ἓν πάντα νόησιν ἔλαχε τῷ μὲν πάντα, μιμουμένη τὸν νοῦν, τῷ δὲ καθ’ ἓν ἔχουσα τὸ
ἴδιον αὑτῆς.
198 Si veda su questa terminologia HELMIG, Forms cit., 164-172. L’anima è secondo Proclo piena, ricolma,

di logoi. Cfr. e.g. PROCLUS, In Euclidis cit., 17,6; ibid., 17,22.


166 Il neoplatonismo di Eustrazio di Nicea

e dopo questa, poi un altra e poi una terza e una quarta ancora, in questo modo poco
alla volta giungono nell’anima la permanenza e il consolidamento dell’universale.»]

Eustrazio si trova a commentare un passo cruciale del testo aristotelico, os-


sia Analytica Posteriora II,19,100a10-13.199 Qui Aristotele parla della stabiliz-
zazione dell’universale nell’anima a partire dalla sensazione, passando per la
memoria e infine l’esperienza. La parte finale del commento di Eustrazio pare
conforme al passo aristotelico in questione, in virtù del quale l’universale si
consolida per ripetizione di esperienze sensibili, unificate nella memoria, e di
un numero di memorie unificate nell’esperienza. La prima parte di 4.5 è invece
particolare, perché qui Eustrazio sembra alludere ai logoi presenti nell’anima
e alla condizione in cui questa conoscenza si trova nell’anima incarnata in un
corpo. Questo riferimento è tuttavia strano per diversi motivi, in primis per il
fatto che Aristotele sostiene in questo passo esplicitamente che questi stati di
conoscenza non sono condizioni innate o sussistenti nell’anima, né si tratta di
conoscenze note per disposizioni anteriori, ma sono derivate dalla sensazione,
passo dopo passo, proprio come una disfatta in battaglia viene interrotta da un
singolo uomo che riprende la propria posizione nella formazione, seguito da un
altro e da un altro ancora. Invece sembra proprio che Eustrazio utilizzi qui il
termine logoi per designare delle conoscenze anteriori a quelle derivate dalla
sensazione presenti nell’anima.
Ancora: se la nostra intuizione è corretta sorgono due problemi interpretativi.
Il primo riguarda la definizione di questi logoi in 4.5 come «inattivi». Nessuna
delle fonti neoplatoniche di Eustrazio, innanzitutto Proclo, avrebbe forse mai
concesso che questi logoi innati siano realmente inattivi. L’attività intellettuale
che promana da questi logoi sussiste in noi «in una condizione di nascondi-
mento». Siamo noi semmai a non esserne consapevoli.200 Si tratta in altre parole
di un’attività che fluisce in maniera continua dalla nostra anima, come se si
trattasse di un respiro, un atto cioè irriflesso, ma sempre presente.201 Oppure, si
tratta di una conoscenza paragonata al pulsare del sangue nelle vene, anche qui
come qualcosa di sempre presente, ma di cui non abbiamo coscienza a causa
del vincolo con il corpo. Per questo stesso motivo, questi logoi possono pulsare
in maniera flebile, ma questa non viene mai presentata come una caratteristica
intrinseca dei logoi, bensì si tratta della risultante della condizione in cui si trova

199 ARIST., Analytica Posteriora, II,19,100a10-13: οὔτε δὴ ἐνυπάρχουσιν ἀφωρισμέναι αἱ ἕξεις, οὔτ’

ἀπ’ ἄλλων ἕξεων γίνονται γνωστικωτέρων, ἀλλ’ ἀπὸ αἰσθήσεως, οἷον ἐν μάχῃ τροπῆς γενομένης ἑνὸς
στάντος ἕτερος ἔστη, εἶθ’ἕτερος, ἕως ἐπὶ ἀρχὴν ἦλθεν.
200 Cfr. e.g. PROCLUS, In Euclidis cit., 45,22-46,1; ID., Theologia cit., 1.105,20-23.
201 Cfr. e.g. PROCLUS, In Platonis Alcibiadem cit., 192,2-4.
II. I commenti filosofici e le dottrine 167

l’anima nel suo essere incarnata in un corpo. Si tratta cioè di una descrizione del
modo i cui percepiamo la conoscenza che promana dai logoi.202 Rispetto a questo
quadro, questa descrizione di Eustrazio dei logoi come inattivi è quantomeno
problematica.
Il secondo problema riguarda la chiusura del testo, dove Eustrazio ripropone,
sulla falsa riga di Aristotele, la tesi del consolidamento dell’universale tramite
ripetizione di esperienze sensibili. In questo caso non è semplicemente chiaro
come si possa conciliare questo assunto con l’ammissione di contenuti innati
nell’anima, nella misura in cui avremmo due modelli epistemologici antitetici
giustaposti senza coordinazione nel testo. Un passo immediatamente successivo
nel testo di Eustrazio sembra suggerire una soluzione:

4.6 In II A.Po., 265,18-23: εἰ δὲ ὡς πρὸς τὰ ὑπὲρ αὐτήν, οὕτως ‘ἐν γὰρ ταῖς λογικαῖς
οὐσίαις ἡ ψυχῆς φύσις τοῦτο πάσχειν δύναται μόνη’, ἐξ ἀνενεργησίας προκόπτουσα
εἰς ἐνέργειαν καὶ ἐκ τῶν καταδεεστέρων καὶ ἀτελεστέρων αὐτῆς προφάσεις
λαμβάνουσα πρὸς τὴν προκοπήν, καὶ ἐκ τῶν ἐκεῖθεν ποριζομένων αὐτῇ ἑαυτὴν
ἀνεγείρουσα καὶ τοὺς ἐν ἑαυτῇ λόγους παρακινοῦσα.
[«Se come in rapporto alle realtà superiori, allora il passo suona così: ‘infatti tra le
sostanze razionali la natura dell’anima è la sola ad essere capace di questo processo’,
nella misura in cui progredisce dall’inattività all’attività, traendo spunto per questo
progresso dalle realtà inferiori e imperfette rispetto ad essa, risvegliando se stessa a
partire da quanto ricavato all’interno di questo ambito ed eccitando i logoi presenti
in se stessa.»]

In questo passo Eustrazio tira le fila di quanto emerso in 4.5. Qui il com-
mentatore si trova di fronte al lemma di Analytica Posteriora, II,19,100a13-14,
dove Aristotele proprio in rapporto a questa capacità dell’anima di accumulare e
consolidare esperienze per induzione, scrive che «l’anima è costituita in maniera
tale da essere capace di questo processo».203 Eustrazio nell’esegesi di questa
indicazione opera una divaricazione tra due possibilità interpretative: o vedere
l’anima nel suo rapporto con le realtà o potenze inferiori, o vedere l’anima in
rapporto alle realtà o potenze superiori rispetto ad essa. In questo secondo ul-
timo caso l’anima figura come la sola tra le sostanze razionali ad essere capace
di questo processo di induzione. Eustrazio vuole qui evidentemente dire che le
classi superiori alla nostra anima non conoscono per induzione.

202 PROCLUS, In Platonis Alcibiadem cit., 189,4-15. Su queste immagini, si vedano STEEL, Breathing cit.,

297-299 e HELMIG, Forms cit., 275.


203 ARIST., Analytica Posteriora, II,19,100a13-14: ἡ δὲ ψυχὴ ὑπάρχει τοιαύτη οὖσα οἵα δύνασθαι

πάσχειν τοῦτο.
168 Il neoplatonismo di Eustrazio di Nicea

Ma a destare maggiore interesse è quanto segue, nella misura in cui conferma


che i logoi di cui si parlava in 4.5 sono i logoi innati di cui parlano i tardo-
neoplatonici. Eustrazio dice che da ciò che è inferiore e meno perfetto, ossia
dalle sensazioni e dalle realtà in generale inferiori, l’anima opera un progresso
dall’inattività all’attività. Questo si manifesta nei termini di un risvegliare, a par-
tire da questo materiale oggetto di sensazione, i logoi presenti nell’anima. Non
solo l’idea in generale che i logoi innati siano riaccesi grazie allo stimolo dell’e-
sperienza sensibile è tipica del tardo neoplatonismo, ma persino i termini usati
da Eustrazio, pensiamo a ἀνεγείρουσα e παρακινοῦσα sono gli stessi termini
usati da Proclo proprio per descrivere la necessità di uno stimolo esterno – si
tratti di esperienza sensibile o dell’input di un maestro – perché la conoscenza
innata nell’anima torni a pulsare e a farsi sentire o addirittura per riscoprire
quella traccia dell’Uno presente in noi.204 Da questo ci pare chiaro non solo che
i logoi menzionati da Eustrazio in 4.5 e 4.6 sono i logoi innati della tradizione
neoplatonica, ma anche che quella problematicità di 4.5 circa la conciliabilità
del consolidamento dell’universale per ripetizione di esperienze sensibili e la

204 Cfr. e.g. PROCLUS, Theologia cit., 1.16,16-18: Πάντα γάρ ἐστι καὶ ἐν ἡμῖν ψυχικῶς καὶ διὰ τοῦτο τὰ

πάντα γινώσκειν πεφύκαμεν, ἀνεγείροντες τὰς ἐν ἡμῖν δυνάμεις καὶ τὰς εἰκόνας τῶν ὅλων. Ibid., 5,88,1-
4: {...} τὴν φύσιν ἐνδῆσαι ταῖς τέχναις καὶ ταύτας οἷον παιζούσαις ταῖς ψυχαῖς τοῦ νοῦ μιμήματα προτεῖναι
καὶ διὰ τούτων ἀνεγεῖραι τὸ γνωστικὸν ἡμῶν καὶ διανοητικὸν εἰς τὴν τῶν εἰδῶν θεωρίαν. ID., In Platonis
Alcibiadem cit., 247,7-9: μετὰ δὲ τὸν πολυτίμητον νοῦν αὐτὴν τὴν ἄκραν ὕπαρξιν ἀνεγεῖραι δεῖ τῆς ψυχῆς,
καθ’ ἣν ἕν ἐσμεν καὶ ὑφ’ ἧς τὸ πλῆθος ἑνίζεται τὸ ἐν ἡμῖν. ID., In Platonis Parmenidem cit., 1071,19-22:
Ἢ πῶς ἐγγυτέρω τοῦ ἑνὸς ἐσόμεθα, μὴ τὸ ἓν τῆς ψυχῆς ἀνεγείραντες, ὅ ἐστιν ἐν ἡμῖν οἷον εἰκὼν τοῦ
ἑνὸς, καθὸ καὶ μάλιστα τὸν ἐνθουσιασμὸν γίνεσθαί φασιν οἱ ἀκριβέστεροι τῶν λόγων. Ibid., 1072,4-7:
{...} ἵνα μὴ λάθωμεν ἐκ τῶν ἀποφάσεων εἰς τὸ μὴ ὂν καὶ τὴν ἀφάνειαν αὐτοῦ διὰ τῆς ἀορίστου φαντασίας
ἀπωσθέντες, ἀλλὰ τὸ ἐν ἡμῖν ἓν ἀνεγείραντες καὶ ἀναθάλψαντες διὰ τούτου τὴν ψυχὴν συνάψωμεν
πρὸς αὐτὸ τὸ ἓν {...}. Ibid., 1081,4-5: {...} δέοντος ἀνεγείρειν τὸ ἐν ἡμῖν ἓν. ID., In Platonis Timaeum
cit., 1,242,24-27: εἰκότως ἀπὸ τῶν γνώσεων τῶν ἐν ἡμῖν οὐσῶν τὴν ἰδιότητα παρίστησιν αὐτῶν, ἃς καὶ
ἀνεγείραντες καὶ τελεωσάμενοι θεασόμεθα τὴν ἐκείνων φύσιν τρανέστερον. ID., In Platonis Cratylum
commentaria, ed. G. PASQUALI, Teubner, Leipzig 1908, 178,48-50: αὶ ὥσπερ ἡ νημοσύνη τὴν μνήμην τῶν
νοητῶν ἀνεγείρει, οὕτως καὶ ἡ ητὼ τὴν λήθην δωρεῖται τῶν ἐνύλων. ID., In Euclidis cit., 20,18-23: ὄμμα
γὰρ τῆς ψυχῆς ὑπὸ τῶν ἄλλων ἐπιτηδευμάτων ἀποτυφλούμενον καὶ κατορυττόμενον ὑπὸ τῶν μαθημάτων
μόνων ἀναζω- πυρεῖσθαί τε καὶ ἀνεγείρεσθαι πάλιν εἰς τὴν θέαν τοῦ ὄντος καὶ ἀπὸ τῶν εἰδώλων ἐπὶ τὰ
ἀληθῆ καὶ ἀπὸ τοῦ σκοτώδους εἰς τὸ νοερὸν μεθίστασθαι φῶς. Proclo non utilizza il termine παρακινέω,
come Eustrazio, bensì un suo sinonimo, ossia ἀνακινέω. Si veda in questo senso ID., In Platonis Alcibiadem
cit., 28,16-18: τὸν δὲ διὰ τῆς μαιευτικῆς εἰς ἀνάμνησιν ἀνακινεῖ τῶν ἀϊδίων λόγων τῆς ψυχῆ. Ibid.,
194,17: τὰ δὲ μαθήματα καὶ ἡ διαλεκτικὴ τὸν λόγον ἡμῶν ἀνακινεῖ καὶ ἀνάγει. Ibid., 225,6-7: τὸ δὲ
τρίτον διὰ τῆς ἀναμνήσεως τοὺς λόγους ἡμῶν ἀνακινεῖν. Ibid., 236,1-2: ἡ γὰρ ζήτησις ἀνακινεῖ τὸ ὄμμα
τῆς ψυχῆς καὶ γυμνάζει πρὸς τὴν θέαν τῆς ἀληθείας. ID., In Euclidis cit., 140,13-16: εἰσὶν ἄρα πρὸ τῶν
αἰσθητῶν οἱ αὐτοκίνητοι λόγοι τῶν σχημάτων καὶ οἱ νοεροὶ καὶ θεῖοι καὶ ἡμεῖς ἀνακινούμεθα μὲν ἀπὸ
τῶν αἰσθητῶν, προβάλλομεν δὲ τοὺς ἔνδον λόγου. Sul ricorrere in Proclo di questi e altre forme verbali
dal significato simile, si veda HELMIG, Forms cit., 276.
II. I commenti filosofici e le dottrine 169

dottrina dei logoi innati viene risolta da 4.6: l’induzione dai particolari sensibili
serve a risvegliare e riattivare i logoi innati nell’anima.
Vi sono altri passi in cui Eustrazio parla dei contenuti intellegibili presenti
nell’anima. Ciò che colpisce è che di fatto si tratta sempre di passi in cui Eustra-
zio commenta parti dell’Ethica Nicomachea dove Aristotele parla dell’intelletto
come disposizione atta a cogliere il vero. Ad esempio si veda l’esegesi eustra-
ziana di EN, VI,11,1143a35-1143b5.205 Qui Aristotele sostiene che l’intelletto
coglie, tanto nella sfera teoretica, quanto in quella pratica gli ultimi termini. Nel
primo caso, l’intelletto coglie le definizioni immobili e immutabili delle scienze,
nel caso dell’agire pratico, coglie l’ultimo fatto contingente e la premessa minore,
che in questa sfera sono i principi primi da cui è possibile inferire il fine. L’intel-
letto dunque viene qui descritto come una disposizione che in generale è capace
di una percezione immediata in entrambe queste sfere. In rapporto all’intelletto
e al coglimento delle definizioni immobili, Eustrazio scrive:

4.7 In VI EN, 377,35-378,4: ἀκίνητοι ὅροι εἰσὶν αἱ πρῶται ἀρχαὶ τῶν ἐπιστημῶν, ὡς τὸ
βέβαιον καὶ ἀμετάθετον οἴκοθεν ἔχοντες, ἅτε καὶ τοῦ ἐνεργείᾳ ὄντες νοῦ ἀπηχήματα
τῇ ψυχῇ, καθὰ καὶ νοερὰ ἡ ψυχὴ λέγεται. λογικὴ μὲν γάρ ἐστιν, ὅτι λόγον ἔχει
οἰκεῖον, ᾧ χρᾶται, καθ’ ὃν καὶ διανοεῖται καὶ συλλογίζεται, νοερὰ δέ, ὅτι μετοχῇ
τοῦ ἁπλῶς νοῦ τοὺς ὅρους ἔχει καὶ τὰς ἀρχὰς τῶν ἐπιστημῶν, ἀμέσως αὐτοὺς
γινώσκουσα καὶ διὰ τούτων μιμουμένη τὸν νοῦν, ἀμέσοις ἐπιβολαῖς τοῖς νοητοῖς
ἐπιβάλλοντα, ἐξ ὧν καὶ ὁρμώμενος τὰς ἐπιστημονικὰς περαίνει τῶν γνώσεων.
[«I primi principi delle scienze sono definizioni immobili, che hanno di per sé il
carattere di stabilità e immutabilità, come se fossero eco nell’anima dell’Intelletto in
atto, in virtù delle quali l’anima è anche detta intellettiva. Infatti, da un lato, essa è
razionale, in quanto ha come elemento proprio la ragione di cui si serve quando opera
in maniera discorsiva e produce sillogismi; dall’altro, è intellettuale, quando partecipa
dell’Intelletto assoluto e riceve le definizioni e i principi delle scienze, conoscendoli
in maniera immediata e imitando attraverso questi l’Intelletto, cogliendo gli intellegi-
bili per mezzo di intuizioni immediate, mosso dalle quali conclude le argomentazioni
scientifiche.»]

È facile qui notare come ci si trovi di fronte ad un passo identico a 4.2, dove
Eustrazio aveva descritto i due volti, per così dire, dell’anima, cioè l’anima nel
suo operare in quanto anima (in maniera discorsiva e sillogistica) e l’anima nel

205 ARIST., Ethica Nicomachea, VI,11,1143a35-1143b5: ταῦτα δ’ ἔσχατα. καὶ ὁ νοῦς τῶν ἐσχάτων

ἐπ’ ἀμφότερα· καὶ γὰρ τῶν πρώτων ὅρων καὶ τῶν ἐσχάτων νοῦς ἐστὶ καὶ οὐ λόγος, καὶ ὁ μὲν κατὰ τὰς
ἀποδείξεις τῶν ἀκινήτων ὅρων καὶ πρώτων, ὁ δ’ ἐν ταῖς πρακτικαῖς τοῦ ἐσχάτου καὶ ἐνδεχομένου καὶ
τῆς ἑτέρας προτάσεως· ἀρχαὶ γὰρ τοῦ οὗ ἕνεκα αὗται· ἐκ τῶν καθ’ ἕκαστα γὰρ τὰ καθόλου· τούτων οὖν
ἔχειν δεῖ αἴσθησιν, αὕτη δ’ ἐστὶ νοῦς.
170 Il neoplatonismo di Eustrazio di Nicea

suo partecipare dell’intelletto (cosa che la rende capace di operazioni intellettua-


li). Anche qui, proprio come in 4.2 i principi delle scienze e le definizioni sono
caratterizzate come eco del’Intelletto separato, che qui in 4.7 viene descritto
come un Intelletto sempre in atto. Un discorso simile può esser fatto per quel
che concerne la descrizione dell’operare intellettivo dell’anima che partecipa
dell’Intelligenza come un’imitazione di questa Intelligenza. Si tratta di qualcosa
già visto in 4.4.
Tuttavia, a volte, la terminologia impiegata da Eustrazio appare problematica
in virtù di una certa inconsistenza nell’utilizzo di alcuni dei termini tecnici che
abbiamo incontrato fino a questo momento. È il caso di un passo dal commento
di Eustrazio agli Analytica Posteriora.

4.8 In II A.Po., 22,24-30: αἱ μὲν γὰρ κοιναὶ ἔννοιαι νοῦ ὑπάρχουσαι ἀπηχήματα, οὐδεμιᾶς
δέονται βασάνου οὐδὲ λόγου τινός, ἢ ὅσον παραθέσεώς τινος βραχείας, ὥστε
ἀνεγεῖραί τε καὶ ἀνάψαι τὸ ἐγκεκαλυμμένον καὶ βεβυσμένον ἐν ἡμῖν τῆς νοερᾶς
δυνάμεως ἐμπύρευμα· οἱ δέ γε ὅροι ἐπιστήμης δέονται καὶ βασάνου πλείονος καὶ
πραγματείας οὐ τῆς τυχούσης, ἵνα δῆλοι γένωνται καὶ τὰς τῶν ὁριστῶν οὐσίας δι’
ἑαυτῶν παραστήσωσι.
[«Le nozioni comuni, infatti, in quanto eco dell’Intelletto non necessitano di alcuna
prova, né di una qualche argomentazione (o a titolo di una qualche breve aggiunta) per
destare e riaccendere il carbone della nostra potenza intellettuale oscurato e ostruito.
I termini da cui muovono le dimostrazioni nelle scienze, invece, necessitano anche
di una maggior prova e impegno non da poco per diventare evidenti e per produrre di
per se stesse le sostanze delle definizioni.»]

Questo passo, che per certi versi appare poco chiaro, utilizza ancora una vol-
ta il termine ἀπηχήματα per descrivere i contenuti innati nell’anima. Tuttavia
qui, contrariamente a 4.2 e a 4.7, dove ad essere definite «eco» dell’Intelletto
separato erano le definizioni delle scienze, al contrario le definizioni non sono
descritte in questo modo, ma sono caratterizzate per il non essere immediata-
mente evidenti. A giocare qui il ruolo invece di contenuti innati, appunto «eco»
dell’Intelletto separato, sono le «nozioni comuni». In altre parole in 4.8 le no-
zioni comuni sembrano essere descritte come auto-evidenti, contrariamente alle
definizioni, che necessitano di un processo più approfondito per essere colte.
Il problema è che in 4.1 Eustrazio – se abbiamo compreso bene il senso del
passo – aveva definito le nozioni comuni come prodotto dell’attività dell’anima
(οἰκεῖα ἐνεργήματα), ben distinte dai «concetti» (νοήματα) che sarebbero inve-
ce eco nell’anima dell’Intelletto separato. Invece qui, in 4.8, le nozioni comuni
sono identificate con i logoi presenti nell’anima, qualcosa di ben diverso da un
prodotto dell’operazione dell’anima stessa. È pur vero che questa inconsistenza
II. I commenti filosofici e le dottrine 171

riflette forse il problema dell’identificazione o meno delle nozioni comuni con i


logoi innati che già si era manifestato nel tardo neoplatonismo.206 Inoltre 4.1 e
4.8 sono passi tratti da opere diverse e dunque un’inconsistenza nella descrizio-
ne di queste nozioni comuni nelle due opere è possibile.
Un altro elemento degno di nota è questo riferimento alla conoscenza come
un carbone ardente (ἐμπύρευμα) ostruito a seguito del processo di generazione
dell’anima. Eustrazio scrive che questa potenza o capacità intellettuale viene ri-
svegliata e si riaccende dallo stato in cui si trovava. Come questo accada, questo
non viene qui detto. Ma l’occorrere in 4.8 di una forma derivata da ἀνεγείρειν,
già ritrovata nel caso di 4.6 e sulla cui origine neoplatonica si è già detto in pre-
cedenza, sembrerebbe suggerire uno stimolo esterno come ciò che riattiva questa
potenza intellettuale ostruita e incapace di funzionare. Un simile discorso può
essere fatto per la forma ἀνάψαι, da ἀνάπτειν, che in 4.8 descrive il riaccendersi
di questo carbone ardente. Tale forma è spesso usata da Proclo, in maniera assai
simile all’utilizzo di questa forma in Eustrazio, per descrivere il riaccendersi
della luce della potenza intellettuale nell’anima.207 Se poi è vero che l’utilizzo
dell’immagine del carbone, in particolare del termine ἐμπύρευμα, per descri-
vere la conoscenza innata nelle anime non occorre alla lettera nella letteratura
neoplatonica, è pur vero che l’immagine del fuoco o delle fiamma per descrivere
la conoscenza intellettuale è diffusa, forse a partire dagli Oracoli Caldaici, nei
tardo neoplatonici.208 Sempre in Proclo, ad esempio, troviamo forme derivate da
ἀναζωπυρέω, peraltro spesso in concomitanza con le forme verbali da ἀνεγείρειν
e ἀνακινεῖν viste in precedenza, per descrivere il processo tramite il quale la lu-
ce della potenza intellettuale si riaccende nelle anime.209 Si tratta di forme, lo ri-

206 Cfr. HELMIG, Forms cit. 270-272.


207 Cfr. e.g. PROCLUS, Theologia cit., 1,7, 17-18: τάχ’ ἂν εἰκότως αὐτοὺς τοὺς θεοὺς παρακαλοῖμεν τὸ
τῆς ἀληθείας φῶς ἀνάπτειν ἡμῶν ταῖς ψυχαῖς. Ibid., 3,6,6-7: αὐτοὺς τοὺς θεοὺς ἡμῖν ἀνάπτειν τὸ τῆς
ἀληθείας φῶς παρακαλέσαντες. ID., In Platonis rem publicam cit., 1,18,20-22: εἰ καὶ ἣ μὲν ὡς εἰς φῶς
ἄγουσα τοὺς ἀφανεῖς λόγους τῆς φύσεώς ἐστι φωσφόρος, ἣ δὲ ὡς τὸ νοερὸν ἀνάπτουσα φῶς ταῖς ψυχαῖς.
ID., In Platonis Alcibiadem cit., 182,13-15: ὸν διῃρημένον ἀθροίζοντες νοῦν καὶ οἶον ἐκ σπινθήρων
πολλῶν ἓν φῶς ἀνάψαι σπεύδοντες καὶ τὸ μερισθὲν περὶ ἕκαστον ἀγαθὸν εἰς τὴν κοινὴν εὐπραγίαν
συνεισφέροντες. ID., In Platonis Parmenidem cit., 770,22-24: οἷον ἐκ πυρείων ἀνάψας ἑαυτῷ φῶς διὰ
τῆς πρὸς τὸ πρᾶγμα ἐνατενίσεως καὶ τῆς πρὸς αὐτὰ τὰ εἴδη συνεχοῦς ἀνατάσεως. Ibid., 1061,21-22: καὶ
φῶς ἀνάψας νοερὸν τῆς περὶ ταῦτα πραγματείας.
208 Si veda R.J. MAJERCIK, The Chaldean Oracles. Text, Translation, and Commentary, Brill, Leiden 1989,

189-190; 211.
209 Cfr. e.g. PROCLUS, In Platonis Parmenidem cit., 781,8-10: Δεῖ γὰρ δὴ πρὸ τῆς τῶν θείων παρουσίας

ἀνακινεῖν ἑαυτὸν καὶ ἀναζωπυρεῖν τὸ τῆς ψυχῆς θεῖον εἰς μετουσίαν τῶν κρειττόνων. ID., In Platonis
Alcibiadem cit., 194,18,195,1: τὸ γὰρ ὄμμα τῆς ψυχῆς ὑπὸ πολλῶν ἐπιτηδευμάτων ἀποτυφλωθὲν καὶ
κατορυχθὲν ὑπὸ τούτων ἀναζωπυρεῖται καὶ πρὸς ἑαυτὸ ἐπιστρέφει καὶ τὴν ἑαυτοῦ γνῶσιν. Si vedano
anche SYRIANUS, In Aristotelis Metaphysica cit., 102,38,103,1: ὅπως ἐξ αὐτῶν ὄργανόν τι τῆς ἑκάστου ψυχῆς
172 Il neoplatonismo di Eustrazio di Nicea

petiamo, assai frequenti nella letteratura in questione per descrivere il ripristino


della conoscenza innata dell’anima dopo che questa era stata ostruita a seguito
del processo di generazione.210 E non a caso in 4.8 si trovano proprio due parti-
cipi riferiti all’immagine del carbone ardente, ἐγκεκαλυμμένον e βεβυσμένον,
che descrivono il carattere nascosto e ostruito di questa conoscenza innata.
Se c’è tuttavia un aspetto che ancora non abbiamo esaminato nel dettaglio,
questo è sicuramente la questione del come possa riattivarsi questo patrimonio
di conoscenze innate nell’anima una volta che esso sia ostruito e ostacolato dal
legame con il corpo. L’occorrenza in Eustrazio delle forme derivate da ἀνεγείρειν
ci ha indirizzati verso la soluzione adottata dai tardo-neoplatonici, quella cioè
di postulare una riattivazione dall’esterno, grazie ad uno stimolo derivante dalla
conoscenza sensibile. Tuttavia vi è un passo dal commento al libro VI dell’Ethi-
ca Nicomachea in cui a nostro parere il commentatore rende esplicita questa
dinamica:

4.9 In VI EN, 320,19-36: ἡ δὲ οὐσία τριττὴ κατὰ τοὺς περὶ Πλάτωνα, ἡ μὲν φυσική,
ἡ δὲ μαθηματική, ἡ δὲ θεολογική. εἰ γὰρ καὶ Ἀριστοτέλης περὶ τὰ ἐξ ἀφαιρέσεως
λέγει τὴν μαθηματικὴν καταγίνεσθαι, ἀλλὰ τοῦτο οὐκ ἤρεσκε τοῖς Πλατωνικῶς
περὶ τοῦτο δοξάζουσι, διότι τὰ ἐξ ἀφαιρέσεως τῶν αἰσθητῶν ἐστι καὶ φυσικῶν
χείρονα, ὡς ἐξ αὐτῶν τὴν γένεσιν ἔχοντα καὶ ὑστερογενῶς αὐτῶν ὑφιστάμενα.
καὶ ἄτοπον εἶναί φασι τὴν ψυχήν, πολλῷ κρείττω οὖσαν τῆς φύσεως ἐκ τῶν καθ’
ἕκαστα καὶ φυσικῶν ἔχειν ἐν ἑαυτῇ τοὺς λόγους ὑφισταμένους, ἀλλὰ μὴ ἔχειν πρὸ
τῶν αἰσθητῶν εἴδη καὶ λόγους οἰκείους αὐτῇ λογικῶς καὶ ψυχικῶς ἐνυπάρχοντας,
κρείττους ὄντας καὶ φύσει προτέρους τῶν ἐνύλων καὶ αἰσθητῶν καὶ καθ’ ἕκαστα,
κἂν ἐξ ἀρχῆς ἀγνοοῦσα τούτους διὰ τὸν δεσμὸν τῆς γενέσεως χρῆται τῇ αἰσθήσει
καὶ τοῖς ἀφαιρουμένοις ἐκ τῆς ὕλης εἴδεσι καὶ λόγοις, ὅπως ἀναφθῇ ἐξ αὐτῶν ἐν
αὐτῇ τὸ τῆς γνώσεως ζώπυρον, ὃ ἐκ τῆς οἰκείας φύσεως καὶ τοῦ δημιουργήσαντος
ὑπάρχον αὐτῇ συγκέχυται τοῖς ἐκ τῆς γενέσεως πάθεσι, καὶ δεῖται ἀνακαθάρσεως
εἰς φανέρωσιν, ὡς ἐν αἰθάλῃ κεκρυμμένον ἐμπύρευμα, ὃ δὴ σκεδαννυμένης τῆς
αἰθάλης ἐκφαίνεται καὶ δραττόμενον ὕλης εἰς πυρσὸν πολλάκις ἀνάπτεται.
[«La sostanza si divide secondo i platonici in tre tipi, quella naturale, quella matemati-
ca, quella teologica. Mentre Aristotele dice che la matematica riguarda oggetti derivati
per astrazione, tuttavia questa soluzione non piaceva ai Platonici che si occupavano di

ἐκκαθαίρεταί τε καὶ ἀναζωπυρεῖται, ἀπολλύμενον καὶ τυφλούμενον ὑπὸ τῶν ἄλλων ἐπιτηδευμάτων.
ASCLEPIUS, In Aristotelis Metaphysica cit., 13,3-4: Ἐντεῦθεν βούλεται ἡμῖν εἰπεῖν ἐκ τίνων ἡ γνῶσις τῆς
ψυχῆς κατορθοῦται καὶ ἀναζωπυρεῖται.
210 Su questo si veda ancora HELMIG, Forms cit., 273; 293; 302; 310. Spesso questo principio viene rife-

rito dai neoplatonici all’immagine dell’occhio dell’anima, discussa nella sezione 2, accecato e ostruito dal
contatto con il corpo. Cfr. supra, 101-102. Lo stesso Eustrazio parla di occhio dell’anima come di qualcosa
di accecato e ostruito dalle passioni in EUSTR., In VI EN, 311,34-315,1.
II. I commenti filosofici e le dottrine 173

questo problema, per il fatto che gli oggetti derivati per astrazione sono peggiori degli
oggetti sensibili e delle realtà naturali, in quanto sono generati a partire da questi e
rispetto a questi vengono all’essere dopo. E dicono che sarebbe inconveniente se l’ani-
ma, che per natura è di molto superiore, avesse dei logoi esistenti in se stessa ricavati
dai particolari e dalle realtà naturali, ma non disponesse di forme antecedenti rispetto
ai particolari e di logoi corrispondenti alla sua natura ed esistenti in essa in maniera
razionale e psichica, che sono superiori e per natura antecedenti rispetto alle forme
materiali, ai sensibili e ai particolari. E benché l’anima ignori questi logoi a causa
del vincolo della generazione, essa può servirsi della sensazione, delle realtà astratte
dalle forme materiali e dei logoi, di modo che la scintilla della conoscenza si riaccenda
nell’anima a partire da questo materiale. Quella scintilla che esiste nell’anima in virtù
della propria natura e del Creatore e che è stata cancellata dalle passioni derivanti dal
processo di generazione, e che richiede di essere ripulita per poter tornare a brillare,
come carbone ardente nascosto sotto la fuligine, che una volta dispersa la fuligine
brilla e che, trovato il materiale necessario, spesso torna ad infiammarsi.»]211

Come il lettore può notare, si tratta di una dossografia in cui Eustrazio mette
l’una contro l’altra la posizione di Aristotele e quella dei platonici circa la va-
lenza dei concetti derivanti per astrazione (ἐξ ἀφαιρέσεως) dai particolari sen-
sibili. Eustrazio segnala correttamente come in Aristotele ad essere derivati per
astrazione siano le realtà oggetto della matematica. Si tratta di quanto già visto
nel corso della nostra analisi di 2.1 e 2.2. Tuttavia, quando Eustrazio passa ad
analizzare la posizione dei platonici appare chiaro che il processo astrattivo di
cui si parla nel passo non è più solo relativo alla conoscenza delle realtà oggetto
della matematica, bensì in generale a tutti i concetti che in quanto tali derivano
dai particolari sensibili.
La descrizione della posizione dei platonici appare assai più dettagliata di
quella della posizione di Aristotele, cui di fatto Eustrazio riserva un cenno ap-
pena. Qui possiamo dividere questo resoconto in due parti. Nella prima troviamo
un argomento attribuito ai platonici contro l’astrazionismo aristotelico. Secondo
questo argomento i concetti derivati per astrazione dai particolari sensibili sa-
rebbero di natura inferiore agli stessi sensibili, in quanto condividerebbero la
loro natura di enti soggetti a corruzione e vengono dopo all’essere, nel senso che
sono successivi all’esistenza dei sensibili dalla cui esistenza dipendono. Sarebbe
a questo punto paradossale, continua Eustrazio nella sua descrizione del punto
di vista platonico, se l’anima, avendo in se stessa i logoi di tutte le cose, dovesse

211 Abbiamo discusso questo passo in M. TRIZIO, “Dissensio Philosophorum”. Il disaccordo tra Platone

e Aristotele nei commenti filosofci di Eustrazio di Nicea († ca. 1120), in A. PALAZZO (a cura di), L’antichità
classica nel pensiero medievale. Atti del Convegno della Società italiana per lo studio del pensiero medievale
(S.I.S.P.M.) Trento, 27-29 settembre 2010, Fidem, Porto 2011, 17-37, in part. 23-27.
174 Il neoplatonismo di Eustrazio di Nicea

dipendere per la sua conoscenza da concetti derivati per astrazione dai parti-
colari sensibili. Queste forme, questi logoi, sono anteriori rispetto ai sensibili
e proiettano una conoscenza anteriore e qualitativamente superiore rispetto a
quella derivata per astrazione dai particolari sensibili.212 Come abbiamo avuto
modo di vedere in precedenza, quando Eustrazio riporta la posizione dei platoni-
ci, lo fa avendo in mente un referente ben preciso tra i neoplatonici, ossia Proclo.
Questo passo non fa eccezione. In questo caso la posizione dei platonici è infatti
desunta da uno dei testi più importanti per la discussione di questo tema, ossia
il commento di Proclo al Parmenide.
Confrontiamo i due testi. Eustrazio scrive:

{...} διότι τὰ ἐξ ἀφαιρέσεως τῶν αἰσθητῶν ἐστι καὶ φυσικῶν χείρονα, ὡς ἐξ αὐτῶν
τὴν γένεσιν ἔχοντα καὶ ὑστερογενῶς αὐτῶν ὑφιστάμενα.
[«{...} per il fatto che gli oggetti derivati per astrazione sono peggiori degli oggetti
sensibili e delle realtà naturali, in quanto sono generati a partire da questi e rispetto
a questi vengono all’essere dopo.»]213

Proclo scrive nel suo commento al Parmenide, all’interno di una lunga sezione
dedicata proprio al valore dei concetti astratti dai sensibili, che:

οὐ γάρ που περὶ τῶν ὑστερογενῶν ποιησόμεθα τὴν θεωρίαν· ταῦτα γὰρ αὐτὰ τῶν
αἰσθητῶν ἐστιν ἀτιμότερα καὶ τῶν ἐν αὐτοῖς κοινῶν.
[«Non considereremo i concetti derivati successivamente. Questi sono infatti meno
nobili degli stessi oggetti di sensazione e degli elementi ad essi comuni.»]214

Questo parallelismo merita alcune note chiarificatrici. In entrambi i passi


infatto occorre la medesima terminologia, in particolare per quel che concer-
ne il termine ὑστερογενῶς in Eustrazio, che riverbera il genitivo plurale τῶν
ὑστερογενῶν di Proclo. Abbiamo già incontrato in precedenza questa espressio-
ne nella sezione 3 della seconda parte del presente lavoro, quando cioè abbiamo
ricostruito la teoria di Eustrazio del tutto e delle parti e la sua applicazione
alla teoria degli universali.215 Conviene adesso spendere due parole su questa
terminologia. L’espressione τὰ ὑστερογενῆ è un termine tecnico che compare
nella letteratura neoplatonica per descrivere i concetti derivati per astrazione dai

212 EUSTR., In VI EN, 320,21-29.


213 EUSTR., In VI EN, 320,23-24.
214 PROCLUS, In Platonis Parmenidem cit., 980,9-11. Un’altra parte del testo in cui Proclo discute il

problema è ibid., 892,7-895,1.


215 Cfr. ntt. 111 e 118 della II parte del presente lavoro.
II. I commenti filosofici e le dottrine 175

particolari sensibili. A torto o a ragione nella tarda antichità questa terminologia


venne ricondotta ad un passo di De anima I,1,402b7-8 dove Aristotele scrive
che «il vivente come universale o è niente o è successivo», testo che veniva
interpretato in senso concettualistico, come cioè l’universale derivato appunto
per astrazione dai sensibili.216 Eustrazio conosce bene la storia di questa associa-
zione, tanto è vero che cita questo passo del De anima per ben due volte, proprio
in rapporto agli universali derivati dai sensibili.217 I neoplatonici elaboreranno
contro il modello epistemologico astrazionista dei peripatetici diversi argomenti
volti a declassare gli ὑστερογενῆ a conoscenza derivata e inferiore rispetto a
quella dei logoi innati che pulsano nella nostra anima.218 Eustrazio risente chia-
ramente di questa argomentazione generale, mentre nel caso specifico attinge
dal commento al Parmenide per questa sua dossografia.
Veniamo alla seconda parte di 4.9. Qui Eustrazio attribuisce ai platonici l’ar-
gomento secondo cui questi logoi innati, di cui l’anima ha dimenticanza a causa
del processo di generazione e del legame con il corpo, possono essere riattivati
proprio grazie alle sensazioni e alle forme astratte dalla materia. Eustrazio ri-
propone l’immagine del riaccendersi di una scintilla (ζώπυρον) e del carbone
ardente (ἐμπύρευμα) già vista in 4.8 e analizzata, per quel che concerne le
fonti, in precedenza.219 Qui l’immagine in questione viene chiarificata meglio:
la conoscenza innata viene paragonata ad un carbone ardente nascosto sotto
la cenere e di cui solo il fumo del calore sottostante è visibile. La conoscenza
avviene allorquando ridestiamo questo carbone ormai ricoperto riaccendendo la
fiamma della conoscenza. Ci sembra che questo riferimento alle forme astratte
dalla materia e in generale alla sensazione come ciò a partire dal quale è possi-
bile riattivare il fuoco della conoscenza, ossia la conoscenza innata nell’anima,
sia coerente con l’impianto teoretico neoplatonico discusso in precedenza. Allu-
diamo in particolare alla tesi di Proclo per cui, se da un lato gli ὑστερογενῆ non
sono basi affidabili per la conoscenza, dall’altro sono proprio loro a permettere
la riattivazione di questo patrimonio conoscitivo innato.
Due sono le osservazioni che intendiamo proporre al lettore in merito a 4.9. La
prima è che, benché ci si trovi di fronte ad una dossografia, il contenuto dottri-
nale attribuito ai seguaci di Platone e derivato da Proclo è pienamente coerente

216 ARIST., De anima, I,1,402b7-8: τὸ δὲ ζῷον τὸ καθόλου ἤτοι οὐθέν ἐστιν ἢ ὕστερον. La genesi di

questa terminologia è stata molto ben ricostruita da HELMIG, Forms cit., 208-221.
217 EUSTR., In II A.Po., 194,1-3; ID., In I EN, 41,12-15.
218 Su questo si veda STEEL, Breathing cit., 300-301; HELMIG, Forms cit., 209-219, in part. 215, nt. 53,

dove l’autore riferisce anche del caso di Eustrazio collocandolo all’interno delle argomentazioni procliane
del commento al Parmenide.
219 EUSTR., In VI EN, 320,29-36.
176 Il neoplatonismo di Eustrazio di Nicea

con il contenuto dottrinale dei passi di Eustrazio esaminati in questa sezione


dove Eustrazio parla in prima persona. Ancora una volta Eustrazio, proprio come
aveva fatto nei passi esaminati nella sezione 3, si identifica pienamente con le
sue fonti neoplatoniche. La seconda osservazione riguarda questo riferimento
al Creatore come a colui il quale avrebbe posto nell’anima questo patrimonio
conoscitivo innato, che ora non è invece più percepito a seguito del processo
di generazione dell’anima e dell’influsso negativo delle passioni dovute al rap-
porto con il corpo. Per quanto tale riferimento possa rimandare ad un retroterra
cristiano, ci pare che ancora una volta il retroterra dottrinale di Eustrazio sia
la descrizione procliana della condizione dell’anima a seguito dello shock del
processo di generazione, in virtù del quale questi logoi pulsanti nell’anima sono
ostruiti. La metafora eustraziana del carbone quasi spento e visibile solo dal
fumo che fuoriesce dalle ceneri mi pare in questo senso assai indicativa. Ad
esempio Proclo, nel commento all’Alcibiade I, scrive che la conoscenza è in noi
innata, «ma siamo impediti nel coglierla a causa delle condizioni che derivano
dal processo di generazione» (ἐμποδιζόμεθα δὲ πρὸς τὴν κατάληψιν αὐτῆς διὰ
τὰ ἐπιπροσθοῦντα παθήματα τὰ γενεσιουργά).220 Sempre nella stessa opera
Proclo scrive:

καὶ γὰρ ἀγνοοῦμεν ἑαυτοὺς ὑπὸ τῆς γενεσιουργοῦ λήθης κατεχόμενοι καὶ ὑπὸ τῆς
ταραχῆς τῶν ἀλόγων εἰδῶν τῆς ζωῆς ἐκκρουόμενοι, καὶ οἰόμεθα πολλὰ γινώσκειν
ὧν ἀγνοοῦμεν διὰ τοὺς κατ’ οὐσίαν ἡμῖν ἐνυπάρχοντας λόγου.
[«e infatti ignoriamo noi stessi legati alla dimenticanza seguita al processo di ge-
nerazione e distolti dal disordine delle forme di vita irrazionali, e crediamo di co-
noscere molte cose che ignoriamo, a causa delle ragioni innate in noi in maniera
sostanziale.»]221

Ci si lasci corroborare questa tesi alla luce di un confronto incrociato tra il


vocabolario che in Proclo descrive questa condizione di shock per l’anima seguita
al processo di generazione con la terminologia impiegata da Eustrazio per descri-
vere il medesimo processo. Da un tale confronto infatti emerge chiaramente che
il lessico impiegato da Eustrazio in vari passi per descrivere questo processo e
le conseguenze per l’anima è preso da Proclo:

(1) PROCLUS, In Platonis Alcibiadem cit., 127,10-14: τοῦτο δὲ ἐνδείκνυταί που τὴν μὲν

220PROCLUS, In Platonis Alcibiadem cit., 212,12-14.


221PROCLUS, In Platonis Alcibiadem cit., 7,3-6. Si noti che la forma ἐνυπάρχοντας, che qui descrive la
presenza dei logoi nell’anima, è lo stesso termine che in 4.9 Eustrazio aveva impiegato per descrivere la
presenza dei logoi nell’anima secondo la posizione dei platonici.
II. I commenti filosofici e le dottrine 177

εἰς ὕλην ῥέπουσαν ζωὴν ἀσχάλλειν καὶ λυπεῖσθαι διὰ τὰ ἐκεῖθεν ἐμπόδια, τὴν δὲ
εἰς νοῦν ἀναγομένην εὐφροσύνης πληροῦσθαι· τὰ μὲν γὰρ ἐμπόδια τῆς ζωῆς ἐκ
τῆς ὕλης ἐφήκει ταῖς ψυχαῖς, ἡ δὲ ῥᾳστώνη καὶ τὸ εὔλυτον ἀπὸ νοῦ καὶ θεῶν. (2)
Ibid., 144,6-9: δεύτερον ὅτι τὸ χωρισθῆναι τοῦ σώματος τὴν ψυχὴν ἀπαλλάττει
τῆς ἐν τῷ θνητῷ τόπῳ δυσχερείας καὶ τῶν ἐμποδίων τῶν ἐνταῦθα παραγινομένων
εἰς τὴν τεῦξιν τοῦ προσήκοντος τέλους. (3) Ibid., 251,10-12: ἐμπόδιον γάρ ἐστι τὸ
πλῆθος πρὸς τὴν εἰς αὐτοὺς ἡμᾶς ἐπιστροφὴν καὶ πρὸς τὴν γνῶσιν τοῦ ἑνὸς εἴδους.
(4) ID., Theologia cit., 1, 74.24-25: τὰ τῆς ὀχλήσεως ἐκ τῶν τῆς ὕλης ἐμποδίων.
(5) ID., In Platonis Parmenidem cit., 988.26-28: δυνάμεσι δὲ χρωμένην πολλαῖς εἰς
τὴν τῆς ἀληθείας κατάληψιν, μιμουμένην δὲ τὸν νοῦν καὶ τὰς ἀρχὰς ἀπὸ νοῦ
δεχομένην.

Si confrontino questi passi con:

(1) EUSTR., In I EN, p. 59,34-60,3: ἔχει δὲ τὸν τοῦ σώματος σύνδεσμον τὴν σπουδὴν
κολούοντα καὶ τῇ ἀναπτήσει τοῦ νοὸς ἐμποδίζοντα. (2) Ibid., 70,12-19: δόξειε γὰρ
ἂν ἴσως πᾶσαν ἔχειν τὸ εὖ τὴν μετὰ λόγου ἐνέργειαν. ἀλλ’ εἰ τοῦτο ἦν, οὐκ ἄν
ποτε ὁ λόγος ἡμάρτανε τοῦ προσήκοντος, ἀλλ’ ἐπεὶ τὸ μὴ ἁμαρτάνειν τῶν ἔξω
σώματος πάντῃ καὶ γενέσεως, ὁ δὲ λόγος ὁ ἀνθρώπινος μετὰ τούτων ἐστίν, ἔστ’
ἂν ἡ ψυχὴ τῷ σαρκίῳ συνδέδεται, καὶ πολλὰ ἐκ τούτου αὐτῇ τὰ ἐμπόδια, πολλῆς
δεῖ γυμνασίας καὶ πείρας καὶ χρόνου μακροῦ καὶ πόνου ἐνδελεχοῦς, ὥστε ἐν ἕξει
τινὰ γενέσθαι τοῦ εὖ ἐνεργεῖν ἐν ἅπασι καὶ κατορθωτικὸν τῶν δεόντων ἐν τοῖς
ἔργοις φαίνεσθαι. (3) Ibid., 88,10-15: αὶ τοῦτο, φησίν, ὑπάρχει τῇ εὐδαιμονίᾳ,
τὸ κοινὸν ἔχειν τὴν κτῆσιν τοῖς πολλοῖς· οὐ γὰρ τοῖς μὲν ὑπάρξαι δυνατὸν τῶν
ἀνθρώπων, τοῖς δ’ οὔ, ἀλλ’ ὅσοι μὴ πρὸς ἀρετὴν βεβλαμμένην ἔχουσι τὴν διάνοιαν
ἀπό τινος ὑλικῆς περιπτώσεως, μηδ’ ἔχει αὐτοῖς ἡ ψυχή τι ἐμπόδισμα ἐκ τοῦ πρὸς
τὸ σῶμα συνδέσμου κατὰ τὴν ἑαυτῆς φύσιν ἐνεργεῖν, πᾶσι τούτοις δυνατὸν τὴν
εὐδαιμονίαν ὑπάρξαι ἐπιμεληθεῖσι καὶ ἐθίσασι τὰ καλά. (4) ID., In VI EN 271.28-
30: διὰ γὰρ τὰς διανοητικὰς δεόμεθα καὶ τῶν πρακτικῶν, ὡς ἂν μὴ ὑπὸ τῶν
παθῶν ἐνοχλούμενοι καὶ ἐπισκοτούμενοι ἐμποδὼν αὐτὰ θεωρεῖν βουλόμενοι τὴν
ἀλήθειαν ἔχωμεν. (5) Ibid., 294,22-23: ἐκεῖνα δὲ διανοίᾳ καὶ μάλιστα νῷ τῆς τῶν
παθῶν ἀπαλλαττομένῳ ὀχλήσεως. (6) Ibid., 317.24-26: ὅταν δὲ τῆς τῶν παθῶν
ἀπαλλαγῇ συγχύσεως καὶ τῶν συνηρτημένων ὑπεραρθῇ δυνάμεων καὶ τὸ τέλειον
αὐτοῦ ὑπολήψεται ἑαυτοῦ μόνου γενόμενος. (7) Ibid., 377,39-378,4: νοερὰ δέ,
ὅτι μετοχῇ τοῦ ἁπλῶς νοῦ τοὺς ὅρους ἔχει καὶ τὰς ἀρχὰς τῶν ἐπιστημῶν, ἀμέσως
αὐτοὺς γινώσκουσα καὶ διὰ τούτων μιμουμένη τὸν νοῦν, ἀμέσοις ἐπιβολαῖς
τοῖς νοητοῖς ἐπιβάλλοντα, ἐξ ὧν καὶ ὁρμώμενος τὰς ἐπιστημονικὰς περαίνει τῶν
γνώσεων.

Una conferma di questo legame tra Eustrazio e Proclo su questo tema arriva, a
nostro parere, da un passo assai importante tratto dal commento eustraziano al II
libro degli Analytica Posteriora. Si tratta di una lunga nota esegetica a Analytica
178 Il neoplatonismo di Eustrazio di Nicea

Posteriora II,19,99b17, dove Aristotele annuncia l’indagine relativa alla disposi-


zione atta a cogliere i principi. All’interno di questa nota Eustrazio opera ancora
una volta una dossografia tra le posizioni di Platone e Aristotele: se per il primo i
principi diventano noti per reminiscenza attivata dalla sensazione, per il secondo
invece la conoscenza viene spiegata come passaggio dalla potenza all’atto.222 A
sorpresa, tuttavia, Eustrazio dichiara di non voler discutere le tesi di questi filo-
sofi, ma di voler comunque dare un proprio contributo personale alla questione:

4.10In II A.Po., 257,33-258,27. Ἀλλ’ ἀλλοτρίαις μὲν δόξαις διαιτᾶν καὶ ὡς ἔχουσιν
ἀληθείας ἢ ψεύδους ἐξετάζειν ἐν τῷ παρόντι περιττόν· οὐκ ἄχαρι δ’ ἴσως λόγον
προσθεῖναί τινα τοῦ πράγματος ἐφαπτόμενον. ἐν τῇ τάξει τῶν εἰδῶν τὰ προσεχῶς
μετά τι μετέχει τρανότερον τοῦ προσεχῶς πρὸ αὐτῶν. ἐπεὶ οὖν ἡ ψυχὴ προσεχῶς
μετὰ νοῦν, μετέχει τοῦ νοῦ μᾶλλον ἤπερ τὰ πόρρω τοῦ νοῦ, καὶ τούτου ἐν αὐτῇ
ἀπηχήματα αἱ κοιναὶ καὶ αὐτόπιστοι ἔννοιαι, δι’ ὧνπερ φέρει τινὰ πρὸς τὰς ἀμέσους
τοῦ νοῦ ἐπιβολὰς ἀπομίμησιν, αἳ δὴ ἐξ ἀρχῆς μὲν αὐτῇ ὡς ἐμπυρεύματα ἐν αἰθάλῃ
ἀποκεκρύφαται τῇ ἐπικρατείᾳ τῶν χειρόνων δυνάμεων συγχεόμεναι, λέγω δὴ
τῆς φυτικῆς τε καὶ ζωτικῆς, διὰ τὸ φθανούσας ταύτας ἐνεργεῖν ἐν τῷ σώματι
γενεσιουργούς τε οὔσας τῷ τε σώματι προσεχῶς χορηγούσας τὴν σύστασιν, καὶ
τοῦτο ἐπιτήδειον πρὸς τὰς δι’ αὐτοῦ ἐνεργείας παρασκευαζούσας τῇ κρείττονι.
{...} οὔτε οὖν ὡς προϋπάρχουσαι τῶν σωμάτων αἱ ψυχαὶ εἰς ἀνάμνησιν ἔρχονται
τῶν ἀρχῶν οὔτε μὴν ὡς κατ’ οὐσίαν ἐκ τοῦ δυνάμει εἰς τὸ ἐνεργείᾳ προβαίνουσαι
εἰς γνῶσιν τῶν ἀμέσων προΐασι διὰ τῶν αἰσθήσεων, ἀλλ’ ἔχουσι μὲν ταύτας σὺν
τοῖς προσφυέσι σώμασιν εἰς τὸ εἶναι παραγενόμεναι, οὐ προβάλλουσι δὲ ὑπὸ τῆς
ἀλογίας τῶν χειρόνων κατακρατούμεναι.
[«Ma sarebbe superfluo in questo contesto giudicare dottrine di altri uomini e inda-
garne il contenuto come se fossero vere o false. Cionondimeno non sarà forse privo
di gusto aggiungere qualche argomento pertinente alla cosa. Nella gerarchia delle
forme ciò che si trova subito dopo qualcosa partecipa in maniera più chiara di ciò
che si trova subito prima di essa. Per questo, dunque, l’anima, in quanto viene subito
dopo l’Intelletto, partecipa dell’Intelletto più di ciò che è più lontano dall’Intelletto.
E dell’Intelletto ha in sé delle concezioni comuni e autoevidenti come delle eco,
tramite le quali mantiene una qualche imitazione rispetto alle immediate intuizioni
dell’Intelletto che dall’inizio aveva in sé come carbone ardente nascosto da fuliggine

222 EUSTR., In II A.Po., 257,27-32: καὶ τὸ πρᾶγμα Πλάτων μὲν ἂν εἴποι ἀνάμνησιν, λήθην μὲν πασχούσης

τῆς ψυχῆς, ὡς ἐκεῖνός φησι, διὰ τὴν εἰς τὴν γένεσιν κάθοδον, κατὰ μικρὸν δὲ προϊούσης εἰς τὴν τοῦ
ἐπιλησθέντος ἀνάληψιν διὰ τῆς κατὰ αἴσθησιν γνώσεως, Ἀριστοτέλης δὲ ἐκ τοῦ δυνάμει εἰς τὸ ἐνεργείᾳ
μεταβολήν, δυνάμει λέγων ταῖς ἀνθρωπίναις ψυχαῖς ἐνεῖναι τὸν νοῦν ἐξ ἀρχῆς, καὶ διὰ τῶν αἰσθημάτων
προέρχεσθαι εἰς ἐνέργειαν. Simili dossografie su Platone e Aristotele in merito al tema della natura della
conoscenza si trovano in ALEXANDER APHRODISIENSIS, In Aristotelis Topicorum cit., 332,21-22; PHILOPONUS, In
Aristotelis analytica priora commentaria, ed. M. WALLIES, Berlin, Reimer 1905 («Commentaria in Aristote-
lem Graeca», XIII,2), 464,24-25; ID., In Aristotelis libros de anima cit., 92,35-93,10.
II. I commenti filosofici e le dottrine 179

e oscurate dalla predominanza delle potenze inferiori, ossia quella vegetativa e vitale.
Poiché queste operano in prima istanza nel corpo, in quanto queste potenze che so-
praggiungono all’anima operano in quanto derivanti dal processo di generazione e in
quanto in prossimità al corpo sono provviste della loro consistenza, il corpo è in questo
modo in grado di compiere quelle operazioni corporali che lo predispongono a ciò che
è migliore. {...} Dunque né le anime pervengono alla conoscenza dei principi in quanto
preesistenti ai corpi, né esse avanzano verso la conoscenza dei termini immediati a
partire dalle sensazioni allorquando passino nella loro sostanza dalla potenza all’atto.
Ma li possiedono quando vengono all’essere assieme ai corpi, ma non ne manifestano
la traccia in quanto soggiogate dall’irrazionalità delle potenze inferiori.»]

Questo testo si divide anch’esso in due parti. Nella prima parte Eustrazio
propone tutta una serie di indicazioni sulla natura dell’anima intellettiva e sull’o-
rigine della conoscenza già viste in precedenza.223 Intanto l’inizio dell’argomen-
tazione, dove cioè Eustrazio chiarisce il contesto metafisico in cui si muove
la sua proposta, è stato già visto quando abbiamo discusso 1.4. Si tratta della
rielaborazione di alcune indicazioni procliane in rapporto al posizionamento
dell’ordine psichico in posizione subito adiacente, ma subordinata, all’ordine
intellettivo. Poi ritorna la descrizione già vista in precedenza della conoscenza
innata nell’anima come eco dell’Intelletto separato. Anche in questo caso, come
in 4.8, ad essere associate a queste eco sono le nozioni comuni. Giacché entram-
bi questi passi sono tratti dal commento al libro II degli Analytica Posteriora, si
può dire che in quest’opera Eustrazio identifichi le nozioni comuni con i logoi
innati, mentre nei commenti ai libri I e VI dell’Ethica Nicomachea, ad essere
identificati con tali logoi sono le definizioni e gli assiomi delle scienze.
Ugualmente già vista in questa sezione è anche un terzo elemento di questa
prima parte, ossia il tema della differenza operativa tra l’Intelletto separato e
l’anima. Lo stesso dicasi per l’immagine dei carboni ardenti (ἐμπυρεύματα), ma
ricoperti dalla cenere, per descrivere la conoscenza innata nel suo essere ostru-
ita. Si tratta di un’immagine già vista in 4.8 e 4.9. Anche in questo caso questa
conoscenza è descritta come nascosta e oscurata dal vincolo che l’anima pos-
siede con le potenze di ordine inferiore.224 Infine, ci pare che anche l’aggettivo
γενεσιουργός che in 4.10 descrive queste potenze irrazionali inferiori che condi-
zionano l’anima nel suo operare intellettivo rimandi ad un retroterra procliano.225

223 EUSTR., In II A.Po., 257,33-258,5.


224 Si confronti EUSTR., In VI EN, 320,31-33 (discusso in 4.9): ὅπως ἀναφθῇ ἐξ αὐτῶν ἐν αὐτῇ τὸ τῆς
γνώσεως ζώπυρον, ὃ ἐκ τῆς οἰκείας φύσεως καὶ τοῦ δημιουργήσαντος ὑπάρχον αὐτῇ συγκέχυται τοῖς
ἐκ τῆς γενέσεως πάθεσι con ID., In II A.Po. (discusso in 4.10), 257,39-258,2: αἳ δὴ ἐξ ἀρχῆς μὲν αὐτῇ ὡς
ἐμπυρεύματα ἐν αἰθάλῃ ἀποκεκρύφαται τῇ ἐπικρατείᾳ τῶν χειρόνων δυνάμεων συγχεόμεναι.
225 Cfr. e.g. PROCLUS, In Platonis Alcibiadem cit., 7,3-5: καὶ γὰρ ἀγνοοῦμεν ἑαυτοὺς ὑπὸ τῆς γενεσιουργοῦ
180 Il neoplatonismo di Eustrazio di Nicea

Prima di passare alla seconda parte di 4.10, una nota sulla sezione che svolge
il ruolo di intermezzo tra queste due parti e che qui, per evidenti limiti di spa-
zio, non possiamo trattare in maniera completa. Desideriamo tuttavia segnalare
come Eustrazio elabori ancora sul tema della conoscenza innata nell’anima e
degli ostacoli materiali che impediscono che questa conoscenza possa torna-
re ad essere percepita e ad articolarsi in maniera autentica.226 C’è una parte
di questo intermezzo che ci pare illuminante su quale sia l’opzione filosofica
cui Eustrazio aderisce. Ad un certo punto Eustrazio, nel descrivere il carattere
ostruito e oscurato della conoscenza innata nell’anima, scrive che la componente
razionale dell’anima necessita di una guida «per protendere di fronte a se stessa
la scienza e le nozioni che sono in essa presenti» (ἵν’ ἑαυτῇ τὴν ἐπιστήμην καὶ
τὰς ἐγκειμένας ἐννοίας προβάληται).227 Ci pare che questa sia l’unica circo-
stanza nell’opera filosofica di Eustrazio in cui compare una forma derivata da
προβάλλειν per descrivere il modo in cui l’anima razionale o la componente
razionale dell’anima articoli la conoscenza innata. Ma si tratta di un’occorrenza
importante, perché proprio questo termine compare in moltissimi testi dei tardo-
neoplatonici per descrivere proprio l’articolarsi, il distendersi, il farsi presente
della conoscenza innata.228
Veniamo adesso all’ultima parte di 4.10.229 Questo testo è importante perché
Eustrazio ritiene di doversi differenziare tanto dall’approccio platonico, quanto
da quello aristotelico da cui l’intera discussione era partita. In questo senso,
Eustrazio rifiuta sia la tesi platonica della pre-esistenza delle anime, sia la teoria
della conoscenza aristotelica per cui si conosce allorquando l’intelletto passa
dalla potenza all’atto all’interno di una dinamica che muove comunque dalle
sensazioni. Al contrario, le anime possiedono i principî allorquando esse vengo-
no all’essere insieme ai corpi.
Questa soluzione è interessante in quanto pone un’ipoteca di carattere cri-

λήθης κατεχόμενοι καὶ ὑπὸ τῆς ταραχῆς τῶν ἀλόγων εἰδῶν τῆς ζωῆς ἐκκρουόμενοι. Ibid., 212,12-13:
ἐμποδιζόμεθα δὲ πρὸς τὴν κατάληψιν αὐτῆς διὰ τὰ ἐπιπροσθοῦντα παθήματα τὰ γενεσιουργά. Ibid.,
250,18-19: πλήρης γάρ ἐστιν αὐτῆς ἡ οὐσία τούτων, ἐπικρύπτεται δὲ ἐκ τῆς γενεσιουργοῦ λήθη. Ibid.,
281,5-6: λημῶντος αὐταῖς τοῦ ὄμματος ὑπὸ τῆς γενεσιουργοῦ λήθης. ID., In Platonis Timaeum cit.,
1,148,8-9: ἐγείρουσα τὰς γενεσιουργοὺς δυνάμεις. Ibid., 1,157,6-7: τὸ ἔνυλον ἀποκόπτον καὶ πᾶν τὸ
γενεσιουργὸν εἶδος ἀμυνόμενον. Ibid., 2,47,6-8: ἔστιν ἄρα καὶ ἐν τῷ οὐρανῷ στοιχεῖα, καὶ οὐ τοῦτον
τὸν τρόπον, ὃν ἐν τοῖς γενεσιουργοῖς σώμασιν. ID., In Platonis Rem publicam cit., 1,124,9-10: ἑαυτοὺς
ἀναρπάζοντες ἀπὸ τῶν ἐνύλων καὶ γενεσιουργῶν παθημάτων.
226 EUSTR., In II A.Po., 258,5-20.
227 EUSTR., In II A.Po., 258,8-9.
228 Il lettore ci perdonerà se ci asteniamo dal segnalare nel dettaglio tutte le occorrenze di questa forma

nella letteratura neoplatonica. Ci basta qui rimandare ancora a HELMIG, Forms cit., 289-299, dove si trova
un’ottima sintesi sulla genesi di questa terminologia.
229 EUSTR., In II A.Po., 258,21-25.
II. I commenti filosofici e le dottrine 181

stiano sull’intera questione. Ma si tratta davvero di una posizione autonoma di


Eustrazio? Per quel che concerne il diniego della preesistenza delle anime, cer-
tamente sì. Ma non sarà sfuggito al lettore che tutta la soluzione che Eustrazio
ha presentato come propria sia costruita, come si è avuto modo di vedere, con
quei termini, quelle espressioni, quelle dottrine che in tutti i passi discussi nella
presente sezione hanno caratterizzato il formarsi della teoria eustraziana dell’in-
telletto e dell’intellezione. L’origine di questa teoria è e rimane il neoplatonico
Proclo.
In altre parole, la posizione di Eustrazio su questo tema è quella di Proclo,
con il solo correttivo cristiano relativo alla creazione simultanea di anima e
corpo. Da questo punto di vista, benché il commentatore abbia annunciato una
posizione autonoma, ci pare che l’ago della bilancia penda ancora nettamente a
favore dell’approccio platonico (o meglio: neoplatonico) a discapito della soluzio-
ne peripatetica. Nel contempo, segnaliamo che quella dottrina della conoscenza
che in 4.9 era stata attribuita a Platone, compare in 4.10 e in tutti gli altri passi
esaminati in questa sezione come la dottrina autentica di Eustrazio.
Ancora una volta, proprio come già visto nella sezione 3 della II parte di que-
sto lavoro, Eustrazio si identifica con quanto egli leggeva nell’opera di Proclo. E
la cosa appare chiara allorquando si legga la conclusione di 4.10, dove Eustrazio
scrive che le anime possiedono i principî come eco dell’Intelletto separato, al-
lorquando esse siano create assieme ai corpi, «ma non ne manifestano la traccia
in quanto soggiogate dall’irrazionalità delle potenze inferiori» (οὐ προβάλλουσι
δὲ ὑπὸ τῆς ἀλογίας τῶν χειρόνων κατακρατούμεναι).230 Potremmo qui tradurre
προβάλλουσι ancora con «protendere», come abbiamo fatto in precedenza con
προβάληται. Ma la sostanza non cambia, il termine rimanda a Proclo. Anche
con il piccolo correttivo cristiano di postulare la creazione simultanea di anima
e corpo, Eustrazio accetta pienamente il modello proiezionista Procliano e rigetta
l’astrazionismo aristotelico.231
Abbiamo dunque visto che Eustrazio accetta la prospettiva neoplatonica se-
condo la quale la caduta dell’anima nel corpo ha pregiudicato la stessa per quel
che riguarda il suo operare autenticamente intellettuale. L’anima può riattivare
i contenuti intellegibili presenti in essa a partire dalla conoscenza sensibile. A
quest’ultima viene appunto riservata questa funzione, non già quella di essere
una base sicura e affidabile per la conoscenza, bensì quella di dare il via al pro-
cesso in virtù del quale l’anima stessa torna ad articolare la conoscenza innata.

230 Si confronti EUSTR., In II A.Po. 265,6-7 (passo 4.5) κατακρατεῖται γὰρ ὑπὸ τῆς ὁρμῆς ἡ ψυχὴ τῶν

ἀλόγων δυνάμεων con ibid., 258,25 (passo 4.10): ὑπὸ τῆς ἀλογίας τῶν χειρόνων κατακρατούμεναι.
231 Utilizzo la definizione di «proiezionista» in merito alla teoria procliana della conoscenza con tutte le

cautele espresse da HELMIG, Forms cit., 289-299 circa il tradurre προβάλλειν con «proiettare».
182 Il neoplatonismo di Eustrazio di Nicea

Vi è un passo particolare tratto dal commento al libro VI dell’Ethica Nicoma-


chea in cui Eustrazio pone questa prospettiva all’interno di un resoconto escato-
logico legato alla perdita da parte dell’uomo della perfezione adamitica. Il passo
è molto lungo, ma è meritevole di essere analizzato nel dettaglio.

4.11 In VI EN, 297,16-298,6: τέλειος γὰρ ἐξ ἀρχῆς ὁ ἄνθρωπος παρὰ τοῦ δημιουργήσαντος
πέπλασται καὶ μηδεμιᾶς λειπόμενος τῶν αὐτῷ συμβαλλομένων εἰς τελείωσιν ἕξεων.
εἰ δὲ τοῦτο, δῆλον ὅτι καὶ σοφὸς καὶ οὐ μόνον διανοητικῶς ἀλλὰ καὶ νοερῶς ἐνεργῶν
κατὰ τὸ ἀνάλογον τῆς φυσικῆς αὐτῷ τάξεως. τὸ δὲ νοερῶς ἐνεργεῖν τὸ ἀμέσως
καταλαμβάνειν ἐστὶ τὰ νοούμενα ἁπλαῖς ἐπιβολαῖς αὐτοῖς ἐπιβάλλοντα232, εἰ μὲν
οὖν μὴ τὴν τάξιν ἐκείνην καὶ τὸν θεσμόν, ὃν ἐκ τοῦ κτίσαντος εἴληφε, παραβέβηκεν
ἀλλὰ πρὸς τὴν κρείττω ἑαυτοῦ ἀνανεύων διέμεινε, καὶ τῆς ἐκείνων ἀνενδότως ἐρῶν
ἀπολαύσεως, τῶν δὲ χειρόνων τοσοῦτον εἴχετο, ὅσον προνοεῖσθαι αὐτῶν κατὰ τὸ
ἀνάλογον τῆς προσηκούσης αὐτῷ τάξεώς τε καὶ φύσεως, διέμεινεν ἂν αὐτῷ καὶ τὸ
τέλειον ἀπαράθραυστον. ἐπεὶ δ’ ἐλιχνεύθη περὶ τὰ χείρονα καὶ τῆς κατ’ αἴσθησιν
ἀπολαύειν ζωῆς προτεθύμηκε τῆς πρὸς τὰ κρείττω καταπεφρονηκὼς ἀνανεύσεως,
διὰ τοῦτο καὶ τῆς οἰκείας ἐκπέπτωκε τελειότητος, γενέσει τε ὑπέπεσε καὶ φθορᾷ, καὶ
τὸ νοερὸν αὐτῷ ὄμμα συμμέμυσταί τε καὶ συγκεκάλυπται, τῆς παχυτέρας σαρκὸς
καὶ θνητῆς ἐπιθολωσάσης αὐτό, ἐντεῦθεν καὶ τῆς αἰσθητικῆς δέδεκται γνώσεως,
ἀμέσως μὲν ἐνεργούσης περὶ τὰ οἰκεῖα γνωστά, ἀφυπνιζούσης δὲ καὶ αὐτὸν ὥσπερ
τῇ γενέσει καταδαρθάνοντα καὶ ἐξ ὧν αὐτὴ γινώσκει καθ’ ἕκαστα πρόφασιν αὐτῷ
πρὸς τὴν τοῦ καθόλου ὑποτιθείσης σύστασιν καὶ ἐξ ἀμέσου ἐνεργείας τῆς ἑαυτοῦ,
ἣν περὶ τὰ μερικὰ ἐπιδείκνυται, χορηγίαν αὐτῷ παρεχούσης τὰς κοινὰς ἐννοίας
ἐπαγωγικῶς συνιστᾶν, ἐξ ὧν ἀμέσων οὐσῶν ὅτι καὶ ἐξ ἀμέσων ἀφορμῶν αὐτὰς
ὁ νοῦς συναγήοχε, τὰ ἐπιστημονικὰ συνάγεται συμπεράσματα. ἐντεῦθεν καὶ τὸ
τῆς ἀγνοίας ἀποτίθεται κάλυμμα, ἑαυτοῦ τε γίνεται καὶ τὸ ἐπαχθὲς τῆς ἐμπαθείας
ἀποφορτιζόμενος, ἀνανεύει τε πρὸς τὰ κρείττω καὶ πρὸς αὐτὸν τὸν ποιήσαντα.
εἰ γὰρ καὶ μὴ αὐτὸς ὁ νοῦς τῇ κατ’ οὐσίαν φθορᾷ ὑποπέπτωκεν, ἀλλά γε τοῖς
κατ’οὐσίαν συνεζευγμένος φθαρτοῖς, διέφθαρται καὶ αὐτὸς κατὰ τὴν ἐνέργειαν,
μὴ δυνάμενος μήτε ἐν ἀτελέσι τηρεῖν τὸ τέλειον μήτε ἐν φθαρτοῖς τὸ παντελῶς
ἄφθαρτον. ἀκολούθως ἄρα τῇ τε ἐξ ἀρχῆς τοῦ νοεροῦ τῆς ψυχῆς τελειότητι καὶ τῇ
μετὰ ταῦτα ἐκπτώσει ἡ ἐπαγωγικὴ τῶν ἀξιωμάτων ἐν ταῖς ἐπιστήμαις ἐπισυμβέβηκε
σύστασις.
[«L’uomo è stato creato all’inizio dei tempi in uno stato di perfezione, senza essere
privo di alcuna delle disposizioni atte a portarlo alla perfezione. Se tutto fosse rimasto
così, è chiaro che egli sarebbe anche sapiente e potrebbe operare in maniera non
solo dianoetica, ma finanche intellettuale in misura proporzionale rispetto alla sua
posizione nell’ordine naturale delle cose. L’operare intellettuale consiste nell’afferrare
gli intellegibili cogliendoli immediatamente tramite intuzioni immediate. Se dunque

232 Leggo qui ἐπιβάλλοντα invece di ὑποβάλλοντα del testo edito da Heylbut.
II. I commenti filosofici e le dottrine 183

egli non fosse decaduto da quella posizione e legge che aveva ricevuto dal Creatore,
ma avesse invece continuato a guardare alle realtà superiori rispetto a lui, amando
l’incessante fruizione di queste, e se d’altra parte si fosse astenuto dalle realtà inferiori
a tal punto da prendersi cura delle realtà superiori in maniera proporzionale rispetto al
suo proprio rango e natura, avrebbe mantenuto anche la sua perfezione intatta. Poiché
invece fu avido delle cose inferiori e preferì la fruizione della vita sensibile rifiutando-
si di anelare alle realtà superiori, per questa ragione è caduto dalla propria perfezione
fino a sottomettersi al mondo della generazione e corruzione, il suo occhio intellettuale
è stato chiuso ed è come coperto da un velo nella misura in cui è stato reso torbido dal-
la pesante e mortale carne. Di conseguenza si è legato alla conoscenza sensibile, che
se da un lato opera in maniera immediata in relazione ai suoi oggetti di conoscenza,
dall’altro lo sveglia come da un sonno derivante dal processo di generazione. E, nella
misura in cui questa conoscenza conosce a partire da questi oggetti i particolari, essa
offre all’uomo l’occasione per la costituzione degli universali e, a partire dalla sua
operazione di natura immediata che si mostra in rapporto agli oggetti particolari, gli
attribuisce i mezzi per costituire in maniera induttiva le nozioni comuni. A partire da
questi oggetti di natura immediata, in quanto punti di partenza immediati, l’intelletto
forma le nozioni comuni e assembla le conclusioni scientifiche. Di seguito si leva
il velo dell’ignoranza, diventa se stesso liberandosi dal peso delle passioni, e anela
verso le realtà superiori e verso il Creatore. Anche se infatti lo stesso intelletto non è
caduto in uno stato di corruzione sostanziale, rimanendo però legato alle realtà la cui
sostanza è corruttibile, si è corrotto secondo l’operazione, non potendo né preservare
la sua pefezione tra le realtà imperfette, né lo statuto di essere del tutto incorruttibile
tra le realtà soggette a corruzione. Pertanto la costituzione per induzione degli assiomi
delle scienze è una condizione che è sopravvenuta a seguito della perfezione iniziale
della parte intellegibile dell’anima e della successiva caduta.»]

Il lettore avrà riconosciuto in 4.11 tutta una serie di espressioni e temi già
visti in precedenza, che adesso vengono però posti all’interno di una prospettiva
escatologica di più ampio respiro. Ad esempio, qui Eustrazio sostiene esplicita-
mente che dalla perdita della condizione adamitica consegue il fatto che l’indi-
viduo umano opera in maniera dianoetica e non puramente intellettiva. Avevamo
visto questo principio già in 4.2 e 4.7, dove Eustrazio aveva descritto i due volti
dell’anima: in quanto tale, l’anima opera in maniera discorsiva; in quanto par-
tecipante dell’Intelletto, essa è invece capace di operare intellettualmente, per
quanto senza mai raggiungere la perfetta intellezione dell’Intelligenza separata.
Inoltre sempre in 4.11 si dice che «l’operare intellettuale consiste nell’affer-
rare gli intellegibili immediatamente cogliendoli tramite intuzioni immediate»
(τὸ δὲ νοερῶς ἐνεργεῖν τὸ ἀμέσως καταλαμβάνειν ἐστὶ τὰ νοούμενα ἁπλαῖς
ἐπιβολαῖς αὐτοῖς ἐπιβάλλοντα). Si tratta di una terminologia per descrivere l’o-
perazione intellettuale che abbiamo già incontrato in diversi dei passi analizzati
184 Il neoplatonismo di Eustrazio di Nicea

nella presente sezione. Eustrazio, inoltre, descrive la caduta, la perdita della


perfezione originaria, del rango e della posizione iniziale che l’uomo occupava
nella gerarchia degli esseri, parlando ancora dell’occhio dell’anima. Questa im-
magine è stata già discussa in precedenza, allorquando nella sezione 2 abbiamo
dato conto dei riferimenti operati dai neoplatonici all’occhio dell’anima come
a quella potenza intellettiva che necessitava di essere purificata dalle scienze
matematiche. L’espressione in questione è stata, a onor del vero, fortunatissima
anche nei Padri della Chiesa e in molti autori spirituali bizantini.233 Capire da
dove Eustrazio abbia in questo caso attinto è impresa ardua, ma è probabile che
Eustrazio abbia ancora giocato sull’interscambiabilità tra i vari registri alla luce
dell’occorrenza in questi stessi registri di un linguaggio e di una terminologia
simile. Ciò che è certo in 4.11 è la motivazione che viene addotta per lo stato
in cui l’occhio intellettuale si trova. Eustrazio scrive che ciò è avvenuto «nella
misura in cui è stato reso torbido dalla pesante e mortale carne» (τῆς παχυτέρας
σαρκὸς καὶ θνητῆς ἐπιθολωσάσης αὐτό). Si tratta di una citazione da Gregorio
di Nazianzo.234
Dopo la descrizione della perdita della perfezione iniziale,235 Eustrazio passa
a descrivere quelle che sono le conseguenze da un punto di vista epistemologico
di questa caduta.236 Ed è questo forse uno dei punti più importanti di 4.11, nella
misura in cui qui Eustrazio parla della conoscenza sensibile come necessario
punto di partenza per riattivare la conoscenza innata nell’anima. Eustrazio so-
stiene esplicitamente che la conoscenza sensibile, pur essendo nella presente
condizione che caratterizza l’individuo umano nella sua esperienza terrena il
necessario punto di partenza per il conoscere in generale, svolge anche il ruolo
di risvegliare l’occhio intellettuale dal sonno in cui era caduto a seguito del
processo di generazione. Benché la forma ἀφυπνιζούσης, che in 4.11 descrive
il risvegliarsi dallo stato di sonno in cui l’occhio intellettuale è caduto in seguito
alla perdita della perfezione originaria da parte dell’uomo, sia rara e non occor-
ra nella letteratura neoplatonica, è evidente che qui essa è analoga al termine
ἀνεγείρειν che in 4.6 e 4.8 Eustrazio aveva riferito alla potenza intellettuale
allorquando essa sia riattivata dall’esterno. Su questo termine e sulla sua fortuna
all’interno della letteratura neoplatonica, si è già detto abbastanza. Aggiungiamo

233 Abbiamo segnalato alcune di queste occorrenze in TRIZIO, Neoplatonic cit., 101, nt. 120.
234 GREGORIUS NAZIANZENUS, Orationes, 38, Patrologia Graeca, 36, 324,46: ἴσως τὴν παχυτέραν σάρκα,
καὶ θνητὴν, καὶ ἀντίτυπον. Si veda anche ID., Orationes, 45, Patrologia Graeca, 36, 633. Eustrazio cita
questo passo nella sua interezza in EUSTR., In VI EN, 297,32-33.
235 EUSTR., In VI EN, 297,16-31.
236 EUSTR., In VI EN, 297,31-38.
II. I commenti filosofici e le dottrine 185

qui solo che nell’opera procliana ἀνεγείρειν compare anche in rapporto al ride-
starsi dell’occhio dell’anima.237
Un altro motivo di interesse di questa parte di 4.11 è il vocabolario impiegato
dal commentatore per descrivere il processo di costituzione dell’universale. In
particolare Eustrazio descrive la conoscenza sensibile come quella che «attri-
buisce i mezzi per costituire in maniera induttiva le nozioni comuni» (χορηγίαν
αὐτῷ παρεχούσης τὰς κοινὰς ἐννοίας ἐπαγωγικῶς συνιστᾶν). Intanto si noti qui
come le «nozioni comuni», a differenza che nei passi prima esaminati tratti dal
commento al libro II degli Analytica Posteriora, sono identificate non più con i
logoi psichici, le ragioni innate, ma con gli universali astratti dai particolari. Ci
pare che in questo 4.11 confermi questo differente uso del termine. A parte que-
sto desideriamo porre l’attenzione del lettore sulla forma συνιστᾶν che in 4.11
descrive la costituzione «per induzione» (ἐπαγωγικῶς) delle nozioni comuni e
in generale dell’universale derivato dal molteplice sensibile. Eustrazio utilizza
sovente questa forma verbale proprio in relazione al processo di induzione.238
Questa terminologia compare infatti nei commentatori e la cosa dimostra che
in questo, cioè nella descrizione del processo di induzione dell’universale dai
particolari sensibili, Eustrazio si affida al lessico dei commentatori.239
Vi è poi l’ultima parte di 4.11 da analizzare, quella dove Eustrazio descrive
il riscattarsi dell’anima intellettiva, o per meglio dire dell’uomo, dalla condizio-
ne seguita alla caduta.240 Grazie alla conoscenza sensibile, l’individuo umano
è in grado di riattivare la conoscenza innata. Eustrazio scrive: «Di seguito si
leva il velo dell’ignoranza, diventa se stesso liberandosi dal peso delle passio-
ni, e anela verso le realtà superiori e verso il Creatore» (ἐντεῦθεν καὶ τὸ τῆς
ἀγνοίας ἀποτίθεται κάλυμμα, ἑαυτοῦ τε γίνεται καὶ τὸ ἐπαχθὲς τῆς ἐμπαθείας
ἀποφορτιζόμενος, ἀνανεύει τε πρὸς τὰ κρείττω καὶ πρὸς αὐτὸν τὸν ποιήσαντα).
Questa immagine è tanto interessante, quanto complessa da ricostruire per quel
che concerne le fonti. Alla lettera, infatti, l’espressione «velo di ignoranza» (τὸ
τῆς ἀγνοίας κάλυμμα) occorre solo in Teodoro Studita,241 un autore che come

237 Cfr. supra, nt. 204.


238 Cfr. e.g. EUSTR., In II A.Po., 89,5-6: ἡ γὰρ ἐπαγωγὴ τὰ ὑπὸ τὸ ζητούμενον καθόλου λαβοῦσα καθ’
ἕκαστα, οὕτως τὸ καθόλου συνίστησιν. Ibid., 268,29-31: ἐπαγωγικῶς γάρ, φησί, καὶ ἡ αἴσθησις ἐμποιεῖ
τὸ καθόλου, ἐκ τῶν καθ’ ἕκαστα τὸ καθόλου συνίστασθαι ποιοῦσα. ID., In VI EN, 296,29-31: δι’ οὗ
βεβαιοῦται ἐπιστήμην εἶναι καὶ τὴν καθόλου τῶν ἀρχῶν γνῶσιν συνισταμένην ἐκ τῶν καθ’ ἕκαστα.
239 Cfr. e.g. ALEXANDER APHRODISENSIS, In Aristotelis Topicorum cit., 537,7-8: Ἀξιοῖ, εἰ ἐπὶ πολλῶν καὶ διὰ

πολλῶν τὸ καθόλου συνιστάντων ἡμῶν διὰ τῆς ἐπαγωγῆς ὁ ἀποκρινόμενος ἔνστασιν μὴ φέροι ἐπὶ τίνος
οὐχ οὕτως. PHILOPONUS, In Aristotelis Physicorum cit., 12,20-21: εἶτα ὕστερον ἐκ τοῦ ἀθροίσματος τούτων
τὰ καθόλου συνίσταται.
240 EUSTR., In VI EN, 297,38-298,6.
241 THEODORUS STUDITES, Sermones Catecheseos Magnae, 30, ed. J. COZZA-LUZI, Bibliotheca Vaticana, Roma
186 Il neoplatonismo di Eustrazio di Nicea

vedremo nella sezione 6 della II parte di questo lavoro, Eustrazio conosceva


molto bene. Una simile immagine occorre, ad esempio, in 6.6, che analizzeremo
in seguito, dove compare il termine προκάλυμμα, preso da un passo di Gregorio
di Nazianzo, per descrivere il velo delle passioni che oscura l’anima nel suo
approcciarsi a Dio. Ma l’idea che la conoscenza innata sia in un primo momento
velata o coperta era comune anche ai neoplatonici, spesso addirittura riferita a
De anima, III,3,429a6-8, dove Aristotele distingue tra gli animali che non hanno
l’intelletto e quelli che invece lo possiedono, benché a volte esso possa «essere
velato» (ἐπικαλύπτεσθαι) da passioni, malattia o sonno.242 Ancora una volta,
cioè, nel leggere il testo di Eustrazio si percepisce che per questo commenta-
tore l’occorrere di un termine, di un’immagine o di un’espressione tanto nella
letteratura Patristica che in quella neoplatonico-pagana sia un buon motivo per
considerare questi due registri terminologici come interscambiabili, tanto da
permettere all’autore di descrivere, ad esempio, gli effetti della sensibilità e delle
passioni sulla conoscenza innata nell’anima ora ricorrendo ad un registro, ora
all’altro. Oppure, come avviene in 4.11, giustapponendo i due registri.
Ma a ben vedere 4.11 fornisce il quadro complessivo della dottrina dell’in-
telletto e dell’intellezione vista in questa sezione. In particolare la conclusione
di 4.11 è intrigante. Scrive Eustrazio «pertanto la costituzione per induzione
degli assiomi delle scienze è una condizione che è sopravvenuta a seguito della
perfezione iniziale della parte intellegibile dell’anima e della successiva caduta»
(ἀκολούθως ἄρα τῇ τε ἐξ ἀρχῆς τοῦ νοεροῦ τῆς ψυχῆς τελειότητι καὶ τῇ μετὰ
ταῦτα ἐκπτώσει ἡ ἐπαγωγικὴ τῶν ἀξιωμάτων ἐν ταῖς ἐπιστήμαις ἐπισυμβέβηκε
σύστασις). L’induzione degli assiomi e dei principi delle scienze a partire dai
particolari sensibili è una conseguenza della caduta. Se nella condizione ada-
mitica l’individuo umano era capace di un operare intellettivo puro, dopo la
caduta egli è costretto a partire dalle sensazioni per poter riarticolare questa
conoscenza. L’anima, di per sé, diviene solo capace di conoscenza sensibile e di
operare discorsivo e dianoetico. Essa tuttavia può tornare ad operare in maniera
puramente intellettuale nel momento in cui torni a partecipare dell’Intelligen-
za. Questa conversione dell’anima viene caratterizzata dal commentatore come
una disposizione estrinseca e partecipata, una disposizione acquisita a seguito

1888-1905 («Nova Patrum Bibliotheca», 9/2), 84,35-36: διὸ διάσχωμεν τὸ κάλυμμα τῆς ἀγνοίας καὶ τῆς
ἐπισκοτήσεως τοῦ νοῦ.
242 ARIST., De anima, III,3,429a6-8: τὰ μὲν διὰ τὸ μὴ ἔχειν νοῦν, οἷον τὰ θηρία, τὰ δὲ διὰ τὸ

ἐπικαλύπτεσθαι τὸν νοῦν ἐνίοτε πάθει ἢ νόσῳ ἢ ὕπνῳ, οἷον οἱ ἄνθρωποι. Su questo testo si veda il
commento di (PSEUDO) SIMPLICIUS (re vera PRISCIANUS LYDUS), In Aristotelis De anima cit., 221,12-34. Sull’oc-
correnza di questa terminologia nel neoplatonismo, si veda ancora HELMIG, Forms cit., 272-273 e 293-296.
II. I commenti filosofici e le dottrine 187

del ridestarsi della conoscenza innata nell’anima proprio grazie all’esperienza


sensibile.
La conclusione di 4.11 contribuisce a collocare la noetica di Eustrazio all’in-
terno di una cornice di matrice cristiana. Ma ciò che ci pare di poter affermare
con una certa risolutezza è che, alla luce della terminologia impiegata dal com-
mentatore, si tratta unicamente di una cornice. La sostanza di questa noetica
resta legata alle fonti neoplatoniche e alla descrizione che si ritrova in diversi
testi dei tardo-neoplatonici degli effetti sull’anima della caduta dal mondo intel-
legibile e della condizione dell’anima allorquando essa sia incarnata in un corpo.
Se possibile questo è confermato dal fatto che in quasi tutti i passi esaminati in
questa sezione Eustrazio non sembra avere alcuna fretta di identificare l’Intelli-
genza separata, il Nous della tradizione neoplatonica, con la Causa Prima, Dio.
Chiaramente da quanto abbiamo visto nella sezione 3 della II parte di questo
lavoro, dove Eustrazio aveva difeso il bene ideale platonico identificandolo con
il Dio cristiano, questa identificazione può essere considerata come presupposta.
Eppure, la prospettiva teologico-cristiana resta in Eustrazio sempre sullo sfondo.
Al centro ci sono invece le vicissitudini dell’anima nella sua difficile risalita
dalla condizione in virtù della quale essa è legata alla conoscenza sensibile
fino al raggiungimento della conoscenza puramente intellettuale. Si tratta di
una dinamica, questa, che nell’opera del nostro commentatore parla la lingua
dell’opera di Proclo. In conseguenza di ciò in 4.11 Eustrazio produce più un
resoconto della caduta e riconversione intellettuale dell’anima, che della perdita
della condizione adamitica e della riconversione al Creatore. Lo dimostra il fatto
che da questo resoconto sono del tutto privi temi escatologico-moralistici: per
il nostro commentatore in 4.11 la caduta ha avuto conseguenze esclusivamente
epistemologiche.
Tuttavia Eustrazio è certamente capace di mostrare una diversa sensibilità
per temi, quali la necessità di superare e trascendere la condizione corporale
e le passioni, in rapporto ai quali egli disponeva anche di fonti cristiane. Ad
esempio, nel commento al I libro dell’Ethica Nicomachea, Eustrazio riprende il
tema, diffusissimo nella patristica greca, della creazione dell’uomo ad immagine
e somiglianza di Dio, e della perdita della somiglianza a seguito del peccato.243
Questa sensibilità emergerà in maniera più delineata nei passi che esamineremo
nella sezione 6 della II parte del presente lavoro.

243 EUSTR., In I EN, 6,10-25.


188 Il neoplatonismo di Eustrazio di Nicea

5. Eustrazio e la questione degli universali. Una proposta


Uno degli aspetti che più ha attirato l’attenzione degli studiosi è senz’altro la
posizione di Eustrazio sullo statuto degli universali. A questo riguardo sono state
sostenute tesi spesso contrapposte circa il modo in cui Eustrazio affronta questo
problema. Si è sostenuto ad esempio che Eustrazio abbia adottato una prospetti-
va nominalista, per cui gli universali altro non sarebbero se non meri nominabili,
ossia nomi indipendenti dalle realtà significate ed esistenti solo da un punto di
vista puramente mentale.244 Si è anche sostenuto che Eustrazio avrebbe adottato
una posizione meno radicale, di moderato concettualismo.245 Giocarinis ha inve-
ce cercato di mettere più a frutto la presenza di fonti neoplatoniche in Eustrazio,
parlando anche degli universali come forme innate nell’anima e rigettando tanto
la prospettiva nominalista, quanto quella concettualista.
Non intendiamo qui approfondire nel dettaglio le proposte dei vari studiosi
che si sono occupati di questo problema, per i seguenti motivi. In primo luogo,
sarebbe opportuno verificare cosa intendano con definizioni quali ‘nominali-
smo’ o ‘concettualismo’ i vari studiosi che hanno cercato di individuare il cuore
della proposta eustraziana circa lo statuto degli universali. In secondo luogo, è
chiaro che queste diverse prospettive in gioco dipendono molto dai passi che i
vari studiosi hanno esaminato. Spesso si tratta di testi teologici o di passi in cui
Eustrazio si propone di interpretare Aristotele alla lettera. In questo rispetto
segnaliamo l’importanza di distinguere in Eustrazio il livello della spiegazione
letterale da quello dell’interpretazione personale dell’autore. Inoltre un altro li-
mite della critica moderna è quello di essersi troppo impuntata sui passi in cui
Eustrazio accetta la triplice distinzione degli universali elaborata dalla tradi-
zione dei commentatori tardo-antichi di Aristotele e dai neoplatonici. A nostro
parere occorrerebbe apporre dei correttivi a questi approcci. In questa sezione,
dopo aver elencato alcuni dei guadagni già acquisiti proprio in merito a questa
problematica nelle precedenti sezioni della II parte di questo lavoro, esaminere-
mo un passo assai interessante dal commento di Eustrazio al libro VI dell’Ethica
Nicomachea, un passo non ancora preso in considerazione dagli studiosi che, a
nostro parere, fornisce la chiave per comprendere meglio la posizione di Eustra-
zio sulla natura degli universali.
Intanto ricapitoliamo quanto visto in precedenza. Nella sezione 1 della II

244 Cfr. JOANNOU, Die Definition cit.; ID., Der Nominalismus cit.
245 Cfr. L.G. BENAKIS, The Problem of General Concepts in Neoplatonism and Byzantine Thought, in D.J.
O’MEARA (ed.), Neoplatonism and Christian Thought, International Society for Neoplatonic Studies, Albany
(NY) 1982, 75-86; A.C. LLOYD, The Aristotelianism of Eustratius of Nicaea, in WIESNER (Hrsg.), Aristoteles
cit., 341-351.
II. I commenti filosofici e le dottrine 189

parte del presente lavoro abbiamo messo in evidenza come Eustrazio accetti la
tripartizione procliana di tutto prima, dalle e nelle parti e la giustapponga in ma-
niera non priva di problemi al triplice statuto degli universali prima, nei e dopo
i molti. In Eustrazio questo si traduce nell’accettazione di una serie di forme
separate impartecipate a cui corripondono delle molteplicità ad esse coordinate.
Nella sezione 3 abbiamo visto Eustrazio difendere lo statuto enipostatico di
queste forme separate: si tratterebbe infatti di pensieri divini. Nella sezione 2
abbiamo visto che queste forme separate sono oggetto della filosofia prima, della
sophia. Sempre in questo contesto abbiamo visto che Eustrazio accetta la deri-
vazione di oggetti matematici per astrazione, il che si traduce nell’ammissione
di oggetti che non esistono al di fuori del rispettivo soggetto di inerenza e che
sono coglibili solo per operazione mentale. Vi sono poi delle forme materiali che
sono oggetto della fisica.
Nella sezione 4 abbiamo invece visto come Eustrazio accetti una noetica di
matrice neoplatonica costruita sul rifiuto dei concetti derivati per astrazione dai
particolari sensibili come base affidabile per costruire una teoria della conso-
cenza. Questi concetti giocano tuttavia un ruolo ben definito all’interno della
noetica di Eustrazio: essi infatti contribuiscono a risvegliare la conoscenza in-
nata nell’anima. Questo è un punto importante: Eustrazio ammette chiaramente
l’esistenza di logoi insiti nell’anima, di una conoscenza cioè anteriore a quella
che passa dai sensi e che è ostruita e oscurata a causa del processo di incarna-
zione dell’anima nel corpo.
Ci pare che questo sia un aspetto centrale della questione. Fino a questo mo-
mento, infatti, la questione è stata affrontata all’interno della rigida griglia del
triplice statuto degli universali prima, nei e dopo i molti. Ci pare che questo sia
una prospettiva riduttiva della posizione di Eustrazio. A questi tre tipi di uni-
versali andrebbe aggiunto un quarto, quello appunto degli universali sussistenti
come logoi innati, come forme presenti nell’anima e derivate dall’Intelligenza
separata. In questo senso la posizione di Eustrazio sullo statuto degli universali
non è più da leggere in maniera statica sulla base della corrispondenza o meno
delle indicazioni fornite da questo commentatore rispetto alla griglia classica del
triplice statuto dell’universale; al contrario, essa andrebbe letta alla luce del pro-
cesso dinamico della teoria della conoscenza. Inoltre occorre distinguere netta-
mente quei passi in cui Eustrazio piega la griglia classica ad esigenze teologiche
o esegetiche del testo di Aristotele, da quei passi in cui invece il commentatore
parla in prima persona. Ci sembra infatti che Eustrazio in maniera assai chiara
postuli l’esistenza di logoi innati nell’anima, di oggetti matematici ricavati per
strazione mentale, di concetti in generale anch’essi ricavati per astrazione men-
190 Il neoplatonismo di Eustrazio di Nicea

tale e che giocano solo il ruolo di riattivazione dei logoi innati, di forme materiali
non separabili dai rispettivi sostrati e infine di forme separate impartecipate.
Al fine di chiarire in maniera definitiva la prospettiva all’interno della quale
il commentatore si muove, discuteremo qui un passo, anch’esso piuttosto lungo,
in cui Eustrazio si occupa proprio di dare una risposta al problema dello statuto
degli universali, una risposta che sembra ricordarci come l’accettazione della
griglia classica tardo-antica si basa su una precisa valutazione della dignità
ontologica dei differenti statuti degli universali. Vediamo questo passo nel det-
taglio.246
In EN VI,3,1139b19-24 Aristotele ripete il principio in virtù del quale oggetto
di scienza è solo ciò che permane sempre identico a se stesso, mentre ciò che è
mutevole, allorquando sia fuori dal pensiero (ὅταν ἔξω τοῦ θεωρεῖν γένηται) non
è chiaro se esista o meno. Il passo recita nel seguente modo:

πάντες γὰρ ὑπολαμβάνομεν, ὃ ἐπιστάμεθα, μηδ’ ἐνδέχεσθαι ἄλλως ἔχειν· τὰ


δ’ ἐνδεχόμενα ἄλλως, ὅταν ἔξω τοῦ θεωρεῖν γένηται, λανθάνει εἰ ἔστιν ἢ μή. ἐξ
ἀνάγκης ἄρα ἐστὶ τὸ ἐπιστητόν. ἀίδιον ἄρα· τὰ γὰρ ἐξ ἀνάγκης ὄντα ἁπλῶς πάντα
ἀίδια, τὰ δ’ ἀίδια ἀγένητα καὶ ἄφθαρτα.
[«Tutti ammettiamo che ciò di cui abbiamo scienza non possa essere diversamente; le
realtà che invece possono sussistere diversamente, allorquando si trovino al di fuori
del pensiero, non è chiaro se siano oppure no. Pertanto, l’oggetto di scienza è per ne-
cessità. Quindi è eterno. Infatti, le realtà che sussistono per necessità sono in assoluto
tutte eterne, e le realtà eterne sono ingenerate ed incorruttibili.»]

Eustrazio opera un lungo excursus sul significato dell’espressione ἔξω τοῦ


θεωρεῖν, appunto «al di fuori del pensiero». Il commentatore opera, in rapporto
all’esegesi di questo lemma e in particolare dell’espressione ἔξω τοῦ θεωρεῖν,
uno sdoppiamento dell’argomentazione in due interpretazioni possibili.
Secondo la prima interpretazione di questo passo l’espressione può essere
intesa:

5.1aIn VI EN, 292,22-27: ἢ γὰρ τὸ θεωρεῖν ἀντὶ τοῦ ὁρᾶν, ὡς εἶναι τὸ λεγόμενον
τοιοῦτον, ὅτι τὰ δυνάμει ὄντα καὶ ἐνδεχόμενα τότε εἶναι ὑπολαμβάνομεν, ὅταν εἰς
ἐνέργειαν ἔρχηται καὶ ὁρᾶται αἰσθητῶς ὡς παρόντα, ὅταν δὲ εἴη ἐν τῷ δυνάμει,
λανθάνει, εἰ ὅλως ἔχει ἔμφασιν πρὸς τὸ εἶναι, καὶ τοῖς πάντῃ μὴ οὖσιν ὡμοίωται
τότε, τὰ δὲ ἁπλῶς ἀναγκαῖα οὐχ οὕτως, ἀλλὰ καὶ μηδενὸς ὁρῶντός εἰσιν.
[«o come il pensare nel senso del vedere, in modo che quanto detto da Aristotele suoni

246 Passo discusso anche in TRIZIO, Neoplatonic cit., 104-108.


II. I commenti filosofici e le dottrine 191

nel modo seguente, ossia che consideriamo le realtà contingenti alla stessa stregua
di quelle in potenza, ed allorquando siano in atto sono visibili in maniera sensibile
come presenti, mentre allorquando siano in potenza non è chiaro se abbiano un pieno
statuto di essere o se siano assimilabili a ciò che in fin dei conti non è; mentre invece
le realtà di ordine necessario non sono di questo tipo, nella misura in cui esse sono
anche senza che qualcuno le osservi.»]

La prima interpretazione proposta da Eustrazio vede in quel «fuori dal pen-


siero» qualcosa di assimilabile al vedere e percepire sensibile. Vi sono realtà,
come quelle contingenti, sembra argomentare Eustrazio, che sono solo cono-
scibili per tramite di sensazioni (αἰσθητῶς) e solo allorquando siano pervenute
in una condizione di attualità; in caso contrario, esse non sembrano esistere,
in quanto non accessibili al nostro percepire sensibile. Crediamo che qui Eu-
strazio stia semplicemente parafrasando le indicazioni aristoteliche rinvenibili
in Metaphysica VII,10,1035b33-1036a7,247 dove Aristotele parla dell’esistenza
di parti della forma, di parti del sinolo e di parti della materia, in relazione al
problema della definibilità o meno degli individuali particolari; solo le parti
della forma possono essere parti della nozione o della definizione. Di un cerchio
particolare, argomenta Aristotele, sia esso sensibile (come un cerchio di bronzo),
sia esso intellegibile (nel senso di un cerchio matematico), non può esservi de-
finizione. Simili composti si conoscerebbero solo per «intuizione o percezione»;
ma quando questi, proprio come argomenta Eustrazio, siano fuori dal nostro per-
cepire sensibile, ossia non più in atto, «non è più chiaro se esistano o meno» (οὐ
δῆλον πότερον εἰσὶν ἢ οὐκ εἰσίν). Mentre, chiosa Eustrazio, le realtà di ordine
necessario, se fosse questo il vero significato del ἔξω τοῦ θεωρεῖν, esisterebbero
indipendentemente dal nostro percepire.
Eustrazio poi elabora un’altra possibile interpretazione del lemma aristotelico
in questione, un’interpretazione a cui egli stesso sembra dare maggior credito.

5.1bIn VI EN, 292,28-31: ἢ οὖν οὕτως, ἢ τὸ θεωρεῖν ἀντὶ τοῦ νοεῖν καὶ ἐξετάζειν
ληπτέον, ὡς τῶν μὲν ἀναγκαίων ὄντων, κἂν θεωρῇ τις περὶ αὐτῶν καὶ ἐξετάζῃ

247 ARIST., Metaphysica, VII,10,1035b33-1036a7: ἀλλὰ τοῦ λόγου μέρη τὰ τοῦ εἴδους μόνον ἐστίν, ὁ δὲ

λόγος ἐστὶ τοῦ καθόλου· τὸ γὰρ κύκλῳ εἶναι καὶ κύκλος καὶ ψυχῇ εἶναι καὶ ψυχὴ ταὐτό. τοῦ δὲ συνόλου
ἤδη, οἷον κύκλου τουδὶ καὶ τῶν καθ’ ἕκαστά τινος ἢ αἰσθητοῦ ἢ νοητοῦ – λέγω δὲ νοητοὺς μὲν οἷον τοὺς
μαθηματικούς, αἰσθητοὺς δὲ οἷον τοὺς χαλκοῦς καὶ τοὺς ξυλίνους – τούτων δὲ οὐκ ἔστιν ὁρισμός, ἀλλὰ
μετὰ νοήσεως ἢ αἰσθήσεως γνωρίζονται, ἀπελθόντες δὲ ἐκ τῆς ἐντελεχείας οὐ δῆλον πότερον εἰσὶν ἢ
οὐκ εἰσίν. Ma si veda anche quanto Aristotele sostiene, sempre a proposito dell’impossibilità di definire gli
individuali particolari, in ID., Metaphysica, VII,15,1040a2-5: ἄδηλά τε γὰρ τὰ φθειρόμενα τοῖς ἔχουσι τὴν
ἐπιστήμην, ὅταν ἐκ τῆς αἰσθήσεως ἀπέλθῃ, καὶ σωζομένων τῶν λόγων ἐν τῇ ψυχῇ τῶν αὐτῶν οὐκ ἔσται
οὔτε ὁρισμὸς ἔτι οὔτε ἀπόδειξις.
192 Il neoplatonismo di Eustrazio di Nicea

κἂν μή, καὶ τῶν ἐνδεχομένων λανθανόντων, εἰ ὅλως εἰσίν, ἐὰν μή τις ἐξετάζῃ περὶ
αὐτῶν
[«oppure quanto detto da Aristotele è da interpretare in questo modo, ossia come il
pensare nel senso di operare intellettivo e indagare, in modo che le realtà necessarie
siano indipendententemente dal fatto che qualcuno stia operando un’indagine o meno
su di esse, mentre per quelle contingenti non è chiaro se esse esistano o meno, anche
se nessuno attualmente sta operando un’indagine intorno ad esse.»]

Questa interpretazione è decisamente quella preferita da Eustrazio. lo dimo-


stra il fatto che, mentre l’ipotesi di 5.1a viene lasciata da parte, quella invece
introdotta in 5.1b viene sviluppata ulteriormente dal commentatore. Eustrazio
continua:

5.2 In VI EN, 293,2-9: ἁπλῶς δὲ λέγομεν ἐξ ἀνάγκης ὅσα μὴ καθ’ ὑπόθεσιν ἐξ ἀνάγκης,
οἷον τὸ καθῆσθαί τινα ἔστ’ ἂν κάθηται ὁ καθήμενος, ἐξ ἀνάγκης εἶναι λέγομεν
τὸ καθῆσθαι αὐτόν, ἀλλ’ οὐχὶ ἁπλῶς ἀλλ’ ἐξ ὑποθέσεως. τὰ δὲ ἀίδια ἀγένητα
καὶ ἄφθαρτα. οὐ γὰρ ἐνδέχεται ἄλλως ἀίδια εἶναι αὐτά, εἰ μὴ εἴη ἀγένητά τε καὶ
ἄφθαρτα. ἐκεῖνο γάρ ἐστιν ἀεί, ὃ οὐ κατὰ χρόνον ἔσχε τὸ εἶναι, ἀλλ’ ὑπὲρ χρόνον
ἐστί. τὸ δ’ ὑπὲρ χρόνον καὶ ὑπὲρ γένεσιν. πᾶσα γὰρ γένεσις ἐν χρόνῳ, τὸ δὲ ὑπὲρ
γένεσιν καὶ ὑπὲρ φθοράν.
[«Chiamiamo assolutamente necessarie quelle realtà che non siano tali per necessità
condizionale, come per esempio il fatto che qualcuno sia seduto fintantochè effettiva-
mente sieda lo definiamo necessario non in maniera assoluta, bensì condizionale. Le
realtà eterne sono ingenerate e non corruttibili. Non potrebbero essere eterne se non
fossero ingenerate ed incorruttibili. Cio che è infatti esiste sempre non ha ricevuto
il proprio essere all’interno della dimensione temporale, ma si trova al di sopra del
tempo. Ciò che è anche al di sopra della dimensione temporale, si trova anche al di
sopra dell’ambito segnato da generazione e corruzione. Infatti ogni generazione acca-
de nel tempo, e ciò che è sottoposto a generazione è anche sottoposto a corruzione.»]

Qui Eustrazio per descrivere lo statuto delle realtà oggetto di scienza se-
condo EN VI,3,1139b19-24 riccorre alla distinzione aristotelica tra necessità
«assoluta» (ἁπλῶς) e necessità «condizionale» (καθ’ ὑπόθεσιν).248 Alle realtà
oggetto di scienza spetterebbe solo la necessità del primo tipo. Successivamente
Eustrazio scrive che le realtà di ordine contingente non godono dello statuto di
«enti nel senso proprio del termine» (κυρίως ὄντα) e «non sono autenticamente
secondo il Timeo di Platone» (ὄντως δὲ οὐδέποτε ὄντα κατὰ τὸν παρὰ Πλάτωνι

248 Cfr e.g. ARIST., De interpretatione, 13,23a21-26. Possibile che Eustrazio si riferisca anche a AMMONIUS,

In Aristotelis De interpretatione cit., 153,23-25.


II. I commenti filosofici e le dottrine 193

Τίμαιον). Eustrazio si riferisce probabilmente a Timeo 27d5-28a4, dove si trova


una distinzione tra «ciò che è intellegibile in virtù di pensiero razionale» (τὸ μὲν
δὴ νοήσει μετὰ λόγου περιληπτόν), che rimane immutabile, e «ciò che è oggetto
di opinione basata su sensazione» (τὸ δ’ αὖ δόξῃ μετ’ αἰσθήσεως), cui Platone
tributa lo statuto di «ciò che non è mai esistente» (ὂν δὲ οὐδέποτε).
È interessante notare come Proclo, nel commento al Parmenide, si riferisca
esattamente a questo passo del Timeo per ricordare che a godere dello statuto
di «ente nel senso proprio del termine» (κυρίως ὄντα) siano gli intellegibili. E
ci pare che lo stesso Eustrazio abbia proprio in mente le forme separate. Eu-
strazio infatti scrive che «per mezzo di esse giunge fino al mondo sensibile la
creazione e la provvidenza che si estende fino agli ultimi termini» (ὡς δι’ αὐτῶν
μέσων εἰς τὰ τῇδε χωρεῖν τὴν ποίησιν καὶ τὴν πρόνοιαν μέχρι καὶ τῶν ἐσχάτων
διήκουσαν).249 Proclo è ancora l’ombra dietro il vocabolario del commentatore.
Infatti nella Theologia Platonica Proclo scrive che il padre e creatore dell’uni-
verso è celebrato nel Timeo come colui il quale «illumina la potenza paterna e
la provvidenza che si estende fino agli ultimi termini dell’universo» (πατρικὴν
ἐμφαίνοντος δύναμιν καὶ πρόνοιαν, ἄνωθεν ἄχρι τῶν ἐσχάτων τοῦ παντὸς
διήκουσαν).250 Mentre ancora nel commento al Parmenide, Proclo scrive che
una proprietà come la grandezza «si estende pertanto dall’alto fino agli ultimi
termini» (ἄνωθεν ἄρα διήκει καὶ μέχρι τῶν ἐσχάτων).251
Questi riferimenti impliciti a Proclo nell’argomento di Eustrazio lasciano ben
presagire quale sia la posizione del commentatore. Si tratta di una posizione che
affonda le radici all’interno della tradizione platonica e neoplatonica. Eustrazio
infatti attribuisce agli intellegibili lo statuto di archetipi, mentre le realtà sensi-
bili sottoposte a generazione e corruzione sono le «ombre» (σκιαί) di cui parla
Platone in Repubblica 510a1 e 515a7.252 Inoltre, parafrasando il testo della prop.
97 degli Elementi di theologia, Eustrazio si chiede ipoteticamente da dove le re-
altà soggette a corruzione deriverebbero il proprio essere se non dagli archetipi:
«da dove a queste realtà di questo tipo deriva l’essere? O infatti da una qualche
causa e da nessuna. se da nessuna, saranno privi di causa e indipendenti» (πόθεν
δὴ τούτοις τὸ εἶναι τοῖς οὕτως ἔχουσιν; ἢ γὰρ ἐκ τινὸς ἢ οὐδαμόθεν. ἀλλ’ εἰ

249 EUSTR., In VI EN, 294,14-16. Abbiamo discusso questo passo anche in TRIZIO, Eleventh cit., 192-193.
250 PROCLUS, Theologia cit., 5,102,5-6. Si veda anche ibid., 4,109,19-20: ἄνωθεν ἄχρι τῶν ἐσχάτων ἐπὶ
πάντα διήκουσα.
251 PROCLUS, In Platonis Parmenidem cit., 854,22-23. Si veda anche ibid., 996,1-5; ID., Theologia cit.,

3,41,12-14; ID., In Platonis Timaeum cit., 1,190,8-12.


252 EUSTR., In VI EN, 294,16-19: ἐπεὶ δὲ καὶ σκιαὶ τὰ τῇδε διὰ τὸ παρέχεσθαι λέγονται, πᾶσαι δὲ σκιαὶ

πρὸς ἀρχέτυπον ἀναφέρονται, δῆλον ἐντεῦθέν ἐστιν ὡς ἐκ κοινῆς μαρτυρίας, ὅτι εἰσὶν ἄλλα τέλεια καὶ
ἀληθῆ, εἰς ἃ ταῦτα ὡς εἰς ἀρχέτυπα ἐκείνων ὄντα σκιαὶ ἀναφέρονται.
194 Il neoplatonismo di Eustrazio di Nicea

οὐδαμόθεν, ἔσται ἀναίτια καὶ αὐτόματα). Proclo, in maniera assai simile, scri-
ve: «o infatti tutto partecipa della similitudine di questo [primo termine] o ciò che
è identico in tutti deriva da esso. Ma che il processo sia privo di causa, questo
è impossibile. Ciò che è privo di causa è anche indipendente» (ἢ γὰρ ἀναιτίως
πάντα τῆς πρὸς ἐκεῖνο μετέσχεν ὁμοιότητος ἢ ἀπ’ ἐκείνου τὸ ταὐτὸν ἐν πᾶσιν.
ἀλλὰ τὸ ἀναιτίως ἀδύνατον· τὸ γὰρ ἀναιτίως καὶ αὐτόματον).253
Queste forme intellegibili, archetipo di tutto ciò che è soggetto a generazione
e corruzione sono coglibili dall’intelletto, allorquando – come si è avuto modo di
vedere in diversi passi della sezione 3 della II parte di questo lavoro – esso sia
libero dal disturbo dalle passioni; quando cioè l’intelletto diviene puro, riceve
l’illuminazione di quella che Eustrazio definisce «la prima luce» e coglie in ma-
niera ferma queste forme immobili.254 Insomma, di fronte al lemma aristotelico
oggetto di questa lunga nota, Eustrazio sostiene con forza la tesi che le realtà
che fuori dal pensiero scompaiono sono quelle sottoposte a generazione e corru-
zione, in quanto oggetto di una consocenza debole. Ma gli intellegibili nel senso
proprio del termine, le forme separate archetipo di tutto ciò che è, sono anteriori
e indipendenti rispetto al pensiero. Qui Eustrazio sostiene con forza che l’uni-
versalità non è una proprietà del pensiero, ma degli oggetti stessi dell’intelletto,
ossia degli intellegibili.
A nostro parere questa esegesi di Eustrazio non è neutrale, ma ha un preciso
obbiettivo. Questo obbiettivo è Alessandro di Afrodisia. In un passo piuttosto
noto e studiato del suo De anima, Alessandro scrive:

ἐπὶ μὲν οὖν τῶν ἐνύλων εἰδῶν, ὥσπερ εἶπον, ὅταν μὴ νοῆται τὰ τοιαῦτα εἴδη, οὐδέ
ἐστιν αὐτῶν τι νοῦς, εἴ γε ἐν τῷ νοεῖσθαι αὐτοῖς ἡ τοῦ νοητοῖς εἶναι ὑπόστασις.
τὰ γὰρ καθόλου καὶ κοινὰ τὴν μὲν ὕπαρξιν ἐν τοῖς καθέκαστά τε καὶ ἐνύλοις ἔχει.
νοούμενα δὲ χωρὶς ὕλης κοινά τε καὶ καθόλου γίνεται, καὶ τότε ἐστὶ νοῦς ὅταν
νοῆται. εἰ δὲ μὴ νοοῖτο, οὐδὲ ἔστιν ἔτι. ὥστε χωρισθέντα τοῦ νοοῦντος αὐτὰ νοῦ
φθείρεται, εἴ γε ἐν τῷ νοεῖσθαι τὸ εἶναι αὐτοῖς.
[«Nel caso di forme materiali, come ho detto, allorquando siffatte forme non siano
oggetto di pensiero, nessuna di esse è intelletto, se il loro essere intellegibile ha il
proprio essere nel loro essere oggetto di intellezione. Questo perché le realtà univer-
sali e comuni hanno il loro essere nei particolari, ma allorquando siano pensate a
parte rispetto alla materia, accade che siano comuni ed universali, e sono intelletto

253 PROCLUS, Elementatio cit., 97, 86,13-16.


254 EUSTRAZIO, In VI EN, 294,22-25: ἐκεῖνα δὲ διανοίᾳ καὶ μάλιστα νῷ τῆς τῶν παθῶν ἀπαλλαττομένῳ
ὀχλήσεως καὶ ἐν καθαρῷ ἱσταμένῳ καὶ τῷ πρώτῳ καταλαμπομένῳ φωτὶ καὶ τοῖς ἀκινήτοις ἐκείνοις
ἀτρεμῶς ἐπιβάλλοντι. L’espressione τῆς τῶν παθῶν ἀπαλλαττομένῳ ὀχλήσεως riflette una simile espres-
sione in PHILOPONUS, In Aristotelis Analyticorum cit., 276,26: τὰς ἐκ τῶν παθῶν ὀχλήσεις.
II. I commenti filosofici e le dottrine 195

solo allorquando siano pensate. Se non sono oggetto di pensiero, esse non sono più.
Dunque, allorquando esse siano separate dall’intelletto che le pensa, esse non sono
più, se il loro essere consiste nel loro essere pensate.»]255

Gli universali, sostiene Alessandro, possiedono il loro essere nei particolari


concreti; d’altra parte, gli universali in quanto tali, ossia riconosciuti nella lo-
ro universalità, non esistono senza essere appresi dall’intelletto. «Se non sono
oggetto di pensiero, essi non sono più». La similitudine con l’argomento che
Eustrazio ha discusso a partire da Aristotele è indubbia.
Si tratta di un passo dalla non facile comprensione, che andrebbe se non
altro contestualizzato all’interno di altre formulazioni dello stesso Alessandro,
come in De anima 87,8-16, dove al contrario Alessandro sembra asserire che
l’elemento comune (comunque non identificabile con l’universale) sia requisito
per l’esistenza dell’individuale.256 In generale, Alessandro sembra far dipendere
lo statuto di universalità da una considerazione mentale; in questo senso ciò
corrisponderebbe al significato del termine katholou negli Analytica Posteriora
aristotelici (II,19,100a6-9). Vi sono tuttavia altri passi in cui Alessandro sembra
attenuare questa posizione; in questi casi sembra che Alessandro dia maggior
spazio alla dipendenza degli universali dai particolari esistenti, allorquando il

255 ALEXANDER APHRODISIENSIS, De anima cit., 90,1-9.


256 ALEXANDER APHRODISIENSIS, De anima cit., 87,8-16: οὐ γὰρ ταὐτόν ἐστι χαλκὸς καὶ τὸ εἶναι χαλκῷ·
χαλκὸς μὲν γὰρ τὸ συναμφότερον, τὸ δὲ χαλκῷ εἶναι οὐ κατὰ τὸ συναμφότερον ἔτι, ἀλλὰ κατὰ τὸ εἶδός
τε καὶ τὸν λόγον, ὃς ἐν τῇ ὑποκειμένῃ ὕλῃ γενόμενος ἐποίησεν χαλκὸν αὐτήν. οὔσης δὴ ἐν τοῖς αἰσθητοῖς
ταύτης τῆς διαφορᾶς, ἡ μὲν αἴσθησις τοῦ συναμφοτέρου ἐστὶ κριτική (τοῦ γὰρ εἴδους ὡς ἐν ὕλῃ ὄντος
τὴν ἀντίληψιν ποιεῖται· διὸ καὶ πᾶν τὸ αἰσθητὸν τόδε τί ἐστι καὶ καθ’ ἕκαστον, τὸ γὰρ συναμφότερον
τοιοῦτον), ὁ δὲ νοῦς τοῦ εἴδους καὶ τοῦ λόγου καθ’ ὅν ἐστι τόδε τι θεωρητικός ἐστι. διὸ οὐ τοῦδε, ἀλλὰ
τοιοῦδε, καὶ οὐ τοῦ καθέκαστα, ἀλλὰ τοῦ καθόλου. [«Infatti il bronzo e l’essenza del bronzo non sono la
medesima cosa, nella misura in cui il bronzo è un composto e inoltre l’essenza del bronzo non riguarda la
combinazione, ma piutosto la forma o la definizione, che allorquando venga ad essere nel sostrato materiale
lo rende bronzo. Poichè questa distinzione esiste negli oggetti sensibili, la sensibilità, da un lato, discerne
il composto (in quanto crea l’apprensione della forma come materia esistente, e pertanto ogni oggetto di
sensazione è un qualcosa di definito e di particolare, in quanto il composto è tale); dall’altro, l’intelletto
contempla la forma o la definizione in base alla quale il composto è un qualcosa di definito. Pertanto ha come
oggetto non questo, ma l’in quanto tale, ossia non il particolare, bensì l’universale.»]. La ricostruzione della
posizione di Alessandro alla luce delle apparentemente opposte indicazioni rinvenibili nel De anima e, ad
esempio, in Quaestio I,11, è stato oggetto di uno studio di Tweedale del 1984; cfr. M.M. TWEEDALE, Alexander
of Aphrodisias’ Views on Universals, «Phronesis», 29 (1984), 279-303. Tweedale riprende la definizione ope-
rata da Matthews per cui per Alessandro gli universali sarebbero «kooky objects», combinazioni temporanee
ed accidentali esistenti solo fintantoché gli universali siano astratti in quanto forme dalle loro concomitanze
materiali da parte dell’intelletto; cfr. G. MATTHEWS, Accidental Unities, in M. SCHOFIELD/M.C. NUSSBAUM (eds),
Language and Logos: Studies in Ancient Greek Philosophy Presented to G.E.L. Owen, Cambridge Univer-
sity Press, Cambridge 1982, 223-240. La questione è stata ridiscussa recentemente da Sharples, in R.W.
SHARPLES, Alexander of Aphrodisias on Universals: Two Problematic Texts, «Phronesis», 50 (2005), 43-55.
196 Il neoplatonismo di Eustrazio di Nicea

particolare sia più di uno.257 Quello che in Aristotele258 era il principio di con-
divisione, per cui la definizione di universale richiederebbe semplicemente la
condivisibilità, in Alessandro sembra diventare il criterio della condivisibilità
attuale. Nondimeno, nel suo commento ai Topici (355,18-24), Alessandro sem-
bra addirittura sostenere che la forma o la natura dell’animale potrebbe esistere
anche se non vi fosse alcun animale a fungere da genere; il che sembrerebbe im-
plicare la conclusione per cui le definizioni non sono comuni in quanto comuni,
ma sono delle cose la cui forma può accadere di essere condivisa e partecipata
dai particolari. Insomma, sembra esservi anche una terza tipologia di passi di
Alessandro relativi allo statuto degli universali, già vista con l’esempio di De
anima 87,8-16, in cui l’universale sarebbe necessario per la stessa sussistenza
dei particolari.
Quale che sia la reale posizione di Alessandro sullo statuto degli universali,
questo non può essere qui discusso in dettaglio. Ci interessa molto di più capire
cosa Eustrazio possa aver visto in Alessandro. Se la nostra ipotesi è corretta,
se cioè davvero Eustrazio ha nel mirino il passo prima citato del De anima di
Alessandro, è chiaro che il commentatore bizantino vede in Alessandro un difen-
sore di una forma concettualismo in materia di universali. Ma se le cose stanno
così, non sarà possibile attribuire ad Eustrazio né un approccio nominalista alla
questione, né tantomeno un approccio di tipo concettualista, sia esso moderato
o meno. Al contrario, da quanto visto fino a questo momento è fuori di dubbio
che Eustrazio pensa che l’universalità sia una proprietà di forme separate e che
di queste forme l’anima umana rechi una traccia, appunto «un’eco», per soffer-
marci alla terminologia vista in diversi passi della sezione 4 della II parte del
presente lavoro.
Ancora una volta dobbiamo dunque mettere in guardia gli studiosi che si
approcciano alla posizione eustraziana sugli universali a non considerare come
rappresentativi di questa posizione passi in cui la discussione verte su questioni
teologiche, poiché qui Eustrazio piega la trattazione classica del problema in
questione ad esigenze contingenti quali appunto quelle legate ai vari dibatti-
ti teologici in cui Eustrazio fu impegnato. Allo stesso modo, nel ricostruire la
posizione eustraziana sugli universali, è essenziale tenere conto della struttura
dell’esegesi del commentatore, separando attentamente i passi in cui l’autore
cerca di sviluppare una spiegazione letterale del testo di Aristotele da quei passi
in cui invece il commentatore propone una soluzione autonoma (si tratta di un

257 Cfr. e.g. ALEXANDER APHRODISIENSIS, Quaestiones, ed. I. BRUNS, Reimer, Berlin 1892 [«Commentaria in

ristotelem Graeca», suppl. II,2], 7,27-8,28; 23,25-31; In Aristotelis Topicorum cit., 355,18-24.
258 ARISTOTELE, De Interpretatione, 6-7, 17a38-b16.
II. I commenti filosofici e le dottrine 197

errore assai frequente nella storia degli studi sui commentatori tardo-antichi). E
nel presente lavoro crediamo di aver mostrato come questi passi siano presenti in
maniera massiccia nei commenti di Eustrazio. Ci si permetta di fare un piccolo
esempio. Si prenda questo passo di Eustrazio:

τὸ δὲ καθόλου ἐστὶν ἀρχὴ τῆς τέχνης καὶ τῆς ἐπιστήμης, ὡς εἶναι δῆλον ὅτι οὔτε
ἔνεισιν ἡμῖν ἐξ ἀρχῆς αἱ τῶν ἀρχῶν γνώσεις (τέλειοι γὰρ ἂν ἦμεν γεννώμενοι)
οὔτε ἀπὸ γνωστικωτέρας τινὸς ἕξεως ἐγγίνονται, ὡς εἶναι ἀνάγκην προειδέναι τὸ
πρὸ αὐτῶν, ἀλλ’ ἐγγίνονται ἡμῖν κατὰ μικρὸν ἀθροιζόμεναι ἀπὸ μνήμης τε καὶ
αἰσθήσεως.
[«L’universale è il principio dell’arte e della scienza, nella misura in cui è chiaro
che né le conoscenze dei principî sono in noi dall’inizio (altrimenti nasceremmo in
uno stato di perfezione), né giungono in noi in virtù di una qualche disposizione più
nota, poiché sarebbe necessario conoscere ciò che viene prima di questi principî, ma
giungono in noi poco alla volta allorquando essi siano assemblati dalla memoria e
dalla sensazione.»]259

Questo testo preso alla lettera sembrerebbe un chiaro rifiuto di qualsiasi mo-
dello epistemologico fondato su di una qualche forma di innatismo. La fonte è
quasi alla lettera un passo del commento di Temistio agli Analytica Posteriora,
elemento che non sembrerebbe casuale, visto che ci si trova nell’ambito di due
commenti alla medesima opera di Aristotele. Ne forniamo la prova:

καὶ ἔστι τὸ καθόλου τὸ ὅμοιον καὶ ταὐτὸν ἐν τοῖς καθ’ ἕκαστον καὶ τὸ ἐν τοῖς πολλοῖς,
καὶ τοῦτο τέχνης ἀρχὴ καὶ ἐπιστήμης, τέχνης μέν, εἰ περὶ τῶν ὑπ’ αὐτῆς γινομένων,
ἐπιστήμης δέ, εἰ περὶ τῶν ὑπὸ φύσεως. οὔτε οὖν ἐξ ἀρχῆς ἐνυπάρχουσιν αἱ ἀρχαί
(τέλειοι γὰρ ἂν ἐγενόμεθα), οὔτε ἀπ’ ἄλλης ἕξεως ἐγγίνονται γνωστικωτέρας
ὥστ’ ἐξ ἀνάγκης τι προειδέναι, ἀλλ’ ἀπὸ αἰσθήσεως καὶ μνήμης διεγείρονται καὶ
ἀθροίζονται.
[«ed è l’universale lo stesso e il medesimo nei particolari e nei molti, e questo è il
principio dell’arte e della scienza. Dell’arte, se si tratta di cose che vengono all’essere
per mezzo dell’arte; della scienza, se si tratta di cose che ricadono sotto la natura.
Dunque i principî non sono in noi dall’inizio (saremmo infatti nati in uno stato di per-
fezione), né sopraggiungono in noi a partire da un’altra disposizione più nota, poiché
così necessariamente avremmo una conoscenza preliminare di qualcosa. Al contrario,
si attivano e sono assemblati dalla sensazione e la memoria.»]260

259 EUSTR., In II A.Po., 263,27-32.


260 THEMISTIUS, Analyticorum Posteriorum paraphrasis, ed. M. WALLIES, Reimer, Berlin 1900 [«Commen-
taria in Aristotelem Graeca», V,1], 63,23-29.
198 Il neoplatonismo di Eustrazio di Nicea

Eustrazio sta qui commentando Analytica Posteriora II,19,100a3, dove la


memoria è detta derivare dalla sensazione. Il commento in questione sembra
escludere che i principi siano innati o che derivino da una predisposizione pre-
esistente. In realtà tuttavia questo è solo il livello di spiegazione del testo alla
lettera, dove cioè Eustrazio, servendosi di Temistio, fornisce una spiegazione
base del testo aristotelico. Subito dopo, come visto in precedenza nei passi 4.5 e
4.6, Eustrazio invece dirà che la conoscenza sensibile risveglia e eccita i logoi
presenti nell’anima, quei logoi innati che Aristotele qui, in Analytica Posteriora
II,19, esclude categoricamente.
Torniamo alla tesi eustraziana secondo cui l’universalità non dipende dal pen-
siero. Di fronte a questo argomento di Eustrazio ci si può porre un interrogativo
relativo al modo in cui il commentatore concepisce in questi testi gli univer-
sali. Nei testi discussi nella sezione 3 della II parte di questo lavoro Eustrazio
parla delle idee come pensieri divini che solo, appunto, nella mente divina,
hanno la loro sussistenza. Nei passi discussi nella sezione 4, invece, si parla di
intellegibili come forme presenti nell’Intelletto separato. Qui, nella sezione 5,
essi sembrano invece considerati entità archetipiche separate autossussistenti
di platonica memoria. Si tratta di un’inconsistenza nel pensiero di Eustrazio?
Non proprio. Ci pare molto più ragionevole pensare che ci si trovi di fronte a tre
prospettive diverse relative ad un medesimo problema. Nella sezione 3 Eustra-
zio ha difeso il Bene ideale platonico e in generale la teoria delle idee da chi
(Aristotele) ne negava l’esistenza. Lo ha fatto sulla base della visione standard
della teoria platonica ad Eustrazio più nota. Secondo questa visione, che ha una
lunga storia, le idee sarebbero pensieri sussistenti nella mente divina. Nei passi
dicussi nella sezione 4 questo intento apologetico viene meno. Cionondimeno
ci si potrebbe chiedere come mai Eustrazio non identifichi l’Intelletto separato
che possiede in maniera unitaria le forme e le pensa in maniera simultanea con
il Creatore. Crediamo che la risposta vada cercata nella particolare prospettiva
dei passi della sezione 4. Questa prospettiva è legata esclusivamente all’analisi
dei diversi modi di intellezione dell’Intelletto separato e degli intelletti partico-
lari. Per questo, a nostro parere, Eustrazio evita di ipotecare in questi passi la
sua dottrina dell’intelletto in chiave teologica, soffermandosi in particolare su
funzionamento dei diversi tipi di intelletto. Nella sezione 5, invece, Eustrazio
torna ad un’ipotesi più autenticamente platonica definendo gli universali come
forme separate eterne e autossusistenti. Qui lo statuto di pensieri divini o di
forme pensate dal Nous scompare.
Anche qui ci pare si tratti di una questione di prospettiva: in questi passi,
cioè, ad Eustrazio interessa esclusivamente difendere l’idea che le forme e gli
universali non dipendano dal pensiero per quel che concerne il loro statuto di
II. I commenti filosofici e le dottrine 199

universalità. Evidentemente non dipendono dal pensiero tanto per quel che con-
cerne il pensare divino, quanto per quel che concerne il pensare dell’intelletto
particolare. Tali forme sono appunto universali anche quando nessun intellet-
to le stia pensando. Qui il fuoco prospettico è il rifiuto del concettualismo di
Alessandro di Afrodisia, mentre la presenza o meno di queste forme all’interno
della mente divina o dell’Intelligenza separata passa in secondo piano rispetto
all’indipendenza dell’universalità dalla loro pensabilità.
Ciò che è certo è che, indipendentemente da queste diverse prospettive in
gioco, Eustrazio guarda agli universali intesi come forme separate e alla traccia
di queste forme in noi con particolare attenzione. In un passo assai importante
egli scrive: «l’intelletto umano è per natura reso perfetto dalla conoscenza delle
forme, imitando in questa conoscenza il creatore delle forme» (ὁ ἀνθρώπινος
νοῦς τῇ γνώσει τῶν εἰδῶν τελειοῦσθαι πέφυκε, μιμούμενος ταύτῃ τὸν τὰ εἴδη
παράγοντα).261 Questo passo sembra mescolare le tre prospettive appena men-
zionate, ma soprattutto rende chiaro che la vera conoscenza per il nostro com-
mentatore consiste nella conoscenza delle forme separate.

6. La natura della vita contemplativa


Come noto agli specialisti nei libri I (7-10) e X (6-8) Aristotele discute la natura
dell’eudaimonia. Non è ovviamente qui il caso di occuparci in dettaglio dei
problemi che la dottrina aristotelica dell’eudaimonia nell’Ethica Nicomachea
ha posto e pone ancora oggi agli studiosi.262 Tuttavia, per facilitare meglio la
comprensione dell’approccio di Eustrazio a questa questione, con particolare
attenzione al commento al libro I di quest’opera aristotelica, segnaliamo di se-
guito quelli che ci sembrano essere i tratti specifici dell’eudaimonia aristotelica.
Aristotele definisce la felicità come un bene più perfetto, nella misura in cui
esso è perseguito per sé e non per altro.263 Si tratta di un bene che implica una
forma di autosufficienza da cui, tuttavia, non segue una forma di vita solitaria,
ma che include al contrario alcune relazioni sociali con famigliari e concittadini,
giacché l’uomo rimane pur sempre un animale politico.264 La ricerca di cosa sia
l’eudaimonia viene dunque posta dal punto di vista della funzione e del tipo di
vita cui essa rimanda, ossia la vita secondo la parte razionale dell’anima, la vita

261 EUSTR., In II A.Po., 215,1-3.


262 Per un’approfondita analisi dei passi aristotelici in questione e una discussione della letteratura
esistente, si veda C. NATALI, The Wisdom of Aristotle, Suny Press, Albany (NY) 2001, 111-176.
263 ARIST., Ethica Nicomachea, I,7,1097a30-34; X,6,1176a30-b6; X,7,1177b1-4.
264 ARIST., Ethica Nicomachea, I,7,1097b7-11; I,7,1097b20-21; X,1177a28-b1; X,8,1178a23-b7;

X,8,1178b33-a8
200 Il neoplatonismo di Eustrazio di Nicea

secondo l’intelletto.265 L’eudaimonia dunque consiste in un’attività dell’anima


secondo virtù, secondo la virtù più alta, in una vita compiuta e perfetta.266 L’eu-
daimonia sarà dunque attività dell’anima secondo la sua virtù più alta, un’atti-
vità di per sé piacevole che non esclude, ma al contrario richiede, il possesso
di beni esteriori e di una certa prosperità esteriore, ossia di condizioni oggettive
quali nobiltà di nascita, prole prospera, bell’aspetto ecc.267 L’eudaimonia, infine,
si configura come una sorta di dono divino, un’attività di tipo continuativo che
caratterizza l’esistenza dell’individuo sino alla morte e che lo rende simile agli
dei.268
Abbiamo già evidenziato come le posizioni di Eustrazio per quel che concerne
la causalità e la teoria della conoscenza siano profondamente segnate dall’opera
di Proclo e dal neoplatonismo in generale. Una simile torsione verso questa tra-
dizione di pensiero emerge anche nell’interpretazione di Eustrazio del primato
aristotelico della vita contemplativa, specie per quel che concerne la natura
stessa di questa vita e l’oggetto della contemplazione.
Partiamo da un passo tratto dal prologo del commento al libro I dell’Ethica
Nicomachea. Questo prologo si divide, sulla falsa riga della prassi esegetica
tardo-antica (pensiamo in particolare ai commentatori di Aristotele), in due parti:
la prima, consistente nella collocazione dell’opera nell’architettura del sapere
aristotelico e all’interno della divisione delle varie forme del sapere, e nella
descrizione dell’utilità dell’opera;269 la seconda, consistente invece nell’identifi-
cazione dello scopo del I libro, l’oggetto specifico del commento di Eustrazio.270
Soffermiamoci su questa seconda parte del prologo. Qui Eustrazio, come detto,
si preoccupa di chiarire quale sia lo scopo del I libro dell’Ethica Nicomachea:

6.1 In I EN, 4,27-38: ἐν δὲ τῷ πρώτῳ βιβλίῳ τῆς πραγματείας περὶ τοῦ τέλους ζητεῖ
πρὸς ὃ αἱ ἀρεταὶ φέρουσι κατορθούμεναι, ὅπερ εὐδαιμονία παρὰ τοῖς πάλαι σοφοῖς
ὀνομάζεται. τοῦτο δέ ἐστι καὶ τὸ τέλος τῆς ἀνθρωπίνης ζωῆς, οὗ ἕνεκα ὁ ἄνθρωπος
ἐν τῷ παρόντι κόσμῳ παράγεται. ἔστι δὲ τοῦτο ἐξ ἀρχῆς μὲν μετριοπάθεια, τὸ

ARIST., Ethica Nicomachea, I,7,1098a2-5; X,7,1178a5-8.


265

ARIST., Ethica Nicomachea, I,7,1098a16-18; X,7,1177b24-25.


266
267 ARIST., Ethica Nicomachea, I,8,1099b2-8; I,9,1100a4-13.
268 ARIST., Ethica Nicomachea, I,9,1109b13-14; I,9,1100b19-22; X,7,1177b26-34; X, 7,1177a21-22;

X,8,1179a22-32.
269 EUSTR., In I EN, 1,3-4,24.
270 EUSTR., In I EN, 4,25-5,22. Sul modus operandi e la metodologia dei commentatori, si vedano tra

gli altri L.G. WESTERINK, The Alexandrian Commentators and the Introduction to their Commentaries, in
SORABJI, Aristotle cit., 325-348 and P. HOFFMANN, What was Commentary in Late Antiquity? The Example of
the Neoplatonic Commentators, in M.L. GILLE/P. PELLEGRIN (eds), A Companion to Ancient Philosophy, Wiley-
Blackwell, Malden 2009, 597-622.
II. I commenti filosofici e le dottrine 201

ἀγριαῖνον καὶ ἄμετρον τῶν συνεζευγμένων ἡμῖν ἀλόγων παθῶν καταστέλλουσα


καὶ ὡς ἀρχηγῷ τῷ λόγῳ ἄγεσθαί τε καὶ φέρεσθαι πείθουσα, τελευταῖον δὲ καταντᾷ
εἰς ἀπάθειαν, ὅπερ μακαριότης παρ’ ἡμῖν λέγεται. δεῖ γὰρ τὸν ζητοῦντα τὸ τέλειον
μέχρι τῆς τελευταίας σπεῦσαι νεκρώσεως τῶν ἀλόγων δυνάμεων, ὡς μόνον τὸν
λόγον ἐνεργεῖν ἐν αὐτῷ ὑπὸ τῆς ἀλογίας μηδαμῇ ἐνοχλούμενον, οὗ γενομένου ἡ
τοῦ ἀνθρώπου ψυχὴ διὰ τῆς συνεχοῦς καὶ ἀδιακόπου ἐνεργείας τοῦ λόγου εἰς νοῦν
ἄνεισι καὶ νοοειδὴς γίνεται ἤτοι νοῦς κατὰ μέθεξιν, εἶτα δὲ καὶ θεοειδὴς ὡς θεῷ
ἑνωθεῖσα κατὰ τὸ ἐν αὐτῇ ἐγκείμενον ἕν, ὅπερ ἄνθος τοῦ νοῦ ὁ μέγας ὠνόμασε
Διονύσιος.
[«Nel primo libro dell’opera {Aristotele} indaga il fine al quale le virtù, se ben orien-
tate, conducono, fine che è chiamato dai sapienti antichi ‘felicità’. Questo è di fatto il
fine della vita umana in vista del quale l’uomo è creato in questo mondo. Questo fine
consiste sin dall’inizio nella moderazione delle passioni, la quale, da un lato, pone
un freno al carattere selvaggio e privo di misura delle passioni irrazionali che sono in
noi e le persuade ad essere portate e condotte dalla ragione come da un condottiero;
dall’altro, porta in ultima istanza all’assenza delle passioni, che viene da noi cristiani
chiamata ‘beatitudine’. Per chi cerca la perfezione è necessario infatti perseguire la
piena mortificazione delle potenze irrazionali, in maniera tale che in lui solo la ragione
operi senza essere ostacolata in nessun modo dalla componente irrazionale. Quando
questo accade, l’anima umana, grazie ad una attività continua e non interrotta, rag-
giunge l’Intelletto e diviene intellettuale, ossia intelletto per partecipazione, per poi
diventare anche divina nell’unione con Dio secondo l’uno che è in essa, che il grande
Dionigi chiama ‘fiore dell’anima’.»]

In questo passo Eustrazio individua immediatamente una distinzione lessica-


le tra il termine εὐδαιμονία e il termine μακαριότης. Il primo esprimerebbe la
concezione della felicità secondo i Greci; il secondo descriverebbe la concezione
della beatitudine di matrice cristiana. In ogni caso entrambe queste concezio-
ni riguarderebbero «questo mondo» (ἐν τῷ παρόντι κόσμῳ) in cui l’individuo
umano si trova ad essere. La differenza tra queste concezioni non è meramente
terminologica. Secondo Eustrazio, per i Greci l’eudaimonia consisterebbe nella
moderazione delle passioni, la μετριοπάθεια.271 Invece per i cristiani la beati-
tudine consisterebbe nella «mortificazione delle potenze irrazionali». Vediamo
l’origine di questa distinzione.
Già i commentatori tardo-antichi tendevano a distinguere la μετριοπάθεια,
attribuita ad Aristotele, dalla ἀπάθεια, ascritta invece a Platone.272 Porfirio, ad

271 La fonte di questa identificazione dello scopo della filosofia pratica nella μετριοπάθεια potrebbe risa-

lire alla tradizione dei commentatori. Si veda ad esempio PHILOPONUS, In Analytica Priora cit., 6,33-34: τούτου
γὰρ ὕλη τὰ ἀνθρώπινα πράγματα καὶ ἡ μετριοπάθεια, σκοπὸς δὲ τὸ περὶ ταῦτα αἱρετόν πως ἢ φευκτόν.
272 Si veda ELIAS, Commentarius in Analytica Priora, ed. L.G. WESTERINK, Elias on the Prior Analytics,
202 Il neoplatonismo di Eustrazio di Nicea

esempio, parlava delle virtù «politiche» come quelle che condurrebbero alla
μετριοπάθεια, e di quelle «purificatrici» come quelle che condurrebbero alla
ἀπάθεια.273 Si tratta di una distinzione, quella tra virtù politiche e virtù puri-
ficatrici e i rispettivi fini, che Eustrazio, come vedremo a breve, conosce assai
bene. In maniera simile Olimpiodoro distingue alcune delle virtù neoplatoniche,
quali quella del politico e del catartico, in virtù del loro differente fine. Men-
tre il politico avrebbe come scopo la μετριοπάθεια, il catartico avrebbe come
scopo la ἀπάθεια.274 Quest’ultima testimonianza è importante nella misura in
cui Eustrazio conosceva bene la scala neoplatonica delle virtù che costituisce
la base teoretica di questa distinzione. Ci pare invece che si possa escludere
che in questo caso Eustrazio abbia in mente gli stoici. Infatti, se è vero che
in questa declinazione della ἀπάθεια come distacco dalle passioni e dai beni
materiali gli stoici hanno giocato un ruolo importante, come vedremo Eustrazio
si muove all’interno di una prospettiva diversa, che parte dalla distinzione tra
μετριοπάθεια e ἀπάθεια sviluppata dai commentatori tardo-antichi e la rilegge
sotto l’ipoteca della cultura monastica.275
In effetti, in questo passo la divaricazione tra εὐδαιμονία e μακαριότης (una
divaricazione assente nel testo dell’Ethica, dove di fatto i termini sono sinoni-
mi276) è di matrice, come si è avuto modo di accennare, cristiana. Se dunque la
base di questa distinzione operata dal nostro commentatore tra μετριοπάθεια e
ἀπάθεια ha origini tardo-antiche, è pur vero che su questa base Eustrazio innesta

«Mnemosyne», 14 (1961), 130,29-31: νῦν δὲ τοῦ μὲν πρακτικοῦ ὕλη μὲν μόναι αἱ ἀνθρώπιναι ψυχαί, τέλος
δὲ ἡ μετριοπάθεια κατὰ Ἀριστοτέλη ἢ ἡ ἀπάθεια κατὰ Πλάτωνα.
273 PORPHIRIUS, Sententiae ad intellegibilia ducentes, 32, ed. E. LAMBERZ, Teubner, Leipzig 1975, 23,4-8;

25,7-9. Si veda anche la nostra discussione di 6.7 e la relativa bibliografia.


274 OLYMPIODORUS, In Platonis Phaedonem commentaria, 4,3, L.G. WESTERINK, The Greek commentaries

on Plato’s Phaedo, vol. 1, North-Holland Publishing Co., Amsterdam 1976, ll.11-16; 4,11, ll.6-8: ὁ μὲν
γὰρ καθαρτικὸς οὐχ αἱρήσεται ὅλως ἡδονὴν καὶ λύπην, τέλος γὰρ αὐτοῦ ἡ ἀπάθεια· ὁ δὲ πολιτικὸς ἐπ’
ὀλίγον αἱρήσεται, τέλος γὰρ τούτου ἡ μετριοπάθεια. Ma si potrebbe risalire fino a PORPHIRIUS, Sententiae
cit., 32, 23,6-8: Αἱ μὲν τοῦ πολιτικοῦ ἐν μετριοπαθείᾳ κείμεναι τῷ ἕπεσθαι καὶ ἀκολουθεῖν τῷ λογισμῷ
τοῦ καθήκοντος κατὰ τὰς πράξεις.
275 Con questo non si vuole negare che lo stoicismo abbia giocato un ruolo all’interno della elaborazione

cristiana del problema delle emozioni e della passioni. Semplicemente non è allo stoicismo che Eustrazio
guarda. Su questo tema si veda in generale R. SORABJI, Emotion and Peace of Mind. From Stoic Agitation to
Christian Temptation, Oxford University Press, Oxford 2000. La letteratura sulla derivazione stoica della
nozione di ἀπάθεια è sterminata. Ci limtiamo qui a segnalare M. COLISH, The Stoic Tradition fron Antiquity
to the Early Middle Ages, 1, Stoicism in Classical Latin Literature, Brill, Leiden, New York, København,
Kön 19902, 42-50.
276 Cfr. e.g. ARIST., Ethica Nicomachea, I,7,1098a19; I,9,1099b18; I,10,1100a33; I,12,1101b24-25;

VIII,5,1157b21; VIII,6,1158a22; IX,9,1169b4-5; X,8,1179a2-3 et passim.


II. I commenti filosofici e le dottrine 203

un tema assai presente nel monachesimo orientale in tutte le sue correnti; quello
della mortificazione delle passioni.277
Superata questa condizione, venuti meno cioè gli impedimenti di ordine
materiale che ostacolavano la ragione, si apre l’accesso ad una nuova condi-
zione: «quando questo accade l’anima umana, grazie ad un’attività continua e
non interrotta, raggiunge l’Intelletto e diviene intellettuale, ossia intelletto per
partecipazione» (οὗ γενομένου ἡ τοῦ ἀνθρώπου ψυχὴ διὰ τῆς συνεχοῦς καὶ
ἀδιακόπου ἐνεργείας τοῦ λόγου εἰς νοῦν ἄνεισι καὶ νοοειδὴς γίνεται ἤτοι νοῦς
κατὰ μέθεξιν).278 Questo passo è interessante in quanto per descrivere l’opera-
zione dell’anima libera dagli impedimenti materiali e affettivi, Eustrazio utilizza
l’aggettivo συνεχής, «continuo», ossia lo stesso termine che nell’Ethica Nicoma-
chea Aristotele utilizza per caratterizzare l’attività propria della vita contemplati-
va.279 Solo che qui, in Eustrazio, essa designa un’attività che, sì, è contemplativa,
ma la cui dinamica non è propriamente aristotelica. Il testo parla infatti del
raggiungimento del Nous, dell’Intelletto, e del divenire intelligente dell’anima, il
diventare «intelletto per partecipazione» (κατὰ μέθεξιν), secondo una modalità
già vista quando abbiamo discusso la dottrina eustraziana dell’intelletto.280
Il testo si chiude con una chiosa ancora più interessante. Infatti Eustrazio
riporta che, dopo essere diventata intelligente, l’anima prosegue questo suo per-
corso «per poi diventare anche divina nell’unione con Dio secondo l’uno che è
in essa, che il grande Dionigi chiama ‘fiore dell’anima’» (εἶτα δὲ καὶ θεοειδὴς
ὡς θεῷ ἑνωθεῖσα κατὰ τὸ ἐν αὐτῇ ἐγκείμενον ἕν, ὅπερ ἄνθος τοῦ νοῦ ὁ μέγας
ὠνόμασε Διονύσιος). Il lettore sarà tuttavia sorpreso nello scoprire che nel Cor-
pus Dionysiacum, cui Eustrazio fa qui riferimento, il termine ἄνθος τοῦ νοῦ non
compare, se non negli scholia al De divinis nominibus attribuiti a Giovanni di
Scitopoli, dove tra le altre cose l’espressione non è associata, come invece in
Eustrazio, all’Uno che è nell’anima.281 Mentre invece compare, con un’assonanza

277 Si vedano a titolo meramente esemplificativo THEODORUS STUDITES, Μεγάλη κατήχησις, 58, ed. A.

PAPADOPOULOS-KERAMEUS, Kirschbaum, St. Petersburg 1904, 410,3; 116, 863,17; CYRILLUS ALEXANDRINUS, De
adoratione et cultu in spiritu et veritate, Patrologia Graeca, 68, 1216A. Questo tema lo si ritrova anche nel
commentatore tardo-antico David. Si vedano DAVID, Prolegomena philosophiae cit., 29,23; 31,24; 37,13;
77,30; 78,18.
278 EUSTR., In I EN, 4,34-36.
279 Cfr. e.g. ARIST., Ethica Nicomachea I,10,1100b16; IX,9,1170a7; X,7,1177a21.
280 Cfr. supra, 143-164; Non nasconderemo che lo stesso termine ἀδιάκοπος, che in Aristotele non com-

pare e che Eustrazio riferisce all’attività dell’anima priva dalle passioni (In I EN, 4,35), occorre in Proclo
in un contesto assai simile a quello in questione, quando cioè Proclo, parla di «un’attività non interrotta
su ciascun oggetto che stimola e riaccende i logoi in noi insiti.» Cfr. PROCLUS, In Platonis Timaeum cit.,
1,301,26-27: ἡ γὰρ ἀδιάκοπος ἐνέργεια περὶ ἕκαστον ἐκκαλεῖται καὶ ἀναζωπυρεῖ τοὺς ἐν ἡμῖν λόγους.
281 Su questo riferimento, si veda P. ROREM/J.C. LAMOREAUX, John of Scythopolis and the Dionysian Corpus.

Annotating the Areopagite, Clarendon Press, Oxford 1998, 117-118.


204 Il neoplatonismo di Eustrazio di Nicea

impressionante rispetto al testo di Eustrazio, in colui che dello Pseudo-Dionigi


Areopagita è la fonte principale, ossia ancora Proclo, in particolare nel commen-
to all’Alcibiade di questo autore. Scrive qui Proclo:

ὡς γὰρ νοῦ μετέχομεν κατὰ τὸν εἰρημένον νοῦν, οὕτω καὶ τοῦ πρώτου, παρ’ οὗ
πᾶσιν ἡ ἕνωσις, κατὰ τὸ ἓν καὶ οἷον ἄνθος τῆς οὐσίας ἡμῶν, καθ’ ὃ καὶ μάλιστα τῷ
θείῳ συναπτόμεθα
[«come infatti quando partecipiamo dell’intelletto secondo quell’Intelletto di cui si
è detto, così partecipiamo anche del Primo, da cui per tutti gli enti deriva l’unità,
secondo l’Uno e, per così dire, il fiore della nostra essenza, tramite il quale ci uniamo
massimamente al divino.»]282

La somiglianza tra il testo di Eustrazio e il testo di Proclo è impressionante al


punto da rendere indubbia la dipendenza di Eustrazio da questo autore. Ciò che
colpisce è che, ancora una volta, la dipendenza da Proclo è a tal punto marcata
da segnare profondamente tanto la ripresa di motivi dalla tradizione cristiana,
quale appunto il tema della mortificazione delle passioni, quanto l’ermeneutica
stessa delle fonti, come abbiamo visto nel caso delle citazioni dallo Ps.-Dionigi
e dei riferimenti al lessico di Gregorio di Nazianzo visti in precedenza.283 Queste
indicazioni vengono tutte sempre e comunque lette dal nostro commentatore
attraverso la lente dell’opera di Proclo.284
Proprio a questo proposito vorremmo qui segnalare altre dipendenze di Eustra-
zio dall’opera del diadoco proprio in rapporto alle tematiche di cui stiamo discu-
tendo. Come si è avuto modo di vedere, nel commento all’Alcibiade I, Proclo par-
la dell’Uno, nel senso del fiore della nostra essenza, come di ciò «tramite il quale
ci uniamo massimamente al divino» (καθ’ ὃ καὶ μάλιστα τῷ θείῳ συναπτόμεθα).
Questo passo è simile ad altri passi dell’opera procliana dove l’autore descrive la
congiunzione con gli dei. Come quando Proclo descrive l’intelletto di Timeo co-

282 PROCLUS, In Platonis Alcibiadem cit., 294,11-14. Ma si veda anche PROCLUS, In Platonis Parmenidem

cit., 1071,19-24: Ἢ πῶς ἐγγυτέρω τοῦ ἑνὸς ἐσόμεθα, μὴ τὸ ἓν τῆς ψυχῆς ἀνεγείραντες, ὅ ἐστιν ἐν ἡμῖν
οἷον εἰκὼν τοῦ ἑνὸς, καθὸ καὶ μάλιστα τὸν ἐνθουσιασμὸν γίνεσθαί φασιν οἱ ἀκριβέστεροι τῶν λόγων;
Πῶς δ’ ἂν τὸ ἓν αὐτὸ τοῦτο καὶ τὸ ἄνθος τῆς ψυχῆς ἀναλάμψαι ποιήσαιμεν, εἰ μὴ κατὰ νοῦν πρότερον
ἐνεργήσαιμεν; Abbiamo brevemente discusso questo passo anche in TRIZIO, Eleventh cit., 200. Sull’immagi-
ne del ‘fiore dell’intelletto’ e le sue radici, si vedano H. LEWY, Chaldaean Oracles and Theurgy, Imprimerie
de l’Institut Francias d’Archéologie Orientale, Cairo 1956, 165-169; J. RIST, Mysticism and Transcendence
in Later Neoplatonism, «Hermes», 92 (1964), 213-225; S.E. GERSH, From Iamblichus to Eriugena, An Inve-
stigation of the Prehistory and Evolution of the Pseudo-Dionysian Tradition, Brill, Leiden 1979, 119-121;
MAJERCIK, The Chaldean cit., 22-43; 138-139.
283 Si veda su questo la nostra discussione di 4.1.
284 Si vedano le conclusioni del presente lavoro.
II. I commenti filosofici e le dottrine 205

me «ciò grazie a cui si congiunge agli dei» (καὶ ὃ μὲν συνάπτεται τοῖς θεοῖς);285 o
come quando egli oppone la conoscenza discorsiva a quella divinamente ispirata,
dicendo che «solo la conoscenza ispirata divinamente entra in contatto con gli
stessi dei» (μόνη δὲ ἡ ἔνθεος γνῶσις αὐτοῖς συνάπτεται τοῖς θεοῖς);286 o ancora
la descrizione procliana della migliore forma di vita come quella «tramite la
quale ci congiungiamo agli dei» (καθ’ ἣν συνάπτεται τοῖς θεοῖς);287 o, infine, un
passo in cui Proclo descrive la parte intellettuale dell’anima, il fiore dell’intel-
letto, come quella tramite la quale è possibile «divenire simili al dio» (τῷ θείῳ
συγγίνεσθαι).288 Ci pare che questa terminologia si rifletta in simili argomenti
presenti in Eustrazio, come quando nel commento al II libro degli Analytica
Posteriora, il commentatore descrive la conoscenza intellettuale come ciò che
ci permette «di congiungerci alle cose divine» (τοῖς θείοις συνάπτεσθαι)289; o
come quando, sempre nello stesso testo, Eustrazio parla del contemplativo come
«colui il quale diviene simile a Dio attraverso l’astinenza dalle passioni» (θεῷ
καὶ τοῖς θείοις δι’ ἀπάθειαν συγγίνεται).290
Inoltre, a conferma del fatto che l’opera di Proclo fornisce una delle basi
terminologiche dell’articolazione del tema del trascendimento delle passioni, vi
è un passo del commento di Eustrazio al I libro dell’Ethica Nicomachea:

καὶ ἡ ἐκ τῆς ἀπαθείας ὡσαύτως, ὅταν ἡ ψυχὴ ἠρεμαίαν ἄγῃ γαλήνην καὶ ἀστασίαστον,
ἀπαλλαγεῖσα τοῦ τῶν παθῶν κλύδωνος, τῶν χειρόνων δυνάμεων ὑποταγεισῶν τῇ
κρείττονι.
[«e l’assenza dalle passioni deriva da ciò, quando l’anima raggiunge una quiete tran-
quilla e imperturbata, quando si è liberata dall’onda delle passioni e ha sottomesso le
facoltà inferiori a quelle superiori.»]291

Questo passo ci pare una citazione diretta dal commento di Proclo all’Alci-
biade I:

καὶ καθάπερ ὁ νοῦς ἀεὶ μὲν ἐνεργεῖ περὶ ἡμᾶς καὶ δίδωσιν ἀεὶ τὸ τῆς νοήσεως
φῶς, καὶ πρὶν εἰς ἀλογίαν ῥέψωμεν καὶ ὅτε συζῶμεν τοῖς πάθεσι καὶ κοιμισθέντων
ἡμῖν ἤδη τῶν παθῶν, οὐκ ἀεὶ δὲ αὐτοῦ συναισθανόμεθα, ἀλλ’ ὅταν τοῦ πολλοῦ

285 PROCLUS, In Platonis Timaeum cit., 1,223,17-18.


286 PROCLUS, In Platonis Timaeum cit., 3,160.12
287 PROCLUS, In Platonis Rem publicam cit., 1,177,16.
288 PROCLUS, Theologia cit. 15,7-8.
289 EUSTR., In II A.Po., 9,21-22.
290 EUSTR., In II A.Po., 19,22-23.
291 EUSTR., In I EN, 52,35-53,3.
206 Il neoplatonismo di Eustrazio di Nicea

κλύδωνος τοῦ γενεσιουργοῦ καθαροὶ γενώμεθα καὶ ἐν γαλήνῃ τινὶ τὴν ἑαυτῶν
ὁρμίσωμεν ζωήν.
[«E questo perché l’intelletto è sempre attivo riguardo a noi e dispensa la luce della
conoscenza, sia, prima, quando incliniamo verso l’irrazionalità, sia quando viviamo
assieme alle passioni e quando ormai le passioni sono state messe a tacere da noi, cosa
di cui non sempre ci accorgiamo, se non quando diventiamo puri dalla grande onda del
processo di generazione e ancoriamo le vite di noi stessi ad una certa tranquillità.»]292

Qui Proclo gioca sul tema dell’acqua o flusso come metafora del mondo ma-
teriale. Lo fa probabilmente sulla base di una preesistente tradizione esegetica
neoplatonica dei poemi omerici che aveva interpretato in maniera allegorica
questo elemento associandolo alla materia.293 Su questo stesso sfondo siamo
tentati di leggere un passo di Eustrazio in cui l’anima nel corpo viene descritta
«come travolta e caduta in una violenta corrente di acqua che scorre» (ὡς ἐν
σφοδροτάτῃ φορᾷ καταρρέοντος ὕδατος κατασυρομένη καὶ καταπίπτουσα).294
Ma Proclo non è l’unica fonte di Eustrazio per questo tema. Vi sono infatti di-
versi altri passi, interessanti e indicativi della posizione del nostro commentatore
sullo statuto della felicità contemplativa di cui parla Aristotele, in cui Eustrazio
guarda anche ad altre fonti. In uno di questi passi Eustrazio introduce nuova-
mente la distinzione tra la «moderazione delle passioni» (μετριοπάθεια) propria
della vita del politico e «l’assenza di passioni» (ἀπάθεια) della vita contemplati-
va secondo una modalità tradizionale già discussa in precedenza.295 Subito dopo
egli passa in rassegna le peculiarità della vita del contemplativo:

6.2 In I EN, 59,30-60,3: ὁ δὲ καθαρτικὸς καὶ θεωρητικός, ἐπεὶ πάντῃ τὰς ἐν μέσῳ
διατριβὰς ἀπηνήνατο καὶ τὴν ὑπὲρ ἄνθρωπον εἵλετο βίωσιν, καὶ κατὰ προαίρεσιν
κεχώρισται τοῦ σώματος, καὶ τὸν νοῦν πτεροῖ ὡς τῶν κάτω παντελῶς ὑπεραίρεσθαι
καὶ πάντ’ ἐᾶν ὅσα ὑπὸ χρόνον καὶ πρώτην κίνησιν, καὶ πρὸς θεὸν ἀνάγεσθαι καὶ
ἀναίρεσθαι. ἔχει δὲ τὸν τοῦ σώματος σύνδεσμον τὴν σπουδὴν κολούοντα καὶ τῇ
ἀναπτήσει τοῦ νοὸς ἐμποδίζοντα, ὡς πρὸς ἐχθρὰν τὴν σάρκα διάκειται, καὶ ἄσπονδον

292 PROCLUS, In Platonis Alcibiadem cit., 36,12-17.


293 Si veda su questo e.g. R. LAMBERTON, Homer the Theologian: Neoplatonist Allegorical Reading and the

Growth of the Epic Tradition, University of California Press, Berkeley 1986, 221-232.
294 EUSTR., In I EN, 92.1-3.
295 EUSTR., In I EN, 59,20-29: ὡς γὰρ αἱ ἀρεταὶ ἄλλως καὶ ἄλλως ἑκατέρῳ τούτων ἐφαρμόζουσιν, ὡς

εἶναι τὰς μὲν μετριοπαθείας, τὰς δ’ ἀπαθείας, οὕτω καὶ τὸ εὔδαιμον καὶ μακάριον ἄλλως μὲν τῷ πολιτικῷ,
ἄλλως δὲ τῷ θεωρητικῷ ἐφαρμόσει, ὡς εἶναι τῷ μὲν μετριοπάθειαν καὶ μόνον κυρίευσιν κατὰ τῶν ἀλόγων
παθῶν τῆς τοῦ λόγου δυνάμεως, ὡς τὸν μὲν ἐπιτάττειν, τὰ δ’ ὑπείκειν καὶ ἐνεργεῖν οὕτως καὶ ἐπὶ τοσοῦτον,
ὅπως καὶ ἐφ’ ὅσον ὁ προεστηκὼς διορίσεται, πράττειν τε τὰ ἐν τῇ πολιτείᾳ φρονίμως κατὰ τοὺς νόμους
καὶ τὰ ἔθη τῆς πόλεως καὶ ἐν πᾶσι τηρεῖν τὰ καθήκοντα, διατάττοντα δεόντως τοῖς πολιτευομένοις καὶ
διορίζοντα. καὶ δοκεῖ τὸ μέχρι τοῦδε ἱκανὸν εἶναι τῷ πολιτικῷ πρὸς τὸ τέλειον ᾗ πολιτικός ἐστιν.
II. I commenti filosofici e le dottrine 207

ἐγείρει πρὸς αὐτὴν ἔνστασιν296, παντοίαν θλῖψιν ἐπιτηδεύων, ὡς ἂν σάρξ297


καταπίπτουσα ἀτόνως ἔχοι κατὰ τοῦ νοὸς ἐγείρεσθαι. ὁ δὲ τῆς ἐξ αὐτῆς ὀχλήσεως
ἐλευθερούμενος ἐρωτικῶς τε πρὸς τὸ πρῶτον κάλλος ἀνάπτεται καὶ τῆς πρώτης
ἀγαθότητος ἀπολαύειν ἐπείγεται, θλιβομένου τοῦ σώματος μὴ ἐπιστρεφόμενος,
μάλιστα δὲ τοῖς λυπηροῖς ἐφηδόμενος ὡς αἰτίοις αὐτῷ τῆς κατὰ προαίρεσιν λύσεως
τοῦ θνητοειδοῦς σκήνους καὶ τῆς τούτου κατωφερείας τε καὶ παχύτητος.
[«Il purificativo e il contemplativo, nella misura in cui si è astenuto completamente da
attività mondane e ha scelto un tipo di vita sovraumano, si è anche separato dal corpo
per scelta, ha dotato l’intelletto di ali per sorvolare del tutto le cose che si trovano in
basso e per rigettare tutto ciò che è sottoposto al tempo e al movimento primo, e per
raggiungere ed elevarsi a Dio. Egli possiede il vincolo del corpo che gli impedisce
di essere zelante e lo ostacola nell’involarsi verso l’Intelletto, possiede la carne come
una nemica, ed eccita un’implacabile opposizione a questa, praticando ogni sorta di
afflizione, come se la carne in decadimento si scagliasse flebilmente contro l’intel-
letto. Ma libero dalla perturbazione della carne si congiunge in maniera erotica alla
prima bellezza e si affretta a fruire della prima bontà, senza rivolgersi al corpo afflitto,
esultando massimamente di ciò che gli ha procurato tristezza come di ciò che per lui
ha causato lo scioglimento volontario dal corpo mortale, dalla sua inclinazione verso
il basso e della sua pesantezza.»]

Anche in questo caso, come per 6.1, discuteremo il passo dividendolo in


sezioni. Per prima cosa Eustrazio chiarisce che il purificativo e il contemplativo
è colui che per scelta si è separato dal corpo scegliendo una vita sovraumana,
senza lasciarsi coinvolgere in attività mondane.298 Si tratta di chi, continua Eu-
strazio, «ha dotato l’intelletto di ali» (τὸν νοῦν πτεροῖ).299 Ci sembra che qui Eu-
strazio riprenda un motivo presente in Massimo il Confessore, dove si legge che
l’uomo potente tramite la conoscenza «mette le ali all’intelletto e viaggia verso
Dio» (τὸν νοῦν πτεροῖ καὶ πρὸς Θεὸν ἐκδημεῖ).300 Quando poi Eustrazio parla
di realtà sopra «il primo movimento» (πρώτην κίνησιν) come di quelle realtà

296 Qui il testo di Heylbut appare problematico. Heylbut riporta ἄσπονδον ἐγείρει πρὸς αὐτὴν στάσιν.

Il termine στάσιν qui è dubbio. Assai migliore per quel che concerne il senso generale del testo appare il
«bellum» della versione latina. Il ms. Vat.gr. 269 riporta invece ἄσπονδον καὶ ἀνένδοτον ἀνεγείρει πρὸς
αὐτὴν ἔνστασιν. Come detto non è qui possibile esprimersi sulla validità delle lezioni di questo ms. man-
cando allo stato attuale uno studio che collochi questo testimone in uno stemma (cfr. supra, 17-22). Tuttavia
ci pare di poter per lo meno ritenere ἔνστασιν come lezione più probabile rispetto a στάσιν.
297 Aggiungo σάρξ seguendo il testo latino di Grossatesta (che riporta «caro»). Il testo greco di Heylbut,

invece omette il termine.


298 EUSTR., In I EN, 59,32-34.
299 EUSTR., In I EN, 59,32.
300 MAXIMUS CONFESSOR, Capita de caritate, ed. A. CERESA-GASTALDO, Editrice Studium, Roma 1963, 2,28,

ll.1-3.
208 Il neoplatonismo di Eustrazio di Nicea

che l’intelletto per così dire alato sorvolerebbe probabilmente si riferisce alla
Physica di Aristotele, dove si legge che il moto locale è il primo dei movimenti.301
Di seguito Eustrazio spiega che l’individuo umano è affetto dal «vincolo del
corpo» (τὸν τοῦ σώματος σύνδεσμον) che costituisce per lui un ostacolo.302 Si
può ricondurre questo lessema ad un passo di Eusebio di Cesaria, dove si legge
in rapporto all’anima che è rivolta a Dio:

Ἡ τοιαύτη θορύβων ἀπαλλάττεται ψυχὴ, εἰς τὸν οὐρανὸν μεθίσταται, τῶν


συνδέσμων τοῦ σώματος ἀπολύεται, πτεροῦται, κουφοτέρα καθίσταται, ἀποτίθεται
τὰ πάθη, ἀποδύεται τὰ νοσήματα
[«Una siffatta anima è priva di turbamenti, parte per il cielo, scioglie i legami con il
corpo, vola, diviene più leggera, evita le passioni, si spoglia dei vizi.»].303

In effetti quanto si legge in seguito appare coerente rispetto alle fonti del
nostro autore. Si legge infatti che:

ὁ δὲ τῆς ἐξ αὐτῆς ὀχλήσεως ἐλευθερούμενος ἐρωτικῶς τε πρὸς τὸ πρῶτον κάλλος


ἀνάπτεται καὶ τῆς πρώτης ἀγαθότητος ἀπολαύειν ἐπείγεται, θλιβομένου τοῦ
σώματος μὴ ἐπιστρεφόμενος, μάλιστα δὲ τοῖς λυπηροῖς ἐφηδόμενος ὡς αἰτίοις αὐτῷ
τῆς κατὰ προαίρεσιν λύσεως τοῦ θνητοειδοῦς σκήνους καὶ τῆς τούτου κατωφερείας
τε καὶ παχύτητος
[«libero dalla perturbazione della carne, questi si congiunge in maniera erotica alla
prima bellezza e si affretta a fruire della prima bontà, senza rivolgersi al corpo afflitto,
esultando massimamente di ciò che gli ha procurato tristezza come di ciò che per lui
ha causato lo scioglimento volontario dal corpo mortale, dalla sua inclinazione verso
il basso e della sua pesantezza.»]304

Questo testo riprende molti temi, come quello della liberazione dalle passioni,
già visti allorquando abbiamo discusso la teoria eustraziana dell’intelletto.305 In
più si parla di una congiunzione di tipo erotico con la prima bellezza e di frui-
zione della prima bontà. L’avverbio ἐρωτικῶς compare in un simile contesto in
Proclo, nel commento al Timeo, dove si parla del fiore dell’intelletto che permette
di avere l’attività intellettiva mossa «in maniera erotica (ἐρωτικῶς) in un circolo

301 ARIST., Physica, VIII,9,265b17.


302 EUSTR., In I EN, 59,34.
303 EUSEBIUS CAESARENSIS, Commentaria in Psalmos, Patrologia Graeca, 23, 1289AB.
304 EUSTR., In I EN, 59,38-60,3.
305 Cfr. supra, 143-170; 182-187. Si veda in particolare EUSTR., In VI EN, 314,12-13: καθαρὰ γὰρ

γενομένη καὶ ἐλευθέρα τῶν παθῶν ἡ ψυχή.


II. I commenti filosofici e le dottrine 209

intorno al principio di tutte le cose».306 Quanto all’espressione «prima bellezza»


(τὸ πρῶτον κάλλος) per descrivere la Causa Prima, vi è una forte assonanza con
un passo sempre di Proclo, questa volta dalla Theologia Platonica.307 Quan-
to all’ultima parte del testo, segnaliamo l’ennesimo riferimento alla pesantezza
della carne, di cui si è dato conto quando abbiamo analizzato alcuni passi nella
sezione dedicata alla teoria eustraziana dell’intelletto.308
Sono due i principali guadagni derivanti dall’analisi di questo testo. Entrambi
confermano una tendenza già manifestatasi nell’analisi di precedenti passi. Il
primo, riguarda ancora una volta questa particolare attitudine sincretistica di
Eustrazio, che costruisce le proprie argomentazioni utilizzando temi e vocaboli
di origine patristica su di un’intelaiatura di tipo neoplatonico-pagano. Il secondo,
invece, deriva da questa insistenza sul catartico e contemplativo, e non sul solo
contemplativo di cui parla Aristotele. Di fatto, come abbiamo visto nella sezione
sull’intelletto, e come vedremo a breve in altri passi all’interno di questa sezione,
purificazione delle passioni e conversione intellettuale verso la Causa Prima
sono due momenti inscindibili di un’unica dinamica.
Vi è un terzo passo che presenta motivi di interesse in virtù dell’affinità con il
testo di cui si è appena detto. Si tenga a mente che qui Eustrazio sta commentan-
do EN I,7,1097b8-11, dove Aristotele spiega che l’autossuficienza del contem-
plativo non va intesa come il regime di un solitario, bensì come autosufficienza
anche in relazione a figli, genitori, mogli, amici e concittadini, poiché l’uomo è
un animale per natura politico.309

6.3 In I EN, 63,19-30: ὁ δὲ καθαρτικὸς καὶ θεωρητικὸς τοῦ κατ’ ἄνθρωπον παντὸς
ἀποσχόμενος καὶ τῶν ἐν μέσῳ θορύβων ἔξω γενόμενος καὶ ὄχλων καὶ πόλεως
καὶ οἰκείων αὐτῶν καὶ τὴν συνανθρώπισιν ἀρνησάμενος καὶ τῆς οἰκείας σαρκὸς
ἀποχωρήσας τῇ σχέσει καὶ ἀποκλίνας πρὸς τὸ νοερώτερον καὶ θειότερον ἱκανὴν
ἔχει πρὸς μακαριότητα τὴν ἐξ ἀπαθείας ἐγγινομένην κατὰ νοῦν ἐνέργειαν, καὶ
ἔτι τὴν ὑπὲρ νόησιν ἕνωσιν. διὰ τοῦτο καὶ πολυπονωτάτη τούτῳ ὁδὸς ἡ πρὸς τὴν
ἀνήκουσαν εὐδαιμονίαν ἀνάγουσα, ἅτε καὶ πρὸς αὐτὸν τὸν δεσμὸν μαχομένῳ τῆς
φύσεως καὶ πρὸς αὐτὸ τὸ εἶναι ἐνισταμένῳ κατὰ προαίρεσιν, οὐχ ἵνα λύσῃ τὸ φύσει
σύνθετον, ἀλλ’ ἵν’ ἀσχέτως ἕξῃ τὸ δεδεμένον πρὸς τὸν δεσμὸν τὸν ἐκ φύσεως. ἡ

306 PROCLUS, In Platonis Timaeum cit., 3.14,13-14: καὶ ἐρωτικῶς περὶ τὴν πάντων ἀρχὴν στρέφεσθαι

καὶ ἐνεργεῖν.
307 PROCLUS, Theologia cit., 3,44,15.
308 Cfr. supra, 182-187.
309 ARIST., Ethica Nicomachea, I,7,1097b8-11: τὸ δ’ αὔταρκες λέγομεν οὐκ αὐτῷ μόνῳ, τῷ ζῶντι

βίον μονώτην, ἀλλὰ καὶ γονεῦσι καὶ τέκνοις καὶ γυναικὶ καὶ ὅλως τοῖς φίλοις καὶ πολίταις, ἐπειδὴ φύσει
πολιτικὸν ὁ ἄνθρωπος.
210 Il neoplatonismo di Eustrazio di Nicea

δὲ κατορθουμένη μακαριότης ἁπλῆ καὶ ἀποίκιλος καὶ ἀνενδεὴς τῶν πολλῶν, ὡς ἐν


μονότητι τὴν κατόρθωσιν ἔχουσα.
[«invece il purificativo e il contemplativo è colui il quale si è astenuto da tutto ciò che
è umano, che è divenuto estraneo alle perturbazioni mondane, alle masse, alla città, ai
propri cari, che ha rifiutato la vita in comune, che ha rinunciato al vincolo con la pro-
pria carne e che è favorevolmente disposto a ciò che è più intellettuale e divino; egli
è ormai capace di quella beatitudine che deriva dall’assenza di passioni e che avviene
secondo l’operazione intellettuale, poi raggiunge l’unione sovraintellettuale. In virtù
di ciò la strada che porta alla felicità corrispondente è per costui assai ardua, come se
si trovasse a lottare contro lo stesso vincolo della natura e come se si opponesse per
scelta alla sua stessa condizione, non per sciogliere ciò che per natura è composto,
ma per possedere senza esserne legato ciò che lo lega al vincolo che deriva dalla na-
tura. La beatitudine in questo modo determinata è assoluta, semplice, autosufficiente
rispetto alla moltitudine, essendo orientata all’unità.»]

Tutto in questo passo ricorda 6.2. Infatti quelle che in 6.2 erano chiamate «le
attività mondane» (τὰς ἐν μέσῳ διατριβὰς), in 6.3 vengono definite come «tutto
ciò che è umano» (τοῦ κατ’ ἄνθρωπον παντὸς) e le «perturbazioni mondane»
(τῶν ἐν μέσῳ θορύβων).310 Queste consistono proprio nelle realtà enumerate da
Aristotele nel lemma oggetto del commento di Eustrazio, cioè «le masse, la città,
gli stessi famigliari e la vita in comune» (ὄχλων καὶ πόλεως καὶ οἰκείων αὐτῶν
καὶ τὴν συνανθρώπισιν). In 6.2 si parla del contemplativo come di chi «ha scelto
un tipo di vita sovraumano» (τὴν ὑπὲρ ἄνθρωπον εἵλετο βίωσιν); in 6.3 il con-
templativo è colui il quale «ha rifiutato la vita in comune» (τὴν συνανθρώπισιν
ἀρνησάμενος). Ancora, se in 6.2 si parlava del contemplativo come di chi «si è
separato dal corpo per scelta» (καὶ κατὰ προαίρεσιν κεχώρισται τοῦ σώματος),
in 6.3 se ne parla come di chi «ha rinunciato al vincolo con la propria carne»
(τῆς οἰκείας σαρκὸς ἀποχωρήσας τῇ σχέσει). In 6.2 il contemplativo è descritto
come chi «ha fornito di ali l’intelletto» (τὸν νοῦν πτεροῖ), in 6.3 si parla di chi
è favorevolmente disposto a ciò che è «più intellettuale» – ma si potrebbe qui

310 L’espressione τῶν ἐν μέσῳ θορύβων ha precedenti importanti nella letteratura patristica (Gregorio

di Nazianzo) e nella letteratura monastico-ascetica dei secoli X e XI, specie in personaggi quali Simeone il
Nuovo Teologo e nel suo discepolo Niceta Stetato. Questa presenza in Eustrazio di temi rinvenibili in questi
autori ci sembra alquanto indicativa della torsione che la vita contemplativa aristotelica assume nel nostro
autore. Cfr. GREGORIUS NAZIANZENUS, Epistulae, 40, ed. P. GALLAY, 2 vol., Les Belles Lettres, Paris 1964-1967,
5, ll. 2-4: τοῦτο δεδόχθω φυγεῖν τοὺς ἐν μέσῳ θορύβους καὶ τὰς πονηρὰς ὑπονοίας. SYMEON NEOTHEOLOGUS,
Catecheses 1-34, 22, ed. B. KRIVOCHÉINE/J. PARAMELLE, 3 vol., Éditions du Cerf, Paris 1963-1965 («Sources
chrétiennes», 96, 104, 113), ll. 191-192: αὶ οἱ θέλοντες ἐν μέσῳ θορύβων εἶναι [...]. NICETAS STETHATUS,
Vita Simeonis Novi Theologi, 59, ed. I. HAUSHERR, Pontificum Institutum Orientalium Studiorum, Roma 1928
(«Orientalia Christiana», 12), ll. 10: καὶ ἐν μέσῳ θορύβων ἀναστρεφόμενον ἠλλοιωμένον εἶχεν αὐτὸν τῇ
ἀλλοιώσει τῇ κρείττονι.
II. I commenti filosofici e le dottrine 211

anche tradurre «spirituale» – «e più divino» (ἀποκλίνας πρὸς τὸ νοερώτερον


καὶ θειότερον).
In 6.3 si parla di un percorso lungo e tortuoso verso la eudaimonia.311 Que-
sta eudaimonia, tuttavia, conformemente alle indicazioni rinvenibili in 6.1, si
configura come una beatitudine cristiana di natura intellettualistica, e mistica,
in quanto si parla esplicitamente di beatitudine «secondo l’operazione intel-
lettuale» (κατὰ νοῦν ἐνέργειαν),312 prima, e secondo «un’unione sovraintellet-
tuale» (τὴν ὑπὲρ νόησιν ἕνωσιν),313 dopo, secondo una terminologia cara allo
Ps.-Dionigi Areopagita e a Massimo il Confessore.314
Ancora: si tratta di un percorso dell’uomo «non per sciogliere ciò che per
natura è composto, ma per possedere, senza esserne legato, ciò che lo lega al
vincolo che deriva dalla natura» (ἀλλ’ ἵν’ ἀσχέτως ἕξῃ τὸ δεδεμένον πρὸς τὸν
δεσμὸν τὸν ἐκ φύσεως).315 Il paradosso del beato consiste non già nel separarsi
dal corpo in assoluto, ma di separarsene restando unito ad esso. Vengono qui in
mente temi cari alla letteratura monastica e spirituale bizantina. In particola-
re, il tema del «cammino» o «strada laboriosa» o «travagliata» (πολυπονωτάτη
ὁδὸς) ricorda da vicino la descrizione cristiana della vita terrena. Ne parla, in
termini simili a quelli qui segnalati in Eustrazio, un’autorità del monachesimo
bizantino quale Teodoro Studita (758-826).316 Ed è proprio su Teodoro che vorrei
soffermarmi per mostrare come l’opzione che Eustrazio attribuisce al catartico e
al contemplativo sia un’opzione di tipo ascetico e monastico. Vi sono in Teodoro
alcune formulazioni standard, per così dire, sulla natura della vita monastica che
presentano impressionanti affinità con gli argomenti presentati da Eustrazio. Si
prenda ad esempio il seguente passo:

διατί γάρ, τέκνα, ἐνταῦθα ἐληλύθαμεν, ἐξελθόντες τοῦ κόσμου καὶ ἀποχωρισθέντες
τῶν κατὰ σάρκα γονέων καὶ συγγενῶν καὶ φίλων, πόλεών τε καὶ πατρίδων, οἴκων
τε καὶ χωρίων.
[«per quale ragione, infatti, figli, abbiamo sciolto il vincolo con questo mondo ma-
teriale, uscendo dal mondo e separandoci dai nostri figli di carne, dai nostri simili,

311 EUSTR., In I EN, 63,25-26.


312 EUSTR., In I EN, 63,24.
313 EUSTR., In I EN., 63,24-25
314 Cfr. e.g. (PSEUDO) DYONISIUS AREOPAGITA, De divinis nominibus, ed. B.R. SUCHLA, Corpus Dionysiacum

I: Pseudo-Dionysius Areopagita. De divinis nominibus, De Gruyter, Berlin 1990 («Patristische Texte und
Studien» 33), 219,10-11; MAXIMUS CONFESSOR, Quaestiones ad Thalassium, ed. C. LAGA/C. STEEL, 2. vol.,
Brepols, Turnhout 1980-1990 («Corpus Christianorum. Series Graeca», 7 & 22), v.1, 27,178; v.2, 55,156.
315 EUSTR., In I EN, 63,28-29.
316 THEODORUS STUDITES, Parva Catechesis, 95, ed. E. AUVRAY, apud Victorem Lecoffr, Paris 1891: ll. 6-8,
212 Il neoplatonismo di Eustrazio di Nicea

dai nostri amici, dalle città e dalle nostre patrie, dalle nostre case e dalle nostre
proprietà?»].317

Qui compare in maniera chiara ed inequivocabile il tema della vita monastica


come fuga dal mondo e abbandono di ogni tipo di legame. Si fa riferimento agli
averi, agli amici, ai figli ecc. In maniera probabilmente casuale, Teodoro utilizza
quasi gli stessi termini impiegati da Aristotele per individuare la serie di rapporti
sociali che il contemplativo, in quanto autosufficiente, può intrattenere, giacché
la sua esistenza, secondo lo Stagirita, non è quella di un solitario. Ovviamente
in Teodoro la cosa può essere difficilmente voluta; ma è chiaro che Eustrazio
coglie l’occasione al volo per descrivere il contemplativo di matrice cristiana
utilizzando un autore che discute, con forti assonanze terminologiche rispetto al
testo aristotelico, lo stesso problema dei rapporti sociali e dei beni esteriori in
relazione a questo tipo di vita. Ci pare cioè chiaro che quando Eustrazio dice «il
contemplativo è colui il quale si è astenuto da tutto ciò che è umano, che è dive-
nuto estraneo alle perturbazioni mondane, alle masse, alla città, ai propri cari, che
ha rifiutato la vita in comune, che ha rinunciato al vincolo della propria carne»
(θεωρητικὸς τοῦ κατ’ ἄνθρωπον παντὸς ἀποσχόμενος καὶ τῶν ἐν μέσῳ θορύβων
ἔξω γενόμενος καὶ ὄχλων καὶ πόλεως καὶ οἰκείων αὐτῶν καὶ τὴν συνανθρώπισιν
ἀρνησάμενος καὶ τῆς οἰκείας σαρκὸς ἀποχωρήσας τῇ σχέσει),318 egli abbia in
mente questo e altri testi di Teodoro, i quali, in virtù della profonda affinità tema-
tica e finanche lessicale con i passi dell’Ethica Nicomachea in cui si descrivono
le relazioni sociali e i beni esteriori che competono all’uomo che vive il tipo di vita
del contemplativo, ben si prestavano a costruire un modello di vita contemplativo
radicalmente antitetico rispetto a quello aristotelico.
Si veda ancora quest’altro passo di Teodoro Studita:

ἔργῳ τὸ μοναχὸς εἶναι ἐξεπλήρωσας, μονωθεὶς ἁπάντων, καὶ πνευματικῶν τέκνων


καὶ συγγενῶν καὶ φίλων καὶ πατρίδος καὶ εἰτινοςοῦν ἄλλου διὰ τὴν ἀλήθειαν.
[«{...} dopo essere pienamente divenuto monaco come un dovere, dopo esserti isolato
da ogni cosa, dai figli spirituali, dai consimili, dagli amici, dalla terra natia e da qual-
siasi altra cosa per la verità.»]319

317 THEODORUS STUDITES, Μεγάλη cit., 17, 114,4-9. Si veda anche ID., Epistulae, 486, ed. G. FATOUROS, The-

odori Studitae Epistulae, vol. 1-2, De Gruyter, Berlin 1992 («Corpus Fontium Historiae Byzantinae. Series
Berolinensis», 31), ll. 43-47: πᾶσιν ἀποτάξασθαι δεῖ, πάντων ἀπογυμνωθῆναι χρή, πάντων ἀπορραγῆναι
δέον καὶ σχέσεων καὶ οἰκείων καὶ φίλων καὶ συγγενῶν καὶ τοῦ σύμπαντος κόσμου κατὰ διάθεσιν
ξενωθῆναι τόν γε ὡς ἀληθῶς ἀκολουθεῖν μέλλοντα τῷ Χριστῷ.
318 EUSTR., In I EN, 63,20-23.
319 THEODORUS STUDITES, Epistulae cit., 76, ll. 15-18.
II. I commenti filosofici e le dottrine 213

E ancora:

καὶ παντεπαινέτως κόσμον μισήσαντες καὶ τὰ περὶ κόσμον, γονέων καὶ ἀδελφῶν
καὶ συγγενῶν καὶ φίλων καὶ ἰδίων χωρισθέντες, πατρίδων καὶ πόλεων καὶ χωρῶν
καὶ ἀγρῶν καὶ οἴκων διαστάντες καὶ πρὸς μόνον θεὸν καταφυγόντες τὸν κύριον καὶ
βασιλέα τῆς δόξης.
[«e dopo aver rigettato in maniera degna di lode il mondo e tutto ciò che riguarda esso,
dopo essersi separati dai figli, dai fratelli, dai consimili, dagli amici e dai cari, dopo
essersi allontanati dalle terre natie, dalle città, dalle terre, dai campi e dalle case,
dopo esser fuggiti verso il solo Dio, il Signore, il Re della gloria {...}.»]320

L’operazione compiuta da Eustrazio è ardita. Apparentemente, infatti, egli non


contrappone la vita contemplativa del monaco a quella della felicità, comunque
secondaria, dell’uomo politico di cui parla Aristotele.321 Né la sua è una con-
trapposizione, come poteva esserlo per Aristotele, tra contemplazione, da un lato,
e vita attiva, dall’altro. Al contrario, Eustrazio opera una divaricazione in seno
allo stesso ideale di vita contemplativa tra una contemplazione mondana, quella
appunto di cui parla Aristotele nei libri I e X dell’Ethica Nicomachea, e una
contemplazione cristiana, quella monastica, che al contrario impone il rifiuto del
mondo, dei beni esteriori, dei vincoli famigliari e degli amici.
Ma è davvero così? Davvero Eustrazio è consapevole pienamente dell’opera-
zione che ha compiuto? La lettura della prosecuzione di 6.3 fornisce in questo
senso una risposta sorprendente:

6.4 In I EN, 63,33-64,5: ἀλλ’ ἐπανιτέον ἐπὶ τὴν λέξιν. καὶ τὸ αὔταρκες, φησίν, οὐ τὸ
ἁπλῶς ἀγαθὸν λέγεται ἀλλὰ τὸ ἔχον ἐν ἑαυτῷ καὶ ἀφ’ ἑαυτοῦ τὸ ἀγαθὸν καὶ τὸ
ἑαυτῷ ἀρκοῦν πρὸς τὸ πληροῦσθαι τοῦ ἀγαθοῦ. ἡ οὖν εὐδαιμονία τὸ ἀνθρώπινον
οὖσα ἀγαθὸν καὶ οὐ τὸ ἁπλῶς ἀγαθὸν αὔταρκες λέγεται, ὅτι αὐτὴ ἀφ’ ἑαυτῆς ἀρκεῖ
τὸ ἀγαθὸν ἐν τῷ ἀνθρώπῳ τηρεῖν, ὡς τέλος οὖσα ἀνθρώπου τὸ σκοπιμώτατον,
ὃ οὐ δι’ ἄλλο ἄλλως αἱρετὸν τῷ ἀνθρώπῳ τῶν ἀνθρωπίνων ἀγαθῶν ἀλλὰ μόνον
δι’ ἑαυτό. αὐτάρκης τοίνυν ὁ πολιτικός, οὐ καθ’ αὑτὸν μόνον, ὡς βίον μονώτην
ζῶν, ὅταν καὶ τὰ τῆς ψυχῆς αὐτῷ προσῇ καὶ τὰ τοῦ σώματος ἀγαθά (οὐδὲ γὰρ ἂν
οὗτος ἦν πολιτικός), ἀλλ’ ἐπεὶ καὶ γονεῦσι καὶ τέκνοις καὶ γυναικὶ καὶ ὅλως φίλοις
καὶ πολίταις συνεῖναι τὸν πολιτικὸν ἐνδέχεται, διὰ τὸ φύσει συναγελαστικὸν καὶ
κοινωνικὸν τῆς ἀνθρώπου φύσεως δεῖ τοῦτον κατὰ πάντα ταῦτα ἔχειν τὸ εὖ.
[«Ma ritorniamo al passo. L’autosufficienza, dice, non viene chiamata un bene as-
soluto, bensì l’avere in sé e di per sé il bene e bastare a sé per quel che concerne il

320 THEODORUS STUDITES, Μεγάλη cit., 74, 509,7-13.


321 Cfr. e.g. ARIST., Ethica Nicomachea, X,7,1177b12-15; 1178a9-14.
214 Il neoplatonismo di Eustrazio di Nicea

pieno raggiungimento del bene. Dunque la felicità, in quanto bene umano, non è detta
autosufficiente in quanto bene assoluto, ma perché questa di per sé basta a preservare
il bene nell’uomo, in quanto è il massimo fine raggiungibile dall’uomo, ciò che non
è scelto diversamente per un altro dei beni umani, ma solo per se stesso. Dunque il
politico è autosufficiente, ma non in quanto solitario, come chi vive una vita solitaria,
quando magari anche tanto i beni dell’anima quanto quelli del corpo siano con lui
(questi infatti non sarebbe un politico); ma visto che è politico in quanto vive assieme
ai parenti, ai figli, alle mogli e in breve agli amici e ai concittadini, deve, in virtù del
carattere sociale e comunitario che, per natura, spetta alla natura umana, possedere
il bene secondo tutte queste cose.»]

Cosa è accaduto in questo testo? Procediamo con ordine. Abbiamo visto che
di fronte a EN I,7,1097b8-11 Eustrazio ha seguito Aristotele nell’approcciare
la questione della felicità dal punto di vista dell’autosufficienza propria di tale
bene. Si tratta cioè del fatto che una vita di questo tipo è desiderabile di per sé in
quanto non mancante di nulla. La vita contemplativa è autosufficiente in questo
senso. Tuttavia Aristotele mette in guardia il lettore dal non interpretare questa
autosufficienza come quella del regime di un solitario; al contrario, si tratta di
un’autosufficienza che si manifesta includendo, piuttosto che escludendo, una
serie di beni esteriori e delle relazioni sociali. Questo testo va pertanto letto in
relazione a EN IX,9,1169b16-19, dove si legge che l’uomo in questo modo felice
non può essere un solitario, in quanto per natura l’uomo è un animale sociale.322
Eustrazio, tuttavia, sembra non aver compreso che il tipo di vita la cui auto-
sufficienza si manifesta anche nella vita sociale non è quella del politico, bensì
quella del contemplativo. Al contrario, Eustrazio pensa che in EN I,7,1097b8-11
si parli dell’uomo politico. Questo si ricollega a 6.1, dove Eustrazio, seguendo
una tradizione precedente, aveva individuato il fine del I libro dell’Ethica Ni-
comachea nella «moderazione delle passioni», ossia quello stato in cui la parte
non razionale dell’uomo, quella dove hanno sede le virtù del carattere, si trova ad
essere guidata sotto l’egida della parte razionale, dalla ragione, conformemente

322 Su questo testo e altri simili, si vedano, tra i tanti contributi che potrebbero essere citati, R. KRAUT,

Aristotle on the Human Good, Princeton University Press, Princeton (NJ) 1991, 299-300; S. BROADIE, Ethics
with Aristotle, Oxford University Press, Oxford-New York 1991, 32-33; NATALI, The Wisdom cit., 138-150; G.
RICHARDSON LEAR, Happy Lives and the Highest Good: an Essay on Aristotle’s Nicomachean Ethics, Princeton
University Press, Princeton 2004, 47-71; N.O. DAHL, Contemplation and Eudaimonia in the Nicomachean
Ethics, in J. MILLER (ed.), Aristotle’s Nicomachean Ethics. A Critical Guide, Cambridge University Press,
Cambridge 2011, 66-91; A.M. TROTT, On the Nature of Community, Cambridge University Press, New York
2014, 92-93; D.S. HUTCHINSON/M. RANSOM JOHNSON, Proptreptic Aspects of Aristotle’s Nicomachean Ethics, in
R. POLANSKY (ed.), The Cambridge Companion to Aristotle’s Nicomachea Ethics, Cambridge University Press,
New York 2014, 383-409.
II. I commenti filosofici e le dottrine 215

a quanto si legge per intenderci in EN I,13,1102b13-14 e 1102b25-28.323 Si


tratterebbe, cioè, della felicità del uomo politico.
A causa di questo pregiudizio sul testo, Eustrazio è costretto di fatto a leggere
anche le indicazioni aristoteliche sull’incompatibilità dell’autosufficienza del
contemplativo e la vita solitaria nei termini di un’opposizione tra una vita ere-
mitica, da un lato, e la vita sociale e politica, dall’altro.324 Ma di fatto, come si
è detto quando abbiamo analizzato 6.3, la vera opposizione che, del tutto incon-
sapevolmente, Eustrazio fa emergere è tra due modelli di vita contemplativa: da
un lato, la vita del contemplativo, del filosofo di cui parla Aristotele; dall’altro, la
vita del monaco, dell’asceta cristiano. Per costruire la descrizione di quest’ulti-
mo tipo di vita, Eustrazio si è servito dei testi di Teodoro Studita, nella cui opera
egli rinviene dei passi sull’obbligo del monaco a uscire dal mondo, rinunciando
ai beni esteriori e ai legami famigliari, su cui costruire una perfetta contrappo-
sizione, anche dal punto di vista della terminologia, rispetto alle indicazioni
aristoteliche sulla eudaimonia e la sua incompatibilità con la vita solitaria.325
Questa lettura, per così dire, «ascetica» del testo aristotelico si manifesta
anche nell’esegesi di Eustrazio di altri passi. Ad esempio allorquando Eustrazio
commenta il passo di EN I,3,1095a4-8, dove Aristotele esclude i giovani dal
novero dei destinatari dell’Ethica Nicomachea in quanto inclini alle passioni
e privi della necessaria esperienza per un corretto agire morale. Come noto,
Aristotele chiarisce che si tratta di un problema non tanto anagrafico, quanto di
tipo di vita; in questo senso, il caso dei giovani per età è assimilabile al caso di
chi, pur non essendo giovane, vive come tale, assecondando cioè le passioni.326

323 ARIST., Ethica Nicomachea, I,13,1102b13-14: ἔοικε δὲ καὶ ἄλλη τις φύσις τῆς ψυχῆς ἄλογος εἶναι,

μετέχουσα μέντοι πῃ λόγου. Ibid., I,13,1102b25-28: λόγου δὲ καὶ τοῦτο φαίνεται μετέχειν, ὥσπερ
εἴπομεν· πειθαρχεῖ γοῦν τῷ λόγῳ τὸ τοῦ ἐγκρατοῦς – ἔτι δ’ ἴσως εὐηκοώτερόν ἐστι τὸ τοῦ σώφρονος καὶ
ἀνδρείου· πάντα γὰρ ὁμοφωνεῖ τῷ λόγῳ.
324 Si veda anche EUSTR., In VI EN, 385,3-13, dove si legge che la eudaimonia aristotelica riguarda gli

oggetti della phronesis, non quelli, eterni e immutabili, della sophia.


325 Eustrazio in questo non è certo il solo autore medievale a sottoporre la vita contemplativa di cui parla

Aristotele ad una pesante ipoteca di tipo ascetico, frutto di una cultura evidentemente monastica. Su questo,
si veda J. TOIVANEN, Beasts, Human Beings, or Gods? Human Subjectivity in Medieval Political Philosophy, in
J. KAUKUA/T. EKENBERG (eds), Subjectivity and Selfhood in Medieval and Early Modern Philosophy, Springer,
Dordrecht-Heidelberg-London-New York 2016, 181-198.
326 ARIST., Ethica Nicomachea, I,3,1095a4-8: ἔτι δὲ τοῖς πάθεσιν ἀκολουθητικὸς ὢν ματαίως ἀκούσεται

καὶ ἀνωφελῶς, ἐπειδὴ τὸ τέλος ἐστὶν οὐ γνῶσις ἀλλὰ πρᾶξις. διαφέρει δ’ οὐδὲν νέος τὴν ἡλικίαν ἢ τὸ
ἦθος νεαρός· οὐ γὰρ παρὰ τὸν χρόνον ἡ ἔλλειψις, ἀλλὰδιὰ τὸ κατὰ πάθος ζῆν καὶ διώκειν ἕκαστα. Da
leggere in connessione con ibid., VI,8,1142a11-16: σημεῖον δ’ ἐστὶ τοῦ εἰρημένου καὶ διότι γεωμετρικοὶ
μὲν νέοι καὶ μαθηματικοὶ γίνονται καὶ σοφοὶ τὰ τοιαῦτα, φρόνιμος δ’ οὐ δοκεῖ γίνεσθαι. αἴτιον δ’ ὅτι καὶ
τῶν καθ’ ἕκαστά ἐστιν ἡ φρόνησις, ἃ γίνεταιγνώριμα ἐξ ἐμπειρίας, νέος δ’ ἔμπειρος οὐκ ἔστιν· πλῆθος
γὰρ χρόνου ποιεῖ τὴν ἐμπειρίαν.
216 Il neoplatonismo di Eustrazio di Nicea

Proprio su questa enfasi aristotelica sullo stile di vita, più che sull’età reale,
Eustrazio si sofferma:

6.5 In I EN, 26,11-16: καὶ γὰρ ὁ νέος οὐ τοσοῦτον διὰ τὴν ἡλικίαν τῶν λόγων τούτων
ἀνοίκειος, ὅσον διὰ τὴν τῶν παθῶν κατακράτησιν, ὥσπερ κύφωνι τῇ μοχθηρίᾳ τῶν
λογισμῶν327 βαρυνόμενος καὶ πρὸς γῆν ὁρῶν καὶ τὴν ταύτης ἀπόλαυσιν, ἀνανεῦσαι
δὲ πρὸς τὸ ἄνω μὴ συγχωρούμενος ἢ ὡς νέφους παχύτητι τῇ ἐμπαθείᾳ τὸν ὀφθαλμὸν
τῆς διανοίας ἐπιπροσθούμενος καὶ διαβλέψαι πρὸς τὸ ἀγαθὸν μὴ δυνάμενος.
[«e infatti il giovane non è tanto alieno da questi discorsi per l’età, quanto per il suo
essere sottomesso alle passioni; egli è appesantito dalla malizia dei pensieri come da
un giogo, guarda sempre verso il basso traendone anche piacere, senza concedersi di
anelare a ciò che si trova in alto. Egli ha oscurato l’occhio della ragione a causa delle
passioni, che sono come la pesantezza di una massa nuvolosa, non potendo guardare
verso il bene.»]

Riconosciamo qui temi e termini già passati in rassegna in precedenza, co-


me ad esempio il tema dell’occhio dell’anima e il tema monastico, di immensa
fortuna, della depravazione dovuta ai pensieri, e infine il termine παχύτης («pe-
santezza») per descrivere la condizione dell’individuo assogettato alle passioni,
termine questo ripreso da Gregorio di Nazianzo.328 Eustrazio legge dunque an-
che le indicazioni aristoteliche sulla vita secondo le passioni attraverso il filtro
della cultura monastica della sua epoca. Eustrazio, lo ricordiamo, era un uomo
di chiesa.
Dello stesso tipo mi pare sia un commento di Eustrazio a EN I,5,1095b17-19,
dove Aristotele individua i tre tipi possibili di vita: quello di coloro che identifi-
cano la vita con il piacere, la vita politica e quella contemplativa:329

6.6 In I EN, 36,24-28: οὐ γὰρ τὸν φυσιολογικὸν ἐνταῦθά φησι θεωρητικὸν ἢ τὸν
μαθηματικὸν ἢ θεολογικὸν ἀλλὰ τὸν διὰ καθάρσεως τῆς τῶν παθῶν κηλῖδος πρὸς
θεωρίαν κατεπειγόμενον, ὃς διακόπτων τὴν ὕλην καὶ τὸ σαρκικὸν τοῦτο νέφος καὶ
προκάλυμμα θεῷ καὶ τοῖς θείοις δι’ ἀπάθειαν συγγίνεται.
[«Per ‘teoretico’ non intende il fisiologo, o il matematico o il teologo, ma colui il quale
anela alla contemplazione tramite la purificazione della macchia delle passioni, colui

327 Leggo qui τῶν λογισμῶν con Grossatesta («cogitationum»), invece della forma all’accusativo sin-

golare del testo Heylbut.


328 Cfr. supra, 100-103; 170-187.
329 ARIST., Ethica Nicomachea, I,5,1095b17-19: τρεῖς γάρ εἰσι μάλιστα οἱ προύχοντες, ὅ τε νῦν

εἰρημένος καὶ ὁ πολιτικὸς καὶ τρίτος ὁ θεωρητικός.


II. I commenti filosofici e le dottrine 217

che, rompendo il vincolo con la materia e questa massa e velo rappresentata dalla
carnalità, si congiunge alle cose divine tramite l’assenza di passioni.»]

Eustrazio, in maniera se vogliamo anche pedante, fa notare come il tipo di


vita contemplativo, «teoretico» (θεωρητικόν), non va inteso alla maniera in cui
fisica, matematica e teologia costituiscono l’intelaiatura tradizionale delle scien-
ze speculative o teoretiche.330 Si tratta invece del contemplativo cui si giunge
tramite purificazione dalle passioni. Certo non è immediatamente chiaro come
Aristotele possa davvero in questo passo riferirsi al contemplativo asceta di cui
parla invece Eustrazio, visto che secondo il commentatore tale modello di con-
templazione si differenzia nettamente dal contemplativo cui si riferisce invece
Aristotele. Tralasciando questi aspetti aporetici del testo, ci preme segnalare
come il tema della «macchia delle passioni» (τῆς τῶν παθῶν κηλῖδος), già com-
parso in 6.5, sia assai diffuso nella letteratura monastica.331 Lo stesso dicasi per
il tema del νέφος («nuvola» o «massa nuvolosa»), anch’esso già comparso in 6.5
per descrivere la condizione dell’individuo allorquando questi sia schiavo del
corpo e della carne. Nello specifico, Eustrazio poi parla in 6.6 di:

τὸν διὰ καθάρσεως τῆς τῶν παθῶν κηλῖδος πρὸς θεωρίαν κατεπειγόμενον, ὃς
διακόπτων τὴν ὕλην καὶ τὸ σαρκικὸν τοῦτο νέφος καὶ προκάλυμμα θεῷ καὶ τοῖς
θείοις δι’ ἀπάθειαν συγγίνεται.
[«colui il quale anela alla contemplazione tramite la purificazione della macchia delle
passioni, colui che, rompendo il vincolo con la materia e questa massa e velo rappre-
sentata dalla carnalità, si congiunge alle cose divine tramite l’assenza di passioni.»]

Questa parte di 6.6, rende ancora più evidente la fonte di queste formulazioni.
Nello specifico si tratta di un passo dall’orazione 21 di Gregorio di Nazianzo,
dove si legge:

ᾯτινι μὲν οὖν ἐξεγένετο, διὰ λόγου καὶ θεωρίας διασχόντι τὴν ὕλην καὶ τὸ

330 Abbiamo discusso le origini di questa divisione delle scienze speculative e le sue ragioni nella

sezione 2 del presente lavoro.


331 Cfr. e.g. MAXIMUS CONFESSOR, Quaestiones cit., 157,209-159,214: ὁ δὲ τῇ προσδοκίᾳ τῆς κρίσεως

τοῖς πάθεσι πρὸς τὴν ψυχὴν δι’ ἐγκρατείας ἀποτειχίσας τὴν εἴσοδον ἄλλος γέγονε λύχνος, διὰ σπουδῆς
τῷ φόβῳ τοῦ θεοῦ τὰς ἐπιτριβείσας αὐτῷ τῶν παθῶν κηλίδας ἐκκαθαιρόμενος καὶ τῇ τῶν παρὰ φύσιν
ἀποβολῇ μολυσμῶν διαυγῆ καὶ λαμπρὸν τὸν βίον ποιούμενος. ID., Mystagogia, proem., ed. R. CANTARELLA,
S. Massimo Confessore. La Mistagogia ed altri scritti, Lef, Firenze Florence 1931, ll. 82-83: καὶ ἐσόπτρου
δίκην ὑπ’ οὐδεμιᾶς κηλίδος παθῶν ἐμποδιζόμενον [...]. SYMEON NEOTHEOLOGUS, Hymni, 17, ed. A. KAMBYLIS,
Symeon Neos Theologos, Hymnen, De Gruyter, Berlin-New York 1976 («Supplementa Byzantina», 3), l.84:
[...] τὰς ἐκ τῶν παθῶν κηλῖδας [...].
218 Il neoplatonismo di Eustrazio di Nicea

σαρκικὸν τοῦτο, εἴτε νέφος χρὴ λέγειν, εἴτε προκάλυμμα, Θεῷ συγγενέσθαι, καὶ
τῷ ἀκραιφνεστάτῳ φωτὶ κραθῆναι, καθόσον ἐφικτὸν ἀνθρωπίνῃ φύσει· μακάριος
οὗτος.
[«chiunque abbia avuto il privilegio, rifuggendo tramite ragione e contemplazione
dalla materia e da questa carne, che occorre chiamare vuoi massa nuvolosa, vuoi velo,
di entrare in comunione con Dio e di unirsi, per quanto sia concesso desiderare alla
natura umana, alla luce immacolata, questi è beato».]332

Vi è poi almeno un altro passo assai interessante. Qui Eustrazio identifica in


maniera esplicita il tipo di vita che egli associa alla vera contemplazione, dalla
felicità politica di cui, secondo Eustrazio, Aristotele parlerebbe nel I libro dell’o-
pera in questione. Lo fa fornendo degli esempi di figure che incarnano questo
ideale di vera contemplazione. Lo sfondo di questo passo è EN I,5,1096b22-23,
dove Aristotele sostiene che gli uomini ricolmi di grazia agiscono in vista dell’o-
nore, dove l’onore è il fine della vita politica.333 Eustrazio prima riporta due casi
di uomini di questo tipo: Achille, sulla base del celebre adagio che vede in que-
sta figura la rappresentazione della scelta di una vita breve, ma ricca di onore,
piuttosto che di una vita lunga, ma priva gloria; e poi Socrate, un uomo virtuoso
che di fronte ad una condanna ingiusta preferisce la morte alla fuga. Il primo,
avrebbe tuttavia prediletto piaceri carnali, il secondo avrebbe anteposto a tutto
l’onore.334 Poi Eustrazio introduce un’osservazione personale:

6.7 In I EN, 35,33-37: ἐῶ γὰρ νῦν εἰς μέσον ἄγειν τοὺς καθ’ ἡμᾶς, τῆς προσκαίρου
ταύτης ζωῆς τὸν θεάρεστον προτιμήσαντας θάνατον μετὰ τυραννικῆς ἀδόξου
καταδίκης καὶ τοὺς ἐν ἀναχωρήσει καὶ μονίᾳ θεῷ μόνῳ σχόντας δήλην τὴν αὑτῶν
τελειότητα· περὶ γὰρ τῶν καθ’ ἡμᾶς οὐδ’ Ἀριστοτέλης ἔννοιαν ἔσχηκε.
[«Mi si permetta dunque ora di parlare dei nostri, coloro i quali hanno preferito una
morte gradita a Dio a questa vita terrena con una tirannica e ingloriosa condanna e
quelli che trovano la loro perfezione nella solitudine del rapporto con il solo Dio.
Infatti, di questi nostri uomini Aristotele non ha avuto conoscenza.»]335

332 GREGORIUS NAZIANZENUS, Orationes, 21, Patrologia Graeca, 35, 1084CD. Si noti che qui compare

l’espressione Θεῷ συγγενέσθαι, assai vicina al testo di 6.6 per quel che riguarda l’espressione τοῖς θείοις
δι’ ἀπάθειαν συγγίνεται. In precedenza (cfr. supra, 205) avevamo segnalato Proclo come la fonte di questa
espressione, ma a nostro parere Eustrazio utilizza l’espressione in questione anche in quanto confortato
dalla similitudine tra il testo di Gregorio e quello di Proclo. Si vedano le considerazioni conclusive al
presente lavoro
333 ARIST., Ethica Nicomachea, I,5,1096b22-23: οἱ δὲ χαρίεντες καὶ πρακτικοὶ τιμήν· τοῦ γὰρ πολιτικοῦ

βίου σχεδὸν τοῦτο τέλος.


334 EUSTR., In I EN, 35,25-33.
335 Si veda anche EUSTR., In I EN, 106,17-23: φαινόμεθα γὰρ μεῖζόν τι τῶν ἐπαίνων ταῖς θείαις προσ-
II. I commenti filosofici e le dottrine 219

Qui si parla in maniera esplicita dei martiri cristiani, differenziandoli, per così
dire, dai martiri pagani, in primis da quel Socrate che per molti Padri della Chie-
sa era invece da considerare un protomartire cristiano, ma che per altri, come
ad esempio Giovanni Crisostomo, era comunque un martire inferiore rispetto ai
martiri cristiani.336 Eustrazio non sembra qui prendere direttamente parte al di-
battito, ma cionondimeno, in maniera coerente rispetto all’identificazione della
eudaimonia Aristotelica con la felicità politica e civile, relega Socrate a martire
secondo questa categoria, un martire che preferisce un’onorevole morte ad una
vergognosa fuga. Mentre i martiri cristiani, ignoti ad Aristotele, sono implicita-
mente ricondotti alla beatitudine cristiana di cui si parla in 6.1, 6.2 e 6.3, proprio
come i monaci di cui Eustrazio parla sempre in questo passo. In questo modo,
attraverso questa distinzione tra felicità civile o politica aristotelica e beatitudine
monastica, Eustrazio giunge a quella che era stata nella letteratura tardo-antica
e medievale monastica l’identificazione tra vera filosofia e vita cristiana, in cui
i veri filosofi erano proprio i monaci e i martiri.337
Veniamo adesso all’ultimo passo che analizzeremo in questo sezione. Si tratta
di una dossografia sui tipo di virtù secondo i filosofi antichi che Eustrazio riporta
nel suo commento a EN I,13,1102a13-14, dove Aristotele, dopo aver descritto
la felicità come un’attività dell’anima secondo perfetta virtù,338 annuncia che
la virtù che è oggetto di indagine è quella umana. Eustrazio a questo punto
commenta:339

6.8 In I EN, 109,19-110,4: Πολλὰ γένη ἀρετῆς εἰσῆγον οἱ παλαιοί, πολιτικὴν καθαρτικὴν
νοερὰν καὶ τὴν παραδειγματικὴν τὴν καὶ θεουργικήν. τούτων δ’ ἑκάστην διῄρουν
εἰς τέτταρα τὰ πρῶτα, φρόνησιν ἀνδρείαν σωφροσύνην δικαιοσύνην, ἄλλως καὶ
ἄλλως ἕκαστον ἀποδιδόντες αὐτῶν, οἰκείως δηλονότι τῶν γενῶν ἑκάστου. ἀλλὰ
νῦν ἡμῖν τὰ δύο ταῦτα συνέγνωσται γένη μάλιστα, ἡ πολιτικὴ καὶ ἡ καθαρτική, ἡ
μὲν τῆς ψυχῆς συμπραττούσης τῷ σώματι, ἡ δὲ χωριζομένης αὐτοῦ καὶ ἐχούσης
ἀσυμπαθῶς πρὸς αὐτό, ὡς εἶναι τὴν μὲν μετριοπάθειαν, μόνον κολάζουσαν τὰς
ὑπερβολὰς τῶν παθῶν καὶ μέχρι τοῦ ἀναγκαίου συντηροῦσαν τὴν κατὰ ταῦτα
ἐνέργειαν, τὴν δὲ ἢ εἰς ἀπάθειαν ἄγουσαν ἐν τῷ ἔτι καθαίρεσθαι τὴν ψυχήν, ἢ καὶ

φέροντες φύσεσι μακαρίζοντες αὐτοὺς καὶ εὐδαιμονίζοντες ὁμοίως καὶ τῶν ἀνδρῶν τοὺς θειοτάτους. οὗτοι
δ’ εἰσὶν ὅσοι τῆς ὕλης πάντῃ κατὰ σχέσιν ἀναχωρήσαντες ἔξω τε σαρκὸς καὶ κόσμου γενόμενοι ζῶσιν
ὑπὲρ ἅπαντα τὰ ὁρώμενα καὶ τὸν νοῦν ἔχουσι ταῖς θείαις συνόντα καὶ συγχορεύοντα καὶ συναγαλλόμενον
φύσεσι καὶ κατ’ ἐνέργειαν ἀεὶ ζῶσιν, ἀδιακόπως ὑπὸ τοῦ πρώτου φωτὸς ἐλλαμπόμενοι.
336 La letteratura su questo tema è ampia. Si veda a titolo esemplificativo, E. WILSON, The Death of

Socrates, Harvard University Press, Cambridge (MA) 2007, 141-169.


337 Si veda la letteratura citata alla p. 46, nt. 156.
338 ARIST., Ethica Nicomachea, I,13,1102a5-6.
339 ARIST., Ethica Nicomachea, I,13,1102a13-14: περὶ ἀρετῆς δὲ ἐπισκεπτέον ἀνθρωπίνης δῆλον ὅτι.
220 Il neoplatonismo di Eustrazio di Nicea

ἤδη ἀπαγαγοῦσαν ὅτι ἤδη καὶ κεκάθαρται καὶ ἀπροσπαθὴς πρὸς τὸ σῶμα γεγένηται.
ἀνθρωπίνην τοίνυν ἀρετήν φησι τὴν πολιτικήν, ὡς οὔσης τῆς καθαρτικῆς καὶ τῶν
λοιπῶν ὑπὲρ ἄνθρωπον ὅσον κατὰ τὸ συναμφότερον, ἐπεὶ καὶ φύσει ὁ ἄνθρωπος
ἥμερον καὶ συναγελαστικὸν καὶ κοινωνικόν. ὅτι δὲ καὶ τὴν πρὸς τὸ οἰκεῖον σῶμα
κοινωνίαν ἀρνήσεται, ὑπὲρ ἀνθρωπείαν τοῦτο καθέστηκε σύνθεσιν, πᾶσαν ὑλικὴν
ἀπηρνημένος ἐνέργειαν καὶ ἀνεπιστρόφῳ τῶν χειρόνων ψυχῇ καὶ νῷ καθαρῷ πρὸς
τὰ κρείττω ἀναφερόμενος καὶ πρὸς τὴν θείαν ἀναπλούμενος ἔλλαμψιν.
[«Gli antichi introdussero molti generi di virtù, quella politica, quella purificatrice,
quella intellettuale, quella paradigmatica e quella teurgica. Suddividevano ciascun
genere in quattro sulla base della prima classe di virtù, in saggezza, coraggio, tem-
peranza e giustizia, attribuendole ora in un modo, ora nell’altro a ciascuno di questi,
ossia in maniera appropriata al genere di ciascuna. Ma a noi questi due generi sono
massimamente noti: la virtù politica e quella purificatrice; la prima è propria dell’a-
nima che collabora con il corpo, la seconda dell’anima separata da esso e priva di
relazione affettiva con esso, in modo che, nel primo caso, si dia la moderazione delle
passioni, che corregge unicamente gli eccessi delle passioni e preserva quanto basta
l’operazione secondo queste; l’altra, invece, o conduce all’assenza di passioni nel suo
continuo purificare l’anima, o ha già condotto a questo fine, nella misura in cui l’anima
è già stata purificata ed è diventata priva di alcuna affezione corporale. Chiama dunque
umana la virtù politica, come se la virtù catartica e le altre siano per quel che concerne
entrambe sovraumane, dal momento che per natura l’uomo è civile, sociale e fatto per
vivere con gli altri. Nella misura in cui, infatti, ha rigettato la relazione con il proprio
corpo, egli ha costituito un composto sovraumano, poiché egli rigetta ogni operazione
materiale ed è portato dall’anima incapace di volgersi alle realtà inferiori e dall’in-
telletto puro verso le realtà superiori, e si dischiude verso la divina illuminazione.»]

Il passo si divide in due parti. La prima parte riporta una dossografia sui princi-
pali generi di virtù ammesse «dagli antichi».340 Eustrazio individua cinque gene-
ri (virtù politiche, catartiche, intellettuali, paradigmatiche e teurgiche), ciascuno
suddiviso in quattro a partire dalle quattro virtù cardinali di platonica memoria:
saggezza, coraggio, temperanza, giustizia.341 Si tratta di un modello di classifi-
cazione che ricorda vagamente nel suo meccanismo generale la classificazione
porfiriana nelle Sententiae ad intellegibilia ducentes (32).342 Vagamente, in primo

340 EUSTR., In I EN, 109,19-23.


341 PLATO, Respublica, 427e.
342 Su questo si veda e.g. D.J. O’ MEARA, Platonopolis. Platonic Political Philosophy in Late Antiquity,

Clarendon Press, Oxford 2003, 44-46; P. KALLIGAS, The Enneads of Plotinus. A Commentary. V.1, Transla-
ted by E. Key Fowden & N. Pilavachi, Princeton University Press, Princeton-Oxford 2014, 134 et passim.
Il legame tra questo passo di Eustrazio e il testo di Porfirio è stato anche segnalato da A. PAPAMANOLAKIS,
L’échelle néoplatonicienne de vertus chez Psellus et Eustrate de Nicée, in C. D’ANCONA (ed.), The Library of
the Neoplatonists, Brill, Leiden-Boston 2007 («Philosophia Antiqua», 107), 231-242, in part. 240-242.
II. I commenti filosofici e le dottrine 221

luogo perché il riferimento operato da Eustrazio alle virtù teurgiche riflette uno
sviluppo successivo di tale classificazione tipico del tardo neoplatonismo;343 poi,
perché si tratta di una formulazione assai scolastica e sintetica, che per questo
potrebbe dipendere da fonti intermedie e dossografie precedenti. Non è un caso,
infatti, che presentazioni sintetiche della scala virtutum dei neoplatonici simili
a quella del nostro commentatore si trovino anche in autori di poco precedenti
quali Michele Psello e Giovanni Italo, il maestro di Eustrazio.344
La seconda parte del passo è più interessante.345 Qui Eustrazio sostiene che i
generi di virtù meglio riconosciute «da noi» (ἡμῖν) sono quelle politiche e quelle
catartiche (questo «da noi» probabilmente si riferisce ad un contesto dottrinale
di tipo cristiano). Eustrazio a tal proposito ripropone la distinzione già emersa in
6.1 tra le virtù politiche, che portano alla μετριοπάθεια e che costituiscono per
il commentatore l’intelaiatura della eudaimonia aristotelica, e le virtù catartiche,
che portano invece alla ἀπάθεια. Anche la descrizione degli effetti sull’individuo
di questi due diversi tipi di virtù appare coerente rispetto a quanto già visto,
specie in relazione alla virtù di tipo catartico, in 6.2 e 6.3.
Soffermiamoci dunque non tanto sul vocabolario impiegato dal nostro com-
mentatore, che appunto non è caratterizzato da novità di rilievo, quanto sulla
restrizione del campo delle virtù cristiane alle sole virtù politiche e catartiche.
Questo perché così non si riesce a dare conto della grande enfasi posta da Eu-
strazio sul divenire intelligente dell’anima e sul suo ritorno alla Causa Prima che
abbiamo descritto nella sezione 4 del presente lavoro e, per quel che concerne
questa sezione, nei passi 6.1 e 6.3. Come risultato dell’analisi di questi testi era
emerso come la purificazione dalle passioni fosse solo un primo passo, un primo
livello, per accedere ad una contemplazione superiore, di natura autenticamente
intellettuale, e infine all’unione sovrainellettuale con Dio. Invece, come detto,
in 6.8. si parla solo, oltre che delle virtù politiche, di quelle catartiche. Nessun
riferimento compare qui alla contemplazione e a quella teoria dell’intelletto e
dell’intellezione discussa nella sezione 4.
Crediamo che sia possibile risolvere questa apparente difficoltà tenendo a
mente il contesto di questo passo che, proprio come 6.1, segue la tradizionale
alternativa tra μετριοπάθεια aristotelica e ἀπάθεια platonica. La menzione solo

343 Su questi sviluppi si vedano ad esempio O’MEARA, Platonopolis cit., 46-49; J.F. FINAMORE, Iamblichus

on the Grades of Virtue, in E. AFONASIN/J. DILLON/J.F. FINAMORE (eds), Iamblichus and the Foundation of Late
Platonism, Brill, Leiden 2012, 113-132.
344 MICHAEL PSELLUS, Opuscula Psychologica cit., 32, 109,7-111,22; JOHANNES ITALUS, Quaestiones Quodli-

betales, ed. P.-P. JOANNOU, Quaestiones quodlibetales (Ἀπορίαι καὶ λύσεις), 63 & 81, Buch Kunstverlag, Ettal
1956 («Studia Patristica et Byzantina», 4).
345 EUSTR., In I EN, 109,22-110,4.
222 Il neoplatonismo di Eustrazio di Nicea

delle virtù politiche e di quelle catartiche, dunque, si comprende alla luce di


questo fuoco prospettico. Avendo Eustrazio solo parlato di «moderazione delle
passioni» e di «assenza di passioni», è ovvio che egli abbia limitato il campo
delle virtù prese in considerazione solo a quelle politiche o civili e a quelle
catartiche. Inoltre abbiamo visto come 6.2, 6.3 e 6.4 riflettano un contesto dot-
trinale segnato da temi cari al monachesimo orientale (la mortificazione delle
passioni, l’abbandono dei beni materiali ecc.). Per questi motivi pare abbastanza
comprensibile questa enfasi sulla purificazione delle passioni e della carne, a
discapito di quello che altrove Eustrazio aveva identificato come il livello suc-
cessivo, ossia la contemplazione intellettuale delle cose divine.
A ben vedere, tuttavia, Eustrazio aveva già fornito al lettore la chiave per
venire fuori da queste difficoltà testuali. Infatti sia in 6.2 che in 6.3 Eustrazio
associa esplicitamente il catartico al contemplativo, come se si trattasse di una
medesima categoria che include due aspetti: la purificazione dalle passioni e il
rivolgersi di natura intellettuale alla vera conoscenza e alla Causa Prima. In 6.2,
ad esempio il catartico/contemplativo «ha scelto un tipo di vita sovraumano»
(τὴν ὑπὲρ ἄνθρωπον εἵλετο βίωσιν), «si è separato dal corpo per scelta» (κατὰ
προαίρεσιν κεχώρισται τοῦ σώματος) e infine «ha dotato l’intelletto di ali per
sorvolare» (καὶ τὸν νοῦν πτεροῖ). Si tenga presente che 6.8 cita proprio il carat-
tere sovraumano della scelta del catartico. Questa stessa scelta in 6.2 è associata
al catartico e al contemplativo insieme, a dimostrazione che ci troviamo di fronte
alla stessa categoria.
Sempre in 6.3, proprio come in 6.2, il catartico è identificato con il contem-
plativo e al momento della purificazione dalle passioni segue l’esercizio, non
impedito da condizionamenti di ordine materiale, dell’operazione intellettuale.
Leggiamo infatti in 6.3:

ὁ δὲ καθαρτικὸς καὶ θεωρητικὸς τοῦ κατ’ ἄνθρωπον παντὸς ἀποσχόμενος τῶν ἐν


μέσῳ θορύβων ἔξω γενόμενος καὶ ὄχλων καὶ πόλεως καὶ οἰκείων αὐτῶν καὶ τὴν
συνανθρώπισιν ἀρνησάμενος καὶ τῆς οἰκείας σαρκὸς ἀποχωρήσας τῇ σχέσει καὶ
ἀποκλίνας πρὸς τὸ νοερώτερον καὶ θειότερον ἱκανὴν ἔχει πρὸς μακαριότητα τὴν ἐξ
ἀπαθείας ἐγγινομένην κατὰ νοῦν ἐνέργειαν.
[«il catartico e il contemplativo è colui il quale si è astenuto da tutto ciò che è umano,
che è divenuto estraneo alle perturbazioni mondane, alle masse, alla città, ai propri
cari, che ha rifiutato la vita in comune, che ha rinunciato al vincolo con la propria
carne e che è favorevolmente disposto a ciò che è più intellettuale e divino; egli è
ormai capace di quella beatitudine che deriva dall’assenza di passioni e che avviene
secondo l’operazione intellettuale.»]
II. I commenti filosofici e le dottrine 223

Anche qui, insomma, Eustrazio associa due movimenti, quello della purifi-
cazione dalle passioni e quello della pura operazione intellettuale, in un’unica
dinamica in cui l’individuo si separa dai vincoli corporali e carnali ed è in grado
di operare in maniera autenticamente intellettuale. Rispetto a 6.2 e 6.3, il passo
6.8 mette in secondo piano il momento dell’intellezione. Ma esso, come abbiamo
dimostrato, è dato per scontato e, se non viene discusso esplicitamente, è solo
perché il contesto in cui Eustrazio si muove in questo passo è quello della sem-
plice divaricazione tradizionale tra μετριοπάθεια e ἀπάθεια.
Conclusioni

Al termine di questo lungo percorso tematico possiamo formulare alcune


conclusioni circa l’opera filosofica di Eustrazio. Ad emergere infatti è un
profilo filosofico ben delineato, quello di un autore che rilegge, escerta, ri-
elabora l’opera del neoplatonico Proclo. Quest’ultimo non viene mai citato
escplitamente da Eustrazio, ma nondimeno è l’ombra che si staglia dietro gli
argomenti elaborati dal commentatore nei suoi commenti filosofici.1
Eustrazio non si limita a escertare in maniera pedissequa l’opera di Proclo.
Al contrario egli pone in essere una complessa appropriazione dell’opera del
diadoco. Questo approccio si traduce in un atteggiamento accorto e cosciente
che consiste nel rielaborare, semplificare, ricreare argomenti procliani, ar-
gomenti ricavati dall’opera di Proclo, ma riformulati in una forma nuova. Ci
pare di poter definire questo approccio ‘mimetico’.
Proprio per questo motivo abbiamo evitato di caratterizzare l’approccio di
Eustrazio all’opera di Aristotele con etichette quali quella di ‘neoplatonismo
cristiano’. Che Eustrazio adotti una prospettiva definibile come ‘neoplatoni-
ca’, questo è fuori di dubbio. Che poi egli a questa prospettiva apporti alcuni
correttivi di matrice cristiana, anche questo ci pare indiscutibile. Eppure di
fronte alla complessità della strategia esegetica adottata dal nostro autore, e
finanche della complessità argomentativa che emerge dall’analisi dei singoli
passi, la definizione di ‘neoplatonismo cristiano’ pare quanto meno riduttiva
e semplicistica. Al contrario, nell’opera di Eustrazio le note e gli accenti
di tipo cristiano costituiscono semplicemente uno sfondo appena accennato
all’interno del quale si inserisce l’uso consapevole e sistematico dell’opera
di Proclo. Si tratta di un uso che spesso, volutamente, evita di riprodurre le

1 Al contrario, vi è qualche citazione esplicita di Plutarco, su cui si veda T. FERNÁNDEZ, Eustracio de

Nicea y De Iside et Osiride, 315D, de Plutarco, «Argos», 36/1 (2013), 169-175.


226 Il neoplatonismo di Eustrazio di Nicea

diverse sfumature presenti negli argomenti del diadoco e che di questi argomenti
propone versioni semplificate, leggermente modificate, ma sempre riconoscibili
per quel che concerne la loro matrice.
A destare motivo di interesse è proprio la presenza di questi temi neoplatonici
all’interno di un commento ad opere quali il libro II degli Analytica Posteriora
e i libri I e VI dell’Ethica Nicomachea, testi cioè che forse, sulla carta, non si
prestavano immediatamente ad un’esegesi di tipo neoplatonico. Non è un caso,
forse, che la maggiorparte dei passi in cui più forte si avverte il neoplatonismo di
Eustrazio siano quei passi di queste opere aristoteliche in cui vengono discussi
temi quali la natura dei principi primi, il modo in cui l’intelletto li coglie, lo
statuto degli oggetti della scienza. Ogniqualvolta Eustrazio si trova di fronte a
passi aristotelici di questo tipo, egli non si astiene mai dal produrre lunghe note
esegetiche che allontanano il lettore dal testo di Aristotele, per condurlo verso i
sentieri dell’opera di Proclo.
A questo punto occorre spendere due parole sulla posizione che occupa Eu-
strazio nella galassia dei commentatori tardo-antichi e medievali di Aristotele.
Come noto agli specialisti, Simplicio aveva esplicitamente sostenuto la neces-
sità per un commentatore, tra le altre cose, di difendere l’armonia tra Platone e
Aristotele.2 Eustrazio in questo è lontano anni luce dall’agenda di Simplicio.
Di quest’ultimo Eustrazio non condivide le medesime esigenze di scuola che
avevano portato questo commentatore tardo-antico a stabilire la necessità di
difendere l’unità intrinseca del pensiero di Platone e Aristotele. Soprattutto, ad
allontanare Eustrazio dall’approccio di Simplicio, vi sono le fonti dello stesso
Eustrazio, ossia ancora quel Proclo che tra gli autori tardo-antichi è forse quello
meno propenso ad un approccio concordista.3
Si è detto nella prima parte di questo lavoro del posto particolare che l’Ethica
Nicomachea occupava nel curriculum neoplatonico nella tarda antichità. Si trat-
tava di una lettura introduttiva, assieme ai testi di logica, per preparare lo scolaro
alla lettura degli altri più difficili testi di Aristotele e più in generale alla lettura
dei dialoghi platonici. Nonostante ciò, non ci sono giunti commenti dei commen-
tatori tardo-antichi a quest’opera aristotelica. Eustrazio sembra appunto colmare
questo vuoto. Il nostro commentatore ha composto il commento all’Ethica Nico-
machea, relativamente ai libri I e VI, che i commentatori neoplatonici della tarda
antichità non avevano mai composto. Lo ha fatto letteralmente immedesimandosi
nel ruolo di un autore neoplatonico.
Ci sono, è vero, momenti in cui lo sfondo cristiano di cui si è fatto cenno emer-

2 SIMPLICIUS, In Aristotelis Categorias cit., 7,23-32.


3 Cfr. e.g. PROCLUS, In Platonis Timaeum cit., 1,6,21-7,16.
Conclusioni 227

ge con maggiore intensità. Si tratta ad esempio dei passi esaminati nella sezione
6 della II parte del presente lavoro, quelli per intenderci in cui Eustrazio discu-
te le indicazioni aristoteliche sulla eudaimonia nel I libro dell’Ethica. Eppure
anche in questo caso abbiamo visto come Eustrazio giochi sui diversi registri
terminologici, quasi considerandoli interscambiabili: a volte egli descrive la vita
dei monaci utilizzando immagini procliane; altre volte, il commentatore inserisce
in argomenti presi da Proclo espressioni o intere frasi prese da autori cristiani
per caratterizzare, ad esempio, il ruolo nefasto delle passioni e del legame con
la carne per la conversione alla Causa Prima.
Eustrazio dunque ci invita a rivedere le griglie tradizionali con le quali siamo
soliti analizzare la letteratura filosofica e teologica di questo periodo. Questo
perché se è vero, da un lato, che l’utilizzo di fonti procliane per la descrizione
del trascendimento delle passioni e dell’ascesi rende Eustrazio assai particolare
nel panorama degli autori spirituali dei secoli XI e XII, dall’altro è altrettanto
vero che egli appare sui generis anche all’interno del panorama dei cosiddetti
‘umanisti’. Si pensi, ad esempio, ad un intellettuale della generazione preceden-
te quale Michele Psello. Tutta l’opera pselliana è in effetti pervasa dall’enfasi
sulla vita intermedia tra un rigido intellettualismo ascetico e un’attaccamento
al mondo materiale.4 Psello si descrive come una creatura che vive al limite di
queste due dimensioni: si tratta forse del tipo di vita dello studioso, dell’erudito,
che Giorgio Tornikès descrive nel testo dell’orazione funebre per Anna Comnena
esaminato nella prima parte del presente lavoro, cioè colui che è philosophos
e al tempo stesso politikos, uomo di mondo. L’ascetismo che invece è presente
nei commenti di Eustrazio ci pare assai distante dall’ “umanesimo” di Psello.
La proposta del nostro commentatore è ben più estrema: per Eustrazio occorre
scindere il vincolo con la materia e superare le passioni per poter prima tornare
ad operare intellettualmente e poi per riscoprire l’Uno nell’anima.
Il presente lavoro non ha ovviamente la pretesa di dire una parola definitiva
sull’Eustrazio commentatore e filosofo. Al contrario, la speranza è che più studio-
si, anche di diverse discipline, possano accostarsi a questo autore, contribuendo
a chiarire passi che non abbiamo, per motivi di spazio, potuto studiare o magari
reinterpretando quelli qui presi in esame. Quel che è certo è che la figura di
Eustrazio merita sicuramente più attenzione di quanta non ne abbia ricevuta
fino a questo momento.

4 Su questo si veda D.J. O’MEARA, Political Philosophy in Michael Psellos: the Chronographia Read in

Relation to his Philosophical Work, in BYDÉN/IERODIAKONOU (eds), The Many cit., 153-171.
Summary

This is the first monograph devoted to the philosophical work of Eustratios


of Nicaea (died ca. 1120). It is divided into two parts.
In the first part I investigate the historical and cultural framework of
Eustratios’ life and work. By unearthing new evidences and reinterpreting
the previously known I provide a novel and more accurate reconstruction of
this author’s career.
In the second part of the book I analyze the philosophical contents of
Eustratios’ commentaries on Aristotle. Against the commonly accepted view
of Eustratios as an intellectual seeking to restore Aristotelianism against the
Platonism of the earlier Michael Psellos and John Italos, this book demon-
strates that Eustratios was rather a Neoplatonist who intriguingly shaped
Proclus’ works with themes and motifs from the Christian monastic tradition.
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Indici
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Agiotis, N.: VIII. 210; 212-219; 225; 226.
Alberti, A.: 19. Asclepius: 110; 114; 115; 121; 125;
Alexander Aphrodisiensis: 16; 19; 33; 146; 148; 172.
34; 99; 100; 128; 148; 163; 178; 185; Aspasius: 19; 20; 22; 31.
194-196; 199. Athenaeus: 19.
Alexius I Comnenus: 4-6; 8; 10-13; 28; Athanassiadi, P.: 56.
43-45; 47-49; 67, 70, 71. Auvray, E.: 211.
Alpers, K.: 14; 16. Averroes: 3.
Ammonius: 30; 89; 90; 96-98; 114; 119;
121; 128; 137; 146; 148; 192. Babuin, A.: 39.
Anastasi, R.: 4; 5. Bäck, A.: 96.
Angelou, A.D.: 39. Barber, C.: VIII; 36; 70; 75.
Angold, M.: 61. Barker, E.: 33-52.
Anna (figlia di Giovanni II Comneno): Barmin, A.: 14; 15.
70. Barnes, J.: 96.
Anna Comnena: 10; 13; 22-24; 27-30; Barzos, K.: 70.
32-38; 40-55; 57, 59; 60; 62; 64-72; Beccarisi, A.: VIII.
227. Bechtle, G.: 103.
Anselmus Havelbergensis: 38-42. Benakis, L.G.: 30; 63; 188.
Arabatzis, G.: 52; 67. Benedetto, M.: VIII.
Argyropoulos, R.D.: 18. Berza, M.: 43; 61.
Aristoteles: VI; VII; 13; 16; 22; 24; 26; 30; Bianconi, D.: VIII; 62.
32; 33; 40-42; 44; 50-55; 57-59; 63; Blumenthal, H.-J.: 63.
64; 69; 72; 76-82; 86; 92-96; 100; Boese, H.: 138.
105; 107; 108; 111; 113-115; 119- Bonitz, H.: 34.
125; 127-132; 134-135; 138; 139; Børresen, K.E.: 66.
141-143; 153, 155; 158; 162; 163; Brams, J.: 40; 42.
166; 167; 169; 172; 173; 175; 178; Broadie, S.: 214.
254 Indice dei nomi antichi e moderni

Brown, D.: VIII. Debiasi Gonzato, A.: 7.


Browning, R.: 3; 7; 22-24; 27; 28; 30; 32; De Groote, M.: 8.
37; 39-44; 48; 50; 52; 55; 59; 60; 65. de Libera, A.: 128; 129.
Bruns, I.: 100; 196. Demetrakopoulos, A.: 9; 14.
Bucossi, A.: VIII. Dennis, G.T.: 5.
Burgundio Pisanus: 42. Deubner, L.: 101.
Busse, A.: 30; 31; 90; 98; 114; 119; 121; De Vries-Van der Velden, E.: 59.
Büttner-Wobst, T.: 10; 48. Diehl, E.: 78.
Bydén, B.: VIII; 53; 58; 63; 142; 227. Diels, H.: 78.
Dillon, J.: 221.
Cacouros, M.: 3; 10. Dionisotti, C.: 25; 26.
Cameron, A.: VIII. (Pseudo) Dionysius Areopagita: 133;
Canart, P.: 25. 204; 211.
Cantarella, R.: 217. Dodds, E.R.: 79; 83.
Caras, I.: 18. Dölger, F.: 5; 46.
Caudano, A.-L.: 16. Dondaine, A.: 39.
Cavallo, G.: 35; 42; 61; 104. D’Onofrio, G.: 57.
Celluprica, V.: 100. Draeseke, J.: 3; 4.
Ceresa-Gastaldo, A.: 207. Duffy, J.: 56.
Chiaradonna, R.: 77. Düring, I.: 142.
Chlup, R.: 87.
Christophorus Mytilenaeus: 7; 8. Ebbesen, S.: 32; 40, 41.
Classen, P.: 39. Eirene, Sebastokratorissa: 62.
Claussen, R.: 30. Ekenberg, T.: 215.
Cleary, J.J.: 96; 102; 150. Elianus: 7.
Colish, M.: 202. Elias: 31, 121, 201.
Conley, T.: 43; 47. Emery, K.: IX.
Constantinides, C.N.: 54. Eraclitus: 33.
Constantinus IX Monomachus: 4; 5; 28; Esposito, C.: VIII.
232. Eusebius Caesariensis: 208.
Constantinus Manasses: 62.
Cormack, R.: 26. Falcon, A.: 77.
Couvreaur, P.: 146. Fatouros, G.: 212.
Cozza-Luzi, J.: 185. Fernández, T.: 225.
Criscuolo, U.: 4, 5. Finamore, J.F.: 221.
Friedlein, G.: 83.
Daelven, R.: 49. Flannery, K.L.: 100.
Dahan, G.: 43. Follieri, E.: 5.
Dahl, N.O.: 214. Frankopan, P.: 70.
D’Ancona, C.: 220.
Darrouzès, J.: 5; 6, 9; 11; 12; 27; 37; 40. Galenus: 42; 53; 58; 59.
Daube-Schakat, R.: 30. Gallay, P.: 210.
David: 98; 114; 203. Garland, L.: 66.
Indice dei nomi antichi e moderni 255

Gaul, N.: 36, 61. Hörandner, W.: 70.


Gauthier, R.A.: 26. Hugo Etherianus: 38; 39.
Gautier, P.: 50; 57; 67-70. Hunger, H.: 7; 61.
Gedeon, M.: 67. Hunt, R.W.: 25.
Georgius Tornices: 27-32; 36-38; 40; Hutchinson D.S.: 214.
43-50; 52; 55; 60; 65; 67; 69-71; 227. Hutter, I.: 25.
Gerasimo Blaco: 18.
Gersh, S.E.: 55; 57; 204. Iacobus Veneticus: 40; 41; 65.
Gille, M.L.: 200. Iakovos, monaco: 62.
Giocarinis, K.: 75; 124; 127; 128; 133; Iamblichus: 56; 101; 153.
134; 137; 141; 188. Ierodiakonou, K.: VIII; 36; 41; 53; 56; 63;
Gjuzelev, V.: 9. 128; 129; 137; 149; 227.
Glick, T.: 41. Immisch, O.: 33.
Golitsis, P.: VIII; 32; 35. Ioannikios: 42.
Gouillard, J.: 4, 5, 8; 12. Irene Doukaina: 50; 62; 67; 68; 71; 72.
Goulet, R.: 3; 32.
Grafton, A.: 25. Janin, R.: 7; 48.
Grumel, V.: 5; 9; 10-12. Jeffreys, E.: 26; 62.
Grünbart, M.: 53; 61; 62; 70. Jenkins, D.: 36; 70; 75.
Guillelmus de Moerbeka: 138. Joannou, P.-P.: 6; 11; 12; 14; 188; 221.
Guldentops, G.: VIII. Johannes II Comnenus: 48; 52; 70.
Johannes IX Agapetus: 11.
Hadot, I.: 31. Johannes Damascenus: 8; 14; 109; 110.
Hadot, P.: 31; 46. Johannes Hyerosolimitanus: 15.
Hamesse, J.: 61. Johannes Italus: VI; 4-9; 12; 13; 22; 55;
Hankinson, R.J.: 77; 80. 57; 67; 71; 221.
Harlfinger, D.: 14; 34. Johannes Nazianzenus: 13; 184; 186;
Harris, J.: 25. 204; 210, 216-218.
Hausherr, I.: 210. Johannes Mauropous: 5.
Hayduck, M.: 16; 30; 33-36; 63; 99; Johannes Philoponus: 30; 31; 33; 79; 81;
100; 108 110; 128; 146. 82; 96; 98; 99; 105; 128; 146; 178;
Heiberg, J.L.: 32; 107. 185; 194; 201.
Heil, G.: 133. Johannes Phurnus: 10.
Heinze, R.: 163. Johannes Servopoulos: 19; 25; 26.
Helmig, C.: VIII; 148; 165; 167; 168; 171; Johannes Tzetzes: 62; 70.
172; 175; 180; 181; 186. Johannes Zimisces: 10.
Henry, P.: 114; 132. Johannes Xiphilinus: 4; 5; 8; 57.
Hermias: 146; 158. Johannes Zonaras: 10; 48-50.
Heylbut, G.: 16-21; 26; 93; 105; 139; Jones, H.S.: 63.
164; 182; 207; 216.
Hoffmann, P.: 31; 200. Kalbfleisch, K.: 30; 31; 78.
Hoffmann, T.: VIII. Kaldellis, A.: VIII, 5.
Hohlweg, H.: 36. Kalligas, P.: 220.
256 Indice dei nomi antichi e moderni

Kalogeridou, O.: 55. Magdalino, P.: 37; 39; 61.


Kambylis, A.: 7; 217. Mahe, J.-P.: 31.
Kapriev, G.: VIII. Majercik, R.: 171.
Karamanolis, G.: 31; 142. Maltese, E.V.: 5.
Kaukua, J.: 215. Mango, C.: 39.
Kazdhan, A.: 11. Maniaci, M.: 42.
Kislinger, E.: 53. Manolova, D.: VIII.
Klein, U.: 101. Manuel Straboromanus: 68.
Koch, L.: VIII. Marcheselli Loukas, L.: 7.
Kolbaba, T.M.: 39. Marciniak, P.: 61; 62.
Kolovolou, F.: 38. Maria di Alania: 16; 24; 68; 72.
Konstan, D.: 19. Markopoulos, A.: 36.
Kotter, P.B.: 14; 109. Marrone, F: VIII.
Kraut, R.: 214. Martijn, M.: 108.
Kraye, J.: 25. Martini, E.: 3.
Kremer, K.: 121. Matthews, G.: 195.
Krivochéine, B.: 210. Maximus Confessor: 67; 207; 211; 217.
Kroll, W.: 83; 109. McCash, J.H.: 66.
Mckenzie, R.: 63.
Kühn, C.G.: 53.
Mercati, G.: 20; 21.
Mercati, S.G.: 7.
Laga, C.: 211.
Mercken, H.P.F.: VII; 19; 20; 24-26; 36.
Laiou, A.E.: 39.
Mergiali, S.: 54.
Lamberton, R.: 206.
Michael Ephesius: 19; 20; 30-37; 40;
Lamberz, E.: 202.
41; 43; 44, 46; 47; 51; 53-55; 58; 59;
Lamoreaux, J.C.: 203. 61; 62; 64; 65; 71.
Lampe, G.W.H.: 29; 37; 56; 63. Michael Italicus: 68.
Lampsidis, O.: 62. Michael Psellus: VI; 4; 5; 22; 28; 29; 32;
Laurent, V.: 5; 9; 11; 12. 55; 56-60; 63; 64; 71; 19; 221; 227.
Lees, J.T.: 38. Michael VII Doukas: 5; 6; 16; 24.
Lemerle, P.: 5. Minio-Paluello, L.: 40.
Leo Chalcedonensis: 3; 9; 10. Mojsisch, B.: 30.
Leo Allatius: 14; 33. Mondrain, B.: 36.
Leone M.: VIII. Monfasani, J.: IX.
Leone, P.L.M.: 70. Moore, P.: 63.
Lernould, A.: 73. Moraux, P.: 16; 19; 20; 30.
Lewy, H.: 204. Moschonas, N.G.: 61.
Liddel, H.H.: 63. Moses de Brolo: 42.
Linnér, St.: 28. Mottahedeh, R.P.: 39.
Livesey, S.J.: 41. Mueller, I.: 96; 103.
Lloyd, A.C.: 148; 188. Mullet, M.: VIII, 61; 62; 64-67; 71; 72.
Lo Monaco, F.: 42. Muthesius, A.: 53.
Luna, C.: 34; 35. Natali, C.: 199; 214.
Indice dei nomi antichi e moderni 257

Nemeth, A.: 21. Pluta, B.: 30.


Neville, L.: 49; 50; 70. Podskalsky, G.: 13; 46.
Nicephorus III Botaniates: 16; 24. Polansky, R.: 214.
Nicephorus Bryennius: 48; 49; 52; 67; 68. Polemis, D.I.: 67; 68.
Nicetas Choniates: 10-14; 28; 48-50; 52; Polemis, I.: 5.
119. Polesso Schiavon, P.: 53.
Nicetas Heracleensis: 6; 11; 12; 62. Pontani, F.: 42.
Nicetas Nicomediensis: 37-40. Ponzio, P.: VIII.
Nicetas Seides: 4; 10; 11. Porphyrius: 56; 201; 202; 220.
Nicetas Stethatus: 210. Porro, P.: IX.
Nicolaus Callicles: 68. Praechter, K.: 30; 32; 34-36.
Nicolaus Catascepenus: 67. Prato, G.: 35.
Nicolaus Methonaeus: 39. Preus, A.: 33.
Nikolov, G.N.: 9. Proclus: VII; 39; 55; 56; 59; 77-80; 82-
Nussbaum, M.C.: 195. 92; 101-103; 107; 108; 110-112;
Nutton, V.: 53. 114-119; 121; 122; 125; 128; 130-
134; 137; 138; 140; 141; 144-166;
O’Meara, D.J.: VIII; 55; 56; 103; 121; 168; 171; 174-177; 179; 181; 185;
148; 150; 188; 220; 221; 227.
187; 189; 193; 194; 200; 203-206;
Oikonomidès, N.: 52.
208; 209; 218; 225; 227.
Olympiodorus: 114, 202.
Prodromus Manganeus: 62.
Omont, H.: 40.
Puchner, W.: 60.
Opsomer, I.: 77.
Orsini, P.: 62.
Rabe, H.: 42
Palazzo, A.: 173. Ransom Johnson, M.: 214.
Papadopoulos-Kerameus, A.: 203. Rashed, M.: 42.
Papaioannou, S.: VIII, 29, 55. Reinsch, D.R.: 7.
Papamanolakis, A.: 220. Retucci, F.: VIII.
Papari, V.: 33. Rhoby, A.: 62.
Paramelle, J.: 210. Richardson Lear, G.: 214.
Parrinello, R.M.: 68. Ricklin, T.: 55.
Pasquali, G.: 168. Rigo, A.: IX; 4; 9; 39.
Pellegrin, P.: 200. Rist, J.: 204.
Penco, G.: 46. Ritter, A.M.: 133.
Pépin, J.: 103; 107. Robertus Grosseteste: V; VII; 19; 25; 26;
Petit, L.: 42. 139; 164; 207; 216.
Petrus Chrysolanus Mediolanensis: 10, Robins, R.-H.: 7.
11; 13; 14. Romano, F.: 157.
Philippe, M.-D.: 96. Ronconi, F.: VIII.
Pignani, A.: 64. Rorem, P.: 203.
Plotinus: 56; 114; 125, 131; 132; 137; Rose, V.: 20; 22; 25; 28; 34.
146; 220. Rosier Catach, I.: 43.
258 Indice dei nomi antichi e moderni

Saffrey, H.D.: 84; 103; 107; 150. Themistius: 163; 197; 198.
Sakkos, S.N.: 39. Theodorus Prodromus: 42; 47; 48; 62;
Salac. A.: 5. 68-70.
Salaville, S.: 11. Theodorus Studites: 185; 203; 211; 212;
Saxby, M.: 58. 215.
Schofield, M.: 96; 195. Teophylactus Ochridensis: 67.
Schwyzer, H.-R.: 114; 132. Theis, L.: 62.
Scott, R.: 63. Thetford, G.: 39.
Segonds, A.Ph.: 107; 116; 150. Toivanen, J.: 215.
Sharples, R.W.: 19; 77; 195. Trabattoni, F.: 77.
Sheppard, A.D.R.: 77; 101. Trizio, M.: 39; 53; 57; 75; 79; 84; 89;
Sideras, A.: 5. 91; 93; 131; 143; 173; 184; 190; 193;
Siecienski, A.E.: 38. 204.
Symeon Neotheologus: 210; 217. Trott, A.M.: 214.
Simplicius: 30; 31; 78; 100; 105; 107- Tulloch, S.: 60.
109; 114; 121; 128; 153; 186; 226. Tweedale, M.M.: 195.
(Pseudo) Simplicius (re vera Priscianus
Lydus): 108; 109; 153; 186.
Valerio, A.: 66.
Siorvanes, L.: 91.
van Dieten, J.: 48.
Syrianus: 34; 35; 119; 121; 146; 148;
Verbeke, G.: 121.
165; 171.
Verrycken, K.: 121.
Skoulatos, B.: 3.
Villa C.: 42.
Sophonias: 63.
Sorabji, R.: 3; 19; 35; 77; 96; 103; 121; Vitelli, H.: 79.
127; 200; 202. Vuillemin-Diem, G.: 42.
Speer, A.: IX; 63; 93.
Stănescu, E.: 43. Wallies, M.: 146; 148 178; 197.
Stathakopoulos, D.: 53. Wallis, F.: 32; 41.
Steckel, S.: 36. Wartelle, A.: 18.
Steel, C.: VIII; 57; 77; 110; 121; Weiss, R.: 25.
134; 141; 150; 153; 157; 167; 175; Wendland, P.: 33; 100.
211. Westerink, L.G.: 84; 150; 200-202.
Stephanus Skylitzes: 42; 43; 70. Wiesner, J.: 30; 34; 188.
Steinkrüger, P.: 63; 93. Wilson, E.: 219.
Sturlese, L.: VIII. Wilson, N.G.: 42.
Stylianus: 7. Wirmer, D.: VIII.
Suchla, B.R.: 211. Wolska-Conus, W.: 43.

Taormina, D.P.: 157. Zèsès, Th. N.: 4; 11.


Tarán, L.: 34. Ziolkowski, J.: VIII.
Indice del volume

Introduzione V

Parte prima
Eustrazio di Nicea biografia intellettuale
di un teologo e commentatore bizantino
1. La vita 3
2. Le opere 14
3. I commenti greco-bizantini all’Ethica Nicomachea 17
4. Eustrazio di Nicea e il “circolo” di Anna Comnena
tra mito e realtà storica 22
4.1. Fatti, testi e personaggi, p. 23 - 4.2. Questioni di cronologia,
p. 43 - 4.3. Un circolo di aristotelici?, p. 55 - 4.4. Sul concetto
di ‘circolo’, p. 59

Parte seconda
I commenti filosofici e le dottrine
1. La causalità 76
2. La divisione delle scienze e le sue ragioni 92
3. Eustrazio e la critica aristotelica dell’idea di Bene 122
4. La dottrina dell’intelletto e della conoscenza 143
5. Eustrazio e la questione degli universali. Una proposta 188
6. La natura della vita contemplativa 199
260 Indice del volume

Conclusioni 225

Summary 228

Bibliografia 229

Indice dei nomi antichi e moderni 253

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