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INDICE-SOMMARIO

3a conferenza Berlino, 15 settembre 1919 3

La realizzazione degli ideali di libertà, uguaglianza e


fraternità attraverso la tripartizione sociale
L'attuale retroscena delle teorie socialiste. La naziona-
lizzazione dell'economia non riesce a risolvere i pro-
blemi sociali. Il Goetheanismo come polo opposto
all'Americanismo.

4a conferenza Stoccarda, 19 dicembre 1919 39

Scienza dello Spirito, libertà di pensiero e forze sociali


Il Goetheanum come espressione artistica di sensibilità
scientifico-spirituale. Limitazioni del pensiero scienti-
fico naturale. La causa del disconnessione tra fede e
conoscenza. Il compito reale del popolo tedesco.

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TERZA CONFERENZA

La realizzazione degli ideali di libertà, ugua-


glianza e fraternità attraverso la tripartizione so-
ciale

Berlino, 15 settembre 1919

Non c’è alcun dubbio che con la catastrofe della guerra mon-
diale e con ciò che in maniera spaventosa si collega ad essa, la
questione sociale ha assunto un nuovo volto per l’umanità del
presente. Naturalmente certi ambienti, anche abbastanza ampi,
non vedono affatto di buon occhio questo cambiamento di a-
spetto della questione sociale. Ma il cambiamento c’è, e si farà
valere sempre più.

Quegli uomini che sino ai giorni nostri hanno fatto parte delle
cerchie dominanti e dirigenti si vedranno costretti dalla forza
dei fatti a non rimanere più fermi, nei confronti della questione
sociale, allo sviluppo di singoli pensieri o provvedimenti in ri-
sposta a ciò che accade in questo o quel campo aziendale, o
all’interno dell’una o dell’altra cerchia di proletariato. Questi
gruppi dirigenti saranno costretti a rivolgere ampiamente i loro
pensieri e gli orientamenti del loro volere alla questione sociale
come alla questione più importante nella vita dell’uomo con-
temporaneo e nella vita del prossimo futuro. Se, da una parte,
le classi che finora sono state quelle dirigenti capiranno il loro
tempo soltanto quando, nel senso prima accennato, saranno in
grado di accogliere in tutto il loro pensare, sentire e volere il
nuovo aspetto della questione sociale, dall’altra parte sarà però

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necessario che anche le ampie masse del proletariato attuino un
cambiamento sostanziale della loro posizione nei confronti del-
la questione sociale.

Per più di mezzo secolo le più ampie masse del proletariato


hanno fatte loro idee sociali e socialiste. Abbiamo visto – al-
meno coloro che hanno vissuto gli ultimi decenni senza dormi-
re in piedi – quali trasformazioni la questione sociale abbia
compiuto tra le fila del proletariato. Si è potuto vedere quale
forma aveva assunto nel momento in cui scoppiò la spaventosa
catastrofe che viene chiamata “Guerra Mondiale”. Poi venne la
fine provvisoria di questa terribile catastrofe. Il proletariato si
ritrovò ora in una nuova posizione; non si vide più sottomesso
come prima in un ordinamento sociale che, per lo meno
nell’Europa centrale e in quella dell’est, era dominato dalle an-
tiche potenze regnanti. Lo stesso proletariato era ormai chiama-
to in ampia misura a lavorare ad una riorganizzazione
dell’assetto sociale dell’umanità. E proprio in relazione a que-
sto fatto, a questo fatto storico completamente nuovo, abbiamo
vissuto qualcosa di immensamente tragico.

Le idee cui il proletariato si era dedicato per decenni, si può di-


re, con il sangue, si rivelavano insostenibili proprio ora che do-
vevano venire realizzate! E allora abbiamo vissuto una grande
contraddizione storica, o più propriamente un conflitto storico.
Abbiamo vissuto come i fatti storici stessi, i fatti della storia
mondiale che si verificavano attorno a noi, potevano diventare i
grandi maestri dell’umanità. Abbiamo vissuto come questi fatti
da una parte mostrassero che le classi eminenti e dirigenti nel

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corso degli ultimi tre o quattro secoli non abbiano sviluppato
idee che potessero o abbiano potuto essere decisive per ciò che
l’umanità sperimentava nella sfera economica, e anche in quel-
la sociale. Accadeva la stranezza per cui chi aveva il potere di
agire, di operare nel mondo dei fatti, si era ritrovato a lasciare
che i fatti si svolgessero come da sé. Le idee, i pensieri erano
divenuti troppo astratti per potere comprendere in sé anche i
fatti. I fatti della vita avevano sovrastato gli uomini. Questo si
mostrò in modo del tutto particolare in lunghi periodi nella vita
economica, dove la competizione nel cosiddetto “libero merca-
to” aveva lasciato come unico incentivo per la regolamentazio-
ne dell’economia il “profitto” e cose simili, dove non agivano
idee che conformassero la vita economica solo e unicamente a
questioni riguardanti la produzione, la circolazione e l’uso dei
beni, ma dove agiva ciò che, sotto la spinta arbitraria del libero
mercato, poteva portare a continue crisi. E chi voglia veramen-
te comprendere, può comprendere ora come infine, per il fatto
che la realtà della vita sociale come cieco susseguirsi di meri
fatti non governati da un pensiero a monte si era diffusa nei
grandi imperi statali, gli affari stessi di questi grandi imperi si
erano messi in movimento senza che gli uomini fossero in gra-
do, attraverso le loro idee, di dominare in qualche modo i fatti
che ne scaturivano, o di fare qualcosa per imprimere loro un
qualche orientamento.

Proprio queste cose dovrebbero far riflettere l’uomo attualmen-


te. L’uomo del presente dovrebbe poter porre dinanzi alla sua
vista spirituale il fatto che oggi in effetti è necessario guardare
più a fondo all’interno dell’ingranaggio umano per capire cose

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come ad esempio la questione sociale in maniera diversa da
come attualmente accade. È proprio un fatto tangibile che i
pensieri siano diventati troppo inadeguati a comprendere i fatti
correnti. Ma gli uomini non vogliono vedere certe cose. Si sono
abituati nel corso degli ultimi tre o quattro secoli a prendere la
routine commerciale e quella pubblica come “prassi di vita”. Si
sono abituati a considerare come un utopista o un idealista non
pratico chiunque guardi dall’esterno qualcosa e possa giudicar-
la sulla base di una prospettiva più ampia. Per illustrare un po’
quanto ho appena detto posso prendere le mosse da una nota
apparentemente personale. Ma questa nota personale non è in-
tesa in senso personale, perché oggi che il destino del singolo è
intessuto tanto strettamente con il destino generale
dell’umanità, soltanto fatti intesi onestamente, che siano real-
mente osservati, possono agire in maniera sufficientemente in-
dicativa per ciò che sono gli impulsi e le forze propulsive nella
vita pubblica.

All’inizio della primavera del 1914, nell’ambito di un ciclo di


conferenze[1] che tenni a Vienna su argomenti scientifico-
spirituali, mesi prima dello scoppio della cosiddetta Guerra
Mondiale, mi trovai a dover riassumere di fronte ad una piccola
riunione di persone - se avessi detto le stesse cose di fronte ad
una più grande platea sarei stato deriso, naturalmente –
l’opinione che andava formandosi in me sul divenire sociale
nelle presenti circostanze. Allora dissi: a chi con occhi bene
aperti getta uno sguardo d’insieme su ciò che accade nella no-
stra vita pubblica all’interno del mondo civilizzato, questo si
mostra come invaso da una ulcerazione sociale, una grave ma-

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lattia sociale, una sorta di formazione cancerosa sociale. E ciò
che è una malattia così strisciante all’interno della nostra vita
economica, e anche all’interno della nostra vita sociale, dovrà
esprimersi nell’immediato futuro in una terribile catastrofe.

Ora, come era considerato qualcuno che agli inizi del 1914 par-
lava di una imminente catastrofe a partire da eventi che si veri-
ficavano in una certa misura sotto la superficie delle cose? Era
considerato “un idealista privo di senso pratico” - quando la
gente non ti diceva addirittura che eri un pazzo. Ciò che dissi
allora contrastava sopratutto con ciò che a quel tempo e addirit-
tura ancora più tardi dicevano i cosiddetti “pratici”, quei pratici
responsabili che erano uomini di routine, anziché essere dei ve-
ri pratici, che però guardavano con supponenza chiunque cer-
cava di comprendere la storia contemporanea sulla base di una
qualche conoscenza ideale. Cosa dicevano quei pratici signori
sul tempo presente? Uno di quei pratici[2] che era addirittura
Ministro degli Esteri di uno stato mitteleuropeo annunciava po-
co dopo agli illuminati rappresentanti del suo popolo che la di-
stensione generale della situazione politica faceva bei progres-
si, tanto che nell’immediato futuro ci si doveva aspettare una
condizione di pace fra i popoli europei. E aggiunse: I nostri
rapporti di buon vicinato con San Pietroburgo sono ai massimi
livelli perché, grazie gli sforzi dei governi, il gabinetto di San
Pietroburgo non si preoccupa delle dichiarazioni dei giornalisti,
e le nostre relazioni amichevoli con San Pietroburgo continue-
ranno ad essere come sono sempre state fino ad ora. E speria-
mo di concludere le nostre trattative con l’Inghilterra cosicché
siano presenti anche con questo paese nell’immediato futuro le

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migliori relazioni possibili.- Chi diceva ciò era una persona
“pratica”, mentre era “grigia teoria” ciò che diceva un altro!

Con innumerevoli esempi si potrebbero caratterizzare i punti di


vista o, per meglio dire, i giudizi sui fatti da parte dei “pratici”
all’inizio di quel tempo che è diventato tanto spaventoso per
l’umanità. In effetti è molto istruttivo, i fatti parlano chiara-
mente, vedere che simili “pratici” da una parte parlavano di
questa pace – e dall’altra nei mesi successivi portarono questa
pace ad un tale livello che per alcuni anni i popoli civilizzati si
trovassero ad ammazzare dai 10 ai 12 milioni di persone, cal-
colato per difetto, e a storpiarne tre volte tante. Non voglio ci-
tare queste cose al fine di surriscaldare gli animi. Devo citarle
perché indicano come i pensieri degli uomini siano diventati
astratti e non bastino più a dominare i fatti. Si vedranno questi
avvenimenti nella giusta luce solo se si riconoscerà nei fatti il
grande maestro che ci indichi che ciò di cui abbiamo bisogno
per pervenire ad un risanamento delle nostre condizioni sociali,
non è pensare a piccoli cambiamenti di queste o quelle diretti-
ve, bensì realizzare un radicale cambiamento del nostro modo
di pensare e di comprendere il mondo, non è pensare a piccole
rese dei conti, bensì ad una grande resa dei conti con il vecchio
che è del tutto marcio e non può più confluire in ciò che deve
avvenire per il futuro.

Ciò che si può dire per le questioni importanti dell’umanità si


può dire anche per singole questioni riguardanti la vita del di-
ritto o quella economica. Si dice ovunque che i pensieri non
bastano a dominare i fatti. Pertanto si può dire che le classi di-

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rigenti fin’ora al potere hanno la prassi, ma che manchino loro
però le idee e i pensieri necessari, efficaci, e di vita pratica per
sostanziare questa prassi. E di fronte a queste cerchie dirigenti
si trova la grande massa del proletariato che per più di mezzo
secolo si è formato, si può dire, alla scuola di un intransigente
pensiero marxista. Oggi, però, non va bene guardarsi attorno
fra le masse del proletariato per informarsi su come la pensino.
É relativamente facile, addirittura talvolta sin troppo facile con-
futare adeguatamente ciò che le masse proletarie e le loro guide
pensano delle faccende economiche. Però non è questo il pun-
to. La questione fondamentale qui è che è un fatto storico che
attraverso le anime, attraverso i cuori delle masse proletarie so-
no partite le ripercussioni di quanto si è formato da pensieri che
agivano intensivamente, si potrebbe già dire, come una teoria
proletaria. Ma questa teoria che ora, dopo che il vecchio era
collassato, avrebbe potuto dimostrarsi vera ancor più di quanto
non si fosse già affermata nella prassi di vita, questa teoria ri-
vela una caratteristica del tutto particolare che è comprensibile.
Perché per come le cose si sono formate nello sviluppo sociale
dell’umanità attraverso l’influenza dell’ordinamento economi-
co capitalistico e della recente tecnica nel corso degli ultimi tre
o quattro secoli, e in particolar modo del secolo diciannovesi-
mo, il proletariato venne sempre più imprigionato unicamente
nella vita economica; ma imprigionato a tal punto che ogni sin-
golo proletario doveva fare un lavoro molto strettamente limi-
tato. E questo lavoro strettamente limitato era in fin dei conti
tutto ciò che il proletario vedeva come reale di una vita econo-
mica che diventava sempre più ampia. Non c’è dunque da me-
ravigliarsi che il proletariato sperimentasse fin nel destino del

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suo corpo e della sua anima come la nuova vita economica si
sviluppasse sotto l’influsso della tecnica e del capitale privato,
ma che esso non potesse vedere chiaramente i veri motori pro-
pulsori che agivano in questa vita economica! Egli era colui
che mandava avanti, per così dire, questa vita economica, ma
gli era precluso, per la sua posizione sociale, di guardare ade-
guatamente all’interno dell’ordinamento di questa vita econo-
mica, e di penetrare il modo in cui questa vita economica veni-
va amministrata. Ed è solo fin troppo comprensibile che attra-
verso tali fatti si formasse qualcosa i cui frutti sono ancora pre-
senti. Si formò come da subconsci ed istintivi impulsi e bisogni
del proletariato un’ampia teoria proletaria socialistica che però,
in fin dei conti, è lontanissima sia dai fatti economici che da al-
tri fatti sociali, perché appunto il proletariato non poteva com-
prendere a fondo i veri motori propulsori dei fatti economici e
sociali, e pertanto dovette accogliere ciò che gli venne portato
in maniera unilaterale dal marxismo. E così troviamo che nel
corso di decenni penetrarono profondamente nell’animo del
proletario delle cose, cose che, in fondo, nella loro essenza, so-
no più che legittime, ma che però non incidono assolutamente
sui fatti.

Vorrei citare un esempio. Pensiamo a quanto fortemente ha in-


fluito sull’agitazione che è scoppiata nel proletariato a partire
dalle concezioni teoriche dei suoi leader il motto: nel futuro
non si potrà più produrre per produrre; si potrà produrre solo
per consumare! - Certo, un motto azzeccato, un motto che –
cosa che non si può dire di molti slogan del presente – è addi-
rittura “vero”, ma un motto che diventa un’astrazione inconsi-

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stente e che scappa di bocca quando lo si esamina con senso
pratico e reale comprensione dei rapporti economici. Perché
per la prassi ciò che importa è come si fanno le cose! Per la
prassi non significa nulla avanzare soltanto la richiesta che si
deve produrre solo per consumare. Questo è qualcosa che ri-
chiama di fronte all’anima la rappresentazione di quanto po-
trebbe essere bella la vita economica se non dominasse più il
profitto, ma solo e unicamente la previsione del consumo. Ma
in questa frase non si trova nulla che accenni in qualche modo
a come debba venire configurata la struttura della vita econo-
mica affinché il sentimento che si esprime in queste parole pos-
sa davvero diffondersi. E così succede con molti dei motti – ne
toccheremo ancora qualcuno – che provengono da profonde ve-
rità, che però sono divenuti slogan agitatori e di partito del pro-
letariato. Sono diventati astrazioni e si presentano come indica-
zioni utopistiche per un futuro incerto. Chi ha intenzioni serie
nei riguardi del proletariato deve dire a se stesso: questo povero
proletariato che oggi avanza le sue legittime richieste vive
dunque in concezioni tali di cui si deve dire che sono certamen-
te strutturate in una teoria, ma che si trovano lontano dai fatti
della vita – perché il proletariato è stato strappato via da questi
fatti, ed è stato relegato in un luogo separato, dal quale egli
scorge sempre soltanto un singolo angolo della vita.

Questo è il contrasto a cui ho voluto accennare che si esprime


da una parte nelle condizioni delle classi dirigenti al governo,
che hanno potere sui fatti ma nessuna idea per dominare questi
fatti, - e dall’altra parte nel proletariato che ha accolto da parte

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sua delle idee, ma si trova con queste idee, in quanto idee del
tutto astratte, lontano dai fatti, estraneo di fronte ai fatti.

Quando si caratterizza così qualcosa, come ho appena fatto,


con qualche parola, si accenna a forze ed impulsi che agiscono
nella storia, che in fondo sono più importanti di qualunque altra
cosa si sia compiuta sino ad ora nel percorso storico
dell’umanità. Espressioni quali “prassi senza idee delle cerchie
dominanti” e “teoria priva di pratica del proletariato” vengono
colte nel loro vero significato solo se si possiede un sentimento
per ciò che si muove fra queste due correnti evolutive contem-
poranee dell’umanità in maniera così tremendamente vivace,
così reciprocamente devastante. Il fatto che sia presente un tale
contrasto fra la disposizione animica dei gruppi dominanti e di-
rigenti e quelli del proletariato porta e ha portato a che oggi ci
sia una profonda frattura fra ciò che è pensare, sentire, volere e
ad agire dei gruppi dirigenti e dominanti e fra ciò che sono ane-
liti, desideri, impulsi volitivi del proletariato. Non si capisce
neanche cosa dovrebbe originarsi oggi dalle profondità di que-
sto contrasto, cosa ci risuona nelle coscienze dal proletariato
come esigenza del tempo! Quando dalle cerchie proletarie ci ri-
suona nella coscienza l’insegnamento sul plusvalore,
l’insegnamento prima accennato che si debba solo produrre per
consumare, l’insegnamento della trasformazione della proprietà
privata in proprietà collettiva, certamente queste cose vengono
capite testualmente. Ma questa espressione di desideri e visioni
proletarie che cos’è propriamente? È qualcosa che dovrebbe
dare l’opportunità ai circoli borghesi dirigenti e dominanti di
criticare dal punto di vista logico queste teorie proletarie quan-

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do vengono espresse? Non vi è nulla di più ingenuo nel presen-
te di quando da parte proletaria risuona la dottrina del plusvalo-
re e poi un qualsivoglia sindaco o direttore di una società per
azioni dice l’ovvio affermando che il plusvalore calcolato sulle
banconote e così via è così basso che se si volesse suddividerlo
il singolo non ne ricaverebbe nulla. E’ la cosa più ingenua in
assoluto comportarsi in questo modo, per esempio nei confronti
della teoria del plusvalore. Perché il “calcolo” che fanno quei
signori è del tutto ovvio, su di esso non vi è nulla da obiettare.
Ma non è di ciò che si tratta in realtà, perché pretendere di
“confutare” quanto viene detto in modo diretto nelle parole del-
le teorie proletarie, è proprio come voler cercare di fare alzare
la temperatura di un termometro usando una piccola fiamma,
quando il termometro segna una temperatura che a noi sembri
troppo bassa. Per il fatto che ci si occupa di correggere il ter-
mometro non ci si occupa in realtà di ciò che sta alla base come
causa della temperatura che esso ci mostra. E’ ingenuo prende-
re alla lettera e confutare ciò che oggi è teoria proletaria. Per-
ché le teorie proletarie non sono altro che - volendo parlare in
maniera erudita direi così - un rappresentante di qualcosa che si
trova molto più a fondo rispetto al posto in cui ora si cerca.
Proprio come il termometro indica la temperatura di una stan-
za, ma non la crea esso stesso, così le teorie proletarie sono
qualcosa per riconoscere, attraverso uno strumento o un segno,
ciò che vive in tal modo nella questione sociale nel presente e
nel prossimo futuro. Ma riguardo a ciò si tende in genere a
considerare le cose in modo troppo semplicistico. Si osserva in-
fatti la questione sociale come una mera questione economica
perché ci è venuta incontro anzitutto come una questione eco-

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nomica sulla base delle richieste del proletariato, imprigionato
nella vita economica nell’epoca del capitalismo privato e della
tecnica. E non si è visto cosa vi sia in realtà dietro tutte le con-
cezioni che nelle teorie proletarie si riferiscono a capitale, lavo-
ro,e merce. Il proletariato vive l’intero ambito della vita umana
nel campo della sfera economica. Per questo motivo la questio-
ne sociale gli si presenta interamente in una prospettiva eco-
nomica.

Chi ha l’opportunità ad acquisire uno sguardo più ampio do-


vrebbe vedere come si debbano chiaramente distinguere gli uni
dagli altri tre campi della vita in cui ci si mostrano tre dei punti
essenziali della questione sociale. Chi ha imparato non solo a
pensare sul proletariato – forse solo ora a pensare, dopo che è
arrivata la rivoluzione -, chi ha imparato per destino non solo a
pensare o a sentire sul proletariato, ma anche a pensare e a sen-
tire con esso, potrà, a partire da ciò che si trova nelle parole
che, vorrei dire, circolano come motti attraverso tutte le teorie
socialiste, guardare a ciò che accade nelle profondità dei mi-
gliori fra i proletari. Quali sono dunque tali motti?

Per prima cosa abbiamo il motto principale del plusvalore a cui


ho già accennato. Basta essersi confrontati da uomo a uomo
con molti proletari per vedere come si è impresso negli animi
dei proletari questo motto del plusvalore. Ed è proprio il radi-
camento di questo motto nel proletariato ciò che conta, non il
suo dimostrarsi vero a livello teorico. Chi negli anni in cui si
svolgevano eventi decisivi nell’ambito del movimento sociale
dei tempi recenti ha lavorato come me qui a Berlino presso la

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Scuola di formazione per lavoratori[3] fondata da Wilhelm
Liebknecht, dal vecchio Liebknecht, sa qualcosa di più di que-
sta questione cui ho appena accennato, ne sa più a partire dalla
prassi di vita, di quanto non ne sappiano i leader sindacali e an-
che altri – come posso dirlo senza ferire qualcuno? -, altri per i
quali si è detto a ragione che ci sono stati “vincitori di guerra”
e, dopo la guerra, “vincitori di rivoluzioni”, ma a me è sempre
parso che ci siano invece stati “chiacchieroni di guerra” e, dopo
la guerra, “chiacchieroni rivoluzionari”! Ma ciò che si intende-
va con plusvalore era questo: il proletario lavora attivamente,
produce questo o quel prodotto, mentre l’imprenditore porta
questi prodotti sul mercato e dà al lavoratore solo quanto è ne-
cessario affinché il lavoratore si mantenga in vita, altrimenti
non potrebbe più lavorare per l’imprenditore; il resto è plusva-
lore. Certamente verso questo plusvalore ci si comporta proprio
nel modo in cui ne parla Walther Rathenau[4] – non voglio dire
assolutamente nulla di quest’uomo molto calunniato -, ma ri-
spetto alla questione sociale egli si trova nel più grave errore.
E’ assolutamente vero che se si dividesse il plusvalore esso non
porterebbe alcun miglioramento alle larghe masse proletarie,
ma con operazioni di calcolo campate in aria non si viene a ca-
po delle cose. Sarebbe davvero così poco questo plusvalore
come risulta dai “giusti” calcoli del Rathenau? No! Perché allo-
ra non ci sarebbero a Berlino teatri, scuole superiori, ginnasi e
nulla di ciò che si chiama vita culturale, vita spirituale. Tutto
questo scaturisce in realtà in massima parte dal cosiddetto plu-
svalore. Ma non si tratta affatto di come questo plusvalore vie-
ne spinto in superficie sotto forma di merce e di circolazione
monetaria, bensì del fatto che in ciò di cui si parla con il mero

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slogan del plusvalore si esprime l’intera relazione della moder-
na vita spirituale con la grande massa del popolo che non può
prendere parte direttamente a questa vita spirituale.

Chi ha insegnato per anni fra i lavoratori e si è sforzato di inse-


gnare loro ciò che scaturisce da un comune sentire umano, ciò
di cui si parla da uomo a uomo, costui sa che tipo di carattere
deve avere una formazione spirituale che voglia essere univer-
salmente umana, e come una tale formazione spirituale differi-
sca da quella che si è formata nel corso degli ultimi tre o quat-
tro secoli proprio sotto l’influenza del modello economico ba-
sato sul capitale privato e sulla tecnica. Se posso parlare di
nuovo a titolo personale – il personale illustra il generale -, al-
lora forse posso dire: durante le settimane, le ore in cui parlavo
ai proletari sapevo che le mie parole facevano risuonare corde
affini nelle loro anime; nelle mie parole questi uomini ricevono
un sapere, una conoscenza che possono portare con sé, che
possono accogliere. Ma poi vennero comunque quei tempi in
cui anche i proletari dovevano soddisfare la moda di prendere
parte alla “formazione” - a quella formazione che era il risulta-
to in ambito spirituale della cultura dirigente e dominante. Si
dovevano portare questi proletari nei musei, gli si doveva mo-
strare ciò che era stato prodotto dal modo di sentire della classe
dominante, dal sentire borghese. Sì, allora si sapeva – se si era
onesti, lo si sapeva, se non si era onesti si facevano ogni sorta
di discorsi sulla formazione popolare e cose simili-: tutto ciò
non crea nessun ponte fra la cultura e la formazione spirituale
delle classi dominanti al potere e ciò che è aspirazione ed esi-
genza spirituale del proletariato. Perché arte, scienza, religione

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si possono capire solo se provengono da gruppi di persone con
le quali si condivide lo stesso terreno sociale, in modo tale da
poter condividere con loro gli stessi sentimenti e le stesse sen-
sazioni sociali -, non se c’è una spaccatura tra coloro che devo-
no godere di questa cultura e coloro che possono godere davve-
ro di questa cultura. Qui si percepiva una profonda menzogna
culturale. E oggi davvero non si può diffondere bonariamente
oscurità su queste cose, ma esse devono venir viste chiaramen-
te. Qui si percepiva questa profonda menzogna culturale che
consisteva nel fatto di costruire ogni sorta di università popola-
re o di scuola di formazione per dare alle persone una forma-
zione che però non poteva edificare nessun ponte per arrivare a
loro. Il proletario si trovava dunque dall’altra parte dell’abisso,
guardava in alto a ciò che veniva prodotto come arte, costume,
religione, scienza dalle classi dominanti al potere, non lo capi-
va, e lo riteneva qualcosa che riguardasse –come un lusso – e-
sclusivamente queste classi dominanti. E allora il proletariato
vedeva l’utilizzo, la realizzazione del plusvalore mentre ne
pronunciava la parola, e a tale proposito sentiva qualcosa di to-
talmente diverso da quello che veniva detto sul plusvalore at-
traverso la metafora del termometro. Il proletariato sentiva
questo: qui c’è una vita culturale che viene creata dal nostro la-
voro, dal nostro produrre; la produciamo noi, ma ne siamo e-
sclusi!

Così deve venir vista la questione del plusvalore, se la si vede


non teoricamente – ma in maniera viva, come è inserita nella
vita reale. E allora vediamo anche ciò che è l’aspetto fonda-
mentale della più ampia questione sociale: vediamo l’aspetto

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spirituale della questione sociale. Vediamo come nel medesimo
periodo in cui negli ultimi tre o quattro secoli emersero tecnica
e scienza moderne e contemporaneamente modello economico
capitalistico, è emersa anche una vita spirituale che diventa
sempre più solo quello che deve vivere nelle anime di quegli
uomini che sono separati da una profonda frattura dalle grandi,
larghe masse alla cui formazione essi provvedono in maniera
insufficiente, e dalla cui formazione si separano. Pertanto ci si
sente morire dal dolore quando si viene a sapere con quanta
buona volontà e buone intenzioni le classi dominanti al potere
discutano nelle loro stanze ben riscaldate su come essere fra-
terni con tutti gli uomini, su come si debbano amare tutti gli
uomini, su tutte le virtù cristiane – al calore di una stufa ali-
mentata da quel carbone che veniva estratto dalle miniere in cui
venivano mandati a lavorare bambini di nove, undici, tredici
anni che letteralmente – alla metà del diciannovesimo secolo
era letteralmente così, e più tardi non andò meglio grazie ad un
qualche merito delle classi dirigenti, ma soltanto grazie alle ri-
vendicazioni del proletariato - dovevano scendere nelle miniere
prima del sorgere del sole e ne potevano riemergere soltanto
dopo il tramonto, cosicché questi poveri bambini non vedevano
mai la luce del sole per l’intera settimana.

Oggi si crede che queste cose vengano dette per sobillare. No!
Devono venire dette per indicare quanto la vita spirituale degli
ultimi tre o quattro secoli si sia distaccata dalla vita reale
dell’uomo. Si è potuto parlare astrattamente di morale, di virtù,
di religione, senza che la vera vita pratica attiva venisse in
qualche modo toccata da questi discorsi su fraternità, amore per

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il prossimo, Cristianesimo e così via. Questo è dunque ciò che
ci pone dinnanzi come un aspetto a parte della questione socia-
le, la questione spirituale. E allora gettiamo uno sguardo
all’intero ambito della vita spirituale, in particolare alla vita
spirituale in relazione all’uomo del presente e del prossimo fu-
turo che si svolge nel campo dell’educazione e dell’istruzione
scolastica. E’ successo che nel corso degli ultimi tre o quattro
secoli per il modo in cui i singoli principati si sono trasformati
in stati nazionali con un’economia unitaria, la vita spirituale è
stata regolata dallo Stato nelle sue parti pubbliche e più rilevan-
ti. E oggi si è fieri del fatto che la scienza e la vita spirituale
stessa abbiano strappato l’istruzione educativa e scolastica –
certamente a ragione – all’appannaggio che ne ebbero la reli-
gione e la teologia durante il medioevo. Se ne è giustamente
fieri e si è sempre ripetuto: nel medioevo succedeva che la vita
spirituale e la vita scientifica reggevano lo strascico alla teolo-
gia, alla chiesa. Certamente non si deve guardare con nostalgia
a questi tempi; vogliamo andare avanti, non indietro. Ma oggi
ci troviamo già in un’altra epoca. Oggi non si può indicare con
superbia come nel medioevo la vita spirituale aveva retto lo
strascico alla chiesa. Oggi si deve accennare a qualcos’altro.
Prendiamo, per illustrare questo, un esempio che non si trova
molto lontano da noi.

Uno scienziato naturalista molto importante[5] che io stimo


molto – queste cose non vengono assolutamente dette per smi-
nuire le persone -, che era al contempo segretario
dell’Accademia Berlinese delle Scienze, parlò del modo in cui
questa Accademia Berlinese si poneva nei confronti dello Sta-

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to. Il signore allora disse in un discorso bene argomentato: i so-
ci di questa illustre Accademia considerano per sé un onore del
tutto speciale essere le truppe scientifiche difensive degli Ho-
henzollern. Questo è solo uno di centinaia, di migliaia o di de-
cine di migliaia di esempi che si potrebbero fare, e che ci por-
tano a domandarci: chi ha sostituito oggi la chiesa alla quale la
vita spirituale reggeva lo strascico in tempi antichi? A chi oggi
la vita spirituale regge lo strascico? La cosa non era neanche
così grave nel più recente passato di come dovrebbe diventare
se veramente comparissero ordinanze statali in base alle quali
potrebbe presentarsi anche qui da noi quel dominio statale sulla
cultura scolastica che è stato imposto nell’Europa dell’Est e
che ci dimostra a sufficienza che porterebbe alla morte di tutta
la cultura. Non dovete guardare solo al passato, bensì sopratut-
to al futuro, e dovete dire: è arrivato il tempo in cui la vita spi-
rituale dovrà presentarsi come un arto indipendente
dell’organismo sociale, e dovrà amministrarsi da sé.

Esprimendosi così oggi ci si trova di fronte ad innumerevoli


pregiudizi. Si viene addirittura visti come dei pazzi oggi se non
si fa notare quale grande benedizione vi sia nella statalizzazio-
ne dell’istruzione e dell’educazione scolastica. Ma il beneficio
che si deve cercare verrà trovato solo quando, dalla scuola ma-
terna fino a quella superiore, l’intera istituzione educativa e
scolastica, e la vita spirituale a questa connessa, verrà resa
amministrativamente indipendente – e non verrà più ammini-
strata dallo Stato! Ciò appartiene alle grandi rese dei conti che
oggi devono venire portate avanti.

20
La cerchia di persone che per prime mi hanno dimostrato ami-
cizia quando si trattava di incarnare l’impulso alla tripartizione
nel presente, è quella cerchia da cui sta sorgendo ora a Stoccar-
da anche la prima vera, libera scuola unitaria[6]. Alla fabbrica
Waldorf.-Astoria dovrà essere annessa dapprima una scuola u-
nitaria-modello che dovrà operare sulla base di una pedagogia,
una didattica e una teoria educativa che non scaturisce da
nient’altro che da un’autentica e reale conoscenza dell’esser
umano in divenire, e fra il settimo ed il quindicesimo anno di
vita il bambino non è niente altro che un essere umano in dive-
nire, a prescindere dalla classe o dalla posizione sociale alla
quale appartenga. Ma bisogna prima imparare a conoscerlo, se
lo si vuole istruire ed educare.

Siccome io ero colui che a Stoccarda doveva tenere il corso


preparatorio[7] per il corpo insegnanti che doveva operare in
questa scuola Waldorf, mi trovai a confrontarmi con quelle re-
altà che oggi vengono prese come cosa ovvia. Non si ha alcun
sentore di che cosa significhi prendere queste realtà come cosa
ovvia! Queste realtà si sono però sviluppate soltanto in questi
ultimi decenni. In una simile occasione, – siccome le cose che
sono oggetto della prassi di vita devono essere al contempo og-
getto di esperienza di vita - si può accennare al fatto che ciò
che si dice lo si afferma non per incoscienza di amore giovani-
le, ma si osa esprimerlo solo quando, come me, si è quasi con-
cluso il sesto decennio di vita. E allora ci si ricorda di come
prima i piani di studio fossero ancora brevi, e di come ciò che
doveva essere oggetto di insegnamento veniva rappresentato
attraverso conferenze, libri ed esperienze di chi si trovava ad

21
operare nel vivo dell’istruzione pubblica, di chi creava a partire
dallo spirito. Oggi non si ha un piccolo piano di studio – oggi si
hanno libri spessi nei quali non solo si trova prescritto ciò che
si deve studiare in questo o quell’anno scolastico, ma anche
come le cose debbano venire trattate. Ciò che dovrebbe essere
oggetto del libero insegnamento deve divenire oggetto, ed è già
divenuto oggetto, della “Gazzetta ufficiale”. Fintanto che non
si avrà un sentimento chiaro, sufficiente di ciò che di asociale
si nasconde in queste cose, non si sarà maturi per collaborare al
reale risanamento dell’umanità. Nella realizzazione di una libe-
ra vita spirituale indipendente dallo Stato si trova pertanto il
primo punto essenziale della questione sociale. Questo è il pri-
mo dei tre arti indipendenti dell’organismo sociale tripartito da
edificare. Quando oggi si presentano queste cose, se si accenna
a come potrà essere possibile che in futuro nessuno all’interno
dell’arto spirituale dell’organismo sociale amministrerà come
colui che prende anche parte attiva alla vita spirituale, allora, in
relazione alla lezione scolastica, questa avrà molto poco a che
fare con la lezione per come si svolge nell’odierna scuola dello
Stato unitario. La vita intera esisterà come in una repubblica
esemplare. Tutti insegneranno non solo secondo le pretese di
un ordinamento, bensì creeranno dallo spirito ciò che giova
all’insegnamento e all’educazione. Non ci si dovrà solo do-
mandare quali siano i diritti dell’uomo per il socialismo nel
tredicesimo o nel diciassettesimo anno, ma anche: cos’è che ha
un fondamento autonomo nell’essere stesso dell’uomo, e che
possa venire tratto fuori dall’uomo in divenire, cosicché egli,
quando queste forze vengono liberate dalle profondità del suo
essere, non si ritrovi ad essere un uomo finito, senza forza di

22
volontà, come accade a tanti oggi, bensì un individuo
all’altezza del suo destino e capace di lavorare a quelli che so-
no i suoi compiti nella vita. Questo indica il primo arto nella
tripartizione dell’organismo sociale.

Quando però si esprimono queste idee si viene liquidati con


una domanda, con un’obiezione, come è accaduto a me in una
città della Germania meridionale. In quella occasione, durante
la discussione seguita ad una mia conferenza, un professore di
scuola superiore mi rispose circa nel modo seguente: noi tede-
schi in futuro saremo un popolo povero. Questo signore vuole
rendere la vita spirituale indipendente. Il popolo impoverito
non potrà pagare questa vita spirituale indipendente perché non
ne avrà il denaro. Il denaro si dovrà così prendere dalle tasche
dello Stato, si dovrà pagare l’istruzione scolastica con le tasse
dei cittadini, e come potrà allora diventare indipendente, come
potrà mai sottrarsi al diritto di controllo da parte dello Stato,
dal momento che viene finanziata proprio da questo? - Io potei
solo obiettare che mi sembrava molto strano che il professore
credesse che ciò che si prende dalle casse dallo Stato sotto
forma di tasse si origini lì dentro da solo come un fungo, e che
in futuro non verrà preso dal “popolo impoverito”. Ma ciò che
ci si trova davanti più di tutto ormai è la mancanza di pensiero
in tutti i campi. A ciò deve venire contrapposto un pensare rea-
le, pratico, che sappia guardare all’interno dei fatti della vita.
Questo porterà anche a sviluppare programmi di vita pratici e
che si possano realizzare.

23
E come la vita spirituale, l’istruzione e l’educazione scolastica
devono essere rese indipendenti, allo stesso modo deve essere
resa indipendente la vita economica. E’ molto strano come in
tempi recenti dalle profondità della natura umana siano nate
due esigenze: l’esigenza di democrazia ed l’esigenza di sociali-
smo. Queste due realtà - democrazia e socialismo - si contrad-
dicono però a vicenda. Prima della catastrofe della Guerra
Mondiale si è voluto fondere assieme questi due impulsi con-
traddittori e persino fondare un partito che li portasse entrambi
nel suo nome: il partito socialdemocratico. E’ più o meno come
dire che il ferro è legno. Queste due realtà, democrazia e socia-
lismo, si contraddicono a vicenda, ma sono entrambe autenti-
che e legittime esigenze dei tempi recenti. Ora la catastrofe del-
la Guerra Mondiale si è abbattuta su di noi, ha prodotto i suoi
effetti, ed ora sentiamo come emerga l’esigenza socialista e
come non le interessi affatto un parlamento democratico. Il
modo in cui ora l’esigenza socialista, a sua volta in modo teori-
co, senza avere idea di come stiano veramente le cose, compare
sulla scena con i suoi slogan del tutto astratti quali ad esempio
“la conquista del potere politico”, “la dittatura del proletariato”
e cose simili, è qualcosa che comunque ha origine dal fondo
del sentire socialista, ma dimostra che ormai si è capito che an-
che il sentire socialista si contrappone al sentire democratico. Il
futuro, che deve tener conto della realtà della vita e non degli
slogan, dovrà riconoscere come colui che ha una sensibilità so-
cialista ha ragione quando percepisce, per così dire, qualcosa di
inquietante nella “democrazia”, e come colui che ha una sensi-
bilità democratica ha a sua volta ragione quando percepisce

24
qualcosa di assolutamente terribile nelle parole “dittatura del
proletariato”.

Come stanno realmente i fatti in questo campo? Per rispondere


a questa domanda dobbiamo solo vedere la relazione tra vita
economica e Stato nello stesso modo in cui abbiamo appena vi-
sto la relazione tra vita spirituale e vita dello Stato. E’ stato
d’altronde un pregiudizio dell’uomo contemporaneo, in parti-
colare di quelli che credevano di pensare in maniera veramente
progressista, che lo stato debba divenire sempre più imprendi-
tore. Poste, telegrafi, ferrovie e così via, vennero messe nelle
mani dell’amministrazione statale e presto si volle estendere
l’amministrazione statale ad ancora più ambiti economici. Que-
sto è un argomento molto vasto che toccherò ora con poche pa-
role e purtroppo – poiché sono stato incaricato di sviluppare
queste cose in una breve conferenza – dovrò espormi al perico-
lo che ciò che verrà esposto con parole molto concrete, e che
potrebbe venire dimostrato con innumerevoli esempi tratti dalla
storia recente, venga tacciato di dilettantismo, ma non lo è af-
fatto. Tuttavia, ciò che qui è come un pregiudizio da parte dei
più progrediti si mostrerà poi nel suo vero aspetto un giorno,
quando si prenderà sul serio il socialismo. E mostrerà il suo ve-
ro volto inoltre quando si prenderà sul serio quanto Friedrich
Engel[8] ha espresso in momenti di massima lucidità nel suo
scritto: “Lo sviluppo del socialismo dall’utopia alla scienza”,
dove dice all’incirca: se si guarda alla vita statale come si è svi-
luppata fino nel presente si trova che essa abbraccia la gestione
dei settori produttivi e il controllo della circolazione delle mer-
ci. Ma mentre lo Stato ha amministrato, ha al contempo gover-

25
nato sugli uomini. Ha promulgato leggi in conformità alle quali
devono comportarsi - nelle attività economiche come anche al
di fuori di queste - quegli stessi uomini che si trovano inseriti
nella vita economica. Dunque una stessa istanza statale ha am-
ministrato la vita economica e ha fatto le leggi per regolare il
comportamento degli uomini che si trovano all’interno della vi-
ta economica. In futuro la cosa dovrà essere diversa.

Questo Engel lo ha riconosciuto in pieno. Engel era


dell’opinione che in futuro non si potrà più amministrare
l’economia sullo stesso terreno su cui si governano gli uomini;
bensì su questo terreno si potrà solo amministrare ciò che è la
produzione, e dirigere ciò che è la circolazione delle merci. Era
una visione giusta – ma solo una mezza verità, o meglio solo
un quarto di verità. Perché quando ciò che viene realizzato in
materia di leggi nel campo economico, che fin’ora coincideva
con la vita dello Stato, viene sottratto all’amministrazione eco-
nomica e alla direzione dell’economia da parte dello Stato, do-
vrà trovare un suo posto – ad ogni modo non un posto a partire
dal quale gli uomini vengono governati centralmente, ma il po-
sto dal quale essi governano se stessi democraticamente.

Cioè: i due impulsi, democrazia e socialismo, indicano che i


due ambiti distinti l’uno dall’altro devono esistere ancora ac-
canto all’arto spirituale indipendente dell’organismo sociale
all’interno dell’organismo sociale globale, cioè di ciò che ri-
mane dello Stato originario. L’amministrazione dell’economia
e quella del diritto pubblico o, detto con altre parole, di tutto
ciò su cui l’uomo è capace di giudizio, una volta divenuto

26
maggiorenne. Perché cosa c’è nell’esigenza di democrazia? C’è
che l’umanità presente diverrà storicamente matura per ammi-
nistrare in base alla legge sul terreno di un libero Stato, di un
libero diritto, gli ambiti nei quali ogni uomo è uguale all’altro,
gli ambiti sui quali dunque ogni uomo che sia diventato mag-
giorenne può esercitare il suo diritto di scelta accanto ad ogni
altro suo simile, in modo indiretto, attraverso qualcuno che lo
rappresenti, o diretto, attraverso un qualche referendum. Per-
tanto in futuro dovremo avere un campo giuridico indipendente
che sarà il proseguimento dell’antico Stato basato sul potere e
sulla forza, e che sarà il vero primo Stato di diritto. Un vero
Stato di diritto non nascerà in altro modo se non quando in esso
si regolino attraverso leggi soltanto le questioni sulle quali ogni
uomo divenuto maggiorenne è capace di emettere giudizio, e a
simili questioni appartiene a sua volta qualcosa di cui il prole-
tariato ha molto parlato, una questione sulla quale però le sue
parole devono tornare ad essere considerate come un termome-
tro sociale. Perché nell’animo del proletariato si è impresso
profondamente un altro motto di Karl Marx: l’esistenza non è
degna dell’essere umano, quando il lavoratore deve vendere sul
mercato del lavoro la sua forza lavoro come fosse una mer-
ce[9]. Perché come si paga una merce con il prezzo delle merci,
così si paga la forza lavoro come se fosse del pari valore della
merce attraverso il salario, attraverso il prezzo per la forza-
lavoro mercificata!

Questo era un motto che non era tanto importante nello svilup-
po della presente umanità per il suo contenuto materiale, quan-
to per il modo fulmineo in cui ha colpito il proletariato,

27
un’impressione fulminea di cui le cerchie dirigenti non hanno
la minima idea. E da dove ha origine tutto ciò? Ha origine dal
fatto che nel ciclo economico, cioè nella produzione, nella cir-
colazione e nel consumo delle merci che appartengono unica-
mente al suddetto ciclo economico, è posta in maniera inorga-
nica e caotica anche la regolazione del lavoro secondo misura,
tempo, carattere etc. etc. E non vi sarà risanamento in questo
campo fintanto che carattere, misura e tempo del lavoro umano
non saranno tolti dal ciclo economico, sia che si tratti di lavoro
spirituale che di lavoro fisico. Perché la regolamentazione della
forza lavoro non appartiene alla vita economica, dove chi è e-
conomicamente più forte ha anche il potere di imporre il modo
di lavorare a chi è economicamente più debole. La regolamen-
tazione del lavoro fra uomo e uomo, quanto un uomo lavora
per un altro, deve essere dettata dal campo del diritto, dove o-
gni uomo divenuto maggiorenne si trova di fronte al suo simile
da pari a pari. Non possono essere dei presupposti economici a
determinare quanto io debba lavorare per un altro, bensì solo e
unicamente ciò che si svilupperà nello Stato futuro, che sarà il
vero Stato di diritto rispetto all’attuale Stato di potere.

Anche qui ci si scontra con un sacco di pregiudizi dicendo si-


mili cose. Oggi è cosa meschina quando la gente dice: fintanto
che l’ordinamento economico viene dato dai rapporti del libero
mercato, sarà ovvio che il lavoro dipenda dalla produzione, da
come si pagano le merci. Chi però crede che tutto debba rima-
nere così non riconosce come stiano emergendo storicamente
esigenze del tutto diverse. In futuro si dovrà dire: quanto sa-
rebbe folle se gli uomini che devono amministrare un qualsiasi

28
ramo aziendale si mettessero assieme e prendessero il registro
clienti-fornitori dell’anno 1918 e dicessero: qui abbiamo pro-
dotto così e così tanto, dobbiamo anche quest’anno ottenere al-
trettanto. Adesso è settembre, quindi per raggiungere questo
obiettivo abbiamo bisogno ancora di tanti giorni di pioggia e
tanti di sole, e così via. - Non si può prescrivere alle leggi di
natura di conformarsi ai prezzi, ma sono i prezzi che devono
conformarsi alle leggi di natura. Da una parte la vita economica
confinerà con le leggi di natura, dall’altra con lo Stato di dirit-
to, nel quale anche il lavoro verrà regolato. Dovrà allora essere
fissato su fondamenti puramente democratici quanto a lungo gli
uomini debbano lavorare, e in seguito si determineranno i prez-
zi - cioè secondo le leggi di natura così come oggi i prezzi in
agricoltura vengono determinati secondo le leggi di natura.
Non si tratta di pensare al miglioramento di piccoli meccani-
smi, ma di cambiare totalmente il modo di pensare, di cambiare
totalmente il sistema. Solo se si giudica riguardo alla forza-
lavoro su un terreno indipendente e democratico, dove un uo-
mo sta di fronte all’altro in quanto persona maggiorenne, come
pari davanti a pari, e se l’uomo come uomo libero porta questo
lavoro all’interno dell’autonoma vita economica dove vengono
stipulati non contratti di lavoro, bensì contratti sulla produzio-
ne, solo allora dalla vita economica si allontanerà ciò che oggi
sta creando inquietudine. Questo deve essere compreso.

Data la brevità del tempo posso solo accennare a queste cose.


Terrei molto volentieri un ciclo di conferenze, ma questa volta
la cosa non è possibile. Però devo ancora mostrare come si

29
configura il terzo arto, la vita economica, nell’organismo socia-
le tripartito, e come in futuro vi si dovrà elevare

.
In questa vita economica, non possono, come sinora, esservi:
amministrazione del capitale, amministrazione del suolo, ge-
stione dei mezzi di produzione - il che, del resto, è sempre
amministrazione del capitale – e amministrazione del lavoro,
bensì soltanto amministrazione della produzione delle merci,
della circolazione delle merci, e del consumo delle merci. E al
contempo la cellula primaria di questa vita economica, che si
deve fondare solo sulla competenza e sulla capacità tecnica,
cioè la formazione del prezzo, come si deve realizzare? Non at-
traverso il caso del cosiddetto libero mercato, come è avvenuto
fino ad ora in economia politica e nell’economia mondiale! Si
dovrà realizzare in modo tale che nell’ambito di associazioni
che nascono adeguatamente fra singoli rami produttivi e con-
sorzi di consumatori, attraverso persone competenti e specia-
lizzate che provengono da questi consorzi, venga raggiunto in
modo organico e ragionevole ciò che oggi viene raggiunto in
modo traumatico attraverso l’azione cieca del libero mercato.
In futuro, quando la determinazione del modo e del carattere
della forza-lavoro umana sarà pertinenza dello Stato di diritto,
all’interno della vita economica avverrà all’incirca che l’uomo,
per qualunque cosa che egli porta a termine con il suo lavoro,
riceverà tanto in valore di scambio da poter soddisfare i suoi
bisogni fintanto che non avrà costruito di nuovo un prodotto
uguale.

30
Per dirla grossolanamente, dilettantisticamente e superficial-
mente, ciò che è stato appena detto si potrebbe spiegare attra-
verso il seguente esempio, ma questa spiegazione per oggi ba-
sterà: se produco un paio di stivali, dovrò essere in grado – per
mezzo del loro valore fissato con accordi presi in comune con
altri -, attraverso la fabbricazione di questo paio di stivali, di
scambiare tante merci quante ne devo per soddisfare i miei bi-
sogni fintanto che non avrò prodotto di nuovo un altro paio di
stivali. E dovranno esserci istituzioni che all’interno della so-
cietà devono regolare i bisogni per quanto riguarda vedove, or-
fani, invalidi e malati, per l’educazione e cose simili. Ma che
una tale regolamentazione nella formazione dei prezzi, cosa
che sarà solo ed unicamente questione di socializzazione eco-
nomica, abbia luogo, dipenderà dal fatto che si formino corpo-
razioni – siano esse elette o anche designate da associazioni dei
rami di produzione in unione con le cooperative di consumatori
- che saranno chiamate a trasmettere nella vita concreta i giusti
prezzi.

E questo potrà accadere soltanto per il fatto che l’intera vita e-


conomica – ad ogni modo non nella forma di una economia
pianificata alla Moellendorff[10], bensì in una forma vivente –
venga ordinata in modo tale che venga preso in considerazione
quanto segue: supponiamo che un certo articolo abbia la ten-
denza a divenire troppo caro. Che significa? Che la sua produ-
zione è troppo scarsa; devono venire introdotti nei corrispon-
denti rami produttivi, con opportuni contratti, dei lavoratori che
possano produrre questo articolo. D’altro canto se il prezzo di
un articolo si abbassa troppo si chiuderanno delle fabbriche e i

31
lavoratori saranno licenziati e andranno sistemati mandandoli a
lavorare in altre fabbriche. Quando si dice questo la gente lo
giudica come una cosa difficile. Chi però rifiuta questa cosa
come difficile per rimanere fermo a piccoli miglioramenti delle
condizioni sociali, deve anche sapere che, con ciò, rimarrà an-
che fermo alle condizioni sociali attuali. La cosa vi mostra co-
me attraverso associazioni che sono formate solo ed esclusiva-
mente da forze economiche, la vita economica debba venire
posta su se stessa, e come la vita economica, che attualmente lo
Stato ha preso sotto le proprie ali, in effetti debba venire am-
ministrata soltanto da quelle stesse forze economiche, ossia in
modo tale che all’interno di questa amministrazione della vita
economica sia garantita al massimo l’iniziativa del singolo.
Questo non può accadere attraverso un’economia pianificata,
non può accadere attraverso l’organizzazione di una gestione
comune dei mezzi di produzione, bensì solo e unicamente at-
traverso associazioni di rami produttivi indipendenti, e attra-
verso l’accordo di queste associazioni con consorzi di consu-
matori.

È un terribile errore quello per cui che la statalizzazione finora


avviata dalle cerchie dominanti e dirigenti debba essere spinta
all’estremo, e che dei consorzi si debbano estendere all’intera
vita statale utilizzando la cornice di questa stessa vita statale,
fatto tramite il quale si minerebbe ogni relazione di una simile
economia pianificata con le forze economiche esterne; d’altro
canto, invece, quelle associazioni pensate dalla tripartizione
partono proprio dal presupposto di mantenere pienamente la li-
bera iniziativa del mondo economico, e di tenere aperto tutto

32
ciò che collega una realtà economica chiusa con una realtà e-
conomica esterna. Tuttavia, c’è una cosa che sembrerà anche
del tutto diversa, per esempio, qualcosa a cui posso accennare
con un’allegoria. La teoria socialista pretende l’abolizione della
proprietà privata, come si usa dire – con parole di cui un uomo
competente non capisce nulla –, e la trasformazione della pro-
prietà privata in proprietà collettiva. Detta così non significa
proprio nulla. Cosa possa significare ve lo posso dire con
un’immagine nel seguente modo. Per esempio, oggi gli uomini
sono molto fieri dei loro filosofi. Su una cosa però gli uomini
pensano in modo abbastanza giusto, perlomeno quando si tratta
di produzioni spirituali; mentre nel campo del materiale non ar-
rivano a pensare in modo altrettanto sano. Perché cosa si pensa
a proposito della proprietà spirituale? Si pensa che si debba es-
sere presenti riguardo a ciò che si acquisisce spiritualmente.
Non ha senso dire: ciò che produco come proprietà spirituale
deve essere prodotto tramite un’economia comune oppure tra-
mite gestioni consorziali, ma dovrà certamente essere lasciato
alla creatività del singolo, perché verrà prodotto nel modo mi-
gliore se il singolo potrà lavorarvi con le sue facoltà e i suoi ta-
lenti, e non se ne viene separato. Ma si pensa invece in modo
sociale se quello che si produce spiritualmente non apparterrà
più agli eredi, passati trent’anni dalla morte di colui che lo ha
creato, bensì a chi saprà rendere questo patrimonio accessibile
al meglio alla comunità – e i tempi potrebbero anche venire ac-
corciati di molto – . Si trova la cosa ovvia perché oggi gli uo-
mini non apprezzano particolarmente ciò che sentono come
spirituale. Gli uomini, però, non si sforzano minimamente di
capire quando si parla del fatto che anche la proprietà privata

33
materiale dovrebbe essere trattata allo stesso modo, che do-
vrebbe rimanere in mani private solo fintanto che si è presenti
con le proprie capacità, e che poi però dovrebbe essere trasferi-
ta – certamente in questo caso non ad una collettività anonima,
il che provocherebbe corruzione e problemi della peggior spe-
cie, ma, anche qui, a chi dimostri di avere le migliori facoltà e
sarebbe in grado di porre la cosa al servizio della collettività.

Se si pensa senza pregiudizi si riconoscerà certamente la verità


di tutto ciò. Abbiamo preso l’iniziativa di fondare un’università
per la Scienza dello Spirito, il Goetheanum, in Svizzera, a Dor-
nach, vicino a Basilea. Lo chiamiamo Goetheanum dal momen-
to in cui il mondo è stato “woodrow-wilsonizzato”, dal mo-
mento che si rende necessario che il tedesco mostri che avrà il
coraggio di porre una vita spirituale di fronte all’intero globo
terrestre. Il Goetheanum all’estero come rappresentante della
vita spirituale tedesca – in modo diverso di quello che fa lo
sciovinismo! Ma ora voglio sottolineare qualcos’altro. Questa
Università di Scienza dello Spirito viene costruita, e viene ora
amministrata da quegli uomini che hanno le capacità di chia-
mare in vita questa impresa. A chi apparterrà quando questi
uomini non saranno più fra i viventi? Non passerà a nessuno
tramite eredità, bensì passerà a coloro che possono ammini-
strarla al meglio al servizio dell’umanità. In realtà non appar-
tiene a nessuno.

Se si pensa economicamente in maniera sociale, già nascono


quelle cose che dovranno nascere quando in futuro dovrà acca-
dere ciò che è salutare. Ciò che rimane da dire sulla circolazio-

34
ne della proprietà privata l’ho esposto nel mio scritto “I punti
essenziali della questione sociale”, dove ho mostrato come
l’organismo sociale debba venire articolato nei suoi tre arti au-
tonomi, e come tali fra loro cooperanti: nell’organizzazione
spirituale con amministrazione autonoma a partire dai fonda-
menti di una libera vita spirituale, nell’organizzazione statale-
politico-giuridica con amministrazione democratica, fondata
sul giudizio di ogni individuo divenuto maggiorenne, e in una
vita economica, che deve essere fondata esclusivamente sul
giudizio di singole persone e corporazioni competenti e tecni-
camente capaci, e delle loro associazioni.

La cosa pare essere così nuova che, da quando parlo di queste


cose in Germania, mi è stato anche sottoposto una volta da
qualcuno quanto segue: tu dividi lo Stato - che deve essere una
cosa unitaria - in tre pezzi. Potei solo obiettare se non gli fosse
parso che avessi diviso anche il ronzino in tre o quattro parti se
avessi affermato che deve reggersi in piedi sulle sue quattro
zampe. O qualcuno obietterà che un ronzino è una cosa unica
se sta in piedi su una gamba sola? Altrettanto poco si potrà af-
fermare che la vita sociale, se deve essere un’unità, deve con-
fluire in un’unità astratta. In futuro non ci si dovrà più fare ip-
notizzare dall’astrazione di uno Stato unitario, e si dovrà sapere
che lo Stato deve essere tripartito, costituito di tre arti sui quali
può reggersi: su una sfera spirituale che si amministra autono-
mamente, su un’organizzazione giuridica con legislazione de-
mocratica, su un’organizzazione economica con una gestione
economica basata esclusivamente su competenza e abilità spe-
cialistica.

35
La metà delle grandi verità venne espressa più di cento anni fa
in Europa occidentale con parole che allora risuonarono come
una mezza verità: libertà, uguaglianza, fraternità, tre ideali che
si potrebbero scrivere veramente in profondità nei cuori e nelle
anime degli uomini. Ma non erano certo uomini stolti e pazzi
quelli che nel corso del diciannovesimo secolo hanno spiegato
che questi tre ideali in realtà si contraddicono: che la libertà
non può esistere dove domina l’assoluta uguaglianza; che an-
che la fraternità non può esserci laddove debba esservi
l’assoluta uguaglianza. Queste obiezioni erano giuste, ma solo
perché sono comparse in un tempo dove si era ipnotizzati dal
cosiddetto Stato unitario. Nel momento in cui non si sarà più
ipnotizzati da questo, in cui si capirà la necessità di una tripar-
tizione dell’organismo sociale, si parlerà in maniera diversa.

Permettete che, in conclusione, riassuma con una analogia,


qualcosa che volentieri esporrei ancora più a lungo. Ho potuto
solo in un certo senso tracciare dei fili, mostrare in uno schizzo
ciò che voglio dire; so che ho potuto solo accennare qualcosa
che può venire riconosciuto e visto solo con una descrizione
dettagliata. Ma in conclusione vorrei far notare quanto lo Stato
unitario stesse di fronte agli uomini come qualcosa di ipnotiz-
zante, e come essi volessero che questo Stato dovesse essere
dominato dai tre grandi ideali di libertà, uguaglianza e fraterni-
tà. Si dovrà capire che le cose dovranno andare diversamente.
Nel presente gli uomini sono abituati a vedere come un dio
questo Stato unitario. In questo senso il loro comportamento è
come quello di Faust di fronte alla sedicenne Gretchen. Anche

36
in questo caso gli uomini vivono delle esperienze che si presen-
tano come gli insegnamenti che Faust dà alla bambina Gre-
tchen, che sono adatti alla sedicenne Gretchen, e che di solito
vengono visti dai filosofi come qualcosa di altamente filosofi-
co. Faust dice[11]: “Colui che tutto abbraccia, Colui che tutto
regge non abbraccia e non regge te, me, se stesso?” Anche ri-
guardo allo Stato unitario accade quasi che gli uomini siano
come ipnotizzati da questa immagine idolatrata di unitarietà, e
non possano riconoscere come questa immagine unitaria dovrà
divenire tripartita in futuro per il bene dell’umanità. E qualche
industriale parlerà ai suoi operai molto volentieri riferendosi al-
lo Stato come Faust fece con Gretchen, dicendo appunto: lo
Stato, Colui che tutto abbraccia, Colui che tutto regge, non ab-
braccia e non regge sé, te, me stesso?” - ma dovrebbe allora
portarsi velocemente la mano davanti alla bocca e non dire
troppo ad alta voce il “me stesso”!

La necessità della tripartizione dell’organismo sociale deve ve-


nire riconosciuta anche soprattutto nelle cerchie proletarie. La
si riconoscerà solo quando si capirà che la tripartizione è ne-
cessaria. Allora in futuro non dovrà addirittura più dominare il
motto “libertà, uguaglianza, fraternità” con le contraddizioni
che questi tre ideali contengono tra di loro, bensì in futuro do-
vrà dominare in un’autonoma vita spirituale la libertà dello spi-
rito, perché qui sarà giustificata; dovrà dominare uguaglianza
nei confronti di ogni uomo divenuto maggiorenne in un sistema
statale democratico, e dovrà dominare fraternità in una vita e-
conomica amministrata autonomamente, che nutrirà e sosterrà
gli uomini. Nel momento in cui si applicheranno questi tre ide-

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ali in tal modo all’organismo sociale tripartito, non si contrad-
diranno più vicendevolmente.

Spero che verrà un tempo in cui si potrà dire: noi nella Mitte-
leuropa guardiamo veramente con dolore a ciò che è accaduto
attraverso il trattato di Versailles. Lo vediamo solo come un
punto di partenza, e vediamo il grande bisogno e la grande po-
vertà e la sofferenza che ci stanno di fronte. Spero che un gior-
no si potrà dire: potete prenderci ciò che è esteriore, perché si
può togliere all’uomo ciò che è esteriore. Ma se saremo in gra-
do di attingere agli anni in cui abbiamo rinnegato il nostro pas-
sato, al goetheanismo del tempo a cavallo tra il diciottesimo e il
diciannovesimo secolo, quando Lessing, Herder, Schiller, Goe-
the e così via operavano per un altro tipo di società – se saremo
in grado di attingere, nella nostra miseria, a partire dalla nostra
interiorità, ai grandi tesori mitteleuropei, allora nel travaglio di
questo tempo, a partire da questa Mitteleuropa, nella quale un
secolo fa risuonava la mezza verità del motto “libertà, egua-
glianza, fraternità”, sentiremo risuonare l’altra parte mancante
di questa verità; allora, forse in una dipendenza esteriore ma
pur sempre in libertà ed indipendenza interiore, dalla Mitteleu-
ropa potrebbero risuonare nel mondo le parole:

Libertà nella vita spirituale,


Uguaglianza nella vita giuridica democratica,
Fraternità nella vita economica!

38
In queste parole si può riassumere come in una sigla ciò che
oggi si deve dire, sentire e pensare nel senso di un’ampia com-
prensione della questione sociale nella sua interezza. Possano
afferrarlo e capirlo giustamente quante più persone possibile; e
allora potrà diventare pratica di vita ciò che oggi è solo una
questione teorica!

Note:

[1] Vedi nota della prima conferenza del ciclo.


[2] Vedi nota nella prima conferenza del ciclo.

[3] Vedi nota nella prima conferenza del ciclo.

[4] Walter Rathenau, 1867-1922 (assassinato dai radicali di de-


stra), capitano d’industria, nel 1922, ministro degli esteri. “Die
neue Wirtschaft” (La nuova economia), Berlino 1918, “Eine
neue Gesellschaft” (Una nuova società), Berlino 1919; “Nach
der Flut. Sozialisierung und kein Ende. Ein Wort vom Me-
hrwert” (Dopo l’alta marea. Socializzazione e nessuna fine.
Una parola sul plusvalore”, Berlino 1919.

[5] Vedi nota nella prima conferenza del ciclo.

[6] Il 7 settembre 1919 venne aperta a Stoccarda la libera scuo-


la Waldorf. La sua fondazione attraverso Rudolf Steiner av-
venne su iniziativa del dott. Emil Molt, 1876-1926, direttore

39
generale della fabbrica di sigarette Waldorf-Astoria a Stoccar-
da.

[7] “Antropologia generale come fondamento della pedagogia


2, O.O. 293, “Arte dell’educazione. Metodica e didattica”,
O.O. 294, “Arte dell’educazione, colloqui sul seminario e con-
ferenze sul piano di studi”, O.O. 185.

[8] Friedrich Engel “Die Entwicklung des Sozialismus von der


Utopie zur Wissenschaft” (Lo sviluppo del Socialismo da uto-
pia a scienza), VI edizione, Berlino 1919, pag. 47 e seguenti.

[9] Vedi Marx “Das Kapital” (il capitale), Volume I, , quarto


capitolo: Compravendita della forza lavoro.

[10] Richard von Moellendorff (1881.1937), professore


all’università di Hannover, nel 1919 sottosegretario al Ministe-
ro dell’Economia, sviluppò un piano per un’economia comune
nazionale che tuttavia venne respinto dall’Assemblea Naziona-
le.

[11] “Faust”, I, 3438 e seguenti. Il testo citato è tradotto da


Franco Fortini, tratto da “Faust”, Arnoldo Mondadori Editore
1970, ISBN 88-04-08800-1k

40
QUARTA CONFERENZA

Scienza dello Spirito, libertà di pensiero


e forze sociali

Stoccarda, 19 dicembre 1919

Può gravare come un incubo sull'anima di chi osserva la vita


culturale moderna dell'umanità, qualcosa di simile allo
stringersi di un cuore afflitto, il notare come esistano ancora
relativamente pochi uomini che vogliano vedere con sguardo
imparziale come, in riferimento ai più importanti ambiti della
nostra vita culturale, ci troviamo su una brutta china. Questa
brutta china la si è potuta percepire a sufficienza attraverso gli
avvenimenti degli ultimi anni, attraverso tutto ciò che si è
abbattuto sugli uomini. Tuttavia accade spesso ancora oggi che
gli uomini si abbandonino all'opinione secondo la quale se non
si agisce in modo radicale per cambiare le cose si dovrebbe
almeno rimanere fermi a quel grado di caos al quale si è già
pervenuti, e si potrebbe poi riprendere a lavorare a partire dalla
situazione data, e tutto il resto seguirebbe a ruota. Nel corso
degli anni mi sono trovato continuamente a dover contraddire
tali modi di sentire il tempo presente, e ho dovuto mostrare
come sia invece necessario, attraverso un cambiamento
radicale del nostro modo di pensare, trovare la predisposizione
a concepire un'autentica ricostruzione delle nostre condizioni
sociali, della nostra vita pubblica, a partire dai più profondi
fondamenti della vita spirituale e culturale. E se anche già oggi
vi è un piccolo numero di uomini che hanno prestato attenzione
a come tutti i segni parlino del fatto che senza quest'opera di

41
cambiamento radicale ci si debba spingere sempre più
rovinosamente in fondo alla brutta china, tuttavia anche tra
questi pochi uomini si trova ancora scarsa comprensione per
ciò che è necessario, a partire dall'aspirazione ad una nuova
metamorfosi dello spirito umano, per portare ad un
risanamento, ad una guarigione di quella malattia che si
estrinseca proprio nella brutta china imboccata dalla nostra vita
culturale.

Ci sono tre sintomi da cui può risaltare qualcosa di


estremamente importante per la comprensione del nostro tempo
e di ciò che in esso è necessario. Il primo lo vorrei chiamare: la
mancanza principale del nostro tempo. Da decenni nelle
conferenze sulla Scienza dello Spirito mi sono sforzato di
indicare quale sia questa principale mancanza, e anche di
mostrare alcune delle conseguenze che potranno scaturire da
questa mancanza fondamentale di una minima conoscenza e
comprensione della vita spirituale per la stessa evoluzione
dell'umanità del presente e del prossimo futuro. Il secondo
sintomo che parla forte e chiaro nei fatti del presente lo vorrei
chiamare: l'esigenza principale del nostro tempo. E questa
esigenza principale risuona da più di un secolo nel profondo di
molti cuori, da quando Schiller[1] nel suo “Don Carlos” fece
pronunciare le parole : “Date libertà di pensiero!” Chi scruta
più profondamente nella vita sociale e spirituale del nostro
tempo, potrà scoprire come dietro a molto di ciò che oggi viene
formulato coscientemente dalla gente come questa o quella
rivendicazione sociale si nasconda in realtà l'esigenza di una

42
libera attività del più intimo essere dell'uomo, del pensiero
umano. Molti uomini sperimentano rassegnati la loro vita di
pensiero come una costrizione che deriva da vecchie
consolidate abitudini, o anche dalle nuove condizioni
economiche. Si trovano inibiti nella libera manifestazione del
loro pensiero dalle confessioni religiose vigenti, oppure dalla
costrizione derivante dalla vita economica. Ciò che realmente
vive nelle anime rimane in gran parte inconscio; ciò che però
affiora alla coscienza si esprime nel fatto di non poter essere
soddisfatti di qualcosa; nel fatto che c'è qualcosa che gli uomini
non ammettono di fronte a se stessi in maniera chiara e libera:
posso condurre un'esistenza degna di un essere umano. E così
nascono i programmi più svariati che contengono cose molto
belle, ma che non raggiungono il fondo dell'anima per scrutare
cosa lì realmente viva. Se si cerca ciò che lì vive questo è
quanto si trova: la nostalgia per la più libera attività della parte
più intima dell'essere umano, la nostalgia per ciò che si
potrebbe riassumere con l'espressione che risuona nella
presente esigenza di libertà di pensiero. E basta solo
pronunciare l'espressione “forze sociali” per sentire come con
ciò si faccia notare che le moderne condizioni spirituali,
giuridiche, politiche ed economiche abbiano portato ad un
periodo in cui le forze produttive della vita agiscono in maniera
complicata, e come noi non siamo in grado, a partire da ciò che
vogliamo conquistare spiritualmente, a partire da ciò che
vogliamo elaborare programmaticamente, di organizzare queste
forze sociali, nelle quali gli uomini sono intessuti, in modo tale
che all'interno di questa organizzazione il singolo uomo che è
giunto alla coscienza della sua umanità possa rispondere in

43
modo soddisfacente alla domanda: conduco io un'esistenza
degna dell'essere umano?

Posso presupporre che la maggior parte degli ascoltatori riuniti


qui oggi abbiano potuto nel corso di molti anni trarre dalle
conferenze e dagli scritti che descrivono ulteriormente il
contenuto di queste conferenze e che sono state da me
pubblicate, quale sia il senso interiore e quale sia lo spirito
della Scienza dello Spirito come qui è intesa. Questa Scienza
dello Spirito crede di doversi collocare nell'attuale vita
culturale a partire dalla necessità del tempo presente. Oggi mi
basterà solo accennare a qualche elemento principale, perché
posso rimandare alle numerose conferenze già tenute qui.
Innanzitutto vorrei fare accenno però ancora una volta in
maniera introduttiva a qualcosa che è stato già detto nelle più
diverse forme.

Quando si parla di Scienza dello Spirito il mondo esterno


spesso la associa con ogni forma possibile di mistica
ingarbugliata, di teosofia ingarbugliata e così via. Nonostante
questa Scienza dello Spirito faccia ciò che può per chiarire
quale sia il suo vero senso, tuttavia nelle più ampie cerchie di
persone se ne parla ancora oggi in modo tale da rappresentare
l'esatto contrario di ciò che questa Scienza dello Spirito in
realtà vuole essere. In prima linea i sostenitori di questa
Scienza dello Spirito sentono che da tre a quattro secoli a
questa parte è emerso all'interno dell'umanità un modo di

44
pensare che domina tutta la nostra vita e che ha trovato la sua
più importante espressione nel modo di rappresentare il mondo
delle più recenti scienze naturali. Prego di non fraintendermi su
questo punto. Non voglio risvegliare la convinzione che io
assuma che solo gli uomini che hanno percorso una
qualsivoglia formazione scientifico-naturalistica siano
impregnati di questo modo di pensare. Le cose non stanno così,
ma invece uomini appartenenti alle più ampie cerchie,
compresi quelli con cultura e formazione del tutto primitive,
che oggi vogliano avere una spiegazione sull'essere dell'uomo,
sull'essenza della vita sociale, sull'essere dell'universo, pensano
e si formano rappresentazioni secondo la direzione che è
venuta ad espressione soprattutto attraverso le scienze naturali.
E non c'è da meravigliarsi che sia così, perché tutta la vita che
ci circonda e nella quale siamo intessuti per tutto il giorno è in
fin dei conti un risultato di questo modo di pensare delle
scienze naturali.

Coloro che mi hanno ascoltato più spesso sanno che non


sottovaluto il modo di pensare delle scienze naturali, che
riconosco certamente i suoi grandi trionfi. Però il modo di
pensare delle scienze naturali ha raggiunto questi grandi trionfi,
ha potuto afferrare una parte della nostra vita pratica in maniera
tanto grandiosa perché nel corso degli ultimi tre o quattro
secoli è divenuto grandiosamente unilaterale. Tutto ciò che gli
uomini pensano in questa prospettiva si basa sulla conoscenza
della natura senza vita, di ciò che è fisico e chimico, che poi
passa nella tecnica, e in tutto ciò che sta alla basa delle nostre

45
consuetudini di vita, e che si traduce poi anche, per esempio,
nei nostri metodi di cura, quindi in quelle conoscenze che
devono essere di aiuto, sotto un certo aspetto, alla vita degli
uomini. Chi però riconosce senza pregiudizi quanto imponenti
siano i progressi del modo di rappresentarsi il mondo delle
scienze naturali in campi quali la biologia, la fisica e la
chimica, e chi sa apprezzare la portata di ciò che ha prodotto la
rigorosa metodica scientifica in questi campi, potrà allo stesso
tempo anche prendere pienamente in considerazione i limiti di
questo metodo scientifico-naturale di rappresentazione della
realtà. L'ho detto innumerevoli volte e desidero riassumerlo ora
in queste parole: chi si inoltra più profondamente in ciò che
oggi chiamiamo autentica scienza naturale troverà che questa
scienza dà delle spiegazioni eccellenti sulla natura inanimata e
su quegli aspetti del vivente che, vorrei dire, consistono di
inclusioni in questa natura inanimata. Ma c'è una cosa di fronte
alla quale dobbiamo fermarci proprio quando consideriamo i
limiti conoscitivi del modo scientifico-naturale di rappresentare
la realtà: dobbiamo fermarci di fronte il reale essere dell'uomo.
Non vi è alcuna possibilità, a meno di non volersi illudere, di
credere che queste concezioni che ci hanno condotto tanto
profondamente nella conoscenza di ciò che è inanimato, che ci
hanno “portato così meravigliosamente lontano” nelle nostre
realizzazioni tecniche, - che queste concezioni possano dare un
chiarimento sull'essere dell'uomo. Ad un chiarimento
sull'essere dell'uomo può arrivare solo chi non si aggrappa a
quella “fable convenue” che non è affatto storia, ma che viene
chiamata storia -, una tale conoscenza dell'uomo era qualcosa
di istintivo per l'uomo fino ad un'epoca che risale a circa tre-

46
quattro secoli fa. Fino ad allora nell'essere umano viveva una
certa conoscenza dell'essere dell'uomo che proveniva da un
originario istinto elementare dell'umanità. Solo che proprio
come il singolo essere umano percorre un'evoluzione, così
avviene anche per l'intera umanità. E l'umanità – per quanto ci
si possa illudere di poterla pensare diversamente - nella sua
evoluzione è giunta al punto in cui non può più formulare
giudizi sull'essere umano partendo dal solo istinto, è giunta al
punto in cui è necessario che l'uomo penetri coscientemente
nell'essere stesso dell'uomo, come dai tempi di Copernico e di
Galilei deve penetrare coscientemente nei fenomeni della
natura esteriore. Quando si giunge al punto cruciale in cui le
scienze naturali devono tacere di fronte all'introspezione nella
natura umana, non vi è altro da fare che rivolgersi a ciò che già
più volte ho chiamato la modestia intellettuale necessaria
all'uomo, che sola può fornire il fondamento per l'aspirazione
ad una reale evoluzione umana.

Chi non riesce a sviluppare questa modestia intellettuale a


partire da un vero senso della conoscenza non può pervenire ad
una reale conoscenza dell'essere umano. Si deve poter dire a se
stessi: osservo un bambino di cinque anni e gli do un volume di
poesie liriche di Goethe. Il bambino lo guarda e forse lo
strappa. Ha di fronte a sé tutto ciò che l'adulto, che ha percorso
un'evoluzione, ha pure di fronte a sé così da poter trovare ciò
che deve dirgli questo libro di poesie. Ma come si deve
ammette che prima il bambino si deve evolvere per trovarsi
nella giusta posizione di fronte a quello che ha davanti a sé,

47
così oggi si deve anche poter dire: per il modo in cui l'uomo
viene inserito nell'esistenza attraverso la natura, esso si trova di
fronte alla vita umana come un bambino di cinque anni di
fronte ad un libro di poesie di Goethe quando non ha la volontà
di condurre la sua evoluzione oltre a quelli che oggi vengono
ritenuti gli unici metodi possibili. Si deve prendere in mano la
propria evoluzione. Poi però si vede che in questa entità umana
vi sono forze occulte, sconosciute, che possono venire
risvegliate e che danno una conoscenza scientifica altrettanto
rigorosa, come la possono dare soltanto le scienze naturali, e
che però vanno oltre la conoscenza del mondo esteriore, del
mondo dei sensi, e conducono nel mondo sovrasensibile, e solo
una volta giunte lì conducono ad afferrare realmente l'essere
dell'uomo. Si deve poter confessare a se stessi: con le forze
abituali che sono sufficienti per la conoscenza della natura non
possiamo accostarci all'essere dell'uomo. Possiamo farlo
soltanto estraendo dalle profondità dell'anima umana forze
conoscitive che di solito dormono in noi, come le forze
razionali dormono nel bambino di cinque anni.

E così la Scienza dello Spirito qui intesa rappresenta la


concezione che è possibile, partendo da una condizione che è
sufficiente per conoscere la natura esteriore inanimata,
condurre l'uomo oltre, fino a punti di vista conoscitivi solo a
partire dai quali si può penetrare nell'essere dell'uomo. Questa
Scienza dello Spirito non vuole essere un ozioso rimuginare
nella mistica interiore, e non vuole neanche adoperare
qualsivoglia espediente esteriore per avanzare verso lo spirito,

48
ma vuole essere qualcosa che costruisce così rigorosamente su
ciò per cui l'uomo è davvero capace di evoluzione, come il
matematico si fonda sullo sviluppo di quelle facoltà che a loro
volta vengono attinte interamente dall'interiorità dell'uomo.
Questa Scienza dello Spirito vuole essere così rigorosamente
logica come qualsiasi altro ramo della scienza, ma vuole
applicare questa logica soltanto a quanto emerge come
contemplazione spirituale, quando ciò che dorme
nell'interiorità umana viene naturalmente risvegliato. Ho
accennato nel mio libro “Come si conseguono conoscenze dei
mondi superiori” che ci sono assolutamente metodi interiori,
animico-spirituali, attraverso i quali viene prodotta questa
evoluzione di forze interiori animico-spirituali nell'uomo , e di
come, attraverso ciò, in lui si schiudano, per dirla con le parole
di Goethe[2], un occhio spirituale, un orecchio animico, un
orecchio spirituale, affinché possa vedere e sentire lo spirituale,
l'animico, cose per le quali oggi in fin dei conti abbiamo solo
parole. In quel libro si richiama l'attenzione su quanto sia
importante coltivare ripetutamente un certo rafforzamento della
vita di pensiero. Lì ho indicato come sia necessaria una certa
autoeducazione, il prendere-in-mano la propria evoluzione,
anziché lasciarsi andare semplicemente allo scorrere della vita,
affinché sorgano l'occhio e l'orecchio spirituali.

La maggior parte dei contemporanei si comporta ancora in


maniera da respingere totalmente tutto ciò che provenga da una
direzione spirituale, e tuttavia basta solo mostrare come in
questo nostro tempo presente, nel quale le rivendicazioni

49
sociali spuntano ovunque come funghi, dominino gli impulsi
più antisociali. Da dove provengono questi impulsi?
Provengono dal fatto che gli uomini passano gli uni accanto
agli altri senza conoscersi veramente, e che non si
comprendono gli uni gli altri. E perché non si comprendono?
Perché ciò che chiamano conoscenza, ciò che chiamano sapere,
non afferra l'uomo intero, perché rimane nella testa e si limita
al solo intelletto. La peculiarità della Scienza dello Spirito qui
intesa sta appunto nel fatto che le conoscenze che fornisce
attraverso lo sviluppo di determinate forze interiori, afferrano
tutto l'uomo, non parlano solo all'intelletto, non solo alla testa,
ma impregnano sentimento e volontà, e riversano nel sentire
comprensione umana, comprensione per tutto ciò che vive e
intesse accanto e al di fuori di noi, fanno pulsare nel volere
etica, moralità, e un senso sociale che agisce al contempo nella
vita strettamente pratica.

Questa Scienza dello Spirito non conosce quella sventurata


divisione di cui si parla al giorno d'oggi in ogni ambito della
vita, la divisione in lavoro intellettuale e lavoro manuale. Che
cosa è alla fine il nostro lavoro manuale? Non è null'altro che
l'uso di un nostro strumento corporeo al servizio della nostra
volontà. Se però, come ho spesso detto, abbiamo chiaro il fatto
che questa volontà pulsa come un qualcosa di spirituale in tutto
ciò che facciamo come esseri umani nella nostra interezza, e si
riflette a sua volta sull'intelligenza del nostro capo – solo se
consideriamo davvero l'uomo intero capiremo il più profondo
impulso di questa Scienza dello Spirito.

50
Scusatemi se in quest'occasione cito qualcosa di personale. Ma
ciò che è personale in questo caso è proprio di aiuto per poter
chiarificare qualcosa di oggettivo. Alla Scienza dello Spirito, di
cui qui si parla, eretto sulla collina di Dornach, situata nel
nord-ovest della Svizzera, in un tratto della catena dello Jura,
deve servire il Goetheanum, che è pensato come un'università
per la Scienza dello Spirito. Quando ci si accinse a fondare
questa università per la Scienza dello Spirito e a dedicarle un
edificio esteriore non si poté certo andare da un qualsiasi
architetto che avrebbe costruito, sulla base di antiche
concezioni architettoniche o artistiche, un edificio in cui poi si
entrasse per coltivare questa Scienza dello Spirito. No, si
dovette ricorrere ad un altro tipo di architettura. Sin dall'inizio
questa Scienza dello Spirito è stata pensata come qualcosa di
così fecondo da poter incidere su tutta la vita culturale
esteriore, da poter fecondare davvero a nuovo ciò che è
divenuto vecchio nella nostra arte, nella nostra architettura,
nella nostra vita e nel nostro lavoro. E allora non si poteva
assegnare semplicemente a qualcuno il compito: costruiscimi
un edificio in stile greco, romano, gotico o altro. Al contrario,
da questa Scienza dello Spirito, come era accaduto per altri
ambiti della vita, con impulsi in altri campi della vita,
provennero anche i giusti pensieri architettonici[3] che
indicarono come quell'edificio doveva essere costruito fino nel
dettaglio di ogni linea, di ogni singola forma. E così è stata
intrapresa la costruzione dell'edificio in modo tale che in effetti
sarà in ogni singola forma, anche nella più piccola, la

51
cristallizzazione esteriore di ciò che sta alla base di questa
Scienza dello Spirito come modo di rappresentare la realtà e
come modo di sentirla.

E così posso dire forse le seguenti cose personali: fu tra


l'autunno del 1913 e l'inverno del 1914 che io stesso feci un
modello di questo edificio, l'edificio intero ma in piccolo. Ora
io domando: dal momento che ho costruito il modello sulla
base del quale sono stati poi fatti persino i disegni
architettonici, ciò che ho prodotto sotto forma di lavoro
manuale era lavoro manuale o lavoro di testa? Era qualcosa in
cui confluivano entrambi e che operava come un'unità. Lo so
perché l'ho fatto proprio io. E poi ancora, non vi è quasi un
punto di questo edificio al quale io, come ogni singolo
lavoratore, non abbia messo mano qua e là. E se a qualcuno
interessasse saperlo, vi dirò che stiamo lavorando, come
motivo da porre al centro dell'edificio, alla scultura di un
gruppo ligneo alto nove metri e mezzo che deve rappresentare
l'enigma umano del nostro tempo, ma in figura artistica. Si
trattava di produrre una scultura in legno. Sebbene il lavoro sia
artistico, è comunque, se mi permettete l'espressione, come
spaccare legna, e potrei anche mostrarvi le vesciche sulle mie
mani a riprova del fatto che qui il lavoro spirituale si traduce
direttamente in lavoro manuale dalla mattina alla sera.

Poco tempo fa dovevamo prendere una decisione su una certa


questione finanziaria; dovevamo far fare le sedie. Ci facemmo

52
fare un preventivo sui costi. Il prezzo era enorme. A quel punto
facemmo noi stessi nel nostro atelier artistico un modello di
sedia collaborando con un artigiano straordinariamente capace.
Quando il modello fu pronto – la sedia ora costerà solo due
quinti di quel che sarebbe costata sulla base del precedente
preventivo -, non si poteva dire, anche in questo caso, dove
finisse il lavoro spirituale e dove iniziasse quello manuale.

Si può addirittura dire: per il modo in cui qui si lavora insieme


in sociale convivenza con coloro che lavorano al progetto, che
in parte sono amici del nostro movimento, e in parte semplici
operai, c'è in realtà solo un ostacolo senza il quale si
mostrerebbe che ovunque il lavoro spirituale confluisce nel
lavoro manuale. Per esempio abbiamo una signora che è
diplomata come infermiera e che dalla mattina alla sera affila i
coltelli per il nostro lavoro di scultura. E allora possiamo
chiedere: che cosa impedisce a noi, etichettati in modo
sprezzante come lavoratori spirituali, di far fluire in ciò che
facciamo in ciò che fanno gli operai con piena soddisfazione di
entrambe le parti, e con un grado di collaborazione sociale il
più soddisfacente possibile? Io capisco certamente tutti i
fenomeni sociali che sono emersi in questi anni; tuttavia, se
devo parlare del singolo ostacolo che rende impossibile che
lavoro manuale e lavoro spirituale confluiscano insieme nel
lavoro dell'operaio, allora lo devo identificare
nell'organizzazione stessa degli operai che vede con sfiducia
tutto ciò che viene da coloro che lavorano con lo spirito,
quando fanno invece la stessa cosa.

53
Da dove proviene il fatto che oggi, in fin dei conti, vi sia un
profondo abisso fra ciò che si trova nella nostra arte, nella
nostra scienza, in breve nella nostra vita spirituale, e anche
nella direzione spirituale della nostra vita sociale, e ciò che si
trova nel lavoro esteriore, di cui si occupa oggi principalmente
il movimento proletario? Questo abisso si è creato per il fatto
che dal nostro modo di pensare è scivolato via ciò che concerne
l'uomo intero. Un risanamento di ciò si trova solo nella Scienza
dello Spirito, non in una mistica o in una teosofia
unilateralmente ingarbugliate, che gente oziosa desideri
coltivare nel chiuso della propria cameretta senza che sia
presente una forza dirompente. L'elemento risanante in questa
Scienza dello Spirito risiede nel fatto che attraverso essa ci si
rivolge all'uomo intero. E ho detto questo proprio ora per
allacciarvi la seguente osservazione: so che le conoscenze che
rappresento in piena responsabilità di fronte al mondo non mi
sarebbero giunte se avessi lavorato solo con la testa, se non
avessi anche dovuto fare per tutta la mia vita qualcosa che
comunemente viene chiamato lavoro manuale; perché questa
cosa ha proprio un certo effetto sull'uomo. Ciò che è solamente
il cosiddetto lavoro di testa, ciò che ricorre solo all'intelletto
non basta per pervenire allo spirito. E vorrei citare qui qualcosa
che oggi apparirà del tutto paradossale a molti uomini. Oggi si
dice: fuori, nella vita pratica c'è il lavoro manuale, la prassi;
dentro, a partire dall'intelletto, c'è il lavoro spirituale. Eh no! Le
cose non stanno affatto come queste parole vorrebbero far
credere! Abbiamo la separazione fra l'esteriore prassi di vita e

54
la cosiddetta vita spirituale perché da entrambe lo spirito si è
ritirato, perché oggi ci troviamo incastrati nell'ingranaggio
della tecnica, perché il lavoratore si trova a lavorare con una
macchina e a dover compiere solo delle operazioni meccaniche
guidato dall'intelletto, e perché dall'altra parte coloro che
vengono educati ad una vita intellettuale vengono impiegati
troppo poco nei lavori veramente pratici. Così come la nostra
prassi è priva di spirito, altrettanto priva di spirito è la nostra
vita spirituale intellettualistica. Solo quando dall'intera attività
dell'uomo nel mondo fluisce di nuovo anche verso il nostro
capo, anche al nostro pensare, ciò che da questo essere umano
intero può provenire in armonica interazione con tutto ciò che
fa parte dell'uomo, solo se non ci limitiamo soltanto a pensare
con il capo, bensì pensiamo come si pensa quando si è formato
qualcosa con la mano e si è percepito come ciò irradi di
rimando nel capo, solo allora il pensiero verrà ricolmato così
pienamente di realtà che in esso vi sarà spirito. Ciò che è solo
pensato è altrettanto privo di spirito quanto è privo di spirito
ciò che viene prodotto con una macchina.

La scienza dello spirito qui intesa non deve condurre ad una


mistica estranea alla vita. Deve germogliare da un suo pieno
inserirsi nella vita e deve essere più densa di realtà rispetto a
quanto oggi di solito si intende quando si parla di vita
spirituale. O forse ciò che oggi si intende per vita spirituale è
veramente denso di realtà? Non vediamo come la scienza sia
impotente nel giungere ad afferrare lo spirito? Gli uomini che
oggi si trovano inseriti nella cultura del tempo presente

55
credono di coltivare una scienza naturale libera da pregiudizi.
Ma questa scienza naturale libera da pregiudizi da dove si è
originata in realtà? Dal fatto che per lunghi secoli tutto ciò che
gli uomini anelavano a sapere su anima e spirito, su ciò che va
oltre oltre nascita e morte, riguardo a tutto questo gli uomini
dipendevano – attraverso le relazioni sociali - da ciò che era
monopolio delle singole confessioni religiose. Quando emerse
lo spirito delle nuove scienze naturali quale era in realtà la
situazione a livello di vita sociale? Tutto ciò che l'uomo poteva
sapere su anima e spirito veniva monopolizzato nei dogmi delle
confessioni religiose. Non si aveva il permesso di pensare
autonomamente su anima e spirito, lo si poteva fare solo sul
mondo esteriore dei sensi. E gli uomini che hanno praticato le
scienze naturali si sono adattati a questo schema. Si sono
abituati a pensare e a ricercare solo sul mondo esteriore dei
sensi, perché per secoli fu proibito ricercare autonomamente su
anima e spirito. Hanno tradotto la cosa in determinate
rappresentazioni, hanno praticato solo una scienza esteriore
basata sui sensi. La cosa si è poi trasformata, per effetto di un
grandioso autoinganno, nella convinzione che la scienza esatta
possa dire qualcosa solo sull'esteriore mondo dei sensi, e che la
ricerca su anima e spirito si trovi al di là dei confini della
conoscenza. Questa convinzione è radicata anche nella vita
animica dell'uomo moderno e compenetra tutta la vita. Con una
tale concezione si possono acquisire pensieri fecondi sulla
natura, ma non appena ci si voglia spingere ad indagare la vita
sociale questo modo di pensare non basta più. Per fondare una
reale scienza popolare, una reale scienza sociale che possa
davvero afferrare la vita, è necessario che ci compenetriamo di

56
una concezione che abbracci l'uomo intero. E questa
concezione ci manca, perché le influenze che ho appena
caratterizzato ne impedirono lo sviluppo.

Fu così che si giunse a dire a se stessi: spirito e anima sono


qualcosa che è stato definito da dogmi per secoli. Su di essi
non si può fare ricerca; è qualcosa che solo per volontà degli
uomini si muove come fumo e nebbia sulla vita reale e lì si
formano come cosa reale niente altro che le stesse forze
economiche. Nacque allora l'incapacità di credere al fatto che
lo spirituale domina in ciò che sono le esteriori forze
economiche. E da questa incredulità si originò ciò che ha preso
posto fatalmente nelle teste e nei cuori degli uomini. Nacque la
credenza che la vita spirituale si potesse sviluppare da sé, a
partire dalle forze economiche, se solo queste vengono
organizzate in un certo modo. Non è presente nessuna visione
riguardo al fatto che tutto ciò che è nato a livello economico in
origine è il risultato della vita spirituale, che però la nostra vita
spirituale si è alienata dal mondo, che vi è un abisso fra essa e
la vita esteriore, e che per un risanamento della nostra vita
abbiamo bisogno davvero di una reale Scienza dello Spirito che
penetri nell'essere dell'uomo, che arrivi a conoscere
profondamente l'uomo proprio come le scienze esteriori
studiano la macchina, che però deve venire costruita sulla base
delle forze evolute della natura umana. In breve, la cognizione
che la Scienza dello Spirito debba essere il fondamento per una
conoscenza e una gestione ottimale della vita sociale è stata
resa straordinariamente più complicata. Ciò di cui è convinto il

57
portatore della Scienza dello Spirito è che l'intelletto umano
non abbia abbastanza forza d'urto, anche laddove esso si
esprima nell'attuale vita sociale, per immergersi nella vita reale
e che quest'ultima debba pervenire sempre più nel caos se non
verranno vivificati gli impulsi che si spingono fin dentro al
sentire e al volere, che possono porre gli esseri umani in
relazione tra loro in modo tale che le forze sociali possano
venire organizzate. Prendete quello che volete dei metodi delle
scienze naturali, di quelle esatte scienze naturali che nel nostro
tempo hanno raggiunto il culmine, con esse non potrete fondare
nessuna scienza sociale. Nei confronti delle scienze sociali le
rappresentazioni che si conseguono senza la Scienza dello
Spirito si comportano come si comporta un colore che si vuole
stendere su di una superficie oleata. Come la superficie oleata
respinge il colore, così la vita respinge ciò che domina tra noi
come mera scienza intellettuale.

E così la vita esteriore implora quel tipo di conoscenza


approfondita che viene fornita proprio dalla Scienza dello
Spirito. Dovrà essere la Scienza dello spirito a fornire i
fondamenti per ciò che gli uomini oggi inconsciamente
esprimono nelle loro rivendicazioni sociali, che non possono
formulare chiaramente perché non è presente la necessaria
forza di pensiero. Perciò è necessario concepire questa Scienza
dello Spirito non come qualcosa a cui ci si potrebbe dedicare
accanto ad altre cose con un paio di pensieri, bensì come
qualcosa che appartiene alle condizioni più imprescindibili per
il risanamento della nostra vita. Certamente – poiché non credo

58
proprio di mancare di senso pratico -, so bene che la gente dice:
abbiamo il nostro lavoro, non possiamo dedicarci a questa
Scienza dello Spirito che è comunque così ampia e articolata.
Ma non dovrebbe farsi strada nei cuori e nelle anime degli
uomini anche l'altro pensiero: l'attuale china rovinosa sulla
quale ci troviamo non ci indica forse – per quanto intensamente
possiamo essere impegnati nel nostro lavoro -, che stiamo
collaborando a creare la via che conduce nel caos? E dunque
non dovremmo forse ritenere necessario dedicare ogni ora che
ci avanza a coltivare delle concezioni che finalmente affrontino
in maniera veramente radicale la questione del risanamento?

E ciò che qui si intende per Scienza dello Spirito è intimamente


connesso con quel grido che risuona nel nostro tempo e che
però, come ho esposto fin'ora, risale a molto oltre un secolo fa,
e che vorrei descrivere come la rivendicazione della libertà di
pensiero. Questo grido è però soprattutto una richiesta di libertà
sociale. E' strano che se si cerca di osservare cosa venga a galla
nel nostro presente dal moto delle onde delle cosiddette
esigenze sociali, ci si imbatta sempre puntualmente nella
necessità di riconoscere come stiano in realtà le cose rispetto
alla libertà umana, rispetto a quell'impulso che si esprime
nell'una o nell'altra forma come impulso della libertà umana. Al
fatto che qui si tocchi un punto importante è giunto persino
quell'uomo che considero una delle persone più disgraziate tra i
cosiddetti uomini illustri del nostro tempo che hanno avuto
un'influenza sullo stato delle cose: Woodrow Wilson[4].
Siccome non ho mai parlato di Woodrow Wilson, anche in

59
paesi esteri neutrali durante la guerra, in maniera diversa da
come faccio ora, mentre invece lui dappertutto veniva adorato,
posso continuare a parlare di lui come ho sempre fatto. Nel suo
scritto “La nuova libertà”[5] si trovano parecchi punti in cui
egli indica come un risanamento della situazione sociale – e si
riferisce soprattutto a quella americana - si possa ottenere solo
se si tiene davvero conto dell'aspirazione umana alla libertà.
Ma che cos'è per Woodrow Wilson la libertà umana?

Ad un certo punto si arriva ad un capitolo molto, molto


interessante riguardo al pensare umano attuale – perché in
fondo questo Woodrow Wilson è proprio una specie di
pensatore rappresentativo - , e allora trovate nel suo scritto
sulla libertà la seguente concezione: ci si può formare il
concetto di libertà osservando come è fissata una ruota dentata
su una macchina. Se è fissata in modo tale che l'apparecchio
meccanico si possa muovere senza impedimenti si dice che la
ruota dentata è libera. Se si osserva una nave, dice, la nave
deve essere costruita in modo tale che il suo ingranaggio si
inserisca nel moto ondoso in modo da non venirne ostacolato, e
che in un certo senso avanzi grazie alla forza delle onde, che si
adatti ad essa, che corra liberamente sulla forza delle onde.
Woodrow Wilson paragona quello che deve essere davvero
l'impulso della libertà umana con ciò che una ruota dentata è in
una macchina, con ciò che una nave è nelle onde del mare.
Dice: un uomo è libero solo se si muove all'incirca come una
ruota si muove liberamente in un ingranaggio, se si muove
liberamente nelle condizioni esteriori in modo tale da

60
continuare a muoversi in esse, in modo tale da inserirsi con le
sue forze in ciò che scorre all'esterno senza venirne ostacolato.

Penso allora che sia molto interessante che dall'attuale modo di


rappresentare e di sentire la realtà delle scienze naturali possa
spuntare questa strana concezione della libertà umana. Perché
non è forse il contrario della libertà quando ci si adatti alle
condizioni date a tal punto da poter procedere solo all'interno di
queste? La libertà non richiede forse che, se è necessario, ci si
possa opporre alle condizioni esteriori? Non si dovrebbe forse
paragonare ciò che vive come libertà con un comportamento
tale per cui, in caso di necessità, si potesse volgere la nave
contro le onde e farla arrestare?

Da dove proviene questa concezione così strana dalla quale


non potrà mai nascere un sano giudizio da statista, bensì al
massimo potranno scaturire i 14 punti astratti delle
comunicazioni wilsoniane che purtroppo anche qui in patria,
almeno per un certo periodo, in parte furono oggetto di
ammirazione? Da ciò deriva il fatto che nel nostro tempo non si
riconosce come si debba ritornare allo stesso pensiero umano, a
quel pensiero che viene concepito come idea e che, quando si
parla davvero di libertà, può fornire l'unico vero libero impulso
per la vita umana. Questo è quanto più di trent'anni fa tentai di
rappresentare nella mia “Filosofia della libertà”, di cui poco
tempo fa è apparsa una nuova edizione con relative
integrazioni. Ad ogni modo lì tentai di intendere questo

61
impulso alla libertà in modo diverso da come attualmente
avviene. Tentai di mostrare il modo sbagliato in cui ci si è
interrogati riguardo alla libertà umana. Ci si domanda: l'uomo è
o non è libero? E' l'uomo un essere libero che può prendere
decisioni con vera responsabilità a partire dalla propria anima,
oppure è inserito come un essere della natura in una necessità
naturale o spirituale? Ci si è posti tali domande, vorrei dire, per
millenni, e ci si interroga ancora così. Ma già porre la domanda
in questo modo è un grande errore.

Non si può porre la domanda in questo modo, perché la


domanda riguardo alla libertà è una questione legata
all'evoluzione umana, ad un'evoluzione tale che l'uomo
sviluppi in sé nel corso della gioventù, o forse della sua vita più
avanzata, delle forze che semplicemente non possiede per
natura. Non ha alcun senso domandare: l'uomo è libero? Di
natura non lo è, ma può rendersi sempre più libero risvegliando
delle forze che sono assopite in lui e che la natura di per sé non
risveglia. L'uomo può diventare sempre più libero. Non si può
chiedere se l'uomo è libero o no, bensì soltanto: c'è per l'uomo
una via per raggiungere la libertà? E questa via c'è. Come ho
detto, trent'anni fa tentai di dimostrare che quando l'uomo si
avvicina allo sviluppare in sé una vita interiore in modo tale da
afferrare in puri pensieri gli impulsi morali per le sue azioni,
può porre realmente come base alle sue azioni impulsi di
pensiero e non solo emozioni istintive - pensieri che si
immergono nella realtà esteriore come chi ama si immerge
nell'essere amato. Allora l'uomo si avvicina alla sua libertà. La

62
libertà è dunque figlia del pensiero che viene afferrato nella
chiaroveggenza spirituale – non per costrizione esterna -, così
come è figlia del vero amore ricolmo di dedizione, dell'amore
verso l'oggetto dell'agire. A noi spetta sviluppare ulteriormente
nel presente ciò a cui aspirava la vita spirituale tedesca in
Schiller quando egli si contrapponeva a Kant e intuiva qualcosa
di un tale concetto di libertà. Ma a questo punto mi si rivelò
che si può solo parlare di ciò che sta alla base delle azioni
morali – che, seppure rimanga a livello inconscio nell'uomo,
comunque è presente -, e che questa cosa si deve chiamare
intuizione. E così parlai nella mia “Filosofia della libertà” di
una intuizione morale.

Ma con ciò fu anche dato il punto di partenza per tutto ciò che
in seguito tentai di compiere nel campo della Scienza dello
spirito. Non crediate che oggi io pensi a queste cose in modo
presuntuoso. So molto bene che questa “Filosofia della libertà”
che ho concepito più di trent'anni fa da giovane ha in una certa
misura tutte le malattie infantili di quella vita di pensiero che si
è preparata nel corso del diciannovesimo secolo. Ma so anche
che a partire da questa vita spirituale è germogliato ciò che può
condurre la vita di pensiero verso l'alto, verso ciò che è
realmente spirituale. Pertanto posso dire a me stesso: quando
l'uomo si eleva nell'intuizione morale verso gli impulsi morali e
rappresenta un essere davvero libero, allora è già, se posso
usare questa parola scomoda, “chiaroveggente” in relazione
alle sue intuizioni morali. In quello che va oltre tutto ciò che è
legato ai sensi si trovano gli impulsi di tutto ciò che è morale.

63
In fondo i precetti veramente morali sono risultati di
chiaroveggenza umana. Perciò vi è stata una via diretta che
portava da quella “Filosofia della libertà” a quella che oggi
intendo quale Scienza dello Spirito. La libertà germoglia
nell'uomo solo se l'uomo si evolve. Ma l'uomo si può evolvere
ulteriormente in modo tale da far sì che ciò che già sta alla base
della sua libertà gli permetta anche di diventare indipendente
da tutta la sfera sensibile e di elevarsi libero nei territori dello
spirito.

Pertanto la libertà dipende dall'evoluzione del pensiero umano.


La libertà è in fin dei conti sempre libertà di pensiero, e proprio
osservando gente rappresentativa come Woodrow Wilson
dobbiamo dire: proprio perché tali uomini non hanno mai
compreso che cos'è in realtà il pensiero sul vero spirito, come
esso debba radicarsi nello spirituale, se non deve essere
astratto, possono inventare definizioni così paradossali come
quella che Woodrow Wilson ha inventato per la libertà. In tali
cose scorgiamo l'insufficienza dell'attuale vita spirituale, il cui
difetto principale consiste nel non riconoscere l'essere
spirituale dell'uomo. Vediamo quale sia l'esigenza principale:
libertà di pensiero; e vediamo quale sia la necessità principale:
la gestione ottimale delle forze sociali, se questa vita si deve
sviluppare come fondamento per queste tre grandi esigenze nel
presente per il prossimo futuro. Pertanto ciò che è veramente
un impulso originario nell'uomo non è legato a ciò che
nell'uomo si può raggiungere attraverso il pensiero delle

64
scienze naturali, bensì a ciò che si può raggiungere soltanto
attraverso la contemplazione spirituale.

Sulla libertà si è così tanto dibattuto perché gli uomini


vorrebbero decidere su di essa senza calpestare il terreno su cui
si delinea la conoscenza dell'immortalità dell'anima umana. E
nessuno che non si disponga a riflettere senza pregiudizi sulla
conoscenza dell'immortalità dell'uomo e su ciò che è eterno
nell'uomo, è in grado di interessarsi all'essere della libertà
umana. Se non si cerca l'essere di questa libertà nel risplendere
di un pensiero che non è dato soltanto dalla natura, non si trova
questo essere della libertà. Ma solo quando lo si è trovato,
allora questo essere della libertà compenetrerà l'uomo e pulserà
in lui a tal punto da permettergli di diventare un essere
veramente sociale, perché lo porterà all'interno dell'ordine
sociale accanto agli altri uomini in modo tale che le forze
sociali potranno essere liberate dall'interno verso l'esterno, e
noi abbiamo bisogno di questa percezione delle forze sociali.

Ho prima accennato al fatto che a Dornach nel nostro edificio


ci troviamo ad impiegare uomini che hanno persino raggiunto
determinate vette della disciplina interiore, e che nonostante
questo da noi svolgono i lavori più umili e più sporchi, e in
questo non sono affatto inferiori a coloro che abitualmente
vengono chiamati appunto artigiani. Nel contesto sociale
l'edificio di Dornach si basa tuttavia su fondamenta che non
sono semplicemente le stesse di un'impresa dedita al profitto

65
materiale. Ma se approfondite ciò che ho illustrato nei miei
“Punti essenziali della questione sociale” e nelle conferenze
sulla tripartizione, troverete che esiste la possibilità di creare
per la vita nella sua totalità basi simili a quelle che sono state
create a Dornach nell'edificio che deve esistere come
rappresentante per il nostro movimento scientifico-spirituale.
Solo che è un peccato che questo edificio oggi non possa
venire visitato da molte persone, perché purtroppo abbiamo
fatto in modo che attraversare i confini del nostro paese sia
divenuta una cosa addirittura impossibile.

Perché, però, è possibile in una tale cerchia liberare comunque


le forze sociali in modo tale che si realizzi l'ideale del
movimento proletario - sebbene in maniera diversa da quella
sognata? Perché alla base di tutto ciò che qui viene fatto si
trova la concezione della vita – questo affrontare totalmente la
vita - che deriva dagli impulsi della Scienza dello Spirito,
perché anche ogni minimo particolare viene fatto a partire dalla
Scienza dello Spirito. Ciò che viene fatto in piccolo a partire
dalla Scienza dello Spirito può venire fatto anche nell'intera
vita sociale sulla base della concezione scientifico-spirituale
della vita. Ogni fabbrica, ogni banca, ogni impresa esteriore
può venire organizzata come sa fare solo colui che è in grado di
pensare riguardo alla vita pratica sulla base di una scienza che
si immerga tanto profondamente nell'essere umano da non
afferrare pensieri astratti e leggi di natura, bensì fatti viventi. A
tali fatti viventi si giunge soltanto se ci si immerge abbastanza
in profondità nell'essere dell'uomo attraverso i metodi indicati.

66
Non si cerca una mistica astratta bensì fatti della vita attraverso
i quali l'uomo si trova immerso nella realtà. E se si arriva a
conoscere l'uomo si trova allo stesso tempo attraverso la
Scienza dello Spirito ciò che può portare le forze sociali nella
corrispondente organizzazione, in modo tale che gli uomini che
vivono in questa organizzazione possano rispondere in maniera
soddisfacente alla domanda: la vita umana è degna dell'uomo?

Pertanto queste tre cose sono intimamente connesse: forze


sociali, libertà di pensiero e Scienza dello Spirito. La Scienza
dello Spirito è veramente il contrario di come spesso la si
rappresenta. Qualcosa da fannulloni, così si crede, un sogno di
gente oziosa. No, questa Scienza dello Spirito vuole essere
prassi di vita, proprio quella prassi di vita che più manca al
nostro tempo. Vuole immergersi nella vita, vuole dominare la
vita in scienza e prassi, perché vuole immergersi nella realtà
dell'uomo, non solo nella vita pensata dall'uomo. Ci sono oggi
dei benpensanti che dicono: la sola ragione, il solo intelletto
come si sono sviluppati negli ultimi secoli e fino ai giorni
nostri non sono più adatti al risanamento della nostra vita. Ma
se si domanda loro che cosa allora è adatto, danno risposte
generiche – una nuova fecondazione dell'anima attraverso lo
“spirito”. Quando si parla di vera Scienza dello Spirito la
rifiutano perché di essa hanno paura, oppure utilizzano le scuse
più strane. Così si trova sempre gente che dice: non è che
ognuno può diventare un ricercatore dello spirito. Certo non lo
può fare qualsiasi persona, lo ho ripetutamente sottolineato
anche in questa sede. In effetti si possono fare quei primi passi

67
nei mondi spirituali, nell'esistenza sovrasensibile nel modo che
ho descritto nel mio libro “Come si conseguono conoscenze dei
mondi superiori” e nella seconda parte della mia “Scienza
Occulta”; chiunque lo può fare in qualsiasi momento, ma
avanzare nella direzione di quelle questioni che trattano le
entità dei mondi sovrasensibili nel senso più profondo è
comunque legato a determinate esperienze per le quali non tutti
sono ancora idonei. Chi vuole scrutare nel mondo spirituale,
chi vuole diventare ricercatore spirituale nel senso più vero,
deve affrontare molte prove di superamento di se stesso. Basti
pensare che nel momento in cui si entra in un conoscere libero
dai sensi, in una conoscenza che non fa più uso del corpo fisico
materiale, nel momento in cui non è più presente il mondo
esteriore abituale, nel momento in cui si è in un mondo che ci
presenta ogni sorta di cose insolite, tutte le cose sulle quali ci
appoggiamo, la nostra sicurezza nell'esperienza esteriore,
l'intelletto abituale, devono lasciare il posto ad altre forze
stabilizzatrici interiori. Si è come sull'orlo di un abisso e ci si
deve tener saldi aggrappandosi al fulcro del proprio essere.
Molta gente ne ha una paura inconscia e subconscia che poi
riveste di logica nell'osteggiare la Scienza dello Spirito.
Sentirete argomentare con i più bei motivi, in realtà essi sono
solo paura di ciò che è sconosciuto.

Poi dovete anche pensare che, proprio per il modo in cui si è


costruiti in quanto uomini, non si è adatti al mondo spirituale,
ma si è adatti soltanto al mondo esteriore dei sensi. Si giunge
all'interno di un mondo completamente diverso, per il quale

68
non si è sviluppata nessuna abitudine di vita. Ciò provoca,
penetrandovi sempre più in profondità, delle esperienze
terribilmente dolorose che devono venire superate attraverso
una vera conoscenza spirituale. Poi, una volta superate queste,
seguono dal più profondo del nostro essere quelle conoscenze
che danno accesso a ciò che è eterno nella natura umana,
all'essenza spirituale che sta alla base del mondo. Non tutti
possono percorrere questo cammino fino in fondo, ma non ho
mai smesso di ripetere che non è necessario percorrere questa
via, ma che l'essenziale è comunque sviluppare un sano umano
discernimento. Perché questo sana capacità di comprensione
umana, se solo non viene deviata dai pregiudizi delle
osservazioni esteriori, può discernere se chi si presenta come
ricercatore spirituale per parlare a tutta prima di mondi
sconosciuti, ne parli in modo logico, o come uno spiritista o
chissà come. Se si possiede la logica si può giudicare se la
persona in questione parla logicamente, se parla in maniera tale
che dal suo stesso modo di parlare si evinca o meno se le
esperienze che racconta siano state fatte in salute spirituale.

Quando si obietta continuamente che, in realtà, di ciò che dice


la scienza esteriore ogni persona si può convincere, questo è
vero: basta solo che sappia usare i metodi di ricerca da
laboratorio ed è in grado di farlo. Altrettanto però si può dire:
ognuno può convincersi che è giusto ciò che è scritto nel mio
libro “Come si conseguono conoscenze dei mondi superiori” e
nell'altro mio libro “Teosofia”; dal tipo di persona che è il
ricercatore spirituale si può dedurre il valore interiore delle sue

69
conoscenze. Allora queste conoscenze avranno per la nostra
vita tanto valore quanto ne hanno per l'anima dello stesso
ricercatore spirituale. Dai fatti esteriori si valuta il ricercatore
nella scienza esteriore; dal modo in cui parla, da come vengono
espresse le conoscenze si valuta ciò che il ricercatore dello
spirito ha da dire. Egli può venire valutato per mezzo del sano
intelletto umano.

Pensate a quante forze sociali si libereranno quando vi saranno


sempre più uomini che si faranno testimoni delle forze
spirituali che si possono trovare solo nel mondo sovrasensibile,
e tanti altri che accoglieranno queste conoscenze, non potendo
loro stessi essere ricercatori spirituali – allo stesso modo in cui
non tutti possono essere chimici o fisici -, a partire dal loro
sano intelletto, dalla fiducia che si basa sulla sana ragione
umana. Che tipo di convivenza umana nasca da questa visone
dell'uomo è proprio uno dei punti più importanti per risvegliare
forze sociali di fiducia. Queste forze vengono costantemente
sepolte nel nostro tempo laddove vi sia qualcuno che, senza
prendere in mano la propria evoluzione, senza neppure essere
maturato, si permetta di giudicare su tutto e su tutti. E che
questa Scienza dello Spirito possa realmente fornire impulsi
pratici per la vita sociale lo abbiamo in fondo provato proprio
qui, fondando la scuola Waldorf di cui siamo debitori al nostro
caro signor Molt, una scuola la cui pedagogia deve venire
edificata sulla vera conoscenza. Vogliamo risolvere una
questione sociale nel modo giusto, perché vorremmo che in
ogni bambino crescesse un uomo che avesse quella forza

70
stabilizzatrice per la vita a venire, che le forze sociali venissero
dispiegate in maniera feconda a partire dall'uomo, non a partire
da un sapere apatico, insufficiente, come quello che spesso
domina il pensiero sociale della nostra epoca. Vorremmo
sviluppare un vero pensiero sociale, che si basi sulla fiducia
umana, su fondamenta sicure poste nell'anima umana. E se
vediamo in ogni bambino che è nella nostra scuola un uomo in
divenire, se tentiamo di aiutarlo ad evolversi attraverso
conoscenze che possano vivificare le basi della pedagogia,
vediamo qualcosa che è necessario, come vediamo qualcosa di
necessario in tutto ciò che tentiamo di estrapolare da questa
Scienza dello Spirito.

Naturalmente posso descrivere comunque soltanto a partire da


un paio di punti di vista questa Scienza dello Spirito come
un'esigenza necessaria dell'evoluzione presente e futura. Ed è
proprio da tali accenni unilaterali che si originano i suoi
oppositori, perché non si prende in considerazione la cosa per
intero. Ma ora, alla fine di questa mia conferenza, vorrei
ritornare all'inizio e mostrare quanta tristezza derivi dal
constatare quanti pochi siano coloro che si rendono conto della
brutta china sulla quale ci troviamo, e come non si cerchino
affatto le basi per poter edificare a nuovo la nostra vita
spirituale, morale, e in generale tutta la nostra vita culturale. Da
molte cose si deduce questo. In conclusione posso citare un
paio di esempi. Persino quegli uomini di cui si crede che siano
ben radicati nella vita esteriore, a quale concezione della vita
sono arrivati a partire dai fatti che ci circondano? Le parole che

71
lo statista austriaco Czernin[6] ha scritto nel suo libro più
recente meritano di essere prese a cuore, a prescindere da come
ci si ponga rispetto ad esse: “La guerra continua, anche se in
forma mutata. Credo che le generazioni future non
chiameranno affatto Guerra Mondiale il grande dramma che
domina il mondo da cinque anni, ma la chiameranno
rivoluzione mondiale, e sapranno che la Guerra Mondiale è
stata solo l'inizio di questa rivoluzione mondiale. Né la pace di
Versailles, né quella di Saint-Germain creeranno una pace
duratura. In questa pace si trova il germe disgregante della
morte. Le battaglie che scuotono l'Europa non accennano
ancora a diminuire. Come in un violento terremoto continua il
brontolio sotterraneo. La terra tornerà sempre a spaccarsi, ora
in un punto, ora in un altro, e scaglierà fuoco contro il cielo.
Eventi di una violenza elementare irromperanno continuamente
in modo devastante sui vari paesi finché sarà spazzato via tutto
ciò che ricorda la follia di questa guerra. Lentamente, con
sacrifici indicibili nascerà un mondo nuovo. Le generazioni
future guarderanno al nostro tempo come ad un lungo brutto
sogno. Ma anche alla notte più buia segue sempre il giorno.
Generazioni sono cadute nella fossa, uccise, affamate,
abbattute dalla malattia. Milioni sono morti nello sforzo di
annientare, distruggere, con odio e morte nel cuore. Ma
nasceranno altre generazioni e con loro uno spirito nuovo.
Costruiranno ciò che guerra e rivoluzione hanno distrutto. Ad
ogni inverno segue la primavera. Anche questa è una legge
eterna nel ciclo della vita, che alla morte segua la risurrezione.
Benedetti coloro che saranno chiamati come soldati del lavoro
a cooperare alla costruzione di un mondo nuovo.”

72
Ora, anche qui si parla di un nuovo spirito, ma io so che se si
parlasse a questo Czernin del nuovo spirito, indietreggerebbe
inorridito, lo considererebbe una fantasticheria. La gente parla
in astratto del nuovo spirito, sa che deve venire, ma se la dà a
gambe di fronte allo spirito concreto. Osservare la via concreta
di questo nuovo spirito è però una questione seria. Vi sono
molte persone, per esempio, che oggi attaccano la Scienza
dello Spirito sulla base del loro presunto Cristianesimo, e che
non vogliono affatto riconoscere come questa Scienza dello
Spirito fornisca le basi più vitali proprio per una rivivificazione
del Cristianesimo, come il Cristianesimo nel futuro vivrà
proprio per il fatto che la Scienza dello Spirito parlerà di nuovo
del Cristo vivente e dell'evento del Golgota come di fatti storici
a partire dalla ricerca scientifico-spirituale. Una gran parte dei
teologi si è spinta fino al punto da non parlare più del Cristo
come del vero senso della terra, bensì da ridurlo al “semplice
uomo di Nazareth”. L'essenza spirituale del cristianesimo verrà
fondata di nuovo attraverso la Scienza dello Spirito. Però a
coloro che oggi hanno paura sulla base della loro confessione
cristiana si dovrebbe dire: il Cristianesimo è stato posto su
fondamenta talmente salde che nei suoi riguardi non si ha nulla
da temere dalla Scienza dello Spirito, proprio come per esso
non può essere una minaccia la scoperta della pompa
pneumatica e di altre cose simili – e così anche la dottrina delle
ripetute vite terrene o del destino, nel modo in cui le porta la
Scienza dello Spirito. Il Cristianesimo è così forte che può
accogliere tutto ciò che viene dalla Scienza dello Spirito. Se

73
poi anche gli attuali portatori delle confessioni cristiane siano
così forti è un'altra questione, e anche una questione seria.

Dobbiamo pensare in una prospettiva mondiale, questo ci ha


inculcato appunto la cosiddetta Guerra Mondiale. Sulla nostra
Europa e sulla sua cultura molti uomini pensano proprio come
un diplomatico giapponese le cui parole vorrei citare. Questo
diplomatico giapponese, che è un uomo colto ha detto[7]: “Per
una serie di anni in Giappone abbiamo creduto che diritto e
giustizia esistessero davvero nel mondo cristiano
dell'Occidente. Ma da quanto è successo in questi ultimi anni
sappiamo che non è così! Gli insegnamenti e le dottrine
altisonanti delle nazioni cristiane non sono nient'altro che una
maschera arrogante per nascondere ingiustizia e avidità. Ora
sappiamo che quella cosa che viene chiamata giustizia
internazionale non esiste; sappiamo inoltre che la potenza
capitalista dell'Occidente non può venire limitata, tranne che da
una potenza ancora più grande. Il Giappone lo ha imparato, e
l'Asia intera lo sta per capire. Con ciò è spiegata la nostra
posizione sulla Cina: sappiamo che non ci possiamo fidare di
nessuna legge, che non possiamo contare su alcun trattamento
onorevole di qualsiasi faccenda da parte delle potenze
occidentali. Divideranno la Cina e la distruggeranno, poi
spingeranno il Giappone al vassallaggio, lo faranno senza
coscienza, senza pensarci, lo faranno senza indugio se noi in
Giappone non conserveremo la nostra sovranità, se noi non
aiuteremo anche la Cina a sostenersi e a svilupparsi. Perché
alla fine questo sfruttamento occidentale della Cina sarebbe la

74
rovina della stessa Cina, mentre la nostra politica sarà la
liberazione finale della Cina. In Cina e nei nostri territori del
Pacifico dobbiamo essere pienamente armati per poterci
difendere a sufficienza. Se volessimo fidarci di un'unione di
stati creata dagli anglosassoni, se volessimo credere ad una
giustizia che è presente in modo latente o addirittura che già
regna nella civiltà cristiana, questa sarebbe da parte nostra una
dimostrazione di debolezza spirituale, e anche la dimostrazione
che avremmo meritato il nostro destino di rovina nazionale, che
incomberebbe inesorabile da parte delle potenze occidentali”.

Ora, si è liberi di pensare quel che si vuole di tali parole, ma


così si pensa nel mondo, e abbiamo tutte le ragioni per
considerare questi pensieri come dei fatti. E' veramente una
cosa del tutto fuori posto quando, contro ciò che voglio
introdurre in modo serio per favorire una nuova direzione
spirituale, proprio da parte di coloro che in realtà dovrebbero
conoscere i presupposti di una vita spirituale – permettetemi di
caratterizzare qui la cosa – quando appunto proprio da questa
parte continuano a ripresentarsi le solite obiezioni trite e ritrite,
come per esempio quella secondo la quale ciò che dice il
ricercatore dello spirito non si può verificare. Di recente è
apparso un opuscolo di un signore che vive non molto lontano
da qui: “Rudolf Steiner come filosofo e teosofo”[8]. Vorrei
richiamare l'attenzione a partire anche solo da un singolo punto
di vista sullo spirito e sulla logica che caratterizzano il suo
scritto. Prendiamo questa bella frase: “Dovrò appunto
diventare, a seconda dei casi, storico, fisico, chimico per poter

75
verificare autonomamente le tesi affermate in quei campi, ma
le verità teosofiche non potrò verificarle se non sono
chiaroveggente.” Quindi lui sta dicendo che gli storici, i fisici e
i chimici affermano le loro varie verità, e se uno vuole
verificarle dovrà diventare storico, fisico o chimico. Io dico: se
si vogliono verificare le verità affermate dalla Scienza dello
Spirito si deve diventare scienziati dello spirito. Cosa dice
questo signore? “Dovrò appunto diventare, a seconda dei casi,
storico, fisico, chimico per poter verificare autonomamente le
tesi affermate in quei campi, ma le verità teosofiche non potrò
verificarle se non sono chiaroveggente.” Ovvio! E' chiaro che
non posso verificare i risultati della ricerca chimica se non
divento chimico! Però si può sempre scegliere di diventare un
chimico; ricercatore di Scienza dello Spirito, invece, non si
vuole diventarlo. E dunque si dice qualcosa di proprio strano:
devo poter dimostrare, ma poter dimostrare senza entrare in
qualche modo nello specifico dei metodi di verifica. Per questo
signore la questione è, come dice lui stesso, e come sentirete
subito, non se si possa decidere, una volta fatti propri i motivi
per la decisione, ma invece: “La questione è se queste verità
siano state da me verificate o se possano venire verificate, e, a
prescindere dalla formale critica logica, io lo devo negare.” Ora
che egli debba negare questo, glielo concedo volentieri. Ma
come ammetto che uno deve diventare chimico per poter
dimostrare i risultati della ricerca chimica, così chiunque voglia
verificare le verità della Scienza dello Spirito dovrà porsi sulla
via della ricerca spirituale. Ma quel signore rifiuta ciò. L'intero
suo scritto è improntato a questa logica. E da questa logica è
prodotto molto di ciò che si scaglia contro la Scienza dello

76
Spirito travisandola. E allora si ha veramente di meglio da fare
che preoccuparsi di simili obiezioni.

Sarebbe invece particolarmente opportuno che questo popolo


tedesco, questo popolo tedesco così tanto provato, pensasse a
come deve porsi nei confronti dei veri fondamenti della vita
spirituale. Posso rimandare ad alcune frasi che nel 1858 ha
scritto Hermann Grimm[9], il brillante scrittore e storico
dell'arte, nel suo saggio su Schiller e Goethe. Più di
sessant'anni fa egli scrisse: “La vera storia della Germania è la
storia dei movimenti spirituali nel popolo tedesco. Solo
laddove l'entusiasmo per una grande idea ispirò la nazione, e
fece scorrere le forze di volontà irrigidite, accaddero dei fatti
grandi e luminosi.” Non dovremmo oggi poter prendere a cuore
tali parole? Oppure le altre parole che Hermann Grimm –
quindi non certo un rivoluzionario – ha scritto nel 1858: “I
nomi degli imperatori e dei re tedeschi ...non sono pietre
miliari per il progresso del popolo.” Intendeva che le pietre
miliari per il progresso del popolo sono i fatti nel campo del
pensiero, del pensiero che si inoltra nello spirituale. In
nessun'altra epoca come in quest'epoca di difficoltà e di dura
prova i tedeschi hanno avuto più necessità di attenersi a ciò. Ed
è per questo che oggi si possono esortare i contemporanei a
guardare ai nostri grandi antenati affinché possiamo divenire i
loro degni discendenti. Le professioni di fede nei confronti
della vita spirituale espresse dagli antenati del popolo tedesco
non devono valere oggi per il presente, e non dobbiamo
perfezionare questo anelito spirituale anziché limitarci a citarlo

77
con mere parole? Chi oggi si limita a citare Goethe, non lo
capisce; solo chi lo sviluppa ulteriormente in sé lo capisce. Chi
si limita a citare Johann Gottlieb Fichte[10] fa qualcosa senza
senso se non lo sviluppa ulteriormente nella sua vita spirituale.
Avete sentito come il mondo parla della vita spirituale europea.
Nel mondo si deve imparare a riconoscere che i tedeschi hanno
di nuovo la volontà di guardare a ciò che sono le autentiche
pietre miliari per il progresso del loro popolo. In questo mondo
si sono spesso chiamati i nostri antenati, i grandi portatori della
vita spirituale tedesca, dei sognatori. Li si è misconosciuti nello
stesso modo in cui oggi si rappresenta come fantasticheria o
cose simili ciò che parla dallo spirito. Ma ci sono sempre state
persone che sapevano come ciò a cui si tende nella ricerca dello
spirito si basasse sulla realtà. E in un momento importante
Johann Gottlieb Fichte disse al popolo: Quello che gli altri
dicono, che le idee non possono intervenire direttamente nella
vita pratica, lo sappiamo bene anche noi idealisti, e forse
meglio degli altri; ma che la vita debba venire orientata
secondo queste idee lo sappiamo da prima. - Allora si riferì alla
prassi di vita e disse: Coloro che non riconoscono ciò,
appartengono a quelli di cui non si tiene conto nel piano di
evoluzione del mondo. Possano dunque venir concessi loro a
tempo debito sole, pioggia e una buona digestione e, se è
possibile, anche qualche buon pensiero.

Tutto dipende dallo spirito con il quale si alza lo sguardo


all'atteggiamento spirituale dei grandi portatori della vita
spirituale tedesca. Su questo deciderà la realtà, non il giudizio

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astratto. Se i posteri di questi antenati tedeschi avranno un
senso per la reale prassi spirituale, allora gli uomini che ci
hanno preceduti in questa prassi spirituale non saranno stati dei
sognatori. Se però perdiamo l'opportunità di penetrare nelle
realtà della prassi spirituale, allora sì che essi diventeranno dei
sognatori, ma non a causa loro, bensì a causa nostra o a causa
dei nostri posteri che non vorranno sapere nulla del vero spirito
tedesco. Il popolo tedesco si guardi bene dal far sì che i propri
grandi antenati, di cui il mondo così spesso ha parlato come di
meri sognatori, diventino veramente dei sognatori a causa della
colpa che scaturisce dal non avere alcun senso per lo spirito
che è stato invocato ed evocato nella vita spirituale tedesca!
Possa questo spirito avere dei successori! Questa è l'ultima
cosa che vorrei dirvi sulla base delle mie considerazioni
odierne.

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Note:

[1] Nel suo “Don Carlos”: terzo atto, terzo capitolo.

[2] Goethe parla in diversi contesti di occhi spirituali ed


orecchi spirituali, per esempio in “Poesia e verità”, parte terza,
undicesimo libro: “In effetti non con gli occhi del corpo bensì
con quelli dello spirito vedo venire incontro a me la stessa via
verso i cavalli”. Più tardi fra gli scritti di scienze naturali, sulla
zoologia: “Impariamo a vedere con gli occhi dello spirito senza
i quali andiamo in giro tastando alla cieca ovunque, e in
particolare anche nelle scienze naturali.” Faust II, primo atto,
4667 e seguenti:

All'udito dello spirito è già nato

sonoro il giorno nuovo

[3] Vedi “Verso un nuovo stile architettonico” di Rudolf


Steiner, O.O. 286; “Il pensiero architettonico del Goetheanum”,
conferenza con proiezione di 104 diapositive, Stoccarda 1958.

[4] Vedi note ai capitoli precedenti.

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[5] "La nuova libertà", 1913

[6] 1872-1932, ministro degli esteri austriaco nel 1916-1918.


“Im Weltkrieg”, seconda edizione, Berlino e Vienna 1919, pag.
372 e seguenti.

[7] Non si è trovato ancora nessun documento.

[8] Friedrich Traub, “Rudolf Steiner come filosofo e teosofo”,


Tubinga 1919, pag. 34..

[9] Vedi Hermann Grimm, “Fuenfzehn Essays. Erste Folge”,


Berlino 1884, pag 166.

[10] Testualmente: “Che gli ideali nel mondo reale non si


facciano rappresentare noi lo sappiamo tanto bene quanto voi,
forse meglio. Soltanto affermiamo che secondo questi la realtà
giudica e da coloro che ne sentono in sé la forza deve venire
modificata. Certo, potreste anche non convincervi di ciò, ma
contemporaneamente perdereste molto poco poiché siete quello
che siete; e contemporaneamente l'umanità non ne perderebbe
nulla. Da ciò risulta solo chiaro che non si può far conto su di
voi nel piano di nobilitazione dell'umanità. Quest'ultima
continuerà senza dubbio la sua strada; su quella la natura

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benevola voglia regnare, e voglia loro concedere a tempo
debito sole e pioggia, nutrimento salutare, un ciclo indisturbato
di umori, e anche – pensieri intelligenti!” Da “Vorbericht” in
“Einige Vorlesungen über die Bestimmung der Gelehrten”,
1794.

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