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STORIA
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1 Il riferimento è alle teorie dei russi E.M. Verešcagin e V.G. Kostomarov e a quel-
le dell’americano E.D. Hirsch; vd. Lotman Ju.M., “I due modelli della comunicazione
nel sistema della cultura”, in Lotman Ju.M. – Uspenskij B.A., Tipologia della cultura, a
cura di Faccani R. – Marzaduri M., Milano 2001, pp. 111-113.
buona parte costruito, anche perché a tale studio deve, come detto,
sottostare. In ampia prospettiva vi sono naturalmente inseriti tutti
quegli elementi (archeologici, storici, artistici, economici, politici,
sociali, religiosi e via dicendo) la cui interazione è stata determi-
nante nella formazione e nello sviluppo della cultura scandinava.
Diverse note sono state inserite nel testo con diversi scopi. Innan-
zi tutto note di carattere esplicativo, là dove si è ritenuto che fosse
opportuno un chiarimento; in secondo luogo note contenenti
informazioni aggiuntive importanti per ulteriori indagini ma che,
tuttavia, se inserite nel discorso principale, lo avrebbero senza
dubbio appesantito; in terzo luogo note di rimando ad altri punti
del testo in cui si fa riferimento (magari da una diversa prospettiva)
a un medesimo dato. Fatta eccezione per opere che trattano temi
in questo contesto molto specifici o, al contrario, solo marginali, le
indicazioni bibliografiche vengono date in forma sintetica riman-
dando ai titoli compresi nell’elenco che si trova in fondo al volume;
quando questi titoli sono presenti in una sezione bibliografica
diversa da quella relativa al paragrafo in questione la stessa è stata
indicata tra parentesi.
Ma anche a:
Svalbard
Monia Vezzoni, Viðar Hreinsson, Daniele Volta, Lena Wahlberg,
Gunnel Waxell, Pär-G. Werkelin, Henrik Williams, Anna Wolo-
darski, Bernd Zillich, Eva Zillich, Örn Hrafnkelsson. E anche a
tutto il personale delle Biblioteche universitarie Carolina Rediviva
e Karin Boye di Uppsala, a quello della sala Diamanten della Biblio-
teca Reale di Copenaghen, a quello della Biblioteca della Facoltà
di Giurisprudenza dell’Università di Bergen.
Longyearbyen
KALAALLIT NUNAAT / GRøNLAND
0050.premessa_intro.indd 7
ÍSLAND
SVERIGE
Reykjavík SUOMI
FØrOYar
Tórshavn NORGE
Helsinki
Oslo
Stockholm
Gotland
Öland
DANMARK København
bornholm
15/02/17 10.39
Nella pagina precedente: le regioni scandinave (fig. 1)
La preistoria
1
Al momento della sua massima estensione (circa 18.000 anni a.C.) il perimetro
del ghiaccio lasciava libere a meridione solo le coste sud-occidentali dello Jutland,
scendeva nel territorio dell’odierna Germania seguendo pressappoco l’attuale corso
dell’Elba fin sotto al livello di Berlino, risaliva passando a nord di Varsavia, percorre-
va la zona sopra l’alto corso del Dnepr e infine, a nord di Mosca, puntava decisamen-
te verso le coste prospicienti la penisola di Kola. Anche le attuali isole britanniche,
fatta eccezione per le zone meridionali dell’Irlanda e della Gran Bretagna, erano
completamente ricoperte dai ghiacci.
2
L’andamento climatico non fu tuttavia costante. Un deciso miglioramento è regi-
strato verso il 14.000 a.C., mentre attorno all’11.000 a.C. si produsse un peggioramen-
to tanto brusco quanto, tuttavia, di breve durata (circa 500 anni).
3
Ciò appare possibile, considerati i lunghi periodi interglaciali caratterizzati da
un clima mite che consentiva una ricca presenza di flora e di fauna. In tale senso pare
testimoniare il ritrovamento in Danimarca di tracce antichissime, forse attribuibili a
una presenza umana, che in alcuni casi (Hollerup a est di Randers, nello Jutland, dove
sono state rinvenute ossa di daino che erano state incise per estrarne il midollo: il
21
Dal nome di un sito che si trova nella zona occidentale della Selandia.
22
I siti di maggiore interesse – oltre naturalmente a quello di Kongemose – si tro-
vano a Villingebæk e Månedalen sempre in Selandia e, per la Svezia, a Segebro (cfr.
nota 11), Häljarp, Tågerup e Ageröd (cfr. nota 17), tutti nella regione della Scania.
23
Vd. a esempio l’ascia rinvenuta nella palude di Jordløse (Selandia) su cui è rap-
presentata una figura, forse di donna, e quella di Værebro (sempre in Selandia) sulla
quale sono incisi motivi geometrici.
24
Dal nome di un’isola nell’arcipelago di Kristiansund sulla costa norvegese (Møre
e Romsdal).
25
Nome dovuto ai primi ritrovamenti effettuati nel 1925 nella zona della montagna
detta Komsafjellet (regione di Alta, Finnmark). Sulle coste di questa regione non si
trova la selce (che altrove è materiale caratteristico con cui sono realizzati molti reper-
ti): qui venivano dunque utilizzati soprattutto quarzo e quarzite. La denominazione
‘cultura di Komsa’ è stata in seguito messa in discussione e attualmente diversi archeo-
logi preferiscono usare l’espressione più generica “età della pietra più antica” (eldre
steinalder); ciò soprattutto per il fatto che l’area su cui si estende questa cultura è
molto vasta, seppure essa presenti forti tratti di omogeneità.
essere annoverate quelle delle regioni norvegesi da Trøndelag verso nord che secondo
alcuni sarebbero da datare tra il 7900 e il 6500 a.C. (Lillehammer 1994 [B.2], p. 51).
39
Vd. Raudonikas W.J., Les gravures rupestres des bord du lac Onega et de la Mer
Blanche, I-II, Leningrad 1936-1938. Cfr. nota 32.
40
Folke Ström richiama a questo proposito taluni riti sami legati alla caccia all’orso
ancora ben documentati in epoca storica (Ström 1967 [B.7.1], p. 10). Del resto al
culto dell’orso si legano anche, verosimilmente, immagini incise sul pannello di
Bergbukten I (Jiepmaluokta, cfr. nota 33). Vd. Helskog K., “Björnejakt och ritualer
for 6200-3700 år siden”, in Ottar, CLVI (1985), pp. 7-11 e Helskog 1988. Vd. anche
pp. 1389-1390.
41
In genere si possono considerare offerte votive gli oggetti ritrovati in più di un
esemplare, in alcuni casi in gran quantità (quando non si tratti di materiale depositato
in attesa di essere riutilizzato), soprattutto se essi appaiono disposti in modo simboli-
co come, a esempio, cerchio, semicerchio o triangolo o, particolarmente per le asce o
i pugnali, con la parte offensiva rivolta in una determinata direzione.
42
Quali, a esempio, talune mazze a forma di croce con quattro punte, non di rado
geometricamente decorate, ritrovate in Norvegia (Lillehammer 1994 [B.2], p. 46).
43
Si vedano le tombe di Korsør Nor in Selandia, di Bäckaskog e Tågerup in Scania,
di Stora Bjers e Kambs, entrambe sull’isola di Gotland (Burenhult 1999-2000 [B.2],
I, p. 232). I morti sono seduti in posizione raccolta, quasi rannicchiata (hocker). A
Bäckaskog nella tomba di una donna erano stati deposti una fiocina e un coltello per
scuoiare. In Norvegia le tombe più antiche (risalenti al settimo millennio a.C.) sono
quelle di Bleivik (presso Haugesund) e di Vistehola nel distretto di Jæren, entrambe
dunque nella zona sud-occidentale.
44
La loro comparsa è forse da mettere in connessione con un aumento demografi-
co, collocato da S.J. Mithen (Mithen 1994, pp. 123-125) attorno al 4500 a.C. In
Burenhult 1999-2000 (B.2) I, pp. 230-241, la cronologia è retrodatata di almeno 750
anni. Qui inoltre (p. 240) si rilevano le ragioni fondamentali della comparsa dei cimi-
teri, segno innegabile di un legame con il territorio.
45
Vd. Albrethsen – Brinch Petersen 1975; Larsson L., Ett fångstsamhälle för 7.000
år sedan. Boplatser och gravar i Skateholm, Malmö 1988 e, del medesimo autore, “Grav
eller dödshus?”, in PA VI: 4 (1988), pp. 7-9. In un caso è utilizzato anche un dente
umano. Qui si può forse far riferimento alla tomba danese di Dyrholmen nello Jutland
orientale dove ossa umane incise e spezzate per estrarne il midollo costituiscono il
possibile indizio di una forma di cannibalismo; vd. Degerbøl M., “Et knoglemateria-
le fra Dyrholm-bopladsen, en ældre stenalder-køkkenmødding. Med særligt henblik
paa uroksens køns-dimorphisme og paa kannibalisme i Danmark”, in Mathiassen Th.
– Degerbøl M. et al., Dyrholmen, en stenalderboplads paa Djursland, København, 1942,
pp. 105-128 e Mithen 1994, pp. 123-125. Questa pratica pare testimoniata anche in
sepolture di epoca più tarda: nel tumulo che ricopriva la magnifica tomba di Håga
(regione svedese dell’Uppland) risalente alla fase iniziale dell’età del bronzo recente
(1100-900 a.C.) sono stati ritrovati resti di animali e di esseri umani, verosimilmente
sacrificati e, presumibilmente, consumati in un banchetto in onore del defunto, per-
sona certamente assai eminente come mostra il ricco corredo funebre ritrovato; vd.
Almgren 1905 (vd. nota 171), p. 36 e pp. 44-45 in particolare. Cfr. p. 32 con nota 71.
46
Caso unico nel suo genere (almeno allo stato attuale dei reperti disponibili) è
quello di una donna dall’apparente età di circa cinquanta anni alla quale è riservato il
medesimo onore. Differenze nella disposizione dei corpi sottolineano del resto diffe-
renze sociali.
47
Il più antico è quello che va sotto la denominazione di Skateholm II: qui le prime
sepolture sono datate attorno al 5250 a.C.
48
Ma si veda anche la tomba di un cane a Gøngehusvej (Vedbæk, Selandia). La
presenza di cani nelle tombe si constaterà anche in epoca vichinga; essa testimonia
anche il legame di questo animale con il Regno dei morti, legame del resto simboleggiato
dal cane Garmr che, secondo il mito, fa la guardia davanti al cancello di Hel, custode
dell’aldilà (Chiesa Isnardi 20084 [B.7.1], pp. 570-571).
53
Questo tipo di ceramica prende nome dalla decorazione a strisce variamente
disposte.
54
La prima fase della diffusione dell’agricoltura nelle regioni scandinave copre
un lungo arco di tempo che va all’incirca dal 4000 al 2800 a.C. (Lillehammer 1994,
p. 59, cfr. Burenhult 1999-2000, I, p. 275 e Magnus – Myhre 1986, pp. 62-66, tutti
in B.2).
55
Le rilevazioni archeologiche hanno mostrato inequivocabilmente che attorno al
3000 a.C. la pratica agricola sembra scomparsa tanto dalle coste della Norvegia quan-
to da gran parte della Svezia meridionale (esclusa la zona sud-occidentale del Paese e
le isole di Öland e Gotland), dove invece risultava esercitata cinquecento anni prima.
Qui si evidenzia ora una società che basa il proprio sostentamento sulla caccia, la pesca
(sia di mare sia d’acqua dolce) e nell’ambito della quale si collocano i manufatti della
cosiddetta ‘ceramica a fossette’ (la cui decorazione è ottenuta producendo sui manu-
fatti piccole cavità; cfr. nota 72). La sola regione danese parrebbe esente da questo
regresso (vd. Lillehammer 1994 [B.2], p. 59).
56
In particolare alla Polonia meridionale, alla Boemia, al Mecklemburgo e ai Paesi
Bassi.
57
Tracce precedenti (almeno dell’uso della ruota) sono tuttavia riconoscibili in
Danimarca (vd. Jensen 2001-2004 [B.2], I, p. 318). I primi ritrovamenti di ruote in
Danimarca sono stati fatti a Kideris e Bjerregårde, entrambi presso Herning nello
Jutland centrale (III millennio a.C.). Sull’aratura preistorica vd. Glob 1951.
58
Con ciò si va a evidenziare un legame più stretto con un determinato territorio,
nelle cui risorse trova sostentamento un numero cospicuo di persone; vd. la discus-
sione (e i riferimenti) su questo punto in Burenhult 1999-2000 (B.2), I, p. 287. Qui
si fa notare come zone meno densamente popolate siano caratterizzate da un diver-
so tipo di sepoltura a livello del terreno, rappresentato in Danimarca (Jutland
occidentale e, in parte, centrale) dalle cosiddette stendyngegrave, vale a dire “sepol-
ture con un cumuli di pietre”. Va tuttavia notato che queste ultime non contengono
resti umani, il che può dipendere dalla natura chimica del terreno in cui si trovano,
ma più probabilmente dal loro uso temporaneo nel quadro di complessi rituali
funerari (cfr. sotto, nota 68); esse si collocano in un periodo un po’ più tardo rispet-
to alle tombe megalitiche (Brøndsted 1957-1960² [B.2], I, pp. 313-317; Jensen
2001-2004 [B.2], pp. 398-402).
59
Nel sito di Barkær nello Jutland orientale (e in quello, analogo, di Stengade, in
Langeland) i resti di costruzioni un tempo considerate di tipo abitativo si sono poi
rivelati appartenere a lunghe camere mortuarie (vd. Glob P.V., “De dødes lange huse”,
in Skalk, 1975: 6, pp. 10-14).
60
Si veda la tomba rinvenuta nella località di Skjeltorp nella regione di Østfold,
ricostruita – almeno in parte – nel 1944; vd. Østmo E., “Megalittgraven på Skjeltorp i
63
A esempio il sito di Sarup nella Fionia sud-occidentale; vd. Andersen N.H., “Sarup.
Befæstede neolitiske anlæg og deres baggrund”, in Kuml, 1980, pp. 63-103 e Jensen
2001-2004 (B.2), I, pp. 384-392. Si veda tuttavia anche il sito svedese di Dösjebro (vd.
Andersson M. – Svensson M., “Palissadkomplexet i Dösjebro”, in Burenhult 1999-2000
[B.2], I, pp. 306-309).
64
Mentre nelle società di cacciatori e raccoglitori un’equa suddivisione dei compi-
ti determina comunemente una sostanziale parità fra i sessi, l’organizzazione della
società contadina spinge la donna in una posizione d’inferiorità (vd. Reeves-Sanday
P., Female Power and Male Dominance. The Origins of Sexual Inequality, Cambridge
1981 e anche Price D.T. – Feinman G.M. [eds.], Foundations of social inequality, New
York 1995).
65
Vd. oltre, 1.3.3.
66
Basti pensare a quanto lo storico latino Tacito ancora scriveva nella sua Germania
(cap. 12), un’opera la cui composizione si situa nel 98 d.C. (vd. p. 71, nota 33; cfr. p. 182
con nota 318). Ancora nella letteratura scandinava medievale le paludi appaiono come
luoghi nei quali venivano eseguite condanne a morte mediante affogamento; un elemen-
to, questo, che rivela il collegamento dell’aspetto sacrificale con quello giuridico (per le
fonti letterarie scandinave medievali vd. Chiesa Isnardi 20084 [B.7.1], p. 490 e p. 497,
note 160 e 163). In generale il culto legato a particolari luoghi naturali (boschi, pietre,
fonti, paludi) doveva essere ancora vitale in epoca medievale, come si rileva da precisi
divieti in tal senso introdotti dalle leggi cristiane. Vd. a esempio nella Legge dell’Uppland
(Upplandslagen), sezione relativa alle leggi ecclesiastiche (Kyrkobalken) del 1350 circa,
il preciso divieto di “sacrificare agli dèi pagani e credere nei boschi e nelle pietre” (pp.
11-12: Ængin skal affguþum blotæ ok ængin a lundi ællr stenæ troæ). Il culto delle fonti
fu in gran parte assorbito in rituali cristiani e mancano divieti specifici (fatta eccezione
per le Leggi di Canuto il Grande, riferimento a p. 313 di tale testo); tuttavia è da ritenere
che tale senso avessero in ogni caso i divieti relativi alle pratiche pagane (vd. Arwidsson
G., “Källa”, in KHLNM X [1965], coll. 53-57).
67
Un valore particolare pare da attribuire alla falce. Sarà tuttavia certamente l’ascia
(che apparirà in seguito come simbolo del dio del tuono) a rivestire per secoli un
grande valore simbolico, seppure varino le forme con le quali essa viene rappresenta-
ta; vd. Ström 1967 (B.7.1), p. 14.
68
Testimonianza di riti legati al potere magico-religioso del defunto in relazione alla
sua stirpe e al suo territorio, potrebbero forse essere le cosiddette ‘case dei morti’ (di cui
tuttavia – almeno fino a ora – è noto in area scandinava il solo esempio di Tustrup, in
Djursland, Danimarca); qui i morti erano collocati fino a che il processo di decomposi-
zione non restituiva che lo scheletro, il quale era poi inumato in tombe vere e proprie.
Per esempi più tardi di questa consuetudine vd. Jensen 2001-2004 (B.2), II, pp. 386-388.
della ‘ceramica a fossette’, dal che si potrebbero dedurre (lasciandosi tentare da una
conclusione) rapporti di carattere bellicoso con altri gruppi. E tuttavia altri indizi
testimonierebbero di una coesistenza piuttosto pacifica. Nell’ambito della ‘ceramica
a fossette’ sono molto interessanti i ritrovamenti di ricche sepolture, particolarmen-
te numerose nell’isola di Gotland (dove tra l’altro sono stati rinvenuti richiami per
uccelli, probabilmente i primi strumenti musicali conosciuti nel Nord); così come
quelli che paiono i resti di una grande palizzata che proteggeva un’area destinata fra
l’altro anche a un uso cultuale e che si trovano ad Alvastra (nella regione svedese
dell’Östergötland): vd. Browall H., Alvastra pålbyggnad. Social och ekonomisk bas,
Stockholm 1986.
73
Gli uomini vengono collocati sul lato destro e ‘orientati’ da ovest a verso est, le
donne, collocate sul lato sinistro, sono ‘orientate’ da est verso ovest.
74
La decorazione dei manufatti era ottenuta applicando una cordicella sul mate-
riale ceramico ancora fresco.
75
La precisa determinazione cronologica dell’introduzione (e della diffusione)
del cavallo domestico in Scandinavia resta un problema di difficile soluzione. La
prima raffigurazione di questo animale nel Nord è probabilmente quella che trovia-
mo incisa sulla pietra di Järrestad (nr. 4) nella regione svedese della Scania. Questa
raffigurazione risale all’età del bronzo più recente e corrisponde al ritrovamento di
tutta una serie di finimenti in bronzo, non di rado di accurata fattura, risalenti al
medesimo periodo e ritrovati in numero rilevante (e verosimilmente legati all’utiliz-
zo di cavalli e carri in contesti rituali; vd. p. 45). All’età della pietra più recente
risale un reperto di grande interesse: nel fango del corso d’acqua detto Ulltorpsån
in Scania è stato ritrovato il cranio di un cavallo nel quale era conficcato con molta
forza un pugnale di selce: ricordo della morte sacrificale di un animale che rivestiva
particolare importanza dal punto di vista sociale, cultuale e religioso? Vd. Andersson
1901, pp. 82-84.
ricordo di questi eventi remoti nel mito della guerra fra le famiglie
divine degli Asi e dei Vani, riferito soprattutto dal celebre letterato
e mitografo islandese Snorri Sturluson.79 Negli ultimi decenni del
secolo scorso tuttavia, quest’ipotesi è stata messa in discussione da
più parti.80
In ogni caso: le tombe singole possono ragionevolmente essere
considerate come espressione di una visione di vita individualistica,
in forte contrasto con il collettivismo attribuito agli uomini della
civiltà megalitica. Si tratta di semplici sepolture, collocate in posi
zione dominante, spesso prospicienti il mare, in alcuni casi (specie
in Danimarca) lungo vie di comunicazione. Talora segnalate da un
basso tumulo, contengono di solito i resti di un’unica salma:81 il
morto vi era inumato all’interno di una bara di legno, in posizione
rannicchiata, gli uomini sono spesso provvisti di un’ascia da com
battimento collocata accanto al capo. Nei sepolcri sono stati ritro-
vati molti ornamenti, per le donne gioielli d’ambra (ma anche
d’osso), utensili da lavoro e vasi d’argilla. Un cambiamento radica-
le negli usi funerari che corrisponderebbe dunque a una diversa
visione di vita che viene incuneandosi nella società. La questione
se ci si trovi di fronte a una innovazione introdotta in seguito a una
vera e propria invasione dall’esterno o piuttosto a un cambiamen-
to legato a fattori interni combinati con la penetrazione graduale e
non violenta di nuovi venuti resta aperta, ed è uno dei problemi
più discussi relativi al neolitico in Europa. Certo è che di nuovo
assistiamo a una fase cruciale nella storia culturale della Scandina-
via, destinata a lasciare un’impronta decisiva che permarrà nel
corso dei millenni successivi. Due concezioni di vita, collettiva e
individualistica, coesisteranno per lungo tempo: la seconda, che
pare esprimersi nelle nuove istanze culturali, si svilupperà a fianco
– e assai spesso in contrasto – con l’ideale di una società aggregata
Questo anche – e soprattutto – perché l’eco del culto meridionale della Grande Madre,
certamente testimoniato in Scandinavia nell’età del bronzo, pare giustificarlo in modo
più soddisfacente e, al contempo, più semplice. Anche più recentemente tuttavia si è
voluta riproporre l’idea che la cultura delle tombe megalitiche (in particolare quella
che costruiva le jættestuer, cfr. nota 62) conoscesse una struttura sociale nella quale le
donne avevano una posizione di predominio (Glob 1971 [B.2], pp. 99-100).
79
Vd. i testi riportati alle pp. 37-38. Su Snorri Sturluson vd. p. 287, nota 13.
80
Una valutazione assai equilibrata su questa questione si trova in Lillehammer
1994 (B.2), pp. 80-81.
81
Ci sono tuttavia anche sepolture che contengono due scheletri. Di particolare
interesse è la tomba rinvenuta presso Bergsvägen a Linköping (Svezia); in essa si tro-
vavano i resti di un uomo, di una donna e di un cane accanto ai quali erano stati col-
locati ricchi doni funebri: asce, vasi d’argilla, pugnali, una lesina, anelli di corno e un
ago da cucito in osso.
Asi avessero barato nello scambio degli ostaggi. Perciò presero Mímir, lo
decapitarono e mandarono la testa agli Asi. Odino prese la testa e la spalmò
con erbe in modo che non putrefacesse, cantò su di essa degli incantesimi e
le diede potere magico tale che essa parlava con lui e gli rivelava molte cose
nascoste. Odino stabilì Njo˛ rðr e Freyr sacerdoti sacrificatori ed essi furono
díar85 con gli Asi. La figlia di Njo˛ rðr era Freyja. Ella fu sacerdotessa sacrifi-
catrice. Per prima insegnò agli Asi la magia che era comune fra i Vani.
Quando Njo˛ rðr era tra i Vani egli aveva posseduto sua sorella, poiché tale
era la legge laggiù. Loro figli furono Freyr e Freyja. Ma fra gli Asi era proi-
bito il matrimonio tra parenti così stretti.”86
“[…] gli dèi [i.e. gli Asi] ebbero un conflitto con il popolo che si chiama
dei Vani. Ma essi indissero un convegno di pace, stabilirono la tregua in
questo modo che entrambi si recarono a un recipiente e vi sputarono la
propria saliva. Ma al momento di separarsi gli dèi presero quel segno di pace
e non vollero che perisse, e ne crearono un uomo; questi si chiamava Kvasir;
è così saggio che nessuno [può] domandargli qualcosa di cui non conosca la
risposta.”87
91
Va tuttavia ricordato che in due siti l’uno danese (Gallemose nello Jutland orien-
tale, cfr. sotto, nota 100), l’altro svedese (Pile in Scania) sono stati ritrovati manufatti
in bronzo di probabile produzione indigena che farebbero risalire i primi tentativi di
lavorazione del metallo nel Nord al 2000 a.C. circa; la qualità degli oggetti rinvenuti
risulta in ogni caso inferiore a quella dei prodotti d’importazione.
92
Si veda, tra gli altri, il ritrovamento norvegese di Tjølling (nella regione di Vestfold)
dove sono state rinvenute dieci falci di selce collocate insieme in una combinazione
certamente non casuale, probabile offerta votiva a una divinità della fecondità.
93
Dal nome di un sito che si trova nei pressi di Praga. La cultura di Únêtice copri-
va una vasta area tra l’attuale Repubblica Ceca (Boemia, Moravia), la Slovacchia, la
Polonia, la Germania.
94
La lavorazione del metallo era per altro praticata anche nei territori centrali
danubiani e a occidente nelle regioni atlantiche, essa però attorno al 2000 a.C. conob-
be una straordinaria espansione nell’area della cultura di Únêtice.
95
Queste tombe sono presenti soprattutto in Svezia (dove sono dette hällkistor)
nelle regioni di Götaland, Värmland e Närke.
96
Vd. al riguardo la discussione in Burenhult 1999-2000 (B.2), I, pp. 385-388.
97
Si veda in particolare il sito di Fosie, un complesso di una settantina di costru-
zioni di notevoli dimensioni (tra 13.5 e 17.5 mt. di lunghezza per una larghezza di
circa 6 mt.) le cui fondamenta sono venute alla luce nel 1979 presso Malmö, nella
regione svedese della Scania. In territorio norvegese gli insediamenti sono molto più
rari. Sul sito di Fosie nel corso dei secoli vd. Björhem N. – Säfvestad U., Fosie IV. Bygg
nadstradition och bosättningsmönster under senneolitikum, Malmö 1989 e dei medesi-
mi autori, Fosie IV. Bebyggelsen under brons- och järnålder, Malmö 1993.
98
Al riguardo si fa ancora riferimento alla cronologia proposta dal celebre archeo-
logo svedese Oscar Montelius (Montelius 1986 [B.2]) che prevedeva tre periodi di
due secoli ciascuno per l’età del bronzo antica (äldre bronsålder: 1700-1100 a.C.) e tre
periodi di due secoli ciascuno per l’età del bronzo recente (yngre bronsålder: 1100-500
a.C.).
99
Gli oggetti in bronzo risultano diffusi, seppure in numero minore, anche nelle
zone più settentrionali dove l’economia restava basata sulla caccia e sulla pesca. Si
parla in proposito di una ‘età del bronzo artica’ (Lillehammer 1994 [B.2], p. 105).
dide asce (1700 a.C. circa).100 Ancora nell’età del bronzo più recente
il numero di oggetti di metallo che si ritrova negli insediamenti risul-
terà insignificante, a paragone della quantità e della ricchezza di
quelli recuperati dalle tombe o dai luoghi di culto, a dimostrazione
del fatto che tali manufatti rivestivano una funzione particolare, piut-
tosto che essere comunemente utilizzati nell’attività quotidiana.
I reperti presentano una grande varietà e non di rado accurata
decorazione.101 I siti relativi a questi ritrovamenti sono tombe,
luoghi di culto (spesso paludi o torbiere che conservano la carat-
teristica di spazi cerimoniali),102 ma anche – nel centro-sud della
Scandinavia – grossi depositi, secondo un uso che risulta ben
testimoniato fin dall’ultima fase dell’età della pietra.103 Nel periodo
più antico troviamo asce (di dimensioni massicce e dalla lama tipi-
camente incurvata), spade (in buona parte chiaramente prodotti
d’importazione: un’arma ‘nuova’ nella quale la forma dell’impu-
gnatura suggerisce almeno inizialmente un uso più simile a quello
di un pugnale che non di una spada vera e propria), punte di lancia,
persino scimitarre.104 E poi oggetti d’uso personale come tutuli,105
100
In Danimarca un sito interessante da questo punto di vista è quello di Gallemo-
se (Jutland orientale) dove sono stati rinvenuti oggetti votivi quali asce, grandi anelli
(bracciali?) e la parte metallica del giogo di un carro. Si vedano anche i siti svedesi di
Fjälkinge e Pile, entrambi in Scania e quello danese di Torsted nello Jutland occiden-
tale. Cfr. sopra, nota 91.
101
Inizialmente motivi geometrici, spirali, poi motivi a stella (con un numero varia-
bile di raggi) e ondulati.
102
In diversi casi pare lecito ritenere che questi oggetti costituissero una sorta di
‘tesoro del tempio’: si considerino, a esempio, i reperti di Vestby nella regione norve-
gese di Hadeland a nord di Oslo, fra cui si distinguono due arieti di bronzo ottima-
mente lavorati. Vd. Bjørn A., “Vestby-fundet. Et yngre bronsealders votivfund fra
Hadeland”, in UOS II (1929), pp. 35-73, dove questo ritrovamento è tra l’altro messo
in relazione con quelli del sito di Härnevi (Uppland) in Svezia.
103
Vd. a esempio le venti punte di lancia e la falce in bronzo rinvenute nel sito
norvegese di Svenes (comune di Nord-Aurdal, in Oppland), il più ricco dell’età del
bronzo antica in questo Paese. In Svezia sono particolarmente interessanti i siti di
Fröslunda (presso le rive meridionali del lago Vänern), e di Hassle (Närke).
104
Si vedano i reperti di Rørby (Selandia), Norrö (Östergötland) e Södra Åby
(Scania). Sulla lama della sciabola di Rørby è stilizzata una nave con il suo equipaggio.
Qui ci troviamo di fronte a un simbolo religioso che ricorda da vicino le analoghe
raffigurazioni delle incisioni rupestri (su cui vd. il paragrafo successivo).
105
Tutulus (pl. tutuli) è il nome che viene dato a oggetti usati sia dagli uomini sia
dalle donne come ornamento per il vestiario. Essi presentano varietà nelle forme e
nelle dimensioni (anche in relazione all’epoca alla quale risalgono). Si tratta in sostan-
za di placche di bronzo di forma tonda con la parte centrale sporgente, fornite sul retro
di un occhiello o di una barretta per fissarle alla cintura. Sono senza dubbio oggetti
dalla funzione esclusivamente decorativa, che presentano in molti casi una accurata
lavorazione.
nota 132), dove tuttavia la figura femminile (la dèa della fertilità medesima?) è in
ginocchio e porta una gonna corta che pare fatta di cordicelle: un capo di vestiario
(utilizzato in contesti cerimoniali?) che ritorna anche in altri casi (vd. a esempio i
reperti di Grevensvænge, cfr. nota 115) e che risulta molto simile a quello indossato
dalla giovane donna sepolta nella tomba di Egtved (vd. oltre, nota 168). Statuette di
donna realizzate in creta e risalenti già al neolitico sono assai comuni nelle zone dei
Balcani e nelle regioni danubiane, ma non compaiono in Scandinavia, se si fa eccezio-
ne per alcuni esempi nelle isole Åland, come una statuetta rinvenuta a Jettböle che
rappresenta una figura col viso piatto, il naso prominente e gli occhi ben marcati, il
corpo solo abbozzato e senza arti, segnata da una serie di punti che potrebbero indi-
care i capelli, le vesti o, forse, dei tatuaggi.
120
I ritrovamenti (soprattutto in Danimarca) di trecce di capelli (vd. a esempio le
sette trecce di sicuro carattere votivo rinvenute nella palude di Sterbygård, presso
Hobro, Jutland settentrionale) sono da riferire verosimilmente al culto di questa dèa
e vanno probabilmente messi in connessione con il taglio rituale della chioma delle
donne (Brøndsted 1957-1960² [B.2], II, pp. 277-278). Anche pettini finemente lavo-
rati (a esempio quello rinvenuto in Danimarca a Vrønding, Jutland orientale, sul
quale sono riprodotti due cerchi/ruote solari) possono essere ricondotti a questo
contesto. D’altronde alcuni oggetti di bronzo di questo periodo sono decorati con teste
di donna che presentano particolari acconciature (vd. il coltello di Javngyde, Jutland
orientale e lo spillone di Horne, Fionia; cfr. l’acconciatura mortuaria della donna di
Skrydstrup, vd. nota 168). Si consideri infine che nelle incisioni rupestri le donne sono
caratterizzate dalla lunga chioma.
121
Il riferimento è soprattutto all’Egitto, alla Grecia, all’Anatolia, alla Siria, alla
Mesopotamia.
122
Vd. Jensen J., Nordens guld. En bog om oldtidens rav, mennesker og myter, Køben
havn 1982.
123
Vd. sopra, pp. 21-23. D’altronde fin dall’epoca dei monumenti funerari mega-
litici sulle pietre che fungono da copertura si trovano incisi diversi simboli (croci
all’interno di una circonferenza, cavità coppelliformi, navi), un uso che si protrae nel
tempo e che si esprimerà in epoca più tarda da una parte nell’uso di innalzare per il
defunto lapidi con incisioni runiche, dall’altra nelle raffigurazioni delle celebri pietre
dell’isola di Gotland (Nissen Fett 1942 [B.7.1], p. 13; vd. oltre, p. 86 e pp. 92-93
rispettivamente).
124
Va qui precisato che a questo punto del discorso il riferimento è alle incisioni
rupestri riferibili alla società agraria, risalenti all’età del bronzo con qualche ‘sforamen-
to’ nella primissima fase dell’età del ferro: esse vengono tradizionalmente distinte da
quelle attribuibili a una società di cacciatori e pescatori. La distinzione corrisponde
anche, grossolanamente, a una suddivisione per aree geografiche: nelle zone più set-
tentrionali troviamo per lo più incisioni relative ad animali selvatici e alla caccia,
mentre in quelle meridionali incisioni legate a una società di carattere prevalentemen-
te agrario. Vd. Moberg C-A., “Vilka hällristningar är från bronsåldern?”, in Tor, III
(1957), pp. 49-64 e Hagen A., “De to slags helleristninger”, in BVBIB, pp. 129-144.
130
Basti osservare, fra i tanti, il sito norvegese di Revheim (presso Stavanger)
dove il disco del sole costituisce il punto di riferimento ‘centrale’ rispetto a tutta
una serie di figure (orme di piedi, cavità coppelliformi, navi). D’altronde le raffi-
gurazioni (per quanto in molti casi stilizzate) di un culto solare sono assai frequen-
ti: si prenda a esempio la scena rappresentata su una parete di roccia a Bergby
(Borge, Østfold, Norvegia), dove si distinguono chiaramente almeno due figure in
atteggiamento adorante rivolte verso il disco solare; vd. Almgren 1926-1927, pp.
86-102.
131
Se ne vedano ottimi esempi nelle incisioni svedesi di Hjulatorp (Småland), di
Godegård nella regione di Västergötland e di Högsbyn (in Dalsland), in quelle norve-
gesi di Randaberg (nel distretto di Jæren) e di Selbu (Trøndelag meridionale), in
quelle danesi di Godensgård (Jutland settentrionale) e Lille Havelse (Selandia setten-
trionale); vd. Almgren 1926-1927, pp. 212-218.
132
Si veda in territorio svedese l’ottimo esempio di Bro (Tanum, Bohuslän) dove
sono rappresentati due uomini che con le mani alzate sorreggono un’imbarcazione
a sua volta occupata da altri uomini nell’atteggiamento di invocare la divinità.
Questa incisione (e altre simili, a esempio quella di Heden, Kville, Bohuslän)
richiama in modo palese l’uso di piccole navi votive: in tal senso testimonia l’im-
portante (e tuttavia più tardo) ritrovamento a Torshøj (presso Nors nello Jutland
settentrionale) di un centinaio di piccole imbarcazioni realizzate in bronzo e lami-
na d’oro. Anche le statuette di bronzo rinvenute a Grevensvænge (cfr. nota 115)
così come quelle di Fårdal (Jutland centrale, cfr. nota 116 e nota 119), dovettero
decorare navi votive, come mostra una ricostruzione effettuata a cura del Museo di
Malmö (Malmö Museer).
133
Gesto certamente di carattere rituale. Cfr. fra l’altro i reperti di Grevensvænge
(vd. nota 115) e anche le raffigurazioni sul rasoio di Vestrup (vd. nota 128).
134
Tra le armi raffigurate è piuttosto raro lo scudo; cfr. nota 127.
135
Un’attività frequente per gli agricoltori dell’età del bronzo che – come mostrano
alcune raffigurazioni che si trovano nella zona di Tanum (Bohuslän, Svezia) – veniva
certamente consacrata con precisi rituali. A Litsleby si riconosce un uomo intento ad
arare: nella mano tiene un ramoscello (o un piccolo albero), il suo organo maschile è
chiaramente raffigurato in posizione eretta. Del resto l’atto medesimo dell’aratura
155
Vd. soprattutto le incisioni di Gisslegärde (Bottna), di Ryland (Tanum), di Lyse
(Lyse) e anche di Vitlycke (Tanum), tutte in Bohuslän.
156
Almgren 1926-1927, pp. 23-85.
157
In questo senso sono certamente da interpretare raffigurazioni come quella della
nave di Bjørnstad (Skjeberg, Østfold, Norvegia) sulla quale oltre a un equipaggio di
quarantotto persone e a due figure minori, si vedono a prua e a poppa due individui
di dimensioni più grandi e due più piccoli che sollevano in alto un’ascia; quella della
nave di Aspberget (Tanum, Bohuslän) sulla quale sono chiaramente distinguibili dei
suonatori di lur o quella della nave di Sottorp (Tanum, Bohuslän) sopra la quale vi
sono figure che brandiscono un’ascia e volteggia un acrobata. Sono rari, al contrario,
i casi in cui le incisioni paiono semplicemente voler rappresentare momenti di vita
quotidiana: un esempio è certamente la scena raffigurata su una parete di roccia a
Dysjaland (comune di Sola nel distretto norvegese di Jæren), dove si vede un pastore
con il suo cane che fa la guardia a un piccolo gregge.
158
Vd. la raffigurazione schematica di questo ciclo come proposta in Jensen 2001-
2004 (B.2), II, p. 486.
159
Almgren 1926-1927, pp. 138-140.
168
Di rilevante interesse sono le tombe danesi di Skrydstrup ed Egtved (nella zona
centro-meridionale dello Jutland) e di Borum Eshøj (Jutland orientale). Nei primi due
tumuli sono sepolte due giovani donne, nel terzo sono state ritrovate tre bare che
contenevano rispettivamente un uomo anziano, uno giovane e una donna anziana. La
donna di Egtved, d’età compresa fra i diciotto e i venticinque anni, dai capelli biondo
chiaro tagliati corti, indossa una casacca corta e una gonna fatta di cordicelle, inoltre
porta una cintura intrecciata fermata da un tutulus, due braccialetti di bronzo (uno
per braccio) e un orecchino. All’interno della tomba è stato ritrovato anche un conte-
nitore di corteccia di betulla con tracce di una bevanda alcolica (probabilmente una
sorta di birra dolcificata con miele). Un fiore (Achillea millefolium) rinvenuto nella
bara indica che la sepoltura (che viene fatta risalire al periodo attorno al 1370 a.C.)
avvenne in estate. Nella tomba si trovano anche i resti cremati di un bambino dell’ap-
parente età di otto o nove anni. Molto giovane (e in parte mummificata) è anche la
donna sepolta a Skrydstrup, dai capelli accuratamente acconciati, con un paio di
grandi orecchini d’oro e indosso una casacca e una grande gonna. I reperti si sono
mantenuti in buono stato grazie alle massicce bare di legno di quercia protette da
imponenti tumuli di torba. A esempio nelle tombe di due uomini eminenti (Muldbjerg,
Jutland centro-occidentale e Trindhøj, Jutland meridionale) sono assai ben conserva-
ti gli abiti indossati dai defunti: un berretto di forma tonda, un camiciotto di lana e un
mantello. In Norvegia (dove la sepoltura sotto tumuli compare in particolare nelle aree
sud-occidentali di Vest-Agder e Sunnhordland) riveste grande importanza la tomba
della ‘donna di Rege’ (nel distretto di Jæren). Qui la defunta è deposta in una camera
di pietra e indossa ricchi ornamenti di bronzo. Certamente in queste tombe il corredo
funebre è collegato alla posizione sociale del morto, il che spiega anche la presenza di
oggetti particolari come a esempio lo sgabello pieghevole di legno di frassino, con resti
del sedile in pelle di lontra (simbolo della ‘superiorità’ del defunto rispetto ad altre
persone assise nel medesimo consesso) rinvenuto nel tumulo danese di Guldhøj (Jut-
land meridionale). Vd. Thomsen Th., Egekistefundet fra Egtved fra den ældre bronzealder,
København 1929; Broholm H.Chr. – Hald M., Skrydstrupsfundet. En sønderjydsk
kvindegrav fra den ældre bronzealder, København 1939; Broholm 1943-1949 (B.2), I,
pp. 89-91, p. 99, pp. 106-107, pp. 112-113, p. 120 ed Egenæs Lund H., “En eldre
bronsealders ornert gravhelle fra Rege i Håland på Jæren”, in Stavanger Museums
Årshefte (1933-1934), pp. 49-53.
169
Un ottimo esempio è il grande cumulo di Uggårda, nella zona sud-orientale
dell’isola di Gotland (alto 7 mt. e con un diametro di circa 45 mt.).
170
Questi cumuli di pietre sono detti in danese røse (pl. røser); in svedese röse (pl.
rösen); in norvegese røys (pl. røyser, [bm]), e røys (pl. røysar, [nn]). Il più importan-
te che si conosca (seppure non restituito all’antica magnificenza dopo scavi di studio)
è certamente la tomba di Kivik in Scania, al cui interno sono state rinvenute lastre
di pietra riccamente decorate (che formavano la camera mortuaria di un personaggio
di alto rango); vd. Moberg C-A., Kivik. Bredarör och andra fornminnen, Stockholm
1975³.
171
Come il tumulo detto Hågahögen (presso Uppsala nell’Uppland svedese,
1100-900 a.C.), una delle tombe più ricche di oggetti d’oro (vd. Almgren O., Kung
Björns hög och andra fornlämningar vid Håga, Stockholm 1905) o, in Danimarca,
il grandioso tumulo di Lusehøj nella regione della Fionia risalente al IX secolo a.C.
(vd. Thrane H., Lusehøj ved Voldtofte- en sydvestfynsk storhøj fra yngre broncealder,
med bidrag af I.Trocz og K.R. Jensen m.fl., Odense 1984). Altri tumuli danesi di
notevoli dimensioni eretti nell’ultima fase dell’età del bronzo sono da considerare
nel contesto della decadenza di questo periodo (Jensen 2001-2004 [B.2], II, pp.
505-510).
172
In Burenhult 1999-2000 (B.2), I, p. 439 una diretta derivazione viene tuttavia
messa in dubbio. In Svezia un ‘campo di urne’ di notevole interesse è stato rinvenuto
presso Simrishamn in Scania.
173
Dal nome di un celebre sito in territorio austriaco. Questa cultura è suddivisa in
quattro fasi (A, B, C e D) che coprono il periodo dal 1100 al 600 a.C. L’uso di racco-
gliere i resti cremati del defunto in una piccola urna ha tuttavia la sua origine nelle
zone mediterranee e si lega alla cosiddetta ‘civiltà di Villanova’ (dal nome del sito che
si trova nei pressi di Bologna).
174
Si veda, in particolare, l’esempio eccellente di Stora Hammar in Scania. In
effetti nel Nord questo reperto è l’unico che possa in qualche modo reggere il parago-
ne con le urne a forma di casa ritrovate sul continente.
175
Il riferimento è qui a siti danesi come Vesterby in Langeland e Ingstrup in Vend
syssel. Di particolare interesse è anche l’urna rinvenuta a Røgind (presso Viborg nello
Jutland) che combina il motivo della casa con quello del volto. In Danimarca si trova-
no un centinaio di reperti di questo tipo (per lo più nella zona dello Jutland), essi
risultano invece assai scarsi in Svezia (e comunque limitati alla Scania).
176
Vd. Harding A., “Reformation in Barbarian Europe 1300-600 BC”, in Cun-
liffe 1994 (B.2), pp. 320-321 (e, per certi aspetti, anche Artelius 1998). Non è tutta-
via da escludere che questo uso fosse dovuto (almeno in parte) a ragioni di carattere
pratico.
177
Questa idea pare perdurare nel tempo, se dobbiamo – a mio parere ragione-
volmente – credere a testimonianze più tarde (periodo vichingo) di carattere sia
archeologico (come quella della tomba di Oseberg dove insieme alla regina fu
sepolta un’altra donna, presumibilmente una schiava che dovette seguirla nella
morte) sia letterario (come il resoconto di Ibn Fa[lan testimone oculare del funera-
le di un capo vichingo nel corso del quale la donna del morto venne uccisa e posta
sulla pira insieme a lui; vd. oltre, p. 116 con nota 65; cfr. anche il testo di Ibn Rustah
riportato alle pp. 116-118).
181
Su questo vedi le considerazioni proposte in Chiesa Isnardi 20084 (B.7.1), pp.
350-352 e pp. 477-478. Vd. anche Almgren 1926-1927, pp. 41-42.
182
Cfr. sopra nota 170.
183
Sull’isola di Giske nella regione di Sunnmøre. Si tratta di una tomba di partico-
lare importanza proprio per la ricca, non usuale, decorazione interna (vd. Mandt G.,
“Mjeltehaugen på Giske – en gåte i norsk forhistorie”, in Indrelid S. – Ugelvik Larsen
S. [red.], Sunnmøres forhistorie. 1. Fra de første fotefar, Ålesund 1984, pp. 70-80).
Degno di nota da questo punto di vista è anche il tumulo di Sagaholm (presso Jönköping
in Svezia, risalente all’incirca al 1450 a.C.; vd. Goldhahn J., Sagaholm – hällristningar
och gravritual, Jönköping 1999).
184
Ne dà testimonianza, tra l’altro, la presenza di incisioni rupestri di carattere
‘agrario’ (cfr. sopra, nota 124) fin nella regione di Finnmark (sull’isola di Sørøya e
nella località di Apana gård nell’area di Alta).
185
Rapporti privilegiati dovettero poi svilupparsi con la cosiddetta ‘cultura di
Ananjino’ che aveva il proprio centro nella regione russa tra il bacino centrale del
Volga e quello del Kama e che conobbe la massima fioritura tra l’800 e il 200 a.C.
186
Vd. sopra, nota 99.
187
Vd. Magnus – Myhre 1986 (B.2), pp. 200-202. Vd. anche Lillehammer 1994
(B.2), pp. 135-136 dove è riportata una cartina che indica l’estensione della ‘ceramica
all’asbesto’, diffusa nella Norvegia e nella Svezia centro-settentrionale, nella penisola
di Kola, nella quasi totalità della Finlandia e nei territori russi a essa adiacenti.
14
Le immagini sono ‘firmate’ da un artista per altro ignoto che vi ha inciso le scrit-
te ΧΕΙΡΙΣΟΦΟΣ ΕΠΟΕI e CHIRISOPHOS EPOI. I reperti sarebbero da colloca-
re nei primi decenni dell’Impero, tuttavia il nome SILIUS inciso sul fondo di questi
oggetti rimanderebbe ai primi decenni d.C. (inizio dell’età del ferro romana), quando
un comandante con questo nome era a capo dell’esercito romano nella provincia
della Germania superiore (14-21 d.C.). Vd. Friis Johansen K., “Hoby-Fundet”, in NF
II, 1911-1935, Kjøbenhavn, pp. 119-164.
15
In Svezia sono assai interessanti i siti di Gödåker (Uppland), di Öremölla (Scania,
cfr. nota 23) e di Östra Varv (Östergötland). Il primo (il cui nome significa “Campo
della dèa”) risulta essere un luogo di carattere religioso frequentato per lungo tempo:
ivi si trova una fonte sacrificale nella quale sono stati rinvenuti resti di uomini e di
animali; nelle vicinanze è situato un cimitero con bautasteinar (vd. oltre, p. 68); vd.
Ekholm G., “Gödåker. De senaste bidragen till Upplands fornhistoria”, in UFT XLI
(1927), 10: 2, pp. 120-130. Anche nell’isola di Gotland (Havor) sono stati rinvenuti
oggetti di importazione di ottima fattura; vd. Nylén E. – Lund Hansen U. et al., The
Havor hoard. The Gold – The bronzes – The fort, Stockholm 2005. In Norvegia vanno
segnalati il sito di Tu (Jæren) dove è stato trovato un calice con una scritta augurale in
caratteri greci (ΠΙΕ ΖΗΣΑΙΣ ΚΑΛΟΣ: “bevi e vivi bene”) e quello di Solberg
(Buskerud) da cui provengono parti di un vaso di vetro di finissima fattura e decorato
in oro prodotto ad Alessandria d’Egitto; assai interessanti sono anche i diversi ogget-
ti rinvenuti nella tomba di Store-Dal in Østfold (cfr. nota 20 e nota 27). In Danimarca
conosciamo reperti di questo tipo già nell’età del bronzo. Si veda a esempio il sito di
Rosbjerggård (Rørbæk, Himmerland) dove da una palude è stato riportato alla luce
un recipiente in bronzo di probabile origine etrusca (o comunque di imitazione di
oggetti simili prodotti in tale area; Jensen 2001-2004 [B.2], II, p. 418).
16
Vd. Magnus – Myhre 1986 (B.2), pp. 326-330 e pp. 333-338.
land”, in AA XLIX [1978], pp. 61-111 e Hvass 1979). In Svezia si vedano tra gli altri
i siti di Fosie e Uppåkra (Scania) e Nibble (Uppland). In Norvegia il sito di Ullandhaug
presso Stavanger (V-VI secolo d.C.), che è stato ricostruito, e quello di Klauhaugane
(presso Nærbø, Jæren) con le abitazioni poste secondo un ovale attorno a un’area al
centro della quale si trova quello che doveva essere lo spazio sacro della comunità.
Questo villaggio, che risulta abitato tra il 200 a.C. e il 200 d.C. mostra chiara affinità
con nuclei di case presenti sull’isola svedese di Öland. Simili insediamenti norvegesi
sono, innanzi tutto, quello di Dysjane (anch’esso in Jæren), pressoché identico a
Klauhaugane e altri anche nelle regioni più settentrionali (vedi, in particolare quelli di
Bø e Steigen sull’isola di Engeløya; Magnus – Myhre 1986 [B.2], pp. 312-316).
19
Tra i siti più significativi fino a ora investigati dagli archeologi quelli di Eketorp
(sull’isola svedese di Öland; vd. Borg K. – Näsman U. et al. (eds.), Eketorp. Fortification
and settlement on Öland/Sweden. I. The Monument, II: The Setting, Stockholm 1976-
1979), di Torsburgen (in Gotland), assai imponente, di Havor (anch’esso in Gotland;
cfr. nota 15), di Gamleborg sull’isola danese di Bornholm, di Vanhalinna (presso Turku
in Finlandia); vd. Engström 1991.
20
Una concentrazione di questi cimiteri si ha nelle regioni svedesi di Västergötland,
Östergötland e nell’isola di Gotland. In taluni casi le pietre che segnalano le tombe
sono disposte in cerchio (si vedano come esempi Dragby in Uppland e Vallhagar in
Gotland). In Norvegia sono noti, in particolare, il ‘cimitero’ di Gunnarstorp (Østfold),
la necropoli di Hunn (anch’essa in Østfold) che conserva tra l’altro la ricca tomba di
35
Vd. a esempio in Danimarca il sito di Ginderup (Jutland nord-occidentale) dove
sotto un pavimento sono state rinvenute delle monete romane, quello di Brangstrup
(Fionia) dove si contano quarantotto monete d’oro, quello di Dalshøj (Bornholm,
risalente all’età dei Merovingi) con monete d’oro e gioielli; in Norvegia il sito di Store
Oma (Jæren) dove sotto un muro in pietra sono stati ritrovati spranghe e anelli d’oro
a forma di spirale per un peso totale di 637 gr. In Svezia cospicui ritrovamenti sono
stati fatti nella palude detta Skedemosse (sull’isola di Öland, uno dei territori più
ricchi di oro da questo punto di vista) e a Vittene (Västergötland). Nel primo caso (il
sito è l’unico in territorio svedese che corrisponda ai grandi depositi di armi che si
trovano in Danimarca) sono stati rinvenuti, insieme a molte armi, sette bracciali e due
anelli d’oro di pregevolissima fattura per un peso totale di 1.3 kg.; inoltre sono stati
ritrovati resti di uomini e di cavalli, verosimilmente sacrificati; su Skedemosse vd.
l’esaustivo studio di U.E. Hagberg (The Archaeology of Skedemosse, I-IV, Stockholm
1967-1977). Nel secondo caso (un sito che comprende un insediamento databile tra
l’età del ferro preromana e la prima fase dell’età del ferro romana) sono stati rinvenu-
ti (tuttavia sparsi) oggetti d’oro per un peso totale di 1.9 kg. (vd. Lundkvist L.,
“Vittene och guldets folk”, in PA XVI: 1 (1998), pp. 3-8). Molti degli oggetti compre-
si in questi ‘tesori’ risultano di provenienza straniera, anche da zone assai lontane come
le regioni del Mar Nero (Jensen 2001-2004 [B.2], III, p. 492).
36
Le bratteate sono imitazioni di medaglioni romani impressi su un solo lato (ma
lo stile è caratteristicamente germanico), usate soprattutto come amuleti, come dimo
stra anche il fatto che in diversi casi recano incise iscrizioni runiche (vd. 2.5) di carat-
tere magico, come a esempio i termini laukr “aglio” (con evidenti collegamenti alle
proprietà di questa pianta) o alu una parola che dal punto di vista linguistico corri-
sponde al più tardo ǫl “birra”, ma il cui significato nelle iscrizioni runiche non è del
tutto chiaro, fermo restando un collegamento con la sfera magica (vd. Krause 1971
[B.5], p. 145 e p. 175 in particolare e Krause 1966 [C.2.5], pp. 239-260, passim). Su
una bratteata danese rinvenuta a Skrydstrup sono riportate entrambe queste parole
(ibidem, p. 163). In generale sulle bratteate vd. Mackeprang 1952, Düwel 1988 e
Düwel 1992 (entrambi in C.2.5), Axboe 2004.
37
Si vedano ‘tesori’ risalenti a questo periodo quale, in particolare, quello di Timbo-
holm in Svezia, dove è stato ritrovato oro per 7 kg. Importanti ritrovamenti sono noti
anche in epoca vichinga; vd. oltre, pp. 216-217 con nota 453.
Che in Svezia è ben testimoniata a esempio nel sito di Gene nella regione di
39
Ångermanland (vd. Ramqvist P.H., Gene. On the origin, function and development of
sedentary Iron Age settlement in Northern Sweden, Umeå 1983).
del II secolo d.C. erano scesi dal Nord per insediarsi in zone
dell’attuale Polonia, sul basso corso della Vistola. Questa notizia
ci viene in primo luogo da Giordane, grande storico del suo
popolo, al quale dobbiamo anche altre informazioni sulle tribù
stanziate nelle terre nordiche.40 Seguendo la geografia tradiziona-
le Giordane considera la penisola scandinava (Scandia/Scandzia)
un’isola41 che, con efficace immagine letteraria, definisce madre-
patria di popoli: “[…] l’isola della Scandia, quasi un’officina di
popoli o certamente come una vagina di nazioni […]” (“[…]
Scandza insula, quasi oficina gentium aut certe velut vagina natio
num […]”) dalla quale i Goti sarebbero migrati verso il continen-
te europeo.42 L’origine nordica di questo popolo sarebbe del resto
confermata non solo da una serie d’isoglosse tra la lingua dei
Goti43 e l’antico nordico,44 ma soprattutto da diversi toponimi, in
40
La sua opera De origine actibusque Getarum (Getica), composta nel 551 è basata
– secondo quanto afferma l’autore medesimo (vd. il “Prologo”, p. 52) – su uno scritto
di Cassiodoro, redatto circa trent’anni prima ma che purtroppo è andato perduto. È
stato sostenuto, ma pare poco plausibile, che Cassiodoro avesse avuto notizia delle
tribù che abitavano la penisola scandinava dal sovrano nordico Rodvulf, il quale
– secondo quanto riferisce Giordane stesso (Getica, III, 24) – si era rifugiato presso
Teodorico il Grande insieme a uomini del suo seguito (vd. Svennung 1967, p. 182).
41
Getica, III, 16-19. Sull’etimologia di Scandinavia, che resta dibattuta, vd. SVENNUNG
1963 e DE VRIES 19622 (B.5), pp. 482-483 (voce Skáney).
42
Getica, IV, 25.
43
In epoca storica, quando compaiono informazioni certe a loro riguardo in auto-
ri come Plinio, Tacito e Tolomeo (vedi rispettivamente: Naturalis Historia, IV, 14;
Germania, cap. 44 e Γεωγραφικὴ Ὑφήγησις, III, v, 8; cfr. II, xi, 16), i Goti risultano
stanziati lungo il basso corso della Vistola. Essi formano il gruppo dei Germani orien-
tali. La loro lingua (che conosciamo soprattutto grazie alla traduzione della Bibbia
eseguita dal vescovo Wulfila nel IV secolo) costituisce dunque il ramo orientale delle
lingue germaniche, ormai estinto.
44
In particolare il riferimento è ai seguenti fenomeni linguistici comuni: 1) raffor-
zamento consonantico di */-jj-/ in occlusiva (rappresentata in gotico da ddj e
in antico nordico da ggj): esempio got. twaddjē e ant. nord. tveggja “di due”; 2) raffor-
zamento consonantico di */-ww-/ in occlusiva velare labializzata (rappresentata sia in
gotico sia in antico nordico da ggw): esempio got. triggws e ant. nord. tryggr, da un più
antico triggwaR, “fedele”; 3) sviluppo di un suffisso -ıˉn- tanto in gotico quanto in
nordico nel participio presente femminile: esempio: got. gibandei(n), ant. nord. gefandi,
cfr. ant. alto ted. gebantiu, ant. ingl. giefendu/giefende “che dà”; 4) presenza della
categoria dei verbi deboli incoativi (quarta classe) formati col suffisso got. ‑nan, ant.
nord. -na: esempio got. waknan e ant. nord. vakna “destarsi”; 5) seconda persona
singolare del preterito indicativo dei verbi forti con desinenza -t: esempio: got. graipt,
ant. nord. greipt, cfr. ant. alto ted. grifi, ant. ingl. gripi “afferrasti”; 6) /i/ > /e/, /u/ >
/o/ davanti a /h/; 7) presenza in gotico e in ant. nord. di pronomi interrogativi quali,
rispettivamente hvarjis e hverr (<*ga-hvarjiz) “quale?”, derivazioni in -j- dal germanico
comune *xwa‑/xwe‑. Vd. Scovazzi 19946 (B.5), pp. 9-10 (dove tuttavia questi fenome-
ni linguistici comuni vengono ritenuti insufficienti per rendere verosimile l’esistenza
di un gruppo linguistico gotico-scandinavo); vd. Kuhn H., Kleine Schriften. Aufsätze
und Rezensionen aus den Gebieten der germanischen und nordischen Sprach-, Literatur-
und Kulturgeschichte, Berlin 1969-1972, I, pp. 169-204 e pp. 246-290 e, soprattutto,
Scardigli 2002 con i riferimenti bibliografici e la discussione relativa.
45
Getica, III, 19-24.
46
Svennung 1967, p. 106.
47
Sulle tribù nordiche elencate in Giordane vd. in particolare Svennung 1967, pp.
32-110, su cui qui ci si basa e anche Weibull 1948, pp. 54-69 con i riferimenti citati.
In questo contesto va ricordata anche la tribù dei Khaideinoi (Χαιδεινοί) menzionata
da Tolomeo (Γεωγραφικὴ Ὑφήγησις, II, xi, 16) nella quale potrebbero essere rico-
nosciuti i Heiðnir, il cui nome si ricollega, per la prima parte, a quello della regione
norvegese di Hedmark (vd. Nielsen 2000 [B.5], p. 339 e note relative). Vd. Sveinsson
1917, Oxenstierna 1948, Wagner 1967, Wessén 1969, Hachmann 1970 e Søby
Christensen 2002.
48
Γεωγραφικὴ Ὑφήγησις, II, xi, 10.
49
Ben riassunte e discusse in Nerman 1924, pp. 22-26.
50
La principale è certamente l’opera di Paolo Diacono, Storia dei Longobardi
(Historia Langobardorum, I, 2, 7), redatta nell’VIII secolo. D’altra parte questa fonte,
così come la Storia dei Danesi (Gesta Danorum) di Saxo grammaticus (vd. pp. 322-323)
che si rifà a Paolo Diacono citandolo esplicitamente (VIII, xiii, 2) risale a una tradi-
zione più antica, rappresentata soprattutto dalla cosiddetta Origine del popolo dei
Longobardi (Origo gentis Langobardorum, p. 2), un testo redatto in aggiunta all’Editto
di Rotari e databile nella seconda metà del VII secolo.
51
Successivamente tuttavia questo testo aggiunge (p. 8) che i Longobardi (il cui
nome viene anche qui attribuito, secondo l’etimologia tradizionale, alle “lunghe barbe”,
cfr. Paolo Diacono, Historia Langobardorum, I, 8; vd. nota successiva) si trasferirono
a Scatenauge sul fiume Elba. Questo toponimo può con una certa facilità essere avvi-
cinato a quelli che designano nelle altre fonti la Scandinavia (Scathanavia, Scadanam,
Scadinavia, Scatinavia), il che lascerebbe supporre una errata interpretazione della
tradizione leggendaria relativa a questo popolo da parte dell’estensore dell’opera.
52
La corretta etimologia del nome Longobardi (cfr. nota precedente) parrebbe
quella tradizionale che lo interpreta come “[coloro che hanno una] lunga barba”; in
ogni caso anche se si volesse fare riferimento a un’altra ipotesi che li intende come
“[coloro che sono armati di una] lunga alabarda” resterebbe escluso ogni collegamen-
to con nomi di luogo. In proposito vd. Bruckner W., Die Sprache der Langobarden,
Strassburg 1895, pp. 33-34 e de Vries 1962² (B.5), p. 345 (voce langbard–r). Anche il
termine Vinnili (forse “guerrieri”), che secondo le fonti citate era quello originario di
questo popolo, non trova alcun riscontro in nomi geografici scandinavi.
53
Queste teorie sono piuttosto antiche: vd. Nerman 1924, p. 33. Una conferma
dell’origine scandinava di questa popolazione verrebbe, secondo J. Ficker dallo studio
del diritto longobardo (“Das langobardische Recht und die skandinavischen Rechte”,
in Mitteilungen des Instituts für österreichische Geschichtsforschung, XXII [1901], pp.
1-50). Per una storia dei Longobardi si rimanda a Priester 2004.
54
Si ricordi tuttavia quanto è stato detto sopra (vd. nota 30) sulla difficoltà di una
definizione certa dei Cimbri e dei Teutoni dal punto di vista etnico. Sui Cimbri vd.,
tra l’altro, Bråten 1988.
55
È altresì possibile che ai Harudi sia collegato il nome della regione norvegese di
Hordaland, nella quale – seguendo una via marittima che i dati archeologici indicano
come molto frequentata – essi sarebbero migrati (Lillehammer 1994 [B.2], p. 163).
56
Vd. Nerman 1924, p. 42.
57
Getica, III, 23. Ciò sarebbe avvenuto all’incirca attorno al 200 d.C. (cfr. Nielsen
2000 [B.5], pp. 357-358). A riguardo delle popolazioni presenti sul territorio danese
vd. Seebold 1995.
58
Vd. Procopio 1961, VI, xiv, 37-42; VI, xv, 1 e VI, xv, 27-36. Qui si riferisce tra
l’altro che gli Eruli che si trovavano nei territori del Danubio, dopo aver sacrificato il
loro ultimo re di nome Ochus, si rivolsero a quelli fra di loro che erano rimasti nella
madrepatria per poter avere un nuovo sovrano che discendesse dalla medesima dina-
stia. In quanto segretario privato del generale bizantino Belisario, Procopio è general-
mente considerato uno degli storici più informati della sua epoca.
59
Vd. Hoffmann 1995, p. 82.
60
Germania, cap. 44.
61
Data la presenza certa dei Rugi sulle coste della Pomerania, è forse possibile
porre in relazione con loro il nome dell’isola di Rügen, di mediazione slava: derivazio-
ne discussa, ma verosimile (cfr. Bornholm < Borgundarhólmr). L’etnonimo Rugi a sua
volta è connesso da A. Bach (Deutsche Namenkunde, Heidelberg 1952-1954, I [Die
deutschen Personennamen], 1, p. 310) col sostantivo *rugi, m. “segala”: essi sarebbero
dunque i “coltivatori di segala” o “coloro che si nutrono di segala”. Vd. anche Geo
graphische Namen in Deutschland. Herkunft und Bedeutung der Namen von Ländern,
Städten, Bergen und Gewässern, 2. überarbeitete Auflage von D. Berger, München-
Leipzig-Wien-Zürich 1999, p. 245 e Steinhauser W., “Rügen und die Rugier”, in
Zeitschrift für slavische Philologie, XVI (1939), pp. 1-16.
62
Vd. p. 75.
63
Vissuto tra il 672 (o 673) e il 735 scrisse tra l’altro la Storia ecclesiastica del popo
lo inglese (Historia ecclesiastica gentis Anglorum, vd. I, 15; cfr. V, 9). Sul territorio
inglese Procopio colloca tre tribù: i Britannici, gli Angli e i Frisoni (Procopio 1962,
VIII, xx, 6-7).
64
Egli ci fa sapere tra l’altro che presso i Gautoi (Γαυτοί), tribù scandinava, ave-
vano trovato rifugio gli Eruli al loro ritorno in quelle regioni (Procopio 1961, VI, xv,
26). Questo autore dà anche notizie su Thule (Θούλη) i cui abitanti definisce Thuliti
(Θουλῖται; Procopio 1961, VI, xv, 4-26) e cita i “Finni sciatori” (Σκριθίφινοι, cfr. in
Giordane gli Screrefennae; vd. p. 75). Su Thule vedi poco avanti.
65
Le notizie di carattere geografico che troviamo in Giordane si rifanno innanzi
tutto ad autori come Tolomeo e Pomponio Mela (I sec. d.C.) il quale nella sua opera
(De chorographia) Della topografia fa riferimento alle terre del Nord citando (III, 31)
un ampio golfo definito Codanus e (III, 54) l’isola di Codannovia (secondo la lezione
del manoscritto principale, il Vat. Lat. 4929 della seconda metà del IX secolo). Il primo
costituisce la parte occidentale del Mar Baltico: le isole in esso comprese alle quali
Pomponio Mela allude sono quelle che si trovano fra lo Jutland e la penisola scandi-
nava. Il nome dell’isola Codannovia è invece da intendere con ogni probabilità (come
ben spiegato in Svennung 1963 [C.2.3.], pp. 11-13) come una forma corrotta di Sca
dinavia. In proposito Pomponio Mela afferma: “[...] in quel golfo, che abbiamo
chiamato Codanus, l’eccellente Scandinavia che tuttora appartiene ai Teutoni e che
sopravvanza le altre [isole] sia per la fertilità sia per la dimensione” (DLO nr. 6; cfr.
Plinio, Naturalis Historia, IV, 13 [96] e Tacito, Germania, cap. 1, dove si fa riferimen-
to al Mare del Nord che circonda ampie penisole sinuose e gli immensi spazi della
Scandinavia). Giordane si richiama anche alla rappresentazione del mondo secondo
il modello proposto dallo scienziato greco Eratostene nel III secolo a.C. (cfr. nota
successiva). A Tolomeo Giordane (che lo cita espressamente insieme a Pomponio Mela
in Getica III, 16) si rifà anche dal punto di vista etnografico (vd. Weibull 1948 [C.2.3],
pp. 44-52). Del resto possiamo in parte estendere alle tribù settentrionali le notizie sui
Germani continentali, citati per la prima volta da Cesare (Commentariorum belli gal
lici, passim), e quelle fornite da Tacito, il quale fa comunque preciso riferimento ai
popoli nordici in diverse occasioni (Germania, capp. 37, 40 e 44, in particolare).
66
Vd. Pytheas 1959 [Abbr.], dove sono raccolti tutti i dati relativi. Alle notizie for-
nite da Pitea in relazione alle terre settentrionali fanno riferimento in particolare Strabo-
ne (che, come d’altronde Polibio, si dimostra molto critico nei suoi confronti) e Plinio
il Vecchio. L’opera di Pitea era ben nota nell’antichità: tra l’altro Eratostene per disegna-
re la sua mappa e per il calcolo della circonferenza della terra aveva utilizzato le misura-
zioni e le osservazioni di Pitea riguardo al Nord (vd. ibidem, p. 18 e anche Die geogra
phischen Fragmente des Eratosthenes, neu gesammelt, geordnet und besprochen von H.
Berger, Lipsia 1880, pp. 73-74, pp. 143-155, pp. 207-208 e pp. 213-221). Per la collo-
cazione di Thule vd. Pytheas 1959, pp. 29-32, pp. 73-74 e la cartina che si trova in
fondo al volume. Per la relazione tra Thule e la Scandia negli autori antichi vd. Svennung
1967 (C.2.3), p. 194, nota 539. Nell’VIII secolo si fa riferimento a Pitea e a Thule nel-
l’opera più avanti citata di Dicuil (vd. p. 121) che la chiama Thile/Thilen e la definisce
un’isola (VII, 7-13). Probabilmente egli la identifica con l’Islanda. Così si intende del
resto in modo esplicito soprattutto nelle Opere dei vescovi della Chiesa di Amburgo (Gesta
Hammaburgensis Ecclesiae Pontificum, IV, xxxvi), un testo redatto in latino (e terminato
probabilmente attorno al 1075) dello storico della Chiesa Adamo da Brema (morto nel
1081), autore le cui informazioni venivano soprattutto da fonti danesi; così ugualmente
in uno scritto di carattere storico sulla Norvegia redatto in latino, la Storia della Norvegia
(Historia Norwegie, VIII, pp. 68-70; cfr. qui p. 411). Nella sua Storia dell’antichità dei re
norvegesi (Historia de antiquitate regum Norwagensium, cap. 3 e cap. 12; cfr. qui p. 411)
Theodricus Monachus sostiene invece di non poter né affermare né negare che tale
identificazione sia corretta. Saxo grammaticus parla di (ultima) Tyle identificandola con
la Glacialis insula di cui dà una descrizione nella Prefazione della sua opera (Gesta
Danorum, Præfatio, II, 7). Così, ancora, nel Libro dell’insediamento (Landnámabók, vd.
p. 310) che riferisce le prime vicende della nazione islandese (vd. oltre, 3.2.5), dove ci si
richiama all’opera del Venerabile Beda, in particolare al Libro [delle suddivisioni] del
dente verso le terre del Nord aveva toccato solo le isole britanniche.
Si tratta del viaggio compiuto dal navigatore ed esploratore cartagi-
nese Imilcone (latino Himilco, fenicio Chimilkât), all’inizio del V
secolo a.C.67 Di qualche secolo successiva è la notizia che ci viene da
un’iscrizione sul cosiddetto Monumentum Ancyranum (il tempio
fatto erigere da Augusto ad Ankara) dalla quale risulta che le navi
romane avevano raggiunto le terre dei Cimbri.68 Ma che le conoscen-
tempo (De temporibus liber, cap. 7) e al Libro del computo del tempo (De temporum
ratione liber, cap. 31); cfr. Opera didascalica, p. 590 e p. 379 (vd. Landnámabók, p. 31).
E poi nella versione D della Saga del vescovo Guðmundr (Guðmundar biskups saga) tra-
duzione islandese della biografia di questo prelato (1161-1237) scritta in latino attorno
al 1345 da Arngrímur Brandsson (morto nel 1361): “[…] in quella terra che i libri
chiamano Thile, ma che i nordici nominano Islanda” (DLO nr. 7). Si veda infine il
cosiddetto Libro di Flatey (letteralmente “Isola piana”), un imponente manoscritto
risalente alla seconda metà del XIV secolo, che contiene storie di re norvegesi (già note
da altre fonti ma qui integrate con informazioni altrove non presenti), testi poetici, saghe
e annali fino al 1394 (Flateyjarbók, I, p. 247; vd. qui p. 424). In un manoscritto islande-
se della metà del XIII secolo (Gml. kgl. sml. 1812, 4to conservato presso l’Università di
Reykjavík, Stofnun Árna Magnússonar í íslenskum fræðum) si trovano dei riferimenti di
carattere geografico: qui Thule (Tile) compare nell’elenco delle terre europee, tuttavia
accanto all’Islanda (Alfræði Íslenzk, III, p. 72: “[…] Tile, Island, Norvegie […]”). La
diffusione delle notizie su Thule, considerata come limite del mondo, si rileva anche
dalla celebre citazione di Virgilio nelle Georgiche, dove in riferimento a Ottaviano il
poeta così si esprime: “a te sia sottomessa l’ultima Thule” (Georgicon libri quattuor, I,
30, p. 154: “tibi serviat ultima Thule”), passo citato da Giordane in Getica, I, 9. Altri
poeti latini che ricordano questa terra sono Silio Italico (I secolo d.C.) che nell’opera Le
guerre puniche (Punica) ne sottolinea l’alone di mistero definendola “ignotam […] Thylen”
(III, 597; I, p. 158) e Publio Papinio Stazio (I secolo d.C.) che nelle sue Selve (Silvae, IV,
4, 62, p. 912) fa riferimento alle “coste dell’oscura Thule” (“nigrae litora Thyles”).
L’espressione “ultima Thule” si ritrova anche nella Legge di corte (Lex castrensis) di Svend
Aggesen (su cui vd. p. 132) con riferimento all’estensione dell’impero di Canuto il
Grande (cap. 1, p. 67: “ultima Thyle”).
67
Costui, seguendo per altro rotte già tracciate, si era diretto – primo naviga-
tore proveniente dal Mediterraneo – verso l’Europa nord-occidentale: navigando
lungo le coste iberiche e francesi aveva raggiunto il territorio della Britannia. Il
suo viaggio è ricordato in particolare nel poema latino di Rufo Festo Avieno (IV
secolo d.C.) Litorali marini (Ora Marittima, vv. 383-414, p. 34; cfr. Plinio, Natura
lis Historia, II, 67). Per i viaggi atlantici precedenti a quello di Pitea vd. Bianchet-
ti 1998, pp. 47-52.
68
Il testo sul tempio di Ankara è bilingue: latino (inciso sulle pareti interne del
pronao) e greco (sulla parete esterna della cella). Il testo latino recita: “La mia flotta
ha veleggiato sull’oceano dalla foce del Reno verso la regione in cui sorge il sole, fino
ai confini [del territorio] dei Cimbri, dove nessun romano prima di allora era giunto
né via terra né via mare; e i Cimbri e i Harudi e i Semnoni e le altre tribù germaniche
della medesima zona chiesero per mezzo di messaggeri la mia amicizia e quella del
popolo romano” (DLO nr. 8). Vd. Schede M. – Krencker D., Der Tempel in Ankara,
Berlin-Leipzig 1936; cfr. le parole di Plinio: “Da Cadice e dalle colonne d’Ercole cir-
cumnavigando la Spagna e le Gallie attualmente tutto l’occidente è navigato. In verità
l’oceano settentrionale è stato navigato per la maggior parte, per disposizione del
78
Moltke 1985 b.
79
Vd. tuttavia Morris 1988, dove si cerca di superare questa difficoltà facendo
piuttosto riferimento a un alfabeto greco arcaico.
80
Vd. in particolare Rix 1992, Markey 1998, Markey 1999 e Mees 2000.
81
Cfr. nota 36.
82
Vd. l’iscrizione di Björketorp (Blekinge, Svezia, seconda metà del VII secolo)
dove si legge uþArAbAsbA/ hAidRunoronu/ fAlAhAkhAiderAg/ inArunARArAgeu/
hAerAmAlAusR/ utiARwelAdAude/ sARþAtbArutR che (secondo l’interpretazione pro-
posta in Krause 1966, pp. 214-218) significa: “Profezia di male! Ho nascosto qui la
serie delle rune luminose, rune magiche. Con comportamento perverso senza pace,
straniero è di una morte maligna chi distrugge [questo monumento].”
83
Si vedano a esempio l’incisione sulla pietra di Ellestad (presso Söderköping,
Östergötland, Svezia, datazione incerta), quella di Gummarp (Blekinge, Svezia, VII
secolo), quella sul manico di lancia di Kragehul (Fionia, Danimarca, VII sec.), quella
sull’amuleto di Lindholm (Scania, Svezia, VI sec.).
84
Si veda a esempio la tomba danese di Himlingøje (fase più recente dell’età del
ferro romana; cfr. nota 27) dove tra i doni del ricco corredo funebre della defunta sono
state trovate due fibule sulle quali erano state incise rispettivamente le parole hariso
(nome proprio) e widuhudaR (da leggere quasi certamente widuhundaR “cane del
bosco”), probabilmente un antroponimo maschile; o la tomba norvegese di Øvre
Stabu (Oppland) dove insieme ad altri oggetti si trova una punta di lancia con sopra
inciso raunijaR, verosimilmente “che mette alla prova”.
85
Dell’alfabeto runico si conoscono due serie. Quella antica consta di ventiquattro
segni e risulta in uso fino alla seconda metà dell’VIII secolo. Dopo di ciò compare la
serie recente, ridotta a sedici segni, che presenta due varianti principali.
86
Vd. tra l’altro Jacobsen L., Eggjum-stenen. Forsøg paa en filologisk Tolkning, Køben-
havn 1931 e Magnus B., “Eggjasteinen. Et dokument om sjamanisme i jernalderen?”, in
Indrelid S. – Kaland S. et al. (red.), Festskrift til Anders Hagen (= Arkeologiske Skrifter
fra Historisk Museum, Universitetet i Bergen: 4), Bergen, 1988, pp. 342-356.
87
de Vries 1962² (B.5), pp. 453-454 (voce rún).
88
Si tratta della pietra di Noleby (VII secolo) e di quella di Sparlösa (IX secolo),
entrambe nella regione svedese di Västergötland.
89
Il riferimento è, soprattutto, al carme eddico Dialogo dell’Alto (Hávamál in Edda
poetica), str. 138-163 (vd. p. 292).
90
Si veda innanzi tutto il carme dell’Edda poetica dal titolo Viaggio di Skírnir o
Dialogo di Skírnir (Fǫr Skírnis o Skírnismál, vd. p. 292) nel quale costui, servitore del
dio Freyr, minaccia la gigantessa Gerðr (che non vuole accettare di sposare il dio) di
scaricarle addosso una terribile serie di maledizioni incidendo segni runici potenti. Tra
gli esempi che si possono trovare nelle saghe islandesi, basti citare qui l’episodio
riportato nella Saga di Egill Skalla-Grímsson (Egils saga Skalla-Grímssonar, capp. 72 e
76), dove si riferisce della malattia di una ragazza provocata da un uomo inesperto che
– avendo intagliato delle rune allo scopo di farla innamorare – aveva messo in pratica
una procedura sbagliata.
91
Un ottimo esempio è l’iscrizione su uno dei due celebri corni d’oro di Gallehus
(Jutland meridionale, Danimarca, VI secolo d.C.). Rinvenuti nel medesimo luogo a
circa 100 anni di distanza (1639 e 1734), essi erano riccamente istoriati (nelle immagini
raffigurate A. Olrik ha voluto riconoscere rispettivamente gli dèi Odino, Freyr e Thor:
vd. “Gudefremstillinger på Guldhornene og andre ældre Mindesmærker”, in DS 1918,
pp. 1-35). Purtroppo questi due reperti eccellenti sono andati perduti (sottratti nel 1802
furono fatti fondere) e non ci restano che delle copie realizzate in base a disegni. Uno di
loro recava un’incisione in caratteri runici: ek hlewagastiR holtijaR horna tawido “io,
Hlevagast [figlio] di Holti feci il corno” (Krause 1966, pp. 97-103). Su questi reperti vd.
anche Brøndsted J., Guldhornene. En oversigt, Nationalmuseet [København] 1954.
92
Vd. Krause 1966, pp. 43-44. Non così tuttavia in Musset 1965, pp. 149-150; in de
Vries 1962² (B.5), p. 104 il termine è inteso solo come allusione a una funzione sacerdotale.
ᚠ ᚢ ᚦ ᚨ ᚱ ᚲ ᚷ ᚹ ᚺ ᚾ ᛁ ᛈ ᛉ ᛏ ᛒ ᛖ ᛗ ᛚ ᛜ ᛞ ᛟ
f u þ a r k g w h n i j E p R s t b e m l ŋ d o
Alfabeto runico recente e corrispondenze:
ᚠ ᚢ ᚦ ᚨ ᚱ ᚴ ᚼ ᚾ ᛁ ᛅ ᛋ ᛏ ᛒ ᛘ ᛚ ᛦ
f u þ ą r k h n i a s t b m l R
101
Le serie qui riportate (riprese da Musset 1965, p. 21) costituiscono uno schema
sommario dell’alfabeto runico a ventiquattro e a sedici segni (serie ‘antica’ e ‘recente’).
Per ragioni di semplicità non si dà conto delle varianti, per le quali si rimanda alla
letteratura critica citata in bibliografia.
102
Ovvero come una fricativa molto debole, articolata nel luogo alveolare (come s)
o più posteriore. Tale suono si fuse successivamente con la liquida r, sicché quando
venne adottato l’alfabeto norreno di origine latina la distinzione scomparve anche dal
punto di vista grafico.
103
Vd. sopra, nota 11.
Su Dankirke vd. Thorvildsen E., “Dankirke”, in NMA 1972, pp. 47-60 e Hansen
113
116
In ciò esse trovano un parallelo con le pietre vichinghe sulle isole britanniche
(vd. Shetelig 1933 [C.3.1], pp. 214-230).
117
Vd. Bugge S., Der Runenstein von Rök in Östergötland, Schweden, nach dem
Tode des Verfassers herausgegeben von M. Olsen, unter Mitwirkung und mit Beiträgen
von A. Olrik und E. Brate, Stockholm 1910.
PERIODO
CRONOLOGIA CLIMA CULTURA
STORICO
periodi di: Dryas
remoto (14.000-
12.800 a.C.),
Bølling (12.800-
12.200 a.C.), cultura
Dryas antico di Amburgo,
Paleolitico 14.000-9500 a.C.
(12.200-12.000 cultura
a.C), Allerød di Bromme
(12.000-10.700
a.C.) e Dryas
recente (10.700-
9500 a.C.)118
periodi pre- culture
boreale (9500- di Maglemose,
8500 a.C.), Kongemose,
boreale (8500- Ertebølle
Mesolitico 9500-4100 a.C. 6800 a.C.) culture di Fosna
e prima fase e di Komsa
del periodo culture
atlantico di Nøstvet
(6800-4100 a.C.) e di Lihult
118
I tre periodi che prendono nome di Dryas (dalla pianta Dryas octopetala, in
italiano “camedrio cervino” della famiglia delle Rosacee) sono contrassegnati da un
clima artico e dalla vegetazione tipica della tundra. Tra di essi si collocano due stadi
intermedi caratterizzati da temperature più elevate (clima sub-artico) nei quali la
vegetazione conosce soprattutto lo sviluppo delle betulle. Il primo è detto ‘periodo di
Bølling’ dal nome di un lago ormai prosciugato che si trovava nello Jutland centrale,
il secondo è detto ‘periodo di Allerød’ per via degli studi su sedimenti in un sito nel
territorio di Allerød nella Selandia settentrionale. Le datazioni (basate su Burenhult
1999-2000 [B.2], I, pp. 163-164) non possono naturalmente essere definite con asso-
luta precisione (cfr. le lievi variazioni in Jensen 2001-2004 [B.2], I, p. 58).
119
Questo periodo è volentieri definito nei testi di archeologia nordici come “età
della pietra agraria” (dan. bondestenalder, norv. bondesteinalder, sved. bondestenålder).
PERIODO
CRONOLOGIA CLIMA
STORICO
Calcolitico
periodo
(età del 2300-1700 a.C.
sub-boreale
rame)
1700-1100 a.C.
(età del bronzo ultima fase
Età antica) del periodo
del bronzo 1100-500 a.C. sub-boreale
(età del bronzo (fino al 500 a.C.)
recente)
500 a.C.-anno
zero (età del
ferro celtica o
preromana)
anno zero-400
d.C. (età del
ferro romana)
400 d.C.-550
periodo sub-
d.C.
Età del ferro atlantico (dal 500
(età delle
a.C. in poi)
migrazioni)
550-800 d.C.
(età dei
Merovingi o età
di Vendel)
800-1066 d.C.120
(periodo
vichingo)
120
Vd. p. 107, nota 33.
1
Sebbene ormai datati, restano a mio modo di vedere del tutto affidabili e convin-
centi i risultati degli studi condotti su questo aspetto da M. Scovazzi. Questo studioso,
analizzando l’antica società germanica e nordica da una prospettiva giuridica, ha
saputo evidenziare chiaramente la presenza e l’interrelazione delle due componenti
(comunitaria e individualistica), sottolineando il loro ‘peso’ nella evoluzione della
società scandinava (Scovazzi 1957 [B.8], pp. 201-257 e pp. 258-263).
solennemente istituita nel corso di un convito nel quale avvenivano libagioni consa-
cratorie (in nordico il termine gildi ha infatti anche il significato di “convito”). Su
questo vd. Cahen 1921 (B.7.1), pp. 91-96, passim, cfr. p. 345.
7
Solo per portare un esempio basterà qui citare la vicenda (seppure in buona
parte fantasticamente elaborata) di un personaggio vissuto tra il X e l’XI secolo, Gunn-
laugr, detto “Lingua di serpente” (ormstunga) del quale è riferito nell’omonima Saga
di Gunnlaugr Lingua di serpente (Gunnlaugs saga ormstungu), composta nel XIII
secolo. Assai significativo dal punto di vista di quanto qui esposto è un episodio che
narra di come il protagonista, seppure giovanissimo, volesse partire dall’Islanda per
tentare la sorte all’estero. Di fronte al netto rifiuto del padre a fornirgli l’equipaggia-
mento e i beni necessari per tale viaggio (“Non otterrai da me il consenso e non andrai
da nessuna parte, prima che io lo voglia”; DLO nr. 10) egli si era allontanato da casa,
abbandonando la famiglia e andando a vivere nella fattoria di alcuni conoscenti. In
seguito Gunnlaugr avrebbe comunque finalmente ottenuto di entrare in società con
altri acquistando una quota pari alla metà di una nave e quindi partire per l’estero.
VC (1980), pp. 25-88; Hødnebø F., “Hvem var de første vikinger?”, in MoM 1987, pp.
1-16; Holm G., “Ordet viking än en gång”, in MoM 1988: 1-2, pp. 144-145; Hødnebø
F., “Ordet viking. Replikk til Gösta Holm”, in MoM 1988: 1-2, pp. 146-151; Holm G.,
“Orden víkingr, m., och víking, f. Replikk til en replikk”, in MoM 1988: 3-4, pp. 188-
189 e Hofstra T., “Changing views on Vikings”, in Tijdschrift voor Skandinavistiek,
XXIV (2003), pp. 147-159 (dove si riassume la questione); cfr. nota 221.
13
Vd. oltre, 5.2.2.
14
Si vedano in particolare il patto che costituiva una società (félag) e l’appartenen-
za ad associazioni o confraternite (gildi); vd. Scovazzi 1957 (B.8), pp. 223-226; cfr.
sopra, nota 6.
15
Vd. Bø 1959 e il testo a p. 102.
16
Nelle fonti più tarde non è infrequente che il termine “vichingo” venga usato in
senso denigratorio. Se ne veda un esempio già nella Saga di Gunnlaugr Lingua di ser‑
pente (un testo redatto, come si è detto, nel XIII secolo) a proposito di un certo Þórormr,
definito – con intendimento spregiativo – “il più grande predone e vichingo” (cap. 7,
p. 72: “inn mesti ránsmaðr ok víkingr”) e nel Libro dell’insediamento (Landnámabók;
vd. p. 310) dove un tale Þorbjǫrn viene detto “vichingo e malfattore” (p. 200: “víkingr
oh illmenni”). In Scovazzi 1957 (B.8), pp. 222-223 si rileva, opportunamente, l’affini-
tà che per taluni versi li legava ai berserkir, i ‘guerrieri furiosi’, devoti di Odino, divi-
nità che incarna al meglio lo spirito vichingo (su di loro vd. oltre, pp. 170-171).
17
Barbarani 1987, pp. 346-347.
18
Vd. oltre, pp. 578-584.
19
Da collocare verosimilmente alla foce del fiume Oder nella località di Wolin.
3.1.2. Partenze
20
DLO nr. 11. Una informazione coerente con quella della Saga di Gísli viene (anche
se in forma più concisa) dalla Saga dei fratelli di sangue (Fóstbrœðra saga, cap. 2).
21
Nella Cronaca anglosassone è riferito l’episodio relativo al governatore del Dorset,
il quale venne a sapere che tre navi cariche di stranieri erano approdate sulla costa di
Dorchester; con i suoi uomini si recò sul posto per vedere di che si trattava, e voleva
condurli dal re ma venne assalito e ucciso. Queste furono le prime navi ‘danesi’ che
giunsero in Inghilterra. Siamo nell’anno 787 (The Anglo-Saxon Chronicle, I, pp. 96-97;
II, pp. 47-48).
33
L’autunno 1066 segna simbolicamente la fine dell’era vichinga, seppure almeno
fino al 1263 i nordici tentassero qualche ulteriore incursione (Jones 1977, pp. 438-439).
34
Una valutazione dell’impatto della lingua nordica nelle regioni dell’arcipelago
britannico (compresa la questione dei territori scozzesi, delle Ebridi e dell’isola di Man)
si trova in Barnes 2002 (B.5), dove è brevemente discussa anche la situazione lingui-
stica in altre aree colonizzate dai nordici (Normandia, Groenlandia, Russia). Vd. anche,
del medesimo autore, The norn language of Orkney and Shetland, Lerwick 1998 e
Jakobsen J., Etymologisk ordbog over det norrøne sprog på Shetland, I-II, København
1908-1921.
35
Assai interessanti sono qui (ma anche nella regione dirimpettaia del Cumberland,
particolarmente a Gosforth) le raffigurazioni incise su pietre e croci che rappresen-
tano diverse scene nelle quali è possibile leggere un chiaro riferimento a storie
appartenenti al patrimonio mitologico nordico (vd. KERMODE 1904; cfr. p. 93 con
nota 116).
36
Così detto perché portava calzoni di cuoio con il pelo sopra. A lui è dedicata la
leggendaria Saga di Ragnarr Brache di pelo (Ragnars saga loðbrókar); cfr. p. 134, nota
137.
37
La città era stata assalita una prima volta nell’anno 842 e in seguito (872) era
finita sotto il controllo danese. Nell’anno 994 fu di nuovo attaccata dal norvegese Olav
Tryggvason alleato del danese Svend Barba forcuta ma la coraggiosa resistenza degli
abitanti costrinse i nordici a ritirarsi.
38
Il Danelagu (ingl. Danelaw) si estendeva su un’area amministrativamente diso-
mogenea: comprendeva infatti oltre a diversi domini scandinavi limitate enclavi
anglosassoni e piccole repubbliche aristocratiche. Questi territori sarebbero stati
restituiti definitivamente alla sovranità della Corona inglese nel 937.
39
Una eco delle epiche lotte contro i nordici si trova in diversi testi della letteratu-
ra anglosassone. La battaglia di Brunaburh ricorda la brillante vittoria ottenuta nell’an-
no 937 dal re Ethelstano (Æðelstân), nipote di Alfredo, contro un esercito misto
scoto-normanno in una località non identificata (da collocarsi probabilmente sulla
costa occidentale dell’Inghilterra tra Chester e Dumfries). La battaglia di Maldon rie-
voca invece lo scontro avvenuto il 10 o l’11 agosto del 991, nel quale il capo dell’eser-
cito anglosassone Byrhtnoht, eorl dell’Essex, perse la vita. Un altro (breve) testo
poetico, cui è stato dato il titolo La presa dei cinque borough, commemora la riconqui-
sta nel 942 da parte del re inglese Edmondo (Eadmund) dei borough (circoscrizioni
amministrative) di Leicester, Lincoln, Nottingham, Stamford e Derby che facevano
parte del Danelagu; sui cinque borough vd. Hall R.A., “The Five Boroughs of the
Danelaw. A Review of Present Knowledge”, in Clemoes P. – Keynes S. et al. (eds.),
Anglo-Saxon England, XVIII (2007), pp. 149-206.
40
Alla morte di Canuto il Grande (tumulato nella cattedrale di Winchester), avve-
nuta nel 1035, gli era succeduto dapprima il figlio Araldo, poi (alla morte di questi)
un altro figlio, Hǫrða-Knútr, descritto come un personaggio feroce e vendicativo.
Costui morì nel 1042 e l’assemblea nazionale inglese, witan (o, più precisamente,
witenangemot “assemblea dei saggi”) nominò come suo successore Edoardo (Eadward),
noto come il Confessore (se andettere).
41
I toponimi di origine nordica in Inghilterra sono circa 1400 (sull’argomento vd.
tra l’altro Fellows Jensen 1986 e Fellows Jensen 1994); qui va segnalato che alcuni
sono riferibili al culto di divinità come Odino e Thor (Turville-Petre 1964 [B.7.1],
pp. 71-72 e p. 94).
42
Cfr. il termine inglese by-law che ha senso di “town law”.
43
Il che trova interessanti riscontri nel lessico: si vedano termini quali wapentake
(ant. ingl. wæpen-tæc) “suddivisione di una contea”, un curioso sviluppo del nordico
vápnatak, letteralmente “afferrare le armi”, un gesto di valore legale con il quale nel
corso dell’assemblea si esprimeva il proprio consenso brandendo e agitando le proprie
armi (cfr. la Germania di Tacito, cap. 11); husting “corte”, “tribunale”: ant. nord.
húsþing “assemblea convocata da un re o da uno jarl” (vd. p. 210); riding “divisione
amministrativa” (< þriðing “terza parte di una contea”, cfr. ant. nord. þriðjungr “terza
parte [legale] di un’assemblea”). Nel Domesday Book, dove sono elencati i possedi-
menti del Regno inglese dopo la vittoria di Guglielmo il Conquistatore ricorre il ter-
mine socmannus (corrispondente del danese sognman) con il significato di “uomo
libero” (e anche sochemanna femina “donna libera”); per le occorrenze vd. Foy J.D.,
Domesday Book, 38, Index of Subjects, Chichester 1992, pp. 70-74; vd. anche Maitland
F.W., Domesday book and beyond. Three essays in the Early History of England, London
and Glasgow 1961 (seconda ristampa dell’edizione del 1897), pp. 95-109 e Fuchs R.,
Das Domesday Book und sein Umfeld. Zur ethnischen und sozialen Aussagekraft einer
Landesbeschreibung im England des 11. Jahrhunderts, Stuttgart 1987, pp. 393-399.
del nordico félagi, termine che indicava un socio dal punto vista
commerciale),44 get “ottenere”, “ricevere”, give “dare”, happy “feli-
ce” (formato su happ “buona sorte”), hit “colpire”, husband “mari-
to” (dal nordico húsbóndi il “fattore/padrone di casa”), ill “cattivo”,
kid “capretto”, knife “coltello”, law “legge”, leg “gamba”, low
“basso”, outlaw “fuorilegge”, race “corsa”, “gara”, ransack “sac-
cheggio” (un termine davvero significativo!), root “radice”, same
“stesso”, sister “sorella”, skin “pelle”, skirt (in nordico skyrta “cami-
cia con le maniche lunghe”) che prenderà il senso di “gonna”
(accanto a shirt “camicia” di derivazione anglosassone), skull “cra-
nio” (probabilmente dal nordico skolptr/skoltr “muso”), sky “cielo”,
take “prendere”, their “loro” (poss.), they/them “essi/loro”, though
“benché”, thrift nel senso di “prosperità”, trust “fiducia”, ugly
“brutto” (nordico uggligr “spaventato”), want “volere”, weak “debo-
le”, window “finestra” (dal nordico vindauga, letteralmente “occhio
del vento”), wing “ala”, wrong “errato”.45 Nei testi anglosassoni
compaiono inoltre, in qualche caso, antroponimi di chiara origine
nordica, a esempio Grimcetel (< Grímkell), Lefer (< Leifr) o Ulf (<
Úlfr): essi però non saranno conservati nell’inglese moderno.
Sul continente i vichinghi, in maggioranza danesi, si erano mos-
si fin dai primi decenni dell’800 (le prime incursioni risalgono agli
anni 819-820). A partire dall’843 essi si procurarono una base
logistica nel luogo (un’isola tidale a sud dell’estuario della Loira)
in cui un tempo sorgeva il celebre monastero di Noirmoutier fon-
44
Cfr. nota 6.
45
Vd. Hogg R.M. (ed.), The Cambridge History of the English Language, I: “The
Beginning to 1066”, Cambridge 1991, pp. 320-336 e Klein E., A Comprehensive Ety‑
mological Dictionary of the English Language, I-II, Amsterdam-London-New York
1966-1967, alle voci relative. L’influsso nordico non è limitato alla ricezione di termini:
la preposizione till a esempio ha assunto il senso di “fino a” per analogia con il nordi-
co; un altro esempio significativo è la parola bloom “fiore” che riprende questo senso
dal nordico blóm, mentre il parallelo antico inglese bloˉma significava “lingotto di
ferro” ed è rimasto nel lessico della metallurgia; allo stesso modo plough trae il signi-
ficato di “aratro” dal nordico plógr, mentre l’ant. ingl. plow indicava una “misura di
terra”. Particolare è il caso del termine dream: questa parola in antico inglese signifi-
cava “gioia”, “felicità”, “musica”, “divertimento”; si è quindi supposto che il signifi-
cato attuale di “sogno” sia dovuto a un adattamento al nordico draumr, tuttavia questo
caso non è del tutto chiarito (vd. Onions G.T [ed.], The Oxford Dictionary of English
Etymology, with the assistance of G.W.S. Friedrichsen and R.W. Burchfield, Oxford
1966, p. 289). Assai interessante è anche la forma plurale del presente indicativo del
verbo essere: are, verosimilmente ricalcata sul nordico eru “sono” (sindon in ant. ingl.,
ma aron nella variante del dialetto della Northumbria). Sui prestiti nordici in inglese
vd. anche Björkman 1900-1902; Björkman 1901; Björkman 1910; Serjeantson M.S.,
A History of Foreign Words in English, London 1935; Geipel 1971. Sui reciproci
influssi nei testi di carattere letterario e non vd. Hofmann 1955.
54
Anche altri toponimi come a esempio Criqueville, Criquebeuf parrebbero ricon-
ducibili a questo termine. Non così tuttavia intende J. Renaud (Renaud 1989, p. 191)
che li ritiene formati sul nordico kriki “angolo”, “incavo”; vd. anche Joret Ch.,
Des caractères et de l’extension du patois normand. Étude de phonetique et d’etnographie,
Paris 1883, pp. 44-45 e p. 72.
55
Naturalmente la frequenza e la distribuzione di questi nomi sono diversificate.
Per un’analisi più approfondita si rimanda a Renaud 1989, pp. 153-198, da cui è trat-
ta buona parte degli esempi qui riportati. Si consultino anche Joret 1883 (vd. nota
precedente); Moisy H., Dictionnaire du patois normand, Caen 1887; Dubosc G.,
“Quelques noms de lieux normands”, in Chroniques du Journal de Rouen, 26 giugno
1922; Adigard des Gautries 1954; de Gogor 1958 e Fellows Jensen 1994.
56
Vd. sopra, nota 33.
57
Vd. Blake N. (ed.), The Cambridge History of the English Language, II: 1066-1476,
Cambridge 1992, pp. 15-20.
58
Questo nome va probabilmente connesso a quello della dèa Vár, una divinità
minore della quale è detto che presiede ai giuramenti (Chiesa Isnardi 20084 [B.7.1],
p. 61): un evidente riferimento ai patti che questi uomini stringevano fra loro.
59
Se ne ha evidenza, tra l’altro, dalle iscrizioni runiche svedesi (Jansson 1984³
[C.2.5], pp. 79-96).
60
La navigazione sui grandi fiumi non era però del tutto agevole e nei tratti parti-
colarmente difficoltosi le navi venivano tirate a riva e trasportate fino al punto in cui
la corrente e l’andamento dei corsi fluviali permetteva di farle di nuovo scendere in
acqua.
61
L’idea di una città fortificata e difesa si ritrova in un altro, seppure meno usuale,
nome dato a questo luogo: Miklaborg, letteralmente “grande cittadella”, “grande
castello”. Alle città come luoghi di commercio ben protetti e difesi fanno riferimento
anche i nomi nordici di Aldeigjuborg-Staraja Ladoga, Holmgarðr-Novgorod (russo
Новгород), e Kœnugarðr-Kiev (ucraino Київ), dove garðr è “recinto”.
62
Già dall’anno 911 si ha notizia di nordici in servizio presso la corte bizantina, ma
la celebre Guardia varega (Væringjalið “corpo dei Vareghi” o Væringjalǫg “lega dei
67
Località che si trovava sulla riva orientale del Volga e che un tempo si chiamava
Ḫamlı̄ḫ.
68
Cioè luoghi in cui svolgevano il proprio commercio (cfr. nota 61). Come giusta-
mente sottolineato da H. Birkeland (Ibn Rustah, Kitāb al-A’lāq an-nafı̄sa, nota 11, p.
135), questa affermazione non si pone in contrasto con quella precedente secondo cui
i Vareghi non avevano villaggi. In effetti qui si intende sottolineare che essi non si
dedicavano all’agricoltura bensì al commercio e che quindi non avevano villaggi con-
tadini quanto piuttosto centri commerciali.
69
Il riferimento è spiegato da D.A. Chvol’son nella sua prima edizione del testo di
Ibn Rustah: ИзвЂстія о хозарахъ, буртaсахъ, болгарахъ, мадьярахъ славянахъ и
руссахъ абу-али ахмеда бенъ омаръ ибнъ-даста, неизвЂстнаго доселЂ арабскаго
писателя начала х вЂка, по рукописи британскаго музея бъ первый разъ, издалъ,
перевелъ и объяснилъ д. а. хвольсо нъ, С.-Петербургъ 1869, pp. 195-196. Con l’espres-
sione “spade di Salomone”, i musulmani solitamente intendevano le spade, forgiate
dai geni per il re Salomone; ma qui non si fa riferimento a questo. Piuttosto si potreb-
be pensare che il termine “salomoniche” celi il nome di una località oppure di un
Paese, nel quale queste spade venivano prodotte (Selmân nel Khorassan). Forse Ibn
Rustah definiva così le spade dei Vareghi, solo perché somigliavano a quelle, che a loro
volta erano simili alle spade dei Franchi (molto apprezzate nel Nord Europa), solo più
piccole e più levigate. Secondo Ibn Faḍlān le spade dei ‘Russi’ erano larghe, con la
lama ondulata ed effettivamente di manifattura franca.
tono fra loro. E quello fra i due che è superiore all’altro, sarà quello che
ottiene la soluzione da lui desiderata nella questione. – Essi hanno i loro
’aṭibbā’70 che decidono su ciò che possiedono come se fossero i padroni,
quando ordinano loro di sacrificare al loro creatore ciò che essi desiderano
fra donne, uomini e bestiame. E quando gli al-’aṭibbā’ hanno preso la propria
decisione, allora essi non hanno alcuna possibilità di sottrarsi al loro ordi‑
ne. Aṭ-ṭabīb71 prende da loro la persona o l’animale, gli avvolge una corda
al collo e lo impicca a un palo di legno finché non spira. Poi egli dice:
‘Questa è una offerta a Dio.’ – Possiedono coraggio eroico e valore, e quan‑
do invadono il territorio di una stirpe [straniera], non desistono finché non
lo hanno completamente devastato. Prendono prigioniere le loro donne e
rendono schiavi [gli uomini]. Essi hanno corpi prestanti e bell’aspetto e
sono audaci. Ma la loro audacia non la dimostrano sulla terra. I loro attac‑
chi e le spedizioni li intraprendono solo con le navi. – Essi portano (ampi)
calzoni (sarāwı̄lāt); per ciascuno di essi ci vogliono all’incirca 100 álnir72 di
stoffa. Quando uno li indossa li arrotola attorno alle ginocchia e li fissa lì
così. Nessuno di loro va fuori per fare i propri bisogni da solo, ma in com‑
pagnia di tre dei suoi compagni, che gli fanno la guardia. Ciascuno di loro
ha la propria spada con sé, perché presso di loro c’è assai poca sicurezza e
molti tradimenti. E quando qualcuno possiede qualcosa, allora suo fratello
o il suo compagno che sta con lui punta a poterlo uccidere e depredare. –
Quando fra di loro muore un notabile, essi scavano una tomba come una
grande casa e lo depongono là. Insieme a lui mettono i suoi abiti e i brac‑
ciali d’oro che portava e inoltre molto cibo e recipienti per bere e monete.
Essi mettono anche la sua sposa favorita nella tomba insieme a lui, quando
ella è ancora in vita. Ma poi l’apertura della tomba viene ostruita, così ella
muore là.”73
Mago o medicine-man.
70
74
È uno di quei casi in cui il nome dei conquistatori è stato attribuito ai territori
conquistati: vedasi a esempio Francia da Franchi, Normandia da Normanni, Lombar-
dia da Longobardi, Bulgaria da Bulgari (popolazione turanica); Vasmer M., Russisches
etymologisches Wörterbuch, Heidelberg 1950-1958 (Фасмер М., Этимологический
словарь русского яэыка, Москва 1964), III, p. 505.
75
Essa si trova negli Annali di S. Bertino, nella parte (835-861) redatta da Pruden-
zio, vescovo di Troyes e cappellano dell’imperatrice Giuditta moglie di Ludovico il
Pio (Annales bertiniani, p. 44). Ivi si dice che questi rhos accompagnarono la legazio-
ne bizantina presso l’imperatore Ludovico il Pio.
76
La definizione tradizionale Cronaca di Nestore (per la quale si è qui consultata la
versione italiana Il racconto dei tempi passati […] [Повесть временных лет]) si basa
sull’attribuzione di questo scritto a un monaco di tale nome, vissuto nel convento
Pečerskij a Kiev verso la fine del XII secolo: costui in realtà ne curò piuttosto la riela-
borazione.
77
Questi nomi dovrebbero corrispondere ai nordici Hrœrekr (runico svedese HrörikR)
“ricco di fama”, Signjótr “che usufruisce della vittoria” (non attestato nelle fonti nordiche
occidentali ma frequente in Svezia; vd. E. Wessén Nordiska namnstudier. Östnordiskt i
vikingatidens namnförråd, Uppsala 1927, p. 108) e Þorvarðr “guardiano del dio Thor”.
78
Altre notizie sui Vareghi in Russia si trovano in una fonte bizantina: il manuale
di governo dal titolo De administrando imperio, scritto tra il 948 e il 952 da Costantino
Porfirogenito per il figlio (vd. in particolare cap. 2 e cap. 9); sull’argomento vd. Boyer
1991. Una interessante ed equilibrata valutazione della questione dei Vareghi in rela-
zione alla sua ‘ricezione’ nei testi svedesi di carattere storico si trova in Latvakangas
A., Riksgrundarna. Varjagproblemet i Sverige från runinskrifter til enhetlig historisk
tolkning, Turku 1995. Si veda anche Franklin S. – Shepard J., The Emergence of Rus
750-1200, London 1996.
79
Vasmer M., op. cit. (vd. nota 74), I, p. 443.
80
Ma si veda anche il russo Askold, cfr. ant. isl. Hǫskuldr. Vd. Thomsen 1877, pp.
131-141; Bugge 1885, Wessén 197510 (B.5), pp. 93-94; Melnikova 1996, e Svante 1989.
81
Cioè “Regno” (o “Impero”) delle città” per via dei centri che vi sorgevano in re-
lazione al fiorente commercio che vi si svolgeva; cfr. sopra, nota 61.
82
Il racconto dei tempi passati […] (Повесть временных лет), p. 18.
83
Saga di Yngvarr Gran viaggiatore (Yngvars saga víðfǫrla).
84
La questione è chiaramente esposta e discussa in Cucina 1989, pp. 198-243.
in PA XIX: 3 (2001), pp. 26-27. In relazione alla presenza dei nordici nel continente
americano è stata rivendicata anche la ‘scoperta’ di diverse pietre runiche (tra le qua-
li la più nota è forse quella di Kensington nel Minnesota), che tuttavia si sono dimo-
strate dei falsi.
94
Saga di Eirik il Rosso, cap. 5 (vd. brano citato alla fine del paragrafo).
95
Saga dei Groenlandesi, cap. 2.
96
Il soprannome significa verosimilmente “dotato di qualità promettenti” (Jónsson
F., “Tilnavne i den islandske oldliteratur”, in AaNOH 1907, p. 293).
97
Su altri nordici che in precedenza sarebbero vissuti in America (in particolare
tale Ari Mársson), vd. GHM I, pp. 150-168; vd. anche Beauvois E., “La grande-Irlande
ou pays des blancs précolombiens du nouveau monde”, in Journal de la societé des
Américanistes, I: 1-2 (1904), pp. 189-229.
“Leifr si mise in viaggio e per molto tempo stette in mare aperto e trovò
delle terre, di cui prima non conosceva l’esistenza. Là c’erano campi di
grano spontaneo e vi cresceva la vite. Là c’erano degli alberi che si chiama‑
no mo˛surr,100 ed essi da tutti questi presero qualche campione, alcuni albe‑
ri [erano] così grandi che [erano] adatti [per costruire] una casa.”
98
La diffusione delle notizie relative a queste terre è testimoniata dalle diverse
citazioni di Vínland. La prima in ordine cronologico si trova nell’opera di Adamo da
Brema, il quale riferisce che essa era considerata un’isola: “Inoltre, nominò ancora
un’isola da molti incontrata in quell’oceano, che viene detta Vínland, a motivo del
fatto che là le viti nascono spontaneamente producendo un ottimo vino. Del resto
siamo venuti a sapere che là abbondano anche i prodotti della terra non seminati, non
in base a una credenza leggendaria, bensì a un sicuro resoconto dei Danesi” (DLO nr.
16; cfr. ibidem, p. 110, scolio 37, dove di Odinkar, vescovo di Ribe, è detto che era
figlio di Toki, comandante vinlandese). L’annotazione relativa alla fertilità del luogo
trova corrispondenza in una fonte quale il Libro dell’insediamento, in essa si legge
infatti la definizione Vínland it góða, cioè “il buon Vínland” (Landnámabók, p. 162 e
p. 241); cfr. il Libro degli Islandesi (Íslendingabók) di Ari il Saggio (inn fróði) Þorgilsson
(1067 o 1068-1148), cap. 6; vd. Kristjánsson J., “Vinland the Good”, in Hødnebo –
Kristjánsson 1991, pp. 25-27. Inoltre questa terra è citata negli Annali islandesi agli
anni 1121 (cfr. pp. 279-280 con nota 197) e 1347 (IA, p. 213 e p. 403) così come in un
testo islandese di carattere enciclopedico (che la nomina insieme a Markland): qui
tuttavia la citazione è da ritenere spuria (Alfræði Íslenzk, I, p. 12). Una allusione a
Vínland sarebbe da riconoscere, secondo S. Bugge, nell’iscrizione runica norvegese di
Hønen (Buskerud, XI secolo); vd. Olsen-Liestøl et al. 1941-(C.2.5), II, pp. 35-37.
Vd. anche Rafn 1841 pp. 32-37 dove si fa riferimento ai viaggi (ivi compresa una
spedizione nelle zone polari) effettuati tra il 1266 e il 1347; Storm 1887, Hermannsson
1909, Hermannsson 1936, Brøgger 1937, Brøndsted 1950, Krause 1969, Pálsson
2001 (dove si prendono in considerazione le fonti celtiche) e anche (sulla questione
della presunta ‘mappa di Vínland’) Kejlbo I., “The Authenticity of the Vinland Map”,
in Geografisk Tidsskrift, XCII (1992), pp. 1-13 e Seaver K.A., Maps, Myths and Men.
The Story of the Vinland Map, Palo Alto, Calif. 2004.
99
In Rausing G., “Bronzealderens Columbus” (Skalk, 1977: 1, pp. 9-10) si consi-
dera l’eventualità di un contatto tra le regioni del Nord e il continente americano
addirittura nell’età del bronzo.
100
L’albero cui viene dato nome mǫsurr è verosimilmente una specie di acero.
“Si fece un gran parlare, che [alcuni] uomini potessero cercare quella
terra che Leifr aveva trovato […] Poi prepararono quella nave […] e per
ciò furono ingaggiati venti uomini, e avevano poco denaro, non più che armi
e viveri […] A lungo errarono sul mare, ma non arrivarono alla rotta che
volevano […] Tornarono indietro in autunno ed erano assai stanchi ed
estenuati […].”
101
Brattahlíð (l’attuale Qassiarsuk in fondo al fiordo di Tunulliarfik) era il nome
dell’insediamento groenlandese in cui viveva Eirik il Rosso (NØRLUND P. – STENBERGER
M., Brattalid, Copenhagen 1934).
102
Misura di lunghezza (sing. alin) che corrisponde a circa 45 cm.
103
L’espressione usata nella saga (tvau dœgr) non è tuttavia del tutto chiara in
quanto il termine dœgr può indicare tanto lo spazio di tempo del giorno o della notte
(dunque dodici ore) quanto un giorno astronomico (dunque ventiquattro ore). Quest’ul-
timo pare tuttavia il senso più probabile quando si fa riferimento a periodi di naviga-
zione.
104
DLO nr. 17-20. I brani qui riportati sono tratti dalla Saga di Eirik il Rosso. In
questo testo si riferisce dell’occasione in cui Leifr e i suoi uomini diedero nome alle
terre di Helluland e Markland. Il nome Vínland vi compare al cap. 8 (nel brano qui
riportato) come già noto. Alla sua origine fa invece riferimento la Saga dei Groenlan‑
desi (Grœnlendinga saga, cap. 3) dove si dice che Leifr avrebbe chiamato così quella
terra in quanto vi erano state trovate delle viti e dell’uva.
3.1.7. Ritorni
106
Si confronti anche l’iscrizione della pietra svedese di Sparlösa (Västergötland,
inizio del IX secolo). Su di essa, a questo proposito, si legga Lindquist I., Religiösa
runtexter II. Sparlösa-stenen, ett svenskt runmonument från Karl den stores tid upptäckt
1937. Ett tydningsförslag, Lund 1940.
107
Interpretazione basata su Krause 1966 (C.2.5), pp. 209-214. La parte finale
dell’iscrizione recita: hideRrunonofelẠḥekA hederA ginoronoR/ herAmAlAsARArAgeu/
weḷẠdudsAþAtbAriutiþ, un formula magica del tutto simile a quella che si trova sulla
pietra di Björketorp (vd. p. 85, nota 82). Cfr. qui il testo inciso sulla bratteata danese
di Skodborg (Jutland meridionale, periodo delle migrazioni): auja alawin auja alawin
auja alawin j alawid “Salute, Alawin! Salute, Alawin! Salute, Alawin! Buona annata,
Alawid!” (Krause 1966, pp. 241-244).
3.2.2. Danimarca
134
A proposito di questo personaggio, così come della sua famiglia le fonti non
mostrano precisione né concordanza; vd. Saxo Grammaticus 1979-1980, II, pp. 147,
nota 175, p. 148, nota 176, p. 150, note 1 e 2.
135
L’edificazione di altre imponenti fortificazioni-basi militari (come Trelleborg in
Selandia, Fyrkat e Aggersborg nello Jutland e Nonnebakken in Fionia), legate alla
figura del re Svend Barba forcuta si collegherà in seguito (tra il X e l’XI secolo) all’af-
fermazione definitiva di un potere centralizzato basato anche sulla militarizzazione del
territorio. Vd. Nørlund P., Trelleborg, med bidrag af K. Jessen, København 1948;
Olsen O. – Schmidt H. et al., Fyrkat. En jysk vikingeborg, I-II, København 1977 e
Roesdahl E., “Vikingernes Aggersborg”, in Nørgaard F. – Roesdahl E. et al. (red.),
Aggersborg gjennem 1000 år – Fra vikingeborg til slægtsgård, Herning 1986, pp. 53-93.
136
Adamo da Brema (Gesta Hammaburgensis […], I, xiv) sostiene tuttavia che egli
fosse il cugino (patruelis) di Goffredo.
137
Forse sarebbe addirittura possibile identificare in questo re il mitico capo vichin-
go Ragnarr Brache di pelo (che in Sassone grammatico sarebbe Regnerus, di cui tratta
il libro IX); vd. Saxo Grammaticus 1979-1980, I, pp. 277-278; cfr. sopra nota 36.
138
Questo soprannome attribuito successivamente è di significato incerto; vd.
Jónsson 1907 (indicazioni alla nota 96), p. 292 e p. 334.
139
Annales Regni Francorum, pp. 86-98, passim; vd. anche l’opera di Adamo da
Brema (Gesta Hammaburgensis […], I, xiv-xv) e, naturalmente, quella di Sassone
grammatico (Gesta Danorum, libro IX).
140
Sull’interpretazione di questa espressione vd. Nielsen 1983 (C.2.5), pp. 100-101.
141
Vd. Jones 1977 (C.3.1), pp. 138-139.
3.2.3. Svezia
Per quanto allettante sia l’idea che il nucleo del futuro Regno
svedese possa essere già riconosciuto nel passo tacitiano relativo
alla tribù dei Suiones143 e quindi fatto risalire addirittura al I seco-
lo d.C., è evidente che anche in Svezia diversi centri di potere si
erano consolidati piuttosto nei secoli precedenti il periodo vichin-
go in aree particolarmente avvantaggiate dal punto di vista delle
risorse economiche e commerciali; le testimonianze archeologiche
di contatti con l’Impero romano (e la conseguente circola-
zione di merci di prestigio) si legano all’affermarsi di signorie
capaci di imporsi – grazie all’acquisizione di ricchezza e alla
capacità di stringere utili alleanze – oltre confini limitati. Nei
secoli V-VI d.C. la Svezia ci appare come un territorio econo-
micamente vivace e nel quale si vengono delineando le regioni
che andranno a costituire la struttura del futuro Regno: Götaland
(la “terra degli Götar” [pronuncia: /'jø:tar/]), suddivisa in
Västergötland e Östergötland; Uppland con la regione gravitan-
142
“Prologo” (Præfatio) II, 1-3 (DLO nr. 24).
143
Vd. p. 155 con nota 215.
Descrizione della Svezia dalle Opere dei vescovi della Chiesa di Ambur‑
go di Adamo da Brema:
“Quindi faremo una breve descrizione della Sueonia o Suedia [la Terra
degli Svear]:156 essa ha a ovest gli abitanti di Götaland e la città di Skara, a
nord gli abitanti di Värmland con i Finni sciatori,157 il cui inizio è [in] Häl‑
152
Ynglinga saga, cap. 10.
153
Vd. oltre, pp. 240-241.
154
La città, costruita sulla piccola isola di Björkö dovette fiorire tra la fine dell’VIII
secolo e il 975 circa; cfr. p. 208.
155
Vita Anskarii; cap. 11 e cap. 26; Björn è citato come un sovrano ben disposto
nei confronti dei missionari.
156
Per la doppia denominazione vd. oltre, pp. 155-156.
157
I Sami (detti in Giordane Screrefennae, cfr. p. 75).
singland; a est per [tutta] la lunghezza ha quel Mar Baltico, di cui prima
abbiamo detto. Lì c’è la grande città di Sigtuna; a oriente invece arriva ai
Monti Rifei,158 dove [ci sono] vaste aree desertiche e nevi altissime, e dove
folle di uomini mostruosi impediscono un ulteriore accesso. Là ci sono
Amazzoni, Cinocefali, Ciclopi che hanno un occhio solo sulla fronte; là ci
sono quelli che Solino159 chiama Imantopodi, che saltano su un piede solo,
e quelli che gustano la carne umana al posto del cibo, ragion per cui si rifug‑
ge da loro, e parimenti a [buon] diritto [di loro] si tace.160 Il re danese [Svend
Estridsen], che spesso ricordo, mi riferì che dalle montagne erano soliti
scendere degli uomini di modesta statura, ma dagli Svear a stento contra‑
stabili per la forza e l’agilità. ‘E di loro è incerto da dove vengano; talora
una volta all’anno, oppure dopo tre anni’, disse, ‘arrivano improvvisi. Se a
questi non ci si oppone con tutte le forze, devastano l’intera regione, e di
nuovo si ritirano’. Molte altre cose si sogliono raccontare, che io ho omesso
per amore di concisione, da coloro che affermano di averle viste.”161
3.2.4. Norvegia
166
Vd. Wessén E., “Inledning”, in Snorri Sturluson, Yngligasaga, utgiven av E.
Wessén, Stockhom-København-Oslo 1964, pp. xii-xviii.
167
Vd. p. 210.
168
Vd. oltre, p. 310.
169
Vd. Jones 1977 (C.3.1), p. 87 e nota 3. Sulla cronologia relativa al regno di
Araldo vd. Aðalbjarnarson B., “Formáli”, in Snorri Sturluson, Heimskringla, II, pp.
lxxi-lxxxi e De Vries 1942, pp. 103-117. In generale su Araldo vd. Koht 1955.
170
Vd. in particolare le str. 9-11 (in Skj I: A, p. 26, B, p. 23).
171
L’episodio ci è narrato nella Saga di Hálfdan il Nero (Hálfdanar saga svarta,
seconda parte della Heimskringla, cap. 6). Qui si racconta che la madre del futuro re
aveva sognato di stare in giardino e di togliere una spina dalla propria camicia: ma
quando l’ebbe in mano essa crebbe fino a diventare un grande virgulto, sicché da una
parte attecchì nel terreno mettendo velocemente le radici e dall’altra si protese in alto
nel cielo. In tal modo divenne un albero tanto grande che pareva estendersi su tutta la
Norvegia e oltre. Su questo motivo letterario vd. de Vries 1942, pp. 96-97. Sempre
Snorri nei capitoli 3 e 4 della Saga di Araldo Bella chioma (Haralds saga ins hárfagra,
terza parte della Heimskringla) riferisce che costui, vistosi rifiutato da una giovane
donna che lo riteneva un sovrano con un potere troppo limitato, fece giuramento di
impadronirsi di tutta la Norvegia, impegnandosi a non tagliarsi i capelli, né a pettinar-
si finché non avesse raggiunto il proprio scopo. Per questo motivo gli fu dato il
soprannome “Spettinato” (lúfa) che divenne in seguito “Bella chioma” (inn hárfagri),
quando egli – raggiunto finalmente il proprio obiettivo – si fece tagliare e pettinare i
capelli (cap. 23).
172
Secondo Snorri Sturluson e altre fonti costei era figlia di Ǫzurr toti (soprannome
di significato incerto, forse “Bitorzolo”, dal momento che toti significa “protuberanza
simile a un capezzolo”), della regione settentrionale norvegese di Hålogaland (Háloga‑
land, a nord del Trøndelag) ed era cresciuta tra i Sami (Finni), il che spiegherebbe il
fatto che era considerata esperta di magia. Più probabile invece, che ella fosse – come
vuole una diversa tradizione – figlia del re danese Gorm il Vecchio. Secondo le saghe
dei re, dopo la morte di Araldo Manto grigio (su cui poco più avanti) ella era fuggita
nelle Orcadi rimanendovi per il resto della vita. Nella Saga dei vichinghi di Jómsborg
(cap. 5), tuttavia, si racconta che ella fu attirata in Danimarca con una falsa proposta di
matrimonio da parte del re danese, ma una volta giuntavi fu assassinata a tradimento e
gettata in una palude. Sulla scorta di questo racconto alcuni studiosi del passato hanno
voluto riconoscere proprio in Gunnhild il cadavere di una donna ritrovato nella palude
di Haraldskjær nello Jutland centrale. Questa identificazione è tuttavia del tutto errata,
sebbene ormai la sconosciuta il cui cadavere è stato ritrovato in quel luogo sia comu-
nemente nota come ‘la regina Gunnhild’ (Glob 1973 [C.2.2], pp. 55-58).
173
Vd. sopra, p. 107.
174
Costui a quanto pare apparteneva a una famiglia di ‘giganti del ghiaccio’ ricor-
data in diverse fonti; vd. Chiesa Isnardi 20084 (B.7.1), p. 321 e note relative. Questa
etimologia è, evidentemente, errata; vd. sotto, p. 156 con nota 220.
armi, le loro lesioni diventano chiare senza sangue, ai morti invece il sangue
cessa a stento di sgorgare. Ma hanno grave carenza di metallo di ferro,
[perciò] utilizzano denti di pesce al posto dei dardi e pietre aguzze al posto
dei coltelli.”179
191
Si veda come esempio assai significativo il racconto della Saga di Víglundr
(Víglundar saga): “E un’altra cosa non fu tuttavia di minore importanza che non andò
bene a nessuno di coloro che si opposero alla sua volontà, alcuni furono cacciati dalla
[loro] terra, alcuni uccisi; il re allora si impadronì di tutti i beni che avevano lasciato, ma
molti uomini di grande importanza fuggirono dalla Norvegia e non sopportarono le
imposizioni del re, quelli che appartenevano a grandi stirpi, e preferirono abbandonare
i loro possedimenti terrieri e i parenti e gli amici piuttosto che sottostare alla schiavitù e
al giogo del sovrano, e in molti si diressero verso diverse terre. Al suo tempo l’Islanda fu
ampiamente colonizzata, perché in quel luogo si diressero molti di coloro, che non tol-
leravano il potere del re Araldo” (DLO nr. 28); cfr. la Saga di Hǫrðr Grímkelsson
(Harðar saga Grímkelssonar), nota anche come Saga dei difensori dell’isola (Hólmverja
saga), cap. 1. La parte iniziale (capp. 3-30) della Saga di Egill Skalla-Grímsson è dedi-
cata per buona parte alla figura di questo sovrano e ai contrasti che lo opposero a
personaggi di prestigio. Si vedano anche, in questo contesto, la Saga degli uomini di
Eyr (Eyrbyggja saga), capp. 1-2, la Saga dei valligiani di Vatnsdalur (Vatnsdœla saga),
capp. 8-10, la Saga dei valligiani di Laxárdalur (Laxdœla saga), cap. 2, la Saga di Gísli,
cap. 1 (nella versione più lunga, p. 3) e la Saga di Grettir Ásmundarson (Grettis saga
Ásmundarsonar), un testo tuttavia piuttosto tardo, capp. 2-3 e cap. 7. Anche nel Libro
dell’insediamento si trovano diverse allusioni ai rapporti tra il re Araldo e coloro che
scelsero di riparare in Islanda.
192
Cfr. p. 410. Al cap. 2 si legge: “Araldo suo figlio assunse il regno dopo il padre
Hálfdan il Nero. Egli allora era giovane per il numero degli anni, ma completamente
formato in tutte le doti che si addicevano a un re cortese. La chioma gli era cresciuta
molto e aveva un colore particolare, assai simile alla vista alla bellezza della seta. Era
l’uomo più bello e più forte e così imponente come si può vedere dalla sua pietra
tombale, quella che si trova a Haugasund. Era assai saggio e previdente e ambizioso,
in ciò lo rafforzavano la fortuna e il progetto, che egli sarebbe diventato signore del
Regno dei Norvegesi, sicché dalla sua stirpe è stata onorata questa terra e così sarà
sempre. A lui resero omaggio gli anziani con saggi consigli e supervisione del progetto.
I giovani e gli uomini valenti desideravano [unirsi] a lui a motivo degli splendidi doni
e del fasto regale […]” (DLO nr. 29). A Haugasund (Haugesund) nella regione di
Rogaland si trova il cosiddetto Haraldshaugen (“tumulo di Araldo”).
famiglia, comunità resa feconda dal proficuo legame dei vivi con
gli antenati defunti.
Del resto un legame sacro con la nuova patria si esprimeva anche
nell’usanza di “consacrare a sé la terra” (“at helga sér landit”) rife-
rita in diverse circostanze. Si trattava di una sorta di rito che in varie
forme (attraverso l’uso di una freccia infuocata, di falò o di altri
simboli come un’ascia ma più tardi anche una croce) consentiva di
‘marcare’ il territorio del quale dunque si entrava nel pieno posses-
so anche da un punto di vista legale.196
Se comunque non tutti quelli che si trasferirono in Islanda
furono spinti oltre che da ragioni politiche, economiche, familia-
ri e sociali anche da motivazioni legate alla salvaguardia della
tradizione, è indubbio che la costituzione di una società secondo
schemi tramandati da secoli parve adattarsi assai bene ai diversi
bisogni dei singoli. La colonizzazione ebbe come conseguenza la
frammentazione del territorio in possedimenti che, per quanto
anche molto estesi, restavano comunque di entità limitata rispet-
to alla superficie del Paese: qui gli uomini eminenti e le loro
famiglie esercitavano il proprio dominio. Una forma di ‘governo’
comune venne affidata alle assemblee (inizialmente solo distret-
tuali), organo cui venivano demandate – secondo una tradizione
antichissima – le decisioni di carattere legislativo e giudiziario.
Come precedentemente accennato,197 l’assemblea rappresentava
nel mondo germanico il momento solenne nel quale venivano
discusse le questioni rilevanti e assunti i provvedimenti impor-
tanti. L’assemblea generale degli Islandesi (Alþingi) venne istitui-
ta nel 930 (a più di cinquanta anni dall’arrivo dei primi coloni),
contemporaneamente vennero emanate le cosiddette “Leggi di
Úlfljótr” (Úlfljótslǫg), che entrarono in vigore in tutto il
Paese.198 Úlfljótr fu il primo a ricoprire l’ufficio di lǫgsǫgumaðr
(letteralmente “uomo che dice la legge”), persona incaricata per
un periodo di tre anni di presiedere le riunioni e all’occorrenza
recitare la legge (che, lo si ricordi, aveva solo una redazione ora-
le). L’assemblea generale si teneva ogni anno nella piana di Þing-
vellir (letteralmente “Piani dell’assemblea”), presso la grande
spaccatura che divide la piattaforma continentale europea da
quella americana, sotto la quale scorre il fiume Öxará e si trova
196
Vd. Strömbäck D., “Att helga land. Studier i Landnáma och det äldsta rituella
besittningstagandet”, in Festskrift tillägnad Axel Hägerström den 6. september 1928 av
filosofiska och juridiska föreningarna i Uppsala, Uppsala 1928, pp. 198-220.
197
Vd. p. 130.
198
Vd. p. 386.
199
Vd. Lárusson M.M., “Lǫgsǫgumaðr”, in KHLNM XI (1966), col. 137 e Kålund
Kr., “Det islandske lovbjerg”, in AaNOH 1899, pp. 1-8.
200
Cfr. p. 197 con nota 384 e p. 209. Vd. Lárusson M.M., “Lögrétta”, in KHLNM
XI (1966), coll. 136-137; Lárusson Ól, “Goði og Goðorð”, in KHLNM V (1960), coll.
363-366 e Samson 1992 (C.6.4).
201
Vd. SCOVAZZI 1975 (B.8), p. 267-268 e p. 292.
202
Su questa data vd. Benediktsson 1986 (C.5.2), pp. cxxxv-cxxxix (§ 17. Tímatal).
203
All’assemblea generale degli Islandesi (Alþingi) e alla sua storia è interamente
dedicato il numero CIV della rivista Skírnir, uscito nel 1930, anno della celebrazione
del millennio di questa istituzione.
204
In realtà, secondo tradizione, all’assemblea potevano partecipare solo i rappre-
sentanti legali e gli uomini eminenti delle diverse comunità.
“Riguardo ai ghiacci che si trovano in Islanda, mi pare che possa essere [uno
scotto] che quel Paese paga per la sua posizione, che è vicina alla Groenlandia,
e c’è da aspettarsi che di là venga molto freddo, dal momento che essa è rico‑
perta di ghiaccio più di tutte le [altre] terre. Ora, dato che l’Islanda riceve
molto freddo da quella direzione e tuttavia poco calore dal sole, ha conseguen‑
temente sovrabbondanza di ghiacci sulle creste delle sue montagne. Ma, a
proposito del fuoco eccezionale che c’è là, io non so bene che cosa dovrei dire,
dal momento che esso ha una strana natura. Ho udito che nell’isola di Sicilia
c’è un fuoco immenso [di potenza] eccezionale207 e mi è stato detto che San
Gregorio nei [suoi] Dialoghi208 ha affermato che nell’isola di Sicilia ci sono
luoghi di tormento nel fuoco che c’è là.209 Ma è di certo molto più probabile che
ci siano luoghi di tormento in quel fuoco che c’è in Islanda, poiché il fuoco che
(è) nell’isola di Sicilia si nutre di sostanze vive, dal momento che consuma
terra e legno […] Il fuoco che è in Islanda, invece, non brucia il legno, anche
se ci viene gettato [sopra] e neppure la terra; ma prende a proprio nutrimento
pietre e rocce dure e ne trae forza come l’altro fuoco dalla legna secca, e non c’è
205
Vd. Scovazzi M., “Dalla Scandinavia all’Islanda”, in Scovazzi 1975 (B.8), pp.
395-416.
206
Vd. p. 377.
207
L’allusione è, evidentemente, innanzi tutto all’Etna.
208
Il riferimento è all’opera Dialogorum Libri IV del Papa San Gregorio Magno.
Questo testo era stato tradotto in islandese e fa parte del gruppo delle heilagra manna
sǫgur (vd. p. 326 con nota 133), I, pp. 179-255 (la citazione cui qui si fa riferimento si
trova a p. 245).
209
Il riferimento è al purgatorio o, più probabilmente, all’inferno.
mai pietra o roccia così dura che esso non la sciolga come cera e non la bruci
poi come olio grasso. E seppure sul fuoco tu getti del legno sarà solo bruciac‑
chiato e non vorrà ardere. Ora, dal momento che questo fuoco non vuole
nutrirsi di altro che di cose morte, e rifiuta tutte le sostanze di cui l’altro fuoco
si nutre, si può affermare con certezza che questo fuoco è morto e pare del
tutto probabile che sia il fuoco dell’inferno, perché là tutte le cose sono morte.
Mi pare anche che [certe masse d’]acqua che sono là [in Islanda] siano della
stessa natura morta del fuoco di cui abbiamo parlato. Perché là ci sono sorgen‑
ti che ribollono impetuosamente di continuo sia in inverno sia in estate. A
volte il bollore è così violento che esse scaraventano l’acqua in alto per aria.
Ma qualsiasi cosa si metta vicino alle sorgenti al momento del getto, si tratti
di stoffa o legno o qualsiasi cosa sia, se quell’acqua la tocca quando cade, si
trasformerà in pietra. E mi pare assai probabile che quest’acqua debba essere
morta, visto che trasmette la qualità della morte a qualsiasi cosa bagni con il
suo spruzzo, poiché la natura della pietra è morta. Ma se quel fuoco non fosse
morto e avesse origine da qualche particolarità o evento nel Paese, la cosa più
probabile sarebbe, in relazione alla formazione del territorio, che le sue fon‑
damenta si siano formate con molte vene, passaggi vuoti e cavità profonde.
Ma poi potrebbe avvenire o per via dei venti o della forza dei marosi rumoreg‑
gianti che queste vene e cavità siano così rigonfie di aria, che non sopportino
la pressione della corrente e può succedere che ne derivino i grandi terremoti
che si verificano in questo Paese. Ora, se ciò possa avere una qualche probabi‑
lità o logica, potrebbe essere che dall’intensa attività nelle viscere della terra
si accenda e compaia il grande fuoco che arde in diverse zone del Paese.”210
218
Vd. de Vries 1962² (B.5), pp. 568-569 (voce Svíar) e Wessén 197510 (B.5), pp. 26-27.
219
DLO nr. 32; cfr. Adamo da Brema, Gesta Hammaburgensis […], I, xiv: “Infatti
i Danesi e gli altri popoli che si trovano oltre la Danimarca, dagli storici dei Franchi
sono tutti chiamati Normanni” (DLO nr. 33).
220
Vd. de Vries 1962² (B.5), pp. 411-412 (voce Noregr); Wessén 197510 (B.5), p.
28. Vd. tuttavia anche l’ipotesi di A. Noreen (Svenska etymologier, Uppsala 1897, pp.
22-24) che lo intende come la “via stretta”. Una disamina delle diverse ipotesi etimo-
logiche si trova in Seip 1923, pp. 9-14.
221
Si vedano esempi come Ynglingar, i discendenti del mitico antenato degli Sve-
desi Yngvi-Freyr (cfr. pp. 174-175), Skjǫldungar, i discendenti del mitico antenato dei
Danesi, Skjǫldr (cfr. p. 132), Vǫlsungar, gli appartenenti alla stirpe leggendaria dei
Come sopra è stato osservato, non ha senso, almeno fino alla fase
iniziale del periodo vichingo, distinguere gli “uomini del Nord” in
base a un criterio di appartenenza ai singoli Paesi al modo in cui li
intendiamo al giorno d’oggi. Non solo gli stranieri li consideravano
genericamente “Normanni”, ma essi medesimi non avevano coscien-
za di una identità nazionale che solo da allora veniva, seppur len-
tamente, emergendo. Tuttavia, proprio nel corso del periodo vichin-
go, il rafforzarsi dei nuclei di potere centralizzato formatisi nei
secoli precedenti (al quale corrisponde la progressiva affermazione
degli etnonimi di cui è detto al paragrafo precedente) trova il pro-
prio parallelo in una prima diversificazione della lingua antico
nordica in idiomi nazionali che saranno, innanzi tutto, il danese, lo
svedese e il norvegese. Certamente il processo di differenziazione
delle lingue scandinave ha conosciuto tempi piuttosto lunghi, basti
pensare che almeno inizialmente con l’espressione dǫnsk tunga,
letteralmente “lingua danese” si indicava genericamente la lingua
scandinava: un fatto che sottolinea le scarse differenze percepite (a
esempio in Inghilterra “danese” era sinonimo di “scandinavo”).227
Tale definizione verrà poi sostituita (a partire dal XIII secolo) da
Volsunghi, Niflungar, “Nibelunghi”, ma anche víkingar (sing. víkingr), “vichinghi”
(verosimilmente formato su vík “baia”; cfr. sopra, p. 99 e nota 12).
222
de Vries 1962² (B.5), p. 159 (voce Gauti/Gautr).
223
Vd. sopra, p. 137.
224
Getica, XIV, 79.
225
“Prologo” dell’Editto di Rotari, p. 2.
226
Vd. Hachmann 1970 (C.2.3), pp. 45-46 e pp. 55-56.
227
Vd. Snorri Sturluson, Heimskringla, I, p. 3, nota 4.
231
Il fenomeno della frattura vocalica è presente, seppure in altre forme, anche in
area anglosassone. In nordico la frattura non avviene se la /e/ è preceduta da /v/, /u/,
/l/, /r/; se è seguita da /h/; se sta in sillaba che non porta l’accento principale.
232
All’inizio di parola davanti alle liquide /l/ e /r/; davanti alle vocali scure; se
preceduto da /ō/, /g/, /k/; dopo sillaba chiusa non terminante in /g/ o /k/.
233
I casi di assimilazione (totale o parziale) sono i seguenti: /lþ/ (non costantemen-
te), /lR/ (tranne che nei monosillabi con vocale breve dove > lr), /ðl/ e /rl/ (in età
recente) passano a /ll/; /rs/ (in età recente), /tt/ (fenomeno germanico) e /sR/ passano
a /ss/; /rz/ e /rR/ passano a /rr/; /nk/ passa a /kk/; /nt/, /ht/, /þt/, /dt/, /ðt e /tk/ (non
costantemente) passano a /tt/; /ðd/ e /zd/ passano a /dd/; /np/ e /mp/ passano a /pp/;
/nþ/, /nR/ e /zn/ passano a /nn/; /mf/ passa a /mm/. Inoltre n > m davanti a p.
234
Vd. pp. 1435-1436 con note 107-109.
235
La lingua norvegese andrà in seguito incontro a eventi in conseguenza dei qua-
li compariranno nel secolo XIX due varianti dette rispettivamente bokmål e nynorsk.
La prima, in quanto fortemente influenzata dal danese, presenta molti tratti tipici
delle lingue scandinave orientali. Su questo si veda 11.3.3.1.
236
Va tra l’altro segnalato che il nome del capoluogo di questa regione, Wick, è
chiaramente derivato dal nordico vík “baia”.
nella seconda metà del XVIII secolo, lo shetlandese tra la fine del
XVIII e l’inizio del XIX).237
Le lingue scandinave orientali si differenziano da quelle occi-
dentali per le seguenti principali caratteristiche: tendenza alla
chiusura dei dittonghi (esempio: sved. e dan. sten, ma isl. steinn
“pietra”); una maggiore frequenza di casi di frattura (esempio: dan.
jeg, sved. jag, entrambi da una forma antica jak ma isl. ant. ek
“io”);238 una minore tendenza a fenomeni come la metafonia, l’as-
similazione e la caduta di /w-/ in inizio di parola.239 Tuttavia la
suddivisione nei due gruppi qui indicati, per quanto sostanzialmen-
te corretta, non deve essere rigida, sia per la presenza di varianti
dialettali all’interno delle due aree, sia per il fatto che nelle zone di
contatto (come i territori di confine tra la Svezia e la Norvegia) si
possono facilmente riconoscere influssi reciproci.
237
Vd. sopra, p. 107 con nota 34. La scomparsa di questi dialetti va messa in rela-
zione anche all’esaurirsi dei commerci che per lungo tempo avevano collegato la
Norvegia a queste isole.
238
Una ‘frattura’ peculiare delle lingue nordiche orientali è quella che riguarda la
vocale /y/ che davanti ai nessi /ngw/, /nkw/, /ggw/ passa a /iu/; vd. a esempio il verbo
“cantare”: in isl. syngja, ma sjunge (< siunge) in danese (forma arcaica) e sjunga (<
siunga) in svedese. Diverso è tuttavia il caso del gutnico (vd. p. 1435 con nota 107).
239
Qui si dà conto solo dei fenomeni più vistosi, per un quadro più dettagliato si
rimanda a Schulte 2002 (B.5).
240
Si consideri l’uso del suffisso ‑ing/‑ung, utilizzato per formare nomi di popoli o
denominazioni di gruppi (vd. p. 156 con nota 221).
241
Questo suffisso sarà molto produttivo in epoca post-vichinga: vd. oltre p. 390.
242
Vd. Strandberg 2002, pp. 674-682 e Fridell 2002.
243
Vd. cap. 4.
244
Per un excursus sulle fonti vd. Chiesa Isnardi 20084 (B.7.1), pp. 677-685.
253
In particolare quello sul quale è raffigurato il dio Odino accompagnato dai suoi
due corvi (uno che lo precede e uno che lo segue) in sella a una cavalcatura di fronte
alla quale si trova una serpe.
254
Cfr. p. 50, nota 140. Si vedano anche le lamine d’oro rinvenute a Hauge (distret-
to di Jæren, Norvegia meridionale) da collocare cronologicamente nel periodo vichin-
go.
255
Vd. sopra, pp. 92-93. È certamente molto difficile dubitare che il cavaliere che
cavalca un destriero dotato di otto zampe (si veda la pietra di Tjängvide) sia qualcuno
di diverso da Odino, possessore del mitico destriero Sleipnir che aveva appunto que-
sta caratteristica.
256
Vd. sopra p. 107 con nota 35.
257
Singolarmente simile a questa è una statua in pietra calcarea che si trova nel
cimitero di Lokrune sull’isola di Gotland.
258
A questa si può forse accostare la pedina da gioco in ambra alta 4.7 cm. rinve-
nuta presso Roholte (Selandia meridionale) e risalente all’epoca vichinga. Essa raffi-
gura la parte superiore del corpo di una figura maschile che si tiene la barba.
259
Questo tipo di reperti è piuttosto frequente; vd. Skovmand 1942 (C.3.4), pp.
64-65. Un altro interessante reperto d’epoca vichinga da richiamare qui è una statuet-
ta realizzata in avorio di tricheco rinvenuta a Lund (Scania) che rappresenta una
figura seduta che si tiene la lunga barba; sul retro è inciso un martello di Thor; cfr.
nota precedente.
260
Vd. 5.2.1.
265
Scovazzi 1975 (B.8), pp. 377-383.
266
Vd. a esempio l’episodio relativo al re svedese Erik il Vittorioso del quale è
detto che ebbe la meglio in uno scontro contro un devoto del dio Thor dopo essersi
recato nel tempio di Odino e avergli affidato la propria vita (per la fonte vd. Chiesa
Isnardi 20084 [B.7.1], p. 210 e p. 257, nota 154).
267
Vd. soprattutto il Carme di Hárbarðr (Hárbarðsljóð) che si trova nell’Edda poe‑
tica (vd. pp. 292-293): in esso Odino (Hárbarðr) e Thor si contrappongono in un
dialogo nel quale si scambiano reciproci insulti (per i dettagli vd. Chiesa Isnardi 20084
[B.7.1], p. 621 e p. 629, nota 10); vd. anche l’episodio narrato nella leggendaria Saga
di Gautrekr (Gautrekssaga) nel quale Odino e Thor stabiliscono il destino dell’eroe
Starkaðr emettendo nei suoi confronti decreti contrastanti (per i dettagli vd., ancora,
Chiesa Isnardi 20084, pp. 418-419 e p. 427).
Innanzi tutto gli Asi. Il dio Odino, che sale prepotentemente alla
ribalta del mondo religioso dei popoli nordici nel periodo dei
Merovingi,269 è la divinità che meglio incarna lo spirito vichingo.
Personalità individualista e spregiudicata, non ha riguardo per i
vincoli familiari, si compiace della guerra e nella sua dimora, la
Valhalla, si circonda dei guerrieri migliori, morti in battaglia (un
destino da lui medesimo stabilito): costoro nell’ultimo giorno, il
terribile ragnarøkkr “fato degli dèi”,270 l’apocalisse nordica, lo
affiancheranno nella battaglia definitiva contro le forze del male.
Dio mago (e sciamano) che conosce i segreti del mondo dei vivi e
di quello dei morti, esperto del potere delle rune nelle quali è con-
tenuta ogni sapienza, Odino è altresì un dio viaggiatore, una carat-
teristica che (come suggerisce tra l’altro l’interpretatio romana che
lo intende come Mercurius)271 si collega anche all’aspetto commer-
ciale. Il dio è inoltre il protettore dei poeti cui elargisce il dono di
quest’arte: un fatto, questo, che richiede una ulteriore sottolinea-
tura, là dove si osservi che la poesia scaldica (che prende nome dal
268
Chiesa Isnardi 1992, p. 326. Sui goðlausir menn vd. tra l’altro Ström 1967 (B.7.1),
pp. 191-193 e Turville-Petre 1964 (B.7.1), pp. 263-268.
269
Resta valida al riguardo la discussione, seppure assai datata, proposta in de
Vries 1933.
270
Erroneamente, sulla scia wagneriana questa parola viene comunemente tradotta
come “crepuscolo degli dèi” (Götterdämmerung). Wagner del resto riprende una
interpretazione più antica espressa, a esempio, in opere di fine Settecento composte
da poeti inglesi, come Thomas James Mathias (ca.1754-1835) e Joseph Sterling (date
di nascita e morte ignote). Nella prima edizione dell’Edda (1665), il danese Peder
Hansen Resen nella “Prefazione al lettore” (che segue la lunga e dotta dedica al re
Federico III) definiva il ragnarøkkr come “l’estrema distruzione di tutto l’universo”
(Petri Joh. Resenii Præfatio ad Lectorem benevolum et candidum de Eddæ editione,
settima pagina, per altro non numerata: “om Ragnarocker seu extremo interitu totius
universi”); vd. Edda (edizione seicentesca di Peder Hansen Resen); cfr. p. 587.
271
Il parallelismo, noto da fonti latine, ma non solo (Turville-Petre 1964 [B.7.1],
pp. 71-73) risulta evidente anche nel nome del “mercoledì”, Mercurĭi dĭēs, che nelle
lingue germaniche conosce le seguenti forme: ant. nordico óðinsdagr, ant. ingl.
wōdnesdæg, ant. alto ted. wuotanestac, cfr. medio nederlandese wōdensdach.
termine skáld, n., “poeta” e che fiorirà nel Nord a partire dal IX
secolo) nasce nell’ambiente ristretto delle corti vichinghe (dove gli
scaldi sono assai spesso anche guerrieri seguaci di un signore) e si
presenta come un prodotto letterario la cui fruizione è riservata ai
pochi che ne sanno comprendere le oscure metafore e apprezzare
la metrica severa e complessa. I toponimi (ma anche un
antroponimo)272 che alludono esplicitamente al culto di Odino sono
presenti in misura maggiore in Danimarca e in Svezia (da sud fino
al Västergötland, all’Östergötland e all’Uppland). In Norvegia il
loro numero è più limitato ed essi compaiono nelle zone sud-
occidentali (in particolare nel Vestfold)273 e in località dell’area
centro-occidentale in prossimità della costa o nelle vicinanze di
fiordi.274 Significativamente però risultano totalmente assenti in un
Paese come l’Islanda, dove al contrario il culto di Thor è ampia-
mente e chiaramente testimoniato. Indubbiamente Odino ha il
carattere di un dio individualista e spregiudicato, modello e idolo
dei guerrieri che lo invocano per ottenere la vittoria.275 Il suo lega-
me con il mondo vichingo è palese anche là dove si consideri che
egli appare come il capo di una schiera di seguaci, un vero e proprio
comitatus: siano i morti in battaglia che dimorano con lui nella
Valhalla o i ‘guerrieri furiosi’ i berserkir (letteralmente “camicie
d’orso”, detti altrimenti úlfheðnar, letteralmente “casacche di lupo”),
individui (costituiti in gruppi, forse vere e proprie congregazioni)
che, secondo la testimonianza di Snorri nella Saga degli Ynglingar,
erano a lui votati.276 È verosimile che si trattasse di guerrieri che
indossavano travestimenti animali: il che del resto sarebbe già
testimoniato nella raffigurazione di un uomo armato rivestito con
272
In effetti si tratta di un nome femminile Odhindisa (Óðindísa) che compare
sull’iscrizione runica di Hassmyra (Västmanland), databile poco dopo la metà dell’XI
secolo, nella forma declinata oþintisu; vd. Andersson 1992 (B.7.1), p. 512; cfr. p. 191,
nota 363.
273
Come opportunamente fa rilevare E.O.G. Turville-Petre (Turville-Petre 1964
[B.7.1], p. 68) questa zona era il centro del potere del re Araldo Bella chioma, la cui
condotta si ispira alla ricerca di una affermazione di tipo personale.
274
Vd. la cartina in de Vries 1970³ (B.7.1), II, p. 53. In Svezia un caso isolato (Oden‑
sala) si trova in Jämtland.
275
In Turville-Petre 1964 (B.7.1), pp. 67-68, è inoltre evidenziato come il rappor-
to di venerazione per questo dio fosse alla base, a esempio, delle imprese di sovrani
come Araldo Bella chioma (cfr. nota 273) e di suo figlio Eirik Ascia insanguinata.
276
Cap. 6: “[…] ma i suoi [di Odino] uomini avanzavano senza corazza invasi dalla
furia come cani o lupi, mordevano nei loro scudi, erano forti come orsi o tori. Uccideva-
no la gente, ma né il ferro né il fuoco li potevano [fermare]. Questa è detta furia dei ber‑
serkir” (DLO nr. 34). Sui berserkir vd. Höfler O., “Berserker”, in Hoops – Beck 1973-2007²
(A), II (1976), coll. 299-304, Lid N., “Berserk”, in KHLNM I (1956), coll. 501-503 e il
più recente Näsström B-M., Bärsärkarna. Vikingatidens elitsoldater, Stockholm 2006.
una pelle di lupo che si trova su una lamina che decorava un elmo
rinvenuto a Torslunda sull’isola di Öland (periodo di Vendel).
Queste caratteristiche del dio, così come la sua padronanza delle
rune deporrebbero a favore di una sua affermazione piuttosto
tarda nell’ambito religioso scandinavo (tesi sostenuta da diversi
studiosi a partire dal danese H. Petersen).277
Ma questo punto costituisce uno dei problemi più dibattuti
relativi al paganesimo nordico. Pure volendo lasciare da parte le
teorie di G. Dumézil, che riconosce in Odino il corrispondente del
dio indoeuropeo della Sovranità (la quale insieme alla Forza e alla
Fecondità sarebbe la prima delle tre ‘funzioni sociali’ che – secon-
do la sua opinione – costituivano la ‘struttura ideologica’ di quel
mondo), occorre tuttavia ammettere che diversi indizi paiono
deporre a favore dell’antichità del culto di questo dio il quale, a
esempio, agisce da protagonista dei miti della creazione, è definito
in talune fonti278 “Padre di tutti” (Allfaðir) – un appellativo che
potrebbe tuttavia essere influenzato da concetti cristiani – ed è
indicato come capostipite (o comunque membro eminente) di
dinastie reali. In realtà il problema non è risolvibile semplicemen-
te accettando o rigettando l’ipotesi di un ‘ingresso’ più antico o più
recente di Odino nel pantheon nordico: sebbene presente fin da
tempi remoti egli avrebbe potuto restare, almeno fino a un certo
punto, una divinità di secondo piano, oppure nelle aree in cui egli
pare non comparire affatto (in particolare presso i Goti) ‘masche-
rare’ la propria identità sotto un altro appellativo (Gautr).279
Il dio Thor si mostra innanzi tutto come protettore della fecon-
dità e della famiglia (significativamente il mito lo descrive regolar-
mente impegnato a combattere i giganti che rappresentano un
costante pericolo per la comunità degli uomini e degli dèi). Nemi-
co dei demoni del male (come testimonia anche la presenza della
sua arma magica, il ‘martello’, su diverse pietre runiche),280 egli fu
277
Il quale sottolineava che il dio principale della tradizione religiosa scandinava
era piuttosto Thor e che Odino si era affermato solo in determinati ambiti in epoca
vichinga (vd. Petersen H., Om Nordboernes Gudedyrkelse og Gudetro i Hedenold. En
Antikvarisk Undersøgelse, Kjøbenhavn 1876, in particolare alle pp. 33-137).
278
Per l’elenco relativo vd. Chiesa Isnardi 20084 (B.7.1), p. 699.
279
Su questo vd. Dumézil 1959 (B.7.1), pp. 47-57.
280
In qualche caso sulle pietre runiche compare una invocazione al dio perché le
“consacri” (si vedano in particolare le iscrizioni danesi di Glavendrup in Fionia, inizio
del X secolo, di Sønder-Kirkeby in Falster e di Virring nello Jutland, seconda metà del
X secolo, e quella svedese di Velanda in Västergötland, inizio dell’XI secolo). Su altre
pietre (come quelle danesi di Læborg nello Jutland, prima metà del X secolo e quella
più tarda, XII secolo, di Hanning, anch’essa nello Jutland) è raffigurato il martello del
dio, strumento eccellente del suo potere contro le forze oscure e pericolose. Un caso
dubbio resta quello di una delle pietre erette presso la chiesa di Täng (Västergötland,
X secolo): vd. Gardell S., “Till tolkningen av tvenne runristade västgötastenar”, in
FV 1934, pp. 339-343.
281
Turville-Petre 1964 (B.7.1), pp. 94-97.
282
Fin dall’Ottocento L. Müller (Det saakaldte Hagekors’s Anvendelse og Betydning
i Oldtiden, avec un resumé en Français, Kjøbenhavn 1877) aveva inteso la croce
uncinata (così come la trischele) come simbolo di un moto circolare continuo (con
probabile riferimento a quello del sole). Essa sarebbe da collegare agli utensili utiliz-
zati per far scaturire scintille e ottenere il fuoco. Si tratta di un simbolo che appare
nelle bratteate, ma anche su pietre runiche come a esempio quella norvegese di Kårstad
(Nordfjorden, probabilmente del V secolo), quella danese di Snoldelev (Selandia,
primo periodo vichingo, dove essa è in combinazione con la trischele). Essa inoltre
può anche essere riconosciuta (seppure in forma non ‘canonica’) nelle incisioni rupe-
stri: si vedano raffigurazioni come quelle di Boråseberget (Svarteborg, Bohuslän), di
Tose (Bohuslän) e, forse, anche quella di Finntorp (Tanum, Bohuslän), che presenta
una croce grossolana (quasi una via di mezzo tra la croce uncinata e quelli che saran-
no poi i ‘martelli’ di Thor). In questo senso va verosimilmente letto anche il simbolo
simile presente in una incisione nel comune di Esbjerg (Jutland meridionale) e quello
(anch’esso in territorio danese) di Udsholt Blidstrup (Selandia settentrionale) che
mostra un piccolo cerchio con un punto al centro dal quale si dipartono quattro
‘raggi’. Particolarmente intrigante mi pare tuttavia una figura umana fortemente sti-
lizzata (Lökeberget, Tunge nel Bohuslän) la cui postura pare proporre la forma di una
croce uncinata.
283
Vd. Chiesa Isnardi 20084 (B.7.1), p. 121; la fonte è il Carme di Þrymr (Þrymskviða)
nell’Edda poetica (vd. p. 292). Qui pare possibile un collegamento con l’incisione
rupestre di Vitlycke (Tanum, Bohuslän) nella quale si vede una coppia che viene
‘benedetta’ da una figura (probabilmente, considerate le dimensioni, una divinità) che
brandisce un’ascia.
284
Come per Odino il parallelo si propone anche per il nome del “giovedì”: in
latino dĭēs Iŏvis: þórsdagr (cfr. medio ingl. þuresdæg e ant. alto ted. donarestac).
285
Vd. p. 36 con nota 82.
286
Vd. Chiesa Isnardi 20084 (B.7.1), pp. 228-231.
287
Vd. le cartine in de Vries 1970³ (B.7.1), II, pp. 116-117.
288
O. Almgren, a esempio, riconosce una continuità tra figure che si ritrovano nelle
incisioni rupestri come quella di Kalleby (Tanum, Bohuslän), nella quale compare un
‘dio con il martello’, l’iconografia di Thor e l’immagine di Sant’Olav raffigurato su una
nave con in mano un’ascia, che si trova su un sigillo medievale della città svedese di
Torshälla (anticamente Torsharg, un toponimo di chiaro carattere cultuale, vd. p. 189)
in Södermanland (Almgren 1926-1927 [C.1.3], p. 71 e figura 39). In questo contesto si
veda anche Montelius O., The Sun-god’s axe and Thor’s hammer, London 1910.
289
Anche se, a onor del vero, occorre specificare che le fonti cui si fa riferimento al
riguardo appartengono prevalentemente, all’area islandese e che nella tradizione
norvegese, così come in ambito leggendario – si veda a esempio la Saga di Bárðr (for-
malmente una ‘saga islandese’, in realtà tuttavia un testo ricco di allusioni a elementi
fantastici) – Odino appare in qualche occasione come pericoloso nemico dei cristiani,
(Bárðar saga, cap. 18). Vd. Chiesa Isnardi 20084 (B.7.1), pp. 206-207.
290
Diversi episodi relativi sono elencati in Chiesa Isnardi 20084 (B.7.1), pp. 231-233.
291
Questa espressione riprende un episodio riportato tra l’altro nel cap. 102 della
Saga di Njáll del rogo (Brennu-Njáls saga) nel quale si riferisce che un missionario cri-
stiano di nome Þangbrandr aveva fatto naufragio sulle coste dell’Islanda: questo fatto
era stato salutato dalla poetessa Steinunn Refsdóttir (vd. p. 307, nota 79) con la com-
posizione di alcuni versi celebrativi (vd. Skj I: A, pp. 135-136, B, pp. 127-128); costei
inoltre aveva sostenuto che Thor aveva sfidato Cristo a duello, domandandosi come il
nuovo dio osasse misurarsi con l’antico.
Al tempo dei vichinghi gli antichi dèi della famiglia dei Vani
erano ormai a pieno titolo integrati fra gli Asi. È certamente signi-
ficativo che fra questi ultimi l’unica figura femminile di una certa
importanza – Freyja, dèa della fecondità e della magia – sia origi-
nariamente una divinità vanica. In effetti ella pare prevalere nella
venerazione addirittura su Frigg, sposa di Odino, con la quale
mostra tuttavia di condividere diversi e non secondari aspetti. Se
infatti da una parte il numero di toponimi teofori a lei collegabili
appare chiaramente superiore rispetto a quelli riconducibili a Frigg292
e – almeno in una fonte – si fa chiaro riferimento ad altari e templi
innalzati in suo onore,293 è tuttavia a Frigg che si rifà, nelle lingue
germaniche, il nome del venerdì.294
Ai Vani appartengono come Freyja anche Njǫrðr, suo padre, e
Freyr, suo fratello. Il nome del primo risulta essere inequivocabil-
mente la forma nordica (e tuttavia maschile!) del latino *Nerthus295
che, come sopra si è accennato, era stato attribuito da Tacito a una
dèa della fertilità – la Terra madre medesima – assai venerata nelle
regioni tedesco-danesi tra il Mecklemburgo, lo Schleswig-Holstein
e lo Jutland.296 A giudicare dai toponimi teofori il culto di Njǫrðr
292
Per la loro distribuzione vd. la cartina in de Vries 1970³ (B.7.1), II, p. 309; cfr.
ibidem, p. 201. Per i toponimi riconducibili a Frigg vd. ibidem, p. 303.
293
Vd. p. 184 con nota 333.
294
In ant. nordico frjádagr, cfr. ant. ingl. frı̄gedæg, ant. alto ted. frı̄atag, evidenti
calchi del latino dı̆eˉs Vĕnĕris; vd. DE VRIES 1962² (B.5), p. 143 (voce frjádagr).
295
Il nome latino *Nerthus (nel testo di Tacito nella forma dell’accusativo Nerthum)
corrisponde esattamente all’antico nordico Njǫrðr: infatti: e > jǫ per frattura da ‑u-;
‑u- in sillaba finale caduta in quanto vocale breve; s > R per rotacismo (successivamen-
te > r). Inoltre la grafia latina ‑th- indica chiaramente la presenza di una spirante
dentale (rappresentata in nordico dal segno ‑ð-).
296
Germania, cap. 40: “Non hanno singolarmente [le tribù precedentemente citate,
vd. sotto] nulla di particolare, se non il fatto comune che venerano Nerthus, vale a dire
la Terra madre, e credono che ella intervenga nelle faccende umane e si rechi tra la
gente. In un’isola dell’Oceano c’è un bosco non profanato, in esso [si trova] un carro
dedicato [alla dèa], ricoperto da un telo; solo a un sacerdote è permesso toccarlo.
Questi percepisce la presenza della dèa nel luogo sacro ed ella viene trainata da gioven-
che ed è accompagnata con grande devozione. Allora vi sono giorni e luoghi di festa
che la dèa si degna di visitare come ospite. Non si intraprendono guerre, non si pone
mano alle armi; qualsiasi lama viene messa sotto chiave, la pace e la tregua solo allora
sono conosciute, solo allora amate, fino a che il sacerdote riconduca al santuario la dèa,
soddisfatta dei rapporti con gli uomini. Subito il carro e il telo e, per chi vuol crederci,
la divinità medesima [cioè il suo simulacro] viene lavato in un lago appartato. Schiavi
officiano, che subito dopo il medesimo lago inghiotte. Di qui un arcano terrore e una
santa ignoranza su che cosa sia ciò che vedono solo coloro che sono destinati a morire”
(DLO nr. 35). Tacito cita sette tribù che adoravano questa dèa: Reudigni, Aviones, Anglii,
Varini, Eudoses (che potrebbero forse essere identificati con gli Juti: vd. Much R.,
Die Germania des Tacitus, Dritte, beträchtlich erweiterte Auflage, unter Mitarbeit
von H. Jankuhn herausgegeben von W. Lange, Heidelberg 1967, pp. 446-447), Suari‑
nes e Nuitones. Cfr. sopra, p. 164 con nota 248. P. V. Glob (Glob 1973 [C.2.2], pp.
126-128) ha voluto riconoscere il simulacro di questa dèa nella figura di una divinità
femminile (tuttavia senza testa, braccia e piedi) realizzata con un ramo di legno di
quercia ritrovata in una palude a Foerlev Nymølle (Jutland centro-orientale) e si è
spinto a sostenere che i cadaveri rinvenuti dalle paludi danesi (vd. sopra. p. 71 con nota
32) possano essere i corpi di persone che avevano partecipato alle cerimonie in onore
della dèa Nerthus, così come descritte da Tacito. Il corrispettivo maschile di questa dèa
sarebbe il ‘dio di legno’ di Broddenbjerg (cfr. p. 165 con nota 250).
297
Vd. le cartine in de Vries 1970³ (B.7.1), II, pp. 194-195; cfr. ibidem, p. 201.
298
Vd. Chiesa Isnardi 20084 (B.7.1), pp. 279-280.
299
Si veda il cosiddetto Libro di Flatey (Flateyjarbók, II, pp. 331-336).
300
A lui si rifà il nome del “martedì” (dı̆ēs Mārtis): ant. nordico týsdagr; cfr. ant. ingl.
tı̄wesdæg, ant. alto ted. ziestag.
301
In effetti mentre il culto di Ullr risulta diffuso in Svezia e in Norvegia, quello
di Týr pare (con poche e dubbie eccezioni) limitarsi alle zone danesi (vd. de Vries
1970³ [B.7.1], II, pp. 19-20); cfr. nota 261.
311
Cfr. p. 48.
312
A questo proposito si potrebbero portare numerosi esempi. Tra tutti merita
comunque una citazione un celebre episodio narrato nella Saga di Gísli Súrsson
(capp. 12-13). Qui si riferisce di Vésteinn, cognato e “fratello di sangue” di Gísli
(vd. sopra testo a p. 102), il quale mentre si stava recando a trovare l’amico fu
avvertito da alcuni messaggeri inviatigli incontro di tornare indietro, in quanto per
lui sarebbe stato altamente pericoloso farsi vedere nella zona in cui abitava Gísli (il
fiordo detto Dýrafjǫrður). A causa di un contrattempo tuttavia i messaggeri lo
avevano raggiunto in ritardo. Al loro avvertimento egli dunque rispose con queste
parole: “Avete detto la verità […] e io sarei tornato indietro, se mi aveste incontra-
to prima, ma ora tutte le acque scorrono verso il Dýrafjǫrður e io devo cavalcare in
quella direzione; e tuttavia lo desidero” (DLO nr. 36). Poco tempo dopo il suo
arrivo nella casa del cognato, Vésteinn sarebbe stato ucciso; subito dopo aver rice-
vuto dal suo assassino un mortale colpo di lancia nel petto, egli pronunciò solo due
parole: “Colpì giusto” (Gísla saga, p. 43: “Hneit þar”) e dopo qualche istante cadde
a terra morto.
Vd. de Vries 1962² (B.5), p.197, p. 168 e p. 218 rispettivamente; vd. anche Sco-
314
vazzi 1957 (B.8), pp. 206-207. In questo contesto l’uomo nordico dava particolare
importanza al sogno, inteso sia come veicolo di contatto con il sovrannaturale sia come
momento in cui, seppure in forma simbolica, potevano essere preannunziati eventi
futuri; vd. Larsen S., “Antik og nordisk Drømmetro”, in AaNOH 1917, pp. 37-85;
Kelchner G.D., Dreams in Old Norse literature and their affinity in folklore, Cambridge
1935 e Turville-Petre E.O.G., “Dreams in Icelandic Tradition”, in Folklore, LIX
(1958), pp. 93-111.
315
Germania, cap. 9.
316
Tacito medesimo del resto pare contraddirsi quando parla del ‘santuario’ della
dèa *Nerthus (Germania, cap. 40; cfr. p. 174 con nota 296). Inoltre negli Annali (Annales,
I, 51) fa riferimento, a riguardo dei Marsi, a un celebre tempio denominato Tanfana
(I, p. 38: “celeberrimum illis gentibus templum, quod Tanfanae vocabant”). Anche in
questo caso resta tuttavia incerto se il riferimento sia a una costruzione a uso cultuale
o, piuttosto, a un bosco sacro al cui interno si trovava un altare.
324
Nissen Fett 1942 (B.7.1), p. 24. Vd. sopra, p. 68.
325
Del resto il forte legame con luoghi tradizionalmente considerati ‘sacri’ è ben
testimoniato nel Libro dell’insediamento, là dove si fa riferimento a tale Loptr Ormsson
che – emigrato dalla Norvegia in Islanda – ogni tre anni ritornava nella terra di origine
per innalzare sacrifici nel tempio che suo nonno aveva custodito (Landnámabók, pp.
368-369).
326
Vd. il testo riportato alle pp. 184-185 e anche nota 340.
327
Vd. il testo riportato a p. 186 e anche nota 342.
328
Guta lag, ed. Pipping, p. 7 (cfr. ed. Gannholm, p. 22 [4]); cfr. p. 198, nota 389.
Nelle leggi norvegesi cristiane dell’Eidsivating è contemplato il divieto di tenere in casa
un pilastro (stafr) e di venerarlo: “Nessuno dovrà avere in casa sua un palo o un altare.
[compiere] magie o [tenere] un sacrificio. o ciò che riguarda gli usi pagani” (DLO nr. 37).
329
Vd. Kock A., “Etymologisk belysning av några nordiska ord och uttryck”, in
ANF XXVIII (1912), pp. 199-205; cfr. p. 188.
330
Nell’Edda di Snorri Sturluson, a esempio, là dove è riferito l’episodio dell’inca-
tenamento del lupo Fenrir, incarnazione del principio del male (vd. Chiesa Isnardi
20084 [B.7.1], pp. 63-66), esso definisce la dimora stessa degli dèi.
“Là egli fece innalzare un tempio, ed era una grande costruzione; c’era una
porta alla parete laterale verso il fondo; là dentro c’erano le colonne del
trono336 e in esse dei chiodi; essi erano detti chiodi divini.337 All’interno
331
Diversi esempi in proposito sono riportati in Briem 1945 (B.7.1), pp. 131-132.
Una particolare espressione “lupo nel luogo sacro” (“vargr í véum”) designava la per-
sona che avesse infranto questo divieto e, di conseguenza, venisse bandita.
332
Nel Libro dell’insediamento si fa riferimento a tale Geirr, che viveva a Sogn in
Norvegia. Di lui si legge: “Geirr si chiamava un uomo eminente [che abitava] a Sogn;
egli era detto Végeirr, poiché era assai dedito ai sacrifici; egli aveva molti figli: il mag-
giore dei suoi figli era Vébjǫrn Campione di Sogn (Sygnakappi), e poi [c’erano] Vésteinn,
Véþormr, Vémundr, Végestr e Véþorn, ma la figlia [si chiamava] Védís” (DLO nr. 38).
Chiaro esempio di una ‘famiglia consacrata’! Cfr. p. 193.
333
La fonte è il Carme di Hyndla (Hyndluljóð, vd. p. 295), str. 10, p. 289.
334
Vd. Briem 1945 (B.7.1), pp. 133-134.
335
Nella Saga dei valligiani di Vatnsdalur (cap.15) si fa riferimento a tale Ingimundr
il Vecchio (inn gamli) il quale avrebbe innalzato un grande tempio lungo cento piedi;
vd. anche la Saga degli uomini di Kjalarnes (Kjalnesinga saga), cap. 2; cfr. nota 340.
336
Vd. sopra pp. 147-148 e p. 150. La saga (cap. 4, ma vd. anche Landnámabók, p.
124) precisa che sulle “colonne del trono” di Þórólfr era scolpita l’immagine del dio Thor.
337
Questo particolare fa forse riferimento a una storia mitologica relativa al dio
era tutta una zona sacra. Nella parte più interna del tempio c’era una
costruzione simile al coro che si trova ora nelle chiese, e nel mezzo del
pavimento c’era un piedistallo come un altare, e là c’era un anello aperto
di venti aurar: là si dovevano prestare tutti i giuramenti; il sacerdote
doveva portare quell’anello alla mano338 durante le adunanze. Sull’altare
ci doveva essere anche un catino sacrificale, e in esso un rametto sacrifi‑
cale che fungesse come un aspersorio, con cui si doveva aspergere dal
catino quel sangue che era detto sacrificale; era il sangue versato da quegli
animali che erano offerti agli dèi. Attorno all’altare in uno spazio a parte
era fatto posto alle effigi degli dèi. Tutti gli uomini dovevano pagare il
tributo al tempio e avevano l’obbligo di [seguire] il sacerdote in tutti [i
suoi] spostamenti, come ora i þingmenn con i [loro] capi,339 ma il sacer‑
dote doveva mantenere il tempio a sue spese affinché non decadesse e
celebrarvi i riti sacrificali.”340
Thor, al quale, in seguito a un duello con un gigante, era rimasto conficcato nella testa
un frammento della cote lanciata contro di lui dal suo avversario (Chiesa Isnardi 20084
[B.7.1], pp. 137-139 e p. 146, nota 8).
338
O forse al braccio. L’interpretazione dipende in effetti dal peso dell’anello che
secondo uno dei manoscritti era di venti, secondo un altro di due aurar (sing. eyrir),
unità di peso su cui vd. p. 209, nota 426; cfr. la Saga di Víga-Glúmr, cap. 25.
339
Vd. oltre, p. 380.
340
Cap. 4 (DLO nr. 39). Cfr. la Saga di Håkon il Buono di Snorri Sturluson, quinta
parte della Heimskringla (Hákonar saga góða, cap. 14) e la Saga degli uomini di Kjalar‑
nes (Kjalnesinga saga, cap. 2 e capp. 4-5). In quest’ultima è descritto un tempio nel
quale si trovavano le effigi di Thor e di altre divinità; questa fonte aggiunge che all’in-
terno c’era un fuoco sacro che doveva ardere continuamente e che fuori dall’ingresso
del tempio si trovava una fonte sacrificale (blótkelda) nella quale venivano affogate le
persone destinate al sacrificio. Di una fonte sacrificale fuori dal celebre tempio di
Uppsala scrive anche Adamo da Brema (Gesta Hammaburgensis […], scolio 138). Del
resto nella Saga dei valligiani di Vatnsdalur (cap. 30) si fa riferimento a una “fossa
sacrificale” (blótgrǫf) utilizzata per sacrifici umani e animali (si confronti anche il cap.
15 della medesima saga, cfr. nota 335). Molti altri luoghi sacri sono menzionati nelle
fonti. Tra i più importanti il grande tempio nella località di Mære (Mæri o Mærin)
presso Sparbu nella regione norvegese di Nord-Trøndelag cui fa riferimento tra l’altro
Snorri Sturluson in un paio di occasioni, affermando che Thor era là il dio maggior-
mente venerato (Óláfs saga Tryggvasonar, capp. 68-69 e Óláfs saga helga, cap. 108; cfr.
la versione norvegese della Saga di Olav Tryggvason [Óláfs saga Tryggvasonar] scritta
in latino attorno al 1190 da Oddr Snorrason monaco di Þingeyrar, in Saghe dei re
[Konunga sǫgur], I, cap. 54; cfr. anche Landnámabók, p. 307 e p. 309; per altre fonti
vd. CHIESA ISNARDI 20084 [B.7.1], p. 268, nota 57). In Norvegia doveva essere celebre
anche il tempio di Lade, che secondo la tradizione era dedicato a numerosi dèi (vd. in
particolare la versione della Saga di Olav Tryggvason di Oddr Snorrason, in Konunga
sǫgur, I, cap. 20; cfr. la Óláfs saga Tryggvasonar di Snorri Sturluson, cap. 59): in questo
tempio aveva luogo il sacrificio la cui descrizione è riportata più avanti (vd. pp. 196-
197). Un altro celebre tempio era stato edificato in Gudbrandsdalen (Guðbrandsdalir)
nella regione di Oppland (vd. oltre, p. 256). A edifici sacri innalzati in onore del dio
Freyr fanno riferimento innanzi tutto la Saga di Hrafnkell goði del dio Freyr (cap. 2),
la Saga di Víga-Glúmr (Víga-Glúms saga, vd. in particolare il cap. 9) e il cosiddetto
Breve racconto di Ǫgmundr Botta (Ǫgmundar þáttr dytts, pp. 112-115; vd. anche
*
Dalle Opere dei vescovi della Chiesa di Amburgo di Adamo da Brema:
CHIESA ISNARDI 20084, p. 282 e note relative). Cfr. infine la Saga di Egill Skalla-Gríms‑
son (Egils saga Skalla-Grímssonar, cap. 49). Un ricco tempio dedicato a diversi dèi è
citato nella Saga degli abitanti di Fljótsdalur (Fljótsdæla saga, cap. 26): è questo tuttavia
un racconto composto in epoca piuttosto tarda (forse addirittura nel XV secolo) e
di conseguenza le notizie che riporta possono facilmente essere eco di testi preceden-
ti (cfr. CHIESA ISNARDI 20084, p. 231 e p. 268, nota 61). Letterariamente caricata ed
eccessiva è certamente anche l’informazione fornita nella Saga dei vichinghi di Jómsborg
(Jómsvíkinga saga, cap. 7) a riguardo di un tempio dedicato a Thor e definito Goð-
heimr (letteralmente “Dimora del dio”) che doveva trovarsi nella regione svedese di Göta-
land e conservava, secondo questa fonte, ben cento immagini sacre. Essa tuttavia trova
conferma nella versione della Saga di Olav Tryggvason di Oddr Snorrason (Konunga
sǫgur, I, cap. 15).
341
Il riferimento è forse da intendere a Birka, la celebre città-mercato di epoca
vichinga (cfr. p. 141 e p. 208).
342
Gesta Hammaburgensis […], IV, xxvi-xxvii (DLO nr. 40). Una indagine archeo
logica sul tempio di Uppsala si trova in Nordahl E., … Templum quod Ubsola dicitur…
i arkeologisk belysning, med bidrag av L. Gezelius och H. Klackenberg, Uppsala
1996; vd. anche Gräslund A-S., “Adams Uppsala – och arkeologins”, in UAB (1997),
pp. 101-115. E inoltre: Lindkvist S., “Hednatemplet i Uppsala”, in FV 1923, pp.
85-118 e Hultgård A., “Från ögonvittnen til retorik. Adam av Bremens notiser om
Uppsalakulten i religionshistorisk belysning”, in UAB (1997), pp. 9-50. Di notevole
interesse anche le osservazioni di E. Wessén sulla rappresentazione dei pagani svede-
si fatta dall’autore (“Några anmärkningar till Adams av Bremen framställning av
Norden och uppsvearnas hedendom”, in Wessén 1924, pp. 131-198).
343
Ibn Fad·lān riferisce tra l’altro che i Vareghi possedevano delle effigi di divinità
intagliate nel legno (Risāla, p. 20).
344
Vd. sopra, p. 166.
345
Vd. sopra, p. 165.
346
Capp. 10, 12 e 15. Cfr. il Libro dell’insediamento (Landnámabók, p. 218). Cfr.
nota 335.
347
Vd. pp. 147-148 e p. 150. Secondo la versione della Saga di Olav Tryggvason di
Oddr Snorrason, lo jarl Eirik (Eiríkr) aveva sulla prua della sua nave l’effigie del dio
Thor, tuttavia in seguito la tolse e la distrusse e al suo posto collocò la croce cristiana
(vd. Konunga sǫgur, I, cap. 73).
348
Vd. Saga di Alfredo, capp. 5 e 6 e il testo alle pp. 231-232.
349
Gli esempi qui riportati sono selezionati con gli unici criteri della rappresenta-
tività e di una agevole comprensione. Per quanto riguarda la frequenza e la valutazio-
ne dei toponimi si rimanda alla letteratura critica indicata in bibliografia.
350
Presso di loro era venerata la celebre colonna Irminsûl, abbattuta secondo la
testimonianza di diverse fonti per ordine di Carlo Magno nell’anno 772 (vd. de Vries
1970³ [B.7.1], II, p. 386 dove sono citate le fonti). Cfr. p. 179 e p. 183.
351
Vd. sopra pp. 183-184.
352
Vd. Aa. Vv., Danmarks Stednavne, udgivet af Stednavneudvalget, IX, København
1948, pp. 1-2.
353
Per il significato di ‑by vd. p. 161.
354
Il significato di “collinetta pietrosa” è successivo.
355
Denominazioni di luoghi sacri parrebbero essere anche vangr “campo [del
tempio]”, da considerare tale quantomeno quando il toponimo si trova nei pressi di
un luogo di culto cristiano, e *ál- (<*alh-, cfr. gotico alhs “tempio”), un termine scom-
parso dal lessico ma che sarebbe riconoscibile in toponimi quali a esempio Ælin
(<*Ál-vin) “Campo del luogo sacro” in Norvegia o Aal, Aale, Aalum in Danimarca (vd.
Brink S., “Har vi haft ett kultiskt *al i Norden?”, in SN pp. 107-121).
356
Vd. p. 69, nota 24.
357
Su Goðafoss cfr. tuttavia p. 267 con nota 156.
358
Esso deriva da un antico *Áslo/Óslo, a sua volta da áss/óss “dio”, “ase” + *lo che
indicherebbe un prato pianeggiante vicino all’acqua (cfr. faroese lón “pianoro vicino
al mare” e anche ingl. loo “spazio aperto”, ripreso dall’antico norvegese, un termine
che verosimilmente significava “boscaglia”, “sottobosco erboso” oppure “radura”,
secondo altri tuttavia “boschetto”); vd. Sandnes J. – Stemshaug O. (red.), Norsk
stadnamnleksikon, Oslo 1980, pp. 244-245 e pp. 206-207 e anche Wetås Å., “Kva er
tydinga av namnet Oslo? Ein enket bland åtte granskarar i Noreg og Sverige / What
is the meaning of the name Oslo? An enquête among eight scholars in Norway and
Sweden”, in MoM 2004, pp. 129-147.
359
Si tratta del toponimo Härnevi (forse < *Hǫrnar vé “santuario di Hǫrn”) attesta-
to in almeno quattro occorrenze nella Svezia orientale e che dunque risalirebbe all’ap-
pellativo della dèa Hǫrn, da intendere forse “[dèa del] lino” (o “divinità-lino”).
360
Nel testo noto come Libro di Haukur [Erlendsson] (Hauksbók, vd. p. 426) è con-
servato un breve brano che riferisce dell’importanza per i pagani di dare ai propri figli
nomi tratti da quelli delle divinità: “È affermazione degli uomini saggi, che nel passato
ci fosse l’uso di trarre da quelli degli Dèi i nomi dei propri figli, così come dal nome di
Thor [Þórr] Þórólfr oppure Þorsteinn, Þorgrímr; oppure chi si chiamava Oddr, dal suo
nome [del dio] doveva piuttosto chiamarsi Þóroddr […] oppure [il nome composto
poteva essere] Þorbergr, Þórálfr, Þorleifr, Þorgeirr. E ancora altri nomi sono tratti dagli
dèi e dagli Asi, sebbene la maggior parte da Thor; così spesso gli uomini avevano allora
due nomi; ciò pareva opportuno per [avere] lunga vita e fortuna; per quanto alcuni li
maledicessero di fronte a un Dio, ciò non avrebbe dovuto danneggiarli, nel caso che essi
avessero un secondo nome” (DLO nr. 41). Qui si evidenzia l’uso, assai comune alla
tradizione nordica, dei nomi composti; infatti si riteneva che essi, collegando la persona
con una entità superiore (una divinità, un antenato, il clan) potessero in qualche modo
recare protezione e fortuna. Si confronti la Saga di Þorsteinn Bianco (Þorsteins saga hvíta),
cap. 8: “Era allora credenza della gente, che le persone che avevano due nomi vivessero
più a lungo” (p. 19: “Var þat átrúnaðr manna, at þeir menn skyldi lengr lífa, sem tvau nǫfn
hefði”). Cfr. anche il Carme di Hyndla, dove alla str. 28 si legge: “erano uomini consacra-
ti agli dèi” (p. 293: “þeir vóro gumnar/ goðom signaðir”).
congiunti, quelli che erano stati tumulati e quelli erano detti brindisi in
memoria (minni).”383
pp.172-197. Nella Saga degli Ynglingar (cap. 36) di Snorri Sturluson il bragafull viene
messo in relazione con il banchetto funerario in onore di un morto.
383
Hákonar saga góða, cap. 14 (DLO nr. 43). Cfr. nella medesima saga i capp. 17 e 18
dove si allude a sacrifici tenuti presso i templi di Lade e di Mære (su cui cfr. nota 340).
384
In realtà questi termini sono noti soprattutto da fonti islandesi. Nel resto della
Scandinavia la parola goði si ritrova in testi runici in Norvegia e in Danimarca. La
prima occorrenza è quella dell’iscrizione norvegese di Nordhuglo (V secolo, cfr. oltre,
nota 411) nella quale compare gudija col verosimile significato di “sacerdote”; le altre
riguardano la pietra di Helnæs e di quella nr. 1 di Flemose (entrambe in Fionia e
risalenti all’inizio del periodo vichingo) sulle quali si fa riferimento a un nuRa kuþi
“goði degli abitanti di Næs (verosimilmente Helnæs)”: costui nel primo caso aveva
fatto erigere la lapide in memoria del nipote, mentre nel secondo è egli stesso la per-
sona per cui il monumento runico è stato innalzato. In Danimarca troviamo anche una
allusione a un “Alli il Pallido (?) goði dei luoghi sacri” (ala : sauluakuþa), che pare
essere a capo di un gruppo di persone, sulla pietra di Glavendrup (Fionia, inizio del
X secolo). Nello svedese antico si ritrova il termine guþi in composti che indicano
località: in guthagarthom (DS II, nr. 1130, 6 giugno 1295, p. 187); apud curiam nostram
gwdhdathoorph (DS III, nr. 1782, 11 marzo 1311, p. 7); de gudhaby (DS III, nr. 2398,
1 aprile 1323, p. 593); jn guþabodhom (DS V, nr. 4116, 25 ottobre 1346, p. 618) e in
casi analoghi in cui compare il composto liuþguþi “goði del popolo”; è difficile tuttavia
avere certezze in proposito. Vd. Söderwall 1884-1918 (B.5), I, p. 432 e p. 771 e anche
Lundgren 1878 a, pp. 11-12. Cfr. sotto, p. 209.
3.3.9. Magia
eddico, Le invettive di Loki (Lokasenna, vd. p. 293), str. 23-24, fa esplicito riferimento
a tali comportamenti da parte del dio e di Loki medesimo.
400
Vd. Chiesa Isnardi 20084 (B.7.1), pp. 89-92.
401
Il che viene in effetti ‘riassunto’ nel capitolo 7 della Saga degli Ynglingar, là dove
Snorri Sturluson descrive le caratteristiche del dio.
402
Vd. Chiesa Isnardi 1996, pp. 20-21 e note relative.
403
Vd. Chiesa Isnardi 1992, p. 328.
404
Vd. l’esempio riportato alle pp. 227-228 con nota 19.
405
Si tratta della Saga dei valligiani di Vatnsdalur (capp. 33-34, p. 88 e p. 91) e
della Saga di Egill Skalla-Grímsson (cap. 57, p. 171).
406
Un ottimo esempio è Gunnlaugr Illugason Lingua di serpente (ormstunga) a
proposito del quale l’omonima Saga di Gunnlaugr Lingua di serpente (Gunnlaugs saga
ormstungu) suggerisce che avesse ereditato tale capacità dal bisnonno (cap. 4).
407
Si tratta della Saga di Eirik il Rosso (si veda la citazione alle pp. 205-206).
411
Si tratta dell’iscrizione di Nordhuglo (Hordaland), il cui testo recita: ek gudija
ungandiR i h/// da intendere “io, sacerdote, immune contro la magia a H[uglo]”.
412
Vd. Chiesa Isnardi 1996, p. 24 e pp. 27-29.
413
L’esempio migliore di questo è certamente il racconto del componimento eddi-
co Carme di Þrymr dove si riferisce del furto del martello di Thor da parte di un
gigante. È riferito che il dio, pur di rientrare in possesso del suo magico utensile, fu
costretto a travestirsi da donna, fingendosi la dèa Freyja che il gigante aveva chiesto in
sposa (vd. Chiesa Isnardi 20084 [B.7.1], pp. 118-121).
“In quel distretto c’era una donna che si chiamava Þorbjǫrg, era una
indovina ed era detta ‘piccola veggente’. Aveva avuto nove sorelle, e tutte
erano indovine, ma lei sola ora viveva. Era abitudine di Þorbjǫrg, duran‑
te l’inverno, recarsi ai conviti, soprattutto la invitavano presso di sé quel‑
le persone che avevano curiosità di conoscere il proprio destino o l’anda‑
mento dell’annata […] Þorkell invitò l’indovina a casa ed ella fu ben
accolta, come era usanza quando si dovevano accogliere donne di questo
tipo. Le era stato preparato un sedile d’onore e sotto di lei era stato posto
un cuscino, dentro dovevano esserci piume di gallina. E quando ella alla
sera arrivò insieme all’uomo che le era stato mandato incontro, era abbi‑
gliata così: aveva un mantello blu con un nastro, ed era ornato di pietre
fino all’orlo; aveva al collo perle di vetro, in testa un cappuccio nero di
pelle d’agnello foderato di pelliccia di gatto bianca; aveva in mano un
bastone con un pomo, esso era ornato con ottone e con pietre sotto al pomo;
cingeva una cintura,414 [appeso] alla quale c’era un grande borsellino di
pelle, e là ella conservava gli oggetti magici di cui aveva bisogno per la sua
scienza. Ai piedi aveva scarpe di pelle di vitello pelose con lunghi lacci e
grandi bottoni di stagno alle estremità. Alle mani aveva guanti di pelle di
gatto che internamente erano bianchi e pelosi. E quando ella entrò, a
tutta la gente parve doveroso rivolgerle saluti deferenti. Ella li accettò a
seconda di quanto le garbavano le persone. Allora il padrone di casa Þor‑
kell la prese per mano e la condusse al sedile che era stato preparato per
lei. Þorkell la invitò a dare uno sguardo alla gente di casa, al bestiame e
alla fattoria. Ella era di poche parole su tutto. La sera furono apparecchia‑
ti i tavoli, e occorre dire che cosa era stato cucinato per l’indovina. Le era
stato preparato del porridge con latte di capra, e cucinati tutti i cuori degli
animali a disposizione. Ella aveva un cucchiaio di ottone e un coltello con
il manico di avorio di tricheco con due anelli di rame e la punta spezzata.
E quando i tavoli furono sparecchiati, il padrone di casa Þorkell andò da
Þorbjǫrg e le chiese che impressione avesse avuto, e quale idea [si fosse
fatta] della fattoria e del modo di fare della gente e quanto ci avrebbe
messo a capire ciò che le chiedeva e che la gente aveva grande curiosità di
sapere. Ella dichiarò che non avrebbe detto nulla prima del mattino suc‑
cessivo, dopo averci dormito [su] la notte. E al mattino, quando era
giorno inoltrato, fu preparata per lei l’attrezzatura di cui aveva bisogno
per mettere in pratica la magia. Ella chiese di avere delle donne, che
conoscessero i carmi che erano necessari per la magia e che si chiamavano
Varðlokur. Ma queste donne non si trovavano. Allora si cercò nella fat‑
toria, se qualcuno [li] conoscesse. Allora Guðríðr disse: ‘Io non sono
414
Il termine nordico, non del tutto chiaro, è hnjóskulindi: forse di trattava di una
cintura con funghi di quelli che crescono sul legno, usati come esca per il fuoco o a
scopi medicinali.
Eiríks saga rauða, cap. 4 (DLO nr. 47). Cfr. il cap. 10 della Saga dei valligiani di
416
magazzini, stalle (prima in molti casi agli animali era assegnato uno
spazio accanto agli uomini), fienili, piccole costruzioni destinate ai
lavori delle donne (tessitura e cucito) o ad altri usi.
L’economia si fondava sull’agricoltura (curata in buona parte
dalle donne e dagli schiavi) con prevalenza dell’allevamento (bovini,
ovini, suini, ma anche cavalli e animali da cortile) nelle aree le cui
condizioni climatiche non erano favorevoli alla coltivazione; la cat-
tura di prede animali (caccia e pesca) conservava la sua importanza
anche in relazione al fatto che essa forniva merci da vendere (come
pelli e pellicce). Il commercio (anche quello locale, più difficile da
definire nei suoi aspetti)421 appare ulteriormente esteso e consolida-
to. A ciò si collega, evidentemente, l’affermazione delle prime città
(le già citate Helgö e Birka sul Mälaren in Svezia, Hedeby
e Ribe in Danimarca, Skiringssal, detta altrimenti Kaupang, un
nome che ben ne sottolinea l’attività mercantile,422 in Norvegia).423
Uno sviluppo in questo senso si definirà tuttavia solo nella fase
finale del periodo vichingo quando gli interessi politico-economici
di sovrani ed ecclesiastici favoriranno lo sviluppo di località come
Sigtuna e Skara in Svezia, Nidaros (Niðaróss, l’attuale Trondheim),
Oslo e Bergen in Norvegia, Viborg, Roskilde, Odense, Aarhus424 e
Lund in Danimarca.425 In relazione al fiorire del commercio con-
statiamo anche la comparsa delle prime monete nordiche (le più
antiche a Hedeby nella prima metà del IX secolo, ma una conia-
zione significativa si avrà soltanto a partire dagli ultimi decenni del
X secolo), così come la chiara definizione di un sistema di misure
421
Foote – Wilson 1973, pp. 192-195.
422
In antico nordico del resto il termine kaupangr significa “centro commerciale”,
“mercato” e si ritrova nelle diverse forme (dan. købing, sved. köping, norv. kaupang),
da solo o in composti, nei toponimi che indicano, appunto, questo tipo di località (vd.
p. 390). Per l’etimologia, che rivela gli influssi anglosassoni e basso-tedeschi, vd. de
Vries 1962² (B.5), p. 304.
423
Vd. Clarke – Ambrosiani 1995; Holmqvist W., Swedish Vikings on Helgö and
Birka (photographer: K-E. Granath), Stockholm 1979; Ambrosiani B., Birka vikinga-
staden, I-V, Stockholm 1992-1996; Jankuhn J., Haithabu, ein Händelsplatz der Wikin‑
gerzeit, Neumünster 19634; Eriksson H.S., Hedeby. En søhandelsstad i vikingetiden,
København 1967; Feveile Cl. (red.), Ribe studier. De ældste Ribe, udgravninger på
nordsiden af Ribe Å 1984-2000, I-II, København 2000-2006; Blindheim Ch., “The
Market Place in Skiringssal. Early Opinions and Recent Studies”, in AA XXXI (1960),
pp. 83-100; Blindheim Ch., Kaupang. Vikingenes handelsplass, Oslo 1972 e Skre D.
(ed.), Kaupang in Skiringssal, [Århus-Oslo] 2007.
424
Per il nome di questa città si userà qui sempre la grafia Aarhus (stabilita ufficial-
mente nel 2010) anziché quella, parallela, Århus (tranne quando esso faccia parte di
una indicazione bibliografica, nel qual caso sarà riportato così come stampato sul libro).
425
Barbarani 1987 (C.3.1), pp 135-136. Si ricordi che la regione della Scania (nel-
la quale si trova la città di Lund) apparteneva al Regno danese.
433
Vd. sopra, pp. 98-99 con note 8 e 9.
434
Sono noti infatti veri e propri codici di leggi che regolavano il rapporto del re
con i suoi uomini: un esempio più tardo è il cosiddetto Elenco [delle leggi] di corte
(Hirðskrá), raccolta delle norme relative alla corte del re norvegese Håkon Håkonsson
e di suo figlio, Magnus Emendatore di leggi Håkonsson; vd. p. 369; cfr. p. 394, nota
261.
435
Vd. oltre, 5.2.2.
che di colpe vere e proprie. Celebri fra tutti sono Grettir Ásmundarson e Gísli Súrsson
vissuti in quella condizione per molti anni. A loro sono dedicate rispettivamente la
Saga di Grettir Ásmundarson (Grettis saga Ásmundarsonar) e la Saga di Gísli Súrsson.
443
Presumibilmente “re”, dal celtico righ.
444
Uno tuttavia è detto Seggr “Guerriero”. Assai interessanti nell’elenco dei nomi dei
figli di Amma sono Hǫldr e Bóndi (che riprendono termini sopra trattati), ma anche
Drengr, Þegn e Smiðr. Il primo (che ha senso di “uomo giovane”) e il secondo (che
significa “uomo libero”, cfr. ingl. thane) paiono alludere in epoca vichinga a una deter-
minata condizione sociale (vd. Foote – Wilson 1973, pp 105-108). Smiðr che significa
“fabbro”, “artigiano” si riferisce in modo evidente all’importanza di queste figure
nell’economia della società vichinga (vd. p. 90 con nota 104 e p. 219 con note 459 e 460).
453
Tra i più celebri i ritrovamenti norvegesi di Grimestad (Vestfold, X secolo), con
braccialetti, barre d’argento e monete, e quello di Hoen (Buskerud) risalente al IX
secolo: un tesoro che tra l’altro testimonia una grande abilità nell’arte orafa. Di note-
vole interesse è la recente scoperta presso Spillings nell’isola di Gotland del più
importante tesoro d’argento di quest’epoca per un peso totale di 65 kg. (qui sono
stati ritrovati anche oggetti in bronzo accuratamente custoditi); vd. Ström J. – Wider-
ström P., “Världens största vikingaskatt!”, in PA XIX: 2 (2001), pp. 10-12. Assai
interessante è anche il ritrovamento di Grisebjerggård in Selandia, comprendente
duecentosessantadue pezzi d’argento, oltre a milletrentotto monete arabe (dirham) e
a novantuno monete dell’Europa occidentale. Questi depositi (forse, in qualche caso,
da considerare offerte votive) danno ulteriore testimonianza degli intensi rapporti
commerciali con altri Paesi, come dimostra tra l’altro la notevole quantità di monete
straniere rinvenute; cfr. pp. 71-72 con nota 37.
454
Cfr. p. 116 con nota 65.
455
Vd. pp. 170-171 con nota 276.
Nanna, figlia di Nepr, vide questo schiantò dal dolore e morì; ella fu posta
sulla pira e fu appiccato il fuoco. Thor stette là e consacrò la pira con [il suo
martello] Mjǫllnir, ma davanti ai suoi piedi corse un nano, quello che aveva
nome Litr, Thor gli diede un calcio col piede e lo gettò nel fuoco, ed egli
bruciò.
A questa cremazione venne una folla di ogni genere. Innanzi tutto occor‑
re dire di Odino, che con lui andò Frigg e le valchirie e i suoi corvi. E Freyr
andò nel carro con quel verro che si chiama Gullinbursti o Slíðrugtanni. E
Heimdallr cavalcò il cavallo che si chiama Gulltoppr, e Freyja guidò i suoi
gatti. Là venne anche una grande folla di giganti della brina e giganti delle
montagne. Odino pose sulla pira l’anello d’oro che si chiama Draupnir, da
allora esso acquisì la virtù che ogni nove notti ne sgocciolano otto anelli
d’oro di pari peso. Il cavallo di Baldr fu condotto alla pira con tutti i
finimenti.”456
456
Edda: Gylfaginning, cap. 49 (DLO nr. 48). La traduzione è ripresa da Snorri
Sturluson, Edda, a cura di G. Chiesa Isnardi, Milano 2003, pp. 101-102, cui si riman-
da per il significato dei nomi mitologici.
457
È noto tuttavia che in molti casi le armi (soprattutto le spade) erano di prove-
nienza straniera (Foote – Wilson 1973, pp. 273-275).
458
Non è affatto vero, come ritenuto da una tradizione popolare tanto radicata
quanto erronea, che gli elmi dei vichinghi fossero ornati di corna. Così come chiara-
mente mostrano i reperti archeologici (vd. già i celebri elmi svedesi di Valsgärde e di
Vendel, le raffigurazioni delle pietre di Gotland – a esempio quella di Smiss i – e,
soprattutto, la testa di guerriero realizzata in osso rinvenuta a Sigtuna e risalente all’XI
secolo) essi avevano forma piuttosto semplice (seppure la decorazione fosse accurata)
ed erano spesso forniti di una protezione per il naso. Elmi provvisti di corna come
quelli, assai celebri di Viksø (vd. p. 44, nota 115), che comunque appartengono a un
periodo più antico, dovevano avere funzione esclusivamente rituale. È possibile che essi
siano in qualche modo collegati al ricordo di un culto del toro di derivazione celtica.
461
Il modello più antico è da ricercare assai indietro nel tempo, innanzi tutto nei
motivi dell’arte degli Sciti approdati nel cuore dell’Europa per il tramite della cultura
celtica. Anche le spille utilizzate nell’abbigliamento dei soldati romani furono certa-
mente fonte di ispirazione. In seguito sono stati rilevati influssi dell’arte anglo-irlan-
dese, di quella carolingia (in particolare per l’inserimento, a partire dall’inizio del IX
secolo, del motivo della cosiddetta ‘bestia che afferra’, una sorta di animale fantastico
che si congiunge, come avvinghiandovisi, alle restanti componenti della rappresenta-
zione grafica, quando non addirittura alla propria figura). I primi esempi dei motivi
ornamentali zoomorfi fortemente stilizzati tipici dell’arte nordica risalgono al V-VI
secolo d.C.
462
Lo stile di Borre (840-980 d.C.) prende nome da reperti (in particolare delle
briglie) rinvenuti in un ricco tumulo sepolcrale del Vestfold (Norvegia); quello di
Jelling (870-1000 d.C.) si richiama innanzi tutto alla decorazione di una coppa in
argento ritrovata in una sepoltura della necropoli reale danese di Jelling; quello di
Mammen (960-1020 d.C., assai simile al precedente, del quale costituisce una elabo-
razione) da un’ascia decorata rinvenuta in questa località dello Jutland; quello di
Ringerike (980-1090*) dalle diverse pietre runiche decorate rinvenute nella municipa-
lità norvegese (in Buskerud) che porta questo nome; quello di Urnes, infine (1050-
1170*), che certamente risente di influssi cristiani, dal celebre portale della chiesa in
legno (stavkirke) che si trova in questa località (regione di Sogn e Fjordane, Norvegia;
vd. sotto, p. 222). La cronologia è ripresa da Foote – Wilson 1973, p. 287, dove si
precisa che le date asteriscate si riferiscono all’Irlanda, in quanto in Scandinavia que-
sti stili risultano esauriti già in precedenza.
463
Vd. sopra, pp. 92-93.
464
Ciò a motivo del fatto che le sue migliori espressioni si ritrovano nella celebre
nave funeraria di Oseberg (vd. p. 104).
465
Vd. sopra, p. 135.
466
Cfr. pagina precedente con nota 464.
467
Vd. p. 184, nota 336.
468
Fóstbrœðra saga, cap. 23.
469
Cfr. il racconto della Laxdœla saga, cap. 29, dove è riferito che lo scaldo compo-
se questo carme trovandosi ospite in questa casa in occasione di un matrimonio.
470
Vd. oltre, p. 306.
471
Si vedano in particolare le pietre di Hammars i e iii, di Ardre viii, di Smiss i, di
Tjängvide i, di Hunninge i e di Tängelgårda. Già sulla pietra di Austers (risalente al
periodo precedente, probabilmente al V secolo) si può forse riconoscere nella raffigu-
razione di un drago con le fauci spalancate davanti al quale c’è una figura umana una
allusione alla storia del celebre eroe Sigurðr (il Sigfrido della tradizione continentale).
472
Tra i più celebri certamente la croce e la pietra di Gosforth (Cumberland), la
pietra di Ramsey e la croce di Kirk Andreas (entrambe sull’Isola di Man) e il cosiddet-
to Franks Casket, cofanetto in osso di balena proveniente dalla Northumbria (VIII-IX
secolo) raffigurante una scena del mito di Vǫlundr (vd. sopra, nota 460).
473
Vd. in particolare la pietra di Altuna (Uppland, Svezia, XI secolo), la pietra di
Hunnestad (Scania, Svezia, X-XI secolo), la pietra di Ledberg (Östergötland, Svezia,
XI secolo) e quella di Ramsundsberget (Södermanland, Svezia, XI secolo).
474
Cfr. sopra, nota 462.
475
In realtà quest’ultima chiesa è stata demolita nel 1838 per costruirne una nuova.
I due celebri portali si trovano ora conservati nel Museo storico-culturale (Kultur-
historisk museum) di Oslo. Sulle stavkirker vd. oltre, pp. 270-272; cfr. p. 319.
476
Vd. Hougen B., “Osebergfunnets billedvev”, in Viking 1940, pp. 85-124.
Immagini su una parete all’interno della tomba di Kivik in Scania (p. 43)
Incisioni rupestri dell’età del bronzo (§ 1.3.3). Un esempio dal sito di Stora
Backa (Bohuslän)
Fig. 13
Fig. 17
7
Citata in Musset 1967, p. 276 e nota 25.
8
Il poeta Þorbjǫrn Scaldo delle dísir, a esempio definisce il battesimo come “la più
grande fortuna [… elargita] dal Bianco Cristo” (Skj I: A, p. 144, B, p. 135: “Hvítakrists
[…] hæsta giptu”), attribuendo, ovviamente, al termine “fortuna” il senso che esso
aveva per i pagani (vd. sopra, p. 180).
9
Storia dei Sassoni (Rerum gestarum Saxonicarum), III, lxv. Cfr. la versione della
Saga di Olav Tryggvason di Oddr Snorrason nelle Konunga sǫgur, cap.15 e la Óláfs saga
Tryggvasonar di Snorri Sturluson, cap. 27. Alla vicenda allude anche Adamo da Brema
(vd. Gesta Hammaburgensis […], II, scolio 20).
10
Vd. Fuglesang S.H., “Crucifixion iconography in Viking Scandinavia”, in PEVC
pp. 73-94.
ria tra le più gravi che potessero essere recate. Forse l’atteggiamen-
to del vescovo, i suoi inviti all’umiltà e alla sottomissione, ma anche
il suo modo di abbigliarsi (tra l’altro secondo la regola egli non
portava la barba) fecero nascere nei pagani un profondo senso di
disprezzo culminato nell’accusa di essere una ‘donnicciola’.
Paganesimo e cristianesimo convissero fianco a fianco per mol-
to tempo tra tolleranza e fastidio, diffidenza e curiosità. Talora i
pagani accettarono, probabilmente in più di un caso per conve-
nienza, una sorta di ammissione parziale nella comunità cristiana
(divenendo in sostanza catecumeni), con l’atto della cosiddetta
prím-signing (prima signatio). Ma non di rado si verificarono delle
reazioni anche molto violente. E d’altronde anche da parte dei
cristiani l’evangelizzazione fu portata avanti, in diverse circostanze,
con metodi brutali: basti pensare all’opera dei due Olav, i grandi
cristianizzatori della Norvegia;20 in un paio di casi si fa anche rife-
rimento a figure di martiri pagani, persone che rifiutarono ostina-
tamente di farsi battezzare, preferendo morire fra i tormenti.21
L’orgoglio pagano, tante volte testimoniato nelle fonti, si sarebbe
piegato solo davanti alla dimostrazione di una ‘superiorità magica’
del Cristo rispetto agli dèi tradizionali, o sarebbe stato sconfitto
dalla determinazione e dalla aggressività di taluni sovrani, o avreb-
be saputo accortamente indietreggiare di fronte a lucide conside-
razioni di carattere politico. I missionari dovettero spesso accon-
tentarsi di far accettare ai nordici almeno gli aspetti esteriori del
culto: l’importanza di cerimonie come il battesimo o la sepoltura
in terra consacrata, la necessità della partecipazione ai riti e della
recita delle preghiere furono enfatizzate con grande fervore. Ma
esse tuttavia parrebbero in molti casi rappresentare l’unico tangi-
bile risultato raggiunto.
E tuttavia, fatto del resto inevitabile, in qualche modo le due
religioni si mescolarono e si sovrapposero. Innanzi tutto le pratiche
cristiane seppero assorbire progressivamente parte del cerimoniale
pagano: a esempio i riti per la fecondità (certamente antichissimo
retaggio della religione vanica) furono riferiti a Cristo o alla Madon-
na22 e brindisi in onore degli dèi furono dedicati alle nuove potenze
20
Vd. sotto, pp. 252-257.
21
Vd. Snorri Sturluson, Saga di Olav Tryggvason, cap. 76 e capp. 78-80. La veri-
dicità di queste storie è stata messa in dubbio da F. Paasche (Paasche 1958, pp. 132-
133).
22
Ciò appare evidente non soltanto dalla constatazione che la predicazione cristia-
na riferiva al nuovo dio la creazione dell’intero universo e di conseguenza il potere su
tutti i suoi elementi, ma anche da altri indizi, allorché – a esempio – troviamo riferita
a Cristo e alla Madonna l’antica formula “per la prosperità e la pace” (“til árs ok friðar”)
ricorrente nei sacrifici pagani di fecondità (vd. le leggi del Gulating in NGL I, § 6, p.
6); cfr. pp. 195-196.
23
Nella Saga di Olav Tryggvason (cap. 35) a esempio Snorri Sturluson fa riferimen-
to a un convito, al quale erano presenti anche i famosi vichinghi di Jómsborg, dove fu
fatta una bevuta in onore di Cristo e una in onore dell’arcangelo Michele. Del resto
O. Olsen (Olsen 1966 [B.7.1], pp. 48-49) sostiene che il riferimento al “dio onnipo-
tente” (“hinn almáttki áss”) invocato in una solenne formula di giuramento insieme a
Freyr a Njǫrðr (vd. tra l’altro Landnámabók, p. 315), sia da ascrivere all’influsso delle
concezioni cristiane, piuttosto che da riferire, come parrebbe probabile, al dio Thor
(vd. Turville-Petre 1972 [C.3.3]); cfr. tuttavia anche le opinioni divergenti di J. de
Vries (de Vries 1931 [C.3.3]) che lo identifica con Odino e di H. Pálsson (“Áss hinn
almáttki”, in Skírnir, CXXX [1956], pp. 187-192 che pensa addirittura a Ullr); cfr.
inoltre Chiesa Isnardi 20084 (B.7.1), p. 230 e p. 268, note 55 e 56.
24
Particolarmente significativo da questo punto di vista è un reperto rinvenuto a
Birka (la città vichinga sul Mälaren) e risalente all’XI secolo: una croce cristiana in
filigrana d’argento il cui stile risente in modo evidente di quello dei ‘martelli’ di Thor.
25
Vd. p. 171 con nota 280.
26
Cfr. sopra, pp. 128-129.
27
Solo per fare un esempio si pensi all’episodio riferito da Snorri Sturluson nella
Heimskringla (Saga di Olav Tryggvason, capp. 78-79) secondo il quale il vescovo Sigurd
che si trovava insieme al re Olav Tryggvason aveva calmato una tempesta di mare con
preghiere e acqua benedetta. Ciò ricorda immediatamente le qualità magiche rivendi-
cate da Odino, capace di placare i marosi con la recita di canti magici (vd. Chiesa
Isnardi 20084 [B.7.1], p. 89 e p. 209).
28
Vd. la sua Edda, capp. 51-52.
34
Se ne vedano alcuni esempi in relazione a Odino riportati in Chiesa Isnardi 20084
(B.7.1) alle pp. 206-207. Questo tema è presente anche al di fuori della Scandinavia.
Nelle Vite dei Santi redatte dall’erudito anglosassone Ælfric (ca.955-ca.1020), abate
di Cerne nel Dorset, è scritto a esempio a riguardo di San Martino che il demonio
aveva l’abitudine di manifestarsi a lui, assumendo le sembianze degli dèi pagani: talo-
ra come Mercurio (vale a dire Odino: Oþon), talora come Giove (vale a dire Thor:
Þor), talora come Venere (vale a dire Frigg: Fricg); vd. Ælfric, Live of Saints, II, p. 264.
35
Vd. a esempio in Norvegia le leggi antiche del Gulating (Den ældre Gulathings-
Lov) in NGL I, p. 18 (30), quelle antiche del Frostating (Den ældre Frostathings-Lov),
ibidem, p. 152 (III, 15) e quelle cristiane dell’Eidsivating (Den ældre Eidsivathing-
Christenret), ibidem, p. 383 (24); vd. anche le norme promulgate dall’arcivescovo Jon
il Giovane (den yngre) in NGL II, p. 381 (56).
48
Gesta Hammaburgensis […], I, lv.
49
Vd. p. 216. Questo monumento avrebbe dovuto essere il più grande nel suo
genere in tutta la Danimarca. Sulla sede regale di Jelling vd. Heltoft J., Kongesædet i
Jelling, København 1957; Krogh K.J., “The royal Viking-Age Monuments in Jelling in
the Light of Recent Archaeological Excavations”, in AA LIII (1982), pp. 183-216 ed
Ebbesen Kl., Jelling. Arkæologi og historie, Copenhagen 1990.
50
Vd. sopra, p. 135.
51
Vd., ancora, p. 135.
52
La pietra ha tre lati: su uno è incisa l’iscrizione runica, su un secondo l’immagine
di Cristo, il terzo è decorato da motivi zoomorfi, in particolare con la figura di una
‘grande bestia’ sul cui corpo è a sua volta attorcigliata una serpe (stile di Mammen, cfr.
p. 220 con nota 462 e p. 221).
59
Il soprannome è forse una forma corrotta di egode “sempre buono”. Sassone
grammatico spiega che il suo regno era stato segnato da abbondanza e prosperità e che
egli ebbe questo appellativo non soltanto per le virtù personali bensì anche per il
benessere goduto dal popolo durante il periodo in cui aveva governato il Paese (Gesta
Danorum, XII, iii, 1).
60
Per le fonti vd. Danakonunga sǫgur, B. Guðnason gaf út, Reykjavík 1982 (ÍF: 35),
pp. cxix-cxxi. Si confrontino qui le circostanze della morte del re norvegese Øysteinn
(Eysteinn) Haraldsson (morto nel 1157, cfr. p. 363 con nota 148) così come narrate da
Snorri Sturluson nel cap. 32 della Saga dei figli di Araldo [gilli], quattordicesima parte
della Heimskringla (Haraldssona saga; il soprannome gilli, di derivazione celtica,
significa “Servitore [di Cristo]).
“In quello stesso anno in molti luoghi i pagani irruppero contro i Cri-
stiani, ma fra loro più di dodicimila furono uccisi dai Frisoni. Una parte
di loro si diresse in Francia, e là caddero tra loro più di seicento persone.
Ciò nonostante a motivo della [sua] ignavia Carlo [il Calvo] diede loro
molte migliaia di libbre d’oro e d’argento perché andassero via dalla Fran-
cia, il che del resto fecero. Tuttavia i monasteri di molti santi furono
distrutti, e presero prigionieri molti Cristiani […] In seguito però quei
predoni furono colpiti da una grande epidemia, a causa della quale anche
il condottiero di quegli scellerati, che aveva depredato i Cristiani e i luoghi
santi, di nome Ragnarr, per castigo di Dio, perse la vita. Convocato dunque
un consiglio, trassero la sorte, per sapere da quale dei loro dèi dovesse
dipendere il rimedio, ma la sorte non diede responso positivo. Tuttavia un
Cristiano prigioniero presso di loro li convinse a trarre la sorte di fronte
al dio dei Cristiani, il che fecero e la sorte diede per loro responso positivo.
Allora il loro re di nome Rorik per quattordici giorni si astenne [dal con-
sumare] carne e idromele insieme a tutto il popolo dei pagani. E cessò la
morìa, e rimandarono al proprio Paese tutti i prigionieri Cristiani che
avevano.”63
61
Cfr. p. 128 con nota 108. Alla ‘strana’ morte di Oluf allude Saxo grammaticus
(Gesta Danorum, XII, ii, 1-3).
62
Si trattò in realtà di un viaggio a metà tra il pellegrinaggio e la spedizione milita-
re. Erik perì a Cipro, mentre la moglie Bodil proseguì fino a Gerusalemme dove tut-
tavia morì anch’ella: vd. Saxo Grammaticus, Gesta Danorum, XII, vii, 6 e Saga dei
discendenti di Canuto [il Grande] (Knýtlinga saga), cap. 81. A questo re è dedicato il
Carme encomiastico per Erik (Eiríksdrápa) dello scaldo Markús Skeggjason (morto nel
1107) al quale la saga si rifà.
63
DLO nr. 53; cfr. sopra, pp. 110-111.
tato la fede cristiana (Olof Skottkonung. Thed är een Lustigh Comoedia, om then
Stormächtige och Högtberömde Sweriges Konung, Olof med nampnet Skottkonung.
Huru han Hedendomen j Swerige affskaffat haffuer, och igen vprättadt then Christna
Troona, 1620), scritta in occasione del matrimonio di Gustavo II Adolfo con Maria
Eleonora di Brandeburgo (1599-1655), celebrato il 25 novembre 1620 (cfr. p. 473,
nota 43).
74
Queste notizie vengono in primo luogo dalla cosiddetta Leggenda di Sigfrido (in
svedese Sigfridslegenden), un testo pervenutoci in diverse versioni. A esse si aggiungo-
no informazioni contenute nell’elenco dei sovrani svedesi (Kungakrönikan) e in quel-
lo dei vescovi di Skara (Biskopskrönikan), due testi redatti dopo il 1240 che si trovano
in aggiunta alle leggi del Västergötland (Västgötalagen). La data del 1008 (ma forse il
riferimento è al 1006 o 1007), così come l’allusione alle “mille persone e sette tribù”
(“mille homines et septem plebes”) che sarebbero state battezzate insieme al re si dedu-
ce da una notizia contenuta in una lettera inviata all’imperatore Enrico II dal missio-
nario e arcivescovo tedesco Brunone di Querfurt attivo soprattutto in Polonia tra il X
e l’XI secolo; vd. “Epistola Brunonis ad Henricum regem / List Brunona do króla
Henryka”, in Monumenta Poloniae Historica, Series nova – Tomus IV, fasc. 3 / Pomniki
Dziejowe Polski, Seria II – Tom IV, część 3, Warszawa 1973, pp. 97-106 (in parti-
colare pp. 105-106). Su Sigfrido vd. innanzi tutto Schmid T., Den helige Sigfrid,
Lund 1931.
75
Questa versione sarebbe confermata dalla Saga di Olav Tryggvason così come
contenuta nel Libro di Flatey (Flateyjarbók, I, p. 512) dove si afferma tra l’altro che
Sigfrido (Sigurðr) era stato condotto con sé dall’Inghilterra dal re norvegese Olav
Tryggvason (I, p. 195 e p. 244). Una versione discordante si trova in Sassone gramma-
tico (Gesta Danorum, X, xi, 6) secondo il quale il re Olof sarebbe stato convertito da
un vescovo di nome Bernardo, forse lo stesso cui fanno riferimento Adamo da Brema
e Ari Þorgilsson che lo definisce “il Letterato” (cfr. pp. 420-421 con nota 356).
76
Vd. Sawyer 1986, pp. 223-226.
“Mentre il santo padre San Sigfrido era con il re [di Svezia], i tre figli di
sua sorella, di cui si è detto, si trovavano a Växjö, dove egli aveva costruito
una chiesa di legno, essi predicavano e recavano molto profitto alla comu-
nità. Ma siccome non conoscevano [bene] la lingua del Paese, avevano
preso con sé degli uomini eminenti del distretto, con i quali tenevano con-
siglio, e a loro erano così legati, che mostrarono tutte le loro cose nascoste.
Quando quelli videro i loro preziosi averi, come a esempio piatti e preziose
scodelle d’argento,83 il demonio, che è nemico di ogni buona azione, insinuò
nel loro cuore il modo in cui potevano uccidere quei tre uomini santi. Ave-
vano timore della comunità e trassero la sorte fra loro, al modo in cui gli
eretici e i pagani un tempo usavano fare, e la sorte cadde su otto di quei
dodici. Nottetempo entrarono dove erano coricati quei santi uomini e li
trascinarono fuori e li decapitarono tutti e tre. Quando ebbero compiuto
questo infame delitto, presero le loro teste e le misero in un’urna e vi lega-
rono una grossa pietra, che una coppia di buoi a fatica poteva trainare, e le
immersero in quel lago che si trova vicino alla chiesa.
Quando gli assassini tornarono indietro, presero i corpi e legarono una
corda attorno ai piedi e li trascinarono in un luogo difficile da raggiungere
anche per gli animali, e [nel quale] mai giungeva il sole, e gettarono un
grande cumulo di pietre su quei santi corpi, sperando che ciò restasse nasco-
sto a Dio al quale tutte le cose sono manifeste. Ma Dio non volle che ciò
restasse a lungo celato, ma volle rendere onore ai suoi uomini santi: [perciò]
là dove essi giacevano erano soliti radunarsi dei corvi e schiamazzare, e di
notte su di loro splendeva dal cielo una luce che non era visibile prima che
essi arrivassero là. Quando i miscredenti videro ciò, si aspettavano che le
cose per loro dovessero migliorare rispetto a prima: e riferirono l’uno all’al-
tro questa strana cosa. I nemici di Dio ebbero timore della sua vendetta, e
che alla comunità fosse resa nota la loro azione, e presero di notte i corpi, là
dove li avevano collocati, e li misero in un luogo che a Dio era noto, ma
nessun altro conosce, a motivo dei peccati della comunità.
Il demonio si rallegrò molto della morte degli uomini di Dio, e si diffuse
ne a Kiev. Ma il paganesimo dei Vareghi non sarebbe stato per il momento intaccato.
Solo nel secolo successivo si ha notizia di una chiesa edificata in quella città (944). Un
momento decisivo per l’affermazione della religione cristiana in quelle regioni era
stato, nell’anno 988, proprio il battesimo del principe Vladimiro che aveva dato un
fondamentale impulso alla nuova religione.
83
Il riferimento è, molto probabilmente, a oggetti destinati alle cerimonie religiose.
molta barbarie nella nuova comunità cristiana, ad alcuni insinuò nel cuore
la superbia, ad altri l’ira, ad altri l’omicidio. Quando San Sigfrido seppe che
i figli di sua sorella erano [stati] assassinati, ringraziò Dio che li aveva libe-
rati dagli affanni di questo mondo con la corona del martirio […] Poi San
Sigfrido ritornò nel[la regione del] Värend e trovò che i figli di sua sorella
erano [stati] assassinati, come prima abbiamo detto, da nemici ed erano
perdute tutte le cose che aveva portato con sé nel Paese, e quel che era anche
peggio, c’erano alcuni che volevano rigettare la fede. L’uomo
di Dio aggiunse fatica al proprio dolore e di notte vegliava in preghiera, e di
giorno predicava e si preoccupava della superstizione di quelli che si erano
allontanati dalla fede, e accoglieva amorevolmente quelli che volevano con-
servare la [dottrina] cristiana e non si risparmiava nel servizio di Dio. In quel
tempo l’uomo di Dio pregava Dio che gli rivelasse che cosa ne era stato dei
figli di sua sorella. Una notte uscì dal suo alloggio [e camminava] dolente
intorno al lago che sta a sud della chiesa di Växjö, e allora vide in mezzo al
lago tre belle luci splendenti come stelle, e venivano da est verso il lago in
un luogo che allora stava davanti alla linea della riva. Quando le luci giun-
sero vicino a riva, l’uomo di Dio si tolse dai piedi le scarpe ed entrò lieto
nell’acqua incontro a loro, e lodò la misericordia di Dio, che voleva onorare
i suoi uomini santi. Quando l’uomo di Dio giunse così vicino che poteva
toccarle, le luci scomparvero; egli cercò come poté e trovò un’urna nella
quale c’erano tre teste, e una grossa pietra legata, come prima è stato detto;
egli la prese e la portò a riva e si mise in grembo le teste piangendo, e con
affetto spontaneo disse: ‘Dio si vendichi’. Allora la voce di una testa rispose
e disse: ‘sarà vendicato’, la seconda rispose: ‘quando’, la terza disse: ‘sui figli
dei figli’. Le medesime teste sembravano in buone condizioni come se fosse-
ro state staccate dal corpo lo stesso giorno. Questa fu una grande opera del
potente Iddio, e sia lode da tutte le creature, che Dio volle rallegrare il suo
servitore con questo portento, che la luce si mostrò nella tempesta sul lago e
che una pietra così grossa potesse galleggiare fino a riva, e che delle teste che
da così tanto tempo erano state tagliate, avessero ancora la facoltà di parlare.
Allora l’uomo di Dio fu felice di questi portenti, così divenne ancora più
forte nel servizio di Dio e conservò quelle teste con grande amore.”84
Vd. la Saga di Olav il Santo di Snorri Sturluson, cap. 88: “[…] nacque la vigilia
85
del giorno di San Giacomo. E quando doveva battezzare il bambino, il vescovo gli
diede nome Giacomo. Quel nome non piacque agli Svíar e dissero che mai un re degli
Svíar si era chiamato Giacomo” (DLO nr. 55). È assai probabile, seppure non del
tutto certo, che dietro al nordico Jákob si debba riconoscere il nome dell’apostolo
Giacomo, fratello di Giovanni, piuttosto che quello del patriarca Giacobbe. Poiché la
festa di questo santo cade il 25 luglio, Anund sarebbe dunque nato il giorno 24 di quel
mese. Sassone grammatico che ascrive al vescovo Bernardo la conversione di Olof (vd.
sopra, nota 75) attribuisce il nome cristiano a quel sovrano.
86
Gesta Hammaburgensis […], IV, xxx.
87
STFM I, nr. 27, 4 ottobre 1080, pp. 61-62, nella quale il Pontefice si rivolge “a I.,
glorioso re degli Svedesi” (“I., glorioso Suetonum regi”) e la successiva (ibidem, nr. 28,
pp. 62-64, probabilmente del 1081), indirizzata a Inge e Halsten.
88
Vd. sopra, p. 198 con nota 388.
89
Gesta Hammaburgensis […], II, lxii.
90
Queste notizie si trovano nella parte finale (di carattere piuttosto genealogico e
storico) della leggendaria Saga di Hervǫr e di re Heiðrekr (Hervarar saga ok Heiðreks
konungs), cap. 16; cfr. Snorri Sturluson, Saga dei figli di Magnus (Magnússona saga,
dodicesima parte della Heimskringla), cap. 24.
91
Particolarmente interessante è l’iscrizione sulla pietra di Frösö in Jämtland nella
quale si fa riferimento a tale Östman (austmąþ[r]) che avrebbe cristianizzato la regio-
ne (che si trova nella Svezia centrale e confina con la Norvegia).
92
Jansson 1984³ (C.2.5), pp. 116-118.
93
Anche in Danimarca e in Norvegia si trovano iscrizioni runiche che riflettono in
modo esplicito la diffusione dei concetti cristiani.
94
STFM I, nr. 43, 5 agosto 1164, pp. 80-82; vd. anche il documento successivo,
riportato in DS I, nr. 50, pp. 72-73 (medesima data).
95
Vd. Otterbjörk R., “Namngjeving”, in KHLNM XII (1967), coll. 206-211; cfr.
p. 190, nota 360.
96
Per il dettaglio delle occorrenze e la loro distribuzione geografica si rimanda a
Janzén A., “De fornvästnordiska personnamnen”, in NK VII (1947), pp. 140-144;
Hornby R., “Fornavne i Danmark i middelalderen”, ibidem, pp. 211-223 e Grape A.,
Studier över de i fornsvenskan inlånade personnamnen (företrädesvis intill 1350), I,
Uppsala 1911, pp. 79-89; vd. inoltre Meldgaard Villarsen 1994.
100
Da Hákonarmál, str. 15-18 (DLO nr. 56). Gli einherjar sono i guerrieri scelti di
Odino che dimorano nella Valhalla, Bragi è il dio della poesia. La kenning (vd. p. 298)
“nemico degli jarlar” vale “principe”, “guerriero”. L’idea che a chi offendeva gli dèi
pagani dovesse essere interdetto l’accesso alla Valhalla si ritrova nella Saga di Njáll del
rogo (cap. 88) dove si riferisce di Hrappr Ǫrgumleiðason il quale aveva distrutto un
celebre tempio nella regione norvegese di Gudbrandsdalen: “Ma gli dèi non si vendi-
cano di ogni cosa immediatamente, e quell’uomo che ha compiuto questo sarà caccia-
to dalla Valhalla e non potrà mai entrarvi” (DLO nr. 57).
101
Cfr. sopra, pp. 127-128 con nota 108.
102
Vd. Snorri Sturluson, Saga di Araldo Manto grigio (Haralds saga gráfeldar,
quinta parte della Heimskringla), capp. 2 e 16 e anche Saga di Olav Tryggvason, cap.
16. Il poeta Einarr Helgason Suono della bilancia (skálaglamm) nel suo componimen-
to Carenza dell’oro (Vellekla), dedicato a Håkon, lodava esplicitamente questo com-
portamento (str. 15-16): “Il saggio, ben noto alle genti,/ tutte le terre devastate/ del
tempio di Einriði e degli dèi,/ subito rese veri santuari per il popolo,/ Hlóriði della
chiostra delle lance/ portò su tutto il mare testimonianza/ [gli dèi lo guidano]/ della
morte in battaglia, sulla via dei giganti.// E gli dèi benevoli si volgono/ ai sacrifici/ [il
potente guardiano dell’arrossata asse dello scontro di Hlǫkk/ è per questo onorato];/
ora la terra germoglia come prima,/ il generoso fa sì/ che gli utilizzatori del ponte
delle lance,/ di nuovo pópolino felici i santuari degli dèi.” (DLO nr. 58). Le allusioni
poetiche del testo vanno interpretate come segue: Einriði è appellativo di Thor; la
kenning (vd. p. 298) “Hlóriði (appellativo di Thor) della chiostra delle lance (lo scudo)”
vale “guerriero”; “via dei giganti” è la “montagna” (un riferimento che tuttavia rima-
ne oscuro); il “guardiano dell’arrossata (dal sangue) asse dello scontro di Hlǫkk (nome
di una valchiria)”, cioè dello scudo, è il “guerriero”; gli “utilizzatori del ponte delle
lance (lo scudo)” sono i “guerrieri”. Il soprannome dello scaldo Einarr è legato al
fatto che egli aveva ricevuto in dono dallo jarl Håkon come compenso per questo
componimento una bilancia che poteva emettere un suono premonitore. Dello jarl
Håkon è altrove riferito che era stato in Danimarca e lì aveva ricevuto il battesimo.
Tornando in Norvegia aveva distrutto un tempio in cui Thor era venerato insieme ad
altre divinità (in numero di cento) e si era impadronito delle ricchezze che in esso
erano contenute. In seguito però, riconvertitosi al paganesimo aveva fatto ricostruire
tanti templi quanti ne erano stati distrutti (vd. in particolare la versione della Saga di
Olav Tryggvason di Oddr Snorrason nelle Konunga sǫgur, I, cap. 15; cfr. la Saga di Olav
Tryggvason di Snorri Sturluson, cap. 27 e p. 185, nota 340).
103
Vd. pp. 143-144.
zione non si fermò entro i confini del suo Paese. Olav infatti si
preoccupò di estendere la nuova fede ai possedimenti norvegesi:
Forøyar, Orcadi, Shetland e Groenlandia. Egli inoltre inviò in Islan-
da il missionario Þangbrandr.109 Ma nonostante il prestigio e il carisma
del sovrano, che le fonti descrivono come bello e intelligente, forte
e coraggioso, allegro e amichevole, il regno di Olav Tryggvason
doveva durare solo un lustro. Nell’anno 1000 infatti egli si scontra-
va nella battaglia navale di Svolder (forse nell’Øresund o presso
Rügen)110 contro il danese Svend Barba forcuta che, alleato con lo
svedese Olof Skötkonung, mirava a impadronirsi di quella Norvegia
che già in passato era stata, almeno in parte, sotto il dominio dei
sovrani danesi. In questa battaglia – per la quale aveva cercato il soste-
gno del nobile polacco Boleslao il Coraggioso (Bolesław Chrobry,
967-1025) –111 Olav sarebbe stato sconfitto perdendo la vita. Il
Paese veniva dunque diviso tra i vincitori e i capitani norvegesi loro
alleati e pareva andare incontro a una frammentazione. Ma una
nuova figura carismatica si profilava all’orizzonte.
Ovav Haraldsson vantava a sua volta una discendenza diretta da
Araldo Bella chioma di cui era pronipote per parte paterna. Come
molti giovani nordici aveva una ricca esperienza di vita vichinga. Era
stato dapprima nelle zone del Baltico, poi in Inghilterra per parecchio
tempo, poi in Spagna e in Francia. Qui naturalmente aveva soggior-
nato anche nel ducato di Normandia, nel quale fin dalla sua istituzio-
ne i nordici avevano accettato la religione cristiana.112 Probabilmente
fu proprio a Rouen, antica capitale della Normandia che Olav rice-
vette il battesimo (1013 o 1014).113 Nel 1015 egli tornava in patria con
due navi e più di duecento uomini. Grazie ai successi militari, alle
ricchezze accumulate, alla capacità politica,114 e alla fortuna personale,115
109
Vd. oltre, pp. 263-264.
110
Vd. Moberg O., “Slaget i Svolder eller slaget i Öresund? Lokaliseringen av Olav
Tryggvasons sista strid”, in NHT XXXII (1940-1942), pp. 1-26.
111
Costui, che nel 1025 sarebbe divenuto il primo re di Polonia, è ricordato nelle
fonti nordiche come Búrizláfr.
112
Vd. p. 112.
113
Nella sua Storia dell’antichità dei re norvegesi, Theodricus Monachus (vd. p. 411)
afferma tuttavia che è difficile stabilire se egli fosse stato battezzato in Normandia
oppure in Inghilterra (cap. 13).
114
In particolare egli seppe portare dalla sua parte, rispetto ai grandi capitani e ai
sovrani locali che avevano autorità su territori piuttosto estesi, molte persone meno
favorite dal punto di vista sociale (ma non per questo sprovviste di beni) le quali
intravedendo la possibilità di lucrare posizioni più vantaggiose tolsero il loro appoggio
a quei capi per rivolgerlo a lui.
115
L’allusione è voluta. Snorri infatti riferisce che Olav, nel corso del viaggio di
ritorno in Norvegia, fu spinto dalle condizioni del mare a sbarcare nell’isola di Selja
(Sæla). Ripresa la rotta verso sud incontrò casualmente il giovane jarl Håkon Eiriksson,
che allora governava insieme allo zio Sveinn Håkonsson. Olav lo catturò insieme ai
suoi uomini e lo liberò solo in cambio della promessa di lasciare la Norvegia e di non
opporsi mai a lui. È riferito che Olav rivolse al giovane queste parole: “[…] è finita
ora la vostra (i.e. ‘della tua famiglia’) fortuna” (vd. Snorri Sturluson, Saga di Olav il
Santo, cap. 30: “[…] farnir eruð þér nú at hamingju”). Sul concetto di fortuna nel
mondo nordico, intesa come una qualità magica legata a un individuo o a una stirpe,
vd. sopra, p. 180.
116
La citazione è tratta dalla strofa 18 del carme Riscatto per la testa (Hǫfuðlausn)
composto dal poeta attorno al 1023 per riconquistare il favore del sovrano, il quale
– adirato per la composizione di una strofa d’amore rivolta alla regina – lo aveva fatto
imprigionare (DLO nr. 59). Cfr. p. 1429, nota 77.
117
Vd. il Compendio delle storie dei re norvegesi (Ágrip af Nóregs konunga sǫgum,
su cui vd. p. 320), cap. 19. Secondo la Storia dell’antichità dei re norvegesi di Theodri-
cus Monachus (cap. 10) in questa località Olav Tryggvason aveva precedentemente
fatto edificare la prima chiesa norvegese; cfr. p. 417, nota 348.
Già nel 1032 lo scaldo Þorarinn Lingua che loda nel Carme del mare
quieto (Glælognskviða) dedicato a Sveinn Alfífuson, figlio del re danese
Canuto il Grande si esprimeva così:
*
Del 1040 è invece il Carme encomiastico in memoria di Olav il Santo
(Erfidrápa Óláfs helga) dello scaldo Sighvatr Þórðarson nel quale tra
l’altro si legge:
126
Cfr. p. 144 e p. 252.
segno del disprezzo che i pagani avevano per coloro che si erano
convertiti. Per parte di madre costui era parente di Auðr di Pro-
fondo pensiero. Di lui è detto che abitava a Kirkjubœr (letteral-
mente “Fattoria della chiesa”), dove un tempo erano vissuti dei
papar: un luogo “nel quale i pagani non potevano abitare” (“eigi
máttu þar heiðnir menn búa”).139 In seguito (1186) questa località
sarebbe divenuta sede di un monastero benedettino femminile.
È evidente che la fede di molti dei primi cristiani islandesi era
legata a soggiorni nelle isole britanniche;140 oltre a costoro bisogna
considerare gli schiavi al loro seguito, i quali erano in gran parte
cristiani, anche se è evidente che la loro posizione sociale impediva
di organizzare il culto e – a maggior ragione – di promuovere azio-
ni missionarie. Molti fra gli Islandesi che seguitavano a percorrere
le vie del mare vennero poi certamente in contatto con il cristiane-
simo, non solo in Paesi come l’Inghilterra o l’Irlanda ma anche in
regioni scandinave nelle quali la nuova religione si stava già affer-
mando. Nella Saga di Gísli, che fa riferimento ad avvenimenti
svoltisi nella seconda metà del X secolo, si fa notare a esempio che
il protagonista continuava a organizzare celebrazioni tradizionali
pagane, tuttavia aveva tralasciato la pratica dei sacrifici dopo che
era stato in Danimarca.141
Le vie percorse dal nuovo credo per arrivare in Islanda furono
sostanzialmente due. Da una parte erano talora gli stessi Islandesi
che rientrando in patria da Paesi stranieri introducevano la nuova
dottrina, dall’altra ci furono veri e propri missionari inviati a quel-
lo scopo.
Il primo caso è rappresentato in modo esemplare dalla vicenda
(cui si è già fatta allusione) di Þorvaldr Koðránsson, ritornato dal-
la Germania come cristiano in compagnia del vescovo tedesco
Federico con l’intenzione di predicare il Vangelo.142 Nonostante
139
Landnamabók, pp. 323-324 (la citazione da p. 324). Cfr. il testo a p. 268.
140
Come si afferma esplicitamente nel Libro dell’insediamento: “Così dicono gli
uomini saggi, che alcuni coloni che hanno popolato l’Islanda fossero battezzati, per la
maggior parte quelli che venivano da occidente sul mare [cioè dalle isole britanniche].
In proposito sono ricordati Helgi il Magro [cfr. p. 224], Ørlygr il Vecchio, Helgi bjóla,
Jǫrundr il Cristiano, Auðr di Profondo pensiero, Ketill il Buffone e ancora molte
persone che vennero da occidente sul mare, e alcuni di loro mantennero bene la fede
cristiana fino al giorno della morte. Ma così andò in pochi luoghi nelle famiglie, perché
i figli di alcuni di loro innalzarono dei templi e fecero sacrifici, e il Paese restò com-
pletamente pagano per quasi cento anni” (DLO nr. 63). Il significato del soprannome
bjóla non è del tutto chiaro. È tuttavia probabile che esso ricalchi il nome irlandese
Beól(l)án, che forse era stato dato a Helgi al momento del battesimo.
141
Gísla saga, cap. 10.
142
Vd. sopra, pp. 227-228.
143
Cfr. pp. 201-202 con nota 404.
144
Vd. sopra, nota 140.
145
Vd., in particolare, la Saga della cristianizzazione, cap. 6 e il cosiddetto Breve
racconto di Stefnir Þorgilsson (Stefnis þáttr Þorgilssonar), capp. 1-2. Quest’ultimo
comprende le notizie riguardanti questo personaggio riprese da diverse fonti: vd.
Halldórsson 2003, pp. clxxxi-clxxxiv. La citazione da Kristni saga, p. 17; cfr. Stefnis
þáttr, p. 105. Cfr. nota 15.
155
Kristni saga, cap. 12, Kristnitakan, capp. 1-2, Íslendingabok, cap. 7.
156
Questa notizia è riportata in Kålund 1877-1882 (B.1), II: 1, p. 150: “Secondo la
tradizione Goðafoss ha preso nome dal fatto che dopo l’accettazione del cristianesimo
Þorgeirr vi gettò dentro i suoi idoli” (“Godafoss skal i følge sagnet have fået navn af, at
Torgejr efter antagelsen af kristendommen kastede sine afguder deri”).
157
Kristni saga, cap. 3 (DLO nr. 66); cfr. Þorvalds þáttr víðfǫrla I e II, cap. 5.
*
Dalla Predicazione cristiana di Þangbrandr:
158
Kristniboð Þangbrands, cap.1 (DLO nr. 67). Si ricordi che Kirkjubœr era consi-
derato un luogo sacro ai cristiani (cfr. sopra, p. 262), il che del resto risulta evidente
dal nome dell’insediamento, letteralmente “Fattoria della chiesa”; cfr. Kristni saga, cap.
8 e Brennu-Njáls saga, cap. 101, dove si precisa che il mago per ottenere il proprio
scopo aveva innalzato un grande sacrificio pagano.
159
Íslendingabók, cap. 8.
160
Nella fonte i nomi sono Petrus, Abrahám e Stephanus. M.M. Lárusson (“On the
so-called ‘Armenian bishops’”, in Studia Islandica, XVIII [1960], pp. 23-38) suggerisce
che essi in realtà provenissero dalle regioni del Baltico. Nel testo che porta il titolo
Stimolo all’appetito [del sapere] (Hungrvaka, su cui vd. p. 424), cap. 2, si allude a
vescovi stranieri giunti in Islanda i quali nei confronti del popolo erano assai indul-
genti: “Ragion per cui divennero molto popolari presso le persone cattive, finché
l’arcivescovo Adalberto mandò una sua lettera in Islanda e proibì alla gente di accet-
tare da loro qualsiasi servizio [divino] e disse che alcuni erano scomunicati e tutti
avevano agito senza il suo permesso” (DLO nr. 68). È probabile che si tratti delle
medesime persone e che essi fossero dunque considerati degli eretici.
161
DLO nr. 69-70; cfr. Adamo da Brema, Gesta Hammaburgensis […], IV, xxxvi.
162
Vd. LFI I, pp. 1-9 (data non ulteriormente specificata).
164
Una trentina dei quali, recuperati da chiese demolite per essere sostituite da altre,
sono conservati nei musei norvegesi.
165
Ma si veda anche il fonte battesimale in legno della chiesa svedese di Näs (Jämt-
land) risalente al XII secolo e ora conservato presso il Museo storico (Historiska
museet) di Stoccolma.
166
Il migliore esempio è certamente la chiesa di Borgund (Sogn e Fjordane), altre
assai pregevoli si trovano a Hopperstad e Urnes (entrambe in Sogn e Fjordane), a
Heddal (Telemark) e a Kvernes (Møre e Romsdal). La magnifica chiesa costruita a Gol
(Buskerud) si trova ora all’interno del Museo di cultura popolare (Norsk Folkemuseum)
di Oslo.
167
Vd. p. 234 e p. 240.
tivo. In questo caso tuttavia ci si basò, erroneamente, sulla presunta identità tra i
Vendi e i Vandali, i quali (secondo il racconto di Giordane, Getica, IV, 26) erano stati
sconfitti nelle regioni prospicienti il Mar Baltico dai Goti provenienti dalla Scandina-
via, dunque dai ‘gloriosi antenati’ degli Svedesi (cfr. pp. 577-578).
179
È tra l’altro verosimile che il nome della capitale estone Tallinn derivi da *Taanin-
linna cioè “città/castello dei Danesi”; vd. Kiss L., Főldraizinevek etimológiai szótára,
Budapest 1988², II, pp. 610-611.
180
Sulle vicende e la morte del vescovo Enrico vi sono diverse fonti e discordanti;
vd. Heikkilä 2009; vd. anche Gallén J., “Till historien om St Henriks reliker och hans
grav i Nousis”, in Finskt Museum, LXXIX (1972), pp. 33-38.
181
Vd. Lindkvist 1996.
182
Questa informazione si trova nella Cronaca di Novgorod (Новгородская
карамзинская летопись), trad. inglese, pp. 17-18.
183
STFM I, nr. 48, 11 settembre 1171 o 1172, pp. 93-94.
184
Dette rispettivamente in danese Øsel e Dagø, in svedese Ösel e Dagö.
185
Cfr. p. 333.
186
Cioè l’attuale Tallin. Il nome Lyndanisse deriva dall’antico slavo orientale Lede-
nets, reso in latino Lindanisa, in danese (appunto) Lyndanisse e in svedese Lindanäs.
193
La sostanziale inosservanza dell’obbligo del celibato costituiva non solo in
Islanda ma anche negli altri Paesi nordici un problema rilevante per le autorità eccle-
siastiche, che fecero ricorso a diversi mezzi (perdita dell’incarico, minaccia di scomu-
nica, vantaggi fiscali per gli osservanti, disposizioni ereditarie sfavorevoli ai figli degli
ecclesiastici) per imporlo. Ciò nonostante il problema si trascinò a lungo. In Danimar-
ca il celibato fu imposto dal sinodo tenuto a Schleswig nel 1222, in Svezia da quello di
Skänninge (Östergötland) nel 1248. In Islanda l’ultimo vescovo cattolico Jón Arason
aveva notoriamente diversi figli, due dei quali furono uccisi assieme a lui, alla conclu-
sione della strenua lotta condotta contro l’introduzione della riforma protestante (vd.
8.1.4). Per una sintesi sull’argomento vd. Gallén J., “Celibat”, in KHLNM II (1957),
coll. 545-548 e anche, per la Norvegia, Gunnes E. “Prester og deier – sølibatet i norsk
middelalder”, in Imsen S. – Sandvik G. (red.), Hamarspor. Eit festskrift til Lars Hamre:
1912 – 23. januar 1982, Oslo 1982, pp. 20-44. Del resto questo ‘problema’ si legava
alla persistenza di concezioni pagane, in quanto nel passato il matrimonio non costi-
tuiva un vincolo sacro bensì, piuttosto, un legame che si inquadrava nell’ambito della
più ampia concezione di vita della Sippe.
194
Vd. oltre, p. 382.
195
Ildebrando di Soana (1025/1030-1085) il futuro Papa San Gregorio VII era
stato, probabilmente, un monaco dell’ordine cluniacense. Nonostante fosse uscito
personalmente sconfitto nella disputa che lo opponeva al potere dell’imperatore le sue
idee furono poi affermate nel concordato di Worms del 1122.
196
Questo vescovato sarebbe passato sotto l’arcivescovato scozzese di St. Andrews
nel 1472. Anche le Orcadi ebbero il proprio santo protettore nella figura dello jarl
Magnus Erlendsson, assassinato nel 1115.
dese; di lui si sa per certo che nel 1121 partì per un viaggio missio-
nario in America (Vínland) dal quale non avrebbe più fatto ritorno.
Dopo aver atteso a lungo e invano, i coloni nordici inviarono un
proprio emissario, tale Einarr Sokkason di Brattahlíð, dal re nor-
vegese Sigurd Viaggiatore a Gerusalemme con la richiesta di isti-
tuire una diocesi in Groenlandia: il sovrano acconsentì ed essa fu
attiva a Garðar (attuale Igaliku) a partire dal 1124; il suo primo
titolare fu il norvegese Arnaldo (Arnaldr).197
In un primo momento l’espansione dell’istituzione ecclesiastica
risulta avvenire ad alti livelli, in un rapporto fra prìncipi e vescovi
che coinvolgeva in misura sostanziale solo i ceti sociali più elevati.
Del resto, anche se si guarda al fenomeno dei pellegrinaggi verso
Roma o la Terrasanta (una consuetudine ben testimoniata a partire
dal X secolo), risulta evidente che si trattava di un esercizio di
devozione – non di rado praticato da donne – possibile solo per
chi possedesse mezzi finanziari adeguati.198
197
Le fonti fanno riferimento a un progetto di cristianizzazione dei coloni groen-
landesi da parte del re Olav Tryggvason, il quale aveva incaricato Leifr, figlio di Eirik
il Rosso, di portare in quella terra la parola del Vangelo; vd. la Saga dei Groenlandesi,
cap. 4, la Saga di Eirik il Rosso, cap. 5 e la Saga della cristianizzazione, cap. 12. È detto
che la moglie di Eirik il Rosso, Þjóðhildr Jǫrundardóttir, aveva fatto erigere la prima
chiesa in quella terra nei pressi della fattoria di Brattahlíð e anche che ella si era allon-
tanata dal marito che non voleva accogliere la fede cristiana. A Garðar venne eretta
una cattedrale intitolata a San Nicola che aveva giurisdizione su sedici parrocchie;
l’ultimo vescovo, Andrea (Anders), vi giunse all’inizio del XV secolo (1406). Vd. il
Breve racconto dei groenlandesi (Grœnlendinga þáttr), cap. 1; cfr. DN XVII: 2, nr. 849,
6 gennaio 1053, pp. 771-772 (e anche nr. 852, 27 maggio 1133, pp. 776-777); Annali
islandesi del 1112 (1113) e del 1121 (IA, p. 251 e poi p. 19, p. 59, p. 112, p. 320, p.
473) e Flateyjarbók, III, p. 454 e p. 512). Vd anche Plovgaard K., “Da Grønland fik
sit første bispesæde”, in Tidsskriftet Grønland, XII (1963), pp. 463-469. In Prause G.,
Niemand hat Kolumbus ausgelacht, Düsseldorf-Wien, 1986², pp. 315-316, si ricorda la
contestata teoria dello studioso di diritto ecclesiastico Luka Jelic, il quale aveva soste-
nuto che i vichinghi giunti nell’America del Nord fossero già cristiani (Die Evangeli-
sierung Amerikas vor Kolumbus, relazione presentata al Congresso Internazionale
Cattolico di Parigi del 1891); secondo Prause (che riprende ricerche di K. Reichardt
e R.S. Lopez) a questa teoria andrebbe collegata la realizzazione della celebre (ma
falsa!) ‘mappa di Vínland’. A riguardo della cristianizzazione delle colonie americane
si ha anche notizia di tre sacerdoti che nel XIII secolo sarebbero partiti per un viaggio
missionario in quei luoghi; cfr. Storm 1887 (C.3.1), pp. 313-319.
198
Testimonianze in questo senso si trovano anche nelle iscrizioni runiche; vd.
Cucina 1994-1995, pp. 178-189 e anche Cucina 2001 (C.3.1), I, pp. 39-41. Verso la
metà del XII secolo l’abate islandese Nicola (Nikulás) Bergsson di Munkaþverá
(morto nel 1159) redigeva un Itinerario (Leiðarvísir) rivolto a coloro che volevano
intraprendere un pellegrinaggio verso Roma e la Terrasanta (da lui stesso compiuto
tra il 1149 e il 1154); questo testo è conservato in un manoscritto del 1387 (AM 194
8vo); vd. Magoun F.P., “The Pilgrim-Diary of Nikulas of Munkathvera. The Road to
Rome”, in MS VI (1944), pp. 314-354 e Raschellà F., “Devozione cristiana e leggen-
200
Persino in Groenlandia furono fondati due conventi: uno femminile apparte-
nente all’ordine benedettino che si trovava nei pressi di Narsarsuaq sul fiordo di
Uunartoq, e uno maschile dell’ordine agostiniano, eretto presso Tasermiut, sul fiordo
omonimo.
Cultura e società
1
Vd. sopra, p. 269.
2
Vd. pp. 322-323.
almeno in parte, carattere poetico il testo della pietra di Eggjum (da datare all’incirca
all’inizio dell’VIII secolo); cfr. p. 93 con nota 117, p. 86 con nota 86 e p. 296.
7
È detto tuttavia nella Saga di Egill Skalla-Grímsson (cap. 78) che la figlia del poe-
ta invitò il padre a comporre un carme che ella avrebbe inciso (evidentemente in
caratteri runici) su un pezzo di legno. Riferimenti analoghi si trovano nella leggendaria
Saga di Oddr della freccia (Ǫrvar-Odds saga), cap. 40 e cap. 46.
8
In Islanda inizialmente fu introdotto il cosiddetto ‘minuscolo carolino’, integrato
con i segni þ, y e æ; in Norvegia fu invece utilizzato il ‘minuscolo anglosassone’ (vd.
Wessén 197510 [B.5], pp. 35-36), un uso che in seguito (inizio del XIII secolo) influen-
zò l’alfabeto islandese introducendovi il segno ð come variante posizionale di þ.
Vries 1962² (B.5), p. 93. Talora queste ipotesi sono molto antiche: si legga la Prefazio-
ne di Resen alla sua edizione dall’Edda del 1665 (su cui vd. p. 587), prima e seconda
pagina, non numerate.
16
Questo componimento trova un precedente nella cosiddetta Chiave dei metri
poetici (Háttalykill) composta tra il 1140 e il 1150 dallo scaldo islandese Hallr Þórarins-
son insieme a Rǫgnvaldr Kali jarl delle Orcadi e scaldo lui stesso.
17
Vd. oltre, p. 298.
25
Il componimento fa riferimento al fatto che Skírnir, servitore di Freyr, si reca nel
mondo dei giganti per presentare a Gerðr le profferte amorose del dio.
tavia si cela il ricordo del contrasto ben più significativo tra due
visioni di vita e, conseguentemente, di credo religioso (incarnate
nelle figure dei due dèi) opposte e per molti versi inconciliabili.
Così, infine – forse soprattutto – l’Invettiva di Loki (Lokasenna), i
cui versi, percorsi dal tono dell’insulto, mettono a nudo – per boc-
ca di Loki – i peggiori vizi degli dèi, abbassandoli a personaggi
tutt’altro che ‘celesti’.26
Fatta eccezione per il Carme di Vǫlundr (Vǫlundarkviða) che
riferisce le vicende del mitico fabbro Vǫlundr (figura nota in tutta
l’area germanica),27 i ‘carmi degli eroi’ sono enucleati attorno alle
figure di due celebri personaggi: Helgi e Sigurðr (il Sigfrido della
tradizione germanica continentale). Sebbene abbiano verosimil-
mente tratto spunto da vicende effettivamente avvenute e da per-
sonaggi realmente esistiti (basti pensare alla citazione, all’interno
del ciclo di Sigurðr, della figura di Ermanarico, in nordico
Jǫrmunrekkr, morto attorno al 375 d.C.) i ‘carmi degli eroi’ tutto
possono rappresentare tranne che una testimonianza storica, per
quanto estremamente corrotta. Il meccanismo di trasposizione del
materiale storico in materiale epico-leggendario entra in funzione
con sorprendente rapidità e con conseguente inevitabile stravolgi-
mento dei fatti, dal momento che nella ‘costruzione’ poetica gli
equilibri vengono completamente modificati.28 Tenuto conto del
lunghissimo lasso di tempo nel corso del quale il tema epico venne
elaborato e rielaborato, della migrazione e ricezione delle tematiche,
delle concrezioni e degli squilibri, della sensibilità artistica di chi
infine gli conferì la forma nella quale esso ci è finalmente giunto
(per di più da un Paese come l’Islanda molto lontano dalle regioni
nelle quali si era originariamente formato) è del tutto evidente che
ben altro rispetto a una supposta quanto improbabile verità stori-
ca andrà ricercato in questi testi. Piuttosto vi andranno ritrovati
motivi certamente diffusi nella poesia epica germanica continenta-
le, non soltanto – come è stato accennato – nella corrispondenza
delle figure dei protagonisti, bensì anche in tematiche che costan-
26
In realtà, come è mostrato in Pizarro J.M., Studies in the Function and Context of
the Senna in early Germanic Narrative, Harvard 1976, il dialogo ingiurioso e violento,
letterariamente ben codificato, è il riflesso di una sorta di ‘prova di ammissione’ di un
nuovo venuto che deve dimostrare le proprie qualità morali e intellettuali. Nell’Edda
poetica questo schema si ritrova – oltre che nell’Invettiva di Loki – nel Carme di Hárbarðr
e nel dialogo furioso e insultante che si svolge tra Sinfjǫtli e Guðmundr nel carme
eroico dal titolo Primo carme di Helgi uccisore di Hundingr (Helgakviða Hundingsbana
in fyrri), alle strofe 32-44 (Edda poetica, pp. 135-137).
27
Vd. p. 219 con nota 460.
28
Cfr. p. 132, nota 128.
29
In particolare il fornyrðislag è il metro ‘epico’, mentre il ljóðaháttr viene utilizza-
to per versi di carattere magico-formulare o gnomico.
32
Si tratta per lo più di carmi contenuti nelle saghe leggendarie (vd. oltre, 5.2.4),
cui si aggiunge il Canto di Dǫrruðr (Darraðarljóð) tramandato nella Saga di Njáll del
rogo, un testo messo in relazione con la battaglia di Clontarf presso Dublino (combat-
tuta il venerdì santo del 1014) nella quale si scontrarono un esercito irlandese e uno
nordico (dunque cristiani contro pagani): qui si immaginano dodici valchirie intente
a tessere una tela fatta di visceri umani grondanti di sangue con un telaio le cui parti
sono costituite da lance, frecce e spade e i cui pesi sono teschi.
33
Cfr. p. 93 con nota 117.
34
Vd. pp. 92-93.
35
Vd. Kermode 1904 (C.3.1).
45
Vd. Saga di Egill Skalla-Grímsson, cap. 31 e la versione a se stante (e più comple-
ta rispetto a quella contenuta nella Heimskringla) della Saga di Olav il Santo (Saga Óláfs
konungs hins helga) di Snorri Sturluson, II, pp. 706-707.
46
Vd. Chiesa Isnardi 20084 (B.7.1), p. 202 e pp. 251-252, note 42-45. Si confronti
la storia dell’eroe Starkaðr, ibidem, p. 419. Per la vicenda di Sighvatr cfr. Turville-Petre
1958 (vd. p. 180, nota 314), pp. 104-105 dove si ricordano casi analoghi.
47
Vd. Chiesa Isnardi 20084 (B.7.1), pp. 90-92. Nel mito si trova una allusione
ironica, quando si dice che Odino – che aveva bevuto il liquido prezioso e travestito
da aquila volava veloce verso la dimora degli Asi – dovendo in tutta fretta rigurgitarlo
in un recipiente – ne lasciò cadere una parte che rimase a disposizione di chiunque
volesse: quella è la parte dei poetastri.
48
Dialogo dell’Alto, str. 138-163 (pp. 40-44); vd. Chiesa Isnardi 20084 (B.7.1), p.
202.
49
Vd. sopra, pp. 201-202.
50
Vd. Chiesa Isnardi 1996 (C.3.3), pp. 17-31. È forse possibile riconoscere un
tentativo di influenzare poeticamente (e dunque magicamente) il volere di una fanciul-
la anche in strofe composte dal celebre re norvegese Araldo di Duro consiglio (cfr. p.
107 e p. 144) il quale, lamentandosi della freddezza dell’amata (una principessa russa),
insensibile alle sue qualità di uomo e di guerriero alludeva nel ritornello alla donna
senza tuttavia farne esplicitamente il nome. Il verso suonava così: “Tuttavia la Gerðr
(divinità femminile) dell’anello d’oro (kenning per “donna”) in Russia si prende gioco
59
Cfr. p. 142-143.
60
Vd. p. 251.
61
Vd. p. 252, nota 102.
62
Vd. sopra, p. 187 e pp. 231-232.
63
Cfr. sopra, p. 144 e p. 252.
64
È riferito che il poeta, recatosi alla corte di Olav il Santo, voleva rendergli omag-
gio con un suo componimento. Il re rispose che non voleva che si facesse della poesia
su di lui e che neppure avrebbe potuto ascoltarla, probabilmente – come opportuna-
mente suggerisce Ludovica Koch (Koch 1984, p. 147) – per il legame tra la composi-
zione poetica e la tradizione pagana. Ma Sighvatr insistette e poté infine recitare i suoi
versi (Snorri Sturluson, Saga di Olav il Santo, cap. 43); vd. il testo della strofa tradot-
to a p. 309.
65
Vd. p. 242.
66
Con gli altri uomini di corte i poeti condividevano l’obbligo della fedeltà verso
il sovrano, il che comportava anche l’impegno a seguirlo nelle imprese guerresche. A
questo proposito merita una citazione un episodio narrato nella Saga dei fratelli di
71
Vd. sopra, p. 221.
72
Saga di Egill Skalla-Grímsson, capp. 59-61.
73
Cfr. p. 255, nota 116.
74
Vd. pp. 291-292.
75
DLO nr. 75. “Boccale di Viðurr” è una kenning per “poesia” che fa riferimento
a quest’arte come liquido (cui qui si allude con “boccale”), cioè “idromele” di Odino
(di cui Viðurr è uno degli appellativi).
76
In un celebre passo del Dialogo dell’Alto Odino medesimo indica la buona fama
– che opportunamente andrà affidata alla poesia – come unica forma di immortalità
per gli umani: “Muore la ricchezza, muoiono i congiunti,/ ciascuno ugualmente muo-
re;/ ma la fama non muore mai,/ per chi se ne procura una buona.// Muore la ricchez-
za, muoiono i congiunti,/ ciascuno ugualmente muore;/ io conosco una cosa sola che
non muore mai:/ il giudizio su ogni morto” (Hávamál, str. 76-77; DLO nr. 76).
77
Saga di Egill Skalla-Grímsson, cap. 78.
78
Vd. il testo riportato a p. 126.
79
Qui occorre anche ricordare almeno due poetesse. La prima è Steinunn Refsdóttir,
della fine del X secolo, la seconda Steinvǫr Sighvatsdóttir (morta nel 1271), nipote di
Snorri Sturluson per parte di padre, citata in una versione (U) dell’Enumerazione
dei poeti (Skáldatal), un elenco (per altro non completo) di scaldi che arriva fino al
1300 circa (vd. Simek – Pálsson 1987 [B.4], p. 317). Di quest’ultima tuttavia non ci
restano versi.
80
Un esempio evidente di poesia funzionale alla narrazione della saga è quello dei
versi ‘infantili’ che il celebre scaldo Egill Skalla-Grímsson avrebbe composto all’età di
tre anni! (Egils saga Skalla-Grímssonar, cap. 31); cfr. p. 299.
81
Talora si è tuttavia supposto (in particolare a riguardo dei versi attribuiti a Gísli
Súrsson nella saga omonima) che ci si possa trovare di fronte a un prodotto poetico
originale o, comunque, piuttosto antico (la questione è ben riassunta in Turville-Petre
1976, pp. 50-51).
82
Ynglinga saga, Prologo (DLO nr. 77).
83
La kenning va intesta così: “destriero delle tende azzurrocupe” è la “nave”,
“albero della nave” è il “signore del mare”, il “guerriero”. L’immagine dell’albero
nelle metafore che indicano il guerriero è frequente e fa riferimento alla fermezza di
chi resta saldo di fronte al pericolo.
84
DLO nr. 78. Vd. Snorri Sturluson, Saga di Olav il Santo, cap. 43; cfr. nota 64.
85
Sulla formazione di quest’opera, sulla sua evoluzione fino a diventare il testo di
cui oggi disponiamo e sul suo valore come documento storico vd. Jóhannesson J.,
Gerðir Landnámabókar, Reykjavík 1941; Benediktsson J., “Formáli”, in Íslendingabók.
Landnámabók, pp. v-cliv e Pálsson 1999, pp. 7-12.
86
Hermann Pálsson (Pálsson 1999, p. 18) richiama opportunamente un commen-
to inserito nella tarda versione del Libro dell’insediamento contenuta nel Libro di Þórðr
(Þórðarbók, AM 106 fol., redatto nel XVII secolo da tale Þórður Jónsson di Hítardalur,
morto nel 1670, e conservato presso l’Università di Reykjavík, Stofnun Árna Magnús-
sonar í íslenskum fræðum) e tuttavia verosimilmente ripreso dalla versione originaria
del testo. Lo si riporta qui nella traduzione inglese del medesimo autore (The Book of
Settlements. Landnámabók, translated with Introduction and Notes by H. Pálsson and
P. Edwards, University of Manitoba Press 1972, p. 6): “People often say that writing
about the Settlements is irrelevant learning, but we think we can better meet the criticism
of foreigners when they accuse us of being descended from slaves and scoundrels, if we
know for certain the truth about our ancestry. And for those who want to know ancient
lore and how to trace genealogies, it’s better to start at the beginning than to come in at
the middle. Anyway, all civilized nations want to know about the origins of their own
society and the beginnings of their own race.”
87
de Vries 1962² (B.5), p. 459 e p. 467; cfr. nota 10.
88
La Saga della battaglia nella brughiera (Heiðarvíga saga), considerata la più antica
fra le saghe degli Islandesi, dovrebbe essere stata composta attorno al 1200. Altre saghe
risalenti ai primi decenni del XIII secolo sono la Saga dei fratelli di sangue e la Saga dei
figli di Droplaug (Droplaugarsona saga). Il periodo di massima fioritura del genere è
considerato il XIII secolo, anche se talune saghe risultano ben più tarde, come la Saga
degli abitanti di Fljótsdalur, forse addirittura del XV secolo.
89
PÁLSSON 1999.
esemplarmente dal caso della Saga di Hrafnkell goði del dio Freyr,
ineccepibile dal punto di vista della credibilità degli eventi narrati
e tuttavia frutto, senza ombra di dubbio, di invenzione letteraria.90
D’altro canto questa osservazione non deve essere portata alle
estreme conseguenze,91 in quanto in ogni caso le saghe sono ricon-
ducibili a un ambiente ben determinato e circoscritto, la cui men-
talità e il cui ordinamento esse ci trasmettono (anche se i singoli
elementi vadano attentamente vagliati). Sicché sarebbe insensato
rigettare tutte le informazioni che da qui ci vengono sul piano
delle credenze religioso-mitologiche, delle consuetudini sociali e
giuridiche e delle tradizioni folcloristiche e magiche. Tanto più che
esse trovano non di rado conferma in testimonianze archeologiche,
artistico-iconografiche e toponomastiche.
È opinione ben condivisibile che le saghe degli Islandesi costi-
tuiscano la prima forma di romanzo europeo. E tuttavia fin dal
passato un acceso dibattito ha riguardato la formazione di questi
testi. Il contrasto ha visto opporsi, in particolare, i fautori della
cosiddetta Freiprosalehre (la versione scritta delle saghe si limite-
rebbe a riversare nei codici testi ben strutturati, sia dal punto di
vista contenutistico sia da quello formale, attraverso una lunga e
consolidata tradizione orale) e quelli della Buchprosalehre (le saghe
sono opera di autori che consapevolmente hanno redatto elabo-
randoli in forma letteraria elementi del patrimonio culturale nazio-
nale). Le conclusioni sono state, sostanzialmente, a favore dei
secondi. E tuttavia, come ben evidenziato in studi più recenti,92 il
contributo della tradizione orale deve ricevere un giusto riconosci-
mento ed essere opportunamente rivalutato. Certo ci troviamo di
fronte a testi che per scelte costruttive, analogie ed espedienti sti-
listici vanno a costituire un vero e proprio genere letterario.93 Del
resto, come è stato detto, anche quando si prendano in esame i testi
poetici che non di rado sono inseriti nel contesto del racconto
(soprattutto nelle saghe incentrate sulla figura di celebri scaldi ai
quali queste composizioni vengono attribuite), è possibile verifica-
re che essi presentano – tranne forse in qualche caso –94 forme che
difficilmente si accordano con l’epoca nella quale avrebbero dovu-
90
Come dimostrato in un celebre saggio di S. Nordal (Hrafnkatla. Mit einem Auszug
auf deutsch, Reykjavík-Kaupmannahöfn 1940).
91
Come è stato il caso dello studioso tedesco W. Baetke (Baetke 1956).
92
Vd. in particolare Byock 1993, pp. 8-10.
93
È del resto verosimile che la stesura delle saghe sia dovuta, almeno in parte,
all’iniziativa dei grandi capitani che al contempo gestivano buona parte della vita
ecclesiastica (cfr. pp. 381-382).
94
Vd. sopra, nota 81.
95
Individuato e analizzato in Andersson 1967, pp. 3-30.
96
Basti pensare a ‘saghe’ moderne come I Buddenbrook. Decadenza di una famiglia
di Thomas Mann (Buddenbrooks. Verfall einer Familie, 1901) o La saga dei Forsyte (The
Forsyte saga) di John Galsworthy (una serie di testi usciti fra il 1906 e il 1921; edizione
con introduzione di G. HARVEY, Oxford 1995). Ma nell’accezione islandese una saga
resta semplicemente una “storia” (cfr. nota 10).
97
Brennu-Njáls saga, di solito più semplicemente indicata come Saga di Njáll.
98
Gísla saga, cap. 18, p. 58.
105
Tale è il caso di personaggi come Attila o Ermanarico presenti nella Saga dei
Volsunghi, ma anche del semi-leggendario Ragnarr, protagonista dell’omonimo rac-
conto (Saga di Ragnarr brache di pelo); vd. sopra, p. 107 con nota 36 e p. 134, nota 137.
106
Si accoglie qui la catalogazione delle “saghe del tempo antico” proposta nel
fondamentale volumetto di K. Schier (Schier 1970, pp. 72-78).
107
Con questa definizione si fa riferimento a storie composte in Islanda a imitazio-
ne di “saghe cavalleresche” tradotte in norvegese da originali stranieri (in particolare
francesi), testi che avevano avuto una notevole diffusione anche nell’isola. Per questo
tipo di racconti sono utilizzate talora altre denominazioni, come “saghe fiabesche”
(Märchensagas) o (meno recentemente) “saghe menzognere” (lygisǫgur). La definizio-
ne di questi sottogruppi resta discussa; lo ‘stato della questione’ è ben riassunto in
Ferrari F., “Il motivo del viaggio nelle fornaldarsögur”, in VVLSMM, pp. 169-171.
Cfr. pp. 413-414.
108
Vd. pp. 322-323.
109
La storia di Amleto (Amlethus), riferita da Sassone grammatico nel III e IV libro
della sua opera, non trova riscontri nell’area scandinava occidentale, se non nell’allusio-
ne contenuta in una strofa sciolta (lausavísa) dello scaldo islandese Snæbjǫrn (XI secolo),
il quale in una kenning definisce il mare “mulino di Amleto” (Amlóða líðmeldr); vd. Skj
I: A, p. 211, B, p. 201. In area islandese riferimenti a questo personaggio si trovano ben
più tardi nelle Ambáles rímur (Canzoni [lett. “Rime”] di Ambáles), di cui si conoscono
versioni differenti e alle quali si rifà la Saga di Ambáles (Ambáles saga). Questi testi risal-
gono alla seconda metà del XVII secolo (la saga verosimilmente all’ultimo decennio). Per
una analisi del ‘mito di Amleto’ si rimanda al classico testo di DE Santillana G. – von
Dechend H., Il mulino di Amleto. Saggio sul mito e sulla struttura del tempo, Milano 1983.
114
Vd. p. 143, nota 171.
115
Vd. p. 411.
130
Cfr. Historia Norwegie, pp. 74-79. In un saggio ho cercato di mostrare come sia
possibile ricondurre le vicende di questi sovrani (dei quali in sostanza vengono riferi-
te soprattutto le circostanze relative alla morte) a schemi rituali risalenti a un’antica
tradizione (vd. Chiesa Isnardi G., “Il re sacrificato. Morte rituale del sovrano nell’an-
tica società nordica”, in I gesti del sacro. Rito e rituali [= I quaderni di Avallon, XXXI,
1993], pp. 101-122).
131
Vd. pp. 383-384.
132
Cfr. pp. 269-270.
133
Questa denominazione risale all’edizione ottocentesca del filologo norvegese
Carl Rikard Unger (1817-1897): Heilagra manna sǫgur. Fortællinger og Legender om
hellige Mænd og Kvinder. Efter gamle Haandskrifter udgivne af C.R. Unger, I-II,
Christiania 1877.
134
In base alla definizione di Unger sono esclusi da questo gruppo altri scritti
dedicati agli apostoli (postola sǫgur), a diversi personaggi biblici e alla Madonna (in
particolare, la Saga di Maria, Maríu saga).
3
Vd. sopra, p. 254.
4
Óláfs saga Tryggvasonar, cap. 104 (DLO nr. 82).
5
STFM I, nr. 23, ca.1050-1056, pp. 45-56. Una definizione di confini precedente
(riferita all’anno 954) è verosimilmente da attribuire a un’epoca successiva (ibidem,
pp. 54-56).
6
In seguito a questo accordo la figlia di Inge il Vecchio, Margherita (Margareta)
andrà in sposa a Magnus Piedi nudi e avrà di conseguenza il soprannome di Fanciulla
della pace (fredkulla). La morte di Margherita, collocata nel 1117, è molto verosimil-
mente posteriore (1130). A Kungälv una statua dello scultore svedese Arvid Källström
(vd. p. 1182 con nota 253) ricorda questo storico evento.
7
Vd. p. 212.
8
L’usanza della ‘chiamata a raccolta’ (per ragioni militari ma anche talora per riu-
nioni assembleari) è tra l’altro testimoniata nel termine nordico herǫr, “freccia di
guerra”, a indicare l’uso di scagliare una freccia da un luogo a un altro per avvertire
con sollecitudine della necessità di far ricorso alle armi o di riunirsi.
9
Per la verità il termine si lega soprattutto alla mobilitazione per operazioni mili-
tari sul mare, in quanto esso può essere inteso anche come “forze navali”, in opposi-
zione a landherr “forze di terra”. Su questo punto si veda comunque l’opinione di P.
Nyström (“Herraväldet”, in Ambjörnsson R. – Gaunt D. [red.], Den dolda historien.
27 uppsatser om vårt okända förflutna, Stockholm 1984, pp. 326-329) che esprime
forti riserve sulla effettiva consistenza storica di questa consuetudine.
10
Vd. Bjørkvik – Lárusson et al. 1965 (dove si considera nel dettaglio anche la
situazione dei diversi Paesi) e Arup 1914.
6.1. Danimarca
Niels Svendsen, salito al trono nel 1104, è – per certi versi sim-
bolicamente – il primo sovrano danese con un nome tratto dalla
tradizione cristiana.15 Il suo regno, caratterizzato dal desiderio di
pacificazione e dalla collaborazione con il potere ecclesiastico,
terminerà tuttavia in seguito a una guerra civile, un conflitto sca-
tenato nel 1131 dall’assassinio del nipote del re, Canuto Lord, da
parte del figlio di Niels, Magnus.16 Naturalmente qui non è tanto
necessario seguire in dettaglio le singole ragioni e l’andamento del
conflitto, quanto piuttosto constatare come in esso si evidenzi uno
stretto legame fra potere politico e potere religioso, dimostrato non
soltanto dal diretto intervento nelle questioni dello Stato da parte di
uomini di Chiesa, ma anche dalla capacità di trasformare vittime
di eventi politici in martiri della fede, in questa circostanza, appun-
to, Canuto. La conclusione della guerra civile vide prevalere Val-
14
Parallelamente il potere legislativo venne trasferito nelle mani del re.
15
Niels è infatti contrazione di Nicolaus (ant. nordico Nikulás).
16
Vd. p. 274.
17
Nel 1162 Valdemaro aveva dovuto fare giuramento di vassallaggio all’imperatore.
18
Tra di loro esisteva tra l’altro un lungo rapporto di conoscenza, fin da quando Eskil
aveva incontrato a Bologna l’allora docente di diritto Rolando Bandinelli (ca.1100-1181)
che sarebbe poi stato eletto al soglio pontificio (1159). Su Eskil cfr. p. 328 con nota 2.
19
Vd. p. 274. Sulla figura di Absalon vd. Olrik H., Absalon, I-II, København 1908-
1909.
20
Questo confine veniva riconosciuto dall’imperatore Federico II nel 1214 (DD I:
5, nr. 48, pp. 75-79, 1214 [Nytår]).
21
Il testo poetico noto come Pianto per la prigionia dei re dei Danesi (Planctus de
captivitate regum Danorum), composto da un anonimo, ricorda la cattura e l’imprigio-
namento del re Valdemaro II e di suo figlio nel 1223.
22
Vd. Dahlerup 1993-1997 (B.5), III, coll. 488-489.
23
In epoca vichinga è noto un vessillo rosso con sopra un corvo, animale sacro al
dio Odino (vd. Chiesa Isnardi 20084 [B.7.1], p. 553), un simbolo pagano che, eviden-
temente, fu eliminato con l’affermarsi del cristianesimo.
24
Vd. Fabricius L.P., “Sagnet om Danebroge og de ældste Forbindelser med Est-
land”, in KSam I (1933-1935), pp. 485-533; Flor K., Om Dannebrog jeg ved… Danne-
brogshistorie, vignetter og tegninger af P. Høyrup, København 1945, pp. 12-18 e
Zeruneith K., “Det himmelfaldne flag. Om Dannebrog som nationalt symbol”, in
TFFL, pp. 209-222. Cfr. p. 276 con nota 186.
25
Vd. p. 849.
Ponte Milvio del 28 ottobre 312, dove il confronto fra gli eserciti rivali
diviene simbolo di quello tra paganesimo e cristianesimo; così anche da
quello dello scontro tra Mosè e Aronne da una parte e Amalec dall’altra,26
in quanto è riferito che l’arcivescovo pregava con le braccia tese al cielo:
quando alzava le mani i Danesi avevano la meglio, quando le lasciava
cadere prevalevano i pagani, sicché i vescovi e i chierici andarono a soste-
nergli le braccia, in modo che potesse tenere sempre le mani alzate. Fin
dalla seconda metà del XIV secolo questa bandiera appare come emblema
danese nel libro di araldica cosiddetto ‘di Gelre’ (Wapenboek Gelre).27
Nella seconda metà del XIII secolo i contrasti tra il potere reale
e quello ecclesiastico furono molto aspri. In particolare la Corona
venne a trovarsi in conflitto con il vescovo di Roskilde Jacob Erland
sen (data di nascita ignota), divenuto nel 1254 arcivescovo di Lund,
un uomo desideroso di affermare la piena autonomia dell’istituzio-
ne religiosa rispetto a una monarchia che – avendo concesso molti
benefici – si arrogava molti diritti.28 Al culmine della contesa l’ar-
civescovo venne addirittura imprigionato con gravi ripercussioni e
successivo ricorso all’autorità del Papa. Una lunga disputa, pro-
trattasi oltre la morte del re Cristoforo I (1259), dalla quale il
prelato sarebbe uscito sconfitto: egli del resto moriva nel 1274, un
paio di anni dopo aver concordato con il successore Erik Klipping29
26
Esodo, XVII, 8-12. Come noto Amalec, nipote di Esaù, era considerato il proge-
nitore della tribù degli Amaleciti, ostile a Israele e da esso sconfitta. Il paragone è
rafforzato dall’annotazione biblica secondo la quale, dopo la vittoria su Amalec e i
suoi, Mosè innalzò un altare che chiamò Jahve-Nissi, vale a dire “Jahve è la mia ban-
diera” (La sacra Bibbia, Antico Testamento, p. 112 con nota 15).
27
Il libro di araldica di Claes Heinenzoon, detto ‘Gelre’, venne realizzato tra il 1370
e il 1395. Esso è conservato nella Biblioteca reale (Bibliotheque royale) di Bruxelles
(ms. 15652-56). È composto di 121 fogli. La bandiera danese è riprodotta sul retro del
foglio 55. Vd. Achen S.T., “Gelre våbenbogen og dens danske våbener”, in Heraldisk
Tidsskrift, III (1970-1974), pp. 105-116. Sulla bandiera danese vd. anche Engblom
Chr. – Engblom L-Å., “Dannebrogen – korsflaggornas urtyp”, in FFF, pp. 76-77.
28
Il conflitto ebbe inizio dopo un sinodo riunito nella località di Vejle (Jutland
sud-orientale) dal quale era venuta una forte rivendicazione dei diritti della Chiesa
(DD II: 1, nr. 176, 6 marzo 1256, pp. 142-144).
29
Questo soprannome può essere inteso come “Testa rasata” (con riferimento a
klipning “tosatura”). Un’altra interpretazione lo riconnette al termine klipping nel suo
significato di “moneta quadrata, ottenuta tramite il taglio di un lungo pezzo di metal-
lo coniato e di valore inferiore a quello nominale”: essa sarebbe stata emessa da questo
re, tuttavia questo tipo di monete pare essere circolato in Danimarca solo a partire dal
1518 (vd. Dahlerup 1993-1997 [B.5], X, coll. 611-612). Da rigettare l’interpretazione
popolare che riferiva il soprannome klipping/glipping al verbo glippe (arcaico) “sbat-
tere le palpebre”, il che avrebbe alluso a questa abitudine del sovrano.
34
Il testo degli Annales ryenses suona così: “Il re Erik fu ucciso nel letto la notte di
Santa Cecilia, dai suoi [uomini], quelli che amava di più, con cinquantasei pugnalate”
(DLO nr. 83).
35
DLO nr. 84.
*
Il ricordo di questo drammatico evento si trova, naturalmente, anche
nelle ballate popolari36 che conoscono diverse versioni di questi fatti.37
Almeno in un paio di casi è espresso il punto di vista dei fedeli del re e
dipinta con toni drammatici la sua triste fine.38 In altri testi, come nella
versione più lunga e dettagliata,39 il motivo dell’ostilità di Stig Andersen
nei confronti di Erik Klipping viene individuato nell’oltraggio subito
dalla di lui moglie Ingeborg, la quale durante un’assenza del marito,
impegnato in azioni militari, sarebbe stata costretta a giacere con il sovra-
no, pur avendone rifiutato le profferte amorose. Questa versione vuole
forse soltanto giustificare la possibile colpa, cercandone una spiegazione
sentimentale nell’offesa subita.
“Quando partiste dal Paese, Ora non devo più i miei sonni dormire
ero la sposa di un cavaliere: accanto al vostro bianco fianco:
ora sono regina di Danimarca, prima che abbiate ucciso re Erik,
possa valer ben poco. che mi inflisse questa pena.
Quando partiste dal Paese, Ora non voglio più i miei sonni dormire
ero la moglie di un cavaliere: tra le vostre bianche braccia:
ora sono regina di Danimarca, prima che abbiate ucciso re Erik,
per me un tormento costante. che mi inflisse questo dolore.”40
Nei primi decenni del XIV secolo il potere centrale appare for-
temente indebolito: alla morte del re Erik Menved (1319) – che tra
l’altro aveva assunto nuove e sfortunate iniziative nel Baltico e in
Svezia – saliva al trono Cristoforo II, costretto a sottoscrivere un
forte ridimensionamento dell’autorità della Corona.41 Nel 1320 il
ducato dello Jutland meridionale (più tardi ducato dello Schleswig)42
era divenuto di fatto (con l’appoggio dei conti del Holstein) indi-
36
Vd. pp. 396-397.
37
La ballata (sotto citata) dal titolo Marsk Stig nelle sue diverse versioni è riportata
in DGF III, nr. 145, pp. 338-385.
38
Versioni del manoscritto di Svaning, foglio 23 e di quello di Rentzel, Nr. 26
(ibidem, pp. 360-361).
39
Manoscritto in folio di Karen Brahe, Nr. 60 e manoscritto di Anna Munk, Nr. 37;
ibidem, pp. 349-355 (versione contrassegnata con A).
40
Versione A, str. 33-36 (DLO nr. 85).
41
Il suo capitolare è ripotato in AaKG II (1856-1860) alle pp. 9-11 (nr. 3: Consti-
tutio Christophori II, 1320 die 25 Januarii data).
42
Sulla denominazione vd. p. 1414, nota 11.
anche eletto il sovrano) che aveva giurisdizione sullo Jutland (fino al confine meridio-
nale segnato dal fiume Eider) e sulla Fionia; quella di Ringsted in Selandia, che aveva
giurisdizione anche sulle isole di Lolland, di Falster e su quelle minori; quella di Lund,
che aveva giurisdizione sulle regioni ‘svedesi’ di Scania, Halland e Blekinge. Come si
vedrà (pp. 393-394) i tre grandi codici di leggi danesi rispecchiano questa realtà.
54
Vd. oltre, p. 358.
55
Vd. p. 211.
56
Vd. sopra, p. 330.
57
L’ufficio del bryde origina dall’antica funzione di colui che suddivideva il cibo fra
le diverse persone di una fattoria (non di rado uno schiavo). Il progressivo sviluppo di
questa funzione trasformatasi in una carica al servizio del re o di persone importanti
(vescovo, nobili) è riassunto in Skrubbeltrang – Lid et al. 1957, vd. anche Nielsen
1967.
61
E più tardi anche Odense, Aarhus, Ålborg, Copenaghen.
62
Toponimi come Fåborg, Kalundborg, Nyborg, Svendborg (dove -borg “luogo
fortificato”, “castello”) ne danno efficace testimonianza.
63
Nel 1396 la regina Margherita emetterà un’ordinanza nella quale sarà tra l’altro
vietata ai nobili danesi e svedesi la costruzione di castelli (il testo in AaKG V [1871-
1875], pp. 52-57). Cfr. p. 439 con nota 11.
64
DD II: 1, nr. 138, 13 marzo 1254, pp. 115-119. Su Absalon vd. p. 274 e p. 333
con nota 19.
65
DD II: 4, nr. 121, 29 gennaio 1294, pp. 85-99.
66
Il nome København vale “porto dei mercanti” (sulla base di købmand “mercan-
te” e havn “porto”). Sassone lo definisce significativamente Mercatorum portus (Gesta
Danorum, passim). Sulla storia della città vd. Lundbye P., “Det Ældste Kjøbenhavn”,
in AaNOH 1908, pp. 37-76 e Cedergreen Bech S. – Kjersgaard E. et al. (red.) 1967:
Københavns historie gjennem 800 år, København 1967.
67
Vd. Rørdam 1868-1877 (C.9.2.), I, pp. 7-29.
6.2. Svezia
pali dello stato svedese avesse radici molto lontane nel tempo e
come esso avesse avuto riflessi anche sul processo di cristianizza-
zione. Del resto, quando si parla della Svezia medievale, occorre
avere presente un Paese con una superficie assai più limitata dell’at-
tuale: non soltanto – come detto – regioni come la Scania, il Halland
e il Blekinge erano, appunto, possedimenti danesi, ma i territori
settentrionali, solo in parte coltivati, erano per il resto occupati
dalle popolazioni semi-nomadi dei Sami: basti pensare che nell’XI
secolo la ‘linea di confine’ partiva poco a nord dell’attuale città di
Umeå (64° parallelo) e tagliando quasi trasversalmente il territorio
incrociava l’odierna frontiera con la Norvegia presso le sorgenti del
fiume che ha nome Österdalälven in Dalecarlia (Dalarna) in pros-
simità del 62° parallelo.73 Costruire un Regno svedese unificato
significò dunque, almeno inizialmente, riunire sotto un’unica Coro-
na i due potentati storici superando al contempo anche i conflitti
che dovevano esserci al loro interno.74 Solo più tardi si poté rivol-
gere l’attenzione alle terre settentrionali.75 Naturalmente anche in
Svezia l’antica struttura tribale con le sue signorie locali restava
solida. Essa dunque condizionò fortemente il processo di edifica-
zione del Regno nel quale il potere centralizzato della Corona si
impose a fatica restando per lungo tempo disorganico. In effetti
– benché un sovrano come Olof Skötkonung76 paia aver esercitato
un effettivo dominio sovraregionale – i suoi successori risultano
espressione dell’una o dell’altra realtà e le incessanti lotte per il
potere riflettono di fatto questa situazione. Ancora nella prima metà
del XII secolo ci troviamo di fronte a figure come quella di Sverker
il Vecchio (den äldre, re dal 1130 al 1156) e Erik Jedvardsson il
Santo77 (re dal 1150 al 1160), il primo legato agli Götar, il secondo
agli Svear, i cui regni per un certo periodo si sovrappongono. La
scarsa affidabilità delle fonti non aiuta a delineare chiaramente la
73
Vd. in Orrman 2003 (C.6.1) la mappa riportata a p. 253.
74
La questione è ben esposta in Albani 1969 (C.6), pp. 123-126, dove inoltre si
ricorda la vicenda (per quanto leggendaria) del re degli Svear Ingjaldr Ǫnundarson,
che secondo il racconto di Snorri Sturluson (Saga degli Ynglingar, cap. 36) aveva con
l’inganno chiamato presso di sé dei ‘re distrettuali’ (heraðskonungar, cfr. paragrafo
successivo) per poi ucciderli impadronendosi dei loro territori, il che testimonia come
il processo di unificazione dovette attuarsi attraverso sanguinosi conflitti; qui si citano
anche fonti medievali nelle quali la nascita del Regno svedese si riconduce chiaramen-
te all’unione del territorio degli Götar con quello degli Svear. Cfr. pp. 136-138 con
nota 149.
75
In Harrison 2002, pp. 548-564 è assai ben esposto il processo di progressiva
affermazione del potere dei re svedesi sulle regioni settentrionali nel XIII secolo.
76
Vd. p. 139 e pp. 242-245.
77
Vd. pp. 275-276.
78
Vd. p. 248.
79
Vd. Weibull 1949, Thordeman 1954 e Gallén-Lundén 1960 (tutti in C.4.4).
80
Sulle figure dei primi santi svedesi vd. Harrison 2002, pp. 441-449.
81
A questa battaglia è legato un episodio riferito al cap. 20 della versione breve
delle Saghe dei baglar (su cui cfr. nota 163) riportata nel manoscritto (AM 47 fol.,
conservato presso l’Università di Copenaghen, Nordisk Forskningsinstitut) che ha nome
Eirspennill ([Libro] con un fermaglio di rame), risalente all’inizio del XIV secolo e che
contiene notizie sui re norvegesi dal 1035 al 1263 (pp. 469-470). Si narra che quattro
giorni prima dello scontro un fabbro ricevette la visita di un uomo che voleva far
ferrare il suo cavallo. Comprendendo di trovarsi di fronte a una persona singolare egli
gli fece molte domande, ma l’altro, dopo aver lasciato intendere di essere nientemeno
che Odino in persona, balzò via al galoppo saltando oltre un recinto altissimo. Snorri
Sturluson del resto riferisce (Saga degli Ynglingar, cap. 9) che spesso gli Svedesi cre-
devano di veder apparire questo dio prima dell’infuriare di grandi battaglie.
ta per la prima volta per il re Magnus Eriksson nel 1335 e per l’ultima
per il re Carlo IX nel 1609) parrebbe perpetuata anche l’antica fun-
zione sacrale della regalità. È dunque evidente che nella gestione del
potere il re svedese doveva tenere ben presenti le deliberazioni e le
aspettative delle realtà locali, i cui rappresentanti più eminenti risul-
tano in un contesto di questo genere molto influenti.
Innanzi tutto gli jarlar. In Svezia uno jarl era, originariamente, il
comandante della flotta che veniva armata in occasione della ‘leva’90
(un incarico che garantiva notevoli vantaggi e profitti economici),
tuttavia il potere di questi funzionari dovette aumentare parecchio,
se solo si pensa che negli anni tra il 1222 e il 1250 – i decenni del
tormentato regno di Erik Eriksson, detto il Bleso e lo Zoppo (läspe
och halte) – il governo era in sostanza gestito da loro piuttosto che dal
re. Sicché non deve meravigliare che una delle personalità più auto-
revoli del XIII secolo sia quella di Birger jarl Magnusson (nato nel
1210 circa, morto nel 1266), il primo uomo veramente capace di dare
un impulso decisivo alla costruzione di un Regno svedese forte e di
rilevanza europea. La sua vicenda (che segna per la Svezia un periodo
per quanto breve di relativa calma) rappresenta un momento deter-
minante per la storia di questo Paese. Birger jarl era originario del-
l’Östergötland, la sua famiglia – che possedeva la grande dimora di
Bjälbo non lontano da Skänninge – era assai eminente, potendo
vantare parentele con i sovrani di Danimarca e di Norvegia.91 Birger
stesso del resto aveva sposato la sorella del re Erik Eriksson, Ingeborg
(morta nel 1254).92 Questo matrimonio che vedeva l’unione di un
discendente della dinastia di Sverker il Vecchio con una donna del-
la dinastia di Erik il Santo rappresentava simbolicamente l’unifica-
zione della Svezia: ciò a quanto pare era ben presente a Birger, che
scelse di consacrarlo con una cerimonia religiosa (uso all’epoca
tutt’altro che frequente). Birger era un uomo intelligente e spregiu-
dicato che perseguiva una politica fortemente accentratrice e al
termine Erik va inteso, piuttosto che come nome proprio, nel senso di “unico signore”
(*ein-rikr), il che del resto corrisponde alla più probabile etimologia di Erik (< sved. ant.
Erı̄ker, vd. de Vries 1962² [B.5], p. 97). Questa spiegazione resta rispetto ad altre (vd. Kjellén
1889, pp. 26-27 e anche Hasselberg 1959) la più plausibile. Vd. anche Schlyter C.J., “Om
Konungaval, Eriksgata, Kröning och kungliga rättigheter, enligt Sveriges gamla lagar.
Föreläsningar öfver Upl. KgB 1-3”, in Juridiska afhandlingar, I, Upsala 1836, pp. 1-54.
90
Vd. p. 330.
91
Secondo la leggenda la casata di Birger jarl risaliva a tale Folke Filbyter (Fijlbijter),
soprannome che indicherebbe chi castrava i cavalli con un morso.
92
Successivamente (1261) Birger avrebbe preso in moglie Matilde (Mechtild) di
Holstein (ca.1220-1288), vedova del re Abele (Abel) di Danimarca (1218-1252), cfr.
p. 1415, nota 16.
93
Nell’ambito del conflitto russo-svedese è celebre la battaglia sul fiume Neva (15
luglio 1240) nella quale il principe Alessandro Jaroslavič (Александр Ярославич,
1220-1263), che da questo successo avrà il soprannome Nevskij (Невский), sconfisse
l’esercito svedese. Dopo una lunga serie di ostilità il confine finlandese fra Russia e
Svezia sarebbe stato tracciato nell’accordo di Nöteborg (finnico Pähkinälinna, presso
il punto in cui il fiume Neva fuoriesce dal lago Ladoga) nel 1323. Esso avrebbe dovu-
to partire dall’attuale Systerbäck (finnico Rajajoki/Siestarjoki, russo Сестра) sulla foce
del fiume omonimo e, toccando Vuoksen, Särkilahti, Varkaus, Karjalankoski e
Kolimakoski raggiungere la parte settentrionale del golfo di Botnia presso la località
di Pattijoki (forse tuttavia, un poco più a sud, quella di Pyhäjoki sulla foce del fiume
omonimo), al di sopra del 64° parallelo. Sulla effettiva linea di confine esistevano
tuttavia versioni differenti (vd. Lundkvist S., “Iura regni – Rikets rättigheter. Statslednin-
gen och Övre Norrland under sex århundraden”, in Edlund L-E. – Beckman L., Botnia.
En nordsvensk region, Höganäs 1994, pp. 73-74 e Tarkiainen 2008 [App. 1], pp. 101-
105). Questo trattato è noto anche come Trattato di Orešek (dal nome russo della
località, Орешек, odierna Шлиссельбург). Per un’analisi del testo (redatto in due copie
l’una in svedese e l’altra in latino, vd. p. 378, nota 206) si rimanda a Rydberg O.S.,
Traktaten i Orechovetz d. 12 aug. 1323. Kritisk undersökning, Stockholm 1876; vd.
anche Gallén J. – Lind J., Nöteborgsfreden och Finlands medeltida östgräns, I-III,
Helsingfors 1968-1991.
94
Erikskrönikan, pp. 34-36. Su questo testo si rimanda a p. 406.
Stato svedese può dirsi affermato verso la fine del XIII secolo.
Tuttavia alla sua morte il figlio Valdemaro non avrebbe avuto vita
facile e dopo una lunga serie di conflitti sarebbe stato sostituito sul
trono dal fratello Magnus Serrature ai fienili (ca.1240-1290). Non
certo inferiore al padre per abilità e determinazione, Magnus sareb-
be riuscito a stabilire princìpi legislativi che di fatto sottraevano ai
poteri locali molte delle antiche prerogative.101
Parallelo allo stabilizzarsi dell’autorità reale era stato il consolida-
mento di quella ecclesiastica. Nel 1164 era stato istituito, come sopra
si è detto, l’arcivescovato di Uppsala. Contemporaneamente la Chie-
sa aveva rafforzato la sua presenza sul territorio non soltanto con la
costruzione di nuovi edifici religiosi in pietra al posto delle vecchie
chiese di legno, ma anche con l’edificazione e la consacrazione di
importanti cattedrali, che andavano a sostituire precedenti e più
semplici strutture,102 e la fondazione di molti conventi dei diversi
ordini: tra i più antichi quello di Vreta in Östergötland (benedettino
e poi cistercense), fondato secondo la tradizione dal re Inge il Vecchio
(den äldre) e da sua moglie Helena e quelli cistercensi di Alvastra in
Östergötland (da cui proveniva Stefano, morto nel 1185, primo
arcivescovo svedese),103 Nydala (Småland), Varnhem (Västergötland).
Nel XIII secolo sarebbero seguiti monasteri francescani e domeni-
cani. Come in Danimarca la Chiesa ottenne progressivamente una
serie di privilegi: già nel 1153 in occasione del sinodo di Linköping
presieduto dal legato papale Nicola Breakspear104 era stato istituito
il cosiddetto ‘obolo di San Pietro’ (in sostanza una tassa a favore del
Papa);105 nel 1200, il re Sverker il Giovane (den yngre) aveva conces-
so agli ecclesiastici l’esenzione dalle tasse e la possibilità di essere
giudicati da un tribunale speciale;106 anche Magnus Serrature ai
fienili concedeva molti privilegi.
Va da sé che gli uomini di Chiesa erano pienamente coinvolti
nelle questioni politiche e non potevano essere messi da parte. Solo
per fare un esempio: quando nel 1222 il giovanissimo Erik Eriksson
(di soli sei anni) saliva al trono, la reggenza venne affidata a Bengt,
101
Si veda in proposito l’ordinanza di Skänninge del 1285 (DS I, nr. 813, 23 agosto-31
dicembre, pp. 668-670).
102
Skara nel 1140, Linköping nel 1251 circa, Strängnäs iniziata nel 1260 circa, Östra
Åros, cioè l’attuale Uppsala (dove sarebbero state deposte le reliquie del santo re Erik)
nel 1273, Växjö nel XII secolo.
103
Su questo importante centro religioso vd. Håkanson K. – Rosborn S., “Klostret
vid Vättern”, in PH 1991: 1, pp. 32-35.
104
Cfr. p. 259.
105
STFM I, nr. 38, 28 novembre 1154, pp. 72-74.
106
DS I, nr. 115, pp. 139-149 (data generica: 1200).
107
STFM I, nr. 97, 21 ottobre 1252, pp. 202-203.
108
Vd. oltre, pp. 356-357.
109
DS III, nr. 2196, 26-28 giugno 1319, pp. 406-409.
110
DS III, nr. 2199, 8 luglio 1319, pp. 411-412.
116
August Strindberg (vd. pp. 1082-1083) centrerà la problematica della penitenza
sul contrasto tra Magnus Eriksson e Brigida nel dramma storico Storia dei folkungar
(Folkungasagan).
117
Vd. Revelaciones, III, xxxi, 1, p. 184.
118
Sui rapporti tra Brigida e il potere (sia quello ecclesiastico sia quello statale) vedi
l’approfondita analisi di T. Schmid (Schmid 1940 a [C.6.5], pp. 37-91: cap. 3 “Folkets
ledare”); sul suo conflitto con il re vd. Hergemöller U., Magnus versus Birgitta. Der
Kampf der heiligen Birgitta von Schweden gegen König Magnus Eriksson, Hamburg
2003. Sulla figura di questa santa vd. anche Fogelklou 1973, Klockars 1973 (entram-
bi in C.6.5) e Stolpe 2003; cfr. oltre, pp. 402-403. A lei è dedicato il romanzo di Sven
Stolpe, Fru Birgitta ler (La nobile Brigida sorride), 1955.
119
Con “ciascuna davvero pesante” si è tradotto lo svedese “hwar thera siu liwspund
woogh” che letteralmente significa “ciascuna pesava sette liwspund”. Quest’ultima è
una antica unità di misura che corrisponde a 8.5 kg.
120
Il brano è tratto dalla Erikskrönikan (DLO nr. 89). Questi tragici avvenimenti
sono rievocati anche in una ballata popolare danese dal titolo Re Birger e i suoi fratel-
li (Kong Birger og hans brødre); vd. DGF III, nr. 154, pp. 458-469.
121
Dalla seconda metà del XIV secolo il termine härad verrà esteso anche a questa
zona.
122
Del resto nella provincia di Roden (sulla costa dell’Uppland) essi prendevano
nome di skeppslag (termine nel quale è chiaramente riconoscibile la parola skepp
“nave”). In caso di ‘leva’ per la guerra (vd. p. 330) ciascuno di questi doveva fornire
una nave con il suo equipaggio e tutto l’occorrente. Cfr. p. 340 con nota 52.
123
Vd. Jansson 1970 e Hafström 1974.
124
La parola è infatti composta da lag “legge” e saga dallo sved. ant. sagha “espo-
sizione”, “racconto” (vd. Hellquist 19803 [B.5], II, p. 879). In diversi casi le lagsagor,
territori con proprie leggi, coincisero con i länder (sing. land) formati dall’unione di
villaggi vicini determinata da esigenze di carattere giuridico ed ecclesiastico.
125
Vd. p. 151.
132
DS I, nr. 799, 1285, pp. 650-654; la data, non ulteriormente specificata, è quasi
certamente errata (vd. Liedgren J., “Alsnö stadgas språk och datering”, in Rättshisto-
riska studier, XI [1985], pp. 103-117); vd. anche Löfqvist 1935 (C.6.1).
133
DS I, nr. 115, pp. 139-140 (data non ulteriormente specificata).
134
In realtà la figura di questo funzionario è presente in tutti i Paesi nordici con
funzioni diversificate a seconda dell’ambito di competenza e del periodo storico; le
denominazioni sono: dan. foged, pl. fog(e)der; sved. fogde, pl. fogdar; norv. (bm) fogd,
pl. fogder o anche fut, pl. futer, (nn: fut, pl. futar); isl. fógeti, pl. fógetar o fóviti, pl.
fóvitar). Si rimanda qui a Nielsen 1959 (C.6.1), Ljung 1959, Fladby 1959 (C.6.3) e
Lárusson 1959 (C.6.4).
135
Fattorie destinate a questo scopo dovettero in particolare essere quelle indicate
dal toponimo Husaby (vd. Foote – Wilson 1973 [C.3.4], pp. 128-129).
136
Contenute nell’articolo 1 del decreto di Alsnö (vd. indicazione alla nota 132).
Cfr. nota 95.
137
DS IV, nr. 3106, 28 gennaio 1335, pp. 407-408 (sulla Eriksgata vd. p. 129 con
nota 112 e pp. 349-350). Già dal secolo precedente si constata tuttavia in Svezia una
progressiva scomparsa della condizione di schiavitù.
138
DS I, nr. 390, p. 354. L’etimologia di questo toponimo non è definitivamente
chiarita. Fatto salvo il significato di holm “isola”, stock potrebbe avere senso originario
di “tronco”, “palo” con riferimento ai pali che venivano usati per realizzare ponti
rudimentali, tenuto conto che il nucleo della città sorge su un gruppo di isole; vd.
Sahlgren J., “Namnet Stockholm”, in NoB XXX (1942), pp. 141-149.
139
“Birger jarl, quell’uomo saggio./ Fece costruire la città di Stoccolma/ con
grande giudizio e molta intelligenza,/ una bella casa e una buona città/ tutti fecero
proprio come lui ordinava./ È uno sbarramento per il lago,/ così che gli abitanti
della Carelia non rechino loro molestia./ Il lago è buono, vi dico perciò:/ ci sono
diciannove parrocchie/ e tutt’intorno al lago sette città./ Là ora c’è allegria e molta
gioia,/ dove prima c’era dolore e molti lamenti/ per via dei pagani, che li aggredivano.”
(DLO nr. 90). La “bella casa” è certamente una costruzione fortificata. Il riferimento
allo “sbarramento per il lago” contro gli abitanti della Carelia è verosimilmente da
collegare anche all’aggressione di pirati provenienti dall’est che nel 1187 avevano
attaccato Sigtuna dandola alle fiamme e uccidendo l’arcivescovo. Queste ripetute
incursioni furono certamente tra i motivi che indussero alla fortificazione di quella
che sarebbe diventata la città di Stoccolma. Alla fondazione della quale è dedicato un
lavoro di Pehr Ulric Huldberg (1784-1834) dal titolo Birger jarl, ovvero la fondazione
di Stoccolma, opera teatrale in tre atti (Birger Jarl, eller anläggningen af Stockholm,
skådespel i tre akter, 1835).
140
Sui primi secoli della città si può rimandare qui a diversi studi quali Hildebrand
H. – Liljekvist F. et al., Stockholm under medeltiden och Vasatiden. Kort framställning,
Stockholm 1897; Nerman 1922; Bolin G., Stockholms uppkomst. Studier och under-
sökningar rörande Stockholms förhistoria, Uppsala 1933; Ahnlund 1953.
141
Su Sigtuna vd. Floderus E., Sigtuna. Sveriges äldsta medeltidsstad, Stockholm
1941.
142
DS I, nr. 789, 18 maggio 1284, pp. 644-645.
143
Sulle origini della città vd. Sundquist N., Uppsala stads historia: I. Östra Åros.
Stadens uppkomst och dess utveckling intill år 1300, Uppsala 1953.
144
Vd. oltre, p. 452.
145
Detto in ant. nord. (e dunque ant. norv.) bjarkeyjarrétt (ant. sved. biærkøarætter,
dan. medio biærkeræt). Si tratta del diritto che regolamentava i centri commerciali
nordici: forse il primo elemento della parola deriva dal frisone birk “commercio” (una
parola con la quale il toponimo che indica l’importante centro vichingo svedese di
Birka mostra evidente affinità).
146
Sulla storia del parlamento svedese (riksdag) vd. Hadenius S., Riksdagen. En
svensk historia, Stockholm 1944.
6.3. Norvegia
149
In relazione all’incoronazione di Magnus era stata anche emanata una regola-
mentazione relativa all’elezione del sovrano nella quale si affermava il principio
dell’ereditarietà (e, almeno in linea di massima, quello della primogenitura e della
nascita legittima), ma si salvaguardava al contempo il diritto degli alti ecclesiastici e
dei più importanti dignitari di intervenire al riguardo. Si tratta, in ogni caso, del primo
tentativo fatto in un Paese europeo per disciplinare la successione al trono; vd. il
commento nell’edizione a cura di E. Vandvik (Latinske dokument til norsk historie
fram til år 1204, Oslo 1959) che riporta il testo alle pp. 62-65. Vd. anche Holmsen A.,
“Erkebiskop Eystein og tronfølgeloven av 1163”, in NHT XLIV (1965), pp. 225-266
e Tobiassen T., “Tronfølgelov og privilegiebrev”, in Holmsen A. – Simensen I., Norske
historikere i utvalg 2. Samfunnsmaktene brytes, Oslo 1969, pp. 216-292.
150
In Holmsen 1971-19774 (B.3), I, p. 208, si sostiene tuttavia che il richiamo a
Olav il Santo non è da intendere come un atto di sottomissione alla Chiesa. Appare
chiaro in ogni caso che l’impostazione data dall’arcivescovo Øystein all’investitura di
Magnus corrisponde agli interessi ecclesiastici.
151
Questo ironico appellativo era dovuto al fatto che costoro, essendo molto pove-
ri, usavano cortecce di betulla al posto delle normali calzature.
152
Ant. norv. Eyraþing. Questa assemblea si affiancava nella regione all’importante
Frostating; in seguito allo stabilirsi della consuetudine di proclamare qui il re norve-
gese, essa acquisì particolare prestigio. Il soprannome di Øystein faceva riferimento ai
suoi tratti fanciulleschi quasi ‘femminili’.
153
Vd. p. 372.
154
Il soprannome gli derivava dalle conseguenze di una ferita al collo ricevuta
durante la sua partecipazione a una crociata nel 1153.
155
La radicata tradizione secondo la quale la cattedrale di Trondheim (l’antica
Nidaros) è stata costruita sul luogo della prima sepoltura del santo sovrano è stata negli
ultimi decenni messa in discussione (vd. Ekroll 2000 [C.4.3]).
156
L’arcivescovo si richiamava al diritto canonico e al codice (che per altro non
possediamo) definito Gullfjǫðr (“Penna d’oro”) redatto a quanto pare dal suo prede-
cessore Øystein, mentre il re faceva riferimento alle statuizioni di Olav il Santo e alla
cosiddetta Grágás (“Oca grigia”), codice giuridico del Trøndelag fatto risalire al re
Magnus Olavsson, figlio illegittimo di Olav (cfr. p. 423).
157
Saga di Sverre, cap. 117.
“Sverre raccontò il sogno in questo modo che gli pareva di essere arrivato
in Norvegia da occidente sul mare, e di aver ottenuto là qualche dignità, e
in particolare di essere stato scelto come vescovo. Ma gli pareva che ci fosse
grande inimicizia nel Paese, per i conflitti fra i sovrani, e gli pareva che Olav
il Santo avesse un conflitto con il re Magnus e lo jarl Erling, e che egli stes-
so riflettesse da chi fra loro dovesse recarsi. Gli parve di preferire di far
visita al re Olav. E quando giunse là fu accolto bene e con grande cortesia.
Ma poco tempo dopo che era là avvenne un mattino, che gli parve che ci
fossero poche persone dal re, non più di quindici o sedici uomini, e il re si
lavava presso un tavolino in un locale di sopra. E quando si fu lavato, un
altro uomo voleva andare al tavolino e lavarsi nella stessa acqua in cui si era
lavato il re. Ma il re lo spinse via con la mano e lo invitò a lasciar stare. Poi
chiamò Sverre Magnus e lo invitò a lavarsi in quella stessa acqua. Gli parve
di fare come egli aveva ordinato. E quando si fu lavato, entrò un uomo di
corsa con notizie urgenti e invitò gli uomini a prendere subito le armi, e
disse che i nemici del re erano alle porte. Il re rispose che non ci sarebbero
stati problemi e invitò gli uomini a prendere le loro armi da combattimento
e uscire, e disse che avrebbe [avuto] il proprio scudo e [li avrebbe] protetti
tutti con quello. Fecero come il re aveva detto. Allora egli prese la sua spada
e la porse al giovane Sverre, e poi gli porse in mano il suo stendardo e disse:
‘Prendi lo stendardo, signore, e ricordati che questo stendardo lo dovrai
portare da ora in poi.’159 Gli parve di prendere lo stendardo, ma con un
158
La posizione del re e il suo tentativo di limitare il potere della Chiesa è espressa
nell’anonimo pamphlet, cui il celebre antiquario islandese Árni Magnússon (vd. pp.
587-588) diede il significativo titolo Discorso contro il clero norvegese (Oratio contra
clerum Norvegiæ), conservato in un manoscritto databile tra il 1320 e il 1330 (AM 114
a, 4to) ma certamente riconducibile all’ambiente della corte del re Sverre. Il testo, il
cui stile rimanda alla cancelleria reale di Oslo, è infatti molto probabilmente copia di
un più antico originale. In proposito si può leggere Gunnes E., Kongens ære. Kongemakt
og kirke i “En tale mot biskopene”, Oslo 1971.
159
La figura dell’alfiere (ant. nord. merkismaðr) godeva di una posizione di presti-
gio nell’ambito della corte. Questa persona che doveva sempre seguire il re aveva anche
importanti riconoscimenti, quale – fra gli altri – il diritto di far parte del Consiglio di
reggenza. Questa dignità scomparve nei primi decenni del XIV secolo.
Il duro contrasto tra due poteri forti non giovava al Paese. Alla
morte di Sverre il figlio e successore Håkon operò dunque un
tentativo di riconciliazione che tuttavia non diede risultati defini-
tivi a causa della sua prematura scomparsa (1204).162 La guerra
civile continuò fino al 1208, quando venne trovato un accordo
sulla divisione del Regno fra i re eletti dalle due opposte fazioni,
Inge Bårdsson per i birkibeinar (nominato nel 1204) e Filippus
Simonsson, nipote del vescovo Nicola Arnesson, per i bagler (nomi-
nato nel 1207): il primo avrebbe governato le zone settentrionali e
occidentali, il secondo le zone orientali. In questo accordo (che
accontentava almeno in parte anche un altro pretendente del par-
tito dei birkibeinar, Håkon jarl, nipote di Sverre) i vescovi ebbero
un ruolo fondamentale di mediazione.163
Inge Bårdsson e Filippus Simonsson morivano entrambi nel
1217. Una data, questa, assai importante perché segna l’ascesa al
trono (approvata da entrambe le fazioni) del giovane nipote di
Sverre, Håkon Håkonsson, sovrano intelligente e riflessivo, ma
160
Vd. p. 125, nota 102.
161
DLO nr. 91.
162
Assai significativo è il testo della lettera di riconciliazione inviata da Håkon ai
vescovi, nella quale egli dichiara di voler rispettare le prerogative della Chiesa purché
ciò non vada a scapito della Corona e, contemporaneamente, si preoccupa dei conta-
dini, vittime senza colpa di questa vera e propria ‘guerra civile’ (DN VIII: 1, nr. 5, 1202,
pp. 6-8): “Ora, dal momento che questi dissidi e questioni ci sono stati a lungo tra di
noi, con molte sofferenze e grandi difficoltà per noi e soprattutto per chi [in ciò] ha
avuto meno parte, il contadino, che abita il Paese […]” (DLO nr. 92).
163
Delle lotte fra i birkibeinar e i baglar riferiscono le cosiddette Saghe dei baglar
(Bǫglunga sǫgur), delle quali possediamo una versione più lunga e una più breve (che
arriva fino al 1208). È interessante notare come l’autore della versione più breve (un
islandese) promuova innanzi tutto il punto di vista dei baglar, mentre la versione più
lunga si deve a una persona che appare vicina a una figura eminente del partito dei
birkibeinar, forse addirittura lo stesso Inge Bårdsson.
168
Con l’eccezione – a quanto pare – del Borgarting (su cui cfr. p. 371).
169
Cfr. p. 211 con nota 434.
170
Vd. oltre, pp. 383-384 e p. 1452 con nota 183. L’impero norvegese raggiunse la
sua massima estensione nel 1265, poco dopo l’annessione della Groenlandia e dell’Islan-
da e prima della cessione delle Ebridi e dell’isola di Man alla Scozia in cambio del
riconoscimento del dominio norvegese sulle Shetland e le Orcadi sanciti dal trattato
di Perth del 1266 (DN VIII: 1, nr. 9, 2 luglio 1266, pp. 13-17; cfr. il rinnovo dell’accor-
do in DN XIX: 1, nr. 482, 29 ottobre 1312, pp. 597-603). Nel 1273 una commissione
mista norvego-svedese stabiliva la linea di confine tra i due Paesi dal fiume Göta-
älv alla regione di Ångermanland (STFM I, nr. 120, pp. 242-262, la data resta tuttavia
incerta).
171
NGL II, pp. 462-480.
fjórðungar) “quarto”, séttungr (pl. séttungar) “sesto”, áttung (pl. áttungar) “ottavo”,
talora usati in relazione a suddivisioni amministrative di tipo ecclesiastico.
181
Vd. sopra, p. 211.
182
Vd. in proposito, Helle 1998 (B.3), II, pp. 148-151 e Schreiner 1936. Nell’i-
scrizione runica svedese di Turinge (Södermanland, seconda metà dell’XI secolo) si
trova l’espressione “i migliori uomini del Paese” (bistra mana : a : lanti) che conosce
un precedente nell’iscrizione sulla pietra danese di Skivum nello Jutland (l(ą)nt : mąną
: baistr) risalente al X secolo. Qui la contiguità dei termini (mana : a : lanti e l(ą)nt :
mąną) ha indotto taluni studiosi a riconoscere una allusione a funzionari come i
lendmenn norvegesi che avrebbero potuto essere presenti anche in questi Paesi (la
questione è ben sintetizzata in Cucina 1989 [C.3.1], p. 184, nota 575).
183
Vd. Krag 1982; cfr. sopra, p. 341 con nota 57 e p. 360.
184
In Norvegia alle funzioni del syslumann paiono corrispondere anche quelle del
fogd (ant. norv. foguti/fogutr); cfr. nota 134.
185
E, contemporaneamente, quello di skutilsvein (pl. skutilsveinar, letteralmente
“ragazzo [che siede] a tavola”) che indicava una determinata dignità fra gli uomini di
corte (tuttavia di grado inferiore a quella dei lendmenn) in riddari “cavaliere”.
186
Il decreto di cancellazione è del 17 giugno 1308 (NGL IV, pp. 74-81); vd. Schrei-
ner J., “Retterboten av 1308”, in NHT XXXI (1937-1940), pp. 1-27. Cfr. p. 210.
187
A costoro era forse dedicata una saga che ritroviamo in forma frammentaria
diocesano’. Fin dalla fine del XII secolo gli ecclesiastici si diedero
delle regole proprie ribadendo la loro indipendenza rispetto all’au-
torità statale: si veda, a esempio, il cosiddetto Canone di Nidaros
(Canones Nidrosienses) risalente al 1152.190 Del resto la Chiesa andò
acquisendo notevole solidità economica, non soltanto per il versa-
mento delle decime (imposte nella prima metà del XII secolo e
fortemente avversate), ma anche per le donazioni e i privilegi rice-
vuti. Divenne dunque un potere parallelo a quello dello Stato;
ottenne propri tribunali e i suoi rappresentanti più prestigiosi
ebbero a disposizione un seguito. Inoltre anche altre istituzioni
religiose come i conventi furono, oltre che luoghi di ritiro spiritua-
le, centri di una fiorente economia. Conclusa abilmente (e, in
sostanza, definitivamente) l’epoca del proselitismo e della conver-
sione con la santificazione del re Olav Haraldsson, il potere eccle-
siastico seppe propagarsi nella società norvegese e con la istituzio-
ne sistematica delle parrocchie191 raggiunse anche gli strati più
umili della popolazione, diffondendo metodicamente la dottrina
cristiana e imponendo regole e sanzioni per indurre il popolo (ma
anche i sacerdoti!) a comportarsi secondo i dettami della Chiesa.
Alla quale sono anche dovute le prime forme di ‘assistenza sociale’
(tra l’altro la fondazione di ospedali) cui erano destinate (almeno
in parte) le elemosine versate per la salvezza delle anime.
Certamente la classe sociale che subì un arretramento dal punto
di vista politico fu, anche in Norvegia, quella dei contadini. Come
nel resto d’Europa tra il XII e la prima metà del XIV secolo il
mondo agrario conosce uno sviluppo determinato in buona sostan-
za dalla colonizzazione di nuove aree legata all’aumento della
popolazione. Tuttavia le innovazioni introdotte in Danimarca e in
Svezia (in particolare l’uso della cultura a rotazione e la coltivazio-
ne della segala) si affermano in Norvegia solo nelle aree agricole
più estese, mentre altrove la conformazione del terreno limita le
nuove possibilità e il lavoro continua in gran parte a essere svolto
190
In questo testo si esprime l’adeguamento della Chiesa norvegese al diritto cano-
nico. Il manoscritto in cui esso è contenuto è stato scoperto da W. Holtzmann a
Londra negli anni ’30 del Novecento e da lui pubblicato nel 1938 (Holtzmann W.,
“Krone und Kirche in Norwegen im 12. Jahrhundert [Englische Analekten III]”, in
Deutsches Archiv für Geschichte des Mittelalters namens des Reichsinstituts für ältere
deutsche Geschichtskunde (MGH), II, 1938, pp. 341-400, testo alle pp. 376-400).
Questo manoscritto risale all’inizio del XIII secolo, tuttavia resta dubbio se la reda-
zione di questo testo si leghi alla istituzione dell’arcivescovato di Nidaros o se esso sia
stato in seguito rielaborato dall’arcivescovo Øystein Erldensson.
191
Che tuttavia, come altrove, paiono in diversi casi formarsi attorno a chiese fatte
costruire da importanti personaggi.
Vd. p. 330.
192
193
Vd. la Saga di Olav Tryggvason di Snorri Sturluson, cap. 70 (cfr. p. 253).
194
Nella sua Storia dell’antichità dei re norvegesi, Theodricus Monachus (vd. p. 411)
definisce significativamente Nidaros “capitale di tutto il Regno” (cap. 10, p. 17: “caput
totius regni”).
195
Vd. la Saga di Olav il Quieto (Óláfs saga kyrra, decima parte della Heimskringla
di Snorri Sturluson), cap. 2; cfr. pp. 257-258.
196
Vd. la Saga di Araldo Sigurdsson (Haralds saga Sigurðarsonar), cap. 58. Per la
storia più antica della capitale norvegese vd. Nedkvitne A. – Norseng P.G., Byen under
Eikaberg. Fra byens oppkomst til 1536, Oslo 1991 (= Oslo bys historie, I).
197
La regolamentazione dei codici per le città è dovuta soprattutto a Magnus
Emendatore di leggi; cfr. p. 362 con nota 145.
classe dei cittadini) al di sopra delle quali sta il sovrano. Già a metà
del XII secolo, durante la visita del cardinale Nicola Breakspear si
ha notizia di una sorta di assemblea del Regno alla quale oltre ai
nobili e agli ecclesiastici vengono convocati anche rappresentanti
dei contadini; ciò sarà più tardi confermato, nel 1163 (o 1164),
all’incoronazione di Magnus Erlingsson.198 Ma il riconoscimento
più chiaro della rinnovata struttura della società norvegese si avrà
in un testo del XIII secolo dal significativo titolo di Specchio del re
(Konungs skuggsjá) nel quale, addirittura, la sezione dedicata alla
classe dei commercianti (nucleo dei cittadini) viene trattata prima
di quella del re e della sua corte.199
198
Vd. Holmsen 1971-19774 (B.3), I, pp. 197-198 e p. 206.
199
Lo Specchio del re è un’opera incompleta: delle quattro parti previste (dedicate
rispettivamente ai commercianti, al re e alla sua corte, agli ecclesiastici e ai contadini)
solo le prime due sono state portate a termine.
200
DN V: 1, nr. 4, 6 ottobre 1250, pp. 3-5.
Svezia,201 una presenza che si farà molto consistente in diversi centri del
Paese (Stoccolma, Uppsala, Kalmar, Skänninge, Arboga, Örebro, Söderköping)
1278: il re norvegese Magnus Håkonsson concede immunità speciali
ai commercianti tedeschi202
1284: il re danese Erik Klipping conclude un accordo con i prìncipi
tedeschi e la Ansa, in base al quale i commercianti tedeschi vedono
aumentate le loro opportunità; questo fatto provoca gravi contrasti con
il re norvegese203
1285: il re svedese Magnus Serrature ai fienili dirime le questioni tra la
Norvegia e la Ansa204
1294: la Ansa conquista il predominio sul commercio norvegese (il che
determinerà reazioni e una politica protezionistica)
1307: il re danese Erik Menved diventa protettore di Lubecca205
1317: Lubecca si sottrae al dominio danese
1323: con la pace di Nöteborg tra Russia e Svezia viene garantito ai
tedeschi libero commercio sul fiume Neva verso Novgorod206
1350 ca.: i commercianti anseatici stabiliscono un loro ufficio ammini-
strativo a Bergen dove vivono numerosi e in piena autonomia rispetto al
governo norvegese; il quartiere della città noto come Bryggen (Tyskebryg-
gen) è a tutti gli effetti un quartiere tedesco
1361: il re danese Valdemaro Nuovo giorno conquista l’isola di Gotland
e la sua capitale Visby imponendo un pesante tributo
1362: il re danese Valdemaro Nuovo giorno sconfigge le truppe di
Lubecca in una battaglia navale sull’Øresund
1367: la Svezia, il Mecklemburgo, il Holstein e le città anseatiche si
organizzano per combattere i Danesi, una guerra che si estenderà anche
alla Norvegia
1368: Valdemaro Nuovo giorno è costretto a rifugiarsi all’estero e i
tedeschi distruggono completamente Copenaghen e occupano Skanør e
Falsterbo
1369: i Tedeschi conquistano il castello fortificato di Helsingborg;
viene siglata la pace tra la Norvegia e la Ansa207
201
STFM I, nr. 94, 1250 o 1251, pp. 197-199; vd. anche STFM I, nr. 107, 15 agosto
1256 o 1260 (vd., ibidem, nota 1, pp. 214-215), pp. 213-215 in cui i privilegi concessi
da Birger jarl a Lubecca vengono confermati.
202
DN V: 1, nr. 10, 18 luglio 1278, pp. 10-12.
203
DD II: 3, nr. 104, 17 agosto 1284, pp. 112-113; nr. 110, 29 novembre 1284, pp.
117-118 e nr. 111, 29 novembre 1284, pp. 118-119, ma, soprattutto, nr. 116, 29 novem-
bre 1284, pp. 123-124.
204
STFM I, nr. 140, 3 luglio 1285, pp. 288-290; cfr. nr. 141, 7 ottobre 1285, pp.
290-291; nr. 142, 31 ottobre 1285, pp. 292-297; nr. 142 a, stessa data, p. 298 e nr. 142
b, stessa data, pp. 298-299.
205
DD II: 6, nr. 75, 4 luglio 1307, pp. 64-65.
206
STFM I, nr. 205: i, 12 agosto 1323, pp. 434-504 (da pp. 504 a p. 513 il successi-
vo trattato di pace tra la Norvegia e Novgorod, nr. 205: ii, 3 giugno 1326); Sundberg
1997 (Abbr.), nr. 17, pp. 51-52.
207
DN VIII: 1, nr. 186, 3 agosto 1369, pp. 232-233 e nr. 187 (stessa data), pp. 234-235.
6.4. Islanda
208
DD III: 8, nr. 449, pp. 468-479; nr. 450, pp. 479-484; nr. 451, pp. 484-486; nr.
452, pp. 486-493; nr. 453, pp. 493-495; nr. 454, pp. 495-496 e nr. 455, pp. 496-498,
tutti in data 24 maggio 1370.
209
Più oltre (pp. 540-543) è inserito uno schema analogo relativo al periodo dal XV
al XVII secolo. Sui Fratelli vitaliani cfr. p. 438, nota 7.
210
Vd. pp. 151-152.
211
Nel Libro degli Islandesi (cap. 2) Ari Þorgilsson informa che esso fu scelto da
tale Grímr geitskǫr (forse “Capelli di capra”), che a questo scopo aveva viaggiato per
tutta l’Islanda. Vd. Björnsson Bj.Th., Þingvellir. Staðir og leiðir, Reykjavík 19944.
212
Vd. p. 197 con nota 384 e p. 209.
213
Il goði e i suoi þingmenn erano dunque solitamente un gruppo compatto che
portava avanti determinati interessi.
214
Vd. p. 151.
215
Nel Diplomatarium islandicum sono conservate diverse lettere di rimprovero
dell’arcivescovo Øystein Erlendsson per il comportamento degli isolani non conforme
ai dettami della Chiesa (DI I: nr. 38, 1173, pp. 218-223; nr. 40, 1176 circa, pp. 230-233;
nr. 53, 1179, pp. 258-260 e nr. 54, 1180, pp. 260-264); si ricordi che la provincia eccle-
siastica islandese era passata nel 1152-1153 dalla giurisdizione dell’arcivescovato di
Lund a quello di Nidaros.
216
Cfr. p. 269.
217
Kuhn 1971, p. 42 e pp. 112-113. Si tenga presente che i goðar erano esentati dal
pagamento delle decime.
218
Vd. Ari Þorgilsson, Libro degli Islandesi, cap. 10. Su Sæmundr Sigfússon vd.
pp. 283-284 con nota 3.
219
Vd. p. 278.
228
DI II, nr. 1, 1 giugno 1253, p. 1.
229
DI II, nr. 167, 2 maggio 1297, pp. 323-325.
230
Si ricordi qui, a esempio, il governatore Smiður Andrésson (data di nascita
ignota), di origini norvegesi, al quale si opposero gli abitanti dell’Eyjafjörður che lo
uccisero con i suoi uomini nella località di Grund l’8 luglio 1362.
231
Vd. 7.1.
232
Vd. p. 429 con nota 381.
233
Il riferimento è agli ecclesiastici. DLO nr. 95.
234
Vd. p. 151 con nota 196. Nella Saga di Þórir del pollame (Hœnsa-Þóris saga) al
cap. 9 si lascia intendere che i terreni sui quali sorgevano fattorie abbandonate (nel
caso specifico in seguito a un incendio) erano da considerarsi a disposizione di chi ne
prendesse possesso secondo le procedure stabilite.
235
È verosimile che circa 20.000 persone si siano insediate sull’isola durante il
periodo della colonizzazione e che il loro numero sia poi salito fino a raggiungere nel
XIII secolo una cifra variante tra i 32.500 e i 39.000 individui (vd. Benedictow 2003,
p. 247).
236
Vd. p. 151.
237
Cap. 5.
238
Cfr. p. 372.
239
Con l’introduzione del dominio norvegese in Islanda il ‘governatore’ Gizurr
Þorvaldsson (1208-1268) aveva avuto il titolo di jarl; questo titolo tuttavia era stato
abolito qualche anno dopo la sua morte. Dal XV secolo il titolo di hirðstjóri fu sosti-
tuito da quello di höfuðsmaður e la carica affidata a stranieri.
vd. pp. 724-726). Le terribili conseguenze di questa eruzione furono tuttavia superate
dal momento che la densità abitativa ancora relativamente bassa scongiurò effetti
tragici pari a quelli verificatisi nel XVIII secolo. Vd. STOTHERS R.B., “Far Reach of the
Tenth Century Eldgjá Eruption, Iceland”, in Climatic Change, XXXIX: 4 (1998), pp.
715-726, dove si dà conto di tutte le fonti che fanno riferimento a questo evento.
244
La parola significa letteralmente “misura di tessuto”, nel che è indicato chiara-
mente anche il suo valore come merce di scambio (vd. Foote – Wilson 1973 [C.3.4],
p. 55).
245
In questo ambito va ricordato il naufragio di venticinque navi mercantili inglesi
sulle coste islandesi nel 1419, così come l’aggressione da parte dell’equipaggio di una
flotta inglese che nel 1431 operò saccheggi e uccisioni e anche l’assassinio del rappre-
sentante reale Björn Þorleifsson (nato attorno al 1408) da parte degli Inglesi nel 1467;
inglesi furono anche tre vescovi delle diocesi d’Islanda: John Williamson Craxton (mor-
to attorno al 1440), nominato prima per la diocesi di Hólar (1425) e poi per quella di
Skálholt (1435), John Bloxwich (date ignote), nominato a Hólar (1435), e Robert Wodborn
(date ignote), suo successore (1441): in realtà solo il primo fu in Islanda tra il 1427 e il
1433 (o 1434). Non fa dunque meraviglia che il XV secolo sia ricordato nella storia
islandese come “periodo inglese” (enska öldin). Vd. Þorsteinsson 1970 (C.7.4).
246
Vd. Jóhannesson Þ., “Plágan mikla 1402-1404”, in Skírnir, 1928, pp. 73-95.
247
Una buona parte dei quelli del secondo tipo risalgono tuttavia, secondo S. Fridell,
al periodo vichingo (Fridell 2002 [C.6], p. 974): a questo studio, in primo luogo, si
rimanda.
248
In nordico il verbo brenna significa “incendiare”, mentre sviða “bruciacchiare”
fa riferimento a un’area forestale che è stata ripulita con il fuoco per la coltivazione.
249
Cfr. pp. 161-162.
250
Cfr. p. 208, nota 422.
251
Si pensi alla fortificazione detta Akershus a Oslo, alle rovine dell’imponente
fortezza di Hammershus sull’isola di Bornholm, o anche al termine hus nel senso di
“casa fortificata” usato in relazione alla fondazione di Stoccolma da parte di Birger
jarl (vd. p. 361 con nota 139).
252
In Danimarca grande rilievo ebbe il celebre monastero di Sorø, nella Selandia sud-
occidentale, fondato dal padre dell’arcivescovo Absalon Asser Rig (ca.1080-1151), che
costituiva il più grande complesso conventuale del Nord. Dopo la riforma esso fu trasfor-
mato in una celebre accademia, importante punto di riferimento del mondo culturale
danese. Cfr. p. 466 con nota 19, p. 570 con nota 176, p. 774, nota 408 e p. 884 con nota 90.
253
Tra gli eruditi danesi formatisi in Francia nel XIII secolo il filosofo Boëthius (Bo)
de Dacia (morto nel 1280 circa) che avrebbe anche insegnato presso l’Università di
Parigi (forse tuttavia svedese: vd. Nordström J., “Bidrag rörande Boetius de Dacia”,
in Samlaren, VIII [1927], pp. 38-47) e il teologo e filosofo Martinus de Dacia (Morten
Mogensen, morto a Parigi nel 1304), cancelliere del re Erik Menved e avversario dell’ar-
civescovo Jens Grand (cfr. p. 336); più tardi (negli anni ’70 del XIV secolo) Jacobus
Nicholai de Dacia (morto dopo il 1379) autore in latino di versi in onore della Madon-
na e di un testo sulla metrica (Liber de Distinccione Metrorum). Cfr. anche nota 262.
Robert, monaco del convento cistercense di Ely (nella parte orientale del Cambridge-
shire), un testo andato perduto. Un altro inglese per altro sconosciuto è l’autore
della Storia di S. Canuto condottiero e martire (Historia S. Canuti ducis et martyris)
composta probabilmente in occasione della solenne incoronazione del figlio di
Valdemaro I (vd. p. 328, nota 2).
258
Non si sa infatti se il cosiddetto Libro di Dalby (Dalby-bog), manoscritto fine-
mente miniato risalente alla seconda metà dell’XI secolo e che contiene i Vangeli e altri
scritti, sia stato composto nel luogo in cui è stato conservato (il convento agostiniano
di Dalby in Scania) o se provenga dall’estero. Del resto è evidente che gli ecclesiastici
stranieri usavano portare con sé testi religiosi da utilizzare nel loro ministero. Ansgar
medesimo lo aveva fatto nel corso del suo primo viaggio, ma i suoi preziosi volumi
erano finiti nelle mani dei pirati che lo avevano assalito (cfr. p. 240). Il manoscritto del
Libro di Dalby (Gml. kgl. saml. 1325, 4to) è conservato nella Biblioteca reale (Det
kongelige bibliotek) di Copenaghen. Di quest’opera, a quanto risulta, non è ancora
stato pubblicato un facsimile né un’edizione critica ed esso è disponibile solo in micro-
film. Vd. Andersen M.G., “Dalbybogen. Et evangeliarium fra det 11. århundredes
sidste trediedel”, in NTBBV LXXXIII (1996), nr. 2, pp. 67-128.
259
DD I: 2, nr. 21, 21 maggio 1085, pp. 43-52; vd. Hald Kr., “Knud den Helliges
Gavebrev. Et bidrag til det danske skriftsprogs ældste historie”, in APhS XXI (1952),
pp. 105-142. Il più antico libro del Nord è considerato il Libro dei morti [della cat-
tedrale] di Lund (Necrologium Lundense), attualmente conservato presso la Biblio-
teca universitaria (Lunds universitets bibliotek) di quella città (Codex Mediaevalis
VItus), in cui, secondo un uso piuttosto diffuso e testimoniato anche altrove, veni-
vano elencati i decessi, ma nel quale trovano posto molte altre interessanti annota-
zioni. Risulta iniziato nel terzo decennio del XII secolo. Di poco posteriore (1139-1146)
è il primo Libro delle donazioni [della cattedrale] di Lund (Liber daticus Lundensis),
una sorta di ‘registro’ delle donazioni (secondo un uso che si ritroverà comunemen-
te altrove).
260
Si tratta del cosiddetto Codex Runicus (AM 28, 8vo) conservato presso l’Università
di Copenaghen (Nordisk forskningsinstitut). Una parafrasi latina del testo di questa
legge, realizzata da Andrea Sunesen, si intitola Legge provinciale della Scania di Andrea
Sunesen (Andreæ Sunonis Lex Scaniæ Provincialis).
261
In latino abbiamo la versione di una Legge di corte (Lex castrensis, ant. dan.
Withærlagh) curata da Svend Aggesen, sulla base – secondo quanto da lui stesso
affermato (cap. 2) – di un riassunto danese delle leggi che Canuto il Grande aveva
emanato per gli uomini della sua corte. Si tratta di un testo di grande interesse che
riflette un cambiamento determinante. La ‘corte’ di questo re, composta da ben tre-
mila uomini, rappresenta infatti il passaggio dal seguito tradizionale dei capi e dei
sovrani vichinghi (vd. p. 211) a un organismo strutturato secondo nuove e diverse
necessità (comprendeva infatti, su modello inglese, guardie del corpo, guardie di
corte e funzionari) che si adegua a un diverso e più vasto potere e che costituisce
dunque una prima espressione della nuova amministrazione e della nuova ‘nobiltà’.
Sul diritto danese nel medioevo vd. Fenger 1983 (B.8).
262
A lui si fanno risalire testi medici che dovettero essere molto diffusi, come
dimostrano le svariate copie manoscritte nelle diverse lingue volgari (danese, svedese,
norvegese, islandese; vd. Harpestræng Henrik, Danske Lægebog). Con lui è proba-
bilmente da identificare un Henricus de Dacia che risulta aver studiato medicina a
Orléans nel XII secolo. In Svezia compaiono tuttavia anche testi medici ‘autonomi’.
Vd. Läke- och örte-böcker från Sveriges medeltid, utgifna af G.E. Klemming, Stockholm
1883-1886 (SSFS: 26), dove è comunque compreso anche un testo che si rifà a Harpe-
stræng (pp. 3-10).
(Den danske rimkrønike) che nel 1495 sarà il primo libro a essere
stampato in Danimarca (a Copenaghen) da Gotfred af Ghemen
(stampatore di origine olandese morto forse nel 1510): un testo in
knittelvers268 di carattere epico-cavalleresco ed encomiastico, dedi-
cato a diverse figure di sovrani (da Humble, padre del mitico Dan
fino a Cristiano I, re dal 1448 al 1481), i quali in prima persona
parlano del periodo del loro regno. Quest’opera appartiene al
genere delle ‘cronache’ (ben note anche in ambiente svedese) che
riprendendo modelli stranieri (francesi, inglesi e tedeschi) non
rappresentano nulla di più dell’esigenza di conformare il gusto
artistico a modelli in voga nel resto d’Europa. Il che, del resto, si
constata anche nella diffusione di traduzioni di romanzi cavallere-
schi incentrati sulle figure di celebri personaggi le cui vicende
allietavano la vita della nobiltà.
La produzione letterariamente migliore del periodo è certamen-
te costituita dalle ballate popolari (folkeviser) che tuttavia per
lungo tempo saranno tramandate in forma orale e solo nel 1591
verranno riunite in una prima raccolta stampata a cura di Anders
Sørensen Vedel.269 La tradizione scandinava delle ballate esordisce
quasi certamente in Danimarca ma si diffonde rapidamente negli
altri Paesi.270 Si tratta di testi composti con accompagnamento
268
Il knittelvers (“verso della rima”) è una forma metrica piuttosto libera (il termi-
ne ha avuto anche connotazione spregiativa), che richiede sostanzialmente la rima o
l’assonanza finale per ogni coppia di versi, ciascuno dei quali ha quattro sillabe accen-
tate separate da una cesura. Nella variante più rigorosa sono previste otto o nove sil-
labe per ogni verso, in quella più libera questo limite non è necessario (vd. Heusler
A., Deutsche Versgeschichte, Berlin 1956, III, pp. 41-60).
269
Cento ballate danesi scelte, su ogni genere di ragguardevole impresa guerriera, e
altre particolari avventure, che qui nel regno, si sono compiute con antichi campioni,
famosi sovrani o altrimenti nobili persone, dall’inizio dei tempi fino al giorno presente
(It Hundrede vduaalde Danske Viser, Om allehaande Merckelige Krigs Bedrifft, oc anden
seldsom Euentyr, som sig her vdi Riget, ved Gamle Kemper, Naffnkundige Konger oc
ellers forneme Personer begiffuet haffuer, aff arilds tid indtil denne neruærendis Dag ).
Nel 1695 Peder Syv (su cui vd. pp. 599-600) integrerà il lavoro di Vedel con una nuo-
va serie di ballate (Et Hundrede udvalde Danske Viser). A partire dalla metà del XIX
secolo sarà poi il letterato e linguista Svend Grundtvig (1824-1883, figlio di N.F.S.
Grundtvig su cui vd. pp. 883-884 e pp. 914-915) a raccogliere e catalogare questi testi.
270
In Islanda, dove prendono il nome di rímur (sing. ríma), esse si innestano su una
precedente tradizione di componimenti di contenuto amoroso o canzonatorio che
risale al XII-XIII secolo. Differenziandosi gradualmente dalla ballata vera e propria
(e a un certo punto perdendo la funzione di testi musicali per il ballo) esse vennero
costituendo un genere letterario proprio che riprende tratti caratteristici della poesia
scaldica, quali l’allitterazione e le kenningar. Nonostante l’impegno degli ecclesiastici
luterani che, sottolineandone il carattere ‘diseducativo’, si sforzarono di sradicarne la
tradizione a favore di componimenti di contenuto religioso, l’arte delle rímur continuò
a essere proficuamente esercitata (cfr. il testo alle pp. 511-512).
273
DLO nr. 97-100. La ballata su Niels Ebbesen nelle sue diverse versioni è ripor-
tata in DGF III, nr. 156, pp. 476-542. Vd. Larsen S., “Niels Ebbesens Vise”, in AaNOH
1903, pp. 73-147. Cfr. pp. 338-339 e p. 1415.
274
Alcune iscrizioni runiche appartengono tuttavia anche a questo periodo e riflet-
tono, naturalmente, l’evoluzione della lingua (vd. Skautrup 1944-1968 [B.5], I, pp.
191-194).
275
Occorre tuttavia considerare che i manoscritti nei quali questi testi ci sono tra-
mandati non risalgono al periodo in cui essi furono redatti ma sono copie (o copie di
copie) e che, dunque, l’intervento degli amanuensi ne ha certamente in molti casi
influenzato la lingua.
276
Vd. sopra, p. 161.
277
Questo fenomeno di indebolimento è evidente soprattutto nel dialetto dello
Jutland, dove si giunge a una vera e propria apocope di tutte le vocali finali atone; di
fatto le vocali finali sono conservate solo nel dialetto della Scania, regione adiacente a
291
DLO nr. 101.
292
Esso è noto anche come “Raccolta di leggende di Skänninge” (Skänningelegen-
dariet).
293
Vd. pp. 242-243 con nota 74 e il testo alle pp. 245-246.
294
Vd. p. 247.
295
Vd. pp. 275-276. In realtà, come si è visto, alcuni di loro erano stranieri, ma – dal
momento che la loro attività religiosa si era svolta in gran parte in Svezia (e in Finlan-
dia) – erano considerati santi ‘nazionali’.
296
San Botvid è uno dei primi santi di nazionalità svedese. Di lui si dice che era
pagano ma dopo un viaggio in Inghilterra si era avvicinato alla fede cristiana che
predicò una volta tornato nel proprio Paese. Fu ucciso a tradimento da uno schiavo
che aveva affrancato. La sua morte, che secondo la leggenda sarebbe avvenuta nel
1120, pare invece da collocare nel 1080. Insieme a Sant’Eskil è protettore della regio-
ne del Södermanland. San David (morto nel 1082), apostolo del Västmanland, era
invece un monaco inglese dell’ordine cluniacense, giunto in Svezia come missionario.
Sui santi svedesi vd. Lundén 19732 (C.4.2).
297
Si tratta del Codex Holmensis B 59, conservato nella Biblioteca reale di Stoccol-
ma (Kungliga biblioteket) e risalente al 1280 circa; vd. Järv H., “Äldre Västgötalagen
– den äldsta boken på svenska”, in Fenix. Tidskrift för humanism, XIII: 2 (1999), pp.
3-18.
298
Una rielaborazione di questo lavoro fatta negli anni ’90 del XIII secolo viene
indicata come Legge recente del Västergötland (Yngre Västgötalagen).
cane l’erba. Se non ce la fa, si tenga e sopporti quello che ha ottenuto, dan-
no e beffa. Non chieda più giustizia di una schiava frustata.”300
305
Vd. sotto, pp. 440-441. Su Johan Fredebern vd. Schück H., “Hans skrivare –
Johan Fredebern. En pennans man i 1430-talets Stockholm”, in Hallerdt Bj. (red.)
Stockholmsutsikter, Stockholm 1996, pp. 9-26.
306
Vd. oltre, p. 445.
307
Cfr. oltre, p. 452.
308
Che la tradizione definisce come Grande cronaca in rima (Stora rimkrönikan).
309
Temi di queste ballate sono tra gli altri la battaglia di Lena del 1208 (vd. pp.
347-349), la ribellione di Sten Sture, la sua conquista di Stoccolma (1502) e la succes-
siva sconfitta (1520), la battaglia di Brunnbäck (Dalecarlia) in cui le forze danesi di
occupazione furono sconfitte da un esercito di contadini svedesi (1521) e l’afferma-
zione definitiva di Gustavo Vasa (1521). Come si vede dall’arco di tempo in cui si
svolsero gli avvenimenti ‘tradotti’ in queste opere la tradizione delle ballate ebbe
lunga durata.
La scarsità di testi scritti in svedese nei secoli XII e XIII non faci-
lita una indagine approfondita sugli sviluppi della lingua. Più nume-
rose sono le opere databili nel XIV secolo nelle quali la diversità degli
argomenti (di carattere giuridico, religioso o profano) offre una
notevole varietà espressiva, che si lega in modo evidente alla tipolo-
gia del contenuto. Si passa così dallo stile concreto e tradizionale dei
codici di leggi all’imitazione di modelli stranieri nelle opere poetiche,
in cui non soltanto compare un numero consistente di termini nuo-
vi, ma si constata anche una più marcata evoluzione degli aspetti
morfologici e sintattici. Tra il XIII e il XV secolo (soprattutto nel
XIV) ai tratti propri delle lingue scandinave orientali310 si aggiungo-
no diversi mutamenti; i più appariscenti sono il passaggio di e > ä
(graficamente rappresentato da æ): si vedano come esempi bæra
(sved. mod. bära) “portare” e læggia (sved. mod. lägga) “porre” (cfr.
isl. bera, leggja); la caduta in taluni casi di ‑r finale: si vedano come
esempi han kasta “egli getta” e vi “noi” (cfr. isl. hann kastar e vér).
Più tardi si assiste al passaggio di ā > å, che tuttavia sarà registrato
graficamente solo nel XVI secolo: vd. a esempio år “anno”, nål “ago”
(cfr. isl. ár, nál); all’indebolimento delle vocali finali, al passaggio
delle vocali brevi i, y, u > e, ö, o rispettivamente: vd. a esempio liva
> leva “vivere”, skip > skepp “nave” (cfr. isl. lifa, skip); sydher > söder
(< södher) “sud” (dall’antico nordico *sunþra, cfr. isl. suðr); sumar >
sommar “estate” (cfr. isl. sumar). Delle antiche spiranti th (fino al
1375 rappresentata con il segno þ) passa a t: a esempio thorn > torn
“spina”, thakka > tacka “ringraziare” (cfr. isl. þorn, þakka).
Nel periodo più recente dello svedese antico (yngre fornsvenska:
1375-1526) si constatano non irrilevanti differenze dialettali, così
come l’affermarsi di un linguaggio burocratico assai influenzato da
lingue vicine (basso tedesco e danese). Ciò dipende naturalmente
dalle vicende politiche del periodo311 ma anche dalla massiccia
presenza di immigrati tedeschi (dovuta all’intraprendenza commer-
ciale delle città anseatiche), i quali spesso occupano posizioni
sociali di rilievo.312 La consistente produzione di traduzioni dal
latino influisce sugli aspetti stilistici e sintattici della lingua.
Parallelamente a quanto avvenuto in danese il lessico recepisce
molti termini stranieri. Anche qui le parole riprese dal latino sono
innanzi tutto legate all’affermazione della religione cristiana (esem-
310
Vd. sopra, p. 161.
311
Vd. 7.1.
312
Su questo aspetto vd. in particolare Wessén 1970³.
322
Vd. p. 321, nota 119.
323
Vd. sopra, nota 156.
324
Vd. Simek-Pálsson 1987 (B.4), pp. 268-270.
325
“Prologo” (Prologus), p. 51. Presupponendo una datazione anteriore (attorno
al 1170) Asgaut Steinnes ha ritenuto di poter individuare l’autore di questo lavoro
nella persona del vescovo Nicola Arnesson (vd. p. 365): “Ikring Historia Norvegiæ”,
in NHT XXXIV (1946-1948), pp. 1-61, in particolare pp. 27-33.
326
Vd. pp. 320-321.
327
Vd. ibidem.
328
Questa saga è tramandata tra l’altro nel Libro di Flatey (da qui le citazioni rela-
tive). Sturla avrebbe scritto anche una saga su Magnus che tuttavia è andata perduta
(ne restano solo due fogli); vd. Simek-Pálsson 1987 (B.4), pp. 237-238.
336
Di lui nella Saga di Victor e di Blávus si dice: “Molte cose degne di nota abbiamo
udito dire dell’onorevole signore Håkon Magnusson, re di Norvegia; in particolare che
provava molto piacere nei bei racconti e fece tradurre molte saghe cavalleresche in
norreno dalla lingua greca e dalla francese” (Victors saga ok Blávus, cap. 1; DLO nr.
103). La Saga di Victor e di Blávus è una saga cavalleresca della fine del XIV secolo.
Del re Håkon Magnusson si sa che fece tradurre anche letteratura religiosa: alla sua
iniziativa si deve, a quanto pare, la prima versione commentata (per quanto assai
parziale) della Bibbia. Si tratta, con ogni probabilità dell’opera nota in ambito islan-
dese con il titolo di Stjórn (vd. p. 422).
337
Vd. p. 406.
338
Versioni della vicenda di Carlo Magno sono presenti anche in area danese e
svedese, vd. Halvorsen E.Fj., “Karlamagnús saga”, in KHLNM VIII (1963), coll.
286-290.
339
Nota in tre diverse redazioni. È tuttavia incerto se questo testo sia stato redat-
to in Norvegia oppure in Islanda, dal momento che la versione originale è andata
perduta.
340
Nella versione D della Saga del vescovo Guðmundr si afferma, addirittura, che
Håkon Sverreson (ma il riferimento è – con tutta probabilità – a Håkon il Giovane,
figlio di Håkon Håkonsson), qui definito “il più grande fra i capi e uomo moderato”
(“hinn mesti höfðíngi ok hófsemdarmaðr”) avrebbe tradotto questo testo in prima
persona (Guðmundar biskups saga, cap. 25, p. 54).
341
Per la precisione il nordico blanda (cfr. il verbo blanda “mescolare”) indica una
bevanda fatta con siero di latte caldo mescolato ad acqua.
342
Hákonar saga Hákonarsonar, cap. 226 (DLO nr. 104).
343
In questa città sono registrati come studenti, sotto il nome di Theodoricus, il
vescovo Tore di Hamar (1189 o 1190-1196) e Tore Gudmundsson di Viken (den
vikværske), regione del fiordo di Oslo, arcivescovo dal 1206 al 1214, anno della mor-
te: uno di loro potrebbe forse essere Theodricus/Theodoricus Monachus, il non meglio
identificato autore della Storia dell’antichità dei re norvegesi. Un altro importante
personaggio che risulta essersi formato all’estero è Bjarne Lodinsson (morto dopo il
1310) che aveva studiato giurisprudenza a Parigi e poi a Bologna divenendo doctor
legum: alla morte di Magnus Emendatore di leggi egli aveva fatto parte, in qualità di
cancelliere reale, del Consiglio di reggenza per il giovane erede al trono Eirik Odia
preti. Nella prima metà del XIV secolo abbiamo notizia di due fratelli, Arne e Audfinn
Sigurdsson, vescovi di Bergen rispettivamente negli anni 1304-1314 e 1314-1330, che
avevano studiato diritto a Orléans; di Pål Bårdsson che aveva studiato a Parigi e Orléans
e che sarebbe diventato cancelliere reale e poi arcivescovo (1333-1346); di Bjarne
Audunsson, più tardi consigliere di Håkon V, che aveva studiato diritto a Bologna. La
consuetudine di frequentare prestigiose scuole straniere era radicata da tempo: basti
pensare che fin dalla prima metà del XII secolo aveva studiato a Parigi il futuro vesco-
vo delle Orcadi Guglielmo (Vilhjálmr), morto nel 1168. Cfr. nota 254.
344
Si tratta del manoscritto contrassegnato come AM 619, 4to conservato presso
l’Università di Copenaghen (Nordisk Forskningsinstitut). Esso costituisce il più antico
libro norvegese giuntoci quasi per intero (vd. Haugen O.E. – Ommundsen Å. [red.],
Vår eldste bok. Skrift, miljø og biletbruk i den norske homilieboka, Oslo 2010).
“Ma poiché nei libri viene chiamata con un unico nome la chiesa e l’in-
sieme del popolo cristiano, allora dobbiamo dire in qual modo la chiesa
indica il popolo [cristiano] o in qual modo il popolo cristiano possa essere
chiamato dimora di Dio, poiché l’apostolo Paolo disse così: ‘C’è il tempio
santo di Dio che è costruito dentro di voi.’345 Così come una chiesa è fatta
da molti elementi messi insieme, così anche il popolo [cristiano] è riunito
in un’unica fede da diversi popoli e lingue. Una parte del popolo cristiano
è in cielo presso Dio, ma una parte è qui sulla terra. Perciò una parte della
chiesa indica la gloria del Regno dei cieli e una parte i cristiani sulla terra.
Il coro indica gli uomini santi nel cielo, ma la [navata della] chiesa gli
uomini cristiani sulla terra. L’altare indica Cristo poiché al modo in cui le
offerte che sono presentate a Dio non vengono consacrate se non sull’altare,
allo stesso modo le nostre azioni non sono gradite se non consacrate dall’a-
more per Cristo. I paramenti dell’altare rappresentano gli uomini santi che
adornano Cristo con le buone azioni, così come disse l’apostolo Paolo:
‘Poiché tutti [voi] che siete battezzati in Cristo avete adornato Cristo.’ 346 Le
travi orizzontali [che stanno alla base] della chiesa indicano gli apostoli di
Dio, che sono le fondamenta di tutta la cristianità. L’ingresso della chiesa
indica la giusta fede che ci guida nella comunità cristiana. La porta davanti
all’ingresso indica gli uomini saggi che con forza si oppongono agli eretici e
con la loro dottrina li escludono dalla [comunità] cristiana di Dio. Le assi
del pavimento nella chiesa indicano gli uomini modesti che si umiliano
seppure vengano onorati e danno tanto più sostegno a tutto il popolo [cri-
stiano] quanto più sono calpestati da tutti. Le panche della chiesa indicano
gli uomini misericordiosi che nella loro misericordia leniscono le pene dei
loro fratelli deboli, così come le panche offrono sollievo a chi si siede. Le
due pareti [laterali] della chiesa indicano due popoli riuniti in una comuni-
tà cristiana, l’uno gli Ebrei, l’altro i popoli pagani. La parete frontale che
unisce le due pareti [laterali] in un’unica costruzione indica Nostro Signore
che riunisce i due popoli in una fede ed è egli stesso riparo e scudo della sua
comunità cristiana. Su questa parete frontale c’è l’ingresso alla chiesa e le
finestre che illuminano la chiesa perché il Signore medesimo illumina tutti
coloro che si avvicinano alla fede in lui. La parete trasversale che c’è a metà
345
Sesta lettera ai Corinzi, 19 (La sacra Bibbia, Nuovo Testamento, p. 290: “E non
sapete che il vostro corpo è tempio dello Spirito Santo […]”).
346
Il riferimento, che tuttavia si basa su un fraintendimento, è alla Terza lettera ai
Galati, 27 (ibidem, p. 329: “Poiché quanti foste battezzati in Cristo, avete rivestito il
Cristo”).
tra la chiesa e il coro indica lo Spirito Santo, perché al modo in cui noi
entriamo nella comunità cristiana attraverso Cristo, così andremo nella
gloria dei cieli attraverso la porta della misericordia dello Spirito Santo. E
così come Cristo ha riunito due pareti, cioè due popoli in una fede, così lo
Spirito Santo riunisce quegli stessi popoli in un unico amore. Su questa
parete trasversale c’è una grande apertura, così che dalla chiesa si possa
vedere tutto ciò che accade nel coro, perché chiunque trova la porta della
misericordia dello Spirito Santo può vedere con gli occhi dello spirito molte
cose del cielo. I quattro pilastri agli angoli della chiesa indicano i quattro
vangeli, perché la loro dottrina è il sostegno più grande di tutta la cristiani-
tà. Il tetto della chiesa indica quegli uomini che alzano gli occhi del loro
spirito [lontano] da tutte le cose terrene verso la gloria dei cieli e così con
la preghiera proteggono la comunità cristiana contro la tentazione al modo
in cui il tetto protegge la chiesa dalla pioggia. I lunghi tronchi nella chiesa
sono le travi e le stanghe che reggono e tengono insieme la capriata del
tetto e il rivestimento delle pareti: essi indicano gli amministratori che sono
preposti al governo e al progresso della comunità cristiana così come gli
abati [sono preposti] ai monaci e i capi al popolo. Le travi trasversali che
sostengono le stanghe e reggono i legni che puntellano le travi [del tetto]
indicano quegli uomini nella comunità cristiana che mettono d’accordo i
capi temporali con il loro consiglio, così che essi governano la vita dei mona-
steri e i luoghi santi con le loro ricchezze. Le campane indicano i sacerdoti
che con preghiere e dottrina emettono un suono gradito a Dio e agli uomini.
Le croci e i crocifissi indicano gli asceti, che portano sul loro corpo i segni
della passione di Cristo, quando si mortificano con digiuni e veglie.”347
349
Vd. pp. 160-161.
letteraria del passato (per altro ormai lontana dalle forme della lingua
parlata). Nel secolo XIV il norvegese dunque ‘collassò’ restando
infine vivo solo nei dialetti. La società, decimata e impoverita, non
trovò le risorse necessarie per sostenere il potere centrale né il patri-
monio culturale della nazione. Un disastro le cui conseguenze si
sarebbero fatte sentire per moltissimo tempo. Insieme agli altri stati
scandinavi la Norvegia sarebbe entrata nell’Unione di Kalmar,353 al
cui scioglimento tuttavia non avrebbe ritrovato la propria indipen-
denza, finendo di fatto sottomessa alla Danimarca (1450). I decenni
che precedono questa data sono segnati da una situazione di deca-
denza sia dal punto di vista politico sia da quello culturale e lingui-
stico. L’influsso dei Paesi vicini, Svezia e Danimarca, è dominante,354
favorito dalla debolezza del potere centrale e della nobiltà (anche
numericamente inadeguata), un fattore che spalancherà le porte a
funzionari statali ed ecclesiastici stranieri, dapprima svedesi e poi
danesi (ma anche tedeschi). Significativamente entrambe le copie
del trattato di unione con la Danimarca saranno redatte in lingua
danese. Progressivamente la lingua norvegese sarà abbandonata
tanto dai funzionari governativi quanto dagli ecclesiastici: dopo il
1500 si constata la sua scomparsa dai documenti ufficiali dello Stato
così come da quelli della Chiesa che verranno d’ora in poi regolar-
mente redatti in danese: segno di definitivo, inarrestabile declino.
356
Cfr. il testo Stimolo all’appetito [del sapere] (Hungrvaka; su cui vd. p. 424), cap.
3, dove si dice che egli aveva seguito Olav il Santo dall’Inghilterra e che su suo consi-
glio si era recato in Islanda. Anche Adamo da Brema conferma la presenza di un
vescovo con questo nome (Bernardus) nel gruppo di prelati inglesi al seguito del
sovrano norvegese Olav il Santo (Gesta Hammaburgensis […], II, lvii; cfr. ibidem, II,
lv); cfr. anche Saxo Grammaticus, Gesta Danorum, X, xi, 6).
357
I segni ø e ǫ furono aggiunti poco dopo; il segno ð (utilizzato come variante
posizionale di þ) fu invece introdotto dalla Norvegia all’inizio del XIII secolo. Cfr. p.
285, nota 8 e sotto nota 381.
358
Al 1186 risale il convento benedettino femminile di Kirkjubœr in Síða, sorto in
un luogo di lunga tradizione cristiana (cfr. p. 262). Oltre a questi sono noti quello
benedettino di Hítardalur nella zona occidentale dell’isola (1166-1201) e quelli ago-
stiniani di Saurbœr a nord sull’Eyjafjörður (ca.1200 ma attivo per un breve periodo)
e di Viðey (1226) su un’isola al largo di Reykjavík; verso la fine del XIII secolo sareb-
bero sorti i conventi di Reynistaður sullo Skagafjörður (femminile, benedettino, 1295)
e quello di Möðruvellir in Hörgárdalur (agostiniano, 1296), entrambi nel nord. L’ulti-
mo convento islandese prima della riforma (agostiniano) sorse nel 1493 a Skríða in
Fljótsdalur (regione nord-orientale dell’isola).
359
Questo glossario è conservato nel manoscritto che porta la segnatura Gml. kgl.
sml. 1812, 4to conservato nella Biblioteca reale (Det kongelige bibliotek) di Copenaghen;
vd. Scardigli P.G. – Raschellà F., “A Latin-Icelandic Glossary and some remarks on
Latin in medieval Scandinavia”, in Weber G.W. (hrsg.), Idee · Gestalt · Geschichte.
Festschrift Klaus von See. Studien zur europäischen Kulturtradition – Studies in Euro-
pean Cultural Tradition, Odense 1988, pp. 299-323.
360
Il riferimento è, in particolare, a Ovidio, vd. Jóns saga ins helga, cap. 8. La saga
precisa tuttavia che il vescovo proibì la lettura dell’opera di questo autore.
361
Vd. p. 326.
362
Vd. Astås R., An Old Norse biblical compilation. Studies in Stjórn, New York
1991.
363
Vd. Simek-Pálsson 1987 (B.4), pp. 45-46 e pp. 6-7. A Brandr Jónsson è attribui-
ta anche la Saga dei Giudei (Gyðinga saga).
364
Vd. pp. 584-588. Della passione degli studiosi islandesi per i libri testimonia un
episodio relativo a un sacerdote di nome Ingimundr Þorgeirsson, il quale in seguito a
un naufragio aveva perduto in mare una preziosa cassa contenente manoscritti, del che
era molto rattristato. Quando tuttavia essa fu rinvenuta sulla riva egli accorse a recu-
perarla e si preoccupò di fare asciugare per bene i preziosi volumi (Guðmundar saga
A, cap. 14). Sul più ampio significato culturale di questo episodio vd. Hagland J.R.,
“Ingimundr prestr Þorgeirsson and Icelandic Runic Literacy in the Twelfth Century”,
in Alvíssmál, 1996: 6, pp. 99-108. In Olmer 1902 si trova una ricognizione sui più
antichi libri presenti in Islanda (vd. in particolare, pp. 63-81).
365
Si vedano in proposito alcune opere di carattere, per così dire, enciclopedico (su
cui vd. Simek-Pálsson 1987 [B.4], pp. 75-76: “Enzyklopädische Literatur”).
366
Vd. sopra, p. 269.
“Beni e vita
strappò alla stirpe degli uomini,
quell’uomo spietato,
a quel cammino
che egli sorvegliava,
nessun essere vivente poteva arrivare […]
Devo raccontare
quanto ero felice
nel mondo della gioia,
e anche
come ineluttabilmente i figli degli uomini
diventano cadaveri […]
Chinato io sedevo
a lungo ripiegato in avanti
molto ero desideroso di vivere,
ma decise colui
che era potente,
il cammino di chi deve morire è segnato.
374
Testo giuntoci tuttavia solo in parte.
375
I manoscritti in cui esso ci è conservato sono AM 371, 4to (Università di Reykjavík,
Stofnun Árna Magnússonar í íslenskum fræðum), AM 544, 4to e AM 675, 4to (Univer-
sità di Copenaghen, Nordisk Forskningsinstitut).
376
Vd. p. 396, nota 270.
Io solo sapevo
come in ogni modo,
il dolore crescesse per me,
le fanciulle della morte
mi offrivano un mondo
da brividi ogni sera.
Il sole vidi,
vero astro del giorno
precipitare nel mondo dei rumori,
ma il cancello dei morti
udii dall’altro lato
cigolare pesante.
Il sole vidi,
segnato da sanguinanti rune
molto mi ero allontanato dal mondo,
possente mi parve
per molti aspetti,
più di quanto era prima.
Il sole vidi,
così mi parve
come se vedessi il venerabile Iddio,
mi inchinai di fronte a esso
per l’ultima volta,
nel mondo degli uomini.
Il sole vidi
irradiava al punto
che mi parve di perdere i sensi,
ma le [impetuose] correnti di Gilf 377
muggivano dall’altra parte
parecchio commiste di sangue.
Il sole vidi
con sguardo tremante
in preda al terrore e prostrato,
377
L’allusione è certamente a un fiume infernale, un’immagine ben presente nel
mondo mitologico nordico; vd. Chiesa Isnardi 20084 (B.7.1), pp. 479-480.
Il sole vidi
raramente [fui] più afflitto
molto mi ero allontanato dal mondo,
la mia lingua
paragonabile al legno
e per il resto di ghiaccio.
Devo raccontare
che cosa vidi per prima
quando fui giunto nel mondo dei tormenti,
uccelli bruciacchiati
erano anime
volavano innumerevoli come zanzare.
378
Ván è, appunto, uno dei fiumi infernali che origina dalla bava del malvagio lupo
Fenrir, nemico degli dèi da essi incatenato (vd. Chiesa Isnardi 20084 [B. 7.1], p. 480);
Glævaldr vale “signore del mare” (allusione oscura).
379
Sólarljóð, str. 1, 33, 36-46, 53-54 (DLO nr. 107).
382
Si veda anche la forma ridondante ek emk, letteralmente “io sono io”.
383
L’esempio riportato è ripreso dalla str. 29 della Predizione dell’Indovina (p. 7).
XII-XIII secolo.
386
Si ricordi qui anche la cattedrale gotica dedicata a San Magnus sull’isola di
Streymoy nelle Føroyar, la cui costruzione fu iniziata intorno al 1300.
387
La quale sarebbe diventata il luogo di sepoltura dei re danesi.
388
Vd. Swanbom C.G., Varnhems klosterkyrka, Skövde 1965.
389
Detto altrimenti Albrekt il Pittore (målare) egli era in realtà tedesco essendo nato in
Assia. Si trasferì tuttavia in Svezia dove svolse la propria attività dipingendo motivi sacri e
realizzando decorazioni tessili impreziosite da perle per gli interni delle chiese. Un altro
‘pittore di chiese’ del XV secolo è il tedesco (?) Johannes Rosenrod, cui si devono in parti-
colare gli affreschi della chiesa di Tensta (Uppland) da lui firmati e realizzati nel 1437. Vd.
Cornell H. – Wallin S., Johannes Rosenrod. En svensk målare från 1437, Stockholm 1962.
390
Si veda il crocifisso realizzato con questo materiale conservato nella chiesa di
Herlufsholm (Selandia meridionale, Danimarca, XIII secolo).
*
I Paesi nordici avevano, naturalmente, una propria tradizione
musicale, della quale per altro conosciamo pochissimo. Possiamo
391
Ma si veda anche la magnifica scultura raffigurante Olav il Santo un tempo con-
servata nella stavkirke norvegese di Fresvik (Sogn e Fjordane), poi demolita, del 1250
circa. Essa si trova ora nel Museo storico-culturale (Kulturhistorisk museum) di Oslo.
392
Vd. Roosval J., Die Steinmeister Gottlands. Eine Geschichte der führenden Tauf-
steinwerskstätte des schwedischen Mittelalters, ihrer Voraussetzungen und Begleit-
Erscheinungen, Stockholm 1918.
393
Vd. sopra, p. 222.
394
Proprio nell’imminenza della riforma alla chiesa norvegese di Ringsaker in
Hedmark fu donato un magnifico polittico fortunatamente conservatoci.
395
In Norvegia una prima consistente fortificazione è il cosiddetto Sverresborg
realizzato da Sverre Sigurdsson a Trondheim.
406
Cap. 12.
407
Breve racconto di Nornagestr (Nornagests þáttr), cap. 2.
408
Vd. Vollsnes 1999-2001 (B.6), I, pp. 43-44.
409
Vd. il testo riportato alle pp. 405-406 e le fonti cui si fa riferimento in Ling 1967,
col. 27.
410
Ling 1967, col. 28.
411
Questo codice (AM 28 8vo) contiene, tra l’altro, la più antica legge danese, la
Legge della Scania (Skånske Lov); cfr. p. 393 con nota 260.
412
Essi in effetti costituiscono l’unico prodotto di una certa originalità; vd. Smith
2002 (B.6), pp. 2-3.
413
Vd. Jóns saga ins helga, cap. 8 (cfr. p. 420). Nel medesimo capitolo si precisa in
precedenza (pp. 209-211) che il vescovo aveva proibito espressamente gli antichi
canti legati alla magia: la fonte fa specifico riferimento a termini come galdr, mansǫngr
e anche, più genericamente, vísa “canzone” (forse tuttavia con riferimento alle níðvísur
“canzoni d’infamia”, su cui vd. p. 202).
414
La questione della musica che accompagnava le folkeviser (su cui vd. pp. 396-
397) è ben discussa in Schiørring 1977-1978 (B.6), I, pp. 228-244.
La grande Scandinavia
1
La comunità faroese, formata per la gran parte da coloni di origine norvegese,
aveva a lungo saputo mantenere una certa indipendenza, a dispetto dei tentativi dei re
norvegesi di imporre il proprio dominio sull’arcipelago. Nell’anno 999, nonostante
l’opposizione di molti fra gli abitanti, le isole erano state cristianizzate per volere di
Olav Tryggvason; più tardi (1026) Olav il Santo avrebbe tentato di imporre ai Faroesi
le leggi norvegesi e il pagamento del tributo. L’assemblea generale dei Faroesi, fonda-
ta attorno all’anno 900, svolse in pieno le proprie funzioni fino a quando (1271) il re
Magnus Emendatore di leggi estese all’arcipelago la validità del codice di leggi antico
del Gulating e nominò il figlio Håkon duca di Oppland, di Oslo, delle Shetland e
delle Føroyar. Dopo di ciò questo organismo poté avere voce in capitolo solo a riguar-
do di questioni locali. Le Føroyar dunque divennero di fatto una colonia norvegese e
seguirono i destini di quel Paese (vd. pp. 1436-1439).
2
Si trattava di una unione di carattere personale che cessò nel 1355 quando il figlio
di Magnus, Håkon, divenne maggiorenne e salì al trono di Norvegia.
3
Vd. sopra, pp. 355-356.
4
Nel 1371 egli dovette, tra l’altro, accettare una forte limitazione al proprio
potere a vantaggio del Consiglio del Regno (DS X: 1, nr. X 75, 9 agosto 1371, pp.
61-66).
19
L’anno successivo egli avrebbe fatto reprimere con la forza una grande rivolta dei
contadini danesi.
20
Qui il senso del testo è poco chiaro. Si potrebbe anche supporre che l’allusione
sia piuttosto al cappuccio di stoffa che si mette sulla testa dei falchi e che ci si ritrova
tra le mani se l’uccello si è liberato ed è volato via (vd. ed. cit., p. 78).
21
Il testo si trova alla p. 178 del manoscritto che porta la segnatura Cod. Holm. B
antidanesi che erano maturati in Svezia nel corso dei decenni giunse-
ro così al culmine e i rapporti tra i due Paesi conobbero la definitiva
rottura. Mentre dopo questi fatti Cristiano II diveniva l’uomo più
potente del Nord e si guadagnava il favore di una parte del popolo
danese anche grazie all’emanazione di leggi di diritto ecclesiastico e
leggi di diritto laico (Gejstlige Lov e Verdslige Lov),27 almeno in parte
ispirate a princìpi umanitari (1521-1522), si era già ben profilata all’o-
rizzonte la figura carismatica che avrebbe cambiato i destini della
nazione svedese, quel Gustavo Vasa (Gustav Eriksson Vasa o Wasa)
che nel 1523 sarebbe stato eletto sovrano del proprio Paese.
delle ferite riportate nella battaglia di Øksnebjerg (Fionia), combattuta nel quadro della
“guerra del conte” (vd. p. 464 con nota 13). Al “bagno di sangue di Stoccolma” è ispi-
rato il romanzo La famiglia Sture; ovvero il bagno di sangue di Stoccolma della scrittrice
danese Sophie May (pseudonimo di Sophie Friedr. Elise Mayer, 1788-1827), edito nel
1832 (Familien Sture; eller Blodbadet i Stockholm).
27
In realtà il nome attribuito a questi codici non corrisponde se non in parte al
contenuto: essi infatti sono stati così definiti in relazione alle prime disposizioni che vi
sono contenute. Vd. p. 461 con nota 3.
28
Vd. sopra, p. 275. Si racconta infatti che al momento dello sbarco sulle coste
finlandesi il re avrebbe visto una croce d’oro stagliarsi sull’azzurro del cielo. L’episodio,
del tutto fantasioso, è palesemente ricalcato sulla vicenda relativa alla visione dell’im-
peratore Costantino prima della battaglia di ponte Milvio (312).
29
Uno scudo suddiviso in quattro settori dei quali quello in alto a sinistra raffigu-
ra tre corone dorate su fondo blu. Le tre corone compaiono come simbolo della
Svezia fin dalla prima metà del XIV secolo (Törnquist 2008, pp. 32-33), ma risulta-
no già presenti in un sigillo reale del secolo precedente, appartenente al re Magnus
Serrature ai fienili (vd. Fleetwood H., Svenska medeltida kungasigill, I-III, Stockholm
1936-1947, I, pp. 55-58, figure 55, 57, 59, 61, 63, 65; vd. anche un sigillo della regina
Margherita, ibidem, II, figura 56). Esse potrebbero avere un significato religioso,
alludendo ai tre Re magi, molto venerati nel medioevo le cui presunte reliquie erano
state sottratte a Milano da Federico Barbarossa e trasportate a Colonia, che divenne
così una frequentata meta di pellegrinaggi. È tuttavia anche possibile che questo
simbolo voglia alludere ai tre territori (Svezia, Norvegia e Scania) riuniti per un
certo periodo sotto la corona di Magnus Eriksson (cfr. p. 354 e p. 355, nota 112). Le
tre corone dorate in campo blu sono comunque rimaste emblema caratteristico
della Svezia.
30
Uno stemma suddiviso in quattro settori, al centro dei quali si trova, racchiusa
in uno stemma più piccolo, una barca dorata in campo rosso (simbolo della dinastia
dei Bonde). Nel settore in alto a sinistra e in quello in basso a destra compaiono tre
corone dorate in campo blu, mentre negli altri si vede un leone dorato con la corona
in testa sopra tre strisce argentate in campo blu (stemma della dinastia detta dei
folkungar e del re Magnus Serrature ai fienili).
31
Vd. Tarkiainen 2008 (App. 1), p. 256. Uno stendardo simile si ritrova poco dopo
(1562) come simbolo di Gotland; vd. Nevéus C. – de Waern B. J., Ny svensk vapenbok,
p. 20.
32
In svedese: “gult udi korssvijs fördeelt påå blott” (il riferimento è ripreso dallo
scritto di Clara Nevéus citato in nota 36 [p. 49]).
33
Vd. pp. 531-532.
34
Vd. p. 560. Un’immagine simile, tuttavia assai meno dettagliata è conservata
nell’Archivio di guerra (Krigsarkivet). Qui si intravede una nave da guerra che inalbe-
ra bandiere con la croce.
35
Altre immagini della battaglia sono conservate in disegni (tuttavia non a colori)
del pittore olandese Willem van de Velde il Vecchio (de oude) (1610-1693), che fu
testimone diretto degli avvenimenti.
36
Vd. Törnquist 2008, pp. 46-53. Notizie sulla storia della bandiera svedese si
trovano anche in Tollin G. – Åberg Å. et al., Flaggan och fanan. Regler och anvisningar,
Stockholm 1999, pp. 9-14 e in Nevéus C., “Svenska flaggan. Historik och utveckling
i praxis och lagstiftning”, in FFF, pp. 45-55.
37
Un terzo insediamento, detto ‘di mezzo’ (Miðbygð) che si trovava nei distretti di
Ivittuut e Paamiut (danese Frederikshåb), era considerato parte di quello orientale.
38
Vd. Barbarani 1987 (C.3.1), p. 100 dove si riporta l’ipotesi antropologica di C.
Gini su una crisi dovuta allo squilibrio fra i sessi (vd. ivi il rimando bibliografico a p.
530) e Jones 1977 (C.3.1), pp. 326-327.
39
Vd. Holmsen 1971-19774 (B.3), I, p. 366 e Jones 1977 (C.3.1), pp. 327-330. Cfr.
pp. 754-755 e pp. 1452-1454.
40
Questa affermazione è solo apparentemente in contrasto con quella precedente,
dal momento che gli Eschimesi, conducendo una vita nomade, si spostavano da un
territorio all’altro nei diversi periodi. Qui si intende verosimilmente che, una volta
scacciati i nordici, questa zona restò a loro disposizione per lo sfruttamento delle
risorse che poteva offrire.
41
Questa dovrebbe essere la ragione del suo soprannome. È probabile che egli sia
rimasto in Groenlandia circa vent’anni. A Ivar Bårdsson corrisponde verosimilmente
Ivarus Barderij, menzionato in un documento del 25 giugno 1364 (DN IV: 1, nr. 442,
pp. 339-341, la citazione a p. 341). Lo studioso norvegese Asgaut Steinnes mette in
relazione la figura di Ivar Bårdsson con la ‘spedizione al Polo Nord’ compiuta nel 1360
da un monaco inglese di Oxford, il quale ne avrebbe lasciato un resoconto, ora per-
duto, dal titolo Inventio Fortunata. Una sintesi di quel lavoro fu poi redatta da un
viaggiatore brabantino, tale Jacobus Cnoyen, in un Itinerarium, anch’esso perduto.
Del suo contenuto si riferisce tuttavia in una lettera del 20 aprile 1577 scritta dal
geografo belga Gerardus Mercator (1512-1594) che costituisce dunque l’unica fonte
disponibile al riguardo. Da qui deriva l’immagine del Polo Nord come un’isola costi-
tuita da una rupe magnetica e circondata da quattro continenti: un’idea che a lungo
doveva persistere nelle descrizioni delle regioni artiche. Vd. Steinnes A., “Ein Nord-
polsekspedisjon år 1360”, in Syn og Segn, LXIV (1958), pp. 410-419.
42
Vd. p. 373 con nota 188.
43
Det gamle Grønlands beskrivelse (DLO nr. 110).
44
A quanto pare i decenni tra il 1330 e il 1390 costituiscono una fase climatica
segnata da un abbassamento delle temperature (vd. Vahtola 2003, p. 559 e il riferi-
mento ivi riportato).
45
Per un approfondimento in merito si rimanda a Orrman 2003, pp. 606-610.
46
La più grande, Bergen, doveva avere circa 7000 abitanti, Stoccolma e Copenaghen
circa 5000-6000 (vd. Dahlbäck 2003, p. 615).
47
Vd. sopra, p. 362 con nota 145 e p. 369.
Su di lui Kellerman G., Jacob Ulvsson och den svenska kyrkan, I-II, Stockholm
49
1953-1940)
54
In questo ambito il componimento migliore (anche perché autenticamente ori-
ginale) resta certamente l’anonimo Il giorno benedetto (Then signadhe dagh), svedese
(forse tuttavia originariamente danese), rielaborato in seguito dai protestanti e noto in
tutto il Nord.
55
Vd. Noreen E., “Om ‘Sju vise mästare’ på fornsvenska”, in Samlaren, XXXV
(1914), pp. 67-70. Questa storia avrebbe avuto grande fortuna in Svezia e in Danimar-
ca dove sarebbe stata riversata nei cosiddetti “libri popolari” (vd. pp. 497-498 e p.
504). Le versioni a stampa, che compaiono a partire dal XVII secolo, riportano un
testo modificato rispetto ai manoscritti (vd. Svenska folkböcker, I, pp. 1-7).
56
Vd. Blanck A., “Konung Alexander, Bo Jonsson Grip och Albrekt av Mecklem-
burg”, in Samlaren, X (1929), pp. 1-73 e anche Ronge H.H., Konung Alexander.
Filologiska studier i en fornsvensk text, Uppsala 1957.
57
Sulle composizioni ‘politiche’ del tardo medioevo svedese vd. Hildeman 1950.
58
Vd. testo alle pp. 442-443.
59
Vd. Nordal G., Heimsósómi. Athugun á upptökum íslensks heimsádeilukveðskapar,
Reykjavík 1982.
60
Sulla Cronaca in prosa è verosimilmente basata la cosiddetta Piccola cronaca in
rima (Lilla rimkrönikan), un testo (di qualche valore letterario ma di ben scarsa con-
sistenza storica) composto attorno alla metà del XV secolo; in esso le diverse figure di
sovrani parlano in successione e in prima persona degli eventi riguardanti il loro regno.
La definizione tradizionale Piccola cronaca in rima è sorta per contraddistinguerla
dall’insieme delle cronache che formavano quella che veniva definita Grande cronaca
in rima (vd. p. 407 con nota 308). Sull’autore della Cronaca in prosa, per altro ignoto,
vd. le osservazioni di G.E. Klemming nell’edizione da lui curata (EF), pp. 292-295.
61
Si veda Nyrin-Heumann 1944.
62
Vd. pp. 577-584.
63
Per una breve introduzione alla storia della stampa nei Paesi nordici si rimanda
a Dahl – Rosenkilde 1957.
64
Vd. pp. 395-396 dove si dà anche conto di altre opere ‘letterarie’ danesi del XV
secolo. Per una storia del libro in Danimarca vd. Nielsen L., Den danske bog. Forsøg til
en dansk boghistorie fra den ældste tid til nutiden, København 1941.
65
Bok aff dyäfwulsens frästilse, uscito per i tipi di Johan Smed (Johannes Fabri) a Stoc-
colma nel 1495. Vd. nota 53. Per una storia della stampa in Svezia vd. Klemming G.E. –
Nordin J.G., Svensk boktryckerihistoria 1483-1883 (Jubileumsutgåva), Bromma 1983 [1883].
66
Vd. p. 510 con nota 159.
67
Vd. p. 507 con nota 146.
71
Per comprendere in quale misura il dominatore danese imponesse fin da princi-
pio la propria autorità sul Paese basterà leggere il cosiddetto “lungo emendamento”
del re Cristiano I (Kong Christian den Førstes den saa kaldede Lange Retterbod del
1450, in KFAaBI I [nr. II], pp. 10-22 con successiva traduzione in danese) nel quale è
prevista tutta una serie di limitazioni alle libertà degli Islandesi.
Santa Brigida distribuisce la regola del suo ordine. Da una stampa delle
sue Revelationes pubblicata a Lubecca nel 1492 (p. 356 e p. 402)
Albertus pictor, la ‘ruota della vita’, uno degli affreschi nella chiesa
svedese di Härkeberga in Uppland, ca. 1480 (p. 432)
Il castello di Kalmar, dove nel 1397 fu siglata l’unione fra i Regni nordici,
disegnato da Alfred Larsen (1860-1946; pp. 437-439)
1
Vd. Hugason Hj., “Religion”, in UNH, pp. 189-190 e p. 193.
6
Negli anni 1506-1512 Cristiano era stato viceré della Norvegia. Lì aveva cono-
sciuto una ragazza di origine olandese, Dyveke (“Colombella”) Sigbritsdatter (ca.1490-
1517) che presto era divenuta la sua amante. Il loro rapporto era proseguito anche
dopo che Cristiano, ormai salito al trono di Danimarca, aveva sposato (1514) Elisa-
betta (Isabella) d’Asburgo (1501-1526), sorella di Carlo V. L’improvvisa morte di
Dyveke (sospetto avvelenamento), per la quale il nobile danese Torben Oxe ritenu-
to colpevole di complotto fu condannato a morte e decapitato (29 novembre 1517,
data di nascita non nota) per precisa volontà del sovrano, non pose fine al rapporto
di fiducia che quest’ultimo aveva con la madre di lei, da molti considerata una vera
e propria strega (la morte di costei si colloca intorno al 1532); sui rapporti tra questa
donna e il re vd. Scocozza B., Kongen og købekonen, København 1992). La relazio-
ne amorosa fra Cristiano II e la giovane Dyveke era ben nota e fu motivo ispiratore
per molti letterati e artisti, non solo danesi: basti qui ricordare l’opera di Ole Johan
Samsøe (1759-1796), Dyveke. Dramma in cinque atti (Dyveke. Et Sorgespil i fem
Acter), i Canti di Dyveke (Dyvekes Sange, 1879) con testo dello scrittore Holger
Drachman (vd. p. 1083 e p. 1088, nota 559) e musica di Peter Heise (vd. p. 1099,
nota 611), l’opera in tre atti Dyveke (1899) del musicista Johan Bartholdy (1853-1904)
su libretto di Einar Christiansen (1861-1939), il romanzo storico Dyveke. Historisk
roman, dello scrittore danese Carl Ewald (1856-1908) uscito a Copenaghen nel 1907.
Più recentemente il tema è stato ripreso in una pièce teatrale (1967) di Kjeld Abell
(vd. pp. 1174-1175) e Poul Henningsen (vd. p. 1184, nota 262) con musiche di Kai
Normann Andersen (1900-1967): Dyveke. Revykomedie i to akter af Kjeld Abell
med viser af Poul Henningsen, udgivet med efterskrift af S. Møller Kristensen,
København 1967. Ben noto è anche il ritratto della giovane (della quale per altro
non si conosce il vero volto) che suona uno strumento a corda in compagnia del re,
eseguito nel 1885 da Vilhelm Rosenstrand (1838-1915; l’opera appartiene a una
collezione privata).
“Se è vero che gli eretici sono spinti da Dio a trasporre le Sacre Scritture
e a proclamare una dottrina eretica, allora anche il re Cristiano è spinto da
Dio. Ma dal momento che tu23 hai reso nota la prima parte ti si dovrà dare
risposta. La prefazione di Lutero che egli [i.e. il re Cristiano II] ha fatto
tradurre dal Testamento in tedesco faccia sì che la sua concezione cristiana
sia riconosciuta come singolare. E chi è colui che non ride sinceramente,
allorché tu dal tuo cuore avvelenato ti rendi tanto ignobile e [lo] definisci
così amabilmente benevolo signore e sovrano di noi tutti? In che misura
egli è stato benevolo con te e con i farabutti a lungo noi [lo] abbiamo spe-
rimentato, ma la benevolenza che egli ci ha dimostrato, noi l’abbiamo
pagata piuttosto cara. Se egli userà nei confronti di altre persone quella
benevolenza che ha usato con noi, voglia Iddio che non diventi mai un uomo
probo o benigno. Ma quello che tu non puoi sostenere, [è una cosa] che abbia
il potere di cambiare nome a tutto [?]: tirannia, crudeltà, oppressione,
dominazione, vessazione, tassazione, assassinio e incendio tu [li] chiami
benevolenza e misericordia. Ma a te e ad altri suoi consiglieri, che hanno
corrotto il suo cuore regale, egli ha fatto una grande grazia, che non vi ha
castigato come traditori della sua patria con la morte24 e [la confisca] dei
beni. Ma nei confronti di uomini incolpevoli, donne e bambini innocenti
ha usato quella benevolenza che il lupo usa avere nei confronti dell’agnello,
come più oltre si tratterà nella prosecuzione di questa risposta, e quale
significato abbia questo medesimo libro, noi possiamo ben considerare, come
è stato detto, sebbene tu ci definisca [teste di] legno indurite e altro secondo
quanto ti garba.”25
22
Questa risposta è volta a confutare il contenuto di una lettera di Hans Mikkelsen
che accompagnava la pubblicazione (1524) del Nuovo Testamento fatto tradurre in
danese dal re Cristiano II; vd. pp. 516-517. In essa tra l’altro l’autore parificava i
nemici di Cristiano II ai nemici di Lutero.
23
Il riferimento è, ovviamente, a Hans Mikkelsen, al quale Poul Helgesen si rivolge
direttamente.
24
Per la precisione l’espressione wed hals (dove hals “collo”) fa riferimento all’ese-
cuzione di una condanna a morte per decapitazione.
25
Svar til Hans Mickelsen (DLO, nr. 112).
“Una settimana dopo Lasse Olson giunse a Mora e poté dare informazio-
ni più dettagliate sulle azioni del re Cristiano, come egli pensasse di percor-
31
Peder Andersson Swart (latinizzato in Peder Andreæ Niger) fu cappellano di
corte presso il re Gustavo Vasa e successivamente vescovo di Västerås, dove morì nel
1562. La cronaca relativa a Gustavo Vasa (per altro non pubblicata) si interrompe, per
ragioni ignote, al 1534. Essa fu poi completata dal nipote di Gustavo, Per Brahe il
Vecchio (den äldre, 1520-1590) che redasse una Storia del benedetto e altamente lode-
vole Re Gustavo (Salig och Höglofflig Konungh Giöstaffz Historia, nella quale il sovra-
no viene dipinto come un uomo di corte ricco di doti fisiche e morali: ma qui il
modello parrebbe essere il cortigiano così come descritto da Baldassarre Castiglione
(1478-1529). Su Per Brahe vd. Eriksson B., I skuggan av tronen. En biografi över Per
Brahe den äldre, Stockholm 2009.
32
Riferiti a questo fatto sono un quadro del 1836 del pittore svedese Johan Gustav
Sandberg (vd. p. 926), conservato al Museo nazionale (Nationalmuseum) di Stoccolma,
e uno del 1841 del norvegese Adolph Tidemand (vd. p. 937 e pp. 1091-1092), che si
trova in Germania presso la Stiftung Sammlung Volmer di Wuppertal: entrambi mostra-
no Gustavo Vasa mentre arringa gli abitanti della Dalecarlia. Un’altra immagine è
affrescata (ancora da Johan Gustav Sandberg) all’interno della cattedrale di Uppsala,
dove, sulle pareti della cappella restrostante l’altare in cui è collocata la sontuosa
sepoltura del sovrano (con accanto le due mogli), sono raffigurate diverse scene che
illustrano gli episodi più significativi della vita del re.
33
Si veda il suo articolo (“Ett nationellt skidlopp”) del 10 febbraio di quell’anno
comparso sul Vestmanlands Läns Tidning, p. 3 (cfr. ibidem, “Vasaloppet”, 8 maggio
1922, p. 3).
rere la sua Eriksgata34 nel Paese, e avesse ordinato di innalzare delle forche
presso la sede di ogni funzionario governativo delle zone rurali; e anche che
dovevano attendersi presto una lettera a riguardo d’una tassa straordinaria
per l’accoglienza che per questo doveva essere fatta. Allora alcuni fra loro
mormorarono, dicendo: Buon Dio, mi pento [ben più di] una volta che noi
abbiamo respinto Gustavo Eriksson. Lasse Olson domandò insistentemen-
te sue notizie, e quando ebbe saputo in quale direzione era partito, li consi-
gliò seriamente di richiamarlo indietro. Poiché (egli disse) voi brava gente
adesso avete proprio bisogno di quell’uomo, nella misura in cui voi abitan-
ti della Dalecarlia e di tutta la Svezia non volete essere semplicemente
distrutti e annientati.
Poco dopo giunse là un nobile di nome Inge Mikelson di Nederby in
Trögden, egli aveva informazioni ancora più dettagliate al riguardo e riferì
nei particolari tutte le crudeltà che il Re Cristiano aveva commesso a Stoc-
colma e durante il percorso per uscire dal Paese, ciò descrisse in modo cir-
costanziato agli abitanti della Dalecarlia sicché a loro vennero le lacrime agli
occhi. Disse loro anche così, che nel Paese c’erano parecchi uomini di corte
svedesi che si erano dati alla macchia, che mai si erano piegati al governo
danese, né mai lo avrebbero fatto, ma si sarebbero liberati e avrebbero
difeso la loro vita tanto a lungo quanto avrebbero potuto, il che egli disse di
voler fare, e disse quanto il governo danese sarebbe stato oppressivo per gli
Svedesi, poiché essi [i Danesi] non risparmiavano certo il sangue svedese e
gioivano nel vedere che molte forche dondolavano cariche di corpi svedesi.
Gli abitanti della Dalecarlia ebbero ora grande timore che Gustavo
stesse per essere condotto oltre le montagne in Norvegia, [così] fecero
secondo il consiglio di Lasse Olson e di Inge Mikelson, e inviarono un tale
Engelbrekt con alcuni altri sciatori, i quali procedettero notte e giorno
attraverso i boschi con quel medesimo incarico e trovarono Gustavo lassù a
Lima.35 Essi resero noto subito il loro incarico chiedendogli per amor di Dio
di voler tornare indietro, venendo loro in aiuto e soccorso; essi ora non solo
volevano tutti garantirgli fedeltà, devozione, uomini in armi e ubbidienza,
ma anche mettere a repentaglio e in gioco insieme a lui vita e sangue. Allo-
ra li seguì indietro fino a Mora.”36
celebrati da Andreas Johannis Prytz (che già aveva lodato l’impegno cristiano del re
Olof Skötkonung, cfr. p. 242, nota 73) nell’opera teatrale in versi dal titolo Una piace-
vole commedia, sul potente re della Svezia, dei Goti, dei Vendi etc. Re Gustavo I, in qual
modo egli venne elevato al governo della Svezia, quando ebbe scacciato dal Paese, re
Cristiano il Tiranno, e in che modo per grazia di Dio salvò la Svezia dalle tenebre e dagli
errori del Papa, e introdusse l’autentica luce del Vangelo che il Papa a lungo aveva sot-
tratto (En Lustigh Comoedia, Om then Stormechtige Sweriges, Göthes, Wendes Konung
etc. Konung Gustaf Then Första, Huru han til Regementet i Swerige bleff vphögd, tå han
Konung Christiern Tyrann, af landet vthdriffuit hadhe, oc huru han genom Gudz nådh
vprättade Swerige ifrån Påfwens mörcker och wilfarelse, och införde Ewangelij reena
liws thet Påfwen länge bortröfwat hadhe, 1622).
44
Vd. KGFR VII (1877), pp. 12-13 (6 gennaio 1530); cfr. ibidem, pp. 96-98 (20
maggio 1530) e pp. 107-108 (27 maggio e 3 giugno 1530). La “rivolta delle campane”
fu definitivamente soffocata nel 1533; vd. Hildeman K-I., ”Klockupproret”, in SHT
LXVI (1946), pp. 1-35.
45
Un utile insegnamento tratto dalle [Sacre] Scritture sulla caduta dell’essere umano
e su come Dio di nuovo lo salvò (Een nyttwgh wnderwijsning wthwr scrifftenne om
menniskiones fall, och hwrwledhes gwdh henne wprettadhe jghen). Si tratta del primo
scritto luterano svedese. L’attribuzione di questo testo a Olaus Petri non è tuttavia
certa. Sui primi scritti svedesi relativi alla riforma protestante vd. Steffen R., “Våra
första reformationsskrifter och deras författare”, in Samlaren, nr. straordinario, 1893,
pp. 5-61.
46
Sulla sua opera vd. oltre, pp. 535-536.
47
Vd. Almquist J-R., “Dödsdomen över Olaus Petri den 2 januari 1540. Nya syn-
punkter på ett gammalt problem”, in Festskrift tillägnad professor, juris och filosofie
doktor Nils Stjernberg vid hans avgång från professorämbetet den 1 september 1940 av
Stockholms högskolas juridiska och humanistiska fakulteter, Stockholm 1940, pp. 29-50.
Il rapporto tra Olaus Petri e Gustavo Vasa ha fornito l’ispirazione all’opera (in diver-
se versioni) Maestro Olof (Mäster Olof, la cui prima stesura è del 1872) scritta da August
Strindberg (vd. pp. 1082-1083).
60
La “Confessione di Augusta” (Confessio augustana) è il testo presentato nel 1530
alla dieta di Augusta (Augsburg) nel quale sono contenuti i princìpi fondamentali del
luteranesimo.
61
Vd. p. 444.
62
Negli anni 1501-1502 in particolare c’era stato uno sfortunato tentativo di ribel-
lione nei confronti del re Giovanni, capitanato dal nobile Knut Alvsson (1455-1502)
che sarebbe rimasto ucciso. È tuttavia difficile determinare in quale misura esso fosse
ispirato dalla causa dell’indipendenza dai Danesi piuttosto che dalle ambizioni perso-
nali del suo promotore.
63
Su cui vd. oltre, pp. 508-509 e p. 593. La fonte cui qui si fa riferimento è l’Ora-
zione per Maestro Geble (Oration om Mester Geble, 1571) dedicata al primo vescovo
luterano di Norvegia (vd. p. 483), p. 26 e p. 55, nota 1.
64
Di lui si sa molto poco. La data di nascita resta ignota, la morte è certamente
successiva al 1537. Come la gran parte degli aderenti alla dottrina luterana aveva
contratto matrimonio (con una donna di nome Anna).
65
Cfr. pp. 377-378.
doveva avvenire nel 1526 (al più tardi nel 1528). Nello stesso perio-
do abbiamo notizia dell’arrivo di ecclesiastici dalla Germania che
cominciarono (comportandosi anche con una certa arroganza) a
diffondere la dottrina luterana.66 Ma al di fuori di questo ambito e
di quello della famiglia del consigliere del Regno Vincenzo Lunge,
le idee riformiste non trovarono un vero seguito.67 Contro di esse
vi fu comunque una decisa reazione, capeggiata dall’arcivescovo di
Nidaros,68 Olav Engelbrektsson (ca.1480-1538), nella quale motivi
religiosi si intrecciarono (ancora una volta!) con precisi scopi poli-
tici. Olav Engelbrektsson, formatosi a Rostock secondo i canoni di
una rigida teologia cattolica,69 era stato nominato capo della Chie-
sa norvegese nel 1523, al culmine di una brillante carriera. La sua
adesione alla dottrina tradizionale era totale: fin dal 1519 egli
aveva collaborato alla stesura del cosiddetto Messale di Nidaros
(Missale nidrosiense), redatto su iniziativa del suo predecessore Erik
Valkendorf (ca.1465-1522) e destinato a tutta l’arcidiocesi norve-
gese.70 Olav Engelbrektsson era uno fra i membri più autorevoli
del Consiglio del Regno, organismo che, dopo la caduta di Cristia-
no II, aveva assunto il governo della Norvegia e dell’Islanda. Con
l’aiuto del danese Vincenzo Lunge – che avendo sposato la figlia
del maggiore possidente terriero del Paese e consigliere del Regno,
Nils Henriksson (ca.1455-1523) era divenuto a tutti gli effetti un
‘nobile norvegese’ e coltivava grandi ambizioni di potere –71 l’arci-
66
Ciò è riferito nell’anonimo scritto dal titolo Fondazione di Bergen (Bergens Fundas,
p. 65) risalente al 1560 ca., un testo che costituisce il primo tentativo di tracciare una
storia della città dalla sua fondazione fino al 1559. In realtà il manoscritto attribuisce
quest’opera a Christoffer Valkendorf (Walckendorff, signore di Bergenhus, 1525-1601;
cfr. p. 685, nota 34), il che tuttavia è errato.
67
Altri singoli casi sono tuttavia segnalati; vd. Helle 1998 (B.3), V, p. 46.
68
L’antico nome dell’attuale Trondheim, Nidaros, è certamente rimasto in uso fino
al XVI secolo, ma se ne hanno anche testimonianze successive (vd. Lockertsen R.,
Namnet på byen Trondheim, ei språkhistorisk og faghistorisk tilnærming, Bergen 2006).
69
A Rostock esisteva un collegio per gli studenti norvegesi (cfr. p. 452) di cui Olav
Engelbrektsson (che aveva soggiornato in quella città dal 1503 al 1514) era stato ret-
tore per diversi anni.
70
Dal momento che in Norvegia non c’erano stampatori il messale fu pubblicato a
Copenaghen da Poul Ræff (morto nel 1533 ca.). Dello stesso anno è il Breviario di
Nidaros (Breviarium nidrosiense) compilato da Erik Valkendorf in persona e uscito a
Parigi presso Jean Kerbriant e Jean Bienayse. Si tratta delle prime opere a stampa
conosciute in ambito norvegese. Vd. Munthe W., “Missale Nidrosiense. Vår eldste
trykte bok”, in Norsk Tryk. Magasin for grafisk Kunst of Håndverk, IV: 3 (1930), pp.
61-66 e Nielsen L., “Nye oplysninger om to danske palæotyper”, in NTBBV I (1914),
pp. 38-39. Sull’arcivescovo Valkendorf vd. Hamre L., Erkebiskop Erik Valkendorf.
Trekk av hans liv og virke, Bergen 1943.
71
Su di lui vd. Bull E., Vincens Lunge, Kristiania 1917. Nils Henriksson (1525-
1523) era il più grande latifondista norvegese. Sua moglie era l’autorevole Inger di
Østraat, una delle figure femminili di maggior rilievo della storia norvegese e convin-
ta sostenitrice dell’indipendenza del proprio Paese: alla sua figura Henrik Ibsen (vd.
pp. 1077-1078) avrebbe dedicato una celebre opera (Fru Inger til Østeraad, cfr. nota
28). Vd. Christopherson K.E., “Lady Inger and Her Family. Norway’s Exemplar of
Mixed Motives in the Reformation”, in Church History. Studies in Christianity and
Culture, LV: 1 (1986), pp. 21-38.
72
Egli tra l’altro fin dal 1525 aveva dato inizio alla costruzione dell’imponente
fortezza di Steinvikholm (su un isolotto nel fiordo di Trondheim) che fu completata
nel 1532.
73
Vd. sopra, p. 462.
74
Vd. sopra, p. 464.
75
Vd. RÅNA L., “...ei gåte i norsk politikk.” En studie av synet på erkebiskop Olav
Engelbrektsson i norsk historieforskning, Bergen 2003. Sulla vicenda umana e politica
dell’ultimo arcivescovo cattolico norvegese è incentrato il romanzo Vieni avanti, prin-
cipe! (Kom fram, fyrste!, 2004) dello scrittore Edvard Hoem (vd. p. 1272), preceden-
temente (1993) autore del libretto per l’opera Olav Engelbrektsson musicata dal
compositore Henning Sommerro (n. 1952).
76
Vd. il “paragrafo norvegese” (Norgesparagrafen) del suo capitolare del 30 ottobre
1536: “[…] perciò abbiamo promesso e assicurato al Consiglio e alla nobiltà del Regno
danese che […] il Regno di Norvegia […] dovrà […] d’ora in poi essere e rimanere
sotto la Corona di Danimarca, così come una delle altre terre, Jutland, Fionia, Selandia o
Scania, e d’ora in poi non essere o chiamarsi un Regno a se stante, ma una parte del
Regno di Danimarca e [rimanere] per sempre sottomesso alla Corona di Danimarca”
(DLO nr. 115). La Norvegia tuttavia mantenne un codice di leggi e un’amministrazio-
ne della giustizia propri. Vd. Øyen E., “Artikkelen om Norge i Kristian 3’s håndfestning
1536”, in NHT XXXII, pp. 285-341.
77
In ciascuna di queste località era presente un castello assegnato al rispettivo
‘signore’.
78
Vd. sopra p. 465 con nota 18.
79
Vd. sopra, p. 466.
80
DLO nr. 116.
81
Si tratta di Olav Rognvaldsson (Ólafur Rögnvaldsson, data di nascita ignota, in
carica dal 1458 al 1495, anno della morte) e di Gottskålk Nikulåsson (Gottskálk
Nikulásson, nato nel 1469, in carica dal 1496 al 1520, anno della morte) che dopo la
riforma fu ricordato come “lo Spietato” (inn grimmi). Sebbene solo al secondo sia
stato attribuito un soprannome che ne sottolinea la tirannica condotta, il suo prede-
cessore è ricordato come il più avido e dispotico vescovo che ci sia mai stato nel
Paese.
dal momento che – seppure divisi sul piano teologico – i due vesco-
vi, luterano e cattolico, evitarono reciproche interferenze. E, tra
l’altro, Gissur Einarsson incontrava non poche difficoltà nella sua
opera di indottrinamento della gente comune. La lotta si riaccese
alla sua morte (1548), quando entrambe le fazioni si arrogarono il
diritto di nominare il nuovo vescovo di Skálholt: ciò portò alla
duplice designazione di un cattolico e di un luterano. Tuttavia solo
quest’ultimo, Marteinn Einarsson (ca.1500-1576), ottenne in Dani-
marca la consacrazione ufficiale e tornò in Islanda. Il vescovo di
Hólar, Jón Arason, che si era adoperato a sostegno del candidato
cattolico, scrivendo anche al Papa e all’imperatore Carlo V, fu
accusato di tradimento nei confronti del re danese e all’assemblea
generale del 1549 venne dichiarato fuorilegge. L’energico prelato
non si arrese e passò all’attacco: Marteinn Einarsson fu fatto pri-
gioniero e trasferito a Hólar. Nell’estate dell’anno successivo Jón
Arason si recò a Skálholt con una schiera di uomini armati: lì fece
riconsacrare la chiesa e disseppellire il cadavere del vescovo lute-
rano, segnale inequivocabile di restaurazione dell’antica tradizione.
Nel frattempo i conventi di Viðey e di Helgafell venivano ripristi-
nati.86 Ma la posta in gioco era troppo elevata e – soprattutto – non
limitata ad aspetti teologici. Jón Arason non era soltanto nemico
della nuova dottrina, egli piuttosto rappresentava una minaccia per
quei notabili che dalla conversione al luteranesimo avevano tratto
vantaggi economici vedendosi assegnati beni che precedentemen-
te erano stati di proprietà della Chiesa. Fu così che nell’ottobre di
quel medesimo 1550 Jón Arason, insieme a quello che era il suo
personale ‘esercito’, fu sconfitto dagli uomini del grande possiden-
te terriero Dáði Guðmundsson (ca.1495-1563) e con due dei suoi
figli, Björn e Ari, fu condotto come prigioniero a Skálholt. Nessu-
no si dichiarò disponibile a far parte della giuria che avrebbe
dovuto giudicarli. Ciò non di meno, nel timore che venissero libe-
rati dai loro sostenitori, il sette novembre essi furono sbrigativa-
mente messi a morte per decapitazione. Un atto di cui i seguaci del
vescovo si presero inevitabile vendetta uccidendo coloro che lo
avevano perpetrato (gennaio 1551). I corpi di Jón Arason e dei suoi
figli furono esumati e portati a Hólar per la solenne sepoltura. Ma
senza il suo campione la battaglia per la difesa della fede cattolica
(e per l’Islanda) era perduta. Da questo momento la riforma sareb-
be stata attuata con determinazione (anche qui si procedette senza
86
Sebbene non avesse subito la medesima sorte di quello di Viðey, il convento di
Helgafell era decaduto e i suoi possedimenti erano stati incamerati dalla Corona
danese.
“Raccontano i vecchi che una volta in cui il vescovo Jón Arason cavalca-
va verso nord nel distretto di Vaðlasýsla e di Þingeyjarsýsla, incontrò il
contadino Jón di Svalbarð in Svalbarðsströnd; costui era un importante
capitano e [un uomo] saggio, e da molti ritenuto indovino e preveggente. Il
vescovo gli domandò: ‘di quale morte ritieni, contadino Jón, che io debba
morire?’ – Jón tacque un momento, poi disse così: ‘Io ho sentito dire, che
prima che voi nasceste, vostra madre aveva fatto un sogno, in questo modo,
che le sembrava di mettere al mondo un’aquila; le parve come se quell’aqui-
la volasse su in cima al tetto della chiesa di Hafragil nell’Eyjarfjörður e si
posasse là; allora le parve nel sonno che la testa di quell’aquila schizzasse
via dal corpo, e in direzione sud-est.’
Inoltre il succitato Jón disse: ‘state attento alle discussioni importanti,
signore.’ Pare che il vescovo abbia risposto: ‘quella morte, io scelgo, che
87
Sulla vicenda di Jón Arason, che tanta eco doveva lasciare nel suo Paese sono
incentrati diversi testi letterari: così la tragedia di Matthías Jochumsson (vd. p. 1076),
Jón Arason (1900); la storia scritta da Torfhildur Þorsteinsdóttir Hólm (vd. p. 1077),
Jón biskup Arason; il romanzo (in danese) di Gunnar Gunnarsson (vd. p. 1167), Jon
Arason (1930) e infine quello, assai più recente, di Ólafur Gunnarsson (vd. p. 1280,
nota 220) L’ascia e la terra. Romanzo storico sul vescovo Jón Arason e i suoi figli (Öxin
og jörðin. Söguleg skáldsaga um Jón biskup Arason og syni hans, 2003).
88
Vd. Biskupa sögur, gefnar út af Hinu íslenzka bókmenntafèlagi [sic], II: ii,
Kaupmannahöfn 1867, pp. 315-508; cfr. nota 158.
89
Vd. p. 325.
90
DLO nr. 117. Come è noto San Giovanni Battista era morto per decapitazione.
Si confronti nello stesso gruppo di racconti un altro sogno della madre di Jón Arason,
nel quale le era prefigurato il destino del figlio nella diocesi di Hólar (ibidem, pp. 421-
422).
91
I luterani si dimostrarono particolarmente aggressivi nei confronti dei frati men-
dicanti, assai invisi alla popolazione.
8.2.1. Danimarca
95
Nato a Varberg (nell’attuale regione svedese di Halland) Poul Helgesen aveva
studiato a Skara ed era poi stato attivo a Copenaghen. Lì, con l’aiuto del sovrano, i
carmelitani avevano aperto un collegio per gli appartenenti all’ordine che erano iscrit-
ti all’università: nel 1519 Poul Helgesen ne divenne direttore ricoprendo anche un
insegnamento nell’ateneo.
96
Tuttavia, ancora nel 1526 egli tradusse in danese con il titolo Un insegnamento
cristiano (Een cristelig vnderwyszningh) il Libretto di preghiere di Lutero (Eyn Bett-
büchlein, nell’edizione del 1522), premurandosi comunque nella premessa di insistere
sulla propria estraneità alla dottrina riformata, il che lo aveva indotto a modificare il
testo.
97
Per via dei violenti attacchi contro Cristiano II i suoi incarichi (vd. sopra, nota 95)
vennero revocati: dopo di ciò egli riparò (a quanto pare) nello Jutland per sfuggire
all’ira del re. Di lì sarebbe tornato (riprendendo l’insegnamento universitario e dive-
nendo provinciale dei carmelitani per il Nord) dopo l’ascesa al trono di Federico I, che
tuttavia, come si è visto (cfr. sopra, pp. 462-463; cfr. nota 101) aveva dal punto di vista
religioso un atteggiamento ambiguo. Seppure fra difficoltà e polemiche Poul Helgesen
di un feroce disprezzo: pari, del resto, alla furia con cui egli si sca-
gliò contro i seguaci della riforma.98 Chiari esempi di un clima di
violentissima polemica.99 Ben riflesso, del resto, anche in altre
figure esemplari e carismatiche.
Tra i fieri avversari di Poul Helgesen spicca certamente Hans
Tausen (Hans Tawssøn, 1494-1561), monaco giovannita dell’im-
portante convento di Antvorskov (nei pressi di Slagelse in Selandia)
che aveva studiato a Rostock, Lovanio e Wittemberg. Fuoriuscito
avrebbe portato avanti la sua battaglia, tuttavia dopo gli eventi che condussero alla
nomina di Cristiano III egli scompare quasi improvvisamente di scena, forse riparato
all’estero. La sua morte è in ogni caso certamente posteriore al 1534: in questa data si
interrompe una sua opera in latino comunemente nota come Cronaca di Skiby (Chronicon
Skibyense), dal nome del luogo (Skiby/Skibby in Selandia) in cui il manoscritto è stato
ritrovato nel 1650 dietro un muro all’interno di una chiesa. Su Poul Helgesen come
storico vd. Rübner Jørgensen K., “Paulus Helie som humanistisk historieskriver”, in
Møller Jensen J. – Bisgaard L. et al. (red.), Renæssancen i svøb. Dansk renæssance i
europæisk belysning 1450-1550, Odense 2008, pp. 150-171. La profonda antitesi tra la
concezione di Poul Helgesen e quella di Cristiano II si rileva anche nel rifiuto da lui
opposto alla richiesta del sovrano di tradurre Il principe di Machiavelli (vd. SPH VII,
p. 6), proponendo piuttosto la presentazione della versione danese della Institutio
principis erasmiana (En cristhen førstis lære, 1522), un testo che egli avrebbe in seguito
pubblicato a Roskilde (Een christen Furstis Wnderwiisning oc Lære) nel 1534, non a
caso l’anno in cui il luterano Cristiano III saliva al trono di Danimarca. Dell’opera di
Erasmo conosciamo anche una rielaborazione svedese curata dal capellano e poi vesco-
vo Peder Månsson (latinizzato in Petrus Magni, morto nel 1534, su cui cfr. p. 628, nota
472) che porta il seguente titolo: Questo libro è scritto in svedese per la buona istruzione
dei probi giovani fanciulli di buona famiglia (Ärligom, welbördigom, vungom barnom till
godh lärdom schriffs thenne bock på swensko) e verosimilmente redatta nel corso del
lungo periodo in cui egli fu a Roma (1508-1524). Secondo K. Rübner Jørgensen (“Paulus
Helie og Peder Månsson. To 1500-tals oversættere af Erasmus ‘Institutio principis
christiani’, in ANF CXV [2000], pp. 203-232) il testo svedese è, in realtà, la ripresa in
forma abbreviata della traduzione di Poul Helgesen.
98
Si veda in proposito il testo riportato a p. 467.
99
Tra le numerose satire riconducibili al periodo della riforma non ne manca una
intesa a diffamare proprio Poul Helgesen: Un componimento sui nemici della parola di
Dio e in particolare il lettore Poul voltagabbana che fu un buon compare di Staagefyr nel
parlamento di Copenaghen (En viise om gudtz ordß fiender oc serdeles Lectorr Powel
wendekaabe som wor staagefyr een godt stolbroder i then herredag i Køpenhaffuen; il
termine lektor fa riferimento al grado accademico). Questa satira in versi fa parte di
un gruppo di quattro componimenti di ignoto autore stampati a Malmö nel 1530 e nei
quali è efficacemente riflesso lo spirito della veemente contesa che contrapponeva i
seguaci della vecchia e della nuova dottrina. Il riferimento del titolo è alla seduta del
parlamento tenuta a Copenaghen in quello stesso anno (vd. p. 463) alla quale parteci-
pò Niels Stagefyr (o Stagefuhr, Stagebrand), forse un teologo di Colonia al quale,
insieme ad altri, i vescovi cattolici avevano affidato la difesa delle loro posizioni (vd.
però Andersen 1954 (C.8.1), p. 48, nota 17; e inoltre la breve nota di Simonsen D.,
“Dr. Stagefyr – Stagebrand”, in KSam IV, [1907-1909], pp. 385-386 e Rasmussen J.
Nybo, “Herborn og Stagefyr”, in KSam VI: 1 [1966], pp. 44-60).
(Peder Smed og Adser Bonde), un testo (in forma rimata) che anco-
ra una volta riprende un modello tedesco. In esso è proposto un
dialogo tra quattro avventori di un’osteria (un prete cattolico, un
frate, un contadino e un fabbro) nel quale si affida a quest’ultimo,
convinto luterano, un messaggio religioso permeato di democrati-
ca saggezza, il che tra l’altro appare come il riflesso di un reale
coinvolgimento popolare nel dibattito.
Sicché i gesti eclatanti (talora anche eccessivi) e le scelte di pro-
vocatoria rottura delle norme tradizionali (come il fatto di consa-
crare nuovi sacerdoti o contrarre matrimonio)105 produrranno un
reale ed effettivo coinvolgimento delle folle. Sul quale potrà poi far
leva la volontà dei nuovi pastori della Chiesa riformata, desiderosi
di veder radicare l’insegnamento luterano nelle coscienze. Il che si
attuerà anche, concretamente, nella fondazione di diverse scuole
per formare i nuovi sacerdoti (Haderslev, Viborg, Malmö) così come
nel lavoro di traduzione di scritti di Lutero e di divulgazione di
testi fondamentali della nuova dottrina: in primo luogo – natural-
mente – la Sacra Scrittura ora finalmente volgarizzata e resa acces-
sibile all’intera comunità.106 In effetti la rapida affermazione del
luteranesimo in Danimarca si deve anche all’avvio quasi contem-
poraneo dell’attività dei suoi promotori in diversi centri.107
105
A quanto pare Hans Tausen fu il primo monaco danese a sposarsi. Questa sua
decisione (e comunque tutta la sua attività di diffusore della nuova dottrina) venne
duramente attaccata da Poul Helgesen che nella Cronaca di Skiby (p. 108) lo definisce
“il primo di tutti i priapisti danesi” (“omnium priapistarum in Dania primus”). Come
opportunamente si fa osservare in Petersen – Andersen 1932-1934 (B.4), I, p. 248,
nota 2, il termine “priapista” non fa soltanto un riferimento (non privo di allusioni
oscene) a Priapo, divinità simbolo della potenza sessuale maschile, ma va anche con-
siderato in opposizione a “papista”. Si sa del resto che Poul Helgesen aveva tradotto
in danese uno scritto contro il matrimonio degli ecclesiastici (il testo è tuttavia andato
perduto: vd. SPH III, pp. 300-301).
106
Vd. oltre, 8.2.5.1. Dopo l’Ordinanza del 1537 (che tra l’altro stabiliva che le
funzioni religiose dovessero essere svolte in lingua danese) i preti ebbero l’obbligo di
procurarsi diversi testi tra cui la Bibbia, la Confessio augustana, alcuni scritti di Lutero
e di Melantone.
107
Si ricordi qui l’opera di figure come Hermann Tast (1490-1551) a Husum nell’attua-
le regione tedesca dello Schleswig-Holstein (1522), Claus Mortensen (noto come Claus
Tøndebinder, ca.1499-ca.1576), Hans Tausen e Jørgen Sadolin (ca.1499-1559) a Viborg,
Christiern Clausen Skrok (morto nel 1568 ca.) e Peder Laurentsen (o Lauridsen, 1485
o 1490-1552) ad Assens, Jørgen Kock (morto nel 1556) e Hans Olufsen Spandemager
(morto nel 1571) a Malmö. Claus Mortensen (Mortensøn, su cui vd. Andersson H.,
“Malmöreformatorn Claus Mortensen 1499-1575”, in Malmö fornminnes-
förenings årsskrift 1975, pp. 41-58) pubblicò a quanto pare tre edizioni (1528, 1529 e
1543) di un Libro dei salmi e nel 1528 un messale in danese, noto come ‘Messale di
Malmö’ (Thet cristelighe mesße embedhe paa dansche [...]) che sono tra i primi libri di
ispirazione luterana comparsi in Danimarca (vd. Psalmebøger fra Reformationstiden.
dal modello tedesco cui aveva dato impulso lo stesso Lutero. Esso
conoscerà un interessante sviluppo, ma i risultati resteranno comun-
que, dal punto di vista della qualità letteraria, di portata limitata.122
Per conoscere un grande teatro danese bisognerà attendere Ludvig
Holberg.123
122
Si può comunque citare qui, quantomeno, un autore come Hieronimus Justesen
Ranch (1539-1607), cui si devono opere incentrate sulla figura del re Salomone o di
Sansone, così come la farsa dal titolo L’avaro Niding (Karrig Niding).
123
Vd. oltre, pp. 789-792 e pp. 830-831.
8.2.2. Svezia
124
Cioè “tu potresti offrirci poco da mangiare”. Il termine stegers, qui tradotto con
“cucina”, è formato da steger “persona che si occupa di arrostire (in generale di “cuci-
nare”) e hus “casa”, “locale”: significa dunque propriamente “locale in cui si arrostisce
[la carne]”; vd. Dahlerup 1993-1997 (B.5), XXI, coll. 1111-1112. L’allusione alla
ingordigia dei monaci, un vizio ripetutamente loro imputato (cfr. p. 454) è qui del
tutto evidente.
125
[Om] Løgn og Sandhed, str. 9-11 (DLO nr. 118). Sul componimento vd. Paludan
J., “Visen om Løgn og Sandhed”, in DS 1912, pp. 76-86 e Meisling P., “Den fortsødte
Sandhed. Om DV9 Løgn og Sandhed”, in DS 1985, pp. 25-56.
vantare figure di tutto rilievo come i già citati Olaus Petri e Lauren-
tius Andreæ,126 ma a differenza della Danimarca l’esigenza di un
dibattito teologico appare qui meno sentita, seppure non ne man-
chino esempi. Fra tutti la celebre disputa tenuta a Västerås (in
Västmanland) nel giugno del 1527 tra Olaus Petri e Peder Galle,
professore di teologia all’Università di Uppsala e difensore della
tradizione cattolica.127 Sebbene questa disputa non potesse incidere
sulle decisioni in materia religiosa che erano state ormai assunte,128
essa originava tuttavia da una iniziativa del re Gustavo Vasa che in
precedenza aveva chiesto a diversi eminenti rappresentanti del
clero di rispondere a dieci domande (successivamente ne furono
aggiunte altre due) in materia religiosa. Protagonisti della contro-
versia furono dunque in primo luogo proprio Olaus Petri e Peder
Galle, tuttavia anche il teologo danese e paladino del cattolicesimo,
Poul Helgesen, volle portare il proprio contributo.129
Nell’affermazione del luteranesimo svedese la netta prevalenza
delle motivazioni politiche su quelle religiose si riflette anche nella
constatazione che dal punto di vista strettamente teologico l’intro-
duzione della riforma fu, in Svezia, un processo prolungato nel
tempo, tanto è vero che la Chiesa riformata svedese si è avvicinata
a quella anglicana, che per certi versi rappresenta una sorta di via
di mezzo tra il cattolicesimo e il luteranesimo.
Il decadimento della cultura svedese dopo la riforma si misura
innanzi tutto nella sconsiderata distruzione di gran parte del patri-
monio artistico e librario conseguenza della devastazione e dell’ab-
bandono dei conventi; un personaggio culturalmente piuttosto
rozzo come Gustavo Vasa si preoccupò infatti di arraffare ogni
126
Vd. sopra, p. 472.
127
Di Peder Galle è ignoto l’anno di nascita. Si sa che era di famiglia nobile, che
aveva studiato a Rostock e successivamente soggiornato a Roma. Aveva poi ricoperto
diversi incarichi ecclesiastici a Uppsala prima di diventare docente presso l’università.
La sua morte si colloca tra il 1537 e il 1538. La scena che lo vede contrapposto a Olaus
Petri è raffigurata in un quadro del 1883 di Carl Gustaf Hellqvist (vd. p. 1090) con-
servato nel Museo nazionale (Nationalmuseum di Stoccolma). È probabile tuttavia che
al dibattito partecipassero anche altre persone. Vd. il primo testo citato a p. 522.
128
Come ha mostrato Henrik Schück che ha dettagliatamente analizzato la questio-
ne (“Striden mellan Olavus Petri samt Peder Galle och Paulus Heliæ”, in Samlaren,
VII [1886], pp. 49-70, vd. in particolare p. 62).
129
I contenuti della disputa furono affidati ad alcuni scritti, tra cui meritano parti-
colare attenzione la Risposta a dodici quesiti […] (Swar påå tolf spörsmål […], 1527)
di Olaus Petri (che contiene anche le osservazioni di Peder Galle), la Risposta a Re
Gustavo (Svar til Kong Gøstaff, 1528) di Poul Helgesen, nella quale egli polemicamen-
te pone a sua volta al re dodici domande, e la replica a questo scritto (Una modesta
lettera aperta a Poul Helgesen […]) da parte di Olaus Petri (Jtt fögho Sendebreff Til
Paulum Helie […], 1528). Una sintesi della questione si trova in SPH VII, pp. 51-53.
130
Vd. Warne A., “Den svenska folkundervisningen från reformationen till
1809”, in Fredriksson V. (red.), Svenska folkskolans historia, I, Stockholm 1940,
pp. 89-90.
131
Questa regolamentazione è contenuta all’interno dello statuto ecclesiastico
emanato in quell’anno (cfr. sopra, p. 478): esso fa riferimento all’insegnamento in
diversi punti, in particolare tuttavia in due paragrafi dal titolo Sulle scuole (Om Scholar)
e (assai dettagliato) Ordinanza su come si deve studiare nelle scuole (Ordning huru läsas
skal vti Scholarna; ed cit., pp. 173-193); vd. Sjöstrand 19652 (C.9.3), pp. 97-101. Per
l’ordinamento scolastico contenuto nella versione manoscritta del 1561 (cfr. nota 56)
vd. SAL I-III, pp. 3-24. Le norme dispongono come suddividere gli alunni in base alle
loro conoscenze pregresse e impostano l’insegnamento soprattutto sul latino e sulla
religione. In generale su questa prima regolamentazione scolastica svedese vd. Hall
B.R., Om Sveriges första läroveksstadga. Studier rörande reformationstidens skola och
skolfrågor (= Årböcker i svensk undervisningshistoria, 1921: 1). Nella Nova Ordinantia
ecclesiastica del 1575 sarà naturalmente ripreso il ‘tema scolastico’, auspicando la
fondazione a Stoccolma di una schriffue schole (cioè “scuola per [l’apprendimento]
della scrittura”) e anche di una scuola per ragazze (pijge schola); ed. cit., p. 348.
132
Per l’ordinamento scolastico del 1611 vd. SAL I-III, pp. 25-40; per quello del
1649, ibidem, pp. 42-111; per quello del 1693 (il primo a introdurre una sorta di esame
di maturità) vd. SAL IV-VI, pp. 1-15. Per un sunto della situazione delle scuole sve-
desi vd. Schück – Warburg 19853 (B.4), II, pp. 102-106 e pp. 152-154.
crisi già dal secondo decennio del XVI secolo),133 che, nonostante
qualche sforzo di Erik XIV, solo dal 1595 per decisione di Carlo
IX riprenderà a funzionare pienamente seppure, innanzi tutto,
come centro di formazione teologica strettamente controllato dai
luterani.134 Sicché, in sostanza, coloro che desideravano procurar-
si una istruzione di livello adeguato dovettero ancora una volta
indirizzarsi all’estero: ora (per evidenti preclusioni di tipo religioso)
quasi esclusivamente alla Germania, in primo luogo a Wittemberg
e, ancora, a Rostock.135 Nel periodo della riforma il loro numero
risulta tra l’altro diminuito, per conoscere poi una ripresa verso la
fine del XVI secolo. Solo all’inizio del XVII secolo (1617) l’Uni-
versità di Uppsala potrà, almeno in parte, affrancarsi da compiti
strettamente confessionali aprendosi anche all’insegnamento di
discipline ‘mondane’.136 Qui sarà docente e anche rettore Johannes
Johannis Rudbeckius (1581-1646), una delle personalità più con-
sapevoli dell’importanza sociale di una formazione scolastica ade-
guata.137 Almeno a livello dell’istruzione superiore ci si comincia a
svincolare da una formazione di tipo strettamente confessionale.
Durante il regno di Gustavo Vasa in Svezia anche l’uso di uno
strumento culturale innovativo e ricco di potenzialità come la stam-
pa risulta fortemente condizionato dalla politica del sovrano. Sicché,
la capacità di leggere resta limitata, almeno ai livelli più bassi
dell’istruzione, alla fruizione di semplici testi di carattere religioso.138
Questo Paese viene dunque isolandosi dalla cerchia culturale
133
Vd. Annerstedt 1877 (C.7.3), pp. 43-44.
134
Vd. oltre, pp. 570-571 con note relative.
135
Del resto il riformatore svedese per eccellenza, Olaus Petri, aveva studiato a
Lipsia e Wittemberg.
136
Ancora nel 1600 tuttavia Laurentius Paulinus Gothus (1565-1646), nominato
professore di teologia all’Università di Uppsala, aveva inaugurato il suo insegnamen-
to con una prolusione, tenuta il 23 maggio, nella quale riaffermava la necessità che
qualsiasi disciplina dovesse essere asservita all’insegnamento teologico, considerato
assolutamente centrale (vd. Lundström H., Laurentius Paulinus Gothus, hans lif och
verksamhet (1565-1646), Uppsala 1893-1898, I, pp. 75-80, le indicazioni relative al
testo di questo discorso a p. 38-39, nota 3); cfr. p. 629, nota 474 e p. 800, nota 518.
137
Nel 1604 (il 12 settembre) egli, assumendo l’incarico di docente, pronunciava un
discorso dal titolo Orazione sull’utilità e al contempo sulla necessità dell’istruzione e delle
scuole (Oratio de Literarum et Scholarum Utilitate simul ac Necessitate) nel quale sono
esposti i princìpi che lo avrebbero guidato nella sua opera pedagogica. A lui si deve, tra
l’altro, la fondazione del primo ginnasio e della prima scuola femminile svedesi (1623 e
1632, rispettivamente). Su di lui vd. Scheffer H., Johannes Rudbeckius. En kämpagestalt
från Sveriges storhetstid, Stockholm 1914.
138
La situazione della stampa, del mercato librario e della censura durante il regno
di Gustavo e dei suoi figli è dettagliatamente analizzata in Schück – Warburg 19853
(B.4), II, pp. 50-56.
Nel panorama poco esaltante (se non altro dal punto di vista estetico)
della letteratura svedese del XVI secolo si distingue un anonimo compo-
nimento che con semplicità ed efficacia descrive la situazione dell’uomo
anziano:142
Povertà e malattia
se ne andavano in giro in paese;
alla fonte incontrarono il dolore;
così erano tre sorelle.
139
Per l’edizione dei “libri popolari svedesi” vd. Svenska folkböcker (Sahlgren
1946-1956).
140
Di diverso parere è tuttavia E. Noreen (vd. “Tobie commedia”, in Göteborgs
Handels- och Sjöfarts-Tidning, 13 marzo 1940, p. 3).
141
Vd. oltre, pp. 580-581.
142
Il tema della vecchiaia si ritrova già in testi poetici tedeschi e danesi del XV
secolo, così come in un componimento dal titolo Poesia sulla vecchiaia (Ellikvæði)
attribuito al poeta islandese Jón Hallsson (ca.1470-ca.1540).
Il vecchio si strofina
la testa grigia.
La vecchiaia mette alla prova
i suoi parenti.
Parenti ne ha molti
e amici ne ha pochi.
Il Signore Iddio del cielo abbia misericordia di colui
che deve fare affidamento su questo.
vegia (la sua parte più antica contava almeno cinquecento anni)
ma, soprattutto, aveva conservato per secoli le veneratissime reliquie
del re patrono ed era stato meta di numerosissimi pellegrini che da
tutto il Nord (ma anche da altri Paesi) si erano recati in quel luogo
a pregare e a implorare grazie. Questa data ha dunque una doppia
e significativa valenza: da un lato essa sancisce la sconfitta conclu-
siva (anche sul piano simbolico) del cattolicesimo norvegese, dall’al-
tro chiude definitivamente il medioevo in questo Paese.144 Il domi-
nio danese è ormai incontrastato e l’antico potere della Chiesa
viene smantellato. Ma in Norvegia, come si è visto, l’affermazione
della riforma era stata il risultato di una volontà politica imposta
dall’esterno ed estranea al sentire della popolazione: qui infatti la
borghesia (più pronta ad accogliere la nuova dottrina) era nume-
ricamente limitata e non aveva grandi mezzi, mentre la maggior
parte degli abitanti era costituita dai contadini che restavano lega-
ti alle antiche tradizioni (e che, a quanto risulta, opposero anche
una certa resistenza all’imposizione dei rituali riformati). Di con-
seguenza nei primi anni l’introduzione delle nuove norme religiose
luterane fu lenta, i vecchi sacerdoti (ai quali fu fornita una istruzio-
ne modesta e alquanto superficiale) rimasero nelle parrocchie e
anche gli edifici ecclesiastici conobbero pochi cambiamenti, il che
non di rado appare determinato dalla necessità di non creare inu-
tili (e pericolosi) motivi di risentimento nell’animo popolare.145
Questo anche se, naturalmente, dal punto di vista ‘amministrativo’
la riforma fu concretizzata in tempi abbastanza brevi: da una parte
ci fu la precoce trasformazione (ma anche la distruzione) dei con-
venti (facilitata dal diffuso disprezzo per la vita gaudente dei mona-
ci e delle suore): essi del resto già dagli anni 1528-1532 erano stati
affidati all’amministrazione di nobili funzionari statali; dall’altra la
rapida estromissione dei vescovi cattolici i cui possedimenti finiro-
no sotto la gestione di uomini di fiducia del sovrano e la cui carica
fu assegnata a ecclesiastici di nomina regia, sostituiti poi da ener-
gici e convinti luterani danesi.
Ma in un Paese (tra l’altro ancora scarsamente popolato) nel
quale non c’era una monarchia autonoma né una nobiltà forte, la
Chiesa cattolica era stata l’unico elemento unificatore: la sua elimi-
144
Vd. Ekroll 2000 (C.4.3).
145
Ciò conosce anche un riflesso sul piano artistico in quanto il rifacimento degli
edifici religiosi secondo i canoni luterani non avvenne prima del XVII secolo; in que-
sto periodo si colloca il cosiddetto “rinascimento di Stavanger”, in quanto le chiese
di quella diocesi furono artisticamente rinnovate da abili artisti (vd. Kloster R.,
Stavangerrenessansen i Rogalands kirker, Stavanger 1936).
146
Per questa ragione, evidentemente, le opere a stampa che circolavano nel
Paese erano tutte prodotte all’estero. Cfr. sopra, nota 70 (cfr. anche l’ordinanza
relativa all’assunzione di un ‘libraio’ per la diocesi di Oslo e Hamar: Winge 1988
[Abbr.], nr. 336, 2 gennaio 1575, p. 132). Il primo tipografo a ottenere il ‘privilegio’
per aprire una stamperia in Norvegia fu il danese Tyge Nilsson (nato tra il 1600 e il
1610, morto nel 1687) che giunse a Christiania (Oslo) nel 1643, rimanendovi tutta-
via (a causa di questioni processuali) solo un anno; una seconda stamperia fu aperta
nel 1647, una terza nel 1656. Bergen ebbe la sua prima officina tipografica nel 1721,
Trondheim nel 1739; vd. Ridderstad 2005, p. 1247. Un’indagine approfondita sulla
storia del mercato librario in Norvegia è stata svolta da H.L. Tveterås (Geschichte
des Buchhandels in Norwegen, Wiesbaden 1992 = Geschichte des Buchhandels,
herausgegeben von H.G. Göpfert – A. Martino et al., V), il quale ha rilevato la
presenza di ‘librai’ (verosimilmente ambulanti) nel Paese fin dal 1533. Per notizie
dettagliate sugli inizi della stampa in Norvegia si rimanda dunque a questo lavoro,
in particolare alle pp. 5-17.
147
Vd. p. 638, nota 503.
148
Vd. Heffermehl 1913 (B.8), pp. 62-63.
149
Vd. oltre, 8.2.5.3.
150
Vd. p. 483.
151
Vd. p. 496.
152
Vd. pp. 479-480.
153
Cfr. p. 479 con nota 63.
fedeli ma anche incidere profondamente sui diversi aspetti della loro vita.
Nella “Introduzione” (Formale) alla raccolta di salmi (Sálmabók, 1589)
da lui promossa, il vescovo islandese Guðbrandur Þorláksson rivolgen-
dosi “a tutti gli abitanti dell’Islanda pii e timorati di Dio” spiegava che così
come la parola di Dio doveva ora essere nota a tutti, “ricchi e poveri,
giovani e vecchi”; allo stesso modo tutti quanti avrebbero dovuto poter
cantare i salmi nella propria lingua madre, così come in Germania, in
Danimarca e in altri luoghi dove “i contadini e i cittadini, i bambini e
tutta la gente comune, sia donne sia uomini sanno cantare ogni tipo di
salmi e canti spirituali.” Il che doveva essere fatto per trarne “diletto,
gioia e divertimento nel timor di Dio.” Ma negli intendimenti del vescovo
questi canti religiosi dovevano – soprattutto – rimuovere e sostituire la
tradizione versificatoria in lingua islandese166 (della quale egli tuttavia si
mostra per qualche verso anche fiero) che per lungo tempo aveva preval-
so nel Paese. Sicché si sarebbero dovuti ora mettere da parte “[...] gli
inutili carmi, le rímur167 degli stregoni e degli antichi, i canti d’amore,168 le
canzoni licenziose,169 i poemi erotici, le canzoni di dileggio e di invettiva e
gli altri componimenti malvagi e abominevoli, [versi] osceni, canzoni d’in-
famia170 e scherno, che qui, per la collera di Dio e dei suoi angeli, per la
gioia e in favore di Satana e dei suoi demoni, sono gradite e coltivate dalla
gente comune assai più che in qualsiasi altro Paese cristiano, e più secondo
l’usanza dei pagani che dei cristiani, durante le veglie o altre occasioni di
incontro, ecc. Allo stesso modo nelle feste e nei banchetti difficilmente si
sente per l’intrattenimento qualcosa di diverso da questo futile modo di far
poesia, che Dio abbia misericordia.”171
I confini delle regioni settentrionali resteranno invece incerti in quanto non chiaramen-
te definiti da alcun trattato. Lo stesso si può dire della linea di demarcazione dal terri-
torio russo che – a parte le statuizioni dell’accordo di pace di Nöteborg (per altro
oggetto di disputa; cfr. p. 351, nota 93 e p. 378 con nota 206) – rimarrà sostanzialmen-
te imprecisata almeno fino al trattato di pace di Teusina (cfr. pp. 556-557 con nota 123).
173
Oggi essa fa parte del territorio della Federazione Russa, non lontano dal con-
fine con la Finlandia.
174
Questa scuola era stata fondata nella seconda metà del XIII secolo per rispon-
dere alle esigenze formative legate al funzionamento della diocesi.
175
Nel 1723 il vescovato di Viborg sarà trasferito a Borgå (finnico Porvoo) in Nyland
e con esso il ginnasio.
176
Qui a esempio i vescovi conservarono sotto molti aspetti una posizione di pre-
stigio e la successione apostolica (cioè l’ordinazione di nuovi sacerdoti solo da parte
di consacrati) fu mantenuta. Del resto le vicende della Corona svedese con l’ascesa al
trono di sovrani come Giovanni III (che tra l’altro era stato governatore e duca di
Finlandia) e Sigismondo, entrambi favorevoli al cattolicesimo, non avevano mancato
di far sentire i loro effetti anche da questo punto di vista.
177
Cfr. p. 1351 con nota 3.
178
La decisione di istituire questo prestigioso monastero brigidino (1438) si deve
al potente vescovo Magnus Tavast (Magnus Olai Tawast, vd. pp. 1357-1358). A lui si
deve anche la ristrutturazione e la fortificazione del castello di Kustö, non lontano da
Åbo, residenza dei vescovi finlandesi per tutto il medioevo.
179
La prima traduzione in lingua finnica della Bibbia preparata da una commissio-
ne coordinata dal vescovo Isak Rothovius (1572-1652) è del 1642: si tratta di una
pubblicazione molto curata, non certo intesa per un uso ‘popolare’. Nel 1685 uscirà
una nuova edizione (destinata a una maggiore diffusione) rivista dal vescovo di Turku
Johannes Gezelius (cfr. p. 575) e da Henricus Matthiae Florinus (ca.1633-1705; cfr. p.
606).
180
Di grande importanza per la lingua finnica è anche il codice (completato nel
1546) compilato dal vicario e pedagogo della città di Raumo Mathias Johannis Westh
(morto nel 1549): in esso è compresa la traduzione della messa in lingua finnica. Que-
sto testo tuttavia fu pubblicato per la prima volta solo nel 1893 da E.N. Setälä e K.B.
Wiklund nella prima parte dell’opera Documenti della lingua finnica, una raccolta che
contiene antichi manoscritti finnici (Monumenta lingvae fennicae / Suomen kielen
muistomerkkejä, Helsingissä 1893).
181
Vd. oltre, p. 626.
182
A parte un messale destinato alla diocesi di Åbo che venne stampato a Lubecca
da Bartholomäus Ghotan (morto nel 1494), dopo che egli era tornato da Stoccolma
(DAHL – ROSENKILDE 1957 [C.7.3], coll. 45-46).
Mikkelsen, nella quale si tessevano gli elogi del sovrano e si equiparavano i nemici del
luteranesimo ai nemici del re. Questa lettera destò vivaci reazioni (vd. tra l’altro il
brano riportato a p. 467 con nota 22).
199
Vd. Karker 2005 e Ruus 2005.
200
Lo stød è un’unità soprasegmentale (unità fonologica, come il tono, l’accento
intensivo e alcune articolazioni secondarie, che abbraccia più segmenti) connessa con
alcune sillabe (con vocale lunga o che terminano con consonante sonora) della fono-
logia danese; non si tratta di un fonema autonomo. Nella sua forma più comune si
realizza come un tipo di fonazione cricchiata (creaky voice, laringalizzazione) appli-
cato ad alcuni segmenti; in una pronuncia enfatizzata può essere realizzato anche
come un colpo di glottide. L’originaria opposizione tra accenti tonali nordici è stata
sostituita nella lingua danese da un’opposizione tra sillabe con e senza stød. Lo stød
ha funzione distintiva in quanto molte parole sono differenziate solo sulla base della
sua presenza/assenza: si vedano a esempio løber ['lø:b̥ɐ] “corridore” ≠ løber ['lø̰:b̥ɐ]
“corre” o ven ['vεn] “amico” ≠ vend ['vεn̰] “gira!” Si noti che la fonazione cricchiata,
laringalizzata (stød) è segnata con il segno diacritico [ ̰]. Questo fenomeno fonetico
verrà per la prima volta rilevato ed esaminato nell’opera del linguista danese Jens
Højsgaard (1698-1773). Vd. Hansen Aa., Stødet i dansk, København 1943 e anche
Heger S., “Stødregler for dansk”, in DS 1980, pp. 78-99.
201
A livello parlato esse restano in effetti solo nel dialetto della Scania, conseguen-
za evidente dell’influsso dell’area linguistica svedese.
Vd. Ohlsson S.O., Skånes språkliga försvenskning, I-II, Lund 1978-1979; del resto la
‘svedesizzazione’ della Scania rappresenterà un obiettivo perseguito ai più alti livelli
politici. Cfr. p. 534, nota 16.
206
Ulteriore testimonianza dell’importanza di questo lavoro per la vita religiosa e
sociale svedese è il fatto che nel 1618 (per iniziativa del re Gustavo Adolfo II) ne
usciva una nuova versione curata dall’erudito Johannes Rudbeckius (su cui cfr. p. 503)
che tuttavia riproponeva il testo sostanzialmente inalterato: Biblia Thet är: All then
helgha scrifft På Swensko. Effter förre bibliens text, oförandrat [...]; lo stesso del resto
si può dire (a parte qualche cambiamento nell’ortografia) della Bibbia di Carlo XII,
pubblicata nel 1703 che sarebbe rimasta il testo ufficiale della Chiesa luterana svedese
fino al 1917.
207
Vd. le citazioni riportate in Wessén 197510 (B.5), p. 116.
208
Vd. sotto, 9.1.2.
209
Nella seconda metà del XVII secolo compaiono in svedese (naturalmente in parti-
colare negli ambienti di corte e letterari) prestiti dal francese che in seguito saranno abban-
donati; si vedano come esempi: approchera “avvicinarsi”, iudicera “giudicare”, molestera
“Anche noi Svedesi apparteniamo a Dio così come gli altri popoli, e
quella lingua che abbiamo ce l’ha data Dio, così come ha dato le loro lingue
agli Ebrei, ai Greci e ai Latini. Non c’è distinzione di persone per Dio. Egli
non disprezza noi Svedesi più di altri popoli, e neppure disprezza la nostra
lingua più di altre lingue. Ma dal momento che egli vuole portare tutti i
popoli alla sua conoscenza e all’eterna salvezza, così egli vuole anche che
la sua sacra parola sia annunciata e predicata in tutte le lingue […] Per
questo noi Svedesi dobbiamo ben ascoltare la messa nella nostra propria
madrelingua.”214
215
Vd. 8.1.3. Assai significativo, da questo punto di vista, il fatto che il re Cristiano
IV facesse revisionare e tradurre in danese il Codice di Magnus Emendatore di leggi
(vd. pp. 368-369), che sarebbe uscito nella nuova versione, più tardi indicata come
Legge norvegese di Cristiano IV (Christian IV:s norske Lov), nel 1604.
216
Vd. pp. 419-420.
217
Solo nel 1816 verrà fondata la Società biblica norvegese (Det norske bibelselskap).
Le sue prime pubblicazioni saranno tuttavia versioni rivisitate riprese dal danese: così
il Nuovo Testamento (Nye Testamente) che reca la data del 1819 (anche se in realtà fu
pubblicato l’anno successivo) e l’intera Bibbia uscita nel 1854. Una vera traduzione
norvegese ‘autonoma’ della Bibbia uscirà solo nel 1904. Va qui tuttavia opportunamen-
te ricordato che nel 1700 ca. il filologo norvegese Jacob Rasch (1669-1737) aveva
tradotto il primo capitolo della Lettera ai Romani nel dialetto di Stavanger (vd. Kolsrud
S., “Eldste nynorske bibeltekst: Jacob Rasch ca.1700”, in Syn og Segn, LXXVII [1950],
pp. 97-111).
218
Nato a Bergen nel 1684, Ludvig Holberg perse entrambi i genitori quando era
ancora bambino. Di famiglia agiata poté completare gli studi prima presso la scuola
della cattedrale di Bergen poi all’università di Copenaghen. Dopo diversi viaggi
all’estero, nel 1717 fu nominato professore di metafisica (cfr. p. 787, nota 466), più
tardi (1720) di retorica e infine (1730) di storia. Nel 1747 per i meriti acquisiti fu
nominato barone. Trascorse l’ultima parte della vita nella sua tenuta di Sorø e morì a
Copenaghen nel 1754. Su di lui vd. oltre, pp. 789-792 e pp. 830-831.
219
Cfr. p. 426 con nota 376. Tra i migliori compositori di rímur è ricordato il conta-
dino Hjálmar Jónsson (1796-1875), noto come Bólu-Hjálmar, dal nome dalla fattoria
(Bóla nello Skagafjörður) in cui viveva. Su di lui vd. “Bólu-Hjálmar”, in BR, pp. 101-105.
220
Queste ‘canzoni’ sono designate con il nome di sagnadansar (sing. sagnadans).
Anche a loro fa verosimilmente riferimento il vescovo Guðbrandur Þorláksson quan-
230
Vd. oltre gli esempi riportati a p. 826.
231
I prestiti vanno riferiti sia all’area basso tedesca sia a quella alto tedesca. Per
semplicità tuttavia ciò non è stato specificato per i singoli esempi. Per più dettagliate
informazioni si rimanda alla letteratura critica di riferimento.
232
Per comodità sono stati scelti termini che compaiono sia in danese sia in svede-
se: le due forme (tranne nei casi in cui siano identiche) sono indicate nell’ordine.
Naturalmente in questo contesto ci si è dovuti limitare nel numero, sicché si fornisco-
no solo pochi significativi esempi tratti da diversi ambiti semantici.
233
In alcuni casi termini tedeschi giunsero in svedese per il tramite danese.
Dal tedesco sono ripresi anche i frequenti prefissi an-, be-, er-, for-/för-, e suffissi
assai produttivi come, in particolare ‑isk (ted. ‑isch), largamente utilizzato negli
aggettivi.
234
In realtà la parola è attestata in diverse forme e dunque si può pensare anche a
una provenienza dal francese. Vd. Hellquist 19803, I, pp. 431-432 e Dahlerup 1993-
1997, IX, col. 1060 (entrambi in B.5).
235
In danese tuttavia già noto in epoca precedente in alcune forme composte, vd.
Dahlerup 1993-1997 (B.5), XXI, col. 526.
236
Per indicazioni più dettagliate si rimanda a Skautrup 1944-1968 (B.5), II, p.
252-260, pp. 391-399 e a Hellquist 1929-1932 (B.5), II [Lånord], pp. 477-982),
amplissima trattazione che suddivide i prestiti per area di provenienza con indicazio-
ne cronologica. Per una sintesi della situazione si rimanda a Ekberg 2005, pp. 1308-
1311. Un particolare influsso del francese (in particolare del parigino) sul danese (ma
anche sul tedesco e sull’inglese di alcune aree) parrebbe essere, secondo alcuni, il
cambiamento di pronuncia della consonante [r] che assumerebbe così la caratteristica
articolazione posteriore di vibrante ulvulare. Questa teoria appare tuttavia poco soste-
nibile (vd. Skautrup 1944-1968 [B.5], II, p. 345).
237
In particolare per il danese si veda Skautrup 1944-1968 (B.5), II, p. 129 e p. 400;
per lo svedese Hellquist 1929-1932 (vd. nota precedente), passim (si faccia riferimen-
to alla III parte, Register, pp. 983-1101).
238
Su questi si rimanda in primo luogo a WAHLBERG 2005.
239
Vd. 11.3.3.1 (in particolare p. 944).
240
Fra i prestiti la presenza degli aggettivi con il suffisso ‑ligur, ‑igur, ‑ugur è parti-
colarmente numerosa (vd. Pétursson 2005, p. 1266; a questo articolo in sostanza qui
ci si riferisce).
Dopo gli anni dei durissimi conflitti che avevano condotto allo scio-
glimento definitivo dell’Unione, Danimarca e Svezia si erano, almeno
apparentemente, riconciliate. L’interesse di Federico I e di Gustavo
Vasa a far fronte comune contro Cristiano II – il re che in Svezia
era ricordato con l’eloquente appellativo di “Tiranno” (tyrann) –
aveva riavvicinato i due Paesi. Questo riavvicinamento parve con-
solidarsi quando salì al trono Cristiano III: nel settembre del 1541
i due sovrani si incontrarono a Brömsebro (al confine tra le regioni
di Småland e Blekinge) e stipularono un patto di collaborazione
militare che avrebbe dovuto vedere alleate per un periodo di cin-
quanta anni la Danimarca, la Norvegia e la Svezia.1 In teoria questo
patto legava i tre Paesi con vincoli molto più stretti della stessa
Unione di Kalmar: ma le guerre per il predominio che ne seguirono
lo videro completamente naufragare. La questione fondamentale
era il dominio sul Mar Baltico, dove era tramontata la potenza dei
Cavalieri dell’Ordine teutonico. In quest’area si contrapponevano
gli interessi commerciali di diversi soggetti: il Gran Principato di
Mosca, le città baltiche di Tallin, Riga, Danzica e Königsberg (che
in quest’ottica erano competitrici di Lubecca), il Regno di Polonia,
quello di Danimarca e quello di Svezia. All’interno di quest’ultimo
del resto, dopo la morte di Gustavo Vasa, la situazione era tutt’altro
che pacifica. I suoi figli, Erik XIV e il fratellastro Giovanni duca di
Finlandia, erano infatti a loro volta in conflitto per il potere su
quest’area. Nel 1561 Tallin e una parte dell’Estonia furono sotto-
messe al re Erik che garantì loro la protezione della Svezia: Giovan-
1
STFM IV, nr. 38 a, 14 o 15 settembre 1541, pp. 206-225.
5
Cfr. p. 477.
6
I successi danesi furono dovuti in particolare alla bravura del comandante Daniel
Rantzau (1529-1569) che tra l’altro guidò tra il 1567 e il 1568 una famosa campagna
d’inverno che raggiunse il territorio dell’Östergötland dove le sue truppe si diedero a
ripetuti saccheggi.
7
Nel 1567 a esempio, per pagare i costi della guerra la Danimarca triplicò l’impo-
sta per il passaggio attraverso lo stretto dell’Øresund (Øresundstolden) che era stata
introdotta nel 1427 (o 1429) dal re Erik di Pomerania (vd. p. 440).
8
STFM IV, nr. 60, 13 dicembre 1570, pp. 380-411; Sundberg 1997 (Abbr.), nr. 102,
pp. 209-211 (vd. anche in STFM IV nella medesima data il nr. 61, pp. 411-432, relati-
vo all’accordo fra la Svezia e Lubecca e il nr. 62, pp. 432-441 relativo alla Livonia).
Dopo il trattato la Danimarca restituì alla Svezia la fortezza di Älvsborg alla foce del
fiume Götaälv, tuttavia dietro il pagamento di una ingente somma (cfr. nota 10).
9
Come detto una delle ragioni del conflitto fu la disputa sui titoli e sugli stemmi
araldici dei sovrani: per sottolineare i diritti della Danimarca sulla Svezia – i Danesi
non avevano mai accettato di buon grado lo scioglimento dell’Unione di Kalmar – il re
Cristiano III aveva infatti inserito nel suo stemma le tre corone, emblema tradizional-
mente svedese. Da parte sua Erik XIV aveva inserito nel proprio i simboli danesi. La
questione non fu risolta neppure col trattato di pace e fu rimandata a successive trat-
tative. Per dare un’idea dei sentimenti di profonda inimicizia che dividevano i due
Paesi, basterà qui ricordare, a esempio, che la nave ammiraglia svedese Makalös (lette-
ralmente “Senza pari”) aveva anche il significativo soprannome di Jutehataren (letteral-
mente “Che odia gli Jutlandesi”).
10
STFM V: i, nr. 21, 20 gennaio 1613, pp. 211-220; Sundberg 1997 (Abbr.), nr. 109,
pp. 228-231 (questo trattato prevedeva tra l’altro che gli Svedesi rinunciassero a qual-
siasi pretesa sulla regione di Finnmark compresa tra il Tysfjorden e il Varangerfjorden.
Ancora una volta, alla fine della guerra, gli Svedesi dovettero pagare una enorme
somma per rientrare in possesso della fortezza di Älvsborg (cfr. nota 8).
Nella sua Storia di tutti i re degli Svedesi e dei Goti Johannes Magnus
non manca, accanto all’elogio della nazione svedese, una denuncia delle
cattive qualità dei Danesi, non da ultime quelle relative al loro modo di
esprimersi:
Erik XIV che nel corso della sua prigionia (cfr. p. 477 con nota 55) si era dedicato
a lavori di carattere letterario; successivamente era stata resa in knittelvers (vd. p.
396, nota 268) da Jonas Petri Base Gothus (1587-1644), in un testo nel quale i sin-
goli sovrani parlano in prima persona; infine era stata tradotta (1602) da Elof
Engelbrektsson Terserus (1554-1617): questi lavori tuttavia non furono pubblicati
(vd. Wieselgren H., “Reconditi labores. Otryckta böcker af svenska författare från
15- och 16-hundratalen”, I e II, in Samlaren, IX, [1888], pp. 106-107 e XI [1890],
pp. 36-37). Su Schroderus vd. Norberg A., “Ericus Schroderus som kulturspridare
och propagandamakare”, in Burius A. – Lidman T. et al. (red.), Några hyll(nings)
centimeter. Festskrift till Folke Sandgren den 15 februari 1998, Stockholm 1998, pp.
383-396.
con disprezzo e in maniera alterata, sicché dai nostri Svedesi viene com-
presa a malapena.30 Dal momento che noi nominiamo Giacomo [Iacobum]
Iacob, che i Danesi dicono Ippo, Ieppo. Giovanni [Iohannes] dai nostri
viene chiamato Iohan, [ma] i Danesi lo nominano Iusse, Iesse. Nicola
[Nicolaus] invece da noi viene detto Claus e dai Danesi Niss, Nesse: una
storpiatura che si trova in molte altre parole, storpiate dalla falsità dei
Danesi.”31
54
NGL IIR: III: i, nr. 213, 24 giugno 1509, pp. 321-322; i privilegi ai Tedeschi di
Bergen erano stati confermati ancora nel 1499, vd. ibidem, nr. 123, 19 dicembre 1499,
pp. 219-220.
55
NGL IIR: IV: i: nr. 5, 12 agosto 1513, pp. 43-44. Cfr. sopra, nota 50.
56
SGDL IV, si vedano in particolare i paragrafi intesi a regolamentare il commercio
contenuti nella Legge [di diritto] laico (passim).
57
Cfr. in primo luogo Paus 1751 (Abbr.), pp. 287-288.
58
DNT I, nr. 65 (a), 23 maggio 1544, pp. 468-470.
59
Cfr. NRR I, pp. 253-255.
60
Winge 1988 (Abbr.), nr. 148, 25 luglio 1560, pp. 66-67; vd. anche ibidem, nr. 154,
11 agosto 1561, p. 75 e ibidem, nr. 281, 27 settembre 1571, p. 115.
61
Vd. Andersson I., Erik XIV, Stockholm 1948, pp. 87-90. La città anseatica, di
conseguenza, si alleerà con il re danese Federico II nella guerra nordica dei sette anni
(vd. pp. 531-532).
62
In particolare l’amministrazione del Paese era gestita da diversi funzionari tra cui
il nobile Peder Oxe (1520-1575). Costui, caduto in disgrazia presso il re Cristiano III,
aveva dovuto fuggire all’estero, ma Federico II gli consentì di tornare affidandogli
importanti incarichi. Vd. Troels-Lund T.F., Peder Oxe et historisk billed, København
1906.
63
Il suo capitolare venne reso pubblico a Copenaghen il 17 agosto di quell’anno
(AaKG II [1856-1860], nr. 24, pp. 103-109).
64
Vd. sopra, p. 532.
65
Nella battaglia navale combattuta contro gli Svedesi nel 1644 a Kolberger Heide,
un tratto di mare tra l’isola di Femern (tedesco Fehmarn) e il fiordo di Kiel, il re – che
si trovava sulla nave ammiraglia Trefoldigheden (“Trinità”) – rimase gravemente ferito
perdendo l’occhio destro. Questo episodio è ricordato nella prima strofa dell’inno
reale danese Il re Cristiano stava presso l’albero maestro (Kong Christian stod ved højen
mast) che viene eseguito in presenza dei componenti della famiglia reale o in occasione
di cerimonie militari. Questo inno riprende le parole di una lirica contenuta nell’ope-
ra I pescatori (Fiskerne, 1778) di Johannes Ewald (su cui vd. p. 835); non è certo tut-
tavia che la melodia che lo accompagna sia attribuibile al medesimo Johan Ernst
Hartmann che compose la musica per l’intero dramma (cfr. p. 854). La scena è raffi-
gurata anche nell’affresco eseguito dal pittore danese Vilhelm Nikolai Marstrand (vd.
p. 919, nota 256, p. 920, nota 258, p. 1086, nota 552 e p. 1087) nella cappella di Cri-
stiano IV all’interno della cattedrale di Roskilde (1864-1866); uno studio per questo
affresco (ca.1864) è esposto nel Museo storico nazionale del castello di Frederiksborg
(Det Nationalhistoriske Museum. Frederiksborg Slot) a Hillerød (Selandia).
66
In particolare si venne a creare un grave dissidio tra due nobiluomini di grande
peso, Corfitz Ulfeldt (cfr. p. 613 con nota 395) e Hannibal Sehested (vd. p. 550) che
erano generi di Cristiano IV da una parte, la corte e il Consiglio di Stato dall’altra.
Durante il regno di Federico III essi caddero in disgrazia (nonostante avessero in
precedenza ben operato ricoprendo importanti incarichi) e furono costretti a rifugiar-
si all’estero. Vd. Heiberg S., Enhjørningen Corfitz Ulfeldt, København 1993 e Rian Ø.
“Hannibal Sehested og sønderjydane hans”, in FNKF, pp. 90-111 o, ben più ampio,
Boggild-Andersen C.O., Hannibal Sehested. En dansk statsmand, I-II, København).
67
Portavoce della proposta furono soprattutto il borgomastro di Copenaghen Hans
Nansen (1598-1667) e il vescovo della Selandia Hans Svane (1606-1668), che fu ricom-
pensato dal re con doni e onori, tra l’altro il titolo di arcivescovo (che nessun altro in
Danimarca ha avuto dopo di lui). Egli ottenne anche alcuni privilegi per il clero
danese. Su di lui Jørgensen J., “Bidrag til ærkebiskop Hans Svanes historie”, in KSam
VI: 1 (1966), pp. 85-136 e KSam VI: 3 (1966), pp. 575-591.
68
Vd. Heiberg 1828 e Bøggild-Andersen 19712.
69
Fin dal 1661 erano stati emanati i cosiddetti ‘Atti di sovranità’ (Souverainitets-
akterne) nei quali le precedenti forme di governo venivano dichiarate nulle e il potere
assoluto del re veniva riconosciuto dalle autorità civili e religiose (AaKG II, pp. 125-
143; vd. anche alle pp. 143-150 un analogo documento relativo alla Norvegia, all’Islan-
da e alle Forøyar).
70
Cfr. pp. 517-518.
71
Costui in realtà si chiamava Peder Schumacher (1635-1699) ed era di modeste
origini. Riuscì tuttavia a conquistare la fiducia di Federico III (per il quale lavorò alla
Legge del re) e poi di Cristiano V. Alla fine fu tuttavia accusato di tradimento e con-
dannato a morte, condanna che venne però commutata nel carcere a vita. Vd. Jørgen-
sen A.D., Peter Schumacher Griffenfeld, I-II, København 1893-1894.
72
Vd. sopra, pp. 533-534 con nota 16.
“Dopo la morte del re Cristiano III, suo figlio, il duca Federico II, andò
al governo, secondo l’unione, che era stata fatta tra i regni. Egli venne
proclamato re di Danimarca nell’anno 1542, mentre il suo signor padre
[ancora] regnava, prima a Lybers Høj78 in Scania, secondo l’antico costume,
e poi il medesimo anno in tutte le assemblee regionali di Danimarca.
Nell’anno 1547 fu inviato in Norvegia, e là ricevette l’omaggio a Oslo,
come figlio del re e prossimo erede del Regno secondo la legge. Quando
egli dopo la morte di suo padre assunse il governo, fu incoronato in Dani-
73
Costoro si erano schierati al fianco dei Danesi già nei conflitti degli anni 1657-
1660 (vd. sopra, p. 533). Dopo la sconfitta danese gli abitanti della Scania che si erano
rivoltati contro il dominio svedese subirono una durissima repressione. Sugli snapp-
hanar vd. Åberg A., Snapphanarna, Stockholm 1981.
74
Cfr. p. 448.
75
Vd. Storm G., “Om Forfatteren til det statsretlige Skrift fra 1656 „Norges Rige
Arve-Rige””, in NHT IV (1884), pp. 114-128.
76
Questo testo è conservato in una copia del manoscritto originale che si trova
nella Biblioteca reale (Det kongelige bibliotek) di Copenaghen (Gml. kgl. sml. 2834,
4to). Esso è stato edito da J. Chr. Berg. È verosimile che sia stato presentato in occa-
sione dell’omaggio dei sudditi norvegesi al principe Cristiano in Norvegia nel 1656
(vd. Meddelelser fra Det Norske Rigsarchiv, indeholdende Bidrag til Norges Historie af
utrykte Kilder, I, Christiania 1870, pp. 269-270).
77
Vd. p. 539.
78
Skt. Libers høj (in svedese Sankt Libers hög o Lerbäckshögen) è un antico luogo
di culto (a circa 2 km. dal centro di Lund in Scania) dove si trova un tumulo dell’età
del bronzo. Secondo la tradizione nessuno poteva essere legalmente considerato
sovrano danese se prima non era stato proclamato tale dalle assemblee di Viborg
(nello Jutland), di Ringsted (in Selandia) e in questo posto, che dal XII secolo costituì
il luogo di riunione dell’assemblea della Scania (sulle assemblee danesi vd. p. 340 con
nota 53).
79
Per la precisione Federico era stato nominato vescovo di Brema e principe vesco-
vo di Verden (1635).
80
Cfr. oltre, p. 759.
81
DLO nr. 130.
82
Vd. sopra, p. 482 con nota 76.
Durante l’avanzata essi del resto avevano già devastato la città di Sarpsborg (in
84
Østfold).
85
Vd. sopra, p. 532.
86
Più tardi (dal 1878) scritto Kristiania (sull’antica Christiania vd. Daae L., Det gamle
Christiania 1624-1814, Christiania 19243). A questo re fanno riferimento anche i toponi-
mi norvegesi Kristiansand (un tempo Christianssand) in Vest Agder, città fondata nel 1641
(della cui pianta rimane ora traccia solo nella rete stradale) e Kongsberg (in Buskerud),
letteralmente “Montagna del re”, nome di un insediamento cresciuto attorno a una
miniera d’argento fatta impiantare dal sovrano dopo che questo metallo era stato trovato
nella zona nel 1623. Altre città fondate nelle diverse regioni del Regno sono legate al suo
nome: Kristianopel (Christianopel) in Blekinge, sorta nel 1599 come installazione difensi-
va contro la minaccia svedese e Kristianstad (Christianstad) in Scania fondata nel 1614.
Anche Christianshavn (ormai inglobata nella città di Copenaghen) era un tempo una
località autonoma, sorta nel 1619 su un’isola artificiale che faceva parte del sistema difen-
sivo della capitale. L’uso di intitolare insediamenti urbani a membri delle case reali è del
resto ben noto anche in Svezia (vd. Wahlberg M., “The development of place-names
from the 16th to end of the 18th century”, in Bandle 2002-2005 (B.5), II, p. 1328.
87
La città riprenderà l’antica denominazione di Oslo dal 1 gennaio 1925 in seguito
a una delibera del parlamento norvegese assunta l’anno precedente (11 luglio 1924).
Sulla sua storia vd. Sønstenvold V. – Hammer S.C. et al., Kristianias historie, I-V,
Kristiania 1922-1936.
88
Vd. sopra, p. 532.
89
Nel corso di questa guerra si colloca tuttavia un celebre episodio: un gruppo
di mercenari scozzesi al servizio del re svedese cadde in un’imboscata tesa dai
contadini della valle di Gudbrandsdalen e fu quasi completamente annientato (26
agosto 1612). Questo fatto è ricordato come Skottetoget (“spedizione degli Scoz-
zesi”) o anche come Sinclairtoget (“spedizione di Sinclair”), dal nome di un
comandante di compagnia, George Sinclair (nato nel 1580 ca.) che vi perse la vita.
Esso ha lasciato tracce nella toponomastica locale e trovato eco nella tradizione
patriottica norvegese (ma anche nella ‘memoria’ danese e svedese): il poeta Edvard
Storm (cfr. p. 940) compose (1781) una Canzone di Sinclair (Zinklars vise, in Sam-
lede Digte, Kiøbenhavn 1785, pp. 142-143), recentemente ripresa da gruppi musi-
cali; più tardi (1840 ca.) Henrik Wergeland (vd. pp. 930-931) scrisse una tragedia
in tre atti dal titolo La morte di Sinclair (Sinclars død, 1830). Il pittore norvegese
Adolph Tidemand (vd. pp. 937-938 e pp. 1091-1092) ha rappresentato in un qua-
dro del 1876 conservato nel Museo nazionale di arte architettura e design (Nasjonal-
museet for kunst, arkitektur og design) di Oslo lo sbarco dei soldati scozzesi nell’Isfjor-
den. Vd. Michell Th., History of the Scottish Expedition to Norway in 1612, London
1886 e anche Grant J., The Scottish Soldiers of Fortune. Their adventures and achieve-
ments in the armies of Europe, London 1889, pp. 176-184.
90
Holmsen 1971-19774 (B.3), I, pp. 414-415.
91
Cfr. nota 66.
92
Dal punto di vista economico è tra l’altro importante la costituzione (16 agosto
1654) di una unica autorità di riferimento per le miniere norvegesi (Paus 1751 [Abbr.],
pp. 810-812).
93
Vd. sopra, p. 533 con nota 14.
94
Vd. nota 14.
95
I confini definitivi tra Svezia e Norvegia verranno stabiliti nel 1751 con il tratta-
to di Strömstad (Bohuslän): STFM VIII, nr. 52, 21 settembre-2 ottobre 1751, pp.
586-630 (ivi compreso un documento precedente del 27 febbraio 1738, pp. 620-628).
96
Legge norvegese di re Cristiano V (Kong Christian den Femtes norske lov 15de
April 1687).
97
In Islanda tuttavia il re non si appropriò dei beni vescovili.
98
Gli altri erano i feudi norvegesi di Akershus, Bergenhus e Steinvikholm.
99
Vd. sopra, p. 543.
100
LFI I, 20 aprile 1602, pp. 138-143.
112
Sull’Alþingi vd. pp. 151-152.
113
Vd. sopra, p. 476 con nota 51.
114
Cfr. pp. 477-478 e pp. 530-531.
115
Ufficialmente essi nascevano dalla necessità di definire i rapporti tra i duchi e il
re. Alla morte di Gustavo Vasa, quando il figlio Erik era salito al trono, il titolo di duca
– che risaliva ai tempi di Birger jarl (vd. pp. 350-354) – era andato ai di lui fratelli,
secondo il testamento di Gustavo medesimo. Tuttavia, la tradizionale tendenza dei
duchi a comportarsi come principi del tutto autonomi rispetto al sovrano e l’ambigui-
tà delle disposizioni del defunto re in merito ai rapporti che dovevano intercorrere tra
i ducati e la Corona, indussero Erik XIV a convocare una riunione del parlamento
nella città di Arboga (Västmanland) per definire la questione. In quella occasione egli
riuscì a far accettare ai fratelli questi “articoli” che vennero promulgati il 14 aprile 1561
(SRA I: ii, nr. 258, pp. 9-24). In essi erano poste notevolissime limitazioni all’autorità
dei duchi e il potere di fatto ricondotto nelle mani della Corona. In seguito tuttavia gli
“articoli di Arboga” sarebbero stati una delle motivazioni addotte per la destituzione
di Erik. Ma successivamente anche il re Giovanni III avrebbe ottenuto l’emanazione
dei cosiddetti “articoli di Vadstena” (Vadstena artiklar), di contenuto sostanzialmente
equivalente, con i quali egli avrebbe cercato di limitare il potere del fratello Carlo, duca
di Södermanland (vd. SRA I: ii, nr. 534, pp. 758-768, 13 febbraio 1587). Da notare che
nel medesimo anno 1561 veniva istituita in Svezia la dignità nobiliare di conte la cui
concessione spettava al re.
127
Ladislao IV, che fu re della confederazione polacco-lituana (1632-1648), ebbe
nel 1610 il titolo di zar, ma non ne esercitò mai il potere.
128
La costruzione di Göteborg riprese l’avvio nel 1619 con il re Gustavo II Adolfo
(vd. Andersson B., Göteborgs historia. Näringsliv och samhällsutveckling, I. Från
fästningsstad till handelsstad 1619-1820, Stockholm 1996, pp. 25-29).
129
Cfr. sopra, p. 532, nota 10.
130
Sulla figura di questo importantissimo uomo di stato svedese vd. Wetterberg
G., Kanslern Axel Oxenstierna i sin tid, I-II, Stockholm 2002.
131
Vd. p. 653 con nota 563.
132
Vd. Dupuy T., The military life of Gustavus Adolphus. Father of modern war, New
York 1969. Sulla storia dell’esercito svedese si rimanda a Holm T., Från allmogeuppbåd
till folkhär, Stockholm 1943. Simbolo del trionfante potere militare svedese avrebbe
dovuto essere anche l’imponente nave da guerra, fatta costruire dal sovrano con note-
vole investimento di denaro, ma che sfortunatamente si capovolse e affondò pochi
minuti dopo il varo (10 agosto 1628). Localizzata nel 1956 essa è stata recuperata dai
fondali marini nel 1961 ed è ora conservata nel Vasamuseet di Stoccolma. È comune-
mente nota come Vasa (o Wasa) ma anche come Vasaskeppet.
139
STFM V: i, nr. 35, 16-26 settembre 1629, pp. 347-358; Sundberg 1997 (Abbr.),
nr. 111, pp. 235-238. In particolare le veniva concesso di incamerare per i successivi
sei anni i proventi doganali dei porti prussiani.
140
Un tentativo di cooperazione tra Danimarca e Svezia per far fronte comune
nella guerra dei trent’anni fu fatto nel 1629 con un incontro tra Cristiano IV e Gusta-
vo II Adolfo. Poco dopo la Danimarca, la cui situazione era ormai insostenibile,
concludeva a Lubecca la pace con l’imperatore (cfr. p. 534 con nota 18).
141
Vd. tra l’altro Ringmar 1996, Part II: “Why did Sweden go to war in 1630?”
(pp. 93-186 e anche pp. 190-193).
142
Vd. Eriksson B., Lützen 1632. Ett ödesdigert beslut, Stockholm 2007. La batta-
glia di Lützen è riprodotta in quadri di noti pittori: la morte del re è rappresentata
dallo svedese Johan Wilhelm Carl Wahlbom (cfr. p. 1089, nota 563) in un quadro del
1855 che si trova nel Museo nazionale (Nationalmuseum) di Stoccolma dove sono
conservate anche due opere di Carl Gustaf Hellqvist (un olio su tela e un disegno)
relative al trasporto del cadavere del re a Wolgast (cfr. p. 1090). Sulla figura di Gusta-
vo II Adolfo è incentrato il dramma di August Strindberg (vd. pp. 1082-1083) Gusta-
vo Adolfo (Gustav Adolf) del 1900. Il poeta Johan Henric Kellgren (vd. p. 835) ha
dedicato il dramma lirico in tre atti Gustavo Adolfo ed Ebba Brahe (Gustaf Adolf och
Ebba Brahe, 1788) alla storia d’amore tra il sovrano e la nobildonna Ebba Brahe
(1596-1674); in proposito vd. Norrhem S., Ebba Brahe – makt och kärlek under stor-
maktstiden, Lund 2007.
143
STFM V: ii, nr. 41, 2/12 settembre 1635; Sundberg 1997 (Abbr.), nr. 112, pp.
241-242.
144
Vd. pp. 532-533.
145
Nei diversi conflitti che videro coinvolta la Svezia (e anche, naturalmente, la
Danimarca) grande importanza ebbero le intese intercorse con le grandi potenze stra-
niere che giocavano la propria partita sul terreno europeo. Oltre alla Francia e all’Im-
pero, furono in particolare l’Inghilterra e i Paesi Bassi a svolgere un ruolo fondamen-
tale, stante l’interesse che essi nutrivano per i traffici marittimi nel Mare del Nord e nel
Baltico. Ciò determinò una serie di alleanze tanto spregiudicate quanto instabili.
146
Tra l’altro egli portò in Svezia il preziosissimo manoscritto noto come Codex
argenteus, contenente la gran parte di ciò che resta della traduzione della Bibbia in
lingua gotica eseguita dal vescovo Ulfila (ca.310-383); insieme ad altri questo mano-
scritto fu in seguito ceduto (come forma di pagamento) dalla regina Cristina (vd. poco
avanti) a Isaak Vossius (1618-1689), noto erudito e raccoglitore di manoscritti olande-
se che era stato uno dei suoi bibliotecari. Esso venne riacquistato nel 1662 dal cancel-
liere Magnus de la Gardie (vd. p. 567) che nel 1669 ne fece dono all’Università di
Uppsala, nella cui biblioteca Carolina Rediviva esso è ora custodito (una edizione in
facsimile è stata pubblicata nel 1927). Vd. Kleberg T., Codex Argenteus. The Siver Bible
at Uppsala, Uppsala 1984 e Munkhammar L., The Silver Bible. Origins and history of
the Codex argenteus, Uppsala 2011. Cfr. nota 251.
147
Con il trattato di pace di Westfalia (STFM VI: i: 1, nr. 24, 14/24 ottobre 1648,
pp. 149-466, con tutti i documenti correlati; Sundberg 1997 [Abbr.], nr. 117, pp. 254-
263) essa infatti ottenne importanti concessioni territoriali tra cui, in particolare, il
dominio sulla Pomerania occidentale (il territorio a sinistra del fiume Oder), le isole
di Rügen, Usedom e Wolin, alcune località e parti della Pomerania orientale, la città
di Wismar (Mecklemburgo-Pomerania anteriore) e i ducati (antichi vescovati) di
Brema (non tuttavia la città) e Verden (nella Bassa Sassonia) collocati tra il basso
corso dell’Elba e della Weser.
148
Il suo diritto al trono si fondava sulle statuizioni della dieta di Norrköping
(vd. nota 137), specificamente richiamate nel corso della seduta del parlamento
tenuta a Örebro nel 1617 (vd. RMB I, p. 715) e fatte puntualmente valere da Gusta-
vo II Adolfo (Sweriges Rijkes Ständers Besluth, Som aff them eenhellelighen giordes
på then Rijksdagh som höltz vthi Stockholm, then 24 Decembris, Åhr 1627, in SFS
1627). La possibilità di una successione femminile (naturalmente con tutta una serie
di limitazioni) era del resto contemplata fin dal 1590 (in base a una deliberazione
della dieta di Stoccolma del 7 marzo, vd. SRA I: ii, nr. 585, 7 marzo 1590, pp. 923-
938). Sulla questione della successione femminile al trono si veda la panoramica e
l’analisi di Lagerroth F., “Kvinnlig tronföljd”, in Statsvetenskaplig tidskrift, LXIX:
1 (1966), pp. 1-40.
149
Sweriges Rijkes samptlige Ständers eenhällige Förklaring, öfwer H.F. Nådes Her-
tigh Carl Gustafs, Pfalzgrefwes widh Rhein i Beyern, til Gülich, Clewe och Bergen
Hertigs, Grefwes til Veldentz, Spanheimb, Marck och Rawensburg, Herres til Rawenstein,
&c. Succession til Sweriges Chrono och Rijke. Dat. Stockholm den 10. Martii, Anno 1649,
in RMB II, pp. 1105-1116.
154
È del resto ben nota la sua disordinata (e in diversi casi scorretta) gestione delle
proprie finanze.
155
La discussa vicenda di questa sovrana ha ispirato molti artisti. Non essendo qui
possibile elencare tutte le opere che vi fanno riferimento, ci si limiterà a ricordare il
dramma La regina Cristina (Drottning Christina) scritto dal re Gustavo III con la
collaborazione di Johan Henric Kellgren (su cui vd. p. 835) e rappresentato nel 1785
(si veda in JHKS II la nota a p. 367 sul contributo del re Gustavo); quello di August
Strindberg (vd. pp. 1082-1083) Kristina (1901); l’opera C. regina di Svezia. Romanzo
storico (Christina, drottning af Sverige. Historisk roman, I-II, 1861) di Wilhelmina
Stålberg (cfr. p. 477, nota 55); quella di Elisabet Kuylenstierna-Wenster (1869-1933)
La regina Moi-méme. Profilo storico (Drottning Moi-méme. Historisk silhuett, 1909); la
trilogia drammatica in versi e in cinque atti di Alexandre Dumas padre (1802-1870),
Stockholm, Fontainebleau et Rome (1830); l’opera musicale dal titolo Cristina di Svezia
(1855) del compositore austriaco Sigismund Thalberg (1812-1871) su libretto di Felice
Romani (1788-1865). Nel 1933 la celebre attrice svedese Greta Garbo (vd. p. 1192)
interpretò un film liberamente ispirato alla vita della sovrana dal titolo La regina Cri-
stina (Queen Christina) per la regia di Rouben Mamoulian (1897-1987). Più recente-
mente vanno segnalati i lavori teatrali La regina Cristina. Opera teatrale in due atti
(Queen Christina. A play in two acts, 1982) della drammaturga inglese Pam Gems
(1925-2011) e quello della scrittrice finlandese Laura Ruohonen (n. 1960) La regina K
e altri lavori teatrali (Kuningatar K ja muita näytelmiä, 2004), tradotto in molte lingue.
La biografia critica sulla figura della regina Cristina è molto vasta. Si rimanda qui in
primo luogo a Weibull 19664, Stolpe 1975 e Rodén 2008. Dal nome della regina
Cristina ha preso il proprio la località di Kristinehamn (letteralmente “porto di Cristi-
na”) sul lago Vänern in Värmland. Essa infatti (che precedentemente si chiamava Broo)
ebbe da lei restituiti nel 1642 i privilegi di città.
161
Vd. nota 14.
162
Instrumentum Pacis Perpetuæ. Eller Instrumentet af den Ewiga Freden, Hwilken
emellan Hans Kongl. Maytt. Wår Allernådigste Konungh och Sweriges Rijke, på then
eena; och Hans Kongl. Maytt. och Republiken Pohlen, Tillijka med thess Bundzförwanter
och Krijgs Consorter såsom Hans Keyserl. Mayst. sampt Hans Durchleuchtigheet Chur-
försten af Brandenburgh, på then andre sijdan Fullkommeligen är sluten och vprättad
worden vthi Olive/ på den 23. Dagh Apr. St. V. men undertecknadh och Besegladh then
30. i samma Månadh St. V. på thet Åhret effter Christi Bördh 1660, Tryckt i Stockholm
[...]. Questo trattato risolse anche controversie in cui erano coinvolti l’imperatore
Leopoldo I e il principe elettore Federico Guglielmo di Brandeburgo. Vd. Sundberg
1997 (Abbr.), nr. 121, pp. 279-282. In base a questo accordo il figlio di Sigismondo
Giovanni Casimiro II rinunciava definitivamente a qualsiasi pretesa sul trono di Svezia.
163
L’espressione è ripresa da Carlsson – Rosén 1978-19804 (B.3), I, p. 462.
164
Magnus era nipote del celebre comandante Pontus de la Gardie (cfr. p. 556). Su
di lui vd. Fåhræus R., Magnus Gabriel De la Gardie, Stockholm 1936. Cfr. p. 574, p.
591, nota 289 e p. 619.
174
Vd. pp. 452-453.
175
Vd. p. 497.
176
Questa prima accademia fu attiva fino al 1665. Cfr. p. 391, nota 252, p. 466 con
nota 19, p. 774, nota 408 e p. 884 con nota 90.
177
Si veda il documento con il quale il sovrano rinnovava lo statuto e i privilegi per
l’università (Rørdam 1868-1877, IV. Aktstykker og Breve, nr. 309, 5 ottobre 1596, pp.
424-426). Più tardi fu stabilito che per ottenere un incarico religioso nel territorio
della Corona si dovesse possedere un attestato rilasciato dall’università (ibidem, nr.
154, 7 novembre 1629, pp. 173-175; cfr. nr. 155, medesima data, pp. 175-176).
178
Vd. p. 452.
179
Tra l’altro fin dal 1566 egli vi aveva istituito la cattedra di greco (vd. Annerstedt
duta sotto Giovanni III180 per essere restituita alla sua importanza
alla fine del XVI secolo da Carlo IX.181 Sebbene anch’essa fosse un
centro di studio saldamente imperniato su una concezione cultu-
rale luterana, non di meno al suo interno fu dato spazio a nuove
discipline, inoltre per iniziativa di Gustavo II Adolfo questa istitu-
zione conobbe un vero sviluppo espresso anche nella fondazione
della sua biblioteca che resta una delle più prestigiose d’Europa.182
La ripresa della cultura avviata in questo Paese tra la fine del XVI
e i primi decenni del XVII secolo fu estesa, naturalmente, anche ai
territori sui quali la “grande potenza” svedese esercitava il proprio
dominio: sorsero così l’Università di Tartu (sved. Dorpat) in Estonia
(1632) aperta, per volere del re Gustavo II Adolfo anche a giovani
senza mezzi provenienti dalla classe contadina183 e la Reale accade-
mia di Åbo (1640), in Finlandia;184 significativa è anche la fonda-
zione dell’Università di Lund (1666) nella Scania che doveva esse-
re ‘svedesizzata’.185 E non va dimenticato che al termine della
guerra dei trent’anni la Pomerania anteriore divenne, di fatto, un
territorio ‘svedese’, sicché l’antica e prestigiosa Università di Greifs-
wald (fondata nel 1456) venne a trovarsi sotto la sfera di influenza
culturale della “grande potenza”.186 Allo scopo di preparare agli
1877 [C.7.3], pp. 60-61). Certo è vero che questo re appare, per certi versi, un principe
rinascimentale: possessore di una ricca biblioteca, si era dedicato alla composizione
letteraria e musicale, al disegno, allo studio dell’astronomia e della matematica. Ma è
altrettanto vero che egli aveva coltivato i propri interessi piuttosto sul piano personale.
180
Questo sovrano aveva infatti preferito fondare a Stoccolma un seminario teolo-
gico (Pædagogicum theologicum) nel quale (in accordo con le tendenze religiose del
sovrano) gli studenti venivano istruiti nella dottrina cattolica (1576). Successivamente
questo istituto fu trasformato in una scuola superiore (a orientamento luterano) che
ebbe tuttavia vita piuttosto breve. Dal punto di vista culturale Giovanni III mostrò
interesse quasi esclusivo per l’architettura.
181
Già nel 1593, in occasione del sinodo di Uppsala (cfr. p. 479) in cui egli (ancora
duca) aveva avuto un ruolo di primissimo piano, era stato stabilito che l’università
dovesse essere rifondata (vd. Annerstedt 1877 [C.7.3], I, pp. 82-85). Più che da
interessi culturali Carlo IX appare comunque primariamente assorbito dal raggiungi-
mento di obiettivi politici.
182
Ibidem, pp. 150-153, pp. 190-191, pp. 211-214 e pp. 265-266 (in riferimento alla
biblioteca); vd. inoltre i saggi compresi in Lundström S. (red.), Gustav II Adolf och
Uppsala universitet, Uppsala 1982; cfr. pp. 502-503.
183
Vd. Bergman J., Universitetet i Dorpat under svenska tiden. Gustav II Adolfs
sista kulturskapelse, Uppsala-Stockholm 1932.
184
Vd. p. 1360.
185
Vd. Ahnfelt P.G., Lunds universitetets historia, Första delen, Stockholm 1839,
pp. 1-49.
186
Vd. Seth I., Universitetet i Greifswald och dess ställning i svensk kulturpolitik
1637-1815, Uppsala 1952.
In questo clima ben si inquadra una figura come quella del vesco-
vo di Turku Johannes Gezelius il Vecchio (den äldre, 1615-1690),
allievo di Johannes Rudbeckius207 e grande promotore dell’istru-
zione popolare in Finlandia secondo presupposti innovativi. Egli
era del resto seguace dei princìpi pedagogici di Comenio (Jan Amos
Komenský, latinizzato in Iohannes Amos Comenius, 1592-1670), le
cui idee dovevano influenzare la nuova impostazione delle scuole
svedesi (basti pensare che il cancelliere Axel Oxenstierna lo aveva
incaricato di redigerne i programmi).208 E non va dimenticato che
l’uso della stampa permetteva di diffondere (anche, come si è visto,
a livello popolare)209 un numero discreto di opere, certamente ben
più di quelle che sono giunte ai nostri giorni.210
Per lungo tempo, dopo l’introduzione della riforma protestante
e il rafforzamento del potere della Corona danese, sia la Norvegia
sia l’Islanda erano rimaste ai margini. Nessuno di questi due Paesi
aveva una università propria, il che sottolineava la loro dipendenza
e la necessità di fare costante riferimento, in primo luogo, alla
Danimarca. Naturalmente le ‘scuole di latino’ erano state organiz-
zate anche qui e nelle località maggiori erano presenti istituti di una
certa importanza,211 non tali tuttavia da giustificare una effettiva
indipendenza culturale. E tuttavia a Oslo e a Bergen si formarono
importanti centri di studi umanistici, mentre in Islanda ci si affidò
in buona parte all’iniziativa personale: in questo Paese la lunga
tradizione letteraria si riflette nell’attività di singoli come a esempio
l’eclettico autodidatta, letterato, poeta e artista Jón Guðmundsson
207
Cfr. p. 515, nota 179 e p. 503 con nota 137.
208
Vd. Husén T., “Comenius and Sweden, and Bengt Skytte’s Sophopolis”, in Scan-
dinavian Journal of Educational Research, XLVII: 4 (2003), pp. 387-398 e Göransson
S., “Comenius och Sverige 1642-48”, in Lychnos, 1957-1958, pp. 102-137, dove si
rilevano gli aspetti politico-religiosi del rapporto tra Comenio e la Svezia nel quadro
della situazione storica dell’epoca. Comenio del resto era influenzato dalle idee di
Wolfgang Ratke (Ratichius, 1571-1635), il quale aveva presentato le proprie proposte
pedagogiche al re Gustavo II Adolfo e al cancelliere Oxenstierna. Si noti, tra l’altro,
che il famoso testo di Comenio, Janva lingvarum, apparve in traduzione svedese nel
1640.
209
Vd. p. 498 e p. 504.
210
Un ‘pedagogo’ come Johannes Gezelius mostra, a esempio, di aver ben presen-
te l’importanza del libro come fondamentale strumento di diffusione della cultura,
facendo pubblicare testi sia in svedese sia in finnico da diffondere nelle scuole della
sua diocesi. A questo scopo egli aveva fondato a Åbo nel 1668 una stamperia propria.
211
In Norvegia, in particolare, a Oslo (anche se il diritto di conferire la ‘maturità’
venne concesso anche alle scuole di Bergen, Stavanger e Trondheim; vd. Sjöstrand
19652 [C.9.3], pp. 220-221; cfr. pp. 507-508 con nota 148); in Islanda presso i vesco-
vati di Skálholt e Hólar.
212
Sui suoi interessi e i suoi testi nell’ambito dell’antica letteratura nordica vd.
Pétursson E.G., Eddurit Jóns Guðmundssonar lærða. Samantektir um skilning á Eddu
og að fornu í þeirri gömlu norrænu kölluðust rúnir bæði ristingar og skrifelsi, I (“Þættir
úr fræðasögu 17. aldar”), Reykjavík 1998. Vd. anche Guttormsson H., “Um ævi og
verk Jóns lærða”, in Glettingur, XVIII: 3 (2008), pp. 28-32.
213
Essi sono relativi al periodo tra il 1440 e il 1646. A lui sono stati per lungo tem-
po attribuiti anche gli Annali groenlandesi (Grænlands annáll) che lo studioso Ó.
Halldórsson ha invece dimostrato essere opera di Jón Guðmundsson l’Erudito. Björn
Jónsson di Skarðsá infatti si sarebbe limitato ad ampliarli e correggerli in qualche
punto (vd. Jón Guðmundsson, Grænlands annáll in EF).
214
Vd. Guttormsson Þ., Brynjólfur biskup Sveinsson, [Reykjavík] 1973, Harðarson
G., “Brynjólfur Sveinsson. En filosofisk orienteret humanist i det 17. århundrede“, in
LNNER, pp. 133-142 e anche “Brynjólfur Sveinsson, biskup”, in BR, pp. 21-24.
Secondo la consuetudine degli umanisti Brynjólfur aveva trasposto il proprio nome in
latino definendosi lupus loricatus (islandese brynja, f., “corazza” e úlfur, m., “lupo”).
215
Vd. p. 667 con nota 610. Páll Björnsson di Selárdalur è tuttavia ricordato anche
come direttamente coinvolto in processi per stregoneria e relative condanne al rogo;
su di lui vd. Þorsteinsson H., “Páll Björnsson prófastur í Selárdal”, in MÍ III, 1964,
pp. 43-84.
216
Un monopolio in molti casi difeso gelosamente: basti pensare che quando nel 1649
il vescovo di Skálholt, Brynjólfur Sveinsson ottenne l’autorizzazione a impiantare una
stamperia presso la sua diocesi, Þorlákur Skúlason (1597-1656), vescovo di Hólar (dal
1628 alla morte) si oppose con ogni mezzo, riuscendo a far naufragare il progetto.
217
Di Oddur Einarsson è noto che ebbe un aspro conflitto con Herluf Trolle Daa
(1565-1630), governatore danese dell’isola dal 1606 al 1619, un personaggio per altro
assai malvisto dagli Islandesi. Su di lui vd. Steindórsson S., “Oddur Einarsson biskup:
1559-1630”, in ÍN, pp. 8-15.
p. 536 con nota 27), è riportato nella Storia di tutti i re degli Svedesi e dei Goti di
Johannes Magnus, XVI, capp. 28-30 (pp. 533-538). A quanto pare su proposta del
medesimo Nicolaus Ragvaldi l’esclusiva discendenza del Regno di Svezia da quello dei
Goti verrà inserita nella parte iniziale della “sezione relativa al re” (konungsbalken)
della Legge generale per il Paese emanata da Cristoforo di Baviera nel 1442 (Konungx
balker, I, p. 11; cfr. p. 355, nota 111). Quando (1734) questa legge sarà modificata,
questo preambolo verrà tuttavia mantenuto: ed. cit. pp. 1-5); vd. Holmbäck Å., “Om
företalet till 1734 års lag och dennas stadfästelse”, in Lychnos, 1938, pp. 333-364. In
proposito si rimanda a Tengström L., “Muschoviten – Turcken icke olijk”. Ryssattribut,
och deras motbilder, i svensk heraldik från Gustav Vasa till freden i Stolbova, Jyväskylä
1997, pp. 340-416 e anche pp. 416-429 (sul mito dei ‘Goti svedesi’ in Finlandia). Vd.
anche Söderberg F.F.V., Nicolaus Ragvaldi och Baselkonciliet, Upsala 1902; Losman
B., “Nikolaus Ragvaldis gotiska tal”, in Lychnos, 1967-1968, pp. 215-221 e Svennung
1967, pp. 34-43.
221
Vd. pp. 538-539.
222
Vd. pp. 322-323.
229
Sul che si rimanda a p. 396 con nota 269. Su Anders Sørensen Vedel vd. tra
l’altro Karker A., Anders Sørensen Vedel og den danske krønike, København 1954.
230
Vd. pp. 535-536.
231
Testo ritrovato nella Biblioteca reale (Det kongelige bibliotek) di Copenaghen
da Johan Nordström e da lui pubblicato.
232
In questo contesto va inquadrata, a esempio, la rappresentazione avvenuta in
occasione dell’incoronazione di Gustavo II Adolfo, nella quale il re in persona inter-
pretava il leggendario sovrano dei ‘Goti’ Berig (o Berich, citato da Giordane in Getica,
IV, 25 e XVII, 94-95 e ripreso da Johannes Magnus nella sua Historia de omnibus
Gothorum [...], I, xiv, p. 37), che aveva guidato i suoi in gloriose imprese (non da
ultimo nei territori del Baltico!); vd. Ringmar 1996 (C.9.1), p. 160.
233
Genealogia Sigismundi tertii; cfr. pp. 478-479.
234
In questa veste egli entrò in acerrimo conflitto con Johannes Rudbeckius (vd. p.
503 con nota 137).
235
Che attaccò a esempio ironizzando sui risultati del lavoro dello storico del Regno
danese Hans Svaning (su cui cfr. nota 20).
236
Il nome Disa fa palese riferimento alle figure sovrannaturali della mitologia nor-
dica note come dísir (sing. dís), su cui vd. pp. 176-177. Cfr. il testo tratto dall’opera di
Olaus Magnus e riportato alle pp. 595-597. Nel castello di Venngarn (a nord di Sigtuna
nell’Uppland) si trova una sala nella quale è raffigurata la storia di Disa. L’opera (che
fu eseguita negli anni ’80 del XVII secolo) viene attribuita a un pittore di nome Lorenz
Wolter. Vd. Bygdén L., “Några studier rörande Disa-sagan”, in Samlaren, XVII (1896),
pp. 21-74. Sulla produzione teatrale di Messenius vd. Lidell H., Studier i Johannes
Messenius dramer, Uppsala 1935.
237
Essa fu tuttavia pubblicata solo negli anni 1700-1705. Vi si tratta oltre che
di Danimarca, Svezia e Norvegia, anche dell’Islanda e della Groenlandia. Su Mes-
senius si veda Schück H., Messenius. Några blad ur vasatidens kulturhistoria,
Stockholm 1920.
238
Su quest’opera vd. Olsson H., Johannes Messenius Scondia illustrata. Studier i
verkets tillkomsthistoria och medeltidspartiets källförhållanden, Lund 1944.
250
La figura di Rudbeck fu efficacemente commemorata e riproposta all’attenzione
degli studiosi svedesi da Per Daniel Amadeus Atterbom (su cui vd. pp. 923-924) con
uno scritto dal titolo Minne af Olof Rudbeck den äldre (testo in Minnesteckningar och
tal, parte I [= vol. VI: i di ASSOS, Örebro 1869, pp. 1-244]).
251
È a esempio praticamente certo che sia stato un seguace delle teorie di Rudbeck
a manipolare il manoscritto della Bibbia di Ulfila (cfr. nota 146) per portare sostegno
alle di lui tesi. Vd. v. Friesen O. – Grape A., Om Codex Argenteus. Dess tid, hem och
öden, Uppsala 1928, pp. 152-154. J.V. Johansson (“De Rudbeckianska förfalskningar-
na i Codex Argenteus”, in NTBBV XLII [1955], pp. 12-27) ha analizzato a fondo la
questione, giungendo alla conclusione che il falsario sia stato Carl (Carolus) Lundius
(1638-1715), all’epoca stimato studioso di scienze giuridiche e cognato di Rudbeck (su
di lui cfr. nota 616). Portando l’interpretazione del passo falsificato (Vangelo di Gio-
vanni, X, 23) alle estreme conseguenze si sarebbe addirittura potuti arrivare a soste-
nere che Cristo era stato nel tempio di Uppsala! Vd. anche Munkhammar 2011
(indicazioni in nota 146), pp. 148-149.
252
Vd. Schück – Warburg 19853 (B.4), II, pp. 263-264.
253
Jonas Ramus era il marito della celebre Anna Colbjørnsdatter, l’eroina della
grande guerra nordica (1700-1721) il cui nome resta legato all’attacco sferrato contro
gli Svedesi a Norderhov in Ringerike nella notte tra il 28 e il 29 marzo 1716; vd. oltre,
p. 682.
254
Un interessante precedente che quanto a fantasie patriottarde e a conclusioni
stravaganti potrebbe facilmente competere con l’Atlantide è fornito dal teologo Petrus
Bång (1633-1696) il quale in una storia della Chiesa svedese dal titolo Chiesa degli
antichi Sveogoti o storia ecclesiastica dei primi abitanti delle terre sveogotiche (Priscorum
Sveogothorum ecclesia, seu historia ecclesiastica de priscis Sveogothicae Terraæ colonis
[...], 1675) sosteneva che Adamo era verosimilmente vissuto in Svezia dove avrebbe
potuto addirittura essere vescovo! (I, vi, pp. 26-29).
255
Qui merita una citazione il lagmann (vd. p. 373) Mattis Størssøn (ca.1500-1569)
che fin dal 1551 aveva completato una sintesi della prima parte dell’opera di Snorri.
Questo lavoro fu diffuso in copie una delle quali venne in possesso dello storico dane-
se Arild Huitfeldt (vd. p. 539) e fu da lui fatta pubblicare a Copenaghen nel 1594:
Cronaca e imprese dei re norvegesi, fino al tempo del giovane Re Håkon, che morì
nell’anno 1263 (Norske Kongers Krønicke oc bedrifft, indtil unge Kong Haagens tid,
som døde: Anno Domini 1263). Si tratta dunque della prima storia norvegese a essere
stampata (anche se il titolo, l’introduzione e alcune parti sono scritti a mano). Dal
momento che la curatela del lavoro fu affidata a Jens Mortensen (erudito ed ecclesia-
stico morto nel 1595), esso è stato erroneamente considerato la “Traduzione delle saghe
di Jens Mortensen” (Jens Mortensens saga øversættelse); vd. Storm G., “Et gjenfundet
Haandskrift af Mattis Størssons Sagaoversættelse”, in NHT V [1886], pp. 271-272. È
in ogni caso più che verosimile che anche in precedenza fosse disponibile almeno una
versione dell’opera di Snorri, utilizzata in particolare da Christiern Pedersen per le sue
Cronache (cfr. p. 579); vd. Petersen – Andersen 1932-1943 [B.4], I, p. 221 e p. 417.
256
Sulla Heimskringla vd. p. 321. Su Peder Claussøn Friis vd. Faye A., Peder Clausson.
Sogneprest til Undal, Christiania 1858.
l’edizione nel 1665 dell’Edda di Snorri e dei due primi carmi dell’Ed-
da poetica a cura di Peder Hansen Resen (1625-1688), giurista,
storico, filologo e antiquario. Il primo testo, l’Edda degli Islandesi
(Edda Islandorum) è in realtà basato su un rimaneggiamento, la
cosiddetta Laufás Edda:262 a esso in ogni caso per lungo tempo si
sarebbe fatto riferimento in relazione all’opera di Snorri. La Predi-
zione dell’Indovina (Vo˛luspá)263 ebbe titolo Antichissima filosofia
norvego-danese (Philosophia antiquissima norvego-danica), mentre
il Dialogo dell’Alto (Hávamál)264 fu reso come Etica di Odino (Ethi-
ca Odini):265 entrambi i poemi furono tradotti dal poeta Stefán
Ólafsson266 (1619-1688) e commentati da Guðmundur Andrésson
(ca.1614-1654).267 Ovviamente i ‘sudditi islandesi’ – in sostanza gli
unici naturalmente in grado di comprendere l’antico e nobile idio-
ma norreno – furono progressivamente (nonostante un disinteresse
iniziale) sempre più coinvolti in questo lavoro, sicché in seguito
alcuni fra loro ebbero l’incarico ufficiale di traduttori; basti qui
citare almeno Þormóður Torfason (Thormod Torfæus, 1636-1719)
che ebbe anche il compito di ricercare nuovo materiale e fu proli-
fico autore storico: egli si interessò alle diverse terre colonizzate dagli
uomini del Nord (Føroyar, Orcadi, Groenlandia268 e persino
Vínland)269 e scrisse un voluminoso trattato dal titolo Storia della
Norvegia (Historia rerum norvegicarum, 1711), dedicato al Paese nel
quale trascorse gran parte della vita. Nonostante i molti difetti e la
forte tendenza alla ricezione dell’elemento leggendario questo testo
avrebbe costituito per molto tempo un’opera di riferimento per gli
studiosi.270 Ben più attento agli aspetti scientifico-filologici appare
262
Laufás (nel nord dell’Islanda sull’Eyjafjörður) era la parrocchia islandese in cui
operava l’ecclesiastico e letterato Magnús Ólafsson (1573-1636), il quale rielaborò il
testo di Snorri e lo tradusse in parte in latino. Entrato in possesso di una copia di
questo lavoro, accompagnata dalla traduzione danese, Resen fece completare quella
latina da Þormóður Torfason (su cui poco oltre) e la diede alle stampe.
263
Vd. p. 291.
264
Vd. p. 292.
265
In realtà alcuni versi dell’Edda poetica (due strofe della Predizione dell’Indovina)
erano stati pubblicati in precedenza, in quanto Stephan Hansen Stephanius li aveva
inseriti nel suo commento a Sassone.
266
Vd. p. 612.
267
Vd. Guðmundur Andrésson, Discvrsvs oppositivus […], pp. xx-xxii. Su di lui:
Jónsson F., “Guðmundur Andrjesson fornfræðingur (dáinn 1654)”, in Sögusafn Stefnis,
Akureyri 1894-1895, II, pp. 3-22. Cfr. p. 606 e p. 672 con nota 634.
268
Vd. oltre, p. 759.
269
Vd. pp. 123-124 con nota 98. Il suo testo Storia dell’antico Vínland (Historia
Vinlandiæ antiqvæ) uscì nel 1705.
270
Su di lui Hermannsson H., “Þormóður Torfason 1636-1719”, in MÍ IV (1965),
pp. 39-72; Titlestad T. (red.), Tormod Torfaeus. Ei innførimg, Hafrsfjord 2001;
“Þormóður Torfason, sagnaritari”, in BR, pp. 33-36 e anche Jacobsen A.U. – Synnøve
Vea M. et al. (red.), Den nordiske histories fader Tormod Torfæus, Karmøy 2004.
271
Purtroppo una gran parte della sua raccolta è andata perduta nell’incendio di
Copenaghen del 1728 (cfr. p. 685, nota 32). Vd. “Árni Magnússon, prófessor”, in BR,
pp. 37-40 e Jónsson M., Árni Magnússon. Ævisaga, Reykjavík 1998. Il celebre scritto-
re islandese Halldór Laxness (vd. pp. 1168-1169, p. 1173 e p. 1175) si è ispirato ad
Árni Magnússon per il personaggio di Arnas Arnæus nel romanzo storico La campana
dell’Islanda (Íslandsklukkan), uscito a Reykjavík in tre parti tra il 1943 e il 1946.
272
Vd. p. 396 con nota 269 e p. 518, nota 192; su Peder Syv vd. pp. 599-600.
Un’approfondita analisi del mondo culturale delle folkeviser tra il 1500 e il 1700 si
trova in Lundgreen-Nielsen – Ruus 1999-2002.
273
Come è stato detto (vd. p. 134, nota 137) potrebbe forse essere possibile iden-
tificare il leggendario Ragnarr Brache di pelo, al quale i versi sono attribuiti (vd. sopra,
nota 261), con il re danese Horik vissuto nel IX secolo.
274
Vd. p. 630.
disprezzo della morte da parte dei Danesi quando erano ancora paga-
ni, raccolte da manoscritti e documenti fino a ora inediti (Antiquitatum
Danicarum de causis contemptæ a Danis adhuc gentilibus mortis libri
tres ex vetustis codicibus & monumentis hactenus ineditis congesti,
1689), andando ben oltre il tema indicato nel titolo, compie un
itinerario nel mondo nordico del passato, per sottolineare l’eroismo
dei suoi antichi compatrioti.
Del resto Thomas Bartholin poteva ormai contare su un nume-
ro ragguardevole di ‘antichità’ riportate alla luce da diversi stu-
diosi. Tra costoro un posto di primo piano spetta senza dubbio a
Ole Worm (1588-1654). Figura di vasta erudizione (fu tra l’altro
attivo come medico) che si era formato sia in patria sia all’estero,
egli dedicò molte energie alla raccolta e alla catalogazione di ogni
tipo di materiale (documenti storici, manoscritti, oggetti antichi,275
iscrizioni runiche su qualsiasi materiale, ivi compresi i cosiddetti
calendari runici),276 ma anche di informazioni (tradizioni, usi e
costumi, nomenclature, unità di peso e di misura) ritenuti utili
per illustrare e celebrare il passato della nobile nazione danese.
In tal modo, seppure gli mancasse un corretto spirito critico, Ole
Worm diede un contributo insostituibile alla promozione degli
studi antiquari, ambito nel quale resta di fondamentale importan-
za (nonostante l’obiettiva inconsistenza delle sue osservazioni
critiche) l’impulso alla ricerca e allo studio delle iscrizioni runi-
che.277 Sebbene in precedenza i monumenti runici danesi con le
loro misteriose incisioni (ma anche le testimonianze archeologiche
più antiche come le tombe megalitiche) avessero già attirato l’atten-
zione278 e suscitato curiosità,279 era mancato al riguardo un inte-
275
Alla sua raccolta apparteneva anche uno dei due celebri corni d’oro di Gallehus
(vd. p. 87, nota 91).
276
Si trattava di calendari perpetui nei quali venivano segnati i giorni della settima-
na (indicati dai primi sette segni dell’alfabeto runico) e i numeri aurei. In taluni casi essi
indicavano anche le festività religiose. Di loro parla anche Olaus Magnus (Historia
de gentibus septentrionalibus, I, xxxiv).
277
Vd. 2.5.
278
Sassone vi fa riferimento nella sua opera, innanzi tutto nel “Prologo” (Gesta
Danorum, Præfatio, I, 3) e successivamente in diversi altri luoghi (per il dettaglio e il
commento relativo vd. Saxo Grammaticus 1979-1980 [Abbr.], II, p. 207 alla voce runes
con i rimandi ivi indicati). Egli del resto ricorda anche le tombe megalitiche, attribuen-
done la costruzione ai giganti che un tempo popolavano la Danimarca (Gesta Danorum,
Præfatio, III; cfr. p. 29, nota 62).
279
Va qui ricordato che nel 1586 Caspar Markdanner (1533-1618), signore di
Koldinghus nello Jutland meridionale, fece recuperare e risistemare la grande pietra
runica di Jelling (cfr. p. 135) destando l’interesse e l’ammirazione del mondo cultura-
le europeo.
280
Specie nell’ambiente rurale nei cosiddetti ‘calendari runici’ (vd. sopra, nota 276);
cfr. p. 84 con nota 77.
281
I, xxxvi. Anche il riformatore Olaus Petri (vd. p. 472 e pp. 500-501) aveva
mostrato interesse al riguardo: suo è un breve scritto Sulla scrittura runica (Om runskrift).
In proposito si veda Schück H., “Några småskrifter af Olavus Petri”, in Samlaren, IX
(1888), pp. 5-15.
282
Vd. p. 572.
283
Si vedano, in particolare la Tavola runica del 1599 e il cosiddetto Abbecedario
runico (Rvna ABC-boken, 1611; su Bureus cfr. p. 601 con nota 337). L’approccio di
Bureus allo studio delle rune è per molti versi scientifico, il che non impedirà ad altri
studiosi di proporre teorie del tutto fantasiose, come farà Olof Rudbeck il quale
nell’Atlantica si spingerà ad affermare che l’alfabeto runico non soltanto presenta
forti somiglianze con quello greco, ma ne è – addirittura – il modello (avendo tanto i
Fenici quanto i Greci copiato dai Nordici!) e costituisce la più antica forma di scrit-
tura esistente (I, pp. 524-542 = cap. XXXVIII; III, pp. 11-85 = cap. II).
284
Nel 1651 questo testo fu completato con la pubblicazione delle Aggiunte ai
monumenti danesi (Additamenta ad monumenta danica).
290
Il cognome Peringskiöld fu da lui assunto (in sostituzione dell’originario Perin-
ger) a partire dal 1793 quando ottenne la dignità nobiliare.
291
Costui tra l’altro fece giungere in Svezia diversi importanti manoscritti islandesi
ora conservati presso la Biblioteca reale (Kungliga biblioteket) di Stoccolma. Qui si
trovano anche (sebbene l’attribuzione non sia del tutto certa) otto suoi volumi mano-
scritti in folio (1693) contenenti un dizionario islandese che arriva fino alla lettera S:
GUDMUNDUS OLAI (OLSSON), Lexicon Islandico-Latinum (N2: 1-8); nella medesima
biblioteca sono conservati altri otto volumi manoscritti in quarto di un Lessico islan-
dese (Lexicon Islandicum) che presentano molte correzioni e cancellature (N 1:1-8):
questi potrebbero essere i lavori preparatori dell’opera.
292
I riferimenti sono, evidentemente, da considerare nella prospettiva di una storia
assolutamente ‘favolosa’. Tuttavia la Saga di Hervör e di re Heiðrekr (Hervarar saga ok
Heiðreks konungs) conserva nella parte finale (palesemente estranea al resto del rac-
conto) notizie di una qualche sostanza storica relative alle antichità svedesi (cap. 20).
Sulle saghe leggendarie vd. 5.2.4.
293
Imbarcato alla volta della Danimarca dove avrebbe dovuto condurre gli studi
superiori, Jón Rúgman fu fatto prigioniero dagli Svedesi, quando la sua nave fu da loro
catturata. Fu così trasferito a Uppsala dove completò gli studi. Lavorò poi sino alla
morte al loro servizio.
294
Proseguendo il lavoro di Bureus sulle rune egli pubblicò tra l’altro nel 1675 una
Breve introduzione alla runografia scandinava antica (Manuductio compendiosa ad
runographiam scandicam antiqvam). Il suo lessico islandese dal titolo Indice dell’antica
lingua scito-scandinava o gotica (Index lingvæ veteris scythoscandicæ sive gothicæ) fu
pubblicato postumo (1691) a cura di Olof Rudbeck.
295
Vd. sopra, p. 482 con nota 76.
300
Il titolo completo è: Veritiera descrizione della Norvegia e delle isole circostanti,
contenente ciò che è degno di essere conosciuto, sia a riguardo del Paese sia della situazio-
ne e condizioni degli abitanti, sia nel tempo passato sia ai nostri giorni; Brevemente
compendiata da S. Peder Claussøn, pastore di Undal (Norriges Oc Omliggende Øers
sandfærdige Beschriffuelse, Indeholdendis huis vært er at vide, baade om Landsens oc
Indbyggernis Leilighed oc vilkor, saa vel i fordum tid, som nu i vore Dage; Korteligen
tillsammen fattit Aff H. Peder Claussøn, Sogne præst i Undal). In precedenza egli aveva
composto anche scritti Sull’Islanda (Om Island) e la Groenlandia (cfr. pp. 758-759).
301
L’opera uscì una prima volta a Bergen nel 1739; una vera e propria edizione fu
stampata tuttavia solo nel 1763. L’autore amava sottolineare la sua appartenenza a
quelle terre remote. In un testo poetico dal titolo Una richiesta alla Signora Dorthe
Engelbretsdatter per una copia dei suoi canti (En Begiæring til Mad. Dorethe Engebrets-
Daatter [sic] om et Exemplar af hendis Sange) egli si esprime così: “Un umile saluto/
del resto io voglio mandare/ Petter Dass son di nome/ del mondo sto al limitare” (“Een
ydmyg Salutatz/ For Resten vil jeg sende;/ Mit Navn er Petter Dass,/ Som boer mod
Verdens Ende”; in PDSV, I, pp. 266-268, la citazione da p. 268). Su questo autore vd.
Midbøe H., Petter Dass, Oslo 19972; Hansen K., Petter Dass. Mennesket, makten og
mytene, Sandnessjøen 2006 e Rian Ø., “Petter Dass – Nordlands trompet”, in FNKF,
pp. 156-183; Skard S., “Petter Dass”, in Edda. Nordisk Tidsskrift for litteraturforskning,
XXXII (1932), pp. 1-17. Su Dorthe Engelbretsdatter vd. p. 611 con nota 387.
302
Come è stato detto una gran parte dei manoscritti islandesi era finita nel possesso di
personaggi eminenti della cultura e della politica danese e svedese. Rispetto a questo stato
di cose l’unico contributo di rilievo al ‘recupero’ della storia patria e del senso dell’identi-
tà nazionale fu l’edizione (1688), promossa dal vescovo di Skálholt Þórður Þorláksson
(1637-1697) di tre testi fondamentali: il Libro dell’insediamento (Landnámabók), il Libro
degli Islandesi (Íslendingabók) di Ari Þorgilssson il Saggio e la Saga della cristianizzazione
(Kristni saga); su questi testi cfr. nell’ordine, p. 310 con nota 85, p. 260 e p. 182, nota 318.
303
Cfr. p. 576 con nota 217.
304
Questo testo fu pubblicato solo nel 1928 da Fritz Burg che lo attribuì erronea-
mente a Sigurður Stefánsson (morto nel 1595), docente presso la scuola di Skálholt.
Sulla questione del suo autore si rimanda a Sigmarsson E., Draugur vakinn upp. Hver
er höfundur Qualiscunque descriptio Islandiae?, Reykjavík 2002.
305
Cfr. p. 146.
306
Di lui ci restano in particolare i Frammenti di storia danese (Rerum danicarum
fragmenta) basati sulla Saga degli Skjo˛ldungar (Skjo˛ldunga saga) un testo che è andato
quasi completamente perduto e rispetto al quale dunque l’opera di Arngrímur (com-
pletata nel 1596) costituisce un insostituibile punto di riferimento (il testo di questo
scritto, che all’epoca non fu pubblicato, è conservato in una copia che si trova presso
la Biblioteca reale (Det kongelige bibliotek) di Copenaghen (Bartholins Samling, nr.
25). Vd. “Arngrímur lærði”, in BR, pp. 13-16. Cfr. il testo riportato alle pp. 607-608.
307
Vd. Ólason – Guðmundsson et al. 1992-2006 (B.4), II, pp. 491-494. Interes-
santi in questo contesto sono anche due brevi scritti di Gísli Oddsson (1593-1638),
succeduto al padre Oddur Einarsson come vescovo di Skálholt, dal titolo Miscuglio
degli annali d’Islanda (Annalium in Islandia farrago, 1637) e Delle meraviglie dell’Islan-
da (De mirabilibus Islandiae, 1638).
308
Come è noto l’opera di Olaus Magnus è riccamente illustrata. Vd. figura nr. 46
309
Si tratta del Fyrisån, che tuttavia non è affatto un fiume “vastissimo”.
riti le biade e i raccolti per dell’effetto del clima rigidissimo, consigliò che,
affidandosi alla sorte, [una parte] lasciasse il suolo natale, cercando in
terre straniere oltre il mare una dimora in cui vivere pacificamente, e col-
tivasse con cura le [terre] cercate, piuttosto che essere privati della vita
dalla rozza crudeltà di taluni uomini sconsiderati. Né tuttavia questa emi-
grazione di popoli dalla penisola scandinava è quella che Paolo Diacono
ricorda a proposito dei Longobardi.310 La causa poté essere simile: ma [c’è]
un lunghissimo intervallo di tempo dal regno di questa Regina Dysa, e
diverso [è] l’ordinamento, il modo, la massa dell’innumerevole moltitudi-
ne e l’importanza. Dal momento che in verità, il mio dilettissimo fratello
e predecessore Johannes Magnus Arcivescovo di Uppsala fa menzione di
questa cosa nella sua storia,311 rimando il lettore incuriosito a quanto detto
da lui e ritornando ai mercati invernali sul ghiaccio, dico che facendo rife-
rimento a un segnale e a un tempo fisso tutti i popoli settentrionali, e le
nazioni vicine a loro, hanno l’abitudine di osservare rigorosamente in
questo modo l’usanza dei mercati: così, si intende, che il plenilunio seguen-
te la prima ricomparsa della luna che avvenga dopo il giorno o [anche dopo]
la mezzanotte dell’Epifania in gennaio, determina infallibilmente il segnale
e il tempo in cui tutti hanno la possibilità di recarsi ai suddetti mercati nel
luogo ben noto a ciascuno; tuttavia tenendo a mente questo, che prima e
durante e dopo l’illuminarsi di quello considerino istituiti i commerci,
finché la luna calante col suo chiarore indichi a ciascuno [che è il momen-
to di fare] ritorno al luogo da cui proviene. Dunque le cose che per il
desiderio e l’uso dei commercianti vengono trattate sono di ogni genere:
naturalmente le pelli preziose di diversi animali, certamente vasi d’argen-
to da mettere in tavola, e per [soddisfare] l’inesauribile [desiderio di]
ornamento delle donne, certamente cereali, articoli di metallo, di ferro, di
rame, di stoffa e generi alimentari; i quali vengono più frequentemente
venduti in base a una giusta stima, piuttosto che a peso, con reciproco e
cordiale consenso. Fanno eccezione le cose di cui la sagace lungimiranza
dei governatori consideri che la gente del luogo possa chiedere per le pre-
senti e le future necessità: come sono cereali, cavalli da battaglia, alimenti
sfusi del burro, dei formaggi e della carne di maiale conservata; generi di
cose che in caso di guerra imminente è proibito, con pubblico decreto raf-
forzato da pene, cedere ai commercianti stranieri o ai loro rappresentanti.
Inoltre ci sono dei mercati [invernali] sul ghiaccio su un lago congelato,
detto Mälaren, attorno alla fine di febbraio, presso le mura della città di
Strängnäs. Più tardi a metà marzo nel territorio di Jämtland nelle montagne
della Svezia e della Norvegia in un luogo detto Oviken312 vengono tenuti
altri mercati sopra il ghiaccio; senza dubbio in molti luoghi a metà o fine
310
Cfr. pp. 76-77 con nota 50.
311
Il riferimento è, naturalmente, alla Storia di tutti i re degli Svedesi e dei Goti
Historia de omnibus Gothorum Sveonumque regibus (su cui vd. pp. 535-536).
312
Con ogni probabilità si tratta della località che porta questo nome, situata nel
comune di Berg nella regione di Jämtland in Svezia.
313
Historia de gentibus septentrionalibus, IV, vi; DLO nr. 132.
314
“Patrioti della lingua” (Sprogets patrioter) sono opportunamente definiti da Peter
Skautrup (Skautrup 1944-1968 [B.5], II, pp. 307-309) gli autori che in questo periodo
si dedicarono allo studio della lingua danese.
315
Vd. ibidem, p. 308.
316
Come è noto Martin Opitz (1597-1639), era autore di un trattato in difesa della
lingua tedesca dal titolo Aristarco ovvero, del disprezzo della lingua tedesca (Aristarchus
sive De contemptu linguæ teutonicæ, 1617). Anche il suo Libro sulla poetica tedesca
(Buch von der Deutschen Poeterey, 1624) ebbe ampia risonanza nei Paesi
nordici.
degli idiomi volgari e della teoria poetica, che rivendicano nel loro
lavoro l’amore per la propria lingua, naturale conseguenza di quel-
lo per la propria patria. Nelle loro opere princìpi sostanzialmente
scientifici si mescolano ad affermazioni prive di qualsiasi fonda-
mento (in primo luogo sul piano delle parentele linguistiche e su
quello etimologico),317 coerenti tuttavia con la cultura imperante
dell’epoca (non da ultimo col ruolo attribuito alla Bibbia come
imprescindibile punto di riferimento di ogni verità).318
In Danimarca Hans Mikkelsen Ravn (Johannes Michaelius Cor-
vinus, 1610-1663) autore di un breve trattato dal titolo Esercizio
della lingua danese (Linguæ danicæ exercitatio) cerca un posto per
il danese fra le lingue del mondo, partendo dal racconto biblico
sulla torre di Babele, e si scaglia contro la ricezione delle parole
straniere non indispensabili, paragonandole a una malattia che
aggredisce la semplicità dell’amato idioma patrio.319 In seguito egli
317
Qui il termine “etimologico” è inteso secondo i canoni della linguistica moder-
na; si noti tuttavia che nelle opere di questi autori esso viene altresì riferito (senza
chiare distinzioni) ad aspetti morfologici. Come esempio di etimologie assolutamente
stravaganti basti qui citare l’interpretazione del nome dei Goti e dei Cimbri proposta
da Søren Poulsen Judichær (sul quale poco più avanti): “Ma io suppongo che questa
parola Goti [Gother], sia formata dalle due parole danesi Got-her. Poiché quando gli
antichi Goti giungevano in fertili terre straniere, che erano migliori delle loro, in tem-
po di carestia, allora essi dicevano: Qui è buono [Got-her, vale a dire Her er got] [...]
E così gli stranieri diedero loro il nome di Goti [Gother], conformemente a quella loro
stessa espressione di giubilo, e per questo fu messa la lettera (H) nel mezzo della
parola, dunque Gothi. E mi pare che i Latini abbiano formato questa parola Cimbri,
dalla parola danese Kimper o Kemper [Eroi]. Ciò, dal momento che i Cimbri, parago-
nati a quelli che essi sottomisero erano il popolo amante della guerra, eminente,
grande […] ed essi stessi si erano dati nome Kemper (o Kimper nel dialetto dello
Jutland, poiché gli Jutlandesi erano fra loro la maggior parte) [...]” (da Prosodia
danica, Eller danske Riimkunst, 1671; DLO nr. 133)
318
Parallelamente l’ebraico veniva considerato da molti come la lingua madre
di tutte le altre. Come esempio basti citare un’opera del danese Peder Jensen
Wandal (1602-ca.1659) dal titolo Elenco di 300 parole e glosse danesi, che non soltanto
si accordano con la sacra lingua ebraica, ma da essa traggono altresì la propria origine e
il proprio inizio (Catalogus CCC Vocabulorum Danicorum, quæ non tam cognationem
cum sancta Ebræa lingva habent, quam eidem natales suos debere comperiuntur. Det er:
En Fortegnelse Paa 300 Danske Ord oc Gloser, Som icke alleeniste komme offuereens
med det hellige Ebræiske Tungemaal, men end oc haffue deraff deris oprindelse oc
begyndelse, 1651); lo sforzo dell’autore di dimostrare la stretta affinità tra l’ebraico e
il danese conduce – come è facile attendersi – a risultati assolutamente fantasiosi. Vd.
PETERSEN C., Peter J. Wandal, København 1924.
319
L’opera, scritta tra il 1636 e il 1640, non fu pubblicata ed è conservata in un
manoscritto (che pare essere di mano dell’autore): Gml. kgl. sml., 764 fol., custodito
nella Biblioteca reale (Det kongelige bibliotek) di Copenaghen); vd. Rørdam H. Fr.,
“M. Hans Mikkelsen Ravn. Et Bidrag til den danske Literaturhistorie i 17de Aarhun-
drede, in DHT III: 4 (1865-1866), pp. 495-584 (in particolare pp. 501-512).
320
Vd. oltre, p. 628.
321
In questo ambito ispirandosi a Martin Opitz: si veda il Brevissimo compendio
dal manoscritto di Metrica danese (Ex Rhythmologia danica msc. epitome brevissima).
Le opere degli studiosi danesi di metrica sono raccolte in ed. facsimile in DM.
322
In essa, pubblicata postuma, è ripreso e ampliato un lavoro precedente: Sinossi
della prosodia danese (Synopsis Prosodiæ Danicæ). Vd. Rørdam H.Fr., “Søren Povlsen
Judichær Gotlænder”, in Ksam, III (1881-1882), pp.1-93.
323
DLO nr. 134-135.
324
Come si è visto i Danesi avevano individuato i propri nobili antenati nei Cimbri,
ma anche nei Goti, questi ultimi tuttavia rivendicati con forza come propri dagli Sve-
desi. L’uso degli aggettivi “cimbrico” e “gotico” va dunque considerato in questo
contesto. Nell’opera di Peder Syv tuttavia (ma non si tratta di un caso isolato) l’agget-
tivo “cimbrico” è riferito in generale alle lingue nordiche e al tedesco, sebbene poi egli
tratti soprattutto del danese. Su di lui vd. Horn Fr. Winkel, Peder Syv, en litærer-
historisk Studie, København 1878.
325
In ciò seguendo la teoria di Ole Worm, su cui vd. pp. 589-591; cfr. nota 318.
333
La definizione si trova in quella che è considerata la prima storia della letteratu-
ra svedese ‘annotata’ dal poeta romantico Per Daniel Amadeus Atterbom (vd. pp.
923-924): Poeti e visionari svedesi o fondamenti della tradizione storico-letteraria svede-
se fino a e compreso il periodo di Gustavo III (Svenska siare och skalder eller Grund-
dragen af Svenska Vitterhetens Häfder intill och med Gustaf III:s Tidehvarf, III: 2, p. 3).
334
Vd. sopra, nota 324.
335
Il termine svedese fatebur (sved. mod. fat(a)bur), qui tradotto con “corredo”
significa più precisamente “locale in cui vengono conservate le provviste”, o “stanza
per il vestiario”, “guardaroba”, per traslato “materiale di cui si dispone”, come mostra
l’espressione ur egen fat(a)bur “di propria inventiva” o, più banalmente, “farina del
proprio sacco”.
336
In realtà di quest’opera uscì soltanto la parte riguardante la lettera A. Essa cer-
tamente riprende il lavoro preparatorio per un dizionario etimologico dell’antico
svedese che Stiernhielm in realtà non completò mai.
337
Il titolo doveva essere Saggio dell’antica lingua scandinava (Specimen primariæ
linguæ Scanzianæ), nel che si allude forse allo studio di una fase arcaica; il suo lavoro
come grammatico è esaminato approfonditamente in J.Th. Bureus, den svenska gram-
matikens fader, utarbetad af Hj. Lindroth, Lund 1911-1912. In realtà quella di Bureus
non sarebbe stata la prima grammatica svedese. Nella seconda metà del XVI secolo,
infatti, nell’ambito dell’attività controriformatrice portata avanti soprattutto dai gesui-
ti, risulta la redazione di un testo per l’apprendimento della lingua svedese da parte di
coloro che dovevano attuare l’opera missionaria di riconversione (vd. Ahlqvist A.G.,
“Anteckningar om en svensk språklära under 16:de seklet”, in Historiskt bibliotek, VI
[1879], pp. 259-269).
338
Vd. Nordström J., “Till frågan om Skogekär Bergbo”, in Samlaren, XXXVIII
(1917), pp. 165-192 e Chiesa Isnardi G., “Un petrarchista svedese: Skogekär Bergbo”,
in Studi di letteratura italiana in onore di F. Montanari, Genova 1980, pp. 133-134 (dove
si dà conto delle diverse ipotesi sulla sua identificazione).
339
Sul testo vd. lo studio di E. Källquist nell’edizione da lui curata (riferimento in EF).
340
Il testo porta il titolo Introduzione alla poesia svedese. Cioè un breve manuale
sulla poetica svedese, arte del verso e della rima (Manuductio ad poesin svecanam. Thet
är, En kort handledning till thet Svenske Poeterij, Verß- eller Rijm-Konsten, 1651); vd.
Levertin O., “Andreas Arvidi Manuductio”, in Samlaren, XV (1894), pp. 79-96. Come
Hans Mikkelsen Ravn (vd. pp. 598-599) egli si rifà alla poetica di Martin Opitz.
341
Di fronte al problema della molteplicità dei dialetti Columbus suggerisce di
operare una scelta. Secondo lui lo svedese migliore si parla a Stoccolma, in Östergöt-
land e in Småland (vd. Wessén 197510 [B.5], pp. 118-119 dove sono riportate le
parole dell’autore stesso). Vd. su di lui Ekholm R., Samuel Columbus. Bidrag till
kännedomen om hans levnad och författarskap, Uppsala 1924.
342
Vd. pp. 582-584.
343
Cfr. p. 612, p. 614, p. 631, nota 484, p. 643 con nota 526, p. 767 e p. 833. Negli
studi di carattere linguistico Urban Hiärne entrò in aperta polemica con Jesper Swed-
berg (sul quale vd. p. 608 e p. 818, nota 616). Si veda Ohlsson S.Ö., Språkforskaren
Urban Hiärne, Lund 1992.
svedesi, cioè le dèe del canto che ora per la prima volta insegnano a
poetare e a recitare in svedese, 1668) o ai sonetti in stile petrarchista
di Skogekär Bergbo (Wenerid, 1680), preceduti da un testo intro-
duttivo rivolto “Al lettore” (Til Läsaren) nel quale egli esplicita-
mente rivendica il valore dello svedese come idioma poetico.344 A
parte studi che per qualche aspetto possono avere interesse in
questo contesto345 le prime grammatiche svedesi vere e proprie
compaiono verso la fine del XVII secolo.346
In Norvegia, come si è visto, mancavano del tutto i presupposti
sociali e linguistici per un percorso parallelo. E tuttavia occorre qui
segnalare la figura di Jørgen Thomassøn (morto nel 1655), al qua-
le molto probabilmente va attribuito un brevissimo lavoro gram-
maticale che ha per oggetto la lingua norvegese (dunque non il
dano-norvegese!): Piccolo avvio per una grammatica norvegese (En
liden Begyndelse til en norsk Grammaticam).347
In Islanda, come si è constatato in precedenza, l’amore per
l’idioma nazionale era ben radicato e studi di carattere linguistico
risalivano addirittura al XII secolo.348 Nonostante l’ormai consoli-
data dipendenza politica ed economica dalla Danimarca (fattore
che, come si è rilevato, determinò per gli Islandesi un periodo di
gravissima crisi)349 nel Paese ci fu tuttavia chi ebbe la possibilità di
dedicarsi a studi letterari e linguistici (spesso trasferendosi in Dani-
marca): a costoro era ben chiara la necessità di preservare l’antica
344
Vd. Chiesa Isnardi 1980 (indicazioni in nota 338), p. 136 e nota 19.
345
Vd. Hovdhaugen 1987, pp. 77-78.
346
Nel 1682 abbiamo un lavoro breve e incompleto di Gabriel Wallenius (1648-
1690), Progetto per una grammatica svedese messo su carta velocemente e con buone
intenzioni (Project af swensk grammatica hastigt och wälment å papperet gifwit); nel
1684 il Saggio di grammatica svedese (Grammaticae Svecanae Specimen, edito solo nel
1884 da Gustaf Stjernström) di Ericus Aurivillius (1643-1702), nel quale si fanno
alcuni riferimenti (con citazioni) al lavoro di Bureus; poi una Grammatica svedese
(Grammatica svetica, 1696), per altro non pubblicata, scritta da Johan Salberg (al cui
proposito si rimanda ad Andersson A., Om Johan Salbergs Grammatica svetica. Ett
bidrag till kännedom om 1600-talets svenska, Uppsala 1884, opera di cui tuttavia è
uscito solo il primo volume); poi ancora la Grammatica svedese, ossia l’arte del parlare
e dello scrivere in svedese (Grammatica suecana, Äller En Svensk Språk- Ock Skrif-Konst,
1696) di Nils Tiällmann (1652-1718). Nella categoria delle ‘grammatiche’ svedesi
rientra anche uno scritto di Jacob Boëthius (1647-1718), Dissertazione di alcuni para-
grafi riguardanti la pratica della lingua svedese (Dissertatio de nonnullis ad cultum sve-
tici sermonis pertinentibus paragraphis, 1684).
347
Si tratta in realtà solo di pochissime pagine che trattano della pronuncia e dei
verbi forti. Il suo interesse per la lingua madre è riflesso anche in una piccola raccolta
di proverbi della regione di Vest Agder dal titolo Qualche proverbio norvegese (Nogle
faa Norske Ordsprog, 1625 circa).
348
Hovdhaugen 1987, pp. 74-75; vd. p. 429 con note 380-381.
349
Vd. pp. 551-552.
350
Vd. Benediktsson J., “Arngrímur lærði og íslenzk málhreinsun”, in Böðvarsson
Á. – Halldórsson H. et al. (ritnefnd), Afmæliskveðja til próf. dr. phil. Alexanders
Jóhannessonar háskólarektors, 15. júli 1953 frá samstarfsmönnum og nemendum,
Reykjavík 1953, pp. 117-138; si veda il testo che segue questo paragrafo. Cfr. pp. 594-595.
351
Solo nel 1811 sarebbe infatti uscito il testo del celebre filologo danese Rasmus
Rask Guida all’islandese o antica lingua nordica (vd. p. 823 con note 648 e 649).
352
Gli elementi delle lingue settentrionali basati su tre affermazioni (Lingvæ Septen-
trionalis Elementa Tribus Assertionibus Adstructa, 1651). Egli sosteneva tra l’altro che
il norreno era la lingua portata da Odino nel Nord quando questi (secondo il raccon-
to di Snorri Sturluson, Ynglinga saga, cap. 5) vi si era trasferito provenendo dall’Asia
(p. 3 del testo, per altro non numerata).
353
Cfr. pp. 496-497, p. 517, pp. 578-579 e p. 636, nota 499. La stesura di un dizio-
nario latino-danese era stata progettata anche da Jacob Madsen Aarhus (1538-1637),
un autore che in precedenza si era interessato (con ragguardevole scientificità) di
fonetica. I testi preparatori per quest’opera, che la morte prematura gli impedì
di portare a termine, sono purtroppo andati perduti, insieme ad altri suoi scritti,
nell’incendio di Copenaghen del 1728 (cfr. p. 685, nota 32).
354
Il nome fa riferimento alla scuola di Herlufshom (vd. p. 574), presso la quale
Poul Jensen Colding prestò la sua opera tra il 1622 e il 1631; egli dichiara esplicita-
mente di aver chiamato il proprio dizionario “herloviano” per questo motivo.
355
Per altri dizionari danesi vd. Skautrup 1944-1968 (B.5), II, p. 148 e Adams –
Zeeberg 2010 (C.8.2).
Norge findis oc kaldis. Item Bondens Seyerserck oc Allmanach som kaldis Primstafven.
Vd. Giil H.S., Ein grafofonematisk studie av Christen Jensøns “Den Norske Dictionarium
eller Glosebog”, med ei utgreiing om mannen og verket hans, Bergen 1970. Per la verità
fin dal 1634 Jens Bielke (vd. p. 759) aveva inserito in un’opera sulle leggi un elenco di
termini giuridici norvegesi corredato di spiegazione (Termini Juridici, utgjevne for
Kjeldeskriftfondet ved S. Kolsrud, Oslo 1952; vd. Skard 1972-1979 [B.5], II, p. 67-68).
362
Cfr. nota 262.
363
Come pure quello di Guðmundur Ólafsson; vd. p. 604 e nota 291.
364
Cfr. p. 587.
365
Cfr. p. 515, nota 179. Va segnalato che nel 1644 comparve la prima di tre edi-
zioni del sopra menzionato dizionario Variarum rerum vocabula con traduzione in
finnico (vd. Johansson 2000, citato alla nota 357). Per una informazione più dettaglia-
ta sui primi dizionari di lingua finnica si rimanda a Romppanen B., “Från ordlista till
ordbok. Utvecklingen av den finsk-svenska ordboken från 1600-talet till idag”, in LN
VII (2000), pp. 102-104 e, della stessa autrice: “Från målspråk till källspråk. Utveck-
lingen av den finsk-svenska och den enspråkiga finska ordboken”, Vaasa 2001.
Sebbene per il suo scritto più celebre, Terra del ghiaccio (Crymogæa,
1609) avesse scelto di utilizzare quella lingua latina che ne avrebbe garan-
tito la diffusione fra gli eruditi, Arngrímur Jónsson era ben consapevole
dell’importanza della salvaguardia del nobile idioma islandese:
“Del resto questa lingua una volta era detta danese o norreno368 e ho
detto che solo gli Islandesi la usavano inalterata, se si esclude la prima con-
sueta e inevitabile causa di tutti i cambiamenti delle lingue […] che consiste
nello scorrere del tempo, dal momento che non solo le lingue ma anche
tutte le [altre] cose mutano e tutto [ciò che appartiene alla] natura decade
[...] Perciò non si dovrà negare che ciò possa essere avvenuto sotto qualche
aspetto anche per la nostra lingua, tuttavia non così in profondità o in un
tempo così breve. Per preservare la cui purezza noi possiamo basarci in
particolare su due elementi: da una parte i manoscritti che conservano l’an-
tica purezza della lingua e il [suo] mirabile stile, dall’altra i limitati contat-
ti con gli stranieri. Ma io vorrei che i miei compatrioti in questo tempo ne
aggiungessero un terzo: vale a dire che essi non scimmiottassero i Danesi
366
Del resto l’idea che la Finlandia appartenesse senz’altro alla Svezia e dunque ne
condividesse, almeno in parte, il glorioso passato ‘gotico’ si ritrova nell’opera di Petrus Bång,
professore di teologia a Åbo (cfr. nota 254).
367
È certamente per fare sfoggio della propria erudizione che Erik Pontoppidan
(vd. p. 600) nella prefazione alla sua opera (pp. 12-13) cita più di cento grammatici!
368
Vd. pp. 157-158.
369
Da Crymogæa (DLO nr. 136).
370
Vd. p. 517, nota 189. In realtà Thomas Kingo aveva fin dal 1689 dato alle stam-
pe un Libro dei salmi ufficiale della Chiesa danese e norvegese – Sezione invernale (vale
a dire inni per il periodo che va dall’Avvento al periodo della Pasqua). Questo testo
(Danmarks og Norges Kirkers forordnede Psalme-bog – Vinter part) fu tuttavia quasi
immediatamente cassato. In seguito a una lunga e complicata questione egli dunque
non partecipò alla redazione del nuovo testo uscito poi nel 1699, un lavoro nel quale
furono comunque inseriti diversi salmi originali da lui composti e comparsi in raccol-
te precedenti. Vd. Svendsen E. Norman, “Kingos Salmebog. En studie over dens
forhistorie”, in KSam VI: 2 (1966), pp. 343-375.
371
Seppure non di sua mano l’anonima raccolta Swenske songer eller wisor (vd. p.
521) fu probabilmente realizzata anche con il suo contributo.
372
Su di loro gli scritti di Helander J., Haquin Spegel. Hans lif och gerning intill år
1693, in UUÅ 1900 e Tottie H.W., Jesper Swedbergs lif och verksamhet, I-II, Uppsala
1885-1886.
373
Vd. p. 594.
374
Cfr. p. 486, nota 83. Cfr. anche p. 511.
375
Come chiaramente testimoniano i racconti popolari islandesi. Vd. Íslenzkar
þjóðsögur og ævintýri, III, pp. 471-472 (cfr. I, p. 458, II, p. 496, III, p. 576, V, pp. 353-
354 e pp. 466-467). In questi testi si allude esplicitamente al fatto che, prima di diven-
tare uomo di Chiesa (Hallgrímur fu consacrato sacerdote nel 1644), egli fosse dedito
a pratiche magiche. A ciò si lega forse anche la sua complicata storia d’amore con una
donna che faceva parte del gruppo di coloro che erano stati riscattati dalla schiavitù nel
Nordafrica (vd. pp. 552-553). Su di lui, tra l’altro, “Hallgrímur Pétursson, sálmaskáld”,
in BR, pp. 25-28.
376
In questo contesto vale forse la pena di citare Gunno Eurelius Dahlstierna (1669-
1709) autore del panegirico in memoria del re Carlo XI (1698) che in uno stile baroc-
co quasi esasperato inquadra la figura del re sullo sfondo della grandezza del Paese.
Su di lui vd. Lamm M., Gunno Dahlstierna. Minnesteckning, Stockholm 1946.
377
In questo ambito merita una citazione almeno il danese Rasmus Glad (latinizza-
to in Erasmus Laetus, 1526-1582).
383
Si trattava del celebre scritto del sofista Prodico (Πrόδικος) di Ceo (V secolo
a.C.) dal titolo, di significato incerto, Ὧραι (il riferimento è forse alla giovinezza o alle
stagioni della vita). L’opera, andata perduta, è riassunta da Senofonte.
384
Riprendo qui l’espressione, che mi pare particolarmente efficace, di M. Gabrie-
li (Gabrieli 1969 [B.4], p. 133).
385
Il suo vero nome era Lars Svensson di Wivalla (località presso Örebro), latiniz-
zato in Laurentius Svenonis Wivallius. Vd. Schück H., En äfventyrare. Värklighetsroman
från det trettioåriga krigets tid, Stockholm 1918 e Bergh B., Lars Wivallius. Skojare och
skald, Lund 2005.
386
Lasse Lucidor è, in realtà, lo pseudonimo di Lars Johansson. Vd. Schück H.,
“Till Lucidors biografi”, in Samlaren XII (1931), pp. 1-4 e Olin L., Om Lars Johansson
Lucidor, hans levnad och andliga diktning, Trelleborg 1974.
387
Dorothe Engelbretsdatter, Samlede skrifter, utgitt av Kr. Valkner, med
etterord av L. Akslen og I. Vederhus, Oslo 1999, p. 416.
394
Tra cui mi pare meriti qui una citazione il Libro di viaggio (Reisubók) dell’islan-
dese Jón Ólafsson (1593-1679) che tra il 1615 e il 1626 andò per mare visitando
regioni lontane come le isole Svalbard, e circumnavigò l’Africa fino a raggiungere la
base danese di Trankebar in India (su cui vd. oltre, p. 650). Per questa ragione egli è
noto con il soprannome di “Viaggiatore in India” (Indíafari).
395
Ella era sposata con Corfitz Ulfeldt (1606-1664; cfr. nota 66), personaggio noto
per l’avidità di denaro, la smisurata ambizione e la mancanza di scrupoli. Dopo la
morte di Cristiano IV costui aveva per alcuni anni guidato il Consiglio del Regno. Ma
la sua carriera, segnata da intrighi e macchinazioni, si concluse quando tramò per
insediare sul trono di Danimarca Federico Guglielmo (Friedrich Wilhelm, 1620-1688),
grande elettore del Brandeburgo. Quando il complotto fu scoperto egli venne accusa-
to di tradimento: privato dei suoi titoli e delle sue proprietà fu condannato a morte.
Fuggendo all’estero riuscì tuttavia a evitare di essere giustiziato. La moglie invece,
accusata di averlo sostenuto, dovette affrontare la lunga prigionia. Certamente nella
sua vicenda ebbero molto peso i pessimi rapporti con il nuovo re, Federico III e,
soprattutto, con la regina Sofia Amalia (Sophie Amalie, 1628-1685). In effetti Leonora
Cristina venne liberata dalla sua prigionia solo dopo la morte di quest’ultima. L’opera
scritta come memoriale per i figli è stata data alle stampe per la prima volta nel 1869
da Sophus Birket Smith. Su di lei vd. Birket Smith S., Leonora Christina Grevinde
Ulfeldts Historie, I-II, Kjøbenhavn 1879-1881 e anche Bjørn H. – Mai A-M. et al.,
Leonora Christina. Historien om en heltinde, Århus 1983.
396
Vd. sopra, pp. 498-499.
397
Il che tra l’altro spiega, in ambiente danese, il successo del tedesco Hans Wil-
lumsen Lauremberg (1590-1658). Nato a Rostock, egli trascorse gran parte della vita
in Danimarca, dove morì. Fu docente all’Accademia di Sorø e autore di opere teatra-
li, di un arguto scritto satirico in latino (nel quale prende di mira l’immoralità e i vizi
del suo tempo non risparmiando pungenti stoccate alla nobiltà) e poesie in basso-
tedesco.
398
Come fu il caso in Svezia di Gustavo II Adolfo (cfr. nota 232) ma anche di Car-
lo XI, il quale nel 1672 prese parte a un torneo in cui alla guida di soldati romani e
‘goti’ combatteva contro i Turchi, a simboleggiare la lotta dell’Europa contro i ‘bar-
bari’.
403
L’opera fu pubblicata postuma nel 1744. Essa si basa in parte sul lavoro di Albert
Bartholin (1620-1663), figlio di Caspar (su cui cfr. p. 630).
404
Vd. p. 572 e p. 738.
405
Su di lui vd. pp. 789-792 e pp. 830-831.
406
Dalla Prima lettera a un illustrissimo signore (1728); DLO nr. 137.
Selandia) e Lillöhus in Scania: il primo risale almeno agli inizi del XV secolo, il secon-
do, addirittura, alla seconda metà del XIII (seppure costruito nella forma attuale alla
fine del XIV), il terzo (ormai in rovina) alla prima metà del XIV.
409
Questo castello è stato reso celebre da William Shakespeare ed è altrimenti noto
come ‘castello di Amleto’ a Elsinore (Helsingør).
410
Per questo re (molto attivo anche nella costruzione e ristrutturazione di rocca-
forti militari) lavorarono il celebre architetto Hans van Steenwinckel (ca.1550-1601),
appartenente a una famiglia di artisti fiamminghi ma trapiantato in Danimarca, i suoi
figli Hans (1587-1639) e Lorenz (1585-1619) e un altro fiammingo, Antonius van
Opbergen (1543-1611). Cfr. nota 433.
411
Originariamente esso era noto come palazzo Gyldenløve, essendo stato costrui-
to per Ulrik Frederik Gyldenløve, figlio illegittimo di Federico III (cfr. nota 15 e p.
713).
412
Vd. p. 343, nota 63.
413
Si ricordi che fino al 1658 la Scania era una regione danese.
414
Vd. pp. 632-633.
419
Di lui si sa che fu chiamato in Svezia nel 1622, dove giunse accompagnato da
artigiani e artisti. Lavorò a diversi edifici tra cui la sede della cancelleria reale nel
castello Tre kronor di Stoccolma e il castello di Uppsala. La sua morte è certamente
precedente al giugno 1630.
420
Vd. p. 567, p. 574 e p. 591, nota 289.
421
Questo splendido palazzo è stato completamente distrutto da un incendio
divampato il 24 novembre 1825.
422
A sua volta distrutto da un incendio il 4 settembre 1722.
423
Cfr. p. 562.
424
Il riferimento è qui, in primo luogo, ai fratelli Pahr (Paar): Giovanni Battista
(Johannes Baptista), Francesco (Franciscus) e Domenico (Domenicus), di famiglia
lombarda ma attivi prima in Germania e poi in Svezia nella seconda metà del XVI
secolo.
425
Come la cosiddetta “Casa dei Signori” (Riddarhuset) a Stoccolma (vd. p. 625),
seppure quest’ultima non sia totalmente opera sua.
426
In realtà egli era nato a Stralsund in Pomerania, ma era giunto in Svezia in gio-
vane età. Oltre al progetto per il castello di Drottningholm, a lui si deve, tra l’altro, il
rifacimento a partire dagli anni ’60 del XVII secolo del castello di Strömsholm (non
lontano da Västerås in Västmanland), anch’esso voluto da Edvige Eleonora.
427
In proposito si veda, tra l’altro, Turander R., Tessin. En lysande epok. Arkitektur,
Konst, Makt, Stockholm 2009.
428
Magnifici arazzi furono realizzati da artisti provenienti dalle regioni fiamminghe
come il pittore Hans Knieper (morto nel 1587), probabilmente originario di Anversa,
che disegnò le scene ispirate alla Bibbia, ma soprattutto la lunga serie dei re danesi
(centotredici compresi, ovviamente, quelli assolutamente leggendari) riprodotte sulle
pareti del castello di Kronborg; così anche Berent van der Eichen (date ignote) cui si
devono gli arazzi del castello danese di Rosenborg. E tuttavia anche artisti scandinavi
appresero quest’arte: si citi qui lo svedese Nils Eskilsson (morto dopo il 1569). Cfr.
note 430 e 432. Questa antica tradizione è stata ripresa nel 1990, in occasione del
cinquantesimo compleanno dell’attuale regina di Danimarca, Margherita (Margrethe)
II, quando, su disegni dell’artista danese Bjørn Nørgaard (vd. p. 1295), è stata realiz-
zata una serie di arazzi dai vivaci colori che illustrano la storia della Danimarca e che
sono stati collocati nel castello di Christiansborg a Copenaghen.
429
Vd. p. 611.
430
Si pensi agli arazzi ispirati ai miti goticisti voluti da Erik XIV (vd. Andersson 1948
[indicazione a p. 542, nota 61], p. 166), o alle opere di David Klöcker Ehrenstrahl (cfr.
nota 432) che raffigurano scene relative alla saga di Disa (su cui cfr. p. 581 con nota 236).
431
Si consideri che la pittura a olio secondo la tecnica importata dalle Fiandre
compare in Scandinavia nei primi decenni del XVI secolo; tuttavia una pittura a olio
di tipo diverso era già utilizzata in precedenza in Norvegia per dipingere frontali
d’altare (mentre in Danimarca si preferiva ornarli di metallo dorato).
432
Come i tedeschi: Jacob Binck (ca.1500-1569, anche incisore), Franz Cleyn (o
nel 1711). Nomi prestigiosi nell’arte sono anche quelli del danese
Melchior Lorck (o Lorch o Lorichs, 1527-ca.1590), pittore, inci-
sore ma – soprattutto – disegnatore di straordinario talento435 e dei
norvegesi Magnus Berg (1666-1739), celebre in tutta Europa per i
suoi lavori di intaglio nell’avorio, e Jacob Maschius (morto nel
1678), incisore di notevolissima abilità.
In Norvegia, per evidenti ragioni, la costruzione di castelli e
residenze nobiliari fu più limitata; più che la ristrutturazione
della fortezza di Akershus (a Oslo) voluta da Cristiano IV, occor-
re qui ricordare la cosiddetta Torre di Rosenkrantz (Rosenkrantz-
tårnet) di Bergen: si tratta della riedificazione, voluta da Erik
Rosenkrantz, signore di Bergenhus tra il 1560 e il 1568,436 di una
vecchia torre del XIII secolo, di fatto trasformata in un severo
‘castello’ in pietra abbellito con elementi tipicamente rinascimen-
tali e affacciato sul quartiere di Bryggen. Altre costruzioni di un
certo interesse sono la dimora (Herregården), interamente in legno,
fatta costruire dal conte Ulrik Frederik Gyldenløve, viceré di
Norvegia,437 a Larvik (in Vestfold), città da lui fondata nel 1671
(nella quale fece anche erigere una chiesa) e l’antica residenza
medievale dell’arcivescovo di Trondheim, trasformata in sede del
governo della regione del Trøndelag,438 riccamente decorata con
motivi di caccia e colori vivaci da un artista, quasi certamente
norvegese, noto come Bjørn Pittore (maler), del quale per altro
non si sa nulla di più. In taluni casi le abitazioni dei nobili fun-
zionari vennero elegantemente trasformate: si veda in primo
luogo Østråt (o Austråt, più recentemente Austrått), sul fiordo
di Trondheim, ristrutturata in stile rinascimentale per volontà del
cancelliere del regno Ove Bjelke (1611-1674).439 Negli anni ’60
del 1600 fu invece costruita la residenza di Rosendal sul fiordo di
Hardanger, tuttavia in parte modificata nel corso dei secoli: in
essa restano tuttavia parti originali, in particolare il piano nobile.
In questo Paese mancano comunque esempi di dimore imponen-
ti e sfarzose come quelle danesi e svedesi. Va da sé che questo
tipo di costruzioni fu del tutto assente in Islanda, dove i notabili
435
Un altro incisore di una certa fama è il danese (di probabile origine olandese)
Albert Haelwegh (morto nel 1673).
436
Cfr. p. 548.
437
Cfr. nota 15 e p. 660, nota 591.
438
La costruzione, che è la più antica dimora privata costruita in pietra in Norvegia,
fu iniziata dall’arcivescovo Øystein Erlendsson (cfr. p. 321, nota 119, pp. 363-365, p.
411 e p. 415) nella seconda metà del XII secolo.
439
Essa fu tuttavia severamente danneggiata da un incendio nel 1916 e ha dovuto
essere sottoposta a un restauro completato solo nel 1961.
440
Già dal XV secolo abbiamo tuttavia cospicui esempi di frontali d’altare lavorati
o dipinti, quale, in particolare, la tavola d’altare del duomo di Aarhus, opera di Bernt
Notke (cfr. p. 445, nota 24).
441
Anche questo uso trova significativi precedenti nel XV secolo: si veda la splen-
dida tomba della regina Margherita, anch’essa collocata nel duomo di Roskilde (Selan-
dia).
442
Il progetto di questa chiesa si deve al norvegese Lambert von Haven (1630-1695)
appartenente a una famiglia di artisti (sul padre Salomon cfr. p. 755, nota 326; il fra-
tello Michael, 1625-1679, divenne ritrattista reale). Si noti tuttavia che il celebre
campanile a spirale è più tardo ed è opera di Laurids de Thurah (vd. p. 846).
443
Vd. p. 576 con note 214 e 216 e p. 586.
451
Il cui miglior esempio è la casa del ricco mercante Jens Bang (morto nel 1644)
a Ålborg costruita negli anni 1623-1624.
452
Essa fu la sede dei nobili che nel 1626 si erano organizzati nell’Ordine dei
Signori; vd. p. 653.
453
Vd. Chrispinsson J., “Tre Kronor brinner!”, in Bergsten 2004 (C.9.1), pp. 131-
138.
454
Il lavoro avrebbe dovuto essere accompagnato da un testo scritto, la cui reda-
zione passò da un autore a un altro: alla fine tuttavia esso non fu pubblicato; vd. Bring
S.E., “Sueciaverket och dess text”, in Lychnos, 1937, pp. 1-67 e (più in generale) Schück
– Warburg 19853 [B.4], II, pp. 270-272; vd. anche Ericsson E. – Vennberg E., Erik
Dahlbergh. Hans levnad och verksamhet. Till 300-årsminnet 1625-1925, Uppsala 1925
e Magnusson B., Att illustrera fäderneslandet. En studie i Erik Dahlberghs verksamhet
som tecknare, Uppsala 1986.
461
L’esistenza di una orchestra di corte svedese risale ai tempi di Gustavo Vasa: essa
conoscerà un periodo di grande splendore tra il XVII e il XVIII secolo quando alla
sua guida si succederanno i membri della famiglia Düben (di origine tedesca): Anders
il Vecchio (den äldre, 1597?-1662), suo figlio Gustav il Vecchio (den äldre, ca.1628-
1690) e i figli di quest’ultimo Gustav il Giovane (den yngre, 1659-1726) e Anders il
Giovane (den yngre, 1673-1738). Sulla musica alla corte della regina Cristina vd. Aulin
– Connor 1974-1977 (B.6), I, pp. 61-72.
462
Vd. Fielden F.J., “Court Masquerades in Sweden in the Seventeenth Century”,
in The Modern Language Review, XVI: 1 (1921), pp. 47-58 e XVI: 2 (1921), pp. 150-
165 e Grönstedt J., Svenska hoffester, I-V, 1911-1917 (in particolare voll. I e IV).
463
Questi giovani talenti erano affidati al dano-tedesco Melchior Borchgrevink (ca.
1570-1632), il più illustre musicista di corte.
464
Cfr. pp. 582-584 e pp. 630-631.
465
L’opera di Rudbeck a sostegno dell’insegnamento e della pratica musicale all’Uni-
versità di Uppsala rivela l’interesse crescente verso questa disciplina. Del resto anche
i programmi delle scuole di livello inferiore prevedevano uno spazio adeguato alle
materie musicali. Si legga: “Nelle classi inferiori gli alunni debbono essere ben abitua-
ti a cantare diligentemente i salmi e gli inni svedesi, usati comunemente in chiesa, e si
deve fare attenzione che conoscano non solo il canto o le melodie, ma anche le parole
stesse e le frasi correttamente ed esattamente, non [malamente] come spesso avviene”
(Ordinanza scolastica del 1649, DLO nr. 138). Sull’insegnamento della musica nelle
scuole svedesi vd. Aulin – Connor 1974-1977 (B.6), I, pp. 47-58. Di interesse a questo
riguardo è anche la fondazione (1726) a Uppsala di un Collegium musicum per inizia-
tiva di Eric Burman (1692-1729, anche matematico, astronomo e meteorologo!).
Rudbeck e Vallerius del resto revisionarono anche la musica religiosa per l’edizione
del Libro dei salmi del 1695 (vd. pp. 608-609).
E., “Om Peder Månssons författarskap och landsmanskap”, in ANF LII (1936),
pp. 340-349.
473
Per evidenti scopi di diffusione anche al di fuori dei confini nazionali gran par-
te di questi testi – quantomeno quelli di intento e taglio ‘scientifico’ – furono redatti
in lingua latina.
474
Solo per fare un paio di esempi basti citare Laurentius Paulinus Gothus che
quando aveva ricoperto la cattedra di astronomia all’Università di Uppsala pubblicava
un almanacco (1598) nel quale inseriva profezie astrologiche (Lundström 1893-1898
[cit. a p. 503, nota 136], I, pp. 41-46; cfr. qui p. 800, nota 518) o i numerosi seguaci
scandinavi delle teorie del medico Teofrasto Paracelso. Vd. sotto e nota 476.
475
Cfr. p. 394 con nota 262. Un testo di una certa importanza dal titolo Un utile
libro di medicina nel quale si trova consiglio, aiuto e medicamento per ogni tipo di
malattia umana sia interna sia esterna. In particolare inoltre un insegnamento e indiriz-
zo, su come le donne deboli e malate possano essere aiutate a venir fuori da tutte le
malattie esistenti. E anche contro le affezioni che possono facilmente colpire i bambini
piccoli. E anche un insegnamento e introduzione alla chirurgia (Een nyttigh läkere book
ther vthinnen man finner rådh, hielp och läkedom til allehanda menniskiornes
siwkdomar bådhe inwertes och uthwertes. Serdeles ock een vnderwisning och rättelse, huru
swaghe och siwklighe quinnor sigh vthi alla förefallende siwkdomar hielpa kunna. Item
emoot the kranckheter som små spädh barn lätteligha henda kunna. Item een vnderwisning
och ingång til chirurgiam) era uscito a Stoccolma nel 1578, per opera di Benedictus
non poteva con alcun argomento essere persuaso d’altro, [se non] che la
terra fosse piatta e che l’Oceano si estendesse fino al cielo, e che essa in tal
modo quasi galleggiasse, non so poi di altre stupidissime fandonie, che
avesse ripreso dal popolo e dai Poeti: e però derideva come menzogneri
coloro che avessero detto che la terra è sferica o del tutto rotonda, appoggia-
ta sul proprio centro e cinta attorno dall’atmosfera. Eppure l’erudizione di
quest’uomo, la sapienza, l’eloquenza non sono in dubbio. La verità di costo-
ro, che ai ciechi, che ciò affermano, e ai barbieri è notissima, al punto che i
marinai e le donnette la possono dimostrare, la mente di Lattanzio non la
conteneva, sicché neppure molti altri, che si sono conquistati un nome illu-
stre nella cultura, a quel tempo poterono essere persuasi di ciò che ora anche
il popolo conosce. Perciò ci sarà un tempo in cui la verità di queste cose non
sarà nota solo ai Matematici ma anche al popolo, sebbene esse ora siano
derise da molti.”497
sono coricate presso di loro poggino al contrario? [che] le messi e gli alberi cre-
scano all’ingiù? [che] le piogge, e le nevi e la grandine cadano sulla terra all’insù?
[…] L’origine di questo errore deve essere a noi svelata. Infatti essi sempre sba-
gliano nello stesso modo. Dal momento che hanno assunto una cosa falsa all’inizio,
indotti dalla somiglianza con la verità, necessariamente incorrono in quelle che
sono le sue conseguenze. Così incappano grandemente nel ridicolo, dal momento
che necessariamente sono false le cose che sono conformi al falso […] Quale
ragionamento li ha dunque portati all’idea degli Antipodi? Vedevano il corso degli
astri procedere verso ovest, il sole e la luna tramontare sempre dalla stessa parte,
e sorgere sempre dalla medesima. Ma dal momento che non hanno compreso
quale sistema regoli il loro corso, né in qual modo essi tornino da occidente a
oriente, hanno supposto che il cielo stesso si inclini verso il basso da ogni lato, il
che deve apparire così per via della sua immensa estensione: hanno pensato che il
mondo sia rotondo come una palla, e dal moto delle stelle hanno ipotizzato che il
cielo giri sicché gli astri e il sole, una volta tramontati, ritornano a sorgere grazie
alla medesima rotazione del mondo […] Perciò a questa rotondità del cielo ciò
conseguiva, che la terra era rinchiusa nel mezzo del suo involucro. Che se così
fosse la terra stessa [sarebbe] simile a un globo, infatti non potrebbe non essere
rotondo ciò che è contenuto in qualcosa di rotondo […] Così la rotondità della
terra portò in aggiunta all’invenzione di questi Antipodi sospesi. / Ma se doman-
date a coloro che difendono queste fantasticherie, come mai tutte le cose non
cadano in quella parte inferiore del cielo, essi rispondono che tale è la natura
delle cose, che ciò che è pesante è spinto verso il centro, e che tutte le cose sono
connesse al centro, al modo in cui vediamo i raggi in una ruota; ma le cose che
sono leggere, come il vapore, il fumo e il fuoco, sono allontanate dal centro, perché
si muovano verso il cielo. Non so che dire di quelli, che, una volta sbagliato, per-
severano costantemente nella stupidità e difendono cose vane con vani [argomen-
ti…]” (DLO nr. 139).
497
DLO nr. 140.
due ambiti per i quali fin dal tardo medioevo le autorità laiche
avevano mostrato (in particolare nelle città) un crescente interes-
se. Il cambiamento è sostanziale in quanto pone i presupposti di
una nuova impostazione del problema, trasferito dal piano reli-
gioso a quello etico-sociale. Effetti di grande importanza si ebbe-
ro in primo luogo nel campo dell’istruzione. Fino ad allora il
sistema scolastico non aveva conosciuto una precisa strutturazio-
ne. In Scandinavia dopo la conversione al cristianesimo erano
sorte diverse scuole (accanto a quelle tradizionalmente presenti
presso i capitoli e i conventi erano comparse in seguito anche
scuole cittadine) dove l’insegnamento era gestito con una certa
autonomia.500 Per altro esso restava, nella stragrande maggioranza
dei casi, affidato a ecclesiastici di diverso grado e dunque sotto-
posto al controllo della Chiesa: lo scopo primario era infatti quel-
lo di formare i suoi nuovi membri o, più semplicemente, di dif-
fondere fra il popolo i fondamenti della fede. Se è vero che già il
re danese Cristiano II aveva cercato di intervenire sulla materia,
affermando così per la prima volta il principio che allo Stato spet-
ta regolamentare il funzionamento delle scuole,501 fu tuttavia a
partire dalla riforma che l’istruzione del popolo cominciò a essere
organizzata in modo più sistematico (anche se il concetto che ciò
debba costituire un diritto/dovere pubblico si sarebbe affermato
molto più avanti).502 È evidente che – tenuto conto della grande
alcune considerazioni sulla necessità di migliorare il sistema scolastico. Nello scritto
di Christiern Pedersen (cfr. pp. 496-497, p. 517, pp. 578-579 e p. 604) dal titolo Su
come educare i bambini alla Scuola e allo Studio E formare per loro buoni Maestri (Om
børn ath holde till Scole och Studium Och ath skicke gode Scolemestere till dem, 1531)
la necessità del cambiamento si intreccia con la polemica contro i metodi tradizionali
della Chiesa cattolica; il testo è d’altronde ripreso direttamente da Lutero.
500
La base in ogni caso erano le cosiddette septem artes liberales, suddivise in trivium
(grammatica, retorica e dialettica) e quadrivium (aritmetica, geometria, musica e astro-
nomia). Spesso tuttavia nelle scuole di livello inferiore il numero delle discipline era
più limitato e si privilegiavano quelle del cosiddetto quadrivium.
501
Vd. Skovgaard-Petersen 1970 (C.8.2) e Münter 1823-1833 (B.7.2), III, pp.
56-61. Nella cosiddetta Legge [di diritto] ecclesiastico di re Cristiano II (1521) le
norme relative all’istruzione si trovano alle pp. 1-68 (vd. sul punto in particolare pp.
3-4). Nel § 125 (p. 60) si precisa che i bambini devono per prima cosa imparare il
Padrenostro, l’Avemaria e il Credo in lingua danese “in modo che essi li possano
leggere e capire bene, e poi imparino a leggerli e a scriverli in danese” (“saa the
thennom vell kunde lesse och understaa, och siden at lere at lesse och schrifue paa
dansche”). Inoltre si stabilisce che chi voglia diventare pastore debba frequentare le
scuole di città a proprie spese studiando soprattutto il latino e la Bibbia. Le norme
inoltre ribadiscono (p. 12) il divieto di compiere studi superiori all’estero se prima
non si sia ottenuto il titolo di baccalaureatus in patria (cfr. la Legge [di diritto] laico:
§ 94 [99], pp. 119-120).
502
Vd. Skautrup 1944-1968 (B.5), II, pp. 173-174.
(NRR IV, pp. 40-41) relativo all’Ordinanza ecclesiastica per la Norvegia emessa poi il
2 luglio 1607 e valida anche per l’Islanda (En Kircke Ordinantz, Huor effter alle,
Baade Geistlige oc Verdslige vdi Norgis Rige, skulle sig rette oc forholde, in particola-
re pp. 520-535; cfr. LFI I, pp. 150-171 e pp. 206-208: decreto del 29 novembre 1622)
e il recess del 27 marzo 1629 sopra menzionato.
507
Cfr. p. 491.
508
Il riferimento è alle idee del filosofo francese Petrus Ramus (Pierre de la
Ramée, 1515-1572) che, come noto, ebbero importanti ricadute dal punto di vista
pedagogico: egli infatti rivalutava, ai fini dell’insegnamento, l’importanza della
pratica rispetto alla teoria. Essendosi convertito al calvinismo Ramus fu una delle
vittime della cosiddetta ‘notte di San Bartolomeo’; vd. Waddington C., Ramus
(Pierre de la Ramée). Sa vie, ses écrits et ses opinions, Paris 1855. Uno dei più
convinti seguaci del ramismo fu il vescovo danese Jens Dinesen Jersin (1588-1634),
per altro rigorosamente ortodosso seppure, per certi versi, precursore del pietismo
(su cui vd. pp. 762-764).
509
Una dottrina, applicata più al campo pedagogico che a quello filosofico, che per
certi versi riportò indietro il sistema scolastico (un percorso, del resto, coerente con
l’affermazione della piena ortodossia).
510
Da questo punto di vista è significativo che il cosiddetto Libro di concordia
(Concordia) pubblicato nel 1580 e contenente i testi dogmatici fondamentali del lute-
ranesimo trovasse ora diffusione nei Paesi nordici dove inizialmente era stato combat-
tuto in nome di una maggiore libertà religiosa; vd. Lenhammar 20014 (B.7.2), pp. 44-45
e p. 48.
511
Cfr. p. 539.
512
In questa ottica sono da intendere le numerose visite pastorali il cui ‘clima’ ci
è descritto nel Libro delle visite pastorali (Visitatsbog) del vescovo danese Peder
Palladius (vd. p. 496) e in quelli (Visitatsbøger) del vescovo di Oslo Jens Nilssøn
(1538-1600).
513
Vd. in proposito Holm 1885-1886 (C.10.2), I, pp. 376-378.
514
Ciò fu ottenuto non di rado con metodi assai duri: per fare un esempio basti
ricordare la vicenda del professore danese Christoffer Dybvad (1572-1622), matema-
tico reale, il quale fu condannato al carcere a vita per aver osato criticare lo stato
assolutista e la Chiesa (vd. Fink-Jensen M., “Enevældens ensomme fortrop. Christoffer
Dybvads systemkritik under Christian 4.”, in OSD, pp. 36-64) o quella di Niels
Svendsen Chronich (Chronius, nato nel 1608 ca., morto dopo il 1672) il quale avendo
portato durissimi attacchi al clero luterano fu dapprima imprigionato e poi condan-
nato all’esilio.
che si voleva stabilita da Dio), nel XVII e nel XVIII secolo essa
svolse anche tutta una serie di compiti al servizio dello Stato.515
Parallela allo sviluppo dell’assolutismo regio fu, sul piano più
strettamente ecclesiale, l’affermazione di una rigida ortodossia, la
quale non mancò (come del resto avveniva, con le dovute differen-
ze di prospettiva, anche nella cattolica Francia) di fornire solida
legittimazione religiosa al nuovo sistema politico516 e, dunque, di
favorire il controllo sul mondo culturale in tutti i suoi aspetti sot-
tomettendolo senza possibilità di replica al dettato biblico. Ciò
ebbe indiscutibili ricadute (ben note anche altrove) non solo sulla
nascente ricerca scientifica, ma anche – evidentemente – sull’im-
postazione degli studi di carattere storico. Del resto in Danimarca
fin dall’introduzione del luteranesimo (in concomitanza con la
rifondazione dell’Università di Copenaghen) era stata introdotta
la censura, che demandava ai vescovi e alle autorità accademiche
il controllo sulla stampa (in primo luogo quella religiosa).517 E anche
in Svezia il controllo sulla stampa, prima affidato alla Corona, poi
passato ai vescovi e alle autorità accademiche e infine a funzionari
della cancelleria (al cui interno nel 1680 sarà istituito l’incarico
ufficiale di censore), appare ben saldo fin dai tempi di Gustavo
Vasa.518 Questo atteggiamento ben spiega, del resto, l’interesse da
515
In questo ambito va ricordata quella che può essere definita una ‘campagna
difensiva’ nei confronti delle tendenze controriformatrici, portate avanti soprattutto
dai gesuiti che si adoperarono attivamente per introdurre e diffondere nei Paesi
nordici scritti e insegnamenti favorevoli alla dottrina cattolica. Tra di loro è nota in
particolare la figura del norvegese Laurits Nilssøn (Laurentius Nicolai Norvegus,
1538-1622), più noto come “Lasse del convento” (Kloster-Lasse) a motivo della sua
attività di docente e rettore del Pædagogicum-theologicum voluto dal re svedese
Giovanni III a Stoccolma (cfr. p. 571, nota 180): questo collegio infatti aveva sede
nell’antico convento dei francescani. Celandosi dietro il prestigioso incarico egli fece
di questo istituto la base della propria attività controriformatrice. Le sue reali inten-
zioni vennero infine alla luce e contro di lui nei giorni della Pentecoste del 1580
scoppiò un tumulto, sicché egli fu costretto a lasciare la Svezia. Successivamente fu
in Italia e in Austria, finché nei primi anni del Seicento si recò in Danimarca dove
volle tentare – addirittura – di convertire il re Cristiano IV e la nobiltà. Cercò anche
di raggiungere la Norvegia, ma ciò gli fu impedito. Terminò i suoi giorni a Vilnius.
Su Lars Nilsson vd. Garstein O., Klosterlasse. Stormfuglen som ville gjenerobre
Norden for katolisismen, Oslo 1998.
516
Si pensi a esempio all’opera del vescovo e professore di teologia danese Hans
Wandal (1624-1675) autore di un’imponente opera in sei volumi di Diritto regio (Juris
regii), uscita tra il 1663 e il 1672.
517
Vd. KO, pp. 90-91, p. 98, p. 136 e pp. 231-232 (DKL I, nr. 24, pp. 119-120),
ripreso in un decreto del 15 maggio 1576 (DKL II, nr. 368, pp. 264-266; cfr. nr. 369,
medesima data, pp. 266-267).
518
La città di Stoccolma e l’Università di Uppsala avevano tuttavia diritto a un
proprio censore (vd. Schück – Warburg 19853 [B.4], II, p. 172). La censura fu chia-
parte del potere centrale per i testi sui quali si basa e ai quali si
richiama la pratica della vita religiosa: sicché non deve sorprende-
re che i sovrani in prima persona dispongano la traduzione o la
revisione della Bibbia (le cui diverse edizioni sono legate non a caso
al loro nome) o l’istituzione di commissioni preposte a compilare
libri dei salmi che trovino uniforme diffusione tra i fedeli. Ma
questo ‘assolutismo ortodosso’, se così è consentito definirlo, fu
applicato con burocratica e soffocante pignoleria anche alla vita
ordinaria della gente comune e fu tradotto in una serie di norme e
precetti religiosi che, almeno esteriormente, livellarono l’esperien-
za della fede, trasformata – in una sorta di ritualizzazione della
quotidianità – nella diligente osservanza di regole (non di rado
cavillose) semplicemente imposte dall’alto.519
Questa severa intransigenza non poté, d’altro canto, che favorire
l’estendersi, anche in Scandinavia, di quell’atmosfera commista di
intolleranza e fanatismo che, soprattutto nel XVII secolo, si tradus-
se nel fenomeno della ‘caccia alle streghe’. Come è noto la Chiesa
aveva da sempre condannato la magia e l’accusa di stregoneria era
stata un efficace strumento nelle mani dei potenti per eliminare
scomodi avversari: processi e condanne sono ben noti nei secoli
precedenti la riforma, soprattutto dopo che nel XIII secolo i teolo-
gi avevano ‘codificato’ ogni forma di eresia e credenza magica o
superstiziosa come effetto dell’opera del demonio. Fu tuttavia dalla
metà del XVI secolo che il terrore di Satana e dei suoi presunti
seguaci dilagò in Europa.520 Anche nei Paesi nordici (persino nella
remota Islanda)521 ci sono numerosi esempi di processi e condanne
per stregoneria che non soltanto ebbero come protagonisti e vittime
individui di condizione modesta, magari affetti da patologie psichi-
ramente ribadita in Svezia nel 1684. Sulla storia della censura in questo Paese (e i
decreti relativi) si rimanda a Eek 1942 (C.10.4), cap. 4: “Rättsutvecklingen i Sverige
på tryckfrihetens område”, pp. 151-230.
519
Si pensi solo all’istituzione di ‘giornate di preghiera’ stabilite dal re per diverse
occasioni quali un’epidemia (decisione verosimilmente condivisa dalla gente) ma anche
una gravidanza a corte, il viaggio per mare di una principessa, una vittoria sul campo
di battaglia.
520
Come è noto un impulso in questo senso venne dalla diffusione del cosiddetto
Martello delle streghe (Malleus maleficarum, 1487), scritto da due grandi inquisitori, il
tedesco Heinrich Institor Kramer (1430-1505) e lo svizzero Jacob Sprenger (1436-1495):
un testo che si proponeva di fornire gli strumenti per ‘schiacciare’ le streghe.
521
Dove si calcola che tra il 1554 e il 1719 ci siano stati centoventi processi per
stregoneria (vd. Júlíusson – Ísberg 2005 [B.3], pp. 128-129). Le condanne al rogo
furono ventuno, cui si deve aggiungere una sentenza di morte per decapitazione e una
per impiccagione. In controtendenza a quanto avveniva altrove nel novero di coloro
che furono giustiziati si registra solo una donna.
522
Si veda il caso di Anne Pedersdatter, moglie dell’illustre umanista norvegese Absa-
lon Pederssøn Beyer (cfr. pp. 508-509 e p. 593) la quale, dopo un primo processo nel
quale era stata prosciolta, fu in una successiva occasione condannata al rogo (1590). Vd.
Gilje N., Heksen og humanisten. Anne Pedersdatter og Absalon Pederssøn Beyer. En
historie om magi og trolldom i Bergen på 1500-tallet, Bergen 2010 e anche Rian Ø.,“Absalon
Pederssøn Beyer og Anne Pedersdotter – ein norsk patriot og kona hans”, in FNKF, pp.
45-68.
523
Qui si collega anche una certa produzione letteraria legata per vari aspetti a
credenze popolari (almeno in parte pagane), a speculazioni di tipo astrologico e a
fenomeni ritenuti di carattere sovrannaturale.
524
Vd. p. 497 con nota 117. In questa questione il concorso degli uomini di Chiesa
fu, naturalmente, determinante.
525
Si ricordi qui, a esempio, il libro scritto dall’ecclesiastico ed erudito (ma anche poe-
ta salmista) Johan Brunsmand (1637-1707) dal titolo Uno spaventoso calvario (Et forfærde-
ligt Huus-Kaars, 1674) nel quale, sulla base di fonti ‘autentiche’, riferisce di un caso di
possessione demoniaca a Køge (in Selandia) all’inizio del secolo: questo libro ebbe grande
successo, fu tradotto in tedesco e latino e ripubblicato fino a tutto il XIX secolo.
526
Cfr. p. 602, p. 612, p. 614, p. 631, nota 484, p. 767 e p. 833. Sulla eclettica figura
di Urban Hiärne considerato come letterato ma anche come medico e chimico si riman-
da ai saggi contenuti in Ohlsson S.Ö. – Tomingas-Joandi S. (red.), Den otidsenlige
Urban Hiärne. Föredrag från det internationella Hiärne-symposiet i Saadjärve 31
augusti – 4 september 2005, Tartu 2008 e anche a Lindroth S., Urban Hiärne 1641-1724,
Stockholm 1952.
527
In Svezia ebbero grande risonanza i processi di Älvdalen (1668) e di Mora (1669)
in Dalecarlia, al termine dei quali furono condannate a morte ventitré persone (tra cui
un uomo).
528
Vd. pp. 587-588.
“Là nel coro, dalla parte in cui c’è una piccola edicola [mentre] stavo
prostrato in preghiera [venni] calpestato dal Demonio, come da una perso-
na furiosa, come si sente [quando vien fatto] con le ginocchia e le nocche.530
E un’altra volta, mentre ero prostrato allo stesso modo, il Demonio mi
soffiò nell’orecchio destro, che era rivolto verso quella stessa edicola, fiati
terribili, sicché non mi fu più a lungo di alcuna utilità pregare in quel luogo
ma dovetti stare un po’ più avanti in chiesa e un po’ fuori dalla chiesa per
provare a fare le mie preghiere.
E così aumentò sempre di più quella apparizione di demoni, soprattutto
quando questi esseri miserabili531 venivano in chiesa, perciò io non feci
cessare ammonimenti e avvertimenti al riguardo quando riuscivo a celebra-
re qualche servizio divino. E quanto più gli assalti dei demoni aumentavano
e si manifestavano sia fuori sia dentro la fattoria e in chiesa, tanto più si
moltiplicava la schiera dei demoni e il loro numero e le loro forme, cosicché
là dove all’inizio si vedeva un solo demonio in aspetto di cane, cresceva poi
la loro moltitudine in modo tale che non solo se ne vedeva in ogni luogo e
529
Tuttavia solo dopo che i loro resti, non completamente distrutti, furono nuova-
mente bruciati.
530
Poco prima Jón Magnússon ha lasciato intendere che quel luogo fosse ‘stregato’
in quanto uno degli uomini da lui accusati di magia lo aveva fissato a lungo prima di
allontanarsi.
531
Il riferimento è ai due ‘stregoni’, padre e figlio.
532
Nel testo originale í baðstofunni (forma del dativo). Nelle case islandesi la baðstofa
(f.), letteralmente “stanza da bagno” era anticamente il locale in cui si faceva il bagno
e che era più facile da riscaldare; col tempo il termine passò a indicare la stanza comu-
ne e principale della casa dove si soggiornava e nella quale c’erano anche letti per
dormire; cfr. nota successiva.
533
Nel testo originale í göngunum og skálanum (dativo). Il termine islandese skáli
(m.), che attualmente significa “capanna” o “casupola”, indicava in origine una sala
dove ci si tratteneva a bere (originariamente la costruzione principale di un complesso
abitativo) e anche a dormire, probabilmente a motivo del fatto che il fuoco vi rimane-
va costantemente acceso. Già in epoca antica tuttavia i testi distinguono fra skáli,
stofa e baðstofa (vd. nota precedente): forse il primo locale era riservato soprattutto
agli uomini, il secondo alle donne. Nell’evoluzione delle costruzioni islandesi la stofa
(e/o la baðstofa) vennero ad assumere maggiore importanza. Lo skáli divenne invece
una sorta di grande locale accanto all’atrio, finché succesivamente scomparve del
tutto.
534
Qui nel testo originale è usato l’aggettivo skyg(g)n che in islandese indicava le
persone “dotate di una seconda vista”, cioè in grado di vedere gli esseri sovrannatu-
rali. Poco più avanti si trova, con lo stesso significato, il sinonimo ófreskur, il quale
nell’islandese moderno è passato a indicare coloro che sono dotati di capacità tele-
patiche.
535
Il riferimento è ai due ‘stregoni. La frase islandese tuttavia è poco chiara; si
accoglie qui l’interpretazione data da Einar Már Jónsson nella traduzione francese (Jón
Magnússon, Histoire de mes souffrances, Paris, 2004, p. 60).
536
DLO nr. 141. A questa storia è ispirato il libro in lingua islandese del 1982
Uomini destinati alla morte. Romanzo storico (Dauðamenn. Söguleg skáldsaga) di Njörður
P. Njarðvík (n. 1936) così come il film del 1999 Il signore delle tenebre (Myrkra-
höfðinginn) del regista Hrafn Gunnlaugsson (vd. p. 1197).
Tra il XVI e il XVII secolo le classi sociali dei Paesi nordici anda-
rono incontro a una profonda trasformazione. Ciò avvenne in modi
diversi a seconda della situazione contingente dei singoli stati (come
brevemente si vedrà nei paragrafi successivi), fattori di carattere
generale furono tuttavia la perdita di prestigio della ‘nobiltà’ eccle-
siastica, cui si è già fatto riferimento, e le prolungate conseguenze
della crisi agraria, in quanto gli effetti devastanti della grande epi-
demia di peste che a metà del secolo XIV aveva colpito anche la
Scandinavia si erano fatti sentire a lungo e in profondità. Ragion per
cui, se da una parte si dovette attendere parecchio tempo prima che
la drammatica crisi dell’agricoltura (determinata soprattutto dall’ab-
bandono di molte fattorie) fosse superata, dall’altra si verificarono
nella vita economica cambiamenti sostanziali e inarrestabili.
537
Per la crisi dell’agricoltura infatti molti membri della bassa nobiltà erano venu-
ti a trovarsi in difficoltà ed erano retrocessi sulla scala sociale.
538
La definitiva ‘presa di coscienza’ dello status nobiliare si riflette anche
nell’affermazione, nel XVI secolo, dei cognomi delle casate. (vd. Wiktorsson P-A.,
“The development of personal names in the Late Middle Ages”, in Bandle 2002-
2005 [B.5], II, p. 1179 e S kautrup 1944-1968 [B.5], II, pp. 261-262). Tra le più
antiche e prestigiose dinastie danesi (alcune risalenti al XIII-XIV secolo) si ricor-
dano: Bille, Brock, Friis, Gyldenstierna, Gøye (o Giøe), Juel, Oxe, Rosenkrantz,
Thott e Trolle (in Scania; cfr. nota 561).
539
Questi elementi hanno un notevole peso dal punto di vista della vita culturale,
se si considera che (non soltanto in Danimarca) l’esercizio letterario era possibile in
primo luogo solo a coloro che disponessero di una rendita familiare o che occupasse-
ro una posizione che garantisse sufficienti entrate. Del resto occorre anche considera-
re che le spese di pubblicazione (come non di rado viene chiaramente indicato sui
volumi) erano a carico dell’autore quando – appunto – egli non trovava generosi
finanziatori. Questa situazione spiega anche buona parte delle motivazioni della poe-
sia d’occasione, più finalizzata a conseguire la benevolenza dei potenti che a permet-
tere agli scrittori di ‘vivere della propria penna’ (considerato il più che modesto
ritorno economico di tale attività).
540
Egli era figlio di Johan Rantzau, comandante delle truppe di Cristiano III (vd.
p. 464 con nota 12).
541
In particolare nel 1637 e nel 1654 il Paese fu colpito dalla peste; la seconda
epidemia causò la morte di un terzo degli abitanti di Copenaghen.
542
Nel 1634 si verificò una devastante inondazione sulla costa occidentale dello
Jutland che colpì soprattutto l’isola di Strand (a ovest della città di Husum attualmen-
te appartenente alla Germania) che fu per tre quarti sommersa dalle acque. Migliaia
di persone persero la vita.
543
Vd. Skautrup 1944-1968 (B.5), II, pp. 105-106.
544
Vd. Widmark – Pedersen et al. 2005 (C.10.5), pp. 1339-1340. Assai interes-
sante da questo punto di vista sarà l’analisi della lingua contadina e borghese fatta da
Hans Olufsen Nysted (Hans Oluvssön Neopolitan, 1664-1740) nel suo libro Retorica
laica e pagana. Cioè l’arte di parlare del laico e l’oratoria del contadino (Rhetorica laica
et pagana. Det er Læg-Mands Tale-Kunst Og Bondens Vel-talenhed, 1708, 1727).
545
Vd. pp. 497-498.
546
A parte il coinvolgimento diretto dei contadini nei combattimenti si pensi alla
difesa di Copenaghen da parte dei suoi cittadini durante l’assedio portato dagli Sve-
desi negli anni 1658-1659 (vd. p. 533).
547
In questo stesso anno venne costituito anche l’Ordine dei cavalieri del Dannebrog
(Dannebrogordenen, cfr. pp. 334-335), mentre nel 1679 venne emanato lo statuto del
prestigioso Ordine dell’elefante (Elefantordenen) che aveva le proprie radici nel XV
secolo (Arup 1925-1955 [B.3], II, p. 252). Queste istituzioni ‘esclusive’ appaiono stret-
tamente legate alla monarchia. Vd. De kgl. Danske ridderordener. Personalhistorisk
festskrift, udgivet i anledning af Hans Majestæt kong Christian den niendes 40aarige
regeringsjubilæum, paa foranstaltning af H.F. Grandjean, redigeret af J. Madsen, med
contava circa 20.000 abitanti, attorno alla metà del XVII circa
30.000, una parte dei quali tedeschi),551 è indubbio che ormai si era
venuta definitivamente strutturando una classe mercantile ben
attenta ai propri interessi e ben determinata a difenderli. Tra l’altro
i ricchi commercianti compresero presto l’importanza dell’istru-
zione e se ne avvantaggiarono per accrescere il proprio peso socia-
le ed economico. La borghesia seppe dunque impegnarsi nella
gestione di fiorenti traffici, sicché il commercio (in particolare
quello con i Paesi stranieri) venne progressivamente e definitiva-
mente sottratto alla gestione dei nobili. In questo quadro si situa
la politica mercantilistica portata avanti da Cristiano IV: nel 1616
veniva fondata la Compagnia delle Indie orientali (Ostindisk
kompagni) che si procurò (1620) una base a Trankebar o Tranque-
bar (Tharangambadi) sulla costa del Coromandel (Cholomandalam)
nell’India sud-orientale;552 più tardi la Danimarca tramite la Com-
pagnia delle Indie occidentali e della Guinea (Vestindisk-Guineisk
kompagni), che ottenne privilegi dal re nel 1671, si sarebbe annes-
sa la colonia di St. Thomas nelle Isole Vergini (cui poi si aggiunse-
ro St. John e St. Croix)553 e la cosiddetta “Costa d’oro” in Ghana:554
i traffici (compreso quello degli schiavi) furono intensi.555 Tuttavia
nei primi decenni dopo l’introduzione dell’assolutismo regio l’eco-
nomia dei centri urbani (fatta in parte eccezione per la capitale)
non fu florida come sperato e conobbe anzi un certo regresso.
Nelle città vivevano anche gli artigiani: le loro antiche gilde
medievali, consacrate a diversi santi, erano come tali decadute con
l’introduzione del luteranesimo e si erano trasformate in corpora-
zioni che con l’avvento dell’assolutismo regio vennero deliberata-
551
Fu durante il regno di Cristiano IV che Copenaghen divenne, a tutti gli effetti,
una vera e propria ‘capitale’. Altre città danesi importanti erano Flensborg (Flensburg,
attualmente in territorio tedesco), Malmö (in Scania), Helsingør, Odense e Ålborg.
Vd. Wallensteen 1995, p. 71 e Winding 1997, pp. 92-93 (entrambi in B.3).
552
In quella località, ceduta nel 1845 agli Inglesi, resta ancora il forte danese (Dans
borg). La Compagnia delle Indie orientali incontrò molte difficoltà ed ebbe notevoli
perdite finché, di fatto, cessò la propria attività nel 1729. Pochi anni dopo tuttavia
(1732) nasceva la Compagnia asiatica (Asiatisk kompagni) che ne rilevò l’attività
ampliandola in direzione della Cina: essa sarebbe passata allo Stato danese nel 1777.
553
Queste colonie saranno poi vendute agli Stati uniti nel 1917 in seguito a una
decisione presa dopo un lungo dibattito nell’ambito del quale era anche stata fondata
(1902) l’Associazione Isole danesi dell’Atlantico (Foreningen De Danske Atlanterhavsøer,
con riferimento a Islanda, Føroyar e colonie americane) che si opponeva alla cessione.
554
La “costa d’oro danese” (den danske guldkyst) sarebbe stata ceduta agli Inglesi
nel 1850.
555
Sulle colonie danesi si vedano i saggi compresi in Hoxcer Jensen P., Dansk
kolonihistorie. Indføring og studier, Århus 1983, in particolare la parte introduttiva
(“Indføring i dansk kolonihistorie”), pp. 7-98.
557
E tuttavia, per conferire – almeno formalmente – piena validità legale alla deci-
sione di introdurre la monarchia assoluta alcuni di loro furono invitati alla cerimonia
dell’omaggio al re Federico III tenuta a Copenaghen il 18 ottobre 1660 (cfr. p. 545).
558
Una efficace parodia del ‘contadino istruito’ si trova nella commedia di Ludvig
Holberg Erasmus Montanus (pubblicata nel 1731; vd. p. 830 con nota 681).
559
Questo testo si trova in un manoscritto (Thott 891 4to) conservato presso la
Biblioteca reale (Det kongelige bibliotek) di Copenaghen. Il titolo completo è: Præsti-
giæ Oeconomiæ ruralis revelatæ per Geopum Melanocomium, il quale ultimo pare
essere uno pseudonimo dell’autore, la cui paternità rispetto al testo è per altro prati-
camente sicura.
560
Vd. p. 589, con nota 276.
570
Si calcola che dai 10.000-15.000 abitanti dei primi decenni del XVII secolo sia
passata ai 40.000-45.000 del 1663 (vd. Schück – Warburg 19853 [B.4], II, pp. 188-189).
Una parte di loro era di origine straniera, per lo più tedeschi, anche se il numero di
questi ultimi era diminuito rispetto al passato.
571
Molti coloni tuttavia rimasero e, nonostante le difficoltà, la piccola comunità
svedese continuò a esistere fino a che all’inizio del XIX secolo essa risulta completa-
mente integrata (anche dal punto di vista linguistico) nella ‘grande famiglia americana’.
Sulla colonia nel Delaware vd. Åberg A., The people of New Sweden. Our colony on
the Delaware river 1638-1655, Stockholm 1988. Interessante in proposito è l’opera di
Thomas Campanius Holm (ca.1670-1702): Kort Beskrifning om Provincien Nya Sweri
ge uti America, Som nu förtiden af the Engelske kallas Pensylvania. Af lärde och trowär-
dige Mäns skrifter och berättelser ihopaletad och sammanskrefwen, samt med åthskillige
Figurer utzirad, Stockholm 1702 (ed. facsimile Stockholm 1988). Essa è stata tradotta
in inglese (Description of the province of New Sweden, now called, by the English,
Pennsylvania, in America. Compiled from the relations and writings of persons worthy of
credit, and adorned with maps and plates) a cura della Historical society of Pennsylvania
(Millwood, N.Y. 1975).
578
In questo contesto va ricordato anche un altro vallone, Gillis de Besche (1579-
1648), che fu tra l’altro socio di de Geer, il quale si era trasferito in Svezia insieme ai
fratelli Willem (1573-1647), Hubert (1582-1664) e Gerard (1585-1656), attivi nel
Paese come architetti e costruttori.
579
Su di lui vd. Dahlgren E.W., Louis De Geer, 1587-1652, hans lif och verk, I-II,
Uppsala 1923 (ed. facsimile Stockholm 2002).
580
Vd. Andersson 1975 (B.3), pp. 143-144 e p. 164.
581
Qui si ricordi la figura dell’ecclesiastico Samuel Petri Brask (1613-1668) che
nelle sedute del parlamento espose le ragioni dei contadini, da lui anche ‘tradotte’ in
forma letteraria nel dramma Il figliol prodigo, o il viaggiatore inesperto (Filius prodigus,
seu imperitus peregrinans, 1645).
582
Vd. sopra, p. 568.
583
Va qui tuttavia doverosamente ricordato che la reale natura del rapporto tra con-
tadini e nobiltà nella Svezia di questo periodo resta materia di discussione fra gli storici.
584
In proposito vd. Ågren S., Karl XI:s indelningsverk för armén. Bidrag till dess
historia åren 1679-1697, Uppsala 1922. Nel 1927 Vilhelm Moberg (su cui vd. pp. 1168-
1169) debutterà con il romanzo Raskens, ambientato nell’Ottocento, che descrive la
difficile lotta quotidiana per l’esistenza di un povero soldato e della moglie in un soldat-
torp.
585
Vd. p. 611 con nota 385.
del Regno svedese (Sweriges Rijkes Ringmur, 1637), di cui ci restano due
versioni ampiamente discordanti.586 L’opera si situa in un periodo nel
quale la stanchezza per un conflitto che dopo la morte di Gustavo II
Adolfo non conosce più i grandi trionfi svedesi è diffusa mentre cresce,
parallelamente, il desiderio di vedere finalmente siglata la pace. Alternan-
do parti in svedese e in latino, Wivallius si impegna per trasmettere al
popolo un messaggio sulla necessità di restare uniti per amore della patria,
di confidare in Dio e nella saggezza dei governanti e, dunque, di accetta-
re la prosecuzione dei combattimenti: in nome di un ‘ideale’ (in realtà ai
fini della propaganda politica) egli abilmente utilizza argomenti di natura
religiosa, non da ultimo il tema prettamente luterano della lotta all’Anti-
cristo e l’imminenza della fine dei tempi. Si legga:
586
La prima delle quali è in molti punti lacunosa.
587
DLO nr. 142.
588
In seguito alla gravissima epidemia di peste che aveva colpito il Paese (cfr. p. 370
e anche pp. 419-420) una gran parte delle famiglie nobili si era estinta (quando erano
deceduti i figli maschi), mentre altre erano decadute sul piano sociale nel momento in
cui la mancanza di forza lavoro nelle campagne aveva fatto venir meno i loro introiti;
in altri casi infine esse erano confluite per via matrimoniale all’interno di famiglie
nobili provenienti da altri Paesi (in particolare dalla Danimarca).
589
Vd. sopra, pp. 479-482.
590
NRR II, pp. 33-34. Vd. Supphellen 1979; il primo a rivestire questa funzione fu
Povel Huitfeldt (ca.1520-1592); su di lui vd. Larsen H., Povel Huitfeldt, norsk statt
holder 1572–77, Oslo 1936.
591
E tuttavia Hannibal Sehested non mancò di curare (anche troppo attentamen-
te!) i propri interessi, al punto che quando le sue appropriazioni indebite vennero
alla luce egli dovette rinunciare all’incarico; su di lui cfr. p. 550. Benefici effetti ebbe
in seguito anche la nomina a governatore del figlio illegittimo di Federico III, Ulrik
Frederik Gyldenløve (cfr. nota 15 e p. 622) il quale portò avanti le riforme intraprese
da Hannibal Sehested, difese gli interessi dei contadini e fu molto benvoluto dai
Norvegesi.
592
Un caso esemplare è quello di Ludvig Munk (ca.1537-1602), nominato gover-
natore nel 1577. Il suo comportamento prevaricatore e spietato fu motivo di molte
lagnanze e, dopo alterne vicende, egli fu costretto a lasciare i suoi incarichi.
593
La distanza tra l’ambiente rurale norvegese e i centri del potere si misura anche
sotto l’aspetto linguistico. Seppure naturalmente il linguaggio ufficiale (anche quello
della Chiesa) fosse ormai il danese (vd. sopra, 8.2.5.3), i contadini e i pescatori norve-
gesi continuarono a usare quotidianamente i loro dialetti (dai quali tuttavia non sorse
alcuna lingua scritta) preservando così un patrimonio che sarebbe stato rivalutato nel
XIX secolo (vd. 11.3.3.1).
594
Il termine herredag indicava originariamente in Svezia una sorta di riunione
parlamentare (cfr. p. 359 con nota 131). In Danimarca (dove si sviluppò più tardi
presumibilmente su modello svedese) esso assunse funzioni giudiziarie (vd. Nielsen
H., “Herredag”, in KHLNM VI [1961], coll. 495-496): ciò avvenne, per evidenti
ragioni, anche in Norvegia.
595
A. Holmsen (Holmsen 1971-19774 [B.3], I, p. 413) fa opportunamente rilevare
come da parte danese ciò si inquadrasse nei rapporti tra il potere centrale e le diverse
‘regioni’ del Regno.
596
Vd. Winge 1988 (Abbr.), nr. 465, 14 febbraio 1582, p. 195 e nr. 608, 31 luglio
1591, pp. 235-237.
597
Queste erano certamente le intenzioni da parte danese; vd. tuttavia p. 551 con
nota 96.
598
I Paesi da cui provenivano molti dei ‘nuovi borghesi norvegesi’ furono l’Olanda,
l’Inghilterra, la Scozia, la Germania e la Danimarca (soprattutto dalla regione dello
Jutland). Vd. Holmsen 1971-19774 (B.3), I, pp. 429-431.
599
La prima miniera aperta in Norvegia fu quella di rame a Sundsberg (comune di
Seljord in Telemark) nel 1524 cui, grazie all’interesse della Corona, altre seguirono (vd.
Holmsen 1971-19774 [B.3], I, pp. 435-437): tra queste la miniera d’argento presso la
quale si sarebbe sviluppata la città di Kongsberg (cfr. p. 549, nota 86) fondata nel 1624
e quella di rame là dove sarebbe presto sorta Røros nel Trøndelag meridionale (1646).
In relazione all’apertura della miniera di Kongsberg fu anche realizzata, per volontà
del re, la prima strada carrabile del Paese (Gamle Kongbergsvei). Le prime industrie
norvegesi sorsero del resto in relazione al settore minerario: la Orkla (fondata nel 1654
a Løkken Verk nel Trøndelag meridionale) nacque per l’estrazione di calcopirite, la
Ulefos come fonderia (fondata nel 1657 a Ulefoss nel Telemark).
600
Parallelo al suo sviluppo è, al contrario, il regresso di Stavanger penalizzata
dallo spostamento nella capitale della sua sede vescovile e di quella giudiziaria.
601
Questo centro (inizialmente Fredriksstad) prende nome dal re danese Federico
II che la fondò nel 1567 per ‘sostituire’ la vicina Sarpsborg data alle fiamme dagli
Svedesi nel corso della guerra nordica dei sette anni (cfr. p. 548 con nota 84). Una
parte della città conserva ancora la struttura originale.
602
Vd. Stang – Dunker 1838 (Abbr.), pp. 4-10.
605
Si veda a esempio la sostanziale sottrazione al clero danese di una autonoma
gestione economica (DKL III, nr. 48 [§ 41], 31 marzo 1615, p. 45); l’obbligo imposto
dal re di possedere un attestato universitario per poter esercitare l’attività di pastore
(ibidem, nr. 154 e nr. 155 del 7 novembre 1629, pp. 173-176) o la parte relativa alla
Chiesa nel recess di Cristiano IV (27 febbraio 1643, Secher [Abbr.] V, nr. 143, pp.
122-354, in particolare libro I, pp. 143-211). In sostanza si era stabilita una intransi-
gente regolamentazione della vita religiosa da parte dell’autorità reale (cfr. p. 684 con
nota 30). Del resto anche un decreto come quello relativo alle ‘religioni straniere’
(Forordning om fremmede Religioner; ibidem, nr. 515 del 6 aprile 1676, pp. 502-505)
la cui pratica, tranne pochissime eccezioni, viene totalmente esclusa dal territorio del
Regno, rispecchia la chiara volontà della monarchia di avocare a sé la gestione (uni-
formante) di qualsiasi aspetto della realtà sociale, con ciò ritenendo di garantire forza
e continuità al potere assolutista.
606
Una serie di provvedimenti evidenzia la volontà di ‘difendersi’ anche rispetto a
possibili influssi provenienti dall’esterno. A esempio in Danimarca fin dal 1569 era
stato emesso un decreto in base al quale agli stranieri che avessero voluto stabilirsi nel
Paese veniva fatto obbligo di accettare formalmente gli articoli di fede luterana o,
altrimenti, allontanarsi nel termine massimo di tre giorni, diversamente incorrendo
nella pena di morte (Secher [Abbr.] I, pp. 412-420). Il 22 ottobre 1604 era stata ema-
nata una circolare relativa alle scuole nella quale si faceva divieto di ricoprire incarichi
a chi fosse stato allievo dei gesuiti (Secher III [1889-1891], nr. 204 pp. 175-178).
Naturalmente queste norme dovevano valere anche per le ‘colonie’. In Svezia nel 1667
era stata emessa un’ordinanza che, ribadito l’obbligo per i sudditi di professare l’unica
fede luterana ammessa nel Regno (§§ i-ii), ingiungeva agli stranieri che si trovavano nel
Paese di praticare la propria religione nel chiuso delle loro case, proibendo categorica-
mente qualsiasi forma di proselitismo e affidando all’autorià civile ed ecclesiastica il
controllo sul loro comportamento in modo da evitare che qualsiasi tipo di ‘eresia’ (anche
di carattere filosofico o letterario!) potesse diffondersi (Kongl. Mayst.s Religions Placat,
Vthgifwit på Stockholms Slott den 19. Martij Åhr 1667); un successivo decreto (Kongl.
Mayst:tz Forbudh Angående Skadelige Böckers Införsel och Hemmande [...] Stockholm
then 2. Novembris Anno 1667), imponeva una severa vigilanza sulla temuta introdu-
zione nel Paese di libri considerati ‘pericolosi’ (entrambi in SFS).
607
Si constata come, in questa ottica, lo spazio riservato alle donne fosse assai
limitato: ben lontani sono i tempi in cui una figura femminile appartenente alla sfera
religiosa come quella di Santa Brigida poteva addirittura rivolgere il proprio rimpro-
vero al re di Svezia! (cfr. p. 356 e anche p. 402).
608
Vd. p. 496.
609
Vd. nota 512.
610
Cfr. p. 576. Il titolo completo dell’opera è: Postilla per la casa ovvero semplici
prediche su tutti i vangeli delle solennità e delle domeniche dell’anno (Húspostilla eður
einfaldar predikanir yfir öll hátíða- og sunnudagaguðspjöll árið um kring, 1718-1720).
Vd. “Meistari Jón”, in BR, pp. 41-44.
611
Vd. Nilsson S.A., “1634 års regeringsform”, in Scandia, X (1937), pp. 1-37 e,
del medesimo autore, Axel Oxenstierna och regeringsformen 1634, Lund 1937.
612
L’istituzione di un Collegio di guerra (Krigskollegium) si lega del resto alla rior-
ganizzazione dell’esercito e della marina, ambiti di grande interesse per il re Gustavo
II Adolfo e anche, più tardi, per Carlo X e Carlo XI.
613
Tra questi il Collegio dello Stato (Statskollegium), che doveva occuparsi delle
questioni importanti in politica interna ed estera; esso fu sostituito da Cristiano V con
un Consiglio segreto (Gehejmekonseilet) di cui facevano parte oltre al re solo i sei
massimi funzionari del Regno: esso costituiva la suprema autorità del Paese.
614
In Norvegia il termine amt è stato in seguito sostituito da fylke, tuttora in uso
per indicare distretti regionali amministrativi che raggruppano diversi comuni.
615
La cui figura risale per molti versi a quella del sysselman (cfr. p. 340, p. 372 e
anche p. 387). I diversi decreti successivi all’introduzione dell’assolutismo regio sono
pubblicati in AaKG II (1856-1860), pp. 151-326 (nr. 1-52). La Norvegia venne suddi-
visa in quattro “province diocesane” (ciascuna indicata con il termine stiftamt) i cui
confini corrispondevano a quelli delle quattro diocesi. Vd. anche Holm 1885-1886
(C.10.2), I, pp. 82-85.
616
All’intensa attività legislativa che caratterizza questo periodo corrisponde ora
tutta una serie di studi e lavori di carattere giuridico: qui basti citare Christen Ostersen
Veile (Christen Osterssøn, morto dopo il 1652) il quale redasse un Glossario giuridico
danese (Glossarium juridico-Danicum, 1641; seconda edizione 1652) che – pure tenen-
do conto dei molti errori – costituisce una fonte importantissima per lo studio della
tradizione legale di questo Paese; Peder Lassen (1606-1681) e Rasmus Vinding (1615-
1684) che (per quanto in contrasto tra loro) portarono un notevole contributo alla
redazione della Legge danese del 1683, per la quale va qui ricordato anche il nome di
Peder Schumacher (vd. p. 545 con nota 71); Johannes Loccenius (1598-1677), fonda-
tore degli studi giuridici svedesi (seppure egli fosse originario del Holstein) e, soprat-
tutto, Johan Olofsson Stiernhöök (Johan Olofsson Dalkarl, poi insignito della dignità
nobiliare, 1596-1675) per molti versi già illuminista, il cui intelligente uso delle fonti
unito a una chiara visione dei problemi aprì la strada a una nuova concezione del
diritto che avrebbe positivamente influenzato la stesura della legge generale del 1734
(vd. oltre, pp. 698-699). La sua opera, Antico diritto degli Svedesi e dei goti (De jure
Sveonum et Gothorum vetusto), uscita nel 1674 (tale è l’anno in cui ottenne l’autoriz-
zazione alla pubblicazione, seppure il frontespizio rechi la data di due anni prima)
costituisce un momento fondamentale della storia del diritto svedese. Anche perché
si pone in aperto contrasto con le fantasie goticiste che avevano ‘contagiato’ anche il
campo del diritto: si pensi a Carl (Carolus) Lundius figura altamente stimata e convin-
to fautore dei fondamenti giuridici dell’assolutismo regio, che in pieno spirito rudbe-
ckiano considerava Zalmoxis – il leggendario riformatore sociale e religioso venerato
dai Daci – il primo legislatore svedese (Zalmoxis primus Getarum legislator academica
dissertatione luci publica restitutus, 1687; cfr. p. 584, nota 251). Su Stiernhöök vd.
Helander H. – Nelson A. et al., Johan Stiernhöök i sin samtid, Stockholm 2005.
617
In Danimarca la Corte suprema (Højesteret) fu istituita nel 1661, in Svezia (Högsta
domstolen) tuttavia solo nel 1789 (vd. p. 706, nota 118).
618
Una importante innovazione fu, in Norvegia l’introduzione nel 1591 del cosid-
detto sorenskriver (da svoren skriver, letteralmente “scrivano giurato”) che divenne il
giudice nei tribunali di prima istanza delle comunità rurali. Questa figura venne
grosso modo a corrispondere al häradshövding svedese e al herredsfoged danese, due
termini che richiamano l’antica suddivisione territoriale di carattere giuridico-ammi-
nistrativo detta hérað (vd. p. 340 e p. 358) e composti rispettivamente con hövding
“capo” e foged (su cui vd. p. 360 con nota 134). Vd. Olafsen A., Våre sorenskrivere.
Sorenskriverinstitusjonen og sorenskrivere i Norge. Et bidrag til den norske dommerstands
historie, I-II, Oslo, 1941-1945 (in particolare il primo volume).
619
Vd. Holmsen 1971-19774 (B.3), I, pp. 445-447.
620
Si tratta di un regolamento (9 maggio 1561) assai dettagliato (NRR I, nr. 68, pp.
109-158).
621
Il che esprime chiaramente la volontà di porre sotto controllo tutto il territorio
del Regno. In questo ufficio fu attivo il pioniere degli studi cartografici svedesi il
celebre Andreas Bureus (1571-1646) – cugino di Johannes (cfr. p. 590 e p. 601) – che
nel 1626 pubblicò una carta del Nord (Orbis Arctoi nova et accvrata delineatio) corre-
data di una descrizione e che fu ripubblicata qualche anno dopo: Descrizione nuova e
accurata del Settentrione, innanzi tutto del Regno di Svezia (Orbis Arctoi, imprimisqve
regni Sveciæ nova et accurata descriptio, 1631). In Finlandia il primo agrimensore fu
nominato nel 1633.
622
Paus 1751 (Abbr.), pp. 940-943.
628
Il che portò alla condanna all’esilio e al pagamento dei danni per il suo fonda-
tore, che tuttavia fu in seguito graziato.
629
La prima banca danese, la Kiøbenhavnske Assignations-, Vexel- og Laanebanken
detta anche Kurantbanken (per altro privata), sarà fondata nel 1736; nel 1773 sarà
trasformata in banca statale. A essa seguirà nel 1786 un istituto fondato in relazione
alle riforme agrarie, la Reale cassa di credito (Det kongelige kreditkasse) e nel 1791 un
istituto dano-norvegese, Den Danske og Norske Speciebank, sostituito nel 1799 dalla
cosiddetta Deposito-Cassen. Una Banca nazionale danese (Rigsbanken) sarà fondata
nel 1813, nel 1818 essa verrà trasformata nella Nationalbanken inizialmente a capitale
privato. La fondazione della Banca norvegese (Norges bank) risale al 1816, quella
della Banca islandese (Landsbanki) al 1885.
630
Vd. Júlíusson – Ísberg 2005 (B.3), p. 118.
631
Si è tuttavia constatato che esse furono meno pesanti di quelle corrisposte dai
Norvegesi e dai Danesi stessi. In diverse occasioni gli Islandesi riuscirono a opporsi al
pagamento di nuove imposte, a motivo della situazione assai grave in cui versava
l’economia del Paese. Inoltre il contributo di uomini all’esercito del re fu assolutamen-
te limitato (vd. Júlíusson – Ísberg 2005 [B.3], pp. 116-117).
632
Da eseguirsi per annegamento nei confronti delle donne, per decapitazione nei
confronti degli uomini (fonte citata nella nota successiva).
633
Il decreto fu emesso il 2 luglio 1564 e ratificato dal re danese il 13 aprile 1565
(LFI I, pp. 84-89 e pp. 89-90); questa legge sarebbe rimasta in vigore fino al 1838. Vd.
Björgvinsson D.Þ., “Stóridómur”, in Kristjánsson G. – Hákonarson H. (ritstj.),
Lúther og íslenskt þjóðlíf. Erindi flutt á ráðstefnu um Martein Lúther, er haldin var 4.
nóvember 1983 í tilefni þess að 500 ár voru liðin frá fæðingu hans, Reykjavík 1989, pp.
119-140. La pena di morte in Islanda verrà abolita con una legge del 7 maggio 1928
(Lög um nokkrar breytingar til bráðabirgða á hegningarlöggjöfinni og viðauka við hana)
a quasi cento anni dall’ultima esecuzione avvenuta nel 1830 quando Agnes Magnús-
dóttir (nata nel 1813) e Friðrik Sigurðsson (nato nel 1811) furono giustiziati per aver
ucciso Natan Ketilsson (1792-1828) e un suo ospite dando poi fuoco all’abitazione nel
tentativo di distruggere le tracce del delitto. Successivamente altre condanne capitali
furono comminate, ma sempre commutate in pene detentive.
634
Contro questo provvedimento Guðmundur Andrésson scrisse tra il 1647 e il 1648
il cosiddetto Discorso in opposizione, o Trattato in opposizione al decreto emesso in Islanda
nell’anno 1564 (Discvrsvs oppositivus edur gagnstæd yfferferd løgriettunnar dom titils sem
geinged heffur a Alþingi Anno 1564; in versione latina: Discursus oppositivus, seu Tractatus
oppositus plebiscito in Islandia concinnato Anno 1564): quando il testo giunse nelle mani
delle autorità egli fu arrestato e rinchiuso nella Torre blu di Copenaghen. Tuttavia il 24
dicembre 1649 ottenne la grazia dal re per intercessione di Ole Worm, il quale era inte-
ressato alla sua collaborazione negli studi di antichità nordiche (cfr. p. 587 e p. 606).
635
Vd. sopra, pp. 551-552. Nel 1619 venne fondata una compagnia commerciale
(vd. nota 101) che in sostanza gestì (seppure venissero apportate diverse modifiche al
suo ordinamento) il commercio tra la Danimarca e l’Islanda fino al 1787.
636
Cfr. pp. 552-553.
637
Vd. p. 723 con nota 197.
638
Si pensi, solo per fare un esempio, che il vulcano Hekla (nel sud dell’isola) era
considerato la vera e propria porta dell’inferno. Esso tra l’altro ebbe imponenti eru-
zioni nel 1510, nel 1597, nel 1636 e nel 1693.
639
In realtà, come sopra ricordato, in Islanda il numero degli uomini condannati al
rogo per stregoneria fu assai superiore a quello delle donne. La maggior parte dei
processi e delle condanne (tuttavia testimoniati fino al 1720) si situa nel periodo tra il
1625 e il 1690. Anche Jón Guðmundsson l’Erudito (cfr. pp. 575-576) autodidatta
versato in molte discipline (tra cui lo studio delle erbe a scopi medicinali e la compo-
sizione di carmi), subì un processo per magia e fu condannato alla proscrizione (1631).
Egli cercò una riabilitazione ma la condanna fu confermata nel 1637, anche se poi
riuscì a non lasciare l’Islanda e poté ancora dedicarsi ai suoi interessi culturali.
640
Ma si veda, a esempio, anche la testimonianza di un documento reale, siglato da
Cristiano IV, nel quale si faceva proibizione agli Islandesi “di esumare i cadaveri dei
morti dalle tombe e tagliare loro la testa o bruciarli o danneggiarli in altro modo” (DLO
nr. 143).
641
In islandese essi sono detti almúgabækur (sing. almúgabók).
Alla morte di Carlo XI, nel 1697, la Svezia era stabile e in pace.
Come si è detto il re aveva risanato (soprattutto a spese della nobil-
tà) la finanza pubblica e con l’imposizione dell’assolutismo regio
era riuscito a far sì che il potere centrale dominasse e regolasse
l’intero organismo statale. Il Paese era a tutti gli effetti una “grande
potenza” e la sua posizione di predominio sul Mar Baltico era con-
solidata. Naturalmente questa situazione generava lo scontento di
nemici tradizionali quali, in primo luogo, la Danimarca e la Russia.
Motivi di tensione non erano mancati. La Danimarca, che non
aveva mai del tutto accettato la perdita di regioni ‘storiche’ come la
Scania, il Blekinge, il Halland e l’isola di Gotland, trovava un ulte-
riore motivo di irritazione nella tradizionale alleanza della Svezia
con il ducato di Holstein-Gottorp,1 il cui territorio, distribuito tra
le regioni dello Schleswig e del Holstein, la Corona danese aspirava
a riportare sotto il proprio dominio: essa cercava dunque una rivin-
cita che consentisse di spezzare l’accerchiamento da parte del
potente nemico. Sul versante orientale la Russia, svantaggiata dalle
disposizioni della pace di Stolbova,2 puntava a riprendere il con-
trollo delle vie commerciali sul Baltico. Nel 1658 essa aveva attac-
cato la regione dell’Ingria, ma la questione si era conclusa con un
armistizio:3 le sue ambizioni dunque erano rimaste insoddisfatte.
Nel 1699 vennero perciò avviate trattative per un patto di aggres-
sione contro la Svezia tra lo zar Pietro I il Grande (Пётр Алексеевич
Vd. p. 1419.
1
8
Il riferimento è, in particolare, alla battaglia di Holowczyn (Галоўчын, in Bielo-
russia) del 4 luglio 1708.
9
Il 19 settembre del 1708 infatti le truppe di supporto in arrivo dalla Livonia
guidate dal generale Adam Ludwig Lewenhaupt (1659-1719) furono sconfitte nella
battaglia di Ljasnaja (Лясная) nell’attuale Bielorussia (polacco Leśna, russo Лесная)
e si congiunsero al grosso dell’esercito fortemente indebolite.
10
Le sofferenze dei soldati in questa situazione sono tradotte nella canzone L’in-
verno più freddo che si ricordi (The Coldest Winter in Memory, 1996) del compositore
e cantante scozzese Al Stewart (n. 1945).
11
Questo villaggio non esiste più dal 1964 in quando la popolazione è stata evacua-
ta ed esso è stato sommerso dalle acque di un grande bacino idrico.
12
Vd. Tengberg E., Karl XII och Ryssland. Studier rörande ryska fälttågets slutskede,
Stockholm 1958 ed Englund P., Poltava. Berättelsen om en armés undergång, Helsing-
borg 1988. La famosa battaglia di Poltava è raffigurata in un quadro (1726) del pitto-
re francese Pierre-Denis Martin (1663-1742) conservato nel Palazzo di Caterina allo
Tsarskoye selo (Царское Село) di San Pietroburgo e in uno (1717) di Jean-Marc
Nattier (1685-1766) che si trova nel Museo statale di arti figurative A.S. Pushkin
(Государственный музей изобразительных искусств имени А.С. Пушкина) a Mosca,
mentre un altro quadro (1879) del pittore svedese Gustaf Olof Cederström (vd. pp.
1090-1091) appartenente a una collezione privata mostra il re Carlo e il cosacco Maze-
pa dopo la sconfitta. All’evento sono anche ispirati due film: uno svedese del 1925
diretto da Johan W. Brunius (1884-1937) dal titolo Carlo XII (Karl XII) e uno russo
del 2007 dal titolo Il servitore del sovrano (Слуга Государев) diretto da Oleg Ryaskov
(Oлег Pяcкoв, n. 1961).
13
Brema e Verden furono sottomesse dalla Danimarca che cercò di portare dalla
propria parte Giorgio (Georg), principe elettore di Hannover e futuro re Giorgio I
d’Inghilterra (1660-1727) vendendogli questi possedimenti. Dal canto suo la Prussia
si impadronì di parte della Pomerania e di Stettino.
14
Il 1 febbraio 1713 era scoppiato un tumulto nel quale egli era stato fatto prigio-
niero. A quel punto, dopo essere stato liberato, Carlo comprese che era giunto il
momento di tornare in patria, affrontando un viaggio lungo e non certo agevole né,
tantomeno, sicuro a motivo delle possibili insidie da parte dei suoi nemici.
15
Su di lui vd. Rian Ø., “Peter Wessel Tordenskiold – sjøkrigens Mozart”, in FNKF,
pp. 184-208.
16
Un quadro che raffigura il mesto corteo dei soldati che trasporta il corpo del re
venne dipinto nel 1878 da Gustaf Olof Cederström (vd. pp. 1090-1091). Il medesimo
pittore ne fece poi una nuova versione nel 1884. La prima opera si trova al Museo dell’ar-
te di Göteborg (Göteborgs konstmuseum), la seconda al Museo nazionale (Nationalmuseum)
di Stoccolma.
17
Vd. The Consolidated Treaty Series, edited and annotated by C. Parry, New York
1969-1981, XXX, pp. 81-91; Sundberg 1997 (Abbr.), nr. 134, pp. 309-310. A Han-
nover vennero cedute Brema e Verden.
18
Vd. Preussens Staatsverträge aus der Regierungszeit König Friedrich Wilhelms I,
herausgegeben von V. Loewe, Leipzig 1913, pp. 226-243; Sundberg 1997 (Abbr.), nr.
135, p. 311. Alla Prussia andarono la parte meridionale della Pomerania anteriore (a
sud del fiume Peene) con Stettino, le isole di Usedom e Wolin e le città di Damm e
Gollnow (polacco Goleniów).
19
Vd. Traité de Paix, Entre Sa Majesté le Roy & la Couronne de Suede [sic], Et Sa
Majesté le Roy de Dannemarc. Signé a Stockholm le 3 & ratifié le 30 Juin l’An 1720 /
Freds Fördrag Emellan Kongl. Maj:t och Cronan Swerige / Och Kongl. Maj:t af Dannemark.
Underskrifwit i Stockholm den 3 och ratificerat den 30 Junii 1720 (in SFS 1720); Sund-
berg 1997 (Abbr.), nr. 136, pp. 312-313. In base a esso la Svezia dovette rinunciare
all’esenzione doganale sull’Øresund (cfr. p. 533 con nota 12) e si impegnò a non sosten-
tere più il ducato di Holstein-Gottorp. Dal canto loro i Danesi restituirono l’isola di
Rügen, Stralsund, Wismar, Marstrand nel Bohuslän (quest’ultima località, costituita da
due isole vicine, era stata conquistata nel 1719 da Peter Wessel Tordenskjold) e parti
della Pomerania anteriore; inoltre si impegnarono a non fornire supporto ai Russi.
20
Tractat Des ewigen Friedens, Welcher zwischen Sr. Czaaris. Majest. und Sr. Königl.
Majest. in Schweden den 30ten Augusti v. st. 1721, Zu Neustadt in Finnland geschlossen
worden. Berlin [...] unter dem Berl. Rath.; Sundberg 1997 (Abbr.), nr. 137, pp. 316-318.
La Russia infatti otteneva le province baltiche di Estonia (con le isole di Saaremaa e
Hiiumaa), la Livonia, l’Ingria e una parte della Carelia.
*
Un altro episodio chiama in causa una ‘eroina’ norvegese, Anna
Colbjørnsdatter (1665 o 1667-1736), moglie dell’ecclesiastico ed erudito
Jonas Danielssøn Ramus.23 Nel 1690 costei si era trasferita con il marito
e i figli a Norderhov (nel comune di Ringerike in Buskerud) dove egli era
stato nominato pastore. La sera del 28 marzo 1716 le truppe svedesi
(circa seicento uomini) guidate da Axel Löwen (1686-1772) giunsero in
quella località. Gli ordini erano di percorrere quelle regioni per prendere
alle spalle i soldati norvegesi che al comando del tedesco Barthold Hein-
rich von Lützow (1654-1729) erano stanziati a Gjellebekk nel comune di
Lier, dove avevano respinto un precedente attacco. La tradizione vuole
che (essendo il marito a letto malato) ella accogliesse i nemici con grande
affabilità offrendo loro da mangiare e, soprattutto, da bere. Ma al con-
tempo inviasse segretamente un messaggio alle forze norvegesi più vicine.
Nella notte i soldati svedesi (a quanto pare rilassati ma anche ubriachi)
furono colti di sorpresa da un primo attacco cui un altro seguì quando da
Gjellebekk giunsero rinforzi. Molti furono uccisi, altri fatti prigionieri, il
resto si diede alla fuga.24
21
Alla Danimarca tuttavia la Svezia versò un risarcimento.
22
STFM VIII, nr. 14, 26 settembre 1732, pp. 162-166; Sundberg 1997 (Abbr.), nr.
139, pp. 320-321.
23
Cfr. p. 584.
24
Questa storia (che resta per altro in gran parte da verificare), è riportata in primo
luogo dallo storico e politico danese Ove Malling (1748-1829) nell’opera Grandi Azio-
ni di Danesi, Norvegesi e abitanti del Holstein (Store og Gode Handlinger af Danske,
Norske og Holstenere, samlede ved O. Malling, Kiøbenhavn 1777, pp. 221-227; qui
il cognome della donna è Colbiørsen). Ad Anna Colbjørnsdatter sono ispirati due
romanzi della scrittrice norvegese Berit Sagen Ramsfjell (n. 1927): La Signora Anna
Ramus (Fru Anna Ramus [1988]) e Mente chiusa. “La signora Anna Ramus II”. La
storia di Anna Colbjørnsdatter di Norderhov (Stengt sinn. “Fru Anna Ramus II.” Sagaen
om Anna Colbjørnsdatter fra Norderhov, 1990).
*
Dopo la morte del re Carlo XII le truppe svedesi presenti in Norvegia
ebbero l’ordine di ritirarsi. Anche per i soldati che agli ordini di Carl
Gustaf Armfeldt avevano portato l’attacco in direzione di Trondheim
era dunque giunto il momento di tornare a casa. Il percorso di rientro
avrebbe dovuto essere il più breve: dalla valle Gauldalen sarebbero
risaliti verso le montagne dette Tydalsfjellene in Trøndelag e di lì ridisce-
si verso Åre nella regione di Jämtland. Il giorno 28 dicembre del 1718,25
per quanto male equipaggiati, essi intrapresero la lunga marcia. Seppu-
re si fosse in pieno inverno il tempo sembrava sufficientemente favore-
vole. Ma il freddo pungente e la fatica fecero presto le prime vittime.
Quando raggiunsero la base della montagna molti di loro erano già
morti per il clima rigido e gli stenti. Il primo giorno dell’anno 1719,
accompagnati da un guida norvegese iniziarono la salita vera e propria.
Le condizioni del tempo parevano consentire una marcia se non agevo-
le, almeno possibile. Ma nel pomeriggio esse cambiarono rapidamente
e gli uomini furono colti da una violenta tempesta che li costrinse ad
accamparsi. Cercarono di difendersi dal freddo alla meglio, non potendo
granché. Altri di nuovo morirono nel gelo della montagna. Tornare
indietro non era possibile. Sicché essi, uomini e cavalli proseguirono in
direzione della Svezia: lungo il sentiero molti cadevano a terra sfiniti. Chi
riusciva a procedere lasciava dietro di sé i cadaveri dei compagni, le
carcasse dei cavalli, il peso insostenibile dell’equipaggiamento. Alla fine,
dopo tre giorni di marcia nella tempesta, i primi (fra loro Carl Gustaf
Armfeldt) raggiunsero Handöl ai piedi del massiccio di Snasahögarna,
nelle montagne svedesi, seguiti nei giorni successivi da compagni stre-
mati: ma la gran parte era caduta lungo la strada. E altri ancora moriro-
no durante l’ultimo tratto verso l’alloggiamento di Duved a pochi chilo-
metri da Åre. Dei circa seimila uomini partiti dalla Norvegia quasi due
terzi non giunsero a destinazione. Molti dei sopravvissuti rimasero
menomati per la vita.
40
Vd. p. 883 con nota 87.
41
Vd. oltre, pp. 693-696.
42
Cfr. sopra, nota 32 e oltre, p. 831 con nota 684.
43
In questo contesto va rilevata la comparsa di scritti nei quali si analizza la situa-
zione economica della Danimarca e si presentano concrete proposte in merito: ci si
riferisce, in particolare, ad autori come Thomas Jørgensen Hørning (ca.1675-1711) e,
più tardi, Otto Thott (1703-1785).
44
Rispettivamente: Forordning Om Land-Militiens Indrettelse i Danmark (22 feb-
braio 1701) e Forordning om Land-Militiens Ophævelse (30 ottobre 1730); vd. le
indicazioni in Schou (Abbr.) II, p. 24 e Schou III, p. 1.
45
Schou (Abbr.) III, nr. 4 febbraio 1733, p. 88. Il titolo di questo documento è
sufficientemente significativo: Ordinanza sull’istituzione di una nuova forza armata
nazionale in Danimarca. Dal momento che i contadini hanno fatto cattivo uso della
libertà ottenuta con l’abolizione della precedente forza armata nazionale, tralasciando le
coltivazioni e abbandonando la campagna (Forordningen Om en nye Land-Milices
Indrettelse i Danmark. Saasom Bøndekarlene misbrugte den ved forrige Land-Milices
Ophævelse bekomne Frihed, ved at lade Aagerdyrkningen fare og begive sig af Landet).
62
Cfr. nota 459.
63
L’ordinanza di abolizione della censura è del 14 settembre 1770 (vd. indicazioni
in Schou [Abbr.] III, p. 298 e in Stang – Dunker 1838 [Abbr.], p. 281). Tuttavia
Struensee medesimo fece le spese della nuova libertà di espressione venendo aperta-
mente attaccato (seppure gli autori degli scritti si mantenessero prudentemente
anonimi). Per questa ragione in data 7 ottobre 1771 (vd. indicazioni in Schou III, p.
298 e in Stang – Dunker 1838, p. 288) le norme furono corrette in senso restrittivo.
Vd. Jørgensen H., Da censuren blev opgivet, udgivet i anledning af tohundreåret for
Trykkefrihedsreskriptet af 14. september 1770, København 1970.
64
Su di lei vd. Bregnsbo M., Caroline Mathilde. Magt og skæbne, En biografi,
[København] 2007.
Scritte dal vero amico della patria con patriottica libertà (Breve angaaende den danske Proprietær
og Bonde, hvad begge ere for Staten, og hvorledes det kunde blive det, som de til største Nytte
for samme burde være. Med patriotisk frihed skrevne af fædrelandets sande ven, 1786).
72
Per primo aveva proposto l’istituzione di una commissione sui problemi dell’agri-
coltura (1757). A lui si devono i decreti del 29 dicembre 1758, del 28 dicembre 1759 e
dell’8 marzo 1760 con cui nelle diverse regioni del Paese veniva abolita la comunità
rurale (indicazioni in Schou [Abbr.] IV, p. 584, p. 607 e pp. 612-613); cfr. le ulteriori
ordinanze del 15 maggio 1761, del 10 febbraio 1766, del 28 luglio 1769 e del 13 maggio
1776 (indicazioni in Schou IV, pp. 670-671, Schou V, p. 2 e p. 139, Schou VI, pp. 180-
181). Come si dirà poco più avanti la comunità rurale scomparirà definitivamente nel
1781. Ad Adam Gottob Moltke si deve anche l’iniziativa di sollecitare proposte per
migliorare l’economia danese, gran parte delle quali furono pubblicate nella Rivista eco-
nomica di Danimarca e Norvegia (Danmark og Norges oeconomiske Magazin) uscita in otto
volumi tra il 1757 e il 1764 ed edita anonimamente da Erik Pontoppidan (su cui cfr. nota
39). Gran parte dei contributi venne dall’ecclesiastico Otto Didrik Lützen (1713-1788).
sero una gestione parlamentare del potere che fece sempre più
diminuire l’autorità reale. Marcatamente filo-francesi (a quel Pae-
se essi guardavano come a un vero e proprio modello) essi proget-
tarono una rivincita contro la Russia. La guerra, iniziata nel 1741,
si risolse in un disastro: nel 1742 l’esercito svedese capitolava e i
Russi occupavano l’intera Finlandia.98
La pace che seguì (sottoscritta ad Åbo nel 1743)99 – seppure
subita dagli Svedesi con grande amarezza – non risultò tuttavia
disastrosa: alla fine furono ceduti alla Russia solo un paio di
territori nella Finlandia sud-orientale fino al lago Saimen (fin-
nico Saimaa) e al fiume Kymmene (finnico Kymijoki). Ma ciò
dipese dall’esito della questione, sempre aperta, della succes-
sione al trono. Come è stato detto, Ulrica Eleonora e Federico
d’Assia non avevano figli e inutili erano stati i tentativi del re di
far riconoscere il diritto sul trono svedese al proprio casato. In
ballo c’erano ora due pretendenti: da una parte il principe ere-
ditario danese Federico, figlio di Cristiano VI, dall’altra Adolfo
Federico (svedese Adolf Fredrik, tedesco Adolf Friedrich, 1710-
1771) di Holstein-Gottorp (cugino di quel Carlo Federico che
inutilmente aveva conteso la corona a Ulrica Eleonora): la scel-
ta di quest’ultimo venne di fatto imposta dalla zarina Elisabetta
Petrovna.100 Ma il conflitto fu aspro e divise la società svedese:
i contadini in particolare parteggiavano per il principe danese
e il 20 giugno 1743 una nutrita schiera di costoro, quasi cinque-
mila persone provenienti dalla Dalecarlia (dove il malcontento
serpeggiava da tempo) si riversò nella capitale. La loro manife-
stazione (legata anche alla richiesta di abbassare le tasse e pro-
seguire le ostilità contro la Russia) si trasformò tuttavia (22
giugno) in uno scontro a fuoco con i soldati del re: molti furono
della borghesia, mentre i contadini ne erano esclusi (seppure dopo il 1742 essi fossero
in qualche forma coinvolti). Sorta per discutere con il re le questioni di politica estera,
venne gradatamente ampliando l’ambito delle proprie competenze e acquisì sempre
maggior potere: nel regolamento parlamentare del 1723 la sua struttura venne formal-
mente definita (Kongl. Maj:ts Och Sweriges Rikes Ständers Riksdags-ordning Författad
wid Riksdagen uti Stockholm den 17 october 1723, § 18; in SFS 1723). Come indica il
nome essa doveva discutere le questioni di carattere riservato. Nella seconda metà del
XVIII secolo questo organismo perse di importanza, in particolare dopo il colpo di
stato di Gustavo III (vd. p. 704).
98
In relazione alla sconfitta i due generali dell’esercito svedese Charles Lewenhaupt
(n. 1691) e Henrik Magnus von Buddenbrook (n. 1685) furono condannati a morte e
giustiziati a Stoccolma nel 1743.
99
STFM VIII, nr. 36, 16 giugno‑20 agosto 1743, pp. 377-433 (con i preliminari e
vari documenti relativi); Sundberg 1997 (Abbr.), nr. 140, pp. 322-324.
100
Cfr. pp. 1419-1420.
Nel clima di ostilità nei confronti dei Russi, amplificato dal patriottismo
politicizzato dei “cappelli”, si inserisce un celebre episodio. Il 17 giugno
del 1739 infatti il diplomatico svedese di origini scozzesi Malcom Sinclair
(n. 1690), di ritorno da una missione in Turchia, mentre si trovava poco
a nord di Breslavia, veniva catturato da una pattuglia russa e ucciso.
Questo fatto destò enorme scalpore e indignazione e, per quanto il gover-
no russo declinasse qualsiasi coinvolgimento in merito, contribuì in
misura consistente allo scoppio della guerra tra i due Paesi. Ispirata a
questo tragico avvenimento è la lunga Canzone per Sinclair (Sinclairvisan,
1739) composta dallo scrittore svedese Anders Odel (1718-1773)102 sul
tema musicale della ‘follia’: in essa lo sfortunato diplomatico incontra
nell’aldilà, tra gli altri, il re Carlo XII che gli domanda notizie del Paese.
I versi sono percorsi da un marcato patriottismo (l’autore era un simpa-
tizzante dei “cappelli”) che vuole palesemente incitare gli Svedesi alla
rivincita e alla vendetta. Si leggano queste strofe:
101
Questa “rivolta della Dalecarlia” (Dalupproret) era provocata anche dall’infelice
esito della guerra con la Russia e dallo scontento per la politica economica dei “cap-
pelli”. Sull’argomento vd., tra l’altro, Sennefelt K., Den politiska sjukan. Dalupproret
1743 och frihetstida politisk kultur, Hedemora 2001.
102
Su di lui vd. Hörnström E., Anders Odel. En studie i frihetstidens litteratur- och
kulturhistoria, Uppsala 1943. Cfr. p. 711.
103
Il nome Svea o anche Moder Svea (“Madre Svea”) compare a partire dalla prima
metà del XVII secolo a indicare la personificazione (in figura femminile rappresenta-
ta con ornamento di armi) della madre patria svedese. Ne fanno uso autori come
Stiernhielm (vd. pp. 601-603 e pp. 610-611) e Messenius (vd. pp. 580-581). Esso
certamente si rifà, seppure il collegamento non sia del tutto chiaro, all’antroponimo
Svear (vd. pp. 155-156; cfr. pp. 136-138).
Costui era figlio del celebre architetto Nicodemus Tessin il Giovane (vd. sopra,
105
p. 620). Dopo una brillante carriera diplomatica nel 1747 divenne presidente della
cancelleria, in pratica primo ministro. In seguito tuttavia i rapporti con i reali si gua-
starono ed egli fu allontanato dalla corte insieme alla moglie. Su di lui vd. Holst W.,
Carl Gustaf Tessin. En grandseigneur från XVIII:de seklet, Stockholm 1936.
106
STFM VIII, nr. 73, 22 maggio 1762, pp. 831-856 (con documenti relativi); Sund
berg 1997 (Abbr.), nr. 141, pp. 327-329.
112
La convenzione e altri documenti collegati in Scott J. Brown, The armed neut
ralities of 1780 and 1800. A Collection of official Documents preceded by the Views of
representative Publicists, New York 1918, pp. 273-345 (in particolare pp. 321-323).
113
In questo contesto va segnalato che nel 1784 alla Svezia fu ceduta da Luigi XVI
l’isola caraibica di Saint Barthélemy nelle Piccole Antille (dove lavoravano anche degli
schiavi) in cambio di diritti commerciali a Göteborg. L’isola fu rivenduta ai Francesi
nel 1878.
114
Svensksund (finnico Ruotsinsalmi) è un’insenatura che si trova nella Finlandia
sud-orientale.
115
Freds-Fördag Emellan Hans Maj:t Konungen af Swerige Och Sweriges Rike Å ena,
samt Hennes Maj:t Kejsarinnan af Ryssland Och Ryska Riket Å andra sidan, Afhandladt
och slutit på Werele Slätt nära wid Kymene Elf emellan båda Lägrens Förposter den 3/14
Augusti 1790, och Ratificeradt uti Lägret wid Werele den 19, och på Czarskoe Selo den
6/17 i samma månad. / Traité de Paix Entre Sa Majesté le Roi de Suede [sic] et la Cou-
ronne de Suede [sic] D’une part, et Sa Majesté l’Impératrice de Toutes les Russies, et
l’Empire de Russie, De l’autre, Fait & conclu dans la Plaine de Verele près de la riviere
de Kymene entre les Avant-postes des deux Camps le 3/14 Août 1790, & ratifié au camp
de Werele le 19 & à Czarskoe Selo le 6/17 du même mois, Stockholm [...] 1790.
116
Vd. Sandström A., Officerarna som fick nog – Anjalamännen och Gustaf III:s
ryska krig 1788-1790, Örebro 1996. Vd. p. 1363.
117
Le questioni riguardavano soprattutto la libertà di stampa (vd. alle pp. 812-814
il testo relativo a questo argomento) ma anche la distillazione dell’acquavite che da
molti si chiedeva fosse sottratta al monopolio della Corona.
128
In particolare nell’organizzazione della Casa dei Signori essa aveva ottenuto che
le decisioni venissero assunte con votazioni nelle quali ciascuno contasse individual-
mente e non più, come era stato in precedenza, sulla base di una tripartizione dei
membri legata al grado di nobiltà posseduto (vd. in Brusewitz 1916 [Abbr.], Riddarhus-
ordningen, III, §§ 1-3, p. 373).
129
Al Settecento risale la fondazione di importanti industrie svedesi come il lanifi-
cio fondato nel 1724 ad Alingsås da Jonas Alströmer (1685-1761), il quale diede poi
l’avvio ad altre attività e fu promotore del consumo della patata; la fabbrica di ogget-
ti in vetro Kosta Boda (il cui primo nucleo fu fondato nel 1742 a Johanstorp nella
regione di Småland) e che nel 1990 si fonderà con altre fabbriche (tra cui la ben nota
Orrefors glasbruk nata nel 1898) sotto la denominazione di Orrefors Kosta Boda; quel-
la di ceramiche pregiate Rörstrand (nata nel 1726 a Stoccolma). Addirittura al 1646
risale l’industria Bofors (sorta per la lavorazione del ferro, poi dell’acciaio, poi di
armamenti) con sede a Karlskoga (Värmland) della quale per un periodo sarà proprie-
tario anche Alfred Nobel (vd. p. 992); al 1689 la Husqvarna (che prende il nome da
un sobborgo di Jönköping in Småland), inizialmente una fabbrica di fucili, ma poi nota
per le macchine da cucire, gli elettrodomestici, le biciclette e i motocicli, le macchine
per giardinaggio; al 1692 lo stabilimento tessile Ekelund di Horred (Västergötland).
130
Una incisiva politica deflazionistica fu attuata quando le “berrette” nel 1765
ritornarono al potere. Successivamente (1777) il re Gustavo avrebbe deciso una sva-
lutazione della moneta grazie alla quale l’economia fu rafforzata (cfr. nota 140).
131
In quel periodo questo Paese suscitava un grande interesse non solo dal punto
di vista economico ma anche da quello culturale. Basti pensare che nel parco del
castello di Drottningholm (cfr. p. 618) sorse il ‘castello cinese’ (Kina slott) fatto edifi-
care dal re Adolfo Federico per il compleanno della regina Luisa Ulrica nel 1753:
questa costruzione in legno fu poi sostituita da un’altra che ne riprendeva lo stile
orientaleggiante disegnata dall’architetto Carlo Federico (Carl Fredrik) Adelcrantz (vd.
p. 847).
140
Lo stato di grande confusione e crisi finanziaria (dovuto anche alle spese per la
guerra con la Russia) fu risolto grazie all’abilità di Johan Liljencrantz (Westerman
prima della concessione della dignità nobiliare, 1730-1815) il quale a partire dal 1777
realizzò un adeguato programma di stabilizzazione monetaria.
141
Su di lui si veda Virrankoski P., Anders Chydenius. Demokratisk politiker i
upplysningens tid, Stockholm 1995. Cfr. p. 750 e p. 776.
142
Vd. Nurmiainen J., “Gemensamma privilegier för ett odalstånd. Alexander
Kepplerus som borgmästare och samhällstänkare”, in RKP, pp. 171-191, pp. 369-373
e p. 413.
143
Letteralmente “piatto di gröt”. Il termine svedese gröt indica una specie di
pappa ottenuta cuocendo farine o cereali con acqua o latte.
144
Vd. testo a p. 701.
149
Un segnale in tale direzione sono anche le visite dei sovrani danesi nel Paese,
divenute una consuetudine a partire da Cristiano IV. Nel 1733 il re Cristiano VI con
la regina Sofia Maddalena vi fece un viaggio di quattro mesi accompagnato da un
seguito di quasi duecento persone. Cfr. p. 662.
150
Vd. sopra, p. 550 e p. 660 con nota 591.
151
Cfr. p. 533, nota 15, p. 622 e p. 660, nota 591.
152
Dal 1661 l’esercito norvegese avrebbe avuto un comandante proprio.
153
Il decreto è del 14 marzo 1666 (AaKG II [1856-1860], nr. 12a e 12b, pp. 173-
175); questo organismo avrebbe sostituito il cosiddetto herredag (cfr. p. 661).
154
Tra costoro vale forse la pena di ricordare la figura di Jørgen Olufsen Mandal
(1640-1724) che pur essendo di famiglia contadina divenne benestante e fu poi ammi-
nistratore della contea di Jarlsberg in Vestfold dove rimase per più di trent’anni (vd.
Rian Ø., “Jørgen Olufsen Mandal i Jarlsberg-grevens tid”, in FNKF, pp. 134-155).
168
Costoro erano detti husmenn (sing. husmann) e la loro condizione corrisponde-
va grosso modo a quella dei torpare svedesi (cfr. nota 136). Divennero molto numero-
si tra il XVII secolo e la prima metà del XIX. Un’altra categoria di persone che viveva
presso un podere altrui erano i cosiddetti innerster (sing. innerst), in sostanza persone
che prendevano in affitto un alloggio. Per lo più (tranne qualche caso) costoro si
trovavano in una situazione sociale ancor più svantaggiata rispetto ai husmenn. Nella
condizione di queste persone vi erano tuttavia localmente delle differenze. Vd. Skappel
1979. Si tenga dunque ben presente che anche in Norvegia, nonostante gli effettivi
progressi, persisteva una larga fascia di indigenti: sulla loro situazione e sui provvedi-
menti assunti si rimanda a OAF [Dyrvik S.], pp. 109-184.
169
Vd. p. 360 con nota 134.
170
La situazione economica era talmente grave che furono messe in vendita non
soltanto fattorie ma anche chiese con i relativi possedimenti.
171
La coltivazione di questo ortaggio, la cui diffusione fu in diversi Paesi (tra cui la
Francia) ostacolata da false informazioni e pregiudizi, avvenne nel Nord piuttosto
tardi. In Svezia, come si è visto, essa fu promossa da Jonas Alströmer (vd. sopra, nota
129), benché si sappia che già in precedenza Olof Rudbeck (vd. pp. 582-584 e pp.
630-631) ne aveva coltivato alcune piante nel Giardino botanico di Uppsala. In Dani-
marca e in Norvegia la patata divenne comune a partire dalla metà del XVIII secolo,
quando molti amministratori ed ecclesiastici, i cosiddetti ‘preti delle patate’, ne
sostennero l’utilità: tra costoro si ricordano il danese Jacob Kofoed Trojel (1736-1812)
cui si deve il manuale dal titolo Trattato sulla coltivazione e l’impiego delle patate
(Afhandling om Kartoflers Avl og Brug, 1772), distribuito gratuitamente nei territori
dei due Regni, e il norvegese Peder Harboe Hertzberg (1728-1802) autore di un bre-
ve scritto dal titolo Informazioni per i contadini di Norvegia, su [come] piantare e colti-
vare l’utilissimo prodotto della terra patata, proposto dall’esperienza personale (Under-
retning for Bønder i Norge, om den meget nyttige Jord-Frugt Potatos: at plante og bruge,
af egen Erfarenhed forestillet, 1774). Vd. Brandt N., Potetprester, Oslo 1973.
172
Cfr. nota precedente. Va inoltre ricordato qui l’ecclesiastico Christian Teilman
(1743-1821), che fondò una scuola di frutticultura e fu autore di un Insegnamento alle
scuole norvegesi di frutticultura per l’impianto e la cura (Anviisning til Norske Frugt-
træskoler at anlægge og vedligeholde, 1797) basato, come egli afferma, su venticinque
anni di esperienza diretta e pubblicato a proprie spese.
173
Va qui menzionata la sommossa contadina (nota come Strilekrigen) scoppiata
nel 1765 nella zona di Bergen contro l’imposizione di una tassa straordinaria.
174
Sulla sua vicenda scriverà in seguito un celebre autore norvegese come Henrik
Wergeland (vd. pp. 930-931) che gli dedicherà lo scritto dal titolo Il portavoce del
popolo C.J.L. (Almuetalsmanden Christian Jensen Lofthus samt almue-urolighederne i
1786 og 87 i Nedenæs Amt, in HWSS IV: iv, pp. 1-150); vd. Sverdrup G., Lofthu-
sbevægelsen, Kristiania 1917, Bjorvatn Ø., Lofthus-reisinga. Synet på Lofthusreisinga
og bondestriden i slutten av 1700-tallet, Oslo 1962 e anche Rian Ø., “Kristian Lofthus
Non c’è dubbio che i secoli XVII e XVIII siano stati i più
difficili della storia islandese. Dal punto di vista economico l’in-
troduzione del monopolio commerciale danese aveva, come si è
188
Già membro della Reale società norvegese delle scienze, a lui si devono i primi
drammi norvegesi: Zarine (fortemente influenzata dal modello francese della Zaïre di
Voltaire) e, soprattutto, Einer Tambeskielver, segnato da un evidente patriottismo
(entrambe le opere furono pubblicate nel 1772). In quel medesimo periodo scriveva
anche il componimento Brindisi per la Norvegia (Norges Skaal) che inizia con il celebre
verso “Per la Norvegia, Patria di Eroi, Vogliamo vuotare questo Calice” (For Norge,
Kjæmpers Fødeland,/ Vi denne Skaal vil tømme), un testo che però non ottenne il
consenso per la stampa: ciò nonostante (forse anche per questo) fu presto assai diffu-
so e divenne una sorta di inno nazionale (su di esso e sulla musica che lo accompagnò
vd. Berulfsen Bj., For Norge, Kiæmpers Fødeland. Om en komposisjon og konfiskasjon,
Oslo 1965). Pur tuttavia Brun considerava un valore irrinunciabile la fedeltà alla
Corona danese. Su di lui vd. Marthinussen K. – Bing J. et al., Johan Nordahl Brun.
Presten, poeten, politikeren, Bergen 1945 e Rian Ø., “Johan Nordal Brun – ‘min norske
vinter er så vakker’, in FNKF, pp. 282-303.
189
Celebre soprattutto per l’opera teatrale in alessandrini Amore senza calze (Kjær-
lighed uden Strømper, 1772) nella quale parodiava la tragedia neoclassica di gusto
francesizzante.
190
Cfr. p. 808, p. 821 e p. 842.
191
Vd. p. 902 con nota 168.
192
Una nuova Società norvegese (Norske selskab), fondata a Cristiania nel 1818 per
iniziativa di alcuni membri della precedente e tuttora esistente, divenne una sorta di
club riservato alle personalità più prestigiose del mondo culturale norvegese.
del Paese, ma in tutta l’isola si erano sparsi i gas tossici che aveva-
no avvelenato l’aria e le ceneri vulcaniche che avevano ricoperto i
pascoli e i campi di fieno; gran parte degli animali che erano soprav-
vissuti alle esalazioni letali moriva ora per mancanza di cibo. E per
mancanza di cibo morivano gli uomini. Le autorità inviarono aiuti
e generi alimentari, ma i trasporti erano difficili ed era problema-
tico raggiungere coloro che abitavano nelle zone più isolate e
impervie. E al disastro nuovi disastri si aggiunsero con i terremoti
del 1784,209 l’epidemia di vaiolo del 1785-1787, i rigidissimi inver-
ni degli anni ’80 e ’90. Negli anni tra il 1783 e il 1788 la popolazio-
ne islandese si ridusse di circa un quinto (per diverso tempo il
tasso di mortalità superò abbondantemente quello di natalità),
mentre parallelamente il numero dei capi di bestiame si riduceva
della metà (gli ovini addirittura del 75% circa).210
Eppure in questo quadro dalle tinte così fosche è possibile indi-
viduare qualche segnale positivo. È probabile che il susseguirsi di
tante sciagure abbia suscitato una maggiore attenzione verso questa
terra martoriata e dato impulso a studi e ricerche (per altro, come
si è visto, già avviati nel XVII secolo)211 volti a valorizzare il patri-
monio culturale islandese ma anche a portare un contributo con-
creto allo sviluppo economico e sociale dell’isola. Già nel 1752 il
re danese aveva dato un nuovo incarico a due giovani islandesi,
allora iscritti all’Università di Copenaghen, per compiere una rico-
gnizione nel loro Paese al fine di verificarne le risorse naturali e
culturali. Si trattava di Eggert Oláfsson (1727-1768)212 e Bjarni
Pálsson (1719-1779)213 i quali, animati da convinto spirito illumi-
nistico, affrontarono questo viaggio (durato sei anni) con intenti
scientifici: a esempio scalarono i vulcani Hekla (1750) e Snæfells
jökull (1753), sfidando la tradizione popolare che li considerava
209
Vd. nota 201.
210
Vd. Júlíusson – Ísberg 2005 (B.3), pp. 174-177. Come è facilmente intuibile
tutte queste sciagure aggravarono la situazione di miseria in cui si trovavano molti
Islandesi: sullo stato di povertà nell’isola e i provvedimenti assunti al riguardo nel
XVIII secolo si rimanda a OAF [Gunnlaugsson G.Á.], pp. 185-215.
211
Il riferimento è, in primo luogo ad Arngrímur Jónsson (vd. pp. 594-595).
212
Vd. oltre, p. 823 e p. 839.
213
Dopo aver studiato scienze naturali e medicina Bjarni Pálsson divenne, a parti-
re dal 1760, il primo “medico generale d’Islanda” (landlæknir), in sostanza il respon-
sabile della sanità nel Paese. Vd. “Bjarni Pálsson, landlæknir”, in BR, pp. 49-52. Il
primo islandese ad avere il titolo di farmacista (1772) fu tale Björn Jónsson (1738-1798)
che aveva studiato a Copenaghen e che collaborò con Bjarni Pálsson. Egli si dedicò
anche alla coltivazione di molte piante alimentari (patata, cavoli, rape, cipolle, cereali)
e fu il primo islandese a dedicarsi alla silvicoltura.
sero effettiva applicazione, va tuttavia ricordato che la coltura della patata si diffuse
grazie all’impegno dell’ecclesiastico Björn Halldórsson di Sauðlauksdalur (1724-1794),
autore di diversi scritti intesi a diffondere nuove e utili conoscenze in campo agricolo,
il quale aveva cominciato a coltivarla intorno agli anni ’60. Ma si deve qui doverosa-
mente ricordare come fin dal XVII secolo l’amministratore distrettuale (sýslumaður,
vd. p. 387) Gísli Magnússon (1621-1696) soprannominato “Gísli il Saggio” (Vísi-Gísli),
uomo di vasta cultura che aveva studiato e soggiornato all’estero (Danimarca, Olanda
e Inghilterra), avesse sperimentato la coltivazione di nuove piante (a quanto pare anche
la patata) e avesse scritto dotti trattati sull’agricoltura (ma anche sull’attività mineraria).
Su queste figure si rimanda a “Björn Halldórsson í Sauðlauksdal” e “Vísi-Gísli”, in
BR, pp. 53-56 e pp. 29-32 rispettivamente.
219
Vd. p. 824. La rivista pubblicata dalla società (uscita annualmente tra il 1780 e
il 1795) aveva per titolo Scritti della società islandese delle discipline erudite (Rit hins
íslenzka lærdómslistafélags).
220
Su di lui vd. “Jón Eiríksson, konferenzráð”, in BR, pp. 65-68.
221
Tra l’altro furono introdotte nel Paese le renne, con l’intento di fornire agli
allevatori islandesi una ulteriore fonte di reddito. L’esperimento tuttavia non diede i
risultati sperati.
222
Si veda tuttavia anche il decreto reale del 25 giugno 1735 (LFI II, pp. 196-197)
relativo all’esigenza di diffondere la scolarizzazione tra i sudditi islandesi.
223
Cfr. LFI II, pp. 505-508 (Reskript til Biskoppen over Skalholt Stift, ang. Confir-
mationen, 29 maggio 1744 con nota 1 a p. 505 (di rimando a LFI III, pp. 366-371).
A quanto pare Eyvindur Jónsson (nato nel 1714), aveva cominciato fin
da giovane a commettere piccoli furti. In particolare è detto che avesse
rubato del formaggio a una donna: per questo motivo lei gli fece una
fattura per cui non avrebbe più smesso di essere ladro per tutta la vita. È
riferito anche che quando le fu chiesto di ritirare il maleficio ella affermò
vide così quintuplicati i propri abitanti: nel 1703 risulta che vi risiedessero sessanta-
nove persone che lavoravano sei poderi, nel 1786 il loro numero era salito a cento-
sessantasette, mentre nel 1803 se ne contavano trecentosette e la ‘città’ aveva comin-
ciato a enuclearsi attorno alle costruzioni realizzate per le nuove attività
manifatturiere (vd. Karlsson 1995 [C.11.1], p. 37).
233
Vd. sopra, nota 201.
234
L’antica e prestigiosa scuola di Skálholt fu riaperta a Reykjavík, dove fu nota
col nome Hólavallaskóli (da Hólavellir, il luogo in cui sorgeva) e attiva dal 1786. Nel
1801 a essa fu accorpata anche la scuola di Hólar. Ma le condizioni dell’edificio in cui
si svolgeva l’insegnamento erano precarie e fu dunque deciso di provvedere in meri-
to: nel 1804 essa fu chiusa e successivamente (1805) trasferita a Bessastaðir (cfr. nota
228) per tornare a Reykjavík nel 1846. Questa rimase per più di quarant’anni l’unica
scuola superiore islandese. Vd. Jónsson J., “Saga latínuskóla á Íslandi til 1846. III.
Bessastaðaskóli”, in Tímarit Hins íslenzka bókmenntafélags, XIV (1893), pp. 85-97.
235
Vd. p. 313, cfr. p. 213. Nonostante l’ampiezza della narrazione si è voluto qui
dare spazio al racconto relativo alle vicende di questo celebre ‘fuorilegge’, dal momen-
to che esso, oltre a costituire un ‘classico’ della tradizione islandese offre un efficace
spaccato sulla vita nel Paese nel XVIII secolo.
che ciò non le era consentito, tuttavia mitigò la sua ‘condanna’ con la
promessa che egli non sarebbe mai stato catturato. Entrambe le cose, in
sostanza, si avverarono per lui.
Nella regione dei fiordi occidentali Eyvindur conobbe una vedova che
viveva insieme ai suoi figli: costei si chiamava Halla Jónsdóttir (non si
conosce la data della sua nascita) ed Eyvindur la sposò. Di lei si dice che
avesse brutte fattezze e brutto carattere, che fosse miscredente e, per di
più, facesse grande uso di tabacco. Eyvindur, al contrario, era di caratte-
re gioviale e intelligente, atletico e pieno di risorse. Ma il tabacco piaceva
molto anche a lui.
Non è chiaro il motivo (forse un infanticidio commesso da Halla)
per cui essi a un certo punto decisero di abbandonare i figli e la fatto-
ria per rifugiarsi sulle montagne. Per molti anni avrebbero vissuto sugli
altipiani, nelle zone più impervie dell’Islanda, procurandosi il cibo con
furti di bestiame e talvolta con imboscate ai viaggiatori, costruendosi
ripari nella montagna e ingegnandosi per vivere alla meglio. I primi tem-
pi furono nel territorio di Hveravellir, caratterizzato da intensa attività
geotermica e particolarmente inospitale.236 Con loro c’erano altri due
fuorilegge, tali Arnes e Abraham. Essi rubavano il bestiame o assalivano
le persone che percorrevano la lunga pista, nota come Kjalvegur, che dal
sud-ovest dell’isola conduce a nord, verso lo Skagafjörður. I ripetuti fur-
ti (soprattutto di ovini) provocarono una ovvia reazione. Essi vennero
dunque ricercati: il loro misero rifugio fu scoperto e distrutto, Halla fu
catturata e trattenuta per un periodo e Abraham fu impiccato dagli abi-
tanti del nord. Tracce della loro presenza in Hveravellir restano visibili
ancor oggi.
Eyvindur e Arnes erano sfuggiti alla cattura ma l’inverno successivo fu
per loro durissimo e poterono nutrirsi solo grazie alla caccia di pernici.
Quando Halla tornò Eyvindur decise per precauzione di trasferirsi e si
spostò a sud-est sotto l’Arnarfellsjökull [Hofsjökull]. Qui si costruirono
un riparo che fu la loro casa per quattro o cinque inverni. Poi ricomincia-
rono con i furti di bestiame e così di nuovo vennero ricercati. È detto che
una volta gli abitanti delle fattorie che erano stati derubati riuscirono a
raggiungere il loro rifugio, cogliendoli quasi di sorpresa, dal momento
che essi erano intenti a dire le devozioni. Tuttavia Eyvindur riuscì ad
afferrare la pentola e qualche utensile e si nascose in una palude; tutti poi
poterono sfuggire dirigendosi verso il ghiacciaio. Gli inseguitori, ammi-
rati dall’abilità di Eyvindur nel costruirsi utili arnesi, fecero piazza pulita
del rifugio, portarono via quanto poterono e diedero il resto alle fiamme.
È probabile che dopo questo episodio Eyvindur, come in qualche altra
occasione, avesse trovato rifugio presso il fratello Jón a Skipholt237 dove
236
Questo territorio si trova tra i due grandi ghiacciai Langjökull e Hofsjökull (si
noti che in lingua islandese jökull significa “ghiacciaio”).
237
Questa località si trova nella zona sud-occidentale dell’Islanda, circa 15 km. a
nord-est di Skálholt.
238
Con una altitudine media di 700-800 metri s.l.m. Sprengisandur è la più grande
distesa di sabbia vulcanica d’Islanda: essa si trova tra i ghiacciai di Vatnajökull e
Hofsjökull per una larghezza massima di circa 30 km. e una lunghezza di circa 70 km.
239
Ver (n.) significa, tra l’altro, “luogo acquitrinoso ricoperto d’erba”, “prato” “oasi”
(con particolare riferimento alle zone desertiche del Paese), kofi (m., gen. kofa) è
“capanna”. Dunque i toponimi possono essere tradotti con “Oasi di Eyvindur” e “Oasi
della capanna di Eyvindur”.
240
Vale a dire “Sabbia (o “Spiaggia”) di Eyvindur”.
241
Vd. p. 667 con nota 610.
242
È detto che da allora gli abitanti della zona di Mývatn chiamano la nebbia fitta
e tenebrosa “nebbia di Eyvindur” (Eyvindarþoka).
243
Si tratta di una sorta di ‘oasi’ presso il vulcano Herðubreið che si trova a nord-est,
nel mezzo del deserto di lava detto Ódáðahraun sugli altipiani islandesi.
donna dove fosse stata condotta Halla, la raggiunse e la riportò con sé.
Essi furono per un po’ nelle zone disabitate della valle di Jökuldalur244 e
poi nella landa di Fljótsdalsheiði245 di nuovo vivendo di furti di bestiame:
di nuovo dunque vennero ricercati, ma ancora una volta riuscirono a
sfuggire alla cattura. È detto che nella landa di Fljótsdalsheiði i cavalli
degli inseguitori rimasero impantanati in una palude che da allora è nota
come Eyvindarkelda.246
Si sa che Eyvindur e Halla vissero sugli altipiani d’Islanda per oltre
vent’anni. Quando Eyvindur fu riabilitato ritornò alla vita nella comuni-
tà (a quanto pare nella località dalla quale era fuggito) ed ebbe occasione
di parlare della sua terribile esperienza. Riferì come il periodo migliore
fosse stato quello di Eyvindarver (dove poteva anche cacciare e pescare),
ma anche dei venti ghiacciati che talora sferzano la zona di Sprengisandur
e ai quali può resistere solo un uomo adulto e ben protetto da abiti pesan-
ti. Disse anche che non avrebbe voluto per nessuno la sua sorte e di non
avere un nemico tanto infame da augurargli di vivere nelle lande deserte
dell’Islanda occidentale, ma in quelle dell’Islanda orientale egli avrebbe
volentieri mandato un amico. Fjalla-Eyvindur è ricordato per la sua straor
dinaria agilità e forza fisica (si racconta che una volta riuscì a sfuggire a
due aggressori saltando oltre un crepaccio) ma anche per l’ingegnosità
con cui si costruiva ripari e utensili per rendere meno disagevole la sua
vita di fuggiasco. Se e quante volte sia stato effettivamente catturato resta
incerto.
Si sa invece che Eyvindur e Halla durante gli anni sulle montagne
ebbero dei figli: una difficoltà supplementare che Halla risolveva
spietatamente. È detto che Eyvindur non poteva essere presente quan-
do ella si sbarazzava di loro. E tuttavia una bambina raggiunse l’età di
due anni: essi avevano deciso di lasciarla vivere ma poi furono sorpre-
si da un gruppo di persone che li ricercavano, così dovettero mettersi
in salvo e non poterono portarla con sé. Halla però ebbe il tempo di
gettarla da una rupe. Eyvindur se la prese molto a male per questo
fatto.
Eyvindur morì, a quanto pare, nel 1784 e Halla poco tempo dopo.
Essi sarebbero stati sepolti in una palude vicino alla fattoria. E tuttavia
alcuni sostengono che Halla non sia morta lì: dicono infatti che quando
si arrese o fu catturata era troppo malandata per essere rinchiusa in una
casa di pena, così ottenne di vivere in una capanna nel distretto di
Mosfellssveit.247 Là ella rimase per un periodo nell’estate. Ma un giorno
d’autunno in cui il sole splendeva luminoso e gradevole nell’aria piace-
volmente fresca, Halla se ne stava seduta fuori sotto la parete della fat-
244
Nell’est del Paese. La fonte qui ripresa (vd. sotto, nota 248) aggiunge che là ci
sono delle montagne che da lui prendono nome (Eyvindarfjöll).
245
È la landa che si stende fra le valli di Jökuldalur e Fljótsdalur.
246
Che significa, appunto, “Palude di Eyvindur”.
247
Territorio a nord-est di Reykjavík ai piedi del monte Esja.
toria e disse: “È bello adesso sulle montagne.” Quella stessa notte ella
scomparve e non fu ritrovata. Alcuni anni dopo fu scoperto il cadavere
di una donna sui monti con accanto due carcasse di pecora. La gente
pensò che si trattasse del cadavere di Halla la quale aveva voluto fuggire
sulle montagne, ma era morta là, essendo sopraggiunto il maltempo,
subito dopo essere scomparsa.248
250
Vd. p. 355 con nota 113.
251
Vd. sopra, pp. 558-559.
252
E anche una certa promiscuità tra la popolazione di etnia sami e i coloni, non
da ultimo i funzionari incaricati di riscuotere le tasse per il re, come dimostra un
decreto del 3 dicembre 1603 (Poignant 1872 [Abbr.], nr. 1, pp. 5-6) che proibisce
severamente di ‘comprare’ ragazze sami per avere con loro rapporti sessuali. Ma altri
documenti dimostrano chiaramente anche la volontà di controllare i mercati e i com-
merci locali: si vedano i decreti del novembre 1605 (Poignant 1872, nr. 2, pp. 6-8,
data non ulteriormente specificata) e dell’11 settembre 1607 (Poignant 1872, nr. 3,
pp. 8-9).
253
Al fine di selezionarli e organizzare il loro viaggio era stato incaricato il funzio-
nario Daniel Thordsson Hjort (vd. Nordberg 1973 [Abbr.], nr. 18, pp. 26-29; la
notizia si ricava dalla relazione di Hjort datata 28 aprile 1606 e riportata a p. 29). Daniel
Hjort (morto assassinato nel 1615) è il protagonista della tragedia omonima (1862)
dello scrittore finno-svedese Josef Julius Wecksell (1838-1907): Daniel Hjort. Sorgespel
i fem akter med fyra tablåer af J.J. Wecksell, Första gången uppfördt på Nya Theatern
i Helsingfors den 26 November 1862; och på Kongl. Theatern i Stockholm den 16
Januari 1864, Örebro 1864.
254
Vd. p. 572, nota 191.
255
Nordberg 1973 (Abbr.), 20 luglio 1631, nr. 55, pp. 84-86 in particolare e pp.
77-149 più in generale. Vd. Hasselhuhn A.R., Om Skytteanska scholan i Lycksele
lappmark, Sundsvall 1851.
256
Su Nicolaus Andreæ vd. oltre in questo medesimo paragrafo. Quando fu fon-
data la scuola di Lycksele gli allievi di Piteå vennero trasferiti lì.
257
In proposito si può leggere Lönn B., I skuggan av ett silververk. Människoöden
under stormaktstiden, Stockholm 2004. Si vedano anche Bromé J., Nasafjäll, Stockholm
1923 e Awebro K., Luleå silververk. Ett norrländskt silververks historia, Luleå 1983.
258
A partire dal XVII secolo si sviluppano località come Lycksele (sami Liksjoe o
Likssjuo, sorta nel 1607 come sede di una chiesa e di un mercato), Arvidsjaur (il cui
nome deriva forse dal termine sami árviesjávrrie “lago generoso”, anch’essa sede di
una chiesa), Jokkmokk (sami Jåhkåmåhkke o Dálvvadis, antico villaggio sami e sede
di un mercato), Karesuando (sami Gárasavvon), che risale al 1670; altre chiese furono
costruite a Jukkasjärvi (sami Čohkkiras), Enontekis (sami Eanodat, Enudak e Iänudâh)
e Åsele (sami Sjeltie).
259
Vd. pp. 581-582. Nella Storia di Olaus trattano dei Sami (Finni) i capp. III, xvi;
IV, iv e IV, xviii; X, iii; XI, v-vi e XI, xiii; XIII, xix e XIII, xxvii. Considerazioni per-
sonali sono qui intrecciate con informazioni del tutto fantasiose e radicati pregiudizi.
260
Il titolo completo è Lapponia, ovvero descrizione del territorio nordico abitato dai
Sami nelle zone più remote della Scandinavia o Svezia (Lappland, eller beskrivning över den
nordiska trakt, som lapparne bebo i de avlägsnaste delarne af Skandinavien eller Sverge).
261
Nel periodo in cui egli fu attivo a Torneå venne lì costruita la prima chiesa. Il suo
lavoro è noto in diverse versioni, qui si fa riferimento all’edizione del 1900 (Berättelse om
Lapmarckerna och deras Tillstånd che risale al 1672). Sulla ‘rappresentazione’ dei Sami in
questo testo e nello scritto di Nicolaus Lundius (vd. nota 267) si veda: Hilli-Eklund P.,
Synen på samerna i 1600-talets Sverige. En studie av två Lapplandsskildringar, Uppsala 1995.
262
Cfr. p. 572 e p. 615.
263
Vd. p. 567, p. 574, p. 591, nota 289 e p. 619.
264
Nel 1674 in inglese, nel 1675 in tedesco e nel 1678 in francese.
265
Si pensi agli scritti dei francesi Jean François Regnard (1655-1709), Pierre-
Martin de la Martiniére (1634-1690), Aubry de la Motraye (1674-1743), dell’italiano
Francesco Negri (1623-1698) e del tedesco Johann Gerhard Scheller (morto nel 1740).
Più tardi sono resoconti come quello del francese Réginald Outhier (1694-1774), col-
laboratore del filosofo e scienziato Pierre Louis Moreau de Maupertuis (1698-1759) da
lui accompagnato in una spedizione nella terra dei Sami; dell’italiano Giuseppe Acer-
bi (1773-1846) e del tedesco Christian Leopold von Buch (1774-1853). Più in genera-
le sui viaggiatori in Scandinavia vd. Barton H.A., Northern Arcadia, Foreign Travelers
in Scandinavia, 1765-1815, Southern Illinois University 1998, cap. 1: “Travelers and
Travel in the North, 1765-1815”, pp. 7-22. Ma non si dimentichi qui il resoconto, per
quanto incompleto, di Olof Rudbeck il Giovane (vd. p. 780 con nota 434), figlio
dell’omonimo autore dell’Atlantide (vd. pp. 582-584 e pp. 630-631), dal titolo Lapponia
illustrata (Laponia illustrata, con testo a fronte svedese e latino, 1701), quello di Linneo
(vd. p. 780 con nota 440) e quello di altri tre svedesi (sebbene assai meno noti)
Anders Fredrik Skjöldebrand (1757-1834) che visitò l’estremo nord nel 1799, Johan
Wilhelm Zetterstedt (1785-1874), entomologo, e Gustaf von Düben (1822-1892),
medico, anatomista ed etnologo.
266
Vd. pp. 1391-1394.
267
Qui è opportuno ricordare altri ecclesiastici svedesi che in misura maggiore o
minore hanno lasciato resoconti di un certo interesse. Così Olaus Stephani Graan
(1618-1690), a quanto pare di etnia sami e traduttore di testi religiosi e scolastici nella
loro lingua (con lui dovette collaborare il sami Simon Granmark, detto Angurdolf,
morto attorno al 1728, certamente dopo il 1727); Gabriel Tuderus (1638-1705), attivo
nella zona di Torneå, che profuse grandissimo impegno per sradicare riti antichissimi;
Nicolaus Lundius (morto nel 1726), figlio del primo pastore sami (Anders Petri Lun-
dius morto nel 1665 ca.) e dunque ottimo conoscitore della cultura dei suoi antenati
che per molti versi mostra di rispettare; Petrus Noræus Fjellström (1657-1706), che
fece condannare a morte per stregoneria uno sciamano sami; Henric Forbus (1674-
1737), animato da straordinario zelo nell’opera di conversione; Pehr Fjellström (1697-
1764, del quale anche oltre), che si interessò ai riti legati alla caccia all’orso; Carl
Solander (1699-1760), l’unico ad averci lasciato qualche informazione sulla cosmologia
sami; Pehr Högström (1714-1784) tra l’altro traduttore di salmi in lingua sami. Di un
certo interesse sono anche le notizie (riguardanti soprattutto i riti sacrificali) fornite
da tale Nils Spirri, un sami della zona di Luleå (anni ’70 del XVII secolo). Precedente
all’opera di Schefferus è il resoconto del gesuita svedese Johan Ferdinand Körningh
(1626-1687), attivo a Praga, il quale (molto interessato alla medicina dei Sami) opera-
va in previsione di un (auspicato) ritorno al cattolicesimo nell’area scandinava.
273
I confini tra la Svezia e la Norvegia saranno stabiliti, come si è detto, nel 1751,
quelli con la Russia nel 1826 (vd. p. 550, nota 95 e sopra, nota 157). Al fine di amplia-
re il più possibile l’area soggetta al loro dominio gli Svedesi avevano costruito chiese
a Karasjok (sami Káráśjohka) e Kautokeino (sami Guovdageaidnu) e una cappella a
Masi (sami Máze, nome che deriva dal vicino Mazéjohkka “fiume serpeggiante”): qui
nel 1721 i Norvegesi avrebbero a loro volta costruito una chiesa (vd. Nielsen 1990,
citato alla nota 269, I, pp. 185-191), successivamente però in base agli accordi del 1751
queste località furono incorporate nella regione norvegese di Finnmark. Una chiesa
venne eretta anche nei pressi di Utsjok (sami Ohcejohka, Uccjuuhâ o Uccjokk, finnico
Utsjoki) in una zona passata ai Norvegesi nel 1751 ma ora in territorio finlandese. La
questione doveva essere ben chiara come si deduce, a esempio, dal testo di una lette-
ra inviata dal vescovo Krog al Collegio delle missioni in data 6 aprile 1715, nella quale
si legge: “Dal momento che gli Svedesi hanno saputo dai tempi della regina Cristina
cercare il proprio tornaconto e assai bene dislocare in Lapponia chiese per i Sami,
preti e scuole lungo tutto il tratto settentrionale, così da usurpare la sovranità su qua-
si tutti i Sami e ridurre la nostra a loro [vantaggio], dunque sembra che valga la pena
che gli Svedesi vengano, per quanto possibile, tenuti lontani dai nostri confini, i qua-
li per altro sulle montagne non sono individuabili”; in Hammond 1787 (vd. nota 277),
DLO nr. 148. Sull’argomento si rimanda tra l’altro a Enewald 1920. Si consideri che
la questione dei confini rifletteva quella, più antica, del ‘diritto’ di tassazione sui Sami
(nel che, ovviamente, non ci si preoccupava affatto della loro condizione di semi-
nomadi). Che la controversia risalisse assai indietro nel tempo è dimostrato, solo per
fare un esempio, dal decreto del 1 agosto 1598 nel quale, lamentando il fatto che i
Sami di Salten, Senja e Tromsø, pur abitando in territorio norvegese paghino il tribu-
to anche agli Svedesi e ai Russi, si stabilisce la costante presenza in loco di un funzio-
nario incaricato di sorvegliare la situazione e prevenire abusi (NRR III, pp. 543-546;
cfr. ibidem, pp. 537-540, documento del luglio 1598 e NRR IV, pp. 7-8, documento
del 16 aprile 1603).
287
Letteralmente: Piccolo libro dei canti, su come la messa vada celebrata, letta o
cantata in lingua sami.
288
Cfr. p. 737. Vd. Wiklund 1922 b.
289
Un nuovo ‘manuale’ sarà pubblicato nel 1669 da Olaus Stephani Graan (cfr. nota
267).
290
Per la verità occorre qui ricordare che Erik Pontoppidan il Vecchio (vd. p. 600)
aveva, a quanto pare, fatto tradurre il catechismo per i Sami di Finnmark, ma di
quest’opera (che dovrebbe risalire al 1674) non possediamo copia. Si tratta comunque
del primo tentativo in area norvegese di rendere in qualche modo disponibile per loro
un testo religioso. La ‘spiegazione’ del catechismo comparirà nel 1849 a cura di N.V.
Stockfleth (Oanedubme Dr. Erik Pontoppidan cˇilgitusast. Asatuvvum oappogirjen. Samas
jorggaluvvum papast N.V. Stockflethast, Kristianiast. 1849); cfr. p. 1398.
291
Qui va tuttavia menzionato Michael Olai Wexionius Gyldenstolpe (1609-1670),
rettore della Reale accademia (Kungliga akademien) di Åbo e tra i primi poeti barocchi
in lingua svedese, il quale nel 1650 (in pieno “periodo della grande potenza”) aveva
pubblicato un Compendio della descrizione della Svezia (Epitome descriptionis Sueciæ)
in cui si trovano interessanti osservazioni sul lettone, sul finnico e sulla lingua dei Sami.
Inoltre occorre ricordare l’esistenza di un elenco di parole latino-sami (circa 820)
raccolte in un manoscritto risalente al 1672 circa e redatto da Zacharias Plantinus (ca.
1620-1688), figlio di Olaus Petri Niurenius sopra menzionato. Vd. Setälä E.N., “Ein
lappisches Wörterverzeichnis von Zacharias Plantinus. Mit Einleitung nach der
Originalhandschrift herausgegeben“, in Suomalais-ugrilaisen seuran aikakauskirja /
Journal de la Société Finno-Ougrienne, VIII (1890), pp. 85-90.
296
Il primo volume di quest’opera uscì nel 1768. Dopo la morte di Leem il lavoro
fu completato dal missionario Gerhard Sandberg (1741-1805) e pubblicato nel 1781;
vd. Nielsen K., “Knud Leems lexicon lapponicum”, in Studia Septentrionalia, V (1953),
pp. 17-30.
297
Su di lui vd. Martinussen B., “Anders Porsanger – teolog og språkforsker fra
1700-tallets Finnmark”, in Nordlyd. Tromsø University working papers on language &
linguistics, XVIII (1992), pp. 15-59. È noto fra l’altro che Porsanger fu in contatto con
lo studioso ungherese János Sajnovics (1733-1785), pioniere degli studi dell’area ugro-
finnica, il quale approfondì le affinità riscontrate tra la sua lingua madre e i dialetti sami
esponendo il risultato dei suoi studi nell’opera dal titolo Dimostrazione che l’idioma degli
Ungheresi e dei Sami è il medesimo (Demonstratio idioma Ungarorum et Lapponum idem
esse, 1770). Una trentina d’anni dopo un altro ungherese, Sámuel Gyarmathi (1751-1830),
uno dei pioneri della comparativistica, pubblicava l’Affinità della lingua ungherese con
le lingue di origine finnica dimostrata grammaticalmente (Affinitas linguae Hungaricae
com linguis fennicae originis grammatice demonstrata, 1799).
298
Qui non va dimenticata la tracciatura di mappe del territorio sami, le quali oltre
a rispondere a interessi strettamente geo-topografici avevano anche una importante
funzione dal punto di vista amministrativo.
299
12 gennaio 1739; vd. Haller 1896, p. 32 e pp. 40-57. In questo contesto va
ricordata anche la nascita delle cosiddette “città attorno alla chiesa” (kyrkstäder, sing.
kyrkstad), vale a dire complessi di abitazioni che dovevano ospitare i fedeli provenien-
ti dalle diverse località della regione in occasione delle cerimonie religiose cui essi
avevano l’obbligo di partecipare. Il migliore esempio nella città vecchia di Luleå dove
si contano ben quattrocentootto edifici (questo sito è stato dichiarato patrimonio
mondiale dall’Unesco nel 1996).
300
Kongl. Maj:tts Nådige Förordning/ Om Lappländarnes flitigare underwisande i
Christendomen och Scholars inrättande der i Orten. Gifwen Stockholm i Råd-Camma-
ren den 3 Octob. 1723 (in SFS 1723). Essa porterà alla costruzione di scuole (tuttavia
piccole scuole!) in diverse località (anche al di fuori del territorio sami propriamente
detto): nel 1732 a Åsele e Jokkmokk; nel 1743 ad Arjeplog (sami Aarjepluevie, Árje-
pluovve e Árjepluovve) e a Utsjok (questa venne tuttavia chiusa nel 1750, cfr. sopra,
nota 273); nel 1744 a Jukkasjärvi; nel 1748 circa a Föllinge e nel 1756 a Gällivare (sami
Jiellevárri o Váhčir).
301
Il problema dell’alcolismo fra i Sami era del resto piuttosto grave. In materia si
susseguì dunque una serie di decreti intesi (per molti versi inutilmente!) ad arginarlo
attraverso lo strumento legale. Cfr. nota 276.
302
Come sopra si è detto (vd. p. 736 con nota 250), gli incentivi per coloro che
avessero voluto trasferirsi nei territori settentrionali risalgono assai indietro nel tempo;
il Nord della Svezia tuttavia rimase abitato quasi esclusivamente dai Sami (soggetti
comunque a tassazione da parte della Corona) fino a tutto il XVI secolo. Dall’inizio
del XVII l’accresciuto interesse per le risorse di queste zone portò alla intensificazione
dei commerci; a località come Piteå (dove fin dal XV secolo era stata eretta una chie-
sa), Luleå e Torneå sorte nei luoghi in cui soggiornavano i birkarlar (vd. p. 1395) altri
centri si aggiunsero, sia come sedi di chiese (cfr. nota 258 e nota 273) sia come centri
mercantili: tra i principali Kuoksu, Karesuando e Kuttainen (sami Guhttás). Il 27
settembre 1673, sollecitato dal governatore (landshövding, vd. pp. 668-669) del Väster-
botten Johan Graan (morto nel 1679) – il quale riteneva che i Sami e i coloni avreb-
bero potuto vivere fianco a fianco con reciproco vantaggio – il re Carlo XI emanò il
cosiddetto “manifesto per i territori sami” (Lappmarksplakatet, in Poignant 1872
[Abbr.], pp. 20-21) che concedeva ai sudditi svedesi e finlandesi che avessero intra-
preso lo sfruttamento dei terreni inutilizzati diversi privilegi tra cui una quindicenna-
le esenzione fiscale e la dispensa dal servizio militare. Questa decisione indusse molti
a trasferirsi in quelle zone (soprattutto nel distretto finlandese di Kemi), il che tuttavia
(almeno dal punto di vista dei Sami) non produsse certo gli effetti sperati. Nel 1695
(3 settembre, in Poignant 1872, pp. 33-34) venne dunque emesso un nuovo decreto
che aveva lo scopo di limitare lo sfruttamento del territorio da parte dei coloni, in
particolare il diboscamento selvaggio. Diversi documenti relativi alla ‘politica eccle-
siastico-colonizzatrice’ di Carlo IX nei territori sami sono raccolti anche nel cap. 1 di
Nordberg 1973 (Abbr.), pp. 15-52.
303
Rispettivamente: 20 novembre 1741 (Poignant 1872 [Abbr.], pp. 36-37) e 24
novembre 1749 (ibidem, pp. 37-43).
304
Vd. Norstedt G. – Norstedt S., Landskapsgränsen mellan Ångermanland, Väster-
botten och Åsele lappmark, Umeå 2007, pp. 36-39 (ma anche pp. 96-106).
305
Schou (Abbr.) IX, 5 settembre 1787, pp. 336-344.
306
Schou (Abbr.) X, 17 luglio 1789, pp. 37-43. L’ordinanza si rifà esplicitamente al
decreto del 5 settembre 1787. Cfr. nota 160. Vd. Sivertsen J., Hammerfest 1789-1914,
Hammerfest 1973; Kyrre Reimert P., “Hammerfest – Norges første ishavsby 1778-
1829”, in Heimen, XVIII (1980: 1) pp. 285-294 e Ytreberg N.A., Tromsø bys historie,
I-II, Tromsø 1946-1971.
307
Cfr. sopra, p. 711 con nota 141 e p. 776.
Nel suo scritto Sugli errori e la superstizione dei Sami, Isaac Olsen rife-
risce – volendo sottolineare la difficoltà dell’opera di evangelizzazione –
molte notizie ed episodi di notevole interesse. Particolarmente curiosa è
la storia di tale Olof (Olaus) Sirma Mattsson (Čearbmá-Ovllá, morto nel
1719), il prete che diventò sciamano (noaidi).311 Di lui si racconta che era
un sami nato nella regione di Torneå da una famiglia povera nella quale
si praticava assiduamente la magia. Una volta un signore svedese che
viaggiava in quelle zone prese con sé il ragazzo e si occupò della sua
istruzione, mandandolo a scuola e inviandolo infine anche a Stoccolma
perché completasse la formazione da prete. Olof era soprannominato
308
Vd. p. 550, nota 95.
309
Första Bihang eller Codecill till Gränsse Tractaten emellan Konunga Rikerne
Swerige och Norge, Lappmännerne beträffande in STFM VIII, 21 settembre – 2 ottobre
1751, pp. 597-608. Questo trattato rimase in vigore per più di centocinquanta anni
finché fu emanata la legge per i Sami nei Regni uniti di Svezia e Norvegia (Laka
bagjesami harrai dain ovtastattujuvvum gonagasrikain Norgast ja Ruottarikast / Lov
angaaende Lapperne i de forenede Kongeriger Norge og Sverige: emanata il 2 giugno
1883, in vigore dal 1 gennaio 1884, corredata di una ‘risoluzione reale’ il 17 novembre;
[trad. di J.K. Qvigstad]). Dopo la separazione della Norvegia dalla Svezia nel 1905
(vd. pp. 1013-1017) sono state stipulate (e rimodulate) al riguardo diverse conven-
zioni.
310
In proposito si legga: Lappcodicillen av 1751 – var det Samernas Magna charta?
(= Dieđut: I [1989]) e Pedersen S., Lappekodisillen i nord 1751-1859. Fra grenseavtale
og sikring av samenes rettigheter til grensesperring og samisk ulykke, Guovdageaidnu
2008.
311
Questa storia si trova nell’ed. cit. in EF alle pp. 77-82.
sciermo, vale a dire “lupo”, per via dell’aspetto brutto e trasandato che
aveva quando giunse a scuola.312 Una volta divenuto prete egli fu inviato
nella parrocchia di Enontekis dove rimase dal 1675 fino alla morte.313 È
riferito che Olof era duro e severo nei confronti dei suoi parrocchiani
(arrivando anche ad alzare le mani) e pretendeva che essi abbandonasse-
ro completamente le loro credenze, si sbarazzassero di ogni oggetto
rituale (soprattutto i tamburi) e si dedicassero ad apprendere la nuova
dottrina e a leggere i libri. All’inizio la gente del posto non gli diede
importanza, poi però di fronte alle sue insistenze gli domandò perché
fosse così intransigente, dal momento che – essendo lui stesso di etnia
sami – doveva ben sapere quali benefici venissero dall’osservanza della
tradizione. Essi avrebbero fatto ciò che lui chiedeva (ascoltare le prediche
e leggere i testi religiosi), quando ne avessero avuto il tempo, ma – l’una
cosa non escludeva l’altra – non avrebbero mai tralasciato i rituali che per
secoli erano stati praticati dai loro antenati. Dissero anche che se non li
avesse lasciati in pace lo avrebbero ucciso o fatto morire per opera di
magia, ammonendolo ripetutamente, finché – dal momento che lui era
sempre più intollerante e ostinato – diverse volte lo acchiapparono e
gliele suonarono di santa ragione. Egli però quando si rimetteva in piedi
ricominciava a trattarli duramente e a pretendere che abbandonassero le
loro tradizioni. Alla fine gli fecero una magia che avrebbe dovuto ucci-
derlo. Così Olof dovette pagare uno sciamano per togliersi di dosso il
maleficio, molte altre volte tuttavia essi gli mandarono malefici e lui pagò
altri sciamani per liberarsene.
“[...] alla fine però essi gli mandarono una maledizione e una magia così
potente, che quasi ne morì, allora ebbe paura di loro e promise che avrebbe
lasciato perdere, se si fosse ripreso, poi essi ritirarono il maleficio, dal
momento che egli aveva promesso di cambiare le cose, sicché poi lasciò loro
il permesso di praticare liberamente i loro riti tradizionali, purché per lo
meno andassero in chiesa nei giorni festivi e quando si teneva la predica, il
che essi ugualmente promisero, e poi egli stesso cominciò a praticare la magia
e a eseguire canti tradizionali,314 allo stesso modo degli altri Finni e Sami e
312
Olsen precisa (p. 77) che sciermo (tsjierma) è un termine della lingua dei Kveni,
una popolazione di parlata ugro-finnica stanziata all’epoca nell’estremo nord della
Norvegia e nelle regioni del Norrland svedese di Tornedalen (attuali comuni di Pajala,
Övertorneå e Haparanda) e di Lannanmaa (attuali comuni di Kiruna, in sami Giron,
e Gällivare). Il ragazzo infatti era stato mandato a scuola nella regione dei Kveni. Cfr.
p. 145 con nota 176.
313
Cfr. nota 258.
314
Nel testo queste azioni sono espresse dai verbi rune e joige (joike). Il primo (che
contiene un indubbio richiamo al valore magico delle rune, su cui vd. 2.5) significa
“esercitare arti segrete”, “pronunciare formule magiche”, “praticare la magia” (del
resto il tamburo sami è detto in norvegese runebomme). L’allusione alle rune contenu-
ta in questa parola è qui certamente rafforzata dall’uso di simboli magici da parte degli
sciamani sami: ciò del resto appare chiaro poco più avanti quando Olsen definisce
“runici” i loro tamburi (decorati con tutta una serie di figure dal valore simbolico). Il
È detto anche che i noaide-gadzer volevano che Olof gettasse via il suo
libro, cioè, in pratica, rinunciasse a essere prete. Egli tuttavia sempre
rifiutò, sostenendo che in tal modo avrebbe rinunciato alla fonte del suo
sostentamento e al suo ufficio. Nonostante quelli gli promettessero gran-
di ricchezze e lunga vita non cambiò mai idea su questo punto.
secondo è tratto dal termine sami joik (“canto”): un’espressione musicale (nella quale
l’aspetto vocale è assolutamente prevalente) attraverso cui si vuole esprimere l’essenza
di una forma di realtà visibile: sia essa una persona, un animale, un luogo, una circo-
stanza. Vd. p. 1411 con nota 133.
315
Col termine troldmesse (scritto troldmeße) “messa magica”, l’autore vuole sot-
tolineare la netta opposizione tra il rito cristiano e quello da lui considerato diabolico.
316
Come precisa J. Qvigstad, editore del lavoro di Olsen (p. 30, nota 1), il termi-
ne noaide-gadze (o noaide-gaddse, nel testo in un plurale formato con la desinenza
del dano-norvegese!) indica il seguito di spiriti (buoni o cattivi) che assistono lo
sciamano, il quale può decidere a chi, dopo la sua morte, essi debbano andare in
eredità. Questi dunque poi si manifestano all’erede designato chiedendo di essere
presi al suo servizio e non di rado, nel caso in cui egli rifiuti, lo tormentano fino a
quando non hanno ottenuto il loro scopo. Questi spiriti appaiono allo sciamano in
aspetto di bambini che indossano abiti sami tradizionali e parlano solo la lingua sami.
Per lo sciamano essi sono compagni e guide che gli trasmettono i segreti delle arti
magiche e gli insegnano come comportarsi di fronte alle malattie o alla sfortuna. Vd.
pp. 1387-1388.
317
DLO nr. 149.
318
Vd. 7.2.
319
Poco credito ha ottenuto presso gli studiosi la tesi di Sophus Larsen (The Discovery
of North America twenty years before Columbus, Copenhagen 1925), secondo il quale
con il patrocinio del re danese Cristiano I nel 1473 alcune navi sarebbero partite per
la Groenlandia, raggiungendo anche le coste americane (Terranova o il Labrador).
Questa spedizione (cui avrebbero partecipato anche navigatori portoghesi) sarebbe
stata guidata dal polacco Johannes Scolvus o Scolnus (Jan z Kolna, 1435-1484) e dal
tedesco Didrik Pining (ca.1430-1491) che più tardi (1478-1481) sarebbe divenuto
governatore d’Islanda (vd. GHM III, pp. 628-630; Daae L., “Didrik Pining”, in NHT
III [1882], pp. 233-245; Storm G., “Søfareren Johannes Scolvus og hans reise til
Labrador elle Grønland”, in NHT V [1886], pp. 383-400; Hughes Th.L., “The German
discovery of America. A review of the controversy over Pining’s 1473 voyage of explora
tion”, in German Studies Review, XXVII [2004], pp. 503-526). È invece certo che,
successivamente il re Cristiano II, progettò di inviare navi in Groenlandia (vd. Svens-
son S., Kristian den andres planer på en arktisk expedition och deras förutsättningar. Ett
bidrag till de geografiska upptäckternas ideologi, Lund 1960).
320
Sebbene questa sia considerata la data ufficiale della scoperta delle isole, si può
ragionevolmente ritenere che esse fossero già conosciute dai Nordici: il nome Svalbarð
(noto fin dal medioevo, seppure non sia affatto certo il riferimento a questo arcipelago)
significa in norreno “Coste fredde”. È anche probabile che questi territori fossero
frequentati da cacciatori provenienti dalle coste del Mar Bianco almeno a partire dal
XIV e XV secolo. Il toponimo Spitsbergen (in nederlandese “Montagne appuntite”)
fu coniato da Barents stesso in riferimento alla morfologia del luogo, tuttavia in segui-
to è stato frequentemente usato per indicare l’intero arcipelago. Sulla storia delle
isole vd. Conway M., No Man’s Land. A History of Spitsbergen from its Discovery in
1596 to the Beginning of Scientific Exploration of the Country, Cambridge 1906. Cfr.
p. 1104 con nota 633.
prese l’avvio una redditizia caccia alle balene che si sarebbe estesa
anche ai mari della Groenlandia. Il re Cristiano IV considerò da
subito le Svalbard come parte di quell’antica colonia, sulla quale
già suo padre Federico II si era affrettato a ribadire la propria
sovranità organizzando spedizioni (per altro fallite)321 ed emanando
alcuni decreti, come quello emesso nel 1579 in cui si legge che il
Paese, da lungo tempo non più visitato, doveva ora venire riporta-
to sotto “la sua giusta autorità e i sudditi […] guidati verso la giusta
fede.”322 I primi a raggiungere e ‘riscoprire’ la Groenlandia furono
tuttavia gli Inglesi.323 Negli anni tra il 1605 e il 1607 il re Cristiano
IV, direttamente interessato anche nella ricerca del passaggio a
nord-ovest così come di quello a nord-est,324 organizzò delle spedi-
zioni navali delle quali solo la prima ebbe qualche successo;325 esse
proseguirono poi con il successore Federico III.326
321
La più nota è quella affidata nel 1581 al faroese Magnus Heinason (danese Mogens
Heinesen, ca.1545-1589), vd. GHM III, pp. 634-660; cfr. p. 1447.
322
NRR II, pp. 337-338 (21 maggio 1579; la citazione in lingua danese: “sin rette
Öffrighed Och Vundersotternne [...] föris till thend rette thro”). Nel testo del decreto
inoltre si stabiliva di inviare una spedizione di due navi con il compito di acquisire tra
l’altro informazioni sugli approdi, che l’equipaggio avesse il salario raddoppiato e che
ne facessero parte due esperti di lingua.
323
Nel 1585 vi arrivò infatti John Davis (1550-1605) dal quale prende nome lo
stretto tra la Groenlandia e l’isola di Baffin; vd. GHM III, p. 657, pp. 666-670 e
Bugge G.N., John Davies tre rejser til Grønland i Aarene 1585-87 (Det Grønlandske
selskabs skrifter VII [1930]). Ma già in precedenza Martin Frobisher (ca.1535-1594)
nel corso dei suoi viaggi alla ricerca del passaggio a nord-ovest (1576-1578) aveva
raggiunto la Groenlandia: egli tuttavia riteneva che si trattasse dell’isola di Frisland,
un territorio segnato sulle carte dell’epoca ma, in realtà, inesistente. Egli le diede nome
Nuova Inghilterra (vd. GHM III, pp. 637-638).
324
L’incarico di trovare questi passaggi fu da lui affidato al navigatore Jens Munk
(1579-1628). Nel 1610 costui fu al comando di una delle due navi inviate dal re a
verificare le possibilità di un passaggio a nord-est: questa spedizione si concluse in
sostanza con un nulla di fatto. Tra il 1619 e il 1620, invece, Munk navigò alla ricerca
del passaggio a nord-ovest. Ma l’esplorazione si risolse in un totale disastro, dal
momento che la gran parte dell’equipaggio, sorpreso dal precoce inverno senza ade-
guato equipaggiamento e cibo sufficiente, fu uccisa dallo scorbuto. Jens Munk poté
fare ritorno solo insieme a due uomini. Le memorie di questa esperienza sono da lui
raccolte nello scritto dal titolo Navigazione settentrionale (Navigatio septentrionalis)
del 1624 redatto in lingua danese. Vd. GHM III, pp. 702-711.
325
Vd. GHM III, pp. 670-699 e anche Gosch C.C.A., Danish Arctic Expeditions,
1605 to 1620, I-II, London.
326
Nella sezione etnografica del Museo nazionale (Nationalmuseet) di Copenaghen
è conservato un dipinto realizzato a Bergen nel 1654 che raffigura quattro eschimesi
(tre donne e un uomo) catturati dai componenti della spedizione guidata da David
Urbanus Dannel (ufficiale olandese, ca.1605-1661) nel fiordo di Nuuk e condotti in
Europa. L’autore dell’opera è ignoto, tuttavia dovrebbe trattarsi di Salomon von Haven
(nato prima del 1600, morto dopo il 1670) originario di Stralsund e poi attivo a Bergen.
Si tratta della prima dettagliata rappresentazione pittorica di individui appartenenti
nel luogo in cui sarebbe sorta la capitale Nuuk, che ebbe il nome
danese di Godthåb (“Buonasperanza”). Nel 1731, a fronte dei man-
cati risultati economici, il re Cristiano VI ordinò che le imprese
groenlandesi chiudessero; tuttavia Hans Egede grazie ai buoni
risultati ottenuti nella conversione degli Eschimesi poté restare.331
Nel 1736, in seguito alla morte della moglie, Hans Egede tornò in
Danimarca; la sua opera fu comunque portata avanti per sei anni
dal figlio Poul (1708-1789).332 La strada era ormai tracciata. Del
resto già due anni prima altri missionari, appartenenti al movimen-
to dei cosiddetti Fratelli di Herrnhut,333 avevano avuto l’autorizza-
zione reale a recarsi in Groenlandia: anch’essi furono molto attivi
nell’opera di conversione e rimasero a lungo nel Paese.334 I risultati
da loro ottenuti furono (almeno dal punto di vista numerico del-
le conversioni) inferiori rispetto a quelli dei rappresentanti della
Chiesa di Stato, ma la loro missione ebbe carattere fortemente
evangelico rispetto a quello più ‘civilizzatore’ dell’altra.
Naturalmente l’aspetto mercantile della ‘ricolonizzazione’ assun-
se presto un’importanza preminente: del resto l’iniziativa di Hans
Egede era stata finanziata da commercianti di Bergen – che avevano
fondato per quello scopo una Compagnia di Bergen per la Groen-
landia (Det Bergen Grønlandske Kompagni, attiva dal 1721 al 1727
quando fallì) – e, dunque, si attendevano un ritorno economico: nei
diversi centri che erano sorti sul territorio si esercitava un intenso
commercio che la Corona danese ambiva a portare sotto stretto
controllo.335 Dopo il fallimento della Compagnia di Bergen, la
gestione dei traffici fu affidata all’iniziativa privata, in particolare a
331
Vd. ibidem, p. 110.
332
Vd. GHM III, pp. 728-740. Sulla figura di Hans Egede è incentrato il lavoro
(assai critico nei confronti dei colonizzatori) Hans Egede. Ovvero la parola di Dio per
mezzo barile di grasso di balena. Opera teatrale in 4 atti con un preludio (Hans Egede.
Eller Guds ord for en halv tønde spæk. Skuespil i 4 akter med et forspil, 1979) dell’auto-
re danese Sven Holm (vd. p. 1256).
333
Vd. oltre, p. 762 con nota 356. Questo movimento diede all’attività missionaria
un impulso fondamentale.
334
La prima delle loro colonie che ebbe nome Neu Herrnhut sorse nel 1733 a sud
di Nuuk. Altri centri da loro fondati sono Akunnat (tedesco Lichtenfels), presso
Qeqertarsuatsiaat sulla costa sud-occidentale (1766) e Alluitsoq (tedesco Lichtenau)
nel sud del Paese (1774). L’attività missionaria dei Fratelli di Herrnhut in Groenlandia
proseguì fino al 1900. Altri missionari che successivamente opereranno qui promuo-
vendo la vita culturale della colonia saranno Peter Kragh (1794-1883) traduttore di
diversi testi religiosi in lingua inuit e Johannes Jakob Kjeld Løchte (1786-1857) pro-
motore della scolarizzazione fra gli Eschimesi.
335
Tra l’altro in Groenlandia fu dato il via anche a una attività mineraria (grafite,
carbone).
336
I principali sono: Qasigiannguit (danese Christianshåb, ”Speranza [nel nome
di] Cristiano”) fondata nel 1734 da Jacob Severin; Ilulissat (danese Jakobshavn,
“Porto di Jakob”) fondata nel 1741 a 2 km. a nord dell’antico insediamento di
Sermermiut dal medesimo Severin al quale fa riferimento il nome danese;
Paamiut (danese Frederikshåb, “Speranza [nel nome] di Federico”, 1742); Sisimiut
(danese Holsteinsborg in onore di Johan Ludvig Holstein, 1694-1763, uomo di stato
e intellettuale danese), sorta nel 1756 ed enucleatasi in un territorio da lunghissimo
tempo colonizzato dagli Eschimesi (a circa 15 km. a sud di questa località, sull’isola
di Nipisat, era stata costruita nel 1724 una base per la caccia alle balene che fu distrut-
ta dagli Olandesi: essa venne poi ricostruita e rafforzata militarmente nel 1729 ma in
seguito fu di nuovo distrutta): in questa località nel 1775 sarebbe stata edificata la
seconda chiesa groenlandese (dopo quella di Nuuk del 1758); Qeqertarsuaq (in
danese Godhavn, “Buon porto”, 1773); Qaqortoq (in danese Julianehåb, “Speranza
[nel nome] di Giuliana”, con riferimento alla regina Giuliana Maria, su cui cfr. pp.
691-692). Tutte queste località si trovano nella zona occidentale del Paese dove le
condizioni climatiche sono più accettabili: Qasigiannguit e Ilulissat sulla baia di Disko,
Paamiut e Sisimiut sulla costa, Qeqertarsuaq nella parte meridionale dell’isola Disko,
Qaqortoq nella punta meridionale del Paese. Sulla costa orientale il centro di Tasiilaq
(fino al 1997 detta Ammassalik) fu fondato come stazione commerciale danese solo
nel 1894.
337
Vd. Sveitstrup P.P., Det almindelige Handelskompagni 1747-1774. Med saerligt
Henblik paa dets Virksomhed i Grønland, København 1943.
338
Da questo anno esso avrebbe avuto solo compiti di approvvigionamento. A
partire dal 1986 la gestione è passata al Commercio groenlandese (Kalaallit Niuerfiat
nella lingua degli Inuit).
Peder Claussøn Friis;339 nel 1607 circa (una Relazione sulla Groen-
landia (Relation om Grønland) in rima, composta da Jens Bielke (o
Bjelke, 1580-1659) che poi sarebbe divenuto cancelliere di
Norvegia;340 nel 1608 La cronaca groenlandese (Den Grønlandske
Chronica) composta (ancora in knittelvers!)341 dallo ‘storico’ Lyschan-
der342 allo scopo di celebrare le spedizioni in quella terra volute da
Cristiano IV; negli anni 1653-1654 la redazione (in latino) dello
scritto Groenlandia di Peder Hansen Resen basato su materiale
tratto da manoscritti islandesi e resoconti di viaggio;343 nel 1688
(uscita postuma) la Groenlandia o storia della Groenlandia (Gron-
landia edur Grænlandz saga) di Arngrímur Jónsson;344 infine 1706
la Groenlandia antica (Gronlandia Antiqva) di Torfæus.345 Ma in
questo contesto vanno ricordati anche gli Annali groenlandesi di
Jón Guðmundsson l’Erudito,346 così come la Relation du Groenland
uscita anonima a Parigi nel 1647 ma dovuta a Isaac de la Peyrère
(1596-1676): essa costituisce la prima opera su questo Paese com-
posta in una lingua europea di grande diffusione.347
339
Vd. p. 585 e pp. 593-594.
340
Su di lui vd. Nielsen Y., “Jens Bjelke til Østraat. Norges Riges Kantsler. Et Bidrag
til Norges indre Historie i den første Halvdel af det syttende Århundrede” (= NHT
1871-1872) e anche Kisbye Møller J., “Jens Bielkes Grønlandsberetning 1605. Grøn-
lands genopdagelse – en aldrig tidligere offentliggjort øjevidneskildring af de første
grønlænderes ankomst til Danmark”, in Grønland, 1985: 5, pp. 117-148. Cfr. p. 547.
341
Vd. p. 396, nota 268.
342
Vd. pp. 538-539. In proposito si legga Storm G., “Om Kilderne til Lyschanders
‘Grønlandske Chronica’”, in AaNOH 1888, pp. 197-218.
343
Su Peder Hansen Resen vd. p. 587. A lui si deve anche uno scritto sull’Islanda (Peder
Hansen Resen, Íslandslýsing, J. Benediktsson þyddi og samdi inngang og skýringar, Reykjavík
1991). Questi lavori facevano parte dell’ambizioso progetto della stesura di un Atlante dane-
se (Atlas danicus) che avrebbe dovuto offrire una descrizione geo-topografica completa
della Danimarca, dell’Islanda, delle Føroyar e della Groenlandia (con riferimento anche alla
flora, alla fauna e ai luoghi di interesse storico). Su incarico di Resen medesimo l’ecclesiastico
ed erudito Johan Brunsmand (cfr. p. 643, nota 525) ne redasse una versione ridotta in latino
e, più tardi, un compito analogo venne affidato dalla vedova di Resen a Christen Aarsleb
(morto nel 1723). Sebbene l’imponente lavoro sia per molta parte andato perduto nell’incen-
dio di Copenaghen del 1728 che distrusse anche la biblioteca universitaria (cfr. p. 685, nota
32), possediamo manoscritti e incisioni che hanno consentito di proporre edizioni critiche
relative a diversi territori; sicché, quantomeno, è possibile avere un’idea di come avrebbe
dovuto risultare l’opera nelle intenzioni dell’autore. Per le parti relative alla Groenlandia
contenute in questo materiale vd. Kisbye Møller J., “Resens Grønlandsbeskrivelse 1687. En
uudgivet tysk-grønlandsk ordliste”, in Grønland, 1985: 5, pp. 149-192.
344
Vd. pp. 594-595.
345
Vd. p. 587.
346
Vd. p. 576, nota 213.
347
Vd. Kisbye Møller J., “Isaac de la Peyrère: ‘Relation du Groenland’. En 335 år
gammel fransk ‘beretning om Grønland’. Den ældste almindelige Grønlandsbeskri-
velse på et europæisk hovedsprog”, in Grønland, 1982: 6, pp. 168-184.
353
Vd. Brecht M. – Deppermann Kl. et al. (hrsg.), Geschichte des Pietismus, im
Auftrag der Historischen Kommission zur Erforschung des Pietismus, I-IV, Göttingen
1993.
354
Si ricordi che all’epoca Philipp Jakob Spener (1635-1705), fondatore del movi-
mento (sul quale Wallmann J., Philipp Jakob Spener und die Anfänge des Pietismus,
Tubingen 1970), era morto ormai da molti anni.
355
Indicazioni in Schou (Abbr.) II, 2 ottobre 1706, pp. 128-129.
356
Esso va ricondotto all’opera di Nikolaus Ludwig conte di Zinzendorf (1700-1769).
Allievo a Halle del pietista August Hermann Francke (cfr. nota 364), nel 1722 egli
aveva accolto nella sua tenuta nella Lusazia superiore un gruppo di Fratelli Boemi
(legati al movimento hussita) cui poi si aggiunsero persone appartenenti ad altre con-
fessioni che sfuggivano alla persecuzione religiosa. La colonia, sorta sulle pendici del
monte Hut, ebbe nome Herrnhut: qui Zinzendorf intendeva, in spirito di piena tolle-
ranza, permettere a ciascuno di praticare liberamente la propria fede. Essendo tuttavia
sorti forti contrasti, Zinzendorf si impegnò per stabilire delle regole che furono for-
malmente accettate nel 1727. Ciò produsse benefici effetti in quanto la vita della
comunità conobbe un notevole progresso spirituale. Particolare attenzione fu posta
all’attività missionaria nelle colonie. Negli anni Zinzendorf dovette affrontare molte
difficoltà di carattere sia teologico sia pratico, tuttavia portò avanti la propria opera
per tutta la vita, affidando infine la sua comunità al vescovo Johannes von Watteville
(1718-1788) marito di sua figlia Benigna (1725-1786).
357
Vd. p. 684.
358
Egli non soltanto aveva preso parte nel 1731 alla cerimonia di incoronazione del
re Cristiano VI, ma era stato anche insignito dell’Ordine dell’Elefante (vd. p. 648, nota
547).
359
Vd. pp. 728-729.
360
Vd. sopra, nota 39. L’opera ivi citata è fortemente impregnata di spirito pietista.
In proposito vd. Neiiendam M., Erik Pontoppidan. Studier og bidrag til pietismens
historie, I-II, København 1930-1933.
361
Vd. p. 827.
362
Questa istituzione (Vajsenhus) era stata fondata nel 1727 da Federico IV. Essa si
inquadra fra le diverse iniziative nel campo dell’educazione che (in buona parte ispi-
rate dal pietismo) caratterizzano questo secolo.
363
Vd. p. 835.
364
Vd. Graversen H., Wajsenhuspræsten Enevold Ewald og den pietistiske Bevægel-
se i København i det 18. Aarhundrede, København 1913. Come è noto Halle divenne
il centro principale del pietismo: presso la sua università, fondata nel 1694 da Federi-
co principe elettore di Brandeburgo e futuro re di Prussia Federico I (1657-1713),
anche per impulso di Spener, fu attivo il teologo August Hermann Francke (1663-1727),
certamente uno dei più significativi rappresentanti del movimento.
anche dallo scrittore danese Niels Johannes Holm (1778-1845), che fino al 1834 sarà
responsabile della comunità di Christiania. Negli anni ’20 del XIX secolo verrà fon-
data la comunità pietista di Stavanger alla cui guida sarà Søren Daniel Schiøtz (1796-
1863).
371
Vd. SØRENSEN S.A., Zioniterne. En religiøs Bevægelse i Drammen og Omegn i
Midten af det 18de Aarhundrede, Kristiania 1904.
372
In seguito alle restrizioni adottate con il decreto del 1741 Catharina lasciò la
Norvegia. Di lei resta una Autobiografia (Lebenslauf der ledigen Schwester Catharina
Maria Freymann) in tedesco. Su di lei vd. Øverland P., Catharina Maria Freymann. En
kvinnelig lederskikkelse i pietismens tid i Norge, Trondheim 1984.
(1755-1800). Del resto si deve tenere nel dovuto conto il fatto che non di rado i più
illustri rappresentanti della Chiesa venivano nominati per ragioni politiche, piuttosto
che per ‘meriti’ religiosi.
396
La prima loggia fondata in Danimarca (Copenaghen) fu quella di San Martino
(1743): a essa aderì il conte Christian Conrad Danneskiold-Laurvig (1723-1783) che
avrebbe poi dato vita (1749) alla Grande loggia provinciale dano-norvegese (Den
dansk-norske provinsial-storloge); egli fu anche promotore (nello stesso anno) della
prima loggia norvegese, non a caso intitolata a Sant’Olav (St. Olai loge). In Svezia
conosciamo la massoneria fin dal 1735, anno in cui il conte Axel Wrede Sparre
(1708-1772) fondò (con il beneplacito del re) la loggia che da lui prese nome. La
massoneria svedese ottenne poi il patrocinio del re Adolfo Federico e a partire dal
1774 ebbe come gran maestro il duca Carlo, futuro sovrano con il nome di Carlo
XIII. In Islanda la massoneria ha una storia molto più recente: la prima loggia (Edda)
è stata fondata a Reykjavík solo nel 1913 (pienamente riconosciuta nel 1919). Vd.
Bugge K.L., Det danske Frimureries Historie, I-II, Kjøbenhavn 1910-1927; Ullgren
P., Hemligheternas brödraskap. Om de svenska frimurarnas historia, Stockholm 2000
e anche Eklund D. – Svensson S. et al., Hertig Carl och den svenska frimureriet,
Uppsala 2010.
397
È noto che dopo un iniziale interesse nei confronti di Swedenborg, Immanuel
Kant (1724-1804) lo attaccò nell’opera dal titolo Sogni di un visionario spiegati
per mezzo dei sogni della metafisica (Träume eines Geistersehers erläutert durch
Träume der Metaphysik, 1766: se ne veda l’edizione critica curata da R. Malter,
Stuttgart 1987). Molto duro fu anche il giudizio del poeta svedese Johan Henric
Kellgren (su cui vd. p. 835), che nel componimento dal titolo Non si è un genio
solo perché si è pazzi (Man äger ej snille för det man är galen) scrive: “Ma sebbene
qualche volta si siano viste delle macchie sul sole,/ In ogni caso con le sue macchie
la luna resta luna/ Seppure persino Newton un giorno sia stato colto da una feb-
bre spirituale/ Swedenborg resta lo stesso semplicemente – un imbecille” (DLO
nr. 151).
dove, per quanto egli non avesse manifestato il desiderio di separarsi dalla Chiesa
luterana, sorsero le comunità dette della Chiesa Nuova o della Nuova Gerusalemme,
la cui ‘Bibbia’ è l’opera Autentica religione cristiana (Vera Christiana Religio), uscita
nel 1771. In Inghilterra Robert Hindmarsh (1759-1835) organizzò un primo gruppo
di discepoli e contribuì alla fondazione della Conferenza generale della Nuova Chiesa
di Gerusalemme (Londra, 1787). Negli Stati uniti, dove la dottrina swedenborghiana
venne diffusa a partire dal 1784 da James Glen (morto nel 1814), la prima Chiesa
sorse nel 1792 a Baltimora. A tutt’oggi i seguaci di Swedenborg (suddivisi in correnti
e presenti in diversi Paesi del mondo) sono circa 30.000. Fin dai primi tempi essi si
sono distinti per l’impegno in ambito sociale.
402
Egli a esempio non soltanto sostiene che l’anima è materia ed è per questo
governata da leggi meccaniche, ma descrive un aldilà che per molti aspetti ricalca
questo mondo e che appare ordinato secondo quella che si potrebbe definire una
sorta di ‘burocrazia borghese’.
403
Basti pensare a nomi (indicati in ordine cronologico proprio per mostrare la
continuità del suo influsso) come quelli di Benjamin Franklin (1706-1790), Johann
Wolfgang Goethe (1749-1832), William Blake (1757-1827), Thomas Thorild (1759-
1808, vd. p. 842), Samuel Taylor Coleridge (1772-1834), Friedrich Schelling (1775-1854),
Carl Jonas Love Almqvist (1793-1866, vd. p. 925 e p. 1056 con nota 418), Thomas
Carlyle (1795-1881), Honoré de Balzac (1799-1850), Ralph Waldo Emerson (1803-
1872), Elisabeth Barrett Browning (1806-1861), Robert Browning (1812-1889), Char-
les Baudelaire (1821-1867), Fëdor Michajlovič Dostoevskij (Фёдор Михайлович
Достоeвский, 1821-1881), August Strindberg (vd. pp. 1082-1083), William Butler
Yeats (1865-1939), Carl Gustav Jung (1875-1961), Vilhelm Ekelund (1880-1949, vd.
p. 1171), Jorge Luis Borges (1899-1986), Gunnar Ekelöf (1907-1968, vd. p. 1171 e p.
1262), Lars Gyllensten (1921-2006, vd. p. 1265).
404
In proposito può essere di interesse il saggio: Snoek J.A.M., “Swedenborg,
Freemasonry, and Swedenborgian Freemasonry. An Overview”, in Rothstein M. –
Kranenborg R. (eds.), New Religion in a Postmodern World, Aarhus 2003, pp. 23-75.
405
Vd. Benz E., “Emanuel Swedenborg als geistiger Wegbahner des deutschen
Idealismus und der deutschen Romantik”, in Vision und Offenbarung. Gesammelte
Swedenborg-Aufsätze, Zürich 1979, pp. 121-153 e Viatte A., Les sources occultes du
Tali sono fra gli altri quelli dello svedese Christopher Polhem
(ca.1661-1751),416 tecnico, inventore e fondatore (1697) del cosid-
detto Laboratorium mechanicum di Stoccolma, prima scuola inge-
gneristica svedese, ma anche filosofo e pedagogo; dell’astronomo
danese Peder Horrebow (1679-1764), allievo di Ole Rømer417 e
padre di Christian Horrebow (1718-1776) scopritore della perio-
dicità delle macchie solari; di Erik Pontoppidan il Giovane, teolo-
go, storico, linguista e autore del Primo tentativo di [scrivere] una
storia naturale della Norvegia (Det første Forsøg paa Norges Natur-
lige Historie), un’imponente opera dalla chiara impronta illumini-
stica uscita in due volumi tra il 1752 e il 1753;418 di Johan Browal-
lius (1707-1755), vescovo di Åbo, botanico, ma anche fisico,
studioso di mineralogia, teologo, linguista, filosofo e pedagogo; di
Johan Ernst Gunnerus, vescovo di Trondheim e pioniere della
botanica e della zoologia norvegese.419 E poi l’economista, medico
e naturalista finlandese Anders Chydenius, sopra ricordato;420 gli
svedesi Emanuel Swedenborg, la cui ‘conversione’ spirituale avreb-
be in buona parte oscurato l’attività scientifica a lungo fruttuosa-
mente praticata,421 Samuel Klingenstierna (1698-1765), matemati-
darà vita alla Società per la storia naturale (Naturhistorisk Selskab) è considerato il
fondatore degli studi veterinari in Danimarca: nel 1773 aveva fondato la Reale scuola
di veterinaria (Den Kongelige Veterinærskole). Suoi allievi sono altri importanti scien-
ziati danesi come Erik Nissen Viborg (1759-1822), veterinario e botanico, Carl Gottlob
Rafn (1769-1808), naturalista e Jens Veibel Neergaard (1775-1864), veterinario. Vd.
Petersen J., Søfareren Vitus Bering, København 1941; Andersen S. (red.), P.C. Abildgaard
(1740-1801). Biography & bibliography, Copenhagen 1985; I ballon over Danmark,
Dansk Ballonunion, 2006, pp. 5-11.
416
Il cognome Polhem, assunto dopo la concessione della dignità nobiliare, sostituì
quello della famiglia (di origine tedesca) Polhammar.
417
Vd. p. 634 con nota 491.
418
Il titolo completo è Il primo tentativo di [scrivere] una storia naturale della Nor-
vegia, che di questo Regno presenta il cielo, la terra, i campi, le acque, le piante, i metal-
li, i minerali, i tipi di pietra, gli animali, gli uccelli, i pesci e infine la natura insieme ai
costumi e al modo di vivere degli abitanti (Det første Forsøg paa Norges Naturlige
Historie, forestillende Dette Kongeriges Luft, Grund, Fielde, Vande, Væxter, Metaller,
Mineralier, Steen-Arter, Dyr, Fugle, Fiske og omsider Indbyggernes Naturel, samt Sædvaner
og Levemaade). A lui si devono anche i primi tre volumi di un Atlante danese (Den
Danske Atlas, 1763-1767), completato dopo la sua morte dal cognato Hans de Hofman
(1713-1793); vd. Cedergreen Bech S., Den Danske Atlas og værkets tilblivelseshistorie,
København 1969. Su Erik Pontoppidan vd. sopra, nota 39.
419
Cfr. nota 184. Vd. Jakobsen R. Nøtvik – Bakken T. et al., Aspects of Johan Ernst
Gunnerus’ life and work, Trondheim 2011.
420
Vd. p. 711 con nota 141 e p. 750.
421
Cfr. p. 772 con nota 399. Non si dimentichi che fin dall’anno della fondazione
egli fu membro della Società per la scienza di Uppsala, che nel 1734 entrò a far parte
dell’Accademia russa delle scienze (Петербургская академия наук), sorta nel 1724 a
81-84. Va qui sottolineato che in Islanda le ricerche scientifiche rivolte allo studio
della natura del Paese si collocano non soltanto nella scia della letteratura topografica
e naturalistica, ma anche di quella ‘consapevolezza della propria specificità geografico-
storico-culturale’ già rivendicata (in reazione a informazioni fantasiose e inattendibili,
quando non offensive, diffuse all’estero) da autori come Arngrímur Jónsson (vd. pp.
594-595 con nota 307) e concretamente rappresentata nella celebre mappa del Paese
realizzata (1585) dal vescovo Guðbrandur Þorláksson (vd. p. 511) e pubblicata nel
1590 dal cartografo fiammingo Abraham Ortelius (1528-1598), sulla quale per altro
sono raffigurati anche mostri marini che, molto verosimilmente, non comparivano
sull’originale. Vd. Júlíusson – Ísberg 2005 (B.3), pp. 125-126. Cfr. nota 349.
427
Su di lui vd. Kousholt Bj., H.C. Ørsted og fornuften i naturen, Lyngby 2000.
428
Su di lui lo studio di Melhado E.M., Jacob Berzelius. The Emergence of His
Chemical System, Uppsala 1981.
429
Altri personaggi eminenti della famiglia erano lo zio, Olof Celsius (1670-1756)
botanico e primo briologo svedese ma anche linguista e studioso di rune (una passio-
ne ereditata dal padre Magnus) che in polemica con il ‘rudbeckiano’ Biörner (vd. p.
592) propugnò un approccio scientifico nello studio di questo alfabeto, e il di lui figlio
e omonimo (1716-1794), uno dei più importanti storici svedesi del periodo. Lo zio Johan
Celsius (1660-1710) faceva parte del gruppo di studenti che avevano dato vita a diver-
se iniziative teatrali sia a Uppsala sia a Stoccolma, nel teatro noto come Lejonkulan
(vd. p. 614 con nota 400).
primo luogo nei Paesi Bassi) che gli permise di entrare in contatto
con illustri studiosi441 e di pubblicare alcuni lavori scientifici – tra
cui il fondamentale Sistema della natura (Systema Naturæ, 1735)
nel quale espone la sua classificazione del mondo naturale –442
Linneo tornò in patria nel 1738 e, dopo un periodo trascorso a
Stoccolma (dove fu un medico molto apprezzato e compare tra i
fondatori della Reale accademia della scienza), nel 1741 ottenne la
nomina a professore di medicina presso l’Università di Uppsala.443
La sua fama era ormai consolidata,444 le sue lezioni erano sempre
molto affollate e frequentate anche da studenti provenienti dal-
l’estero. L’attività di redazione dei risultati delle proprie ricerche
fu intensa (così come la relazione epistolare con altri studiosi, sia
svedesi sia stranieri) sicché la sua produzione scientifica, redatta in
latino con l’evidente scopo di renderla disponibile all’intera comu-
nità scientifica, conterà alla morte una settantina di libri e più di
trecento saggi.445 Oltre al citato Sistema della natura è opera fon-
damentale, tra le altre, Species plantarum del 1753,446 nella quale
egli adotta per le piante (ma successivamente la applicherà anche
alle specie animali) la nomenclatura binomiale che affianca al nome
del genere quello della specie, ben distinguendo (con l’attenta
osservazione dei dettagli che caratterizzava il suo approccio scien-
che per la prima volta descriveva le specie vegetali di una regione ancora per molti
aspetti sconosciuta.
441
Come gli olandesi Herman Boerhaave (1668-1738), Jan Frederik Gronovius
(1686-1762) e Johannes Burmann (1707-1780).
442
Il titolo completo è Systema Naturæ, sive regna tria naturæ systematice proposita
per classes, ordines, genera, & species. Il lavoro fu pubblicato a Leida grazie all’interes-
samento di Gronovius (cfr. nota precedente).
443
In realtà le cattedre di medicina erano due, una delle quali, per le ragioni sopra
esposte, riguardava in sostanza la botanica e le scienze naturali. Linneo si accordò con
il collega Nils Rosén (del quale poco oltre) che aveva ‘ereditato’ il proprio incarico da
Olof Rudbeck il Giovane e gli lasciò gli insegnamenti più strettamente medici (come
anatomia e fisiologia) per dedicarsi al giardino botanico e allo studio delle piante.
444
Egli divenne membro di molte prestigiose istituzioni scientifiche, ottenne (1753)
la concessione del titolo di cavaliere dell’Ordine della stella polare (vd. nota 675), il
titolo di archiatra (1756) e la dignità nobiliare (1757).
445
Qui va tra l’altro doverosamente aggiunto che Linneo si preoccupò anche di
dare alle stampe l’opera dell’amico Peter Artedi (1705-1735), fondatore degli studi
ittiologici, dal titolo, appunto, Ichthyologia (1738). Sull’amicizia tra i due scienziati è
incentrata l’opera di Gun Frostling (n. 1938) Il figlio di Elena. Romanzo su Peter
Artedi e la sua amicizia con Carlo Linneo (Helenas son. En roman om Peter Artedi och
hans vänskap med Carl Linnaeus), Visby 2010.
446
Il titolo completo è Species plantarum, exhibentes plantas rite cognitas, ad genera
relatas, cum differentiis specificis, nominibus trivialibus, synonymis selectis, locis nata-
libus, secundum systema sexuale digestas.
447
Per la verità va qui precisato che questo tipo di nomenclatura era stato in pre-
cedenza proposto dal botanico svizzero Gaspard (Caspar) Bauhin (1560-1624).
448
Il testo di questo manoscritto, inteso per meditazione personale, fu acquisi-
to dalla biblioteca universitaria di Uppsala Carolina Rediviva nel 1845 (vd. Hulth
J.M., “Uppsala universitetsbiblioteks förvärv av Linneanska originalmanuskript”,
in Uppsala Universitetsbiblioteks minnesskrift 1621-1921, Uppsala 1921, pp. 411-
412) ed è stato edito in forma completa solo nel 1968; vd. Lepenies W., “Linnaeus’s
Nemesis divina and the Concept of the Divine Retaliation”, in Isis, LXXII (1982),
pp. 11-27.
449
Cfr. p. 761.
450
Allievo di Retzius sarà il celebre ornitologo Sven Nilsson (1787-1883).
451
Gli ultimi due facevano parte del gruppo dei cosiddetti ‘apostoli’ di Linneo,
studiosi che in accordo con il maestro compirono viaggi in diverse parti del mondo
per studiare la flora o la fauna locale. Vd. Hansen L. (editor-in-chief), The Linnaeus
apostles. Global science & adventure, I-VIII, London 2006-2012.
452
Allievo di Olof Swartz sarà, a sua volta, Carl Adolph Agardh (1785-1859), natu-
ralista, matematico e pioniere degli studi sulle alghe. Allievo di Agardh (e di Retzius)
sarà poi Elias Fries (1794-1878), autore di importanti studi nel campo della micologia.
453
Anche lui ‘apostolo’ di Linneo (cfr. nota 451).
454
Vd. p. 630.
455
Il suo testo dal titolo Insegnamenti sulle malattie infantili e sui loro rimedi
(Underrättelser om Barn-Sjukdomar Och deras Bote-Medel, 1764) fu tradotto in molte
lingue e conobbe una lunga serie di edizioni utilizzate fin oltre il XIX secolo. Su di lui
vd. Segerstedt T.T., Nils von Rosenstein. Samhällets människa, Stockholm 1981 e
Sjögren I., Nils Rosén von Rosenstein. Mannen som förlängde människolivet, Stockholm
2006.
456
Sebbene nella sua formazione non avesse seguito rigorosi criteri accademici,
questi era stato anche chirurgo di corte. Per sua iniziativa nel 1736 venne aperta la
prima scuola pubblica di chirurgia denominata Theatrum anatomico-chirurgicum (vd.
Norrie G., Theatrum anatomico-chirurgicum, I-II, København 1931-1932) nella quale
si sarebbero formati medici di grande valore.
457
Su di lui vd. Brahe Pedersen Chr., “Georg Heuermann – dansk kirurg og læge
i 1700-tallet”, in OV, pp. 245-254. In Danimarca nel 1772 fu fondata La società medi-
ca (Det Medicinske Selskab), tuttora esistente, che è perciò la più antica al mondo.
458
Si pensi che la Societas chirurgica svedese, sorta nel 1685, era in sostanza la continua-
zione del cosiddetto Bardskärareämbetet (letteralmente “Ufficio dei tagliabarba”) sorto nel
1571. Nel 1786 prendeva l’avvio a Copenaghen l’attività dell’Accademia chirurgica (Det
Chirurgiske Akademie) indipendente rispetto alla facoltà universitaria di Medicina. Ai
contrasti fra medicina e chirurgia si ispira ironicamente una delle ‘favole morali’ di Holberg
(su cui vd. pp. 789-792 e pp. 830-831) dal titolo La disputa fra medicina e chirurgia
(Tvistighed mellem Medicinen og Chirurgien; Fabel 146, in LHV IX, pp. 397-398).
459
Per quello che riguarda la Danimarca si segnala la fondazione a Copenaghen,
per iniziativa del re Federico V, del primo ospedale (nel senso moderno del termine)
che dal sovrano prese il nome di Frederiks Hospital e fu inaugurato nel 1757. Esso
offriva assistenza gratuita ai pazienti privi di mezzi. Il primo vero ospedale del Nord
fu tuttavia il sopra citato Nosocomium academicum di Uppsala. Nel 1752 grazie soprat-
tutto all’opera di Abraham Bäck (1713-1795), medico di corte e del chirurgo Olof af
Acrel (1717-1806), fu aperto a Stoccolma il Serafimerlasarettet con scopi sia di cura sia
di insegnamento. In Svezia esisteva fin dal 1663 un Collegium medicum (sorto inizial-
mente – con il nome di Collegium medicorum – allo scopo di combattere la ciarlatane-
ria). Esso ebbe poi anche compiti di insegnamento (svolti in realtà in modo discontinuo)
e, soprattutto, funzioni amministrative, in ciò venendo a costituire la base di quello
che sarebbe poi stato il Sistema sanitario del Paese. Una analoga istituzione con il
medesimo nome (e il medesimo destino) fu creata in Danimarca nel 1740 soprattutto
in reazione alla fondazione del Theatrum anatomico-chirurgicum voluto da Crüger (vd.
nota 456). Del resto anche in Svezia le perplessità dei medici di formazione accademi-
ca nei confronti dei chirurghi erano (a motivo di quanto è stato detto) assai forti.
Naturalmente i centri di cura, così come le farmacie, si trovavano nelle città e la situa-
zione degli abitanti della campagna era, da questo punto di vista, molto più precaria.
Ciò anche se dalla fine del XVII secolo era stata istituita la figura del medico distret-
tuale che conosciamo anche nella lontana Islanda (cfr. nota 213).
“Le scienze sono una luce, che si scorge appena da coloro [che] vi sono
immersi, così come brilla con splendore per coloro che camminano nelle
tenebre. Un essere umano senza istruzione, abbandonato a se stesso, è più
simile a una scimmia 460 che all’immagine di Dio.
Popolazioni selvagge, barbari e ottentotti, si differenziano da noi solo
grazie alle scienze; al modo in cui una mela selvatica rinsecchita differisce
da una gustosa renetta, solo per l’essere coltivata.
Sì, grazie alle scienze il più piccolo principato della Germania brilla con
più splendore del grande impero Mogol con tutti i suoi tesori.
460
Per la precisione un cercopiteco (svedese markatta).
461
DLO nr. 152.
462
Vd. p. 805 e p. 834.
Wolff, le cui idee venivano considerate una minaccia all’ortodossia luterana, cfr. p. 770
con nota 392. Più tardi anche Johan Henric Kellgren (vd. p. 835) non perderà l’occa-
sione di canzonare l’istituzione accademica. Sulla situazione dell’università svedese nel
Settecento vd. Schück – Warburg 19853 (B.4), III, pp. 8-28 e IV, pp. 12-28.
467
Molti degli studiosi di botanica furono infatti anche economisti: tale è il caso, in
primo luogo, del dano-tedesco Georg Christian Oeder (1728-1791), professore di
botanica ed economia all’Università di Copenaghen, che nel 1769 aveva suscitato un
dibattito pubblico sulla questione delle riforme agrarie con uno scritto dal titolo
Riflessione sulla questione: in che modo si possa procurare al ceto contadino libertà e
diritto di proprietà nei Paesi in cui mancano entrambe le cose (Betænkning over det
Spørsmaal: Hvorledes Frihed og Eiendom kunde forskaffes Bondestanden i de Lande,
hvor den fattes begge Dele). Botanici ed economisti a un tempo furono poi anche, tra
gli altri, gli svedesi Carl Adolph Agardh (vd. nota 452), Anders Jahan Retzius, Pehr
Löfling, Fredric Hasselquist, Erik Acharius, Olof Swartz, Pehr Kalm, tutti allievi di
Linneo. Anche lo zoologo danese Johann Christian Fabricius si dedicò a studi econo-
mici; cfr. pp. 782-783.
468
Questo insegnamento ebbe sede nel cosiddetto Theatrum Œconomicum, una
costruzione in stile rococò nel centro di Uppsala.
469
Vd. p. 776.
470
Vd. p. 711 e p. 750.
471
Cfr. p. 694.
delle idee illuministiche sono anche gli studi giuridici che devono
ora rimodellarsi conformandosi alla nuova concezione del ‘diritto
naturale’ degli individui e dei popoli. In questo campo, seppure
nei limiti imposti dall’assolutismo, il mondo culturale danese mostra
tutta la sua vitalità. Nomi eminenti sono quelli di Peder Kofod
Ancher (1710-1788), fondatore degli studi danesi di storia del
diritto; Henrik Stampe (1713-1789) che, pur ben integrato nell’ap-
parato statale – fu tra l’altro procuratore generale (segretario)
della Cancelleria e membro della Corte suprema – mostra di saper
esporre con grande chiarezza princìpi fondamentali come quello
della separazione dei poteri, così come di averne chiara la puntua-
le applicazione pratica472 e Martin Hübner (1723-1795, di famiglia
tedesca) studioso di diritto internazionale (in particolare delle
questioni relative alla navigazione in tempo di guerra).473 In Svezia,
dove pure la tradizione degli studi giuridici vantava nomi di pre-
stigio (si pensi a Johan Stiernhöök e a Samuel von Pufendorf),474
solo Daniel Boëthius (1751-1810) pioniere degli studi di filosofia
del diritto, pare poter reggere il confronto.
Ma nel Nord la figura che più esemplarmente incarna l’afferma-
zione dei princìpi illuministici è certamente quella di Ludvig Hol-
berg (1684-1754). Per quanto di nazionalità norvegese (era nato a
Bergen) egli è considerato il più eccellente rappresentante della
cultura (e della letteratura) danese del Settecento.475 Dotato di
mente aperta e animo cosmopolita, capace di integrare al meglio
la propria formazione con le opportunità fornite da lunghi viaggi
all’estero (dove fu pronto ad apprendere le nuove idee sulla scien-
za, la morale, la filosofia, la religione, la società), Holberg ne fu
convinto ed efficace diffusore in una ragguardevole serie di scritti
472
Stampe fu tra l’altro direttamente coinvolto nel dibattito sulla questione agraria
e fece parte della commissione nominata nel 1767 (vd. p. 694). Su di lui vd. Evald J.,
“Henrik Stampe, enevælden og oplysningstiden”, in OV, pp. 361-369.
473
Le sue proposte al riguardo trovarono consenso e furono successivamente
riprese nella cosiddetta “Dichiarazione del Congresso di Parigi sul diritto marittimo”
(legata al Trattato di Parigi) sottoscritta il 16 aprile del 1856. Vd. Anchieri E., Antolo-
gia storico-diplomatica. Raccolta ordinata di documenti diplomatici, politici, memoriali-
stici, di trattati e convenzioni dal 1815 al 1940, Varese 1941, pp. 89-90.
474
Sul primo cfr. p. 668, nota 616. Il secondo (1632-1694), tedesco di nascita, si era
trasferito in Svezia nel 1667 dopo essere stato chiamato a ricoprire la cattedra di diritto
naturale e internazionale presso la neocostituita Università di Lund (un incarico prece-
dentemente svolto a Heidelberg). Successivamente (1677) era stato nominato storico del
Regno a Stoccolma. Il suo merito sta principalmente nell’aver svincolato gli studi giuridi-
ci dalla teologia e dalla scolastica, facendone una disciplina autonoma con dignità propria.
475
Sul contributo letterario di Holberg (in particolare le commedie) vd. oltre, pp.
830-831. Per una breve biografia vd. p. 524, nota 218.
c’erano stati nel Paese nomi illustri, come quelli degli storici del
Regno Bogislaus Philipp von Chemnitz (1605-1678, di origine
tedesca) e Johannes Widekindi (1618 o 1620-1675), i cui lavori
costituiscono un punto di riferimento per la storia svedese con-
temporanea e non solo. E tuttavia l’impostazione goticista restava
assai diffusa, come dimostra, tra l’altro, il progressivo adeguamen-
to a quel canone nell’opera di un altro storico del Regno, il già
citato giurista Johannes Loccenius:491 si è del resto rilevato come
quella prospettiva rispondesse a una precisa esigenza politica.
Sicché in pieno Settecento, nonostante le riserve ormai da più
parti avanzate tanto sul merito quanto sul metodo, l’ombra lunga
delle fortunate teorie rudbeckiane ancora si proiettava sugli studi
storici. Si annoverano così autori come Johan Göransson (1712-
1769) che nello slancio goticista si lascia andare ad affermazioni
che oltrepassano il limite dell’assurdo492 ed Eric Julius Biörner che
riteneva le saghe islandesi fonti sicure della storia patria.493 Ma una
nuova storiografia muove i suoi passi. Nel 1745 Bengt Bergius
(1723-1784) fondava, su modello danese, una Accademia storica
(Historisk akademi) che tuttavia (per l’opposizione della Reale
accademia della scienza) non ebbe la necessaria approvazione
(1749);494 ciò naturalmente non impedì (anche per gli sviluppi
all’interno dell’Archivio delle antichità)495 l’impostazione delle
ricerche su basi scientifiche: una strada già indicata da Erik
491
Vd. p. 668, nota 616.
492
Nel testo dal titolo Storia e genealogia dei re svedesi dall’anno 2200 a.C. fino al
1749 (Svea Rikes Konungars Historia Ok Ättartal, Ifrån 2200 År före Christum, Intil
1749, 1749) egli arriva a esempio a sostenere l’esistenza di una pietra runica risalente
addirittura a 2400 anni prima del diluvio universale, così come a collocare la compo-
sizione dell’Edda poetica (pp. 290-296) molto tempo prima della nascita di Cristo (si
vedano innanzi tutto la tavola allegata al volume e i rimandi ivi indicati). Inoltre egli
faceva risalire i primi re di Svezia a Saturno e Giove i quali erano – naturalmente! –
vissuti in quel Paese. A Johan Göransson si deve tuttavia un importante contributo
alla runologia: nel 1750 infatti egli pubblicò l’opera dal titolo Bautil, vale a dire: Tutte
le pietre runiche del Regno degli Svedesi e dei Goti (Bautil, det är: Alle Svea och Götha
Rikens Runstenar). In essa sono raccolte le riproduzioni grafiche delle pietre runiche
svedesi sulla base del lavoro curato da diversi ‘antiquari’ quali Nils Wessman (1712-1763),
Johan Peringskiöld (cfr. p. 592) e Johan Hadorph (cfr. p. 591). Il valore dell’opera per
gli studiosi moderni consiste primariamente nel fatto che in essa sono fedelmente
riprodotte pietre runiche andate in seguito distrutte o perdute.
493
Vd. p. 592.
494
Vd. Hernlund H., “En undertryckt historisk akademi”, in SHT V (1885), pp.
97-103.
495
Un importante impulso in direzione di una più moderna valutazione del valore
delle ‘antichità’ venne da Carl Reinhold Berch (1706-1777), segretario dell’Archivio a
partire dal 1750. Cfr. nota 672.
L’affermazione del nuovo metodo storico segna una netta distanza dalle
fantasie goticiste che tanto consenso politico-culturale avevano ottenuto nel
496
Vd. p. 775.
497
Cfr. nota 429.
498
Vd. Bollerup E., “Lagerbrings Svea Rikets Historia. Tillkomst, utgivning,
mottagande”, in Scandia, XXXVI (1970), pp. 298-332. Più tardi un altro storico,
Carl Gustaf Nordin (1749-1812) con la sua preziosa raccolta di materiali porrà le
basi per importanti edizioni di fonti. Altri nomi di un certo rilievo della storiografia
svedese del periodo sono quelli di Anders Schönberg (1737-1811), Jonas Hallenberg
(1748-1834), allievo di Lagerbring, ed Erik Michael Fant (1754-1817) che si dedicò
tra l’altro all’edizione delle fonti antiche.
499
Vd. p. 536, nota 28.
500
Fin dal 1739 del resto Eric Julius Biörner (vd. p. 592) aveva pubblicato anoni-
mamente un breve testo dal titolo Serie questioni su un pubblico autore di satire
(Alfwarsama Frågo Tankar Om en Publik Satyrist) nel quale (senza mai nominarlo)
contestava Dalin per l’ironia con la quale egli si faceva gioco del ‘metodo storico’ fino
ad allora quasi universalmente adottato in Svezia. Dalin naturalmente non si lasciò
sfuggire una replica e compose uno scritto di carattere satirico dal titolo Descrizione
di una pietra runica presso Drottningholm [...] di Olavus Björnerus Antiquario. Di
Lovö (Beskrifning Om en Run-Sten vid Drottningholm [...] Af Olavo Björnero Anti-
quario. Lovöensi), nel quale si faceva beffe delle teorie di Biörner, facilmente indivi-
duabile nell’antiquario cui il titolo fa riferimento.
Al fine di mantenere l’effetto satirico che, in buona parte, si gioca sui nomi, si è
502
qui deciso di lasciarli in lingua danese, limitandosi a indicare tra parentesi quadre la
traduzione di quelli non identificabili con immediatezza.
ti: Poiché con questo mezzo ho scoperto che la maggior parte delle cose rag-
guardevoli che si trovano riportate nelle storie greche e romane sono
avvenute nel Nord [...] Ho scoperto e posso tra l’altro chiaramente mostra-
re, che la guerra di Troia ha avuto luogo in Norvegia, e che Troja è lo stesso
di Trandia vale a dire Trundhiem [Trondheim] [...] Trojlus non è altro se
non Troels o Truels, Paris [Paride] Per Iversen, Hector [Ettore] Henrik
Thorsen, Palamedes Palle Mikelsen, Agamennon Aage Mogensen, Olysses
[Ulisse] Ole Lykke, Achilles Acho Hellesen, Ajak [Aiace] Anders Jacobsen,
Helene Ellen, e via dicendo. Poiché in tal modo io nella mia tesi sono con-
fortato dalla corrispondenza dei nomi, sono stato incoraggiato a cercare la
vera storia della guerra di Troia, la quale ho chiaramente trovata in un
antico manoscritto islandese in questo modo. La figlia di un re di Hedemark503
di nome Ellen fu rapita da uno jarl504 di Trundheim Per Iversen; ragion per
cui tutti i re locali a sud delle montagne si allearono contro il padre di quel
medesimo jarl, che allora governava a Trundhiem e si chiamava Prebend
Amundsen, il quale nome i Greci poi hanno trasformato in Priamus. Dopo
due anni di assedio (i menzogneri Greci dicono dieci anni) la città di Tran-
dia o Troja fu infine conquistata e distrutta: Essa poi a lungo rimase deser-
ta; i re che vennero dopo si accontentarono semplicemente di un castello
detto Laden [Lade], finché infine ritennero opportuno fondare una nuova
città sulle fondamenta dell’antica Troja, la quale ebbe nome Nidraas
[Nidaros].505 Fra tutti gli eroi che si fecero coinvolgere in questa guerra,
trovo solo un comandante danese, cioè il vecchio Nestor, il quale si ritiene
abbia fondato la città di Næstved in Selandia [...] In proposito qualcuno
potrebbe domandare: In che modo i più antichi scrittori greci sono venuti a
conoscenza delle vicende nordiche, e in che modo hanno potuto avere l’idea
di farle divenire storie proprie. Al che si risponde: Dal momento che le
terre nordiche sono state colonizzate immediatamente dopo il diluvio uni-
versale, si possono ricondurre a loro le storie più antiche [...] perciò non
desta meraviglia che gli scrittori greci, che ambivano a conferire una grande
antichità alle loro storie, ma non avevano materiale, dal momento che le
loro terre sono state colonizzate più tardi, abbiano composto le loro storie
dai racconti delle imprese danesi, norvegesi e svedesi ascoltati dai viaggia-
tori nordici, e per vanità le abbiano fatte passare come se fossero avvenute
nelle loro terre [...]”506
stampa di più antica fondazione tuttora esistente. Vd. Gustafsson K.E. – Rydén P.
(red.), Perspektiv på Post- och Inrikes Tidningar, Göteborg 1998.
520
Il primo giornale locale comparso in Danimarca ha per titolo Lista settimanale
di notifiche provinciali (Ugentlige Provincial Notifications Liste) pubblicato per la
prima volta a Odense nel 1735; da segnalare anche le Notizie utili e dilettevoli dallo
Jutland (Nyttige og fornøyelige jydske Efterretninger) uscito a Aalborg nel 1767 e suc-
cessivamente intitolato Notizie dalla diocesi di Aalborg (Aalborg Stiftstidende): questo
giornale è tuttora esistente, seppure si debba segnalare che nel 1999 è confluito nella
testata Notizie dalla diocesi dello Jutland settentrionale (Nordjydske Stiftstidende). In
Svezia il primo giornale locale è La lista settimanale di Göteborg (Götheborgs Weko-lista,
1749-1757?), nella stessa città sarà fondato nel 1813 il Corriere di Göteborg (Göteborgs
Posten); del 1754 è Il foglio settimanale di Karlskrona (Carlscronas Wekoblad) pubbli-
cato fino al 1878; del 1758 i Settimanali di Norrköping (Norrköpings Weko-Tidningar),
successivamente Norrköpings Tidningar.
521
Høpfner pubblicò anche un Corriere (Post-Rytter) mensile e un settimanale in
tedesco dal titolo La Fama danese (Die Dänische Fama).
522
Oltre a un bisettimanale di notizie dal titolo Notizie da diversi luoghi (Nouvelles
des divers Endroits, avviato nel 1719) a lui si deve anche un mensile, l’Estratto di notizie
(Extrait des Nouvelles, 1720-1721), redatto da Andreas Hojer (vd. p. 793) e incentrato
soprattutto su argomenti di letteratura e di storia. Tali pubblicazioni non costituiscono
affatto un’eccezione. Interessante è il caso del francese Laurent Angliviel de La Beaumel-
le (1726-1773), precettore a Copenaghen, il quale tra il 1748 e il 1750 curò un bisettima-
nale dal titolo La Spettatrice danese (La Spectatrice Danoise). Anche in Svezia lo stampa-
tore Peter Momma (1711-1772) pubblicò tra il 1742 e il 1758 una Stockholm Gazette in
lingua francese.
527
Come a esempio: il Signor Attaccabrighe (Herr Gräl), il Signor Zelomiaccieca
(Herr Nitblind), il Signor Cervellobacato (Herr Hiernbrott), il Signor Colpoalcuore
(Herr Hiertskott), il Signor Veteranidiguerra (Herr Krigsbussar), il Signor Onorema-
però (Herr Ehrenmenvet), la Signora Temperanza (Fru Måttelighet), la Signora Auto-
rità (Fru Myndighet), la Signora Scemenza (Fru Dumhet), la Signora Costumatezza (Fru
Ärbarhet).
528
Vd. pp. 698-699.
529
Figlio di un pastore, Dalin era nato nel 1708 a Vinberg (Halland). Rimasto
orfano di padre in tenera età fu allevato dal vicario pastorale Severin Böckman (1688-
1748) che aveva ottenuto l’affidamento della parrocchia e che sua madre aveva sposa-
to in seconde nozze. Dopo aver ricevuto la prima istruzione privatamente il giovane
Olof venne iscritto all’Università di Lund, dove ebbe modo di frequentare assidua-
mente il professore di filosofia Andreas Rydelius (cfr. p. 787 con nota 465). Trasferi-
tosi a Stoccolma ottenne l’incarico di precettore presso la nobile famiglia dei Rålamb:
grazie a ciò entrò in contatto con le più alte sfere sociali, finché, nel 1744 (anche per
il successo de L’Argo svedese) divenne precettore reale, guadagnandosi la benevolenza
dei sovrani. Fu successivamente nominato storico del Regno (1741) e insignito della
dignità nobiliare (1751). La sua costante lealtà nei confronti della famiglia reale gli
procurò naturalmente molti nemici e nel 1756, in occasione del fallito colpo di stato
(cfr. pp. 702-703), essi ottennero che Dalin fosse allontanato dalla corte. Vi fu riam-
messo, per decisione personale del re, nel 1761. Era tuttavia ormai cagionevole di
salute e morì solo due anni dopo.
530
Cfr. nota 429.
531
In seguito (1739-1740) Hesselius pubblicherà (in versi) La verità svedese (Den
swenska sanningen).
532
Per la storia dei giornali nei Paesi in cui essi sono nati si rimanda a Stangerup
H., Avisens historie i de lande, der skabte den: England, Frankrig, Tyskland og USA,
I-III, København 1973-1974 (in particolare, a riguardo del periodo qui trattato il I
volume: Fra de første tilløb til 1850).
533
Il titolo completo era Lo spettatore danese nonché l’indagatore della verità (Den
danske Spectator Samt Sande- og Gransknings-Mand). Nel medesimo 1744 il filosofo
Andreas Johansen Lundhoff (ca.1710-1748) avviava la pubblicazione de Lo spettatore
filosofico dello spettatore danese (Den danske Spectators filosofiske Spectator) che però
sarebbe uscito solo fino all’anno successivo.
534
Egli stesso portò un ulteriore contributo alla discussione pubblicando un settimana-
le poetico dal titolo L’anti-spettatore danese, ovvero uno per tutti contro il testimone danese
(Den danske Anti-Spectator eller en for alle imod den danske Sandemand) titolo uscito tra il
luglio 1744 e il marzo 1745. Il termine Sandemand, qui non del tutto propriamente reso
con “testimone”, corrisponde al nordico sannaðarmaður, con il quale nell’antico ordina-
mento giuridico si indicava una persona chiamata a confermare la veridicità di una affer-
mazione, eventualmente prestando giuramento insieme a chi la aveva pronunciata. In
Danimarca (in particolare nello Jutland) esso indicò anche un giudice (vd. Dahlerup
1993-1997, XVIII, coll. 726-727 e Cleasby – VigfUsson 1957, p. 514 [entrambi in B.5]).
535
Cfr. p. 809, nota 557, p. 839 e p. 918, nota 246. Cfr. anche la pubblicazione di
Laurent Angliviel de La Beaumelle (vd. nota 522). Da segnalare inoltre La sentinella
nordica (Der nordischer Aufseher, 1758-1761) edito dal teologo tedesco Jonas Andreas
Cramer (1723-1788), attivo a Copenaghen.
536
Il primo diede poi alle stampe anche il mensile Consigli per la casa (Hushålds-
Råd, 1734-1735) sostenendo la necessità di interventi concreti per salvaguardare le
famiglie da situazioni di indigenza legate, in primo luogo, a lutti o a eventi calami-
tosi. Le sue proposte riguardano la necessità di fornire una copertura assicurativa:
un progetto che del resto muoverà in Svezia i primi passi con la istituzione di una
cassa assicurativa per le vedove e gli orfani dei funzionari di stato civile (vd. Kongl.
Maj:ts Stadfästelse Och Privilegier på Civil Statens Förening, om en Underhålls Cassa
för deras Änkor och omyndige Barn, 1 febbraio 1743 in UPH III, pp. 2004-2019)
accanto a una analoga per le vedove e gli orfani dei militari (vd. Kongl. Maj:ts
Stadfästelse och Privilegier, på den för Militiæ-Statens, Enkor och minder-årige barn,
inrättade Underhålls-Cassa, 30 giugno 1747, in UPH III, pp. 2392-2409). In seguito
questi enti vennero fusi (23 febbraio 1784) in quella che resta la più antica società
svedese di assicurazioni (Allmänna änke- och pupillkassan): vd. Reglemente, för
Allmänna Enke- och Pupill-Cassan i Swerige in UPH XIII, pp. 13-41. Sulla storia di
paiono nella seconda metà del secolo periodici di una certa impor-
tanza come Il Settimanale di Stoccolma (Stockholms Weckoblad,
1745-1779) di Peter Momma537 e il Quotidiano eterogeneo (Dagligt
Allehanda) del 1769, inizialmente (dal 1767) un allegato economi-
co del precedente.538 Interessante è anche la nascita della prima
vera testata politica, Un onesto svedese (En Ärlig Swensk, 1755-1756),
redatto anonimamente da Niklas von Oelreich (1699-1770) ultimo
censor librorum539 per il partito dei “cappelli”.540
La novità editoriale costituita dai giornali doveva naturalmente,
prima o poi, raggiungere anche gli altri Paesi nordici. In Norvegia
il primo tentativo di pubblicare un periodico fu fatto a Bergen nel
1721 quando il danese Peter Povelsen Nørvig (morto nel 1741)
diede l’avvio alla propria stamperia541 e fece uscire Il corriere Mer-
curio (Ridende Mercurius), un settimanale che tuttavia ebbe vita
breve: nel maggio del 1722 esso dovette infatti cessare le pubblica-
zioni, dal momento che rifacendosi alle Relazioni straordinarie di
Wielandt pregiudicava il suo ‘privilegio’. Si sarebbe dunque dovu-
to attendere il maggio del 1763, quando a Christiania uscì un set-
timanale dal titolo Fogli dell’Intelligenza norvegese (Norske Intelli-
genz-Seddeler)542 pubblicato dallo stampatore Samuel Conrad
Schwach (ca.1731-1781) originario della Pomerania, nel quale oltre
agli annunci erano contenuti solo testi di carattere economico e
religioso.543 Il che mostra chiaramente i limiti entro i quali poteva
559
Vd. p. 465 con nota 18.
560
Libro II, cap. 21 (§§ 1-6): Om Bøger og Almanakker.
561
Cfr. p. 641 con nota 517.
562
Stolpe 1878-1882, II, pp. 293-302 e documenti alle pp. 438-355 (nr. 14).
563
Vd. p. 691 con nota 63. A queste decisioni farà riferimento una serie di scritti,
talora di carattere umoristico; vd. Petersen – Andersen 1932-1934 (B.4), II, pp. 648-650.
564
Il 20 ottobre 1773 fu infatti emanato un decreto che limitava fortemente la
libertà di espressione (indicazioni in Stang – Dunker 1838 [Abbr.], pp. 204-205).
565
Sebbene il provvedimento del 3-4 dicembre 1790 (Schou [Abbr.] X, pp. 163-
165) avesse l’obiettivo dichiarato di punire ogni “cattivo utilizzo della libertà di stam-
pa” (“Trykkefrihedens Misbrug”, p. 163), esso costituisce un importante punto di
svolta. Al contrario l’Ordinanza che più precisamente spiega e definisce i limiti della
libertà di stampa (Forordning, som nærmere forklarer og bestemmer Trykkefrihedens
Grændser. Friderichsberg slot, den 27de September 1799) mostra una decisa chiusura
da parte dell’autorità governativa.
566
Il testo venne redatto in due parti tra il 1797 e il 1798 delle quali la seconda
porta il titolo Ulteriore analisi sulla libertà di stampa e le sue leggi (Videre Undersøgelse
om Trykkefriheden og dens Love). A queste si aggiunse poi Sulla libertà di stampa
(scritto nel 1790), in originale Om Trykkefriheden (skreven 1790).
567
La commissione cui si fa riferimento è quella istituita nel 1797 con il compito di
stabilire nuove regole in materia e il cui lavoro avrebbe costituito la base del decreto
del 1799 (vd. riferimento in nota 565). Su Heiberg vd. HENNINGSEN P., “Skarp lud til
skurvede hoveder. Peter Andreas Heibergs kamp mod opblæsthed, hykleri og råd-
denskab i oplysningstidens Danmark”, in OSD, pp. 150-188.
568
Anche Holberg aveva in molti luoghi fatto riferimento alla censura, lamentando
le limitazioni da essa poste alla libera espressione del pensiero; si veda a esempio la
Terza lettera a un illustrissimo signore (Tredie Brev til en højvelbaaren herre, 1743) in
cui, in relazione al romanzo che ha per protagonista Niels Klim (vd. pp. 790-791),
afferma tra l’altro: “Qui da noi gli scrittori hanno il più grande impiccio di dover tene-
re sotto controllo il loro estro di modo che censori sospettosi e severi non li mettano in
difficoltà.” (DLO nr. 154). Assai significativa del suo pensiero al riguardo è inoltre
l’Epistola cccxcv (in LHV XI, pp. 232-233). Un elenco dettagliato di tutti i passi della
sua opera in cui egli affronta questo tema si trova in Holberg-Ordbog, Ordbog over Ludvig
Holbergs Sprog, Redigeret af Aa. Hansen fra 1957 sammen med Sv. Eegholm-Pedersen.
Under medvirken af Chr. Maaløe, I, København-Oslo 1981, coll. 859-861.
569
Anche Malthe Conrad-Bruun (1775-1826), poeta, scrittore di satire, celebre
geografo e giornalista danese, fu condannato all’esilio e dovette riparare in Francia
(dove è noto come Conrad Malte-Brun). Egli aveva tra l’altro pubblicato un volantino
dal significativo titolo Sui diritti [relativi] alla libertà di stampa (Om Trykkefrihedens-
Rettigheder, 1795) e, successivamente, una satira dal titolo Una singolare legge sulla
libertà di stampa in Abissinia (En besynderlig Trykkefrihedslov i Abessinien, 1797).
570
Integrato da diverse disposizioni tra cui quella del 2 ottobre 1810, quella del 13
maggio 1814 che stabiliva una censura preventiva e quella, almeno in parte liberale,
del 3 giugno 1846. Sulla censura danese si rimanda al saggio di Thomsen N., “Dansk
presses udvikling til 1848”, pp. 20-62, in Søllinge-Thomsen 1988-1991, I (indicazio-
ni alla nota 509) dove si fa puntuale riferimento ai diversi decreti in materia (per
quelli citati in questa nota vd. ivi, pp. 36-37 e p. 44 rispettivamente), oltre che, natu-
ralmente a Stolpe 1878-1882, I-II, passim.
571
Vd. pp. 864-865. Al § 91 della legge è chiaramente indicata la libertà di stampa
e, insieme, la proibizione di reintrodurre la censura. Tuttavia un decreto del 3 gennaio
1851 (Presseloven. Lov om Pressens Brug af 3. januar 1851, kommenteret Udgave ved
O.H. Krabbe, København 1935) avrebbe posto una serie di limitazioni.
572
Vd. Grundloven af 1953, § 77.
573
Un’ottima e documentata sintesi della storia della censura svedese prima del 1766
(anno dell’emanazione del primo decreto sulla libertà di stampa di cui poco oltre) si
trova in Rydin H.L., Om Yttrandefrihet och Tryckfrihet. Försök till belysning af Svens-
ka Press-lagstiftningen, Stockholm 1859, pp. 124-155, cui si rimanda. Si rilevi qui solo
l’importante ordinanza emessa da Carlo XI nel 1684: Hans Kongl. May:tz Stadga och
Förordning Om alla Nyskreffne Wärkz Censerande i Rijket, så wid Academier och Skolar,
som andra Orter innan dhe tryckte warda. Item Stadfästelse på förra Kongl. Förordningar
om thet samma, så och Exemplars inlefwererande til Kongl. Archivum och Bibliotheket
aff alt thet som tryckt warder. Sampt Booktryckiarnes Straff som här emot bryta. Dat.
Stockholm 5 Julij 1684. Vd. anche Eek 1942, p. 156; cfr. p. 641 con nota 518.
574
Vd. p. 803. Descrivendo le incombenze pratiche del suo lavoro di giornalista egli
annota tra l’altro: “Di venerdì sto a scrivere, sabato sera lo porto dal mio censore, che
ha abbastanza grattacapi per causa mia” (“Om fredagen lagt på Papperet, om Lördagsafton
burit till min Censor, som nog har bekymmer af mig”; da Then Swänska Argus, N: 51,
vol. II, pp. 471-472). Nel periodo di pubblicazione de L’Argo svedese il censore (che
fu in generale ben disposto nei confronti di Dalin dandogli spesso utili consigli) era
Johan Upmarck (1664-1743) che dopo la concessione della dignità nobiliare mutò il
cognome in Rosenadler.
575
Vd. p. 788.
576
Vd. p. 711 e p. 750.
577
Il titolo è Pensieri incontestabili sulla libertà nell’uso dell’intelletto, della penna
e della stampa (Oförgripelige tankar, om frihet i bruk af förnuft, pennor och tryck).
588
Kongl. Majts Och Riksens Ständers Faststälde Tryckfrihets-Förordning; Dat.
Örebro den 16 Julii 1812 (SFS 1812), in particolare § 8. Vd. in proposito Reinhold
Kl., De svenska oppositionstidningarna och indragningsmakten. Historisk studie, Göte-
borg 1935 e anche Boberg S., “Carl XIV Johan och indragningsmakten”, in Press-
historisk årsbok, VII (1990), pp. 44-51.
589
Rispettivamente: Kungl. Maj:ts kungörelse angående beslutad ny tryckfrihetsförord-
ning. Given Stockholms slott den 5 april 1949 e Yttrandefrihetsgrundlag 14 november
1991 con ulteriore Lag om ändring i tryckfrihetsförordningen utfärdad den 14 november
1991.
590
Vd. pp. 871-875.
591
Si veda il § 100 (indicazione a p. 873, nota 50).
592
LFI XXI, pp. 154-164.
593
Da questo punto di vista è interessante anche una osservazione linguistica con-
tenuta in un’ordinanza di carattere censorio (la proibizione di commerciare libri non
stampati in Danimarca; vd. Secher [Abbr.] III, pp. 9-10) là dove non soltanto si dice
che queste pubblicazioni introducono e diffondono “deviazione ed errore” (“vilfarelse
och irringe”) fra la gente ma anche che “[…] in alcuni punti [questi] medesimi libri
appaiono erroneamente essere ostici in modo contorto e il danese reso oscuro, sicché
a stento si può comprendere […]” (DLO nr. 155).
594
Vd. p. 517.
595
Vd. p. 545.
596
Sulle diverse posizioni dei linguisti seicenteschi a proposito dei problemi orto-
grafici e le soluzioni adottate vd. Skautrup 1944-1968 (B.5), II, pp. 318-332. Nel
Settecento la questione fu ripresa e un aspetto della discussione riguardò la scelta di
un segno che sostituisse la grafia aa per la quale fu suggerito persino l’uso della ω
greca. La proposta di introdurre (analogamente allo svedese) il segno å non trovò, per
il momento, accoglimento. Vd. Ruus 2005 (C.8.2), p. 1286. Per un’approfondita
discussione sull’ortografia nel Settecento e nella prima metà dell’Ottocento si rimanda
a Skautrup 1944-1968 (B.5), III, pp. 165-170.
597
Come la conservazione delle grafie dissimilate ld e nd anche dopo che nella pro-
nuncia i suoni erano stati assimilati in ll e nn e la loro ‘forzata’ applicazione anche agli
originari nessi ll e nn. Su questo punto si rimanda a Wessén 197510 (B.5), p. 85 e Skautrup
1944-1968 (B.5), II, p. 45, p. 186, p. 192 e pp. 330-331. Cfr. p. 399 con nota 281.
598
Non è casuale che nelle commedie di Holberg (vd. pp. 830-831) i personaggi
parlino ora in danese, ora in francese, ora in tedesco, ora in latino (magari macchero-
nico) o, talvolta, mescolino diversi elementi di queste lingue. Naturalmente questa
scelta è finalizzata all’effetto comico, tuttavia appare evidente come l’autore voglia in
ciò proporre una parodia della società danese anche dal punto di vista linguistico. Del
resto all’Accademia di Sorø si tenevano lezioni anche in tedesco e francese.
599
La prevalenza di queste parlate era già stata sottolineata (seppure con qualche
discordanza nel giudizio) dai linguisti seicenteschi (vd. Skautrup 1944-1968 [B.5], II,
pp. 316-317). Si citano qui, a esempio, le parole di Henrik Gerner (1629-1700), il
quale (particolarmente ostile alle forme dialettali) nel suo lavoro sull’ortografia dane-
se (Orthographia danica), che risale al 1678, aveva sottolineato come fosse necessario
per chi volesse parlare o scrivere un danese corretto prendere a modello la lingua
della capitale: “[...] essi devono apprenderlo da coloro che vivono in città e testimo-
niare [così] la loro autorità; Perciò vediamo che tutte le province circostanti imitano
Copenaghen, dove i costumi e la lingua sono al massimo livello” (DLO nr. 156). Nel
Settecento la parlata migliore (vale a dire quella meno influenzata dai dialetti) viene
da taluni indicata come quella di Christiania in Norvegia! (vd. Skard 1972-1979 [B.5],
II, p. 99).
600
Vd. pp. 789-792, pp. 830-831 e p. 835, rispettivamente.
601
Su di essa vd. Plesner K.F., Det smagende Selskab. Selskabet til de skiønne og
nyttige videnskabers forfremmelse 1759-1959, København 1959. Una sorta di ‘prece-
dente’ di questa è la Societas litteraria indagantium fondata a Copenaghen nel 1705 dal
vescovo Søren Lintrup (1669-1731), futuro professore di eloquenza, che raccolse
intorno a sé giovani studenti per esaminare criticamente le nuove pubblicazioni. Que-
sto circolo ebbe tuttavia vita breve (vd. Paludan J., “Societas indagantium”, in DHT
VIII [1907-1908], pp. 292-299).
602
Si segue qui la suddivisione proposta in Skautrup 1944-1968 (B.5) il quale
ripartisce ulteriormente il periodo in tre fasi: periodo di Holberg (Holbergstiden) dal
1700 al 1750, “danese più recente” (nyere dansk) dal 1750 al 1870 e “danese recentis-
simo” (nyeste dansk) dal 1870 al 1950.
603
Si consideri la discussione sulla lingua danese ‘riversata’ sulle pagine de Lo spetta-
tore patriottico di Sneedorff (vd. p. 805), che appare anche come una sorta di ‘palestra’
per un nuovo modo di esprimersi, così come il dibattito sul medesimo argomento tra lo
stesso Sneedorff e tale Niels Randulf With (1720-1788) un ecclesiastico impegnato in
lavori di traduzione (i testi relativi sono raccolti in Sneedorffs Samtlige Skrivter, IX,
Kiøbenhavn 1777, pp. 153-222). Di interesse in questo contesto è anche l’anonimo
scritto Riflessioni sullo stato e il miglioramento attuale e passato della lingua danese per il
popolo danese; e soprattutto per tutte le persone danesi assennate e oneste colte e rette
(Tanker om det danske Sprogs nye og gamle Tilstand og Forbedring til det Danske Folk; og
i sær til alle fornuftige og ærlige lærde og retsindige Danske Mænd. Kiøbenhavn 1766),
forse dello stesso With. Parallela procede una discussione di carattere filosofico sulla
natura del linguaggio umano.
604
Si citino qui almeno i nomi di Jens Høysgaard (1698-1773), studioso tra l’altro
di ortografia e sintassi; di Hans Gram (cfr. p. 792 e nota 409), filologo di vaste com-
petenze oltre che storico, e di Jacob Baden, critico e linguista (cfr. p. 808). Di ottimo
livello è anche un testo grammaticale conservatoci in un manoscritto ed edito solo
recentemente: Dansk rigssprog. En beskrivelse fra 1700-tallet, Gl. kgl. Saml. 789 fol.,
Udgivet med Indledning av af C.C. Henriksen, København 1976. Nel Settecento
compaiono anche diversi testi destinati all’apprendimento della lingua danese da
parte degli stranieri, in particolare i Tedeschi. Di rilievo è inoltre il lavoro del lessico-
grafo norvegese Hans von Aphelen (1719-1779), il primo a compilare dizionari bilin-
gue (danese-francese e danese-tedesco) secondo criteri moderni. A lui si deve anche
la versione di un lessico della chimica (uscito anonimamente a Parigi nel 1761 ma
opera del celebre scienziato Pierre Joseph Macquer, 1718-1784) e la traduzione del
Dictionnarie raisonné d’histoire naturelle (1764-1765) del naturalista francese Jacques-
618
Tali sono l’abbandono delle maiuscole per i sostantivi e dell’uso grafico della
doppia vocale: tra l’altro l’antica aˉ si era da tempo foneticamente evoluta (nella Svezia
centrale almeno dal XIV secolo) chiudendosi in [o] (con grado di chiusura e durata
diversi a seconda della zona e del periodo preso in considerazione); conseguentemen-
te la grafia aa (del resto sentita come particolarmente ‘danese’) era stata definitivamen-
te sostituita da å (un segno che, per altro, compare già nel Nuovo Testamento del 1526;
cfr. p. 520 e sopra, nota 596). Inoltre abbiamo la palatalizzazione delle consonanti g,
k e del nesso sk davanti a vocali anteriori; la defonologizzazione delle consonanti h, l
e d (in sostanza soggette a dileguo) davanti a j; l’abbandono pressoché totale dei casi.
Vd. Wessén 197510 (B.5), pp. 121-122.
619
Una esauriente elencazione si può trovare in Bergman 1972³ (B.5), pp. 150-156,
dove si considerano anche i nomi propri.
620
Così appare in modo evidente dalla Dissertazione accademica sulle mutazioni
della lingua sveo-gotica (Dissertatio Academica De Mutationibus Linguæ Sueo-gothicæ),
discussa da Jacobus Boëthius (1716-1781) in due distinte sessioni presiedute da Ihre
presso l’Università di Uppsala (3 giugno 1742 e 14 giugno 1743).
621
Ihre aveva anche studiato il Codex argenteus (vd. p. 562, nota 146) così come si
era dedicato a studi di filologia nordica, esaminando fra l’altro il Codex upsaliensis
dell’Edda di Snorri Sturluson (vd. pp. 287-289). Le sue osservazioni in merito restano
tuttora valide (vd. in particolare Analecta Ulphiliana, Upsaliæ 1769 e Bref till Herr
Cancellie-Rådet Sven Lagerbring, Rörande Then Isländska Edda, och egentligen then
handskrift theraf som på Kongl. Bibliotheket i Upsala förvaras, Uppsala 1772).
622
Come è noto Grimm formulerà in seguito una delle principali leggi fonetiche
relative alle lingue germaniche: la cosiddetta “prima rotazione consonantica” (erste
Lautverschiebung) sulla quale vd. Ringe D.A., From Proto-Indo-European to Proto-
Germanic, Oxford 2006, pp. 93-116.
623
Già dal 1723 questa ‘novità’ era stata introdotta dal professor Andreas Rydelius
(cfr. p. 787 con nota 465) all’Università di Lund.
Akademien) fu pubblicato solo nel 1893. A tutt’oggi è uscita (2012) la seconda parte
del XXXVI volume (upphäva-utsudda).
630
La più recente è quella in quattro volumi curata da Ulf Teleman, Staffan Hellberg
e altri (Teleman U. – Hellberg S. et al. 1999 [B.5]).
631
Del resto seppure in polemica tra loro già Swedberg (vd. p. 608 e p. 818, nota
616) e Hiärne (vd. p. 602 con nota 343) erano stati convinti puristi.
632
Vd. Hernlund H., “Svenska Tungomåls-gillet och dess förhållande till Veten-
skaps-akademien” in Samlaren, VI (1885), pp. 25-41 e anche Schück H., “Ur gamla
anteckningar. vii. Tungomålsgillet”, in Samlaren, XXXVII (1916), pp. 241-277, dove
si esamina il lavoro dell’associazione a riguardo della lingua svedese.
633
Non da ultimo in Holberg (specie nelle prime opere), vd. Skautrup 1944-1968,
III, pp. 27-29; Skard 1972-1979, II, p. 91 (entrambi in B.5) e Seip D.A., Om norskhet
i språket hos Ludvig Holberg, Oslo 1954. Tuttavia, come opportunamente rilevato in
Skard 1972-1979, II, pp. 93-94 (che riprende una osservazione di Ivar Aasen, su cui
vd. pp. 942-943) la grande diffusione delle opere di questo autore (che dal punto di
vista linguistico si sentiva pienamente danese) contribuì piuttosto a introdurre in
Norvegia una ‘ulteriore dose’ di lingua danese.
634
Vd. sopra, nota 39 e p. 776.
635
“Det fælles Sprog Oplysning og Forbedring”, come indica specificamente l’autore;
vd. Hamre H., Erik Pontoppidan og hans Glossarium Norvagicum, Bergen 1972.
636
Vd. p. 722, p. 808 e p. 836.
645
Interessanti testimonianze della lingua islandese nella prima metà del Settecento
sono la Grammatica Islandica, redatta negli ultimi anni della sua vita da Jón Magnússon
(1662-1738), fratello del più celebre Árni (vd. pp. 587-588), e il Nucleus latinitatis (cui
talora si fa riferimento come Kleyfsi, verosimilmente una sorta di nomignolo creato
dagli allievi: vd. Blöndal Magnússon 1989 [B. 5], p. 475) del 1738, in sostanza un
dizionario latino con spiegazioni in lingua islandese, compilato dal vescovo di Skálholt
Jón Árnason (1665-1743) per uso degli studenti.
646
A lui (cfr. p. 726 e p. 839) si fa tra l’altro risalire l’idea di immaginare l’Islanda in
figura di donna. Questa rappresentazione della patria (che si constata parallelamente
presso altre nazioni) si collega verosimilmente al concetto della terra come madre (la
‘madrepatria’, appunto); cfr. p. 701 con nota 103. A quanto pare una illustrazione di
questo genere (ora perduta) accompagnava il testo da lui composto dal titolo Miraggi al
funerale della regina Luisa 1752 (Ofsjónir við jarðarför Lóvísu drottníngar [sic] 1752,
scritto dopo la morte di Luisa di Hannover, moglie del re danese Federico V; cfr. p. 689):
in esso (III, pp. 107-108) si descrive dettagliatamente una donna dall’aspet-
to triste, seduta su una pietra nella natura islandese (in alto in una valle) con sopra la
testa la scritta “Islanda”. Questa idea successivamente ripresa da Eggert Ólafsson stesso,
diverrà assai popolare nel XIX secolo: si veda tra l’altro il celebre testo scritto durante il
lungo soggiorno a Copenaghen dal poeta Bjarni Thorarensen (vd. p. 911, p. 946 e p.
1049), Ricordo dell’Islanda (Íslands minni), con il ben noto incipit: “Antica Ísafold,/
diletta terra madre,/ splendida donna dei monti!” (“Eldgamla Ísafold,/ ástkæra fósturmold,
fjallkonan fríð!”), dove per la prima volta compare la definizione Ísaföld “Terra dei
ghiacci” e si lega questa figura alle montagne d’Islanda con la fortunata definizione
“donna dei monti”. Questa immagine è stata anche frequentemente raffigurata grafica-
mente e adottata in occasione di celebrazioni patriottiche. Tanto Fjallkonan quanto
Ísafold verrano in seguito scelti come titoli di giornali (vd. pp. 1046-1047).
647
Cfr. nota 218.
648
Su di lui vd. Diderichsen P., Rasmus Rask og den grammatiske tradition. Studier
over vendepunktet i sprogvidenskabens historie, København 1960 e Rask K., Rasmus
Rask, store tanker i et lille land, København 2002; cfr. p. 918 e p. 945.
649
Sua è la celebre Guida all’islandese o antica lingua nordica (Vejledning til det
islandske eller gamle nordiske Sprog [1811]; edizione riveduta Anvisning till isländskan
eller nordiska fornspråket, af R. Chr. Rask. Från danskan, öfversatt och omarbetad af
författaren, Stockholm 1818).
molti di loro (non di rado tuttavia calchi, specie dal tedesco) sono stati
pienamente integrati nelle lingue nordiche.653 Non mancarono però, da
parte di più d’uno, vere e proprie forzature lessicali delle quali si vuole
qui fornire qualche illuminante esempio.654
Abbiamo così in danese: dybtænker “filosofo” (“profondo pensatore”),
fjederkraft “elasticità” (“forza della molla”), jord-deeleren “equatore”
(“divisore della terra”), tegnmelding o tegnmeldelse “telegramma” (“comu-
nicazione per mezzo di segni”), nordlede “orientare” (“guidare verso nord”),
omgangssyge “epidemia” (“malattia da relazione”); in svedese: blodsvittnedöd
“martirio” (morte [subita come] testimonianza col sangue”), eldhug “entu-
siasmo” (“infiammazione dell’animo”), örtkännare “botanico” (“conosci-
tore delle erbe”); in norvegese: bokstavregning “algebra” (“calcolo con le
lettere”), oljebær “oliva (“bacca da olio”), samsang “coro” (“canto insieme”);
sårlæke/sårlækjar “chirurgo” (“medico [che cura aprendo] ferite”), vinånd
“alcool” (“spirito del vino”);655 in islandese: bjúgaldin “banana” (“frutto
curvo”), eiraldin “albicocca” (“frutto [color] rame”), glóaldin “arancia”
(“frutto luccicante”), gulaldin “limone” (“frutto giallo”), jarðaldin “patata”
(“frutto della terra”),656 rauðaldin “pomodoro” (“frutto rosso”).657
*
Tanta creatività non fu, naturalmente, in grado di sbarrare la strada ai
prestiti che (soprattutto negli ambiti in cui più diretto era il rapporto con
i Paesi stranieri)658 furono comunque accolti in gran numero.659 In questo
653
È questo un fenomeno facilmente constatabile soprattutto nel lessico relativo ai
diversi ambiti scientifici.
654
Si tenga presente che i termini qui elencati risalgono sia al XVIII sia al XIX secolo. Tra
parentesi viene indicato il loro significato letterale. Celebri puristi furono il danese Hannibal
Peter Selmer (1802-1877), il cui testo sulle parole straniere in danese, la situazione della lingua
e le sue prospettive (Om de i det danske sprog forekommende fremmede ord, samt tyskagtig-
heder, andre ufuldkommenheder, sprog- og retskrivningsfejl. En blik paa modersmaalets
nuværende tilstand og muligheden af dets fuldkomnere udvikling herefter, Kjøbenhavn 1861)
è da questo punto di vista davvero significativo (in particolare la terza parte che porta il
titolo Fremmed-afløsnings-ordbog, eller Ordbog over fremmede ord med deres afløsninger ved
danske e propone ‘autentici danicismi’ per sostituire i prestiti); lo svedese Viktor Rydberg
(vd. p. 1081) e il norvegese Knud Knudsen (vd. pp. 943-944 e p. 1080), autore tra l’altro di
un dizionario dal titolo Urnorsk og Norsk eller fremmedords avløsning (Kristiania 1881), nel
quale sono proposte forme ‘autenticamente norvegesi’ per le parole di origine straniera.
655
Per le ragioni linguistiche esposte in 11.3.3.1 si tratta di termini che compaiono
nel XIX secolo.
656
Si confronti qui tuttavia il francese pomme de terre.
657
Queste denominazioni hanno tuttavia (con qualche resistenza) ceduto di fronte
a prestiti come (rispettivamente): banani, apríkósa, appelsína, sítróna, kartafla, tómatur.
658
Si pensi ad ambiti come quello delle nuove merci, dei nuovi mestieri, delle
nuove mode o dei nuovi modelli culturali introdotti dall’estero. Un caso esemplare è
quello della terminologia teatrale francese entrata nello svedese durante l’era gustavia-
na, quando il sovrano volle promuovere questo tipo di spettacolo rifacendosi a una
cultura di cui era convinto ammiratore.
659
Per esempi significativi si rimanda a Ekberg 2005 (C.8.2), pp. 1308-1313.
660
Si citino a esempio termini come kaffi “caffè”, sykur “zucchero”, tóbak “tabac-
co”, banki “banca”.
661
Sul significato originario di búð cfr. p. 109.
662
Ma in precedenza erano stati coniati i termini: fréttaþráður “telegrafo” (“filo [per
trasmettere] notizie”) e málþráður o talþráður “telefono” (rispettivamente “filo per con-
versare” o “filo per parlare”).
663
Similmente sono formati i nomi di altre scienze mentre il nome della persona
che le esercita viene formato con ‑fræðingur.
664
Questo secondo termine richiama la protagonista del carme eddico Völuspá, che
è, appunto, la Predizione dell’indovina (vd. p. 291). La parola fu suggerita dall’illustre
scrittore e studioso Sigurður Nordal (cfr. p. 1281, nota 221) dopo che in un primo
momento era stato proposto Vala (nome proprio di donna) poi modificato in valva;
vd. Helgadóttir S., “Um uppruni orðsins tölva”, in Tölvumál, XVIII (1993), p. 28.
Per una storia del purismo islandese si rimanda a Ottósson 1990.
I primi decenni del Settecento sono, per molti versi, una fase
di transizione nel quale la produzione letteraria porta ancora
avanti le istanze del passato mentre al contempo si apre a nuove
tematiche e a nuovi modelli. Sulla scia della tradizione poetica di
ispirazione religiosa si protrae la produzione dei cosiddetti ‘sal-
misti’ con nomi di spicco quali quelli dei danesi Hans Adolph
Brorson (1694-1764)665 e Ambrosius Stub (1705-1758),666 dello
svedese Olof Kolmodin (1690-1753) e del finlandese Jacob Frese
(1691-1729): alcuni di loro (Brorson, Frese) mostrano una chiara
impronta pietista. La vitalità della poesia religiosa si constata
anche nelle diverse composizioni scritte da donne (un nome per
tutti: la svedese Sophia Elisabet Brenner, 1659-1730).667 Sul ver-
sante laico il tradizionalismo letterario è rappresentato dalle
composizioni pastorali (magari per il teatro) e dalla poesia d’oc-
casione ancora proficuamente esercitata.668 Lo stile, che risente
talora del tardo barocco, si apre alle forme più lievi del rococò. I
modelli tedeschi (ai quali a lungo la letteratura era rimasta legata,
soprattutto in Danimarca e Norvegia) cedono ora il passo a quel-
li francesi (molto ammirati da Holberg) e poi anche inglesi. Ai
primi decenni del Settecento appartengono anche autori classici-
sti, convintamente rispettosi della supremazia degli antichi: basti
qui ricordare il poeta e critico danese Tøger Reenberg (1656-
1742)669 e il poeta satirico svedese Samuel Triewald (1688-1742)
665
Su di lui Koch L., Salmedigteren Brorson. En Mindebog til Tohundredåret for
hans Julesalmer, København 1931 e Arndal S., H.A. Brorsons liv og salmedigtning,
Frederiksberg 1994.
666
Autore di poesie di vario genere Stub è tuttavia ricordato soprattutto per i versi
ispirati da un fresco senso della natura. Su di lui Brix H., Ambrosius Stub, København
1960.
667
Considerata dai contemporanei “la nostra erudita poetessa” (“wår lärda Skalde
fru”) secondo la definizione del pastore e poeta Johan Göstaf Hallman (1701-1757),
una definizione ripresa nel titolo di una recente miscellanea sulla sua figura (Lingärde
V. – Jönsson A. et al. [red.], Wår Lärda Skalde-fru. Sophia Elisabet Brenner och hennes
tid, Lund 2011, vd. pp. 8-9), Sophia Elisabet Brenner fu gratificata al suo tempo di
grande considerazione. In seguito fu tuttavia fortemente ridimensionata soprattutto
sul piano artistico. Oltre che di versi a carattere religioso è autrice di poesia d’occasio-
ne. La sua figura è emblematica della cultura svedese nel periodo della “grande
potenza” al quale la sua vita scorre per gran parte parallela e gli studi raccolti nel testo
qui citato ben approfondiscono i diversi aspetti della sua personalità opportunamente
inserendoli nel contesto culturale dell’epoca.
668
Si vedano i danesi Jørgen Sorterup (1662-1723), lo stesso Ambrosius Stub, la
svedese Sophia Elisabet Brenner (vd. nota precedente).
669
Sulla scorta di Boileau (Nicolas Boileau-Despreaux, 1636-1711) e tuttavia con
non trascurabili differenze, egli aveva composto un’opera di critica letteraria dal tito-
lo Ars poetica (ca.1700).
670
“Ha ottenuto totale consenso chi ha abbinato l’utile al dilettevole” (Ars poetica,
verso 343, ed. cit., p. 67).
671
Uno dei più attivi promotori dell’associazione era stato il funzionario e poeta
Elis Schröderheim (1747-1795) che fu poi chiamato da Gustavo III a costituire l’Ac-
cademia svedese. Vd. Sylwan O., “Till Utile Dulcis historia”, in Samlaren, XXVIII
(1907), pp. 230-241. L’associazione collaborava con altre come la Auroraförbundet di
Åbo (vd. nota 546) e la Apollini Sacra fondata a Uppsala nel 1767 da Olof Bergklint
(1733-1805), poeta e critico e da Olof Kexél (1748-1796), autore di teatro e prosatore
(essa cessò l’attività nel 1779).
672
L’accademia seguì in sostanza i destini della sua fondatrice, sicché quando nel
1756 ella cadde in disgrazia dopo il fallito colpo di stato (vd. pp. 702-703) anche
l’attività di questo ente fu di fatto interrotta. Ma nel 1773, dopo l’ascesa al trono di
Gustavo III, essa fu ripresa, sebbene in seguito alla fondazione (1786) dell’Accademia
svedese (vd. p. 820 con nota 628) i suoi ambiti di competenza venissero circoscritti.
Nel medesimo anno 1786 la sua struttura fu riorganizzata ed essa venne a inglobare
ciò che restava dell’antico Collegio delle antichità (vd. p. 574 con nota 203) il quale,
dopo i ‘fasti’ seicenteschi, era stato ridotto (1692) a un semplice “Archivio delle anti-
chità” (Antikvitetsarkivet) al cui interno comunque continuava a operare l’antiquario
del Regno (vd. p. 572) che sarebbe divenuto segretario della riformata accademia. In
proposito vd. Bachman M.L., “Kungl. Vitterhets historie och Antikvitets Akademiens
instiftande”, in FV 1963, pp. 90-107; sulla sua storia Kgl. Vitterhets historie och antik-
vitets akademien. Dess förhistoria och historia, på akademiens uppdrag författade av
H. Schück, I-VIII, Stockholm 1932-1944.
673
Cfr. p. 775. Vd. Beckman N., Göteborgs Kungl. Vetenskaps- och Vitterhetssam-
hälle 1778-1928. En historik, Göteborg 1928. Gran parte dell’attività di questa asso-
ciazione è tuttavia dedicata, fin dalla fondazione, alle discipline scientifiche. In Svezia
un precedente può essere considerato il club Awazu och Wallasis, sorto nel 1732 e di
cui fece parte anche Olof Dalin (vd. pp. 797-798 e pp. 802-803). Per la precisione va
ricordato che più tardi (1769) un gruppo di amici tra cui il poeta Kellgren (vd. p. 835)
fonderà una nuova associazione detta Awazu, della quale per altro si sa poco.
674
Un precedente di questa è l’associazione Sakir (o Secta, vd. Ólason – Guðmunds-
son 1992-2006 [B.4], III, pp. 74-79).
675
In Danimarca sono già stati ricordati l’Ordine dell’elefante e l’Ordine del Danne-
brog (cfr. p. 648, nota 547). In Svezia nel 1748 il re Federico I reintrodusse antichi
ordini decaduti: l’Ordine dei Serafini (Serafimerorden), l’Ordine della spada (Svärdsorden),
riservato ai militari, e l’Ordine della stella polare (Nordstjärneorden). Accanto a questi
va menzionato l’Ordine dei Vasa (Wasaorden) istituito nel 1772 da Gustavo III. Nel
1811 verrà creato l’Ordine di Carlo XIII (Carl XIII:s orden).
676
Anche se la ‘cultura dei salotti’ fiorirà in Scandinavia soprattutto a partire dalla
fine del XVIII secolo – si ricordino quelli di Karen Margarete, ‘Kamma’ Rahbek (1775-
1829, moglie di Knud Lyhne; cfr. p. 805, p. 809, nota 557, p. 839 e p. 918, nota 246),
a Copenaghen e di Malla Silfverstolpe (1782-1861) a Uppsala – l’abitudine di tenere
incontri presso le accoglienti dimore di colte padrone di casa è ben testimoniata anche
in precedenza: si pensi alle poetesse Sophia Elisabet Brenner (vd. nota 667) e Hedvig
Charlotta Nordenflycht (sulla quale vd. p. 834).
677
Cfr. p. 771 con nota 396. Si noti come in Svezia il Settecento veda il fiorire di
tutta una serie di associazioni più o meno segrete.
678
L’opera fu tradotta in svedese e in tedesco nel 1750, in nederlandese nel 1792,
in inglese nel 1862 (prima traduzione completa).
679
Ma la satira potrà essere utilizzata anche come arma contro il ‘nuovo’: si veda il
caso del norvegese Gerhard Treschow (1703-1765) autore di scritti contro Holberg e
contro lo stile poetico introdotto da Klopstock (sul che poco più avanti).
680
Anche Michelsen, Mickelsen.
681
Le commedie più note sono: Lo stagnino politicante (Den politiske Kandestøber,
1722, 1724 seconda edizione rielaborata), Beppe della montagna o il contadino trasforma-
to (Jeppe paa Bjerget Eller Den forvandlede Bonde, 1722) ed Erasmus Montanus o Rasmus
Berg (E. M. eller R. B.; si consideri che in danese Berg significa “monte”, il che fa evi-
dente riferimento al vezzo degli eruditi – o di chi si riteneva tale! – di latinizzare il proprio
nome). Altre sei commedie, assai inferiori per qualità artistica, furono scritte negli ultimi
anni di vita dell’autore. L’occasione di avvicinarsi al teatro era venuta a Holberg dal
693
Vd. pp. 580-581 e p. 614 rispettivamente.
694
In questo contesto debuttarono le prime attrici svedesi tra cui la celebre Elisabeth
(nota tuttavia come Lisa o Elise) Lillström (1717-1791) e la di lei figlia, Elisabeth Olin
(1740-1828) che in seguito si sarebbe affermata anche come cantante.
695
Le rappresentazioni in lingua svedese tuttavia proseguirono a livello ‘popolare’.
Esse venivano tenute in diversi locali (tra cui il teatro nel parco di Humlegården a
Stoccolma) o in giro per il Paese (e in Finlandia). A mantenere vivo il teatro in lingua
svedese fu, soprattutto, la compagnia di Petter Stenborg (1719-1781), cui dunque va
gran parte del merito di aver portato avanti questo filone. Luisa Ulrica aveva favorito
gli spettacoli a corte e fatto ricostruire dopo un incendio il teatro nel suo castello di
Drottningholm, che fu terminato nel 1766 (vd. p. 618); vd. Beijer A., Slottsteatrarna
på Drottningholm och Gripsholm, Stockholm 1937.
696
A questo scopo nel 1782 il sovrano aveva istituito l’Associazione per il miglio-
ramento della lingua svedese (Förbättringssällskapet för svenska språket) che doveva
esaminare i testi proposti per il teatro; del 1787 è invece la fondazione della Scuola di
arte drammatica (Dramatens elevskola) per la quale furono chiamati maestri francesi
e che avrebbe continuato la propria attività fino al 1964. Nel 1788 nasceva inoltre il
Teatro drammatico svedese (Svenska dramatiska teatern). In realtà, tuttavia, l’allonta-
namento degli attori francesi non fu affatto definitivo e diverse rappresentazioni (a
beneficio di ristrette cerchie di persone) continuarono a essere messe in scena. Il
sovrano incoraggiò anche traduzioni svedesi di drammi francesi e in collaborazione
con il poeta Kellgren (vd. p. 835) scrisse l’opera in versi Gustavo Vasa (lavoro rappre-
sentato nel 1786 ma verosimilmente concluso fin dal 1783, Gustaf Wasa, Lyrisk trage-
di i tre akter; vd. in JHKS II il commento alle pp. 360-362). Ma la produzione dram-
matica svedese di questo periodo resta di scarso livello: anche un’opera come Odino
(Oden, 1790) di Carl Gustaf af Leopold (vd. p. 835), pure segnata da un grande suc-
cesso, si rivela debole, soprattutto dal punto di vista linguistico.
697
Cfr. p. 699.
698
La figura del petit-maître, il “bellimbusto”, che andava diffondendosi tra i gio-
vani nobili svedesi, era già stata ridicolizzata da Dalin ne L’Argo svedese (si veda il nr.
XIII, 1734, II, pp. 105-109), che sul modello dell’espressione francese aveva coniato
il calco småmästare. Ma il termine sprätthök (letteralmente “falco elegantone”) ebbe
maggior successo, tanto è vero che Dalin stesso lo accolse nella ristampa de L’Argo
svedese del 1754. Si veda del resto anche lo Scritto in occasione del matrimonio (Bröllops-
Skrift) del poeta e pastore Johan Göstaf Hallman (cfr. sopra, nota 667) dedicato a Peter
Gabriel Forster e Elisabeth Petre sposatisi il 30 ottobre 1735 (in Samlade vitterhets-
arbeten af svenska författare från Stjernhjelm till Dalin. Efter originalupplagor och
handskrifter utgivna af P. Hansell, XIX, Uppsala 1875, pp. 192-195). Ai petit-maîtres
fa del resto diverse allusioni anche Holberg; per il dettaglio delle citazioni vd. Holberg-
Ordbog (indicazioni alla nota 568), IV, 1986, col. 402: egli del resto dichiara esplicita-
mente che Jean de France, protagonista dell’omonima commedia, è una satira di questo
personaggio.
699
In ambito teatrale si possono citare anche i nomi di Erik Wrangel (1686-1765),
Reinhold Gustaf Modée (1698-1752), Olof Celsius il Giovane (den yngre, vd. nota
429), Johan Stagnell (1711-1795) ed Eric Brander (Skjöldebrand, dopo la concessione
della dignità nobiliare, 1722-1814); le loro opere tuttavia non vanno al di là di un
volonteroso esercizio letterario.
700
Vd. p. 816.
701
Questa sua affermazione incontrò la decisa opposizione del filosofo Jens Kraft
(vd. p. 786), suo collega all’Accademia di Sorø che difendeva la supremazia delle
scienze naturali.
706
Per queste società letterarie vd. rispettivamente p. 829 e p. 721.
707
Cfr. p. 821.
708
Nato nel 1740 nella zona sud di Stoccolma, Bellman apparteneva a una famiglia
di origine tedesca che lo allevò secondo un’educazione rigidamente luterana ma gli
fornì anche un precettore, Claes Ludvig Ennes (1727-1791) uomo di grande prepa-
razione e poeta, che lo istruì in diverse discipline (retorica, emblematica, lingue
straniere, composizione, musica e metrica). Il poeta non mancherà di riconoscergli
grandi meriti. Assunto nel 1757 presso la banca statale e iscritto all’Università di
Uppsala, egli si dimostrò tutt’altro che ligio al dovere, dedicando gran parte del suo
tempo al divertimento e alla musica. Divenne così un abilissimo suonatore di cetra,
ma fu licenziato e si ritrovò pieno di debiti. Questa situazione (aggravata da una
malattia del padre) si ripercosse sulla famiglia che fu costretta a trasferirsi in cam-
pagna. Carl Michael volle comunque tornare a Stoccolma dove cominciò a compor-
re le prime canzoni. Di certo non conduceva una vita agiata né, tantomeno, regolare,
tuttavia una canzone composta in onore di Gustavo III, Alla salute, 30 maggio 1771
(Skål, den 30 Maj 1771: in Carl Michael Bellmans Skrifter, Standardupplaga utgiven
av Bellmanssällskapet, Dikter till Gustaf III och Konungahuset, Stockholm 1938, N:o
4., p. 8), divenuta molto popolare gli procurò il favore del sovrano e una certa sta-
bilità economica. Le sue composizioni ora lo avevano reso celebre (seppure non
mancassero ottuse critiche alla sua arte da taluni considerata sconveniente). Nel 1777
Bellman sposò Luisa Federica (Lovisa Fredrika) Grönlund (1755-1847) dalla quale
ebbe quattro figli. La scarsa propensione per gli impegni di lavoro, trascurati per
dedicarsi alla poesia e alla musica, determinò un progressivo peggioramento della
sua posizione economica. Dopo l’assassinio del suo protettore Gustavo III (vd. p.
706) la sua situazione si fece assai critica. Sommerso da debiti e denunce dovette
subire l’arresto e fu imprigionato nel carcere del castello reale. Sebbene venisse
liberato grazie all’interessamento di alcuni amici, la sua salute ne risentì pesantemen-
te e nel 1795 morì a causa della tubercolosi.
709
Il poeta Kellgren, arbitro del gusto dell’epoca, aveva inizialmente riservato una
severa critica a questi componimenti nello scritto satirico I miei dileggi (Mina Löjen,
in JHKS I, pp. 113-123, p. 121 in particolare) salvo poi rivalutarli al punto di scrivere
la Prefazione (Företal) all’edizione delle Fredmans epistlar (di cui poco oltre) del 1790
(pp. vii-xii, riportata anche in JHKS I, pp. 411-415).
710
Sui quali vd., rispettivamente, p. 611. pp. 797-798 e pp. 802-803.
711
Nei Canti di Fredman (Fredmans sånger, 1791) sono raccolti sessantacinque
componimenti scritti da Bellman lungo tutto l’arco della vita, una selezione assai
limitata dei testi non compresi nelle Fredmans Epistlar (di cui subito dopo). Essi
rappresentano dunque tutti i generi in cui l’autore si era esercitato (parodia bibli-
ca, canzone bacchica, poesia sulla natura). Un’opera assai utile (benché la critica
le abbia riservato minor attenzione rispetto alle Epistole di Fredman) per delinea-
re la parabola artistica di questo autore. Il nome Fredman fa riferimento a Jean
Fredman (1712 o 1713-1767), orologiaio di corte assai noto a Stoccolma che finì
in rovina dopo aver sperperato il patrimonio della moglie (poi morta) ed essere
caduto preda dell’alcolismo. In realtà nei Canti di Fredman egli compare solo in
poche occasioni, ma il titolo della raccolta è presumibilmente dovuto alla scelta
dell’editore di proporre un volume in continuità con le Epistole di Fredman uscite
l’anno precedente.
712
La raccolta comprende ottantadue canzoni. Il termine ‘epistole’ contiene,
secondo le regole della parodia, una allusione di carattere religioso, volendo Bellman
(almeno inizialmente) fare di Fredman una sorta di ‘apostolo’ da contrapporre a San
Paolo.
713
Si veda Schück H., “Stockholm på Bellmans tid”, in Bellmansstudier (1924), pp.
9-38.
714
Al fine di parodiare i diversi ‘ordini’ tanto di moda al tempo, Bellman fondò nel
1766 il cosiddetto Ordine di Bacco (Bacchi orden) nel quale venivano accolti individui
allo sbando cui non era rimasta altra consolazione se non quella di affogare i problemi
nell’alcol. Legata a ciò è, in particolare, l’opera dal titolo Il tempio di Bacco aperto per
la morte di un eroe (Bacchi Tempel öppnat vid en Hiältes död, 1783), rielaborazione di
uno scritto precedente, nella quale una complicata parodia mitologica (e religiosa)
ripropone ancora una volta un quadro della vita degli emarginati in una Stoccolma
decadente. Ispirata al Bacchi orden fu la società che ebbe nome Par Bricole, creata nel
1779 da Olof Kexél (sul quale cfr. nota 671). Il nome della società, tuttora esistente,
viene inteso come “d’improvviso”, sebbene in realtà la sua traduzione precisa sia “di
rimbalzo” (in riferimento alla terminologia del biliardo). Di essa fece parte anche il
celebre poeta Kellgren (vd. p. 835).
715
Le melodie che accompagnano le canzoni di Bellman sono tratte da composito-
ri noti ma anche da temi popolari e, talvolta, rielaborate (forse composte) da lui stesso.
Insieme a Bellman, seppure molto lontano per i risultati artistici, si può qui ricordare
il norvegese Jens Zetlitz (1761-1821) autore di vivaci componimenti conviviali (su di
lui Breen E., Jens Zetlitz. Et tohundreårsminne, med et utvalg av Jens Zetlitz’ dikt, Oslo
1990). Ma anche altri autori si dedicarono a questo genere (come Peter Andreas
Heiberg, su cui cfr. p. 811).
716
Tra gli imitatori di Bellman Samuel Olof Tilas (1744-1772) e Olof Rudbeck
(1751-1777), nipote del celebre omonimo goticista (vd. pp. 582-584 e pp. 630-631).
717
Vd. p. 780.
718
Su di lui Stålmarck T., Jacob Wallenberg. Ostindiefarare, Präst, Författare, 1746-
1778, Stockholm 1995.
719
Vd. p. 783.
720
Vd. paragrafo successivo.
721
Vd. nota 418. Il culmine di questi studi si avrà con i lavori di Jens Peter Trap
(1810-1885) che produrrà una vastissima e dettagliata descrizione statistico-topogra-
fica della Danimarca (prima edizione 1856-1860), cui si aggiungeranno (1861-1864)
due volumi sullo Schlesvig (l’edizione più recente in B.1) e di Jens Edvard Kraft (1784-
1853) che redigerà una monumentale Descrizione topografico-statistica sul regno di
Norvegia (Topografisk-statistik Beskrivelse over Kongeriget Norge) pubblicata in sei
volumi tra il 1820 e il 1835.
722
Cfr. p. 805, nota 557 e p. 918, nota 246.
723
Sul primo, considerato il fondatore del romanzo svedese, vd. Stålmarck T., Jacob
Mörk – Studier kring våra äldsta romaner, Stockholm 1974.
724
Una citazione particolare merita lo svedese Samuel Ödmann (1750-1829), orien-
talista, salmista e studioso della natura che sa tradurre in immagini assai efficaci il
senso del paesaggio e della cultura del suo Paese.
725
Cfr. p. 723.
726
La raccolta dei suoi componimenti è nota come Libretto di Þorlákur (Þorlákskver).
Essa fu pubblicata una prima volta a cura di Hálfdan Einarsson (su cui poco oltre)
nel 1775 (Nockur liod-mæli), ma in tale occasione i versi di carattere profano furono
tralasciati. Essi saranno invece compresi nell’edizione del 1858 curata da J. Pjetursson
ed E. Jónsson (Ljóðmæli. Ný útgáfa, stórum aukin, endurbæætt og löguð, Reykjavík
1858).
727
Vd. p. 726, p. 823 con nota 646 e p. 945. Su di lui si rimanda in primo luogo a
“Eggert Ólafsson, skáld og náttúrufræðingur”, in BR, pp. 57-60.
728
Si tenga presente che in islandese il termine Búnaðarbálkur traduce il latino
Georgica.
pp. 130-137 e Jensson G.Þ., “Hversu mikið er nonnulla? Recensus Páls Vídalíns í
Sciagraphiu Hálfdans Einarssonar”, in Ritmennt. Ársrit Landbókasafns Íslands –
Háskólabókasafns, V [2000], pp. 112-130). A Hálfdan Einarsson si deve la scelta di
includere una composizione di Guðný Guðmundsdóttir (nata nel 1660 ca.) dal titolo
Sospiro quotidiano dell’anima timorata di Dio (Daglegt Andvarp gudhræddrar Sælar nel
Libro islandese dei salmi (Islendsk Psalma-Book) pubbicato nel 1772 (testo alle pp.
240-241): è questa la prima volta in cui in Islanda viene pubblicato il lavoro di una
donna (in generale sulla ‘rinascita’ della letteratura femminile in Islanda vd. Hughes
S.F.D., ”The Re-emergence of Women’s Voices in Icelandic Literature, 1500-1800”,
in Anderson S.M. – Swenson K., Cold Cousel. Women in Old Norse Literature and
Mythology, New York-London 2002, pp. 93-128). Si ricordi infine che Hólar era tra-
dizionalmente un importantissimo centro culturale nel quale era in funzione l’antica
stamperia. Essa avrebbe poi cessato l’attività nel 1799 dopo più di duecento anni (cfr.
p. 510).
736
Da Fredmans sånger; DLO nr. 157.
737
In danese l’opera risulta tradotta una prima volta in prosa da Andreas Christian
Alstrup (1763-1821), Ossians Digte, I-II, Kiøbenhavn 1790-1791. Ben più noto è
Percy (su cui poco oltre) confuterà puntualmente nella prefazione alle Antichità
nordiche.
750
Queste due opere saranno seguite dalla vera e propria Storia della Danimarca
(Histoire de Dannemarc), in sei volumi, dei quali esse costituiscono le prime due
parti. Su Mallet vd. Stadler H., Paul-Henri Mallet 1730-1807, Lausanne 1924.
751
Nacquero così i Cinque brani di poesia runica tradotti dalla lingua islandese (Five
Pieces of Runic Poetry Translated from the Icelandic Language, 1763). L’opera non ebbe
tuttavia immediato successo (sfavorevole era il paragone con l’Ossian di Macpherson)
ma fu rivalutata qualche anno dopo.
752
Vd. p. 587.
753
Herrn Professor Mallets Geschichte von Dänemark, I-III, Rostock und Greifswald,
1765-1779.
754
Schimmelmann, che per altro non possedeva le conoscenze necessarie, cercò
tuttavia di dimostrare una sorta di armonia tra la Bibbia e l’Edda, libri che considerava
i più antichi del mondo.
755
Vd. p. 685 con nota 33.
756
Su di lui vd. Voss K., Arkitekten Nicolai Eigtved 1701-1754, København 1971.
757
Vd. Erichsen J., Frederiksstaden. Grundlæggelsen af en københavnsk bydel 1749-
1760, København 1972.
758
Come è stato detto (vd. p. 444) il primo sovrano di questa dinastia era stato nel
1448 Cristiano I.
764
Vd. Lund H., C.F. Harsdorff, København 2007 e Raabyemagle H. – Smidt Cl.M.
(eds.), Classicism in Copenhagen. Architecture in the age of C.F. Hansen, photographs
by J. Lindhe, Copenhagen 1998.
765
Vd. p. 625 con nota 453.
766
Vd. p. 620 e p. 625.
767
Hårleman fu anche incaricato di ricostruire il castello di Uppsala (risalente ai
tempi di Gustavo Vasa) dopo l’incendio che aveva devastato la città nel 1702. Vd. Alm
G., Carl Hårleman och den svenska rokokon, Lund 1993.
768
È il teatro comunemente noto come Confidencen a motivo del fatto che nell’edi-
ficio vi era una sala in cui la famiglia reale poteva consumare i pasti in totale riservatez-
za. In precedenza la costruzione ospitava una scuola di equitazione (da cui il nome
Beridarehuset, cioè ”Casa dei cavalieri”) e una taverna. Vd. Fogelmarck S., Carl Fredrik
Adelcrantz. Ett gustavianskt konstnärsöde, Stockholm 1995.
769
Vd. p. 706 con nota 120. Cfr. p. 1098, nota 606.
770
Qui lavorò anche l’architetto del paesaggio Fredrik Magnus Piper (1746-1824).
771
Vd. Setterwall Å., Erik Palmstedt 1741-1803. En studie i gustaviansk arkitektur
och stadsbyggnadskonst, Stockholm 1945.
772
Su di lui vd. Berg Villner L., Tempelman. Arkitekten Olof Tempelman, 1745-
1816, Stockholm 1997. Un architetto di chiara impronta classicistica è Carl Wilhelm
Carlberg (1746-1814) attivo soprattutto a Göteborg, dove aveva lavorato anche il padre,
Bengt Wilhelm (1696-1778).
773
Vd. Wahlberg A.G., Jean Eric Rehn, Lund 1983.
774
Nel 1778 era stata demolita l’antica Academia carolina, edificio universitario che
doveva ospitare le raccolte dei volumi appartenenti all’ateneo. Per questo motivo,
quando la nuova (e attuale) biblioteca fu costruita essa ebbe nome Carolina Rediviva.
775
Vd. p. 702 con nota 105, cfr. nota 703.
776
Inizialmente Accademia del disegno (Ritareakademien).
777
Più tardi (1814) semplicemente Reale accademia delle belle arti (Det Kongelige
Academie for de skjønne Kunster). Essa è stata riorganizzata nel 1968. Un precedente
tentativo era stato fatto nel 1701 da un gruppo, di cui faceva parte il pittore di corte
Henrik Krock (1671-1738), che voleva costituire una Società degli artisti (Kunstner-
societet). Nel 1738 il pittore tedesco Johan Salomon Wahl (1689-1765), molto attivo
in Danimarca come ricercato ritrattista, aveva fondato la prima scuola d’arte danese
che può essere considerata il vero precedente dell’accademia.
778
Come Guillaume Thomas Rafael Taraval (1701-1750), cui si devono magnifiche
decorazioni nel castello di Stoccolma, Jacques-François-Joseph Saly (1717-1776),
autore della statua equestre di Federico V che si trova ad Amalienborg, e Nicolas-
Henri Jardin (cfr. nota 763).
785
Opera conservata al Museo nazionale (Nationalmuseum) di Stoccolma. Vd. Sirén
O., Carl Gustaf Pilo och hans förhållande till den samtida porträttkonsten i Sverige och
Danmark. Ett bidrag till den skandinaviska konsthistorien, Stockholm 1902.
786
Vd. Olausson M., Alexander Roslin, Stockholm 2007.
787
Altri celebri pittori svedesi di miniature furono Peter Adolf Hall (1739-1793),
attivo soprattutto in Francia, e Jacob Axel Gillberg (1769-1845).
788
Di grande talento come disegnatore e grafico fu il fratello Johan Fredrik (1755-
1816).
789
Vd. Cnattingius B., Pehr Hörberg, Stockholm 1937.
790
Vd. Hultmark E., Carl Fredrik von Breda, Stockholm 1915.
791
Luis era figlio di Jacques Adrien (1717-1806), scultore e decoratore chiamato
dalla Francia per lavorare al castello reale nel quale prestò la propria opera anche
l’altro figlio, Jean Baptiste (1753-1801).
792
Vd. Nielsen M. – Rathje A. (eds.), Johannes Wiedewelt. A Danish Artist in Search
of the Past, Shaping the future, Copenhagen 2010.
793
Vd. Looström L., Johan Tobias Sergel. En gustaviansk tidsbild, Stockholm 1914
e Göthe G., Johan Tobias Sergels skulpturverk, Stockholm 1921.
794
Vd. pp. 872-873.
795
Esemplare è il caso del pittore Frederik Petersen (1759-1825) che a lungo
lavorò per la ricchissima famiglia degli Anker a Christiania (cfr. nota 182 e nota
690).
796
Vd. Sverdrup Ugelstad J., Thi han blev en kunstmaler. Peder Aadnes og hans
billedverden, Oslo 2007. Nell’arte della decorazione va ricordato anche Johan Carl
Christian Michaelsen (nato attorno al 1750, morto dopo il 1802).
797
Vd. Johannesen O. Rønning, Mathias Blumenthal. Østfoldbyenes skildrer –
portrettmaler i Bergen, Oslo 2002.
798
Vd. p. 857; su Fasting cfr. p. 722, p. 808, p. 821 e p. 842.
799
Vd. p. 936.
800
Si ricordi qui almeno Thomas Blix (1676-1729) detto Blixius, uno degli inizia-
tori di quest’arte nel Telemark.
801
Anche in questo caso abbiamo specialisti di una certa fama come Jakob Klukstad
(1715-1773) e Ola Rasmussen Skjåk (noto come Skjåk-Ola, 1744-1803; Skjåk nell’Oppland
è la località in cui era nato).
802
A cominciare da quelli della cattedrale di Oslo, un tempo Chiesa del Salvatore
(Vor Frelsers kirke) che risalgono al 1699. Tra i migliori artisti in questo campo va
citato almeno Torsten Ottersen Hoff (ca.1688-1754).
803
Una particolare applicazione della scultura norvegese è quella relativa alle arti-
stiche piastre per le stufe, molte delle quali disegnate da maestri dell’intaglio del legno;
vd. Nygård-Nilssen A., Norsk jernskulptur, I-II, Oslo 1944.
804
Reichborn fu anche docente di architettura presso la sopra citata Scuola di
disegno dell’Accademia armonica.
805
Cfr. p. 730.
806
Vd. Gunnarsson Þ., Viðeyjarstofa og kirkja. Byggingarsaga, annáll og endurreisn,
Reykjavík 1997.
807
Vd. nota 213.
808
Il libretto si deve a Peter Anton Burchard (1656-1714) originario dello
Schleswig.
sone.809 Pochi anni dopo, nel 1703, Federico IV (che aveva chia-
mato come maestro presso la corte l’italiano Bartolomeo Bernardi,
ca.1660-1732) aprì un nuovo teatro nel quale tornarono a essere
messe in scena opere straniere e si esibirono artisti provenienti da
altri Paesi, come il tedesco Reinhard Keiser (1664-1739). Succes-
sivamente (1727) cominciarono a essere tenuti a Copenaghen i
primi concerti pubblici, frequentati soprattutto da un pubblico
borghese: questi spettacoli ebbero notevole sviluppo durante il
regno del devoto pietista Cristiano VI che, come è stato detto,
aveva proibito le rappresentazioni teatrali.810 Sorsero così associa-
zioni di musicisti, la più nota delle quali è La società musicale (Det
musicalske Societet), attiva dal 1744 al 1749 e tra i cui fondatori si
annoverano il compositore dano-tedesco Johann Adolph Scheibe
(1708-1776), maestro di cappella di Cristiano VI assai polemico
con l’opera italiana;811 il maestro Johannes Erasmus Iversen (1713-
1755) autore di cantate;812 il compositore Carl August Thielo
(1707-1763) cui si deve il primo manuale di musica pubblicato in
Danimarca813 e anche Ludvig Holberg per le cui commedie lo
stesso Thielo aveva composto diverse melodie. Ma la dipendenza
dai modelli stranieri era tutt’altro che superata: per tutta la secon-
da metà del Settecento in Danimarca ci si affiderà a prestigiosi
musicisti stranieri come gli italiani Paolo Scalabrini (1713-1806)
e Giuseppe Sarti (1729-1802), maestri di cappella alla corte dane-
se, o si inviteranno personalità come Christoph Willibald Gluck
(1714-1787).814 Del resto saranno compositori tedeschi come Johann
Ernst Hartmann (1726-1793),815 Johann Abraham Peter Schulz
(1747-1800) e Friedrich Ludwig Æmilius Kunzen (1761-1817) ad
accompagnare con le loro melodie i componimenti di importanti
809
Vd. Operahusets brand paa Amalienborg den 19de april 1689. Et mindeskrift,
samlet efter trykte og utrykte kilder af L. Bobé, Højbjerg 1998; cfr. nota 34.
810
Vd. p. 831.
811
Si veda il periodico da lui edito tra il 1737 e il 1740, Il musico critico (Der critische
Musicus).
812
Nel 1749 quando la società cesserà l’attività egli fonderà un Collegium musicum
per portare avanti l’attività concertistica.
813
Idee e regole dai fondamenti sulla musica (Tanker og Regler fra Grunden af om
Musiken, 1746).
814
Un notevole impulso alla vita musicale danese venne da Louisa di Hannover,
prima moglie di Federico V, la quale tra l’altro nel 1747 chiamò a corte una compagnia
operistica italiana.
815
Cfr. p. 543, nota 65. Da lui, traferitosi a Copenaghen, prenderà il via una vera e
propria generazione di musicisti danesi (cfr. p. 921 con nota 264).
816
Primo fra tutti Ewald (cfr. p. 835 e il primo riferimento alla nota precedente).
817
Vd. pp. 838-839; cfr. p. 579.
818
La prima opera ispirata alla tradizione nordica era stata Gram e Signe (Gram og
Signe, 1756) scritta dal drammaturgo Niels Krog Bredal (vd. p. 832) su un tema ripre-
so da Saxo grammaticus e musicata da Giuseppe Sarti.
819
Questa accademia per così dire ‘rilevò’ l’attività di un club preesistente noto
come Rådhusstrædets Selskab dal nome della strada nella quale si trovava la sala in cui
si tenevano i concerti, un’associazione alquanto esclusiva frequentata soprattutto da
nobili.
820
Nella seconda metà del secolo nasce anche (1773) la Reale scuola danese di
canto (Den kongelige Danske Syngeskole).
821
Vd. p. 676; sull’opera (e sul suo ‘retroterra’ francese) si rimanda ad Axelsson
P., Från fransk pastoral till svensk segerbalett. Om sambandet mellan Jean Desfontaines
“Le Désespoir de Tirsis” och Anders Dübens “Ballet meslé de chants heroiques”, Upp-
sala 2001.
822
Cfr. p. 627, nota 461. Vd. Smith 2002 (B.6), pp. 15-16, con nota 2 (p. 28) e il
riferimento ivi indicato.
823
Legata a questa istituzione è l’attività di Olof Åhlström (su cui poco oltre) che
fu il primo editore di testi musicali in Svezia e pubblicò anche la rivista Passatempo
musicale (Musikaliskt Tidsfördrif, 1789-1834).
824
Vd. p. 706 con nota 120.
825
Cfr. nota 696. Nel periodo gustaviano si affermò anche in Svezia l’opéra comique,
seppure qui si facesse ricorso soprattutto a lavori francesi in traduzione.
826
Così è definito già nella monografia dal titolo Svenska musikens fader. Några anteck-
ningar om Johan Helmich Roman pubblicata a Uppsala nel 1885 da F. Cronhamn. Tra i
più dotati allievi di Roman si ricorda Ferdinand Zellbell il Giovane (den yngre, 1719-1780).
827
In primo luogo Pierre-Alexandre Monsigny (1729-1817), André Grétry (1741-
1813) e Nicolas Marie d’Alayrac (o Dalayrac, 1753-1809).
828
Un imitatore del genere sarà lo svedese Johan David Zander (ca.1753-1796).
829
Vd. p. 828. Un settore di questa società culturale era infatti riservato alla musica
(con specifica biblioteca) e si occupava di organizzare concerti ed eventi musicali in
relazione alle più importanti riunioni dei suoi membri.
830
Cfr. pp. 836-838. Editore della prima edizione (1790) delle Epistole di Fredman
fu proprio Olof Åhlström (su cui cfr. nota 823).
831
Detta più tardi Società musicale Armonia (Musikselskabet Harmonien) è tuttora
attiva. Tra i nomi di prestigio che essa può vantare spicca quello di Edvard Grieg (vd.
p. 1100). Vd. Fasting K., Musikselskabet “Harmonien” gjennom to hundre år 1765–1965,
Bergen 1965.
832
Vd. Michelsen K. (red.), Johan Daniel Berlin 1714-1787 – universalgeniet i
Trondheim, Trondheim 1987. Suo figlio Johan Henrich (1741-1807), organista e com-
positore, sarà tra i fondatori della Società musicale di Trondheim.
833
Vd. p. 524, nota 220. A lungo la Chiesa aveva combattuto contro ogni forma di
danza, ritenuta sconveniente. Questa campagna era stata portata avanti da diversi
vescovi, sia cattolici (come il primo vescovo di Hólar, Jón Ǫgmundarson, vd. p. 420),
sia protestanti (come, in particolare, Guðbrandur Þorláksson, vd. pp. 511-512). Dopo
la visita in Islanda di Ludvig Harboe (vd. pp. 728-729) fu redatta una dettagliata
‘istruzione’ per i vescovi del Paese (LFI II, 1 luglio 1746, pp. 648-668) dalla quale
traspare chiaramente la volontà di inquadrare la popolazione, sotto la supervisione del
clero, entro i limiti di un rigido ‘comportamento morale’; si veda anche l’ordinanza
relativa alle visite pastorali nelle case del 27 maggio 1746 e quella sulla “disciplina
domestica” (húsaga) del 3 giugno del medesimo anno: ibidem, pp. 566-578 e pp. 605-
620. In questo clima, naturalmente, il vikivaki fu considerato un divertimento ripro-
vevole e, di fatto, proibito.
834
Vd. p. 396, nota 270 e p. 426.
Fig. 44
Nave da guerra svedese e nave da guerra danese nel XVI e XVII secolo
(pp. 530-534)
Nel XVII secolo la stampa era ormai una tecnica acquisita. Questa im-
magine prodotta dalla stamperia di Henrik Keyser a Stoccolma è del
1691 e ha per titolo “Qualche campione di stile” (Någre få Prooff)
Il castello reale di Stoccolma noto come Tre corone (Tre kronor; p. 618)
Incontro tra i coloni svedesi e i nativi americani nella regione del fiume
Delaware, immagine che si trova nell’opera di Thomas Campanius Holm,
Breve descrizione della provincia della Nuova Svezia in America, Che ora
è detta dagli Inglesi Pennsylvania. Raccolta e compilata dalle relazioni e
dagli scritti di persone degne di credito, e arricchita con diverse figure (Kort
Beskrifning om Provincien Nya Swerige uti America, Som nu förtiden af
the Engelske kallas Pensylvania. Af lärde och trowärdige Mäns skrifter och
berättelser ihopaletad och sammanskrefwen, samt med åthskillige Figurer
utzirad, Stockholm 1702; p. 655, nota 571)
Vignetta satirica sulla libertà di stampa che mostra due membri della
commissione incaricata di analizzare la questione che, in veste animale,
cercano di spegnerne la luce (pp. 810-814)
Decenni cruciali
Tra la fine del XVIII e i primi decenni del XIX secolo i Paesi
scandinavi vanno incontro a profondi cambiamenti. Il definitivo
tramonto dell’assolutismo, la piena affermazione del sentimento
nazionale (una sorta di nuova ‘religione di Stato’) che coinvolge
in sostanza la totalità della popolazione, la crisi dell’autorità
centrale della Chiesa di fronte al sorgere spontaneo di nuove
organizzazioni religiose, il passaggio da una società di ‘stati’ a
una società di ‘classi’, il primo svilupparsi di veri e propri parti-
ti politici: tutti fattori il cui concorso determinerà lo stabilirsi di
nuovi equilibri sui quali, almeno in parte, ancora poggia l’attua-
le impalcatura degli Stati nordici e si misura la portata della loro
sovranità.
5
Il riferimento è alla pace di Til’zit (russo Тильзuт), attuale Sovetsk (Советск,
nell’exclave di Kaliningrad). Vd. Gesetz-Sammlung für die Königlich-Preußischen Staa-
ten 1806-1810. Sammlung der fuer die Koeniglichen Preussischen Staaten erschienenen
Gesetze und Verordnungen von 1806 bis zum 27sten Oktober 1810, repr., Berlin 1985,
pp. 153-164.
6
Si veda Møller J., 1807. En by i flammer, Viborg 1982; Glenthøj R. – Rahbek
Rasmussen J. (red.), Det Venskabelige bombardement. København 1807 som historisk
begivenhed og national myte, København 2007 e Munch-Petersen Th., København i
flammer. Hvordan England bombarderede København og ranede den danske flåde i 1807,
København 2007.
7
Fredstractat mellem Danmark og Sverig, dat. Jønkøping den 10de December 1809
(in DT 1800-1863, nr. 15, pp. 37-43; vd. anche il nr. 16, stessa data, pp. 43-45).
8
Freds Fördrag Emellan Hans Maj:t Konungen af Swerige och Sweriges Rike Å
ena, samt Hans Maj:t Konungen af Dannemark och Danska Riket Å andra sidan,
Afhandladt och slutit i Kiel den 14 Januarii, Ratificeradt i Stockholm den 31 i samma
månad, och i Köpenhamn den 7 Februarii, 1814 / Traité de Paix Entre Sa majesté le
Roi de Suède et le Royaume de Suède D’une part, et Sa Majesté le Roi de Dannemac
et le Royaume de Dannemarc De l’autre, Fait et conclu à Kiel le 14 Janvier, ratifié à
Stockholm le 31 du même mois, et à Copenhague le 7 Fevrier, 1814 (SFS 1814); cfr.
11.1.3.
9
In seguito a questo trattato la Danimarca cedeva l’isola frisone di Helgoland
all’Inghilterra ma acquisiva l’isola di Rügen e la Pomerania svedese che successivamen-
te sarebbero state cedute alla Prussia in cambio del piccolo ducato di Lauenburg.
10
Il primo decreto relativo è del 28 maggio 1831 (DFL, pp. 32-34); l’ordinamento
definitivo del 15 maggio 1834 (DFL, pp. 35-54). Vd. la nota introduttiva in DFL, pp.
31-32.
11
Anordn. ang. Kjøbstædernes økonomiske Bestyrelse del 24 ottobre 1837 e Anordn.
ang. Landkommunevæsenet del 13 agosto 1841 (in Damkier – Kretz [Abbr.], V, pp.
120-124 e pp. 303-312, rispettivamente).
12
In questo contesto va citata la figura di Jacob Jacobsen Dampe (1790-1867), che
fin dagli anni ’20 aveva sostenuto la necessità di istituire una assemblea costituente,
ritenendo che l’assolutismo dovesse essere spazzato via, se necessario con l’intervento
dell’esercito. Condannato a morte, ebbe la pena commutata e trascorse vent’anni in
prigione; vd. Tarbensen K., “Den første demokrat. Cand. Theol. Og dr. Phil. J.J.
Dampe”, in OSD, pp. 190-216.
13
Vd. pp. 872-873.
nella figura del re), affermando tuttavia al contempo la loro peculiarità e assegnando
il diritto di successione al trono danese (Federico VII non aveva figli) a Cristiano di
Glücksburg (in ciò volendo anche risolvere una difficile questione sul diritto eredita-
rio rispetto ai ducati che aveva visto contrapposti la Corona danese e il duca Cristiano
Augusto di Augustenborg, 1798-1869); DT 1800-1863, nr. 95, pp. 217-218 e nr. 101,
pp. 281-287. In questo contesto si colloca la promulgazione della cosiddetta “costitu-
zione per lo Stato unitario” (Helstatsforfatningen) del 1855 (Forfatningslov af 2.
Oktober 1855 for det Danske Monarchies Fælledsanliggender, in DFL, pp. 92-100) con
la quale si tentò di regolare le questioni comuni: essa però fu accolta con sfavore dagli
abitanti dei ducati.
19
Queste idee trovarono voce in una serie di giornali di tendenze liberali pubbli-
cati non senza difficoltà. Fra di loro il più significativo è La Patria (Fædrelandet, 1834-
1882) cui diede il via l’economista Christian Georg Nathan David (1793-1874), il
quale per le sue critiche al governo subì un processo. La sua vicenda attirò l’attenzio-
ne dell’opinione pubblica e contribuì alla nascita di un vero movimento di opposizio-
ne politica nel Paese
20
Vd. la nota in DFL, pp. 55-60. La data del 5 giugno diventerà poi la festa nazio-
nale danese. Con l’emanazione di questo documento venivano anche eliminati tutti i
privilegi della nobiltà.
21
In questo contesto si menzioni innanzi tutto lo storico Peter Frederik Suhm
(vd. pp. 792-793) che nel 1772 aveva redatto un Abbozzo per una nuova forma di
governo (Fragment af et Udkast til en ny regeringsform, pubblicato tuttavia solo nel
1799) con cui proponeva l’istituzione di una monarchia costituzionale sotto il con-
trollo di un parlamento nel quale non era previsto alcun rappresentante dell’aristo-
crazia, e nell’opera Euphron (1774) celava sotto la forma del romanzo allegorico le
proprie idee liberali. Suo amico fu Niels Ditlev Riegels (1755-1802) che, animato
da ideali illuministici, espresse una severa critica dell’ordinamento sociale basato
sulla monarchia assoluta (su di lui vd. Petersen M., Oplysningens gale hund. Niels
Ditlev Riegels, oprører, kirkehader & kongeskænder, 1755-1802, en biografi, Køben-
havn 2003).
22
Il diritto di voto non era comunque garantito a tutti: erano infatti specificamen-
te previste delle limitazioni (Junigrundloven, IV, §§ 34-44). Il Senato veniva eletto
indirettamente, vale a dire da un gruppo di grandi elettori indicati dal voto popolare.
23
Vd. p. 706.
24
A ciò si deve, a quanto pare, la sospensione dell’attività dell’Accademia svedese
nel 1795, in quanto ritenuta luogo d’incontro dei liberali raccolti attorno al segretario
Nils von Rosenstein (cfr. p. 835, nota 702).
25
Questo aspetto è tutt’altro che secondario: si vedano i testi raccolti nell’anto-
logia Gustaviansk mystik. Alkemister, kabbalister, magiker, andeskådare, astrologer
och skattgrävare i den esoteriska kretsen kring G.A. Reuterholm, hertig Carl och
hertiginnan Charlotta 1776-1803, Inledning och kommentarer av Kj. Ekeby, Stockholm
2010.
26
Vd. p. 860.
27
Testo in Montgomery G., Historia öfver kriget emellan Sverige och Ryssland ären
1808 och 1809, Örebro 1942, I, pp. 136-137. Le tragiche vicende della guerra russo-
svedese del 1808-1809 hanno trovato una eco letteraria in una celebre opera dello
scrittore finno-svedese Johan Ludvig Runeberg (vd. p. 1375) dal titolo Leggende del
sottotenente Stål (Fänrik Ståls sägner, 1848 e 1860). Da questo testo fu tratto il film del
1910 col medesimo titolo diretto dal regista Carl Engdahl (1864-1939).
28
Vd. pp. 1361-1362 con nota 51.
29
Cfr. p. 808, nota 552.
30
I protagonisti degli avvenimenti che portarono alla destituzione del re sono
ricordati con l’appellativo di “uomini del 1809” (1809 års män); vd. tra l’altro Forssberg
E., Karl August, gustavianerna och 1809 års män. Ett bidrag till Nordens historia år
1810, [Stockholm] 1942.
31
Kongl. Maj:ts Och Riksens Ständers Faststälde regerings-Form [...] 1809. Importan-
ti contributi alla redazione di questo testo vennero da Anders af Håkansson (1749-1813)
e Hans Järta (cfr. nota 118). La data del 6 giugno non è casuale: essa infatti si richiama
al 6 giugno 1523, giorno della proclamazione del re Gustavo Vasa e festa nazionale
svedese (vd. p. 468, nota 26). Una costituzione profondamente rinnovata è stata appro-
vata nel 1974 ed è entrata in vigore il 1 gennaio 1975 (Kungörelse om beslutad
ny regeringsform, 28 febbraio 1974). Essa ha subito modifiche nel 2002 con decorren-
za dal 1 gennaio 2003 (Lag om ändring i regeringsformen, 28 novembre 2002) e nel
2010 con decorrenza 1 gennaio 2011 (Lag om ändring i regeringsformen, 25 novembre
2010).
32
Freds Fördrag Emellan Hans Maj:t Konungen af Swerige Och Sweriges Rike Å
ena, samt Hans Maj:t Keisaren af Ryszland Och Ryska Riket Å andra sidan, Afhandladt
och slutit i Fredricshamn den 17 September 1809 och Ratificeradt i Stockholm den 3
October och i S:t Petersburg den 13 i samma månad / Traité de Paix Entre Sa Majesté
le Roi de Suède et la Couronne de Suède D’une part, et Sa Majesté l’Empereur de Tou-
tes les Russies et l’Empire de Russie De l’autre, Fait et conclu à Fredricshamn le 7
September 1809 & ratifié à Stockholm le 3 Octobre et à S:t Petersbourg le 13 du même
mois (SFS 1809: i).
33
Qui nel marzo del 1808 la popolazione si era ribellata contro gli occupanti russi
e un esercito di contadini locali sostenuto da soldati svedesi era riuscito a sconfigger-
li e a farli prigionieri.
34
Dalla moglie, Hedvig Elisabet Charlotta di Holstein-Gottorp (1759-1818) aveva
in realtà avuto due figli entrambi morti in fasce: Luisa Edvige (Lovisa Hedvig, 1797) e
Carlo Adolfo (Carl Adolf, 1798). È comunque probabile che Carl Axel Löwenhielm
(1772-1861), dato alla luce dalla sua amante Augusta von Fersen (1754-1846), fosse in
realtà figlio suo: costui avrebbe rappresentato la Svezia al Congresso di Vienna.
35
L’altro candidato eccellente era Gustavo, figlio del re deposto (1799-1877) men-
tre lo stesso Federico VI di Danimarca si era proposto per il trono di Svezia.
36
Vd. 12.1.
37
In seguito alla sua morte fu sparsa ad arte la voce che fosse stato avvelenato. Carlo
Augusto era molto popolare e durante il corteo funebre scoppiarono dei tumulti: il
maresciallo del Regno Axel von Fersen (1755-1810, noto anche per la sua chiacchierata
amicizia con la regina di Francia Maria Antonietta) che scortava la bara, ingiustamente
additato come responsabile di questo inesistente delitto, fu linciato dalla folla inferocita.
Axel von Fersen era stato un rappresentante del partito fedele al deposto re Gustavo IV
e avrebbe voluto vedere sul trono il di lui figlio: questo spiega le (ignobili) ragioni del
suo assassinio, certamente provocato con fredda pianificazione. Vd. Barton H. Arnold,
Count Hans Axel von Fersen. Aristocrat in an age of revolution, New York 1975.
Nel 1810, quando Jean Baptiste Bernadotte salì al trono, gli Svedesi si
trovarono ad avere una nuova regina: francese e, per di più, di origine
borghese. Bernardine Désirée Clary (1777-1860), nota come Desideria,42
aveva sposato il futuro principe di Pontecorvo e re di Svezia nel 1798. In
precedenza era stata fidanzata addirittura con Napoleone e, successiva-
mente, con il generale Mathurin Leonard Duphot (1769-1797), ucciso nel
corso di uno scontro tra le truppe papali e i francesi. Sua sorella Giulia
(Marie Julie, 1771-1845) era la moglie di Giuseppe Bonaparte (1768-1844),
sicché ella rimase sempre legata a quella famiglia.
Divenire regina di Svezia non fu certamente per lei il coronamento di
un sogno. Tutt’altro: ella detestava il rigido clima del Nord, non sapeva
adattarsi agli usi e alle abitudini del nuovo Paese e non imparò mai la
lingua svedese. Il suo comportamento eccentrico e le lunghe assenze le
alienarono il favore dei sudditi, un sentimento per altro da lei pienamen-
te ricambiato. Si legga il seguente brano tratto da una lettera da lei indi-
rizzata all’imperatore:
“Sire,
È alla bontà di Vostra Maestà che devo il sollievo alla mia cattiva salute;
considererò per tutta la vita come uno dei vostri più grandi favori nei miei
confronti, Sire, il permesso che vi degnaste d’accordarmi di fare un viaggio
in Francia, dal momento che serie ragioni lo esigevano. Le acque di Plom-
bières43 hanno già lenito i mali di cui soffrivo a Stoccolma, mi è permesso di
sperare in un esito ancora migliore dai loro prossimi effetti. Sono venuta ad
attenderlo più vicino alla mia famiglia e a dei buoni medici; oso sperare che
41
Vd. paragrafo 11.2.2.
42
Desideria fu la prima regina di Svezia di origine non nobile dopo Karin Månsdot-
ter (su cui vd. p. 477 con nota 55).
43
Il riferimento è alla stazione termale di Plombières-les-Bains, in Lorena.
nello stesso tempo Vostra Maestà non disapproverà che io mi rechi a Parigi
per concludere là diverse faccende di famiglia e soprattutto per avere l’ono-
re di porre ai piedi di Vostra Maestà l’omaggio della mia riconoscenza, le
mie felicitazioni e quelle di mio marito.
Sono con un profondo rispetto,
Sire,
l’umilissina e obbedientissima serva
di vostra Maestà
Dèsirée.”44
44
DLO nr. 158. La lettera, alla quale a quanto risulta Napoleone non rispose, è del
6 settembre 1811. Sulla figura di Désirée molto si è scritto. Si veda, tra l’altro, il volu-
me di F. Kermina, Bernadotte et Désirée Clary. Le Béarnais et la Marseillaise, souverains
de Suède, Paris 1991. Piuttosto noto è anche il romanzo Désirée della scrittrice austria-
ca Annemarie Selinko (1914-1986), dal quale è stato poi tratto il film omonimo del
1954 diretto dal regista Henry Koster (1905-1988) e interpretato da Marlon Brando
(1924-2004) e Jean Simmons (1920-2010). Un precedente film del 1942 è Lo straordi-
nario destino di Désirée Clary (Le destin fabuleux de Désierée Clary), diretto da Sacha
Guitry (1885-1957).
45
Cfr. p. 868. Gli altri membri erano il funzionario e possidente Gebhard Moltke
(1764-1851), il giurista Enevold de Falsen (1755-1808) e il governatore distrettuale
Marcus Gjøe Rosenkrantz (1762-1838). Il decreto di costituzione di questa commis-
sione è del 24 agosto 1807 (Wessel Berg [Abbr.] IV, pp. 667-668). Successivamente
la Norvegia ebbe una gestione finanziaria, una corte penale e un ammiragliato indi-
pendenti (ibidem: pp. 668-669, 3 settembre; pp. 679-680, 9 ottobre; pp. 698-699,
12 dicembre).
46
Vd. p. 867.
47
L’altro era il funzionario Mathias Sommerhielm (1762-1827).
48
Sulla figura di questo importante politico vd. Nielsen Y., Lensgreve Johan Caspar
Herman Wedel Jarlsberg. Amtmand, Medlem af Rigsforsamlingen paa Eidsvold, Stats-
raad, Stortingsmand, Statholder og Prokansler ved det Kgl. Frederiks Universitet. 1779-
1840, I-III, Christiania 1901-1902.
49
Egli era figlio di Federico, a sua volta nato dal secondo matrimonio del re Fede-
rico V e della regina Giuliana Maria (cfr. p. 691). Dal momento che Federico VI non
aveva eredi legittimi a lui spettava il trono per diritto.
54
La si considera iniziata il 26 luglio con un attacco svedese alle navi norvegesi alla
fonda presso le isole Hvaler (Østfold) e conclusa il 9 agosto con la battaglia di Langnes
(Østfold) che, pure, vide il sopravvento delle forze norvegesi.
55
Mossekonvensjonen: 14 agosto 1814 (Convention imellem Hans Kongelige Høihed
Kronprindsen af Sverrig, i Hans Svenske Majestaets Navn paa den ene, og den Norske
Regjering paa den anden Side, sluttet under Betingelse af Stadfaestelse, ved Undertegne-
de paa Moss, den 14 August 1814, Frederikstad 1814).
56
Si ebbe dunque una revisione che portò alla cosiddetta ‘costituzione di
novembre’ (Novemberforfatning).
57
Previsto dal § 49 della costituzione di Eidsvoll esso era suddiviso in Odelstinget
(Camera bassa) e Lagtinget (Camera alta). La prima denominazione è formata su ting
“assemblea” “parlamento” e odel che risale all’antico nordico óðal termine con cui si
indicavano le terre possedute con diritto allodiale (si noti qui che il termine allodium
è la sua forma latinizzata, vd. Cleasby-VigfUsson 1957 [B.5], p. 470); la seconda su
ting e lag “legge” (ant. nordico lǫgþing “assemblea stabilita per legge”). L’Odelstinget,
che comprendeva i tre quarti dei seggi, era la prima Camera a valutare le proposte di
legge che venivano successivamente inoltrate al Lagtinget. Dal 1814 al 1854 le riunio-
ni si tennero nell’auditorio della scuola della cattedrale di Christiania, poi (fino al
1866) nel salone dell’università e infine nell’edificio costruito appositamente che
tuttora le ospita.
58
E ciò non soltanto dal punto di vista generale: si pensi che l’unico ‘collegio’
norvegese era stato quello delle miniere (Bergverksdirektoriet), istituito nel 1773 e
tuttavia soppresso fin dal 1791. Cfr. p. 668.
59
Egli tuttavia non fu ufficialmente incoronato. Fu invece il suo successore, Carlo
XIV Giovanni (per i Norvegesi Carlo III) a ricevere la corona di Norvegia il 7 settem-
bre 1818 nel duomo di Trondheim. Per questo re furono avviati i lavori di costruzione
del castello di Oslo, progettato dall’architetto dano-norvegese Hans von Linstow
(1787-1851) e terminato solo nel 1849.
60
Vd. p. 661. Per altro va ricordato che una parte dell’élite non era affatto contra-
ria a questa soluzione: fin dal 1790 infatti c’erano stati degli incontri segreti tra alcuni
rappresentanti del mondo industriale e commerciale norvegese e Gustaf Mauritz
Armfelt (cfr. p. 1364 con nota 63) per la parte svedese. Obiettivo di questi incontri
(ispirati da motivi di carattere economico) era quello di formulare un piano che con-
sentisse alla Norvegia di separarsi dalla Danimarca con l’aiuto svedese.
61
Secondo i §§ 12-14 della ‘costituzione di novembre’ in Norvegia doveva esserci
un governatore (capo del governo e dell’esercito) che sostituisse il re svedese nelle sue
funzioni quando questi non si trovava nel Paese. Dopo incarichi di breve durata, tra
il 1814 e il 1829 questo ufficio fu costantemente affidato a funzionari svedesi, nell’or-
dine: Hans Henric von Essen (1755-1824) dal 1814 al 1816, Carl Mörner (1755-1821)
dal 1816 al 1818, Johan August Sandels (1764-1831) dal 1818 al 1827 (con una breve
interruzione), Baltzar von Platen (cfr. p. 898) dal 1827 al 1829. Successivamente non
ci furono nuove nomine fino a quando venne finalmente designato il norvegese Johan
Caspar Herman conte di Wedel Jarlsberg, sopra ricordato, in carica dal 1836 al 1841.
A lui seguì Severin Løvenskiold (1777-1856) che, in sostanza, fu l’ultimo a rivestire
questa carica. Cfr. oltre, p. 1006.
62
Lov, angaaende Modificationer og nærmere Bestemmelser af den Norske Adels
Rettigheder (1 agosto 1821). In Norvegia la nascita di un sentimento antiaristocratico
non si deve solo alla diffusione delle idee illuministiche di eguaglianza o alla crescente
influenza della borghesia. Esso infatti dipese anche dal fatto che, dopo il quindicesimo
secolo, la nobiltà autenticamente norvegese era venuta quasi completamente scompa-
rendo, assorbita o sostituita da quella danese. L’avversione antiaristocratica fu dunque
qui anche un motivo di agitazione politica in chiave antisvedese: essa infatti si rivolse
contro un Paese nel quale (come del resto in Danimarca) la nobiltà era ancora ben
salda e, comunque, meno fieramente avversata.
63
Si veda Nielsen Y., Bidrag til Norges Historie i 1814. Afhandlinger og Aktstykker,
I-II, Christiania 1882-1886.
64
Vd. nota 50.
65
Il riferimento è a Christian Magnus Falsen (cfr. nota 50). Su di lui vd. Østvedt
E., Christian Magnus Falsen. Linjen i hans politikk, Oslo 1945 e anche Mykland K.,
“Grunnlovens far og kongemaktens forsvarer”, in Samtiden (1964), pp. 276-291.
66
La montagna di Dovre (Dovrefjell) è una catena che si trova nel cuore della
Norvegia a sud della regione di Trøndelag ed è considerata un simbolo nazionale.
mo quel luogo, nel quale erano trascorsi così tanti momenti interessanti,
così tante cose importanti decise. Ci separammo tra strette di mano e rassi-
curazioni d’amicizia. Con le lacrime agli occhi e i più ardenti auspici per la
felicità del popolo che avevamo avuto l’onore di rappresentare, ce ne andam-
mo da Eidsvoll [...].”67
67
DLO nr. 159. Il volume da cui si trae questo testo ha per titolo Lettere confiden-
ziali a un amico, scritte da Eidsvoll l’anno 1814, da un membro dell’assemblea naziona-
le (Fortrolige Breve til en Ven, Skrevne fra Eidsvold i Aaret 1814, af Et Medlem af
Rigsforsamlingen, Christiania 1830). Sugli avvenimenti di Eidsvoll, punto di svolta
della storia norvegese, lo scrittore contemporaneo Karsten Alnæs (n. 1938) ha incen-
trato il romanzo Il seguito dei re in fuga. 1814 “Annus mirabilis” (Flyktende kongers
følge. 1814 “Annus mirabilis”, 1982).
68
Su Þingvellir vd. pp. 151-152.
69
Il decreto è del 7 giugno 1800 (LFI XXI, pp. 445-447).
70
Come è stato detto la fondazione della repubblica d’Islanda si fa risalire al 930:
vd. p. 152.
71
Vd. pp. 551-552.
72
Nell’estate del 1808 era giunta in Islanda anche una nave pirata, comandata da
tale Thomas Gilpin, il quale non solo non portò alcun tipo di rifornimento, ma si
75
Vd. p. 862.
76
In islandese Ármann è nome proprio maschile, esso fa tuttavia anche riferimen-
to alla figura del funzionario detto ármaður (norvegese årmann, cfr. p. 372), ovvero
a uno spirito protettore che dimora in una montagna o in una roccia (cfr. p. 264,
nota 149). Sull’antica assemblea detta Alþingi vd. pp. 151-152 e p. 379. Del resto
Baldvin Einarsson aveva fondato a Copenaghen una associazione con quel medesimo
nome.
77
Su di lui vd. Ólafsdóttir N., Baldvin Einarsson og þjóðmálastarf hans, Reykjavík
1961 e anche “Baldvin Einarsson, lögfræðingur”, in BR, pp. 110-113.
78
Vd. p. 726, p. 823 con nota 646, p. 839 e p. 945. Un breve ritratto di Eggert
Ólafsson si può leggere in Gunnarsdóttir H.Kr., “Eggert Ólafsson skáld og upp-
lýsingarmaður”, in Ritmennt, V (2000), pp. 102-111.
93
Vd. p. 696 con nota 82.
94
In particolare il poeta Thomas Thaarup (1749-1821) e il teologo e pastore di
corte Christian Bastholm (vd. p. 770, nota 392), mentre a favore degli Ebrei si schie-
rarono celebri autori come Jens Baggesen (vd. pp. 838-839) e Steen Steensen Blicher
(vd. p. 916 e p. 925).
95
Junigrundloven, VII, § 84. E tuttavia la medesima costituzione (I, § 3) precisava
che la Chiesa luterana in quanto Chiesa nazionale doveva essere sostenuta dallo Stato
e che il monarca doveva obbligatoriamente appartenervi (II, § 6).
96
Non si dimentichi qui la proibizione della tratta degli schiavi (1792); vd. p. 697
con nota 83.
97
Vd. p. 790, nota 480 e p. 811, nota 569.
98
Vd. p. 788.
99
Vd. p. 719 e p. 787.
107
Vd. Lausten 1999 (B.7.2), p. 63.
108
Vd. tra l’altro: Holt P., Kirkelig Forening for den Indre Mission i Danmark gen-
nem 100 år, København 1961. Sui diversi aspetti della vita religiosa in Danimarca
nella prima metà del XIX secolo si rimanda a Lenhammar 20014 (B.7.2), p. 70, p. 74
e pp. 76-77.
109
Al che si allude tra l’altro nel syngespil dal titolo I dirimpettai (Gjenboerne, 1844)
dello scrittore Jens Christian Hostrup (1818-1892), atto primo, scena prima, pp. 15-16.
In generale la nascita di una ‘filosofia antialcolica’ si deve alla diffusione delle idee (e
degli scritti) dell’ecclesiastico americano Robert Baird (1798-1863) il quale viaggiò
diverse volte in Scandinavia (su di lui vd. Baird H.M., The Life of the Rev. Robert Baird,
D. D., New York 1866).
Nel 1769 era stato fatto nel Paese il primo censimento da cui
risultava che la popolazione danese raggiungeva gli 800.000 abi-
tanti.110 Nonostante gli anni della crisi la crescita demografica fu
consistente e nel 1835 se ne poterono contare 1.224.000. La mag-
gioranza erano contadini, poi c’erano i borghesi delle città (tra cui
la sola Copenaghen, che già all’inizio del secolo contava circa 100.000
abitanti, aveva dimensioni ragguardevoli) nelle quali però vivevano
anche prestatori d’opera tutt’altro che agiati. I servizi sociali resta-
vano in gran parte carenti, tuttavia nel 1799 era stato riorganizzato
a Copenaghen l’Ente per l’assistenza ai poveri (Kjøbenhavns
Fattigvæsen)111 e nel 1803 era stato fondato un ‘Ministero della
sanità’ (Sundhedscollegium) che rilevava le competenze del prece-
dente Collegium medicum risalente al 1740.112 Ma nello stesso
tempo alcune novità come l’apertura di una linea di collegamento
navale tra Copenaghen e Kiel nel 1819 e tra Copenaghen e Malmö
nel 1838, quella di una linea ferroviaria tra Copenaghen e Roskilde
nel 1847, il primo viaggio di un battello a vapore da Aarhus all’In-
ghilterra nel 1849, segnalavano un progresso tecnico che non
avrebbe mancato di far sentire i propri effetti. Poco dopo la metà
del secolo (1852) Peter Christian Frederik Faber (1810-1877)
veniva nominato responsabile del neonato servizio telegrafico
danese, che egli avrebbe trasformato in uno strumento di fonda-
mentale importanza per le comunicazioni sia all’interno del Paese
sia coll’estero.
114
Vd. p. 921.
115
Vd. p. 914.
116
Sulla dèa Freyja vd. p. 34, nota 78, pp. 163-164, p. 174, pp. 189-190 con nota
359 e p. 200.
117
DLO nr. 160. Qui viene riportata solo una versione ridotta (la prima e parte
dell’ultima strofa). Al componimento Oehlenschläger antepone una citazione da
Orazio: “Ille terrarum mihi præter omnes Angulus ridet” (Odi, II, 6, 13).
118
In tale occasione per manifestare platealmente la propria opposizione alcuni
nobili rinunciarono pubblicamente al titolo. Tra di loro Hans Hierta (1774-1847), che
in seguito a questo gesto cambiò il proprio cognome in Järta e che sarebbe poi stato
uno degli “uomini del 1809” (cfr. nota 30). Un altro fatto clamoroso si verificò in quel
medesimo 1800 quando a Uppsala, in occasione dei festeggiamenti per l’incoronazio-
ne ufficiale del sovrano, alcuni musicisti che avevano tentato di suonare la ‘marsiglie-
se’ abbandonarono la sala quando ciò fu loro impedito. Costoro (che furono per
questo processati) facevano parte di un circolo politico-culturale denominato “Giun-
ta” (Juntan) i cui membri di maggior spicco erano il filosofo Benjamin Höijer (vd. p.
923), il docente Gustaf Abraham Silfverstolpe (1772-1824, uno degli ‘scioperanti’) e
lo stesso Järta.
119
Vd. pp. 709-710.
120
In questo contesto si possono inquadrare anche i tumulti scoppiati nel 1811
nella regione della Scania contro il forzato reclutamento di soldati. Una rivolta che
venne puntualmente soffocata, ma che testimonia la crescente insofferenza della clas-
se contadina contro le imposizioni del governo.
122
Vd. Österman P., “Kravakller för det tryckta ordet”, in PH 1994: 2, pp. 46-49.
123
Cfr. p. 923, p. 926 e p. 983. In seguito a questa decisione (fortemente influenza-
ta dalla questione relativa alla schiavitù) Geijer fondò il giornale intitolato Foglio let-
terario (Litteratur-bladet), uscito tra il 1838 e il 1839.
124
Si tratta della cosiddetta Departementalreformen: Kongl. Maj:ts Nådiga Stadga,
angående fördelning af Ärenderne imellan Stats-Departementerne; nr. 14 del 16 maggio
1840.
125
Vd. p. 502 con nota 132.
126
SAL IV-VI, pp. 17-65.
127
SAL IV-VI, pp. 67-122 e SAL VII, pp. 1-96 con tabelle. In queste due ordinan-
ze si precisa la funzione di quelle che vengono definite apologistklasser (apologisten era
il nome dato all’insegnante di scrittura e di calcolo), vale a dire corsi di studio desti-
nati a chi necessitava di una formazione di base per un ‘avviamento’ al lavoro nell’in-
dustria e nel commercio. Esse furono abolite con una circolare del 6 luglio 1849 (vd.
oltre, p. 1001, nota 197).
128
Le teorie di Lancaster, che propugnava il cosiddetto ‘mutuo insegnamento’ (nel
quale gli studenti migliori vengono coinvolti nella formazione dei compagni), vennero
introdotte in Svezia verso gli anni ’20 e diverse scuole ispirate a quel metodo furono
aperte. Un esperimento scolastico secondo nuovi criteri pedagogici fu portato avanti
con la fondazione a Stoccolma (1828) della Nuova elementare (Nya Elementar) nella
quale, tra l’altro, si sostituivano le punizioni corporali con altri metodi disciplinari (vd.
Nordin Th., Nya elementarskolan i Stockholm. Ett försök att förverkliga frihetens och
jämlikhetens idéer, Uppsala 1978). In questo periodo la più importante figura di
pedagogo nel Paese è quella di Carl Ulrik Broocman (1783-1812), allievo di Pestaloz-
zi, morto prematuramente, la cui opera avrebbe a lungo fatto sentire la propria
influenza. Tra il 1810 e il 1812 Broocman aveva pubblicato la Rivista per genitori e
insegnanti (Magasin för föräldrar och lärare), il primo periodico svedese di carattere
pedagogico. Accanto a lui va ricordato Anders Fryxell (1795-1881), poi storico di
successo (vd. p. 926), che partecipò attivamente al dibattito sulla riforma della scuola
con una serie di scritti nei quali propugnava una impostazione moderna e democrati-
ca dell’insegnamento sia per i ragazzi sia per le ragazze. Cfr. nota 130.
129
Kongl. Maj:ts Nådiga Stadga angående folk-underwisningen i Riket; Gifwen
Stockholms Slott den 18 Juni 1842 (SAF 1842-1921, pp. 4-15). Successivamente l’ob-
bligo scolastico fu elevato a sei anni (più due facoltativi). Nel 1919 verrà stabilito un
nuovo programma generale di insegnamento nel quale grande importanza sarà data
allo studio della lingua madre mentre quello della religione costituirà ora semplice-
mente una fra le numerose discipline che l’allievo dovrà apprendere (Kungl. Maj:ts
kungörelse angående undervisningsplan för rikets folkskolor, given Stockholms slott
den 31 oktober 1919).
130
Il primo ginnasio femminile, sorto nel 1831 per iniziativa di Anders Fryxell (cfr.
nota 128) fu la Wallinska flickskolan di Stoccolma così chiamata dal nome del suo
promotore, il celebre predicatore e poeta Johan Olof Wallin (cfr. p. 925). Nel 1847
Karin Åhlin (1830-1899) aprì nella stessa città una scuola superiore per ragazze (Åhlinska
skolan), destinata ad avere notevole successo. Il primo Istituto per la formazione di
insegnanti donne (Seminarium för bildande af lärarinnor, più tardi Högre lärarinne-
seminariet) fu aperto nel 1861. Vd. Lopez S., “Kungliga högre lärarinneseminariet och
flickskolans framväxt”, in Hatje A-K. (red.), Sekelskiftets utmaningar. Essäer om välfärd,
utbildning och nationell identitet vid sekelskiftet 1900, Stockholm 2002, pp. 181-198.
Nella prima metà del XIX secolo si situa la vicenda del celebre mal-
vivente svedese Lars Larsson (1785-1845), meglio conosciuto come
Lasse-Maja per l’abitudine (legata alla sua attività ladresca ma anche, a
quanto pare, a un’innata tendenza) a travestirsi da donna. Dopo aver
compiuto diversi furti, subito diversi arresti e tentato con successo
diverse evasioni, nel 1812 Lasse-Maja fu catturato per aver rubato
oggetti d’argento in una chiesa. Condannato all’ergastolo fu rinchiuso
nel castello di Marstand nel 1813. Dotato di notevoli risorse, riuscì a
gestire al meglio la propria vita da detenuto, sfruttando la naturale
inventiva e l’abilità culinaria e guadagnandosi fama (e denaro) con il
racconto delle sue avventure. Molte persone si recarono a Marstrand
per incontrarlo, tra gli altri il principe ereditario Oscar. Nel 1838 Lasse-
Maja ottenne la grazia e si ritirò presso Arboga (Västmanland). Nel
frattempo le sue memorie erano state raccolte e pubblicate, divenendo
una lettura popolarissima. Per questo Lasse-Maja è stato definito “l’a-
nalfabeta che spinse gli Svedesi [a dedicarsi] alla lettura”.132 Si legga
questo breve estratto:
133
DLO nr. 161.
134
Vd. Granberg 1998 (C.10.2). Pur rafforzando la Chiesa svedese nella sua strut-
tura episcopale Gustavo aprì a più strette relazioni con gli anglicani e i cattolici in
direzione di una Chiesa di carattere più internazionale.
135
Vd. p. 704 con nota 108. Essi tuttavia non avrebbero potuto ricoprire cariche
pubbliche né aprire scuole.
136
Vd. p. 704 con nota 109. Ulteriori leggi a riguardo degli Ebrei vennero emesse
nel 1838 (Kongl. Maj:ts Nådiga förordning, angående Mosaiske Trosbekännares skyldig-
heter och rättigheter här i Riket, Gifwen Stockholms Slott den 30 Junii 1838; Kongl.
Maj:ts och Rikets Commerce-Collegii Circulaire till Öfwer-Ståthållare-Embetet i
Stockholm och Kongl. Maj:ts Befallningshafwande, angående en fastställd särskild
Ordning för Mosaiska Trosbekännare i afseende på utöfningen af deras Religion m.m.;
utfärdadt den 13 Augusti 1838; Kongl. Maj:ts Nådiga Kungörelse, rörande tillämp-
ningen i wissa fall af Dess under den 30 sistlidne Junii utfärdade Nådiga Förordning,
angående Mosaiske Trosbekännares rättigheter och skyldigheter här i Riket; Gifwen
Stockholms Slott den 21 September 1838). Con un decreto del 1860 agli Ebrei veni-
va concesso di stabilirsi definitivamente nel Paese e acquisirvi proprietà (Kongl. Maj:ts
Nådiga Förordning angående Mosaiske trosbekännares rättigheter att bosätta sig och
besitta fast egendom i riket; Gifwen Stockholms Slott den 26 Oktober 1860).
137
Diversi movimenti (per quanto di breve durata) erano sorti in Småland (i cosid-
detti åkiani, dal nome del loro capo, il contadino Åke Svensson), in Ostrobotnia, in
Härjedalen, in Tornedalen (vd. Lenhammar 20014 [B.7.2], pp. 65-66; cfr. p. 770). Il
movimento degli skevikiani (da Skevik, località su un’isola dell’arcipelago di Stoccol-
ma in cui avevano un importante centro) si diffuse anche in Danimarca e Germania.
138
Seppure fiorito a partire dagli anni ’40, il cosiddetto schartauanismo (dal nome
del predicatore Henric Schartau, 1757-1825) ha tuttavia radici nei due decenni prece-
denti. Esso focalizza la propria attenzione sui presupposti per la salvezza dell’individuo
(vd. Rodhe E., Henrik Schartau såsom predikant, Lund 1909). Un altro movimento
sorto in Svezia nella prima metà dell’Ottocento è quello dei ropare (letteralmente
“urlanti”), così detti per via delle prediche infuocate che tenevano in preda a una
sorta di esaltazione (fatto che riguardava soprattutto giovani, giovanissimi, donne e
persino bambini). Fortemente osteggiato dalla Chiesa, era diffuso dalla regione di
Småland su fino a Värmland, ma fu particolarmente radicato in Närke, dove risultava
ancora presente dopo che intorno al 1843 si era altrove esaurito. Esso viene collegato
al cosiddetto hoofianismo (da Jacob Otto Hoof, il fondatore, 1769-1839), termine che
indica una sorta di setta caratterizzata da severe regole di vita (vd. Carlsson D., Roparna,
Gävle 1978). Sui diversi aspetti della vita religiosa svedese nella prima metà del XIX
secolo si rimanda a Lenhammar 20014 (B.7.2), p. 68, pp. 70-71 e pp. 73-74.
139
Vd. pp. 1398-1400 con note 88, 89, 93, 94.
156
Si ricordi il giurista dano-norvegese Eiler Hagerup (nato a Trondheim) il
quale nella sua Lettera sull’amor patrio (cfr. p. 817, nota 609) indicava come
determinante ai fini del sentimento patriottico il luogo di nascita. Di notevole
interesse in proposito sono anche gli scritti di Johan Nordahl Brun (vd. p. 722
con nota 188) e Hans Arentz (1731-1793) autore anche di testi di caratere topo-
grafico. Non necessariamente tuttavia questo ‘patriottismo’ si legava al desiderio
di indipendenza dalla Danimarca. Vd. in proposito Larsen S., Med dragning mot
nord. Gerhard Schøning som historiker, Hovedoppgave i historie, Universitetet i
Tromsø, pp. 93-95 e Storsveen O.A., Norsk patriotisme før 1814, Oslo 1997. Di
notevole interesse da questo punto di vista è anche l’uscita della rivista Hermoder,
scritto periodico norvegese (Hermoder, et norsk periodisk skrift, 1795-1800) redat-
ta dall’ecclesiastico Frederik Schmidt (1771-1840) e poi dal professore e biblio-
tecario Jacob Rosted (1750-1833). Secondo la mitologia nordica Hermóðr, fratel-
lo di Baldr, dopo la morte di questi provocata dal maligno Loki, si reca a cavallo
nel Regno dei morti per chiedere che egli possa tornare indietro (vd. C hiesa
Isnardi 20084 [B.7.1], pp. 157 e p. 170, nota 6).
157
In questo contesto va ricordata la fondazione dell’Associazione norvegese (Nord-
mandsforeningen) sorta a Copenaghen nel febbraio del 1814.
158
In relazione ai fatti culminati con la promulgazione della costituzione del 1814,
gli storici norvegesi hanno a lungo discusso su quale sia stato il peso di fattori di carat-
tere ‘interno’ (movimento indipendentista) o, piuttosto, ‘esterno’ (avvenimenti politi-
ci europei e deliberazioni assunte dalle grandi potenze). Un’ampia disamina delle
diverse posizioni al riguardo è stata fatta da Odd Arvid Storsveen (www.nb.no/
baser/1814).
168
Il decreto definitivo di costituzione è del 2 settembre 1811. Una dettagliata descri-
zione del processo che portò alla istituzione di un ateneo norvegese si trova in Nielsen
Y., “Inledning”, in Aa. Vv., Det Kongelige Fredriks Universitet 1811–1911. Festskrift,
I-II, Kristiania 1911, I, pp. iii-lx. Vd. anche Aubert L.M.B., “Kristiania universitet” in
Några anteckningar till de nordiska universitetens historia under de sista femtio åren,
in NTVKI 1878, pp. 701-707 e Collett J.P., Historien om Universitetet i Oslo, Oslo 1999.
169
Su di lui vd. fra l’altro Kristiansen K.A., Niels Treschow. 1751–1951. Et min-
neskrift, Oslo 1951.
170
Cfr. nota 50.
171
Cfr. p. 882 con nota 83. A questi tradizionali istituti si era aggiunto (1750) il
cosiddetto Seminarium Fredericianum (così chiamato in onore del re Federico V) di
Bergen nel quale alle tradizionali materie di studio (lingue classiche e teologia) si
affiancavano lingue moderne, letteratura, filosofia e materie scientifiche (in sostanza
un precedente delle cosiddette realskoler, su cui vd. p. 978 con nota 104, che saranno
presenti anche in Norvegia). Questa iniziativa non ebbe tuttavia il successo sperato e
l’istituto fu infine chiuso nel 1808. Presso il Seminarium Fredericianum insegnò, tra gli
altri, Fredrich Arentz (1736-1825) ricordato come uno dei migliori pedagoghi norve-
gesi dell’epoca (su di lui Nordahl Brun J., Fredrich Christian Holberg Arentz’s Portrait
og Biographie, København 1816).
172
Alcune di queste scuole godevano di un certo prestigio e potevano contare
sull’apporto di docenti di notevole levatura. Tale è, a esempio, il caso della scuola
della cattedrale di Bergen dove insegnò Lyder Sagen (1777-1850), che fu maestro di
molti importanti protagonisti del mondo politico e culturale norvegese dell’epoca, tra
cui Johan Sebastian Welhaven (vd. oltre, pp. 931-932).
173
Successivamente infatti (1798) rinominata Istituto militare norvegese (Det
norske militære Institut). Essa è tuttora in attività.
174
L’intitolazione dell’istituto dipende dal fatto che inizialmente esso aveva il com-
pito di sviluppare le competenze legate all’attività mineraria (fu il primo istituto
europeo di questo genere).
175
Da lui fu detta Scuola femminile di Nissen (Nissens Pigeskole); in seguito presso
di essa fu attivato anche un corso di formazione per donne insegnanti, la Scuola di
Nissen per insegnanti donne (Nissens Lærerinneskole). Precedentemente (1843) insie-
me a Ole Jacob Broch (1818-1889), matematico, fisico, educatore e politico, Nissen
aveva fondato una Scuola di latino e scuola ‘media’ (Nissens Latin- og Realskole); cfr.
p. 979 e p. 1025.
176
Lov ang. Almue-Skolevæsenet paa Landet, 14 luglio 1827. Perché in un insedia-
mento lavorativo fosse presente una scuola era richiesto un numero minimo di trenta
lavoratori. Questa legge sarebbe rimasta in vigore fino al 1860, anno della promulga-
zione di una nuova regolamentazione per le scuole nelle zone rurali con la quale si
incentivava, tra l’altro, la costruzione di edifici scolastici anche nelle località minori
(vd. p. 1025 con nota 282). In generale, sugli sviluppi della scuola norvegese di base
vd. Dokka 1967.
177
Lov om Almueskolevæsenet i Kjøbstæderne, 12 luglio 1848.
178
Per altro occorre dire che tradizionalmente i testi invogliavano ben poco alla
lettura, limitandosi sostanzialmente a proporre insegnamenti religiosi. I primi libri
norvegesi capaci di suscitare un qualche interesse fra le persone di condizione sociale
modesta compaiono solo dopo il 1811 (vd. Beyer 1974-1975 [B.4], II, pp. 19-21).
Oslo e gli eventi del 1814 (cui i suoi membri avevano dato un
sostanziale contributo) essa fu riorganizzata (1829) e venne pro-
muovendo diverse iniziative per il progresso economico, soprattut-
to nei campi dell’agricoltura e della pesca.194 Entrambe queste
società sono tuttora attive. Un notevole sviluppo si avrà anche in
campo scientifico: basti qui ricordare l’astronomo e geofisico Chri-
stopher Hansteen (1784-1873), noto per gli studi sul magnetismo
terrestre,195 i botanici Christen Smith (1785-1816) e Matthias Num-
sen Blytt (1789-1862), i geologi Baltazar Mathias Keilhau (1797-
1858) e Theodor Kjerulf (1825-1888),196 il geniale matematico Niels
Henrik Abel (1802-1829),197 il fisico e matematico Carl Anton
Bjerknes (1825-1903),198 lo zoologo Michael Sars (1805-1869).199
Secondo un censimento del 1769 la Norvegia raggiungeva i
724.000 abitanti che erano saliti a 880.000 nel 1801. All’inizio del
XIX secolo Bergen (che allora contava circa 18.000 abitanti) era
ancora la terza città dei Regni uniti (dopo Copenaghen e Altona),
ma ora Christiania si avviava, in quanto sede del nuovo parlamen-
to e degli uffici amministrativi, a divenire a tutti gli effetti la capi-
tale.200 All’aumento della popolazione non corrispose quello delle
risorse. A partire dagli anni ’40 si ebbe dunque anche qui un
movimento migratorio verso l’America per certi versi ‘anticipato’
da una immigrazione interna constatabile tra gli ultimi decenni del
Settecento e i primi dell’Ottocento, ma in taluni casi determinato
anche da motivazioni di carattere religioso.
194
A cura di questa società venne pubblicato il periodico dal titolo Budstikken che
costituì un importante punto di riferimento per il dibattito in quegli anni cruciali. Il
termine budstikke indica la bacchetta (di legno o metallo) che nel medioevo veniva
inviata di fattoria in fattoria per convocare le persone in occasione di importanti riu-
nioni come l’assemblea (su cui vd. p. 130).
195
Vd. Grønningsæter T., Christopher Hansteen og framveksten av norsk astro-
nomi i begynnelsen av det 19. århundre, Oslo 2001 e anche Elgarøy Ø., “Christopher
Hansteen (1784-1873)”, in VP 1800-tallet, pp. 9-34.
196
Vd. Reusch H., “Theodor Kjerulf som vitenskapelig forsker”, in NTVKI 1889,
pp. 103-113.
197
Vd. Bjerknes C.A., Niels Henrik Abel. En skildring af hans liv og videnskabelige
virksomhed, Stockholm 1880.
198
Vd. Bjerknes V., C. A. Bjerknes. Hans liv og arbeide. Træk av norsk kulturhistorie
i det nittende aarhundrede, Oslo 1925.
199
Vd. Økland F., Michael Sars. Et minneskrift, Oslo 1955. Michael Sars, sposato
con la sorella di Johan Sebastian Welhaven, Maren Cathrine (1802-1889) ebbe da lei
otto figli. Fra di loro lo storico Johan Ernst (vd. pp. 1017-1018) e lo zoologo Georg
Ossian (1837-1927); e anche la figlia Eva Helene (1858-1907), cantante d’opera, che
avrebbe sposato Fridtjof Nansen (vd. pp. 1104-1105).
200
Essa contava nel 1814 quasi 11.000 abitanti che salirono a oltre 18.000 nel 1835.
*
Dopo il 1814 la volontà dei Norvegesi di affermare la propria specifi-
cità culturale e indipendenza politica trovò naturalmente espressione
anche nel desiderio di avvalersi di una bandiera propria (fino ad allora si
era utilizzato il vessillo danese), da issare innanzi tutto sulle navi commer-
ciali. Inizialmente (1814-1821) ci si limitò a inserire il simbolo del ‘leone
norvegese’, nel cantone superiore del Dannebrog dal lato dell’asta.203 A
partire dal 1815 (dopo che la Norvegia era entrata in unione con la Svezia)
venne stabilito che le navi norvegesi utilizzassero la ‘bandiera nazionale’
(il Dannebrog con il leone) fino al limite del Capo Finisterre, più oltre esse
dovevano issare il vessillo svedese allo scopo di essere protette dagli
attacchi dei pirati nord-africani (con i quali la Svezia aveva concluso un
oneroso accordo).204 Nel 1821 fu istituita una commissione parlamentare
che doveva valutare diverse proposte per una bandiera ‘esclusivamente
norvegese’: la scelta cadde su quella avanzata da Frederik Meltzer (1779-
1855), politico e uomo d’affari che aveva fatto parte dell’assemblea costi-
tuente di Eidsvoll, il quale suggeriva di adottare una croce blu bordata di
201
Vd. pp. 930-931.
202
L’episodio è ricordato come “la battaglia nella piazza” (Torvslaget).
203
Il decreto relativo fu emesso dal reggente Cristiano Federico (Regentes Kund-
gjørelse ang. det norske Flag, 27 febbraio 1814, in Love, Anordninger og Tractater m.m.
for Kongeriget Norge i Tidsrummet fra 1814-1848, Til Brug for den Lovstuderende
udtogsviis udgivne af J.A.S. Schmidt, I, Christiania 1849, p. 24). Sulla bandiera dane-
se, detta Dannebrog vd. pp. 334-335. Il ‘leone norvegese’ era un simbolo presente fin
dalla prima metà del XIV secolo su sigilli nobiliari o stendardi utilizzati in diverse
occasioni su navi o in ambito militare ma anche (accanto ai tre leoni danesi) nello
stemma dei Regni uniti. Sulla bandiera esso regge un’ascia d’argento a ricordo dell’ar-
ma con cui era stato ucciso il patrono del Paese, Olav il Santo a Stiklestad (vd. p. 256).
Un Ordine del Leone di Norvegia (Den Norske Løve) fu istituito dal re Oscar II nel
1904.
204
Decreto del 12 gennaio 1815. In seguito si cercò di trovare un compromesso e
si stabilì l’uso di una bandiera svedese che nel cantone superiore dalla parte dell’asta
riportava una croce bianca obliqua in campo rosso (ma nessun ‘leone norvegese’;
decreto del 7 marzo 1815).
All’inizio del XIX secolo l’Islanda non era più tanto lontana.
Non soltanto le sciagure che l’avevano colpita ne avevano suo
malgrado fatto l’oggetto di una maggiore attenzione, ma la natura
e l’ambiente erano divenuti oggetto di studio e meta di esplorazio-
ne. E non solo da parte dei nordici. Basti pensare al celebre viag-
giatore inglese Joseph Banks (1743-1820), che l’aveva visitata nel
1772, o alla spedizione condotta nel 1810 dal baronetto scozzese
George Stuart Mackenzie (1780-1848).208 Nel Paese, che andava
riscoprendo aspirazioni autonomistiche, i primi decenni dell’Ot-
tocento furono segnati al contempo da difficoltà e progressi. L’ini-
205
Decreti del 13 e 17 luglio 1821.
206
Decreto del 20 giugno 1844.
207
La legge è del 10 dicembre 1898. Sulla questione della ‘legalità’ della bandiera
norvegese si rimanda a Rydin H.L., Om norska flagglagens rättsliga betydelse, Stockholm
1899, un testo in cui sono fatti puntuali riferimenti ai diversi decreti qui indicati e che
riporta in appendice il testo della legge del 10 dicembre 1898 (pp. 68-69) e quello
della ratifica da parte del sovrano svedese (pp. 70-71, medesima data). Una panorami-
ca degli stemmi, dei colori e dei più antichi vessilli norvegesi si trova in Storm G.,
Norges gamle Vaaben, Farver og Flag, Kristiania 1894. Vd. anche Engblom Chr. –
Engblom L-Å., “En trikolor for Norge”, in FFF, pp 80-81.
208
Tra gli altri viaggiatori stranieri di questo periodo si possono ricordare il bota-
nico inglese William Jackson Hooker (1785-1865) che la visitò nel 1809 e l’ecclesiasti-
co scozzese Ebenezer Henderson (1784-1858) che vi soggiornò tra il 1814 e il 1815.
Entrambi hanno lasciato interessanti resoconti della loro esperienza.
zio del secolo non era certo stato favorevole: negli anni 1803-1804
centinaia di persone erano morte di malattia e denutrizione, nel
1807 c’era stato un inverno rigidissimo che aveva tra l’altro visto
diminuire il numero degli abitanti di Reykjavík da quattrocento-
quarantasei a trecentosessantanove.209 La situazione economica non
era certo delle migliori: la gran parte della popolazione, duramen-
te provata dalle catastrofi naturali che avevano segnato il secolo
precedente, viveva ancora praticando l’allevamento, la pesca e la
limitata agricoltura consentita dalle condizioni climatico-ambien-
tali secondo metodi tradizionali. Inoltre la situazione sanitaria
restava carente.210 I benestanti erano solo una minoranza di perso-
ne di grado sociale elevato: funzionari del re danese ed ecclesiasti-
ci, spesso discendenti delle grandi famiglie che avevano dominato
il Paese nei secoli passati e che avevano saputo adattarsi ai muta-
menti della situazione politica; molti di costoro (soprattutto i dane-
si) non esitavano, forti dei loro privilegi, a sfruttare il lavoro altrui.
E tuttavia le sciagure da cui gli Islandesi erano stati colpiti ave-
vano − almeno − avuto l’effetto di far comprendere la fragilità
d’una economia primariamente basata sulle risorse locali: una
condizione che in caso di gravi calamità naturali, comportava, come
era apparso con tragica evidenza, conseguenze disastrose. Le disgra-
zie avevano costretto gli Islandesi a confrontarsi con la modernità.
Un effetto pratico della spaventosa eruzione degli anni 1783-1784
era stato, a esempio, lo spostamento di diverse persone dalle fatto-
rie interne alle zone costiere dove c’era, quantomeno, la possibilità
di pescare: ciò aveva dato l’avvio a una, per quanto limitata, indu-
stria del pesce. Nonostante le resistenze degli ambienti contadini,
le cose avevano dunque cominciato a cambiare, in primo luogo per
l’impegno di individui come Skúli Magnússon, Jón Eiríksson e
Magnús Stephensen.211 Grazie a loro, come si è detto, era stato dato
impulso all’economia e ci si era impegnati a diffondere fra la popo-
lazione i risultati del progresso sociale e civile raggiunto in altri
Paesi.212
209
Vd. Júlíusson – Ísberg 2005 (B.3), p. 186.
210
Si noti, a esempio, che tra gli incarichi affidati a Páll Vídalín e Árni Magnússon
nel loro viaggio in giro per il Paese (vd. p. 723) c’era anche quello di verificare la
situazione dei malati di lebbra. Ancora nel 1843, nel 1846 e nel 1860 si sarebbero
verificate gravissime epidemie con un numero elevato di vittime.
211
Vd. pp. 728-730.
212
Questo compito era stato svolto in primo luogo dalla Società dell’educazione di
Magnús Stephensen, tra le cui pubblicazioni si ricordano anche la Piacevole gioia degli
amici (Skémtileg Vina-Gleði, 1797) e Serio e faceto di vario genere (Margvíslegt Gaman
og Alvara, 1798 con una seconda uscita nel 1818).
213
Vd. pp. 728-729. In proposito si rimanda a Guttormsson L., “Læsefærdighed
og folkeuddannelse [i Island] 1540-ca.1800”, in UNK III, pp. 152-165.
214
Indicazioni a p. 858, nota 833.
215
Rescr. (til Biskopen over Skalholt paa Island) ang. Forældres og Præsters Pligter i
henseende til Ungdommens undervisning (in Fogtman [Abbr.] VI, 2 luglio 1790, pp.
424-425). Con questa disposizione vennero di fatto poste le basi della scolarizzazione
del popolo islandese. Si vedano tuttavia le precedenti ‘raccomandazioni’ ai vescovi
d’Islanda contenute in un documento che porta la data del 1 luglio 1746 (LFI II, pp.
658-659).
216
Vd. p. 729, nota 224.
217
A questa sarebbero seguite nel 1852 quella di Eyrarbakki nel sud-ovest del
Paese e nel 1870 quella di Akureyri nel nord.
218
Vd. pp. 422-423.
219
Cfr. p. 724, nota 201 e p. 731 con nota 234. Qui furono attivi eminenti docenti
come Hallgrímur Scheving, Sveinbjörn Egilsson (cfr. nota 405) e il matematico Björn
Gunnlaugsson (1788-1876), figure di spicco del ‘risorgimento’ culturale e sociale
islandese. Su quest’ultimo vd. “Björn Gunnlaugsson, stærðfræðingur”, in BR, pp.
93-96.
220
La prima (fondata nel 1790) fu la Società islandese per la biblioteca e la lettura
di Suðurland (Hið íslenska bókasafns- og lestrarfélag Suðurlands). Vd. in proposito
Sverrisdóttir I.S., “Upphaf og þróun lestrarfélaga”, in Pálsdóttir G. – Hannesdóttir
S.K. (ritstj.), Sál aldanna. Safn greina um bókasöfn og skyld efni, Reykjavík 1997, pp.
25-35.
221
Cfr. p. 946.
227
Con picchi di mortalità dovuti al diffondersi del vaiolo tra il 1707 e il 1709 e
dopo la devastante eruzione del 1783-1784.
228
Nei Paesi scandinavi fin dalla seconda metà del Settecento, ma soprattutto
dall’Ottocento, la produzione nei diversi campi della letteratura, delle arti e della
musica conosce uno straordinario sviluppo, ragion per cui di qui in poi ci si dovrà
limitare a citare le principali correnti e i nomi più prestigiosi e significativi. Si riman-
da, per i necessari approfondimenti, alla ricca bibliografia di riferimento (riportata
in B.4 e B.6).
229
Il primo a usare questa espressione fu Valdemar Vedel (1865-1942) nello scritto
Studier over Guldalderen i dansk Digtning, Kjøbenhavn 1890. Esso fu poi ripreso
dallo studioso e critico Vilhelm Andersen (1864-1953), coautore di una opera fonda-
mentale sulla storia della letteratura danese (Petersen – Andersen 1932-1934, in B.4).
251
Che fu, tra l’altro, curatore del giardino botanico di Copenaghen.
252
Basti qui ricordare che ancora nel 1853 la città fu colpita da una grave epidemia
di colera.
253
Vd. pp. 846-847 con nota 764. Nel filone neoclassico si inserisce anche Theo-
philus Hansen (1813-1891) che, tuttavia, lavorò per lo più a Vienna.
254
Il ricorso ai classici è propugnato anche dal dano-tedesco Gustav Friedrich
Hetsch (1788-1864).
255
Vd. p. 849 con nota 779.
256
Come è noto in questi decenni l’Italia (in particolare Venezia, Firenze, Napoli e
Roma) era meta di studio obbligata di molti artisti. A Roma si formò una sorta di ‘cir-
colo’ dei danesi. Oltre a Thorvaldsen vi soggiornarono tra gli altri gli scultori Hermann
Ernst Freund (1786-1840), che trova ispirazione anche nella mitologia nordica, Herman
Wilhelm Bissen e August Saabye (vd. p. 1089), l’architetto Michael Gottlieb Birckner
Bindesbøll, i pittori Johan Ludwig Gebhard Lund (tedesco di nascita, 1777-1867),
Ernst Meyer (1797-1861), Ditlev Conrad Blunck (1798-1854), Martinus Christian
Wesseltoft Rørbye (1803-1848), Albert Küchler (1803-1886), Carl Christian Constan-
tin Hansen (1804-1880), Fritz Peztholdt (1805-1838), Jørgen Roed (1808-1888),
Christen Købke (vd. pagina successiva), Vilhelm Nikolai Marstrand (1810-1873). Cfr.
nota 258.
257
In particolare a Parigi dove ebbe come maestro Jacques-Louis David (1748-1825)
e Roma, dove entrò a far parte della schiera di artisti che gravitava intorno a Thorvald-
sen (cfr. nota precedente).
258
Si citino qui (come spunto per opportuni approfondimenti) i nomi di Ernst
Meyer, Martinus Christian Wesseltoft Rørbye, Albert Küchler, Wilhelm Ferdinand
Bendz (1804-1832), Carl Christian Constantin Hansen, Fritz Petzholdt, Jørgen Roed,
Vilhelm Nikolai Marstrand, Sophus Peter Lassenius Schack (1811-1864) e Adam
August Müller (1811-1844). Cfr. nota 256.
259
Sull’uso della mitologia nell’arte nordica si veda il breve saggio di H. Kuhn: “The
native alternative. Visual representation of Northern mythology in 19th century Scan-
dinavia”, in Heitmann A. – Hoff K. (hrsg.), Ästhetik der skandinavischen Moderne,
Frankfuhrt a.M. 1998, pp. 343-361.
260
Ciò del resto corrisponde, non solo in Danimarca, a quella ‘poesia del paesaggio’
di derivazione romantica che certamente traeva origine anche dalla consolidata tradi-
zione topografica.
261
Vd. p. 849 con nota 781. Su Christen Købke, certo assai dotato, si rimanda a
Nørregård-Nielsen. H.E. – Monrad K., Christen Købke 1810-1848, København
1996; cfr. nota 256.
262
Vd. pp. 396-397.
263
Su Peter Andreas Heiberg vd. p. 811 con nota 567.
264
Il primo Hartmann ad affermarsi in Danimarca come musicista era stato Johann
Ernst, giunto a Copenaghen dalla Slesia nel 1762 (cfr. p. 543, nota 65 e p. 854 con
nota 815). Musicisti di un certo talento furono anche i suoi figli Johan Ernst (1770-
1844), organista, Ludvig August (1773-1831), violinista, e August Wilhelm (1775-1850),
padre del nostro Johan Peter Emilius e suo primo maestro. La madre di Johan Peter
Emilius era Christiane Petrea Frederica Wittendorff (1778-1848), il cui padre era, a
sua volta, cantore. Anche Wilhelm Emilius Zinn Hartmann (1836-1898), figlio di Johan
Peter Emilius, sarebbe divenuto compositore ed esecutore. Vd. Sørensen I., Hartmann.
Et dansk komponistdynasti, København 1999.
265
Si trattava, più che altro, di una scuola di canto. Un vero e proprio Reale con-
servatorio musicale danese (Det Kongelige Danske Musikkonservatorium) avvierà la
propria attività nel 1867, grazie al lascito di un mecenate, il gioielliere Peter Wilhelm
Moldenhauer (1800-1864), grande appassionato di musica. La direzione di questo
istituto sarà affidata a Niels Wilhelm Gade.
266
La società cesserà di esistere dopo quasi un secolo, nel 1935. Vd. Hammerich
A., Musikforeningens Historie 1836-1886, [s.l.] 1886 (= II vol. di Ravn V.C. – Hamme-
rich A., Festskrift i Anledning af Musikforeningens Halvhundredaarsdag). Di notevole
importanza sarà poi l’Associazione Cecilia (Cæciliaforeningen) fondata nel 1851 dal
compositore Henrik Rung (1807-1871); essa avrebbe cessato l’attività nel 1934.
267
Cfr. anche nota 232.
268
Il suo pezzo più noto è Champagnegaloppen, composto nel 1845 in occasione del
decennale dei Giardini di Tivoli. Un film dal medesimo titolo girato (1938) dal regista
danese George Schnéevoigt (vd. p. 1189) si ispira alla vita di questo autore. Nel 1863
Hartmann e Gade saranno tra i fondatori del Conservatorio musicale di Copenaghen
(Københavns Musikkonservatorium), più tardi Reale conservatorio musicale (Det
Kongelige Danske Musikkonservatorium; cfr. nota 265).
269
Suo padre Antoine Bournonville (1760-1843) che lavorava nel teatro svedese
voluto da Gustavo III (dove nel 1773 era stata aperta una scuola di ballo) era stato
chiamato presso il balletto nazionale danese dal coreografo italiano Vincenzo Galeot-
ti (1733-1816) che era giunto in Danimarca nel 1775 e vi sarebbe rimasto fino alla
morte.
moderno (cfr. p. 601, nota 333), aveva scritto anche una storia della poesia in due
parti: Poesiens historia (= vol. II: 1-2 e II: 3-4 di ASSOS, Örebro 1861) cui poi fece
seguire Grunddragen af Forn-skandinaviska och svenska Vitterhets historia intill
Stjernhielm (= vol. IV di ASSOS, Örebro 1864) e Ästetiska Afhandlingar (= vol. V di
ASSOS, Örebro 1866). Su di lui Tykesson E., Atterbom. En levnadsteckning, Stockholm
1954.
277
Altre riviste di rilievo del periodo sono Polyphem (1809-1812) di carattere criti-
co-letterario, il Calendario poetico (Poetisk calender, 1812-1822), la Rivista letteraria
svedese (Svensk Litteratur-Tidning, 1814-1824) e Svea (uscita negli anni 1818-1829 e
1831-1832; per il significato del titolo vd. p. 701, nota 103).
278
Sul significato di Manhem si rimanda a p. 583, nota 245. Vd. Hedin G.,
Manhemsförbundet. Ett bidrag till göticismens och den yngre romantikens historia,
Göteborg 1928.
279
L’iniziativa infatti era partita all’interno di una scuola privata fondata a Stoccol-
ma da Lars Afzelius (1779-1847) e successivamente gestita dal fratello Arvid August
(sul quale poco oltre).
280
L’unico prosatore svedese di un certo rilievo nei primi decenni dell’Ottocento è
Fredrik Cederborgh, per altro ben lontano dallo spirito romantico (1784-1835).
281
Sulle “saghe del tempo antico” o “saghe leggendarie” (fornaldarsögur) vd.
5.2.4. La versione più antica della Saga di Friðþjófr il prode (Friðþjófs saga hins
frækna) risale alla fine del XIII secolo o all’inizio del XIV. Essa fu resa in svedese
(e in latino) nell’opera Nordiska Kämpa Dater di Eric Julius Biörner del 1737 (nr.
6: Sagan Af Fridthjof den Fräcka eller modiga / Historia De Fridthiofo Fræknio Seu
animoso); cfr. p. 592. Si ricordi qui che anche Tegnér era membro dell’Associazio-
ne goticista. Su Tegnér vd. Böök F., Esaias Tegnér. En biografi, I-II, Stockholm
1963.
282
Su di lui Böök F., Erik Johan Stagnelius, Stockholm 1919.
283
Frutto della sua ricerca sono due testi: Tradizioni delle danze popolari svedesi
(Traditioner af Swenska Folk-Dansar, 1814-1815) edito in collaborazione con Olof
Åhlström (cfr. p. 856 con nota 830) e Canzoni popolari svedesi del passato (Svenska
folkvisor från forntiden, I-III, 1814-1817) in collaborazione con Erik Gustaf Geijer
(che in realtà si limitò a scrivere l’introduzione). Più tardi (1834-1842) uscirà la rac-
colta Antichi canti svedesi (Svenska fornsånger) curata da Adolf Ivar Arwidsson (1791-
1858).
284
Cfr. nota 130 e p. 1071, nota 475.
285
Vd. p. 916.
286
Un precursore di questa ‘letteratura d’ambiente paesano’ è da riconoscere nello
svedese Gunno Dahlstierna (su cui cfr. p. 609, nota 376 e p. 614, nota 401).
287
Su di lui Romberg B., Carl Jonas Love Almqvist. Liv och verk, Stockholm 1993.
288
Sul movimento femminista vd. 12.3. Sulla Bremer vd. p. 1055.
296
Membro dell’Associazione goticista, egli l’aveva lasciata nel 1817 in polemica
con Geijer, il quale in un articolo sulla rivista da essa edita (“Betraktelser i afseende på
de Nordiska Mythernes anwändande i skön konst”, Iduna, nr. 7, 1817, pp. 86-132,
firmato G – r.) si era espresso in senso contrario.
297
Noto tra l’altro per i quadri ispirati all’ambiente sami ma anche per il celebre
Incendio del castello a Stoccolma 7 maggio 1697 (Slottsbranden i Stockholm den 7 maj
1697, 1864) conservato nel Museo nazionale (Nationalmuseum) della capitale svedese
e considerato il suo capolavoro. Cfr. p. 618, nota 415.
298
A Düsseldorf molti avrebbero assimilato la lezione del norvegese Tidemand (vd.
pp. 937-938 e pp. 1091-1092) e molti sarebbero rimasti. Tra questi Bengt Nordenberg
(1822-1902), Ferdinand Julius Fagerlin (1825-1907), August Jernberg (1826-1896),
Axel Wilhelm Nordgren (1828-1888) e lo stesso d’Uncker.
299
Oltre a diversi lavori a tema classico, a lui si devono il busto del poeta Carl
Michael Bellman (vd. pp. 836-838) che si trova a Stoccolma sull’isola di Djurgården,
la statua di Linneo collocata nel giardino botanico di Uppsala e quelle di alcuni sovra-
ni svedesi.
300
Vd. sopra, nota 294.
301
La più importante realizzazione in questo stile è il castello di Rosendal sull’isola
di Djurgården a Stoccolma che si deve, appunto, a Fredrik Blom. Sua è anche la chie-
sa sull’isolotto di Skeppsholmen (Skeppsholmskyrkan) costruita tra il 1824 e il 1842.
Vd. Roth Th., Fredrik Blom. Karl Johans arkitekt, Stockholm 2009.
302
Nel 1832 insieme al disegnatore Mikael Gustaf Anckarsvärd (1792-1832) e
all’appassionato di arte conte Axel Gabriel Bielke (1800-1877) fondò a Stoccolma la
prima Società dell’arte (Konstföreningen).
303
A Scholander si devono anche gli interni del Museo nazionale (Nationalmuseum)
di Stoccolma, costruzione realizzata su progetto dell’architetto tedesco Friedrich August
Stüler (1800-1865). Tra gli allievi di Scholander Herman Holmgren (1842-1914) che
realizzò il palazzo universitario di Uppsala e Helgo Zettervall (vd. p. 1097).
304
Un autore come Per Frigel (1750-1842), a esempio, appare fortemente influen-
zato dai musicisti tedeschi.
305
Dopo un primo periodo in Svezia (1793-1799), dalla quale era stato allontanato,
egli era stato attivo in Danimarca. Bandito anche da qui per intrighi amorosi, fu riam-
messo in Svezia nel 1812.
310
Egli sviluppò l’idea del francese Claude Chappe (1763-1805) di un telegrafo otti-
co. Ma fu anche tra i primi traduttori di Ossian (vd. Graves 2004 [C.10.5], p. 201 e p.
204). Sua è una Ode al popolo svedese (Ode till svenska folket, 1786), pubblicata anoni-
mamente, un testo impregnato di nazional-romanticismo; vd. Wiklund R., “Kungens
gunstling fick fart på telegrafen”, in PH 2008: 8, pp. 42-45. Cfr. p. 991, nota 158.
311
Su Svea vd. p. 701, nota 103.
312
Vd. p. 1084.
313
Vd. p. 1099.
314
Vd. sopra, pp. 913-914.
315
Per correttezza occorre qui tuttavia ricordare un autore minore come Johan
Storm Munch (1778-1832), ammiratore di Oehlenschläger (vd. p. 914), che fu tra i
primi a sperimentare nuove forme poetiche.
feiden (termine letteralmente traducibile come “contesa dei pezzi”) si sviluppò all’inter-
no della Società degli studenti norvegesi (Det Norske Studentersamfund, fondata nel
1813) dove essi si scambiarono brevi pezzi sarcastici. Divenuta di pubblico dominio (fu
particolarmente accesa tra il 1832 e il 1833), essa diede origine alla radicale controversia
che sempre caratterizzò il rapporto fra i due, divisi da opinioni inconciliabili. Nel 1832
Welhaven insieme ai suoi amici lasciò l’associazione studentesca e ne fondò una propria
(Studenterforbundet). I suoi seguaci (tra i quali Peter Andreas Munch, su cui poco più
avanti) costituivano il cosiddetto “Partito dell’intelligenza” (Intelligenspartiet; cfr. p. 806,
nota 542), noto anche come “Truppa” (Troppen), mentre i sostenitori di Wergeland – che
ironicamente definivano gli avversari “danomani” (danomanerne) – erano noti come
“Patrioti” (Patriotene) o anche “Partito della norvegicità” (Norskhedspartiet). Il gruppo
di Welhaven diede alle stampe (1832-1834) il settimanale Vidar, il cui nome fa riferimen-
to alla figura mitologica del dio nordico Víðarr, figlio di Odino, del quale è detto che
nell’ultimo giorno ucciderà il lupo Fenrir, simbolo del male cosmico (vd. Chiesa Isnardi
20084 [B.7.1], pp. 188-189). L’allusione a una lotta senza quartiere contro l’avversario è
qui del tutto evidente. Successivamente le idee propugnate da Welhaven avrebbero
trovato voce sul quotidiano conservatore Il costituzionale (Den Constitutionelle, 1836-
1847), fondato dall’amico Johan Dahl (1807-1877), figura di grande importanza nel
mondo culturale norvegese, in quanto editore di molte opere degli autori più significa-
tivi del periodo. Il gruppo guidato da Wergeland pubblicò invece il periodico Foglio
popolare (Folkebladet, cfr. nota 320) marcatamente antidanese.
323
La nonna materna era infatti di origine danese ed era cugina dello scrittore Johan
Ludvig Heiberg (vd. p. 921), mentre il nonno paterno era tedesco.
324
Significativamente fatta uscire da Johan Dahl (cfr. sopra, nota 322) nel giorno
del compleanno di Oehlenschläger (vd. p. 914) essa era naturalmente rivolta contro i
nazionalisti radicali. Ne conseguì una rinnovata polemica, nota come Dæmringsfeiden
(dove feiden “contesa”), alla quale partecipò attivamente anche il padre di Wergeland,
Nicolai (vd. p. 873, nota 50 e p. 876), il quale arrivò a proporre di dare alle fiamme le
copie del libro di Welhaven in occasione del 17 maggio, data simbolica per il Paese (il
che, in alcuni casi, avvenne veramente). Si noti qui che il termine dæmring è, in realtà,
ambiguo, in quanto significa tanto “alba” quanto “crepuscolo”.
325
Vd. oltre, pp. 1242-1243.
326
Fin dal 1833 egli aveva pubblicato le Fiabe norvegesi (Norske Sagn, seconda
edizione 1844).
327
Norske Folkeviser, 1853. Da notare qui che per il proprio lavoro Landstad ave-
va utilizzato anche materiale raccolto da Olea Crøger (1801-1855), la quale si era
dedicata alla ricerca delle ballate popolari (e delle melodie relative) della zona del
Telemark. Su di lei, unica donna di questo gruppo di studiosi, vd. Heggtveit H.G.
– Berge R., Olea Crøger, Risør 1918.
328
Le prime Fiabe popolari norvegesi (Norske Folkeeventyr) furono pubblicate in
quattro fascicoli tra il 1841 e il 1844, l’edizione completa ampliata (cui qui si fa riferi-
mento) nel 1852. Da solo Asbjørnsen pubblicò le Fiabe su esseri sovrannaturali e rac-
conti popolari (Norske Huldreeventyr og Folkesagn, 1845-1848) che riflettono il persi-
stere nel folclore della credenza su esseri sovrannaturali e della possibilità per gli
umani di incontrarli (per la precisione il termine hulder indica una figura femminile
dall’aspetto attraente, ma con la schiena cava e una lunga coda come di una mucca,
che dimora nelle colline e nelle montagne e che cerca di attirare a sé gli uomini in
giovane età). Come è lecito attendersi questi lavori ebbero una numerosa serie di
edizioni (e riedizioni).
329
Su di lui vd. Allwood M.S., Eilert Sundt. A Pioneer in Sociology and social
Anthropology, Oslo 1957 e anche Stenseth B., “Eilert Sundt som nasjonalromantiker”,
in VP 1800-tallet, pp. 77-90.
330
Si tratta dei medesimi studiosi a cui si deve l’avvio della raccolta delle antiche
leggi norvegesi (NGL).
331
La quale riprendeva e sviluppava studi dello storico Gerhard Schøning (cfr. p.
721, nota 184 e p. 793 con note 488 e 490). Vd. Bonafede C. Wiborg, Innvandringslæren
hos Jakob Rudolf Keyser og Peter Andreas Munch, Oslo 1956. Su Keyser vd. Koht H.,
“Rudolf Keyser”, in Syn og Segn, 1962, pp. 137-142.
Aall (1771-1833); gran parte delle costruzioni tradizionali che si trovano nel museo
erano state raccolte su iniziativa di re Oscar II che si era adoperato per sostenere la
cultura norvegese.
336
Andreas era figlio di Johan Storm Munch (cfr. nota 315).
337
Nella prima metà dell’Ottocento il teatro norvegese muove i primi passi; vd.
oltre, pp. 1079-1080. Il celebre syngespil di Bjerregaard, dal titolo Fiaba di montagna
(Fjeldeeventyret, 1825) fu il primo del genere in Norvegia e fu musicato da Waldemar
Thrane (su cui poco più avanti). Intimo amico di Bjerregaard fu Conrad Nicolai Schwach
(1793-1860) che, seppure attratto dalla nuova estetica (fu tra l’altro traduttore di
Atterbom e Stagnelius; vd. pp. 923-924 e p. 925), rimane ancora legato alle forme
espressive del Settecento.
338
Cfr. p. 938 e p. 1029. In precedenza erano stati composti diversi ‘canti naziona-
li’, quale – a esempio – Per la Norvegia [nell’anno] 1808 (For Norge 1808) del poeta
Ole Christian Bull (1762-1814, cfr. nota 365), testo rimasto per altro inedito (per i
riferimenti ai manoscritti vd. O. Chr. Bull, Leilighetsdikt, med en avhandling om
språkformen, Kristiansundsdialekt, av D.A. Seip, Oslo 1942, pp. 35-36 e p. 97, nr. 59).
339
Dal 1911 ha preso il nome di Scuola statale dell’artigianato e dell’industria
artistica (Statens håndverks- og kunstindustriskole). Dal 1996 fa parte della Scuola
superiore dell’arte (Kunsthøgskolen) creata in quell’anno per raccogliere diversi isti-
tuti attivi nel campo dell’arte, della musica e del teatro.
340
A Flintoe si devono anche le incisioni (di chiara impronta nazionalistica) inseri-
te nell’edizione delle saghe dei re di Jacob Aall del 1838-1839 (vd. sopra, nota 334).
341
Tuttora attiva come Oslo Kunstforening, essa ospita dunque la più antica galleria
d’arte del Paese. In Norvegia la prima esposizione artistica permanente fu aperta nel
castello di Christiania nel 1841.
342
Vd. pp. 1006-1007.
343
Un ‘precursore’ della pittura paesaggistica di stampo romantico può essere visto
in Johan Friedrich Leonhard Dreier (1775-1833), che ha lasciato numerose raffigura-
zioni della città di Bergen.
344
Su di lui Willoch S., Maleren Thomas Fearnley, Oslo 1932.
345
Questo artista fu il primo ad attribuire un grande valore pittorico ai paesaggi
della Norvegia settentrionale. Altri interessanti pittori norvegesi romanticamente
ispirati da questo territorio sono Knud Baade (subito oltre citato) e Christian Due
(1805-1893). Vd. Kværne P. – Malmanger M. (red.), Un peintre norvégien au Louvre.
Peder Balke (1804-1887) et son temps / A Norwegian painter in the Louvre. Peder
Balke (1804-1887) and his times, Oslo 2006.
364
Si tratta di un testo pubblicato in forma anonima nel 1771 dal titolo Dialogo
tra Einar Jermonsøn e Reidar Randulvsøn di Opland nella diocesi di Akershus in
Norvegia (Samtale imellem Einar Jermonsøn og Reidar Randulvsøn paa Opland i
Aggershuus-Stift i Norge) da attribuire all’ecclesiastico Rejer Giellebøl (1737-1803):
esso è redatto nel dialetto orientale della zona di Vik. Vd. Seip D.A., “Et norsk
stridsskrift mot embedsmagten fra trykkefrihetstiden”, in NHT III (1916), pp. 397-
406.
365
Qui ci si riferisce in particolare alle cosiddette “canzoni della vallata” (døleviser)
composte nel dialetto di Gudbrandsdalen attorno al 1770. In questo contesto vanno
ricordati altri poeti: il funzionario Tomas Rosing De Stockfleth (1742-1808) che nel
medesimo dialetto scrisse (1770 o 1771) un componimento dal titolo Ritorno a casa
(Heimattkomsten); Hans Hanson (1777-1837), autore di poesie nel dialetto di Telemark
(vd. Schneider J.A., Bygdemaalsdigteren Hans Hanson, Kristiania 1909); Ole Christian
Bull che compone volentieri nel dialetto di Kristiansund, suo luogo natale (vd. O. Chr.
Bull, Leilighetsdikt, citato alla nota 338, un testo in cui alle pp. 43-44 sono riportate
notizie su altri poeti dialettali). La tradizione di una ‘letteratura dialettale’ è rappre-
sentata anche da autori come Mons Lie (1757-1827), Tarjei Vinsvaal (1770-1832), Hans
Allum (1777-1848) e Tormod Knutsson Borgegjorde (1797-1868), ma anche dal pit-
tore, prosatore e poeta Simon Olaus Wolff (1796-1859). Vd. anche Skard 1972-1979
(B.5), II, pp. 118-120.
366
Tra le quali Christiania andava assumendo crescente importanza anche da que-
sto punto di vista.
367
O anche norvego-danese: tale denominazione fu usata per la prima volta nel
1817; vd. Skard 1972-1979 (B.5), III, p. 7. Una distinzione fra tre varianti: i dialetti
parlati nelle zone rurali e vicini all’antico nordico, la lingua parlata nella città (il
‘norvegese’ influenzato dal danese e dalla lingua letteraria) e la lingua scritta (in
sostanza il danese) viene fatta nel 1832 in un articolo “Sulla lingua norvegese” (“Om
norsk språk”) del giurista e politico di opposizione Jonas Anton Hielm (1782-1848),
il quale sottolinea altresì la necessità di mettere ordine nella confusa situazione lin-
guistica del Paese (lo scritto di Hielm è riportato in Fra norsk språkhistorie. En
antologi ved E. Hanssen, Oslo 19792, pp. 108-118). È evidente che, tenuto conto
della conformazione geografica del Paese e della ubicazione dei centri urbani, la
suddivisione tra i ‘diversi tipi’ di norvegese risulta più articolata. Vemund Skard
sottolinea come anche nelle zone circostanti le città si parlasse una lingua sostanzial-
mente impostata sul danese, seppure meno raffinata (Skard 1972-1979 [B.5], II, pp.
115-116).
368
Va però rilevato come la possibilità di una ‘separazione linguistica’ della Norve-
gia dalla Danimarca fosse stata considerata fin dalla seconda metà del Settecento,
trovando poi un convinto assertore in Gregers Fougner Lundh, economista ma,
soprattutto, promotore del risveglio culturale del suo Paese; vd. Skard 1972-1979 (B.5),
II, pp. 127-128 e Andresen A.Fr., “Gregers Fougner Lundh – nasjonsbyggeren (1786-
1836)”, in VP 1800-tallet, pp. 37-63.
369
Su Lundh cfr. nota precedente, su Bjerregaard cfr. p. 935 con nota 337 e p. 1029.
370
Il che si rileva soprattutto nell’inserimento di termini ripresi dai dialetti e nell’adat-
tamento delle forme grafiche alla pronuncia, ma in parte anche nella morfologia, nella
sintassi, nella formazione delle parole e nello stile (per gli esempi si rimanda a Skard
1972-1979 [B.5], III, pp. 30-38).
371
Il testo Om norsk Sprogreformation è riportato in Fra norsk språkhistorie (indi-
cazioni alla nota 367), pp. 131-156.
372
HWSS III: i, p. 447 (da Statsborgeren, 10 marzo 1833). Si tratta di un elenco di
otto norme inteso a contribuire al miglioramento della lingua norvegese.
373
In ciò inaugurando quello che sarà il successivo dibattito ortografico che met-
terà in luce la necessità di vere e proprie riforme in questo ambito.
384
Il cambio di denominazione è avvenuto nel 1929, contestualmente a quello del
landsmaal; vd. Lov om lærerskoler med nye navn på de to mål (approvata all’Odelstinget
il 1 febbraio e al Lagtinget il 21 febbraio di quell’anno). Si fa qui notare che nell’indi-
cazione delle denominazioni di queste lingue si è preferito usare la grafia dell’epoca in
cui esse furono coniate (dunque landsmaal e riksmaal anziché landsmål e riksmål),
mentre per bokmål si è preferito ricorrere alla grafia stabilita dalla riforma ortografica
del 1917. Su Knudsen cfr. p. 825, nota 654.
385
Si ricordi anche la fondazione nel 1868 della casa editrice Det Norske Samlaget
i cui promotori si prefiggevano lo scopo di pubblicare libri in landsmaal.
386
Si citi qui la nascita di associazioni linguistiche attive in questo ambito come la
Vestmannalaget, sorta a Bergen nel 1868 (e dunque la più antica del Paese), la Norigs
Maallag (ora Noregs Mållag, 1906) intesa a promuovere il landsmaal e l’Associazione
per il riksmaal (Riksmaalforbundet fondata nel 1907 da Bjørnstjerne Bjørnson (vd. p.
1079). Ma si ricordi anche il caso di Wollert Konow (1845-1924), primo ministro tra
il 1910 e il 1912 che, per essersi espresso in favore del landsmaal nel corso di una
conferenza, fu costretto alle dimissioni in quanto si sostenne che non aveva mantenu-
to una posizione di equidistanza a riguardo.
401
Per molti versi in contrasto con Il corriere del sud.
402
Nei testi di carattere mitologico Fjölnir, che significa “assai sapiente” (o “eclet-
tico”), è uno dei numerosi appellativi del dio Odino (vd. Chiesa Isnardi 20084 [B.7.1],
p. 203). Un altro personaggio dal medesimo nome era, secondo Snorri Sturluson (sul
quale vd. p. 287, nota 13), un leggendario re svedese, figlio del dio Freyr, che regnò a
Uppsala dopo suo padre. È detto che una volta questo re si recò in Selandia da Fróði
dove fu allestito un grande banchetto. In questa occasione ci furono grandi bevute. In
seguito a ciò durante la notte Fjölnir uscì dalla sua stanza (dormiva al piano superiore)
per fare i propri bisogni, ma poiché era ubriaco fradicio e assonnato quando volle
tornare a letto inciampò e cadde dentro un grande recipiente, posto nel cortile interno,
che era colmo di idromele e lì morì annegato (Ynglinga saga, cap. 11). La figura di
Fjölnir e la sua storia fanno evidente allusione al dio della fecondità (cui rimanda anche
il nome Fróði attribuito nella tradizione a diversi personaggi leggendari); vd. Chiesa
Isnardi G., “Il re sacrificato. Morte rituale del sovrano nell’antica società nordica”, in
I gesti del sacro. Rito e rituali (= I quaderni di Avallon, XXXI, 1993), pp. 108-109 e
Chiesa Isnardi 20084 (B.7.1), pp. 280-281. Vd. inoltre Kristjánsson A., “Fjölnir. 159.
ár”, in Skírnir CLIX (1985), pp. 29-44.
403
“Il primo punto è l’utilità. Tutto ciò che verrà detto nella rivista concorre a una
qualche utilità. Per questo si richiede che esso riguardi la vita e il comportamento degli
uomini e provi ad abbattere quegli ostacoli che sono posti a una più razionale orga-
nizzazione e al benessere, o dalla natura o dalla società umana o dall’intimo dell’uomo
medesimo […] Il secondo punto che noi non intendiamo mai dimenticare è la bellez-
za. Essa è legata all’utilità in così grande misura che ciò che è bello è sempre utile,
spiritualmente o fisicamente, o così [concorre] all’accrescimento dell’utilità. Tuttavia
la bellezza per sua natura non è in alcun modo dipendente da quella, piuttosto è così
eccellente che tutti gli uomini devono desiderarla per se medesima […] Il terzo punto
è la verità. La ragione ha sete della verità per se stessa; essa le è tanto preziosa che ogni
volta [non deve] domandarsi di che utilità sia; essa è tanto indispensabile all’anima
quanto il cibo al corpo […] Ma al quarto posto sta quella cosa, senza la quale tutto ciò
che prima è stato detto non avrebbe per l’uomo alcun valore, e questa cosa, in ogni
impresa umana, deve essere al primo posto davanti a tutte le altre, e stare particolar-
mente a cuore a tutti gli scrittori. La ragione non chiede solo ciò che è utile e bello e
vero, piuttosto anche ciò che è buono e morale” (DLO nr. 163).
404
Vd. “Brynjólfur Pétursson, stjórnardeildarforseti” e “Tómas Sæmundsson,
prófastur”, in BR, pp. 127-130 e pp. 114-117, rispettivamente.
405
Alla ‘decontaminazione’ della lingua contribuirono anche i docenti della scuo-
la di Bessastaðir (vd. p. 731, nota 234), tra cui Hallgrímur Scheving (1781-1861)
filologo, linguista e insegnante di Konráð Gíslason, e Sveinbjörn Egilsson (1791-1852),
teologo, traduttore e poeta cui si devono, tra l’altro, versioni islandesi di celebri testi
greci come l’Iliade e l’Odissea, ma anche la traduzione dell’Edda di Snorri. Egli inol-
tre ha lasciato un dizionario della lingua degli scaldi (Lexicon poëticum, pubblicato a
Copenaghen nel 1860), successivamente rivisto e ampliato dal linguista e filologo
Finnur Jónsson (cfr. p. 1102, nota 627); un lavoro che resta un punto di riferimento
per gli studi in materia (in Bibliografia [B.5] è indicata la prima edizione nella revi-
sione di Jónsson). Vd. “Sveinbjörn Egilsson, kennari og skáld”, in BR, pp. 97-100 e
“Konráð Gíslason, prófessor”, ibidem, pp. 123-126.
406
Vd. p. 877 e p. 880.
407
Vd. “Jónas Hallgrímsson, skáld”, in BR, pp. 118-122.
408
Vd. oltre, p. 1076 con nota 495.
Si tratta del monte Esja (o Esjan), alto 914 mt. che si trova a circa 10 km. a nord
410
di Reykjavík.
411
DLO nr. 164.
12.1. Scandinavismo
1
Tra i ‘precedenti’ dello scandinavismo va ricordata la fondazione a Londra nel
1786 della Società nordica (Det nordiske Selskab) voluta dal norvegese Johan (John)
Collett (1758-1810), appartenente a una famiglia di industriali del legname, che risie-
deva e lavorava in quella città. Essa riuniva diversi membri della colonia nordica.
Nella primavera del 1792 lo storico danese Frederik Sneedorff (1760-1792), figlio del
celebre Jens Schelderup Sneedorff (vd. p. 805 e p. 834) tenne qui un importante
discorso nel quale auspicava la fondazione in tutte e tre le capitali nordiche di simili
associazioni e sottolineava l’appartenenza di Danesi, Svedesi e Norvegesi alla comune
patria scandinava. È questa, verosimilmente, la prima volta in cui il termine ‘scandi-
navo’ acquisisce, oltre a quello geografico, un significato culturale (vd. Petersen –
Andersen 1932-1934 [B.4], p. 966 e p. 980).
quale Carl Parmo Plough (del quale poco più avanti) tenne un discorso in cui parlò
esplicitamente della necessità dell’unione politica fra i Paesi scandinavi, ma anche (15
giugno) l’intervento del re Oscar I il quale si impegnava per una difesa comune (vd.
Hallendorf 1914, p. 9). Per l’incontro di Copenaghen del 1862 il musicista danese
Otto Johann Anton Dütsch (1823-1863) compose appositamente una Polka delle dame
scandinave (De skandinaviske Damers Polka).
9
Cfr. p. 904 e p. 934, nota 332.
10
Cfr. p. 903, nota 175.
11
Vd. pp. 270-272.
12
Vd. sopra, p. 930.
13
In questo contesto, come si vede, gli Islandesi restano ai margini manifestando
scarso coinvolgimento. Va tuttavia citato qui il poeta Grímur Thomsen (cfr. p. 842,
nota 737 e p. 1076 con nota 491) il quale, unico rappresentante di quel Paese, parte-
cipò al grande raduno di Uppsala del giugno 1856 dove prese anche la parola (vd.
BJÖRNSSON A., “Grímur Thomsen og Uppsalamótið”, in Árbók Landbókasafns Íslands
– Nýr flokkur, XIV [1988], pp. 5-15).
Klas Pontus Arnoldson, 1844-1916) aveva fondato la Società per gli Stati liberi del
Nord (Nordisk Fristats-Samfund, attiva senza troppo successo fino al 1882), immagi-
nando la possibilità di una sorta di confederazione repubblicana tra i Paesi nordici.
20
In concomitanza di questa decisione le antiche valute (i rigsdaler danesi, i riksdaler
svedesi e gli speciedaler norvegesi) vennero sostituiti dalle “corone”: dan. krone (pl.
kroner), norv. (bm e nn) krone (pl. kroner, nn anche kronor), sved. krona (pl. kronor),
islandese króna (pl. krónur). I daler (denominazione nordica dei “talleri” erano mone-
te d’argento che cominciarono a essere coniate in Scandinavia a partire dalla prima metà
del XVI secolo. Dall’inizio del XVII compare in Svezia la denominazione riksdaler
“talleri del Regno”, mentre in Danimarca e Norvegia si parla di speciedaler (“talleri in
specie”) detti successivamente in Danimarca krondaler “talleri della Corona” e infine
rigsdaler “talleri del Regno” (nella colonia islandese, dove tuttavia la circolazione di
denaro restò molto a lungo assai limitata, ríkisdalir). Una frazione del “tallero” era lo
“scellino” (dan. sved. e norv. skilling, isl. skildingur). L’unione valutaria scandinava
sarebbe sopravvissuta allo scioglimento dell’unione tra Svezia e Norvegia ma si sarebbe
infranta contro la crisi economica determinata dalla prima guerra mondiale. L’accordo,
concluso il 27 maggio fu pubblicato il 26 giugno 1873 (se ne veda la versione danese: Lov
nr. 66 af 23. maj - møntlov). La legge norvegese al riguardo fu emessa il 17 aprile 1875
(NL 1682-1934, pp. 234-237). L’unione monetaria cessò formalmente di esistere nel 1924.
21
Su cui vd. oltre, pp. 1013-1016.
22
In danese Foreningen Norden, in norvegese Foreningen Norden (bm) e Foreiningen
Norden (nn), in svedese Föreningen Norden. Successivamente l’associazione fu istitui-
ta anche in Islanda (Norræna félagið, 1922), in Finlandia (Pohjola Norden, 1924) e in
territori dotati di una certa autonomia come le Føroyar (Norrøna Felagið, 1951), le
isole Ahvenanmaa (sved. Åland, 1970) e la Groenlandia (1991). Sedi dell’associazione
esistono anche in Russia, Estonia, Lituania e Lettonia.
Nel 1787 il re svedese Gustavo III aveva compiuto una visita a Cope-
naghen. In tale occasione sulla rivista Minerva26 comparve un breve
articolo, nel quale si sottolineava l’importanza della comune cultura dei
popoli nordici, e un saluto in versi al re svedese. Anche in questo testo il
termine ‘scandinavo’ arricchisce il suo significato prettamente geografico
di una precisa valenza culturale.27 Si legga:
“Il 29 di questo mese nella capitale del Regno ci fu una visita, troppo
importante, perché non sia annotata nei nostri diari. Il re Gustavo III di
Svezia giunse del tutto inaspettato in visita d’amicizia al re danese. Certa-
mente per ogni scandinavo è una visione entusiasmante, vedere i popoli dei
tre Regni, rappresentati dai loro monarchi,28 camminare amichevolmente
l’uno accanto all’altro mano nella mano. Che cosa c’è di più bello, quale
emblema più significativo dell’auspicata concordia, amicizia e piena com-
prensione tra quelle nazioni, che la vicinaza, la comune origine, il comune
interesse, lingua, usanze, tutto unisce?”
23
In danese e norvegese Foreningerne Nordens Forbund, in svedese Föreningarna
Nordens Förbund, in islandese Samtök Norrænu Félaganna, in finnico Norden-yhdistys-
ten liitto.
24
In danese e norvegese Nordisk råd, in svedese Nordiska rådet, in islandese Norður-
landaráð, in finnico Pohjoismaiden neuvosto. Vd. pp. 1234-1235.
25
Dopo lo scioglimento dell’Unione sovietica i contatti e la collaborazione con i
Paesi baltici (Estonia, Lituania e Lettonia) si sono intensificati ed è stato anche pro-
posto di accoglierli come membri all’interno del Consiglio.
26
Vd. p. 809.
27
Cfr. sopra, nota 1.
28
Si ricordi qui che Danimarca e Norvegia ancora condividevano un unico sovrano.
29
DLO nr. 165-166.
30
Vd. Thorkildsen 1997 (A), pp. 157-160.
12.2.1. Danimarca
nel quale tuttavia non sarebbero mancati, fin dagli inizi, quei con-
trasti che anche successivamente ne avrebbero determinato una
scomposizione e una (temporanea) ricomposizione. Del resto,
benché restassero (anzi si accentuassero) le differenze tra contadi-
ni proprietari delle terre e braccianti, la situazione nel mondo
agrario era notevolmente migliorata in quanto il governo aveva
acconsentito a diverse richieste, abolendo antichi privilegi dei
signori.42 I quali ultimi nel 1864 costituirono il gruppo noto come
Possidenti nazionali (De Nationale Godsejere) naturalmente orien-
tato a destra e che il partito della Destra (Højre) avrebbe contribui-
to a costituire nel 1881. Una grande importanza aveva avuto fin dai
primi decenni dell’Ottocento la componente nazional-liberale che
reclamava le riforme e si batteva per la questione dei ducati, indi-
cando come confine meridionale irrinunciabile la linea segnata dal
corso del fiume Eider. I nazional-liberali avevano avuto molta voce
in capitolo nell’elaborazione della costituzione del 1849, ma in
seguito alla sconfitta del 1864 (al termine di una guerra che i loro
rappresentanti avevano sostenuto) persero gran parte del proprio
consenso e finirono per spostarsi, inevitabilmente, a destra.43
L’insuccesso del 1864 doveva in effetti rimescolare le carte
della politica. L’anno successivo i medesimi nazional-liberali
davano vita all’Associazione del popolo danese (Dansk Folkefore-
ning) il cui scopo era di rinnovare lo spirito nazionale, rafforzan-
do i legami con gli abitanti danesi dello Schleswig. Anima dell’as-
sociazione era, ancora una volta, Orla Lehman (alla cui morte
politiche di attualità. Sulla storia della Sinistra danese vd. Nørgaard F. – Jensen H.
(red.), Venstres Historie i Danmark gennem 100 Aar, I-II, Odense 1937-1938. Si pre-
cisa che il termine ‘Sinistra’ va qui inteso nel senso di opposizione liberale alle forze
conservatrici.
42
Tra le leggi che favorirono il progresso del mondo rurale ci fu nel 1845 la libe-
ralizzazione del commercio dei prodotti agricoli (Fr., ang. Opkiøb af landmandens
Producter, 23 aprile 1845) e nel 1861 (19 febbraio) un decreto che favoriva coloro
che conducevano un podere in enfiteusi (anche se in esso si teneva debito conto degli
interessi dei proprietari terrieri): Lov om nogle Forandringer i Fæstelovgivningen.
43
L’Eider (danese Ejderen) scorre a sud dello Schleswig. Fin dall’inizio del IX
secolo questo corso d’acqua aveva avuto grande importanza nella determinazione di
una linea di confine tra i territori tedeschi e quelli danesi (cfr. p. 233 e pp. 1413-1414).
La ‘politica dell’Eider’ (Ejderpolitiken) venne formulata da Orla Lehman (vd. p. 863)
fin dal 1842 e sostenuta nel corso di quelli che sono ricordati come gli “incontri al
Teatro Casino” (Casinomøderne) tenuti nel marzo del 1848 a Copenaghen (si ricordi
che subito dopo in quello stesso mese fu insediato il “governo di marzo”; vd. p. 863).
In sostanza i promotori di questa idea davano per scontata la rinuncia al ducato del
Holstein, mentre ritenevano che lo Schleswig dovesse far parte integrante del Regno
danese. In effetti la responsabilità politica delle due guerre per i ducati (1851-1854
e 1864) ricade in gran parte, nel bene e nel male, sui nazional-liberali.
44
Rappresentanti eminenti del gruppo furono anche Carl Christian Hall (1812-1888,
cfr. nota 47) e il giornalista Carl Steen Andersen Bille (1828-1898) che dal 1852 pub-
blicò il Foglio quotidiano (Dagbladet), autorevole organo di stampa che dava voce
all’opinione dell’alta borghesia (negli ultimi decenni del secolo il giornale perse di
importanza ma fu comunque pubblicato fino al 1931).
45
I suoi rappresentanti principali furono Jakob Marius Elieser Kristian Gad (1827-
1902), Carthon Kristoffer Valdemar Nyholm (1829-1912) e Niels Christian Frederik-
sen (originariamente Friderichsen, 1840-1905).
mocratico, era stato nel 1871 Louis Pio (1841-1894). Dopo un’in-
fanzia difficile, sia per motivi economici sia per problemi familiari,
egli era stato per un periodo insegnante, poi impiegato postale,52
un lavoro sicuro che tuttavia avrebbe lasciato per dedicarsi alla
politica. Influenzato dalle idee socialiste (soprattutto dal tedesco
Ferdinand Lassalle, 1825-1864), cominciò − con la collaborazione
del cugino Harald Brix (1841-1881) − a pubblicare i propri scritti
e in seguito si adoperò per fondare una sezione danese dell’Inter-
nazionale socialista, l’Associazione internazionale dei lavoratori di
Danimarca (Den internationale arbejderforening for Danmark)
sorta il 15 ottobre 1871 a Copenaghen. Nel maggio del 1872 Pio
fu arrestato insieme al cugino e a Poul Johansen Geleff (nato nel
1842, morto in America in data ignota) per aver convocato una
manifestazione operaia.53 Condannato a cinque anni di prigione fu
comunque liberato in anticipo e riprese l’attività politica. In con-
trasto con molti dei suoi e costantemente tenuto d’occhio dalla
polizia, decise infine di trasferirsi in America (Kansas) con l’idea
di fondarvi una comunità modello. Progetto che, per altro, fallì. In
patria il lavoro da lui avviato andò comunque avanti e nel 1878
nacque l’Associazione socialdemocratica (Socialdemokratisk
Forbund), un partito (i cui primi due rappresentanti in parlamento
vennero eletti nel 1884)54 destinato a rivestire un’importanza fon-
damentale per il Paese: esso recepiva pienamente le idee socialiste
(tra l’altro considerava la Chiesa come un naturale avversario) ma
non aveva tendenze rivoluzionarie. Suo organo di stampa fu Il
socialista (Socialisten) fondato dallo stesso Luis Pio nel 1871.55 Dopo
l’imprigionamento di Pio e dei suoi compagni i lavoratori diedero
vita a diversi sindacati, tuttavia a causa della crisi economica degli
anni ’70 un organismo forte e rappresentativo sarebbe sorto solo
alla fine del secolo.
La Destra stava, per il momento, al potere. E al potere salda-
52
È noto che fu proprio Pio a disegnare le caratteristiche cassette postali di colore
rosso che si vedono ovunque in Danimarca.
53
Vd. nota 90.
54
Si trattava di Peder Thygesen Holm (1848-1898) e di Christen Ivar Hørdum
(1846-1911).
55
Il giornale, stampato a Copenaghen, si chiamò in seguito (1874-1959) Il socialde-
mocratico (Social-Demokraten) e poi Attualità (Aktuelt, 1959-2001), per un decennio
tuttavia (1987-1997) Attualità libera (Det Fri Aktuelt). In precedenza (dal 1871) Louis
Pio aveva pubblicato i Fogli socialisti (Socialistiske Blade) che furono poi sostituiti da
Il socialdemocratico. Tra i primi giornali dei socialisti vanno segnalati anche il Settima-
nale socialdemocratico (Socialdemokratisk Ugeblad, 1883-1884) di Aarhus, divenuto in
seguito Il democratico (Demokraten) e uscito fino al 1974.
59
Su di lui vd. Jørgensen Troels G., Andreas Frederik Krieger. Juristen – politikeren
– borgeren, København 1956.
63
Si tratta dell’esecutivo presieduto da Carl Theodor Zahle (cfr. nota 60) il quale
restò in carica, con l’appoggio dei socialdemocratici, tra il 28 ottobre 1909 e il 5 luglio
1910.
64
Cfr. nota precedente.
65
Danmarks Riges Grundlov af 5. juni 1915. Significativamente siglata il 5 giugno,
medesimo giorno dell’emanazione della costituzione del 1849 (cfr. p. 864 con nota 20).
66
Vd. p. 862 con nota 10.
67
Dal punto di vista elettorale la costituzione revisionata del 1866 introdusse ulte-
riori restrizioni per l’elezione del Senato, il che accentuò la sua caratteristica di assem-
blea che rappresentava le classi privilegiate.
68
Cfr. nota 19 e p. 1057.
69
In precedenza (1904) ella aveva fondato l’Associazione politica delle donne
(Politisk Kvindeforening), fortemente orientata a sinistra. Elna Munch aveva infatti
idee radicali ed entrò a far parte del partito della Sinistra radicale fin dalla fondazione.
Nell’articolo “La battaglia delle donne per il diritto di voto” (“Kvindernes valgretskamp”),
comparso sulla rivista Il nuovo secolo (Det ny Aarhundrede, 1906: II, pp. 349-359), ella
riassume la lotta per una pari dignità a partire dalla rivoluzione francese. Elna Munch
fu una delle prime donne danesi a essere eletta in parlamento. Oltre che per il diritto
di voto si adoperò per il raggiungimento della parità di trattamento salariale fra uomi-
ni e donne e all’interno del matrimonio. Inoltre si espresse a favore dell’ammissione
delle donne al sacerdozio (cfr. più avanti, pp. 1070-1072).
70
Per la verità già in precedenza le donne erano state ammesse a votazioni di mino-
re importanza come i consigli parrocchiali, le commissioni comunali per l’infanzia, gli
enti di gestione dell’assistenza sociale.
71
Si vedano le leggi dell’8 maggio 1894 (Lov om Adgang til at afløse Tiender) e,
soprattutto, quella del 15 maggio 1903 (Lov om Afløsning af Tienden, con relativa
notifica del 1 ottobre successivo). In quella stessa data fu anche riformato il sistema
fiscale (vd. in particolare: Lov om Ejendomsskyld e Lov om Indkomst- og Formueskat
til Staten).
72
Agli inizi del XX secolo anche i piccoli coltivatori (husmænd, sing. husmand, che
tuttavia avevano una situazione giuridica diversa dai husmenn norvegesi, su cui vd. p.
717, nota 168) formarono delle associazioni di categoria per rivendicare i propri
diritti. Su di loro si veda Skrubbeltrang F., Husmænd i Danmark gennem 300 Aar,
København 1942.
73
In questo contesto va ricordato il ruolo svolto dalla Società danese delle brughie-
re (Det danske Hedeselskab, tuttora attiva), fondata nel 1866 dal giurista Georg Mor-
ville (Niels Georg Christian, 1817-1904) e dall’ufficiale e ingegnere Enrico Mylius
Dalgas (1828-1894).
74
Per la cui costituzione si adoperarono in diversi casi attivisti della Sinistra come
Lars Bjørnbak e Carl Christian Alberti (1814-1890), padre di Peter Adler Alberti.
75
Questi consorzi (che ebbero rapida diffusione) sorsero in primo luogo per la
produzione dei prodotti caseari e della carne. Vd. Ravnholt H., Il movimento coope-
rativo in Danimarca, Roma 1953.
76
Nel 1898 veniva fondata la A/S Vølund, importante fabbrica di macchinari tuttora
attiva, sviluppatasi da una semplice officina aperta nel 1875. Il nome Vølund fa riferimen-
to al celebre fabbro della mitologia nordica (vd. Chiesa Isnardi 20084 [B.7.1], pp. 439-442).
77
Nel cui ambito (e in quello dei macchinari relativi) si segnala la FLSmidth fonda-
ta a Copenaghen nel 1882 e tuttora attiva.
78
Nel 1872 Carl Frederik Tietgen (vd. p. 981) diede l’avvio alle Fabbriche danesi
dello zucchero (De danske Sukkerfabrikker) che inglobarono precedenti raffinerie.
L’attività è proseguita all’interno della Danisco che nel 2009 ha ceduto questo settore
alla tedesca Nordzucker.
79
La celebre fabbrica di birra Tuborg venne fondata nel 1874; nel 1881 le Fabbri-
che danesi di alcolici (De Danske Spritfabrikker) di Carl Frederik Tietgen (vd. nota
precedente) e Chresten Andreas Olesen (1845-1920).
80
Come il cantiere navale Burmeister & Wains Maskin- og Skibsbyggeri sorto nel
1871 a Christianshavn. L’impresa era dovuta originariamente all’iniziativa di Hans
Heinrich Baumgarten (1806-1875) che nel 1843 aveva aperto un’officina meccanica.
Successivamente egli era entrato in società con Carl Christian Burmeister (1821-1898)
e insieme avevano costruito la prima nave (1858). Poi Baumgarten si ritirò e Burmeister
portò avanti l’attività.
81
Nell’ambito del commercio va menzionata la nascita (1897) della Compagnia
dell’Asia orientale (Østasiatisk Kompagni), fondata da Hans Niels Andersen (1852-
1937), tuttora in piena attività (è nota come øk). Nell’ambito dell’industria navale il
varo (1912) del primo bastimento transoceanico, Selandia, spinto da motore diesel
anziché a vapore.
82
Una precedente Società per l’artigianato nazionale (Selskabet for indenlandsk
Kunstflid) era sorta nel 1808 per iniziativa del naturalista Carl Gottlob Rafn (cfr. p.
775, nota 415), redattore della rivista Notizie dal commercio e dall’industria (Handels-
og Industrie-Tidende, che uscirà con diverse intitolazioni tra il gennaio 1782 e il dicem-
bre 1851). Aperta ai Danesi ma anche ai Norvegesi, essa aveva lo scopo di promuo-
vere i prodotti manufatturieri nazionali (a scapito delle importazioni dal nemico
inglese) anche premiando quelli migliori. Simili organismi erano poi sorti nel resto del
Paese. Nel 1911 l’Associazione mercantile industriale diverrà il Consiglio industriale
(Industrirådet), un organismo che nel 1990 confluirà nella [Confederazione del-
l’]industria danese (Dansk Industri). Di quest’ultima fa parte anche l’Associazione
danese dei datori di lavoro (Dansk Arbejdsgiverforening), sorta nel 1896 dall’unione
di diverse sigle minori.
83
Queste esposizioni, come quelle organizzate precedentemente e successiva-
mente a Stoccolma, Göteborg (vd. p. 993) e (di minori dimensioni) Christiania nel
1857 e nel 1861, furono ispirate all’ideale scandinavistico che ancora si voleva
perseguire.
84
Junigrundloven, VIII, § 88.
85
Lov om Haandværks- og Fabriksdrift samt Handel og Beværtning m.m. (29
dicembre 1857), successivamente modificata e integrata con un nuovo provvedi-
mento (23 maggio 1873: Lov om Forandring i og Tillæg til Lov om Haandværks- og
Fabriksdrift m.m. af 29de December 1857). Per una eliminazione dei dazi e un com-
mercio davvero libero si era adoperato soprattutto Andreas Peschcke Køedt (1845-
1929), imprenditore e politico che aveva soggiornato in Inghilterra, avendo modo di
conoscere da vicino la politica economica di quel Paese. Nel 1908 sarà emanata una
legge (dall’iter molto contrastato) per l’abbassamento dei dazi (Lov om Toldafgifterne,
5 maggio 1908).
86
Essa era stata introdotta da Erik di Pomerania nel 1427 o 1429 (vd. p. 440; cfr.
p. 532, nota 7).
nazional-liberali e collaboratore del loro giornale Fædrelandet (cfr. p. 953 e p. 864, nota 19).
medesimo anno). Successivamente (1876) l’istituto confluì in quella che venne detta
Scuola della società tecnica (Det tekniske selskabs skole). Nel 1906 dalla collaborazione
tra l’Associazione industriale mercantile e l’[Ufficio] comune di rappresentanza per
l’industria e l’artigianato (Fællesrepræsentationen for dansk Industri og Haandværk,
sorto nel 1879) nacque l’Istituto tecnologico (Teknologisk Institut), tuttora esistente,
mentre nel 1911 il Consiglio industriale (vd. nota 82) darà vita, insieme all’Associazione
degli artigiani (vd. nota 87) al Museo tecnico di Danimarca (Danmarks tekniske museum).
102
Vd. p. 884.
103
Si veda il § 90: “I bambini, i cui genitori non hanno possibilità per occuparsi della
loro istruzione, riceveranno insegnamento gratuito dalla scuola pubblica” (DLO nr. 168).
104
Su modello delle Realschulen tedesche, esse proponevano un insegnamento
allargato a discipline utili a formare gli allievi che dovevano poi dedicarsi ad attività
pratiche, come a esempio il commercio. Già previste nella legge sulle scuole urbane
del 1814 (vd. p. 883, nota 87), che consentiva di aprire delle “scuole reali cittadine”
(borgerlige realskoler) nei maggiori centri (§§ 1-3), si diffusero tuttavia più tardi.
105
In danese seminarier (sing. seminarium); vd. Lov om Lønninger for de ved Skole-
lærerseminarierne ansatte Forstandere og Lærere, om Undervisningen ved disse samt om
en ny Skolelærerexamen og ministeriets Bekjendtgørelse (15 febbraio 1857) e Lov om
Seminarier og Prøver for Lærere og Lærerinder i Folkeskolen m.m. (30 marzo 1894).
Una precedente legge riferita a questi istituti risaliva al 1818 (Reglement for samtlige
Skolelærer-Seminarier i Danmark, in Schou XVIII [Abbr.], pp. 6-28, 10 febbraio 1818).
Qui si può leggere De Coninck-Smith N. “‘At give Gud hvad Guds er og Keiseren hvad
Keiserens er’ 1850’ernes danske skolelovgivning og den offentlige debat om almue-
skolen”, in DHT VI: 2 (1985), pp. 240-257.
106
Loven om undervisningen i de lærde skoler i Danmark (1 aprile 1871); cfr. p. 497,
nota 115, p. 638, nota 503 e p. 686 nota 36.
107
Lov om forskellige Forhold vedrørende folkeskolen, 24 marzo 1899 e Lov om
højere Almenskoler m.m. (più semplicemente nota come Almenskoleloven, 24 aprile
1903). Alla prima seguì una circolare relativa ai programmi di insegnamento (Cirkulære
om undervisningsplaner for de offentlige folkeskoler, 6. april 1900), per la prima volta
stabiliti da un’autorità centrale. Cominciò così ad affermarsi il principio della “scuola
unificata” (enhedsskole).
114
Si tratta della prima multinazionale danese. Sorta per iniziativa dell’imprendito-
re Carl Frederik Tietgen (sul quale poco oltre) essa avrebbe creato una rete di comu-
nicazioni dall’Inghilterra ai Paesi nordici alla Russia, rete che sarebbe poi stata estesa
al Giappone e alla Cina (il collegamento fra Shangai e l’Europa attraverso la Siberia
fu attivo dal 1 gennaio 1872), cui si sarebbe aggiunto un collegamento tra la Danimar-
ca e la Francia.
115
Anche questa si deve all’iniziativa di Tietgen. Il telefono era giunto in Danimar-
ca nel 1877. Presso questa società lavorò, a partire dal 1893, Valdemar Poulsen (1869-
1942), inventore (1898) del ‘telegrafone’ (registratore a filo) e realizzatore di altri
importanti dispositivi per le comunicazioni radiotelegrafiche (ticker, ‘arco di Poulsen’).
116
Questa banca sorse nel 1857 per iniziativa di un gruppo di commercianti ade-
renti alla Società dei grossisti (Grosserer Societetet), nucleo di quella che in seguito sarà
la Camera di commercio (Handelskammeret). Nel 1871 nascerà come società per
azioni la Banca agricola delle ipoteche e del cambio (Den danske Landmandsbank,
Hypothek- & Vexelbank) destinata a divenire, come Banca danese (Danske bank), il
maggiore istituto di credito del Paese: suo primo direttore sarà Isak Glückstadt (1839-
1910), uno dei nomi di rilievo della grande finanza del periodo; due anni dopo sarà la
volta della Banca commerciale di Copenaghen (Københavns Handelsbank) che molto
più tardi (1990) si fonderà con la precedente. Su Tietgen cfr. nota 78.
117
Nel 1907 nella centrale elettrica di Skovshøved (in Selandia a nord di Copena-
ghen) si passò dalla corrente continua alla corrente alternata.
12.2.2. Svezia
127
Kungl. Maj:ts och Rikets Ständer fastställda Riksdagsordning, dat. Stockholm den
22 juni 1866. Con l’emanazione di questa riforma vennero anche eliminati i privilegi
dei diversi stati.
128
In termini monetari: un introito annuale di almeno 4000 riksdaler specie (cioè
quelli coniati in argento) oppure un capitale di almeno 80.000.
129
Si tenga anche presente che per l’elezione delle amministrazioni locali (che in
gran parte a loro volta designavano poi i membri della Prima Camera) il diritto di voto
era ‘graduato’, cioè proporzionato all’ammontare del patrimonio del singolo elettore,
il che evidentemente favoriva i più ricchi il cui voto poteva arrivare a contare come un
centinaio (nelle campagne anche migliaia) di voti altrui.
130
Stabilito in un introito annuale minimo di 800 riksdaler specie.
135
Vd. sopra, p. 983 con nota 122. La pena di morte venne tuttavia mantenuta e
sarebbe scomparsa per i reati civili solo con deliberazione parlamentare sancita dal
sovrano il 30 giugno 1921 (Lag om ändring i vissa delar af strafflagen), mentre per
quelli di carattere militare si sarebbe dovuto attendere il 1973 (vd. in particolare Lag
om upphävande av lagen [1948: 450] om dödsstraff i vissa fall då riket är i krig, del 26
gennaio). Il numero delle condanne andò comunque calando; l’ultima donna a essere
giustiziata fu Anna Månsdotter (1841-1890), l’ultimo uomo Alfred Ander (1873-1910),
entrambi colpevoli di omicidio. Vd. Bruun J-E., “Sista avrättningen i Sverige”, in PH
2010: 11, pp. 16-17.
136
Fin dal 1860 era stata emanata una legge che aboliva le sanzioni per chi avesse
abbandonato la Chiesa svedese (il che in sostanza significava che essa cessava di esse-
re a tutti gli effetti Chiesa di Stato) e introduceva una certa libertà per i cattolici
(Förordning angående främmande trosbekännare och deras religionsöfning, 23 ottobre
1860, cui era abbinata una nuova normativa relativa a “chi si convertisse a una dottri-
na erronea o la diffondesse”: Kongl. förordningen den 23 Oktober 1860, angående
ändring i gällande bestämmelser om ansvar för den, som träder till eller utsprider
villfarande lära); questa legge fu ulteriormente migliorata nel 1873 (Kongl. Maj:ts
nådiga förordning angående främmande trosbekännare och deras religionsöfning; Gifwen
Stockholms Slott den 31 Oktober 1873), facendo seguito ad altre precedenti delibe-
razioni relative alle riunioni religiose dei non luterani, all’abolizione delle pene in
relazione alla pubblica proclamazione di ‘dottrine erronee’ e alla possibilità di avere
diritto al voto o all’eleggibilità indipendentemente dalla fede praticata. Una piena
libertà religiosa sarebbe tuttavia stata garantita solo nel 1951 (Religionsfrihetslag; given
Stockholms slott den 26 oktober 1951). Si tenga presente che tanto Desideria, moglie
di Carlo XIV Giovanni, quanto Giuseppina (Josefina) di Leuchtenberg (1807-1876),
moglie di Oscar I, erano cattoliche, il che aveva coinvolto anche la corte nelle proble-
matiche relative alla libertà religiosa.
137
Le figure di maggior rilievo erano i rappresentanti dei contadini Carl Ifvarsson
(1818-1889) e Jöns Rundbäck (1830-1895), il conte Arvid Posse (1820-1901) che
sarebbe stato primo ministro tra il 1880 e il 1883 e il possidente Carl Frederik Emil
Key (1822-1892). Vd. Svensén E., Karl Ifvarsson och Landtmannapartiet, Stockholm
1890 e Bokholm R., Kungen av Skåne. En bok om statsmannen Arvid Posse, Lund 1998.
Il primo rappresentante di questo partito a diventare ministro (dell’agricoltura) fu nel
1905 Alfred Petersson (1860-1920).
138
Il Partito degli agricoltori e dei cittadini è stato presente in parlamento fino al
1934.
139
Tra i fondatori vanno menzionati Christian Lundeberg (1842-1911), primo
ministro che avrebbe gestito lo scioglimento dell’unione con la Norvegia nel fatidico
anno 1905 (vd. p. 1016); l’industriale e possidente Gustaf Fredrik Östberg (1847-1924);
lo storico Harald Gabriel Hjärne (1848-1922). All’Associazione generale degli eletto-
ri aderirono anche i rappresentanti dell’Associazione patriottica (Fosterländska förbun-
det) fondata nel 1893 ma successivamente ritiratasi dalla scena politica.
140
Esso si rifaceva alla Società neoliberale (Nyliberala sällskapet) fondata a Stoccol-
ma l’anno precedente. I suoi rappresentanti più eminenti erano il militare e politico
Julius Mankell (1828-1897) e il pubblicista Sven Adolf Hedin (cfr. p. 953 e nota 179).
141
Principali rappresentanti dei neoliberali furono lo scrittore e giornalista August
Blanche (1811-1868; cfr. nota 418 e nota 531), coloni come Jonas Andersson di Häckenäs
(1810-1887), Johan Svensén (1823-1883) e Ola Jönsson di Kungshult (1826-1904).
142
Essa infatti era nota in precedenza come Partito ministeriale (Ministeriella partiet).
I suoi rappresentanti più in vista erano l’imprenditore Johan August Gripenstedt poi
ministro delle finanze (vd. pp. 991-992) e il giurista Axel Bergström (1823-1893).
143
Al Partito comune dei liberali aderirono anche i rappresentanti di un preceden-
te Partito popolare attivo in parlamento tra il 1895 e il 1900. Due anni dopo veniva
costituita l’Associazione nazionale liberale (Frisinnade landsföreningen) come ente di
coordinamento dei suoi elettori. L’attuale Partito popolare risale al 1934, anno in cui
dopo una serie di divergenze politiche e conseguenti formazioni di nuovi gruppi i
membri dei due principali partiti liberali svedesi allora esistenti, il Partito liberale di
Svezia (Sveriges liberala parti) e il Partito popolare liberale (Frisinnade folkpartiet),
entrambi sorti in seguito a una spaccatura all’interno del Partito comune dei liberali,
decisero di fondersi, accogliendo anche i rappresentanti di alcune formazioni minori.
Cfr. oltre, p. 1126, nota 51.
144
Come il Club di discussione dei contadini (Bondeska diskussionsklubben) e il
Club di discussione di Friesen (Friesenska diskussionsklubben) che traeva il proprio
nome dal fondatore, Sixten Gabriel von Friesen (1847-1921).
145
Vd. Palm A., Hvad vil sosialdemokraterna? Föredrag i Malmö den 6 november
1881, med inledning och kommentar av J. Lindgren, Stockholm 1932. Sugli inizi del
Partito socialdemocratico vd. Nordström H., Sveriges socialdemokratiska arbetare-
parti under genombrottsåren 1889-1894, Stockholm 1938.
146
Esso uscì tra il 1882 e 1885.
147
Il giornale sarebbe stato edito fino al 1944. Successivamente con il nuovo titolo
di Giornale del mattino (Morgon Tidningen) avrebbe proseguito le pubblicazioni fino
al 1958.
148
In quello stesso anno esso avrebbe anche tenuto il suo primo congresso. Il pro-
gramma presentato in questa occasione marca le caratteristiche fondamentali dell’ideo-
logia di questo partito che, nella sintesi tra le idee di Marx e quelle di Ferdinand
Lassalle (1825-1864), mirava a una società pienamente democratica la cui politica
fosse determinata dalla volontà popolare attraverso il suffragio universale. In effetti
con la sua attività questa formazione – ora Partito socialdemocratico dei lavoratori
della Svezia (Sveriges socialdemokratiska arbetareparti) – ha grandemente contribuito
alla realizzazione del cosiddetto welfare state svedese (cfr. pp. 1210-1211).
149
Ci si riferisce qui, in particolare, alla proposta di quella che venne presto battez-
zata “legge museruola” (munkorgslagen), un provvedimento (su modello tedesco)
approvato in quello stesso anno (7 giugno), dal governo del conservatore Gillis Bildt
(1820-1894), con il quale si vollero inserire nel codice penale i reati di incitamento (con
parole o scritti) alla sedizione e all’agitazione sociale (cfr. Eek 1942 [C.10.4], pp. 193-204).
150
Vd. Franzén N-O., Hjalmar Branting och hans tid. En biografi, Stockholm 1985
e Zennström P-O., Axel Danielsson. En biografi, Lund 1983. Axel Danielsson nel 1887
aveva fondato il settimanale Il lavoro (Arbetet) che sarebbe poi divenuto quotidiano.
Un’altra pubblicazione di orientamento socialista sarebbe stata la rivista Il tempo (Tiden)
avviata da Branting nel 1908.
151
Per la verità il ‘compromesso’ di Boström seguiva analoghe risoluzioni risalenti al
1873, anno in cui la carica di primo ministro era ricoperta da Louis de Geer, e al 1885
quando alla guida del governo c’era Oscar Robert Themptander (1844-1897). La rifor-
ma definitiva della difesa con l’introduzione della leva generale obbligatoria in sostitu-
zione del sistema dell’indelningsverket (vd. p. 658 con nota 584) sarebbe stata approva-
ta il 23 maggio 1901 quando il governo era presieduto da Fredrik Wilhelm von Otter
(1833-1910). L’obbligo generale di leva è stato abolito il 16 giugno 2009 (si veda in
proposito il documento Statens offentliga utredningar 2009: 63). Sull’argomento si
rimanda a Ericson Wolke L., Medborgare i vapen. Värnplikten i Sverige under två sekel,
Lund 1999.
152
Göran Fredrik Göransson (1819-1900), commerciante e industriale, fondò nel
1862 una importante acciaieria, la Sandvikens Jernverks AB, divenuta in seguito l’at-
tuale multinazionale Sandvik. Il metodo per la produzione dell’acciaio cui Göransson
riuscì a dare applicazione pratica prende nome dall’ingegnere inglese Henry Bessemer
(1813-1898); vd. Lange E.F., Bessemer, Göransson and Mushet. A contribution to
technical history, Manchester 1913. Un altro ‘pioniere dell’acciaio’ svedese è Johan
159
Fin dal 1846 era stata emanata una legge che permetteva agli artigiani di stabi-
lirsi nelle campagne, liberalizzando il commercio in quelle zone e, di fatto, abolendo
le corporazioni (cfr. p. 897 con nota 145). Dal 1864 questa libertà venne estesa al
territorio delle città e si permise anche alle donne di svolgere liberamente attività
commerciali (Kongl. Maj:ts Nådiga Förordning, angående utwidgad näringsfrihet; Gif-
wen Stockholms Slott den 18 Juni 1864).
160
Vd. p. 898 con nota 149.
161
Figlio di Immanuel (1801-1872), ingegnere e a sua volta inventore, nel 1842
Alfred si era trasferito in Russia (San Pietroburgo) con la famiglia: lì essi si dedicarono
a diverse attività industriali tra cui lo sfruttamento dei giacimenti petroliferi. Nel 1863
tornò in Svezia.
162
Nel 1883 egli fondò la nota industria Alfa Laval.
163
La prima centrale elettrica svedese entrò in funzione a Stoccolma nel 1891; nel
1893 nel distretto minerario di Bergslagen fu immessa per la prima volta in circolazio-
ne una grande quantità di corrente alternata trifase. Più tardi si cominciò a costruire
centrali idroelettriche: nel 1909 fu fondata la Reale direzione [dello sfruttamento
energetico] delle cascate (Kungliga Vattenfallsstyrelsen, attuale Vattenfall di proprietà
statale) per gestire questi impianti. Tuttavia nell’illuminazione il petrolio e il gas (che
a loro volta avevano sostituito materiali tradizionali come olio di balena, di colza o
resina) furono definitivamente sostituiti dalle lampadine elettriche solo nel secondo
decennio del XX secolo.
164
Cfr. nota 629.
165
Si ricordino qui anche Johan Petter Johansson (1853-1943), detentore di un
centinaio di brevetti tra cui quello della chiave inglese regolabile; Frans Wilhelm
Lindqvist (1862-1931) inventore del fornelletto da campo e anche lo svedese-canade-
se Gideon Sundbäck (1880-1954) che apportò sostanziali modifiche alla chiusura
lampo, ideata in precedenza dal pioniere della macchina per cucire Elias Howe (1819-
1867), facendone un congegno di facile applicazione e comodo utilizzo.
166
Su di lui vd. Nilsson G.B., André Oscar Wallenberg 3. Ett namn att försvara
1866-1886, Stockholm 1994.
167
Del 1899 è la fondazione dell’Associazione delle cooperative (Kooperativa för-
bundet) che tuttora gestisce molte cooperative di consumo svedesi.
168
Precedenti esposizioni erano state organizzate a Stoccolma (1823 e 1851) e a
Göteborg (1836). Più avanti ci saranno la fiera di Gävle (Gästrikland) nel 1901, quel-
la di Norrköping (Östergötland) nel 1906 e quella di Malmö (Scania) nel 1914 oltre a
una nuova fiera nella capitale (1909).
punirli a termini di legge. A questo punto anche i più risoluti si arresero. Alcuni di loro
furono incarcerati tuttavia senza conseguenze troppo gravi (Boström ebbe sette settima-
ne di prigione). Nonostante la sconfitta questo sciopero – al contrario di precedenti (a
esempio quello del 1875 alla segheria di Sprängviken in Ångermanland) – ebbe una
grande eco e un forte impatto sociale e rese consapevoli i lavoratori dell’impossibilità di
ottenere risultati concreti senza avere alle spalle una efficiente organizzazione. Questa
fu anche la prima volta in cui i padroni fecero ricorso al potere pubblico per aver ragio-
ne degli scioperanti. Vd. Lundberg H., Sundsvallsstrejken 1879, Bjästa 1979 e anche
Söderlund G., “Isak Boström – arbetarnas talesman i sundsvallsstrejken”, in Fack-
föreningsrörelsen, 1941, pp. 397-401. In questo contesto occorre tuttavia anche ricorda-
re il caso particolare dell’industriale del legno Frans Kristofer Kempe (1847-1924) il
quale possedeva una segheria a Norrbyskär presso Umeå: lì egli aveva voluto realizzare
un villaggio modello nel quale vivevano i suoi dipendenti ai quali era garantita un’abita-
zione insieme ai servizi necessari (emporio, scuola, centro sanitario, chiesa).
176
Come nel caso della Danimarca (cfr. nota 88) il nome significa Organizzazione
nazionale ed è comunemente abbreviato in LO.
177
Letteralmente “comune dei lavoratori”. La sezione di Göteborg fu la prima a
essere fondata in Svezia (1890).
178
Per la precisione il titolo del giornale è Tempo nuovo. Sterky vi lavorò dal 1892
al 1898. In precedenza era stato economo de Il social-democratico.
179
Dal punto di vista della sicurezza del lavoro e dell’assistenza pensionistica occor-
re ricordare l’opera di Sven Adolf Hedin (cfr. p. 953 e nota 140), primo politico sve-
dese a proporre (1884) una legislazione in materia. La prima legge sulla sicurezza nei
luoghi di lavoro è del 1889 (Lag angående skydd mot yrkesfara; gifven Stockholm slott
den 10 Maj 1889); nel 1901 vennero stabiliti risarcimenti per gli infortuni sul lavoro
(Lag angående ersättning för skada till följd af olycksfall i arbete; gifven Stockholms
slott den 5 Juli 1901). Nel 1891 furono regolamentate le casse per malattia (Lag om
sjukkassor; gifven Stockholms slott den 30 Oktober 1891), nel 1906 fu promulgata la
legge per l’istituto di mediazione sulle controversie lavorative (Lag angående medling
i arbetstvister; gifven Stockholms slott den 31 december 1906 e Kungl. May:ts nådiga
instruktion för förlikningsmän för medling i arbetstvister, medesima data); nel 1913 fu
istituita la pensione di vecchiaia (Lag om allmän pensionsförsäkring; given i Stockholms
slott den 30 juni 1913): il limite d’età per usufruire di questo diritto era di sessantasei
anni.
180
Per la verità fin dal 1847 in Svezia il re Oscar I aveva promulgato una legge per
l’assistenza agli indigenti: in essa si stabiliva che questa responsabilità dovesse compe-
rile,181 suffragio universale. Per dar voce alle richieste furono orga-
nizzate imponenti manifestazioni e nuovi scioperi:182 il 1 maggio
venne celebrato per la prima volta in Svezia nel 1890 con la par-
tecipazione di migliaia di persone. Fu in tal modo evidente che
una efficiente organizzazione sindacale poteva davvero incidere
sulla vita e sui destini del Paese. Non casualmente nel 1902 veniva
fondata l’Associazione svedese dei datori di lavoro (Svenska Arbets-
givareföreningen, SAF) allo scopo di contrastare la crescita del
183
Nel 2001 la SAF si è fusa con l’Associazione degli industriali svedesi (Svensk
Industriförbund, sorta a sua volta nel 1910) a formare l’Associazione commerciale e
industriale svedese (Svenskt näringsliv, letteralmente “Imprenditoria svedese”).
184
Questo tipo di sindacato viene indicato con la sigla FCO (Facklig Centralorgani-
sation).
185
Schröder e Bergegren furono tra l’altro considerati gli ispiratori dell’attentato
alla nave Amalthea (vd. nota 182).
tati del congresso tenuto nel 1911) incarnato in primo luogo nella
figura di Carl Lindhagen (1860-1946) e si andò verso una collabo-
razione con i liberali che si sarebbe concretizzata nella coalizione
di governo in carica dal 1917 al 1920.
Del resto, il carattere sostanzialmente moderato della politica
svedese e la sua capacità di riformarsi dall’interno va ricondotto
anche a quel risveglio delle coscienze che in questo Paese, come
altrove, caratterizza il XIX secolo e si esprime nella nascita di chie-
se libere e movimenti popolari che, non a caso, appaiono frequen-
temente collegati alle nuove comunità sorte nelle zone industriali,
oppure traggono impulso e sostegno dall’ambiente degli emigrati.186
Già presenti nella prima metà del secolo187 essi ebbero grande dif-
fusione a partire dagli anni ’50, anche grazie alle leggi sulla libertà
religiosa e al decreto che aboliva il Konventikelplakatet.188 Figura
fondamentale in questo contesto è quella del predicatore laico Carl
Olof Rosenius (1816-1868), originario del Västerbotten, che si era
formato in un ambiente nel quale erano diffuse piccole comunità
religiose che si riunivano per attingere direttamente alla lettura
della parola di Dio.189 Influenzato dal metodista scozzese George
Scott (1804-1874), attivo a Stoccolma, con lui fondò la rivista Il
Pietista (Pietisten) nel 1842, il medesimo anno in cui Scott fu costret-
to a lasciare la Svezia. Rosenius ne raccolse, per così dire, l’eredità
e la cappella – nota come “chiesa inglese” (“engelska kyrkan”) – che
questi, insieme all’industriale Samuel Owen,190 aveva fatto erigere a
Stoccolma (1840) fu acquistata per la Fondazione evangelica patriot-
tica (Evangeliska fosterlandsstiftelsen) sorta nel 1856 per iniziativa
dell’ecclesiatico Hans Jakob Lundborg (1825-1867) con l’attiva
partecipazione di Rosenius stesso.191 Il carattere di questa organiz-
186
In questo contesto vanno doverosamente segnalati anche casi in cui le scelte
religiose (specie se in duro contrasto con la dottrina ufficiale) furono la ragione che
indusse taluni a emigrare. Si ricordi qui la setta degli Erik-jansarna, così detti in quan-
to seguaci di tale Erik Jansson (1808-1850) i quali si stabilirono nell’Illinois dove
fondarono una colonia.
187
Cfr. p. 896 con nota 138.
188
Kongl. Maj:ts Nådiga Förordning, angående serskilda sammankomster för andakts-
öfning; Gifwen Stockholms Slott den 26 Oktober 1858. Vd. p. 768 con nota 385 e cfr.
in questo capitolo la nota 136.
189
In svedese queste persone vengono definite con il termine läsare (letteralmente
“lettore”/“lettori”); vd. in proposito Hallingberg G., Läsarna. 1800-talets folkväckelse
och det moderna genombrottet, Stockholm 2010.
190
Cfr. p. 898. Scott era stato chiamato in Svezia da Owen nel 1830 perché si occu-
passe dell’assistenza religiosa ai lavoratori inglesi impiegati nella sua fabbrica. La
comunità di Scott costituì la prima “chiesa libera” di Svezia.
191
In tale occasione essa venne ribattezzata Chiesa di Betlemme (Betlehemskyrkan).
zione che (a partire dal 1902) si chiamerà Società svedese per l’asti-
nenza [dall’alcol] e l’educazione popolare (Svenska sällskapet för
Nykterhet och Folkuppfostran), volendo sottolineare gli scopi edu-
cativi della propria azione.195 I quali sono del tutto evidenti anche
nell’istituzione, per iniziativa del partito socialdemocratico, dell’As-
sociazione per la formazione dei lavoratori (Arbetarnas bildningsför-
bund, 1912). Del resto anche in Svezia si erano diffuse le “scuole
popolari superiori” (dette qui folkhögskolor) su modello danese,196
promosse, in primo luogo, da Leonard Pontus Holmström (1840-
1919). E tutta una serie di provvedimenti relativi all’istruzione (tra
gli altri quelli del 1842, 1856, 1870, 1882, 1905), in cui vengono
tenuti nella dovuta considerazione anche i percorsi formativi di
carattere più prettamente tecnico, dimostra in quale misura l’im-
portanza della gestione statale in questo campo sia ormai ben pre-
sente alla politica.197 Degli anni ’60 è la proposta del pubblicista e
dei lavoratori delle segherie di Sundsvall (vd. sopra, p. 995 con nota 175), i quali tra-
scorrevano il tempo a pregare e cantare salmi e si astenevano rigorosamente dal bere.
195
Nel 1917 verrà introdotto in Svezia il cosiddetto ‘sistema di Bratt’ dal nome del
medico Ivan Bratt (1878-1956) che lo aveva suggerito. Esso si proponeva di ridurre
il consumo di alcolici con l’introduzione di una sorta di registro personale di controllo, il
cosiddetto motbok (letteralmente “libro contro”) nel quale venivano annotati gli acquisti
di questo genere di bevande. L’assegnazione di un motbok dipendeva dalla condizione
sociale, dall’età e dal sesso della persona interessata. Nel medesimo 1917 veniva creata
una società per azioni (Aktiebolaget Spritcentralen) per la gestione statale della produzio-
ne di alcolici. Nel 1955 venne creato il cosiddetto Systembolaget, catena di negozi statali
con il monopolio della vendita degli alcolici (tuttora in funzione) e il motbok fu eliminato.
196
Cfr. p. 884. Le prime tre “scuole popolari superiori” svedesi furono aperte nel
1868 a Hvilan e Malmöhus in Scania e a Lunnevad nell’Östergötland; diverse altre
seguirono negli anni ’70.
197
Per il provvedimento del 1842 vd. p. 893 con nota 129; inoltre: Kongl. Maj:ts
Nådiga Stadga För Rikets Allmänna Elementar-Lärowerk; Gifwen Stockholms Slott den
14 Augusti 1856; Kongl. Maj:ts Nådiga Skrifwelse till Cancellers-Embetet för Universiteten
i Upsala och Lund, angående ändring i wissa §§ af Universitetsstatuterna, 16 aprile 1870, in
particolare Transsumt.af Kongl Maj:ts Nådiga Skrifwelse till Sundhets-Collegium angående
rättighet för qwinna till läkareyrkets utöfning m.m., 3 giugno 1870 (con il quale per la prima
volta si consentiva alle ragazze l’accesso allo studio della medicina); Kongl. Maj:ts förnyade
Nådiga Stadga angående folkundervisningen i riket; gifven Stockholms slott den 20 Januari
1882; Kungl. Maj:ts Nådiga Stadga för rikets allmänna läroverk; gifven Kristiania slott den
18 februari 1905 (che introduceva le scuole medie comunali). Nel 1849 una circolare del
6 luglio (Cirkulär till samtlige Consistorier i Riket och Direktionen öfwer Stockholms stads
Underwisningswerk, angående reglering af Elementar-lärowerken) introduceva, nella sostan-
za, le cosiddette realskolor (che anche qui diventeranno una sorta di ‘scuola media’ cfr. p.
978, nota 104) decretando al contempo la scomparsa delle apologistklasser (cfr. p. 892, nota
127); vd. Åstrand S., Reallinjens uppkomst och utveckling fram till 1878, Stockholm 1976
(in particolare pp. 61-72). Va rilevato tuttavia che fin dal 1767 l’ecclesiastico Nathanaël
Thenstedt (1731-1808) aveva aperto a Stoccolma uno di questi istituti su modello tedesco.
Le realskolor resteranno nell’ordinamento scolastico svedese fino al 1972.
198
Si citino qui, tra gli altri, i provvedimenti del 20 maggio 1927, osteggiato dalla
destra, che mirava a una equiparazione nell’accesso allo studio sia per quanto riguar-
dava la classe sociale, sia dal punto di vista del sesso degli allievi (vd. Bergman G.,
Skolreformen av år 1927. En orientering, Stockholm 1927); quello del 6 ottobre 1950
(Transsumt av Kungl. Maj:ts brev till skolöverstyrelsen angående riktlinjer för det svenska
skolväsendets utveckling m.m.) che introdusse la cosiddetta “scuola unificata” (enhetsskola);
quelli del 23 maggio 1962 (1962 års skollag, skolstadga och läroplan för grundskolan), che
al posto della scuola elementare popolare (folkskola) introducevano la cosiddetta “scuo-
la di base” (grundskola), obbligatoria, della durata di nove anni suddivisi (fino al 1994) in
tre livelli; l’ordinanza (Skolförordning) del 17 giugno 1971 (sia per la scuola elementare
sia per la superiore). Di recente (2011) sono stati pubblicati nuovi programmi di insegna-
mento, tra i quali ha particolare interesse quello per i ginnasi. Nelle scuole svedesi le
punizioni corporali sono state proibite con un regolamento emesso nel 1958 (Kungl. Maj:ts
stadga för folkskolor, fortsättningsskolor och försöksskolor. Given den 23 maj 1958, § 54;
cfr. la legge del 1962, V, § 26).
199
Segnale del mutamento di clima è anche la fondazione a Uppsala (1886) dell’as-
sociazione Studenti e lavoratori (Studenter och arbetare), cui altre simili seguirono, allo
scopo di creare, attraverso i rapporti interpersonali, le basi per costruire una società
nuova libera da pregiudizi.
200
Di interesse in questa prospettiva è un provvedimento del 1902 (K. Maj:ts nådi-
ga förordning om inkomstskatt; gifven d. 21 juni 1902) con il quale si introduceva in
Svezia il principio della autodichiarazione dei redditi ai fini della tassazione progres-
siva basata su di essi.
201
Cfr. nota 140. Uno dei più convinti promotori del suffragio universale fu il
giornalista Frans Gustaf Isidor Kjellberg (1841-1895).
202
Le fondatrici furono Anna Margreta (o Ann Margret) Holmgren (cfr. p. 1061),
Anna Whitlock (1852-1930), Lydia Wahlström (1869-1954) e Signe Wilhelmina Ulrika
cui (20 aprile) si era svolta una turbolenta dimostrazione per riven-
dicarlo. Dopo vari tentativi, il primo politico che affrontò seria-
mente la questione fu il liberale Karl Staaff (1860-1915), capo del
governo nel biennio 1905-1906, il quale coerentemente con le
proprie idee si dimise quando la sua proposta in merito fu respin-
ta dal parlamento.203 Staaff avrebbe tuttavia beneficiato della rifor-
ma migliorativa del suo successore, il conservatore Arvid Lindman
(1862-1936) che nel 1907 condusse in porto una modifica costitu-
zionale che introduceva il sistema proporzionale e il suffragio
universale (limitato agli uomini e comunque con alcune eccezioni)
nelle votazioni per la Seconda Camera:204 i liberali infatti vinsero le
elezioni del 1911 (le prime svoltesi secondo il nuovo sistema) ed
egli tornò al governo, questa volta proponendo il voto e l’eleggibi-
lità per le donne, il che tuttavia fu bocciato dalla Prima Camera.
La questione restò dunque in sospeso e sarebbe stata risolta solo
nel 1919.205 Del resto il nuovo sovrano, Gustavo V (Oscar Gustaf
Adolf, 1858-1950), salito al trono alla morte del padre nel 1907, non
Bergman (1869-1960). Il movimento, che era apartitico, si richiamava naturalmente
alle suffragette inglesi e tra il 1912 e il 1919 pubblicò il periodico Diritto di voto alle
donne (Rösträtt för kvinnor). Nel 1911 organizzò a Stoccolma la Conferenza interna-
zionale femminile. Per la verità il voto alle donne (solo a quelle che pagavano le tasse)
era stato concesso per le elezioni comunali fin dal 1862 (cfr. p. 985 con nota 134)
quando agli uomini era stato garantito il medesimo diritto indipendentemente dal ceto
sociale di appartenenza, ma graduato in base al patrimonio posseduto. Dal 1889 le
donne divennero eleggibili nei consigli scolastici e in quelli per la gestione dell’assi-
stenza sociale (Kungl. Maj:ts Nådiga Förordning angående ändrad lydelse af femte
stycket af § 23 i K. förordningen om kyrkostämma samt kyrkoråd och skolråd den 21
Mars 1862; gifven Stockholms slott den 22 Mars 1889).
203
Non si dimentichi qui che Karl Staaff era stato tra i fondatori (1882) dell’Asso-
ciazione Verdandi (Föreningen Verdandi, tuttora esistente) sorta nei circoli studenteschi
di Uppsala allo scopo di promuovere in primo luogo un’assoluta libertà religiosa, ma
anche la massima libertà di espressione: sin dall’inizio essa organizzò dibattiti su mol-
ti problemi sociali dell’attualità (anche quelli più ‘difficili’) e diversi tra i suoi membri
(basti ricordare Hjalmar Branting, vd. p. 989) divennero figure di tutto rilievo nella
società svedese. Vd. Zweigbergk O. von, Studentföregingen Verdandi genom femtio år.
Ur den svenska radikalismens historia, Stockholm 1932.
204
Questa legge fu definitivamente ratificata dal parlamento nel 1909: Lag om val
till Riksdagen; gifven Stockholms slott den 26 maj 1909. In quello stesso anno le
donne furono dichiarate eleggibili nei consigli comunali (le prime furono nominate
nelle votazioni dell’anno successivo): Lag angående ändring i vissa delar af förord-
ningen om kommunalstyrelse på landet den 21 Mars 1862; gifven Stockholms slott den
26 Mars 1909; Lag angående ändring i vissa delar af förordningen om kommunal-
styrelse i stad den 21 Mars 1862; gifven Stockholms slott den 26 Mars 1909; Lag an-
gående ändring i vissa delar af förordningen om kommunalstyrelse i Stockholm den 23
maj 1862; gifven Stockholms slott den 26 maj 1909. Lindman è ricordato anche come
colui che introdusse l’uso dei manifesti elettorali.
205
Vd. oltre, p. 1125 con nota 47.
206
Del 1912 è un celebre scritto di Sven Anders Hedin (cfr. nota 631), noto per i
molti viaggi di esplorazione in Asia, dal titolo Una parola di avvertimento (Ett var-
ningsord), nel quale egli metteva in guardia gli Svedesi dal pericolo russo: il testo ebbe
un incredibile successo di vendite superando il milione di copie. Nel medesimo anno
fu fondata l’Associazione svedese per la corazzata (Svenska pansarbåtsföreningen) il
cui scopo era quello di raccogliere fondi per completare la costruzione di una nave da
guerra, sospesa dal governo liberale di Staaff: il risultato fu presto raggiunto. Del resto
il pericolo di un espansionismo russo era stato ben presente anche al re Oscar II, la
cui ascesa al trono aveva significato un avvicinamento alla Germania (e parallelo
‘disimpegno’ rispetto alla Francia) proprio a motivo del fatto che ciò pareva rafforza-
re la Svezia nei confronti dei Russi. Tale avvicinamento si era presto esteso dall’ambi-
to della politica estera ad altri (economico, culturale, militare).
207
Fin dal secolo precedente l’attività fisica e sportiva aveva suscitato anche in
Scandinavia crescente interesse: si ricordi qui Per Henrik Ling (vd. pp. 926-927) ma
anche il suo allievo migliore, il politico socialista Hjalmar Branting (vd. p. 989), così
come l’avvio delle gare sciistiche in Norvegia nel 1879. Sulle Olimpiadi di Stoccolma
del 1912 si rimanda a Isaksson Cl., Stockholm 1912. Första moderna olympiska spelen.
Människorna, idrotten och Sverige, Stockholm 2011. Qui può essere interessante ricor-
dare che nel 1834 (vale a dire ben sessanta anni prima di de Coubertin!) lo svedese
Gustaf Johan Schartau (1794-1853) allievo di Per Henrik Ling, aveva organizzato dei
giochi olimpici a Ramlösa (quartiere della città di Helsingborg in Scania, noto per la
dalle autorità, come occasione per mostrare al resto del mondo il valore
e la dinamicità del Paese e, insieme, la dignità e l’orgoglio della nazione.
Il 1 giugno, giorno dell’inaugurazione dello stadio olimpico,208 il colon-
nello Viktor Balck (1844-1928), figura di prestigio del mondo sportivo
svedese, tenne l’orazione ufficiale, della quale di seguito si riporta qualche
brano:
12.2.3. Norvegia
presenza di una sorgente di acqua minerale). L’iniziativa fu ripetuta nel 1836 ma poi
tralasciata. Vd. Jönsson Å., “Olimpiska spelen i Ramlösa blev ingen succé”, in PH
1996: 3, pp. 42-43.
208
L’impianto fu disegnato dall’architetto Torben Grut (1871-1945) all’epoca con-
siderato uno dei migliori del Paese.
209
DLO nr. 169.
210
Vd. pp. 874-875.
211
Vd. p. 875, nota 61.
212
Del resto la sottomissione norvegese alla Svezia si constata anche da fatti di
minore importanza, come l’intitolazione (1852) a Carlo Giovanni (Jean Baptiste Ber-
nadotte, re di Norvegia con il nome di Carlo III Giovanni) della strada principale di
Christiania (Oslo) che ancor oggi si chiama Carl Johans gate (in precedenza essa era
detta Slotsvejen, vale a dire “Via del castello”).
213
Tale era il titolo in Norvegia del re svedese Carlo XV.
214
Nella capitale svedese c’era un altro viceré che, in sostanza, rispondeva al sovra-
no e aveva più voce in capitolo rispetto al rappresentante governativo presente nella
capitale norvegese. Il primo politico norvegese capace di imporre la propria autorità
anche rispetto al ‘collega’ svedese fu, appunto, Frederik Stang.
mento, Stang ebbe una notevole influenza sugli sviluppi politici del
suo Paese. Di natura era un conservatore moderato (in gioventù
aveva fatto parte del gruppo dei seguaci di Welhaven lavorando
anche alla redazione del periodico Vidar)215 e aveva una visione
sostanzialmente democratica, tuttavia riteneva che si dovessero
porre delle limitazioni nell’accesso al potere.216 Nel 1866 si ripre-
sentò una questione politica che aveva provocato un dibattito fin
dagli anni immediatamente successivi al 1814: se i membri del
governo dovessero o no partecipare alle sedute del parlamento. La
faccenda non era di poco conto: da una parte si sosteneva che in
tal modo essi avrebbero meglio compreso le necessità e il volere
del popolo e, di conseguenza, assunto le migliori decisioni; dall’al-
tra si invocava il principio della separazione dei poteri. Stang,
ribaltando l’opinione favorevole precedentemente espressa, rivide
la propria posizione, ritenendo che ciò potesse facilitare l’avvento
al potere di uomini incapaci di gestirlo correttamente. Da questo
momento i rapporti del suo governo con il parlamento andarono
deteriorandosi anche perché egli si adoperò perché le diverse deli-
berazioni in materia assunte in tale sede non venissero poi ratifica-
te. Del resto nonostante diverse manifestazioni di sfiducia egli
conservò l’appoggio dei sovrani, Carlo XV prima e Oscar II poi.
Ma questo conflitto aveva inasprito i rapporti tra il parlamento
(dove le forze progressiste crescevano di numero) da una parte e
la Corona e il governo dall’altra. Quando Stang dovette ritirarsi per
motivi di salute (1880),217 il suo successore, Christian August Selmer
(1816-1889) portò avanti la medesima linea politica e il tentativo
di inserire nella costituzione il diritto/dovere dei ministri a pren-
dere parte alle sedute parlamentari fu nuovamente respinto. Fu
così che due anni dopo il parlamento sottopose la questione al
giudizio della Corte costituzionale (Riksrett), la quale, con senten-
za del 27 febbraio 1884, gli diede ragione: a questo punto il gover-
no Selmer fu costretto a lasciare. In una situazione molto tesa si
temette anche che il re svedese e il governo volessero comunque
imporre la propria volontà ricorrendo al colpo di stato con l’ap-
215
Vd. p. 931, nota 322.
216
Su di lui vd. Svare Bj., Frederik Stang, I-II, Oslo, 1939-1950. Egli è fra l’altro
ricordato come fondatore (1865) e primo presidente della Croce rossa norvegese
(Norges Røde Kors), inizialmente denominata Associazione per la cura dei malati e dei
feriti sul campo e per il sostegno dei feriti e dei familiari dei caduti (Foreningen for
Pleje av syke og saarede i Feldt og for Understøtelse av Saarede og Faldnes Efterladte).
217
È significativo che quando egli fu collocato a riposo il parlamento votasse contro
la proposta governativa di aumentare la sua pensione. Al che fu avviata una raccolta
di fondi a suo favore, somma che comunque egli donò all’università.
218
Nel febbraio 1883 si era costituita l’Associazione liberale dei membri del parla-
mento (Stortingsmændenes liberale Forening) che l’anno successivo si organizzò in
partito nel corso del suo primo raduno (28-29 gennaio) e assunse il nome di Associa-
zione norvegese di sinistra (Norges Venstreforening), comunemente nota come Sinistra
(Venstre). In realtà questa denominazione fa riferimento al partito liberale, in quanto,
più che come indicazione di un indirizzo politico (nel senso attuale del termine) va
intesa in contrapposizione alla politica conservatrice della Destra (Højre), su cui si veda
poco più avanti (cfr. p. 961, nota 41). Del resto Sverdrup fu tra il 1876 e il 1878 redat-
tore del giornale d’opposizione Verdens Gang (cfr. p. 806, nota 543).
219
Grundlovbestemmelse ang. Forandring i Grundlovens § 50, 4 luglio 1884. Con
questa deliberazione di revisione costituzionale il diritto di voto (solo maschile, cfr.
nota 247) fino ad allora riservato ai funzionari, ai proprietari terrieri e ai commercian-
ti era esteso a tutti coloro che potevano dimostrare di possedere un reddito e di con-
seguenza pagavano le tasse. Il suffragio universale maschile (per coloro che avevano
compiuto i venticinque anni) sarebbe stato introdotto nel 1898 (Grundlovsbestem-
melse angaaende Forandring i Grundlovens §’er 50 og 52, 30 aprile 1898).
220
Su riksmaal e landsmaal vd. sopra, 11.3.3.1. La risoluzione del parlamento nota
come jamstillingsvedtaket (o likestillingsvedtaket o sidestillingsvedtaket) “risoluzione
sulla parificazione” è del 12 maggio 1885.
221
Lov om Rettergangsmaaden i Straffesager, 1 luglio 1887.
222
Vd. Bergsgård A., Ole Gabriel Ueland og bondepolitikken, I-II, Oslo 1932. È
noto che la figura di Ueland ha ispirato il personaggio del contadino Anders Lundestad
nell’opera L’Unione dei giovani (De unges Forbund) di Henrik Ibsen (su cui vd. pp.
1077-1078).
223
Vd. Slettan D. – Try H. (red.), Bondevenene. Jaabækrørsla 1865-1875, Oslo
1979.
224
Si ricordi che la denominazione del Partito liberale era Venstre (vd. nota 218).
Principali rappresentanti di questa corrente furono Jacob Sverdrup (1845-1899) e Lars
Oftedal (1838-1900).
225
Denominazione in bm, ma Kristeleg Folkeparti in nn.
234
La denominazione è Associazione norvegese dei datori di lavoro (comunemen-
te indicata con la sigla NAF).
235
Come l’Associazione dei lavoratori di Bergen (Bergens Arbeiderforening) sorta
nel 1850 e la Società dei lavoratori di Christiania (Christiania Arbeidersamfund) fon-
data nel 1864 da Eilert Sundt (vd. p. 933 con nota 329). In quest’ultima fu attivo Jon
Hol (1851-1941), ingegnere e politico che in precedenza aveva promosso la pubblica-
zione del periodico Il lavoratore (Arbeideren) e per un certo tempo fu redattore del
giornale La società (Samfundet), nei quali era esposto il punto di vista di questo diver-
so orientamento all’interno del mondo del lavoro.
236
A sua volta questa rappresentava il settore giovanile del Partito dei lavoratori
norvegesi.
237
Un precedente movimento riconducibile all’area anarchica era stato, a partire
dal 1891, il gruppo anarchico-comunista “Libertas” (Anarkistisk-Communistisk Grup-
pe “Libertas”) il cui rappresentante di spicco fu Kristofer Hansteen (1865-1906) che
diede alle stampe L’Anarchico (Anarkisten, 1898-1899). Questo gruppo si esaurì dopo
la morte di Hansteen ma le sue idee furono riprese dall’Associazione norvegese dei
giovani socialisti.
238
Egli era padre di Christian Schweigaard, il sopra citato primo ministro (vd. p. 1008).
239
Vd. Sørensen Ø., Anton Martin Schweigaards politiske tenkning, Oslo 1988.
240
Il presidente di questa formazione era l’insegnante e pedagogo Frits Hansen
(1841-1911). Il Centro contava seguaci soprattutto nella Norvegia orientale.
241
Un suo eminente rappresentante era Christian Michelsen, in seguito (1905-1907)
primo ministro (vd. poco oltre).
242
Una terza faccenda di minore importanza ma che a suo tempo aveva avuto
molta eco e aveva provocato il malumore norvegese contro la Svezia era stata la cosid-
detta “questione di Bodø” (Bodøsaken), un semplice fatto legato al contrabbando che
tuttavia aveva generato un complicato conflitto tra Inghilterra, Svezia e Norvegia. Nel
1818 a Bodø (in Nordland) un commerciante inglese era stato accusato di contrabban-
do, arrestato e le sue merci confiscate. Con l’aiuto di un avvocato tanto abile quanto
disonesto egli era riuscito a far apparire il tutto come un atto di prevaricazione da
parte dei Norvegesi nei confronti di un cittadino straniero. Per questa ragione la
merce dovette essere restituita e fu pagato un pesante risarcimento. Nel Paese
la vicenda provocò un forte risentimento contro la Svezia che, si riteneva, non aveva
difeso come avrebbe dovuto gli interessi norvegesi.
245
L’anno successivo venne istituita la cosiddetta “medaglia del 7 giugno” (7. juni-
medaljen) a ricordo dell’evento. Questa onorificenza fu conferita ai membri del
governo e del parlamento.
246
Significativo del clima venutosi a creare nell’imminenza dello scioglimento
dell’unione è il caso del socialista svedese Zeth Höglund (1884-1956) il quale nel 1905
di fronte alla prospettiva, invocata da alcuni, di intervenire militarmente contro i
Norvegesi diffuse in oltre centomila copie il celebre volantino Giù le armi! – Pace con
la Norvegia (Ned med vapnen! – Fred med Norge, dato alle stampe l’anno successivo),
con l’invito a non rispondere a una eventuale chiamata alle armi contro un popolo
‘fratello’ e a scioperare per evitare la guerra: ciò gli guadagnò l’accusa di incitare alla
rivolta sociale e di conseguenza una condanna a sei mesi di prigione.
247
Cfr. sopra, nota 219. Una proposta sul voto alle donne era stata presentata in
Norvegia fin dal 1886 da parlamentari della sinistra come Ole Anton Qvam (1834-1904)
e Viggo Ullmann (1848-1910), che rispondevano a un crescente movimento d’opinio-
ne (sostenuto anche da molti rappresentanti della cultura). Nel 1890 ci fu la discussio-
ne e la successiva bocciatura, tuttavia il dibattito andò avanti, incalzato anche da
importanti manifestazioni come quella del 17 maggio 1899 quando circa quattromila
donne si raccolsero davanti al parlamento per rivendicare questo diritto. Dopo qualche
apertura (1901 e 1907), con provvedimenti che accordavano la possibilità di votare a
un numero limitato di donne, legandola a precise condizioni economico-sociali (vd.
Norsk Lovtidende, 2den Afdeling, 1901, pp. 242-248 e Norsk Lovtidende, 2den afdeling,
1907, pp. 281-282) il primo risultato significativo fu ottenuto nel 1910, quando fu
approvato il diritto di voto e l’eleggibilità di tutte le donne nei consigli comunali tan-
to in città quanto in campagna (Lov 7. juni 1910 om forandringer i lov om formand-
skaper i kjøpstæderne m.v. av 14. januar 1837 med ændrings- og tillægslove e Lov 7. juni
1910 om forandringer i lov om formandskaper paa landet m.v. av 14. januar 1837 med
ændrings- og tillægslove). Due anni dopo, nel 1913, una modifica costituzionale intro-
dusse in Norvegia il suffragio universale (Kundgjørelse av grundlovsbestemmelse av 11.
juni 1913 til forandring i grundlovens § 50, 7 luglio 1913).
248
Håkon VI, morto nel 1380, era padre di Olav IV, ultimo re di Norvegia (morto
giovanissimo) prima che il Paese confluisse nell’unione di Kalmar e restasse poi per
oltre cinque secoli in posizione di subalternità prima alla Danimarca e poi alla Svezia
(vd. pp. 437-438).
249
Ernst Sars era figlio del celebre zoologo Michael (vd. p. 906 con nota 199) e, per
parte di madre, nipote di Johan Sebastian Welhaven (vd. pp. 931-932). Su di lui vd.
Fulsås N., Historie og nasjon. Ernst Sars og striden om norsk kultur, Oslo 1999 e anche
Fulsås N., “Ernst Sars og historia (1835-1917)”, in VP 1800-tallet, pp. 107-117.
250
Sulle norme di legge che avevano disciplinato i rapporti commerciali fra Svezia
e Norvegia fin dai primi anni dell’unione e sulla loro abolizione nella prospettiva del
suo scioglimento vd. Eriksen T., Opphevelsen av mellomriksloven. En kamp i unions-
politisk perspektiv, Oslo 1959.
251
Anzi a Kristiania, epicentro di una febbrile attività speculativa, un vero e proprio
boom si rovesciò nel 1899 in una bolla immobiliare con tutte le sue conseguenze.
252
In questo contesto si situa l’emanazione di una “legge sulla povertà” (Fattigloven,
promulgata il 19 maggio 1900).
253
Vd. Hagemann G., Det moderne gjennombrudd 1870-1905, Oslo 1997 (vol. IX
di Helle 1998 [B.3]) pp. 74-80 (l’indicazione relativa al numero dei migranti a p. 75).
Il fenomeno conobbe picchi tra il 1866 e il 1870, agli inizi degli anni ’80 e nei primi
anni del Novecento.
– che a lungo era rimasta legata a uno stile di vita tradizionale con-
solidato nel corso dei secoli – va incontro a una profonda trasfor-
mazione. Trasformazione dovuta, naturalmente, allo sviluppo dell’in-
dustria, all’introduzione di nuove tecniche e strumenti di lavoro, al
miglioramento delle comunicazioni: in sostanza alla necessità di
stare al passo con gli altri Paesi.
In Norvegia un vero processo di industrializzazione prende
l’avvio solo nell’ultimo trentennio del XIX secolo e – pur scontran-
dosi con le difficoltà della crisi di cui si è appena detto – esso
contribuirà a porre le basi della moderna economia del Paese. La
spinta viene, in buona parte, dalla necessità di adattarsi alle nuove
esigenze del mercato, come appare evidente in primo luogo nel
comparto del legname (tradizionale prodotto di esportazione)
nel quale si produce ora anche la cellulosa.254 E mentre la pesca si
conferma (grazie anche a nuove tecniche) una delle principali risor-
se dell’economia, si sviluppano industrie come quella metallurgica,
mineraria,255 tessile e casearia.256 Nel settore agricolo (dove aumen-
ta il numero dei contadini proprietari delle terre) vengono introdot-
te nuove coltivazioni e promossa la ricerca,257 il che è tra l’altro
testimoniato dalla grande esposizione tenuta a Christiania nell’ot-
tobre del 1877, occasione in cui il re istituì una onorificenza da
assegnare a chi si fosse particolarmente distinto in questo campo:
la Medaglia del re Oscar II come premio per l’agricoltura norvege-
se (Kong Oscar IIs Medaille til Belønning for det norske Landbrug).
254
Nel 1889 veniva fondata a Sarpsborg (Østfold) la fabbrica Borregaard (tuttora
attiva e con interessi nella produzione di carburanti biologici) nella quale veniva pro-
dotta la cellulosa con il ‘processo al bisolfito’ (cfr. nota 154). Si tratta di una delle più
grandi fabbriche del Paese. Dal primo gennaio 1860 era entrato in vigore il provvedi-
mento del parlamento (Lov om Saugbrugsvæsenet, 26 agosto 1854) che aboliva i privi-
legi per le segherie liberalizzando questo tipo di attività. Vd. Sejersted F., “Da sag-
skuren ble frigitt”, in MMFJAS, pp. 94-109. La prima segheria a vapore (Wullum-saga)
fu aperta nel 1853 nel comune di Namsos (Nord Trødelag) da Erik Olsen Wullum
(1777-1872) seguace di Hauge (vd. pp. 765-766).
255
In questo contesto va ricordata la figura dell’ingegnere Christian August Anker
(1840-1912) il quale, oltre a portare avanti e a modernizzare la produzione di derivati
del legname (attività ereditata dal padre), diede l’avvio alla lavorazione del marmo (a
lui risale la Ankerske di Fauske in Nordland, tuttora nota per questa lavorazione) e nel
1906 aprì (anche con capitali stranieri) una miniera di ferro nella zona di Sør Varanger
(sami Mátta-Várjjat) nell’estremità orientale della regione di Finnmark.
256
Ma anche l’artigianato fa notevoli passi avanti con la nascita delle fabbriche di
porcellana Egersund Fayancefabrik (Rogaland) nel 1847 e Porsgrund (a Billingstad, non
lontano da Oslo) nel 1885.
257
Si pensi a Frederik Christian Schübeler (1815-1892), medico passato alla bota-
nica, il quale introdusse in Norvegia molte piante utili, sperimentando la possibilità di
coltivarle anche a elevate latitudini.
258
Fin dal 1851 era stata fondata la Compagnia di Bergen delle navi a vapore (Det
bergenske dampskibsselskab), cui seguì nel 1857 la Compagnia delle navi a vapore
della Norvegia settentrionale (Det Nordenfjeldske Dampskibsselskab; per la precisione
l’aggettivo nordenfjeldsk, qui tradotto con “settentrionale” indica le regioni norvegesi
a nord della nontagna di Dovre, su cui cfr. p. 876, nota 66). Queste società gestivano
principalmente le rotte verso la città di Amburgo. In seguito tuttavia esse cominciaro-
no a collegare anche le località lungo la costa. A partire dagli ultimi anni del XIX
secolo, insieme alla Compagnia delle navi a vapore di Vesterålen (Vesteraalens Damp-
skibsselskab, fondata nel 1881) cominciarono a navigare tra il sud e il nord del Paese
lungo l’itinerario di quella che sarebbe divenuta la celebre e tuttora pienamente attiva
Hurtigruten (fondata nel 1893 dal capitano Richard With, 1846-1930, che già era
stato tra i promotori della Compagnia delle navi a vapore di Vesterålen). Questo
“percorso rapido” (tale è il significato del nome) avrebbe reso possibili veloci trasfe-
rimenti fino ad allora impensabili. Non a caso questa linea navale è considerata la
“strada nazionale nr. 1” (“Riksvei Nr. 1”). Fin dal 1827 tuttavia era in servizio la Costi-
tuzione (Constitutionen) una piccola nave a vapore (costruita in Inghilterra) che
effettuava il servizio postale tra Kristiania e Kristiansand (Vest-Agder). La prima nave
a vapore costruita in Norvegia fu Re Ring (Kong Ring) nel 1837.
259
Vale a dire “Ferrovia principale”.
260
Vale a dire “Ferrovia di Ofoten”, cioè della regione settentrionale (in lingua sami
Ufuohttá) il cui centro principale è Narvik.
261
Sulla catena montuosa di Dovre cfr. p. 876, con nota 66. L’inaugurazione di
questa linea (18 settembre 1921) resta purtroppo legata a un incidente ferroviario che
si verificò nella notte quando il treno che riportava nella capitale le autorità (sovrano
compreso) che avevano partecipato alla cerimonia si scontrò con un altro convoglio
provocando la morte di sei persone e il ferimento di numerose altre.
262
Esso diventerà poi l’attuale Vegvesen. Primi direttori, direttamente coinvolti
266
Frutto di questa collaborazione saranno i periodici Settimanale tecnico (cfr. nota
264) e Rivista tecnica norvegese (Norsk Teknisk Tidsskrift) poi accorpati nel 1898.
267
Vd. pp. 765-766.
268
Vd. nota 224. In precedenza (1855) egli aveva fondato l’Associazione per la
missione interna di Christiania (Christiania Indremissjonsforening), attuale Missione
cittadina della Chiesa (Kirkens Bymisjon). Più precisamente Società della missione
interna è abbreviazione comunemente usata per Società norvegese luterana della
missione interna (Den norske lutherske Indremissjonsselskap). Su Gisle Johnson vd.
Thorkildsen D., “Gisle Johnson – ‘The Godfather’ i norsk kirkeliv (1822-1894)”, in
VP 1800-tallet, pp. 93-105 e Ousland G., En kirkehøvding. Professor Gisle Johnson
som teolog og kirkemann, Oslo 1950.
269
Vd. Thorkildsen 1997 (A), pp. 154-155. Lo studioso ricorda come al culmine
della battaglia politica tra liberali e conservatori Gisle Johnson si fosse fatto promoto-
re di un appello Agli amici della cristianità nel nostro Paese (Til Christendommens
Venner i vort Land), sottoscritto da tutti i vescovi e da altri eminenti rappresentanti
della società norvegese, nel quale attaccava la politica liberal-radicale (ibidem, p. 155).
Nell’edizione del testo (indicata in EF) l’elenco dei firmatari si trova alle pp. 7-16.
270
Si citino qui: la Società dei quaccheri (Kvekersamfunnet) o Società degli amici
(Vennenes samfunn), presente fin dal 1818; la Chiesa metodista la cui prima comunità
fu costituita in Norvegia dal pastore Ole Peter Petersen (1822-1901) nel 1856; la Chie-
sa battista attiva nel Paese dal 1860; la Società ecclesiale evangelico-luterana (Det
evangelisk-lutherske kirkesamfunn) sorta nel 1872 sul modello della Chiesa luterana
norvegese negli Stati uniti (Norwegian Lutheran Church in the United States) costituita
nel Wisconsin (1846) per iniziativa di Elling Eielsen (1804-1883); la Chiesa libera
evangelico-luterana (Den Evangelisk Lutherske Frikirke), fondata a Moss nel 1877; la
Chiesa avventista che avviò la propria attività nel 1879; l’Associazione missionaria
norvegese (Det Norske Misjonsforbund) fondata nel 1884: l’Esercito della salvezza
(Frelsesarmeen), attivo dal 1888; la congregazione Comunione (Samfundet) fondata
nel 1890 a Kristiansand da Bernt Berntsen Lomeland (1836-1900) insegnante e predi-
catore; la Chiesa unitarianista norvegese (Den norske unitarkirke) fondata nel 1895
dall’ecclesiastico e scrittore Kristofer Janson (1814-1917) come Chiesa della fratellan-
za (Broderskapets kirke); le Libere assemblee evangeliche (De frie evangeliske forsam-
linger), organizzate nei primi anni del Novecento dal pastore Erik Andersen Nord-
quelle (1858-1938) e inizialmente collegate al movimento dei pentecostali introdotto
nel Paese nel 1906 da Thomas Ball Barratt (1862-1940). Una comunità religiosa mino-
re è in Norvegia, come altrove in Scandinavia, anche quella cattolica.
271
Con la seconda denominazione essa è nota soprattutto in Canada e negli Stati
uniti. Il riferimento a Brunstad dipende dal fatto che nel 1956 questa comunità ha
acquistato la proprietà di Brunstad (Vestfold). Inizialmente gli adepti erano detti
semplicemente “amici di Smith” (Smiths venner).
272
Lov angaaende dem, der bekjende sig til den christelige Religion, uden at være
medlemmer af Statskirken (16 luglio 1845). Le reazioni e il dibattito suscitati da questo
provvedimento portarono poi (1891) all’emanazione di una nuova legge (Lov angaaende
kristne Dissentere og andre, der ikke er medlemmer af Statskirken, 27 giugno 1891).
280
Hermann Anker era fratello di Christian August Anker, su cui vd. nota 255.
281
Su di lui si rimanda a Sletten V., Christopher Bruun. Einsleg stridsmann, Oslo 1986.
282
Lov om almueskolevæsenet paa landet (16 maggio). Sulle ‘scuole itineranti’ vd. p. 903.
283
Lov om Examen artium e Lov om offentlige skoler for den høiere Almendannelse,
entrambe del 17 giugno 1869. Una nuova regolamentazione dell’insegnamento supe-
riore sarebbe stata introdotta nel 1896 (Lov om Høiere Almenskoler, 27 luglio 1896)
nella quale, tra l’altro, sarebbe stato eliminato l’obbligo dello studio del latino. La
scuola ‘media’ assorbì le realskoler (cfr. nota 104), da cui prese il nome, presenti anche
in Norvegia. Nel tempo saranno apportate diverse modifiche, tra cui quelle dell’im-
portante provvedimento del 1964 (Lov om realskoler og gymnas, 12 giugno 1964)
decaduto nel 1974 con l’emanazione di una nuova regolamentazione (Lov om vide-
regående opplæring, 21 giugno 1974). Cfr. anche nota successiva.
284
Lov om Folkeskole paa Landet e Lov om Folkeskole i Kjøbstæderne, entrambe del
26 giugno 1889. La normativa sulle “scuole popolari” sarà revisionata nel 1936 (Lov
om folkeskolen på landet e Lov om folkeskolen i kjøpstedene, entrambe del 16 luglio
1936) e nel 1959 (Lov om folkeskolen, 10 aprile 1959), quando si darà la possibilità ai
comuni di estendere l’obbligo scolastico a nove anni e si limiterà il ruolo degli eccle-
siastici al solo ambito dell’insegnamento religioso. Nel 1969, affermato ormai il prin-
cipio di un uniforme livello per l’istruzione di base, sarà introdotto l’obbligo generale
di completare nove anni di studio (successivamente elevati a dieci) presso quella che
viene ora detta, appunto, “scuola di base” (grunnskole): Lov om grunnskolen, 13 giugno
1969, successivamente modificata. Le tendenze pedagogiche attuali, misurate sulle
esigenze di una società in profonda trasformazione sono riflesse in una normativa
piuttosto recente che riguarda sia l’insegnamento elementare sia quello superiore: Lov
om grunnskolen og den vidaregåande opplæringa, del 17 luglio 1998 con successive
modificazioni.
285
Così in bm, ma Universitetet for miljø- og biovitskap in nn.
Scuola centrale per l’esercizio fisico e l’uso delle armi (Den gym-
nastiske Centralskole for Legemsøvelse og Våpenbruk); in seguito
all’apertura di alcuni istituti per bambini affetti da handicap nel
1881 fu emanata una legge che garantiva loro il diritto allo studio.286
La politica del Partito liberale che mirava a sottrarre alla Chiesa
il predominio dell’educazione determinò naturalmente una reazio-
ne: nel 1893 a Gvarv (Telemark) fu fondata da Asbjørn Knutsen
(1842-1917) una scuola per la gioventù di ispirazione cristiana che
sarebbe servita da modello per altre analoghe sorte successivamen-
te. Nel 1875 furono istituite le “scuole distrettuali” (amtsskoler)
sostenute economicamente dallo Stato: loro promotore fu Nils
Hertzberg (1827-1911) teologo ed educatore di tendenze conser-
vatrici, in contrasto con il pensiero educativo grundtvigiano.287
Come sopra è stato detto i livelli più alti della formazione pote-
vano contare solo su due istituzioni: l’Università di Oslo e la
Scuola superiore norvegese di agraria. Nuovi atenei sarebbero
sorti solo più tardi.288 Nell’attesa di scuole superiori specialistiche
in diverse discipline (che comparvero a partire dai primi decenni
del XX secolo) era sorta nel 1864 l’associazione Libero insegna-
mento (Fri undervisning) che si proponeva di diffondere cono-
scenze di livello accademico anche a coloro che non potevano
frequentare l’università. Nel 1949 le sue diverse sezioni furono
unificate e nel 1965 essa assunse il nome di Università popolare
(Folkeuniversitet).
286
Om abnorme Børns undervisning, 8 giugno 1881; essa fu modificata nel 1915
(Lov om døve, blinde og aandssvake barns Undervisning og om Pleie- og arbeidshjem
for ikke-dannelsesdygtige Aandssvake, 4 giugno 1915). Nel 1951 (23 novembre) fu
emanata la cosiddetta Legge per le scuole speciali (Spesialskoleloven). Per un diverso
approccio al problema, che rifiutasse il principio di esclusione (basato tuttavia sulla
convinzione che gli allievi portatori di handicap necessitassero, appunto, di scuole
“speciali”), si sarebbe dovuto attendere il 13 giugno 1975, data in cui fu emanato un
provvedimento, noto come Legge dell’integrazione (Integreringsloven) che inseriva
questi bambini nel sistema scolastico generale.
287
Nils Hertzberg si adoperò fattivamente anche per introdurre l’educazione fisica
nelle scuole.
288
Nel 1946 l’Università di Bergen (Universitetet i Bergen); nel 1968 quella di Tromsø
(Universitetet i Tromsø, Romssa universitehtta in lingua sami); nel 2005 l’Università di
Stavanger (Universitetet i Stavanger, in Rogaland) con sede a Ullandhaug, nel 2007
l’Università di Agder (Universitetet i Agder, con sedi a Kristiansand, Grimstad e Aren-
dal) e nel 2011 l’Università del Nordland (Universitetet i Nordland) con sede a Bodø. L’Uni-
versità di scienze tecniche e naturali di Trondheim (Norges teknisk-naturvitenskapelige
universitet), ufficialmente istituita nel 1996 raccoglie l’eredità di scuole e istituzioni
culturali precedenti come la Società di Trondheim fondata nel 1760 (vd. p. 721),
l’Istituto tecnico di Trondheim (Trondhjems Tekniske Læreanstalt, che risale al 1870)
e la Scuola superiore di studi tecnici (Norges tekniske høgskole, avviata nel 1910).
289
Del 19 luglio 1910 è la prima legge di regolamentazione in proposito: Lov om
aksjeselskaper og kommandittaksjeselskaper av 19. juli 1910, med endringslover til og
med 8. april 1938, med anmerkninger og henvisninger av E. Hanssen, Oslo 1946.
290
Si pensi a Kirkenes (sami Girkonjárga) nell’estremo Finnmark orientale che dopo
l’apertura delle miniere di ferro gestite dalla società Sydvaranger, fondata nel 1906, si
sviluppò con grande rapidità.
291
Si veda a esempio il caso della Norsk Hydro, uno dei colossi dell’industria nor-
vegese, che fu fondata nel 1905 con capitale francese, svedese e norvegese. Promotore
dell’impresa fu l’ingegnere Sam Eyde (1866-1940) il quale, in collaborazione con lo
scienziato Kristian Birkeland (vd. p. 1103, nota 629), aveva sviluppato un metodo per
la produzione di concimi chimici a base di azoto (il cosiddetto ‘processo Birkeland-
Eyde’), ragion per cui inizialmente l’impresa ebbe nome Società per azioni idroelettri-
ca norvegese dell’azoto (Norsk hydro-elektrisk Kvælstofaktieselskab). Sam Eyde con
l’appoggio finanziario della famiglia di banchieri svedesi Wallenberg fu anche fonda-
tore nel medesimo anno della Società per azioni norvegese per l’industria elettrochi-
mica (Det Norske Aktieselskab for Elektrokemisk Industri, attualmente Elkem).
Alla nuova Norvegia non poteva certo mancare un inno nazionale. Nel
1820 (come sopra si è accennato) Henrik Anker Bjerregaard aveva vinto
un concorso per il miglior canto di ispirazione patriottica con Figli di
Norvegia (Sønner af Norge), la cui melodia si deve a Christian Blom.294
L’attuale inno nazionale norvegese “Sì, noi amiamo questa terra” (“Ja, vi
elsker dette landet”) fu scritto da Bjørnstierne Bjørnson e musicato da
Rikard Nordraak.295 La sua affermazione come inno nazionale non è
tuttavia dovuta a una deliberazione ufficiale, bensì alla sua popolarità. “Sì,
noi amiamo questa terra” fu eseguito pubblicamente per la prima volta a
Eidsvoll il 17 maggio (festa nazionale norvegese) nel 1864, in occasione
del cinquantennale della costituzione del 1814. Se ne riporta qui la prima
strofa, quella che viene più comunemente eseguita:
292
Cfr. p. 1013.
293
Molto importante è, tra le altre, la legge del 18 settembre 1909 sullo sfruttamen-
to delle cascate e delle risorse minerarie (Lov om ervervelse av vannfall, bergverk og
annen fast eiendom m.v.).
294
Cfr. p. 938.
295
Vd. p. 1079 e p. 1100. Il testo di Bjørnson fu redatto in una prima versione nel
1859 ma successivamente rivisto. Vd. Jørgensen J.G. – Kydland A.J. et al., Historien
om Ja, vi elsker, Oslo 2002.
296
DLO nr. 170.
12.2.4. Islanda
297
In taluni casi anche la gente comune mostrò, dopo secoli di sottomissione, di
voler rialzare la testa: si ricorda in particolare un episodio, la cosiddetta “cavalcata nel
Nord” (Norðurreiðin), avvenuto il 23 maggio 1849 (dunque nel pieno del clima rivo-
luzionario europeo), quando una settantina di abitanti dello Skagafjörður e dell’Eyjafjörður
si recarono a cavallo alla residenza del governatore distrettuale Grímur Jónsson (o, alla
danese, Grímur Johnsen, come voleva essere chiamato, 1785-1849). Questo funziona-
rio, assai malvisto per la sua marcata predisposizione a fare il solo interesse del domi-
natore, abitava a Möðruvellir in Hörgárdalur in una lussuosa residenza (all’epoca tra
le più belle del Paese e nota come Dono di Federico, Friðriksgáfa, poiché il denaro per
costruirla era stato concesso dal re). Ivi giunti costoro scesero di sella e presentarono
un duro ammonimento al governatore allo scopo di farlo dimettere dall’incarico, dopo
di che di nuovo cavalcarono verso casa. Quindici giorni dopo, il 7 giugno, Grímur
Jónsson morì per un attacco cardiaco. In seguito a questo episodio il re danese avreb-
be inviato nell’isola un contingente di soldati a ‘vigilare’ sullo svolgimento dell’assem-
blea dei rappresentanti di cui si dirà poco oltre. Della magnifica residenza non resta
nulla in quanto essa fu distrutta da un incendio nel 1874.
298
Vd. p. 864.
299
Vd. p. 384.
300
Come è stato detto (vd. p. 880), quando viveva e lavorava in Danimarca Jón
Sigurðsson aveva avviato la pubblicazione della Nuova rivista sociale. Direttore di
Þjóðólfur fu fino al 1852 Sveinbjörn Hallgrímsson (1814-1863), noto per uno ‘scanda-
lo’ avvenuto nel 1850: egli infatti al termine di una predica del vescovo Helgi Thor-
dersen (1794-1867) nella cattedrale, prese la parola criticando aspramente l’autorità
ecclesiastica e chiedendo la nomina di un nuovo pastore. A motivo dell’inserimento
del testo di questo discorso nel giornale Þjóðólfur la pubblicazione fu sospesa. Sveinbjörn
Hallgrímsson trovò comunque il modo di stamparlo in quanto si recò in Danimarca e
lo fece uscire con il titolo modificato di Hljóðólfur. Dopo di lui fu direttore Jón Guð-
mundsson (1807-1875), presidente dell’assemblea generale tra il 1859 e il 1861, che
mantenne l’incarico fino al 1874; la biografia di questo importante politico (Jón
Guðmundsson alþingismaður og ritstjóri, þættir úr ævisögu, Reykjavík 1960) è stata
scritta da Halldór Laxness (vd. pp. 1168-1169, p. 1173 e p. 1175). In islandese Þjóð-
ólfur è nome proprio maschile composto da þjóð “popolo” e úlfur “lupo”, etimologi-
camente vale dunque “lupo del popolo”.
301
Vd. p. 880 con nota 80.
302
Il totale dei delegati era di quarantatré. Tra coloro che si schierarono dalla par-
te del re c’era Páll Melsteð (1812-1910) incaricato di presiedere la riunione. Egli era
stato segretario del rappresentante reale all’assemblea ed era ora direttore della tipo-
grafia nazionale (su di lui: “Páll Melsteð, sagnfræðingur”, in BR, pp. 136-139).
303
Un caso esemplare è quello del sopra citato Jón Guðmundsson (vd. nota 300)
che fu rimosso dall’incarico di sýslumaður (vd. p. 387) dei distretti (occidentale e
orientale) di Skaftafell per la sua stretta collaborazione con Jón Sigurðsson.
304
La dimensione del ‘problema islandese’ si evidenzia anche nel fatto che nel
contesto del conflitto per i ducati degli anni 1863-1864 (vd. p. 960) la Danimarca
aveva anche preso in considerazione la cessione dell’isola alla Prussia in cambio della
parte dello Schleswig in cui la maggioranza della popolazione era danese; lo scambio
tuttavia non andò in porto.
305
Il nonno paterno era il vescovo Hannes Finnsson (vd. p. 731 e p. 840).
306
Lov om Islands forfatningsmæssige Stilling i Riget, 2 gennaio 1871, nota in dane-
se anche come Landsstillingsloven (Legge sullo stato del Paese), in islandese Stöðulögin.
307
Vd. p. 151.
308
Come si è detto (vd. p. 147) l’anno di fondazione della nazione islandese è
considerato l’874, quando il primo colono, Ingólfr Arnarson, si era stabilito nel
Paese. Sulle celebrazioni del millenario vd. Tobíasson B., Þjóðhátíðin 1874, Reykjavík
1958.
309
Vd. p. 553 con nota 110.
310
Non mancò, tuttavia, chi continuò a opporsi duramente, ritenendo che l’unica
soluzione per il Paese fosse il definitivo distacco dalla Danimarca. Tra di loro Jón
Ólafsson (1850-1916), redattore del giornale Göngu-Hrólfr (sul personaggio cui questo
nome si ispirava vd. p. 112 con nota 49), il quale per due volte fu espulso dal Paese per
le sue idee e i suoi scritti e infine riparò in America. Particolare irritazione suscitò il suo
Componimento degli Islandesi (Íslendingabragur), da cantare sulla musica della ‘marsi-
gliese’, comparso sulla rivista Baldur (da lui diretta), III: 4, del 19 marzo 1870, p. 15.
311
Vd. sopra, nota 307.
312
Vd. p. 824, nota 650.
313
Vd. p. 824. Egli fu anche presidente dell’assemblea islandese. Questo è il moti-
vo per cui in Islanda è noto come Jón forseti, vale a dire “Jón il presidente”.
321
Forordning om de islandske landkommuners styrelse: LFI XXI, 4 maggio 1872,
pp. 354-403.
322
Per altro fin dalla seconda metà del XIX secolo i cattolici avevano potuto ritro-
vare spazi e dal 1923 essi ebbero nel Paese la propria prefettura apostolica.
323
Il testo della legge del 1 maggio 1909 è riportato in Frækorn, X (7 maggio1909),
pp. 1-8. Dal 1922 in seguito a trattative col governo spagnolo, che chiedeva di poter
esportare vino in Islanda in cambio di pesce salato, il divieto totale fu attenuato (vd.
agricola, per troppi versi ancora arretrata (si ricordi che non di rado
l’introduzione di nuove colture era stata accolta con diffidenza, per
non dire con ostilità, da parte dei contadini).327 Nel 1899 si sareb-
be dato l’avvio a un ente di carattere nazionale, la Società agricola
islandese (Búnaðarfélag Íslands) al quale potevano aderire tanto le
associazioni minori quanto i singoli. Un’ordinanza di Cristiano IX
emessa nel 1872 aveva decretato l’istituzione di scuole di agraria:328
la prima fu aperta nel 1888 in Ólafsdalur (nel Gilsfjörður), per
iniziativa di Torfi Bjarnason (1838-1915) il quale, soggiornando in
Scozia, aveva appreso nuove tecniche e sperimentato nuovi stru-
menti (tra cui un tipo di falce che, da lui adattata, si diffuse rapi-
damente in Islanda). Questa scuola (il cui ideatore godeva della
stima e del sostegno di Jón Sigurðsson) ebbe un’importanza fon-
damentale per lo sviluppo dell’agricoltura nel Paese.329 Così come
fu di grande utilità il compito assegnato dalla società agricola a
Guðjón Guðmundsson (1872-1908) il quale nel 1900 fece un viag-
gio in Inghilterra per apprendere più efficaci metodi di allevamen-
to del bestiame che poi introdusse in patria. Inoltre con la vendita
di terreni di proprietà della Corona danese o della Chiesa aumen-
tò il numero di coloro che lavoravano poderi propri. Per secoli gli
Islandesi avevano praticato la pesca allo scopo di integrare la loro
modesta economia, e tuttavia con mezzi assai più limitati rispetto
agli stranieri (in primo luogo gli Inglesi) che a lungo avevano sfrut-
tato le risorse del loro mare. Nel XIX secolo le cose incominciaro-
no a cambiare anche in questo settore dal momento che furono
introdotte imbarcazioni più grandi e meglio attrezzate,330 finché
(1902) comparvero i primi battelli a motore e (1904) i primi moto-
pescherecci a strascico. Grazie anche all’acquisizione di nuove
tecniche si sviluppò dunque in diverse zone del Paese (non da
ultimo nel Nord e nei fiordi occidentali) una pesca commerciale
327
Anche in altri casi le innovazioni furono osteggiate: si pensi che nel 1859 Jón
Sigurðsson e Hans Christian Tschernig (1804-1886), insigne veterinario danese, dovet-
tero essere ufficialmente investiti di pieni poteri per curare la scabbia ovina a causa
della contrarietà dei contadini (ma anche dell’assemblea generale!) che ritenevano si
dovessero semplicemente abbattere gli animali malati.
328
Tilskipun um stofnun búnaðarskóla í Ísland / Forordning om Oprettelsen af
Landbrugsskoler i Island: LFI XXI, 12 febbraio 1872, pp. 163-164.
329
Altre presto seguirono: nel 1882 fu fondata la Scuola di Hólar (Hólaskóli) in
Hjaltadalur; nel 1883 la Scuola di Eiðar (Eiðaskóli) in Austurland; nel 1889 la Scuola
di Hvanneyri (Hvanneyrarskóli) in Borgarbyggð (Islanda occidentale). Su Torfi Bjarna-
son vd. “Torfi Bjarnason, skólastjóri”, in BR, pp. 172-175.
330
Pionieri del commercio e dell’industria della pesca erano stati Ólafur Thorlacius
(1762-1815) di Bildudalur (nei fiordi occidentali) e Bjarni Sívertsen (1763-1833) di
Hafnarfjörður (a sud di Reykjavík).
331
Essa venne proibita nel 1915 per via del notevole calo nel numero degli animali.
332
I cavalli vennero introdotti in Islanda dai coloni provenienti dalla Norvegia. Si
tratta dei discendenti di una razza di origine mongolo-siberiana che inizialmente
furono incrociati con animali provenienti da altre zone di immigrazione come la
Scozia e le isole britanniche. Sebbene da talune parti si sostenga che assai presto (nel
930, 950 o 982) l’importazione fosse stata proibita per il timore dell’introduzione di
malattie equine, nelle fonti giuridiche antiche non c’è traccia di questo divieto. La
prima legge in questo senso (che comunque riguarda in primo luogo gli animali da
allevamento) risale piuttosto al 1882 (Lög um bann gegn innflutningi á útlendu kvikfje
/ Lov om Forbud mod Indførsel af Kreaturer fra udlandet, 17 marzo 1882, in STfÍ 1882,
pp. 62-63). L’isolamento e la scarsità di incroci ha comunque consentito di sviluppa-
re una razza particolare con caratteristiche proprie tra le quali le più evidenti sono le
dimensioni ridotte, la folta criniera, lo spesso manto invernale, la resistenza alla
fatica, la capacità di muoversi con cinque diverse andature (passo, trotto, galoppo,
corsa e ambio). Inoltre il pelame ha una grande varietà di colori. Vd. Sigurjónsson
S. [photographs] – Jónasson Kr. B. [text], Icelandic horses, Reykjavík 2008.
333
Zøllner fu, tra l’altro, mediatore di affari e finanziatore di diverse società. Diede
quindi anche un impulso alla nascita di diverse imprese legate alla pesca.
334
Tra di loro rivestono grande importanza il Consorzio degli abitanti dell’Eyjafjörður
(Kaupfélag Eyfirðinga, KEA), in precedenza Cooperativa di vendita (Pöntunarfélag),
sorto nel 1886 e l’Unione delle cooperative islandesi (Samband íslenskra samvinnufélaga,
SÍS) fondata nel 1902; in entrambi i casi il promotore fu Hallgrímur Kristinsson (1876-
1923). All’attività di vendita si accompagnò la costruzione di mattatoi e di impianti
per la lavorazione del latte. Nel 1906 inizierà la propria attività la Johnson & Kaaber,
prima società di commercio all’ingrosso. Nomi eccellenti della nascente industria
islandese sono quelli di Thor Jensen (1863-1947), danese trasferito in Islanda, proprie-
tario di grandi società attive nel settore della pesca come Kveldúlfur (per il significato
del nome vd. p. 113 con nota 51) e, successivamente, in collaborazione con Pétur Jens
Thorsteinsson (1845-1929) la Milljónarfélagið; Einar Þorgilsson (1865-1934), anch’egli
proprietario di pescherecci; Björn Kristjánsson (1858-1939), commerciante. Ma anche
Jón Þorláksson (1877-1935) impresario che tra l’altro costruì molti ponti e strade nel
Paese e Þórarinn Erlendur Tulinius (1860-1932) che gestiva una flotta di navi mercantili.
350
Il 19 giugno di quell’anno il suffragio universale venne infatti introdotto nella
nuova costituzione (vd. Stjórnarskrá Íslands og þingsköp Alþingis, gefið út að tilhlutan
Alþingis, Reykjavík 1916, II, §§ 19-20). Questo risultato fu festeggiato con una grande
manifestazione che ebbe luogo a Reykjavík il 7 luglio. Sulla questione del voto alle don-
ne vd. Jónsson G., Konur og kosningar. Þættir úr sögu íslenskrar kvenréttindabaráttu,
Reykjavík 1977.
351
La prima strada a essere asfaltata (prima in tutto il Paese) sarà Austurstræti nel
1912.
352
Il primo edificio in calcestruzzo sarà realizzato nel 1903 in Bankastræti. Dopo il
devastante incendio del 1915, nel quale saranno completamente distrutte dieci case,
per le nuove costruzioni si tralascerà il tradizionale utilizzo del legno a favore del
cemento armato.
353
In precedenza le imbarcazioni attraccavano presso il porto naturale che si
trovava sull’isola (in realtà ora collegata alla terraferma da una striscia di terra) di
Örfirisey. Per costruire il nuovo porto furono anche realizzati due brevi tratti ferro-
viari, gli unici che, a tutt’oggi, siano mai esistiti in Islanda. Si aggiunga qui che nel
1878 era stato costruito a Reykjanes (sulla penisola omonima nel Sud del Paese) il
primo faro.
354
Nel 1872 la città avrà un proprio regolamento comunale (LFI XXI, 20 aprile
1872, pp. 243-268). La sua crescita demografica nella seconda metà del XIX secolo
sarà piuttosto rapida: dai circa 2.600 abitanti del 1880 si passerà all’inizio del XX
secolo a circa 6.700.
355
Per altro una conferma di quello concesso nel 1787. Nel 1872 vi venne aperto
un primo ospedale, un secondo nel 1898.
368
Lög um fræðslu barna, 22 novembre 1907 (STfÍ 1907, pp. 380-397). Il testo
riprendeva in buona sostanza le proposte del filosofo Guðmundur Finnbogason (1873-
1944) che su incarico del parlamento aveva viaggiato nei diversi Paesi nordici (e anche
in Islanda) allo scopo di formulare proposte per una migliore politica educativa; vd.
Antonsdóttir E.A., Guðmundur Finnbogason og fræðslulögin 1907, Reykjavík 1978.
Più in generale vd. Júlíusson – Ísberg 2005 (B.3), pp. 296-299 e Guttormsson 2008
(B.8). L’anno successivo veniva dato l’avvio a una scuola per insegnanti e in seguito a
istituti tecnici, agrari e scuole femminili. Successivamente importanti leggi di riordino
della scuola islandese sono state emanate il 10 aprile 1946 (Lög um fræðslu barna), il
21 maggio 1974 (Lög um skólakerfi), il 19 maggio 1988 (Lög um framhaldsskóla) e
il 12 giugno 2008 (Lög um leikskóla, Lög um grunnskóla e Lög um framhaldsskóla).
369
Vd. p. 1031 con nota 300. Mentre Þjóðólfur era il portavoce degli indipenden-
tisti, Il corriere di Reykjavík proponeva il punto di vista dei funzionari governativi.
370
Nella mitologia nordica Norðri (insieme a Austri “orientale”, Vestri “occidenta-
le” e Suðri “meridionale” è uno dei quattro nani che stanno agli angoli della terra e
sorreggono il cielo (vd. Chiesa Isnardi 20084 [B.7.1], p. 50); nella tradizione popolare
islandese Norðri è anche la personificazione del vento del Nord.
371
Come è noto nella mitologia nordica Baldr, dio bello e luminoso, è figlio di
Odino e di sua moglie Frigg (vd. Chiesa Isnardi 20084 [B.7.1], pp. 239-240).
372
Cfr. p. 823, nota 646.
373
Questo giornale, fondato nel 1886 da Skúli Thoroddsen sýslumaður di Ísafjörður
(vd. pp. 1065-1066 e, per la carica di sýslumaður, p. 387) pubblicò negli anni seguen-
ti molti articoli legati alla lotta per l’emancipazione femminile.
374
Cfr. p. 823, nota 646.
375
Sul significato di lögrjetta (lögrétta) vd. p. 152.
376
Vd. p. 807, nota 545.
377
Nella mitologia nordica Andvari è il nome di un nano (che compare nel mito
sull’oro dei Nibelunghi) possessore di un magico anello grazie al quale la sua ricchez-
za poteva continuamente essere rinnovata; (vd. Chiesa Isnardi 20084 [B.7.1], p. 333 e
pp. 386-388).
378
A questa società fu affidato il compito di gestire i festeggiamenti del 1874 per il
millenario dello Stato islandese.
379
Vale a dire Sigurður Guðmundsson, artista molto legato alla cultura islandese (a
lui si deve, tra l’altro, il modello dell’attuale costume nazionale femminile); cfr. p. 1049
e p. 1095.
380
Un approfondimento di questo tema in Júlíusson – Ísberg 2005 (B.3), pp. 300-
301.
381
Nel 1874 si verificarono delle scosse sismiche nella zona del vulcano Askja, che
l’anno successivo ebbe una violenta eruzione. Cfr. anche nota 359.
382
Dai circa 57.000 del 1840 si passò ai circa 68.000 del 1860, ai circa 78.000 del
1900 fino ai circa 94.000 del 1920.
383
Figura di notevole importanza per l’immigrazione islandese in Canada fu quella
di Sigtryggur Jónasson (1852-1942), egli stesso partito nel 1872. Divenuto agente del
governo dell’Ontario indusse molti connazionali a trasferirsi nella sua nuova patria.
Fu anche fondatore (1877) del primo giornale di lingua islandese pubblicato in terri-
torio americano che ebbe titolo Progresso (Framfari). La colonia islandese in Canada
annovera anche scrittori di tutto rispetto, si pensi a Stephan G. Stephansson (Stefán
Guðmundur Guðmundsson), fine poeta la cui opera influenzò la letteratura nella patria
di origine. Cfr. p. 1085 con nota 544.
384
Si riporta di seguito un breve brano (in realtà un esercizio di traduzione inse-
rito in un vecchio testo grammaticale) che esprime in modo semplice – ma al contem-
po assai efficace – i sentimenti dei migranti islandesi verso il loro Paese d’origine:
“Che cosa avete sentito o letto sull’Islanda? Ho letto molto e ho parlato con molti
che sono stati là. E voi ci siete stati? Sì, l’ho visitata una volta; fu nell’anno 1930
quando gli Islandesi organizzarono una grande celebrazione a Þingvellir in ricordo
dell’istituzione dell’assemblea generale (Alþingi) mille anni prima. Con mia moglie ci
siamo procurati un passaggio su una nave che gli Islandesi d’America (letteralmente
“Islandesi d’occidente”) avevano noleggiato per il viaggio. Avevano intenzione di
radunarsi in massa [per tornare] a casa […] Non ho mai visto così tanti Islandesi
d’America riuniti insieme. Vecchi e donne, che non avevano rivisto la madrepatria
per decenni. Gente giovane che non l’aveva mai vista, se non con l’immaginazione.
Ma tutti nutrivano amore per quel Paese, e tutti aspettavano con fremente attesa di
vedere la terra. Alla fine la terra comparve: un isolotto grigio ed esposto alle intem-
perie sotto scrosci di pioggia. La gente non se l’era immaginata così quella terra. Ma
poi avrebbe potuto vederla carezzata dai raggi del sole dell’estate, rivestita d’erba
verde e avvolta in una nebbia scura. Poi avrebbe potuto vedere le vette e i ghiacciai
di un bianco scintillante come erano [descritti] nelle storie dei vecchi. Questa era la
terra dei sogni” (DLO nr. 171).
Verso la fine del XIX secolo si cominciò anche a discutere di una ban-
diera nazionale. Dopo lo sfortunato tentativo di Jörundur “re dei giorni
di canicola”,389 il pittore Sigurður Guðmundsson (1833-1874) aveva
proposto un vessillo recante un falco bianco con le ali spiegate in campo
blu, incontrando un certo consenso (soprattutto fra gli studenti).390 Una
successiva proposta, discussa all’assemblea generale nel 1885, riguardava
una bandiera suddivisa in quattro cantoni: tre a fondo blu recanti un
falco bianco e uno (quello in alto dalla parte dell’asta) uguale alla bandie-
385
Vd. p. 946 e p. 823, nota 646.
386
Vd. p. 1076.
387
L’inno è anche noto con il titolo O Dio del nostro Paese (Ó Guð vors lands),
dalle parole iniziali. Su Sveinbjörn Sveinbjörnsson vd. p. 1101.
388
DLO nr. 172.
389
Vd. sopra. p. 878.
390
Cfr. p. 1047 con nota 379 e p. 1095.
391
“Íslenski fáninn”, in Dagskrá, 13 marzo 1897, pp. 251-252. Su Einar Benedikts-
son vd. p. 1077.
392
Su cui vd. pp. 334-335.
393
Decreto reale del 19 giugno 1915 (Konungsúrskurður, sem með tilvísun til
konungsúrskurðar um sjerstakan íslenskan fána 22 nóvbr. 1913 ákveður gerð fánans, in
STfÍ 1915, p. 23.
394
Vd. oltre, p. 1158. Sulla bandiera islandese vd. Engblom Chr. – Engblom L-Å.,
“Island drog torsk och falk till korset”, in FFF, pp. 84-85.
400
Su di lei si veda Alenius M., “Seneca-oversætteren Birgitte Thott, et fagligt
portræt”, in DS 1983, pp. 5-47.
401
In Danimarca altri nomi di rilievo sono quelli di Anne Margrethe Quitzow
(1652-ca.1700), traduttrice dal latino e dal tedesco, e Cille Gad (1675-1711) autrice
di versi in latino. Appassionate raccoglitrici di libri e manoscritti furono Anne Giøe
(1609-1681) e sua nipote Karen Brahe (1657-1736). Inoltre non va dimenticata Sophie
Brahe (1556 o 1559-1643) sorella del celebre astronomo Tyge (vd. pp. 632-633), con
il quale collaborò efficacemente negli studi scientifici. Di interesse a questo proposi-
to è l’opera dell’ecclesiastico e scrittore Friderich Christian Schønau (1728-1772):
Raccolta delle donne danesi di cultura, che grazie alla loro erudizione, e agli scritti
pubblicati o lasciatici si sono fatte un nome nel mondo della cultura (Samling af Danske
Lærde Fruentimmer, Som ved deres Lærdom, og Udgivne eller efterladte Skrifter have
gjort deres Navne i den lærde Verden bekiendte) uscito a Copenaghen in due volumi
nel 1753. Di simile intento è Galleria di ritratti per le donne, che contiene la descri-
zione della vita di famose donne istruite danesi, norvegesi e straniere (Billedgallerie
for Fruentimmer, indeholdende Levnetsbeskrivelser over berømte og lærde danske,
norske og udenlandske Fruentimmere, I-III) dell’eclettico pastore Hans Jørgen Birch
(1750-1795), libro uscito a Copenaghen tra il 1793 e il 1795, nel quale non manca una
introduzione sulla natura e i doveri delle donne. Del resto fin dal XVII secolo il
reverendo islandese Magnús Ólafsson di Laufás (vd. p. 587, nota 262) aveva compo-
sto una Danza delle donne (Kvennadans) nella quale ricordava figure di donne emi-
nenti (a partire, naturalmente, dalla Bibbia!) elogiandone i pregi (vd. Þorkelsson
1888 [C.8.2], p. 469). Il testo, conservato alle pp. 634-648 del ms. ÍB 150 4to (pres-
so l’Università di Reykjavík), è stato edito di recente.
402
Sophia Elisabeth Brenner intratteneva frequenti rapporti culturali con la con-
tessa Aurora von Königsmarck (1662-1728), figura di riferimento della vita culturale
svedese, la quale aveva organizzato a corte con il patrocinio della regina Ulrica Eleo-
nora la rappresentazione, tutta femminile (anche i ruoli maschili erano interpretati da
donne), della Iphigénie di Racine (gennaio 1684); la prima del genere avvenuta in
Svezia. Su Aurora von Königsmarck, donna eclettica, emancipata e indipendente,
femminista ante litteram, vd. Olsson B., “Aurora Königsmarck och 1600-talets femi-
nism”, in Karolinska förbundets årsbok 1978, pp. 7-23 e Schimanski F., “Salongsfemi-
nist. Aurora von Königsmarck”, in PH 1999: 5, pp. 44-48.
compreso il numero dei figli) che ella poteva apportare alla pro-
sperità comune. Con il declinare del potere dei grandi gruppi
(inversamente proporzionale all’espansione dell’autorità centrale)
si accrebbe l’importanza del nucleo familiare ristretto, al cui inter-
no la funzione della donna come moglie e madre venne ulterior-
mente rimarcata, mentre il suo legame con la ‘grande famiglia’ di
provenienza fu attenuato. Ciò determinò anche una visione più
rigida rispetto ai rapporti sessuali di una donna al di fuori del
matrimonio e pose le premesse di quella che sarebbe divenuta la
visione dominante contro cui il nascente movimento femminista
avrebbe dovuto scontrarsi.409 Se, dunque, un riconoscimento all’at-
tività culturale svolta da una donna poteva essere accordato e,
talora, considerato addirittura doveroso (si veda, fra tutti, il caso
di Anna Maria Lenngren),410 sul piano più strettamente sociale la
lotta per l’emancipazione avrebbe incontrato ostacoli ben più dif-
ficili da superare. Emblematico è il caso di Marie Grubbe (1643-
1718) la quale, pur di nobile estrazione, pagò in prima persona la
sua scelta di una disinvolta vita sessuale.411 Lo ‘spazio di manovra’
concesso alle donne restava dunque assai limitato e una ‘ideologia
femminista’ avrebbe potuto nascere solo dal pensiero illuminista
con i suoi princìpi di uguaglianza e pari dignità degli individui.
409
Queste considerazioni sono esposte in Markkola 1997, cui si rimanda.
410
Vd. p. 835.
411
Nata in una famiglia nobile e facoltosa ella fu sposata a Ulrik Frederik Gyldenløve
(vd. p. 533, nota 15, p. 622 e p. 713), con il quale si trasferì in Norvegia. Presto ebbe diver-
si amanti. Divisa dal marito (che aveva rinunciato per questo a farla condannare a morte)
si risposò con il nobile Palle Dyre (morto nel 1707) ma anche questa volta trovò conforto
in una relazione extraconiugale con un giovane cocchiere di nome Søren Sørensen Møller
(morto nel 1736). Questo comportamento suscitò le ire del padre che decise di diseredarla
e farla rinchiudere. La cosa si risolse poi con un nuovo divorzio e la perdita dei beni. Dopo
di ciò Marie e il suo amante si trasferirono in Germania e si sposarono, vivendo tuttavia in
condizioni di povertà. Come è noto le vicende di questa donna hanno ispirato diversi
autori danesi: in primo luogo il romanziere Jens Peter Jacobsen (vd. p. 1083) che nel 1876
pubblicò a Copenaghen La signora Marie Grubbe. Interni dal diciassettesimo secolo (Fru
Marie Grubbe. Interieurer fra det syttende århundrede) e, molto più recentemente, Ulla Ryum
(n. 1937) con la pièce teatrale “Marie Grubbe” (1986), Juliane Preisler (n. 1959) con Maria
dei baci. Una storia su Marie Grubbe (Kysse-Marie. En historie om Marie Grubbe, 1994) e
Lone Hørslev (n. 1974) con L’anno della bestia. Un romanzo su Marie Grubbe (Dyrets år.
En roman om Marie Grubbe, 2014). Altri autori del passato l’hanno ricordata nei loro
lavori: così Ludvig Holberg (vd. pp. 789-792 e pp. 830-831) che allude a lei nell’Epistola
lxxxix (LHV XI, pp. 92-93); Steen Steensen Blicher (vd. p. 916) che inserisce la sua figura
nei Frammenti del diario di un diacono di campagna (Brudstykker af en Landbydegns Dagbog,
1824); Hans Christian Andersen (vd. p. 916) che la cita ne La famiglia di Grete delle galline
(Hønse-Grethes Familie, in Tre nye Eventyr og Historier af H. C. Andersen, Kjøbenhavn
1870, pp. 7-42; storia pubblicata in lingua inglese l’anno precedente). Su Marie Grubbe vd.
Andersen D.H., Marie Grubbe og hendes tid. En biografi, København 2006.
412
Si veda, tra l’altro, la satira in versi dal titolo La ginecologia di Zille Hansdotter
o scritto in difesa del sesso femminile (Zille Hansdotters Gynaicologia eller Forsvars
Skrift for Qvinde-Kiønnet, 1722, in LHV II, pp. 387-433; vd. ivi anche le annotazioni
del curatore F.J. Billeskov Jansen, pp. 306-307).
413
Vd. p. 786.
414
Il quale dedicò alle lettrici alcuni numeri de L’Argo svedese. Egli tuttavia continua
a ritenere che la donna debba con saggezza e buon senso occupare ‘il proprio posto’
all’interno della società. Su Dalin vd. p. 795, pp. 797-798 e pp. 802-803.
415
Vd. Christian Braunmann Tullins Samtlige Skrifter, II, Oslo 1976, p. 51 e p. 62. Su
Tullin vd. p. 836. Per questo autore tuttavia la donna (seppure il suo diritto all’emanci-
pazione non si discuta) rimane per molti versi una figura quasi divina che aiuta l’uomo
ad attingere all’armonia universale.
416
Vd. p. 842 con nota 742.
417
Nata Wergeland, Camilla era sorella del celebre Henrik (vd. pp. 930-931) e per
un periodo fu legata sentimentalmente al ‘grande nemico’ del fratello, Johan Sebastian
Welhaven (vd. pp. 931-932). Infine sposò Peter Jonas Collett (1813-1851), giurista e
critico norvegese. Loro figlio fu Robert Collett (1842-1913), noto zoologo.
politica neutrale. Fu così che nel 1885 – anno in cui essa avviava la
pubblicazione del periodico La donna e la società (Kvinden og
Samfundet),425 Matilde Bajer ne sarebbe uscita per costituire l’As-
sociazione femminile per il progresso (Kvindelig Fremskridts-
forening),426 marcatamente orientata a sinistra e legata alle proble-
matiche del mondo operaio427 così come a quelle pacifiste: voce di
questo nuovo organismo sarebbe stata la pubblicazione dal signi-
ficativo titolo Ciò che vogliamo (Hvad vi vil) uscita a partire dal
1888,428 lo stesso anno in cui veniva organizzato il primo congresso
delle femministe nordiche (Copenaghen, 14-16 luglio).
Il problema del diritto di voto era ora in primo piano e presto
sarebbero sorte associazioni che si prefiggevano primariamente tale
scopo, fra tutte l’Associazione per il voto alle donne (Kvindevalg-
retsforeningen) fondata nel 1889 da Line (Nicoline) Luplau (1823-
1891) e Louise Nørlund (1854-1919).429 L’anno successivo essa si
fondeva con l’Associazione femminile per il progresso e con alcuni
gruppi sindacali femminili per dar vita all’Unione delle associazioni
femminili (De samlede Kvindeforeninger) nell’intento di coinvolge-
re nella lotta il maggior numero possibile di persone, indipenden-
temente dalla loro estrazione sociale. Nonostante la sua capacità di
425
Redattrice tra il 1913 e il 1919 ne fu la scrittrice Gyrithe Lemche (1866-1945),
una delle figure di maggior rilievo del movimento (cfr. poco più avanti con nota 436).
La rivista, tuttora esistente, è la più antica pubblicazione al mondo dedicata alle pro-
blematiche femminili. La Rivista per la casa, dedicata alla donna svedese (Tidskrift för
hemmet, tillegnad den svenska qvinnan) infatti, pur essendo stata fondata in preceden-
za (1859), aveva almeno inizialmente un ‘taglio’ ben diverso (vd. p. 1063).
426
Con lei un’altra attivista, l’insegnante, scrittrice e traduttrice Elisabeth
Ouchterlony (1842-1890), di padre svedese e madre danese, che era stata tra i
promotori dell’Associazione delle donne danesi. La nuova associazione sarà attiva
fino al 1904.
427
Le prime organizzazioni operaie femminili risalgono agli anni ’70 del XIX seco-
lo. Del 1901 è l’Unione delle lavoratrici (Kvindeligt Arbejderforbund). Tuttavia gli
interessi sindacali delle donne furono spesso gestiti da apposite sezioni all’interno
delle corrispondenti organizzazioni maschili.
428
Caporedattore fu Johanne Meyer (1838-1915), seguace di Grundtvig e militan-
te di prima linea per il diritto di voto e l’eleggibilità delle donne.
429
Entrambe avevano seguito Matilde Bajer quando questa aveva abbandonato
l’Associazione delle donne danesi. Louise Nørlund, che lavorava in ambito scolastico,
fu anche tra le promotrici dell’Associazione delle insegnanti del comune di Copenaghen
(Københavns Kommunelærerindeforening) sorta nel 1891. Quando l’Associazione per
il voto alle donne fu sciolta (1898) ella diede vita alla Commissione delle associazioni
delle donne danesi per il diritto di voto (Danske Kvindeforeningers Valgretsudvalg), in
seguito Lega delle associazioni delle donne danesi per il diritto al voto (Danske
Kvindeforeningers Valgretsforbund). In tal modo poté riunire diversi gruppi minori e
stabilì legami a livello internazionale partecipando in prima persona a importanti
convegni.
430
Dal 1905 Consiglio nazionale delle donne danesi (Danske Kvinders Nationalråd),
dal 1999 (anno del centenario) nuovamente Dansk Kvinderåd.
431
La redattrice era Julie Arenholt (1873-1952), attiva come ispettrice di fabbrica,
mansione nella quale si occupò delle condizioni di lavoro e di igiene nei laboratori di
panetteria e pasticceria. Si veda Nørregaard Hansen H., Landsforbundet for Kvinders
Valgret 1907-15, København 1992.
432
Su Elna Munch cfr. sopra p. 971 con nota 69. Altre figure importanti all’interno
dell’associazione furono Hansine Pedersen (1861-1941) che pure era di estrazione
contadina; Johanne Rambusch (1865-1944), tra i fondatori della Sinistra radicale; Olga
Knudsen (1865-1947), impegnata nel sociale, prima donna a prendere la parola al
Senato; Ingeborg Møller (1867-1945), dotata di grandi capacità organizzative; Thora
Ingemann Drøhse (1867-1948) molto attiva sul fronte della lotta all’alcolismo; Marie
Hjelmer (1869-1937) che dal 1918 sarebbe stata l’unica eletta della Sinistra radicale al
Senato. Oltre a quelle qui citate le prime donne che divennero membri del parlamen-
to danese furono alla Camera Helga Larsen (1884-1947), Karen Ankersted (1859-1921)
e Mathilde Malling Hauschultz (1885-1929); al Senato Nina Bang (1861-1941, cfr. nota
474), Marie Christensen (1860-1935) e Inger Gautier Schmit (1877-1963).
433
Vd. p. 970 con nota 65.
437
Ella era la moglie del celebre archeologo e studioso di antichità Oscar Montelius
(vd. nota 627).
438
Membro del Sindacato femminile (Kvinnornas fackförbund), sorto nel 1900 per
iniziativa di Anna Sterky (Anna Nielsen, 1856-1939, danese trasferita in Svezia), ella
sarà redattrice del giornale Brezza del mattino (Morgonbris), voce di quella organizza-
zione. Di Anna Sterky è nota la scelta di convivere con Fredrik Sterky (vd. p. 996) al
di fuori di un matrimonio legalmente riconosciuto pur volendone assumere il cognome.
439
A lei si deve la fondazione (1878) di una scuola privata nota come Whitlockska
Samskolan nella quale si applicavano nuovi metodi di insegnamento che lasciavano
maggiore autonomia agli allievi e si aumentava lo spazio dedicato alle esercitazioni
pratiche. Sul significato di samskola vd. nota 465.
440
Il merito dell’ottima organizzazione va in gran parte a Signe Wilhelmina Ulrika
Bergman (1869-1960), che sarà poi presidente dell’associazione fra il 1914 e il 1917.
441
Del resto la necessità di un coordinamento appare chiara già nell’iniziativa di
Ellen Fries (sulla quale più avanti) che nel 1896 aveva fondato l’Associazione naziona-
le delle donne svedesi (Svenska Kvinnors Nationalförbund), sezione dell’International
Council of Women, allo scopo, appunto, di costituire un punto di riferimento per i
diversi movimenti.
442
Dal 1931 la denominazione verrà mutata in Associazione delle donne svedesi di
Sinistra (Svenska Kvinnors Vänsterförbund), tuttora mantenuta.
443
Rappresentante di un femminismo radicale fu, tra le altre, Alma Åkermark
(1853-1933) che diede vita al giornale Avanti (Framåt) nel quale, suscitando notevole
scandalo, trovò spazio un dibattito sulla morale sessuale che non rifiutava prese di
posizione estreme (vd. Weidel Randver G., Tidskriften Framåt. Kvinnors kamp för det
fria ordet, Göteborg, 1985).
444
In questo contesto si ricordino anche l’economista Knut Wicksell (cfr. nota 170)
che fu tra i primi a dichiararsi a favore del controllo delle nascite e la scrittrice Stella
Kleve (pseudonimo di Mathilda Malling, 1864-1942) che nelle sue opere esprime
liberamente le sensazioni represse delle donne.
445
Per entrambe queste scrittrici cfr. p. 1056. Elin Wägner è ricordata anche come
membro del cosiddetto “gruppo di Fogelstad” (Fogelstadsgruppen) dal nome della
località (in Södermanland) in cui fu aperta una scuola femminile per incentivare la
formazione delle ragazze e sviluppare la loro coscienza sociale e civile. Con lei Elisabeth
Tamm (1880-1958), attivo membro delle Donne liberali e proprietaria della tenuta di
Fogelstad, Ada Nilsson, sopra ricordata, Kerstin Hesselgren (1872-1962), che fu la
prima donna ispettrice del lavoro e Honorine Hermelin (1886-1977), direttrice della
scuola. Vd. Knutson U., Kvinnor på gränsen till genombrott. Grupporträtt av Tidevar-
vets kvinnor, Stockholm 2005. Kerstin Hesselgren ed Elisabeth Tamm furono anche
(1921) tra le prime donne svedesi elette in parlamento; insieme a loro Hedvig Eleono-
ra Bertha Wellin (1870-1951), Agda Östlund (1870-1942) e Nelly Maria Thüring
(1875-1972).
450
Cfr. sopra, p. 1060 e anche p. 1079. Una delle prime sostenitrici della parità dei
doveri morali nelle questioni sessuali era stata fin dal 1875 Aasta Hansteen (1824-1908),
pioniera del movimento femminista, convinta sostenitrice del landsmaal e prima ‘pit-
trice professionista’ norvegese.
451
In primo luogo quella espressa dal pittore e scrittore Christian Krohg (1852-1925)
che nel romanzo Albertine (1886) affrontava lo ‘scandaloso’ tema della prostituzione
(l’opera venne immediatamente proibita). Cfr. oltre, p. 1093.
452
Vd. sopra, nota 247. Un argomento ‘forte’ portato da queste organizzazioni fu
l’impegno delle donne per il raggiungimento della piena indipendenza della Norvegia
dalla Svezia, accompagnato dalla richiesta (per altro disattesa) di poter votare per il
referendum sullo scioglimento dell’unione nel 1905 (vd. pp. 1016-1017).
463
Si ricordino qui, a esempio, le leggi svedesi di Birger jarl (vd. p. 352 con nota
99) con le quali fu introdotto in Svezia il principio dei diritti delle donne (kvinnofrid).
464
Vd. p. 884.
lanciate dal momento che nella maggior parte dei casi il diritto
scandinavo prevedeva che le sorelle percepissero una quota pari
alla metà di quella spettante ai fratelli; inoltre alle donne era inter-
detto l’accesso alle attività commerciali. Una indipendenza econo-
mica era dunque ben difficile da raggiungere. In Svezia la legge del
1734469 aveva, se possibile, ulteriormente aggravato la situazione.
Le donne erano in sostanza perennemente considerate alla stregua
di minori. Solo in determinati casi (vedovanza o contingenze par-
ticolari) erano previste eccezioni per consentire una gestione eco-
nomica autonoma. A tutto ciò si aggiunga l’autorità ‘disciplinare’
che la legge assegnava al marito sulla famiglia e sui domestici. Anche
in questo ambito nell’Ottocento si andò in direzione di una mag-
giore giustizia: il pari diritto ereditario fu stabilito per legge in
Svezia nel 1845, in Islanda nel 1850, in Norvegia nel 1854 e in
Danimarca (dopo un primo parziale provvedimento del 1845) nel
1857.470 A ciò si accompagnò il riconoscimento della ‘maggiore età’
per le donne nubili, mentre le sposate rimasero ancora a lungo
sotto la tutela del marito. Il raggiungimento di questo obiettivo si
collegò a una serie di decreti che favorirono l’accesso al commercio
e al mondo del lavoro (gli sviluppi della società che si andava indu-
strializzando lo richiedevano!) e nel volgere di qualche decennio
le donne trovarono occupazioni nuove non di rado gravose ma non
più necessariamente legate alla sola gestione della casa.471
Una situazione particolarmente difficile era da sempre quella
delle ragazze madri (ben più duramente colpite rispetto ai padri
dei loro bambini): contro di loro l’ostilità della Chiesa e la condan-
na dello Stato che si traducevano in severe e umilianti punizioni
469
Vd. pp. 698-699.
470
In questa sede non è possibile dare specificamente conto delle numerose leggi
e decreti che contribuirono a mutare il quadro normativo nei diversi ambiti citati. In
proposito si rimanda alla letteratura elencata nella sezione bibliografica relativa a
questo paragrafo, in particolare a Blom – Tranberg 1985.
471
In Danimarca le donne nubili furono dichiarate maggiorenni nel 1857 al com-
pimento dei venticinque anni, le donne sposate nel 1899; con una legge del 1880
queste ultime ottennero il diritto di gestire personalmente i propri beni; una piena
parità da questo punto di vista fu tuttavia raggiunta solo nel 1925. In Svezia le donne
nubili ottennero la maggiore età a venticinque anni nel 1858 ma solo nel 1884 il limite
fu portato a ventuno anni alla pari degli uomini, quelle sposate tuttavia sarebbero
rimaste sotto la tutela del marito fino al 1921; dal 1874 le donne sposate poterono
amministrare le proprie entrate. In Norvegia le donne nubili furono dichiarate mag-
giorenni al compimento dei ventuno anni (al pari degli uomini) nel 1869, nel 1888 le
sposate. In Islanda le donne nubili ottennero la maggiore età al compimento dei
venticinque anni nel 1861 e, con essa, la gestione dei propri beni, che fu concessa alle
donne sposate solo nel 1900 ma pienamente nel 1923.
(2012). Dal 2014 Antje Jackelén (n. 1955), vescovo di Lund, sarà
il primo arcivescovo donna di Svezia.
(1992) della cosiddetta Chiesa delle donne (Kvennakirkjan) che si pone come rappre-
sentante della ‘teologia femminista’; vd. Vilhjálmsdóttir A.E., “God, Our Sister and
Friend. Kvennakirkjan in Reykjavík, Iceland”, in Berger Th. (ed.), Dissident Daughters.
Feminist Liturgies in Global Context, Louisville 1989, pp. 135-146.
480
La sigla L. D-n fa riferimento a Lotten Dahlgren (1851-1934), studiosa di storia
culturale, una delle firme di prestigio della rivista.
481
Kvinnans århundrade. Reflexioner vid sekelslutet (DLO nr. 173).
482
Il riferimento è al suo volume dal titolo Gli uomini della rivoluzione moderna.
Una serie di ritratti (Det moderne Gjennembruds Mænd. En Række Portræter, 1883)
nella quale prende in considerazione l’opera di diversi autori dell’Ottocento. Fin dal
1871 Brandes aveva tenuto una serie di conferenze presso l’Università di Copenaghen
nelle quali esponeva la nuova visione della letteratura e della storia: esse sono consi-
derate un momento fondamentale per il cambiamento della prospettiva culturale dei
decenni successivi. Il testo delle conferenze fu poi raccolto in sei volumi dal titolo
Correnti principali nella letteratura del XIX secolo (Hovedstrømninger i det 19de
Aarhundredes Litteratur), usciti tra il 1872 e il 1890.
483
Uno dei più significativi rappresentanti di una ‘conversione’ alle nuove idee è
l’influente filosofo danese Harald Høffding (1843-1931), passato da una visione kierke-
gaardiana al credo positivista. Naturalmente le nuove dottrine ebbero anche fieri
avversari: si ricordi qui in primo luogo il medico norvegese Ernst Ferdinand Lochman
(1820-1891), professore all’università di Oslo dove il 2 settembre 1874 aveva tenuto
un celebre discorso contro le teorie positivistiche e darwiniste.
484
Uno scontro particolarmente duro e prolungato, si ebbe in Norvegia tra il 1880 e
il 1930. Alimentato dalla discussione sulle questioni sociali (non da ultima l’emancipa-
zione femminile) e dal giudizio sulle nuove teorie scientifiche, esso coinvolse non solo
gli intellettuali che esprimevano un totale rifiuto della religione, ma anche coloro che
chiedevano l’abbandono di un rigido dogmatismo e una nuova interpretazione del
dettato biblico, mentre all’interno del mondo ecclesiastico si rifletté in un conflitto (non
senza ricadute politiche) tra i conservatori più intransigenti e i fautori di una teologia
liberale (kirkestriden, letteralmente “guerra nella Chiesa”). Nel 1906 la nomina a pro-
fessore universitario di teologia di Johannes Ording (1869-1929), sostenitore delle
nuove idee, provocò una dura reazione degli ortodossi con le dimissioni del ministro per
la Chiesa Christoffer Knudsen (1843-1915) e di Sigurd Odland (1857-1937), che lasciò
l’ateneo e fondò la Libera facoltà di teologia (Det teologiske Menighetsfakultet, letteral-
mente la Facoltà teologica della comunità), tuttora attiva. Al di là delle critiche più
feroci, le Chiese nordiche nel XIX secolo compresero (almeno per quanto riguarda i loro
membri più consapevoli) la necessità di rinnovarsi per adeguarsi alle nuove esigenze, non
soltanto in relazione ai movimenti revivalisti ma anche alla profonda trasformazione
della società (si veda in proposito Lenhammar 20014 [B.7.2], pp 82-95).
485
Vd. sopra, p. 933 con nota 328. Su Jón Árnason, al quale (a motivo della prema-
tura morte di Magnús Grímsson) questo imponente lavoro resta in primo luogo
legato, vd. “Jón Árnason, þjóðsagnafræðingur 1819-1888”, in BR, pp. 144-147. La
raccolta ha per titolo Racconti popolari e fiabe islandesi (Íslenzkar þjóðsögur og ævintýri,
1862-1864). Qui vanno ricordati anche Ólafur Davíðsson (1862-1903) che insieme a
Jón Árnason raccolse Indovinelli, passatempi, vikivaki e filastrocche islandesi (Íslenzkar
gátur, skemtanir, vikivakar og þulur, I-IV, Kaupmannahöfn 1887-1903) e contribuì ad
altre opere nell’ambito del folclore letterario; Þorsteinn Erlingsson (1858-1914), Jón
Þorkelsson (1859-1924) e Hannes Þorsteinsson (1860-1935) raccoglitori a loro volta
di racconti e tradizioni popolari.
resto un altro fra i suoi redattori, Gestur Pálsson, che è stato men-
zionato insieme a Þorsteinn Erlingsson tra i promotori delle idee
socialiste in Islanda,498 rivolge la sua attenzione di scrittore alle
problematiche dell’attualità (ma scrive anche intensi versi realisti),499
mentre il prosatore Þorgils gjallandi (1851-1915),500 contadino
autodidatta, incentra volentieri le proprie novelle su figure di anti-
conformisti.501 L’attenzione all’attualità appare evidente anche in
un poeta come Einar Benediktsson (1864-1940) il quale il 31
ottobre 1896 pubblicava sul quotidiano Programma (Dagskrá)502
un articolo dal titolo “Movimento dei lavoratori” (“Félagsskapur
verkamanna”): in sostanza un invito alla mobilitazione operaia per
dare l’avvio a un processo di miglioramento delle condizioni di vita
dei molti poveri, soprattutto a Reykjavík.503 Ma alla nuova consa-
pevolezza si deve altresì la comparsa di una letteratura femminile,
le cui migliori rappresentanti sono (seppure i temi ispiratori restino
in diversi casi tradizionali) Júlíana Jónsdóttir (1838-1918), la prima
donna a dare alle stampe (a proprie spese) un libro (di liriche),504
Ólöf Sigurðardóttir (1857-1933), fine poetessa, e Torfhildur
Þorsteinsdóttir Hólm (1845-1918), la prima a guadagnarsi da vive-
re col mestiere di scrittrice.505 Nella seconda metà dell’Ottocento
anche il teatro islandese acquisisce consistenza: le opere si ispirano
inizialmente al passato e alla tradizione del Paese. In questo ambi-
to il primo nome degno di menzione è quello di Indriði Einarsson
(1851-1939), che fu anche economista coinvolto nella fondazione
delle prime banche islandesi.506
In Norvegia la compresenza di motivi tradizionali e di impulsi
innovatori si constata, niente meno, che in Ibsen medesimo. Presto
498
Vd. sopra, p. 1042.
499
Gestur Pálsson fu anche redattore di giornali come Þjóðólfur (vd. p. 1031) e
Suðri, uscito tra il 1883 e il 1886 (cfr. nota 370).
500
Il vero nome di questo autore è Jón Stefánsson. Lo pseudonimo Þorgils gjallandi
è ripreso da un personaggio della Saga di Egill Skalla-Grímsson, incentrata sulle vicen-
de del celebre scaldo (vd. pp. 306-307 e p. 313). Il soprannome gjallandi significa
“sbraitone”.
501
Una chiara impronta realista hanno anche le opere di Jón Trausti (Guðmundur
Magnússon, 1873-1928) ed Einar Hjörleifsson Kvaran (1858-1938), che fu tra i fonda-
tori di Verðandi. Su di loro: “Jón Trausti” ed “Einar Hjörleifsson Kvaran, rithöfundur”,
in BR, pp. 232-235 e pp. 208-211, rispettivamente.
502
Nr. I, 29, pp. 113-114. Dagskrá, da lui fondato, fu il primo quotidiano islandese.
503
Einar Benediktsson fu anche attivamente coinvolto nella fondazione del Partito
della difesa nazionale.
504
Si tratta della raccolta di poesie Ragazza (Stúlka), uscita nel 1876.
505
Cfr. p. 489, nota 87.
506
Vd. p. 1040.
507
Se si fa eccezione, in primo luogo, per Catilina (uscito nel 1850 sotto lo pseudo-
nimo di Brynjolf Bjarme), un dramma che comunque molto risente delle esperienze
teatrali dei romantici, in particolare di Oehlenschläger (su cui vd. p. 914).
508
Nato a Skien il 20 marzo 1828 in una famiglia agiata, Henrik Ibsen ebbe una
infanzia tranquilla fino a quando, a partire dal 1834, le sorti economiche del padre
subirono un rovescio. Fu dunque poi costretto a cercarsi un lavoro (garzone di far-
macista) dedicandosi al contempo al giornalismo e avvicinandosi all’ambiente del
teatro nel quale troverà la strada che lo condurrà al successo. Dopo essere stato
chiamato dal celebre violinista Ole Bull (vd. pp. 937-938) a lavorare (e a scrivere)
per il teatro di Bergen, egli intraprenderà diversi viaggi all’estero, dove trascorrerà
lunghi periodi (in particolare in Italia). Sposato nel 1858 con Suzannah Thoresen
(1836-1914) avrà da lei il figlio Sigurd (1859-1930); un altro figlio (Hans Jacob
Hendriksen, 1846-1916) aveva avuto in gioventù da Else Sophie Jensdatter Birkedalen
(1818-1892), domestica del farmacista. Acquisita una solida posizione e (per quanto
la sua opera fosse costantemente discussa) un sicuro riconoscimento internazionale,
continuerà a produrre per il teatro fino al 1900, quando si manifesterà (con un primo
ictus) la malattia che progressivamente lo condurrà alla morte, avvenuta a Oslo il 23
maggio 1906.
509
Vd. p. 921.
510
Un primo tentativo in tal senso aveva fatto fin dal 1862 con la Commedia dell’amo-
re (Kærlighedens komedie).
511
Come è noto la figura di Peer Gynt è ripresa dai racconti popolari norvegesi
532
Si pensi qui, in primo luogo, a diverse storie di Sposarsi I e II (Giftas I, 1884 e
Giftas II, terminato nel 1885 ma uscito nel 1886) di tono palesemente antifemmini-
sta, la cui stesura non può tuttavia prescindere dalle complesse esperienze matrimo-
niali dell’autore e dal suo irrisolto rapporto con le donne. Si tenga tuttavia conto del
fatto che Strindberg si era espresso in favore del diritto di voto per le donne. Ma si
consideri anche che l’aver trattato il ‘sacro tema’ del matrimonio in forma non con-
venzionale in Sposarsi I portò al sequestro dell’opera da parte delle autorità; nel
successivo processo Strindberg fu tuttavia assolto.
533
Fratello minore di Georg e dell’economista Ernst (1844-1892), Edvard Brandes
(1847-1931) fu scrittore e politico, rappresentante della Sinistra radicale fin dalla sua
fondazione; vd. p. 1110.
534
Riconoscimento condiviso con il poeta, prosatore e drammaturgo danese Karl
Adolph Gjellerup (1857-1919), la cui parabola artistica si muove dall’idealismo roman-
tico al naturalismo per poi rifluire nel neoromanticismo e nel simbolismo.
539
Vd. Olsson H., Fröding. Ett diktarporträtt, Stockholm 1967.
540
La ragione dell’assegnazione del prestigioso riconoscimento avvenuta nell’anno
della morte dipende, a quanto pare, dal fatto che in precedenza Karlfeldt aveva rifiu-
tato il premio, essendo egli membro di quella stessa Accademia svedese che designava
il vincitore. Su di lui vd Fogelqvist T., Erik Axel Karlfeldt, Stockholm 19412.
541
Vd. Böök F., Oscar Levertin, Stockholm 1944.
542
Vd. p. 1075 con note 486-487 e p. 1167. Su di lei vd. Wägner E., Selma Lagerlöf,
I-II, Stockholm 1942-1943 ed Edström V., Selma Lagerlöf. Livets vågspel, Stockholm
2002.
543
Va qui tuttavia doverosamente ricordato che questo autore (che scriveva in
islandese ma anche in danese) si era trasferito in Danimarca dove morì a soli trenta-
nove anni a causa della tubercolosi. Il suo lavoro più noto è certamente Bjærg-Ejvind
og hans hustru / Fjalla-Eyvindur (vd. p. 735, nota 248). Vd. “Jóhann Sigurjónsson,
skáld”, in BR, pp. 244-247.
544
Vd. “Stephan G. Stephansson, bóndi og skáld”, in BR, pp. 188-191. Cfr. nota 383.
545
Si pensi alla svedese Wendela Hebbe (1808-1899) la quale, affrontando ostilità
e malevolenza, riuscì a diventare giornalista. A lei si deve un’opera dal titolo Brani
poetici svedesi per la gioventù (Svenska skalde-stycken för ungdom, 1845) che costituisce
un punto di svolta nell’ambito di questo genere di testi.
546
Su Zacharias Topelius vd. p. 1375. Su Jón Sveinsson vd. “Nonni (Jón Sveinsson,
1857-1944)”, in BR, pp. 200-203.
547
In margine si ricordino anche i danesi Hans Vilhelm Kaalund (1818-1885) e Johan
importanti dei quali sono i già citati Carl Larsson (che dipingerà qui
i suoi primi acquerelli) e Karl Nordström, mentre l’isola di Dalarö
nell’arcipelago di Stoccolma è in estate una località frequentata da
numerosi artisti.572 Fin dalla metà del secolo il norvegese Adolph
Tidemand aveva ‘scoperto’ il borgo di pescatori di Arild, sulla costa
occidentale della Scania, luogo ideale per la pittura en plein air.573
Qui molti accorsero dalla vicina Danimarca (tra cui P.S. Krøyer) e
dalla Svezia, e negli anni ’80 esso divenne il centro di una intensa
attività artistica:574 vi soggiornarono tra gli altri Gustaf Rydberg
(1835-1933), allievo di Höckert e di Gude e precursore degli impres-
sionisti, Georg von Rosen, Gustaf Cederström, Elisabeth Keyser
(1851-1898), che aveva studiato presso Bonnat, Axel Nordgren,575
Alfred Wahlberg (1834-1906) grandemente apprezzato a livello
internazionale (e considerato fra i migliori pittori svedesi del perio-
do), Nils Kreuger (1858-1930), che era stato a Grez-sur-Loing, e
anche (ma non ultimo!) il principe Eugenio Bernadotte (Eugen
Napoleon Nikolaus, 1865-1947), grande appassionato e sostenitore
dell’arte, mecenate e pittore egli stesso che aveva studiato ed espo-
sto a Parigi.576 E mentre il percorso artistico di Carl Fredrik Hill
(1849-1911), finissimo paesaggista, si perde nei meandri della malat-
tia mentale, altri come Johan Olof Sager-Nelson (1868-1896), Ivan
Johan Gustaf Aguéli (Agelii, 1869-1917) e Ivar Arosenius (1878-1909)
si aprono alle suggestioni del simbolismo (se non del sintetismo), là
dove Karl Nordström, Richard Bergh e Nils Kreuger daranno vita
negli anni ’90 alla cosiddetta “scuola di Varberg” (Varbergsskolan)
che segna il rifiuto della pittura del paesaggio di stile realistico e
appare profondamente influenzata dall’arte di Gauguin.
Nella scultura il realismo viene anticipato in Svezia da John
(Johan) Börjeson (1835-1910) e interpretato da Johan Peter Molin
572
Tra cui Eva Bonnier (1857-1909), Alf Wallander (1862-1914), Anders Zorn,
Richard Bergh (1858-1919). Ma Dalarö è anche meta di diversi scrittori tra cui August
Strindberg.
573
Ottimamente interpretata, fra gli altri, da Per Ekström (1844-1935).
574
In questa località il pittore danese Viggo Pedersen (1854-1926), artista del pae-
saggio, fondò un scuola di pittura.
575
Cfr. p. 927, nota 298.
576
Il principe Eugenio era il quarto e ultimo figlio del re Oscar II e della regina Sofia
(Sophie) di Nassau (1836-1913). Egli è noto con il soprannome di “principe pittore”
(målarprinsen). Più tardi un’altra piccola colonia di artisti (comprendente anche cera-
misti, artigiani del mobile e della tessitura) si raccoglierà presso Arvika (Värmland):
essa è nota come Rackengruppen (Gruppo di Racken, dal nome di un lago a nord di
questa località). Nel 1948 altri artisti si sarebbero lasciati attrarre dal fascino di quella
località formandovi un gruppo: tra loro il grafico Runo Andersson (1906-1981), il
pittore Einar Elmland (1916-1994) e lo scultore Asmund Arle (1918-1990).
587
Da allora questa mostra, definita Mostra autunnale (Høstutstilling) è divenuta
un irrinunciabile momento di riferimento nell’ambito dell’arte pittorica norvegese; cfr.
p. 936. Presto al suo interno fu lasciato ampio spazio alle opere realizzate da donne.
588
Nella capitale tedesca, dove resterà fino al 1908, egli frequenterà, tra gli altri,
August Strindberg – che, come si è detto (vd. nota 530), si dedicava anche alla pittura
– di cui realizzerà un ritratto (1896).
589
Tra di loro il celebre esploratore Fridtjof Nansen (vd. pp. 1104-1105).
600
Vd. p. 981.
601
Su Nicolai Eigtved vd. pp. 845-846 con nota 756. La chiesa è popolarmente nota
come “Chiesa di marmo” (Marmorkirken). A Meldahl si deve anche la costruzione del
palazzo in cui ha sede il parlamento islandese a Reykjavík (Alþingishúsið).
602
Vd. p. 928 con nota 303.
603
In Danimarca Johan Daniel Herholdt (1818-1902), cui si deve tra l’altro la
Biblioteca universitaria realizzata in stile neogotico, enfatizzò l’uso del mattone come
caratteristica propria dell’architettura nazionale. Cfr. nota 596.
604
Questa tendenza viene definita “stile del drago” (dragestil in bm, drakestil in nn)
poiché volentieri fa ricorso all’elemento decorativo costituito da teste di drago, tipico
di diverse stavkirker ma presente anche sulla prua delle navi vichinghe. Parallelamen-
te va citata la corrente stilistica, interpretata in primo luogo da Holm Hansen Munthe
(1848-1898), che si ispira all’architettura nordica del passato, in particolare alle case
signorili delle grandi fattorie. Sulle stavkirker vd. pp. 270-272.
605
Ferdinand Boberg era sposato con la figlia dell’architetto Frederik Wilhelm
Scholander, Anna (1864-1935), pittrice di talento.
606
Il numero degli architetti scandinavi della seconda metà del XIX secolo è dav-
vero cospicuo: per un approfondimento si rimanda dunque alla letteratura critica in
materia. Qui ci si dovrà limitare ad aggiungere alcuni dei nomi più prestigiosi. Fra i
danesi: Jens Vilhelm Dahlerup (1826-1907) e Ludvig Peter Fenger (1833-1905), figure
di punta dell’architettura revivalista; Hans Jørgen Holm (1835-1916), esponente dello
stile nazional-romantico; Albert Jensen (1847-1913), che realizzò in stile neorinasci-
mentale il Magasin du Nord di Copenaghen; Andreas Lauritz Clemmensen (1852-1928),
tra i pionieri del cosiddetto “stile del palazzo” (palæstil, fondato su una commistione
di elementi classici e rococò); Peder Vilhelm Jensen-Klint (1853-1930), cui si deve la
Chiesa di Grundtvig (Grundtvigs Kirke) a Copenaghen, che nel 1909 sarebbe stato tra
i fondatori della Libera associazione degli architetti (Den frie Architektforening) in
opposizione all’accademia; H.B. (Hermann Baagøe) Storck (1839-1922), impegnato
in numerosi restauri; Thorvald Jørgensen (1867-1946) cui fu affidata la ricostruzione
in stile neobarocco del castello di Christiansborg dopo un secondo incendio nel 1884
(cfr. p. 919). Fra gli svedesi: Frans Gustaf Abraham Dahl (1835-1927), che disegnò
l’edificio della Biblioteca reale (Kungliga biblioteket) di Stoccolma; Adolf Vilhelm
Kjellström (1834-1932), attivo soprattutto a Örebro; Gustaf Petterson (1855-1933) cui
furono affidati molti lavori di restauro; Agi (August) Lindegren (1858-1927) cui si deve
la Chiesa di Gustavo Vasa a Stoccolma in stile neobarocco; Axel Johan Anderberg
(1860-1937) che ebbe l’incarico di progettare il nuovo palazzo dell’Opera (realizzato
in stile neobarocco e inaugurato nel 1898) in sostituzione di quello fatto erigere in
precedenza da Gustavo III (vd. p. 847); Aron Johansson (1860-1936) che completò il
Palazzo del parlamento (Riksdagshuset) e quello della Banca nazionale (Riksbanken)
a Stoccolma; Fredrik Lilljekvist (1863-1932) cui si deve il Teatro reale (Kungliga
dramatiska teatern) nella capitale; Isak Clason (1856-1930) che disegnò in stile rina-
scimentale l’edificio in cui è collocato il Museo nordico (Nordiska Museet, istituzione
fondata nel 1873 dal filologo ed etnologo Artur Hazelius, 1833-1901). Tra i norvegesi:
Christian Heinrich Grosch (1801-1865) che si affida al neoromanico e al neogotico;
Eilert Christian Brodtkorb Christie (1832-1906) cui fu commissionato il restauro del
duomo di Trondheim; Rudolf Emanuel Jacobsen (1879-1937) che progettò l’imponen-
te Ufficio postale centrale della capitale norvegese.
607
Vd. sopra, nota 601.
608
Una precedente Società armonica era sorta nel 1820 ma la sua attività era poi
venuta esaurendosi finché essa fu sciolta nel 1865. La nuova Società armonica cessò
di esistere nel 1880 quando lo stesso Norman diede vita, insieme a Vilhelm Svedbom
(1843-1904), musicista a sua volta e segretario dell’Accademia musicale, all’Associa-
zione musicale (Musikföreningen), tuttora attiva.
609
Noto come Aulinska kvartetten. Vi suonarono tra gli altri Carl Axel Bergström
(1864-1907) e Carl Christian Magnus Sandqvist (1860-1938).
610
Di Hugo Alfvén è assai celebre, in particolare, la rapsodia Veglia di mezza estate
(Midsommarvaka, 1903). Su di lui si rimanda a Hedwall L., Hugo Alfvén. En svensk
tonsättares liv och verk, Stockholm 1973.
611
Si consideri un autore come Peter Heise (1830-1879), ma anche il più giovane
Peter Erasmus Lange-Müller (1850-1926).
612
Anche il figlio di Hamerik, Ebbe (1898-1951), sarà un apprezzato compositore,
soprattutto di musiche per il teatro.
613
In particolare la fondazione della società cui venne dato il nome della musa
protettrice della musica, Euterpe (1865), nella quale si voleva dare spazio alla musica
nordica e dell’Associazione per i concerti (Koncertforeningen, 1874). Alla costituzione
di Euterpe prese parte anche Edvard Grieg.
614
Carl Nielsen era sposato (in un matrimonio spesso problematico) con la scultri-
ce Anne Marie Brodersen (cfr. nota 562).
615
Vd. p. 921.
616
Vd. pp. 1077-1078 e p. 1079, rispettivamente.
617
Musiche per il Peer Gynt erano state scritte nel 1870 anche dal compositore
svedese Johan August Söderman, esse però non furono eseguite.
618
Non si dimentichi in questo contesto l’attività di ricerca e la rielaborazione di
musiche popolari fatta da Ludvig Mathias Lindeman (vd. p. 938, con note 354 e 355).
619
Vd. sopra, p. 1029.
629
Si ricordino qui inoltre, in primo luogo, almeno quelli le cui ricerche hanno
ottenuto il riconoscimento del Nobel (data di assegnazione indicata tra parentesi): i
danesi Johannes Fibiger (1867-1928) noto per le ricerche sul cancro (1926), August
Krogh (1874-1949) premiato per gli studi di fisiologia (1920) e Henrik Dam (1895-1976)
medico scopritore della vitamina K, premiato (1943) insieme allo statunitense Edward
Adelbert Doisy (1893-1986); gli svedesi Svante Arrhenius (1859-1927), chimico che
studiò il fenomeno dell’elettrolisi (1903); Allvar Gullstrand (1862-1930), studioso di
oftalmologia (1911), Nils Gustaf Dalén (sopra citato, vd. p. 992), ingegnere e fisico che
realizzò strumenti per l’utilizzo industriale del gas (1912), Hans von Euler-Chelpin
(1873-1964), nato in Germania, biochimico premiato (1929) insieme all’inglese Arthus
Harden (1865-1940), Theodor Svedberg (1884-1971), chimico, per gli studi sui sistemi
dispersi (1926), Manne Siegbahn (1886-1978), per le ricerche sulla spettrografia (1924)
e Arne Tiselius (1902-1971) per le ricerche sull’elettroforesi (1948). E tuttavia (per non
fare torto ai norvegesi e agli islandesi!) si nomineranno (tra i primi) anche il matemati-
co Ludwig Sylow (1832-1918); Christian H.G. Olsen (1835-1921), grande divulgatore
di astronomia; Kristian Birkeland (1867-1917) che individuò il processo che genera il
fenomeno dell’aurora boreale (cfr. p. 1028, nota 291); Cato Maximilian Guldberg
(1836-1902) che insieme al cognato Peter Waage (1833-1900) enunciò la legge di azio-
ne di massa; (tra i secondi) il geologo e geografo Þorvaldur Thoroddsen (1855-1921),
uno dei maggiori scienziati islandesi (su di lui: “Þorvaldur Thoroddsen, landfræðingur”,
in BR, pp. 192-195), l’etnologo Jónas Jónasson (1856-1934), il botanico Stefán Stefánsson
(1863-1921) e Bjarni Sæmundsson (1867-1940), pioniere della biologia marina. Ma non
si tralascino i danesi Julius Thomsen (1826-1909), internazionalmente noto per gli
studi di termochimica, Ludvig Lorenz (1829-1891), studioso dei fenomeni luminosi,
che riuscì a determinare il valore corretto della velocità della luce, Wilhelm Hellesen
(1836-1892) che realizzò le batterie a secco, Emil Christian Hansen (1842-1909), che
scoprì il lievito per produrre la birra, Eugenius Warming (1841-1924) pioniere dell’eco-
logia; né lo svedese Carl Edvard Johansson (1864-1943) che realizzò il blocchetto pian
parallelo. Per i molti altri si rimanda alla letteratura critica, in primo luogo a Kragh
2008 (B.8), Kjærgaard 2006, Lindroth 1952 (C.10.4).
630
Vd. p. 782, nota 451.
631
Si ricordino in questo contesto (tra gli altri) lo zoologo danese Henrik Nikolai
Krøyer (1799-1870) che tra il 1838 e il 1839 aveva preso parte a una spedizione fran-
cese alle isole Svalbard e successivamente viaggiato nelle Americhe; il botanico svede-
se Nils Johan Andersson (1821-1880) che aveva compiuto un itinerario intorno al
mondo; l’anglo-svedese Karl (Charles) Johan Andersson (1827-1867), esploratore in
Africa; lo scienziato svedese Oskar Sandahl (1829-1894) che aveva visitato l’Egitto e
l’Algeria e più tardi Sven Anders Hedin (1865-1952; cfr. nota 206), anch’egli svedese,
che avrebbe portato a termine lunghe spedizioni nell’Asia centrale, così come il dane-
se Ole Olufsen (1865-1929); un altro danese, Anders Barclay Raunkiær (1889-1915),
ha lasciato interessanti resoconti di un viaggio in Arabia.
632
Per le esplorazioni della Groenlandia vd. pp. 1457-1458.
633
Come è stato detto le isole Svalbard (o Spitsbergen, vd. p. 754 con nota 320)
erano già note almeno dalla fine del XVI secolo, tuttavia venivano frequentate soprat-
tutto per la caccia alle balene. Dal punto di vista scientifico esse erano state visitate una
prima volta nel 1758 dall’allievo di Linneo, il botanico Anton Rolandsson Martin (1729-
1785). Successivamente (1827) il geologo norvegese Balthasar Keilhau (1797-1858) le
aveva raggiunte a bordo di una nave allestita dal tedesco Barto von Löwenigh (1799-1853);
dieci anni dopo (1836-1837), nel corso di un viaggio che aveva compreso anche la
regione di Finnmark, vi era arrivato il biologo marino svedese Sven Lovén (1809-1885).
Successivamente fu la volta del geologo Otto Torell (1828-1900) il quale a partire dal
1858 visitò alcune volte le isole (particolarmente importante per i risultati scientifici fu
la spedizione da lui organizzata nel 1861): costoro possono essere considerati i pionieri
dei viaggi scientifici nelle zone artiche. Il primo a circumnavigare l’arcipelago fu, nel
1863, il norvegese Elling Carlsen (1819-1900), cacciatore di foche e trichechi; egli suc-
cessivamente avrebbe fatto parte della spedizione austro-ungarica che avrebbe scoperto
la Terra di Francesco Giuseppe. Negli anni 1882-1883 vi fu una spedizione svedese
guidata da Nils Gustaf Ekholm (1848-1923). Alle Svalbard fu anche Alfred Nathorst
(1850-1921), svedese, uno dei più eminenti paleontologi della sua epoca. Nordenskiöld
aveva visitato l’arcipelago insieme a Torell nel 1858 e nel 1861 ma vi tornò in seguito.
Quattro spedizioni alle Svalbard furono organizzate anche dal principe Alberto I di
Monaco (1848-1922) negli anni 1898-1907. Alle ultime due diede il proprio contributo
il norvegese Gunnar Isachsen (1868-1939) che in seguito avrebbe guidato viaggi di
ricerca finanziati dal governo del suo Paese (1909 e 1910); un compito poi affidato ad
Alfred Hoel (1879-1964) che aveva lavorato sia con il principe di Monaco sia con Isachsen
stesso. Studiosa della flora delle isole fu la norvegese Hanna Resvoll-Holmsen (1873-
1943) cui si deve la pubblicazione degli importanti risultati delle proprie ricerche.
634
Un quadro dipinto nel 1886 dal pittore Georg von Rosen (vd. p. 1090) e con-
servato al Museo nazionale (Nationalmuseum) di Stoccolma raffigura l’esploratore in
piedi sul mare ghiacciato con alle spalle la sua nave rimasta imprigionata.
635
A Fridtjof Nansen che, lo si ricordi, faceva parte del “circolo di Lysaker” (vd. p.
1094) sarà assegnato nel 1922 il premio Nobel per la pace per la sua attività come alto
commissario per i rifugiati e per l’impegno con cui aveva combattuto gli effetti della
gravissima carestia russa del 1921.
636
Si trattava dell’ingegnere Knut Frænkel (1870-1897) e del fotografo Nils Strindberg
(1872-1897) le cui immagini, rinvenute (insieme ai diari) col ritrovamento dei corpi,
rendono documentata testimonianza di un’avventura conclusasi in tragedia. Alla
spedizione avrebbe dovuto partecipare Nils Gustaf Ekholm (cfr. nota 633) il quale
tuttavia, in contrasto con Salomon August Andrée, si era ritirato dopo il fallimento del
primo tentativo ed era stato sostituito da Frænkel.
637
A questa vicenda è ispirato il romanzo documentaristico di Per Olof Sundman
(vd. p. 1264) dal titolo Il volo dell’ingegner Andrée (Ingenjör Andrées Luftfärd, 1967).
Essa inoltre è stata tradotta in versione cinematografica (vd. p. 1194, nota 311).
638
Più tardi (1918-1920) egli avrebbe attraversato con successo (ma anche con
molte difficoltà) il passaggio a nord-est.
639
Sulla data vd. oltre, nota 644. Della spedizione di Amundsen faceva parte anche
Hjalmar Johansen, compagno di Nansen nel cammino verso il Polo Nord. Tra i pionie-
Dopo il ritorno dalla spedizione che aveva raggiunto il Polo Sud Roald
Amundsen redasse un resoconto dal titolo Il Polo Sud. Il viaggio al Polo
Sud con [la nave] Fram nel 1910-1912 (Sydpolen. Den norske sydpolsfærd
med Fram 1910-1912, 1912) che fu presto tradotto in altre lingue ed ebbe
larga diffusione. Si riporta qui il brano che riferisce dell’arrivo alla meta
tanto ostinatamente perseguita:
come se fosse stato predisposto per l’arrivo al Polo. Non sono del tutto
sicuro, ma credo che abbiamo fatto colazione un po’ più in fretta del solito
quel giorno rispetto ai precedenti, e che fossimo più lesti a uscire dalla ten-
da, sebbene debba ammettere che questo avveniva sempre con tutta l’auspi-
cabile rapidità. Ci disponemmo nell’ordine consueto: l’apripista, Hanssen,
Wisting, Bjaaland e il secondo apripista.645 A mezzogiorno avevamo raggiun-
to 89° 53’ di latitudine sud secondo [il calcolo risultante dopo aver fatto] il
punto e ci preparammo ad affrontare il resto in un’unica tappa. Alle 10 del
mattino si era alzata una leggera brezza da sud-est e si era rannuvolato,
sicché non potemmo prendere l’altezza meridiana. Ma lo strato di nuvole
non era spesso, e di quando in quando potevamo intravedere il sole. Quel
giorno il fondo era un po’ irregolare. A volte gli sci avanzavano bene, ma a
volte avevamo difficoltà. Quel giorno si procedeva nello stesso modo mec-
canico dei precedenti. Non si parlava molto ma gli occhi erano usati al
massimo. Il collo di Hanssen quel giorno come i precedenti era lungo il
doppio, da quanto lo stirava e distendeva per vedere se possibile qualche
millimetro più avanti. Prima di partire gli avevo chiesto di scrutare attenta-
mente ed egli lo faceva al massimo. Ma per quanto scrutasse e osservasse al
massimo non poteva vedere altro se non l’infinita e piatta distesa davanti
[a noi]. I cani avevano smesso di fiutare, e sembrava che non si interessas-
sero più alle regioni attorno all’asse del mondo.
Alle 3 del pomeriggio un simultaneo “Alt!” risuonò dai guidatori. Essi
avevano esaminato attentamente i loro contachilometri646 e tutti mostrava-
no la distanza calcolata – il nostro Polo facendo il punto. La meta era rag-
giunta, il viaggio finito. Io non posso dire – sebbene sappia che ciò avrebbe
fatto un ben più grande effetto – che avevo raggiunto l’obiettivo della mia
vita. Direi una bugia piuttosto e apertamente. Devo invece essere onesto e
ammettere direttamente che io non credo che nessuno si sia mai trovato in
un luogo così diametralmente opposto alla meta dei suoi desideri come ero
io in quel momento. Le regioni attorno al Polo Nord – sì accidenti! – lo
stesso Polo Nord mi avevano attratto sin dall’infanzia e ora io mi trovavo
al Polo Sud. Si può immaginare qualcosa di più antitetico?
Calcolavamo ora, di essere al Polo. Naturalmente ognuno di noi sapeva
che non eravamo sul punto esatto – sarebbe stata una cosa impossibile da
determinare con il tempo e gli strumenti a nostra disposizione. Ma vi era-
vamo così vicini che i pochi chilometri che probabilmente ci separavano da
esso non potevano avere la benché minima importanza.
645
I compagni d’avventura che con Amundsen raggiunsero il Polo Sud erano
Helmer Hanssen (1870-1956), Oscar Adolf Wisting (1871-1936), Olav Bjaaland (1873-
1961) e Sverre Hassel (1876-1928).
646
In norvegese, per la precisione, distansehjul, vale a dire una piccola ruota prov-
vista di contatore che veniva applicata alle slitte per misurare il percorso effettuato.
647
DLO nr. 175.
1
Ove Rode era fratello maggiore dello scrittore Helge Rode (vd. p. 1084).
2
Vd. sopra, pp. 967-968.
3
Corrispondenti a circa quattrocentodue milioni di euro.
12
Kanslergade è la strada nel quartiere di Østerbro a Copenaghen in cui al nr. 10
il primo ministro Thorvald Stauning aveva la propria residenza, all’interno della qua-
le furono condotte le trattative e raggiunto l’accordo.
13
Lov om Arbejdsanvisning og Arbejdsløshedsforsikring (sul collocamento e il
sussidio di disoccupazione), Lov om offentlig Forsorg (sull’assistenza sociale ai biso-
gnosi), Lov om Folkeforsikring (sull’assicurazione per invalidità e malattia e la pen-
sione di vecchiaia), Lov om Forsikring mod Følger af Ulykkestilfælde (sull’assicurazio-
ne relativa agli infortuni sul lavoro) tutte del 20 maggio 1933. Questi quattro
provvedimenti sostituivano, regolandole, tutte le norme precedentemente emanate
in queste materie.
14
Lov om Mægling i Arbejdsstridigheder, 18 gennaio 1934.
15
Il 29 luglio 1935 questa organizzazione aveva indetto una grande manifestazione
a Copenaghen alla quale parteciparono circa quarantamila persone: i loro portavoce
furono ricevuti dal primo ministro Stauning, senza tuttavia ottenere significativi risul-
tati. Vd. BROGAARD P., Landbrugernes Sammenslutning, Århus 1969.
16
Nel medesimo anno Stauning andò incontro a una sconfitta sul suo disegno di modi-
fica della costituzione: egli infatti aveva proposto l’abolizione del Senato e l’abbassamento
a 23 anni del limite di età per accedere al voto. Sebbene la maggioranza dei votanti al
referendum confermativo avesse optato per il sì, la proposta non fu approvata perché, sia
pure per poco, non venne raggiunto il quorum richiesto del 45% degli aventi diritto.
17
Nel contesto degli sforzi per creare le basi di un welfare state danese va tuttavia
sottolineato come in questo Paese (analogamente a quanto avverrà negli altri Paesi nordi-
ci) si desse ampio spazio all’eugenetica. Nel 1929 venne promulgata (per la prima volta in
Scandinavia) una legge sulla sterilizzazione di individui affetti da handicap (Lov om Adgang
til Sterilisation, 1 giugno 1929) poi modificata con decreto del 2 maggio 1934 (che intro-
duceva il principio dell’obbligatorietà) e sostituita da una nuova regolamentazione (Lov
om Adgang til Sterilisation og Kastration, 11 maggio 1935). Questa politica trovava con-
senso sia a livello scientifico sia a livello politico, non da ultimo tra i socialdemocratici: si
pensi che la legge del 1929 è per molti versi ispirata al pensiero del ministro Karl Kristian
Steincke. Queste norme resteranno in vigore fino all’emanazione di un provvedimento di
modifica del 3 giugno 1967. Sull’argomento si rimanda a Koch L., Racehygiejne i Danmark,
1920-56, København 2000 e Koch L., Tvangssterilisation i Danmark, 1929-67, København
2000. Tra il 1929 e il 1967 vennero sterilizzate in Danimarca più di diecimila persone.
18
I volantini, scritti in un dano-norvegese piuttosto approssimativo, recavano sulla
prima riga la scritta “oprop!”, vale a dire “proclama!”. A quanto pare il loro testo era
stato predisposto da Hitler in persona.
19
Per la precisione Partito nazionalsocialista danese dei lavoratori (Danmarks
Nationalsocialistiske Arbejderparti), fondato il 16 novembre 1930 sulla scia del succes-
so dei nazionalsocialisti in Germania. I suoi leader principali furono il fondatore Cay
Lembcke (1885-1965) e Frits Clausen (1893-1947); il suo organo di stampa il giornale
La patria (Fædrelandet).
20
In effetti l’agricoltura molto aveva da guadagnare grazie alle esportazioni di
derrate alimentari in Germania. Parimenti gli industriali potevano trarre vantaggio
dalla partecipazione ai progetti tedeschi.
21
Su questa discussa figura di politico vd. Sjøqvist V., Erik Scavenius. Danmarks
udenrigsminister under to verdenskrige, statsminister 1942-1945, I-II, København.
22
Il 29 giugno 1941 a esempio fu creato (con il benestare del governo) il Corpo d’ar-
mata libero danese (Frikorps Danmark) nel quale poterono confluire i volontari disposti a
unirsi all’esercito tedesco nella guerra contro l’Unione sovietica. Il corpo fu sciolto nel 1943.
23
Oltre tutto si deve considerare l’obbligo di inviare operai danesi a lavorare in
Germania per sostituire quelli tedeschi chiamati nell’esercito.
scarso fosse nel Paese il seguito del partito nazista che ottenne solo il
2% dei consensi. Mentre le sorti della guerra volgevano in favore degli
Alleati, in Danimarca aumentavano le azioni di sabotaggio contro i
Tedeschi, si proclamavano scioperi, si manifestava nelle piazze e cre-
sceva il numero di quelli che volevano porre fine alla politica di colla-
borazione. A ciò naturalmente la Germania rispose con un inaspri-
mento delle pretese e nell’agosto del 1943, quando il governo danese
rifiutò di ottemperare alle sue richieste e cessò le sue funzioni (pur
rimanendo formalmente in carica), si giunse alla rottura. La reazione
fu durissima: proclamato lo stato d’emergenza, l’esercito fu disarmato
e così la flotta (ma per ordine della marina gran parte delle navi furono
affondate dai loro equipaggi mentre altre trovarono rifugio all’estero
in porti sicuri), il governo esautorato, il re posto agli arresti domicilia-
ri, molti fatti prigionieri e deportati. A fianco dei Tedeschi operavano
le SS danesi, il corpo d’armata Schalburg, costituto nel febbraio del
1943.24 E tuttavia la ‘piccola Danimarca’ trovò al proprio interno la
forza di resistere: una resistenza in taluni casi passiva, come quella
portata avanti dai funzionari governativi cui ora era demandato il
compito di gestire il Paese e mantenere le relazioni con i Tedeschi, in
molti altri attiva come quella di chi pianificava ed eseguiva azioni
mirate a danneggiare direttamente i piani del nemico. Costoro avreb-
bero per la gran parte aderito al Consiglio di liberazione della Dani-
marca (Danmarks Frihedsråd) fondato il 16 settembre 1943 allo scopo
di coordinare le azioni dei partigiani.25 Sostegno e incoraggiamento
veniva naturalmente dagli Alleati (che tra l’altro provvedevano al
rifornimento di armi), sia da personalità danesi che si trovavano
all’estero,26 sia dalla diffusione di fogli clandestini che riportavano le
24
Formato innanzi tutto dai volontari del Corpo d’armata libero danese (vd. nota 22)
esso prendeva nome dal comandante di quello, Christian Frederik von Schalburg (1906-1942)
morto in combattimento. Con il pretesto di mantenere l’ordine i suoi componenti ebbero
assai spesso un atteggiamento arrogante e provocatorio nei confronti della popolazione
danese che in misura sempre maggiore si schierò dalla parte del movimento di liberazione.
25
Il movimento comprendeva persone di diverso orientamento politico sebbene i
comunisti vi avessero la maggioranza. Esso infatti, ponendosi in forte contrasto con la
scelta della collaborazione, non vedeva di buon occhio politici che vi avevano contri-
buito. Ciò riguardò anche i socialdemocratici, per quanto uno dei loro rappresentan-
ti, Frode Jakobsen (1906-1997) facesse parte attiva del Consiglio di liberazione. Per il
resto vi parteciparono anche molti uomini di cultura e studenti, tra gli altri Jørgen
Kieler (n. 1919), futuro medico e noto specialista degli studi sul cancro. I più noti
gruppi di partigiani danesi furono KOPA (Kommunistiske Partisaner) vale a dire i
partigiani comunisti e BOPA (Borgerlige Partisaner) vale a dire i partigiani ‘laici’, cioè
non politicamente schierati; inoltre Ringen (“L’anello”) e Holger Danske il cui nome
si rifà a un leggendario eroe danese (vd. p. 579 con nota 228; cfr. p. 855).
26
Tra di loro John Christmas Møller (1894-1948) che, pur appartenendo al Partito
notizie censurate dai Tedeschi.27 I quali risposero con una dura rap-
presaglia: non solo decisero di catturare gli Ebrei danesi,28 ma per
ogni azione partigiana coronata dal successo si vendicarono sulla
popolazione civile, imprigionarono e torturarono molti membri
della resistenza, procedettero ad assassini mirati (tra cui quello del
pastore e drammaturgo Kaj Munk)29 e distrussero un gran numero
di edifici. Quando fu chiaro che gli Alleati (dopo lo sbarco in Nor-
mandia) avrebbero accerchiato la Germania, la resistenza danese
‘esplose’. La risposta tedesca fu durissima e per qualche giorno
Copenaghen fu terreno di battaglia. Per gli occupanti la strada della
sconfitta era tuttavia segnata. In un crescendo di azioni partigiane
ora apertamente sostenute dall’esterno (si pensi ai bombardamenti
aerei che distrussero i quartier generali tedeschi di Copenaghen,
Odense e Aarhus), di dure risposte da parte tedesca (come la depor-
tazione dei poliziotti danesi in un campo di concentramento per
evitare che si schierassero dalla parte degli Alleati),30 di disastri (come
il bombardamento per errore del quartiere di Frederiksborg nella
popolare dei conservatori, aveva voluto rimarcare con decisione la distanza dall’ideo-
logia nazista quando essa aveva trovato qualche sostenitore sia all’interno del partito
stesso sia della sua organizzazione giovanile, la cosiddetta Gioventù conservatrice
(Konservativ ungdom). Ministro del commercio nel ‘governo della collaborazione’ era
stato costretto fin dall’ottobre 1940 a lasciare la propria carica e il seggio in parlamen-
to in seguito alla sua coraggiosa presa di posizione contro i Tedeschi. Riparato a
Londra nella primavera del 1942 si rivolse ai suoi connazionali attraverso i microfoni
della bbc incitandoli alla ribellione.
27
Tra questi I Danesi liberi (De Frie Danske), pubblicato tra il 1941 e il 1945 e
Danimarca libera (Frit Danmark), organo del gruppo di opposizione dal medesimo
nome fondato tra gli altri da John Christmas Møller (vd. nota precedente) e da Axel
Larsen (1897-1972), rappresentante del Partito comunista che nel 1943 sarebbe stato
internato nel campo di concentramento di Sacheshausen (vd. Snitker H., Det illegale
Frit Danmark - Bladet og organisationen, Odense 1977). Dopo la guerra il giornale
avrebbe continuato a uscire fino al 1982. In questo contesto va ricordato il giornalista
Børge Outze (1912-1980) che censurato dai Tedeschi fondò l’agenzia di stampa clan-
destina Informazione (Information).
28
Grazie a una fuga di notizie tuttavia questa operazione non ebbe gli esiti sperati
dai gerarchi tedeschi: gran parte degli Ebrei riuscì infatti a riparare in Svezia e su un
totale di circa settemila ne fu catturato meno del 7%, vale a dire quattrocentosettan-
tadue persone. L’operazione fu condotta il 1 ottobre 1943.
29
Pseudonimo di Kaj Harald Leininger Petersen (1898-1944). Dopo una iniziale
simpatia nei confronti del nazismo e del fascismo egli mutò radicalmente la propria
posizione e con scritti e parole espresse un coraggioso incitamento alla rivolta, dive-
nendo presto per i Tedeschi una voce da far tacere a qualsiasi costo. Fu catturato e
assassinato la notte del 4 gennaio 1944. Vd. oltre, p. 1174.
30
Gli arresti furono eseguiti il 19 settembre 1944. La decisione tedesca era anche
conseguente al rifiuto da parte danese di collaborare contro le crescenti azioni dei
partigiani. Una parte dei poliziotti riuscì tuttavia a sfuggire alla cattura in quanto la
notizia era trapelata alcuni giorni prima.
31
Tuttavia, mentre nel Paese entravano le truppe inglesi al comando del generale
Bernard Montgomery (1887-1976), l’isola di Bornholm, pesantemente bombardata,
veniva occupata dalle forze russe (9 maggio) e sarebbe stata restituita allo Stato dane-
se solo il 5 aprile dell’anno successivo.
32
Non si dimentichi qui che l’epidemia di ‘spagnola’ si era diffusa anche nei Paesi
nordici (Islanda compresa) provocando migliaia di vittime.
33
Alle norme sopra citate si aggiunga qui il riconoscimento del diritto alle ferie
sancito da un provvedimento del 1938 (Ferieloven, 13 aprile 1938).
34
La Radiofonia di stato (Statsradiofonien), successivamente Radio di Danimarca
(Danmarks Radio), avviò le proprie trasmissioni il 1 aprile 1925 ma solo due anni dopo
poté ‘coprire’ con il proprio segnale l’intero Paese. Il primo “Giornale radio” (Radioavisen)
fu trasmesso nel 1926.
35
Se, per la verità, la ricezione di qualche trasmissione televisiva straniera c’era già
stata dal 1930, la prima in lingua danese fu effettuata il 30 ottobre 1932 per un pub-
blico ristretto. L’avvio di vere e proprie trasmissioni televisive si ebbe tuttavia solo a
partire dal 1954.
Nel febbraio del 1914, nel pieno della crisi determinata dal
disaccordo sulla questione della difesa,41 il re Gustavo V incaricò
Hjalmar Hammarskjöld (1862-1953) di formare un governo di
transizione in attesa che si svolgessero le elezioni. Esso aveva lo
scopo primario di risolvere l’annosa questione, il che sarebbe stato
fatto aumentando la durata del servizio militare e potenziando la
flotta. Nell’estate dello stesso anno deflagrò la prima guerra mon-
diale di fronte alla quale la Svezia dichiarò la propria totale neutra-
lità. Di più: il re Gustavo V volle un incontro (tenuto a Malmö nei
giorni 18 e 19 dicembre del 1914) con il sovrano danese Cristiano
X e il norvegese Håkon VII per ostentare di fronte al mondo la
comune decisione in tal senso dei governi scandinavi.42 Ma nono-
stante le intenzioni e le dichiarazioni di imparzialità la posizione
assunta dal Paese finì comunque per favorire la Germania. Essa
40
Per una ironia del destino uno dei suoi migliori allievi fu Werner Karl Heisenberg
(1901-1976, a sua volta Nobel per la fisica nel 1932) che avrebbe lavorato al program-
ma nucleare tedesco.
41
Vd. sopra, p. 1004.
42
Sulla politica di neutralità dei Paesi nordici nel corso della prima guerra mondia-
le vd. Salmon P., “Neutrality preserved. Scandinavia and the First World War”, in
Scandinavia and the Great Powers. 1890-1940, Cambridge 1997, pp. 118-168.
portata avanti da Zeth Höglund (cfr. p. 1016, nota 246), e la direzione che, sotto la
guida di Hjalmar Branting, propendeva per posizioni più moderate. Nel corso degli
anni anch’esso andò incontro a fratture e scissioni. Suo ‘erede politico’ è l’attuale
Partito della sinistra (Vänsterpartiet), che tuttavia dopo il 1989 ha abbandonato la linea
intransigente in favore di una politica socialista di parità tra i sessi, rispetto per l’am-
biente e gestione pubblica delle risorse. Altre formazioni comuniste createsi nel corso
del secondo dopoguerra non hanno avuto consistente seguito.
50
Il primo, sorto nel 1913, il secondo nel 1915. Nel 1921 essi si fusero in quello che
sarebbe diventato l’attuale Partito di centro (Centerpartiet o Centern).
51
Il Partito comunista sorto nel 1917 (vd. nota 49) a sua volta si spaccò nel 1924 e
una parte dei suoi componenti rifluì poi (1926) fra i socialdemocratici. Nel 1929 in
seguito a nuovi disaccordi fra i comunisti fu fondato il Partito socialista (Socialistiska
partiet) che acquisì una certa consistenza ma si avvicinò progressivamente al nazismo e
fu sciolto nel 1948. Nel 1923 anche sul fronte del Partito comune dei liberali si verificò
una frattura che portò alla formazione (1924) del Partito liberale popolare (Frisinnade
folkpartiet) e del Partito parlamentare dei liberali (Liberala riksdagspartiet): motivi di
discordia furono in particolare l’attualissima questione dell’alcolismo (nel 1922 un
referendum popolare aveva abrogato una legge di intento proibizionista), rispetto alla
quale i primi avevano una posizione radicale, e quella, annosa, della difesa. L’organismo
di funzionamento dei liberali (Associazione nazionale liberale) si legò al primo gruppo
mentre il secondo diede vita al Partito liberale svedese (Sveriges liberala parti). Nel 1934
queste due formazioni si sarebbero riunite in quello che sarebbe stato chiamato Partito
popolare (Folkpartiet). Cfr. p. 988 con nota 143.
52
Fin dal 1914 era stata istituita la Commissione statale per la disoccupazione
(Statens arbetslöshetskommission), un ente che avrebbe operato fino al 1940.
crisi scatenata dal crollo della borsa di New York nel 1929: mani-
festatasi a partire dal 1930 essa toccò il culmine nel 1932. Ci furo-
no fallimenti e rovesci finanziari,53 grande aumento della disoccu-
pazione, caduta dei prezzi, disordini. Nel 1931 ad Ådalen
(Ångermanland) un gruppo di scioperanti si ribellò alla presenza
di crumiri che furono minacciati e (probabilmente) malmenati:
organizzato un corteo di protesta i manifestanti furono affrontati
dalla polizia e dall’esercito dalle cui file partirono dei colpi di fuci-
le che lasciarono sul terreno cinque morti. Questo episodio destò
enorme scalpore: le interpretazioni contrastanti che se ne danno
nelle fonti dell’epoca (legate, evidentemente, alle convinzioni poli-
tiche dello scrivente) rispecchiano chiaramente una situazione di
profonda (e non di rado molto violenta) contrapposizione.54
Il che si rifletteva, naturalmente, anche nel mondo politico. Dopo
il raggiungimento dell’obiettivo della riforma costituzionale la
collaborazione fra i partiti di diverso orientamento era di fatto
cessata. Nel 1920 per la prima volta i socialdemocratici (giungendo
al potere per via pienamente democratica) avevano formato il
governo sotto la guida di Hjalmar Branting, tuttavia in parlamento
erano in minoranza. Così aveva inizio un periodo di esecutivi insta-
bili e di breve durata cui spettava occuparsi delle questioni centra-
li della politica svedese di quei decenni: regolamentazione del
mondo del lavoro, difesa, legislazione sociale. Da una parte c’erano
i conservatori. I loro leader più prestigiosi erano figure come Arvid
Lindman ed Ernst Trygger (1857-1943). Il primo, che tra il 1928 e
il 1930 avrebbe guidato il suo secondo governo,55 era un uomo
capace di condurre i conservatori nel percorso verso una politica
53
Nel 1929 fallì la Cassa di risparmio popolare (Almänna sparbanken), il che pro-
vocò una grave crisi anche nella Banca dell’agricoltura (Jordbrukarbanken). Grande
impressione (nonché gravi ripercussioni finanziarie) suscitò il suicidio a Parigi del
grande industriale Ivar Kreuger (1880-1932), magnate dell’industria dei fiammiferi
con interessi in molti altri ambiti economici.
54
Quattro degli uccisi vennero sepolti in una tomba comune nel cimitero che si trova
presso la chiesa di Gudmundrå (comune di Kramfors, Ångermanland). Sulla loro lapide
sono stati incisi i versi composti dallo scrittore e storico dell’arte Erik Blomberg (cfr. p.
1171): “Qui giace/ un lavoratore svedese. Caduto in tempo di pace. Disarmato indifeso.
Fucilato/ da pallottole ignote. Il suo crimine era la fame. Non dimenticatelo mai” (DLO
nr. 176). Vd. Norman B., Ådalen 31. En berättelse, Stockholm 2010. Cfr. nota 310.
55
Cfr. p. 1003. Il nuovo mandato a Lindman venne dopo le elezioni per la Seconda
Camera svoltesi tra il 15 e il 21 settembre 1928, una consultazione segnata da una
campagna elettorale dai toni particolarmente violenti e aggressivi e per questo ricor-
data come “elezioni cosacche” (kosackvalet). Nel 1930 il secondo governo Lindman
cadde in seguito alla bocciatura di un provvedimento sull’aumento dei dazi sui cerea-
li inteso a favorire il prodotto agricolo interno.
56
La risoluzione passò in parlamento il 25 maggio. Per queste leggi si rimanda a
Hansson S., Lagarna om kollektivavtal och arbetsdomstol. Med förklaringar, Stockholm
1928.
57
Huvudavtal mellan Svenska Arbetsgivareföreningen och Landsorganisationen i
Sverige, Stockholm 1938. Vd. Casparsson R., Saltsjöbadsavtalet i historisk belysning,
Stockholm 1966 e Lundh Chr. (red.), Nya perspektiv på Saltsjöbadsavtalet, Stockholm
2009. In quello stesso anno era stata emanata la legge che per la prima volta introdu-
ceva le ferie (due settimane) per i lavoratori (vd. Holmström N., Semesterlagen. Kom-
menterande redogörelse för lagen den 17. juni 1938 om semester, Stockholm 19414). Un
‘precedente’ dell’accordo di Saltsjöbaden era stato il cosiddetto “compromesso di
dicembre” (decemberkompromissen), raggiunto nel 1906 ma in sostanza naufragato
con il grande sciopero del 1909 nel corso del quale entrambe le parti si erano vicende-
volmente accusate di aver violato le regole stabilite in quella occasione. Con l’accordo
di Saltsjöbaden fu infine abrogata anche la cosiddetta “legge di Åkarp” (Åkarpslagen,
con riferimento al parlamentare che l’aveva proposta Pehr Pehrsson di Åkarp, 1853-
1950): promulgata il 1 luglio 1899 (e successivamente ridiscussa) essa proibiva la
propaganda in favore dello sciopero e proteggeva i crumiri (vd. Karlbom R., Från
Kopparbergsprivilegierna till Åkarpslagen. Rättshistoriska studier rörande bestraff-
ningen av arbetsvägran och strejker, Göteborg 1979).
58
Vd. sopra, p. 989.
59
Il premio fu condiviso con il politico norvegese Christian Lous Lange (1869-1938),
segretario generale dell’Unione interparlamentare dal 1909 al 1933.
60
Vd. oltre, p. 1212 e p. 1214.
61
Questo patto (sottoscritto il 27 febbraio 1933), che garantiva ai socialdemocra-
tici l’appoggio della controparte in cambio di provvedimenti a favore dell’agricoltura,
è stato ironicamente definito kohandel, traducibile in italiano (con analoga espressio-
ne spregiativa di certa politica) come “mercato delle vacche”.
65
In Svezia basterà ricordare la fondazione (1909) della Società svedese per l’euge-
netica (Svenska sällskapet för rashygien) guidata da Svante Arrhenius (cfr. p. 1103, nota
629) cui seguì (1921) quella dell’Istituto statale per la biologia razziale (Statens institut
för rasbiologi), primo del genere al mondo, proposta e approvata dai socialdemocrati-
ci e dall’Associazione dei contadini. Le ricerche portate avanti in questo istituto (i cui
studiosi si avvicinarono in qualche caso all’ideologia nazista) ebbero un notevole
influsso sul pensiero dei coniugi Myrdal.
66
Oltre a quanto sopra ricordato e ai provvedimenti inseriti come modifiche costitu-
zionali si citino qui: la legge relativa agli infortuni sul lavoro (Lag om försäkring för
olycksfall i arbete, 17 giugno 1916); il decreto sull’assistenza ai poveri (Lag om fattigvården,
14 giugno 1918); la legge sull’infanzia del 6 giugno 1924 (vd. Samhällets barnavård.
Lagen den 6 juni 1924 om samhällets barnavård och ungdomsskydd [barnavårdslag]
jämte andra författningar, som beröra barnavårdsnämndernas verksamhet, med inledning,
förklaringar, hänvisningar och sakregister utgiven av R. von Koch, Stockholm 19454);
la riforma scolastica del 1927 (vd. p. 1002 con nota 198); il provvedimento del 1923
che permetteva alle donne di accedere alle cariche pubbliche (Lag innefattande bestäm-
melser angående kvinnans behörighet att innehava statstjänst och annat allmänt uppdrag,
22 giugno 1923); la legge sui malati di mente (Sinnessjuklagen) del 19 settembre 1929;
la legge sulle malattie professionali (Lag om försäkring för vissa yrkessjukdomar, 14
giugno 1929); il decreto sull’assicurazione contro la disoccupazione (Förordning om
erkända arbetslöshetskassor, 15 giugno 1934); le modifiche alla legge sulla pensione
approvate nel 1935 e nel 1937 (Folkpensionslagen del 28 giugno 1935 e del 23 aprile
1937, rispettivamente; cfr. p. 996, nota 179). La legge sulla povertà del 1918 è parti-
colarmente importante perché in essa tra l’altro si eliminava la pratica di ‘mettere
all’asta’ i bambini poveri privi del sostegno di un adulto, affidandoli a chi (in una
sorta di ‘gara’) avesse offerto le migliori garanzie (non di rado in seguito disattese),
così come quella di accollare il sostegno dei più bisognosi a diverse famiglie di conta-
dini nel territorio della parrocchia che a rotazione dovevano garantire loro vitto e
alloggio in cambio di qualche servigio. Vd. Lag om fattigvården den 14 juni 1918,
utgiven av E. Wahlberg, Stockholm 195110.
67
In questo ambito va segnalato che a motivo di fenomeni come l’urbanizzazione
e l’emigrazione, ma anche per l’introduzione di nuovi strumenti per la lavorazione dei
campi, andò gradatamente scomparendo la figura dei cosiddetti statare (vd. p. 709,
nota 136), mentre i torpare (vd. ibidem) riuscirono in diversi casi ad acquistare le fat-
torie in cui lavoravano.
68
Si rilevi qui che nel 1927 la fabbrica Volvo diede l’avvio alla produzione in serie
di autovetture.
69
Nei primi anni ’20 furono fondati diversi club di radioamatori, mentre il Servizio
radio nazionale (Radiotjänst), inaugurato nel 1925, nel 1957 avrebbe mutato il proprio
nome in Radio di Svezia (Sveriges Radio). La televisione sarebbe invece giunta nel
Paese nel 1954 con trasmissioni regolari a partire dal 1956.
70
Molto importante fu, da questo punto di vista, la politica per la casa che rispon-
deva al desiderio delle classi lavoratrici di possedere un’abitazione propria, sia per
sottrarsi al pagamento di gravose rate di affitto, sia per poter vivere in edifici più
moderni tanto dal punto di vista della funzionalità quanto da quello (non meno impor-
tante!) della salute, in quanto le nuove costruzioni venivano naturalmente dotate di
acqua corrente, riscaldamento e fognature e progettate in modo da garantire spazio
vitale, luce e aria, disponendo inoltre di opportuni spazi verdi. La “casa di proprietà”
(egnahem) divenne così l’obiettivo dei molti che presentarono domanda per ottenere
i prestiti a tal fine erogati.
71
Nel 1925 egli organizzò un grande convegno ecumenico a Stoccolma. Nel 1930
gli fu assegnato il premio Nobel per la pace. Vd. Sundkler B., Nathan Söderblom. His
life and work, Lund 1969.
Nella seconda metà degli anni ’30 molti Paesi d’Europa si sta-
vano riarmando: la situazione politica (soprattutto quella tedesca)
determinava infatti un clima di grande incertezza che già lasciava
presagire lo sbocco verso un nuovo infausto conflitto. In Svezia,
dopo che i socialdemocratici avevano ammorbidito le loro posi-
zioni decisamente antimilitariste, si procedette a una riorganizza-
zione delle forze armate mentre il mutamento degli equilibri poli-
tici e la scarsa fiducia nell’effettiva capacità della Società delle
Nazioni di garantire la pace spingevano il Paese (che per altro
aveva aderito a questo organismo sottraendosi all’impegno di
eventuali alleanze militari) a rimarcare (possibilmente in accordo
con i vicini nordici) una posizione di neutralità ed equidistanza.
Con la Danimarca e la Norvegia furono anche intavolate trattative
per una cooperazione nell’ambito della difesa che tuttavia non
approdarono a nulla, mentre nel caso della Finlandia la volontà
svedese di collaborazione si infranse contro i piani dei Russi e il
timore di essere coinvolti in un pericoloso conflitto. Per questo
l’incontro dei capi di Stato nordici (i tre sovrani e il presidente
finlandese), organizzato a Stoccolma il 18 ottobre 1939, non avreb-
be avuto alcun seguito concreto.72 Neppure l’aggressione russa alla
Finlandia che, sebbene provocasse una profonda impressione
nell’opinione pubblica, indusse il governo – nonostante la presa
di posizione in tal senso del ministro degli esteri Rickard Sandler
(1884-1964), che in seguito a ciò si dimise – a prendere la grave
decisione di un intervento armato: solo si concesse l’invio di volon-
tari, un consistente supporto di armi e mezzi militari e un aiuto
finanziario raccolto fra la gente. Troppo temuta era del resto la
potenza dell’Unione sovietica che, come noto, aveva anche stretto
un patto con la Germania. Sicché il trattato di pace russo-finlan-
dese, concluso a Mosca il 12 marzo 1940 a tutto vantaggio degli
aggressori fu, seppure mediato proprio dalla diplomazia svedese,
il minore dei mali.73
Tuttavia: se il governo non aveva ritenuto di dover fornire alla
Finlandia un più consistente supporto militare non ugualmente
aveva agito nei confronti della Germania quando questa, dopo aver
occupato la Danimarca e piegato la resistenza dei Norvegesi, aveva
proposto un accordo per ottenere il transito delle proprie truppe
72
Vi presero parte i sovrani Gustavo V, Cristiano X, Håkon VII e il presidente
finlandese Kyösti Kallio (1873-1940).
73
The Treaty of Peace between The Republic of Finland and The Union of Soviet
Socialist Republics, in Jakobson M., Finland Survived. An Account of the Finnish-
Soviet Winter War 1939-1940, 19842, Helsinki 1984, pp. 260-266.
L’accordo fu stipulato l’8 luglio 1940; vd. Böhme Kl.R., “Från 9 april till transi-
75
nordici (fra gli altri gli Ebrei danesi)76 che in gran numero venne-
ro accolti nel Paese, con l’invio di aiuti materiali, con il supporto
dato alla libera stampa che sarebbe circolata clandestinamente nei
Paesi in guerra, con interventi di carattere diplomatico,77 con il
sostegno dato ai corpi di polizia danesi e norvegesi che furono
addestrati in vista della fine del conflitto. Nelle attività benefiche
un contributo rilevante venne anche dalla Chiesa. In effetti la
Svezia, pur tacciata di collaborazionismo, aveva inteso perseguire,
dal suo punto di vista, una rigida politica di neutralità, non altret-
tanto generosamente giudicata al di fuori dei suoi confini. Del resto,
se è vero che nel Paese i filo-nazisti non ebbero se non scarsissima
cittadinanza politica,78 è altrettanto vero che una pubblicazione
come il Giornale del commercio e della navigazione di Göteborg
(Göteborgs Handels- och Sjöfarts-Tidning),79 che manteneva una
ferma linea antitedesca, suscitò notevole contrarietà negli ambien-
ti politici e governativi e che il suo direttore, Torgny Segerstedt
(1876-1945), fu richiamato dal sovrano in persona. Del resto si
deve ammettere che fu certo la delicata posizione geo-politica del
Paese a indurre il ministro della Giustizia Karl Gustaf Westman
(1876-1944) a introdurre limitazioni alla libertà di stampa, così
come l’intero governo ad acconsentire infine alla richiesta russa di
76
Cfr. p. 1120 con nota 28.
77
Tra questi la liberazione di un gran numero di prigionieri di guerra (oltre quin-
dicimila) in primo luogo di nazionalità nordica ma non solo, che si trovavano nei
campi di concentramento tedeschi: per intermediazione di Folke Bernadotte (1895-
1948), futuro negoziatore delle Nazioni Unite in Palestina (dove sarebbe stato assas-
sinato da estremisti sionisti), e con l’indispensabile supporto della Croce Rossa svede-
se (Röda Korset) essi sarebbero stati portati via a bordo dei ben noti “autobus bianchi”
(“vita bussarna”) per raggiungere la Svezia da dove avrebbero poi fatto ritorno in patria.
78
Il primo partito di estrema destra fu in Svezia la Lega nazionale svedese (Sveriges
nationella förbund) sorta nel 1915 che negli anni assunse posizioni sempre più radicali e
filonaziste. Altri partiti di quest’area ebbero origine dal movimento antisemita che in
questo Paese aveva trovato sbocco nella fondazione (1923) dell’Associazione svedese
antisemita (Svenska Antisemitiska Föreningen), il cui organo era la pubblicazione vidi.
Successivamente sorsero diversi partiti nazisti e fascisti che talvolta si associarono ma non
di rado si divisero per i conflitti tra i diversi leader. In particolare un gruppo, formato dai
seguaci di Sven Olov Lindholm (1903-1998), andò a costituire il Partito nazional-
socialista dei lavoratori (Nationalsocialistiska Arbetarepartiet) che gradatamente si
allontanò dal nazismo tedesco. Nel 1933 diverse formazioni di ispirazione nazista (ma
non quella di Lindholm) si riunirono nel Blocco nazional-socialista (Nationalsocialistiska
Blocket). Nelle elezioni del 1936 i nazisti ebbero risultati assolutamente deludenti.
Durante la guerra diversi rappresentanti di questa parte politica si schierarono aper-
tamente dalla parte di Hitler (fra tutti Per Engdahl, 1909-1994), tuttavia l’ideologia
nazista non riuscì mai a radicarsi fra la popolazione. Oltre a Lööw 1990 vd. Nilsson
K.N.A., Svensk överklassnazism. 1930-1945, Stockholm 1996.
79
Cfr. p. 891, nota 121.
Nella storia, non sempre limpida, della Svezia durante il secondo con-
flitto mondiale si inserisce l’esemplare vicenda personale di Raoul Wal-
lenberg (1912-1947?), eroe umanitario grazie al quale fu salvata la vita di
decine di migliaia di Ebrei ungheresi. Appartenente a una famiglia alto-
locata (il bisnonno paterno era André Oscar Wallenberg fondatore della
Stockholms enskilda bank,82 mentre la nonna paterna era nobile) egli
ricevette una formazione di alto livello potendo studiare all’estero, com-
piere viaggi di istruzione e apprendere le lingue. Dopo diverse esperienze
in Paesi stranieri nel 1942 giunse per la prima volta in Ungheria. In pre-
cedenza, nel corso di un periodo trascorso a Haifa, Wallenberg aveva
avuto modo di considerare il problema degli Ebrei contro i quali si indi-
rizzava l’odio nazista tradotto in terribili persecuzioni. La situazione degli
Ebrei ungheresi, già precaria, aveva subito un brusco peggioramento dopo
l’occupazione tedesca del Paese (19 marzo 1944) e la nomina del governo
collaborazionista guidato da Döme Sztójay (1883-1946) che subito si
attivò per organizzare la loro deportazione verso i campi di concentra-
mento tedeschi e la creazione del ghetto di Budapest. In questa situazio-
ne Wallenberg fu chiamato dal War Refugee Board (voluto dal presidente
americano Roosevelt) a occuparsi del problema. Egli si insediò presso
la rappresentanza diplomatica svedese a Budapest, dove oltre a moni-
torare la situazione organizzò una vera e propria azione di salvataggio
fornendo documenti e sicuri rifugi a quanti più Ebrei possibile, un’at-
tività del resto già in parte avviata prima del suo arrivo e parallela a
quella di altri Paesi neutrali (come la Svizzera) e di organizzazioni come
80
A questa vicenda è dedicato il romanzo dello scrittore Per Olov Enquist (vd. p.
1266) dal titolo I legionari (Legionärerna, 1968); da esso il regista Johan Bergenstråhle
(1935-1995) ha tratto il film L’estradizione [dei soldati] baltici (Baltutlämningen, 1970).
81
Su questa importante figura di politico si rimanda a Isaksson A., Per Albin, I-IV,
Stockholm 1985-2000.
82
Vd. pp. 992-993.
la Croce Rossa. Sebbene le circostanze non siano state del tutto chia-
rite pare anche che egli abbia svolto un ruolo importante nell’impedi-
re l’attacco al ghetto di Budapest nel 1945. Come che sia, quando i
soldati russi entrarono nella capitale ungherese, Wallenberg fu da loro
preso in consegna, sebbene avesse liberamente preso contatto con il
loro comando. Ma le motivazioni dell’arresto (a quanto pare un’accusa
di spionaggio) e le modalità con cui esso venne attuato non sono state
sufficientemente chiarite. Egli fu visto per l’ultima volta attorno alla
metà del mese di gennaio. Secondo fonti russe sarebbe morto (per
cause naturali o giustiziato) il 17 luglio 1947 nel carcere della Lubjan-
ka a Mosca.83
83
Per un approfondimento sul misterioso ‘caso Wallenberg’ si rimanda, tra l’altro,
a Schiller B., Varför ryssarna tog Raoul Wallenberg, Stockholm 1991 e Jangfeldt B.,
Raoul Wallenberg – En biografi, Stockholm 2012.
84
Si calcola che la popolazione norvegese sia passata da 1.700.000 abitanti nel 1865
a 2.400.000 nel 1910; vd. Hagemann 1998 (indicazioni a p. 1018, nota 253), p. 18.
85
Vd. pp. 1104-1105.
86
In seguito, tra l’autunno del 1907 e la primavera del 1908 Løvland avrebbe
ricoperto la carica di primo ministro succedendo a Christian Michelsen (vd. p. 1013,
pp. 1015-1016 e p. 1143) per poi lasciare il posto al primo governo guidato da Gunnar
Knudsen (1908-1910).
87
Il riferimento è, in particolare, al cosiddetto “Atto di integrità” (Integritetsakten)
in base al quale la Francia, la Germania, il Regno Unito e la Russia garantivano di sal-
vaguardare l’integrità territoriale della Norvegia. Il documento fu sottoscritto a Kristiania
il 2 novembre 1907 (ma ratificato dal sovrano inglese il 7 dicembre: Riksarkivet,
Utenriksarkivet, Traktatsamlingen, nr. 81).
88
Il provvedimento fu emesso il 14 agosto 1914; vd. Schjelderup F. – Jantzen J. et al.,
Krigsforsikringen for norske skib (oprettet ved lov av 21. august 1914), I-II, Oslo 1927-1936.
89
Tali furono, in particolare l’accordo relativo al commercio del pesce e quello sul
rame, entrambi del 1916. Nel primo caso, poiché la Germania acquistava grandi
quantità di pesce dalla Norvegia, gli Inglesi fecero pressioni di carattere economico e
riuscirono a bloccare quelle esportazioni impegnandosi ad acquistare direttamente il
prodotto; nel secondo caso essi ottennero che la gestione del commercio della calco-
tro che facile: lo sbarramento del mare del Nord imposto dai
Tedeschi e, per contro, il blocco imposto dagli Alleati nei confron-
ti della Germania costringevano alla ricerca di un difficile equilibrio.
Se ciò determinò, almeno per un certo periodo, anche risvolti
economicamente positivi, le ripercussioni negative si tradussero
purtroppo nella perdita di vite umane (oltre che di beni) dovuta
agli attacchi tedeschi contro le navi norvegesi che furono affonda-
te in gran numero (circa novecento), soprattutto dopo che nel 1917
la Germania ebbe scatenato una guerra sottomarina senza quartie-
re. Ma mentre molti marinai (circa duemila) perdevano la vita, gli
armatori e gli speculatori traevano grandi profitti dai propri com-
merci: in quello che è stato definito jobbetiden90 venne così a crear-
si un forte divario tra la gran parte della popolazione (soprattutto
coloro che ricevevano uno stipendio fisso) costretta a un’esistenza
fatta di attese e rinunce (nel 1917 era stato introdotto il raziona-
mento mentre la scarsità di combustibile era pressoché totale) e un
ristretto numero di affaristi (spesso arricchitisi in breve tempo) che
lucrava sfacciatamente sulla tragedia della guerra. Fino alla fine del
conflitto la situazione non mostrò segni di miglioramento sicché,
di nuovo, ‘più che la neutralità poté il digiuno’ e ancora nel 1918
fu concluso (con l’intermediazione di Fridtjof Nansen) un patto
con gli Stati uniti grazie al quale la situazione di grave carenza fu,
almeno in parte, mitigata. Del resto, nonostante lo stato di neutra-
lità rimanesse formalmente tale, anche l’opinione pubblica mostra-
va (complice la scoperta di una intensa attività spionistica da parte
tedesca) una crescente simpatia nei confronti degli Alleati.
Alla fine della guerra seguì un breve periodo di crescita econo-
mica, presto tuttavia interrotto da fallimenti, crisi e conseguente
chiusura delle banche, bancarotta di molti comuni, calo della
produzione, forte disoccupazione, diminuzione delle vendite, cadu-
ta dei prezzi, tutti fattori che inaugurarono una lunga stagnazione
destinata ad aggravarsi ulteriormente col dilagare della crisi mon-
diale del 1929 che sarebbe giunta in Norvegia tra il 1930 e il 1931
portando ulteriore calo produttivo e picchi altissimi di disoccupa-
zione (fino al 40% circa tra il 1933 e il 1934). Di più, la volontà di
riportare la corona (il cui valore era salito parecchio per via di
manovre speculative) alla parità aurea precedente la guerra (risul-
pirite norvegese (da cui si estraeva il rame che la stessa Norvegia doveva poi importa-
re come prodotto raffinato) fosse affidata alla società anglo-spagnola Rio Tinto.
90
Termine composto da jobb (dall’ingl. to job “lavorare saltuariamente o a cottimo”,
ma anche “fare una speculazione”) e da tid “tempo” a indicare un periodo di oppor-
tunità per gli affaristi.
tica)106 non ottenne che modesti risultati elettorali (non superò mai
il 3 % dei consensi) e, nonostante la decisa opposizione al temuto
‘pericolo rosso’, la sua spinta parve a un certo punto destinata a
esaurirsi, anche perché il più grande partito di sinistra andò orien-
tandosi in senso socialdemocratico. Ma i grandiosi piani di Hitler
avrebbero cambiato le cose.107
Nel 1919 era stato introdotto in Norvegia un sistema elettorale
proporzionale (quanto meno nei collegi più grandi), sul quale ci si
sarebbe sostanzialmente basati in seguito:108 ciò determinò un mag-
giore equilibrio fra le diverse formazioni politiche ma anche una
frequente alternanza di governi, sicché anche il Partito dei lavorato-
ri giunse al potere, seppure vi restasse per un brevissimo lasso di
tempo (28 gennaio-15 febbraio 1928).109
Come è stato detto, gli anni ’20 costituiscono un periodo di gran-
dimento sarà modificato solo con una legge del 27 luglio 1956) ma, se già presenti,
subirono la politica della cosiddetta “igiene razziale” (rashygiene, vd. nota successiva).
106
Anche in Norvegia furono approvate norme per la cosiddetta ‘igiene razziale’,
un’idea propugnata innanzi tutto da Jon Alfred Mjøen (1860-1939), uno dei fondato-
ri (1912) della Federazione internazionale di eugenetica. La prima Legge sulla steriliz-
zazione (Steriliseringsloven), cui seguirono altri provvedimenti, fu approvata il 1 giugno
1934. In sostanza si consentiva la sterilizzazione o la castrazione (con un consenso
spesso solo teorico) di individui affetti da handicap mentale o fisico, ma anche di
persone in condizioni economiche di indigenza, o ritenute ‘socialmente pericolose’. In
base a queste norme molte donne di etnia rom furono sottoposte (fino al 1977) a
questa operazione. Vd. Haave P., Sterilisering av taterne 1934-1977. Undersøkelse av
lov og praksis, Oslo 2000. In uno studio dal titolo “Zwangssterilisierung in Norwegen
– eine wohlfahrtsstaatliche Politik in sozialdemokratischer Regie?” (in NORDEURO-
PAforum, Zeitschrift für Politik, Wirtschaft und Kultur, XI [2001], pp. 55-78) il mede-
simo studioso ha rilevato come, a differenza della Danimarca e della Svezia, in Norve-
gia la politica eugenetica non possa essere ricondotta a un progetto socialdemocratico
di costruzione del welfare state (al cui interno questi individui costituivano un ‘osta-
colo’). Tra il 1934 e il 1977 furono sterilizzate in Norvegia 43.731 persone (dato
ripreso da una tabella riportata nell’articolo qui citato).
107
Una opposizione al nazionalsocialismo di Quisling venne anche dall’interno di
quell’area politica, in particolare da coloro che gravitavano attorno alla rivista Ragna-
rok uscita tra il 1934 e il 1945 (sul significato del nome vd. p. 169 con nota 270). Il
chiaro riferimento mitologico del titolo mostra come per molti la propensione a un
recupero dell’eredità nordica pagana fosse strettamente collegata con le concezioni
politiche e la presunta superiorità razziale.
108
Valgloven dell’11 luglio 1919.
109
Primo ministro era Christopher Hornsrud (1859-1960), il cui programma pre-
vedeva specificamente la creazione di una società di tipo socialista (vd. Roset I.A., Det
norske Arbeiderparti og Hornsruds regjeringsdannelse i 1928, Oslo 1962). Per il resto
si alternarono governi sostenuti dalla Destra e dalla Sinistra liberale con altri domina-
ti dalla Sinistra. Tutti ebbero durata relativamente breve, comunque non superiore (o
di pochissimo superiore) ai due anni, fatta eccezione per il governo della Sinistra
guidato da Johan Ludwig Mowinckel (1870-1943) che al suo secondo mandato restò
in carica dal 1928 al 1931. Cfr. p. 1071, nota 476.
125
Vd. Eriksen F.H., Grønlandssaken. Dansk grønlandspolitikk og norske reaksjoner
1909-1933, Oslo 2010 e anche Blom I., Kampen om Eirik Raudes land. Pressgruppe-
politikk i grønlandsspørsmålet 1921-1931, Oslo 1973.
126
Testo in rete su: http://www.arbark.no/Diverse/Dokumentarv/hovedavtalen.
pdf.
127
Un importantissimo contributo al miglioramento delle condizioni abitative
delle classi più disagiate venne da Nanna Broch (1879-1971), che per incarico delle
autorità sanitarie della capitale aveva il compito di ispezionare e verificare le condizio-
ni degli alloggi.
128
Nel Paese le trasmissioni della radio presero l’avvio nel 1925. Il 29 aprile di
quell’anno venne infatti fondata la Società per la radiodiffusione (Kringkastingssel-
skapet) a capitale privato. Essa fu sostituita nel 1933 dalla Radiodiffusione nazionale
norvegese (Norsk rikskringkasting). La televisione giungerà in Norvegia con un certo
ritardo: le prime trasmissioni sperimentali risalgono al 1954, mentre le trasmissioni
ufficiali avranno inizio solo a partire dal 1960.
129
Atleti come Oscar Mathisen (1888-1954) recordman mondiale sui 1500 mt. nel
pattinaggio di velocità (un primato conquistato nel 1914 e durato ben ventitre anni) e
della petroliera Altmark.135 In realtà sia i Tedeschi sia gli Alleati (in
particolare gli Inglesi) avevano ben chiara l’importanza della Nor-
vegia nella ‘geografia della guerra’. Essa infatti costituiva uno snodo
fondamentale del traffico di ferro spedito con la ferrovia dalle
miniere svedesi fino al porto di Narvik dal quale poi poteva rag-
giungere la Germania. Inoltre a nessuno sfuggiva l’importanza
strategica dei diversi porti sull’Atlantico. L’operazione denominata
“esercitazione Weser” (Weserübung) con la quale i Tedeschi inten-
devano stabilire il proprio dominio navale, aereo e terrestre sulla
Norvegia ebbe inizio il 9 aprile 1940, lo stesso giorno dell’occupa-
zione della Danimarca. Contrariamente a quanto avvenuto in quel
Paese i soldati tedeschi incontrarono qui una notevole resistenza:
contrastati dalle forze navali inglesi essi dovettero affrontare anche
la reazione norvegese (sostenuta da truppe inglesi e francesi). Lo
stesso 9 aprile il re e i membri del parlamento riuscirono ad allon-
tanarsi in tutta fretta dalla capitale e dopo una prima sosta a Hamar
raggiunsero Elverum dove fu sottoscritto un atto che trasferiva ogni
potere al governo fino al cessare dell’emergenza (il che significò fino
alla fine della guerra). Il tentativo degli aggressori di imporre imme-
diatamente la propria dominazione nominando un nuovo esecutivo
guidato da Vidkun Quisling (che per altro si era subito affrettato
ad autoproclamarsi) si infranse contro la ferma volontà del re
Haakon VII che, pur nella dolorosa consapevolezza delle gravissime
conseguenze che questa scelta avrebbe comportato per il Paese,
dichiarò di non poter venir meno ai princìpi costituzionali e dunque
di preferire l’abdicazione alla resa, pur lasciando ogni decisione
definitiva ai membri del governo: essi all’unanimità rifiutarono di
aderire alle richieste della Germania e invitarono il popolo norve-
gese alla resistenza. La durissima reazione dei Tedeschi costrinse il
re e l’intero esecutivo a fuggire ancora più a nord rifugiandosi
nella città di Tromsø, che il 1 maggio fu dichiarata capitale provvi-
soria. In capo a due mesi le forze di occupazione stroncarono
la resistenza norvegese e il 10 giugno a Trondheim venne firmata la
resa. Tre giorni prima la famiglia reale e i membri del governo si
erano imbarcati alla volta di Londra. Del gruppo faceva parte anche
135
Nel gennaio di quell’anno la petroliera tedesca Altmark inseguita dai cacciator-
pedinieri inglesi si era rifugiata in un fiordo norvegese contando sul fatto che lo stato
di neutralità di quel Paese la garantisse da qualsiasi attacco. Nonostante le affermazio-
ni contrarie dei Tedeschi essa era carica di prigionieri inglesi (marinai di navi affonda-
te dalle forze tedesche) sicché Churchill diede comunque l’ordine di attaccarla e
liberare i prigionieri (16 febbraio): questa azione offrì a Hitler il pretesto per dare il
via all’occupazione della Danimarca e della Norvegia.
dunque da più parti: nel mondo del lavoro140 e della scuola, tra i
funzionari amministrativi e di polizia, nella Chiesa. Così la Corte
suprema si dimetteva per protesta contro il nuovo ordinamento
governativo voluto da Terboven, i vescovi norvegesi prendevano
posizione contro il nazismo seguiti dalla gran parte delle comunità
religiose locali i cui pastori si dimettevano in massa141 e il mondo
della scuola si mostrava non solo refrattario all’infiltrazione dell’ideo-
logia nazista ma fucina di partigiani.142 Questo era ben chiaro alle
autorità tedesche quando, il 30 novembre del 1943, circondarono
l’edificio dell’università di Oslo e arrestarono in massa studenti e
docenti molti dei quali furono poi internati in Germania.143 Del resto
fin dal 1941 il rettore Didrik Arup Seip,144 che pure era stato membro
del Consiglio di amministrazione del 1940, era stato rinchiuso in un
campo di concentramento. Né mancò ai Norvegesi l’appello forte
e chiaro di molti intellettuali: fra tutti il grande scrittore Arnulf
Øverland (1889-1968) che fin dalla seconda metà degli anni ’30
aveva chiaramente avvertito del pericolo nazista.145 Anche episodi
singoli come quello in cui il celebre musicista e direttore d’orchestra
Harald Heide (1876-1956) facilitò la fuga di un violinista ebreo146 o
tary (dal nome dell’apparecchio ciclostile che veniva utilizzato), Notizie da Londra (London-
Nytt), Tutto per la Norvegia (Alt for Norge). Uno dei più attivi redattori fu Petter Moen
(1901-1944) poi arrestato e torturato dalla Gestapo e morto sulla nave che lo stava tra-
sportando in Germania affondata a causa dello scoppio di una mina; vd. p. 1268, nota 183.
140
Tra i primi norvegesi a essere giustiziati dai tedeschi ci furono i sindacalisti
Viggo Hansteen (1900-1941) e Rolf Wickström (1912-1941), arrestati in seguito allo
sciopero proclamato nei giorni 8 e 9 settembre 1941 a causa dell’annunciato raziona-
mento del latte. Le loro figure divennero presto simboli della resistenza.
141
Nell’ottobre del 1940 era stata costituita la Consulta cristiana (Kristeligt samråd)
alla cui guida era Eivind Berggrav (1884-1959), vescovo di Oslo, il quale divenne un
punto di riferimento nella lotta contro l’oppressione nazista. Arrestato e condannato
a morte, fu in seguito posto agli arresti domiciliari in isolamento. Ciò nonostante riuscì a
organizzare la resistenza all’interno della Chiesa norvegese.
142
Molti studenti furono reclutati nella XU, organizzazione di agenti segreti che
raccoglieva informazioni sulle attività e le postazioni tedesche. Vd. Sæter E. – Sæter
S., XU. I hemmeleg teneste 1940-45, Oslo 2007.
143
Pretesto di questa azione era stato l’incendio dimostrativo appiccato all’Aula magna
dell’università il 28 novembre nell’imminenza di un concerto per le forze di occupazione.
144
Cfr. nota 134.
145
Insieme alla moglie Øverland fu arrestato e tradotto in prigionia ma non cessò
di scrivere. Le poesie scritte negli anni della guerra saranno raccolte nel 1945 nel
volume dal titolo: Si sopravvive a tutto! (Vi overlever alt!).
146
Il fatto avvenne durante il concerto tenuto nel 1941 durante il quale un gruppo
di appartenenti alla Hird (vd. p. 1143 con nota 104) cominciò a ingiuriare un violinista
ebreo. Heide ordinò senza indugio all’orchestra di eseguire l’inno nazionale: al che gli
estremisti si alzarono in piedi con la mano sul petto mentre il violinista poté mettersi
in salvo dall’uscita posteriore.
Fin dal 1905, quando era divenuto re di Norvegia, Haakon VII aveva
sempre mostrato grande amore per il suo nuovo Paese, attenzione per il
popolo e rispetto della costituzione. Costretto all’esilio inglese durante la
seconda guerra mondiale, non mancò mai di far sentire la propria vici-
nanza alla nazione. Si riporta di seguito un discorso da lui rivolto ai
Norvegesi nella ricorrenza della festa nazionale, il 17 maggio 1942:
147
Tra le diverse imposizioni fatte dai Tedeschi al popolo norvegese vi era anche
quella del lavoro obbligatorio. Eilifsen, che era un funzionario di polizia, aveva aval-
lato il rifiuto di arrestare delle ragazze che non avevano adempiuto a questo obbligo.
Per questo motivo fu condannato a morte per volontà di Terboven.
148
In Norvegia la pena di morte per i reati civili era stata abolita con una legge
(Almindelig borgerlig Straffelov) del 22 maggio 1902, entrata in vigore il 1 gennaio
1905. Alla stessa data risale un altro provvedimento (Militær Straffelov) che riduceva
i casi di applicazione della pena capitale in ambito militare. La pena di morte per
questi reati e quello di alto tradimento sarà abrogata con una legge dell’8 giugno 1979.
L’ultima esecuzione risale comunque al 28 agosto 1948, data in cui fu fucilato Ragnar
Skancke (1890-1948), collaboratore di Quisling colpevole di aver voluto sottomettere
la Chiesa e la scuola norvegese all’ideologia nazista.
149
Il riferimento è alla Gran Bretagna dove il re si trovava in esilio volontario.
150
DLO nr. 177.
151
Cfr. p. 1041. Del 1926 è tra l’altro la fondazione dell’Associazione degli impiega-
ti [della municipalità] di Reykjavík (Starfsmannafélag Reykíavikurborgar). Una prima
significativa vittoria per il sindacato fu l’introduzione di una regolamentazione dell’ora-
rio di lavoro dei marinai dei pescherecci nella quale era previsto un periodo di riposo
di sei ore nell’arco della giornata (Lög um hvíldartíma háseta á íslenskum botnvörskipum,
27 giugno 1921).
152
Si calcola che solo a Reykjavík, dove la maggior parte degli abitanti contrasse
la malattia, siano morte circa duecento persone (Júlíusson – Ísberg 2005 [B.3], p.
243).
153
Dansk-Islandsk Forbundslov in danese, Dansk-íslensk sambandslög in islandese.
Il documento fu sottoposto a referendum popolare che lo approvò con una consisten-
te maggioranza e fu infine ratificato dal sovrano danese Cristiano X il 30 novembre di
quel medesimo anno. Vd. Berlin K., Den dansk-islandske Forbundslov af 30. November
1918, København 19333.
154
Cfr. sopra, p. 1112.
155
Occorre qui ricordare che durante la guerra molte imbarcazioni erano state
vendute alla Francia e all’Inghilterra. Anche questo fatto fu dunque alla base del rin-
novamento della flotta da pesca avvenuto in questo periodo. Inoltre si deve segnalare
che fin dal 1900 l’Islanda aveva ottenuto il riconoscimento delle proprie acque terri-
toriali fino al limite di tre miglia nautiche dalla costa. Nel 1922 il servizio di guardia
costiera fino ad allora gestito dai Danesi fu affidato a imbarcazioni islandesi, una
scelta che insieme ad altre rimarcava la crescente, ormai quasi definitiva autonomia
del Paese.
156
Jarðræktarlög (Legge per l’agricoltura) del 20 giugno 1923.
157
Vd. pp. 151-152.
158
Successivamente Vinnuveitendasamband Íslands, ora Samtök atvinnulífsins
(Associazione industriale).
159
Lög um stéttarfélög og vinnudeilur, 11 giugno 1938.
160
Un servizio di trasporti interni su carri trainati da cavalli fu in funzione soltanto
nei primi due decenni del secolo. Nel 1944 si calcola che circolassero nell’isola circa
quattromila automobili.
161
La prima Compagnia aerea d’Islanda (Flugfélag Íslands) fu fondata in quell’anno
a Reykjavík ma ebbe vita breve. Il suo unico velivolo venne utilizzato in primo luogo
per voli dimostrativi. Una seconda Compagnia aerea d’Islanda nacque, sempre nella
capitale, nel 1928, questa volta a scopi di trasporto di persone e merci (nonché di posta);
essa cessò l’attività nel 1931. Nel 1937 fu la volta della Compagnia aerea di Akureyri
(Flugfélag Akureyrar) che dal 1940 mutò il proprio nome in Compagnia aerea d’Islanda
(dunque la terza della serie!): essa ha costituito una delle basi della moderna aviazione
islandese.
162
Sui progressi della sanità islandese a partire dall’istituzione (1760) dell’ufficio di
“medico generale d’Islanda” (landlæknir, vd. p. 726, nota 213) si rimanda a Júlíusson
– Ísberg 2005 (B.3), pp. 300-310 e pp. 356-357 e a Jónsson V., Skipun heilbrigðismála
á Íslandi, Reykjavík 1942.
163
Questo lavoro fu portato avanti in primo luogo da un contadino autodidatta,
Bjarni Runólfsson (1891-1938) che tra il 1927 e il 1937 realizzò un centinaio di cen-
trali elettriche in tutto il Paese. L’Ente per l’elettricità (Rafmagnsveita) di Reykjavík fu
istituito nel 1921.
164
Fin dal 1910 era comparso sul settimanale Reykjavík (XI: 26, 11 giugno, p. 102)
un articolo a firma di tale Stefán B. Jónsson dal titolo “Riscaldamento a buon mercato”
(“Ódyr upphitun”) nel quale si suggeriva (sulla base dell’esperienza personale) l’utilizzo
delle sorgenti geotermali a questo scopo. Pioniere in questo campo fu anche un conta-
dino di Sturlureykir (in Reykholtsdalur nell’ovest del Paese), tale Erlendur Gunnars-
son, che (probabilmente nel 1911) aveva realizzato un impianto per convogliare i
vapori caldi da sfruttare per usi domestici. Vd. Þórðarson S., Auður úr iðrum jarðar.
Saga hitaveitna og jarðhitanýtingar á Íslandi, Reykjavík 1998.
165
La televisione sarebbe invece giunta molto più tardi: negli anni ’60 infatti ebbe-
ro inizio alcune trasmissioni americane destinate al personale statunitense presente sul
territorio e molti islandesi si procurarono degli apparecchi per poterle vedere. Una
televisione islandese (gestita dalla RÚV) prenderà l’avvio solo nel 1966.
islandese. Dove nel frattempo (1929) era nato un nuovo Partito del-
l’indipendenza dalla fusione del Partito liberale con il Partito con-
servatore. Un quadro in grande movimento (anche per via dell’in-
troduzione di modifiche alla costituzione relative alla legge
elettorale),170 come si constata anche considerando gli sviluppi
nell’ala più radicale della sinistra. Fin dal 1922 negli ambienti gio-
vanili del Partito socialdemocratico si era guardato verso l’Unione
sovietica e si era dato vita all’Associazione dei giovani comunisti
(Félag ungra kommúnista)171 che avrebbe costituito il nucleo di
quello che nel 1930 sarebbe diventato il Partito comunista islandese
(Kommúnistaflokkur Íslands) sotto la guida di Brynjólfur Bjarnason
(1898-1989) ed Einar Olgeirsson (1902-1993). Nel 1938 con l’ap-
porto di un gruppo di ‘esuli’ socialdemocratici esso avrebbe dato
vita al Partito di unità popolare – Partito socialista (Sameiningarflokkur
alþýðu – Sósíalistaflokkurinn) che, nonostante un certo allontana-
mento dalla linea più radicale (esso infatti lasciò il Comintern) sareb-
be comunque rimasto fortemente caratterizzato dalla dottrina comu-
nista.172 In Islanda non mancarono infine i simpatizzanti del nazismo
che si organizzarono nel 1933 nel Movimento nazionalista degli
Islandesi (Þjóðernishreyfing Íslendinga); nel 1934 esso si spaccò e da
questa frattura nacque il Partito nazionalista (Flokkur þjóðernis-
sinna) che non ottenne mai rappresentanti in parlamento e cessò
di esistere nel 1944.
Dal punto di vista legislativo i decenni del primo dopoguerra sono
caratterizzati da un serie di provvedimenti a carattere sociale tra cui
misure di sostegno all’istruzione e l’istituzione di una assicurazione
generale per vecchiaia, malattia e invalidità,173 norme che in parte
costituiranno la base del moderno stato islandese. Tuttavia non man-
ca, anche qui, un decreto sull’eugenetica.174 Dopo il ritiro di Tryggvi
Þórhallsson il governo fu guidato (1932-1934) da Ásgeir Ásgeirsson
(1894-1972), futuro presidente della repubblica. A lui successe
170
Per una sintesi storica delle norme elettorali in Islanda si rimanda a Harðarson
Ó.Þ. “The Icelandic Electoral System 1844-1999”, in Grofman B. – Lijphart A. (eds.),
The Evolution of Electoral and Party Systems in the Nordic Countries, pp. 101-166.
171
Dal 1926 Associazione socialista Sparta (Jafnaðarmannafélagið Sparta).
172
Tra i promotori del nuovo partito Heðinn Valdimarsson (1892-1948), figlio di
Briét Bjarnhéðinsdóttir, pioniera dei diritti delle donne (vd. p. 1066) e presidente del
sindacato Dagsbrún (vd. p. 1041).
173
Lög um alþýðutryggingar, 1 febbraio 1936.
174
In Islanda una legge che consentiva la sterilizzazione fu approvata nel 1938 (Lög
um að heimila í viðeigandi tilfellum aðgerðir á fólki, er koma í veg fyrir, að það auki kyn
sitt, 13 gennaio 1938) e in base a essa duecentocinquantuno persone subirono questa
operazione. Sull’argomento si rimanda a Karlsdóttir U.B., Mannkynbætur. Hugmyndir
um bætta kynstofna hérlendis og erlendis á 19. og 20. öld, Reykjavík 1998.
co trattato” (vd. pp. 384-385). Sui festeggiamenti del 1944 vd. Lýðveldishátíðin 1944,
Þjóðhátíðarnefnd samdi að tilhlutan Alþingis og ríkisstjórnar, Reykjavík 1945.
178
Seppure porti il medesimo titolo questo giornale (uscito tra il 1936 e il 1992)
non va confuso con quello precedente di cui a p. 1046 con nota 373.
179
Ciò avvenne nell’aprile del 1941. Gli arrestati furono condotti nel carcere di
Brixton in Inghilterra e rilasciati solo nel mese di luglio.
180
Dimissioni presentate il 10 ottobre 1946, seppure l’esecutivo restasse in carica fino
al 4 febbraio dell’anno successivo per permettere l’insediamento del nuovo governo.
181
Sui rapporti tra l’Islanda e gli Stati uniti tra il 1945 e il 1960 vd. Ingimundarson V.,
Í eldlínu kalda stríðsins. Samskipti Íslands og Bandaríkjanna 1945-1960, Reykjavík 1996.
13.5.1. Letterature
zi incentrati sulla vita dei minatori (da lui stesso vissuta in prima
persona), traduce efficacemente in forma letteraria il periodo del
cosiddetto jobbetiden.188 In Svezia Vilhelm Moberg (1898-1973),
grande narratore del mondo contadino (visto nell’ottica della pres-
sione sociale che grava sull’individuo) e coraggioso accusatore del
nazismo, riprenderà ancora il tema dei migranti in una serie di
romanzi che usciranno tra il 1949 e il 1959.189 In Islanda, dove
Þórbergur Þórðarson (1889-1974) con il suo Lettere a Laura (Bréf
til Láru) del 1924 doveva provocare un vero e proprio sconvolgi-
mento letterario, andando a puntare il dito contro le ingiustizie
sociali e i mali della Chiesa,190 il nome di maggiore spicco (se non
altro per l’assegnazione del Nobel nel 1955) è quello di Halldór
Kiljan Laxness (pseudonimo di Halldór Guðjónsson, 1902-1998),
nella cui parabola umana e artistica pare riflettersi il percorso socio-
culturale del Paese alla ricerca di una nuova identità e di una
nuova autonomia nella quale confluiscano la riflessione sulla tra-
dizione, l’apertura a impulsi esterni e lo sforzo per conservare (pur
nell’inevitabile cambiamento) la propria specificità.191
Parallela e per molti versi intrecciata a queste tendenze (come si
è detto non si possono tracciare nette demarcazioni!) è la cosiddet-
ta ‘letteratura proletaria’ che non di rado si concentra (volentieri
rifacendosi all’esperienza personale) sui problemi delle classi lavo-
ratrici. È una produzione proposta per lo più da autori di modesta
origine, spesso autodidatti, che considerano la scrittura come stru-
mento di affermazione d’una diversa identità culturale e vogliono,
al contempo, scardinarne gli stereotipi. Suo modello riconosciuto
è, come si è visto, il danese Martin Andersen Nexø, il cui esempio
188
Vd. p. 1139 con nota 90. Un altro autore che trae ispirazione da questo periodo
sarà Johan Borgen (1902-1979), celebre tuttavia soprattutto per Il piccolo lord (Lillelord,
1955), in realtà il primo romanzo di una trilogia che sarà una delle opere di successo
nella letteratura degli anni ’50.
189
Si tratta di Gli emigranti (Utvandrarna) del 1949, Gli immigrati (Invandrarna)
del 1952, I colonizzatori (Nybyggarna) del 1956 e Ultima lettera per la Svezia (Sista
brevet till Sverige) del 1959.
190
Il libro gli guadagnò fama immediata ma gli costò anche l’allontanamento
dall’insegnamento.
191
Altri prosatori islandesi del periodo che meritano una citazione sono Guð-
mundur G. Hagalín (1898-1985), che affida a brevi racconti una vivida descrizione dei
suoi paesaggi e della sua gente; Guðmundur Daníelsson (1910-1990), poeta e prosa-
tore che resta legato a uno stile tradizionale e Kristmann Guðmundsson (1901-1983),
autodidatta, autore di romanzi e novelle d’amore di notevole successo, uno dei primi
autori islandesi a essere conosciuto anche all’estero. Un’autrice che riesce a far rivive-
re il mondo contadino e lo spirito della tradizione è Hulda (Unnur Benediktsdóttir
Bjarklind, 1881-1946).
197
L’impegno politico improntato all’ideologia marxista segna molti intellettuali
norvegesi di questo periodo. Sigurd Hoel fu tra i fondatori (1921) del gruppo che ebbe
nome Mot dag (letteralmente “Verso il giorno”) che pubblicò l’omonima rivista, il cui
primo redattore fu Erling Falk (1887-1940), politico e sindacalista: essa contribuì
grandemente alla diffusione delle idee comuniste in Norvegia.
198
Il profondo sentimento religioso dell’autrice (e le crisi che vi si legano) la con-
dussero a metà degli anni ’20 a convertirsi al cattolicesimo.
delle ‘categorie’ più arduo ancora è farlo per la poesia. È pur vero
che in un’epoca di pressoché totale apertura al mondo esterno le
nuove correnti europee (ma anche americane) sono chiaramente
riscontrabili anche nelle letterature scandinave: tuttavia la ‘verifica’
della misura in cui esse sono presenti nella produzione dei singoli
finisce per tradursi in un esercizio di analisi complessa e, per certi
versi, perfino inutile, oltretutto ostacolato dall’intersecarsi della
grande varietà di motivi ispiratori (spesso dettati da un’urgenza
sociale e psicologica difficile da contenere) con una ricerca stilisti-
ca che esige un profondo rinnovamento. Ciò vale in primo luogo
per i ‘poeti del sociale’: autori come il danese Tom Kristensen
(1893-1974), lo svedese Erik Blomberg (1894-1965),199 i norvegesi
Rudolf Nilsen (1901-1929) e Nordahl Grieg (1902-1943), l’islan-
dese Jóhannes úr Kötlum (Jóhannes Jónasson, 1899-1972). Ma la
ricerca di una lingua assolutamente ‘nuova’ è forse l’unica costan-
te che (tuttavia con diversi esiti) accomuna i grandi della prima
metà del secolo. Tra gli svedesi non si può tralasciare il simbolista
Vilhelm Ekelund (1880-1949), poeta per certi versi ‘aristocratico’
e ‘incompreso’, né Birger Sjöberg (1885-1929) la cui raccolta del
1926 Crisi e ghirlande (Kriser och kransar) segna l’affermazione
del modernismo, una tendenza proposta in primo luogo da autori
finno-svedesi come Edith Södergran (1892-1923) ed Elmer Diktonius
(1893-1961).200 Nel 1929 Artur Lundkvist (1906-1991) insieme a
Harry Martinson e ad altri tre poeti pubblicava la ‘dirompente’
antologia dal titolo Cinque giovani (Fem unga),201 che, con la sua
apertura alle avanguardie (per altro ‘bilanciata’ da una sorta di
primitivismo) segna un punto fermo nella lirica della prima metà
del Novecento. Tendenti a nuove forme di spiritualità sono invece
Hjalmar Gullberg (1898-1961) e Johannes Edfeldt (1904-1997),
mentre Anders Österling (1884-1981) esprime una sorta di neorea-
lismo. Critico e traduttore di grande talento Österling avrebbe dato
un notevole contributo all’apertura verso le correnti della lirica
europea e americana, mentre Gunnar Ekelöf (1907-1968), ben più
alieno alle ideologie, si sarebbe indirizzato verso lo studio della
poesia orientale (araba e persiana).202 Autori come Erik Lindegren
199
Cfr. nota 54.
200
Elmer Diktonius fu anche traduttore e nella rivista Ultra. Kirjallistaiteellinen
aikakauslehti / Tidskrift för ny konst och litteratur, scritta in svedese e in finnico, usci-
ta con qualche numero a Helsinki nel 1922 (prima pubblicazione a diffondere la
poesia modernista) presentò diversi poeti stranieri. Cfr. p. 1376.
201
Con loro Gustav Sandgren (1904-1983), Josef Kjellgren (1907-1948) ed Erik
Asklund (1908-1980).
202
Su di lui Sommar C.O., Gunnar Ekelöf. En biografi, Stockholm 1991.
e artisti ‘moderni’. Nel Paese un ‘punto di svolta’ letterario sarà più tardi la pubblica-
zione della rivista Penne rosse (Rauðir pennar) uscita tra il 1935 e il 1938 a cura
dell’Associazione degli scrittori rivoluzionari (Félag byltingarsinnaðra rithöfunda).
Sorto nel 1933 (e attivo fino al 1940) questo organismo, del quale facevano parte nomi
prestigiosi come Laxness e Steinn Steinarr (vd. p. 1276), avrebbe dato vita nel 1937
all’importante casa editrice Mál og menning (vale a dire “Lingua e cultura”) tuttora
esistente.
207
Vd. p. 1085 con nota 543. Composto prima del 1910, Sorg fu tuttavia pubblica-
to solo nel 1927.
208
Qui meritano una citazione anche Tómas Guðmundsson (1901-1983), il ‘poeta
di Reykjavík’ e Guðmundur Böðvarsson (1904-1974), anche traduttore di Dante.
209
Nel 1931 Karin Boye sarebbe stata tra i fondatori della rivista Spektrum, che,
seppure uscita solo fino al 1933, avrebbe grandemente influenzato il mondo culturale
svedese per la sua apertura alle nuove correnti nel mondo delle arti e delle scienze
sociali.
210
Si tenga presente che Karin Boye aveva visitato sia l’Unione sovietica (1928), già
finita sotto il dominio di Stalin (seppure gli anni più bui dovessero ancora venire), sia
la Germania (1932), dove si stava annunciando il potere nazista di Hitler. Queste
esperienze l’avevano certamente molto impressionata e indotta alla riflessione.
211
Significativamente il sottotitolo dell’opera è Sulla decadenza della letteratura
moderna – Sulla vitalità dell’arte moderna (Om modärn skönlitteraturs dekadans – Om
den modärna konstens vitalitet).
212
L’idea di teatro di Lagerkvist, ben lontana dal naturalismo, ritenuto incapace di
esprimere la complessità, la problematicità e l’angoscia della vita moderna, è espressa
nello scritto Teatro. L’ora difficile, tre atti unici. Teatro moderno, Punti di vista e critiche
(Teater. Den svåra stunden, tre enaktare. Modern teater, Synpunkter och angrepp) del 1918.
213
Vd. sopra, p. 1120 con nota 29.
214
In Danimarca al notevole successo del teatro contribuirono figure come quelle
dell’attrice Betty Nansen (1873-1943), poi direttrice del teatro che portava il suo nome
(Betty Nansen Teatret) nel quartiere Frederiksberg di Copenaghen; di Clara Pontoppi-
dan (1883-1975) anche celebre stella del film muto; di Poul Reumert (1883-1968) il
più significativo interprete del teatro danese nella prima metà del Novecento; di Liva
Weel (1897-1952), attrice e cantante.
215
Il teatro norvegese ebbe successo anche per la presenza di attrici come Johanne
Dybwad (1867-1950) e Tore Segelcke (1901-1979), così come di Halfdan Christensen
(1873-1950), che fu anche regista e scrittore.
così, allora l’esigenza del periodo illuministico per una buona poesia ‘sano
intelletto in versi eleganti’ potrebbe ancora valere come ideale poetico,
poiché essa in effetti consegue questi due aspetti, quello emozionale e quel-
lo logico. Ma quello che non consegue è tuttavia così importante che senza
esagerare lo si può definire la vera essenza della poesia, ciò che solo può
afferrare il nostro sentimento. (Tra parentesi: anche dall’armonia bisogna
pretendere qualcosa più dell’armonia perché essa possa avere dignità di arte,
nella poesia come nella musica.)”216
216
DLO nr. 178.
217
Introdotto in Danimarca da Vilhelm Lundstrøm (1893-1950) che si dedicò anche al
collage e da Jais Nielsen (1885-1961) e ben assimilato dagli svedesi John Sten (Wettersten,
1879-1922) e Otto Gustaf Carlsund (1897-1948) e dai norvegesi Thorvald Hellesen
(1888-1937), a lungo vissuto in Francia, e Aage Storstein (1900-1983). Nel 1927 la
pittrice norvegese Charlotte Wankel (1888-1969) organizzò a Oslo presso l’Associa-
zione degli artisti (di cui più avanti) una mostra cubista (dove espose tra gli altri anche
Ragnhild Keyser, 1889-1943) che tuttavia pur destando molta attenzione non fu
compresa dalla critica.
218
I cui migliori rappresentanti nordici sono (oltre naturalmente al ‘precursore’
Edvard Munch, su cui vd. p. 1094), il danese Jens Søndergaard (1895-1957) gli svede-
si Axel Törneman (1880-1925), Martin Emond (1895-1965) e Isaac Grünewald (1889-
1946).
219
Sebbene dal punto di vista figurativo esso avesse nel Nord pochi seguaci, vi
possono almeno in parte essere ricondotte le opere di GAN (Gösta Adrian-Nilsson,
1884-1965), di cui poco oltre. Come futurista è classificato da taluni anche il norve-
gese Alfred Hagn (1882-1958, noto anche per essere stato una spia!) che in realtà si
considerava piuttosto un cubista.
220
Rappresentato tra gli altri dai danesi Franciska Clausen (1899-1986), Wilhelm
Freddie (1909-1995) e Vilhelm Bjerke Petersen (1909-1957) e dagli artisti aderenti alla
cosiddetta Linea (Linien), un gruppo attivo tra il 1934 e il 1939 (che diede anche alle
stampe una pubblicazione con lo stesso nome) di cui facevano parte Henry Heerup,
Richard Mortensen, Egill Jacobsen, Ejler Bille, Carl-Henning Pedersen e Asger Jorn
(sui quali vd. pp. 1293-1295). In Svezia dai membri del cosiddetto “gruppo di Halmstad”
(Halmstadgruppen), in un primo tempo orientato al cubismo, i cui fondatori furono
Axel Olson (1899-1986) e il fratello minore Erik (1901-1986), Waldemar Lorentzon
(1899-1984), loro cugino, Sven Jonson (1902-1981), Stellan Mörner (1896-1979) ed
Esaias Thorén (1901-1981); vd. Bosson V., Halmstadgruppen. Ett kraftfält i svensk
1900-talskonst, Halmstad 2009.
221
Se ne vedano esempi nello svedese Olle Bærtling (1911-1981), creatore della
‘forma aperta’ che tuttavia svilupperà la propria arte soprattutto nel secondo dopo-
guerra (su di lui Brunius T., Bærtling. Mannen, verket, Stockholm 1990).
222
Si pensi in primo luogo agli svedesi Axel Nilsson (1889-1981), Hilding Linnqvist
(1891-1984), Eric Hallström (1893-1946), Olle Olsson Hagalund (1904-1972) e anche,
per certi versi, a Nils Dardel (1888-1943) trasferitosi a Parigi e poi negli Stati uniti.
223
Per Krøhg era figlio di Christian Krohg (vd. sopra p. 1093) e di Oda Lasson
Krohg (1860-1935) anch’ella ottima pittrice.
224
Nel 1909 Olaf Rude fu tra gli organizzatori dell’esposizione de “I tredici” (De
Tretten) i pittori le cui opere erano state rifiutate dall’accademia.
225
Vd. sopra, pp. 1087-1088.
226
Vd. sopra, p. 1088.
227
Su di lui si rimanda a Gottlieb L., Giersing. Maler, kritiker, menneske, København
1995. Destinata a diventare la maggiore associazione artistica danese Grønnigen, tut-
tora esistente, prende nome dalla strada di Copenaghen nella quale ebbe luogo la
prima esposizione.
233
Cfr. nota 218.
234
Nel 1912 una parte di loro costituì, su iniziativa di Grünewald, il gruppo de “Gli
Otto” (De åtta). Da segnalare in questo contesto anche il gruppo de “I Dodici” (De
tolv) formatosi a Parigi nel 1912 e che raccoglieva artisti della Scania, molti dei quali
avevano studiato presso André Lhote (1885-1962) che proprio in quell’anno espone-
va le prime opere cubiste. Vi appartenevano Johan Johansson (1879-1951), Tora Vega
Holmström (1880-1967), Jürgen Wrangel (1881-1957), poi sostituito (1925) da Erik
Jönsson (1893-1950), Anders Jönsson (1883-1965), Svante Bergh (1885-1946), Ivar
Johnsson (1885-1970), Pär Siegård (1887-1961), Emil Johanson-Thor (1889-1958),
Albert Abbe (1889-1966), Emil Olsson (1890-1964), Nils Möllerberg (1892-1954),
Jules Schyl (1893-1977).
235
Vi avevano insegnato tra gli altri Carl Larsson e Bruno Liljefors (vd. p. 1090).
236
La definizione risale al titolo del testo Romdah – Sundborg et al. 1948. I nomi
più noti sono quelli di Carl Kylberg (1878-1952), Ivan Ivarson (1900-1939), Nils
Nilsson (1901-1949), Åke Göransson (1902-1942), Ragnar Sandberg (1902-1972) e
Inge Schiöler (1908-1971).
237
La loro galleria ha chiuso i battenti nel 2002.
244
Così anche Gert Jynge (1904-1994) che si pone in opposizione al dominante
influsso francese. Un pittore svedese impegnato in un’arte di denuncia sociale è Albin
Amelin (1902-1975).
245
Un caso eclatante sarà quello del famoso arazzo dal titolo Sangue nell’erba (Blod
i gresset) del 1966 che si ispira alla guerra americana nel Vietnam condotta dal presi-
dente Lyndon Johnson (1908-1973) ed è conservato nel Museo dell’arte applicata del
Vestland (Vestlandske Kunstindustrimuseum) di Bergen.
246
Su di lui “Ásgrímur Jónsson, listamálari”, in BR, pp. 240-243.
247
Su di lui Björnsson Bj.Th., Guðmundur Thorsteinsson. Muggur. Ævi hans og list,
Reykjavík 1960.
248
Vd. oltre, pp. 1293-1294.
254
Sigri Welhaven era nipote dello scrittore Johan Sebastian Welhaven (vd. pp.
931-932) e fu sposata in prime nozze con il pittore Jean Heiberg (vd. p. 1180).
255
Ríkarður era il fratello del pittore Finnur Jónsson, sopra citato (vd. p. 1181).
256
Vd. p. 1096.
257
L’associazione esistette fino al 1919.
258
Fondata nel 1879, essa è tuttora attiva.
263
Contrario a questa corrente fu invece l’architetto Carl Malmsten (1888-1972)
che si espresse con toni molto critici in occasione dell’esposizione di Stoccolma del
1930.
264
Questo si constata, a esempio, in un architetto come Harald Aars (1875-1945)
che pur rimanendo legato alle posizioni di fine secolo nel 1915 realizzava il cinema-
teatro Regina di Oslo in stile neoclassico. Con lui va ricordato Kristian Biong (1870-
1959), considerato uno dei migliori architetti della sua epoca.
265
Più eclettici paiono Georg Eliassen (1880-1964) e Andreas Bjercke (1883-1967)
che aprirono insieme un noto studio di architettura.
266
Il primo architetto islandese in senso moderno è considerato Rögnvaldur Ólafs-
son (1874-1917).
267
Si citi qui Einar Erlendsson (1883-1968).
13.5.3. Musica
268
Su di lui vd. p. 609 con nota 375.
269
Tra i primi a dedicarsi a questo genere: in Danimarca Svend Asmussen (n. 1916)
e Bernhard Christensen (1906-2004) che lo insegnò ai giovani; in Svezia: Seymour
Österwall (1908-1981) e Thore Ehrling (1912-1994); in Norvegia Lauritz Stang (1903-
1983) e Amund Enger (1904-2000) così come i componenti della Bodø Jazz Band. In
Islanda questa musica fu diffusa fin dagli anni ’20: i primi veri musicisti jazz furono
Jóhannes Eggertsson (1915-2002), Vilhjálmur Guðjónsson (1917-1977) e Sveinn
Ólafsson (1917-1996), detti Jói, Villi e Svenni, che cominciarono a esibirsi subito prima
della guerra. Vd. Wiederman E., Jazz i Danmark, i tyverne, trediverne og fyrrerne,
en musikkulturel undersøgelse, I-III, con cassette, København 1982; Kjellberg E.,
Svensk jazzhistoria. En översikt, Stockholm 1985; Stendahl Bj., Jazz, hot & swing. Jazz
i Norge 1920-1940, med norsk jazzdiskografi av J. Berg, Oslo 1987; Árnason J. Múli,
Djass, Reykjavík 1985, pp. 217-218 e Júlíusson – Ísberg 2005 (B.3), pp. 370-371.
270
Insieme al cabaret e, in generale, agli spettacoli di varietà. Sull’argomento si può
leggere (quantomeno per la Danimarca e la Svezia): Plenov L., Dansk revy 1850-2000.
Et uhøjtideligt tilbakeblik, København 2000; Marott E., Dansk revy, I-III, Valby 1991;
Myggan Ericson U., Historier från revyn, Göteborg 1999.
271
Ambito in cui portarono importanti contributi i danesi Hans Beck (1861-1952),
successore di Bournonville (vd. p. 922) e Harald Lander (1905-1971) e i norvegesi
Gyda Christensen (1872-1964) e Gerd Kjølaas (1909-2000). In generale sul balletto
nordico si può fare riferimento a Sjögren M., Skandinavisk balett, Stockholm 1988.
280
Le quali rappresentano un punto di riferimento irrinunciabile anche per un
compositore come Eivind Groven (1901-1977).
281
Legati allo spirito nazionale sono anche musicisti come Arne Eggen (1881-1955),
Marius Moaritz Ulfrstad (1890-1968), Olav Kielland (1901-1985), Sparre Olsen (1903-
1984); romantico ma non ‘popolare’ è Halfdan Cleve (1879-1951).
282
Vd. Faurdal I. Lokjær, Pauline Hall (1890-1969). Komponist og overgangs-
kvinde i norsk musikliv, København 1993.
283
Vd. GURVIN O., Fartein Valen. En banebryter i nyere norsk musikk, Drammen
1962.
284
Si pensi a Conrad Baden (1908-1989), Knut Nystedt (1915-2014), Hallvard
Johnsen (1916-2003), Øistein Sommerfeldt (1919-1994), Per Hjort Albertsen (1919-
2015), Edvard Fliflet Bræin (1924-1976).
285
Altri cantanti norvegesi di fama internazionale sono: la soprano Kaja Norena
(Karoline Eide Hansen, 1884-1968), il basso Ivar F. (Frithiof) Andresen (1896-1940);
le soprano Aase Nordmo Løvberg (1923-2013) e Ingrid Bjoner (1927-2006), il barito-
no Knut Skram (n. 1937), la mezzosoprano Anne Gjevang (n. 1948), le soprano
13.5.4. Cinematografia
zioni: per due volte consecutive infatti essa veniva premiata con
l’Oscar: nel 1987 con Il pranzo di Babette, diretto da Gabriel Axel
(1918-2014) e basato sul celebre racconto di Karen Blixen,295 e nel
1988 con Pelle il conquistatore (Pelle Erobreren) di Bille August
ispirato al ciclo di romanzi di Martin Andersen Nexø usciti tra il
1906 e il 1910.296 L’anno successivo ci fu una ulteriore nomination
per Ballando con Regitze (Dansen med Regitze) di Kaspar Rostrup
(n. 1940). Nel 1995 Lars von Trier in collaborazione con Thomas
Vinterberg (n. 1969) ha presentato il manifesto Dogma95 (Dogme95)
con l’intento di produrre una cinematografia sobria ed essenziale,
liberata da tecnicismi esasperati e costosi.297 Più recentemente non
sono mancati ulteriori prestigiosi riconoscimenti: nel 2006 la nom-
ination è andata a Dopo il matrimonio (Efter brylluppet) di Susanne
Bier (n. 1960) che nel 2010 è stata premiata con l’Oscar per l’ope-
ra In un mondo migliore (in danese Hævnen “La vendetta”); nel
2013 la nomination è stata ottenuta da Un affaire reale diretto da
Nikolaj Arcel (n. 1972).298
In Svezia la cinematografia arrivò alla fine del XIX secolo. Uno
dei primi locali per proiezioni dove si poteva assistere alle opere
dei fratelli Lumière fu allestito dal fotografo Numa Peterson (1837-
1902) in uno spazio all’interno della grande esposizione di Stoccol-
ma del 1897. I primi film (di carattere documentario) furono rea-
lizzati a partire dal 1906 da John Bergqvist (1874-1953) e da suo
cognato Gustaf Berg (1880-1933). In pochi anni nelle città svedesi
cominciano a diffondersi i cinematografi. Nel 1909 veniva fondata
la S.p.a. Teatro cinematografico svedese (AB Svenska Biografteatern)299
di cui sarebbe divenuto direttore Charles Magnusson (1878-1948),
figura di importanza fondamentale. Non solo nel 1919 egli diede
impulso alla creazione della Industria cinematografica svedese
(Svensk filmindustri) che divenne presto un ‘colosso’ con sedi anche
all’estero,300 ma fu anche autore di diversi copioni e regista e tra-
295
Pubblicato con lo pseudonimo di Isak Dinesen esso uscì in versione inglese nel
1950 (Babette’s Feast) sul Ladies’ Home Journal di New York e in versione danese
(Babettes Gæstebud) due anni dopo a Copenaghen; vd. Henriksen L., Karen Blixen.
En håndbog, København 1988, p. 31. Su Karen Blixen vd. p. 1170.
296
Su di lui vd. p. 1166.
297
Notizie e approfondimenti sulla storia della cinematografia danese si possono
trovare sul sito dell’Istituto cinematografico danese (Det danske Filminstitut: Fakta
om Film: http://www.dfi.dk/FaktaOmFilm) cui qui ci si è per buona parte riferiti.
298
Vd. p. 692, nota 65.
299
Più tardi nota come Svenska Bio.
300
In essa confluirono la S.p.a. Teatro cinematografico svedese e la S.p.a. Industria
cinematografica Skandia (Filmindustri AB Skandia) che era stata fondata l’anno prece-
dente. Maggiore azionista del nuovo soggetto era l’industriale Ivar Kreuger (cfr. nota 53).
301
Cfr. p. 735, nota 248.
302
Qui merita una citazione una regista donna, Anna Hoffman-Uddgren (1868-1947)
anche attrice e autrice di copioni. Di lei si dice che fosse la figlia naturale del re Oscar
II.
303
Anche il fratello Olof Molander (1892-1966) si affermerà come regista. Il padre,
Johan Harald Molander (1858-1900) era scrittore, direttore e regista di teatro.
304
Tre anni più tardi la Bergman reinterpreterà il film, con lo stesso titolo, negli
Stati uniti insieme all’attore anglo-ungherese Leslie Howard (1893-1943).
305
Tra i numerosi tentativi di accordare le immagini di un film ai suoni va qui
segnalato il sistema ideato dall’ingegnere svedese Sven Berglund (1881-1937) il quale
individuò un metodo per la registrazione ottica delle onde sonore.
306
Hasse Ekman era figlio dell’attore Gösta Ekman e a sua volta padre del regista
Gösta Ekman (n. 1939).
307
Tra gli attori da lui prediletti anche Anita Björk (1923-2012) la cui vita sentimen-
tale comprende un rapporto (e successivo matrimonio) con lo scrittore Stig Dagerman
(vd. p. 1264) e una relazione con lo scrittore inglese Graham Greene (1904-1991).
308
Solo per limitarci agli Oscar si ricordino i suoi film premiati a vario titolo: La fon-
tana della vergine (Jungfrukällan, 1960), Come in uno specchio (Såsom i en spegel, 1961),
Sussurri e grida (Viskningar och rop, 1973), Fanny e Alexander (F. och A., 1982) e le
nomination per Il posto delle fragole (Smultronstället, 1957), Il flauto magico (Trollflöjten,
1975), L’immagine allo specchio (Ansikte mot ansikte, letteralmente “Faccia a faccia”,
1976) e Sinfonia d’autunno (Höstsonaten, 1978).
314
Se è vero che i primi film svedesi furono di carattere documentaristico, è anche
vero che furono piuttosto registi come Wesslén e Sucksdorff a dare consapevolmente
l’avvio a questo genere. Sulla cinematografia svedese si può consultare il sito della Film
Sound Sweden (Backspegel: http://www.filmsoudsweden.se) e quello dell’Istituto
svedese di cinematografia (Svenska Filminstitutet) in cui si trova un utile database
(Svensk Film databas: http://www.sfi.se/sv/svensk-filmdatabas/). A queste fonti ci si è
qui in buona parte riferiti.
315
Per la verità si sa anche che nel periodo tra il 1906 e il 1908 venne girato un film
dal titolo Pericoli della vita da pescatore (Fiskerlivets Farer) che tuttavia è andato per-
duto (e il cui regista era, comunque, lo svedese Julius Jaenzon, 1885-1961). Nel
medesimo 1911 Halfdan Nobel Roede realizzò anche un altro film intitolato Per la
legge del cambiamento (Under forvandlingens lov) ispirato ai conflitti nel mondo del
lavoro.
316
Qui occorre tuttavia precisare che fin dal 1930 il regista danese George Schnée-
voigt aveva girato un film sonoro sulla Groenlandia dal titolo Eskimo (1930) con
dialoghi in norvegese.
317
Vd. p. 1167.
318
Cfr. p. 1079, nota 512 e in questo capitolo nota 286.
319
Termini che in realtà designano un ricognitore, una guida, una persona che
indica la strada.
320
Un’altra affermata regista donna è Vibeke Løkkeberg (Vibecke Kleivdal, n.
1945), moglie di Pål.
321
Sebbene non strettamente documentaristica va qui citata la trilogia di film La
Norvegia per il popolo (Norge for folket, 1936), Costruiamo il Paese (Vi bygger landet,
1936) e Città e campagna mano nella mano (By og land hand i hand, 1937), il primo
diretto da Helge Lunde (1900-1987), gli altri due da Olav Dalgard (1898-1980). Si
trattava di pellicole volute dal movimento politico dei lavoratori a scopo educativo e
propagandistico.
322
Vd. sopra, p. 1167. L’opera di Gunnarsson (Af Borgslægtens historie) uscì in
quattro parti tra il 1912 e il 1914.
323
Vd. p. 1175.
324
Si tratta di Tra montagna e mare (Milli fjalls og fjöru) del 1949.
325
Suo è anche Il fuorilegge (Útlaginn, 1981) ispirato alla storia di Gísli Súrsson
come narrata nella medievale Saga di Gísli Súrsson (vd. p. 313).
326
Cfr. p. 645, nota 536.
14.1.2. Danimarca
Islanda si registra un aumento. Pur presentando una certa flessione fra gli uomini
e un lievissimo aumento fra le donne, la Finlandia detiene il triste primato delle
persone che si tolgono la vita (per i grafici si rimanda alla pagina web: http://www.
norden.org/sv/tema/nordisk-statistik-i-50-aar-1/statistik-fraan-196220132012/sja-
elvmord).
10
In Svezia una legge del 26 novembre 1998 (entrata in vigore il 1 gennaio 2000)
ha, di fatto, operato una (quasi) netta separazione (Lag om Svenska kyrkan). Del 1951
(26 ottobre) è una legge sulla libertà religiosa che consentiva di uscire dalla Chiesa
svedese senza l’obbligo di aderire a un’altra comunità religiosa (Religionsfrihetslag,
entrata in vigore il 1 gennaio 1952).
zia’, visto che nel Paese l’oppressione nazista aveva potuto contare
su numerosi collaborazionisti. Non sempre tuttavia gli arresti e le
condanne di queste persone furono corrispondenti (nel bene e nel
male) alle effettive responsabilità. In questo contesto furono ese-
guite in Danimarca le ultime condanne a morte.11 C’era inoltre da
affrontare una situazione economica che risentiva pesantemente
degli strascichi del conflitto. Nell’ottobre del 1945 ci furono le
elezioni e al governo Buhl succedette un esecutivo liberale (tuttavia
di minoranza) guidato da Knud Kristensen (1880-1962) che dovet-
te (ancora una volta!) affrontare il problema dello Schleswig meri-
dionale, regione appartenente alla Germania dove ora tuttavia una
buona parte della popolazione (certamente anche stremata dalle
conseguenze del conflitto voluto da Hitler) aspirava all’annessione
alla Danimarca. La questione era tuttavia condizionata da diversi
fattori: la volontà delle potenze che avevano vinto la guerra (in
primo luogo gli Inglesi) che non desideravano complicazioni, la
gravissima situazione economica della Germania, le difficoltà dane-
si a uscire dalla crisi postbellica, le resistenze politiche. Alla fine la
situazione fu, sostanzialmente, lasciata decantare, il referendum
auspicato dal ‘partito danese’ dello Schleswig meridionale non si
fece e Knud Kristensen diede le dimissioni. In seguito tuttavia, con
il migliorare della congiuntura economica il problema della mino-
ranza danese in Germania e di quella tedesca in Danimarca sareb-
be stato risolto con reciproca soddisfazione.12
La fine delle ostilità aveva lasciato sperare in un’immediata
ripresa dell’economia, tuttavia per il Paese l’uscita dalla crisi sareb-
be stata più difficoltosa del previsto e nel 1948 si dovettero accet-
tare gli aiuti previsti dal piano Marshall per un totale di un miliar-
do e settecento milioni di corone. Fin dal 1945 c’erano stati
scioperi e dimostrazioni, nel 1954 una serie di astensioni dal lavo-
ro (tra cui quella, imponente, nelle fabbriche della Philips) mani-
11
Poiché tale pena era stata abolita dal Codice penale civile nel 1930 (Straffeloven
del 15 aprile), coloro che si erano resi colpevoli di gravi forme di collaborazionismo
furono giudicati in base a una Legge integrativa al codice penale civile a riguardo del
reato di tradimento e altre attività dannose per il Paese (Lov om Tillæg til Borgerlig
Straffelov angaaende Forræderi og anden landsskadelig Virksomhed) approvata il 1
giugno del 1945 (ma di efficacia retroattiva fino al 9 aprile 1940) e accompagnata da
altri provvedimenti – tra cui una Legge sulla pena per i reati di guerra (Lov om Straf for
Krigsforbrydelser del 12 luglio 1946) – che (§ 3) consentiva di applicare questa sentenza.
Il § 3 sarebbe stato cassato in data 18 giugno 1951, tuttavia le norme sarebbero state
abolite il 22 dicembre 1993 (Lov om ændring af lov om tillæg til borgerlig straffelov
angående forræderi og anden landsskadelig virksomhed og lov om straf for krigsfor-
brydelser), data in cui veniva meno anche la pena di morte per reati militari.
12
Vd. p. 1425.
13
Negli anni fra il 1947 e il 1968 si succedettero come primi ministri il social
democratico Hans Hedtoft (1903-1955) dal 1947 al 1950, il liberale Erik Eriksen dal
1950 al 1953, poi ancora Hans Hedtoft dal 1953 al 1955, il socialdemocratico H.C.
(Hans Christian) Hansen (1906-1960) dal 1955 al 1960, il socialdemocratico Viggo
Kampmann (1910-1976) dal 1960 al 1962 e il socialdemocratico Jens Otto Krag (1914-
1978), con due succesivi governi, dal 1962 al 1968 (egli avrebbe poi guidato il suo
terzo governo fra il 1971 e il 1972). Per certi versi paradossalmente l’esecutivo più
solido sarebbe stato quello guidato da H.C. Hansen dopo le elezioni del 1957, quando
la Lega dei diritti (Retsforbundet) sorta nel 1919 accettò sorprendentemente di entra-
re a far parte della maggioranza insieme ai socialdemocratici, fino ad allora pesante-
mente criticati.
17
Vd. p. 1238.
21
Tra cui lo sciopero di 300.000 dipendenti pubblici nel 1985.
14.1.3. Svezia
La fine della guerra significò anche per la Svezia, che pure non
era stata coinvolta più di tanto nel conflitto, l’apertura a nuove
speranze. I socialdemocratici mantenevano saldo il potere. Anzi,
dopo la morte improvvisa di Per Albin Hansson il suo successore,
Tage Erlander (1901-1985), si sarebbe dimostrato capace di gui-
dare il Paese per ben ventitré anni. Egli infatti fu nominato primo
ministro nel 1946 e rimase in carica fino al 1969, confermato nel
corso delle successive elezioni con maggiore o minore forza.23 In
un Paese dove il ruolo della monarchia veniva (come del resto in
molti luoghi altrove) sempre più assumendo carattere puramente
rappresentativo, il vero cuore della politica era il parlamento.24 E
nei decenni del dopoguerra il parlamento andò adottando la poli-
tica dello stato sociale ponendo attenzione alla qualità della vita
dei cittadini e alla realizzazione dei loro diritti, soprattutto dal
punto di vista di una effettiva parità. Molti provvedimenti ebbero
l’adesione delle forze di opposizione, tuttavia una materia di forte
contrasto fu data dalla politica fiscale dei socialdemocratici che
volevano rimodulare la tassazione e appesantire i tributi per le
classi più abbienti. I proventi furono impiegati per la costruzione
del welfare state con interventi sulle assicurazioni sociali per le
22
Si pensi, solo per fare un esempio, ai ponti che collegano le diverse isole e a
quello, davvero imponente, sull’Øresund che unisce il territorio danese (e di conse-
guenza il retroterra europeo) con la Svezia, la cui realizzazione (concordata nel 1991
e finanziata al 50% dai governi dei due Paesi) è stata completata nel 1999. Un’opera
che ha anche una valenza politica molto forte, se si considerano non soltanto gli innu-
merevoli conflitti del passato ma anche, più banalmente, la disputa che ancora nel 1983
li aveva contrapposti sulla questione della linea di confine nel Kattegat, lo stretto che
separa le coste svedesi dalla penisola danese dello Jutland.
23
Il più consistente calo dei consensi si verificò negli anni ’50; esso non fu tuttavia tale
da impedire che i socialdemocratici restassero al governo grazie all’alleanza con l’Asso-
ciazione dei contadini. Ma il terzo (e ultimo) governo Erlander sarebbe rimasto in carica
per il tempo record di dodici anni (dal 31 ottobre del 1957 al 14 ottobre del 1969).
24
Nel 1950 moriva il vecchio re Gustavo V e gli succedeva il figlio Gustavo VI
Adolfo (Oscar Fredrik Wilhelm Olaf Gustaf Adolf, 1882-1973).
25
Sulla questione della perequazione del trattamento pensionistico fra operai e
impiegati (con l’introduzione di una pensione supplementare per tutti) fu condotta
una lunga battaglia nel corso della quale fu anche indetto un referendum consultivo
che si tenne il 13 ottobre 1957. Sulla base del risultato di questa votazione (che aveva
visto prevalere la loro linea (seppure senza la maggioranza assoluta) i socialdemocratici
portarono avanti e realizzarono il loro progetto di riforma.
26
Si segnali qui che nel 1954 dalla fusione della scuola superiore di Göteborg
(Göteborgs Högskola) e della scuola superiore di medicina (Medicinska Högskolan)
della città, nasceva l’Università di Göteborg e che nel 1960 la Scuola superiore (Högskola)
di Stoccolma veniva trasformata in università. Più tardi (1967) sarà dato l’avvio alle
future sedi universitarie di Örebro (Närke), Linköping (Östergötland) e Växjö (Småland).
27
Ma ci furono anche provvedimenti intesi a snellire l’amministrazione pubblica
(come la diminuzione del numero dei comuni approvata con una serie di riforme
successive). Parimenti fu introdotto (1971) il tribunale distrettuale (tingsrätt) per i
processi di prima istanza in luogo di strutture preesistenti ormai superate.
28
Kungörelse (1974: 152) om beslutad ny regeringsform. Sulla nuova costituzione e
successivi rilevanti emendamenti si rimanda a: The Constitution of Sweden. The fun-
damental Laws and the Riksdag Act, with an Introduction by E. Holmberg and N.
Stjernquist, revised translation by R. Bradfield, Stockholm 2000. Alcune modifiche
costituzionali sono state approvate dal parlamento nel 2010 (con validità dal 1 gennaio
2011. Per i testi e le informazioni relative si rimanda ai siti: http://www. regeringen.
se/sb/d/13754 e http://www.regeringen.se/sb/d/504/a/3026).
29
Il figlio di Gustavo VI Adolfo, il principe ereditario Gustaf Adolf (1906-1947),
era infatti morto in un incidente aereo.
30
Vd. Eriksson M. – Wångmar E., “Vägen till kvinnlig tronföljd 1952-1980”, in
Scandia, LXXI: 2 (2005), pp. 265-287 e p. 336.
31
Vd. p. 1125 con nota 49. All’epoca esso aveva la denominazione di Partito di
sinistra – Comunisti (Vänsterpartiet – Kommunisterna).
32
In seguito a questo risultato il numero dei parlamentari fu poi ridotto di una
unità, da trecentocinquanta a trecentoquarantanove.
33
Nel 1978 Fälldin dovette dare le dimissioni proprio per contrasti interni al governo
su questa questione. A lui succedette Ola Ullsten (n. 1931) che guidò un esecutivo di
minoranza monocolore del Partito popolare (Folkpartiet, cfr. p. 988 con nota 143) per
poi di nuovo cedere il passo a Thorbjörn Fälldin che con due governi successivi sarebbe
rimasto in carica fino al 1982.
34
La decisione di costruire la prima centrale nucleare svedese, collocata nel comu-
ne di Oskarshamn (Småland) risale al 1965. Nel 1986 il disastro nucleare di Černobyl’
(Чорнобиль) ha colpito anche la Finlandia, la Svezia e la Norvegia, soprattutto nelle
regioni settentrionali abitate dai Sami, riaccendendo il dibattito.
35
Anche in Svezia sorse (1964) un partito che aveva l’obiettivo di difendere i valo-
ri tradizionali e quelli cristiani. Esso fu fondato con il nome di Unione cristiano-demo
cratica (Kristen Demokratisk Samling), attualmente Cristiano-democratici (Krist
demokraterna), e si sviluppò sulla base di un gruppo sorto nel 1955 e detto Responsabilità
sociale cristiana (Kristet samhällsansvar). Nelle elezioni del 1991 il partito ha superato
la soglia di sbarramento del 4% ed è entrato in parlamento dove in seguito è rimasto
costantemente (con una crescita di consensi fino a sfiorare il 12% nel 1998).
36
In relazione a ciò è sorto in Svezia nel 1981 il Partito dell’ambiente i verdi (Miljö
partiet de gröna), collocato nell’area della sinistra. Entrato per la prima volta in parla-
mento nel 1988 con venti seggi, li avrebbe poi perduti tutti nelle elezioni del 1991 per
rientrare nel 1994, dopo di che è divenuto una presenza costante fino al 2014, quando
non ha ottenuto alcun seggio. In Danimarca e Norvegia, al contrario, queste forma-
zioni non hanno avuto un consistente seguito di elettori.
37
Si tenga presente che in Svezia, come in molti altri Paesi, nei decenni del dopo
guerra il numero delle persone impiegate nel settore agricolo è calato drasticamente e
si calcola che ora occupi meno del 3% della popolazione.
38
Per altro in precedenza i conflitti di lavoro non erano mancati. Nel 1969 c’era stato un
grande (e prolungato) sciopero nel distretto minerario di Gällivare e Kiruna (Malmfälten),
mentre due anni dopo era stata la volta delle categorie professionali aderenti ai sindacati
SACO (Sveriges Akademikers Centralorganisation, che comprende professionisti come
insegnanti, architetti, dentisti, ingegneri e simili) e SR (Statstjänstemännens Riksförbund, poi
confluito nel SACO, che rappresentava i dipendenti statali). Ciò aveva determinato dure
reazioni e, infine, l’intervento del governo. Una importante legge sui rapporti sindacali che
tra l’altro ha introdotto il principio del diritto dei dipendenti a intervenire sull’organizzazio-
ne del lavoro è stata emanata il 10 giugno 1976 (Lag om medbestämmande i arbetslivet).
39
Si trattava infatti della sesta svalutazione dal 1976.
40
Molto è stato scritto in proposito. Oltre a Garzia 2007 si citino qui i testi più
recenti: Gruvedal E., Den slutliga sanningen om Palmemordet. En annorlunda mord-
utredning. Nygamla indicier, Sollentuna 2010; Hederberg H., Offret & gärningsmannen.
En essä om mordet på Olof Palme, Stockholm 2010; Anér S., Palmemordet. De sam-
mansvurna, Göteborg 2011; Vinterhed K., Mordet. Om öppna och dolda motsättningar
bakom Palmemordet, faktagranskning A.W Johansson och Kj. Östberg, Stockholm
2011; Smith P., Palmes morder. Er mordgåden løst?, Højbjerg 2012.
41
Ci si riferisce qui in primo luogo all’attacco alla sede diplomatica della Germania
a Stoccolma (24 aprile 1975) portato dalle ‘brigate rosse’ tedesche, la Rote Armee
Fraktion, che occuparono l’edificio e presero in ostaggio l’ambasciatore e diverse altre
persone, uccidendone alcune senza esitazione per ottenere la liberazione di compagni
detenuti in patria. Ma anche a un episodio di comune delinquenza come la rapina alla
Banca di credito (Kreditbanken) di Stoccolma che portò alla presa di quattro ostaggi
trattenuti dal 23 al 28 agosto del 1973: un fatto che ebbe una straordinaria copertura
mediatica e determinò un forte coinvolgimento della popolazione (e dal quale pren-
derà nome la cosiddetta ‘sindrome di Stoccolma’ che definisce un particolare rappor-
to che si viene a creare tra la vittima di un trattamento violento e il suo aguzzino).
14.1.4. Norvegia
Dopo la liberazione la Norvegia aveva dovuto affrontare gli effet-
ti disastrosi provocati dall’invasione tedesca. Come è stato detto,
nell’immediato era stato formato un esecutivo di grande coalizione
guidato da Einar Gerhardsen, nel quale erano rappresentati il Par-
tito dei lavoratori, il Partito comunista, la Destra, la Sinistra, il
Partito dei contadini e il Fronte di liberazione. L’8 ottobre 1945 si
svolsero le elezioni e il Partito dei lavoratori ottenne la maggioran-
za assoluta che avrebbe mantenuto fino al 1961. Su questa base
Gerhardsen formò dunque un nuovo governo. Ma la politica che
esso portò avanti non fu ispirata solo ai princìpi della socialdemo-
crazia, bensì fu anche frutto di quella collaborazione fra le diverse
componenti della società norvegese nata dalla situazione venutasi a
creare con l’occupazione tedesca. Si era infatti elaborato un vero e
proprio “programma comune” (fellesprogrammet) nel quale erano
delineate le linee di indirizzo per la ricostruzione del Paese, una
ricostruzione che non doveva limitarsi a ripristinare ciò che era
stato distrutto dalla guerra, ma che doveva anche fondarsi su una
visione del futuro basata su nuovi princìpi di uguaglianza (e giusti-
zia) e di garanzia dei diritti di ciascuno, il che lo Stato (con il con-
corso delle diverse componenti sociali) avrebbe dovuto assicurare
con opportuni provvedimenti. Ciò fu, in gran parte, realizzato.48
47
DLO nr. 179.
48
Qui va ricordata anche la nascita, per iniziativa della scrittrice Ingeborg Refling
Hagen (1895-1989), del Movimento Suttung (Suttungbevegelsen), tuttora attivo.
Essendo stata internata dai Tedeschi durante la guerra la Refling Hagen volle dar
vita a una organizzazione che promuovesse il progresso spirituale e civile per mezzo
della cultura, per evitare che ideologie nefaste come il nazismo potessero in futuro
trovare spazio nella società norvegese. Il nome Suttung, ripreso dalla mitologia
degli effetti della crisi petrolifera degli anni 1973-1974 (e del fatto
che il Paese non aveva aderito all’OPEC) il prodotto norvegese fu
molto richiesto. Per la Norvegia si trattò di un vero e proprio salto
di qualità: la scoperta e lo sfruttamento di questa importante risor-
sa (e di consistenti riserve di gas naturale) ha contribuito in misura
significativa al suo progresso economico, non soltanto per la ric-
chezza che ne è derivata direttamente, ma anche per la creazione
di posti di lavoro conseguente alla nascita di una industria petrol-
chimica che ha visto la costruzione di grandi impianti come quelli
di Rafnes in Telemark e di Mongstad in Hordland. Dal 1978 la
Norvegia ha un proprio Ministero per il petrolio e l’energia (Olje-
og energidepartementet)52 che gestisce non solo il fabbisogno inter-
no (per il quale il Paese è, evidentemente, autosufficiente) ma anche
la vendita del surplus i cui proventi sono destinati a un fondo
pensioni gestito (non senza critiche) dalla Banca nazionale.
Il governo di Per Borten cadde nel 1971 per dissidi sulla questio
ne dell’adesione alla Comunità europea.53 Con la sua caduta e la
nomina dell’esecutivo socialdemocratico guidato da Trygve Brat-
teli (1910-1984) si inaugura una fase di alternanza politica che vedrà
la prevalenza ora dell’una ora dell’altra parte.54
La questione dell’adesione all’Europa (che fino a ora ha visto la
maggioranza dei Norvegesi optare per il no) doveva comunque ave-
re effetti sugli equilibri dei partiti, contribuendo, con divisioni e
secessioni, a indebolire le forze politiche tradizionali. A sinistra i
socialisti e i comunisti, nettamente contrari all’Unione, formarono
(1973) l’Alleanza elettorale socialista (Sosialistisk Valgforbund) alla
quale aderirono anche i Socialisti democratici (Demokratiske Sosia
grandi compagnie del settore al mondo (dal 2009 Statoil ASA). Sulla Norsk Hydro
cfr. p. 1028, nota 291.
52
Tra il 1993 e il 1996 questo ministero fu accorpato con quello dell’Economia
(Næringsdepartementet) nel Ministero dell’economia e dell’energia (Nærings- og energi
departementet) per poi essere nuovamente scorporato. Si noti qui che il dibattito sui
problemi ecologici legati all’accresciuta industrializzazione (e intensificato in relazione
ai timori di impatto ambientale dell’industria petrolifera) aveva trovato una risposta
governativa nella costituzione, fin dal 1972, del Ministero per la difesa dell’ambiente
(Miljøverndepartementet). Nel 1980 l’industria petrolifera norvegese fu colpita dalla
catastrofe della piattaforma Alexander Kielland (dal nome del celebre scrittore, vd. p.
1080), posizionata nel campo petrolifero Ekofisk nel Mare del Nord, che a causa di
una tempesta si rovesciò provocando la morte di centoventitré persone.
53
Vd. oltre, pp. 1242-1243.
54
Dopo il primo governo Bratteli (1971-1972), toccherà a un esecutivo conserva-
tore (1972-1973) presieduto da Lars Korvald (1916-2006), poi di nuovo a Trygve
Bratteli (1973-1976), seguito da un altro socialdemocratico, Odvar Nordli (n. 1927),
in carica dal 1976 al 1981. Tra i provvedimenti di quest’ultimo governo l’estensione di
una zona economica esclusiva a 220 miglia nautiche dalle coste (1977).
56
Primo ministro fu, questa volta, Jan Peder Syse (1930-1997), rappresentante
della Destra.
57
Su Margherita si rimanda al paragrafo 7.1.1. La modifica costituzionale (che
riguarda il § 6, approvata il 29 maggio 1990) ha introdotto la discendenza al trono
cognatica, tuttavia ha stabilito che per i nati prima del 1990 valga ancora il principio
della discendenza maschile: per questo motivo la sorella del principe ereditario Haakon,
Märtha Louise (n. 1971), pur essendo maggiore di lui, ne è rimasta esclusa.
58
Ciò non riguarda solo l’istruzione primaria fatta oggetto di diversi decreti di
legge ma anche la fondazione di nuovi istituti di istruzione superiore e di università;
cfr. pp. 1026-1027 con nota 288.
59
Jens Stoltenberg aveva guidato il suo primo governo tra il 2000 e il 2001 ma in
seguito alla forte perdita di consensi elettorali aveva dovuto cedere il passo ai con
servatori.
14.1.5. Islanda
60
Per altro anche in Islanda opereranno tra gli anni ’70 e ’80 formazioni comuniste
ancor più radicali come l’Associazione comunista marxista-leninista (Kommúnista-
samtökin marxistarnir-lenínistarnir) e l’Unione comunista (Einingarsamtök kommúni-
sta) filocinese.
61
Vd. sopra, p. 1164 con nota 180.
62
Sugli avvenimenti del 30 marzo vd. Jónsson P.H. – Guðlaugsson B., 30. mars
1949, Reykjavík 1976.
63
Landgrunnslögin, 5 aprile 1948.
effetti un aspetto della politica islandese è che nel Paese non esiste
un partito che disponga di forza elettorale sufficiente per governa-
re da solo. Si sono dunque dovute di volta in volta creare nuove
coalizioni. Ciò anche perché il dopoguerra ha visto nascere, accan-
to ai partiti tradizionali, nuove formazioni politiche. Tra di esse
quelle di maggiore consistenza sono: il Partito della difesa nazio-
nale (Þjóðvarnarflokkurinn), fortemente contrario alla NATO e alla
presenza americana sul territorio islandese, che ebbe rappresen-
tanti in parlamento tra il 1953 e il 1957; l’Alleanza socialdemocratica,66
l’Unione dei liberali e della Sinistra (Samtök frjálslyndra og vinstri
manna), sorta nel 1969 e ostile alla permanenza nella NATO;67
l’Associazione per una lista delle donne (Samtök um kvennalista)
presente in parlamento dal 1983; il Partito dei cittadini (Borgara
flokkurinn) politicamente attivo dal 1987 al 1994; il partito del
Risveglio nazionale (Þjóðvaki), formazione populista di sinistra,
sorto nel 1994.68 Nel 1998 veniva fondato il Movimeno democrati-
co (Lýðræðishreyfingin), che tuttavia sarebbe durato solo una deci-
na d’anni. Nel 1999 nasceva una più ampia Alleanza socialdemo-
cratica nella quale confluivano, oltre a quella fondata nel 1956, il
Partito socialdemocratico, l’Associazione per una lista delle donne
e il Risveglio nazionale: ciò avrebbe dato vita a una solida compa-
gine di sinistra, successivamente nota semplicemente come Allean-
za (Samfylkingin).69 Nel 1959 (dopo la breve esperienza di un ese-
breve (dal dicembre 1949 al marzo 1950). Sulla base di un accordo con il Partito dell’indi-
pendenza nacque poi il governo di Steingrímur Steinþórsson (1893-1966) che nel 1953
cedette la carica di primo ministro nuovamente a Ólafur Thors. Questa alleanza si protras-
se fino al 1956. Successivamente Hermann Jónasson (1896-1976), leader del Partito del
progresso che già era stato primo ministro tra il 1934 e il 1942, divenne capo di un esecu-
tivo sostenuto anche dal Partito socialdemocratico e dall’Alleanza socialdemocratica (let-
teralmente “Alleanza popolare”, Alþýðubandalagið), guidata da Hannibal Valdimarsson
(1903-1991), una formazione elettorale creatasi nello stesso anno dall’unione del Partito
socialista con alcuni ‘esuli’ socialdemocratici. Hermann Jónasson restò in carica fino al 1958.
66
Cfr. nota precedente. Si ricordi qui che in precedenza (1930) i medesimi socialde
mocratici avevano conosciuto l’abbandono di coloro che avevano formato il Partito
comunista, filosovietico, e (1938) di coloro che avevano dato vita al Partito socialista.
67
Ne fu fondatore lo stesso Hannibal Valdimarsson, che aveva lasciato l’Alleanza
socialdemocratica (cfr. nota 65).
68
Una formazione minore fu il Partito umanista (Húmanistaflokkurinn), sorto nel
1984, che non ha mai avuto rappresentanti in parlamento.
69
In realtà il nome completo è Alleanza-Partito socialdemocratico d’Islanda
(Samfylkingin – jafnaðarmannaflokkur Islands). Dal gruppo si sarebbero staccati
alcuni membri che avrebbero dato vita al Movimento di sinistra – Proposta (lette-
ralmente “offerta”, “candidatura”) verde (Vinstrihreyfingin–grænt framboð) più
orientato ai tradizionali valori socialisti; al contrario nel 2009 vi sarebbe confluito il
Movimento islandese terra - viva (Íslandshreyfingin – lifandi land), sorto nel 2007.
la punta del 138% ma due anni dopo essa era contenuta nella
percentuale assai più bassa del 15%. Ancora nel 1989 tuttavia ci
furono imponenti manifestazioni contro l’aumento dei prezzi, il
che avrebbe reso necessarie ulteriori svalutazioni. La seconda metà
degli anni ’80 è stata in Islanda un periodo di agitazioni sociali e
scioperi. Nonostante (e forse anche a motivo di) questi problemi
l’economia del Paese si è dimostrata capace di diversificarsi, ren-
dendosi in tal modo meno fragile. Consolidato (anche grazie alla
‘vittoria’ nelle “guerre del merluzzo”) il settore della pesca, nuove
fonti di reddito sono state individuate. Accanto al tradizionale alle-
vamento degli ovini, l’agricoltura si è aperta ad altre attività (tra cui
la produzione di ortaggi e frutta in serre riscaldate grazie all’energia
geotermica); l’industria (che in misura ancora maggiore fa ricorso
a questa risorsa) ha avviato importanti impianti in diverse zone.
Dagli anni ’70, grazie al miglioramento delle comunicazioni, l’iso-
la è divenuta una meta turistica molto frequentata, il che ha natu-
ralmente generato occupazione. Inoltre è cresciuto il settore ter-
ziario e dei servizi (legato anche alla creazione dello stato sociale).
Il mondo del lavoro conosce ora la presenza di immigrati che si è
fatta, specie negli ultimi anni, davvero consistente. Questi cambia-
menti hanno trovato un riflesso nella politica con la nascita di
movimenti che si prefiggono come obiettivo la salvaguardia del
patrimonio naturale del Paese,76 o di gruppi che ritengono di
doverlo difendere piuttosto sul piano etnico.77
Nel 1991 con la nomina a primo ministro di Davíð Oddsson (n.
1948) fu raggiunta una soddisfacente stabilità politica: dapprima
con un esecutivo formato dal Partito dell’indipendenza e dal Par-
tito socialdemocratico e poi grazie a una alleanza con il Partito del
progresso, egli sarebbe rimasto in carica, con quattro successivi
mandati, per ben tredici anni, fino al 2004. Il suo governo portò
avanti una politica di liberalizzazioni e di sgravi fiscali. A lui suc-
cedettero (con la medesima coalizione) Halldór Hallgrímsson (n.
1947) del Partito del progresso, in carica dal 2004 al 2006, e Geir
Hilmar Haarde (n. 1951), del Partito dell’indipendenza, in carica
dal 2006 al 2007; quest’ultimo sarebbe poi stato confermato dal
76
Il Ministero dell’ambiente e delle risorse naturali (Umhverfis- og auðlinda
ráðuneytið), costituito in Islanda nel 1990, è stato recentemente (2013) accorpato con
il Ministero della pesca e dell’agricoltura (Sjávarútvegs- og landbúnaðarráðuneytið) il
che ha sollevato le perplessità degli ambientalisti, anche in relazione ai problemi lega-
ti alla caccia alle balene.
77
Così, a esempio, la formazione sorta nel 2003 che si è data nome Forza nuova
(Nýtt afl). Essa è in seguito confluita nel Partito liberale (Frjálslyndi flokkurinn) sorto
nel 1998.
79
Per promuovere l’adozione della nuova costituzione è nato anche (2013) un
partito che ha assunto la significativa denominazione di Vigilanza democratica (Lýðræðis
vaktin).
80
Cfr. p. 147. Nel 1956 erano stati celebrati i novecento anni dalla consacrazione
del primo vescovo islandese, Ísleifr Gizurarson (vd. p. 269). Nel 2000 è stato celebra-
to il millenario della cristianizzazione (vd. pp. 264-267).
81
Si ricordi tra l’altro il summit tra il presidente francese George Pompidou (1911-
1974) e quello americano Richard Nixon (1913-1994) tenuto a Reykjavík il 31 maggio
1973, così come quello tra il segretario generale del Partito comunista sovietico Michail
Gorbačëv (Михаил Горбачёв, n. 1931) e il presidente americano Ronald Reagan (1911-
2004) svoltosi nei giorni 11-12 ottobre 1986. Meno importante politicamente (ma
certo più gradito agli Islandesi che sono grandi appassionati di questo passatempo) fu
il campionato mondiale di scacchi svoltosi qui tra i mesi di luglio e di settembre del
1972, che vide la sfida tra il campione russo Boris Spasskij (Борис Спасский, n. 1937)
e lo sfidante americano Bobby Fischer (1943-2008) e che si concluse con la vittoria di
quest’ultimo.
82
Durante il secondo conflitto mondiale l’intento di dare vita a forme organizzate
di solidarietà interscandinava si era tradotto nella fondazione della Società per la
libertà nel Nord (Samfundet för Nordens frihet, attiva in Svezia tra il 1939 e il 1946)
e dell’Associazione svedese-norvegese (Svensk-norska föreningen) sorta nel 1942 (e
tuttora attiva) che nel 1946 avrebbe trovato un corrispettivo nell’Associazione norve-
go-svedese (Norsk-svensk forening).
83
La Danimarca entrò nella NATO a condizione che l’organizzazione non instal-
lasse basi né armi atomiche sul suo territorio (pur permettendo il mantenimento di
quelle groenlandesi, sulle quali vd. sopra, p. 1118). L’Islanda a condizione di non dover
fornire truppe e di non consentire la presenza di soldati stranieri sul proprio territorio
in tempo di pace.
84
È tuttavia non facendo mancare forme di collaborazione con la NATO.
85
Sullo scandinavismo vd. sopra 12.1. Oltre a quanto già detto si ricordi qui l’ac-
cordo per una cooperazione postale tra Danimarca e Svezia concluso nel 1869.
86
Danese e norvegese (bm e nn) Nordisk råd, svedese Nordiska rådet, islandese
Norðurlandaráð, finnico Pohjoismaiden neuvosto. La Finlandia vi aderì nel 1956.
87
Per una sintesi sulla storia delle Åland vd. App. 1, passim, e in particolare, p. 1370
con nota 82.
Estratto del Trattato di Helsinki nel quale sono stabilite le linee guida
del Consiglio nordico e del Consiglio dei ministri nordico:
possibile poter essere effettuati anche in un altro Paese nordico [...]. L’insegna
mento e la formazione nelle scuole dei Paesi nordici dovrà comprendere in
misura adeguata l’insegnamento sulla lingua, la cultura e le condizioni gene-
rali della società negli altri Paesi nordici, compresi le Føroyar, la Groenlandia
e le Åland [...] La collaborazione nell’ambito della ricerca deve essere indiriz-
zata a far sì che i fondi per la ricerca disponibili e le ulteriori risorse siano
coordinati e vengano utilizzati nel miglior modo possibile, istituendo tra
l’altro enti comuni [...] Nell’intento di sostenere e rafforzare lo sviluppo cul-
turale le parti contraenti promuoveranno la libera iniziativa nella formazione
popolare e gli scambi nell’ambito della letteratura, dell’arte, della musica, del
teatro, della cinematografia e degli altri ambiti culturali, col che si devono tra
l’altro prendere in considerazione le possibilità offerte dalla radio e dalla
televisione [...] Le parti contraenti dovranno sforzarsi di mantenere e svilup-
pare ulteriormente il mercato comune nordico del lavoro secondo le linee di
indirizzo che sono state tracciate in precedenti accordi. Gli uffici di colloca-
mento e l’orientamento professionale dovranno essere coordinati. Lo scambio
di apprendisti dovrà essere libero. Dovrà essere perseguita l’uniformità rela-
tivamente alle norme nazionali sulla protezione del lavoro e questioni simili
[...] Le parti contraenti dovranno adoperarsi perché i cittadini di un Paese
nordico in caso di soggiorno in un altro Paese nordico possano usufruire
nella maggior misura possibile dei vantaggi sociali che devono essere garanti-
ti nel Paese in cui soggiorna ai suoi stessi cittadini [...] Le parti contraenti
dovranno sviluppare ulteriormente la collaborazione relativa all’igiene pub-
blica e all’assistenza sanitaria, alle misure di prevenzione dell’alcolismo come
pure alla cura dei bambini e dei giovani [...] Le parti contraenti, allo scopo di
promuovere la collaborazione economica nordica in diversi ambiti dovranno
consultarsi a riguardo della politica economica. Perciò si dovrà porre attenzio-
ne alle possibilità di coordinare gli interventi da prendere allo scopo di uni-
formare le condizioni economiche [...]”92
93
Essa fu tuttavia confermata in Groenlandia; cfr nota 83.
94
Vd. paragrafo precedente.
Nazioni unite,97 una adesione alla NATO non è stata qui mai presa
in considerazione. Fallite, come si è detto, le trattative per un’al-
leanza difensiva scandinava,98 il Paese è entrato a far parte, mante-
nendo una posizione molto netta, del gruppo dei cosiddetti ‘non
allineati’ al cui interno ha portato avanti una politica di sostegno
ai Paesi emergenti, in particolare a quelli che andavano rivendican-
do la propria autonomia per liberarsi dalla dominazione coloniale.
Rispetto alle grandi potenze la Svezia non ha mancato di far senti-
re la propria voce in diverse occasioni, in particolare in relazione
alla guerra americana in Vietnam, al problema dell’apartheid in
Sudafrica e all’invasione dell’Afghanistan da parte dei sovietici.99
Ma essa si è espressa in maniera molto netta anche su altri conflit-
ti e ha offerto ospitalità a molti rifugiati (come quelli provenienti
dal Cile dopo il colpo di stato del generale Pinochet). A ciò si lega
la politica di accoglienza dei profughi da Paesi in stato di guerra.
Più recentemente questo indirizzo politico si è espresso nell’imme-
diato riconoscimento e forte sostegno dato agli stati baltici (Letto-
nia, Lituania ed Estonia) all’indomani della ritrovata autonomia
conseguente al declino dell’Unione sovietica.
Rispetto alle politiche europee la scelta è stata, per lungo tempo,
quella di limitarsi ad accordi di tipo commerciale. Impegnato
nell’OECE (e poi nell’OCSE) e nell’EFTA fin dalla costituzione di
questi organismi, il Paese è rimasto a lungo al di fuori della Comu-
nità europea, limitando i rapporti al trattato di libero scambio
siglato dalla stessa EFTA nel 1972.100 Per altro, dal 1 gennaio 1973
la Gran Bretagna e la Danimarca entravano a pieno titolo nella
Comunità, il che anche in Svezia aprì un dibattito sulla questione,
reso tuttavia inutile dall’ancor prevalente scelta della neutralità. I
cambiamenti del quadro politico conseguiti alla caduta del muro di
Berlino (1989) e al collasso del sistema dei Paesi dell’Europa orien-
97
Delle quali lo svedese Dag Hammarskjöld (1905-1961) fu nominato segretario
generale nel 1953. Questi era figlio di Hjalmar Hammarskjöld (vd. pp. 1123-1124).
Nel 1961 a Dag Hammarskjöld fu assegnato (postumo) il Nobel per la pace.
98
Vd. sopra, p. 1233.
99
La crisi vietnamita portò a un certo punto anche alla decisione di richiamare
l’ambasciatore svedese negli Stati uniti. I rapporti con l’Unione sovietica furono a
lungo resi complicati dalla violazione delle acque territoriali da parte di sottomarini
russi, uno dei quali nel 1981 si incagliò presso Karlskrona, così come da incursioni di
aerei militari russi nello spazio svedese.
100
A rimarcare la propria scelta di neutralità la Svezia si oppose alle tendenze
manifestatesi nell’OECE verso la fine degli anni ’40 in direzione di una cooperazione
di tipo politico, sottolineando la mera natura economica delle sue scelte all’interno di
quell’organismo. Vd. Karlsson B., “Sweden and the OECE, 1947-50. Walking the
tightrope”, in Scandinavian Economic History Review, XLIV: 3 (1996), pp. 222-243.
101
Oltre al sopra citato Dag Hammarskjöld si richiamino qui Folke Bernadotte (vd.
p. 1135, nota 77), Olof Palme (vd. p. 1212 e p. 1214 con nota 40), che nel 1980 fu
nominato mediatore delle Nazioni unite nella guerra fra Iran e Iraq, e Åke Sellström
(n. 1948), esperto di armi chimiche al quale le Nazioni unite affidarono (1990 e 2002)
l’incarico di verificare la presenza di un arsenale segreto di armi chimiche a disposi-
zione di Saddam Hussein; responsabilità analoga gli è stata recentemente (2013) rin-
novata per la guerra in Siria.
li. Il Paese restò dunque nell’EFTA cui aveva aderito fin dall’inizio,
ma l’anno successivo concluse con la Comunità europea un tratta-
to di collaborazione commerciale. La questione avrebbe comunque
continuato a far discutere i Norvegesi che, chiamati una seconda
volta a esprimersi in proposito con il referendum del 28 novembre
1994, con una partecipazione al voto di quasi il 90% avrebbero
ribadito la loro decisione (anche se questa volta il fronte del no
avrebbe dovuto registrare un calo dell’1,3%). Ancora una volta
l’area del sì si confermava nelle regioni intorno alla capitale.106 Dal
1994 la Norvegia fa comunque parte dello Spazio economico euro-
peo (SEE, detto anche Area economica europea).
Nel quadro di operazioni militari stabilite dalla Nazioni unite
(di cui fa parte fin dal 1945) o dalla NATO la Norvegia ha messo
a disposizione i suoi soldati in diverse aree di crisi.
Una importante questione di politica economica e insieme di
politica estera è stata quella della caccia alle balene. La Norvegia
infatti nel 1982 decideva di non ottemperare alla moratoria stabi-
lita dalla Commissione internazionale per la caccia alle balene (IWC),
permettendo ai propri equipaggi di continuare a operare. Una
decisione che determinava un certo peggioramento delle relazioni
internazionali e la ferma condanna da parte di associazioni ambien
talistiche. Ciò nonostante, dopo una sospensione decisa nel 1987,
l’attività di caccia è ripresa dal 1993.
Anche in Islanda la questione della caccia alle balene è stata molto
discussa, attirando nei confronti del Paese le ire degli ambientalisti di
tutto il mondo. Dopo la moratoria stabilita dall’IWC essa ha comun-
que permesso la cattura di un numero limitato di esemplari, per poi
stabilire un divieto nel 1989. Successivamente (1992) per contrasti sui
criteri scientifici da adottare per stabilire la possibilità o meno di
procedere alla caccia, essa è uscita dall’IWC. Vi è rientrata nel 2002
presentando una serie di valutazioni di carattere scientifico allo scopo
di portare il proprio contributo alla soluzione del problema. Nel
frattempo le sue baleniere hanno ripreso l’attività, seppure i caccia-
tori debbano rispettare ogni anno delle quote precise.
Del rapporto di questo Paese con gli organismi sovrannazionali
si è in parte già detto. L’Islanda è entrata nelle Nazioni unite nel
1946 e nella NATO (una scelta molto contrastata) fin dal 1949. Essa
tuttavia ha posto la condizione di non partecipare ad azioni mili-
tari contro altri Paesi. Del resto non possiede un esercito e le sue
106
Rispetto al referendum del 1972 l’unico distretto in cui la maggioranza ha cam
biato opinione è quello di Østfold dove questa volta hanno prevalso i favorevoli
all’Unione.
107
E con essa le isole Åland (vd. p. 1373 e p. 1370, nota 82).
108
Ne fanno parte i Paesi gravitanti sul Mar Baltico (Russia, Finlandia, Svezia,
Danimarca, Germania Polonia, Lituania, Lettonia, Estonia) ma vi partecipano anche
la Norvegia, l’Islanda e l’Unione europea. Altri Paesi (tra cui l’Italia) vi hanno un
ruolo di osservatori.
109
Dal nome della città della Finlandia meridionale; vd. “The Porvoo Common
Statement”, in Concordia Theological Quarterly, LXI: 1-2 (1997), pp. 3-34.
110
Le prime firme sono state apposte nel 1994, l’ultima (da parte delle autorità
della Chiesa danese) nel 2010.
111
Vd. in particolare il testo alle pp. 824-826 con la nota 654.
112
Un ente cui sono demandate le questioni linguistiche nei Paesi nordici è il Con-
siglio linguistico nordico (Nordens Sprogråd, fino al 2009 Nordisk Sprogråd), che
opera all’interno del Consiglio nordico. Nel 1987 è stata sottoscritta una convenzione
sulla cui base ai parlanti danese, svedese, norvegese, islandese e finnico viene garanti-
to il diritto di rivolgersi alle autorità di un altro Paese nordico utilizzando la propria
lingua madre (testo consultabile in rete su: http://www.norden.org/sv/om-samarbetet/
avtal/nordiska-avtal/spraak/spraakkonventionen?set_language=sv). Del 2006 è una
dichiarazione relativa alle finalità di tutela e promozione delle lingue nordiche (testo
su: http://www.norden.org/da/publikationer/publikationer/2007-746).
113
Riorganizzato nel 1972 è divenuto successivamente (2006) il Consiglio linguistico
(Språkrådet) che si occupa anche delle lingue minoritarie. In ambito linguistico opera
anche l’Accademia svedese; cfr. pp. 820-821 con note 629-630.
114
Con questo ente collabora anche la Società per la lingua e la letteratura danese
(Det Danske Sprog- og Litteraturselskab), fondata nel 1911.
sentò una relazione sullo stato delle cose ma non fu in grado di trovare una soluzio-
ne condivisa. Anche se il progetto di giungere a un samnorsk è stato abbandonato
esiste ancora una associazione, l’Organizzazione nazionale per l’unione linguistica
(Landslaget for språklig samling), fondata nel 1959, che continua a perseguire questo
obiettivo.
122
Il termine riksmål (riksmaal), coniato da Bjørnstjerne Bjørnson (vd. p. 944, nota
386 e p. 1079) è stato inizialmente usato come sinonimo di bokmål. Tuttavia, dopo che
nel 1929 con un provvedimento ufficiale si optò definitivamente per la denominazione
bokmål (vd. p. 944, nota 384), esso è passato a indicare una forma più conservativa di
questa lingua. Nell’ambito del riksmål opera l’Accademia norvegese per la lingua e la
letteratura (Det Norske Akademi for Sprog og Litteratur) fondata nel 1953. Per la
distinzione fra nynorsk e høgnorsk vd. nota 120.
123
Si considerino a esempio il conflitto che nel 2004 ha diviso i membri dell’Unio-
ne Ivar Aasen e, sul fronte opposto, le posizioni dell’Associazione per il bokmål (Bok
målsforbundet), sorta nel 1990.
126
Si tenga presente che, non di rado, un termine anglo-americano è entrato in più
lingue (quando non in tutte) seppure qui, per lasciare spazio a un numero maggiore
di esempi, si faccia riferimento a una sola fra esse.
127
Ma si osservi che nella parola ‘svedese’ il secondo elemento chef è di chiara
origine francese, anche se oramai ‘metabolizzato’!
133
Al ‘linguaggio’ dei computer si ispirano a esempio il danese Gordon Inc. (Hr.
Claus Winther, n. 1964) che si definisce un “kamikaze culturale” (“en kulturel kami-
kazepilot”: http://www.litteratursiden.dk/forfattere/gordon-inc) e il norvegese Jan
Kjærstad (vd. oltre, p. 1274). Più recentemente (2001) il danese Jens Blendstrup (n.
1968), che tra l’altro ama recitare le sue poesie con l’accompagnamento di una rock
band (Frodegruppen40), ha voluto cimentarsi con un romanzo in chat, mentre Merete
Pryds Helle (su cui vd. p. 1259) ha sperimentato il romanzo per iPad.
134
Tra i più noti Paul la Cour (1902-1956), che sembra abbandonarsi a un senso pantei-
stico della natura; Martin A. Hansen (vd. p. 1170), Ole Sarvig (1921-1981), che esprime un
mondo al contempo simbolico e mistico-religioso nel quale tuttavia non sa trovare quiete
come mostra il suo tragico suicidio; Ole Wivel (1921-2004), che pare recuperare un signi-
ficato della vita solo in una profonda fede in Dio; Frank Jæger (1926-1977), che passa da
toni gioiosi e umoristici a un profondo senso di angoscia e impotenza; Tage Skou-Hansen
(1925-2015) autore i cui romanzi, pur trattando dei problemi dell’attualità, offrono spunto
a riflessioni storico-politiche. Nel 1953 venne fondata Prospettiva (Perspektiv, edita fino al
1969), una rivista aperta alla discussione ma di orientamento conservatore. Più avanti un
organo dei conservatori sarà Criterio (Kriterium), pubblicazione uscita tra il 1965 e il 1969.
148
I nomi di riferimento sono quelli di Anders Bodelsen (n. 1937) e di Christian
Kampmann (1939-1988).
tura sperimentale sia (più tardi) con il romanzo realista. Del resto
negli anni ’80, mentre si assiste al crollo di molte illusioni politiche,
si constata come in un mondo ormai urbanizzato e tecnologico il
legame con la natura sia sostanzialmente reciso mentre non si trova
soluzione al senso di solitudine e disillusione: interviene così una
forma di reazione, una stanchezza, ma anche la resa di fronte al
cambiamento ormai irreversibile, la disgregazione dell’esperienza.
Siamo ormai in un clima postmodernista. La conseguenza è un
ripiegamento alla ricerca della propria identità e, al contempo,
un ritorno (consolatorio?) all’arte. La quale (si veda Peter Laugesen,
n. 1942, poeta e drammaturgo) va liberata, così come la vita, da
tutto ciò che la abbia in qualche modo ‘inquinata’; ma che, al con-
tempo, non conosce confini definiti. Figura emblematica della
poesia degli anni ’80 è Michael Strunge (1958-1986) che, pur rece-
pendo l’eredità degli anni ’60 e ’70, manifesterà tragicamente nel
suicidio la sete inappagata di una vita vera.149 Accanto a lui Søren
Ulrik Thomsen (n. 1956) che attraverso la poesia riflette sulle gran-
di questioni dell’esistenza; F.P. Jac (Flemming Preben Jacobsen,
1955-2008), originale improvvisatore, e Pia Tafdrup (n. 1952) che
pur toccando temi dell’erotismo femminile persegue una sorta di
religiosità umana e poetica. Nella prosa il senso di un’umanità fran-
tumata in una serie di individualità sofferenti alla ricerca di un
qualche conforto è ben interpretato da Peer Hultberg (1935-2007).
Il motivo della frammentazione che induce a soffermarsi su sin-
goli temi resta una caratteristica della letteratura danese anche negli
ultimi due decenni. Quando ormai, divenuto ancor più difficile
individuare orientamenti comuni ben definiti, si cerca piuttosto di
distinguere gli autori di maggior rilievo, nel che si darà merito alla
loro capacità di riappropriarsi di una dimensione estetica (applicata,
non di rado, a opere di svariata natura) capace di prevalere tanto
sull’esigenza del dibattito (che tuttavia non manca) quanto su quel-
la dell’impegno politico. Si citano qui dunque (con le dovute caute-
le) poeti come Simon Grotrian (n. 1961) che si richiama al surreali-
smo ma anche al barocco in un percorso sempre più marcatamente
segnato dal sentimento religioso (fino ad arrivare a comporre salmi);
Pia Juul (n. 1962), che si affida a una scrittura fatta di frammenti;
Morten Søndergaard (n. 1964) che ripropone il tentativo di tradur-
re la realtà in poesia; Niels Lyngsø (n. 1968), tra l’altro redattore
149
Michael Strunge fu anche tra i redattori della rivista Strada laterale (Sidegaden),
un forum per il dibattito letterario, uscita tra il 1981 e il 1984. Il titolo del resto ben
riflette l’idea di avviarsi su percorsi inconsueti.
150
Fondata nel 1985 dal critico letterario Erik Skyum-Nielsen (n. 1952) e dal poe-
ta Søren Ulrik Thomsen, sopra citato, questa pubblicazione (in cui ogni numero ha
una sezione dedicata a un tema specifico) si propone, con articoli critici e interviste,
di offrire un panorama della letteratura contemporenea; inoltre presenta testi nuovi e
autori stranieri in traduzione. Un’altra rivista culturale di un certo interesse è stata
Venerdì (Fredag), uscita tra il 1985 e il 1991, il cui nome si rifaceva al celebre perso-
naggio di Daniel Defoe (1660-1731).
151
A lei nel 2008 è andato il prestigioso premio letterario del Consiglio nordico
(Nordiska rådets litteraturpris).
152
Vd. p. 1169.
153
Vd. pp. 1190-1191.
(Lasse Söderberg)
Il problema è
che ben raramente sono sole
e si portano dietro una massa di parole assurde:
se ne chiamo una
arriva quasi senza eccezione un intero giornale [...]”
(Þorsteinn frá Hamri)
“Stanco di tutti quelli che si presentano con parole, parole ma nessuna
lingua [...]
La natura non ha parole.
Le pagine non scritte si estendono in tutte le direzioni! [...]”
(Tomas Tranströmer)
e politici) che vide impegnate figure di primo piano come gli scrit-
tori e critici Olof Lagercrantz (1911-2002) e Bengt Holmqvist
(1924-2002), finno-svedese, e i sopra citati Karl Venneberg, Erik
Lindegren e Werner Aspenström. Meno coinvolto restò il ‘poeta
solitario’ Gunnar Ekelöf concentrato piuttosto sulle problematiche
esistenziali (seppure si fosse mostrato avverso ai nuovi indirizzi
politico-sociali). Ma tutti loro non avrebbero mancato di portare
avanti esperimenti e innovazioni linguistiche.156 Come si è detto in
Svezia il modernismo era giunto fin dai decenni precedenti il secon-
do conflitto mondiale,157 esso dunque aveva qui avuto modo di
‘maturare’ in tardomodernismo: ma il suo segno è ben riconosci-
bile dalla lettura dei diversi poeti che debuttano tra la fine degli
anni ’40 e nei decenni successivi. Si citino almeno Bo Setterlind
(1923-1991), temperamento religioso ispirato alla natura; Östen
Sjöstrand (1925-2006), anch’egli animo profondamente religioso
(nel 1953 si convertirà al cattolicesimo) e primo redattore (dal 1975)
della rivista di arte, musica e letteratura Artes (le cui pubblicazioni
sono cessate nel 2005); Folke Isaksson (1927-2013) che se da una
parte si ispira alla natura, mostra dall’altra un serio impegno poli-
tico-sociale; Birgitta Trotzig (nata Kjellén, 1929-2011), anche autri-
ce di romanzi, la cui opera è percorsa da un profondo senso mora-
le e religioso.158 Seppure i loro percorsi siano diversi, in tutti si
riconosce lo sforzo di ‘costruirsi’ una lingua nuova. Fin dal debut-
to, a soli ventitré anni, con la raccolta 17 poesie (17 dikter, 1954),
subito segnata da un grande successo, Tomas Tranströmer (1931-
2015), vincitore del Nobel nel 2011, ha dimostrato uno straordi-
nario talento, presto imponendosi come uno dei massimi autori
scandinavi di ogni tempo. Universalmente riconosciuto come mae-
stro nell’uso della metafora, egli indaga nei suoi versi i territori di
confine, le ‘zone d’ombra’ tra la vita e la morte, lo spazio espressi-
vo tra la parola e il silenzio, privilegiando nelle ultime raccolte la
poesia essenziale sul modello orientale del haiku (assai caro a diver-
si poeti nordici): si veda in particolare Il grande mistero (Den stora
gåtan, 2004).159 Nella prospettiva di un componimento ‘dominan-
156
Su questi poeti vd. sopra, pp. 1171-1172.
157
Vd. sopra, p. 1171.
158
Ella era sposata con il pittore Ulf Trotzig (vd. p. 1301).
159
Qui non si può fare a meno di constatare la ‘distrazione’ di un critico assai
severo come Mario Gabrieli, il quale (Gabrieli 1995 [B.4, nota 6], pp. 60-62), inserisce
Tomas Tranströmer in un elenco di prosatori, salvo correggersi in una lunga nota
nella quale ne illustra le qualità poetiche, tuttavia sottolineando quello che ritiene
l’affievolirsi della sua arte, che – al contrario – ha mostrato di possedere una straordi-
naria vitalità restando costantemente ad altissimi livelli.
166
Cfr. p. 1105, nota 637.
167
Vd. p. 1171. Artur Lundkvist fu anche uno dei più convinti sostenitori del
“terzo punto di vista”.
168
Su questa importante figura della letteratura svedese contemporanea vd. Holm
B., Sara Lidman – i liv och text, Stockholm 2005.
169
Sui celebri coniugi Myrdal vd. sopra, p. 1130.
170
Nel 1983 Lars Gustafsson ha lasciato la Svezia, trasferendosi ad Austin nel Texas
dove ha a lungo insegnato all’università. È tornato a vivere nel suo Paese nel 2006.
171
Si citi Per Wästberg (n. 1933) noto per la sue descrizioni di Stoccolma (ma suc
cessivamente autore di libri ispirati all’Africa).
172
Insieme a Lars Lönnroth (n. 1935) Sven Delblanc è redattore di una importan-
te storia della letteratura svedese (Lönnroth – Delblanc et al. 1999 [B.4]).
173
Ma anche Gerda Antti (n. 1929), che sa ben dosare nei suoi scritti satira e ironia;
Inger Alfvén (n. 1940, figlia di Hannes, vd. p. 1132, e pronipote di Hugo, vd. p. 1099,
con nota 610) che rappresenta (anche sulla scena) i conflitti che segnano la vita degli
uomini (e delle donne!); Gun-Britt Sundström (n. 1945) che costantemente sottolinea
il punto di vista femminile. Su Kerstin Ekman cfr. nota 181.
1955),174 tra l’altro promotore della rivista Crisi (Kris) che ben riflet-
te il clima culturale del periodo, e Mikael Niemi (n. 1959), di madre
sami, originario della regione al confine con la Finlandia, una condi
zione che conferisce alle sue opere forza e ispirazione.175 Stig Larsson,
ben noto anche come cineasta e romanziere, è autore di numerosi
testi nei quali ha mostrato di saper ben analizzare gli aspetti psicolo-
gici dei rapporti umani; Mikael Niemi è forse più conosciuto come
prosatore capace di trarre storie affascinanti da semplici intuizioni,
ma anche di ben descrivere i contrasti della sua terra. L’arte narrati-
va di Göran Tunström (1937-2000), che aveva debuttato fin dalla fine
degli anni ’50 ed è anche fine poeta, raggiunge il culmine con L’ora-
torio di Natale (Juloratoriet) del 1983, un’opera di notevole successo
che si pone (come del resto gli altri racconti) nella cornice del realismo
magico. Originario della regione di Värmland, come la celebre Selma
Lagerlöf,176 Tunström ne raccoglie per diversi aspetti la preziosa (ma
anche ingombrante e difficile) eredità.177 Altri autori che conoscono
una definitiva affermazione in questo periodo sono Per Olov Enquist
(n. 1934) la cui migliore produzione si lega a romanzi ispirati alla
storia e nei quali la veridicità non è affatto di ostacolo al fascino
della narrazione;178 P.C. (Per Christian) Jersild (n. 1935) che esprime
la sua critica della società contemporanea e dei suoi assurdi parados-
si attraverso la satira; Torgny Lindgren (n. 1938) che proprio in
questi anni si converte al cattolicesimo e, profondamente influenza-
to dall’aspetto religioso oltre che da quello filosofico, trae feconda
ispirazione dall’ambiente tradizionale della Svezia del Nord da cui
proviene; Klas Östergren (n. 1955) che con toni umoristici propone
una decisa critica della società svedese.179
Nel 1980 con la raccolta Cuore a cuore (Hjärta i hjärta) Lars Norén
174
Cfr. p. 1290, nota 251.
175
Si citino qui inoltre Ole Hessler (1945-2002) che costruisce i propri versi come
una sorta di mosaico; Konny Isgren (n. 1948) che mostra tendenze romantico-meta
fisiche se non, addirittura, mistiche; Ernst Brunner (n. 1950) per molti versi ancora
legato al modernismo; Katarina Frostenson (n. 1953) il cui linguaggio, forse difficile,
risulta però estremamente ritmico e musicale; Niklas Rådström (n. 1953) i cui versi
sono carichi di nostalgia e creano un’atmosfera proiettata fuori dal tempo; Eva Rune-
felt (n. 1953) il cui stile appare, talora, sovrabbondante.
176
Vd. p. 1075 con note 486-487.
177
Göran Tunström era sposato con l’artista Lena Cronqvist (vd. p. 1305).
178
Vd. p. 692, nota 65 e p. 1136, nota 80.
179
Romanzi che si incentrano su problematiche sociali e di identità sono quelli di Inger
Edelfeldt (n. 1956) tra le prime a trattare lo ‘scottante’ tema dell’omosessualità e Jonas
Gardell (n. 1963) che con ironia non di rado amara mette a nudo i problemi della società
svedese contemporanea. Un’autrice tradizionale che debutta negli anni ’80 conoscendo un
notevolissimo successo anche all’estero è Marianne Fredriksson (nata Persson, 1927-2007).
180
Se negli anni ’60 il maggior drammaturgo ‘svedese’ è il rifugiato tedesco Peter
Weiss (1916-1982), autore ‘politico’, dal decennio successivo un notevole successo in
questo ambito avrà Per Olov Enquist accanto al quale va segnalato il più tradizionale
Arne Törnqvist (1932-2003).
181
Dal 1988 Agneta Plejel fa parte dell’Associazione I Nove (Samfundet De Nio):
una sorta di accademia fondata nel 1913 grazie a un lascito. Oltre a produrre diverse
pubblicazioni essa assegna anche importanti premi letterari. Attualmente gli altri
membri sono: il presidente Inge Jonsson (n. 1928), professore emerito e scrittore; Nina
Burton (n. 1946) poetessa e critica letteraria; Anders R. (Ragnar) Öhman (n. 1925),
avvocato; Kerstin Ekman (vd. p. 1265); Gunnar Harding (n. 1940) critico e scrittore
(cfr. nota 419); Niklas Rådström (vd. nota 175), scrittore e sceneggiatore; Madeleine
Gustafsson (n. 1937), critica letteraria e traduttrice; Johan Svedjedal (n. 1956)
docente di letteratura e scrittore.
182
Del 1947 è la fondazione della rivista La finestra (Vinduet), tuttora pubblicata,
che divenne presto un punto di riferimento per il dibattito culturale.
183
Nel 1949 fu edito anche il Diario di Petter Moen (Petter Moens dagbok) che
riportava le vicende di un partigiano norvegese, Petter Moen (vd. p. 1152, nota 139).
Costui, arrestato dalla Gestapo nel 1944, trovò il modo di raccontare la sua esperienza
in un diario che riuscì a scrivere su fogli di carta igienica perforandoli con un chiodino.
Il testo, da lui nascosto nel condotto di ventilazione, fu in seguito ritrovato in quanto
Moen aveva raccontato la sua storia a un compagno di prigionia che ebbe la fortuna di
sopravvivere al naufragio della nave che li stava trasportando in Germania.
184
Vd. p. 1168, nota 188, p. 1170 e ivi nota 197.
comparsi sulla scena letteraria come Kåre Holt (1916-1997) che poi
diventerà lo ‘scrittore della classe proletaria’.185 Ma l’apertura a
nuovi spazi espressivi fa sì che accanto a una prosa realista si venga
affermando anche una tendenza a superare confini ‘razionali’ per
ricercare simbolismi e lasciarsi guidare dalla fantasia o, quantomeno,
dall’irregolare e irregolabile fluttuare dei sentimenti. In poesia è
finalmente possibile pubblicare i testi di quegli autori che avevano
interpretato in prima persona (fino alle più dure conseguenze) la
resistenza contro il nazismo: in primo luogo Nordahl Grieg e Arnulf
Øverland.186 E saranno in particolare la fama e il prestigio di quest’ul-
timo a contribuire in misura determinante alla reazione, di cui egli
si farà primo portavoce, contro l’affacciarsi del modernismo.187
Vengono così costituendosi due ‘fronti’ contrapposti: quello dei
poeti legati alle forme tradizionali e quello degli innovatori. Fra i
primi si segnalano, oltre a Øverland, Ragnvald Skrede (1904-1983),
per il quale l’esercizio poetico concorre al raggiungimento di valori
etici dai quali l’essere umano non può prescindere; Inger Hagerup
(nata Halsør, 1905-1985), autrice di convinta fede socialista che si
afferma proprio nel dopoguerra (ma è ricordata anche per i versi
‘di resistenza’ scritti durante l’occupazione); André Bjerke (1918-
1985), severo censore e parodista delle ‘nuove mode’.188 Al secondo,
destinato a prendere il sopravvento, appartiene una schiera di
autori (diversi tra i quali debuttano nel 1949 considerato dunque
l’anno dell’avvio ‘ufficiale’ del modernismo norvegese):189 una ten-
denza che troverà in Paal Brekke (1923-1993) il più convinto teori-
co. Poeti come Gunvor Hofmo (1921-1995), che riversa nello scri-
vere la dolorosa esperienza della guerra e vive una costante ricerca
religiosa, lo stesso Brekke, che era stato influenzato dalle nuove
tendenze durante l’esilio svedese, Harald Sverdrup (1923-1992), i
cui versi esprimono l’intensità della vita ma anche i pericoli cui va
incontro l’uomo moderno, Arnold Eidslott (n. 1926), il ‘poeta reli-
185
Una chiara ‘coscienza di classe’ si constata anche negli scritti di Alf Prøysen
(1914-1970), la cui famiglia apparteneva al proletariato di campagna.
186
Vd. p. 1171 e p. 1175; p. 1153 e p. 1172, rispettivamente.
187
La polemica, accesasi negli anni ’50, fu molto vivace. Si veda in particolare lo
scritto di Øverland “Glossolalia dal parnaso” (“Tungetale fra parnasset”), testo di una
conferenza nella quale egli criticava duramente le nuove tendenze musicali, artistiche
e letterarie, giudicandole espressione di miseria culturale e solo capaci di produrre
musica senza melodia, arte senza forma e letteratura senza significato.
188
Qui va citato anche Tor Jonsson (1916-1951), poeta assai legato all’ambiente
rurale da cui proveniva, i cui versi tuttavia interpretano la ‘tradizione lirica’ in maniera
del tutto originale.
189
Vd. Dahl 1981-1989 (B.4), III, p. 150.
discussione culturale, sia per la sua critica sociale, sia (più tardi)
per la posizione assunta di fronte al problema d’una definizione di
‘letteratura’, sia anche per la sua ferma posizione a favore del
riksmål.195
Ma con i drammi di questi due autori siamo già addentro agli
anni ’60 che, anche in Norvegia, conoscono un prevalente impegno
politico-sociale. Il che si riflette, tra l’altro, nella fondazione della
rivista Profilo (Profil, uscita fra il 1959 e il 1992) organo dell’op-
posizione culturale attorno al quale si raduneranno nomi presti-
giosi tra cui Tor Obrestad (n. 1938) convinto socialista e poeta
polemico; Jan Erik Vold (n. 1939), autore popolarissimo, rappre-
sentante esemplare e promotore del rinnovamento della lirica
norvegese che lega volentieri ad altre forme di espressione, in
primo luogo la musica; Einar Økland (n. 1940) che pur ricono-
scendo l’importanza dell’impegno sociale e politico prosegue la
ricerca sui temi dell’esistenza;196 Dag Solstad (n. 1941) che nel
decennio successivo si impegnerà come ‘artista al servizio del
popolo’; Espen Haavardsholm (n. 1945) che si sforza di rovescia-
re le prospettive tradizionali della cultura occidentale. La quale in
questo periodo viene fatta oggetto di molti giudizi negativi che
non solo prendono di mira scelte politiche ritenute sbagliate se non
ingiuste, ma rilevano come la ‘società del benessere’ sia, in real-
tà, un meccanismo che esclude non soltanto chi viva situazioni
in qualche misura emarginanti ma anche chi non accetti di ade-
guarsi a canoni predeterminati. Nel che sta la sua incapacità di
creare un ‘benessere’ che vada al di là della comodità e dell’effi
cienza. Una critica ironica e al contempo amara delle prospettive
cui può portare la società contemporanea si trova nel romanzo
distopico Epp (1965) di Axel Jensen (1932-2003).197 Uno scritto-
re che pare ‘adeguare’ la propria opera al clima culturale del
tempo è Sigbjørn Hølmebakk (1922-1981), autore che denuncia
195
Nel secondo dopoguerra, come è stato detto (vd. pp. 1247-1248) la disputa
sulla lingua aveva ripreso vigore. Nel 1952 una schiera di autori tra cui lo stesso
Bjørneboe, ma anche altri scrittori di prestigio (come Arnulf Øverland, André Bjerke,
Sigurd Hoel), avevano abbandonato l’Associazione degli scrittori norvegesi (Den
norske forfatterforening), la cui fondazione risaliva al 1893, per costituire l’Associa-
zione degli scrittori (Forfatterforeningen) in reazione alla decisione di collaborare
alla politica che mirava a risolvere il bilinguismo norvegese con la creazione del
cosiddetto samnorsk. Le due associazioni tuttavia si sarebbero riunite nel 1966.
196
Nel 1976 Einar Økland, già aderente a Profil, darà vita insieme a Kjartan Fløgstad
(di cui poco oltre) a Bazar. Rivista letteraria norvegese (Basar. Norsk litterært tidsskrift)
che uscirà fino al 1981.
197
Altri autori che faranno ricorso alla distopia saranno Kjartan Fløgstad (cfr. nota
precedente) e, più recentemente, Thure Erik Lund (n. 1959).
Si veda in particolare Jorunn Anderaa (n. 1934) ma anche lo stesso Jan Erik Vold.
198
In questo ambito abbiamo diverse autrici, tra cui Bjørg Vik (n. 1935), che dichia-
199
ra esplicitamente il proprio debito nei confronti di Cora Sandel (vd. p. 1056) e Liv
Køltzow (n. 1945), che riprende l’irrisolta questione del rapporto fra i sessi, le quali
restano legate alla tradizione realista; mentre altre, in particolare Cecilie Løveid (di cui
poco oltre) e la poetessa Eldrid Lunden (n. 1940), per la quale la problematica di
genere è strettamente legata al senso dell’identità della persona, sono alla ricerca di un
linguaggio del tutto nuovo. Negli anni ’70 debutta Tove Nilsen (n. 1952) che partita
dalle questioni femminili e femministe amplierà poi i propri temi, con particolare
attenzione ai problemi degli immigrati.
1951), Karin Sveen (n. 1948) e Karin Moe (n. 1945), l’unica che appare ancora legata
a un impegno ‘militante’.
203
Vd. p. 1169.
204
Si citino qui anche Hans Herbjørnsrud (n. 1938) debuttante a quarantuno anni,
che si muove tra fantasia e realtà; Ragnar Hovland (n. 1952), anche drammaturgo; Ketil
Bjørnstad (n. 1952), ben noto anche come compositore e pianista, cui si devono, fra
l’altro, le biografie dello scrittore Hans Jæger (vd. p. 1064) del musicista Edvard Grieg
(vd. p. 1100) e del pittore Edvard Munch (vd. p. 1094); Peter Serck (n. 1957) che espri-
me una sorta di ‘modernismo esistenzialista’; Tor Åge Bringsværd (n. 1939) che oltre a
essere un prosatore e un drammaturgo assai apprezzato ha scritto, in collaborazione con
Jon Bing (1944-2014), opere di fantascienza di elevata qualità letteraria.
205
Nel 1983 insieme ad altri Triztan Vindtorn diede vita al gruppo dei cosiddetti
Poeti acrobati (Stuntpoetene), che proponevano una lirica nuova e sorprendente. Con
lui Karin Moe (cfr. nota 202), Erling Kittelsen (di cui poco oltre), Arne Ruste (n. 1942),
Torgeir Rebolledo Pedersen (n. 1949), Thor Sørheim (n. 1949), Thorvald Steen (n.
1954) e Jón Sveinbjørn Jónsson (1955-2008), nato in Islanda.
dendo lo spunto dalla tragedia del Titanic racconta la storia dei musi-
cisti di bordo (in realtà figure diverse dai reali protagonisti di quel
dramma) che un destino di morte ha voluto riunire sul transatlanti-
co. Coetaneo di Hansen è l’eclettico Nikolaj Frobenius (n. 1965),
anche sceneggiatore di successo, che nei suoi romanzi si ispira a
singolari personaggi storici ma prende anche spunto dalle proble-
matiche legate alla quotidianità della vita norvegese. Un prosatore
ancora relativamente giovane è Erlend Loe (n. 1969), capace di
interpretare realisticamente (ed efficacemente) lo spirito delle nuove
generazioni. In questo decennio il poeta Kolbein Falkeid (n. 1933),
che ama legare le proprie composizioni alla musica rock e popolare,
giunge alla piena maturazione artistica.
Nella prospettiva ravvicinata del XXI secolo i nomi di maggior
peso paiono essere quello di Per Petterson (n. 1952), prosatore che
nel 2009 ha ottenuto il premio letterario del Consiglio nordico per la
sua capacità di trasmettere al lettore il messaggio sulla difficoltà degli
esseri umani di comunicare fra loro sui temi davvero vitali; quello di
Merethe Lindstrøm (n. 1963), che in una lingua chiara e compiuta sa
interpretare la costante (e faticosa) ricerca dell’uomo moderno e che
ha avuto il medesimo riconoscimento nel 2012; del poeta e prosato-
re Rune Christiansen (n. 1963), vero maestro nell’uso della lingua.
Negli anni ’80 si procede, da una parte, con racconti che restano
ispirati alla critica sociale, un tema che non manca di toccare la
profonda trasformazione, avvenuta in pochi decenni, della capita-
le Reykjavík, divenuta ora vero emblema della ‘città’ aperta alle
novità, alle suggestioni, alle ideologie e alle mode straniere (e non
sufficientemente lontana dalla base americana) cui si contrappone
la ‘campagna’ islandese, simbolo e rifugio dei valori tradizionali.
Un tema, quello della condizione dell’uomo in città, già presente
in autori come Indriði G. (Guðmundur) Þorsteinsson (1926-2000)
e Pétur Gunnarsson (n. 1947), ma ripreso (seppure con differente
interpretazione) da Einar Már Guðmundsson (n. 1954), destinato
a divenire uno dei più significativi prosatori islandesi contempora-
nei: il suo romanzo Angeli dell’universo (Englar alheimsins) del
1993, ambientato in una clinica per malattie mentali, otterrà nel
1995 il prestigioso premio del Consiglio nordico.217 Il tema delle
misere condizioni delle persone costrette a vivere nelle baracche
abbandonate dai soldati alla fine della guerra torna in Einar Kára-
son (n. 1955), capace di trasmettere al lettore il piacere dello scri-
vere.218 Dall’altra parte ci sono autori che seguono un diverso
percorso: un approccio che si apre alla riflessione interiore (con
flashback sul passato) mostra Fríða Á. (Áslaug) Sigurðardóttir
(1940-2010), mentre una scrittura molto personale caratterizza
l’opera multiforme di Steinunn Sigurðardóttir (n. 1950), che padro-
neggia con grande sicurezza la propria lingua scrivendo versi deli-
cati e profondi e grazie al ‘tirocinio lirico’ rinnova la forma del
romanzo. In poesia gli anni ’80 e ’90 mostrano anche un recupero
della tradizione, seppure naturalmente combinato con metafore e
simbolismi innovativi; del resto in una società profondamente
trasformata sarebbe impossibile ripristinare una continuità di for-
me letterarie: i nuovi autori sono figli di una società modernizzata
e influenzata dall’esterno e per i quali l’esperienza della cultura del
passato è ormai, in diversi casi, indiretta. Parallelamente si osserva
una rinnovata tendenza all’introspezione. In questi anni debutta il
poeta e prosatore Gyrðir Elíasson (n. 1961)219 che si esprime in uno
stile semplice ed efficace, ma si affermano anche poeti surrealisti
come gli appartenenti al gruppo Medúsa, il cui miglior rappresen-
217
Dal libro sarà anche tratto un film con il medesimo titolo diretto dal regista
Friðrik Þór Friðriksson (vd. p. 1197).
218
Nel 1982 debutta Alfrún Gunnlaugsdóttir (n. 1938), che mostra notevoli capacità
di variazione stilistica e guarda alla realtà islandese nella più ampia prospettiva europea.
219
Fratelli di Gyrðir Elíasson, sono Sigurlaugur (n. 1957), artista (e anche scrittore),
e Nökkvi Elíasson (n. 1966), affermato fotografo.
233
Vd. p. 1062.
234
Vd. p. 1376.
235
Ma si ricordi qui anche lo svedese Gösta Knutsson (1908-1973), creatore del
popolare gatto Pelle Svanslös (Pelle Senzacoda).
236
Assai interessante è l’opera di Flemming Quist Møller (n. 1942), anche ‘tradot-
ta’ in cartoni animati.
debutto di Gunilla Bergström (n. 1942) che ha creato, tra gli altri,
il fortunato personaggio del piccolo Alfons Åberg (il cui nome
nelle varie traduzioni è stato diversamente ‘adattato’) e di Anna-
Clara Tidholm (n. 1946) prolifica autrice e illustratrice. Più recen-
temente Sven Nordqvist (n. 1946) ha riscosso un successo interna-
zionale con le storie (che si legano alla ‘buona tradizione svedese’)
sul vecchio contadino Pettson e il suo gatto Findus. Per altro la
letteratura per l’infanzia e l’adolescenza mostra di non rifuggire da
argomenti ‘scomodi’ (come si constata in Gaarder medesimo): in
questa prospettiva si vuole citare qui almeno Annika Thor (n. 1950),
svedese di famiglia ebrea, la quale in una serie di romanzi tratta
con le dovute cautele, ma al contempo con straordinaria efficacia
e veridicità, il tema delle persecuzioni degli Ebrei da parte dei
nazisti.237 Un messaggio politico di sinistra si trova nei libri per
ragazzi di Sven Wernström (n. 1925). Nell’ultimo decennio ha
ottenuto un notevole consenso lo scrittore anglo-svedese Douglas
Foley (n. 1949) per la sua capacità di parlare alle nuove generazio-
ni di adolescenti nel loro medesimo linguaggio.
237
Del resto temi ‘seri’ erano già stati affrontati dal norvegese Finn Havrevold
(1905-1988) che, dopo opere iniziali di carattere giocoso, aveva optato per una
letteratura che, pur destinata all’infanzia, avesse tono realista e contenuti su cui
riflettere.
238
Esso porta, appunto, il titolo Pippi Långstrump.
247
Un genere più avanti coltivato con successo anche dallo scrittore Jussi Adler-
Olsen (n. 1950).
248
Una posizione particolare è quella del danese Poul Ørum (1919-1997) che si
avvale del ‘romanzo criminale’ per indagare sul significato di ‘colpa’ e per smaschera-
re quella che può essere la disumanità della legge e dei suoi rappresentanti.
249
Da questo romanzo il regista Bille August (vd. p. 1191) ha tratto l’omonimo film
del 1997. Tra i danesi merita una citazione anche Niels Lillelund (n. 1965), i cui gialli,
ambientati in scenari di diverso genere, hanno come protagonista l’ex poliziotto Erik
Andersen.
250
Cfr. p. 1194. Nel 1973, insieme al giornalista Peter Bratt (n. 1944), Guillou
rivelò l’esistenza di una organizzazione segreta, nota come IB, che in patria agiva
contro le aree politiche della sinistra (tenendo sotto controllo i loro appartenenti e
introducendovi infiltrati) e all’estero collaborava con la CIA e i servizi segreti israelia-
ni (in evidente contrasto con la politica svedese di neutralità). Ciò fece scoppiare un
grosso scandalo, il che non impedì che insieme ad altre persone Guillou e Bratt fosse-
ro condannati per spionaggio: ne scaturì un vivacissimo dibattito sulla libertà di
stampa. In proposito si può leggere il volume di Bratt dal titolo Con buone intenzioni.
Memoriali (Med rent uppsåt. Memoarer), la cui prima edizione è del 2007.
251
In realtà il vero nome di questo autore era Stig Larsson (Karl Stig-Erland Lars
son), ma esso fu cambiato per evitare ripetute e spiacevoli confusioni con l’omonimo
Stig Larsson, anch’egli scrittore (vd. p. 1265).
257
Tra coloro che fondarono e consolidarono questa tradizione si citino qui i nomi
dei danesi Ole Wanscher (1903-1985), Finn Juhl (1912-1989), Gertrud Vasegaard (nata
Hjorth, 1913-2007), Børge Mogensen (1914-1972), Hans Jørgen Wegner (1914-2007),
Aksel Bender Madsen (1916-2000), Jens Harald Quistgaard (1919-2008), Kristian Solmer
Vedel (1923-2003), Poul Kjærholm (1929-1980) e Verner Panton (1926-1998), oltre ai
sopra ricordati Arne Jacobsen (vd. p. 1184 con nota 261) e Poul Henningsen (vd. p.
1184, nota 262); degli svedesi Simon Gate (1883-1945), Edward Hald (1883-1980), Einar
Hjorth (1888-1959), Wilhelm Kåge (1889-1960), Gustaf Axel Berg (1891-1971), Ralph
Lysell (Rolf Åke Nystedt, 1907-1987), Bruno Mathsson (1907-1988), Sixten Sason (Sixten
Andersson, 1912-1967), Yngve Ekström (1913-1988), Sigurd Fritiof Persson (1914-2003),
Stig Lindberg (1916-1982), Bengt Orup (1916-1996), anche scultore e pittore concreti-
sta, John Kandell (1925-1991), Vivianna Torun Bülow-Hübe (1927-2004) e Hans Ehrich
(n. 1942); dei norvegesi Sverre Pettersen (1884-1959), Nora Gulbrandsen (1894-1978),
Per Tannum (1912-1994), Birger Dahl (1916-1998), Grete Prytz Kittelsen (1917-2010),
Hermann Bongard (1921-1998) e Tias (Mathias) Eckhoff (1926-2016); degli islandesi
Gunnar H. Guðmundsson (1922-2004), Halldór Hjálmarsson (1927-2010), Árni Jónsson
(1929-1983), Gunnar Magnússon (n. 1933) e Pétur B. Lúthersson (n. 1936). Non si
dimentichi infine che la celebre bottiglia della Coca-Cola (che risale al 1916) è stata
disegnata da Alexander Samuelson (1862-1934), uno svedese emigrato negli Stati uniti.
258
Si ricordino qui, almeno, i nomi del danese Joachim Ladefoged (n. 1970), degli
svedesi Lennart Nilsson (n. 1922) e Annika von Hausswolff (n. 1967), del norvegese
Kjell Sten Tollefsen (1913-2002) e dell’islandese Ragnar Axelsson (n. 1958).
275
Aperto nel 1958 a Humlebæk, sulla costa orientale della Selandia, esso ha da
allora rappresentato un imprescindibile punto di riferimento per l’arte contemporanea.
276
Vi presero parte Kirsten Dufour (n. 1941), Jytte Rex (n. 1942), Jytte Keller (n.
1942), Rikke Diemer (n. 1943), Kirsten Justesen (n. 1943) e Gitte Skjold-Jensen (n. 1943).
277
Ancora nel 1997, in seguito a una ripresa di questi temi, sarà formato il gruppo deno-
minato Donne al pub (letteralmente “all’osteria”) (Kvinder på Værtshus) che raccoglierà
artiste impegnate nelle problematiche femministe e nelle questioni legate alla discriminazio-
ne. Ne faranno parte Åsa Sonjasdotter (n. 1966), Andrea Creutz (n. 1970), Kristine Roepstorff
(n. 1972), Marika Seidler (n. 1972), Christina Prip (n. 1969) e Lisa Strömbeck (n. 1966).
Successivamente hanno aderito Katya Sander (n. 1970), Nanna Debois Buhl (n. 1975),
Nynne Haugaard (n. 1976). Ai loro progetti hanno collaborato anche Sofie Hesselholdt (n.
1974) e Vibeke Mejlvang (n. 1976). Alcune di loro pur essendo nate al di fuori della Dani-
marca sono ormai del tutto integrate nell’ambiente culturale danese. Nel 2004 per questo
gruppo la Haugaard ha pubblicato a Copenaghen il volume dal titolo Prospettiva. Strategie
femministe nell’arte figurativa danese (Udsigt. Feministiske strategier i dansk billedkunst).
278
Come afferma lei stessa sulla sua pagina web (http://www.meretebarker.dk/).
283
Si tratta della Biblioteca dell’arte del comune di Gentofte nella Selandia orienta
le. Il titolo è ripreso da quello di un quadro realizzato da uno degli espositori, Kehnet
Nielsen (n. 1947). Gli altri artisti erano: Steen Krarup (n. 1943, da non confondere
con Steen Krarup Jensen, di cui poco oltre), Jens Nørregård (1946-1990), la svede-
se Anette Abrahamsson (n. 1954), Peter Carlsen (n. 1955), Dorte Dahlin (n. 1955),
Berit Jensen (n. 1956), Claus Carstensen (n. 1957), Søren Jensen (n. 1957), Nina
Sten-Knudsen (n. 1957), Peter Bonde (n. 1958) e Kristian Dahlgård Larsen (n. 1958).
284
Definizione che, per altro, riprendeva quella che in Germania era stata attribuita
ai nuovi pittori (Junge Wilde), autori di quadri neo-espressionisti che proponevano un
messaggio di ironica contestazione.
285
Esso sarà attivo fino al 1992. Il nome fa riferimento all’indirizzo di Copenaghen
presso il quale si trovava l’atelier. Tra i fondatori anche Finn Reinbothe (n. 1953), Finn
Naur Petersen (n. 1954) e Mette Gitz-Johansen (n. 1956).
286
Con loro la norvegese Ingunn Jørstad (n. 1953) e Sonny Tronborg (1953-2009).
287
Noto per le creazioni in materie plastiche e quelle ‘pneumatiche’, è anche auto-
re di testi nei quali espone il concetto fondamentale su cui si basa la sua opera, vale a
dire che il contenuto della scultura è la scultura in se stessa.
Jensen (n. 1950), Morten Stræde (n. 1956), Elisabeth Toubro (n.
1956) e Henrik B. (Bjørn) Andersen (n. 1958), combina l’uso di
materiali (talora inusitati) con l’intreccio degli stili.
Nel 1989 si teneva per l’ultima volta la rassegna nota come Å-ud
stillingen,288 una esposizione itinerante che a partire dal 1953 aveva
rappresentato una vetrina per l’arte danese contemporanea.289 Due
anni prima era stato costituito il gruppo Baghuset che presentava i
propri lavori (soprattutto installazioni) nell’omonima galleria.290 Negli
anni ’90 la sperimentazione è andata avanti e nuove forme e tenden-
ze come la videoarte291 o l’uso di strumenti digitali o interattivi hanno
conquistato spazio, tuttavia si constata anche un ritorno alla tradizio-
ne: molto apprezzati sono infatti artisti come Thomas Kluge (n. 1969),
che (anche se non manca di produrre opere di moderna enigmatici-
tà) ripropone la bellezza del ritratto realizzato con una tecnica che si
rifà ai grandi del passato, o Anders Moseholm (n. 1959) che dipinge
immagini indistinte e, al contempo, di chiarissima ‘lettura’ di metro-
poli anonime o di interni ampi e decoratissimi nei quali prevale l’aspi-
razione all’estensione dello spazio e, insieme, una sensazione di
vuoto. Del resto negli ultimi anni ha ripreso vigore il gusto della
raffigurazione (magari combinata con motivi astratti, surreali o naïf)
per cui si può, con le dovute cautele, parlare di una sorta di realismo.
Del che testimoniano (seppure in modi assai diversi!) le opere di
pittori come John Kørner (n. 1967), Kaspar Bonnén (n. 1968),292
288
Nel corso degli anni la mostra (udstilling) ebbe luogo ad Aarhus, Aabenraa e
Aalborg (come noto la grafia danese aa corrisponde ad å).
289
Grazie a essa il pubblico poté conoscere artisti come Finn Mickelborg (cfr. nota
280), passato dal surrealismo all’astrattismo, Hans Voigt Steffensen (n. 1941), autodi-
datta i cui dipinti richiamano il fauvisme, René Tancula Nielsen (1949-2014), per il
quale l’opera deve essere scoperta e compresa poco per volta, e Lise Malinovsky (n.
1957) che mostra una diversa e più sentimentale ispirazione.
290
Il nome significa letteralmente “Casa sul retro”. Il gruppo è stato attivo fino al
1992. Ne facevano parte, tra gli altri, Peter Neuchs (n. 1958), Joachim Koester (n.
1962), Christian Schmidt-Rasmussen (n. 1963), Lars Bent Petersen (n. 1964), Peter
Rössel (n. 1964), Jes Brinch (n. 1966) e Peter Holst Henckel (n. 1966).
291
Esercitata, tra gli altri, da Joachim Koester (cfr. nota precedente), Ann Lislegaard
(n. 1962), nata in Norvegia, Gitte Villesen (n. 1965) e Peter Land (n. 1966).
292
Insieme a Tal R (di cui subito oltre) e Kirstine Roepstorff (cfr. nota 277) que-
sti due artisti hanno formato (1997) il gruppo del cosiddetto Ufficio di Kørner
(Kørners Kontor) per allestire esposizioni in sedi inusuali e organizzare incontri e
seminari allo scopo di dar vita a un’arte davvero rivolta a tutti. Kaspar Bonnén
è figlio di Peter Bonnén (cfr. nota 269). Un gruppo sorto più recentemente (1999) è
il Seven Up (con ironico riferimento alla nota bevanda) nel quale gli artisti scelgono
un tema cui ispirare le proprie opere. Vi hanno aderito il sopra citato Stig Brøgger,
Freddie A. (Alexander) Lerche (n. 1937), Peter Mandrup (1949-2009), Troels Wörsel
(n. 1950), Erik Steffensen (n. 1961), Ivar Tønsberg (n. 1961) e Signe Guttormsen (n.
1964).
302
Su Nemes vd. Millroth Th., Endre Nemes, Stockholm 1985.
303
Tra di loro Knut Irwe (1912-2002), che tuttavia aveva studiato all’accademia di
Stoccolma.
304
Qui vanno ricordati anche Martin Holmgren (1921-1969), molto considerato da
Arne Jones, e Palle Pernevi (1917-1997), allievo di Nemes alla scuola d’arte di Valand
e poi direttore del corso di scultura da quando (1950) esso fu aperto nella scuola stessa.
305
Vd. p. 1179.
314
Cfr. p. 1263 con nota 161. Gli altri componenti erano Åke Hodell (1919-2000),
poeta, Torsten Ekbom (1938-2014), scrittore, Leif Nylén (n. 1939), critico e musicista,
Mats G. Bengtsson (1944-2005), scrittore e musicista, e Bengt Emil Johnson (1936-2010),
poeta e compositore. Il nome Svisch corrisponde al titolo di una antologia di poesia con-
cretista pubblicata a Stoccolma nel 1964 e che riportava composizioni di questi autori.
315
Il termine provie risale al latino pro “a favore di” e al francese vie “vita”.
316
Diversi tra coloro che sarebbero diventati membri di questo gruppo avevano
partecipato in quello stesso anno alla mostra 8 st (nella quale erano presenti, appunto,
otto artisti) tenuta a Göteborg.
317
Essa era formata da Nils Olof Bonnier (1945-1969), Lars Hansson (n. 1944),
Dag E. Nyberg (n. 1944), Anders Bergh (1947-2004), Bo Söderström (n. 1945) e
dall’inglese Graham Stacy (n. 1940).
318
A determinare la dispersione del gruppo fu infatti una terribile tragedia avvenu-
ta sul traghetto Åbo-Stoccolma a bordo del quale, al ritorno da un viaggio nell’Unione
sovietica, erano imbarcati i componenti della Banda Bassotti. Il giovane Nils Olof
Bonnier aveva infatti una posizione meno estremista rispetto ai compagni e intendeva
privilegiare l’arte rispetto alla politica. Durante la navigazione ci fu in proposito un
feroce diverbio nel quale alcuni di essi in preda a un totale attacco di aggressiva intol-
leranza lo accusarono di tradimento, dopo di che egli si allontanò dalla propria cabina
profondamente avvilito. Era notte: di lui non si seppe più nulla. Si era suicidato? Era
stato ucciso? Era caduto in mare? Il mistero resta irrisolto.
319
Vd. p. 1266.
320
A esempio quelle tenute a Göteborg, dove il movimento delle ‘artiste-donne’ era
molto attivo: Livegen. EGET LIV (un titolo difficilmente traducibile in quanto costruito
su un gioco di parole tra il termine livegen che significa “servo della gleba” ed eget liv,
che significa “vita propria”) nel 1973; La realtà lascia tracce (Verkligheten sätter spår) nel
1975; Mito della madre, maternità, umanità (Modersmyt, moderskap, mänskoskap)
nel 1979.
321
Il medesimo intento dissacratorio nei confronti del potere vigente è alla base
della nascita (1968) della rivista PUSS (uscita fino al 1974) che entrambi fondarono
insieme ad artisti come Ulf Rahmberg (n. 1935), Carl Johan de Geer (n. 1938) e Karin
Frostenson (n. 1946). Nel contesto di un’arte derisoria e irriguardosa va ricordato qui
anche lo scandalo provocato nel 1970 dall’esposizione a Göteborg di un quadro del
pittore Peter Dahl (n. 1934), di origine norvegese, dal titolo Il dilagare del liberalismo
nella società (Liberalismens genombrott i societeten), nel quale in una scena a forte
connotazione erotica era raffigurata una donna in cui venne riconosciuta la principes-
sa Sibylla (Sibilla di Sassonia-Coburgo-Gotha, 1908-1972, madre dell’attuale re di
Svezia). Per questo motivo il quadro fu sequestrato dalla polizia.
A conclusione del suo lavoro sulla storia dell’arte svedese che si ferma
al periodo della seconda guerra mondiale, lo studioso Andreas Lindblom
326
Il lavoro di Vilks ha avuto uno strascico giudiziario in quanto le autorità lo
hanno considerato una ‘costruzione abusiva’. Esso tuttavia è ancora al suo posto e
attrae anche un discreto numero di turisti. Ma Lars Vilks è noto anche per aver scate-
nato una vivace polemica per le sue immagini irriverenti di Cristo e di Maometto. In
particolare nel 2007 la pubblicazione sul giornale Nerikes Allehanda di disegni che
rappresentavano il profeta come un cane ha suscitato violente proteste nei Paesi isla
mici ed egli è stato fatto oggetto di minacce di morte e aggressioni. Difese sulla base
del diritto di espressione, queste illustrazioni (replicate nel 2010) non hanno certamente
tenuto conto del dovere del rispetto per le diverse fedi religiose, principio altrettanto
incontestabile. Un caso analogo è avvenuto del resto in Danimarca nel 2005, quando
il quotidiano Jyllands-Posten pubblicò (30 settembre) dodici vignette satiriche sul
profeta dell’Islam. Anche in quel caso le proteste del mondo musulmano sono state
veementi e sono sfociate in diversi casi di violenza che hanno coinvolto personale
diplomatico e cittadini europei (il che dovrebbe, quanto meno, far riflettere gli autori
di questi disegni).
327
Lindblom 1944-1946 (B.6); DLO nr. 187.
328
Anna-Eva Bergman è stata sposata con il pittore tedesco Hans Hartung (1904-
1989).
329
In effetti il nome non si riferisce a un concetto artistico bensì all’abuso di bevan-
de alcoliche a basso prezzo e, dunque, di scarsa qualità.
330
Gli altri artisti che vi lavorarono erano Inger Sitter, Carl Nesjar e (addirittura!)
Pablo Picasso.
331
Assai più giovane degli altri e del quale dunque si parlerà più avanti in questo
stesso paragrafo.
332
Da segnalare che nel 1966 per iniziativa di Lars Brandstrup (1913-1997) aprirà a
Moss (Østfold), sulla riva orientale del fiordo di Oslo, la Galleria F 15 (Galleri F 15), il
cui nome è tratto dall’indirizzo del primo locale utilizzato per le esposizioni (Fossen 15).
333
Vd. Torheim I., Individuelle tendenser og fellestrekk hos kunstnerne i Gruppe 5
1956-1962, Oslo 1994.
Per altro, come si deduce dai nomi sopra citati, nel secondo
dopoguerra gli sviluppi verso un’arte nuova furono assai più imme-
diati nella pittura e nella grafica che non nella scultura, dove dove-
va protrarsi ancora per un po’ di tempo una sorta di naturalismo.
Qui si deve tuttavia citare Arnold Haukeland (1920-1983) che alla
fine degli anni ’50 si ‘convertì’ all’astrattismo non soltanto appli-
candolo alle sue opere ma anche sostenendo la necessità di una sua
sperimentazione in quell’ambito. Una rottura totale con la tradi-
zione è invece evidente nell’affermarsi dell’installazione, si consi-
deri tra gli altri Kjartan Slettemark (1932-2008), figura controver-
sa di artista noto per le posizioni politiche di sinistra e antiamericane
tradotte in opere come quella ispirata alle tragiche notizie prove-
nienti dal Vietnam in guerra ed esposta nel 1965 davanti al parla-
mento norvegese.336 Per lui, come per i seguaci delle nuove tenden-
ze straniere (pop art, situazionismo, arte concettuale e via dicendo),
non c’è confine tra arte e vita, tra artista e pubblico, tutto può
essere rappresentato, tutto deve essere rappresentato in forme
attive e libere da qualsiasi condizionamento. Il che riguarda anche
l’arte ‘femminista’ per la quale si possono citare qui i nomi di Berit
Soot Kløvig (1920-1975) e Sidsel Paaske (1937-1980), pittrici e
scultrici, di Siri Anker Aurdal,337 delle artiste tessili Brit Fuglevaag
(n. 1939) ed Elisabeth Haarr (n. 1945), della protagonista di per
formance Wencke Mühleisen (n. 1953),338 della grafica ceco-norve-
gese Zdenka Rusova (n. 1939).
Figure di maggior prestigio che si affermano negli anni ’70 sono
quelle di Jens Johannessen (n. 1934) e di Bjørn Ransve (n. 1944). Il
primo, grafico e pittore discontinuo (ma dotato di forte e sicuro
talento) che non manca di applicarsi alla pop art e al collage, conso-
lida un riconoscimento già ottenuto nel decennio precedente; il
secondo è artista eclettico e imprevedibile che in una continua
Brune (n. 1942), Olav Orud (n. 1942), Eva Lange (n. 1944), Marit Wiklund (n. 1945)
e Bjørn Melbye Gulliksen (n. 1946). Alcuni di loro furono attivi anche nel movimento
contro l’ingresso della Norvegia nell’Unione europea (del resto bocciato dal referendum
del 1972; vd. p. 1242).
336
Si trattava di un collage in plastica raffigurante una bocca aperta dentro la qua-
le tra diverse lettere dell’alfabeto ne emergevano alcune a formare la parola vietnam,
una piccola bandiera americana su quella che sembrerebbe la lingua e sopra di essa
una figura di bambino ferito. Accanto le seguenti parole: “Notizie dal Vietnam: I
bambini sono inondati di napalm rovente, la loro pelle brucia formando nere ferite ed
essi muoiono” (“Av rapport fra Vietnam: Barn overskylles av brennende napalm, deres
hud brennes til svarte sår og de dør”).
337
Cfr. nota 335.
338
Nel periodo 1976-1985 la Mühleisen ha fatto parte di un collettivo di artisti
radicali stabilitisi a Friedrichshof in Austria.
339
Vd. p. 1410.
340
Vd. sopra, pp. 1269-1270.
345
Il gruppo sarà sciolto nel 2011.
346
Molti scultori norvegesi (ma non solo) sono stati coinvolti nel progetto “Nord
land paesaggio di sculture” (Skulpturlandskap Nordland) avviato nel 1992 che prevede
la collocazione di loro opere in diversi luoghi della regione.
347
Vd. p. 1181.
348
Louisa Matthíasdóttir aveva sposato il pittore americano Leland Bell (1922-1991).
349
Vd. p. 1181 e pp. 1293-1294.
14.4.3.5. Architettura
362
Dalla cui collaborazione nacque lo studio Hoff & Windinge, attivo tra il 1942 e
il 1973.
363
Anche il figlio Kim Utzon (n. 1957) è un affermato architetto.
364
Nel 1946 essi fondarono lo studio Krohn & Hartvig Rasmussen (ora KHR
arkitekter).
365
Senza dimenticare C. F. Møller e Arne Jacobsen; vd. p. 1184 con nota 261.
366
Vd. p. 1185.
367
Che condivisero tra il 1936 e il 1980 il celebre studio Backström & Reinius.
368
Insieme al quale è doveroso citare il danese Aage Rosenvold (1914-2006) che a
lungo fu suo collaboratore.
369
Lo studio da lui fondato nel 1948 (Nyréns Arkitektkontor) è tuttora attivo.
370
Il cui figlio Johan Celsing (n. 1955) continua il lavoro del padre.
371
Figlio dell’architetto Gunnar Asplund su cui vd. p. 1185.
372
Dalla cui collaborazione nacque nel 1987 lo studio Lund+Slaatto Arkitekter,
rilevato nel 2003 da Inge Ormhaug (n. 1947), Pål Biørnstad (n. 1960) ed Espen Peder
sen (n. 1965).
373
Insieme a P A M (Peter Andreas Munch) Mellbye (1918-2005), Håkon Mjelva
(1924-2004), Odd Østbye (1925-2009), Christian Norberg-Schulz (1926-2000), Fehn
e Grung facevano parte del cosiddetto gruppo pagon (Progressive Architects Group)
formatosi nel 1949 e ispirato alle idee di Arne Korsmo per un modernismo di orien-
tamento internazionale.
374
Gli esempi sono molto numerosi e qui non se ne può offrire se non una selezio-
ne puramente orientativa: il municipio di Rødovre, località a circa 9 km. dal centro di
Copenaghen (Arne Jacobsen, 1956); il municipio di Asker (nel distretto di Akershus,
Nils Slaatto e Kjell Lund, 1964); i diversi edifici dell’Università di Oslo a Blindern
realizzati negli anni ’60 e progettati da Olav Moen (1928-1986); l’università di Odense
(Knud Holscher, 1971); il campus sud dell’Università di Copenaghen ad Amager (Nils
ed Eva Koppel, 1972-1979); la casa di riposo nel quartiere di Økern a Oslo (Sverre
Fehn e Geir Grung, 1955); il Museo d’arte moderna Louisiana (cfr. p. 1296 con nota
275), progettato da Jørgen Bo (1919-1989) e Vilhelm Wohlert (1920-2007) e aperto
nel 1958; il Centro per l’arte Henie Onstad (Henie Onstad kunstsenter) di Bærum non
lontano da Oslo, fondato da Sonja Henie (vd. p. 1149, nota 129) e dal marito Niels
Onstad (1909-1978), progettato dagli architetti Jon Eikvar (n. 1933) e Svein-Erik
Engbretsen (n. 1933) e aperto nel 1968; la chiesa cattolica e il convento di San Hallvard
a Oslo (Kjell Lund e Nils Slaatto, 1966); la chiesa di Bagsværd, a circa 12 chilometri a
nord-ovest del centro di Copenaghen (Jørn Utzon, 1973-1976); il Community center
(Medborgarhuset) di Eslöv in Scania (Hans Asplund, 1957); la Casa del popolo (Folkets
hus) a Oslo (Knut Knutsen, 1962); la Casa della cultura (Kulturhuset) a Stoccolma
(Peter Celsing, 1971-1974); il cosiddetto Chateau Neuf di Oslo, sede dell’Associazione
degli studenti norvegesi (Det Norske Studentersamfund, Kjell Lund e Nils Slaatto,
1971); l’albergo Borgafjäll nel comune di Dorotea, Lapponia meridionale (Ralph
Erskine, 1955); il Radisson Blu Royal Hotel di Copenhagen (Arne Jacobsen, 1960); i
grandi magazzini di Åhléns City a Stoccolma (Backström e Reinius, 1964); il palazzo
degli uffici centrali della SKF (industria produttrice di cuscinetti a sfera) a Göteborg
(Gustaf Lettström, 1963-1967); l’edificio della Cassa di risparmio (Sparbankshuset) a
Stoccolma (Carl Nyrén, 1973-1975).
375
Significativamente nel 1980 uscirà a Stoccolma il volume Addio al funzionalismo!
(Farväl till funktionalismen!) di Hans Asplund, che pure ne era stato uno dei più
convinti interpreti ma che ora ne metteva in luce gli aspetti insoddisfacenti.
376
In questa direzione andava, a esempio, il piano noto come rot, portato avanti in
Svezia tra il 1977 e il 1989. L’acronimo, da interpretare come Reparation, Ombyggnad,
Tillbyggnad (vale a dire “Riparazione, Ristrutturazione, Ampliamento”), ben ne chia-
risce gli scopi.
Progetto al quale collaborò l’architetto norvegese Jon Lundberg (n. 1933) che
382
in seguito (1969-1982) avrebbe gestito lo studio Jan & Jon insieme a Jan Digerud (n.
1938), dando un notevole impulso al postmodernismo norvegese.
team di cebra, cobe, Effekt, Transform (tutti premiati alla Biennale di Venezia nel 2006),
Masu Planning, nord architects, Dorthe Mandrup Architects, tutti a Copenaghen; per la
Svezia, dove dagli anni ’90 la disciplina ha mostrato una ripresa, Studio Grön Arkitekter
e White Arkitekter a Göteborg, Arkitekthuset Monarken a Luleå, Henrik Jais-Nielsen
& Mats White Arkitekter a Helsinborg, Sweco Architecture e Tham & Vingård Arkitekter
a Stoccolma; per la Norvegia Kristin Jarmund (n. 1954), che reinterpreta il funziona-
lismo, Carl-Viggo Hølmebakk (n. 1958), formatosi anche negli Stati uniti, i team di
Arkitektgruppen cubus a Bergen, boarch a Bodø, lpo arkitektur & design, Jensen &
Skodvin Arkitektkontor e Narud-Stokke-Wiig a Oslo; per l’Islanda Guðmundur Jónsson
(n. 1953), che vive e lavora in Norvegia, Dagur Eggertsson (n. 1965) che collabora con
il noto architetto finlandese Sami Rintala (n. 1969).
397
Nel 1962 il compositore danese Bent Fabricius-Bjerre (noto anche come Bent
Fabric, n. 1924) avrebbe vinto il prestigioso Grammy award per la miglior incisio-
ne di rock and roll con il suo orecchiabile motivo Alley Cat, uscito nell’album dal
medesimo titolo.
nel Paese ebbe luogo a Reykjavík nel 1957 e nel giro di un anno
questo tipo di musica conquistò la gente.398 Sicché non deve fare
meraviglia che nell’isola si siano susseguiti (e continuino a susseguir-
si) con frequenza concerti di musica moderna che richiamano sempre
un grande pubblico399 e che nel corso degli anni siano nate molte
band, alcune delle quali come i Sykurmolarnir400 e Sigur Rós401 hanno
raggiunto fama internazionale.402 Per altro una ‘stella’ musicale islan-
dese universalmente nota è Björk Guðmundsdóttir (n. 1975), più
semplicemente nota come Björk, che ha anche fatto parte della band
Sykurmolarnir: la sua formazione ha compreso i diversi generi delle
più moderne espressioni musicali. Più recente ma altrettanto clamo-
roso è il successo di Sóley Stefánsdóttir (n. 1986). Ma anche altre
band e cantanti scandinavi hanno raggiunto fama all’estero: a esem-
pio i gruppi danesi D-A-D, formatosi nel 1982,403 Dizzy Mizz Lizzy
(1988), Volbeat (2001); gli svedesi The Spotnicks (1961), Europe (1978),
Roxette (duo, 1986), Entombed (1987) e Opeth (1990); i norvegesi
della band a-ha (1982) e del duo Röyksopp (1998). Per altro tutte le
forme di rock, di pop rock e di pop music sono ben rappresentate in
questi Paesi, dove naturalmente si è diffuso l’uso di strumenti elet
tronici, ma anche quello di scrivere (seppure non sempre) i testi in
lingua inglese, il che non soltanto sottolinea la dipendenza dai modelli
anglosassoni e americani, ma anche la volontà di raggiungere un
pubblico più vasto.
Parallelamente continua il successo della musica jazz che in Dani
marca ha conosciuto un momento di grande fortuna negli anni
’60,404 mentre in Svezia è stata sottoposta a sperimentazioni come
quella di Jan Johansson (1931-1968), che l’ha utilizzata per ‘tradur-
re’ melodie popolari, o di Eje Thelins (1938-1990) che lo ha volu-
398
Guðmundsson 1990, pp. 16-19. Uno dei primi cantanti rock islandesi è stato
Megas (Magnús Þór Jónsson, n. 1945).
399
Tra cui si possono ricordare il Festival annuale del jazz di Reykjavík, quello di
rock e pop, noto come Iceland Airwaves (sempre nella capitale) e quello che ha luogo
a Ísafjörður (nei fiordi occidentali) dal titolo Non sono mai andato a sud (Aldrei fór ég
suður) ideato dal celebre cantante Mugison (Örn Elías Guðmundsson, n. 1976).
400
Band costituita nel 1986 che interpreta ora il postrock; cfr. p. 1280.
401
Formata nel 1994. Il nome è ripreso da quello di Sigurrós, sorellina di uno dei
componenti, Jón Þór Birgisson (n. 1975), detto Jónsi, nata in quell’anno. Significa “Rosa
della vittoria”.
402
Ma si citino qui anche i Múm (1997) il cui leader è Örvar Smárason (n. 1977), e
i Sólstafir (termine che indica i raggi di sole che si fanno strada attraverso le nuvole)
che eseguono musica metal.
403
Il nome è stato successivamente cambiato in D.A.D., D˙A˙D, e ancora D:A:D.
404
Si ricordino Palle Mikkelborg (n. 1941), Jesper Thilo (n. 1941) e Niels-Henning
Ørsted Pedersen (1946-2005), noti a livello mondiale.
405
Tra i jazzisti svedesi di fama mondiale Åke Hasselgård (noto come Stan 1922-1948),
morto tragicamente a soli ventisei anni, il clarinettista Putte (Hans Olof) Wickman
(1924-2006), il direttore d’orchestra Arne Domnérus (1924-2008), il sassofonista Lars
Gullin (1928-1976), il pianista Bengt Hallberg (1932-2013), il ceco-svedese Georg
Riedel (n. 1934), noto per aver composto le musiche per i film basati sulle storie scritte
da Astrid Lindgren (vd. p. 1285), Bernt Rosengren (n. 1937), che spesso ha collabora-
to con musicisti americani, il contrabbassista Palle (Nils Paul) Danielsson (n. 1946).
406
Con lui ha spesso suonato il bassista Arild Andersen (n. 1945). Altri noti jazzisti
norvegesi sono il percussionista Jon Christensen (n. 1943), il contrabbassista Bjørn
Alterhaug (n. 1945), il chitarrista Terje Rypdal (n. 1947) che si dedica anche alla compo
sizione di musica ‘seria’, e i più giovani Nils Petter Molvær (n. 1960), trombettista e
Paal Nilssen-Love (n. 1974), batterista.
407
Nomi importanti del jazz islandese sono quelli di Pétur Östlund (n. 1943), tuttavia
di padre americano e vissuto in Islanda solo nell'adolescenza, e Björn Thoroddsen (n. 1958).
408
Come la danese Cæcilie Norby (n. 1964); le svedesi Alice Babs Sjöblom (1924-2014)
e Monica Z (Zetterlund, 1937-2005); le norvegesi Karin Krog (n. 1937) e Silje Nergaard (n.
1966), le islandesi Kristjana Stefánsdóttir (n. 1968) e Ragga (Ragnheiður) Gröndal (n. 1984).
409
Il che non è affatto sorprendente se si pensa che il celeberrimo Elvis Presley
(1935-1977) basava, appunto, il proprio repertorio (e il proprio straordinario succes
so) sul dualismo rock e canzone melodica.
410
Come noto l’acronimo è formato dalle iniziali dei nomi dei quattro componenti
del gruppo: Frida (Anni-Frid) Lyngstad (n. 1945), Björn Ulvaeus (n. 1945), Benny (Göran
Bror) Andersson (n. 1946) e Agnetha Fältskog (n. 1950), sposata con Björn Ulvæus tra
il 1970 e il 1980. Con loro si può nominare il gruppo Ace of Base costituito nel 1987.
411
Formato da Hanne Krogh (n. 1956) ed Elisabeth Andreassen (n. 1958) che nel
1985 hanno vinto l’Eurovision Song Contest.
412
Vd. pp. 836-838.
413
Ma si ricordino anche i più anziani Birgitte Grimstad (n. 1935) e Alf Cranner (n. 1936).
414
Vd. p. 1231. Un nome emergente della canzone islandese (che continua a susci-
tare interesse internazionale) è quello del giovanissimo Ásgeir (Trausti Einarsson, n.
1992).
415
Vd. Lahger H., Proggen. Musikrörelsens uppgång och fall, Stockholm 2008.
416
Vd. sopra, pp. 1295-1296.
417
Pronipote per parte di madre del celebre musicista J.P.E. Hartmann (vd. p. 921
con nota 264).
418
Un altro scrittore legato al mondo della musica rock è Peter Kihlgård (n. 1954).
419
Essi in effetti avevano dato vita al gruppo noto come Werup-Sjöströmgruppen.
Un altro poeta svedese che volentieri legge i propri versi con l’accompagnamento di
musica jazz è Gunnar Harding (cfr. nota 181).
420
In Svezia la discussione sulle prospettive e le innovazioni nel campo della musi-
ca era stata portata avanti fin dal 1944 dal cosiddetto “gruppo del lunedì” (måndags
gruppen) del quale facevano parte compositori, esecutori e critici (vd. 40-tal. En klipp
bok om Måndagsgruppen och det svenska musiklivet, sammanställd och kommenterad
av B. Wallner, Stockholm 1971). In Danimarca un impulso al rinnovamento era
venuto negli anni ’40 da Herman D. (David) Koppel (1908-1998).
421
Per altro, come si è visto, Henning Christiansen non mancò di presentarsi come
un artista all’avanguardia, portavoce di un punto di vista progressista (cfr. p. 1333).
422
Introdotta nel Paese da Gunnar Berg (1909-1989), che fu uno dei primi danesi
a comporre musica dodecafonica, una innovazione accolta con scetticismo, per non
dire con ostilità.
423
Come pure di saggi sulla teoria e la ‘filosofia’ della musica.
424
Tra i suoi allievi il lirico Erik Højsgaard (n. 1954), l’eclettico Svend Hvidtfelt
Nielsen (n. 1958) e Karsten Fundal (n. 1966), gratificato da notevole successo.
425
Vd. sopra, p. 1187. Tra i molti allievi di Holmboe anche Per Nørgård, Ib
Nørholm e il norvegese Arne Nordheim.
426
Vd. p. 1100.
427
Det Kongelige Danske Musikkonservatorium, cfr. p. 921, nota 265.
428
Det Jyske Musikkonservatorium, aperto nel 1927. La decisione fu presa in segui-
to alla mancata ammissione al conservatorio di Copenaghen di Ole Buck. Con lui si
trasferirono ad Aarhus diversi studenti, tra i quali Ingolf Gabold (n. 1942), che sarà
poi autore soprattutto di composizioni vocali.
429
Dove dal 1953 insegnava uno dei maggiori musicisti d’avanguardia, il tedesco
Karlheinz Stockhausen (1928-2007) che aveva avuto modo di prendere lezioni da un
altro grande innovatore, il francese Olivier Messiaen (1908-1992), il quale a sua volta
aveva insegnato a Darmstadt nel 1949 e nel 1950.
430
Ma si citino qui anche Poul Rovsing Olsen (1922-1982), studioso di culture musicali
esotiche e Fuzzy (Jens Vilhelm Pedersen, n. 1939), sperimentatore di musica elettronica.
431
Fratello del ballerino e coreografo Eske Holm (n. 1940), egli ha scritto anche
diverse composizioni per questo genere di spettacolo.
432
Questo gruppo porta avanti l’esperienza del precedente Teatro-immagine (Billed
stofteater) attivo dal 1977 al 1985.
433
Nel 1995 veniva aperto a Copenaghen il teatro Seconda opera (Den Anden
458
Per la fisica: i danesi Aage Niels Bohr (1922-2009), figlio di Niels (vd. p. 1123),
e Ben Roy Mottelson (n. 1926), entrambi premiati per gli studi sulla struttura dei nuclei
atomici (1975); gli svedesi Hannes Alfvén (vd. p. 1132) e Kai Siegbahn (1918-2007),
figlio di Manne (vd. p. 1103, nota 629), per il contributo allo sviluppo della spettro-
scopia degli elettroni ad alta risoluzione (1981); il norvegese Ivar Giaever (n. 1929)
per le scoperte relative all’effetto tunnel nei semiconduttori (1973). Per la medicina:
il danese Niels Kaj Jerne (1911-1994) per gli studi sul sistema immunitario (1984); il
finno-svedese Ragnar Granit (1900-1991) per le scoperte sui processi visivi fisiologici
e chimici nell’occhio (1967); gli svedesi Hugo Theorell (1903-1982) per le ricerche
sugli enzimi ossidanti (1955), Ulf Svante von Euler (1905-1983), figlio di Hans (vd. p.
1103, nota 629), per il lavoro sui neurotrasmettitori (1970), Sune Bergström (1916-
2004) e Bengt Ingemar Samuelsson (n. 1934), entrambi premiati per le ricerche sulle
prostaglandine (1982), Arvid Carlsson (n. 1923) per quelle inerenti ai segnali di trasdu-
zione nel sistema nervoso (2000); i norvegesi Edvard Moser (n. 1962) e la moglie
May-Britt (n. 1963) per la scoperta dei meccanismi cerebrali che gestiscono l’orienta-
mento nello spazio (2014), premio condiviso con l’americano John O’Keefe (n. 1939).
Per la chimica: il danese Jens Christian Skou (n. 1918) per la scoperta della cosiddet-
ta pompa sodio-potassio (1997); i norvegesi Lars Onsager (1903-1976) per lo studio
delle relazioni reciproche (che da lui prendono nome), fondamentali per la termo
dinamica dei processi irreversibili (1968), e Odd Hassel (1897-1981) per il contributo
allo sviluppo del concetto di conformazione e le sue applicazioni in chimica (1969).
Per l’economia: gli svedesi Gunnar Myrdal (vd. p. 1130) per gli studi sull’interrelazione
tra i processi economici, sociali e politici (1974) e Bertil Ohlin (1899-1979) per quelli
sul commercio internazionale e i movimenti di capitale (1977); i norvegesi Ragnar
Frisch (1895-1973) per aver sviluppato e applicato modelli dinamici all’analisi dei
processi economici (1969), Trygve Haavelmo (1911-1999) per gli studi sull’econome-
tria e l’analisi delle strutture economiche simultanee (1989) e Finn Erling Kydland (n.
1943) per il contributo alla macroeconomia dinamica (2004).
459
Vd. p. 898 con nota 151.
460
Vd. p. 1027, nota 288.
461
Vd. p. 824, nota 650.
Ancora tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo gran parte delle abita-
zioni islandesi aveva questo aspetto (pp. 949-950)
Immagine di Louis Pio che incita i proletari alla rivolta contro il capita-
lismo sul frontespizio de La lanterna danese (Den danske Lanterne) una
rivista uscita solo in due numeri nel gennaio del 1875 (pp. 965-966 e pp.
975-977)
Nella campagna per la concessione del diritto di voto alle donne si fece
ricorso anche alle cartoline di Natale. Accanto all’augurio di “Buon
Natale e Buon Anno Nuovo!” (“God Jul och Gott Nytt År!”) compare
qui anche la scritta “Diritto di voto alle donne” (“Rösträtt för kvinnor”;
§ 12.3)
5 15 25 35
Fig. 72
Fig. 73
8
Svezia in generale
Aree rurali 7
Servizi
Centri urbani
6
Commercio, trasporti, comunicazioni
5
4
Industria
3
2
Agricoltura e silvicoltura
1
0
1880 90 1900 10 20 30 40 50 60 70 1980
Fig.75
Nuova edizione (2002) del romanzo distopico di Axel Jensen, Epp (p.
1271)
La letteratura per l’infanzia occupa nei Paesi nordici una grossa fetta di
mercato: qui la pubblicità di una casa editrice danese (pp. 1285-1289)
Ancora nel 1378 il papa Urbano VI esortava i cristiani in quelle zone a resistere agli
attacchi dei Russi (Ruteni) definiti infedeli e scismatici (STFM II, nr. 407, 13 dicembre
1378, pp. 447-448).
17
Situata presso la foce del fiume Aura (Aurajoki, svedese Aura å), in una zona che
nel periodo vichingo risulta essere un importante snodo commerciale, come del resto
l’area circostante Viipuri (Viborg), Turku (Åbo) era divenuta nel 1229 sede episcopale
finlandese (vd. p. 276). Essa prese dunque a svilupparsi ulteriormente per diventare
anche un importante centro religioso e di cultura.
18
Cfr. p. 277 (anno 1293). Al reggente Torgils Knutsson si deve la definitiva annes-
sione della Carelia occidentale ai territori finlandesi sottoposti a giurisdizione svedese.
19
In questa località sorgeva, almeno fin dalla prima metà del XII secolo, una impor
tante fortezza (finnico Käkisalmen linna, svedese Kexholms slott, russo Крепость
Корела) attorno alla quale si sviluppò in seguito il centro abitato.
20
Vd. p. 378 con nota 206.
21
Questo conflitto ebbe inizio nel 1495 con un attacco dei Russi che posero l’assedio
alla fortezza svedese di Viborg. La tradizione (per altro piuttosto enfatizzata) vuole
che il difensore Knut Posse (ca.1440-1500) mettesse in fuga i soldati russi facendo
saltare in aria una delle torri del muro di cinta: la cosiddetta “esplosione di Viborg”
(Viborgska smällen). L’anno successivo i Russi imperversarono in Häme (Tavastland)
ma gli Svedesi appoggiandosi alla fortificazione di Olofsborg (cfr. nota 26) poterono
respingere le aggressioni, a loro volta attaccando e conquistando la fortezza russa di
Ivangorod presso Narva, un’impresa cui prese parte Svante Nilsson (ca.1460-1511 o
1512), reggente di Svezia dal 1504.
22
Questa informazione su Bengt (Benedictus) è contenuta in una Cronologia svedese
(Chronologia svecica), vd. SSRSMAE I: i, p. 41. Tra la metà del XIV secolo e la fine
del medioevo i territori finlandesi sottoposti alla Corona svedese ricaddero sotto la
denominazione Österland, cioè “Terra a oriente”. Le province che costituivano
l’Österland erano: Finlandia propriamente detta (finnico Varsinais-Suomi, svedese
Egentliga Finland), Uusimaa (Nyland), Häme (Tavastland), Satakunta (Satakunda),
Savo (Savolax) e Carelia occidentale, oltre, naturalmente, alle isole Åland. Le provin-
ce di Ostrobotnia e Lapponia (finnico Lappi, svedese Lappland) verranno istituite
successivamente.
23
Nel 1352 la Legge generale di Magnus Eriksson promulgata in Svezia nel 1350
(cfr. pp. 354-355) entrava in vigore anche nei territori finlandesi.
24
Decreto emesso nel 1362 da Håkon Magnusson, re di Norvegia, nominato in
quello stesso anno anche sovrano di Svezia; vd. DS VIII: 1, nr. 6584, 15 febbraio 1362,
pp. 160-161.
25
Una significativa immigrazione si constata del resto già dagli ultimi decenni del
XII secolo.
26
Si pensi a quelli di Rasaborg/Raseborg (finnico Raaseporin linna) in Uusimaa
(Nyland) e di Korsholm (finnico Korsholman linna) in Ostrobotnia fatti costruire da
Bo Jonsson Grip (di cui poco oltre) il quale fece anche completare quello di Kastelholm
(finnico Kastelholma) nelle Åland. Nel 1475 il nobile danese e reggente di Svezia Erik
Axelsson Tott (ca.1419-1481), che tra il 1457 e il 1481 ebbe in feudo i castelli di Viborg
e Tavastehus, fece iniziare la costruzione della fortezza di Olofsborg (finnico Olavin
linna) nella regione di Savo; essa fu eretta in un territorio che secondo i Russi stava
oltre la linea di confine stabilita nel trattato di Nöteborg.
27
Vd. p. 358.
36
Nel 1542 veniva aperta a Ojamo (nel comune di Lojo in Uusimaa) la prima
miniera di ferro in territorio finlandese (vd. KGFR XIV, 5 settembre 1542, pp. 223-
225). Del 1547 è una lettera di Gustavo Vasa nella quale egli auspicava l’occupazione
e la colonizzazione di nuovi territori in direzione del confine russo (Handlingar till
upplysning af Finlands Häfder, utgifna af A.I. Arwidsson, Andra Delen, Stockholm
1848, nr. 177, 7 febbraio 1547, pp. 256-258).
37
Vd. 8.2.4. In seguito all’introduzione della riforma sarà chiuso (1584) l’impor-
tante convento di Naantali (Nådendal).
38
Vd. p. 531, nota 4. Nel 1478 la ‘repubblica’ di Novgorod aveva dovuto sottomet-
tersi all’autorità di Mosca, perdendo la propria indipendenza. Ma l’interesse per le
regioni finlandesi non venne meno e gli scontri con i Russi continuarono.
39
Cfr. pp. 556-557. Nel 1556 il figlio di Gustavo Vasa, Giovanni, era stato nominato
duca di Finlandia e aveva stabilito la propria residenza a Turku (Åbo). Dopo la morte
del padre egli fu fatto prigioniero (1563) ma una volta divenuto re elevò la Finlandia a
granducato (autonominandosi granduca) e concesse molti privilegi alla nobiltà.
40
Cfr. pp. 557-558.
interesse riflesso anche nella fondazione delle due nuove città: Oulu
(svedese Uleåborg, 1605) e Vaasa (svedese Vasa, 1606). Il figlio e
successore di Carlo, Gustavo II Adolfo, visiterà il Paese in diverse
occasioni (nel 1616 anche incontrando i rappresentanti degli stati
a Helsinki). Del 1617 è il trattato di pace di Stolbova che, ponendo
fine a un nuovo conflitto con la Russia, rafforzava i confini orientali;41
tuttavia non si può certo dire che per gli abitanti esso significasse
la cessazione dei conflitti. Tutt’altro. Arruolati nell’esercito svede-
se in numero superiore rispetto ad altre regioni, i Finlandesi por-
tarono un notevolissimo contributo di uomini alla politica militare
della Corona e inoltre furono attivamente coinvolti nella difesa del
loro Paese da rinnovati attacchi russi. Il XVII secolo, iniziato e
concluso da gravissime carestie determinate da difficili condizioni
climatiche (1601 e 1695-1697), che provocarono la morte per
malattia o per fame di migliaia di persone (la seconda di quasi un
terzo della popolazione), è comunque anche un periodo segnato
da alcuni fatti positivi. Tali sono l’istituzione (1623) della Corte
d’appello di Turku (Åbo),42 l’apertura nella medesima località di
un ginnasio (1630), la creazione dell’Ufficio per il rilevamento
topografico (1633).43
Nel 1637 Per Brahe (1602-1680) diventava governatore della
Finlandia, una carica che avrebbe ricoperto fino al 1640 e poi,
ancora, dal 1648 al 1654.44 La sua amministrazione fu efficiente e
lungimirante: egli istituì, sulla base della scuola della cattedrale,
l’Accademia di Turku (Åbo), dove si insegnava in latino e svedese,
favorì la cultura e l’apertura di scuole, si adoperò per promuovere
lo studio della lingua finnica,45 organizzò l’amministrazione, intro-
41
Vd. pp. 559-560.
42
Una seconda verrà istituita a Vaasa nel 1776.
43
La prima carta geografica della Finlandia è compresa nella grande carta del Nord
realizzata nel 1626 da Andrea Bureus (cfr. p. 669 con nota 621). Successivamente nel
secondo volume (Geographiæ Blavianæ volumen secvndvm) dell’Atlas Maior del car-
tografo olandese Joan Blaeu (1596-1673) fu pubblicata una carta della Finlandia
basata sul lavoro di Bureus.
44
Egli era nipote di Per Brahe il Vecchio (den äldre), a sua volta nipote e consiglie-
re di Gustavo Vasa (vd. p. 470, nota 31 e p. 654 con nota 567), ed è quindi noto come
Per Brahe il giovane (den yngre). Su di lui vd. Petersson E., Vicekungen. En biografi
över Per Brahe den yngre, Stockholm 2009.
45
Si ricordi qui che la prima traduzione della Bibbia in finnico comparve nel 1642
(anno in cui fu anche aperta la prima libreria a Åbo), la seconda nel 1685 (vd. p. 515,
nota 179). Questi testi sono di fondamentale importanza per la lingua finnica. Si
ricordi anche che la legislazione ecclesiastica promulgata nel 1686 (Kyrkio=Lag och
Ordning, vd. p. 569, nota 172) prevedeva che i pastori che operavano in Finlandia
dovessero conoscere la lingua locale.
46
Ma i primi francobolli saranno emessi in Finlandia solo nel 1856. Nel 1890 la decisio-
ne di sottoporre il servizio postale finlandese al controllo del Ministero degli interni russo
costituirà un primo passo nella politica di ‘russificazione’ del Paese: vd. oltre pp. 1366-1367.
47
Esse sono Savonlinna (svedese Nyslott, 1639) e Ristiina (svedese Kristina, 1640)
in Savo, Raahe (svedese Brahestad, “città di Brahe”, 1640) e Kristiinankaupunki (sve-
dese Kristinestad, “città di Cristina”, 1640) in Österbotten; Hämeenlinna (svedese
Tavastehus, 1639) in Häme; Kajaani (svedese Kajana, 1651) in Kainuu (svedese Kajana
land); Hamina (svedese Fredrikshamn, 1653, sorta tuttavia con il nome di Veckelax
Nystad che avrebbe mantenuto fino al 1723; cfr. nota 52) in Kymenlaakso (svedese
Kymmenedalen); Lappeenranta (svedese Villmanstrand, 1640) in Carelia. In quest’ul-
tima regione fu fondata nel 1653 anche Brahea (nei pressi dell’attuale Lieksa) che
tuttavia presto decadde.
48
Vd. pp. 675-682.
49
Per la precisione il termine finnico significa “grande odio”. L’espressione, di non
facile resa in italiano, indica il lungo periodo caratterizzato da disordine, insicurezza
e soprusi determinati dalla presenza delle truppe russe sul territorio finlandese.
50
Vd. pp. 699-700. Il periodo segnato da questa guerra è ricordato in Finlandia
come “piccolo caos” (finnico pikkuviha, svedese lilla ofreden); cfr. nota precedente.
51
L’opera fu realizzata da Augustin Ehrensvärd (1710-1772) militare e architetto.
52
In realtà essa inizialmente aveva avuto nome Degerby, ma nel 1752 esso fu cam-
biato per onorare la regina Luisa (Lovisa) Ulrica, moglie di Adolfo Federico, allo
stesso modo in cui, in precedenza, Veckelax Nystad era stata ribattezzata Fredrikshamn
“porto di Federico”, in onore del re Federico I (cfr. nota 47).
53
Vd. Tarkiainen 2008, pp. 259-261. Il cambiamento è significativo in quanto la
definizione di “Terra a oriente” (Österland) sottolinea chiaramente come il ‘centro di
gravità’ del potere si trovasse in Svezia, rispetto alla quale si indicava semplicemente
la posizione geografica di una colonia, mentre con “Terra dei Finni” (Finland) si rico-
nosceva al territorio una identità specifica.
54
Non si dimentichi che uno dei più eminenti illuministi nordici, Anders Chydenius,
era finlandese (vd. p. 711 con nota 141, p. 750 e p. 776).
55
Vd. p. 709 con nota 132.
56
Sul goticismo si rimanda alle pp. 577-584.
57
A lui si deve, tra l’altro, anche il Tentativo di un dizionario finnico (Suomalaisen
sana-lugun coetus [...] – Fennici lexici tentamen [...] – Finsk orda-boks försök), 1745.
del trattato di pace esso sarà trasformato in quello che fino al 1906
sarà il Granducato di Finlandia (finnico Suomen suuriruhtinaskun-
ta, russo Великое княжество Финляндское). Il ‘traditore’ Georg
Magnus Sprengtporten ne diverrà primo governatore. Tra i con-
siglieri dello zar anche Gustaf Mauritz Armfelt (1757-1814), allie-
vo di Sprengtporten, abilissimo diplomatico, militare e uomo di
corte grazie alla cui mediazione Alessandro I consentirà che i
territori ceduti in seguito ai trattati di pace con la Svezia del 1721
e del 1743 siano nuovamente integrati nel territorio finlandese.63
La gestione del Paese venne in primo luogo affidata a un Senato
(Keisarillinen Suomen Senaatti) con sede a Turku (Åbo) le cui fun
zioni furono regolamentate nel 1816: esso sovrintendeva tanto alle
questioni amministrative quanto a quelle giudiziarie. Ma i funzio-
nari erano di norma russi, così come era russo il governatore gene-
rale che presiedeva le riunioni e doveva sottoporre le decisioni
all’approvazione dello zar.64 Inoltre va considerato che per diversi
decenni il parlamento finlandese non fu più convocato; quando ciò
avvenne (1863) un primo provvedimento fu quello di introdurre il
sistema di amministrazione comunale. In seguito (a partire dal 1869)
questo organismo prese a riunirsi ogni tre anni.
La gran parte del XIX secolo fu dunque, sostanzialmente, un
periodo di relativa tranquillità se si fa eccezione per anni (in parti-
colare il 1867) segnati da carestie. Accanto al potere politico resta-
va quello ecclesiastico che a lungo continuò a fondarsi sulla legi-
slazione in materia emanata nel 168665 con la sola differenza che
dopo il 1809 il capo della Chiesa era lo zar.
76
Questa data è stata scelta come giorno della festa nazionale finlandese.
77
Vd. Paavolainen J., Röd och vit terror. Finlands tragedi, Stockholm 1986.
78
L’attuale costituzione della Repubblica di Finlandia approvata l’11 giugno 1999,
è entrata in vigore il 1 marzo 2000. Versione in lingua finnica Suomen perustuslaki:
http://www.finlex.fi/fi/laki/ajantasa/1999/19990731; versione in lingua svedese: Fin
lands grundlag: http://www.finlex.fi/sv/laki/ajantasa/1999/19990731.
79
Vd. p. 709, nota 136.
80
In quell’anno il parlamento finlandese venne riformato: non più un consesso dei
quattro stati ma un’assemblea unicamerale. In relazione a ciò fu approvata anche una
riforma elettorale. Nelle elezioni dell’anno successivo (che videro una notevole avan-
zata dei socialdemocratici) le prime donne a essere elette furono Lucina Hagman
(1853-1946), Alexandra Gripenberg (1857-1913) e Hilja Pärssinen (1876-1935). Per
le leggi finlandesi relative alla condizione delle donne si rimanda a Blom – Tranberg
1985 (C.12.3).
90
Tuttavia all’interno del Partito comunista finlandese (Suomen Kommunistinen
Puolue) una netta separazione dai filorussi avverrà solo nel 1985.
Oiva Kalevi Ahtisaari (n. 1937), presidente dal 1994 al 2000, per il
suo impegno in favore di una soluzione ai conflitti internazionali
(non da ultimo quello del Kosovo).
Nel secondo dopoguerra la Finlandia si è posta all’attenzione
del mondo anche per l’organizzazione di eventi sportivi di rilevan-
za internazionale come le Olimpiadi di Helsinki del 1952 e i Campio
nati mondiali di atletica del 1983.
Vd. pp. 513-515; p. 515, nota 179 e p. 575 con nota 210 rispettivamente.
92
93
Vd. p. 807 con nota 546. Per la verità in precedenza (1775-1776) l’ecclesiastico
Anders Lizelius (finnico Antti Lizelius, 1708-1795) aveva dato alle stampe un Giornale