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STORIA
PAPERBACK
1 Il riferimento è alle teorie dei russi E.M. Verešcagin e V.G. Kostomarov e a quel-
le dell’americano E.D. Hirsch; vd. Lotman Ju.M., “I due modelli della comunicazione
nel sistema della cultura”, in Lotman Ju.M. – Uspenskij B.A., Tipologia della cultura, a
cura di Faccani R. – Marzaduri M., Milano 2001, pp. 111-113.
buona parte costruito, anche perché a tale studio deve, come detto,
sottostare. In ampia prospettiva vi sono naturalmente inseriti tutti
quegli elementi (archeologici, storici, artistici, economici, politici,
sociali, religiosi e via dicendo) la cui interazione è stata determi-
nante nella formazione e nello sviluppo della cultura scandinava.
Diverse note sono state inserite nel testo con diversi scopi. Innan-
zi tutto note di carattere esplicativo, là dove si è ritenuto che fosse
opportuno un chiarimento; in secondo luogo note contenenti
informazioni aggiuntive importanti per ulteriori indagini ma che,
tuttavia, se inserite nel discorso principale, lo avrebbero senza
dubbio appesantito; in terzo luogo note di rimando ad altri punti
del testo in cui si fa riferimento (magari da una diversa prospettiva)
a un medesimo dato. Fatta eccezione per opere che trattano temi
in questo contesto molto specifici o, al contrario, solo marginali, le
indicazioni bibliografiche vengono date in forma sintetica riman-
dando ai titoli compresi nell’elenco che si trova in fondo al volume;
quando questi titoli sono presenti in una sezione bibliografica
diversa da quella relativa al paragrafo in questione la stessa è stata
indicata tra parentesi.
Ma anche a:
Svalbard
Monia Vezzoni, Viðar Hreinsson, Daniele Volta, Lena Wahlberg,
Gunnel Waxell, Pär-G. Werkelin, Henrik Williams, Anna Wolo-
darski, Bernd Zillich, Eva Zillich, Örn Hrafnkelsson. E anche a
tutto il personale delle Biblioteche universitarie Carolina Rediviva
e Karin Boye di Uppsala, a quello della sala Diamanten della Biblio-
teca Reale di Copenaghen, a quello della Biblioteca della Facoltà
di Giurisprudenza dell’Università di Bergen.
Longyearbyen
KALAALLIT NUNAAT / GRøNLAND
0050.premessa_intro.indd 7
ÍSLAND
SVERIGE
Reykjavík SUOMI
FØrOYar
Tórshavn NORGE
Helsinki
Oslo
Stockholm
Gotland
Öland
DANMARK København
bornholm
15/02/17 10.39
Nella pagina precedente: le regioni scandinave (fig. 1)
La preistoria
1
Al momento della sua massima estensione (circa 18.000 anni a.C.) il perimetro
del ghiaccio lasciava libere a meridione solo le coste sud-occidentali dello Jutland,
scendeva nel territorio dell’odierna Germania seguendo pressappoco l’attuale corso
dell’Elba fin sotto al livello di Berlino, risaliva passando a nord di Varsavia, percorre-
va la zona sopra l’alto corso del Dnepr e infine, a nord di Mosca, puntava decisamen-
te verso le coste prospicienti la penisola di Kola. Anche le attuali isole britanniche,
fatta eccezione per le zone meridionali dell’Irlanda e della Gran Bretagna, erano
completamente ricoperte dai ghiacci.
2
L’andamento climatico non fu tuttavia costante. Un deciso miglioramento è regi-
strato verso il 14.000 a.C., mentre attorno all’11.000 a.C. si produsse un peggioramen-
to tanto brusco quanto, tuttavia, di breve durata (circa 500 anni).
3
Ciò appare possibile, considerati i lunghi periodi interglaciali caratterizzati da
un clima mite che consentiva una ricca presenza di flora e di fauna. In tale senso pare
testimoniare il ritrovamento in Danimarca di tracce antichissime, forse attribuibili a
una presenza umana, che in alcuni casi (Hollerup a est di Randers, nello Jutland, dove
sono state rinvenute ossa di daino che erano state incise per estrarne il midollo: il
21
Dal nome di un sito che si trova nella zona occidentale della Selandia.
22
I siti di maggiore interesse – oltre naturalmente a quello di Kongemose – si tro-
vano a Villingebæk e Månedalen sempre in Selandia e, per la Svezia, a Segebro (cfr.
nota 11), Häljarp, Tågerup e Ageröd (cfr. nota 17), tutti nella regione della Scania.
23
Vd. a esempio l’ascia rinvenuta nella palude di Jordløse (Selandia) su cui è rap-
presentata una figura, forse di donna, e quella di Værebro (sempre in Selandia) sulla
quale sono incisi motivi geometrici.
24
Dal nome di un’isola nell’arcipelago di Kristiansund sulla costa norvegese (Møre
e Romsdal).
25
Nome dovuto ai primi ritrovamenti effettuati nel 1925 nella zona della montagna
detta Komsafjellet (regione di Alta, Finnmark). Sulle coste di questa regione non si
trova la selce (che altrove è materiale caratteristico con cui sono realizzati molti reper-
ti): qui venivano dunque utilizzati soprattutto quarzo e quarzite. La denominazione
‘cultura di Komsa’ è stata in seguito messa in discussione e attualmente diversi archeo-
logi preferiscono usare l’espressione più generica “età della pietra più antica” (eldre
steinalder); ciò soprattutto per il fatto che l’area su cui si estende questa cultura è
molto vasta, seppure essa presenti forti tratti di omogeneità.
essere annoverate quelle delle regioni norvegesi da Trøndelag verso nord che secondo
alcuni sarebbero da datare tra il 7900 e il 6500 a.C. (Lillehammer 1994 [B.2], p. 51).
39
Vd. Raudonikas W.J., Les gravures rupestres des bord du lac Onega et de la Mer
Blanche, I-II, Leningrad 1936-1938. Cfr. nota 32.
40
Folke Ström richiama a questo proposito taluni riti sami legati alla caccia all’orso
ancora ben documentati in epoca storica (Ström 1967 [B.7.1], p. 10). Del resto al
culto dell’orso si legano anche, verosimilmente, immagini incise sul pannello di
Bergbukten I (Jiepmaluokta, cfr. nota 33). Vd. Helskog K., “Björnejakt och ritualer
for 6200-3700 år siden”, in Ottar, CLVI (1985), pp. 7-11 e Helskog 1988. Vd. anche
pp. 1389-1390.
41
In genere si possono considerare offerte votive gli oggetti ritrovati in più di un
esemplare, in alcuni casi in gran quantità (quando non si tratti di materiale depositato
in attesa di essere riutilizzato), soprattutto se essi appaiono disposti in modo simboli-
co come, a esempio, cerchio, semicerchio o triangolo o, particolarmente per le asce o
i pugnali, con la parte offensiva rivolta in una determinata direzione.
42
Quali, a esempio, talune mazze a forma di croce con quattro punte, non di rado
geometricamente decorate, ritrovate in Norvegia (Lillehammer 1994 [B.2], p. 46).
43
Si vedano le tombe di Korsør Nor in Selandia, di Bäckaskog e Tågerup in Scania,
di Stora Bjers e Kambs, entrambe sull’isola di Gotland (Burenhult 1999-2000 [B.2],
I, p. 232). I morti sono seduti in posizione raccolta, quasi rannicchiata (hocker). A
Bäckaskog nella tomba di una donna erano stati deposti una fiocina e un coltello per
scuoiare. In Norvegia le tombe più antiche (risalenti al settimo millennio a.C.) sono
quelle di Bleivik (presso Haugesund) e di Vistehola nel distretto di Jæren, entrambe
dunque nella zona sud-occidentale.
44
La loro comparsa è forse da mettere in connessione con un aumento demografi-
co, collocato da S.J. Mithen (Mithen 1994, pp. 123-125) attorno al 4500 a.C. In
Burenhult 1999-2000 (B.2) I, pp. 230-241, la cronologia è retrodatata di almeno 750
anni. Qui inoltre (p. 240) si rilevano le ragioni fondamentali della comparsa dei cimi-
teri, segno innegabile di un legame con il territorio.
45
Vd. Albrethsen – Brinch Petersen 1975; Larsson L., Ett fångstsamhälle för 7.000
år sedan. Boplatser och gravar i Skateholm, Malmö 1988 e, del medesimo autore, “Grav
eller dödshus?”, in PA VI: 4 (1988), pp. 7-9. In un caso è utilizzato anche un dente
umano. Qui si può forse far riferimento alla tomba danese di Dyrholmen nello Jutland
orientale dove ossa umane incise e spezzate per estrarne il midollo costituiscono il
possibile indizio di una forma di cannibalismo; vd. Degerbøl M., “Et knoglemateria-
le fra Dyrholm-bopladsen, en ældre stenalder-køkkenmødding. Med særligt henblik
paa uroksens køns-dimorphisme og paa kannibalisme i Danmark”, in Mathiassen Th.
– Degerbøl M. et al., Dyrholmen, en stenalderboplads paa Djursland, København, 1942,
pp. 105-128 e Mithen 1994, pp. 123-125. Questa pratica pare testimoniata anche in
sepolture di epoca più tarda: nel tumulo che ricopriva la magnifica tomba di Håga
(regione svedese dell’Uppland) risalente alla fase iniziale dell’età del bronzo recente
(1100-900 a.C.) sono stati ritrovati resti di animali e di esseri umani, verosimilmente
sacrificati e, presumibilmente, consumati in un banchetto in onore del defunto, per-
sona certamente assai eminente come mostra il ricco corredo funebre ritrovato; vd.
Almgren 1905 (vd. nota 171), p. 36 e pp. 44-45 in particolare. Cfr. p. 32 con nota 71.
46
Caso unico nel suo genere (almeno allo stato attuale dei reperti disponibili) è
quello di una donna dall’apparente età di circa cinquanta anni alla quale è riservato il
medesimo onore. Differenze nella disposizione dei corpi sottolineano del resto diffe-
renze sociali.
47
Il più antico è quello che va sotto la denominazione di Skateholm II: qui le prime
sepolture sono datate attorno al 5250 a.C.
48
Ma si veda anche la tomba di un cane a Gøngehusvej (Vedbæk, Selandia). La
presenza di cani nelle tombe si constaterà anche in epoca vichinga; essa testimonia
anche il legame di questo animale con il Regno dei morti, legame del resto simboleggiato
dal cane Garmr che, secondo il mito, fa la guardia davanti al cancello di Hel, custode
dell’aldilà (Chiesa Isnardi 20084 [B.7.1], pp. 570-571).
53
Questo tipo di ceramica prende nome dalla decorazione a strisce variamente
disposte.
54
La prima fase della diffusione dell’agricoltura nelle regioni scandinave copre
un lungo arco di tempo che va all’incirca dal 4000 al 2800 a.C. (Lillehammer 1994,
p. 59, cfr. Burenhult 1999-2000, I, p. 275 e Magnus – Myhre 1986, pp. 62-66, tutti
in B.2).
55
Le rilevazioni archeologiche hanno mostrato inequivocabilmente che attorno al
3000 a.C. la pratica agricola sembra scomparsa tanto dalle coste della Norvegia quan-
to da gran parte della Svezia meridionale (esclusa la zona sud-occidentale del Paese e
le isole di Öland e Gotland), dove invece risultava esercitata cinquecento anni prima.
Qui si evidenzia ora una società che basa il proprio sostentamento sulla caccia, la pesca
(sia di mare sia d’acqua dolce) e nell’ambito della quale si collocano i manufatti della
cosiddetta ‘ceramica a fossette’ (la cui decorazione è ottenuta producendo sui manu-
fatti piccole cavità; cfr. nota 72). La sola regione danese parrebbe esente da questo
regresso (vd. Lillehammer 1994 [B.2], p. 59).
56
In particolare alla Polonia meridionale, alla Boemia, al Mecklemburgo e ai Paesi
Bassi.
57
Tracce precedenti (almeno dell’uso della ruota) sono tuttavia riconoscibili in
Danimarca (vd. Jensen 2001-2004 [B.2], I, p. 318). I primi ritrovamenti di ruote in
Danimarca sono stati fatti a Kideris e Bjerregårde, entrambi presso Herning nello
Jutland centrale (III millennio a.C.). Sull’aratura preistorica vd. Glob 1951.
58
Con ciò si va a evidenziare un legame più stretto con un determinato territorio,
nelle cui risorse trova sostentamento un numero cospicuo di persone; vd. la discus-
sione (e i riferimenti) su questo punto in Burenhult 1999-2000 (B.2), I, p. 287. Qui
si fa notare come zone meno densamente popolate siano caratterizzate da un diver-
so tipo di sepoltura a livello del terreno, rappresentato in Danimarca (Jutland
occidentale e, in parte, centrale) dalle cosiddette stendyngegrave, vale a dire “sepol-
ture con un cumuli di pietre”. Va tuttavia notato che queste ultime non contengono
resti umani, il che può dipendere dalla natura chimica del terreno in cui si trovano,
ma più probabilmente dal loro uso temporaneo nel quadro di complessi rituali
funerari (cfr. sotto, nota 68); esse si collocano in un periodo un po’ più tardo rispet-
to alle tombe megalitiche (Brøndsted 1957-1960² [B.2], I, pp. 313-317; Jensen
2001-2004 [B.2], pp. 398-402).
59
Nel sito di Barkær nello Jutland orientale (e in quello, analogo, di Stengade, in
Langeland) i resti di costruzioni un tempo considerate di tipo abitativo si sono poi
rivelati appartenere a lunghe camere mortuarie (vd. Glob P.V., “De dødes lange huse”,
in Skalk, 1975: 6, pp. 10-14).
60
Si veda la tomba rinvenuta nella località di Skjeltorp nella regione di Østfold,
ricostruita – almeno in parte – nel 1944; vd. Østmo E., “Megalittgraven på Skjeltorp i
63
A esempio il sito di Sarup nella Fionia sud-occidentale; vd. Andersen N.H., “Sarup.
Befæstede neolitiske anlæg og deres baggrund”, in Kuml, 1980, pp. 63-103 e Jensen
2001-2004 (B.2), I, pp. 384-392. Si veda tuttavia anche il sito svedese di Dösjebro (vd.
Andersson M. – Svensson M., “Palissadkomplexet i Dösjebro”, in Burenhult 1999-2000
[B.2], I, pp. 306-309).
64
Mentre nelle società di cacciatori e raccoglitori un’equa suddivisione dei compi-
ti determina comunemente una sostanziale parità fra i sessi, l’organizzazione della
società contadina spinge la donna in una posizione d’inferiorità (vd. Reeves-Sanday
P., Female Power and Male Dominance. The Origins of Sexual Inequality, Cambridge
1981 e anche Price D.T. – Feinman G.M. [eds.], Foundations of social inequality, New
York 1995).
65
Vd. oltre, 1.3.3.
66
Basti pensare a quanto lo storico latino Tacito ancora scriveva nella sua Germania
(cap. 12), un’opera la cui composizione si situa nel 98 d.C. (vd. p. 71, nota 33; cfr. p. 182
con nota 318). Ancora nella letteratura scandinava medievale le paludi appaiono come
luoghi nei quali venivano eseguite condanne a morte mediante affogamento; un elemen-
to, questo, che rivela il collegamento dell’aspetto sacrificale con quello giuridico (per le
fonti letterarie scandinave medievali vd. Chiesa Isnardi 20084 [B.7.1], p. 490 e p. 497,
note 160 e 163). In generale il culto legato a particolari luoghi naturali (boschi, pietre,
fonti, paludi) doveva essere ancora vitale in epoca medievale, come si rileva da precisi
divieti in tal senso introdotti dalle leggi cristiane. Vd. a esempio nella Legge dell’Uppland
(Upplandslagen), sezione relativa alle leggi ecclesiastiche (Kyrkobalken) del 1350 circa,
il preciso divieto di “sacrificare agli dèi pagani e credere nei boschi e nelle pietre” (pp.
11-12: Ængin skal affguþum blotæ ok ængin a lundi ællr stenæ troæ). Il culto delle fonti
fu in gran parte assorbito in rituali cristiani e mancano divieti specifici (fatta eccezione
per le Leggi di Canuto il Grande, riferimento a p. 313 di tale testo); tuttavia è da ritenere
che tale senso avessero in ogni caso i divieti relativi alle pratiche pagane (vd. Arwidsson
G., “Källa”, in KHLNM X [1965], coll. 53-57).
67
Un valore particolare pare da attribuire alla falce. Sarà tuttavia certamente l’ascia
(che apparirà in seguito come simbolo del dio del tuono) a rivestire per secoli un
grande valore simbolico, seppure varino le forme con le quali essa viene rappresenta-
ta; vd. Ström 1967 (B.7.1), p. 14.
68
Testimonianza di riti legati al potere magico-religioso del defunto in relazione alla
sua stirpe e al suo territorio, potrebbero forse essere le cosiddette ‘case dei morti’ (di cui
tuttavia – almeno fino a ora – è noto in area scandinava il solo esempio di Tustrup, in
Djursland, Danimarca); qui i morti erano collocati fino a che il processo di decomposi-
zione non restituiva che lo scheletro, il quale era poi inumato in tombe vere e proprie.
Per esempi più tardi di questa consuetudine vd. Jensen 2001-2004 (B.2), II, pp. 386-388.
della ‘ceramica a fossette’, dal che si potrebbero dedurre (lasciandosi tentare da una
conclusione) rapporti di carattere bellicoso con altri gruppi. E tuttavia altri indizi
testimonierebbero di una coesistenza piuttosto pacifica. Nell’ambito della ‘ceramica
a fossette’ sono molto interessanti i ritrovamenti di ricche sepolture, particolarmen-
te numerose nell’isola di Gotland (dove tra l’altro sono stati rinvenuti richiami per
uccelli, probabilmente i primi strumenti musicali conosciuti nel Nord); così come
quelli che paiono i resti di una grande palizzata che proteggeva un’area destinata fra
l’altro anche a un uso cultuale e che si trovano ad Alvastra (nella regione svedese
dell’Östergötland): vd. Browall H., Alvastra pålbyggnad. Social och ekonomisk bas,
Stockholm 1986.
73
Gli uomini vengono collocati sul lato destro e ‘orientati’ da ovest a verso est, le
donne, collocate sul lato sinistro, sono ‘orientate’ da est verso ovest.
74
La decorazione dei manufatti era ottenuta applicando una cordicella sul mate-
riale ceramico ancora fresco.
75
La precisa determinazione cronologica dell’introduzione (e della diffusione)
del cavallo domestico in Scandinavia resta un problema di difficile soluzione. La
prima raffigurazione di questo animale nel Nord è probabilmente quella che trovia-
mo incisa sulla pietra di Järrestad (nr. 4) nella regione svedese della Scania. Questa
raffigurazione risale all’età del bronzo più recente e corrisponde al ritrovamento di
tutta una serie di finimenti in bronzo, non di rado di accurata fattura, risalenti al
medesimo periodo e ritrovati in numero rilevante (e verosimilmente legati all’utiliz-
zo di cavalli e carri in contesti rituali; vd. p. 45). All’età della pietra più recente
risale un reperto di grande interesse: nel fango del corso d’acqua detto Ulltorpsån
in Scania è stato ritrovato il cranio di un cavallo nel quale era conficcato con molta
forza un pugnale di selce: ricordo della morte sacrificale di un animale che rivestiva
particolare importanza dal punto di vista sociale, cultuale e religioso? Vd. Andersson
1901, pp. 82-84.
ricordo di questi eventi remoti nel mito della guerra fra le famiglie
divine degli Asi e dei Vani, riferito soprattutto dal celebre letterato
e mitografo islandese Snorri Sturluson.79 Negli ultimi decenni del
secolo scorso tuttavia, quest’ipotesi è stata messa in discussione da
più parti.80
In ogni caso: le tombe singole possono ragionevolmente essere
considerate come espressione di una visione di vita individualistica,
in forte contrasto con il collettivismo attribuito agli uomini della
civiltà megalitica. Si tratta di semplici sepolture, collocate in posi
zione dominante, spesso prospicienti il mare, in alcuni casi (specie
in Danimarca) lungo vie di comunicazione. Talora segnalate da un
basso tumulo, contengono di solito i resti di un’unica salma:81 il
morto vi era inumato all’interno di una bara di legno, in posizione
rannicchiata, gli uomini sono spesso provvisti di un’ascia da com
battimento collocata accanto al capo. Nei sepolcri sono stati ritro-
vati molti ornamenti, per le donne gioielli d’ambra (ma anche
d’osso), utensili da lavoro e vasi d’argilla. Un cambiamento radica-
le negli usi funerari che corrisponderebbe dunque a una diversa
visione di vita che viene incuneandosi nella società. La questione
se ci si trovi di fronte a una innovazione introdotta in seguito a una
vera e propria invasione dall’esterno o piuttosto a un cambiamen-
to legato a fattori interni combinati con la penetrazione graduale e
non violenta di nuovi venuti resta aperta, ed è uno dei problemi
più discussi relativi al neolitico in Europa. Certo è che di nuovo
assistiamo a una fase cruciale nella storia culturale della Scandina-
via, destinata a lasciare un’impronta decisiva che permarrà nel
corso dei millenni successivi. Due concezioni di vita, collettiva e
individualistica, coesisteranno per lungo tempo: la seconda, che
pare esprimersi nelle nuove istanze culturali, si svilupperà a fianco
– e assai spesso in contrasto – con l’ideale di una società aggregata
Questo anche – e soprattutto – perché l’eco del culto meridionale della Grande Madre,
certamente testimoniato in Scandinavia nell’età del bronzo, pare giustificarlo in modo
più soddisfacente e, al contempo, più semplice. Anche più recentemente tuttavia si è
voluta riproporre l’idea che la cultura delle tombe megalitiche (in particolare quella
che costruiva le jættestuer, cfr. nota 62) conoscesse una struttura sociale nella quale le
donne avevano una posizione di predominio (Glob 1971 [B.2], pp. 99-100).
79
Vd. i testi riportati alle pp. 37-38. Su Snorri Sturluson vd. p. 287, nota 13.
80
Una valutazione assai equilibrata su questa questione si trova in Lillehammer
1994 (B.2), pp. 80-81.
81
Ci sono tuttavia anche sepolture che contengono due scheletri. Di particolare
interesse è la tomba rinvenuta presso Bergsvägen a Linköping (Svezia); in essa si tro-
vavano i resti di un uomo, di una donna e di un cane accanto ai quali erano stati col-
locati ricchi doni funebri: asce, vasi d’argilla, pugnali, una lesina, anelli di corno e un
ago da cucito in osso.
Asi avessero barato nello scambio degli ostaggi. Perciò presero Mímir, lo
decapitarono e mandarono la testa agli Asi. Odino prese la testa e la spalmò
con erbe in modo che non putrefacesse, cantò su di essa degli incantesimi e
le diede potere magico tale che essa parlava con lui e gli rivelava molte cose
nascoste. Odino stabilì Njo˛ rðr e Freyr sacerdoti sacrificatori ed essi furono
díar85 con gli Asi. La figlia di Njo˛ rðr era Freyja. Ella fu sacerdotessa sacrifi-
catrice. Per prima insegnò agli Asi la magia che era comune fra i Vani.
Quando Njo˛ rðr era tra i Vani egli aveva posseduto sua sorella, poiché tale
era la legge laggiù. Loro figli furono Freyr e Freyja. Ma fra gli Asi era proi-
bito il matrimonio tra parenti così stretti.”86
“[…] gli dèi [i.e. gli Asi] ebbero un conflitto con il popolo che si chiama
dei Vani. Ma essi indissero un convegno di pace, stabilirono la tregua in
questo modo che entrambi si recarono a un recipiente e vi sputarono la
propria saliva. Ma al momento di separarsi gli dèi presero quel segno di pace
e non vollero che perisse, e ne crearono un uomo; questi si chiamava Kvasir;
è così saggio che nessuno [può] domandargli qualcosa di cui non conosca la
risposta.”87
91
Va tuttavia ricordato che in due siti l’uno danese (Gallemose nello Jutland orien-
tale, cfr. sotto, nota 100), l’altro svedese (Pile in Scania) sono stati ritrovati manufatti
in bronzo di probabile produzione indigena che farebbero risalire i primi tentativi di
lavorazione del metallo nel Nord al 2000 a.C. circa; la qualità degli oggetti rinvenuti
risulta in ogni caso inferiore a quella dei prodotti d’importazione.
92
Si veda, tra gli altri, il ritrovamento norvegese di Tjølling (nella regione di Vestfold)
dove sono state rinvenute dieci falci di selce collocate insieme in una combinazione
certamente non casuale, probabile offerta votiva a una divinità della fecondità.
93
Dal nome di un sito che si trova nei pressi di Praga. La cultura di Únêtice copri-
va una vasta area tra l’attuale Repubblica Ceca (Boemia, Moravia), la Slovacchia, la
Polonia, la Germania.
94
La lavorazione del metallo era per altro praticata anche nei territori centrali
danubiani e a occidente nelle regioni atlantiche, essa però attorno al 2000 a.C. conob-
be una straordinaria espansione nell’area della cultura di Únêtice.
95
Queste tombe sono presenti soprattutto in Svezia (dove sono dette hällkistor)
nelle regioni di Götaland, Värmland e Närke.
96
Vd. al riguardo la discussione in Burenhult 1999-2000 (B.2), I, pp. 385-388.
97
Si veda in particolare il sito di Fosie, un complesso di una settantina di costru-
zioni di notevoli dimensioni (tra 13.5 e 17.5 mt. di lunghezza per una larghezza di
circa 6 mt.) le cui fondamenta sono venute alla luce nel 1979 presso Malmö, nella
regione svedese della Scania. In territorio norvegese gli insediamenti sono molto più
rari. Sul sito di Fosie nel corso dei secoli vd. Björhem N. – Säfvestad U., Fosie IV. Bygg
nadstradition och bosättningsmönster under senneolitikum, Malmö 1989 e dei medesi-
mi autori, Fosie IV. Bebyggelsen under brons- och järnålder, Malmö 1993.
98
Al riguardo si fa ancora riferimento alla cronologia proposta dal celebre archeo-
logo svedese Oscar Montelius (Montelius 1986 [B.2]) che prevedeva tre periodi di
due secoli ciascuno per l’età del bronzo antica (äldre bronsålder: 1700-1100 a.C.) e tre
periodi di due secoli ciascuno per l’età del bronzo recente (yngre bronsålder: 1100-500
a.C.).
99
Gli oggetti in bronzo risultano diffusi, seppure in numero minore, anche nelle
zone più settentrionali dove l’economia restava basata sulla caccia e sulla pesca. Si
parla in proposito di una ‘età del bronzo artica’ (Lillehammer 1994 [B.2], p. 105).
dide asce (1700 a.C. circa).100 Ancora nell’età del bronzo più recente
il numero di oggetti di metallo che si ritrova negli insediamenti risul-
terà insignificante, a paragone della quantità e della ricchezza di
quelli recuperati dalle tombe o dai luoghi di culto, a dimostrazione
del fatto che tali manufatti rivestivano una funzione particolare, piut-
tosto che essere comunemente utilizzati nell’attività quotidiana.
I reperti presentano una grande varietà e non di rado accurata
decorazione.101 I siti relativi a questi ritrovamenti sono tombe,
luoghi di culto (spesso paludi o torbiere che conservano la carat-
teristica di spazi cerimoniali),102 ma anche – nel centro-sud della
Scandinavia – grossi depositi, secondo un uso che risulta ben
testimoniato fin dall’ultima fase dell’età della pietra.103 Nel periodo
più antico troviamo asce (di dimensioni massicce e dalla lama tipi-
camente incurvata), spade (in buona parte chiaramente prodotti
d’importazione: un’arma ‘nuova’ nella quale la forma dell’impu-
gnatura suggerisce almeno inizialmente un uso più simile a quello
di un pugnale che non di una spada vera e propria), punte di lancia,
persino scimitarre.104 E poi oggetti d’uso personale come tutuli,105
100
In Danimarca un sito interessante da questo punto di vista è quello di Gallemo-
se (Jutland orientale) dove sono stati rinvenuti oggetti votivi quali asce, grandi anelli
(bracciali?) e la parte metallica del giogo di un carro. Si vedano anche i siti svedesi di
Fjälkinge e Pile, entrambi in Scania e quello danese di Torsted nello Jutland occiden-
tale. Cfr. sopra, nota 91.
101
Inizialmente motivi geometrici, spirali, poi motivi a stella (con un numero varia-
bile di raggi) e ondulati.
102
In diversi casi pare lecito ritenere che questi oggetti costituissero una sorta di
‘tesoro del tempio’: si considerino, a esempio, i reperti di Vestby nella regione norve-
gese di Hadeland a nord di Oslo, fra cui si distinguono due arieti di bronzo ottima-
mente lavorati. Vd. Bjørn A., “Vestby-fundet. Et yngre bronsealders votivfund fra
Hadeland”, in UOS II (1929), pp. 35-73, dove questo ritrovamento è tra l’altro messo
in relazione con quelli del sito di Härnevi (Uppland) in Svezia.
103
Vd. a esempio le venti punte di lancia e la falce in bronzo rinvenute nel sito
norvegese di Svenes (comune di Nord-Aurdal, in Oppland), il più ricco dell’età del
bronzo antica in questo Paese. In Svezia sono particolarmente interessanti i siti di
Fröslunda (presso le rive meridionali del lago Vänern), e di Hassle (Närke).
104
Si vedano i reperti di Rørby (Selandia), Norrö (Östergötland) e Södra Åby
(Scania). Sulla lama della sciabola di Rørby è stilizzata una nave con il suo equipaggio.
Qui ci troviamo di fronte a un simbolo religioso che ricorda da vicino le analoghe
raffigurazioni delle incisioni rupestri (su cui vd. il paragrafo successivo).
105
Tutulus (pl. tutuli) è il nome che viene dato a oggetti usati sia dagli uomini sia
dalle donne come ornamento per il vestiario. Essi presentano varietà nelle forme e
nelle dimensioni (anche in relazione all’epoca alla quale risalgono). Si tratta in sostan-
za di placche di bronzo di forma tonda con la parte centrale sporgente, fornite sul retro
di un occhiello o di una barretta per fissarle alla cintura. Sono senza dubbio oggetti
dalla funzione esclusivamente decorativa, che presentano in molti casi una accurata
lavorazione.
nota 132), dove tuttavia la figura femminile (la dèa della fertilità medesima?) è in
ginocchio e porta una gonna corta che pare fatta di cordicelle: un capo di vestiario
(utilizzato in contesti cerimoniali?) che ritorna anche in altri casi (vd. a esempio i
reperti di Grevensvænge, cfr. nota 115) e che risulta molto simile a quello indossato
dalla giovane donna sepolta nella tomba di Egtved (vd. oltre, nota 168). Statuette di
donna realizzate in creta e risalenti già al neolitico sono assai comuni nelle zone dei
Balcani e nelle regioni danubiane, ma non compaiono in Scandinavia, se si fa eccezio-
ne per alcuni esempi nelle isole Åland, come una statuetta rinvenuta a Jettböle che
rappresenta una figura col viso piatto, il naso prominente e gli occhi ben marcati, il
corpo solo abbozzato e senza arti, segnata da una serie di punti che potrebbero indi-
care i capelli, le vesti o, forse, dei tatuaggi.
120
I ritrovamenti (soprattutto in Danimarca) di trecce di capelli (vd. a esempio le
sette trecce di sicuro carattere votivo rinvenute nella palude di Sterbygård, presso
Hobro, Jutland settentrionale) sono da riferire verosimilmente al culto di questa dèa
e vanno probabilmente messi in connessione con il taglio rituale della chioma delle
donne (Brøndsted 1957-1960² [B.2], II, pp. 277-278). Anche pettini finemente lavo-
rati (a esempio quello rinvenuto in Danimarca a Vrønding, Jutland orientale, sul
quale sono riprodotti due cerchi/ruote solari) possono essere ricondotti a questo
contesto. D’altronde alcuni oggetti di bronzo di questo periodo sono decorati con teste
di donna che presentano particolari acconciature (vd. il coltello di Javngyde, Jutland
orientale e lo spillone di Horne, Fionia; cfr. l’acconciatura mortuaria della donna di
Skrydstrup, vd. nota 168). Si consideri infine che nelle incisioni rupestri le donne sono
caratterizzate dalla lunga chioma.
121
Il riferimento è soprattutto all’Egitto, alla Grecia, all’Anatolia, alla Siria, alla
Mesopotamia.
122
Vd. Jensen J., Nordens guld. En bog om oldtidens rav, mennesker og myter, Køben
havn 1982.
123
Vd. sopra, pp. 21-23. D’altronde fin dall’epoca dei monumenti funerari mega-
litici sulle pietre che fungono da copertura si trovano incisi diversi simboli (croci
all’interno di una circonferenza, cavità coppelliformi, navi), un uso che si protrae nel
tempo e che si esprimerà in epoca più tarda da una parte nell’uso di innalzare per il
defunto lapidi con incisioni runiche, dall’altra nelle raffigurazioni delle celebri pietre
dell’isola di Gotland (Nissen Fett 1942 [B.7.1], p. 13; vd. oltre, p. 86 e pp. 92-93
rispettivamente).
124
Va qui precisato che a questo punto del discorso il riferimento è alle incisioni
rupestri riferibili alla società agraria, risalenti all’età del bronzo con qualche ‘sforamen-
to’ nella primissima fase dell’età del ferro: esse vengono tradizionalmente distinte da
quelle attribuibili a una società di cacciatori e pescatori. La distinzione corrisponde
anche, grossolanamente, a una suddivisione per aree geografiche: nelle zone più set-
tentrionali troviamo per lo più incisioni relative ad animali selvatici e alla caccia,
mentre in quelle meridionali incisioni legate a una società di carattere prevalentemen-
te agrario. Vd. Moberg C-A., “Vilka hällristningar är från bronsåldern?”, in Tor, III
(1957), pp. 49-64 e Hagen A., “De to slags helleristninger”, in BVBIB, pp. 129-144.
130
Basti osservare, fra i tanti, il sito norvegese di Revheim (presso Stavanger)
dove il disco del sole costituisce il punto di riferimento ‘centrale’ rispetto a tutta
una serie di figure (orme di piedi, cavità coppelliformi, navi). D’altronde le raffi-
gurazioni (per quanto in molti casi stilizzate) di un culto solare sono assai frequen-
ti: si prenda a esempio la scena rappresentata su una parete di roccia a Bergby
(Borge, Østfold, Norvegia), dove si distinguono chiaramente almeno due figure in
atteggiamento adorante rivolte verso il disco solare; vd. Almgren 1926-1927, pp.
86-102.
131
Se ne vedano ottimi esempi nelle incisioni svedesi di Hjulatorp (Småland), di
Godegård nella regione di Västergötland e di Högsbyn (in Dalsland), in quelle norve-
gesi di Randaberg (nel distretto di Jæren) e di Selbu (Trøndelag meridionale), in
quelle danesi di Godensgård (Jutland settentrionale) e Lille Havelse (Selandia setten-
trionale); vd. Almgren 1926-1927, pp. 212-218.
132
Si veda in territorio svedese l’ottimo esempio di Bro (Tanum, Bohuslän) dove
sono rappresentati due uomini che con le mani alzate sorreggono un’imbarcazione
a sua volta occupata da altri uomini nell’atteggiamento di invocare la divinità.
Questa incisione (e altre simili, a esempio quella di Heden, Kville, Bohuslän)
richiama in modo palese l’uso di piccole navi votive: in tal senso testimonia l’im-
portante (e tuttavia più tardo) ritrovamento a Torshøj (presso Nors nello Jutland
settentrionale) di un centinaio di piccole imbarcazioni realizzate in bronzo e lami-
na d’oro. Anche le statuette di bronzo rinvenute a Grevensvænge (cfr. nota 115)
così come quelle di Fårdal (Jutland centrale, cfr. nota 116 e nota 119), dovettero
decorare navi votive, come mostra una ricostruzione effettuata a cura del Museo di
Malmö (Malmö Museer).
133
Gesto certamente di carattere rituale. Cfr. fra l’altro i reperti di Grevensvænge
(vd. nota 115) e anche le raffigurazioni sul rasoio di Vestrup (vd. nota 128).
134
Tra le armi raffigurate è piuttosto raro lo scudo; cfr. nota 127.
135
Un’attività frequente per gli agricoltori dell’età del bronzo che – come mostrano
alcune raffigurazioni che si trovano nella zona di Tanum (Bohuslän, Svezia) – veniva
certamente consacrata con precisi rituali. A Litsleby si riconosce un uomo intento ad
arare: nella mano tiene un ramoscello (o un piccolo albero), il suo organo maschile è
chiaramente raffigurato in posizione eretta. Del resto l’atto medesimo dell’aratura
155
Vd. soprattutto le incisioni di Gisslegärde (Bottna), di Ryland (Tanum), di Lyse
(Lyse) e anche di Vitlycke (Tanum), tutte in Bohuslän.
156
Almgren 1926-1927, pp. 23-85.
157
In questo senso sono certamente da interpretare raffigurazioni come quella della
nave di Bjørnstad (Skjeberg, Østfold, Norvegia) sulla quale oltre a un equipaggio di
quarantotto persone e a due figure minori, si vedono a prua e a poppa due individui
di dimensioni più grandi e due più piccoli che sollevano in alto un’ascia; quella della
nave di Aspberget (Tanum, Bohuslän) sulla quale sono chiaramente distinguibili dei
suonatori di lur o quella della nave di Sottorp (Tanum, Bohuslän) sopra la quale vi
sono figure che brandiscono un’ascia e volteggia un acrobata. Sono rari, al contrario,
i casi in cui le incisioni paiono semplicemente voler rappresentare momenti di vita
quotidiana: un esempio è certamente la scena raffigurata su una parete di roccia a
Dysjaland (comune di Sola nel distretto norvegese di Jæren), dove si vede un pastore
con il suo cane che fa la guardia a un piccolo gregge.
158
Vd. la raffigurazione schematica di questo ciclo come proposta in Jensen 2001-
2004 (B.2), II, p. 486.
159
Almgren 1926-1927, pp. 138-140.
168
Di rilevante interesse sono le tombe danesi di Skrydstrup ed Egtved (nella zona
centro-meridionale dello Jutland) e di Borum Eshøj (Jutland orientale). Nei primi due
tumuli sono sepolte due giovani donne, nel terzo sono state ritrovate tre bare che
contenevano rispettivamente un uomo anziano, uno giovane e una donna anziana. La
donna di Egtved, d’età compresa fra i diciotto e i venticinque anni, dai capelli biondo
chiaro tagliati corti, indossa una casacca corta e una gonna fatta di cordicelle, inoltre
porta una cintura intrecciata fermata da un tutulus, due braccialetti di bronzo (uno
per braccio) e un orecchino. All’interno della tomba è stato ritrovato anche un conte-
nitore di corteccia di betulla con tracce di una bevanda alcolica (probabilmente una
sorta di birra dolcificata con miele). Un fiore (Achillea millefolium) rinvenuto nella
bara indica che la sepoltura (che viene fatta risalire al periodo attorno al 1370 a.C.)
avvenne in estate. Nella tomba si trovano anche i resti cremati di un bambino dell’ap-
parente età di otto o nove anni. Molto giovane (e in parte mummificata) è anche la
donna sepolta a Skrydstrup, dai capelli accuratamente acconciati, con un paio di
grandi orecchini d’oro e indosso una casacca e una grande gonna. I reperti si sono
mantenuti in buono stato grazie alle massicce bare di legno di quercia protette da
imponenti tumuli di torba. A esempio nelle tombe di due uomini eminenti (Muldbjerg,
Jutland centro-occidentale e Trindhøj, Jutland meridionale) sono assai ben conserva-
ti gli abiti indossati dai defunti: un berretto di forma tonda, un camiciotto di lana e un
mantello. In Norvegia (dove la sepoltura sotto tumuli compare in particolare nelle aree
sud-occidentali di Vest-Agder e Sunnhordland) riveste grande importanza la tomba
della ‘donna di Rege’ (nel distretto di Jæren). Qui la defunta è deposta in una camera
di pietra e indossa ricchi ornamenti di bronzo. Certamente in queste tombe il corredo
funebre è collegato alla posizione sociale del morto, il che spiega anche la presenza di
oggetti particolari come a esempio lo sgabello pieghevole di legno di frassino, con resti
del sedile in pelle di lontra (simbolo della ‘superiorità’ del defunto rispetto ad altre
persone assise nel medesimo consesso) rinvenuto nel tumulo danese di Guldhøj (Jut-
land meridionale). Vd. Thomsen Th., Egekistefundet fra Egtved fra den ældre bronzealder,
København 1929; Broholm H.Chr. – Hald M., Skrydstrupsfundet. En sønderjydsk
kvindegrav fra den ældre bronzealder, København 1939; Broholm 1943-1949 (B.2), I,
pp. 89-91, p. 99, pp. 106-107, pp. 112-113, p. 120 ed Egenæs Lund H., “En eldre
bronsealders ornert gravhelle fra Rege i Håland på Jæren”, in Stavanger Museums
Årshefte (1933-1934), pp. 49-53.
169
Un ottimo esempio è il grande cumulo di Uggårda, nella zona sud-orientale
dell’isola di Gotland (alto 7 mt. e con un diametro di circa 45 mt.).
170
Questi cumuli di pietre sono detti in danese røse (pl. røser); in svedese röse (pl.
rösen); in norvegese røys (pl. røyser, [bm]), e røys (pl. røysar, [nn]). Il più importan-
te che si conosca (seppure non restituito all’antica magnificenza dopo scavi di studio)
è certamente la tomba di Kivik in Scania, al cui interno sono state rinvenute lastre
di pietra riccamente decorate (che formavano la camera mortuaria di un personaggio
di alto rango); vd. Moberg C-A., Kivik. Bredarör och andra fornminnen, Stockholm
1975³.
171
Come il tumulo detto Hågahögen (presso Uppsala nell’Uppland svedese,
1100-900 a.C.), una delle tombe più ricche di oggetti d’oro (vd. Almgren O., Kung
Björns hög och andra fornlämningar vid Håga, Stockholm 1905) o, in Danimarca,
il grandioso tumulo di Lusehøj nella regione della Fionia risalente al IX secolo a.C.
(vd. Thrane H., Lusehøj ved Voldtofte- en sydvestfynsk storhøj fra yngre broncealder,
med bidrag af I.Trocz og K.R. Jensen m.fl., Odense 1984). Altri tumuli danesi di
notevoli dimensioni eretti nell’ultima fase dell’età del bronzo sono da considerare
nel contesto della decadenza di questo periodo (Jensen 2001-2004 [B.2], II, pp.
505-510).
172
In Burenhult 1999-2000 (B.2), I, p. 439 una diretta derivazione viene tuttavia
messa in dubbio. In Svezia un ‘campo di urne’ di notevole interesse è stato rinvenuto
presso Simrishamn in Scania.
173
Dal nome di un celebre sito in territorio austriaco. Questa cultura è suddivisa in
quattro fasi (A, B, C e D) che coprono il periodo dal 1100 al 600 a.C. L’uso di racco-
gliere i resti cremati del defunto in una piccola urna ha tuttavia la sua origine nelle
zone mediterranee e si lega alla cosiddetta ‘civiltà di Villanova’ (dal nome del sito che
si trova nei pressi di Bologna).
174
Si veda, in particolare, l’esempio eccellente di Stora Hammar in Scania. In
effetti nel Nord questo reperto è l’unico che possa in qualche modo reggere il parago-
ne con le urne a forma di casa ritrovate sul continente.
175
Il riferimento è qui a siti danesi come Vesterby in Langeland e Ingstrup in Vend
syssel. Di particolare interesse è anche l’urna rinvenuta a Røgind (presso Viborg nello
Jutland) che combina il motivo della casa con quello del volto. In Danimarca si trova-
no un centinaio di reperti di questo tipo (per lo più nella zona dello Jutland), essi
risultano invece assai scarsi in Svezia (e comunque limitati alla Scania).
176
Vd. Harding A., “Reformation in Barbarian Europe 1300-600 BC”, in Cun-
liffe 1994 (B.2), pp. 320-321 (e, per certi aspetti, anche Artelius 1998). Non è tutta-
via da escludere che questo uso fosse dovuto (almeno in parte) a ragioni di carattere
pratico.
177
Questa idea pare perdurare nel tempo, se dobbiamo – a mio parere ragione-
volmente – credere a testimonianze più tarde (periodo vichingo) di carattere sia
archeologico (come quella della tomba di Oseberg dove insieme alla regina fu
sepolta un’altra donna, presumibilmente una schiava che dovette seguirla nella
morte) sia letterario (come il resoconto di Ibn Fa[lan testimone oculare del funera-
le di un capo vichingo nel corso del quale la donna del morto venne uccisa e posta
sulla pira insieme a lui; vd. oltre, p. 116 con nota 65; cfr. anche il testo di Ibn Rustah
riportato alle pp. 116-118).
181
Su questo vedi le considerazioni proposte in Chiesa Isnardi 20084 (B.7.1), pp.
350-352 e pp. 477-478. Vd. anche Almgren 1926-1927, pp. 41-42.
182
Cfr. sopra nota 170.
183
Sull’isola di Giske nella regione di Sunnmøre. Si tratta di una tomba di partico-
lare importanza proprio per la ricca, non usuale, decorazione interna (vd. Mandt G.,
“Mjeltehaugen på Giske – en gåte i norsk forhistorie”, in Indrelid S. – Ugelvik Larsen
S. [red.], Sunnmøres forhistorie. 1. Fra de første fotefar, Ålesund 1984, pp. 70-80).
Degno di nota da questo punto di vista è anche il tumulo di Sagaholm (presso Jönköping
in Svezia, risalente all’incirca al 1450 a.C.; vd. Goldhahn J., Sagaholm – hällristningar
och gravritual, Jönköping 1999).
184
Ne dà testimonianza, tra l’altro, la presenza di incisioni rupestri di carattere
‘agrario’ (cfr. sopra, nota 124) fin nella regione di Finnmark (sull’isola di Sørøya e
nella località di Apana gård nell’area di Alta).
185
Rapporti privilegiati dovettero poi svilupparsi con la cosiddetta ‘cultura di
Ananjino’ che aveva il proprio centro nella regione russa tra il bacino centrale del
Volga e quello del Kama e che conobbe la massima fioritura tra l’800 e il 200 a.C.
186
Vd. sopra, nota 99.
187
Vd. Magnus – Myhre 1986 (B.2), pp. 200-202. Vd. anche Lillehammer 1994
(B.2), pp. 135-136 dove è riportata una cartina che indica l’estensione della ‘ceramica
all’asbesto’, diffusa nella Norvegia e nella Svezia centro-settentrionale, nella penisola
di Kola, nella quasi totalità della Finlandia e nei territori russi a essa adiacenti.
14
Le immagini sono ‘firmate’ da un artista per altro ignoto che vi ha inciso le scrit-
te ΧΕΙΡΙΣΟΦΟΣ ΕΠΟΕI e CHIRISOPHOS EPOI. I reperti sarebbero da colloca-
re nei primi decenni dell’Impero, tuttavia il nome SILIUS inciso sul fondo di questi
oggetti rimanderebbe ai primi decenni d.C. (inizio dell’età del ferro romana), quando
un comandante con questo nome era a capo dell’esercito romano nella provincia
della Germania superiore (14-21 d.C.). Vd. Friis Johansen K., “Hoby-Fundet”, in NF
II, 1911-1935, Kjøbenhavn, pp. 119-164.
15
In Svezia sono assai interessanti i siti di Gödåker (Uppland), di Öremölla (Scania,
cfr. nota 23) e di Östra Varv (Östergötland). Il primo (il cui nome significa “Campo
della dèa”) risulta essere un luogo di carattere religioso frequentato per lungo tempo:
ivi si trova una fonte sacrificale nella quale sono stati rinvenuti resti di uomini e di
animali; nelle vicinanze è situato un cimitero con bautasteinar (vd. oltre, p. 68); vd.
Ekholm G., “Gödåker. De senaste bidragen till Upplands fornhistoria”, in UFT XLI
(1927), 10: 2, pp. 120-130. Anche nell’isola di Gotland (Havor) sono stati rinvenuti
oggetti di importazione di ottima fattura; vd. Nylén E. – Lund Hansen U. et al., The
Havor hoard. The Gold – The bronzes – The fort, Stockholm 2005. In Norvegia vanno
segnalati il sito di Tu (Jæren) dove è stato trovato un calice con una scritta augurale in
caratteri greci (ΠΙΕ ΖΗΣΑΙΣ ΚΑΛΟΣ: “bevi e vivi bene”) e quello di Solberg
(Buskerud) da cui provengono parti di un vaso di vetro di finissima fattura e decorato
in oro prodotto ad Alessandria d’Egitto; assai interessanti sono anche i diversi ogget-
ti rinvenuti nella tomba di Store-Dal in Østfold (cfr. nota 20 e nota 27). In Danimarca
conosciamo reperti di questo tipo già nell’età del bronzo. Si veda a esempio il sito di
Rosbjerggård (Rørbæk, Himmerland) dove da una palude è stato riportato alla luce
un recipiente in bronzo di probabile origine etrusca (o comunque di imitazione di
oggetti simili prodotti in tale area; Jensen 2001-2004 [B.2], II, p. 418).
16
Vd. Magnus – Myhre 1986 (B.2), pp. 326-330 e pp. 333-338.
land”, in AA XLIX [1978], pp. 61-111 e Hvass 1979). In Svezia si vedano tra gli altri
i siti di Fosie e Uppåkra (Scania) e Nibble (Uppland). In Norvegia il sito di Ullandhaug
presso Stavanger (V-VI secolo d.C.), che è stato ricostruito, e quello di Klauhaugane
(presso Nærbø, Jæren) con le abitazioni poste secondo un ovale attorno a un’area al
centro della quale si trova quello che doveva essere lo spazio sacro della comunità.
Questo villaggio, che risulta abitato tra il 200 a.C. e il 200 d.C. mostra chiara affinità
con nuclei di case presenti sull’isola svedese di Öland. Simili insediamenti norvegesi
sono, innanzi tutto, quello di Dysjane (anch’esso in Jæren), pressoché identico a
Klauhaugane e altri anche nelle regioni più settentrionali (vedi, in particolare quelli di
Bø e Steigen sull’isola di Engeløya; Magnus – Myhre 1986 [B.2], pp. 312-316).
19
Tra i siti più significativi fino a ora investigati dagli archeologi quelli di Eketorp
(sull’isola svedese di Öland; vd. Borg K. – Näsman U. et al. (eds.), Eketorp. Fortification
and settlement on Öland/Sweden. I. The Monument, II: The Setting, Stockholm 1976-
1979), di Torsburgen (in Gotland), assai imponente, di Havor (anch’esso in Gotland;
cfr. nota 15), di Gamleborg sull’isola danese di Bornholm, di Vanhalinna (presso Turku
in Finlandia); vd. Engström 1991.
20
Una concentrazione di questi cimiteri si ha nelle regioni svedesi di Västergötland,
Östergötland e nell’isola di Gotland. In taluni casi le pietre che segnalano le tombe
sono disposte in cerchio (si vedano come esempi Dragby in Uppland e Vallhagar in
Gotland). In Norvegia sono noti, in particolare, il ‘cimitero’ di Gunnarstorp (Østfold),
la necropoli di Hunn (anch’essa in Østfold) che conserva tra l’altro la ricca tomba di
35
Vd. a esempio in Danimarca il sito di Ginderup (Jutland nord-occidentale) dove
sotto un pavimento sono state rinvenute delle monete romane, quello di Brangstrup
(Fionia) dove si contano quarantotto monete d’oro, quello di Dalshøj (Bornholm,
risalente all’età dei Merovingi) con monete d’oro e gioielli; in Norvegia il sito di Store
Oma (Jæren) dove sotto un muro in pietra sono stati ritrovati spranghe e anelli d’oro
a forma di spirale per un peso totale di 637 gr. In Svezia cospicui ritrovamenti sono
stati fatti nella palude detta Skedemosse (sull’isola di Öland, uno dei territori più
ricchi di oro da questo punto di vista) e a Vittene (Västergötland). Nel primo caso (il
sito è l’unico in territorio svedese che corrisponda ai grandi depositi di armi che si
trovano in Danimarca) sono stati rinvenuti, insieme a molte armi, sette bracciali e due
anelli d’oro di pregevolissima fattura per un peso totale di 1.3 kg.; inoltre sono stati
ritrovati resti di uomini e di cavalli, verosimilmente sacrificati; su Skedemosse vd.
l’esaustivo studio di U.E. Hagberg (The Archaeology of Skedemosse, I-IV, Stockholm
1967-1977). Nel secondo caso (un sito che comprende un insediamento databile tra
l’età del ferro preromana e la prima fase dell’età del ferro romana) sono stati rinvenu-
ti (tuttavia sparsi) oggetti d’oro per un peso totale di 1.9 kg. (vd. Lundkvist L.,
“Vittene och guldets folk”, in PA XVI: 1 (1998), pp. 3-8). Molti degli oggetti compre-
si in questi ‘tesori’ risultano di provenienza straniera, anche da zone assai lontane come
le regioni del Mar Nero (Jensen 2001-2004 [B.2], III, p. 492).
36
Le bratteate sono imitazioni di medaglioni romani impressi su un solo lato (ma
lo stile è caratteristicamente germanico), usate soprattutto come amuleti, come dimo
stra anche il fatto che in diversi casi recano incise iscrizioni runiche (vd. 2.5) di carat-
tere magico, come a esempio i termini laukr “aglio” (con evidenti collegamenti alle
proprietà di questa pianta) o alu una parola che dal punto di vista linguistico corri-
sponde al più tardo ǫl “birra”, ma il cui significato nelle iscrizioni runiche non è del
tutto chiaro, fermo restando un collegamento con la sfera magica (vd. Krause 1971
[B.5], p. 145 e p. 175 in particolare e Krause 1966 [C.2.5], pp. 239-260, passim). Su
una bratteata danese rinvenuta a Skrydstrup sono riportate entrambe queste parole
(ibidem, p. 163). In generale sulle bratteate vd. Mackeprang 1952, Düwel 1988 e
Düwel 1992 (entrambi in C.2.5), Axboe 2004.
37
Si vedano ‘tesori’ risalenti a questo periodo quale, in particolare, quello di Timbo-
holm in Svezia, dove è stato ritrovato oro per 7 kg. Importanti ritrovamenti sono noti
anche in epoca vichinga; vd. oltre, pp. 216-217 con nota 453.
Che in Svezia è ben testimoniata a esempio nel sito di Gene nella regione di
39
Ångermanland (vd. Ramqvist P.H., Gene. On the origin, function and development of
sedentary Iron Age settlement in Northern Sweden, Umeå 1983).
del II secolo d.C. erano scesi dal Nord per insediarsi in zone
dell’attuale Polonia, sul basso corso della Vistola. Questa notizia
ci viene in primo luogo da Giordane, grande storico del suo
popolo, al quale dobbiamo anche altre informazioni sulle tribù
stanziate nelle terre nordiche.40 Seguendo la geografia tradiziona-
le Giordane considera la penisola scandinava (Scandia/Scandzia)
un’isola41 che, con efficace immagine letteraria, definisce madre-
patria di popoli: “[…] l’isola della Scandia, quasi un’officina di
popoli o certamente come una vagina di nazioni […]” (“[…]
Scandza insula, quasi oficina gentium aut certe velut vagina natio
num […]”) dalla quale i Goti sarebbero migrati verso il continen-
te europeo.42 L’origine nordica di questo popolo sarebbe del resto
confermata non solo da una serie d’isoglosse tra la lingua dei
Goti43 e l’antico nordico,44 ma soprattutto da diversi toponimi, in
40
La sua opera De origine actibusque Getarum (Getica), composta nel 551 è basata
– secondo quanto afferma l’autore medesimo (vd. il “Prologo”, p. 52) – su uno scritto
di Cassiodoro, redatto circa trent’anni prima ma che purtroppo è andato perduto. È
stato sostenuto, ma pare poco plausibile, che Cassiodoro avesse avuto notizia delle
tribù che abitavano la penisola scandinava dal sovrano nordico Rodvulf, il quale
– secondo quanto riferisce Giordane stesso (Getica, III, 24) – si era rifugiato presso
Teodorico il Grande insieme a uomini del suo seguito (vd. Svennung 1967, p. 182).
41
Getica, III, 16-19. Sull’etimologia di Scandinavia, che resta dibattuta, vd. SVENNUNG
1963 e DE VRIES 19622 (B.5), pp. 482-483 (voce Skáney).
42
Getica, IV, 25.
43
In epoca storica, quando compaiono informazioni certe a loro riguardo in auto-
ri come Plinio, Tacito e Tolomeo (vedi rispettivamente: Naturalis Historia, IV, 14;
Germania, cap. 44 e Γεωγραφικὴ Ὑφήγησις, III, v, 8; cfr. II, xi, 16), i Goti risultano
stanziati lungo il basso corso della Vistola. Essi formano il gruppo dei Germani orien-
tali. La loro lingua (che conosciamo soprattutto grazie alla traduzione della Bibbia
eseguita dal vescovo Wulfila nel IV secolo) costituisce dunque il ramo orientale delle
lingue germaniche, ormai estinto.
44
In particolare il riferimento è ai seguenti fenomeni linguistici comuni: 1) raffor-
zamento consonantico di */-jj-/ in occlusiva (rappresentata in gotico da ddj e
in antico nordico da ggj): esempio got. twaddjē e ant. nord. tveggja “di due”; 2) raffor-
zamento consonantico di */-ww-/ in occlusiva velare labializzata (rappresentata sia in
gotico sia in antico nordico da ggw): esempio got. triggws e ant. nord. tryggr, da un più
antico triggwaR, “fedele”; 3) sviluppo di un suffisso -ıˉn- tanto in gotico quanto in
nordico nel participio presente femminile: esempio: got. gibandei(n), ant. nord. gefandi,
cfr. ant. alto ted. gebantiu, ant. ingl. giefendu/giefende “che dà”; 4) presenza della
categoria dei verbi deboli incoativi (quarta classe) formati col suffisso got. ‑nan, ant.
nord. -na: esempio got. waknan e ant. nord. vakna “destarsi”; 5) seconda persona
singolare del preterito indicativo dei verbi forti con desinenza -t: esempio: got. graipt,
ant. nord. greipt, cfr. ant. alto ted. grifi, ant. ingl. gripi “afferrasti”; 6) /i/ > /e/, /u/ >
/o/ davanti a /h/; 7) presenza in gotico e in ant. nord. di pronomi interrogativi quali,
rispettivamente hvarjis e hverr (<*ga-hvarjiz) “quale?”, derivazioni in -j- dal germanico
comune *xwa‑/xwe‑. Vd. Scovazzi 19946 (B.5), pp. 9-10 (dove tuttavia questi fenome-
ni linguistici comuni vengono ritenuti insufficienti per rendere verosimile l’esistenza
di un gruppo linguistico gotico-scandinavo); vd. Kuhn H., Kleine Schriften. Aufsätze
und Rezensionen aus den Gebieten der germanischen und nordischen Sprach-, Literatur-
und Kulturgeschichte, Berlin 1969-1972, I, pp. 169-204 e pp. 246-290 e, soprattutto,
Scardigli 2002 con i riferimenti bibliografici e la discussione relativa.
45
Getica, III, 19-24.
46
Svennung 1967, p. 106.
47
Sulle tribù nordiche elencate in Giordane vd. in particolare Svennung 1967, pp.
32-110, su cui qui ci si basa e anche Weibull 1948, pp. 54-69 con i riferimenti citati.
In questo contesto va ricordata anche la tribù dei Khaideinoi (Χαιδεινοί) menzionata
da Tolomeo (Γεωγραφικὴ Ὑφήγησις, II, xi, 16) nella quale potrebbero essere rico-
nosciuti i Heiðnir, il cui nome si ricollega, per la prima parte, a quello della regione
norvegese di Hedmark (vd. Nielsen 2000 [B.5], p. 339 e note relative). Vd. Sveinsson
1917, Oxenstierna 1948, Wagner 1967, Wessén 1969, Hachmann 1970 e Søby
Christensen 2002.
48
Γεωγραφικὴ Ὑφήγησις, II, xi, 10.
49
Ben riassunte e discusse in Nerman 1924, pp. 22-26.
50
La principale è certamente l’opera di Paolo Diacono, Storia dei Longobardi
(Historia Langobardorum, I, 2, 7), redatta nell’VIII secolo. D’altra parte questa fonte,
così come la Storia dei Danesi (Gesta Danorum) di Saxo grammaticus (vd. pp. 322-323)
che si rifà a Paolo Diacono citandolo esplicitamente (VIII, xiii, 2) risale a una tradi-
zione più antica, rappresentata soprattutto dalla cosiddetta Origine del popolo dei
Longobardi (Origo gentis Langobardorum, p. 2), un testo redatto in aggiunta all’Editto
di Rotari e databile nella seconda metà del VII secolo.
51
Successivamente tuttavia questo testo aggiunge (p. 8) che i Longobardi (il cui
nome viene anche qui attribuito, secondo l’etimologia tradizionale, alle “lunghe barbe”,
cfr. Paolo Diacono, Historia Langobardorum, I, 8; vd. nota successiva) si trasferirono
a Scatenauge sul fiume Elba. Questo toponimo può con una certa facilità essere avvi-
cinato a quelli che designano nelle altre fonti la Scandinavia (Scathanavia, Scadanam,
Scadinavia, Scatinavia), il che lascerebbe supporre una errata interpretazione della
tradizione leggendaria relativa a questo popolo da parte dell’estensore dell’opera.
52
La corretta etimologia del nome Longobardi (cfr. nota precedente) parrebbe
quella tradizionale che lo interpreta come “[coloro che hanno una] lunga barba”; in
ogni caso anche se si volesse fare riferimento a un’altra ipotesi che li intende come
“[coloro che sono armati di una] lunga alabarda” resterebbe escluso ogni collegamen-
to con nomi di luogo. In proposito vd. Bruckner W., Die Sprache der Langobarden,
Strassburg 1895, pp. 33-34 e de Vries 1962² (B.5), p. 345 (voce langbard–r). Anche il
termine Vinnili (forse “guerrieri”), che secondo le fonti citate era quello originario di
questo popolo, non trova alcun riscontro in nomi geografici scandinavi.
53
Queste teorie sono piuttosto antiche: vd. Nerman 1924, p. 33. Una conferma
dell’origine scandinava di questa popolazione verrebbe, secondo J. Ficker dallo studio
del diritto longobardo (“Das langobardische Recht und die skandinavischen Rechte”,
in Mitteilungen des Instituts für österreichische Geschichtsforschung, XXII [1901], pp.
1-50). Per una storia dei Longobardi si rimanda a Priester 2004.
54
Si ricordi tuttavia quanto è stato detto sopra (vd. nota 30) sulla difficoltà di una
definizione certa dei Cimbri e dei Teutoni dal punto di vista etnico. Sui Cimbri vd.,
tra l’altro, Bråten 1988.
55
È altresì possibile che ai Harudi sia collegato il nome della regione norvegese di
Hordaland, nella quale – seguendo una via marittima che i dati archeologici indicano
come molto frequentata – essi sarebbero migrati (Lillehammer 1994 [B.2], p. 163).
56
Vd. Nerman 1924, p. 42.
57
Getica, III, 23. Ciò sarebbe avvenuto all’incirca attorno al 200 d.C. (cfr. Nielsen
2000 [B.5], pp. 357-358). A riguardo delle popolazioni presenti sul territorio danese
vd. Seebold 1995.
58
Vd. Procopio 1961, VI, xiv, 37-42; VI, xv, 1 e VI, xv, 27-36. Qui si riferisce tra
l’altro che gli Eruli che si trovavano nei territori del Danubio, dopo aver sacrificato il
loro ultimo re di nome Ochus, si rivolsero a quelli fra di loro che erano rimasti nella
madrepatria per poter avere un nuovo sovrano che discendesse dalla medesima dina-
stia. In quanto segretario privato del generale bizantino Belisario, Procopio è general-
mente considerato uno degli storici più informati della sua epoca.
59
Vd. Hoffmann 1995, p. 82.
60
Germania, cap. 44.
61
Data la presenza certa dei Rugi sulle coste della Pomerania, è forse possibile
porre in relazione con loro il nome dell’isola di Rügen, di mediazione slava: derivazio-
ne discussa, ma verosimile (cfr. Bornholm < Borgundarhólmr). L’etnonimo Rugi a sua
volta è connesso da A. Bach (Deutsche Namenkunde, Heidelberg 1952-1954, I [Die
deutschen Personennamen], 1, p. 310) col sostantivo *rugi, m. “segala”: essi sarebbero
dunque i “coltivatori di segala” o “coloro che si nutrono di segala”. Vd. anche Geo
graphische Namen in Deutschland. Herkunft und Bedeutung der Namen von Ländern,
Städten, Bergen und Gewässern, 2. überarbeitete Auflage von D. Berger, München-
Leipzig-Wien-Zürich 1999, p. 245 e Steinhauser W., “Rügen und die Rugier”, in
Zeitschrift für slavische Philologie, XVI (1939), pp. 1-16.
62
Vd. p. 75.
63
Vissuto tra il 672 (o 673) e il 735 scrisse tra l’altro la Storia ecclesiastica del popo
lo inglese (Historia ecclesiastica gentis Anglorum, vd. I, 15; cfr. V, 9). Sul territorio
inglese Procopio colloca tre tribù: i Britannici, gli Angli e i Frisoni (Procopio 1962,
VIII, xx, 6-7).
64
Egli ci fa sapere tra l’altro che presso i Gautoi (Γαυτοί), tribù scandinava, ave-
vano trovato rifugio gli Eruli al loro ritorno in quelle regioni (Procopio 1961, VI, xv,
26). Questo autore dà anche notizie su Thule (Θούλη) i cui abitanti definisce Thuliti
(Θουλῖται; Procopio 1961, VI, xv, 4-26) e cita i “Finni sciatori” (Σκριθίφινοι, cfr. in
Giordane gli Screrefennae; vd. p. 75). Su Thule vedi poco avanti.
65
Le notizie di carattere geografico che troviamo in Giordane si rifanno innanzi
tutto ad autori come Tolomeo e Pomponio Mela (I sec. d.C.) il quale nella sua opera
(De chorographia) Della topografia fa riferimento alle terre del Nord citando (III, 31)
un ampio golfo definito Codanus e (III, 54) l’isola di Codannovia (secondo la lezione
del manoscritto principale, il Vat. Lat. 4929 della seconda metà del IX secolo). Il primo
costituisce la parte occidentale del Mar Baltico: le isole in esso comprese alle quali
Pomponio Mela allude sono quelle che si trovano fra lo Jutland e la penisola scandi-
nava. Il nome dell’isola Codannovia è invece da intendere con ogni probabilità (come
ben spiegato in Svennung 1963 [C.2.3.], pp. 11-13) come una forma corrotta di Sca
dinavia. In proposito Pomponio Mela afferma: “[...] in quel golfo, che abbiamo
chiamato Codanus, l’eccellente Scandinavia che tuttora appartiene ai Teutoni e che
sopravvanza le altre [isole] sia per la fertilità sia per la dimensione” (DLO nr. 6; cfr.
Plinio, Naturalis Historia, IV, 13 [96] e Tacito, Germania, cap. 1, dove si fa riferimen-
to al Mare del Nord che circonda ampie penisole sinuose e gli immensi spazi della
Scandinavia). Giordane si richiama anche alla rappresentazione del mondo secondo
il modello proposto dallo scienziato greco Eratostene nel III secolo a.C. (cfr. nota
successiva). A Tolomeo Giordane (che lo cita espressamente insieme a Pomponio Mela
in Getica III, 16) si rifà anche dal punto di vista etnografico (vd. Weibull 1948 [C.2.3],
pp. 44-52). Del resto possiamo in parte estendere alle tribù settentrionali le notizie sui
Germani continentali, citati per la prima volta da Cesare (Commentariorum belli gal
lici, passim), e quelle fornite da Tacito, il quale fa comunque preciso riferimento ai
popoli nordici in diverse occasioni (Germania, capp. 37, 40 e 44, in particolare).
66
Vd. Pytheas 1959 [Abbr.], dove sono raccolti tutti i dati relativi. Alle notizie for-
nite da Pitea in relazione alle terre settentrionali fanno riferimento in particolare Strabo-
ne (che, come d’altronde Polibio, si dimostra molto critico nei suoi confronti) e Plinio
il Vecchio. L’opera di Pitea era ben nota nell’antichità: tra l’altro Eratostene per disegna-
re la sua mappa e per il calcolo della circonferenza della terra aveva utilizzato le misura-
zioni e le osservazioni di Pitea riguardo al Nord (vd. ibidem, p. 18 e anche Die geogra
phischen Fragmente des Eratosthenes, neu gesammelt, geordnet und besprochen von H.
Berger, Lipsia 1880, pp. 73-74, pp. 143-155, pp. 207-208 e pp. 213-221). Per la collo-
cazione di Thule vd. Pytheas 1959, pp. 29-32, pp. 73-74 e la cartina che si trova in
fondo al volume. Per la relazione tra Thule e la Scandia negli autori antichi vd. Svennung
1967 (C.2.3), p. 194, nota 539. Nell’VIII secolo si fa riferimento a Pitea e a Thule nel-
l’opera più avanti citata di Dicuil (vd. p. 121) che la chiama Thile/Thilen e la definisce
un’isola (VII, 7-13). Probabilmente egli la identifica con l’Islanda. Così si intende del
resto in modo esplicito soprattutto nelle Opere dei vescovi della Chiesa di Amburgo (Gesta
Hammaburgensis Ecclesiae Pontificum, IV, xxxvi), un testo redatto in latino (e terminato
probabilmente attorno al 1075) dello storico della Chiesa Adamo da Brema (morto nel
1081), autore le cui informazioni venivano soprattutto da fonti danesi; così ugualmente
in uno scritto di carattere storico sulla Norvegia redatto in latino, la Storia della Norvegia
(Historia Norwegie, VIII, pp. 68-70; cfr. qui p. 411). Nella sua Storia dell’antichità dei re
norvegesi (Historia de antiquitate regum Norwagensium, cap. 3 e cap. 12; cfr. qui p. 411)
Theodricus Monachus sostiene invece di non poter né affermare né negare che tale
identificazione sia corretta. Saxo grammaticus parla di (ultima) Tyle identificandola con
la Glacialis insula di cui dà una descrizione nella Prefazione della sua opera (Gesta
Danorum, Præfatio, II, 7). Così, ancora, nel Libro dell’insediamento (Landnámabók, vd.
p. 310) che riferisce le prime vicende della nazione islandese (vd. oltre, 3.2.5), dove ci si
richiama all’opera del Venerabile Beda, in particolare al Libro [delle suddivisioni] del
dente verso le terre del Nord aveva toccato solo le isole britanniche.
Si tratta del viaggio compiuto dal navigatore ed esploratore cartagi-
nese Imilcone (latino Himilco, fenicio Chimilkât), all’inizio del V
secolo a.C.67 Di qualche secolo successiva è la notizia che ci viene da
un’iscrizione sul cosiddetto Monumentum Ancyranum (il tempio
fatto erigere da Augusto ad Ankara) dalla quale risulta che le navi
romane avevano raggiunto le terre dei Cimbri.68 Ma che le conoscen-
tempo (De temporibus liber, cap. 7) e al Libro del computo del tempo (De temporum
ratione liber, cap. 31); cfr. Opera didascalica, p. 590 e p. 379 (vd. Landnámabók, p. 31).
E poi nella versione D della Saga del vescovo Guðmundr (Guðmundar biskups saga) tra-
duzione islandese della biografia di questo prelato (1161-1237) scritta in latino attorno
al 1345 da Arngrímur Brandsson (morto nel 1361): “[…] in quella terra che i libri
chiamano Thile, ma che i nordici nominano Islanda” (DLO nr. 7). Si veda infine il
cosiddetto Libro di Flatey (letteralmente “Isola piana”), un imponente manoscritto
risalente alla seconda metà del XIV secolo, che contiene storie di re norvegesi (già note
da altre fonti ma qui integrate con informazioni altrove non presenti), testi poetici, saghe
e annali fino al 1394 (Flateyjarbók, I, p. 247; vd. qui p. 424). In un manoscritto islande-
se della metà del XIII secolo (Gml. kgl. sml. 1812, 4to conservato presso l’Università di
Reykjavík, Stofnun Árna Magnússonar í íslenskum fræðum) si trovano dei riferimenti di
carattere geografico: qui Thule (Tile) compare nell’elenco delle terre europee, tuttavia
accanto all’Islanda (Alfræði Íslenzk, III, p. 72: “[…] Tile, Island, Norvegie […]”). La
diffusione delle notizie su Thule, considerata come limite del mondo, si rileva anche
dalla celebre citazione di Virgilio nelle Georgiche, dove in riferimento a Ottaviano il
poeta così si esprime: “a te sia sottomessa l’ultima Thule” (Georgicon libri quattuor, I,
30, p. 154: “tibi serviat ultima Thule”), passo citato da Giordane in Getica, I, 9. Altri
poeti latini che ricordano questa terra sono Silio Italico (I secolo d.C.) che nell’opera Le
guerre puniche (Punica) ne sottolinea l’alone di mistero definendola “ignotam […] Thylen”
(III, 597; I, p. 158) e Publio Papinio Stazio (I secolo d.C.) che nelle sue Selve (Silvae, IV,
4, 62, p. 912) fa riferimento alle “coste dell’oscura Thule” (“nigrae litora Thyles”).
L’espressione “ultima Thule” si ritrova anche nella Legge di corte (Lex castrensis) di Svend
Aggesen (su cui vd. p. 132) con riferimento all’estensione dell’impero di Canuto il
Grande (cap. 1, p. 67: “ultima Thyle”).
67
Costui, seguendo per altro rotte già tracciate, si era diretto – primo naviga-
tore proveniente dal Mediterraneo – verso l’Europa nord-occidentale: navigando
lungo le coste iberiche e francesi aveva raggiunto il territorio della Britannia. Il
suo viaggio è ricordato in particolare nel poema latino di Rufo Festo Avieno (IV
secolo d.C.) Litorali marini (Ora Marittima, vv. 383-414, p. 34; cfr. Plinio, Natura
lis Historia, II, 67). Per i viaggi atlantici precedenti a quello di Pitea vd. Bianchet-
ti 1998, pp. 47-52.
68
Il testo sul tempio di Ankara è bilingue: latino (inciso sulle pareti interne del
pronao) e greco (sulla parete esterna della cella). Il testo latino recita: “La mia flotta
ha veleggiato sull’oceano dalla foce del Reno verso la regione in cui sorge il sole, fino
ai confini [del territorio] dei Cimbri, dove nessun romano prima di allora era giunto
né via terra né via mare; e i Cimbri e i Harudi e i Semnoni e le altre tribù germaniche
della medesima zona chiesero per mezzo di messaggeri la mia amicizia e quella del
popolo romano” (DLO nr. 8). Vd. Schede M. – Krencker D., Der Tempel in Ankara,
Berlin-Leipzig 1936; cfr. le parole di Plinio: “Da Cadice e dalle colonne d’Ercole cir-
cumnavigando la Spagna e le Gallie attualmente tutto l’occidente è navigato. In verità
l’oceano settentrionale è stato navigato per la maggior parte, per disposizione del
78
Moltke 1985 b.
79
Vd. tuttavia Morris 1988, dove si cerca di superare questa difficoltà facendo
piuttosto riferimento a un alfabeto greco arcaico.
80
Vd. in particolare Rix 1992, Markey 1998, Markey 1999 e Mees 2000.
81
Cfr. nota 36.
82
Vd. l’iscrizione di Björketorp (Blekinge, Svezia, seconda metà del VII secolo)
dove si legge uþArAbAsbA/ hAidRunoronu/ fAlAhAkhAiderAg/ inArunARArAgeu/
hAerAmAlAusR/ utiARwelAdAude/ sARþAtbArutR che (secondo l’interpretazione pro-
posta in Krause 1966, pp. 214-218) significa: “Profezia di male! Ho nascosto qui la
serie delle rune luminose, rune magiche. Con comportamento perverso senza pace,
straniero è di una morte maligna chi distrugge [questo monumento].”
83
Si vedano a esempio l’incisione sulla pietra di Ellestad (presso Söderköping,
Östergötland, Svezia, datazione incerta), quella di Gummarp (Blekinge, Svezia, VII
secolo), quella sul manico di lancia di Kragehul (Fionia, Danimarca, VII sec.), quella
sull’amuleto di Lindholm (Scania, Svezia, VI sec.).
84
Si veda a esempio la tomba danese di Himlingøje (fase più recente dell’età del
ferro romana; cfr. nota 27) dove tra i doni del ricco corredo funebre della defunta sono
state trovate due fibule sulle quali erano state incise rispettivamente le parole hariso
(nome proprio) e widuhudaR (da leggere quasi certamente widuhundaR “cane del
bosco”), probabilmente un antroponimo maschile; o la tomba norvegese di Øvre
Stabu (Oppland) dove insieme ad altri oggetti si trova una punta di lancia con sopra
inciso raunijaR, verosimilmente “che mette alla prova”.
85
Dell’alfabeto runico si conoscono due serie. Quella antica consta di ventiquattro
segni e risulta in uso fino alla seconda metà dell’VIII secolo. Dopo di ciò compare la
serie recente, ridotta a sedici segni, che presenta due varianti principali.
86
Vd. tra l’altro Jacobsen L., Eggjum-stenen. Forsøg paa en filologisk Tolkning, Køben-
havn 1931 e Magnus B., “Eggjasteinen. Et dokument om sjamanisme i jernalderen?”, in
Indrelid S. – Kaland S. et al. (red.), Festskrift til Anders Hagen (= Arkeologiske Skrifter
fra Historisk Museum, Universitetet i Bergen: 4), Bergen, 1988, pp. 342-356.
87
de Vries 1962² (B.5), pp. 453-454 (voce rún).
88
Si tratta della pietra di Noleby (VII secolo) e di quella di Sparlösa (IX secolo),
entrambe nella regione svedese di Västergötland.
89
Il riferimento è, soprattutto, al carme eddico Dialogo dell’Alto (Hávamál in Edda
poetica), str. 138-163 (vd. p. 292).
90
Si veda innanzi tutto il carme dell’Edda poetica dal titolo Viaggio di Skírnir o
Dialogo di Skírnir (Fǫr Skírnis o Skírnismál, vd. p. 292) nel quale costui, servitore del
dio Freyr, minaccia la gigantessa Gerðr (che non vuole accettare di sposare il dio) di
scaricarle addosso una terribile serie di maledizioni incidendo segni runici potenti. Tra
gli esempi che si possono trovare nelle saghe islandesi, basti citare qui l’episodio
riportato nella Saga di Egill Skalla-Grímsson (Egils saga Skalla-Grímssonar, capp. 72 e
76), dove si riferisce della malattia di una ragazza provocata da un uomo inesperto che
– avendo intagliato delle rune allo scopo di farla innamorare – aveva messo in pratica
una procedura sbagliata.
91
Un ottimo esempio è l’iscrizione su uno dei due celebri corni d’oro di Gallehus
(Jutland meridionale, Danimarca, VI secolo d.C.). Rinvenuti nel medesimo luogo a
circa 100 anni di distanza (1639 e 1734), essi erano riccamente istoriati (nelle immagini
raffigurate A. Olrik ha voluto riconoscere rispettivamente gli dèi Odino, Freyr e Thor:
vd. “Gudefremstillinger på Guldhornene og andre ældre Mindesmærker”, in DS 1918,
pp. 1-35). Purtroppo questi due reperti eccellenti sono andati perduti (sottratti nel 1802
furono fatti fondere) e non ci restano che delle copie realizzate in base a disegni. Uno di
loro recava un’incisione in caratteri runici: ek hlewagastiR holtijaR horna tawido “io,
Hlevagast [figlio] di Holti feci il corno” (Krause 1966, pp. 97-103). Su questi reperti vd.
anche Brøndsted J., Guldhornene. En oversigt, Nationalmuseet [København] 1954.
92
Vd. Krause 1966, pp. 43-44. Non così tuttavia in Musset 1965, pp. 149-150; in de
Vries 1962² (B.5), p. 104 il termine è inteso solo come allusione a una funzione sacerdotale.
ᚠ ᚢ ᚦ ᚨ ᚱ ᚲ ᚷ ᚹ ᚺ ᚾ ᛁ ᛈ ᛉ ᛏ ᛒ ᛖ ᛗ ᛚ ᛜ ᛞ ᛟ
f u þ a r k g w h n i j E p R s t b e m l ŋ d o
Alfabeto runico recente e corrispondenze:
ᚠ ᚢ ᚦ ᚨ ᚱ ᚴ ᚼ ᚾ ᛁ ᛅ ᛋ ᛏ ᛒ ᛘ ᛚ ᛦ
f u þ ą r k h n i a s t b m l R
101
Le serie qui riportate (riprese da Musset 1965, p. 21) costituiscono uno schema
sommario dell’alfabeto runico a ventiquattro e a sedici segni (serie ‘antica’ e ‘recente’).
Per ragioni di semplicità non si dà conto delle varianti, per le quali si rimanda alla
letteratura critica citata in bibliografia.
102
Ovvero come una fricativa molto debole, articolata nel luogo alveolare (come s)
o più posteriore. Tale suono si fuse successivamente con la liquida r, sicché quando
venne adottato l’alfabeto norreno di origine latina la distinzione scomparve anche dal
punto di vista grafico.
103
Vd. sopra, nota 11.
Su Dankirke vd. Thorvildsen E., “Dankirke”, in NMA 1972, pp. 47-60 e Hansen
113
116
In ciò esse trovano un parallelo con le pietre vichinghe sulle isole britanniche
(vd. Shetelig 1933 [C.3.1], pp. 214-230).
117
Vd. Bugge S., Der Runenstein von Rök in Östergötland, Schweden, nach dem
Tode des Verfassers herausgegeben von M. Olsen, unter Mitwirkung und mit Beiträgen
von A. Olrik und E. Brate, Stockholm 1910.
PERIODO
CRONOLOGIA CLIMA CULTURA
STORICO
periodi di: Dryas
remoto (14.000-
12.800 a.C.),
Bølling (12.800-
12.200 a.C.), cultura
Dryas antico di Amburgo,
Paleolitico 14.000-9500 a.C.
(12.200-12.000 cultura
a.C), Allerød di Bromme
(12.000-10.700
a.C.) e Dryas
recente (10.700-
9500 a.C.)118
periodi pre- culture
boreale (9500- di Maglemose,
8500 a.C.), Kongemose,
boreale (8500- Ertebølle
Mesolitico 9500-4100 a.C. 6800 a.C.) culture di Fosna
e prima fase e di Komsa
del periodo culture
atlantico di Nøstvet
(6800-4100 a.C.) e di Lihult
118
I tre periodi che prendono nome di Dryas (dalla pianta Dryas octopetala, in
italiano “camedrio cervino” della famiglia delle Rosacee) sono contrassegnati da un
clima artico e dalla vegetazione tipica della tundra. Tra di essi si collocano due stadi
intermedi caratterizzati da temperature più elevate (clima sub-artico) nei quali la
vegetazione conosce soprattutto lo sviluppo delle betulle. Il primo è detto ‘periodo di
Bølling’ dal nome di un lago ormai prosciugato che si trovava nello Jutland centrale,
il secondo è detto ‘periodo di Allerød’ per via degli studi su sedimenti in un sito nel
territorio di Allerød nella Selandia settentrionale. Le datazioni (basate su Burenhult
1999-2000 [B.2], I, pp. 163-164) non possono naturalmente essere definite con asso-
luta precisione (cfr. le lievi variazioni in Jensen 2001-2004 [B.2], I, p. 58).
119
Questo periodo è volentieri definito nei testi di archeologia nordici come “età
della pietra agraria” (dan. bondestenalder, norv. bondesteinalder, sved. bondestenålder).
PERIODO
CRONOLOGIA CLIMA
STORICO
Calcolitico
periodo
(età del 2300-1700 a.C.
sub-boreale
rame)
1700-1100 a.C.
(età del bronzo ultima fase
Età antica) del periodo
del bronzo 1100-500 a.C. sub-boreale
(età del bronzo (fino al 500 a.C.)
recente)
500 a.C.-anno
zero (età del
ferro celtica o
preromana)
anno zero-400
d.C. (età del
ferro romana)
400 d.C.-550
periodo sub-
d.C.
Età del ferro atlantico (dal 500
(età delle
a.C. in poi)
migrazioni)
550-800 d.C.
(età dei
Merovingi o età
di Vendel)
800-1066 d.C.120
(periodo
vichingo)
120
Vd. p. 107, nota 33.
1
Sebbene ormai datati, restano a mio modo di vedere del tutto affidabili e convin-
centi i risultati degli studi condotti su questo aspetto da M. Scovazzi. Questo studioso,
analizzando l’antica società germanica e nordica da una prospettiva giuridica, ha
saputo evidenziare chiaramente la presenza e l’interrelazione delle due componenti
(comunitaria e individualistica), sottolineando il loro ‘peso’ nella evoluzione della
società scandinava (Scovazzi 1957 [B.8], pp. 201-257 e pp. 258-263).
solennemente istituita nel corso di un convito nel quale avvenivano libagioni consa-
cratorie (in nordico il termine gildi ha infatti anche il significato di “convito”). Su
questo vd. Cahen 1921 (B.7.1), pp. 91-96, passim, cfr. p. 345.
7
Solo per portare un esempio basterà qui citare la vicenda (seppure in buona
parte fantasticamente elaborata) di un personaggio vissuto tra il X e l’XI secolo, Gunn-
laugr, detto “Lingua di serpente” (ormstunga) del quale è riferito nell’omonima Saga
di Gunnlaugr Lingua di serpente (Gunnlaugs saga ormstungu), composta nel XIII
secolo. Assai significativo dal punto di vista di quanto qui esposto è un episodio che
narra di come il protagonista, seppure giovanissimo, volesse partire dall’Islanda per
tentare la sorte all’estero. Di fronte al netto rifiuto del padre a fornirgli l’equipaggia-
mento e i beni necessari per tale viaggio (“Non otterrai da me il consenso e non andrai
da nessuna parte, prima che io lo voglia”; DLO nr. 10) egli si era allontanato da casa,
abbandonando la famiglia e andando a vivere nella fattoria di alcuni conoscenti. In
seguito Gunnlaugr avrebbe comunque finalmente ottenuto di entrare in società con
altri acquistando una quota pari alla metà di una nave e quindi partire per l’estero.
VC (1980), pp. 25-88; Hødnebø F., “Hvem var de første vikinger?”, in MoM 1987, pp.
1-16; Holm G., “Ordet viking än en gång”, in MoM 1988: 1-2, pp. 144-145; Hødnebø
F., “Ordet viking. Replikk til Gösta Holm”, in MoM 1988: 1-2, pp. 146-151; Holm G.,
“Orden víkingr, m., och víking, f. Replikk til en replikk”, in MoM 1988: 3-4, pp. 188-
189 e Hofstra T., “Changing views on Vikings”, in Tijdschrift voor Skandinavistiek,
XXIV (2003), pp. 147-159 (dove si riassume la questione); cfr. nota 221.
13
Vd. oltre, 5.2.2.
14
Si vedano in particolare il patto che costituiva una società (félag) e l’appartenen-
za ad associazioni o confraternite (gildi); vd. Scovazzi 1957 (B.8), pp. 223-226; cfr.
sopra, nota 6.
15
Vd. Bø 1959 e il testo a p. 102.
16
Nelle fonti più tarde non è infrequente che il termine “vichingo” venga usato in
senso denigratorio. Se ne veda un esempio già nella Saga di Gunnlaugr Lingua di ser‑
pente (un testo redatto, come si è detto, nel XIII secolo) a proposito di un certo Þórormr,
definito – con intendimento spregiativo – “il più grande predone e vichingo” (cap. 7,
p. 72: “inn mesti ránsmaðr ok víkingr”) e nel Libro dell’insediamento (Landnámabók;
vd. p. 310) dove un tale Þorbjǫrn viene detto “vichingo e malfattore” (p. 200: “víkingr
oh illmenni”). In Scovazzi 1957 (B.8), pp. 222-223 si rileva, opportunamente, l’affini-
tà che per taluni versi li legava ai berserkir, i ‘guerrieri furiosi’, devoti di Odino, divi-
nità che incarna al meglio lo spirito vichingo (su di loro vd. oltre, pp. 170-171).
17
Barbarani 1987, pp. 346-347.
18
Vd. oltre, pp. 578-584.
19
Da collocare verosimilmente alla foce del fiume Oder nella località di Wolin.
3.1.2. Partenze
20
DLO nr. 11. Una informazione coerente con quella della Saga di Gísli viene (anche
se in forma più concisa) dalla Saga dei fratelli di sangue (Fóstbrœðra saga, cap. 2).
21
Nella Cronaca anglosassone è riferito l’episodio relativo al governatore del Dorset,
il quale venne a sapere che tre navi cariche di stranieri erano approdate sulla costa di
Dorchester; con i suoi uomini si recò sul posto per vedere di che si trattava, e voleva
condurli dal re ma venne assalito e ucciso. Queste furono le prime navi ‘danesi’ che
giunsero in Inghilterra. Siamo nell’anno 787 (The Anglo-Saxon Chronicle, I, pp. 96-97;
II, pp. 47-48).
33
L’autunno 1066 segna simbolicamente la fine dell’era vichinga, seppure almeno
fino al 1263 i nordici tentassero qualche ulteriore incursione (Jones 1977, pp. 438-439).
34
Una valutazione dell’impatto della lingua nordica nelle regioni dell’arcipelago
britannico (compresa la questione dei territori scozzesi, delle Ebridi e dell’isola di Man)
si trova in Barnes 2002 (B.5), dove è brevemente discussa anche la situazione lingui-
stica in altre aree colonizzate dai nordici (Normandia, Groenlandia, Russia). Vd. anche,
del medesimo autore, The norn language of Orkney and Shetland, Lerwick 1998 e
Jakobsen J., Etymologisk ordbog over det norrøne sprog på Shetland, I-II, København
1908-1921.
35
Assai interessanti sono qui (ma anche nella regione dirimpettaia del Cumberland,
particolarmente a Gosforth) le raffigurazioni incise su pietre e croci che rappresen-
tano diverse scene nelle quali è possibile leggere un chiaro riferimento a storie
appartenenti al patrimonio mitologico nordico (vd. KERMODE 1904; cfr. p. 93 con
nota 116).
36
Così detto perché portava calzoni di cuoio con il pelo sopra. A lui è dedicata la
leggendaria Saga di Ragnarr Brache di pelo (Ragnars saga loðbrókar); cfr. p. 134, nota
137.
37
La città era stata assalita una prima volta nell’anno 842 e in seguito (872) era
finita sotto il controllo danese. Nell’anno 994 fu di nuovo attaccata dal norvegese Olav
Tryggvason alleato del danese Svend Barba forcuta ma la coraggiosa resistenza degli
abitanti costrinse i nordici a ritirarsi.
38
Il Danelagu (ingl. Danelaw) si estendeva su un’area amministrativamente diso-
mogenea: comprendeva infatti oltre a diversi domini scandinavi limitate enclavi
anglosassoni e piccole repubbliche aristocratiche. Questi territori sarebbero stati
restituiti definitivamente alla sovranità della Corona inglese nel 937.
39
Una eco delle epiche lotte contro i nordici si trova in diversi testi della letteratu-
ra anglosassone. La battaglia di Brunaburh ricorda la brillante vittoria ottenuta nell’an-
no 937 dal re Ethelstano (Æðelstân), nipote di Alfredo, contro un esercito misto
scoto-normanno in una località non identificata (da collocarsi probabilmente sulla
costa occidentale dell’Inghilterra tra Chester e Dumfries). La battaglia di Maldon rie-
voca invece lo scontro avvenuto il 10 o l’11 agosto del 991, nel quale il capo dell’eser-
cito anglosassone Byrhtnoht, eorl dell’Essex, perse la vita. Un altro (breve) testo
poetico, cui è stato dato il titolo La presa dei cinque borough, commemora la riconqui-
sta nel 942 da parte del re inglese Edmondo (Eadmund) dei borough (circoscrizioni
amministrative) di Leicester, Lincoln, Nottingham, Stamford e Derby che facevano
parte del Danelagu; sui cinque borough vd. Hall R.A., “The Five Boroughs of the
Danelaw. A Review of Present Knowledge”, in Clemoes P. – Keynes S. et al. (eds.),
Anglo-Saxon England, XVIII (2007), pp. 149-206.
40
Alla morte di Canuto il Grande (tumulato nella cattedrale di Winchester), avve-
nuta nel 1035, gli era succeduto dapprima il figlio Araldo, poi (alla morte di questi)
un altro figlio, Hǫrða-Knútr, descritto come un personaggio feroce e vendicativo.
Costui morì nel 1042 e l’assemblea nazionale inglese, witan (o, più precisamente,
witenangemot “assemblea dei saggi”) nominò come suo successore Edoardo (Eadward),
noto come il Confessore (se andettere).
41
I toponimi di origine nordica in Inghilterra sono circa 1400 (sull’argomento vd.
tra l’altro Fellows Jensen 1986 e Fellows Jensen 1994); qui va segnalato che alcuni
sono riferibili al culto di divinità come Odino e Thor (Turville-Petre 1964 [B.7.1],
pp. 71-72 e p. 94).
42
Cfr. il termine inglese by-law che ha senso di “town law”.
43
Il che trova interessanti riscontri nel lessico: si vedano termini quali wapentake
(ant. ingl. wæpen-tæc) “suddivisione di una contea”, un curioso sviluppo del nordico
vápnatak, letteralmente “afferrare le armi”, un gesto di valore legale con il quale nel
corso dell’assemblea si esprimeva il proprio consenso brandendo e agitando le proprie
armi (cfr. la Germania di Tacito, cap. 11); husting “corte”, “tribunale”: ant. nord.
húsþing “assemblea convocata da un re o da uno jarl” (vd. p. 210); riding “divisione
amministrativa” (< þriðing “terza parte di una contea”, cfr. ant. nord. þriðjungr “terza
parte [legale] di un’assemblea”). Nel Domesday Book, dove sono elencati i possedi-
menti del Regno inglese dopo la vittoria di Guglielmo il Conquistatore ricorre il ter-
mine socmannus (corrispondente del danese sognman) con il significato di “uomo
libero” (e anche sochemanna femina “donna libera”); per le occorrenze vd. Foy J.D.,
Domesday Book, 38, Index of Subjects, Chichester 1992, pp. 70-74; vd. anche Maitland
F.W., Domesday book and beyond. Three essays in the Early History of England, London
and Glasgow 1961 (seconda ristampa dell’edizione del 1897), pp. 95-109 e Fuchs R.,
Das Domesday Book und sein Umfeld. Zur ethnischen und sozialen Aussagekraft einer
Landesbeschreibung im England des 11. Jahrhunderts, Stuttgart 1987, pp. 393-399.
del nordico félagi, termine che indicava un socio dal punto vista
commerciale),44 get “ottenere”, “ricevere”, give “dare”, happy “feli-
ce” (formato su happ “buona sorte”), hit “colpire”, husband “mari-
to” (dal nordico húsbóndi il “fattore/padrone di casa”), ill “cattivo”,
kid “capretto”, knife “coltello”, law “legge”, leg “gamba”, low
“basso”, outlaw “fuorilegge”, race “corsa”, “gara”, ransack “sac-
cheggio” (un termine davvero significativo!), root “radice”, same
“stesso”, sister “sorella”, skin “pelle”, skirt (in nordico skyrta “cami-
cia con le maniche lunghe”) che prenderà il senso di “gonna”
(accanto a shirt “camicia” di derivazione anglosassone), skull “cra-
nio” (probabilmente dal nordico skolptr/skoltr “muso”), sky “cielo”,
take “prendere”, their “loro” (poss.), they/them “essi/loro”, though
“benché”, thrift nel senso di “prosperità”, trust “fiducia”, ugly
“brutto” (nordico uggligr “spaventato”), want “volere”, weak “debo-
le”, window “finestra” (dal nordico vindauga, letteralmente “occhio
del vento”), wing “ala”, wrong “errato”.45 Nei testi anglosassoni
compaiono inoltre, in qualche caso, antroponimi di chiara origine
nordica, a esempio Grimcetel (< Grímkell), Lefer (< Leifr) o Ulf (<
Úlfr): essi però non saranno conservati nell’inglese moderno.
Sul continente i vichinghi, in maggioranza danesi, si erano mos-
si fin dai primi decenni dell’800 (le prime incursioni risalgono agli
anni 819-820). A partire dall’843 essi si procurarono una base
logistica nel luogo (un’isola tidale a sud dell’estuario della Loira)
in cui un tempo sorgeva il celebre monastero di Noirmoutier fon-
44
Cfr. nota 6.
45
Vd. Hogg R.M. (ed.), The Cambridge History of the English Language, I: “The
Beginning to 1066”, Cambridge 1991, pp. 320-336 e Klein E., A Comprehensive Ety‑
mological Dictionary of the English Language, I-II, Amsterdam-London-New York
1966-1967, alle voci relative. L’influsso nordico non è limitato alla ricezione di termini:
la preposizione till a esempio ha assunto il senso di “fino a” per analogia con il nordi-
co; un altro esempio significativo è la parola bloom “fiore” che riprende questo senso
dal nordico blóm, mentre il parallelo antico inglese bloˉma significava “lingotto di
ferro” ed è rimasto nel lessico della metallurgia; allo stesso modo plough trae il signi-
ficato di “aratro” dal nordico plógr, mentre l’ant. ingl. plow indicava una “misura di
terra”. Particolare è il caso del termine dream: questa parola in antico inglese signifi-
cava “gioia”, “felicità”, “musica”, “divertimento”; si è quindi supposto che il signifi-
cato attuale di “sogno” sia dovuto a un adattamento al nordico draumr, tuttavia questo
caso non è del tutto chiarito (vd. Onions G.T [ed.], The Oxford Dictionary of English
Etymology, with the assistance of G.W.S. Friedrichsen and R.W. Burchfield, Oxford
1966, p. 289). Assai interessante è anche la forma plurale del presente indicativo del
verbo essere: are, verosimilmente ricalcata sul nordico eru “sono” (sindon in ant. ingl.,
ma aron nella variante del dialetto della Northumbria). Sui prestiti nordici in inglese
vd. anche Björkman 1900-1902; Björkman 1901; Björkman 1910; Serjeantson M.S.,
A History of Foreign Words in English, London 1935; Geipel 1971. Sui reciproci
influssi nei testi di carattere letterario e non vd. Hofmann 1955.
54
Anche altri toponimi come a esempio Criqueville, Criquebeuf parrebbero ricon-
ducibili a questo termine. Non così tuttavia intende J. Renaud (Renaud 1989, p. 191)
che li ritiene formati sul nordico kriki “angolo”, “incavo”; vd. anche Joret Ch.,
Des caractères et de l’extension du patois normand. Étude de phonetique et d’etnographie,
Paris 1883, pp. 44-45 e p. 72.
55
Naturalmente la frequenza e la distribuzione di questi nomi sono diversificate.
Per un’analisi più approfondita si rimanda a Renaud 1989, pp. 153-198, da cui è trat-
ta buona parte degli esempi qui riportati. Si consultino anche Joret 1883 (vd. nota
precedente); Moisy H., Dictionnaire du patois normand, Caen 1887; Dubosc G.,
“Quelques noms de lieux normands”, in Chroniques du Journal de Rouen, 26 giugno
1922; Adigard des Gautries 1954; de Gogor 1958 e Fellows Jensen 1994.
56
Vd. sopra, nota 33.
57
Vd. Blake N. (ed.), The Cambridge History of the English Language, II: 1066-1476,
Cambridge 1992, pp. 15-20.
58
Questo nome va probabilmente connesso a quello della dèa Vár, una divinità
minore della quale è detto che presiede ai giuramenti (Chiesa Isnardi 20084 [B.7.1],
p. 61): un evidente riferimento ai patti che questi uomini stringevano fra loro.
59
Se ne ha evidenza, tra l’altro, dalle iscrizioni runiche svedesi (Jansson 1984³
[C.2.5], pp. 79-96).
60
La navigazione sui grandi fiumi non era però del tutto agevole e nei tratti parti-
colarmente difficoltosi le navi venivano tirate a riva e trasportate fino al punto in cui
la corrente e l’andamento dei corsi fluviali permetteva di farle di nuovo scendere in
acqua.
61
L’idea di una città fortificata e difesa si ritrova in un altro, seppure meno usuale,
nome dato a questo luogo: Miklaborg, letteralmente “grande cittadella”, “grande
castello”. Alle città come luoghi di commercio ben protetti e difesi fanno riferimento
anche i nomi nordici di Aldeigjuborg-Staraja Ladoga, Holmgarðr-Novgorod (russo
Новгород), e Kœnugarðr-Kiev (ucraino Київ), dove garðr è “recinto”.
62
Già dall’anno 911 si ha notizia di nordici in servizio presso la corte bizantina, ma
la celebre Guardia varega (Væringjalið “corpo dei Vareghi” o Væringjalǫg “lega dei
67
Località che si trovava sulla riva orientale del Volga e che un tempo si chiamava
Ḫamlı̄ḫ.
68
Cioè luoghi in cui svolgevano il proprio commercio (cfr. nota 61). Come giusta-
mente sottolineato da H. Birkeland (Ibn Rustah, Kitāb al-A’lāq an-nafı̄sa, nota 11, p.
135), questa affermazione non si pone in contrasto con quella precedente secondo cui
i Vareghi non avevano villaggi. In effetti qui si intende sottolineare che essi non si
dedicavano all’agricoltura bensì al commercio e che quindi non avevano villaggi con-
tadini quanto piuttosto centri commerciali.
69
Il riferimento è spiegato da D.A. Chvol’son nella sua prima edizione del testo di
Ibn Rustah: ИзвЂстія о хозарахъ, буртaсахъ, болгарахъ, мадьярахъ славянахъ и
руссахъ абу-али ахмеда бенъ омаръ ибнъ-даста, неизвЂстнаго доселЂ арабскаго
писателя начала х вЂка, по рукописи британскаго музея бъ первый разъ, издалъ,
перевелъ и объяснилъ д. а. хвольсо нъ, С.-Петербургъ 1869, pp. 195-196. Con l’espres-
sione “spade di Salomone”, i musulmani solitamente intendevano le spade, forgiate
dai geni per il re Salomone; ma qui non si fa riferimento a questo. Piuttosto si potreb-
be pensare che il termine “salomoniche” celi il nome di una località oppure di un
Paese, nel quale queste spade venivano prodotte (Selmân nel Khorassan). Forse Ibn
Rustah definiva così le spade dei Vareghi, solo perché somigliavano a quelle, che a loro
volta erano simili alle spade dei Franchi (molto apprezzate nel Nord Europa), solo più
piccole e più levigate. Secondo Ibn Faḍlān le spade dei ‘Russi’ erano larghe, con la
lama ondulata ed effettivamente di manifattura franca.
tono fra loro. E quello fra i due che è superiore all’altro, sarà quello che
ottiene la soluzione da lui desiderata nella questione. – Essi hanno i loro
’aṭibbā’70 che decidono su ciò che possiedono come se fossero i padroni,
quando ordinano loro di sacrificare al loro creatore ciò che essi desiderano
fra donne, uomini e bestiame. E quando gli al-’aṭibbā’ hanno preso la propria
decisione, allora essi non hanno alcuna possibilità di sottrarsi al loro ordi‑
ne. Aṭ-ṭabīb71 prende da loro la persona o l’animale, gli avvolge una corda
al collo e lo impicca a un palo di legno finché non spira. Poi egli dice:
‘Questa è una offerta a Dio.’ – Possiedono coraggio eroico e valore, e quan‑
do invadono il territorio di una stirpe [straniera], non desistono finché non
lo hanno completamente devastato. Prendono prigioniere le loro donne e
rendono schiavi [gli uomini]. Essi hanno corpi prestanti e bell’aspetto e
sono audaci. Ma la loro audacia non la dimostrano sulla terra. I loro attac‑
chi e le spedizioni li intraprendono solo con le navi. – Essi portano (ampi)
calzoni (sarāwı̄lāt); per ciascuno di essi ci vogliono all’incirca 100 álnir72 di
stoffa. Quando uno li indossa li arrotola attorno alle ginocchia e li fissa lì
così. Nessuno di loro va fuori per fare i propri bisogni da solo, ma in com‑
pagnia di tre dei suoi compagni, che gli fanno la guardia. Ciascuno di loro
ha la propria spada con sé, perché presso di loro c’è assai poca sicurezza e
molti tradimenti. E quando qualcuno possiede qualcosa, allora suo fratello
o il suo compagno che sta con lui punta a poterlo uccidere e depredare. –
Quando fra di loro muore un notabile, essi scavano una tomba come una
grande casa e lo depongono là. Insieme a lui mettono i suoi abiti e i brac‑
ciali d’oro che portava e inoltre molto cibo e recipienti per bere e monete.
Essi mettono anche la sua sposa favorita nella tomba insieme a lui, quando
ella è ancora in vita. Ma poi l’apertura della tomba viene ostruita, così ella
muore là.”73
Mago o medicine-man.
70
74
È uno di quei casi in cui il nome dei conquistatori è stato attribuito ai territori
conquistati: vedasi a esempio Francia da Franchi, Normandia da Normanni, Lombar-
dia da Longobardi, Bulgaria da Bulgari (popolazione turanica); Vasmer M., Russisches
etymologisches Wörterbuch, Heidelberg 1950-1958 (Фасмер М., Этимологический
словарь русского яэыка, Москва 1964), III, p. 505.
75
Essa si trova negli Annali di S. Bertino, nella parte (835-861) redatta da Pruden-
zio, vescovo di Troyes e cappellano dell’imperatrice Giuditta moglie di Ludovico il
Pio (Annales bertiniani, p. 44). Ivi si dice che questi rhos accompagnarono la legazio-
ne bizantina presso l’imperatore Ludovico il Pio.
76
La definizione tradizionale Cronaca di Nestore (per la quale si è qui consultata la
versione italiana Il racconto dei tempi passati […] [Повесть временных лет]) si basa
sull’attribuzione di questo scritto a un monaco di tale nome, vissuto nel convento
Pečerskij a Kiev verso la fine del XII secolo: costui in realtà ne curò piuttosto la riela-
borazione.
77
Questi nomi dovrebbero corrispondere ai nordici Hrœrekr (runico svedese HrörikR)
“ricco di fama”, Signjótr “che usufruisce della vittoria” (non attestato nelle fonti nordiche
occidentali ma frequente in Svezia; vd. E. Wessén Nordiska namnstudier. Östnordiskt i
vikingatidens namnförråd, Uppsala 1927, p. 108) e Þorvarðr “guardiano del dio Thor”.
78
Altre notizie sui Vareghi in Russia si trovano in una fonte bizantina: il manuale
di governo dal titolo De administrando imperio, scritto tra il 948 e il 952 da Costantino
Porfirogenito per il figlio (vd. in particolare cap. 2 e cap. 9); sull’argomento vd. Boyer
1991. Una interessante ed equilibrata valutazione della questione dei Vareghi in rela-
zione alla sua ‘ricezione’ nei testi svedesi di carattere storico si trova in Latvakangas
A., Riksgrundarna. Varjagproblemet i Sverige från runinskrifter til enhetlig historisk
tolkning, Turku 1995. Si veda anche Franklin S. – Shepard J., The Emergence of Rus
750-1200, London 1996.
79
Vasmer M., op. cit. (vd. nota 74), I, p. 443.
80
Ma si veda anche il russo Askold, cfr. ant. isl. Hǫskuldr. Vd. Thomsen 1877, pp.
131-141; Bugge 1885, Wessén 197510 (B.5), pp. 93-94; Melnikova 1996, e Svante 1989.
81
Cioè “Regno” (o “Impero”) delle città” per via dei centri che vi sorgevano in re-
lazione al fiorente commercio che vi si svolgeva; cfr. sopra, nota 61.
82
Il racconto dei tempi passati […] (Повесть временных лет), p. 18.
83
Saga di Yngvarr Gran viaggiatore (Yngvars saga víðfǫrla).
84
La questione è chiaramente esposta e discussa in Cucina 1989, pp. 198-243.
in PA XIX: 3 (2001), pp. 26-27. In relazione alla presenza dei nordici nel continente
americano è stata rivendicata anche la ‘scoperta’ di diverse pietre runiche (tra le qua-
li la più nota è forse quella di Kensington nel Minnesota), che tuttavia si sono dimo-
strate dei falsi.
94
Saga di Eirik il Rosso, cap. 5 (vd. brano citato alla fine del paragrafo).
95
Saga dei Groenlandesi, cap. 2.
96
Il soprannome significa verosimilmente “dotato di qualità promettenti” (Jónsson
F., “Tilnavne i den islandske oldliteratur”, in AaNOH 1907, p. 293).
97
Su altri nordici che in precedenza sarebbero vissuti in America (in particolare
tale Ari Mársson), vd. GHM I, pp. 150-168; vd. anche Beauvois E., “La grande-Irlande
ou pays des blancs précolombiens du nouveau monde”, in Journal de la societé des
Américanistes, I: 1-2 (1904), pp. 189-229.
“Leifr si mise in viaggio e per molto tempo stette in mare aperto e trovò
delle terre, di cui prima non conosceva l’esistenza. Là c’erano campi di
grano spontaneo e vi cresceva la vite. Là c’erano degli alberi che si chiama‑
no mo˛surr,100 ed essi da tutti questi presero qualche campione, alcuni albe‑
ri [erano] così grandi che [erano] adatti [per costruire] una casa.”
98
La diffusione delle notizie relative a queste terre è testimoniata dalle diverse
citazioni di Vínland. La prima in ordine cronologico si trova nell’opera di Adamo da
Brema, il quale riferisce che essa era considerata un’isola: “Inoltre, nominò ancora
un’isola da molti incontrata in quell’oceano, che viene detta Vínland, a motivo del
fatto che là le viti nascono spontaneamente producendo un ottimo vino. Del resto
siamo venuti a sapere che là abbondano anche i prodotti della terra non seminati, non
in base a una credenza leggendaria, bensì a un sicuro resoconto dei Danesi” (DLO nr.
16; cfr. ibidem, p. 110, scolio 37, dove di Odinkar, vescovo di Ribe, è detto che era
figlio di Toki, comandante vinlandese). L’annotazione relativa alla fertilità del luogo
trova corrispondenza in una fonte quale il Libro dell’insediamento, in essa si legge
infatti la definizione Vínland it góða, cioè “il buon Vínland” (Landnámabók, p. 162 e
p. 241); cfr. il Libro degli Islandesi (Íslendingabók) di Ari il Saggio (inn fróði) Þorgilsson
(1067 o 1068-1148), cap. 6; vd. Kristjánsson J., “Vinland the Good”, in Hødnebo –
Kristjánsson 1991, pp. 25-27. Inoltre questa terra è citata negli Annali islandesi agli
anni 1121 (cfr. pp. 279-280 con nota 197) e 1347 (IA, p. 213 e p. 403) così come in un
testo islandese di carattere enciclopedico (che la nomina insieme a Markland): qui
tuttavia la citazione è da ritenere spuria (Alfræði Íslenzk, I, p. 12). Una allusione a
Vínland sarebbe da riconoscere, secondo S. Bugge, nell’iscrizione runica norvegese di
Hønen (Buskerud, XI secolo); vd. Olsen-Liestøl et al. 1941-(C.2.5), II, pp. 35-37.
Vd. anche Rafn 1841 pp. 32-37 dove si fa riferimento ai viaggi (ivi compresa una
spedizione nelle zone polari) effettuati tra il 1266 e il 1347; Storm 1887, Hermannsson
1909, Hermannsson 1936, Brøgger 1937, Brøndsted 1950, Krause 1969, Pálsson
2001 (dove si prendono in considerazione le fonti celtiche) e anche (sulla questione
della presunta ‘mappa di Vínland’) Kejlbo I., “The Authenticity of the Vinland Map”,
in Geografisk Tidsskrift, XCII (1992), pp. 1-13 e Seaver K.A., Maps, Myths and Men.
The Story of the Vinland Map, Palo Alto, Calif. 2004.
99
In Rausing G., “Bronzealderens Columbus” (Skalk, 1977: 1, pp. 9-10) si consi-
dera l’eventualità di un contatto tra le regioni del Nord e il continente americano
addirittura nell’età del bronzo.
100
L’albero cui viene dato nome mǫsurr è verosimilmente una specie di acero.
“Si fece un gran parlare, che [alcuni] uomini potessero cercare quella
terra che Leifr aveva trovato […] Poi prepararono quella nave […] e per
ciò furono ingaggiati venti uomini, e avevano poco denaro, non più che armi
e viveri […] A lungo errarono sul mare, ma non arrivarono alla rotta che
volevano […] Tornarono indietro in autunno ed erano assai stanchi ed
estenuati […].”
101
Brattahlíð (l’attuale Qassiarsuk in fondo al fiordo di Tunulliarfik) era il nome
dell’insediamento groenlandese in cui viveva Eirik il Rosso (NØRLUND P. – STENBERGER
M., Brattalid, Copenhagen 1934).
102
Misura di lunghezza (sing. alin) che corrisponde a circa 45 cm.
103
L’espressione usata nella saga (tvau dœgr) non è tuttavia del tutto chiara in
quanto il termine dœgr può indicare tanto lo spazio di tempo del giorno o della notte
(dunque dodici ore) quanto un giorno astronomico (dunque ventiquattro ore). Quest’ul-
timo pare tuttavia il senso più probabile quando si fa riferimento a periodi di naviga-
zione.
104
DLO nr. 17-20. I brani qui riportati sono tratti dalla Saga di Eirik il Rosso. In
questo testo si riferisce dell’occasione in cui Leifr e i suoi uomini diedero nome alle
terre di Helluland e Markland. Il nome Vínland vi compare al cap. 8 (nel brano qui
riportato) come già noto. Alla sua origine fa invece riferimento la Saga dei Groenlan‑
desi (Grœnlendinga saga, cap. 3) dove si dice che Leifr avrebbe chiamato così quella
terra in quanto vi erano state trovate delle viti e dell’uva.
3.1.7. Ritorni
106
Si confronti anche l’iscrizione della pietra svedese di Sparlösa (Västergötland,
inizio del IX secolo). Su di essa, a questo proposito, si legga Lindquist I., Religiösa
runtexter II. Sparlösa-stenen, ett svenskt runmonument från Karl den stores tid upptäckt
1937. Ett tydningsförslag, Lund 1940.
107
Interpretazione basata su Krause 1966 (C.2.5), pp. 209-214. La parte finale
dell’iscrizione recita: hideRrunonofelẠḥekA hederA ginoronoR/ herAmAlAsARArAgeu/
weḷẠdudsAþAtbAriutiþ, un formula magica del tutto simile a quella che si trova sulla
pietra di Björketorp (vd. p. 85, nota 82). Cfr. qui il testo inciso sulla bratteata danese
di Skodborg (Jutland meridionale, periodo delle migrazioni): auja alawin auja alawin
auja alawin j alawid “Salute, Alawin! Salute, Alawin! Salute, Alawin! Buona annata,
Alawid!” (Krause 1966, pp. 241-244).
3.2.2. Danimarca
134
A proposito di questo personaggio, così come della sua famiglia le fonti non
mostrano precisione né concordanza; vd. Saxo Grammaticus 1979-1980, II, pp. 147,
nota 175, p. 148, nota 176, p. 150, note 1 e 2.
135
L’edificazione di altre imponenti fortificazioni-basi militari (come Trelleborg in
Selandia, Fyrkat e Aggersborg nello Jutland e Nonnebakken in Fionia), legate alla
figura del re Svend Barba forcuta si collegherà in seguito (tra il X e l’XI secolo) all’af-
fermazione definitiva di un potere centralizzato basato anche sulla militarizzazione del
territorio. Vd. Nørlund P., Trelleborg, med bidrag af K. Jessen, København 1948;
Olsen O. – Schmidt H. et al., Fyrkat. En jysk vikingeborg, I-II, København 1977 e
Roesdahl E., “Vikingernes Aggersborg”, in Nørgaard F. – Roesdahl E. et al. (red.),
Aggersborg gjennem 1000 år – Fra vikingeborg til slægtsgård, Herning 1986, pp. 53-93.
136
Adamo da Brema (Gesta Hammaburgensis […], I, xiv) sostiene tuttavia che egli
fosse il cugino (patruelis) di Goffredo.
137
Forse sarebbe addirittura possibile identificare in questo re il mitico capo vichin-
go Ragnarr Brache di pelo (che in Sassone grammatico sarebbe Regnerus, di cui tratta
il libro IX); vd. Saxo Grammaticus 1979-1980, I, pp. 277-278; cfr. sopra nota 36.
138
Questo soprannome attribuito successivamente è di significato incerto; vd.
Jónsson 1907 (indicazioni alla nota 96), p. 292 e p. 334.
139
Annales Regni Francorum, pp. 86-98, passim; vd. anche l’opera di Adamo da
Brema (Gesta Hammaburgensis […], I, xiv-xv) e, naturalmente, quella di Sassone
grammatico (Gesta Danorum, libro IX).
140
Sull’interpretazione di questa espressione vd. Nielsen 1983 (C.2.5), pp. 100-101.
141
Vd. Jones 1977 (C.3.1), pp. 138-139.
3.2.3. Svezia
Per quanto allettante sia l’idea che il nucleo del futuro Regno
svedese possa essere già riconosciuto nel passo tacitiano relativo
alla tribù dei Suiones143 e quindi fatto risalire addirittura al I seco-
lo d.C., è evidente che anche in Svezia diversi centri di potere si
erano consolidati piuttosto nei secoli precedenti il periodo vichin-
go in aree particolarmente avvantaggiate dal punto di vista delle
risorse economiche e commerciali; le testimonianze archeologiche
di contatti con l’Impero romano (e la conseguente circola-
zione di merci di prestigio) si legano all’affermarsi di signorie
capaci di imporsi – grazie all’acquisizione di ricchezza e alla
capacità di stringere utili alleanze – oltre confini limitati. Nei
secoli V-VI d.C. la Svezia ci appare come un territorio econo-
micamente vivace e nel quale si vengono delineando le regioni
che andranno a costituire la struttura del futuro Regno: Götaland
(la “terra degli Götar” [pronuncia: /'jø:tar/]), suddivisa in
Västergötland e Östergötland; Uppland con la regione gravitan-
142
“Prologo” (Præfatio) II, 1-3 (DLO nr. 24).
143
Vd. p. 155 con nota 215.
Descrizione della Svezia dalle Opere dei vescovi della Chiesa di Ambur‑
go di Adamo da Brema:
“Quindi faremo una breve descrizione della Sueonia o Suedia [la Terra
degli Svear]:156 essa ha a ovest gli abitanti di Götaland e la città di Skara, a
nord gli abitanti di Värmland con i Finni sciatori,157 il cui inizio è [in] Häl‑
152
Ynglinga saga, cap. 10.
153
Vd. oltre, pp. 240-241.
154
La città, costruita sulla piccola isola di Björkö dovette fiorire tra la fine dell’VIII
secolo e il 975 circa; cfr. p. 208.
155
Vita Anskarii; cap. 11 e cap. 26; Björn è citato come un sovrano ben disposto
nei confronti dei missionari.
156
Per la doppia denominazione vd. oltre, pp. 155-156.
157
I Sami (detti in Giordane Screrefennae, cfr. p. 75).
singland; a est per [tutta] la lunghezza ha quel Mar Baltico, di cui prima
abbiamo detto. Lì c’è la grande città di Sigtuna; a oriente invece arriva ai
Monti Rifei,158 dove [ci sono] vaste aree desertiche e nevi altissime, e dove
folle di uomini mostruosi impediscono un ulteriore accesso. Là ci sono
Amazzoni, Cinocefali, Ciclopi che hanno un occhio solo sulla fronte; là ci
sono quelli che Solino159 chiama Imantopodi, che saltano su un piede solo,
e quelli che gustano la carne umana al posto del cibo, ragion per cui si rifug‑
ge da loro, e parimenti a [buon] diritto [di loro] si tace.160 Il re danese [Svend
Estridsen], che spesso ricordo, mi riferì che dalle montagne erano soliti
scendere degli uomini di modesta statura, ma dagli Svear a stento contra‑
stabili per la forza e l’agilità. ‘E di loro è incerto da dove vengano; talora
una volta all’anno, oppure dopo tre anni’, disse, ‘arrivano improvvisi. Se a
questi non ci si oppone con tutte le forze, devastano l’intera regione, e di
nuovo si ritirano’. Molte altre cose si sogliono raccontare, che io ho omesso
per amore di concisione, da coloro che affermano di averle viste.”161
3.2.4. Norvegia
166
Vd. Wessén E., “Inledning”, in Snorri Sturluson, Yngligasaga, utgiven av E.
Wessén, Stockhom-København-Oslo 1964, pp. xii-xviii.
167
Vd. p. 210.
168
Vd. oltre, p. 310.
169
Vd. Jones 1977 (C.3.1), p. 87 e nota 3. Sulla cronologia relativa al regno di
Araldo vd. Aðalbjarnarson B., “Formáli”, in Snorri Sturluson, Heimskringla, II, pp.
lxxi-lxxxi e De Vries 1942, pp. 103-117. In generale su Araldo vd. Koht 1955.
170
Vd. in particolare le str. 9-11 (in Skj I: A, p. 26, B, p. 23).
171
L’episodio ci è narrato nella Saga di Hálfdan il Nero (Hálfdanar saga svarta,
seconda parte della Heimskringla, cap. 6). Qui si racconta che la madre del futuro re
aveva sognato di stare in giardino e di togliere una spina dalla propria camicia: ma
quando l’ebbe in mano essa crebbe fino a diventare un grande virgulto, sicché da una
parte attecchì nel terreno mettendo velocemente le radici e dall’altra si protese in alto
nel cielo. In tal modo divenne un albero tanto grande che pareva estendersi su tutta la
Norvegia e oltre. Su questo motivo letterario vd. de Vries 1942, pp. 96-97. Sempre
Snorri nei capitoli 3 e 4 della Saga di Araldo Bella chioma (Haralds saga ins hárfagra,
terza parte della Heimskringla) riferisce che costui, vistosi rifiutato da una giovane
donna che lo riteneva un sovrano con un potere troppo limitato, fece giuramento di
impadronirsi di tutta la Norvegia, impegnandosi a non tagliarsi i capelli, né a pettinar-
si finché non avesse raggiunto il proprio scopo. Per questo motivo gli fu dato il
soprannome “Spettinato” (lúfa) che divenne in seguito “Bella chioma” (inn hárfagri),
quando egli – raggiunto finalmente il proprio obiettivo – si fece tagliare e pettinare i
capelli (cap. 23).
172
Secondo Snorri Sturluson e altre fonti costei era figlia di Ǫzurr toti (soprannome
di significato incerto, forse “Bitorzolo”, dal momento che toti significa “protuberanza
simile a un capezzolo”), della regione settentrionale norvegese di Hålogaland (Háloga‑
land, a nord del Trøndelag) ed era cresciuta tra i Sami (Finni), il che spiegherebbe il
fatto che era considerata esperta di magia. Più probabile invece, che ella fosse – come
vuole una diversa tradizione – figlia del re danese Gorm il Vecchio. Secondo le saghe
dei re, dopo la morte di Araldo Manto grigio (su cui poco più avanti) ella era fuggita
nelle Orcadi rimanendovi per il resto della vita. Nella Saga dei vichinghi di Jómsborg
(cap. 5), tuttavia, si racconta che ella fu attirata in Danimarca con una falsa proposta di
matrimonio da parte del re danese, ma una volta giuntavi fu assassinata a tradimento e
gettata in una palude. Sulla scorta di questo racconto alcuni studiosi del passato hanno
voluto riconoscere proprio in Gunnhild il cadavere di una donna ritrovato nella palude
di Haraldskjær nello Jutland centrale. Questa identificazione è tuttavia del tutto errata,
sebbene ormai la sconosciuta il cui cadavere è stato ritrovato in quel luogo sia comu-
nemente nota come ‘la regina Gunnhild’ (Glob 1973 [C.2.2], pp. 55-58).
173
Vd. sopra, p. 107.
174
Costui a quanto pare apparteneva a una famiglia di ‘giganti del ghiaccio’ ricor-
data in diverse fonti; vd. Chiesa Isnardi 20084 (B.7.1), p. 321 e note relative. Questa
etimologia è, evidentemente, errata; vd. sotto, p. 156 con nota 220.
armi, le loro lesioni diventano chiare senza sangue, ai morti invece il sangue
cessa a stento di sgorgare. Ma hanno grave carenza di metallo di ferro,
[perciò] utilizzano denti di pesce al posto dei dardi e pietre aguzze al posto
dei coltelli.”179
191
Si veda come esempio assai significativo il racconto della Saga di Víglundr
(Víglundar saga): “E un’altra cosa non fu tuttavia di minore importanza che non andò
bene a nessuno di coloro che si opposero alla sua volontà, alcuni furono cacciati dalla
[loro] terra, alcuni uccisi; il re allora si impadronì di tutti i beni che avevano lasciato, ma
molti uomini di grande importanza fuggirono dalla Norvegia e non sopportarono le
imposizioni del re, quelli che appartenevano a grandi stirpi, e preferirono abbandonare
i loro possedimenti terrieri e i parenti e gli amici piuttosto che sottostare alla schiavitù e
al giogo del sovrano, e in molti si diressero verso diverse terre. Al suo tempo l’Islanda fu
ampiamente colonizzata, perché in quel luogo si diressero molti di coloro, che non tol-
leravano il potere del re Araldo” (DLO nr. 28); cfr. la Saga di Hǫrðr Grímkelsson
(Harðar saga Grímkelssonar), nota anche come Saga dei difensori dell’isola (Hólmverja
saga), cap. 1. La parte iniziale (capp. 3-30) della Saga di Egill Skalla-Grímsson è dedi-
cata per buona parte alla figura di questo sovrano e ai contrasti che lo opposero a
personaggi di prestigio. Si vedano anche, in questo contesto, la Saga degli uomini di
Eyr (Eyrbyggja saga), capp. 1-2, la Saga dei valligiani di Vatnsdalur (Vatnsdœla saga),
capp. 8-10, la Saga dei valligiani di Laxárdalur (Laxdœla saga), cap. 2, la Saga di Gísli,
cap. 1 (nella versione più lunga, p. 3) e la Saga di Grettir Ásmundarson (Grettis saga
Ásmundarsonar), un testo tuttavia piuttosto tardo, capp. 2-3 e cap. 7. Anche nel Libro
dell’insediamento si trovano diverse allusioni ai rapporti tra il re Araldo e coloro che
scelsero di riparare in Islanda.
192
Cfr. p. 410. Al cap. 2 si legge: “Araldo suo figlio assunse il regno dopo il padre
Hálfdan il Nero. Egli allora era giovane per il numero degli anni, ma completamente
formato in tutte le doti che si addicevano a un re cortese. La chioma gli era cresciuta
molto e aveva un colore particolare, assai simile alla vista alla bellezza della seta. Era
l’uomo più bello e più forte e così imponente come si può vedere dalla sua pietra
tombale, quella che si trova a Haugasund. Era assai saggio e previdente e ambizioso,
in ciò lo rafforzavano la fortuna e il progetto, che egli sarebbe diventato signore del
Regno dei Norvegesi, sicché dalla sua stirpe è stata onorata questa terra e così sarà
sempre. A lui resero omaggio gli anziani con saggi consigli e supervisione del progetto.
I giovani e gli uomini valenti desideravano [unirsi] a lui a motivo degli splendidi doni
e del fasto regale […]” (DLO nr. 29). A Haugasund (Haugesund) nella regione di
Rogaland si trova il cosiddetto Haraldshaugen (“tumulo di Araldo”).
famiglia, comunità resa feconda dal proficuo legame dei vivi con
gli antenati defunti.
Del resto un legame sacro con la nuova patria si esprimeva anche
nell’usanza di “consacrare a sé la terra” (“at helga sér landit”) rife-
rita in diverse circostanze. Si trattava di una sorta di rito che in varie
forme (attraverso l’uso di una freccia infuocata, di falò o di altri
simboli come un’ascia ma più tardi anche una croce) consentiva di
‘marcare’ il territorio del quale dunque si entrava nel pieno posses-
so anche da un punto di vista legale.196
Se comunque non tutti quelli che si trasferirono in Islanda
furono spinti oltre che da ragioni politiche, economiche, familia-
ri e sociali anche da motivazioni legate alla salvaguardia della
tradizione, è indubbio che la costituzione di una società secondo
schemi tramandati da secoli parve adattarsi assai bene ai diversi
bisogni dei singoli. La colonizzazione ebbe come conseguenza la
frammentazione del territorio in possedimenti che, per quanto
anche molto estesi, restavano comunque di entità limitata rispet-
to alla superficie del Paese: qui gli uomini eminenti e le loro
famiglie esercitavano il proprio dominio. Una forma di ‘governo’
comune venne affidata alle assemblee (inizialmente solo distret-
tuali), organo cui venivano demandate – secondo una tradizione
antichissima – le decisioni di carattere legislativo e giudiziario.
Come precedentemente accennato,197 l’assemblea rappresentava
nel mondo germanico il momento solenne nel quale venivano
discusse le questioni rilevanti e assunti i provvedimenti impor-
tanti. L’assemblea generale degli Islandesi (Alþingi) venne istitui-
ta nel 930 (a più di cinquanta anni dall’arrivo dei primi coloni),
contemporaneamente vennero emanate le cosiddette “Leggi di
Úlfljótr” (Úlfljótslǫg), che entrarono in vigore in tutto il
Paese.198 Úlfljótr fu il primo a ricoprire l’ufficio di lǫgsǫgumaðr
(letteralmente “uomo che dice la legge”), persona incaricata per
un periodo di tre anni di presiedere le riunioni e all’occorrenza
recitare la legge (che, lo si ricordi, aveva solo una redazione ora-
le). L’assemblea generale si teneva ogni anno nella piana di Þing-
vellir (letteralmente “Piani dell’assemblea”), presso la grande
spaccatura che divide la piattaforma continentale europea da
quella americana, sotto la quale scorre il fiume Öxará e si trova
196
Vd. Strömbäck D., “Att helga land. Studier i Landnáma och det äldsta rituella
besittningstagandet”, in Festskrift tillägnad Axel Hägerström den 6. september 1928 av
filosofiska och juridiska föreningarna i Uppsala, Uppsala 1928, pp. 198-220.
197
Vd. p. 130.
198
Vd. p. 386.
199
Vd. Lárusson M.M., “Lǫgsǫgumaðr”, in KHLNM XI (1966), col. 137 e Kålund
Kr., “Det islandske lovbjerg”, in AaNOH 1899, pp. 1-8.
200
Cfr. p. 197 con nota 384 e p. 209. Vd. Lárusson M.M., “Lögrétta”, in KHLNM
XI (1966), coll. 136-137; Lárusson Ól, “Goði og Goðorð”, in KHLNM V (1960), coll.
363-366 e Samson 1992 (C.6.4).
201
Vd. SCOVAZZI 1975 (B.8), p. 267-268 e p. 292.
202
Su questa data vd. Benediktsson 1986 (C.5.2), pp. cxxxv-cxxxix (§ 17. Tímatal).
203
All’assemblea generale degli Islandesi (Alþingi) e alla sua storia è interamente
dedicato il numero CIV della rivista Skírnir, uscito nel 1930, anno della celebrazione
del millennio di questa istituzione.
204
In realtà, secondo tradizione, all’assemblea potevano partecipare solo i rappre-
sentanti legali e gli uomini eminenti delle diverse comunità.
“Riguardo ai ghiacci che si trovano in Islanda, mi pare che possa essere [uno
scotto] che quel Paese paga per la sua posizione, che è vicina alla Groenlandia,
e c’è da aspettarsi che di là venga molto freddo, dal momento che essa è rico‑
perta di ghiaccio più di tutte le [altre] terre. Ora, dato che l’Islanda riceve
molto freddo da quella direzione e tuttavia poco calore dal sole, ha conseguen‑
temente sovrabbondanza di ghiacci sulle creste delle sue montagne. Ma, a
proposito del fuoco eccezionale che c’è là, io non so bene che cosa dovrei dire,
dal momento che esso ha una strana natura. Ho udito che nell’isola di Sicilia
c’è un fuoco immenso [di potenza] eccezionale207 e mi è stato detto che San
Gregorio nei [suoi] Dialoghi208 ha affermato che nell’isola di Sicilia ci sono
luoghi di tormento nel fuoco che c’è là.209 Ma è di certo molto più probabile che
ci siano luoghi di tormento in quel fuoco che c’è in Islanda, poiché il fuoco che
(è) nell’isola di Sicilia si nutre di sostanze vive, dal momento che consuma
terra e legno […] Il fuoco che è in Islanda, invece, non brucia il legno, anche
se ci viene gettato [sopra] e neppure la terra; ma prende a proprio nutrimento
pietre e rocce dure e ne trae forza come l’altro fuoco dalla legna secca, e non c’è
205
Vd. Scovazzi M., “Dalla Scandinavia all’Islanda”, in Scovazzi 1975 (B.8), pp.
395-416.
206
Vd. p. 377.
207
L’allusione è, evidentemente, innanzi tutto all’Etna.
208
Il riferimento è all’opera Dialogorum Libri IV del Papa San Gregorio Magno.
Questo testo era stato tradotto in islandese e fa parte del gruppo delle heilagra manna
sǫgur (vd. p. 326 con nota 133), I, pp. 179-255 (la citazione cui qui si fa riferimento si
trova a p. 245).
209
Il riferimento è al purgatorio o, più probabilmente, all’inferno.
mai pietra o roccia così dura che esso non la sciolga come cera e non la bruci
poi come olio grasso. E seppure sul fuoco tu getti del legno sarà solo bruciac‑
chiato e non vorrà ardere. Ora, dal momento che questo fuoco non vuole
nutrirsi di altro che di cose morte, e rifiuta tutte le sostanze di cui l’altro fuoco
si nutre, si può affermare con certezza che questo fuoco è morto e pare del
tutto probabile che sia il fuoco dell’inferno, perché là tutte le cose sono morte.
Mi pare anche che [certe masse d’]acqua che sono là [in Islanda] siano della
stessa natura morta del fuoco di cui abbiamo parlato. Perché là ci sono sorgen‑
ti che ribollono impetuosamente di continuo sia in inverno sia in estate. A
volte il bollore è così violento che esse scaraventano l’acqua in alto per aria.
Ma qualsiasi cosa si metta vicino alle sorgenti al momento del getto, si tratti
di stoffa o legno o qualsiasi cosa sia, se quell’acqua la tocca quando cade, si
trasformerà in pietra. E mi pare assai probabile che quest’acqua debba essere
morta, visto che trasmette la qualità della morte a qualsiasi cosa bagni con il
suo spruzzo, poiché la natura della pietra è morta. Ma se quel fuoco non fosse
morto e avesse origine da qualche particolarità o evento nel Paese, la cosa più
probabile sarebbe, in relazione alla formazione del territorio, che le sue fon‑
damenta si siano formate con molte vene, passaggi vuoti e cavità profonde.
Ma poi potrebbe avvenire o per via dei venti o della forza dei marosi rumoreg‑
gianti che queste vene e cavità siano così rigonfie di aria, che non sopportino
la pressione della corrente e può succedere che ne derivino i grandi terremoti
che si verificano in questo Paese. Ora, se ciò possa avere una qualche probabi‑
lità o logica, potrebbe essere che dall’intensa attività nelle viscere della terra
si accenda e compaia il grande fuoco che arde in diverse zone del Paese.”210
218
Vd. de Vries 1962² (B.5), pp. 568-569 (voce Svíar) e Wessén 197510 (B.5), pp. 26-27.
219
DLO nr. 32; cfr. Adamo da Brema, Gesta Hammaburgensis […], I, xiv: “Infatti
i Danesi e gli altri popoli che si trovano oltre la Danimarca, dagli storici dei Franchi
sono tutti chiamati Normanni” (DLO nr. 33).
220
Vd. de Vries 1962² (B.5), pp. 411-412 (voce Noregr); Wessén 197510 (B.5), p.
28. Vd. tuttavia anche l’ipotesi di A. Noreen (Svenska etymologier, Uppsala 1897, pp.
22-24) che lo intende come la “via stretta”. Una disamina delle diverse ipotesi etimo-
logiche si trova in Seip 1923, pp. 9-14.
221
Si vedano esempi come Ynglingar, i discendenti del mitico antenato degli Sve-
desi Yngvi-Freyr (cfr. pp. 174-175), Skjǫldungar, i discendenti del mitico antenato dei
Danesi, Skjǫldr (cfr. p. 132), Vǫlsungar, gli appartenenti alla stirpe leggendaria dei
Come sopra è stato osservato, non ha senso, almeno fino alla fase
iniziale del periodo vichingo, distinguere gli “uomini del Nord” in
base a un criterio di appartenenza ai singoli Paesi al modo in cui li
intendiamo al giorno d’oggi. Non solo gli stranieri li consideravano
genericamente “Normanni”, ma essi medesimi non avevano coscien-
za di una identità nazionale che solo da allora veniva, seppur len-
tamente, emergendo. Tuttavia, proprio nel corso del periodo vichin-
go, il rafforzarsi dei nuclei di potere centralizzato formatisi nei
secoli precedenti (al quale corrisponde la progressiva affermazione
degli etnonimi di cui è detto al paragrafo precedente) trova il pro-
prio parallelo in una prima diversificazione della lingua antico
nordica in idiomi nazionali che saranno, innanzi tutto, il danese, lo
svedese e il norvegese. Certamente il processo di differenziazione
delle lingue scandinave ha conosciuto tempi piuttosto lunghi, basti
pensare che almeno inizialmente con l’espressione dǫnsk tunga,
letteralmente “lingua danese” si indicava genericamente la lingua
scandinava: un fatto che sottolinea le scarse differenze percepite (a
esempio in Inghilterra “danese” era sinonimo di “scandinavo”).227
Tale definizione verrà poi sostituita (a partire dal XIII secolo) da
Volsunghi, Niflungar, “Nibelunghi”, ma anche víkingar (sing. víkingr), “vichinghi”
(verosimilmente formato su vík “baia”; cfr. sopra, p. 99 e nota 12).
222
de Vries 1962² (B.5), p. 159 (voce Gauti/Gautr).
223
Vd. sopra, p. 137.
224
Getica, XIV, 79.
225
“Prologo” dell’Editto di Rotari, p. 2.
226
Vd. Hachmann 1970 (C.2.3), pp. 45-46 e pp. 55-56.
227
Vd. Snorri Sturluson, Heimskringla, I, p. 3, nota 4.
231
Il fenomeno della frattura vocalica è presente, seppure in altre forme, anche in
area anglosassone. In nordico la frattura non avviene se la /e/ è preceduta da /v/, /u/,
/l/, /r/; se è seguita da /h/; se sta in sillaba che non porta l’accento principale.
232
All’inizio di parola davanti alle liquide /l/ e /r/; davanti alle vocali scure; se
preceduto da /ō/, /g/, /k/; dopo sillaba chiusa non terminante in /g/ o /k/.
233
I casi di assimilazione (totale o parziale) sono i seguenti: /lþ/ (non costantemen-
te), /lR/ (tranne che nei monosillabi con vocale breve dove > lr), /ðl/ e /rl/ (in età
recente) passano a /ll/; /rs/ (in età recente), /tt/ (fenomeno germanico) e /sR/ passano
a /ss/; /rz/ e /rR/ passano a /rr/; /nk/ passa a /kk/; /nt/, /ht/, /þt/, /dt/, /ðt e /tk/ (non
costantemente) passano a /tt/; /ðd/ e /zd/ passano a /dd/; /np/ e /mp/ passano a /pp/;
/nþ/, /nR/ e /zn/ passano a /nn/; /mf/ passa a /mm/. Inoltre n > m davanti a p.
234
Vd. pp. 1435-1436 con note 107-109.
235
La lingua norvegese andrà in seguito incontro a eventi in conseguenza dei qua-
li compariranno nel secolo XIX due varianti dette rispettivamente bokmål e nynorsk.
La prima, in quanto fortemente influenzata dal danese, presenta molti tratti tipici
delle lingue scandinave orientali. Su questo si veda 11.3.3.1.
236
Va tra l’altro segnalato che il nome del capoluogo di questa regione, Wick, è
chiaramente derivato dal nordico vík “baia”.
nella seconda metà del XVIII secolo, lo shetlandese tra la fine del
XVIII e l’inizio del XIX).237
Le lingue scandinave orientali si differenziano da quelle occi-
dentali per le seguenti principali caratteristiche: tendenza alla
chiusura dei dittonghi (esempio: sved. e dan. sten, ma isl. steinn
“pietra”); una maggiore frequenza di casi di frattura (esempio: dan.
jeg, sved. jag, entrambi da una forma antica jak ma isl. ant. ek
“io”);238 una minore tendenza a fenomeni come la metafonia, l’as-
similazione e la caduta di /w-/ in inizio di parola.239 Tuttavia la
suddivisione nei due gruppi qui indicati, per quanto sostanzialmen-
te corretta, non deve essere rigida, sia per la presenza di varianti
dialettali all’interno delle due aree, sia per il fatto che nelle zone di
contatto (come i territori di confine tra la Svezia e la Norvegia) si
possono facilmente riconoscere influssi reciproci.
237
Vd. sopra, p. 107 con nota 34. La scomparsa di questi dialetti va messa in rela-
zione anche all’esaurirsi dei commerci che per lungo tempo avevano collegato la
Norvegia a queste isole.
238
Una ‘frattura’ peculiare delle lingue nordiche orientali è quella che riguarda la
vocale /y/ che davanti ai nessi /ngw/, /nkw/, /ggw/ passa a /iu/; vd. a esempio il verbo
“cantare”: in isl. syngja, ma sjunge (< siunge) in danese (forma arcaica) e sjunga (<
siunga) in svedese. Diverso è tuttavia il caso del gutnico (vd. p. 1435 con nota 107).
239
Qui si dà conto solo dei fenomeni più vistosi, per un quadro più dettagliato si
rimanda a Schulte 2002 (B.5).
240
Si consideri l’uso del suffisso ‑ing/‑ung, utilizzato per formare nomi di popoli o
denominazioni di gruppi (vd. p. 156 con nota 221).
241
Questo suffisso sarà molto produttivo in epoca post-vichinga: vd. oltre p. 390.
242
Vd. Strandberg 2002, pp. 674-682 e Fridell 2002.
243
Vd. cap. 4.
244
Per un excursus sulle fonti vd. Chiesa Isnardi 20084 (B.7.1), pp. 677-685.
253
In particolare quello sul quale è raffigurato il dio Odino accompagnato dai suoi
due corvi (uno che lo precede e uno che lo segue) in sella a una cavalcatura di fronte
alla quale si trova una serpe.
254
Cfr. p. 50, nota 140. Si vedano anche le lamine d’oro rinvenute a Hauge (distret-
to di Jæren, Norvegia meridionale) da collocare cronologicamente nel periodo vichin-
go.
255
Vd. sopra, pp. 92-93. È certamente molto difficile dubitare che il cavaliere che
cavalca un destriero dotato di otto zampe (si veda la pietra di Tjängvide) sia qualcuno
di diverso da Odino, possessore del mitico destriero Sleipnir che aveva appunto que-
sta caratteristica.
256
Vd. sopra p. 107 con nota 35.
257
Singolarmente simile a questa è una statua in pietra calcarea che si trova nel
cimitero di Lokrune sull’isola di Gotland.
258
A questa si può forse accostare la pedina da gioco in ambra alta 4.7 cm. rinve-
nuta presso Roholte (Selandia meridionale) e risalente all’epoca vichinga. Essa raffi-
gura la parte superiore del corpo di una figura maschile che si tiene la barba.
259
Questo tipo di reperti è piuttosto frequente; vd. Skovmand 1942 (C.3.4), pp.
64-65. Un altro interessante reperto d’epoca vichinga da richiamare qui è una statuet-
ta realizzata in avorio di tricheco rinvenuta a Lund (Scania) che rappresenta una
figura seduta che si tiene la lunga barba; sul retro è inciso un martello di Thor; cfr.
nota precedente.
260
Vd. 5.2.1.
265
Scovazzi 1975 (B.8), pp. 377-383.
266
Vd. a esempio l’episodio relativo al re svedese Erik il Vittorioso del quale è
detto che ebbe la meglio in uno scontro contro un devoto del dio Thor dopo essersi
recato nel tempio di Odino e avergli affidato la propria vita (per la fonte vd. Chiesa
Isnardi 20084 [B.7.1], p. 210 e p. 257, nota 154).
267
Vd. soprattutto il Carme di Hárbarðr (Hárbarðsljóð) che si trova nell’Edda poe‑
tica (vd. pp. 292-293): in esso Odino (Hárbarðr) e Thor si contrappongono in un
dialogo nel quale si scambiano reciproci insulti (per i dettagli vd. Chiesa Isnardi 20084
[B.7.1], p. 621 e p. 629, nota 10); vd. anche l’episodio narrato nella leggendaria Saga
di Gautrekr (Gautrekssaga) nel quale Odino e Thor stabiliscono il destino dell’eroe
Starkaðr emettendo nei suoi confronti decreti contrastanti (per i dettagli vd., ancora,
Chiesa Isnardi 20084, pp. 418-419 e p. 427).
Innanzi tutto gli Asi. Il dio Odino, che sale prepotentemente alla
ribalta del mondo religioso dei popoli nordici nel periodo dei
Merovingi,269 è la divinità che meglio incarna lo spirito vichingo.
Personalità individualista e spregiudicata, non ha riguardo per i
vincoli familiari, si compiace della guerra e nella sua dimora, la
Valhalla, si circonda dei guerrieri migliori, morti in battaglia (un
destino da lui medesimo stabilito): costoro nell’ultimo giorno, il
terribile ragnarøkkr “fato degli dèi”,270 l’apocalisse nordica, lo
affiancheranno nella battaglia definitiva contro le forze del male.
Dio mago (e sciamano) che conosce i segreti del mondo dei vivi e
di quello dei morti, esperto del potere delle rune nelle quali è con-
tenuta ogni sapienza, Odino è altresì un dio viaggiatore, una carat-
teristica che (come suggerisce tra l’altro l’interpretatio romana che
lo intende come Mercurius)271 si collega anche all’aspetto commer-
ciale. Il dio è inoltre il protettore dei poeti cui elargisce il dono di
quest’arte: un fatto, questo, che richiede una ulteriore sottolinea-
tura, là dove si osservi che la poesia scaldica (che prende nome dal
268
Chiesa Isnardi 1992, p. 326. Sui goðlausir menn vd. tra l’altro Ström 1967 (B.7.1),
pp. 191-193 e Turville-Petre 1964 (B.7.1), pp. 263-268.
269
Resta valida al riguardo la discussione, seppure assai datata, proposta in de
Vries 1933.
270
Erroneamente, sulla scia wagneriana questa parola viene comunemente tradotta
come “crepuscolo degli dèi” (Götterdämmerung). Wagner del resto riprende una
interpretazione più antica espressa, a esempio, in opere di fine Settecento composte
da poeti inglesi, come Thomas James Mathias (ca.1754-1835) e Joseph Sterling (date
di nascita e morte ignote). Nella prima edizione dell’Edda (1665), il danese Peder
Hansen Resen nella “Prefazione al lettore” (che segue la lunga e dotta dedica al re
Federico III) definiva il ragnarøkkr come “l’estrema distruzione di tutto l’universo”
(Petri Joh. Resenii Præfatio ad Lectorem benevolum et candidum de Eddæ editione,
settima pagina, per altro non numerata: “om Ragnarocker seu extremo interitu totius
universi”); vd. Edda (edizione seicentesca di Peder Hansen Resen); cfr. p. 587.
271
Il parallelismo, noto da fonti latine, ma non solo (Turville-Petre 1964 [B.7.1],
pp. 71-73) risulta evidente anche nel nome del “mercoledì”, Mercurĭi dĭēs, che nelle
lingue germaniche conosce le seguenti forme: ant. nordico óðinsdagr, ant. ingl.
wōdnesdæg, ant. alto ted. wuotanestac, cfr. medio nederlandese wōdensdach.
termine skáld, n., “poeta” e che fiorirà nel Nord a partire dal IX
secolo) nasce nell’ambiente ristretto delle corti vichinghe (dove gli
scaldi sono assai spesso anche guerrieri seguaci di un signore) e si
presenta come un prodotto letterario la cui fruizione è riservata ai
pochi che ne sanno comprendere le oscure metafore e apprezzare
la metrica severa e complessa. I toponimi (ma anche un
antroponimo)272 che alludono esplicitamente al culto di Odino sono
presenti in misura maggiore in Danimarca e in Svezia (da sud fino
al Västergötland, all’Östergötland e all’Uppland). In Norvegia il
loro numero è più limitato ed essi compaiono nelle zone sud-
occidentali (in particolare nel Vestfold)273 e in località dell’area
centro-occidentale in prossimità della costa o nelle vicinanze di
fiordi.274 Significativamente però risultano totalmente assenti in un
Paese come l’Islanda, dove al contrario il culto di Thor è ampia-
mente e chiaramente testimoniato. Indubbiamente Odino ha il
carattere di un dio individualista e spregiudicato, modello e idolo
dei guerrieri che lo invocano per ottenere la vittoria.275 Il suo lega-
me con il mondo vichingo è palese anche là dove si consideri che
egli appare come il capo di una schiera di seguaci, un vero e proprio
comitatus: siano i morti in battaglia che dimorano con lui nella
Valhalla o i ‘guerrieri furiosi’ i berserkir (letteralmente “camicie
d’orso”, detti altrimenti úlfheðnar, letteralmente “casacche di lupo”),
individui (costituiti in gruppi, forse vere e proprie congregazioni)
che, secondo la testimonianza di Snorri nella Saga degli Ynglingar,
erano a lui votati.276 È verosimile che si trattasse di guerrieri che
indossavano travestimenti animali: il che del resto sarebbe già
testimoniato nella raffigurazione di un uomo armato rivestito con
272
In effetti si tratta di un nome femminile Odhindisa (Óðindísa) che compare
sull’iscrizione runica di Hassmyra (Västmanland), databile poco dopo la metà dell’XI
secolo, nella forma declinata oþintisu; vd. Andersson 1992 (B.7.1), p. 512; cfr. p. 191,
nota 363.
273
Come opportunamente fa rilevare E.O.G. Turville-Petre (Turville-Petre 1964
[B.7.1], p. 68) questa zona era il centro del potere del re Araldo Bella chioma, la cui
condotta si ispira alla ricerca di una affermazione di tipo personale.
274
Vd. la cartina in de Vries 1970³ (B.7.1), II, p. 53. In Svezia un caso isolato (Oden‑
sala) si trova in Jämtland.
275
In Turville-Petre 1964 (B.7.1), pp. 67-68, è inoltre evidenziato come il rappor-
to di venerazione per questo dio fosse alla base, a esempio, delle imprese di sovrani
come Araldo Bella chioma (cfr. nota 273) e di suo figlio Eirik Ascia insanguinata.
276
Cap. 6: “[…] ma i suoi [di Odino] uomini avanzavano senza corazza invasi dalla
furia come cani o lupi, mordevano nei loro scudi, erano forti come orsi o tori. Uccideva-
no la gente, ma né il ferro né il fuoco li potevano [fermare]. Questa è detta furia dei ber‑
serkir” (DLO nr. 34). Sui berserkir vd. Höfler O., “Berserker”, in Hoops – Beck 1973-2007²
(A), II (1976), coll. 299-304, Lid N., “Berserk”, in KHLNM I (1956), coll. 501-503 e il
più recente Näsström B-M., Bärsärkarna. Vikingatidens elitsoldater, Stockholm 2006.
una pelle di lupo che si trova su una lamina che decorava un elmo
rinvenuto a Torslunda sull’isola di Öland (periodo di Vendel).
Queste caratteristiche del dio, così come la sua padronanza delle
rune deporrebbero a favore di una sua affermazione piuttosto
tarda nell’ambito religioso scandinavo (tesi sostenuta da diversi
studiosi a partire dal danese H. Petersen).277
Ma questo punto costituisce uno dei problemi più dibattuti
relativi al paganesimo nordico. Pure volendo lasciare da parte le
teorie di G. Dumézil, che riconosce in Odino il corrispondente del
dio indoeuropeo della Sovranità (la quale insieme alla Forza e alla
Fecondità sarebbe la prima delle tre ‘funzioni sociali’ che – secon-
do la sua opinione – costituivano la ‘struttura ideologica’ di quel
mondo), occorre tuttavia ammettere che diversi indizi paiono
deporre a favore dell’antichità del culto di questo dio il quale, a
esempio, agisce da protagonista dei miti della creazione, è definito
in talune fonti278 “Padre di tutti” (Allfaðir) – un appellativo che
potrebbe tuttavia essere influenzato da concetti cristiani – ed è
indicato come capostipite (o comunque membro eminente) di
dinastie reali. In realtà il problema non è risolvibile semplicemen-
te accettando o rigettando l’ipotesi di un ‘ingresso’ più antico o più
recente di Odino nel pantheon nordico: sebbene presente fin da
tempi remoti egli avrebbe potuto restare, almeno fino a un certo
punto, una divinità di secondo piano, oppure nelle aree in cui egli
pare non comparire affatto (in particolare presso i Goti) ‘masche-
rare’ la propria identità sotto un altro appellativo (Gautr).279
Il dio Thor si mostra innanzi tutto come protettore della fecon-
dità e della famiglia (significativamente il mito lo descrive regolar-
mente impegnato a combattere i giganti che rappresentano un
costante pericolo per la comunità degli uomini e degli dèi). Nemi-
co dei demoni del male (come testimonia anche la presenza della
sua arma magica, il ‘martello’, su diverse pietre runiche),280 egli fu
277
Il quale sottolineava che il dio principale della tradizione religiosa scandinava
era piuttosto Thor e che Odino si era affermato solo in determinati ambiti in epoca
vichinga (vd. Petersen H., Om Nordboernes Gudedyrkelse og Gudetro i Hedenold. En
Antikvarisk Undersøgelse, Kjøbenhavn 1876, in particolare alle pp. 33-137).
278
Per l’elenco relativo vd. Chiesa Isnardi 20084 (B.7.1), p. 699.
279
Su questo vd. Dumézil 1959 (B.7.1), pp. 47-57.
280
In qualche caso sulle pietre runiche compare una invocazione al dio perché le
“consacri” (si vedano in particolare le iscrizioni danesi di Glavendrup in Fionia, inizio
del X secolo, di Sønder-Kirkeby in Falster e di Virring nello Jutland, seconda metà del
X secolo, e quella svedese di Velanda in Västergötland, inizio dell’XI secolo). Su altre
pietre (come quelle danesi di Læborg nello Jutland, prima metà del X secolo e quella
più tarda, XII secolo, di Hanning, anch’essa nello Jutland) è raffigurato il martello del
dio, strumento eccellente del suo potere contro le forze oscure e pericolose. Un caso
dubbio resta quello di una delle pietre erette presso la chiesa di Täng (Västergötland,
X secolo): vd. Gardell S., “Till tolkningen av tvenne runristade västgötastenar”, in
FV 1934, pp. 339-343.
281
Turville-Petre 1964 (B.7.1), pp. 94-97.
282
Fin dall’Ottocento L. Müller (Det saakaldte Hagekors’s Anvendelse og Betydning
i Oldtiden, avec un resumé en Français, Kjøbenhavn 1877) aveva inteso la croce
uncinata (così come la trischele) come simbolo di un moto circolare continuo (con
probabile riferimento a quello del sole). Essa sarebbe da collegare agli utensili utiliz-
zati per far scaturire scintille e ottenere il fuoco. Si tratta di un simbolo che appare
nelle bratteate, ma anche su pietre runiche come a esempio quella norvegese di Kårstad
(Nordfjorden, probabilmente del V secolo), quella danese di Snoldelev (Selandia,
primo periodo vichingo, dove essa è in combinazione con la trischele). Essa inoltre
può anche essere riconosciuta (seppure in forma non ‘canonica’) nelle incisioni rupe-
stri: si vedano raffigurazioni come quelle di Boråseberget (Svarteborg, Bohuslän), di
Tose (Bohuslän) e, forse, anche quella di Finntorp (Tanum, Bohuslän), che presenta
una croce grossolana (quasi una via di mezzo tra la croce uncinata e quelli che saran-
no poi i ‘martelli’ di Thor). In questo senso va verosimilmente letto anche il simbolo
simile presente in una incisione nel comune di Esbjerg (Jutland meridionale) e quello
(anch’esso in territorio danese) di Udsholt Blidstrup (Selandia settentrionale) che
mostra un piccolo cerchio con un punto al centro dal quale si dipartono quattro
‘raggi’. Particolarmente intrigante mi pare tuttavia una figura umana fortemente sti-
lizzata (Lökeberget, Tunge nel Bohuslän) la cui postura pare proporre la forma di una
croce uncinata.
283
Vd. Chiesa Isnardi 20084 (B.7.1), p. 121; la fonte è il Carme di Þrymr (Þrymskviða)
nell’Edda poetica (vd. p. 292). Qui pare possibile un collegamento con l’incisione
rupestre di Vitlycke (Tanum, Bohuslän) nella quale si vede una coppia che viene
‘benedetta’ da una figura (probabilmente, considerate le dimensioni, una divinità) che
brandisce un’ascia.
284
Come per Odino il parallelo si propone anche per il nome del “giovedì”: in
latino dĭēs Iŏvis: þórsdagr (cfr. medio ingl. þuresdæg e ant. alto ted. donarestac).
285
Vd. p. 36 con nota 82.
286
Vd. Chiesa Isnardi 20084 (B.7.1), pp. 228-231.
287
Vd. le cartine in de Vries 1970³ (B.7.1), II, pp. 116-117.
288
O. Almgren, a esempio, riconosce una continuità tra figure che si ritrovano nelle
incisioni rupestri come quella di Kalleby (Tanum, Bohuslän), nella quale compare un
‘dio con il martello’, l’iconografia di Thor e l’immagine di Sant’Olav raffigurato su una
nave con in mano un’ascia, che si trova su un sigillo medievale della città svedese di
Torshälla (anticamente Torsharg, un toponimo di chiaro carattere cultuale, vd. p. 189)
in Södermanland (Almgren 1926-1927 [C.1.3], p. 71 e figura 39). In questo contesto si
veda anche Montelius O., The Sun-god’s axe and Thor’s hammer, London 1910.
289
Anche se, a onor del vero, occorre specificare che le fonti cui si fa riferimento al
riguardo appartengono prevalentemente, all’area islandese e che nella tradizione
norvegese, così come in ambito leggendario – si veda a esempio la Saga di Bárðr (for-
malmente una ‘saga islandese’, in realtà tuttavia un testo ricco di allusioni a elementi
fantastici) – Odino appare in qualche occasione come pericoloso nemico dei cristiani,
(Bárðar saga, cap. 18). Vd. Chiesa Isnardi 20084 (B.7.1), pp. 206-207.
290
Diversi episodi relativi sono elencati in Chiesa Isnardi 20084 (B.7.1), pp. 231-233.
291
Questa espressione riprende un episodio riportato tra l’altro nel cap. 102 della
Saga di Njáll del rogo (Brennu-Njáls saga) nel quale si riferisce che un missionario cri-
stiano di nome Þangbrandr aveva fatto naufragio sulle coste dell’Islanda: questo fatto
era stato salutato dalla poetessa Steinunn Refsdóttir (vd. p. 307, nota 79) con la com-
posizione di alcuni versi celebrativi (vd. Skj I: A, pp. 135-136, B, pp. 127-128); costei
inoltre aveva sostenuto che Thor aveva sfidato Cristo a duello, domandandosi come il
nuovo dio osasse misurarsi con l’antico.
Al tempo dei vichinghi gli antichi dèi della famiglia dei Vani
erano ormai a pieno titolo integrati fra gli Asi. È certamente signi-
ficativo che fra questi ultimi l’unica figura femminile di una certa
importanza – Freyja, dèa della fecondità e della magia – sia origi-
nariamente una divinità vanica. In effetti ella pare prevalere nella
venerazione addirittura su Frigg, sposa di Odino, con la quale
mostra tuttavia di condividere diversi e non secondari aspetti. Se
infatti da una parte il numero di toponimi teofori a lei collegabili
appare chiaramente superiore rispetto a quelli riconducibili a Frigg292
e – almeno in una fonte – si fa chiaro riferimento ad altari e templi
innalzati in suo onore,293 è tuttavia a Frigg che si rifà, nelle lingue
germaniche, il nome del venerdì.294
Ai Vani appartengono come Freyja anche Njǫrðr, suo padre, e
Freyr, suo fratello. Il nome del primo risulta essere inequivocabil-
mente la forma nordica (e tuttavia maschile!) del latino *Nerthus295
che, come sopra si è accennato, era stato attribuito da Tacito a una
dèa della fertilità – la Terra madre medesima – assai venerata nelle
regioni tedesco-danesi tra il Mecklemburgo, lo Schleswig-Holstein
e lo Jutland.296 A giudicare dai toponimi teofori il culto di Njǫrðr
292
Per la loro distribuzione vd. la cartina in de Vries 1970³ (B.7.1), II, p. 309; cfr.
ibidem, p. 201. Per i toponimi riconducibili a Frigg vd. ibidem, p. 303.
293
Vd. p. 184 con nota 333.
294
In ant. nordico frjádagr, cfr. ant. ingl. frı̄gedæg, ant. alto ted. frı̄atag, evidenti
calchi del latino dı̆eˉs Vĕnĕris; vd. DE VRIES 1962² (B.5), p. 143 (voce frjádagr).
295
Il nome latino *Nerthus (nel testo di Tacito nella forma dell’accusativo Nerthum)
corrisponde esattamente all’antico nordico Njǫrðr: infatti: e > jǫ per frattura da ‑u-;
‑u- in sillaba finale caduta in quanto vocale breve; s > R per rotacismo (successivamen-
te > r). Inoltre la grafia latina ‑th- indica chiaramente la presenza di una spirante
dentale (rappresentata in nordico dal segno ‑ð-).
296
Germania, cap. 40: “Non hanno singolarmente [le tribù precedentemente citate,
vd. sotto] nulla di particolare, se non il fatto comune che venerano Nerthus, vale a dire
la Terra madre, e credono che ella intervenga nelle faccende umane e si rechi tra la
gente. In un’isola dell’Oceano c’è un bosco non profanato, in esso [si trova] un carro
dedicato [alla dèa], ricoperto da un telo; solo a un sacerdote è permesso toccarlo.
Questi percepisce la presenza della dèa nel luogo sacro ed ella viene trainata da gioven-
che ed è accompagnata con grande devozione. Allora vi sono giorni e luoghi di festa
che la dèa si degna di visitare come ospite. Non si intraprendono guerre, non si pone
mano alle armi; qualsiasi lama viene messa sotto chiave, la pace e la tregua solo allora
sono conosciute, solo allora amate, fino a che il sacerdote riconduca al santuario la dèa,
soddisfatta dei rapporti con gli uomini. Subito il carro e il telo e, per chi vuol crederci,
la divinità medesima [cioè il suo simulacro] viene lavato in un lago appartato. Schiavi
officiano, che subito dopo il medesimo lago inghiotte. Di qui un arcano terrore e una
santa ignoranza su che cosa sia ciò che vedono solo coloro che sono destinati a morire”
(DLO nr. 35). Tacito cita sette tribù che adoravano questa dèa: Reudigni, Aviones, Anglii,
Varini, Eudoses (che potrebbero forse essere identificati con gli Juti: vd. Much R.,
Die Germania des Tacitus, Dritte, beträchtlich erweiterte Auflage, unter Mitarbeit
von H. Jankuhn herausgegeben von W. Lange, Heidelberg 1967, pp. 446-447), Suari‑
nes e Nuitones. Cfr. sopra, p. 164 con nota 248. P. V. Glob (Glob 1973 [C.2.2], pp.
126-128) ha voluto riconoscere il simulacro di questa dèa nella figura di una divinità
femminile (tuttavia senza testa, braccia e piedi) realizzata con un ramo di legno di
quercia ritrovata in una palude a Foerlev Nymølle (Jutland centro-orientale) e si è
spinto a sostenere che i cadaveri rinvenuti dalle paludi danesi (vd. sopra. p. 71 con nota
32) possano essere i corpi di persone che avevano partecipato alle cerimonie in onore
della dèa Nerthus, così come descritte da Tacito. Il corrispettivo maschile di questa dèa
sarebbe il ‘dio di legno’ di Broddenbjerg (cfr. p. 165 con nota 250).
297
Vd. le cartine in de Vries 1970³ (B.7.1), II, pp. 194-195; cfr. ibidem, p. 201.
298
Vd. Chiesa Isnardi 20084 (B.7.1), pp. 279-280.
299
Si veda il cosiddetto Libro di Flatey (Flateyjarbók, II, pp. 331-336).
300
A lui si rifà il nome del “martedì” (dı̆ēs Mārtis): ant. nordico týsdagr; cfr. ant. ingl.
tı̄wesdæg, ant. alto ted. ziestag.
301
In effetti mentre il culto di Ullr risulta diffuso in Svezia e in Norvegia, quello
di Týr pare (con poche e dubbie eccezioni) limitarsi alle zone danesi (vd. de Vries
1970³ [B.7.1], II, pp. 19-20); cfr. nota 261.
311
Cfr. p. 48.
312
A questo proposito si potrebbero portare numerosi esempi. Tra tutti merita
comunque una citazione un celebre episodio narrato nella Saga di Gísli Súrsson
(capp. 12-13). Qui si riferisce di Vésteinn, cognato e “fratello di sangue” di Gísli
(vd. sopra testo a p. 102), il quale mentre si stava recando a trovare l’amico fu
avvertito da alcuni messaggeri inviatigli incontro di tornare indietro, in quanto per
lui sarebbe stato altamente pericoloso farsi vedere nella zona in cui abitava Gísli (il
fiordo detto Dýrafjǫrður). A causa di un contrattempo tuttavia i messaggeri lo
avevano raggiunto in ritardo. Al loro avvertimento egli dunque rispose con queste
parole: “Avete detto la verità […] e io sarei tornato indietro, se mi aveste incontra-
to prima, ma ora tutte le acque scorrono verso il Dýrafjǫrður e io devo cavalcare in
quella direzione; e tuttavia lo desidero” (DLO nr. 36). Poco tempo dopo il suo
arrivo nella casa del cognato, Vésteinn sarebbe stato ucciso; subito dopo aver rice-
vuto dal suo assassino un mortale colpo di lancia nel petto, egli pronunciò solo due
parole: “Colpì giusto” (Gísla saga, p. 43: “Hneit þar”) e dopo qualche istante cadde
a terra morto.
Vd. de Vries 1962² (B.5), p.197, p. 168 e p. 218 rispettivamente; vd. anche Sco-
314
vazzi 1957 (B.8), pp. 206-207. In questo contesto l’uomo nordico dava particolare
importanza al sogno, inteso sia come veicolo di contatto con il sovrannaturale sia come
momento in cui, seppure in forma simbolica, potevano essere preannunziati eventi
futuri; vd. Larsen S., “Antik og nordisk Drømmetro”, in AaNOH 1917, pp. 37-85;
Kelchner G.D., Dreams in Old Norse literature and their affinity in folklore, Cambridge
1935 e Turville-Petre E.O.G., “Dreams in Icelandic Tradition”, in Folklore, LIX
(1958), pp. 93-111.
315
Germania, cap. 9.
316
Tacito medesimo del resto pare contraddirsi quando parla del ‘santuario’ della
dèa *Nerthus (Germania, cap. 40; cfr. p. 174 con nota 296). Inoltre negli Annali (Annales,
I, 51) fa riferimento, a riguardo dei Marsi, a un celebre tempio denominato Tanfana
(I, p. 38: “celeberrimum illis gentibus templum, quod Tanfanae vocabant”). Anche in
questo caso resta tuttavia incerto se il riferimento sia a una costruzione a uso cultuale
o, piuttosto, a un bosco sacro al cui interno si trovava un altare.
324
Nissen Fett 1942 (B.7.1), p. 24. Vd. sopra, p. 68.
325
Del resto il forte legame con luoghi tradizionalmente considerati ‘sacri’ è ben
testimoniato nel Libro dell’insediamento, là dove si fa riferimento a tale Loptr Ormsson
che – emigrato dalla Norvegia in Islanda – ogni tre anni ritornava nella terra di origine
per innalzare sacrifici nel tempio che suo nonno aveva custodito (Landnámabók, pp.
368-369).
326
Vd. il testo riportato alle pp. 184-185 e anche nota 340.
327
Vd. il testo riportato a p. 186 e anche nota 342.
328
Guta lag, ed. Pipping, p. 7 (cfr. ed. Gannholm, p. 22 [4]); cfr. p. 198, nota 389.
Nelle leggi norvegesi cristiane dell’Eidsivating è contemplato il divieto di tenere in casa
un pilastro (stafr) e di venerarlo: “Nessuno dovrà avere in casa sua un palo o un altare.
[compiere] magie o [tenere] un sacrificio. o ciò che riguarda gli usi pagani” (DLO nr. 37).
329
Vd. Kock A., “Etymologisk belysning av några nordiska ord och uttryck”, in
ANF XXVIII (1912), pp. 199-205; cfr. p. 188.
330
Nell’Edda di Snorri Sturluson, a esempio, là dove è riferito l’episodio dell’inca-
tenamento del lupo Fenrir, incarnazione del principio del male (vd. Chiesa Isnardi
20084 [B.7.1], pp. 63-66), esso definisce la dimora stessa degli dèi.
“Là egli fece innalzare un tempio, ed era una grande costruzione; c’era una
porta alla parete laterale verso il fondo; là dentro c’erano le colonne del
trono336 e in esse dei chiodi; essi erano detti chiodi divini.337 All’interno
331
Diversi esempi in proposito sono riportati in Briem 1945 (B.7.1), pp. 131-132.
Una particolare espressione “lupo nel luogo sacro” (“vargr í véum”) designava la per-
sona che avesse infranto questo divieto e, di conseguenza, venisse bandita.
332
Nel Libro dell’insediamento si fa riferimento a tale Geirr, che viveva a Sogn in
Norvegia. Di lui si legge: “Geirr si chiamava un uomo eminente [che abitava] a Sogn;
egli era detto Végeirr, poiché era assai dedito ai sacrifici; egli aveva molti figli: il mag-
giore dei suoi figli era Vébjǫrn Campione di Sogn (Sygnakappi), e poi [c’erano] Vésteinn,
Véþormr, Vémundr, Végestr e Véþorn, ma la figlia [si chiamava] Védís” (DLO nr. 38).
Chiaro esempio di una ‘famiglia consacrata’! Cfr. p. 193.
333
La fonte è il Carme di Hyndla (Hyndluljóð, vd. p. 295), str. 10, p. 289.
334
Vd. Briem 1945 (B.7.1), pp. 133-134.
335
Nella Saga dei valligiani di Vatnsdalur (cap.15) si fa riferimento a tale Ingimundr
il Vecchio (inn gamli) il quale avrebbe innalzato un grande tempio lungo cento piedi;
vd. anche la Saga degli uomini di Kjalarnes (Kjalnesinga saga), cap. 2; cfr. nota 340.
336
Vd. sopra pp. 147-148 e p. 150. La saga (cap. 4, ma vd. anche Landnámabók, p.
124) precisa che sulle “colonne del trono” di Þórólfr era scolpita l’immagine del dio Thor.
337
Questo particolare fa forse riferimento a una storia mitologica relativa al dio
era tutta una zona sacra. Nella parte più interna del tempio c’era una
costruzione simile al coro che si trova ora nelle chiese, e nel mezzo del
pavimento c’era un piedistallo come un altare, e là c’era un anello aperto
di venti aurar: là si dovevano prestare tutti i giuramenti; il sacerdote
doveva portare quell’anello alla mano338 durante le adunanze. Sull’altare
ci doveva essere anche un catino sacrificale, e in esso un rametto sacrifi‑
cale che fungesse come un aspersorio, con cui si doveva aspergere dal
catino quel sangue che era detto sacrificale; era il sangue versato da quegli
animali che erano offerti agli dèi. Attorno all’altare in uno spazio a parte
era fatto posto alle effigi degli dèi. Tutti gli uomini dovevano pagare il
tributo al tempio e avevano l’obbligo di [seguire] il sacerdote in tutti [i
suoi] spostamenti, come ora i þingmenn con i [loro] capi,339 ma il sacer‑
dote doveva mantenere il tempio a sue spese affinché non decadesse e
celebrarvi i riti sacrificali.”340
Thor, al quale, in seguito a un duello con un gigante, era rimasto conficcato nella testa
un frammento della cote lanciata contro di lui dal suo avversario (Chiesa Isnardi 20084
[B.7.1], pp. 137-139 e p. 146, nota 8).
338
O forse al braccio. L’interpretazione dipende in effetti dal peso dell’anello che
secondo uno dei manoscritti era di venti, secondo un altro di due aurar (sing. eyrir),
unità di peso su cui vd. p. 209, nota 426; cfr. la Saga di Víga-Glúmr, cap. 25.
339
Vd. oltre, p. 380.
340
Cap. 4 (DLO nr. 39). Cfr. la Saga di Håkon il Buono di Snorri Sturluson, quinta
parte della Heimskringla (Hákonar saga góða, cap. 14) e la Saga degli uomini di Kjalar‑
nes (Kjalnesinga saga, cap. 2 e capp. 4-5). In quest’ultima è descritto un tempio nel
quale si trovavano le effigi di Thor e di altre divinità; questa fonte aggiunge che all’in-
terno c’era un fuoco sacro che doveva ardere continuamente e che fuori dall’ingresso
del tempio si trovava una fonte sacrificale (blótkelda) nella quale venivano affogate le
persone destinate al sacrificio. Di una fonte sacrificale fuori dal celebre tempio di
Uppsala scrive anche Adamo da Brema (Gesta Hammaburgensis […], scolio 138). Del
resto nella Saga dei valligiani di Vatnsdalur (cap. 30) si fa riferimento a una “fossa
sacrificale” (blótgrǫf) utilizzata per sacrifici umani e animali (si confronti anche il cap.
15 della medesima saga, cfr. nota 335). Molti altri luoghi sacri sono menzionati nelle
fonti. Tra i più importanti il grande tempio nella località di Mære (Mæri o Mærin)
presso Sparbu nella regione norvegese di Nord-Trøndelag cui fa riferimento tra l’altro
Snorri Sturluson in un paio di occasioni, affermando che Thor era là il dio maggior-
mente venerato (Óláfs saga Tryggvasonar, capp. 68-69 e Óláfs saga helga, cap. 108; cfr.
la versione norvegese della Saga di Olav Tryggvason [Óláfs saga Tryggvasonar] scritta
in latino attorno al 1190 da Oddr Snorrason monaco di Þingeyrar, in Saghe dei re
[Konunga sǫgur], I, cap. 54; cfr. anche Landnámabók, p. 307 e p. 309; per altre fonti
vd. CHIESA ISNARDI 20084 [B.7.1], p. 268, nota 57). In Norvegia doveva essere celebre
anche il tempio di Lade, che secondo la tradizione era dedicato a numerosi dèi (vd. in
particolare la versione della Saga di Olav Tryggvason di Oddr Snorrason, in Konunga
sǫgur, I, cap. 20; cfr. la Óláfs saga Tryggvasonar di Snorri Sturluson, cap. 59): in questo
tempio aveva luogo il sacrificio la cui descrizione è riportata più avanti (vd. pp. 196-
197). Un altro celebre tempio era stato edificato in Gudbrandsdalen (Guðbrandsdalir)
nella regione di Oppland (vd. oltre, p. 256). A edifici sacri innalzati in onore del dio
Freyr fanno riferimento innanzi tutto la Saga di Hrafnkell goði del dio Freyr (cap. 2),
la Saga di Víga-Glúmr (Víga-Glúms saga, vd. in particolare il cap. 9) e il cosiddetto
Breve racconto di Ǫgmundr Botta (Ǫgmundar þáttr dytts, pp. 112-115; vd. anche
*
Dalle Opere dei vescovi della Chiesa di Amburgo di Adamo da Brema:
CHIESA ISNARDI 20084, p. 282 e note relative). Cfr. infine la Saga di Egill Skalla-Gríms‑
son (Egils saga Skalla-Grímssonar, cap. 49). Un ricco tempio dedicato a diversi dèi è
citato nella Saga degli abitanti di Fljótsdalur (Fljótsdæla saga, cap. 26): è questo tuttavia
un racconto composto in epoca piuttosto tarda (forse addirittura nel XV secolo) e
di conseguenza le notizie che riporta possono facilmente essere eco di testi preceden-
ti (cfr. CHIESA ISNARDI 20084, p. 231 e p. 268, nota 61). Letterariamente caricata ed
eccessiva è certamente anche l’informazione fornita nella Saga dei vichinghi di Jómsborg
(Jómsvíkinga saga, cap. 7) a riguardo di un tempio dedicato a Thor e definito Goð-
heimr (letteralmente “Dimora del dio”) che doveva trovarsi nella regione svedese di Göta-
land e conservava, secondo questa fonte, ben cento immagini sacre. Essa tuttavia trova
conferma nella versione della Saga di Olav Tryggvason di Oddr Snorrason (Konunga
sǫgur, I, cap. 15).
341
Il riferimento è forse da intendere a Birka, la celebre città-mercato di epoca
vichinga (cfr. p. 141 e p. 208).
342
Gesta Hammaburgensis […], IV, xxvi-xxvii (DLO nr. 40). Una indagine archeo
logica sul tempio di Uppsala si trova in Nordahl E., … Templum quod Ubsola dicitur…
i arkeologisk belysning, med bidrag av L. Gezelius och H. Klackenberg, Uppsala
1996; vd. anche Gräslund A-S., “Adams Uppsala – och arkeologins”, in UAB (1997),
pp. 101-115. E inoltre: Lindkvist S., “Hednatemplet i Uppsala”, in FV 1923, pp.
85-118 e Hultgård A., “Från ögonvittnen til retorik. Adam av Bremens notiser om
Uppsalakulten i religionshistorisk belysning”, in UAB (1997), pp. 9-50. Di notevole
interesse anche le osservazioni di E. Wessén sulla rappresentazione dei pagani svede-
si fatta dall’autore (“Några anmärkningar till Adams av Bremen framställning av
Norden och uppsvearnas hedendom”, in Wessén 1924, pp. 131-198).
343
Ibn Fad·lān riferisce tra l’altro che i Vareghi possedevano delle effigi di divinità
intagliate nel legno (Risāla, p. 20).
344
Vd. sopra, p. 166.
345
Vd. sopra, p. 165.
346
Capp. 10, 12 e 15. Cfr. il Libro dell’insediamento (Landnámabók, p. 218). Cfr.
nota 335.
347
Vd. pp. 147-148 e p. 150. Secondo la versione della Saga di Olav Tryggvason di
Oddr Snorrason, lo jarl Eirik (Eiríkr) aveva sulla prua della sua nave l’effigie del dio
Thor, tuttavia in seguito la tolse e la distrusse e al suo posto collocò la croce cristiana
(vd. Konunga sǫgur, I, cap. 73).
348
Vd. Saga di Alfredo, capp. 5 e 6 e il testo alle pp. 231-232.
349
Gli esempi qui riportati sono selezionati con gli unici criteri della rappresenta-
tività e di una agevole comprensione. Per quanto riguarda la frequenza e la valutazio-
ne dei toponimi si rimanda alla letteratura critica indicata in bibliografia.
350
Presso di loro era venerata la celebre colonna Irminsûl, abbattuta secondo la
testimonianza di diverse fonti per ordine di Carlo Magno nell’anno 772 (vd. de Vries
1970³ [B.7.1], II, p. 386 dove sono citate le fonti). Cfr. p. 179 e p. 183.
351
Vd. sopra pp. 183-184.
352
Vd. Aa. Vv., Danmarks Stednavne, udgivet af Stednavneudvalget, IX, København
1948, pp. 1-2.
353
Per il significato di ‑by vd. p. 161.
354
Il significato di “collinetta pietrosa” è successivo.
355
Denominazioni di luoghi sacri parrebbero essere anche vangr “campo [del
tempio]”, da considerare tale quantomeno quando il toponimo si trova nei pressi di
un luogo di culto cristiano, e *ál- (<*alh-, cfr. gotico alhs “tempio”), un termine scom-
parso dal lessico ma che sarebbe riconoscibile in toponimi quali a esempio Ælin
(<*Ál-vin) “Campo del luogo sacro” in Norvegia o Aal, Aale, Aalum in Danimarca (vd.
Brink S., “Har vi haft ett kultiskt *al i Norden?”, in SN pp. 107-121).
356
Vd. p. 69, nota 24.
357
Su Goðafoss cfr. tuttavia p. 267 con nota 156.
358
Esso deriva da un antico *Áslo/Óslo, a sua volta da áss/óss “dio”, “ase” + *lo che
indicherebbe un prato pianeggiante vicino all’acqua (cfr. faroese lón “pianoro vicino
al mare” e anche ingl. loo “spazio aperto”, ripreso dall’antico norvegese, un termine
che verosimilmente significava “boscaglia”, “sottobosco erboso” oppure “radura”,
secondo altri tuttavia “boschetto”); vd. Sandnes J. – Stemshaug O. (red.), Norsk
stadnamnleksikon, Oslo 1980, pp. 244-245 e pp. 206-207 e anche Wetås Å., “Kva er
tydinga av namnet Oslo? Ein enket bland åtte granskarar i Noreg og Sverige / What
is the meaning of the name Oslo? An enquête among eight scholars in Norway and
Sweden”, in MoM 2004, pp. 129-147.
359
Si tratta del toponimo Härnevi (forse < *Hǫrnar vé “santuario di Hǫrn”) attesta-
to in almeno quattro occorrenze nella Svezia orientale e che dunque risalirebbe all’ap-
pellativo della dèa Hǫrn, da intendere forse “[dèa del] lino” (o “divinità-lino”).
360
Nel testo noto come Libro di Haukur [Erlendsson] (Hauksbók, vd. p. 426) è con-
servato un breve brano che riferisce dell’importanza per i pagani di dare ai propri figli
nomi tratti da quelli delle divinità: “È affermazione degli uomini saggi, che nel passato
ci fosse l’uso di trarre da quelli degli Dèi i nomi dei propri figli, così come dal nome di
Thor [Þórr] Þórólfr oppure Þorsteinn, Þorgrímr; oppure chi si chiamava Oddr, dal suo
nome [del dio] doveva piuttosto chiamarsi Þóroddr […] oppure [il nome composto
poteva essere] Þorbergr, Þórálfr, Þorleifr, Þorgeirr. E ancora altri nomi sono tratti dagli
dèi e dagli Asi, sebbene la maggior parte da Thor; così spesso gli uomini avevano allora
due nomi; ciò pareva opportuno per [avere] lunga vita e fortuna; per quanto alcuni li
maledicessero di fronte a un Dio, ciò non avrebbe dovuto danneggiarli, nel caso che essi
avessero un secondo nome” (DLO nr. 41). Qui si evidenzia l’uso, assai comune alla
tradizione nordica, dei nomi composti; infatti si riteneva che essi, collegando la persona
con una entità superiore (una divinità, un antenato, il clan) potessero in qualche modo
recare protezione e fortuna. Si confronti la Saga di Þorsteinn Bianco (Þorsteins saga hvíta),
cap. 8: “Era allora credenza della gente, che le persone che avevano due nomi vivessero
più a lungo” (p. 19: “Var þat átrúnaðr manna, at þeir menn skyldi lengr lífa, sem tvau nǫfn
hefði”). Cfr. anche il Carme di Hyndla, dove alla str. 28 si legge: “erano uomini consacra-
ti agli dèi” (p. 293: “þeir vóro gumnar/ goðom signaðir”).
congiunti, quelli che erano stati tumulati e quelli erano detti brindisi in
memoria (minni).”383
pp.172-197. Nella Saga degli Ynglingar (cap. 36) di Snorri Sturluson il bragafull viene
messo in relazione con il banchetto funerario in onore di un morto.
383
Hákonar saga góða, cap. 14 (DLO nr. 43). Cfr. nella medesima saga i capp. 17 e 18
dove si allude a sacrifici tenuti presso i templi di Lade e di Mære (su cui cfr. nota 340).
384
In realtà questi termini sono noti soprattutto da fonti islandesi. Nel resto della
Scandinavia la parola goði si ritrova in testi runici in Norvegia e in Danimarca. La
prima occorrenza è quella dell’iscrizione norvegese di Nordhuglo (V secolo, cfr. oltre,
nota 411) nella quale compare gudija col verosimile significato di “sacerdote”; le altre
riguardano la pietra di Helnæs e di quella nr. 1 di Flemose (entrambe in Fionia e
risalenti all’inizio del periodo vichingo) sulle quali si fa riferimento a un nuRa kuþi
“goði degli abitanti di Næs (verosimilmente Helnæs)”: costui nel primo caso aveva
fatto erigere la lapide in memoria del nipote, mentre nel secondo è egli stesso la per-
sona per cui il monumento runico è stato innalzato. In Danimarca troviamo anche una
allusione a un “Alli il Pallido (?) goði dei luoghi sacri” (ala : sauluakuþa), che pare
essere a capo di un gruppo di persone, sulla pietra di Glavendrup (Fionia, inizio del
X secolo). Nello svedese antico si ritrova il termine guþi in composti che indicano
località: in guthagarthom (DS II, nr. 1130, 6 giugno 1295, p. 187); apud curiam nostram
gwdhdathoorph (DS III, nr. 1782, 11 marzo 1311, p. 7); de gudhaby (DS III, nr. 2398,
1 aprile 1323, p. 593); jn guþabodhom (DS V, nr. 4116, 25 ottobre 1346, p. 618) e in
casi analoghi in cui compare il composto liuþguþi “goði del popolo”; è difficile tuttavia
avere certezze in proposito. Vd. Söderwall 1884-1918 (B.5), I, p. 432 e p. 771 e anche
Lundgren 1878 a, pp. 11-12. Cfr. sotto, p. 209.
3.3.9. Magia
eddico, Le invettive di Loki (Lokasenna, vd. p. 293), str. 23-24, fa esplicito riferimento
a tali comportamenti da parte del dio e di Loki medesimo.
400
Vd. Chiesa Isnardi 20084 (B.7.1), pp. 89-92.
401
Il che viene in effetti ‘riassunto’ nel capitolo 7 della Saga degli Ynglingar, là dove
Snorri Sturluson descrive le caratteristiche del dio.
402
Vd. Chiesa Isnardi 1996, pp. 20-21 e note relative.
403
Vd. Chiesa Isnardi 1992, p. 328.
404
Vd. l’esempio riportato alle pp. 227-228 con nota 19.
405
Si tratta della Saga dei valligiani di Vatnsdalur (capp. 33-34, p. 88 e p. 91) e
della Saga di Egill Skalla-Grímsson (cap. 57, p. 171).
406
Un ottimo esempio è Gunnlaugr Illugason Lingua di serpente (ormstunga) a
proposito del quale l’omonima Saga di Gunnlaugr Lingua di serpente (Gunnlaugs saga
ormstungu) suggerisce che avesse ereditato tale capacità dal bisnonno (cap. 4).
407
Si tratta della Saga di Eirik il Rosso (si veda la citazione alle pp. 205-206).
411
Si tratta dell’iscrizione di Nordhuglo (Hordaland), il cui testo recita: ek gudija
ungandiR i h/// da intendere “io, sacerdote, immune contro la magia a H[uglo]”.
412
Vd. Chiesa Isnardi 1996, p. 24 e pp. 27-29.
413
L’esempio migliore di questo è certamente il racconto del componimento eddi-
co Carme di Þrymr dove si riferisce del furto del martello di Thor da parte di un
gigante. È riferito che il dio, pur di rientrare in possesso del suo magico utensile, fu
costretto a travestirsi da donna, fingendosi la dèa Freyja che il gigante aveva chiesto in
sposa (vd. Chiesa Isnardi 20084 [B.7.1], pp. 118-121).
“In quel distretto c’era una donna che si chiamava Þorbjǫrg, era una
indovina ed era detta ‘piccola veggente’. Aveva avuto nove sorelle, e tutte
erano indovine, ma lei sola ora viveva. Era abitudine di Þorbjǫrg, duran‑
te l’inverno, recarsi ai conviti, soprattutto la invitavano presso di sé quel‑
le persone che avevano curiosità di conoscere il proprio destino o l’anda‑
mento dell’annata […] Þorkell invitò l’indovina a casa ed ella fu ben
accolta, come era usanza quando si dovevano accogliere donne di questo
tipo. Le era stato preparato un sedile d’onore e sotto di lei era stato posto
un cuscino, dentro dovevano esserci piume di gallina. E quando ella alla
sera arrivò insieme all’uomo che le era stato mandato incontro, era abbi‑
gliata così: aveva un mantello blu con un nastro, ed era ornato di pietre
fino all’orlo; aveva al collo perle di vetro, in testa un cappuccio nero di
pelle d’agnello foderato di pelliccia di gatto bianca; aveva in mano un
bastone con un pomo, esso era ornato con ottone e con pietre sotto al pomo;
cingeva una cintura,414 [appeso] alla quale c’era un grande borsellino di
pelle, e là ella conservava gli oggetti magici di cui aveva bisogno per la sua
scienza. Ai piedi aveva scarpe di pelle di vitello pelose con lunghi lacci e
grandi bottoni di stagno alle estremità. Alle mani aveva guanti di pelle di
gatto che internamente erano bianchi e pelosi. E quando ella entrò, a
tutta la gente parve doveroso rivolgerle saluti deferenti. Ella li accettò a
seconda di quanto le garbavano le persone. Allora il padrone di casa Þor‑
kell la prese per mano e la condusse al sedile che era stato preparato per
lei. Þorkell la invitò a dare uno sguardo alla gente di casa, al bestiame e
alla fattoria. Ella era di poche parole su tutto. La sera furono apparecchia‑
ti i tavoli, e occorre dire che cosa era stato cucinato per l’indovina. Le era
stato preparato del porridge con latte di capra, e cucinati tutti i cuori degli
animali a disposizione. Ella aveva un cucchiaio di ottone e un coltello con
il manico di avorio di tricheco con due anelli di rame e la punta spezzata.
E quando i tavoli furono sparecchiati, il padrone di casa Þorkell andò da
Þorbjǫrg e le chiese che impressione avesse avuto, e quale idea [si fosse
fatta] della fattoria e del modo di fare della gente e quanto ci avrebbe
messo a capire ciò che le chiedeva e che la gente aveva grande curiosità di
sapere. Ella dichiarò che non avrebbe detto nulla prima del mattino suc‑
cessivo, dopo averci dormito [su] la notte. E al mattino, quando era
giorno inoltrato, fu preparata per lei l’attrezzatura di cui aveva bisogno
per mettere in pratica la magia. Ella chiese di avere delle donne, che
conoscessero i carmi che erano necessari per la magia e che si chiamavano
Varðlokur. Ma queste donne non si trovavano. Allora si cercò nella fat‑
toria, se qualcuno [li] conoscesse. Allora Guðríðr disse: ‘Io non sono
414
Il termine nordico, non del tutto chiaro, è hnjóskulindi: forse di trattava di una
cintura con funghi di quelli che crescono sul legno, usati come esca per il fuoco o a
scopi medicinali.
Eiríks saga rauða, cap. 4 (DLO nr. 47). Cfr. il cap. 10 della Saga dei valligiani di
416
magazzini, stalle (prima in molti casi agli animali era assegnato uno
spazio accanto agli uomini), fienili, piccole costruzioni destinate ai
lavori delle donne (tessitura e cucito) o ad altri usi.
L’economia si fondava sull’agricoltura (curata in buona parte
dalle donne e dagli schiavi) con prevalenza dell’allevamento (bovini,
ovini, suini, ma anche cavalli e animali da cortile) nelle aree le cui
condizioni climatiche non erano favorevoli alla coltivazione; la cat-
tura di prede animali (caccia e pesca) conservava la sua importanza
anche in relazione al fatto che essa forniva merci da vendere (come
pelli e pellicce). Il commercio (anche quello locale, più difficile da
definire nei suoi aspetti)421 appare ulteriormente esteso e consolida-
to. A ciò si collega, evidentemente, l’affermazione delle prime città
(le già citate Helgö e Birka sul Mälaren in Svezia, Hedeby
e Ribe in Danimarca, Skiringssal, detta altrimenti Kaupang, un
nome che ben ne sottolinea l’attività mercantile,422 in Norvegia).423
Uno sviluppo in questo senso si definirà tuttavia solo nella fase
finale del periodo vichingo quando gli interessi politico-economici
di sovrani ed ecclesiastici favoriranno lo sviluppo di località come
Sigtuna e Skara in Svezia, Nidaros (Niðaróss, l’attuale Trondheim),
Oslo e Bergen in Norvegia, Viborg, Roskilde, Odense, Aarhus424 e
Lund in Danimarca.425 In relazione al fiorire del commercio con-
statiamo anche la comparsa delle prime monete nordiche (le più
antiche a Hedeby nella prima metà del IX secolo, ma una conia-
zione significativa si avrà soltanto a partire dagli ultimi decenni del
X secolo), così come la chiara definizione di un sistema di misure
421
Foote – Wilson 1973, pp. 192-195.
422
In antico nordico del resto il termine kaupangr significa “centro commerciale”,
“mercato” e si ritrova nelle diverse forme (dan. købing, sved. köping, norv. kaupang),
da solo o in composti, nei toponimi che indicano, appunto, questo tipo di località (vd.
p. 390). Per l’etimologia, che rivela gli influssi anglosassoni e basso-tedeschi, vd. de
Vries 1962² (B.5), p. 304.
423
Vd. Clarke – Ambrosiani 1995; Holmqvist W., Swedish Vikings on Helgö and
Birka (photographer: K-E. Granath), Stockholm 1979; Ambrosiani B., Birka vikinga-
staden, I-V, Stockholm 1992-1996; Jankuhn J., Haithabu, ein Händelsplatz der Wikin‑
gerzeit, Neumünster 19634; Eriksson H.S., Hedeby. En søhandelsstad i vikingetiden,
København 1967; Feveile Cl. (red.), Ribe studier. De ældste Ribe, udgravninger på
nordsiden af Ribe Å 1984-2000, I-II, København 2000-2006; Blindheim Ch., “The
Market Place in Skiringssal. Early Opinions and Recent Studies”, in AA XXXI (1960),
pp. 83-100; Blindheim Ch., Kaupang. Vikingenes handelsplass, Oslo 1972 e Skre D.
(ed.), Kaupang in Skiringssal, [Århus-Oslo] 2007.
424
Per il nome di questa città si userà qui sempre la grafia Aarhus (stabilita ufficial-
mente nel 2010) anziché quella, parallela, Århus (tranne quando esso faccia parte di
una indicazione bibliografica, nel qual caso sarà riportato così come stampato sul libro).
425
Barbarani 1987 (C.3.1), pp 135-136. Si ricordi che la regione della Scania (nel-
la quale si trova la città di Lund) apparteneva al Regno danese.
433
Vd. sopra, pp. 98-99 con note 8 e 9.
434
Sono noti infatti veri e propri codici di leggi che regolavano il rapporto del re
con i suoi uomini: un esempio più tardo è il cosiddetto Elenco [delle leggi] di corte
(Hirðskrá), raccolta delle norme relative alla corte del re norvegese Håkon Håkonsson
e di suo figlio, Magnus Emendatore di leggi Håkonsson; vd. p. 369; cfr. p. 394, nota
261.
435
Vd. oltre, 5.2.2.
che di colpe vere e proprie. Celebri fra tutti sono Grettir Ásmundarson e Gísli Súrsson
vissuti in quella condizione per molti anni. A loro sono dedicate rispettivamente la
Saga di Grettir Ásmundarson (Grettis saga Ásmundarsonar) e la Saga di Gísli Súrsson.
443
Presumibilmente “re”, dal celtico righ.
444
Uno tuttavia è detto Seggr “Guerriero”. Assai interessanti nell’elenco dei nomi dei
figli di Amma sono Hǫldr e Bóndi (che riprendono termini sopra trattati), ma anche
Drengr, Þegn e Smiðr. Il primo (che ha senso di “uomo giovane”) e il secondo (che
significa “uomo libero”, cfr. ingl. thane) paiono alludere in epoca vichinga a una deter-
minata condizione sociale (vd. Foote – Wilson 1973, pp 105-108). Smiðr che significa
“fabbro”, “artigiano” si riferisce in modo evidente all’importanza di queste figure
nell’economia della società vichinga (vd. p. 90 con nota 104 e p. 219 con note 459 e 460).
453
Tra i più celebri i ritrovamenti norvegesi di Grimestad (Vestfold, X secolo), con
braccialetti, barre d’argento e monete, e quello di Hoen (Buskerud) risalente al IX
secolo: un tesoro che tra l’altro testimonia una grande abilità nell’arte orafa. Di note-
vole interesse è la recente scoperta presso Spillings nell’isola di Gotland del più
importante tesoro d’argento di quest’epoca per un peso totale di 65 kg. (qui sono
stati ritrovati anche oggetti in bronzo accuratamente custoditi); vd. Ström J. – Wider-
ström P., “Världens största vikingaskatt!”, in PA XIX: 2 (2001), pp. 10-12. Assai
interessante è anche il ritrovamento di Grisebjerggård in Selandia, comprendente
duecentosessantadue pezzi d’argento, oltre a milletrentotto monete arabe (dirham) e
a novantuno monete dell’Europa occidentale. Questi depositi (forse, in qualche caso,
da considerare offerte votive) danno ulteriore testimonianza degli intensi rapporti
commerciali con altri Paesi, come dimostra tra l’altro la notevole quantità di monete
straniere rinvenute; cfr. pp. 71-72 con nota 37.
454
Cfr. p. 116 con nota 65.
455
Vd. pp. 170-171 con nota 276.
Nanna, figlia di Nepr, vide questo schiantò dal dolore e morì; ella fu posta
sulla pira e fu appiccato il fuoco. Thor stette là e consacrò la pira con [il suo
martello] Mjǫllnir, ma davanti ai suoi piedi corse un nano, quello che aveva
nome Litr, Thor gli diede un calcio col piede e lo gettò nel fuoco, ed egli
bruciò.
A questa cremazione venne una folla di ogni genere. Innanzi tutto occor‑
re dire di Odino, che con lui andò Frigg e le valchirie e i suoi corvi. E Freyr
andò nel carro con quel verro che si chiama Gullinbursti o Slíðrugtanni. E
Heimdallr cavalcò il cavallo che si chiama Gulltoppr, e Freyja guidò i suoi
gatti. Là venne anche una grande folla di giganti della brina e giganti delle
montagne. Odino pose sulla pira l’anello d’oro che si chiama Draupnir, da
allora esso acquisì la virtù che ogni nove notti ne sgocciolano otto anelli
d’oro di pari peso. Il cavallo di Baldr fu condotto alla pira con tutti i
finimenti.”456
456
Edda: Gylfaginning, cap. 49 (DLO nr. 48). La traduzione è ripresa da Snorri
Sturluson, Edda, a cura di G. Chiesa Isnardi, Milano 2003, pp. 101-102, cui si riman-
da per il significato dei nomi mitologici.
457
È noto tuttavia che in molti casi le armi (soprattutto le spade) erano di prove-
nienza straniera (Foote – Wilson 1973, pp. 273-275).
458
Non è affatto vero, come ritenuto da una tradizione popolare tanto radicata
quanto erronea, che gli elmi dei vichinghi fossero ornati di corna. Così come chiara-
mente mostrano i reperti archeologici (vd. già i celebri elmi svedesi di Valsgärde e di
Vendel, le raffigurazioni delle pietre di Gotland – a esempio quella di Smiss i – e,
soprattutto, la testa di guerriero realizzata in osso rinvenuta a Sigtuna e risalente all’XI
secolo) essi avevano forma piuttosto semplice (seppure la decorazione fosse accurata)
ed erano spesso forniti di una protezione per il naso. Elmi provvisti di corna come
quelli, assai celebri di Viksø (vd. p. 44, nota 115), che comunque appartengono a un
periodo più antico, dovevano avere funzione esclusivamente rituale. È possibile che essi
siano in qualche modo collegati al ricordo di un culto del toro di derivazione celtica.
461
Il modello più antico è da ricercare assai indietro nel tempo, innanzi tutto nei
motivi dell’arte degli Sciti approdati nel cuore dell’Europa per il tramite della cultura
celtica. Anche le spille utilizzate nell’abbigliamento dei soldati romani furono certa-
mente fonte di ispirazione. In seguito sono stati rilevati influssi dell’arte anglo-irlan-
dese, di quella carolingia (in particolare per l’inserimento, a partire dall’inizio del IX
secolo, del motivo della cosiddetta ‘bestia che afferra’, una sorta di animale fantastico
che si congiunge, come avvinghiandovisi, alle restanti componenti della rappresenta-
zione grafica, quando non addirittura alla propria figura). I primi esempi dei motivi
ornamentali zoomorfi fortemente stilizzati tipici dell’arte nordica risalgono al V-VI
secolo d.C.
462
Lo stile di Borre (840-980 d.C.) prende nome da reperti (in particolare delle
briglie) rinvenuti in un ricco tumulo sepolcrale del Vestfold (Norvegia); quello di
Jelling (870-1000 d.C.) si richiama innanzi tutto alla decorazione di una coppa in
argento ritrovata in una sepoltura della necropoli reale danese di Jelling; quello di
Mammen (960-1020 d.C., assai simile al precedente, del quale costituisce una elabo-
razione) da un’ascia decorata rinvenuta in questa località dello Jutland; quello di
Ringerike (980-1090*) dalle diverse pietre runiche decorate rinvenute nella municipa-
lità norvegese (in Buskerud) che porta questo nome; quello di Urnes, infine (1050-
1170*), che certamente risente di influssi cristiani, dal celebre portale della chiesa in
legno (stavkirke) che si trova in questa località (regione di Sogn e Fjordane, Norvegia;
vd. sotto, p. 222). La cronologia è ripresa da Foote – Wilson 1973, p. 287, dove si
precisa che le date asteriscate si riferiscono all’Irlanda, in quanto in Scandinavia que-
sti stili risultano esauriti già in precedenza.
463
Vd. sopra, pp. 92-93.
464
Ciò a motivo del fatto che le sue migliori espressioni si ritrovano nella celebre
nave funeraria di Oseberg (vd. p. 104).
465
Vd. sopra, p. 135.
466
Cfr. pagina precedente con nota 464.
467
Vd. p. 184, nota 336.
468
Fóstbrœðra saga, cap. 23.
469
Cfr. il racconto della Laxdœla saga, cap. 29, dove è riferito che lo scaldo compo-
se questo carme trovandosi ospite in questa casa in occasione di un matrimonio.
470
Vd. oltre, p. 306.
471
Si vedano in particolare le pietre di Hammars i e iii, di Ardre viii, di Smiss i, di
Tjängvide i, di Hunninge i e di Tängelgårda. Già sulla pietra di Austers (risalente al
periodo precedente, probabilmente al V secolo) si può forse riconoscere nella raffigu-
razione di un drago con le fauci spalancate davanti al quale c’è una figura umana una
allusione alla storia del celebre eroe Sigurðr (il Sigfrido della tradizione continentale).
472
Tra i più celebri certamente la croce e la pietra di Gosforth (Cumberland), la
pietra di Ramsey e la croce di Kirk Andreas (entrambe sull’Isola di Man) e il cosiddet-
to Franks Casket, cofanetto in osso di balena proveniente dalla Northumbria (VIII-IX
secolo) raffigurante una scena del mito di Vǫlundr (vd. sopra, nota 460).
473
Vd. in particolare la pietra di Altuna (Uppland, Svezia, XI secolo), la pietra di
Hunnestad (Scania, Svezia, X-XI secolo), la pietra di Ledberg (Östergötland, Svezia,
XI secolo) e quella di Ramsundsberget (Södermanland, Svezia, XI secolo).
474
Cfr. sopra, nota 462.
475
In realtà quest’ultima chiesa è stata demolita nel 1838 per costruirne una nuova.
I due celebri portali si trovano ora conservati nel Museo storico-culturale (Kultur-
historisk museum) di Oslo. Sulle stavkirker vd. oltre, pp. 270-272; cfr. p. 319.
476
Vd. Hougen B., “Osebergfunnets billedvev”, in Viking 1940, pp. 85-124.
Immagini su una parete all’interno della tomba di Kivik in Scania (p. 43)
Incisioni rupestri dell’età del bronzo (§ 1.3.3). Un esempio dal sito di Stora
Backa (Bohuslän)
Fig. 13
Fig. 17