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TASCABILI BOMPIANI

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Dello stesso autore presso Bompiani:

RACCONTI POPOLARI E FIABE ISLANDESI

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Gianna Chiesa Isnardi
Storia e cultura della Scandinavia
Uomini e mondi del Nord

STORIA
PAPERBACK

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ISBN 978-88-452-7844-0

Realizzazione editoriale a cura di Compos 90 e Zungdesign

© 2015 Bompiani/RCS Libri S.p.A.


Via Angelo Rizzoli 8 - 20132 Milano

I edizione “Storia Paperback” maggio 2015


II edizione “Storia Paperback” maggio 2015

L'editore si rende disponibile ad assolvere i propri impegni nei confronti


dei titolari di eventuali diritti sui contributi pubblicati e per eventuali fonti
iconografiche non identificate.

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Questo libro è dedicato a tutti i miei studenti:
a quelli che ho avuto,
a quelli che avrei voluto avere,
a quelli che (forse) avrebbero voluto esserlo.

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Premessa

Ho cercato di scrivere un libro utile. Questo lavoro nasce da una


lunga esperienza nell’insegnamento universitario di “Culture e
Letterature Scandinave”, disciplina che si colloca in un settore che
negli ultimi decenni ha conosciuto in Italia un interesse crescente
e nel cui ambito è aumentato significativamente il numero dei testi
disponibili sia per gli studiosi sia per i lettori interessati alla cultu-
ra del Nord Europa. Interesse parallelo, del resto, alla diffusione
dello studio delle lingue nordiche, a sua volta testimoniato tra
l’altro dalla quantità di opere letterarie scandinave pubblicate in
buone traduzioni dall’originale. È opinione ormai consolidata che
la padronanza di una lingua e la conoscenza della letteratura che
ne è espressione non siano di per sé sufficienti, quando manchi
l’approfondimento degli elementi storico-culturali correlati: la
disciplina che – con un termine non proprio felicissimo – viene
definita ‘culturologia’ trova in ciò la propria giustificazione. Questo
tipo di osservazioni, ormai ampia­mente condivise, sul rapporto tra
lingua e letteratura da una parte e cultura dall’altra, risale a studi
effettuati in Russia e negli Stati uniti, rispettivamente negli anni ’70
e ’80 del secolo scorso:1 studi i cui sviluppi si rivelano particolar-
mente attuali in un periodo in cui un approfondimento delle radi-
ci della cultura europea appare tanto necessario quanto improro-
gabile.
Questo lavoro si propone di offrire un supporto culturale indi-
spensabile allo studio delle lingue e delle letterature scandinave.
Su di esse, come elementi vitali di una cultura, esso è del resto in

1 Il riferimento è alle teorie dei russi E.M. Verešcagin e V.G. Kostomarov e a quel-
le dell’americano E.D. Hirsch; vd. Lotman Ju.M., “I due modelli della comunicazione
nel sistema della cultura”, in Lotman Ju.M. – Uspenskij B.A., Tipologia della cultura, a
cura di Faccani R. – Marzaduri M., Milano 2001, pp. 111-113.

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4 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

buona parte costruito, anche perché a tale studio deve, come detto,
sottostare. In ampia prospettiva vi sono naturalmente inseriti tutti
quegli elementi (archeologici, storici, artistici, economici, politici,
sociali, religiosi e via dicendo) la cui interazione è stata determi-
nante nella formazione e nello sviluppo della cultura scandinava.
Diverse note sono state inserite nel testo con diversi scopi. Innan-
zi tutto note di carattere esplicativo, là dove si è ritenuto che fosse
opportuno un chiarimento; in secondo luogo note contenenti
informazioni aggiuntive importanti per ulteriori indagini ma che,
tuttavia, se inserite nel discorso principale, lo avrebbero senza
dubbio appesantito; in terzo luogo note di rimando ad altri punti
del testo in cui si fa riferimento (magari da una diversa prospettiva)
a un medesimo dato. Fatta eccezione per ope­re che trattano temi
in questo contesto molto specifici o, al contrario, solo marginali, le
indicazioni bibliografiche vengono date in forma sintetica riman-
dando ai titoli compresi nell’elenco che si trova in fondo al volume;
quando questi titoli sono presenti in una sezione bibliografica
diversa da quella relativa al paragrafo in questione la stessa è stata
indicata tra parentesi.

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ringraziamenti

Nei lunghi anni in cui ho lavorato a questo libro in diverse occa-


sioni ho avuto bisogno di aiuto (grande o piccolo) e di consiglio.
Sperando di non dimenticare nessuno desidero perciò elencare (in
doveroso ordine alfabetico) le persone sulla cui cortesia e disponi-
bilità ho potuto contare. Ciascuno saprà riconoscere il motivo
della mia riconoscenza. Grazie dunque innanzitutto a:

Davide Finco, Christina Gill­hardt, Enrico Isnardi, Magne Mal-


manger, Susann Silander

Ma anche a:

Mette Abild­gaard, Bjørn Abus­dal, Aage Ander­sen, An­drea Berar-


dini, Björk Thor, Guido Borghi, Tage Bo­ström, Bragi Þor­grímur
Oláfs­son, Luca Busetto, Maria Teresa Chiesa, Gianfranco Contri,
Pia Dandanell Parrot, Roberto De Pol, Øystein Ek­roll, Vidar Ene­
bakk, Urban Engvall, Martina Esposito, Laura Federico, Kristin
Flag­stad, Britta O. Frederik­sen, Katti Frederik­sen, Staffan Fri­dell,
Anneli Fuchs, Michael H. Gel­ting, Joachim Gerdes, Guðrún Sverris­
dóttir, Hans Christian Gulløv, Susanne Hartvig, Frode Have­kamp,
Richard Heijken­skjöld, Åsa Hen­nings­son, Hen­rik Horne­mann,
Jógvan í Lon Jacob­sen, Jökull Sævars­son, Liv Kalve­land, Christer
Karls­son, Satu Kiviniitty, Nina Korbu, Jemima Kouk­kunen, Finn
J. Kramer-Johan­sen, Anne Jorunn Kyd­land, Merya Kyto, Johanna
Laakso, Britt-Marie Lager­qvist, Christer Lagvik, Alessio Lancioni,
Giovanni Lugaro, Heléne Lund­gren, Bo Lund­ström, Erlend Løn­
num, Chris Mad­sen, Agneta Malm­sten, Paolo Marelli, Ingrid Marti­
nengo, Ida Merello, Tanya Moeller, Nicholas Moz­zato, Lars Munk­
hammar, Bill Nilsson, Cecilia Nils­son, Lars Nor­man, John O.

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6 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

Norr­man, Oddur Sigurðs­son, Birgitta Ol­son, Páll Sigurðs­son, Karl


Peder Peder­sen, Sophie Petit, Ragn­heiður Móses­dóttir, Franco
Reuspi, Sara Ris­berg, Nadia Risso, Örjan Rome­fors, Thomas Roth,
Eilov Runnestø, Laura Salmon, Enrica Salvaneschi, Elisabeth Sand­
ström, Anna Maria Segala, Eva Sel­vik, Dariusz Sendula, Sigrún á
Heygum Óláfs­dóttir, Sigurgeir Finns­son, Steinunn Sigurðar­dóttir,
Claudia Silveira Oliveira, Jørgen Stender Clausen, Elezelien Streef,
Bruno Svind­borg, Erik Swierstra-Banke, Ole Henrik Søren­sen, You-
nis Tawfik, Britt Eli Thingstad, Úlfar Braga­son, Lorenzo Valle,

Svalbard
Monia Vezzoni, Viðar Hreinsson, Daniele Volta, Lena Wahl­berg,
Gunnel Waxell, Pär-G. Werkelin, Henrik Williams, Anna Wolo-
darski, Bernd Zillich, Eva Zillich, Örn Hrafnkelsson. E anche a
tutto il personale delle Biblioteche universitarie Carolina Rediviva
e Karin Boye di Uppsala, a quello della sala Diamanten della Biblio-
teca Reale di Copena­ghen, a quello della Biblio­teca della Facoltà
di Giuri­sprudenza dell’Univer­sità di Bergen.

Un pensiero grato (e purtroppo postumo) a Gimmi Anastasio


per i tanti buoni consigli e a Tryggve Sköld per la autorevole con-
sulenza sulla cultura sami.

E, ancora, un sentito riconoscimento a chi, presso la Casa Edi-


trice, ha promosso la pubblicazione di questo lavoro: Elisabetta
Sgarbi e Oliviero Toscani e a chi ha portato un contributo fonda-
mentale alla sua migliore realizzazione: Silvia Borghesi, Elvira
Modugno, Marco Piani.

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Svalbard

Longyearbyen
KALAALLIT NUNAAT / GRøNLAND

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ÍSLAND

SVERIGE

Reykjavík SUOMI
FØrOYar
Tórshavn NORGE

Helsinki
Oslo
Stockholm

Gotland

Öland
DANMARK København

bornholm

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Nella pagina precedente: le regioni scandinave (fig. 1)

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Introduzione

Il concetto culturale di Scandinavia

Dal punto di vista culturale, l’area attualmente definita ‘Scandi­


navia’ è un mondo assai più variegato di quanto una conoscenza
superficiale lasci supporre: risultato di molteplici vicende storiche,
di contrapposizioni e sovrapposizioni di diversi fattori la cui elabora­
zione e interazione si è sviluppata in un percorso durato molti
secoli. In effetti nella valutazione della cultura scandinava un ele-
mento condiziona solitamente il giudizio. Si tratta del carattere di
persi­stente affinità che – non solo agli occhi del resto del mondo –
accomuna i Paesi nordici, unendoli in una sorta di ‘cultura panscan-
dinava’: un fatto che – se da una parte si fonda su precise motiva-
zioni – 1 ci fa d’altro canto correre il rischio di sottovalutare le
caratteristiche proprie di ciascuna nazione e, conseguentemente, di
ignorare la complessità che esiste anche in quella regione. A questa
considerazione occorre aggiungerne altre. La prima è che – almeno
per la fase più antica – non ha alcun senso parlare di nazioni – né,
tanto meno, di ‘stati’ nordici – al modo in cui noi li intendiamo
secondo criteri moderni. La Scandinavia della preistoria, a esempio
(molto dissimile da quella attuale anche nell’aspetto geo­morfo­logico),
era un territorio senza confini al cui interno – in aree diverse per
latitudine, altitudine, clima e disponibilità di risorse – vivevano e si
muovevano gruppi di uomini che solo una valutazione superficiale
giudicherebbe uniformi nelle abitudini e nell’organizzazione socia-
le. Infatti: se nel periodo più antico la Danimarca e il sud della
1
Come verrà evidenziato nel corso di questo studio, ragioni geografiche, storiche,
politiche e sociali hanno certamente contribuito a determinare il forte grado di omo-
geneità che distingue l’area scandinava; d’altro canto a palese dimostrazione di quan-
to i popoli nordici sentano – molto più di altri – di appartenere a una grande comuni-
tà, sarà qui sufficiente ricordare l’esistenza del Consiglio nordico, un’istituzione nata
nel 1952, con finalità politiche e culturali e alla quale tutti questi Paesi aderiscono (vd.
pp. 1234-1235).

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10 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

Svezia costituiscono un’area piuttosto omogenea, che si estende alla


Nor­vegia meridionale (soprattutto nella zona costiera), differenze
anche considerevoli si riscontrano nelle altre zone norvegesi (soprat-
tutto quelle interne),2 così come in quelle del nord della Svezia (più
legate, queste ultime, alla Finlandia settentrionale). Del resto anche
in epoca storica non ha senso parlare di ‘nazioni’ o di ‘stati’ nordici,
almeno fino alla fase finale dell’epoca vichinga, quando sarà davve-
ro avviato il processo di trasformazione dell’antica organizzazione
sociale secondo strutture ricalcate sui modelli dell’Europa conti-
nentale.
D’altronde: con l’espressione ‘cultura scandinava’, ci si riferisce
qui soprattutto al patrimonio culturale dei Paesi nei quali si parla-
no lingue del gruppo nordico, idiomi riconducibili, attraverso il
ramo germanico, a una matrice indoeuropea.3 Questo presupposto
impone una notevole forzatura al concetto di ‘scandinavo’ così
come lo si intende in senso geografico: esso infatti esclude, nella
sostanza, quasi tutto ciò che si richiama alla cultura finlandese (per
la precisione ciò che è di matrice finnica),4 mentre fa spazio a quel-
la islandese, sviluppatasi in un territorio che da un punto di vista
strettamente geografico certamente non appartiene a quell’area
(come del resto, a rigore, la Danimarca).5 D’altra parte la comu-
nanza linguistica (quale in particolare quella che unisce il danese,
lo svedese e il norvegese)6 corrisponde all’affermarsi di una cultu-
ra che ha preso, nella sostanza, il sopravvento. Essa dunque si
presenta come elemento determinante, anche se naturalmente in
2
 Va infatti precisato che per molti aspetti anche le coste settentrionali della Nor-
vegia risultano legate alla cultura delle aree meridionali.
3
 Vd. oltre, pp. 157-161.
4
 Si ritiene utile chiarire qui che con l’aggettivo ‘finnico’ ci si riferisce a tutto ciò
che è autenticamente riconducibile alla cultura suomalainen (in particolare, quindi,
alla lingua che appartiene al gruppo dell’ugrofinnico distinto dall’indoeuropeo). Il
termine ‘finlandese’ verrà invece usato per indicare ciò che risulti essere il prodotto
della tradizione indigena nella sua interazione con le altre culture (in particolare la
svedese ma anche, innanzi tutto, la russa) con le quali nel corso dei secoli essa è venu-
ta in contatto.
5
 La delimitazione su base linguistica del concetto di ‘scandinavo’ determina anche
l’esclusione di tutta l’area lappone (che di seguito verrà definita con l’appellativo più
corretto di sami). Ma i rapporti culturali tra queste popolazioni e quelle nordiche e il
fatto che gran parte dell’area abitata dai Sami appartiene alla Norvegia e alla Svezia,
ne impone la trattazione in appendice, per quanto limitatamente agli aspetti principa-
li (vd. App. 2).
6
 Un notevole grado di affinità (che facilita la reciproca comprensione dei parlanti)
lega tuttora queste lingue, che hanno conosciuto una notevole evoluzione rispetto
all’islandese (idioma che è diretta filiazione del norvegese medievale e resta caratteriz-
zato da forti tratti di arcaicità).

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introduzione 11

un contesto come questo si dovranno tenere ben presenti molti altri


aspetti (storici, sociali, economici, artistici, folcloristici, religiosi e
via dicendo).
Ma in queste valutazioni anche il fattore geografico trova – sep-
pure con le limitazioni sopra evidenziate – la propria rivincita.
Infatti, se la cultura scandinava mostra ancora oggi un forte grado
di omogeneità (che si estende in buona misura anche alle zone
nelle quali prevalgono lingue diverse e diverse etnie) ciò è dovuto
in gran parte alla posizione periferica di queste terre nel panorama
europeo: una situazione che ha favorito il formarsi e l’affermarsi
del concetto culturale di un mondo definito alquanto genericamen-
te ‘nordico’, il quale – pur nella complessità delle vicende storiche
e delle importanti interrelazioni con il resto del continente – ha
continuato nel corso dei secoli a guardare con grande attenzione
al proprio interno.
Omogeneità e autoreferenzialità da una parte; diversificazione e
relazioni con l’esterno dall’altra: questi dunque i due principali
presupposti sui quali i Paesi della Scandinavia devono oggi misu-
rare il proprio rapporto con l’Europa. Una situazione i cui svilup-
pi sono destinati a incidere in misura determinante sulla ‘cultura
scandinava’ che è – per altro – in perenne evoluzione, come del
resto è ovvio che sia.

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Capitolo 1

La preistoria

1.1. Dopo il ‘grande freddo’: le prime tracce dell’uomo in Scan-


dinavia

Al tempo dell’ultima grande glaciazione, la cui estensione aveva


ricoperto completamente per circa 100.000 anni il territorio dell’Eu-
ropa settentrionale,1 le terre e i mari della Scandinavia giacevano
sotto un’immensa crosta di ghiaccio. La storia dell’uomo – nella
misura in cui siamo in grado di delinearla – ha dunque inizio in
questi territori solo quando, a seguito di un innalzamento della
temperatura, il fronte dell’enorme massa gelata cominciò a regre-
dire dalle coste verso le aree più interne e al contempo verso set-
tentrione.2 Sebbene si possa ritenere che le regioni scandinave
avessero conosciuto la presenza di esseri umani anche durante
le lunghe fasi interglaciali,3 è infatti solo da questo periodo che le

1
 Al momento della sua massima estensione (circa 18.000 anni a.C.) il perimetro
del ghiaccio lasciava libere a meridione solo le coste sud-occidentali dello Jutland,
scendeva nel territorio dell’odierna Germania seguendo pressappoco l’attuale corso
dell’Elba fin sotto al livello di Berlino, risaliva passando a nord di Varsavia, percorre-
va la zona sopra l’alto corso del Dnepr e infine, a nord di Mosca, puntava decisamen-
te verso le coste prospicienti la penisola di Kola. Anche le attuali isole britanniche,
fatta eccezione per le zone meridionali dell’Irlanda e della Gran Bretagna, erano
completamente ricoperte dai ghiacci.
2
 L’andamento climatico non fu tuttavia costante. Un deciso miglioramento è regi-
strato verso il 14.000 a.C., mentre attorno all’11.000 a.C. si produsse un peggioramen-
to tanto brusco quanto, tuttavia, di breve durata (circa 500 anni).
3
 Ciò appare possibile, considerati i lunghi periodi interglaciali caratterizzati da
un clima mite che consentiva una ricca presenza di flora e di fauna. In tale senso pare
testimoniare il ritrovamento in Danimarca di tracce antichissime, forse attribuibili a
una presenza umana, che in alcuni casi (Hollerup a est di Randers, nello Jutland, dove
sono state rinvenute ossa di daino che erano state incise per estrarne il midollo: il

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14 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

tracce dell’uomo nelle terre settentrionali appaiono inequivocabi-


li e, al contempo, sufficientemente chiare. Dal punto di vista geo-
morfico inoltre, sono questi – fino all’incirca al 4500 a.C. – i mil-
lenni nel corso dei quali il territorio viene definitivamente
assumendo la conformazione attuale.4
L’arrivo di gruppi di persone che si spinsero verso nord, affidan-
do il proprio sostentamento alla caccia e alla pesca, fu naturale
conseguenza del progressivo ritirarsi del fronte dei ghiacci. Questi
uomini, i primi che ci hanno lasciato testimonianze certe della loro
presenza nelle regioni scandinave (riconducibili in taluni casi fino
al XIII millennio a.C.) paiono appartenere alla cosiddetta ‘cultura

resto di un pasto degli uomini di Neandertal?) potrebbero risalire all’ultimo periodo


interglaciale, ma in altri (Vejstrup presso Christiansfeld nello Jutland meridionale ed
Ejbj Klint presso l’Isefjorden nella Selandia settentrionale, dove sono stati rinvenuti
frammenti di pietra che paiono rozzamente lavorati), addirittura a quello precedente.
Vd. Møhl-Hansen 1954, Fæster 1955 e Johansen – Stapert 1995-1996. Anche in
Finlandia, sono state ritrovate tracce della presenza di un uomo primordiale che
risalirebbero a circa 100.000 anni fa (vd. Tarkiainen 2008 [App. 1], p. 14).
4
 Quando l’immane peso del ghiaccio che aveva oppresso le terre fu rimosso, si
verificò un movimento isostatico di sollevamento della terra. Contemporaneamen-
te l’acqua prodotta dallo scioglimento dell’enorme massa ghiacciata si riversò nel
mare provocando un movimento eustatico d’innalzamento. Questi fenomeni hanno
avuto effetti drammatici in Scandinavia, dove tra l’altro si possono riconoscere le
tracce di antiche linee costiere a un’altitudine di parecchie decine di metri, in
alcuni casi anche oltre i 200 mt. (come a esempio nella regione svedese di Ånger-
manland, dove esse sono riconoscibili addirittura a 285 mt. di altezza sull’attuale
livello del mare). Rilevanti cambiamenti geo-morfologici si verificarono anche
rispetto al Mar Baltico. Esso si formò inizialmente come un grande lago glaciale
(11.800-8300 a.C.) che in alcune fasi segnate da migliori condizioni climatiche poté
trovare sbocco a occidente verso il mare; successivamente si venne formando il
cosiddetto Mare Yoldia (dal nome del mollusco Yoldia arctica che vi viveva), in
diretta comunicazione con l’oceano; questa fase si colloca tra l’8300 e il 7500 a.C.
In seguito (7500-6000 a.C.) a causa di un innalzamento delle terre piuttosto rapido
esso divenne nuovamente un enorme bacino, il cosiddetto Lago Ancylus (dal nome
del gasteropode d’acqua dolce Ancylus fluviatilis), esteso su una superficie ben più
vasta dell’attuale. La presente conformazione del Baltico cominciò a delinearsi
quando (circa 6000 a.C.) – in seguito a una nuova immissione di acqua di mare –
cominciò a formarsi il cosiddetto Mare Litorina (che prende nome dal gasteropode
marino Littorina littorea) il quale avrebbe separato definitivamente il sud della
Svezia dall’Europa continentale cui per lungo tempo era appartenuto. In questo
periodo conosce dunque il proprio termine il cosiddetto fastlandstid (letteralmen-
te “periodo continentale”), espressione regionale (in particolare danese) con la
quale si fa riferimento al fatto che il corpo del continente europeo si spingeva
molto più a Nord rispetto alla situazione odierna in un’estensione che raggiungeva
gran parte delle attuali coste orientali della Gran Bretagna e inglobava l’intera
Danimarca, comprendendo anche il sud della Svezia che costituiva una sorta di
penisola protesa verso settentrione.

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La preistoria 15

di Amburgo’5 e si collocano dunque nell’ultima fase del paleo­litico.


Tracce dei loro insediamenti sono state ritrovate soprattutto in
Danimarca,6 ma anche in Svezia;7 una striscia di terra sull’Øresund
univa a quel tempo il territorio danese con l’attuale regione della
Scania e questa fu la via percorsa dai primi uomini che penetraro-
no nelle zone meridionali di quella che è ora la penisola scandina-
va per spingersi poi sempre più avanti. Il paesaggio in cui essi si
trovarono a vivere aveva un aspetto tipicamente artico: la vegeta-
zione, costituita prevalentemente da muschi e licheni forniva nutri-
mento alle renne, che migrando verso nord in seguito allo sciogli-
mento dei ghiacci, avevano indotto i cacciatori a seguirle.8 Il
miglioramento del clima determinò in seguito una graduale diffu­
sione di altre specie vegetali, soprattutto betulle nane (insieme a
diversi tipi di piante da brughiera ed erbacee tipiche dei climi
freddi) e animali quali lupi, bisonti, cervi, cavalli selvatici, orsi,
ghiottoni, alci, linci, lepri artiche, castori.
Naturalmente, durante questi primi millenni (forse già dal 13.500
a.C.),9 la sola regione danese e l’area più meridionale della Svezia
(Scania) possono dirsi totalmente sgombre dai ghiacci (in queste
zone cominciano infatti a comparire anche i primi pini), il fronte
dei quali risulta arretrato fino alla fascia tra il 59° e il 60° parallelo
attorno all’11.000 a.C., mentre la striscia costiera norvegese – espo-
sta all’influsso del mare – ne appare priva, almeno in parte, già
verso il 10.000 a.C. e completamente verso l’8500 a.C. Intorno al
6500 a.C infine, la maggior parte della regione scandinava sarà
libera.
5
 Con tale nome si designa (a motivo della concentrazione di reperti significativi
nella zona di Amburgo) una cultura di cacciatori collocabile tra il 15.000 e il 12.400
a.C. e diffusa su un’area che va dall’Inghilterra (allora unita al corpo del continente
europeo da terre che sarebbero state successivamente sommerse dalle acque) al Belgio,
ai Paesi Bassi, alla Germania settentrionale, a una parte della Danimarca e a una pic-
cola porzione della Scania.
6
 In particolare a Brænøre, Jels e Slotseng nello Jutland (vd. Holm J., “Settlements
of the Hamburgian and Federmesser Cultures at Slotseng, South Jutland”, in Journal
of Danish Archaeology, X [1991], pp. 7-19 e Holm – Rieck 1992) e a Sølbjerg nell’isola
di Lolland; i ritrovamenti risalgono al XIII millennio a.C.
7
 Il sito cui ci si riferisce è quello di Mölleröd presso il lago Finjasjön in Scania,
datato verso la fine del XIII millennio a.C. (vd. Larsson L., “The Earliest Settlement
in Southern Sweden. Late Palaeolithic Settlement Remains at Finjasjön, in the North
of Scania”, in Current Swedish Archaeology, II [1994], pp. 159-177).
8
 Vd. Tansem 1988.
9
 Si accettano qui, ove non diversamente specificato, le datazioni proposte in
Burenhult 1999-2000, I-II (B.2), in quanto fondate su metodologie puntualmente
discusse (vd. ivi, I, pp. 48-51) e che ritengo pienamente condivisibili. Del resto esse
trovano sostanziale riscontro in Jensen 2001-2004, I-IV (B.2).

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16 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

Tra il 12.000 e il 10.700 a.C. si collocano i reperti rinvenuti in


una serie di siti dalle caratteristiche simili: questi ritrovamenti sono
attribuiti alla cosiddetta ‘cultura di Bromme’,10 diffusa in Danimar-
ca, nella Svezia meridionale e anche nella Germania settentrionale
(tra l’Elba e l’isola di Rügen).11 Com’è logico attendersi, essi danno
palese testimonianza di un’economia basata in primo luogo sulla
cattura di prede animali: utensili comuni realizzati in selce sono
punte che presentano un’estremità assottigliata per essere inserita
in un manico, punzoni e raschiatoi per le pelli, più tardi anche
arpioni.12 Sino a qualche decennio fa le tracce più antiche di una
presenza umana in Norvegia erano state individuate in un sito
risalente al periodo tra il 7600 e il 7000 a.C.13 Scoperte recenti
hanno tuttavia consentito di retrodatare la presenza dell’uomo in
queste regioni financo di tremila anni.14 Qui d’altra parte le cultu-
re dette rispettiva­mente ‘di Fosna’ e ‘di Komsa’, ampiamente testi-
moniate nel meso­litico, potrebbero forse affondare le proprie
radici addirittura in questo periodo.
10
Dal nome di un sito danese nei pressi di Sorø, in Selandia; vd. Mathiassen –
Iversen 1946.
11
In Svezia essa è rappresentata in particolare da ritrovamenti archeologici nella
Scania meridionale: Segebro (su cui vd. Larsson L., “En boplats från äldre stenåldern
vid Segebro”, in Limhamniana [1978], pp. 7-20), Karlsro e Annavälla.
12
Per la precisione questi ultimi sono da attribuire alla cultura danese detta ‘di
Lyngby’ (località dello Jutland settentrionale, su cui vd. Westerby E., “Da Danmarks
ældste Stenalderboplads blev fundet”, in AaNOH 1986, pp. 43-69) che pare collegata
con la cultura di Ahrensburg (località non lontana da Amburgo).
13
Il riferimento è a Høgnipen nelle vicinanze di Sarpsborg, nella regione meridio­
nale di Østfold (vd. Johansen E., “Høgnipen-funnene. Ett nytt blad av Norges eldste
inn­vandrings­historie”, in Viking 1964, pp. 177-179).
14
Negli anni tra il 1988 e il 1990 è stato scavato un sito a Galta (area nord-occiden-
tale dell’isola di Rennesøy nella regione di Rogaland) dove sono stati rinvenuti diversi
utensili di selce che testimoniano della presenza umana in quella zona in un periodo
che va dal 9500 all’8400 a.C. (secondo la cronologia proposta in Lille­hammer 1994
[B.2], p. 21). Molto più a nord, a Sarnes (sull’isola di Magerøya, presso Capo Nord)
sono state ritrovate nel 1993 le tracce di un insediamento la cui datazione va collocata
al più tardi attorno al 9300 a.C. (Lille­hammer 1994, p. 24; non così Buren­hult 1999-
2000 [B.2], I, p. 192 che lo pone tra l’8200 e il 7500 a.C.). Un sito addirittura più
antico potrebbe essere quello, scoperto nel 1941, di Blom­våg (su un’isola a circa 30
km. a nord-ovest di Bergen, comune di Øygarden) dove oltre a resti di piante e di
animali (acquatici e terrestri ma anche uccelli) sono stati rinvenuti frammenti di selce.
In questo caso la presenza umana risalirebbe addirittura al periodo tra il 10.700 e il
10.200 a.C. (Lillehammer 1994, p. 20; vd. anche Johansen A.B. – Undås I., “Er Blomvåg­
materialet et boplass­funn?”, in Viking 1992, pp. 9-26). In questo contesto va infine
considerato il ritrovamento fatto presso Store Myrvatn nel comune di Gjesdal (Rogaland),
allo stato attuale il più antico sito rinvenuto in zone di montagna. Scavato alla fine degli
anni ’80 esso viene ricondotto al periodo tra l’8800 e l’8600 a.C. (Lillehammer 1994,
p. 29).

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La preistoria 17

1.2. L’età della pietra nel Nord

1.2.1. Uomini, natura e prede animali: il mesolitico

Con la dovuta dose d’approssimazione, la fase iniziale del meso-


litico è collocata nel Nord attorno al 9500 a.C.15 Di qui in poi le
tracce della presenza dell’uomo nelle regioni scandinave si fanno
ben più numerose e significative. Ciò è certamente da mettere in
relazione anche con un fattore climatico assai importante che com-
portò ovvie ripercussioni sulle condizioni di vita degli uomini:
l’avvento del periodo cosiddetto ‘boreale’ (8500-6800 a.C.) che
prende nome dai venti secchi boreali, cioè provenienti da setten-
trione. Preceduto da una fase ‘preboreale’ (9500-8500 a.C.)16
– nella quale le condizioni climatiche tendenti a un deciso miglio­
ramento segnano il passaggio dalla flora e dalla fauna tipica della
tundra a quella della foresta (con la diffusione definitiva di betulle
e la comparsa di pini e noccioli, mentre tra gli animali troviamo ora
anche uri e cinghiali) – esso fu segnato da un nuovo aumento del-
la temperatura media, che raggiunse livelli superiori a quelli attua-
li. In conseguenza di questa variazione climatica le regioni scandi-
nave conobbero, almeno nelle zone più meridionali, la crescita di
una vegetazione assai ricca: querce, tigli, olmi, frassini, aceri conqui­
starono il territorio dando vita a una foresta vergine in cui trova-
rono il proprio habitat numerose specie animali. I reperti archeo-
logici non possono mostrarci altre tracce se non quelle lasciate da
uomini che si sostentavano con la caccia, la pesca, la raccolta dei
vegetali commestibili. Nel mesolitico gli archeologi hanno eviden-
ziato in Danimarca e nella Svezia meridionale la cosiddetta ‘cultu-
ra di Maglemose’17 (che si protrae fino al 6800 a.C.); in antichi
15
 Così in Burenhult 1999-2000 (B.2), I, p. 179. Altri propendono per una data­zione
posteriore, intorno all’8000 a.C. (vd. Mithen 1994, p. 79).
16
 È evidente che trattandosi di epoche tanto remote la definizione cronologica
proposta dai diversi studiosi può andare soggetta a variazioni, anche se non eccessiva-
mente consistenti. A esempio in Magnus – Myhre 1986 (B.2), pp. 22-23, è fornito uno
schema nel quale i limiti dei diversi periodi sono spostati in avanti rispetto a quelli qui
riportati, a eccezione del termine del periodo ‘atlantico’ (su cui vd. p. 19) che viene
anticipato di 500 anni.
17
 Dal nome della palude detta Maglemose nei pressi di Mullerup in Selandia. Sem-
pre in Selandia, nella palude di Vig, è stato trovato lo scheletro di un uro con ancora
conficcati microliti appartenuti alle armi con cui era stato ucciso (vd. Hartz N. –
Winge H., “Om Uroxen fra Vig, saaret og dræbt med flint­vaaben”, in AaNOH 1906,
pp. 225-236). Questo animale doveva costituire una preda prediletta per gli uomini
della cultura di Maglemose, come dimostra anche lo scheletro di Prejlerup, Selandia

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18 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

bacini lacustri presso i quali dovevano spesso trovarsi gli insedia-


menti (e nei quali è conservata tanta parte dei reperti preistorici
della Scan­dinavia) sono stati rinvenuti oggetti d’uso quotidiano:
microliti tipici del periodo (usati in particolare come punte di
freccia), utensili di corno, di osso (tra i reperti più frequenti uncini,
ami, asce, pugnali) o anche di legno, che rivelano una buona abili-
tà tecnica e il cui sviluppo si lega alle accresciute risorse offerte dal
territorio. Diversi oggetti sono talvolta artisticamente decorati con
motivi geometrici, figure animali o anche umane.18 Inoltre sono
stati rinvenuti resti di cibo e tracce del basamento di capanne a
pianta ovale o rettangolare, che dovevano avere le pareti e il tetto
di corteccia o di giunco.19 In quest’epoca cominciano a popolarsi
anche le zone della Svezia centrale20 e l’isola di Gotland.

nord-occidentale (vd. Aaris-Sørensen K. – Brinch Petersen E., “The Prejlerup Aurochs


– an Archaeological Discovery from Boreal Denmark”, in Striae, XXIV [1986], pp.
111-117). Particolarmente interessanti sono in Svezia i reperti della palude di Ageröd
(Ageröd I B), nei pressi del lago Ringsjön, nella Scania meridionale, datati attorno
all’8500 a.C. (vd. Althin C.A., “Ageröds­utgrävningarna. Undersökningar av mesoli-
tiska boplatser i Skåne 1946-47”, in FV 1947, pp. 348-353). Siti riconducibili alla
cultura di Maglemose (individuata all’inizio del XX secolo) sono stati ritrovati in
un’area che va dall’Inghilterra all’Estonia. Vd. anche Saraw 1904 e Grøn 1995.
18
 Tra questi si segnalano oggetti a forma di Y ricavati da palchi di cervo, come a
esempio quello di Sjöholmen in Scania o quello della palude di Kalundborg in
Selandia e l’osso di uro su cui sono incise cinque figurine umane rinvenuto a Ryemarks­
gård nella Selandia occidentale. Quest’ultimo presenta la più antica immagine di
esseri umani conosciuta in territorio danese: si confrontino le due figurine incise su
un bastone di corno di cervo rinvenuto nella palude di Viksø (Selandia settentrio-
nale), il bastone di corno di Åmose (ancora in Selandia) sul quale sono rappresen-
tati un cacciatore e la sua preda (sul sito vd. Mathiassen Th., Sten­alder­boplatsen i
Aamosen, København 1943), il manico d’ascia di Tåge­rup (Scania). Piccole figure
animali realizzate in ambra rinvenute in Danimarca avevano probabilmente la fun-
zione di amuleti per i cacciatori (vd. a esempio la testa d’alce ritrovata a Egemarke
in Selandia). Altri amuleti (con altri scopi!) dovevano essere taluni oggetti a forma
di fallo (come quello i cui pezzi sono stati rinvenuti nel sito di Holmegård V nella
Selandia meridionale).
19
 Vd. Andersen K. 1951: “Hytter fra Maglemosetid. Danmarks ældste boliger”, in
NMA 1951, pp. 69-76 e Larsson M., “Stenåldersbondens hus”, in PA VI: 4 (1988), pp.
10-13.
20
 Il territorio era ancora in gran parte invaso dall’acqua. Insediamenti anche mol-
to antichi (fino all’8500 a.C.) sono stati tuttavia individuati in tempi piuttosto recenti
(anni ’90) nell’area di Stoccolma. Una abitazione stabile, la più antica del Nord, pare
essere quella rinvenuta a Smedby (circa 10 km. a ovest della città svedese di Kalmar):
vd. Wester­gren E., “Det äldsta kända huset i Norden”, in PA VI: 4 (1988), pp. 4-6.
Va del resto anche rilevato che recenti ritrovamenti relativi all’età della pietra hanno
messo in discussione la teoria secondo la quale costruzioni ben strutturate realizzate
con grossi tronchi risalirebbero solo all’età del ferro (vd. Halén O., “Timmerhus från
stenåldern omkullkastar gamla teorier”, in PA XIII: 2 [1995], pp. 4-7).

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La preistoria 19

Il periodo successivo è quello della cultura detta ‘di Konge­mose’21


(circa 6800-5500 a.C.) maggiormente legata all’ambiente marino e
costiero. Da un lato ciò pare dipendere dalla diminuzione della
selvaggina dovuta al propagarsi (almeno a sud) di una foresta
dominata dalle latifoglie e da un fitto sottobosco: conseguenza, a
sua volta, di un clima caldo e umido che rappresenta – in quello
che è definito ‘periodo atlantico’ (all’incirca tra il 6800 e il 3500
a.C.) – la fase più calda dell’era post-glaciale. Dall’altro lato ciò si
lega a un aumento delle risorse marine conseguenti ai cambiamen-
ti geo-morfologici che avevano dato origine al Mare Litorina.
Della cultura di Konge­mose, che riguarda principalmente le zone
danesi e quelle della Svezia meridionale,22 ci restano numerosi
reperti, soprattutto punte di frecce, asce, trapani, raschiatoi, col-
telli, punzoni, ami, arpioni. Anche qui non mancano interessanti
decorazioni.23
In Norvegia il mesolitico conosce due culture principali: quella
cosiddetta ‘di Fosna’,24 e quella – ben più settentrionale – ‘di
Komsa’.25 Entrambe – che, come detto sopra, potrebbero forse
affondare le proprie radici nell’epoca precedente – si estendono
con limitate innovazioni per un lunghissimo periodo di tempo.
Anche qui i reperti testimoniano di gruppi di uomini le cui abitu-
dini di vita erano strettamente legate ai cicli della vita animale. Il
territorio nel quale era diffusa la cultura di Fosna comprende in
primo luogo l’area orientale del fiordo di Oslo, le isole al largo di
Bergen e la costa delle regioni di Møre e Trøndelag (fino all’altezza
di Trond­heim): si tratta dunque di insediamenti strettamente dipen-
denti dalle risorse marine. Gli utensili sono esclusivamente di selce.

21
 Dal nome di un sito che si trova nella zona occidentale della Selandia.
22
 I siti di maggiore interesse – oltre naturalmente a quello di Kongemose – si tro-
vano a Villingebæk e Månedalen sempre in Selandia e, per la Svezia, a Segebro (cfr.
nota 11), Häljarp, Tåge­rup e Age­röd (cfr. nota 17), tutti nella regione della Scania.
23
 Vd. a esempio l’ascia rinvenuta nella palude di Jordløse (Selandia) su cui è rap-
presentata una figura, forse di donna, e quella di Værebro (sempre in Selandia) sulla
quale sono incisi motivi geometrici.
24
 Dal nome di un’isola nell’arcipelago di Kristiansund sulla costa norvegese (Møre
e Roms­dal).
25
 Nome dovuto ai primi ritrovamenti effettuati nel 1925 nella zona della montagna
detta Komsafjellet (regione di Alta, Finnmark). Sulle coste di questa regione non si
trova la selce (che altrove è materiale caratteristico con cui sono realizzati molti reper-
ti): qui venivano dunque utilizzati soprattutto quarzo e quarzite. La denominazione
‘cultura di Komsa’ è stata in seguito messa in discussione e attual­mente diversi archeo-
logi preferiscono usare l’espressione più generica “età della pietra più antica” (eldre
steinalder); ciò soprattutto per il fatto che l’area su cui si estende questa cultura è
molto vasta, seppure essa presenti forti tratti di omogeneità.

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20 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

Non si conoscono tracce di abitazioni. Parallelamente tuttavia si


trovano siti anche presso corsi d’acqua fra le montagne, certamen-
te collegati alla presenza di animali selvatici. Qui l’uso d’utensili
realizzati con materiale lapideo locale anziché con la selce (e l’esi-
stenza di ‘cave’ dalle quali esso era tratto) indica scarsi contatti con
gli abitanti delle coste e la permanenza in zona di questi uomini
per l’intero periodo dell’anno.
Molti degli insediamenti attribuiti alla cultura di Komsa sono
collocati presso il mare aperto (da Tromsø fino alla penisola di
Kola): essi dovevano presumibilmente essere utilizzati nei mesi in
cui si godeva di un clima più favorevole e mostrano dunque un
carattere di provvisorietà, mentre taluni rifugi invernali, costruiti
all’interno dei fiordi in posizione riparata, risultano più grandi e
meglio attrezzati. Siamo quindi di fronte, con molta probabilità, a
gruppi di semi-nomadi che si spostavano a seconda delle stagioni:
sulle coste e le isole durante l’estate e al riparo dei fiordi in inverno.
Tracce della loro presenza sono, tra l’altro, cerchi di pietre all’in-
terno dei quali sono stati ritrovati resti della lavorazione di utensi-
li. L’economia della cultura di Komsa era basata soprattutto sugli
animali marini (tra cui le foche), sugli uccelli e sulle renne.
Un’altra cultura identificata in Norvegia è quella, più recente,
detta ‘di Nøstvet’ (5500-4000 a.C.),26 individuata nell’area del
fiordo di Oslo ma anche in altre zone meridionali del Paese, cui si
affianca sulle coste occidentali della Svezia quella detta ‘di Lihult’.27
Essa si caratterizza in particolare per la tipicità delle numerose asce
(dette, appunto, ‘asce di Nøstvet’ o ‘asce di Lihult’): oggetti certa-
mente d’uso quotidiano, ma anche, verosimilmente, simboli di
potere o strumenti rituali.
L’uomo dell’età della pietra, cacciatore, pescatore e raccogli-
tore di vegetali commestibili, dovette vivere in comunità più o
meno grandi a seconda delle risorse offerte dal territorio. Natu-
ralmente questi gruppi necessitavano di vaste aree sulle quali
spostarsi nel continuo inseguimento di prede animali e dunque
certamente ci furono lotte per lo sfruttamento del territorio; di
sicuro tuttavia ci furono anche contatti pacifici e nell’inte­resse
26
 Nøstvet è un sito che si trova all’interno del Bunnefjorden, una ventina di chilo-
metri a sud-est di Oslo.
27
 Dal nome di un sito presso Skee nella regione svedese occidentale di Bohuslän;
vd. Bramstång C., Lihult- och limhamnsyxor. En undersökning av senmesoli­tiska före­
komster i Halland, Göteborg 1990 e Brøgger A.W., Øxer av Nøstvettypen. Bidrag til
kundskapen om ældre norsk stenalder, Kristiania 1905. In Burenhult 1999-2000 (B.2),
I, p. 224, è proposta una datazione più arretrata: secondo questo studioso infatti la
cultura di Lihult sarebbe in declino già nel 5000 a.C.

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La preistoria 21

reciproco furono stretti legami (a esempio attraverso lo scambio


di merci o le unioni matrimoniali). Si può in qualche modo imma-
ginare quali dovessero essere i rapporti interni ed esterni e il
funzionamento di queste comunità osservando società analoghe
ancora presenti in diverse aree del pianeta in periodo storico. È
evidente che in una economia basata sostanzialmente sulla cattu-
ra di prede animali (cui si affianca la raccolta di vegetali
commestibili),28 l’elemento determinante nella vita degli uomini
sta nel rapporto con la natura, fonte primaria di sostentamento.
L’atteggiamento dell’uomo nordico primitivo nei confronti delle
forze – considerate potenti e misteriose – che sentiva presenti
nell’universo circostante e il suo conseguente tentativo di stabili-
re con loro un contatto per trovare un giusto equilibrio nelle
difficoltà della vita quotidiana, dovettero dunque sfociare in una
religiosità espressa – come sempre è il caso in questi contesti –
attraverso credenze e rituali di carattere magico nei quali i gesti
ma anche gli oggetti (magari amuleti) rivendicano la loro impor-
tanza. Del resto, il senso di questo rapporto uomo-ambiente e
uomo-animale, nel quale il bisogno elementare della sopravviven-
za s’intreccia con la soggezione verso forze percepite come magica­
mente efficaci, si situa all’interno della concezione di un universo
i cui elementi non sono considerati isolati, né indipendenti le sue
manifestazioni: al contrario tutto risulta intimamente intercon­
nesso; in un ambito culturale di questo tipo “tra la parte e il
tutto, tra l’indi­viduo e la specie, tra il simbolo e ciò che esso
rappresenta, tra feno­meni che avvengono contemporaneamente
prevale un legame inscin­dibile”.29 Naturale conseguenza di un
atteggiamento di questo tipo sono i riti che vengono praticati e
nei quali la morte dell’animale assume un significato che va ben
oltre quello del semplice soddisfa­cimento dell’istinto della fame.
Tracce di tali riti paiono ben rappresentate nel Nord. In tal
senso va letta – in primo luogo – tutta una serie di incisioni rupestri,
scene di caccia,30 di pesca31 o anche semplici raffigurazioni di ani-
28
 Un compito questo affidato alle donne insieme alla cattura di pesci e animali di
piccola taglia.
29
 Questo aspetto è stato assai ben analizzato dallo studioso Folke Ström (Ström
1967 [B.7.1], pp. 9-12, la citazione da p. 10).
30
 Si vedano a esempio le raffigurazioni della caccia all’orso e alle renne che si
trovano sul pannello roccioso di Bergbukten I (Jiepmaluokta, cfr. nota 33).
31
 Si veda, fra le incisioni norvegesi ritrovate nella zona di Alta, la rappresentazione
della pesca di un ippoglosso (Berg­bukten IV B, Jiepmaluokta, cfr. nota 33). Sulla
parete di roccia è chiaramente individuabile l’immagine di una piccola imbarcazione
dal bordo della quale pende una lenza cui il pesce è attaccato per la bocca.

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22 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

mali (selvaggina ma anche animali marini), che si ritrovano soprat-


tutto in Norvegia (dalle coste della regione di Sogn e Fjordane su
fino all’estremo nord del Paese)32 e nella Svezia centrale.33 A volte
ci troviamo di fronte alla raffigurazione di centinaia di soggetti,
come a Vingen34 dove sono rappresentati circa millecinquecento
cervi (o forse renne) alcuni fermi, altri in corsa, taluni forse corica-
ti (quindi uccisi?).35 In taluni casi vediamo animali sul cui corpo
sono segnate linee che paiono voler indicare gli organi interni.36
Sulle isole Notön e Brådön e sulle pareti di roccia sottostanti l’im-
ponente cascata di Nämforsen (ora sfruttata ai fini della produzio-
ne di energia, nella regione svedese di Ångermanland) il numero
degli animali raffigurati (soprattutto alci) supera i millequattrocen-
to.37 Un’espressione artisti­co-rituale che si protrarrà a lungo nel
tempo.38 Raffigurazioni molto simili sono state ritrovate in gran
32
 Nelle regioni più settentrionali ci troviamo di fronte a un tipo d’arte preistorica
che contrassegna una fascia di territorio estesa alle zone settentrionali della Russia,
compresa la Siberia fino allo stretto di Bering.
33
 In Norvegia si contano più di cinquemila figure in circa settanta siti, tremila solo
nella superba galleria d’arte rupestre di Jiepmaluokta (toponimo sami che significa
“Baia delle foche”, norv. Hjemme­luft) all’estremità occidentale della città di Alta (sami
Áltá o Alattio) in Finn­mark. Qui possiamo ammirare raffigurazioni che si richiamano
a stili diversi, riconducibili non solo al lunghissimo periodo di tempo nel quale le
incisioni furono realizzate (verosimilmente tra 6200 e 2000 anni fa), ma anche – natu-
ralmente – alla loro diversa origine e funzione. Il sito di Jiepmaluokta è il più ricco di
incisioni in tutto il Nord, dichiarato dall’Unesco patrimonio dell’umanità nel 1985.
Nel territorio di Alta si trovano comunque altri siti di grande interesse. Nella Svezia
centrale si contano circa duemila figure in una dozzina di siti.
34
 Nel Nordfjorden (regione di Sogn e Fjordane, Norvegia occidentale). Un altro
sito norvegese di grande importanza è quello di Ausevik (Høydalsfjorden, nella mede-
sima regione) dove sono incise circa quattrocento figure.
35
 L’impressione è che qui sia rappresentato un sistema di caccia che consisteva
nello spingere gli animali verso dirupi nei quali essi precipitavano: i loro corpi feriti o
senza vita erano poi raccolti ai piedi del precipizio; vd. Blehr O., “Når villreinen løper
dit du vil. En fangstmetode, og det spor efter den i dag kan fortelle om fortidens
jegersamfunn”, in Utne A. (red.), Jakt, fiske og sanking før og ved siden av jordbruk,
Tromsø 1982, pp. 1-29.
36
 Come appunto a Vingen o in altri siti norvegesi (a esempio Ringsaker in Hedmark
e Møllestufossen, presso Dokka in Oppland). L’applicazione di questa tecnica ad ani-
mali marini si ritrova a esempio nel sito di Hammer sul Beistadfjorden, Nord-Trøndelag
(dove sono raffigurati una balena e alcuni pesci) o in quello di Drammen su un ramo
occidentale del fiordo di Oslo (dove si può vedere una balena lunga 2.3 mt.).
37
 In Burenhult 1999-2000 (B.2), I, p. 218 e, soprattutto, p. 395, è tuttavia propo-
sta per questo sito una datazione parecchio più tarda. Vd. anche Forsberg L., “En
kronologisk analys av ristningarna vid Nämforsen”, in ENNB, pp. 247-261.
38
 L’arte delle incisioni rupestri perdurerà nel Nord per un lunghissimo periodo
(fino a settemila anni) e non di rado i medesimi ‘laboratori artistici’ rimarranno in uso
fino al neolitico e all’età del bronzo, il che rende assai problematica una sicura deter-
minazione cronologica delle singole immagini. Tra le più antiche possono certamente

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La preistoria 23

quantità in territorio russo, soprattutto presso il Mar Bianco e il


lago Onega.39
È probabile che presso questi siti avessero luogo diverse cerimo-
nie caratteristiche delle società di cacciatori: cerimonie d’iniziazio-
ne dei giovani, cerimonie per ottenere una abbondante cattura di
prede, cerimonie per propiziarsi lo spirito degli animali, cerimonie
‘in riparazione’ delle uccisioni avvenute,40 cerimonie contro gli
spiriti maligni, cerimonie d’individuazione e consacra­zione di ani-
mali totemici. Forse anche matrimoni e riti funebri. In diverse
occasioni queste cerimonie rappresentarono momenti d’aggrega-
zione e di scambio fra i diversi gruppi. Certamente in questo ambi-
to un ruolo di rilievo fu svolto dai più anziani, dai capi (individui
le cui qualità emergevano nel contesto, non di rado drammatico,
della lotta quotidiana per la sopravvivenza) e, proba­bilmente, da
sciamani. Taluni oggetti (in particolare amuleti, figure animali,
attrezzi decorati) dovettero legarsi alla pratica magica, piuttosto
che alle attività quotidiane. La sfera del sovran­naturale fu certa-
mente segnata da un intreccio di credenze e tabù.
Ma i riti degli uomini che vissero nelle regioni scandinave duran-
te il mesolitico sono destinati a rimanerci, per la gran parte, ignoti.
A loro sono comunque certamente legati i ritrovamenti di diverse
offerte votive:41 asce di pietra (per la maggior parte), ma anche altri
oggetti d’uso quotidiano (pugnali, punte di lancia, raschiatoi, scheg-
ge di selce utilizzate come una sorta di coltello) così come perle
d’ambra e, in qualche caso, resti di cibo. Taluni utensili (in parti-
colare asce o mazze)42 ebbero certamente la funzione di status symbol
parallelamente a quella di strumenti rituali.

essere annoverate quelle delle regioni norvegesi da Trøndelag verso nord che secondo
alcuni sarebbero da datare tra il 7900 e il 6500 a.C. (Lillehammer 1994 [B.2], p. 51).
39
 Vd. Raudonikas W.J., Les gravures rupestres des bord du lac Onega et de la Mer
Blanche, I-II, Leningrad 1936-1938. Cfr. nota 32.
40
 Folke Ström richiama a questo proposito taluni riti sami legati alla caccia all’orso
ancora ben documentati in epoca storica (Ström 1967 [B.7.1], p. 10). Del resto al
culto dell’orso si legano anche, verosimilmente, immagini incise sul pannello di
Bergbukten I (Jiepmaluokta, cfr. nota 33). Vd. Helskog K., “Björnejakt och ritualer
for 6200-3700 år siden”, in Ottar, CLVI (1985), pp. 7-11 e Helskog 1988. Vd. anche
pp. 1389-1390.
41
In genere si possono considerare offerte votive gli oggetti ritrovati in più di un
esemplare, in alcuni casi in gran quantità (quando non si tratti di materiale depositato
in attesa di essere riutilizzato), soprattutto se essi appaiono disposti in modo simboli-
co come, a esempio, cerchio, semicerchio o triangolo o, particolar­mente per le asce o
i pugnali, con la parte offensiva rivolta in una determinata direzione.
42
Quali, a esempio, talune mazze a forma di croce con quattro punte, non di rado
geometricamente decorate, ritrovate in Norvegia (Lillehammer 1994 [B.2], p. 46).

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24 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

Le cerimonie dovettero toccare i momenti significativi dell’esi­


stenza di questi uomini: dunque, immancabilmente, anche quello
della morte. Per un lungo periodo di tempo le sepolture non reca-
no particolari segni distintivi: i defunti sembrerebbero spesso
sempli­cemente inumati nei luoghi in cui erano vissuti. Tombe di
un certo interesse compaiono dal settimo millennio a.C.,43 cimiteri
veri e propri solo verso la fine del mesolitico.44 Siti di notevole
interesse sono, in particolare, quello di Bøgebakken (comune di
Vedbæk, Selandia) e quelli di Skateholm (presso Trelleborg in
Scania) scoperti negli anni ’70 del secolo scorso. Il primo presenta
diciassette tombe semplici, collocate in file parallele, tutte, tranne
tre, contenenti i resti di un solo individuo (in totale le persone
sepolte sono ventidue); i cadaveri (tranne uno in posizione supina)
sono cosparsi d’ocra rossa. Nelle tombe si trovano doni funebri:
pietre e corna di cervo, le donne portano ornamenti di denti ani-
mali.45 Una donna, presumibilmente morta di parto, è collocata
accanto a un bambino il cui corpo è deposto sull’ala di un cigno;
un’altra tomba contiene una ‘sepoltura di famiglia’: l’uomo – ucci-

43
 Si vedano le tombe di Korsør Nor in Selandia, di Bäckaskog e Tågerup in Scania,
di Stora Bjers e Kambs, entrambe sull’isola di Gotland (Burenhult 1999-2000 [B.2],
I, p. 232). I morti sono seduti in posizione raccolta, quasi rannicchiata (hocker). A
Bäckaskog nella tomba di una donna erano stati deposti una fiocina e un coltello per
scuoiare. In Norvegia le tombe più antiche (risalenti al settimo millennio a.C.) sono
quelle di Bleivik (presso Haugesund) e di Vistehola nel distretto di Jæren, entrambe
dunque nella zona sud-occidentale.
44
 La loro comparsa è forse da mettere in connessione con un aumento demografi-
co, collocato da S.J. Mithen (Mithen 1994, pp. 123-125) attorno al 4500 a.C. In
Burenhult 1999-2000 (B.2) I, pp. 230-241, la cronologia è retrodatata di almeno 750
anni. Qui inoltre (p. 240) si rilevano le ragioni fondamentali della comparsa dei cimi-
teri, segno innegabile di un legame con il territorio.
45
 Vd. Albrethsen – Brinch Petersen 1975; Larsson L., Ett fångstsamhälle för 7.000
år sedan. Boplatser och gravar i Skateholm, Malmö 1988 e, del medesimo autore, “Grav
eller dödshus?”, in PA VI: 4 (1988), pp. 7-9. In un caso è utilizzato anche un dente
umano. Qui si può forse far riferimento alla tomba danese di Dyrholmen nello Jutland
orientale dove ossa umane incise e spezzate per estrarne il midollo costituiscono il
possibile indizio di una forma di cannibalismo; vd. Degerbøl M., “Et knoglemateria-
le fra Dyrholm-bopladsen, en ældre stenalder-køkkenmødding. Med særligt henblik
paa uroksens køns-dimorphisme og paa kannibalisme i Danmark”, in Mathiassen Th.
– Degerbøl M. et al., Dyrholmen, en stenalderboplads paa Djursland, København, 1942,
pp. 105-128 e Mithen 1994, pp. 123-125. Questa pratica pare testimoniata anche in
sepolture di epoca più tarda: nel tumulo che ricopriva la magnifica tomba di Håga
(regione svedese dell’Uppland) risalente alla fase iniziale dell’età del bronzo recente
(1100-900 a.C.) sono stati ritrovati resti di animali e di esseri umani, verosimilmente
sacrificati e, presumibilmente, consumati in un banchetto in onore del defunto, per-
sona certa­mente assai eminente come mostra il ricco corredo funebre ritrovato; vd.
Almgren 1905 (vd. nota 171), p. 36 e pp. 44-45 in particolare. Cfr. p. 32 con nota 71.

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La preistoria 25

so da una freccia di osso che è ancora conficcata tra le vertebre del


collo – è sepolto con la moglie e il figlio. I cadaveri dei più anziani
poggiano il capo su grandi palchi di cervo (segno presumibile di
particolare distinzione sociale).46 A Skateholm (dove si conoscono
tre siti principali)47 si possono riconoscere diversi usi funerari,
inclusa la cremazione. I corpi sono collocati in differenti posture
(rannicchiati, distesi, seduti). Di particolare rilevanza in questo sito
è la presenza di resti di cani, sepolti da soli o insieme a esseri uma-
ni, talora – proprio come questi – fatti oggetto di doni funebri: un
palese riconoscimento al ruolo svolto da questi animali in una
società di cacciatori.48 A Skateholm II sono state rinvenute anche
tracce di una struttura cerimoniale. Ciò confermerebbe l’ipotesi
che alle tombe fosse attribuita una molteplice funzione: piuttosto
che costituire semplicemente la dimo­ra del defunto, esse segnereb-
bero uno spazio sacro, sarebbero il luo­go della devozione per gli
antenati, nel quale e dal quale emana il loro potere spirituale capa-
ce di marcare il territorio cui è legata la comunità che lo abita.
Della possibilità di sacrifici umani (ma forse più semplicemente di
una morte in battaglia, per assassinio o per disgrazia) testimoniano
le ferite riscontrabili su diversi cadaveri (ritrovati in cimiteri ana-
loghi).
Se il mesolitico fu nel Nord un periodo lunghissimo durante il
quale la vita quotidiana degli uomini nelle diverse zone dovette
procedere secondo modelli per molti aspetti costanti, esso fu senza
dubbio segnato anche da tensioni e inquietudini. Gli uomini di
quel tempo s’incontrarono e talvolta, certamente, si scontrarono.
D’altron­de, nonostante le difficoltà negli spostamenti e il numero
relativa­mente esiguo d’individui rispetto alla vastità del territorio,
noi possediamo precise testimonianze di contatti fra i diversi grup-
pi, ben evidenti là dove possiamo constatare la contemporanea
presenza di utensili o tecniche riconducibili a differenti culture.
È tuttavia nelle zone più meridionali che – come pare logico

46
 Caso unico nel suo genere (almeno allo stato attuale dei reperti disponibili) è
quello di una donna dall’apparente età di circa cinquanta anni alla quale è riservato il
medesimo onore. Differenze nella disposizione dei corpi sottolineano del resto diffe-
renze sociali.
47
 Il più antico è quello che va sotto la denominazione di Skateholm II: qui le prime
sepolture sono datate attorno al 5250 a.C.
48
 Ma si veda anche la tomba di un cane a Gøngehusvej (Vedbæk, Selandia). La
presenza di cani nelle tombe si constaterà anche in epoca vichinga; essa testimonia
anche il legame di questo animale con il Regno dei morti, legame del resto simbo­leggiato
dal cane Garmr che, secondo il mito, fa la guardia davanti al cancello di Hel, custode
dell’aldilà (Chiesa Isnardi 20084 [B.7.1], pp. 570-571).

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26 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

attendersi – ci troviamo di fronte a un maggiore dinamismo; risul-


ta a esempio che la lavorazione dell’argilla (considerata un tipico
prodotto del neolitico) abbia fatto la sua comparsa (nella prima
metà del quinto millennio a.C.) nelle zone della Danimarca e della
Svezia meridionale all’interno della cultura cosiddetta ‘di Ertebøl-
le’,49 sviluppatasi tra il 5500 e il 4100 a.C.: una società con una
economia basata sulla caccia, ma dipendente in misura assai con-
sistente anche dalla cattura di prede acquatiche, come dimostrano
le grandi quantità dei cosiddetti ‘scarti di cucina’ (danese køkken­
møddinger), veri e propri cumuli costituiti da avanzi di cibo (in
particolare gusci di molluschi e resti animali) ma anche da oggetti
di pietra e argilla.50 La cultura di Ertebølle testimonia con chiarez-
za il progressivo affer­marsi di insediamenti fissi che raggiungono
dimensioni significative in territori ben definiti.

1.2.2. Rivolgimenti economici e sociali: il neolitico

In effetti la cultura di Ertebølle introduce ai grandi cambiamen-


ti del neolitico. Questo periodo (che nel Nord si situa tra il 4100 e
il 2300 a.C.) è segnato da una vera e propria rivoluzione economi-
ca, dovuta alla comparsa accanto ai sistemi tradizionali della caccia
e della pesca, che tuttavia largamente sopravvissero, di nuovi modi
di sostentamento: allevamento e agricoltura.51 L’innovazione fu
intro­dotta da sud.52 È certo che gli abitanti della Scandinavia meri-
dionale furono coinvolti nel processo da cui sarebbero scaturiti
49
 Nome di un sito che si trova sul Limfjorden nella parte settentrionale della regio-
ne danese dello Jutland.
50
 Questi cumuli di veri e propri rifiuti sono presenti, oltre che in Danimarca (si
vedano in particolare i siti di Erte­bølle, Bjørns­holm e Flynder­hage, tutti nello Jutland),
in altre regioni europee (Portogallo, Galizia, Francia, Inghilterra e Irlanda).
51
 Com’è lecito attendersi il sistema economico basato sulla caccia e sulla pesca
continuò a prevalere nelle zone più settentrionali e interne. In Norvegia in partico-
lare si rileva la tendenza a una significativa espansione dell’economia di caccia
(soprattutto quella alla renna), dovuta verosimilmente alla migliorata qualità delle
armi usate, e tuttavia parallela alla diffusione della pratica agricola. La persistenza
d’una cultura di cacciatori e pescatori è evidente, tra l’altro, nel considerevole
numero d’incisioni rupestri raffiguranti animali: renne, alci, cervi, orsi, balene, pesci,
palmipedi, ma anche una volpe (a Drammen sul fiordo di Oslo) e un cane (a Skjo-
men, ramo del fiordo detto Ofotfjorden nel distretto di Nordland, dove presso il
mare si trovano un’ottantina di incisioni). Anche diverse sculture raffiguranti ani-
mali (in ardesia, osso, argilla o ambra) vanno verosimilmente collegate ai rituali
magici connessi.
52
 La pratica dell’agricoltura si era diffusa in Europa dalle zone balcanico-elleniche,
dove era giunta tra il 7000 e il 5400 a.C.

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La preistoria 27

grandi mutamenti economici e sociali. Gli uomini appartenenti alla


cultura di Erte­bølle vennero verosimilmente in contatto con grup-
pi riferibili all’area cosiddetta della ‘ceramica a nastro’,53 una cul-
tura che copriva una vasta zona nelle regioni centrali d’Europa
(dall’attuale Belgio fino all’Ungheria, passando per diversi territo-
ri della Germania e della Polonia e toccando a sud la Svizzera e
l’Austria). Costoro praticavano (a quanto pare già dal 6000 a.C.)
l’allevamento degli animali e anche qualche forma di coltivazione
della terra. Queste tecniche penetrarono gradatamente verso nord,
probabilmente fin dal primo neolitico, ma la loro diffusione fu
molto lenta,54 conoscendo a un certo punto addirittura un eviden-
te regresso.55 Fattori economici e sociali ma anche climatico-eco-
logici furono determinanti al riguardo. La prima cultura contadina
scandinava è nota come ‘cultura della ceramica imbutiforme’ (per
via della produzione di vasi con il collo a imbuto): certamente
affermata in Danimarca fin dal 3900-3800 a.C., essa risulta estesa
anche a una vasta area dell’Europa continentale.56 L’agricoltura è
ancora di tipo primitivo, soprattutto si alleva bestiame (in partico-
lare pecore, ma anche capre e maiali, più raramente bovini) al
quale sono destinati pascoli e spazi in prossimità delle abitazioni;
la coltivazione di cereali è praticata in campi ricavati dall’abbatti-
mento di alberi là dove la foresta è meno fitta (a ciò certamente
servirono le asce numerosissime e ben rifinite che sono state ritro-
vate), lo sfruttamento dei terreni è limitato nel tempo. Mentre si
osserva un progressivo miglioramento della tecnica e degli utensi-
li, si ritrovano (in Danimarca fin dal 3500 a.C.) le prime tracce
d’aratura del terreno (per quanto con mezzi del tutto primitivi) e

53
 Questo tipo di ceramica prende nome dalla decorazione a strisce variamente
disposte.
54
 La prima fase della diffusione dell’agricoltura nelle regioni scandinave copre
un lungo arco di tempo che va all’incirca dal 4000 al 2800 a.C. (Lillehammer 1994,
p. 59, cfr. Burenhult 1999-2000, I, p. 275 e Magnus – Myhre 1986, pp. 62-66, tutti
in B.2).
55
 Le rilevazioni archeologiche hanno mostrato inequivocabilmente che attorno al
3000 a.C. la pratica agricola sembra scomparsa tanto dalle coste della Norvegia quan-
to da gran parte della Svezia meridionale (esclusa la zona sud-occidentale del Paese e
le isole di Öland e Gotland), dove invece risultava esercitata cinquecento anni prima.
Qui si evidenzia ora una società che basa il proprio sostentamento sulla caccia, la pesca
(sia di mare sia d’acqua dolce) e nell’ambito della quale si collocano i manufatti della
cosiddetta ‘ceramica a fossette’ (la cui decorazione è ottenuta producendo sui manu-
fatti piccole cavità; cfr. nota 72). La sola regione danese parrebbe esente da questo
regresso (vd. Lillehammer 1994 [B.2], p. 59).
56
 In particolare alla Polonia meridionale, alla Boemia, al Mecklemburgo e ai Paesi
Bassi.

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28 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

si constata, nell’ultimo periodo del neolitico, la comparsa del carro.57


Nel 2800-2700 a.C. l’agricoltura risulta diffusa in Danimarca, nel-
la Svezia centro-meridionale e sulle coste interne del Baltico così
come su quelle norvegesi, su fino all’altezza di Tromsø.
Va da sé che le innovazioni economiche provocarono mutamen-
ti nell’organizzazione sociale. Evidente appare innanzi tutto l’au-
mento di insediamenti caratterizzati da maggiore stabilità (si resta
legati a una determinata area quantomeno per il periodo di sfrut-
tamento delle sue risorse, per spostarsi poi in un terreno ‘vergine’
non di rado poco lontano), così come la comparsa di costruzioni a
carattere difensivo, che segnalano l’accresciuto interesse per le
risorse di un determinato territorio. Tra gli oggetti rinvenuti nei siti
molti (in particolare le asce) rivestono un indubbio carattere cul-
tuale e simbolico.
Nell’ambito della cultura contadina che – seppure in forme
ancora molto semplici – si viene affermando, testimonianze di
straordinaria rilevanza sono costituite dalle tombe megalitiche,
imponenti monu­menti funerari che cominciano a comparire nel
Nord verso la metà del IV millennio a.C.58 Una prima espressione
di queste sepolture maestose paiono essere i tumuli allungati (talo-
ra contenenti una camera mortuaria) presenti sul territorio danese.59
Grandi tombe (dolmen) si ritrovano poi nella Scandinavia meri-
dionale, dal 3000 a.C. circa anche in Norvegia;60 spesso sono anco-

57
 Tracce precedenti (almeno dell’uso della ruota) sono tuttavia riconoscibili in
Danimarca (vd. Jensen 2001-2004 [B.2], I, p. 318). I primi ritrovamenti di ruote in
Danimarca sono stati fatti a Kideris e Bjerregårde, entrambi presso Herning nello
Jutland centrale (III millennio a.C.). Sull’aratura preistorica vd. Glob 1951.
58
 Con ciò si va a evidenziare un legame più stretto con un determinato territorio,
nelle cui risorse trova sostentamento un numero cospicuo di persone; vd. la discus-
sione (e i riferimenti) su questo punto in Burenhult 1999-2000 (B.2), I, p. 287. Qui
si fa notare come zone meno densamente popolate siano caratterizzate da un diver-
so tipo di sepoltura a livello del terreno, rappresentato in Danimarca (Jutland
occidentale e, in parte, centrale) dalle cosiddette sten­dynge­grave, vale a dire “sepol-
ture con un cumuli di pietre”. Va tuttavia notato che queste ultime non con­tengono
resti umani, il che può dipendere dalla natura chimica del terreno in cui si trovano,
ma più probabilmente dal loro uso temporaneo nel quadro di complessi rituali
funerari (cfr. sotto, nota 68); esse si collocano in un periodo un po’ più tardo rispet-
to alle tombe megalitiche (Brøndsted 1957-1960² [B.2], I, pp. 313-317; Jensen
2001-2004 [B.2], pp. 398-402).
59
 Nel sito di Barkær nello Jutland orientale (e in quello, analogo, di Sten­gade, in
Lange­land) i resti di costruzioni un tempo considerate di tipo abitativo si sono poi
rivelati appartenere a lunghe camere mortuarie (vd. Glob P.V., “De dødes lange huse”,
in Skalk, 1975: 6, pp. 10-14).
60
 Si veda la tomba rinvenuta nella località di Skjel­torp nella regione di Øst­fold,
ricostruita – almeno in parte – nel 1944; vd. Østmo E., “Megalittgraven på Skjeltorp i

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La preistoria 29

ra ricoperte da tumuli che in taluni casi superano, qualche volta


anche di parecchio, i cento metri di lunghezza.61 In Danimarca sono
dette dysser, sing. dysse; in Svezia dösar, sing. dös; in Norvegia
dysser, sing. dysse (bm) e dysjar, sing. dys (nn). All’inizio vi erano
inumati i resti di pochi defunti, certamente persone che ricopriva-
no un ruolo di prestigio nella società: l’oneroso lavoro di molti
richiesto dalla costruzione di queste opere dovette presumibilmen-
te servire a preservare la memoria di quei pochi che seppero con-
solidare un’autorità capace di imporsi su un’area più estesa e su un
maggior numero di persone. Le tombe megalitiche si sviluppano
talora in seguito in imponenti ‘tombe a corridoio’,62 nelle quali sono
invece conservati i resti di molti individui (in taluni casi centinaia):
sepolture ‘di famiglia’ o cimiteri della collettività nei quali una
sorta di anonimato accomu­nava tutti gli appartenenti a un mede-
simo gruppo?
Sebbene resti difficile definire nei particolari il significato della
costruzione di questi monumenti, appare comunque evidente
che essa si lega a una nuova e più complessa organizzazione socia-
le che vede il sorgere di comunità costituite da gruppi di villaggi,
a loro volta riunite in nuclei di più ampie dimensioni che vanno a
costituire un clan il cui tessuto connettivo si realizza tramite unio-
ni matrimoniali, associazioni cultuali, riti officiati da persone appar­
tenenti alle famiglie eminenti che cominciano a vantare una ‘nobi-
le genealogia’. Rispetto a una società di questo tipo i monumenti
megalitici dovettero fungere come ‘punti di riferimento’ sociali,
culturali e religiosi. I vincoli di parentela si rafforzarono nel richia-
mo ad antenati comuni, ai quali dovette essere riservato un culto
inteso a sottolineare la loro interrelazione con i vivi. Il legame così
prepo­tentemente evidente con il territorio lo testimonia. Per l’uo-
mo del neolitico l’appartenenza a pieno titolo a un clan rivestiva
un’impor­tanza fondamentale, costituendo e regolando il legame
Skjeberg”, in Viking 1982, pp. 5-35. Tracce di altre tombe di questo tipo si trovano
nella zona del fiordo di Oslo (vd. in particolare Holtenes).
61
Vedi, tra i più imponenti, quelli danesi di Kardyb (lungo 185 mt.) e il cosiddetto
Lang­dyssen (“Dysse lungo”, in origine 172 mt.) presso Thisted, entrambi nello Jut­land
occidentale.
62
Vd. a esempio la ‘tomba a corridoio’ doppia di Troldhøj (Stenstrup in Selandia),
quella di Tved­skov (Fionia), quella che comprende tre camere collocate in fila (Hvisse­
høj, Jutland settentrionale), quella di Øm (Selandia centrale), una delle meglio conser-
vate. In Danimarca queste costruzioni sono definite jætte­stuer (“camere dei giganti”),
giacché la credenza popolare ne attribuiva la costruzione a questi esseri, considerando
impossibile che degli umani fossero in grado di spostare massi di tali dimensioni. In
svedese esse sono dette gång­grifter. Nelle tombe megalitiche i morti non presentano
segni di cremazione.

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30 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

che univa individui che vivevano una vita sostanzialmente uniforme


in insedia­menti sparsi su un’area piuttosto estesa.
L’esistenza di un contesto sociale nel quale la ‘centralità’ di
luoghi ritenuti sacri è elemento determinante, è riaffermata, alme-
no in Danimarca, da scoperte (piuttosto recenti) di complessi di
grandi dimensioni nei quali certamente si svolgevano momenti
determinanti della vita religiosa della comunità.63 Come detto:
l’introduzione di un’economia agraria (uno sviluppo che tra l’altro
contribuisce a determinare uno stato di disparità fra i sessi)64
produsse una diversa organizzazione sociale. Conseguenze come
l’aumento demografico, la creazione di un legame assai più stret-
to con il territorio e la necessità della sua migliore gestione favo-
rirono l’affermarsi di capi locali preposti all’amministrazione
delle risorse e dunque respon­sabili del benessere di tutti: un
compito che conferì loro anche un’autorità magico-religiosa, cui
tutta la comunità sentiva di poter fare riferimento. La stretta
interrelazione tra le funzioni del capo (il cui status è espresso nel
possesso di oggetti fortemente simbolici quali in particolare gran-
di asce o scettri di pietra) e il benessere della comunità è – vero-
similmente – il fondamento stesso di quell’idea di società a carat-
tere marcatamente collettivo della quale paiono dare testimo-
nianza i reperti. Là dove collettivismo non significa parità di con-
dizione, giacché la stratificazione sociale, l’attribuzione di diversi
compiti e – appunto – la presenza di persone di rango superiore
è chiaramente delineata. Questo tipo di organizzazione sta alla
base di una struttura tribale capace di ordinarsi secondo un model-
lo assai solido, che – come appare chiaro da testimonianze poste-
riori (tra cui, in primo luogo le incisioni rupestri dell’età del
bronzo) – perdurerà nel tempo.65
In questo contesto l’elemento magico-religioso riveste un ruo-
lo fondamentale. Ma l’oggetto centrale dell’interesse – e,

63
 A esempio il sito di Sarup nella Fionia sud-occidentale; vd. Andersen N.H., “Sarup.
Befæstede neolitiske anlæg og deres baggrund”, in Kuml, 1980, pp. 63-103 e Jensen
2001-2004 (B.2), I, pp. 384-392. Si veda tuttavia anche il sito svedese di Dösjebro (vd.
Andersson M. – Svensson M., “Palissadkomplexet i Dösjebro”, in Burenhult 1999-2000
[B.2], I, pp. 306-309).
64
 Mentre nelle società di cacciatori e raccoglitori un’equa suddivisione dei compi-
ti determina comunemente una sostanziale parità fra i sessi, l’organizzazione della
società contadina spinge la donna in una posizione d’inferiorità (vd. Reeves-Sanday
P., Female Power and Male Dominance. The Origins of Sexual Inequality, Cambridge
1981 e anche Price D.T. – Feinman G.M. [eds.], Foundations of social inequality, New
York 1995).
65
 Vd. oltre, 1.3.3.

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La preistoria 31

conseguente­mente, del culto – è costituito ora dalle forze ritenu-


te capaci di promuovere la fertilità. Gli elementi della natura nei
quali questa capacità appare incarnata suscitano la venerazione
degli uomini. A partire dal neolitico le paludi diventano luoghi
sacrificali frequentati con regolarità (in qualche caso, forse più
semplicemente, conservano ‘depositi’ di materiale); una consue-
tudine che si protrarrà assai a lungo.66 I reperti di quest’epoca
sono costituiti frequentemente da utensili agricoli,67 oggetti d’uso
quotidiano (non di rado di dimen­sioni tali che l’uso rituale, la
funzione di offerta votiva e la distinzione sociale dell’offerente
risalta con tutta evidenza), resti di cibo o di animali domestici. Ai
riti di fecondità si collegavano certamente anche le cerimonie in
onore dei defunti considerati pro­tettori della comunità familiare,
antenati capaci di trasmettere fecondità alla propria stirpe e alla
propria terra, ma anche – per converso – esseri potenti in grado
di provocare danno ai viventi.68 Nelle sepolture collettive ritro-
viamo tracce di focolari, forse legati a banchetti funebri: dunque
il ricordo di un culto dei morti che lascerà tracce copiose nel
prosieguo dei secoli. Del resto i defunti sono riforniti di ciò che

66
 Basti pensare a quanto lo storico latino Tacito ancora scriveva nella sua Germania
(cap. 12), un’opera la cui composizione si situa nel 98 d.C. (vd. p. 71, nota 33; cfr. p. 182
con nota 318). Ancora nella letteratura scandinava medievale le paludi appaiono come
luoghi nei quali venivano eseguite condanne a morte mediante affogamento; un elemen-
to, questo, che rivela il collegamento dell’aspetto sacrificale con quello giuridico (per le
fonti letterarie scandinave medievali vd. Chiesa Isnardi 20084 [B.7.1], p. 490 e p. 497,
note 160 e 163). In generale il culto legato a particolari luoghi naturali (boschi, pietre,
fonti, paludi) doveva essere ancora vitale in epoca medievale, come si rileva da precisi
divieti in tal senso introdotti dalle leggi cristiane. Vd. a esempio nella Legge dell’Uppland
(Upplands­lagen), sezione relativa alle leggi ecclesiastiche (Kyrko­balken) del 1350 circa,
il preciso divieto di “sacrificare agli dèi pagani e credere nei boschi e nelle pietre” (pp.
11-12: Ængin skal aff­guþum blotæ ok ængin a lundi ællr stenæ troæ). Il culto delle fonti
fu in gran parte assorbito in rituali cristiani e mancano divieti specifici (fatta eccezione
per le Leggi di Canuto il Grande, riferimento a p. 313 di tale testo); tuttavia è da ritenere
che tale senso avessero in ogni caso i divieti relativi alle pratiche pagane (vd. Arwidsson
G., “Källa”, in KHLNM X [1965], coll. 53-57).
67
 Un valore particolare pare da attribuire alla falce. Sarà tuttavia certamente l’ascia
(che apparirà in seguito come simbolo del dio del tuono) a rivestire per secoli un
grande valore simbolico, seppure varino le forme con le quali essa viene rappresenta-
ta; vd. Ström 1967 (B.7.1), p. 14.
68
 Testimonianza di riti legati al potere magico-religioso del defunto in relazione alla
sua stirpe e al suo territorio, potrebbero forse essere le cosiddette ‘case dei morti’ (di cui
tuttavia – almeno fino a ora – è noto in area scandinava il solo esempio di Tustrup, in
Djurs­land, Danimarca); qui i morti erano collocati fino a che il processo di decomposi-
zione non restituiva che lo scheletro, il quale era poi inumato in tombe vere e proprie.
Per esempi più tardi di questa consuetudine vd. Jensen 2001-2004 (B.2), II, pp. 386-388.

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32 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

li aveva confortati in vita: cibo, bevande, ma anche asce,69 pugna-


li, gioielli d’ambra, vasi di argilla decorata,70 strumenti della vita
quotidiana, non di rado resi (ritualmente?) inutilizzabili. Come
detto: in una società che, secondo una radicata concezione, inten-
de ogni forma di esistenza come manifestazione di un tutto indi-
stinto le cui componenti non cessano di interagire, il mondo dei
defunti s’intreccia con quello dei vivi, vi si affianca e lo condizio-
na. In tale prospettiva vanno lette anche, ragionevolmente, le
tracce – difficilmente confutabili – di riti che prevedevano sacri-
fici animali, umani e pratiche d’antropofagia.71
Dal terzo millennio a.C. si manifestano all’interno della civiltà
megalitica istanze nuove e, per molti versi, rivoluzionarie. In Scan-
dinavia occorre rilevare innanzi tutto un’espansione delle aree
colonizzate, legata, probabilmente, a una crisi delle risorse alimen-
tari determinata da peggiorate condizioni climatiche, che inciden-
do sulla produzione agraria crearono anche i presupposti per
l’occupazione di nuovi territori e per un aumentato ricorso alle
risorse marine.72 Attorno al 2800 a.C. cessa quasi improvvisamen-
69
 A sottolineare il significato simbolico dell’ascia (ma anche della mazza) i penda-
gli con questa forma realizzati in ambra, da utilizzare come oggetti ornamen­tali, che
segnalano la supremazia sociale di chi li indossa.
70
 In taluni casi il numero di vasi d’argilla (spesso ridotti in pezzi) rinvenuto presso
le tombe megalitiche è altissimo. Offerte votive o comunque oggetti rituali? È più che
probabile. D’altra parte il ritrovamento in siti danesi di resti di tamburi in argilla, lascia
intendere che i cerimoniali fossero piuttosto complessi (Jensen 2001-2004 [B.2], I, p.
404).
71
 Cfr. sopra, nota 45. Vd. Strömberg 1971 e Burenhult 1999-2000 (B.2), I, p. 300
e p. 310. A pratiche rituali o comunque di tipo magico (ma forse più semplicemente
all’esercizio di un’arte medica primitiva) vanno riferiti i diversi casi di trapanazione
del cranio che sono stati rilevati. Se ne hanno testimonianze in Danimarca fin dall’età
della pietra (Døjringe e Gandløse in Selandia, Gryd­høj sull’isola di Ærø – un sito che
presenta diversi resti anche di epoche successive – e Næs sull’isola di Falster), ma anche
in seguito. In Svezia si segnalano pochi casi, in particolare quello di Gillhög (Scania);
vd. Hansen S., “Om forhistorisk trepanation i Danmark”, in AaNOH 1889, pp. 170-
185; Retzius G., “Om trepanation af hufvudskålen, såsom folksed i forna och nyare
tider”, in Ymer, XXI (1901), pp. 11-28 e Fischer-Möller K., “Trepanation og kranie-
læsion i stenalderen. Ny­op­dagede tilfælde fra Fyen”, in AaNOH 1935, pp. 109-116.
72
 La cultura degli uomini stanziati nelle regioni costiere e ‘specializzata’ nello
sfruttamento delle risorse marine (assai ben testimoniato dai moltissimi strumenti in
osso) ma basata anche sull’allevamento del maiale si colloca, come detto, nella tra-
dizione della cosiddetta ‘ceramica a fossette’ (cfr. nota 55), che – certamente almeno
in Danimarca – non risulta collegata con la cultura di Ertebølle. Piuttosto, come
suggerisce J. Brøndsted (Brøndsted 1957-1960² [B.2], I, pp. 247-249) fra di esse si
potrebbero supporre dei contrasti: l’analisi del celebre reperto di Porsmose (presso
Næstved in Selandia) dove è stato rinvenuto lo scheletro di un uomo dell’apparente
età di 30-40 anni ucciso da due frecce che ancora sono conficcate nel suo corpo (una
nel petto e l’altra tra il naso e il palato), attribuisce appunto queste armi all’area

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La preistoria 33

te la costruzione delle tombe megalitiche che sono sostituite da


sepolture singole collocate sotto tumuli o sottoterra. La differente
posizione nella quale viene collocato il cadavere sottolinea diffe-
renze fra i sessi.73 Sul continente europeo si sono affermate culture
nuove: quella cosiddetta della ‘ceramica dei vasi caliciformi’ (o
anche ‘dei vasi campani­formi’ o ‘a fasce’) nelle zone occidentali,
quella della ‘ceramica a cordicella’74 nelle zone centrali e orientali.
In Danimarca si parla di ‘cultura delle tombe singole’ (presente
anche nelle zone dei Paesi Bassi e della Germania occidentale),
nelle altre zone della Scandinavia meridionale (Svezia, Norvegia
ma anche in Finlandia) di ‘cultura delle asce da combattimento’.
Queste armi ben rifinite e levigate costituiscono infatti i reperti
eccellenti del neolitico recente e sono state ritrovate in gran nume-
ro (in taluni casi esse sono dette anche, per via della forma, ‘asce a
sagoma di nave’).
Per lungo tempo questi rivolgimenti culturali sono stati attribui-
ti all’invasione di un popolo guerriero, spintosi verso nord dalle
regioni meridionali e orientali del continente: cavalieri nomadi75
che utilizza­vano il carro, uomini la cui cultura (e la cui lingua) di

della ‘ceramica a fossette’, dal che si potrebbero dedurre (lasciandosi tentare da una
conclusione) rapporti di carattere bellicoso con altri gruppi. E tuttavia altri indizi
testimonierebbero di una coesistenza piuttosto pacifica. Nell’ambito della ‘ceramica
a fossette’ sono molto interessanti i ritrovamenti di ricche sepolture, particolarmen-
te numerose nell’isola di Gotland (dove tra l’altro sono stati rinvenuti richiami per
uccelli, probabilmente i primi strumenti musicali conosciuti nel Nord); così come
quelli che paiono i resti di una grande palizzata che proteggeva un’area destinata fra
l’altro anche a un uso cultuale e che si trovano ad Alvastra (nella regione svedese
dell’Östergötland): vd. Browall H., Alvastra pålbyggnad. Social och ekonomisk bas,
Stockholm 1986.
73
 Gli uomini vengono collocati sul lato destro e ‘orientati’ da ovest a verso est, le
donne, collocate sul lato sinistro, sono ‘orientate’ da est verso ovest.
74
 La decorazione dei manufatti era ottenuta applicando una cordicella sul mate-
riale ceramico ancora fresco.
75
 La precisa determinazione cronologica dell’introduzione (e della diffusione)
del cavallo domestico in Scandinavia resta un problema di difficile soluzione. La
prima raffigurazione di questo animale nel Nord è probabilmente quella che trovia-
mo incisa sulla pietra di Järrestad (nr. 4) nella regione svedese della Scania. Questa
raffigurazione risale all’età del bronzo più recente e corrisponde al ritrovamento di
tutta una serie di finimenti in bronzo, non di rado di accurata fattura, risalenti al
medesimo periodo e ritrovati in numero rilevante (e verosimilmente legati all’utiliz-
zo di cavalli e carri in contesti rituali; vd. p. 45). All’età della pietra più recente
risale un reperto di grande interesse: nel fango del corso d’acqua detto Ulltorpsån
in Scania è stato ritrovato il cranio di un cavallo nel quale era conficcato con molta
forza un pugnale di selce: ricordo della morte sacrificale di un animale che rivestiva
particolare importanza dal punto di vista sociale, cultuale e religioso? Vd. Andersson
1901, pp. 82-84.

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34 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

matrice indoeuropea avrebbe finito – pur recependone molti aspet-


ti – per pre­valere su quella delle popolazioni di sostrato.76 A questi
gruppi fu dovuta, secondo alcuni, la ripresa dell’agricoltura in
buona parte delle terre nordiche.77 Questa interpretazione è stata
sostenuta da molti studiosi, non ultimi alcuni storici della religione
e studiosi di mitologia78 che hanno ritenuto di poter ‘leggere’ un
76
 Lo studioso inglese C. Renfrew (Archaeology and Language. The Puzzle of Indo-
European Origins, London 1989²) ha tuttavia ritenuto di poter dimostrare che la dif-
fusione delle lingue di ceppo indoeuropeo in Scandinavia sia piuttosto da collegare
alla affermazione dell’agricoltura e vada quindi riportata indietro nel tempo fino a
farla risalire – addirittura – al VII millennio a.C. Su questo punto vd. la discussione in
Jensen 2001-2004 (B.2), I, pp. 501-503.
77
 Vd. sopra, p. 27 con nota 55. Come detto, il problema del regresso della pratica
agricola aveva toccato soprattutto le regioni svedesi e norvegesi. Vd. Lillehammer
1994 (B.2), pp. 56-67. La ‘cultura delle asce da combattimento’ risulta, del resto,
legata piuttosto allo sfruttamento dei pascoli.
78
 Vd. de Vries 1970³ (B.7.1), II, pp. 210-211 e riferimenti ivi citati. In questo
contesto merita una menzione la teoria formulata nel secolo scorso dallo studioso K.A.
Eckhardt (Eckhardt 1940), il quale ha ritenuto di poter interpretare la cultura nordi-
ca delle tombe megalitiche come espressione di un popolo che praticava il culto dei
Vani e che aveva una struttura sociale a carattere matriarcale: a essa si sarebbe con-
trapposto – e sovrapposto – il popolo delle asce da combattimento, il cui credo reli-
gioso si esprimeva nella venerazione degli Asi, rappresentanti di una società fondata
sul diritto patriarcale (sui due gruppi divini vd. oltre: 3.3.2). La struttura matriarcale
sarebbe dunque stata presente in Scandinavia ben prima che influssi diffusisi da sud
grazie agli intensi scambi commerciali e culturali dell’età del bronzo permettessero a
concezioni religiose orientali e mediterranee (zone nelle quali il matriarcato era in
vigore in misura più o meno significativa) di trasmettere fino al Nord culti e riti (testi-
moniati dai reperti archeologici e forse anche dalle incisioni rupestri) quale, in parti-
colare, quello della Grande Madre. In effetti, il culto nordico dei Vani (certamente più
antico di quello degli Asi), società divina dal carattere marcatamente collettivo e che
conosceva l’uso del matrimonio endogamico (un elemento che questo studioso segna-
la come indizio certo di diritto matriarcale: op. cit., pp. 84-85) risulta essenzialmente
incentrato sul concetto principe della fecondità, incarnato soprattutto nella dèa Freyja,
alla quale pare possibile ricondurre le altre due divinità principali (entrambe di sesso
maschile) appartenenti alla medesima famiglia divina, il padre Njo˛rðr e il fratello Freyr
(su queste figure divine vd. oltre, pp. 174-175). In questo contesto sarebbe di grande
importanza l’annotazione di Snorri Sturluson (vd. nota successiva), che indica Freyr e
Freyja come figli di Njo˛rðr e della di lui sorella (Ynglinga saga, cap. 4; vd. brano citato
alle pp. 37-38). Volendo percorrere questa strada si possono forse rintracciare ‘ricordi’
di una società matriarcale anche nel ruolo di particolare importanza che ancora in
epoca storica viene attribuito nel mondo nordico a figure sovrannaturali femminili di
secondo piano, quali le valchirie, le dísir e le norne, di cui è data ampia testimonianza
nelle fonti scritte (vd. oltre, p. 177). In questo ambito merita una citazione anche la
teoria formulata dallo studioso O. von Friesen, il quale proponeva (von Friesen 1932-
1934 [C.3.2]) che l’etimo della parola nordica konungr “re”, fosse da far risalire a
*kuenungaR con il significato di “figlio o consorte di una donna” nella quale ultima si
sarebbe dovuta riconoscere la dèa della fecondità. Pur tenendo nel debito conto que-
sti fattori pare tuttavia azzardato determinare in modo conclusivo la presenza in
epoca tanto remota di una struttura sociale su base matriarcale nelle zone del Nord.

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La preistoria 35

ricordo di questi eventi remoti nel mito della guerra fra le famiglie
divine degli Asi e dei Vani, riferito soprattutto dal celebre letterato
e mitografo islandese Snorri Sturluson.79 Negli ultimi decenni del
secolo scorso tuttavia, quest’ipotesi è stata messa in discussione da
più parti.80
In ogni caso: le tombe singole possono ragionevolmente essere
considerate come espressione di una visione di vita individualistica,
in forte contrasto con il collettivismo attribuito agli uomini della
civiltà megalitica. Si tratta di semplici sepolture, collocate in posi­
zione dominante, spesso prospicienti il mare, in alcuni casi (specie
in Danimarca) lungo vie di comunicazione. Talora segnalate da un
basso tumulo, contengono di solito i resti di un’unica salma:81 il
morto vi era inumato all’interno di una bara di legno, in posizione
rannicchiata, gli uomini sono spesso provvisti di un’ascia da com­
battimento collocata accanto al capo. Nei sepolcri sono stati ritro-
vati molti ornamenti, per le donne gioielli d’ambra (ma anche
d’osso), utensili da lavoro e vasi d’argilla. Un cambiamento radica-
le negli usi funerari che corrisponderebbe dunque a una diversa
visione di vita che viene incuneandosi nella società. La questione
se ci si trovi di fronte a una innovazione introdotta in seguito a una
vera e propria invasione dall’esterno o piuttosto a un cambiamen-
to legato a fattori interni combinati con la penetrazione graduale e
non violenta di nuovi venuti resta aperta, ed è uno dei problemi
più discussi relativi al neolitico in Europa. Certo è che di nuovo
assistiamo a una fase cruciale nella storia culturale della Scandina-
via, destinata a lasciare un’impronta decisiva che permarrà nel
corso dei millenni successivi. Due concezioni di vita, collettiva e
individualistica, coesisteranno per lungo tempo: la seconda, che
pare esprimersi nelle nuove istanze culturali, si svilupperà a fianco
– e assai spesso in contrasto – con l’ideale di una società aggregata
Questo anche – e soprattutto – perché l’eco del culto meridionale della Grande Madre,
certamente testimoniato in Scandinavia nell’età del bronzo, pare giustificarlo in modo
più soddisfacente e, al contempo, più semplice. Anche più recentemente tuttavia si è
voluta riproporre l’idea che la cultura delle tombe megalitiche (in particolare quella
che costruiva le jætte­stuer, cfr. nota 62) conoscesse una struttura sociale nella quale le
donne avevano una posizione di predominio (Glob 1971 [B.2], pp. 99-100).
79
 Vd. i testi riportati alle pp. 37-38. Su Snorri Sturluson vd. p. 287, nota 13.
80
 Una valutazione assai equilibrata su questa questione si trova in Lillehammer
1994 (B.2), pp. 80-81.
81
 Ci sono tuttavia anche sepolture che contengono due scheletri. Di particolare
interesse è la tomba rinvenuta presso Bergs­vägen a Lin­köping (Svezia); in essa si tro-
vavano i resti di un uomo, di una donna e di un cane accanto ai quali erano stati col-
locati ricchi doni funebri: asce, vasi d’argilla, pugnali, una lesina, anelli di corno e un
ago da cucito in osso.

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36 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

attorno alla grande comunità basata sui vincoli di sangue e su una


concezione naturalistica dell’esistenza, il clan che con più oppor-
tuno termine tedesco molti studiosi preferiscono designare come
Sippe.82 Questa dicotomia, che ha dunque radici molto lontane nel
tempo, permarrà in modo evidente nel prosieguo della storia cul-
turale e sociale della Scandinavia, nelle sue certezze, ma anche – e
forse soprattutto – nei suoi conflitti. Quando finalmente (assai
tardi!) compariranno fonti scritte, esse ancora ne daranno palese
testimonianza. Nei testi relativi alla religione pagana della Scandi-
navia questo dualismo apparirà chiaramente proiettato nelle fami-
glie divine dei Vani e degli Asi. Dèi della comunità i primi, privi di
caratteristiche strettamente personali che non siano quelle che ne
sottolineano il legame colla fecondità e la magia,83 dèi individuali-
sti e guerrieri i secondi, per molti tratti collegabili al mondo reli-
gioso indoeuropeo.
La zona di contatto tra le popolazioni stanziate nelle regioni
scandinave e il resto dell’Europa, dalla quale sarebbero giunti nel
Nord impulsi decisivi di cambiamento, è individuata nella cosid-
detta ‘cerchia nordica’: un’area ben definita fin dall’età della pietra,
che comprende le regioni tedesche del Mecklemburgo, della Bassa
Sassonia e dello Schleswig-Holstein, la Danimarca e le regioni
meridionali della Svezia e della Norvegia.84 Un ambito di grande
dinamismo, dal quale – come già si è visto – si sarebbero pro­
gressivamente diffusi verso Nord modelli e istanze culturali desti-
82
 In tedesco Sippe significa “stirpe”, “schiatta”: una parola che dunque ben espri-
me il concetto della grande famiglia allargata a tutti coloro che si riconoscevano
discendenti di un antenato comune e che costituiva il nucleo della società nordica. La
Sippe, che svolgeva anche funzioni giuridiche, esercitava la propria egemonia su un
determinato territorio le cui risorse sfruttava economicamente. Su questo si veda,
ancora, Schrader 1929 (A), II, pp. 399-411, dove l’argomento è opportunamente
trattato nella prospettiva più ampia della cultura dei diversi popoli indoeuropei;
soprattutto però si faccia riferimento a Saar – Strauch 2005. Il concetto di Sippe e la
sua rilevanza per la società e l’individuo sono assai ben delineati anche in Scovazzi
1957 (B.8) un lavoro che, seppure datato, resta a mio parere di fondamentale impor-
tanza per lo studio delle antichità germaniche e nordiche (vd. in particolare le pp.
151-153 e le pp. 201-211).
83
 Tra l’altro, come detto (vd. nota 78), le fonti informano che presso di loro era in
uso il matrimonio endogamico (sul materiale mitologico-religioso relativo ai Vani vd.
Chiesa Isnardi 20084 [B.7.1], p. 276).
84
 Dal punto di vista archeologico le regioni costiere della Norvegia meridionale
mostrano chiare testimonianze di contatti costanti con le regioni danesi, in particolare
con la penisola dello Jutland. Questi contatti diretti hanno consentito a molte delle
innovazioni provenienti da sud di estendersi facilmente a quelle zone: un flusso di mer-
ci e di idee che – per così dire – ‘chiude’ ben determinandola la ‘cerchia nordica’. La
Norvegia orientale mostra invece contatti privilegiati con le contigue regioni svedesi.

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La preistoria 37

nati a prevalere, non da ultimo un idioma di chiara matrice indo-


europea. È a quest’area e a questo periodo che, verosimilmente,
possiamo far risalire il primo nucleo di quelli che saranno i Ger-
mani del Nord. Fatte queste considerazioni appare tuttavia al
contempo assai chiaro che essa presenta, rispetto al totale della
regione scandinava, un’estensione ridotta. La sua importanza trova
la propria ragione nel fatto che da qui si sarebbe propagata verso
settentrione una ‘colonizzazione culturale’ destinata a segnare il
destino delle nazioni nordiche.
Come sopra si è detto, taluni studiosi hanno voluto interpretare
la narrazione relativa alla guerra tra gli Asi e i Vani come un rifles-
so mitologico dell’incontro e dello scontro fra la società di sostrato
e quella degli invasori appartenenti all’area culturale indoeuropea.
Le due famiglie divine che si affrontano in un conflitto che avrà
termine solo con una tregua, vale a dire (nel linguaggio simbolico
del mito) con un accordo capace di far convivere il più pacifica-
mente possibile entrambe le parti, sarebbero i rappresentanti del-
le due culture: quella degli invasori, guerriera, individualista, patriar-
cale (gli Asi) e quella della popolazione di sostrato: agraria,
collettivista, forse legata a strutture matriarcali (i Vani). Il sincreti-
smo religioso e sociale caratteristico di molti momenti della vita
culturale scandinava troverebbe in quest’accordo una prima signi-
ficativa testimonianza.

Dalla Saga degli Ynglingar di Snorri Sturluson:

“Odino partì con l’esercito contro i Vani, ma essi resistettero bene e


difesero la loro terra. La vittoria toccò un po’ agli uni un po’ agli altri; gli
uni e gli altri saccheggiarono il Paese avversario arrecando danni. Quando
ambedue furono stanchi, indissero un convegno di pace e si accordarono e
si scambiarono degli ostaggi. I Vani mandarono i loro uomini più eminenti,
Njo˛ rðr l’opulento e suo figlio Freyr; e gli Asi in cambio quello che si chia-
mava Hœnir, dicendolo assai adatto a fare il capo; era un uomo grande e
bellissimo. Con lui gli Asi mandarono quello che si chiamava Mímir, uomo
sapientissimo. I Vani mandarono invece quello che nel loro consesso era il
più saggio. Costui si chiamava Kvasir. E quando Hœnir giunse nel Paese dei
Vani fu subito fatto capo. Mímir lo consigliava in ogni cosa. Hœnir però
quando stava in mezzo all’assemblea o a una riunione senza che Mímir
stesse accanto e gli giungeva qualche caso complicato, dava sempre la mede-
sima risposta: ‘decidano altri’; così diceva. Allora i Vani sospettarono che gli

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38 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

Asi avessero barato nello scambio degli ostaggi. Perciò presero Mímir, lo
decapitarono e mandarono la testa agli Asi. Odino prese la testa e la spalmò
con erbe in modo che non putrefacesse, cantò su di essa degli incantesimi e
le diede potere magico tale che essa parlava con lui e gli rivelava molte cose
nascoste. Odino stabilì Njo˛ rðr e Freyr sacerdoti sacrificatori ed essi furono
díar85 con gli Asi. La figlia di Njo˛ rðr era Freyja. Ella fu sacerdotessa sacrifi-
catrice. Per prima insegnò agli Asi la magia che era comune fra i Vani.
Quando Njo˛ rðr era tra i Vani egli aveva posseduto sua sorella, poiché tale
era la legge laggiù. Loro figli furono Freyr e Freyja. Ma fra gli Asi era proi-
bito il matrimonio tra parenti così stretti.”86

Dall’Edda di Snorri Sturluson:

“[…] gli dèi [i.e. gli Asi] ebbero un conflitto con il popolo che si chiama
dei Vani. Ma essi indissero un convegno di pace, stabilirono la tregua in
questo modo che entrambi si recarono a un recipiente e vi sputarono la
propria saliva. Ma al momento di separarsi gli dèi presero quel segno di pace
e non vollero che perisse, e ne crearono un uomo; questi si chiamava Kvasir;
è così saggio che nessuno [può] domandargli qualcosa di cui non conosca la
risposta.”87

In questa sede è tuttavia naturalmente doveroso rilevare, almeno


brevemente, aspetti culturali, diversi e pur importanti, legati ad altre
regioni scandinave. Di grande interesse appare a esempio l’area
gravitante sul Mar Baltico, la cui dinamicità è testimoniata nello
scambio di merci e nell’evidente influsso che le culture di zone
orientali paiono capaci esercitare sulle regioni svedesi prospicienti
le coste.88 Nella regione finlandese infatti si conosce (fin dal 4500
a.C. circa) la ‘cultura della ceramica a pettine’ (così definita per via
85
 Precedentemente (cap. 2) Snorri aveva precisato che questo è l’appellativo con
cui venivano designati i sacerdoti eminenti del tempio degli Asi, al tempo in cui questi
vivevano nel loro Paese d’origine.
86
 La Saga degli Ynglingar (Ynglinga saga) costituisce la prima parte dell’opera di
Snorri Sturluson nota come Heimskringla (vd. pp. 321-322). DLO nr. 1.
87
 Sull’opera di Snorri Sturluson nota come Edda vd. pp. 287-290. Il brano qui ripor-
tato è tratto dalla seconda parte, Dialogo sull’arte poetica (Skáld­skapar­mál). DLO nr. 2.
88
 Questo tipo d’influssi risulta evidente, tra l’altro, in diversi oggetti di probabile
uso cultuale, come idoli, asce (in particolare l’ascia con il manico in forma di testa
d’alce, rinvenuta ad Alunda nella regione svedese di Uppland, forse un prodotto di
importazione) ma anche oggetti ornamentali.

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La preistoria 39

delle decorazioni prodotte con un utensile di tale forma) che trova


precisi riscontri nel territorio della Russia centro-settentrionale e in
quello norvegese del fiordo di Varanger in Finn­mark. All’ultima fase
dell’età della pietra (attorno al 2000 a.C.) vanno fatti risalire alcuni
insediamenti di particolare interesse collocati in quest’area, che
testimoniano la presenza di uomini che, almeno per il semestre
invernale, abitavano in costruzioni raggruppate presso la costa.89 Allo
stesso tempo nelle aree più interne, evidentemente meno popolate,
persisteva un’economia basata sulle risorse della caccia che in più di
un’occasione dovette difendersi dall’espan­sionismo di quella agraria.
In realtà tra i due princìpi economici ci furono certamente, nelle zone
di contatto, degli scontri, ma anche – forse più spesso – interrelazio-
ne e coesistenza. Ciò appare chiaro non soltanto dalle indubbie
testimonianze di interscambi commerciali tra le diverse regioni, ma
anche nell’ininterrotta raffigurazione di prede animali nelle incisioni
rupestri collocate in zone nelle quali è appu­rata la presenza di una
pratica agricola, per quanto in alcuni casi li­mitata. D’altra parte non
solo dalle regioni in cui prevalevano la caccia e la pesca, ma anche
da qui provengono ugualmente prodotti assai raffinati di arte figu-
rativa, come piccole statuette di animali (soprattutto la testa, utiliz-
zata come elegante impugnatura di utensili o di armi)90 che – al pari
delle incisioni sulle pareti di roccia – dovettero essere frutto di
un’attività artistica sicuramente connessa a fini magico-rituali.

1.3. La ‘rivoluzione del metallo’: l’età del bronzo

1.3.1. L’età del rame

Traffici e scambi commerciali sono ben testimoniati nelle regioni


scandinave fin dalla cultura della ceramica imbutiforme. Tracce dell’im-
portazione occasionale di oggetti di rame (lame, oggetti d’uso orna-
89
 Tra i reperti relativi sono di particolare interesse due figure antropomorfe rinve-
nute nella località dei Karlebotn (comune di Nesseby). Immagini di divinità o figure
d’antenati fatti oggetto di venerazione? A est di Karlebotn, nella località detta
Gropbakkeengen, sono stati ritrovati i resti di un insediamento di dimensioni notevo-
li (circa novanta basamenti di abitazioni) che parrebbe essere stato utilizzato durante
tutto il corso dell’anno.
90
 I migliori esempi sono forse la foca e l’uccello dalle zampe palmate realizzati in
steatite scura e ritrovati rispettivamente a Madla e Høyland nella regione norvegese
sud-occidentale di Rogaland (Jæren).

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40 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

mentale) provenienti dalle zone sud-orientali del continente risalgono


addirittura a un periodo tra il 4100 e il 3200 a.C. L’età del rame vera
e propria (calcolitico) si situa nel Nord tra il 2300 e il 1700 a.C. Qui
tuttavia questa definizione sta piuttosto a indicare il lungo periodo di
transizione tra il neolitico e l’età del bronzo, durante il quale l’impor-
tazione di oggetti di metallo, provenienti da zone prossime alla Scan-
dinavia (Europa centrale e occidentale) si fa consistente: nelle regioni
del Nord, infatti, la civiltà neolitica ‘si trascina’ almeno fino al 1800-
1700 a.C. ed esse restano in sostanza estranee alla lavorazione di
questo nuovo materiale almeno fino a quella data.91 L’abilità degli
artigiani nordici continua a produrre innanzi tutto manufatti di selce,
quali in particolare punte di freccia, falci (oggetti di chiaro valore
simbolico ritrovati in numero cospicuo)92 o splendidi pugnali (rifini-
ti al punto da imitare la lucentezza del metallo) che diverranno sim-
bolo di uno status sociale di prestigio. I primi manufatti di metallo
(bronzo o anche oro) di una certa importanza sarebbero giunti in
Scandinavia dalle zone dell’arcipelago britannico. Si tratta soprattut-
to di asce e lame (Svezia, Norvegia), ma anche di eleganti collari
ornamentali (Danimarca). Ma l’impulso decisivo alla diffu-
sione degli oggetti in bronzo giungerà nel Nord – come altrove –
dalla cosiddetta ‘cultura di Únêtice’,93 una società a economia agraria
che aveva saputo sviluppare la tecnica di lavorazione dei metalli e i
cui prodotti appaiono diffusi in molte zone dell’Europa, dalle pia-
nure ungheresi al Mediterraneo, dalle Alpi alla Scandinavia.94
L’età del rame è segnata nelle regioni nordiche anche da un
mutamento degli usi funerari. Alle tombe interrate sotto il livello
del suolo vengono ora affiancandosi le cosiddette ‘tombe in lastra
di roccia’,95 sepolture generalmente orientate da nord a sud, con

91
 Va tuttavia ricordato che in due siti l’uno danese (Galle­mose nello Jutland orien-
tale, cfr. sotto, nota 100), l’altro svedese (Pile in Scania) sono stati ritrovati manufatti
in bronzo di probabile produzione indigena che farebbero risalire i primi tentativi di
lavorazione del metallo nel Nord al 2000 a.C. circa; la qualità degli oggetti rinvenuti
risulta in ogni caso inferiore a quella dei prodotti d’importazione.
92
 Si veda, tra gli altri, il ritrovamento norvegese di Tjølling (nella regione di Vestfold)
dove sono state rinvenute dieci falci di selce collocate insieme in una combinazione
certamente non casuale, probabile offerta votiva a una divinità della fecondità.
93
 Dal nome di un sito che si trova nei pressi di Praga. La cultura di Únêtice copri-
va una vasta area tra l’attuale Repubblica Ceca (Boemia, Moravia), la Slovacchia, la
Polonia, la Germania.
94
 La lavorazione del metallo era per altro praticata anche nei territori centrali
danubiani e a occidente nelle regioni atlantiche, essa però attorno al 2000 a.C. conob-
be una straordinaria espansione nell’area della cultura di Únêtice.
95
 Queste tombe sono presenti soprattutto in Svezia (dove sono dette häll­kistor)
nelle regioni di Göta­land, Värm­land e Närke.

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La preistoria 41

pareti di pietra infisse nel terreno alle quali ne è sovrapposta un’al-


tra come copertura. La presenza in queste sepolture dei resti di
diverse persone ha indotto taluni a considerarle in una sorta
di continuità con i monumenti megalitici, ciò tuttavia appare, alla
luce delle più recenti indagini, poco probabile.96 Comunque sia,
queste sepolture (anche in considerazione di un loro evidente uti-
lizzo nella prima età del bronzo), testimoniano un crescente legame
con il territorio, un ampliamento delle aree abitate e un consolida-
mento dell’organiz­zazione sociale. Del resto – sebbene si abbiano
buone testimonianze di insediamenti caratterizzati da una certa
continuità e da una significativa dimensione fin dalla tarda età
della pietra – i primi villaggi veri e propri compaiono nel sud della
Scandinavia proprio in questa fase.97

1.3.2. Un’epoca ricca di reperti

Ben più chiaramente delineata rispetto a quella del rame e assai


ricca di reperti significativi, l’età del bronzo riveste in Scandinavia un
interesse straordinario. La si colloca fra il 1700 e il 500 a.C., suddivi-
dendola ulteriormente in fasi successive.98 Di primaria importanza
sono naturalmente i prodotti in bronzo, numerosi e in molti casi di
pregevolissima fattura. Ma prima ancora che di una ‘rivoluzione
economica’ legata all’introduzione e all’uso di manufatti in metallo,99
essi danno testimonianza dell’importanza simbolica e rituale che nel
contesto sociale era loro attribuita, come fra gli altri mostra, a esempio,
il ritrovamento di Lilla Bedinge (nella regione svedese della Scania)
dove in un sito dal chiaro carattere votivo sono state rinvenute splen-

96
 Vd. al riguardo la discussione in Burenhult 1999-2000 (B.2), I, pp. 385-388.
97
 Si veda in particolare il sito di Fosie, un complesso di una settantina di costru-
zioni di notevoli dimensioni (tra 13.5 e 17.5 mt. di lunghezza per una larghezza di
circa 6 mt.) le cui fondamenta sono venute alla luce nel 1979 presso Malmö, nella
regione svedese della Scania. In territorio norvegese gli insediamenti sono molto più
rari. Sul sito di Fosie nel corso dei secoli vd. Björhem N. – Säfve­stad U., Fosie IV. Bygg­
nads­tradition och bo­sätt­nings­mönster under sen­neolitikum, Malmö 1989 e dei medesi-
mi autori, Fosie IV. Bebyg­gel­sen under brons- och järn­ålder, Malmö 1993.
98
 Al riguardo si fa ancora riferimento alla cronologia proposta dal celebre archeo-
logo svedese Oscar Montelius (Montelius 1986 [B.2]) che prevedeva tre periodi di
due secoli ciascuno per l’età del bronzo antica (äldre bronsålder: 1700-1100 a.C.) e tre
periodi di due secoli ciascuno per l’età del bronzo recente (yngre bronsålder: 1100-500
a.C.).
99
 Gli oggetti in bronzo risultano diffusi, seppure in numero minore, anche nelle
zone più settentrionali dove l’economia restava basata sulla caccia e sulla pesca. Si
parla in proposito di una ‘età del bronzo artica’ (Lillehammer 1994 [B.2], p. 105).

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42 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

dide asce (1700 a.C. circa).100 Ancora nell’età del bronzo più recente
il numero di oggetti di metallo che si ritrova negli insediamenti risul-
terà insignificante, a paragone della quantità e della ricchezza di
quelli recuperati dalle tombe o dai luoghi di culto, a dimostrazione
del fatto che tali manufatti rivestivano una funzione particolare, piut-
tosto che essere comu­nemente utilizzati nell’attività quotidiana.
I reperti presentano una grande varietà e non di rado accurata
decorazione.101 I siti relativi a questi ritrovamenti sono tombe,
luoghi di culto (spesso paludi o torbiere che conservano la carat-
teristica di spazi cerimoniali),102 ma anche – nel centro-sud della
Scandinavia – grossi depositi, secondo un uso che risulta ben
testimoniato fin dall’ultima fase dell’età della pietra.103 Nel periodo
più antico troviamo asce (di dimensioni massicce e dalla lama tipi-
camente incurvata), spade (in buona parte chiaramente prodotti
d’importazione: un’arma ‘nuova’ nella quale la forma dell’impu-
gnatura suggerisce almeno inizial­mente un uso più simile a quello
di un pugnale che non di una spada vera e propria), punte di lancia,
persino scimitarre.104 E poi oggetti d’uso personale come tutuli,105

100
 In Danimarca un sito interessante da questo punto di vista è quello di Gallemo-
se (Jutland orientale) dove sono stati rinvenuti oggetti votivi quali asce, grandi anelli
(bracciali?) e la parte metallica del giogo di un carro. Si vedano anche i siti svedesi di
Fjälkinge e Pile, entrambi in Scania e quello danese di Torsted nello Jutland occiden-
tale. Cfr. sopra, nota 91.
101
 Inizialmente motivi geometrici, spirali, poi motivi a stella (con un numero varia-
bile di raggi) e ondulati.
102
 In diversi casi pare lecito ritenere che questi oggetti costituissero una sorta di
‘tesoro del tempio’: si considerino, a esempio, i reperti di Vestby nella regione norve-
gese di Hadeland a nord di Oslo, fra cui si distinguono due arieti di bronzo ottima-
mente lavorati. Vd. Bjørn A., “Vestby-fundet. Et yngre bronsealders votivfund fra
Hadeland”, in UOS II (1929), pp. 35-73, dove questo ritrovamento è tra l’altro messo
in relazione con quelli del sito di Härnevi (Uppland) in Svezia.
103
 Vd. a esempio le venti punte di lancia e la falce in bronzo rinvenute nel sito
norvegese di Svenes (comune di Nord-Aurdal, in Oppland), il più ricco dell’età del
bronzo antica in questo Paese. In Svezia sono particolarmente interessanti i siti di
Fröslunda (presso le rive meridionali del lago Vänern), e di Hassle (Närke).
104
 Si vedano i reperti di Rørby (Selandia), Norrö (Öster­götland) e Södra Åby
(Scania). Sulla lama della sciabola di Rør­by è stilizzata una nave con il suo equipaggio.
Qui ci troviamo di fronte a un simbolo religioso che ricorda da vicino le analoghe
raffigurazioni delle incisioni rupestri (su cui vd. il paragrafo successivo).
105
 Tutulus (pl. tutuli) è il nome che viene dato a oggetti usati sia dagli uomini sia
dalle donne come ornamento per il vestiario. Essi presentano varietà nelle forme e
nelle dimensioni (anche in relazione all’epoca alla quale risalgono). Si tratta in sostan-
za di placche di bronzo di forma tonda con la parte centrale sporgente, fornite sul retro
di un occhiello o di una barretta per fissarle alla cintura. Sono senza dubbio oggetti
dalla funzione esclusivamente decorativa, che presentano in molti casi una accurata
lavorazione.

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La preistoria 43

anelli, bracciali, lunulae,106 fibule, rasoi, spilloni, bottoni, pinze,


pettini.
Reperti di grande significato sono costituiti dai cosiddetti ‘carri
solari’, fra i quali l’esempio eccellente è senza dubbio quello rinvenu-
to a Trund­holm (regione danese della Selandia nord-occi­dentale): un
disco solare (rivestito da una lamina d’oro sottile e decorata) e
un cavallo, che apparentemente lo traina, sono collocati su una
semplice struttura fornita di ruote come un carro.107 Indizio più che
verosimile di un culto del sole, ampiamente testimoniato del resto
anche nelle incisioni rupestri (che sono certamente da annoverare
tra i documenti più interessanti della fase più recente dell’età
del bronzo),108 e connesso – almeno per alcuni aspetti – ai riti lega-
ti alla morte, secondo quanto testimoniano anche raffigurazioni su
pietre tombali, a esempio a Kyrkje­eide (nella regione norvegese di
Sogn e Fjordane) ma, soprattutto, a Ki­vik (Svezia, costa orientale
della Scania, 1200 a.C. circa), dove sulle pareti di un celebre sepol-
cro compaiono diversi simboli accanto a quello che senza dubbio
vuole essere interpretato come un corteo funebre in onore del
defunto.109 Destinato a perdurare nel tempo e strettamente connes-
so al concetto di fertilità, il culto del sole (se non l’eccelsa certa-
106
 Si tratta di collari d’oro a forma di mezzaluna provenienti probabilmente, fin
dall’età del rame, dalle isole britanniche.
107
 Questo straordinario oggetto (rinvenuto casualmente nel 1902) è esposto al
Museo Nazionale di Copenaghen (National­museet). Risale al XIV secolo a.C. Vd.
Müller S., “Solbilledet fra Trundholm”, in NF I, Kjøbenhavn, 1890-1903, pp. 303-325;
Drescher H., “Neue Unter­suchungen am Sonnen­wagen von Trund­holm”, in AA
XXXIII (1962), pp. 39-62; Olrik A., “Nordisk og lappisk Gudsdyrkelse. Be­mærk­ninger
i andledning af solvognen fra Trundholm”, in DS 1905, pp. 40-57. Altri oggetti simili
ma di minore pregio sono stati rinvenuti in Svezia: presso Tåga­borg (Scania) e nell’i-
sola di Got­land presso Eskel­hem; vd. Montelius O., Brons­ålders­fyndet från Eskel­hem
(språk­lig be­arbet­ning av B.W. Axels­son), Stockholm 1993 (rist.). Evidente appare il
carattere religioso-mitologico del cavallo come animale legato ai culti solari. Il valore
cultuale e simbolico del carro è presente anche in reperti di altro tipo, di chiaro influs-
so (quando non di fattura) continentale. Si tratta di carri sui quali è posto un bacile,
verosimilmente destinato a contenere bevande sacre (Hed­skoga in Scania e Skalle­rup
in Selandia) e di un tamburo (reperto unico nel suo genere) sorretto da dieci ruote che
ne formano la base circolare (Balkåkra, Scania). Questo oggetto (le cui dimensioni
sono 27 cm. di altezza e 45 cm. di diametro) trova un corrispondente praticamente
identico in un altro rinvenuto (1914) nella località di Haschendorf/Hasfalva all’epoca
in Ungheria. La sua funzione di tamburo non è tuttavia certa, seppure sia incontesta-
bile l’utilizzo in ambito rituale (vd. Knape A. – Nordström H-Å., Der Kult­gegenstand
von Balkåkra, Stock­holm 1994 e Jensen 2001-2004 [B.2], II, p. 64).
108
 Vd. paragrafo successivo.
109
 Sulla tomba di Kivik vd. anche oltre, nota 170. A loro volta le scene e i simboli
qui raffigurati sono da collegare all’ambito simbolico-religioso delle incisioni rupestri
(vd. soprattutto Almgren 1926-1927, pp. 170-176).

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44 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

mente una delle principali divinità) parrebbe introdotto nella


cultura di sostrato dai nuovi venuti (indoeuropei),110 tuttavia non
ci sono sufficienti elementi per escludere che possa piuttosto esse-
re il risultato di una fusione dei diversi aspetti che esso potrebbe
aver avuto presso ciascuna delle due componenti che andarono a
costi­tuire la nuova società nordica.111
Ritrovamenti da attribuire alla fase più recente dell’età del bron-
zo sono costituiti ancora da armi (soprattutto spade e scudi) che
testimoniano l’affermarsi di un ideale guerriero, offerte votive112
tra cui si annoverano coppe e boccali in oro,113 gioielli, oggetti da
toeletta d’uso verosimilmente cultuale (rasoi, pinzette, pettini, aghi
per tatuaggi), figure di animali, modelli di aratri e di navi e oggetti
d’uso sacro quali i lur (sorta di grande tuba dalla canna allungata
e inarcata in avanti e verso l’alto), strumenti musicali certamente
usati in contesti rituali. Di questi ultimi ci sono giunti esemplari di
ottima fattura soprattutto dalla Danimarca.114 Particolarmente
interessanti sono anche alcune statuette di bronzo, tra cui due
figure maschili provviste di elmi cornuti che brandiscono un’ascia
e altre femminili (vestite solo con un gonnellino), qualcuna in
posizione acrobatica.115 Queste figure erano probabilmente poste
110
 Vd. Ström 1967 (B.7.1), pp. 20-21.
111
 Questo, naturalmente, a condizione che si accetti la teoria tradizionale di una
‘invasione’ nei territori della Scandinavia meridionale di gruppi provenienti dall’ester-
no (vd. sopra, pp. 33-35).
112
 Oggetti spesso ritrovati in coppia o palesemente e volontariamente resi inutiliz-
zabili.
113
 Si veda, in particolare, il ritrovamento nella palude di Maries­minde in Fionia di
un grande vaso di bronzo (di provenienza italica) al cui interno erano raccolti undici
boccali d’oro. Si tratta qui, verosimilmente, di oggetti prodotti in epoca più antica (età
del bronzo media), ma rifiniti (con eleganti manici la cui parte terminale raffigura una
testa di cavallo) nell’età del bronzo recente e poi utilizzati come offerta votiva (vd.
Broholm 1943-1949 [B.2], III, p. 272, IV, pp. 248-249 e Pl. 63 a e 63 b). I ritrovamen-
ti di oggetti di questo tipo e di grande valore sono comunque piuttosto numerosi.
114
 Magnifici lur sono stati rinvenuti in diversi siti, specialmente in paludi, come a
Rev­heims­myra (presso Stavanger in Norvegia), ma – soprattutto – in Danimarca: vd.
tra gli altri i ritrovamenti di Malt­bæk e Folvis­dam (entrambi nello Jut­land centrale) e
di Telle­rup (in Fionia). Il lur più antico (dalla forma più semplice) risale alla media età
del bronzo ed è stato rinvenuto a Gullåkra (Scania); vd. Hammerich A., “Om Bronze-
lurerne som Musikinstrumenter”, in AaNOH 1903, pp. 62-72 e Broholm H.Chr. –
Larsen W.P. et al., The Lures of the bronze age. An archaeological, technical and
musicological investigation, Copen­hagen 1949.
115
 Si tratta, in particolare, dei reperti di Grevens­vænge (presso Næst­ved, nella
Selandia meridionale; cfr. nota 132; vd. Djupedal R. – Broholm H.Chr., “Marcus
Schnabel og Bronzealderfundet fra Grevensvænge”, in AaNOH 1952, pp. 5-59).
Delle sei statuette di questo sito, ritrovate nella seconda metà del XVIII secolo, ben
quattro sono andate perdute. Ne possediamo tuttavia un paio di illustrazioni dalle

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La preistoria 45

su un supporto in legno a forma di nave votiva, motivo che richia-


ma una tradizione egizia ben consolidata.116 Da collegare allo svol-
gimento di riti e cerimonie anche manufatti accuratamente lavora-
ti riferibili a finimenti per cavalli e componenti metallici di carri.
Nell’età del bronzo più recente un numero consistente di reper-
ti è costituito in particolare da oggetti d’uso femminile: gioielli,117
recipienti da appendere alla cintura, fibule.118 Parallelamente nelle
incisioni rupestri appaiono le prime figure di donna (sempre tutta-
via in relazione a figure maschili), mentre le ricche sepolture non
sono più riservate esclusivamente agli uomini. Assai interessante è
anche la comparsa di statuette di bronzo raffiguranti una donna
nuda con una o entrambe le mani sul petto e solo ornata con una
collana.119 Tutto ciò è stato messo in relazione al culto di una dèa
quali possiamo comprendere che esse rappresentavano un atto cultuale, come appare
non solo dalla postura delle figure ma anche dal fatto che due di esse – in posizione
simmetrica – brandivano un’ascia. È assai interessante notare che le figure maschili di
questo gruppo recano sul capo un elmo provvisto di corna, un particolare che richia-
ma immediatamente il ritrovamento di due elmi di pregevolissima fattura e molto
simili a questi, fatto in una palude presso Viksø (Selandia settentrionale; vd.
Norling-Christensen H., “The Viksø Helmets”, in AA XVII [1946], pp. 99-115; cfr.
nota 137). Non è difficile immaginare che questi copricapi fossero utilizzati in contesti
cerimoniali. Un confronto può essere fatto anche con una sorta di frontale in bronzo
provvisto di due corna e decorato con una lamina d’oro rinvenuto a Hagen­drup nella
Selandia occidentale e collocabile tra il 1500 e il 1100 a.C.: un oggetto certamente
d’uso rituale, forse appartenente al ‘corredo’ di un sacerdote o forse utilizzato per
decorare la statua di una divinità (vd. Jensen 2001-2004 [B.2], II, p. 297). I reperti di
Grevens­vænge appartengono all’età del bronzo recente (vengono fatti risalire al perio-
do 1100-900 a.C.), tuttavia G. Burenhult ritiene che il ritrovamento fra altri oggetti di
due figurine di bronzo in un sito svedese (Stock­hult, Scania settentrionale) possa
esservi messo in relazione, sebbene in quest’ultimo caso la datazione si situi tra il 1500
e il 1350 a.C. (Burenhult 1999-2000 [B.2], I, pp. 416-417).
116
 Analoga destinazione dovevano avere le statuette di bronzo danesi di Får­dal; vd.
oltre, nota 119 e nota 132. Sull’uso delle navi votive vd. Almgren 1926-1927, pp. 64-85.
I parallelismi sono notevoli, va tuttavia osservato che in Egitto non compare il simbo-
lo del cavallo solare.
117
 Si veda a esempio il ricco sito danese di Vognse­rup Enge (Selandia occidentale)
nel quale sono stati rinvenuti duecentoquarantadue ornamenti femminili. Al riguardo
si tenga presente che non solo il bronzo ma anche l’oro viene utilizzato come materia
prima per la realizzazione di molti manufatti.
118
 Questi oggetti (in sostanza grosse spille a chiusura per fermare la stoffa) mostra-
no una evoluzione nelle dimensioni e nella lavorazione, fino a raggiungere nella fase
finale dell’età del bronzo proporzioni ragguardevoli cui si accompagna una accurata
decorazione. Mentre nel periodo più antico esse si ritrovano parimenti nelle tombe
degli uomini così come in quelle delle donne, nella fase più recente paiono essere un
oggetto di uso quasi esclusivamente femminile.
119
 Questi reperti si trovano per lo più in Svezia (Scania e anche Väster­götland) e
in Danimarca. Si vedano come ottimi esempi le statuette ritrovate a Stora Måns­torp
in Scania, a Viksø in Selandia e a Får­dal nello Jutland settentrionale (cfr. nota 116 e

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46 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

della fecondità – forse un riflesso di quello della Grande Madre –


intro­dotto dall’esterno.120 Occorre del resto attribuire grande
rilevanza al fatto che molti reperti e molte figure incise sulle pare-
ti di roccia richiamano – in misura che non pare casuale – simbo-
li e immagini di zone anche assai lontane.121 Un chiaro indizio,
questo, della circolazione di merci, ma soprattutto di idee. Paral-
lelo allo sviluppo del commercio (stabilito nei rapporti tra perso-
ne eminenti con ‘corrispondenti’ anche a grande distanza) fu
infatti, naturalmente, quello delle arti e dell’artigianato, ampia-
mente testi­moniato nella fattura dei reperti. Gli intensi rapporti
commerciali riguardano in primo luogo l’Europa continentale e
le isole britanniche, zone in cui venivano esportate verosimilmen-
te pellicce e ambra (un genere ‘di lusso’ che risulta ben commer-
cializzato a partire dal IX secolo a.C. e dal quale i mercanti nor-
dici a lungo trarranno ottimi profitti).122 Al notevole sviluppo
mercantile alludono senza dubbio, al di là del loro valore simbo-
lico, i molti carri e le navi raffigurati nelle incisioni rupestri o
ritrovati come oggetti rituali.

nota 132), dove tuttavia la figura femminile (la dèa della fertilità medesima?) è in
ginocchio e porta una gonna corta che pare fatta di cordicelle: un capo di vestiario
(utilizzato in contesti cerimoniali?) che ritorna anche in altri casi (vd. a esempio i
reperti di Grevens­vænge, cfr. nota 115) e che risulta molto simile a quello indossato
dalla giovane donna sepolta nella tomba di Egt­ved (vd. oltre, nota 168). Statuette di
donna realizzate in creta e risalenti già al neolitico sono assai comuni nelle zone dei
Balcani e nelle regioni danubiane, ma non compaiono in Scandinavia, se si fa eccezio-
ne per alcuni esempi nelle isole Åland, come una statuetta rinvenuta a Jett­böle che
rappresenta una figura col viso piatto, il naso prominente e gli occhi ben marcati, il
corpo solo abbozzato e senza arti, segnata da una serie di punti che potrebbero indi-
care i capelli, le vesti o, forse, dei tatuaggi.
120
 I ritrovamenti (soprattutto in Danimarca) di trecce di capelli (vd. a esempio le
sette trecce di sicuro carattere votivo rinvenute nella palude di Ster­by­gård, presso
Hobro, Jutland settentrionale) sono da riferire verosimilmente al culto di questa dèa
e vanno probabilmente messi in connessione con il taglio rituale della chioma delle
donne (Brøndsted 1957-1960² [B.2], II, pp. 277-278). Anche pettini finemente lavo-
rati (a esempio quello rinvenuto in Danimarca a Vrønding, Jutland orientale, sul
quale sono riprodotti due cerchi/ruote solari) possono essere ricondotti a questo
contesto. D’altronde alcuni oggetti di bronzo di questo periodo sono decorati con teste
di donna che presentano particolari acconciature (vd. il coltello di Javn­gyde, Jutland
orientale e lo spillone di Horne, Fionia; cfr. l’acconciatura mortuaria della donna di
Skrydstrup, vd. nota 168). Si consideri infine che nelle incisioni rupestri le donne sono
caratterizzate dalla lunga chioma.
121
 Il riferimento è soprattutto all’Egitto, alla Grecia, all’Anatolia, alla Siria, alla
Mesopotamia.
122
 Vd. Jensen J., Nordens guld. En bog om oldtidens rav, mennesker og myter, Køben­
havn 1982.

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La preistoria 47

1.3.3. Disegni sulla pietra e riti antichissimi

D’assoluta rilevanza è il fatto che un gran numero dei reperti di


questo periodo trova precise corrispondenze nelle raffigurazioni
realizzate contemporaneamente sulle pareti di roccia, un esercizio
artistico che dovette avere, in misura preminente, funzione cultua-
le. Ben nota anche nell’Europa continentale, l’arte rupestre vanta-
va nel Nord una lunghissima tradizione,123 ma il numero delle
incisioni su pietra realizzate nell’età del bronzo, non trova uguali
né per quantità né per qualità.124 Queste incisioni sono presenti in
tutta la Scandi­navia, ma la distribuzione dei siti non è omogenea.
In Svezia esse si ritrovano dalle zone meridionali fino alle regioni
centrali di Jämt­land e Ånger­man­land con maggiore concentrazione
in Scania, in Östergötland e nelle zone delle coste occidentali
(innanzi tutto in Bohuslän). In Norvegia sono diffuse soprattutto
a sud: Rogaland, specie in Jæren, Østfold, Vestfold, Sunn­hord­land,
Hardanger e nella regione centrale di Trønde­lag (sul versante
orientale del fiordo di Trond­heim). In territorio danese le incisioni
sono eseguite per lo più su massi isolati (magari appartenenti a
un’antica sepoltura): ciò dipende dalla conformazione geografica
del territorio nel quale non si trovano (fatta eccezione per l’isola di
Born­holm) lastre di pietra adatte allo scopo. Qui il maggior nume-
ro si ha nella zona settentrionale della Selandia e, appunto, a Born­
holm. Va posto l’accento sul fatto che le incisioni rupestri si trova-
no per lo più in prossimità di terreni adatti alla coltivazione,
distese d’acqua (laghi, fiordi) o lungo l’antica linea costiera; di
solito esse sono realizzate in luoghi di facile accesso, il che ne sot-
tolinea la frequentazione da parte dell’intera comunità. La loro

123
 Vd. sopra, pp. 21-23. D’altronde fin dall’epoca dei monumenti funerari mega-
litici sulle pietre che fungono da copertura si trovano incisi diversi simboli (croci
all’interno di una circonferenza, cavità coppelliformi, navi), un uso che si protrae nel
tempo e che si esprimerà in epoca più tarda da una parte nell’uso di innalzare per il
defunto lapidi con incisioni runiche, dall’altra nelle raffigurazioni delle celebri pietre
dell’isola di Gotland (Nissen Fett 1942 [B.7.1], p. 13; vd. oltre, p. 86 e pp. 92-93
rispettivamente).
124
 Va qui precisato che a questo punto del discorso il riferimento è alle incisioni
rupestri riferibili alla società agraria, risalenti all’età del bronzo con qualche ‘sforamen-
to’ nella primissima fase dell’età del ferro: esse vengono tradizionalmente distinte da
quelle attribuibili a una società di cacciatori e pescatori. La distinzione corrisponde
anche, grossolanamente, a una suddivisione per aree geografiche: nelle zone più set-
tentrionali troviamo per lo più incisioni relative ad animali selvatici e alla caccia,
mentre in quelle meridionali incisioni legate a una società di carattere prevalentemen-
te agrario. Vd. Moberg C-A., “Vilka häll­ristningar är från bronsåldern?”, in Tor, III
(1957), pp. 49-64 e Hagen A., “De to slags helle­rist­ninger”, in BVBIB, pp. 129-144.

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48 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

distribuzione su un’area vastissima testimonia la diffusione di una


visione religioso-mitologica fondamentalmente uniforme.
Nell’insieme, per molti versi caotico, delle figure incise sulla
pietra troviamo una grande ricchezza di motivi: misteriosi retico­
lati,125 cavità coppelliformi,126 alberi (talora su imbarcazioni), armi,127
navi,128 carri, ruote,129 cerchi e dischi solari: un simbolo, quest’ultimo,
che si impone come assolutamente ‘dominante’, indizio certo di un
culto del sole legato a complessi rituali (tra l’altro nelle incisioni più
125
 Vd. a esempio le incisioni di Sotorp e di Vitlycke (entrambe in Tanum, Bohus­
län) dove la presenza di due navi stilizzate vicino a un ‘reticolato’ ha fatto supporre
che si tratti della ‘carta topografica’ di un arcipelago (in Almgren 1926-1927, pp.
145-146 questa spiegazione viene accolta come l’unica possibile, seppure con qual-
che riserva).
126
  L’incisione di queste cavità (ben nota almeno dal neolitico) si protrae in
alcuni casi fino all’età vichinga, il che rende assai difficile stabilirne la datazione e la
funzione (sono destinate a raccogliere l’acqua lustrale che cade dal cielo e dunque
inserite in rituali sacrificali e di fecondità?), anche perché successivamente esse risul-
tano localmente utilizzate per cerimonie in onore degli elfi (vd. oltre, pp. 177-178 e p.
197). S. Müller (“Skaalformede Fordybningen, hellige Tegn for Ilden”, in AaNOH
1917, pp. 86-98) le riteneva collegate alla simbologia del fuoco. Esse d’altronde erano
presenti in diversi casi anche sui monumenti e i reperti megalitici (cfr. nota 123),
insieme a spirali, linee zigzaganti, serpi schematizzate. Spesso questi disegni si confon-
dono nel coacervo di figure disegnate sulla medesima superficie. Nelle incisioni
dell’età del bronzo queste cavità paiono tuttavia in diversi casi avere la funzione di
‘marcatore femminile’, forse in connessione con riti che prevedevano la ‘presenza’
di una divinità di questo sesso. Vd. anche Lidén 1938.
127
 In alcuni casi (vd. in particolare le incisioni svedesi di Simris, nr.19, in Scania,
di Leonards­berg in Östergötland, di Himmelstadlund presso Norrköping e di Flyhov
in Västergötland) esse hanno dimensioni sproporzionate rispetto alle figure umane che
le brandiscono, il che ne sottolinea in modo evidente la funzione sociale e rituale,
piuttosto che l’uso pratico.
128
 Come detto, molti siti sono posti in prossimità di quella che era la linea della
costa nell’età del bronzo: ciò potrebbe, almeno in parte, spiegare la frequenza di
questo simbolo. Le raffigurazioni di navi ci consentono di immaginare, quantomeno
a grandi linee, quale forma dovessero avere le imbarcazioni in questo periodo (tutte
rigorosamente spinte da remi e senza vela) e anche di distinguere una evoluzione
(verso l’inizio del I millennio a.C. le immagini acquisiscono maggiori dettagli). Comun-
que nelle incisioni rupestri la costante combinazione di questo simbolo con figure come
ruote e dischi solari, uomini in atteggiamenti cultuali, animali, ne sottolinea la fonda-
mentale importanza dal punto di vista religioso e cerimoniale. La nave inoltre è (natu-
ralmente!) collegata ai riti funerari. Accuratamente stilizzata essa (insieme ad altri
motivi presenti nelle incisioni rupestri) si ritrova altresì nella decorazione di armi e
rasoi verosimilmente utilizzati in contesti rituali (si vedano a esempio il rasoio di Vestrup,
nel Himmer­land danese e quello di Neder Hvolris, presso Viborg nello Jutland cen-
trale, risalenti al IX secolo a.C.; su entrambi è tra l’altro raffigurato il carro solare,
immagine ben nota dal celebre reperto di Trundholm più antico di almeno cinquecen-
to anni; cfr. p. 43 con nota 107).
129
 Vd. Montelius O., “Hjulet som en religiös sinnebild i förkristen och i kristen
tid”, in NTVKI XXIV (1901), pp. 1-38.

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La preistoria 49

recenti dall’inizio del I millennio a.C. il simbolo della nave e quello


del cavallo – entrambi preposti a trasportare questa divinità – si
combinano, là dove vediamo raffigurate navi con teste di cavalli
sulla prua e/o sulla poppa).130 E ancora: impronte di mani e di pie-
di (forse a indicare il punto di contatto di una divinità
– evidentemente antropomorfa – con il mondo degli uomini),131 capi
di vestiario (in rari casi), animali, con verosimile allusione anche a
un loro uso sacrificale (bovini, maiali, cavalli, cani, forse anche
cervi e alci) o a una funzione simbolica (in particolare le serpi), ma
anche – e soprattutto – figure antropomorfe. Uomini a bordo di una
nave (in alcuni casi in atteggiamento d’invocazione della divinità,132
in altri nell’atto di brandire un’ascia,133 o – più semplicemente – come
equipaggio), uomini armati,134 uomini che cacciano, uomini che
combattono, uomini al lavoro con un aratro primitivo,135 uomini che

130
 Basti osservare, fra i tanti, il sito norvegese di Rev­heim (presso Stavanger)
dove il disco del sole costituisce il punto di riferimento ‘centrale’ rispetto a tutta
una serie di figure (orme di piedi, cavità coppelliformi, navi). D’altronde le raffi-
gurazioni (per quanto in molti casi stilizzate) di un culto solare sono assai frequen-
ti: si prenda a esempio la scena rappresentata su una parete di roccia a Bergby
(Borge, Øst­fold, Norvegia), dove si distinguono chiaramente almeno due figure in
atteggiamento adorante rivolte verso il disco solare; vd. Almgren 1926-1927, pp.
86-102.
131
Se ne vedano ottimi esempi nelle incisioni svedesi di Hjula­torp (Småland), di
Godegård nella regione di Västergötland e di Högsbyn (in Dalsland), in quelle norve-
gesi di Randaberg (nel distretto di Jæren) e di Selbu (Trønde­lag meridionale), in
quelle danesi di Godensgård (Jutland settentrionale) e Lille Havelse (Selandia setten-
trionale); vd. Almgren 1926-1927, pp. 212-218.
132
Si veda in territorio svedese l’ottimo esempio di Bro (Tanum, Bohuslän) dove
sono rappresentati due uomini che con le mani alzate sorreggono un’imbarcazione
a sua volta occupata da altri uomini nell’atteggiamento di invocare la divinità.
Questa incisione (e altre simili, a esempio quella di Heden, Kville, Bohuslän)
richiama in modo palese l’uso di piccole navi votive: in tal senso testimonia l’im-
portante (e tuttavia più tardo) ritrovamento a Torshøj (presso Nors nello Jutland
settentrionale) di un centinaio di piccole imbarcazioni realizzate in bronzo e lami-
na d’oro. Anche le statuette di bronzo rinvenute a Grevensvænge (cfr. nota 115)
così come quelle di Fårdal (Jutland centrale, cfr. nota 116 e nota 119), dovettero
decorare navi votive, come mostra una ricostruzione effettuata a cura del Museo di
Malmö (Malmö Museer).
133
Gesto certamente di carattere rituale. Cfr. fra l’altro i reperti di Grevens­vænge
(vd. nota 115) e anche le raffigurazioni sul rasoio di Vestrup (vd. nota 128).
134
Tra le armi raffigurate è piuttosto raro lo scudo; cfr. nota 127.
135
Un’attività frequente per gli agricoltori dell’età del bronzo che – come mostrano
alcune raffigurazioni che si trovano nella zona di Tanum (Bohus­län, Svezia) – veniva
certamente consacrata con precisi rituali. A Litsleby si riconosce un uomo intento ad
arare: nella mano tiene un ramoscello (o un piccolo albero), il suo organo maschile è
chiaramente raffigurato in posizione eretta. Del resto l’atto medesimo dell’aratura

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50 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

danzano o fanno acrobazie,136 uomini con maschere animali


(sciamani?),137 uomini che suonano il lur (a volte a bordo di un’im­
barcazione),138 uomini in atteggiamento di preghiera,139 uomini
infine che celebrano un matrimonio o consumano un’unione ses-
suale.140 L’aspetto della vita in comunità e quello della fecondità
(ine­quivocabilmente presente nelle tante figure – anche animali –141
della terra poteva simbolicamente rappresentare l’atto sessuale e di conseguenza
l’aratro essere inteso con un simbolo fallico. Anche le incisioni di Aspberget (dove si
vede un uomo che guida un aratro trainato da due animali) e di Finn­torp (dove due
scene di aratura sono accompagnate da figure di uomini in atteggiamento adorante)
vanno interpretate in questo senso. A questo elemento si possono anche collegare i
solchi d’aratura rinvenuti sotto tumuli danesi e tracciati (verosimilmente nel corso di
un rituale) prima della costruzione della sepoltura.
136
 Anche a questo atteggiamento va attribuito, con molta probabilità, un significato
rituale; vd. a esempio le raffigurazioni svedesi di Boråse­röd­berget (Svarte­borg, Bohus­län),
di Högs­byn (Tissle­skog, Dals­land) e, in particolare, la ‘danzatrice’ di Fossum (Tanum,
Bo­hus­län) tra le cui gambe è incisa una cavità coppelliforme (cfr. nota 126).
137
 L’immagine di uomo-animale compare anche fra gli oggetti in bronzo. Si tratta
di reperti che rappresentano il cosiddetto ‘uomo-uccello’ sulla cui fronte, sopra gli
occhi, si protende il becco di un rapace (si veda la figura in bronzo rinvenuta a Glas­
backa, regione svedese di Halland e quella dell’uomo-falco di Lyngby, in Halland).
Quattro ‘uomini-uccello’ sono raffigurati in una incisione rupestre svedese a Kallsän-
gen (Bottna, Bohus­län). Sull’incisione di Heden (Kville, Bo­hus­län) si può forse rico-
noscere un uomo con una maschera da cervo tenuto per la coda da un altro uomo e
da un suo aiutante. Tra gli altri esempi si può citare qui l’uomo con elmo cornuto e lur
sopra una imbarcazione raffigurato a Lilla Gerum (Tanum, Bo­hus­län; vd. anche l’in-
cisione di Kalle­by). A queste raffigurazioni di uomini-animali vanno presumibilmente
collegati anche gli elmi cornuti di Viksø (vd. nota 115). Figure simili si ritrovano anche
in epoca ben più tarda, come sui celebri corni di Galle­hus (vd. oltre, p. 87, nota 91).
138
 Vd. a esempio l’incisione di Kalleby (Tanum, Bohuslän).
139
 Vd. le incisioni di Finn­torp (Tanum) e di Ryxö (Svarte­borg) nel Bo­hus­län.
140
 Vd. a esempio la scena riprodotta a Vit­lycke (Tanum, Bo­hus­län). Particolarmen-
te intrigante è tuttavia la raffigurazione che si trova a Varlös (nella medesima zona),
dove alle spalle di una coppia che sta consumando un’unione sessuale si vede una
figura armata di arco, pronta a scagliare una freccia in direzione della schiena dell’uo-
mo; O. Almgren (Almgren 1926-1927, pp. 116-117) suggerisce di riferire la scena al
dramma rituale della lotta tra il dio dell’inverno e il suo rivale, il dio della fecondità.
A contesti ‘matrimoniali’ vanno collegati anche altri reperti. Innanzi tutto una piastra
di arenaria di forma tonda (probabilmente il coperchio di una urna funeraria) sulla
quale sono rappresentati un uomo e una donna che si tendono l’un l’altra le braccia:
alle spalle della donna si trova un albero (Nissen Fett 1942 [B.7.1], p. 17). Assai più
tardi (nel periodo delle migrazioni) si collocano oggetti con immagini analoghe, rin-
venuti in Svezia (vd. i ritrovamenti dell’isola di Helgö sul Mälaren) ma anche in
Danimarca (Lundeborg in Fionia) e in Norvegia: lamine d’oro che raffigurano una
coppia in atteggiamento amoroso; tutti oggetti che sarebbero da riferire a un culto
della fecondità. Vd. Lamm J.P., “Tunn guldfolie gäckar forskare”, in PH 1992: 1, pp.
36-39.
141
 Vd. a esempio l’incisione di Sandåker (Näsinge, Bohuslän), dove si riconosce
chiaramente un cervo maschio con l’organo sessuale prominente. Fra gli altri esempi
Backa, Litsleby, Massleberg e Asp­berget tutti in Bohuslän.

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La preistoria 51

dotate di chiarissimi attributi fallici)142 si propongono come elemen-


ti predominanti.143 L’attribuzione ad alcuni soggetti di armi (arco,
lancia, spada o ascia) va considerata in relazione alla tipologia
dell’arma medesima in quanto essa può di volta in volta sottolinea-
re elementi cultuali (soprattutto l’ascia) o guerrieri, se non ancora
legarsi a scene di caccia, antico e certamente mai del tutto abban­
donato sistema di sostentamento, la cui buona riuscita restava
legata a riti magici che prevedevano l’invocazione di potenze supe-
riori.144 È tuttavia lecito supporre che in diversi di questi casi ci si
trovi di fronte alla rappresentazione di divinità, soprattutto quando
le dimensioni della figura armata sono molto maggiori rispetto a
quelle che le stanno intorno:145 ciò testimonierebbe il loro carattere
antro­pomorfo, ed esse dovrebbero verosimilmente incarnare le
forze della natura su cui esercitano il proprio dominio.146
Su quest’ultimo punto le interpretazioni restano tuttavia diver­
genti. Per quanto, pur di fronte a tesi anche ben argomentate che
sostengono il carattere assolutamente aniconico (vale a dire il
rifiuto di qualsiasi rappresentazione della divinità) delle raffigura-
zioni rupestri147 (il che in ogni caso non significa ‘assenza’ della
divinità), non si possano sottovalutare i diversi indizi (primo fra
tutti, come detto, la dimensione delle figure) che paiono invece
indicare il contrario. Certamente la fase religiosa che qui è testimo-
niata appare ancora chiaramente legata a culti di tipo naturalistico
(la cui evidenza più incontestabile è il manifesto riferimento alla
divinità-sole); tuttavia la possibilità di riconoscere nelle incisioni
142
 Qui vanno collegati i ritrovamenti di pietre di esplicita forma fallica, non di rado
collocate nelle tombe della tarda età del bronzo o di quella del ferro, o poste all’aper-
to come quella di Nordheim nella regione di Roga­land in Norvegia (dove ne sono
state rinvenute una trentina). Da riferire a riti di fecondità sono anche, evidentemente,
il fallo e la vulva, apparentemente utilizzati come strumenti per affilare aghi (per
tatuaggi rituali?), trovati nel sito svedese di Fosie (su cui cfr. nota 97).
143
 Rifacendosi a un lavoro di E. Østmo (Østmo 1998), J. Jensen ritiene tuttavia che
le incisioni rupestri vogliano sottolineare non tanto l’aspetto della fecondità, quanto
piuttosto quello della virilità (Jensen 2001-2004 [B.2], II, p. 486).
144
 Alcune incisioni che si legano alla caccia paiono tuttavia davvero limitarsi alla
illustrazione di momenti di vita quotidiana: tali sono, in particolare, quelle in cui sono
raffigurati strumenti per catturare gli animali (tra di esse riveste un particolare interes-
se il disegno di una sorta di boomerang riconoscibile in un sito norvegese nel Nord-
fjorden; Nissen Fett 1942 [B.7.1], p. 14).
145
 Si vedano innanzi tutto raffigurazioni come quella popolarmente definita del
‘calzolaio’ di Backa (Brastad, Bohuslän), armato di martello e quella del ‘dio con la
lancia’ di Litsleby (Tanum, Bohuslän): in entrambe i personaggi sono dotati in modo
evidente di un fallo grosso e prominente.
146
 Vd. Ström 1967 (B.7.1), pp. 25-29.
147
 Vd. in particolare Almgren 1962.

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52 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

rupestri figure divine, innanzi tutto un ‘dio con l’ascia’ ma anche,


probabilmente, un ‘dio della fecondità’ – che evolveranno nel
corso dei secoli in figure di assoluto prestigio fatte oggetto di un
culto ben radicato – pare del tutto concreta. 148 E tuttavia, almeno
nel primo caso (che è del resto il più plausibile),149 non bisogna
dimenticare che oltre a essere emblema sacro del dio del tuono,
strumento capace di mettere in moto l’energia divina che consente
al cielo di fecondare la terra, l’ascia può essere intesa come utensi-
le, come arma, come simbolo di status sociale eminente, come
strumento cultuale.150 Ma qui occorre ragionevolmente ricordare
che le incisioni dell’età del bronzo sono, per così dire, ‘spalmate’
su un periodo di tempo assai lungo, durante il quale, evidentemen-
te, le concezioni religiose andarono incontro a un’evoluzione e
dunque certamente videro la nascita di divinità antropomorfe.
L’affermazione di Folke Ström, secondo la quale gli uomini dell’età
del bronzo attribuivano alla divinità un carattere scarsamente dif-
ferenziato, il che sarebbe espresso nella commi­stione di diverse
figure e di diversi simboli,151 andrebbe forse corretta in questo
senso.
Come sopra accennato, nelle incisioni rupestri dell’età del bron-
zo lo studioso svedese Oscar Almgren ha riconosciuto un carattere
indiscutibilmente rituale e cultuale.152 A distanza di molti anni la
sua analisi resta in gran parte condivisibile, in particolare là dove
egli indaga il simbolo della nave come oggetto votivo e cerimonia-
le (il che è tra l’altro sottolineato dal fatto che in qualche caso essa
appare sollevata da figure umane,153 trainata da cavalli154 o sistema-
148
 Il riferimento è, rispettivamente, a Thor, erede del ‘dio con l’ascia’ (vd. già
Montelius 1910 [indicazione bibliografica a p. 173, nota 288]) e a Freyr dio fecondo
la cui caratteristica fallica è ben testimoniata da reperti e fonti di epoca successiva (cfr.
oltre, p. 166, pp. 171-173 e il testo a p. 186).
149
 Vd. Magnus – Myhre 1986 (B.2), p. 139, pp. 164-166 e p. 175, dove si sostiene
che nell’età del bronzo ci si possa ragionevolmente riferire e a un ‘dio con l’ascia’ (il
cui culto sarebbe testimoniato in particolare nelle incisioni rupestri) e a una ‘dèa con
la collana’ (il cui culto, come detto, emergerebbe da reperti dell’età del bronzo più
recente; cfr. p. 163).
150
 Non mi spingerei, come fa J. Brøndsted (Brøndsted 1957-1960² [B.2], I, pp. 198-
199 e II, p. 87) fino a sostenere che, quantomeno in età più antica (il suo riferimento è
al periodo tra il 2500 e il 2300), l’ascia medesima fosse considerata una sorta di divinità.
151
 Ström 1967 (B.7.1), pp. 28-29.
152
 Almgren 1926-1927, passim.
153
 Vd. a esempio le incisioni svedesi di Backa (Brastad, Bohuslän), dove una figu-
ra umana su una imbarcazione trainata da due cavalli ne solleva una più piccola, di
Ryxö (Svarte­borg, medesima area) e di Himmelstad­lund presso Norr­köping (Öster­
götland).
154
 Vd. l’incisione di Ekenberg presso Norrköping (Almgren 1926-1927, p. 77).

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La preistoria 53

ta su una slitta).155 Almgren riconduce la frequentissima rappresen-


tazione di questo simbolo a culti ben noti nell’area mediterranea
(latina, greca, egizia ma anche babilonese) rilevandone inoltre le
connessioni con la tradizione religiosa germanica e quella popola-
re europea più tarda legata al carnevale.156 A questo contesto egli
riferisce anche gli altri simboli che ricorrono con maggior frequen-
za, ritenendo che ci si trovi davanti alla rappresentazione di ‘dram-
mi rituali’ (a esempio battaglie o unioni sessuali simboliche) legati
a momenti determinanti della vita della comunità che si ripropo-
nevano ciclicamente nel corso dell’anno. Una interpretazione che
del resto in diversi casi risulta di un’evidenza indiscutibile.157 A
partire, naturalmente, dalle allusioni a cerimonie collegate al culto
del sole, elemento religioso dominante dell’età del bronzo nordica,
verosimilmente interpretato sulla base di considerazioni mitologi-
che relative alle diverse fasi del ‘ciclo vitale’ di questo astro.158
E, d’altronde, l’atto di raffigurare le scene sulla pietra dovette
avere lo scopo di renderle sacre, rappresentando i gesti con cui
erano sancite di fronte alla divinità (e verosimilmente con il con-
corso della divinità medesima) le circostanze determinanti dalle
quali dipendeva l’esistenza stessa della comunità.159 Lo svolgimen-
to delle cerimonie – che doveva aver luogo nei momenti partico-
larmente significativi del ciclo annuale (com’è ragionevolmente
ipotizzabile in una società di tipo agrario) e raccogliere diversi
gruppi stanziati nel medesimo territorio – può essere immaginato
almeno approssimativamente: processioni con carri e/o navi cul-
tuali, suonatori di lur (allo scopo di richiamare l’attenzione della
divinità), danze, sacrifici, libagioni rituali, offerta di doni gettati

155
 Vd. soprattutto le incisioni di Gisslegärde (Bottna), di Ryland (Tanum), di Lyse
(Lyse) e anche di Vitlycke (Tanum), tutte in Bohuslän.
156
 Almgren 1926-1927, pp. 23-85.
157
 In questo senso sono certamente da interpretare raffigurazioni come quella della
nave di Bjørnstad (Skjeberg, Østfold, Norvegia) sulla quale oltre a un equipaggio di
quarantotto persone e a due figure minori, si vedono a prua e a poppa due individui
di dimensioni più grandi e due più piccoli che sollevano in alto un’ascia; quella della
nave di Asp­berget (Tanum, Bohuslän) sulla quale sono chiaramente distinguibili dei
suonatori di lur o quella della nave di Sottorp (Tanum, Bohuslän) sopra la quale vi
sono figure che brandiscono un’ascia e volteggia un acrobata. Sono rari, al contrario,
i casi in cui le incisioni paiono semplicemente voler rappresentare momenti di vita
quotidiana: un esempio è certamente la scena raffigurata su una parete di roccia a
Dysjaland (comune di Sola nel distretto norvegese di Jæren), dove si vede un pastore
con il suo cane che fa la guardia a un piccolo gregge.
158
 Vd. la raffigurazione schematica di questo ciclo come proposta in Jensen 2001-
2004 (B.2), II, p. 486.
159
 Almgren 1926-1927, pp. 138-140.

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54 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

nelle acque o depositati, alla mercè della natura, in luoghi ritenuti


sacri. In qualche caso i dati forniti dalle incisioni rupestri possono
essere integrati con altri indizi, come nel caso delle informazioni
fornite da taluni siti danesi nei quali sono stati ritrovati resti che
alludono in modo piuttosto esplicito a sacrifici animali e umani (le
cui vittime dovettero essere presumibilmente degli schiavi).160

1.3.4. Vita sociale

Una cultura fondata sostanzialmente su un’economia agraria,


basata sull’allevamento del bestiame (bovini, pecore, capre, maiali
e anche cavalli) e la coltivazione della terra (per quanto ancora
limitata e condotta con mezzi primitivi), si era dunque ormai affer-
mata, almeno nelle zone meridionali della Scandinavia.161 L’orga-
nizzazione cui essa aveva dato vita, certamente più complessa di
quella dei gruppi di cacciatori e pescatori dell’età della pietra,
venne ulteriormente sviluppando, sulla base della struttura sociale
che vediamo affermata nel periodo megalitico, un ancor più mar-
cato rapporto con il territorio, nel quale ‘centri di potere’ politico
e religioso emergono ormai chiaramente. Comunità in cui si veni-
vano rafforzando diffe­renze di status (legate probabilmente a fat-
tori quali la nascita o il matrimonio) e che riconoscevano autorità
economica, sociale e religiosa a personaggi eminenti, capi dai
quali tutta la collettività si aspettava guida e protezione. Una socie-
tà basata in buona misura su un modello teocratico. Il numero
160
 Vd. Broholm H.Chr. – Fischer Møller K., Tre offerfynd fra den yngre bronze­alder,
NMA 1934, pp. 23-28.
161
 Come già si è avuto occasione di osservare è evidente che essa non avrebbe mai
del tutto bandito l’economia basata sulla caccia e sulla pesca, che spesso sopravvisse
parallelamente, non di rado ben integrata. Si veda d’altronde il caso della Norvegia,
dove in diverse località (a esempio nel sito di Ruskenesset in Hordaland, ancora lega-
to alla tecnologia degli uomini dell’età della pietra) si trovano – in piena età del bron-
zo (ma sarà naturalmente così anche nell’età del ferro) – chiare tracce dell’esistenza di
gruppi di cacciatori (vd. Brinkmann A. – Shetelig H., Ruske­nesset. En sten­alders
jagt­plass, Kristiania 1920). Nelle zone più interne o settentrionali è del resto del tutto
naturale – a motivo delle condizioni territoriali e climatiche – la persistenza di una
economia di caccia (magari talvolta affiancata dall’allevamento). Assai interessanti sono
in particolare i ritrovamenti avvenuti nella zona del fiordo di Varanger (estremo nord
del Paese), dove è stata accertata l’esistenza di insediamenti risalenti a questo periodo.
È chiaro, dunque, che nelle diverse zone del Nord ci furono diverse economie e anche
diversi tipi di organizzazione sociale; in Magnus – Myhre 1986 (B.2), pp. 189-190, si
collega la persistenza di società a struttura tribale semplice – rispetto ad altre dove si
andava affermando, seppure non ancora su vasta scala, un potere centrale – alla neces-
sità degli uomini di adattarsi alle condizioni ambientali.

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La preistoria 55

molto elevato di reperti di carattere cultuale (e la presenza di


sepolture riferibili a individui investiti di poteri magico-sciamanici)162
informano che la sfera magico-religiosa dovette essere predomi-
nante e permeare a fondo la vita di quelle comunità. L’economia
di queste società doveva attribuire ai capi anche il compito di
redistribuzione delle ricchezze (legato alla gestione delle materie
prime e al possesso di oggetti di prestigio), e considerare inoltre
l’aspetto guerriero.163 Tutto ciò avrebbe deter­minato l’emergere di
una aristocrazia fondata su elementi politico-religiosi, socio-eco-
nomici e organizzativo-militari. Un’ipotesi questa non certamente
dimostrabile del tutto, ma che pare ragionevole.164 A quest’orga-
nizzazione corrispondono tra l’altro gli insediamenti abitativi for-
mati ora da piccoli gruppi di case in cui le abitazioni, ge­neralmente
orientate in direzione est-ovest, si presen­tano (soprattutto nella fase
mediana dell’età del bronzo) come grandi costruzioni (talvolta
lunghe fin quasi 50 mt. e larghe 8-9 mt.) con una suddivisione
interna.165 Gli scavi effettuati soprattutto in territorio danese hanno
reso possibile seguire l’evoluzione delle costruzioni a uso abitativo
nell’età del bronzo.166 Pure considerando l’importanza di questo
tipo d’aggregazione, e i probabili contatti in una rete di alleanze,
resta tuttavia del tutto improponibile l’idea che già ci si possa tro-
vare di fronte a una qualche, per quanto primitiva, forma di Stato.167
162
Vd. a esempio la tomba danese di Hvide­gården (vicino a Kongens Lyngby nei
pressi di Copenaghen) in cui il morto è fornito, oltre che di una spada, di una serie di
oggetti contenuti in un sacchetto di cuoio (parti di animali, pietre, bastoncini) che
alludono in modo piuttosto esplicito al ‘corredo’ di uno sciamano (vd. Jensen 2001-
2004 [B.2], II, pp. 301-310, dove questi ritrovamenti vengono messi in relazione con
le raffigurazioni che si trovano sulle pareti della tomba di Kivik, su cui vd. sopra, p.
43 e oltre nota 170). È possibile che le figure di uomini-animali che si trovano nelle
incisioni rupestri, così come i reperti che vi sono collegati (vd. sopra p. 50 con nota
137) vadano ricondotte qui.
163
È probabile che fin dal II millennio a.C. si fossero formati in Scandinavia i primi
eserciti, per quanto ancora numericamente limitati (Jensen 2001-2004 [B.2], II, pp.
225-227).
164
Vd. la discussione in Magnus – Myhre 1986 (B.2), pp. 188-190 (cfr. nota 161).
165
Tracce di questo tipo di costruzioni si trovano soprattutto in Danimarca (siti di
Ristoft, Bjerg, Spjald nello Jutland e Højgard nella Selandia meridionale) ma anche nel
sud della Svezia (sito di Fosie IV presso Malmö, dove tuttavia si trovano anche i resti
di abitazioni risalenti ad altri periodi; cfr. sopra, nota 97); si vedano inoltre siti norve-
gesi, quale – in particolare – quello di Landa (nella regione di Rogaland). Soprattutto
nelle zone della Svezia centro-orientale sono state escavate anche le fondamenta di
fortificazioni usate, verosimilmente, come ‘luoghi centrali’ di ritrovo per gli abitanti
di diversi piccoli nuclei e in cui, di conseguenza, si celebravano momenti significativi
della vita della comunità, quali a esempio riti e cerimonie religiose.
166
Jensen 2001-2004 (B.2), II, pp. 65-67, pp. 109-120 e pp. 339-352.
167
Come bene si argomenta in Scovazzi 1957 (B.8), pp. 181-182.

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56 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

Siamo piuttosto ancora nell’ambito della comunità allargata a tutti i


consanguinei, la Sippe. Come si è visto anche la lettura delle raffigu-
razioni rupestri di questo periodo va certamente in questa direzione.

1.3.5. Le dimore dei morti

Nel corso dell’età del bronzo si assiste in Scandinavia a diversi


mutamenti nelle tipologie di sepoltura. Nella fase più antica (dal
1500 a.C.) conosciamo grandi tumuli (eretti in numero davvero
considerevole) che contengono tombe di personaggi eminenti
(uomi­ni, ma anche donne) e che con le loro imponenti sagome
tuttora segnano in molte località il paesaggio nordico: un uso sepol-
crale diffuso da sud (in particolare dallo Jutland).168 A essi corri-

168
 Di rilevante interesse sono le tombe danesi di Skrydstrup ed Egtved (nella zona
centro-meridionale dello Jutland) e di Borum Eshøj (Jutland orientale). Nei primi due
tumuli sono sepolte due giovani donne, nel terzo sono state ritrovate tre bare che
contenevano rispettivamente un uomo anziano, uno giovane e una donna anziana. La
donna di Egtved, d’età compresa fra i diciotto e i venticinque anni, dai capelli biondo
chiaro tagliati corti, indossa una casacca corta e una gonna fatta di cordicelle, inoltre
porta una cintura intrecciata fermata da un tutulus, due braccialetti di bronzo (uno
per braccio) e un orecchino. All’interno della tomba è stato ritrovato anche un conte-
nitore di corteccia di betulla con tracce di una bevanda alcolica (probabilmente una
sorta di birra dolcificata con miele). Un fiore (Achillea millefolium) rinvenuto nella
bara indica che la sepoltura (che viene fatta risalire al periodo attorno al 1370 a.C.)
avvenne in estate. Nella tomba si trovano anche i resti cremati di un bambino dell’ap-
parente età di otto o nove anni. Molto giovane (e in parte mummificata) è anche la
donna sepolta a Skrydstrup, dai capelli accuratamente acconciati, con un paio di
grandi orecchini d’oro e indosso una casacca e una grande gonna. I reperti si sono
mantenuti in buono stato grazie alle massicce bare di legno di quercia protette da
imponenti tumuli di torba. A esempio nelle tombe di due uomini eminenti (Muld­bjerg,
Jutland centro-occidentale e Trindhøj, Jutland meridionale) sono assai ben conserva-
ti gli abiti indossati dai defunti: un berretto di forma tonda, un camiciotto di lana e un
mantello. In Norvegia (dove la sepoltura sotto tumuli compare in particolare nelle aree
sud-occidentali di Vest-Agder e Sunn­hord­land) riveste grande importanza la tomba
della ‘donna di Rege’ (nel distretto di Jæren). Qui la defunta è deposta in una camera
di pietra e indossa ricchi ornamenti di bronzo. Certamente in queste tombe il corredo
funebre è collegato alla posizione sociale del morto, il che spiega anche la presenza di
oggetti particolari come a esempio lo sgabello pieghevole di legno di frassino, con resti
del sedile in pelle di lontra (simbolo della ‘superiorità’ del defunto rispetto ad altre
persone assise nel medesimo consesso) rinvenuto nel tumulo danese di Guldhøj (Jut-
land meridionale). Vd. Thomsen Th., Ege­kiste­fundet fra Egtved fra den ældre bronz­ealder,
Køben­havn 1929; Bro­holm H.Chr. – Hald M., Skrydstrupsfundet. En sønder­jydsk
kvinde­grav fra den ældre bronzealder, København 1939; Bro­holm 1943-1949 (B.2), I,
pp. 89-91, p. 99, pp. 106-107, pp. 112-113, p. 120 ed Egenæs Lund H., “En eldre
bronsealders ornert gravhelle fra Rege i Håland på Jæren”, in Stavanger Museums
Års­hefte (1933-1934), pp. 49-53.

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La preistoria 57

spondono massicci cumuli di pietre in talune zone della Svezia


meridionale (soprattutto aree interne, isole di Öland e di Gotland),169
sulle coste e sulle isole finlandesi e in buona parte della Norvegia.170
La concen­trazione di questi monumenti corrisponde, verosimil-
mente, ad aree territoriali sottoposte a uno stesso potere politico-
economico, certa­mente legato all’accesso e alla gestione del metal-
lo (con carattere di vero e proprio monopolio). La magnificenza
delle sepolture, così come la ricchezza dei reperti testimoniano il
prestigio sociale (o quello guerriero, quando si ritrovano armi che
presentano segni di utilizzo) di cui godevano i loro possessori (la
cui sepoltura doveva prevedere lunghi e complessi rituali): individui
appartenenti a famiglie il cui predominio era ormai affermato e che
gestivano un’economia fiorente. Siamo ancora in una fase nella
quale le risorse che la natura offre allo sfruttamento agricolo e
all’allevamento paiono illimitate. A parte qualche eccezione171
questo tipo di sepoltura scomparirà nell’età del bronzo recente.
Almeno in parte l’uso di cremare i defunti (che nel continente
è testimoniato fin dall’epoca dei monumenti megalitici) è cono-
sciuto nelle regioni nordiche dalla prima fase dell’età del bronzo,
sebbene se ne abbia qualche sporadica testimonianza già nel
neolitico (Jutland, Scania). Alla diffusione di questa pratica (in
particolare dall’età del bronzo recente, dunque dal 1100 a.C.) si
lega un nuovo tipo di sepoltura. I resti del defunto sono ora inu-
mati all’interno di un contenitore (talora in legno, più spesso in
argilla), il corredo funebre si riduce a pochi doni di limitato
valore. Una novità che parrebbe da collegare all’influsso dei

169
 Un ottimo esempio è il grande cumulo di Uggårda, nella zona sud-orientale
dell’isola di Gotland (alto 7 mt. e con un diametro di circa 45 mt.).
170
 Questi cumuli di pietre sono detti in danese røse (pl. røser); in svedese röse (pl.
rösen); in norvegese røys (pl. røyser, [bm]), e røys (pl. røysar, [nn]). Il più importan-
te che si conosca (seppure non restituito all’antica magnificenza dopo scavi di studio)
è certamente la tomba di Kivik in Scania, al cui interno sono state rinvenute lastre
di pietra riccamente decorate (che formavano la camera mortuaria di un personaggio
di alto rango); vd. Moberg C-A., Kivik. Breda­rör och andra forn­minnen, Stock­holm
1975³.
171
  Come il tumulo detto Hågahögen (presso Uppsala nell’Uppland svedese,
1100-900 a.C.), una delle tombe più ricche di oggetti d’oro (vd. Alm­gren O., Kung
Björns hög och andra forn­lämnin­gar vid Håga, Stockholm 1905) o, in Danimarca,
il grandioso tumulo di Lusehøj nella regione della Fionia risalente al IX secolo a.C.
(vd. Thrane H., Lusehøj ved Voldtofte- en syd­vest­fynsk storhøj fra yngre bronce­alder,
med bidrag af I.Trocz og K.R. Jensen m.fl., Odense 1984). Altri tumuli danesi di
notevoli dimensioni eretti nell’ultima fase dell’età del bronzo sono da considerare
nel contesto della decadenza di questo periodo (Jensen 2001-2004 [B.2], II, pp.
505-510).

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58 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

cosiddetti ‘campi di urne’, diffusi in area continentale172 (e ricon-


ducibili a loro volta alla cultura detta ‘di Hallstatt’),173 ma certa-
mente connessa anche alla creazione di ‘cimiteri’ legati a nuclei
abitati (un utilizzo del territorio che si attesterà nell’età del ferro).
Talora queste urne hanno l’aspetto di una piccola casa174 oppure
alludono al morto nei tratti del viso impressi sull’argilla.175 D’altro
canto l’affermazione di questo nuovo rituale funerario potrebbe
anche testimoniare una profonda modificazione (in senso spiri-
tualistico) nella concezione dell’aldilà:176 luogo a cui avrebbe
accesso solo l’anima, la quale dunque per raggiungerlo con più
facilità e immediatezza dovrebbe liberarsi al più presto del corpo.
In ogni caso, tenuto conto che nell’età del bronzo permane, paral-
lelamente, la pratica dell’inumazione si potrebbe anche pensare,
più semplicemente, a usi funerari diversi collegati alla diversa
posizione sociale del defunto, o – almeno in taluni casi –
all’uso di cremare coloro che dovessero, per qualche ragione,
essere sacrificati, magari per seguire nell’aldilà chi già in questa
vita aveva esercitato su di loro il proprio dominio.177 Del resto la

172
In Burenhult 1999-2000 (B.2), I, p. 439 una diretta derivazione viene tuttavia
messa in dubbio. In Svezia un ‘campo di urne’ di notevole interesse è stato rinvenuto
presso Simris­hamn in Scania.
173
Dal nome di un celebre sito in territorio austriaco. Questa cultura è suddivisa in
quattro fasi (A, B, C e D) che coprono il periodo dal 1100 al 600 a.C. L’uso di racco-
gliere i resti cremati del defunto in una piccola urna ha tuttavia la sua origine nelle
zone mediterranee e si lega alla cosiddetta ‘civiltà di Villanova’ (dal nome del sito che
si trova nei pressi di Bologna).
174
Si veda, in particolare, l’esempio eccellente di Stora Hammar in Scania. In
effetti nel Nord questo reperto è l’unico che possa in qualche modo reggere il parago-
ne con le urne a forma di casa ritrovate sul continente.
175
Il riferimento è qui a siti danesi come Vesterby in Langeland e Ingstrup in Vend­
syssel. Di particolare interesse è anche l’urna rinvenuta a Røgind (presso Viborg nello
Jutland) che combina il motivo della casa con quello del volto. In Danimarca si trova-
no un centinaio di reperti di questo tipo (per lo più nella zona dello Jutland), essi
risultano invece assai scarsi in Svezia (e comunque limitati alla Scania).
176
Vd. Harding A., “Reformation in Barbarian Europe 1300-600 BC”, in Cun-
liffe 1994 (B.2), pp. 320-321 (e, per certi aspetti, anche Artelius 1998). Non è tutta-
via da escludere che questo uso fosse dovuto (almeno in parte) a ragioni di carattere
pratico.
177
Questa idea pare perdurare nel tempo, se dobbiamo – a mio parere ragione-
volmente – credere a testimonianze più tarde (periodo vichingo) di carattere sia
archeologico (come quella della tomba di Oseberg dove insieme alla regina fu
sepolta un’altra donna, presumibilmente una schiava che dovette seguirla nella
morte) sia letterario (come il resoconto di Ibn Fa[lan testimone oculare del funera-
le di un capo vichingo nel corso del quale la donna del morto venne uccisa e posta
sulla pira insieme a lui; vd. oltre, p. 116 con nota 65; cfr. anche il testo di Ibn Rustah
riportato alle pp. 116-118).

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La preistoria 59

società nordica mostra ormai una chiara tendenza alla differen-


ziazione sociale.
Alla fase più recente dell’età del bronzo appartengono impo-
nenti monumenti i cui migliori esempi si ritrovano nelle zone del
Baltico, in particolare sull’isola di Gotland ma anche a Öland e
Bornholm. Si tratta di grandi pietre infisse nel terreno a disegnare
una o più navi di notevoli dimensioni (skepp­sätt­nin­gar).178 Certa-
mente essi si legano a riti funebri (la cui relazione con il simbolo
della nave non è limitata al mondo nordico: basti pensare al tra-
ghettatore Caronte!) e mostrano di essere in diretta continuità non
solo con l’uso talora testimoniato in epoca più antica di deporre
il cadavere del defunto in un’imbarcazione,179 ma anche con quel-
lo (noto fin dalla prima fase dell’età del bronzo) di ricoprire una
sepoltura a forma di nave con un tumulo. Del resto questa con-
suetudine ricomparirà in varie forme nell’età del ferro (con l’im-
barcazione talora coperta o, di nuovo, ben visibile in superficie);
finché l’uso della nave diverrà emblema stesso dei funerali d’epo-
ca vichinga. Ma l’immagine della nave è certamente legata anche
all’importanza che il commercio per vie marittime dovette rivesti-
re a livello economico e, di conseguenza, sociale. Diversi tumuli
sono collocati in posizione dominante sul mare, evidentemente
con l’intento di renderli ben visibili ai naviganti,180 ma forse anche
con quello di ‘ricordare’ o ‘indicare’ al defunto le vie del mare.
D’altronde l’evidente parallelismo tra l’uso di questo simbolo e la
sua massiccia presenza nelle incisioni rupestri non può non sug-
gerire un valore cultuale e religioso. Un nesso può essere trovato
nel fatto che le raffigurazioni su pietra di navi sopra le quali si
trova il disco solare alludono al cammino rituale che il sole deve
percorrere fino al sopraggiungere della notte, quando gli abitanti
178
 Sing. skeppsättning. Particolarmente degno di nota è il monumento di Rannarve
sull’isola di Gotland. Esso è costituito da ben quattro navi funerarie in pietra colloca-
te l’una dietro l’altra per una lunghezza totale di circa 36 mt.
179
 Un uso tuttavia non necessariamente legato solo a valenze simboliche o ritua-
li di particolare rilievo, come giustamente si rileva in Burenhult 1999-2000 (B.2), p.
75.
180
 In Norvegia merita una citazione il tumulo noto come Tjernagel­haugen (comu-
ne di Sveio nella regione di Sunn­hord­land) la cui sagoma è stata per secoli ben visibi-
le su un promontorio. Questo tumulo imponente (ora tuttavia in rovina) è ricordato
dal poeta islandese Þorarinn Lingua che loda (lof­tunga) nel carme Tøg­drápa (titolo dal
significato incerto, forse Carme encomiastico di/per i vent’anni), composto nel 1028.
Qui (str. 5) si legge: “E gli uomini fedeli della corte [di Canuto] passarono velocemen-
te davanti all’antico tumulo di Tjernagel; là dove la mandria della terra delle prue [i.e.
“il mare”, quindi nell’insieme “la flotta”] sfrecciò davanti al Capo Stadt, il navigare
del guerriero non era [certo uno spettacolo] modesto”; DLO nr. 3.

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60 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

delle coste lo vedono scomparire nell’oceano: un’idea, questa,


che si lega al concetto del mare come ‘altro mondo’.181 Non è un
caso che monumenti funebri di straordinaria importanza, quali
la già citata tomba di Kivik182 e il tumulo norvegese di Mjelte­
haugen183 mostrano nella ricca decorazione delle pareti figure
d’imbarcazioni.

1.3.6. Uno sguardo verso l’estremo Nord

Come accennato in precedenza le zone della Scandinavia coin­


volte negli sviluppi culturali di cui si è trattato erano sostan­
zialmente quelle meridionali e costiere, sebbene percorsi paralle-
li (compresa una certa diffusione dell’agricoltura e dell’alleva-
mento, in ogni caso evidentemente influenzata dalle condizioni
climatiche) siano documentati fino all’estremo Nord dai reperti
(anche di notevole valore) e dalle sepolture in un’area che scende
fino alla zona meridionale della regione di Tromsø, comprenden-
do le isole Lofoten.184 Le zone più settentrionali e interne della
Norvegia, così come le regioni centrali e settentrionali della Sve-
zia, gran parte della Finlandia e la penisola di Kola restavano
legati a un’economia basata sostanzialmente sulla raccolta e sulla
cattura di prede animali e ricevevano influssi culturali soprattut-
to da oriente.185 Gli studiosi usano la definizione di ‘età del bron-
zo artica’186 in riferimento a queste culture, che certamente mostra-
no tutta la loro vitalità. Caratteristica delle zone centro-setten-
trionali è la cosiddetta ‘ceramica all’asbesto’ (un materiale, pro-

181
Su questo vedi le considerazioni proposte in Chiesa Isnardi 20084 (B.7.1), pp.
350-352 e pp. 477-478. Vd. anche Alm­gren 1926-1927, pp. 41-42.
182
Cfr. sopra nota 170.
183
Sull’isola di Giske nella regione di Sunnmøre. Si tratta di una tomba di partico-
lare importanza proprio per la ricca, non usuale, decorazione interna (vd. Mandt G.,
“Mjeltehaugen på Giske – en gåte i norsk forhistorie”, in Indrelid S. – Ugelvik Larsen
S. [red.], Sunn­møres for­historie. 1. Fra de første fote­far, Ålesund 1984, pp. 70-80).
Degno di nota da questo punto di vista è anche il tumulo di Sagaholm (presso Jönköping
in Svezia, risalente all’incirca al 1450 a.C.; vd. Goldhahn J., Sagaholm – häll­ristnin­gar
och grav­ritual, Jön­köping 1999).
184
Ne dà testimonianza, tra l’altro, la presenza di incisioni rupestri di carattere
‘agrario’ (cfr. sopra, nota 124) fin nella regione di Finnmark (sull’isola di Sørøya e
nella località di Apana gård nell’area di Alta).
185
Rapporti privilegiati dovettero poi svilupparsi con la cosiddetta ‘cultura di
Ananjino’ che aveva il proprio centro nella regione russa tra il bacino centrale del
Volga e quello del Kama e che conobbe la massima fioritura tra l’800 e il 200 a.C.
186
Vd. sopra, nota 99.

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La preistoria 61

veniente probabilmente dalla Finlandia, che ridotto in polvere


era mescolato all’argilla) della quale ci restano oggetti decorati
variamente. Resta aperta la questione se a questa civiltà sia legata
la comparsa dei primi Sami sul territorio della penisola scandina-
va, ipotesi per altro probabile.187 Ma oggetti di bronzo (anche di
fattura assai pregevole) si ritrovano fino alle regioni del Mare
di Barents e, se nelle zone interne restavano in largo uso materia-
li come la quarzite, è tuttavia altresì dimostrato che molti caccia-
tori disponevano di armi in bronzo.

187
Vd. Magnus – Myhre 1986 (B.2), pp. 200-202. Vd. anche Lillehammer 1994
(B.2), pp. 135-136 dove è riportata una cartina che indica l’estensione della ‘ceramica
all’a­sbesto’, diffusa nella Norvegia e nella Svezia centro-settentrionale, nella penisola
di Kola, nella quasi totalità della Finlandia e nei territori russi a essa adiacenti.

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Capitolo 2

Verso la storia: l’età del ferro

2.1. La Scandinavia e il continente

Nell’età del ferro la Scandinavia fa il proprio definitivo ingres-


so nella storia europea. La fine dell’età del bronzo era stata
determinata sostanzialmente da una crisi nell’approvvigionamen-
to del metallo, manifestatasi a partire dal IX-VIII secolo a.C. A
ciò si accompagnò una situazione continentale nella quale ven-
nero privilegiati i contatti con il meri­dione: di conseguenza le
regioni nordiche risentirono notevol­mente della loro posizione
periferica. Va poi aggiunto che l’inizio dell’età del ferro, collo-
cato attorno al 500 a.C., è segnato in Scandinavia da un peggio-
ramento delle condizioni climatiche1 con conseguenti progressi-
ve modificazioni nella vegetazione2 che andarono a incidere
sull’attività agricola e quindi sulla popolazione. Questi fattori
stanno, almeno in parte, alla base dei molti cambiamenti che
coinvolgeranno il mondo nordico, non da ultimo – probabilmen-
te – la migrazione di popolazioni che lasceranno le terre d’origi-
ne, prendendo la via del sud in diverse direzioni. Un altro ele-
mento fondamentale di questo periodo è l’affermazione delle
1
Per molto tempo si è ritenuto che questo evento climatico si fosse manifestato
piuttosto repentinamente e in un arco di tempo relativamente breve. Ricerche più
recenti hanno invece dimostrato che esso fu il risultato di un andamento di lungo
termine (vd. in particolare Aaby B., “Cykliske klimatvariationer de sidste 7500 år
påvist ved undersøgelser af højmoser og marine transgressionfaser”, in Dan­marks
Geolo­giske Under­søgelse / Geological Survey of Denmark, Årbog 1974, pp. 91-104).
2
In Scandinavia si venne a stabilire un clima sostanzialmente simile a quello attua-
le: nelle foreste ripresero il sopravvento la betulla e le conifere. Sulla vegetazione
dovette del resto incidere anche l’attività umana, in particolare l’abbattimento di
alberi per utilizzarne il legname e per la creazione di pascoli.

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Verso la storia: l’età del ferro 63

tribù celtiche: nei 500 anni precedenti la nascita di Cristo i


Celti seppero espandere la loro influenza culturale3 in larga par-
te dell’Europa centrale e oltre4 contribuendo in modo determi-
nante alla diffusione della lavorazione del ferro; certamente le
tribù germaniche (quindi anche quelle nordiche) dovettero
apprenderla da loro:5 in tal senso testimonia, tra l’altro, l’etimo-
logia della parola che lo designa nelle loro lingue (dunque anche
in quelle del gruppo nordico) la quale rimanda direttamente al
celtico.6 L’introduzione del nuovo metallo non ebbe tuttavia
effetti immediati e dirompenti, forse per la difficoltà di appren-
dere le tecniche di lavorazione del nuovo materiale.
Se da una parte l’innegabile declino che segna l’inizio dell’età
del ferro scandinava (una fase che oltre a tutto risulta piuttosto
povera di reperti), è stato attribuito proprio all’espansione dei
Celti,7 occorre d’altronde considerare che nel Nord l’influsso cul-
turale di questo popolo è constatabile in misura cospicua soprat-
tutto nella regione danese, se pure se ne trovino testimonianze
certe anche più a nord (Öland, Gotland). Ma singolarmente si
constata come questo influsso risulti più marcato nel momento in
cui i Celti appaiono in regresso. Tra i reperti nordici di impronta
celtica il più celebre è certamente il bacile in argento rinvenuto a
Gundestrup (Jutland settentrionale).8 È probabile che all’influsso
3
 Le caratteristiche fondamentali della cultura e dell’arte celtica vengono ricondot-
te ai reperti rinvenuti nell’importantissimo sito di La Tène, sulle sponde del lago di
Neuchâtel in Svizzera, luogo sacrificale frequentato per molti secoli dalle tribù di
questa etnia.
4
 È noto che essi si spinsero da una parte fino alle regioni iberiche così come,
dall’altra, giunsero attraverso la penisola balcanica fino all’Asia Minore dove si
stabilirono nella regione che da loro fu detta Galazia (nome tratto dal termine
Γαλάται, con il quale i Greci li designarono, corrispondente al latino Galli, quindi
“Celti”).
5
A parte una presenza sporadica (e dunque casuale) di reperti in ferro risalenti a
epoche antiche (tra il XII e il IX secolo a.C., vd. Pleiner 1980, p. 378) si può afferma-
re che nel Nord l’età del ferro prende l’avvio tra l’VIII secolo (Danimarca) e il VI
secolo (Norvegia) a.C. (ibidem, pp. 375-415, vd. ivi la tabella a p. 383).
6
de Vries 1962² (B.5), p. 287 e p. 291 (voci ísarn e járn).
7
In particolare lo studioso Sune Lindquist (Lindquist 1920) ha coniato l’espres­sione
‘Ansa celtica’ per indicare l’espansione di un mercato continentale che avrebbe taglia-
to fuori le regioni del Nord, anche geograficamente sfavorite. Vd. anche Bertilsson
1995.
8
Si tratta di un bacile, conservato nel Museo Nazionale di Copenaghen (National­
museet), del diametro di quasi 1 mt., sul quale sono istoriate scene che fanno in buona
parte riferimento a figure della mitologia celtica. La destinazione rituale del reperto è
chiaramente testimoniata dal fatto che esso, prima di essere depositato in una palude
era stato volutamente reso inutilizzabile (vd. Müller S., “Det store sølvkar fra Gun-
destrup i Jylland”, in NF I, 1890-1903, Kjøbenhavn, pp. 35-68; Klindt-Jensen O.,

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64 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

celtico siano dovuti anche importanti mutamenti nella sfera reli-


giosa (da qui forse furono ripresi i modelli delle divinità successi-
vamente affermatesi) e in quella politica.
L’età del ferro scandinava è suddivisa in periodi successivi: età
del ferro celtica o preromana (500 a.C.-nascita di Cristo),9
età del ferro romana (nascita di Cristo-400 d.C.),10 età delle
migrazioni (400-550 d.C.), età dei Merovingi o età di Vendel11
(550-800 d.C.).12
Essa costituisce certamente un periodo di inquietudini e di gran-
di cambiamenti. I reperti archeologici che – come si è detto –
risultano scarsi nella fase iniziale,13 tornano in seguito a essere
abbondanti, vari e diffusi, ma mostrano evidenti varianti regiona-
li testimoniando differenze culturali non soltanto tra le aree più
meridionali e quelle settentrionali, ma anche tra zone con diversi
profili ambientali e, di conseguenza, con diverse risorse per la vita
degli uomini. Il sud della Scandinavia è naturalmente sempre più
coinvolto con il resto d’Europa. Ritrovamenti di grande valore lo
dimostrano inequivo­cabilmente con esempi numerosi e talvolta
Gunde­strup­ke­de­len, Nationalmuseet, København 1961 e Bergquist A. – Taylor T.,
“The Origin of the Gundestrup Cauldron”, in Antiquity. A quarterly review of archae­
ology, LXI (1987), pp. 10-24. Simile a quello di Gundestrup è il calderone di Brå
(presso Horsens, Jutland orientale). Altri reperti danesi di chiara impronta celtica sono
due carri (anch’essi resi inutilizzabili) rinvenuti nella palude di Dejbjerg presso Ring-
købing, Jutland occidentale (vd. Petersen H., Vogn­fundene i Dej­bjerg Præste­gårds­mose
ved Ring­købing 1881 og 1883, Kjöben­havn 1888). Oggetti di origine celtica si trovano
anche nella Svezia meridionale, assai pochi in Norvegia (Magnus – Myhre 1986 [B.2],
pp. 220-222).
9
 La prima definizione viene usata soprattutto in relazione alle zone danesi. Per le
altre regioni si preferisce invece la definizione di ‘età del ferro preromana’.
10
 Da taluni ulteriormente suddivisa in ‘età del ferro romana antica’ (nascita di
Cristo-200 d.C.) ed ‘età del ferro romana recente’ (200-400 d.C.).
11
 Questa definizione, che fa riferimento all’importantissimo sito di Vendel, è più
opportuna a riguardo della Svezia, dove appunto si trova (nella regione di Uppland)
questa località. Taluni studiosi preferiscono le seguenti denominazioni: ‘età del ferro
germanica recente’ (per la Danimarca e la Scania), ‘età di Vendel’ per la Svezia ed ‘età
dei Merovingi’ per la Norvegia e la Finlandia. Talora è utilizzata anche la definizione
‘età delle migrazioni recente’.
12
 A rigore va considerata come appartenente all’età del ferro anche l’epoca vichin-
ga (800 d.C.-1066 d.C.). Tuttavia, poiché questo periodo costituisce per la storia della
cultura nordica una fase di particolare rilievo e di importantissimi cambiamenti (fatta
oggetto di numerosissimi studi), si è ritenuto opportuno trattarlo qui in un capitolo a
parte.
13
 A essa sono tuttavia riferibili alcuni recipienti di argilla contenenti offerte in cibo
(in particolare ossa di ovini) rinvenuti in numero cospicuo soprattutto nello Jutland
ma anche in Norvegia e Svezia (Nissen Fett 1942 [B.7.1], p. 9 e note relative). Inoltre
vanno ricondotti a questa fase i ritrovamenti di Gundestrup (vd. sopra e nota 8) e
della nave di Hjortspring (vd. oltre, p. 70, nota 28).

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Verso la storia: l’età del ferro 65

eccellenti, quali i due vasi d’argento rinvenuti in una tomba nella


località di Hoby (Lolland, Danimarca), su cui sono riprodotte
scene ispirate all’Iliade.14 Nell’età del ferro romana la presenza
nell’area scandinava di merci provenienti dai territori dell’Impero
(il cui limes era costituito dal fiume Reno che rappresentava anche
una frequentata via di trasporto) è ampiamente testimoniata da
numerosi e pregevoli manufatti, tra cui molti eleganti oggetti per
guarnire la tavola (bicchieri di vetro, brocche, recipienti, colini).15
Il ritrovamento di questi reperti nell’area nordica (soprattutto in
Danimarca e Svezia, ma – come detto – anche in Norvegia)16 si
spiega in primo luogo con un vero e proprio commercio che
dovette essere assai attivo nelle zone di confine, dove i nordici
fornivano prodotti necessari ai soldati romani: innanzi tutto pelli,
lana e forse prodotti alimentari, ma anche merci di maggior pregio
come l’ambra e, certamente, schiavi. In secondo luogo (nel caso
di oggetti di particolare valore) si tratta molto probabilmente di
doni offerti (non da ultimo per fini politici) a capi tribù e uomini
influenti.

14
Le immagini sono ‘firmate’ da un artista per altro ignoto che vi ha inciso le scrit-
te ΧΕΙΡΙΣΟΦΟΣ ΕΠΟΕI e CHIRISOPHOS EPOI. I reperti sarebbero da colloca-
re nei primi decenni dell’Impero, tuttavia il nome SILIUS inciso sul fondo di questi
oggetti rimanderebbe ai primi decenni d.C. (inizio dell’età del ferro romana), quando
un comandante con questo nome era a capo dell’esercito romano nella provincia
della Germania superiore (14-21 d.C.). Vd. Friis Johansen K., “Hoby-Fundet”, in NF
II, 1911-1935, Kjøbenhavn, pp. 119-164.
15
In Svezia sono assai interessanti i siti di Gödåker (Uppland), di Öre­mölla (Scania,
cfr. nota 23) e di Östra Varv (Öster­götland). Il primo (il cui nome significa “Campo
della dèa”) risulta essere un luogo di carattere religioso frequentato per lungo tempo:
ivi si trova una fonte sacrificale nella quale sono stati rinvenuti resti di uomini e di
animali; nelle vicinanze è situato un cimitero con bauta­steinar (vd. oltre, p. 68); vd.
Ek­holm G., “Gödåker. De senaste bidragen till Upplands fornhistoria”, in UFT XLI
(1927), 10: 2, pp. 120-130. Anche nell’isola di Gotland (Havor) sono stati rinvenuti
oggetti di importazione di ottima fattura; vd. Nylén E. – Lund Hansen U. et al., The
Havor hoard. The Gold – The bronzes – The fort, Stockholm 2005. In Norvegia vanno
segnalati il sito di Tu (Jæren) dove è stato trovato un calice con una scritta augurale in
caratteri greci (ΠΙΕ ΖΗΣΑΙΣ ΚΑΛΟΣ: “bevi e vivi bene”) e quello di Solberg
(Buskerud) da cui provengono parti di un vaso di vetro di finissima fattura e decorato
in oro prodotto ad Alessandria d’Egitto; assai interessanti sono anche i diversi ogget-
ti rinvenuti nella tomba di Store-Dal in Østfold (cfr. nota 20 e nota 27). In Danimarca
conosciamo reperti di questo tipo già nell’età del bronzo. Si veda a esempio il sito di
Rosbjerggård (Rørbæk, Himmerland) dove da una palude è stato riportato alla luce
un recipiente in bronzo di probabile origine etrusca (o comunque di imitazione di
oggetti simili prodotti in tale area; Jensen 2001-2004 [B.2], II, p. 418).
16
 Vd. Magnus – Myhre 1986 (B.2), pp. 326-330 e pp. 333-338.

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66 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

2.2. Nuove strutture abitative e rivolgimenti sociali

Con il passare dei secoli si assiste a un’ulteriore espansione del-


la pratica agricola (certamente favorita dalla diffusione di strumen-
ti come a esempio la falce di ferro che consentiva di raccogliere
maggiori quantità di fieno per i mesi invernali), che diviene inten-
siva (alla prima età del ferro risale la pratica di concimare il terreno);
si coltivano soprattutto cereali e si allevano diversi animali la cui
carne (insieme al formaggio) costituisce la base nutrizionale della
popola­zione. Tra gli animali domestici compare il gatto, mentre il
cavallo pare essere un animale il cui possesso conferisce prestigio:
il consumo della sua carne va verosimilmente ricondotto a un
ambito rituale. A tutto ciò corrispondono insediamenti che in
molti casi vengono a costituire (nella fase più antica soprattutto
in Danimarca) dei veri e propri villaggi stabili.17 Le costruzioni
hanno – almeno inizialmente – dimensioni minori, ma il numero di
quelle che costituiscono un nucleo abitativo aumenta sensibilmen-
te. In una fase successiva si torna a edifici di notevoli dimensioni e
di forma allungata, nelle quali trovano ricovero uomini e animali.
Talora compaiono anche strutture minori utilizzate come luoghi di
lavoro; i recinti per gli animali e gli appezzamenti destinati alle
coltivazioni risultano ben definiti. In diversi casi è presente un’area
centrale sgombra, probabilmente riservata a un uso sacro. Natu-
ralmente l’evoluzione degli insediamenti dell’età del ferro mostra
differenze a seconda delle zone e della fase storica di riferimento.18
17
 In talune zone sono tuttavia stati rinvenuti i resti di fattorie isolate, specialmente
in Norvegia dove si trovano anche tracce di abitazioni all’interno di grotte (in partico-
lare nelle zone montuose ma anche sulla costa) utilizzate per lo più nell’età del ferro
romana e nel periodo delle migrazioni soprattutto da cacciatori. In questo Paese si
ritrovano insediamenti agricoli stabili a partire dalla metà dell’età del ferro preromana
(Magnus – Myhre 1986 [B.2], p. 230, p. 266 e p. 272).
18
 Una particolare tecnica di costruzione caratterizza a esempio l’isola svedese di
Gotland, dove si trovano fattorie costituite da un numero limitato di abitazioni con
basamenti in pietra (tra l’età del ferro romana e l’età delle migrazioni), il miglior esem-
pio nella località di Vallhagar (vd. Stenberger M. – Klindt-Jensen O. [eds.], Vallhagar.
A migration period settlement on Gotland, Sweden, I-II, Copen­hagen 1955). Per avere
una idea delle tipologie di insediamento abitativo nell’età del ferro si vedano i villaggi
danesi di Grøntoft, Hodde e Vorbasse (tutti nello Jutland sud-occidentale); si tenga
presente che le ricerche archeologiche in questo campo sono state portate avanti
soprattutto in questo Paese (vd. Becker C.J., “Ein früheisenzeitliches Dorf bei Grøn­toft,
West­jütland”, in AA XXXVI [1965], pp. 209-222; Becker C.J., “Das zweite früh­eisen­
zeit­liches Dorf bei Grøn­toft, West­jütland”, in AA XXXIX [1968], pp. 235-255; Becker
1987; Hvass S., “Das eisenzeitliche Dorf bei Hodde, Westjütland”, in AA XLVI [1975],
pp. 142-158; Hvass S., “Die völker­wan­de­rungs­zeit­liche Sied­lung Vor­basse, Mitteljüt­

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Verso la storia: l’età del ferro 67

Dall’inizio del IV secolo a.C. diversi nuclei abitati cominciano a


essere difesi da recinti. Probabilmente ci si trova di fronte a ‘villag-
gi organizzati’, in cui vivevano persone legate da vincoli di paren-
tela e nei quali vigeva una precisa regolamentazione del diritto di
sfruttare le risorse della terra. È questo un elemento che attrae la
nostra attenzione, dal momento che anche l’edificazione in tutti i
Paesi dell’area nordica (dalla Norvegia alla Finlandia) di vere e
proprie fortificazioni (per altro un tipo di costruzione in qualche
caso già noto dall’età del bronzo e che trova precisi paralleli sia sul
continente sia nelle isole britanniche) conoscerà un intenso svilup-
po tra l’età del ferro preromana e il periodo delle migrazioni. La
tipologia (che natural­mente dipende in buona parte dalla confor-
mazione del terreno) e la distribuzione di queste costruzioni non
sono affatto omogenee e il loro scopo si può supporre molteplice:
difesa dei campi e del bestiame, recinzione di un luogo di culto e/o
di mercato, barriera contro incursioni nemiche. Molte di queste
fortificazioni resteranno in uso per un periodo di tempo assai lun-
go, almeno fino all’età vichinga ma anche oltre.19
Legate agli insediamenti abitativi si trovano, per buona parte
dell’età del ferro, tombe piuttosto semplici, in genere con corredo
funerario scarso o addirittura mancante: i resti del morto, di solito
cremati e talora raccolti in un contenitore, sono deposti in fosse
ricoperte da pietre e riunite per lo più in veri e propri cimiteri
della comunità,20 un uso questo che si collega alle consuetudini

land”, in AA XLIX [1978], pp. 61-111 e Hvass 1979). In Svezia si vedano tra gli altri
i siti di Fosie e Uppåkra (Scania) e Nibble (Uppland). In Norvegia il sito di Ullandhaug
presso Stavanger (V-VI secolo d.C.), che è stato ricostruito, e quello di Klauhaugane
(presso Nærbø, Jæren) con le abitazioni poste secondo un ovale attorno a un’area al
centro della quale si trova quello che doveva essere lo spazio sacro della comunità.
Questo villaggio, che risulta abitato tra il 200 a.C. e il 200 d.C. mostra chiara affinità
con nuclei di case presenti sull’isola svedese di Öland. Simili insediamenti norvegesi
sono, innanzi tutto, quello di Dysjane (anch’esso in Jæren), pressoché identico a
Klauhaugane e altri anche nelle regioni più settentrionali (vedi, in particolare quelli di
Bø e Steigen sull’isola di Engeløya; Magnus – Myhre 1986 [B.2], pp. 312-316).
19
 Tra i siti più significativi fino a ora investigati dagli archeologi quelli di Eketorp
(sull’isola svedese di Öland; vd. Borg K. – Näsman U. et al. (eds.), Eketorp. For­ti­fication
and settle­ment on Öland/Sweden. I. The Monument, II: The Setting, Stock­holm 1976-
1979), di Tors­burgen (in Gotland), assai imponente, di Havor (anch’esso in Got­land;
cfr. nota 15), di Gamle­borg sull’isola danese di Bornholm, di Vanha­linna (presso Turku
in Finlandia); vd. Engström 1991.
20
 Una concentrazione di questi cimiteri si ha nelle regioni svedesi di Västergötland,
Östergötland e nell’isola di Gotland. In taluni casi le pietre che segnalano le tombe
sono disposte in cerchio (si vedano come esempi Dragby in Uppland e Vallhagar in
Gotland). In Norvegia sono noti, in particolare, il ‘cimitero’ di Gunnarstorp (Østfold),
la necropoli di Hunn (anch’essa in Østfold) che conserva tra l’altro la ricca tomba di

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68 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

riscon­trabili nell’ultima fase dell’età del bronzo. Talvolta a fungere


da ‘marcatori delle tombe’ sono collocati massi di una certa dimen-
sione innalzati in prossimità delle sepolture, magari disposti secon-
do forme geometriche (bautasteinar): se ne trovano in Svezia, in
Norvegia e in Danimarca, in particolare nell’isola di Bornholm;
in qualche caso risalgono già all’età del bronzo. Singolari monu-
menti sepolcrali sono i cosiddetti domarringar (letteralmente “cer-
chi del giudizio”) cerchi di pietre (spesso in numero simbolico:
sette, nove) che si trovano soprattutto nelle zone della Svezia
centro-meridionale (particolar­mente in Väster­götland), ma anche
nelle zone orientali della Norve­gia; il termine popolare con cui
vengono designati allude al fatto (per altro non dimostrato) che in
questi luoghi si tenessero le assemblee.21
Le semplici sepolture della prima fase dell’età del ferro paiono
dare testimonianza di un’organizzazione sociale che – quantomeno
di fronte alla morte – esprime una concezione sostanzialmente
egualitaria: essa sarebbe da mettere in relazione da una parte con la
distribuzione della popolazione in piccoli insediamenti del tutto
simili, dall’altra con la necessità di uno sforzo collettivo a sostenere
la diffusione della pratica agricola. Ma questo quadro (nel quale
vanno comunque rilevate differenze regionali anche piuttosto
marcate)22 è destinato a modificarsi rapidamente. Ben presto infat-
ti (i primi esempi risalgono all’età del ferro preromana) cominciano
ad apparire sepolture ben più ricche di doni funebri la cui tipologia
corrisponde alla posizione sociale del defunto. Assai interessanti
sono le tombe di guerrieri: facilmente distinguibili per il corredo di
armi di cui il morto è provvisto per il viaggio nell’aldilà, esse danno
una chiara indicazione dell’importante ruolo svolto da questi indi-
vidui nel processo di edificazione di una nuova struttura sociale,
nella quale i centri di potere che venivano prevalendo (certamente
fondati sul consolidamento di una società e di una economia con-
tadina) dovettero sostenere la propria ascesa su una potenza di tipo
militare da cui ebbe origine, a sua volta, una ‘classe aristocra­tica’ (e
non si dimentichi la funzione svolta dal guerriero come tramite di
nuove idee e differenti modelli di vita con i quali è venuto in con-
un guerriero risalente alla fase più recente dell’età del ferro romana (vd. RESI H.G.,
Gravplassen Hunn i Østfold, Oslo 1986) e quella di Store-Dal (Østfold; cfr. nota 15 e
nota 27): esse consentono di osservare diversi tipi di sepoltura che testimoniano dei
mutamenti negli usi funerari tra la prima età del ferro e quella ‘romana’ (LILLEHAMMER
1994, p. 142; MAGNUS – MYHRE 1986, pp. 225-226, entrambi in B.2).
21
Vd. Sahlström 1942.
22
Vd. Burenhult 1999-2000, II, pp. 250-257, Magnus – Myhre 1986, pp. 217-220,
Jensen 2001-2004, III, p. 62 (tutti in B.2).

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Verso la storia: l’età del ferro 69

tatto). Nella prima parte dell’età del ferro quest’evoluzione appare,


per ragioni innanzi tutto geografiche, assai più evidente nelle regio-
ni danesi, più esposte alle innovazioni provenienti dall’esterno e più
facilmente coinvolte negli avvenimenti continentali; essa può tutta-
via essere constatata anche nella Svezia meridionale (comprese le
due isole di Öland e di Gotland) e sulle coste meridionali della
Norvegia. Influssi stranieri (da parte del mondo romano ma anche
delle tribù germaniche continentali) sono, da questo punto di vista,
assai probabili.23 Il lungo processo che – attraverso interminabili
lotte e aspri contrasti – avrebbe portato la nobiltà dei Paesi nordici
alla creazione di stati nazionali trova le proprie remote radici in
quest’epoca.24 All’uso della cremazione25 si affianca di nuovo (in
particolare nel periodo attorno alla nascita di Cristo e certamente
per influsso esterno) quello dell’inumazione e buona parte delle
sepol­ture più ricche conserva dunque lo scheletro del defunto. I
doni funebri ne testimoniano la posizione sociale,26 straordinari
corredi e magnifici gioielli sono riservati alle donne.27
23
In questo senso testimonia anche la presenza all’interno delle sepolture di ogget-
ti di notevole valore importati dai territori dell’Impero. Si vedano a esempio le tombe
danesi di Varpelev e Valløby (entrambe nella Selandia orientale) e quella di Öre­mölla
in Svezia (cfr. nota 15). Da questo punto di vista è anche interessante notare come
nella tomba svedese di Lager­lunda (Öster­göt­land) siano stati ritrovati, fra l’altro, due
calderoni di ferro prodotti a imitazione di analoghi oggetti di area mediterranea.
24
Del resto siti come quello danese di Gudme con il vicino porto di Lunde­borg
(Fionia), dove sono stati ritrovati i resti di quello che, affermatosi a partire dal III
secolo, dovette divenire uno dei centri più importanti del periodo delle migrazioni (vi
si ritrova anche la dimora di un capo), confermano pienamente questa ipotesi. Il fatto
che il nome Gudme possa derivare da *Gudhem (cioè *Guðheimr) “Dimora della
divinità” confermerebbe l’interrelazione tra il potere politico e quello religioso; vd.
Kromann A. – Nielsen P.O. et al., “Gudme og Lundeborg. Et fynsk rig­doms­center i
jern­alderen”, in NMA 1991, pp. 144-161; Thrane H., “Das Reich­tums­zentrum Gudme
in der Völker­wan­derungs­zeit Fünens”, in HOGA, pp. 299-380 e Jørgensen L., “The
warrior aristocracy of Gudme. The emergence of landed aristo­cracy in Late Iron Age
Denmark?”, in PSESBN, pp. 205-220.
25
Anche in sepolture che contengono i resti cremati del defunto si possono trova-
re ricchi doni funebri (vd. come esempio eccellente le tombe norvegesi sulle isole di
Godøy/Godøya e di Harams­øya al largo di Sun­møre).
26
Vd. in particolare la tomba di Lilla Jored nel Bohuslän, le tombe danesi di Hoby
(cfr. p. 65 e nota 14) e Juellinge sull’isola di Lolland (vd. Müller S., “Juellinge-Fundet
og den romerske Periode. Med mikro­skopiske Undersøgelser af B. Gram”, in NF II,
Kjøbenhavn 1911-1935, pp. 1-54).
27
 Vd. la tomba danese di Himlingøje (certamente un centro del potere aristocra-
tico nella Selandia orientale) nella quale, tra l’altro, è stato rinvenuto sotto la lingua
della defunta un pezzetto d’oro, particolare constatato anche in altri casi, che ricor-
da senza dubbio l’uso greco della cosiddetta ‘moneta di Caronte’ con la quale il
morto doveva pagarsi il passaggio nell’aldilà (su questo importantissimo sito vd.
Lund Hansen U., Himlin­gøje – See­land – Europa. Ein Gräber­feld der jüngeren römi­

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70 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

Certamente le tombe di guerrieri indicano una società inquieta,


lotte per il predominio territoriale ed economico. Conflitti nei
quali il possesso della tecnologia legata al nuovo metallo e ai suoi
prodotti (in particolare le armi) dovette essere determinante e
cagionare un profondo mutamento degli equilibri e un ulteriore
rafforzarsi della disparità sociale. Caratteristico di questo periodo
è d’altronde il ritrovamento (principalmente in area danese e
nell’età del ferro ‘romana’) di grandi quantità di armi (spesso rese
inutilizzabili), verosimilmente strappate a nemici sconfitti e offer-
te a divinità avide di sacrificio e di venerazione.28 Ciò pare corri-
spondere a una forte, progressiva affermazione di dèi con un
carattere marcatamente individualista. In proposito sono state

schen Kaiser­zeit auf See­land, seine Be­deu­tung und inter­natio­nalen Be­ziehun­gen,


København 1995; cfr. nota 84). In Norvegia è interessante la tomba di Nordre Rør
(Østfold), ma soprattutto, nella necropoli di Store-Dal (cfr. nota 15 e nota 20), la
splendida sepoltura di una donna vestita in abiti eleganti e ornata di preziosi ogget-
ti d’oro. Tra i manufatti deposti accanto al cadavere alcuni sono di provenienza
romana (vd. Petersen J., Grav­plas­sen fra Store-Dal i Skje­berg, Kristiania 1916). Altre
tombe norvegesi particolarmente interessanti (risalenti al IV secolo d.C.) sono quel-
le di Sætrang (Buske­rud) dove sono sepolti insieme un uomo e una donna i cui
cadaveri sono riccamente ornati di gioielli preziosi e provvisti di oggetti personali
(armi per l’uomo e fusi per la donna, oltre a doni funebri destinati a entrambi) e
Kjorstad (in Gudbrands­dalen, dove è sepolta una donna). In Svezia risulta di note-
vole interesse la tomba nr. X di Tuna (Väst­man­land), contenente magnifici gioielli
d’oro (vd. Nylén E. – Schönbäck B., Tuna i Badelunda. Guld, kvinnor, båtar, I-II,
Västerås 1994).
28
 Si vedano, in particolare, i siti di Thorsberg/Torsbjerg (nell’attuale regione
tedesca dello Schleswig-Holstein), Ejsbøl (Jutland sud-orientale) e Illerup Ådal
(Jutland orientale), Vimose e Kragehul (Fionia) e Hjortspring (sull’isola di Als dove
nella palude è conservata anche una nave, la più antica che sia stata ritrovata nel
Nord, risalente al V-IV secolo a.C.). Anche nel sito di Nydam (Jutland sud-orienta-
le) sono state scoperte due navi e i resti di una terza, un tipo di ritrovamento che
conosce paralleli soprattutto in Norvegia. Questo tipo di offerte sacrificali si protrae
fino all’ultima fase dell’età del ferro (vd. Burenhult 1999-2000 [B.2], II, p. 447 e
inoltre: Fabech 1991; Engelhardt C., Thorsbjerg mosefund. Beskrivelse af de Oldsager
som i aarene 1858-1861 ere udgravede af Thorsbjerg mose ved Sønder-Brarup i Angel,
København 1863; Illkjær J., Illerup Ådal. Et arkæo­logisk trylle­spejl, med bidrag af
maleren og grafikeren R. Friberg, Moesgård 2000; Engelhardt C., Vimose Fundet.
Fynske Mosefund II, København 1869 (nuova ed. 1970); Engelhardt C., Kragehul
mosefund. 1751-1865. Et Overgangs­fund mellem den ældre Jernalder og Mellem-jern-
alderen, København 1867 (nuova ed. 1970); Rosenberg G., Hjortspringfundet, med
bidrag af K. Jessen og Fr. Johannessen, København 1937; Kaul F., Da våbnene tav.
Hjortspringfundet og dets baggrund, National­museet, København 1988; Engelhardt
C., Nydam mosefund 1859-1863, Køben­havn 1865 (nuova ed. 1970); Bemmann G. –
Bemmann J., Der Opfer­platz von Nydam. Die Funde aus dem älte­ren Grabungen: Nydam
I und Nydam II, I-II, Neu­münster 1998). Vd. anche Illkjær J. – Lønstrup J., “Interpretation
of the great Votive Deposits of Iron Age Weapons”, in Journal of Danish Archaeology,
I, pp. 95-103.

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Verso la storia: l’età del ferro 71

richiamate le testimonianze di alcuni storici, quali in particolare


Giulio Cesare e Paolo Orosio i quali riferiscono di usi simili da
parte di tribù barbare (rispet­tivamente i Galli e i Cimbri).29 La
testimonianza di Paolo Orosio merita particolare attenzione, in
quanto riferita a una etnia che – seppure difficile da definire nella
sua realtà (celtica/germanica?) –30 era certamente stanziata ben
addentro al territorio danese.31 A riti in onore della divinità è
verosimilmente riferibile anche il ritrovamento (soprattutto in
Danimarca e nella Germania settentrionale, ma anche in Svezia e
Norvegia, nei Paesi Bassi e nelle isole britanniche) di un gran
numero di cadaveri di persone uccise e gettate nelle acque di una
palude, verosimilmente in un rituale sacrificale.32 L’ipotesi che si
trattasse di persone resesi colpevoli di qualche reato e, dunque,
giustiziate33 giustificherebbe la punizione come atto dal duplice
scopo di ‘purificare’ la società e di placare le potenze divine. La
gran parte di questi cadaveri risale al periodo tra il 100 a.C. e il
500 d.C.34
Nell’età del ferro romana, fino al periodo delle migrazioni si
29
 Cesare riferisce (Commentariorum belli gallici, VI, 17) che i Galli avevano l’abi-
tudine di offrire il bottino conquistato al dio della guerra; Paolo Orosio (V secolo)
informa che dopo la devastante sconfitta (105 a.C.) inflitta alle truppe romane ad
Arausio sul Rodano (odierna Orange, regione francese della Provenza) i Cimbri “[…]
gettarono nel fiume l’oro e l’argento, le corazze degli uomini furono fatte a pezzi, i
finimenti dei cavalli furono distrutti, i cavalli medesimi furono annegati tra le onde e
gli uomini furono impiccati agli alberi con una corda al collo […]” (Historiarum
adversum paganos libri VII, V, 16; DLO nr. 4).
30
 In effetti la definizione precisa della realtà etnica dei Cimbri (e dei Teutoni che
comunemente sono loro associati) appare assai difficile. Dal punto di vista archeolo-
gico non ci sono nella zona di riferimento evidenze di una sostanziale differenza tra le
tribù germaniche e quelle celtiche; inoltre è noto che Cesare non doveva avere le idee
molto chiare in proposito. Un aiuto potrebbe venire in questo contesto da elementi
linguistici, ma le testimonianze che possediamo sulla lingua di queste popolazioni
restano poca cosa, anche se farebbero propendere per il carattere ‘celtico’ delle mede-
sime. In proposito si veda Markale J., I Celti, Milano 1982, pp. 51-53.
31
 Vd. p. 77.
32
 Tra i cadaveri più ben conservati quelli dell’uomo di Tollund (Jutland centrale)
che era stato impiccato; dell’uomo di Grau­balle (Jutland centrale) cui era stata taglia-
ta la gola e della donna ritrovata nella palude di Borre (Himmer­land, una regione
nella quale sono stati rinvenuti i cadaveri di due donne e di un uomo) che era stata
immersa nelle acque dopo aver subito pesanti maltrattamenti (tra cui l’asportazione
dello scalpo); vd. Glob 1973, pp. 21-32, pp. 33-48 e pp. 71-72, rispettivamente. Vd.
tuttavia anche Jensen 2001-2004 (B.2), II, pp. 389-390 e pp. 397-398.
33
 Come pare tra l’altro suggerire in particolare Tacito, il quale (Germania, cap. 12)
riferisce che ladri, omosessuali e traditori venivano uccisi e gettati in acque paludose;
cfr. sopra, p. 31 con nota 66. Sulla condanna a morte come ‘atto sacrale’ vd. Ström F.,
On the Sacral origin of the Germanic Death Penalties, Uppsala 1942.
34
 Glob 1973, p. 75.

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72 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

collocano cospicui tesori (ritrovati talora insieme alle armi), in


diversi casi gettati in paludi o nascosti sotto massi, un uso che pare
estendersi rispetto al passato.35 Si tratta di oggetti preziosi d’oro o
d’argento (talora anche monete romane, bizantine e bratteate).36
Accanto all’ipotesi che si tratti ‘semplicemente’ di offerte votive alla
divinità si è voluto anche pensare che – almeno in qualche caso –
ci si trovi di fronte a beni nascosti dai proprietari (ed evidente-
mente in molti casi mai più recuperati): sintomo di una situazione
di disagio e di inquietudine; in tal senso vanno forse intesi soprat-
tutto i notevoli ritrovamenti databili nell’età delle migrazioni.37
D’altra parte si è anche messo in relazione questo fatto con una
testimonianza molto più tarda, ricordando le parole di Snorri
Sturluson a proposito delle leggi dettate dal dio Odino: “[…]
ognuno sarebbe giunto nella Valhalla con le ricchezze che aveva

35
 Vd. a esempio in Danimarca il sito di Ginderup (Jutland nord-occidentale) dove
sotto un pavimento sono state rinvenute delle monete romane, quello di Brangstrup
(Fionia) dove si contano quarantotto monete d’oro, quello di Dals­høj (Born­holm,
risalente all’età dei Merovingi) con monete d’oro e gioielli; in Norvegia il sito di Store
Oma (Jæren) dove sotto un muro in pietra sono stati ritrovati spranghe e anelli d’oro
a forma di spirale per un peso totale di 637 gr. In Svezia cospicui ritrovamenti sono
stati fatti nella palude detta Skede­mosse (sull’isola di Öland, uno dei territori più
ricchi di oro da questo punto di vista) e a Vittene (Väster­göt­land). Nel primo caso (il
sito è l’unico in territorio svedese che corrisponda ai grandi depositi di armi che si
trovano in Danimarca) sono stati rinvenuti, insieme a molte armi, sette bracciali e due
anelli d’oro di pregevolissima fattura per un peso totale di 1.3 kg.; inoltre sono stati
ritrovati resti di uomini e di cavalli, verosimilmente sacrificati; su Skedemosse vd.
l’esaustivo studio di U.E. Hagberg (The Archaeology of Skede­mosse, I-IV, Stockholm
1967-1977). Nel secondo caso (un sito che comprende un insediamento databile tra
l’età del ferro preromana e la prima fase dell’età del ferro romana) sono stati rinvenu-
ti (tuttavia sparsi) oggetti d’oro per un peso totale di 1.9 kg. (vd. Lundkvist L.,
“Vittene och guldets folk”, in PA XVI: 1 (1998), pp. 3-8). Molti degli oggetti compre-
si in questi ‘tesori’ risultano di provenienza straniera, anche da zone assai lontane come
le regioni del Mar Nero (Jensen 2001-2004 [B.2], III, p. 492).
36
 Le bratteate sono imitazioni di medaglioni romani impressi su un solo lato (ma
lo stile è caratteristicamente germanico), usate soprattutto come amuleti, come dimo­
stra anche il fatto che in diversi casi recano incise iscrizioni runiche (vd. 2.5) di carat-
tere magico, come a esempio i termini laukr “aglio” (con evidenti collegamenti alle
proprietà di questa pianta) o alu una parola che dal punto di vista linguistico corri-
sponde al più tardo ǫl “birra”, ma il cui significato nelle iscrizioni runiche non è del
tutto chiaro, fermo restando un collegamento con la sfera magica (vd. Krause 1971
[B.5], p. 145 e p. 175 in particolare e Krause 1966 [C.2.5], pp. 239-260, passim). Su
una bratteata danese rinvenuta a Skrydstrup sono riportate entrambe queste parole
(ibidem, p. 163). In generale sulle bratteate vd. Mackeprang 1952, Düwel 1988 e
Düwel 1992 (entrambi in C.2.5), Axboe 2004.
37
 Si vedano ‘tesori’ risalenti a questo periodo quale, in particolare, quello di Timbo-
holm in Svezia, dove è stato ritrovato oro per 7 kg. Importanti ritrovamenti sono noti
anche in epoca vichinga; vd. oltre, pp. 216-217 con nota 453.

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Verso la storia: l’età del ferro 73

sulla pira e avrebbe usufruito anche di ciò che personalmente ave-


va sotterrato.”38
Come per l’età del bronzo, anche per quella del ferro occorre
naturalmente distinguere gli insediamenti più a nord rispetto a
quelli compresi nella cosiddetta ‘cerchia nordica’ o comunque
gravitanti su di essa. Nelle zone più settentrionali pare protrarsi la
tradizione culturale dell’età del bronzo, tenuto conto della scarsità
di reperti in ferro ritrovati. In effetti, sebbene ci siano (soprattutto
nella fascia intermedia) tracce certe di un’espansione della pratica
dell’agricoltura e dell’allevamento,39 resta limitata la produzione di
manufatti in ceramica (lavorata con l’asbesto). I siti da attribuire
alla cultura scandinava si trovano più frequentemente nelle zone
costiere, mentre quelli riconducibili alla cultura sami si collocano
di norma nelle zone interne. Nell’area del Mar Baltico si ricono-
scono agevolmente interferenze culturali con l’area finnica. La
varietà degli insediamenti si riflette nelle numerose sepolture che
presentano differenti caratteristiche. Tenuto conto delle condizio-
ni ambientali, le diverse risorse (prodotti agricoli e d’allevamento,
prede catturate con la caccia o con la pesca) risultano essere ogget-
to d’intensi scambi commerciali.

2.3. Popoli e patrie

Ma le inquietudini dell’età del ferro dovevano prorompere in


movimenti di popoli, grandi migrazioni che avrebbero prodotto
tra­sformazioni profonde ed epocali nel continente europeo. È in
questa fase che anche le tribù nordiche si affacciano oltre i propri
confini. Quando nel V secolo d.C. gli Unni sotto la guida di Attila
si muovono verso occidente, diversi gruppi d’etnia germanica si
uniscono a loro. Tra gli altri i Burgundi e i Gepidi, popolazioni di
stirpe gotica e dunque – verosimilmente – d’origine scandinava,
che si trovano ora sul continente. Molte tribù nordiche si erano
infatti da tempo mosse in diverse direzioni abbandonando le sedi
originarie.
Ben nota è innanzi tutto la migrazione dei Goti che all’inizio
 Ynglinga saga, cap. 8. DLO nr. 5.
38

 Che in Svezia è ben testimoniata a esempio nel sito di Gene nella regione di
39

Ångermanland (vd. Ramqvist P.H., Gene. On the origin, function and development of
sedentary Iron Age settlement in Northern Sweden, Umeå 1983).

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74 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

del II secolo d.C. erano scesi dal Nord per insediarsi in zone
dell’attuale Polonia, sul basso corso della Vistola. Questa notizia
ci viene in primo luogo da Giordane, grande storico del suo
popolo, al quale dobbiamo anche altre informazioni sulle tribù
stanziate nelle terre nordiche.40 Seguendo la geografia tradiziona-
le Giordane considera la penisola scandinava (Scandia/Scandzia)
un’isola41 che, con efficace immagine letteraria, definisce madre-
patria di popoli: “[…] l’isola della Scandia, quasi un’officina di
popoli o certamente come una vagina di nazioni […]” (“[…]
Scandza insula, quasi oficina gentium aut certe velut vagina natio­
num […]”) dalla quale i Goti sarebbero migrati verso il continen-
te europeo.42 L’origine nordica di questo popolo sarebbe del resto
confermata non solo da una serie d’iso­glosse tra la lingua dei
Goti43 e l’antico nordico,44 ma soprattutto da diversi toponimi, in
40
La sua opera De origine actibusque Getarum (Getica), composta nel 551 è basata
– secondo quanto afferma l’autore medesimo (vd. il “Prologo”, p. 52) – su uno scritto
di Cassiodoro, redatto circa trent’anni prima ma che purtroppo è andato perduto. È
stato sostenuto, ma pare poco plausibile, che Cassiodoro avesse avuto notizia delle
tribù che abitavano la penisola scandinava dal sovrano nordico Rodvulf, il quale
– secondo quanto riferisce Giordane stesso (Getica, III, 24) – si era rifugiato presso
Teodorico il Grande insieme a uomini del suo seguito (vd. Svennung 1967, p. 182).
41
Getica, III, 16-19. Sull’etimologia di Scandinavia, che resta dibattuta, vd. SVENNUNG
1963 e DE VRIES 19622 (B.5), pp. 482-483 (voce Skáney).
42
Getica, IV, 25.
43
In epoca storica, quando compaiono informazioni certe a loro riguardo in auto-
ri come Plinio, Tacito e Tolomeo (vedi rispettivamente: Naturalis Historia, IV, 14;
Germania, cap. 44 e Γεωγραφικὴ Ὑφήγησις, III, v, 8; cfr. II, xi, 16), i Goti risultano
stanziati lungo il basso corso della Vistola. Essi formano il gruppo dei Germani orien-
tali. La loro lingua (che conosciamo soprattutto grazie alla traduzione della Bibbia
eseguita dal vescovo Wulfila nel IV secolo) costituisce dunque il ramo orientale delle
lingue germaniche, ormai estinto.
44
In particolare il riferimento è ai seguenti fenomeni linguistici comuni: 1) raffor-
zamento consonantico di */-jj-/ in occlusiva (rappresentata in gotico da ddj e
in antico nordico da ggj): esempio got. twaddjē e ant. nord. tveggja “di due”; 2) raffor-
zamento consonantico di */-ww-/ in occlusiva velare labializzata (rappresentata sia in
gotico sia in antico nordico da ggw): esempio got. triggws e ant. nord. tryggr, da un più
antico triggwaR, “fedele”; 3) sviluppo di un suffisso -ıˉn- tanto in gotico quanto in
nordico nel participio presente femminile: esempio: got. gibandei(n), ant. nord. gefandi,
cfr. ant. alto ted. gebantiu, ant. ingl. giefendu/giefende “che dà”; 4) presenza della
categoria dei verbi deboli incoativi (quarta classe) formati col suffisso got. ‑nan, ant.
nord. -na: esempio got. waknan e ant. nord. vakna “destarsi”; 5) seconda persona
singolare del preterito indicativo dei verbi forti con desinenza -t: esempio: got. graipt,
ant. nord. greipt, cfr. ant. alto ted. grifi, ant. ingl. gripi “afferrasti”; 6) /i/ > /e/, /u/ >
/o/ davanti a /h/; 7) presenza in gotico e in ant. nord. di pronomi interrogativi quali,
rispettivamente hvarjis e hverr (<*ga-hvarjiz) “quale?”, derivazioni in -j- dal germanico
comune *xwa‑/xwe‑. Vd. Scovazzi 19946 (B.5), pp. 9-10 (dove tuttavia questi fenome-
ni linguistici comuni vengono ritenuti insufficienti per rendere verosimile l’esistenza
di un gruppo linguistico gotico-scandinavo); vd. Kuhn H., Kleine Schrif­ten. Auf­sätze

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Verso la storia: l’età del ferro 75

particolare svedesi (innanzi tutto Gotland, ma anche Göteborg,


Götaälv, Götland) ai quali viene accostato il danese Born­holm (da
un antico Borgundar­hólmr): essi, infatti, appaiono ben difficilmen-
te spiegabili se non con la presenza di popolazioni gotiche in quei
territori.
In Scandinavia Giordane45 colloca diverse tribù: tra di esse gruppi
destinati a emergere come gli Svear (Suehans o Suetidi) antenati degli
Svedesi, i diversi gruppi di Goti (Vagoth, Gauthigoth, Ostrogothae),
i Danesi (Dani), gli Eruli (Heruli), i Sami (Screre­fennae, cioè “Finni
sciatori” e Finni). Altre tribù citate sono colloca­bili con un margine
più o meno accettabile di probabilità nelle diver­se regioni nordiche:
Adogit, cioè *(H)alogii, in Hålogaland, regione settentrionale della
Norvegia; Bergio, abitanti di Bjäre nella Scania nord-occidentale;
Hallin, abitanti di Halland nella parte sud-occidentale della Svezia;
Ahelmil, cioè (autem) *Heinii, abitanti di Himle, poco più a nord
dei precedenti; Finnaithae, abitanti di Finnveden, nella parte sud-
occidentale della regione svedese di Småland; Fervir, abitanti in
un’area limitata (Fjäre) nella parte settentrionale di Halland; Mixi
cioè forse *Hixi, abitanti dell’isola di Hisingen sulle coste svedesi
del Bohuslän; Raumarici, abitanti del potente Regno di Rauma­ríki
(Rome­rike) nella zona a nord-est di Oslo; Aeragnaricii, cioè (ac)
Ragnaricii, abitanti di Ranríki, da collocare in Svezia nel Bohuslän
settentrionale; Grannii, abitanti di Grenland sul fiordo norvegese
detto Lange­sunds­fjorden nel Tele­mark; Augandzi, abitanti di Agder,
zona della Norvegia meridionale, Taetel e Rugi cioè, verosimilmen-
te, Aetelrugi (vale a dire “Rygir autentici”), abitanti della regione
norvegese di Rogaland nel sud-ovest del Paese (probabilmente
costoro sono così definiti per distinguerli dai Holmrygir “Rygir
insulari”, citati nelle fonti nordiche);46 Arochi, cioè *(H)arothi, abi-
tanti della regione norvegese occidentale di Hordaland e Ranii, cioè
*Raumi, abitanti nella regione norvegese di More e Romsdal. Per
altre denominazioni di tribù (Theustes, Liothida, Euagre, Otingis,
Vinoviloth, Eunixi) rimangono molti dubbi nell’identificazione.47

und Re­zen­sionen aus den Gebieten der ger­ma­ni­schen und nordi­schen Sprach-, Literatur-
und Kultur­ge­schi­chte, Berlin 1969-1972, I, pp. 169-204 e pp. 246-290 e, soprattutto,
Scardigli 2002 con i riferimenti bibliografici e la discussione relativa.
45
Getica, III, 19-24.
46
Svennung 1967, p. 106.
47
Sulle tribù nordiche elencate in Giordane vd. in particolare Svennung 1967, pp.
32-110, su cui qui ci si basa e anche Weibull 1948, pp. 54-69 con i riferimenti citati.
In questo contesto va ricordata anche la tribù dei Khaideinoi (Χαιδεινοί) menzionata
da Tolomeo (Γεωγραφικὴ Ὑφήγησις, II, xi, 16) nella quale potrebbero essere rico-
nosciuti i Heiðnir, il cui nome si ricollega, per la prima parte, a quello della regione

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76 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

Ma anche altre tribù germaniche potrebbero avere origine


scandinava. Di difficile definizione appare il problema dei Van-
dali e quello, a esso connesso, dei Silingi cui fa riferimento il
celebre geografo Claudio Tolomeo di Alessandria definendoli
Silingai (Σιλίγγαι).48 Secondo teorie risalenti ai primi decenni del
secolo scorso,49 queste popolazioni sarebbero emigrate dalla
Scandinavia nella prima fase dell’età del ferro, in ogni caso non
più tardi del II secolo a.C. La loro origine nordica sarebbe dimo-
strata da una serie di nomi di luogo. Ai Vandali si riferirebbe il
toponimo danese Vend­­syssel (un tempo Vaendael, Vaendel­sysael,
che indica la punta settentrionale dello Jutland), mentre il nome
dei Silingi sarebbe da collegare con quello della Selandia (in
antico nordico Selund/Silund o Seland) e, verosimilmente, anche
con quello della Slesia (< Sile­sia). Queste teorie hanno cercato
sostegno soprattutto in speculazioni archeologiche, mancando
qualsiasi indicazione nelle fonti scritte. Le quali invece risultano
fondamentali in altri casi.
Innanzi tutto per i Longobardi, la cui origine scandinava risul­
terebbe dalle testimonianze quasi concordi di diversi testi che li
riguardano.50 Un’informazione differente sembrerebbe tuttavia
venire dalla cosiddetta Historia Langobardorum codici gothani,
risalente al IX secolo, nella quale si afferma che la sede originaria
di questo popolo era presso un fiume, detto Vindilicus agli estremi
confini del­la Gallia.51 A proposito di questo popolo non disponia-
mo tuttavia di testimonianze di carattere toponomastico52 e l’even-

norvegese di Hedmark (vd. Nielsen 2000 [B.5], p. 339 e note relative). Vd. Sveinsson
1917, Oxenstierna 1948, Wagner 1967, Wessén 1969, Hachmann 1970 e Søby
Christensen 2002.
48
 Γεωγραφικὴ Ὑφήγησις, II, xi, 10.
49
 Ben riassunte e discusse in Nerman 1924, pp. 22-26.
50
 La principale è certamente l’opera di Paolo Diacono, Storia dei Longobardi
(Historia Langobardorum, I, 2, 7), redatta nell’VIII secolo. D’altra parte questa fonte,
così come la Storia dei Danesi (Gesta Danorum) di Saxo grammaticus (vd. pp. 322-323)
che si rifà a Paolo Diacono citandolo esplicitamente (VIII, xiii, 2) risale a una tradi-
zione più antica, rappresentata soprattutto dalla cosiddetta Origine del popolo dei
Longobardi (Origo gentis Langobardorum, p. 2), un testo redatto in aggiunta all’Editto
di Rotari e databile nella seconda metà del VII secolo.
51
 Successivamente tuttavia questo testo aggiunge (p. 8) che i Longobardi (il cui
nome viene anche qui attribuito, secondo l’etimologia tradizionale, alle “lunghe barbe”,
cfr. Paolo Diacono, Historia Langobardorum, I, 8; vd. nota successiva) si trasferirono
a Scatenauge sul fiume Elba. Questo toponimo può con una certa facilità essere avvi-
cinato a quelli che designano nelle altre fonti la Scandinavia (Scathanavia, Scadanam,
Scadinavia, Scatinavia), il che lascerebbe supporre una errata interpretazione della
tradizione leggendaria relativa a questo popolo da parte dell’estensore dell’opera.
52
 La corretta etimologia del nome Longobardi (cfr. nota precedente) parrebbe

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Verso la storia: l’età del ferro 77

tuale conferma dell’informazione fornita dalle fonti scritte resta


affidata ancora una volta a speculazioni di tipo archeologico.
Secondo taluni i Longo­bardi sarebbero effettivamente migrati
dalla zona meridionale della Svezia, la regione della Scania, attor-
no all’inizio dell’età del ferro.53 Di certo c’è che fin dal I secolo
a.C. ci sono tracce della loro presenza sul basso corso dell’Elba,
zona dalla quale una parte di loro si sarebbe poi dispersa fra i
Sassoni, mentre un’altra parte si sarebbe mossa verso l’Italia.
Notizie ben più precise si hanno invece a riguardo dei Cimbri e
dei Teutoni. Nel penultimo decennio del II secolo a.C., abbando-
nate le terre d’origine (con ogni probabilità lo Jutland e lo Schleswig-
Holstein), essi avevano sconfinato nei territori dell’Impero, spinti
verosimilmente dalla necessità di trovare nuove aree da colonizza-
re. Nel breve volgere di una decina d’anni, dopo un’iniziale affer­
mazione, tanto i Cimbri, direttisi verso l’Italia, quanto i Teutoni,
sta­bilitisi in Gallia, sarebbero stati definitivamente sconfitti, scompa­
rendo così dalla storia.54 La sede originaria dei Cimbri dovette
essere nella zona settentrionale della penisola dello Jutland, come
testi­monia il toponimo Himmerland (anticamente Himber­sysael)
che contiene un evidente riferimento a questa tribù. Un collega-
mento con il nome dei Teutoni si ritrova nel toponimo Thy (anti-
camente Thiuth) che designa il territorio a settentrione del Limfjor-
den nella zona nord-occidentale della medesima penisola dello
Jutland. Ai Cimbri e ai Teutoni sono verosimilmente collegabili
anche i Harudi e gli Ambroni. Il nome dei primi, ricordati al fian-
co di Ariovisto nella battaglia contro l’esercito di Cesare, è stato
infatti collegato a quello dell’attuale Harsyssel (a sud-ovest del
Limfjorden nello Jutland). Questo toponimo risale a un più antico

quella tradizionale che lo interpreta come “[coloro che hanno una] lunga barba”; in
ogni caso anche se si volesse fare riferimento a un’altra ipotesi che li intende come
“[coloro che sono armati di una] lunga alabarda” resterebbe escluso ogni collegamen-
to con nomi di luogo. In proposito vd. Bruckner W., Die Sprache der Langobarden,
Strassburg 1895, pp. 33-34 e de Vries 1962² (B.5), p. 345 (voce langbard–r). Anche il
termine Vinnili (forse “guerrieri”), che secondo le fonti citate era quello originario di
questo popolo, non trova alcun riscontro in nomi geografici scandinavi.
53
 Queste teorie sono piuttosto antiche: vd. Nerman 1924, p. 33. Una conferma
dell’origine scandinava di questa popolazione verrebbe, secondo J. Ficker dallo studio
del diritto longobardo (“Das langobardische Recht und die skandinavischen Rech­te”,
in Mit­teilungen des Instituts für öster­reichische Geschichts­for­schung, XXII [1901], pp.
1-50). Per una storia dei Longobardi si rimanda a Priester 2004.
54
 Si ricordi tuttavia quanto è stato detto sopra (vd. nota 30) sulla difficoltà di una
definizione certa dei Cimbri e dei Teutoni dal punto di vista etnico. Sui Cimbri vd.,
tra l’altro, Bråten 1988.

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78 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

Harth, Harthe­sysael.55 Il nome degli Ambroni sarebbe invece da


riconoscere in quello dell’i­sola di Amrum (in antico danese Ambrum)
che si trova a occidente dello Schleswig.56
Una vicenda complessa è certamente quella degli Eruli (anch’es-
si forse d’etnia gotica) che compaiono dal III secolo sulla scena del
continente. Secondo Giordane essi erano stati cacciati dalle loro
sedi originarie (l’isola danese della Selandia?) dai Dani.57 In segui-
to ad alterne vicende culminate nella sconfitta subita a opera dei
Longo­bardi (nel 505 circa) una parte di loro era rifluita in Scandi-
navia, una terra con la quale essi – stando almeno alla testimonian-
za di Proco­pio di Cesarea – avevano mantenuto stretti contatti.58
Nonostante il totale silenzio su di loro nelle fonti nordiche l’origi-
ne scandinava di questo popolo potrebbe essere plausibile.59
D’origine nordica sono certamente anche i Rugi (ant. nord Rygir,
Rygjar), migrati dalla Norvegia occidentale verso il continente, in
particolare verso le coste della Pomerania (dove li colloca Tacito),60
dalle quali scenderanno poi fino alle regioni attuali della bassa
Austria in un territorio da loro chiamato Rugi­land. Questo nome
ricorda senz’altro il toponimo Roga­land (che designa una regione
nella Norvegia sud-occiden­tale).61 Come si è detto, Giordane li

55
È altresì possibile che ai Harudi sia collegato il nome della regione norvegese di
Hordaland, nella quale – seguendo una via marittima che i dati archeologici indicano
come molto frequentata – essi sarebbero migrati (Lillehammer 1994 [B.2], p. 163).
56
Vd. Nerman 1924, p. 42.
57
Getica, III, 23. Ciò sarebbe avvenuto all’incirca attorno al 200 d.C. (cfr. Nielsen
2000 [B.5], pp. 357-358). A riguardo delle popolazioni presenti sul territorio danese
vd. Seebold 1995.
58
Vd. Procopio 1961, VI, xiv, 37-42; VI, xv, 1 e VI, xv, 27-36. Qui si riferisce tra
l’altro che gli Eruli che si trovavano nei territori del Danubio, dopo aver sacrificato il
loro ultimo re di nome Ochus, si rivolsero a quelli fra di loro che erano rimasti nella
madrepatria per poter avere un nuovo sovrano che discendesse dalla medesima dina-
stia. In quanto segretario privato del generale bizantino Belisario, Procopio è general-
mente considerato uno degli storici più informati della sua epoca.
59
Vd. Hoffmann 1995, p. 82.
60
Germania, cap. 44.
61
Data la presenza certa dei Rugi sulle coste della Pomerania, è forse possibile
porre in relazione con loro il nome dell’isola di Rügen, di mediazione slava: derivazio-
ne discussa, ma verosimile (cfr. Bornholm < Borgundarhólmr). L’etnonimo Rugi a sua
volta è connesso da A. Bach (Deutsche Namenkunde, Heidelberg 1952-1954, I [Die
deutschen Personennamen], 1, p. 310) col sostantivo *rugi, m. “segala”: essi sarebbero
dunque i “coltivatori di segala” o “coloro che si nutrono di segala”. Vd. anche Geo­
graphische Namen in Deutsch­land. Her­kunft und Bedeu­tung der Namen von Ländern,
Städten, Bergen und Ge­wässern, 2. überarbeitete Auflage von D. Berger, München-
Leipzig-Wien-Zürich 1999, p. 245 e Steinhauser W., “Rügen und die Rugier”, in
Zeit­schrift für slavi­sche Philo­logie, XVI (1939), pp. 1-16.

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Verso la storia: l’età del ferro 79

ricorda fra le ventisette tribù nordiche delle quali elenca i nomi62 e


li definisce Aetelrugi vale a dire “Rugi autentici” distinguendoli in
tal modo dagli ulmerugi vale a dire dai “Rugi insulari” (ant. nord.
Holmrygir, dove hólmr “isola”).
Su un diverso versante del continente europeo un ruolo di
primis­simo piano doveva essere svolto da altre tribù d’origine
nordica, gli Juti e gli Angli che nel V secolo avrebbero ac­compagnato
i Sassoni nella conquista della Britannia, come ben testimonia,
innanzi tutto, il Venerabile Beda.63 Entrambe queste tribù prove-
nivano dalla penisola danese dello Jutland (“Terra degli Juti”,
appunto), dove la presenza degli Angli è ricordata nel toponimo
tedesco Angeln (danese Angel), regione a sud del fiordo di
Flensburg.

2.4. Resoconti di viaggio

Le notizie riguardanti le tribù germaniche di stirpe scandinava


fornite da Giordane, così come le informazioni che ci vengono da
Procopio,64 risalgono al VI secolo d.C. Già in precedenza, tuttavia,
alcuni autori classici avevano inserito nelle loro opere riferimenti alle
terre e agli uomini del Nord.65 In effetti la prima menzione delle

62
 Vd. p. 75.
63
 Vissuto tra il 672 (o 673) e il 735 scrisse tra l’altro la Storia ecclesiastica del popo­
lo inglese (Historia ecclesiastica gentis Anglorum, vd. I, 15; cfr. V, 9). Sul territorio
inglese Procopio colloca tre tribù: i Britannici, gli Angli e i Frisoni (Procopio 1962,
VIII, xx, 6-7).
64
 Egli ci fa sapere tra l’altro che presso i Gautoi (Γαυτοί), tribù scandinava, ave-
vano trovato rifugio gli Eruli al loro ritorno in quelle regioni (Procopio 1961, VI, xv,
26). Questo autore dà anche notizie su Thule (Θούλη) i cui abitanti definisce Thuliti
(Θουλῖται; Procopio 1961, VI, xv, 4-26) e cita i “Finni sciatori” (Σκριθίφινοι, cfr. in
Giordane gli Screre­fennae; vd. p. 75). Su Thule vedi poco avanti.
65
Le notizie di carattere geografico che troviamo in Giordane si rifanno innanzi
tutto ad autori come Tolomeo e Pomponio Mela (I sec. d.C.) il quale nella sua opera
(De chorographia) Della topografia fa riferimento alle terre del Nord citando (III, 31)
un ampio golfo definito Codanus e (III, 54) l’isola di Codannovia (secondo la lezione
del manoscritto principale, il Vat. Lat. 4929 della seconda metà del IX secolo). Il primo
costituisce la parte occidentale del Mar Baltico: le isole in esso comprese alle quali
Pomponio Mela allude sono quelle che si trovano fra lo Jutland e la penisola scandi-
nava. Il nome dell’isola Codannovia è invece da intendere con ogni probabilità (come
ben spiegato in Svennung 1963 [C.2.3.], pp. 11-13) come una forma corrotta di Sca­
dinavia. In proposito Pomponio Mela afferma: “[...] in quel golfo, che abbiamo
chiamato Codanus, l’eccellente Scandinavia che tuttora appartiene ai Teutoni e che

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80 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

regioni scandinave è davvero antica. Essa si trova nel resoconto di


una celebre spedizione via mare, redatto dal greco Pitea (Πυθέας)
di Massalia (Marsiglia) che ne fu protagonista. Il testo originale di
Pitea, il cui titolo doveva essere Intorno all’oceano (Περὶ ὠκεανοῦ)
non ci è pervenuto, ma a esso si fanno numerosi riferimenti in auto-
ri più tardi. Questo viaggio, effettuato attorno al 322 a.C. toccò
dapprima Gibilterra, costeggiò il Portogallo e la Francia e puntò poi
verso nord, in direzione dell’Inghilterra, della Scozia e delle Orcadi,
superate le quali raggiunse (a quanto risulta dopo sei giornate di
navigazione) la terra denominata Thule (Θούλη), verosimilmente le
coste della Norvegia oltre il 65° parallelo).66 Una spedizione prece-

sopravvanza le altre [isole] sia per la fertilità sia per la dimensione” (DLO nr. 6; cfr.
Plinio, Naturalis Historia, IV, 13 [96] e Tacito, Germania, cap. 1, dove si fa riferimen-
to al Mare del Nord che circonda ampie penisole sinuose e gli immensi spazi della
Scandinavia). Giordane si richiama anche alla rappresentazione del mondo secondo
il modello proposto dallo scienziato greco Eratostene nel III secolo a.C. (cfr. nota
successiva). A Tolomeo Giordane (che lo cita espressamente insieme a Pomponio Mela
in Getica III, 16) si rifà anche dal punto di vista etnografico (vd. Weibull 1948 [C.2.3],
pp. 44-52). Del resto possiamo in parte estendere alle tribù settentrionali le notizie sui
Germani continentali, citati per la prima volta da Cesare (Commentariorum belli gal­
lici, passim), e quelle fornite da Tacito, il quale fa comunque preciso riferimento ai
popoli nordici in diverse occasioni (Germania, capp. 37, 40 e 44, in particolare).
66
 Vd. Pytheas 1959 [Abbr.], dove sono raccolti tutti i dati relativi. Alle notizie for-
nite da Pitea in relazione alle terre settentrionali fanno riferimento in particolare Strabo-
ne (che, come d’altronde Polibio, si dimostra molto critico nei suoi confronti) e Plinio
il Vecchio. L’opera di Pitea era ben nota nell’antichità: tra l’altro Eratostene per disegna-
re la sua mappa e per il calcolo della circonferenza della terra aveva utilizzato le misura-
zioni e le osservazioni di Pitea riguardo al Nord (vd. ibidem, p. 18 e anche Die geo­gra­
phi­schen Frag­mente des Eratosthenes, neu gesam­melt, ge­ordnet und be­sprochen von H.
Berger, Lipsia 1880, pp. 73-74, pp. 143-155, pp. 207-208 e pp. 213-221). Per la collo-
cazione di Thule vd. Pytheas 1959, pp. 29-32, pp. 73-74 e la cartina che si trova in
fondo al volume. Per la relazione tra Thule e la Scandia negli autori antichi vd. Svennung
1967 (C.2.3), p. 194, nota 539. Nell’VIII secolo si fa riferimento a Pitea e a Thule nel-
l’opera più avanti citata di Dicuil (vd. p. 121) che la chiama Thile/Thilen e la definisce
un’isola (VII, 7-13). Probabilmente egli la identifica con l’Islanda. Così si intende del
resto in modo esplicito soprattutto nelle Opere dei vescovi della Chiesa di Amburgo (Gesta
Hammaburgensis Ecclesiae Pontificum, IV, xxxvi), un testo redatto in latino (e terminato
probabilmente attorno al 1075) dello storico della Chiesa Adamo da Brema (morto nel
1081), autore le cui informazioni venivano soprattutto da fonti danesi; così ugualmente
in uno scritto di carattere storico sulla Norvegia redatto in latino, la Storia della Norvegia
(Historia Norwegie, VIII, pp. 68-70; cfr. qui p. 411). Nella sua Storia dell’antichità dei re
norvegesi (Historia de antiquitate regum Norwagensium, cap. 3 e cap. 12; cfr. qui p. 411)
Theodricus Monachus sostiene invece di non poter né affermare né negare che tale
identificazione sia corretta. Saxo grammaticus parla di (ultima) Tyle iden­tificandola con
la Glacialis insula di cui dà una descrizione nella Prefazione della sua opera (Gesta
Danorum, Præfatio, II, 7). Così, ancora, nel Libro dell’inse­diamento (Land­náma­bók, vd.
p. 310) che riferisce le prime vicende della nazione islandese (vd. oltre, 3.2.5), dove ci si
richiama all’opera del Venerabile Beda, in particolare al Libro [delle suddivisioni] del

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Verso la storia: l’età del ferro 81

dente verso le terre del Nord aveva toccato solo le isole britanniche.
Si tratta del viaggio compiuto dal navigatore ed esploratore cartagi-
nese Imilcone (latino Himilco, fenicio Chimilkât), all’inizio del V
secolo a.C.67 Di qualche secolo successiva è la notizia che ci viene da
un’iscrizione sul cosiddetto Monumentum Ancyranum (il tempio
fatto erigere da Augusto ad Ankara) dalla quale risulta che le navi
romane avevano raggiunto le terre dei Cimbri.68 Ma che le conoscen-

tempo (De temporibus liber, cap. 7) e al Libro del computo del tempo (De temporum
ratione liber, cap. 31); cfr. Opera didascalica, p. 590 e p. 379 (vd. Land­námabók, p. 31).
E poi nella versione D della Saga del vescovo Guðmundr (Guðmundar biskups saga) tra-
duzione islandese della biografia di questo prelato (1161-1237) scritta in latino attorno
al 1345 da Arngrímur Brandsson (morto nel 1361): “[…] in quella terra che i libri
chiamano Thile, ma che i nordici nominano Islanda” (DLO nr. 7). Si veda infine il
cosiddetto Libro di Flatey (letteralmente “Isola piana”), un imponente manoscritto
risalente alla seconda metà del XIV secolo, che contiene storie di re norvegesi (già note
da altre fonti ma qui integrate con informazioni altrove non presenti), testi poetici, saghe
e annali fino al 1394 (Flateyjarbók, I, p. 247; vd. qui p. 424). In un manoscritto islande-
se della metà del XIII secolo (Gml. kgl. sml. 1812, 4to conservato presso l’Università di
Reykjavík, Stofnun Árna Magnússonar í íslenskum fræðum) si trovano dei riferimenti di
carattere geografico: qui Thule (Tile) compare nell’elenco delle terre europee, tuttavia
accanto all’Islanda (Alfræði Íslenzk, III, p. 72: “[…] Tile, Island, Norvegie […]”). La
diffusione delle notizie su Thule, considerata come limite del mondo, si rileva anche
dalla celebre citazione di Virgilio nelle Georgiche, dove in riferimento a Ottaviano il
poeta così si esprime: “a te sia sottomessa l’ultima Thule” (Georgicon libri quattuor, I,
30, p. 154: “tibi serviat ultima Thule”), passo citato da Giordane in Getica, I, 9. Altri
poeti latini che ricordano questa terra sono Silio Italico (I secolo d.C.) che nell’opera Le
guerre puniche (Punica) ne sottolinea l’alone di mistero definendola “ignotam […] Thylen”
(III, 597; I, p. 158) e Publio Papinio Stazio (I secolo d.C.) che nelle sue Selve (Silvae, IV,
4, 62, p. 912) fa riferimento alle “coste dell’oscura Thule” (“nigrae litora Thyles”).
L’espressione “ultima Thule” si ritrova anche nella Legge di corte (Lex castrensis) di Svend
Aggesen (su cui vd. p. 132) con riferimento all’estensione dell’impero di Canuto il
Grande (cap. 1, p. 67: “ultima Thyle”).
67
 Costui, seguendo per altro rotte già tracciate, si era diretto – primo naviga-
tore proveniente dal Mediterraneo – verso l’Europa nord-occidentale: navigando
lungo le coste iberiche e francesi aveva raggiunto il territorio della Britannia. Il
suo viaggio è ricordato in particolare nel poema latino di Rufo Festo Avieno (IV
secolo d.C.) Litorali marini (Ora Marittima, vv. 383-414, p. 34; cfr. Plinio, Natura­
lis Historia, II, 67). Per i viaggi atlantici precedenti a quello di Pitea vd. Bianchet-
ti 1998, pp. 47-52.
68
 Il testo sul tempio di Ankara è bilingue: latino (inciso sulle pareti interne del
pronao) e greco (sulla parete esterna della cella). Il testo latino recita: “La mia flotta
ha veleggiato sull’oceano dalla foce del Reno verso la regione in cui sorge il sole, fino
ai confini [del territorio] dei Cimbri, dove nessun romano prima di allora era giunto
né via terra né via mare; e i Cimbri e i Harudi e i Semnoni e le altre tribù germaniche
della medesima zona chiesero per mezzo di messaggeri la mia amicizia e quella del
popolo romano” (DLO nr. 8). Vd. Schede M. – Krencker D., Der Tempel in Ankara,
Berlin-Leipzig 1936; cfr. le parole di Plinio: “Da Cadice e dalle colonne d’Ercole cir-
cumnavigando la Spagna e le Gallie attualmente tutto l’occidente è navigato. In verità
l’oceano settentrionale è stato navigato per la maggior parte, per disposizione del

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82 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

ze geografiche relative al Nord restassero assai imprecise appare


chiaro ancora nel II secolo d.C. dalle informazioni fornite da Claudio
Tolomeo. Sulla base del suo testo di geografia (inteso come manua-
le per cartografi) e redatto verso il 150 d.C. vennero nel medioevo
tracciate delle carte. In esse la Svezia sarebbe la più grande e la più
orientale delle isole dell’oceano definito (più tardi anche in Giorda-
ne) ‘germanico’ (Germanicum mare o Germanicus oceanus) e sareb-
be abitata dai Goutai (Γοῦται), cioè dai Goti.69

Dal resoconto di Pitea di Massalia:

“La più settentrionale di tutte le isole britanniche si chiama Thule; la sua


latitudine si trova nelle vicinanze del mare coagulato70 e a sei giornate di
viaggio a nord di Albione.71 A Thule tutta l’orbita del sole si compie sopra la
terra e coincide con quella del polo celeste tramite la costellazione dell’Orsa,
quella artica.72 Là i barbari ci hanno mostrato la regione nella quale il sole
va a coricarsi. Esso resta costantemente tra loro. È anche risultato in effetti,
che in questa regione la notte è piuttosto breve, in alcuni luoghi dura due,
in altri tre ore, così che il sole una volta tramontato dopo un intervallo
davvero breve subito di nuovo sorge. Là in estate si susseguono i giorni e,
inversamente, in inverno le notti e devono esserci dei luoghi nei quali solo
una volta all’anno c’è il giorno e solo una volta la notte.
Da Capo Caledonia per il viaggio verso Thule ci vogliono innanzi tutto
due giorni, poi si arriva alle Ebridi, cinque isole i cui abitanti non conosco­
no i frutti della terra e vivono solo di pesce e di carne. Il secondo punto di
sosta per il viaggiatore è offerto dalle Orcadi, che distano dalle Ebridi sette
giorni e [sette] notti di viaggio. Esse sono disabitate, non hanno foreste e
sono ricoperte solo di giunchi; per il resto ci sono strisce di spiaggia desola­
te e rocce. Dalle Orcadi il viaggio dura cinque giorni e [cinque] notti.
Thule è una terra estesa che produce molti frutti. I suoi abitanti all’inizio

divino Augusto la Germania è stata circumnavigata da una flotta fino al promontorio


dei Cimbri e di là fu visto da lontano o conosciuto per sentito dire un mare immenso,
che si estende fino alla regione della Scizia e alle zone ghiacciate a causa dell’eccessiva
umidità.” (DLO nr. 9). Cfr. Rex gestae divi Augusti, pp. 15-19.
69
 Vd. Getica, III, 18 e XXIII, 120; Svennung 1967 (C.2.3), p. 9, pp. 14-18 e p. 25,
nota 73. La citazione dei Goti da parte di Tolomeo è la prima in ordine di tempo.
70
 Con questa espressione si intende naturalmente il mare che nella stagione fredda
si ricopre di ghiacci; cfr. Tacito, Germania, cap. 45 e le annotazioni proposte nell’e-
dizione qui utilizzata, p. 194.
71
 Nome comunemente attribuito alla Gran Bretagna (cfr. Plinio, Naturalis Histo­
ria, IV, 16 dove si riferisce di Tyle).
72
 Con ciò si intende, come precisato in Strabone, che il tropico estivo si identifica
con il circolo artico.

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Verso la storia: l’età del ferro 83

della primavera vivono in mezzo al bestiame, [nutrendosi] di vegetali, poi


di latte; per l’inverno raccolgono i frutti dei campi. Hanno le donne in
comune; nessuno mantiene un matrimonio durevole.
Nei territori vicini alla zona fredda sono soprattutto molto rare le piante
coltivate e gli animali domestici, o mancano del tutto. Là ci si nutre di miglio,
vegetali, frutti e radici. Dove tuttavia vengono coltivati cereali e prodotto
miele, se ne trae una bevanda. I cereali a causa della scarsità di luce solare
e per le piogge vengono trebbiati nei granai, grosse costruzioni, in cui si
portano le spighe.”73

Solo molti secoli più tardi, in epoca vichinga (IX secolo) e, di


conseguenza, in uno scenario profondamente modificato, due viag­
giatori, l’anglo­sassone Wulfstan e soprattutto Ohthere (il norvege-
se Óttarr), entrambi alla corte del re anglosassone Alfredo (Ælfred)
il Grande, lasceranno un resoconto dei loro viaggi in queste zone.
In particolare Óttarr, originario di una località nel nord del suo
Paese (forse dell’isola di Kvaløya a ovest di Tromsø), riferisce noti-
zie delle zone del Mar Bianco (Bjarma­land) verso le quali si era
spinto, così come fornisce informazioni sull’economia delle aree
più setten­trionali della Norvegia e sulle merci (pelli, pellicce, piu-
mini, avorio di tricheco, funi per navi in pelle di foca e di tricheco)
da lui caricate sulla sua imbarcazione per un viaggio verso sud (un
mese di navigazione fino al grande mercato di Skirings-sal (Skírings­
salr/Kaupang) presso Larvik all’estremità occidentale del fiordo di
Oslo (Viks­fjorden).74

2.5. Un alfabeto nordico

Per un lunghissimo periodo di tempo gli uomini del Nord ci han-


no lasciato solo testimonianze archeologiche o iconografiche. Per
73
 Testo ripreso dalla ricostruzione proposta in Pytheas 1959 [Abbr.], pp. 110-111.
Sul viaggio di Pitea si rimanda a Hergt 1893, Chevallier 1984, Bianchetti 1998 e
Cunliffe 2001.
74
 Il testo si trova in aggiunta alla traduzione anglosassone dell’opera di Paolo
Orosio: The Old English Orosius, pp. 13-16. Per una traduzione in lingua inglese con
commento vd. Lund N. (ed.), Two Voyagers at the Court of King Alfred. The Ventures
of OHTHERE and WULFSTAN together with the Description of Northern Europe from
Old English Orosius, York 1984. Su Skirings­sal vd. p. 141. Sui viaggi di Wulfstan e di
Óttar si rimanda anche a Loikala 1995 e Bately – Englert 2007.

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84 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

lunghissimo tempo hanno parlato una lingua a noi completamente


sconosciuta. Recenti ricerche hanno sostenuto la tesi che le lingue
diffuse nel nord dell’Europa prima dell’affermazione del proto-nor-
dico (che com’è noto costituisce un ramo del germanico ed è quindi
da ricondurre alla famiglia delle lingue indoeuropee) appar­tenessero
a un gruppo proto-uralico che dunque ora sarebbe rappre­sentato in
queste regioni solo nel finnico e nelle lingue dei Sami. Speculazioni
di carattere lessicale fornirebbero anche informazioni non secondarie
sulla vita delle popolazioni che parlavano questi idiomi.75
Solo dal II-III secolo d.C. compaiono in Scandinavia le prime
testi­monianze scritte, redatte nell’alfabeto che dal nome dei segni
che lo compongono, le rune, è detto runico. Sebbene le iscrizioni
siano state ritrovate in una vasta area che va dal cuore del conti-
nente europeo alla Scandinavia e dalle coste dell’Atlantico alla
Romania, coprendo quindi la gran parte dei territori che hanno
conosciuto la presenza di popolazioni germaniche, si può consta-
tare che fin dalla fase più antica le più numerose appartengono
all’area nordica, dove del resto esse con­tinueranno a essere realiz-
zate in gran quantità per il lungo periodo di tempo in cui quest’al-
fabeto sarà impiegato. Iscrizioni runiche si trovano anche nelle
colonie occupate dai vichinghi, dalla Russia alla Groen­landia.
Comparse come detto nel II-III secolo d.C. le rune resteranno in
uso (seppure con scopi differenti)76 almeno fino ai secoli XII-XIII.
La causa principale del loro abbandono va individuata innanzi
tutto nell’introduzione dell’alfabeto latino in conseguenza della
cristianizzazione; tuttavia va tenuto conto del fatto che l’utilizzo
dei due sistemi era tutt’altro che sovrapponibile. In ogni caso le
rune non conobbero un declino definitivo e il loro utilizzo resta
testimoniato in diversi contesti fino a un’epoca piut­tosto recente.77
Le questioni legate all’origine e alla natura delle rune sono state
a lungo dibattute. Tramontata l’antica (e per certi versi ‘sentimen-
tale’) ipotesi che esse siano un prodotto originale, diversi studiosi
hanno cercato di individuare l’alfabeto che ne costituirebbe il model-
lo. Le teorie proposte chiamano in causa quello latino, quello greco
75
 Vd. Burenhult 1999 (B.5).
76
 Tra cui quello di mandare dei messaggi. Tale è, a esempio, il caso del celebre Snorri
Sturluson (vd. p. 287, nota 13) che fu assassinato il 23 settembre 1241 su mandato del
re norvegese Håkon Håkonsson, nonostante fosse stato messo sull’avviso da un messag-
gio scritto in caratteri runici; vd. la Saga degli Islandesi (Ís­lendinga saga), capp. 300-301.
77
 Esso infatti è a lungo testimoniato in ambiti rurali, in Norvegia ancora agli inizi del
XX secolo. Vd. Musset 1965, pp. 339-341. Una serie di rune è incisa – addirittura! –
su un calice danese per la messa che verosimilmente risale al 1227 (vd. Stephens G.,
“En dansk Præste­kalk med runer”, in Ksam I [1874-1877], pp. 524-535).

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Verso la storia: l’età del ferro 85

e quello nord-etrusco. Secondo la prima ipotesi la nascita dell’alfa-


beto runico sarebbe una testimonianza supplementare degli incisi-
vi influssi operati dalla cultura meridionale sul mondo germanico e
nordico. Tale sarebbe il caso anche se si accettasse la proposta,
ancora relativamente recente, di E. Moltke,78 il quale ritiene che le
rune abbiano avuto origine in Danimarca, in un’area ben lontana
dal centro dell’Impero romano, il che renderebbe ragione delle
notevoli differenze e delle peculiarità che si riscontrano rispetto al
suo modello. La derivazione dall’alfabeto greco (in particolare dal
corsivo greco, integrato con segni latini) è una teoria piuttosto anti-
ca e superata, giacché essa si fonda in buona misura sui contatti dei
Goti con i Greci, un evento storico che mostra incongruenze cro-
nologiche con la comparsa delle prime iscrizioni.79 Un’ultima teoria
(che ha ottenuto significativo consenso) vuole infine sottolineare la
derivazione delle rune dall’alfabeto nord-etrusco, definizione con
la quale s’individua una serie di segni (che mostrano evidente affi-
nità con l’alfabeto etrusco dell’Italia centrale) utilizzati per iscrizio-
ni ritrovate nelle zone delle Alpi orientali (il che ha indotto taluni a
definire quest’alfabeto piuttosto come nord-italico).80
Accanto a questo importante problema, che ancora non conosce
una soluzione certa, resta da definire nei suoi contorni precisi
un’altra questione fondamentale legata all’uso di questi segni. Le
rune infatti costituiscono una serie di caratteri certamente connes-
si alla sfera magica. Ciò è rilevabile innanzi tutto in molte tra le
iscrizioni più antiche (diverse delle quali risultano incise su amu-
leti od oggetti d’uso personale) che mostrano un chiaro carattere
magico, sia proponendo parole o formule beneauguranti,81 sia – in
testi un po’ più estesi – dando voce a vere e proprie maledizioni.82
Inoltre talora i segni runici sono palesemente utilizzati per espri-
mere il loro intrinseco valore simbolico, piuttosto che quello
meramente fonetico: in qualche caso essi appaiono ripetuti senza
un preciso significato, al solo scopo di rafforzarne il potere magi-

78
 Moltke 1985 b.
79
 Vd. tuttavia Morris 1988, dove si cerca di superare questa difficoltà facendo
piuttosto riferimento a un alfabeto greco arcaico.
80
 Vd. in particolare Rix 1992, Markey 1998, Markey 1999 e Mees 2000.
81
 Cfr. nota 36.
82
 Vd. l’iscrizione di Björketorp (Blekinge, Svezia, seconda metà del VII secolo)
dove si legge uþArAbAsbA/ hAidRunoronu/ fAlAhAkhAiderAg/ inArunARArAgeu/
hAerAmAlAusR/ utiARwelAdAude/ sARþAtbArutR che (secondo l’interpretazione pro-
posta in Krause 1966, pp. 214-218) significa: “Profezia di male! Ho nascosto qui la
serie delle rune luminose, rune magiche. Con comportamento perverso senza pace,
straniero è di una morte maligna chi distrugge [questo monumento].”

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86 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

co.83 D’altro canto va anche considerato che l’utilizzo delle rune


appare fin dall’inizio connesso ai rituali in onore dei defunti (il che
in epoca vichinga si tradurrà nelle numerosissime lapidi di carat-
tere commemorativo). Non soltanto infatti nelle tombe sono stati
ritrovati oggetti con iscri­zioni,84 ma testi runici risultano incisi in
presenza di sepolture. Particolarmente interessanti da questo pun-
to di vista sono i casi dell’iscrizione gotlandese di Kylver e di quel-
la norvegese di Eggjum (nella regione di Sogn e Fjordane). L’una
(prima metà del V secolo) riporta su una riga la serie ininterrotta
dei ventiquattro segni dell’alfabeto runico antico (qui per la prima
volta elencati)85 e poi il palindromo sueus (di significato oscuro).
L’altra, che risulta essere la più lunga redatta con l’alfabeto runico
antico, si fa risalire attorno all’inizio dell’VIII secolo: l’interpreta-
zione del testo resta tuttavia per molti aspetti assai difficoltosa.86
Va notato che in entrambi questi casi le iscrizioni erano state rea-
lizzate in modo da essere visibili solo dall’interno della tomba.
L’aspetto magico-religioso si rileva del resto anche dal­l’etimologia
della parola “runa” (ant. nord. rún, pl. rúnar) che signi­fica “segre-
to”, “mistero” e appare connessa con diversi termini delle altre
lingue germaniche, in particolare verbi che hanno il senso di “sus-
surrare”, “bisbigliare”, “fare un discorso segreto”.87 Del resto:
mentre due pietre runiche sottolineano chiaramente il carattere
“divino” di questi segni,88 alcune fonti che – sebbene redatte in
forma scritta molto più tardi – sono certamente collegate alla tra-

83
 Si vedano a esempio l’incisione sulla pietra di Ellestad (presso Söderköping,
Östergötland, Svezia, datazione incerta), quella di Gummarp (Blekinge, Svezia, VII
secolo), quella sul manico di lancia di Kragehul (Fionia, Danimarca, VII sec.), quella
sull’amuleto di Lindholm (Scania, Svezia, VI sec.).
84
 Si veda a esempio la tomba danese di Himlingøje (fase più recente dell’età del
ferro romana; cfr. nota 27) dove tra i doni del ricco corredo funebre della defunta sono
state trovate due fibule sulle quali erano state incise rispettivamente le parole hariso
(nome proprio) e widuhudaR (da leggere quasi certamente widuhundaR “cane del
bosco”), probabilmente un antroponimo maschile; o la tomba norvegese di Øvre
Stabu (Oppland) dove insieme ad altri oggetti si trova una punta di lancia con sopra
inciso raunijaR, verosimilmente “che mette alla prova”.
85
Dell’alfabeto runico si conoscono due serie. Quella antica consta di ventiquattro
segni e risulta in uso fino alla seconda metà dell’VIII secolo. Dopo di ciò compare la
serie recente, ridotta a sedici segni, che presenta due varianti principali.
86
 Vd. tra l’altro Jacobsen L., Eggjum-stenen. Forsøg paa en filo­logisk Tolk­ning, Køben-
havn 1931 e Magnus B., “Eggjasteinen. Et dokument om sjamanisme i jern­alderen?”, in
Indre­lid S. – Kaland S. et al. (red.), Festskrift til Anders Hagen (= Arkeologiske Skrifter
fra Historisk Museum, Universitetet i Bergen: 4), Bergen, 1988, pp. 342-356.
87
 de Vries 1962² (B.5), pp. 453-454 (voce rún).
88
 Si tratta della pietra di Noleby (VII secolo) e di quella di Sparlösa (IX secolo),
entrambe nella regione svedese di Västergötland.

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Verso la storia: l’età del ferro 87

dizione orale e alle credenze magico-religiose del paganesimo


nordico, testimoniano non soltanto la loro stretta relazione con il
dio Odino (il quale dal loro possesso traeva le proprie qualità di
dio-mago conoscitore dei segreti dell’esistenza),89 ma fanno anche
preciso riferimento all’uso magico delle singole rune.90 Testimo-
nianze di questo tipo non possono certamente essere sottovalutate.
Del resto che la scienza delle rune sia patrimonio di pochi è atte-
stato – innanzi tutto – nei diversi casi in cui ci troviamo di fronte
all’orgogliosa rivendicazione di paternità di talune iscrizioni, che
talora consistono solo nell’affermazione dell’identità dell’incisore.91
L’apposizione della ‘firma’ è ancora testimoniata in epoca vichinga,
vale a dire in una fase nella quale l’alfabeto runico risulta utilizzato
in misura preponderante per iscrizioni di carattere commemorativo.
Occorre qui osservare che in diversi casi la figura del ‘maestro di
rune’ appare strettamente connessa alla sfera magico-religiosa. In
un certo numero di queste iscrizioni nelle quali ci troviamo davan-
ti all’indicazione dell’autore (otto occorrenze) costui si definisce
erilaR/irilaR, termine che pare poter essere inteso come denomi­
nazione propria del ‘maestro di rune’.92 Questa parola ha innescato
tutta una serie di speculazioni, dal momento che essa parrebbe
essere corradicale di termini come il nordico jarl, l’anglosassone eorl
e l’antico sassone erl (derivati da un proto­germanico *erlaz) con i

89
Il riferimento è, soprattutto, al carme eddico Dialogo dell’Alto (Háva­mál in Edda
poetica), str. 138-163 (vd. p. 292).
90
Si veda innanzi tutto il carme dell’Edda poetica dal titolo Viaggio di Skírnir o
Dialogo di Skírnir (Fǫr Skírnis o Skírnis­mál, vd. p. 292) nel quale costui, servitore del
dio Freyr, minaccia la gigantessa Gerðr (che non vuole accettare di sposare il dio) di
scaricarle addosso una terribile serie di maledizioni incidendo segni runici potenti. Tra
gli esempi che si possono trovare nelle saghe islandesi, basti citare qui l’episodio
riportato nella Saga di Egill Skalla-Grímsson (Egils saga Skalla-Gríms­sonar, capp. 72 e
76), dove si riferisce della malattia di una ragazza provocata da un uomo inesperto che
– avendo intagliato delle rune allo scopo di farla innamorare – aveva messo in pratica
una procedura sbagliata.
91
Un ottimo esempio è l’iscrizione su uno dei due celebri corni d’oro di Gallehus
(Jutland meridionale, Danimarca, VI secolo d.C.). Rinvenuti nel medesimo luogo a
circa 100 anni di distanza (1639 e 1734), essi erano riccamente istoriati (nelle immagini
raffigurate A. Olrik ha voluto riconoscere rispettivamente gli dèi Odino, Freyr e Thor:
vd. “Gudefremstillinger på Guldhornene og andre ældre Mindes­mærker”, in DS 1918,
pp. 1-35). Purtroppo questi due reperti eccellenti sono andati perduti (sottratti nel 1802
furono fatti fondere) e non ci restano che delle copie realizzate in base a disegni. Uno di
loro recava un’incisione in caratteri runici: ek hlewagastiR holtijaR horna tawido “io,
Hlevagast [figlio] di Holti feci il corno” (Krause 1966, pp. 97-103). Su questi reperti vd.
anche Brøndsted J., Guld­hornene. En oversigt, Nationalmuseet [København] 1954.
92
Vd. Krause 1966, pp. 43-44. Non così tuttavia in Musset 1965, pp. 149-150; in de
Vries 1962² (B.5), p. 104 il termine è inteso solo come allusione a una funzione sacerdotale.

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88 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

quali si designa un uomo di livello sociale assai eminente.93 Inoltre


essa è stata avvicinata all’etnonimo Eruli (in questo caso la radice
sarebbe un protogermanico *erulaz),94 un popolo la cui sede origi-
naria va verosimilmente individuata – come è stato detto – nella
regione danese (Selandia e isole vicine) dalla quale, secondo Gior-
dane, esso sarebbe stato espulso dai Dani.95 Se si volesse combinare
la teoria di E. Elgqvist, secondo il quale gli Eruli costituivano piut-
tosto che un popolo vero e proprio una classe di guerrieri aristocratici,96
con quella sostenuta in particolare da K. Helm, per il quale il culto
di Odino sarebbe stato da costoro introdotto in Scandinavia nel
corso della loro ‘migrazione di ritorno’ agli inizi del VI secolo d.C.,97
si sarebbe tentati di stabilire ulteriori collegamenti: in una simile
ipotesi di lavoro ci si incamminerebbe tuttavia su un campo minato,
dal momento che i numerosi elementi da considerare – non ultimi
la mancanza di una corrispondenza diretta tra i segni runici e il dio,98
la datazione precisa delle singole iscrizioni (in ‘troppi’ casi anterio-
ri al VI secolo),99 la loro collocazione geografica, gli elementi forni-
ti dall’iconografia (raffigurazioni di divinità sulle bratteate) – non
hanno ancora trovato una definitiva e concorde interpretazione.
Come che sia le iscrizioni runiche ci permettono innanzi tutto
(pur con le molte limitazioni dovute da una parte alle difficoltà di
interpretazione e dall’altra al lessico fortemente circoscritto)
di conoscere la lingua parlata (e, almeno in parte, anche la lingua
poetica)100 all’epoca della loro realizzazione nelle regioni danesi e
in quelle centro-meridionali della Svezia e della Norvegia. Esse
93
Vd. Andersen H., “Om urnordisk erilaR og jarl”, in Sprog og kultur, XVI (1948),
pp. 97-102 e anche de Vries J., “Über das Wort ‘Jarl’ u. seine Verwandten”, in La
nouvelle Clio, VI (1954), pp. 461-469. Sulla dignità di jarl vd. p. 210.
94
Vd. Krause 1971 (B.5), p. 141.
95
Vd. p. 78 e note 57, 58 e 64.
96
Vd. Elgqvist 1952 (C.3.3), pp. 109-135 e anche: Ellegård A., “Who were the Eruli?”,
in Scandia, LII (1986), pp. 5-30; Olsen M. – Shetelig H., Kårstad-ristningen. Runer og
helle­ristninger, Bergen 1929, pp. 58-60; Hougen B. – Olsen M., “Runespennen fra
Bratsberg i Gjerpen”, in Viking 1937, pp. 65-68; Krause 1966, p. 44. Del resto la teoria
di Elgqvist è accettata da diversi runologi ed è ritenuta probabile anche in studi recenti;
vd. Birkmann 1995, p. 156, ma anche Hultgård 1998 (B.7.1), pp. 715-725, dove si
sottolinea il carattere di formula cultuale delle iscrizioni in cui compare il termine ek
“io”, sempre collegato al termine erilaR/irilaR. Vd. anche Nielsen 2000 (B.5), p. 51.
97
Helm 1925 (C.3.3), p. 19.
98
Contrariamente a quanto avviene per altre due divinità principali quali Týr (il cui
nome corrisponde a quello della runa ᛏ) e Thor che in diverse occasioni viene diret-
tamente invocato a consacrare le rune medesime (cfr. p. 171 con nota 280).
99
Vedi le datazioni proposte in Krause 1966, pp. 313-318, da cui comunque si
rileva che le iscrizioni ‘eruliane’ appartengono alla fase più antica.
100
Vd. oltre, p. 284.

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Verso la storia: l’età del ferro 89

inoltre costituiscono testimonianze dirette e non condizionate


sulla vita degli uomini nordici nell’età del ferro.
*
Tavola della serie dei segni runici (fuþark) e delle loro corrispon-
denze nell’alfabeto latino (con le opportune integrazioni)101
Alfabeto runico antico e corrispondenze:

ᚠ ᚢ ᚦ ᚨ ᚱ ᚲ ᚷ ᚹ ᚺ ᚾ ᛁ   ᛈ ᛉ  ᛏ ᛒ ᛖ ᛗ ᛚ ᛜ ᛞ ᛟ
f u þ a r k g w h n i j E p R s t b e m l ŋ d o
Alfabeto runico recente e corrispondenze:

ᚠ ᚢ ᚦ ᚨ ᚱ ᚴ ᚼ ᚾ ᛁ ᛅ ᛋ ᛏ ᛒ ᛘ ᛚ ᛦ
f u þ ą r k h n i a s t b m l R

Il segno ᚦ (che si ritrova nell’islandese moderno come þ) rappre-


senta una fricativa dentale sorda (come th nell’inglese thin); ᚨ
rappresenta il suono a che nel fuþark recente è assai spesso una a
nasalizzata (e viene dunque traslitterata con ą o con A); il segno 
(raro) che viene traslitterato con E (o con ė o ï) rappresenta una e
molto chiusa (suono intermedio tra e e i); ᛉ (più tardi ᛦ) viene
traslitterato con R a indicare il valore fonetico di una antica s sono-
ra rotacizzata e probabilmente pronunciata in protonordico come
approssimante (post)alveolare;102 ᛜ (traslitterato con ŋ) esprime la
nasale velare (come nella ng del tedesco singen).

2.6. L’età dei Merovingi

Come è stato detto, l’età dei Merovingi (550 d.C.-800 d.C.) è


definita preferibilmente in Svezia età di Vendel.103 In questo

101
Le serie qui riportate (riprese da Musset 1965, p. 21) costituiscono uno schema
sommario dell’alfabeto runico a ventiquattro e a sedici segni (serie ‘antica’ e ‘recente’).
Per ragioni di semplicità non si dà conto delle varianti, per le quali si rimanda alla
letteratura critica citata in bibliografia.
102
Ovvero come una fricativa molto debole, articolata nel luogo alveolare (come s)
o più posteriore. Tale suono si fuse successivamente con la liquida r, sicché quando
venne adottato l’alfabeto norreno di origine latina la distinzione scomparve anche dal
punto di vista grafico.
103
Vd. sopra, nota 11.

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90 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

periodo sono poste le basi di quella che sarà l’evoluzione politica,


sociale e culturale dell’era vichinga. I reperti sono di straordina-
rio interesse e assai spesso di raffinata fattura. Armi, fibulae,
lamine lavorate con diverse immagini, finimenti per le cavalcatu-
re e altro ancora danno testimonianza di una tecnica eccellente.
Del resto – certamente fin dall’età del bronzo – la figura del
fabbro-artigiano, capace di dominare il fuoco per plasmare il
metallo e infondervi forma per poi arricchirla con preziose deco-
razioni (una competenza in un certo senso intesa come scienza
magica), era oggetto di una specifica considerazione e si vedeva
dunque riconosciuta una specifica posizione all’interno della società:104
un fatto che anche in ambiente scandinavo avrà ricadute nella let-
teratura mitologica.105
Un’aristocrazia costituita da sovrani locali sostenuti da una
considerevole forza militare ha assunto un ruolo preminente. Un
credo religioso che ne legittima il potere è ora ben consolidato
nei suoi vari aspetti. D’altra parte solo da questa fase (mentre la
religione pagana va trovando nuovi equilibri)106 possiamo parlare
con certezza di un’iconografia riferibile alle divinità,107 le cui
testimonianze sono per altro riconoscibili anche su diversi reper-
ti (elmi, lamine, bratteate). Tumuli maestosi che ancora segnano
il paesaggio nordico costituiscono la sepoltura e tramandano il
ricordo di questi perso­naggi. Tra questi monumenti i più famosi
sono certamente quelli svedesi di Gamla Uppsala (Uppland) e di
Högom (Medelpad) o quelli norvegesi di Olvishaugen (presso
Alstadhaug nel fiordo di Trond­heim), di Jellhaugen (Østfold) e
di Raknehaugen (Romerike), il più imponente di tutti.108 Ma il
ricordo di questi uomini viene ora affidato, per la prima volta,
anche a fonti di carattere letterario. Sebbene lontani nello spazio
104
Sul carattere ‘sacrale’ della figura del fabbro vd. ELIADE M., The Forge and the
Crucible, The University of Chicago Press 1978² e anche ROBINS W., The smith. The
traditions and lore of an ancient craft, London 1953.
105
Celebre è la figura del mitico fabbro Vǫlundr, vd. oltre, pp. 218-219 con nota 460.
106
Dalla fine del V secolo si assiste tra l’altro alla progressiva perdita di importanza
delle paludi come luoghi rituali della comunità.
107
Cfr. pp. 164-166.
108
Questo tumulo ha una larghezza di 95 mt. e un’altezza di 15 mt. In realtà, con-
siderati i pochi resti ritrovati all’interno, è difficile stabilire se si tratti di una vera e
propria tomba oppure di un monumento eretto in memoria di un personaggio emi-
nente; vd. Grieg S., “Raknehaugen”, in Viking 1941, pp. 1-28 e Skre D., “Raknehaugen.
En empirisk loftsrydding”, in Viking 1997, pp. 7-42. Sui tumuli di Gamla Uppsala vd.
Nerman B., Vilka konungar ligga i Uppsala högar?, Uppsala 1913 e Lindqvist S.,
Uppsala högar och Ottarshögen, Stockholm 1936. Sul tumulo di Högom vd. Ramqvist
P.H., Högom. The excavations 1949-1984, Umeå 1992.

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Verso la storia: l’età del ferro 91

e nel tempo, testi come il poema anglosassone Beowulf (Beˉowulf)


composto verosimilmente verso l’inizio dell’VIII secolo e che
affonda in buona parte le proprie radici in ambito scandinavo e
la Saga degli Ynglingar di Snorri Sturluson, redatta poco dopo il
1230 e a sua volta basata innanzi tutto sul poema Enumerazione
degli Ynglingar (Ynglingatal, che in essa ci viene tra­mandato) del
poeta (scaldo) norvegese Þjóðólfr di Hvinir (attuale Kvines­dal
nella regione meridionale di Vest-Agder) vissuto nel IX secolo,
mostra­no coincidenze certamente non casuali nella citazione di
sovrani svedesi riconducibili a questo periodo.109 È questo, quanto­
meno, il caso di Oˉ hthere-Óttarr e di Eˉ adgils-Aðils, ma studi appro-
fonditi hanno rivelato altre interessanti convergenze.110 È d’al-
tronde ben più di una semplice ipotesi che proprio qualcuno dei
personaggi citati in queste opere abbia trovato sepoltura nei
tumuli maestosi di cui si è detto. Risale dunque già alla prima fase
dell’età dei Merovingi e a dinastie capaci di affermarsi e gestire
in modo coordinato le risorse di un determinato territorio, la
creazione di centri di potere nei quali va individuato il nucleo dei
futuri stati nordici. In tal senso il sostegno da parte di una classe
sociale di nobili guerrieri dovette risultare decisivo.
Il riflesso dell’importanza riconosciuta ai ‘guerrieri del re’ è
evidente in magnifiche sepolture nelle quali il cadavere del defun-
to è posto in una nave funeraria accompagnato da animali (parti-
colare è la sepoltura di cavalli) e da un ricco corredo nel quale sono
comprese armi di pregevolissima fattura.111 La presenza delle armi
109
Altre fonti di Snorri sono il poema Enumerazione dei Háleygir (Há­leygja­tal)
dello scaldo Eyvindr Finnsson Plagiatore (skálda­spillir) e l’anonimo testo di carattere
genealogico intitolato Sui re dell’Upp­land (Af upp­lendinga konungum).
110
Ho cercato di riassumere questi dati (anche con riferimento ad altre fonti) nell’intro-
duzione alla traduzione della Saga degli Ynglingar (Chiesa Isnardi 1977, pp. 56-58); riman-
do comunque innanzi tutto a Chambers R.W. – Wrenn C.L., Beo­wulf. An Introduction to
the Study of the Poem with a Discussion of the Stories of Offa and Finn, Cambridge 1959,
pp. 1-40. Un ottimo commento al Beowulf si trova anche in Orchard A., A Critical
Companion to Beowulf, Cambridge 2003. In questa questione entrano altresì in gioco
figure di principi danesi e ci si rifà anche ad altri testi, in ambito anglosassone in parti-
colare al Wīdsīð, un poema allitterante (risalente verosimilmente al VII secolo) nel
quale l’autore che, come rivela il nome, è un grande viaggiatore (letteralmente il titolo
significa “viaggio ampio”, cioè “viaggio in lungo e in largo” ma qui deve naturalmente
essere riferito alla persona e diviene dunque “grande viaggiatore”; vd. ed. cit. in EF, p.
210), fornisce una sorta di elenco delle diverse tribù da lui visitate e dei loro principi.
111
Si vedano, in particolare, le tombe svedesi di Vendel e di Valsgärde (Uppland)
su cui si rimanda a Graf­fältet vid Vendel, undersökt af Hj. Stolpe, beskrivet af T.J.
Arne, teckningarne utförda af O. Sörling, Stockholm 1912; Arbman H., “Vendelfyn-
den”, in UFT (1938), XLVI: 2, pp. 1-28; Lindqvist 1926 e Norr S. (red.), Vals­gärde
studies. The place and its people, past and present, Uppsala 2008.

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92 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

non va tuttavia sopravvalutata: altri oggetti non di rado di notevo-


le valore (corni potori, calici di vetro, utensili d’uso quotidiano)
indicano chiaramente che l’attività militare costituiva solo un aspet-
to di un’esistenza caratterizzata da diversi interessi, un contesto in
cui i notabili locali potevano garantire al sovrano supporto econo-
mico (non si dimentichi che dall’VIII secolo assisteremo a una
ulteriore espansione della pratica agricola con conseguenti riflessi
sul piano sociale) e commerciale, così come sostegno in caso di
guerra. D’altronde a questo periodo appartengono anche superbe
sepolture riservate a donne.112 L’intensa attività di scambi è eviden-
te nella tipologia medesima dei reperti, spesso di provenienza
straniera: del resto va ricordato che in questa fase si colloca l’affer-
mazione di centri commerciali di grande importanza, quali Dan­kirke
presso Ribe nello Jutland (nucleo della prima ‘città’ danese)113 e
Helgö sul Mälaren in Svezia.114 Ideale guerriero e interesse mer-
cantile: due elementi caratterizzanti che segneranno in seguito il
periodo vichingo.
Reperti di grande interesse, per quanto provenienti da un’area
circoscritta, sono le cosiddette ‘pietre di Gotland’, sulle quali ci è
stata tramandata una ricca iconografia che fornisce una interes-
sante serie d’informazioni su diversi aspetti della società nordica.115
La loro produzione, che si protrarrà per lungo tempo, conosce tre
periodi principali (V-VII secolo, VIII-IX secolo e X-XII secolo)
l’ultimo dei quali si estende oltre la fine del periodo vichingo.
Sulle pietre di Gotland (la cui tecnica compiuta suggerisce, alme-
no inizialmente, modelli ed esecutori stranieri) è possibile ‘legge-
re’ simboli e figure nel cui dispiegarsi si intrecciano strutture
culturali arcaiche e idee nuove (non da ultimo nella sagoma delle
pietre medesime: dapprima simili a un’ascia con la ‘lama’ rivolta
verso l’alto, successivamente di forma fallica). Le più antiche tra
queste pietre (originariamente posizionate nelle necropoli come
‘marcatori di sepoltura’) riprendono e trasformano, perpetuando-
ne tuttavia il significato più profondo, motivi e simboli geometri-
ci (cerchi, spirali, ‘nodi’, dischi con disegni che suggeriscono un
 Cfr. sopra, p. 69 con nota 27.
112

 Su Dankirke vd. Thorvildsen E., “Dan­kirke”, in NMA 1972, pp. 47-60 e Hansen
113

H.J., “Dankirke. Jern­alder­boplads og rigdoms­center. Over­sigt over ud­gravningerne


1965-1970”, in Kuml, 1988-1989, pp. 201-247.
114
 Più tardi tra i reperti rinvenuti a Helgö comparirà, addirittura, una figura di
Buddha proveniente dalla penisola indiana (si confronti l’immagine che decora un
secchio rinvenuto nella celebre nave funeraria di Oseberg, IX secolo). Su Helgö si veda
Holmqvist W. – Granath K-E. (foto), Helgö den gåt­fulla ön, Uddevalla 1969.
115
 Vd. Lindqvist 1941-1942, Holmqvist 1952 e Nylén 20033.

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Verso la storia: l’età del ferro 93

movimento rotatorio) legati alla tradizione. Ma sulle pietre di


Gotland compariranno anche (specie nel periodo medio) figure
che propongono chiari riferimenti a quel patrimonio mitologico
delle popolazioni nordiche che impareremo a conoscere da fonti
scritte ben più tarde, ma delle quali tuttavia queste pietre costitui-
scono in diversi casi un importante contraltare icono­grafico.116
Del resto buona parte delle leggende eroiche che saranno river-
sate nei preziosi manoscritti islandesi sono palesemente ricondu-
cibili al periodo delle migrazioni. Il più antico testo scritto che vi
accenni sarà, nella prima metà del IX secolo, la pietra runica
svedese di Rök (Östergötland).117 Fin dal periodo delle migrazio-
ni le pietre di Gotland mostrano anche raffigurazioni di imbarca-
zioni a remi, un motivo che se da un lato ricorda i numerosissimi
battelli cultuali presenti nelle incisioni rupestri dell’età del bron-
zo, anticipa dall’altro le successive immagini di navi cariche di
guerrieri vichinghi (finalmente dotate della tipica vela quadra) che
af­frontano un mare agitato. Anche un influsso dello stile decora-
tivo dell’arte cristiana vi sarà a un certo punto riconoscibile. Col
tempo si affermerà la consuetudine di collocare queste pietre in
luoghi di passaggio.
Centri di potere, dinastie e sovrani che s’impongono rivendi-
cando una legittimazione religiosa, guerrieri, ricchi contadini,
commercianti ma anche persone di condizioni sociali modeste
(della cui vita non ci restano tuttavia che scarse testimonianze): il
quadro della società scandinava dell’epoca dei Merovingi prefigu-
ra già sotto molti aspetti le caratteristiche di quella vichinga.

116
In ciò esse trovano un parallelo con le pietre vichinghe sulle isole britanniche
(vd. Shetelig 1933 [C.3.1], pp. 214-230).
117
 Vd. Bugge S., Der Runenstein von Rök in Östergötland, Schweden, nach dem
Tode des Verfassers herausgegeben von M. Olsen, unter Mitwirkung und mit Beiträgen
von A. Olrik und E. Brate, Stockholm 1910.

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94 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

PERIODO
CRONOLOGIA CLIMA CULTURA
STORICO
periodi di: Dryas
remoto (14.000-
12.800 a.C.),
Bølling (12.800-
12.200 a.C.), cultura
Dryas antico di Amburgo,
Paleolitico 14.000-9500 a.C.
(12.200-12.000 cultura
a.C), Allerød di Bromme
(12.000-10.700
a.C.) e Dryas
recente (10.700-
9500 a.C.)118
periodi pre- culture
boreale (9500- di Maglemose,
8500 a.C.), Kongemose,
boreale (8500- Ertebølle
Mesolitico 9500-4100 a.C. 6800 a.C.) culture di Fosna
e prima fase e di Komsa
del periodo culture
atlantico di Nøstvet
(6800-4100 a.C.) e di Lihult

seconda fase del


neolitico antico periodo atlantico
(4100-3000 a.C.) (4100-3500 a.C.), introduzione della
cultura contadina
Neolitico prima fase del
(ce­ra­mica
neolitico periodo
imbutiforme)
recente 119 sub-boreale (dal
(3000-2300 a.C.) 3500 a.C.)

118
I tre periodi che prendono nome di Dryas (dalla pianta Dryas octopetala, in
italiano “camedrio cervino” della famiglia delle Rosacee) sono contrassegnati da un
clima artico e dalla vegetazione tipica della tundra. Tra di essi si collocano due stadi
intermedi caratterizzati da temperature più elevate (clima sub-artico) nei quali la
vegetazione conosce soprattutto lo sviluppo delle betulle. Il primo è detto ‘periodo di
Bølling’ dal nome di un lago ormai prosciugato che si trovava nello Jutland centrale,
il secondo è detto ‘periodo di Allerød’ per via degli studi su sedimenti in un sito nel
territorio di Allerød nella Selandia settentrionale. Le datazioni (basate su Buren­hult
1999-2000 [B.2], I, pp. 163-164) non possono naturalmente essere definite con asso-
luta precisione (cfr. le lievi variazioni in Jensen 2001-2004 [B.2], I, p. 58).
119
Questo periodo è volentieri definito nei testi di archeologia nordici come “età
della pietra agraria” (dan. bondestenalder, norv. bondesteinalder, sved. bonde­sten­ålder).

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Verso la storia: l’età del ferro 95

PERIODO
CRONOLOGIA CLIMA
STORICO
Calcolitico
periodo
(età del 2300-1700 a.C.
sub-boreale
rame)
1700-1100 a.C.
(età del bronzo ultima fase
Età antica) del periodo
del bronzo 1100-500 a.C. sub-boreale
(età del bronzo (fino al 500 a.C.)
recente)
500 a.C.-anno
zero (età del
ferro celtica o
preromana)
anno zero-400
d.C. (età del
ferro romana)
400 d.C.-550
periodo sub-
d.C.
Età del ferro atlantico (dal 500
(età delle
a.C. in poi)
migrazioni)
550-800 d.C.
(età dei
Merovingi o età
di Vendel)
800-1066 d.C.120
(periodo
vichingo)

120
Vd. p. 107, nota 33.

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Capitolo 3

Verso il mondo esterno: il periodo vichingo

3.1. Il movimento vichingo

3.1.1. Contrasti sociali

Per quanto – come si è visto – in alcune aree del Nord si fosse


ormai manifestata chiaramente una tendenza alla formazione di
centri di potere piuttosto solidi gestiti da personaggi appartenenti
a dinastie eminenti e sostenuti da una aristocrazia guerriera (il che
dunque apriva ampi spazi a prospettive individualistiche), la socie-
tà scandinava restava tuttavia nella sostanza saldamente ancorata
a una struttura di tipo tribale alla quale ogni membro della comu-
nità doveva riferirsi a riguardo di ciò che segnava i momenti deter-
minanti della sua esistenza, e l’antica organizzazione manteneva
sostanzialmente la propria efficacia. Dunque le crescenti istanze
soggettive, che nell’età del ferro si manifestano con indiscutibile
evidenza, erano inevitabilmente destinate a collidere con la visione
di vita tradizionale.1 La questione dovette avere, evidentemente,
un forte impatto sociale. Il mondo nordico verso la fine dell’età del
ferro è per molti versi ancora permeato dal principio del colletti-
vismo: i legami familiari costituiscono il collante fondamentale dei
rapporti interpersonali e sociali e i componenti della comunità (alla
quale, con vincolo indissolubile e per una sorta di continuità invio-

1
Sebbene ormai datati, restano a mio modo di vedere del tutto affidabili e convin-
centi i risultati degli studi condotti su questo aspetto da M. Scovazzi. Questo studioso,
analizzando l’antica società germanica e nordica da una prospettiva giuridica, ha
saputo evidenziare chiaramente la presenza e l’interrelazione delle due componenti
(comunitaria e individualistica), sottolineando il loro ‘peso’ nella evoluzione della
società scandinava (Scovazzi 1957 [B.8], pp. 201-257 e pp. 258-263).

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Verso il mondo esterno: il periodo vichingo 97

labile, seguitano ad appartenere anche i defunti che garantiscono


ai discendenti fecondità e protezione) condividono vita quotidiana,
fede religiosa e, soprattutto, destino. All’interno della Sippe2 devo-
no prevalere vincoli di assoluta lealtà e pace, con ciò intendendo il
concetto espresso nel termine friðr, cioè “la feconda evoluzione di
una società naturale e collettiva legata da rapporti di parentela che
[...] determina anche l’uguaglianza, la parità dei diritti e, per così
dire, l’interscambiabilità in ogni circostanza.”3 Gli atti fondamen-
tali dell’esistenza (a esempio il matrimonio) hanno il solo scopo di
accrescere il benessere della comunità; la sorte e l’onore individua-
le assumono un senso solo in riferimento a quella; l’imprescindibi-
le dovere della vendetta per i congiunti (che può essere rivolta non
soltanto contro l’effettivo uccisore ma altrettanto opportunamente
contro un suo parente) mostra con tutta evidenza la sacralità dei
legami di sangue, dalla quale è tutt’altro che disgiunto l’aspetto
‘economico’ del benessere e della difesa della propria stirpe (il che
spiega i casi in cui veniva pattuito e accettato un guidrigildo, cioè
una ricompensa sotto forma di beni o di denaro che ‘sanava’ il
delitto commesso). Proprio l’associazione fra grandi famiglie (Sip‑
pen) fonda potentati di una certa entità geografica,4 che in qualche
forma vengono a costituire nuclei di Stato. In questo quadro, che
in buona parte ci viene delineato da fonti scritte di epoca ben più
tarda, tra cui, in particolare, le saghe degli Islandesi (redatte in un
ambiente particolarmente conservatore e la cui affidabilità pare da
questo punto di vista sufficientemente sicura),5 eromperà un ele-
mento destinato a sconvolgere gli equilibri e a dare impulso a
profondi cambiamenti: l’ideale di vita dei vichinghi.
In effetti costoro incarnano il principio dell’individualità inteso
come tensione verso la realizzazione di obiettivi personali, di carat-
tere tanto economico quanto politico e sociale. L’associazione di
questi uomini, che conoscerà forme regolamentate,6 darà vita a

Vd. sopra, p. 36 e nota 82.
3
Scovazzi 1957 (B.8), p. 204.

A questo tipo di associazione viene convenzionalmente dato il nome di Bund. Su
questo, ancora, Scovazzi 1957 (B.8), pp. 251-252 e pp. 267-276.
5
Nonostante una nutrita serie di studi abbia ben sottolineato l’aspetto letterario
piuttosto che storico di questi testi, condivido l’opinione di Marco Scovazzi (Scovazzi
1957 [B.8], pp. 85-87) secondo la quale essi comunque riflettono in buona parte
strutture socio-culturali assai antiche.
6
Nella terminologia nordica queste associazioni vengono definite félag, termine
composto da fé (n.) “denaro”, “ricchezza” e lag (n.) “compagnia”, “associazione”, il
che chiaramente esprime l’aspetto commerciale di tali accordi. Più tardi un altro ter-
mine significativo indicante un’alleanza di carattere commerciale sarà gildi (n.) “gilda”,
una tipologia di associazione introdotta nel Nord da mercanti scandinavi o stranieri e

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98 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

gruppi ben definiti che troveranno uno sfogo al loro desiderio di


affermazione nelle imprese che li renderanno famosi. Sebbene sia
evidente che i vichinghi non sono – come la tradizione popolare si
ostina a credere – un popolo, bensì piuttosto degli individui che in
contrasto con la società tradizionale perseguivano nuovi valori, non
è difficile comprendere la ragione di questo diffuso malinteso, in
quanto essi, spinti dalle proprie aspirazioni di arricchimento e
successo, si presentarono agli occhi del resto del mondo come gli
unici, temibili e terribili rappresentanti delle popolazioni del Nord.
Tuttavia: una gran parte degli abitanti della Scandinavia restava
nelle terre d’origine e continuava a vivere secondo i canoni della
società contadina tradizionale. Nelle fonti scritte, soprattutto islan-
desi, il contrasto tra queste due visioni di vita appare evidente e
sarebbe irrealistico non prenderne atto. Ci fu un tempo in cui, nel
mondo scandinavo, quel conflitto tra padri e figli che si rinnova a
ogni cambio generazionale venne in un certo senso a coincidere
con una contrapposizione che si potrebbe definire epocale, con un
momento di rivolgimento sociale inarrestabile. Il contrasto tra
l’esigenza di una adesione a modelli di vita tradizionali e il deside-
rio di una affermazione personale divenne in molti casi assai duro
e diede luogo a dissidi e separazioni.7 L’antica società contadina
sarebbe stata capace di sopravvivere e di adattarsi alle nuove istan-
ze, ma i cambiamenti che il mondo nordico avrebbe conosciuto in
conseguenza dell’affermazione dell’ideale vichingo sarebbero risul-
tati decisivi.
Come si è detto le radici di questa dicotomia sono da ricercare
molto indietro nel tempo. Nel mondo delle tribù germaniche fin
dall’epoca antica erano presenti gruppi organizzati di uomini al
seguito di un capo la cui regola di vita era la ricerca di un’afferma-

solennemente istituita nel corso di un convito nel quale avvenivano libagioni consa-
cratorie (in nordico il termine gildi ha infatti anche il significato di “convito”). Su
questo vd. Cahen 1921 (B.7.1), pp. 91-96, passim, cfr. p. 345.
7
Solo per portare un esempio basterà qui citare la vicenda (seppure in buona
parte fantasticamente elaborata) di un personaggio vissuto tra il X e l’XI secolo, Gunn-
laugr, detto “Lingua di serpente” (ormstunga) del quale è riferito nell’omonima Saga
di Gunnlaugr Lingua di serpente (Gunnlaugs saga ormstungu), composta nel XIII
secolo. Assai significativo dal punto di vista di quanto qui esposto è un episodio che
narra di come il protagonista, seppure giovanissimo, volesse partire dall’Islanda per
tentare la sorte all’estero. Di fronte al netto rifiuto del padre a fornirgli l’equipaggia-
mento e i beni necessari per tale viaggio (“Non otterrai da me il consenso e non andrai
da nessuna parte, prima che io lo voglia”; DLO nr. 10) egli si era allontanato da casa,
abbandonando la famiglia e andando a vivere nella fattoria di alcuni conoscenti. In
seguito Gunnlaugr avrebbe comunque finalmente ottenuto di entrare in società con
altri acquistando una quota pari alla metà di una nave e quindi partire per l’estero.

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Verso il mondo esterno: il periodo vichingo 99

zione per conseguire la quale essi non esitavano ad affrontare


imprese rischiose. Questo tipo di aggregazione, che è già delineata
in un testo come la Germania di Tacito, dove ha nome comitatus,8
viene con termine tedesco definita dagli studiosi Gefolgschaft.9
È importante domandarsi quali cause abbiano a un certo punto
determinato nella società nordica un’espansione di questo fenome-
no tale da produrre effetti così rilevanti, dal momento che essa non
solo si situa in un determinato periodo di tempo, ma coinvolge
tutte le genti scandinave. Le cause del movimento vichingo ritenu-
te più probabili sono sostanzialmente le seguenti: una crescita
demografica che avrebbe sottratto risorse a buona parte della
popolazione, una trasformazione e un nuovo sviluppo del commer-
cio tra la Scandinavia e gli altri Paesi, l’attitudine guerriera di
questi uomini, il desiderio di arricchimento e di successo, il rag-
giungimento di una tecnica nautica di livello molto elevato che
permetteva di costruire imbarcazioni in grado di affrontare con
notevole sicurezza il mare aperto.10 Inoltre si è considerato che
l’espansione vichinga starebbe in un certo senso a rappresentare
una sorta di appendice delle grandi migrazioni che – come si è
visto – avevano coinvolto in misura considerevole anche tribù
provenienti dal Nord. Molto probabilmente nessuna di queste ipo-
tesi può offrire da sola una soluzione al problema ed è ragionevole
supporre che fattori diversi abbiano contribuito in diversa propor-
zione a questo fenomeno.11 Certamente non aiuta granché neppure
l’etimologia del termine “vichingo” (antico nordico víkingr,
m.; cfr. víking, f., “scorreria”) che resta, a sua volta, uno dei pro-
blemi sostanzialmente insoluti della filologia nordica, sebbene la
più probabile interpretazione sia quella che rimanda al nordico vík
(f.) “baia” (con l’aggiunta del suffisso ‑ing) proponendo dunque il
significato di “predone [che approda] nelle baie” o “predone [che
va] di baia in baia”.12 Si tenga del resto presente che questa parola
8
Capp. 13-14.
9
Letteralmente “seguito”, quindi “[schiera al] seguito [di un capo]”. Il termine è,
appunto, ricalcato sul latino comitatus “accompagnamento”, “scorta”, “seguito”.
Sulla questione si rimanda anche in questo caso a Scovazzi 1957 (B.8), pp. 211-223.
10
Già Tacito (Germania, cap. 44) aveva riferito della grande abilità marinaresca dei
Suiones (verosimilmente gli Svear, una delle tribù svedesi) e, certamente, le diverse
raffigurazioni di navi risalenti a epoche anche assai antiche dimostrano in maniera
inequivocabile l’esperienza dei popoli nordici in questo campo. Ma nell’epoca vichin-
ga la nave diviene un vero e proprio strumento di conquista.
11
Una utile discussione su questo aspetto si può trovare in Jones 1977, pp. 190-213
e Barbarani 1987, pp. 327-433.
12
In de Vries 1962² (B.5), pp. 662-663 si dà conto delle diverse opinioni. Vd. anche
Askeberg 1944 (C.2.1), pp. 114-183; Hellberg S., “Vikingatidens vikingar”, in ANF

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100 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

risulta attestata al di fuori dell’area nordica già nell’VIII secolo


(inglese antico wicing e alto tedesco antico wıˉhhing) e inoltre che
i termini víkingr e víking compaiono in un numero limitato di casi
sulle pietre runiche del periodo vichingo, mostrando infine una
certa diffusione nella poesia (soprattutto scaldica)13 e nelle fonti
islandesi.
In ogni caso è verosimile che questi gruppi raccogliessero con
una certa facilità giovani che, seppure appartenenti a diverse fami-
glie, erano stati allevati insieme, secondo un uso – frequente in
Scandinavia – per il quale spesso i figli venivano fatti crescere
presso persone di grado sociale meno elevato. Anche la posizione
di inferiorità (non da ultimo dal punto di vista ereditario) di molti
figli cadetti o illegittimi che si sentivano frustrati nelle proprie
ambizioni dovette essere determinante al riguardo. Le fonti ci
informano di una cerimonia con la quale si poteva divenire “fratel-
li di sangue”, una pratica che presumibilmente si estese a quanti
volevano costituire nuovi rapporti e porre su basi diverse la propria
vita e il proprio destino. È infatti molto importante considerare,
accanto all’aspetto guerriero, i patti (con solide basi di carattere
economico e commerciale) che univano questi uomini, legami
stretti sulla base di precisi negozi giuridici14 e dei quali dunque il
cosiddetto giuramento di “fratellanza di sangue” (fóstbrœðralag),
la cui cerimonia viene descritta nei particolari nella islandese Saga
di Gísli Súrsson (Gísla saga Súrssonar), poteva costituire la solenne
consacrazione.15 In proposito va osservato che – in un certo senso
paradossalmente – il nuovo rapporto che si veniva a creare ripro-
poneva, per molti aspetti, valori e obblighi che ricalcavano quelli
presenti nella società tradizionale, che pure questi uomini abban-
donavano per intraprendere una vita nuova. Perché, se è vero che
essi voltavano le spalle ai doveri nascenti da quei vincoli di sangue
che per secoli avevano costituito il punto di riferimento fondamen-
tale del tessuto sociale, è altrettanto vero che tra di loro si costitui-

VC (1980), pp. 25-88; Hødnebø F., “Hvem var de første vikinger?”, in MoM 1987, pp.
1-16; Holm G., “Ordet viking än en gång”, in MoM 1988: 1-2, pp. 144-145; Hødnebø
F., “Ordet viking. Replikk til Gösta Holm”, in MoM 1988: 1-2, pp. 146-151; Holm G.,
“Orden víkingr, m., och víking, f. Replikk til en replikk”, in MoM 1988: 3-4, pp. 188-
189 e Hofstra T., “Changing views on Vikings”, in Tijdschrift voor Skandinavistiek,
XXIV (2003), pp. 147-159 (dove si riassume la questione); cfr. nota 221.
13
 Vd. oltre, 5.2.2.
14
 Si vedano in particolare il patto che costituiva una società (félag) e l’appartenen-
za ad associazioni o confraternite (gildi); vd. Scovazzi 1957 (B.8), pp. 223-226; cfr.
sopra, nota 6.
15
 Vd. Bø 1959 e il testo a p. 102.

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Verso il mondo esterno: il periodo vichingo 101

va un nuovo legame in base al quale essi si obbligavano alla reci-


proca vendetta e alla condivisione di un comune destino. Come se,
allontanandosi dall’ambiente in cui avevano le proprie radici (e nel
cui ambito va comunque ricondotta l’origine dell’istituto del fóst‑
brœðralag), i vichinghi sentissero in qualche modo il bisogno di
ricostituire (seppure in diversa forma) le certezze contro le quali si
erano ribellati, ricreando rapporti analoghi a quelli che con le loro
scelte avevano reciso. E così coloro che dal punto di vista della
società tradizionale venivano considerati come ribelli, quando non
addirittura come malviventi,16 appaiono spesso, non soltanto nella
tradizione leggendaria ma anche nella più concreta poesia scaldica,
come personaggi segnati da forti princìpi morali e, assai sovente,
da un ineluttabile destino. È stato opportunamente osservato che
la gran parte del movimento vichingo fu innanzi tutto – accanto
alle spedizioni guidate (tuttavia solo in un secondo momento) da
importanti sovrani – un movimento nato nell’ambito di una aristo-
crazia rurale che, logorata da tensioni locali, andò cercando uno
sbocco alle proprie ambizioni insoddisfatte al di fuori dalle terre
di origine.17
Certamente i gruppi di vichinghi non vanno immaginati come
‘bande allo sbando’ né, al contrario, idealizzati in termini di lette-
ratura eroica, come per lungo tempo avverrà nell’ottica del movi-
mento ‘goticista’18 o più tardi di quello romantico: una tendenza
che ha, del resto, radici lontane come appare (ma non solo!) nel
caso esemplare della Saga dei vichinghi di Jómsborg (Jómsvíkinga
saga), un testo medievale (la cui redazione scritta risale agli inizi
del XIII secolo) incentrato sull’esaltazione delle virtù di un gruppo
scelto di guerrieri e del loro capo Pálnatóki che avevano sede nel-
la fortezza di Jómsborg.19 Se è d’altronde testimoniato che gruppi
di vichinghi organizzati occupavano vere e proprie postazioni
militari dalle quali partivano per le loro incursioni, è altrettanto

16
Nelle fonti più tarde non è infrequente che il termine “vichingo” venga usato in
senso denigratorio. Se ne veda un esempio già nella Saga di Gunnlaugr Lingua di ser‑
pente (un testo redatto, come si è detto, nel XIII secolo) a proposito di un certo Þórormr,
definito – con intendimento spregiativo – “il più grande predone e vichingo” (cap. 7,
p. 72: “inn mesti ránsmaðr ok víkingr”) e nel Libro dell’insediamento (Landnámabók;
vd. p. 310) dove un tale Þorbjǫrn viene detto “vichingo e malfattore” (p. 200: “víkingr
oh illmenni”). In Scovazzi 1957 (B.8), pp. 222-223 si rileva, opportunamente, l’affini-
tà che per taluni versi li legava ai berserkir, i ‘guerrieri furiosi’, devoti di Odino, divi-
nità che incarna al meglio lo spirito vichingo (su di loro vd. oltre, pp. 170-171).
17
Barbarani 1987, pp. 346-347.
18
Vd. oltre, pp. 578-584.
19
Da collocare verosimilmente alla foce del fiume Oder nella località di Wolin.

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102 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

vero che non è assolutamente possibile ricondurre a un modello


generale (certamente legato ad aspirazioni nazional-culturali e a
ricostruzioni letterarie piuttosto che a effettivi fattori storici) un
fenomeno che presenta molti e diversi aspetti (economici, sociali,
politici, militari, forse persino esplorativi) e che – non lo si dimen-
tichi! – copre un arco di tempo di quasi trecento anni.

Dalla Saga di Gísli Súrsson:

“Andarono dunque fuori su Eyrarhválsoddi e là incisero nel terreno una


zolla erbosa, in modo che entrambe le estremità fossero fisse nel terreno, e
misero là sotto una lancia intarsiata, tale che un uomo potesse con la mano
toccare il chiodo che tiene ferma la punta. Tutti e quattro dovevano ora
passare là sotto, Þorgrímr, Gísli, Þorkell e Vésteinn. E ora si tagliarono una
vena e fecero scorrere il loro sangue insieme in quella terra da cui era stata
tagliata via la zolla erbosa e mescolarono tutto insieme, terra e sangue, e
infine caddero tutti in ginocchio e pronunciarono il giuramento che ciascu‑
no avrebbe vendicato l’altro come il proprio fratello, e chiamarono a testi‑
moni tutti gli dèi.”20

3.1.2. Partenze

Per quanto la Scandinavia avesse in precedenza conosciuto


consistenti migrazioni di popoli, nessuna di esse avrebbe provoca-
to conseguenze di così ampia portata come il movimento dei vichin-
ghi: esso infatti non solo ebbe effetti notevoli dal punto di vista dei
Paesi verso i quali costoro si mossero, ma – soprattutto – determi-
nò nel mondo nordico rivolgimenti che non esiteremo a definire
epocali. Dei vichinghi si hanno le prime notizie verso la fine dell’VIII
secolo, quando le navi provenienti dal Nord fanno la loro compar-
sa sulle coste inglesi.21

20
DLO nr. 11. Una informazione coerente con quella della Saga di Gísli viene (anche
se in forma più concisa) dalla Saga dei fratelli di sangue (Fóstbrœðra saga, cap. 2).
21
Nella Cronaca anglosassone è riferito l’episodio relativo al governatore del Dorset,
il quale venne a sapere che tre navi cariche di stranieri erano approdate sulla costa di
Dorchester; con i suoi uomini si recò sul posto per vedere di che si trattava, e voleva
condurli dal re ma venne assalito e ucciso. Queste furono le prime navi ‘danesi’ che
giunsero in Inghilterra. Siamo nell’anno 787 (The Anglo-Saxon Chronicle, I, pp. 96-97;
II, pp. 47-48).

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Verso il mondo esterno: il periodo vichingo 103

3.1.3. Navi vichinghe

Le navi utilizzate dai vichinghi erano il risultato di una tecnica


di costruzione affinatasi nel corso dei secoli22 e capace di produrre
imbarcazioni destinate a usi diversi (militari, commerciali, per la
pesca o anche, semplicemente, per brevi traghettamenti all’interno
dei fiordi). Le fonti scritte non offrono molte informazioni al
riguardo, ma (oltre a fornire termini generici come bátr “barca” e
skip “nave”) distinguono comunque (seppure non siano del tutto
chiare le differenze), tra knǫrr “nave mercantile” (una sorta di
vascello per tutti gli usi provvisto di coperta a prua e a poppa),
byrðingr “nave da carico”, kaupskip “nave mercantile”, karfi “galea
veloce”, skúta “piccola imbarcazione”, “cutter”, ferja “traghetto”,
eikja “piccolo traghetto”, snekkja “nave da guerra veloce” (nel
linguaggio poetico detta fley),23 skeið “nave da guerra”,24 dreki “nave
da guerra con una testa di drago sulla prua”. Nomi di imbarcazio-
ni di tipo mercantile importati dal basso tedesco sono búza (atte-
stato dal XIII secolo; la forma basso tedesca deriva, a sua volta, dal
medio latino buza/bucia) e kuggi/kuggr (forse tuttavia dal frisone).25
Una piccola “imbarcazione a traino”, una sorta di scialuppa aveva
nome epitirbátr.26 In ogni caso i testi lasciano chiaramente intende-
re quale valore fosse attribuito alle navi e come esse rappresentas-
sero un vero e proprio motivo di orgoglio per sovrani e guerrieri.
Celebre fra tutte è certamente l’imbarcazione appartenuta al re
norvegese Olav Tryggvason (vissuto tra il 968 o 969 e il 1000), alla
quale era stato attribuito l’efficace appellativo di “Lungoserpente”
22
Il ritrovamento della nave norvegese di Kvalsund (in Sunnmøre) risalente al
periodo dei Merovingi consente di constatare l’evoluzione delle imbarcazioni scandi-
nave rispetto a ritrovamenti più antichi (Hjortspring, Nydam, cfr. sopra, p. 70, nota
28); vd. Shetelig H. – Johannessen Fr., Kvalsundfundet og andre norske myrfund av
fartøier, Bergen 1929 e anche Magnus – Myhre 1986 (B.2), pp. 440-443.
23
Vd. il testo originale della citazione poetica riportata a p. 126 (DLO nr. 21).
24
Questa parola è attestata anche in due iscrizioni runiche di epoca vichinga: sulla
pietra svedese di Esta (Södermanland, metà dell’XI secolo) e su quella danese di
Tryggevælde (Selandia). Quest’ultima risale all’inizio del X secolo e riporta dunque la
più antica attestazione del termine, inteso qui tuttavia nel senso di “sepoltura in forma
di nave”, con un preciso riferimento a un uso antico ripreso e ben attestato in epoca
vichinga (vd. oltre, p. 216). S.B.F. Jansson (Jansson 1984³ [C.2.5], p. 53) ha in propo-
sito opportunamente rilevato che questo termine viene usato nella Saga degli Ynglingar
di Snorri Sturluson (cap. 23) per indicare la nave funeraria sulla quale venne posto,
per suo stesso ordine, il celebre re Haki ancora agonizzante.
25
Vd. de Vries 1962² (B.5), p. 66 e p. 333.
26
È curioso segnalare che nel linguaggio metaforico questa parola ha il significato
di “individuo tardo, pigro o inerte”: efficace immagine presa a prestito dal mondo
della marineria!

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104 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

(Langdreki).27 Si trattava di una nave assai lunga (tali imbarcazioni


erano designate anche con il termine langskip): a prua e a poppa
recava rispettivamente la testa e la coda di un drago, su ciascun lato
trovavano posto trentaquattro rematori. Al re Olav è attribuita
anche la costruzione di un vascello con ben sessanta postazioni per
rematori su ogni lato. Al posto delle teste di drago (decorate con
vari colori) potevano a volte trovarsi delle teste umane artistica-
mente raffigurate. Anche le prue erano talora dipinte.28
Notizie ben più precise ci vengono da fortunati ritrovamenti
archeologici, in primo luogo quelli delle navi funerarie norvegesi di
Oseberg, Gokstad (ritrovate sotto tumuli nella regione di Vestfold)
e Tune (in Østfold) e quelli danesi di Skuldelev (nel fiordo di Roskil-
de: in questa località sono state rinvenute cinque diverse imbarca-
zioni, tre mercantili e due da guerra).29 La nave di Oseberg (IX se-
colo), vascello funerario che probabilmente contiene i resti d’una
superba regina di nome Ása, ci appare in tutta la sua magnificenza
più come uno status symbol che come una imbarcazione destinata
a solcare l’oceano. Notizie tecnicamente più interessanti si ricavano
dall’esame del vascello di Gokstad, così come da quelli di Skuldelev.
Le navi dei vichinghi venivano spinte dai remi o dal vento: la loro
tipica vela quadra (raffigurata per la prima volta sulle pietre di
27
 Altre navi di questo tipo sono note dalle fonti. A esempio la nave del missionario
Þangbrandr, quasi distrutta per una tempesta (evento cantato in celebri versi dalla
poetessa Steinunn Refsdóttir, cfr. p. 173, nota 291 e p. 307, nota 79) aveva nome
Vísundr (“Bisonte”); il medesimo nome è altrove riferito alla nave del famoso sovrano
norvegese Olav il Santo: vd. a esempio la Saga di Olav il Santo (Óláfs saga helga) redat-
ta da Snorri Sturluson, cap. 144 (cfr. cap. 182) dove essa è definita “la più grande di
tutte le navi” (p. 267: “allra skipa mest”) e descritta con una testa di bisonte decorata
con oro sulla prua; cfr. la versione della saga (nota come Helgisaga Óláfs konungs
Haraldssonar) nelle cosiddette “saghe dei re” (Konunga sǫgur), I, cap. 69 dove si
aggiunge che il sovrano in persona guidava questa magnifica nave.
28
 Nella Canzone per Araldo (Haraldskvæði) attribuita allo scaldo Þorbjǫrn Artiglio
di corno (e in parte a Þjóðolfr di Hvinir), composta in onore di Araldo Bella chioma
dopo la battaglia di Hafrsfjorden (Hafrsfjǫrðr, sul che vd. oltre, pp. 142-143), si legge
(str. 5): “[…] il signore dei Norvegesi/ egli governa le chiglie profonde/ le rosse care-
ne,/ i rossi scudi,/ i remi catramati,/ le tende bagnate di acqua di mare” (DLO nr. 12).
Con “tende” si fa riferimento a semplici ripari in stoffa che venivano sistemati sulle
navi. Allusioni a decorazioni colorate si trovano anche nella Saga di Egill Skalla-
Grímsson, cap. 16 (dove si fa anche riferimento a un vela con bande verticali blu e
rosse) e cap. 36.
29
 Un ritrovamento più recente è quello di Foteviken in Scania; vd. Ingelman-Sundberg
C. – Söderhielm P., Vikingaskepp Foteviken. Marinarkeologisk undersökning 1982,
Malmö 1983 e inoltre (sulle altre navi vichinghe ritrovate): Nicolaysen 1882; Shetelig
1917; Brøgger – Falk et al. 1917-1928; Brøgger – Shetelig 1953; Sjøvold 1959;
Olsen – Crumlin-Pedersen 1978; Marstrander 1986; Damgard Sorensens [sic] 1992;
Crumlin-Pedersen 1997; Crumlin-Pedersen – Olsen 2002.

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Verso il mondo esterno: il periodo vichingo 105

Gotland nell’VIII secolo) le rendeva capaci di sfruttarne al meglio


la forza (anche quando esso non era favorevole). Si trattava di
imbarcazioni agili (e dunque veloci) costruite per lo più in legno
di quercia e di pino. Le navi mercantili, sulle quali era previsto un
ampio spazio per il carico, avevano un equipaggio numericamente
più limitato (fino a otto uomini) e potevano portare merci fino a
venticinque tonnellate. Nelle condizioni migliori la velocità poteva
raggiungere i tredici nodi. Nelle navi da guerra lo spazio destinato
all’equipaggio era, naturalmente, più ampio. L’imbarcazione nr. 2
di Skuldelev, a esempio, che è una delle più grandi navi vichinghe
conosciute (risale al 1060 circa), raggiungeva i 30 mt. di lunghezza
e poteva ospitare un equipaggio di sessanta persone. È stato calco-
lato che, spinta a remi, potesse mantenere una velocità media di
cinque nodi. Tra le navi norvegesi la più grande è quella di Gokstad
che risale alla fine del IX secolo: lunga 23.8 mt. e larga 5.2 mt.
poteva contenere 16 coppie di rematori.

Lo scaldo Sighvatr Þórðarson (ca.995-ca.1045) nel suo componimento


Canzoni del viaggio a oriente (Austrfararvísur) così esprimeva il gusto
vichingo dell’andar per mare:

“Ero spesso felice, quando al largo


aspra intemperie tra i fiordi
nella tempesta, la vela gonfia di vento,
del signore degli Strindir distendeva;
il cavallo degli abissi avanzava magnifico
(le chiglie incidevano il gioiello di Listi)
quando spingevamo le navi sul mare
schiumeggiante oltre lo stretto.”30

3.1.4. Destinazione occidente

In breve tempo le incursioni si intensificarono creando scompi-


glio e terrore. Per quanto si vogliano ‘depurare’ dai toni eccessivi
e dalle forzature stilistiche i resoconti dei tanti autori cristiani che
30
 DLO nr. 13. Le kenningar (metafore, vd. p. 298) sono da intendere così: “signo-
re degli Strindir” è Olav il Santo mentre “gioiello di Listi (un leggendario re del mare)”
è il mare stesso.

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106 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

riferiscono di questi eventi, pure si deve ammettere che il dilagare


delle bande vichinghe fu, nei Paesi europei, un fenomeno sconvol-
gente che avrebbe visto l’azione di uomini abili, determinati e non
di rado spietati, incidere profondamente sugli equilibri del conti-
nente. L’Inghilterra e l’Irlanda, mete favorite dei vichinghi prove-
nienti dalla Danimarca e dalla Norvegia, dovevano conoscere una
lunga serie di devastazioni. È qui appena il caso di citare l’assalto
al celebre monastero di Lindisfarne al largo della costa del Nor-
thumberland (8 giugno 793), a quello di Lambey nei pressi di
Dublino (795), a quello assai celebre di Iona nelle isole Ebridi (che
subì attacchi successivi nel 795, nell’801 e nell’806). Una parte
delle isole britanniche cadde sotto il controllo degli uomini del
Nord. Mentre i suoi compatrioti si installavano negli arcipelaghi
delle Shetland (in nordico Hjaltland) e delle Orcadi (Orkneyjar)
– delle quali sarebbero rimasti padroni fino al XV secolo –31
un norvegese, detto dagli Irlandesi Turgeis (dunque in nordico
Þorgestr), si impossessò di diversi territori fino a proclamarsi
(nell’843) re di tutti i Norvegesi in Irlanda. Egli fece inorridire i
cristianissimi abitanti dell’isola proclamandosi anti-abate a Clon-
macnoise introdusse il culto di Odino e di Thor e impose la moglie
Ota (dunque in nordico Auðr) come sacerdotessa, facendola salire
sull’altare a proferire vaticini al modo delle antiche sibille nordiche.
In seguito, sopraffatto dagli isolani, venne fatto annegare nel lago
detto Lough Owel (845). Dopo di lui fu tuttavia la volta di Óleifr
il Bianco (Óleifr inn hvíti Ingjaldsson, che nelle fonti celtiche com-
pare come Amlaib), il quale nell’853 fondò il Regno di Dublino
(durato fino al 1171), che mantenne fino all’871 quando decise di
tornare in patria lasciando in Irlanda il fratello Ívar (Imar).32
La presenza e il dominio norvegese nelle isole britanniche sareb-
bero successivamente andati incontro ad alterne vicende, conno-
tate da attacchi e contrattacchi, vittorie e sconfitte, rivalità e al-
leanze non solo con i nativi ma anche tra i diversi gruppi di
vichinghi (ivi compresi quelli provenienti dalla Danimarca). Un
intreccio di eventi che ebbe protagonisti di primissimo piano (qua-
li, tra gli altri, i due Olav: Olav Tryggvason e Olav il Santo, grandi
31
 Vd. oltre, p. 457. In proposito si rimanda a Helle K., Orknøyene i norsk historie
– The Orkneys in Norwegian History, Bergen 1988. Anche le Ebridi (in nordico, signi-
ficativamente Suðreyjar “Isole del sud”) furono raggiunte dai vichinghi norvegesi,
molti dei quali vi si stabilirono; qui tuttavia i coloni provenienti dalla Scandinavia non
prevalsero sugli abitanti celtici, come invece era avvenuto negli arcipelaghi delle Shetland
e delle Orcadi; vd. Brøgger 1930 e Goodrich-Freer 1898-1901.
32
 Per una ricostruzione di questi eventi vd. Sveinsson E.Ól., “Fórmali”, in Laxdœla
saga (EF), pp. lxvi-lxxi.

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Verso il mondo esterno: il periodo vichingo 107

cristianizzatori della Norvegia) e culminò nella battaglia di Stamford


Bridge (25 settembre 1066), quando il re norvegese Araldo di Duro
consiglio (Haraldr inn harðráði Sigurðarson) fu battuto (perdendo
la vita) dall’ultimo re anglosassone Aroldo (Harold). Il che avveni-
va solo venti giorni prima che questi (il 14 ottobre) venisse a sua
volta sconfitto nella celebre battaglia di Hastings dal normanno
Guglielmo il Conquistatore (Vilhjálmr Róðbertsson, nelle fonti
nordiche soprannominato bastarðr: “bastardo”).33 Ma la presenza
dei vichinghi norvegesi nelle isole britanniche avrebbe lasciato
molte tracce, non ultimo dal punto di vista linguistico (basti pen-
sare che lo shetlandese e l’orcnoico, il dialetto delle isole Orcadi,
erano lingue di ceppo nordico),34 ma anche nei reperti archeologi-
ci e nell’iconografia: l’isola di Man a esempio conserva testimonian-
ze di tutto rilievo.35
Le diverse zone dell’Inghilterra subirono numerosi attacchi e
conobbero una consistente presenza dei vichinghi danesi. Prove-
nendo dalla Francia essi avevano cominciato a muoversi in questa
direzione fin dall’anno 835 con una spedizione all’isola di Sheppey
(nell’estuario del Tamigi a est di Londra) che insieme a quella di
Thanet (anch’essa nel Kent) divenne poi una loro base. La loro
avanzata conobbe un momento culminante nell’865 quando un
grande esercito guidato dai figli del semi-leggendario Ragnarr
Brache di pelo (loðbrókr),36 diede inizio a una conquista territoria-
le che avrebbe messo a repentaglio l’esistenza stessa dei regni
anglosassoni: York (antico nordico Jórvík) fu conquistata nell’867,
la Mercia e il Wessex nell’869. Emblema della resistenza contro gli
invasori è certamente il sovrano del Wessex, Alfredo il Grande

33
 L’autunno 1066 segna simbolicamente la fine dell’era vichinga, seppure almeno
fino al 1263 i nordici tentassero qualche ulteriore incursione (Jones 1977, pp. 438-439).
34
 Una valutazione dell’impatto della lingua nordica nelle regioni dell’arcipelago
britannico (compresa la questione dei territori scozzesi, delle Ebridi e dell’isola di Man)
si trova in Barnes 2002 (B.5), dove è brevemente discussa anche la situazione lingui-
stica in altre aree colonizzate dai nordici (Normandia, Groenlandia, Russia). Vd. anche,
del medesimo autore, The norn language of Orkney and Shetland, Lerwick 1998 e
Jakobsen J., Etymologisk ordbog over det norrøne sprog på Shetland, I-II, København
1908-1921.
35
 Assai interessanti sono qui (ma anche nella regione dirimpettaia del Cumberland,
particolarmente a Gosforth) le raffigurazioni incise su pietre e croci che rappresen-
tano diverse scene nelle quali è possibile leggere un chiaro riferimento a storie
appartenenti al patrimonio mitologico nordico (vd. KERMODE 1904; cfr. p. 93 con
nota 116).
36
 Così detto perché portava calzoni di cuoio con il pelo sopra. A lui è dedicata la
leggendaria Saga di Ragnarr Brache di pelo (Ragnars saga loðbrókar); cfr. p. 134, nota
137.

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108 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

(848-899) capace di respingere i Danesi, infliggendo loro una seve-


ra sconfitta nella celebre battaglia di Edington nel Wiltshire (878)
e, successivamente, di riconquistare Londra (886).37 Tuttavia, nono-
stante il successo di Edington, egli dovette venire a patti con i suoi
avversari, in particolare con il loro capo Guthrum (nordico Guthormr);
infatti se costui accettò il battesimo avendo come padrino il mede-
simo Alfredo, ottenne al contempo di consolidare la propria auto-
rità su una vasta area dell’Inghilterra nord-orientale che restò, a
tutti gli effetti, territorio danese: questa zona sarebbe stata detta in
seguito Danelagu (cioè “[territorio sottoposto alla] giurisdizione
danese”).38 Dopo questi fatti l’andamento dei rapporti tra gli Ingle-
si e i vichinghi (non solo i danesi ma anche i norvegesi) è costituito
da una serie altalenante di vittorie e di sconfitte (basti come esem-
pio il caso di York, in Northumbria, alternamente conquistata e
ceduta dai signori nordici – anche in lotta tra loro – e dagli anglo-
sassoni), di alleanze e di rivalità, di successi non solo militari ma
politici: il tutto, naturalmente, condizionato alle personalità che
entravano in gioco.39 Tra queste spicca certamente la figura di
Canuto il Grande (in nordico “il Potente”, Knútr inn ríki Sveinsson),
con il quale il dominio danese in Inghilterra raggiungerà il proprio
culmine nel 1017, anno in cui egli verrà riconosciuto unico sovrano
del Paese, un titolo che – affiancato a quelli di re di Danimarca, re
di Norvegia, signore di Scozia e d’Irlanda – lo costituiva padrone
di un vero e proprio impero sul Mare del Nord. Un risultato per

37
La città era stata assalita una prima volta nell’anno 842 e in seguito (872) era
finita sotto il controllo danese. Nell’anno 994 fu di nuovo attaccata dal norvegese Olav
Tryggvason alleato del danese Svend Barba forcuta ma la coraggiosa resistenza degli
abitanti costrinse i nordici a ritirarsi.
38
Il Danelagu (ingl. Danelaw) si estendeva su un’area amministrativamente diso-
mogenea: comprendeva infatti oltre a diversi domini scandinavi limitate enclavi
anglosassoni e piccole repubbliche aristocratiche. Questi territori sarebbero stati
restituiti definitivamente alla sovranità della Corona inglese nel 937.
39
Una eco delle epiche lotte contro i nordici si trova in diversi testi della letteratu-
ra anglosassone. La battaglia di Brunaburh ricorda la brillante vittoria ottenuta nell’an-
no 937 dal re Ethelstano (Æðelstân), nipote di Alfredo, contro un esercito misto
scoto-normanno in una località non identificata (da collocarsi probabilmente sulla
costa occidentale dell’Inghilterra tra Chester e Dumfries). La battaglia di Maldon rie-
voca invece lo scontro avvenuto il 10 o l’11 agosto del 991, nel quale il capo dell’eser-
cito anglosassone Byrhtnoht, eorl dell’Essex, perse la vita. Un altro (breve) testo
poetico, cui è stato dato il titolo La presa dei cinque borough, commemora la riconqui-
sta nel 942 da parte del re inglese Edmondo (Eadmund) dei borough (circoscrizioni
amministrative) di Leicester, Lincoln, Nottingham, Stamford e Derby che facevano
parte del Danelagu; sui cinque borough vd. Hall R.A., “The Five Boroughs of the
Danelaw. A Review of Present Knowledge”, in Clemoes P. – Keynes S. et al. (eds.),
Anglo-Saxon England, XVIII (2007), pp. 149-206.

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Verso il mondo esterno: il periodo vichingo 109

altro temporaneo, se si pensa che solo venticinque anni dopo gli


Inglesi saranno in grado di scegliersi un proprio sovrano.40
La presenza dei Danesi in Inghilterra avrebbe lasciato tracce
copiose: innanzitutto – come è lecito attendersi – nei territori del
Danelagu dove possiamo ricondurre a radici scandinave non solo
numerosi toponimi41 (tra i più significativi quelli in ‑by, dal nordi-
co bú “dimora”, “nucleo abitativo”, “fattoria”;42 in ‑toft, dal nordico
topt/toft “terreno su cui è costruita una fattoria” e in ‑thorp, dal
nordico þorp “piccolo villaggio”, “gruppo di casolari”, più raramen-
te “fattoria isolata”), ma anche alcune strutture sociali e aspetti
giuridici.43 Essa avrebbe altresì esercitato un profondo influsso
sull’antico inglese che doveva accogliere e riversare nella lingua
moderna tutta una serie di vocaboli nordici, quali (solo per citare
alcuni esempi significativi): birth “nascita”, booth “baracca”, “ban-
carella” (da una forma nordica ricostruita *bóð, vd. ant. isl. búð
“alloggiamento provvisorio”, “capanno”, “baracca” e sved., dan.
bod “bancarella”, “negozio”), both “entrambi”, bull “toro”, call
“chiamare”, cast “gettare”, crawl “strisciare”, cut “tagliare”, die
“morire”, egg “uovo”, fellow “compagno” (un particolare sviluppo

40
Alla morte di Canuto il Grande (tumulato nella cattedrale di Winchester), avve-
nuta nel 1035, gli era succeduto dapprima il figlio Araldo, poi (alla morte di questi)
un altro figlio, Hǫrða-Knútr, descritto come un personaggio feroce e vendicativo.
Costui morì nel 1042 e l’assemblea nazionale inglese, witan (o, più precisamente,
witenangemot “assemblea dei saggi”) nominò come suo successore Edoardo (Eadward),
noto come il Confessore (se andettere).
41
I toponimi di origine nordica in Inghilterra sono circa 1400 (sull’argomento vd.
tra l’altro Fellows Jensen 1986 e Fellows Jensen 1994); qui va segnalato che alcuni
sono riferibili al culto di divinità come Odino e Thor (Turville-Petre 1964 [B.7.1],
pp. 71-72 e p. 94).
42
Cfr. il termine inglese by-law che ha senso di “town law”.
43
Il che trova interessanti riscontri nel lessico: si vedano termini quali wapentake
(ant. ingl. wæpen-tæc) “suddivisione di una contea”, un curioso sviluppo del nordico
vápnatak, letteralmente “afferrare le armi”, un gesto di valore legale con il quale nel
corso dell’assemblea si esprimeva il proprio consenso brandendo e agitando le proprie
armi (cfr. la Germania di Tacito, cap. 11); husting “corte”, “tribunale”: ant. nord.
húsþing “assemblea convocata da un re o da uno jarl” (vd. p. 210); riding “divisione
amministrativa” (< þriðing “terza parte di una contea”, cfr. ant. nord. þriðjungr “terza
parte [legale] di un’assemblea”). Nel Domesday Book, dove sono elencati i possedi-
menti del Regno inglese dopo la vittoria di Guglielmo il Conquistatore ricorre il ter-
mine socmannus (corrispondente del danese sognman) con il significato di “uomo
libero” (e anche sochemanna femina “donna libera”); per le occorrenze vd. Foy J.D.,
Domesday Book, 38, Index of Subjects, Chichester 1992, pp. 70-74; vd. anche Maitland
F.W., Domesday book and beyond. Three essays in the Early History of England, London
and Glasgow 1961 (seconda ristampa dell’edizione del 1897), pp. 95-109 e Fuchs R.,
Das Domesday Book und sein Umfeld. Zur ethnischen und sozialen Aussagekraft einer
Landesbeschreibung im England des 11. Jahrhunderts, Stuttgart 1987, pp. 393-399.

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110 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

del nordico félagi, termine che indicava un socio dal punto vista
commerciale),44 get “ottenere”, “ricevere”, give “dare”, happy “feli-
ce” (formato su happ “buona sorte”), hit “colpire”, husband “mari-
to” (dal nordico húsbóndi il “fattore/padrone di casa”), ill “cattivo”,
kid “capretto”, knife “coltello”, law “legge”, leg “gamba”, low
“basso”, outlaw “fuorilegge”, race “corsa”, “gara”, ransack “sac-
cheggio” (un termine davvero significativo!), root “radice”, same
“stesso”, sister “sorella”, skin “pelle”, skirt (in nordico skyrta “cami-
cia con le maniche lunghe”) che prenderà il senso di “gonna”
(accanto a shirt “camicia” di derivazione anglosassone), skull “cra-
nio” (probabilmente dal nordico skolptr/skoltr “muso”), sky “cielo”,
take “prendere”, their “loro” (poss.), they/them “essi/loro”, though
“benché”, thrift nel senso di “prosperità”, trust “fiducia”, ugly
“brutto” (nordico uggligr “spaventato”), want “volere”, weak “debo-
le”, window “finestra” (dal nordico vindauga, letteralmente “occhio
del vento”), wing “ala”, wrong “errato”.45 Nei testi anglosassoni
compaiono inoltre, in qualche caso, antroponimi di chiara origine
nordica, a esempio Grimcetel (< Grímkell), Lefer (< Leifr) o Ulf (<
Úlfr): essi però non saranno conservati nell’inglese moderno.
Sul continente i vichinghi, in maggioranza danesi, si erano mos-
si fin dai primi decenni dell’800 (le prime incursioni risalgono agli
anni 819-820). A partire dall’843 essi si procurarono una base
logistica nel luogo (un’isola tidale a sud dell’estuario della Loira)
in cui un tempo sorgeva il celebre monastero di Noirmoutier fon-

44
Cfr. nota 6.
45
Vd. Hogg R.M. (ed.), The Cambridge History of the English Language, I: “The
Beginning to 1066”, Cambridge 1991, pp. 320-336 e Klein E., A Comprehensive Ety‑
mological Dictionary of the English Language, I-II, Amsterdam-London-New York
1966-1967, alle voci relative. L’influsso nordico non è limitato alla ricezione di termini:
la preposizione till a esempio ha assunto il senso di “fino a” per analogia con il nordi-
co; un altro esempio significativo è la parola bloom “fiore” che riprende questo senso
dal nordico blóm, mentre il parallelo antico inglese bloˉma significava “lingotto di
ferro” ed è rimasto nel lessico della metallurgia; allo stesso modo plough trae il signi-
ficato di “aratro” dal nordico plógr, mentre l’ant. ingl. plow indicava una “misura di
terra”. Particolare è il caso del termine dream: questa parola in antico inglese signifi-
cava “gioia”, “felicità”, “musica”, “divertimento”; si è quindi supposto che il signifi-
cato attuale di “sogno” sia dovuto a un adattamento al nordico draumr, tuttavia questo
caso non è del tutto chiarito (vd. Onions G.T [ed.], The Oxford Dictionary of English
Etymology, with the assistance of G.W.S. Friedrichsen and R.W. Burchfield, Oxford
1966, p. 289). Assai interessante è anche la forma plurale del presente indicativo del
verbo essere: are, verosimilmente ricalcata sul nordico eru “sono” (sindon in ant. ingl.,
ma aron nella variante del dialetto della Northumbria). Sui prestiti nordici in inglese
vd. anche Björkman 1900-1902; Björkman 1901; Björkman 1910; Serjeantson M.S.,
A History of Foreign Words in English, London 1935; Geipel 1971. Sui reciproci
influssi nei testi di carattere letterario e non vd. Hofmann 1955.

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Verso il mondo esterno: il periodo vichingo 111

dato da San Filiberto (617 o 618-684), da loro ripetutamente assa-


lito e infine distrutto: mete preferite delle loro incursioni furono le
regioni della Frisia (l’importante città commerciale di Dorestad fu
da loro razziata per quasi trent’anni), della Francia e della Germa-
nia. Gli eredi di Carlo Magno erano troppo deboli e troppo impe-
gnati in lotte per il potere, per questo le incursioni dei Normanni
parvero inarrestabili. Diverse località francesi dovettero subire
attacchi e saccheggi: tra le altre Rouen (841), Nantes (843), Bor-
deaux (852), Poitiers e Tours (853), Orleans (856) e anche Parigi
che fu saccheggiata per ben tre volte (845, 856-857 e 861).46 Dalla
Francia i vichinghi si spinsero nella penisola iberica (dove attacca-
rono città come Lisbona, Siviglia e Cadice) fino alle coste del
Marocco (844). Ma anche ben più a nord diverse città assai impor-
tanti non furono risparmiate: dopo Utrecht e Anversa, Amburgo
fu devastata nell’845. La risoluzione di pagare ingenti somme di
denaro (il cosiddetto danegeld) in cambio di una relativa tranquil-
lità per le città, i monasteri e le popolazioni divenne una dura
consuetudine. Non sempre tuttavia ciò era sufficiente a frenare le
aggressioni.
D’altra parte non si deve pensare che i vichinghi attaccassero i
Paesi dell’Europa dandosi a saccheggi e a devastazioni senza altra
motivazione se non quella di dar sfogo alla loro irruenta violenza
e a una insaziabile brama di ricchezza. Seppure questo aspetto
vada tenuto nella dovuta considerazione, si farebbe torto alla loro
intelligenza e alla sagacia politica dei loro capi, ove lo si volesse
considerare predominante. Condottieri leggendari come a esempio
Ragnarr Brache di pelo, forse colui che nell’845 aveva conquista-
to Parigi, Guthrum, che aveva ottenuto da Alfredo il Grande il
riconoscimento dei confini del Danelagu, o, più tardi, Þorkell
l’Alto (inn hávi) Strút-Haraldsson, uno dei celebri vichinghi di
Jómsborg,47 protagonista all’inizio dell’XI secolo di molte delle
vicende politiche inglesi, erano infatti abili capitani ma anche
intelligenti uomini politici, che per il raggiungimento dei loro
obiettivi sapevano ben sfruttare quei requisiti di concretezza e di
crudo realismo che caratterizzavano il temperamento dell’uomo
del Nord. Si può qui tra l’altro osservare, a esempio, che seppure
fra le cause dell’espansione vichinga sia da escludere qualsiasi
finalità di carattere religioso,48 la fede pagana di questi uomini fu,
Un ulteriore attacco a Parigi, che tuttavia fallì, ebbe luogo tra l’885 e l’886.
46

Vd. sopra, p. 101.


47
48
Vd. Chiesa Isnardi G., “Paganesimo e cristianesimo: la religione in Scandinavia
come marcatore di identità culturale nel contesto europeo”, in Nord ed Europa. Iden‑

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112 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

in ogni caso (e almeno per un certo periodo), un elemento deter-


minante che non solo li sostenne nelle loro azioni, ma contribuì a
creare quello stereotipo di ‘barbari pagani’ che per lungo tempo
avrebbe dominato l’immaginario delle popolazioni cristiane d’Eu-
ropa: del che essi si mostrarono ben consapevoli utilizzandolo
abilmente a proprio vantaggio.
Del resto, proprio sul territorio francese (che conoscerà terri-
bili devastazioni almeno per tutto il IX secolo) i vichinghi daran-
no esemplare dimostrazione del loro opportunismo e della gran-
de capacità di adattarsi con profitto a nuove situazioni. In più di
una occasione infatti essi vi si erano stanziati più o meno stabil-
mente, fino a quando nell’anno 911 il sovrano Carlo il Semplice
stipulava con il capo normanno Rollone (Hrólfr, detto Gǫngu-
Hrólfr, cioè “Rollone il Pedone”)49 lo storico trattato di St. Clair-
sur-Epte. In base a questo accordo Carlo concedeva ai Norman-
ni un territorio (che da loro avrebbe preso il nome di Normandia)
a patto che essi lo riconoscessero come proprio sovrano, che si
convertissero alla fede cristiana (Rollone fu battezzato nel 912) e
lo aiutassero nella difesa contro altre bande di vichinghi.50 Nel
breve volgere di poche generazioni essi si dimostrarono capaci di
consolidare il loro potere su questa regione, rendendola prospe-
ra e stabile. E alla nuova veste di ‘signori francesi’ questi vichinghi
si adeguarono presto in misura pressoché totale: nel ducato
di Normandia, organizzato secondo strutture socio-politiche di
stampo continentale, anche la lingua nordica fu dimenticata a
favore del francese.
Nel dialetto normanno tuttavia dovevano essere accolte e soprav-
vivere diverse parole di origine nordica. Esempi significativi sono:
biter “toccare” (nordico bíta “mordere”), embarnir “mettere incin-
ta una donna” (nordico barna, formato su barn “bambino”, “figlio”),
cotin “piccola casa” (nordico kot), étoc “tronco d’albero” (nordi-
tità scandinava e rapporti culturali con il continente nel corso dei secoli – The North and
Europe. Scandinavian Identity and Cultural Relations with the Continent through the
Centuries, Atti del Convegno Internazionale di Studi, Genova 25-27 settembre 2003,
Genova 2004, pp. 51-59.
49
Questo soprannome gli derivava dal fatto che essendo egli di corporatura molto
robusta nessun cavallo riusciva a reggere il suo peso, ragion per cui doveva andare a
piedi. È incerto se Rollone fosse di origine danese o norvegese; vd. Jones 1977, pp.
242-243.
50
Queste notizie ci vengono, in particolare, da Dudone di Saint-Quentin, cronista
normanno del X-XI secolo (nato tra il 960 e il 965, morto certamente prima del 1043),
autore dell’opera Dei costumi e delle gesta dei primi duchi di Normandia (De moribus
et actis primorum Normanniæ ducum), composta nel 1017 circa; vd. XXV-XXVI, pp.
165-167 e XXX, p. 170.

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Verso il mondo esterno: il periodo vichingo 113

co stokkr), eyer “vedere”, “osservare” (nordico eygja), melgreux


“erba che cresce sulle dune” (composto con i termini nordici melr
“duna” e gras “erba”), riméé “brina” (nordico hrím), rogue “uova
di pesce” (nordico hrogn), sigle “vela” (nordico segl), ullac “fuo-
rilegge” (nordico útlagi). Dal dialetto della Normandia alcune
parole sono entrate nella lingua francese: termini come équiper
(donde l’italiano equipaggiare) “provvedere del necessario” (nor-
dico skipa “disporre”, “organizzare”, “sistemare”), flâner “andare
a zonzo”, “bighellonare” (nordico flana “correre precipitosamen-
te senza prestare attenzione”), [courir le] guilledou “andare alla
ricerca di avventure amorose”, un curioso sviluppo del nordico
kveldúlfr, letteralmente “lupo della sera”51 (vedi anche il norman-
no varou “lupo mannaro”, nordico vargúlfr), hangar “rimessa”,
“capannone” (nordico heimisgarðar/*hemsgarðr “fattoria”, “domi-
cilio”). Significativo certamente il fatto che una gran parte dei
termini di origine normanna provenga dal lessico marinaresco, un
ambito nel quale i vichinghi avevano dimostrato eccellenza e supe-
riorità. Tra gli esempi più interessanti bateau “barca” (nordico
bátr), esquif “schifo”, “barchetta” (nordico skip, “nave”), carlingue
(italiano carlinga) “paramezzale” (nordico kerling), colin “nasello”
(nordico koli “platessa”, “sogliola”), crabe “granchio” (nordico
krabbi), havre “piccolo porto” (nordico hǫfn/hafn), lingue “mer-
luzzo” (nordico lyng-fiskr “molva”), quille “chiglia” (nordico kjǫlr),
vague “onda” (nordico vágr).52 Tracce degli insediamenti vichinghi
in Normandia restano naturalmente nella toponomastica, soprat-
tutto in componenti di nomi di luogo che un tempo dovettero
essere in uso anche come nomi comuni. Tali sono, tra gli altri,
termini o suffissi quali ‑bec/‑becq “ruscello” (nordico bekkr): a
esempio Beaubec, Crisbecq; ‑bu(t)/‑bye (nordico bú; cfr. la forma
danese býr, norvegese bær “insediamento abitativo”):53 a esempio
Tournebu, Hambye; ‑dal/‑dalle “valle” (nordico dalr): a esempio
51
Questa parola è attribuita come soprannome a un norvegese di nome Úlfr Bjálfa-
son, il quale, secondo il racconto della Saga di Egill Skalla-Grímsson, era un ottimo
amministratore dei suoi beni, alla sera tuttavia “[…] si faceva irritabile, sicché pochi
potevano rivolgergli la parola; egli amava dormire la sera. La gente diceva che potesse
cambiare aspetto in molti modi; egli era detto Lupo della sera (Kveld-Úlfr)”; (DLO nr. 14).
52
Del tutto particolare il caso dei punti cardinali: nord, sud, est e ovest. Questo
tipo di denominazioni (che dal francese si è esteso ad altre lingue romanze tra cui
l’italiano) non era presente in latino, ma va riferito piuttosto all’ambito delle lingue
germaniche. A quanto pare però, curiosamente, i vichinghi stanziati in Normandia
avevano ‘perso’ queste parole e le avevano ‘recuperate’ dall’area anglosassone, trasmet-
tendole poi alla lingua francese (vd. Wartburg W., Französisches Etymologisches
Wörterbuch. Germanische Elemente, XVII, Basel 1966, p. 603).
53
Questo tipo di toponimi è molto più frequente in Inghilterra, cfr. sopra, p. 109.

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114 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

Tyrdal, Briquedalle; ‑dike/‑dick (nordico díki “fossato”): a esempio


Hague-Dike, Le Dick/Le Dicq; hogue/hougue “poggio”, “altura”
(nordico haugr “tumulo”, “collinetta”): a esempio La Hogue, Les
Hougues; homme/houlme/‑hou “isola” (nordico hólmr): a esempio
Le Homme, Le Houlme, Lihou; londe/‑lon “boschetto” (nordico
lundr): a esempio La Londe, Boclon; ‑nez (nordico nes “promonto-
rio”): a esempio Nez, Bec du Nez; ‑tot (nordico topt/toft “terreno
su cui è costruita una fattoria”): a esempio Epretot, Bactot (la cui
prima parte risale al nordico bakki “altura”, “rilievo”); ‑tourp/‑torp
(nordico þorp “piccolo villaggio”, “gruppo di casolari”): a esempio
Le Torp, Clitourps; ‑tuit (nordico þveit “appezzamento di terreno”):
a esempio Vautuit, Gonnetuit; ‑vic (nordico vík “baia”): a esempio
Sanvic, Selvic; o, infine, un termine come il nordico kirkja “chiesa”
(danese kirke) che si ritrova a esempio in Querqueville.54 Nei nomi
di diverse località (soprattutto in ‑tot e ‑ville) sono inoltre ricono-
scibili numerosi antroponimi nordici (a esempio Grémonville
formato su Geirmundr, Herquetot e Herqueville, formati su Helgi,
Quettetot e Quetteville formati su Ketill). Anche alcuni nomi di
persona e cognomi normanni recano traccia evidente dell’onoma-
stica nordica: si vedano nomi propri come Tostain (nordico Þor‑
steinn) ed Etain (nordico Eysteinn) o cognomi come Hérou, for-
mato su Hérúlfr e Vimond formato su Vémundr.55
Abbastanza paradossalmente saranno proprio i Normanni, gui-
dati da Guglielmo il Conquistatore nella celebre battaglia di Hastings
(1066), a segnare il definitivo tramonto dell’era vichinga56 e a intro-
durre in Inghilterra, insieme al proprio dominio, la lingua francese,
determinando cambiamenti radicali nell’antico inglese e ‘devian-
dolo’ in buona parte dalle sue origini anglosassoni (e dunque – a
ritroso – germaniche).57

54
Anche altri toponimi come a esempio Criqueville, Criquebeuf parrebbero ricon-
ducibili a questo termine. Non così tuttavia intende J. Renaud (Renaud 1989, p. 191)
che li ritiene formati sul nordico kriki “angolo”, “incavo”; vd. anche Joret Ch.,
Des caractères et de l’extension du patois normand. Étude de phonetique et d’etnographie,
Paris 1883, pp. 44-45 e p. 72.
55
Naturalmente la frequenza e la distribuzione di questi nomi sono diversificate.
Per un’analisi più approfondita si rimanda a Renaud 1989, pp. 153-198, da cui è trat-
ta buona parte degli esempi qui riportati. Si consultino anche Joret 1883 (vd. nota
precedente); Moisy H., Dictionnaire du patois normand, Caen 1887; Dubosc G.,
“Quelques noms de lieux normands”, in Chroniques du Journal de Rouen, 26 giugno
1922; Adigard des Gautries 1954; de Gogor 1958 e Fellows Jensen 1994.
56
Vd. sopra, nota 33.
57
Vd. Blake N. (ed.), The Cambridge History of the English Language, II: 1066-1476,
Cambridge 1992, pp. 15-20.

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Verso il mondo esterno: il periodo vichingo 115

3.1.5. Destinazione oriente

Se sul fronte occidentale l’azione dei vichinghi danesi e nor-


vegesi si tradusse in imprese di attacco e conquista, sul fronte
orientale – area nella quale il quadro era ben diverso – i vichinghi
svedesi (noti come Vareghi o Variaghi)58 trovarono ampi spazi
per promuovere importantissimi commerci. Le zone a sud e a est
della Svezia erano abitate da tribù di etnia baltica e finnica, le cui
condizioni di vita non erano certamente paragonabili a quelle dei
Paesi verso i quali si indirizzavano le azioni di conquista dei
Norvegesi e dei Danesi (seppure questi ultimi si fossero mossi
anche, almeno in parte, verso i territori slavi lungo le rive meri-
dionali del Baltico). Spingendosi a est i vichinghi svedesi (che
pure parteciparono a spedizioni nei Paesi occidentali)59 si trova-
rono davanti un immenso territorio nel quale seppero creare
centri di grande dinamismo. Essi penetravano in quelle regioni
dalle coste del Baltico, procedendo poi verso l’interno. Uno dei
primi insediamenti svedesi sul territorio russo fu nella località da
loro detta Aldeigjuborg o Aldeigja (Стaрая Лaдога) nei pressi
del grande lago Ladoga (dove tra l’altro è stata rinvenuta una
iscrizione runica in versi risalente al IX secolo). Di lì, utilizzando
le due vie di comunicazione naturali costituite dal corso dei fiu-
mi Dnepr e Volga,60 raggiunsero mete molto lontane ma impor-
tantissime per lo sviluppo dei loro traffici. Da una parte, attra-
versato il Mar Nero, si trovarono a Bisanzio, da loro detta
Miklagarðr (o anche Mikligarðr, Garðr) la “Metropoli”61 (dove
alcuni di loro andranno a formare il corpo delle guardie scelte
dell’imperatore),62 dall’altra al di là del Mar Caspio raggiunsero

58
Questo nome va probabilmente connesso a quello della dèa Vár, una divinità
minore della quale è detto che presiede ai giuramenti (Chiesa Isnardi 20084 [B.7.1],
p. 61): un evidente riferimento ai patti che questi uomini stringevano fra loro.
59
Se ne ha evidenza, tra l’altro, dalle iscrizioni runiche svedesi (Jansson 1984³
[C.2.5], pp. 79-96).
60
La navigazione sui grandi fiumi non era però del tutto agevole e nei tratti parti-
colarmente difficoltosi le navi venivano tirate a riva e trasportate fino al punto in cui
la corrente e l’andamento dei corsi fluviali permetteva di farle di nuovo scendere in
acqua.
61
L’idea di una città fortificata e difesa si ritrova in un altro, seppure meno usuale,
nome dato a questo luogo: Miklaborg, letteralmente “grande cittadella”, “grande
castello”. Alle città come luoghi di commercio ben protetti e difesi fanno riferimento
anche i nomi nordici di Aldeigjuborg-Staraja Ladoga, Holmgarðr-Novgorod (russo
Новгород), e Kœnugarðr-Kiev (ucraino Київ), dove garðr è “recinto”.
62
Già dall’anno 911 si ha notizia di nordici in servizio presso la corte bizantina, ma
la celebre Guardia varega (Væringjalið “corpo dei Vareghi” o Væringjalǫg “lega dei

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116 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

i ricchi mercati arabi dove potevano vendere le loro merci (pelli,


pellicce, pece, schiavi) e addirittura incrociare la via della seta. I
rapporti fra i Vareghi e le popolazioni da loro incontrate in queste
zone sono ben testimoniati tanto nei reperti (a esempio le monete
arabe ritrovate non solo lungo le vie commerciali percorse ma
anche nelle regioni nordiche, in particolare sull’isola di Gotland)
quanto nelle fonti scritte. Numerose pietre runiche innalzate (in
particolare in Svezia) per ricordare e onorare coloro che erano
partiti in cerca di fortuna recano interessanti testimonianze.63
Inoltre ci sono fonti latine, bizantine, russe e arabe. Tra queste
ultime alcune forniscono notizie assai interessanti a riguardo degli
usi e dei costumi di questi uomini, come, in particolare, le infor-
mazioni su diversi aspetti della vita dei nordici fornite da Ibn
Rustah (prima metà del X secolo)64 e da Ibn Faḍlān, un diploma-
tico arabo (in viaggio per conto del califfato di Bagdad tra il 921
e il 922) che aveva incontrato i Vareghi sul Volga e aveva avuto
l’opportunità di assistere al funerale di uno dei loro capi, arso
solennemente sulla nave insieme a una schiava e a diversi animali
tutti sacrificati in suo onore.65

Il resoconto sui Vareghi (ar-Rūsı̄ya) di Ibn Rustah:

“Per quanto riguarda ar-Rūsı̄ya, essi vivono su un’isola (o una penisola)


che sta in un lago.66 L’isola sulla quale abitano ha un perimetro pari a tre
giornate di viaggio ed è ricoperta di foreste e di fitti cespugli. È molto
insalubre e così paludosa che la terra ondeggia quando ci si cammina sopra.
Hanno un prìncipe che si chiama Ḫāqān-Rūs. Essi compiono razzie tra gli
aṣ-Ṣaqāliba [gli Slavi] quando utilizzano le navi per arrivare da loro; li
Vareghi” o Væringjaseta “guardia dei Vareghi”) al servizio personale dell’imperatore
sarà costituita nel 988. Fra gli appartenenti al corpo delle guardie vareghe è celebre la
figura di Araldo di Duro consiglio, il medesimo che sarebbe divenuto re di Norvegia
(1047) e sarebbe poi morto in Inghilterra, sconfitto dagli anglosassoni nella battaglia
di Stamford Bridge (vd. sopra p. 107 e più avanti p. 144).
63
Cucina 1989, passim e Cucina 2001, I, pp. 13-43. Come detto in epoca vichinga
l’alfabeto runico conosce un preponderante uso commemorativo.
64
Autore di un testo di carattere geografico e astrologico dal titolo Libro degli
ornamenti preziosi (Kitāb al-A’lāq an-nafı̄sa) di cui rimane solo il settimo volume. La
parte relativa ai Vareghi (ar-Rūsı̄ya) qui riportata è ripresa da Birkeland 1954 (Abbr.),
pp. 16-17.
65
A lui si deve il celebre (e frequentemente citato) resoconto relativo contenuto
nell’opera Lettera o Breve libro (Risāla). Sull’uso di sacrificare la donna del defunto
vd. Scovazzi 1975 (B.8), pp. 79-82.
66
Verosimilmente questo luogo va identificato con Holmgarðr (Novgorod).

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Verso il mondo esterno: il periodo vichingo 117

fanno prigionieri e li portano a Ḫazarān67 e ai Bulgār [Bulgari] e là li ven‑


dono. Non hanno campi, ma vivono solo di quanto importano dalla terra
degli aṣ-Ṣaqāliba. Quando uno di loro ha un figlio, il padre va dal neonato
con la spada sguainata. Egli fa così e la getta davanti a lui e gli dice: ‘Io non
ti lascio alcun possedimento, tu hai solo quello che ti guadagni con questa
tua spada’. Essi non hanno alcun possedimento terriero [fattorie] né vil‑
laggi o campi. La loro unica occupazione è il commercio di zibellini e scoiat-
toli e altri tipi di pellicce, che essi vendono a quelli che le comprano da loro.
Come pagamento prendono denaro, e lo ripongono nella loro cintura. Sono
puliti nei loro abiti, e gli uomini si ornano con bracciali d’oro. Trattano
bene i loro schiavi, ed essi indossano abiti raffinati, poiché si dedicano al
commercio con grande assiduità. Hanno molte città.68 Sono generosi nei
confronti della loro gente, onorano i loro ospiti e trattano bene con gli
stranieri che cercano asilo presso di loro, e con tutti quelli che usano far
loro visita. Non permettono che alcuno di loro li molesti o faccia loro
qualcosa di male. E ogni qual volta qualcuno osa far loro qualche torto o
sopruso, essi lo aiutano e lo difendono. Hanno spade salomoniche.69 Nel
caso in cui un gruppo fra loro sia chiamato alla guerra, allora tutti si muo‑
vono insieme. Non si separano, ma restano insieme contro i loro nemici
come un [unico] uomo finché non li abbiano sconfitti. Se uno di loro deve
intentare una causa contro un altro, allora lo convoca davanti al prìncipe,
dove entrambi procedono. Se quest’ultimo [il prìncipe] regola la questione
fra loro, deve essere come egli vuole. Ma se non possono accordarsi secon‑
do la sua decisione, allora egli ordina loro di risolvere la questione tra di
sé con le loro spade, così al vincitore appartiene la spada più affilata. I
congiunti dei due escono e si schierano con le loro spade. Poi i due combat‑

67
Località che si trovava sulla riva orientale del Volga e che un tempo si chiamava
Ḫamlı̄ḫ.
68
Cioè luoghi in cui svolgevano il proprio commercio (cfr. nota 61). Come giusta-
mente sottolineato da H. Birkeland (Ibn Rustah, Kitāb al-A’lāq an-nafı̄sa, nota 11, p.
135), questa affermazione non si pone in contrasto con quella precedente secondo cui
i Vareghi non avevano villaggi. In effetti qui si intende sottolineare che essi non si
dedicavano all’agricoltura bensì al commercio e che quindi non avevano villaggi con-
tadini quanto piuttosto centri commerciali.
69
Il riferimento è spiegato da D.A. Chvol’son nella sua prima edizione del testo di
Ibn Rustah: ИзвЂстія о хозарахъ, буртaсахъ, болгарахъ, мадьярахъ славянахъ и
руссахъ абу-али ахмеда бенъ омаръ ибнъ-даста, неизвЂстнаго доселЂ арабскаго
писателя начала х вЂка, по рукописи британскаго музея бъ первый разъ, издалъ,
перевелъ и объяснилъ д. а. хвольсо нъ, С.-Петербургъ 1869, pp. 195-196. Con l’espres-
sione “spade di Salomone”, i musulmani solitamente intendevano le spade, forgiate
dai geni per il re Salomone; ma qui non si fa riferimento a questo. Piuttosto si potreb-
be pensare che il termine “salomoniche” celi il nome di una località oppure di un
Paese, nel quale queste spade venivano prodotte (Selmân nel Khorassan). Forse Ibn
Rustah definiva così le spade dei Vareghi, solo perché somigliavano a quelle, che a loro
volta erano simili alle spade dei Franchi (molto apprezzate nel Nord Europa), solo più
piccole e più levigate. Secondo Ibn Faḍlān le spade dei ‘Russi’ erano larghe, con la
lama ondulata ed effettivamente di manifattura franca.

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118 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

tono fra loro. E quello fra i due che è superiore all’altro, sarà quello che
ottiene la soluzione da lui desiderata nella questione. – Essi hanno i loro
’aṭibbā’70 che decidono su ciò che possiedono come se fossero i padroni,
quando ordinano loro di sacrificare al loro creatore ciò che essi desiderano
fra donne, uomini e bestiame. E quando gli al-’aṭibbā’ hanno preso la propria
decisione, allora essi non hanno alcuna possibilità di sottrarsi al loro ordi‑
ne. Aṭ-ṭabīb71 prende da loro la persona o l’animale, gli avvolge una corda
al collo e lo impicca a un palo di legno finché non spira. Poi egli dice:
‘Questa è una offerta a Dio.’ – Possiedono coraggio eroico e valore, e quan‑
do invadono il territorio di una stirpe [straniera], non desistono finché non
lo hanno completamente devastato. Prendono prigioniere le loro donne e
rendono schiavi [gli uomini]. Essi hanno corpi prestanti e bell’aspetto e
sono audaci. Ma la loro audacia non la dimostrano sulla terra. I loro attac‑
chi e le spedizioni li intraprendono solo con le navi. – Essi portano (ampi)
calzoni (sarāwı̄lāt); per ciascuno di essi ci vogliono all’incirca 100 álnir72 di
stoffa. Quando uno li indossa li arrotola attorno alle ginocchia e li fissa lì
così. Nessuno di loro va fuori per fare i propri bisogni da solo, ma in com‑
pagnia di tre dei suoi compagni, che gli fanno la guardia. Ciascuno di loro
ha la propria spada con sé, perché presso di loro c’è assai poca sicurezza e
molti tradimenti. E quando qualcuno possiede qualcosa, allora suo fratello
o il suo compagno che sta con lui punta a poterlo uccidere e depredare. –
Quando fra di loro muore un notabile, essi scavano una tomba come una
grande casa e lo depongono là. Insieme a lui mettono i suoi abiti e i brac‑
ciali d’oro che portava e inoltre molto cibo e recipienti per bere e monete.
Essi mettono anche la sua sposa favorita nella tomba insieme a lui, quando
ella è ancora in vita. Ma poi l’apertura della tomba viene ostruita, così ella
muore là.”73

Certamente la vicenda dei Vareghi sulle vie dell’est conobbe


anche, accanto all’aspetto commerciale, azioni bellicose allo scopo
di imporre il predominio e assicurarsi l’egemonia su determinati
territori, assalti e tentativi di conquista: Bisanzio fu attaccata nell’860,
nel 907 e nel 941 (con una grave sconfitta dei vichinghi), men-
tre nel 945 un ulteriore tentativo si risolse con la conclusione di un
patto commerciale; Baku nell’Azerbaigian fu presa di mira nel 912
(scorreria che si concluse con una pesante sconfitta) e anche zone
iraniane subirono ripetuti assalti.

 Mago o medicine-man.
70

 Forma singolare di al’-aṭibbā’.


71
72
 Vd. nota 102.
73
 Cfr. sopra, nota 65. Il testo è basato sulla traduzione di H. Birkeland: vd. Ibn
Rustah, Kitāb al-A’lāq an-nafı̄sa, pp. 16-17.

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Verso il mondo esterno: il periodo vichingo 119

Come detto, l’attuale Russia era al tempo dei vichinghi una


regione sterminata e poco ospitale, abitata da tribù pagane. Costo-
ro chiamarono i Vareghi con il nome di Rus’ dal quale deriva il
toponimo Russia.74 La prima citazione di questo nome (rhos)
risale all’anno 839.75 Sebbene non paia possibile dare credito alla
Cronaca di Nestore76 che, indulgendo all’aspetto leggendario,
attribuisce a tre fratelli svedesi (Rurik, Sineus e Truvor),77 chia-
mati a mettere ordine e governare le tribù slave, la fondazione
dello Stato russo (862), è tuttavia opinione condivisa che il nucleo
di quest’ultimo si sia effettivamente venuto formando intorno ai
grandi borghi commerciali dei vichinghi: Novgorod, Gnezdovo-
Smolensk, Kiev, che erano stati trasformati in veri e propri centri
di potere ben organizzati.78 Forse si potrebbe persino supporre
che il termine russo per “città” gorod (город), seppure di prova-
ta origine slava,79 sia stato rafforzato nell’uso dalla parola nordica
garðr (“gruppo di case”, “fattoria”), foneticamente affine, comu-
nemente utilizzata dai vichinghi svedesi per indicare nuclei abi-
tati. D’altronde nella lingua russa dovevano entrare almeno alcu-
ni antroponimi di certa origine scandinava, come Rurik, Igor’,

74
 È uno di quei casi in cui il nome dei conquistatori è stato attribuito ai territori
conquistati: vedasi a esempio Francia da Franchi, Normandia da Normanni, Lombar-
dia da Longobardi, Bulgaria da Bulgari (popolazione turanica); Vasmer M., Russisches
etymologisches Wörterbuch, Heidelberg 1950-1958 (Фасмер М., Этимологический
словарь русского яэыка, Москва 1964), III, p. 505.
75
 Essa si trova negli Annali di S. Bertino, nella parte (835-861) redatta da Pruden-
zio, vescovo di Troyes e cappellano dell’imperatrice Giuditta moglie di Ludovico il
Pio (Annales bertiniani, p. 44). Ivi si dice che questi rhos accompagnarono la legazio-
ne bizantina presso l’imperatore Ludovico il Pio.
76
 La definizione tradizionale Cronaca di Nestore (per la quale si è qui consultata la
versione italiana Il racconto dei tempi passati […] [Повесть временных лет]) si basa
sull’attribuzione di questo scritto a un monaco di tale nome, vissuto nel convento
Pečerskij a Kiev verso la fine del XII secolo: costui in realtà ne curò piuttosto la riela-
borazione.
77
Questi nomi dovrebbero corrispondere ai nordici Hrœrekr (runico svedese HrörikR)
“ricco di fama”, Signjótr “che usufruisce della vittoria” (non attestato nelle fonti nordiche
occidentali ma frequente in Svezia; vd. E. Wessén Nordiska namnstudier. Östnordiskt i
vikingatidens namnförråd, Uppsala 1927, p. 108) e Þorvarðr “guardiano del dio Thor”.
78
 Altre notizie sui Vareghi in Russia si trovano in una fonte bizantina: il manuale
di governo dal titolo De administrando imperio, scritto tra il 948 e il 952 da Costantino
Porfirogenito per il figlio (vd. in particolare cap. 2 e cap. 9); sull’argomento vd. Boyer
1991. Una interessante ed equilibrata valutazione della questione dei Vareghi in rela-
zione alla sua ‘ricezione’ nei testi svedesi di carattere storico si trova in Latvakangas
A., Riksgrundarna. Varjagproblemet i Sverige från runinskrifter til enhetlig historisk
tolkning, Turku 1995. Si veda anche Franklin S. – Shepard J., The Emergence of Rus
750-1200, London 1996.
79
 Vasmer M., op. cit. (vd. nota 74), I, p. 443.

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120 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

Oleg/Olg, Ol’ga, Uleb, Rogvolod, Turebern: questi nomi, attesta-


ti in antiche fonti russe come la già citata Cronaca di Nestore,
trovano precisa corrispondenza nello svedese delle iscrizioni
runiche (le forme sono rispettivamente: HrörikR, Ingvarr, Hälgi,
Hälga, OlafR, Ragnvaldr, Þorbjorn).80 A un certo punto della
loro storia i prìncipi vichinghi provenienti dalla Svezia compaio-
no in prima persona come effettivi signori della Russia: nella
seconda metà del IX secolo la città e la regione a sud di Novgorod
(detta dai nordici Garðaríki o Garðaveldi),81 a esempio, erano
governate da capi svedesi, come del resto Kiev. Ed erano in real-
tà svedesi i ‘russi’ che nel 912 stipularono (secondo quanto rife-
risce la Cronaca di Nestore) un accordo con Leone, Alessandro e
Costantino, imperatori.82
Ma la vastità e l’impraticabilità del territorio russo doveva forse
stimolare fra gli Svedesi anche un vero e proprio desiderio di
avventura, certamente comunque combinato con scopi commer-
ciali e/o militari. E in effetti la tradizione leggendaria questo lascia
intendere a proposito della spedizione nelle zone orientali guidata
(tra il 1036 e il 1042) dal celebre condottiero Ingvar (Yngvarr),
soprannominato Gran viaggiatore (víðfǫrli), discendente per parte
di padre dalla famiglia reale svedese e protagonista dell’omonima
saga leggendaria che indica come motivazione del viaggio la sua
insoddisfatta aspirazione al trono.83 Almeno ventuno iscrizioni
runiche si ritengono indubitabilmente connesse a questo evento
che – seppure a quanto pare conclusosi con la morte di gran parte
dei protagonisti – ebbe certamente vasta risonanza. Pur ‘depuran-
do’ per quanto possibile il racconto della saga (la cui composizione
– non lo si dimentichi – va collocata nell’ambiente culturale islan-
dese) e valutando correttamente il suo rapporto con i dati obietti-
vi forniti dalle iscrizioni runiche, resta comunque assai difficile
definire la vera natura di questa spedizione, talora intesa anche
come un vero e proprio viaggio di esplorazione.84

80
 Ma si veda anche il russo Askold, cfr. ant. isl. Hǫskuldr. Vd. Thomsen 1877, pp.
131-141; Bugge 1885, Wessén 197510 (B.5), pp. 93-94; Melnikova 1996, e Svante 1989.
81
 Cioè “Regno” (o “Impero”) delle città” per via dei centri che vi sorgevano in re-
lazione al fiorente commercio che vi si svolgeva; cfr. sopra, nota 61.
82
 Il racconto dei tempi passati […] (Повесть временных лет), p. 18.
83
 Saga di Yngvarr Gran viaggiatore (Yngvars saga víðfǫrla).
84
 La questione è chiaramente esposta e discussa in Cucina 1989, pp. 198-243.

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Verso il mondo esterno: il periodo vichingo 121

3.1.6. Isole atlantiche e destinazioni impreviste

La grande abilità marinaresca dei vichinghi li portò, inevitabil-


mente, a solcare rotte atlantiche. Fu così che essi raggiunsero anche
terre piuttosto lontane, la cui colonizzazione è, senza dubbio,
riconducibile ai movimenti di questi uomini. È questo il caso,
innanzi tutto, delle Føroyar, le “Isole delle pecore”. Verso l’anno
725 (forse anche prima) alcuni monaci irlandesi si erano stabiliti
nell’arcipelago. Essi ne erano stati cacciati attorno al 795 dai
vichinghi e si erano rifugiati in Islanda. Nel Libro della dimensio‑
ne dell’orbe terrestre (Liber de mensura orbis terrae), redatto da
Dicuil (del quale non si sa altro se non che era abate di Bosham
nel Sussex, uno dei due monasteri fondati nel sud dell’Inghilterra
dagli Irlandesi) e portato a termine nell’825, si afferma tuttavia
che le isole erano ‘abitate’ solo da pecore e da uccelli marini: “Ci
sono molte altre isole nell’oceano a nord della Britannia che pos-
sono essere raggiunte dalle isole britanniche settentrionali con un
viaggio diretto di due giorni e due notti se le vele sono gonfiate di
continuo da un vento favorevole. Un ecclesiastico devoto mi disse
di aver navigato per due giorni e una notte d’estate in una barca
con due banchi di rematori e prese terra in una di queste. C’è un
altro gruppo di piccole isole, quasi tutte separate da stretti canali
di acqua; in queste per quasi cento anni hanno vissuto eremiti
partiti dalla nostra Scozia.85 Ma al modo in cui esse sono rimaste
deserte dall’inizio del mondo, ora allo stesso modo per via dei
predoni normanni sono svuotate degli anacoreti, e invase da innu-
merevoli pecore e da molte diverse specie di uccelli marini. Non
abbiamo mai trovato queste isole citate nelle opere degli autori.”86
Il primo nordico che si stabilì nell’arcipelago risulta tuttavia esse-
re, nell’825 circa, tale Grímr kamban (“Pettine”?). Un primo
stanziamento da parte di coloni norvegesi ebbe luogo negli anni
tra l’885 e l’890.87 Attorno al 900 i Faroesi istituivano la loro as-
semblea, primo organo governativo, a Tinganes “Promontorio
dell’assemblea” (località attualmente compresa nell’area della
capitale Tórshavn), sull’isola di Streymoy. Fonte privilegiata sulla
prima fase della storia delle Føroyar (dalla metà del X alla metà
dell’XI secolo) è la Saga dei faroesi (Færeyinga saga), un testo

 Verosimilmente tuttavia l’Irlanda.


85

 DLO nr. 15.


86
87
 Si trattò tuttavia di esuli che lasciavano la loro patria in conseguenza della tiran-
nia di Araldo Bella chioma: un flusso parallelo a quello che spinse molti verso l’Islan-
da; vd. nota successiva.

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122 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

redatto presumibilmente in Islanda all’inizio del XIII secolo, che


tuttavia non sempre risulta affidabile.
Nella seconda metà del IX secolo veniva scoperta e gradatamen-
te colonizzata l’Islanda: questo fatto – dipendente in primo luogo
dalla complessa situazione politica norvegese – avrebbe determi-
nato il sorgere di una vera e propria nazione: esso sarà dunque
trattato nel paragrafo successivo, nel contesto della formazione del
nucleo degli stati nordici.88
Dall’Islanda dovevano tuttavia partire i primi marinai che avreb-
bero avvistato le coste groenlandesi. Secondo quanto riferiscono
la Saga di Eirik il Rosso e la Saga dei Groenlandesi,89 questa terra
era stata avvistata per la prima volta da tale Gunnbjǫrn Úlfsson
mentre navigava verso occidente. Egli aveva scorto delle isole
(verosimilmente nelle vicinanze di Angmagssalik) che da lui aveva-
no preso il nome di Gunnbjarnarsker “scogli di Gunnbjǫrn” (un
toponimo noto in Islanda fino al XVII secolo). Si suppone che
questo avvistamento possa essere collocato nei primi decenni del
X secolo.90 I primi nordici a esplorare quella terra furono succes-
sivamente Snæbjǫrn Verro (galti) Hólmsteinsson e Hrólfr di Rauði-
sandr (inn rauðsenzki) Þorbjarnarson.91 Il primo viaggio in Groen-
landia del celebre Eirik il Rosso (Eiríkr rauði) si colloca nell’anno
982, il primo insediamento da lui stesso fondato nel 985 o 986. Fu
Eirik a coniare il nome Grœnland “Terra verde”, perché secondo
quanto è riferito in queste stesse fonti, “egli disse che la gente ci
sarebbe andata molto volentieri, se la terra avesse avuto un bel
nome” (“hann kvað menn þat mjǫk mundu fýsa þangat, ef landit héti
vel”).92
Ma gli uomini del Nord dovevano raggiungere anche le coste
del nord-est americano. Così come è certo che alcuni navigatori e
coloni di origine norvegese visitarono queste regioni e per un cer-
to periodo di tempo vi si stabilirono,93 altrettanto vero è che essi vi
88
Vd. 3.2.5.
89
Eiríks saga rauða e Groenlendinga saga: cap. 2 e cap. 1 rispettivamente; cfr. la
Landnámabók, p. 131.
90
Vd. Eiríks saga rauða, p. 199, nota 11.
91
Landnámabók, pp. 194-195.
92
Eiríks saga rauða, cap. 2, p. 201. Si veda anche il racconto del Libro dell’insedia‑
mento (Landnámabók, pp. 131-135).
93
Ciò è indiscutibilmente dimostrato dagli scavi effettuati da archeologi norvegesi
nella località di L’Anse aux Meadows (vd. Ingstad A.S., The Discovery of a Norse
Settlement in America. Excavations at l’Anse aux Meadows, Newfoundland 1961-1968,
Oslo-Bergen-Tromsø 1977). Qui è stato successivamente ricostruito presso la riva del
mare un gruppo di case secondo i modelli dell’architettura abitativa norvegese dell’epoca;
vd. anche Ljungqvist Charpentier F., “L’Anse aux Meadows – sagornas Leifbodar?”,

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Verso il mondo esterno: il periodo vichingo 123

giunsero la prima volta per caso. Le notizie relative ci vengono in


particolare dalla Saga di Eirik il Rosso e dalla Saga dei Groenlande‑
si, due testi che tuttavia divergono in parecchi punti. Il primo
avvistamento delle coste americane, a esempio, è attribuito dalla
Saga di Eirik il Rosso a Leifr, figlio di Eirik, partito dalla Norvegia
per la Groenlandia, ma approdato ben più a ovest;94 secondo la Saga
dei Groenlandesi invece lo scopritore sarebbe piuttosto Bjarni
Herjólfsson, un personaggio che, per altro, compare solo in que-
sta fonte. Qui si riferisce che egli con il suo equipaggio si trovava
in viaggio verso la Groenlandia (dove intendeva visitare il padre):
ma finito fuori rotta avrebbe avvistato le coste americane, senza
però prendere terra. Di ciò diede notizia quando finalmente
approdò alla sua iniziale destinazione.95 In effetti nell’ottica dei
navigatori scandinavi le coste americane non rappresentavano
nulla di più di un territorio che si trovava a ovest di altri (occu-
pati in epoca relativamente recente) come le Forøyar, l’Islanda e
la Groenlandia e non è un caso che la prima ‘spedizione’ verso
quelle terre partisse proprio da qui, organizzata (questa volta
certamente) nell’anno 999 o nel 1000 dal figlio di Eirik il Rosso,
Leifr il Fortunato (inn heppni). Le terre visitate dai nordici sul
nuovo continente vennero battezzate con i nomi di Helluland
(“Terra dalle rocce piatte”: l’isola di Baffin?), Markland (“Terra
delle foreste”: il Labrador?) e Vínland (“Terra del vino”, la cui
collocazione è assai dibattuta). A quanto pare il primo nordico a
fondarvi una colonia fu (qualche anno dopo) l’islandese Þorfinnr
karlsefni96 con la moglie Freydís Eiríksdóttir: il loro figlio Snorri
fu, probabilmente, il primo europeo a nascere in terra americana.97
Le colonie americane degli uomini del Nord restarono attive fino
alla prima metà del XIV secolo. Questo almeno è quanto si dovreb-
be poter dedurre dalla notizia secondo la quale nel 1347 un’ulti-
ma nave era tornata da un viaggio in quelle regioni (per la preci-

in PA XIX: 3 (2001), pp. 26-27. In relazione alla presenza dei nordici nel continente
americano è stata rivendicata anche la ‘scoperta’ di diverse pietre runiche (tra le qua-
li la più nota è forse quella di Kensington nel Minnesota), che tuttavia si sono dimo-
strate dei falsi.
94
Saga di Eirik il Rosso, cap. 5 (vd. brano citato alla fine del paragrafo).
95
Saga dei Groenlandesi, cap. 2.
96
Il soprannome significa verosimilmente “dotato di qualità promettenti” (Jónsson
F., “Tilnavne i den islandske oldliteratur”, in AaNOH 1907, p. 293).
97
Su altri nordici che in precedenza sarebbero vissuti in America (in particolare
tale Ari Mársson), vd. GHM I, pp. 150-168; vd. anche Beauvois E., “La grande-Irlande
ou pays des blancs précolombiens du nouveau monde”, in Journal de la societé des
Américanistes, I: 1-2 (1904), pp. 189-229.

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124 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

sione da Markland).98 Certo la vita dei nordici in quelle terre


lontane non dovette essere facile tenuto conto in primo luogo
dell’ostilità degli indigeni e delle difficoltà di comunicazione: vero-
similmente dunque esse non rappresentarono nulla di più di una
remota colonia, ragion per cui la disputa che vorrebbe contrappor-
li a Cristoforo Colombo come ‘autentici’ scopritori dell’America
non ha, in realtà, alcun significato.99

Dalla Saga di Eirik il Rosso:

“Leifr si mise in viaggio e per molto tempo stette in mare aperto e trovò
delle terre, di cui prima non conosceva l’esistenza. Là c’erano campi di
grano spontaneo e vi cresceva la vite. Là c’erano degli alberi che si chiama‑
no mo˛surr,100 ed essi da tutti questi presero qualche campione, alcuni albe‑
ri [erano] così grandi che [erano] adatti [per costruire] una casa.”

98
La diffusione delle notizie relative a queste terre è testimoniata dalle diverse
citazioni di Vínland. La prima in ordine cronologico si trova nell’opera di Adamo da
Brema, il quale riferisce che essa era considerata un’isola: “Inoltre, nominò ancora
un’isola da molti incontrata in quell’oceano, che viene detta Vínland, a motivo del
fatto che là le viti nascono spontaneamente producendo un ottimo vino. Del resto
siamo venuti a sapere che là abbondano anche i prodotti della terra non seminati, non
in base a una credenza leggendaria, bensì a un sicuro resoconto dei Danesi” (DLO nr.
16; cfr. ibidem, p. 110, scolio 37, dove di Odinkar, vescovo di Ribe, è detto che era
figlio di Toki, comandante vinlandese). L’annotazione relativa alla fertilità del luogo
trova corrispondenza in una fonte quale il Libro dell’insediamento, in essa si legge
infatti la definizione Vínland it góða, cioè “il buon Vínland” (Landnámabók, p. 162 e
p. 241); cfr. il Libro degli Islandesi (Íslendingabók) di Ari il Saggio (inn fróði) Þorgilsson
(1067 o 1068-1148), cap. 6; vd. Kristjánsson J., “Vinland the Good”, in Hødnebo –
Kristjánsson 1991, pp. 25-27. Inoltre questa terra è citata negli Annali islandesi agli
anni 1121 (cfr. pp. 279-280 con nota 197) e 1347 (IA, p. 213 e p. 403) così come in un
testo islandese di carattere enciclopedico (che la nomina insieme a Markland): qui
tuttavia la citazione è da ritenere spuria (Alfræði Íslenzk, I, p. 12). Una allusione a
Vínland sarebbe da riconoscere, secondo S. Bugge, nell’iscrizione runica norvegese di
Hønen (Buskerud, XI secolo); vd. Olsen-Liestøl et al. 1941-(C.2.5), II, pp. 35-37.
Vd. anche Rafn 1841 pp. 32-37 dove si fa riferimento ai viaggi (ivi compresa una
spedizione nelle zone polari) effettuati tra il 1266 e il 1347; Storm 1887, Hermannsson
1909, Hermannsson 1936, Brøgger 1937, Brøndsted 1950, Krause 1969, Pálsson
2001 (dove si prendono in considerazione le fonti celtiche) e anche (sulla questione
della presunta ‘mappa di Vínland’) Kejlbo I., “The Authenticity of the Vinland Map”,
in Geografisk Tidsskrift, XCII (1992), pp. 1-13 e Seaver K.A., Maps, Myths and Men.
The Story of the Vinland Map, Palo Alto, Calif. 2004.
99
In Rausing G., “Bronzealderens Columbus” (Skalk, 1977: 1, pp. 9-10) si consi-
dera l’eventualità di un contatto tra le regioni del Nord e il continente americano
addirittura nell’età del bronzo.
100
L’albero cui viene dato nome mǫsurr è verosimilmente una specie di acero.

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Verso il mondo esterno: il periodo vichingo 125

“Si fece un gran parlare, che [alcuni] uomini potessero cercare quella
terra che Leifr aveva trovato […] Poi prepararono quella nave […] e per
ciò furono ingaggiati venti uomini, e avevano poco denaro, non più che armi
e viveri […] A lungo errarono sul mare, ma non arrivarono alla rotta che
volevano […] Tornarono indietro in autunno ed erano assai stanchi ed
estenuati […].”

“A Brattahlíð101 si parlava molto, che [alcuni] uomini dovessero cercare


il buon Vínland, e si diceva che si doveva andare là per trovare buone terre
fertili […] Essi avevano in tutto centoquaranta uomini, quando fecero vela
[…] Allora videro una terra e misero [in mare] una scialuppa ed esploraro‑
no la terra; là trovarono grandi rocce piatte, e molte larghe dodici álnir.102
C’era una gran quantità di volpi. Essi diedero nome a quella terra e la chia‑
marono Helluland. Di là veleggiarono per due giorni e due notti,103 dirigen‑
dosi da sud a sud-est, e trovarono una terra tutta coperta di foreste con
molti animali […] e chiamarono […] la terra Markland. Di là veleggiarono
a sud seguendo la costa per un bel po’ e giunsero a un promontorio; la terra
stava a dritta, là c’erano lunghe spiagge e sabbia. Essi remarono fino a riva
[…].”

“E una mattina presto, mentre si guardavano attorno, videro un gran


numero di canoe di cuoio […] Allora essi remarono incontro [a loro] ed
erano stupiti di fronte a quelli che stavano davanti, e scesero a terra. Erano
uomini scuri e brutti e avevano sulla testa una brutta capigliatura; avevano
occhi grandi e gote larghe. Restarono un po’ ed erano stupiti di fronte a
quelli che stavano davanti, poi remarono via verso sud oltre il promontorio
[…].”104

101
Brattahlíð (l’attuale Qassiarsuk in fondo al fiordo di Tunulliarfik) era il nome
dell’insediamento groenlandese in cui viveva Eirik il Rosso (NØRLUND P. – STENBERGER
M., Brattalid, Copenhagen 1934).
102
Misura di lunghezza (sing. alin) che corrisponde a circa 45 cm.
103
L’espressione usata nella saga (tvau dœgr) non è tuttavia del tutto chiara in
quanto il termine dœgr può indicare tanto lo spazio di tempo del giorno o della notte
(dunque dodici ore) quanto un giorno astronomico (dunque ventiquattro ore). Quest’ul-
timo pare tuttavia il senso più probabile quando si fa riferimento a periodi di naviga-
zione.
104
DLO nr. 17-20. I brani qui riportati sono tratti dalla Saga di Eirik il Rosso. In
questo testo si riferisce dell’occasione in cui Leifr e i suoi uomini diedero nome alle
terre di Helluland e Markland. Il nome Vínland vi compare al cap. 8 (nel brano qui
riportato) come già noto. Alla sua origine fa invece riferimento la Saga dei Groenlan‑
desi (Grœnlendinga saga, cap. 3) dove si dice che Leifr avrebbe chiamato così quella
terra in quanto vi erano state trovate delle viti e dell’uva.

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126 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

3.1.7. Ritorni

Molti di coloro che lasciarono la Scandinavia nel periodo vichin-


go non vi avrebbero mai più fatto ritorno. Le iscrizioni runiche in
questi secoli testimoniano in numero davvero considerevole il
ricordo di uomini periti lontano da casa, talora per una disgrazia o
un naufragio, talora combattendo virilmente. Parecchi tuttavia
sarebbero tornati: innanzi tutto molti commercianti, che per la
natura stessa della loro attività dovevano continuamente approv-
vigionarsi di merci. Ma anche molti avventurieri e capi militari che
avevano trovato fortuna in Paesi stranieri rientravano spesso nelle
terre d’origine, a volte per riorganizzarsi, a volte per preparare altri
attacchi e stringere alleanze. Questo movimento di persone che
recavano con sé nuove esperienze e nuove idee non sarebbe rima-
sto senza conseguenze decisive per il futuro delle terre nordiche.

Dalla Saga di Egill Skalla-Grímsson:

“Questo disse mia madre, star ritto sulla prora,


che a me si dovrebbe comprare guidare la nave preziosa,
un’agile nave e magnifici remi, e poi dirigere al porto,
andar via coi vichinghi, colpire un uomo e un altro.”105

3.2. Il nucleo delle nazioni nordiche

3.2.1. Tradizione e innovazione

Certamente, come si è rilevato in precedenza, nei Paesi scandi-


navi nuclei di potere centralizzato si erano venuti formando fin
dall’età dei Merovingi, tuttavia i primi segnali di questa evoluzione
possono essere rintracciati già nell’età delle migrazioni se non
addirittura in precedenza. In realtà, come è lecito attendersi, il
processo di creazione degli stati nordici si protrasse per un periodo
di tempo assai lungo e il suo corso fu determinato da diversi ele-
105
DLO nr. 21. I versi sono dello scaldo Egill Skalla-Grímsson (910-990?); su di lui
vd. oltre, pp. 306-307.

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Verso il mondo esterno: il periodo vichingo 127

menti, non ultima la forza intrinseca delle concezioni che per


secoli avevano sostenuto la società tradizionale la quale, dunque,
seppe opporre una forte resistenza alle novità che venivano intro-
dotte e – seppure infine dovette soccombere – fu tuttavia capace
di mantenere in vita valori secolari che in misura notevole vennero
assimilati al nuovo, condizionandolo. L’elemento guerriero, stret-
tamente legato all’aspetto economico, aveva prodotto arricchimen-
to e insieme alleanze e antagonismi, sui cui esiti si fonda in buona
parte l’enuclearsi degli stati. Fu dunque da un intreccio di guerre,
conquiste, sconfitte, accordi e rivalità che vennero emergendo
figure autorevoli e intraprendenti che seppero porre le basi di
quelle che sarebbero state le monarchie nordiche, il cui potere si
sarebbe diffuso in vaste aree nei diversi Paesi.
Ma questo processo si innestava su una struttura che era, di fatto,
ancora tribale e nella quale ai sovrani era attributo potere limitato
sia dal punto di vista territoriale sia da quello amministrativo: essi
infatti erano piuttosto individui eminenti all’interno della comuni-
tà (che sostanzialmente si fondava sul richiamo a un antenato comu-
ne ritenuto divino) e a loro era affidato il compito di gestire il bene
di tutti svolgendo il ruolo di intermediari tra le potenze sovranna-
turali e il popolo, cui dunque dovevano garantire fecondità e benes-
sere. L’aspetto giuridico era perciò strettamente legato a quello
religioso. Le caratteristiche di questo tipo di signore fecondo e
protettore, questo ‘sovrano sacro’, trovano un riflesso, a esempio,
nell’iscrizione (seppure lacunosa) che si trova sulla pietra runica di
Stentoften (Blekinge, Svezia, metà del VII secolo circa)106 dove
(nella prima parte) si legge: niuhAborumR/ niuhagestumR/
hAþuwolAfRgAfj/ hAriwolAfRṃA××usnuh×e/: “Ai nuovi contadini/
ai nuovi ospiti [forestieri]/ Haduwolf diede [una buona] annata/
Hariwolf per […] è ora protezione.”107 Una fonte ben più tarda (la
Saga degli Ynglingar di Snorri Sturluson) che riferisce delle vicende
(in buona parte leggendarie) della stirpe regale degli Ynglingar,

106
Si confronti anche l’iscrizione della pietra svedese di Sparlösa (Västergötland,
inizio del IX secolo). Su di essa, a questo proposito, si legga Lindquist I., Religiösa
runtexter II. Sparlösa-stenen, ett svenskt runmonument från Karl den stores tid upptäckt
1937. Ett tydningsförslag, Lund 1940.
107
Interpretazione basata su Krause 1966 (C.2.5), pp. 209-214. La parte finale
dell’iscrizione recita: hideRrunonofelẠḥekA hederA ginoronoR/ herAmAlAsARArAgeu/
weḷẠdudsAþAtbAriutiþ, un formula magica del tutto simile a quella che si trova sulla
pietra di Björketorp (vd. p. 85, nota 82). Cfr. qui il testo inciso sulla bratteata danese
di Skodborg (Jutland meridionale, periodo delle migrazioni): auja alawin auja alawin
auja alawin j alawid “Salute, Alawin! Salute, Alawin! Salute, Alawin! Buona annata,
Alawid!” (Krause 1966, pp. 241-244).

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128 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

discendenti dell’antenato divino Yngvi-Freyr (divinità feconda per


eccellenza) esprime ancora tutto il significato di questa figura nel-
la drammatica vicenda del re svedese Dómaldi, sacrificato dai
sudditi (che, si dice, aspersero gli altari con il suo sangue) perché
durante il suo regno c’era stata persistente carestia.108
Ma i vichinghi, per la natura stessa delle loro scelte di vita e
delle associazioni che erano andati a costituire, contrapponevano
a questa visione comunitaria un forte individualismo: conseguen-
temente quelli tra di loro che emersero come condottieri eccellen-
ti si adoperarono per introdurre nei loro Paesi d’origine e nelle
terre da loro conquistate monarchie di tutt’altra natura, certamen-
te influenzate dai modelli che avevano conosciuto nel resto d’Eu-
ropa. Come detto si trattava di individui determinati a gestire in
prima persona la propria vita e il proprio destino e la loro ambi-
zione, parallela – ma per molti versi conseguente – all’arricchimen-
to e al successo economico, fu certamente quella di porre le basi di
una diversa struttura sociale, adeguata alla gestione delle grandi
ricchezze accumulate e del potere che ne derivava. Tuttavia la
persistenza di una concezione sacrale della regalità resta chiara-
mente testimoniata in diversi casi.109 A esempio a riguardo del
celebre sovrano norvegese Olav Haraldsson (Óláfr inn helgi Haralds-
son, 995-1030),110 proclamato santo e divenuto emblema stesso del
108
Snorri Sturluson, Ynglinga saga: “Dómaldi raccolse l’eredità di suo padre Vísburr
e governò le terre. Durante il suo regno ci furono in Svezia fame e carestia. Allora gli
Svedesi fecero a Uppsala grandi sacrifici. Il primo autunno sacrificarono dei buoi ma il
raccolto non migliorò affatto. L’autunno seguente innalzarono un sacrificio umano ma
il raccolto fu uguale se non peggiore. Il terzo autunno gli Svedesi convennero numero-
sissimi a Uppsala, al tempo in cui doveva aver luogo il sacrificio. I capi tennero consiglio
e furono d’accordo tra loro che la carestia doveva dipendere da Dómaldi, loro re, e anche
che dovevano sacrificarlo per [ottenere] la prosperità, assalirlo, ucciderlo e aspergere gli
altari del suo sangue, e così fecero” (DLO nr. 22). Vd. Ström F., “Kung Domalde
i Svithjod och kungalyckan”, in SoS, XXXIV (1967), pp. 52-66 e Lönnroth E.,
“Dómaldi’s death and the myth of sacral kingship”, in Lindow – Lönnroth et al. 1986
(C.5.2), pp. 73-93. Cfr. anche, nella medesima saga (cap. 43) la vicenda del re svedese
Olof Diboscatore (trételgja) Ingjaldsson – di cui si precisa che era poco dedito ai sacri-
fici – che fu bruciato vivo in casa per la medesima ragione. Qui si può anche richiamare
l’annotazione del biografo di Ansgar Rimbert (Vita Anskarii, cap. 26) che riferisce come
nel corso del suo secondo viaggio in Svezia il missionario fosse venuto a conoscenza del
fatto che gli Svedesi adoravano come un dio un sovrano deceduto di nome Erik (Ericus).
109
Questa idea è stata talora messa in dubbio da studiosi autorevoli (in particolare
in BAETKE 1964), ma ultimamente ha trovato nuovi sostenitori. Per una sintesi del
problema vd. GRÄSLUND 1997 (C.4.1), pp. 49-50 e i riferimenti relativi, cui si aggiunga
VON FRIESEN 1932-1934, HÖFLER 1959, STRÖM 1959, MC TURK 1974-1977 e anche
STEINSLAND 1992 e STEINSLAND 2000.
110
Un soprannome meno noto di questo re era anche “il Grosso” (inn digri). Regnò
dal 1015 al 1028. Vd. oltre, pp. 254-257.

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Verso il mondo esterno: il periodo vichingo 129

cristianesimo, una fonte lascia intendere che egli in realtà era la


reincarnazione di un suo antenato, Olav Guðrøðarson, sopranno-
minato “elfo di Geirstaðir” (Geirstaðaálfr), un re che aveva garan-
tito ai sudditi prosperità e pace e al quale dopo la morte essi innal-
zavano sacrifici. Di un altro sovrano norvegese, Halvdan il Nero
(Hálfdan svarti Guðrøðarson) è ricordato che quando morì il suo
corpo venne sezionato in quattro parti che furono poi sepolte in
quattro diverse province: ciò perché gli abitanti di ciascuna lo
reclamavano per aver garantite prosperità e pace.111 Certamente va
riferita qui anche la tradizione svedese della Eriksgata, cioè il per-
corso che il re neoeletto doveva fare attraverso le diverse regioni
del Paese per prestare giuramento ed essere accolto dal popolo
come dispensatore di pace e abbondanza.112
Come che sia, la costituzione di una autorità centralizzata nei
Paesi nordici non fu certamente un risultato conseguito senza
difficoltà e diversi furono gli ostacoli che si frapposero alla sua
affermazione. Il primo è senza dubbio da individuare nella rivalità
111
Per una più ampia valutazione di queste notizie e l’indicazione delle fonti vd.
Chiesa Isnardi 20084 (B.7.1), p. 310 e p. 445.
112
Si tratta dell’itinerario che i sovrani svedesi nel medioevo dovevano percorrere
nelle diverse regioni per ricevere l’omaggio e l’atto di sottomissione da parte dei digni-
tari locali preposti a ciascuno dei distretti amministrativi (lagsagor, vd. p. 358) nei
quali il Regno era suddiviso. Le leggi emanate verso la metà del XIV secolo dal re
Magnus Eriksson (Legge generale per il Paese di Magnus Eriksson; vd. pp. 354-355) si
esprimono in proposito in questo modo: “Ora il re dovrà percorrere a cavallo la sua
Eriksgata, e gli uomini delle [diverse] regioni dovranno seguirlo e consegnargli degli
ostaggi, tali che egli sia garantito e sicuro, e pronunciare quel giuramento che prima è
stato detto. E il re in ogni regione e lagsaga dovrà promettere e affermare di mantene-
re i propri giuramenti nei loro confronti, quelli pronunciati a Uppsala, quando per la
prima volta fu accettato come sovrano./ § 1. Ora egli dovrà cavalcare seguendo il
corso del sole attraverso il suo Paese. Allora quelli che abitano nella lagsaga dell’Uppland
lo seguiranno attraverso di essa fino a Strängnäs. Là gli abitanti del Södermanland lo
accoglieranno e gli andranno incontro con scorta e ostaggi e lo accompagneranno a
Svintuna. Allora gli abitanti dell’Östergötland gli andranno incontro con i loro ostag-
gi e lo accompagneranno attraverso la loro regione fino al centro della foresta di
Holaved. Là gli abitanti dello Småland gli andranno incontro e lo accompagneranno
fino a Junabäck. Là gli abitanti del Västergötland gli andranno incontro con scorta e
ostaggi e lo accompagneranno fino a Romundeboda. Là gli abitanti del Närke gli
andranno incontro e lo accompagneranno attraverso la loro regione fino al ponte di
Uppbåga. Là gli abitanti del Västmanland gli andranno incontro con scorta e in pace
(qui frid nel senso di “sicurezza all’interno della comunità”, vd. p. 97 con nota 3) e lo
accompagneranno fino al ponte di Östen. Là gli abitanti dell’Uppland gli andranno
incontro e lo accompagneranno fino a Uppsala. § 2. Allora questo re è legalmente
introdotto nel Paese e nel Regno, e ha percorso a cavallo la sua Eriksgata. Egli è scelto
così come prescrive la legge e con giuramenti e parole ha reso al suo Paese e agli
uomini del suo Paese ciò che deve loro e ciò che essi hanno dovere di adempiere”
(DLO nr. 23).

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130 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

che contrapponeva coloro che aspiravano al potere, certamente un


elemento di grave instabilità. Qui occorre tra l’altro tenere ben
presente che nel periodo vichingo i nordici non avevano ancora
delineato una chiara cognizione della loro appartenenza a una
nazione ‘danese’, ‘svedese’ o ‘norvegese’ che fosse. Le alleanze che
si formavano erano determinate da interessi dinastici e/o economi-
ci, complicate da intrecci di parentela e non di rado finalizzate a
vantaggi diversi che in determinate occasioni andavano a conver-
gere. Anche dal punto di vista geografico i confini degli stati che si
venivano enucleando erano in larga parte dissimili dagli attuali:
basti pensare che la regione svedese meridionale della Scania era
allora danese,113 e anche che il dominio del re norvegese si esten-
deva a diversi territori dell’attuale Svezia. Il potere dei re svedesi
e, in buona parte, di quelli norvegesi inoltre si infrangeva verso
nord, quando ci si spostava in regioni (comunque ritenute di scar-
so interesse economico) che erano abitate dalle popolazioni sami
che ben poco avevano a spartire con la cultura delle zone più meri-
dionali.
Ma un altro elemento ebbe un ruolo determinante. L’antica
società tribale scandinava conosceva – sulla scorta di quella germa-
nica – uno strumento di governo molto antico: l’assemblea (in ant.
nordico þing).114 In essa i notabili e gli uomini eminenti si incon-
travano per discutere e dirimere i problemi, per promulgare le
leggi e per emettere i giudizi.115 Il potere riconosciuto a tali assem-
blee era fortemente radicato ed esso venne perciò spesso a trovar-
si in posizione di notevole contrasto con quello centralizzato deter-
minando una conflittualità che avrebbe creato gravi difficoltà ai
sovrani. L’autorità e l’indipendenza delle antiche assemblee infatti
resisteranno a lungo, manifestandosi in seguito in diversi casi sotto
forma di insubordinazione e insofferenza nei confronti del governo
centrale.
113
D’altra parte si è visto che questa regione fin dal periodo preistorico ha sempre
gravitato verso la Danimarca. In effetti essa è rimasta territorio danese fino al 1658
quando, in seguito al trattato di pace di Roskilde fu ceduta alla Svezia insieme al Hal-
land, al Blekinge, all’isola di Bornholm (che sarebbe successivamente ritornata sotto
la Corona danese), alla regione del Bohuslän, tolta alla Norvegia (che perdeva anche
il distretto di Trondheim, successivamente recuperato); vd. oltre, p. 533 con nota 13.
114
Termini corrispondenti nelle lingue scandinave moderne sono il danese ting
“camera” (del parlamento), “corte d’assise”; il norvegese ting “tribunale” (storting
“parlamento”, letteralmente “grande t.”); lo svedese ting “udienza di prima istanza”,
l’islandese þing “parlamento”. Come si vede in queste lingue è ben conservato il ricor-
do della duplice funzione legislativa e giudiziaria dell’antica assemblea (vd. Modéer
– Andersen et al. 1974 e Beck – Wenskus et al. 1984).
115
Già Tacito (Germania, cap. 11) fa preciso riferimento a questa istituzione.

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Verso il mondo esterno: il periodo vichingo 131

Occorre inoltre rilevare che i grandi cambiamenti introdotti


nell’era vichinga, se poterono avviarsi e trovare il proprio sviluppo
grazie alla presenza dei centri di potere più ampio che si erano
enucleati nei secoli precedenti, incontrarono allo stesso tempo
forti ostacoli nelle contese determinate dai diversi interessi e dalle
contrastanti ambizioni di coloro che li governavano. La conflittua-
lità che segna le vicende storiche legate alla formazione e al conso-
lidamento degli stati scandinavi è certamente figlia di questa situa-
zione.

3.2.2. Danimarca

Il primo nucleo di un potere che superava confini limitati si era


manifestato in Danimarca, nella regione della Selandia, fin dall’ul-
tima fase dell’età del ferro romana. Esso era in grado di far sentire
la propria autorità in gran parte delle regioni meridionali della
Scandinavia e la sua influenza si può constatare per tutto il periodo
delle migrazioni.116 È d’altronde in questa fase che si conoscono
località di sicura importanza, quali a esempio Gudme nella regione
della Fionia117 o Lejre e Tissø in Selandia.118 Agli eventi storici
riferibili a queste fasi e ai personaggi che ne furono protagonisti si
riferiscono diverse fonti. Nella Storia (Historiarum libri X) di Gre-
gorio di Tours compare nell’anno 515 un re danese di nome
Chlochilaicus:119 costui sarebbe stato ucciso nel corso di un attacco
sulle coste francesi;120 resta evidentemente assai difficile stabilire
l’estensione del suo potere. Altre notizie troviamo nel già citato
poema anglosassone Beowulf e in alcune saghe norrene. La Saga di
Rolf [Magro come un] palo (Hrólfs saga kraka, redatta nel XIV o
XV secolo), che si sofferma sulle vicende di un celebre sovrano
116
In Hedeager 1992 (C.2.2) l’analisi archeologica ben evidenzia i presupposti
della formazione di uno stato danese fin dall’età del ferro romana.
117
Cfr. p. 69, nota 24.
118
In Chambers – Wrenn 1959 (vd. p. 91, nota 110), pp. 16-20 è convincentemen-
te proposta l’ipotesi che a Lejre si trovasse la celebre e magnifica reggia Heorot (“Il
Cervo”) fatta costruire dal re danese Hrothgar (Hrōðgār) le cui vicende sono narrate
nel Beowulf. Su Lejre vd. Christensen T., Lejre – syn og sagn, Roskilde 1991 e Larsen
A-Chr. (red.): Kongehallen fra Lejre. Et rekonstruktionsprojekt. International workshop
25.-27. november 1993 på Historisk-Arkæologisk Forsøgscenter, Lejre, om rekonstruk‑
tionen af vikingehallen fra Gl. Lejre og et vikingetidsmiljø, Lejre 1994.
119
Che verosimilmente corrisponde al nordico Hugleikr (ricordato nella Saga degli
Ynglingar di Snorri Sturluson) e all’anglosassone Hygelac del Beowulf; vd. Jones 1977
(C.3.1), pp. 39-40 e pp. 51-52.
120
Libro III, 3.

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132 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

danese, ha carattere quasi del tutto leggendario;121 similmente, per


buona parte, la Saga degli Skjǫldungar (Skjǫldunga saga, composta
verosimilmente verso la fine del XII o l’inizio del XIII secolo)122 il
cui titolo si riferisce alla stirpe di origine divina dei primi sovrani
di questo Paese, discendenti di Skjǫldr (“Scudo”), detto figlio di
Odino, i medesimi che nel Beowulf sono detti Scyldingas: a essa si
rifà, da un punto di vista formale, un testo come la Saga degli
Ynglingar di Snorri Sturluson. Anche altri scrittori ‘storici’ come
Svend Aggesen che redasse in latino una Breve storia dei re della
Danimarca (Brevis historia regum Dacie, dalle origini al 1185)123 e
– soprattutto – Sassone grammatico (Saxo grammaticus), autore
(anch’egli in latino) della celebre Storia dei Danesi (Gesta Danorum)
che si riferisce in modo ben più esteso (sedici libri) al medesimo
periodo di tempo,124 indulgono – a riguardo della fase più antica –
al medesimo compiacimento leggendario, facendo risalire la dina-
stia danese nel primo caso a Skjold/Skiold125 e nel secondo a Dan
(mitico re dal quale dunque il Paese avrebbe tratto il nome).126 Una
maggiore chiarezza non ci viene da altre fonti, quali in particolare
la Cronaca di Lejre (Chronicon Lethrense), successiva al 1160, le
genealogie (tra cui quella attribuita al medesimo Svend Aggesen)
e i cataloghi di sovrani danesi.127
A diversi personaggi citati in questi testi possiamo attribuire una
probabile storicità, tuttavia le vicende che a loro riguardo sono
narrate travalicano senza dubbio la realtà dei fatti.128 È praticamen-
te impossibile liberare dalle concrezioni leggendarie nomi come
quello di Halvdan (ant. ingl. Healfdene, significativamente “Semi-
121
Costui, in particolare per il contrasto con un sovrano svedese, è ricordato anche
nell’Edda di Snorri Sturluson (Skáldskaparmál, cap. 8).
122
Vd. p. 323 con nota 126.
123
Vd. p. 323.
124
Vd. pp. 322-323.
125
Brevis historia regum Dacie, pp. 96-97. A Svend Aggesen si deve anche la Legge
di corte (Lex Castrensis, cfr. p. 394, nota 261) e una genealogia dei re danesi di cui resta
solo la prefazione (riportata nell’ultimo foglio del ms. AM 33, 4to, conservato presso
l’Università di Copenaghen, Nordisk Forskningsinstitut); cfr. nota 127.
126
Gesta Danorum, I, i, 1.
127
Vd. Chronicon lethrense, pp. 43-53 (in particolare Dan è citato alle pp. 43-44);
cfr. le Serie e genealogie dei re dei Danesi (Series et genealogiæ regum Danorum), pp.
157-194 dove Dan è indicato sempre come progenitore (p. 159, p. 161, p. 167, p. 175,
p. 177 e p. 186) mentre Skjold/Skyld compare fra i primi re danesi ma non come
progenitore (p. 161, p. 167, p. 175 e p. 186).
128
Nella “Introduzione” alla versione italiana dei carmi dell’Edda poetica, P.G.
Scardigli, propone opportune osservazioni sul meccanismo attraverso il quale perso-
naggi ed eventi storici divengono protagonisti e materia di letteratura leggendaria: vd.
Il Canzoniere eddico, a cura di P.G. Scardigli, Milano, 1982, pp. vii-viii.

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Verso il mondo esterno: il periodo vichingo 133

danese”), ricordato nel Beowulf, un personaggio collocabile forse


nel V secolo; del già citato Rolf (vissuto nel VI secolo?) signore di
Lejre; di Ivar [il cui potere] abbraccia ampi [territori] (Ívarr Hálf-
danarson víðfaðmi, VII secolo), sovrano della Scania che era dive-
nuto signore di tutta la Danimarca e, secondo diverse fonti, addi-
rittura di tutta la Scandinavia e oltre;129 di Araldo Dente di battaglia
(Haraldr hilditǫnn)130 che avrebbe unificato la Danimarca e imposto
il proprio dominio anche su buona parte della Svezia e di suo nipo-
te Sigurd Anello (Sigurðr hringr) a lui opposto nell’epica battaglia
di Brávellir (bellum Brawicum, VII secolo? – VIII secolo?), combat-
tuta forse (se combattuta!) nella regione svedese dell’Östergötland
presso Bråviken e che vide Araldo soccombere, non senza l’inter-
vento di Odino che sotto le mentite spoglie del suo auriga lo fece
sbalzare dal carro e ne provocò la morte.131 Storia intrecciata alla
leggenda dunque, ma dietro la quale possiamo comunque ricono-
scere il progressivo affermarsi di diversi potentati, le loro alleanze
e rivalità in un percorso che porterà infine alla costituzione di un
dominio esteso a territori più ampi. Del resto anche un’altra figura
del tutto leggendaria, quella del mitico re Fróði (che per molti
versi riprende le caratteristiche del dio della fecondità Freyr),
sovrano (durante il cui regno viene collocata la nascita di Cristo!)
fecondo e capace di garantire ai sudditi prosperità e pace132 rivela
la persistenza nella tradizione culturale danese della figura del re
sacro di cui sopra si è detto.
In realtà, tornando a dati concreti, possiamo riconoscere un
segnale effettivo dell’affermarsi di una potenza danese nel raffor-
zamento della costruzione del famoso bastione difensivo noto come
Dannevirke o Danevirke (Danavirki, la cui prima realizzazione
dovrebbe risalire al 737)133 per iniziativa di Goffredo (Godfred/
129
Vd. la Saga degli Ynglingar di Snorri Sturluson, cap. 41, p. 72 con nota 4 nella
quale si dà conto delle altre fonti.
130
Secondo il racconto di Sassone grammatico (Gesta Danorum, VII, x, 4) questo
curioso soprannome gli derivava dal fatto che avendo egli perduto due denti a causa
di un bastone lanciato da un nemico, questi erano miracolosamente ricresciuti, tutta-
via piuttosto sporgenti.
131
Vd. questo episodio (e fonti relative) in Chiesa Isnardi 20084 (B.7.1), p. 211. Sui
re danesi di questo periodo vd. Jones 1977 (C.3.1), pp. 53-65.
132
Vd. Chiesa Isnardi 20084 (B.7.1), p. 180 e p. 280.
133
Vd. Skovgaard-Petersen 1981, p. 14. Qui si anticipa la datazione relativa all’i-
nizio di questa costruzione, tradizionalmente collocata nell’anno 808; sul Dannevirke
vd. Müller S. – Neergaard C., Danevirke. Archæologisk undersøgt, beskrivet og tydet,
in NF I, 1890-1903, pp. 197-302; la Cour Vilh., Danevirkestudier. En Arkæologisk-
Historisk Undersøgelse, København 1951 e Kühl J. – Hardt N., Danevirke. Nordens
største fortidsminde, Herning 1999.

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134 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

Godofridus/Guthifridus ma anche Gøtrik/Gøtricus),134 il primo


sovrano (804-810) con un potere effettivamente esteso a tutto il
Paese, capace di sottomettere i Frisoni e diverse popolazioni slave
e di minacciare persino l’imperatore Carlo. Questo bastione, che
sarà rafforzato e accompagnato da tutta una serie di fortificazioni
(e la cui costruzione si protrarrà fino al 1160) aveva lo scopo di
proteggere il confine meridionale dello Jutland.135 Per salvaguarda-
re gli interessi commerciali danesi nell’anno 808 questo re aveva
distrutto il mercato degli Obodriti a Reric (nei pressi dell’attuale
Wismar, o forse di Lubecca), dando contemporaneamente impulso
a Hedeby (l’attuale Schleswig), dove fece trasferire i commercianti
(qui risultano coniate nella prima metà del IX secolo le prime mone-
te danesi). Anche i successori di Goffredo (a quanto pare ucciso da
un uomo del suo seguito), il nipote Hemming (noto solo da fonti
latine come Hemmingus, sovrano negli anni 810-812)136 prima e il
figlio Horik (Horicus ma anche Rørek, re dall’813 all’854)137 poi –
quest’ultimo in particolare piegando le aspirazioni di Araldo (Harald/
Haraldus) Klak,138 sconfitto definitivamente nell’827 – sarebbero
stati capaci di mantenere un potere sostanziale su tutto il territorio
danese (esteso allora verosimilmente oltre che allo Jutland e alle
isole, alla Scania e ad alcune zone della Norvegia orientale). Queste
notizie ci vengono in buona parte da fonti latine anche contempo-
ranee, come gli Annali del Regno dei Franchi (Annales Regni
Francorum)139 che riferiscono dei rapporti di questi re con l’Impero.

134
A proposito di questo personaggio, così come della sua famiglia le fonti non
mostrano precisione né concordanza; vd. Saxo Grammaticus 1979-1980, II, pp. 147,
nota 175, p. 148, nota 176, p. 150, note 1 e 2.
135
L’edificazione di altre imponenti fortificazioni-basi militari (come Trelleborg in
Selandia, Fyrkat e Aggersborg nello Jutland e Nonnebakken in Fionia), legate alla
figura del re Svend Barba forcuta si collegherà in seguito (tra il X e l’XI secolo) all’af-
fermazione definitiva di un potere centralizzato basato anche sulla militarizzazione del
territorio. Vd. Nørlund P., Trelleborg, med bidrag af K. Jessen, København 1948;
Olsen O. – Schmidt H. et al., Fyrkat. En jysk vikingeborg, I-II, København 1977 e
Roesdahl E., “Vikingernes Aggersborg”, in Nørgaard F. – Roesdahl E. et al. (red.),
Aggersborg gjennem 1000 år – Fra vikingeborg til slægtsgård, Herning 1986, pp. 53-93.
136
Adamo da Brema (Gesta Hammaburgensis […], I, xiv) sostiene tuttavia che egli
fosse il cugino (patruelis) di Goffredo.
137
Forse sarebbe addirittura possibile identificare in questo re il mitico capo vichin-
go Ragnarr Brache di pelo (che in Sassone grammatico sarebbe Regnerus, di cui tratta
il libro IX); vd. Saxo Grammaticus 1979-1980, I, pp. 277-278; cfr. sopra nota 36.
138
Questo soprannome attribuito successivamente è di significato incerto; vd.
Jónsson 1907 (indicazioni alla nota 96), p. 292 e p. 334.
139
Annales Regni Francorum, pp. 86-98, passim; vd. anche l’opera di Adamo da
Brema (Gesta Hammaburgensis […], I, xiv-xv) e, naturalmente, quella di Sassone
grammatico (Gesta Danorum, libro IX).

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Verso il mondo esterno: il periodo vichingo 135

Nel IX secolo e per buona parte del X, mentre i vichinghi


danesi imperversavano in Paesi stranieri, la loro patria conosceva
lotte intestine e un certo ridimensionamento del potere centrale.
E in effetti solo a partire da Gorm il Vecchio (Gormr inn gamli
Hǫrða-Knútsson) e da suo figlio Araldo Dente azzurro (Haraldr
blátǫnn Gormsson), prenderà il via una dinastia reale danese vera
e propria (934). Di incerte origini, Gorm riuscì a sconfiggere i
prìncipi locali e, soprattutto, a scacciare gli Svedesi che fin dal
910 si erano insediati, con il capo vichingo Olof prima e con il
figlio di lui Gnupa poi, nell’importante centro di Hedeby gover-
nando anche buona parte delle isole danesi. Una pietra runica di
Jelling (nello Jutland, luogo in cui nel 958 venne sepolto Gorm il
Vecchio) rappresenta, nella sua breve quanto efficace iscrizione, una
sorta di certificato di nascita dello Stato danese: haralt kunukR
baþ kaurua kubl þausi aft kurmfaþursin aukaft þAurui muþur
sina sa haraltr ias sAR uan tanmaurk/ ala auk nuruiak/ auk tani
(karþi) kristnA: “Il re Araldo fece fare questo monumento [in
memoria] di Gorm suo padre e di Thyre sua madre, quell’Araldo
che conquistò tutta la Danimarca/ e la Norvegia/ e fece cristiani
i Danesi.” A Jelling si trova anche un’altra pietra runica (la prima
in ordine di tempo, 935 circa) fatta erigere da Gorm medesimo
per la moglie Thyre (Þyri), la quale nel testo viene definita tanmarkaR
but “prosperità della Danimarca”.140 Su queste pietre compare
per la prima volta il nome di questo Paese (come pure quello
della Norvegia).
Nel 1013, in seguito a una lunga serie di attacchi, Svend Barba
forcuta (Sveinn tjúguskegg Haraldsson, 986-1014), figlio di Araldo
Dente azzurro succeduto al padre in circostanze non del tutto chiarite,141
avrebbe infine conquistato l’Inghilterra, divenendone in tal modo il
primo re danese: poco dopo tuttavia egli moriva improvvisamente. Ma
la sua eredità sarebbe andata a un figlio destinato a diventare celebre:
Canuto il Grande, vero e proprio signore di un ‘impero del Nord’.

Descrizione della Danimarca dalle Opere dei Danesi di Sassone gram-


matico:

“I limiti di questa regione sono dunque in parte demarcati dal solo


confine di un altro [Paese], in parte circoscritti dalle onde del mare che la
tocca. L’Oceano infatti bagna e circonda la zona centrale, esso talora si

140
Sull’interpretazione di questa espressione vd. Nielsen 1983 (C.2.5), pp. 100-101.
141
Vd. Jones 1977 (C.3.1), pp. 138-139.

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136 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

insinua negli anfratti tortuosi delle insenature [a formare] chiusi bracci


di mare, talora si espande nell’ampiezza di un golfo più aperto e dà origi‑
ne a molte isole. Il che fa sì che la Danimarca, disegnata dai flutti del mare
che la circonda, abbia poche zone ininterrotte di terraferma, le quali sono
differenziate da una così grande frammentazione dei marosi a seconda
delle diverse angolature di tortuosi canali. Tra [le regioni] del Regno
danese lo Jutland occupa il primo posto a motivo dell’estensione e del
[fatto che dà] inizio [al territorio], essa infatti è nell’ordine la prima e
quella che come posizione si spinge più in là, arrivando a i confini con la
Germania […] In essa c’è un golfo che si chiama Limfjorden, ha una tale
abbondanza di pesce che pare garantisca agli abitanti non meno cibo di
tutto il terreno [coltivato…] Oltre lo Jutland, verso est, si trova [l’isola
di] Fionia, che un braccio di mare davvero stretto separa dal continente.
La quale perciò a ovest è rivolta verso lo Jutland, ma a est verso la Selan‑
dia, [una regione] che deve essere lodata per la grande abbondanza di
risorse. Quest’isola, che per bellezza sopravanza tutte le altre province del
nostro territorio, può essere considerata il cuore della Danimarca, perché
una uguale distanza nello spazio [la] divide dai confini estremi del
territorio.”142

3.2.3. Svezia

Per quanto allettante sia l’idea che il nucleo del futuro Regno
svedese possa essere già riconosciuto nel passo tacitiano relativo
alla tribù dei Suiones143 e quindi fatto risalire addirittura al I seco-
lo d.C., è evidente che anche in Svezia diversi centri di potere si
erano consolidati piuttosto nei secoli precedenti il periodo vichin-
go in aree particolarmente avvantaggiate dal punto di vista delle
risorse economiche e commerciali; le testimonianze archeologiche
di contatti con l’Impero romano (e la conseguente circola-
zione di merci di prestigio) si legano all’affermarsi di signorie
capaci di imporsi – grazie all’acquisizione di ricchezza e alla
capacità di stringere utili alleanze – oltre confini limitati. Nei
secoli V-VI d.C. la Svezia ci appare come un territorio econo-
micamente vivace e nel quale si vengono delineando le regioni
che andranno a costituire la struttura del futuro Regno: Götaland
(la “terra degli Götar” [pronuncia: /'jø:tar/]), suddivisa in
Västergötland e Östergötland; Uppland con la regione gravitan-
142
“Prologo” (Præfatio) II, 1-3 (DLO nr. 24).
143
Vd. p. 155 con nota 215.

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Verso il mondo esterno: il periodo vichingo 137

te sul lago Mälaren (dove la località di Helgö acquisisce rilevan-


te importanza) e il suo amplissimo retroterra che costituiscono
il territorio degli Svear;144 le grandi isole baltiche di Öland e
Gotland. L’affermarsi di potentati locali è confermato anche
dalla grande quantità di beni preziosi (a esempio le ricche offer-
te votive databili tra il III e il VI secolo d.C.) che testimoniano
di una aristocrazia che andava fondando il proprio predominio
su basi non solo commerciali e militari ma anche religiose. Del
resto, a partire da questo periodo si colloca nel Nord una sorta
di ‘regolamentazione’ della religione pagana capace di ‘ordina-
re’ i diversi elementi su base sincretistica. Tre fattori fondamen-
tali: potere economico, politico-amministrativo e religioso si
consolidano a vicenda, dando forza a principati che costituiran-
no le fondamenta del futuro Stato svedese. La notevolissima
quantità di oro che affluisce nel Nord, i grandi tumuli – a esem-
pio quelli di Gamla Uppsala nell’Uppland – innalzati a ricordo
di sovrani eminenti e poi, ancora, i ritrovamenti archeologici di
località come Vendel o Valsgärde ne recano eccellente testimo-
nianza.
Tuttavia, dal punto di vista delle fonti scritte, anche per quanto
riguarda la storia della Svezia in questi primi secoli della sua tra-
sformazione in stato, ci si deve accontentare di riferirsi a testi di
carattere leggendario: in buona parte si tratta dei medesimi da cui
traiamo le notizie sulla Danimarca, ma questo è del tutto naturale,
dal momento che le vicende di questi popoli sono strettamente
interconnesse. Il già citato poema anglosassone Beowulf ci mostra
gli Svear (ant. nordico Svíar, ant. ingl. Sweōn o anche Sweō-ðeōd)
in lotta contro i Geati (ant. ingl. Geātas): con grande probabilità
questo nome fa riferimento agli Götar, tuttavia non è da escludere
totalmente una diversa opinione secondo la quale esso rimande-
rebbe, piuttosto, agli Juti.145 È verosimile che in questo conflitto gli
Svear abbiano avuto la meglio (la loro affermazione sugli Götar si
collocherebbe verso la metà del periodo delle migrazioni), tuttavia
non ci vengono tramandati nomi di re di questo popolo il cui pote-
re possa essere definito sovraregionale, né pare possibile determi-
nare cronologicamente con precisione quando e se gli Götar abbia-
no di fatto perduto la propria autonomia. È verosimile che si sia
144
In questo periodo si afferma anche Uppåkra, in Scania, un centro la cui impor-
tanza culminerà, secondo la testimonianza fornita dai reperti archeologici, nel X
secolo. Va però tenuto presente che la Scania era in realtà piuttosto una regione
danese (vd. sopra, p. 130 nota 113).
145
Vd. Albani 1969 (C.6), p. 127.

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138 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

trattato in realtà di un processo lento e graduale.146 Assai impor-


tanti sono anche le informazioni fornite nella Saga degli Ynglingar di
Snorri Sturluson, che a sua volta si fonda, come detto,147 sul poema
Enumerazione degli Ynglingar del poeta norvegese Þjóðólfr
di Hvinir. La palese corrispondenza linguistica tra i nomi di perso-
naggi qui ricordati con altri che si trovano nel Beowulf ha indotto,
come già rilevato, a tentativi di ricostruzione di quei lontani even-
ti, basati anche sulle evidenze archeologiche: molti dubbi sono
tuttavia destinati a perdurare.148 La saga menziona tutta una serie
di re ‘svedesi’ sulla cui storicità (o quantomeno su quella degli
eventi a loro collegati) non è possibile avere certezze: è probabile
tuttavia che i conflitti che secondo Snorri li opposero a sovrani di
Paesi vicini rispondano a situazioni reali; un qualche fondamento
storico dovrebbero avere anche vicende personali, quali in parti-
colare quella di Dómaldi Vísbursson, che rifletterebbe una conce-
zione sacrale della regalità, o quella di Ingjaldr Ǫnundarson detto
“di cattivo consiglio” (inn illráði), il cui comportamento privo di
scrupoli nei confronti di altri sovrani locali (da lui uccisi con l’in-
ganno per impadronirsi dei loro territori) ben testimonia la ten-
denza alla creazione di potentati più estesi.149 Un re ‘svedese’ sareb-
be stato, secondo Sassone grammatico, Sigurd Anello, sopra
menzionato, in realtà il nipote del danese Araldo Dente di battaglia,
il cui nonno materno era Ivar Halvdanarson, Colui [il cui potere]
abbraccia ampi [territori], sovrano che – a quanto pare – era stato
capace di imporre il proprio dominio su regioni svedesi e danesi,
su parte dell’Inghilterra se non, addirittura, su alcune zone della
Germania e della Russia;150 costui avrebbe posto fine al dominio
della dinastia degli Ynglingar a Uppsala. A Sigurd Anello Araldo,
zio materno, avrebbe affidato il governo della regione abitata dagli
Svear e del Västergötland, per poi combatterlo nell’epica battaglia
di Brávellir. Altre notizie, come quella relativa al celebre Ragnarr
Brache di pelo che sarebbe stato sovrano di Svezia, sono da ritene-
re totalmente prive di fondamento.151
146
Vd. Nielsen 2000 (B.5), p. 337. Non così intendono studiosi del passato: Stjerna
1905 (C.2.3), Tunberg 1940 e Nerman 1941.
147
Vd. sopra, p. 91.
148
L’intera questione è ben sintetizzata in Jones 1977 (C.3.1), pp. 43-53; cfr. sopra,
p. 91 e nota 110. Vd. anche Chambers – Wrenn 1959 (vd. medesima nota), pp. 333-345.
149
La vicenda di Dómaldi è narrata nel cap. 15 (cfr. p. 128 con nota 108), quella di
Ingjaldr nei capp. 34 e 36-38 (cfr. p. 346, nota 74).
150
Vd. il Frammento su alcuni antichi re dell’impero dei Danesi e degli Svedesi (su
cui p. 323, nota 126), passim.
151
Cfr. sopra, p. 134 con nota 137.

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Verso il mondo esterno: il periodo vichingo 139

In un quadro ben lontano dall’essere chiarito definitivamente,


l’evoluzione dei potentati risulta comunque palese; assai interes-
sante è, a esempio, l’informazione che ci viene da Snorri Sturluson
secondo il quale l’antenato divino dei re svedesi della stirpe degli
Ynglingar, Yngvi-Freyr, si stabilì a Uppsala e decretò che là si
dovessero pagare i tributi, terre e beni mobili, il che venne forman-
do il patrimonio della Corona dei sovrani che dopo di lui regnaro-
no in quel luogo:152 una annotazione che conferma lo sviluppo, dal
punto di vista economico, di un potere centralizzato.
In relazione alle visite del missionario Ansgar (Anskarius),153 il
suo biografo Rimbert (morto nell’888) cita due sovrani che gover-
navano l’importante centro commerciale di Birka sul lago Mälaren:154
Björn (Bern), incontrato da Ansgar nell’anno 830 e Olof (Olef)
nell’852 circa.155 Altri sovrani degli Svear sono ricordati. Seppure
sia più che probabile che nessuno di loro avesse giurisdizione su
un’area sufficientemente vasta rispetto all’estensione geografica del
Paese e che dunque altri signori continuassero a esercitare la propria
autorità in diverse regioni, appare tuttavia evidente che i sovrani di
Uppsala occupavano una posizione di crescente prestigio. Nella
seconda metà del X secolo si colloca la figura di Erik il Vittorioso
(Segersäll, in ant. nord. Eiríkr inn sigrsæli Bjarnason), vincitore sul
rivale Styrbjörn, alleato dei vichinghi danesi, nella piana di Fyris-
vellir presso Uppsala (evento collocabile poco prima del 990) e
divenuto dunque anche signore di Danimarca. Suo figlio Olof Sköt-
konung, indicato come il primo re cristiano della Svezia, diventerà
alla morte del padre (994 o 995) sovrano degli Svear e degli Götar.

Descrizione della Svezia dalle Opere dei vescovi della Chiesa di Ambur‑
go di Adamo da Brema:

“Quindi faremo una breve descrizione della Sueonia o Suedia [la Terra
degli Svear]:156 essa ha a ovest gli abitanti di Götaland e la città di Skara, a
nord gli abitanti di Värmland con i Finni sciatori,157 il cui inizio è [in] Häl‑

152
Ynglinga saga, cap. 10.
153
Vd. oltre, pp. 240-241.
154
La città, costruita sulla piccola isola di Björkö dovette fiorire tra la fine dell’VIII
secolo e il 975 circa; cfr. p. 208.
155
Vita Anskarii; cap. 11 e cap. 26; Björn è citato come un sovrano ben disposto
nei confronti dei missionari.
156
Per la doppia denominazione vd. oltre, pp. 155-156.
157
I Sami (detti in Giordane Screrefennae, cfr. p. 75).

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140 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

singland; a est per [tutta] la lunghezza ha quel Mar Baltico, di cui prima
abbiamo detto. Lì c’è la grande città di Sigtuna; a oriente invece arriva ai
Monti Rifei,158 dove [ci sono] vaste aree desertiche e nevi altissime, e dove
folle di uomini mostruosi impediscono un ulteriore accesso. Là ci sono
Amazzoni, Cinocefali, Ciclopi che hanno un occhio solo sulla fronte; là ci
sono quelli che Solino159 chiama Imantopodi, che saltano su un piede solo,
e quelli che gustano la carne umana al posto del cibo, ragion per cui si rifug‑
ge da loro, e parimenti a [buon] diritto [di loro] si tace.160 Il re danese [Svend
Estridsen], che spesso ricordo, mi riferì che dalle montagne erano soliti
scendere degli uomini di modesta statura, ma dagli Svear a stento contra‑
stabili per la forza e l’agilità. ‘E di loro è incerto da dove vengano; talora
una volta all’anno, oppure dopo tre anni’, disse, ‘arrivano improvvisi. Se a
questi non ci si oppone con tutte le forze, devastano l’intera regione, e di
nuovo si ritirano’. Molte altre cose si sogliono raccontare, che io ho omesso
per amore di concisione, da coloro che affermano di averle viste.”161

3.2.4. Norvegia

In Norvegia la suddivisione tribale e la frammentazione in


piccoli regni era favorita, ancor più che altrove, dalla conforma-
zione geografica del territorio e dalla varietà delle risorse in esso
presenti. Tuttavia i medesimi fattori economici, sociali e religiosi
che avevano provocato la progressiva trasformazione politica nei
territori danese e svedese operarono anche qui. L’evidenza archeo-
logica testimonia una concentrazione abitativa nell’area del fior-
do di Oslo, nelle zone sud-occidentali del Paese e nel Trøndelag.
I rapporti commerciali con il continente sono ben testimoniati
nell’età del ferro romana da ricchi reperti. Più tardi tumuli gran-
158
Si tratta di una catena montuosa citata nei testi antichi ma la cui effettiva esi-
stenza è assai dubbia e l’eventuale collocazione ignota (vogliono forse indicare gli
Urali?).
159
Il riferimento è a Caio Giulio Solino (Caius Iulius Solinus), autore latino vissuto
nel III o IV secolo d.C., e alla sua opera di carattere corografico Raccolta di cose
memorabili (Collectanea rervm memorabilium) nella quale rifacendosi ad autori prece-
denti (principalmente Plinio e Pomponio Mela) elenca notizie strane e curiose relative
a popoli e Paesi. Il suo lavoro fu molto diffuso nel medioevo.
160
La citazione di popolazioni ‘meravigliose’ tra le quali si ritrovano i Ciclopi con
un occhio solo e i Cinocefali, cioè coloro che hanno la testa di cane, riecheggia eviden-
temente informazioni diffuse fra gli scrittori dell’antichità.
161
Gesta Hammaburgensis […], IV, xxv (DLO nr. 25). Sulla concezione geografica
del Nord in Adamo vd. Bjørnbo A.A., “Adam af Bremens Nordens Opfattelse”, in
AaNOH 1909, pp. 120-244.

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Verso il mondo esterno: il periodo vichingo 141

diosi risalenti al V secolo e analoghi soprattutto a quelli svedesi,162


o reperti come la tomba contenente oggetti di pregevolissima
fattura (in particolare una fibbia in bronzo e argento) rinvenuta
a Åker (presso Hamar nella regione di Hedmark, VII secolo), un
tempo probabilmente posta sotto un tumulo, confermano l’affer-
marsi di famiglie (dunque dinastie) assai potenti.163 Anche altre
testimonianze, come a esempio una serie di costruzioni fortifica-
te lungo il versante orientale del lago Mjøsa (nella medesima
regione), disposte per una lunghezza di circa 50 km., potrebbero
far supporre l’esistenza di una confederazione amministrativa fra
diversi gruppi estesa a un territorio di una certa ampiezza. Più
tardi anche lo sviluppo di centri importanti quali Skiringssal
presso Larvik, nella regione di Vestfold o Lade (Hlaðir) presso
Trondheim, risulterà parallelo a quello di località danesi e svede-
si come Hedeby o Birka, centri mercantili ma anche punti di
riferimento culturali. Luoghi nei quali, non a caso, in epoca
vichinga il commercio sarà svolto sotto la protezione di un signo-
re. Tuttavia, attorno all’inizio del IX secolo, seppure in alcune
zone si venissero enucleando strutture politico-economiche di più
vasta portata, la Norvegia risultava frammentata in numerose
piccole signorie locali rette da capi la cui autorità non andava
oltre territori tutto sommato limitati.
Dal punto di vista delle fonti scritte non possediamo per la Nor-
vegia più antica una tradizione storico-leggendaria paragonabile a
quella che riguarda la Danimarca e la Svezia. La Saga degli Ynglingar
di Snorri Sturluson fa semplicemente derivare la dinastia norvege-
se da un ramo di quella svedese.164 Il riferimento è, in particolare,
alla stirpe che governava l’area di Vestfold (zona occidentale del
fiordo di Oslo), una delle regioni i cui sovrani avrebbero giocato
un ruolo decisivo nel processo di unificazione del Paese. Questa
affermazione, che si trova anche nell’anonima Storia della Norvegia
(Historia Norwegie), un testo in latino composto verosimilmente
attorno al 1220,165 risulta per altro radicata nella tradizione, come
dimostra il fatto che era nota agli scaldi (primo fra tutti quel Þjóðólfr
162
Questi tumuli sono presenti anche in Danimarca, seppure con minore frequen-
za rispetto al passato e concentrati in alcune zone (vd. Brøndsted 1957-1960² [B.2],
III, pp. 183-184 e pp. 284-285).
163
I due tumuli maggiori, entrambi nella regione del fiordo di Oslo, sono il cosid-
detto Jellhaugen in Østfold e il Raknehaugen in Romerike (Regno dei Raumarici,
ricordati da Giordane tra le tribù nordiche; vd. sopra p. 75). Quest’ultimo tumulo è il
più grande di tutta la Scandinavia (vd. sopra, p. 90 e nota 108).
164
Capp. 42-46.
165
Capp. IX-X.

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142 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

di Hvinir sul cui poema si fonda il racconto di Snorri): essa tuttavia


è quasi certamente una forzatura storica.166
La nascita di uno Stato e di un Regno norvegese si fa risalire alla
seconda metà del IX secolo e all’abilità politico-militare del celebre
Araldo Bella chioma (Haraldr inn hárfagri Hálfdanarson), figlio di
Halvdan il Nero, signore del Vestfold (area che, lo si ricordi, aveva
collegamenti privilegiati e di lunghissima data con quella danese
dello Jutland) e parente di quel Ragnvald Alto nell’onore (Rǫgnvaldr
heiðumhár Óláfsson) i cui antenati lo scaldo Þjóðólfr aveva cantato
nel suo poema. Impegnandosi in quella che può essere definita una
vera e propria spedizione vichinga all’interno del suo Paese, Aral-
do (la cui nascita si colloca attorno all’850) con abile mossa diplo-
matica si alleò con il signore (jarl)167 di Lade Håkon (Hákon Grjót‑
garðsson) che governava la regione del fiordo di Trondheim
(territorio nel quale si era avviato il processo di allargamento e di
consolidamento di un potere centralizzato) e si imparentò con lui
sposandone la figlia Åsa (Ása). Poi si rivolse contro i piccoli sovra-
ni locali delle diverse regioni meridionali della Norvegia, sconfig-
gendoli l’uno dopo l’altro; alcuni di essi si coalizzarono contro di
lui, ma furono sconfitti nella celebre battaglia di Hafrsfjorden
(Hafrsfjǫrðr, sulle coste di Rogaland). La data della battaglia di
Hafrsfjorden è incerta: la tradizione la poneva nell’anno 872 (18
luglio), è però verosimile che essa abbia avuto luogo attorno all’890.
Come che sia: con questa vittoria il signore di Vestfold si impadro-
niva di tutti i possedimenti territoriali (óðul, sing. óðal) dei nemici
sconfitti, costringeva i liberi contadini a farsi suoi sudditi e diveni-
va in tal modo sovrano di tutto il Paese, allargando il proprio
dominio alle Shetland, alle Orcadi e ad alcune regioni della Svezia
(875). La precisa cronologia del regno di Araldo è dibattuta: volen-
do seguire le indicazioni fornite dallo storico medievale islandese
Ari Þorgilsson detto il Saggio (inn fróði)168 egli avrebbe governato
la Norvegia tra l’872 e il 933 circa. È tuttavia probabile, come si è
detto sopra, che le date debbano essere spostate in avanti.169 L’im-
portanza storica di questo fatto avrebbe guadagnato al sovrano un
alone leggendario. Già la Canzone per Araldo (Haraldskvæði), testo

166
Vd. Wessén E., “Inledning”, in Snorri Sturluson, Yngligasaga, utgiven av E.
Wessén, Stockhom-København-Oslo 1964, pp. xii-xviii.
167
Vd. p. 210.
168
Vd. oltre, p. 310.
169
Vd. Jones 1977 (C.3.1), p. 87 e nota 3. Sulla cronologia relativa al regno di
Araldo vd. Aðalbjarnarson B., “Formáli”, in Snorri Sturluson, Heimskringla, II, pp.
lxxi-lxxxi e De Vries 1942, pp. 103-117. In generale su Araldo vd. Koht 1955.

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Verso il mondo esterno: il periodo vichingo 143

altrimenti noto come Dialogo del corvo (Hrafnsmál), attribuita al


poeta Þorbjǫrn Artiglio di corno (hornklofi) o – almeno in parte –
a Þjóðólfr di Hvinir, lo descrive come una figura degna di grande
ammirazione, che si staglia vittoriosa sulla massa degli sconfitti in
fuga.170 Più tardi Snorri Sturluson nella sua storia dei re norvegesi
(Heimskringla) introduce la sua vicenda presentandolo come un
predestinato alla vittoria prima ancora della nascita, essendo il suo
successo prefigurato in un sogno fatto dalla madre.171 Un ingre-
diente in più – e non secondario – nella ‘costruzione’ di una nuova
autorità. Tuttavia: i risultati conseguiti da Araldo che tre anni prima
di morire aveva nominato proprio erede il figlio Eirik Ascia insan-
guinata (Eiríkr blóðøx) – una decisione che avrebbe determinato
un grave contrasto con gli altri fratelli – non ebbero carattere defi-
nitivo. In epoca successiva infatti, lotte dinastiche e interferenze
straniere portarono a una nuova frammentazione del Paese. Nel
935 Håkon il Buono (Hákon góði Haraldsson) scacciava il fratella-
stro Eirik e si impadroniva del trono. Eirik Ascia insanguinata si
stabiliva in Inghilterra (regnando a York in Northumbria) dove
sarebbe morto nel 954. La sua vedova, l’energica Gunnhild
(Gunnhildr)172 e i figli sostenuti dal sovrano danese Araldo Dente

170
Vd. in particolare le str. 9-11 (in Skj I: A, p. 26, B, p. 23).
171
L’episodio ci è narrato nella Saga di Hálfdan il Nero (Hálfdanar saga svarta,
seconda parte della Heimskringla, cap. 6). Qui si racconta che la madre del futuro re
aveva sognato di stare in giardino e di togliere una spina dalla propria camicia: ma
quando l’ebbe in mano essa crebbe fino a diventare un grande virgulto, sicché da una
parte attecchì nel terreno mettendo velocemente le radici e dall’altra si protese in alto
nel cielo. In tal modo divenne un albero tanto grande che pareva estendersi su tutta la
Norvegia e oltre. Su questo motivo letterario vd. de Vries 1942, pp. 96-97. Sempre
Snorri nei capitoli 3 e 4 della Saga di Araldo Bella chioma (Haralds saga ins hárfagra,
terza parte della Heimskringla) riferisce che costui, vistosi rifiutato da una giovane
donna che lo riteneva un sovrano con un potere troppo limitato, fece giuramento di
impadronirsi di tutta la Norvegia, impegnandosi a non tagliarsi i capelli, né a pettinar-
si finché non avesse raggiunto il proprio scopo. Per questo motivo gli fu dato il
soprannome “Spettinato” (lúfa) che divenne in seguito “Bella chioma” (inn hárfagri),
quando egli – raggiunto finalmente il proprio obiettivo – si fece tagliare e pettinare i
capelli (cap. 23).
172
Secondo Snorri Sturluson e altre fonti costei era figlia di Ǫzurr toti (soprannome
di significato incerto, forse “Bitorzolo”, dal momento che toti significa “protuberanza
simile a un capezzolo”), della regione settentrionale norvegese di Hålogaland (Háloga‑
land, a nord del Trøndelag) ed era cresciuta tra i Sami (Finni), il che spiegherebbe il
fatto che era considerata esperta di magia. Più probabile invece, che ella fosse – come
vuole una diversa tradizione – figlia del re danese Gorm il Vecchio. Secondo le saghe
dei re, dopo la morte di Araldo Manto grigio (su cui poco più avanti) ella era fuggita
nelle Orcadi rimanendovi per il resto della vita. Nella Saga dei vichinghi di Jómsborg
(cap. 5), tuttavia, si racconta che ella fu attirata in Danimarca con una falsa proposta di
matrimonio da parte del re danese, ma una volta giuntavi fu assassinata a tradimento e

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144 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

azzurro (rispettivamente loro fratello e zio) avevano sempre consi-


derato Håkon un usurpatore. Dopo un lungo conflitto egli veniva
sconfitto e ucciso nel 961 e uno dei figli di Eirik, Araldo Manto
grigio (Haraldr gráfeldr Eiríksson), saliva al trono. Il suo potere
sarebbe stato tuttavia rovesciato attorno al 970 per opera di Håkon
jarl, figlio dello jarl Sigurd (Sigurðr) di Lade, almeno inizialmente
uomo di fiducia del sovrano danese. D’altra parte fin dalla morte
di Håkon molte regioni norvegesi erano in realtà finite sotto il
controllo di capi locali o dei medesimi figli di Eirik. Saranno in
seguito piuttosto altre figure di grande spicco nel panorama vichin-
go a porre le basi – in tempi certamente più maturi – del futuro
Regno norvegese unificato. Tra essi in primo luogo i celebri re-
cristianizzatori Olav Tryggvason e Olav il Santo, che tra la fine del
X e i primi decenni dell’XI secolo sapranno legare gli interessi
politici a un’opera, anche violenta, di cristianizzazione: un’attività
che, incidendo profondamente sui valori tradizionali della società
norvegese, contemporaneamente ne intaccherà in modo definitivo
gli antichi poteri, grazie anche a una sapiente riorganizzazione
legislativa e alla regolamentazione del credo religioso. Nel 1046
sarà poi Araldo di Duro consiglio, reduce dalle imprese e dalle
avventure di una vita vichinga trascorsa in gran parte in Paesi
lontani, a imporre in Norvegia un dominio che mortificherà
– annientandole quasi del tutto – le aristocrazie locali, fino a quan-
do le sue ambizioni per la Corona di Inghilterra non lo vedranno
soccombere nella celebre battaglia di Stamford Bridge (25 settem-
bre 1066).173

Descrizione della Norvegia dalla Storia della Norvegia:

“Dunque la Norvegia ebbe il proprio nome da un certo sovrano che si


chiamava Nor.174 Tutta la Norvegia è una terra vastissima, ma per la massi‑
ma parte inabitabile per via dell’eccesso di monti e di boschi e di luoghi

gettata in una palude. Sulla scorta di questo racconto alcuni studiosi del passato hanno
voluto riconoscere proprio in Gunnhild il cadavere di una donna ritrovato nella palude
di Haraldskjær nello Jutland centrale. Questa identificazione è tuttavia del tutto errata,
sebbene ormai la sconosciuta il cui cadavere è stato ritrovato in quel luogo sia comu-
nemente nota come ‘la regina Gunnhild’ (Glob 1973 [C.2.2], pp. 55-58).
173
Vd. sopra, p. 107.
174
Costui a quanto pare apparteneva a una famiglia di ‘giganti del ghiaccio’ ricor-
data in diverse fonti; vd. Chiesa Isnardi 20084 (B.7.1), p. 321 e note relative. Questa
etimologia è, evidentemente, errata; vd. sotto, p. 156 con nota 220.

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Verso il mondo esterno: il periodo vichingo 145

freddi. La quale a oriente inizia con un grande fiume,175 a occidente in


verità si volge e si ripiega verso settentrione lungo un confine incurvato. È
una terra molto tortuosa dalla quale si protendono innumerevoli promon‑
tori, segnata longitudinalmente da tre zone abitabili: la prima, che è la più
grande e in prossimità del mare; la seconda interna che viene anche defini‑
ta montuosa; la terza boscosa che è abitata dai Finni, ma non viene coltiva‑
ta. Invero circondata a occidente e a settentrione dai flutti dell’oceano, a
meridione per certo ha la Danimarca e il Mar Baltico, ma [dal]la parte del
sole [nascente] Svealand, Götland, Ångermanland e Jämtland. Le quali
regioni ora – grazie a Dio – sono abitate da genti cristiane. In effetti verso
settentrione oltre la Norvegia si espandono da oriente molti popoli che sono
– ahimè – dediti al paganesimo, vale a dire i Careli e i Kveni, i Finni cornu‑
ti e i due gruppi di Bjarmiani.176 Ma su quali popoli abitino al di là di questi,
non sappiamo nulla di certo. Tuttavia alcuni marinai, desiderosi di navigare
dall’Isola dei ghiacci [l’Islanda] alla Norvegia, furono spinti dal turbine di
venti contrari verso un territorio artico, alla fine approdarono tra i Groen-
landesi e i Bjarmiani, dove affermano di aver trovato uomini di corporatura
impressionante e una Terra delle vergini (delle quali si dice che concepisca‑
no bevendo dell’acqua). Da costoro invero la Groenlandia è divisa da
massi ghiacciati; questa patria scoperta e colonizzata dagli abitanti di Thule
[gli Islandesi]177 e rinvigorita dalla [diffusione della] fede cattolica costitui-
sce il confine occidentale dell’Europa che arriva quasi [alla longitudine]
delle isole dell’Africa, là dove i flutti dell’oceano dilagano. Oltre i Groen‑
landesi verso settentrione i cacciatori incontrano in verità degli omettini,
che chiamano Skrælingar;178 i quali quando da vivi vengono feriti con le
175
Sull’interpretazione di questo punto vd. Historia Norwegie, p. 113.
176
I primi (ant. nord. Kirjálar, finnico Karjalasete) sono collocati in Carelia (Kirjálaland),
regione a oriente della Finlandia; i secondi (ant. nord. Kvenir/Kvænir, finnico Kveenit)
in Kvenland/Kvænland, toponimo che a quanto pare si riferisce alla terra a est della
Norvegia settentrionale (vd. tuttavia Cleasby-Vigfusson 1957 [B.5], p. 362, dove, in
riferimento alla citazione di questa terra che si trova nel cap. 14 della Saga di Egill
Skalla-Grímsson, si pensa a una zona del territorio russo settentrionale abitata dai Ciudi).
Questo toponimo è stato falsamente inteso come “Terra delle donne”, il che si ricollega
a notizie che si trovano in autori antichi e medievali e che hanno dato adito a molte
speculazioni (vd. Nordal S., “Formáli”, in Egils saga Skalla-Grímssonar, p. xxvii; cfr.
p. 1352, nota 4). Più in generale vd. Kuujo E.O. – Nissilä V., “Karelen”, in KHLNM
VIII (1963), coll. 279-286 e Luukko A., “Kväner”, in KHLNM IX (1964), coll. 599-602.
La definizione “Finni cornuti” traduce l’etnonimo nordico Hornfinnar, che fa riferimen-
to alla credenza sull’esistenza di uomini ai quali cresceva un corno sulla fronte; infine i
Bjarmiani (ant. nord. Bjarmar) – che a quanto pare sono suddivisi in due gruppi (vd.
Historia Norwegie, I, p. 54; cfr. MHN, p. 75, nota 1) – erano le popolazioni insediate in
Bjarmaland che dovrebbe essere identificata con le zone più settentrionali della Russia
sulle coste del Mar Bianco; su di loro vd. Vilkuna K., “Bjarmer och Bjarmaland”, in
KHLNM I (1956), coll. 647-651 e Stang H., Bjarmene – deres identitet, eksistensgrunnlag
og forbindelser med andre folkeslag. Et problem i Nord-Russlands forhistorie, Oslo 1977.
177
Su Thule vd. p. 80, nota 66.
178
Si tratta degli Eschimesi. Lo stesso nome viene dato agli indigeni dell’America
settentrionale (vd., in particolare, la Saga di Eirik il Rosso e la Saga dei Groenlandesi).

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146 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

armi, le loro lesioni diventano chiare senza sangue, ai morti invece il sangue
cessa a stento di sgorgare. Ma hanno grave carenza di metallo di ferro,
[perciò] utilizzano denti di pesce al posto dei dardi e pietre aguzze al posto
dei coltelli.”179

3.2.5. Colonizzazione dell’Islanda

Sebbene le ragioni che hanno determinato la nascita della nazio-


ne islandese nel IX secolo siano da ricondurre al periodo vichingo,
essa va tuttavia inquadrata per molta parte in una prospettiva
completamente diversa. Secondo il Libro dell’insediamento l’isola
era stata scoperta casualmente: il merito di questa scoperta non è
tuttavia attribuibile con certezza. Infatti i due manoscritti princi-
pali in cui questo testo è conservato si contraddicono in proposito.180
In entrambi vengono fatti i nomi di un vichingo, tale Naddoddr, e
di uno svedese di nome Garðarr Svávarsson, ma il primo avvista-
mento viene attribuito ora all’uno ora all’altro. Come che sia:
mentre Naddoddr avrebbe dato all’isola il nome “Terra della neve”
(Snæland), poiché nel momento in cui ripartiva era in corso una
grande nevicata sulle montagne, Garðarr (che secondo la versione
che lo vede arrivare dopo Naddoddr si era recato là su consiglio
della madre che era una veggente) l’aveva – con un bel po’ di pre-
sunzione – battezzata “Isolotto di Garðarr” (Garðarshólmr). È
detto comunque che questa terra fu molto elogiata. La colonizza-
zione dell’Islanda prese il via con Flóki Vilgerðarson, partito dalla
Norvegia. Secondo la leggenda, costui si era portato sulla nave tre
corvi: quando liberò il primo quello volò indietro verso la nave e
così anche il secondo. Ma il terzo volò davanti alla prua nella dire-
zione in cui poi essi avvistarono la terra. Flóki impose all’isola il
nome definitivo di “Terra del ghiaccio” (Ísland, da cui quello dei
suoi abitanti: Íslendingar). Egli si era preoccupato di portare con
sé del bestiame e si era costruito una casa, ma la sua permanenza
non fu fortunata e dopo un paio di anni tornò in Norvegia.181 L’iso-
179
Historia Norwegie, I (DLO nr. 26).
180
Landnámabók, pp. 34-37. In realtà è dimostrata una ‘colonizzazione’ delle
Vestmannaeyjar (di fronte alla costa meridionale) già dall’VIII secolo (vd. Theódórsson
P., “Aldur landnáms og geislakolsgreiningar”, in Skírnir, CLXXI (1997), pp. 90-110
e, del medesimo autore, “Norse Settlement of Iceland close to A.D. 700?”, in NAR
XXXI: 1 (1998), pp. 29-38.
181
È detto che Flóki e i suoi, impegnati nella caccia e nella pesca, non si preoccu-

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Verso il mondo esterno: il periodo vichingo 147

la pareva destinata a rimanere una terra disabitata – fatta eccezione


per pochi eremiti (papar) provenienti dalle isole celtiche che vi si
erano stabiliti alla ricerca di una perfetta solitudine –182 ma gli
eventi che agitavano i Paesi nordici (particolarmente la Norvegia)
dovevano risultare determinanti al riguardo.
Le fonti riferiscono i fatti con molti dettagli. Il primo vero colo-
no a sbarcare in Islanda e a restarvi (verosimilmente nell’874) fu il
norvegese Ingólfr Arnarson. Egli si era recato là una prima volta
insieme al suo fratello di sangue Hjǫrleifr, ed essi avevano trascor-
so l’inverno nelle zone orientali per poi fare ritorno in Norvegia. È
detto che costui successivamente aveva innalzato un grande sacri-
ficio per avere indicazioni circa il proprio futuro. Il responso era
stato che egli avrebbe dovuto vivere in Islanda. Insieme a lui, ma
su un’altra nave, era partito Hjǫrleifr, del quale tuttavia è precisato
che “non voleva mai fare sacrifici” (“vildi aldri blóta”). Quando
arrivarono in vista delle coste meridionali dell’isola le loro navi
furono spinte dalle correnti in diverse direzioni. Ingólfr toccò
terra presso la foce del fiume Jökulsá, mentre Hjǫrleifr approdò
più a ovest. Avvenne però che gli schiavi irlandesi che Hjǫrleifr
aveva condotto con sé lo uccisero e fuggirono rifugiandosi nelle
isole che ancor oggi da loro prendono nome: le Vestmannaeyjar al
largo della costa sud-occidentale dell’Islanda sono infatti le “Isole
degli uomini dell’Ovest” (così i nordici designavano gli Irlandesi).
Quando Ingólfr trovò il cadavere dell’amico, comprese subito ciò
che era accaduto e lo vendicò uccidendo i suoi assassini. La storia
ricorda che egli commentò il fatto con queste parole: “[…] e vedo
che così succede a chi non vuole innalzare sacrifici” (“[…] ok sé ek
svá hverjum verða ef eigi vill blóta”).183 Ma Ingólfr prima di partire
non si era limitato a innalzare un sacrificio. Egli aveva smontato
dalla sua abitazione le cosiddette “colonne del trono” (ǫndvegissúlur)
cioè i pilastri (probabilmente due dei quattro che reggevano il
parono di procurarsi fieno per il bestiame che morì durante l’inverno. L’anno dopo
Flóki avrebbe voluto tornare indietro ma dovette fermarsi per recuperare tale Herjólfr,
la cui imbarcazione era andata alla deriva. È riferito che al ritorno in Norvegia Flóki
parlava male dell’Islanda a chi gli chiedeva notizie, mentre Herjólfr ne diceva un gran
bene (Landnámabók, pp. 36-39).
182
Traccia della loro presenza resta in toponimi islandesi come Papafjörður, Papey e
Papós (dove ‑fjörður “fiordo”, ‑ey “isola” e ‑óss “foce”, “estuario”). Sui papar vd. Sveins-
son E.Ól., “Papar”, in Skírnir, CIXX (1945), pp. 170-203 e Pálsson H., “Minnis-
greinar um Papa”, in Saga, V (1965), pp. 112-122. Monete romane risalenti al 300 d.C.
circa sono state recentemente ritrovate in Islanda. Non è stato possibile tuttavia stabi-
lire se esse siano state portate dai coloni o dai mercanti o se navi romane abbiano
potuto raggiungere l’isola, salpando verosimilmente dall’Inghilterra.
183
Landnámabók, pp. 41-44.

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148 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

tetto) tra i quali era collocato il “sedile d’onore” (ǫndvegi) del


padrone di casa (di fronte a quello ve n’era un altro, solitamente
riservato all’ospite più eminente)184 e le aveva portate con sé sulla
nave. Giunto in prossimità della costa le aveva gettate fuoribordo
e dopo varie ricerche le aveva ritrovate e si era stabilito definitiva-
mente là dove esse avevano toccato terra, nei pressi dell’attuale
capitale Reykjavík. Di Ingólfr è detto che “[…] era il più famoso di
tutti i coloni, perché venne qui in una terra disabitata e per primo
la abitò.”185 Dopo di lui l’isola fu popolata da una serie di pionieri.
Tra i primi Grímr (detto Skalla-Grímr, cioe “Grímr il Calvo”) Kveld-
Úlfsson, padre del celebre scaldo Egill;186 Þórólfr Barba di Mostr
(Mostrarskegg) Ǫrnólfsson, grande devoto del dio Thor;187 Auðr di
Profondo pensiero (in djúpauðga o in djúpúðga) Ketilsdóttir,
figlia di un hersir188 norvegese divenuta cristiana durante un sog-
giorno in Irlanda; Geirmundr Hjǫrsson detto, per il colorito scuro,
Pelle d’inferno (heljarskinn); Ævarr il vecchio (enn gamli) Ketilsson,
che in anticipo aveva occupato una terra per il figlio Véfrøðr, ma
quando questi arrivò non lo riconobbe subito ed ebbe una fiera
disputa con lui; Helgi il Magro (enn magri) Eyvindarsson, ricorda-
to per la sua titubanza in materia religiosa, che andò a vivere a nord
nella regione dell’Eyjafjörður;189 Hrollaugr Rǫgnvaldsson, fratella-
stro del duca normanno Rollone, che si recò in Islanda per seguire
il proprio destino; Ketilbjǫrn il Vecchio (enn gamli) Ketilsson, del
quale è detto che con i suoi giunse a un fiume nel quale perse la
propria ascia: quel fiume venne dunque chiamato Öxará, cioè
“Fiume dell’ascia”, è il corso d’acqua che scorre nella località di
Þingvellir, dove per secoli fu tenuta l’assemblea generale degli
Islandesi.
La maggior parte dei primi coloni islandesi furono norvegesi
che lasciarono la patria d’origine in un flusso durato diversi
decenni. Essi provenivano soprattutto dalle zone occidentali
(specialmente sud-occidentali) del Paese. Le ragioni politiche e
sociali di questo esodo sono state ormai da tempo ben spiegate
e non c’è bisogno di rimetterle in discussione:190 costoro furono
184
Vd. oltre, p. 207.
185
Landnámabók, pp. 40-47; la citazione originale in DLO nr. 27.
186
Cfr. nota 51, p. 150 e pp. 306-307.
187
Vd. p. 183. Mostr (Moster) è il nome dell’isola norvegese da cui egli proveniva
e che si trova presso le coste della regione di Hordaland.
188
Vd. oltre, p. 211.
189
Vd. p. 224.
190
Vd. Scovazzi 1975 (B.8), pp. 395-416, ma anche l’opinione contraria espressa in
Foote – Wilson 1973 (C.3.4), p. 53.

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Verso il mondo esterno: il periodo vichingo 149

infatti, in gran parte, persone che sceglievano l’esilio volontario


come estremo gesto di ribellione, lasciando la loro terra in oppo-
sizione a un sovrano, Araldo Bella chioma, che imponeva un
nuovo potere. Quale che sia il giudizio su questo re – che nelle
fonti islandesi viene dipinto come un despota aggressivo e deter-
minato che non si poneva limiti nel raggiungimento dei propri
obiettivi,191 mentre in un altro testo che contiene storie di re
norvegesi, la Bella pergamena (Fagrskinna, non a caso composto
in questo Paese) appare come un sovrano saggio e illuminato –192
è un fatto che la società islandese fu fondata innanzi tutto da
uomini che nutrivano un forte attaccamento alla tradizione dal-
la quale trassero i modelli di riferimento per la nuova comunità
che andavano edificando. E se è pur vero che fra i primi abitan-
ti dell’isola le fonti citano anche personaggi che avevano cono-
sciuto un’esperienza di vita vichinga, è altrettanto vero che

191
Si veda come esempio assai significativo il racconto della Saga di Víglundr
(Víglundar saga): “E un’altra cosa non fu tuttavia di minore importanza che non andò
bene a nessuno di coloro che si opposero alla sua volontà, alcuni furono cacciati dalla
[loro] terra, alcuni uccisi; il re allora si impadronì di tutti i beni che avevano lasciato, ma
molti uomini di grande importanza fuggirono dalla Norvegia e non sopportarono le
imposizioni del re, quelli che appartenevano a grandi stirpi, e preferirono abbandonare
i loro possedimenti terrieri e i parenti e gli amici piuttosto che sottostare alla schiavitù e
al giogo del sovrano, e in molti si diressero verso diverse terre. Al suo tempo l’Islanda fu
ampiamente colonizzata, perché in quel luogo si diressero molti di coloro, che non tol-
leravano il potere del re Araldo” (DLO nr. 28); cfr. la Saga di Hǫrðr Grímkelsson
(Harðar saga Grímkelssonar), nota anche come Saga dei difensori dell’isola (Hólmverja
saga), cap. 1. La parte iniziale (capp. 3-30) della Saga di Egill Skalla-Grímsson è dedi-
cata per buona parte alla figura di questo sovrano e ai contrasti che lo opposero a
personaggi di prestigio. Si vedano anche, in questo contesto, la Saga degli uomini di
Eyr (Eyrbyggja saga), capp. 1-2, la Saga dei valligiani di Vatnsdalur (Vatnsdœla saga),
capp. 8-10, la Saga dei valligiani di Laxárdalur (Laxdœla saga), cap. 2, la Saga di Gísli,
cap. 1 (nella versione più lunga, p. 3) e la Saga di Grettir Ásmundarson (Grettis saga
Ásmundarsonar), un testo tuttavia piuttosto tardo, capp. 2-3 e cap. 7. Anche nel Libro
dell’insediamento si trovano diverse allusioni ai rapporti tra il re Araldo e coloro che
scelsero di riparare in Islanda.
192
Cfr. p. 410. Al cap. 2 si legge: “Araldo suo figlio assunse il regno dopo il padre
Hálfdan il Nero. Egli allora era giovane per il numero degli anni, ma completamente
formato in tutte le doti che si addicevano a un re cortese. La chioma gli era cresciuta
molto e aveva un colore particolare, assai simile alla vista alla bellezza della seta. Era
l’uomo più bello e più forte e così imponente come si può vedere dalla sua pietra
tombale, quella che si trova a Haugasund. Era assai saggio e previdente e ambizioso,
in ciò lo rafforzavano la fortuna e il progetto, che egli sarebbe diventato signore del
Regno dei Norvegesi, sicché dalla sua stirpe è stata onorata questa terra e così sarà
sempre. A lui resero omaggio gli anziani con saggi consigli e supervisione del progetto.
I giovani e gli uomini valenti desideravano [unirsi] a lui a motivo degli splendidi doni
e del fasto regale […]” (DLO nr. 29). A Haugasund (Haugesund) nella regione di
Rogaland si trova il cosiddetto Haraldshaugen (“tumulo di Araldo”).

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150 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

diversi fra loro non avevano trovato nelle scorrerie la fortuna


cercata. Tutti comunque considerarono il trasferimento nella
nuova patria come la possibilità di una sistemazione che altrove,
magari per diverse ragioni, non sarebbe stata possibile. L’Islan-
da, terra di ampia estensione e anche relativamente ricca di
risorse (soprattutto per l’allevamento del bestiame), costituiva
un approdo adeguato per chi desiderasse costruirsi una vita
migliore e, soprattutto, indipendente. I nuovi arrivati – che
portarono con sé il proprio desiderio di libertà e di autosuffi-
cienza economica – diedero dunque vita a una società fortemen-
te legata alla tradizione.
Le fonti riferiscono di alcuni coloni che si trasferirono sull’isola
perché così voleva il loro destino,193 con ciò alludendo all’innalza-
mento di sacrifici divinatori o all’ascolto di presagi, ma anche
all’attuazione di gesti concreti, come quello, riportato in più d’una
circostanza (a partire, come si è visto, dal primo colono Ingólfr
Arnarson) di recare sulla nave le “colonne del trono” e gettarle
fuori bordo, una volta avvistata la terra, per poi stabilirsi là dove
esse fossero state spinte a riva dalla corrente. Questi comportamen-
ti avevano certamente un significato preciso nel quadro delle con-
vinzioni religiose e della concezione del mondo di questi uomini.
Essi certamente esprimevano un attaccamento a credenze forte-
mente radicate, come dimostrano in questi contesti diversi riferi-
menti al dio Thor,194 divinità di origini antichissime e certamente
legata, in quanto protettore della comunità umana, alle concezioni
di vita della Sippe. Di un forte legame con le tradizioni che costoro
si lasciavano alle spalle testimonia anche l’episodio relativo a Kveld-
Úlfr e a suo figlio Skalla-Grímr, costretti ad abbandonare la Nor-
vegia per il forte contrasto che opponeva la loro famiglia al re
Araldo Bella chioma. È detto infatti che Kveld-Úlfr, ormai anziano
e malato, cessò di vivere sulla nave prima di raggiungere l’Islanda.
Sentendosi prossimo alla morte egli aveva ordinato ai suoi uomini
che il suo cadavere fosse posto in una cassa e che essa fosse gettata
fuori bordo. Il figlio, che aveva raggiunto le coste islandesi con
un’altra nave, non appena ebbe notizia dell’accaduto si adoperò
per trovare il luogo in cui la bara del padre aveva toccato terra e lì
volle stabilire la propria residenza.195 Difficilmente questo episodio
appare spiegabile se non con la profonda fede nei valori della
193
È questo un elemento assai importante nella concezione del mondo dei popoli
nordici pagani (vd. oltre, pp. 179-180).
194
Vd. Chiesa Isnardi 20084 (B.7.1), pp. 228-230.
195
Egils saga Skalla-Grímssonar, capp. 27-28.

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Verso il mondo esterno: il periodo vichingo 151

famiglia, comunità resa feconda dal proficuo legame dei vivi con
gli antenati defunti.
Del resto un legame sacro con la nuova patria si esprimeva anche
nell’usanza di “consacrare a sé la terra” (“at helga sér landit”) rife-
rita in diverse circostanze. Si trattava di una sorta di rito che in varie
forme (attraverso l’uso di una freccia infuocata, di falò o di altri
simboli come un’ascia ma più tardi anche una croce) consentiva di
‘marcare’ il territorio del quale dunque si entrava nel pieno posses-
so anche da un punto di vista legale.196
Se comunque non tutti quelli che si trasferirono in Islanda
furono spinti oltre che da ragioni politiche, economiche, familia-
ri e sociali anche da motivazioni legate alla salvaguardia della
tradizione, è indubbio che la costituzione di una società secondo
schemi tramandati da secoli parve adattarsi assai bene ai diversi
bisogni dei singoli. La colonizzazione ebbe come conseguenza la
frammentazione del territorio in possedimenti che, per quanto
anche molto estesi, restavano comunque di entità limitata rispet-
to alla superficie del Paese: qui gli uomini eminenti e le loro
famiglie esercitavano il proprio dominio. Una forma di ‘governo’
comune venne affidata alle assemblee (inizialmente solo distret-
tuali), organo cui venivano demandate – secondo una tradizione
antichissima – le decisioni di carattere legislativo e giudiziario.
Come precedentemente accennato,197 l’assemblea rappresentava
nel mondo germanico il momento solenne nel quale venivano
discusse le questioni rilevanti e assunti i provvedimenti impor-
tanti. L’assemblea generale degli Islandesi (Alþingi) venne istitui-
ta nel 930 (a più di cinquanta anni dall’arrivo dei primi coloni),
contemporaneamente vennero emanate le cosiddette “Leggi di
Úlfljótr” (Úlfljótslǫg), che entrarono in vigore in tutto il
Paese.198 Úlfljótr fu il primo a ricoprire l’ufficio di lǫgsǫgumaðr
(letteralmente “uomo che dice la legge”), persona incaricata per
un periodo di tre anni di presiedere le riunioni e all’occorrenza
recitare la legge (che, lo si ricordi, aveva solo una redazione ora-
le). L’assemblea generale si teneva ogni anno nella piana di Þing-
vellir (letteralmente “Piani dell’assemblea”), presso la grande
spaccatura che divide la piattaforma continentale europea da
quella americana, sotto la quale scorre il fiume Öxará e si trova
196
Vd. Strömbäck D., “Att helga land. Studier i Landnáma och det äldsta rituella
besittningstagandet”, in Festskrift tillägnad Axel Hägerström den 6. september 1928 av
filosofiska och juridiska föreningarna i Uppsala, Uppsala 1928, pp. 198-220.
197
Vd. p. 130.
198
Vd. p. 386.

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152 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

il più esteso lago islandese il þingvallavatn. Qui c’è la cosiddetta


“Rocca della legge” (Lǫgberg), dalla quale non soltanto il
lǫgsǫgumaðr ma ogni partecipante all’assemblea poteva prendere
la parola.199 L’assemblea aveva funzioni sia legislative sia giudizia-
rie. Nei giorni in cui essa aveva luogo si riuniva la cosiddetta
lǫgrétta, organismo legislativo al quale erano ammessi i dignitari
detti goðar,200 il lǫgsǫgumaðr, altri nove membri (ciascuno con
due assistenti) e (dopo la cristianizzazione) i due vescovi islande-
si. La “corte di giudizio” aveva nome dómr. Benché la nascita di
questa importante istituzione costituisca un momento determi-
nante nella storia della nazione islandese, in essa non può ancora
essere vista l’espressione di una qualche forma di ‘Stato’.201
Seppure per molti versi originato da situazioni concrete e da
fattori obiettivi, il desiderio di salvaguardare le antiche consuetudi-
ni ha costituito un elemento determinante della storia islandese.
L’albero si giudica dalle foglie e dai frutti ed è dunque evidente che
il forte tradizionalismo che per secoli ha segnato questa società, il
suo apparire fin da principio una ‘nazione’ cioè una comunità for-
temente vincolata a elementi (di carattere culturale, religioso, socia-
le e politico) sentiti come irrinunciabili, non sarebbe stato possibile
senza queste premesse. E, d’altronde, il ‘malessere norvegese’ nei
confronti di questo piccolo Paese e il desiderio (realizzatosi solo tra
il 1262 e il 1264) di imporvi il proprio dominio, conducono – da
un’opposta prospettiva – alla medesima conclusione.
La colonizzazione dell’Islanda (iniziata nell’874)202 si considera
dunque completata nell’anno 930, con l’istituzione dell’assemblea
generale.203 L’affermazione dell’assemblea come strumento di gover-
no ‘democratico’204 in contrapposizione all’autorità dei sovrani che
negli altri Paesi scandinavi tendeva a ridurre in modo consistente
il potere di questi organismi diffusi a livello locale, ‘misura’ qui il
diverso percorso verso la costruzione di uno Stato nazionale. D’al-

199
Vd. Lárusson M.M., “Lǫgsǫgumaðr”, in KHLNM XI (1966), col. 137 e Kålund
Kr., “Det islandske lovbjerg”, in AaNOH 1899, pp. 1-8.
200
Cfr. p. 197 con nota 384 e p. 209. Vd. Lárusson M.M., “Lögrétta”, in KHLNM
XI (1966), coll. 136-137; Lárusson Ól, “Goði og Goðorð”, in KHLNM V (1960), coll.
363-366 e Samson 1992 (C.6.4).
201
Vd. SCOVAZZI 1975 (B.8), p. 267-268 e p. 292.
202
Su questa data vd. Benediktsson 1986 (C.5.2), pp. cxxxv-cxxxix (§ 17. Tímatal).
203
All’assemblea generale degli Islandesi (Alþingi) e alla sua storia è interamente
dedicato il numero CIV della rivista Skírnir, uscito nel 1930, anno della celebrazione
del millennio di questa istituzione.
204
In realtà, secondo tradizione, all’assemblea potevano partecipare solo i rappre-
sentanti legali e gli uomini eminenti delle diverse comunità.

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tronde proponendo queste considerazioni non si deve cadere in


una visione, per così dire, ‘integralista’: se infatti è vero che la base
della società islandese si costituì su questi princìpi, è altrettanto
vero che i valori e i modelli di vita dei vichinghi non le furono del
tutto estranei. Infatti seppure si debba constatare che essa fondava
la sua stessa ragion d’essere su uno spirito antivichingo,205 è allo
stesso tempo del tutto evidente che con il susseguirsi delle genera-
zioni la giovane nazione conobbe al proprio interno tensioni, aspi-
razioni e conseguenti contrasti. Come sopra accennato le nuove
idee avanzavano anche là dove la difesa della tradizione era più
forte: molti giovani islandesi ne furono attratti, come – con inequi-
vocabile testimonianza – ci viene riferito in diverse saghe.

Nel testo norvegese noto come Specchio del re (Konungs skuggsjá)206 si


parla delle ‘meraviglie’ di alcuni Paesi tra cui l’Islanda della quale si
descrivono, tra l’altro, particolarità geologiche come vulcanismo, attività
geotermica e attività sismica:

“Riguardo ai ghiacci che si trovano in Islanda, mi pare che possa essere [uno
scotto] che quel Paese paga per la sua posizione, che è vicina alla Groenlandia,
e c’è da aspettarsi che di là venga molto freddo, dal momento che essa è rico‑
perta di ghiaccio più di tutte le [altre] terre. Ora, dato che l’Islanda riceve
molto freddo da quella direzione e tuttavia poco calore dal sole, ha conseguen‑
temente sovrabbondanza di ghiacci sulle creste delle sue montagne. Ma, a
proposito del fuoco eccezionale che c’è là, io non so bene che cosa dovrei dire,
dal momento che esso ha una strana natura. Ho udito che nell’isola di Sicilia
c’è un fuoco immenso [di potenza] eccezionale207 e mi è stato detto che San
Gregorio nei [suoi] Dialoghi208 ha affermato che nell’isola di Sicilia ci sono
luoghi di tormento nel fuoco che c’è là.209 Ma è di certo molto più probabile che
ci siano luoghi di tormento in quel fuoco che c’è in Islanda, poiché il fuoco che
(è) nell’isola di Sicilia si nutre di sostanze vive, dal momento che consuma
terra e legno […] Il fuoco che è in Islanda, invece, non brucia il legno, anche
se ci viene gettato [sopra] e neppure la terra; ma prende a proprio nutrimento
pietre e rocce dure e ne trae forza come l’altro fuoco dalla legna secca, e non c’è
205
Vd. Scovazzi M., “Dalla Scandinavia all’Islanda”, in Scovazzi 1975 (B.8), pp.
395-416.
206
Vd. p. 377.
207
L’allusione è, evidentemente, innanzi tutto all’Etna.
208
Il riferimento è all’opera Dialogorum Libri IV del Papa San Gregorio Magno.
Questo testo era stato tradotto in islandese e fa parte del gruppo delle heilagra manna
sǫgur (vd. p. 326 con nota 133), I, pp. 179-255 (la citazione cui qui si fa riferimento si
trova a p. 245).
209
Il riferimento è al purgatorio o, più probabilmente, all’inferno.

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154 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

mai pietra o roccia così dura che esso non la sciolga come cera e non la bruci
poi come olio grasso. E seppure sul fuoco tu getti del legno sarà solo bruciac‑
chiato e non vorrà ardere. Ora, dal momento che questo fuoco non vuole
nutrirsi di altro che di cose morte, e rifiuta tutte le sostanze di cui l’altro fuoco
si nutre, si può affermare con certezza che questo fuoco è morto e pare del
tutto probabile che sia il fuoco dell’inferno, perché là tutte le cose sono morte.
Mi pare anche che [certe masse d’]acqua che sono là [in Islanda] siano della
stessa natura morta del fuoco di cui abbiamo parlato. Perché là ci sono sorgen‑
ti che ribollono impetuosamente di continuo sia in inverno sia in estate. A
volte il bollore è così violento che esse scaraventano l’acqua in alto per aria.
Ma qualsiasi cosa si metta vicino alle sorgenti al momento del getto, si tratti
di stoffa o legno o qualsiasi cosa sia, se quell’acqua la tocca quando cade, si
trasformerà in pietra. E mi pare assai probabile che quest’acqua debba essere
morta, visto che trasmette la qualità della morte a qualsiasi cosa bagni con il
suo spruzzo, poiché la natura della pietra è morta. Ma se quel fuoco non fosse
morto e avesse origine da qualche particolarità o evento nel Paese, la cosa più
probabile sarebbe, in relazione alla formazione del territorio, che le sue fon‑
damenta si siano formate con molte vene, passaggi vuoti e cavità profonde.
Ma poi potrebbe avvenire o per via dei venti o della forza dei marosi rumoreg‑
gianti che queste vene e cavità siano così rigonfie di aria, che non sopportino
la pressione della corrente e può succedere che ne derivino i grandi terremoti
che si verificano in questo Paese. Ora, se ciò possa avere una qualche probabi‑
lità o logica, potrebbe essere che dall’intensa attività nelle viscere della terra
si accenda e compaia il grande fuoco che arde in diverse zone del Paese.”210

3.2.6. Nomi di popoli

Nel periodo vichingo emergono definitivamente dal coacervo


delle tante tribù scandinave gli etnonimi con i quali i popoli nor-
dici verranno definitivamente designati.
Dei Danesi (Dani) aveva parlato Giordane211 nel VI secolo d.C.,
inserendoli nell’elenco delle tribù nordiche e informandoci che
avevano origine dai Suetidi (vedi sotto) e che si erano stabiliti nel-
le regioni danesi dopo averne scacciato gli Eruli. Essi compaiono
altresì in Procopio (Δανοί)212 e in altre fonti, anche straniere, come
il Beowulf anglosassone (Dene), che tuttavia è in buona parte
ambientato proprio in Danimarca. La tradizione leggendaria ripor-
tata in alcuni testi li vuole discendenti di un mitico antenato Dan,
210
Konungs skuggsjá, p. 18 (DLO nr. 30).
211
Getica, III, 23.
212
Procopio 1961, VI, xv, 3 e 29.

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Verso il mondo esterno: il periodo vichingo 155

dal quale la Danimarca (Danmǫrk) avrebbe tratto il nome.213 In


realtà l’etimologia del nome Danir è controversa. C’è chi lo intende
come “abitanti della valle” (per la precisione abitanti del territorio
paludoso al confine meridionale dello Schleswig), chi lo riporta a
un significato di “bosco”.214 Su di esso è comunque formato
Danmǫrk, dove mǫrk “foresta”, propriamente da intendere come
foresta che segna una regione di confine.
La prima citazione degli Svedesi risale molto più indietro nel
tempo. La troviamo infatti nella Germania di Tacito,215 se – come
pare ragionevole – i Suiones da lui ricordati sono da identificare
con gli Svíar (sved. ant. Svear), tribù non a caso insediata nella
regione dell’Uppland, centro politico e religioso assai vitale nel
Paese, cui dunque per la prima volta nella storia si farebbe riferi-
mento. Costoro vengono detti da Giordane Suehans e anche Sue‑
tidi. La doppia denominazione, che potrebbe lasciar intendere
l’esistenza di due diverse stirpi di ‘Svedesi’, è in realtà (come è
stato da tempo dimostrato) dovuta al fatto che Giordane aveva
informazioni provenienti da diverse fonti.216 La prima definizione
corrisponde all’etnonimo Suiones presente in Tacito e ai Sueones
in Adamo da Brema217 (cfr. ant. ingl. Sweōn), la seconda va ricon-
213
Vd. sopra, p. 132 con note 126 e 127. Per i possibili corrispondenti di questo re
leggendario in altre fonti vd. Saxo Grammaticus 1979-1980, II, p. 25. Saxo riferisce
che Dan aveva un fratello di nome Angul dal quale avrebbero preso nome gli Angli (I,
i, 2). Costui compare come tale anche in una genealogia danese: Incerti auctoris genea-
logia regum Danie, p. 186.
214
Vd. de Vries 1962² (B.5), p. 73 (voce Danmark); Wessén 197510 (B.5), pp. 25-26.
215
Germania, cap. 44: “Poi, in quello stesso Oceano, le genti dei Suiones, che si
distinguono per le flotte oltre che per i guerrieri e le armi. La forma delle navi in questo
differisce: che da entrambe le parti una prua presenta un frontale predisposto per
l’approdo. [Le navi] non sono manovrate con le vele né [essi] attaccano i remi alle
fiancate in ordine [regolare]: il remeggio è libero e modificabile, come in taluni fiumi,
in una o in un’altra direzione, a seconda delle necessità. Presso di loro sono in onore
anche le ricchezze, per questa ragione uno solo esercita il potere senza alcuna restrizio-
ne, con diritto assoluto all’obbedienza. Né le armi, come presso gli altri Germani, sono
a disposizione di tutti, ma [sono tenute] rinchiuse con un custode, e addirittura uno
schiavo, dal momento che l’Oceano impedisce improvvise incursioni dei nemici e
inoltre schiere armate in ozio facilmente si abbandonano alla tracotanza: e in realtà non
è interesse del re affidare le armi né a un nobile, né a un uomo libero, né certamente a
un uomo affrancato” (DLO nr. 31). In Nielsen 2000 (B.5), p. 337 si ricorda che questa
citazione potrebbe avere un precedente in Plinio, là dove (Naturalis Historia, IV, 13
[96]) egli fa riferimento agli abitanti dell’isola detta Scatinavia (cfr. p. 79, nota 65): ivi
l’espressione Hillevionum gente potrebbe infatti essere una corruzione di *illa Suionum
gente. Una possibile allusione ai Suiones si può forse leggere là dove Tolomeo (Γεωγραφικὴ
Ὑφήγησις, III, v, 8) nomina i Sulones (Σούλωνες), anche perché nel medesimo con-
testo egli fa riferimento ai Finni (Φίννοι, sui quali cfr. II, xi, 16).
216
Sveinsson 1917 (C.2.3), pp. 147-148; cfr. p. 74, nota 40.
217
Gesta Hammaburgensis […], passim.

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156 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

dotta al toponimo Svíþjóð (sved. ant. Svethiudh) “Svezia” che in


realtà vale letteralmente “popolo svedese” (dove þjóð “popolo”,
cfr. ant. ingl. Sweō-ðeōd). Nella forma latinizzata questo termine
compare come Svetia/Svecia. L’etimologia del termine Svíar è dibat-
tuta: esso è stato inteso come “membri del popolo” o “[coloro che
sono] indipendenti”, o anche “parenti acquisiti per matrimonio”;
come “abitanti di Svinnegarnsviken” (baia nel lago Mälaren che
sarebbe la loro sede originaria) o come “popolo di mare”. È anche
possibile un collegamento con il nome del cinghiale (in riferimen-
to alla radice *su
ı̄ ) secondo una teoria che ricorda come taluni nomi
di popolo si leghino ad animali. Il nome odierno della “Svezia”,
Sverige, risale alla forma Svíaríki (sved. ant. Svearike/Sverike/Sve‑
righe) e significa “Regno degli Svíar”.218
Più tardo (e al contempo più semplice) l’etnonimo che designa
i Norvegesi i quali non sono altro che gli “Uomini del Nord”
(Norðmenn): lo stesso termine che, nella forma latinizzata, Nor-
manni, è utilizzato copiosamente e comunemente dagli storici euro-
pei dell’epoca a indicare, genericamente, i vichinghi (privo dunque
di qualsivoglia distinzione nazionale). In tal senso testimonia, a
esempio, Eginardo biografo di Carlo Magno, quando scrive: “I
Danesi come pure anche gli Svedesi, che noi chiamiamo Normanni,
e che occupano le coste settentrionali e tutte le isole che vi sono
comprese.”219 Il nome della Norvegia, Nóregr è invece da far risali-
re a un più antico *Norðvegr (cfr. la forma latinizzata Northvegia)
con il quale si indicava la “via del Nord”, cioè la rotta verso nord
e gli insediamenti che si susseguivano lungo le coste.220
Assai agevole è, infine, la spiegazione del nome degli Islandesi:
antico nordico Íslendingar. Si tratta infatti, semplicemente di una
derivazione dal nome del Paese, Ísland, mediante il suffisso ‑ing,
comunemente utilizzato (al pari di ‑ung) nella formazione di nomi
che designano gli appartenenti a una medesima stirpe o a un mede-
simo gruppo.221

218
Vd. de Vries 1962² (B.5), pp. 568-569 (voce Svíar) e Wessén 197510 (B.5), pp. 26-27.
219
DLO nr. 32; cfr. Adamo da Brema, Gesta Hammaburgensis […], I, xiv: “Infatti
i Danesi e gli altri popoli che si trovano oltre la Danimarca, dagli storici dei Franchi
sono tutti chiamati Normanni” (DLO nr. 33).
220
Vd. de Vries 1962² (B.5), pp. 411-412 (voce Noregr); Wessén 197510 (B.5), p.
28. Vd. tuttavia anche l’ipotesi di A. Noreen (Svenska etymologier, Uppsala 1897, pp.
22-24) che lo intende come la “via stretta”. Una disamina delle diverse ipotesi etimo-
logiche si trova in Seip 1923, pp. 9-14.
221
Si vedano esempi come Ynglingar, i discendenti del mitico antenato degli Sve-
desi Yngvi-Freyr (cfr. pp. 174-175), Skjǫldungar, i discendenti del mitico antenato dei
Danesi, Skjǫldr (cfr. p. 132), Vǫlsungar, gli appartenenti alla stirpe leggendaria dei

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Verso il mondo esterno: il periodo vichingo 157

Un breve cenno merita in questo contesto anche il nome dei


Goti, una etnia assai importante cui – come è stato detto – la tra-
dizione assegna la sede originaria in Scandinavia. L’etimologia di
questo etnonimo è assai incerta: forse lo si può intendere come
“forti nella procreazione”.222 Al loro nome parrebbe anche legato
quello degli Götar che, a loro volta, dovrebbero corrispondere ai
Geātas del poema anglosassone Beowulf o, forse, agli Juti.223 Comun-
que sia questo etnonimo era certamente riferito a una tribù emi-
nente: basti pensare che Gautr (o Gauti) è un appellativo di Odino
e che le genealogie conoscono un sacro antenato che compare come
*Gaut in Giordane (nella forma Gapt, evidente errore grafico),224
Gausus fra i Longobardi225 e Géat nelle dinastie reali anglosassoni.226

3.2.7. Lingue nazionali

Come sopra è stato osservato, non ha senso, almeno fino alla fase
iniziale del periodo vichingo, distinguere gli “uomini del Nord” in
base a un criterio di appartenenza ai singoli Paesi al modo in cui li
intendiamo al giorno d’oggi. Non solo gli stranieri li consideravano
genericamente “Normanni”, ma essi medesimi non avevano coscien-
za di una identità nazionale che solo da allora veniva, seppur len-
tamente, emergendo. Tuttavia, proprio nel corso del periodo vichin-
go, il rafforzarsi dei nuclei di potere centralizzato formatisi nei
secoli precedenti (al quale corrisponde la progressiva affermazione
degli etnonimi di cui è detto al paragrafo precedente) trova il pro-
prio parallelo in una prima diversificazione della lingua antico
nordica in idiomi nazionali che saranno, innanzi tutto, il danese, lo
svedese e il norvegese. Certamente il processo di differenziazione
delle lingue scandinave ha conosciuto tempi piuttosto lunghi, basti
pensare che almeno inizialmente con l’espressione dǫnsk tunga,
letteralmente “lingua danese” si indicava genericamente la lingua
scandinava: un fatto che sottolinea le scarse differenze percepite (a
esempio in Inghilterra “danese” era sinonimo di “scandinavo”).227
Tale definizione verrà poi sostituita (a partire dal XIII secolo) da
Volsunghi, Niflungar, “Nibelunghi”, ma anche víkingar (sing. víkingr), “vichinghi”
(verosimilmente formato su vík “baia”; cfr. sopra, p. 99 e nota 12).
222
de Vries 1962² (B.5), p. 159 (voce Gauti/Gautr).
223
Vd. sopra, p. 137.
224
Getica, XIV, 79.
225
“Prologo” dell’Editto di Rotari, p. 2.
226
Vd. Hachmann 1970 (C.2.3), pp. 45-46 e pp. 55-56.
227
Vd. Snorri Sturluson, Heimskringla, I, p. 3, nota 4.

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158 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

norrœn tunga (letteralmente “lingua norvegese”) detta anche più


semplicemente norrœna “norreno”, un termine – quest’ultimo – che
rimarrà a designare l’idioma nel quale la tradizione orale sarebbe
stata riversata in preziosi manoscritti. Ma è comunque chiaro che
la prima vera definizione delle diverse identità nazionali va certa-
mente ricercata, anche da un punto di vista linguistico, nel periodo
vichingo.
Le lingue scandinave costituiscono il ramo nordico delle lingue
germaniche (e risalgono dunque al ceppo indoeuropeo).228 Ne
condividono sostanzialmente l’impianto morfo-sintattico e la mag-
gior parte del lessico. Caratteristiche peculiari cominciano a diffe-
renziare fin dalla fase più antica (II-III-V secolo) il cosiddetto
protonordico,229 un idioma che si svilupperà in modo ben distinto
e che costituisce la base delle lingue moderne. Ma parlare dell’an-
tico nordico come di un sistema sostanzialmente uniforme è pos-
sibile in senso stretto solo fino al VII secolo. Convenzionalmente
resta accettabile la suddivisione in tre fasi principali. La più antica
è quella del protonordico o nordico runico (II/III-VIII secolo) così
detto in quanto le sue prime attestazioni si trovano, appunto, nelle
iscrizioni runiche. Questa fase conosce naturalmente suddivisioni
ulteriori.230 Segue il periodo del nordico vichingo (IX-XI secolo): la
lingua parlata nel Nord è ancora testimoniata da iscrizioni runiche,
tuttavia in esse si manifesta ora una marcata differenziazione in
direzione dei diversi idiomi nazionali. L’ultima fase, quella del
cosiddetto nordico classico o norreno (dal XII alla metà del XIV
secolo), fa riferimento alla testimonianza dei numerosi testi della
tradizione letteraria da ricondurre – per la gran parte – all’ambito
228
Pur se si accetti la tradizione che assegna ai Goti una origine scandinava non pare
possibile immaginare l’esistenza di un gruppo linguistico gotico-nordico, seppure
queste lingue condividano alcune isoglosse significative (vd. sopra, p. 74 con nota 44).
Del resto si constata anche l’esistenza di isoglosse tra le lingue del gruppo nordico e
quelle del germanico occidentale: tra le più rilevanti il passaggio di /*ē1/ (< /*ē / indo-
europea)/ ad /ā/ (con conseguente sviluppo di /*ē2/); il passaggio di /*-ō/ finale (<
indoeuropeo /*ā/) a /-u/; la chiusura dei dittonghi atoni germanici /*ai/ e /*au/ rispet-
tivamente in /ē / e /ō /; il rotacismo del germanico /*z/ > /r/; la presenza di pronomi
dimostrativi con rafforzativo /-si/, /-se/. Naturalmente a questi fenomeni (non tutti
riferibili alla medesima fase temporale) si affiancano isoglosse di tipo morfologico, così
come la condivisione di particolari sviluppi tra il nordico e singole lingue dell’area
occidentale. Tra questi ultimi particolarmente ‘vistoso’ risulta il fenomeno di caduta
della /*-n/ finale (che si evidenzia soprattutto nell’infinito dei verbi) che il nordico
condivide con il frisone. Vd. Nielsen H.F., “Nordic-West Germanic relations”, in
Bandle 2002-2005 (B.5), I, pp. 558-568 e Quak A., “Nordic and North Sea Ger-
manic relations”, ibidem, I, pp. 568-572.
229
Vd. Nielsen 2002 (indicato in nota precedente).
230
Ibidem, p. 617.

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Verso il mondo esterno: il periodo vichingo 159

islandese, cioè a un Paese la cui lingua era la diretta filiazione


dell’antico norvegese, parlato dalla maggior parte dei coloni che si
erano stabiliti nell’isola.
Le caratteristiche principali che distinguono l’antico nordico
all’interno del gruppo germanico sono innanzi tutto di carattere
fonetico e morfologico. Tra le più ‘vistose’: la cosiddetta ‘frattura’
cui va incontro la vocale /e/ che diventa /ja/ o /jǫ/ quando in sil-
laba seguente si trovino rispettivamente /a/ oppure /u/ (es.: ant.
nord. stjarna “stella”, cfr. ted. Stern; ant. nord. hjarta “cuore”, cfr.
ted. Herz; ant. nord. jǫrð “terra”, cfr. ted. Erde; ant. nord. jǫfurr
“cinghiale”, cfr. ted. Eber, ma ant. alto ted. ebur);231 la caduta di
/j-/ e /w-/ in inizio di parola, la seconda in un numero più circo-
scritto di casi232 (es.: ant. nord. ár “anno”, cfr. ted. Jahr e ingl. year;
ant. nord. ungr “giovane”, cfr. ted. jung e ingl. young; ant. nord.
ríta “incidere”, “scrivere”, cfr. ingl. write; ant. nord. rangr “storto”,
“errato”, cfr. ingl. wrong); la caduta di ‑n finale di parola (tranne
che nei monosillabi con vocale breve), un fenomeno che risulta ben
visibile nell’infinito dei verbi ma non solo (vd. a esempio ant. nord.
koma “venire”, cfr. ted. kommen; ant. nord. fara “andare”, “viag-
giare”, cfr. ted. fahren; ma anche ant. nord. þá “allora”, cfr. ingl.
then); una forte tendenza all’assimilazione consonantica (es.: ant.
nord. gull “oro”, cfr. ted. Gold, ingl. gold; ant. nord. drekka “bere”,
cfr. ted. trinken, ingl. drink; ant. nord. dóttir “figlia”, cfr. ted. Tochter,
ingl. daughter);233 numerosi casi di metafonia ben distinti da quelli
presenti in altre lingue germaniche. Notevoli innovazioni del nor-
dico (introdotte nel periodo vichingo) sono poi la nascita di una
forma medio-passiva del verbo costruita con l’uso del suffisso ‑sk
(forse da un riflessivo sik “sé”) che si perpetua nelle lingue moder-
ne come ‑s in danese, norvegese (variante bokmål) e svedese e ‑st
in norvegese (variante nynorsk) e in islandese (esempio ant. nord.
kalla “chiamare”, kallask “essere chiamato”); la comparsa dell’ar-
ticolo determinativo (tratto dal dimostrativo) posto in posizione

231
Il fenomeno della frattura vocalica è presente, seppure in altre forme, anche in
area anglosassone. In nordico la frattura non avviene se la /e/ è preceduta da /v/, /u/,
/l/, /r/; se è seguita da /h/; se sta in sillaba che non porta l’accento principale.
232
All’inizio di parola davanti alle liquide /l/ e /r/; davanti alle vocali scure; se
preceduto da /ō/, /g/, /k/; dopo sillaba chiusa non terminante in /g/ o /k/.
233
I casi di assimilazione (totale o parziale) sono i seguenti: /lþ/ (non costantemen-
te), /lR/ (tranne che nei monosillabi con vocale breve dove > lr), /ðl/ e /rl/ (in età
recente) passano a /ll/; /rs/ (in età recente), /tt/ (fenomeno germanico) e /sR/ passano
a /ss/; /rz/ e /rR/ passano a /rr/; /nk/ passa a /kk/; /nt/, /ht/, /þt/, /dt/, /ðt e /tk/ (non
costantemente) passano a /tt/; /ðd/ e /zd/ passano a /dd/; /np/ e /mp/ passano a /pp/;
/nþ/, /nR/ e /zn/ passano a /nn/; /mf/ passa a /mm/. Inoltre n > m davanti a p.

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160 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

finale rispetto al sostantivo (esempio: ant. nord. dagr-inn “il giorno”,


masch., cfr. ted. der Tag e ingl. the day; ant. nord. tunga-n “la lingua”,
femm., cfr. ted. die Zunge, ingl. the tongue; ant. nord. land-ið “la
terra”, neutro, cfr. ted. das Land, ingl. the land) e la comparsa di
nuovi pronomi.
In realtà quando si parla di antico nordico ci si riferisce, quasi
sempre, alla lingua che conosciamo attraverso i testi della tradi-
zione medievale islandese. Ma lasciando da parte le suggestioni
letterarie e limitandosi al punto di vista strettamente linguistico va
invece sottolineata la presenza di varianti dialettali (che in taluni
casi risalgono addirittura al V-VI secolo) in base alle quali è stata
stabilita una prima distinzione in due ‘sottogruppi’: quello delle
lingue scandinave orientali e quello delle lingue scandinave occi-
dentali. Nel primo sono tradizionalmente compresi il danese, lo
svedese e il gutnico, idioma di Gotland, area culturale ben preci-
sa con tratti distintivi chiaramente marcati. Esso mostra in effetti
una notevole autonomia e conserva (soprattutto dal punto di vista
fonetico) tratti di forte arcaicità, per molti versi dunque può esse-
re considerato un ramo a parte.234 L’insieme delle lingue occiden-
tali comprende il norvegese,235 l’islandese e il faroese. Anche
nell’arcipelago delle Forøyar infatti si sarebbe sviluppato un idio-
ma distinto, per altro una lingua che (fatta eccezione per pochis-
simi documenti) sarebbe rimasta relegata per molti secoli al solo
uso parlato. Il faroese – come è del resto lecito attendersi a moti-
vo della storia della colonizzazione delle isole – presenta affinità
con i dialetti norvegesi occidentali; dal punto di vista morfologico
esso resta assai conservativo (caratteristica che lo avvicina all’islan-
dese). Al gruppo delle lingue scandinave occidentali occorre infi-
ne ascrivere anche i dialetti (definiti con termine inglese norn)
parlati per un lungo periodo nei possedimenti dei nordici in diver-
se aree delle isole britanniche quali alcune zone della Scozia (in
particolare la contea di Caithness (nordico Katanes) sulla punta
settentrionale, che dipendeva dalle Orcadi)236 e le Ebridi (Suðreyjar),
ma – soprattutto – nelle Shetland (Hjaltland) e nelle Orcadi
(Orkneyjar). Questi ultimi si sono estinti assai tardi (l’orcnoico

234
Vd. pp. 1435-1436 con note 107-109.
235
La lingua norvegese andrà in seguito incontro a eventi in conseguenza dei qua-
li compariranno nel secolo XIX due varianti dette rispettivamente bokmål e nynorsk.
La prima, in quanto fortemente influenzata dal danese, presenta molti tratti tipici
delle lingue scandinave orientali. Su questo si veda 11.3.3.1.
236
Va tra l’altro segnalato che il nome del capoluogo di questa regione, Wick, è
chiaramente derivato dal nordico vík “baia”.

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Verso il mondo esterno: il periodo vichingo 161

nella seconda metà del XVIII secolo, lo shetlandese tra la fine del
XVIII e l’inizio del XIX).237
Le lingue scandinave orientali si differenziano da quelle occi-
dentali per le seguenti principali caratteristiche: tendenza alla
chiusura dei dittonghi (esempio: sved. e dan. sten, ma isl. steinn
“pietra”); una maggiore frequenza di casi di frattura (esempio: dan.
jeg, sved. jag, entrambi da una forma antica jak ma isl. ant. ek
“io”);238 una minore tendenza a fenomeni come la metafonia, l’as-
similazione e la caduta di /w-/ in inizio di parola.239 Tuttavia la
suddivisione nei due gruppi qui indicati, per quanto sostanzialmen-
te corretta, non deve essere rigida, sia per la presenza di varianti
dialettali all’interno delle due aree, sia per il fatto che nelle zone di
contatto (come i territori di confine tra la Svezia e la Norvegia) si
possono facilmente riconoscere influssi reciproci.

Un apporto assai interessante allo studio degli insediamenti umani nel


territorio della Scandinavia e al loro legame con la formazione e l’evolu-
zione delle strutture sociali è venuto da ricerche di carattere lessicale che
hanno per oggetto denominazioni delle diverse realtà abitative nel corso
dei secoli, uno studio che ha dato risultati proficui, seppure naturalmen-
te la determinazione delle varie tipologie sia tanto più ardua quanto più
si procede a ritroso nel tempo (in particolare risulta assai difficile deter-
minare in quale misura toponimi legati a nuclei abitati ben testimoniati
fin dalla prima parte dell’età del ferro siano in realtà retrodatabili all’età
del bronzo).
I termini cui si fa riferimento compaiono generalmente come secon-
do elemento di nomi composti. Un buon numero risale ai primi secoli
d.C. (tuttavia con numerosi esempi di sicura datazione anteriore) o
– quantomeno – all’età delle migrazioni, taluni restano ‘produttivi’ anche
successivamente. Tra questi sono annoverati ‑by/‑bø (talora non com-
posto) che significa “fattoria”, “villaggio” (ma potrebbe avere un senso
originario di “terreno coltivato”); ‑heim/‑hem “fattoria”, “insediamento”
ma anche “distretto”, “zona di abitazioni” (il significato originario

237
Vd. sopra, p. 107 con nota 34. La scomparsa di questi dialetti va messa in rela-
zione anche all’esaurirsi dei commerci che per lungo tempo avevano collegato la
Norvegia a queste isole.
238
Una ‘frattura’ peculiare delle lingue nordiche orientali è quella che riguarda la
vocale /y/ che davanti ai nessi /ngw/, /nkw/, /ggw/ passa a /iu/; vd. a esempio il verbo
“cantare”: in isl. syngja, ma sjunge (< siunge) in danese (forma arcaica) e sjunga (<
siunga) in svedese. Diverso è tuttavia il caso del gutnico (vd. p. 1435 con nota 107).
239
Qui si dà conto solo dei fenomeni più vistosi, per un quadro più dettagliato si
rimanda a Schulte 2002 (B.5).

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162 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

sarebbe tuttavia “dimora”, “luogo di residenza”); ‑ingi/‑ungi (presente


anche in zone settentrionali della Germania) che originariamente desi-
gnerebbe un insediamento di proprietà di un gruppo ben definito;240
‑land(a) “distretto” ma in alcune occorrenze forse “isola” (in ogni caso
originariamente si intenderebbe “appezzamento di terreno”, “terreno
di proprietà” o “terreno adatto alla coltivazione”); ‑lev/‑löv (limitato
alle zone danesi e al sud della Svezia) che indicherebbe una proprietà
terriera lasciata in eredità; ‑lösa/‑løse con un probabile significato ori-
ginario di “prato”, “pascolo” o “radura”; ‑sta(d)/ ‑sted (e il più tardo
isl. ‑staðr/‑staðir), che è stato messo in relazione con i toponimi inglesi
in ‑stead e quelli tedeschi in ‑statt/‑stedt o ‑stätten/‌‑stetten, e dovrebbe
indicare (ma l’etimologia è stata a lungo discussa) un insediamento
circondato da campi; ‑tun(a) (che non di rado compare anche autono-
mamente) che significa “recinto”; ‑vin(i), elemento toponomastico
caratteristico della Norvegia, che rimanda a un significato di prato”,
“pascolo”.
“All’età vichinga (nel corso della quale, come detto, molti tra i prece-
denti restano produttivi) vanno fatti risalire i toponimi in ‑bolstaðr “ter-
ra di una fattoria o di un villaggio”; ‑hult “foresta”, forse più precisamen-
te “foresta decidua coltivata”; ‑rum “spazio aperto” verosimilmente in
una foresta (con probabile riferimento a un luogo in cui gli animali pos-
sono pascolare); ‑riuð/‑rydh “radura”;241 ‑setr/‑sæter “prato isolato”,
“prato in una foresta”; ‑toft(a)/ ‑tompt(a) forse “terreno su cui è costrui-
ta una fattoria”, o “fattoria abbandonata”, se non “recinto”, “ovile”;
‑þorp (forse anche previchingo) “insediamento” (in età vichinga certa-
mente in riferimento a uno di tipo secondario, distaccato rispetto a uno
più antico: “piccolo villaggio”, “gruppo di casolari”, più raramente
“fattoria isolata”); ‑þveit “radura” con riferimento alla colonizzazione di
aree boschive. Altri termini risalgono a un probabile composto *nybyli
“nuovo insediamento”.
Certamente una puntale e corretta valutazione che consideri tanto la
localizzazione quanto la frequenza delle diverse tipologie lessicali può
fornire utilisime informazioni sul progressivo sviluppo della ‘occupazione’
del territorio da parte dell’uomo.242

240
Si consideri l’uso del suffisso ‑ing/‑ung, utilizzato per formare nomi di popoli o
denominazioni di gruppi (vd. p. 156 con nota 221).
241
Questo suffisso sarà molto produttivo in epoca post-vichinga: vd. oltre p. 390.
242
Vd. Strandberg 2002, pp. 674-682 e Fridell 2002.

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Verso il mondo esterno: il periodo vichingo 163

3.3. Il paganesimo nordico

3.3.1. La sfera religiosa

Dal punto di vista della storia religiosa l’età vichinga rappresen-


ta un momento determinante sotto diversi aspetti. Certamente
l’evento più importante è la grande svolta che vedrà (nei modi e
per le ragioni che verranno esposte in un capitolo successivo) i
popoli scandinavi convertirsi al cristianesimo.243 Non di meno, in
questo stesso periodo il paganesimo nordico appare ancora vitale,
seppure – per come lo possiamo ricostruire sulla base delle diverse
fonti a disposizione –244 esso mostri al contempo di trovarsi in una
situazione di crisi. Questa del resto riguardava, come si è visto, la
società medesima ed è dunque ben comprensibile che molti aspet-
ti della vita ne fossero coinvolti.
I popoli nordici avevano alle spalle una tradizione religiosa
secolare che affondava le proprie radici nel neolitico e si era
venuta consolidando nell’età del bronzo. È infatti ovvio ritene-
re che cambiamenti radicali nell’atteggiamento religioso e nei
rituali a esso connessi avessero accompagnato il passaggio da
una società la cui economia era basata sulla cattura di prede
animali e sulla raccolta di vegetali commestibili a una di tipo
nuovo, che recependo la pratica dell’allevamento e dell’agricol-
tura come fonte principale del proprio sostentamento, aveva
conseguentemente mutato il proprio atteggiamento nei confron-
ti delle potenze sovrannaturali. In effetti, seppure non si debba
cadere – come talora avviene – nella tentazione di collegare fra
loro con eccessiva superficialità elementi molto lontani nel tem-
po e si debba procedere nella valutazione dei dati con una
giusta dose di cautela, è indubbio che una parte non secondaria
di ciò che conosciamo della religione nordica dell’età del bron-
zo e di quella delle epoche successive trova riscontro nel paga-
nesimo nordico di età vichinga. Se a esempio ammettiamo l’esi-
stenza nell’età del bronzo di un ‘dio con l’ascia’ e di una ‘dèa
con la collana’ risulta difficile negare che essi trovino poi i loro
eredi nelle figure di Thor e di Freyja. Al contempo però dob-
biamo riconoscere che la nostra conoscenza della religione
nordica delle epoche più antiche resta limitata, il che si riflette,

243
Vd. cap. 4.
244
Per un excursus sulle fonti vd. Chiesa Isnardi 20084 (B.7.1), pp. 677-685.

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164 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

di conseguenza, in opinioni divergenti.245 Allo stesso modo,


seppure risulti del tutto evidente che la dèa *Nerthus, la “Terra
mater” venerata (secondo la testimonianza di Tacito) nelle regio-
ni danesi nella prima fase dell’età del ferro romana,246 è una
divinità della fecondità e al contempo sia indiscutibile che il suo
nome riappare molto più tardi nelle fonti islandesi in forma
maschile come quello del dio dell’abbondanza Njǫrðr (un paral-
lelo che dal punto di vista linguistico non lascia adito a dubbi),247
noi non possiamo trarre in proposito conclusioni definitive, soprat-
tutto perché il caso di *Nerthus/Njǫrðr (seppure possa essere
convincentemente risolto pensando a figura androgina o, meglio,
a una coppia divina unita in una ierogamia cultuale)248 ci pone di
fronte al problema, mai completamente risolto, dell’effettiva
importanza rivestita anticamente in ambito religioso da figure
femminili che sembrano poi cedere il passo a un pantheon al cui
interno – fatta la dovuta eccezione per la dèa della fecondità Freyja
(che non a caso è detta figlia di Njǫrðr) e, volendo, anche per
Frigg sposa di Odino (della quale è detto tra l’altro che conosce
il destino) – le divinità maschili mostrano di avere un assoluto
predominio.
In effetti la religione pagana scandinava di età vichinga è piut-
tosto il risultato di un processo giunto a maturazione nelle epoche
immediatamente precedenti: periodo delle migrazioni ed età dei
Merovingi. Le divinità infatti cominciano a delinearsi in modo
chiaro in questi secoli, quando tutta una serie di raffigurazioni
iconografiche ci consente di riconoscere, con sufficiente certezza,
gli dèi di cui in seguito le fonti scritte daranno debito conto. Certo
è possibile individuare rappresentazioni di divinità anche in reper-
ti piuttosto antichi. Oltre alla cosiddetta ‘dèa con la collana’ e al
245
Come sopra si è riferito, in Magnus – Myhre 1986 (B.2) si sostiene che nel
quadro religioso dell’età del bronzo il ‘dio con l’ascia’ e la ‘dèa con la collana’ sono le
uniche divinità della cui venerazione si abbia certezza (vd. p. 52, nota 149). Tuttavia
dobbiamo considerare anche opinioni contrarie. A esempio, come è stato detto, lo
studioso B. Almgren ha ritenuto di poter escludere che nelle incisioni rupestri dell’età
del bronzo sia possibile individuare la raffigurazione di una qualsiasi divinità, dal
momento che – secondo il suo parere – ci troviamo di fronte a un atteggiamento
religioso aniconico (Almgren 1962 [C.1.3]; cfr. p. 51). Un altro esempio di diversa e
del tutto particolare interpretazione dei dati archeologici relativi alla religione dell’età
del bronzo viene offerto da J. Brøndsted il quale piuttosto che pensare a un ‘dio con
l’ascia’ preferisce intendere l’ascia medesima addirittura come una sorta di divinità
(vd. sopra, p. 52, nota 150).
246
Vd. oltre, p. 174 con nota 296.
247
Vd. nota 295.
248
Vd. de Vries 1970³ (B.7.1), II, pp. 164-165.

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Verso il mondo esterno: il periodo vichingo 165

‘dio con l’ascia’, sopra citati,249 vanno ricordate la divinità maschi-


le della fecondità rappresentata da un idolo di legno (alto 88 cm.)
con volto barbuto e corpo appena accennato, ma chiaramente
connotato da un evidentissimo attributo fallico (Broddenbjerg,
presso Viborg, Jutland, probabilmente tarda età del bronzo),250 e
il suo ‘contraltare’ marcatamente femminile: una figura realizzata
in legno di betulla alta 1.05 mt. e ritrovata a Ræbild (Himmerland).251
All’influsso celtico sono da ascrivere immagini alquanto enigmati-
che, come la statuetta in bronzo (un tempo quasi certamente orna-
ta di una collana) del cosiddetto ‘uomo di Laxeby’ (Öland) risalen-
te all’età del ferro preromana, un periodo dal quale ci giungono
altre raffigurazioni di figure maschili. Più avanti, nel VI secolo d.C.,
troviamo un ‘dio con la collana’, statuetta di legno alta 42 cm.
rinvenuta in Danimarca (Rude Eskildstrup, Selandia): si tratta di
una figura di uomo in posizione seduta, che indossa una tunica
lunga fino ai piedi, con tracce di un nastro incrociato sul petto,
baffi, barba sul mento, occhi chiusi, mani sul grembo che paiono
reggere un oggetto (un’offerta votiva?). Attorno al collo ha una
collana lavorata.252 Dalla regione norvegese di Romerike, nella
località di Frøyhov (un toponimo che significativamente vale “tem-
pio di Freyr”) proviene una statuetta di bronzo che raffigura un
uomo con indosso uno stretto gonnellino, una cintura e dei calzo-
ni. Sulla parte inferiore della gonna sono tracciati alcuni segni, due
dei quali potrebbero essere rune; il reperto risale all’età del ferro
romana.
E tuttavia solo sulle bratteate (che compaiono dal V secolo)
noi cominciamo a poter ‘leggere’ nelle raffigurazioni iconogra-
fiche allusioni certe a caratteristiche ben definite degli dèi vichin-
ghi e, di conseguenza, a poterli identificare in modo attendibile.
Parallelamente altri oggetti (a esempio elmi risalenti al periodo
249
Vd. p. 45 con nota 119 e p. 52, nota 149.
250
Vd. Jensen 2001-2004 (B.2), II, pp. 487-488. Con questo vanno confrontati altri
reperti, come i resti di una effigie maschile in legno rinvenuti a Rosbjerggård (Jutland
settentrionale) e altri simili tra cui, in particolare, la figura ritrovata nella palude di
Spangeholm (Vendsyssel, Jutland settentrionale) che nella sostanza è costituita solo da
un organo sessuale maschile della lunghezza di 64 cm. (vd. Jensen 2001-2004, III, p.
192).
251
Vd. Riismøller P., “Frøya fra Rebild”, in Kuml, 1952, pp. 119-132.
252
Cfr. la figurina maschile in bronzo rinvenuta in un tumulo tombale nella foresta
di Søholt (Lolland, 500 d.C. circa). Qui va naturalmente considerato il ritrovamento
parallelo di importanti collari d’oro la cui lavorazione ricorda la ‘collana’ di questo
‘dio’ (si vedano i reperti svedesi di Ålleberg e Möne in Västergötland): questi monili
avevano certamente una funzione rituale, per cui la statuetta danese potrebbe forse
rappresentare una persona investita della dignità sacerdotale.

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166 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

di Vendel253 o lamine raffiguranti una coppia in atteggiamento


amoroso)254 riportano figure che certamente vanno ricollegate
a motivi religiosi noti da fonti più tarde. Così come avviene,
inoltre, per le celebri pietre di Gotland, in particolare quelle del
periodo intermedio (VIII-IX secolo),255 che anticipano icono-
graficamente materiale mitologico e leggendario che sarà suc-
cessivamente riversato nei testi scritti. Al periodo propriamente
vichingo risalgono tra l’altro importanti raffigurazioni che si
ritrovano nelle isole britanniche e che fanno indubbio riferimen-
to alla religione pagana degli uomini nordici e al loro patrimonio
di tradizioni.256 Chiare indicazioni ci giungono successivamente
da oggetti legati al culto degli dèi: piccole statuette – come
quella di Freyr (chiaramente connotata da un fallo di grosse
dimensioni) rinvenuta a Rällinge (Södermanland, Svezia, XI
secolo)257 e quella di Thor rinvenuta a Eyrarland (Eyjafjörður,
Islanda, inizio dell’XI secolo) –258 o amuleti come i ‘martelli di
Thor’ numerosi e di lavorazione più o meno accurata (se ne veda
un ottimo esempio nel reperto di Erikstorp nell’Östergötland
svedese).259
È tuttavia un dato di fatto che la ricostruzione della religione
pagana della Scandinavia vichinga, così come noi la conosciamo,
dipende in misura notevolissima da testi successivi (come l’Edda
poetica o l’Edda di Snorri Sturluson)260 redatti (seppure sulla base

253
In particolare quello sul quale è raffigurato il dio Odino accompagnato dai suoi
due corvi (uno che lo precede e uno che lo segue) in sella a una cavalcatura di fronte
alla quale si trova una serpe.
254
Cfr. p. 50, nota 140. Si vedano anche le lamine d’oro rinvenute a Hauge (distret-
to di Jæren, Norvegia meridionale) da collocare cronologicamente nel periodo vichin-
go.
255
Vd. sopra, pp. 92-93. È certamente molto difficile dubitare che il cavaliere che
cavalca un destriero dotato di otto zampe (si veda la pietra di Tjängvide) sia qualcuno
di diverso da Odino, possessore del mitico destriero Sleipnir che aveva appunto que-
sta caratteristica.
256
Vd. sopra p. 107 con nota 35.
257
Singolarmente simile a questa è una statua in pietra calcarea che si trova nel
cimitero di Lokrune sull’isola di Gotland.
258
A questa si può forse accostare la pedina da gioco in ambra alta 4.7 cm. rinve-
nuta presso Roholte (Selandia meridionale) e risalente all’epoca vichinga. Essa raffi-
gura la parte superiore del corpo di una figura maschile che si tiene la barba.
259
Questo tipo di reperti è piuttosto frequente; vd. Skovmand 1942 (C.3.4), pp.
64-65. Un altro interessante reperto d’epoca vichinga da richiamare qui è una statuet-
ta realizzata in avorio di tricheco rinvenuta a Lund (Scania) che rappresenta una
figura seduta che si tiene la lunga barba; sul retro è inciso un martello di Thor; cfr.
nota precedente.
260
Vd. 5.2.1.

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Verso il mondo esterno: il periodo vichingo 167

di materiale preesistente) in epoca ormai cristiana e nei quali


l’aspetto letterario riveste una grande importanza, il che certa-
mente non agevola il confronto tra i dati che vi sono contenuti e
quanto può essere dedotto dall’esame del materiale archeologico
e iconografico.
Nel tentare di definire i contorni di un quadro tutt’altro che
nitido e omogeneo sia dal punto di vista diacronico sia da quello
sincronico, gli elementi in nostro possesso vanno inoltre ‘incrocia-
ti’ con le informazioni fornite dalla toponomastica, dati oggettivi
che segnalano luoghi legati a qualche forma di culto oppure alla
venerazione di un singolo dio. Questo studio produce interessanti
risultati in quanto consente di osservare come divinità un tempo
grandemente venerate siano poi per qualche motivo decadute;261
stimolante è anche l’osservazione d’una distribuzione niente affat-
to uniforme del culto degli dèi maggiori che appare concentrato in
determinate aree, risultando dunque connesso a precisi presuppo-
sti sociali e politici. Questo fatto si lega alla constatazione che il
politeismo scandinavo di epoca vichinga non è un sistema religioso
ben strutturato e interconnesso quanto, piuttosto, un insieme di
credenze e di culti collegati a divinità di varia natura che vanno
ricondotte a una diversa origine, incarnano differenti valori e rispon-
dono dunque a diversi bisogni di gruppi sociali e di singoli fedeli.
In questo contesto lo studioso inglese E.O.G. Turville-Petre ha
saputo dare il giusto rilievo a episodi relativi all’esperienza religio-
sa di talune figure citate nelle fonti, episodi che ‘letti’ in questa
prospettiva danno esemplare testimonianza di questa situazione.
Egli si richiama, in particolare alle vicende di personaggi islandesi
come il celebre scaldo Egill Skalla-Grímsson (in questo caso rifa-
cendosi a precedenti osservazioni di Sigurður Nordal) o Víga-Glúmr
dei quali è riferita la ‘conversione’ dalla fede in un dio a quella in
un altro.262 Una vicenda come quella di Hrafnkell, goði263 del dio
Freyr, narrata nella saga omonima,264 testimonia del resto tutta
l’importanza di un intimo rapporto tra uomo e dio, un rapporto
261
L’esempio più ‘classico’ è forse quello del dio Ullr della cui venerazione ci resta-
no tracce solo nei toponimi che – d’altronde – indicano anche l’esistenza di una divi-
nità dal nome molto simile, *Ullin, per altro totalmente sconosciuta alle fonti scritte.
Vd. la cartina riportata in de Vries 1970³ (B.7.1), II, p. 155.
262
Turville-Petre 1964 (B.7.1), p. 69.
263
Su questa carica vd. oltre, p. 197, con nota 384.
264
Saga di Hrafnkell, goði [del dio] Freyr (Hrafnkels saga Freysgoða). Se è pur vero
che questa saga è in realtà frutto di invenzione letteraria (vd. oltre, p. 312 con nota 90)
è altrettanto vero che le saghe traggono in gran parte la propria ispirazione dal patri-
monio cultural-tradizionale scandinavo.

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168 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

che, come ha mostrato Marco Scovazzi, è riconducibile ai canoni


di un vero e proprio negozio giuridico.265 Hrafnkell infatti, dopo
aver dato prova di straordinaria devozione a Freyr che considerava
in tutto e per tutto suo patrono (arrivando per questo a rendersi
colpevole di omicidio), lo abbandonò quando si rese conto che
tanta fede non aveva sortito gli effetti da lui sperati. In effetti sono
numerosi i casi in cui tra l’uomo nordico e la divinità si stabilisce
un rapporto esclusivo di fiducia nel quale il dio deve mostrarsi
capace di ascoltare le preghiere del suo fedele e di corrispondere
ai suoi bisogni, divenendo dunque un fulltrúi cioè un “patrono”
(letteralmente “[un essere in cui riporre] piena fiducia”) sul quale
si possa fare totale affidamento. Questo atteggiamento religioso
riflette, evidentemente, una situazione sociale complessa e in tra-
sformazione, nella quale la forza delle nuove concezioni di tipo
individualistico si misurava con la solidità della tradizione che
continuava piuttosto a fare riferimento a divinità protettrici della
comunità e a riti legati al suo benessere. Una prospettiva, questa,
nella quale sono particolarmente interessanti altri episodi che
segnalano il forte contrasto tra le due divinità maggiori, Odino e
Thor,266 un contrasto che trova precisi riflessi anche nella lettera-
tura mitologica.267
Ma i diversi casi qui citati rappresentano in realtà dei segnali che
ci riportano a quello scenario di ‘crisi’ religiosa cui si è sopra accen-
nato: uno scenario che vede la graduale decadenza di antiche cer-
tezze, spinge a rifugiarsi in scelte personali e determina altresì (al
contempo spiegandoli) due fatti di grande importanza che consta-
tiamo nell’età vichinga. Il primo è la comparsa dei cosiddetti
goðlausir menn, letteralmente “uomini senza dio”, dei quali è detto
che avevano rigettato la fede nelle antiche divinità pagane e crede-
vano solo “nella propria forza e nel proprio potere” (“á mátt sinn
ok megin”), una espressione che lascia comunque sottintendere

265
Scovazzi 1975 (B.8), pp. 377-383.
266
Vd. a esempio l’episodio relativo al re svedese Erik il Vittorioso del quale è
detto che ebbe la meglio in uno scontro contro un devoto del dio Thor dopo essersi
recato nel tempio di Odino e avergli affidato la propria vita (per la fonte vd. Chiesa
Isnardi 20084 [B.7.1], p. 210 e p. 257, nota 154).
267
Vd. soprattutto il Carme di Hárbarðr (Hárbarðsljóð) che si trova nell’Edda poe‑
tica (vd. pp. 292-293): in esso Odino (Hárbarðr) e Thor si contrappongono in un
dialogo nel quale si scambiano reciproci insulti (per i dettagli vd. Chiesa Isnardi 20084
[B.7.1], p. 621 e p. 629, nota 10); vd. anche l’episodio narrato nella leggendaria Saga
di Gautrekr (Gautrekssaga) nel quale Odino e Thor stabiliscono il destino dell’eroe
Starkaðr emettendo nei suoi confronti decreti contrastanti (per i dettagli vd., ancora,
Chiesa Isnardi 20084, pp. 418-419 e p. 427).

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Verso il mondo esterno: il periodo vichingo 169

una fiducia nelle forze magiche.268 Il secondo è la relativa facilità


con la quale, almeno inizialmente, la figura di Cristo trovò una
propria collocazione nell’universo religioso dei popoli nordici: essi
infatti non lo considerarono se non una divinità in più che andava
a inserirsi in un pantheon già affollato di figure di maggiore o
minore importanza.

3.3.2. Gli dèi

Innanzi tutto gli Asi. Il dio Odino, che sale prepotentemente alla
ribalta del mondo religioso dei popoli nordici nel periodo dei
Merovingi,269 è la divinità che meglio incarna lo spirito vichingo.
Personalità individualista e spregiudicata, non ha riguardo per i
vincoli familiari, si compiace della guerra e nella sua dimora, la
Valhalla, si circonda dei guerrieri migliori, morti in battaglia (un
destino da lui medesimo stabilito): costoro nell’ultimo giorno, il
terribile ragnarøkkr “fato degli dèi”,270 l’apocalisse nordica, lo
affiancheranno nella battaglia definitiva contro le forze del male.
Dio mago (e sciamano) che conosce i segreti del mondo dei vivi e
di quello dei morti, esperto del potere delle rune nelle quali è con-
tenuta ogni sapienza, Odino è altresì un dio viaggiatore, una carat-
teristica che (come suggerisce tra l’altro l’interpretatio romana che
lo intende come Mercurius)271 si collega anche all’aspetto commer-
ciale. Il dio è inoltre il protettore dei poeti cui elargisce il dono di
quest’arte: un fatto, questo, che richiede una ulteriore sottolinea-
tura, là dove si osservi che la poesia scaldica (che prende nome dal
268
Chiesa Isnardi 1992, p. 326. Sui goðlausir menn vd. tra l’altro Ström 1967 (B.7.1),
pp. 191-193 e Turville-Petre 1964 (B.7.1), pp. 263-268.
269
Resta valida al riguardo la discussione, seppure assai datata, proposta in de
Vries 1933.
270
Erroneamente, sulla scia wagneriana questa parola viene comunemente tradotta
come “crepuscolo degli dèi” (Götterdämmerung). Wagner del resto riprende una
interpretazione più antica espressa, a esempio, in opere di fine Settecento composte
da poeti inglesi, come Thomas James Mathias (ca.1754-1835) e Joseph Sterling (date
di nascita e morte ignote). Nella prima edizione dell’Edda (1665), il danese Peder
Hansen Resen nella “Prefazione al lettore” (che segue la lunga e dotta dedica al re
Federico III) definiva il ragnarøkkr come “l’estrema distruzione di tutto l’universo”
(Petri Joh. Resenii Præfatio ad Lectorem benevolum et candidum de Eddæ editione,
settima pagina, per altro non numerata: “om Ragnarocker seu extremo interitu totius
universi”); vd. Edda (edizione seicentesca di Peder Hansen Resen); cfr. p. 587.
271
Il parallelismo, noto da fonti latine, ma non solo (Turville-Petre 1964 [B.7.1],
pp. 71-73) risulta evidente anche nel nome del “mercoledì”, Mercurĭi dĭēs, che nelle
lingue germaniche conosce le seguenti forme: ant. nordico óðinsdagr, ant. ingl.
wōdnesdæg, ant. alto ted. wuotanestac, cfr. medio nederlandese wōdensdach.

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170 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

termine skáld, n., “poeta” e che fiorirà nel Nord a partire dal IX
secolo) nasce nell’ambiente ristretto delle corti vichinghe (dove gli
scaldi sono assai spesso anche guerrieri seguaci di un signore) e si
presenta come un prodotto letterario la cui fruizione è riservata ai
pochi che ne sanno comprendere le oscure metafore e apprezzare
la metrica severa e complessa. I toponimi (ma anche un
antroponimo)272 che alludono esplicitamente al culto di Odino sono
presenti in misura maggiore in Danimarca e in Svezia (da sud fino
al Västergötland, all’Östergötland e all’Uppland). In Norvegia il
loro numero è più limitato ed essi compaiono nelle zone sud-
occidentali (in particolare nel Vestfold)273 e in località dell’area
centro-occidentale in prossimità della costa o nelle vicinanze di
fiordi.274 Significativamente però risultano totalmente assenti in un
Paese come l’Islanda, dove al contrario il culto di Thor è ampia-
mente e chiaramente testimoniato. Indubbiamente Odino ha il
carattere di un dio individualista e spregiudicato, modello e idolo
dei guerrieri che lo invocano per ottenere la vittoria.275 Il suo lega-
me con il mondo vichingo è palese anche là dove si consideri che
egli appare come il capo di una schiera di seguaci, un vero e proprio
comitatus: siano i morti in battaglia che dimorano con lui nella
Valhalla o i ‘guerrieri furiosi’ i berserkir (letteralmente “camicie
d’orso”, detti altrimenti úlfheðnar, letteralmente “casacche di lupo”),
individui (costituiti in gruppi, forse vere e proprie congregazioni)
che, secondo la testimonianza di Snorri nella Saga degli Ynglingar,
erano a lui votati.276 È verosimile che si trattasse di guerrieri che
indossavano travestimenti animali: il che del resto sarebbe già
testimoniato nella raffigurazione di un uomo armato rivestito con
272
In effetti si tratta di un nome femminile Odhindisa (Óðindísa) che compare
sull’iscrizione runica di Hassmyra (Västmanland), databile poco dopo la metà dell’XI
secolo, nella forma declinata oþintisu; vd. Andersson 1992 (B.7.1), p. 512; cfr. p. 191,
nota 363.
273
Come opportunamente fa rilevare E.O.G. Turville-Petre (Turville-Petre 1964
[B.7.1], p. 68) questa zona era il centro del potere del re Araldo Bella chioma, la cui
condotta si ispira alla ricerca di una affermazione di tipo personale.
274
Vd. la cartina in de Vries 1970³ (B.7.1), II, p. 53. In Svezia un caso isolato (Oden‑
sala) si trova in Jämtland.
275
In Turville-Petre 1964 (B.7.1), pp. 67-68, è inoltre evidenziato come il rappor-
to di venerazione per questo dio fosse alla base, a esempio, delle imprese di sovrani
come Araldo Bella chioma (cfr. nota 273) e di suo figlio Eirik Ascia insanguinata.
276
Cap. 6: “[…] ma i suoi [di Odino] uomini avanzavano senza corazza invasi dalla
furia come cani o lupi, mordevano nei loro scudi, erano forti come orsi o tori. Uccideva-
no la gente, ma né il ferro né il fuoco li potevano [fermare]. Questa è detta furia dei ber‑
serkir” (DLO nr. 34). Sui berserkir vd. Höfler O., “Berserker”, in Hoops – Beck 1973-2007²
(A), II (1976), coll. 299-304, Lid N., “Berserk”, in KHLNM I (1956), coll. 501-503 e il
più recente Näsström B-M., Bärsärkarna. Vikingatidens elitsoldater, Stockholm 2006.

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Verso il mondo esterno: il periodo vichingo 171

una pelle di lupo che si trova su una lamina che decorava un elmo
rinvenuto a Torslunda sull’isola di Öland (periodo di Vendel).
Queste caratteristiche del dio, così come la sua padronanza delle
rune deporrebbero a favore di una sua affermazione piuttosto
tarda nell’ambito religioso scandinavo (tesi sostenuta da diversi
studiosi a partire dal danese H. Petersen).277
Ma questo punto costituisce uno dei problemi più dibattuti
relativi al paganesimo nordico. Pure volendo lasciare da parte le
teorie di G. Dumézil, che riconosce in Odino il corrispondente del
dio indoeuropeo della Sovranità (la quale insieme alla Forza e alla
Fecondità sarebbe la prima delle tre ‘funzioni sociali’ che – secon-
do la sua opinione – costituivano la ‘struttura ideologica’ di quel
mondo), occorre tuttavia ammettere che diversi indizi paiono
deporre a favore dell’antichità del culto di questo dio il quale, a
esempio, agisce da protagonista dei miti della creazione, è definito
in talune fonti278 “Padre di tutti” (Allfaðir) – un appellativo che
potrebbe tuttavia essere influenzato da concetti cristiani – ed è
indicato come capostipite (o comunque membro eminente) di
dinastie reali. In realtà il problema non è risolvibile semplicemen-
te accettando o rigettando l’ipotesi di un ‘ingresso’ più antico o più
recente di Odino nel pantheon nordico: sebbene presente fin da
tempi remoti egli avrebbe potuto restare, almeno fino a un certo
punto, una divinità di secondo piano, oppure nelle aree in cui egli
pare non comparire affatto (in particolare presso i Goti) ‘masche-
rare’ la propria identità sotto un altro appellativo (Gautr).279
Il dio Thor si mostra innanzi tutto come protettore della fecon-
dità e della famiglia (significativamente il mito lo descrive regolar-
mente impegnato a combattere i giganti che rappresentano un
costante pericolo per la comunità degli uomini e degli dèi). Nemi-
co dei demoni del male (come testimonia anche la presenza della
sua arma magica, il ‘martello’, su diverse pietre runiche),280 egli fu
277
Il quale sottolineava che il dio principale della tradizione religiosa scandinava
era piuttosto Thor e che Odino si era affermato solo in determinati ambiti in epoca
vichinga (vd. Petersen H., Om Nordboernes Gudedyrkelse og Gudetro i Hedenold. En
Antikvarisk Undersøgelse, Kjøbenhavn 1876, in particolare alle pp. 33-137).
278
Per l’elenco relativo vd. Chiesa Isnardi 20084 (B.7.1), p. 699.
279
Su questo vd. Dumézil 1959 (B.7.1), pp. 47-57.
280
In qualche caso sulle pietre runiche compare una invocazione al dio perché le
“consacri” (si vedano in particolare le iscrizioni danesi di Glavendrup in Fionia, inizio
del X secolo, di Sønder-Kirkeby in Falster e di Virring nello Jutland, seconda metà del
X secolo, e quella svedese di Velanda in Västergötland, inizio dell’XI secolo). Su altre
pietre (come quelle danesi di Læborg nello Jutland, prima metà del X secolo e quella
più tarda, XII secolo, di Hanning, anch’essa nello Jutland) è raffigurato il martello del
dio, strumento eccellente del suo potere contro le forze oscure e pericolose. Un caso

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172 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

certamente oggetto di viva devozione nelle zone più tradizionaliste


della Scandinavia, tuttavia fu piuttosto popolare anche fra i vichin-
ghi nelle isole britanniche,281 un dato questo che – seppure restino
del tutto valide le ragioni del suo contrasto per così dire ‘ideolo-
gico’ con Odino – non ci consente di formulare al riguardo giudi-
zi categorici (in questo contesto si dovrebbero d’altronde tenere
in considerazione le aree di provenienza dei diversi gruppi di
nordici presenti sul territorio inglese). La forza della tradizione
incarnata nel culto di Thor, verosimile erede del ‘dio con l’ascia’,
ne aveva fatto una divinità la cui venerazione era talmente radica-
ta che, anche per i vichinghi, sarebbe stato assai difficile abban-
donarla del tutto.
Il ‘martello’ del dio Thor riprende con ogni probabilità la fun-
zione di strumento sacro e utensile cosmico che nell’antica icono-
grafia è attribuita all’ascia o alla croce uncinata,282 rappresenta il
volano dell’energia cosmica e la forza del cielo che feconda la terra:
il mito riferisce che esso era posto in grembo alla sposa il giorno
delle nozze.283 Non casualmente l’interpretatio romana intende Thor

dubbio resta quello di una delle pietre erette presso la chiesa di Täng (Västergötland,
X secolo): vd. Gardell S., “Till tolkningen av tvenne runristade västgötastenar”, in
FV 1934, pp. 339-343.
281
Turville-Petre 1964 (B.7.1), pp. 94-97.
282
Fin dall’Ottocento L. Müller (Det saakaldte Hagekors’s Anvendelse og Betydning
i Oldtiden, avec un resumé en Français, Kjøbenhavn 1877) aveva inteso la croce
uncinata (così come la trischele) come simbolo di un moto circolare continuo (con
probabile riferimento a quello del sole). Essa sarebbe da collegare agli utensili utiliz-
zati per far scaturire scintille e ottenere il fuoco. Si tratta di un simbolo che appare
nelle bratteate, ma anche su pietre runiche come a esempio quella norvegese di Kårstad
(Nordfjorden, probabilmente del V secolo), quella danese di Snoldelev (Selandia,
primo periodo vichingo, dove essa è in combinazione con la trischele). Essa inoltre
può anche essere riconosciuta (seppure in forma non ‘canonica’) nelle incisioni rupe-
stri: si vedano raffigurazioni come quelle di Boråseberget (Svarteborg, Bohuslän), di
Tose (Bohuslän) e, forse, anche quella di Finntorp (Tanum, Bohuslän), che presenta
una croce grossolana (quasi una via di mezzo tra la croce uncinata e quelli che saran-
no poi i ‘martelli’ di Thor). In questo senso va verosimilmente letto anche il simbolo
simile presente in una incisione nel comune di Esbjerg (Jutland meridionale) e quello
(anch’esso in territorio danese) di Udsholt Blidstrup (Selandia settentrionale) che
mostra un piccolo cerchio con un punto al centro dal quale si dipartono quattro
‘raggi’. Particolarmente intrigante mi pare tuttavia una figura umana fortemente sti-
lizzata (Lökeberget, Tunge nel Bohuslän) la cui postura pare proporre la forma di una
croce uncinata.
283
Vd. Chiesa Isnardi 20084 (B.7.1), p. 121; la fonte è il Carme di Þrymr (Þrymskviða)
nell’Edda poetica (vd. p. 292). Qui pare possibile un collegamento con l’incisione
rupestre di Vitlycke (Tanum, Bohuslän) nella quale si vede una coppia che viene
‘benedetta’ da una figura (probabilmente, considerate le dimensioni, una divinità) che
brandisce un’ascia.

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Verso il mondo esterno: il periodo vichingo 173

come Giove, signore del cielo che fa scendere la pioggia feconda.284


Il radicamento del culto di questo dio (che in sostanza rispecchia
i valori e la mentalità della Sippe)285 negli ambienti tradizionali è
attestato in molte fonti286 e riflesso in un congruo numero di topo-
nimi teofori formati con il suo nome.287 Esso appare particolarmen-
te diffuso in Islanda, dove la sua venerazione si constata anche nei
numerosi antroponimi. Certamente dovette trattarsi di un culto
molto diffuso che non solo si ricollega alla tradizione religiosa
testimoniata nelle incisioni rupestri, ma – seppure evidentemente
sotto nuove forme – traspare talora anche dopo la conversione al
cristianesimo.288 D’altra parte sarà piuttosto Thor e non, in un
certo senso sorprendentemente, Odino, l’eroe della battaglia dei
pagani contro “il bianco Cristo” (Hvíta-Kristr), il nuovo dio pro-
veniente dal sud.289 Una constatazione, questa, che trova il proprio
fondamento nei diversi episodi riferiti nelle fonti, dove Thor più
di altri appare incarnazione dei valori tradizionali.290 I due dèi, il
nuovo e l’antico, si affronteranno in un duello nel quale Thor dovrà
definitivamente soccombere:291 i magici e potenti amuleti raffigu-
ranti il suo martello verranno gradatamente sostituiti da altri in
forma di croce.

284
Come per Odino il parallelo si propone anche per il nome del “giovedì”: in
latino dĭēs Iŏvis: þórsdagr (cfr. medio ingl. þuresdæg e ant. alto ted. donarestac).
285
Vd. p. 36 con nota 82.
286
Vd. Chiesa Isnardi 20084 (B.7.1), pp. 228-231.
287
Vd. le cartine in de Vries 1970³ (B.7.1), II, pp. 116-117.
288
O. Almgren, a esempio, riconosce una continuità tra figure che si ritrovano nelle
incisioni rupestri come quella di Kalleby (Tanum, Bohuslän), nella quale compare un
‘dio con il martello’, l’iconografia di Thor e l’immagine di Sant’Olav raffigurato su una
nave con in mano un’ascia, che si trova su un sigillo medievale della città svedese di
Torshälla (anticamente Torsharg, un toponimo di chiaro carattere cultuale, vd. p. 189)
in Södermanland (Almgren 1926-1927 [C.1.3], p. 71 e figura 39). In questo contesto si
veda anche Montelius O., The Sun-god’s axe and Thor’s hammer, London 1910.
289
Anche se, a onor del vero, occorre specificare che le fonti cui si fa riferimento al
riguardo appartengono prevalentemente, all’area islandese e che nella tradizione
norvegese, così come in ambito leggendario – si veda a esempio la Saga di Bárðr (for-
malmente una ‘saga islandese’, in realtà tuttavia un testo ricco di allusioni a elementi
fantastici) – Odino appare in qualche occasione come pericoloso nemico dei cristiani,
(Bárðar saga, cap. 18). Vd. Chiesa Isnardi 20084 (B.7.1), pp. 206-207.
290
Diversi episodi relativi sono elencati in Chiesa Isnardi 20084 (B.7.1), pp. 231-233.
291
Questa espressione riprende un episodio riportato tra l’altro nel cap. 102 della
Saga di Njáll del rogo (Brennu-Njáls saga) nel quale si riferisce che un missionario cri-
stiano di nome Þangbrandr aveva fatto naufragio sulle coste dell’Islanda: questo fatto
era stato salutato dalla poetessa Steinunn Refsdóttir (vd. p. 307, nota 79) con la com-
posizione di alcuni versi celebrativi (vd. Skj I: A, pp. 135-136, B, pp. 127-128); costei
inoltre aveva sostenuto che Thor aveva sfidato Cristo a duello, domandandosi come il
nuovo dio osasse misurarsi con l’antico.

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174 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

Al tempo dei vichinghi gli antichi dèi della famiglia dei Vani
erano ormai a pieno titolo integrati fra gli Asi. È certamente signi-
ficativo che fra questi ultimi l’unica figura femminile di una certa
importanza – Freyja, dèa della fecondità e della magia – sia origi-
nariamente una divinità vanica. In effetti ella pare prevalere nella
venerazione addirittura su Frigg, sposa di Odino, con la quale
mostra tuttavia di condividere diversi e non secondari aspetti. Se
infatti da una parte il numero di toponimi teofori a lei collegabili
appare chiaramente superiore rispetto a quelli riconducibili a Frigg292
e – almeno in una fonte – si fa chiaro riferimento ad altari e templi
innalzati in suo onore,293 è tuttavia a Frigg che si rifà, nelle lingue
germaniche, il nome del venerdì.294
Ai Vani appartengono come Freyja anche Njǫrðr, suo padre, e
Freyr, suo fratello. Il nome del primo risulta essere inequivocabil-
mente la forma nordica (e tuttavia maschile!) del latino *Nerthus295
che, come sopra si è accennato, era stato attribuito da Tacito a una
dèa della fertilità – la Terra madre medesima – assai venerata nelle
regioni tedesco-danesi tra il Mecklemburgo, lo Schleswig-Holstein
e lo Jutland.296 A giudicare dai toponimi teofori il culto di Njǫrðr

292
Per la loro distribuzione vd. la cartina in de Vries 1970³ (B.7.1), II, p. 309; cfr.
ibidem, p. 201. Per i toponimi riconducibili a Frigg vd. ibidem, p. 303.
293
Vd. p. 184 con nota 333.
294
In ant. nordico frjádagr, cfr. ant. ingl. frı̄gedæg, ant. alto ted. frı̄atag, evidenti
calchi del latino dı̆eˉs Vĕnĕris; vd. DE VRIES 1962² (B.5), p. 143 (voce frjádagr).
295
Il nome latino *Nerthus (nel testo di Tacito nella forma dell’accusativo Nerthum)
corrisponde esattamente all’antico nordico Njǫrðr: infatti: e > jǫ per frattura da ‑u-;
‑u- in sillaba finale caduta in quanto vocale breve; s > R per rotacismo (successivamen-
te > r). Inoltre la grafia latina ‑th- indica chiaramente la presenza di una spirante
dentale (rappresentata in nordico dal segno ‑ð-).
296
Germania, cap. 40: “Non hanno singolarmente [le tribù precedentemente citate,
vd. sotto] nulla di particolare, se non il fatto comune che venerano Nerthus, vale a dire
la Terra madre, e credono che ella intervenga nelle faccende umane e si rechi tra la
gente. In un’isola dell’Oceano c’è un bosco non profanato, in esso [si trova] un carro
dedicato [alla dèa], ricoperto da un telo; solo a un sacerdote è permesso toccarlo.
Questi percepisce la presenza della dèa nel luogo sacro ed ella viene trainata da gioven-
che ed è accompagnata con grande devozione. Allora vi sono giorni e luoghi di festa
che la dèa si degna di visitare come ospite. Non si intraprendono guerre, non si pone
mano alle armi; qualsiasi lama viene messa sotto chiave, la pace e la tregua solo allora
sono conosciute, solo allora amate, fino a che il sacerdote riconduca al santuario la dèa,
soddisfatta dei rapporti con gli uomini. Subito il carro e il telo e, per chi vuol crederci,
la divinità medesima [cioè il suo simulacro] viene lavato in un lago appartato. Schiavi
officiano, che subito dopo il medesimo lago inghiotte. Di qui un arcano terrore e una
santa ignoranza su che cosa sia ciò che vedono solo coloro che sono destinati a morire”
(DLO nr. 35). Tacito cita sette tribù che adoravano questa dèa: Reudigni, Aviones, Anglii,
Varini, Eudoses (che potrebbero forse essere identificati con gli Juti: vd. Much R.,
Die Germania des Tacitus, Dritte, beträchtlich erweiterte Auflage, unter Mitarbeit

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Verso il mondo esterno: il periodo vichingo 175

(invocato tra l’altro per ottenere una pesca abbondante) e quello


di Freyr, dio della fecondità per eccellenza, risultano ben presenti
in Norvegia e in Svezia;297 in quest’ultimo Paese del resto Freyr
doveva essere particolarmente venerato nelle regioni dell’Uppland,
come risulta non solo da notizie contenute nelle fonti, ma anche
dal suo legame con la stirpe regale degli Ynglingar (la quale aveva
sede a Uppsala) che a lui (Yngvi-Freyr) faceva risalire la propria
origine.298 Certamente la venerazione per le divinità della fecondi-
tà ha radici antichissime, legate a culti naturalistici, come dimostra,
tra l’altro, il cosiddetto ‘culto del fallo’, che trova la sua più singo-
lare descrizione in una fonte in cui si riferisce di una famiglia di
contadini norvegesi abitanti in una zona isolata che veneravano il
fallo di un cavallo (animale del resto chiaramente connesso al cul-
to di Freyr).299
Naturalmente il paganesimo nordico conosce tutta una serie di
altre divinità, di maggiore o minore importanza. In età vichinga
appare in declino il culto di Týr (Mars nell’interpretatio romana),300
che mostra carattere giuridico ed è patrono dell’assemblea. L’eti-
mologia del suo nome, che risale a una radice indoeuropea *diēu, lo
identifica tuttavia come dio supremo del cielo, una funzione attri-
buibile anche a Ullr, il quale secondo la testimonianza dei toponi-
mi doveva – in una sorta di alternanza – essere venerato nelle aree
in cui il culto di Týr non era presente.301 Se la devozione nei con-
fronti di entrambi questi dèi mostra (particolarmente per il secon-
do), i segni di un regresso quasi definitivo, è tuttavia interessante
rilevare come i toponimi teofori mettano in luce un rapporto pri-
vilegiato del dio supremo del cielo Týr/Ullr con la figura di *Nerthus-

von H. Jankuhn herausgegeben von W. Lange, Heidelberg 1967, pp. 446-447), Suari‑
nes e Nuitones. Cfr. sopra, p. 164 con nota 248. P. V. Glob (Glob 1973 [C.2.2], pp.
126-128) ha voluto riconoscere il simulacro di questa dèa nella figura di una divinità
femminile (tuttavia senza testa, braccia e piedi) realizzata con un ramo di legno di
quercia ritrovata in una palude a Foerlev Nymølle (Jutland centro-orientale) e si è
spinto a sostenere che i cadaveri rinvenuti dalle paludi danesi (vd. sopra. p. 71 con nota
32) possano essere i corpi di persone che avevano partecipato alle cerimonie in onore
della dèa Nerthus, così come descritte da Tacito. Il corrispettivo maschile di questa dèa
sarebbe il ‘dio di legno’ di Broddenbjerg (cfr. p. 165 con nota 250).
297
Vd. le cartine in de Vries 1970³ (B.7.1), II, pp. 194-195; cfr. ibidem, p. 201.
298
Vd. Chiesa Isnardi 20084 (B.7.1), pp. 279-280.
299
Si veda il cosiddetto Libro di Flatey (Flateyjarbók, II, pp. 331-336).
300
A lui si rifà il nome del “martedì” (dı̆ēs Mārtis): ant. nordico týsdagr; cfr. ant. ingl.
tı̄wesdæg, ant. alto ted. ziestag.
301
In effetti mentre il culto di Ullr risulta diffuso in Svezia e in Norvegia, quello
di Týr pare (con poche e dubbie eccezioni) limitarsi alle zone danesi (vd. de Vries
1970³ [B.7.1], II, pp. 19-20); cfr. nota 261.

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176 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

Njǫrðr. Una vicinanza da interpretare come la traccia di antichi riti


di ierogamia?
Alla sfera della tradizione mitologica (per altro strettamente
legata alle concezioni religiose in quanto ne costituisce un suppor-
to fondamentale) appartengono (piuttosto che alla tradizione cul-
tuale) altri dèi di una certa importanza. Innanzi tutto Heimdallr,
della cui venerazione resta forse una traccia302 (seppure egli sia
ignoto ai toponimi): dio guardiano che sorveglia l’ordine cosmico
e che solo conosce il momento in cui questo ciclo di esistenza vol-
gerà al termine ed egli dovrà dar fiato alla tromba che segnerà
l’inizio della battaglia escatologica dell’ultimo giorno. Poi Baldr,
figlio di Odino e di Frigg (della cui venerazione abbiamo del resto
solo qualche indizio),303 il dio luminoso, protagonista di uno dei
racconti più drammatici del mito: ucciso per una trama ordita
contro di lui dal malvagio Loki, egli è destinato a restare nel Regno
degli inferi fino alla fine di questo ciclo per tornare a regnare sul
prossimo. E, infine, proprio Loki: spirito inquieto, arguto e malva-
gio, dio creatore e distruttore, padre di esseri demoniaci che nell’ul-
timo giorno si schiererà al fianco delle forze del male. Di un suo
culto non ci sono, evidentemente, notizie, tuttavia la sua figura ha
lasciato importanti tracce nel folclore.304
Le fonti scritte riferiscono anche dell’esistenza di diverse divini-
tà minori sulle quali non disponiamo che di scarse informazioni;
queste figure restano dunque difficilmente valutabili, seppure
– almeno in un caso (quello di Bragi, indicato da Snorri Sturluson
come dio della poesia) – possiamo persino supporre che si tratti di
una figura di carattere esclusivamente letterario.

3.3.3. Un universo animato

Ma per comprendere appieno l’universo religioso del paganesi-


mo nordico occorre prendere atto che in esso esistono, accanto agli
dèi, tutta una serie di figure sovrannaturali di secondo piano, ben
presenti nell’immaginario e nelle credenze dell’uomo del Nord, che
ne ha conservato in molti casi traccia assai viva nel folclore. Il rife-
rimento è qui ai giganti, stirpe antichissima, considerati assai sapien-
ti e non di rado intesi come incarnazione degli aspetti oscuri e
pericolosi della natura; agli elfi e ai nani, da interpretare verosimil-
302
Vd. Chiesa Isnardi 20084 (B.7.1), p. 222.
303
Vd. de Vries 1970³ (B.7.1), II, pp. 230-231.
304
Vd. in particolare Ström 1956 e Rooth 1961.

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Verso il mondo esterno: il periodo vichingo 177

mente come manifestazione degli spiriti dei morti (tali sarebbero


al femminile anche le dísir, sing. dís), alle norne, dèe del destino
che tessono la trama della vita, alle valchirie, inviate da Odino per
decidere la sorte delle battaglie e accogliere nella Valhalla gli eroi
morti. Un culto degli elfi (che pare aver lasciato tracce nel folclore)305
è testimoniato in talune fonti, così come un culto delle dísir a pro-
posito delle quali si fa anche riferimento a un tempio,306 nulla è
invece riferito in tal senso a riguardo delle norne e delle valchirie.
Esse d’altronde non paiono essere nulla di più se non una incarna-
zione del concetto di destino, entità suprema e indifferente – il cui
potere è superiore a quello degli dèi medesimi – e nei cui confron-
ti l’uomo avverte soltanto un sentimento di consapevole rassegna-
zione.
Ma l’uomo del Nord, che aveva ereditato dai suoi antenati l’idea
di un universo ‘vivo’ del quale si sentiva parte integrante e con il
quale manteneva una costante interrelazione, credeva anche all’esi-
stenza di spiriti legati a luoghi particolari (quali le landvættir,
“spiriti del luogo” che possono manifestare benevolenza o ostilità
nei confronti degli uomini), spiriti domestici (verosimilmente gli
antenati defunti legati al luogo in cui avevano vissuto),307 spiriti
acquatici e marini: questi ultimi, in particolare, assai temuti dai
naviganti, in quanto considerati mostri capaci di provocare naufra-
gi per divorare gli equipaggi. Di diversi esseri sovrannaturali di
secondo piano (in primo luogo gli elfi) si riteneva che dimorassero
in piccole alture o massi, non di rado in prossimità delle abitazioni
305
Vd. Chiesa Isnardi 20084 (B.7.1), p. 310; cfr. Almgren 1926-1927 (C.1.3), pp.
219-220, sulla possibile relazione delle cavità coppelliformi dette in svedese älvkvarnar
con il culto degli elfi.
306
Vd. Chiesa Isnardi 20084 (B.7.1), p. 301. Tradizionalmente era noto un grande
mercato detto disting, letteralmente “assemblea delle dísir” che si teneva a Uppsala in
coincidenza con la prima luna piena del mese di gói (tra la fine di febbraio e l’inizio di
marzo), in occasione di una riunione assembleare e di un importante sacrificio (al
quale fa riferimento Snorri Sturluson nella Saga di Olav il Santo: Óláfs saga helga, cap.
77). È evidente che nel nome è contenuto un rimando al culto delle dísir; vd. Granlund
J., “Disting”, in KHLNM III (1958), coll. 112-115; cfr. il testo alle pp. 595-597.
307
In particolare nel folclore islandese è diffusa anche la credenza nei cosiddetti
draugar (sing. draugr), spiriti di morti malvivi che tornano a tormentare gli uomini. La
tradizione conosceva diversi rimedi per impedire la loro ricomparsa sulla terra (a esem-
pio staccando la testa e ponendola all’altezza delle cosce o conficcando un palo nel
corpo perché esso rimanesse fermo nella tomba; vd. Chiesa Isnardi 20084 [B.7.1], pp.
362-364). Con queste credenze parrebbe da mettere in relazione il ritrovamento del
cosiddetto “uomo di Bocksten” (Bockstensmannen), dal nome della palude (Bocksten
in Halland) nella quale il 22 giugno 1936 fu ritrovato il cadavere di una persona giu-
stiziata alla quale dopo la morte era stato conficcato un palo nel corpo. Il reperto
(risalente al XIV secolo) è conservato nel museo di Varberg (Halland).

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178 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

degli uomini. Tutte queste credenze si legano, evidentemente, alle


condizioni ambientali ma affondano altresì le proprie radici in una
consolidata tradizione naturalistica, come mostra in particolare la
persistenza di un culto del sole, oggetto di una venerazione anti-
chissima risalente almeno al sistema religioso dell’età del bronzo,308
ma che – seppure in forme non esplicite – è rintracciabile ben
addentro al medioevo come si deduce non solo da taluni episodi
citati nelle fonti, ma anche dalla lettura di un carme di dichiarata
ispirazione cristiana che tuttavia, non solo nel titolo Carme del sole
(Sólarljóð), conserva tracce di questa radicata devozione.309

3.3.4. La concezione del mondo

La tradizione mitologica disegna un universo che si estende nel


tempo e nello spazio a formare una misura di esistenza, un ciclo
che segue e precede altri cicli in una serie replicata all’infinito.
Quando la quantità di tempo assegnata a ogni ciclo sarà colma,
verrà la fine del mondo, l’apocalisse nordica. La terra e gli uomini
saranno sconvolti da inimicizie, conflitti ed eventi disastrosi. Gli
dèi combatteranno contro le forze del male, annientandosi a vicen-
da. Poi tutto ciò cesserà e sorgerà un nuovo ordine, un nuovo ciclo
e un nuovo mondo. Ma su ciò che sarà nessuno, neppure gli dèi,
sa dire qualcosa.310
Il mondo così come immaginato nella concezione nordica è nato
dal corpo di un gigante primordiale, Ymir, sacrificato dagli dèi:
dalla sua carne fu tratta la terra, dal sangue il mare, dalle ossa le
montagne, dalla chioma gli alberi, dal cranio il cielo, dal cervello
le nuvole. Esso conosce una estensione orizzontale: all’esterno il
buio e il mistero del caos, poi l’oceano (nei cui abissi giace il serpe
cosmico, avvolto attorno alla terra come un anello), poi le spiagge,
poi il mondo degli uomini Miðgarðr (“Recinto di mezzo”, tratto
dalle sopracciglia di Ymir) e, al centro, le dimore degli dèi che
308
Lo studioso J. Helander (“Den svenske solguden og den svenske Tyr”, in Ord
och bild, XV [1906], pp. 177-194) mette in relazione il culto del sole, così come testi-
moniato da reperti dell’età del bronzo (carri ‘solari’ e incisioni rupestri; vd. sopra, pp.
43-44 con nota 107 e pp. 48-49 con nota 130), con il culto del dio Týr, una figura che
in età vichinga appare in decadenza.
309
Vd. oltre, p. 425 e testo alle pp. 426-428. La datazione del carme è dibattuta,
probabilmente esso risale al XII o XIII secolo. Sulle testimonianze tarde riferibili a un
culto del sole vd. Chiesa Isnardi 20084 (B.7.1), pp. 70-71 e Scovazzi 1957 (B.8), p. 185
e p. 196; cfr. anche Cesare, Commentariorum belli gallici, VI, 21.
310
Vd. Chiesa Isnardi 20084 (B.7.1), pp. 186-192.

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Verso il mondo esterno: il periodo vichingo 179

vivono in Ásgarðr (“Recinto degli Asi”). Contemporaneamente


tuttavia esso si ordina su un’asse verticale sviluppandosi su nove
mondi di cui quello infimo è il Regno dei morti (governato da Hel,
figlia di Loki e di una gigantessa) e quello supremo la dimora degli
dèi. Degli elfi luminosi si dice che vivono nel cielo più alto. Gli
uomini abitano dunque nel punto in cui il mondo orizzontale e
quello verticale si intersecano. Ma l’immagine dell’universo pre-
sente è espressa anche in quella dell’albero cosmico, Yggdrasill, le
cui radici affondano nel Regno degli inferi, mentre i rami si sten-
dono su tutta la terra e coprono il cielo. La simbologia dell’albero
come essere vivente capace di incarnare e di trasmettere la forza
della vita e della crescita risale, almeno, alle incisioni dell’età
del bronzo.311 Sotto l’albero cosmico (forse un frassino) c’è la fon-
te del destino presso la quale dimorano le norne.
La concezione del destino è certamente una delle componenti
fondamentali della mentalità pagana dell’uomo del Nord. Nella
tradizione della Sippe esso era una condizione legata alla comunità
e come tale si proiettava su tutti i suoi membri, i quali dunque non
solo erano legati da vincoli di parentela e da esigenze di natura
economica, giuridica o religiosa, bensì anche dall’inevitabile coin-
volgimento in una sorte comune. Ma anche quando l’individuo si
allontanava dalla Sippe per privilegiare un’esperienza personale di
vita (come è, evidentemente, il caso di coloro che erano animati
dallo spirito vichingo) il destino incombeva su di lui inevitabile.
Ripetutamente le saghe suggeriscono che la grandezza dell’eroe
non consiste tanto nella capacità di opporsi al fato quanto in quel-
la di accettarlo.312 Del resto i miti ricordano che anche gli dèi vi
sono ineluttabilmente sottomessi: i drammatici racconti relativi

311
Cfr. p. 48.
312
A questo proposito si potrebbero portare numerosi esempi. Tra tutti merita
comunque una citazione un celebre episodio narrato nella Saga di Gísli Súrsson
(capp. 12-13). Qui si riferisce di Vésteinn, cognato e “fratello di sangue” di Gísli
(vd. sopra testo a p. 102), il quale mentre si stava recando a trovare l’amico fu
avvertito da alcuni messaggeri inviatigli incontro di tornare indietro, in quanto per
lui sarebbe stato altamente pericoloso farsi vedere nella zona in cui abitava Gísli (il
fiordo detto Dýrafjǫrður). A causa di un contrattempo tuttavia i messaggeri lo
avevano raggiunto in ritardo. Al loro avvertimento egli dunque rispose con queste
parole: “Avete detto la verità […] e io sarei tornato indietro, se mi aveste incontra-
to prima, ma ora tutte le acque scorrono verso il Dýrafjǫrður e io devo cavalcare in
quella direzione; e tuttavia lo desidero” (DLO nr. 36). Poco tempo dopo il suo
arrivo nella casa del cognato, Vésteinn sarebbe stato ucciso; subito dopo aver rice-
vuto dal suo assassino un mortale colpo di lancia nel petto, egli pronunciò solo due
parole: “Colpì giusto” (Gísla saga, p. 43: “Hneit þar”) e dopo qualche istante cadde
a terra morto.

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180 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

all’ultimo giorno, parlano, non a caso, di ragnarøkkr “fato degli


dèi”:313 allora tutti periranno nella battaglia finale.
Strettamente connessa all’idea del destino è quella della fortuna,
un concetto ben ribadito nelle fonti, là dove la fortuna (nel senso
di sorte) si manifesta non di rado nelle vesti di spiriti custodi che
assumono sembianze animali o talvolta di donna, recando presagi.
Questi spiriti sono noti (soprattutto nella tradizione islandese) come
hamingja e fylgja (la prima pare più propriamente legata alla Sippe,
la seconda all’individuo) ma anche come hugr, una parola con cui
si esprime la manifestazione del nucleo spirituale di un essere. La
“fortuna” vera e propria è detta in antico nordico gæfa, gipta o heill
(l’ultima denominazione pare più propriamente intesa in riferimen-
to a una comunità): al primo termine è sottinteso un senso di
intrinseca ‘bontà’, al secondo di ‘dono’, il terzo richiama invece
l’idea della sacralità e indica dunque nella fortuna una condizione
felice (che tuttavia può manifestarsi in misura maggiore o minore)
conseguente a un contatto fruttuoso con le forze che governano
l’esistenza.314
Il patrimonio mitologico-religioso del paganesimo scandinavo è
assai ricco, ed è indubbio che l’insieme di queste credenze doveva
condizionare profondamente la vita dell’uomo del Nord in tutte le
sue manifestazioni. Tuttavia, nel momento in cui lo ritroviamo
espresso in forme letterarie o iconografiche di notevole qualità (testi
e figure la cui ‘fruizione’ appare destinata in primo luogo a una
élite) abbiamo ragione di domandarci in quale misura queste cono-
scenze e queste concezioni fossero diffuse e radicate negli strati
inferiori della società. Questo è, naturalmente, un problema di
difficile soluzione, in quanto le fonti archeologiche, iconografiche
e letterarie fanno evidente riferimento alla vita delle persone emi-
nenti, prima che a quella dell’uomo comune, la quale dal punto di
vista del rapporto con il sovrannaturale pare esprimersi piuttosto
in forme di carattere per così dire ‘secondario’, quali la magia, la
superstizione e il folclore. D’altronde si deve constatare che, pur

Vd. p. 169 con nota 270.


313

Vd. de Vries 1962² (B.5), p.197, p. 168 e p. 218 rispettivamente; vd. anche Sco-
314

vazzi 1957 (B.8), pp. 206-207. In questo contesto l’uomo nordico dava particolare
importanza al sogno, inteso sia come veicolo di contatto con il sovrannaturale sia come
momento in cui, seppure in forma simbolica, potevano essere preannunziati eventi
futuri; vd. Larsen S., “Antik og nordisk Drømmetro”, in AaNOH 1917, pp. 37-85;
Kelchner G.D., Dreams in Old Norse literature and their affinity in folklore, Cambridge
1935 e Turville-Petre E.O.G., “Dreams in Icelandic Tradition”, in Folklore, LIX
(1958), pp. 93-111.

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Verso il mondo esterno: il periodo vichingo 181

limitandoci agli ambiti sociali rispetto ai quali abbiamo sufficienti


testimonianze, le differenze sono molte e notevoli.
Un ottimo esempio di questa situazione è offerto dal concetto
di aldilà nel mondo scandinavo. In effetti il Regno dei morti non è
costituito sic et simpliciter dalla Valhalla. In modo inequivocabile
ci viene riferito nelle fonti che questo luogo è riservato ai guerrieri
scelti di Odino che vi godono del cibo dell’immortalità e vi trascor-
rono il tempo esercitandosi quotidianamente per la battaglia dell’ul-
timo giorno nella quale combatteranno a fianco del dio. Ma nell’im-
maginario nordico pagano i morti vanno anche ad abitare presso
Hel, figlia di Loki, guardiana del Regno delle tenebre: al dio Baldr
medesimo toccherà questa sorte. Altre testimonianze si rifanno a
un’antichissima concezione, secondo la quale i defunti dimorano
nelle alture (dunque, di conseguenza, nei tumuli). Ed è altresì
riferito che taluni, in particolare i morti annegati, vanno a stare
presso la gigantessa Rán (“Predatrice”), moglie del gigante-dio del
mare Ægir, che ne raccoglie i cadaveri con una rete.
Al di là d’una corretta valutazione degli elementi che ci vengono
forniti dalle diverse fonti, non si possono dunque trarre conclusio-
ni di carattere generale, piuttosto occorre constatare la complessi-
tà della situazione che si lega non solo alle diverse componenti
sociali e alla diversa concezione di vita, ma anche (in misura non
secondaria) alla tradizione religiosa così come radicata e stratifica-
ta in un determinato ambiente.

3.3.5. Luoghi e oggetti di culto

Secondo Tacito i Germani non possedevano templi ma si limita-


vano a officiare i propri riti in luoghi naturali come boschi sacri
(“lucos et nemora”).315 Almeno per quanto riguarda le regioni scan-
dinave (a proposito delle quali l’autore mostra del resto conoscen-
ze assai limitate) questa affermazione corrisponde solo in parte alla
situazione reale.316 Qui infatti accanto a riscontri certi dell’uso di
tenere cerimonie presso particolari ambienti naturali come

315
Germania, cap. 9.
316
Tacito medesimo del resto pare contraddirsi quando parla del ‘santuario’ della
dèa *Nerthus (Germania, cap. 40; cfr. p. 174 con nota 296). Inoltre negli Annali (Annales,
I, 51) fa riferimento, a riguardo dei Marsi, a un celebre tempio denominato Tanfana
(I, p. 38: “celeberrimum illis gentibus templum, quod Tanfanae vocabant”). Anche in
questo caso resta tuttavia incerto se il riferimento sia a una costruzione a uso cultuale
o, piuttosto, a un bosco sacro al cui interno si trovava un altare.

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182 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

alture, pareti di roccia, caverne (che talora ne recano testimonianza


in incisioni rupestri)317 e paludi (con la loro lunghissima tradizione
di luoghi sacrificali privilegiati),318 le evidenze archeologiche dimo-
strano l’esistenza, fin da tempi assai antichi, di veri e propri luoghi
di culto. In taluni casi si sono potute individuare costruzioni pre-
poste a un uso cultuale fin dall’età della pietra:319 siti danesi come
quelli di Troldebjerg (nella parte meridionale dell’isola di Langeland)
e Tustrup (nello Jutland orientale) ne recano testimonianze suffi-
cientemente certe.320 All’età del bronzo (1000 a.C. circa), risale il
luogo di culto ritrovato a Sandagergård (Selandia settentrionale)321
così come una serie di recinzioni (terrapieni o palizzate) che vero-
similmente circondavano aree destinate a un uso rituale e ad altre
attività comunitarie (a esempio a Odensala nell’Uppland svedese);322
del resto l’esperienza religiosa degli uomini del Nord, strettamente
legata ai vari momenti della vita quotidiana, accomunava i diversi
elementi in una visione di insieme, la cui legittimità e sacralità era
sottolineata in particolari occasioni. Ciò spiega a esempio il motivo
per cui aspetti cerimoniali di grande importanza siano collegabili ai
luoghi nei quali sono presenti sepolture, come appare, fin dalla fase
più antica dell’età della pietra in un sito di tutto rilievo come quel-
lo di Skateholm.323 Aree sacre dovettero essere, quasi certamente,
317
Come è quasi certamente il caso di quella detta Solsemhulen (isola di Leka
nella regione norvegese del Nord-Trøndelag). Qui sono state trovate incisioni rupestri
(tra cui tredici figure umane e un segno simile a una grande croce) oltre a ossa umane
e animali, utensili, un corno potorio e una scultura raffigurante un uccello, la grande
alca (Alca impennis) ormai estinto. I reperti dovrebbero risalire alla fase più recente
dell’età della pietra.
318
Ancora nel Libro dell’insediamento si fa riferimento a individui come Þorir
Pezzettino (snepill) Ketilsson, Eyvindr Loðinsson e Þorsteinn Naso rosso (rauðnefr)
Hrólfsson che veneravano rispettivamente un bosco, delle pietre e una cascata (Land-
namabók, pp. 270-271, p. 273 e p. 358); anche la Saga della cristianizzazione (Kristni
saga, un testo tramandatoci anonimamente, tuttavia probabilmente scritto da Sturla
Þórðarson, nipote di Snorri, verso la metà del XIII secolo e nel quale è riportata una
breve storia della Chiesa islandese fino al 1118) fa riferimento (cap. 2) alla venerazio-
ne per una roccia nella quale si riteneva vivesse uno spirito; così anche il Breve raccon‑
to di Þorvaldr Gran viaggiatore I (Þorvalds þáttr víðfǫrla I, cap. 3; vd. p. 264, nota 149).
319
Nissen Fett 1942 (B.7.1), p. 23.
320
Jensen 2001-2004 (B.2), I, pp. 392-398. Siamo verso la fine del IV millennio a.C.
Vd. anche il complesso di Samp (Fionia sud-occidentale), risalente al 3400 a.C. – che
certamente prevedeva anche un uso cultuale – e altri simili (Jensen 2001-2004, I, pp.
384-392 e anche pp. 288-289). Per la Svezia vd. p. 30, nota 63.
321
Vd. Kaul F., “Sandagergård. A Late Bronze Age Cultic Building with Rock
Engravings and Menhirs from Northern Zealand, Denmark”, in AA LVI (1985), pp.
31-54 e Jensen 2001-2004 (B.2), II, pp. 442-443.
322
Burenhult 1999-2000 (B.2), II, pp. 83-89.
323
Cfr. sopra, pp. 24-25.

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Verso il mondo esterno: il periodo vichingo 183

anche quelle sulle quali venivano eretti i cosiddetti domarringar.324


Qui si deve constatare un elemento di notevole continuità testi-
moniato in molti casi dalla ripetuta frequentazione, in epoche
diverse, dei medesimi spazi sacri (il che non di rado vale anche per
i luoghi di sepoltura che presentano tombe per così dire ‘primarie’
e ‘secondarie’) che in diversi casi conosceranno, una volta affer-
matasi la cristianizzazione, la presenza di una chiesa.325 All’ultima
fase del paganesimo nordico (dunque in pieno periodo vichingo)
risale la costruzione di veri e propri templi, alcuni dei quali ven-
gono descritti nelle fonti islandesi, come il celebre tempio di Thor
eretto dal suo grande devoto, il colono Þórólfr Mostrarskegg, di
cui riferisce la Saga degli uomini di Eyr e diversi altri.326 Il più
celebre tempio di epoca vichinga pare essere senza dubbio quello
che, secondo la testimonianza di Adamo da Brema, era stato eret-
to a Uppsala.327 Resta comunque probabile che ancora nell’ultima
fase del periodo vichingo, immediatamente prima della cristianiz-
zazione, i popoli nordici tenessero i loro riti sia all’aperto sia in
templi veri e propri, sia – in taluni casi – in abitazioni private.
Per i luoghi sacri abbiamo diverse designazioni. Stafgarðr, un
termine menzionato in un testo giuridico, la Legge dei Gotlandesi
(Guta lag),328 indica forse un recinto (garðr) con all’interno un pila-
stro o un palo (stafr):329 ciò ricorderebbe l’antica venerazione per
colonne che dovevano verosimilmente simboleggiare l’asse del
mondo. Vé (etimologicamente connesso al gotico weihs “sacro”)
viene usato in diversi contesti e sebbene non paia possibile definir-
ne un significato univoco,330 certamente rappresenta la designazio-
ne esemplare di spazio cultuale, come mostra la tradizione secondo

324
Nissen Fett 1942 (B.7.1), p. 24. Vd. sopra, p. 68.
325
Del resto il forte legame con luoghi tradizionalmente considerati ‘sacri’ è ben
testimoniato nel Libro dell’insediamento, là dove si fa riferimento a tale Loptr Ormsson
che – emigrato dalla Norvegia in Islanda – ogni tre anni ritornava nella terra di origine
per innalzare sacrifici nel tempio che suo nonno aveva custodito (Landnámabók, pp.
368-369).
326
Vd. il testo riportato alle pp. 184-185 e anche nota 340.
327
Vd. il testo riportato a p. 186 e anche nota 342.
328
Guta lag, ed. Pipping, p. 7 (cfr. ed. Gannholm, p. 22 [4]); cfr. p. 198, nota 389.
Nelle leggi norvegesi cristiane dell’Eidsivating è contemplato il divieto di tenere in casa
un pilastro (stafr) e di venerarlo: “Nessuno dovrà avere in casa sua un palo o un altare.
[compiere] magie o [tenere] un sacrificio. o ciò che riguarda gli usi pagani” (DLO nr. 37).
329
Vd. Kock A., “Etymologisk belysning av några nordiska ord och uttryck”, in
ANF XXVIII (1912), pp. 199-205; cfr. p. 188.
330
Nell’Edda di Snorri Sturluson, a esempio, là dove è riferito l’episodio dell’inca-
tenamento del lupo Fenrir, incarnazione del principio del male (vd. Chiesa Isnardi
20084 [B.7.1], pp. 63-66), esso definisce la dimora stessa degli dèi.

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184 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

la quale al suo interno erano assolutamente interdette le armi e


qualsiasi forma di violenza.331 Interessante al riguardo è anche la
constatazione dell’uso di questo termine in nomi propri composti,
a indicare (almeno inizialmente) persone ‘consacrate’ che forse
svolgevano un’attività legata al culto, come appare del tutto eviden-
te almeno in un caso specifico.332 Un altro termine assai interessan-
te che indica un luogo sacro è hǫrgr. È verosimile che nella fase più
antica esso si riferisse a una sorta di altare all’aperto costituito da
un cumulo di pietre. Ciò è suggerito innanzi tutto in un carme
eddico, là dove la dèa Freyja in prima persona parla di un “altare”
a lei innalzato da un suo devoto “con pietre accatastate” (“Hǫrg mér
gerði,/ hlaðinn steinom”),333 una testimonianza che insieme ad altre
ha anche indotto a ritenere che questo tipo di struttura fosse dedi-
cata alle divinità femminili. Altre fonti lasciano intendere che suc-
cessivamente un hǫrgr trovasse posto all’interno di una costruzione
in legno.334 Il termine nordico che in maniera più esplicita reca il
significato di tempio è tuttavia hof. Questa parola, che compare con
frequenza nelle fonti islandesi, indica chiaramente una costruzione
destinata a un uso sacro, un ‘tempio’ – non di rado di grandi dimen-
sioni –335 che talora i coloni innalzavano presso la propria fattoria.

Dalla Saga degli uomini di Eyr:

“Là egli fece innalzare un tempio, ed era una grande costruzione; c’era una
porta alla parete laterale verso il fondo; là dentro c’erano le colonne del
trono336 e in esse dei chiodi; essi erano detti chiodi divini.337 All’interno
331
Diversi esempi in proposito sono riportati in Briem 1945 (B.7.1), pp. 131-132.
Una particolare espressione “lupo nel luogo sacro” (“vargr í véum”) designava la per-
sona che avesse infranto questo divieto e, di conseguenza, venisse bandita.
332
Nel Libro dell’insediamento si fa riferimento a tale Geirr, che viveva a Sogn in
Norvegia. Di lui si legge: “Geirr si chiamava un uomo eminente [che abitava] a Sogn;
egli era detto Végeirr, poiché era assai dedito ai sacrifici; egli aveva molti figli: il mag-
giore dei suoi figli era Vébjǫrn Campione di Sogn (Sygnakappi), e poi [c’erano] Vésteinn,
Véþormr, Vémundr, Végestr e Véþorn, ma la figlia [si chiamava] Védís” (DLO nr. 38).
Chiaro esempio di una ‘famiglia consacrata’! Cfr. p. 193.
333
La fonte è il Carme di Hyndla (Hyndluljóð, vd. p. 295), str. 10, p. 289.
334
Vd. Briem 1945 (B.7.1), pp. 133-134.
335
Nella Saga dei valligiani di Vatnsdalur (cap.15) si fa riferimento a tale Ingimundr
il Vecchio (inn gamli) il quale avrebbe innalzato un grande tempio lungo cento piedi;
vd. anche la Saga degli uomini di Kjalarnes (Kjalnesinga saga), cap. 2; cfr. nota 340.
336
Vd. sopra pp. 147-148 e p. 150. La saga (cap. 4, ma vd. anche Landnámabók, p.
124) precisa che sulle “colonne del trono” di Þórólfr era scolpita l’immagine del dio Thor.
337
Questo particolare fa forse riferimento a una storia mitologica relativa al dio

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Verso il mondo esterno: il periodo vichingo 185

era tutta una zona sacra. Nella parte più interna del tempio c’era una
costruzione simile al coro che si trova ora nelle chiese, e nel mezzo del
pavimento c’era un piedistallo come un altare, e là c’era un anello aperto
di venti aurar: là si dovevano prestare tutti i giuramenti; il sacerdote
doveva portare quell’anello alla mano338 durante le adunanze. Sull’altare
ci doveva essere anche un catino sacrificale, e in esso un rametto sacrifi‑
cale che fungesse come un aspersorio, con cui si doveva aspergere dal
catino quel sangue che era detto sacrificale; era il sangue versato da quegli
animali che erano offerti agli dèi. Attorno all’altare in uno spazio a parte
era fatto posto alle effigi degli dèi. Tutti gli uomini dovevano pagare il
tributo al tempio e avevano l’obbligo di [seguire] il sacerdote in tutti [i
suoi] spostamenti, come ora i þingmenn con i [loro] capi,339 ma il sacer‑
dote doveva mantenere il tempio a sue spese affinché non decadesse e
celebrarvi i riti sacrificali.”340

Thor, al quale, in seguito a un duello con un gigante, era rimasto conficcato nella testa
un frammento della cote lanciata contro di lui dal suo avversario (Chiesa Isnardi 20084
[B.7.1], pp. 137-139 e p. 146, nota 8).
338
O forse al braccio. L’interpretazione dipende in effetti dal peso dell’anello che
secondo uno dei manoscritti era di venti, secondo un altro di due aurar (sing. eyrir),
unità di peso su cui vd. p. 209, nota 426; cfr. la Saga di Víga-Glúmr, cap. 25.
339
Vd. oltre, p. 380.
340
Cap. 4 (DLO nr. 39). Cfr. la Saga di Håkon il Buono di Snorri Sturluson, quinta
parte della Heimskringla (Hákonar saga góða, cap. 14) e la Saga degli uomini di Kjalar‑
nes (Kjalnesinga saga, cap. 2 e capp. 4-5). In quest’ultima è descritto un tempio nel
quale si trovavano le effigi di Thor e di altre divinità; questa fonte aggiunge che all’in-
terno c’era un fuoco sacro che doveva ardere continuamente e che fuori dall’ingresso
del tempio si trovava una fonte sacrificale (blótkelda) nella quale venivano affogate le
persone destinate al sacrificio. Di una fonte sacrificale fuori dal celebre tempio di
Uppsala scrive anche Adamo da Brema (Gesta Hammaburgensis […], scolio 138). Del
resto nella Saga dei valligiani di Vatnsdalur (cap. 30) si fa riferimento a una “fossa
sacrificale” (blótgrǫf) utilizzata per sacrifici umani e animali (si confronti anche il cap.
15 della medesima saga, cfr. nota 335). Molti altri luoghi sacri sono menzionati nelle
fonti. Tra i più importanti il grande tempio nella località di Mære (Mæri o Mærin)
presso Sparbu nella regione norvegese di Nord-Trøndelag cui fa riferimento tra l’altro
Snorri Sturluson in un paio di occasioni, affermando che Thor era là il dio maggior-
mente venerato (Óláfs saga Tryggvasonar, capp. 68-69 e Óláfs saga helga, cap. 108; cfr.
la versione norvegese della Saga di Olav Tryggvason [Óláfs saga Tryggvasonar] scritta
in latino attorno al 1190 da Oddr Snorrason monaco di Þingeyrar, in Saghe dei re
[Konunga sǫgur], I, cap. 54; cfr. anche Landnámabók, p. 307 e p. 309; per altre fonti
vd. CHIESA ISNARDI 20084 [B.7.1], p. 268, nota 57). In Norvegia doveva essere celebre
anche il tempio di Lade, che secondo la tradizione era dedicato a numerosi dèi (vd. in
particolare la versione della Saga di Olav Tryggvason di Oddr Snorrason, in Konunga
sǫgur, I, cap. 20; cfr. la Óláfs saga Tryggvasonar di Snorri Sturluson, cap. 59): in questo
tempio aveva luogo il sacrificio la cui descrizione è riportata più avanti (vd. pp. 196-
197). Un altro celebre tempio era stato edificato in Gudbrandsdalen (Guðbrandsdalir)
nella regione di Oppland (vd. oltre, p. 256). A edifici sacri innalzati in onore del dio
Freyr fanno riferimento innanzi tutto la Saga di Hrafnkell goði del dio Freyr (cap. 2),
la Saga di Víga-Glúmr (Víga-Glúms saga, vd. in particolare il cap. 9) e il cosiddetto
Breve racconto di Ǫgmundr Botta (Ǫgmundar þáttr dytts, pp. 112-115; vd. anche

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186 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

*
Dalle Opere dei vescovi della Chiesa di Amburgo di Adamo da Brema:

“Questa gente ha un tempio molto importante, che si chiama [tempio di]


Uppsala, che si trova non lontano dalla città di Sigtuna.341 In questo tempio,
che è completamente adorno di oro, il popolo venera le statue di tre divini‑
tà. Così Thor, il più potente fra loro, ha il suo trono nel mezzo della sala,
Odino e Freyr trovano posto ai suoi lati. Il loro significato è in questo modo:
‘Thor’, dicono, ‘è signore dell’aria e governa il tuono e i fulmini, i venti e
le piogge, il buon tempo e le messi. Il secondo Odino, che significa furore,
governa le guerre e conferisce all’uomo coraggio contro i nemici. Il terzo è
Freyr che elargisce ai mortali pace e piacere’. La sua immagine essi rappre‑
sentano con un imponente fallo. Odino in verità lo scolpiscono armato al
modo in cui i nostri raffigurano Marte, mentre Thor con il suo scettro pare
somigliare a Giove […].”342

Riproduzioni iconografiche della divinità sono note, come si è


visto, fin da un’epoca molto antica, seppure almeno in alcuni casi
la loro interpretazione come tali non sia del tutto certa. Le fonti (in
particolare quelle scritte) che si riferiscono al periodo vichingo ci
consentono al contrario di non nutrire dubbi al riguardo. Non

CHIESA ISNARDI 20084, p. 282 e note relative). Cfr. infine la Saga di Egill Skalla-Gríms‑
son (Egils saga Skalla-Grímssonar, cap. 49). Un ricco tempio dedicato a diversi dèi è
citato nella Saga degli abitanti di Fljótsdalur (Fljótsdæla saga, cap. 26): è questo tuttavia
un racconto composto in epoca piuttosto tarda (forse addirittura nel XV secolo) e
di conseguenza le notizie che riporta possono facilmente essere eco di testi preceden-
ti (cfr. CHIESA ISNARDI 20084, p. 231 e p. 268, nota 61). Letterariamente caricata ed
eccessiva è certamente anche l’informazione fornita nella Saga dei vichinghi di Jómsborg
(Jómsvíkinga saga, cap. 7) a riguardo di un tempio dedicato a Thor e definito Goð-
heimr (letteralmente “Dimora del dio”) che doveva trovarsi nella regione svedese di Göta-
land e conservava, secondo questa fonte, ben cento immagini sacre. Essa tuttavia trova
conferma nella versione della Saga di Olav Tryggvason di Oddr Snorrason (Konunga
sǫgur, I, cap. 15).
341
Il riferimento è forse da intendere a Birka, la celebre città-mercato di epoca
vichinga (cfr. p. 141 e p. 208).
342
Gesta Hammaburgensis […], IV, xxvi-xxvii (DLO nr. 40). Una indagine archeo­
logica sul tempio di Uppsala si trova in Nordahl E., … Templum quod Ubsola dicitur…
i arkeologisk belysning, med bidrag av L. Gezelius och H. Klackenberg, Uppsala
1996; vd. anche Gräslund A-S., “Adams Uppsala – och arkeologins”, in UAB (1997),
pp. 101-115. E inoltre: Lindkvist S., “Hednatemplet i Uppsala”, in FV 1923, pp.
85-118 e Hultgård A., “Från ögonvittnen til retorik. Adam av Bremens notiser om
Uppsalakulten i religionshistorisk belysning”, in UAB (1997), pp. 9-50. Di notevole
interesse anche le osservazioni di E. Wessén sulla rappresentazione dei pagani svede-
si fatta dall’autore (“Några anmärkningar till Adams av Bremen framställning av
Norden och uppsvearnas hedendom”, in Wessén 1924, pp. 131-198).

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Verso il mondo esterno: il periodo vichingo 187

soltanto infatti abbiamo notizia di vere e proprie effigi di dèi con-


servate nei templi e nei luoghi di culto,343 ma possediamo anche
importanti reperti che ci consentono di capire quale immagine
fosse attribuita alla divinità nel paganesimo scandinavo in epoca
vichinga. Il riferimento è qui a statuette come quella del dio Thor e
del dio Freyr alle quali si è già fatto riferimento.344 Queste statuette
hanno dimensioni ridotte, il che ne indica il probabile utilizzo per-
sonale e/o familiare, secondo una tradizione antica che mostra una
diffusa consuetudine all’uso di amuleti su cui, in taluni casi, erano
incise iscrizioni runiche di carattere beneaugurante. Anche le brat-
teate sulle quali è riconoscibile l’immagine di una divinità possono
essere richiamate in questo contesto.345 Nella Saga dei valligiani di
Vatnsdalur è riferito che un norvegese di nome Ingimundr il Vecchio
(inn gamli) possedeva un amuleto in argento con l’effigie del dio
Freyr; questo idolo – che egli aveva smarrito in circostanze oscu-
re – fu poi da lui stesso rinvenuto in Islanda, nel luogo in cui egli si
sarebbe stabilito, costruendovi anche un tempio: ciò a indicare una
precisa corrispondenza fra il volere della divinità e il destino dell’uo-
mo.346 Significato analogo pare avere anche l’uso di incidere l’effigie
del dio Thor sulle “colonne del trono”.347 Nella Saga di Alfredo
(Hallfreðar saga) soprannominato Poeta turbolento (vandræðaskáld),
inoltre, si fa riferimento a una effigie in stagno del dio Thor, che il
protagonista avrebbe conservato segretamente nella borsa, nono-
stante si fosse fatto battezzare avendo come padrino il re Olav
Tryggvason in persona. Questo fatto, prontamente riferito al re da
tale Kálfr (una denuncia di cui Alfredo si sarebbe preso feroce
vendetta) non poté essere provato: tuttavia la vicenda di questo
poeta che – indotto dal sovrano norvegese ad abbracciare la nuova
religione – esprimeva in celebri versi il proprio attaccamento alla
fede degli antenati, lamentandosi di dover rinunciare alla loro vene-
razione, ben rappresenta lo scenario religioso in un’epoca di crisi e
di cambiamenti, quale certamente fu il periodo vichingo.348

343
Ibn Fad·lān riferisce tra l’altro che i Vareghi possedevano delle effigi di divinità
intagliate nel legno (Risāla, p. 20).
344
Vd. sopra, p. 166.
345
Vd. sopra, p. 165.
346
Capp. 10, 12 e 15. Cfr. il Libro dell’insediamento (Landnámabók, p. 218). Cfr.
nota 335.
347
Vd. pp. 147-148 e p. 150. Secondo la versione della Saga di Olav Tryggvason di
Oddr Snorrason, lo jarl Eirik (Eiríkr) aveva sulla prua della sua nave l’effigie del dio
Thor, tuttavia in seguito la tolse e la distrusse e al suo posto collocò la croce cristiana
(vd. Konunga sǫgur, I, cap. 73).
348
Vd. Saga di Alfredo, capp. 5 e 6 e il testo alle pp. 231-232.

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188 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

3.3.6. Divinità e territorio

Come si è avuto modo di accennare scrivendo del culto degli


dèi, il paesaggio nordico è costellato di nomi di luogo che riman-
dano alla religione pagana. Taluni appaiono legati a culti naturali-
stici molto antichi: occorrenze quali a esempio Solberga (letteral-
mente “Montagna del sole”) o Ljusnarsberg (“Montagna luminosa”)
in Svezia349 sottintendono probabilmente un legame con l’antichis-
simo culto del sole, risalente come si è visto almeno all’età del
bronzo. Anche nomi di luogo che ricordano spazi cerimoniali (a
esempio Lund, in Svezia, un termine che significa “boschetto”)
possono essere ricondotti qui. Vi sono poi i casi in cui l’antica
sacralità del luogo trapela in toponimi ‘marcati’ da termini che ne
rivelano esplicitamente la natura di centri di culto. A forme primi-
tive di ‘santuari’ possono essere riferiti quelli in cui compaiono
elementi come stafr “pilastro”, o stokkr “tronco”: qui si può pen-
sare alla presenza di colonne o pilastri ritenuti sacri (in quanto
immagine dell’albero cosmico che regge l’universo), la cui venera-
zione è d’altronde ben testimoniata presso altre popolazioni ger-
maniche, in particolare i Sassoni.350 La diffusione sul territorio di
luoghi di culto è riconoscibile piuttosto agevolmente quando nel
toponimo compaiano denominazioni quali vé, hǫrgr e hof:351 si
vedano a esempio Viborg (dove ‑borg < biarg “altura”),352 in Dani-
marca, Visby353 in Gotland; Hörgsholt, Hörgshóll, Hörgsnes in
Islanda (dove hǫrgr è combinato rispettivamente con holt
“boschetto”,354 hóll “collinetta” e nes “promontorio”); Hof e
Hofstaðir (letteralmente “luoghi del tempio”) in Islanda, Hove,
Hovby in Danimarca. A questo gruppo vanno riferiti infine anche
nomi di luogo in cui compare l’aggettivo heilagr “sacro”: si vedano
a esempio Helgenæs “Promontorio sacro” in Danimarca, Helgøya
“Isola sacra” in Norvegia o Helgafell “Montesacro” in Islanda, ma
– soprattutto – Helvi (< Helghawi) “Santuario sacro” sull’isola di

349
Gli esempi qui riportati sono selezionati con gli unici criteri della rappresenta-
tività e di una agevole comprensione. Per quanto riguarda la frequenza e la valutazio-
ne dei toponimi si rimanda alla letteratura critica indicata in bibliografia.
350
Presso di loro era venerata la celebre colonna Irminsûl, abbattuta secondo la
testimonianza di diverse fonti per ordine di Carlo Magno nell’anno 772 (vd. de Vries
1970³ [B.7.1], II, p. 386 dove sono citate le fonti). Cfr. p. 179 e p. 183.
351
Vd. sopra pp. 183-184.
352
Vd. Aa. Vv., Danmarks Stednavne, udgivet af Stednavneudvalget, IX, København
1948, pp. 1-2.
353
Per il significato di ‑by vd. p. 161.
354
Il significato di “collinetta pietrosa” è successivo.

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Verso il mondo esterno: il periodo vichingo 189

Gotland.355 In questo contesto sono stati talora presi in considera-


zione anche toponimi in cui compaiono riferimenti ad animali in
quanto potrebbero alludere a riti in cui essi erano le vittime sacri-
ficali: qui tuttavia la valutazione richiede ogni cautela.
I nomi di luogo che contengono un preciso richiamo alla divini-
tà possono essere di carattere generico, alludere a un gruppo di
divinità (in particolare gli Asi o divinità minori come le dísir) o a
un singolo dio. In ogni caso essi collegano il nome con l’indicazio-
ne della morfologia geografica di un determinato luogo o di strut-
ture realizzate con l’intervento dell’uomo. Esempi di queste tipo-
logie sono nomi quali Gudme (<*Gud-hem < *Guð-heimr)
“Dimora della divinità” in Danimarca,356 Goðafoss, Goðasteinn,
Goðafjall (rispettivamente “Cascata”, “Pietra”, “Montagna degli
dèi”), in Islanda;357 Oslo (che con ogni probabilità significa “Radu-
ra degli Asi”)358 e Disa(v)in “Prato delle dísir” in Norvegia, Disevi
“Santuario delle dísir” in Svezia; Odense (< Othinsvæ) “Santuario
di Odino”, Onsild/Vonsild “Collina” (o forse “Luogo sacro”) di
Odino” e Tislund “Boschetto di Týr” in Danimarca, Friggeråker
“Campo di Frigg” in Svezia, Þorsnes “Promontorio di Thor” in
Islanda, Frøyjunes “Promontorio di Freyja” e Nærøy (< Njarðøy)
“Isola di Njǫrðr” in Norvegia, Torsharg “Altare” (o “Tempio”) di
Thor” in Svezia, Frøyshof e Norderhov (< Njarðarhof) “Tempio
di Freyr” e “di Njǫrðr” in Norvegia.
Naturalmente i toponimi riferiti a una singola divinità consen-
tono di osservare la diffusione della sua venerazione nelle diverse
aree, e anche di constatare l’esistenza di un culto diversificato, come
parrebbe essere il caso della dèa Freyja, alla quale risultano dedi-

355
Denominazioni di luoghi sacri parrebbero essere anche vangr “campo [del
tempio]”, da considerare tale quantomeno quando il toponimo si trova nei pressi di
un luogo di culto cristiano, e *ál- (<*alh-, cfr. gotico alhs “tempio”), un termine scom-
parso dal lessico ma che sarebbe riconoscibile in toponimi quali a esempio Ælin
(<*Ál-vin) “Campo del luogo sacro” in Norvegia o Aal, Aale, Aalum in Danimarca (vd.
Brink S., “Har vi haft ett kultiskt *al i Norden?”, in SN pp. 107-121).
356
Vd. p. 69, nota 24.
357
Su Goðafoss cfr. tuttavia p. 267 con nota 156.
358
Esso deriva da un antico *Áslo/Óslo, a sua volta da áss/óss “dio”, “ase” + *lo che
indicherebbe un prato pianeggiante vicino all’acqua (cfr. faroese lón “pianoro vicino
al mare” e anche ingl. loo “spazio aperto”, ripreso dall’antico norvegese, un termine
che verosimilmente significava “boscaglia”, “sottobosco erboso” oppure “radura”,
secondo altri tuttavia “boschetto”); vd. Sandnes J. – Stemshaug O. (red.), Norsk
stadnamnleksikon, Oslo 1980, pp. 244-245 e pp. 206-207 e anche Wetås Å., “Kva er
tydinga av namnet Oslo? Ein enket bland åtte granskarar i Noreg og Sverige / What
is the meaning of the name Oslo? An enquête among eight scholars in Norway and
Sweden”, in MoM 2004, pp. 129-147.

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190 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

cati luoghi che ricordano un appellativo che le è attribuito.359


Inoltre nei casi in cui un componente del toponimo faccia riferi-
mento a un elemento del paesaggio ritorna immediato il collega-
mento con le informazioni relative alle forme primitive della reli-
gione germanica, i cui riti erano svolti in gran parte in determinati
ambienti le cui caratteristiche naturali suggerivano l’idea di un più
facile contatto con le potenze ritenute divine. Ciò anche se – come
è stato osservato – luoghi di culto realizzati dalla mano dell’uomo
sono noti fin da epoche antiche.
Certamente la valutazione di questo tipo di toponimi e il loro
effettivo legame con culti pagani deve passare al vaglio di una
severa verifica che nel considerare la forma del nome tenga conto
anche del possibile riferimento a elementi diversi (a esempio un
più ‘semplice’ collegamento a nomi propri, la possibile corruzione
delle forme, l’influsso di fattori legati al folclore, la ‘contaminazio-
ne’ con luoghi di culto cristiani) e prenda in esame non solo la loro
distribuzione ma anche la frequenza e la tipologia delle eventuali
combinazioni.

3.3.7. Divinità ed esseri umani

Tracce corpose del rapporto fra l’uomo e l’universo religioso


pagano sono facilmente rintracciabili in numerosi antroponimi.360

359
Si tratta del toponimo Härnevi (forse < *Hǫrnar vé “santuario di Hǫrn”) attesta-
to in almeno quattro occorrenze nella Svezia orientale e che dunque risalirebbe all’ap-
pellativo della dèa Hǫrn, da intendere forse “[dèa del] lino” (o “divinità-lino”).
360
Nel testo noto come Libro di Haukur [Erlendsson] (Hauksbók, vd. p. 426) è con-
servato un breve brano che riferisce dell’importanza per i pagani di dare ai propri figli
nomi tratti da quelli delle divinità: “È affermazione degli uomini saggi, che nel passato
ci fosse l’uso di trarre da quelli degli Dèi i nomi dei propri figli, così come dal nome di
Thor [Þórr] Þórólfr oppure Þorsteinn, Þorgrímr; oppure chi si chiamava Oddr, dal suo
nome [del dio] doveva piuttosto chiamarsi Þóroddr […] oppure [il nome composto
poteva essere] Þorbergr, Þórálfr, Þorleifr, Þorgeirr. E ancora altri nomi sono tratti dagli
dèi e dagli Asi, sebbene la maggior parte da Thor; così spesso gli uomini avevano allora
due nomi; ciò pareva opportuno per [avere] lunga vita e fortuna; per quanto alcuni li
maledicessero di fronte a un Dio, ciò non avrebbe dovuto danneggiarli, nel caso che essi
avessero un secondo nome” (DLO nr. 41). Qui si evidenzia l’uso, assai comune alla
tradizione nordica, dei nomi composti; infatti si riteneva che essi, collegando la persona
con una entità superiore (una divinità, un antenato, il clan) potessero in qualche modo
recare protezione e fortuna. Si confronti la Saga di Þorsteinn Bianco (Þorsteins saga hvíta),
cap. 8: “Era allora credenza della gente, che le persone che avevano due nomi vivessero
più a lungo” (p. 19: “Var þat átrúnaðr manna, at þeir menn skyldi lengr lífa, sem tvau nǫfn
hefði”). Cfr. anche il Carme di Hyndla, dove alla str. 28 si legge: “erano uomini consacra-
ti agli dèi” (p. 293: “þeir vóro gumnar/ goðom signaðir”).

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Verso il mondo esterno: il periodo vichingo 191

Innanzi tutto, evidentemente, quelli nei quali compare un primo


elemento Guð‑/Goð‑ “dio” (a esempio i maschili Guðleifr, Guðmundr,
Goðgestr o i femminili Guðrún, Guðríðr) o Ás- “dio”, “ase” (esem-
pio i maschili Ásbjörn, Ásgeirr o i femminili Ásgerðr, Ástríðr forse
da riportare ad *Ásfríðr “bella come una dèa”) il che li ‘marca’
esplicitamente (almeno all’origine) come nomi di carattere religio-
so. Alla medesima tipologia potrebbero essere ricondotti anche
antroponimi come i maschili Ragnarr, Ragnvaldr e i femminili
Ragnhildr, Ragnheiðr, ove il primo elemento fosse riconducibile
con certezza al termine regin o rǫgn (neutro pl.), designazione
indistinta dell’insieme delle potenze divine.
In altri casi abbiamo l’indicazione di una divinità specifica:361
questo riguarda – in primo luogo – il dio Thor, che si ritrova in
un nutrito elenco di nomi di persona362 la cui massiccia presenza
testimonia la particolare ‘popolarità’ di cui egli dovette godere,
una constatazione evidentissima soprattutto in Islanda, dove ai
numerosi antroponimi si affiancano molti toponimi che fanno
riferimento alla venerazione nei suoi confronti. Assai meno fre-
quenti sono i nomi propri che rimandano ad altre divinità. A
riguardo di Odino si può osservare che la natura terribile e temi-
bile di questo dio, dotato di una personalità prepotente e spre-
giudicata, benevolo e malevolo, soccorrevole e letale, poteva
forse scoraggiare i fedeli: il suo culto non dovette essere diffuso
fra la gente comune come quello di Thor, piuttosto fu prerogati-
va di cerchie di guerrieri e di nobili. Il suo nome era ritenuto
potente e al contempo temibile e quindi verosimilmente per
questo interdetto nell’uso.363 Del resto è noto dal mito che Odino
medesimo possedeva un numero assai grande di appellativi, die-
tro ai quali si celava nelle diverse occasioni. Possibili antroponimi
riferiti al suo culto vanno dunque piuttosto cercati altrove. Alcu-
ni, come a esempio Gautrekr o Végautr contengono una compo-
361
E. Wessén ha sostenuto che gli antroponimi che contengono il nome di una
divinità specifica (in particolare Thor) siano in realtà una variante di quelli più antichi
formati su Ás- “dio”, “ase” (Wessén 1927 [indicazioni a p. 119, nota 77], pp. 82-83).
362
Vd. gli esempi alla nota 360.
363
A riguardo dell’unico nome maschile comunemente a lui riferito, Odinkar, J.
Kousgård Sørensen ha convincentemente dimostrato che esso è da intendere in tutt’al-
tro modo: significa infatti verosimilmente “[persona] incline alla collera e alla pazzia”
(“Odinkar og andre navne på ‑kar”, in NoB LXII [1974], pp. 108-116). A quanto pare
dunque l’unico antroponimo riferibile con certezza al nome di Odino resta il femmi-
nile Odhindisa (Óðindísa); cfr. p. 170 con nota 272. L’affermazione di Snorri Sturluson
(Saga degli Ynglingar, cap. 6) secondo la quale il nome Auðun deriverebbe da quello
di Odino (Óðinn) è del tutto priva di fondamento, corrette sono invece le derivazioni
che nella stessa occasione egli trae dal nome di Thor.

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192 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

nente Gaut‑ /‑gautr che potrebbe riferirsi all’appellativo del dio


Gautr (o Gauti) da intendere verosimilmente come “[sacro pro-
genitore degli] Götar”;364 è tuttavia possibile che la loro origine
sia da riferire a una semplice indicazione di appartenenza etnica.
All’appellativo Grímr (o Grímnir) “mascherato” pare corrispon-
dere fin troppo agevolmente l’identico antroponimo, il che tut-
tavia non autorizza a collegare direttamente l’uso di questo nome
con la venerazione per questo dio; d’altronde esso costituisce
anche un frequente elemento nei composti (esempio: Grímkell,
Þórgrímr, maschili e Grímhildr, femminile).
Da ricondurre al culto di Odino è probabilmente un nome di
persona come Hrafn “corvo” (animale a lui sacro), mentre Úlfr
“lupo” e Bjǫrn “orso” (entrambi frequenti come elementi di
composti) potrebbero legarsi (almeno in origine) all’appartenen-
za alle congregazioni dei ‘guerrieri furiosi’ consacrati al dio, che
combattevano come invasati e dei quali è detto che non temevano
né il ferro né il fuoco.365 Altri nomi propri che fanno riferimento
ad animali (a esempio Ari “aquila”, Haukr o Valr “falco”) sono
verosimilmente da ricondurre (il che del resto è almeno in parte
anche il caso di Úlfr e Bjǫrn) all’uso di maschere animali in con-
testi rituali. Va tuttavia anche considerato che l’uso di nomi di
persona riferiti ad animali è ben testimoniato nella tradizione
indoeuropea.
Anche il raro Bragi (che nella letteratura mitologica è il nome
del dio della poesia)366 va verosimilmente riferito a Odino, non
soltanto perché esso è noto come un suo appellativo, ma anche
perché la poesia è un dono speciale che egli elargisce agli uomini.
Gli antroponimi collegati alle divinità dei Vani fanno riferimen-
to in primo luogo a Freyr (si vedano i maschili Freybjǫrn, Freysteinn
e i femminili Freydís, Freygerðr). Inoltre – con il conforto di notizie
che ci vengono dalle fonti –367 possiamo ricondurre alla venerazio-
ne di questo dio i nomi che si rifanno al suo appellativo Yngvi,
utilizzato nella forma Ing‑/Yng-, non di rado in composti (si veda-
no Ingi, Ingjaldr, Yngvarr, maschili, ma anche Ingunn, Ingiborg,
femminili); Ynglingar (masch. pl.) è d’altronde la denominazione
degli appartenenti a una celebre stirpe regale per buona parte
leggendaria che si richiamava ad antenati divini (quale, in partico-
lare, Yngvi-Freyr) e che, secondo la tradizione, aveva governato
364
Vd. sopra, p. 157 con note 222-226.
365
Vd. pp. 170-171 con nota 276.
366
Vd. p. 176.
367
In particolare dalla Saga degli Ynglingar di Snorri Sturluson, cap. 10.

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Verso il mondo esterno: il periodo vichingo 193

nell’Uppland svedese, regione in cui la devozione per questo dio


appare – anche per la testimonianza degli antroponimi teofori –
diffusa e radicata.368 A una divinità dei Vani, Gerðr la sposa del dio
Freyr, è verosimilmente riferibile l’elemento ‑gerðr presente in
diversi nomi femminili369 (vedi come esempi Ásgerðr, Steingerðr,
Þorgerðr).
Altri nomi propri sono in qualche modo legati a divinità di
secondo piano. Tali sono, in particolare, quelli che contengono
l’elemento Álf- (talora semplicemente Al-) o ‑álfr “elfo” (esempi:
Álf, Gandalfr ma anche Alrekr, maschili e Álfgerðr, Álfhildr, fem-
minili) e anche, quelli – solo femminili – che presentano ‑dís come
secondo termine di un composto (Alfdís, Halldís, Þórdís e il già
citato Óðindísa).370
A culti e riti pagani rimandano infine antroponimi che, pur non
facendo in molti casi diretto riferimento a una divinità, risultano
legati alla definizione del concetto di sacralità: Helgi (masch.) e
Helga (femm.) significano infatti “sacro”/“sacra” o “consa-
crato”/“consacrata” (in nordico l’aggettivo è heilagr). Altri nomi
composti con termini in diverso modo legati alla sfera religiosa
possono essere collegati ad antiche funzioni sacerdotali o accoglie-
re riferimenti al rito: tale è il caso di quelli che contengono ele-
menti quali vé “santuario” (esempio Vébjǫrn, Végeirr maschili e
Védís, Végerðr femminili); ketill “bacile”, con probabile riferimen-
to a un sacro bacile sacrificale (esempio il maschile Ketill, anche
in composti come Askell, Hrafnkell, Þorkell, dove ‑kell < ‑ketill,
e Katla, femminile); forse anche laugr “bagno”, “lavacro” (a esem-
pio Áslaugr, Gunnlaugr maschili e Áslaug, Geirlaug femminili).
Assai più discutibile resta il caso dei nomi in cui compare la paro-
la steinn “pietra” (a esempio Eysteinn, Steinarr e Steinbjǫrn, maschi-
li e Steinunn, Steinvǫr, femminili), in quanto un collegamento con
pietre sacrificali si basa su ipotesi molto labili piuttosto che su dati
concreti. Anche un antroponimo come il maschile Vésteinn “pietra
del santuario”, che da questo punto di vista parrebbe assai allet-
tante, potrebbe in realtà essere semplicemente il risultato d’una
‘meccanica’ composizione di elementi consueti in ambito antro-
ponomastico.
Similmente dovrebbero essere considerati i nomi legati alla
368
Vd. anche l’opinione di W. Krause (“Ing”, in Nachrichten der Akademie der
Wissenschaften in Göttingen. Philologisch-Historische Klasse, X: 5, [1944], pp. 229-254).
369
Vd. Laur W., “Die germanischen Frauennamen auf ‑gard /‑gerðr und ihr Ursprung
aus dem Bereich des kultischen”, in BGDSL LXXIII (1951), pp. 321-346.
370
Vd. p. 170 con nota 272; cfr. nota 363.

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194 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

sfera mitologico-poetica in cui si inquadrano le figure delle val-


chirie, divinità di secondo piano che sono spesso designate in
relazione alla loro funzione guerriera. I termini tratti da questo
ambito che con più frequenza compaiono nell’antroponomastica
sono gunnr e hildr, entrambi sinonimi poetici per “battaglia”.
Questi elementi si ritrovano in diversi nomi sia maschili sia fem-
minili (a esempio Gunnar, Gunnbjǫrn, Gunnlaugr e Hildulfr,
maschili; Gunnhildr, Gunnlǫð, Brynhildr, Hildigunnr, femminili),
ma è probabile che il loro uso sia stato legato a una sorta di ‘moda’,
piuttosto che alla venerazione nei confronti di questi esseri sovran-
naturali.

3.3.8. Feste, riti e sacrifici

Nelle fonti nordiche sono presenti in diverse occasioni riferi-


menti a feste comunitarie. Si trattava non di rado di occasioni nel
corso delle quali si suggellava un patto sacro fra le persone (matri-
monio, costituzione di una società, impegno solenne assunto con
un giuramento, banchetto in onore di un defunto) riaffermando
al tempo medesimo un legame con le potenze sovrannaturali. Ma
il calendario conosceva anche solennità che cadevano in partico-
lari periodi dell’anno: attorno alla metà di ottobre a esempio si
tenevano le cosiddette “notti d’inverno” (vetrnætr), mentre più
avanti (ma la collocazione resta discussa) giungevano i giorni degli
jól, una festa che sarebbe stata sostituita dalle celebrazioni legate
al Natale cristiano che nelle lingue scandinave – e non solo – ne
conserva il nome.371 I giorni degli jól erano occasione di riti col-
legati all’antica venerazione per il sole, di spiriti che tornavano
sulla terra, di culti di fertilità. Anche denominazioni di feste
sacrificali come haustblót “sacrificio d’autunno”, miðsvetrarblót
“sacrificio di metà inverno” e sumarblót “sacrificio d’estate”
sottolineano una precisa scansione temporale. Le fonti informano
che il primo si teneva dopo il raccolto in coincidenza con le “not-
ti d’inverno” e aveva lo scopo di invocare la fecondità; il secondo
(la cui connessione con gli jól resta incerta)372 doveva propiziare
un buon raccolto o la pace e il buon andamento dell’inverno; il
terzo aveva luogo verso la metà di aprile, quando il risveglio del-
la natura dopo il lungo letargo invernale dà l’avvio alla buona
371
Vd. danese, svedese e norvegese (bm) jul, norvegese (nn) jol, faroese e islandese
jól, ma anche inglese yule, finnico joulu, estone jõulu, sami norvegese juovla.
372
Vd. Briem 1945 (B.7.1), pp. 157-158.

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Verso il mondo esterno: il periodo vichingo 195

stagione, e veniva innalzato per ottenere la vittoria (in questo


periodo fu poi collocata la Pasqua cristiana).373
Del resto le pratiche sacrificali sono antiche come l’idea stessa
di culto. Come sopra è stato rilevato il ricordo di sacrifici (anche
umani) è ben leggibile nel materiale archeologico nordico, il quale
mostra come essi siano in chiara connessione con la venerazione
delle divinità ma anche con i riti funerari e, dunque, verosimilmen-
te con il culto dei morti.374 Scene sacrificali sono raffigurate su
reperti archeologici come il celebre bacile di Gundestrup (che
tuttavia, come è stato detto, va più propriamente ricondotto alla
sfera culturale celtica),375 compaiono sulle pietre di Gotland376 e
– a quanto pare – anche sull’arazzo ritrovato nel corredo funerario
di Oseberg (sul quale dal cosiddetto ‘albero di Odino’ pendono
corpi di impiccati). Le fonti scritte, tanto quelle classiche quanto
quelle più recenti, alludono in diverse circostanze a riti sacrificali.
Il quadro che ne emerge non risulta tuttavia completamente chiaro,
dal momento che queste pratiche corrispondono alla evoluzione e
alla stratificazione di diverse istanze di carattere religioso determi-
natesi nel corso dei secoli.
La tradizione nordica definisce il sacrificio con il termine blót,
di discussa etimologia.377 A diversi personaggi le fonti attribuisco-
no l’appellativo di blótmaðr “uomo [dedito] ai sacrifici” (in qualche
caso si parla di blótmaðr mikill “uomo molto dedito ai sacrifici”).
Come è stato rilevato in precedenza si ha notizia di sacrifici rivolti
a elementi della natura (boschi, cascate, alture, rocce)378 e – in
qualche caso – ad animali (mucche, verri o cavalli):379 una consue-
tudine che affonda le proprie radici in culti naturalistici mai del
tutto abbandonati anche quando si vennero affermando divinità
antropomorfe. Alle concezioni di vita espresse nella mentalità
373
Vd. Snorri Sturluson, Saga di Olav il Santo, capp. 107, 109 e 117 e anche Saga
degli Ynglingar, cap. 8, dove queste celebrazioni si fanno risalire a una legislazione
religiosa imposta da Odino in persona. Snorri medesimo tuttavia nella Saga degli
Ynglingar (cap. 38) fa riferimento a un re che “si recò […] a Uppsala per innalzare
un sacrificio, secondo l’uso all’inizio dell’estate, allo scopo di ottenere la pace” (DLO
nr. 42).
374
La persistenza di sacrifici in onore di defunti ai quali era, evidentemente,
attribuita la facoltà di intervenire proficuamente a vantaggio dei vivi è testimoniata
in diverse fonti anche piuttosto tarde; vd. Chiesa Isnardi 20084 (B.7.1), pp. 445-447.
375
Vd. sopra, p. 63 con nota 8.
376
Vd. sopra, pp. 92-93. Il riferimento è, in particolare, alla pietra di Hammars I
(VIII-IX secolo).
377
Per le diverse ipotesi vd. de Vries 1962² (B.5), p. 45.
378
Vd. p. 182, nota 318.
379
Vd. Turville-Petre 1964 (B.7.1), p. 249.

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196 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

comunitaria della Sippe vanno ricondotti i riti “per la prosperità e


la pace” (“til árs ok friðar”), “per il buon raccolto” (“til gróðrar”), “per
la pace e il [buon] corso dell’inverno” (“til friðar ok vetrarfar”), così
come allusioni a sacrifici innalzati in onore di sovrani ritenuti,
evidentemente, dispensatori di fecondità per la comunità. A queste
medesime concezioni vanno riferite anche informazioni relative a
re immolati dal popolo, in quanto ritenuti incapaci di elargire
fecondità e benessere ai propri sudditi.380
Ma come sopra accennato le fonti nordiche conoscono anche il
sacrificio per ottenere la vittoria (“til sigrs”), o altri di carattere
personale: a esempio per godere di una lunga vita (“til langlífs”) o
anche, più semplicemente, per ottenere vento favorevole per la
navigazione (“til byrjar”). Grande importanza avevano i riti per
conoscere il proprio destino (“til fréttar”), quando si compiva l’at-
to definito “fella blótspán” “lasciar cadere i rametti sacrificali” (in
sostanza “tirare la sorte”) un gesto ben noto alla tradizione germa-
nica, come testimonia innanzi tutto Tacito.381

Dalla Saga di Håkon il Buono di Snorri Sturluson:

“C’era anticamente l’uso, quando ci doveva essere un sacrificio, che tutti


i contadini si recassero là, dove c’era il tempio, e là portassero le loro prov‑
viste, quelle che erano necessarie nel corso della festa. A quella festa tut-
ti dovevano prendere parte alla bevuta di birra. Venivano anche uccise
tutte le specie di bestiame e anche cavalli, ma tutto quel sangue che versa‑
vano era detto sangue sacrificale e catini sacrificali quelli in cui il sangue era
contenuto, insieme ai rametti sacrificali, che erano fatti come aspersori, con
ciò si dovevano irrorare gli altari tutto insieme e anche le pareti del tempio
esternamente e internamente e anche aspergere le persone, ma la carne
doveva essere bollita per essere gustata dalla gente. In mezzo al pavimento
del tempio dovevano esserci dei fuochi e sopra dei bacili. Ma colui che era
il capo e faceva la festa, doveva portare la coppa ricolma (full) attorno al
fuoco, allora doveva consacrare la coppa ricolma e tutto il cibo sacrificale; il
primo brindisi (full) doveva essere per Odino – questo doveva essere bevu‑
to per la vittoria e per il sovrano del proprio Regno – ma poi [c’era] il
brindisi (full) di Njǫrðr e il brindisi (full) di Freyr, per la prosperità e la pace.
Allora era abitudine di molte persone bere subito dopo la coppa del prìnci‑
pe (bragafull). Le persone bevevano anche una coppa (full)382 per i loro
380
Vd. p. 128 con nota 108. In proposito vd. Chiesa Isnardi 1993 (cfr. p. 325, nota 130).
381
Germania, cap. 10.
382
Il significato dei termini full, bragafull (o bragarfull) e minni non è univocamen-
te definito. Vd. Turville-Petre 1964 (B.7.1), p. 259 e, soprattutto Cahen 1921 (B.7.1),

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Verso il mondo esterno: il periodo vichingo 197

congiunti, quelli che erano stati tumulati e quelli erano detti brindisi in
memoria (minni).”383

Il termine che, quantomeno in epoca pagana, designava il “sacer-


dote” era goði (pl. goðar), gyðja (pl. gyðjur) quello per “sacerdo-
tessa” (tuttavia anche “dèa”): entrambi verosimilmente formati su
goð “dio”, il che denota inequivocabilmente la sacralità della
funzione.384 È tuttavia immaginabile che talune cerimonie (alme-
no quelle di carattere privato) fossero officiate da membri emi-
nenti della famiglia.
In altri casi abbiamo riti sacrificali di carattere diversificato, a
esempio quello in cui si faceva precipitare la vittima da un’altura,
il sacrificio per affogamento (di tradizione antichissima), l’offerta
alla divinità di un animale da parte di un singolo e poi sacrifici
specifici offerti a persone defunte (ritenute capaci di trasmettere
fecondità) o a divinità minori come le dísir (dísablót) o gli elfi (álfa‑
blót). Usanze di quest’ultimo tipo si collegano tuttavia anche alla
sfera della magia e, soprattutto, a quella del folclore, là dove a
esempio, si ritiene che questi esseri siano capaci di provocare infer-
mità o malattie o comunque di danneggiare l’uomo in diversi modi.
È assai probabile che i riti seguissero regole determinate, in

pp.172-197. Nella Saga degli Ynglingar (cap. 36) di Snorri Sturluson il bragafull viene
messo in relazione con il banchetto funerario in onore di un morto.
383
Hákonar saga góða, cap. 14 (DLO nr. 43). Cfr. nella medesima saga i capp. 17 e 18
dove si allude a sacrifici tenuti presso i templi di Lade e di Mære (su cui cfr. nota 340).
384
In realtà questi termini sono noti soprattutto da fonti islandesi. Nel resto della
Scandinavia la parola goði si ritrova in testi runici in Norvegia e in Danimarca. La
prima occorrenza è quella dell’iscrizione norvegese di Nordhuglo (V secolo, cfr. oltre,
nota 411) nella quale compare gudija col verosimile significato di “sacerdote”; le altre
riguardano la pietra di Helnæs e di quella nr. 1 di Flemose (entrambe in Fionia e
risalenti all’inizio del periodo vichingo) sulle quali si fa riferimento a un nuRa kuþi
“goði degli abitanti di Næs (verosimilmente Helnæs)”: costui nel primo caso aveva
fatto erigere la lapide in memoria del nipote, mentre nel secondo è egli stesso la per-
sona per cui il monumento runico è stato innalzato. In Danimarca troviamo anche una
allusione a un “Alli il Pallido (?) goði dei luoghi sacri” (ala : sauluakuþa), che pare
essere a capo di un gruppo di persone, sulla pietra di Glavendrup (Fionia, inizio del
X secolo). Nello svedese antico si ritrova il termine guþi in composti che indicano
località: in guthagarthom (DS II, nr. 1130, 6 giugno 1295, p. 187); apud curiam nostram
gwdhdathoorph (DS III, nr. 1782, 11 marzo 1311, p. 7); de gudhaby (DS III, nr. 2398,
1 aprile 1323, p. 593); jn guþabodhom (DS V, nr. 4116, 25 ottobre 1346, p. 618) e in
casi analoghi in cui compare il composto liuþguþi “goði del popolo”; è difficile tuttavia
avere certezze in proposito. Vd. Söderwall 1884-1918 (B.5), I, p. 432 e p. 771 e anche
Lundgren 1878 a, pp. 11-12. Cfr. sotto, p. 209.

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198 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

relazione alla potenza sovrannaturale cui il sacrificio veniva innal-


zato, allo scopo e alla tipologia del sacrificio medesimo. È indub-
bio, a esempio, che il sacrificio umano per impiccagione (cioè
senza spargimento di sangue)385 fosse un tributo al dio Odino,386
come testimonia – fra l’altro – un celebre mito nel quale il dio
medesimo dichiara di essersi sottoposto a un rito iniziatico (immo-
lato a se stesso) impiccandosi all’albero cosmico.387 Del resto la
pratica dei sacrifici umani risulta ancora in uso in epoca vichinga.
Essi erano previsti – secondo la testimonianza di Adamo da Bre-
ma (un resoconto redatto nella seconda metà dell’XI secolo) – nel
corso della grande festa che si teneva ogni nove anni nel celebre
tempio di Uppsala. Egli riferisce che durante questa celebrazione
venivano sacrificati animali di sesso maschile (in particolare caval-
li e cani) e uomini, i cui corpi restavano poi a penzolare dagli
alberi sacri nel bosco adiacente il tempio.388 Seppure la testimo-
nianza di Adamo sia tutt’altro che inattaccabile e si possa ritene-
re che in età vichinga i sacrifici umani fossero comunque meno
diffusi che in precedenza,389 non di meno va considerato che in
385
Al cui proposito si può richiamare anche la testimonianza di Ibn Rustah: vd.
testo riportato alle pp. 116-118 (in particolare p. 118).
386
Già Tacito faceva riferimento a sacrifici umani in onore di questo dio (Germania,
cap. 9, dove Odino, secondo la consueta interpretatio romana, è definito Mercurius).
387
Vd. Chiesa Isnardi 20084 (B.7.1), pp. 89-90.
388
Gesta Hammaburgensis […], IV, xxvii: “Pertanto hanno dei sacerdoti assegnati
a tutti i loro dèi, che offrano sacrifici per il popolo. Se incombe una pestilenza o una
carestia si sacrifica al dio Thor, per una guerra a Odino, se si deve celebrare un matri-
monio a Freyr. Inoltre è d’uso ogni nove anni celebrare a Uppsala una festa comune a
tutte le province della Svezia. Dalla qual festa davvero nessuno è esentato. I sovrani e
le tribù, insieme e singolarmente recano i propri doni a Uppsala, e – il che è più crude-
le di qualsiasi punizione – coloro che si sono già convertiti al cristianesimo si sottrag-
gono a quelle cerimonie pagando. Il sacrificio dunque è così: di ogni essere vivente, che
sia maschio, offrono nove esemplari, col cui sangue è consuetudine placare gli dèi. Ma
i corpi vengono appesi in un bosco che sta vicino al tempio. Quel bosco infatti è tanto
sacro per i pagani che in esso i singoli alberi sono ritenuti divini a causa della morte o
della decomposizione delle vittime. Là con gli uomini pendono anche cani e cavalli, e
un cristiano mi ha riferito di aver visto il loro corpi appesi insieme [in numero di] set-
tantadue. Per il resto i canti, che in tale rito sacrificale si usano intonare, [sono] molti
e vergognosi, ragion per cui è meglio tacerne” (DLO nr. 44). Nello scolio 141 (137) si
aggiunge che questo sacrificio avveniva nei giorni intorno all’equinozio di primavera.
È stato tuttavia opportunamente rilevato che la descrizione di Adamo riecheggia per
molti versi l’analogo resoconto contenuto nella Cronaca di Thietmar di Merseburgo a
proposito della grande festa sacrificale che si teneva a Lejre in Danimarca (Selandia)
ogni nove anni in gennaio e durante la quale venivano sacrificati agli dèi novantanove
uomini, cavalli, cani e galli (I, xvii).
389
È difficile stabilire quanto credito si possa dare a una fonte come la Saga dei
Gotlandesi (Guta saga) là dove a riguardo degli abitanti di Gotland dice così: “La
gente credeva nei boschi e nei tumuli, nei luoghi sacri (wi, corrispondente a vé, cfr.

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Verso il mondo esterno: il periodo vichingo 199

molti casi la morte violenta inflitta a un nemico390 o subita da un


sovrano391 mostra (anche quando ciò non venga esplicitamente
dichiarato) le caratteristiche di un rito sacrificale cruento. Un
possibile aspetto ‘giuridico’ dei sacrifici umani, suggerito
dall’espressione dœma til blóts “condannare al sacrificio” è dif-
ficile da valutare, anche perché compare in un numero limitato
di casi.392
Spazi deputati ai sacrifici erano dunque le aree cerimoniali
comuni (templi o siti naturali) ma anche – e non di rado – abita-
zioni private, luoghi nei quali, anche dopo l’affermazione della fede
cristiana molti dei riti antichi avrebbero ancora potuto trovare
sicura collocazione al riparo da sguardi indiscreti.

3.3.9. Magia

La pratica magica è antica quanto l’uomo. Essa è espressione del


suo bisogno di porsi in relazione con le potenze sovrannaturali che
governano l’esistenza dell’universo. Perennemente intrecciata con
la religione se ne distingue – almeno in linea di principio –
per la disposizione nei confronti di quelle potenze, quando anzi-
ché venerarle e invocarle si sforza di influenzarle orientando il
corso degli eventi secondo le necessità del momento.393 Nei fatti
questo limite è difficile da fissare con precisione. A esempio l’of-
ferta di un sacrificio, elemento caratteristico della vita religiosa,
può anche essere intesa come una pratica magica, dal momento
che essa ha lo scopo dichiarato di influenzare l’atteggiamento
delle potenze sovrannaturali nei riguardi dell’uomo. Credenze e
pratiche magiche hanno accompagnato fin da tempi remoti anche
la vita dei popoli del Nord. Testimonianza diretta ce ne viene a
esempio – dall’età della pietra fino a quella vichinga – dal ritro-
pp. 183-184) e nei recinti in cui c’era una colonna sacra (stafgarþa, corrispondente a
stafgarðar; cfr. p. 183 con note 328 e 329) e negli dèi pagani. Essi sacrificavano i loro
figli e le loro figlie e il bestiame con cibo e bevande” (DLO nr. 45). Questa saga risale
al XIII secolo.
390
È questo, a esempio, il caso dell’uccisione di un nemico inflitta per mezzo della
cosiddetta “aquila di sangue” (blóðǫrn), una pratica assai crudele che consisteva nel
tranciare le costole a colpi d’ascia e strappare fuori i polmoni lasciandoli penzolare
sulla schiena come ali.
391
Vd. p. 128 con nota 108.
392
Cfr. la Saga degli uomini di Eyr, cap. 10 e il Libro dell’insediamento (Landnámabók,
p. 126) dove si fa riferimento a una pietra (definita Þórs steinn “pietra di Thor”) sulla
quale venivano uccisi gli uomini destinati al sacrificio.
393
Ström 1967 (B.7.1), pp. 164-165.

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200 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

vamento (spesso all’interno di sepolture) di amuleti, oggetti rite-


nuti capaci di contenere e trasmettere qualche forma di energia
spirituale. Naturalmente la magia è una manifestazione della vita
sociale e – come tale – è soggetta a costante trasformazione,
parallelamente all’evolversi della società medesima. Se dunque,
come precedentemente si è avuto modo di constatare,394 nell’età
della pietra antica la società nordica doveva conoscere riti magi-
ci connessi all’economia basata sulla caccia e/o sulla pesca (a
esempio cerimonie volte a facilitare la cattura di prede animali),
la ‘rivoluzione agricola’ determinò, conseguentemente, lo svilup-
po di nuove forme, legate piuttosto alla fertilità dei campi e al
vigore del bestiame.
Se si accetta l’idea che alla società delle tombe megalitiche cor-
risponda sul piano religioso la venerazione per la famiglia divina
dei Vani,395 sarà inevitabile l’inserimento in tale ambito della pra-
tica magica che, secondo quanto afferma Snorri Sturluson, era
comune fra di loro, una ‘scienza’ che Odino poté apprendere da
Freyja, allorché questa dèa venne accolta fra gli Asi.396 Ben poco di
più è dato sapere, in quanto le fonti si limitano ad aggiungere che
grazie all’esercizio della loro arte magica i Vani erano in grado di
prevedere il futuro.397 Tuttavia, tenuto conto della natura di queste
divinità e della tipologia della società nella quale dovette sviluppar-
si il loro culto, è plausibile che si trattasse soprattutto di una magia
di carattere naturalistico con rituali mirati a promuovere la fecon-
dità: un rapportarsi con le forze della natura per entrare in contat-
to con loro e trarne frutti benefici per la comunità. Questo tipo di
magia vanica, nella quale Odino era stato istruito da Freyja viene
definita seiðr (un termine che etimologicamente dovrebbe essere
connesso a parole che hanno il senso di “legare”):398 una pratica di
carattere estatico-sciamanico che pare caratterizzata al femminile
e il cui esercizio da parte degli uomini prevedeva oscenità (ergi), di
tipo quasi certamente omosessuale, cui Odino medesimo, a quan-
to risulta, non aveva potuto sottrarsi.399 Tuttavia a riguardo di
394
Vd. sopra, pp. 21-22.
395
Vd. sopra, pp. 32-37.
396
Snorri Sturluson, Ynglinga saga, cap. 4.
397
Vd. Chiesa Isnardi 20084 (B.7.1), p. 276 e p. 286, nota 8.
398
Vd. de Vries 1962² (B.5), pp. 467-468 dove si dà conto anche di altre possibilità.
399
In tal senso testimonia chiaramente Snorri Sturluson là dove (Ynglinga saga, cap.
7) afferma: “Odino possedeva l’arte, da cui scaturisce un grande potere e che egli
stesso esercitava, che si chiama magia (seiðr) […] E questa magia quando è messa in
atto comporta una tale impudicizia che ai maschi parve che praticarla non fosse senza
vergogna; e quest’arte fu insegnata alle sacerdotesse” (DLO nr. 46). Anche un carme

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Verso il mondo esterno: il periodo vichingo 201

Odino (dio-mago per eccellenza) le fonti informano del fatto che


egli aveva acquisito anche competenze magiche di altro tipo – lega-
te cioè al possesso e alla conoscenza delle rune – in seguito a un
sacrificio iniziatico nel quale si era immolato a se stesso, restando
appeso per nove notti all’albero cosmico.400 Ciò gli aveva consegna-
to, insieme alle rune, il possesso di canti magici grazie ai quali
aveva il dominio sulle cose del mondo. Pare del tutto verosimile
che le due diverse circostanze facciano riferimento al sovrapporsi
nella figura del dio di cognizioni magiche di diversa natura.401
Accanto alla magia naturalistica nella quale è stato istruito da Freyja,
Odino mostra di possederne una di tipo nuovo, legata al solo pote-
re della parola, una scienza conseguita al termine di un viaggio
iniziatico nel Regno dei morti. Seppure le fonti che riguardano la
pratica magica in epoca vichinga non consentano – per quanto le
allusioni siano abbastanza numerose – di definire i contorni preci-
si della materia (la cui stessa natura induce del resto alla reticenza),
è possibile tuttavia rilevare una qualche distinzione tra procedure
legate all’antica magia di tipo naturalistico e quella, certamente più
recente, legata al potere della parola e collegata all’uso dei segni
runici. Come si è avuto modo di osservare altrove,402 il collegamen-
to fra l’uso grafico e l’uso magico di questi segni sta nella loro
qualità di simboli che concentrano la forza e richiamano il potere
dell’elemento in essi rappresentato; la capacità di scrivere (= inci-
dere le rune) diventa dunque capacità magica, manipolazione di
entità ritenute potenti perché evocatrici di forze positive o nefaste
ed è parallela alla magia verbale nella quale la parola o la formula
hanno potere evocativo e vanno perciò usate con saggezza e mode-
razione.403 Del resto il collegamento tra figure di scaldi e magia
verbale appare inequivocabile, così come è del tutto evidente la
relazione tra componimento poetico e formula magica: l’esistenza
di un metro poetico detto galdralag, il cui nome si riconnette al
termine galdr “canto magico” (ma anche semplicemente “magia”)
sottolinea stretti contatti. In questo contesto deve dunque essere
citata anche una pratica che va sotto il nome di níð, letteralmente
“ingiuria” o “diffamazione” (con precise ricadute penali), che fa

eddico, Le invettive di Loki (Lokasenna, vd. p. 293), str. 23-24, fa esplicito riferimento
a tali comportamenti da parte del dio e di Loki medesimo.
400
Vd. Chiesa Isnardi 20084 (B.7.1), pp. 89-92.
401
Il che viene in effetti ‘riassunto’ nel capitolo 7 della Saga degli Ynglingar, là dove
Snorri Sturluson descrive le caratteristiche del dio.
402
Vd. Chiesa Isnardi 1996, pp. 20-21 e note relative.
403
Vd. Chiesa Isnardi 1992, p. 328.

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202 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

riferimento alla realizzazione e all’esposizione di simboli dal carat-


tere offensivo e/o magico, con lo scopo di oltraggiare pubblica-
mente e annientare socialmente una persona, a esempio raffiguran-
dola (nel cosiddetto tréníð “contumelia [incisa] su legno”) in
atteggiamenti omosessuali o facendola oggetto di maledizioni (lega-
te all’innalzamento del cosiddetto níðstǫng “palo di infamia”) che
tra l’altro appaiono legate alla simbologia erotica di un animale
come il cavallo, intesa tuttavia in senso assolutamente osceno.
Questa pratica, che nella testimonianza dei testi di carattere giuri-
dico appare tanto radicata quanto pericolosa, si esprime anche
attraverso la composizione di “canzoni di infamia” (níðvísur, sing.
níðvísa), capaci – evidentemente – di recare alla vittima un pesan-
te oltraggio con altrettanta efficacia.404 Del resto in due fonti si ha
un collegamento diretto tra la pratica magica operata per mezzo di
simboli e la magia verbale con riferimento a formule e alle rune.405
In nordico viene definito col termine níðskáld un poeta (scaldo)
abile nel comporre versi di infamia;406 anche altri termini quali
ákvæðaskáld, letteralmente “scaldo che compone versi magici” e
kraftaskáld, letteralmente “poeta [dotato di] forza magica” sono
certamente da ricondurre a questo ambito.
Fatte queste osservazioni resta comunque difficile definire un
quadro preciso delle pratiche magiche in epoca vichinga, anche se
esse compaiono nelle fonti con una certa frequenza. Del seiðr sap-
piamo che veniva esercitato da una persona (uomo o donna) che
utilizzava una sorta di impalcatura, seiðhjallr (necessaria per sepa-
rarsi simbolicamente dal mondo) e si avvaleva dell’ausilio di un
gruppo di aiutanti che attorniavano l’officiante intonando canti.
La “maga” era detta seiðkona, seiðmaðr il “mago” (dove kona
“donna” e maðr “uomo”) oppure vǫlva o spákona “indovina”. In
una fonte i canti che accompagnavano il rito sono definiti varðlokur
“richiami per lo spirito protettore (vǫrðr)”.407 Per molti versi (in
particolare lo stato di trance nel quale cadeva chi lo esercitasse) il
seiðr appare in immediata relazione con la pratica magica dei Sami,
alla quale spesso le fonti fanno riferimento indicandoli con il nome
di Finni e sottolineando la loro notevole competenza in questo

404
Vd. l’esempio riportato alle pp. 227-228 con nota 19.
405
Si tratta della Saga dei valligiani di Vatnsdalur (capp. 33-34, p. 88 e p. 91) e
della Saga di Egill Skalla-Grímsson (cap. 57, p. 171).
406
Un ottimo esempio è Gunnlaugr Illugason Lingua di serpente (ormstunga) a
proposito del quale l’omonima Saga di Gunnlaugr Lingua di serpente (Gunnlaugs saga
ormstungu) suggerisce che avesse ereditato tale capacità dal bisnonno (cap. 4).
407
Si tratta della Saga di Eirik il Rosso (si veda la citazione alle pp. 205-206).

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Verso il mondo esterno: il periodo vichingo 203

campo. Lo stato di trance del mago o della maga si collega all’idea


di distacco dell’anima dal corpo e al potere attribuito all’anima
medesima, nucleo spirituale di un essere (hugr).408 A questi concet-
ti è legata tutta una serie di credenze in base alle quali si riteneva
che talune persone (o per meglio dire il loro nucleo spirituale)
potessero assumere diversi aspetti (spesso di animali) e in tale veste
operare azioni magiche. Ciò poteva avvenire in determinate situa-
zioni, in particolare quando ci si trovava in uno stato di trance o
durante il sonno. Per tale motivo a esempio occorreva evitare di
uccidere una persona mentre dormiva, perché nel caso in cui la sua
anima in quel momento si fosse trovata al di fuori del corpo, in
seguito alla morte non avrebbe potuto rientrarvi e sarebbe dunque
divenuta potenzialmente molto pericolosa.
Le persone capaci di cambiare aspetto sono definite in nordico
con l’aggettivo hamramr, letteralmente “potente [nel mutare] il
proprio aspetto (hamr)”. Nel complesso di queste credenze rien-
trano dunque a esempio figure di streghe che durante la notte se
ne vanno in giro utilizzando come cavalcatura il proprio bastone
magico o il cui spirito cavalca le persone che dormono provocan-
do asma e senso di soffocamento (talora sino alla morte), o
– ancora – animali magici che portano a compimento malefici.
Tra le pratiche attribuite agli esseri stregoneschi è nota anche
quella detta útiseta, letteralmente “sedere all’aperto”, con ciò
intendendo l’abitudine di maghi e streghe di rimanere seduti
all’aperto durante la notte in attesa di stabilire un contatto con
qualche spirito.409
In nordico l’idea della qualità magica, turpe e pericolosa di un
essere capace di danneggiare gli umani è espressa nel termine
gandr che può valere “magia”, “bacchetta magica”, “oggetto
magico usato dalle streghe”, “lupo” o “mostro”. Questo termine
compare in forma latinizzata nella Storia della Norvegia redatta
in latino, dove lo si mette in relazione con la magia praticata dai
Sami “per mezzo di uno spirito immondo che chiamano ‘gand’ ”
(“per immundum spiritum quem ‘gandum’ vocitant”).410 È questa
408
Vd. p. 180.
409
Si veda a esempio quanto riferito di un personaggio di nome Sveinn, sopranno-
minato “Corda attorno al petto” (Brjóstreip), nei capp. 65 e 66 della Saga degli uomini
delle Orcadi (Orkneyinga saga), così come la proibizione relativa a tale pratica che si
trova nelle leggi norvegesi del Gulating, nel cui testo si prevedono pesanti sanzioni per
coloro che stanno seduti all’aperto per “risvegliare gli spiriti maligni. per esercitare
con ciò pratiche pagane” (NGL I, p. 19 [32]: “at vekia troll upp. at fremia heiðrni með
þvi”).
410
Historia Norwegie, p. 60.

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204 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

una parola che esprime un concetto di magia rispetto alla quale


è possibile individuare una sorta di ‘presa di distanza’ già nel
testo di una iscrizione runica norvegese del V secolo d.C.411
Essendo del tutto evidente che tale allusione non può assolu-
tamente essere riferibile all’influsso dell’ideologia cristiana,
è possibile che qui ci si trovi di fronte alla rivendicazione di una
dignità religioso-sacerdotale parallela alla distinzione tra una ‘ma-
gia bianca’ (che si sarebbe in seguito evoluta in rituali religiosi)
e una ‘magia nera’, che veniva esercitata senza alcun timore
reverenziale e oltrepassando senza scrupoli il confine del sacro.
Tuttavia è anche possibile collegare questa testimonianza ad
altre, di epoca successiva, che dimostrano come le forme della
magia più antica, così come quella dei Sami (che per taluni
aspetti risultano a essa affini) venissero censurate e considerate
espressione di condizione sociale modesta (o comunque degra-
data) o di popolazioni ritenute culturalmente inferiori.412 Uno
sviluppo per certi versi parallelo si constata là dove si rilevano
chiari segnali di un affrancamento della composizione versifica-
ta da esigenze di carattere magico.
Come che sia, la diffusione di credenze e pratiche magiche
perdurerà nel tempo: l’idea di una forza misteriosa che anima e
attraversa l’universo e di conseguenza ciascun essere e con la
quale è dunque necessario stabilire qualche forma di contatto,
sarà a lungo mantenuta. Ciò è dimostrato non soltanto dall’insi-
stenza e dalla determinazione con la quale i legislatori cristiani si
sforzeranno di sradicare ogni forma di magia, ma anche dal fatto
che i fedeli del nuovo dio venuto dal Sud, il Cristo, vedranno in
lui prima di tutto un mago dotato di qualità straordinarie, capace
di sconfiggere anche la morte. Del resto anche in pieno periodo
pagano la forza e la popolarità dei singoli dèi era dovuta – sostan-
zialmente – alle loro qualità magiche, talora concentrate e simbo-
leggiate in oggetti particolari da loro posseduti, senza i quali essi
paiono ridursi a figure mediocri quando non addirittura grotte-
sche.413

411
Si tratta dell’iscrizione di Nordhuglo (Hordaland), il cui testo recita: ek gudija
ungandiR i h/// da intendere “io, sacerdote, immune contro la magia a H[uglo]”.
412
Vd. Chiesa Isnardi 1996, p. 24 e pp. 27-29.
413
L’esempio migliore di questo è certamente il racconto del componimento eddi-
co Carme di Þrymr dove si riferisce del furto del martello di Thor da parte di un
gigante. È riferito che il dio, pur di rientrare in possesso del suo magico utensile, fu
costretto a travestirsi da donna, fingendosi la dèa Freyja che il gigante aveva chiesto in
sposa (vd. Chiesa Isnardi 20084 [B.7.1], pp. 118-121).

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Verso il mondo esterno: il periodo vichingo 205

Dalla Saga di Eirik il rosso:

“In quel distretto c’era una donna che si chiamava Þorbjǫrg, era una
indovina ed era detta ‘piccola veggente’. Aveva avuto nove sorelle, e tutte
erano indovine, ma lei sola ora viveva. Era abitudine di Þorbjǫrg, duran‑
te l’inverno, recarsi ai conviti, soprattutto la invitavano presso di sé quel‑
le persone che avevano curiosità di conoscere il proprio destino o l’anda‑
mento dell’annata […] Þorkell invitò l’indovina a casa ed ella fu ben
accolta, come era usanza quando si dovevano accogliere donne di questo
tipo. Le era stato preparato un sedile d’onore e sotto di lei era stato posto
un cuscino, dentro dovevano esserci piume di gallina. E quando ella alla
sera arrivò insieme all’uomo che le era stato mandato incontro, era abbi‑
gliata così: aveva un mantello blu con un nastro, ed era ornato di pietre
fino all’orlo; aveva al collo perle di vetro, in testa un cappuccio nero di
pelle d’agnello foderato di pelliccia di gatto bianca; aveva in mano un
bastone con un pomo, esso era ornato con ottone e con pietre sotto al pomo;
cingeva una cintura,414 [appeso] alla quale c’era un grande borsellino di
pelle, e là ella conservava gli oggetti magici di cui aveva bisogno per la sua
scienza. Ai piedi aveva scarpe di pelle di vitello pelose con lunghi lacci e
grandi bottoni di stagno alle estremità. Alle mani aveva guanti di pelle di
gatto che internamente erano bianchi e pelosi. E quando ella entrò, a
tutta la gente parve doveroso rivolgerle saluti deferenti. Ella li accettò a
seconda di quanto le garbavano le persone. Allora il padrone di casa Þor‑
kell la prese per mano e la condusse al sedile che era stato preparato per
lei. Þorkell la invitò a dare uno sguardo alla gente di casa, al bestiame e
alla fattoria. Ella era di poche parole su tutto. La sera furono apparecchia‑
ti i tavoli, e occorre dire che cosa era stato cucinato per l’indovina. Le era
stato preparato del porridge con latte di capra, e cucinati tutti i cuori degli
animali a disposizione. Ella aveva un cucchiaio di ottone e un coltello con
il manico di avorio di tricheco con due anelli di rame e la punta spezzata.
E quando i tavoli furono sparecchiati, il padrone di casa Þorkell andò da
Þorbjǫrg e le chiese che impressione avesse avuto, e quale idea [si fosse
fatta] della fattoria e del modo di fare della gente e quanto ci avrebbe
messo a capire ciò che le chiedeva e che la gente aveva grande curiosità di
sapere. Ella dichiarò che non avrebbe detto nulla prima del mattino suc‑
cessivo, dopo averci dormito [su] la notte. E al mattino, quando era
giorno inoltrato, fu preparata per lei l’attrezzatura di cui aveva bisogno
per mettere in pratica la magia. Ella chiese di avere delle donne, che
conoscessero i carmi che erano necessari per la magia e che si chiamavano
Varðlokur. Ma queste donne non si trovavano. Allora si cercò nella fat‑
toria, se qualcuno [li] conoscesse. Allora Guðríðr disse: ‘Io non sono

414
Il termine nordico, non del tutto chiaro, è hnjóskulindi: forse di trattava di una
cintura con funghi di quelli che crescono sul legno, usati come esca per il fuoco o a
scopi medicinali.

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206 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

una maga né un’indovina, tuttavia Halldís, la mia madrina, in Islanda415 mi


insegnò un carme che ella chiamava Varðlokur.’ Þorkell disse: ‘Sai le cose
al momento giusto.’ Ella disse: ‘Questa è una procedura per la quale non
intendo essere di alcun aiuto, poiché sono una donna cristiana.’ Þorbjǫrg
disse: ‘Così può essere, che tu possa venire in aiuto alla gente di qui, ma non
diventerai una donna peggiore di prima; io chiederò a Þorkell di procurare
quelle cose che sono necessarie.’ Þorkell esortò Guðríðr, ed ella affermò che
avrebbe fatto come lui voleva. Allora le donne si disposero in cerchio attor‑
no all’impalcatura, ma Þorbjǫrg stava sopra. Guðríðr allora recitò il car-
me così bene e piacevolmente, che a nessuno dei presenti pareva di aver mai
udito il carme recitato con voce più armoniosa. L’indovina la ringraziò per
il carme e disse che molti spiriti erano arrivati e che pareva [loro] di udire
qualcosa di bello, perché il carme era stato recitato così bene – ‘ma prima
volevano separarsi da noi e non darci ascolto. Ma ora mi sono chiare molte
delle cose che prima mi erano nascoste e molte altre […].’ Poi le persone
andarono dall’indovina e ciascuno chiedeva quello che era più curioso di
sapere. Ella era anche disponibile nel rispondere; poco andò diversamente
da ciò che aveva previsto. Dopo di ciò la mandarono [a chiamare] da un’al‑
tra fattoria; ella allora si recò là.”416

3.4. Il mondo nordico nel periodo vichingo

3.4.1 Insediamenti abitativi ed economia

La vita quotidiana in epoca vichinga si svolgeva in villaggi più o


meno grandi oppure in fattorie indipendenti che costituivano del-
le vere e proprie unità abitative ben organizzate (il primo tipo di
insediamento è assai più frequente al sud, il secondo al nord).
Certamente la notevole espansione dei villaggi costituisce una
caratteristica di questo periodo: è evidente che essa si lega agli
sviluppi sociali ed economici delle aree maggiormente avvantag-
giate dal punto di vista produttivo (in particolare dunque regioni
come, in primo luogo quelle danesi), mentre la fattoria isolata
abitata da individui legati da vincoli familiari (e in molti casi dai
loro ‘domestici’) si mantiene là dove le condizioni e le risorse

Si tenga presente che gli avvenimenti qui riferiti si svolgevano in Groenlandia.


415

Eiríks saga rauða, cap. 4 (DLO nr. 47). Cfr. il cap. 10 della Saga dei valligiani di
416

Vatnsdalur, dove si fa riferimento a una situazione analoga e si precisa (l’azione si


svolge tuttavia in Norvegia) che la maga era di etnia sami.

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Verso il mondo esterno: il periodo vichingo 207

ambientali limitano giocoforza il numero delle persone. Diversi


insediamenti sono stati scavati e studiati.417 Piuttosto comune è la
casa allungata, talora con le pareti arrotondate, che riprende (anche
con variazioni) un modello costruttivo di antica tradizione. Gli
edifici, per lo più di pianta rettangolare, presentano un tetto soste-
nuto da pilastri. Ai lati vi erano delle panche in mezzo alle quali
stava il cosiddetto “sedile d’onore”, riservato al padrone di casa.
Naturalmente nelle abitazioni più ricche questo “sedile d’onore”
(ǫndvegi, letteralmente “[sedile d’]onore opposto”)418 e quello – di
fronte – destinato all’ospite più eminente erano realizzati in modo
da rimarcare l’importanza sociale di chi vi prendeva posto. Le
fonti, in particolare quelle islandesi, fanno riferimento ai pilastri
che stavano ai lati di questo sedile (ǫndvegissúlur) e attribuiscono
loro un’importanza quasi religiosa.419 I materiali di costruzione sono
innanzi tutto legno e pietra (soprattutto nei basamenti), talora
canniccio ‘intonacato’ e poi torba e zolle. Il loro uso dipende,
naturalmente, dalle condizioni climatiche della zona di riferimento:
nelle regioni più settentrionali è evidente la necessità (e dunque la
consuetudine) di prevedere un migliore isolamento termico delle
abitazioni. Una sola porta di ingresso, nessuna finestra alle pareti
(un elemento che verrà inserito in un secondo tempo), un’apertu-
ra nel tetto per fare entrare un po’ di luce e far sfiatare il fumo del
fuoco che arde al centro sul pavimento. Altra luce diffusa dalle
lampade. Alle pareti panche, utilizzate nella notte come giacigli.
L’arredamento ridotto all’essenziale: qualche cassapanca, magari
un rozzo tavolo. Naturalmente occorre distinguere tra le semplici
case della gente comune e le dimore di prestigio le quali non solo
sono meglio rifinite (magari con un rivestimento delle pareti inter-
ne) e fornite di un arredamento più ricco, ma mostrano anche una
suddivisione degli spazi più articolata (a esempio possono esserci
piccoli vani laterali destinati a ospitare i letti delle persone più
importanti, il che garantisce allo stesso tempo maggiore riservatez-
za e maggiore sicurezza). Presto compariranno una suddivisione in
‘stanze’420 così come costruzioni destinate a scopi specifici: capan-
noni di ricovero per le imbarcazioni nei mesi invernali, officine,
417
Foote – Wilson 1973, pp. 149-158; Barbarani 1987 (C.3.1), pp. 138-140.
418
Vd. anche altre spiegazioni in de Vries 1962² (B.5), p. 687.
419
Cfr. pp. 147-148 e p. 150; vd. Birkeli E., Høgsætet. Det gamle ondvege i religionshisto-
risk belysning, Stavanger 1932.
420
Vd. a esempio il sito di Jarlshof nelle Shetland, così denominato da Walter Scott
(1771-1832) nel suo romanzo Il pirata (The Pirate. By the Author of “Waverley,
Kenilworth” &c. In Three Volumes. Vol. I [II-III]. Edinburgh, Printed for Archibald
Constable and Co. And Hurst, Robinson and Co., London 1822).

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208 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

magazzini, stalle (prima in molti casi agli animali era assegnato uno
spazio accanto agli uomini), fienili, piccole costruzioni destinate ai
lavori delle donne (tessitura e cucito) o ad altri usi.
L’economia si fondava sull’agricoltura (curata in buona parte
dalle donne e dagli schiavi) con prevalenza dell’allevamento (bovini,
ovini, suini, ma anche cavalli e animali da cortile) nelle aree le cui
condizioni climatiche non erano favorevoli alla coltivazione; la cat-
tura di prede animali (caccia e pesca) conservava la sua importanza
anche in relazione al fatto che essa forniva merci da vendere (come
pelli e pellicce). Il commercio (anche quello locale, più difficile da
definire nei suoi aspetti)421 appare ulteriormente esteso e consolida-
to. A ciò si collega, evidentemente, l’affermazione delle prime città
(le già citate Helgö e Birka sul Mälaren in Svezia, Hedeby
e Ribe in Danimarca, Skiringssal, detta altrimenti Kaupang, un
nome che ben ne sottolinea l’attività mercantile,422 in Norvegia).423
Uno sviluppo in questo senso si definirà tuttavia solo nella fase
finale del periodo vichingo quando gli interessi politico-economici
di sovrani ed ecclesiastici favoriranno lo sviluppo di località come
Sigtuna e Skara in Svezia, Nidaros (Niðaróss, l’attuale Trondheim),
Oslo e Bergen in Norvegia, Viborg, Roskilde, Odense, Aarhus424 e
Lund in Danimarca.425 In relazione al fiorire del commercio con-
statiamo anche la comparsa delle prime monete nordiche (le più
antiche a Hedeby nella prima metà del IX secolo, ma una conia-
zione significativa si avrà soltanto a partire dagli ultimi decenni del
X secolo), così come la chiara definizione di un sistema di misure
421
Foote – Wilson 1973, pp. 192-195.
422
In antico nordico del resto il termine kaupangr significa “centro commerciale”,
“mercato” e si ritrova nelle diverse forme (dan. købing, sved. köping, norv. kaupang),
da solo o in composti, nei toponimi che indicano, appunto, questo tipo di località (vd.
p. 390). Per l’etimologia, che rivela gli influssi anglosassoni e basso-tedeschi, vd. de
Vries 1962² (B.5), p. 304.
423
Vd. Clarke – Ambrosiani 1995; Holmqvist W., Swedish Vikings on Helgö and
Birka (photographer: K-E. Granath), Stockholm 1979; Ambrosiani B., Birka vikinga-
staden, I-V, Stockholm 1992-1996; Jankuhn J., Haithabu, ein Händelsplatz der Wikin‑
gerzeit, Neumünster 19634; Eriksson H.S., Hedeby. En søhandelsstad i vikingetiden,
København 1967; Feveile Cl. (red.), Ribe studier. De ældste Ribe, udgravninger på
nordsiden af Ribe Å 1984-2000, I-II, København 2000-2006; Blindheim Ch., “The
Market Place in Skiringssal. Early Opinions and Recent Studies”, in AA XXXI (1960),
pp. 83-100; Blindheim Ch., Kaupang. Vikingenes handelsplass, Oslo 1972 e Skre D.
(ed.), Kaupang in Skiringssal, [Århus-Oslo] 2007.
424
Per il nome di questa città si userà qui sempre la grafia Aarhus (stabilita ufficial-
mente nel 2010) anziché quella, parallela, Århus (tranne quando esso faccia parte di
una indicazione bibliografica, nel qual caso sarà riportato così come stampato sul libro).
425
Barbarani 1987 (C.3.1), pp 135-136. Si ricordi che la regione della Scania (nel-
la quale si trova la città di Lund) apparteneva al Regno danese.

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Verso il mondo esterno: il periodo vichingo 209

e di valori, ben testimoniato nel ritrovamento di bilance e pesi.426


Nonostante lo sviluppo del commercio gran parte delle materie
prime veniva tuttavia prodotta e lavorata localmente e i prodotti di
pregio importati restavano privilegio delle classi sociali più elevate.
Naturalmente il contributo delle diverse voci economiche varia a
seconda dell’area considerata e l’alternarsi di periodi di prosperità
o gravi ristrettezze mostra di dipendere strettamente da stagioni
segnate da un clima più o meno favorevole.

3.4.2. Organizzazione sociale

Nel periodo vichingo la stratificazione sociale risulta ben mar-


cata e definibile piuttosto chiaramente. Al vertice della società
c’erano figure di capi e di sovrani. In uno studio tutt’altro che
superato Claudio Albani427 ha evidenziato come l’istituto monar-
chico così come si è venuto configurando nei Paesi nordici abbia
alle spalle un lungo processo. La forma più antica di autorità dovet-
te essere quella che legava alla figura del sovrano una funzione
sacrale, secondo quanto in precedenza è stato rilevato.428 Questo
tipo di potere, che si espletava comunque in ambiti territorialmen-
te limitati, costituiva un principio assai radicato, tanto è vero che
continuò a esistere, manifestandosi in diverse forme, anche nel
periodo vichingo. A esso – e al suo caratteristico intersecarsi di
autorità sociale e al contempo religiosa – va ricondotto il dominio
di molti capi locali. L’Islanda fornisce un ottimo esempio di questa
doppia funzione nelle figure dei goðar, al contempo sacerdoti e
rappresentanti legali di una comunità (sebbene la seconda funzio-
ne diventi poi predominante).429 L’idea di regalità come condizione
sacrale avrebbe a lungo accompagnato le figure dei sovrani nordi-
ci e delle loro dinastie.
Ma accanto all’aspetto della prosperità che deriva da una eco-
nomia fiorente e da un proficuo rapporto con le forze divine, c’è
quello della forza e della difesa della società affidata alle capacità
militari. In questo ambito si sviluppa naturalmente un altro tipo di
426
La scala (così come riportata in Foote – Wilson 1973, p. 197) è la seguente: 1
mǫrk (“marco”, pl. merkr) = 8 aurar (sing. eyrir) = 24 ørtogar (sing. ørtog) = 240 pening-
ar (sing. pening). Un pening costituiva la moneta d’argento di base. È da ricordare che,
come del resto in Europa e nell’Asia occidentale, l’argento costituiva un comune e
pregiato mezzo di pagamento.
427
Albani 1969 (C.6).
428
Vd. sopra, pp. 127-128.
429
Cfr. sopra, p. 197 con nota 384.

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210 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

autorità, assai più della precedente legata a qualità personali piut-


tosto che a ragioni dinastiche o familiari. È d’altronde evidente che
ove si verifichi la felice combinazione di questi due elementi in
un’unica figura il suo prestigio sarà grandemente accresciuto e,
contemporaneamente, sarà agevolato quel processo di associazione
di individui e risorse che determina la formazione di nuclei più o
meno estesi di potere.
Quanto qui sommariamente ricordato costituisce il fondamen-
to delle tipologie di autorità presenti nella Scandinavia di epoca
vichinga, in una situazione che tuttavia presenta tratti di com-
plessità. In una società che aveva una base a carattere sostanzial-
mente tribale, seppure avesse già conosciuto importanti forme
di aggregazione e di concentrazione del potere, il frazionamento
dell’autorità era un dato di fatto, complicato da alleanze, rivali-
tà, disparità delle forze. Del resto, se non altro a giudicare dai
protagonisti degli eventi e dei conflitti che in epoca vichinga
condussero alla formazione degli stati nazionali, non è dato
osservare forme sociali di preclusione assoluta a posizioni di un
certo rilievo (con speciale riguardo a quello ottenuto per via
militare), rimanendo ovviamente nella cerchia degli uomini libe-
ri. Quando i discendenti di importanti dinastie vorranno impor-
re la propria autorità su territori di grande estensione, sia coloro
che cercheranno di opporsi, sia coloro che sottomettendosi e
stringendo utili alleanze sapranno lucrare posizioni più o meno
vantaggiose, saranno da ricercare in questo ambito. La gran
parte dell’aristocrazia nordica discenderà da queste persone e
dalle loro famiglie.
Nel periodo vichingo accanto alla figura del re (konungr)430
emergono quelle dei cosiddetti jarlar (sing. jarl), ben noti soprat-
tutto in Norvegia. Il termine, corradicale dell’inglese earl, indi-
cava personaggi investiti di una autorità pari quasi a quella di
un sovrano. Sebbene a riguardo della Svezia le informazioni
siano più scarse, sappiamo tuttavia per certo che la carica di jarl
dovette essere presente anche in quel Paese fin dal periodo
vichingo: del resto in epoca successiva il prestigio di un perso-
naggio come il celebre Birger jarl431 mostra di fondarsi su una
tradizione ben consolidata. La medesima situazione è ipotizza-
bile per la Danimarca, seppure il termine non sia attestato nelle
fonti più antiche.432
430
Cfr. sopra, p. 34, nota 78.
431
Vd. oltre, pp. 350-353.
432
Foote – Wilson 1973, p. 135.

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Verso il mondo esterno: il periodo vichingo 211

Ufficio di una certa importanza dovette essere quello di hersir


(pl. hersar) cui si fa riferimento a proposito della regione norvege-
se del Trøndelag e delle zone costiere occidentali: questa funzione
era probabilmente legata a incombenze di tipo militare, come
rivela anche l’etimologia del nome che lo ricollega a herr, “schiera”
“esercito”. La carica di hersir, piuttosto antica, sarebbe decaduta
nel corso dell’XI secolo.
I sovrani del periodo vichingo (e similmente gli jarlar) mostra-
no in misura predominante le caratteristiche del capo guerriero,
piuttosto che quelle del sovrano fecondo (sebbene queste ultime
continuino a trasparire nelle fonti). Ciò si osserva anche dalla
presenza accanto a loro del gruppo degli “uomini di corte”, la
cosiddetta hirð. Con questa parola non ci riferisce genericamen-
te alle persone che affiancavano il re essendo legate a lui (e alla
sua politica) da comuni interessi. Diversi testi informano infatti
che la hirð (le cui radici vanno certamente ricercate in quello che
con termine tacitiano viene definito comitatus)433 era una istitu-
zione vera e propria, disciplinata da norme precise che regolava-
no il rapporto fra il sovrano (o comunque il capo) e i suoi uomi-
ni.434 Fedeltà assoluta e disponibilità totale nei confronti del
signore da parte dei componenti della hirð in cambio di equa e
generosa (qualche volta generosissima) ricompensa e di sicura
protezione. Le fonti letterarie (in particolare la poesia scaldica,
poesia innanzi tutto ‘cortese’)435 esprimono non di rado nell’elo-
gio del signore un giudizio di approvazione della sua condotta
nei confronti degli uomini della corte. Non mancano, per conver-
so (specie in testi di carattere ‘storico’), giudizi di disapprovazio-
ne sociale espressi su taluni sovrani. Della necessità di guadagnar-
si il consenso e di istituire una efficiente organizzazione militare
molti signori appaiono dunque ben consapevoli, dimostrandosi
capaci di costituire il proprio potere sui diversi territori e di trarne
benefici di carattere economico (tributi) ma anche risorse umane
(uomini d’armi reclutati all’occorrenza). Una testimonianza lessi-
cale in questo senso viene dal termine ant. nordico leiðangr
che designa l’arruolamento di uomini per spedizioni marinaresche,

433
Vd. sopra, pp. 98-99 con note 8 e 9.
434
Sono noti infatti veri e propri codici di leggi che regolavano il rapporto del re
con i suoi uomini: un esempio più tardo è il cosiddetto Elenco [delle leggi] di corte
(Hirðskrá), raccolta delle norme relative alla corte del re norvegese Håkon Håkonsson
e di suo figlio, Magnus Emendatore di leggi Håkonsson; vd. p. 369; cfr. p. 394, nota
261.
435
Vd. oltre, 5.2.2.

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212 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

includendo anche la raccolta di navi e mezzi finanziari a quello


scopo.436
Nella classe degli uomini liberi rientrano anche coloro che con
espressione tanto generica quanto inadeguata si usa definire
‘liberi contadini’. In realtà si trattava di persone di diverso peso
sociale, in relazione alla famiglia di appartenenza, alla loro posi-
zione al suo interno (capofamiglia o familiare, a esempio fratello
minore), all’estensione delle terre possedute (nella maggioranza
dei casi da lungo tempo patrimonio indiviso) o condotte in loca-
zione. Si trattava d’una componente sociale di grande importan-
za che produceva beni indispensabili e controllava una notevole
quota della ricchezza disponibile attraverso una gestione ben
organizzata (le fonti fanno preciso riferimento anche a figure di
amministratori), legata non soltanto al lavoro agricolo ma anche
ad altre attività artigianali, come quella del fabbro o del carpen-
tiere. Il termine nordico con cui si designano le persone più
ragguardevoli in questo contesto è bóndi che ha senso di “pro-
prietario terriero” (talora si trova óðalsbóndi, dove óðal indica il
“possedimento di proprietà della famiglia”).437 Nell’evoluzione
della società scandinava gli appartenenti a questa categoria socia-
le ebbero diversi destini. Come mostrano le vicende relative alla
colonizzazione dell’Islanda molti di loro avevano una visione di
vita fortemente tradizionale e preferirono l’esilio volontario quan-
do si trovarono di fronte alla necessità di accettare un nuovo
ordine sociale e divenire a tutti gli effetti sudditi di un sovrano.
Altri (non pochi) si adeguarono e seppero allearsi al potere cen-
trale, fornendo sostegno economico e militare. Ciò del resto
avvenne anche fra gli Islandesi: le saghe infatti conoscono diver-
si personaggi (soprattutto appartenenti alle giovani generazioni)
che seguendo il richiamo d’una vita avventurosa cercarono for-
tuna nelle spedizioni vichinghe ed entrarono a far parte delle
corti di grandi sovrani, talora anche inglesi.438
La società nordica conosceva gli schiavi (non di rado prigionie-
ri di guerra ai cui figli toccava la medesima sorte) la cui posizione
non garantiva diritti e ai quali venivano affidati i lavori più gravosi;
spesso costoro erano oggetto di disprezzo, quando non di maltrat-
tamenti. Nei diversi codici di leggi è ben evidenziato il loro irrile-
436
Vd. oltre, p. 330.
437
Un altro termine in uso in Norvegia è hǫldr o hauldr, vd. Foote – Wilson 1973,
pp. 84-85. Cfr. p. 142.
438
Un bell’esempio letterario di questo mondo e della sua mentalità si può leggere
nelle pagine della Saga di Egill Skalla-Grímsson (soprattutto i primi trenta capitoli).

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Verso il mondo esterno: il periodo vichingo 213

vante valore sociale.439 Nelle fonti letterarie essi vengono spesso


descritti come privi di qualità e di personalità. Ma gli schiavi face-
vano comunque parte, se non altro a motivo del loro lavoro, della
grande comunità domestica e, talvolta (a esempio per la liberalità
del padrone) potevano essere affrancati (il che doveva avvenire con
un pronunciamento ufficiale di fronte all’assemblea). Nel corso del
XIII secolo con la definitiva affermazione del cristianesimo, l’av-
vento di nuovi mezzi di sostentamento e il rafforzamento del pote-
re centrale, la condizione di schiavitù andò via via scomparendo.440
Una condizione peggiore di quella degli schiavi era certamente
sperimentata da coloro che in base a una decisione assunta dall’as-
semblea erano dichiarati “fuorilegge” (in nordico útilegu-maðr, ma
anche – un termine che ben rivela la loro condizione di reietti –
skógarmaðr, letteralmente “uomo [che vive] nella foresta”).441 In
realtà una sentenza di questo tipo poteva essere più o meno grave,
nel senso che in alcuni casi la sanzione era limitata nel tempo o era
data, in alternativa, la possibilità del pagamento di una somma di
denaro per annullare o ridurre la condanna. Ma per chi fosse stato
giudicato meritevole di una punizione definitiva che dovesse dura-
re per il resto dei suoi giorni, le condizioni di vita divenivano dif-
ficilissime. A costui infatti nessuno poteva dare aiuto, ricovero o
qualsivoglia forma di assistenza. I suoi beni venivano confiscati,
egli doveva allontanarsi dalla famiglia nei cui confronti non aveva
più diritti ed era costretto a cercare di sopravvivere con i propri
mezzi contando solo sulle sue forze. Chiunque avrebbe potuto
ucciderlo senza incorrere in alcun tipo di ritorsione. Seppure nei
diversi codici di leggi siano presenti distinzioni legate al territorio
di riferimento, in tutti emerge tuttavia la sostanziale estrema gra-
vità di una tale condanna. La quale ha certamente radici molto
antiche, se si pensa che essa in realtà consiste nell’espulsione dalla
Sippe, un organismo che – come si è visto – aveva per secoli costi-
tuito il punto di riferimento essenziale di ogni individuo, non da
ultimo dal punto di vista economico. Con ciò si dichiarava dunque
la ‘morte sociale’ (e di conseguenza assai spesso anche fisica) di una
persona.442
439
Vd. Williams 1937, Nevéus 1974 (C.6.2), Karras 1988, Iversen 1997 e Lindkvist
– Myrdal 2003.
440
Foote – Wilson 1973, pp. 77-78.
441
La valenza legale del termine traspare dal fatto che esso era utilizzato anche in
Islanda, un Paese in cui – per evidenti ragioni climatico-ambientali – non c’erano
foreste in cui rifugiarsi.
442
Le saghe degli Islandesi ci ricordano tragiche figure di ‘fuorilegge’, lasciando a
volte intendere tale condanna come conseguenza di un destino di sfortuna, piuttosto

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214 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

La letteratura mitologica dedica all’origine delle classi sociali un


intero componimento in versi che ha nome Carme di Rígr (Rígs-
þula). Vi si narra che il dio Heimdallr, disceso nel mondo degli
uomini con il nome di Rígr,443 fu ospitato da tre coppie di sposi: Ái
ed Edda (“Bisnonno” e “Bisnonna”), Afi e Amma (“Nonno” e
“Nonna”), Faðir e Móðir (“Padre” e “Madre”). In ciascuna occa-
sione egli giacque tre notti nel medesimo letto degli sposi e in
seguito le tre donne generarono un figlio. Il figlio di Edda ebbe
nome Þræll (“Schiavo”), quello di Amma ebbe nome Karl (“Uomo
libero”, “Contadino”), quello di Móðir ebbe nome Jarl (“Uomo nobi-
le”, “Guerriero”). Del primo è detto che si sposò con Þír (“Schia-
va”) e da lei ebbe molti figli e figlie (a costoro sono attribuiti nomi
che fanno riferimento a lavori gravosi o alla rozzezza dell’aspetto);
da loro sono derivate le stirpi degli schiavi. Del secondo è detto
che sposò Snør (“Nuora”) e da lei ebbe molti figli e figlie (a costo-
ro sono attribuiti nomi che fanno riferimento alla classe sociale dei
liberi contadini, anche in relazione a un aspetto curato e ad apprez-
zabili qualità caratteriali);444 da loro sono derivate le stirpi dei
liberi contadini. Del terzo, infine, è detto che sposò Erna (“Attiva”,
“Vigorosa”) e da lei ebbe molti figli e figlie (i cui nomi fanno rife-
rimento a legami familiari, trasparente indizio di una sottolineatu-
ra dinastica); da loro sono derivate le stirpi degli uomini nobili e
dei guerrieri. Il mito aggiunge che Heimdallr, tornato sulla terra,
riconobbe come proprio il figlio Jarl, al quale insegnò le rune e
donò possedimenti. Il più giovane dei figli di Jarl, che eccelleva in
ogni cosa, aveva nome Konr. Con un abile gioco di parole l’ignoto
versificatore lo definisce “il giovane Konr”, in nordico Konr ungr
(dove ungr “giovane”): dalla fusione di questi due termini risulta
konungr “re”.
Seppure la donna nel mondo vichingo si trovasse in una posizio-
ne meno svantaggiata rispetto ad altre società, ella restava in ogni
caso, almeno dal punto di vista strettamente legale, in una condi-

che di colpe vere e proprie. Celebri fra tutti sono Grettir Ásmundarson e Gísli Súrsson
vissuti in quella condizione per molti anni. A loro sono dedicate rispettivamente la
Saga di Grettir Ásmundarson (Grettis saga Ásmundarsonar) e la Saga di Gísli Súrsson.
443
Presumibilmente “re”, dal celtico righ.
444
Uno tuttavia è detto Seggr “Guerriero”. Assai interessanti nell’elenco dei nomi dei
figli di Amma sono Hǫldr e Bóndi (che riprendono termini sopra trattati), ma anche
Drengr, Þegn e Smiðr. Il primo (che ha senso di “uomo giovane”) e il secondo (che
significa “uomo libero”, cfr. ingl. thane) paiono alludere in epoca vichinga a una deter-
minata condizione sociale (vd. Foote – Wilson 1973, pp 105-108). Smiðr che significa
“fabbro”, “artigiano” si riferisce in modo evidente all’importanza di queste figure
nell’economia della società vichinga (vd. p. 90 con nota 104 e p. 219 con note 459 e 460).

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Verso il mondo esterno: il periodo vichingo 215

zione di inferiorità. Nell’elaborazione mitologica della struttura


sociale l’elenco dei figli di Jarl non comprende nomi femminili!
Ogni donna aveva comunque un tutore, si trattasse del padre o di
un altro membro maschile della famiglia; la sua autonomia era
fortemente condizionata e la sua condotta sessuale ben più con-
trollata rispetto a quella dell’uomo: è sufficiente ricordare qui che
il marito (che pure godeva di ampia libertà nei rapporti con altre
donne) aveva, in caso di adulterio, il diritto di uccidere la moglie e
il di lei amante. Tra le diverse forme di matrimonio445 quella che
aveva maggiore rilevanza era nella sostanza un contratto utile a
rafforzare legami e a determinare conseguenze sociali e politiche:
nella sua stipula la volontà della donna non aveva praticamente
alcun peso. Ci sono – addirittura – testimonianze della ‘cessione’
della propria moglie a un altro uomo (come ‘eredità’ o gesto di
munificenza).446 Solo lo stato di vedovanza affrancava – almeno in
parte – dall’autorità patriarcale. Il divorzio (con le sue precise
conseguenze nei rapporti tra le famiglie) era ottenibile con una
certa facilità, ma esigeva, proprio per la sua ricaduta sociale, la
presenza di testimoni. Ciò nonostante appare evidente dall’esame
delle fonti che molte figure di donne, specialmente tra quelle
appartenenti ai ceti più elevati, godevano da parte degli uomini di
stima e considerazione. Numerosi episodi citati nelle saghe degli
Islandesi ne forniscono ragguardevoli esempi, suggerendo in diver-
si casi una profonda ammirazione nei confronti di personaggi
femminili (come è il caso di Bergþóra Skarpheðinsdóttir, moglie di
Njáll Þorgeirsson o di Auðr Vésteinsdóttir, moglie di Gísli Súrsson).447
Né mancano, accanto alle valchirie, mitologiche donne guerriere,
figure capaci di assumere in prima persona iniziative coraggiose se
non addirittura temerarie, progettando e conducendo a termine
con determinazione i loro propositi: basti pensare alla condotta di
Guðrún, così come descritta nelle fonti relative al ciclo dei
Nibelunghi,448 o alla vicenda di Hervǫr, eroina-guerriera della leg-
gendaria Saga di Hervǫr e di re Heiðrekr.
445
Analiticamente esaminate in Scovazzi 1975 (B.8), pp. 1-98.
446
Il riferimento è qui a un episodio narrato nella Saga di Egill Skalla-Grímsson,
cap. 9 e alla Saga degli uomini di Flói (Flóamanna saga), cap. 17.
447
Il riferimento è alla Saga di Njáll del rogo e alla Saga di Gísli Súrsson. Due episo-
di significativi in proposito sono riportati e tradotti in Chiesa Isnardi 20084 (B.7.1),
pp. 22-23.
448
Vd. Chiesa Isnardi 20084 (B.7.1), pp. 395-400. Di lei è detto che per vendicarsi
del marito che le aveva fatto assassinare i fratelli fu capace di uccidere i propri figli e
di cucinare i loro cuori che diede poi in pasto al consorte, facendogli credere che si
trattasse di cuori di vitello, per rivelargli infine la terribile verità.

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216 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

Come in ogni epoca anche nel periodo vichingo il ricordo


dell’appartenenza a famiglie eminenti è affidato dopo la morte a
tombe sontuose. L’immaginario comune che lega i riti funerari di
epoca vichinga alla nave ha una propria giustificazione sostanzia-
le nelle evidenze archeologiche. In età vichinga l’uso della nave
funeraria, caratteristico delle sepolture di guerrieri dell’epoca di
Vendel, si estende e si differenzia in varie forme. Nelle zone sve-
desi, così come in quelle sottoposte al dominio dei Danesi (Scania
compresa, dunque) ricompaiono i cosiddetti skeppsättningar,
monumenti funerari costituiti da pietre infisse nel terreno a for-
mare la sagoma di una imbarcazione.449 Tra i più noti quello di
Kåseberga (Scania) noto con il nome di Ales stenar450 e quello di
Anundshögen (Västmanland). Altrettanto importanti sono tutta-
via le navi funerarie in legno, rinvenute sotto tumuli nelle regioni
norvegesi di Østfold e Vestfold. Fra di esse i celebri vascelli di
Oseberg e di Gokstad. In particolare la nave di Oseberg, costrui­
ta per la sepoltura di una regina di nome Ása (forse la medesima
citata nella Saga degli Ynglingar),451 è arricchita da un sontuoso
corredo: accanto alla nobile defunta infatti sono stati rinvenuti i
resti di una donna (verosimilmente una schiava), di quattro cani
e quindici cavalli, una slitta e un carro, attrezzi per la tessitura e
l’agricoltura, utensili per la tavola, pettini, spille e un arazzo sul
quale è raffigurata tra l’altro una sorta di processione. Nella nave
di Gokstad – che conteneva i resti di un uomo – sono stati rinve-
nuti diversi oggetti tra cui assi di legno intagliate in forma di testa
equina, frammenti di una tavola da gioco con relative pedine,
vassoi, un’ascia in legno (evidentemente di valore esclusivamente
simbolico e cultuale).452 In Danimarca è notevole la tomba di
Ladby (Fionia) nella quale dovette essere sepolto con tutti gli
onori un ‘re locale’. Ricordi di una aristocrazia influente e bene-
stante, la cui potenza economica era sostenuta da ricchi traffici
commerciali che facevano affluire nelle terre nordiche ingenti
ricchezze, non di rado rinvenute in depositi (veri e propri ‘tesori’
contenenti grandi quantità di argento lavorato e non) presenti in
449
Cfr. sopra, p. 59 con nota 178.
450
Una interpretazione ‘astronomica’ di questo monumento si trova in Myllenberg
B., “Visar Ales stenar antalet soltimmar året runt?”, in PA XIII: 1 (1995), p. 37; vd.
anche Svensson Kr., “Ales stenar”, in PH 2006: 2, pp. 48-62. Il poeta Anders Österling
(vd. p. 1171) ha composto una poesia dal titolo Ales stenar, compresa nella raccolta
Suono dal mare (Tonen från havet, Stockholm 1933, pp. 47-49) musicata in seguito da
Michael Waldenby (n. 1953), op. 51.
451
Cap. 48.
452
Cfr. pp. 104-105.

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Verso il mondo esterno: il periodo vichingo 217

Norvegia, in Danimarca e in Svezia (soprattutto nelle isole di


Öland e Gotland).453
Ma gli omaggi riservati dopo la morte a personaggi importanti
trovano conferme anche nelle fonti scritte. Innanzi tutto il noto
resoconto del diplomatico arabo Ibn Fad·lān454 che aveva assistito
alle esequie di un capo vichingo; poi l’altrettanto celebre passo di
Snorri Sturluson che dopo aver riferito del dramma mitologico
incentrato sulla morte del dio Baldr, figlio prediletto di Odino e di
Frigg, ne descrive il funerale sontuoso organizzato dagli Asi: un
racconto nel quale forse si vuole suggerire che le persone eminen-
ti possiedono – almeno di fronte alla morte – una dignità pari a
quella degli dèi.

Da Edda di Snorri Sturluson:

“Ma gli Asi presero il cadavere di Baldr e lo portarono al mare. La nave


di Baldr si chiamava Hringhorni, essa era la più grande di tutte le navi; gli
dèi volevano spingerla [sull’acqua] e fare là il funerale di Baldr. Ma la nave
non avanzava. Allora mandarono a cercare in Iǫtunheimr [il Paese dei
giganti] quella gigantessa che si chiamava Hyrrokkin, e quando ella arrivò
cavalcava un lupo e aveva serpi velenose per briglie; ella balzò giù dalla
cavalcatura e Odino chiamò quattro berserkir455 per fare la guardia alla
cavalcatura ma non poterono tenerlo fermo finché non lo abbatterono.
Hyrrokkin andò al dritto di prua dell’imbarcazione e la spinse avanti al
primo scossone, così che sprizzò fuoco dai rulli e tutte le terre tremarono.
Allora Thor si infuriò e afferrò il martello e le avrebbe fracassato la testa,
se tutti gli dèi non avessero chiesto grazia per lei.
Poi il cadavere di Baldr fu portato fuori sulla nave, e quando sua moglie

453
Tra i più celebri i ritrovamenti norvegesi di Grimestad (Vestfold, X secolo), con
braccialetti, barre d’argento e monete, e quello di Hoen (Buskerud) risalente al IX
secolo: un tesoro che tra l’altro testimonia una grande abilità nell’arte orafa. Di note-
vole interesse è la recente scoperta presso Spillings nell’isola di Gotland del più
importante tesoro d’argento di quest’epoca per un peso totale di 65 kg. (qui sono
stati ritrovati anche oggetti in bronzo accuratamente custoditi); vd. Ström J. – Wider-
ström P., “Världens största vikingaskatt!”, in PA XIX: 2 (2001), pp. 10-12. Assai
interessante è anche il ritrovamento di Grisebjerggård in Selandia, comprendente
duecentosessantadue pezzi d’argento, oltre a milletrentotto monete arabe (dirham) e
a novantuno monete dell’Europa occidentale. Questi depositi (forse, in qualche caso,
da considerare offerte votive) danno ulteriore testimonianza degli intensi rapporti
commerciali con altri Paesi, come dimostra tra l’altro la notevole quantità di monete
straniere rinvenute; cfr. pp. 71-72 con nota 37.
454
Cfr. p. 116 con nota 65.
455
Vd. pp. 170-171 con nota 276.

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218 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

Nanna, figlia di Nepr, vide questo schiantò dal dolore e morì; ella fu posta
sulla pira e fu appiccato il fuoco. Thor stette là e consacrò la pira con [il suo
martello] Mjǫllnir, ma davanti ai suoi piedi corse un nano, quello che aveva
nome Litr, Thor gli diede un calcio col piede e lo gettò nel fuoco, ed egli
bruciò.
A questa cremazione venne una folla di ogni genere. Innanzi tutto occor‑
re dire di Odino, che con lui andò Frigg e le valchirie e i suoi corvi. E Freyr
andò nel carro con quel verro che si chiama Gullinbursti o Slíðrugtanni. E
Heimdallr cavalcò il cavallo che si chiama Gulltoppr, e Freyja guidò i suoi
gatti. Là venne anche una grande folla di giganti della brina e giganti delle
montagne. Odino pose sulla pira l’anello d’oro che si chiama Draupnir, da
allora esso acquisì la virtù che ogni nove notti ne sgocciolano otto anelli
d’oro di pari peso. Il cavallo di Baldr fu condotto alla pira con tutti i
finimenti.”456

3.4.3. Artigiani e artisti

I reperti dell’età vichinga sono numerosi e assai pregevoli. La


lavorazione dei metalli mostra livelli di alta qualità: gli artigiani
scandinavi producevano armi:457 spade, lance, asce (tradizionale
arma nordica da combattimento), scudi, elmi,458 archi; e poi fini-
menti per cavalli, chiavi e serrature, utensili di uso quotidiano. La
loro abilità era il frutto di una lunga tradizione e seppure nelle
fattorie non mancasse l’officina in cui il padrone di casa o comun-
que qualche lavoratore esperto poteva realizzare oggetti di metallo
o eseguire lavori manuali (si tenga presente che il termine nordico
smíðr vale “fabbro”, ma anche più in generale “artigiano”), la

456
Edda: Gylfaginning, cap. 49 (DLO nr. 48). La traduzione è ripresa da Snorri
Sturluson, Edda, a cura di G. Chiesa Isnardi, Milano 2003, pp. 101-102, cui si riman-
da per il significato dei nomi mitologici.
457
È noto tuttavia che in molti casi le armi (soprattutto le spade) erano di prove-
nienza straniera (Foote – Wilson 1973, pp. 273-275).
458
Non è affatto vero, come ritenuto da una tradizione popolare tanto radicata
quanto erronea, che gli elmi dei vichinghi fossero ornati di corna. Così come chiara-
mente mostrano i reperti archeologici (vd. già i celebri elmi svedesi di Valsgärde e di
Vendel, le raffigurazioni delle pietre di Gotland – a esempio quella di Smiss i – e,
soprattutto, la testa di guerriero realizzata in osso rinvenuta a Sigtuna e risalente all’XI
secolo) essi avevano forma piuttosto semplice (seppure la decorazione fosse accurata)
ed erano spesso forniti di una protezione per il naso. Elmi provvisti di corna come
quelli, assai celebri di Viksø (vd. p. 44, nota 115), che comunque appartengono a un
periodo più antico, dovevano avere funzione esclusivamente rituale. È possibile che essi
siano in qualche modo collegati al ricordo di un culto del toro di derivazione celtica.

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Verso il mondo esterno: il periodo vichingo 219

figura del fabbro come maestro conoscitore di segreti e capace di


produrre manufatti di grande pregio (ivi compresi gioielli e moni-
li) dovette suscitare al contempo considerazione e timore. Del resto
la ‘sacralità’ del suo lavoro è riflessa nei testi mitologici, là dove si
dice che gli dèi alle origini lavorarono come fabbri; persino la
produzione della poesia, arte sacra riservata a pochi, è assimilata
all’opera di questi artigiani.459 La letteratura leggendaria reca evi-
dente traccia di queste credenze soprattutto nella vicenda esem-
plare del fabbro Vǫlundr dalla quale traspare chiaramente la sua
importanza nel contesto di una società in cui è fondamentale osten-
tare il potere attraverso simboli di prestigio.460
Oggetti in metallo di grande valore e di finissima decorazione
erano ben noti in Scandinavia fin dall’età del bronzo. La loro pro-
duzione mostra anche la ricezione di influssi artistici stranieri (a
esempio nella prima età del ferro è evidente l’impronta celtica).
Uno stile tipicamente nordico viene tuttavia prendendo forma.
L’evoluzione si può notare, tra l’altro, sulle molte spille (fibulae) la
cui lavorazione si fa sempre più accurata fino a conoscere nel
periodo vichingo decorazioni realizzate secondo schemi assai ela-
borati (per certi versi quasi contorti) che spesso riprendono moti-
vi zoomorfi da tempo affermatisi (seppure a partire da modelli
stranieri) nel gusto germanico e destinati a diventare un elemento
459
A Mästermyr nella parte meridionale dell’isola di Gotland è stata rinvenuta la
‘cassetta degli arnesi’ di un fabbro (tarda età vichinga): la ricchezza e la varietà degli
utensili in essa contenuti testimoniano la notevole specializzazione di questi artigiani
(vd. Arwidsson G. – Berg G., The Mästermyr Find. A Viking Age Tool Chest from
Gotland, Stockholm 1983 o, più concisamente, Rosborn S., “Verktygen i Mästermyr”,
in PH 1994: 4, pp. 20-21).
460
A Vǫlundr è dedicato un componimento eddico che si intitola, appunto, Carme
di Vǫlundr (Vǫlundarkviða). Di lui si dice che era stato sposo di una valchiria. Assali-
to e derubato dagli uomini di un re di nome Níðuðr era stato poi mutilato, esiliato su
un isolotto e costretto a lavorare per il sovrano. Di tutto ciò Vǫlundr si era crudelmen-
te vendicato, dapprima uccidendo i figli del re e traendo coppe preziose dai loro
crani, poi approfittando della figlia del sovrano, da lui resa incinta. Aveva infine con-
fessato al re ogni cosa, senza tuttavia che quello potesse vendicarsi, in quanto il fabbro,
seppure mutilato alle gambe aveva potuto librarsi, irraggiungibile, nell’aria (vd. Chie-
sa Isnardi 20084 [B.7.1], pp. 439-442 e note relative, con indicazione delle fonti). Nel
mondo germanico la notorietà di questa figura è testimoniata in area tedesca (dove il
nome dell’eroe è Wielant/Welant) e anglosassone (dove il nome dell’eroe è Veland/
Velond), vd. Grimm 1968 (B.7.1), I, pp. 312-313. È opportuno tuttavia sottolineare qui
anche talune coincidenze con il mito greco di Dedalo, come la prigionia imposta da
un re (in questo caso Minosse di Creta) e la fuga per le vie del cielo (vd. Graves R., I
miti greci, Milano, 1987³, pp. 282-289). Si osservi che anche il mito greco definisce
Dedalo un fabbro, e che il motivo del labirinto ritorna in ambito nordico dove il ter-
mine vǫlundarhús, letteralmente “casa di Vǫlundr” (cfr. ingl. Wayland’s house), signi-
fica, appunto, “dedalo”, “labirinto”.

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220 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

caratteristico dell’arte del Nord.461 La quale (estesa anche alle aree


colonizzate) presenta una marcata stilizzazione ‘specializzandosi’
in diversi ‘sottotipi’ (stile di Borre, di Jelling, di Mammen, di Rin-
gerike e di Urnes).462 Si tratta di un’arte in cui si predilige una
decorazione fitta, che tende a coprire lo spazio con linee (talora
anche punti) per lo più curve, che si snodano e allo stesso tempo
si annodano a formare percorsi intricati nel cui insieme compaiono
a volte anche motivi vegetali (un elemento ‘importato’ che acqui-
sterà importanza solo nella fase finale del periodo vichingo). Intrec-
ci che tra l’altro si ritrovano non solo sulle pietre di Gotland,463 ma
anche su diverse pietre runiche, là dove si segnalano i molti casi in
cui l’iscrizione è racchiusa nel corpo di serpi che si contorcono e a
volte si annodano su se stesse. Tuttavia quando il motivo zoomor-
fo delle pietre runiche si ispira a un cervo è facile pensare a un
influsso dell’arte cristiana. Uno stile altrettanto elaborato (detto ‘di
Oseberg’) riguarda la lavorazione del legno.464
Talora la decorazione per quanto ricca serve da sfondo a figure
cui è affidata una diversa funzione. Tale è, a esempio, il caso delle
banderuole appartenute a navi vichinghe, tra cui quella gotlande-
se di Källunge e quella norvegese di Heggen (stile di Ringerike,

461
Il modello più antico è da ricercare assai indietro nel tempo, innanzi tutto nei
motivi dell’arte degli Sciti approdati nel cuore dell’Europa per il tramite della cultura
celtica. Anche le spille utilizzate nell’abbigliamento dei soldati romani furono certa-
mente fonte di ispirazione. In seguito sono stati rilevati influssi dell’arte anglo-irlan-
dese, di quella carolingia (in particolare per l’inserimento, a partire dall’inizio del IX
secolo, del motivo della cosiddetta ‘bestia che afferra’, una sorta di animale fantastico
che si congiunge, come avvinghiandovisi, alle restanti componenti della rappresenta-
zione grafica, quando non addirittura alla propria figura). I primi esempi dei motivi
ornamentali zoomorfi fortemente stilizzati tipici dell’arte nordica risalgono al V-VI
secolo d.C.
462
Lo stile di Borre (840-980 d.C.) prende nome da reperti (in particolare delle
briglie) rinvenuti in un ricco tumulo sepolcrale del Vestfold (Norvegia); quello di
Jelling (870-1000 d.C.) si richiama innanzi tutto alla decorazione di una coppa in
argento ritrovata in una sepoltura della necropoli reale danese di Jelling; quello di
Mammen (960-1020 d.C., assai simile al precedente, del quale costituisce una elabo-
razione) da un’ascia decorata rinvenuta in questa località dello Jutland; quello di
Ringerike (980-1090*) dalle diverse pietre runiche decorate rinvenute nella municipa-
lità norvegese (in Buskerud) che porta questo nome; quello di Urnes, infine (1050-
1170*), che certamente risente di influssi cristiani, dal celebre portale della chiesa in
legno (stavkirke) che si trova in questa località (regione di Sogn e Fjordane, Norvegia;
vd. sotto, p. 222). La cronologia è ripresa da Foote – Wilson 1973, p. 287, dove si
precisa che le date asteriscate si riferiscono all’Irlanda, in quanto in Scandinavia que-
sti stili risultano esauriti già in precedenza.
463
Vd. sopra, pp. 92-93.
464
Ciò a motivo del fatto che le sue migliori espressioni si ritrovano nella celebre
nave funeraria di Oseberg (vd. p. 104).

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Verso il mondo esterno: il periodo vichingo 221

XI secolo). Su entrambe è tracciata di profilo la figura di un ani-


male (nel caso di Heggen ripetuta in dimensione maggiore e mino-
re) che ritorna sotto forma di piccola scultura indipendente sal-
data all’estremità superiore della banderuola medesima: una fiera
(se non un leone, quantomeno un quadrupede in parte ispirato a
esso) in atteggiamento di guardia, espressione simbolica di una
autorità che esige rispetto. Esso d’altronde si richiama in modo
evidente alla cosiddetta ‘grande bestia’, motivo artistico che si
ritrova, tra l’altro, su uno dei lati della celebre pietra di Jelling
(stile di Mammen, seconda metà del X secolo) fatta innalzare dal
sovrano danese Araldo Dente azzurro e che reca una decisa affer-
mazione della sua autorità regale.465 Compito di incutere timore
(in questo caso evidentemente agli spiriti maligni dell’aldilà) dove-
vano avere anche le teste animali con le fauci spalancate, mirabil-
mente scolpite nel legno da ottimi artisti, facenti parte del magni-
fico corredo funebre di Oseberg.466
I prodotti artistici realizzati in legno, materiale ben più deperi-
bile del metallo e della pietra ci sono pervenuti, evidentemente, in
quantità minore. Sappiamo tuttavia che l’arte dell’intaglio dovette
essere ben praticata nel Nord, come dimostrano non soltanto i
reperti disponibili (tra i quali, appunto, quelli eccellenti di Oseberg),
ma anche notizie contenute nelle fonti, che testimoniano di come
essa fosse talora legata anche a fini religiosi. Sulle “colonne del
trono” di Þórólfr Mostrarskegg era a esempio incisa, come si è visto,
l’effigie del dio Thor;467 in un’altra fonte si riferisce che una tale di
nome Gríma, conoscitrice di arti mediche, aveva l’immagine del
medesimo dio incisa nel legno sulla parte anteriore dei braccioli
del suo sedile.468 E del resto ciò che resta del Carme encomiastico
della casa (Húsdrápa) dello scaldo Úlfr Uggason descrive le scene
mitologiche raffigurate sulle pareti della magnifica dimora islan-
dese di Óláfr Hǫskuldsson, soprannominato il Pavone (pái), a
Hjarðarholt.469 Questo carme, se da una parte si rifà a una tradizio-
ne scaldica ben radicata,470 dimostra dall’altra come l’iconografia
vichinga rifletta altresì la popolarità di storie mitologiche che cono-
sciamo da fonti di carattere letterario. Chiari riferimenti di questo

465
Vd. sopra, p. 135.
466
Cfr. pagina precedente con nota 464.
467
Vd. p. 184, nota 336.
468
Fóstbrœðra saga, cap. 23.
469
Cfr. il racconto della Laxdœla saga, cap. 29, dove è riferito che lo scaldo compo-
se questo carme trovandosi ospite in questa casa in occasione di un matrimonio.
470
Vd. oltre, p. 306.

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222 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

tipo si ritrovano del resto non soltanto sulle pietre di Gotland di


questo periodo,471 ma anche su manufatti presenti nelle colonie
britanniche472 e, con espressione talora iconograficamente elemen-
tare, su pietre che, in taluni casi, conservano anche iscrizioni runi-
che.473
La forza e la vitalità di questa tradizione artistica sono dimostra-
te dalla persistenza delle sue forme e dei suoi motivi ispiratori anche
nell’ambito di un’arte ‘cristiana’: ciò è dimostrato innanzi tutto
dalle raffigurazioni su croci nelle isole britanniche ma anche – con
tecnica artisticamente esemplare – dalla lavorazione dei portali di
due celebri chiese norvegesi. Quello, sopra citato, della chiesa
di Urnes, la più antica (XII secolo) fra le cosiddette ‘chiese di legno’
(stavkirker), sulle rive meridionali del Lustrafjorden nella regione
di Sogn e Fjordane, è decorato da un complicato intreccio di motivi
zoomorfi,474 mentre su quello della chiesa di Hylestad (Setesdal
nella regione di Aust-Agder, XII secolo) sono raffigurate scene che
si riferiscono al mito di Sigurðr e dei Nibelunghi.475
Un carattere artistico è infine da attribuire a pregiati manufatti
in tessuto che parallelamente ‘dipingono’ scene di vita quotidiana
come l’arazzo ritrovato all’interno della sepoltura di Oseberg476 o
quello di Bayeux in Normandia, certamente di origine vichingo-
normanna.

471
Si vedano in particolare le pietre di Hammars i e iii, di Ardre viii, di Smiss i, di
Tjängvide i, di Hunninge i e di Tängelgårda. Già sulla pietra di Austers (risalente al
periodo precedente, probabilmente al V secolo) si può forse riconoscere nella raffigu-
razione di un drago con le fauci spalancate davanti al quale c’è una figura umana una
allusione alla storia del celebre eroe Sigurðr (il Sigfrido della tradizione continentale).
472
Tra i più celebri certamente la croce e la pietra di Gosforth (Cumberland), la
pietra di Ramsey e la croce di Kirk Andreas (entrambe sull’Isola di Man) e il cosiddet-
to Franks Casket, cofanetto in osso di balena proveniente dalla Northumbria (VIII-IX
secolo) raffigurante una scena del mito di Vǫlundr (vd. sopra, nota 460).
473
Vd. in particolare la pietra di Altuna (Uppland, Svezia, XI secolo), la pietra di
Hunnestad (Scania, Svezia, X-XI secolo), la pietra di Ledberg (Östergötland, Svezia,
XI secolo) e quella di Ramsundsberget (Södermanland, Svezia, XI secolo).
474
Cfr. sopra, nota 462.
475
In realtà quest’ultima chiesa è stata demolita nel 1838 per costruirne una nuova.
I due celebri portali si trovano ora conservati nel Museo storico-culturale (Kultur-
historisk museum) di Oslo. Sulle stavkirker vd. oltre, pp. 270-272; cfr. p. 319.
476
Vd. Hougen B., “Osebergfunnets billedvev”, in Viking 1940, pp. 85-124.

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Apparato iconografico capitoli 1-3

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Fig. 2

Utensili di selce ritrovati nel sito di Segebro (§ 1.1 e § 1.2)

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Fig. 3

Incisioni rupestri di Jepmaluokta presso Alta nella regione di Finnmark


(pp. 21-23)

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Fig. 4

Oggetti caratteristici della ‘cultura della ceramica imbutiforme’ (p. 27)

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Fig. 5

Carro solare di Trundholm (p. 43)

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Fig. 6

Immagini su una parete all’interno della tomba di Kivik in Scania (p. 43)

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Fig. 7

Incisioni rupestri dell’età del bronzo (§ 1.3.3). Un esempio dal sito di Stora
Backa (Bohuslän)

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Fig. 8

Skeppsättning nell’isola svedese di Öland (p. 59)

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Fig. 9

Bratteata di Skodborg nello Jutland: su questo tipo di oggetti sono talora


rappresentate figure che possono forse alludere a una divinità (p. 72 e
p. 165)

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Fig. 10

Le terre abitabili secondo Eratostene: si noti come Thule fosse considerata


un’isola collocata nell’emisfero boreale (p. 80)

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Fig. 11

Pietra runica svedese di Steninge (Uppland) raffigurata in una incisione del


1624 di Johannes Bureus e successivamente andata perduta. L’iscrizione
risale all’XI sec. (§ 2.5)

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Fig. 12

Fig. 13

Fibula d’argento riccamente decorata risalente al VI-VII sec. (p. 90)


Pietra di Tjängvide I (Gotland, VIII-IX sec.). Si noti nella parte superiore
il cavaliere sul destriero a otto zampe: è il dio Odino in sella al mitico
Sleipnir (pp. 92-93)

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Fig. 14

Le rotte e le vie percorse dai vichinghi (§§ 3.1.2 – 3.1.6)

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Fig. 15

Testa di drago appartenente alla celebre nave funeraria di Oseberg in


Vestfold, risalente al IX secolo (p. 104 e p. 220)

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Fig. 16

Fig. 17

Maschera d’argento rinvenuta a Gudme in Fionia, risalente al III-IV sec.


d.C. (p. 131)
Uno degli elmi ritrovati nel celebre sito di Vendel nell’Uppland (p. 137)

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Fig. 18

Immagine della ‘divinità dal grande fallo’ rinvenuta a Broddenbjerg nello


Jutland (p. 165)

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Fig. 19

La triade divina Odino, Thor e Frigg come rappresentata nell’Atlantide


del goticista Olof Rudbeck (§ 3.3.2 e pp. 582-584)

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Fig. 20

Amuleto a forma di ‘martello di Thor’ ritrovato nell’isola svedese di Öland


(p. 172)

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Fig. 21

Tra i luoghi naturali consacrati alla divinità è noto in Islanda Helgafell il


“Montesacro” sulla penisola di Snæfellsnes (p. 188)

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Capitolo 4

Una nuova religione

4.1. Missionari cristiani e devoti pagani: il credo nuovo e l’antico

I popoli nordici erano venuti sporadicamente in contatto con la


religione cristiana anche precedentemente all’età vichinga, tuttavia
senza conseguenze particolari sulle loro credenze e sul loro stile di
vita. L’inizio del lungo e complesso processo di cristianizzazione
della Scandinavia va in effetti riportato ai primi decenni del IX
secolo, quando prendono il via le missioni ufficiali condotte da
Ebone (Ebbone) di Reims (che aveva avuto l’incarico direttamen-
te dal Papa)1 prima e da Ansgar poi.2 Una iniziativa, quest’ultima,
inserita nel programma di cristianizzazione a suo tempo avviato da
Carlo Magno e strettamente connesso alle mire espansionistiche
della dinastia carolingia, che aveva già conosciuto campagne reli-
giose nei confronti di popolazioni (come i Sassoni) stanziate in zone
prossime alla Scandinavia, quanto meno alle regioni danesi. L’atti-
vità apostolica di Ansgar è ben testimoniata da Rimbert (circa
830-888), suo biografo e successore all’arcivescovato di Brema: la
Vita di Ansgar (Vita Anskarii) terminata a metà degli anni ’70 costi-
tuisce infatti una fonte preziosa a riguardo delle fasi iniziali del
processo di cristianizzazione dei popoli nordici. In realtà, nono-
stante l’enfasi propagandistica, l’opera di Ansgar non poté conse-
guire risultati stabili: essa infatti appare chiaramente legata alle
sorti politiche di sovrani danesi e svedesi nei loro rapporti con
l’impero carolingio e resta – per così dire – ‘localizzata’ in centri
strategici (Hedeby e Ribe in Danimarca e Birka in Svezia). D’al-
tronde che il processo di introduzione della nuova religione fosse
1
STFM I, nr. 1, anno 822, pp. 1-3.
2
Sempre dal Papa era venuto l’incarico ad Ansgar: STFM I, nr. 2, anni 824-827, pp. 4-5.

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224 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

legato, oltre che all’espansionismo della Chiesa, a interessi dinasti-


ci e politici (non a caso importanti santi nordici apparterranno a
famiglie reali!), è un fatto certo, così come la constatazione che
nella cristianizzazione dei Paesi scandinavi giocarono un proprio
ruolo iniziative diverse riconducibili a diverse aree geografico-
politiche: quella della Chiesa inglese, della tedesca e della francese,
senza tralasciare gli importanti impulsi venuti dal cristianesimo
orientale attraverso i contatti con Bisanzio.
La definitiva affermazione del nuovo credo avrebbe conosciuto
tempi lunghi e fasi complesse. Né del resto essa sarebbe potuta
avvenire – nonostante la determinazione dei fautori della nuova
religione – se dal punto di vista religioso il mondo nordico non si
fosse trovato in epoca vichinga in quella fase di crisi dei valori cui
sopra si è fatto cenno:3 una crisi che lasciava spazio a nuove forme
di credo, possibilità del resto rafforzata dalla natura medesima del
paganesimo che consentiva, come si è visto, di privilegiare la vene-
razione di una determinata divinità rispetto ad altre. Il che – alme-
no inizialmente – spalancò le porte al “bianco Cristo”, il nuovo dio
proveniente dal Sud. La crisi religiosa di epoca vichinga è d’altron-
de testimoniata non soltanto dalla presenza dei sopra ricordati
“uomini senza dio” (goðlausir menn)4 ma anche dai casi di ‘conver-
sione’ dalla venerazione di una divinità a quella di un’altra, in
relazione a mutate necessità o al mutato stile di vita.5 Esempio
emblematico della ‘parificazione’ di Cristo agli dèi pagani è la
vicenda di uno dei primi coloni islandesi, tale Helgi Eyvindarson
detto il Magro (magri) stabilitosi nel luogo da lui denominato Krist-
nes (letteralmente “Promontorio di Cristo”, in realtà la sua fattoria
presso il fiume Þverá superiore che sfocia nell’Eyjafjörður non
molto lontano dall’attuale città di Akureyri). Di lui (che era stato
allevato in Irlanda, il che ben spiega il suo rapporto con la fede
cristiana) è detto nel Libro dell’insediamento che era un devoto del
dio Thor ma anche che credeva in Cristo: “egli era molto confuso
nella fede; credeva in Cristo, tuttavia invocava Thor per i viaggi in
mare e per le decisioni difficili e per tutto quanto gli pareva più
importante.”6 Un ottimo esempio di come nella maggior parte dei
casi la conversione non fosse capace – quantomeno inizialmente –
di incidere in profondità nell’animo dell’uomo del Nord. In tal
senso testimonia, tra l’altro, lo sconforto di un arcivescovo di Reims
3
Vd. p. 163 e pp. 168-169.
4
Vd. pp. 168-169 con nota 268.
5
Vd. p. 167 con nota 262.
6
DLO nr. 49.

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Una nuova religione 225

che all’inizio del X secolo in una lettera indirizzata al Papa Gio-


vanni I lamentava il fatto che i Normanni nonostante fossero stati
battezzati e ribattezzati sempre tornavano alle loro abitudini paga-
ne uccidendo i fedeli, massacrando i sacerdoti e continuando a
sacrificare ai loro dèi.7
Nell’introduzione della nuova fede nei Paesi nordici non c’è
spazio per aspetti teologici o argomentazioni filosofiche intorno a
un astratto concetto di divinità: Cristo appare piuttosto come una
figura forte e vittoriosa (capace di sconfiggere anche la morte!), un
capo sul quale i seguaci possono fare affidamento nel momento del
bisogno, un ‘mago’ che con i suoi miracoli mostra di possedere una
dottrina superiore a quella degli dèi tradizionali.8 Un esempio assai
significativo in proposito si trova nel racconto del cronista sassone
Widukind di Corvey (vissuto nel X secolo) a riguardo della conver-
sione del re danese Araldo Dente azzurro, il quale dopo una discus-
sione su chi fosse più potente tra Cristo e gli Asi propose al vesco-
vo Poppone di rimettersi al giudizio dell’ordalia: sottoposto alla
prova del guanto di ferro rovente il vescovo estrasse la mano senza
il benché minimo segno di bruciatura, il che convinse Araldo della
potenza ‘magica’ del nuovo dio che fu da lui dichiarato l’unico che
dovesse da allora in poi essere venerato in Danimarca.9 È dunque
l’immagine di un Cristo glorioso e di un capo vittorioso quella che
si afferma in Scandinavia: troppo lontani dalla mentalità nordica
sarebbero stati concetti legati a una divinità umile, sofferente e
sottomessa, così come i richiami al perdono in un mondo che da
tempo immemorabile considerava la vendetta come un dovere
morale nei confronti dei consanguinei. Del resto (ma in questo sono
facili i richiami a modelli continentali contemporanei) la prima
iconografia cristiana mostra il crocifisso in atteggiamento composto,
solenne e grave, figura che si ispira piuttosto all’ideale di un capo.10
Il che, per restare aderenti al concreto realismo dei nordici si riflet-
te in componimenti poetici nei quali Cristo è indicato da metafore

7
Citata in Musset 1967, p. 276 e nota 25.
8
Il poeta Þorbjǫrn Scaldo delle dísir, a esempio definisce il battesimo come “la più
grande fortuna [… elargita] dal Bianco Cristo” (Skj I: A, p. 144, B, p. 135: “Hvítakrists
[…] hæsta giptu”), attribuendo, ovviamente, al termine “fortuna” il senso che esso
aveva per i pagani (vd. sopra, p. 180).
9
Storia dei Sassoni (Rerum gestarum Saxonicarum), III, lxv. Cfr. la versione della
Saga di Olav Tryggvason di Oddr Snorrason nelle Konunga sǫgur, cap.15 e la Óláfs saga
Tryggvasonar di Snorri Sturluson, cap. 27. Alla vicenda allude anche Adamo da Brema
(vd. Gesta Hammaburgensis […], II, scolio 20).
10
Vd. Fuglesang S.H., “Crucifixion iconography in Viking Scandinavia”, in PEVC
pp. 73-94.

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226 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

quali munka reynir, munka valdr e munka dróttin che lo indicano


come “[colui] che mette alla prova”, “guida” e “signore dei mona-
ci”, mentre il suo Regno è collocato a Roma o in Grecia.11 Queste
metafore palesemente ne ricalcano altre con le quali si suole desi-
gnare il prìncipe nel rapporto con gli uomini del suo seguito.
Naturalmente nella loro predicazione i missionari dovettero
tenere debito conto di tutto questo, tralasciando gli aspetti del
cristianesimo più ostici e lontani dalla visione di vita tradizionale
dell’uomo del Nord ed enfatizzando ciò che di più poteva impres-
sionarlo. Il che riguarda, a esempio, il concetto di un aldilà nel
quale l’uomo sarebbe stato premiato o punito per le sue azioni in
questa vita: un’idea come quella dell’inferno, fino ad allora total-
mente estranea alla mentalità nordica (che piuttosto immaginava
che il morto potesse conservare lo status sociale di quando era in
vita), dovette certamente avere una propria efficacia, come testi-
monia non solo una precisa affermazione in tal senso dello scaldo
Alfredo Poeta turbolento,12 ma anche l’esplicita introduzione di
questo concetto nella trattazione escatologica affidata al mito, come
appare dal racconto dell’Edda di Snorri Sturluson13 nella quale è
ripreso e citato il testo della Predizione dell’Indovina (Vǫluspá), un
carme eddico pure di sicura origine pagana, che illustra l’origine e
la fine del mondo14 (a meno che l’introduzione di questi elementi
non sia dovuta a una più tarda elaborazione di eruditi cristiani).
Certamente l’idea di un aldilà che separa definitivamente i buoni
dai cattivi dovette collidere con il concetto tradizionale della riu-
nificazione del defunto con gli antenati appartenuti alla sua stirpe:15
in un certo senso paradossalmente, l’accettazione di questo con-
11
Vd. Strömbäck 1975 (C.4.2), pp. 53-56.
12
Vd. la Saga di Alfredo poeta turbolento, cap. 11: “Ora io presto dovrei morire,/
da giovane ero pungente con la lingua,/ senza timore, se l’anima mia/ sapessi salva;/
so che io non mi preoccupo di nulla,/ morire deve ognuno, eccetto che ho paura/
dell’inferno, Dio scelga,/ dove debba consumar l’esistenza” (DLO nr. 50).
13
Cap. 52.
14
Si vedano in particolare le str. 38-39 e 64. Vd. anche il carme eddico Dialogo di
Reginn (Reginsmál), str. 3-4.
15
Else Mundal (Mundal 1992, p. 313) ricorda opportunamente a questo proposi-
to che pochi anni prima dell’introduzione del cristianesimo in Islanda esisteva una
legge che consentiva ai familiari di chi si fosse convertito alla nuova religione il diritto
di punirlo. Ciò in perfetto accordo con l’idea – fondamentale per la società nordica
tradizionale – dell’unità della famiglia al di sopra di qualsiasi esigenza di carattere
personale. Il concetto di aldilà come luogo nel quale ci si riunisce con i defunti della
stirpe è ben esemplificato nella Saga degli uomini di Eyr (cap. 11) dove si dice che tale
Þorsteinn Þórólfsson detto Mangia merluzzo (þorskabítr) dopo la morte era stato
accolto con grandi festeggiamenti nel tumulo dei suoi avi e invitato a prendere posto
accanto a suo padre.

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Una nuova religione 227

cetto fu forse più facile per i guerrieri che comunque si attendeva-


no in ‘premio’ l’ammissione tra gli eletti di Odino nella Valhalla.16
A margine va qui opportunamente anche notato come, in relazione
alla mutata concezione dell’aldilà, si assista a un cambiamento degli
usi funerari con la decadenza dell’antico uso di cremare i defunti
(al quale tuttavia già in età vichinga si affiancava – un primo pro-
babile influsso cristiano – la sepoltura in bare, camere sepolcrali o
fosse) e la conseguente diffusione della consuetudine di deporli in
semplici tombe senza provvederli di alcun dono funebre. Superata
è la necessità di aiutare il morto nel suo cammino verso l’aldilà e,
insieme, il timore di un suo possibile e temuto ritorno!
A sfavore dei missionari giocava non solo molta parte della dot-
trina che essi andavano predicando, ma probabilmente anche
aspetti esteriori del culto. Se da una parte è vero che i pagani furo-
no colpiti da determinati riti, così come dall’uso dell’incenso,
dalla luce delle candele, dai canti e dal suono delle campane (che
nella tradizione delle fiabe popolari nordiche resterà uno dei deter-
renti più efficaci contro gli esseri di natura malvagia genericamen-
te collegati al paganesimo),17 è altrettanto vero che alcuni aspetti
delle norme di vita cristiana dovettero parere loro disprezzabili. In
proposito si può qui richiamare il cosiddetto Breve racconto di
Þorvaldr Gran viaggiatore.18 Vi si parla del vescovo tedesco Fede-
rico (Friðrekr) giunto in Islanda su invito di tale Þorvaldr, da lui
conosciuto e battezzato in Germania, con l’intenzione di diffonde-
re la nuova dottrina. L’opera del vescovo e del suo ospite, che
fungeva da assistente, ebbe qualche successo ma incontrò al con-
tempo una feroce opposizione da parte di molti pagani, i quali
giunsero a progettarne l’assassinio. Il massimo del disprezzo fu
tuttavia gettato su di loro con la composizione di un ‘verso di infa-
mia’ (níð)19 che li accusava di comportamento omosessuale, ingiu-
16
Un influsso cristiano si può forse notare anche nella descrizione della Valhalla
fatta da Snorri Sturluson là dove (Edda, cap. 40) egli sottolinea il fatto che questo è un
luogo dove non può entrare e uscire chiunque lo voglia: ciò potrebbe far pensare alle
parole di Cristo sulla difficoltà di essere ammessi nel Regno dei cieli (il riferimento è,
in particolare al Vangelo secondo Luca [XIII, 22-25], vd. La sacra Bibbia, Nuovo Testa-
mento, pp. 138-139).
17
Vd. a esempio il Breve racconto di Þorvaldr Gran viaggiatore I (Þorvalds þáttr víðfǫrla
I), cap. 3 e anche la Predicazione cristiana di Þangbrandr (Kristniboð Þangbrands), cap.
1. Quest’ultimo testo è compreso nella cosiddetta Grande saga di Olav il Santo (Óláfs
saga Tryggvasonar en mesta); vd. Halldórsson 2003 (C.4.2), pp. cxcviii-ccii.
18
Vd. Þorvalds þáttr víðfǫrla I e Þorvalds þáttr víðfǫrla II, passim. A questa vicenda
fa riferimento anche la Saga della cristianizzazione: vd. in particolare il cap. 4.
19
Vd. pp. 201-202 e pp. 262-263. Il verso rivolto a Þorvaldr e a Federico recitava così:
“Ha generato il vescovo/ nove figli,/ di tutti loro/ Þorvaldr è il padre” (DLO nr. 51).

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228 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

ria tra le più gravi che potessero essere recate. Forse l’atteggiamen-
to del vescovo, i suoi inviti all’umiltà e alla sottomissione, ma anche
il suo modo di abbigliarsi (tra l’altro secondo la regola egli non
portava la barba) fecero nascere nei pagani un profondo senso di
disprezzo culminato nell’accusa di essere una ‘donnicciola’.
Paganesimo e cristianesimo convissero fianco a fianco per mol-
to tempo tra tolleranza e fastidio, diffidenza e curiosità. Talora i
pagani accettarono, probabilmente in più di un caso per conve-
nienza, una sorta di ammissione parziale nella comunità cristiana
(divenendo in sostanza catecumeni), con l’atto della cosiddetta
prím-signing (prima signatio). Ma non di rado si verificarono delle
reazioni anche molto violente. E d’altronde anche da parte dei
cristiani l’evangelizzazione fu portata avanti, in diverse circostanze,
con metodi brutali: basti pensare all’opera dei due Olav, i grandi
cristianizzatori della Norvegia;20 in un paio di casi si fa anche rife-
rimento a figure di martiri pagani, persone che rifiutarono ostina-
tamente di farsi battezzare, preferendo morire fra i tormenti.21
L’orgoglio pagano, tante volte testimoniato nelle fonti, si sarebbe
piegato solo davanti alla dimostrazione di una ‘superiorità magica’
del Cristo rispetto agli dèi tradizionali, o sarebbe stato sconfitto
dalla determinazione e dalla aggressività di taluni sovrani, o avreb-
be saputo accortamente indietreggiare di fronte a lucide conside-
razioni di carattere politico. I missionari dovettero spesso accon-
tentarsi di far accettare ai nordici almeno gli aspetti esteriori del
culto: l’importanza di cerimonie come il battesimo o la sepoltura
in terra consacrata, la necessità della partecipazione ai riti e della
recita delle preghiere furono enfatizzate con grande fervore. Ma
esse tuttavia parrebbero in molti casi rappresentare l’unico tangi-
bile risultato raggiunto.
E tuttavia, fatto del resto inevitabile, in qualche modo le due
religioni si mescolarono e si sovrapposero. Innanzi tutto le pratiche
cristiane seppero assorbire progressivamente parte del cerimoniale
pagano: a esempio i riti per la fecondità (certamente antichissimo
retaggio della religione vanica) furono riferiti a Cristo o alla Madon-
na22 e brindisi in onore degli dèi furono dedicati alle nuove potenze
20
Vd. sotto, pp. 252-257.
21
Vd. Snorri Sturluson, Saga di Olav Tryggvason, cap. 76 e capp. 78-80. La veri-
dicità di queste storie è stata messa in dubbio da F. Paasche (Paasche 1958, pp. 132-
133).
22
Ciò appare evidente non soltanto dalla constatazione che la predicazione cristia-
na riferiva al nuovo dio la creazione dell’intero universo e di conseguenza il potere su
tutti i suoi elementi, ma anche da altri indizi, allorché – a esempio – troviamo riferita
a Cristo e alla Madonna l’antica formula “per la prosperità e la pace” (“til árs ok friðar”)

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Una nuova religione 229

celesti.23 Ma anche la simbologia antica fu opportunamente sostitui-


ta da una nuova che però non la cancellava del tutto: mentre i reper-
ti archeologici mostrano la diffusione di oggetti ispirati all’arte cri-
stiana è facile a esempio constatare come gli amuleti a forma di
croce siano – almeno inizialmente – palesemente ispirati a quelli
raffiguranti il ‘martello’ di Thor.24 Del resto anche l’invocazione a
questo dio perché consacri pietre runiche innalzate in memoria,25
lascerà il posto a quella per il defunto rivolta alla divinità cristiana
che comparirà in un numero ben più frequente di casi. E certamen-
te i ‘miracoli’ attribuiti ai diversi santi (specie se, come Sant’Olav di
Norvegia erano stati re e quindi conservavano agli occhi dei suddi-
ti un alone di sacralità pagana)26 dovettero apparire come il risulta-
to di qualità magiche, piuttosto che dell’intervento divino.27
Ma l’introduzione delle concezioni cristiane e la loro commistio-
ne con le consuetudini antiche si può riconoscere anche in riferi-
mento alla tradizione letterario-mitologica del paganesimo nordico.
Sopra è stato rilevato come il concetto cristiano di premio o puni-
zione dopo la morte sia assorbito nel testo di un carme pagano
come la Predizione dell’Indovina, il quale del resto nel racconto
escatologico della fine del mondo (ripreso ed elaborato da Snorri
Sturluson)28 pare risentire ampiamente del tema dell’apocalisse.

ricorrente nei sacrifici pagani di fecondità (vd. le leggi del Gulating in NGL I, § 6, p.
6); cfr. pp. 195-196.
23
Nella Saga di Olav Tryggvason (cap. 35) a esempio Snorri Sturluson fa riferimen-
to a un convito, al quale erano presenti anche i famosi vichinghi di Jómsborg, dove fu
fatta una bevuta in onore di Cristo e una in onore dell’arcangelo Michele. Del resto
O. Olsen (Olsen 1966 [B.7.1], pp. 48-49) sostiene che il riferimento al “dio onnipo-
tente” (“hinn almáttki áss”) invocato in una solenne formula di giuramento insieme a
Freyr a Njǫrðr (vd. tra l’altro Landnámabók, p. 315), sia da ascrivere all’influsso delle
concezioni cristiane, piuttosto che da riferire, come parrebbe probabile, al dio Thor
(vd. Turville-Petre 1972 [C.3.3]); cfr. tuttavia anche le opinioni divergenti di J. de
Vries (de Vries 1931 [C.3.3]) che lo identifica con Odino e di H. Pálsson (“Áss hinn
almáttki”, in Skírnir, CXXX [1956], pp. 187-192 che pensa addirittura a Ullr); cfr.
inoltre Chiesa Isnardi 20084 (B.7.1), p. 230 e p. 268, note 55 e 56.
24
Particolarmente significativo da questo punto di vista è un reperto rinvenuto a
Birka (la città vichinga sul Mälaren) e risalente all’XI secolo: una croce cristiana in
filigrana d’argento il cui stile risente in modo evidente di quello dei ‘martelli’ di Thor.
25
Vd. p. 171 con nota 280.
26
Cfr. sopra, pp. 128-129.
27
Solo per fare un esempio si pensi all’episodio riferito da Snorri Sturluson nella
Heimskringla (Saga di Olav Tryggvason, capp. 78-79) secondo il quale il vescovo Sigurd
che si trovava insieme al re Olav Tryggvason aveva calmato una tempesta di mare con
preghiere e acqua benedetta. Ciò ricorda immediatamente le qualità magiche rivendi-
cate da Odino, capace di placare i marosi con la recita di canti magici (vd. Chiesa
Isnardi 20084 [B.7.1], p. 89 e p. 209).
28
Vd. la sua Edda, capp. 51-52.

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230 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

Questa corrispondenza dovette essere ben presente alla mente di


colui che redasse la versione del medesimo carme che si trova,
insieme ad altri testi, nel cosiddetto Libro di Haukur (Hauksbók).29
In essa infatti è contenuta la str. 65, certamente apocrifa, che così
recita: “Allora viene il potente al giudizio degli dèi (o forse “al
grande giudizio”),/ possente dall’alto,/ colui che tutto governa”
(“þa kemr hinn riki at regin domi/ ǫflugr ofan/ sa er ǫllu ræðr”).30
Un caso certamente non isolato. Infatti il mito che racconta del-
la spedizione del dio Thor presso il gigante Hymir, nel corso
della quale egli cercò di trarre dalle profondità dell’oceano il serpe
cosmico e di ucciderlo,31 è forse legato alla tradizione biblica del
Leviatano32 (in questo senso potrebbe testimoniare tra l’altro l’ico-
nografia sulla pietra di Gosforth nella regione del Cumberland).
Anche a riguardo di Odino è possibile supporre che il mito che
racconta di come il dio si fosse immolato a se stesso tramite l’im-
piccagione all’albero cosmico, possa in qualche modo collegarsi al
racconto cristiano della crocifissione. Del resto alla figura di Cristo,
vittima sacrificale innocente, è stata collegata anche quella di Baldr,
che accolto nel Regno degli inferi ne tornerà per governare il pros-
simo ciclo di esistenza.33 Anche l’utilizzo in riferimento a Odino di
un appellativo come Allfaðir/Alfǫðr “Padre di tutti” o la sua defi-
nizione come ‘dio creatore’ possono essere ricondotti qui.
Quanto questa sovrapposizione sia stata concreta e in quale misu-
ra la persistenza del credo pagano fosse tangibile è rilevabile da
numerose circostanze. Innanzi tutto la propaganda dei promotori
della nuova fede che cercarono in ogni modo di eliminare gli dèi
della tradizione facendoli apparire come veri e propri dèmoni peri-
colosi e funesti: nelle fonti scritte (che, non lo si dimentichi furono
redatte in questa forma in epoca cristiana e per la gran parte da
eruditi di ambiente ecclesiastico), sono inseriti numerosi episodi che
29
Vd. p. 426.
30
Vd. Hauksbók, p. 192.
31
Vd. Chiesa Isnardi 20084 (B.7.1), pp. 128-134.
32
Vd. Libro di Giobbe III, 8 e, soprattutto, XL, 25-32; Salmi LXXIV, 14 e CIV, 26;
Isaia, XXVII, 1.
33
In passato queste e altre similitudini sono state enfatizzate soprattutto nei lavori
dello studioso norvegese S. Bugge il quale riteneva altresì che nelle storie mitologiche
nordiche si potesse chiaramente riconoscere l’influsso di racconti del mondo classico
(vd. Bugge S., Studier over de nordiske Gude- og Heltesagns Oprindelse, I-II, Christia-
nia 1881-1896, in particolare: I, pp. 32-79 [“I. Den islandske Mythes Balder i Forhold
til Kristus”], pp. 291-393 [“Oden i Galgen og Yggdrasils Ask”] e anche pp. 192-265
[“III. Den islandske Balders-Mythe navnlig i Forhold til Achillea-Sagnet”]) dove egli
ritiene di poter constatare palesi richiami alla vicenda dell’eroe greco Achille nella
versione del mito di Baldr fornita da Sassone grammatico.

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Una nuova religione 231

hanno lo scopo di dimostrare questa asserzione.34 Poi la testimonian-


za delle leggi emanate dopo la cristianizzazione, nelle quali l’insisten-
za con la quale vengono ripetuti i divieti relativi a tradizioni religio-
se pagane riflette, evidentemente, la difficoltà di sradicarle. Le
punizioni per chi si renda colpevole di reati quali il culto di divinità
pagane, la venerazione di luoghi tradizionalmente considerati sacri,
il possesso di oggetti legati ai riti pagani, sono pesanti e contemplano
tra l’altro la possibilità di essere dichiarato ‘fuorilegge’ e la confisca
dei beni a favore del vescovo.35 Ma le pratiche pagane, soprattutto
quelle di carattere magico, dovettero tuttavia perdurare ed essere
messe in atto in forma più o meno segreta.

Nella Saga di Alfredo si narra del protagonista, poeta islandese giunto


alla corte del re norvegese Olav Tryggvason, che fu da questi praticamen-
te costretto a rinnegare l’antica fede e a convertirsi. Ma Alfredo non era
affatto un cristiano convinto e pur accettando (per motivi di convenienza)
il battesimo (per il quale aveva ottenuto che il re in persona fosse suo
padrino) espresse in alcuni versi tutto il suo rimpianto per gli dèi della
tradizione, pur dichiarando (probabilmente solo per non dispiacere al
suo patrono!) la sua piena adesione alla nuova fede:

“Così fu un tempo, che io il signore


di Hliðskjalf, veloce nel pensiero,
mutata è la fortuna degli uomini,
potevo ben venerare.

Tutta la stirpe umana per il favore


di Odino componeva canti,
dei nostri antenati mi ricordo,
l’eccellente condotta;
ma svogliato, poiché il potere di Viðrir

34
Se ne vedano alcuni esempi in relazione a Odino riportati in Chiesa Isnardi 20084
(B.7.1) alle pp. 206-207. Questo tema è presente anche al di fuori della Scandinavia.
Nelle Vite dei Santi redatte dall’erudito anglosassone Ælfric (ca.955-ca.1020), abate
di Cerne nel Dorset, è scritto a esempio a riguardo di San Martino che il demonio
aveva l’abitudine di manifestarsi a lui, assumendo le sembianze degli dèi pagani: talo-
ra come Mercurio (vale a dire Odino: Oþon), talora come Giove (vale a dire Thor:
Þor), talora come Venere (vale a dire Frigg: Fricg); vd. Ælfric, Live of Saints, II, p. 264.
35
Vd. a esempio in Norvegia le leggi antiche del Gulating (Den ældre Gulathings-
Lov) in NGL I, p. 18 (30), quelle antiche del Frostating (Den ældre Frostathings-Lov),
ibidem, p. 152 (III, 15) e quelle cristiane dell’Eidsivating (Den ældre Eidsivathing-
Christenret), ibidem, p. 383 (24); vd. anche le norme promulgate dall’arcivescovo Jon
il Giovane (den yngre) in NGL II, p. 381 (56).

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232 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

ben piaceva al poeta,


rivolgo al marito di Frigg
odio, poiché Cristo serviamo.
Tu che favorisci gli uomini! Noi ripudiamo
il nome dell’officiante il sacrificio del corvo,
nel paganesimo, quello che
dagli uomini lodato, meditava l’inganno.
Con me Freyr si adiri e Freyja,
l’anno scorso tralasciai le illusioni di Njǫrðr,
Grímnir [lo] venerino i mostri;
e [anche] Thor il potente;
di Cristo solo io voglio, e di Dio,
l’amore tutto invocare,
siamo stanchi per la collera del figlio
[che] ha glorioso potere sotto il padre del mondo.
Del signore degli uomini di Sogn questo
è [ora] l’uso, che impediti [ci] sono i sacrifici;
il volere delle norne un tempo onorato
per lo più dovremo rifuggire
tutti gli uomini abbandonano
la venerazione di Odino;
io sono anche costretto a [lasciare] i figli di Njǫrðr
per invocare Cristo.”36

4.2. Religione e politica

4.2.1. La conversione in Danimarca

Ad Alcuino, maestro di Carlo Magno e figura insigne della cul-


tura d’epoca carolingia, dobbiamo le notizie sul primo contatto tra
il mondo danese e la religione cristiana. Nella sua agiografia del
36
DLO nr. 52. In questi versi secondo la consuetudine scaldica Alfredo fa sfoggio
di abilità poetica, utilizzando metafore e appellativi con i quali si riferisce a diverse
figure. In particolare alludono a Odino le kenningar (vd. p. 298): “signore di Hliðskjalf”
(il suo trono, o forse la sua rocca; vd. Chiesa Isnardi 20084 [B.7.1], p. 58 e p. 78, nota
6), “marito di Frigg” e “officiante del sacrificio del corvo” (animale sacro al dio) e gli
appellativi Viðrir e Grímnir (su cui vd. Chiesa Isnardi 20084, p. 209 e p. 205); al re
Olav fanno invece allusione le kenningar “[colui] che favorisce gli uomini”, qui usata
al vocativo (con “uomini” si è tradotto il termine nordico hǫlda, genitivo plurale di
hǫldr, letteralmente “libero contadino”, “proprietario terriero”; cfr. p. 212, nota 437)
e “signore degli uomini di Sogn (distretto della Norvegia occidentale)”. Cfr. p. 187.

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Una nuova religione 233

santo missionario anglosassone Willibrord (ca.658-739), egli scrive


che costui, incaricato di predicare il Vangelo fra le popolazioni
della Frisia, aveva cercato di estendere la sua opera in quell’area,
dovendo tuttavia desistere per la ferma opposizione di un sovrano
di nome Ongendus (in nordico, verosimilmente, Angantýr), defi-
nito “uomo più crudele di qualsiasi fiera e più duro di qualsiasi
pietra” (“homo omni fera crudelior et omni lapide durior”).37 Siamo
all’incirca nell’anno 700. A quanto pare i Danesi erano ben capaci
di contrastare il potere di Carlo Magno: nel 782 un loro re di nome
Sigfrido (Sigfred), presso il quale aveva trovato rifugio il famoso
condottiero Widukind che aveva guidato i Sassoni nella lotta con-
tro l’imperatore, è ricordato (evidentemente per l’importanza
politica che rivestiva) in relazione a queste vicende e alle conse-
guenti trattative. Successivamente, come sopra accennato, il sovra-
no danese Goffredo, uno dei figli di Sigfrido, era arrivato a minac-
ciare il potere di Carlo.38 Ma l’assassinio di Goffredo (810) e le
lotte dinastiche a esso conseguenti avrebbero cambiato questa
situazione, con importanti ripercussioni sul piano religioso. Il suc-
cessore, Hemming, concluse nell’811 la pace con Carlo Magno nei
pressi del fiume Eider (danese Ejderen), riconosciuto evidentemen-
te come confine naturale tra i due territori, ma alla sua morte (812)
esplosero i contrasti dinastici e la ricerca di forti alleanze portò
alcuni dei pretendenti al trono danese ad avvicinarsi ai rappresen-
tanti della dinastia carolingia. Fu in questo clima che ebbe luogo
la prima missione ufficiale verso le terre nordiche. Attorno all’anno
822 l’arcivescovo Ebone di Reims con il sostegno del Papa (certa-
mente in accordo con l’imperatore Ludovico il Pio) intraprendeva,
affiancato da Halitgar vescovo di Cambrai e da Willerich, vescovo
di Brema, l’evangelizzazione delle zone danesi. Questa missione
ebbe scarso successo, tuttavia la prima conversione ‘ufficiale’ di un
danese sarebbe avvenuta solo pochi anni più tardi. Uno dei pre-
tendenti al trono infatti, Araldo Klak,39 cacciato dai figli del re
Goffredo nell’826, andò a cercare sostegno presso Ludovico il Pio
nella residenza di Ingelheim a sud-ovest di Magonza: nel contesto
di questa alleanza egli accettò di farsi battezzare nel corso di una
cerimonia sontuosa insieme alla sua famiglia e a quattrocento
seguaci; poi, forte dell’appoggio ottenuto (l’imperatore in persona
era stato suo padrino), tornò in patria, nello Jutland, accompagna-
Vita Willibrordi, pp. 123-124.
37

Vd. pp. 133-134.


38
39
Vd. p. 134 con nota 138. Su di lui vd. Series ac brevior historia regum Daniae. A
Dan ad Waldemarum II, cap. 51, p. 162.

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234 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

to dal giovane Ansgar (Anskarius, 801-865) e da Autbert (Autber-


tus), monaci benedettini del monastero di Corvey (fondato pochi
anni prima in Westfalia sulle rive della Weser come una sorta di
filiale di Corbie), la cui missione poteva godere anche del sostegno
di Papa Gregorio IV. A Hedeby Ansgar riuscì a fondare una pic-
cola scuola e ottenne alcune conversioni. Solo un anno dopo tut-
tavia Araldo veniva cacciato, Autbert moriva e Ansgar doveva
quindi ritirarsi: egli portò con sé alcuni neofiti perché ricevessero
l’educazione cristiana nei conventi. La missione di Ansgar riprese
non molto tempo dopo avendo come meta principale la Svezia.40
In seguito egli diveniva abate di Corvey e primo titolare dell’arci-
vescovato di Amburgo (832), sede dalla quale si sarebbe dovuta
organizzare la conversione dei popoli nordici; dopo un incontro
con Gregorio IV inoltre riceveva il pallio e veniva nominato legato
pontificio per la Scandinavia e le missioni slave.41
Erano tuttavia anni di forti contrasti: se da una parte è vero che
probabilmente i vichinghi non avevano interesse a osteggiare in
maniera troppo aggressiva la religione di molti dei mercanti che
avevano rapporti d’affari con loro, è altrettanto vero che in quei
decenni le loro scorrerie si erano fatte sempre più frequenti e che
essi ormai compivano incursioni nel cuore stesso dell’Impero.42
Incursioni che, come si è visto, non risparmiarono Amburgo, che
attaccata e devastata nell’845 dovette assistere anche alla completa
distruzione della sua cattedrale. In questa occasione Ansgar riuscì
a stento a fuggire, rifugiandosi a Brema, la cui diocesi in seguito
(864) il Papa Niccolò I avrebbe unificato proprio con Amburgo,
dando vita a quella che a lungo sarebbe stata la sede amministrati-
va del cristianesimo nel Nord.43 Dopo la catastrofe Ansgar seppe
gradatamente riprendersi: fu capace di instaurare buoni rapporti
con il re danese Horik (che pure aveva ordinato il saccheggio
dell’845!) e dare nuovo impulso alla propria missione, questa vol-
ta con più fortuna; la prima chiesa danese sarebbe presto stata
costruita nell’importante centro commerciale di Hedeby (850), una
seconda sarebbe sorta qualche anno dopo a Ribe. Dopo la morte
40
Vd. paragrafo successivo.
41
STFM I, nr. 3, anno 832, pp. 5-11; cfr. il documento successivo (nr. 4, del 15 mag-
gio 834, pp. 11-20, nel quale l’imperatore Ludovico il Pio affida all’arcivescovato di
Amburgo e ad Ansgar la responsabilità della missione nei Paesi nordici). Vd. anche: nr.
5, aprile 846, pp. 20-21; nr. 6, marzo 849, p. 21; nr. 7, tra l’855 e l’858, p. 21. Diversi altri
documenti negli anni successivi confermano il grande interesse dei papi e degli impera-
tori nei confronti delle regioni nordiche (ibidem, pp. 30-61). Cfr. sopra, note 1 e 2.
42
Vd. sopra, pp. 110-111.
43
STFM I, nr. 8, anno 858 (864), p. 21.

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Una nuova religione 235

di Horik (854) le persecuzioni dei cristiani ripresero, tuttavia Ansgar


riuscì in qualche modo a stabilire buone relazioni anche con il suo
successore, ottenendo qualche concessione: in ogni caso la sua
morte, avvenuta nell’865, segna una interruzione nell’opera di
cristianizzazione del Nord. Dopo di lui Rimbert, che lo sostituì e
ne scrisse la biografia, tentò di portare avanti la sua attività tuttavia
con scarso successo.
Nei decenni successivi la storia danese resta per molti versi
oscura. Si sa che i Danesi che si trovavano in Inghilterra ebbero
contatti più che casuali con la religione cristiana, come dimostra
soprattutto il caso del loro condottiero di nome Guthrum che in
seguito all’accordo con il re anglosassone Alfredo il Grande aveva
accettato (certamente per convenienza politica) di essere battezza-
to (878).44 Inoltre secondo Adamo da Brema l’arcivescovo Unni
nominato titolare della sede di Amburgo-Brema si adoperò per
riprendere in modo programmatico la missione di Ansgar.45 Nell’an-
no 934 si ha notizia di un re di nome Gnupa (tuttavia di origini
svedesi)46 che fu costretto ad accettare il battesimo (e il pagamento
del tributo!) in seguito a una sconfitta subita a opera dell’impera-
tore tedesco Enrico I, noto come l’Uccellatore (Heinrich der Vogler
o der Finkler). Già pochi anni dopo (946 circa) le fonti citano
vescovati a Hedeby/Schleswig, Ribe e Aarhus (una città fondata
solo all’inizio del secolo) istituiti per iniziativa dell’arcivescovo di
Amburgo-Brema, Adaldag. Il quadro si fa nuovamente più chiaro.
Gnupa viene sconfitto da Gorm il Vecchio che sale al trono, dando
il via a una vera dinastia reale danese. I celebri monumenti di Jelling
ricordano questo sovrano, la moglie Thyre e il figlio Araldo Dente
azzurro (940-986): quell’Araldo che, secondo il racconto di Widu-
kind di Corvey sopra ricordato,47 nell’anno 960 si convertì al cri-
stianesimo di fronte all’efficacia delle parole del vescovo Poppone
ma, soprattutto, di fronte alla qualità ‘magica’ del dio cristiano che
aveva saputo proteggere il suo fedele nel corso di una difficilissima
prova.
Certo la decisione di Araldo non fu presa repentinamente e le
motivazioni non furono solo queste. Suo padre Gorm, secondo la
testimonianza (tutta da verificare) di un suo successore Svend
Estridsen (vedi oltre, in questo medesimo paragrafo), era stato un
pagano determinato a sradicare il cristianesimo dal proprio Paese:
44
Vd. sopra, p. 108.
45
Gesta Hammaburgensis […], I, lxi.
46
Vd. sopra, p. 135.
47
Vd. p. 225.

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236 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

scacciava i sacerdoti e molti ne faceva uccidere per mezzo della


tortura.48 È difficile stabilire il momento in cui Araldo Dente azzur-
ro lo sostituì sul trono (probabilmente prima della di lui morte).
Certamente i rapporti di questo re con i sostenitori del cristianesi-
mo erano già maturati prima che egli accettasse il battesimo. Di
importanza rilevante nella sua decisione dovette essere la situazio-
ne di conflitto che lo opponeva all’imperatore tedesco Ottone I,
testimoniata fra l’altro dall’evidenza archeologica di lavori di raf-
forzamento dell’importante bastione difensivo, il Dannevirke, che
proteggeva i confini meridionali dello Jutland. Come che sia, il
complesso di Jelling immaginato da Gorm il Vecchio (che vi aveva
fatto innalzare un monumento in pietre a forma di nave49 e una
pietra runica in memoria della moglie Thyre)50 come un centro di
carattere pagano, fu da principio arricchito da parte dello stesso
Araldo di un tumulo maestoso per la solenne sepoltura del padre
(958). Ma una volta divenuto cristiano Araldo avrebbe modificato
considerevolmente la struttura del complesso. Il monumento a
forma di nave fu eliminato e un secondo tumulo fu innalzato allo
scopo di ostentare la potenza della dinastia; soprattutto però fra i
due grandi tumuli fu eretta una chiesa in legno, nella quale, è leci-
to supporre, vennero traslate le spoglie di Gorm. Accanto alla
chiesa dalla parte meridionale Araldo fece erigere la celebre pietra
runica che su un lato reca nell’iscrizione sopra ricordata la orgo-
gliosa rivendicazione del suo potere,51 ma su un altro mostra anche
– e soprattutto! – la prima immagine di Cristo conosciuta nel Nord.52
Trasferita la sede regale a Roskilde (dunque in una località presso
il mare) il sovrano stesso sarebbe infine stato sepolto nella Chiesa
della Trinità da lui fatta costruire in quel luogo.
I successori di Araldo saranno dunque, almeno formalmente, re
cristiani pronti a interpretare un ruolo di primo piano: promotori
di una politica espansionistica e protagonisti di dure lotte per il

48
Gesta Hammaburgensis […], I, lv.
49
Vd. p. 216. Questo monumento avrebbe dovuto essere il più grande nel suo
genere in tutta la Danimarca. Sulla sede regale di Jelling vd. Heltoft J., Kongesædet i
Jelling, København 1957; Krogh K.J., “The royal Viking-Age Monuments in Jelling in
the Light of Recent Archaeological Excavations”, in AA LIII (1982), pp. 183-216 ed
Ebbesen Kl., Jelling. Arkæologi og historie, Copenhagen 1990.
50
Vd. sopra, p. 135.
51
Vd., ancora, p. 135.
52
La pietra ha tre lati: su uno è incisa l’iscrizione runica, su un secondo l’immagine
di Cristo, il terzo è decorato da motivi zoomorfi, in particolare con la figura di una
‘grande bestia’ sul cui corpo è a sua volta attorcigliata una serpe (stile di Mammen, cfr.
p. 220 con nota 462 e p. 221).

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Una nuova religione 237

predominio. Tra di loro figure di spicco quale, fra tutte, Canuto il


Grande, abile politico, guerriero determinato e diplomatico intel-
ligente che seppe porsi all’altezza dell’imperatore tedesco e del
Papa, un re – quasi certamente più inglese che danese –53 che alla
morte (1035) verrà tumulato con tutti gli onori nella cattedrale di
Winchester. Con l’ascesa al trono di Svend Estridsen, nipote per
parte di madre di Canuto il Grande, la posizione del cristianesimo
danese fu rafforzata. Svend (il cui regno si colloca tra il 1047 e il
1074) è il sovrano che tante informazioni passò ad Adamo da
Brema, che di lui ci rivela le virtù (definendolo intelligente e istrui-
to), ma anche i gravi vizi (in particolare la lussuria) che lo rende-
vano disubbidiente ai precetti cristiani.54 Quali che fossero i suoi
comportamenti nella vita privata Svend si adoperò molto per la
Chiesa: innanzi tutto cercò di collaborare con l’arcivescovo di
Amburgo-Brema, Adalbert, che nel 1053 era stato nominato dal
Papa proprio legato e vicario per l’intera Scandinavia (comprese
l’Islanda, la Groenlandia, la Finlandia e il territorio dei Sami). E
ciò nonostante il fatto che con lui Svend avesse avuto un grave
conflitto quando era stato costretto ad annullare il proprio matri-
monio con una nobile svedese sua parente.55 In questo periodo fu
riorganizzata la Chiesa danese che tramite accorpamenti e suddi-
visioni fu ripartita negli otto vescovati (Hedeby/Schleswig, Ribe,
Aarhus, Viborg e Vestervig56 nello Jutland; Odense in Fionia;
Roskilde in Selandia e Lund in Scania) che a lungo ne avrebbero
costituito l’ossatura. Sebbene il sovrano si fosse riservato il diritto
di nomina dei vescovi,57 questo atto servì a rafforzare la presenza
e il funzionamento della struttura ecclesiastica, fino ad allora non
ben radicata sul territorio. Il risultato fu consolidato con la costru-
zione di molte nuove chiese (qualche centinaio secondo le entu-
siastiche stime di Adamo da Brema).58 Tutto questo agevolò in
misura cospicua il lavoro di diffusione della nuova fede, che – se
da un punto di vista formale era ormai largamente accettata –
restava tuttavia in realtà sostanzialmente estranea alla mentalità e
ai comportamenti della maggior parte delle persone. Ma Svend
aveva in mente anche un progetto più ambizioso: egli aspirava a
53
Così, con buone ragioni, si sostiene tra l’altro in Winding 1997 (B.3), p. 26.
54
Gesta Hammaburgensis […], III, liv.
55
Gesta Hammaburgensis […], III, xii.
56
Successivamente trasferita a Børglum e poi a Ålborg.
57
Regolamentata o meno, questa consuetudine fu a lungo in uso soprattutto in
Danimarca e in Norvegia. Solo in seguito al concordato di Worms (1122) i sovrani
rinunciarono (almeno formalmente) a interferire nelle nomine episcopali.
58
Gesta Hammaburgensis […], IV, vii.

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238 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

una maggiore indipendenza della Chiesa nordica, comunque sot-


toposta alla supremazia di quella tedesca. Un progetto che avreb-
be cominciato a prendere forma quasi trent’anni dopo la sua
morte, nel 1103, con la fondazione a Lund del primo arcivescova-
to per i Paesi del Nord (con giurisdizione su Danimarca, Svezia,
Norvegia, Islanda e sulle diverse colonie nordiche) e con l’affida-
mento dell’incarico di primo arcivescovo ad Asger Svendsen, figlio
di un capitano jutlandese – dunque un danese! – già vescovo
nella medesima sede.
Nel frattempo la Danimarca aveva trovato il proprio rex et martyr
nella figura di Canuto il Santo (Knud den hellige), figlio di Svend
salito al potere nel 1080 (o 1081). Egli aveva favorito la Chiesa, in
particolare quella di Lund (cui aveva donato ricchi possedimenti),
vedendo in quell’alleanza l’occasione per rafforzare il potere del-
la Corona. Ma seppure mascherata dietro all’immagine del re
devoto, la sua politica autoritaria si era scontrata contro i poten-
tati locali e aveva determinato una rivolta aperta nello Jutland. Il
re (che tra l’altro voleva imporre il pagamento delle decime) fu
cacciato e inseguito fino a Odense dove si rifugiò nella chiesa di
Sant’Albano. Qui fu raggiunto e ucciso dagli inseguitori insieme
al fratello Benedetto (Benedikt) il 10 luglio 1086. Ma l’abilità degli
ecclesiastici di Odense e la determinazione del fratello Erik il
Buono (Ejegod),59 sfuggito alla morte in quella occasione, lo tra-
sformò presto in un martire che aveva dovuto soccombere per la
propria fede. Si sparse la voce che presso la sua tomba fossero
avvenuti dei miracoli e che egli, trovato sull’altare con le braccia
spalancate e ferito da una lancia, avesse in un certo senso condi-
viso la morte di Cristo.60 Canuto fu dunque dichiarato santo e gli
fu preparata una superba sepoltura proprio a Odense. A Canuto
succedette Oluf (nato nel 1050 circa), noto con il triste sopranno-
me di Fame (Hunger) per via della carestia che caratterizzò il suo
regno. Costui sarebbe poi morto nel 1095 (forse in una sorta di

59
Il soprannome è forse una forma corrotta di egode “sempre buono”. Sassone
grammatico spiega che il suo regno era stato segnato da abbondanza e prosperità e che
egli ebbe questo appellativo non soltanto per le virtù personali bensì anche per il
benessere goduto dal popolo durante il periodo in cui aveva governato il Paese (Gesta
Danorum, XII, iii, 1).
60
Per le fonti vd. Danakonunga sǫgur, B. Guðnason gaf út, Reykjavík 1982 (ÍF: 35),
pp. cxix-cxxi. Si confrontino qui le circostanze della morte del re norvegese Øysteinn
(Eysteinn) Haraldsson (morto nel 1157, cfr. p. 363 con nota 148) così come narrate da
Snorri Sturluson nel cap. 32 della Saga dei figli di Araldo [gilli], quattordicesima parte
della Heimskringla (Haraldssona saga; il soprannome gilli, di derivazione celtica,
significa “Servitore [di Cristo]).

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Una nuova religione 239

sacrificio per la fecondità come il re svedese Dómaldi),61 anno in


cui salì al trono Erik il Buono, in seguito deceduto a Cipro nel
corso di un viaggio verso la Terrasanta (1103) intrapreso allo sco-
po di visitare Gerusalemme, liberata dal dominio mussulmano in
seguto alla prima Crociata.62

Negli Annali di Xanten (abbazia presso la foce del Reno in Westfalia),


un testo risalente alla fine del IX secolo, si riferisce degli assalti e delle
devastazioni che i vichinghi guidati da Ragnarr (Reginherus) avevano
portato nell’anno 845, tra gli altri luoghi, in Francia. E tuttavia il testo
lascia chiaramente intendere che questi pagani avevano poi subito la
punizione divina per le loro azioni scellerate:

“In quello stesso anno in molti luoghi i pagani irruppero contro i Cri-
stiani, ma fra loro più di dodicimila furono uccisi dai Frisoni. Una parte
di loro si diresse in Francia, e là caddero tra loro più di seicento persone.
Ciò nonostante a motivo della [sua] ignavia Carlo [il Calvo] diede loro
molte migliaia di libbre d’oro e d’argento perché andassero via dalla Fran-
cia, il che del resto fecero. Tuttavia i monasteri di molti santi furono
distrutti, e presero prigionieri molti Cristiani […] In seguito però quei
predoni furono colpiti da una grande epidemia, a causa della quale anche
il condottiero di quegli scellerati, che aveva depredato i Cristiani e i luoghi
santi, di nome Ragnarr, per castigo di Dio, perse la vita. Convocato dunque
un consiglio, trassero la sorte, per sapere da quale dei loro dèi dovesse
dipendere il rimedio, ma la sorte non diede responso positivo. Tuttavia un
Cristiano prigioniero presso di loro li convinse a trarre la sorte di fronte
al dio dei Cristiani, il che fecero e la sorte diede per loro responso positivo.
Allora il loro re di nome Rorik per quattordici giorni si astenne [dal con-
sumare] carne e idromele insieme a tutto il popolo dei pagani. E cessò la
morìa, e rimandarono al proprio Paese tutti i prigionieri Cristiani che
avevano.”63

61
Cfr. p. 128 con nota 108. Alla ‘strana’ morte di Oluf allude Saxo grammaticus
(Gesta Danorum, XII, ii, 1-3).
62
Si trattò in realtà di un viaggio a metà tra il pellegrinaggio e la spedizione milita-
re. Erik perì a Cipro, mentre la moglie Bodil proseguì fino a Gerusalemme dove tut-
tavia morì anch’ella: vd. Saxo Grammaticus, Gesta Danorum, XII, vii, 6 e Saga dei
discendenti di Canuto [il Grande] (Knýtlinga saga), cap. 81. A questo re è dedicato il
Carme encomiastico per Erik (Eiríksdrápa) dello scaldo Markús Skeggjason (morto nel
1107) al quale la saga si rifà.
63
DLO nr. 53; cfr. sopra, pp. 110-111.

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240 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

4.2.2. La conversione in Svezia

Come sopra è stato detto la prima missione di Ansgar in Dani-


marca aveva avuto ben scarso successo. Inaspettatamente tuttavia
gli si aprirono le porte della Svezia: nell’829 infatti il re degli Svear
Björn mandava dei delegati a Worms da Ludovico il Pio per discu-
tere questioni commerciali e considerare l’eventualità di accogliere
missionari a Birka.64 Ansgar, designato per questo nuovo incarico,
partì insieme a un monaco di nome Witmar (Witmarus) e all’invia-
to dell’imperatore; è riferito che sul mare essi furono assaliti dai
pirati e depredati dei doni che recavano al signore svedese e di
molti libri ecclesiastici. Dovettero dunque proseguire in gran par-
te a piedi e raggiunsero Birka (presumibilmente nella primavera
dell’830) dopo un viaggio assai faticoso lungo percorsi disagevoli.
Ansgar fu ben accolto dal re Björn,65 il quale dopo aver consultato
i suoi consiglieri gli permise di predicare il Vangelo; il missionario
si trattenne un anno e mezzo e battezzò tale Herigarius (in nordico
verosimilmente Hergeirr), prefetto della città, il quale a quanto pare
fece costruire una chiesa sul suo terreno: costui risulta dunque
essere il primo cristiano svedese. Birka, come sottolinea Rimbert,
collaboratore e biografo di Ansgar, era considerata una sorta di
limite estremo del mondo ‘civilizzato’ al quale il missionario por-
tava la luce della fede.66 In effetti questo centro si trovava sul lago
Mälaren nella regione dell’Uppland non lontano da Uppsala, cen-
tro politico e religioso degli Svear, nel quale sorgeva il celebre
tempio descritto da Adamo da Brema.67 Dunque sebbene questo
luogo, per sua stessa natura di mercato, fosse permeato da una
atmosfera di tolleranza, le decisioni del re (certamente improntate
a ragioni politiche) venivano a scontrarsi con un ambiente nel
quale il paganesimo era fortemente radicato e la volontà dell’as-
semblea aveva considerevole peso. Perciò la missione, in un primo
momento promettente, diede alla fine ben miseri frutti. Già verso
la fine degli anni ’30 il vescovo Gauztbert (Gauzdbertus/Gaudber-
tus), nipote di Ebone di Reims che – nominato responsabile di quel
64
A quanto pare già in precedenza il cristianesimo aveva fatto la propria comparsa
in quella regione: da evidenze archeologiche risulta infatti in Svezia una significativa
presenza di oggetti decorati con motivi cristiani databili prima della missione di Ansgar
(Lundén 1983, p. 16). Si veda anche Holmqvist V., “Was there a christian mission to
Sweden before Ansgar?”, in Early Medieval Studies, VIII – Antikvarisk Arkiv, LVII
(1975), pp. 33-55.
65
Vita Anskarii, capp. 10-11; cfr. p. 139 con nota 155.
66
Vita Anskarii, cap. 25.
67
Vd. sopra il testo a p. 186.

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Una nuova religione 241

territorio nell’832 era stato inizialmente ben accolto e aveva potu-


to costruire una chiesa a Sigtuna – veniva cacciato per l’opposizio-
ne dei pagani locali: il suo collaboratore Nithard (Nithardus) subi-
va il martirio ed egli doveva spostare la propria attività all’interno
della diocesi di Brema. Nonostante la crisi degli anni ’40, grazie ai
buoni uffici del re danese Horik, con il quale aveva diplomatica-
mente saputo instaurare buoni rapporti, Ansgar poté comunque
ritornare in Svezia (852 circa), una visita nella quale fu accompa-
gnato da Rimbert: qui fu accolto da un sovrano di nome Olof (che
gli concesse anche di costruire delle chiese) e poté riorganizzare la
piccola comunità cristiana svedese, la quale tuttavia doveva – come
del resto precedentemente – accogliere tra i propri fedeli mercan-
ti stranieri e schiavi, senza che il fervore missionario riuscisse a
scalfire (se non in minima parte) il credo religioso della popolazio-
ne locale. Dopo la morte di Ansgar, pur tra molte difficoltà i rap-
porti tra la sede di Amburgo-Brema e la Svezia dovettero in qualche
modo proseguire: si sa, a esempio, che Rimbert aveva visitato la
parrocchia danese di Hedeby/Schleswig ma anche quella svedese
di Birka. Rimbert moriva nell’888. Si dovranno ora attendere alcu-
ni decenni prima di avere nuove informazioni sulla Chiesa svedese;
Adamo da Brema resta singolarmente silenzioso: la prima notizia
di rilievo che ci fornisce successivamente è relativa all’arcivescovo
Unni (che dopo un periodo di stasi aveva ripreso in modo program-
matico l’opera di cristianizzazione nel Nord) morto il 17 settembre
dell’anno 936 durante una visita a Birka.68
Poco si sa del X secolo. Adamo cita tale Liafdag (Liafdagus,
probabilmente vescovo di Ribe) – il quale a quanto pare compiva
anche miracoli – che aveva predicato la buona novella in Svezia e
in Norvegia; inoltre informa che l’arcivescovo di Brema Adaldag
(Adaldagus) aveva inviato in Svezia il vescovo Odinkar il Vecchio
(Odinkarus senior). Sempre secondo lo stesso autore nell’anno 984
il celebre re svedese Erik (Hericus) Segersäll, morto nel 994 o 995,
avrebbe accolto il battesimo in Danimarca, ma sarebbe tornato
all’antica fede una volta ritornato in patria.69 Erik Segersäll è con-
68
Gesta Hammaburgensis […], I, lxii. Adamo riferisce che il suo corpo fu sepolto
a Birka, mentre la testa fu staccata e inumata nella cattedrale di San Pietro a Brema.
Una procedura che certamente si lega all’idea che il corpo di un uomo dalle doti
particolari conservi in sé anche dopo la morte una forza magicamente prodigiosa: il
che era facilmente comprensibile per i pagani nordici i quali mostrano di aver avuto
la medesima considerazione nei riguardi dei cadaveri di sovrani ritenuti capaci di
promuovere il benessere dei sudditi anche dopo la morte. Si veda in particolare l’epi-
sodio relativo al re norvegese Halvdan il Nero sopra ricordato (vd. p. 129).
69
Gesta Hammaburgensis […], XXVI e XXX.

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242 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

siderato il primo sovrano capace di estendere il proprio potere su


tutte le regioni che costituivano la Svezia nel medioevo: Svealand,
Västergötland e Östergötland. Egli inoltre regnò per un paio di
anni anche sulla Danimarca dopo averne scacciato Svend Barba
forcuta. La notizia del suo battesimo e della successiva apostasia
confermerebbe dunque (a meno che non si tratti di una invenzione
di Adamo) il disinvolto uso politico della religione cristiana fatto
dai nordici: ragioni di convenienza politica e sociale sconsigliavano
a quanto pare a un sovrano legato alla ricca ma pagana regione
dell’Uppland l’accettazione della nuova fede.70
Ma se la zona attorno al lago Mälaren e a Uppsala, dove sorgeva
il celebre tempio pagano, era particolarmente ostile alla nuova
religione, il malanimo nei confronti dei cristiani, parallelo alla
radicata osservanza dei culti tradizionali, restò a lungo diffuso anche
in altre aree. In questo contesto è assai interessante la testimonian-
za dello scaldo Sighvatr Þórðarson, inviato in missione diplomati-
ca nel Västergötland dal sovrano norvegese Olav il Santo agli inizi
dell’XI secolo. Di questo viaggio Sighvatr redasse un resoconto
poetico dal titolo Canzoni del viaggio a oriente (Austrfararvísur).
Qui egli riferisce delle traversie cui era andato incontro, tra l’altro
la richiesta di accoglienza per la notte presso alcune fattorie svede-
si, respinta per ben quattro volte dai diversi proprietari, impegna-
ti in celebrazioni pagane che – come almeno in un caso è chiara-
mente specificato – si stavano svolgendo in onore degli elfi. Va tra
l’altro osservato che la prima fattoria dalla quale Sighvatr era stato
malamente cacciato aveva nome Hof, il che sottolinea chiaramente
la presenza di un luogo dedicato al culto pagano.71
Nelle zone occidentali della Svezia sarebbero giunti missionari
inglesi. Qui si trova (in Västergötland) la località di Husaby (sede
di una residenza reale)72 dove, secondo una radicata tradizione, il
re Olof Skötkonung73 (salito al trono alla morte del padre Erik
70
Va tra l’altro rilevato che dopo la morte di Erik (995 circa) la sua vedova, madre
di Olof Skötkonung, primo vero re cristiano degli Svedesi (vd. poco oltre) avrebbe
sposato il medesimo re danese Svend Barba forcuta, il che lascia chiaramente intende-
re motivazioni politiche legate a questi eventi; cfr. sopra, p. 139.
71
Vd. sopra, p. 184.
72
Cfr. p. 360 con nota 135.
73
Il significato di questo soprannome (ant. sved. skotkonongær) resta incerto.
Probabilmente tuttavia esso va inteso come “skattkonung” (dove skatt “imposta”,
“tassa”, “tesoro”) con riferimento al fatto che egli fu il primo sovrano svedese a bat-
tere moneta. A questo re ‘cristianizzatore’ è dedicata la breve opera in knittelvers (vd.
p. 396, nota 268) dell’ecclesiastico Andreas Johannis Prytz (1590-1655) dal titolo Olof
Skötkonung. Cioè una piacevole commedia, sul potente e altamente lodato re di Svezia
di nome Olof Skötkonung. Come egli abbia eliminato il paganesimo dalla Svezia e ripor-

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Una nuova religione 243

Segersäll), sarebbe stato battezzato (nell’anno 1008?) da un missio-


nario di nome Sigfrido (detto arcivescovo di York) in seguito pro-
clamato santo. Con lui, è riferito, si convertirono al cristianesimo
mille persone e sette tribù.74 Fu dunque in questa medesima regio-
ne, dapprima a Husaby e poi a Skara, che venne istituita la prima
sede vescovile svedese, la quale, secondo la medesima tradizione
sarebbe stata affidata a Sigfrido.75 Se è certo che queste notizie sono
in buona parte poco verosimili e piuttosto frutto di elaborazioni dettate
da interessi politici (in particolare il desiderio di ricondurre a un’unica
figura di sovrano la cristianizzazione del Paese),76 l’indicazione relativa
al luogo in cui avvenne la solenne cerimonia del battesimo reale e fu
fondata la prima sede vescovile sottolinea tuttavia come nelle zone occi-
dentali della Svezia la nuova religione abbia potuto affermarsi (nono-
stante difficoltà e resistenze) almeno un secolo prima rispetto a quella
orientale dell’Uppland. La preferenza di Olof Skötkonung per Husaby
e Skara rispetto a Sigtuna, sede regale, per la creazione di un primo
importante centro cristiano è stata considerata frutto di una politica che
si proponeva di sottrarre la Chiesa svedese all’influenza di quella

tato la fede cristiana (Olof Skottkonung. Thed är een Lustigh Comoedia, om then
Stormächtige och Högtberömde Sweriges Konung, Olof med nampnet Skottkonung.
Huru han Hedendomen j Swerige affskaffat haffuer, och igen vprättadt then Christna
Troona, 1620), scritta in occasione del matrimonio di Gustavo II Adolfo con Maria
Eleonora di Brandeburgo (1599-1655), celebrato il 25 novembre 1620 (cfr. p. 473,
nota 43).
74
Queste notizie vengono in primo luogo dalla cosiddetta Leggenda di Sigfrido (in
svedese Sigfridslegenden), un testo pervenutoci in diverse versioni. A esse si aggiungo-
no informazioni contenute nell’elenco dei sovrani svedesi (Kungakrönikan) e in quel-
lo dei vescovi di Skara (Biskopskrönikan), due testi redatti dopo il 1240 che si trovano
in aggiunta alle leggi del Västergötland (Västgötalagen). La data del 1008 (ma forse il
riferimento è al 1006 o 1007), così come l’allusione alle “mille persone e sette tribù”
(“mille homines et septem plebes”) che sarebbero state battezzate insieme al re si dedu-
ce da una notizia contenuta in una lettera inviata all’imperatore Enrico II dal missio-
nario e arcivescovo tedesco Brunone di Querfurt attivo soprattutto in Polonia tra il X
e l’XI secolo; vd. “Epistola Brunonis ad Henricum regem / List Brunona do króla
Henryka”, in Monumenta Poloniae Historica, Series nova – Tomus IV, fasc. 3 / Pomniki
Dziejowe Polski, Seria II – Tom IV, część 3, Warszawa 1973, pp. 97-106 (in parti-
colare pp. 105-106). Su Sigfrido vd. innanzi tutto Schmid T., Den helige Sigfrid,
Lund 1931.
75
Questa versione sarebbe confermata dalla Saga di Olav Tryggvason così come
contenuta nel Libro di Flatey (Flateyjarbók, I, p. 512) dove si afferma tra l’altro che
Sigfrido (Sigurðr) era stato condotto con sé dall’Inghilterra dal re norvegese Olav
Tryggvason (I, p. 195 e p. 244). Una versione discordante si trova in Sassone gramma-
tico (Gesta Danorum, X, xi, 6) secondo il quale il re Olof sarebbe stato convertito da
un vescovo di nome Bernardo, forse lo stesso cui fanno riferimento Adamo da Brema
e Ari Þorgilsson che lo definisce “il Letterato” (cfr. pp. 420-421 con nota 356).
76
Vd. Sawyer 1986, pp. 223-226.

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244 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

tedesca;77 è probabile però che si debba più semplicemente accet-


tare la spiegazione fornita da Adamo da Brema il quale riferisce che
questo re, desideroso di diffondere la nuova fede, meditava di
distruggere il tempio di Uppsala ma aveva dovuto trasferirsi nel
Västergötland a causa della reazione dei numerosi pagani che lo
avevano invitato, se voleva essere cristiano, a farlo da un’altra par-
te.78 Costoro infatti non soltanto non tolleravano imposizioni ma
riconoscevano in quel tempio il proprio centro religioso: esso del
resto sorgeva in un luogo che – si noti – dista da Sigtuna circa 40
km., cioè, all’epoca, un solo giorno di viaggio.79 D’altronde anche
per Olof Skötkonung la conversione al cristianesimo fu legata a fini
politici: come re cristiano di Svezia egli cercava una forte legittima-
zione. La coniazione delle prime monete svedesi (fatta a Sigtuna a
partire dal 995) risale al periodo del suo potere: sebbene l’interpre-
tazione delle iscrizioni sia in diversi casi problematica (soprattutto
nelle monete prodotte in una seconda fase, quando i maestri conia-
tori inglesi lasciarono il lavoro che fu affidato ad artigiani svedesi
certamente analfabeti),80 è innegabile che la presenza accanto alla
figura del sovrano (indicato prima come re di Sigtuna, poi come re
degli Svedesi) del simbolo della croce sia una indiscutibile testimo-
nianza numismatica che tra l’altro contribuirebbe a far anticipare
la datazione tradizionale della sua conversione. Un episodio, del
resto, che rimane tutto da verificare nei tempi e nelle modalità. Un
re cristiano, Olof, come gli altri coinvolto in lotte per la supremazia
nel Nord81 e in importanti sviluppi politici, a motivo dei quali tra
l’altro diede in sposa la propria figlia al prìncipe Jaroslav I
(Ярослав, 978-1054), figlio e successore di quel Vladimiro I
(Владимир, ca.958-1015) che aveva guidato i sudditi del Regno di
Kiev verso la fede cristiana. Una scelta nella quale non si possono
escludere interessi nei confronti della Chiesa bizantina.82 Alla sua
77
Vd. Hallencreutz 1995, pp. 42-43.
78
Gesta Hammaburgensis […], II, lviii. Secondo Adamo da Brema la prima dioce-
si fu istituita a Skara (1014) e affidata al vescovo Thurgot (Thorgatus).
79
Come specifica ancora Adamo: “[…] pose la sede nella città di Sigtuna, che dista
da Uppsala un giorno di viaggio” (ibidem, IV, xxix: “[…] sedem posuit in Sictona
civitate, quae distat ab Ubsola itinere diei unus”).
80
Vd. Malmer B., Olof Skötkonungs mynt och andra Ethelred-imitationer. Några
svensk-engelska myntproblem, Stockholm 1965.
81
Tra l’altro egli fu a fianco del danese Svend Barba forcuta contro il sovrano cri-
stiano norvegese Olav Trggvason, sconfitto e ucciso nella celebre battaglia di Svolder,
forse nell’Øresund (1000); cfr. p. 254.
82
È evidente che in conseguenza dei movimenti dei Vareghi si erano determinati
contatti con il mondo della Chiesa bizantina. Già attorno all’874 (dopo che alcuni rus’
erano stati negli anni precedenti battezzati) un arcivescovo era stato inviato in missio-

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Una nuova religione 245

morte, avvenuta nel 1022, Olof fu sepolto nella chiesa di Husaby


nel Västergötland, là dove – secondo la tradizione – era avvenuta
la solenne cerimonia del suo battesimo.

Dalla Leggenda di San Sigfrido:

“Mentre il santo padre San Sigfrido era con il re [di Svezia], i tre figli di
sua sorella, di cui si è detto, si trovavano a Växjö, dove egli aveva costruito
una chiesa di legno, essi predicavano e recavano molto profitto alla comu-
nità. Ma siccome non conoscevano [bene] la lingua del Paese, avevano
preso con sé degli uomini eminenti del distretto, con i quali tenevano con-
siglio, e a loro erano così legati, che mostrarono tutte le loro cose nascoste.
Quando quelli videro i loro preziosi averi, come a esempio piatti e preziose
scodelle d’argento,83 il demonio, che è nemico di ogni buona azione, insinuò
nel loro cuore il modo in cui potevano uccidere quei tre uomini santi. Ave-
vano timore della comunità e trassero la sorte fra loro, al modo in cui gli
eretici e i pagani un tempo usavano fare, e la sorte cadde su otto di quei
dodici. Nottetempo entrarono dove erano coricati quei santi uomini e li
trascinarono fuori e li decapitarono tutti e tre. Quando ebbero compiuto
questo infame delitto, presero le loro teste e le misero in un’urna e vi lega-
rono una grossa pietra, che una coppia di buoi a fatica poteva trainare, e le
immersero in quel lago che si trova vicino alla chiesa.
Quando gli assassini tornarono indietro, presero i corpi e legarono una
corda attorno ai piedi e li trascinarono in un luogo difficile da raggiungere
anche per gli animali, e [nel quale] mai giungeva il sole, e gettarono un
grande cumulo di pietre su quei santi corpi, sperando che ciò restasse nasco-
sto a Dio al quale tutte le cose sono manifeste. Ma Dio non volle che ciò
restasse a lungo celato, ma volle rendere onore ai suoi uomini santi: [perciò]
là dove essi giacevano erano soliti radunarsi dei corvi e schiamazzare, e di
notte su di loro splendeva dal cielo una luce che non era visibile prima che
essi arrivassero là. Quando i miscredenti videro ciò, si aspettavano che le
cose per loro dovessero migliorare rispetto a prima: e riferirono l’uno all’al-
tro questa strana cosa. I nemici di Dio ebbero timore della sua vendetta, e
che alla comunità fosse resa nota la loro azione, e presero di notte i corpi, là
dove li avevano collocati, e li misero in un luogo che a Dio era noto, ma
nessun altro conosce, a motivo dei peccati della comunità.
Il demonio si rallegrò molto della morte degli uomini di Dio, e si diffuse

ne a Kiev. Ma il paganesimo dei Vareghi non sarebbe stato per il momento intaccato.
Solo nel secolo successivo si ha notizia di una chiesa edificata in quella città (944). Un
momento decisivo per l’affermazione della religione cristiana in quelle regioni era
stato, nell’anno 988, proprio il battesimo del principe Vladimiro che aveva dato un
fondamentale impulso alla nuova religione.
83
Il riferimento è, molto probabilmente, a oggetti destinati alle cerimonie religiose.

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246 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

molta barbarie nella nuova comunità cristiana, ad alcuni insinuò nel cuore
la superbia, ad altri l’ira, ad altri l’omicidio. Quando San Sigfrido seppe che
i figli di sua sorella erano [stati] assassinati, ringraziò Dio che li aveva libe-
rati dagli affanni di questo mondo con la corona del martirio […] Poi San
Sigfrido ritornò nel[la regione del] Värend e trovò che i figli di sua sorella
erano [stati] assassinati, come prima abbiamo detto, da nemici ed erano
perdute tutte le cose che aveva portato con sé nel Paese, e quel che era anche
peggio, c’erano alcuni che volevano rigettare la fede. L’uomo
di Dio aggiunse fatica al proprio dolore e di notte vegliava in preghiera, e di
giorno predicava e si preoccupava della superstizione di quelli che si erano
allontanati dalla fede, e accoglieva amorevolmente quelli che volevano con-
servare la [dottrina] cristiana e non si risparmiava nel servizio di Dio. In quel
tempo l’uomo di Dio pregava Dio che gli rivelasse che cosa ne era stato dei
figli di sua sorella. Una notte uscì dal suo alloggio [e camminava] dolente
intorno al lago che sta a sud della chiesa di Växjö, e allora vide in mezzo al
lago tre belle luci splendenti come stelle, e venivano da est verso il lago in
un luogo che allora stava davanti alla linea della riva. Quando le luci giun-
sero vicino a riva, l’uomo di Dio si tolse dai piedi le scarpe ed entrò lieto
nell’acqua incontro a loro, e lodò la misericordia di Dio, che voleva onorare
i suoi uomini santi. Quando l’uomo di Dio giunse così vicino che poteva
toccarle, le luci scomparvero; egli cercò come poté e trovò un’urna nella
quale c’erano tre teste, e una grossa pietra legata, come prima è stato detto;
egli la prese e la portò a riva e si mise in grembo le teste piangendo, e con
affetto spontaneo disse: ‘Dio si vendichi’. Allora la voce di una testa rispose
e disse: ‘sarà vendicato’, la seconda rispose: ‘quando’, la terza disse: ‘sui figli
dei figli’. Le medesime teste sembravano in buone condizioni come se fosse-
ro state staccate dal corpo lo stesso giorno. Questa fu una grande opera del
potente Iddio, e sia lode da tutte le creature, che Dio volle rallegrare il suo
servitore con questo portento, che la luce si mostrò nella tempesta sul lago e
che una pietra così grossa potesse galleggiare fino a riva, e che delle teste che
da così tanto tempo erano state tagliate, avessero ancora la facoltà di parlare.
Allora l’uomo di Dio fu felice di questi portenti, così divenne ancora più
forte nel servizio di Dio e conservò quelle teste con grande amore.”84

Figlio e successore di Olof fu Anund (il cui regno si colloca tra


il 1022 e il 1051), il primo sovrano svedese che accanto al nome
nordico ne ebbe uno, Jákob, che si richiama alla tradizione biblica:
una scelta che – secondo la testimonianza di Snorri Sturluson –
aveva suscitato la contrarietà dei pagani.85 Anche il suo fratellastro
DLO nr. 54.
84

Vd. la Saga di Olav il Santo di Snorri Sturluson, cap. 88: “[…] nacque la vigilia
85

del giorno di San Giacomo. E quando doveva battezzare il bambino, il vescovo gli
diede nome Giacomo. Quel nome non piacque agli Svíar e dissero che mai un re degli

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Una nuova religione 247

e successore, Edmund il Vecchio (den gamle) 1050-1060 era, a


quanto pare, un convinto cristiano. Ma è con l’ascesa al trono
(1060) di Stenkil, jarl del Västergötland, descritto da Adamo come
un uomo molto pio, che la Chiesa svedese riceve un decisivo
impulso. Stenkil che – come era lecito attendersi – trovava appog-
gio soprattutto nelle zone occidentali del Regno, favorì l’opera dei
missionari e promosse l’istituzione di una sede vescovile a Sigtuna,
dunque nelle vicinanze del grande centro pagano di Uppsala. Ma
il conflitto non era risolto. Adamo da Brema riferisce tra l’altro
che durante il regno di questo sovrano il vescovo di Sigtuna, Adal-
vard (Adalwardus) e quello della Scania Eginone avevano proget-
tato di distruggere il tempio. Il re tuttavia li convinse a desistere
da una azione che a lui sarebbe costata la corona e a loro la vita.86
Tra il 1066 e il 1087 i fautori del paganesimo passarono al contrat-
tacco, ed è un fatto che i successori di Stenkil ebbero notevoli
problemi: nel 1075 il figlio Halsten (per altro in difficoltà anche
in precedenza) venne cacciato; riuscì poi a tornare nel 1079 insie-
me al fratello Inge, poco dopo costoro compaiono come re degli
Svear in due lettere del Papa Gregorio VII.87 Solo cinque anni più
tardi (1084) anche Inge fu tuttavia costretto a fuggire nel Västergöt-
land a causa del rifiuto di innalzare sacrifici pagani. Al suo posto
veniva nominato il cognato Sven, detto Sven il Sacrificatore (Blot-
Sven). Vittima eccellente di questi tumulti religiosi fu tra gli altri
il vescovo Eskil di Strängnäs (di nazionalità inglese e parente di
San Sigfrido), primo martire svedese, tumulato nella località
di Tuna in Södermanland che da lui avrebbe preso nome di Eskils-
tuna. Furono questi certamente anni difficili. Adamo da Brema
ricorda a esempio che i cristiani che volevano sottrarsi all’obbligo
di partecipare alle grandi celebrazioni pagane di Uppsala doveva-
no riscattarsi versando una somma di denaro, ma soprattutto che
nel corso di queste celebrazioni si facevano ancora sacrifici umani.88
Un’ottica alla quale può riferirsi anche un episodio (ancora ricor-

Svíar si era chiamato Giacomo” (DLO nr. 55). È assai probabile, seppure non del
tutto certo, che dietro al nordico Jákob si debba riconoscere il nome dell’apostolo
Giacomo, fratello di Giovanni, piuttosto che quello del patriarca Giacobbe. Poiché la
festa di questo santo cade il 25 luglio, Anund sarebbe dunque nato il giorno 24 di quel
mese. Sassone grammatico che ascrive al vescovo Bernardo la conversione di Olof (vd.
sopra, nota 75) attribuisce il nome cristiano a quel sovrano.
86
Gesta Hammaburgensis […], IV, xxx.
87
STFM I, nr. 27, 4 ottobre 1080, pp. 61-62, nella quale il Pontefice si rivolge “a I.,
glorioso re degli Svedesi” (“I., glorioso Suetonum regi”) e la successiva (ibidem, nr. 28,
pp. 62-64, probabilmente del 1081), indirizzata a Inge e Halsten.
88
Vd. sopra, p. 198 con nota 388.

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248 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

dato in Adamo)89 relativo a un missionario il quale aveva distrutto


un idolo raffigurante il dio Thor, motivo per cui i pagani lo ucci-
sero e lo gettarono in una palude, dunque immolandolo a quegli
stessi dèi che egli aveva oltraggiato con il suo comportamento. Nel
1087 re Inge sconfiggeva Sven il Sacrificatore uccidendolo, dopo
di che il grande tempio pagano di Uppsala veniva dato alle fiamme:
questo episodio segna simbolicamente il definitivo trionfo della
nuova religione.90
L’affermazione della religione cristiana in Svezia è testimoniata
da diverse iscrizioni su pietre runiche risalenti all’XI secolo.91 Non
soltanto si trovano monumenti sui quali è innegabilmente presen-
te la croce cristiana, ma i testi fanno ripetuti riferimenti alla nuova
fede, allorché si chiede per l’anima del morto il soccorso di Dio, di
Cristo, della Madonna o magari dell’arcangelo Michele. Per il
defunto viene invocata la luce del paradiso e la misericordia divina.
Assai interessanti sono alcune iscrizioni upplandesi nelle quali si
allude a persone morte “in abiti bianchi”,92 cioè con la veste batte-
simale (sacramento magari somministrato negli ultimi istanti di
vita); un’allusione che in un paio di casi si collega con l’indicazione
che la morte è avvenuta in Danimarca, Paese nel quale – come si è
visto – la religione cristiana era ormai, almeno dal punto di vista
ufficiale, pienamente affermata.93
Solo nel XII secolo la Chiesa svedese riuscirà a stabilirsi defini-
tivamente su tutto il territorio. Attorno al 1120 conosciamo le
diocesi di Skara (istituita fin dal 1020 circa), Linköping, Västerås,
Strängnäs (precedentemente Eskilstuna) e Sigtuna (che verso il 1140
verrà trasferita in quello che era stato il grande centro pagano di
Uppsala). A queste si aggiungerà nel 1170 il vescovato di Växjö. Nel
1160 il re Erik, che era stato promotore di una crociata in terra
finlandese, veniva ucciso dal prìncipe danese Magnus Henriksson,
pretendente al trono. Tra la fine del secolo e la prima metà del
successivo il suo culto si sarebbe affermato ed egli sarebbe divenu-

89
Gesta Hammaburgensis […], II, lxii.
90
Queste notizie si trovano nella parte finale (di carattere piuttosto genealogico e
storico) della leggendaria Saga di Hervǫr e di re Heiðrekr (Hervarar saga ok Heiðreks
konungs), cap. 16; cfr. Snorri Sturluson, Saga dei figli di Magnus (Magnússona saga,
dodicesima parte della Heimskringla), cap. 24.
91
Particolarmente interessante è l’iscrizione sulla pietra di Frösö in Jämtland nella
quale si fa riferimento a tale Östman (austmąþ[r]) che avrebbe cristianizzato la regio-
ne (che si trova nella Svezia centrale e confina con la Norvegia).
92
Jansson 1984³ (C.2.5), pp. 116-118.
93
Anche in Danimarca e in Norvegia si trovano iscrizioni runiche che riflettono in
modo esplicito la diffusione dei concetti cristiani.

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Una nuova religione 249

to il santo patrono del suo Paese. Una tradizione destinata a dura-


re a lungo, tanto che egli è effigiato dalla seconda metà del XIV
secolo sullo stemma della città di Stoccolma. Nel 1164 Uppsala era
dichiarata sede arcivescovile (con giurisdizione sui quattro vesco-
vati di Skara, Linköping, Strängnäs e Västerås): la bolla papale
relativa è il più antico documento in cui si fa riferimento al Regno
di Svezia come retto da un unico monarca.94

La conversione dei popoli nordici al cristianesimo è naturalmente ‘mar-


cata’ anche dalla comparsa di antroponimi chiaramente legati alla nuova
religione. Certamente i primi a cui essi furono imposti erano figli di fami-
glie di ceto elevato, prìncipi o comunque nobili interessati all’affermazio-
ne della Chiesa. Come per il re svedese Anund Jakob non sono rari i casi
in cui a un nome pagano se ne affianca uno cristiano. Del resto la ‘polemi-
ca’ dei pagani in relazione a questa decisione, sopra ricordata, rivela la
grande importanza simbolica attribuita al legame fra il nome e colui che
lo porta, secondo una tradizione che nel Nord era ben consolidata.95 I più
‘antichi’ tra i nomi cristiani entrati in Scandinavia sono Andreas,
Benedikt, Gregorius, Jákob, Jóhan/Johannes, Laurentius/Lars, Markús,
Marten/Martin, Magnus (dal nome del martire del III secolo), Nicolaus/
Nikolás/Nils, Páll/Pawel (da Paulus), Petrus/Pétr, Stephanus/Stefan,
Thomas, che sono testimoniati almeno dal XII secolo (qualcuno già
nell’XI); ma anche nomi biblici come Abrahám, Absalon e Áron. Fra i
nomi femminili sono molto antichi Cecilia e Helena/Elen attestati già nel
X secolo, poi anche Anna, Kristína/Kirsten, Lucia, Margareta/Magga,
Sophia (XII secolo). Il numero e la frequenza dei nomi cristiani crescerà
notevolmente nei secoli successivi (fino al XV). La loro diffusione è natu-
ralmente legata alla popolarità delle diverse figure del mondo cristiano
(personaggi della Bibbia o santi) dei quali si chiede la protezione. Per
questo motivo presto saranno considerati ‘cristiani’ anche nomi apparte-
nenti alla tradizione onomastica pagana, i cui prestigiosi titolari li avran-
no tuttavia ‘nobilitati’: è questo il caso, in primo luogo, di Olav/Olof,
Knud/Knut (Canuto), Erik, i santi sovrani protettori del popolo, ma anche
di altri come, più tardi, Santa Brigida (Birgitta).96

94
STFM I, nr. 43, 5 agosto 1164, pp. 80-82; vd. anche il documento successivo,
riportato in DS I, nr. 50, pp. 72-73 (medesima data).
95
Vd. Otterbjörk R., “Namngjeving”, in KHLNM XII (1967), coll. 206-211; cfr.
p. 190, nota 360.
96
Per il dettaglio delle occorrenze e la loro distribuzione geografica si rimanda a
Janzén A., “De fornvästnordiska personnamnen”, in NK VII (1947), pp. 140-144;
Hornby R., “Fornavne i Danmark i middelalderen”, ibidem, pp. 211-223 e Grape A.,
Studier över de i fornsvenskan inlånade personnamnen (företrädesvis intill 1350), I,
Uppsala 1911, pp. 79-89; vd. inoltre Meldgaard Villarsen 1994.

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250 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

4.2.3. La conversione in Norvegia

I primi contatti fra il mondo norvegese e il cristianesimo furono


il naturale risultato dei rapporti di quel Paese con l’Inghilterra. Il
che significa che ben prima dell’epoca dei due Olav, i grandi cristia-
nizzatori, il problema del contrasto tra le due religioni si era già
posto in maniera concreta. Snorri Sturluson lo fa capire chiaramen-
te quando riferisce le vicende del re Håkon il Buono.97 Costui, figlio
di Araldo Bella chioma, era stato mandato in Inghilterra dal padre
per esservi educato alla corte del re Ethelstano.98 Questo fatto ave-
va naturalmente avuto riflessi anche sull’educazione religiosa di
Håkon, il quale una volta divenuto sovrano del proprio Paese, si era
proposto di incoraggiare la diffusione del cristianesimo. Tuttavia,
ben conscio del forte radicamento della tradizione pagana e della
necessità di rafforzare la propria autorità, egli aveva inizialmente
proceduto con molta cautela, progettando di promuovere la nuova
religione una volta consolidata la propria posizione. Snorri informa
dunque che Håkon praticava la sua fede di nascosto, rispettando il
precetto della domenica e il digiuno del venerdì. Egli tuttavia aveva
stabilito per legge che la festa pagana degli jól 99 venisse spostata per
coincidere con le celebrazioni del Natale cristiano. Ma i tempi non
erano sufficientemente maturi o, piuttosto, Håkon non aveva un
potere abbastanza solido per imporre l’accettazione del nuovo
credo. Snorri riferisce che il sovrano riuscì a convincere diverse
persone, soprattutto tra i suoi amici, a farsi battezzare e anche che
volle chiamare un vescovo e dei missionari dall’Inghilterra. Egli
inoltre avrebbe fatto consacrare delle chiese affidandole a dei sacer-
doti. Ma Håkon incontrò molte resistenze, soprattutto nella regione
del Trøndelag, governata dallo jarl Sigurd, fervente adoratore degli
dèi pagani. È riferito che i notabili del Trøndelag posero al re una
alternativa: essi lo avrebbero accettato come sovrano e gli avreb-
bero garantito la loro fedeltà a condizione che rinunciasse alla
nuova fede e manifestasse chiaramente con il proprio comporta-
mento la sua devozione per le antiche divinità. Håkon cercò dap-
prima in ogni modo di sottrarsi: alla fine tuttavia dovette cedere di
fronte alla necessità di non perdere la preziosa alleanza di questi
capitani, i quali tra l’altro per dimostrare tutta la loro determina-
zione avevano distrutto tre chiese e ucciso i rispettivi sacerdoti. Di
97
Cfr. sopra, pp. 143-144.
98
Per questo motivo aveva anche il soprannome di “figlioccio di Ethelstano”
(Aðalsteinsfóstri).
99
Vd. sopra, p. 194 con nota 371.

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Una nuova religione 251

fronte a una esigenza di carattere politico il sovrano dovette dunque


rinunciare alla sua fede e – nonostante il desiderio (espresso nell’ap-
prossimarsi della morte) di poter vivere abbastanza da recarsi in
terra cristiana per riparare alla colpa commessa – morì come un
pagano e come tale ebbe sepoltura.

Al re norvegese Håkon il Buono è dedicato il Dialogo per Håkon


(Hákonarmál) composto dallo scaldo Eyvindr Finnsson Plagiatore
(skáldaspillir). Si tratta di un testo che ricorda la battaglia nella quale
Håkon cadde, sconfitto dai figli di Gunnhild, vedova di Eirik Ascia insan-
guinata. Al termine della battaglia, il sovrano viene condotto dalle valchi-
rie nella Valhalla, dove egli teme l’ira di Odino, il cui culto un tempo
aveva abbandonato. Sarà tuttavia ben accolto fra gli eletti del dio, per aver
saputo tornare alla fede degli avi:

“Il prìncipe questo disse, Le nostre armature,


arrivava da uno scontro, disse il re buono,
era tutto macchiato di sangue: vogliamo averle noi stessi;
molto ostile elmo e corazza
ci pare essere Odino; debbono essere ben custoditi,
temiamo davvero il suo umore. è bene tenerli a portata di mano.

La pace degli einherjar Allora si comprese


pienamente godrai; quanto questo re avesse
accetta la birra degli Asi; ben rispettato i santuari,
nemico degli jarlar, quando per dare il benvenuto
qui dentro tu a Håkon giunsero
hai otto fratelli – disse Bragi. tutte le potestà e potenze divine.”100

A Håkon da loro sconfitto, succedevano sul trono i figli della


regina Gunnhild. È riferito che durante il periodo in cui essi gover-
navano il Paese, si era verificata una grande carestia. Secondo

100
Da Hákonarmál, str. 15-18 (DLO nr. 56). Gli einherjar sono i guerrieri scelti di
Odino che dimorano nella Valhalla, Bragi è il dio della poesia. La kenning (vd. p. 298)
“nemico degli jarlar” vale “principe”, “guerriero”. L’idea che a chi offendeva gli dèi
pagani dovesse essere interdetto l’accesso alla Valhalla si ritrova nella Saga di Njáll del
rogo (cap. 88) dove si riferisce di Hrappr Ǫrgumleiðason il quale aveva distrutto un
celebre tempio nella regione norvegese di Gudbrandsdalen: “Ma gli dèi non si vendi-
cano di ogni cosa immediatamente, e quell’uomo che ha compiuto questo sarà caccia-
to dalla Valhalla e non potrà mai entrarvi” (DLO nr. 57).

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252 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

consuetudine i sudditi ne avevano incolpato i sovrani,101 rei per di


più, di essersi fatti battezzare in Inghilterra, tralasciando di conse-
guenza i riti sacrificali volti a ottenere la benevolenza degli dèi. Di
loro è detto che distruggevano i templi e impedivano i sacrifici,
procurandosi in tal modo molte inimicizie. Il giudizio del popolo
parve ben giustificato: quando infine Håkon jarl prese il potere e
reintrodusse la consuetudine delle cerimonie pagane la situazione
migliorò immediatamente.102 Questi avvenimenti si svolgevano,
come sopra è stato detto,103 nella seconda metà del X secolo. Håkon
jarl infatti saliva al trono attorno al 970 inizialmente sostenuto, dal
re danese Araldo Dente azzurro, quell’Araldo che aveva voluto il
cristianesimo come credo ufficiale del proprio Paese; dal punto di
vista religioso ciò parrebbe dunque un paradosso: in realtà è piut-
tosto una testimonianza ulteriore della effettiva autonomia di com-
portamento dei sovrani rispetto alla fede professata, che mostra
una volta di più di costituire un fattore di carattere sostanzialmen-
te politico.
Il che appare con tutta evidenza anche quando si guardi alla

101
Cfr. sopra, pp. 127-128 con nota 108.
102
Vd. Snorri Sturluson, Saga di Araldo Manto grigio (Haralds saga gráfeldar,
quinta parte della Heimskringla), capp. 2 e 16 e anche Saga di Olav Tryggvason, cap.
16. Il poeta Einarr Helgason Suono della bilancia (skálaglamm) nel suo componimen-
to Carenza dell’oro (Vellekla), dedicato a Håkon, lodava esplicitamente questo com-
portamento (str. 15-16): “Il saggio, ben noto alle genti,/ tutte le terre devastate/ del
tempio di Einriði e degli dèi,/ subito rese veri santuari per il popolo,/ Hlóriði della
chiostra delle lance/ portò su tutto il mare testimonianza/ [gli dèi lo guidano]/ della
morte in battaglia, sulla via dei giganti.// E gli dèi benevoli si volgono/ ai sacrifici/ [il
potente guardiano dell’arrossata asse dello scontro di Hlǫkk/ è per questo onorato];/
ora la terra germoglia come prima,/ il generoso fa sì/ che gli utilizzatori del ponte
delle lance,/ di nuovo pópolino felici i santuari degli dèi.” (DLO nr. 58). Le allusioni
poetiche del testo vanno interpretate come segue: Einriði è appellativo di Thor; la
kenning (vd. p. 298) “Hlóriði (appellativo di Thor) della chiostra delle lance (lo scudo)”
vale “guerriero”; “via dei giganti” è la “montagna” (un riferimento che tuttavia rima-
ne oscuro); il “guardiano dell’arrossata (dal sangue) asse dello scontro di Hlǫkk (nome
di una valchiria)”, cioè dello scudo, è il “guerriero”; gli “utilizzatori del ponte delle
lance (lo scudo)” sono i “guerrieri”. Il soprannome dello scaldo Einarr è legato al
fatto che egli aveva ricevuto in dono dallo jarl Håkon come compenso per questo
componimento una bilancia che poteva emettere un suono premonitore. Dello jarl
Håkon è altrove riferito che era stato in Danimarca e lì aveva ricevuto il battesimo.
Tornando in Norvegia aveva distrutto un tempio in cui Thor era venerato insieme ad
altre divinità (in numero di cento) e si era impadronito delle ricchezze che in esso
erano contenute. In seguito però, riconvertitosi al paganesimo aveva fatto ricostruire
tanti templi quanti ne erano stati distrutti (vd. in particolare la versione della Saga di
Olav Tryggvason di Oddr Snorrason nelle Konunga sǫgur, I, cap. 15; cfr. la Saga di Olav
Tryggvason di Snorri Sturluson, cap. 27 e p. 185, nota 340).
103
Vd. pp. 143-144.

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Una nuova religione 253

figura e all’opera del primo dei due grandi cristianizzatori della


Norvegia. Olav Tryggvason, discendente di Araldo Bella chioma,
aveva alle spalle una lunga carriera. Negli ultimi decenni del X
secolo era stato a lungo in Russia e poi aveva partecipato a spedi-
zioni vichinghe anche nelle isole britanniche: nell’anno 991 aveva
sconfitto nella celebre battaglia di Maldon l’esercito inglese e ave-
va imposto il pagamento del danegeld.104 Nel 994 insieme al sovra-
no danese Svend Barba forcuta aveva addirittura assalito Londra,
senza tuttavia conquistarla.105 Ma le ‘frequentazioni’ inglesi di Olav
certamente lo avevano avvicinato alla religione cristiana e in Inghil-
terra egli aveva quindi accettato il battesimo impartitogli dal vesco-
vo di Winchester mentre il re inglese in persona, Ethelredo
(Æðelréð) faceva da padrino.106 Il che gli offrì una giustificazione
ulteriore per perseguire il disegno di diventare signore dei Norve-
gesi. Nell’anno 995 Olav Tryggvason infatti tornava in patria,
recando con sé dei missionari, rovesciava il potere di Håkon jarl e
si imponeva al popolo come sovrano, dando il via a un programma
generale di cristianizzazione, in molti casi forzata quando non
addirittura violenta. Noi possediamo diverse versioni della saga che
racconta la sua vita (Saga di Olav Tryggvason):107 tutte riferiscono
con dovizia di particolari l’opera di diffusione della nuova religio-
ne da lui promossa con straordinario impegno. Ma se nelle zone
meridionali il terreno per la definitiva accettazione del nuovo
credo era stato almeno in parte preparato da alcuni dei suoi pre-
decessori, molte resistenze furono invece incontrate nelle zone
centrali e settentrionali (Trøndelag e Hålogaland), dove la tradizio-
ne religiosa pagana rimaneva molto forte. Qui Olav procedette con
totale determinazione e, si potrebbe dire, con furia vichinga: in
diverse occasioni egli agiva in prima persona, a esempio distrug-
gendo idoli o templi pagani. A simboleggiare la presenza del nuo-
vo ordinamento religioso egli volle costruire una chiesa sulla peni-
sola di Nidarnes (alla foce fiume Nidelva), luogo in cui sarebbe
sviluppata la città di Nidaros, attuale Trondheim, da lui dunque a
quanto pare fondata.108 Altre chiese egli fece edificare in ogni
distretto, garantendo buone prebende. Ma l’opera di cristianizza-
104
Vd. p. 108, nota 39 e p. 111.
105
Vd. p. 108 con nota 37.
106
L’importanza dell’incontro fra i due sovrani risalta anche nel racconto della
Cronaca anglosassone (The Anglo-Saxon Chronicle, I, p. 243, II, p. 106) dove tuttavia
non si fa riferimento al battesimo di Olav.
107
Vd. Simek-Pálsson 1987 (B.4), pp. 270-271.
108
Per la storia della città si rimanda a Authén Blom G. – Danielsen R. et al.,
Trondheim bys historie, I-IV Suppl., Trondheim, 1956-1973.

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254 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

zione non si fermò entro i confini del suo Paese. Olav infatti si
preoccupò di estendere la nuova fede ai possedimenti norvegesi:
Forøyar, Orcadi, Shetland e Groenlandia. Egli inoltre inviò in Islan-
da il missionario Þangbrandr.109 Ma nonostante il prestigio e il carisma
del sovrano, che le fonti descrivono come bello e intelligente, forte
e coraggioso, allegro e amichevole, il regno di Olav Tryggvason
doveva durare solo un lustro. Nell’anno 1000 infatti egli si scontra-
va nella battaglia navale di Svolder (forse nell’Øresund o presso
Rügen)110 contro il danese Svend Barba forcuta che, alleato con lo
svedese Olof Skötkonung, mirava a impadronirsi di quella Norvegia
che già in passato era stata, almeno in parte, sotto il dominio dei
sovrani danesi. In questa battaglia – per la quale aveva cercato il soste-
gno del nobile polacco Boleslao il Coraggioso (Bolesław Chrobry,
967-1025) –111 Olav sarebbe stato sconfitto perdendo la vita. Il
Paese veniva dunque diviso tra i vincitori e i capitani norvegesi loro
alleati e pareva andare incontro a una frammentazione. Ma una
nuova figura carismatica si profilava all’orizzonte.
Ovav Haraldsson vantava a sua volta una discendenza diretta da
Araldo Bella chioma di cui era pronipote per parte paterna. Come
molti giovani nordici aveva una ricca esperienza di vita vichinga. Era
stato dapprima nelle zone del Baltico, poi in Inghilterra per parecchio
tempo, poi in Spagna e in Francia. Qui naturalmente aveva soggior-
nato anche nel ducato di Normandia, nel quale fin dalla sua istituzio-
ne i nordici avevano accettato la religione cristiana.112 Probabilmente
fu proprio a Rouen, antica capitale della Normandia che Olav rice-
vette il battesimo (1013 o 1014).113 Nel 1015 egli tornava in patria con
due navi e più di duecento uomini. Grazie ai successi militari, alle
ricchezze accumulate, alla capacità politica,114 e alla fortuna personale,115

109
Vd. oltre, pp. 263-264.
110
Vd. Moberg O., “Slaget i Svolder eller slaget i Öresund? Lokaliseringen av Olav
Tryggvasons sista strid”, in NHT XXXII (1940-1942), pp. 1-26.
111
Costui, che nel 1025 sarebbe divenuto il primo re di Polonia, è ricordato nelle
fonti nordiche come Búrizláfr.
112
Vd. p. 112.
113
Nella sua Storia dell’antichità dei re norvegesi, Theodricus Monachus (vd. p. 411)
afferma tuttavia che è difficile stabilire se egli fosse stato battezzato in Normandia
oppure in Inghilterra (cap. 13).
114
In particolare egli seppe portare dalla sua parte, rispetto ai grandi capitani e ai
sovrani locali che avevano autorità su territori piuttosto estesi, molte persone meno
favorite dal punto di vista sociale (ma non per questo sprovviste di beni) le quali
intravedendo la possibilità di lucrare posizioni più vantaggiose tolsero il loro appoggio
a quei capi per rivolgerlo a lui.
115
L’allusione è voluta. Snorri infatti riferisce che Olav, nel corso del viaggio di
ritorno in Norvegia, fu spinto dalle condizioni del mare a sbarcare nell’isola di Selja

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Una nuova religione 255

gli riuscì di ripetere le imprese del celebre antenato sottomettendo


tutta la Norvegia. Riproponendo il motivo ricorrente che lega la
gloria di personaggi eminenti a una particolare predilezione divina,
lo scaldo Óttar il Nero (svarti), in un carme dedicato al sovrano si
esprimeva così: “Ora tu governi/ tutto il Regno, che era tenuto
prima/ da cinque prìncipi. / [Dio ti rafforza grandemente] […].”116
I predecessori di Olav Haraldsson, che avevano suddiviso la
Norvegia in diverse regioni sotto diversi governi, erano almeno
formalmente re cristiani. Nessuno di loro però si era preoccupato
di portare avanti la solerte opera in favore della conversione intra-
presa da Olav Tryggvason, e questo tanto meno nelle zone setten-
trionali, dove – come si è visto – il radicamento del paganesimo era
molto forte. Olav Haraldsson considerò invece che la propria
missione di sovrano fosse non solo quella di dare al Paese una
struttura statale ben definita ma, parallelamente, di organizzare
l’impianto della Chiesa norvegese. In quest’opera egli fu coadiuva-
to dal vescovo Grimkel (Grímkell), suo amico personale. Come
altri ecclesiastici che circondavano il sovrano, Grimkel era di nazio-
nalità inglese, ciò nonostante la Chiesa norvegese si sviluppò nella
sfera d’influenza dell’arcivescovato di Amburgo-Brema, dove
Grimkel si era recato inviato da Olav. La collaborazione fra il re e
il vescovo sta certamente alla base della struttura fondamentale del
diritto ecclesiastico: assai importante da questo punto di vista fu la
partecipazione del re e del vescovo all’assemblea di Mostr (Moster-
ting, 1024 circa). In quella occasione furono poste le basi del
futuro diritto norvegese e la posizione della Chiesa fu legalmente
consolidata.117 Come nel caso del suo omonimo predecessore l’ope-
ra evangelizzatrice di Olav fu portata avanti con ogni mezzo (non

(Sæla). Ripresa la rotta verso sud incontrò casualmente il giovane jarl Håkon Eiriksson,
che allora governava insieme allo zio Sveinn Håkonsson. Olav lo catturò insieme ai
suoi uomini e lo liberò solo in cambio della promessa di lasciare la Norvegia e di non
opporsi mai a lui. È riferito che Olav rivolse al giovane queste parole: “[…] è finita
ora la vostra (i.e. ‘della tua famiglia’) fortuna” (vd. Snorri Sturluson, Saga di Olav il
Santo, cap. 30: “[…] farnir eruð þér nú at hamingju”). Sul concetto di fortuna nel
mondo nordico, intesa come una qualità magica legata a un individuo o a una stirpe,
vd. sopra, p. 180.
116
La citazione è tratta dalla strofa 18 del carme Riscatto per la testa (Hǫfuðlausn)
composto dal poeta attorno al 1023 per riconquistare il favore del sovrano, il quale
– adirato per la composizione di una strofa d’amore rivolta alla regina – lo aveva fatto
imprigionare (DLO nr. 59). Cfr. p. 1429, nota 77.
117
Vd. il Compendio delle storie dei re norvegesi (Ágrip af Nóregs konunga sǫgum,
su cui vd. p. 320), cap. 19. Secondo la Storia dell’antichità dei re norvegesi di Theodri-
cus Monachus (cap. 10) in questa località Olav Tryggvason aveva precedentemente
fatto edificare la prima chiesa norvegese; cfr. p. 417, nota 348.

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256 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

di rado violentemente) anche dal sovrano in persona. Molti si


convertirono per convenienza, molti per imposizione, altri si oppo-
sero e furono sconfitti. Tra questi ultimi merita una citazione il
hersir118 Guðbrandr noto come Dala-Guðbrandr, il quale abitava
in Gudbrandsdalen (Guðbrandsdalir). Costui era un importante e
ricco capitano sulla cui terra sorgeva un celebre tempio pagano
dedicato a Thor. Egli dapprima manifestò una forte opposizione
nei riguardi di Olav e della sua opera di cristianizzazione; tuttavia
dopo che il re ebbe fatto distruggere un simulacro del dio pagano
accettò di farsi battezzare insieme ai suoi.119 Un atto che nell’ottica
pagana segna – come una sorta di rito magico – la formale accetta-
zione della nuova religione e ‘marca’ dunque i seguaci del re.120
Naturalmente benché la posizione del sovrano fosse molto forte,
la sua condotta e la sua ambizione gli avevano procurato parecchi
nemici. I quali non esitarono a venire allo scoperto quando Canu-
to il Grande decise di far valere le proprie pretese sul Regno di
Norvegia. Olav fu disconosciuto da molti e costretto ad abbando-
nare il Paese e il potere (1028). Tentò tuttavia di riconquistarli.
Nell’estate del 1030 rientrò in patria dalla Svezia con un esercito.
Questa volta però la fortuna aveva piuttosto abbandonato lui. Il 29
luglio egli si scontrava con i suoi nemici nella celebre battaglia di
Stiklestad (Stiklarstaðir, nella zona nord-orientale del fiordo di
Trondheim) nella quale perdeva la vita. Con la morte di Olav
Haraldsson, soprannominato il Grosso (inn digri) nasceva la leg-
genda di Olav il Santo (inn helgi), patrono della Norvegia. La
dichiarazione di santità del sovrano (proclamata fin dal 3 agosto
del 1031) fu dovuta, in gran parte, all’abilità del vescovo Grimkel
ma anche a una serie di circostanze (come la carestia che colpì il
Paese dopo la scomparsa del sovrano, la notizia di presunti mira-
coli avvenuti subito dopo la sua morte e il fatto che il suo corpo a
un anno di distanza fu ritrovato intatto).121 Le spoglie furono
deposte solennemente nella chiesa di San Clemente a Nidaros e in
breve tempo attorno alla sua figura si costruì una leggenda, la cui
popolarità è ben testimoniata, tra l’altro, dalle diverse redazioni
118
Vd. p. 211.
119
Vd. Snorri Sturluson, Saga di Olav il Santo, cap. 112 e la versione di questa
saga contenuta nella Flateyjarbók, II, pp. 188-192 (cfr. Konunga sögur, I, pp. 253-254).
120
Del resto Snorri riferisce che prima della battaglia nella quale re Olav avrebbe
perso la vita i suoi uomini lanciarono questo grido di battaglia: “Avanti, avanti, uomi-
ni di Cristo, uomini della croce, uomini del re!” (Óláfs saga helga, in Heimskringla,
cap. 226, p. 378: “fram, fram, Kristsmenn, krossmenn, konungsmenn!”).
121
Vd. in particolare il testo latino Acta Sancti Olavi regis et martyris (pp. 132-144);
cfr. p. 321, nota 119.

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Una nuova religione 257

della sua biografia.122 Per il Regno di Norvegia Olav avrebbe costi-


tuito un punto fermo, una figura carismatica la cui importanza per
il popolo sarebbe andata ben oltre i suoi reali meriti (o demeriti)
storici: egli era ora il perpetuus rex Norvegiæ,123 il modello cui tutti
i successori avrebbero dovuto ispirarsi.

Già nel 1032 lo scaldo Þorarinn Lingua che loda nel Carme del mare
quieto (Glælognskviða) dedicato a Sveinn Alfífuson, figlio del re danese
Canuto il Grande si esprimeva così:

“Prega Olav egli ottiene


che ti conceda da Dio stesso
[egli è un uomo di Dio] prosperità e pace
la sua terra; per tutti gli uomini.”124

*
Del 1040 è invece il Carme encomiastico in memoria di Olav il Santo
(Erfidrápa Óláfs helga) dello scaldo Sighvatr Þórðarson nel quale tra
l’altro si legge:

“A noi si addice rallegrarci [Dio rende potente il sovrano]


per la festa di [Sant’]Olav senza impedimento
padre di Magnus nella mia casa.”125

La costruzione di uno Stato cristiano ha anche bisogno di santi.


Soprattutto perché il potere politico si intreccia con quello della
Chiesa per conseguire comuni interessi. In quest’ottica va dunque
inquadrata anche la figura di Sunniva, la santa di nobili origini
irlandesi. Secondo la tradizione ella aveva ereditato il Regno dal
padre, ma un re pagano aveva conquistato la sua terra. Poiché egli
voleva prenderla in moglie, Sunniva era fuggita per mare con alcu-
122
Vd. Simek-Pálsson 1987 (B.4), pp. 268-270.
123
Questa definizione si trova nella Historia Norwegie (p. 86). Per tutto il medioevo
Nidaros (Trondheim) fu meta di pellegrini che veneravano le spoglie del santo conser-
vate in uno scrigno (sul che vd. Ekroll Ø., “Olavsskrinet - myter og fakta”, in Spor.
Nytt fra fortiden, XV: 30 [2000], pp. 8-11).
124
Glælognskviða, str. 9 (DLO nr. 60). Si noti che l’espressione “prosperità e pace”
(“ár ok friðr”) si richiama alla tradizione dei sacrifici pagani innalzati per ottenere la
prosperità e la pace (“til árs ok friðar”); cfr. pp. 195-196.
125
Str. 25 (DLO nr. 61).

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258 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

ni seguaci e dopo diverse peripezie aveva infine preso terra nell’i-


sola di Selja (nella regione di Sogn e Fjordane), trovando rifugio in
caverne e sostentandosi con la pesca. Quando il pagano Håkon
jarl126 cercò di catturarli in seguito ad accuse di furto mosse dagli
abitanti della zona, essi si rivolsero a Dio chiedendo la pace eterna
per le loro anime: allora le caverne sarebbero crollate. Il suo corpo
incorrotto venne poi ritrovato e devotamente deposto in uno scrigno
dal re Olav Tryggvason (996). La diffusione della sua venerazione
come protettrice della Norvegia occidentale (una venerazione ulte-
riormente estesa a partire dal 1170 quando le sue reliquie furono
traslate nel duomo di Bergen), così come la presenza sull’isola di
un convento benedettino a lei intitolato, non esclude affatto che si
possa trattare di una figura del tutto leggendaria. Sull’isola di Selja
ebbe poi sede anche il primo vescovo delle regioni occidentali
(Vestlandet). Nelle zone orientali della Norvegia (Østlandet)
si sarebbe invece diffusa nel secolo successivo la venerazione per
San Hallvard (Hallvard Vebjørnsson di Lier in Buskerud), parente
per parte di madre di Olav il Santo, ucciso in giovane età per aver
cercato di salvare una donna ingiustamente accusata di furto. La
leggenda vuole che dopo la sua morte avvenissero dei miracoli ed
egli fu dunque dichiarato santo. Successivamente il suo corpo fu
trasportato a Oslo e Hallvard divenne il protettore della città;
durante il regno del re crociato Sigurd Viaggiatore a Gerusalemme
(Jórsalafari) fu poi edificata una chiesa a lui intitolata nella quale le
sue spoglie furono venerate fino alla riforma.
Dopo la morte di Olav Haraldsson un vero ‘miracolo’ doveva
comunque avvenire: nel giro di pochi anni, dopo interminabili
lotte, la Norvegia avrebbe conosciuto una pacificazione politica
segnata dall’ascesa al trono di Magnus, figlio undicenne del sovra-
no, chiamato a regnare da quegli stessi uomini che avevano com-
battuto contro suo padre (1035). Per tre generazioni l’unità dello
Stato norvegese sarebbe stata garantita e recisi i legami (talora di
vera e propria soggezione) con il Regno danese. A Magnus detto il
Buono (Magnús inn góði Ólafsson), morto nel 1047, sarebbe suc-
ceduto il fratellastro di Olav, Araldo di Duro consiglio, il quale
come suggerisce il soprannome possedeva sufficiente carattere per
imporre un dominio saldamente centralizzato. A questo re la tra-
dizione attribuisce la fondazione di Oslo.
La figura di Araldo, come sopra è stato detto, è rappresentativa
del declino dell’età vichinga che si concluderà simbolicamente con

126
Cfr. p. 144 e p. 252.

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Una nuova religione 259

la sua morte nel 1066.127 Il che implica anche la constatazione di


notevoli cambiamenti nella struttura sociale della Norvegia, cui
corrisponde dal punto di vista religioso l’affermazione definitiva del
nuovo credo. Stroncata ma anche, per certi versi, esaurita la reazio-
ne dei pagani, la Chiesa norvegese cominciò a espandersi e a orga-
nizzarsi sul territorio. Furono costruiti luoghi di culto affidati a
sacerdoti non più solo stranieri e le cerimonie religiose poterono
svolgersi regolarmente: la presenza costante dei religiosi fra la gente
cominciò a produrre i propri effetti anche dal punto di vista di una
diffusione meno superficiale della dottrina e dei precetti cristiani. Il
che ebbe importanti conseguenze nella redazione delle leggi. Duran-
te il regno (1066-1093) di Olav il Quieto (ant. nord. kýrri), figlio di
Araldo di Duro consiglio, furono organizzate le prime tre sedi
vescovili norvegesi, la cui giurisdizione doveva corrispondere alla
suddivisione amministrativa: Nidaros, l’attuale Trondheim, Bergen
(Bjǫrgvin), città appena fondata (1070) nella quale il sovrano aveva
la propria residenza128 (questa sede vescovile sostituì quella di Selja)
e Oslo (che venne istituita intorno al 1075). Verso la fine degli anni
’20 del secolo successivo fu, come si dirà poco oltre, la volta di
Stavanger. Qualche decennio dopo, nel 1152-1153, il legato papale
l’inglese Nicola (Nicholas) Breakspear (futuro Papa col nome di
Adriano IV) nel corso di un viaggio nei Paesi nordici fondava la
quinta diocesi a Hamar e istituiva a Nidaros il primo arcivescovato
norvegese.129 Anche qui dunque ci si affrancava dalla tutela della
sede di Amburgo-Brema. Sulla nomina dei vescovi l’ultima parola
spettava tuttavia al re come rappresentante del popolo.
All’inizio del XII secolo la Norvegia era governata da Øystein
(Eystein) e da suo fratello, il sopra menzionato Sigurd Viaggiatore
a Gerusalemme, figli di Magnus Piedi nudi (Magnús berfœttr
Óláfsson)130 e dunque nipoti per parte di padre di Olav il Quieto.
127
Vd. p. 107 con nota 33.
128
Sulla storia della città vd. Fossen A.B., Bergen bys historie, I-IV, Bergen 1995.
129
Un primo arcivescovo norvegese era stato Reidar (Hreiðarr), vescovo di Nidaros,
che nel 1150 o 1151 si era recato a Roma dal Papa che lo aveva consacrato: egli però
morì durante il viaggio di ritorno. Il primo vero arcivescovo norvegese, consacrato da
Nicola Breakspear, fu dunque Jon Birgersson (morto nel 1157). A questa diocesi
venne data giurisdizione sulla Chiesa d’Islanda, di Groenlandia, delle Forøyar e delle
isole britanniche (Orcadi, Shetland, isola di Man).
130
Questo soprannome è dovuto al fatto che il sovrano, che voleva stabilire un
Regno norvegese nelle regioni celtiche, aveva l’abitudine di vestirsi secondo l’uso
locale, portando abiti che lasciavano le gambe scoperte; vd. la Saga di Magnus Piedi
nudi (Magnúss saga berfætts), undicesima parte della Heimskringla di Snorri Sturluson
(cap. 16). Questo re era noto anche come Styrjaldar-Magnús cioè “Magnus il guerriero”,
appellativo tuttavia meno comune (Jónsson 1907 [vd. p. 123, nota 96], p. 254).

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260 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

Sigurd doveva il proprio soprannome alla partecipazione a una


crociata in Terrasanta (1108-1111), il che ben ne delinea la figura
di sovrano cristiano (a lui è dovuta tra l’altro l’introduzione delle
decime). Dopo la morte di Øystein (1123) egli rimase unico signo-
re del Paese fino alla sua scomparsa (1130). Snorri Sturluson rife-
risce che tanto Øystein quanto Sigurd furono molto attivi nella
costruzione di edifici religiosi (e non solo): il primo fece erigere il
monastero noto come Munklífi (letteralmente “Vita monacale”) a
Bergen e diverse chiese; al secondo si deve tra l’altro la Chiesa
della [Santa] Croce (Krosskirkja) a Kungälv, una “chiesa di legno”
(trékirkja) di grande valore artistico.131 E tuttavia, pur avendo
combattuto per la fede, Sigurd non esiterà a porsi in contrasto con
la Chiesa, al punto che, per poter divorziare dalla moglie e unirsi
alla sua concubina, istituirà la diocesi di Stavanger (1128) ponen-
dovi a capo un monaco inglese, tale Reginaldo (Reinaldr) e otte-
nendo da lui il consenso negato dal vescovo di Bergen: il che gli
costerà l’interdizione da parte dell’autorità ecclesiastica.

4.2.4. La conversione in Islanda

Anche in Islanda, dove pure non c’erano sovrani desiderosi di


rafforzare la propria posizione, la conversione al cristianesimo
doveva avvenire per motivi politici. Come sopra è stato detto,
prima dell’arrivo dei nordici l’isola era divenuta rifugio di alcuni
eremiti, noti con il nome di papar;132 un loro coinvolgimento nella
diffusione della religione cristiana tra i nuovi coloni è tuttavia del
tutto improbabile: infatti come si precisa nel Libro degli Islandesi
(Íslendingabók, composto attorno al 1125) da Ari il Saggio (inn
fróði) Þorgilsson, quando gruppi di nordici cominciarono a inse-
diarsi stabilmente sull’isola questi eremiti si ritirarono.133 Del resto
in analoghe circostanze la medesima cosa era avvenuta, secondo la
testimonianza di Dicuil, alle Forøyar.134 Le prime tracce della nuo-
va fede in Islanda vanno piuttosto ricercate fra i coloni medesimi,
alcuni dei quali avevano soggiornato nelle isole britanniche e quin-
131
Magnússona saga, cap. 14 e cap. 32. Sulle chiese di legno vd. 4.3.
132
Vd. sopra, pp. 146-147 con nota 182.
133
Si legge: “In quel tempo […] c’erano qui uomini cristiani, che i Norvegesi chia-
mano papar, ma essi poi se ne andarono via poiché non volevano stare insieme a
uomini pagani. E lasciarono dietro di sé libri irlandesi, campane e pastorali, dal che si
poté comprendere che erano uomini irlandesi” (Íslendingabók, cap. 1; DLO nr. 62).
134
Vd. sopra, p. 121. Ciò avveniva attorno all’anno 795. È verosimile che alla ricer-
ca della solitudine gli eremiti si fossero trasferiti dalle Forøyar proprio in Islanda.

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Una nuova religione 261

di erano venuti in stretto contatto con la religione cristiana. Nel


Libro dell’insediamento si parla a esempio di Auðr di Profondo
pensiero Ketilsdóttir: costei era stata moglie del re vichingo di
Dublino, Óleifr il Bianco,135 dal quale aveva avuto un figlio di nome
Þorsteinn, detto [il] Rosso (rauðr). Dopo la morte del marito e del
figlio ella si era trasferita in Islanda con dei servitori. Stabilitasi a
Hvammur í Dölum, nella parte nord-occidentale dell’isola, frequen-
tava un luogo di preghiera denominato Krosshólar, in quanto là
ella aveva fatto innalzare delle croci (letteralmente il toponimo
significa “Collinette delle croci”): Auðr infatti era battezzata. Alla
sua morte fu seppellita, come da lei stessa richiesto, sulla riva,
nella striscia di terra che viene sommersa dall’alta marea, dal momen-
to che ella non voleva riposare in suolo non consacrato. È riferito
tuttavia che dopo la sua scomparsa la fede dei suoi andò deterio-
randosi.136 Di un altro colono, Ørlygr Hrappsson, è detto chiara-
mente che era stato educato nelle Ebridi dal vescovo Patrizio: dopo
un viaggio burrascoso verso l’Islanda approdò in un fiordo nella
zona nord-occidentale dell’isola al quale diede nome Patreksfjörður
(“Fiordo di Patrizio”). Nella nuova patria egli recava con sé del
legname per costruire una chiesa, una campana, un plenarium (libro
contenente i Vangeli e brani della Bibbia), una moneta d’oro e
della terra consacrata, doni del vescovo. Successivamente tuttavia
si rimise in mare, alla ricerca del luogo nel quale – secondo le
parole profetiche del suo maestro – avrebbe dovuto stabilirsi.
Giunse così al monte Esja, a nord di Reykjavík dove costruì una
chiesa in onore di San Colombano per il quale egli e i suoi avevano
grande venerazione.137 Tra i primi cristiani islandesi è noto anche
tale Ketill, indicato come figlio di Jórunn Sponda del buon senso
(manvitsbrekka)138 e soprannominato il Buffone (fíflski), forse un
135
Cfr. p. 106 con nota 32 e p. 148.
136
Landnámabók, pp. 139-140 e pp. 146-147. Nella Saga dei valligiani di Laxárdalur
(cap. 7) non si fa alcun riferimento alla fede cristiana di questa donna (qui chiamata
Unnr) e di lei è detto che fu sepolta sotto un tumulo (dunque secondo la tradizione
pagana). In ogni caso la confusione religiosa che doveva regnare almeno fra i suoi
appare chiaramente anche nella prima fonte dove si aggiunge che costoro avevano
grande venerazione per le collinette sulle quali erano state innalzate le croci. Là era
stato costruito un altare (hǫrgr, vd. p. 184) e si facevano dei sacrifici: “essi pensavano
che sarebbero morti nelle collinette” (Landnámabók, p. 140: “trúðu þeir því at þeir dœi
í hólana”); ciò fa riferimento alla credenza pagana secondo la quale i morti andavano
talora a dimorare nelle montagne e nelle alture (vd. p. 181).
137
Landnámabók, pp. 52-54.
138
Questo curioso soprannome letteralmente significa “Pendio dell’intelletto uma-
no”; il termine “pendio” (qui reso con “sponda”) fa probabilmente riferimento al suo
petto formoso.

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262 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

segno del disprezzo che i pagani avevano per coloro che si erano
convertiti. Per parte di madre costui era parente di Auðr di Pro-
fondo pensiero. Di lui è detto che abitava a Kirkjubœr (letteral-
mente “Fattoria della chiesa”), dove un tempo erano vissuti dei
papar: un luogo “nel quale i pagani non potevano abitare” (“eigi
máttu þar heiðnir menn búa”).139 In seguito (1186) questa località
sarebbe divenuta sede di un monastero benedettino femminile.
È evidente che la fede di molti dei primi cristiani islandesi era
legata a soggiorni nelle isole britanniche;140 oltre a costoro bisogna
considerare gli schiavi al loro seguito, i quali erano in gran parte
cristiani, anche se è evidente che la loro posizione sociale impediva
di organizzare il culto e – a maggior ragione – di promuovere azio-
ni missionarie. Molti fra gli Islandesi che seguitavano a percorrere
le vie del mare vennero poi certamente in contatto con il cristiane-
simo, non solo in Paesi come l’Inghilterra o l’Irlanda ma anche in
regioni scandinave nelle quali la nuova religione si stava già affer-
mando. Nella Saga di Gísli, che fa riferimento ad avvenimenti
svoltisi nella seconda metà del X secolo, si fa notare a esempio che
il protagonista continuava a organizzare celebrazioni tradizionali
pagane, tuttavia aveva tralasciato la pratica dei sacrifici dopo che
era stato in Danimarca.141
Le vie percorse dal nuovo credo per arrivare in Islanda furono
sostanzialmente due. Da una parte erano talora gli stessi Islandesi
che rientrando in patria da Paesi stranieri introducevano la nuova
dottrina, dall’altra ci furono veri e propri missionari inviati a quel-
lo scopo.
Il primo caso è rappresentato in modo esemplare dalla vicenda
(cui si è già fatta allusione) di Þorvaldr Koðránsson, ritornato dal-
la Germania come cristiano in compagnia del vescovo tedesco
Federico con l’intenzione di predicare il Vangelo.142 Nonostante
139
Landnamabók, pp. 323-324 (la citazione da p. 324). Cfr. il testo a p. 268.
140
Come si afferma esplicitamente nel Libro dell’insediamento: “Così dicono gli
uomini saggi, che alcuni coloni che hanno popolato l’Islanda fossero battezzati, per la
maggior parte quelli che venivano da occidente sul mare [cioè dalle isole britanniche].
In proposito sono ricordati Helgi il Magro [cfr. p. 224], Ørlygr il Vecchio, Helgi bjóla,
Jǫrundr il Cristiano, Auðr di Profondo pensiero, Ketill il Buffone e ancora molte
persone che vennero da occidente sul mare, e alcuni di loro mantennero bene la fede
cristiana fino al giorno della morte. Ma così andò in pochi luoghi nelle famiglie, perché
i figli di alcuni di loro innalzarono dei templi e fecero sacrifici, e il Paese restò com-
pletamente pagano per quasi cento anni” (DLO nr. 63). Il significato del soprannome
bjóla non è del tutto chiaro. È tuttavia probabile che esso ricalchi il nome irlandese
Beól(l)án, che forse era stato dato a Helgi al momento del battesimo.
141
Gísla saga, cap. 10.
142
Vd. sopra, pp. 227-228.

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Una nuova religione 263

una serie di buoni risultati attribuiti alla loro iniziativa, l’effettiva


qualità della conversione di Þorvaldr si misura nella sua reazione
al verso di infamia (nel quale era contenuta una esplicita accusa di
omosessualità) che dai pagani era stato rivolto a lui e al vescovo nel
corso dell’assemblea generale, dopo che essi avevano cercato di
promuovere la dottrina cristiana.143 Egli infatti uccise i due uomini
che avevano composto la strofa, vendicandosi dell’onta subita.
Nonostante questo grave episodio gli sforzi missionari dei due
continuarono ottenendo ancora qualche successo (le fonti fanno
anche riferimento alla costruzione di un paio di chiese), ma scate-
nando al contempo una forte reazione. Alla fine è detto che, dopo
l’assassinio di un avversario pagano ordinato da Þorvaldr al proprio
schiavo, il vescovo decise di ritornare sul continente. Di Þorvaldr
è riferito che continuò a professare la propria fede e fece anche un
pellegrinaggio in Terrasanta. L’opera evangelizzatrice di Federico
in Islanda si colloca negli anni tra il 981 e il 986.
I primi missionari erano stati mandati nell’isola probabilmente
per iniziativa dell’arcivescovo Adaldag (Adaldagus) nel corso del
lungo periodo (937-988) in cui egli aveva retto la sede di Amburgo-
Brema. Successivamente (996), durante il regno di Olav Tryggvason
in Norvegia, il sovrano in persona – impegnato in un vasto pro-
gramma di cristianizzazione – aveva inviato in Islanda un tale di
nome Stefnir, indicato nelle fonti come islandese (figlio di Þorgils
Eilífsson e pronipote di Helgi bjóla),144 tuttavia forse straniero.
Costui aveva predicato il Vangelo nonostante l’ostilità dei pagani
e dei suoi stessi congiunti, ma non riuscendo a ottenere risultati
soddisfacenti aveva cominciato a distruggere i luoghi di culto paga-
ni e le immagini degli dèi. Per questo motivo era stato processato
all’assemblea e dichiarato fuorilegge. Un processo nel quale l’ac-
cusa era stata sostenuta dai suoi stessi parenti, in quanto “il cristia-
nesimo allora era definito una vergogna per la famiglia” (“kristnin
var þá kǫlluð frænda skǫmm”). In quell’occasione era stata promul-
gata una legge che garantiva ai familiari di coloro che si fossero
convertiti alla nuova religione la possibilità di perseguirli.145 Suc-
cessivamente, negli anni 997-999 era stata la volta di Þangbrandr

143
Cfr. pp. 201-202 con nota 404.
144
Vd. sopra, nota 140.
145
Vd., in particolare, la Saga della cristianizzazione, cap. 6 e il cosiddetto Breve
racconto di Stefnir Þorgilsson (Stefnis þáttr Þorgilssonar), capp. 1-2. Quest’ultimo
comprende le notizie riguardanti questo personaggio riprese da diverse fonti: vd.
Halldórsson 2003, pp. clxxxi-clxxxiv. La citazione da Kristni saga, p. 17; cfr. Stefnis
þáttr, p. 105. Cfr. nota 15.

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264 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

(Theobrandus), anche lui inviato personalmente da Olav Tryggvason.


Costui era dunque giunto nell’isola dove aveva subito avviato la
propria missione, ottenendo buoni risultati. Ma molti erano i paga-
ni che gli si opponevano e, come il vescovo Federico, egli fu fatto
oggetto di ‘versi di infamia’. Per questo motivo Þangbrandr insie-
me a un suo compagno uccise gli autori di tali versi e di conseguen-
za fu dichiarato fuorilegge. Tornato in Norvegia il missionario
riferì al re questi fatti, dicendosi assai scettico sulla possibilità che
gli Islandesi accogliessero la fede cristiana: “‘Alcuni mi hanno
diffamato’, disse egli, ‘ma alcuni volevano uccidermi. E alla fine
sono stato dichiarato fuorilegge all’assemblea generale, ed è certo
che la gente di quella terra non accoglierà mai la fede, tranne poche
persone.’”146 È riferito che a queste parole Olav si adirò terribil-
mente e per rappresaglia voleva torturare o uccidere tutti gli Islan-
desi di fede pagana che si trovavano in Norvegia: la sua ira fu
placata solo quando costoro – per intercessione di Kjartan Óláfsson,
Gizurr il Bianco (inn hvíti) Teitsson (che in Islanda aveva accolto
Þangbrandr) e Hjalti Skeggjason, eminenti islandesi cristiani che
si trovavano a corte – accettarono il battesimo. Inoltre i capitani
promisero al re che si sarebbero adoperati per il trionfo della fede
cristiana nell’isola.
La violenta contrapposizione tra pagani e cristiani islandesi è
testimoniata nelle fonti in diversi episodi: nel Paese si erano infatti
venute formando due fazioni fieramente contrapposte non soltanto
dalla professione della fede ma anche da ragioni pratiche. Avveniva,
a esempio, che coloro che si erano convertiti alla nuova religione
rifiutassero il pagamento del tributo dovuto al tempio,147 ma anche
che essi si sottraessero ai riti pagani che erano legati allo svolgimen-
to di atti pubblici.148 Naturalmente i cristiani cercavano di diffonde-
re la nuova dottrina sostenendo la ‘qualità magica’ del nuovo dio
(un motivo costantemente ripetuto nelle fonti dove con enfasi si
sottolinea l’inferiorità degli dèi e degli spiriti pagani in paragone alla
potenza del dio cristiano).149 Il contrasto religioso condusse gli
146
Kristniboð Þangbrands, cap. 3 (DLO nr. 64); cfr. la Saga della cristianizzazione,
cap. 9, il Libro degli Islandesi, cap. 7, la Saga di Olav Tryggvason nella Heimskringla di
Snorri Sturluson, cap. 73 e cap. 84 e la Storia dell’antichità dei re norvegesi di Theo-
dricus Monachus, cap. 12.
147
Vd. il caso di tale Þorleifr il Cristiano (kristni) che abitava nella località detta
Krossavík (“Baia delle croci”) riferito nella Saga degli abitanti di Vápnafjörður (Vápn-
firðinga saga), cap. 5. Sull’obbligo del tributo vd. la fonte citata alle pp. 184-185.
148
Cfr. Þorvalds þáttr víðfǫrla I, cap. 5.
149
Un ottimo esempio in tal senso è offerto da un episodio riferito nel Breve rac-
conto di Þorvaldr Gran viaggiatore (Þorvalds þáttr víðfǫrla I, cap. 3; cfr. Kristni saga,

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Una nuova religione 265

Islandesi sull’orlo della guerra civile. Hjalti Skeggjason, che è appe-


na stato citato come mediatore presso il re Olav Tryggvason, si
trovava in Norvegia in seguito a una decisione dell’assemblea gene-
rale che in quello stesso anno 999 lo aveva condannato a un esilio
di tre anni. Nel corso del dibattito infatti, egli dall’alto della cosid-
detta Rocca della legge aveva osato declamare un breve ‘componi-
mento di infamia’ indirizzato contro le divinità pagane: “Io non
voglio bestemmiare gli dèi,/ [ma] Freyja mi sembra una cagna;/
sempre uno dei due sarà/ Odino oppure Freyja una cagna.”150
Nonostante la proscrizione Hjalti tornò in Islanda insieme al suoce-
ro Gizurr il Bianco per l’assemblea dell’anno successivo. Portavano
con sé un sacerdote e del legname per costruire una chiesa. I suoi lo
accolsero con calore, ma i nemici volevano impedirgli di partecipa-
re al dibattito e tra le due fazioni si venne quasi allo scontro. Alla
fine tuttavia essi presero parte all’assemblea e perorarono la causa
cristiana. È riferito che mentre tenevano il loro discorso giunse di
corsa un uomo, portando la notizia che nel distretto di Ölfus era in
corso una eruzione vulcanica. I pagani affermarono subito che
quell’evento era dovuto all’ira degli dèi di fronte alle parole dei
cristiani. Al che il goði Snorri Þorgrímsson oppose con logica taglien-
te la seguente risposta: “Per che cosa erano adirati gli dèi quando
qui ardeva la lava sulla quale ci troviamo adesso?” (“Um hvat reiddusk
guðin þá er hér brann hraunit er nú stǫndu vér á?”).151 Questa frase
esprime mirabilmente il crudo realismo degli uomini del Nord.
A fronte di una situazione di forte tensione e contrasto l’assem-
blea fu sospesa ed entrambe la parti si riunirono separatamente.
cap. 2). Vi si racconta che il padre di Þorvaldr, Koðrán, venerava uno spirito che
dimorava in un masso vicino alla sua fattoria. Questo spirito, definito spámaðr, lette-
ralmente “indovino”, “profeta”, ma anche ármaðr (termine che indica un uomo di
fiducia di un re o di un nobile [cfr. p. 372] e qui dunque usato in senso figurato) lo
aiutava in diversi modi, predicendogli il futuro, prendendosi cura del suo bestiame e
dandogli buoni consigli su come comportarsi. Il figlio allora disse che il vescovo Fede-
rico (a sua volta definito spámaðr!) avrebbe dimostrato la superiorità del dio cristiano.
Il che avvenne quando questi per tre giorni di seguito si recò al masso nel quale viveva
lo spirito pagano, cantò salmi e irrorò la pietra con acqua benedetta. Ciò fu sufficien-
te a scacciare il demone e a convincere Koðrán a ricevere il battesimo.
150
L’episodio è ricordato in diverse fonti: vd. Íslendingabók di Ari Þorgilsson, p.
15, Kristni saga, cap. 10, Kristniboð Þangbrands, cap. 2 e Brennu-Njáls saga, cap. 102.
Le prime due fonti riportano solo i due versi iniziali. Il testo completo qui citato è
ripreso da Kristniboð Þangbrands, cap. 2 (DLO nr. 65). Nella Saga di Njáll del rogo il
testo presenta qualche piccola variante.
151
Kristni saga, cap. 12, p. 33. Il racconto di questi eventi si trova anche nella
cosiddetta Kristnitakan (Accettazione del cristianesimo), capp. 1-2, un testo ripreso
dalla Grande saga di Olav il Santo su cui vd. Halldórsson 2003, pp. ccvi-ccix; vd.
anche Íslendingabók, cap. 7.

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266 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

Secondo la Saga della cristianizzazione152 i pagani avrebbero addi-


rittura preso la decisione di sacrificare due uomini per ciascuno
dei quattro settori amministrativi (fjórðungar) in cui era suddiviso
il Paese,153 affinché le divinità intervenissero a impedire la diffu-
sione della nuova religione. Una decisione cui alcuni cristiani
avrebbero opposto quella di fare altrettanto, tuttavia scegliendo
per il sacrificio non gli uomini peggiori bensì i migliori fra loro, in
modo che questa offerta fosse gradita a Cristo ed egli garantisse
loro la vittoria. Ciò tuttavia – ammesso che sia vero – non avvenne.
A Þorgeirr Þorkelsson goði degli abitanti di Ljósavatn e lǫgsǫgumaðr
in carica fu chiesto, seppure fosse pagano, di redigere le leggi per
i pagani e quelle per i cristiani. Si dice che egli ritiratosi nei suoi
alloggiamenti stese su di sé il proprio mantello e rimase coricato
in quella posizione per tutto il giorno e tutta la notte. È stato sug-
gerito che con questo atto Þorgeirr abbia compiuto una sorta di
rito pagano di conoscenza.154 Come che sia il giorno dopo egli
convocò tutti gli uomini all’assemblea e tenne un celebre discorso,
ispirato a grande realismo e rivelatore di lungimiranza politica.
Riuscì infatti a far comprendere agli Islandesi che una divisione
della legge avrebbe avuto come conseguenza una divisione e un
indebolimento della nazione. Sebbene nelle parole di Þorgeirr non
ci fossero allusioni esplicite in tal senso, è evidente che egli si ren-
deva ben conto del pericolo che un Paese diviso potesse divenire
facile preda del sovrano norvegese, la cui zelante opera di cristia-
nizzazione aveva certamente scopi di potere. Si trattava, dunque,
di evitare una ‘crociata’. Alle parole di Þorgeirr tutti acconsenti-
rono e fu deciso che il cristianesimo dovesse divenire religione
ufficiale dell’Islanda. Ma che la decisione fosse basata su conside-
razioni di carattere pratico e di opportunità politica appare subito
chiaro quando si legge che – evidentemente per accontentare la
fazione pagana – fu stabilito che a riguardo dell’uso di esporre i
bambini e a quello di consumare carne di cavallo (una consuetu-
dine strettamente collegata ai riti sacrificali in onore degli dèi
tradizionali) si dovessero seguire le leggi antiche. Inoltre fu dispo-
sto che chi voleva innalzare sacrifici potesse farlo di nascosto,
seppure dovesse incorrere in una sanzione se ci fossero stati dei
testimoni. Il senso pratico aveva dunque portato a un compromes-
so basato sulla convenienza. E che la conversione dei riottosi
pagani fosse dovuta solo a questo e dunque accettata senza con-
152
Cap. 12.
153
Vd. oltre, pp. 386-387.
154
Aðalsteinsson 1978, pp. 103-123.

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Una nuova religione 267

vinzione né – tantomeno – entusiasmo, appare anche da una nota-


zione marginale al racconto di questi avvenimenti, allorché si
precisa che una gran parte dei nuovi ‘cristiani’, quando cavalcaro-
no via dall’assemblea furono battezzati nella sorgente calda di
Reykjalaug in Laugardalur dal momento che non volevano entrare
nell’acqua fredda.155 Secondo la tradizione popolare Þorgeirr, goði
degli abitanti di Ljósavatn, una volta tornato a casa, prese le imma-
gini sacre degli dèi pagani e andò a gettarle nella vicina cascata di
Goðafoss (letteralmente “Cascata degli dèi”).156

Dalla Saga della cristianizzazione:

“Þorvarðr Spak-Bǫðvarsson fece costruire una chiesa nella sua fattoria ad


Áss. Ciò dispiacque molto alle persone che erano pagane. Un uomo si chia-
mava Klaufi, figlio di Þorvaldr Refsson di Barð. Era un capo. Questa fac-
cenda di Þorvarðr gli dispiacque molto ed egli andò a trovare Arngeirr,
fratello di Þorvarðr e gli offrì questa alternativa: se preferiva dar fuoco alla
chiesa o uccidere quel prete che il vescovo aveva mandato là.
Allora Arngeirr rispose: ‘Io sconsiglio i miei amici di fare del male al
prete, perché mio fratello si è vendicato ferocemente di offese minori. Io
penso che sia una buona idea quella di dar fuoco alla chiesa, tuttavia non
voglio averci a che fare.’
Poco dopo Klaufi di notte andò là e voleva dar fuoco alla chiesa. Essi
erano dieci in tutto, ma quando arrivarono al recinto della chiesa parve loro
che il fuoco divampasse da tutte le finestre della chiesa, e così andarono via
perché la chiesa sembrava tutta avvolta dalle fiamme. Ma quando egli ven-
ne a sapere che la chiesa non era bruciata andò là la seconda notte, e [c’era
anche] Arngeirr, e pensava di dar fuoco alla chiesa. Ma quando essi ebbero
fatto irruzione nella chiesa egli accese il fuoco con [legna di] betulla nana
secca, ma il fuoco stentava a divampare. Allora egli si chinò e soffiò là den-
tro oltre la soglia. Allora arrivò sul pavimento una freccia oltre la sua testa
e un’altra tra la tunica e il fianco. Perciò egli balzò su e affermò che non
avrebbe aspettato la terza. Così Arngeirr tornò a casa.
E quella chiesa fu fatta sedici anni prima che il cristianesimo fosse accet-
tato per legge in Islanda […].”157

155
Kristni saga, cap. 12, Kristnitakan, capp. 1-2, Íslendingabok, cap. 7.
156
Questa notizia è riportata in Kålund 1877-1882 (B.1), II: 1, p. 150: “Secondo la
tradizione Goðafoss ha preso nome dal fatto che dopo l’accettazione del cristianesimo
Þorgeirr vi gettò dentro i suoi idoli” (“Godafoss skal i følge sagnet have fået navn af, at
Torgejr efter antagelsen af kristendommen kastede sine afguder deri”).
157
Kristni saga, cap. 3 (DLO nr. 66); cfr. Þorvalds þáttr víðfǫrla I e II, cap. 5.

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268 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

*
Dalla Predicazione cristiana di Þangbrandr:

“In estate il prete Þangbrandr andò all’assemblea generale con Hallr. Ma


quando essi giunsero a sud in Skógasveit, i pagani pagarono quell’uomo che
in Islanda era il più famoso per la magia del demonio, che si chiamava Galdra-
Heðinn, perché con la sua arte facesse in modo che il prete Þangbrandr
sprofondasse vivo giù nella terra. Hallr e i suoi trascorsero la notte a
Kirkjubœr. Là viveva allora Surtr Ásbjarnarson, figlio di Þorsteinn, figlio
di Ketill il Buffone. Gli appartenenti a questa famiglia avevano abitato a
Kirkjubœr uno dopo l’altro ed erano tutti cristiani, dal momento che nessun
pagano aveva mai potuto vivere là. E quel giorno in cui Hallr e i suoi caval-
carono via da Kirkjubœr, allora la terra si aprì sotto Þangbrandr e il suo
cavallo sprofondò, ma lui riuscì a scendere dalla groppa e poté trovare aiuto
con il soccorso di Dio e dei suoi compagni di viaggio.”158

Dopo le decisioni dell’assemblea generale dell’anno 1000 la


Chiesa islandese poté svolgere liberamente la propria attività. È
certo che essa fu portata avanti anche da persone provenienti
dall’estero; nel Libro degli Islandesi159 vengono elencati i vescovi
stranieri inizialmente attivi nel Paese: tre di loro (Pietro, Abramo
e Stefano) vengono definiti ermskir, un termine che letteralmente
dovrebbe significare “armeni”, ma la cui interpretazione in questo
contesto resta dubbia.160 Almeno da un punto di vista formale ed
esteriore in Islanda la cristianizzazione procedette piuttosto in
fretta: al posto dei templi pagani vennero erette chiese cristiane e
i goðar sostituirono le incombenze legate all’antica fede con quel-

158
Kristniboð Þangbrands, cap.1 (DLO nr. 67). Si ricordi che Kirkjubœr era consi-
derato un luogo sacro ai cristiani (cfr. sopra, p. 262), il che del resto risulta evidente
dal nome dell’insediamento, letteralmente “Fattoria della chiesa”; cfr. Kristni saga, cap.
8 e Brennu-Njáls saga, cap. 101, dove si precisa che il mago per ottenere il proprio
scopo aveva innalzato un grande sacrificio pagano.
159
Íslendingabók, cap. 8.
160
Nella fonte i nomi sono Petrus, Abrahám e Stephanus. M.M. Lárusson (“On the
so-called ‘Armenian bishops’”, in Studia Islandica, XVIII [1960], pp. 23-38) suggerisce
che essi in realtà provenissero dalle regioni del Baltico. Nel testo che porta il titolo
Stimolo all’appetito [del sapere] (Hungrvaka, su cui vd. p. 424), cap. 2, si allude a
vescovi stranieri giunti in Islanda i quali nei confronti del popolo erano assai indul-
genti: “Ragion per cui divennero molto popolari presso le persone cattive, finché
l’arcivescovo Adalberto mandò una sua lettera in Islanda e proibì alla gente di accet-
tare da loro qualsiasi servizio [divino] e disse che alcuni erano scomunicati e tutti
avevano agito senza il suo permesso” (DLO nr. 68). È probabile che si tratti delle
medesime persone e che essi fossero dunque considerati degli eretici.

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Una nuova religione 269

le della nuova. Per mantenere accanto a quella politica la dignità


e la rappresentanza religiosa essi assicurarono presso le chiese la
presenza di un prete, a volte assumendolo, non di rado occupan-
dosi di fornire l’istruzione necessaria per tale incarico a una per-
sona appartenente alla loro famiglia. Il caso più evidente è certa-
mente quello di Gizurr il Bianco, il cui figlio Ísleifr (1006-1080) fu
inviato a Herford in Westfalia per compiere gli studi religiosi.
Consacrato vescovo a Brema nel 1056 egli tornò in patria l’anno
successivo e si stabilì nella residenza di famiglia di Skálholt (che
sarebbe così divenuta la prima sede vescovile islandese) fondando-
vi anche una scuola. A quanto pare egli era un personaggio molto
benvoluto: “uomo bello di aspetto e molto popolare fra tutta la
gente e sempre giusto e onesto, generoso e gentile e mai ricco”,
considerato “re e vescovo del Paese finché visse”;161 la sua nomina
rispondeva al desiderio degli Islandesi di affidarsi alle cure religio-
se di un compatriota che comprendesse il loro modo di vivere e
– considerazione niente affatto secondaria – la loro lingua. Per altro
si deve tenere presente che la Chiesa islandese fu costretta fin
dall’inizio ad adattarsi alla struttura di una società basata su pote-
ri locali che riconoscevano come unica autorità quella dell’assemblea
nella quale essi stessi avevano grande voce in capitolo: di conse-
guenza nella sua organizzazione dovette giocoforza sottostare alle
decisioni dei capitani. Costoro erano del resto eredi di quella
comunità di coloni che avevano dato vita a un nuovo stato proprio
a motivo della fiera opposizione a un potere superiore che voleva
soggiogarli. Anche dal punto di vista d’una effettiva conversione
delle anime il cammino fu certamente assai difficile. Gli Islandesi,
come si è appena detto, erano insofferenti a ogni tipo di imposizio-
ne e dunque furono cristiani tiepidi, restii ad accettare imposizioni
e precetti che riguardavano la loro vita privata.
Figlio e successore di Ísleifr fu Gizurr, titolare per ben trentasei
anni (1082-1118) di Skálholt, da lui stabilita come sede vescovile
permanente con la donazione alla Chiesa della proprietà che era
appartenuta alla sua famiglia (1104). Gizurr è ricordato come un
personaggio molto amato dagli Islandesi, capace per la sua indi-
scussa autorità di istituire (1096 o 1097) il pagamento delle decime
(consuetudine introdotta per la prima volta in un Paese scandinavo).162
Su richiesta degli abitanti delle zone settentrionali dell’Islanda egli
inoltre stabilì (1106) una seconda sede vescovile a Hólar in Hjalta-

161
DLO nr. 69-70; cfr. Adamo da Brema, Gesta Hammaburgensis […], IV, xxxvi.
162
Vd. LFI I, pp. 1-9 (data non ulteriormente specificata).

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270 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

dalur affidandola a Jón Ǫgmundarson, suo discepolo che aveva


studiato e soggiornato all’estero, il quale vi fondò anche una scuo-
la. Jón Ǫgmundarson (morto nel 1121) e Þorlákr Þórhallsson
(vescovo di Skálholt, 1133-1193), sarebbero divenuti i primi santi
islandesi (rispettivamente nel 1198 e nel 1200).
La storia dell’introduzione del cristianesimo in Islanda è ben
documentata in diverse fonti nazionali,163 il che consente di cono-
scerla nei dettagli. Va tuttavia considerato che si tratta di scritti
redatti in ambiente ecclesiastico e dunque ispirati a una retorica
cristiana, che non di rado decade nel propagandistico. Il che se da
una parte ne condiziona la valutazione storica e l’aspetto letterario-
stilistico, risulta dall’altra indice della necessità del mondo religio-
so di elaborare testi utili a far radicare il messaggio cristiano nella
coscienza del popolo.

4.3. Chiese di legno e chiese di pietra

Le prime chiese nordiche vennero, naturalmente, costruite in


legno. Questo materiale, che in altre zone dell’Europa era da tem-
po limitato nell’uso, fu invece impiegato, almeno inizialmente, in
Scandinavia. Questa era del resto la consuetudine nel Nord, dove
la costruzione in legno poteva talora presentare all’esterno un
rivestimento in pietre e zolle. È naturalmente vero che l’introdu-
zione della cultura cristiana doveva determinare anche la ricezione
di tecniche costruttive e forme artistiche nuove: esse tuttavia sareb-
bero state combinate con elementi tradizionali. Gran parte delle
chiese di legno innalzate in Scandinavia nei primi secoli dopo la
cristianizzazione non esiste più. Tuttavia in Norvegia, dove su un
totale calcolato di circa milletrecento chiese erette a partire dalla
metà del XII e fino alla metà del XIV secolo, la maggioranza (set-
163
Raccolte convenzionalmente sotto il nome di “saghe dei vescovi” (biskupa sögur),
vd. oltre, pp. 325-326. A esse si aggiungono alcuni capitoli (7-10) del Libro degli
Islandesi di Ari Þorgilsson il Saggio e i capp. 100-105 della Saga di Njáll del rogo nei
quali ritorna la narrazione delle vicende del missionario Þangbrandr. Anche in altre
fonti come le diverse saghe dedicate a Olav Tryggvason (in particolare la Grande saga
di O.T. della fine del XIII secolo, contenuta nella Flateyjarbók, e la versione di Oddr
Snorrason; vd. Simek-Pálsson 1987 [B.4], pp. 270-271), così come in Adamo da
Brema, si trovano importanti riscontri. Inoltre fa interessanti riferimenti a questo
periodo anche la Storia dell’antichità dei re norvegesi di Theodricus Monachus,
cap. 12.

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Una nuova religione 271

tecentocinquanta circa) dovevano essere di legno, una trentina di


queste costruzioni si è conservata fino ai giorni nostri. Esse sono
note con il nome di stavkirker (letteralmente una stavkirke è una
“chiesa [sostenuta] su colonne [di legno]”). Le chiese di legno
scandinave, i cui pilastri si reggevano su una base che rimaneva
nascosta sotto il pavimento, si fondavano su un modello piuttosto
semplice costituito da una navata singola con annesso un presbite-
rio. Ricerche specifiche hanno mostrato che questo schema riman-
da a quello di edifici religiosi minori presenti nel resto d’Europa a
partire dal X secolo. Ma in Norvegia, dove la tradizione dell’uso
del legno nelle costruzioni era destinata a perdurare a lungo nel
tempo, la semplice struttura originaria venne affinandosi e arric-
chendosi in forme più elaborate. Innanzi tutto accanto ai modelli
più semplici sorsero (a partire dalla fine del XII secolo) chiese di
legno nel cui interno venne introdotta una serie di colonne che oltre
a sostenere il tetto creavano navate laterali. La decorazione degli
edifici trovò poi motivo di ispirazione nell’arte vichinga, come
mostra chiaramente la complessità della decorazione dei portali164
e in diversi casi la presenza di teste di draghi al vertice dei frontoni
(che ben ricordano quelle issate sulle prue delle imbarcazioni).165
Ma anche motivi artistici importati (a esempio decorazioni con
motivi vegetali) furono utilizzati. Diverse ipotesi sono state fatte a
riguardo del modello cui queste costruzioni dovettero ispirarsi:
chiese romaniche, templi pagani, sale per le celebrazioni di feste,
addirittura navi. È probabile che in Norvegia esse abbiano svilup-
pato il loro stile particolare per influsso anglo-normanno.166
È certo che le stavkirker furono, almeno inizialmente e nella
forma più semplice, costruite anche in Svezia e in Danimarca. In
questi due Paesi le prime chiese sorsero, secondo quanto viene
riferito, ai tempi della missione di Ansgar.167 Di quelle realizzate in
legno e risalenti al primo periodo della cristianizzazione non resta-
no che scarse tracce, fatta eccezione per la stavkyrka di Hemse in

164
Una trentina dei quali, recuperati da chiese demolite per essere sostituite da altre,
sono conservati nei musei norvegesi.
165
Ma si veda anche il fonte battesimale in legno della chiesa svedese di Näs (Jämt-
land) risalente al XII secolo e ora conservato presso il Museo storico (Historiska
museet) di Stoccolma.
166
Il migliore esempio è certamente la chiesa di Borgund (Sogn e Fjordane), altre
assai pregevoli si trovano a Hopperstad e Urnes (entrambe in Sogn e Fjordane), a
Heddal (Telemark) e a Kvernes (Møre e Romsdal). La magnifica chiesa costruita a Gol
(Buskerud) si trova ora all’interno del Museo di cultura popolare (Norsk Folkemuseum)
di Oslo.
167
Vd. p. 234 e p. 240.

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272 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

Gotland, almeno in parte conservata nel Museo Storico (Historiska


Museet) di Stoccolma (l’unica chiesa svedese di questo tipo man-
tenutasi intatta è a Hedared in Västergötland, ma la sua costruzio-
ne si colloca probabilmente nei primissimi anni del XVI secolo).168
La prima chiesa danese in pietra di cui si abbia notizia fu innal-
zata a Roskilde (ca.1026), nel luogo in cui sorgeva una vecchia
chiesa in legno dedicata alla Trinità;169 a essa diverse altre seguirono
(fra cui il duomo di Aarhus che risale alla seconda metà del XII
secolo) e molte sono le testimonianze di una intensa attività costrut-
tiva: si scelgano qui come esempi la cripta della chiesa di Nostra
Signora (Vor Frue Kirke) a Aarhus risalente alla seconda metà dell’XI
secolo e la chiesa di Hover (XII secolo) nello Jutland. Nei secoli
successivi si cominciarono a utilizzare i mattoni e il numero degli
edifici destinati al culto cristiano andò aumentando così come, in
molti casi, la dimensione. In Svezia le prime costruzioni religiose
realizzate in pietra risalgono alla fine dell’XI secolo, dal XII il loro
numero dovette aumentare considerevolmente, seppure non ci
rimangano che i resti delle chiese di San Pietro e di Sant’Olof (anch’es-
sa in rovina ma meglio conservata) a Sigtuna (Uppland);170 in questa
medesima località nella prima metà del XIII secolo sarebbe stata
eretta la chiesa di Maria (con annesso convento, fatto demolire dal
re Gustavo Vasa dopo l’introduzione della riforma protestante):
questo edificio rimane tra le migliori testimonianze della cultura
cristiana medievale nel Paese. Come si è detto, l’utilizzo della pietra
nella costruzione di edifici religiosi (e le forme di pittura e scultura
a essa collegate) fu introdotto in Scandinavia in seguito alla cristia-
nizzazione: precedentemente questo materiale veniva qui utilizzato
solo in alcuni casi (a esempio per bastioni difensivi). Sebbene il
modello delle chiese in pietra mostri variazioni anche notevoli esso
è dunque sostanzialmente improntato a una architettura di impor-
tazione. Si possono così riconoscere applicazioni dello stile romani-
co prima (tra il XII e la seconda metà del XIII secolo) e di quello
gotico poi (tra la fine del XIII e il XIV secolo) e diversi altri influssi.
168
In Svezia sono comunque conservate pregevoli chiese di legno (una decina) con
diversa tecnica costruttiva risalenti al medioevo: la più antica si trova a Granhult
(Småland) e risale al 1220 circa.
169
Essa in seguito sarebbe stata ampliata e modificata fino a divenire l’attuale
duomo della città (vd. Kruse A., Roskilde domkirke, Roskilde 2005).
170
Il modello della chiesa di Sant’Olof è da riconoscere in quella dedicata a Cristo
(successivamente ampliata e rinnovata fino a diventare il duomo di Trondheim) fatta
erigere a Nidaros dal re norvegese Olav il Quieto attorno al 1070. Quest’ultima a sua
volta si rifaceva all’architettura religiosa anglosassone. Si ricordi qui che Sigtuna fu
sede vescovile, trasferita a Uppsala nel 1164.

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Una nuova religione 273

In Norvegia, dove secondo le fonti storiche, le prime chiese


vennero fatte erigere verso la metà del X secolo da re Håkon il
Buono,171 l’utilizzo del legno doveva, come detto, mantenersi a
lungo. Tuttavia non mancarono chiese di pietra (come quella dedi-
cata alla Madonna a Nidaros, seconda metà dell’XI secolo).172 Da
segnalare anche la grande chiesa romanica eretta dai Norvegesi a
Kirkwall nelle Orcadi nel secolo successivo. Anche qui si ricono-
scono facilmente i modelli stranieri (non da ultimi gli influssi
anglosassoni) seppure, come altrove, si ricerchino delle variazioni.
Si può tuttavia certamente affermare che talune stavkirker nulla
avevano da invidiare a queste costruzioni in pietra, neppure alla
grande cattedrale di Nidaros realizzata ampliando la chiesa di
Cristo dopo che la città era divenuta sede arcivescovile (1152-1153).
Anche in Islanda nonostante la difficoltà di reperire grandi
quantità di legname (che come precisano le fonti veniva talora
importato)173 furono costruite diverse chiese. Alcune dovettero
essere del tipo delle stavkirker norvegesi, sebbene il modello rima-
nesse assai semplice (tale doveva essere in particolare la chiesa di
Valþjófsstaður in Fljótsdalur, di cui ci resta il portale), altre rical-
carono il comune metodo di costruzione che prevedeva di ricopri-
re una struttura di legno con pietre e torba, tecnica costruttiva che
si ritrova in Groenlandia e nelle Føroyar. Non si conoscono chiese
islandesi in pietra risalenti al medioevo.

4.4. Consolidamento delle chiese nordiche

In Paesi come la Danimarca, la Svezia e la Norvegia dove il


processo di formazione di stati su modello europeo era in pieno
svolgimento, la conversione avrebbe contribuito ad accrescere il
potere centrale e, di conseguenza, la stabilità politica: almeno ini-
zialmente il forte legame di dipendenza reciproca tra Chiesa e
Stato si rileva tra l’altro dal fatto che le unità amministrative dell’u-
na e dell’altro appaiono assai spesso sovrapponibili. La collabora-
zione tra queste due istituzioni si manifestò anche nella promozio-
171
Vd. sopra, p. 250.
172
Diverse chiese come il duomo di Stavanger, quello di Bergen, ma qui anche la
chiesa della Madonna (Mariakirken) e quella della Croce (Korskirken), e la vecchia
chiesa di Aker (Gamle Aker kirke) di Oslo furono iniziate nel XII secolo.
173
Vd. a esempio p. 261 e p. 265.

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274 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

ne da parte di diversi sovrani nordici di nuovi vescovati, così come


nella concessione di privilegi ecclesiastici e nel sostegno alla costru-
zione di nuove chiese. Inoltre alcuni fra loro intrapresero delle vere
e proprie crociate contro popolazioni ancora pagane: iniziative
dietro le quali non è difficile riconoscere intenti di natura politica
ed espansionistica. Non soltanto, come si è visto, il sovrano norve-
gese Sigurd Viaggiatore a Gerusalemme aveva partecipato a una
crociata in Terrasanta,174 ma spedizioni cui veniva data una giusti-
ficazione legata al dovere missionario dei sovrani cristiani furono
condotte anche nei confronti di popolazioni vicine. Lo stesso Sigurd
insieme all’allora re danese Niels figlio di Svend Estridsen aveva
condotto nel 1123 una crociata nella regione svedese di Småland,
dove resisteva una sacca di paganesimo. Successivamente il re
danese Valdemaro I (1131-1182) con il sostegno di Absalon Hvide
vescovo di Roskilde e arcivescovo di Lund utilizzò la lotta contro
la popolazione dei Vendi come pretesto per l’unificazione naziona-
le.175 Al termine di una sanguinosa guerra civile scoppiata nel 1131
quando suo padre Canuto Lord (Knud Lavard, nato nel 1096 ca.),
che sarebbe poi stato dichiarato santo,176 era stato assassinato, egli
era rimasto unico sovrano del Paese, ma la pacificazione era tutt’al-
tro che raggiunta. I Vendi, popolazione slava stanziata nelle regio-
ni del Holstein orientale, del Mecklemburgo e della Pomerania,
erano stati parzialmente sottomessi in precedenza, ma quelli fra
loro che abitavano nelle zone più orientali mantenevano indipen-
denza politica e fede pagana. Dopo un primo tentativo da parte
dell’arcivescovo danese Eskil (1147) Valdemaro li attaccò insieme
ad Absalon, vescovo di Roskilde, e conquistata nel 1169 l’isola di
Rügen177 dove si trovava la loro capitale, li costrinse a riconoscerlo
come sovrano e a convertirsi in massa.178 A questa ‘crociata’ seguì,
174
Vd. pp. 259-260. Anche in un breve testo in lingua latina, composto da un
monaco sconosciuto, ma vissuto presumibilmente nel monastero premostratense di
Tønsberg, si fa riferimento a una spedizione guidata da capitani danesi in Terrasanta
tra il 1191 e il 1192. Esso porta il titolo Storia della spedizione dei Danesi a Gerusalem-
me (Historia de profectione Danorum in Hyerosolymam); vd. Skovgaard Petersen K.,
A Journey to the promised Land. Crusading Theology in the Historia de profectione
Danorum in Hyerosolymam (c.1200), Copenhagen 2001.
175
Cfr. oltre, p. 333.
176
Le sue reliquie furono deposte in uno scrigno nella chiesa di Ringsted (Selandia)
nel 1170. A Canuto Lord saranno consacrate diverse gilde danesi.
177
Su Rügen cfr. p. 78, nota 61.
178
In seguito alle lotte contro questo popolo il re danese Canuto VI, figlio di Val-
demaro, assunse il titolo di “re dei Vendi”, denominazione dei sovrani danesi che
sarebbe rimasta in vigore fino al 1972. Nel contesto della rivalità dano-svedese esplo-
sa nel XVI secolo anche il re Gustavo I Vasa decise poi di assegnarsi questo appella-

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Una nuova religione 275

con la benedizione di Papa Alessandro III, quella contro gli Esto-


ni (un tentativo in questa direzione era già stato fatto nel 1197), i
cui territori settentrionali finirono sotto il dominio del re danese
Valdemaro II (1170-1241) nel 1219.179 In Svezia le mire espansio-
nistiche del sovrano guardavano a est verso la Finlandia. Con il
pretesto di portare la parola del Vangelo, il re Erik Jedvardsson
(data di nascita incerta), coadiuvato Enrico (Henrik), consacrato
vescovo di Uppsala dal legato papale Nicola Breakspear che egli
aveva seguito dall’Inghilterra, intraprese una crociata in quelle
terre (ca.1155). Si trattava in realtà di una spedizione punitiva che
aveva lo scopo di fermare incursioni in territorio svedese. Secondo
la tradizione i Finlandesi furono sconfitti e dovettero accettare il
battesimo che fu loro impartito alla fonte di Kuppis (Kupittaa,
presso Åbo). Rimasto in terra finlandese il vescovo fece costruire
una chiesa a Nousis (finnico Nousiainen), dove si dedicò all’attivi-
tà missionaria. In seguito fu tuttavia ucciso da tale Lalli che, sco-
municato a causa di un assassinio, lo aggredì armato di ascia a
Kirkkosaari (“Isola della chiesa”) sul lago ghiacciato di Kjulo (Köyliö)
il 20 gennaio 1156 (ma la data, come quella della crociata resta
incerta). In conseguenza della morte patita per la devozione al
cristianesimo e di miracoli avvenuti presso la sua tomba, Enrico
veniva proclamato santo protettore della Finlandia. Nel 1300 le sue
spoglie vennero trasferite da Nousis alla cattedrale di Åbo. Questo
racconto segue una consolidata tradizione che resta ciò nondimeno
tutta da verificare:180 infatti è probabile che in questo Paese fosse-
ro già presenti nuclei cristiani, formatisi verosimilmente per inizia-
tiva della Chiesa russa (e del suo retroterra bizantino). In ogni caso,
sebbene in seguito a questa ‘crociata’ non si riuscisse a costituire
un dominio stabile sulle terre finlandesi, questo evento fu comun-
que di straordinaria importanza perché diede inizio a quel rappor-
to di dipendenza della Finlandia dalla Corona svedese che sarebbe
durato assai a lungo nel tempo.181 Il re Erik sarebbe morto pochi

tivo. In questo caso tuttavia ci si basò, erroneamente, sulla presunta identità tra i
Vendi e i Vandali, i quali (secondo il racconto di Giordane, Getica, IV, 26) erano stati
sconfitti nelle regioni prospicienti il Mar Baltico dai Goti provenienti dalla Scandina-
via, dunque dai ‘gloriosi antenati’ degli Svedesi (cfr. pp. 577-578).
179
È tra l’altro verosimile che il nome della capitale estone Tallinn derivi da *Taanin-
linna cioè “città/castello dei Danesi”; vd. Kiss L., Főldraizinevek etimológiai szótára,
Budapest 1988², II, pp. 610-611.
180
Sulle vicende e la morte del vescovo Enrico vi sono diverse fonti e discordanti;
vd. Heikkilä 2009; vd. anche Gallén J., “Till historien om St Henriks reliker och hans
grav i Nousis”, in Finskt Museum, LXXIX (1972), pp. 33-38.
181
Vd. Lindkvist 1996.

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276 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

anni dopo (18 maggio 1160) e in seguito considerato santo protet-


tore della Svezia, divenendo anche oggetto d’una leggenda a lui
dedicata (Erikslegenden). Nel 1164 veniva istituito l’arcivescovato
di Uppsala al quale rispondeva tra l’altro anche il vescovo di Nou-
sis, località nella quale la sede vescovile finlandese restò fino al
1229, quando fu trasferita a Korois (finnico Koroinen) nelle imme-
diate vicinanze di Åbo. Il progressivo rafforzamento dell’autorità
delle Chiese scandinave, assai spesso opportunamente alleate con
il potere statale è scandito dunque dalla serie delle ‘crociate nordi-
che’, che con la giustificazione della cristianizzazione di popolazio-
ni ancora pagane, permise una espansione territoriale e l’imposi-
zione del dominio dei ‘re cristiani’ (soprattutto danesi e svedesi).
Di seguito sono elencate le date degli avvenimenti più significativi
e degli attacchi portati nei confronti di queste popolazioni (in
particolare quelle stanziate attorno al Mar Baltico).

1142: “il prìncipe svedese” e il suo vescovo portano un attacco nella


regione di Novgorod ma vengono respinti182
1147: crociata danese contro i Vendi (collegata a una iniziativa dei
Sassoni)
1155 ca.: crociata del re svedese Erik Jedvardsson e del vescovo Hen-
rik in Finlandia
1169: vittoria dei Danesi guidati da Valdemaro I e dall’arcivescovo
Absalon sui Vendi con la conquista dell’isola di Rügen
1171 o 1172: invito del Papa Alessandro III ai sovrani nordici a intra-
prendere crociate contro gli Estoni e i popoli pagani loro vicini183
1185: attacco di un gruppo di Norvegesi sulle coste finlandesi
1187: incursione degli Estoni sul lago Mälaren, dove la città di Sigtuna
viene data alle fiamme e l’arcivescovo ucciso
1191: spedizione danese contro la Finlandia
1197: attacco danese all’Estonia
1206: proclamazione di possesso delle isole estoni di Saaremaa e Hiiu-
maa184 da parte del re danese Valdemaro II e dell’arcivescono Andrea
Sunesen con l’appoggio di Papa Innocenzo III185
1219: vittoria di Valdemaro II sugli Estoni a Lyndanisse186

182
Questa informazione si trova nella Cronaca di Novgorod (Новгородская
карамзинская летопись), trad. inglese, pp. 17-18.
183
STFM I, nr. 48, 11 settembre 1171 o 1172, pp. 93-94.
184
Dette rispettivamente in danese Øsel e Dagø, in svedese Ösel e Dagö.
185
Cfr. p. 333.
186
Cioè l’attuale Tallin. Il nome Lyndanisse deriva dall’antico slavo orientale Lede-
nets, reso in latino Lindanisa, in danese (appunto) Lyndanisse e in svedese Lindanäs.

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Una nuova religione 277

1220: attacco del re svedese Johan Sverkersson all’Estonia e successiva


sconfitta svedese a Lihula (dopo che il sovrano era ritornato in patria)
1237: appello del Papa Gregorio IX agli Svedesi per una crociata
contro i Tavasti (popolazione finnica) che avevano rinnegato la fede cri-
stiana187
1238: crociata in Finlandia di Birger jarl188
1245: il re danese Erik Soldo dell’aratro189 pianifica con l’appoggio del
Papa Innocenzo IV una crociata in Estonia che tuttavia non verrà effet-
tuata190
1249: nuova crociata in Finlandia di Birger jarl
1256 o 1257: invito del Papa Alessandro IV a una crociata in Carelia191
1293: crociata e conquista della Carelia guidata dal reggente svedese
Torgils Knutsson (e costruzione della fortezza di Viborg)
1298: nuova crociata svedese in Carelia guidata dal reggente svedese
Torgils Knutsson
1348-1351: guerra del re svedese Magnus Eriksson contro i Russi
(ricondotta almeno in parte a motivazioni religiose)192

Nel quadro delle crociate contro le popolazioni pagane del Bal-


tico un ruolo di primo piano venne svolto dai Cavalieri dell’Ordi-
ne teutonico e da quelli dell’Ordine livoniano (Portaspada), fon-
dato nel 1202 da Albrecht von Buxthoeven (1165-1229) vescovo
di Riga, e assorbito dal primo nel 1237.
Il carattere in gran parte temporale del potere della Chiesa (che
dunque in seguito sarebbe inevitabilmente venuto a collidere con
quello dello Stato) è manifesto nel coinvolgimento dei vescovi e
degli ecclesiastici nella vita politica, così come nei contrasti e nelle
alleanze che li videro protagonisti, a seconda della convenienza.
Come caso esemplare basterà ricordare la battaglia di Foteviken
(presso l’attuale Höllviken, in Scania) combattuta il 4 giugno 1134
nella quale il figlio illegittimo del re danese Erik il Buono, Erik egli
stesso – successivamente ricordato con il soprannome di Memora-
187
STFM I, nr. 86, 9 dicembre 1237, pp. 180-181 (anche in DS I, nr. 298, p. 290;
cfr. STFM nr. 84, 19 febbraio 1236, pp. 178-179).
188
Su di lui vd. pp. 350-353 e p. 361. In proposito vale la pena di leggere Nordling
C.O., Vad gjorde Birger Jarl i Finland. En ny teori om målet för och syftet med Birger
Jarls korståg, Vasa 1975.
189
Vd. p. 344, nota 70.
190
Vd. DD I: 7, nr. 165, 20 febbraio 1245, pp. 150-151; cfr. ibidem, nr. 168, pp.
156-157 e nr. 169, p. 157, entrambi in data 24 febbraio 1245.
191
STFM I, nr. 106, 1256 o 1257, pp. 212-213.
192
Una sintesi delle crociate nordiche si trova in Gallén 1964 (vd., in particolare,
coll. 212-214). Vd. anche Sundberg 1997 (Abbr.), nr. 23, p. 63.

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278 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

bile (emune) – pretendente al trono, affrontò le truppe dello zio, il


re Niels Svendsen e di suo figlio Magnus che vennero sconfitte: al
fianco di Erik (che sarebbe dunque divenuto re di Danimarca)
l’arcivescovo Asser, in un combattimento nel quale persero la vita
cinque vescovi e sessanta sacerdoti.
In Islanda, dove l’autorità politica era, almeno in parte, nelle
mani dell’assemblea generale, la Chiesa venne sviluppandosi, se
non altro inizialmente, come un settore di quel medesimo potere,
che tuttavia restava frammentato tra i diversi capitani locali: non
di rado (come del resto altrove in Scandinavia) le regole della nuo-
va religione venivano aggirate, come dimostra innanzi tutto l’inos-
servanza pressoché generalizzata della regola del celibato per i
membri del clero, i quali continuarono a contrarre matrimonio
almeno fino alla prima metà del XIII secolo (l’ultimo vescovo
sposato, Magnús Gizurarson di Skálholt moriva nel 1237), finché
– quando le norme divennero più severe e precise – si passò in
molti casi semplicemente alla convivenza.193 D’altronde il primo
diritto canonico islandese (Kristinréttur forni), predisposto dall’as-
semblea generale negli anni tra il 1122 e il 1133 dimostra in modo
chiaro il legame di subalternità della Chiesa rispetto ai poteri locali.
Quando le autorità ecclesiastiche islandesi cercarono di spezzare
questi vincoli dovettero fronteggiare una forte ostilità da parte dei
grandi capitani, il che è dimostrato fra l’altro nelle vicende perso-
nali di celebri vescovi come Þorlákr il Santo (inn helgi) Þórhallsson
e Guðmundr il Buono (góði) Arason vescovo di Hólar (1161-1237).
Il secondo in particolare fu addirittura cacciato e costretto per due
volte all’esilio, rimanendo in sostanza privo di sede.194

193
La sostanziale inosservanza dell’obbligo del celibato costituiva non solo in
Islanda ma anche negli altri Paesi nordici un problema rilevante per le autorità eccle-
siastiche, che fecero ricorso a diversi mezzi (perdita dell’incarico, minaccia di scomu-
nica, vantaggi fiscali per gli osservanti, disposizioni ereditarie sfavorevoli ai figli degli
ecclesiastici) per imporlo. Ciò nonostante il problema si trascinò a lungo. In Danimar-
ca il celibato fu imposto dal sinodo tenuto a Schleswig nel 1222, in Svezia da quello di
Skänninge (Östergötland) nel 1248. In Islanda l’ultimo vescovo cattolico Jón Arason
aveva notoriamente diversi figli, due dei quali furono uccisi assieme a lui, alla conclu-
sione della strenua lotta condotta contro l’introduzione della riforma protestante (vd.
8.1.4). Per una sintesi sull’argomento vd. Gallén J., “Celibat”, in KHLNM II (1957),
coll. 545-548 e anche, per la Norvegia, Gunnes E. “Prester og deier – sølibatet i norsk
middelalder”, in Imsen S. – Sandvik G. (red.), Hamarspor. Eit festskrift til Lars Hamre:
1912 – 23. januar 1982, Oslo 1982, pp. 20-44. Del resto questo ‘problema’ si legava
alla persistenza di concezioni pagane, in quanto nel passato il matrimonio non costi-
tuiva un vincolo sacro bensì, piuttosto, un legame che si inquadrava nell’ambito della
più ampia concezione di vita della Sippe.
194
Vd. oltre, p. 382.

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Una nuova religione 279

In ogni caso la presenza delle Chiese nordiche ormai organizza-


te avrebbe costituito un fattore politico destinato a giocare un
ruolo decisivo negli equilibri degli stati scandinavi, determinando
coinvolgimenti, interferenze e contrasti che si sarebbero trascinati
fino alla riforma protestante. Un elemento assai importante per
l’acquisizione della consapevolezza da parte degli ecclesiastici di
possedere una forza autonoma fu la diffusione delle idee riforma-
trici dei monaci cluniacensi promosse dal Papa Gregorio VII,
basate sulla superiorità della Chiesa rispetto al potere temporale,
il che sottraeva in gran parte ai prìncipi la possibilità di interferire
nell’organizzazione della gerarchia ecclesiastica.195 Si vennero in
sostanza a creare due governi paralleli, statale e religioso, una
situazione che avrebbe generato notevoli conflitti.
Ma una crescente autonomia si venne realizzando anche all’in-
terno della sfera religiosa. Il grande prestigio e l’autorità dell’arci-
vescovato di Amburgo-Brema (legato a una figura carismatica come
quella di Ansgar) cominciò infatti a declinare dopo la fondazione,
nel 1104, di quello di Lund, divenuto in breve tempo punto di
riferimento del mondo religioso scandinavo. Nel 1134 falliva il
tentativo del Papa Innocenzo II di riportare le chiese nordiche
sotto l’autorità dell’arcivescovo di Amburgo-Brema, così come
(1158) sarebbe fallito quello analogo di Federico Barbarossa. Anzi
– come sopra è stato detto – proprio nel corso di questi decenni
altri centri del potere ecclesiastico si sarebbero costituiti in Scan-
dinavia: in Svezia l’arcivescovato di Uppsala (1164) e qualche anno
prima (tra il 1152-1153) in Norvegia l’arcivescovato di Nidaros
(Trondheim). A quest’ultimo era data giurisdizione anche sulle
Orcadi e le Shetland (una diocesi istituita nel 1050 circa),196 sulle
Ebridi e l’isola di Man, sulle Føroyar (che nel 1100 avevano otte-
nuto una sede vescovile propria a Kirkjubøur sull’isola di Streymoy),
sull’Islanda (dove si trovavano le sedi di Skálholt e Hólar) e sulla
Groenlandia. Secondo quanto tramandato negli Annali islandesi
in questa lontana colonia nel 1112 (o forse 1113) era giunto un
islandese di nome Eiríkr uppsi (verosimilmente da leggere come
Gnúpsson): costui viene indicato come il primo vescovo groenlan-

195
Ildebrando di Soana (1025/1030-1085) il futuro Papa San Gregorio VII era
stato, probabilmente, un monaco dell’ordine cluniacense. Nonostante fosse uscito
personalmente sconfitto nella disputa che lo opponeva al potere dell’imperatore le sue
idee furono poi affermate nel concordato di Worms del 1122.
196
Questo vescovato sarebbe passato sotto l’arcivescovato scozzese di St. Andrews
nel 1472. Anche le Orcadi ebbero il proprio santo protettore nella figura dello jarl
Magnus Erlendsson, assassinato nel 1115.

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280 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

dese; di lui si sa per certo che nel 1121 partì per un viaggio missio-
nario in America (Vínland) dal quale non avrebbe più fatto ritorno.
Dopo aver atteso a lungo e invano, i coloni nordici inviarono un
proprio emissario, tale Einarr Sokkason di Brattahlíð, dal re nor-
vegese Sigurd Viaggiatore a Gerusalemme con la richiesta di isti-
tuire una diocesi in Groenlandia: il sovrano acconsentì ed essa fu
attiva a Garðar (attuale Igaliku) a partire dal 1124; il suo primo
titolare fu il norvegese Arnaldo (Arnaldr).197
In un primo momento l’espansione dell’istituzione ecclesiastica
risulta avvenire ad alti livelli, in un rapporto fra prìncipi e vescovi
che coinvolgeva in misura sostanziale solo i ceti sociali più elevati.
Del resto, anche se si guarda al fenomeno dei pellegrinaggi verso
Roma o la Terrasanta (una consuetudine ben testimoniata a partire
dal X secolo), risulta evidente che si trattava di un esercizio di
devozione – non di rado praticato da donne – possibile solo per
chi possedesse mezzi finanziari adeguati.198
197
Le fonti fanno riferimento a un progetto di cristianizzazione dei coloni groen-
landesi da parte del re Olav Tryggvason, il quale aveva incaricato Leifr, figlio di Eirik
il Rosso, di portare in quella terra la parola del Vangelo; vd. la Saga dei Groenlandesi,
cap. 4, la Saga di Eirik il Rosso, cap. 5 e la Saga della cristianizzazione, cap. 12. È detto
che la moglie di Eirik il Rosso, Þjóðhildr Jǫrundardóttir, aveva fatto erigere la prima
chiesa in quella terra nei pressi della fattoria di Brattahlíð e anche che ella si era allon-
tanata dal marito che non voleva accogliere la fede cristiana. A Garðar venne eretta
una cattedrale intitolata a San Nicola che aveva giurisdizione su sedici parrocchie;
l’ultimo vescovo, Andrea (Anders), vi giunse all’inizio del XV secolo (1406). Vd. il
Breve racconto dei groenlandesi (Grœnlendinga þáttr), cap. 1; cfr. DN XVII: 2, nr. 849,
6 gennaio 1053, pp. 771-772 (e anche nr. 852, 27 maggio 1133, pp. 776-777); Annali
islandesi del 1112 (1113) e del 1121 (IA, p. 251 e poi p. 19, p. 59, p. 112, p. 320, p.
473) e Flateyjarbók, III, p. 454 e p. 512). Vd anche Plovgaard K., “Da Grønland fik
sit første bispesæde”, in Tidsskriftet Grønland, XII (1963), pp. 463-469. In Prause G.,
Niemand hat Kolumbus ausgelacht, Düsseldorf-Wien, 1986², pp. 315-316, si ricorda la
contestata teoria dello studioso di diritto ecclesiastico Luka Jelic, il quale aveva soste-
nuto che i vichinghi giunti nell’America del Nord fossero già cristiani (Die Evangeli-
sierung Amerikas vor Kolumbus, relazione presentata al Congresso Internazionale
Cattolico di Parigi del 1891); secondo Prause (che riprende ricerche di K. Reichardt
e R.S. Lopez) a questa teoria andrebbe collegata la realizzazione della celebre (ma
falsa!) ‘mappa di Vínland’. A riguardo della cristianizzazione delle colonie americane
si ha anche notizia di tre sacerdoti che nel XIII secolo sarebbero partiti per un viaggio
missionario in quei luoghi; cfr. Storm 1887 (C.3.1), pp. 313-319.
198
Testimonianze in questo senso si trovano anche nelle iscrizioni runiche; vd.
Cucina 1994-1995, pp. 178-189 e anche Cucina 2001 (C.3.1), I, pp. 39-41. Verso la
metà del XII secolo l’abate islandese Nicola (Nikulás) Bergsson di Munkaþverá
(morto nel 1159) redigeva un Itinerario (Leiðarvísir) rivolto a coloro che volevano
intraprendere un pellegrinaggio verso Roma e la Terrasanta (da lui stesso compiuto
tra il 1149 e il 1154); questo testo è conservato in un manoscritto del 1387 (AM 194
8vo); vd. Magoun F.P., “The Pilgrim-Diary of Nikulas of Munkathvera. The Road to
Rome”, in MS VI (1944), pp. 314-354 e Raschellà F., “Devozione cristiana e leggen-

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Una nuova religione 281

La diffusione della fede cristiana anche fra gli strati inferiori


della popolazione fu agevolata innanzi tutto dalla costruzione di
molte nuove chiese presso le quali andarono a risiedere sacerdoti
con l’incarico di prendersi cura delle comunità locali: il primo nucleo
dell’organizzazione ecclesiastica fu costituito dalla “parrocchia”
(dan. sogn, sved. socken, norv. sogn/sokn, isl. sókn). È difficile
stabilire (soprattutto in Danimarca e in Svezia) in quale misura la
distribuzione e l’organizzazione delle parrocchie venisse adeguan-
dosi a preesistenti strutture o se essa dipendesse piuttosto da fat-
tori locali (a esempio la presenza di un personaggio eminente che
si adoperava per la costruzione di una chiesa).
Lungo e contrastato fu tuttavia il processo di imposizione delle
regole di vita cristiana a persone che nei confronti della religione
avevano da secoli mantenuto un atteggiamento di sostanziale liber-
tà e che dunque solo faticosamente si adeguarono a regole che la
Chiesa voleva piuttosto severe. La diffusione della nuova fede si
avvalse in gran misura della propagazione del culto della Madonna
e dei santi, spesso legato alla esibizione di sacre reliquie (vere o
presunte) e, naturalmente, alla proclamazione di miracoli. La pre-
dicazione costante, l’introduzione di regole di comportamento
(partecipazione ai riti, digiuni, penitenza e comunione), la cura dei
poveri e degli ammalati (spesso affidate a istituzioni ecclesiastiche)
riuscirono però gradatamente a influenzare l’animo degli uomini
del Nord e, almeno esteriormente, la religione cristiana risulta
pienamente praticata in Scandinavia a partire dal XII secolo. In
realtà resta dubbio se la nuova visione di vita avesse potuto radi-
carsi nelle coscienze.
Fondamentale fu anche la fondazione nei territori nordici (a
partire dal XII secolo) di molti conventi (sia maschili sia femminili):199
la presenza di diversi ordini (agostiniani, benedettini, cistercensi,
giovanniti, premostratensi, e – dal XIII secolo – francescani e
domenicani) è testimoniata tra l’altro nei resti, più o meno ben

da germanica nell’‘itinerarium’ dell’abate Nicola di Munkaþverá”, in Cipolla A. (a


cura di), L’immaginario nelle letterature germaniche del medioevo, Milano 1995, pp.
257-273. A un autore definito “frate Maurizio” (assai verosimilmente un monaco di
Bergen, inviato del re norvegese in Scozia nel 1264 e nel 1281) è attribuito un Itinera-
rio verso la Terrasanta (Itinerarium ad terram sanctam) redatto in latino. Del 1150
circa è un’altra fonte in latino che fa riferimento a un viaggio verso i luoghi santi
compiuto dal vescovo danese Svend di Viborg e da suo fratello Eskil (Iter Hierosolymi-
tanum Svenoni Episcopi Viburgensis et fratris ejus Eskilli).
199
Non di rado la vita nei conventi femminili rappresentava la scelta di importanti
famiglie per le figlie non sposate; vd., tra l’altro, Andersson C., Kloster och aristokrati.
Nunnor, munkar och gåvor i det svenska samhället till 1300-talets mitt, Göteborg 2006.

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282 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

conservati, di queste costruzioni. I religiosi si adoperarono per la


diffusione della fede fra larghi strati della popolazione, specie nel-
le città ma anche in località isolate.200 Tuttavia il loro compito non
si limitò alla divulgazione della dottrina cristiana a livello popolare:
i conventi furono anche importanti centri di studio e di sapere, che
avrebbero svolto un ruolo essenziale nel quadro della cultura nor-
dica del medioevo.

200
Persino in Groenlandia furono fondati due conventi: uno femminile apparte-
nente all’ordine benedettino che si trovava nei pressi di Narsarsuaq sul fiordo di
Uunartoq, e uno maschile dell’ordine agostiniano, eretto presso Tasermiut, sul fiordo
omonimo.

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Capitolo 5

Cultura e società

5.1. Nuovi apporti culturali

Gran parte dei missionari che avevano predicato il Vangelo nei


Paesi nordici erano di provenienza straniera. Così, almeno inizial-
mente, anche molti di coloro che andarono a occupare posizioni
di prestigio nella gerarchia ecclesiastica che si veniva stabilendo.
Costoro evidentemente portarono con sé il bagaglio della loro
formazione culturale che fu introdotto in Scandinavia insieme alla
nuova religione. Stranieri furono anche, naturalmente, i primi
monaci: i conventi sorsero dunque non soltanto come centri reli-
giosi ma anche come punti di riferimento di una cultura che
naturalmente era legata a finalità religiose, ma si richiamava a un
retroterra classico fino ad allora estraneo al mondo scandinavo.
L’apertura di nuovi orizzonti costituì un forte richiamo. Il primo
nordico di cui sappiamo per certo che si recò all’estero per moti-
vi di studio (a Herford in Westfalia) fu l’islandese Ísleifr Gizurar-
son, che tornato in patria nel 1057 sarebbe divenuto vescovo nel
proprio Paese.1 Molti avrebbero seguito il suo esempio e gli stu-
denti nordici avrebbero a lungo frequentato università straniere.
Nel XIII secolo sono note a Parigi scuole per danesi e svedesi, del
resto nella capitale francese (dove si formeranno diversi perso-
naggi di rilievo, tra cui il danese Sassone grammatico)2 aveva
studiato (tra il 1070 circa e il 1076) un altro islandese, Sæmundr
Sigfússon (1056-1133) detto il Saggio (fróði), il primo studente
proveniente dal Nord che – per quanto se ne sappia – si sia for-

1
Vd. sopra, p. 269.
2
Vd. pp. 322-323.

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284 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

mato a quella scuola: figura celebre per l’erudizione e rimasta


nella tradizione leggendaria che attribuiva al suo percorso di
apprendimento un carattere addirittura magico, come resta ben
testimoniato nella raccolta dei racconti popolari e delle fiabe
islandesi.3
Un movimento di uomini (e di idee) si andò stabilendo e i nor-
dici intrapresero anche lo studio del latino, destinato a imporsi
come lingua della cultura. Naturalmente il latino era la lingua
ufficiale della Chiesa e dunque con esso cominciarono a diffonder-
si testi di carattere religioso, agiografie, epistole, cronache e scritti
storici. Un flusso culturale destinato a influenzare in misura sostan-
ziale la cultura scandinava.

5.2. La letteratura norrena4

È indiscutibile che una ‘rivoluzione’ fondamentale fu dovuta alla


introduzione nel Nord dell’alfabeto latino. Come sopra è stato
detto i nordici disponevano della serie delle rune che tuttavia veni-
vano utilizzate per iscrizioni brevi di carattere magico o, più tardi
e assai spesso, epigrafico.5 Solo in un numero limitato di casi – i
più noti dei quali sono rappresentati dalle iscrizioni sulle pietre
svedesi di Rök (Östergötland, IX secolo) e di Karlevi (Öland, inizio
dell’XI secolo) – i testi runici presentano un carattere ‘letterario’,
più specificamente poetico.6 È del resto evidente che la tecnica dei
3
La raccolta, curata da Magnús Grímsson (prematuramente scomparso) e, soprat-
tutto, da Jón Árnason (vd. p. 1074 con nota 485), dedica alla figura di Sæmundr oltre
quaranta racconti (vd. Íslenzkar þjóðsögur og ævintýri, I, pp. 469-486 e III, pp. 490-494).
La traduzione italiana di alcuni racconti incentrati sulla figura di questo celebre eru-
dito e sulle sue qualità magiche (che egli avrebbe appunto appreso in Francia in una
scuola che a quanto pare era gestita nientemeno che dal diavolo in persona!) si trova
in Racconti popolari e fiabe islandesi, a cura di G. Chiesa Isnardi, Milano 2004, pp.
250-254. Del resto a questa scuola leggendaria, detta Svartiskóli, letteralmente “Scuo-
la nera” (da taluni erroneamente identificata con l’Università di Parigi) si fanno
diversi riferimenti a proposito di alcuni stregoni islandesi.
4
In un testo di cultura generale si giustificherà il cospicuo spazio dedicato alla
letteratura norrena. Ciò è dovuto, naturalmente, al contributo importantissimo da essa
dato alla letteratura europea; in questo contesto tuttavia si è considerato in primo
luogo il fatto che nell’esposizione rientrano agevolmente numerosi e significativi rife-
rimenti alla società scandinava del periodo.
5
Vd. 2.5.
6
Vd. Musset 1965 (C.2.5), pp. 301-307 e anche (per la Svezia) Jansson 1984³
(C.2.5), pp. 136-150 e inoltre Cucina 1989 (C.3.1), pp. 511-542. In Norvegia mostra,

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Cultura e società 285

maestri di rune, i quali incidevano i segni su pietre o oggetti di


materiale rigido, costituiva di per sé ostacolo all’ampiezza del testo,
sia a motivo della limitatezza della superficie disponibile, sia per la
natura stessa del lavoro.7 L’alfabeto latino al contrario aveva una
lunga tradizione di utilizzo per la compilazione di manoscritti:
l’uso di inchiostri e di materiale ‘cartaceo’ consentiva una relativa
rapidità nella scrittura. Va inoltre considerato che le lettere dell’al-
fabeto latino erano ritenute semplicemente uno strumento neces-
sario a fissare per iscritto dei testi, mentre le rune – come si è vi-
sto – conservavano un carattere per molti versi magico e sacrale.
Le autorità ecclesiastiche e quelle politiche compresero rapida-
mente l’importanza di disporre dei testi in forma scritta, fondamen-
tali per il consolidamento del loro potere. Ciò si tradusse nella
redazione di opere di carattere religioso da una parte e nella codi-
fica di ordinamenti giuridici dall’altra. Ma nelle zone occidentali
della Scandinavia – in Norvegia e, soprattutto, in Islanda – l’intro-
duzione dell’alfabeto latino (importato dall’Inghilterra)8 e la fon-
dazione di scuole presso i centri ecclesiastici (cattedrali e conventi)
costituì l’occasione per riversare in preziosi manoscritti gran parte
del patrimonio mitologico e letterario del passato pagano, così come
composizioni poetiche di epoca vichinga, scritti nei quali era tra-
mandata memoria di personaggi o di famiglie eminenti, storie di re
o racconti leggendari. Il che, rivitalizzando l’eredità culturale del
passato, ispirava allo stesso tempo la produzione di opere nuove e
determinava il fiorire di una attività letteraria che rappresenta uno
dei contributi più significativi che il Nord abbia dato alla storia
della letteratura europea. Centri di questo fecondo esercizio di
scrittura furono Nidaros in Norvegia, sede dell’arcivescovato e a
lungo capitale del Regno, ma – soprattutto – i monasteri, le scuole
e talvolta le ricche dimore private islandesi: qui fu portata avanti
una intensa attività i cui risultati restano, senza voler cadere in
esagerazioni, davvero sorprendenti, tenuto conto, tra l’altro, del
fatto che il riferimento è a un Paese che nel corso del XIII secolo

almeno in parte, carattere poetico il testo della pietra di Eggjum (da datare all’incirca
all’inizio dell’VIII secolo); cfr. p. 93 con nota 117, p. 86 con nota 86 e p. 296.
7
È detto tuttavia nella Saga di Egill Skalla-Grímsson (cap. 78) che la figlia del poe-
ta invitò il padre a comporre un carme che ella avrebbe inciso (evidentemente in
caratteri runici) su un pezzo di legno. Riferimenti analoghi si trovano nella leggendaria
Saga di Oddr della freccia (Ǫrvar-Odds saga), cap. 40 e cap. 46.
8
In Islanda inizialmente fu introdotto il cosiddetto ‘minuscolo carolino’, integrato
con i segni þ, y e æ; in Norvegia fu invece utilizzato il ‘minuscolo anglosassone’ (vd.
Wessén 197510 [B.5], pp. 35-36), un uso che in seguito (inizio del XIII secolo) influen-
zò l’alfabeto islandese introducendovi il segno ð come variante posizionale di þ.

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non superava i 39.000 abitanti.9 I prodotti letterari più noti che ne


risultarono sono testi di carattere mitologico o eroico, componi-
menti poetici, saghe familiari, leggendarie e ‘storiche’:10 essi meri-
tano dunque in questo contesto una trattazione a parte.
La lingua nella quale queste opere sono scritte viene comune-
mente definita ‘norreno’, un termine che deriva dall’aggettivo
norrœnn (“nordico”, “norvegese”) e con il quale in ambito lingui-
stico e letterario si fa riferimento all’ultima fase dell’antico nordi-
co detto anche ‘nordico classico’ (tra il XII e la metà del XIV
secolo).11

5.2.1. Letteratura mitologica ed eroica

Il paganesimo scandinavo possedeva un patrimonio mitologico-


religioso ricchissimo. Una parte affondava le proprie radici nella
più vasta cultura germanica, sia per quanto riguarda l’aspetto più
propriamente legato alle figure degli dèi, sia per quanto concerne
la tradizione eroico-leggendaria. Ma rispetto alla Scandinavia nel
mondo germanico continentale e nelle isole britanniche la conver-
sione al cristianesimo aveva avuto luogo alcuni secoli prima e la
conseguenza era stata un sostanziale tracollo della cultura pagana,
il cui ricordo si era disperso e frammentato o magari incrociato con
elementi della cultura cristiana. Questo fatto, così come la consta-
tazione delle effettive differenze esistenti tra le tribù nordiche non
soltanto al loro interno ma anche – a maggior ragione – con gli altri
gruppi di Germani, sottolinea la necessità che nello studio degli
elementi letterario-mitologici che sono stati conservati nel Nord
non si cada nella tentazione di considerare comunque ‘germanico’
tutto il materiale ‘nordico’ di cui si dispone e neppure – natural-
mente – il contrario. Anche perché si deve tenere presente, come
sopra è stato rilevato, il fatto che il patrimonio letterario e mitolo-
gico nordico fu riversato nei manoscritti in un’epoca nella quale il
paganesimo era ormai tramontato, il che evidentemente determinò
9
Vd. Sigurðsson 1989 (C.6.4), pp. 126-129.
10
Il termine saga in antico nordico significa semplicemente “storia”. E di una
‘storia’ questo tipo di testo può infatti avere tutte le caratteristiche: cronaca, resocon-
to, biografia, leggenda, racconto di invenzione. La particolare accezione semantica che
questa parola ha assunto nelle lingue moderne (fatta eccezione per l’islandese in cui
conserva il significato originale) dipende proprio dalla fortuna delle saghe nordiche,
soprattutto delle saghe degli Islandesi, racconti incentrati sulle vicende di grandi
famiglie o comunità (vd. oltre, 5.2.3, 5.2.4, 5.2.5).
11
Cfr. pp. 157-158.

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Cultura e società 287

le concrete condizioni per un influsso della cultura cristiana dell’au-


tore o dello scriba nella redazione del proprio lavoro.12
Un curioso destino accomuna nel nome i due testi fondamentali
della mitologia nordica, entrambi conosciuti sotto il titolo di Edda. In
realtà l’unico ad avere pieno diritto di chiamarsi così è un’opera dello
storico e letterato islandese Snorri Sturluson.13 Una precisa indicazio-
ne in proposito si trova infatti nel più antico dei manoscritti in cui essa
è tramandata, il Codex Uppsaliensis dove si legge: “Questo libro si
chiama Edda. È stato composto da Snorri Sturluson secondo il modo
in cui qui è ordinato” (“Bók þessi heitir Edda. Hana hefir samansetta
Snorri Sturlu sonr eptir þeim hætti sem hér er skipat”).14 Il nome Edda
è stato oggetto di numerose speculazioni ma una spiegazione etimo-
logica del tutto soddisfacente non è ancora stata trovata.15
12
È pur vero che ancora all’inizio del XIII secolo si trova un’allusione alla fede in
Odino nell’episodio relativo all’apparizione del dio prima della battaglia di Lena in
Västergötland (cfr. p. 347 con nota 81) e che la tradizione popolare conservava nel
folclore buona parte del patrimonio pagano. Tuttavia il primo caso si può agevolmente
interpretare come un semplice motivo letterario, mentre nel secondo appare evidente
che la persistenza nel folclore di forme dell’antico credo va riferita a una sfera sociale
sostanzialmente estranea a quella nella quale si muovevano gli eruditi e i letterati.
13
Nato a Hvammur, nell’Islanda occidentale nel 1178 o 1179, Snorri era discenden-
te di una importante e facoltosa famiglia. Ambizioso e intelligente, crebbe a Oddi,
località nella quale si trovava una celebre scuola, fondata da Sæmundr Sigfússon.
Grazie alle doti personali e alle opportunità offerte dalla condizione sociale privilegia-
ta, seppe affermarsi nella vita politica così come nell’ambito culturale. Nel 1206 si
stabilì a Reykholt, che sarebbe divenuta sua residenza definitiva. Ebbe un matrimonio
poco felice con una donna di famiglia benestante e in seguito relazioni con diverse altre,
in particolare una concubina con la quale convisse fino alla morte di lei. Per due volte
ricoprì la prestigiosa carica di lǫgsǫgumaðr presso l’assemblea generale (vd. pp. 151-152
con nota 199) e per due volte fu in Norvegia. La prima (1218-1220) vi incontrò il
giovane re Håkon Håkonsson, appena quattordicenne, coadiuvato nel governo del
Paese dallo jarl Skule Bårdsson. Nel viaggio successivo (1237-1239) Snorri
venne a trovarsi di fronte a una situazione profondamente mutata: un grave contrasto,
in sostanza una guerra civile, opponeva lo jarl e il sovrano. Questo conflitto (su cui vd.
oltre, p. 368) ebbe gravi conseguenze anche per Snorri che – avendo manifestato il
proprio sostegno a Skule piuttosto che al sovrano – fu da questi ritenuto un traditore
e, un paio d’anni dopo il suo ritorno in Islanda, fu fatto assassinare nella sua casa da
un sicario (23 settembre 1241).
14
Il manoscritto (De la Gardie nr. 11) risale al 1300 circa ed è conservato nella
biblioteca universitaria di Uppsala Carolina Rediviva.
15
Sono stati suggeriti collegamenti con Edda, nome mitologico che significa “Ava”,
“Bisnonna” (cfr. p. 214); con la località islandese di Oddi, dove Snorri era cresciuto
(in questo caso il nome significherebbe “Libro di Oddi”); con il sostantivo nordico
óðr, m., nel significato di “poesia” (dunque “Poetica”); con un participio *eddr “ono-
rato” (dunque “[Libro su argomenti] degni di onore”); con il verbo latino ēdo, ēdere
“produrre”, “pubblicare”. Vd. Krogman W., “Die ‘Edda’”, in ANF L (1934), pp.
243-249; Andersen H., “Smaa kritiske Streiftog. 2. Edda”, in ANF LII (1936), pp.
67-70; Gutenbrunner S., “Der Büchertitel Edda”, in BGDSL LXVI, pp. 276-277 e de

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Sebbene sia – e non a torto – considerato una sorta di summa,


nella quale possiamo trovare fondamentali notizie sulla cosmogonia
e la cosmologia nordica, sulla natura e la venerazione degli dèi,
sulle loro vicende e sulle storie di diversi eroi, questo libro non è
nato per rispondere all’esigenza di diffondere informazioni di
carattere religioso e mitologico. L’Edda di Snorri (composta attor-
no al 1220) è certamente un’opera che ha come fine quello di dare
degli insegnamenti, ma si tratta di insegnamenti legati piuttosto
all’ambiente culturale e letterario nel quale Snorri si muoveva. È
stata piuttosto la popolarità di alcune delle sue parti (le uniche
comunemente selezionate e tradotte) a farne per il lettore moderno
una fonte primaria per la conoscenza del paganesimo nordico. Ma
per comprendere la vera natura del libro è sufficiente guardare alle
tre sezioni nelle quali esso è suddiviso. La terza, certamente la meno
popolare e conosciuta, fu composta per prima. Si tratta di un car-
me che ha per titolo Enumerazione dei metri poetici (Háttatal),
esibizione di maestria versificatoria16 dedicata al re Håkon e allo
jarl Skule. Un esercizio che dovette far riflettere l’autore sulla
situazione in cui si trovava l’arte degli scaldi, i rinomati poeti nor-
dici, sopravvissuta al mondo vichingo nel quale era maturata e
dunque inesorabilmente destinata alla decadenza o, quantomeno,
alla trasformazione. Al suo carme Snorri accostò allora un testo dal
titolo Dialogo sull’arte poetica (Skáldskaparmál) affidando a un
immaginario dialogo tra Bragi (dio della poesia) e Ægir (gigante-dio
del mare), svoltosi in occasione di un banchetto tenutosi nella
dimora degli dèi, una serie di delucidazioni relative alla tecnica
poetica, arricchite da racconti mitologico-leggendari e dalla cita-
zione di versi di celebri scaldi. Con ciò fornendo la spiegazione di
diverse kenningar,17 ma proponendo anche numerosi sinonimi
poetici (heiti) e infine una serie di þulur (sing. þula) in sostanza
elenchi di nomi poetici e mitologici occorrenti all’ars versificandi
degli scaldi. La narrazione relativa alle figure e alle storie degli dèi
(patrimonio di conoscenze indispensabili ai poeti nordici) avrebbe
poi definitivamente prevalso nella stesura di quella che sarebbe
divenuta la prima parte dell’opera: L’inganno di Gylfi (Gylfaginning).

Vries 1962² (B.5), p. 93. Talora queste ipotesi sono molto antiche: si legga la Prefazio-
ne di Resen alla sua edizione dall’Edda del 1665 (su cui vd. p. 587), prima e seconda
pagina, non numerate.
16
Questo componimento trova un precedente nella cosiddetta Chiave dei metri
poetici (Háttalykill) composta tra il 1140 e il 1150 dallo scaldo islandese Hallr Þórarins-
son insieme a Rǫgnvaldr Kali jarl delle Orcadi e scaldo lui stesso.
17
Vd. oltre, p. 298.

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Cultura e società 289

Qui, rifacendosi allo schema del certame sapienziale si immagina


che un leggendario re svedese, Gylfi appunto, si rechi sotto trave-
stimento nel Paese degli Asi dove incontra una triade divina (in
realtà Odino sotto triplice veste) alla quale pone una lunga serie di
domande sull’origine e l’ordinamento del mondo, le caratteristiche
e le vicende degli dèi, il destino inesorabile che travolgerà tutto.
Alla fine del dialogo si suggerisce che Gylfi, che aveva pensato di
ingannare gli Asi, fosse stato in realtà a sua volta ingannato, in
quanto essi (che lo avevano riconosciuto fin dall’inizio) lo lasciaro-
no solo nel mezzo di un pianoro facendo scomparire ai suoi occhi
ogni traccia del luogo in cui li aveva visitati. Ma Gylfi tornato al
suo Paese raccontò ogni cosa di ciò che aveva visto e udito. Alle tre
parti dell’Edda è anteposto un Prologo, nel quale emerge chiara-
mente come la formazione dell’autore sia da ricondurre a un ambien-
te cristiano (il paganesimo vi viene presentato come un travisamen-
to della realtà): qui egli tra l’altro si premura di sottolineare una
visione evemeristica18 a riguardo degli dèi pagani.19
È comunque grazie a Snorri che noi apprendiamo la gran parte
della letteratura mitologica nordica. Le nostre conoscenze sareb-
bero certamente ben più limitate se non disponessimo di questa
opera, senza la quale le informazioni che ci vengono dall’Edda
poetica e le allusioni degli scaldi resterebbero di difficile (in taluni
casi impossibile) interpretazione.20 Anche se è evidente che la sua
testimonianza non è ineccepibile in quanto in qualche occasione si
rilevano nelle sue conoscenze mitologiche lacune e imprecisioni
delle quali egli non pare preoccuparsi particolarmente. Snorri
infatti era un letterato cresciuto in un ambiente cristiano e forma-
tosi a una scuola improntata a schemi culturali di importazione, il
che quantomeno condizionò il suo modo di considerare il materia-
le trattato, privilegiandone chiaramente la funzione letteraria.
Nell’Edda di Snorri Sturluson l’esposizione dei temi mitologici
e la loro utilizzazione a fini letterari si avvale in misura cospicua di
una nutrita serie di riferimenti. Si tratta sostanzialmente di citazio-
18
Il riferimento è allo scrittore greco Evemero (Ευήμερος), vissuto tra il IV e il III
secolo a.C., secondo il quale gli dèi non erano altro se non potenti signori che erano
stati capaci di farsi riconoscere una natura divina e quindi di farsi adorare. L’opera di
Evemero, Scrittura delle cose sacre (Ἱερὰ ἀναγραφή), è pervenuta solo in frammenti.
19
Sulla composizione dell’Edda vd. HOLTSMARK 1971², pp. XI-XIV.
20
Vd. l’analisi di U. Seelow (“Quello che resta del mito dei vichinghi nelle saghe /
Fornaldarsögur as sources of old norse mythology”, in MVASCA, pp. 119-131) che
cerca di evidenziare il materiale di carattere mitologico che ci sarebbe tramandato se
non disponessimo delle due ‘Edde’ e dovessimo fare riferimento solo alle notizie
contenute nelle saghe leggendarie (su cui vd. 5.2.4).

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290 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

ni da carmi a contenuto mitologico e leggendario che l’autore mostra


di ben conoscere, così come della menzione di versi ripresi dai
componimenti di taluni scaldi, utili a mostrare con esempi concre-
ti l’uso della materia poetica trattata. I riferimenti ai poemi antichi
(che insieme agli altri appaiono comunque anche come una sorta
di esibizione della propria dottrina) hanno lo scopo fondamentale
di dimostrare la correttezza dell’informazione, secondo la conce-
zione (non di rado suggerita nei testi nordici) che riconosce veri-
dicità a tutto quello che appartiene alla tradizione. Ma le citazioni
contenute nell’Edda restituivano alcuni carmi in forma frammen-
taria e altri ignoravano del tutto.
Snorri Sturluson moriva assassinato, come sopra è stato detto,
nel 1241. Alcuni secoli dopo i Paesi scandinavi vivevano in un’at-
mosfera culturale di ritorno al passato, un umanesimo nazionali-
stico nel quale la ricerca della tradizione e del patrimonio dei
popoli nordici costituivano l’interesse centrale per gli uomini di
cultura e di potere. Un clima nel quale la figura e l’opera di Snorri
avrebbero costituito punti di riferimento fondamentali.21 E fu
proprio in questo contesto che, nel 1643, il vescovo islandese
Brynjólfur Sveinsson di Skálholt (1605-1675) venne in possesso di
un manoscritto medievale risalente al 1270 circa, della cui impor-
tanza egli si rese immediatamente conto. Questo prezioso codice
fu in seguito (1662) donato al sovrano di Danimarca (Paese del
quale l’Islanda era ormai da tempo una colonia), il re Federico III,
e per questo motivo fu indicato come Codex Regius (2365, 4to,
attualmente conservato a Reykjavík).22 In esso era contenuta una
serie di carmi anonimi, trascritti su pergamena verso la fine del XIII
secolo da un ignoto raccoglitore islandese, al cui gusto, alle cui
scelte e alle cui conoscenze, si deve dunque la redazione di un
lavoro che in parte potrebbe anche essere stato ispirato dall’esem-
pio dell’Edda di Snorri. Il vescovo Brynjólfur – ritenendo invece
che la raccolta fosse una sorta di ‘precedente poetico’ di quella e
attribuendone erroneamente la redazione al celebre erudito medie-
vale Sæmundr Sigfússon –23 vi annotò le seguenti parole: Edda
Sæmundi multiscii 1643. Da allora i due testi hanno condiviso il
medesimo nome. E tuttavia: fin dalla prima (assai parziale) edizio-
ne (che in effetti comprendeva solo i due carmi iniziali) questa Edda
21
Vd. pp. 585-587.
22
In genere con la definizione Codex Regius si indica un codice appartenuto alla
collezione attualmente conservata, per la maggior parte, nella Biblioteca reale (Det
kongelige bibliotek) di Copenaghen.
23
Vd. pp. 283-284 con nota 3.

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Cultura e società 291

fu definita ‘antica’ e ‘poetica’ per distinguerla da quella ‘recente’ e


‘prosastica’ di Snorri; inoltre a causa dell’errata attribuzione fatta
da Brynjólfur Sveinsson essa è stata a lungo nota anche come Edda
‘di Sæmundr’ (una definizione dunque antiquata e superata) in
contrapposizione all’altra detta appunto Edda ‘di Snorri’.24
L’anonimo raccoglitore dei carmi dell’Edda poetica ha ordinata-
mente disposto i testi in due sezioni principali. I cosiddetti ‘carmi
degli dèi’ e i ‘carmi degli eroi’. All’interno di questo semplice
schema si possono individuare altri gruppi, enucleati sostanzial-
mente attorno a singole figure. Ma la valutazione è assai più com-
plessa. Innanzi tutto bisogna prendere in considerazione l’aspetto
cronologico, cioè la data di stesura definitiva di ciascun componi-
mento (che dovrebbe oscillare tra il IX e il XII secolo), una ricerca
nella quale ci si è basati tra l’altro su elementi linguistici, stilistici,
metrici e religiosi. Poi occorre esaminare la tipologia e i motivi
ispiratori che rispondono a schemi ed esigenze poetiche di diversa
natura. Troviamo così temi di carattere mitologico (cioè in sostan-
za letteratura sapienziale, funzionale rispetto alle credenze religio-
se di una società), religioso-cultuale, magico, didattico, tecnico-
letterario, eroico-leggendario espressi con una varietà di schemi
poetici che vanno dal certame sapienziale alla narrazione in forma
drammatica, dall’impostazione profetica all’espressione di carat-
tere gnomico e sentenzioso, dalla ‘rigidità’ nell’elencazione
di avvenimenti inesorabilmente determinati dal volere del fato alla
manifestazione d’una volontà eroica. Allo stesso tempo è presente
una diversità di registri stilistici nella quale ricorrono di volta in
volta toni altamente drammatici, pacatamente narrativi, inaspetta-
tamente quotidiani, improvvisamente ingiuriosi e talora persino
comici se non addirittura grotteschi. Elementi che non di rado si
affiancano, si sovrappongono e si intersecano all’interno del mede-
simo testo in un insieme difficile da districare.
Un tono profetico contraddistingue il carme che apre la raccol-
ta, la cosiddetta Predizione dell’Indovina (Vǫluspá), nel quale una
veggente riassume nella propria visione l’origine del mondo, i più
drammatici avvenimenti relativi agli dèi e la descrizione dell’ultimo
giorno. Un altro carme mitologico, il Dialogo di Vafþrúðnir
(Vafþrúðnismál) che riferisce d’una sfida tra il gigante Vafþrúðnir
e Odino, incrocia lo schema del certame sapienziale con l’evoca-
24
Vd. la Prefazione all’edizione di Resen (cfr. sopra, nota 15): “L’Edda è duplice:
più antica o autentica quella poetica; la seconda più recente o volgare. L’autore
dell’Edda più antica è detto Sæmundr Sigfússon, chiamato comunemente “Saggio”
(fróði)”; DLO nr. 71.

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292 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

zione di cruenti rituali, menzionando esplicitamente la condanna


a morte (per decapitazione) per colui che soccombe. Tema, questo,
suggerito anche nel Dialogo di Alvíss (Alvíssmál) dove tuttavia
l’esposizione della scienza del nano Alvíss (“Omnisciente”) – che
al termine di un lungo interrogatorio al quale è sottoposto dal dio
Thor troverà la morte – si presenta come esposizione di un ricco
materiale destinato all’uso letterario piuttosto che come dottrina
religioso-mitologica. La quale invece nel Dialogo di Grímnir
(Grímnismál) torna a legarsi al tema dei rituali sacrificali, là dove
si racconta che Grímnir (cioè Odino) diede voce al proprio sapere
dopo essere stato sottoposto a tortura con il fuoco da un re di nome
Geirrøðr. Lo stesso legame tra conoscenza e rito è del resto eviden-
te nel cosiddetto Dialogo dell’Alto (Hávamál) nel quale ancora una
volta Odino in prima persona fa riferimento all’acquisizione di
una scienza sacra grazie a un sacrificio iniziatico in cui si è immo-
lato a se stesso. Ma nel carme la rivelazione della dottrina del dio
si manifesta in realtà come una sorta di agglomerante che tiene
unita una serie di strofe che la ricerca filologica ha cercato di ripor-
tare a singoli carmi (o a parti di essi), combinati in un insieme non
organico che accosta scienza mitologica e sapienza magica a una
poesia di carattere sentenzioso che esprime una filosofia costruita
su precetti di vita quotidiana. D’altronde aspetti di ‘ordinaria uma-
nità’ nei carmi degli dèi si ritrovano anche là dove storie mitologiche,
che affondano le proprie radici in antichissime concezioni del mon-
do e in drammi religioso-rituali, vengono affidate a narrazioni poe-
tiche che non disdegnano la sottolineatura di una dimensione quo-
tidiana. Così il Viaggio di Skírnir o Dialogo di Skírnir (Fǫr Skírnis
o Skírnismál) che narra dell’innamoramento del dio Freyr per Gerðr,
figlia di giganti, ‘ricordo’ mitologico del rituale della ierogamia fra
cielo e terra;25 così il Carme di Hymir (Hymiskviða) nel quale si fa
riferimento al tentativo di Thor di trarre dalle profondità marine
il serpe cosmico nemico degli dèi e di ucciderlo; così anche il Car-
me di Þrymr (Þrymskviða) che, riferendo del furto del martello di
Thor – utensile sacro – da parte dei giganti e di come esso fu recu-
perato, non esita a inquadrare il dio in una prospettiva grottesca.
E, ancora, il Carme di Hárbarðr (Hárbarðsljóð) dove il conflitto che
oppone Thor a Odino (che sotto le mentite spoglie di un traghet-
tatore gli nega l’attraversamento di un fiordo sulla propria imbar-
cazione) assume i toni del litigio di bassa lega, dietro al quale tut-

25
Il componimento fa riferimento al fatto che Skírnir, servitore di Freyr, si reca nel
mondo dei giganti per presentare a Gerðr le profferte amorose del dio.

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Cultura e società 293

tavia si cela il ricordo del contrasto ben più significativo tra due
visioni di vita e, conseguentemente, di credo religioso (incarnate
nelle figure dei due dèi) opposte e per molti versi inconciliabili.
Così, infine – forse soprattutto – l’Invettiva di Loki (Lokasenna), i
cui versi, percorsi dal tono dell’insulto, mettono a nudo – per boc-
ca di Loki – i peggiori vizi degli dèi, abbassandoli a personaggi
tutt’altro che ‘celesti’.26
Fatta eccezione per il Carme di Vǫlundr (Vǫlundarkviða) che
riferisce le vicende del mitico fabbro Vǫlundr (figura nota in tutta
l’area germanica),27 i ‘carmi degli eroi’ sono enucleati attorno alle
figure di due celebri personaggi: Helgi e Sigurðr (il Sigfrido della
tradizione germanica continentale). Sebbene abbiano verosimil-
mente tratto spunto da vicende effettivamente avvenute e da per-
sonaggi realmente esistiti (basti pensare alla citazione, all’interno
del ciclo di Sigurðr, della figura di Ermanarico, in nordico
Jǫrmunrekkr, morto attorno al 375 d.C.) i ‘carmi degli eroi’ tutto
possono rappresentare tranne che una testimonianza storica, per
quanto estremamente corrotta. Il meccanismo di trasposizione del
materiale storico in materiale epico-leggendario entra in funzione
con sorprendente rapidità e con conseguente inevitabile stravolgi-
mento dei fatti, dal momento che nella ‘costruzione’ poetica gli
equilibri vengono completamente modificati.28 Tenuto conto del
lunghissimo lasso di tempo nel corso del quale il tema epico venne
elaborato e rielaborato, della migrazione e ricezione delle tematiche,
delle concrezioni e degli squilibri, della sensibilità artistica di chi
infine gli conferì la forma nella quale esso ci è finalmente giunto
(per di più da un Paese come l’Islanda molto lontano dalle regioni
nelle quali si era originariamente formato) è del tutto evidente che
ben altro rispetto a una supposta quanto improbabile verità stori-
ca andrà ricercato in questi testi. Piuttosto vi andranno ritrovati
motivi certamente diffusi nella poesia epica germanica continenta-
le, non soltanto – come è stato accennato – nella corrispondenza
delle figure dei protagonisti, bensì anche in tematiche che costan-
26
In realtà, come è mostrato in Pizarro J.M., Studies in the Function and Context of
the Senna in early Germanic Narrative, Harvard 1976, il dialogo ingiurioso e violento,
letterariamente ben codificato, è il riflesso di una sorta di ‘prova di ammissione’ di un
nuovo venuto che deve dimostrare le proprie qualità morali e intellettuali. Nell’Edda
poetica questo schema si ritrova – oltre che nell’Invettiva di Loki – nel Carme di Hárbarðr
e nel dialogo furioso e insultante che si svolge tra Sinfjǫtli e Guðmundr nel carme
eroico dal titolo Primo carme di Helgi uccisore di Hundingr (Helgakviða Hundingsbana
in fyrri), alle strofe 32-44 (Edda poetica, pp. 135-137).
27
Vd. p. 219 con nota 460.
28
Cfr. p. 132, nota 128.

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294 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

temente la percorrono: il senso della vita come fugace momento di


luce tra due poli di oscurità, l’impari lotta dell’individuo contro il
destino, il valore morale della fedeltà e l’ignominia del tradimento,
la ricerca di una ‘eternità’ assicurata solo dalla memoria (nella qual
cosa tanta parte della poesia medesima trova la propria giustifica-
zione). Eco d’un mondo perduto che ci trasmette (non soltanto in
prospettiva eroica) valori morali e modelli di comportamento che
risalgono assai indietro nel tempo e che – nonostante le dovute
cautele interpretative – offrono diretta testimonianza di una preci-
sa concezione della società umana.
La poesia eddica utilizza diversi metri: il fornyrðislag (“misura del-
le antiche storie”) cui si affiancano con minore frequenza il málaháttr
(“metro del discorso”), il ljóðaháttr (“metro dei carmi”) e il galdralag
(“misura dei canti magici”). Il loro uso appare legato alla tipologia
del dettato poetico.29 I primi due (che in pratica si differenziano per
il numero minimo delle sillabe in un verso) rimandano alla metrica
della poesia germanica, testimoniata a esempio in celebri testi come
il Beowulf anglosassone, il Canto di Ildebrando (Hildebrandslied)
tedesco o Il Salvatore (Heliand) sassone. Questi metri si fondano
sostanzialmente sull’uso combinato dell’allitterazione, espediente
fonetico che richiama l’attenzione dell’uditore – non si dimentichi
che queste composizioni erano pensate per la recitazione! – per
mezzo della ripetizione del medesimo suono iniziale e dell’accen-
to principale, elementi ai quali viene affidata una funzione espres-
siva ma anche sintattica: otto versi brevi vengono collegati in
coppie (legate dall’allitterazione) a formare quattro versi lunghi;
solitamente una coppia di versi lunghi (helmingr, cioè “semistrofa”)
racchiude un concetto compiuto (nei carmi più antichi, assai meno
rigorosi dal punto di vista formale, questi helmingar sembrano
rappresentare la vera unità metrica di base). Ciò facilita la com-
prensione del discorso poetico, pur in presenza di allusioni e
riferimenti di carattere evocativo. Il ljóðaháttr (e il galdralag che
ne costituisce una variante) non trova corrispondenti al di fuori
del Nord ed è un metro piuttosto irregolare: come il fornyrðislag
e il málaháttr presenta due versi legati dall’accento e dall’allittera-
zione, a essi se ne aggiunge tuttavia un terzo contenente due
accenti principali e che allittera solo al proprio interno. Inoltre i
versi possono avere un numero di sillabe inferiore rispetto a quel-
lo minimo richiesto per il fornyrðislag (quattro) e il málaháttr

29
In particolare il fornyrðislag è il metro ‘epico’, mentre il ljóðaháttr viene utilizza-
to per versi di carattere magico-formulare o gnomico.

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(cinque). Una strofa completa contiene dunque solitamente sei


versi anziché otto. In realtà, sebbene le edizioni critiche presentino
comunemente i componimenti eddici ordinatamente suddivisi in
strofe, nei carmi più antichi tale distinzione non appare, come si è
accennato, del tutto ovvia. Essa si affermò, verosimilmente, per
influsso della poesia scaldica, ben più strettamente regolata dal
punto di vista formale (soprattutto da quello del calcolo delle sil-
labe). Anche una figura poetica come la kenning (metafora che
allude a una entità sfidando il fruitore della poesia a intuirne il nome
nascosto sotto un indovinello essenziale)30 compare nell’Edda poe-
tica con frequenza molto minore rispetto alla poesia scaldica e
comunque in forme semplici; lo stesso si può affermare rispetto
all’uso di sinonimi poetici (heiti), seppure la tecnica della variazio-
ne (cioè la riproposizione di un medesimo concetto con parole
nuove) appaia proficuamente utilizzata.
Per la sua stessa natura di raccolta, l’Edda poetica è un’opera
per certi versi ‘casuale’. E proprio in base alla considerazione che
i carmi raccolti nel Codex Regius sono riuniti dal gusto antiquario
di un unico raccoglitore, ci si è adoperati per ritrovare altrove
componimenti a essi accostabili per tipologia di contenuto e
caratteristiche metriche. Tra questi si segnalano in particolare
carmi di carattere mitologico. Innanzi tutto i Sogni di Baldr (Baldrs
draumar), in cui si fa riferimento al celebre mito della morte di
questo dio. Questo testo è tramandato in un manoscritto eddico
risalente all’inizio del XIV secolo (AM 748 4to), nel quale si
ritrovano sei ‘carmi degli dèi’ più il Carme di Vǫlundr. Poi il
Canto di Grotti (Grottasǫngr) legato al mito (ripreso nell’Edda di
Snorri) del magico mulino appartenente al mitico re Fróði che
macinava pace e prosperità; il Carme di Rígr (Rígsþula) nel quale
si narra della discesa fra gli uomini del dio Rígr (Heimdallr) in
veste di progenitore delle classi sociali,31 conservato nel codice
dell’Edda di Snorri noto come Wormianus (AM 242 fol. risalente
alla metà del XIV secolo); il Carme di Hyndla (Hyndluljóð), detto
anche Vǫluspá breve (Vǫluspá in skamma), tramandato nel Libro
di Flatey (Flateyjarbók) e infine due carmi noti come Canto magico
di Gróa (Grógaldr) e Dialogo di Fjǫlsviðr (Fjǫlvinnsmál), in realtà
due parti del Dialogo di Svipdagr (Svipdagsmál), riportati in diversi
manoscritti cartacei del XVII secolo e oltre che contengono copie
30
Vd. p. 298. Esempi di kenningar sono presenti in diversi casi nelle citazioni di
strofe proposte in questo lavoro. Vd. p. 105, nota 30; p. 232, nota 36; p. 251, nota 100;
p. 252, nota 102; p. 306, nota 75; p. 309, nota 83 e p. 417, nota 348.
31
Vd. p. 214.

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296 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

dell’Edda. I primi due e il quarto erano certamente noti a Snorri.


Diversi carmi eroici che presentano carattere ‘eddico’ sono tra-
mandati in vari testi: essi sono stati editi con il nome di Eddica
minora.32 Va però osservato che, fatta eccezione per il Carme di
Hlǫðr (Hlǫðskviða), probabilmente degli inizi del X secolo, que-
sti componimenti risalgono al più presto a non prima dell’XI
secolo, per la maggior parte al XII-XIII. Insieme all’Edda poetica
e a quella di Snorri essi ben documentano la diffusione e la popo-
larità della materia mitologica e leggendaria nel mondo nordico.
Del resto all’area svedese (dalla quale non ci vengono documen-
ti scritti di questo tipo) appartiene la celebre pietra runica di Rök,
sulla quale un incisore che si firma Varinn (runico uarin) ha
lasciato versi (in fornyrðislag) nei quali si fanno riferimenti a sto-
rie eroiche e leggendarie che dovevano essere ben note nel IX
secolo, seppure per noi restino inesorabilmente oscure (solo vi
riconosciamo un’allusione a Teodorico, re degli Ostrogoti).33 Ma
la fortuna di queste tematiche si può constatare anche da testi-
monianze iconografiche presenti non solo in area scandinava
(raffigurazioni sulle pietre di Gotland34 e su pietre runiche) ma
anche nelle isole britanniche (basti l’esempio della croce di
Gosforth nel Cumberland e di quella di Kirk Andreas nell’isola
di Man, con le loro evidenti allusioni ad alcuni miti).35
Per l’irrisolvibile questione delle motivazioni della scelta, per la
difficoltà di definizione delle problematiche relative ai singoli car-
mi, per la varietà dei temi trattati, per la ricchezza e la variazione
stilistica, l’Edda poetica resta un’opera complessa. E tuttavia
è certamente qui che dobbiamo ricercare la parte più consistente e
più ‘autentica’ di quel patrimonio mitologico che costituisce l’og-
getto privilegiato dell’esercizio poetico degli scaldi, trasformando-
si poi definitivamente in pura materia letteraria, come inequivoca-
bilmente dimostra l’Edda di Snorri.

32
Si tratta per lo più di carmi contenuti nelle saghe leggendarie (vd. oltre, 5.2.4),
cui si aggiunge il Canto di Dǫrruðr (Darraðarljóð) tramandato nella Saga di Njáll del
rogo, un testo messo in relazione con la battaglia di Clontarf presso Dublino (combat-
tuta il venerdì santo del 1014) nella quale si scontrarono un esercito irlandese e uno
nordico (dunque cristiani contro pagani): qui si immaginano dodici valchirie intente
a tessere una tela fatta di visceri umani grondanti di sangue con un telaio le cui parti
sono costituite da lance, frecce e spade e i cui pesi sono teschi.
33
Cfr. p. 93 con nota 117.
34
Vd. pp. 92-93.
35
Vd. Kermode 1904 (C.3.1).

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Cultura e società 297

5.2.2. Elogio del prìncipe e altro ancora

L’apprezzamento per l’opera dei poeti e il gusto dell’ascolto


dei loro componimenti è certamente ben testimoniato nel mondo
nordico. Non solo. Anche le fonti relative ad altre aree germani-
che lasciano chiaramente intendere la considerazione che era
dovuta al cantore – si pensi alla figura dello scop (sceop) nel
mondo anglosassone – e all’oggetto della sua declamazione. D’al-
tronde testi come il Beowulf o la Predizione dell’Indovina pren-
dono avvio con un esplicito invito all’ascolto. La posizione del
poeta è socialmente ben definita. Essa trova la propria colloca-
zione nelle corti (presso le quali in effetti egli vive godendo della
generosità del signore), dove la recitazione del componimento
risponde all’esigenza dell’intrattenimento ma è anche al contem-
po (e forse soprattutto) esibizione di un raffinato prodotto arti-
stico (parallelo allo sfarzo che ostenta oggetti e armi preziose) e
contenitore per la memoria. Sia essa la memoria di storie che
appartengono alla tradizione mitologica e leggendaria, sia l’elogio
di personaggi (tema prediletto l’encomio del signore, sebbene sia
tassativamente prescritta ogni forma di adulazione)36 sia la sotto-
lineatura di eventi da tramandare ai posteri, sia il ricordo (per
quanto sfocato) d’una antica funzione magico-rituale della poesia,
sia il desiderio di lasciare testimonianza di sé affermando la pro-
pria qualità artistica (e, magari, salvarsi la testa). Dal che risulta
evidente che quando si parla di ‘poesia scaldica’,37 ci si riferisce
genericamente a un’arte che in realtà ne contiene diverse e che,
con il passare del tempo, andrà ulteriormente aprendosi a nuove
forme espressive, indotte dalle trasformazioni sociali e dal pro-
fondo mutamento degli ideali morali e religiosi. Sicché, alla fine,
36
Vd. oltre, p. 308 con nota 82.
37
Il termine è ripreso dal sostantivo nordico skáld, che significa “poeta”. Un ter-
mine curiosamente neutro, il che vuole forse sottolineare il primato del prodotto
poetico sull’autore. L’etimologia di questa parola è discussa: sono stati proposti colle-
gamenti con l’ant. irlandese scél “racconto”, cimrico chwedl “favola” ulteriormente
messi in relazione con il greco ἐνίσπω “annunzio”, “canto”; il basso tedesco medio
schelder “cantore itinerante” (nederlandese medio schelder “[colui che] ammonisce”,
alto tedesco medio schelta “autore di poesia ingiuriosa”; con una radice germanica
*skawan “guardare”, “vedere” dalla quale si sarebbe sviluppato *skwaðla “ciò attra-
verso cui si percepisce qualcosa”, “sacerdote oracolare”; con l’islandese moderno skáld
“uova di pesce” (e dunque in relazione alla eccitazione dell’animo?); infine con la
radice di skilja “separare”. Vd. de Vries 1962² (B.5), p. 481 e Steblin-Kamenskij M.I.,
“On the Etymology of the Word skáld”, in Benediktsson J. – Samsonarson J. et al.
(ritnefnd), Afmælisrit Jóns Helgasonar. 30. júni 1969, Reykjavík 1969, pp. 421-430,
dove si fa il punto sulle precedenti ipotesi.

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ciò che in sostanza giustifica una comune definizione rispetto a


questa varietà di risultati espressivi è, piuttosto, l’aspetto tecnico
che la caratterizza.
Il quale va individuato innanzi tutto nell’esibizione di una metri-
ca contraddistinta da una varietà e da una severità che non trovano
eguali. Sopra è stata ricordata l’Enumerazione dei metri poetici di
Snorri, nella quale in centodue strofe è utilizzato un centinaio
di modelli metrici differenti. Il metro scaldico per eccellenza è il
dróttkvætt (“metro di corte”), considerato la base di tutti gli altri.
Seppure ciò non sia del tutto corretto (sono noti infatti altri metri,
per così dire, ‘minori’) è tuttavia vero che gran parte dell’arte scal-
dica si fonda sull’utilizzo di questa misura poetica e delle sue
varianti. Con esso si costruisce generalmente un verso di sei sillabe,
ciascuna delle quali termina con un trocheo. Il che viene combina-
to con l’uso dell’accento e dell’allitterazione, cui si aggiunge l’ac-
corgimento poetico della rima interna (hending), il tutto basato su
regole che si fanno col passare del tempo più rigide. Nella poesia
scaldica l’uso delle kenningar è travolgente.38 Le kenningar sempli-
ci sono costituite da due elementi, uno dei quali, di solito al geni-
tivo, agisce come elemento modificatore rispetto all’altro, il cui
significato usuale viene abbandonato in favore di uno nuovo pro-
dotto per combinazione. Esempi accessibili con immediatezza:
“rugiada delle ferite” il sangue, “fragore delle armi” la battaglia,
“luna delle palpebre”, gli occhi. Si tratta di un artificio poetico che
si ritrova nella letteratura anglosassone e in qualche caso anche in
quella germanica continentale. Ma le kenningar degli scaldi posso-
no anche essere doppie, triple, quadruple e così via (cioè costituite
da tre, quattro, cinque o più elementi) come spiegato da Snorri
(che le definisce nel primo caso tvíkennt, nel secondo rekit):39 ai
poeti è tuttavia esplicitamente sconsigliato indulgere in eccessive
(e tantomeno ulteriori) forzature.40 Una kenning ha lo scopo
di determinare (kenna við) poeticamente un nome e un concetto
per mezzo di altri, di proporre in sostanza una originale variazione.
Un’esigenza che del resto viene soddisfatta anche con l’uso dei
sinonimi poetici (heiti) puntualmente elencati, come le kenningar,
38
Sulle kenningar scaldiche vd., innanzi tutto, Meissner 1921, Krause 1930 e Marold
1983.
39
Enumerazione dei metri poetici (Háttatal, p. 215). Vd. gli esempi riportati in
Meissner 1921, pp. 40-41.
40
Vd. il “Prologo” al Quarto trattato grammaticale islandese (su cui vd. p. 429 con
nota 381), p. 155, dove agli scaldi viene raccomandato di utilizzare “kenningar non
ulteriormente caricate rispetto a quanto Snorri consente” (“kenningar æigi lengra reknar
enn Snorri lofar”).

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Cultura e società 299

da Snorri medesimo a seconda delle diverse categorie poetiche di


riferimento.41
Questa elencazione rivela – in un certo senso sorprendentemen-
te – un repertorio tutto sommato alquanto circoscritto, essa tutta-
via testimonia l’esistenza di un preciso linguaggio elitario, separato
da quello comune e in molti casi intelligibile solo da pochi. Il che
non dipende soltanto dalla materia mitologica che in misura così
cospicua impregna i versi, né dalla nobile arcaicità di taluni voca-
boli, piuttosto dall’intreccio, regolamentato con precisione e tut-
tavia difficile da districare, di questi elementi con quelli più stret-
tamente metrici e formali. Con il risultato di una poesia allo stesso
tempo rigorosa e sovrabbondante. Uno sviluppo peculiare del
mondo nordico42 le cui ragioni non sono ancora state chiaramente
individuate,43 ma il cui risultato è una tipologia poetica specifica il
cui esercizio dovette prevedere un addestramento mirato sotto la
guida di un esperto. Al che – anche se nelle fonti non si trovano
riferimenti espliciti – è tuttavia possibile (e plausibile!) riconosce-
re diverse allusioni.44 Carattere leggendario hanno, evidentemente,
informazioni relative a scaldi che avrebbero acquisito la qualità
poetica in maniera del tutto straordinaria: così Egill Skalla-Gríms-
son che avrebbe cominciato a comporre versi compiuti fin dall’età
di tre anni, o Sighvatr Þórðarson che – inizialmente assai poco
41
Skáldskaparmál, passim.
42
Inteso in senso lato, come dimostra la presenza di scaldi (tra i quali il celebre jarl
Rǫgnvaldr Kali, morto nel 1158) nella colonia insulare delle Orcadi.
43
Turville-Petre 1976, pp. liii-lix.
44
A esempio è detto che Einarr Helgason Suono della Bilancia desideroso fin da
giovane d’apprendere l’arte poetica fece amicizia con il celebre scaldo Egill Skalla-
Grímsson, con il quale discusse di poesia in occasione di una assemblea. In un’altra
circostanza Einarr, che aveva ricevuto in dono uno splendido scudo istoriato, lo
appese sul letto di Egill, come per sfidarlo a tradurre in poesia le scene che vi erano
raffigurate. Egill in un primo tempo si adirò lamentando la fatica richiesta da un tale
lavoro, poi tuttavia si dedicò a comporre una ‘descrizione dello scudo’ (vd. poco oltre)
della quale tuttavia ci resta solo l’attacco (Saga di Egill Skalla-Grímsson, cap. 78). Del
poeta Þorleifr Ásgeirsson Scaldo dello jarl (jarlsskáld) è riferito che era stato allevato
fino all’età di diciotto anni dallo zio materno, Skeggi Skinna-Bjarnarson (detto Miðfjarðar-
Skeggi), il quale, seppure non sia ricordato fra gli scaldi, gli aveva insegnato molto
“nell’antica dottrina”: Breve racconto di Þorleifr Scaldo dello jarl (Þorleifs þáttr jarlsskálds),
cap. 2, p. 216: “í fræðum fornligum”. In altri casi lo studio e l’esercizio dell’arte poeti-
ca sembrano essere una ‘tradizione di famiglia’: si veda per esempio lo scaldo Erpr il
Curvo (lútandi), suocero di Bragi Boddason, Gunnlaugr Lingua di serpente (ormstunga)
bisnonno dell’omonimo poeta (che aveva anche lo stesso soprannome) protagonista
di una saga nella quale sono riportati i suoi versi (per altro Erpr e Bragi erano loro
antenati), Sighvatr Þórðarson figlio di Þórðr Scaldo di Sigvaldi (Sigvaldaskáld) o,
ancora, Hofgarða-Refr Gestsson, figlio della poetessa Steinunn (vd. p. 307, nota 79).
Del resto l’Edda di Snorri è intesa proprio come un manuale di poesia!

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dotato e ben poco considerato – sarebbe divenuto un abilissimo


poeta dopo aver catturato un pesce particolare che nessuno riusci-
va a prendere e averlo mangiato cominciando dalla testa.45 Almeno
nel primo caso è evidente un’allusione al mito, là dove si dice che
Odino può rendere gli uomini capaci di esprimersi in versi con la
stessa facilità con cui parlano.46
L’aspetto elitario della poesia scaldica è infatti metaforicamente
spiegato dove si racconta che l’arte poetica è, in sostanza, un magi-
co idromele sottratto dal dio ad alcuni giganti. Tale liquido prezio-
so, capace di rendere poeta chi lo beva, viene da lui liberamente
donato.47 Del resto è ben noto (e non solo da questo episodio) che
Odino è dio della poesia, una caratteristica alla quale si lega la sua
conoscenza della magia e il possesso delle rune. Nel che è sottoli-
neata non soltanto la distinzione sociale accordata dalla conoscen-
za di ardue discipline, ma anche il latente e irrisolto rapporto tra
poesia e magia verbale da una parte, che si intreccia dall’altra con
quello tra poesia e rune. Un rapporto che non si deduce soltanto
da elementi puramente mitologici (in primo luogo l’elencazione dei
‘canti magici’ conosciuti e utilizzati da Odino medesimo e stretta-
mente connessi al possesso del segreto delle rune),48 bensì anche
da constatazioni concrete. Infatti mentre da un lato la poesia mostra
(soprattutto nel caso della poesia d’infamia49 e della poesia d’amo-
re) chiari rapporti con la magia, ben testimoniati da incontestabili
riscontri giuridici;50 abbiamo dall’altro (se pur si volesse ignorare,

45
Vd. Saga di Egill Skalla-Grímsson, cap. 31 e la versione a se stante (e più comple-
ta rispetto a quella contenuta nella Heimskringla) della Saga di Olav il Santo (Saga Óláfs
konungs hins helga) di Snorri Sturluson, II, pp. 706-707.
46
Vd. Chiesa Isnardi 20084 (B.7.1), p. 202 e pp. 251-252, note 42-45. Si confronti
la storia dell’eroe Starkaðr, ibidem, p. 419. Per la vicenda di Sighvatr cfr. Turville-Petre
1958 (vd. p. 180, nota 314), pp. 104-105 dove si ricordano casi analoghi.
47
Vd. Chiesa Isnardi 20084 (B.7.1), pp. 90-92. Nel mito si trova una allusione
ironica, quando si dice che Odino – che aveva bevuto il liquido prezioso e travestito
da aquila volava veloce verso la dimora degli Asi – dovendo in tutta fretta rigurgitarlo
in un recipiente – ne lasciò cadere una parte che rimase a disposizione di chiunque
volesse: quella è la parte dei poetastri.
48
Dialogo dell’Alto, str. 138-163 (pp. 40-44); vd. Chiesa Isnardi 20084 (B.7.1), p.
202.
49
Vd. sopra, pp. 201-202.
50
Vd. Chiesa Isnardi 1996 (C.3.3), pp. 17-31. È forse possibile riconoscere un
tentativo di influenzare poeticamente (e dunque magicamente) il volere di una fanciul-
la anche in strofe composte dal celebre re norvegese Araldo di Duro consiglio (cfr. p.
107 e p. 144) il quale, lamentandosi della freddezza dell’amata (una principessa russa),
insensibile alle sue qualità di uomo e di guerriero alludeva nel ritornello alla donna
senza tuttavia farne esplicitamente il nome. Il verso suonava così: “Tuttavia la Gerðr
(divinità femminile) dell’anello d’oro (kenning per “donna”) in Russia si prende gioco

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Cultura e società 301

considerandola letterariamente manipolata, la testimonianza della


Saga di Egill Skalla-Grímsson, celebrato poeta e conoscitore di magia
runica) notizia di maestri incisori di rune che si definiscono ‘scaldi’.51
Dunque la poesia scaldica è – almeno inizialmente – poesia cor-
tese legata a quella élite guerriera e vichinga la cui progressiva
affermazione rispetto alla parte più tradizionale della società si
rispecchia facilmente nella letteratura e nell’arte. Il primo scaldo di
cui si abbia notizia è Bragi Boddason detto il Vecchio (inn gamli),
vissuto nel IX secolo e, a quanto pare, attivo alla corte svedese,
forse addirittura presso quel medesimo re Björn incontrato a Birka
dal missionario Ansgar nell’anno 830.52 Non è tuttavia chiaro se
egli fosse svedese o piuttosto norvegese. Modello poetico quasi
mitizzato (al punto che pare lecito pensare che il dio della poesia
con il medesimo nome ricordato in particolare nell’Edda di Snorri
sia in realtà ispirato alla sua figura),53 fu a lungo (ma probabilmen-
te erroneamente) ritenuto creatore del verso scaldico per eccellen-
za il dróttkvætt.54 Di Bragi oltre ad alcune strofe sciolte ci
resta (seppure incompleto) il Carme encomiastico per Ragnarr
(Ragnarsdrápa), componimento esemplare di quel tipo di arte
scaldica che sceglie come proprio oggetto la traduzione poetica di
un altro prodotto artistico: qui un magnifico scudo istoriato con
scene tratte dalla tradizione mitologica ed eroica che si vuole sia
stato donato al poeta da Ragnarr Brache di pelo.55 La ‘descrizione
dello scudo’ come percorso poetico si ritrova anche nel componi-
mento di un altro scaldo del IX secolo, Þjóðolfr di Hvinir, vissuto
alla corte di Araldo Bella chioma, che reca il titolo Lungo come un
autunno (Haustlǫng). Sono testi nei quali la materia mitologica
mostra di aver dimenticato la propria natura funzionale (del resto
già nel Carme encomiastico per Ragnarr essa appare quasi sopraf-
fatta dalla materia eroica) per divenire ornamento: tendenza a un
assoluto sopravvento, come conferma l’uso a fini strettamente
di me” (Skj I: A, pp. 357-358, B, pp. 328-329: “þó lætr Gerðr í Gǫrðum gollhrings við
mér skolla”). La scelta di celare il nome della donna sotto una kenning (per la quale
l’abilità del poeta sceglie il nome della divinità femminile Gerðr che allittera con
Gǫrðum, dativo di Garðar “Russia”) è verosimilmente parallela a quella di altri poeti
che in tal modo evitavano spiacevoli conseguenze legate alla composizione di carmi
d’amore.
51
Jansson 1984³ (C.2.5), p. 138. Come detto alcune pietre runiche recano testi di
indubbio carattere poetico (cfr. p. 284 con nota 6).
52
Vd. p. 139 con nota 155 e p. 240.
53
Turville-Petre 1976, pp. xxv-xxvi.
54
Ibidem, p. xxiv. È possibile che questo metro con il suo sistema di conteggio
delle sillabe sia stato introdotto piuttosto per influsso celtico.
55
Vd. sopra, p. 107 con nota 36 e p. 134, nota 137.

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302 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

tecnici che gli scaldi faranno delle kenningar a contenuto mitolo-


gico, molte delle quali non saremmo in grado di comprendere se
non disponessimo delle spiegazioni di Snorri.56
Ogni componimento scaldico ‘cortese’ è dedicato a un signore.
È un dono con cui il poeta ricambia la generosità di chi lo ospita,
che a sua volta spesso lo premierà con un nuovo dono, consuetu-
dine ben testimoniata nel lessico dai termini bragarlaun “dono per
una poesia” e skáldfé “ricompensa dello scaldo”. Odino medesimo
prescrive: “all’amico l’uomo deve essere amico e ricambiare dono
con dono” e ancora: “un dono chiede sempre un contraccambio”,57
e tuttavia in qualche caso la generosità del signore appare davvero
sorprendente!58 Del resto la sua nobiltà si misura anche dal fatto
che uno o più poeti soggiornino presso di lui, dedicando alla sua
persona e alle sue imprese componimenti che ne perpetueranno la
memoria. Diversi scaldi sono legati a importanti figure di sovrani.
Þjóðolfr di Hvinir, precedentemente menzionato, è noto altresì per
la composizione della cosiddetta Enumerazione degli Ynglingar,
un poema nel quale si fa risalire la dinastia norvegese di Rǫgnvaldr
Alto nell’onore (heiðumhár), cugino di Araldo Bella chioma, alla
stirpe svedese degli Ynglingar, a loro volta fatti discendere dagli
dèi. Amico intimo di Araldo Bella chioma era il poeta Þorbjǫrn
56
Si vedano come esempi alcune kenningar mitologiche per “oro”: esso può essere
detto “seme di Kraki” perché un mitico re danese, Rolf [Magro come un] palo (kraki;
cfr. pp. 131-132 con nota 121) mentre fuggiva da un nemico aveva seminato delle mone-
te d’oro: così gli inseguitori si fermarono per raccoglierle ed egli ebbe salva la vita; può
essere detto “chioma di Sif” (moglie del dio Thor) perché Loki aveva tagliato i capelli
alla dèa e per sottrarsi all’ira del marito le aveva fatto fare dai nani una chioma tutta
d’oro che cresceva come i capelli naturali; può essere detto “fardello di Grani” perché
Sigurðr caricò sul dorso del proprio cavallo Grani l’oro sottratto al serpe Fáfnir dopo
averlo ucciso. Queste e altre storie sono riportate nel Dialogo sull’arte poetica di Snorri.
57
Hávamál, str. 42 e str. 145 (p. 23: “Vin sínom scal maðr vinr vera,/ oc gjalda gjǫf
við gjǫf” e p. 41: “ey sér til gildis gjǫf”). Questo precetto si inquadra all’interno della
funzione sociale svolta dallo scambio di doni, ben testimoniata anche in area nordica,
sia nell’ottica della società comunitaria fondata sulla Sippe, sia in quella delle corti dei
signori e dei loro seguaci. Va tra l’altro rilevato che agli oggetti donati veniva spesso
legata una valenza magica, il che caricava un eventuale furto di particolare gravità; vd.
Hamre L., “Gåve”, in KHLNM V (1960), coll. 653-661.
58
Si legga a esempio dalla Saga di Gunnlaugr Lingua di serpente (cap. 8): “Il re lo
ringraziò per la poesia e chiamò a sé il suo tesoriere e disse così: ‘Come ricompenserò
la poesia?’ Egli rispose: ‘Come volete voi, signore?’ disse egli. ‘Come è ricompensata,’
disse il re, ‘se io gli dò due navi?’ Il tesoriere rispose: ‘Ciò è troppo, signore,’ egli disse,
‘altri re danno come dono per la poesia ricchi oggetti preziosi, buone spade o begli
anelli d’oro.’ Il re gli diede la sua veste di scarlatto nuovo, una tunica ornata di una
guarnizione e un mantello con ottime pelli e un anello d’oro, che pesava un marco”
(DLO nr. 72). Un marco è un’unità di peso e di valore corrispondente circa a mezza
libra (cfr. p. 209, nota 426).

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Cultura e società 303

Artiglio di corno (hornklofi) al quale si deve almeno una parte


della Canzone per Araldo (Haraldskvæði), testo altrimenti noto
come Dialogo del corvo (Hrafnsmál), nel quale in uno scambio di
strofe tra un corvo e una valchiria si elogiano le qualità del sovrano,
sottolineandone tra l’altro la generosità nei confronti dei poeti (str.
18-19).59 Sopra sono stati ricordati Eyvindr Finnsson Plagiatore,
cantore del sovrano Håkon il Buono60 ed Einarr Helgason Suono
della bilancia che aveva dedicato un poema allo jarl Håkon.61 Alla
corte del cristianissimo Olav Tryggvason doveva giungere l’islan-
dese Alfredo Óttarson, il “Poeta turbolento” (vandræðaskáld),
legato al sovrano da un rapporto non sempre facile per motivi di
contrasto religioso62 (in precedenza del resto egli aveva composto
un poema elogiativo per il signore pagano della Norvegia, lo jarl
Håkon).63 Un altro islandese, Sighvatr Þórðarson sarebbe divenu-
to invece, nonostante la diffidenza iniziale, non solo poeta ma anche
amico e consigliere di Olav il Santo.64 La sua opera più nota, Can-
zoni del viaggio a oriente (Austrfararvísur), descrive le avventure
affrontate nel corso di un viaggio nelle regioni svedesi, intrapreso
nelle vesti di inviato del re.65 Certamente doveva aver avuto un
rapporto di consuetudine con il defunto anche l’anonimo compo-
sitore del Dialogo per Eirik (Eiríksmál), celebre componimento
commissionato dalla regina Gunnhild, vedova di Eirik Ascia insan-
guinata alla morte del marito (954), nel quale si descrive la magni-
fica accoglienza a lui riservata nella Valhalla. I sovrani nordici
avrebbero mantenuto la consuetudine di ospitare poeti presso la
loro corte almeno fino alla seconda metà del XII secolo: uomini
che li avrebbero ripagati con l’immortalità poetica e anche, talvol-
ta, con la loro stessa vita.66 Per quanto se ne sa, l’ultimo poeta di

59
Cfr. p. 142-143.
60
Vd. p. 251.
61
Vd. p. 252, nota 102.
62
Vd. sopra, p. 187 e pp. 231-232.
63
Cfr. sopra, p. 144 e p. 252.
64
È riferito che il poeta, recatosi alla corte di Olav il Santo, voleva rendergli omag-
gio con un suo componimento. Il re rispose che non voleva che si facesse della poesia
su di lui e che neppure avrebbe potuto ascoltarla, probabilmente – come opportuna-
mente suggerisce Ludovica Koch (Koch 1984, p. 147) – per il legame tra la composi-
zione poetica e la tradizione pagana. Ma Sighvatr insistette e poté infine recitare i suoi
versi (Snorri Sturluson, Saga di Olav il Santo, cap. 43); vd. il testo della strofa tradot-
to a p. 309.
65
Vd. p. 242.
66
Con gli altri uomini di corte i poeti condividevano l’obbligo della fedeltà verso
il sovrano, il che comportava anche l’impegno a seguirlo nelle imprese guerresche. A
questo proposito merita una citazione un episodio narrato nella Saga dei fratelli di

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304 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

corte attivo presso un sovrano norvegese e autore di carmi elogia-


tivi cortesi è Einarr Skúlason (XII secolo); significativamente però
costui era un ecclesiastico: l’incontro dell’arte scaldica con le
tematiche cristiane avrebbe contribuito in misura consistente al
declino di questo tipo di poesia.
Certo alle corti ci furono tra gli scaldi anche rivalità e conflitti.
Un celebre esempio è riportato nella Saga di Gunnlaugr Lingua di
serpente, dove si racconta di due poeti islandesi, Gunnlaugr Illuga-
son appunto e Hrafn Ǫnundarson che si trovavano alla corte del
re svedese. Entrambi avevano composto una poesia per il sovrano
e ottennero di recitarla. Ma tra di loro sorse un contrasto su chi
avrebbe dovuto recitare per primo. Al che il sovrano, pur dando
la precedenza a Gunnlaugr (a motivo del suo difficile carattere)
chiese a ciascuno di valutare il componimento dell’altro. I giudizi
furono reciprocamente taglienti, ma Gunnlaugr umiliò ulterior-
mente il rivale con queste parole: “[…] perché componi un flokkr
sul re […] o non ti pare degno di una drápa?”67 Il che, mentre ci
conferma la maggiore difficoltà e il maggiore pregio artistico di un
componimento rispetto a un altro (più breve e senza ritornello
il primo, dalla struttura articolata e marcatamente elogiativo il
secondo),68 sottolinea anche una rivalità artistica che certamente
non si manifestò solo in questa occasione.
In Islanda, è noto, non c’erano sovrani. E tuttavia un gran
numero di scaldi furono islandesi. Essi poterono naturalmente
dedicarsi alla poesia di carattere encomiastico, dal momento che
molti di loro presero il mare e si recarono presso le corti. E tut-
tavia soprattutto nei loro versi si dovevano sviluppare motivi
ispiratori che accolti nello spazio poetico vi avrebbero portato
una grande innovazione, seppure le regole metriche e formali
restassero inalterate. La poesia scaldica, nata come descrizione di
sangue (cap. 24) e relativo al poeta Þórmoðr Bersason detto Poeta di Kólbrún
(Kolbrúnarskáld) dal soprannome della donna da lui cantata, Þorbjǫrg Sopracciglia
scure (Kolbrún): costui ferito a morte nella battaglia di Stiklestad (cfr. p. 256) si strap-
pava dal cuore la punta di freccia con la quale era stato trafitto. Vedendo attaccati ai
barbigli brandelli di carne rossi, bianchi, gialli e verdi, esclamò: “Il re ci ha nutriti bene,
c’è del grasso alle radici del cuore di quest’uomo” (Fóstbrœðra saga, p. 276: “Vel hefir
konungrinn alit oss, hvítt er þessum karli um hjartarøtr). Poi, recitata un’ultima poesia,
spirò.
67
DLO nr. 73. Ciò determinò la rottura della loro amicizia con conseguenze dram-
matiche.
68
Vd. anche il cap. 91 della Saga di Araldo Sigurdsson (Haralds saga Sigurðarsonar,
nona parte della Heimskringla di Snorri Sturluson) dove si dice che il re Araldo di
Duro consiglio prima della battaglia in cui avrebbe trovato la morte recitò una strofa
che trovò, egli stesso, “mal composta” (illa kveðit) e subito corresse.

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Cultura e società 305

oggetti preziosi (poesia come ornamento) e come elogio di per-


sonaggi celebri e delle loro imprese, era un’arte di carattere ogget-
tivo. Ma quando i poeti cominciarono a riversarvi le proprie
sensazioni e le proprie speranze, i propri dubbi e i propri dolori
essa si aprì all’espressione soggettiva, il che diede origine a com-
ponimenti che con minore difficoltà possono essere apprezzati da
un lettore moderno, che più agevolmente vi riconosce un’eco
della propria esperienza. Si sviluppò dunque una poesia di rifles-
sione e di ricerca, d’amore e di invidia, di rabbia e di speranza.
Una poesia del sentimento umano che talvolta dovette affrancar-
si da preconcetti e timori (è il caso, come sopra accennato, della
poesia d’amore), tal altra fu però capace di offrire sollievo nelle
difficoltà, quando non addirittura di porsi come ragione di vita.
E così troviamo, ricordate soprattutto nelle saghe degli Islandesi,
celebri figure di poeti, come i già menzionati Alfredo Óttarson
Poeta turbolento, Gunnlaugr Illugason Lingua di serpente ma
anche Kormákr Ǫgmundarson, tutti protagonisti di storie d’amo-
re infelici che accompagnarono la loro vita, o altri, come Gísli
Súrsson, che nella poesia cercava lo sfogo ai tormenti d’una grama
esistenza da fuorilegge.
Ma nell’accogliere nuove tematiche la poesia scaldica dovrà
adeguare e arricchire il proprio linguaggio anche utilizzando in
modo diverso le proprie risorse. E così a esempio nella poesia
d’amore si affollano le kenningar per ‘donna’ assai spesso costruite
con il nome di una divinità femminile determinato da elementi
ricorrenti quali il lino o comunque un tessuto o un capo di vestia-
rio, l’oro (spesso celato da una kenning tradizionale) o i gioielli (per
citare solo le più comuni): un repertorio alquanto prevedibile. Ma
vi troviamo anche guizzi di una nuova creatività, quando a esempio
lo scaldo Kormákr, colpito da un amore a prima vista per Steingerðr,
la descrive come “Hrist dell’onda […] di cipolle”, accostando al
richiamo a una valchiria (Hrist) l’allusione alla minestra che la
ragazza sta preparando;69 o quando Gísli Súrsson si riferisce al
pianto della moglie Auðr, dolente per l’assassinio del fratello, con
le parole: “Gná degli anelli lascia cadere/ l’onda dell’onde con noci
[di lutto], [scende] dalla bianca foresta del margine delle palpebre/
nel grembo della donna, l’interdizione del riso”,70 nelle quali a una
ordinaria kenning per “donna” (“Gná”, divinità femminile, “degli
anelli”) se ne accosta un’altra del tutto originale che immagina le
69
Kormáks saga, cap. 3, p. 209: “brims Hristar […] lauka.” Così intende, a mio modo
di vedere correttamente, Ludovica Koch (Koch 1984, p. 201).
70
DLO nr. 74.

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306 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

lacrime dure e pesanti di un pianto disperato come noci che si


rovesciano dagli occhi.
Nell’ottica dell’adeguamento poetico va inquadrato anche ciò
che resta del componimento dal titolo Carme encomiastico della
casa dello scaldo Úlfr Uggason che, descrivendo le scene mitologi-
che raffigurate sulle pareti d’una ricca dimora islandese, evidente-
mente riprende le tecniche precedentemente utilizzate per le ‘descri-
zioni dello scudo’.71
Certamente la figura che meglio incarna diversi aspetti della
poesia scaldica è quella di Egill Skalla-Grímsson (910-990?). Islan-
dese, discendente di una famiglia che aveva scelto l’esilio in oppo-
sizione al sovrano Araldo Bella chioma, egli mostrò fin da bambino
una decisa predisposizione per la poesia, così come per la vita
avventurosa e guerriera. La saga che lo vede protagonista narra con
dovizia di particolari la sua esistenza e le vicende che lo coinvolse-
ro, dalle quali egli spesso trasse ispirazione per componimenti che
variano dalla poesia d’amore al carme encomiastico, dalla auto-
esaltazione (non solo come poeta) allo sfogo di sentimenti perso-
nali. Nell’ambito della poesia scaldica cortese Egill è autore di un
Riscatto per la testa (Hǫfuðlausn) composto per il suo grande
avversario, Eirik Ascia insanguinata che lo aveva fatto prigioniero
e che su insistenza della moglie Gunnhild voleva condannarlo a
morte. Su consiglio di un fedele amico, il hersir Arinbjǫrn Þórisson,
egli trascorse la notte componendo questo carme, nonostante
la regina avesse tentato di distoglierlo dall’opera facendo ricorso
alla magia. L’abilità poetica gli valse la grazia.72 Del resto, l’uso di
comporre un hǫfuðlausn è una pratica altrove testimoniata73 che
non pare azzardato legare al ricordo di certami sapienziali di carat-
tere rituale e cruento, così come suggerisce l’eddico Dialogo
di Vafþrúðnir.74 E proprio per Arinbjǫrn, amico fraterno, Egill
avrebbe composto un carme encomiastico, un dono poetico con il
quale ricompensarlo per la fedeltà e il costante sostegno: “Ladro
d’amicizia ch’io/ debba esser chiamato/ e disonesto/ col boccale di
Viðurr/ indegno di ogni lode/ e trasgressore di patti,/ se per il suo
sostegno/ non dessi ricompensa […].”75 La Canzone per Arinbjǫrn

71
Vd. sopra, p. 221.
72
Saga di Egill Skalla-Grímsson, capp. 59-61.
73
Cfr. p. 255, nota 116.
74
Vd. pp. 291-292.
75
DLO nr. 75. “Boccale di Viðurr” è una kenning per “poesia” che fa riferimento
a quest’arte come liquido (cui qui si allude con “boccale”), cioè “idromele” di Odino
(di cui Viðurr è uno degli appellativi).

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Cultura e società 307

(Arinbjarnarkviða) appartiene all’età matura di Egill, quindi alla


sua pienezza artistica. Maturità che è ancor meglio riflessa in un
lungo poema successivo, La perdita irreparabile (o anche La vendet-
ta impossibile) dei figli (Sonatorrek) considerato il capolavoro di
questo poeta. Il testo fu composto poco dopo il 960. Dopo la mor-
te del figlio Gunnarr dovuta a una malattia, Egill perdeva anche il
maggiore e prediletto Bǫðvarr a causa di un naufragio. L’uomo
prepotente e coraggioso che, come racconta la sua saga, non aveva
avuto timore di affrontare molti pericoli e molti nemici appariva
ora schiantato dal dolore. Inutile cercare conforto di fronte a lutti
dei quali nessuno avrebbe potuto prendere vendetta perché cau-
sati da avversari sovrannaturali. Egill decise di lasciarsi morire. Solo
l’intervento della figlia Þorgerðr lo scuoterà, quando ella gli chie-
derà di vivere ancora, almeno il tempo necessario per comporre un
carme in memoria dei figli: la poesia – che sola può garantire il
ricordo (e quindi una sorta di eternità) a chi è scomparso –76 resti-
tuirà al contempo al poeta una ragione per continuare a vivere.77
Le rime sciolte (lausavísur) di Egill sottolineano i momenti cru-
ciali della sua esistenza. Esse sono caratterizzate da straordinaria
efficacia espressiva, che alterna un linguaggio diretto all’uso misu-
rato delle kenningar e a sapienti scelte allitterative. Secondo la sua
saga, già all’età di sei anni, dopo aver ucciso un compagno di giochi,
il poeta volle sottolineare il proprio carattere indomito con dei
versi definendosi, nelle parole della madre, un ‘vichingo nato’.78
Egli avrebbe continuato a comporre commenti poetici alle proprie
vicende e alle proprie imprese, toccando le tematiche preferite
della vita guerriera e delle corti, ma estendendo altresì il proprio
spazio artistico per includervi lo sfogo di sentimenti quali amore o
tormento, desiderio o rabbia, ma anche – verrebbe da dire natu-
ralmente! – fiera ostentazione della propria arte (e della propria
scienza runica). È opinione condivisa che Egill Skalla-Grímsson sia
stato il più grande fra gli scaldi.79

76
In un celebre passo del Dialogo dell’Alto Odino medesimo indica la buona fama
– che opportunamente andrà affidata alla poesia – come unica forma di immortalità
per gli umani: “Muore la ricchezza, muoiono i congiunti,/ ciascuno ugualmente muo-
re;/ ma la fama non muore mai,/ per chi se ne procura una buona.// Muore la ricchez-
za, muoiono i congiunti,/ ciascuno ugualmente muore;/ io conosco una cosa sola che
non muore mai:/ il giudizio su ogni morto” (Hávamál, str. 76-77; DLO nr. 76).
77
Saga di Egill Skalla-Grímsson, cap. 78.
78
Vd. il testo riportato a p. 126.
79
Qui occorre anche ricordare almeno due poetesse. La prima è Steinunn Refsdóttir,
della fine del X secolo, la seconda Steinvǫr Sighvatsdóttir (morta nel 1271), nipote di
Snorri Sturluson per parte di padre, citata in una versione (U) dell’Enumerazione

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308 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

La lettura dei versi di questi poeti presenta diverse difficoltà.


Innanzi tutto si tratta di problemi di carattere testuale, dovuti alla
forma spesso corrotta nella quale molti componimenti ci sono
pervenuti in codici che, lo si ricordi, appartengono a una tradizio-
ne scritta non esente da errate letture o cattive interpretazioni. Poi
ci sono problemi di attribuzione: i versi che nelle fonti vengono
ascritti agli scaldi presentano non di rado forme poetiche e lingui-
stiche che mal si accordano con il periodo in cui costoro risultano
essere effettivamente vissuti (si vedano a esempio i poeti protago-
nisti delle saghe omonime), il che comporta, quantomeno, una
rielaborazione da parte dell’autore della saga. D’altronde all’inter-
no del testo il rapporto tra il racconto e i versi è tutt’altro che
lineare, seppure le parti poetiche paiano in molti casi costituire una
sorta di ‘filo conduttore’ sulla cui base si enucleano e talora si sot-
tolineano le vicende narrate.80 Naturalmente è anche possibile
attribuire la composizione dei versi a un autore diverso dal redat-
tore della saga; soprattutto nel caso dell’inserimento di composi-
zioni palesemente estranee al contesto narrativo.81
Maggiore fiducia possiamo forse accordare ai componimenti degli
scaldi che contengono l’elogio di prìncipi e il riferimento alle loro
gesta, come riscontro di eventi storicamente accertati: si può infat-
ti constatare che la norma della veridicità dovette essere corretta-
mente seguita nella maggior parte dei casi, come del resto testimo-
nia Snorri Sturluson, il quale nel Prologo della Saga degli Ynglingar
scrive così: “Prendiamo per vero tutto ciò che in quei poemi si
trova a proposito delle loro spedizioni e delle loro battaglie. È
infatti abitudine dei poeti, massimamente lodare colui al quale
allora si trovano di fronte, ma nessuno oserebbe declamare a lui
stesso delle imprese che tutti gli ascoltatori, e così egli medesimo,
sapessero essere falsità e invenzione, ciò sarebbe allora ironia anzi-
ché lode.”82

dei poeti (Skáldatal), un elenco (per altro non completo) di scaldi che arriva fino al
1300 circa (vd. Simek – Pálsson 1987 [B.4], p. 317). Di quest’ultima tuttavia non ci
restano versi.
80
Un esempio evidente di poesia funzionale alla narrazione della saga è quello dei
versi ‘infantili’ che il celebre scaldo Egill Skalla-Grímsson avrebbe composto all’età di
tre anni! (Egils saga Skalla-Grímssonar, cap. 31); cfr. p. 299.
81
Talora si è tuttavia supposto (in particolare a riguardo dei versi attribuiti a Gísli
Súrsson nella saga omonima) che ci si possa trovare di fronte a un prodotto poetico
originale o, comunque, piuttosto antico (la questione è ben riassunta in Turville-Petre
1976, pp. 50-51).
82
Ynglinga saga, Prologo (DLO nr. 77).

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Cultura e società 309

Sighvatr Þórðarson, strofa sciolta (lausavísa):


“Ascolta i miei versi, prìncipe,
albero del destriero delle tende
azzurrocupe,83 perché io so comporre,
un poeta tu devi averlo; pure
se le rime di tutti gli altri scaldi
non vuoi sentirle,
nondimeno, signore,
basterò io per te a far poesia.”84

Quando Snorri Sturluson scriveva la sua Edda la poesia scaldica


era già inesorabilmente avviata verso il proprio declino. Esso fu
provocato da una parte dai rivolgimenti che determinarono lo
sfaldamento dell’antica struttura politico-sociale e, insieme, il dis-
solvimento dell’ideale di vita vichingo; dall’altra dalla forza dirom-
pente della nuova cultura fortemente influenzata e condizionata
dalla tradizione classico-cristiana. E tuttavia i poeti nordici a lungo
si sforzarono di adeguare la loro arte, applicando l’antica discipli-
na formale a nuovi contenuti. Essa tuttavia sarebbe inesorabilmen-
te tramontata nel XIV secolo.

5.2.3. Memoria e identità collettiva

La letteratura norrena – come del resto le altre forme dell’arte


nordica – appartiene in primo luogo al mondo dell’aristocrazia.
Ciò è evidente innanzi tutto quando si prendano in esame le com-
posizioni poetiche legate all’ambiente delle corti. Ma la poesia
scaldica, come si è visto, non resta limitata a questo spazio. Nelle
opere dei poeti nordici, in particolare degli scaldi islandesi, si
esprime parallelamente la voce di un mondo contadino nel quale
una borghesia benestante e politicamente influente ha stabilito il
proprio potere. Precedentemente sono state prese in esame le
motivazioni che avevano portato i primi coloni alla decisione di

83
La kenning va intesta così: “destriero delle tende azzurrocupe” è la “nave”,
“albero della nave” è il “signore del mare”, il “guerriero”. L’immagine dell’albero
nelle metafore che indicano il guerriero è frequente e fa riferimento alla fermezza di
chi resta saldo di fronte al pericolo.
84
DLO nr. 78. Vd. Snorri Sturluson, Saga di Olav il Santo, cap. 43; cfr. nota 64.

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310 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

trasferirsi in Islanda per costituirvi una nuova nazione: tra di esse


certamente il forte attaccamento ai valori tradizionali. Ma una
nazione per essere tale ha bisogno di una forte specificità cultura-
le e di un legame con il passato: l’esigenza di ricordare le proprie
radici, il desiderio di ribadire la propria identità ma anche, più che
probabilmente, l’urgenza di sentirsi comunità spinsero gli Islande-
si a raccogliere e a tramandare notizie su coloro che avevano dato
inizio alla loro storia. Questo si constata in primo luogo nel cosid-
detto Libro dell’insediamento (Landnámabók), giuntoci in cinque
versioni (di cui una frammentaria) risalenti a due più antiche, una
delle quali redatta nei primi anni del XII secolo da Ari Þorgilsson
con l’aiuto di tale Kolskeggr Ásbjarnarson, per altro sconosciuto,
ma come Ari definito il Saggio.85 Qui con attenzione meticolosa
sono registrati in dettaglio i nomi dei fondatori della patria islan-
dese, con precisa indicazione delle loro parentele e della loro
provenienza, accompagnata – in qualche caso – da brevi notizie
sulla loro vita. Uno strumento attraverso il quale i discendenti di
quei coloni potevano rintracciare le proprie origini, appagando il
bisogno di riconoscersi come appartenenti a una determinata
famiglia (elemento fondamentale, lo si ricordi, della mentalità
nordica tradizionale) a sua volta inserita nel più ampio contesto
della giovane nazione islandese. Ma anche un modo per affermare
la supremazia di quelle famiglie. Analoga a questa è certamente la
prima motivazione per la redazione di quelle storie che andranno
a formare il corpus delle celebri “saghe degli Islandesi” (Íslendinga
sǫgur), che del resto la palesano apertamente nelle dettagliate
genealogie dei diversi protagonisti. Il che, se per un lettore moder-
no costituisce un elemento che pare appesantire inutilmente il
racconto, significava per l’ascoltatore del tempo un concreto coin-
volgimento nella trama degli eventi narrati, che in tal modo veni-
vano saldamente ancorati alla realtà nella quale egli si trovava a
vivere.86 E si è detto – non a caso – ascoltatore, dal momento che

85
Sulla formazione di quest’opera, sulla sua evoluzione fino a diventare il testo di
cui oggi disponiamo e sul suo valore come documento storico vd. Jóhannesson J.,
Gerðir Landnámabókar, Reykjavík 1941; Benediktsson J., “Formáli”, in Íslendingabók.
Landnámabók, pp. v-cliv e Pálsson 1999, pp. 7-12.
86
Hermann Pálsson (Pálsson 1999, p. 18) richiama opportunamente un commen-
to inserito nella tarda versione del Libro dell’insediamento contenuta nel Libro di Þórðr
(Þórðarbók, AM 106 fol., redatto nel XVII secolo da tale Þórður Jónsson di Hítardalur,
morto nel 1670, e conservato presso l’Università di Reykjavík, Stofnun Árna Magnús-
sonar í íslenskum fræðum) e tuttavia verosimilmente ripreso dalla versione originaria
del testo. Lo si riporta qui nella traduzione inglese del medesimo autore (The Book of
Settlements. Landnámabók, translated with Introduction and Notes by H. Pálsson and

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Cultura e società 311

una saga (il termine è connesso etimologicamente al verbo segja


“dire”)87 era innanzi tutto un testo che veniva riportato oralmente:
fatto, questo, che non soltanto ebbe benefici effetti sulla codifica-
zione e la circolazione di una lingua nazionale, ma contribuì a
diffondere il senso dell’appartenenza alla comunità che al tempo
stesso era produttrice e fruitrice di questo tipo di prodotto lette-
rario. Il resoconto di eventi significativi riportati durante le occa-
sioni di incontro (assemblee, visite, feste, riti e celebrazioni) fu
certamente una importante consuetudine. Ma il processo che
portò alla formazione delle saghe degli Islandesi in forma di rac-
conti correttamente strutturati nei quali confluirono elementi
diversi (tradizione narrativa orale, circolazione di componimenti
poetici, formazione e conoscenze dell’autore, fattori socio-ambien-
tali) fu certamente lungo. Molto tempo doveva passare tra le vicen-
de da cui esse traggono spunto e la loro definitiva elaborazione
letteraria. Basti ricordare che la versione scritta di questi racconti
risale, al più presto, al XIII secolo.88 Il rapporto tra gli elementi
della tradizione orale e la composizione delle saghe è stato bene
(e, a mio modo di vedere, definitivamente) chiarito in uno studio
ancora piuttosto recente di Hermann Pálsson.89
È del tutto evidente che le saghe degli Islandesi, seppure legate
a vicende e a personaggi riconducibili per la maggior parte agli anni
fra il 930 (istituzione dell’assemblea generale di Þingvellir) e il 1050
circa, non costituiscono (e non possono costituire) testi di caratte-
re storico. Il che non dipende solo dal fatto che in esse sono pre-
senti, in misura maggiore o minore, anche motivi fantastici, bensì
soprattutto dalla constatazione che la materia ‘storica’ è divenuta
oggetto di una elaborazione letteraria che le ha gradatamente
imposto le proprie regole e le proprie finalità. Ciò è dimostrato

P. Edwards, University of Manitoba Press 1972, p. 6): “People often say that writing
about the Settlements is irrelevant learning, but we think we can better meet the criticism
of foreigners when they accuse us of being descended from slaves and scoundrels, if we
know for certain the truth about our ancestry. And for those who want to know ancient
lore and how to trace genealogies, it’s better to start at the beginning than to come in at
the middle. Anyway, all civilized nations want to know about the origins of their own
society and the beginnings of their own race.”
87
de Vries 1962² (B.5), p. 459 e p. 467; cfr. nota 10.
88
La Saga della battaglia nella brughiera (Heiðarvíga saga), considerata la più antica
fra le saghe degli Islandesi, dovrebbe essere stata composta attorno al 1200. Altre saghe
risalenti ai primi decenni del XIII secolo sono la Saga dei fratelli di sangue e la Saga dei
figli di Droplaug (Droplaugarsona saga). Il periodo di massima fioritura del genere è
considerato il XIII secolo, anche se talune saghe risultano ben più tarde, come la Saga
degli abitanti di Fljótsdalur, forse addirittura del XV secolo.
89
PÁLSSON 1999.

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312 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

esemplarmente dal caso della Saga di Hrafnkell goði del dio Freyr,
ineccepibile dal punto di vista della credibilità degli eventi narrati
e tuttavia frutto, senza ombra di dubbio, di invenzione letteraria.90
D’altro canto questa osservazione non deve essere portata alle
estreme conseguenze,91 in quanto in ogni caso le saghe sono ricon-
ducibili a un ambiente ben determinato e circoscritto, la cui men-
talità e il cui ordinamento esse ci trasmettono (anche se i singoli
elementi vadano attentamente vagliati). Sicché sarebbe insensato
rigettare tutte le informazioni che da qui ci vengono sul piano
delle credenze religioso-mitologiche, delle consuetudini sociali e
giuridiche e delle tradizioni folcloristiche e magiche. Tanto più che
esse trovano non di rado conferma in testimonianze archeologiche,
artistico-iconografiche e toponomastiche.
È opinione ben condivisibile che le saghe degli Islandesi costi-
tuiscano la prima forma di romanzo europeo. E tuttavia fin dal
passato un acceso dibattito ha riguardato la formazione di questi
testi. Il contrasto ha visto opporsi, in particolare, i fautori della
cosiddetta Freiprosalehre (la versione scritta delle saghe si limite-
rebbe a riversare nei codici testi ben strutturati, sia dal punto di
vista contenutistico sia da quello formale, attraverso una lunga e
consolidata tradizione orale) e quelli della Buchprosalehre (le saghe
sono opera di autori che consapevolmente hanno redatto elabo-
randoli in forma letteraria elementi del patrimonio culturale nazio-
nale). Le conclusioni sono state, sostanzialmente, a favore dei
secondi. E tuttavia, come ben evidenziato in studi più recenti,92 il
contributo della tradizione orale deve ricevere un giusto riconosci-
mento ed essere opportunamente rivalutato. Certo ci troviamo di
fronte a testi che per scelte costruttive, analogie ed espedienti sti-
listici vanno a costituire un vero e proprio genere letterario.93 Del
resto, come è stato detto, anche quando si prendano in esame i testi
poetici che non di rado sono inseriti nel contesto del racconto
(soprattutto nelle saghe incentrate sulla figura di celebri scaldi ai
quali queste composizioni vengono attribuite), è possibile verifica-
re che essi presentano – tranne forse in qualche caso –94 forme che
difficilmente si accordano con l’epoca nella quale avrebbero dovu-
90
Come dimostrato in un celebre saggio di S. Nordal (Hrafnkatla. Mit einem Auszug
auf deutsch, Reykjavík-Kaupmannahöfn 1940).
91
Come è stato il caso dello studioso tedesco W. Baetke (Baetke 1956).
92
Vd. in particolare Byock 1993, pp. 8-10.
93
È del resto verosimile che la stesura delle saghe sia dovuta, almeno in parte,
all’iniziativa dei grandi capitani che al contempo gestivano buona parte della vita
ecclesiastica (cfr. pp. 381-382).
94
Vd. sopra, nota 81.

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Cultura e società 313

to essere composti: piuttosto è possibile anche qui riconoscere


l’intervento di chi li ha rielaborati conferendo la forma nella quale
ci sono trasmessi.
Innanzi tutto le saghe sono costruite su uno schema drammatico,
essenzialmente fondato su questa sequenza: introduzione, conflit-
to, climax, vendetta, riconciliazione, conseguenze.95 Ciò consente
di organizzare la narrazione di vicende non di rado complesse e
riferibili a diverse situazioni e personaggi. Poiché – anche quando
traggano lo spunto (e prendano il titolo) da un protagonista che
per le sue particolari qualità o imprese emerge rispetto ad altri –
questi racconti restano comunque affreschi della vita di una comu-
nità, dove al criterio della selezione è preferito quello dell’apertura
che consente di accogliere diversi spunti narrativi. Mentre, al con-
tempo, la trama del racconto e i personaggi principali si connetto-
no e riconducono a un contesto sociale dal quale non possono
prescindere. Per questo una ‘saga’ nell’accezione comune è imma-
ginata come un tessuto narrativo riguardante le vicende di una
grande famiglia o comunque di una comunità,96 riflesso letterario
di una mentalità tradizionalista che in queste opere riversò il proprio
bisogno di identità, consolidando la propria memoria.
Saghe celebri come la ‘grande’ Saga di Njáll del rogo97 (un vero
e proprio capolavoro di tecnica narrativa), la Saga di Egill Skalla-
Grímsson (da taluni attribuita a Snorri Sturluson), la Saga di Gísli
Súrsson e quella, piuttosto tarda, di Grettir Ásmundarson (entram-
be incentrate su celebri figure di ‘fuorilegge’), la Saga dei valligiani
di Laxárdalur (per molta parte imperniata su drammatiche vicende
legate a una fiera figura femminile); saghe che raccontano di inten-
se quanto infelici (ma sempre molto concrete) storie d’amore (come
la Saga di Kormákr, la Saga di Alfredo Poeta turbolento, la Saga di
Gunnlaugr Lingua di serpente); saghe che delineano difficili destini
personali (come la Saga di Hrafnkell goði del dio Freyr o la Saga di
Víga-Glúmr) o ancora saghe più propriamente riferite alle vicende
di una comunità (come la Saga degli uomini di Eyr o la Saga dei
valligiani di Vatnsdalur) – solo per citarne alcune! – condividono
con le altre (anche quelle meno note) una serie di elementi carat-

95
Individuato e analizzato in Andersson 1967, pp. 3-30.
96
Basti pensare a ‘saghe’ moderne come I Buddenbrook. Decadenza di una famiglia
di Thomas Mann (Buddenbrooks. Verfall einer Familie, 1901) o La saga dei Forsyte (The
Forsyte saga) di John Galsworthy (una serie di testi usciti fra il 1906 e il 1921; edizione
con introduzione di G. HARVEY, Oxford 1995). Ma nell’accezione islandese una saga
resta semplicemente una “storia” (cfr. nota 10).
97
Brennu-Njáls saga, di solito più semplicemente indicata come Saga di Njáll.

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314 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

teristici. Innanzi tutto una narrazione che si mantiene su un piano


oggettivo, evitando qualsiasi coinvolgimento dell’autore, il quale si
limita a presentare i fatti nella loro successione temporale, senza
indulgere a inutile retorica né a forme di ridondanza stilistica o
lessicale, prediligendo al contrario l’allusione o l’attenuazione
della notizia (frequente è a esempio, il ricorso alla litote). Al proprio
fruitore (ascoltatore o lettore che sia) il racconto fornisce sempli-
cemente gli elementi da cui trarre inevitabili conclusioni, non di
rado sottolineando i fatti e le situazioni attraverso commenti brevi,
quasi sottintesi, o facendo ricorso a una non meglio specificata
quanto sintetica ‘opinione della gente’ (il che tra l’altro rimarca
l’impatto sociale delle vicende narrate). Per fare un esempio: nella
Saga di Gísli si racconta che il protagonista – che per il dovere
della vendetta verso un ‘fratello di sangue’ aveva assassinato il
marito della sorella – una volta stava seduto all’aperto e rivoltosi
verso il tumulo del cognato ucciso recitò una poesia. In quei versi,
per quanto di interpretazione assai difficile, era ammessa la sua
responsabilità nell’omicidio; il senso del componimento fu com-
preso e ciò determinò per lui la proscrizione e infine la morte.
Questa azione del protagonista assolutamente determinante per il
prosieguo della storia viene sintetizzata con poche parole: “Gísli
allora recitò una poesia, e mai avrebbe dovuto [farlo]” (“Gísli kvað
þá vísu, er æva skyldi”).98 D’altro canto, frasi come “Alla gente
parve che […]” o “la gente disse che […]” ricorrono con una
certa frequenza. E tuttavia, pur sullo sfondo di questa società pre-
sente e osservatrice, le saghe tendono a evidenziare avvenimenti
legati ai destini di singole persone, caratteri ancora una volta dise-
gnati con pochi tratti, brevi descrizioni nelle quali sono tuttavia
sottintesi alcuni degli elementi che, insieme a una serie di forze
esterne (eventi solo apparentemente casuali), metteranno in moto
il meccanismo del dramma. Gunnlaugr Lingua di serpente, prota-
gonista della saga omonima, la cui favella mordace insieme al
carattere prevaricatore innescherà il desiderio di vendetta del
rivale Hrafn (con il quale alla fine della saga si darà reciproca mor-
te) viene descritto con queste parole: “Così è detto di Gunnlaugr,
che egli era maturato precocemente, [era] grande e forte, coi
capelli castano chiaro che cadevano assai bene, cogli occhi neri e
il naso un po’ brutto e gradevole in viso, snello di vita e con le
spalle larghe, straordinariamente ben fatto, molto irruente in tutta
la [sua] indole e precocemente ambizioso e in ogni cosa ostinato e

98
Gísla saga, cap. 18, p. 58.

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Cultura e società 315

duro e grande scaldo e piuttosto pronto a comporre versi d’infamia


e detto Gunnlaugr Lingua di serpente.”99 Ma che queste descrizio-
ni rispondano a fini letterari si comprende bene anche là dove la
saga utilizza la tecnica del raffronto, sottolineando le qualità nega-
tive di alcuni personaggi (a esempio un fratello) per esaltare nel
confronto le doti di un protagonista. Nella stessa ottica va inqua-
drato il ricorso delle saghe all’ironia (o al sarcasmo), espressi anco-
ra una volta in modo allusivo, quasi prudente. A esempio nella Saga
di Njáll del rogo nell’episodio dell’attacco alla casa di uno dei
protagonisti, Gunnarr di Hliðarendi, è riferito di tale Þórgrímr che,
arrampicatosi sul tetto per verificare la presenza di Gunnarr all’in-
terno guardando attraverso un’apertura sul tetto, venne da questi
ferito all’addome con una alabarda. Quando ridiscese uno dei
compagni gli chiese: “‘È a casa Gunnarr?’ ‘Verificatelo voi’, rispo-
se Þorgrímr, ‘io so solo che la sua alabarda è a casa.’ Dopo di che
cadde giù morto.”100
Le saghe, è stato detto, prediligono contenuti drammatici. Nel
che non soltanto riecheggiano in parte i temi della tradizione epica,
ma rispecchiano una visione di vita nella quale un valore di prima-
ria importanza è quello dell’onore che si manifesta nella fedeltà
totale alla propria stirpe, nel dovere imprescindibile della vendetta
e nella rassegnata sottomissione alla propria sorte (molto spesso
anticipata in sogni premonitori che costituiscono un motivo ricor-
rente). I racconti sottolineano caratteristiche personali come l’or-
goglio e la fierezza, il coraggio e l’intraprendenza, la lealtà e il
senso della giustizia ma anche la pazienza e la perseveranza. Le sole
doti che possono assicurare fama dopo la morte. E, magari, anche
un ricordo letterario.

5.2.4. I racconti del tempo passato

In un testo islandese che nella sua prima redazione risalirebbe


ai primi decenni del XIII secolo, la Saga di Þorgils e di Hafliði
(Þorgils saga ok Hafliða),101 è riferito un episodio frequentemente
citato. Si racconta che nel mese di luglio del 1119, in occasione
del matrimonio tra due persone appartenenti a importanti famiglie
celebrato a Reykjahólar, gli ospiti furono tra l’altro allietati da un
99
Gunnlaugs saga ormstungu, cap. 4 (DLO nr. 79); cfr. p. 304.
100
Njáls saga, cap. 77; DLO nr. 80.
101
Originariamente un testo indipendente, questa saga ci è pervenuta all’interno
della ben più ampia Saga degli Sturlungar (Sturlunga saga).

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316 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

narratore di storie, tale Hrólfr di Skálmarnes, il quale li intratten-


ne raccontando una saga, da lui stesso composta, che riguardava
avventure di vichinghi ed eroi. Nella medesima occasione un
prete di nome Ingimundr Einarsson (che sappiamo essere morto
nel 1169) espose la Saga di Ormr scaldo di Barrey (Orms saga Barr-
eyjarskálds), un testo andato perduto. Entrambe le narrazioni
furono integrate con la recitazione di diverse strofe, nel secondo
caso il dicitore recitò anche un suo flokkr.102 Delle saghe offerte
agli ospiti del banchetto nuziale non ci resta testimonianza certa.
Sappiamo solo che il racconto di Hrólfr si riferiva tra l’altro alle
vicende di Hrómundr Grípsson, norvegese, protagonista di una
storia leggendaria assai tarda (probabilmente della prima metà del
XVII secolo) che ci è pervenuta col titolo di Saga di Hrómundr
Grípsson (Hrómundar saga Grípssonar) rielaborazione di un testo
poetico, Griplur, risalente all’inizio del XV secolo, il cui rapporto
con la perduta versione originaria della storia non siamo tuttavia
in grado di definire. Ma al di là di queste considerazioni, l’episodio
citato – oltre a costituire un’ottima testimonianza della consuetu-
dine detta sagnaskemtan “raccontare (letteralmente “intrattenere
con”) storie” – rivela anche la popolarità, accanto alle saghe degli
Islandesi, di storie di carattere leggendario, che pure suscitavano
un forte interesse, come dimostra tra l’altro l’annotazione della
medesima fonte, secondo la quale le persone erano in grado di far
risalire la propria discendenza fino a Hrómundr. Del resto qui si
aggiunge che anche un personaggio di alto rango come il re nor-
vegese Sverre Sigurdsson103 trovò questo tipo di racconti molto
divertenti.
Questo genere di saghe, del quale abbiamo numerosi e conside-
revoli esempi, va sotto la denominazione di “saghe del tempo
antico” (fornaldarsögur), sulla base della definizione data nel XIX
secolo dal filologo danese Carl Christian Rafn che raccolse questi
testi in una edizione completa.104 Si tratta di storie che traggono la
propria ispirazione da materiale appartenente alla tradizione nor-
dica e dall’epoca semi-leggendaria precedente la colonizzazione
dell’Islanda (fatto salvo qualche collegamento genealogico il mon-
do islandese vi è praticamente assente) seppure – almeno nel caso
della Saga dei Volsunghi (Vǫlsunga saga) – le radici affondino nella
102
Saga di Þorgils e di Hafliði, cap. 17; sul componimento poetico detto flokkr vd.
p. 304.
103
Vd. oltre, pp. 364-367.
104
Fornaldar sögur nordrlanda eptir gömlum handritum, utgefnar af C.Chr. Rafn,
I-III, Kaupmannahöfn 1829-1830. Su Carl Christian Rafn vd. p. 918 e p. 945.

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Cultura e società 317

più antica tradizione eroica germanica. Un insieme di racconti


accomunati dal carattere leggendario, il che in primo luogo signi-
fica l’accoglimento di motivi ispiratori di varia natura (purché in
qualche modo legati a un tema – o a una sequenza di temi – prin-
cipale) e la loro connessione ai fini della composizione di un insie-
me per quanto possibile coerente, fortemente marcato dalla pre-
senza di elementi magici e mitologici da una parte e di azioni di
carattere straordinario (e dunque spesso improbabili) dall’altra. Il
che determina un equilibrio di natura quasi esclusivamente lette-
raria, sostenuto dalle diverse componenti del quadro narrativo.
Per fare un esempio concreto: la geografia delle saghe leggenda-
rie è prevalentemente simbolica, dal momento che nei diversi
‘luoghi’ fra i quali si muovono i protagonisti sono dislocati spazi
che conferiscono alle azioni un determinato significato. Il Nord
estremo si presenta come regno della magia e del mistero, perico-
losamente abitato da stregoni o da esseri sovrannaturali (orchi e
giganti); la Russia come territorio in cui intraprendere un’avventu-
ra quando non una esplorazione; le regioni meridionali (i cui rife-
rimenti evidenziano molta ignoranza, grossolani errori e notevoli
lacune) come un mondo civile e affascinante mentre le zone più
esterne (a ovest l’Irlanda e a est i territori delle steppe) tornano a
inquietare per la presenza di esseri dotati di qualità magiche e il
compiersi di fatti prodigiosi.
E, similmente, la ‘storia’. Che nelle saghe leggendarie riposa
– tutt’al più – sulla presenza di nomi riferibili a personaggi real-
mente esistiti, tuttavia completamente sradicati dal loro contesto
e inseriti in meccanismi narrativi che ne snaturano la realtà effet-
tiva, rimodellandoli in nuove forme.105 Del resto si constata che
come lo spazio anche il tempo è simbolico e si piega all’andamen-
to della narrazione comprimendosi o dilatandosi per assecondare
le esigenze del racconto. E dunque non dovrà meravigliare che a
esempio un celebre eroe come Oddr della freccia, protagonista
della saga omonima (Ǫrvar-Odds saga) sia destinato a vivere tre-
cento anni.
Tuttavia le saghe leggendarie non sono un gruppo del tutto
omogeneo, il che ha suggerito una ulteriore suddivisione fra “saghe
eroiche” (Heldensagas), “saghe vichinghe” (Wikingersagas) e “saghe
d’avventura” (Abenteuersagas): suddivisione che, seppure in buona

105
Tale è il caso di personaggi come Attila o Ermanarico presenti nella Saga dei
Volsunghi, ma anche del semi-leggendario Ragnarr, protagonista dell’omonimo rac-
conto (Saga di Ragnarr brache di pelo); vd. sopra, p. 107 con nota 36 e p. 134, nota 137.

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318 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

parte soddisfacente,106 lascia tuttavia aperta la questione del rappor-


to tra questi racconti (quantomeno quelli inseriti nella sottocategoria
delle “saghe d’avventura”) con altri prodotti letterari che vengono
classificati come “saghe cavalleresche originali” (riddara sǫgur).107
Tra le saghe leggendarie sono assai note la Saga dei Volsunghi che
rielabora in un contesto ben più ampio le vicende dei due celebri
eroi eddici Helgi e Sigurðr e la Saga di Oddr della freccia nella
quale la figura dell’audace protagonista, determinato a decidere in
prima persona della propria vita (nel che si sottolinea la proiezione
vichinga verso nuovi ideali), dovrà tuttavia alla fine soggiacere a un
destino che in gioventù aveva superbamente sfidato rispondendo
con sprezzanti parole all’indovina che glielo preannunciava (nel
che si sottolinea la forza dei valori tradizionali).
Molti indizi testimoniano della diffusione e della popolarità di
questi racconti. Anche nelle zone orientali della Scandinavia (Dani-
marca e Svezia) dove una letteratura in lingua nazionale avrà ori-
gine più tarda recependo in primo luogo modelli meridionali,
troviamo prove certe della fortuna di tale genere. In Danimarca la
testimonianza più evidente ci viene dall’opera di Sassone
grammatico,108 che – pur scrivendo in latino – fa ampi riferimenti
a storie e a figure leggendarie, alcune delle quali trovano riscontro
nelle “saghe del tempo antico”, mentre altre (come nel caso della
vicenda del celebre Amleto)109 ci sono tramandate solo nella sua
opera. Sassone grammatico inserisce nella narrazione anche carmi

106
Si accoglie qui la catalogazione delle “saghe del tempo antico” proposta nel
fondamentale volumetto di K. Schier (Schier 1970, pp. 72-78).
107
Con questa definizione si fa riferimento a storie composte in Islanda a imitazio-
ne di “saghe cavalleresche” tradotte in norvegese da originali stranieri (in particolare
francesi), testi che avevano avuto una notevole diffusione anche nell’isola. Per questo
tipo di racconti sono utilizzate talora altre denominazioni, come “saghe fiabesche”
(Märchensagas) o (meno recentemente) “saghe menzognere” (lygisǫgur). La definizio-
ne di questi sottogruppi resta discussa; lo ‘stato della questione’ è ben riassunto in
Ferrari F., “Il motivo del viaggio nelle fornaldarsögur”, in VVLSMM, pp. 169-171.
Cfr. pp. 413-414.
108
Vd. pp. 322-323.
109
La storia di Amleto (Amlethus), riferita da Sassone grammatico nel III e IV libro
della sua opera, non trova riscontri nell’area scandinava occidentale, se non nell’allusio-
ne contenuta in una strofa sciolta (lausavísa) dello scaldo islandese Snæbjǫrn (XI secolo),
il quale in una kenning definisce il mare “mulino di Amleto” (Amlóða líðmeldr); vd. Skj
I: A, p. 211, B, p. 201. In area islandese riferimenti a questo personaggio si trovano ben
più tardi nelle Ambáles rímur (Canzoni [lett. “Rime”] di Ambáles), di cui si conoscono
versioni differenti e alle quali si rifà la Saga di Ambáles (Ambáles saga). Questi testi risal-
gono alla seconda metà del XVII secolo (la saga verosimilmente all’ultimo decennio). Per
una analisi del ‘mito di Amleto’ si rimanda al classico testo di DE Santillana G. – von
Dechend H., Il mulino di Amleto. Saggio sul mito e sulla struttura del tempo, Milano 1983.

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Cultura e società 319

eroici (ovviamente in versione latina), secondo un uso ben presen-


te nelle saghe leggendarie.110 In Svezia, dove pure mancano docu-
menti letterari, la diffusione di queste storie conosce testimonian-
ze iconografiche, in particolare sulle pietre di Gotland111 su alcune
delle quali accanto a raffigurazioni che rimandano a storie mitolo-
giche si possono ‘leggere’ allusioni alle vicende di eroi leggendari:
certamente al ciclo dei Nibelunghi, ma anche all’infelice re Víkarr,
sacrificato a Odino tramite impiccagione e trafittura di lancia,
secondo il racconto della Saga di Gautrekr (Gautreks saga).112
Queste raffigurazioni, che risalgono per la maggior parte all’VIII-
IX secolo, si inseriscono d’altronde nel più ampio contesto di una
ricca iconografia a tema mitologico-leggendario che comprende
anche pietre (con o senza iscrizioni runiche) e prodotti di alto
artigianato presenti, come si è già detto, non solo nei Paesi nordi-
ci ma anche nelle colonie vichinghe.113

5.2.5. Storiografia (laica e religiosa)

All’interno della ricca letteratura in lingua norrena (alla quale


tuttavia si affianca una importante produzione in latino) meritano
considerazione anche opere di intento più strettamente storiogra-
fico, con le quali si contribuisce al consolidamento dell’identità
nazionale illustrando le dinastie e i personaggi le cui vicende hanno
accompagnato (e incarnato) l’idea stessa del nuovo modello di
Stato che si è venuto strutturando. È una storiografia nella quale
l’esercizio genealogico si affianca all’elogio delle virtù del signore
(tanto assiduamente praticato dagli scaldi), mentre il ricorso all’ele-
mento leggendario contraddistingue non soltanto il racconto dei
110
I carmi eroici contenuti nelle saghe leggendarie fanno parte del gruppo dei
cosiddetti Eddica minora (vd. sopra, p. 296). Tra quelli proposti da Sassone gramma-
tico in versione latina i più celebri sono il Dialogo di Bjarki (Bjarkamál) che in lingua
norrena ci è tramandato solo in forma frammentaria (vd. Simek–Pálsson 1987 [B.4],
p. 38) e il cosiddetto Carme di Ingjaldr, recitato dal celebre eroe Starkaðr (Starcatherus)
per rimproverare Ingjaldr (Ingellus) della sua deprecabile condotta (vd. Gesta Danorum,
II, vii, 4-28 e VI, ix, 3-18, rispettivamente). Il Carme di Ingjaldr è stato proposto in
versione danese da Axel Olrik (Danmarks heltedigtning. En oldtidsstudie, II, København
1910, pp. 24-28.
111
Vd. pp. 92-93.
112
Cap. 7.
113
I più importanti esempi di questa iconografia sono riprodotti in Chiesa Isnardi
20084 (B.7.1). Vd. in primo luogo: p. 65, p. 92, p. 94, pp. 130-131, p. 133, p. 158, p.
161, pp. 176-177, pp. 187-188, p. 190, p. 205, p. 387, p. 390, p. 392, p. 397, p. 399, p.
419, pp. 440-441. Cfr. sopra, pp. 221-222 con nota 472.

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tempi più lontani (riconducendo le grandi famiglie e dunque le più


nobili figure ad antenati prestigiosi come gli dèi medesimi) ma
anche diversi momenti ed episodi significativi della vita dei prota-
gonisti, che vengono in tal modo fatti risaltare e posti su un piano
superiore, con evidenti ricadute sul significato delle loro azioni. Un
esempio fra tanti: a proposito del sovrano Araldo Bella chioma,
Snorri Sturluson lascia chiaramente intendere che il suo destino di
grandezza era preannunciato in un sogno fatto dalla madre, mentre
successivamente lega la sua determinazione e i suoi successi al
giuramento di non tagliarsi né pettinarsi i capelli finché non fosse
divenuto signore di tutta la Norvegia.114
La finalità di queste opere storiche è dunque, innanzi tutto, di
natura politica. Nel periodo successivo all’era vichinga, che vede
consolidarsi la formazione degli stati nordici, gli interessi predomi-
nanti sono ovviamente quello della Corona e quello della Chiesa.
La diversa situazione dei singoli Paesi dà ragione dei risultati in
questo campo. Esemplare è il caso norvegese. In questo Paese, ancor
più che altrove, il processo di conversione al nuovo credo era anda-
to di pari passo con la costruzione di un saldo potere centrale.
Figure come quella di Olav Tryggvason e di Olav il Santo, i due
grandi sovrani cristianizzatori, avevano portato a compimento
l’opera a suo tempo intrapresa da Araldo Bella chioma, favorendo
altresì l’istituzione di un potere ecclesiastico e giovandosi al con-
tempo del suo sostegno. Negli ambienti ecclesiastici che – non lo
si dimentichi! – gestivano nella sostanza l’attività culturale e lette-
raria, si manifestò dunque un’attenzione alle vicende della nazione
che avrebbe portato numerosi frutti. Se alcune opere – come la
Storia dell’antichità dei re norvegesi scritta in latino dal monaco
Theodricus/Theodoricus (Þórir)115 o l’anonimo Compendio delle
saghe dei re norvegesi (Ágrip af Nóregs konunga sǫgum) che costi-
tuisce il più antico testo di storia norvegese in norreno – sono
quasi certamente composte da norvegesi, altre risultano, per certi
versi sorprendentemente, opera di eruditi islandesi. Come il cele-
bre Sæmundr Sigfússon il Saggio (il cui lavoro sui primi re norve-
gesi è tuttavia andato perduto), o l’abate del convento di Þingeyrar
Karl Jónsson (ca. 1135-ca. 1213) il quale è autore della prima
delle cosiddette “saghe dei re” (konunga sǫgur) che ci sia perve-
nuta: la Saga di Sverre (Sverris saga) scritta durante un soggiorno
di qualche anno in Norvegia su diretto incarico del sovrano Sver-

114
Vd. p. 143, nota 171.
115
Vd. p. 411.

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Cultura e società 321

re Sigurdsson (il cui regno si colloca fra il 1184 e il 1202) che, a


quanto pare, seguiva da vicino il lavoro (del resto in gioventù egli
era stato istruito per divenire sacerdote). E tuttavia non dobbiamo
restare troppo sorpresi. I rapporti tra gli abitanti dell’isola e l’an-
tica madrepatria restavano stretti, la necessità di mantenere buoni
rapporti evidente,116 il bisogno di dar lustro alle grandi famiglie
sottolineandone prestigiose parentele diffuso, la perizia letteraria
degli eruditi islandesi ben nota. Del resto il migliore fra questi testi
è di gran lunga un’imponente opera di Snorri Sturluson (altrimen-
ti celebre per la sua Edda) alla quale dalle parole iniziali viene
attribuito il titolo di Orbe terrestre (Heimskringla), composta poco
dopo il 1230: in essa l’autore ripercorre tutta la storia dei re nor-
vegesi dalle origini (fatte risalire, attraverso un ramo della dinastia
svedese, a Odino) fino al 1177. Seppure naturalmente si rifaccia
ad altre opere117 e manifesti chiaramente un intento storico, Snor-
ri rielabora la materia trattata conferendo al proprio discorso
un’eccellenza letteraria che giustifica ogni eventuale addebito dal
punto di vista dell’attendibilità. Alcuni secoli più tardi questo testo
costituirà un punto di riferimento fondamentale per il recupero
dell’orgoglio dei popoli nordici. Nucleo centrale della Heimskringla
(e, verosimilmente, prima parte composta dall’autore) è la Saga di
Olav il Santo (della quale per altro si deve a Snorri una versione a
parte ancor più completa)118 che insieme alla Saga di Olav Tryggvason
costituisce il fulcro dell’intero lavoro. Ciò corrisponde allo straor-
dinario interesse per le figure dei due grandi sovrani norvegesi,
dimostrato dall’esistenza di diverse versioni delle loro biografie,119
nel che è sottolineato come l’attenzione maggiore si focalizzi su
116
Basti pensare alla difficile opera di mediazione che presumibilmente dovette
portare avanti Snorri Sturluson, il quale intratteneva i migliori rapporti con la corte
norvegese forse anche allo scopo di salvaguardare l’indipendenza della sua patria (ma,
certamente, anche i propri interessi personali!).
117
Tra cui certamente il Compendio delle storie dei re norvegesi, la cosiddetta Per-
gamena marcia (Morkinskinna, vd. p. 424, del 1220 circa), un testo ricco di aneddoti,
e la Bella pergamena (Fagrskinna) del 1230 circa. Le ultime due si rifanno a loro volta
in buona parte a un testo andato perduto risalente al XII secolo e attribuito a tale Eiríkr
Oddsson dal titolo Hryggjarstykki (forse “Pelle di vitello”); vd. Lie 1961.
118
Saga Óláfs konungs hins helga.
119
Della seconda metà del XII secolo è il testo Opere di Sant’Olav Re e Martire (Acta
Sancti Olavi Regis et Martyris) altrimenti noto come Passione e miracoli del beato Olav
(Passio et miracula beati Olavi) – da ricondurre all’ambiente gravitante attorno all’arci-
vescovo di Nidaros Øystein Erlendsson (1120?-1188), se non addirittura a lui stesso –
che raccoglie le leggende fiorite intorno a Olav il Santo fin dai primi decenni dopo la
morte; cfr. p. 256 con nota 121. Diverse sono le saghe dedicate a questo santo (fram-
menti di una sua prima biografia in norreno risalgono già agli anni tra il 1160 e il 1185),
così come a Olav Tryggvason (vd. Simek – Pálsson 1987 [B.4], pp. 268-271).

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personaggi che incarnano al contempo un potere temporale e un


interesse religioso. Si è visto come accanto alle versioni norrene
delle “saghe dei re” norvegesi vi fossero anche opere redatte in
latino. Scelta certamente determinata dalla ‘universalità culturale’
di questa lingua, appresa da eruditi nordici ormai apertisi alla
dottrina e alla civiltà del meridione. Ma anche dalla consapevolez-
za di una diversa prospettiva storica e politica che vede le nazioni
scandinave pienamente coinvolte nel contesto europeo. È questo,
in particolare, il caso della Danimarca, dove la redazione della
storia patria trova la migliore espressione nell’opera del chierico
Sassone grammatico, sopra ricordato, un autore del quale si hanno
per altro poche notizie: a quanto pare segretario dell’arcivescovo
Absalon Hvide (autorevolissima figura di religioso e di politico),120
morì certamente dopo il 1208 e prima del 1219 (forse nel 1216).
Anche qui naturalmente ci si muove in primo luogo nell’ambiente
ecclesiastico. Sassone scrive le Opere dei Danesi (Gesta Danorum),
su sollecitazione di Absalon medesimo (come esplicitamente dichia-
ra nella Prefazione)121 e le dedica, insieme al re, al di lui successore
(e nipote) Andrea (Anders) Sunesen.122 L’opera di Sassone, svilup-
pata in sedici libri (di cui i primi nove di carattere più marcatamen-
te leggendario) che vanno dalle origini fino al 1202, costituisce
(oltre che un documento ‘storico’) palese testimonianza della evo-
luzione culturale del mondo nordico in un Paese come la Danimar-
ca nel quale (anche per ragioni geografiche) la contiguità con il
resto del continente stimolava inarrestabili cambiamenti. Se l’ope-
ra di Sassone resta per molta parte dei suoi contenuti letteratura
‘scandinava’, essa mostra al contempo (e non solo nella scelta
della lingua latina) l’adeguamento a canoni di importazione e il
profondo cambiamento indotto dal contatto e dallo studio della
cultura meridionale.123 Sicché quando nei secoli XVI e XVII essa
120
Vd. p. 274 e p. 333. A lui è dedicato un breve racconto che mette in luce le sue
cattive qualità: Della brama dell’arcivescovo Absalon e di un contadino (Af ágirnd
Absalons erkibiskups ok af einum bónda).
121
Gesta Danorum, Præfatio, I, 1. Questa informazione è confermata dall’ignoto
autore del Compendio dell’opera di Saxo (Saxonis Gesta Danorvm ab incerto avtore in
compendium redacta, p. 216), un riassunto integrato con la cosiddetta Cronaca dello
Jutland (Continuatio compendii Saxonis sive Chronica jutensis), e anche da Svend
Aggesen, il quale nel cap. 10 della sua Breve storia dei re della Danimarca si riferisce a
Saxo grammaticus definendolo “contubernalis meus” (letteralmente “mio camerata”,
“mio compagno”); pp. 124-125. La carriera di Absalon viene descritta da Sassone
grammatico nel XIV libro della sua opera.
122
Vd. p. 334-335 e pp. 391-392. Su Anders Sunesen si legga il breve saggio di V.
Ammudsen, “Anders Sunesen”, in KSam III (1905-1907), pp. 650-664.
123
Un tipico esempio della trasformazione della materia nordica da parte di Sasso-

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Cultura e società 323

sarà intesa come punto di riferimento fondamentale per il mondo


culturale danese,124 proporrà un’immagine delle antichità nordiche
già profondamente rivisitata. Parallelo al lavoro di Sassone è quel-
lo, meno notevole, di Svend Aggesen così come la redazione delle
prime cronache in latino.125 Questi lavori trovano un corrisponden-
te nella Saga degli Skjǫldungar, testo norreno (la cui versione più
antica dovrebbe risalire alla fine del XII o all’inizio del XIII seco-
lo) che illustra in forma leggendaria la storia danese a partire dal
mitico Skjǫldr (detto figlio di Odino e considerato il primo re
danese) fino a Gorm il Vecchio. Essa tuttavia ci è giunta solo in
forma frammentaria.126 La redazione di una storia danese in Islan-
da è giustificata dall’ambizione della illustre famiglia degli Odda-
verjar127 di far risalire la loro genealogia a questa nobile stirpe. Dei
re danesi da Araldo Dente azzurro, figlio di Gorm il Vecchio fino
a Canuto (Knud) Valdimarson (il cui regno va dal 1182 al 1202)
tratta la Saga dei discendenti di Canuto [il Grande] (Knýtlinga
saga).128 Se, come probabile, l’autore di questo testo è da identifi-
care nell’islandese Óláfr Þórðarson Poeta bianco (hvítaskáld),
nipote di Snorri (ca. 1210-1259), la motivazione del lavoro va
ricercata nel desiderio del re Valdemaro II di vedere redatta in
lingua nordica una storia della monarchia danese più recente.
Questo progetto avrebbe dunque preso forma durante un soggior-
ne grammatico si ha nel libro III (i-iv) della sua opera dove si tratta della vicenda
relativa all’uccisione di Baldr (Balderus), episodio che ci è noto dall’Edda di Snorri
Sturluson (Gylfaginning, cap. 49). In Snorri questo racconto presenta in sostanza i
segni distintivi del mito. Sassone grammatico, al contrario, che non vuole raccontare
miti ma riferire ogni fatto a personaggi della ‘storia’ danese, converte questi avveni-
menti in un dramma romanzato provocato da una competizione amorosa. A quanto
pare Snorri (si legga il “Prologo” della Heimskringla) si sforza di separare il mito
dalla storia, mentre Sassone trasforma il mito in storia.
124
Vd. pp. 578-579.
125
Cfr. sopra, p. 132.
126
Della versione norrena di questa saga ci restano brani sparsi, il più esteso porta
il titolo Frammento su alcuni antichi re dell’impero dei Danesi e degli Svedesi (Sǫgubrot
af nokkurum fornkonungum í Dana ok Svía veldi). Nel XVII secolo l’islandese Arngrímur
Jónsson l’Erudito (lærði, 1568-1648) ne redasse un sunto in lingua latina dal titolo
Frammenti di storia danese (Rerum danicarum fragmenta; vd. p. 595 con nota 306).
Tutti i testi riconducibili alla saga sono stati pubblicati nell’edizione qui indicata in EF.
127
Si trattava di uno dei clan familiari più influenti dell’Islanda meridionale, che
aveva la propria residenza a Oddi in Rangárvellir dove si trovavano una chiesa e una
scuola (presso la quale aveva studiato anche Snorri Sturluson); cfr. nota 13. A questa
famiglia apparteneva tra gli altri Sæmundr il Saggio (vd. pp. 283-284 con nota 3). È
possibile che la redazione di una Saga degli Skjǫldungar possa essere ricondotta all’ini-
ziativa di Páll Jónsson (morto nel 1211), vescovo di Skálholt, che era originario di Oddi.
128
Il titolo è per certi versi fuorviante in quanto la saga tratta anche di antenati di
Canuto il Grande.

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324 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

no di Óláfr Þórðarson in Danimarca (1240-1241) e avrebbe corri-


sposto al bisogno della Corona danese di disporre di un’opera che
la ponesse sul medesimo piano di quella norvegese, magnificamen-
te illustrata nella Heimskringla di Snorri Sturluson, testo al quale
l’autore della Saga dei discendenti di Canuto mostra palesemente di
ispirarsi.

Dalle Opere dei Danesi di Sassone:

“Infatti un tempo alcuni iniziati nell’arte magica, vale a dire Thor e


Odino e molti altri abili nel sorprendente artifizio dei sortilegi, ottenebrate
le menti dei semplici, presero ad arrogare a sé il rango di divinità. Certa-
mente diffusero lo speciale contagio del loro inganno in Norvegia, in Svezia
e in Danimarca, [che] indotte in errore dalle insidie di quella vana creduli-
tà, promossero la dedizione al culto loro dovuto. E in effetti il frutto del loro
intrigo crebbe a tal punto che [anche] gli altri venerarono in loro una certa
potenza divina e li considerarono dèi o sodali degli dèi; agli autori di una
stregoneria innalzarono voti solenni e a una illusione sacrilega riconobbero
il rispetto dovuto a ciò che è sacro.
Dal che deriva, che la regolare successione dei giorni presso di noi viene
indicata con i nomi di quelli, mentre è noto che gli antenati dei Latini per
le stesse parole adattarono di volta in volta o la denominazione [tratta] dai
loro dèi o dal numero dei sette pianeti. Che dunque questi che venivano
venerati dai nostri non siano quelli che gli antichi fra i Romani chiamavano
Giove e Mercurio, o ai quali la Grecia e il Lazio tributavano l’assoluta
venerazione della superstizione, risulta con certezza dalla medesima deno-
minazione dei giorni [della settimana]. Infatti i giorni che da noi sono
detti di Thor o di Odino, presso di loro sono chiamati giorno di Giove o di
Mercurio. Di conseguenza se accettiamo che Thor [sia] Giove e Odino
Mercurio, in conformità con la definizione dell’interpretazione sopracitata,
dobbiamo convincerci che Giove sia figlio di Mercurio, a fronte dell’affer-
mazione dei nostri secondo i quali Thor è stato generato da Odino [come]
si sostiene nella credenza popolare. Ma dal momento che i Latini con una
opinione di tenore contrario sostengono che Mercurio è figlio di Giove,
risulta che, mantenendo la loro affermazione, comprendiamo [che] Thor [è]
diverso da Giove e anche Odino da Mercurio.”129

Le origini d’una storiografia nazionale svedese sono più recenti.


Da una parte ciò va ricondotto al fatto che la definitiva accettazio-
129
Gesta Danorum, VI, v, 3-4 (DLO nr. 81).

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Cultura e società 325

ne del cristianesimo e il consolidamento della Chiesa erano avve-


nuti qui più tardi rispetto agli altri Paesi nordici, dall’altra a una
situazione che di fatto (come si vedrà nel capitolo successivo)
vedeva la Svezia (almeno fino all’epoca dei folkungar) ancora in
difficoltà nello stabilire un potere centrale effettivo. Una prima
‘storia’ svedese ci viene dunque piuttosto da fonti straniere, in
particolare dalla prima parte della Heimskringla di Snorri Sturluson,
la Saga degli Ynglingar: un testo che – come si è detto – prende
ispirazione dai versi della Enumerazione degli Ynglingar dello scal-
do norvegese Þjóðólfr di Hvinir e riferisce le vicende, in buona
parte leggendarie, degli appartenenti alla più antica dinastia di re
svedesi, discendenti dall’antenato divino Yngvi-Freyr, succeduto
al padre Njǫrðr (a sua volta succeduto a Odino) nel governo della
Svezia (un ‘Regno’ in realtà limitato alla sola regione dell’Uppland).130
In Islanda, come noto, non c’erano sovrani. Qui dunque la sto-
riografia doveva percorrere altre strade. A cominciare dalle saghe
degli Islandesi, di cui (compreso il limitato valore storico) si è
detto. Esaurito quel filone non si sarebbe tuttavia esaurita la ten-
denza a registrare gli avvenimenti e le gesta dei personaggi di
rilievo capaci di influenzare i destini della nazione, sicché il lungo
e deleterio periodo delle guerre intestine che avrebbe portato alla
perdita dell’indipendenza nazionale – l’epoca, cosiddetta, “degli
Sturlungar” (Sturlungaǫld, 1180-1264) – sarebbe stato puntualmen-
te descritto in quell’insieme di racconti che va, appunto, sotto la
comune denominazione di Saga degli Sturlungar.131 Ma se nel Paese
mancava un’autorità statale effettiva (ché l’assemblea nazionale di
Þingvellir fungeva piuttosto da luogo di confronto, non avendo tra
l’altro alcun potere esecutivo), ben presente era al contrario l’au-
torità religiosa. Ciò fece sì che gli Islandesi vedessero in diversi
rappresentanti della Chiesa importanti figure di riferimento, alle
quali dunque furono dedicate biografie: lavori che accanto all’in-
tento propagandistico possono vantare un indubbio valore docu-
mentario. Questi testi vanno sotto la denominazione di “saghe dei
vescovi” (biskupa sǫgur) e si riferiscono, tra l’altro, ai protagonisti
della cristianizzazione dell’isola, così come a illustri religiosi,

130
Cfr. Historia Norwegie, pp. 74-79. In un saggio ho cercato di mostrare come sia
possibile ricondurre le vicende di questi sovrani (dei quali in sostanza vengono riferi-
te soprattutto le circostanze relative alla morte) a schemi rituali risalenti a un’antica
tradizione (vd. Chiesa Isnardi G., “Il re sacrificato. Morte rituale del sovrano nell’an-
tica società nordica”, in I gesti del sacro. Rito e rituali [= I quaderni di Avallon, XXXI,
1993], pp. 101-122).
131
Vd. pp. 383-384.

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326 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

fra gli altri i vescovi Jón Ǫgmundarson e Þorlákr Þórhallsson,


primi santi islandesi.132 Un genere che per molti versi si lega (come
del resto la storiografia relativa ai grandi sovrani cristiani) a scritti
di carattere agiografico (tanto originali quanto tradotti) che vanno
sotto la denominazione di “saghe dei santi” (heilagra manna sǫgur),133
redatti fin dal tardo XI secolo (i manoscritti più antichi risalgono
al tardo XII). Il che, per così dire, chiude il cerchio, riconducendo
gran parte dell’attività letteraria agli interessi della Chiesa.134

132
Cfr. pp. 269-270.
133
Questa denominazione risale all’edizione ottocentesca del filologo norvegese
Carl Rikard Unger (1817-1897): Heilagra manna sǫgur. Fortællinger og Legender om
hellige Mænd og Kvinder. Efter gamle Haandskrifter udgivne af C.R. Unger, I-II,
Christiania 1877.
134
In base alla definizione di Unger sono esclusi da questo gruppo altri scritti
dedicati agli apostoli (postola sǫgur), a diversi personaggi biblici e alla Madonna (in
particolare, la Saga di Maria, Maríu saga).

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Capitolo 6

Le nazioni scandinave tra l’XI e il XIV secolo

Un lungo percorso aveva portato nei Paesi nordici all’afferma-


zione di due poteri principali e centralizzatori: Stato e Chiesa. In
tempi molto lontani la terra era appartenuta alla comunità: su di
essa vegliavano gli antenati e la vita era consacrata a potenze divi-
ne che regolavano il ciclo dell’esistenza. Gradatamente all’interno
dei gruppi tribali si era imposto il dominio di famiglie eminenti e
la conclusione di alleanze con altri gruppi aveva dato origine a
federazioni. Struttura tribale e potentati locali erano stati per
secoli alla base dell’organizzazione sociale e politica. Ma, a partire
dall’età del ferro romana, gli accresciuti contatti con altri mondi,
‘esplosi’ nel periodo vichingo, avevano radicalmente modificato
antichissimi equilibri. E una nuova religione aveva fornito un
formidabile supporto per l’affermazione di nuovi prìncipi e di
nuovi princìpi. E tuttavia: la tradizione tribale che per millenni
aveva permeato quel mondo continuò sotto molti aspetti a influen-
zarlo. Innanzi tutto occorre osservare che – a parte il caso del
tutto singolare dell’Islanda, territorio di recente colonizzazione i
cui abitanti (per le ragioni precedentemente esposte) avevano
sviluppato fin dai primi decenni la chiara consapevolezza di appar-
tenere a una nazione ben precisa – i Danesi, gli Svedesi e i Norve-
gesi si erano al contrario sempre considerati semplicemente ‘nor-
dici’ e il processo di creazione degli stati nazionali nel senso in cui
li intendiamo attualmente non aveva certamente posto del tutto
fine a questo loro modo di pensare. Ciò si riflette in maniera assai
evidente nelle lunghe e sanguinose lotte di potere dei molti sovra-
ni, finalizzate a imporre il proprio dominio sulle diverse aree
scandinave e a estenderlo su nuovi territori senza riconoscere, se
non per motivi di inferiorità politica e militare, la supremazia di
altri. In effetti, quando con ottica moderna si osserva che Canuto

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il Grande era un re inglese prima che danese, si esprime un giudi-


zio basato su categorie politico-istituzionali che Canuto medesimo
non avrebbe del tutto condiviso e compreso. Per i signori nordici
infatti (e per i loro seguaci) valeva piuttosto il principio di consi-
derare come proprio territorio e propria patria la zona di origine,
la cui potenza e ricchezza le terre conquistate andavano semplice-
mente ad accrescere. Se poi si tiene conto dei complicati rapporti
di parentela che legavano fra loro le famiglie più potenti, dei figli
legittimi e illegittimi, degli interessi economici e delle alleanze,
risulta chiaro che l’impulso al predominio nel Nord (e nelle colo-
nie) restava per molti aspetti ancora legato a una concezione di
vita tribale, sulla quale un potere centralizzato fu in grado
di imporsi solo grazie a personalità molto forti e determinate e
all’indispensabile sostegno del potere ecclesiastico.1 Il che spiega
la costante ingerenza degli uomini di Chiesa negli affari politici:
essi in realtà si consideravano a tutti gli effetti nel pieno diritto di
affiancare la carica religiosa a funzioni civili, e del resto i vescovi
e gli abati dei grandi monasteri entrarono a far parte, insieme ai
nobili di più alto grado, del Consiglio del Regno, organismo che
si costituì (verso l’inizio del XIII secolo) come centro di notevole
potere. Simbolicamente (e pubblicamente) la solidarietà tra Stato
e Chiesa si esibiva nelle solenni cerimonie d’incoronazione del re
per mano dei vescovi2 o nella partecipazione di sovrani a impor-
tanti occasioni religiose (come a esempio la consacrazione della
cattedrale di Lund nel 1145 da parte dell’arcivescovo Eskil alla
presenza di prìncipi danesi e svedesi): splendori che comunque
celavano irrisolte lotte per la supremazia, seppure per portare a
compimento quel cambiamento radicale che avrebbe adeguato i
regni nordici ai modelli statali dell’Europa continentale (inciden-
do in profondità anche nella struttura sociale e alterandone gli
1
In questa sede non sarà evidentemente possibile dar conto delle tante e compli-
cate lotte di potere che ebbero luogo nei Paesi nordici (per le quali si rimanda alla
letteratura storica presente in bibliografia). Ci si limiterà dunque a riferire delle vicen-
de più importanti, la cui conoscenza risulta indispensabile nell’ottica di questo lavoro.
2
La prima incoronazione ufficiale nel Nord fu, nel 1163 (o 1164), quella del re
norvegese Magnus Erligsson (vd. pp. 363-364). Nel 1170 a Ringsted, in occasione
della proclamazione della santità di Canuto Lord (vd. p. 274), l’arcivescovo Eskil
incoronava solennemente futuro re il figlio di Valdemaro I, Canuto (di soli sette anni),
seppure il padre fosse ancora in vita. Questo atto (il primo del genere in Danimarca) se
da una parte sottolineava la necessità di una ‘consacrazione’ del sovrano, dall’altro san-
civa di fatto l’accettazione del principio dinastico da parte della Chiesa danese. A quan-
to risulta la prima solenne incoronazione di un re svedese è quella di Erik Knutsson
avvenuta a Gamla Uppsala nel 1211. Vd. Beskow P., “Kröning”, in KHLNM IX (1964),
coll. 497-502.

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Le nazioni scandinave tra l’XI e il XIV secolo 329

equilibri) una collaborazione fosse inevitabile. Ma, in realtà, lo


Stato e la Chiesa avrebbero a lungo costituito due poteri paralleli:
una dicotomia che si sarebbe risolta solo con la riforma protestante.
Che il senso dell’identità nazionale dovesse essere indicato dall’al-
to e avesse bisogno di consolidarsi attorno a figure illustri e simbo-
liche appare evidente. Un ottimo esempio di questo si può trarre
da un episodio della vita del celebre re norvegese Olav Tryggvason.
Come sopra è stato ricordato, egli periva nell’anno 1000 nella bat-
taglia di Svolder nella quale a bordo della sua magnifica nave
Lungoserpente aveva affrontato Danesi e Svedesi alleati del ribelle
Eirik Håkonsson jarl di Lade.3 Nella saga a lui dedicata Snorri
Sturluson descrive il sovrano, in tutta la sua imponenza, con scudo
ed elmo dorati, “ben distinguibile dagli altri uomini” (“auðkenndr
frá ǫðrum mǫnnum”) e gli mette in bocca le seguenti parole: “Noi
non abbiamo paura di quei codardi. I Danesi non hanno coraggio
[…] Per gli Svedesi sarebbe meglio restare a casa a leccarsi le loro
coppe sacrificali […] da quella parte dobbiamo [invece] aspettar-
ci dura battaglia. Quelli sono Norvegesi come noi.”4 Messaggio
eloquente alla nazione. Circa cinquanta anni dopo (1050-1056
circa) saranno stabilite demarcazioni territoriali tra Danimarca e
Svezia,5 cento anni più tardi, nel 1101 in un incontro tenuto nei
pressi dell’attuale Kungälv (località detta allora Konungahella) tra
il sovrano danese Erik il Buono, lo svedese Inge il Vecchio e il
norvegese Magnus Piedi nudi verranno per la prima volta definiti
i confini fra i tre regni (destinati, per altro, a subire cambiamenti):
punti fermi, almeno simbolicamente.6
L’organizzazione degli stati nordici secondo le nuove strutture
comportò profondi cambiamenti all’interno della società, il che in
primo luogo coinvolse i contadini. Come sopra è stato detto,7 i
liberi contadini detenevano fino all’epoca vichinga un notevole
potere economico e politico. Il possesso e lo sfruttamento delle
terre garantivano ai più eminenti fra loro solida ricchezza e conse-

3
Vd. sopra, p. 254.
4
Óláfs saga Tryggvasonar, cap. 104 (DLO nr. 82).
5
STFM I, nr. 23, ca.1050-1056, pp. 45-56. Una definizione di confini precedente
(riferita all’anno 954) è verosimilmente da attribuire a un’epoca successiva (ibidem,
pp. 54-56).
6
In seguito a questo accordo la figlia di Inge il Vecchio, Margherita (Margareta)
andrà in sposa a Magnus Piedi nudi e avrà di conseguenza il soprannome di Fanciulla
della pace (fredkulla). La morte di Margherita, collocata nel 1117, è molto verosimil-
mente posteriore (1130). A Kungälv una statua dello scultore svedese Arvid Källström
(vd. p. 1182 con nota 253) ricorda questo storico evento.
7
Vd. p. 212.

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330 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

guente prestigio sociale. I contadini partecipavano all’assemblea


(antico organismo politico di eredità tribale) dove potevano far
sentire la propria voce e aver parte attiva nell’assunzione di deci-
sioni importanti; inoltre in caso di necessità andavano a costituire
una forza militare all’interno del territorio.8 Un’usanza, quest’ulti-
ma, che in epoca vichinga (probabilmente dal X secolo) si era
sviluppata nell’istituto del cosiddetto leiðangr, termine traducibile
con ‘leva’, ma che indica, in senso più ampio, il contributo di
uomini e mezzi che doveva venire dai liberi contadini in circostan-
ze di guerra.9 Del che i sovrani che si andavano imponendo avreb-
bero fatto un uso cospicuo. La regolamentazione di questa ‘leva’
– cioè, in sostanza, la definizione su base locale dei contributi
dovuti – avrebbe in seguito fornito l’ossatura del sistema fiscale
centralizzato: infatti tra la seconda metà del XII e il XIII secolo il
concorso di uomini e la fornitura di mezzi vennero gradatamente
sostituiti dal versamento di somme in denaro.10 La trasformazione
di questo tipo di apporto da consuetudine attiva in obbligo passivo
è, in un certo senso, simbolica della perdita di peso della classe
contadina che vede gradatamente diminuire le proprie possibilità
di intervento nella gestione del potere. Sono ora infatti piuttosto
gli ‘uomini del re’ (la nascente nobiltà) a ricevere dal sovrano pos-
sedimenti (spesso conquistati con la forza) e posizioni di prestigio;
quando fra di loro vi siano rappresentanti delle più eminenti fami-
glie di liberi contadini agli altri viene a mancare un indispensabile
e autorevole sostegno. È questo un passaggio fondamentale: a una
‘nobiltà’ sorta dal basso e che esprime istanze sociali se ne sostitui­
sce un’altra, imposta dall’alto. E tenuto conto di altri fattori legati
al potere ecclesiastico quali l’introduzione delle decime e l’aboli-
zione della schiavitù (un fatto che creò un cospicuo numero di
nuovi agricoltori che lavoravano, assai spesso al servizio dei nuovi
possidenti, in qualità di fittavoli o braccianti, talora su terreni sot-

8
L’usanza della ‘chiamata a raccolta’ (per ragioni militari ma anche talora per riu-
nioni assembleari) è tra l’altro testimoniata nel termine nordico herǫr, “freccia di
guerra”, a indicare l’uso di scagliare una freccia da un luogo a un altro per avvertire
con sollecitudine della necessità di far ricorso alle armi o di riunirsi.
9
Per la verità il termine si lega soprattutto alla mobilitazione per operazioni mili-
tari sul mare, in quanto esso può essere inteso anche come “forze navali”, in opposi-
zione a landherr “forze di terra”. Su questo punto si veda comunque l’opinione di P.
Nyström (“Herraväldet”, in Ambjörnsson R. – Gaunt D. [red.], Den dolda historien.
27 uppsatser om vårt okända förflutna, Stockholm 1984, pp. 326-329) che esprime
forti riserve sulla effettiva consistenza storica di questa consuetudine.
10
Vd. Bjørkvik – Lárusson et al. 1965 (dove si considera nel dettaglio anche la
situazione dei diversi Paesi) e Arup 1914.

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Le nazioni scandinave tra l’XI e il XIV secolo 331

tratti alle foreste), i proprietari terrieri meno facoltosi videro dimi-


nuire il loro prestigio, retrocedendo di fatto in una posizione socia-
le di minor rilievo.
Un altro cambiamento significativo che nei secoli XII-XIV con-
tribuì in misura consistente alle trasformazioni sociali fu l’aumento
del numero dei centri abitati di una certa consistenza. Le prime
‘città’ erano sorte già da molto tempo e quasi certamente su model-
lo straniero: tradizionalmente legate all’attività commerciale (basti
ricordare i nomi di Hedeby e Birka) erano collocate non lontano
dal mare in posizione favorevole al traffico navale. Ma con l’affer-
mazione del potere reale centralizzato, così come con l’organizza-
zione di quello ecclesiastico, si svilupparono nuclei urbani che
divennero sedi della Corona o punti di riferimento religioso (non
di rado, naturalmente, le due funzioni andavano a coincidere): così
Roskilde, Sigtuna, Nidaros, l’attuale Trondheim. Anche il grande
sviluppo della Ansa tedesca e l’importante ruolo che essa svolse nel
Nord fu da questo punto di vista decisivo. Re, nobiltà, clero, con-
tadini e cittadini saranno dunque negli ultimi secoli del medioevo
le componenti costitutive d’una società scandinava in forte trasfor-
mazione. Diversa sarà tuttavia la situazione islandese, dove la
mancanza di centri cittadini e, parallelamente, il forte radicamento
della cultura contadina presentano un quadro per molti aspetti
discordante.
La nuova configurazione sociale che andava assumendo forma
trovò, naturalmente, il proprio riflesso in importanti cambiamenti
dell’ordinamento legislativo e giudiziario. Nel passato la sede in
cui si discutevano le cause legali era stata per secoli l’assemblea cui
potevano partecipare solo gli uomini liberi che le presentavano e
dibattevano, in taluni casi (come risulta chiaro soprattutto nella
tradizione islandese) con l’appoggio di un goði, vero rappresentan-
te giuridico di una comunità.11 Nell’assemblea un ruolo di primo
piano era svolto da colui che “recitava la legge” (lǫgsǫgumaðr12 o
lagman13 che fosse): il suo ufficio era di primaria importanza, tenu-
to conto che a lui era affidata la trasmissione orale delle norme. Ma
una volta sciolta l’assemblea era piuttosto incarico di chi aveva
intentato la causa fare sì che la sentenza (ove gli fosse stata favore-
vole) avesse effetto: ciò è in buona parte da collegare con il fatto
che all’interno di comunità che restavano comunque numericamen-
te limitate un ‘controllo collettivo’ era ben possibile e che da esso
11
Vd. p. 197 e p. 209.
12
Vd. p. 151.
13
Vd. oltre, p. 358.

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332 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

dipendeva la rispettabilità del singolo in ambito sociale, elemento


assai importante il cui peso si faceva sentire anche nel corso dei
processi, soprattutto per il valore da attribuire alle testimonianze.
La qual cosa, tra l’altro, indica chiaramente una giustizia che adegua
i propri procedimenti alla posizione della persona (e alla famiglia
cui essa appartiene), con conseguente disparità di trattamento. Il
cambiamento di questo tipo di ordinamento giudiziario indotto
dall’affermazione delle monarchie centralizzate (un processo lungo,
complesso e difficile da seguire nei dettagli) prese il via con la
nomina di funzionari del Regno cui furono affidati diversi uffici
nell’amministrazione della giustizia.14 Inoltre occorre considerare
che, in molti casi, la popolazione rurale divenne col tempo dipen-
dente dai grandi proprietari terrieri anche dal punto di vista legale
e mentre la Chiesa propugnava il principio della responsabilità
individuale, il sistema giudiziario venne adattandosi ai cambiamen-
ti sociali, il che alla fine fece sì che l’antica struttura sopravvissuta
fino all’epoca vichinga venisse definitivamente dissolta.

6.1. Danimarca

6.1.1. Stato, Chiesa e poteri locali

Niels Svendsen, salito al trono nel 1104, è – per certi versi sim-
bolicamente – il primo sovrano danese con un nome tratto dalla
tradizione cristiana.15 Il suo regno, caratterizzato dal desiderio di
pacificazione e dalla collaborazione con il potere ecclesiastico,
terminerà tuttavia in seguito a una guerra civile, un conflitto sca-
tenato nel 1131 dall’assassinio del nipote del re, Canuto Lord, da
parte del figlio di Niels, Magnus.16 Naturalmente qui non è tanto
necessario seguire in dettaglio le singole ragioni e l’andamento del
conflitto, quanto piuttosto constatare come in esso si evidenzi uno
stretto legame fra potere politico e potere religioso, dimostrato non
soltanto dal diretto intervento nelle questioni dello Stato da parte di
uomini di Chiesa, ma anche dalla capacità di trasformare vittime
di eventi politici in martiri della fede, in questa circostanza, appun-
to, Canuto. La conclusione della guerra civile vide prevalere Val-
14
Parallelamente il potere legislativo venne trasferito nelle mani del re.
15
Niels è infatti contrazione di Nicolaus (ant. nordico Nikulás).
16
Vd. p. 274.

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Le nazioni scandinave tra l’XI e il XIV secolo 333

demaro I detto poi il Grande (den store), figlio dell’ucciso. La


prestigiosa figura di questo sovrano si trovò inizialmente in contra-
sto con il potere ecclesiastico, nella persona dell’arcivescovo Eskil
(ca.1100-1181/1182, in carica dal 1137 al 1177). Questo conflitto,
determinato tra l’altro dalla posizione del re favorevole a Federico
Barbarossa17 (mentre Eskil parteggiava, evidentemente, per il Papa
Alessandro III),18 conobbe momenti di forte tensione, culminati
nella scomunica del re e nell’esilio dell’arcivescovo. Nonostante
successivi tentativi di riconciliazione, la situazione si sarebbe risol-
ta solo con le dimissioni di Eskil e la nomina dell’abile pastore di
Roskilde, Absalon Hvide (1177). Con lui Valdemaro aveva da
tempo impostato una politica di collaborazione, capace di mante-
nere un giusto equilibrio tra Corona e Chiesa, anche allo scopo di
contrastare la nobiltà e prevenirne le pretese dinastiche. Si pensi
alla crociata contro i Vendi19 che, grazie al pretesto religioso, con-
sentì un’espansione territoriale. Alla morte di Valdemaro (1182) gli
succedeva il figlio, il giovane e non particolarmente capace Canuto
IV (1182-1202) che si trovò a dipendere dall’abilità politica di
Absalon grazie alla cui intraprendenza la Danimarca (mentre pote-
va tener testa alle pretese di Federico Barbarossa) estese il proprio
dominio sul Baltico, alla Pomerania e al Mecklemburgo. Natural-
mente dall’opera di Absalon la Chiesa traeva ingenti benefici eco-
nomici. Durante il regno del fratello di Canuto, Valdemaro II
(1202-1241) che sarà in seguito soprannominato Vittorioso (sejr),
l’interesse del sovrano si concentrò sulle regioni baltiche e culminò
nella conquista dell’Estonia (1219). L’arcivescovo Andrea Sunesen
(ca.1160/1170-1228), succeduto ad Absalon nella carica e nell’at-
tività politica, ne fu governatore per un paio di anni. I confini del
grande Regno danese si estendevano ora dalla riva settentrionale
dell’Elba (comprendendo Amburgo e Lubecca)20 ai territori del
Mar Baltico. Ma le fortune di Valdemaro declinarono ed egli, fatto
prigioniero da un suo vassallo, dovette cedere diversi territori.21 Il

17
Nel 1162 Valdemaro aveva dovuto fare giuramento di vassallaggio all’imperatore.
18
Tra di loro esisteva tra l’altro un lungo rapporto di conoscenza, fin da quando Eskil
aveva incontrato a Bologna l’allora docente di diritto Rolando Bandinelli (ca.1100-1181)
che sarebbe poi stato eletto al soglio pontificio (1159). Su Eskil cfr. p. 328 con nota 2.
19
Vd. p. 274. Sulla figura di Absalon vd. Olrik H., Absalon, I-II, København 1908-
1909.
20
Questo confine veniva riconosciuto dall’imperatore Federico II nel 1214 (DD I:
5, nr. 48, pp. 75-79, 1214 [Nytår]).
21
Il testo poetico noto come Pianto per la prigionia dei re dei Danesi (Planctus de
captivitate regum Danorum), composto da un anonimo, ricorda la cattura e l’imprigio-
namento del re Valdemaro II e di suo figlio nel 1223.

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334 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

suo tentativo di rifarsi sarebbe naufragato nell’esito sfavorevole


della grande battaglia di Bornhöved (1227) nella quale i prìncipi
tedeschi riuscirono a sconfiggerlo definitivamente. Questo succes-
so aprì loro le porte del Baltico ed ebbe come conseguenza un
influsso del mondo tedesco sul Nord.
L’anno 1227 segna dunque per i Danesi l’inizio di un lungo
declino che, dopo la morte di Valdemaro II (1241), sarà caratteriz-
zato da lotte interne che di fatto porteranno a una disgregazione
del Paese. Questa disgregazione va ricondotta a diverse ragioni: da
una parte assistiamo ad accanite lotte dinastiche alle quali si trova-
no a far fronte sovrani privi di forte personalità politica, incapaci
di scelte opportune ed eccessivamente (e imprudentemente!) ambi-
ziosi; dall’altra constatiamo il grande potere di una Chiesa sempre
più ricca e desiderosa di svincolarsi da qualsiasi interferenza stata-
le; infine troviamo una nobiltà che richiede di continuo maggiori
privilegi e ascolto e distribuisce il proprio consenso in ragione di
diversi interessi.

La bandiera danese, il cosiddetto Dannebrog (verosimilmente “drappo


rosso”)22 presenta una croce bianca in campo rosso ed è tradizionalmente
considerata la più antica del mondo.23 Probabilmente donata dal Papa, fu
ispirata alle bandiere dei crociati o forse all’abito dei giovanniti. Ma è anche
possibile che essa fosse lo stendardo dell’arcivescovo Andrea Sunesen.
Tuttavia la leggenda vuole che essa sia caduta dal cielo quando i Danesi
invocarono l’aiuto di Dio durante la battaglia di Lyndanisse (l’attuale
Tallinn), nel corso della crociata condotta in Estonia dal re Valdemaro II
e dall’arcivescovo Andrea Sunesen (15 giugno 1219). Una leggenda che
tuttavia non ha una versione univoca.24 La scena è raffigurata in un celebre
quadro del 1809 dipinto dal pittore danese Christian August Lorentzen25
e conservato nel Museo statale dell’arte (Statens museum for kunst) di
Copenaghen. Naturalmente questa tradizione è fortemente influenzata da
racconti come quello relativo alla vittoria di Costantino nella battaglia di

22
Vd. Dahlerup 1993-1997 (B.5), III, coll. 488-489.
23
In epoca vichinga è noto un vessillo rosso con sopra un corvo, animale sacro al
dio Odino (vd. Chiesa Isnardi 20084 [B.7.1], p. 553), un simbolo pagano che, eviden-
temente, fu eliminato con l’affermarsi del cristianesimo.
24
Vd. Fabricius L.P., “Sagnet om Danebroge og de ældste Forbindelser med Est-
land”, in KSam I (1933-1935), pp. 485-533; Flor K., Om Dannebrog jeg ved… Danne-
brogshistorie, vignetter og tegninger af P. Høyrup, København 1945, pp. 12-18 e
Zeruneith K., “Det himmelfaldne flag. Om Dannebrog som nationalt symbol”, in
TFFL, pp. 209-222. Cfr. p. 276 con nota 186.
25
Vd. p. 849.

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Le nazioni scandinave tra l’XI e il XIV secolo 335

Ponte Milvio del 28 ottobre 312, dove il confronto fra gli eserciti rivali
diviene simbolo di quello tra paganesimo e cristianesimo; così anche da
quello dello scontro tra Mosè e Aronne da una parte e Amalec dall’altra,26
in quanto è riferito che l’arcivescovo pregava con le braccia tese al cielo:
quando alzava le mani i Danesi avevano la meglio, quando le lasciava
cadere prevalevano i pagani, sicché i vescovi e i chierici andarono a soste-
nergli le braccia, in modo che potesse tenere sempre le mani alzate. Fin
dalla seconda metà del XIV secolo questa bandiera appare come emblema
danese nel libro di araldica cosiddetto ‘di Gelre’ (Wapenboek Gelre).27

Nella seconda metà del XIII secolo i contrasti tra il potere reale
e quello ecclesiastico furono molto aspri. In particolare la Corona
venne a trovarsi in conflitto con il vescovo di Roskilde Jacob Erland­
sen (data di nascita ignota), divenuto nel 1254 arcivescovo di Lund,
un uomo desideroso di affermare la piena autonomia dell’istituzio-
ne religiosa rispetto a una monarchia che – avendo concesso molti
benefici – si arrogava molti diritti.28 Al culmine della contesa l’ar-
civescovo venne addirittura imprigionato con gravi ripercussioni e
successivo ricorso all’autorità del Papa. Una lunga disputa, pro-
trattasi oltre la morte del re Cristoforo I (1259), dalla quale il
prelato sarebbe uscito sconfitto: egli del resto moriva nel 1274, un
paio di anni dopo aver concordato con il successore Erik Klipping29
26
Esodo, XVII, 8-12. Come noto Amalec, nipote di Esaù, era considerato il proge-
nitore della tribù degli Amaleciti, ostile a Israele e da esso sconfitta. Il paragone è
rafforzato dall’annotazione biblica secondo la quale, dopo la vittoria su Amalec e i
suoi, Mosè innalzò un altare che chiamò Jahve-Nissi, vale a dire “Jahve è la mia ban-
diera” (La sacra Bibbia, Antico Testamento, p. 112 con nota 15).
27
Il libro di araldica di Claes Heinenzoon, detto ‘Gelre’, venne realizzato tra il 1370
e il 1395. Esso è conservato nella Biblioteca reale (Bibliotheque royale) di Bruxelles
(ms. 15652-56). È composto di 121 fogli. La bandiera danese è riprodotta sul retro del
foglio 55. Vd. Achen S.T., “Gelre våbenbogen og dens danske våbener”, in Heraldisk
Tidsskrift, III (1970-1974), pp. 105-116. Sulla bandiera danese vd. anche Engblom
Chr. – Engblom L-Å., “Dannebrogen – korsflaggornas urtyp”, in FFF, pp. 76-77.
28
Il conflitto ebbe inizio dopo un sinodo riunito nella località di Vejle (Jutland
sud-orientale) dal quale era venuta una forte rivendicazione dei diritti della Chiesa
(DD II: 1, nr. 176, 6 marzo 1256, pp. 142-144).
29
Questo soprannome può essere inteso come “Testa rasata” (con riferimento a
klipning “tosatura”). Un’altra interpretazione lo riconnette al termine klipping nel suo
significato di “moneta quadrata, ottenuta tramite il taglio di un lungo pezzo di metal-
lo coniato e di valore inferiore a quello nominale”: essa sarebbe stata emessa da questo
re, tuttavia questo tipo di monete pare essere circolato in Danimarca solo a partire dal
1518 (vd. Dahlerup 1993-1997 [B.5], X, coll. 611-612). Da rigettare l’interpretazione
popolare che riferiva il soprannome klipping/glipping al verbo glippe (arcaico) “sbat-
tere le palpebre”, il che avrebbe alluso a questa abitudine del sovrano.

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336 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

una forma di riconciliazione. Un secondo prìncipe della Chiesa


protagonista di un duro scontro con la Corona (in questo caso con
il re Erik Menved)30 fu Jens Grand (ca.1260-1327), anch’egli impri-
gionato, fuggito e rivoltosi a Roma: la conclusione di questa contro-
versia fu, anche in questo caso, ben poco favorevole al prelato che
alla fine fu reintegrato ma destinato alla sede di Riga, da lui rifiuta-
ta per approdare in seguito a quella di Brema.31 La partigianeria
politica degli uomini di Chiesa in questi frangenti si constata tra
l’altro nell’appoggio dato al re da parte dei vescovi dello Jutland.
Naturalmente nel pieno delle dispute dinastiche, così come nei
contrasti con i prìncipi della Chiesa, i sovrani avevano cercato
sostegno nella nobiltà, il che determinò un rafforzamento della sua
posizione, parallelo a un maggiore coinvolgimento nelle vicende
politiche. Nel 1282 il re Erik Klipping dovette emanare un decreto
(il cosiddetto capitolare di Erik) che in gran parte rispondeva
all’esigenza di limitare il potere centrale della monarchia, preve-
dendo tra l’altro l’obbligo di riunire ogni anno una dieta delle cui
deliberazioni il sovrano avrebbe dovuto tenere conto.32 Da questo
momento il cosiddetto Danehof (letteralmente “corte dei Danesi”,
ma reso in latino con parlamentum o consilium) avrebbe costituito
per centotrent’anni un importante punto di riferimento.33 Questa
‘costituzione’ pose limiti allo strapotere reale, permise riforme in
ambito giudiziario e di fatto istituì una sorta di parlamento che il
30
Il soprannome si fa risalire a un più antico men-vætte, cfr. ant. nord. mein(s)-
vættr “essere nocivo”, “spirito malvagio”; vd. Dahlerup 1993-1997 (B.5), XIII, col.
1359.
31
Le dure condizioni patite dall’arcivescovo nella prigione di Søborg (in Selandia)
ispirarono a un anonimo autore lo scritto che porta il titolo Una descrizione storica, su
un arcivescovo di Lund, che si chiamava Ser Jens Grand, che fu imprigionato dal re Erik
Menved e poi liberato dalla sua stessa prigionia (En historiske Beskriffuelse, Om en
Erchebiscop wdi Lund, som hede Herr Jens Grand, som bleff fangen aff Konning Erich
Menduedt Oc siden erlediget aff samme sit Fengsel), un testo che ci è pervenuto solo
nella traduzione dello storico danese Arild Huitfeldt (vd. p. 539) pubblicata nel 1599.
Esso fu poi ristampato nel 1635, nel 1650 e nel 1653. Vd. Mackeprang M., “Krøniken
om Jens Grands fangenskab. Dens affattelsestid og værd som historisk kilde”, in
DHT III (1891-1892), pp. 643-665.
32
Il ‘capitolare’ (håndfæstning, termine che allude all’originaria conferma del suo
contenuto con una stretta di mano) era in sostanza il ‘programma politico’ che il re
danese si impegnava a realizzare al momento della sua elezione. Il capitolare di Erik è
il primo che ci sia pervenuto in forma scritta. Questa consuetudine, fondamentale
nell’ambito di una monarchia elettiva, fu mantenuta fino al 1660, quando fu introdot-
to il principio dell’ereditarietà della Corona e l’assolutismo regio (vd. pp. 544-545). Il
capitolare di Erik Klipping è riportato in AaKG II (1856-1860), alle pp. 5-9 (nr. 3:
Costitutio Erici Glipping, Nyburgis anno 1282 die 29 mensis Julii data).
33
Il Danehof decadde durante il regno di Erik di Pomerania (vd. pp. 438-439) e fu
convocato per l’ultima volta nel 1413; vd. Kroman 1957.

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Le nazioni scandinave tra l’XI e il XIV secolo 337

sovrano aveva il dovere di consultare. Ma l’assassinio di Erik nel


1286 e i cambiamenti politici che ne derivarono comportarono la
decadenza di questo decreto e le vicissitudini cui il Paese dovette
andare incontro – anche per gli attacchi portati dai nobili accusa-
ti del regicidio rifugiatisi in Norvegia – confermano la sostanziale
debolezza della Corona in uno scenario caratterizzato da forze
contrastanti, conflitti continui e irrisolti con i potentati dei Paesi
vicini, interessi particolari e assenza di figure reali di sicuro pre-
stigio.

Il brutale assassinio del re Erik Klipping avvenuto il 22 novembre 1286


a Finderup (Jutland), a quanto pare in un fienile, trova eco in diverse
fonti danesi. Esso è, in primo luogo, ricordato negli annali, fra i quali gli
Annali di Ryd (Annales ryenses) precisano in particolare che al sovrano
furono inferte cinquantasei pugnalate.34 Del delitto furono incolpati
alcuni suoi uomini tra cui Stig Andersen, una tra le figure più influenti
del Regno. Quanto l’accusa fosse fondata non è dato sapere, tenuto con-
to della scarsità e della tendenziosità delle fonti al riguardo. Si deve tut-
tavia rilevare che un’altra parte politica (gli uomini che erano stati al
potere prima dell’emanazione del capitolare di Erik) potesse avere inte-
ressi in merito. Ma che il processo contro i presunti colpevoli, tenuto nel
castello di Nyborg (Fionia) dovesse essere in qualche modo ‘pilotato’ ben
si comprende dalla lettura del poema commissionato al Minnesänger
Meister Rumezlant di Sassonia (attivo fra gli anni ’70 e ’80 del XIII seco-
lo), nel quale si auspica una severa condanna:

“Voi assassini; esaminate il vostro delitto,


che grande ammasso di peccati mortali
si accumula nei vostri depositi;
vedete, il vostro re era il vostro servitore,
che vi diede potere e autorità;
voi lo avete assassinato.
Perciò siate sempre più disprezzati, privati d’ogni grazia
[e d’ogni gioia;
l’assassinio è la vostra perdizione:
si ponga la croce sulle vostre membra,
e vi si uccida, come i pagani.”35

34
Il testo degli Annales ryenses suona così: “Il re Erik fu ucciso nel letto la notte di
Santa Cecilia, dai suoi [uomini], quelli che amava di più, con cinquantasei pugnalate”
(DLO nr. 83).
35
DLO nr. 84.

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338 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

*
Il ricordo di questo drammatico evento si trova, naturalmente, anche
nelle ballate popolari36 che conoscono diverse versioni di questi fatti.37
Almeno in un paio di casi è espresso il punto di vista dei fedeli del re e
dipinta con toni drammatici la sua triste fine.38 In altri testi, come nella
versione più lunga e dettagliata,39 il motivo dell’ostilità di Stig Andersen
nei confronti di Erik Klipping viene individuato nell’oltraggio subito
dalla di lui moglie Ingeborg, la quale durante un’assenza del marito,
impegnato in azioni militari, sarebbe stata costretta a giacere con il sovra-
no, pur avendone rifiutato le profferte amorose. Questa versione vuole
forse soltanto giustificare la possibile colpa, cercandone una spiegazione
sentimentale nell’offesa subita.

Dalla ballata popolare su Marsk Stig:

“Quando partiste dal Paese, Ora non devo più i miei sonni dormire
ero la sposa di un cavaliere: accanto al vostro bianco fianco:
ora sono regina di Danimarca, prima che abbiate ucciso re Erik,
possa valer ben poco. che mi inflisse questa pena.

Quando partiste dal Paese, Ora non voglio più i miei sonni dormire
ero la moglie di un cavaliere: tra le vostre bianche braccia:
ora sono regina di Danimarca, prima che abbiate ucciso re Erik,
per me un tormento costante. che mi inflisse questo dolore.”40

Nei primi decenni del XIV secolo il potere centrale appare for-
temente indebolito: alla morte del re Erik Menved (1319) – che tra
l’altro aveva assunto nuove e sfortunate iniziative nel Baltico e in
Svezia – saliva al trono Cristoforo II, costretto a sottoscrivere un
forte ridimensionamento dell’autorità della Corona.41 Nel 1320 il
ducato dello Jutland meridionale (più tardi ducato dello Schleswig)42
era divenuto di fatto (con l’appoggio dei conti del Holstein) indi-

36
Vd. pp. 396-397.
37
La ballata (sotto citata) dal titolo Marsk Stig nelle sue diverse versioni è riportata
in DGF III, nr. 145, pp. 338-385.
38
Versioni del manoscritto di Svaning, foglio 23 e di quello di Rentzel, Nr. 26
(ibidem, pp. 360-361).
39
Manoscritto in folio di Karen Brahe, Nr. 60 e manoscritto di Anna Munk, Nr. 37;
ibidem, pp. 349-355 (versione contrassegnata con A).
40
Versione A, str. 33-36 (DLO nr. 85).
41
Il suo capitolare è ripotato in AaKG II (1856-1860) alle pp. 9-11 (nr. 3: Consti-
tutio Christophori II, 1320 die 25 Januarii data).
42
Sulla denominazione vd. p. 1414, nota 11.

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Le nazioni scandinave tra l’XI e il XIV secolo 339

pendente. In un quadro di incessante conflittualità (tra l’altro


segnata, per un certo periodo, dalla dominazione dell’abile ma
dispotico conte Gerardo III di Holstein (Gerhard III. von Holstein),
ca.1292-1340)43 lo scontento era diffuso anche per la dissennata
politica reale che aveva determinato un tracollo economico e un
debito enorme (che invano si era cercato di arginare con pesanti
tassazioni) con conseguente ipoteca di diverse regioni del Paese.44
Alla morte di Cristoforo II la Danimarca resterà per ben otto anni
senza un sovrano.45
Gli sviluppi in direzione di uno stato feudale che (seppure non
compiutamente) si erano affermati in Danimarca durante il regno
di Valdemaro II46 avevano dunque condotto alla confusione poli-
tica e al disastro economico. Alla fine tuttavia il giovane figlio di
Cristoforo II riuscì a raccogliere nei diversi ambienti consensi
sufficienti per salire al trono. Valdemaro IV (1320-1375), seppure
solo ventenne, seppe intraprendere una intelligente politica che gli
permise di ricomporre l’unità del Regno: alcune terre ricevette come
dote dalla moglie, altre poté riscattare (anche grazie alla cessione
dell’Estonia nel 1346 ai Cavalieri dell’Ordine teutonico), altre
(quelle ‘svedesi’ di Halland, Blekinge e Scania)47 riconquistò dopo
complesse vicende; altre acquisì militarmente. Inoltre cercò di riaf-
fermare la potenza danese, sottomettendo tra l’altro le isole di Öland
e di Gotland, la cui capitale, l’importante città commerciale
di Visby, fu conquistata nel 1361, nel quadro del conflitto contro
il potere delle città anseatiche.48 Un’azione portata avanti con
43
Cfr. pp. 397-398. Nel 1326 il conte di Holstein era riuscito a far nominare re il
nipote, duca dello Jutland meridionale, che fu dunque Valdemaro III (ca.1314-1364).
Ma questi era molto giovane e Gerardo si era riservato la reggenza. Nel 1329 tuttavia
il re Cristoforo II riusciva, seppure tra molte difficoltà, a riprendersi la Corona dane-
se che avrebbe conservato sino alla morte (1332). Vd. p. 1415.
44
Ciò portò tra l’altro a tumulti e rivolte (come quella del 1312) brutalmente
repressi.
45
Una poesia in latino, Pianto sulla situazione del regno di Danimarca (Planctus de
statu regni Danie), composta da un anonimo nel 1329 lamenta la deplorevole situazio-
ne del Paese.
46
Vd. tra l’altro Orrman 2003, pp. 297-299.
47
Tradizionalmente territorio danese (vd. p. 130, nota 113) la Scania era passata
sotto il dominio del re svedese Magnus Eriksson nel 1332 in seguito a una iniziativa
dei notabili della regione guidati dall’arcivescovo di Lund Karl Eriksen Galen (in
carica dal 1325 al 1334, anno della morte). La situazione della regione di Halland è
più complessa essendo essa di fatto divisa in due zone; vd. Olsson G., “Halland”, in
KHLNM VI (1961), coll. 58-60. La regione di Blekinge, che era appartenuta al domi-
nio degli Svear, era finita sotto controllo danese nel 1051 per poi rientrare nella sfera
di influenza del re svedese nel periodo di disgregazione della Danimarca.
48
Vd. p. 1431 con nota 87.

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340 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

decisione e senza troppi scrupoli, che tuttavia non fu esente da


problemi di carattere interno (non va neppure dimenticato che
attorno alla metà del XIV secolo la peste infuriava in Danimarca):
in ogni caso Valdemaro con l’intesa per la ‘pace sociale’ (landefred,
letteralmente “pace del Paese”) proclamata al Danehof di Kalundborg
in Selandia nel 1360 ristabiliva definitivamente il potere reale (sep-
pure in cambio di diverse concessioni).49 Nonostante le sue scarse
conseguenze pratiche questo patto è considerato un punto fermo
nella storia politico-costituzionale del Paese. Certamente questo re,
pur tenendo conto della sua determinazione e dei suoi metodi, fu
figura di intelligente politico che con la sua opera pose le premesse
per una nuova epoca di grandezza della Danimarca. Nonostante le
diverse e prolungate assenze dal Paese e i rovesci politici e militari
subiti negli ultimi anni,50 la sua capacità di offrire ai Danesi un
nuovo inizio gli valse il soprannome di Nuovo giorno (Atterdag).51

6.1.2. La società danese

L’organizzazione della società danese negli ultimi secoli del


medioevo gravitava, come si è detto, intorno alle due autorità prin-
cipali, Stato e Chiesa, cui si affiancava una nobiltà che faceva
sentire il proprio peso. Lo stato centralizzato che si era venuto
costituendo aveva ereditato alcune strutture di epoca vichinga (a
loro volta riprese dalla precedente organizzazione tribale) sulle
quali aveva appoggiato la propria: antichi distretti (probabilmente
su base militare) noti come hæræth (dan. mod. herred)52 dovevano
essere parte di unità amministrative più grandi (dette nello Jutland
sysæl, dan. mod. syssel) la cui autonomia era sancita dall’esistenza
di un’assemblea. Assemblee di maggiore importanza erano certa-
mente quelle a carattere regionale, il loro peso ben si constata non
solo nelle vicende relative alle lotte per il potere ma anche nella
produzione di testi giuridici.53 Certamente i membri più rappre-
49
Vd. AaKG II (1856-1860), 24 maggio 1360, pp. 17-21.
50
In particolare la sconfitta inflittagli dall’Ansa alleata con la Svezia, il Mecklem-
burgo e il Holstein che tra il 1368 e il 1371 lo costrinsero a restare a lungo all’estero
per cercare aiuto affidando il governo al Consiglio.
51
Letteralmente il soprannome significa “Giorno dopo” e fa evidente allusione al
fatto che questo sovrano aveva inaugurato per il suo Paese una nuova stagione.
52
In tal senso testimonierebbe anche l’etimologia, ove sia corretto ricondurla alla
combinazione del termine hær “schiera” con il verbo ride “cavalcare” (dunque “eser-
cito a cavallo”). Vd. anche de Vries 1962² (B.5), p. 223 (voce herað).
53
Le più importanti assemblee danesi erano quella di Viborg (nella quale veniva

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Le nazioni scandinave tra l’XI e il XIV secolo 341

sentativi all’interno di queste istituzioni, che ricoprivano una cari-


ca parallela a quella del lagman svedese54 ed erano eminenti inter-
mediari fra il re e il popolo, si giovarono del progressivo distacco
fra la Corona e i sudditi, lucrando posizioni sociali di rilievo. Altri
‘nobili’ provenivano, evidentemente, dalla cerchia degli uomini
della corte (hird), antico organismo di stampo vichingo.55 Ma il
numero di queste persone era destinato ad aumentare.
Un elemento fondamentale nei rapporti tra poteri locali e Stato
era l’antica istituzione della ‘leva’56 che faceva capo a uno styræsman
(letteralmente “timoniere”) cui era affidato un incarico sia orga-
nizzativo sia militare (gestione e comando di una nave): è evidente
che costoro godevano di una posizione sociale di grande prestigio.
Come si è detto, l’obbligo della ‘leva’ venne in seguito sostituito
dal versamento di una tassa dovuta da tutti coloro che erano pro-
prietari terrieri: le persone particolarmente benestanti preferirono
tuttavia essere dispensate dal pagamento delle imposte in cambio
della partecipazione alle azioni militari come componenti di un
corpo di cavalleria. L’istituzione di questa innovazione fiscale ebbe
diverse conseguenze. Se, infatti, da una parte permise ai contadini
di dedicarsi al lavoro nelle fattorie, determinò dall’altra non solo
la formazione di una nobiltà guerriera che godeva di indubbi pri-
vilegi ma anche il ricorso a eserciti costituiti da professionisti.
Come dimostrato dalla disastrosa politica che condusse alla
situazione precedente la salita al trono di Valdemaro Nuovo giorno,
il costo delle diverse imprese militari esigeva la raccolta di molti
fondi. I tributi venivano riscossi da un funzionario amministrativo
(detto bry[h]ti/brydiæ, dan. mod. bryde, poi umbuthsman, dan.
mod. ombudsmand) che nei distretti curava gli interessi della Coro-
na alla quale andava anche la rendita dei molti territori posseduti.57
Dallo sviluppo dell’amministrazione del Regno nacquero le figure

anche eletto il sovrano) che aveva giurisdizione sullo Jutland (fino al confine meridio-
nale segnato dal fiume Eider) e sulla Fionia; quella di Ringsted in Selandia, che aveva
giurisdizione anche sulle isole di Lolland, di Falster e su quelle minori; quella di Lund,
che aveva giurisdizione sulle regioni ‘svedesi’ di Scania, Halland e Blekinge. Come si
vedrà (pp. 393-394) i tre grandi codici di leggi danesi rispecchiano questa realtà.
54
Vd. oltre, p. 358.
55
Vd. p. 211.
56
Vd. sopra, p. 330.
57
L’ufficio del bryde origina dall’antica funzione di colui che suddivideva il cibo fra
le diverse persone di una fattoria (non di rado uno schiavo). Il progressivo sviluppo di
questa funzione trasformatasi in una carica al servizio del re o di persone importanti
(vescovo, nobili) è riassunto in Skrubbeltrang – Lid et al. 1957, vd. anche Nielsen
1967.

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342 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

di diversi funzionari: il marsk (comandante militare),58 il drost


(rappresentante del re), il kansler (cancelliere), il kammermester
(letteralmente “maestro di camera”) che si occupava delle finanze:
incarichi che certamente furono affidati a rappresentanti di impor-
tanti famiglie. Gli uomini eminenti del Regno (in sostanza la prima
nobiltà danese) vengono indicati con il titolo di herremænd (sing.
herremand).59
Accanto allo Stato la Chiesa deteneva un potere notevole, fonda-
to su una solidissima posizione economica. Non soltanto gli eccle-
siastici godevano di esenzioni fiscali, ma disponevano anche del
frutto delle molte donazioni ricevute; inoltre la Chiesa incassava il
tributo delle decime che era stato introdotto ai tempi dell’arcive-
scovo Asser (ca.1055-1137), zio e predecessore di Eskil. Le somme
raccolte con le decime servivano in sostanza per il funzionamento
della struttura ecclesiastica e per la costruzione e il mantenimento
degli edifici religiosi. Tuttavia la Chiesa seppe anche andare incon-
tro alle necessità del popolo, soprattutto con l’opera di monaci che
fondarono ospedali all’interno dei conventi e dei frati mendicanti
che a partire dal secondo decennio del XIII secolo si stabilirono
nelle città danesi a diretto contatto con la gente comune (tra l’altro
predicavano nella lingua volgare). Accanto alla potenza economica
la Chiesa venne dunque sviluppando una forte autorità politica e
sociale. Si è visto sopra quali rapporti di collaborazione e contrasto
e quali interrelazioni si fossero determinati con il potere statale: qui
occorre aggiungere che tra i vari privilegi conseguiti essa ottenne
anche di amministrare in diversi casi la giustizia con propri tribu-
nali. Una chiara rivendicazione dell’autonomia e dei diritti della
Chiesa (con scomunica ed esclusione da qualsiasi pratica religiosa
per chi contravvenisse) è contenuta in un pronunciamento ufficiale
dei vescovi danesi riuniti a Odense nel 1245.60
Tanto lo Stato quanto la Chiesa perseguivano una concentrazio-
ne dell’autorità in poche mani e, contemporaneamente, in pochi
luoghi ai quali il popolo dovesse guardare come luoghi del potere.
Per questa ragione, oltre che per lo sviluppo dei commerci, diver-
se località acquisirono un crescente prestigio. Centri importanti
58
Questa parola è abbreviazione di marskalk (ripreso dal basso tedesco) che si
ritrova nell’italiano maresciallo.
59
Originariamente questa parola si riferiva a una persona che si era assunta l’impe-
gno a partecipare alla ‘leva’ indossando l’armatura completa. Più tardi esso passò a
indicare genericamente un nobile (vd. Dahlerup 1993-1997 [B.5], VIII, coll. 25-26).
Dal XVI secolo compare il termine adelmand “uomo nobile” la cui prima parte adel- è
ripresa dal basso tedesco.
60
DD I: 7, nr. 167, 22 febbraio 1245, pp. 152-156.

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Le nazioni scandinave tra l’XI e il XIV secolo 343

furono per la Chiesa le sedi delle grandi cattedrali e delle chiese


più importanti (Lund, Roskilde, Ribe, Viborg),61 mentre lo Stato
veniva rimarcando il proprio dominio sul territorio con l’edifica-
zione di castelli fortificati (parallela al rafforzamento di preesisten-
ti bastioni come il Dannevirke), rappresentazione anche visiva
dell’autorità;62 ciò fece in seguito anche la grande nobiltà, segno
della disintegrazione del potere centrale.63 Molti nuclei urbani si
sviluppano in Danimarca: ai preesistenti centri di Hedeby/Schleswig,
Ribe, Aarhus, Viborg, Ålborg, Odense, Roskilde, Ringsted e Lund
molti altri se ne aggiungono a partire dagli inizi del XIII secolo.
Del resto già negli anni ’60 del XII secolo l’arcivescovo Absalon
aveva fatto costruire una fortezza e un convento presso l’Øresund,
nella località mercantile di Havn. Il centro che qui si sarebbe svi-
luppato avrebbe ottenuto nel 1254 il suo primo statuto cittadino64
da Jakob Erlandsen (morto nel 1274), vescovo di Roskilde e poi
arcivescovo di Lund (un secondo nel 1294)65 e avrebbe acquisito
crescente importanza, fino a divenire, nel 1416, la capitale del
Regno: Copenaghen (København).66 Più tardi (1479) il suo prima-
to sarebbe stato ulteriormente sottolineato con la fondazione (die-
tro concessione del Papa Sisto IV) dell’università, istituzione desti-
nata (seppure non da subito) a rappresentare un fondamentale
punto di riferimento culturale per i Paesi del Nord.67 Nelle città si
andò dunque sviluppando (a partire dall’attività commerciale) la
classe dei cittadini (e dei borghesi), nuova componente d’una
società in grande trasformazione. E non bisogna dimenticare l’im-
migrazione di mercanti e nobili tedeschi, un afflusso destinato a
incidere profondamente sulla società danese.

61
E più tardi anche Odense, Aarhus, Ålborg, Copenaghen.
62
Toponimi come Fåborg, Kalundborg, Nyborg, Svendborg (dove -borg “luogo
fortificato”, “castello”) ne danno efficace testimonianza.
63
Nel 1396 la regina Margherita emetterà un’ordinanza nella quale sarà tra l’altro
vietata ai nobili danesi e svedesi la costruzione di castelli (il testo in AaKG V [1871-
1875], pp. 52-57). Cfr. p. 439 con nota 11.
64
DD II: 1, nr. 138, 13 marzo 1254, pp. 115-119. Su Absalon vd. p. 274 e p. 333
con nota 19.
65
DD II: 4, nr. 121, 29 gennaio 1294, pp. 85-99.
66
Il nome København vale “porto dei mercanti” (sulla base di købmand “mercan-
te” e havn “porto”). Sassone lo definisce significativamente Mercatorum portus (Gesta
Danorum, passim). Sulla storia della città vd. Lundbye P., “Det Ældste Kjøbenhavn”,
in AaNOH 1908, pp. 37-76 e Cedergreen Bech S. – Kjersgaard E. et al. (red.) 1967:
Københavns historie gjennem 800 år, København 1967.
67
Vd. Rørdam 1868-1877 (C.9.2.), I, pp. 7-29.

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344 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

L’economia si basava ancora in misura massiccia sull’agricoltura


e la grande maggioranza della popolazione apparteneva alla classe
contadina al cui interno vi erano situazioni di grande disparità. Ciò
derivava, innanzi tutto, dal fatto che molti terreni erano di proprie-
tà della Corona, della Chiesa (si pensi anche alla importante pre-
senza dei monasteri)68 o di persone confluite a diverso titolo nella
nobiltà. I contadini danesi erano, almeno formalmente, uomini
liberi, ma la loro situazione era determinata da diversi fattori e il
benessere non era necessariamente legato alla condizione di pro-
prietario terriero rispetto a quella di fittavolo; inoltre l’abolizione
della schiavitù (che risulta definitivamente scomparsa dopo il 1250)
aveva ‘immesso sul mercato’ lavoratori della terra che, nella mag-
gioranza dei casi, erano totalmente soggetti ai grandi proprietari.
In sostanza tutto dipendeva dai beni effettivamente a disposizione.69
Tra la metà dell’XI e la metà del XIII secolo il mondo agricolo
conosce un progressivo sviluppo sia per gli insediamenti che si
stabilizzano sotto la forma prevalente di villaggi rurali (anche per
l’introduzione della coltura a rotazione), sia per il progresso della
tecnica, sia per l’introduzione di nuove colture (segala). E tuttavia
il peso sociale della classe contadina si indebolisce progressivamen-
te. Così, quando essa verrà pesantemente penalizzata dall’imposi-
zione di tasse e di lavori obbligatori finalizzati a raccogliere fondi
per i progetti militari della Corona,70 i tumulti e le ribellioni di cui
si renderà protagonista saranno domati con grande durezza e bru-
talità. Successivamente un ulteriore peggioramento della situazione
sarà determinato dalla decisione – presa da molti piccoli proprie-
tari in periodi di difficoltà dovuti a cattivo raccolto o a carestie
(come quelle del 1283 e del 1311) – di cedere i propri possedimen-
ti a nobili o a ricchi ecclesiastici: ciò infatti li libererà dal gravame
fiscale, ma ridurrà ulteriormente e inesorabilmente il loro peso
sociale. Come sopra accennato, attorno alla metà del XIV secolo
68
I primi monaci (benedettini) erano giunti in Danimarca fin dal tempo di Canuto
il Grande, fu tuttavia l’arcivescovo Eskil a incoraggiare la fondazione di conventi sul
suolo danese (in particolare egli favorì l’arrivo dei cistercensi, ordine monastico pro-
mosso da Bernardo di Chiaravalle di cui era amico).
69
Un esempio assai significativo in proposito si trova nella Legge selandese di Erik
(Eriks sjællandske Lov, I, 48) dove – evidentemente ancora in relazione ai doveri
militari dei contadini – colui che non possiede terre né una propria dimora viene
definito “spiut man”, letteralmente “uomo [armato solo di una] lancia”.
70
Nel 1249 il re Erik, figlio di Valdemaro II, aveva addirittura imposto una tassa
sugli aratri: questo gli procurò il soprannome di Plovpenning, letteralmente “Soldo
dell’aratro” (il che non impedì che dopo il suo assassinio nel 1250 egli fosse sepolto
accanto a Canuto Lord e dichiarato santo). Vd. Christensen C.A., “Drabet på Erik 4.
Plovpenning og den begyndede legenddannelse”, in KSam VI: 1 (1966), pp. 21-43.

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Le nazioni scandinave tra l’XI e il XIV secolo 345

anche la Danimarca venne colpita dall’epidemia di peste che infu-


riava in Europa. Questo fatto determinò un forte calo della popo-
lazione, con conseguente abbandono di molti terreni per la scarsi-
tà di manodopera: la conseguenza fu il declino del latifondo e una
ridistribuzione delle terre in poderi meno estesi che venivano dati
in affitto.71
La vita nelle città si fondava innanzi tutto sul commercio e sulle
attività collegate alla lavorazione delle merci. Lì abitavano soprat-
tutto i commercianti (la nascente borghesia) e gli artigiani che
diedero anche vita alle proprie associazioni (gilde).72 Tra il XII e il
XIV secolo prosperò, in particolare in Scania, il commercio delle
aringhe che si pescavano in grande quantità nell’Øresund: i suoi
centri erano Skanør e Falsterbo su una piccola penisola nel sud
della regione. Un’industria che attirò i mercantili tedeschi che per
lungo tempo spadroneggiarono nel Baltico.
Re, dunque, e poi clero, nobili, contadini e cittadini. La società
danese di epoca postvichinga aveva delineato quelle che a lungo
sarebbero rimaste le sue componenti fondamentali. Nel 1468 il re
Cristiano (Christiern) I convocherà a Kalundborg (Selandia) una
dieta alla quale per la prima volta parteciperanno rappresentanti
dei contadini e dei cittadini: definitiva consacrazione politica di
questo stato di cose.

6.2. Svezia

6.2.1. Stato, Chiesa e poteri locali

La storia dell’unificazione dello stato svedese è, come si è visto,


assai complessa. Fin dall’epoca delle grandi migrazioni si era con-
solidata in questo Paese la supremazia di due gruppi etnici: quello
degli Götar (nelle regioni del Väster- e dell’Östergötland) e quello
degli Svear (il cui ‘centro’ era costituito dai territori attorno al lago
Mälaren) cui si affiancavano gli abitanti della ricca isola di Gotland,
posta nel Mar Baltico in posizione commercialmente privilegiata.
In precedenza si è rilevato come il conflitto tra i due nuclei princi-
71
Questo fatto ebbe riflessi anche nella toponomastica; vd. Fridell S., “The devel-
opment of place-names in the Late Middle Ages”, in Bandle 2002-2005 (B.5), II, pp.
1187-1188.
72
Cfr. p. 97, nota 6.

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346 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

pali dello stato svedese avesse radici molto lontane nel tempo e
come esso avesse avuto riflessi anche sul processo di cristianizza-
zione. Del resto, quando si parla della Svezia medievale, occorre
avere presente un Paese con una superficie assai più limitata dell’at-
tuale: non soltanto – come detto – regioni come la Scania, il Halland
e il Blekinge erano, appunto, possedimenti danesi, ma i territori
settentrionali, solo in parte coltivati, erano per il resto occupati
dalle popolazioni semi-nomadi dei Sami: basti pensare che nell’XI
secolo la ‘linea di confine’ partiva poco a nord dell’attuale città di
Umeå (64° parallelo) e tagliando quasi trasversalmente il territorio
incrociava l’odierna frontiera con la Norvegia presso le sorgenti del
fiume che ha nome Österdalälven in Dalecarlia (Dalarna) in pros-
simità del 62° parallelo.73 Costruire un Regno svedese unificato
significò dunque, almeno inizialmente, riunire sotto un’unica Coro-
na i due potentati storici superando al contempo anche i conflitti
che dovevano esserci al loro interno.74 Solo più tardi si poté rivol-
gere l’attenzione alle terre settentrionali.75 Naturalmente anche in
Svezia l’antica struttura tribale con le sue signorie locali restava
solida. Essa dunque condizionò fortemente il processo di edifica-
zione del Regno nel quale il potere centralizzato della Corona si
impose a fatica restando per lungo tempo disorganico. In effetti
– benché un sovrano come Olof Skötkonung76 paia aver esercitato
un effettivo dominio sovraregionale – i suoi successori risultano
espressione dell’una o dell’altra realtà e le incessanti lotte per il
potere riflettono di fatto questa situazione. Ancora nella prima metà
del XII secolo ci troviamo di fronte a figure come quella di Sverker
il Vecchio (den äldre, re dal 1130 al 1156) e Erik Jedvardsson il
Santo77 (re dal 1150 al 1160), il primo legato agli Götar, il secondo
agli Svear, i cui regni per un certo periodo si sovrappongono. La
scarsa affidabilità delle fonti non aiuta a delineare chiaramente la
73
Vd. in Orrman 2003 (C.6.1) la mappa riportata a p. 253.
74
La questione è ben esposta in Albani 1969 (C.6), pp. 123-126, dove inoltre si
ricorda la vicenda (per quanto leggendaria) del re degli Svear Ingjaldr Ǫnundarson,
che secondo il racconto di Snorri Sturluson (Saga degli Ynglingar, cap. 36) aveva con
l’inganno chiamato presso di sé dei ‘re distrettuali’ (heraðskonungar, cfr. paragrafo
successivo) per poi ucciderli impadronendosi dei loro territori, il che testimonia come
il processo di unificazione dovette attuarsi attraverso sanguinosi conflitti; qui si citano
anche fonti medievali nelle quali la nascita del Regno svedese si riconduce chiaramen-
te all’unione del territorio degli Götar con quello degli Svear. Cfr. pp. 136-138 con
nota 149.
75
In Harrison 2002, pp. 548-564 è assai ben esposto il processo di progressiva
affermazione del potere dei re svedesi sulle regioni settentrionali nel XIII secolo.
76
Vd. p. 139 e pp. 242-245.
77
Vd. pp. 275-276.

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Le nazioni scandinave tra l’XI e il XIV secolo 347

situazione: a quanto pare tuttavia, benché Sverker fosse conside-


rato sovrano degli Svedesi, Erik venne proclamato re a Uppsala nel
1150 e succedette a Sverker dopo la di lui morte nel 1156. Come
sopra è stato ricordato78 Erik Jedvardsson periva il 18 maggio del
1160 assassinato per mano del pretendente alla corona Magnus
Henriksson. Il quale saliva effettivamente al trono, ma solo per una
breve parentesi. Già nel 1161 infatti, egli cadeva in uno scontro e
Karl Sverkersson (1130-1167) si proclamava sovrano degli Svear e
degli Götar esprimendo in modo evidente il desiderio di imporre
il proprio dominio sulle due regioni allora considerate ‘svedesi’.
Ancora per molti decenni si assisterà tuttavia a violente lotte tra gli
eredi di Erik e quelli di Sverker: un conflitto nel quale anche gli
aspetti religiosi giocheranno un ruolo di primo piano. Nel 1167
Canuto (Knut) Eriksson (morto nel 1195 o 1196) sconfigge Karl
Sverkersson e, divenuto re, si adopera per fare dichiarare santo il
padre cercando in tal modo una legittimazione religiosa al proprio
potere. In questo modo, grazie alla proclamazione di santità, Erik
Jedvardsson dovrà essere riconosciuto sovrano protettore dell’in-
tero popolo, mentre la data del suo assassinio viene proclamata
festa religiosa: in realtà tuttavia il suo culto si diffonderà solo dalla
metà del XIII secolo e culminerà nel XV, quando egli sarà consi-
derato patrono del Paese.79 Ulteriore esempio, comunque, della
volontà di trasformare un delitto politico in un martirio. Di fronte
alla vicenda di Erik la sorte di Sverker, ucciso da uno scudiero
mentre si recava alla funzione della mattina di Natale e sepolto nel
monastero di Alvastra, non viene enfatizzata con la stessa abilità.80
Le lotte per il predominio proseguono: nel 1208 ha luogo la celebre
battaglia di Lena (Kungslena) in Västergötland81 tra Erik Knutsson
sostenuto dai Norvegesi e Sverker il Giovane (den yngre) sostenu-

78
Vd. p. 248.
79
Vd. Weibull 1949, Thordeman 1954 e Gallén-Lundén 1960 (tutti in C.4.4).
80
Sulle figure dei primi santi svedesi vd. Harrison 2002, pp. 441-449.
81
A questa battaglia è legato un episodio riferito al cap. 20 della versione breve
delle Saghe dei baglar (su cui cfr. nota 163) riportata nel manoscritto (AM 47 fol.,
conservato presso l’Università di Copenaghen, Nordisk Forskningsinstitut) che ha nome
Eirspennill ([Libro] con un fermaglio di rame), risalente all’inizio del XIV secolo e che
contiene notizie sui re norvegesi dal 1035 al 1263 (pp. 469-470). Si narra che quattro
giorni prima dello scontro un fabbro ricevette la visita di un uomo che voleva far
ferrare il suo cavallo. Comprendendo di trovarsi di fronte a una persona singolare egli
gli fece molte domande, ma l’altro, dopo aver lasciato intendere di essere nientemeno
che Odino in persona, balzò via al galoppo saltando oltre un recinto altissimo. Snorri
Sturluson del resto riferisce (Saga degli Ynglingar, cap. 9) che spesso gli Svedesi cre-
devano di veder apparire questo dio prima dell’infuriare di grandi battaglie.

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348 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

to dai Danesi; due anni più tardi in un nuovo scontro a Gestilren82


Sverker avrà di nuovo la peggio perdendo la vita: solo nel 1211 Erik
sarà tuttavia incoronato ufficialmente a Uppsala. Ma una stabiliz-
zazione del Regno resta lontana.

La battaglia di Lena, nella quale Erik Knutsson sconfisse Sverker


Karlsson e le truppe danesi a lui alleate, è rievocata in una ballata popo-
lare di cui si hanno diverse versioni. Si riporta qui quella svedese:
“Il giovane Ser Sverker
va a chiedere al re dei Danesi
Sire, prestami i tuoi Uomini
Io voglio uccidere mio fratello.83
– Gli Svedesi, essi distruggono lo scudo danese,84
perciò piangono in molti.
Io ti presterò i miei Uomini,
sia quelli di Halland sia gli Jutlandesi
Sono Uomini tanto abili nel combattimento
che sanno tendere [l’arco] e scoccare [le frecce].
Era una santa Domenica
era bene ascoltare la Messa
Re Sverker chiama a raccolta la sua gente
e la fa passare oltre l’Øresund.
Era il Giovane re Sverker
giunse a metà dello stretto
Se non dovessi vincere oggi
Dio mi conceda di cadere a terra.
Con lui Ser Ebbe contro la terra di Svezia
pensava di guadagnarsi grande Onore
Ma invece venne sconfitto con tutto il suo esercito
sicché nessuno poté portarne l’annuncio a casa.
Ser Lorentz suo fratello credeva anche lui
di cercare fortuna contro gli Götar
Ma fu ucciso nella stessa spedizione
non poté sfuggire al suo destino.
82
Località (che dovrebbe trovarsi nel Västergötland) non identificata con certezza
nonostante i diversi tentativi degli studiosi: ciò ha fatto sorgere dubbi sull’effettivo
svolgimento di questo scontro; vd. Steinwall Å., “Slaget vid Gestilren kan ha varit ett
överfall”, in PH 2010: 7, pp. 12-13.
83
Più che probabile riferimento a una guerra civile.
84
Con “scudo danese” è tradotta l’espressione piuttosto oscura Dahlebergs skylden
che comunque pare fare riferimento a una località danese non meglio identificata.

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Le nazioni scandinave tra l’XI e il XIV secolo 349

Tra Berg e Lena


là dove ci fu la battaglia
Un destriero che costava 1200 marchi85
galleggia nel sangue umano.
Tra Berg e Halla
là stridono l’Aquila e il Corvo
Là molte Vedove piangono
per i loro poveri figli senza [più] padre.
Le donne stanno su nelle stanze
aspettano il ritorno dei loro uomini
I cavalli tornano a casa insanguinati,
e le Selle sono vuote.
Gli Svedesi, essi distruggono lo scudo danese,
perciò piangono in molti.”86

E del resto l’elezione del re svedese appare strettamente dipenden-


te dalla volontà di potentati locali che proclamano il nuovo sovrano
nel corso dell’assemblea. A riguardo dell’Uppland abbiamo notizia
di una cerimonia che sanciva l’elezione di fronte ai rappresentanti del
popolo e si teneva nella piana di Mora (circa 10 km. a sud-est dell’at-
tuale città di Uppsala) dove il neo eletto re degli Svear prendeva posto
su una pietra sacra per ricevere l’omaggio dei sudditi. Una consuetu-
dine, questa, che si vorrebbe molto antica ma nella quale studi recen-
ti hanno piuttosto individuato una sorta di ‘invenzione propagandi-
stica’ tardo medievale.87 Nel Västergötland la legge indica la
procedura da seguire per l’elezione del re: dal testo emerge chiara-
mente il permanere di un rapporto di reciprocità fra l’eletto e i mem-
bri dell’assemblea.88 Rapporto di reciprocità e di assunzione di mutuo
impegno che è assai ben evidenziato anche là dove si descrive la
consuetudine legale della cosiddetta Eriksgata (la cui origine non è
del tutto chiarita) secondo la quale il nuovo re doveva compiere un
percorso nelle diverse regioni del Paese per essere ufficialmente e
formalmente accettato in ciascuna di esse.89 In questa usanza (attesta-
85
Unità di peso e di valore (corrispondente all’incirca a mezza libbra) di solito
usata in relazione all’oro o all’argento; cfr. p. 209, nota 426.
86
Per le diverse versioni si rimanda a Jonsson – Solheim ET AL. 1978 (C.6.5), p. 64.
Il testo qui riportato è ripreso da Sveriges medeltida ballader, II, nr. 56, Slaget vid Lena,
pp. 237-240 (DLO nr. 86).
87
Vd. Harrison 2002, pp. 119-129.
88
Äldre Västgötalagen (Retlosæ bolkær, I, p. 151); vd. Scovazzi 1957 (B.8), pp.
300-301 e pp. 305-307.
89
 Vd. p. 129 con nota 112. Nel composto Eriksgata (dove gata “cammino”, “strada”), il

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350 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

ta per la prima volta per il re Magnus Eriksson nel 1335 e per l’ultima
per il re Carlo IX nel 1609) parrebbe perpetuata anche l’antica fun-
zione sacrale della regalità. È dunque evidente che nella gestione del
potere il re svedese doveva tenere ben presenti le deliberazioni e le
aspettative delle realtà locali, i cui rappresentanti più eminenti risul-
tano in un contesto di questo genere molto influenti.
Innanzi tutto gli jarlar. In Svezia uno jarl era, originariamente, il
comandante della flotta che veniva armata in occasione della ‘leva’90
(un incarico che garantiva notevoli vantaggi e profitti economici),
tuttavia il potere di questi funzionari dovette aumentare parecchio,
se solo si pensa che negli anni tra il 1222 e il 1250 – i decenni del
tormentato regno di Erik Eriksson, detto il Bleso e lo Zoppo (läspe
och halte) – il governo era in sostanza gestito da loro piuttosto che dal
re. Sicché non deve meravigliare che una delle personalità più auto-
revoli del XIII secolo sia quella di Birger jarl Magnusson (nato nel
1210 circa, morto nel 1266), il primo uomo veramente capace di dare
un impulso decisivo alla costruzione di un Regno svedese forte e di
rilevanza europea. La sua vicenda (che segna per la Svezia un periodo
per quanto breve di relativa calma) rappresenta un momento deter-
minante per la storia di questo Paese. Birger jarl era originario del-
l’Östergötland, la sua famiglia – che possedeva la grande dimora di
Bjälbo non lontano da Skänninge – era assai eminente, potendo
vantare parentele con i sovrani di Danimarca e di Norvegia.91 Birger
stesso del resto aveva sposato la sorella del re Erik Eriksson, Ingeborg
(morta nel 1254).92 Questo matrimonio che vedeva l’unione di un
discendente della dinastia di Sverker il Vecchio con una donna del-
la dinastia di Erik il Santo rappresentava simbolicamente l’unifica-
zione della Svezia: ciò a quanto pare era ben presente a Birger, che
scelse di consacrarlo con una cerimonia religiosa (uso all’epoca
tutt’altro che frequente). Birger era un uomo intelligente e spregiu-
dicato che perseguiva una politica fortemente accentratrice e al

termine Erik va inteso, piuttosto che come nome proprio, nel senso di “unico signore”
(*ein-rikr), il che del resto corrisponde alla più probabile etimologia di Erik (< sved. ant.
Erı̄ker, vd. de Vries 1962² [B.5], p. 97). Questa spiegazione resta rispetto ad altre (vd. Kjellén
1889, pp. 26-27 e anche Hasselberg 1959) la più plausibile. Vd. anche Schlyter C.J., “Om
Konungaval, Eriksgata, Kröning och kungliga rättigheter, enligt Sveriges gamla lagar.
Föreläsningar öfver Upl. KgB 1-3”, in Juridiska afhandlingar, I, Upsala 1836, pp. 1-54.
90
Vd. p. 330.
91
Secondo la leggenda la casata di Birger jarl risaliva a tale Folke Filbyter (Fijlbijter),
soprannome che indicherebbe chi castrava i cavalli con un morso.
92
Successivamente (1261) Birger avrebbe preso in moglie Matilde (Mechtild) di
Holstein (ca.1220-1288), vedova del re Abele (Abel) di Danimarca (1218-1252), cfr.
p. 1415, nota 16.

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Le nazioni scandinave tra l’XI e il XIV secolo 351

contempo ambiziosamente espansionistica; il suo prestigio crebbe


con gli incarichi che gli venivano assegnati (tra l’altro trattò per il
sovrano la difficile questione dei rapporti con il re di Norvegia) e
presto diventò il vero signore del Paese. Da una parte si preoccupò
di consolidare la presenza svedese nel Baltico, conducendo crociate
in Finlandia il cui scopo era in realtà quello di porre un limite al-
l’espansionismo della ‘repubblica’ di Novgorod che voleva imporre
il proprio dominio nelle medesime zone.93 Probabilmente Birger fu
nominato jarl, in sostanza capo del governo, solo nel 1248 alla mor-
te del suo predecessore e cugino lo jarl Ulf Spaventoso (fase). Due
anni dopo, in seguito alla scomparsa del re, saliva al trono suo figlio
Valdemaro, egli tuttavia mantenne di fatto il governo nelle proprie
mani. Con autorevolezza e disinvoltura Birger jarl promosse un
forte potere centrale. Già durante il regno di Erik Eriksson (1248)
non aveva esitato a far giustiziare Holmger (successivamente dichia-
rato santo) figlio di quel Canuto il Lungo (Knut långe Holmgersson,
morto nel 1234) che per cinque anni (dal 1229 al 1234) aveva regna-
to in Svezia costringendo Erik all’esilio danese; gli avversari da lui
combattuti con maggior determinazione furono tuttavia i membri
del partito dei cosiddetti folkungar, nobili che avversavano fieramen-
te il potere centrale: secondo la Cronaca di Erik (Erikskrönikan)
erano essi stessi alla guida della rivolta scoppiata nel 1229.94 Nel 1247
Birger otteneva una decisiva vittoria contro di loro nella battaglia
di Sparrsätra nell’Uppland, sottoponendoli successivamente all’im-

93
Nell’ambito del conflitto russo-svedese è celebre la battaglia sul fiume Neva (15
luglio 1240) nella quale il principe Alessandro Jaroslavič (Александр Ярославич,
1220-1263), che da questo successo avrà il soprannome Nevskij (Невский), sconfisse
l’esercito svedese. Dopo una lunga serie di ostilità il confine finlandese fra Russia e
Svezia sarebbe stato tracciato nell’accordo di Nöteborg (finnico Pähkinälinna, presso
il punto in cui il fiume Neva fuoriesce dal lago Ladoga) nel 1323. Esso avrebbe dovu-
to partire dall’attuale Systerbäck (finnico Rajajoki/Siestarjoki, russo Сестра) sulla foce
del fiume omonimo e, toccando Vuoksen, Särkilahti, Varkaus, Karjalankoski e
Kolimakoski raggiungere la parte settentrionale del golfo di Botnia presso la località
di Pattijoki (forse tuttavia, un poco più a sud, quella di Pyhäjoki sulla foce del fiume
omonimo), al di sopra del 64° parallelo. Sulla effettiva linea di confine esistevano
tuttavia versioni differenti (vd. Lundkvist S., “Iura regni – Rikets rättigheter. Statslednin-
gen och Övre Norrland under sex århundraden”, in Edlund L-E. – Beckman L., Botnia.
En nordsvensk region, Höganäs 1994, pp. 73-74 e Tarkiainen 2008 [App. 1], pp. 101-
105). Questo trattato è noto anche come Trattato di Orešek (dal nome russo della
località, Орешек, odierna Шлиссельбург). Per un’analisi del testo (redatto in due copie
l’una in svedese e l’altra in latino, vd. p. 378, nota 206) si rimanda a Rydberg O.S.,
Traktaten i Orechovetz d. 12 aug. 1323. Kritisk undersökning, Stockholm 1876; vd.
anche Gallén J. – Lind J., Nöteborgsfreden och Finlands medeltida östgräns, I-III,
Helsingfors 1968-1991.
94
Erikskrönikan, pp. 34-36. Su questo testo si rimanda a p. 406.

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352 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

posizione fiscale (il che costituisce la prima tassazione regolare


istituita nel Paese). Un ulteriore successo egli avrebbe conseguito
nel 1251 a Herrevadsbro (in Västergötland o in Västmanland). Per
una ironia della sorte i discendenti di Birger jarl, rimasti sul trono
svedese fino al 1389, a lungo sarebbero stati indicati proprio con
l’appellativo di folkungar. In realtà il partito dei folkungar dura-
mente castigato da Birger e dal figlio, il re Magnus Serrature ai
fienili (Magnus ladulås Birgersson, re negli anni 1275-1290),95 scom-
parirà dalla scena nel 1280 quando i suoi ultimi rappresentanti,
accusati di lesa maestà, verranno giustiziati.96
Ma Birger jarl è ricordato anche per l’attività di legislatore. Se è
possibile che uno dei più importanti (e il più antico) dei codici
svedesi, la Legge antica del Västergötland (Äldre Västgötalagen) sia
stato almeno in parte da lui stesso ispirato (del tutto verosimilmen-
te dietro a quest’opera va riconosciuto il lavoro del fratello di
Birger, Eskil, lagman97 di quella regione), è certo che nel 1260
circa, nel pieno del suo potere, egli promulgò leggi intese a repri-
mere con maggior rigore i reati commessi nelle abitazioni private
(hemfrid), nelle chiese (kyrkofrid), durante l’assemblea (tingsfrid)
o nei confronti delle donne (kvinnofrid). Una innovazione per
certi versi ‘rivoluzionaria’, in particolare per quello che riguarda le
norme riguardanti le donne. Queste disposizioni ci sono tramanda-
te nelle cosiddette edsöreslagar, letteralmente “leggi giurate”,98 nelle
leggi regionali e in quelle cittadine.99 Un contributo alla centralizza-
zione dello Stato fu anche l’imposizione di una valuta comune che
(seppure per un tempo limitato) andò a sostituire quelle di Svealand
e Götaland.100 È in gran parte grazie all’opera di Birger jarl che lo
95
Il soprannome ladulås, per altro noto solo a partire dal XV secolo, si riferisce
presumibilmente alle statuizioni contenute nella deliberazione di Alsnö (vd. p. 360)
che regolamentava il dovere dell’ospitalità gratuita ai nobili da parte dei contadini,
applicando dunque in certo senso delle ‘serrature’ ai fienili e proteggendone il conte-
nuto; vd. Holmgren G., “Namnet Ladulås”, in SoS 1952, pp. 41-71.
96
Sulla complessa e importante questione dei folkungar vd. Bolin 1935, Schück
1959 e Harrison 2002, pp. 176-181 dove la questione è ben sintetizzata.
97
Vd. oltre, p. 358.
98
Ciò fa riferimento al fatto che la loro applicazione era garantita da un solenne
giuramento (la parola è formata su ed “giuramento” e svärja “giurare”) del re o dello jarl.
99
Una ricognizione di queste norme si trova in Schlyter C.J., “Utkast till edsörela-
garnas historia. Föreläsningar öfver UplL. Kg B. 4-9”, in Juridiska afhandlingar, I,
Upsala 1836, pp. 55-139.
100
Già dalla seconda metà del XII secolo il re Canuto Eriksson aveva introdotto un
sistema monetario regolare. Va tuttavia precisato che accanto alla valuta nazionale
Birger jarl ne aveva emesso una ‘personale’ (le monete, stampate su un solo lato, reca-
no la lettera ‘B’) che risulta utilizzata nel Västergötland. Il diritto di battere moneta è
significativo del suo enorme potere.

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Le nazioni scandinave tra l’XI e il XIV secolo 353

Stato svedese può dirsi affermato verso la fine del XIII secolo.
Tuttavia alla sua morte il figlio Valdemaro non avrebbe avuto vita
facile e dopo una lunga serie di conflitti sarebbe stato sostituito sul
trono dal fratello Magnus Serrature ai fienili (ca.1240-1290). Non
certo inferiore al padre per abilità e determinazione, Magnus sareb-
be riuscito a stabilire princìpi legislativi che di fatto sottraevano ai
poteri locali molte delle antiche prerogative.101
Parallelo allo stabilizzarsi dell’autorità reale era stato il consolida-
mento di quella ecclesiastica. Nel 1164 era stato istituito, come sopra
si è detto, l’arcivescovato di Uppsala. Contemporaneamente la Chie-
sa aveva rafforzato la sua presenza sul territorio non soltanto con la
costruzione di nuovi edifici religiosi in pietra al posto delle vecchie
chiese di legno, ma anche con l’edificazione e la consacrazione di
importanti cattedrali, che andavano a sostituire precedenti e più
semplici strutture,102 e la fondazione di molti conventi dei diversi
ordini: tra i più antichi quello di Vreta in Östergötland (benedettino
e poi cistercense), fondato secondo la tradizione dal re Inge il Vecchio
(den äldre) e da sua moglie Helena e quelli cistercensi di Alvastra in
Östergötland (da cui proveniva Stefano, morto nel 1185, primo
arcivescovo svedese),103 Nydala (Småland), Varnhem (Västergötland).
Nel XIII secolo sarebbero seguiti monasteri francescani e domeni-
cani. Come in Danimarca la Chiesa ottenne progressivamente una
serie di privilegi: già nel 1153 in occasione del sinodo di Linköping
presieduto dal legato papale Nicola Breakspear104 era stato istituito
il cosiddetto ‘obolo di San Pietro’ (in sostanza una tassa a favore del
Papa);105 nel 1200, il re Sverker il Giovane (den yngre) aveva conces-
so agli ecclesiastici l’esenzione dalle tasse e la possibilità di essere
giudicati da un tribunale speciale;106 anche Magnus Serrature ai
fienili concedeva molti privilegi.
Va da sé che gli uomini di Chiesa erano pienamente coinvolti
nelle questioni politiche e non potevano essere messi da parte. Solo
per fare un esempio: quando nel 1222 il giovanissimo Erik Eriksson
(di soli sei anni) saliva al trono, la reggenza venne affidata a Bengt,
101
Si veda in proposito l’ordinanza di Skänninge del 1285 (DS I, nr. 813, 23 agosto-31
dicembre, pp. 668-670).
102
Skara nel 1140, Linköping nel 1251 circa, Strängnäs iniziata nel 1260 circa, Östra
Åros, cioè l’attuale Uppsala (dove sarebbero state deposte le reliquie del santo re Erik)
nel 1273, Växjö nel XII secolo.
103
Su questo importante centro religioso vd. Håkanson K. – Rosborn S., “Klostret
vid Vättern”, in PH 1991: 1, pp. 32-35.
104
Cfr. p. 259.
105
STFM I, nr. 38, 28 novembre 1154, pp. 72-74.
106
DS I, nr. 115, pp. 139-149 (data generica: 1200).

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354 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

vescovo di Skara. Comprensibilmente vediamo vescovi ed eccle-


siastici di alto livello provenire dalle famiglie più eminenti: lo
stesso Birger jarl, per quanto potentissimo, mostra di voler mante-
nere i migliori rapporti con la Chiesa, del resto due suoi fratelli e
un figlio saranno vescovi di Linköping. Egli tuttavia dà prova di
considerare gli ecclesiastici piuttosto come funzionari del Regno,
ottenendo addirittura dal Papa Innocenzo IV un’ordinanza con la
quale si impone ai vescovi di sostenere il potere centrale (1252).107
Se, come del resto probabile, anche in Svezia dovettero esserci
contrasti, essi non culminarono nelle drammatiche contrapposizio-
ni verificatesi in Danimarca e in Norvegia.
Che il sostegno della Chiesa al potere statale fosse molto importan-
te appare comunque chiaro anche dalle vicende successive alla morte
di Magnus Serrature ai fienili: il suo erede, il figlio Birger, era ancora
minorenne e fu quindi affiancato dal Consiglio guidato da Torgils
Knutsson. Seppure gli anni della reggenza fossero segnati da impor-
tanti conquiste in Finlandia, l’ostilità di Torgils nei confronti della
Chiesa così come la discordia fra i figli di Magnus gli costarono la
carica e la vita: nel 1305 egli fu fatto prigioniero; condannato a morte
fu giustiziato nel febbraio del 1306. Del resto anche Birger fu fatto
prigioniero dai suoi fratelli, i duchi Erik e Valdemaro a Håtuna sul
Mälaren (Uppland) e rilasciato solo dopo che ebbe firmato un accodo
con cui cedeva loro gran parte del regno. Del che egli si sarebbe pre-
so terribile vendetta.108 La crudele e cruenta lotta dinastica si conclu-
se con l’elezione di Magnus Eriksson, nipote di Birger, che diventò al
contempo re di Norvegia: egli tuttavia aveva solo tre anni (1319).109
L’ascesa al trono di questo sovrano è segnata dall’emanazione
della cosiddetta frihetsbrev (letteralmente “lettera della libertà”), una
sorta di Magna Charta costituzionale nella quale si ponevano precisi
limiti al potere del re (del resto la nobiltà aveva ormai retto le sorti del
Paese per parecchi anni).110 Per quanto Magnus, una volta divenuto
adulto, dovesse accettare formalmente queste deliberazioni, egli
governò in modo sostanzialmente antiaristocratico puntando a limi-
tare i privilegi della nobiltà. Nel 1347 per sua iniziativa una commis-
sione si metterà al lavoro per preparare un codice di leggi comune a
tutto il Regno: la Legge generale di Magnus Eriksson (Konung Magnus
Erikssons Landslag) che entrerà in vigore nel 1350 (nel 1352 nelle zone

107
STFM I, nr. 97, 21 ottobre 1252, pp. 202-203.
108
Vd. oltre, pp. 356-357.
109
DS III, nr. 2196, 26-28 giugno 1319, pp. 406-409.
110
DS III, nr. 2199, 8 luglio 1319, pp. 411-412.

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Le nazioni scandinave tra l’XI e il XIV secolo 355

finlandesi soggette al dominio svedese),111 in sostanza la prima costi-


tuzione del Paese nella quale sono ripresi molti dei princìpi contenu-
ti nella frihetsbrev. Magnus era un sovrano con un potere territoriale
molto esteso: non soltanto infatti governava la Svezia, ma nel mede-
simo anno 1319 aveva ereditato anche il Regno di Norvegia, in segui-
to alla morte del nonno materno Håkon V Magnusson detto Gambe
lunghe (hålegg); inoltre, almeno per un certo periodo (formalmente
dal 1332 al 1360) era stato anche signore della Scania.112 Durante il
suo regno si diede tra l’altro l’avvio a una colonizzazione sistematica
delle regioni settentrionali.113 Per quanto il suo codice di leggi facesse
ampie concessioni agli aristocratici la situazione non era affatto facile.
Il desiderio del re di consolidare e ampliare i possedimenti orientali
(anche in questo caso mascherato sotto la pia veste della crociata) lo
aveva impegnato militarmente e finanziariamente. La situazione del
Paese, tra l’altro colpito dalla calamità della peste, era tutt’altro che
tranquilla. Sicché non si poté evitare l’aperta rivolta, scoppiata nel
1356 e conclusa con la nomina al suo fianco del figlio Erik. Tre anni
dopo Erik sarebbe morto e Magnus avrebbe potuto riprendere in
mano la situazione. Ma non definitivamente. Mentre la posizione di
Valdemaro Nuovo giorno si rafforzava, quella di Magnus si indeboli-
va, parallelamente ai successi del re danese in terra svedese.114 Sicché
alla fine, nonostante avesse cercato sostegno proprio presso Valdema-
ro, la cui figlia Margherita (Margrete) era andata in sposa a suo figlio
Håkon, divenuto nel 1355 re di Norvegia,115 egli fu costretto a cedere.
Del resto il suo rapporto con Håkon aveva conosciuto conflitti e
riappacificazioni. Nel 1363 una delegazione di nobili svedesi si recava
dal duca di Mecklemburgo, cognato di Magnus, per offrire la corona
111
Nel 1442 questo codice sarà sottoposto a una revisione e la sua nuova versione
promulgata dal re Cristoforo di Baviera: Legge generale per il Paese di Cristoforo (Kristof-
fers Landslag).
112
Vd. sopra nota 47. Nel 1343 Valdemaro Nuovo giorno aveva addirittura ceduto
definitivamente Scania, Halland e Blekinge al re svedese (STFM II, nr. 266, 18 novem-
bre 1343, pp. 84-92; Sundberg 1997 [Abbr.], nr. 22, pp. 61-62), il che non gli impedì
in seguito di riprendersi queste regioni.
113
Vd. il documento nel quale il re concede a “coloro che credono in Cristo, o
vogliono convertirsi alla fede in Cristo” di trasferirsi “in quel territorio del nostro
Regno, detto Lapponia, che è adiacente a Hälsingland e a Ångermanland” (DLO nr.
87-88) e colonizzarlo liberamente per sé e per i propri eredi, a condizione di pagare le
tasse al sovrano e ubbidire alle leggi e agli usi del Hälsingland (DS IV, nr. 3473, 16
marzo 1340, pp. 700-701).
114
Vd. pp. 339-340.
115
Fin da quando erano ancora bambini Magnus aveva designato i suoi figli Erik e
Håkon eredi rispettivamente del trono svedese e di quello norvegese. Una decisione
che, sottolineando il principio di ereditarietà del titolo regale, si inquadra nella sua
lotta contro l’aristocrazia che ovviamente propugnava la carica elettiva.

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356 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

al di lui figlio Albrecht. È evidente che i forti interessi commerciali


delle città tedesche svolsero un ruolo di primo piano in questa
vicenda. L’anno successivo Albrecht (svedese Albrekt) venne dun-
que proclamato re di Svezia. Il tentativo di Magnus e del figlio
Håkon di riprendersi il trono svedese finì per Magnus con la cat-
tura e per Håkon con la fuga (1365). Liberato qualche anno dopo
(1371), Magnus sarebbe morto durante l’esilio norvegese in un
naufragio (1374).
Lo scontro tra Magnus e i ‘poteri forti’ svedesi trova espressio-
ne particolarmente significativa nel contrasto che oppose il sovra-
no a Brigida (Birgitta Birgersdotter, 1303-1373), la nobile che,
dedicatasi dopo la morte del marito (1344) alla vita religiosa,
sarebbe in seguito stata proclamata santa (1391). Seppure inizial-
mente riponesse molte speranze nella figura di Magnus, ella venne
successivamente modificando il proprio giudizio e si espresse in
modo assai severo nei suoi confronti (il che influenzerà la visione
storica su di lui),116 arrivando a definirlo “un asino con la corona”
(“coronatus asinus”).117 Eppure i rapporti tra i due erano stati anche
cordiali: fu infatti il re a donare a Brigida l’edificio, precedente-
mente una dimora reale, in cui avrebbe avuto sede il celebre
monastero di Vadstena nell’Östergötland per l’Ordine Salvatoriano
da lei fondato. Ma se l’ostilità di Brigida nei confronti di Magnus
dipende in primo luogo dalla visione agostiniana dalla quale appa-
re assai influenzata, non va dimenticato che ella (sempre molto
realistica e concreta anche in materia religiosa) era di famiglia assai
nobile, figlia e vedova di eminenti funzionari svedesi ed era stata
dama di corte.118

Conseguenza della feroce lotta dinastica che vide l’assassinio di Tor-


gils Knutsson e la cattura del re Birger a Håtuna è il celebre episodio

116
August Strindberg (vd. pp. 1082-1083) centrerà la problematica della penitenza
sul contrasto tra Magnus Eriksson e Brigida nel dramma storico Storia dei folkungar
(Folkungasagan).
117
Vd. Revelaciones, III, xxxi, 1, p. 184.
118
Sui rapporti tra Brigida e il potere (sia quello ecclesiastico sia quello statale) vedi
l’approfondita analisi di T. Schmid (Schmid 1940 a [C.6.5], pp. 37-91: cap. 3 “Folkets
ledare”); sul suo conflitto con il re vd. Hergemöller U., Magnus versus Birgitta. Der
Kampf der heiligen Birgitta von Schweden gegen König Magnus Eriksson, Hamburg
2003. Sulla figura di questa santa vd. anche Fogelklou 1973, Klockars 1973 (entram-
bi in C.6.5) e Stolpe 2003; cfr. oltre, pp. 402-403. A lei è dedicato il romanzo di Sven
Stolpe, Fru Birgitta ler (La nobile Brigida sorride), 1955.

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Le nazioni scandinave tra l’XI e il XIV secolo 357

del cosiddetto ‘convito di Nyköping’. È riferito infatti che Erik e Val-


demaro fecero visita in questa località a Birger, loro fratello. In quella
occasione egli li fece catturare e imprigionare, lasciandoli poi morire di
stenti. Così la Cronaca di Erik riporta in toni drammatici il tragico
evento:

“Allora il re prese questa decisione


che catturò entrambi i suoi fratelli
e li gettò nella cella più profonda.
Al re importava poco
che soffrissero notte e giorno.
Il ceppo in cui stava il duca Erik,
era stato fissato con molti colpi;
e per di più gli davano poco cibo.
Ciascuno stava al suo ceppo,
un blocco grosso, possente, largo.
E se pure stavano in ceppi,
avevano entrambi le catene.
Erano pesanti e non buone,
ciascuna davvero pesante.119
Le loro mani erano inchiodate al ceppo, in avanti.
La loro pena era crudele e senza pietà.
Se qualche persona avesse visto,
sarebbe stato terribile anche per un pagano.
Il ceppo del duca Erik era stato ribattuto così forte,
che un pezzo era schizzato via
e aveva colpito il duca vicino all’occhio.
[…]
Andare incontro alla morte
che stava davanti a loro era meglio
dei tormenti che pativano allora.
I ferri al collo erano spessi e larghi
e conficcati nel muro come se
dovessero restarci per sempre.
Il re si compiaceva nel vedere
la loro pena e la loro miseria,
non aveva paura che morissero.”120

119
Con “ciascuna davvero pesante” si è tradotto lo svedese “hwar thera siu liwspund
woogh” che letteralmente significa “ciascuna pesava sette liwspund”. Quest’ultima è
una antica unità di misura che corrisponde a 8.5 kg.
120
Il brano è tratto dalla Erikskrönikan (DLO nr. 89). Questi tragici avvenimenti
sono rievocati anche in una ballata popolare danese dal titolo Re Birger e i suoi fratel-
li (Kong Birger og hans brødre); vd. DGF III, nr. 154, pp. 458-469.

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358 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

6.2.2. La società svedese

Anche in Svezia la costruzione dello Stato centralizzato dovet-


te basarsi su strutture preesistenti, in primo luogo sui territori
rappresentati da un’assemblea. Le fonti al riguardo sono tuttavia
poco chiare: a proposito delle regioni centrali del Paese si ha
notizia della suddivisione in distretti detti hæraþ (sved. mod.
härad), termine parallelo al danese herred, ciascuno dei quali era
sottoposto a un hæraþshøfþinge (sved. mod. häradshövding): a
questi dovrebbero corrispondere i cosiddetti hundare nella regio-
ne del Mälaren.121 Entrambe le denominazioni suggeriscono
comunque un’origine come ‘distretti militari’.122 Nell’isola di
Gotland il territorio appare suddiviso in frazioni (settingar “sesti”
e tredingar “terzi”) un sistema di cui restano tracce anche sulla
terraferma.123 Naturalmente questi distretti erano riuniti in unità
amministrative più grandi che ebbero il nome di lagsagor (sing.
lagsaga, termine la cui etimologia contiene chiari riferimenti sia
alla loro ragione giuridica sia alla consuetudine legata alla tra-
smissione orale della legge).124 A capo di queste lagsagor c’era una
figura la cui funzione aveva radici molto lontane nel tempo: il
laghmaþer o lagman (sved. mod. lagman) “uomo della legge”,
massima autorità giuridica, senz’altro apparentato al lǫgsǫgumaðr
islandese;125 è del tutto ragionevole pensare (anche riflettendo
sullo stile espressivo dei codici giuridici) che con quello condi-
videsse la funzione di mandare a memoria la legge, recitarla
all’occorrenza e presiedere l’assemblea. Con l’evolversi della
società svedese i laghmen (sved. mod. lagmän) seppero adattarsi
ai cambiamenti e mantennero una elevata dignità sociale (a esem-
pio, il fratello di Birger jarl, Eskil Magnusson, era lagman del
Västergötland, il padre di Brigida, Birger Persson, era lagman

121
Dalla seconda metà del XIV secolo il termine härad verrà esteso anche a questa
zona.
122
Del resto nella provincia di Roden (sulla costa dell’Uppland) essi prendevano
nome di skeppslag (termine nel quale è chiaramente riconoscibile la parola skepp
“nave”). In caso di ‘leva’ per la guerra (vd. p. 330) ciascuno di questi doveva fornire
una nave con il suo equipaggio e tutto l’occorrente. Cfr. p. 340 con nota 52.
123
Vd. Jansson 1970 e Hafström 1974.
124
La parola è infatti composta da lag “legge” e saga dallo sved. ant. sagha “espo-
sizione”, “racconto” (vd. Hellquist 19803 [B.5], II, p. 879). In diversi casi le lagsagor,
territori con proprie leggi, coincisero con i länder (sing. land) formati dall’unione di
villaggi vicini determinata da esigenze di carattere giuridico ed ecclesiastico.
125
Vd. p. 151.

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Le nazioni scandinave tra l’XI e il XIV secolo 359

dell’Uppland e il marito, Ulf Gudmarsson, lagman del Närke),


conservando – almeno fino alla fine del XIV secolo – la loro influen-
za anche in occasione dell’elezione del sovrano. Del resto, nono-
stante la progressiva affermazione del potere centrale, in Svezia – più
che altrove – le assemblee regionali furono capaci di mantenere
voce in capitolo nelle diverse circostanze. Come in Danimarca
l’importanza di queste istituzioni è rispecchiata in codici giuridici
che esprimono le diverse realtà, e lo sforzo della Corona per avo-
care a sé il potere legislativo resterà a lungo condizionato dalla
volontà dei potentati locali e della nobiltà.126
Dall’usanza militare della ‘leva’, di cui s’è detto,127 derivava la
carica dello jarl, dignitario importantissimo che affiancava (quando
addirittura non sostituiva) il sovrano.128 Ma l’ultimo (e il più poten-
te!) degli jarlar era stato Birger Magnusson che aveva introdotto in
sostituzione la dignità di hertig (“duca”). Con il passare del tempo
vennero affermandosi (verso la fine del XIII secolo) cariche cui
corrispondeva, nei diversi ambiti, una grande autorità sovraregio-
nale: il drots (rappresentante del governo centrale)129 e il kansler
(responsabile dell’amministrazione).130 Naturalmente tutte queste
persone appartenevano ai più alti livelli della società, a quella nobil-
tà che si era evoluta dalle antiche posizioni di potere e che godeva
di una solida posizione economica (ma che era stata anche avversa-
ta e tassata da Birger jarl). Costoro erano indicati con il termine assai
significativo di stormæn (sing. stormaþer/storman) “grandi uomini”.
Fin dalla fine del XII secolo i vescovi e gli uomini più eminenti
avevano di fatto assunto importanti funzioni. Un compito dappri-
ma svolto localmente, ma che gradatamente aveva creato un grup-
po di persone influenti che formavano una sorta di ‘parlamento’
(herredag).131 E tuttavia solo verso la fine del XIII secolo i nobili
126
Basti considerare nella Legge generale per il Paese di Magnus Eriksson le statui-
zioni sull’elezione del sovrano e sui limiti al suo potere; vd. in particolare la quarta
parte della Sezione relativa al re (Kununkx balker. IIII, pp. 7-8) dove si insiste sul carat-
tere elettivo del sovrano. Si considerino inoltre le limitazioni al suo potere contenute
nella sezione V (pp. 8-14) e le statuizioni relative al Consiglio del Regno (pp. 19-20).
127
Vd. p. 330.
128
Vd. anche p. 210.
129
Il grande potere di queste persone è rappresentato assai bene nella figura del
drots Bo Jonsson Grip (1335-1386) che, nominato a questa carica nel 1375, diventò in
breve tempo l’uomo più influente del Regno (a lui furono tra l’altro concessi in feudo
la Finlandia e le province di Stoccolma, Nyköping e Kalmar). Vd. p. 438 e p. 618.
130
In Svezia compare anche la dignità di marsk, che sembra tuttavia avere minore
peso politico rispetto alla Danimarca (cfr. p. 342 con nota 58).
131
Sull’origine e gli sviluppi di questo organismo vd. Schück H., Rikets råd och män.
Herredags och råd i Sverige 1280-1480, Stockholm 2005.

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360 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

svedesi ottennero un definitivo riconoscimento e benefici di carat-


tere feudale. Intorno al 1280, nel corso di una riunione di questo
Consiglio tenuta nella residenza reale di Alsnö sul Mälaren, vennero
deliberati privilegi ed esenzioni fiscali per gli uomini del re e di suo
fratello e per coloro che avessero la possibilità di combattere a caval-
lo. Questa esenzione (frälse), parallela a quella concessa in Danimar-
ca, decretava di fatto la nascita di una nobiltà di stampo europeo.132
Va qui ricordato che nella deliberazione di Alsnö ci si premura di
includere gli uomini dei vescovi, riprendendo e allargando i benefi-
ci che già nel 1200 il re Sverker aveva concesso agli ecclesiastici.133
La Chiesa venne dunque rafforzando una posizione già vantaggiosa
derivante anche dalla florida economia dei monasteri.
Naturalmente in questo quadro anche la classe contadina svede-
se perde progressivamente peso. Essa paga le tasse (a volte assai
gravose) per sostenere le iniziative della Corona, funzionari locali
addetti a questo compito sono il bryti (sved. mod. bryte) e il foghate
(sved. mod. fogde) che ricopre talora anche incarichi giudiziari.134
I contadini hanno inoltre l’obbligo di contribuire alla difesa del
Paese (landvärn) quando necessario e di ospitare il sovrano e i suoi
uomini quando si trovino nella regione,135 un dovere al quale tut-
tavia il re Magnus Serrature ai fienili porrà limitazioni.136 Tra di loro
inoltre confluiscono, in posizione non certo vantaggiosa, gli ultimi
schiavi la cui condizione sarà definitivamente abolita dal re Magnus
Eriksson nel 1335 in occasione della sua Eriksgata.137 Come in
Danimarca anche in Svezia nel XIII secolo si assiste a uno sviluppo
dovuto al miglioramento della tecnica, all’introduzione di nuove
colture e del sistema di rotazione delle coltivazioni e a una nuova

132
DS I, nr. 799, 1285, pp. 650-654; la data, non ulteriormente specificata, è quasi
certamente errata (vd. Liedgren J., “Alsnö stadgas språk och datering”, in Rättshisto-
riska studier, XI [1985], pp. 103-117); vd. anche Löfqvist 1935 (C.6.1).
133
DS I, nr. 115, pp. 139-140 (data non ulteriormente specificata).
134
In realtà la figura di questo funzionario è presente in tutti i Paesi nordici con
funzioni diversificate a seconda dell’ambito di competenza e del periodo storico; le
denominazioni sono: dan. foged, pl. fog(e)der; sved. fogde, pl. fogdar; norv. (bm) fogd,
pl. fogder o anche fut, pl. futer, (nn: fut, pl. futar); isl. fógeti, pl. fógetar o fóviti, pl.
fóvitar). Si rimanda qui a Nielsen 1959 (C.6.1), Ljung 1959, Fladby 1959 (C.6.3) e
Lárusson 1959 (C.6.4).
135
Fattorie destinate a questo scopo dovettero in particolare essere quelle indicate
dal toponimo Husaby (vd. Foote – Wilson 1973 [C.3.4], pp. 128-129).
136
Contenute nell’articolo 1 del decreto di Alsnö (vd. indicazione alla nota 132).
Cfr. nota 95.
137
DS IV, nr. 3106, 28 gennaio 1335, pp. 407-408 (sulla Eriksgata vd. p. 129 con
nota 112 e pp. 349-350). Già dal secolo precedente si constata tuttavia in Svezia una
progressiva scomparsa della condizione di schiavitù.

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Le nazioni scandinave tra l’XI e il XIV secolo 361

organizzazione del lavoro. Ma anche qui le epidemie di peste deter-


mineranno in seguito un drastico calo della popolazione e l’abban-
dono di molti poderi.
Un notevole sviluppo conoscono i centri urbani. In una lettera
del luglio 1252 firmata da Birger jarl compare per la prima volta
il nome di Stoccolma (Stockholmiæ, Anno Domini MCC.LII.
mense Julio);138 nella Cronaca di Erik si riferisce che egli “fece
costruire una bella casa e una buona città”,139 destinata a diveni-
re, come ben sappiamo, la capitale del Regno (nonostante l’in-
cendio che la devasterà nel 1330). Un nucleo abitativo doveva
tuttavia già essere presente in quel luogo, almeno fin dagli ultimi
decenni del XII secolo. Birger aveva ben compreso l’importanza
della regione del Mälaren in relazione ai piani espansionistici di
cui egli stesso si era fatto promotore e la città (in primo luogo una
fortificazione e poi un centro amministrativo), situata in un pun-
to strategico e facile da difendere, garantiva a chi la possedesse
un controllo economico e politico: per queste ragioni essa avreb-
be gradatamente acquisito importanza e prestigio (nel 1270 vi fu
tra l’altro fondato un convento francescano). Simbolicamente
Stoccolma verrà ‘nobilitata’ da Magnus Serrature ai fienili che
deciderà di esservi sepolto.140

138
DS I, nr. 390, p. 354. L’etimologia di questo toponimo non è definitivamente
chiarita. Fatto salvo il significato di holm “isola”, stock potrebbe avere senso originario
di “tronco”, “palo” con riferimento ai pali che venivano usati per realizzare ponti
rudimentali, tenuto conto che il nucleo della città sorge su un gruppo di isole; vd.
Sahlgren J., “Namnet Stockholm”, in NoB XXX (1942), pp. 141-149.
139
“Birger jarl, quell’uomo saggio./ Fece costruire la città di Stoccolma/ con
grande giudizio e molta intelligenza,/ una bella casa e una buona città/ tutti fecero
proprio come lui ordinava./ È uno sbarramento per il lago,/ così che gli abitanti
della Carelia non rechino loro molestia./ Il lago è buono, vi dico perciò:/ ci sono
diciannove parrocchie/ e tutt’intorno al lago sette città./ Là ora c’è allegria e molta
gioia,/ dove prima c’era dolore e molti lamenti/ per via dei pagani, che li aggredivano.”
(DLO nr. 90). La “bella casa” è certamente una costruzione fortificata. Il riferimento
allo “sbarramento per il lago” contro gli abitanti della Carelia è verosimilmente da
collegare anche all’aggressione di pirati provenienti dall’est che nel 1187 avevano
attaccato Sigtuna dandola alle fiamme e uccidendo l’arcivescovo. Queste ripetute
incursioni furono certamente tra i motivi che indussero alla fortificazione di quella
che sarebbe diventata la città di Stoccolma. Alla fondazione della quale è dedicato un
lavoro di Pehr Ulric Huldberg (1784-1834) dal titolo Birger jarl, ovvero la fondazione
di Stoccolma, opera teatrale in tre atti (Birger Jarl, eller anläggningen af Stockholm,
skådespel i tre akter, 1835).
140
Sui primi secoli della città si può rimandare qui a diversi studi quali Hildebrand
H. – Liljekvist F. et al., Stockholm under medeltiden och Vasatiden. Kort framställning,
Stockholm 1897; Nerman 1922; Bolin G., Stockholms uppkomst. Studier och under-
sökningar rörande Stockholms förhistoria, Uppsala 1933; Ahnlund 1953.

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362 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

Centri urbani sviluppati già dal secolo precedente erano Sigtuna


nell’Uppland,141 Skara e Lödöse nel Västergötland; a essi se ne
aggiunsero (oltre a Stoccolma) diversi altri favoriti dalla presenza
di commerci, di centri religiosi o castelli (Linköping, Strängnäs,
Eskilstuna, Västerås). Nel 1284 Jonköping sarà la prima località a
ottenere un ordinamento attestante il suo status di città e i privile-
gi connessi.142 Nel 1258 con lo spostamento della sede arcivescovi-
le nella vicina Östra Åros (Uppsala attuale) la vecchia Uppsala
(Gamla Uppsala) vede gradatamente scemare l’antico primato.143
Per quanto relativamente vicina a Stoccolma, la nuova Uppsala
riuscirà a conservare il prestigio dell’antica, basti pensare che qui
sarà istituita nel 1477 la prima università del Nord.144 Nel XIII
secolo acquisiscono importanza strategica altre località nelle quali
sorgono fortezze e castelli: Kalmar in Småland, Stegeborg (presso
Söderköping) in Östergötland, Borgholm sull’isola di Öland
e Nyköping in Södermanland. Attorno alla metà del XIV secolo
una Legge per le città che sostituirà più antiche forme di diritto
municipale145 sarà emanata da Magnus Eriksson (Konung Magnus
Erikssons Stadslag). La nascita e la crescita di diversi centri urbani
è diretta conseguenza dello sviluppo economico che si constata sia
nell’agricoltura sia nel commercio.
La nuova struttura della società svedese, risultato dei profondi
cambiamenti avviati nel periodo vichingo e ulteriormente matura-
ti tra la fine dell’XI e i primi decenni del XIV secolo troverà la sua
consacrazione nel 1359, quando la convocazione del parlamento
svedese prevederà per la prima volta la partecipazione dei quattro
stati: nobiltà, clero, cittadini e contadini.146 Ceti che tuttavia avran-
no un peso ben diverso nello sviluppo del Paese.

141
Su Sigtuna vd. Floderus E., Sigtuna. Sveriges äldsta medeltidsstad, Stockholm
1941.
142
DS I, nr. 789, 18 maggio 1284, pp. 644-645.
143
Sulle origini della città vd. Sundquist N., Uppsala stads historia: I. Östra Åros.
Stadens uppkomst och dess utveckling intill år 1300, Uppsala 1953.
144
Vd. oltre, p. 452.
145
Detto in ant. nord. (e dunque ant. norv.) bjarkeyjarrétt (ant. sved. biærkøarætter,
dan. medio biærkeræt). Si tratta del diritto che regolamentava i centri commerciali
nordici: forse il primo elemento della parola deriva dal frisone birk “commercio” (una
parola con la quale il toponimo che indica l’importante centro vichingo svedese di
Birka mostra evidente affinità).
146
Sulla storia del parlamento svedese (riksdag) vd. Hadenius S., Riksdagen. En
svensk historia, Stockholm 1944.

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Le nazioni scandinave tra l’XI e il XIV secolo 363

6.3. Norvegia

6.3.1 Stato, Chiesa e poteri locali

La fondazione di uno stato norvegese centralizzato, già perseguita


da Araldo Bella chioma nel IX secolo, aveva potuto trovare definitiva
consacrazione solo nel momento in cui il concorso di interessi politi-
ci e religiosi si era incarnato nelle figure dei grandi sovrani cristianiz-
zatori: Olav Tryggvason e, soprattutto, Olav il Santo, ‘re e martire’,
divenuto dopo la morte simbolo esemplare della nazione. Il consenso
popolare attorno alla sua persona sarebbe stato abilmente pilotato:
nella seconda metà del XII secolo l’arcivescovo Øystein Erlendsson
(che a sua volta sarebbe stato innalzato alla gloria degli altari) ne ave-
va promosso il culto, forse redigendo in prima persona la sua agiogra-
fia.147 Forti di questa eredità i successori di Olav, da Magnus il Buono
a Sigurd Viaggiatore a Gerusalemme avevano potuto rafforzare il
potere reale e al contempo promuovere una politica espansionistica
che aveva portato, tra l’altro, ai ripetuti tentativi di Araldo di Duro
consiglio di conquistare la Danimarca (naufragati definitivamente nel
1064), alla sua sconfitta contro gli Inglesi nel 1066, e (tra la fine dell’XI
e l’inizio del XII secolo) al ristabilimento da parte del re Magnus
Piedi nudi del dominio norvegese sulle Orcadi, le Ebridi, Dublino e
l’isola di Man. La situazione del Paese sarebbe tuttavia precipitata alla
morte del figlio di Magnus, Sigurd Viaggiatore a Gerusalemme (1130),
un evento che avrebbe scatenato una accanita lotta per la successione
nella quale sarebbero intervenuti eredi veri o presunti, alti ecclesiasti-
ci e personaggi eminenti portatori di diversi interessi.
Uno scontro senza esclusione di colpi, basti pensare alle alleanze
e rivalità di tre fratellastri co-sovrani, Inge Schiena curva (krokrygg,
ant. nord. krypling, kryppill), Øystein e Sigurd, figli del re Araldo
Magnusson Servitore [di Cristo] (Haraldr Magnússon gilli, 1103-1136,
a sua volta figlio di Magnus Piedi nudi). Il che nel 1155 portò all’omi-
cidio di Sigurd da parte della fazione di Inge, apertamente sostenuto
dalla Chiesa.148 Ma neppure privo di momenti solenni come l’incoro-
nazione (nel corso di una assemblea nazionale tenuta a Bergen, nel
1163 o 1164) del re bambino Magnus Erlingsson (1156-1184) da
parte dell’arcivescovo Øystein Erlendsson, dimostratosi anche in
147
Vd. p. 321, nota 119. Sull’importante figura di questo arcivescovo vd. Gunnes
E., Erkebiskop Øystein. Statsmann og kirkebygger, Oslo 1996.
148
Due anni dopo anche l’altro fratello, Øystein, sarebbe stato ucciso. Inge stesso sareb-
be poi caduto nel 1161 in uno scontro presso Oslo con i sostenitori dei fratellastri morti.

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364 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

questa occasione molto influente e capace, come dimostra il giura-


mento di fedeltà a Roma fatto prestare in tale occasione di fronte al
legato papale Stefano,149 e anche il richiamo esplicito a Olav il Santo.150
Comunque un conflitto segnato dalla presenza di ‘partiti’. Innanzi
tutto quello dei cosiddetti birkibeinar, letteralmente “gambe di
betulla”.151 Costoro erano uomini delle regioni orientali confinanti con
la Svezia e poi anche del Telemark raggruppati nel 1177 per la prima
volta sotto la guida del pretendente al trono Øystein Ragazzina
(møyla, ant. norv. meyla, 1157-1177) Øysteinsson (fattosi proclamare
re dall’assemblea di Øyrating in Trøndelag)152 e con lui sconfitti da
Magnus Erlingsson appoggiato da capitani locali (lendmenn).153
Un ‘partito’, o meglio un ‘esercito di disperati’ che nonostante la disfat-
ta avrebbe presto trovato un capo ben più prestigioso e capace nella
figura di Sverre Sigurdsson (Sverrir Sigurðarson, ca. 1151-1202). Cre-
sciuto nelle Føroyar, educato alla vita ecclesiastica dal vescovo Roe,
cognato di sua madre, Sverre era partito per la Norvegia con l’intenzio-
ne di conquistare il trono (1176) dopo che lei, secondo la storia, gli
aveva rivelato che suo padre era, in realtà, Sigurd Bocca [brutta] (munn,
ant. nord munnr) Haraldsson (il co-sovrano che nel 1155 era stato
ucciso a Bergen). Con l’aiuto dei birkibeinar Sverre sarebbe infine riu-
scito nell’intento e dopo aver sconfitto definitivamente Magnus (1184)
sarebbe divenuto unico sovrano del Paese. Ma il suo regno sarebbe
stato segnato da una costante conflittualità tra la Corona e la Chiesa.

149
In relazione all’incoronazione di Magnus era stata anche emanata una regola-
mentazione relativa all’elezione del sovrano nella quale si affermava il principio
dell’ereditarietà (e, almeno in linea di massima, quello della primogenitura e della
nascita legittima), ma si salvaguardava al contempo il diritto degli alti ecclesiastici e
dei più importanti dignitari di intervenire al riguardo. Si tratta, in ogni caso, del primo
tentativo fatto in un Paese europeo per disciplinare la successione al trono; vd. il
commento nell’edizione a cura di E. Vandvik (Latinske dokument til norsk historie
fram til år 1204, Oslo 1959) che riporta il testo alle pp. 62-65. Vd. anche Holmsen A.,
“Erkebiskop Eystein og tronfølgeloven av 1163”, in NHT XLIV (1965), pp. 225-266
e Tobiassen T., “Tronfølgelov og privilegiebrev”, in Holmsen A. – Simensen I., Norske
historikere i utvalg 2. Samfunnsmaktene brytes, Oslo 1969, pp. 216-292.
150
In Holmsen 1971-19774 (B.3), I, p. 208, si sostiene tuttavia che il richiamo a
Olav il Santo non è da intendere come un atto di sottomissione alla Chiesa. Appare
chiaro in ogni caso che l’impostazione data dall’arcivescovo Øystein all’investitura di
Magnus corrisponde agli interessi ecclesiastici.
151
Questo ironico appellativo era dovuto al fatto che costoro, essendo molto pove-
ri, usavano cortecce di betulla al posto delle normali calzature.
152
Ant. norv. Eyraþing. Questa assemblea si affiancava nella regione all’importante
Frostating; in seguito allo stabilirsi della consuetudine di proclamare qui il re norve-
gese, essa acquisì particolare prestigio. Il soprannome di Øystein faceva riferimento ai
suoi tratti fanciulleschi quasi ‘femminili’.
153
Vd. p. 372.

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Le nazioni scandinave tra l’XI e il XIV secolo 365

Fin dal 1179 quando – dopo la grande vittoria di Kalvskinnet a


Nidaros contro il padre del re Magnus, lo jarl Erling Collotorto
(skakki) –154 era divenuto a tutti gli effetti signore del Trøndelag,
Sverre si era trovato in dura contrapposizione con l’arcivescovo
Øystein Erlendsson, fervente sostenitore di Magnus. La presa di
possesso di Nidaros da parte dei birkibeinar rappresentava infatti
la costituzione di un potere assai sgradito alla Chiesa, proprio là
dove aveva sede l’arcivescovato, in un luogo ricco di significati
simbolici che conservava la tomba di Olav il Santo.155 In conseguen-
za della sconfitta l’arcivescovo era dunque dovuto fuggire in Inghil-
terra e nonostante una successiva riconciliazione tra di loro sarebbe
rimasta una profonda inimicizia. Tra l’altro, prima di morire (1188),
Østeyn avrebbe indicato come successore Eirik Ivarsson (1189-1205),
vescovo di Stavanger, noto oppositore di Sverre ormai divenuto re.
Per contrastare il potere del nuovo sovrano e dei birkibeinar si
fece, naturalmente, ricorso alle armi. La lotta armata fu condotta e
sostenuta (politicamente e ideologicamente) soprattutto dal ‘partito’
dei cosiddetti bagler (ant. nord. baglar), letteralmente “pastorali”,
fondato nel 1196 sotto la guida del vescovo di Oslo, Nicola (Nikolas)
Arnesson (ca.1150-1225). Per tutta la durata del suo regno Sverre
sarebbe stato costretto a combattere questo ‘esercito dei vescovi’. Del
resto la sua politica mirava a ridimensionare considerevolmente il
potere della Chiesa e i suoi contrasti con l’arcivescovo Eirik Ivarsson
(che tra l’altro rifiutò di incoronarlo) furono costanti; esemplare è
l’episodio, riportato nella saga dedicata al sovrano, dove si riferisce
che nel corso di un’assemblea fu discussa la consistenza del seguito
cui l’arcivescovo aveva diritto: il re infatti voleva ridurre il numero
di questi uomini da novanta a trenta (di cui solo dodici armati).
Dalla lunga disputa, nella quale le due parti invocarono l’autorità di
codici giuridici,156 l’arcivescovo uscì sconfitto e dovette rifugiarsi in
Danimarca presso Absalon. La fonte precisa che in quel Paese egli
fu poi colpito dalla cecità.157 Che Sverre fosse considerato un grande

154
Il soprannome gli derivava dalle conseguenze di una ferita al collo ricevuta
durante la sua partecipazione a una crociata nel 1153.
155
La radicata tradizione secondo la quale la cattedrale di Trondheim (l’antica
Nidaros) è stata costruita sul luogo della prima sepoltura del santo sovrano è stata negli
ultimi decenni messa in discussione (vd. Ekroll 2000 [C.4.3]).
156
L’arcivescovo si richiamava al diritto canonico e al codice (che per altro non
possediamo) definito Gullfjǫðr (“Penna d’oro”) redatto a quanto pare dal suo prede-
cessore Øystein, mentre il re faceva riferimento alle statuizioni di Olav il Santo e alla
cosiddetta Grágás (“Oca grigia”), codice giuridico del Trøndelag fatto risalire al re
Magnus Olavsson, figlio illegittimo di Olav (cfr. p. 423).
157
Saga di Sverre, cap. 117.

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nemico della Chiesa, appare chiaramente dalla scomunica che gli fu


decretata nel 1194 (estesa ai prelati che si erano piegati al suo volere
e lo avevano accettato come re). Del resto dopo la partenza di Eirik
egli era divenuto, di fatto, capo della Chiesa norvegese, arrogandosi
il diritto di nomina dei vescovi e ottenendo in quello stesso anno di
essere incoronato dall’intero collegio episcopale.158

Dalla Saga di Sverre di Karl Jónsson:

“Sverre raccontò il sogno in questo modo che gli pareva di essere arrivato
in Norvegia da occidente sul mare, e di aver ottenuto là qualche dignità, e
in particolare di essere stato scelto come vescovo. Ma gli pareva che ci fosse
grande inimicizia nel Paese, per i conflitti fra i sovrani, e gli pareva che Olav
il Santo avesse un conflitto con il re Magnus e lo jarl Erling, e che egli stes-
so riflettesse da chi fra loro dovesse recarsi. Gli parve di preferire di far
visita al re Olav. E quando giunse là fu accolto bene e con grande cortesia.
Ma poco tempo dopo che era là avvenne un mattino, che gli parve che ci
fossero poche persone dal re, non più di quindici o sedici uomini, e il re si
lavava presso un tavolino in un locale di sopra. E quando si fu lavato, un
altro uomo voleva andare al tavolino e lavarsi nella stessa acqua in cui si era
lavato il re. Ma il re lo spinse via con la mano e lo invitò a lasciar stare. Poi
chiamò Sverre Magnus e lo invitò a lavarsi in quella stessa acqua. Gli parve
di fare come egli aveva ordinato. E quando si fu lavato, entrò un uomo di
corsa con notizie urgenti e invitò gli uomini a prendere subito le armi, e
disse che i nemici del re erano alle porte. Il re rispose che non ci sarebbero
stati problemi e invitò gli uomini a prendere le loro armi da combattimento
e uscire, e disse che avrebbe [avuto] il proprio scudo e [li avrebbe] protetti
tutti con quello. Fecero come il re aveva detto. Allora egli prese la sua spada
e la porse al giovane Sverre, e poi gli porse in mano il suo stendardo e disse:
‘Prendi lo stendardo, signore, e ricordati che questo stendardo lo dovrai
portare da ora in poi.’159 Gli parve di prendere lo stendardo, ma con un

158
La posizione del re e il suo tentativo di limitare il potere della Chiesa è espressa
nell’anonimo pamphlet, cui il celebre antiquario islandese Árni Magnússon (vd. pp.
587-588) diede il significativo titolo Discorso contro il clero norvegese (Oratio contra
clerum Norvegiæ), conservato in un manoscritto databile tra il 1320 e il 1330 (AM 114
a, 4to) ma certamente riconducibile all’ambiente della corte del re Sverre. Il testo, il
cui stile rimanda alla cancelleria reale di Oslo, è infatti molto probabilmente copia di
un più antico originale. In proposito si può leggere Gunnes E., Kongens ære. Kongemakt
og kirke i “En tale mot biskopene”, Oslo 1971.
159
La figura dell’alfiere (ant. nord. merkismaðr) godeva di una posizione di presti-
gio nell’ambito della corte. Questa persona che doveva sempre seguire il re aveva anche
importanti riconoscimenti, quale – fra gli altri – il diritto di far parte del Consiglio di
reggenza. Questa dignità scomparve nei primi decenni del XIV secolo.

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Le nazioni scandinave tra l’XI e il XIV secolo 367

certo timore. Ora il re prese lo scudo e tutti uscirono insieme piuttosto


velocemente. Gli parve che la balconata coperta là dove uscivano fosse
tanto lunga che non era meno di sessanta álnir,160 e gli parve di non poter
tenere lo stendardo ben eretto finché erano dentro la casa. Ma quando
arrivarono alla porta dalla quale dovevano uscire, vennero loro incontro
sette uomini armati e volevano colpire l’alfiere, ma il re avanzò con il suo
scudo e diede riparo a lui e a tutti loro, sicché nulla li danneggiò. Poi giun-
sero all’aperto e su un bel prato. Dopo di ciò gli parve di alzare lo stendardo
e di portarlo contro la schiera del re Magnus e dello jarl Erling, e gli sembrò
che quando avanzò, quella schiera immediatamente indietreggiasse.”161

Il duro contrasto tra due poteri forti non giovava al Paese. Alla
morte di Sverre il figlio e successore Håkon operò dunque un
tentativo di riconciliazione che tuttavia non diede risultati defini-
tivi a causa della sua prematura scomparsa (1204).162 La guerra
civile continuò fino al 1208, quando venne trovato un accordo
sulla divisione del Regno fra i re eletti dalle due opposte fazioni,
Inge Bårdsson per i birkibeinar (nominato nel 1204) e Filippus
Simonsson, nipote del vescovo Nicola Arnesson, per i bagler (nomi-
nato nel 1207): il primo avrebbe governato le zone settentrionali e
occidentali, il secondo le zone orientali. In questo accordo (che
accontentava almeno in parte anche un altro pretendente del par-
tito dei birkibeinar, Håkon jarl, nipote di Sverre) i vescovi ebbero
un ruolo fondamentale di mediazione.163
Inge Bårdsson e Filippus Simonsson morivano entrambi nel
1217. Una data, questa, assai importante perché segna l’ascesa al
trono (approvata da entrambe le fazioni) del giovane nipote di
Sverre, Håkon Håkonsson, sovrano intelligente e riflessivo, ma
160
Vd. p. 125, nota 102.
161
DLO nr. 91.
162
Assai significativo è il testo della lettera di riconciliazione inviata da Håkon ai
vescovi, nella quale egli dichiara di voler rispettare le prerogative della Chiesa purché
ciò non vada a scapito della Corona e, contemporaneamente, si preoccupa dei conta-
dini, vittime senza colpa di questa vera e propria ‘guerra civile’ (DN VIII: 1, nr. 5, 1202,
pp. 6-8): “Ora, dal momento che questi dissidi e questioni ci sono stati a lungo tra di
noi, con molte sofferenze e grandi difficoltà per noi e soprattutto per chi [in ciò] ha
avuto meno parte, il contadino, che abita il Paese […]” (DLO nr. 92).
163
Delle lotte fra i birkibeinar e i baglar riferiscono le cosiddette Saghe dei baglar
(Bǫglunga sǫgur), delle quali possediamo una versione più lunga e una più breve (che
arriva fino al 1208). È interessante notare come l’autore della versione più breve (un
islandese) promuova innanzi tutto il punto di vista dei baglar, mentre la versione più
lunga si deve a una persona che appare vicina a una figura eminente del partito dei
birkibeinar, forse addirittura lo stesso Inge Bårdsson.

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anche determinato e senza scrupoli. L’inizio del suo regno è con-


traddistinto (anche a motivo della giovane età di Håkon che al
momento della proclamazione aveva solo tredici anni) dalla colla-
borazione con il potente jarl Skule Bårdsson, che diverrà suo
suocero. Una collaborazione destinata tuttavia a trasformarsi in
uno scontro che farà riesplodere le contese per il trono finché, più
di vent’anni dopo, Håkon sconfiggerà definitivamente Skule vicino
a Oslo e questi poi perderà la vita ucciso presso il convento di
Elgeseter a Nidaros (1240). Collegato a questo conflitto sarà anche,
l’anno successivo, l’assassinio di Snorri Sturluson, politico (e lette-
rato) islandese che si era posto in contrasto con il re norvegese.164
Da questo momento il potere della Corona sarà rafforzato: un
rafforzamento simboleggiato non solo dalla solenne incoronazione
(1247) di Håkon nella cattedrale di Bergen da parte del cardinale
Guglielmo di Sabina (ca.1184-1251), ma anche dalla successiva
statuizione del 1260 nella quale, mentre si dichiarava che il Regno
norvegese dovesse avere carattere ereditario, si stabiliva che la coro-
na avrebbe dovuto restare sul capo di un unico sovrano (il che tra-
sformava in sostanza il consenso delle assemblee in un atto formale).165
Abilmente Håkon concesse privilegi alla Chiesa (a esempio nel 1222
riconobbe all’arcivescovo Guttorm il diritto di battere moneta).166
Altrettanto abilmente riformò la corte (hird) facendone un simbolo
del potere regale e di fatto promuovendo un nuovo tipo di aristocra-
zia su modelli stranieri. Inoltre migliorò l’organizzazione del Regno
regolamentandone il Consiglio (riksråd), riordinandone l’ammini-
strazione e creando le circoscrizioni giudiziarie. Seppe anche esibire
tutta la magnificenza della Casa regnante occupandosi della costru-
zione o ricostruzione di edifici religiosi e secolari: nel 1261 fu termi-
nata la magnifica residenza reale di Bergen. La sua politica estera fu
da una parte piuttosto aggressiva ma all’occorrenza aperta all’allean-
za verso i vicini nordici, dall’altra intesa a stabilire importanti rela-
zioni con Paesi anche lontani come la Spagna o la Tunisia.167 Nel
1263 Håkon si ammalò e morì nelle Orcadi durante una spedizione
nelle isole britanniche. Gli successe il figlio Magnus IV, noto come
164
Vd. p. 287, nota 13.
165
Vd. Norske Middelalder Dokumenter i utvalg ved S. Bagge – S. Holstad Smedsdal
et al., Bergen-Oslo-Tromsø 1973, pp. 104-109. In quegli anni Håkon aveva anche ema-
nato diverse leggi che riformavano in profondità il diritto norvegese (NGL I, pp. 121-126
e NGL IV, pp. 19-25); cfr. Gunnes 1971 (in nota 158), p. 366. Cfr. sopra, nota 149.
166
NGL I, p. 446.
167
La figlia di Håkon, Cristina (1234-1262), fu data in sposa al principe Felipe di
Castiglia (1231-1274) nel 1258; al sultano di Tunisi Håkon inviò una delegazione nel
1262.

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Le nazioni scandinave tra l’XI e il XIV secolo 369

Emendatore di leggi (lagabøte), soprannome legato alla promulga-


zione di un codice comune per tutta la Norvegia. Una riforma che
da una parte introdusse importanti princìpi (a esempio il diritto
delle donne all’eredità, per quanto in misura limitata) mentre dall’al-
tra significò, di fatto, lo svuotamento dell’antico potere delle diverse
assemblee, dalle quali essa fu comunque formalmente approvata tra
il 1274 e il 1277/1278.168 Al Codice di leggi del Paese (Landslov) si
sarebbero successivamente aggiunti quelli per le città (Bylov) e per
la corte (Hirðskrá).169
Si deve all’opera di Håkon e di suo figlio Magnus (ma anche a
quella del ‘nemico’ Skule!) se nel corso del XIII secolo la Norvegia
si trasforma in uno Stato ricco e potente con una fiorente economia,
la cui autorità al di fuori dei confini del Paese si estende sulla
regione svedese di Jämtland, così come sulle Shetland, le Orcadi,
le Ebridi e l’isola di Man, mentre l’Islanda e la Groenlandia saran-
no sottomesse al suo dominio.170
Magnus Emendatore di leggi aveva dovuto concedere molti pri-
vilegi a una Chiesa che era divenuta sempre più potente e, con
taluni suoi rappresentanti (in particolare l’arcivescovo Jon Raude,
1268-1282), addirittura aggressiva. Nel 1277 era stato siglato a
Tønsberg un accordo che di fatto rendeva il potere ecclesiastico
parallelo a quello dello Stato, concedendo anche l’esenzione fiscale
ai vescovi.171 Dopo la morte di Magnus (1280) tutto ciò avrebbe
scatenato nuovi e duri contrasti. L’erede al trono, Eirik Magnusson,
aveva solo dodici anni e dunque lo scontro fu, innanzi tutto, tra la
nobiltà (in particolare il Consiglio del Regno che gestiva la reggenza)
e gli ecclesiastici. Il concordato del 1277 fu rigettato, il diritto di
battere moneta concesso da Håkon Håkonsson all’arcivescovo can-
cellato e alle scomuniche si rispose con minacce di proscrizione. Alla
fine l’arcivescovo e due vescovi dovettero andare in esilio (1282),
mentre gli altri ecclesiastici si sottomettevano al potere statale. Il re

168
Con l’eccezione – a quanto pare – del Borgarting (su cui cfr. p. 371).
169
Cfr. p. 211 con nota 434.
170
Vd. oltre, pp. 383-384 e p. 1452 con nota 183. L’impero norvegese raggiunse la
sua massima estensione nel 1265, poco dopo l’annessione della Groenlandia e dell’Islan-
da e prima della cessione delle Ebridi e dell’isola di Man alla Scozia in cambio del
riconoscimento del dominio norvegese sulle Shetland e le Orcadi sanciti dal trattato
di Perth del 1266 (DN VIII: 1, nr. 9, 2 luglio 1266, pp. 13-17; cfr. il rinnovo dell’accor-
do in DN XIX: 1, nr. 482, 29 ottobre 1312, pp. 597-603). Nel 1273 una commissione
mista norvego-svedese stabiliva la linea di confine tra i due Paesi dal fiume Göta-
älv alla regione di Ångermanland (STFM I, nr. 120, pp. 242-262, la data resta tuttavia
incerta).
171
NGL II, pp. 462-480.

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Eirik, seppure esprimesse un atteggiamento meno radicale dei nobi-


li nel conflitto con la Chiesa, ebbe il significativo soprannome di Odia
preti (prestehater). La sua politica è segnata, tra l’altro, dalle ostilità
con la Danimarca (scoppiate in conseguenza dell’assassinio del re
danese Erik Klipping)172 ma anche dall’accordo del 1297 secondo il
quale l’arcivescovo di Nidaros diventa un vassallo del re e ottiene il
titolo di jarl.173 Dopo di lui il fratello Håkon Magnusson Gambe
lunghe (1299-1319) perseguirà un rafforzamento del potere della
Corona accentrando saldamente nelle proprie mani il sistema ammi-
nistrativo e fiscale e legando maggiormente a sé il Consiglio del Regno.
Un Regno, dunque, forte e consolidato, che tuttavia andrà incon-
tro a un inaspettato declino determinato dalla combinazione di
diversi fattori di carattere, innanzi tutto, politico e dinastico. Come
è stato detto, nel 1319 alla morte di Håkon V il re svedese Magnus
Eriksson ereditava anche la Corona norvegese, da lui difesa con
determinazione di fronte alla ripetuta ribellione dei nobili.174 Il trono
di Norvegia passava nel 1343 a suo figlio Håkon (seppure Magnus
mantenesse la reggenza) che assumeva effettivamente il governo nel
1355, godendo di grande popolarità. Il suo matrimonio con Marghe-
rita, figlia del re danese Valdemaro Nuovo giorno avrebbe potuto
rafforzare il Regno, ma una sfortunata serie di eventi avrebbe invece
creato i presupposti per un lunghissimo periodo di sottomissione
della Norvegia alla Corona danese.175 Questo declino fu del resto
accelerato dalle disastrose conseguenze dell’epidemia di peste che
colpì il Paese tra il 1349 e il 1350, decimando la popolazione e spaz-
zando via anche gran parte della élite ecclesiastica e statale.

6.3.2. La società norvegese

La conformazione geografica della Norvegia, terra modellata dal


ghiaccio e caratterizzata da valli, montagne, fiordi e isole aveva
certamente favorito nel corso dei secoli la formazione e la difesa di
172
Vd. pp. 336-338.
173
La notizia in proposito ci viene da un successivo decreto con il quale il re Håkon
Magnusson revocava questo titolo (DN I: 1, nr. 125, 13 gennaio 1310, pp. 113-114).
174
Nel 1332 appena assunte in pieno le proprie funzioni Magnus era entrato in
conflitto con i Norvegesi, tra l’altro destituendo il potente Erling Vidkunsson (1293-
1355), una sorta di governatore generale nominato nel 1323 dagli ecclesiastici e dai
nobili, il quale aveva di fatto sino ad allora gestito la politica del Paese: costui fu
dunque uno dei capi della rivolta contro il sovrano trascinatasi fino all’anno successi-
vo. Un’altra rivolta ebbe luogo tra il 1338 e il 1339.
175
Vd. 7.1.

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potentati locali che solo la determinazione politica e la forza mili-


tare di alcuni sovrani avevano potuto riunire sotto un’unica Coro-
na. E, tuttavia, la storia delle lotte dinastiche ben riflette il perma-
nere di una identità ‘locale’, elemento capace di condizionare
scelte politiche e disegni strategici. La Norvegia è, fondamental-
mente, un insieme di realtà regionali la cui storia e il cui sviluppo
hanno seguito percorsi diversi. In misura diseguale esse giocarono
dunque il proprio ruolo nella costruzione dello Stato unitario. È
ben nota, del resto, l’importanza che in questo contesto rivestirono
le principali assemblee regionali: il Frostating (e anche l’Øyrating)176
per la regione del Trøndelag, il Gulating per le regioni di Hordaland,
Sogn e Fjordane, l’Eidsivating per la regione dell’Oppland e il
Borgarting per Viken, la regione di Oslo. L’istituto dell’assemblea
risaliva assai indietro nel tempo, e la sua funzione tradizionale si
manteneva per molti aspetti inalterata. Costituire uno stato centra-
lizzato (un obiettivo che diverse norme indicano come ‘necessario’)177
significò dunque inquadrare le realtà regionali in un insieme ben
strutturato e di agevole gestione, tenuto conto del fatto che la
capitale (prima Nidaros in alternanza con Bergen e infine, dal 1299,
Oslo) non avrebbe comunque potuto essere stabilita in un luogo
geograficamente ‘centrale’. E in questo processo le antiche assem-
blee vennero dunque, come altrove, perdendo potere e soprattut-
to autonomia sia perché i loro membri venivano sempre più legan-
dosi agli interessi dei sovrani sia perché altri organismi ne
rilevavano le funzioni.
Una antica suddivisione del territorio norvegese (verosimilmente
precedente al periodo vichingo) prevedeva l’esistenza di distretti
detti herred (ant. norv. hérað) – tipologia da riportare a un probabi-
le influsso danese – nelle zone sud-orientali (l’attuale regione sve-
dese del Bohuslän) e fylke (ant. norv. fylki) nel Trøndelag e nelle
zone occidentali. Una suddivisione, anche questa, che si collega con
l’uso della ‘leva’, poiché – a quanto pare – ciascun distretto doveva
all’occorrenza fornire dodici navi.178 Il termine herred avrebbe poi
assunto il senso prevalente di “zona rurale” (in opposizione a bær
“città”).179 I fylker appaiono talora suddivisi in frazioni.180 Natural-
176
Vd. nota 152.
177
Basti pensare alle norme sopra citate relative al diritto di salire al trono.
178
Vd. la versione della Saga di Olav Tryggvason di Oddr Snorrason, cap. 45: “E fra
i Norvegesi si chiama fylki quello che deve fornire dodici navi equipaggiate di uomini
e armi, e su ogni nave [devono] esserci sessanta o settanta uomini, come era d’uso”
(DLO nr. 93). Sulla consuetudine della ‘leva’ vd. sopra, p. 330; cfr. anche p. 340.
179
Vd. Cleasby – Vigfusson 1957 (B.5), p. 257.
180
Abbiamo infatti termini quali þriðjung (pl. þriðjungar) “terzo”, fjórðung (pl.

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mente per gestire questi distretti il governo centrale aveva bisogno


di funzionari. Capitani locali erano un tempo i hersar181 la cui auto-
rità era declinata verso la fine dell’XI secolo, sostituita (a quanto
pare) da quella dei cosiddetti lendmenn (sing. lendmann, ant. norv.
lendr maðr), individui preposti dal re a un determinato territorio:
questa dignità risale probabilmente al tempo di Olav il Santo. Il
termine stesso lascia intendere che costoro fossero proprietari di
terre, presumibilmente donate dal sovrano che in tal modo li legava
a sé.182 Una figura che nei diversi distretti integrava l’autorità del
lendmann era quella del årmann (pl. årmenn, ant. norv. ármaðr, pl.
ármenn), un amministratore i cui compiti in una fase iniziale corri-
spondevano grosso modo a quelli del bryde (ant. norv. bryti).183
L’autorità e l’influenza dei lendmenn appare evidente nelle vicende
legate alle lotte per il potere. A partire dal XIII secolo tuttavia le
responsabilità del lendmann risultano progressivamente assunte da
un nuovo funzionario, il sysselmann o syslemann (pl. sysselmenn e
syslemenn; ant. norv. sýslumaðr, sýslumenn), la cui carica corrispon-
de alla suddivisione del Paese in “distretti” (ant. norv. sýslur, sing.
sýsla).184 Nel 1277 il re Magnus Emendatore di leggi trasformerà il
titolo di lendmann in quello di barone (ant. norv. barrún)185 finché
questa dignità sarà abolita da Håkon V Gambe lunghe. Il medesimo
sovrano cancellerà del resto anche l’antica e prestigiosa dignità di
jarl, inferiore solo a quella regale, titolo che in Norvegia aveva nobi-
lissima tradizione:186 basti pensare alla dinastia degli jarlar di Lade
nel Trøndelag (assai potente nel X secolo),187 agli jarlar che – di

fjórðungar) “quarto”, séttungr (pl. séttungar) “sesto”, áttung (pl. áttungar) “ottavo”,
talora usati in relazione a suddivisioni amministrative di tipo ecclesiastico.
181
 Vd. sopra, p. 211.
182
 Vd. in proposito, Helle 1998 (B.3), II, pp. 148-151 e Schreiner 1936. Nell’i-
scrizione runica svedese di Turinge (Södermanland, seconda metà dell’XI secolo) si
trova l’espressione “i migliori uomini del Paese” (bistra mana : a : lanti) che conosce
un precedente nell’iscrizione sulla pietra danese di Skivum nello Jutland (l(ą)nt : mąną
: baistr) risalente al X secolo. Qui la contiguità dei termini (mana : a : lanti e l(ą)nt :
mąną) ha indotto taluni studiosi a riconoscere una allusione a funzionari come i
lendmenn norvegesi che avrebbero potuto essere presenti anche in questi Paesi (la
questione è ben sintetizzata in Cucina 1989 [C.3.1], p. 184, nota 575).
183
 Vd. Krag 1982; cfr. sopra, p. 341 con nota 57 e p. 360.
184
 In Norvegia alle funzioni del syslumann paiono corrispondere anche quelle del
fogd (ant. norv. foguti/fogutr); cfr. nota 134.
185
 E, contemporaneamente, quello di skutilsvein (pl. skutilsveinar, letteralmente
“ragazzo [che siede] a tavola”) che indicava una determinata dignità fra gli uomini di
corte (tuttavia di grado inferiore a quella dei lendmenn) in riddari “cavaliere”.
186
 Il decreto di cancellazione è del 17 giugno 1308 (NGL IV, pp. 74-81); vd. Schrei-
ner J., “Retterboten av 1308”, in NHT XXXI (1937-1940), pp. 1-27. Cfr. p. 210.
187
 A costoro era forse dedicata una saga che ritroviamo in forma frammentaria

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Le nazioni scandinave tra l’XI e il XIV secolo 373

fatto in quasi totale autonomia – governavano le Orcadi (gli unici


che insieme ai figli del re ebbero facoltà di mantenere il titolo dopo
che esso fu abolito) o al potentissimo jarl Skule Bårdsson, che ave-
va conteso il trono a Håkon Håkonsson. La decisione di Håkon
Gambe lunghe corrisponde dunque alla volontà di consolidare il
potere della monarchia, chiaramente espressa, per altro, dall’auto-
rità esercitata dal sovrano nei confronti del Consiglio del Regno, da
lui stesso nominato. Ciò del resto si constata, in diverso ambito, fin
dal secolo precedente, quando (durante il regno di Sverre) non
soltanto il potere dei nobili viene ridimensionato ma compaiono
anche i primi giudici di nomina reale: costoro portano il significa-
tivo nome di lagmenn (sing. lagmann, norv. ant. lǫgmaðr), termine
che assai probabilmente si richiama come altrove ad antiche funzio-
ni nell’ambito dell’assemblea.188 Al processo di trasformazione
delle antiche dignità ‘nobiliari’ che dal legame con i tradizionali
potentati locali passano a quello con il sovrano e al parallelo svilup-
po della corte si lega l’affermazione di cariche come il drottsete (ant.
norv. dróttseti) “reggente”, il kansler “cancelliere” (a partire quan-
tomeno da Magnus Emendatore di leggi), il fehirde (ant. norv. féhirðir)
“tesoriere” e lo stallare (ant. norv. stallari), il più eminente fra gli
uomini di corte e portavoce del re. In tal modo si viene strutturan-
do la nuova aristocrazia norvegese. La quale, pur godendo di van-
taggi ed esenzioni fiscali in misura minore rispetto a quella danese
e svedese, otterrà tuttavia incarichi amministrativi che col tempo si
trasformeranno in privilegi di tipo feudale.189
Come sopra è stato detto la Chiesa norvegese era guidata da
uomini volitivi e determinati e aveva costantemente difeso non solo
la propria autonomia ma anche il proprio diritto a interferire negli
affari del Regno. Come negli altri Paesi nordici la sua forza si fon-
dava non soltanto sull’autorità dei vescovi ma anche sui capitoli
delle cattedrali, i cui componenti costituivano una sorta di ‘consiglio

nella Bella pergamena e nella Heimskringla di Snorri Sturluson (vd. Simek-Pálsson


1987 [B.4], p. 169).
188
 Cfr. p. 151 e p. 358.
189
 La trasformazione della nobiltà norvegese, non più espressione di potentati
locali bensì piuttosto definita dal rapporto personale del singolo con il sovrano, appa-
re in forma tangibile nelle parole di incitamento rivolte da Sverre Sigurdsson ai birki-
beinar prima della battaglia di Kalvskinnet del 19 giugno 1179: “Ora vi spiegherò che
cosa voi avete da guadagnare. Colui che di fronte a testimoni veritieri uccide un
lendmann, questi diventerà lendmann. Ognuno acquisirà la dignità che si sarà procu-
rata da sé. Diventerà uomo di corte colui che uccide un uomo di corte, e per questo
avrà da noi molte altre cose buone [sotto forma di doni] d’onore. Ora dobbiamo
agire per questo […]” (Sverris saga, cap. 35; DLO nr. 94).

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diocesano’. Fin dalla fine del XII secolo gli ecclesiastici si diedero
delle regole proprie ribadendo la loro indipendenza rispetto all’au-
torità statale: si veda, a esempio, il cosiddetto Canone di Nidaros
(Canones Nidrosienses) risalente al 1152.190 Del resto la Chiesa andò
acquisendo notevole solidità economica, non soltanto per il versa-
mento delle decime (imposte nella prima metà del XII secolo e
fortemente avversate), ma anche per le donazioni e i privilegi rice-
vuti. Divenne dunque un potere parallelo a quello dello Stato;
ottenne propri tribunali e i suoi rappresentanti più prestigiosi
ebbero a disposizione un seguito. Inoltre anche altre istituzioni
religiose come i conventi furono, oltre che luoghi di ritiro spiritua-
le, centri di una fiorente economia. Conclusa abilmente (e, in
sostanza, definitivamente) l’epoca del proselitismo e della conver-
sione con la santificazione del re Olav Haraldsson, il potere eccle-
siastico seppe propagarsi nella società norvegese e con la istituzio-
ne sistematica delle parrocchie191 raggiunse anche gli strati più
umili della popolazione, diffondendo metodicamente la dottrina
cristiana e imponendo regole e sanzioni per indurre il popolo (ma
anche i sacerdoti!) a comportarsi secondo i dettami della Chiesa.
Alla quale sono anche dovute le prime forme di ‘assistenza sociale’
(tra l’altro la fondazione di ospedali) cui erano destinate (almeno
in parte) le elemosine versate per la salvezza delle anime.
Certamente la classe sociale che subì un arretramento dal punto
di vista politico fu, anche in Norvegia, quella dei contadini. Come
nel resto d’Europa tra il XII e la prima metà del XIV secolo il
mondo agrario conosce uno sviluppo determinato in buona sostan-
za dalla colonizzazione di nuove aree legata all’aumento della
popolazione. Tuttavia le innovazioni introdotte in Danimarca e in
Svezia (in particolare l’uso della cultura a rotazione e la coltivazio-
ne della segala) si affermano in Norvegia solo nelle aree agricole
più estese, mentre altrove la conformazione del terreno limita le
nuove possibilità e il lavoro continua in gran parte a essere svolto

190
 In questo testo si esprime l’adeguamento della Chiesa norvegese al diritto cano-
nico. Il manoscritto in cui esso è contenuto è stato scoperto da W. Holtzmann a
Londra negli anni ’30 del Novecento e da lui pubblicato nel 1938 (Holtzmann W.,
“Krone und Kirche in Norwegen im 12. Jahrhundert [Englische Analekten III]”, in
Deutsches Archiv für Geschichte des Mittelalters namens des Reichsinstituts für ältere
deutsche Geschichtskunde (MGH), II, 1938, pp. 341-400, testo alle pp. 376-400).
Questo manoscritto risale all’inizio del XIII secolo, tuttavia resta dubbio se la reda-
zione di questo testo si leghi alla istituzione dell’arcivescovato di Nidaros o se esso sia
stato in seguito rielaborato dall’arcivescovo Øystein Erldensson.
191
 Che tuttavia, come altrove, paiono in diversi casi formarsi attorno a chiese fatte
costruire da importanti personaggi.

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Le nazioni scandinave tra l’XI e il XIV secolo 375

secondo i metodi tradizionali (prodotti comuni sono l’orzo e l’ave-


na) restando legato soprattutto all’allevamento del bestiame. L’an-
tica società contadina, formata dai proprietari terrieri che gestiva-
no grandi fattorie nelle quali lavoravano molte persone, è ora
minacciata da diversi fattori. Innanzi tutto, come si è detto, l’au-
mento degli insediamenti, molti di piccole dimensioni, che fram-
mentano la gestione e moltiplicano il numero di quanti sono prov-
visti solo di pochi mezzi e divengono assai presto economicamente
dipendenti da poteri ben più forti. Il che significherà, in molti casi,
la cessione del proprio terreno a nobili o a istituzioni ecclesiastiche,
seppure l’antico proprietario rimanga al lavoro come fittavolo. Poi
l’imposizione del controllo dello Stato centralizzato che non sol-
tanto acquisisce terre (che poi il re concede talora ai nuovi nobili),
bensì impone anche norme che caricano i contadini di pesi gravo-
si: tasse, ammende, contributi legati alla consuetudine della ‘leva’192
(che anche in Norvegia divengono, a partire dalla seconda metà del
XII secolo, una vera forma di imposizione fiscale). Inoltre con
l’affermarsi del potere della Corona si stabilirà la prerogativa reale
di gestire i terreni di uso comune, sicché quando questo principio
verrà sancito per legge (seconda metà del XII secolo) l’accesso a
queste risorse non sarà più un diritto naturale come sempre era
stato. A ciò si aggiungano i tributi versati alla Chiesa. Con il passa-
re del tempo la classe contadina norvegese perde dunque gran
parte di quello che era stato il suo potere decisionale e, insieme, la
possibilità di intervenire in modo davvero incisivo nelle grandi
questioni nazionali.
Come altrove la trasformazione della società passa attraverso la
crescita delle città, seppure in Norvegia si assista inizialmente allo
sviluppo di nuclei preesistenti piuttosto che alla nascita di nuovi
insediamenti urbani. Nel periodo vichingo si erano affermati centri
commerciali e località di interesse sovraregionale, illustri come sedi
di grandi sovrani o per la presenza delle prime chiese cristiane. Nel
corso del XIII secolo questi centri vennero acquisendo importan-
za sempre maggiore, sia per via di un florido commercio con l’este-
ro, sia per la crescente autorità dei sovrani che vi risiedevano, sia
per la loro consacrazione come punti di riferimento religiosi. Si
trattò, in sostanza, di luoghi strategici, il cui rafforzamento pare
finalizzato al processo di unificazione nazionale. Il che corrisponde,
sul piano militare, alla costruzione o al consolidamento di castelli
o fortezze quali quelle di Bergen e Tønsberg assai importanti al

 Vd. p. 330.
192

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376 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

tempo di Håkon Håkonsson, quella di Ragnhildsholmen presso


Kungälv fatta costruire da Håkon medesimo, o quelle più recenti
di Akershus (compresa nella città di Oslo), Båhus (presso il fiume
Götaälv, nel punto in cui i tre regni scandinavi allora confinavano)
e Vardø(y)hus (di fronte alla penisola di Varanger nell’estremo
Nord), edificate per iniziativa del re Håkon V Gambe lunghe. Le
principali città sono dunque Nidaros, non soltanto porto di prima-
ria importanza per i traffici nel Mare del Nord, ma sede regale
fondata, secondo la tradizione, da Olav Tryggvason193 e meta di
pellegrinaggi alla tomba di Olav il santo collocata nella sua magni-
fica cattedrale completata poco dopo l’inizio del XIV secolo;194
Bergen, fondata da Olav il Quieto nel 1070, nel cui duomo (Kristi-
kirken) furono traslate le spoglie di Santa Sunniva;195 Oslo, fonda-
ta (o quanto meno ‘promossa’) da Araldo di Duro consiglio attor-
no al 1050,196 e divenuta capitale nel 1299 in occasione
dell’incoronazione di Håkon Magnusson; Tønsberg, centro com-
merciale e sede di monasteri. In seguito assumono importanza
Hamar in Hedmark e Stavanger sulla costa di Rogaland (sedi
vescovili), Kaupanger e Borgund in Sogn e Fjordane, Veøy in Møre
e Romsdal (località commerciali), Borg (Sarpsborg) in Østfold,
Konghelle (Konungahella, presso l’attuale Kungälv) e Marstrand
(fondata nel 1220 sulla costa di quella che ora è la regione svedese
del Bohuslän). Qui va ricordata anche Vågan nelle settentrionali
isole Lofoten, centro del commercio del pesce. Naturalmente a
questo sviluppo corrispose l’emanazione di leggi municipali, nelle
quali veniva regolamentata la particolare condizione di coloro che
vivevano in questi centri, anche allo scopo di evitare la produzione
di ‘codici autogestiti’, in particolare da parte delle diverse corpo-
razioni.197 Norme speciali saranno promulgate in Norvegia per i
cittadini tedeschi stabilitisi soprattutto a Bergen.
Anche in Norvegia dunque la società si viene progressivamente
fondando su quattro classi (nobiltà, clero, classe dei contadini e

193
Vd. la Saga di Olav Tryggvason di Snorri Sturluson, cap. 70 (cfr. p. 253).
194
Nella sua Storia dell’antichità dei re norvegesi, Theodricus Monachus (vd. p. 411)
definisce significativamente Nidaros “capitale di tutto il Regno” (cap. 10, p. 17: “caput
totius regni”).
195
Vd. la Saga di Olav il Quieto (Óláfs saga kyrra, decima parte della Heimskringla
di Snorri Sturluson), cap. 2; cfr. pp. 257-258.
196
Vd. la Saga di Araldo Sigurdsson (Haralds saga Sigurðarsonar), cap. 58. Per la
storia più antica della capitale norvegese vd. Nedkvitne A. – Norseng P.G., Byen under
Eikaberg. Fra byens oppkomst til 1536, Oslo 1991 (= Oslo bys historie, I).
197
La regolamentazione dei codici per le città è dovuta soprattutto a Magnus
Emendatore di leggi; cfr. p. 362 con nota 145.

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Le nazioni scandinave tra l’XI e il XIV secolo 377

classe dei cittadini) al di sopra delle quali sta il sovrano. Già a metà
del XII secolo, durante la visita del cardinale Nicola Breakspear si
ha notizia di una sorta di assemblea del Regno alla quale oltre ai
nobili e agli ecclesiastici vengono convocati anche rappresentanti
dei contadini; ciò sarà più tardi confermato, nel 1163 (o 1164),
all’incoronazione di Magnus Erlingsson.198 Ma il riconoscimento
più chiaro della rinnovata struttura della società norvegese si avrà
in un testo del XIII secolo dal significativo titolo di Specchio del re
(Konungs skuggsjá) nel quale, addirittura, la sezione dedicata alla
classe dei commercianti (nucleo dei cittadini) viene trattata prima
di quella del re e della sua corte.199

Nel medioevo la situazione politico-sociale dei Paesi nordici doveva


essere fortemente condizionata da un fattore esterno di particolare
importanza: la Ansa che, sorta attorno alla metà del XIII secolo, cono-
scerà fino alla fine del XIV il suo massimo sviluppo. Sebbene formal-
mente costituite in associazione solo nel 1358, le città tedesche setten-
trionali avevano da tempo concentrato i loro interessi sul Mar Baltico
così come sul Mare del Nord. Del resto fin dall’epoca vichinga le rotte
commerciali che dalla Russia raggiungevano le coste dell’Europa setten-
trionale fino all’Inghilterra erano molto trafficate. In questo quadro
l’isola di Gotland e i diversi porti dei Paesi scandinavi costituivano
importantissime basi di appoggio. La storia dei rapporti tra la Scandi-
navia e la Ansa in questo periodo è una storia fatta di alleanze e di
contrasti, di trattati e di guerre aperte non soltanto con i potenti com-
mercianti tedeschi bensì talora anche tra i Paesi nordici. Di seguito sono
elencate le date e gli avvenimenti più significativi.

1227: le città tedesche di Amburgo e Lubecca sono alleate con i prìn-


cipi tedeschi che sconfiggono il re danese Valdemaro Vittorioso a Born­
höved
1250: dopo che nella prima metà del secolo molti commercianti tede-
schi si sono stabiliti a Bergen viene concluso un accordo commerciale fra
la Norvegia e Lubecca200
1250 (o 1251): Birger jarl conclude un trattato con Lubecca e Amburgo
nel quale viene regolamentata la posizione dei molti tedeschi trasferiti in

198
Vd. Holmsen 1971-19774 (B.3), I, pp. 197-198 e p. 206.
199
Lo Specchio del re è un’opera incompleta: delle quattro parti previste (dedicate
rispettivamente ai commercianti, al re e alla sua corte, agli ecclesiastici e ai contadini)
solo le prime due sono state portate a termine.
200
DN V: 1, nr. 4, 6 ottobre 1250, pp. 3-5.

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378 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

Svezia,201 una presenza che si farà molto consistente in diversi centri del
Paese (Stoccolma, Uppsala, Kalmar, Skänninge, Arboga, Örebro, Söderköping)
1278: il re norvegese Magnus Håkonsson concede immunità speciali
ai commercianti tedeschi202
1284: il re danese Erik Klipping conclude un accordo con i prìncipi
tedeschi e la Ansa, in base al quale i commercianti tedeschi vedono
aumentate le loro opportunità; questo fatto provoca gravi contrasti con
il re norvegese203
1285: il re svedese Magnus Serrature ai fienili dirime le questioni tra la
Norvegia e la Ansa204
1294: la Ansa conquista il predominio sul commercio norvegese (il che
determinerà reazioni e una politica protezionistica)
1307: il re danese Erik Menved diventa protettore di Lubecca205
1317: Lubecca si sottrae al dominio danese
1323: con la pace di Nöteborg tra Russia e Svezia viene garantito ai
tedeschi libero commercio sul fiume Neva verso Novgorod206
1350 ca.: i commercianti anseatici stabiliscono un loro ufficio ammini-
strativo a Bergen dove vivono numerosi e in piena autonomia rispetto al
governo norvegese; il quartiere della città noto come Bryggen (Tyskebryg-
gen) è a tutti gli effetti un quartiere tedesco
1361: il re danese Valdemaro Nuovo giorno conquista l’isola di Gotland
e la sua capitale Visby imponendo un pesante tributo
1362: il re danese Valdemaro Nuovo giorno sconfigge le truppe di
Lubecca in una battaglia navale sull’Øresund
1367: la Svezia, il Mecklemburgo, il Holstein e le città anseatiche si
organizzano per combattere i Danesi, una guerra che si estenderà anche
alla Norvegia
1368: Valdemaro Nuovo giorno è costretto a rifugiarsi all’estero e i
tedeschi distruggono completamente Copenaghen e occupano Skanør e
Falsterbo
1369: i Tedeschi conquistano il castello fortificato di Helsingborg;
viene siglata la pace tra la Norvegia e la Ansa207
201
STFM I, nr. 94, 1250 o 1251, pp. 197-199; vd. anche STFM I, nr. 107, 15 agosto
1256 o 1260 (vd., ibidem, nota 1, pp. 214-215), pp. 213-215 in cui i privilegi concessi
da Birger jarl a Lubecca vengono confermati.
202
DN V: 1, nr. 10, 18 luglio 1278, pp. 10-12.
203
DD II: 3, nr. 104, 17 agosto 1284, pp. 112-113; nr. 110, 29 novembre 1284, pp.
117-118 e nr. 111, 29 novembre 1284, pp. 118-119, ma, soprattutto, nr. 116, 29 novem-
bre 1284, pp. 123-124.
204
STFM I, nr. 140, 3 luglio 1285, pp. 288-290; cfr. nr. 141, 7 ottobre 1285, pp.
290-291; nr. 142, 31 ottobre 1285, pp. 292-297; nr. 142 a, stessa data, p. 298 e nr. 142
b, stessa data, pp. 298-299.
205
DD II: 6, nr. 75, 4 luglio 1307, pp. 64-65.
206
STFM I, nr. 205: i, 12 agosto 1323, pp. 434-504 (da pp. 504 a p. 513 il successi-
vo trattato di pace tra la Norvegia e Novgorod, nr. 205: ii, 3 giugno 1326); Sundberg
1997 (Abbr.), nr. 17, pp. 51-52.
207
DN VIII: 1, nr. 186, 3 agosto 1369, pp. 232-233 e nr. 187 (stessa data), pp. 234-235.

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Le nazioni scandinave tra l’XI e il XIV secolo 379

1370: viene siglata la pace di Stralsund tra i Danesi e i commercianti


anseatici che ottengono importanti vantaggi (compreso il diritto di par-
tecipare all’elezione del re)208
1389-1399: nel complesso gioco dei conflitti legato alle lotte per il
potere in Danimarca e in Svezia e agli interessi della Ansa si inserisce tra
l’altro l’azione di pirati tedeschi – i cosiddetti Fratelli vitaliani (Vitalien-
brüder) – che compiono attacchi e razzie sia sul mare sia nelle città, sta-
bilendo la propria sede nell’isola di Gotland (1394), finché verranno
sconfitti dai Cavalieri dell’Ordine teutonico.209

6.4. Islanda

6.4.1. Poteri locali, Chiesa e Stato

Lo Stato islandese era nato quando dalla libera e concorde deci-


sione dei grandi capitani locali era stata istituita l’assemblea gene-
rale (Alþingi) da tenersi ogni anno nella piana di Þingvellir. Nel
periodo dell’indipendenza (930-1262/1264) essa si svolse regolar-
mente, esercitando il potere legislativo e quello giudiziario.210 Il
luogo in cui si teneva questa assemblea generale è contraddistinto
da uno scenario naturale suggestivo.211 Ma esso godeva altresì di
un accesso relativamente agevole per coloro che provenivano dal-
le diverse direzioni e ciò permetteva ai capi locali con il loro segui-
to di uomini eminenti di essere presenti in questa importante
occasione. All’assemblea generale furono assunte decisioni fonda-
mentali per la nazione: come, a esempio, accogliere il cristianesimo
quale religione ufficiale del Paese o rinunciare all’indipendenza.
Fu, quest’ultima, il punto di arrivo di una lunga serie di eventi
segnati da conflitti tra i diversi poteri.
Prima dell’introduzione della nuova religione l’autorità locale era

208
DD III: 8, nr. 449, pp. 468-479; nr. 450, pp. 479-484; nr. 451, pp. 484-486; nr.
452, pp. 486-493; nr. 453, pp. 493-495; nr. 454, pp. 495-496 e nr. 455, pp. 496-498,
tutti in data 24 maggio 1370.
209
Più oltre (pp. 540-543) è inserito uno schema analogo relativo al periodo dal XV
al XVII secolo. Sui Fratelli vitaliani cfr. p. 438, nota 7.
210
Vd. pp. 151-152.
211
Nel Libro degli Islandesi (cap. 2) Ari Þorgilsson informa che esso fu scelto da
tale Grímr geitskǫr (forse “Capelli di capra”), che a questo scopo aveva viaggiato per
tutta l’Islanda. Vd. Björnsson Bj.Th., Þingvellir. Staðir og leiðir, Reykjavík 19944.

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380 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

rappresentata dai goðar, cui era affidata la gestione di un tempio


attorno al quale si raccoglieva una comunità:212 tuttavia il loro pote-
re, fondato su salde basi economiche, assunse una preminente
connotazione politica; del resto la carica di goði (goðorð), che risale
ai tempi dei primi coloni, era una sorta di patrimonio che si poteva
ereditare, vendere, acquistare e anche suddividere. Oltre a quello
dei goðar l’unico potere esistente a livello locale era detenuto dai
diversi capitani, persone eminenti appartenenti a famiglie agiate.
Esso si basava su un’autorità personale riconosciuta a livello fami-
liare e sociale e sulla gestione dei beni. Se è vero che ogni capofa-
miglia doveva legarsi a un goði che di solito accompagnava all’as-
semblea in qualità di þingmaðr (letteralmente “uomo dell’assemblea”,
pl. þingmenn),213 è altrettanto vero che tale scelta era libera e pote-
va essere revocata o cambiata all’occasione. In Islanda l’unica auto-
rità statale in qualche modo riconosciuta era quella del lǫgsǫgumaðr,214
che tuttavia svolgeva la propria funzione solo per il breve periodo
di due settimane in cui si svolgeva l’assemblea annuale (tra l’altro
questo organismo non aveva, come si è detto, alcuna competenza
di carattere esecutivo). Facilmente si constata che l’organizzazione
statale della repubblica islandese era stata concepita in modo da
evitare qualsiasi forma di concentrazione del potere.
Con la conversione i goðar cercarono naturalmente di mantene-
re il proprio ruolo sociale adeguandolo alla nuova situazione. Essi
dunque vollero acquisire la gestione delle chiese e, soprattutto, dei
profitti che ne derivavano. I primi edifici religiosi vennero costrui­
ti per iniziativa privata sui terreni delle fattorie e furono dunque,
di fatto, proprietà dei capitani o dei goðar. Costoro inoltre si occu-
parono di affidarle a un prete. In diversi casi il prete era il figlio del
proprietario della fattoria o del goði. Altre volte era una persona
che veniva istruita a spese di qualcuno da cui dunque dipendeva
in tutto e per tutto, restando legata alla chiesa per tutta la vita. Se
questo prete si fosse sottratto al proprio obbligo ciò sarebbe stato
denunciato all’assemblea e nessuno avrebbe potuto intrattenere
rapporti con lui: l’unica possibilità che costoro avevano per libe-
rarsi da questa ‘servitù’ era di garantire la formazione di chi accet-
tasse di sostituirli. Una terza opzione era quella di assumere un
prete per un determinato periodo di tempo.

212
Vd. p. 197 con nota 384 e p. 209.
213
Il goði e i suoi þingmenn erano dunque solitamente un gruppo compatto che
portava avanti determinati interessi.
214
Vd. p. 151.

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Le nazioni scandinave tra l’XI e il XIV secolo 381

Appare dunque evidente che – almeno nella fase iniziale – la


Chiesa islandese si sviluppò per la libera iniziativa di singole per-
sone, intolleranti nei confronti di qualsiasi tipo di organizzazione
imposta dall’esterno. Parallelamente la nomina dei vescovi era di
competenza dell’assemblea e dunque demandata al volere di chi
esercitava maggior influenza. Del resto l’insofferenza nei confron-
ti del potere ecclesiastico si constata anche nei comportamenti
quotidiani che restavano per molti aspetti indifferenti ai dettami
della dottrina cristiana.215
Fu dunque naturalmente l’assemblea generale a stabilire che
anche l’Islanda dovesse avere il proprio vescovo, scelto nella per-
sona di Ísleifr Gizurarson.216 A partire da lui e dal suo successore,
il figlio Gizurr, la Chiesa islandese cercò di organizzarsi e raffor-
zarsi, compito tutt’altro che agevole in un Paese nel quale i poten-
tati locali si opponevano a qualsiasi forma di autorità centrale. La
situazione era, del resto, particolare, dal momento che molti uomi-
ni di Chiesa appartenevano alle più importanti famiglie e dunque
rappresentavano in primo luogo interessi particolari. Il significato
e gli effetti delle deliberazioni vescovili vanno di conseguenza
considerati alla luce di questo stato di cose. A esempio Hans Kuhn
rileva, molto opportunamente, come l’imposizione delle decime
(1096 o 1097) – introdotte in Islanda prima che in qualsiasi altro
Paese nordico – costituisse, piuttosto che il segnale di un rafforza-
mento del potere ecclesiastico, una novità assai gradita ai grandi
proprietari terrieri che, in quanto possessori degli edifici religiosi,
ne incameravano la metà.217 Del resto in questa decisione il vesco-
vo fu sostenuto dal lǫgsǫgumaðr in carica, il poeta Markús Skeggja-
son (morto nel 1107) e da Sæmundr Sigfússon, illustre personaggio
e celebre erudito di Oddi.218 Come sopra è stato detto,219 l’Antico
diritto canonico islandese (Kristinréttur forni), che fu promulgato
all’assemblea generale negli anni tra il 1122 e il 1133, ribadisce in

215
Nel Diplomatarium islandicum sono conservate diverse lettere di rimprovero
dell’arcivescovo Øystein Erlendsson per il comportamento degli isolani non conforme
ai dettami della Chiesa (DI I: nr. 38, 1173, pp. 218-223; nr. 40, 1176 circa, pp. 230-233;
nr. 53, 1179, pp. 258-260 e nr. 54, 1180, pp. 260-264); si ricordi che la provincia eccle-
siastica islandese era passata nel 1152-1153 dalla giurisdizione dell’arcivescovato di
Lund a quello di Nidaros.
216
Cfr. p. 269.
217
Kuhn 1971, p. 42 e pp. 112-113. Si tenga presente che i goðar erano esentati dal
pagamento delle decime.
218
Vd. Ari Þorgilsson, Libro degli Islandesi, cap. 10. Su Sæmundr Sigfússon vd.
pp. 283-284 con nota 3.
219
Vd. p. 278.

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382 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

modo evidente la sottomissione della Chiesa rispetto ai poteri


locali. Nel XII secolo i grandi proprietari delle chiese esercitavano
dunque un effettivo predominio. Ma le “saghe dei vescovi” ricor-
dano figure di prelati che si opposero ai potenti capitani.
Innanzi tutto Þorlákr Þórhallsson il Santo. Per la verità Þorlákr
era stato nominato vescovo di Skálholt per volere della potente
famiglia degli Oddaverjar:220 ciò tuttavia non gli impedì di prova-
re a imporre la propria autorità sulle chiese locali, i cui ammini-
stratori avrebbero dovuto gestirle sotto la sua guida. Un tentativo
che ebbe seguito limitato e fu fortemente contrastato proprio da
uno dei rappresentanti della famiglia degli Oddaverjar, Jón Loptsson,
che riuscì a farlo fallire. Þorlákr moriva nel 1193. Pochi anni
prima l’arcivescovo norvegese aveva stabilito che i vescovi islan-
desi non potessero conferire gli ordini religiosi a chi fosse in
possesso di un goðorð, sottolineando la necessità di un netto
distacco tra il potere laico e quello religioso.221 All’inizio del XIII
secolo l’opposizione al dispotismo dei capitani locali venne con-
dotta in prima persona dal vescovo di Hólar, Guðmundr il Buono
Arason.222 Costui, desideroso di affermare i diritti della Chiesa,
venne a trovarsi in dura opposizione con diversi di loro, fu cac-
ciato e costretto all’esilio norvegese. La contesa non si risolse
neppure dopo che il vescovo ebbe la possibilità di tornare in patria
(1218). Egli infatti fu fatto prigioniero, non poté riprendere pos-
sesso della propria sede e fu costretto a vagare per il Paese. Dopo
un secondo esilio cercò di rientrare a Hólar ma infine risultò
sconfitto e come tale morì. La sua intensa attività in favore dei
poveri e dei diseredati diffuse tuttavia fra questi ultimi la fama
della sua santità (nel 1315 i suoi resti furono solennemente depo-
sti in un’urna).
Nella disputa contro i poteri forti Guðmundur aveva chiesto
l’intervento della sede arcivescovile di Nidaros, aprendo così la
strada all’interferenza straniera. Alla sua morte (1237), essendo
vacante anche la sede di Skálholt, l’arcivescovo decise di nominare
per l’Islanda due vescovi norvegesi. Un chiaro segno dell’accresciu-
to coinvolgimento delle autorità di quel Paese nelle questioni
220
Vd. p. 323 con nota 127.
221
Vd. DI I, nr. 72, 1190, pp. 289-291.
222
In questo contesto si inserisce l’episodio dello scontro avvenuto il 9 settembre
1208 a Viðines (presso Hólar) tra gli uomini del vescovo e alcuni potenti goðar con i
loro seguaci. In quell’occasione trovò la morte il goði Kolbeinn Tumason (n. 1171), del
quale è detto che prima di morire compose l’inno dal titolo “Ascolta creatore dei
cieli” (Heyr himna smíðr) che è rimasto un classico della poesia religiosa islandese ed
è considerato il più antico salmo composto in Islanda.

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Le nazioni scandinave tra l’XI e il XIV secolo 383

interne islandesi, uno dei fattori determinanti che avrebbero con-


dotto – neppure trent’anni dopo – alla fine della repubblica.
A partire dal XII secolo diversi elementi (non ultimo l’arricchi-
mento legato ai proventi derivanti dalle decime) favorirono in
Islanda l’affermazione di poche grandi famiglie, nelle cui mani si
concentrò un potere politico sempre più solido e una ingente ric-
chezza. Ciò avvenne tra l’altro con l’acquisizione da parte di sin-
goli goði di più goðorð con conseguente espansione della loro
autorità su un più vasto territorio e rafforzamento della loro posi-
zione all’interno dell’assemblea. Ciò ebbe innanzi tutto riflessi a
livello locale, dove chi rimaneva titolare di un unico goðorð finì,
inevitabilmente, in minoranza. Naturalmente il bisogno di contare
sull’appoggio di personaggi potenti attirò i più e, contemporanea-
mente, dilatò il potere dei cosiddetti stórgoðar (letteralmente “gran-
di goðar”), che seppero abilmente gestire questa situazione a fini
di un tornaconto personale e familiare. Essi inoltre riuscirono a
imporre ai propri þingmenn l’obbligo di sostenerli militarmente nei
conflitti, il che determinò il formarsi di schiere armate di notevole
consistenza. Una situazione che, inevitabilmente, sarebbe sfociata
in aspri conflitti.
Il periodo che va dal 1180 al 1262 è noto nella storia islandese
come “età degli Sturlungar” (Sturlunga ǫld), dal nome di uno dei
grandi clan familiari islandesi, formato dai discendenti del goði
Sturla Þórðarson di Hvammur í Dölum (noto anche come Hvamm-
Sturla, 1116-1183).223 È un periodo di durissimi contrasti e di
scontri violenti,224 culminati nella battaglia di Örlygsstaðir (1238)
nella quale le forze alleate dei Haukdœlir e degli Ásbirningar (che
dominavano rispettivamente su estese regioni a sud e a nord dei
due grandi ghiacciai di Langjökull e Hofsjökull) sconfissero gli
Sturlungar (il cui ‘dominio’ copriva tutta la zona a occidente dei
loro territori). L’esito della guerra civile fu inesorabile. Il re Håkon
Håkonsson, con la cui ascesa al trono si era chiusa in Norvegia la
stagione delle lotte intestine, non si fece sfuggire l’occasione. Abil-
mente cercò di manipolare diversi personaggi islandesi di prestigio
per raggiungere il proprio obiettivo. Tra gli altri un rappresentan-
te eminente della famiglia degli Sturlungar, Snorri Sturluson che,
ritenuto un traditore, fu poi da lui fatto assassinare nel 1241.225 Fu
223
Hvammur í Dölum si trova nella zona occidentale dell’Islanda presso il fiordo
omonimo.
224
In de Vries 1964-1967 (B.4), II, pp. 4-6 è ben riassunta la serie degli eventi che
diede il via alle lotte violente e sanguinose che sfociarono nella guerra civile.
225
L’importanza di Snorri come figura politica è sottolineata non soltanto dalla

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384 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

un susseguirsi di contrasti e di vendette, di tentativi di imporre il


potere degli emissari reali e di tradimenti, di scontri cruenti e di
episodi di tragica ferocia. Infine nel 1262 Gizurr Þorvaldsson
(l’unico fra gli ‘uomini del re’ che non era stato ucciso) indusse
l’assemblea generale ad accettare un patto, il cosiddetto “Antico
trattato” (Gamli sáttmáli), in base al quale gli Islandesi giuravano
fedeltà al re norvegese in cambio del suo impegno a mantenere
l’ordine, del rispetto delle loro leggi e della garanzia di un regolare
rifornimento di merci per l’isola con sei navi all’anno per i primi
due anni e successivamente secondo la necessità. Nel giro di due
anni coloro che non avevano sottoscritto l’accordo furono costret-
ti a farlo.226 Un esito, questo, certamente dovuto – in gran parte – alla
ripulsa per le continue e violente lotte per il potere che avevano
insanguinato il Paese. Già tra il 1271 e il 1273 tuttavia, il figlio di
Håkon, Magnus Emendatore di leggi introdurrà in Islanda nuove
norme contenute nel codice noto come Fianco di ferro (Járnsíða,
così detto con riferimento alla rilegatura del manoscritto o, forse,
alla durezza della legge in esso contenuta); successivamente (1281)
– tenuto conto della sua difficile applicazione e della forte opposi-
zione degli Islandesi – esso sarebbe stato sostituito dal cosiddetto
Libro di Jón (Jónsbók) che prende nome dal giudice Jón Einarsson
(morto nel 1306) che lo compilò per la gran parte e lo fece appro-
vare all’assemblea generale: esso sarebbe rimasto in vigore per
secoli. Decadeva dunque definitivamente l’antica legge raccolta
nella cosiddetta Oca grigia (Grágás).227 In Islanda si era passati dal
potere dei grandi clan a quello dello Stato.
In Islanda uno jarl norvegese riscuote ora il tributo. L’assemblea
duplice nomina a lǫgsǫgumaðr, ma anche dalle missioni diplomatiche da lui compiute
all’estero tra il 1218 e il 1220: innanzitutto in Norvegia proprio alla corte di Håkon
Håkonsson, ma anche (nel 1219) in Svezia (forse addirittura visitando il luogo in cui
sarebbe poi sorta Stoccolma); tra l’altro in questo Paese egli aveva incontrato a Skara
Eskil, lagman dei Västgötar e fratello di Birger jarl. Su Snorri cfr. p. 287, nota 13; cfr.
anche p. 368.
226
L’accordo fu poi rinnovato nel 1302 e nel 1319 (LFI I, pp. 23-24 e pp. 32-33).
Questo trattato consentiva al re norvegese di raggiungere un risultato lungamente
perseguito. Già di Araldo Bella chioma è detto che aveva cercato di sottomettere gli
Islandesi al proprio potere, inviando nell’isola come emissario tale Uni (figlio di quel
Garðarr che era stato tra i primi ad avvistare l’isola, cfr. p. 146), promettendogli in
cambio il titolo di jarl. Ma la sua missione era stata un fallimento (Landnámabók, pp.
299-300). Anche il re Olav il Santo aveva fatto il medesimo tentativo, affidando l’in-
carico a Þórarinn Nefjólfsson: al rifiuto degli Islandesi questi aveva chiesto che con-
cedessero al sovrano almeno l’isolotto settentrionale di Grímsey, ricevendo tuttavia un
ulteriore diniego. Un nuovo inutile passo era stato fatto con Gellir Þorkelsson (vd.
Snorri Sturluson, Saga di Olav il Santo, capp. 125-126 e cap. 136).
227
Vd. p. 423.

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Le nazioni scandinave tra l’XI e il XIV secolo 385

generale è composta da delegati (nefndarmenn) scelti dal re e svol-


ge solo una funzione giudiziaria; la “Rocca della legge” (l’antico e
prestigioso Lǫgberg) scompare simbolicamente dalla storia. L’epo-
ca ‘norvegese’ (norska ǫldin: 1262/1264-1397) segna per l’isola la
pacificazione, ma anche un progressivo declino. Solo la Chiesa
riesce a far sentire la propria voce e a ottenere significativi risulta-
ti. Già nel 1253 era stato deliberato che nei casi di contrasto tra il
diritto laico e quello ecclesiastico quest’ultimo avrebbe dovuto
prevalere.228 Successivamente, grazie all’opera dell’abile vescovo di
Skálholt, Árni Þorláksson (1237-1298), la Chiesa otterrà il ricono-
scimento della propria indipendenza e riuscirà a limitare l’interfe-
renza del potere temporale nella gestione degli edifici ecclesiastici,
acquisendo anche una consistente ricchezza, sulla base di un accor-
do stipulato nel 1297 con il sovrano norvegese Eirik Odia preti.229
Al nome di questo vescovo resta legato il Nuovo diritto canonico
(Kristinréttur yngri, noto anche come Canone di Árni) emanato nel
1275.
Nel 1320 gli Islandesi giurano fedeltà al re di Svezia e Norvegia
Magnus Eriksson. I tempi migliori sono ormai un lontano ricordo.
Il Paese viene dato ripetutamente in pegno: personaggi avidi (e non
di rado brutali) cercano di sfruttarne ogni risorsa scontrandosi in
diverse occasioni contro la ribellione degli abitanti.230 Con l’Unio-
ne di Kalmar231 l’isola seguirà i destini norvegesi, divenendo infine,
a tutti gli effetti, una colonia danese.

Nel cosiddetto Quarto trattato grammaticale islandese232 è riportata una


strofa nella quale è efficacemente espresso un giudizio morale sulla situa-
zione dell’Islanda nel periodo delle guerre civili:

“Terra intrisa di malvagità


poni rimedio all’orrenda scelleratezza;
la grande disobbedienza ti procurerà,
Islanda, tormenti;
devi temere la guerra,

228
DI II, nr. 1, 1 giugno 1253, p. 1.
229
DI II, nr. 167, 2 maggio 1297, pp. 323-325.
230
Si ricordi qui, a esempio, il governatore Smiður Andrésson (data di nascita
ignota), di origini norvegesi, al quale si opposero gli abitanti dell’Eyjafjörður che lo
uccisero con i suoi uomini nella località di Grund l’8 luglio 1362.
231
Vd. 7.1.
232
Vd. p. 429 con nota 381.

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386 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

Paese incivile, a meno che non ascolti, doverosamente,


chi [cambino qui i costumi]
raramente utilizza la spada.”233

6.4.2 La società islandese

La struttura della società islandese si era venuta edificando nel


tempo. Inizialmente, come si è visto, i coloni che arrivavano sull’iso-
la si impossessavano dei terreni disabitati che ‘consacravano a sé’
con un rito di significato al contempo giuridico e sociale.234 Gra-
datamente, con l’arrivo di nuovi venuti si determinò la necessità di
stabilire delle regole e di istituire una qualche forma di autorità.
Nacquero così, sul modello tradizionale, le prime assemblee locali
alle quali certamente parteciparono i primi goðar, eminenti figure
di coloni o loro congiunti, che avevano autonomamente imposto
la propria supremazia in una determinata area. Una situazione,
comunque, piuttosto disorganica e inadeguata alle necessità di una
popolazione che andava progressivamente aumentando.235 Fu con
l’istituzione dell’assemblea generale (930) che si cominciò a porre
mano a questo stato di cose. Per stabilire una legge comune per il
Paese era stato inviato in Norvegia tale Úlfljótr (del quale si dice
che aveva sessanta anni e dunque, evidentemente, una lunga espe-
rienza in proposito), con l’incarico di studiare le norme stabilite
dall’assemblea del Gulating e adattarle alla situazione nazionale
(927?). Il Gulating, come si è detto, aveva giurisdizione sulle regio-
ni di Hordaland, Sogn e Fjordane, dalle quali proveniva buona
parte dei coloni. Úlfljótr tornò in patria dopo tre anni e divenne il
primo lǫgsǫgumaðr islandese.236 Attorno all’anno 965 per iniziativa
di Þórðr Sbraitone (gellir) Ólafsson venne introdotta una riforma
con la quale furono istituiti quattro distretti detti fjórðungar (sing.

233
Il riferimento è agli ecclesiastici. DLO nr. 95.
234
Vd. p. 151 con nota 196. Nella Saga di Þórir del pollame (Hœnsa-Þóris saga) al
cap. 9 si lascia intendere che i terreni sui quali sorgevano fattorie abbandonate (nel
caso specifico in seguito a un incendio) erano da considerarsi a disposizione di chi ne
prendesse possesso secondo le procedure stabilite.
235
È verosimile che circa 20.000 persone si siano insediate sull’isola durante il
periodo della colonizzazione e che il loro numero sia poi salito fino a raggiungere nel
XIII secolo una cifra variante tra i 32.500 e i 39.000 individui (vd. Benedictow 2003,
p. 247).
236
Vd. p. 151.

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Le nazioni scandinave tra l’XI e il XIV secolo 387

fjórðungr, letteralmente “quartiere”): occidentale, orientale, meri-


dionale e settentrionale. Nei primi tre vennero istituiti tre distretti
minori che dovevano tenere la loro “assemblea di primavera”
(várþing, ma anche fjórðungsþing) in località prestabilite; a ciascu-
na corrispondevano tre goðorð (dunque, in linea di massima tre
goðar). Nel quartiere settentrionale invece i distretti furono quattro,
cosicché il numero dei goðorð era di dodici anziché di nove come
altrove. Nel Paese il totale dei goðorð era dunque di trentanove;
Ari Þorgilsson, che nel Libro degli Islandesi ci dà questa
informazione,237 sottolinea tuttavia che all’assemblea generale il
peso politico del distretto settentrionale doveva essere pari a quel-
lo degli altri. Contemporaneamente furono anche nominate delle
“corti di giudizio distrettuali” (fjórðungsdómar) cui era demandata
l’attività processuale; i loro componenti prendevano parte anche
all’assemblea generale. Nel 1004 venne istituito presso di essa il
fimtar-dómr, la “quinta corte di giudizio” che doveva giudicare i
casi più gravi come falsa testimonianza, corruzione, sostegno ai
banditi o anche decidere gli appelli. Le sue sentenze erano defini-
tive.
Quando il potere del re norvegese fu stabilito in Islanda, nel
Paese venne introdotta – in analogia con l’organizzazione ammini-
strativa del dominatore – una suddivisione in distretti detti sýslur
(sing. sýsla) cui sovrintendevano funzionari di nomina regia, i
sýslumenn (sing. sýslumaðr).238 Costoro rispondevano a loro volta
a rappresentanti reali di più alto livello, detti hirðstjórar (sing.
hirðstjóri).239 Tra coloro che erano al servizio del re norvegese si
possono dunque trovare i ‘nobili’ islandesi. In realtà in questo
Paese non si può parlare di nobiltà in senso stretto, piuttosto della
posizione sociale privilegiata di talune persone (alle quali in segui-
to venne attribuito il titolo di herra “signore”).
Una ulteriore unità territoriale islandese è indicata con hreppr
(pl. hreppar). Sebbene se ne abbia notizia anche precedentemente
alla cristianizzazione del Paese, il termine hreppr rimanda succes-
sivamente all’utilizzo fatto dalla Chiesa della parte (un quarto)
delle decime destinata ai poveri. I hreppar erano dunque ‘comuni
rurali’ indipendenti nei quali viveva un gruppo di contadini e al cui

237
Cap. 5.
238
Cfr. p. 372.
239
Con l’introduzione del dominio norvegese in Islanda il ‘governatore’ Gizurr
Þorvaldsson (1208-1268) aveva avuto il titolo di jarl; questo titolo tuttavia era stato
abolito qualche anno dopo la sua morte. Dal XV secolo il titolo di hirðstjóri fu sosti-
tuito da quello di höfuðsmaður e la carica affidata a stranieri.

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388 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

interno erano gestite da amministratori indicati con il termine


hreppstjórar (sing. hreppstjóri) le situazioni di indigenza e disagio
sociale. In queste comunità confluirono molti di coloro che erano
stati schiavi o che comunque da loro discendevano. La schiavitù,
seppure ufficialmente non abolita, scompare in Islanda nel XII
secolo, per ragioni di carattere economico e motivazioni religiose.240
Di conseguenza la società islandese risulta, almeno da un punto
di vista esteriore, composta da un’unica classe. E tuttavia le diffe-
renze sono notevoli. A parte i più poveri ci sono anche contadini
che dispongono di pochi beni, che lavorano come affittuari nei
terreni di altri o che devono condividere la fattoria. I grandi pro-
prietari terrieri invece godono di un notevole potere economico
che si accompagna al prestigio personale riconosciuto dai membri
della comunità. E anche se il passaggio dall’una all’altra condizio-
ne resta in teoria possibile, la progressiva concentrazione di ric-
chezza di cui si è parlato rafforza l’autorità di pochi. Il che si tra-
durrà nella formazione di uno stato oligarchico e di vere e proprie
“signorie” (ríki) gestite dalle più potenti famiglie.
In Islanda centri di notevole importanza furono gli staðir (sing.
staðr, termine che ricorre nei toponimi). Si trattava di proprietà
donate da privati alla chiesa che su di essi sorgeva (secondo l’esem-
pio del vescovo Gizurr Ísleifsson).241 Spesso questi centri venivano
gestiti dagli eredi del donatore che ne godeva i profitti: l’ammini-
strazione di queste proprietà fu motivo di aspri conflitti tra il potere
ecclesiastico e quello laico dopo l’annessione del Paese alla Norvegia
(un conflitto sanato almeno in parte, come si è detto, nel 1297).242
Dall’arrivo dei primi coloni, dalla costruzione delle prime abita-
zioni (spesso semplicemente ripari scavati nei fianchi di una collina,
ricoperti con un tetto e provvisti di una porta di legno), dall’intro-
duzione dei primi allevamenti e dal dissodamento dei primi campi
per la coltivazione di cereali, gli Islandesi erano stati capaci di svi-
luppare una nazione. Il Paese fu disseminato di fattorie e di chiese,
sorsero importanti centri di cultura (laici ed ecclesiastici), la popo-
lazione seppe superare gravi difficoltà243 e darsi regole di gestione
240
Kuhn 1971, pp. 107-108. L’introduzione, nel 1016 circa, del divieto di ‘esporre’
i neonati (pratica che doveva riguardare in primo luogo i figli di persone prive di
sufficienti mezzi di sussistenza) determinò l’incremento numerico degli schiavi modi-
ficando il rapporto tra la loro produttività e i costi per il loro mantenimento.
241
Vd. sopra, p. 269; cfr. p. 162.
242
Vd. sopra, p. 385.
243
Attorno all’anno 934 a esempio c’era stata una spaventosa eruzione vulcanica
(cfr. Landnámabók, p. 328 e pp. 330-331), a quanto pare addirittura peggiore di quel-
la che avrebbe devastato il Paese tra il giugno del 1783 e il febbraio del 1784 (su cui

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Le nazioni scandinave tra l’XI e il XIV secolo 389

della vita sociale. Il commercio fiorì (soprattutto per l’esportazione


del tessuto di lana grezza detto vaðmál,244 pelli di pecora e zolfo).
Ma il periodo delle lotte intestine e la conseguente perdita dell’in-
dipendenza deteriorò la situazione. I Norvegesi assunsero il predo-
minio dei commerci nel Mare del Nord, circostanza che fu compli-
cata dal diffondersi in Scandinavia dell’epidemia di peste intorno alla
metà del XIV secolo, trascinatasi sino agli ultimi anni ’80. L’Islanda
non fu raggiunta dal contagio, tuttavia se da una parte l’interruzio-
ne dei collegamenti navali lo evitò essa contribuì dall’altra al deca-
dimento della sua economia. Nel XIV secolo inoltre il Paese fu
colpito da una lunga serie di calamità naturali (i terremoti del 1308
e del 1311, le eruzioni del vulcano Hekla nel 1300, 1341 e 1389, del
Katla nel 1311, quella spaventosa dell’Öræfajökull nel 1362, epide-
mie che colpirono il bestiame, carestie). Con l’ingresso nell’Unione
di Kalmar la situazione di approvvigionamento delle merci peggio-
rò restando affidata ai mercanti di Bergen, alle navi delle città
anseatiche e, soprattutto, agli Inglesi, attirati dalle risorse della pesca,
la cui presenza (poco gradita al re danese e ai commercianti ansea-
tici) si fece costante portando opportunità di lavoro ma anche
conflitti.245 Quando la Norvegia entrò in unione con la Danimarca
molti danesi si trasferirono nell’isola per dominarne la vita politica
ed economica. E la peste, che aveva risparmiato il Paese a metà del
XIV secolo, dilagò per tre anni a partire dal 1402, aprendo un
secolo di decadimento sociale e culturale, tragicamente concluso tra
il 1494 e il 1495 da una nuova epidemia.246

vd. pp. 724-726). Le terribili conseguenze di questa eruzione furono tuttavia superate
dal momento che la densità abitativa ancora relativamente bassa scongiurò effetti
tragici pari a quelli verificatisi nel XVIII secolo. Vd. STOTHERS R.B., “Far Reach of the
Tenth Century Eldgjá Eruption, Iceland”, in Climatic Change, XXXIX: 4 (1998), pp.
715-726, dove si dà conto di tutte le fonti che fanno riferimento a questo evento.
244
La parola significa letteralmente “misura di tessuto”, nel che è indicato chiara-
mente anche il suo valore come merce di scambio (vd. Foote – Wilson 1973 [C.3.4],
p. 55).
245
In questo ambito va ricordato il naufragio di venticinque navi mercantili inglesi
sulle coste islandesi nel 1419, così come l’aggressione da parte dell’equipaggio di una
flotta inglese che nel 1431 operò saccheggi e uccisioni e anche l’assassinio del rappre-
sentante reale Björn Þorleifsson (nato attorno al 1408) da parte degli Inglesi nel 1467;
inglesi furono anche tre vescovi delle diocesi d’Islanda: John Williamson Craxton (mor-
to attorno al 1440), nominato prima per la diocesi di Hólar (1425) e poi per quella di
Skálholt (1435), John Bloxwich (date ignote), nominato a Hólar (1435), e Robert Wodborn
(date ignote), suo successore (1441): in realtà solo il primo fu in Islanda tra il 1427 e il
1433 (o 1434). Non fa dunque meraviglia che il XV secolo sia ricordato nella storia
islandese come “periodo inglese” (enska öldin). Vd. Þorsteinsson 1970 (C.7.4).
246
Vd. Jóhannesson Þ., “Plágan mikla 1402-1404”, in Skírnir, 1928, pp. 73-95.

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390 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

Lo sviluppo degli insediamenti abitativi nei secoli XII-XIV è ben


testimoniato da una serie di toponimi che rendono ragione delle diverse
tipologie. Innanzi tutto i nomi terminanti con ‑rud, ‑rød e ‑ryd che fanno
esplicito riferimento all’uso di diboscare foreste per stabilirvi nuovi ter-
reni agricoli: questi componenti risalgono ai sostantivi ruð “radura” e rjóðr
“area diboscata” (cfr. il verbo ant. nordico ryðja “sgombrare”, “dissoda-
re [un terreno boscoso]”, dan. rydde, sved. rödja, norv. rydja).247 Analoghi
a questi sono in Norvegia i nomi terminanti in ‑brenna e ‑sved/‑sve (in cui
è fatto chiaro riferimento all’uso del fuoco per liberare i terreni dalla
vegetazione).248 Alla progressiva ‘conquista’ delle aree forestali si collega-
no anche i nomi in ‑mark “foresta”. Altri toponimi sono composti con
elementi che alludono allo sfruttamento di diverse zone per uso agricolo:
‑hester (solo nella regione svedese del Götaland centrale) “giovane foresta”
o “bosco ceduo”; ‑sel (in Norvegia, Svezia e Islanda) e støl (Norvegia)
entrambi “pascolo estivo”; ‑sæter/‌‑setr/‑sætr “prato presso una foresta”,
“pascolo estivo”. Diverse occorrenze sono: ‑bodha/‑bodh/‑boda/‑bo/‑bu
(che rimanda all’ant. nord. búð, pl. búðir) “alloggiamento provvisorio”,
“capanno”, “baracca” (soprattutto nella Svezia centrale e meridionale);
‑bol/‑bøle/‌‑böle (ant. nord. ból) “terreno coltivato con una fattoria”; ‑kot
“capanna”, “casupola”, “piccola fattoria”; ‑køp/‑köp “proprietà terriera
acquistata” (in Danimarca e Svezia); ‑mala (< måla), frequente nella Sve-
zia sud-occidentale, “terreno misurato” (cfr. sved. mål “misura”); ‑vret/‑reit
(soprattutto, nella seconda forma, in Norvegia) “appezzamento di terre-
no delimitato”.
Componenti già noti in epoca precedente continuano in diversi casi a
essere produttivi talora aumentando sensibilmente di numero (‑by,
‑hult/‑holt, ‑rum, ‑thorp, ‑thvet <‑þveit).249 Assai interessante è la compar-
sa di elementi che rimandano inequivocabilmente alla diversa destinazio-
ne di altri insediamenti: così i nomi terminanti in‑købing/‑köping/‑køpung/
‑kaupangr alludono esplicitamente a un “centro commerciale”,250 mentre
‑borgh/‑borg definisce luoghi fortificati: un contesto – quello delle stuttu-
re militari – al quale si riferiscono anche ‑hus con il senso di “casa
fortificata”251 e ‑holm “isolotto”, ma anche “terra elevata e circondata
dall’acqua” (un significato tuttavia secondario).

247
Una buona parte dei quelli del secondo tipo risalgono tuttavia, secondo S. Fridell,
al periodo vichingo (Fridell 2002 [C.6], p. 974): a questo studio, in primo luogo, si
rimanda.
248
In nordico il verbo brenna significa “incendiare”, mentre sviða “bruciacchiare”
fa riferimento a un’area forestale che è stata ripulita con il fuoco per la coltivazione.
249
Cfr. pp. 161-162.
250
Cfr. p. 208, nota 422.
251
Si pensi alla fortificazione detta Akershus a Oslo, alle rovine dell’imponente
fortezza di Hammershus sull’isola di Bornholm, o anche al termine hus nel senso di
“casa fortificata” usato in relazione alla fondazione di Stoccolma da parte di Birger
jarl (vd. p. 361 con nota 139).

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Le nazioni scandinave tra l’XI e il XIV secolo 391

6.5. Lingue e cultura

6.5.1. Vita culturale in Danimarca

Il mondo culturale danese tra il XII e il XIV secolo viene piena-


mente integrandosi in una prospettiva europea. Le biblioteche dei
conventi e dei capitoli delle cattedrali raccolgono manoscritti pre-
ziosi, in primo luogo testi religiosi ma anche opere classiche (i
greci in traduzione latina) e testi di carattere scientifico.252 Gli
scambi si intensificano, si ricordi a esempio la presenza in Dani-
marca di monaci francesi provenienti dall’abbazia di Cîteaux in
Borgogna (culla della riforma cistercense) nel convento di Esrom
(Selandia settentrionale) sotto l’autorità dell’arcivescovo Eskil, o il
soggiorno nel Paese del monaco Guglielmo (Guillaume de Paris,
ca.1125-1203) che dal convento parigino di Santa Genoveffa fu
chiamato da Absalon (intorno al 1165) con il compito di riorganiz-
zare il monastero di Eskilsø nel fiordo di Roskilde (che nel 1175
sarebbe stato da lui spostato a Æbelholt presso Hillerød, nella
Selandia settentrionale): figura di assoluto rilievo sia dal punto di
vista culturale, sia da quello dell’impressione che la sua irreprensi-
bile condotta di vita ebbe sul popolo danese, il che – dopo la
morte – avrebbe giustificato la proclamazione della sua santità.
D’altra parte diversi personaggi danesi di spicco avevano stu-
diato all’estero: nel XI secolo già il vescovo di Roskilde Svend
Normand (morto nel 1088) e poi Eskil, Absalon (e vari altri alti
prelati) ma anche Sassone e, probabilmente, Svend Aggesen.
Molti a Parigi, dove è nota l’esistenza di un Collegium Danicum
fondato nel 1275 dal canonico di Roskilde Peder Arnfast per
accogliere gli studenti non benestanti;253 in Francia (ma anche in

252
In Danimarca grande rilievo ebbe il celebre monastero di Sorø, nella Selandia sud-
occidentale, fondato dal padre dell’arcivescovo Absalon Asser Rig (ca.1080-1151), che
costituiva il più grande complesso conventuale del Nord. Dopo la riforma esso fu trasfor-
mato in una celebre accademia, importante punto di riferimento del mondo culturale
danese. Cfr. p. 466 con nota 19, p. 570 con nota 176, p. 774, nota 408 e p. 884 con nota 90.
253
Tra gli eruditi danesi formatisi in Francia nel XIII secolo il filosofo Boëthius (Bo)
de Dacia (morto nel 1280 circa) che avrebbe anche insegnato presso l’Università di
Parigi (forse tuttavia svedese: vd. Nordström J., “Bidrag rörande Boetius de Dacia”,
in Samlaren, VIII [1927], pp. 38-47) e il teologo e filosofo Martinus de Dacia (Morten
Mogensen, morto a Parigi nel 1304), cancelliere del re Erik Menved e avversario dell’ar-
civescovo Jens Grand (cfr. p. 336); più tardi (negli anni ’70 del XIV secolo) Jacobus
Nicholai de Dacia (morto dopo il 1379) autore in latino di versi in onore della Madon-
na e di un testo sulla metrica (Liber de Distinccione Metrorum). Cfr. anche nota 262.

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392 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

Italia e in Inghilterra)254 si era formato Andrea Sunesen, successo-


re di Absalon nella sede arcivescovile di Lund, autore di un lungo
poema (8040 versi!) di carattere didascalico in latino sui ‘sei gior-
ni’ della creazione e altri temi religiosi dal titolo Hexaëmeron.
Nell’ambito culturale l’utilizzo del latino è del resto una scelta del
tutto naturale,255 almeno per i primi autori tra i quali si segnalano
i già citati Sassone e Svend Aggesen, ‘costruttori’ della storia
nazionale. In latino sono redatte le prime ‘cronache’, tra le quali
la Cronaca di Roskilde (Chronicon roskildense) completata prima
del 1143. Questo testo (l’unico riguardante l’intero Paese) mostra
come tale tipo di scritti, originato nei conventi, si venga allonta-
nando dagli interessi della Chiesa e apra piuttosto la strada alla
storiografia nazionalistica.256 In latino sono redatti gli Annali, un
genere che sarà coltivato soprattutto nel XIII e XIV secolo, sorto
a imitazione di modelli stranieri. I più antichi annali danesi sono
gli Annali di Colbaz (Annales colbazenses) che risalgono già al XII
secolo; iniziati a Lund dopo il 1137, furono in seguito portati
avanti nel convento di Colbaz, in Pomerania, dove vi vennero
annotati avvenimenti di interesse tedesco. Il latino è, del resto, la
lingua della Chiesa, istituzione che si premura di formare adegua-
tamente i propri membri e di diffondere testi indispensabili all’in-
segnamento della dottrina cristiana. E di ‘costruire’ leggende su
figure di santi locali (come Canuto il Santo e Canuto Lord) allo
scopo di radicare la nuova religione nella coscienza del popolo (le
prime opere su di loro risultano tuttavia composte da ecclesiastici
inglesi).257 La nuova cultura, che assai spesso si lega a una posizio-
254
Rispettivamente a Bologna e a Oxford. A Bologna risultano aver studiato anche
gli arcivescovi Jens Grand ed Esger Juul (morto nel 1325). Vd. l’elenco riportato in
Carøe K., “Danske, norske og holstenske studerende ved universitetet i Bologna 1289-
1525”, in KSam VI (1911-1913), pp. 375-381.
255
Un latino nel quale tuttavia non di rado vengono inserite, adattandone la forma,
parole danesi (vd. Skautrup 1944-1968 [B.5], I, pp. 205-206).
256
Di un certo interesse è anche la Cronaca di Lejre (cfr. p. 132), che trattando
esclusivamente del periodo pagano si pone come una sorta di introduzione alla Cronaca
di Roskilde, che prende avvio ‘solamente’ dall’anno 826 (e sarà poi estesa dal 1140 ca.
al 1157).
257
Il primo testo, redatto verosimilmente da un sacerdote anglosassone attivo
presso la chiesa di Sant’Albano a Odense, va collegato con la solenne deposizione
delle reliquie: si intitola Passione di San Canuto Re e Martire (Passio Sancti Canuti
Regis et Martyris). Il secondo, opera di Ælnoth di Canterbury (date ignote), che
viveva in Danimarca, è databile al 1120 circa: come si comprende anche dal titolo
Opere del Re Svend Magnus e dei suoi figli e Passione del gloriosissimo Re e Martire
Canuto (Gesta Swenomagni Regis et Filiorum eius et Passio gloriosissimi Canuti Regis
et Martyris) riguarda anche il re Svend Estridsen e i suoi figli (la parte dedicata a
Canuto inizia al cap. 5). A Canuto Lord era dedicata una agiografia redatta da tale

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Le nazioni scandinave tra l’XI e il XIV secolo 393

ne socialmente elevata (basti pensare che i vescovi e gli eruditi


canonici provengono di norma da famiglie eminenti), gravita
dunque innanzi tutto intorno al mondo ecclesiastico. Ciò nono-
stante il primo testo autenticamente danese non è di carattere
religioso:258 si tratta infatti del documento con il quale Canuto il
Santo dona delle proprietà alla cattedrale di Lund (1085).259
Di tutt’altra natura sono anche le prime opere scritte in volgare
che sono delle raccolte di leggi. Così la Legge dello Jutland (Jyske
Lov) proclamata al Danehof di Vordinborg nel 1241 (e poi appro-
vata dall’assemblea di Viborg) e voluta, a quanto pare, da Valde-
maro II (progetto al quale certamente collaborò il vescovo Gunner
di Viborg, morto nel 1251): dunque un lavoro che rispondeva
all’esigenza della Corona di disporre di uno strumento di control-
lo. Pressoché contemporanea è del resto la compilazione (dovuta
piuttosto all’iniziativa di singoli esperti) di codici legislativi riguar-
danti le altre regioni danesi: la Legge della Scania (Skånske Lov, il
cui manoscritto più antico risale alla seconda metà del XIII secolo)260

Robert, monaco del convento cistercense di Ely (nella parte orientale del Cambridge-
shire), un testo andato perduto. Un altro inglese per altro sconosciuto è l’autore
della Storia di S. Canuto condottiero e martire (Historia S. Canuti ducis et martyris)
composta probabilmente in occasione della solenne incoronazione del figlio di
Valdemaro I (vd. p. 328, nota 2).
258
Non si sa infatti se il cosiddetto Libro di Dalby (Dalby-bog), manoscritto fine-
mente miniato risalente alla seconda metà dell’XI secolo e che contiene i Vangeli e altri
scritti, sia stato composto nel luogo in cui è stato conservato (il convento agostiniano
di Dalby in Scania) o se provenga dall’estero. Del resto è evidente che gli ecclesiastici
stranieri usavano portare con sé testi religiosi da utilizzare nel loro ministero. Ansgar
medesimo lo aveva fatto nel corso del suo primo viaggio, ma i suoi preziosi volumi
erano finiti nelle mani dei pirati che lo avevano assalito (cfr. p. 240). Il manoscritto del
Libro di Dalby (Gml. kgl. saml. 1325, 4to) è conservato nella Biblioteca reale (Det
kongelige bibliotek) di Copenaghen. Di quest’opera, a quanto risulta, non è ancora
stato pubblicato un facsimile né un’edizione critica ed esso è disponibile solo in micro-
film. Vd. Andersen M.G., “Dalbybogen. Et evangeliarium fra det 11. århundredes
sidste trediedel”, in NTBBV LXXXIII (1996), nr. 2, pp. 67-128.
259
DD I: 2, nr. 21, 21 maggio 1085, pp. 43-52; vd. Hald Kr., “Knud den Helliges
Gavebrev. Et bidrag til det danske skriftsprogs ældste historie”, in APhS XXI (1952),
pp. 105-142. Il più antico libro del Nord è considerato il Libro dei morti [della cat-
tedrale] di Lund (Necrologium Lundense), attualmente conservato presso la Biblio-
teca universitaria (Lunds universitets bibliotek) di quella città (Codex Mediaevalis
VItus), in cui, secondo un uso piuttosto diffuso e testimoniato anche altrove, veni-
vano elencati i decessi, ma nel quale trovano posto molte altre interessanti annota-
zioni. Risulta iniziato nel terzo decennio del XII secolo. Di poco posteriore (1139-1146)
è il primo Libro delle donazioni [della cattedrale] di Lund (Liber daticus Lundensis),
una sorta di ‘registro’ delle donazioni (secondo un uso che si ritroverà comunemen-
te altrove).
260
Si tratta del cosiddetto Codex Runicus (AM 28, 8vo) conservato presso l’Università
di Copenaghen (Nordisk forskningsinstitut). Una parafrasi latina del testo di questa

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394 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

e due raccolte di leggi della Selandia, la Legge selandese di Valde-


maro (Valdemars sjællandske Lov) e la Legge selandese di Erik (Eriks
sjællandske Lov).261 In lingua volgare sono scritte anche opere di
carattere scientifico ricondotte all’attività del celebre medico ed
ecclesiastico Henrik Harpestræng (canonico a Roskilde, morto nel
1244) il quale aveva certamente studiato all’estero ed era, a quanto
pare, medico del re Erik Soldo dell’aratro.262

Dalla Cronaca degli Slavi (Chronica Slavorum) di Arnoldo di Lubecca:

“Della reputazione dei Danesi. I Danesi appunto imitando l’uso dei


Tedeschi, che hanno appreso per lunga convivenza con loro, si conformano
nell’abbigliamento e nelle armi agli altri popoli; e quantunque una volta
avessero nell’abito l’aspetto di marinai per via della consuetudine [di stare
sulle] navi, dal momento che abitano zone costiere, ora indossano non
soltanto [vesti di] scarlatto, di [tessuto] variopinto, di pelliccia, ma anche
di porpora e di bisso. Hanno in abbondanza ogni tipo di ricchezza a motivo
della pesca, che ogni anno si esercita in Scania, cui si affrettano i mercanti
di tutti i Paesi vicini [che] portano là oro e argento e altre cose preziose, e
paragonati alle loro aringhe salate, che essi per generosità divina possiedono
gratuitamente, cedono le loro cose migliori per un commercio di poco valo-
re, talora persino naufragando essi stessi [in quelle acque]. La loro terra è
piena di ottimi cavalli, per via dei pascoli assai ubertosi nel Paese. E poiché

legge, realizzata da Andrea Sunesen, si intitola Legge provinciale della Scania di Andrea
Sunesen (Andreæ Sunonis Lex Scaniæ Provincialis).
261
In latino abbiamo la versione di una Legge di corte (Lex castrensis, ant. dan.
Withærlagh) curata da Svend Aggesen, sulla base – secondo quanto da lui stesso
affermato (cap. 2) – di un riassunto danese delle leggi che Canuto il Grande aveva
emanato per gli uomini della sua corte. Si tratta di un testo di grande interesse che
riflette un cambiamento determinante. La ‘corte’ di questo re, composta da ben tre-
mila uomini, rappresenta infatti il passaggio dal seguito tradizionale dei capi e dei
sovrani vichinghi (vd. p. 211) a un organismo strutturato secondo nuove e diverse
necessità (comprendeva infatti, su modello inglese, guardie del corpo, guardie di
corte e funzionari) che si adegua a un diverso e più vasto potere e che costituisce
dunque una prima espressione della nuova amministrazione e della nuova ‘nobiltà’.
Sul diritto danese nel medioevo vd. Fenger 1983 (B.8).
262
A lui si fanno risalire testi medici che dovettero essere molto diffusi, come
dimostrano le svariate copie manoscritte nelle diverse lingue volgari (danese, svedese,
norvegese, islandese; vd. Harpestræng Henrik, Danske Lægebog). Con lui è proba-
bilmente da identificare un Henricus de Dacia che risulta aver studiato medicina a
Orléans nel XII secolo. In Svezia compaiono tuttavia anche testi medici ‘autonomi’.
Vd. Läke- och örte-böcker från Sveriges medeltid, utgifna af G.E. Klemming, Stockholm
1883-1886 (SSFS: 26), dove è comunque compreso anche un testo che si rifà a Harpe-
stræng (pp. 3-10).

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Le nazioni scandinave tra l’XI e il XIV secolo 395

per l’abbondanza di cavalli si esercitano nell’arte militare, si vantano del


combattimento equestre così come di quello navale. Hanno fatto anche non
pochi progressi nelle lettere, poiché i più nobili del Paese mandano i loro
figli a Parigi, non soltanto per far progredire il clero, ma anche per ricevere
una educazione nelle scienze mondane. Là istruiti sia nella letteratura sia
nell’idioma di quel Paese, sono divenuti molto preparati, non soltanto
nelle arti 263 ma anche in teologia. Proprio per la naturale scioltezza della
lingua non solo sono giudicati arguti negli argomenti dialettici, ma risulta-
no anche capaci nel trattare le questioni ecclesiastiche dal punto di vista del
diritto canonico come da quello del diritto romano.”264

Per quanto riguarda la qualità letteraria, le opere composte in


Danimarca nel XIV secolo (ma anche quelle del XV, di cui in par-
te si riferisce già in questo paragrafo) sono modeste. La produzio-
ne in latino resta consistente e comprende ancora annali, scritti
religiosi e scientifici, biografie di uomini eminenti e anche poesie.265
In volgare possediamo una letteratura ‘edificante’ che comprende
un Lucidarius,266 traduzioni di testi di carattere religioso-educativo,
libri di preghiere, leggende legate a racconti biblici o vite di santi,
ma anche poesia religiosa. Tutti testi che riprendono modelli stra-
nieri. Utile testimonianza della lingua danese si trova in un Libro
di medicina (Lægebog) che risale alla metà del XIV secolo. Interes-
se dal punto di vista culturale riveste la nota, diffusa e ricchissima
(ne contiene circa milleduecento!) raccolta dei Proverbi di Peder
Låle (Peder Låles ordsprog, con testo bilingue danese e latino), il
cui autore ci è praticamente sconosciuto, solo si suppone che pos-
sa essere vissuto, al più tardi, nei primi decenni del XV secolo.267
A parte si può considerare la cosiddetta Cronaca danese in rima
263
Il riferimento è, verosimilmente, alla grammatica, alla retorica e alla filosofia.
264
Chronica Slavorum, III, 5 (DLO nr. 96). Arnoldo (morto intorno al 1212) fu
abate del convento di San Giovanni a Lubecca. La sua cronaca copre gli anni dal 1171
al 1209.
265
Il genere della poesia in latino a contenuto laico nel XV secolo è rappresentato
solo nell’opera di Morten Børup (morto nel 1526).
266
Quest’opera riprende in traduzione la rielaborazione tedesca di un testo elemen-
tare di teologia scritto in latino e assai diffuso nel medioevo. L’originale è probabil-
mente da attribuire a Onorio di Autun (Honorius Augustodunensis) vissuto nella prima
metà del XII secolo, il quale fra i propri scritti vanta un Elucidarium, sive Dialogus de
summa totius christianae theologiae, nel quale sotto forma di un colloquio tra discipulus
e magister si esaminano i fondamenti della fede cristiana.
267
Se ne veda l’edizione in Forndanska och latinska ordspråk. Di questa raccolta si
conosce anche una rielaborazione svedese (verosimilmente precedente il 1450, edita
con il titolo Fornsvenska och latinska ordspråk).

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396 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

(Den danske rimkrønike) che nel 1495 sarà il primo libro a essere
stampato in Danimarca (a Copenaghen) da Gotfred af Ghemen
(stampatore di origine olandese morto forse nel 1510): un testo in
knittelvers268 di carattere epico-cavalleresco ed encomiastico, dedi-
cato a diverse figure di sovrani (da Humble, padre del mitico Dan
fino a Cristiano I, re dal 1448 al 1481), i quali in prima persona
parlano del periodo del loro regno. Quest’opera appartiene al
genere delle ‘cronache’ (ben note anche in ambiente svedese) che
riprendendo modelli stranieri (francesi, inglesi e tedeschi) non
rappresentano nulla di più dell’esigenza di conformare il gusto
artistico a modelli in voga nel resto d’Europa. Il che, del resto, si
constata anche nella diffusione di traduzioni di romanzi cavallere-
schi incentrati sulle figure di celebri personaggi le cui vicende
allietavano la vita della nobiltà.
La produzione letterariamente migliore del periodo è certamen-
te costituita dalle ballate popolari (folkeviser) che tuttavia per
lungo tempo saranno tramandate in forma orale e solo nel 1591
verranno riunite in una prima raccolta stampata a cura di Anders
Sørensen Vedel.269 La tradizione scandinava delle ballate esordisce
quasi certamente in Danimarca ma si diffonde rapidamente negli
altri Paesi.270 Si tratta di testi composti con accompagnamento
268
Il knittelvers (“verso della rima”) è una forma metrica piuttosto libera (il termi-
ne ha avuto anche connotazione spregiativa), che richiede sostanzialmente la rima o
l’assonanza finale per ogni coppia di versi, ciascuno dei quali ha quattro sillabe accen-
tate separate da una cesura. Nella variante più rigorosa sono previste otto o nove sil-
labe per ogni verso, in quella più libera questo limite non è necessario (vd. Heusler
A., Deutsche Versgeschichte, Berlin 1956, III, pp. 41-60).
269
Cento ballate danesi scelte, su ogni genere di ragguardevole impresa guerriera, e
altre particolari avventure, che qui nel regno, si sono compiute con antichi campioni,
famosi sovrani o altrimenti nobili persone, dall’inizio dei tempi fino al giorno presente
(It Hundrede vduaalde Danske Viser, Om allehaande Merckelige Krigs Bedrifft, oc anden
seldsom Euentyr, som sig her vdi Riget, ved Gamle Kemper, Naffnkundige Konger oc
ellers forneme Personer begiffuet haffuer, aff arilds tid indtil denne neruærendis Dag ).
Nel 1695 Peder Syv (su cui vd. pp. 599-600) integrerà il lavoro di Vedel con una nuo-
va serie di ballate (Et Hundrede udvalde Danske Viser). A partire dalla metà del XIX
secolo sarà poi il letterato e linguista Svend Grundtvig (1824-1883, figlio di N.F.S.
Grundtvig su cui vd. pp. 883-884 e pp. 914-915) a raccogliere e catalogare questi testi.
270
In Islanda, dove prendono il nome di rímur (sing. ríma), esse si innestano su una
precedente tradizione di componimenti di contenuto amoroso o canzonatorio che
risale al XII-XIII secolo. Differenziandosi gradualmente dalla ballata vera e propria
(e a un certo punto perdendo la funzione di testi musicali per il ballo) esse vennero
costituendo un genere letterario proprio che riprende tratti caratteristici della poesia
scaldica, quali l’allitterazione e le kenningar. Nonostante l’impegno degli ecclesiastici
luterani che, sottolineandone il carattere ‘diseducativo’, si sforzarono di sradicarne la
tradizione a favore di componimenti di contenuto religioso, l’arte delle rímur continuò
a essere proficuamente esercitata (cfr. il testo alle pp. 511-512).

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Le nazioni scandinave tra l’XI e il XIV secolo 397

musicale per danza in cui la materia nordica si combina con ele-


menti di importazione: in primo luogo esse si ispirano alla canzone
da ballo francese (ma si è pensato anche alla ballata inglese e al
Minnesang tedesco). Vi confluiscono temi di diversa origine e
natura, come il ricordo di eventi drammatici, di figure particolar-
mente popolari, di esseri magici o buffoneschi, di antiche storie
mitologiche o di tragici amori. Vengono comunemente suddivise
in ballate magiche, legate alla tradizione pagana sugli esseri sovran-
naturali; ballate leggendarie, così dette perché si ispirano alle ‘leg-
gende’ cristiane (essendo legati al mondo cattolico questi testi
declineranno dopo la riforma); ballate storiche, che riecheggiando
il forte impatto di drammatici eventi ne adeguano le cause e l’an-
damento al gusto e alle aspettative del pubblico soffermandosi
sulla psicologia di importanti personaggi, spesso femminili;271 bal-
late cavalleresche (il gruppo più numeroso), incentrate su figure di
appartenenti a una nobiltà che ci appare pienamente conformata
a modelli europei; ballate eroiche, che riprendono temi leggendari
(e mitologici) della tradizione nordica; ballate giocose che traggo-
no spunto da situazioni comiche o grottesche della vita quotidiana.
Le ballate costituirono tra l’inizio del XIII secolo e la metà del XIV
occasione di svago per le classi aristocratiche,272 decaddero in
seguito a letteratura ‘popolare’.

Nel fosco quadro delle cruente lotte di potere che tormentarono la


Danimarca nei primi decenni del XIV secolo la tradizione ricorda la figura
dell’eroico Niels Ebbesen, capace di sfidare e uccidere l’inviso conte Gerar-
do di Holstein (1 aprile 1340). La ballata a lui dedicata si snoda in una serie
di momenti determinanti: il viaggio a Randers del conte Gerardo nonostan-
te una profezia annunci che in quel luogo troverà la morte (“[…] e da
tempo gli era stato predetto,/ che là avrebbe perso la vita.// Non per questo
volle rinunciare,/ anzi, volle azzardare […]”); l’incontro con Niels Ebbesen
sulla spiaggia di Randers e il drammatico dialogo fra i due nel quale Niels
rifiuta di sottomettersi al volere del conte che alla fine lo pone davanti
all’alternativa tra l’esilio e la morte (“Niels Ebbesen, tu ti esprimi duramente
271
Diverse composizioni sono dunque connesse alle vicende politiche danesi (a
esempio l’assassinio di Erik II Memorabile nel 1137, quello di Erik V Klipping nel 1286
(vd. i testi riportati alle pp. 337-338), l’uccisione del conte Gerardo di Holstein da
parte di Niels Ebbesen nel 1340 (vd. il testo che segue). Ma nelle ballate ‘storiche’ sono
spesso piuttosto i sentimenti e le figure femminili legate a sovrani o a personaggi di
rilievo a dominare la scena.
272
Insieme a esse giunsero nelle corti nordiche anche le danze eseguite in occasio-
ne di feste e cerimonie.

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398 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

contro di me,/ tu parli troppo a lungo:/ dovrai lasciare la Danimarca,/


oppure ti farò impiccare.”); il ritorno a casa di Niels Ebbesen e l’incontro
con la moglie che, celando i propri timori, lo istiga all’assassinio (in ciò
ricordando le diverse eroine germaniche che incitano l’uomo all’azione o
alla vendetta: “ [...] non fate sapere a nessuno, che questo consiglio vi ven-
ne da una donna!”); la spedizione di Niels e dei suoi uomini a Randers,
dove essi riescono a introdursi nell’alloggiamento del conte che Niels
uccide tagliandogli la testa; l’orgogliosa rivendicazione dell’assassinio
annunciato a suon di tamburo, la fuga dagli inseguitori tedeschi; la ‘con-
sacrazione’ dell’eroe da parte di una donna, voce del popolo danese: “Niels
Ebbesen salì a cavallo,/ doveva galoppare fino a Norring Riis;/ questo devo
dire per vero:/ provava angoscia e tormento.// Allora si fermò da una don-
na,/ ella non aveva nulla se non due pagnotte;/ una la diede a Niels Ebbesen,/
perché aveva ucciso il conte calvo.// Dio conceda grazia alla tua anima, Niels
Ebbesen!/ Finché tu sei in vita,/ molti tedeschi in Danimarca/ dovranno
percorrere lo stesso cammino.”273

6.5.2. La lingua danese

Il danese nel quale sono redatti tutti questi testi è, naturalmente,


una lingua profondamente diversa da quella che ci era testimonia-
ta nelle iscrizioni runiche274 e presenta marcate caratteristiche
regionali.275 Viene definito “danese medio” e suddiviso in “danese
medio più antico” (ældre middeldansk: 1100-1350) e “danese medio
più recente” (yngre middeldansk: 1350-1500). Oltre alle caratteri-
stiche delle lingue scandinave orientali,276 si individuano ora nette
differenze dallo svedese, in particolare nella semplificazione della
flessione nominale e aggettivale, soprattutto la prima (dove la for-
ma dell’accusativo tende a ‘coprire’ il nominativo e il dativo).277

273
DLO nr. 97-100. La ballata su Niels Ebbesen nelle sue diverse versioni è ripor-
tata in DGF III, nr. 156, pp. 476-542. Vd. Larsen S., “Niels Ebbesens Vise”, in AaNOH
1903, pp. 73-147. Cfr. pp. 338-339 e p. 1415.
274
Alcune iscrizioni runiche appartengono tuttavia anche a questo periodo e riflet-
tono, naturalmente, l’evoluzione della lingua (vd. Skautrup 1944-1968 [B.5], I, pp.
191-194).
275
Occorre tuttavia considerare che i manoscritti nei quali questi testi ci sono tra-
mandati non risalgono al periodo in cui essi furono redatti ma sono copie (o copie di
copie) e che, dunque, l’intervento degli amanuensi ne ha certamente in molti casi
influenzato la lingua.
276
Vd. sopra, p. 161.
277
Questo fenomeno di indebolimento è evidente soprattutto nel dialetto dello
Jutland, dove si giunge a una vera e propria apocope di tutte le vocali finali atone; di
fatto le vocali finali sono conservate solo nel dialetto della Scania, regione adiacente a

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Le nazioni scandinave tra l’XI e il XIV secolo 399

Nei secoli XIV e XV pur nella permanenza di varianti regionali, si


riconosceranno i primi segnali in direzione della codificazione di
una lingua nazionale (che, come mostra il linguaggio burocratico,
vede prevalere le forme linguistiche dei codici di legge selandesi).
In questo periodo si consolidano cambiamenti caratteristici. La
vocale: aˉ > å (analogamente poi in svedese):278 si vedano gli esempi
di år “anno”, gås “oca” (cfr. sved. år, gås, ma isl. ár, gás);279 iu > y
dopo r o l postconsonantica, un passaggio, questo, in comune con
lo svedese che tuttavia in danese andrà successivamente estenden-
dosi anche ad altri casi: si vedano gli esempi di bryde “rompere”,
“spezzare” e flyde “scorrere”, “galleggiare” (cfr. sved. bryta, flyta,
ma isl. brjóta e fljóta) e anche di lys “luce”, tyv “ladro” (cfr. sved.
ljus, tjuv); p, t, k > rispettivamente b, d, g:280 si vedano gli esempi
di skib “nave”, løbe “correre” (cfr. sved. skepp, löpa); fod “piede”,
gade “strada”, “via” (cfr. sved. fot, gata); bog “libro”, lege “giocare”
(cfr. sved. bok, leka); la fricativa gh > w o i semivocalica (a seconda
della posizione): si vedano lav “basso”, plov “aratro” (cfr. sved. låg,
plog) e høj “alto”, vej “via” (cfr. sved. hög, väg); la fricativa th > t
(in inizio di parola): questo passaggio, avvenuto al più tardi nella
seconda metà del XIII secolo, si verifica successivamente anche in
svedese (XIV secolo) e in norvegese (non prima del 1400), si con-
siderino gli esempi di takke “ringraziare”, tung “pesante” (cfr. isl.
þakka, þungur); i nessi consonantici ld e nd si assimilano in ll e nn
(tuttavia senza ricadute nella grafia che, anzi, in diversi casi intro-
duce ld, nd al posto di ll, nn);281 le vocali delle sillabe atone passa-
no a æ/e si vedano heste “cavalli” (cfr. isl. hestar, sved. hästar),
kone “donna” (cfr. isl kona, sved. kvinna). Altri cambiamenti
riguardano la morfologia e la sintassi, che risente in parte anche
dell’influsso del latino.
Il lessico mostra di recepire parole straniere provenienti da
diverse aree. Molte entrano in danese per il tramite di lingue vicine
quelle svedesi (Wessén 197510, p. 79; Skautrup 1944-1968, I, pp. 224-227, entrambi
in B.5). A causa dell’indebolimento delle vocali finali a, i, u le parole bisillabe vedono
talora di fatto soppressa la declinazione.
278
Per il norvegese vd. Skard 1972-1979 (B.5), I, pp. 89-90.
279
Si noti che nella grafia dell’islandese medievale il segno grafico dell’acento acu-
to indica la vocale lunga (cfr. p. 429, nota 380).
280
Un passaggio che nei dialetti della Selandia e dello Jutland si sviluppa ulterior-
mente in suoni fricativi: [v], [ð], [], rispettivamente, sebbene la grafia di regola non
lo registri. Per una disamina dettagliata degli esiti di questi cambiamenti si rimanda a
Skautrup 1944-1968 (B.5), I, pp. 228-235.
281
Wessén 197510 (B.5), pp. 80-81; Skautrup 1944-1968 (B.5), I, pp. 234-235, p.
246, pp. 249-250 e p. 252. A quest’ultimo lavoro si rimanda per la disamina dettaglia-
ta degli ulteriori cambiamenti subiti in questo periodo dalla lingua danese.

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400 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

come i dialetti tedeschi o nederlandesi. Naturalmente una buona


parte proviene dal latino (che a sua volta si rifà, in diversi casi, a un
retroterra greco): molti termini si riferiscono all’ambito religioso
(esempi: kloster “convento”, munk “monaco”, nonne “suora”,
pilgrim “pellegrino”, ma anche pen “penna”, pergament “pergame-
na” e – più tardi – papir “carta”, skole “scuola”, skrive “scrivere”)
ma non solo (esempi: fennikel “finocchio”, kok, “cuoco”, lilje
“giglio”, pil “freccia”, pulver “polvere”, rose “rosa”, spejl “specchio”,
spedalsk “lebbroso”, tegl “mattone”). Altre parole, riprese dall’area
tedesca (in particolare basso-tedesca), sono riconducibili innanzi
tutto al mondo feudale (esempi: dans “danza”, fyrste “prìncipe”,
greve “conte”, jomfru “vergine”, “pulzella”, ridder “cavaliere”, ædel
“eminente”, “nobile”)282 ma non solo (esempi: angst “angoscia”,
eddike “aceto”, forse tuttavia dal medio nederlandese, from “pio”,
glas “vetro”, jage, “cacciare”, klog “intelligente”, krig “guerra”,
kunst “arte”, kviksølv “argento vivo”, “mercurio”, marsk < marskalk
“comandante militare”, orlov “permesso”, skomager “calzolaio”,
spille “giocare”, “suonare”, spillemand “suonatore”, tvivl “dubbio”).
Ma in questo periodo affluiscono in danese anche termini origina-
ri di altre aree (esempi: perle “perla” dall’area romanza, læge “medi-
co” e sok “calza” dall’antico inglese, silke “seta” dall’area slava),
talvolta assai lontane (esempi: safran “zafferano” e sukker “zucche-
ro” dall’arabo). Prestiti, come si è detto, spesso mediati. La varietà
degli esempi qui volutamente ripresi (seppure in numero limitato)
da diversi ambiti, riflette il profondo mutamento della società e del
modo di vivere, il che del resto facilmente si constata anche nel
rinnovamento del lessico danese originario e nel campo dell’ono-
mastica che accoglie apporti stranieri non solo legati alla conver-
sione al cristianesimo.283

6.5.3. Vita culturale in Svezia

Seppure i temi e le forme dell’antica tradizione letteraria nor-


dica fossero certamente conosciuti anche in Svezia, questo Pae-
se ne offre ben scarse testimonianze scritte: se si prescinde da
testi che rimandano a forme poetiche incisi su pietre runiche (in
282
Ma non adel “nobiltà” che sarà recepito più tardi; cfr. nota 59.
283
Per gli studi sulla storia della lingua danese riveste grande interesse il cosiddet-
to Libro [dei possedimenti] terrieri di re Valdemaro (Kong Valdemars Jordebog), la cui
parte più cospicua risale al 1231. Questo testo di carattere catastale, seppure redatto
in latino, è di fondamentale importanza per lo studio della toponomastica danese.

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Le nazioni scandinave tra l’XI e il XIV secolo 401

particolare quella di Rök),284 nel periodo più antico il mondo


culturale svedese resta da questo punto di vista singolarmente
silenzioso. L’avvio di una attività cultural-letteraria vera e propria
si situa tra la fine del XIII e l’inizio del XIV secolo e appare come
riflesso e conseguenza del processo e dello sforzo di edificazione
della nazione. Sicché i valori e gli interessi della Chiesa e dello
Stato si mostrano predominanti. Come altrove la cristianizzazio-
ne aveva introdotto nel Paese la cultura religiosa e la tradizione
letteraria meridionale. Centri della sua diffusione furono in pri-
mo luogo i monasteri e le diocesi nelle cui biblioteche si racco-
glievano, si studiavano, si copiavano e si traducevano le opere
più importanti.285 Per accedere alla cultura era necessario, nella
quasi generalità dei casi, passare attraverso il tramite della Chie-
sa e in effetti gli ecclesiastici ne detenevano, accanto agli uomini
di legge, il monopolio. Ma, qui come altrove, la carriera eccle-
siastica era, non di rado, una carriera di tipo politico: assai spes-
so interessi personali e familiari piuttosto che una vera vocazio-
ne richiamavano i giovani. I quali in diversi casi si recavano a
studiare all’estero. A Parigi esistevano ‘collegi’ in cui soggiorna-
vano gli svedesi che si formavano presso quella prestigiosa uni-
versità: il Collegium Upsaliense per gli studenti della diocesi di
Uppsala, fondato nel 1285 circa da Andrea (Andreas) And (date
ignote) che aveva a sua volta studiato nella capitale francese, il
Collegium Lincopense per gli studenti della diocesi di Linköping
(sorto nel 1317) e il Collegium Scarense, per gli studenti della
diocesi di Skara (risalente all’incirca allo stesso periodo).286 Ma
anche l’Italia (Bologna), la Germania e l’Inghilterra risultano
frequentate.287 La prospettiva europea diede naturalmente a
questi studiosi e alle loro opere un’impronta sovrannazionale,
284
Vd. sopra, p. 284.
285
Ciò avviene tuttavia piuttosto tardi rispetto alle zone occidentali della Scandinavia.
286
Vd. Hammerich M., “Nordens Universiteter i Fortid og Fremtid”, in Nordisk
Universitets-Tidskrift, VI:1 (1861), pp. 21-26. In questo saggio sono inoltre contenute
molte notizie sulla situazione degli studenti nordici che nel medioevo si formavano
all’estero.
287
Il primo studente svedese a Parigi fu forse nella prima metà del XIII secolo
Stenarus (Stenar), più tardi vescovo di Skara; altri più celebri furono Brynolf Algotsson
(morto nel 1317), anch’egli vescovo di Skara (dal 1278) e autore di inni e di uffizi
religiosi in latino (su di lui vd. Tysk K-E. [red.], Brynolf Algotsson – scenen, mannen,
rollen, Skara 1995); Laurentius Olavi (Lars Olofsson) di Vaxald (Vaksala, nei pressi di
Uppsala), autore di opere di teologia; Philippus Ragvaldi (morto nel 1332) dottore in
diritto canonico, poi attivo presso la cattedrale di Lund e forse anche Magister Matthias
(morto nel 1350 ca.), teologo, primo confessore di Brigida e profondo conoscitore
della filosofia scolastica.

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402 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

sottolineata del resto anche qui dalla diffusione della lingua


latina come naturale strumento espressivo degli uomini di cul-
tura.288
Il latino era la lingua della Chiesa, e in questa lingua è dunque
redatta una ricca letteratura di carattere religioso che produce
innanzi tutto testi destinati alla liturgia (a esempio uffizi per i diver-
si santi). In latino si esprime colui che è considerato il primo scrit-
tore svedese, Petrus de Dacia, frate domenicano, forse originario
di Gotland (ca.1235-1289), autore di una Vita di Cristina di Stom-
meln (Vita Christinae Stumbelensis) dedicata alla mistica tedesca
(vissuta tra il 1242 e il 1312) da lui conosciuta durante un soggior-
no a Colonia e con la quale mantenne per tutta la vita un intenso
rapporto epistolare.289 In latino saranno divulgate le celebri Rive-
lazioni (Revelaciones) di Brigida, un testo verosimilmente dettato
o abbozzato in svedese dalla santa, ma redatto poi da dotti uomi-
ni di Chiesa, in particolare i suoi confessori Petrus Olai (Olavi) di
Skänninge (morto nel 1378) e, soprattutto, Petrus Olai (Olavi)
di Alvastra (ca.1307-1390), il che ancora pone problemi di carat-
tere critico-filologico. Un’opera, questa, dalla quale chiaramente
traspare la natura pratica e concreta dell’uomo (e della donna!) del
Nord (eredità di una non del tutto sopita tradizione pagana) che
permea l’esperienza religiosa conferendole un carattere intenso e
tangibile. Il che è assai ben rappresentato nella personalità di Bri-
gida. Di nobile famiglia ella si mostrò fin da giovane interessata ai
beni spirituali, dedicandosi, dopo la morte del marito, alla vita
religiosa. Promotrice (dal 1346) del SS. Salvatore (riconosciuto poi
da Papa Urbano V), ella restò tuttavia al contempo pienamente
coinvolta nelle problematiche politiche, come mostra non soltanto
la sua polemica nei confronti del re Magnus Eriksson ma anche il
suo impegno per far rientrare il Papa a Roma da Avignone. Certa-
mente con la figura di questa donna il mondo cristiano scandinavo
porta per la prima volta un grande contributo all’Europa contem-
poranea. Contributo che è di spiritualità, ma anche di cultura: i
conventi dell’Ordine fondato da Brigida, in particolare quello di
Vadstena, vero e proprio centro spirituale e culturale del medioevo
nordico, svolgeranno da questo punto di vista un ruolo di primo
piano.290
288
Più avanti (tardo XV secolo) sarà compilato un dizionario latino-svedese, con-
servatoci nel ms. Cod. Ups C 20 (Latinskt-Svenskt Glossarium efter Cod. Ups. C 20).
289
Vd. Schück H., Vår förste författare. En själshistoria från medeltiden, Stockholm 1916.
290
Sulla formazione culturale di Brigida vd. Klockars B., Birgitta och böckerna. En
undersökning av den heliga Birgitta källor, Stockholm 1966.

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Le nazioni scandinave tra l’XI e il XIV secolo 403

A Brigida presto dichiarata santa è dedicato un celebre uffizio compo-


sto dal vescovo Nicolaus Hermanni (Niklas Hermansson, 1326-1391) di
Skara:

“Di Santa Brigida.


Rosa che grondi bontà, stella che stilli splendore, Brigida, recipiente di
grazia. Stilla la pietà del cielo, stilla la purezza della vita nella valle della
miseria. Cristo la guida, il dolce medico, ti predilesse, ti indirizzò nella
tenera età. E tu mite, vite verdeggiante progredisti e crescesti fiorendo al di
sopra degli astri. Purificando la mente, fondando la fede l’amore ti cinse e
ti legò nel santo proposito. Tutta bella, tutta fresca ami Cristo, invochi
Cristo in ogni momento della vita. Disponendo delle ricchezze del mondo,
nata da nobili il mondo disprezzasti. Vivendo in unione coniugale con pio
studio della condotta seguisti la via di Cristo. All’uomo che viveva con te
[ti] elevi con ogni pensiero e mortifichi la carne. Insegnando all’uomo la
retta via e spingendo[lo] alla perfezione gioiosa ti dedichi a Dio. Pregai e
mi fu dato l’intelletto [invocai e venne in me lo spirito della sapienza e la
misi innanzi ai regni e ai troni e dissi che le ricchezze non erano nulla in
paragone di quella]. Regno del mondo.”291

Ma la Chiesa svedese non disdegnò naturalmente di rivolgersi ai


fedeli in modo più diretto, il che permise la circolazione di una let-
teratura religiosa in volgare, la cui composizione risale comunque a
uomini di cultura. In questo ambito si situa non soltanto la prima
‘traduzione’ di testi biblici, la cosiddetta Parafrasi del Pentateuco,
forse un lavoro eseguito su richiesta di Brigida, ma – soprattutto –
una Raccolta di leggende (Fornsvenskt legendarium)292 che è, in
sostanza, una rielaborazione della Leggenda aurea di Iacopo da
Varazze eseguita da un anonimo frate domenicano originario del-
l’Östergötland tra il 1276 e il 1307. Si tratta dunque della prima
opera di carattere religioso scritta in svedese che ci è conservata.
Accanto a questa raccolta fioriranno poi molte ‘leggende’: tra le più
antiche (XIII secolo) diverse relative a santi ‘svedesi’ come i già
citati San Sigfrido,293 Sant’Eskil,294 Sant’Erik e Sant’Enrico (Henrik)295

291
DLO nr. 101.
292
Esso è noto anche come “Raccolta di leggende di Skänninge” (Skänningelegen-
dariet).
293
Vd. pp. 242-243 con nota 74 e il testo alle pp. 245-246.
294
Vd. p. 247.
295
Vd. pp. 275-276. In realtà, come si è visto, alcuni di loro erano stranieri, ma – dal

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404 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

ma anche Sant’Ansgar, San Botvid e San David.296 Basati su ‘storie’


assai note tradotte anche in forme iconografiche, questi testi mostra-
no in modo evidente un intento didascalico-propagandistico che si
fonda su un linguaggio semplice ma al contempo fatto di immagini
forti e immediate: un modo per colpire e impressionare l’animo dei
fedeli. Sicché è del tutto evidente che i riferimenti storici che vi sono
contenuti sono spesso frutto di manipolazione, quando non addi-
rittura di invenzione. Il genere delle ‘leggende’ resterà produttivo
per lungo tempo. Esclusivo valore di testimonianza culturale hanno
altre opere di carattere religioso, quali salmi, preghiere, ulteriori
traduzioni di testi sacri e di opere edificanti (tra cui un Lucidarium).
Quando nel 1373 Brigida moriva a Roma, in Svezia erano già
avvenuti i grandi cambiamenti che avevano visto l’ascesa al trono,
nel 1364, di Albrecht di Mecklemburgo: un evento che, aprendo
una fase del tutto nuova, concludeva di fatto il lungo periodo nel
quale si era perseguita la stabilizzazione del Regno. Come è stato
detto, i più antichi testi svedesi rispondono concretamente anche
agli interessi dello Stato, sicché tra le opere di carattere laico va
considerata, innanzi tutto, la redazione di raccolte di leggi. Le
tradizionali realtà regionali erano in primo luogo espressione di
comunità legate da antichissime consuetudini giuridiche. Allo
stesso modo della Danimarca ciò appare evidente anche qui: tra il
XIII e la prima metà del XIV secolo questi codici regionali trovano
infatti la loro formulazione scritta. Il primo (una delle cui versioni
costituisce il più antico libro in svedese)297 è la Legge antica del
Västergötland (Äldre Västgötalagen) redatta attorno al 1220 e ricon-
ducibile all’ambiente familiare di Birger jarl.298 Tra la fine del seco-
lo e l’inizio di quello successivo si collocano la Legge del-

momento che la loro attività religiosa si era svolta in gran parte in Svezia (e in Finlan-
dia) – erano considerati santi ‘nazionali’.
296
San Botvid è uno dei primi santi di nazionalità svedese. Di lui si dice che era
pagano ma dopo un viaggio in Inghilterra si era avvicinato alla fede cristiana che
predicò una volta tornato nel proprio Paese. Fu ucciso a tradimento da uno schiavo
che aveva affrancato. La sua morte, che secondo la leggenda sarebbe avvenuta nel
1120, pare invece da collocare nel 1080. Insieme a Sant’Eskil è protettore della regio-
ne del Södermanland. San David (morto nel 1082), apostolo del Västmanland, era
invece un monaco inglese dell’ordine cluniacense, giunto in Svezia come missionario.
Sui santi svedesi vd. Lundén 19732 (C.4.2).
297
Si tratta del Codex Holmensis B 59, conservato nella Biblioteca reale di Stoccol-
ma (Kungliga biblioteket) e risalente al 1280 circa; vd. Järv H., “Äldre Västgötalagen
– den äldsta boken på svenska”, in Fenix. Tidskrift för humanism, XIII: 2 (1999), pp.
3-18.
298
Una rielaborazione di questo lavoro fatta negli anni ’90 del XIII secolo viene
indicata come Legge recente del Västergötland (Yngre Västgötalagen).

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Le nazioni scandinave tra l’XI e il XIV secolo 405

l’Östergötland (Östgötalagen), la Legge della Dalecarlia (Dalalagen)


e la Legge del Västmanland (Västmannalagen). Altri codici sono
andati perduti. Grande importanza riveste anche la Legge dei
Gotlandesi (Gutalagen), anch’essa redatta attorno al 1220, cui è
annessa la Saga dei Gotlandesi (Guta saga),299 breve storia dell’isola
di Gotland, in buona parte di carattere leggendario. Nel 1296 il
lagman Birger Persson (padre di Brigida) e l’arcidiacono della
cattedrale di Uppsala Andrea Andreasson And (date ignote) pro-
clamavano ufficialmente la Legge dell’Uppland (Upplandslagen), un
testo nel quale è evidente una attenta elaborazione curata da esper-
ti giuridici e alti ecclesiastici. La stessa impronta si riconosce nella
Legge del Hälsingland (Hälsingelagen) che risale al 1320 circa e
nella Legge del Södermanland (Södermannalagen) promulgata nel
1327. Questi codici, che sono suddivisi in sezioni (balkar, sing. balk)
a seconda dell’ambito cui si riferiscono, rivestono certamente impor-
tanza per la storia del diritto piuttosto che per quella della lettera-
tura. Ma essi costituiscono anche una insostituibile fonte di infor-
mazioni sulle norme consuetudinarie della Scandinavia pagana
(e, a ritroso, su buona parte del diritto germanico), un settore che
– considerata la scarsa influenza del diritto romano e la tarda accet-
tazione del cristianesimo – risulta piuttosto conservativo, anche
nell’approccio alle diverse problematiche che rifugge da astrazioni
e generalizzazioni per focalizzarsi su situazioni concrete. Come è
stato detto la politica accentratrice della Corona avrebbe prodotto
altri importanti codici, fra tutti la Legge generale di Magnus Eriksson.

Le leggi regionali riflettono in modo esplicito una società segnata da


forti disuguaglianze. La condizione degli artisti – evidentemente assai
poco considerati! – appare assai chiaramente da un passo della Legge
antica del Västergotland:

“Ogni musicante picchiato, ciò resterà sempre impunito. Ogni musicante


ferito, quello che va [in giro] con una giga o un violino o un tamburo, allo-
ra si dovrà prendere una giovenca non domata e portarla su una collina. Poi
si dovrà radere tutto il pelo dalla coda e poi spalmare di grasso. Poi a lui si
dovranno dare delle scarpe appena unte. Allora il musicante dovrà prende-
re la giovenca per la coda, un uomo dovrà colpire con una frusta sferzante.
Se ce la fa a tenere, allora otterrà quel bene prezioso e se lo godrà, come un
299
I due testi sono riportati insieme sia nel manoscritto principale Holm B 64, sia
in quello secondario (AM 54 4to, copia eseguita nel 1587 di un manoscritto del 1470
andato perduto).

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406 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

cane l’erba. Se non ce la fa, si tenga e sopporti quello che ha ottenuto, dan-
no e beffa. Non chieda più giustizia di una schiava frustata.”300

Ma il mondo della corte e quello aristocratico cercarono anche


un consolidamento, per così dire, ‘culturale’, eleggendosi nuovi
modelli di riferimento: anche in Svezia (come del resto altrove in
Scandinavia) si diffuse dunque il gusto del ‘romanzo cortese’ che
trova la sua espressione in particolare nella traduzione nelle forme
poetiche del knittelvers di testi incentrati sulle vicende di celebri
‘eroi’ quali Ser Ivano Cavaliere del leone (Herr Ivan lejonriddaren),
Il duca Federico di Normandia (Hertig Fredrik av Normandie), Flo-
rio e Biancifiore (Flores och Blanzeflor). Queste traduzioni si legano
all’ambiente della corte norvegese, dove esisteva al riguardo una
certa tradizione. Fu infatti in occasione del fidanzamento del duca
Erik Magnusson con la principessa norvegese Ingeborg Håkons-
datter (1302) che la madre di quest’ultima, la regina Eufemia (tede-
sca di nascita, 1270-1312) faceva eseguire questi lavori in onore del
futuro genero; ragion per cui essi sono noti come Canzoni di Eufe-
mia (Eufemiavisorna). Certamente prodotti letterari indirizzati in
primo luogo a una élite aristocratica.301
L’adeguamento a canoni stranieri si mostra chiaramente anche
nelle cosiddette ‘cronache’, anch’esse in knittelvers, che si ispirano
ai temi della storia svedese, costituendone talora l’unica – certo non
del tutto affidabile ma ricchissima – fonte. Tale è, innanzi tutto, la
Cronaca di Erik (Erikskrönikan) che prende il nome dal medesimo
Erik Magnusson302 (ed è probabilmente destinata al di lui figlio, il
re Magnus Eriksson) ma segue i destini del Regno svedese dall’in-
surrezione dei folkungar contro Erik Eriksson (1229) fino al 1319,
anno in cui Magnus sarà eletto re di Svezia.303 Fu composta, pre-
sumibilmente da un ecclesiastico, attorno al 1330.304 Nel secolo
successivo avremo la Cronaca di Engelbrekt (Engelbrektskrönikan)
scritta, molto probabilmente, da Johan Fredebern (morto nel 1445
ca., per diversi anni segretario particolare del Consiglio del Regno)
300
DLO nr. 102.
301
Vd. Jansson 1945.
302
Se ne veda un esempio nel testo citato alle pp. 356-357.
303
Nel racconto vi è tuttavia una lacuna di quattro anni dal 1313 al 1317.
304
Recentemente è stato pubblicato uno studio di B.R. Jonson (Erikskrönikans
diktare – ett försök till idientifiering, Uppsala 2010) nel quale si ritiene di poter indi-
viduare l’autore dell’opera nella figura di Tyrgils Kristineson (nato tra il 1275 e il 1280,
morto certamente dopo il 1340).

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Le nazioni scandinave tra l’XI e il XIV secolo 407

che prende nome dalla figura di Engelbrekt Engelbrektsson (mor-


to nel 1436), eroe nazionale contro il dominio dell’Unione;305 essa
sarà poi incorporata nella Cronaca di Carlo (Karlskrönikan) che fa
riferimento al re Carlo (Karl) Knutsson Bonde (nato nel 1408 o
1409, morto nel 1470, re di Svezia negli anni 1448-1457, 1464-1465
e 1467-1470); a queste si aggiunge la Cronaca di Sture (Sturekröni-
kan) – la cui prima parte (anni 1452-1487) fu composta per inca-
rico del reggente Sten Sture il Vecchio,306 mentre la seconda si deve
all’iniziativa dell’arcivescovo Jakob Ulfsson.307 In un totale di circa
ventiduemila versi le ‘cronache’ svedesi308 danno un quadro della
storia nazionale dal 1229 al 1520. I modelli sono (come in Dani-
marca) ripresi dal continente (mutuati dall’ambito francese per
tramite tedesco). Appare chiaro che l’intento di questi lavori è in
sostanza quello di illustrare importanti personalità difendendo le
ragioni del loro agire.
Del resto che la lotta per il potere dovesse basarsi su ideologie
politiche ben precise appare chiaramente da un testo che porta il
titolo Um styrilsi kununga ok höfþinga (Sul governo dei re e dei capi),
probabilmente destinato alla formazione del re Magnus Eriksson
(se non dei suoi figli), che si rifà allo schema dello speculum regale,
in particolare all’opera di Egidio Romano Sul governo dei principi
(De regimine principum) scritta nel 1285 per Filippo IV il Bello.
Basti osservare che vi si sostiene il principio dell’ereditarietà della
Corona, rispetto a quello dell’elezione del sovrano.
Ma la costruzione di una identità culturale nazionale (ormai
chiaramente inserita in una prospettiva europea) passa qui, come
altrove, anche nella composizione delle ballate (folkvisor) – per
lunghissimo tempo trasmesse solo in forma orale – alcune delle
quali riprendono importanti avvenimenti della storia svedese.309

305
Vd. sotto, pp. 440-441. Su Johan Fredebern vd. Schück H., “Hans skrivare –
Johan Fredebern. En pennans man i 1430-talets Stockholm”, in Hallerdt Bj. (red.)
Stockholmsutsikter, Stockholm 1996, pp. 9-26.
306
Vd. oltre, p. 445.
307
Cfr. oltre, p. 452.
308
Che la tradizione definisce come Grande cronaca in rima (Stora rimkrönikan).
309
Temi di queste ballate sono tra gli altri la battaglia di Lena del 1208 (vd. pp.
347-349), la ribellione di Sten Sture, la sua conquista di Stoccolma (1502) e la succes-
siva sconfitta (1520), la battaglia di Brunnbäck (Dalecarlia) in cui le forze danesi di
occupazione furono sconfitte da un esercito di contadini svedesi (1521) e l’afferma-
zione definitiva di Gustavo Vasa (1521). Come si vede dall’arco di tempo in cui si
svolsero gli avvenimenti ‘tradotti’ in queste opere la tradizione delle ballate ebbe
lunga durata.

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408 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

6.5.4. La lingua svedese

La scarsità di testi scritti in svedese nei secoli XII e XIII non faci-
lita una indagine approfondita sugli sviluppi della lingua. Più nume-
rose sono le opere databili nel XIV secolo nelle quali la diversità degli
argomenti (di carattere giuridico, religioso o profano) offre una
notevole varietà espressiva, che si lega in modo evidente alla tipolo-
gia del contenuto. Si passa così dallo stile concreto e tradizionale dei
codici di leggi all’imitazione di modelli stranieri nelle opere poetiche,
in cui non soltanto compare un numero consistente di termini nuo-
vi, ma si constata anche una più marcata evoluzione degli aspetti
morfologici e sintattici. Tra il XIII e il XV secolo (soprattutto nel
XIV) ai tratti propri delle lingue scandinave orientali310 si aggiungo-
no diversi mutamenti; i più appariscenti sono il passaggio di e > ä
(graficamente rappresentato da æ): si vedano come esempi bæra
(sved. mod. bära) “portare” e læggia (sved. mod. lägga) “porre” (cfr.
isl. bera, leggja); la caduta in taluni casi di ‑r finale: si vedano come
esempi han kasta “egli getta” e vi “noi” (cfr. isl. hann kastar e vér).
Più tardi si assiste al passaggio di ā > å, che tuttavia sarà registrato
graficamente solo nel XVI secolo: vd. a esempio år “anno”, nål “ago”
(cfr. isl. ár, nál); all’indebolimento delle vocali finali, al passaggio
delle vocali brevi i, y, u > e, ö, o rispettivamente: vd. a esempio liva
> leva “vivere”, skip > skepp “nave” (cfr. isl. lifa, skip); sydher > söder
(< södher) “sud” (dall’antico nordico *sunþra, cfr. isl. suðr); sumar >
sommar “estate” (cfr. isl. sumar). Delle antiche spiranti th (fino al
1375 rappresentata con il segno þ) passa a t: a esempio thorn > torn
“spina”, thakka > tacka “ringraziare” (cfr. isl. þorn, þakka).
Nel periodo più recente dello svedese antico (yngre fornsvenska:
1375-1526) si constatano non irrilevanti differenze dialettali, così
come l’affermarsi di un linguaggio burocratico assai influenzato da
lingue vicine (basso tedesco e danese). Ciò dipende naturalmente
dalle vicende politiche del periodo311 ma anche dalla massiccia
presenza di immigrati tedeschi (dovuta all’intraprendenza commer-
ciale delle città anseatiche), i quali spesso occupano posizioni
sociali di rilievo.312 La consistente produzione di traduzioni dal
latino influisce sugli aspetti stilistici e sintattici della lingua.
Parallelamente a quanto avvenuto in danese il lessico recepisce
molti termini stranieri. Anche qui le parole riprese dal latino sono
innanzi tutto legate all’affermazione della religione cristiana (esem-
310
Vd. sopra, p. 161.
311
Vd. 7.1.
312
Su questo aspetto vd. in particolare Wessén 1970³.

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Le nazioni scandinave tra l’XI e il XIV secolo 409

pi: kyrka “chiesa”, altare “altare”, mässa “messa”, klocka, “cam-


pana”, djävul “diavolo”) ma non solo (esempi: brev “lettera” da
breve scriptum, kappa “mantello”, “cappotto”, precedentemente
kapæ “mantello con cappuccio”, mynt “moneta”, korp “corvo”),
neologismi che spesso entrano in svedese per l’intermediazione di
altre lingue. In relazione al dominio anseatico sul Baltico e alla
consistente presenza di cittadini tedeschi in Svezia è massiccia
l’immissione di parole basso-tedesche legate al mondo del com-
mercio (esempi: köpa “comprare”, betala “pagare”, räkna, räkning
“contare”, “conto”, stad nel significato di “città”, un termine che
in nordico aveva senso di “luogo”), al mondo feudale (esempi:
hov, “corte”, herr “signore”, fru “signora”, hertig “duca”, greve
“conte”) o ad altri ambiti (esempi: bliva “diventare” utilizzato
come verbo ausiliare, arbeta “lavorare”, gå e stå “andare” e “stare”
che, rifatti sul modello tedesco di gân e stân, prendono il posto
degli antichi ganga e standa, resa “viaggio”, da un significato ori-
ginario di “partenza”, “spedizione militare”,313 fordel “vantaggio”,
språk “lingua”, bekväm “comodo”, skön “bello”).314 Un apporto,
quello basso tedesco, davvero considerevole e rispetto al quale in
questo contesto ci si deve limitare a fornire un numero assoluta-
mente esiguo di esempi. Altri prestiti sono di diversa provenienza:
a esempio bröd “pane”, båt “imbarcazione” sono derivati dal
nordico occidentale; plocka “cogliere”, entrato attraverso il basso
tedesco plucken, è di origine romanza come mostra l’ital. piluccare,
così anche fin “bello”, dal franc. fin, ital. fino (entrambi da un lat.
medievale finus). Come per il danese si sono qui volutamente
indicati esempi ripresi da svariati ambiti per mostrare la diversità
degli influssi lessicali, tra i quali non vanno dimenticati i diversi
apporti nel settore dell’onomastica.

6.5.5. Vita culturale in Norvegia

Lo Specchio del re che, come si è visto,315 costituisce una interes-


sante testimonianza dell’evoluzione della società norvegese, è un’ope-
ra anonima, forse tuttavia attribuibile all’arcivescovo Einar Gun-
narsson (in carica tra il 1255 e il 1263, anno della morte). Sotto
313
Vd. Hellquist 19803 (B.5), II, p. 829.
314
Dall’area tedesca entrano in svedese anche desinenze (-ande, ‑else, ‑eri, ‑het, ‑era,
‑ig, ‑bar) e prefissi (be-, bi-, för-, und- e altri) caratteristici; vd. Bergman 1972³ (B.5) pp.
79-82.
315
Vd. p. 377.

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410 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

forma di dialogo tra padre e figlio esso si propone di istruire e


ammonire il giovane fornendogli una ‘educazione civica’. Secondo
un modello di importazione conosciuto anche in Svezia,316 che si
rifà ai diversi specula redatti a uso di sovrani o dei loro eredi, il
lavoro appare chiaramente rivolto alla famiglia reale ed è probabil-
mente finalizzato alla formazione dei figli di Håkon Håkonsson. Il
potere del re (che vi appare come un rappresentante del volere di
Dio sulla terra) viene enfatizzato, tuttavia per molti versi subordi-
nato a quello della Chiesa. Le norme contenute nel Codice di leggi
del Paese di Magnus Emendatore di leggi appariranno spesso
ispirate ai principi qui contenuti. Ma quest’opera non è che uno
fra i tanti esempi dell’avvenuto pieno coinvolgimento della Norve-
gia in una prospettiva europea.
In questo Paese come altrove l’introduzione della nuova religio-
ne aveva significato anche assiduità di contatti culturali con il resto
del continente. Un arricchimento (sostenuto dall’introduzione
dell’alfabeto latino) che si era innestato nel solco di una ricca tra-
dizione letteraria. Certo è vero che gran parte di questa tradizione
sarebbe poi stata messa per iscritto soprattutto in ambiente islan-
dese: non bisogna tuttavia dimenticare che fin dall’epoca della
colonizzazione dell’isola i rapporti tra gli Islandesi e la Norvegia
(madrepatria della maggior parte di loro) erano rimasti assai stret-
ti e che gli scambi culturali erano assidui. Del resto i primi (e assai
prestigiosi) scaldi erano norvegesi: basti ricordare Bragi Boddason317
e Þjóðólfr di Hvinir,318 ma poi anche Þorbjǫrn Artiglio di corno319
ed Eyvindr Finsson Plagiatore.320
Seppure in misura assai minore rispetto all’Islanda, la Norvegia
vanta un buon numero di manoscritti contenenti testi redatti in
norreno, i più antichi dei quali risalgono alla seconda metà del XII
secolo.321 Sono norvegesi celebri codici come la Bella pergamena
(Fagrskinna), del 1230 circa, nel quale si raccontano ed esaltano le
vicende dei re norvegesi da Halvdan il Nero fino al 1177, o altri in
cui sono trascritte saghe relative a illustri sovrani come Olav Tryggva-
son e Olav il Santo. Ma che l’attività degli uomini di cultura non si
limiti alla trascrizione di opere altrui è dimostrato dalla presenza
316
Vd. p. 407.
317
Vd. p. 301.
318
Vd. pp. 301-302.
319
Vd. pp. 302-303.
320
Vd. p. 303 e il testo a p. 251.
321
Secondo Vemund Skard (Skard 1972-1979 [B.5], I, pp. 69-70) è possibile che
fin dall’inizio del XI secolo libri in lingua norvegese fossero scritti in Irlanda, mentre
in Norvegia i primi testi dovrebbero essere stati composti attorno alla metà del secolo.

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Le nazioni scandinave tra l’XI e il XIV secolo 411

di diversi autori. Innanzi tutto il vescovo Øystein Erlendsson, cui


forse si deve la stesura della Passione e miracoli di Sant’Olav322 (e
– a quanto pare – anche del codice detto Penna d’oro)323 o l’anoni-
mo estensore della versione leggendaria della saga di Sant’Olav,324
contributi norvegesi alla ricca agiografia sul sovrano patrono del
Paese. E poi il compositore della Storia della Norvegia (Historia
Norwegie, un testo la cui datazione resta dibattuta, seppure lo si
possa ragionevolmente collocare attorno al 1220) che dichiara di
essere il primo a scrivere delle vicende patrie in latino,325 e il mona-
co del Trøndelag Theodricus o Theodoricus (Þórir) la cui opera
(verosimilmente redatta tra il 1177 e il 1183) porta il titolo Storia
dell’antichità dei re norvegesi (Historia de antiquitate regum Nor-
wagiensium) e comprende il periodo dalla presa di potere di Aral-
do Bella chioma fino alla morte di Sigurd Viaggiatore a Gerusa-
lemme (1030). E ancora l’anonimo (e quasi certamente norvegese)
compilatore del Compendio delle saghe dei re norvegesi in lingua
norrena. Del resto, anche la tradizione storiografica islandese è in
gran parte, come si è visto,326 incentrata sui sovrani norvegesi, sic-
ché non è affatto strano che Sverre Sigurdsson dopo aver conqui-
stato il trono nel 1184 affidi la redazione della sua biografia (Saga
di Sverrir) a un islandese, Karl Jónsson (ca.1135-ca.1213), seppure
il lavoro sia svolto sotto la sua supervisione.327 Del resto Sverre era
stato educato per diventare un ecclesiastico ed è quindi del tutto
ragionevole pensare che possedesse una buona formazione e aves-
se interesse per la cultura (sopra è stato ricordato come apprezzas-
se le saghe leggendarie). Un altro islandese, Sturla Þórðarson nipo-
te di Snorri (1214-1284), scriverà la Saga di Håkon (Hákonar saga
Hákonarsonar, nota anche come Saga Hákonar konungs gamla, cioè
Saga di re Håkon il Vecchio) per incarico del figlio di lui Magnus
Emendatore di leggi.328
Ma di altri sovrani è ben noto l’interesse culturale. Il cronachista

322
Vd. p. 321, nota 119.
323
Vd. sopra, nota 156.
324
Vd. Simek-Pálsson 1987 (B.4), pp. 268-270.
325
“Prologo” (Prologus), p. 51. Presupponendo una datazione anteriore (attorno
al 1170) Asgaut Steinnes ha ritenuto di poter individuare l’autore di questo lavoro
nella persona del vescovo Nicola Arnesson (vd. p. 365): “Ikring Historia Norvegiæ”,
in NHT XXXIV (1946-1948), pp. 1-61, in particolare pp. 27-33.
326
Vd. pp. 320-321.
327
Vd. ibidem.
328
Questa saga è tramandata tra l’altro nel Libro di Flatey (da qui le citazioni rela-
tive). Sturla avrebbe scritto anche una saga su Magnus che tuttavia è andata perduta
(ne restano solo due fogli); vd. Simek-Pálsson 1987 (B.4), pp. 237-238.

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412 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

Simeone di Durham (ca.1060-ca.1130) ci informa a esempio che Olav


il Quieto si era dedicato allo studio delle lettere.329 Un altro inglese,
lo storico Matteo di Parigi (Matthæus Parisiensis), che aveva visitato
la Norvegia nel 1248, nella sua Cronaca delle cose importanti (Chro-
nica majora) parla di Håkon Håkonsson, definendolo “uomo distin-
to e modesto e ben istruito”.330 Del resto la saga che riferisce della sua
vita informa che egli all’età di dieci anni frequentava la scuola (insie-
me al figlio del re Ingi Bårdsson).331 Il sovrano aveva svariati interessi:
aveva viaggiato molto e amava circondarsi di uomini di cultura; tra
l’altro si fa riferimento alla presenza a corte di un astronomo, tale
Guglielmo (Vilhjálmr), in occasione della comparsa di una cometa
nell’inverno 1239-1240.332 È dunque plausibile che questo re abbia
saputo apprezzare il carme Enumerazione dei metri poetici composto
in suo onore da Snorri Sturluson,333 d’altronde la tradizionale e costan-
te presenza degli scaldi presso le corti (una consuetudine protrattasi
per un lunghissimo periodo), la considerazione e i riconoscimenti di
cui essi godevano in quell’ambito dimostra che l’interesse per le let-
tere non era certo una novità. E del resto ad alcuni sovrani norvegesi
(Araldo Bella chioma, Olav Tryggvason, Olav il Santo, Magnus il
Buono, Araldo di Duro consiglio, Magnus Piedi nudi e Sigurd Viag-
giatore a Gerusalemme) la tradizione attribuisce la composizione di
poesie in prima persona.334 Ma Håkon è comunque un esempio
eccellente: la saga a lui dedicata riferisce che nel corso della malattia
che lo avrebbe portato alla tomba il re si faceva leggere testi sia in
latino sia in norreno (questi ultimi quando per l’esaurirsi delle forze
gli era divenuto difficile comprendere una lingua che non era la sua).335
329
Storia dei re (Historia regum), § 162, p. 203. Egli precisa anche che il sovrano era
molto devoto, amava leggere libri religiosi e assisteva i sacerdoti nelle funzioni. È noto
che il Papa Gregorio VII aveva invitato questo re a mandare alcuni giovani norvegesi
a studiare presso la Curia per acquisire una completa formazione religiosa (DN VI: 1,
nr. 1, 15 dicembre 1078, pp. 1-3).
330
Chronica majora, IV (1066-1093), p. 652: “est enim vir discretus et modestus atque
bene litteratus.”
331
Vd. Hákonar saga Hákonarsonar, cap.10, in Flateyjarbók, III, pp. 11-12.
332
Flateyjarbók, III, p. 134 (cap. 182).
333
Il carme costituisce, come si è detto, la terza parte dell’Edda (vd. p. 288).
334
I loro componimenti si trovano rispettivamente in Skj I: A, pp. 5-6, B, pp. 5-6;
Skj I: A, p. 152, B, pp. 144-145; Skj I: A, pp. 220-223, B, pp. 210-212; Skj I: A, p. 330,
B, p. 304; Skj I: A, pp. 356-361, B, pp. 328-332; Skj I: A, pp. 432-433, B, pp. 402-403;
Skj I: A, p. 454-455, B, pp. 422-423. Come poeta è noto anche lo jarl delle Orcadi,
Rǫgnvaldr Kali (vd. Skj I: A, pp. 505-528, B, pp. 478-508), autore del componimento
Chiave dei metri poetici (vd. p. 288, nota 16). Tra i sovrani che, almeno occasionalmen-
te, avevano composto versi è ricordato anche il danese Svend Barba forcuta (vd. Skj I:
A, p. 186, B, p. 175). Cfr. p. 300, nota 50.
335
Flateyjarbók, III, pp. 229-230 (cap. 284).

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Le nazioni scandinave tra l’XI e il XIV secolo 413

Per iniziativa di questo sovrano si diffuse in Norvegia (verosimil-


mente da ambiente inglese) anche la letteratura cavalleresca. Le
prime a essere tradotte in norvegese, a partire dal 1226, furono la
storia di Tristano e Isotta (Tristrams saga ok Ísǫndar), quella di Élie
di Saint Gille (Elis saga ok Rósamundu) e quella di Ivano Cavaliere
del leone (Ívens saga); inoltre furono resi in norreno alcuni lais, anche
della poetessa nota come Maria di Francia, vissuta verosimilmete
tra la seconda metà del XII e gli inizi del XIII secolo (Strengleikar).
In alcuni casi le traduzioni sono esplicitamente attribuite a tale
Roberto (Roðbert), frate e poi abate, del quale per altro non si sa
nulla di più (forse, almeno a giudicare dal nome, era di origini
anglo-normanne). A questo contesto appartiene anche la breve Saga
del mantello (Mǫttuls saga) basata su un testo francese il cui argo-
mento è tuttavia legato alla corte arturiana. Il favore goduto da
questo genere letterario è confermato durante il regno dei succes-
sori di Håkon, almeno fino a Håkon Magnusson336 e alla di lui
moglie, la regina Eufemia:337 molte altre storie cavalleresche verran-
no infatti rese in norreno, non soltanto quelle relative a figure leg-
gendarie come a esempio Parsifal (Parcevals saga) o Florio e Bian-
cifiore (Flóres saga ok Blankiflúr), ma anche a personaggi reali come
Carlo Magno (Karlamagnús saga).338 Altri temi saranno ripresi
da testi latini sulla guerra di Troia (Saga dei Troiani: Trójumanna
saga)339 o dalla Historia Regum Britanniae scritta attorno al 1135 da
Goffredo (Geoffrey) di Monmouth (Storie dei Britannici: Breta sǫgur);
quest’ultimo testo (giuntoci in due versioni in manoscritti islandesi)
è inteso come continuazione del precedente ed è verosimile (seppu-
re non certo) che la sua prima stesura vada riportata all’ambiente
della corte norvegese. Alla tradizione indiana (per il tramite greco-

336
Di lui nella Saga di Victor e di Blávus si dice: “Molte cose degne di nota abbiamo
udito dire dell’onorevole signore Håkon Magnusson, re di Norvegia; in particolare che
provava molto piacere nei bei racconti e fece tradurre molte saghe cavalleresche in
norreno dalla lingua greca e dalla francese” (Victors saga ok Blávus, cap. 1; DLO nr.
103). La Saga di Victor e di Blávus è una saga cavalleresca della fine del XIV secolo.
Del re Håkon Magnusson si sa che fece tradurre anche letteratura religiosa: alla sua
iniziativa si deve, a quanto pare, la prima versione commentata (per quanto assai
parziale) della Bibbia. Si tratta, con ogni probabilità dell’opera nota in ambito islan-
dese con il titolo di Stjórn (vd. p. 422).
337
Vd. p. 406.
338
Versioni della vicenda di Carlo Magno sono presenti anche in area danese e
svedese, vd. Halvorsen E.Fj., “Karlamagnús saga”, in KHLNM VIII (1963), coll.
286-290.
339
Nota in tre diverse redazioni. È tuttavia incerto se questo testo sia stato redat-
to in Norvegia oppure in Islanda, dal momento che la versione originale è andata
perduta.

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414 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

latino) si rifà poi, addirittura, la Saga di Barlaam e Josafat (Barlaams


ok Josaphats saga).340 In questo contesto va inquadrata anche la Saga
di Teodorico di Verona (Þiðriks saga af Bern), risalente alla metà del
XIII secolo, nella quale la vicenda di questo sovrano (una tematica
‘approdata’ in Norvegia insieme ai commercianti tedeschi) viene
rielaborata, manipolata e collegata a storie della tradizione epico-
eroica nordica, quali in primo luogo quelle riversate nella leggen-
daria Saga dei Volsunghi.

In occasione dell’incoronazione del re Håkon Håkonsson da parte del


cardinale Guglielmo di Sabina ci fu, naturalmente, un banchetto. È rife-
rito che in tale circostanza l’alto prelato pronunciò un breve discorso:

“Quando le persone furono sazie, il cardinale chiese la parola. Per prima


cosa recitò il credo. Poi disse così: ‘Sia lode a Dio perché oggi ho compiuto
questa missione per la quale ho avuto incarico per conto della santa città di
Roma e di [Sua] Signoria il Papa e dei cardinali, sicché ora il vostro re è
incoronato in modo così solenne che nessuno prima di lui ha avuto tanto
onore in Norvegia. Dio sia lodato anche per il fatto che non torno indietro
come se fossi cacciato. Mi era stato detto tra l’altro che qui la gente era più
simile alle bestie che agli uomini, ma mi pare che abbia un buon comporta-
mento. Vedo qui anche molti stranieri e così tante navi che non ne ho mai
viste di più in un unico porto. Mi era stato detto che mi sarebbe stato dato
poco pane e poco cibo, niente da bere, se non siero341 o acqua. Ora Dio sia
lodato che io qui ho tutte le cose buone, di cui è meglio disporre che man-
care. Ora il Signore Iddio vegli sui nostri re, le regine, i vescovi, gli uomini
istruiti e tutto il popolo. Mi conceda qui una missione che a voi rechi onore
e a noi tutti gioia tanto in questo mondo quanto nell’altro.’ Poi il cardinale
se ne andò con il suo seguito.”342

Naturalmente la letteratura religiosa era dilagata anche in Nor-


vegia. Naturalmente gli uomini di cultura erano anche qui, in primo

340
Nella versione D della Saga del vescovo Guðmundr si afferma, addirittura, che
Håkon Sverreson (ma il riferimento è – con tutta probabilità – a Håkon il Giovane,
figlio di Håkon Håkonsson), qui definito “il più grande fra i capi e uomo moderato”
(“hinn mesti höfðíngi ok hófsemdarmaðr”) avrebbe tradotto questo testo in prima
persona (Guðmundar biskups saga, cap. 25, p. 54).
341
Per la precisione il nordico blanda (cfr. il verbo blanda “mescolare”) indica una
bevanda fatta con siero di latte caldo mescolato ad acqua.
342
Hákonar saga Hákonarsonar, cap. 226 (DLO nr. 104).

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Le nazioni scandinave tra l’XI e il XIV secolo 415

luogo, religiosi e molti di essi avevano studiato all’estero. A Parigi


nell’importante centro rappresentato dal convento di San Vittore
aveva soggiornato tra gli altri l’arcivescovo Øystein, uno dei pro-
motori della fervida attività culturale che gravitava attorno alla
cattedrale di Nidaros.343 Anche il suo successore Eirik aveva fre-
quentato quella sede. Nei monasteri si lavorava con zelo a tradu-
zioni di carattere religioso (preghiere, brani della Bibbia): questi
furono con ogni probabilità i primi testi scritti in Norvegia. E poi
versioni dai Padri della Chiesa, exempla, leggende di santi sia in
latino sia in volgare, testi per la liturgia, omelie. Il più antico mano-
scritto norvegese è, appunto, una raccolta di questo genere, il
cosiddetto Antico libro norvegese delle omelie (Gamal norsk homi-
liebok), nel quale sono tuttavia contenuti anche altri scritti.344
Legate alla ideologia culturale e religiosa cristiana saranno poi anche
le cosiddette ‘visioni’: in lingua norvegese esse sono rappresentate
dalla Duggals leizla, traduzione della celebre Visione di Tnugdal
(Visio Tnugdali, un testo redatto probabilmente a Ratisbona da un
monaco irlandese intorno alla metà del XII secolo), ma soprattut-
to dal Canto del Sogno (Draumkvæde), formalmente una ‘ballata
popolare’ (la cui datazione resta incerta), in realtà il racconto poe-
tico di visioni ultramondane che restano fortemente intrise di
suggestioni pagane.

343
In questa città sono registrati come studenti, sotto il nome di Theodoricus, il
vescovo Tore di Hamar (1189 o 1190-1196) e Tore Gudmundsson di Viken (den
vikværske), regione del fiordo di Oslo, arcivescovo dal 1206 al 1214, anno della mor-
te: uno di loro potrebbe forse essere Theodricus/Theodoricus Monachus, il non meglio
identificato autore della Storia dell’antichità dei re norvegesi. Un altro importante
personaggio che risulta essersi formato all’estero è Bjarne Lodinsson (morto dopo il
1310) che aveva studiato giurisprudenza a Parigi e poi a Bologna divenendo doctor
legum: alla morte di Magnus Emendatore di leggi egli aveva fatto parte, in qualità di
cancelliere reale, del Consiglio di reggenza per il giovane erede al trono Eirik Odia
preti. Nella prima metà del XIV secolo abbiamo notizia di due fratelli, Arne e Audfinn
Sigurdsson, vescovi di Bergen rispettivamente negli anni 1304-1314 e 1314-1330, che
avevano studiato diritto a Orléans; di Pål Bårdsson che aveva studiato a Parigi e Orléans
e che sarebbe diventato cancelliere reale e poi arcivescovo (1333-1346); di Bjarne
Audunsson, più tardi consigliere di Håkon V, che aveva studiato diritto a Bologna. La
consuetudine di frequentare prestigiose scuole straniere era radicata da tempo: basti
pensare che fin dalla prima metà del XII secolo aveva studiato a Parigi il futuro vesco-
vo delle Orcadi Guglielmo (Vilhjálmr), morto nel 1168. Cfr. nota 254.
344
Si tratta del manoscritto contrassegnato come AM 619, 4to conservato presso
l’Università di Copenaghen (Nordisk Forskningsinstitut). Esso costituisce il più antico
libro norvegese giuntoci quasi per intero (vd. Haugen O.E. – Ommundsen Å. [red.],
Vår eldste bok. Skrift, miljø og biletbruk i den norske homilieboka, Oslo 2010).

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416 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

Tra le omelie antico norvegesi che ci sono conservate è particolarmen-


te interessante la cosiddetta “Omelia della stavkirke” (Jn dedicatione
tempeli. sermo) nella quale i diversi elementi architettonici della costru-
zione di questi edifici di culto vengono messi in parallelo con i diversi
elementi della Chiesa come istituzione religiosa. Se ne riporta qui una
parte:

“Ma poiché nei libri viene chiamata con un unico nome la chiesa e l’in-
sieme del popolo cristiano, allora dobbiamo dire in qual modo la chiesa
indica il popolo [cristiano] o in qual modo il popolo cristiano possa essere
chiamato dimora di Dio, poiché l’apostolo Paolo disse così: ‘C’è il tempio
santo di Dio che è costruito dentro di voi.’345 Così come una chiesa è fatta
da molti elementi messi insieme, così anche il popolo [cristiano] è riunito
in un’unica fede da diversi popoli e lingue. Una parte del popolo cristiano
è in cielo presso Dio, ma una parte è qui sulla terra. Perciò una parte della
chiesa indica la gloria del Regno dei cieli e una parte i cristiani sulla terra.
Il coro indica gli uomini santi nel cielo, ma la [navata della] chiesa gli
uomini cristiani sulla terra. L’altare indica Cristo poiché al modo in cui le
offerte che sono presentate a Dio non vengono consacrate se non sull’altare,
allo stesso modo le nostre azioni non sono gradite se non consacrate dall’a-
more per Cristo. I paramenti dell’altare rappresentano gli uomini santi che
adornano Cristo con le buone azioni, così come disse l’apostolo Paolo:
‘Poiché tutti [voi] che siete battezzati in Cristo avete adornato Cristo.’ 346 Le
travi orizzontali [che stanno alla base] della chiesa indicano gli apostoli di
Dio, che sono le fondamenta di tutta la cristianità. L’ingresso della chiesa
indica la giusta fede che ci guida nella comunità cristiana. La porta davanti
all’ingresso indica gli uomini saggi che con forza si oppongono agli eretici e
con la loro dottrina li escludono dalla [comunità] cristiana di Dio. Le assi
del pavimento nella chiesa indicano gli uomini modesti che si umiliano
seppure vengano onorati e danno tanto più sostegno a tutto il popolo [cri-
stiano] quanto più sono calpestati da tutti. Le panche della chiesa indicano
gli uomini misericordiosi che nella loro misericordia leniscono le pene dei
loro fratelli deboli, così come le panche offrono sollievo a chi si siede. Le
due pareti [laterali] della chiesa indicano due popoli riuniti in una comuni-
tà cristiana, l’uno gli Ebrei, l’altro i popoli pagani. La parete frontale che
unisce le due pareti [laterali] in un’unica costruzione indica Nostro Signore
che riunisce i due popoli in una fede ed è egli stesso riparo e scudo della sua
comunità cristiana. Su questa parete frontale c’è l’ingresso alla chiesa e le
finestre che illuminano la chiesa perché il Signore medesimo illumina tutti
coloro che si avvicinano alla fede in lui. La parete trasversale che c’è a metà

345
Sesta lettera ai Corinzi, 19 (La sacra Bibbia, Nuovo Testamento, p. 290: “E non
sapete che il vostro corpo è tempio dello Spirito Santo […]”).
346
Il riferimento, che tuttavia si basa su un fraintendimento, è alla Terza lettera ai
Galati, 27 (ibidem, p. 329: “Poiché quanti foste battezzati in Cristo, avete rivestito il
Cristo”).

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Le nazioni scandinave tra l’XI e il XIV secolo 417

tra la chiesa e il coro indica lo Spirito Santo, perché al modo in cui noi
entriamo nella comunità cristiana attraverso Cristo, così andremo nella
gloria dei cieli attraverso la porta della misericordia dello Spirito Santo. E
così come Cristo ha riunito due pareti, cioè due popoli in una fede, così lo
Spirito Santo riunisce quegli stessi popoli in un unico amore. Su questa
parete trasversale c’è una grande apertura, così che dalla chiesa si possa
vedere tutto ciò che accade nel coro, perché chiunque trova la porta della
misericordia dello Spirito Santo può vedere con gli occhi dello spirito molte
cose del cielo. I quattro pilastri agli angoli della chiesa indicano i quattro
vangeli, perché la loro dottrina è il sostegno più grande di tutta la cristiani-
tà. Il tetto della chiesa indica quegli uomini che alzano gli occhi del loro
spirito [lontano] da tutte le cose terrene verso la gloria dei cieli e così con
la preghiera proteggono la comunità cristiana contro la tentazione al modo
in cui il tetto protegge la chiesa dalla pioggia. I lunghi tronchi nella chiesa
sono le travi e le stanghe che reggono e tengono insieme la capriata del
tetto e il rivestimento delle pareti: essi indicano gli amministratori che sono
preposti al governo e al progresso della comunità cristiana così come gli
abati [sono preposti] ai monaci e i capi al popolo. Le travi trasversali che
sostengono le stanghe e reggono i legni che puntellano le travi [del tetto]
indicano quegli uomini nella comunità cristiana che mettono d’accordo i
capi temporali con il loro consiglio, così che essi governano la vita dei mona-
steri e i luoghi santi con le loro ricchezze. Le campane indicano i sacerdoti
che con preghiere e dottrina emettono un suono gradito a Dio e agli uomini.
Le croci e i crocifissi indicano gli asceti, che portano sul loro corpo i segni
della passione di Cristo, quando si mortificano con digiuni e veglie.”347

Anche per la Norvegia si è osservata l’importanza delle grandi


assemblee locali, istituzioni di antichissima tradizione. Anche qui
dunque la letteratura giuridica riveste uno straordinario interesse.
Il lavoro di stesura dei diversi codici di leggi risale, verosimilmen-
te, all’XI secolo (forse già ai tempi di Olav il Santo348 o, quantome-
no, a quelli di suo figlio Magnus). I manoscritti che ci sono giunti
sono tuttavia più tardi, il meglio conservato quello della legge del
Gulating (Gulatingsloven, 1250 circa). Altri codici sono quelli
del Frostating (Frostatingsloven), del Borgarting (Borgartingsloven)
347
Jn dedicatione tempeli. sermo (DLO nr. 105).
348
Nell’unica strofa che ci resta di un Carme encomiastico per Olav (Óláfs drápa)
dello scaldo Sighvatr Þórðarson (1025 circa) si legge: “Tu che stai a poppa della bestia
da tiro dell’onda (kenning per “nave”, l’insieme vale “signore del mare”)/ puoi stabi-
lire,// una legge del Paese che resterà,/ per la schiera di tutti gli uomini” (DLO nr.
106). Del resto nella Saga di Olav il Santo Snorri Sturluson (capp. 57-58) informa che
il re aveva stabilito leggi per la sua corte e che insieme al vescovo Grimkel aveva codi-
ficato il diritto canonico (cfr. p. 255).

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418 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

e dell’Eidsivating (Eidsivatingsloven). Il linguaggio, che riflette un


diritto consuetudinario, è ricco e immediato ma anche caratteristi-
camente arcaico; inoltre vi si rilevano chiare impronte di tecniche
mnemoniche tipiche della trasmissione orale.
In Norvegia esistono scarse tracce della poesia in knittelvers,
diffusa invece in Svezia e in Danimarca. Come in questi Paesi con-
statiamo però il nascere delle ballate popolari (che tuttavia saranno
raccolte in forma scritta solo nel XIX secolo). Tra le ballate scan-
dinave quelle più legate alla tradizione letterario-folcloristico-
pagana (indicate come ballate degli eroi e ballate magiche) hanno
origine proprio in questo Paese e nelle Føroyar.

6.5.6. La lingua norvegese

Fin dal periodo più antico si constata la tendenza del norvegese


a presentare varianti dialettali, caratterizzazione che si accentua nel
periodo vichingo, avviando una progressiva differenziazione regio-
nale che corrisponde, naturalmente, alla frammentazione geogra-
fico-storica cui sopra si è fatto riferimento. Si aggiunga che tra i
‘dialetti’ norvegesi vanno considerate anche le parlate ‘esportate’
dai vichinghi, quantomeno quelle delle Shetland e delle Orcadi.
Sebbene il norvegese sia considerato una lingua scandinava
occidentale349 esso viene a sua volta suddiviso in occidentale e
orientale. Al primo gruppo appartengono, evidentemente, i dialet-
ti delle zone occidentali (Vestlandet), al secondo quelli delle zone
orientali (Østlandet) e del Trøndelag. Quest’ultimo gruppo mostra
(per quanto in misura disomogenea) tratti comuni con le lingue
scandinave orientali (principalmente la chiusura di dittonghi e il
passaggio metafonico ia > iæ). L’importanza delle diverse aree
linguistiche è tuttavia strettamente legata a fattori storico-cultura-
li. Nel corso del XII secolo, come si è visto, il Trøndelag e le regio-
ni occidentali (in particolare la zona di Bergen) esercitano il proprio
predominio: le ragioni sono da ricondurre all’intensa attività cul-
turale gravitante attorno all’arcivescovato di Nidaros, ma anche alla
presenza tanto a Nidaros quanto a Bergen di sedi regali. Del resto
nel XIII secolo quest’ultima città conoscerà, soprattutto a partire
dal regno di Håkon Håkonsson, un vero e proprio periodo di
grandezza, divenendo centro di potere e di cultura. Questa situa-
zione avrà inevitabili riflessi sulla lingua dei documenti e delle

349
Vd. pp. 160-161.

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Le nazioni scandinave tra l’XI e il XIV secolo 419

opere più importanti redatte in norvegese in cui si evidenzia chia-


ramente la presenza di forme caratteristiche di queste due aree,
così come lo sforzo di creare una norma. Questo ‘antico norvegese’
resterà in buona parte inalterato quando il potere reale si sposterà
a Oslo: ciò è dovuto al trasferimento della cancelleria al seguito del
sovrano. Il dialetto delle zone orientali sarà tuttavia presente, sep-
pure in forme meno regolari e più vicine alla lingua parlata. I
fenomeni linguistici che riguardano il norvegese antico vanno
dunque – ancor più che altrove – a ‘marcare’ differenze dialettali.350
Anche la lingua norvegese mostra di aver recepito diversi termi-
ni stranieri. Già in epoca vichinga si era fatto sentire l’influsso di
lingue come l’inglese, il frisone e il tedesco, spesso intermediari
di parole latine legate soprattutto alla nuova religione (esempi
altari “altare”, djofull “demonio”, engill “angelo”, kirkia “chiesa”,
klokka “campana”, kross “croce”, prestr “prete”) ma non solo.351
Di una certa importanza è, da queste aree, anche il contributo nel
campo della antroponomastica. L’apporto lessicale tedesco si lega
anche alla diffusione di concezioni di tipo feudale (esempi: lén
“feudo”, riddari “cavaliere”, herra “signore”); esso inoltre sarà
fortemente incrementato dalla presenza dei commerciati anseatici
nel Paese (esempi: herbergi “locanda”, slekt “stirpe”, spital “ospe-
dale”, æra “onore”). Inoltre si ritrovano in norvegese (per quanto
in numero limitato) anche parole di origine francese legate al nuo-
vo gusto letterario (esempi: kurteiss “cortese”, kærr “caro”).352
Dopo il 1319 la Norvegia andò incontro a un inaspettato declino
causato da una concatenazione di eventi. Per di più il quadro di
debolezza politica fu aggravato dall’impatto sulla società norvegese
di un fattore devastante, l’epidemia di peste che negli anni 1349-1350
fece strage della popolazione. Questi anni segnano una svolta dal
punto di vista della storia della lingua norvegese, dal momento che
anche all’interno degli strati sociali più elevati, tra i funzionari stata-
li e gli ecclesiastici, morì un altissimo numero di persone, cosicché
venne a mancare chi poteva portare avanti la tradizione linguistico-
350
Per ulteriori approfondimenti si rimanda a Wessén 197510, pp. 58-59, Skard
1972-1979, I, pp. 88-96 e, soprattutto, a Seip 1971, pp. 98-100, pp. 242-245, pp. 375-
379 e pp. 407-409 (tutti in B.5).
351
A esempio gimr (lat. gemma) “gemma” e dreki (lat. draco) “drago”. Una parola
inglese assai significativa che entra in norvegese in questo periodo è hirð “corte” (ant.
ingl. hírd/híred).
352
Contrariamente al criterio adottato per il danese e lo svedese, lingue per le
quali si sono indicati i prestiti stranieri nella forma moderna, qui si è lasciata la forma
medievale della parola, tenuto conto che quella attuale dipende in diversi casi dai
rilevanti cambiamenti subiti successivamente dalla lingua norvegese.

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420 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

letteraria del passato (per altro ormai lontana dalle forme della lingua
parlata). Nel secolo XIV il norvegese dunque ‘collassò’ restando
infine vivo solo nei dialetti. La società, decimata e impoverita, non
trovò le risorse necessarie per sostenere il potere centrale né il patri-
monio culturale della nazione. Un disastro le cui conseguenze si
sarebbero fatte sentire per moltissimo tempo. Insieme agli altri stati
scandinavi la Norvegia sarebbe entrata nell’Unione di Kalmar,353 al
cui scioglimento tuttavia non avrebbe ritrovato la propria indipen-
denza, finendo di fatto sottomessa alla Danimarca (1450). I decenni
che precedono questa data sono segnati da una situazione di deca-
denza sia dal punto di vista politico sia da quello culturale e lingui-
stico. L’influsso dei Paesi vicini, Svezia e Danimarca, è dominante,354
favorito dalla debolezza del potere centrale e della nobiltà (anche
numericamente inadeguata), un fattore che spalancherà le porte a
funzionari statali ed ecclesiastici stranieri, dapprima svedesi e poi
danesi (ma anche tedeschi). Significativamente entrambe le copie
del trattato di unione con la Danimarca saranno redatte in lingua
danese. Progressivamente la lingua norvegese sarà abbandonata
tanto dai funzionari governativi quanto dagli ecclesiastici: dopo il
1500 si constata la sua scomparsa dai documenti ufficiali dello Stato
così come da quelli della Chiesa che verranno d’ora in poi regolar-
mente redatti in danese: segno di definitivo, inarrestabile declino.

6.5.7. Vita culturale in Islanda

Anche in Islanda la cultura scritta e le prime scuole si erano svi-


luppate in seguito alla conversione. Nel 1057, Ísleifr Gizurarson,
primo vescovo del Paese, fondò a Skálholt un centro per la forma-
zione dei sacerdoti, un esempio che sarebbe stato seguito da Jón
Ǫgmundarson quando nel 1106 fu nominato titolare della seconda
sede vescovile dell’isola, Hólar. Lì egli chiamò docenti, anche pro-
venienti dall’estero, a insegnare grammatica (latina), musica e poe-
sia.355 Il contributo degli stranieri fu certamente importante: nel
Libro degli Islandesi, là dove elenca i vescovi stranieri che avevano
operato in Islanda, Ari Þorgilsson cita Bernardo il Letterato (Bjarn-
harðr enn bókvísi Vilráðsson) che sarebbe rimasto sull’isola per
353
Vd. 7.1.
354
Un influsso che in ambito linguistico vede l’acquisizione in norvegese di forme
riprese da queste lingue. Da sottolineare il ruolo svolto (per quanto riguarda lo svede-
se) dall’ordine fondato da Santa Brigida.
355
Vd. la Saga di Jón il Santo, cap. 8, p. 217.

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Le nazioni scandinave tra l’XI e il XIV secolo 421

cinque anni.356 Particolarmente vivaci furono i contatti con l’Inghil-


terra, per ovvie ragioni di relativa vicinanza geografica; non a caso
l’alfabeto latino introdotto in Islanda fu il minuscolo carolino
arricchito dei segni þ, y, æ ripresi dal minuscolo anglosassone:
entrambi questi alfabeti erano in uso, appunto, in Inghilterra.357 In
un Paese nel quale non c’erano città le sedi vescovili di Skálholt e
Hólar, dove vivevano stabilmente circa duecento persone, costitui-
rono certamente luoghi privilegiati di incontri e di scambi, almeno
per gli studiosi. Altri centri di cultura sorsero presso i diversi con-
venti, specialmente quelli benedettini di Þingeyrar (1112) e Munka-
þverá (1155), entrambi nel nord, e quelli agostiniani di Þykkvabœr
(1168) nel sud e Helgafell (1184) sulla riva meridionale del Breiða-
fjörður dove si erano trasferiti i monaci di un convento fondato nel
1172 sull’isola di Flatey.358 Naturalmente in questi luoghi il latino
era la lingua della cultura: del che tra l’altro resta testimonianza in
un Glossario latino-islandese compilato da un ignoto attorno al
1200.359 Del resto la Saga di Jón [Ǫgmundarson] il Santo fa riferi-
mento all’interesse degli Islandesi per le letture dei classici.360
Molti autori stranieri erano noti e diligente il lavoro di traduzione,
soprattutto di opere di carattere religioso che dovevano servire alla

356
Cfr. il testo Stimolo all’appetito [del sapere] (Hungrvaka; su cui vd. p. 424), cap.
3, dove si dice che egli aveva seguito Olav il Santo dall’Inghilterra e che su suo consi-
glio si era recato in Islanda. Anche Adamo da Brema conferma la presenza di un
vescovo con questo nome (Bernardus) nel gruppo di prelati inglesi al seguito del
sovrano norvegese Olav il Santo (Gesta Hammaburgensis […], II, lvii; cfr. ibidem, II,
lv); cfr. anche Saxo Grammaticus, Gesta Danorum, X, xi, 6).
357
I segni ø e ǫ furono aggiunti poco dopo; il segno ð (utilizzato come variante
posizionale di þ) fu invece introdotto dalla Norvegia all’inizio del XIII secolo. Cfr. p.
285, nota 8 e sotto nota 381.
358
Al 1186 risale il convento benedettino femminile di Kirkjubœr in Síða, sorto in
un luogo di lunga tradizione cristiana (cfr. p. 262). Oltre a questi sono noti quello
benedettino di Hítardalur nella zona occidentale dell’isola (1166-1201) e quelli ago-
stiniani di Saurbœr a nord sull’Eyjafjörður (ca.1200 ma attivo per un breve periodo)
e di Viðey (1226) su un’isola al largo di Reykjavík; verso la fine del XIII secolo sareb-
bero sorti i conventi di Reynistaður sullo Skagafjörður (femminile, benedettino, 1295)
e quello di Möðruvellir in Hörgárdalur (agostiniano, 1296), entrambi nel nord. L’ulti-
mo convento islandese prima della riforma (agostiniano) sorse nel 1493 a Skríða in
Fljótsdalur (regione nord-orientale dell’isola).
359
Questo glossario è conservato nel manoscritto che porta la segnatura Gml. kgl.
sml. 1812, 4to conservato nella Biblioteca reale (Det kongelige bibliotek) di Copenaghen;
vd. Scardigli P.G. – Raschellà F., “A Latin-Icelandic Glossary and some remarks on
Latin in medieval Scandinavia”, in Weber G.W. (hrsg.), Idee · Gestalt · Geschichte.
Festschrift Klaus von See. Studien zur europäischen Kulturtradition – Studies in Euro-
pean Cultural Tradition, Odense 1988, pp. 299-323.
360
Il riferimento è, in particolare, a Ovidio, vd. Jóns saga ins helga, cap. 8. La saga
precisa tuttavia che il vescovo proibì la lettura dell’opera di questo autore.

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422 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

propaganda della fede, come il diffuso Elucidarius, omelie, leggen-


de di santi (ora tradizionalmente indicate come heilagra manna
sǫgur)361 o la cosiddetta Guida (Stjórn), un testo (certamente, alme-
no in parte, norvegese) nel quale sono riportati brani commentati
dall’Antico Testamento.362 Anche un’opera come la Saga di Ales-
sandro [Magno] (Alexanders saga), versione in prosa a cura di
Brandr Jónsson (morto nel 1264) della Alessandreide (Alexandreis,
1184) di Walter di Châtillon (Gualterus de Castelione) pare essere
concepita come un supporto alla didattica (tale del resto era il suo
modello), da parte di un autore (abate di Þykkvabœr e poi vescovo
di Hólar) certamente assai attivo come insegnante.363
È verosimile che esistessero biblioteche di apprezzabili dimen-
sioni: ciò sarà in seguito testimoniato quando, in pieno umanesimo
nordico, si promuoverà la ricerca degli antichi manoscritti.364 I
primi codici (che risalgono alla fine del XII secolo) conservano testi
legati all’attività della Chiesa e frammenti di leggi. Gli argomenti
studiati nelle scuole islandesi erano diversi e andavano dalla reli-
gione alla storia, dalla computistica alla grammatica, dalla geogra-
fia alle scienze naturali;365 anche in Islanda fu nota, tra l’altro, la
traduzione del Physiologus (il diffuso Bestiario) che tuttavia ci è
giunta in forma frammentaria. Al di fuori delle sedi vescovili e dei
conventi scuole importanti furono quelle di Haukadalur in Biskups-
tungur e di Oddi in Rangárvellir (entrambe nel sud del Paese). La
prima fu fondata da Teitr Ísleifsson (morto nel 1111), figlio di
Ísleifr:366 lì sarebbe stato educato Ari Þorgilsson il Saggio. La secon-
da, sorta per iniziativa del celebre Sæmundr Sigfússon – gratifica-
to come Ari con l’appellativo il Saggio – avrebbe avuto tra i propri

361
Vd. p. 326.
362
Vd. Astås R., An Old Norse biblical compilation. Studies in Stjórn, New York
1991.
363
Vd. Simek-Pálsson 1987 (B.4), pp. 45-46 e pp. 6-7. A Brandr Jónsson è attribui-
ta anche la Saga dei Giudei (Gyðinga saga).
364
Vd. pp. 584-588. Della passione degli studiosi islandesi per i libri testimonia un
episodio relativo a un sacerdote di nome Ingimundr Þorgeirsson, il quale in seguito a
un naufragio aveva perduto in mare una preziosa cassa contenente manoscritti, del che
era molto rattristato. Quando tuttavia essa fu rinvenuta sulla riva egli accorse a recu-
perarla e si preoccupò di fare asciugare per bene i preziosi volumi (Guðmundar saga
A, cap. 14). Sul più ampio significato culturale di questo episodio vd. Hagland J.R.,
“Ingimundr prestr Þorgeirsson and Icelandic Runic Literacy in the Twelfth Century”,
in Alvíssmál, 1996: 6, pp. 99-108. In Olmer 1902 si trova una ricognizione sui più
antichi libri presenti in Islanda (vd. in particolare, pp. 63-81).
365
Si vedano in proposito alcune opere di carattere, per così dire, enciclopedico (su
cui vd. Simek-Pálsson 1987 [B.4], pp. 75-76: “Enzyklopädische Literatur”).
366
Vd. sopra, p. 269.

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Le nazioni scandinave tra l’XI e il XIV secolo 423

allievi anche Snorri Sturluson, la cui educazione sarebbe stata


curata dall’erudito Jón Loptsson (1124-1197), nipote di Sæmundr
per parte di padre. Più tardi anche le abitazioni private di impor-
tanti personaggi furono centri di cultura letteraria (così verosimil-
mente Reykholt, residenza di Snorri).367
Un importante impulso allo sviluppo del sapere venne dai viag-
gi di studio degli Islandesi. Già del primo vescovo Ísleifr Gizurar-
son si sa che si era formato in Westfalia. Parimenti avvenne con il
suo successore, il figlio Gizurr. Sæmundr Sigfússon di Oddi fu,
come è stato detto, il primo nordico a studiare a Parigi. Sul conti-
nente aveva soggiornato per motivi di studio Jón Ǫgmundarson,
vescovo di Hólar. Anche Þorlákr Þórhallsson, il santo vescovo di
Skálholt, si era trattenuto all’estero per due anni, frequentando
scuole a Parigi e a Lincoln; e così il suo successore Páll Jónsson che
aveva vissuto in Inghilterra. Del resto un’opera come l’Itinerario
(Leiðarvísir) scritto dall’abate islandese Nicola (Nikulás) Bergsson
di Munkaþverá (morto nel 1159), destinata ai pellegrini diretti a
Roma o nella Terrasanta,368 testimonia il movimento delle persone
verso mete anche assai lontane e, di conseguenza, contatti cultura-
li di ampio respiro.
In islandese furono redatte importanti opere di carattere giuridi-
co. Negli anni 1117-1118 (con un ritardo attribuibile probabilmen-
te alla radicata tradizione della trasmissione orale) fu messo per
iscritto a cura del goði Hafliði Másson (morto nel 1130) un codice
di leggi assai antico, il cosiddetto Catalogo di Hafliði (Hafliðaskrá),
che tuttavia è andato perduto. Conservata in due importanti mano-
scritti è, invece, la raccolta delle leggi nazionali che va sotto il nome
di Oca grigia (Grágás):369 questa denominazione sarebbe in realtà
appartenuta a un codice norvegese del Trøndelag cui si fa riferi-
mento nella Saga di Sverre,370 tuttavia a partire dal XVI secolo è
passata a designare le antiche leggi islandesi.
Nel medesimo periodo si manifesta l’interesse per la storia.
Mentre Sæmundr si dedica alla stesura di un’opera sui re norvege-
367
La prima scuola islandese di cui si abbia notizia fu fondata presso il convento di
Bær nel Borgarfjörður dal vescovo inglese Rodolfo (in islandese Rúðolfur/Hróðólfr)
nella prima metà dell’XI secolo (su di lui vd. Stefánsson J., “Rúðólf of Bœ and Rudolf
of Rouen”, in SBVSNR XIII (1946-1953), pp. 174-182). Cfr. Islendingabók, cap. 8.
368
Cfr. p. 280 con nota 198.
369
I due manoscritti principali nei quali è conservata la Grágás sono un “Codice
regio” (Konungsbók: Gl. kgl. sml. 1157, fol.) scritto nel 1260 circa e la cosiddetta
Staðarhólsbók (AM 334, fol.) del 1280 circa (entrambi conservati presso l’Università
di Reykjavík (Stofnun Árna Magnússonar í íslenskum fræðum).
370
Vd. sopra, nota 156.

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424 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

si in latino (tuttavia perduta) il suo contemporaneo Ari si impegna


a tramandare la storia islandese in lingua norrena, inserendo gli
avvenimenti del suo Paese in una prospettiva più ampia e preoc-
cupandosi di sottolineare le vicende della Chiesa nazionale. Del
suo Libro degli Islandesi (Íslendingabók) ci resta solo una versione
piuttosto breve rivista dallo stesso autore. Anche in seguito la
storiografia sarà ben coltivata. Basti pensare a Eiríkr Oddsson del
quale sappiamo solo che trascorse un periodo in Norvegia attorno
alla metà del XII secolo (a lui è attribuito un testo di storia norve-
gese dal titolo Hryggjarstykki, forse “Pelle di vitello”, che costitui-
sce la fonte di opere più tarde);371 a Snorri Sturluson con la sua
Heimskringla; al biografo di Sverre Sigurdsson, Karl Jónsson; a
quello di Håkon Håkonsson, Sturla Þórðarson, nipote di Snorri;
agli anonimi autori di diverse ‘saghe di re’, a esempio quelle
contenute nella Pergamena marcia (Morkinskinna,372 nella quale
sono riportati anche altri brevi lavori) o, più tardi, nel Libro di
Flatey (Flateyjarbók,373 scritto da due ecclesiastici per un impor-
tante personaggio islandese) che raccoglie inoltre saghe, raccon-
ti (þættir, sing. þáttr) e testi poetici. In questo ambito merita una
citazione anche il componimento dal titolo Elencazione dei re di
Norvegia (Nóregs konungatal) dedicato a Jón Loptsson nel quale
uno scaldo sconosciuto riassume in ottantatré strofe la storia dei
re norvegesi dal Halvdan il Nero a Sverre Sigurdsson. Per altro
l’attenzione degli Islandesi si rivolge anche alla storia della Chiesa
nazionale e dei più eminenti fra i suoi rappresentanti, del tutto
comprensibilmente, dal momento che a essa appartiene gran
parte degli autori. Le “saghe dei vescovi” ben evidenziano questo
interesse. Tra di esse merita una citazione, come testimonianza
dello spirito religioso e culturale del tempo, l’anonimo Stimolo
all’appetito [del sapere] (Hungrvaka) dedicato ai primi cinque
vescovi della diocesi di Skálholt (1056-1176), un lavoro che
però ha anche lo scopo di incoraggiare l’uso scritto della lingua
islandese.
Si è visto come Ari Þorgilsson con il suo Libro degli Islandesi e
soprattutto con l’iniziativa di compilare il Libro dell’insediamento
rimarcasse l’importanza per i suoi compatrioti del legame con il
passato, ben evidente del resto nella scrupolosa redazione delle
371
Cfr. p. 321, nota 117.
372
Codex regius, Gml. kgl. sml. 1009, fol. conservato nella Biblioteca reale (Det
kongelige bibliotek) di Copenaghen.
373
Codex regius, Gml. kgl. sml. 1005, fol. conservato presso l’Università di Reykjavík
(Stofnun Árna Magnússonar í íslenskum fræðum).

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Le nazioni scandinave tra l’XI e il XIV secolo 425

genealogie, strumento culturale di prestigio sociale e di consolida-


mento del potere. Si è visto come ciò sia da mettere in relazione
con la composizione delle saghe, esercizio letterario i cui risultati
oltrepassano i confini dell’isola per divenire patrimonio di tutti.
Alla formidabile operosità intellettuale e all’amore degli eruditi
islandesi per il proprio passato dobbiamo anche la sapiente tra-
smissione di testi e materiali della tradizione pagana (poesia eddica,
poesia scaldica, ma anche ‘saghe leggendarie’) che probabilmente
ottusi interessi avrebbero altrove voluto cancellare. Snorri Sturlu-
son, del resto, politico e letterato vissuto in un periodo nel quale il
cristianesimo era stabilmente affermato, ben comprende la neces-
sità di far sì che quel prezioso patrimonio non vada disperso.
Tutte queste opere, il cui interesse (non da ultimo storico-sociale)
e la cui risonanza travalicano i confini del contesto strettamente
islandese, sono state trattate in precedenza.
Ma le forme, e talora l’ispirazione, dell’antica letteratura restano
vive e trapelano anche da testi chiaramente improntati all’ambiente
cristiano. Così vediamo come la poesia scaldica cerchi di adeguarsi
a nuovi contenuti e di promuovere nuovi ideali. Ne sono esempi
componimenti come il Raggio (Geisli) scritto nel 1153 da Einarr
Skúlason per la festa di Sant’Olaf a Nidaros: in esso il santo riceve
l’elogio come figura esemplare di cristiano (di lui si sottolineano i
miracoli piuttosto che le imprese terrene); Sole doloroso (Harmsól)
di Gamli Canonico (kanóki) di Þykkvabœr (anch’egli del XII secolo),
che ha piuttosto il tono umile della preghiera; l’anonimo Carme
encomiastico per [San] Placido (Plácítúsdrápa), incentrato su una
diffusa leggenda popolare o, ancora, Giglio (Lilja) di Eysteinn Ásgríms-
son (morto nel 1361), poesia biblica in lingua norrena incentrata sui
temi della creazione, del peccato e della redenzione. Versi ancora
scaldici, certo, che tuttavia nello sforzo di adeguarsi all’ispirazione
cristiana restano ancorati a quella nobile arte solo grazie a elementi
tecnici. Indubbiamente il più intenso componimento poetico cristia-
no del medioevo islandese, probabilmente risalente al XII o XIII
secolo (seppure le opinioni sulla sua datazione siano tutt’altro che
univoche), è il cosiddetto Carme del sole (Sólarljóð), nel quale un
padre morto disvela al figlio il mondo dell’aldilà in immagini intrise
di terrore apocalittico nelle quali le suggestioni bibliche si fondono
con il retaggio di lontani richiami pagani.
La predilezione degli Islandesi per la letteratura non si sarebbe
affievolita nonostante le infelici vicende della nazione. Sicché tanto
il XIV quanto il XV secolo conosceranno l’attività di autori e di
poeti, ma anche di copisti professionisti chiamati presso le diverse

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426 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

fattorie. Figura esemplare è tra le altre quella del giudice Haukur


Erlendsson (morto nel 1334), probabilmente in prima persona
autore del celebre ‘Libro’ che da lui prende nome, la Hauksbók,374
una sorta di ‘biblioteca personale’ che contiene saghe, un carme
eddico (la Predizione dell’Indovina), traduzioni, testi di carattere
scientifico.375 Le opere di questo periodo da una parte perpetuano
temi tradizionali, dall’altra recepiscono impulsi stranieri. Così, tra
l’altro, fioriscono le cosiddette rímur (sing. ríma) adattamento islan-
dese al genere della ballata popolare, introdotta nell’isola dai Dane-
si nel XV secolo.376

Dal Carme del sole:

“Beni e vita
strappò alla stirpe degli uomini,
quell’uomo spietato,
a quel cammino
che egli sorvegliava,
nessun essere vivente poteva arrivare […]

Devo raccontare
quanto ero felice
nel mondo della gioia,
e anche
come ineluttabilmente i figli degli uomini
diventano cadaveri […]

Chinato io sedevo
a lungo ripiegato in avanti
molto ero desideroso di vivere,
ma decise colui
che era potente,
il cammino di chi deve morire è segnato.

I lacci della morte


vennero con durezza

374
Testo giuntoci tuttavia solo in parte.
375
I manoscritti in cui esso ci è conservato sono AM 371, 4to (Università di Reykjavík,
Stofnun Árna Magnússonar í íslenskum fræðum), AM 544, 4to e AM 675, 4to (Univer-
sità di Copenaghen, Nordisk Forskningsinstitut).
376
Vd. p. 396, nota 270.

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Le nazioni scandinave tra l’XI e il XIV secolo 427

attorti ai miei fianchi,


volevo strapparli
ma erano forti
è facile muoversi quando si è liberi.

Io solo sapevo
come in ogni modo,
il dolore crescesse per me,
le fanciulle della morte
mi offrivano un mondo
da brividi ogni sera.

Il sole vidi,
vero astro del giorno
precipitare nel mondo dei rumori,
ma il cancello dei morti
udii dall’altro lato
cigolare pesante.

Il sole vidi,
segnato da sanguinanti rune
molto mi ero allontanato dal mondo,
possente mi parve
per molti aspetti,
più di quanto era prima.

Il sole vidi,
così mi parve
come se vedessi il venerabile Iddio,
mi inchinai di fronte a esso
per l’ultima volta,
nel mondo degli uomini.

Il sole vidi
irradiava al punto
che mi parve di perdere i sensi,
ma le [impetuose] correnti di Gilf 377
muggivano dall’altra parte
parecchio commiste di sangue.

Il sole vidi
con sguardo tremante
in preda al terrore e prostrato,

377
L’allusione è certamente a un fiume infernale, un’immagine ben presente nel
mondo mitologico nordico; vd. Chiesa Isnardi 20084 (B.7.1), pp. 479-480.

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428 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

poiché il mio cuore


era davvero
andato in pezzi.

Il sole vidi
raramente [fui] più afflitto
molto mi ero allontanato dal mondo,
la mia lingua
paragonabile al legno
e per il resto di ghiaccio.

Il sole non vidi


mai più
dopo quel triste giorno,
poiché le acque dalle montagne
si chiusero davanti a me,
e io agghiacciato fui sottratto ai tormenti.

La stella della speranza volò


quando io nacqui
via dal mio petto,
volò in alto
non si fermò
per poter trovar quiete […]

Devo raccontare
che cosa vidi per prima
quando fui giunto nel mondo dei tormenti,
uccelli bruciacchiati
erano anime
volavano innumerevoli come zanzare.

Vidi da ovest volare


il drago di Ván
e calarsi sul sentiero di Glævaldr,378
scuoteva le ali
così possente che mi parve
si fendesse il cielo e la terra.”379

378
Ván è, appunto, uno dei fiumi infernali che origina dalla bava del malvagio lupo
Fenrir, nemico degli dèi da essi incatenato (vd. Chiesa Isnardi 20084 [B. 7.1], p. 480);
Glævaldr vale “signore del mare” (allusione oscura).
379
Sólarljóð, str. 1, 33, 36-46, 53-54 (DLO nr. 107).

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Le nazioni scandinave tra l’XI e il XIV secolo 429

6.5.8. La lingua islandese

Nel contesto delle lingue nordiche medievali l’islandese occupa una


posizione di assoluto prestigio. Non soltanto la quantità delle opere
ma anche la loro qualità letteraria dimostrano una consapevolezza
linguistica e stilistica senza confronti. La predilezione degli Islandesi
per le lettere, una caratteristica che li avrebbe accompagnati nel corso
della loro storia, si fonda del resto fin dal principio su precise compe-
tenze. Fin dalla metà del XII secolo ne abbiamo testimonianza certa.
A questo periodo risale infatti (seppure tramandato in un manoscritto
più tardo) il cosiddetto Primo trattato grammaticale, il cui autore, per
altro sconosciuto, si premura (esibendo notevoli competenze) di
esporre la fonetica della sua lingua, allo scopo di creare una norma
scritta per agevolare il lavoro dei molti che ora si dedicano alla reda-
zione di testi.380 Questo lavoro inaugura la serie dei trattati grammati-
cali (quattro in totale, i primi due e l’ultimo anonimi) che, seppure non
omogenei fra loro, dimostrano la vitalità della scuola islandese di lin-
guistica (hanno infatti come oggetto grammatica, retorica, stilistica e
uso della lingua) e la profonda conoscenza di modelli stranieri in
questo campo.381
È noto che l’islandese antico fu la lingua importata dai coloni
norvegesi nella nuova patria. Tenuto conto della forte caratterizza-
zione dialettale del norvegese è verosimile che inizialmente essa non
sia stata del tutto omogenea. Ma la situazione sociale dell’Islanda,
i frequenti scambi e le occasioni di incontro determinarono qui la
scomparsa di qualsiasi tendenza alla frammentazione dialettale,
caratteristica che ancor oggi, sostanzialmente, contraddistingue
questo idioma. Mentre la lingua della madrepatria andava incon-
tro ai notevoli cambiamenti che sopra sono stati delineati, l’islan-
dese fu sostenuto da una produzione letteraria non soltanto stra-
ordinaria ma costantemente resa disponibile ai parlanti, i quali
– non lo si dimentichi – avevano un radicato un senso dell’identi-
tà nazionale.
L’islandese è una lingua dai caratteri arcaici che conserva un
ricco sistema flessivo e che mostra da subito un marcato conserva-
380
A lui risale la ‘creazione’ del segno ǫ (sostituito a partire dal XVI secolo da ö) e
l’uso di indicare le vocali lunghe con il segno grafico dell’accento acuto.
381
Il Secondo trattato grammaticale (XIII secolo) tratta della fonetica islandese (in
particolare delle consonanti), con esso è introdotto nella grafia il segno ð (cfr. nota
357); il terzo (Málskrúðsfræði, letteralmente “Scienza dell’ornamento della lingua”),
scritto da Óláfr Þórðarson Poeta bianco (hvítaskáld), nipote di Snorri Sturluson (mor-
to nel 1259), si fonda sui lavori grammaticali di Prisciano e di Donato; il quarto (XIV
secolo) è inteso come continuazione del terzo.

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430 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

torismo anche dal punto di vista fonetico (a esempio quando l’an-


tico danese, l’antico svedese e l’antico norvegese presentano la
caduta di h davanti a l, r, n, questo fenomeno qui non si verifica,
nonostante la frequenza dei rapporti con gli altri parlanti lingue
scandinave). Certamente la sua vitalità nell’impiego quotidiano e
la consapevolezza nell’uso letterario hanno contribuito, insieme
all’isolamento del Paese, a farla rimanere sostanzialmente tale.
Nella fase più antica vi si riconoscono pochi cambiamenti: l’abban-
dono dell’uso suffissale di particelle negative (-a, ‑at, ‑t, ‑gi, ‑ki) o
pronomi (esempi: kemrat per kemr eigi “non viene”; emk per em
ek “io sono”;382 ma anche veitka per ek veit eigi “io non so”); la
scomparsa dell’uso della particella perfettiva of/um (esempio: “sá
hon vítt oc um vítt/ of verold hveria”: “ella vedeva lontano e lonta-
no su tutti i mondi”).383 Successivamente (a partire dal 1250 circa)
constatiamo l’allungamento delle vocali posteriori a, o, u, davanti
ai nessi lf, lp, lm, lk, lg (esempi: hjálmr “elmo”, mjólk “latte”, úlfr
“lupo”); l’inserimento di una vocale anaptittica tra consonante e r
finale (esempi: maður < maðr “uomo”, hvítur < hvítr “bianco”,
kemur < kemr “viene”); il passaggio á > ó dopo v (esempio vópn
< vápn “arma”, isl. mod. vopn); il passaggio dell’antico suffisso per
il medio-passivo ‑sk in ‑st (< ‑zt < ‑z). Importanti sono alcuni cam-
biamenti nella pronuncia: œ > æ (pronunciato [ai]); é acquisisce la
pronuncia [jε]; ǫ confluisce in ø assumendone la pronuncia; i
nessi ll / rl / rn assumono rispettivamente (a seconda della posizio-
ne) la pronuncia [d̥ l] o [d̥ ̥l ]; [rl], [rd̥ l] o [rd̥ ̥l ]; [rn], [rd̥ n], [rd̥ n̥ ],
[d̥ n] o [d̥ n̥ ].
Naturalmente, seppure assai conservativa e forte della propria
tradizione letteraria, anche la lingua islandese acquisì diversi ter-
mini stranieri. Tuttavia la ricezione di queste parole è stata qui più
limitata che altrove, anche a motivo della difficoltà di inserimento
di tali termini nel complesso sistema flessivo di questa lingua. Da
lessici stranieri (in particolare il latino con il suo retroterra greco)
sono state accolte parole legate alla nuova religione: non soltanto
prestiti veri e propri (esempi: kirkja “chiesa”, klukka “campana”,
engill “angelo”, munkur “monaco”) ma anche nuovi significati per
termini originari nordici (a esempio il verbo trúa che ai significati
di “ritenere”, “avere fiducia” aggiunge quello di “credere” nel
senso di “avere fede religiosa” o freista “provare”, “mettere alla
prova” che assume anche il valore di “tentare” nel senso di “indur-

382
Si veda anche la forma ridondante ek emk, letteralmente “io sono io”.
383
L’esempio riportato è ripreso dalla str. 29 della Predizione dell’Indovina (p. 7).

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Le nazioni scandinave tra l’XI e il XIV secolo 431

re in tentazione”). Nei testi islandesi dei primi secoli compaiono


anche diverse parole riprese in vario modo dalle altre aree germa-
niche (esempi: akkeri “àncora” e frú “signora” dall’ant. frisone,
klæði “tessuto”, verosimilmente dall’ant. inglese), un flusso desti-
nato a continuare soprattutto con l’introduzione di nuove merci o
nuove consuetudini (esempi: blek “inchiostro” e sápa “sapone”
dall’ant. inglese, krydd “spezie” ed edik “aceto” dal basso tedesco).
Anche nella lingua islandese entrano (in primo luogo per tramite
letterario) termini legati all’ambito feudale, soprattutto dall’area
tedesca (esempi: riddari “cavaliere”, herra “signore”, usato tuttavia
anche per indicare il “Signore Iddio”, hæverskur, ma anche kurteiss
“cortese”, il primo ripreso dal basso tedesco, il secondo dall’ant.
francese). Qualche termine arriva anche (certamente per tramite
dei vichinghi) da zone più lontane (esempi: torg “piazza” dall’ant.
russo, fíll “elefante” dal persiano). Fin dai testi antichi inoltre la
lingua islandese mostra la capacità di esprimere concetti nuovi
adattando il materiale di cui dispone, calchi che riguardano in
primo luogo le parole composte (a esempio il latino conscientia è
tradotto con samviska, formato su sam- che ha senso di “con” e
viska riconducibile al verbo vita “sapere”; il latino coaeternus è reso
con sameilífur, composto con sam- ed eilífur “eterno”). Ben più
tardi, nel secolo XVIII, dunque in pieno clima purista, questa
creatività si mostrerà straordinariamente produttiva.384

6.5.9. Uno sguardo all’arte e alla musica

Con la conversione alla nuova religione era stata introdotta nel


Nord anche l’arte cristiana. Precedentemente si è fatto riferimen-
to all’influsso dell’architettura religiosa di importazione che cer-
tamente improntò la costruzione dei luoghi di culto e dei conven-
ti: ciò è del resto naturale, dal momento che i primi edifici
religiosi furono realizzati da missionari o comunque da stranieri
al seguito dei re cristianizzatori. Nella costruzione si riscontrano
naturalmente diverse varianti determinate dai modelli ispiratori,
dall’importanza e dalla funzione dell’edificio, da consuetudini
locali. Un caso singolare (non concordemente chiarito) è quello
delle chiese circolari che si trovano (ma non solo) sull’isola dane-
se di Bornholm:385 esse avevano forse anche funzione difensiva ed
Vd. Kvaran 2005 (B.5), pp. 366-373; cfr. oltre, pp. 825-826.
384

Si tratta delle chiese di Østerlars, Nylars, Nyker e Olsker. Tutte risalgono al


385

XII-XIII secolo.

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432 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

è possibile che siano (per quanto indirettamente) legate ai Tem-


plari e ispirate alla chiesa del S. Sepolcro a Gerusalemme. Grada-
tamente le costruzioni religiose in pietra (dall’XI secolo) e in
mattoni (dal XII) presero il posto di quelle di legno: naturalmen-
te ciò avvenne soprattutto nelle aree più ricche e fiorenti nelle
quali si poteva sostenere l’ingente investimento economico neces-
sario.386 Se è vero che diversi elementi dell’arte vichinga furono
proficuamente intrecciati con i modelli introdotti dall’esterno è
altrettanto vero che i risultati furono di notevole qualità, basti
pensare alle grandi cattedrali (Ribe, Viborg, Roskilde,387 Lund,
Stavanger, Nidaros, Uppsala, Linköping) ma anche a edifici come
la celebre chiesa abbaziale di Varnhem (Västergötland), magnifico
esempio dell’architettura cistercense.388
La decorazione risente naturalmente dei medesimi influssi, con-
statabili sia nel periodo di prevalenza dello stile romanico, sia
– successivamente – di quello gotico. Gli affreschi (non di rado
rifiniti con motivi vegetali e geometrici), propongono temi biblici,
così come modelli esemplari di devozione (a esempio storie di
santi): una forma di indottrinamento assai importante in una socie-
tà nella quale la maggioranza delle persone restava analfabeta. E
del resto il più noto artista scandinavo del declinante medioevo
cattolico sarà quell’Albertus pictor (nome con cui si firmava, ca.1440-
ca. 1509) al quale si devono pregevolissime decorazioni sulle pare-
ti di molte chiese svedesi.389 A un artista più tardo, di cui tuttavia
non si conosce il nome ma che è noto come “maestro di Elmelun-
de” (in danese Elmelundemesteren), e alla sua scuola sono attribui-
ti gli affreschi realizzati nel XVI secolo (evidentemente prima
dell’introduzione della riforma protestante) in alcune chiese sulle
isole di Møn e di Falster.
Le sculture religiose sono per lo più realizzate in legno (poi colo-
rato) ma anche in materiali diversi come l’avorio.390 Ragguardevoli i

386
Si ricordi qui anche la cattedrale gotica dedicata a San Magnus sull’isola di
Streymoy nelle Føroyar, la cui costruzione fu iniziata intorno al 1300.
387
La quale sarebbe diventata il luogo di sepoltura dei re danesi.
388
Vd. Swanbom C.G., Varnhems klosterkyrka, Skövde 1965.
389
Detto altrimenti Albrekt il Pittore (målare) egli era in realtà tedesco essendo nato in
Assia. Si trasferì tuttavia in Svezia dove svolse la propria attività dipingendo motivi sacri e
realizzando decorazioni tessili impreziosite da perle per gli interni delle chiese. Un altro
‘pittore di chiese’ del XV secolo è il tedesco (?) Johannes Rosenrod, cui si devono in parti-
colare gli affreschi della chiesa di Tensta (Uppland) da lui firmati e realizzati nel 1437. Vd.
Cornell H. – Wallin S., Johannes Rosenrod. En svensk målare från 1437, Stockholm 1962.
390
Si veda il crocifisso realizzato con questo materiale conservato nella chiesa di
Herlufsholm (Selandia meridionale, Danimarca, XIII secolo).

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Le nazioni scandinave tra l’XI e il XIV secolo 433

tratti nobili, misurati e austeri che (soprattutto inizialmente) caratte-


rizzano le figure (in particolare il Crocifisso).391 Tra i manufatti in
pietra (su molti dei quali resta traccia dell’antica colorazione) sono di
grande interesse i fonti battesimali, in particolare quelli realizzati dai
celebri maestri artigiani dell’isola di Gotland, i cui lavori risultano
esportati in tutta l’area del Baltico.392 Testimonianze del talento degli
artisti nordici sono i celebri portali di legno di talune stavkirker nor-
vegesi, che intrecciano motivi zoomorfi e vegetali (ma anche
mitologici),393 così come le pitture che decorano i frontali d’altare.
Diverse chiese vantano pregevoli vetrate dipinte (in particolare sull’iso-
la di Gotland). Tra i ‘tesori’ conservatici e sopravvissuti all’ondata
iconoclasta e per molti versi ‘predatrice’ della riforma, diversi ogget-
ti (crocifissi, reliquari, candelabri) provengono dall’estero, acquistati
ma anche donati da persone che si erano recate in pellegrinaggio.394
Inizialmente l’architettura profana continua a preferire il tradizio-
nale utilizzo del legno, tuttavia alcuni sovrani promuoveranno la
costruzione di importanti edifici: basti pensare innanzi tutto alla
grande reggia fatta costruire a Bergen da Håkon Håkonsson (e tutto-
ra esistente) o al palazzo del re svedese a Vadstena, donato poi a
Santa Brigida come sede per il suo convento. Significativa si fa anche
la costruzione di fortificazioni in pietra e di castelli.395 E tuttavia i resti
di costruzioni non destinate a uso religioso restano inferiori per nume-
ro. Sarà piuttosto il XV secolo a conoscere – con la crescente atten-
zione dei re e dei nobili scandinavi ai modelli artistici europei –
l’abbellimento e la ristrutturazione di molti edifici, in un secolo nel
quale l’influsso delle arti figurative tedesche (parallelo all’importazio-
ne di molti manufatti artistici da questa area) si mostra prevalente.

*
I Paesi nordici avevano, naturalmente, una propria tradizione
musicale, della quale per altro conosciamo pochissimo. Possiamo

391
Ma si veda anche la magnifica scultura raffigurante Olav il Santo un tempo con-
servata nella stavkirke norvegese di Fresvik (Sogn e Fjordane), poi demolita, del 1250
circa. Essa si trova ora nel Museo storico-culturale (Kulturhistorisk museum) di Oslo.
392
Vd. Roosval J., Die Steinmeister Gottlands. Eine Geschichte der führenden Tauf-
steinwerskstätte des schwedischen Mittelalters, ihrer Voraussetzungen und Begleit-
Erscheinungen, Stockholm 1918.
393
Vd. sopra, p. 222.
394
Proprio nell’imminenza della riforma alla chiesa norvegese di Ringsaker in
Hedmark fu donato un magnifico polittico fortunatamente conservatoci.
395
In Norvegia una prima consistente fortificazione è il cosiddetto Sverresborg
realizzato da Sverre Sigurdsson a Trondheim.

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434 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

fare ragionevoli supposizioni sull’importanza che la musica dovet-


te avere in contesti rituali durante l’età del bronzo: ritrovamenti di
strumenti quali i lur 396 ben corrispondono infatti alle testimonian-
ze iconografiche delle incisioni rupestri. Anche i celebri corni
d’oro di Gallehus, risalenti all’età del ferro,397 potrebbero avere
avuto analoga funzione. A una componente musicale nello svolgi-
mento dei riti pagani allude Adamo da Brema, il quale tuttavia
sottolinea piuttosto il carattere osceno dei testi.398
Più tardi nelle fonti scritte relative al medioevo pagano troviamo
una serie di termini che lasciano intendere un legame fra la musica
e la poesia, come pure fra la musica e la magia (del resto a sua volta
il legame tra poesia e magia è assai ben testimoniato). Abbiamo
infatti parole come ljóð “carme” ma anche “canto”, talora con la
connotazione di “canto magico” (a esempio nell’elencazione dei
canti magici dei quali Odino vanta la conoscenza):399 questo termine
si ritrova tra l’altro nel titolo di un paio di componimenti dell’Edda
poetica;400 galdr che ha il significato prevalente di “canto magico”;
sǫngr “canto”, “musica” che si lega esplicitamente a una funzione
di tipo magico nel composto mansǫngr “canto d’amore”.401 Che
qualche forma di arte musicale fosse legata a questi contesti è dun-
que innegabile. Ciò sarebbe del resto confermato dall’episodio
relativo al nibelungo Gunnarr, del quale è detto che suonando
un’arpa con le dita dei piedi fu capace di addormentare le serpi
velenose che avrebbero dovuto ucciderlo, seppure una, insensibile
alla sua melodia, riuscisse a procurargli la morte.402
Ma nel mondo nordico ci fu certamente anche una musica di
carattere più semplicemente ricreativo, la cui pratica è testimonia-
ta dal ritrovamento di vari strumenti (a fiato o a corda) così come
da allusioni delle fonti.403 Snorri Sturluson ricorda la presenza di
suonatori presso la corte del re svedese Hugleikr Álfsson,404 mentre
Sassone fa ripetuti riferimenti all’arte musicale presso i Danesi.405
396
Vd. p. 44 con nota 114.
397
Vd. p. 87, nota 91.
398
Vd. p. 198, nota 388.
399
Nel Dialogo dell’Alto (Hávamál, str. 146-163, pp. 41-44).
400
Il riferimento è al Carme di Hárbarðr (Hárbarðsljóð) e al Carme di Hyndla (Hyndlu-ljóð).
401
Vd. Chiesa Isnardi 1996 (C.3.3), in particolare alle pp. 23-25.
402
Vd. Snorri Sturluson, Dialogo sull’arte poetica (Skáldskaparmál, in Edda), cap.
6 e Saga dei Volsunghi, cap. 39 (37).
403
Strumenti il cui uso è ben testimoniato sono una sorta di violino (fiðla) e la giga
(gígja), seppure la differenza non sia del tutto chiara. Così del resto è per l’arpa (harpa)
forse, piuttosto, una lira.
404
Saga degli Ynglingar, cap. 22.
405
Saxo Grammaticus, Gesta Danorum, III, ii, 1; III, iii, 6; VI, viii, 11 e XII, vi, 1.

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Le nazioni scandinave tra l’XI e il XIV secolo 435

In un passo della leggendaria Saga di Bósi e di Herrauðr (Bósa saga


ok Herrauðs)406 si parla della grande abilità del protagonista che con
la propria musica intrattenne assai piacevolmente i partecipanti a
una festa nuziale, i quali – tutti presi dalla melodia –
si misero a ballare. Anche di un altro personaggio leggendario,
Nornagestr, è detto che suonò l’arpa per il re Olav Tryggvason.407
Ulteriori allusioni si ritrovano in diverse fonti.408 Sebbene in questi
contesti la capacità di suonare paia assai positivamente sottolinea-
ta, i musicanti (come si è visto in precedenza) non dovevano certo
godere di una alta considerazione sociale.409 Suonatori ambulanti
dovettero poi (su modello tedesco) esibirsi, soprattutto nelle città,
in diverse occasioni e nel tardo medioevo abbiamo ripetute allu-
sioni alla pratica musicale.410 Il più antico documento di musica
‘profana’ della Scandinavia è un testo accompagnato da note dal
titolo Ho sognato un sogno questa notte (Drømde mik en drøm i
nat), conservatoci nel cosiddetto Codice runico (Codex Runicus)
danese risalente alla seconda metà del XIII secolo.411
Naturalmente la cristianizzazione fu determinante anche da
questo punto di vista. Nel Nord furono infatti introdotti i canti
religiosi per accompagnare le cerimonie (dall’Inghilterra e dalla
Germania il canto gregoriano), furono composti inni e uffizi per
onorare i santi nordici,412 la musica continentale fu studiata413 e i
modelli europei furono adattati alle diverse realtà. Alla fine del XIII
secolo risale l’installazione dei primi organi nelle chiese.
Sul versante laico la tendenza all’imitazione avrebbe poi trovato
ampi spazi di espressione nelle melodie di accompagnamento alle
ballate popolari.414

406
Cap. 12.
407
Breve racconto di Nornagestr (Nornagests þáttr), cap. 2.
408
Vd. Vollsnes 1999-2001 (B.6), I, pp. 43-44.
409
Vd. il testo riportato alle pp. 405-406 e le fonti cui si fa riferimento in Ling 1967,
col. 27.
410
Ling 1967, col. 28.
411
Questo codice (AM 28 8vo) contiene, tra l’altro, la più antica legge danese, la
Legge della Scania (Skånske Lov); cfr. p. 393 con nota 260.
412
Essi in effetti costituiscono l’unico prodotto di una certa originalità; vd. Smith
2002 (B.6), pp. 2-3.
413
Vd. Jóns saga ins helga, cap. 8 (cfr. p. 420). Nel medesimo capitolo si precisa in
precedenza (pp. 209-211) che il vescovo aveva proibito espressamente gli antichi
canti legati alla magia: la fonte fa specifico riferimento a termini come galdr, mansǫngr
e anche, più genericamente, vísa “canzone” (forse tuttavia con riferimento alle níðvísur
“canzoni d’infamia”, su cui vd. p. 202).
414
La questione della musica che accompagnava le folkeviser (su cui vd. pp. 396-
397) è ben discussa in Schiørring 1977-1978 (B.6), I, pp. 228-244.

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Capitolo 7

La grande Scandinavia

7.1. L’Unione di Kalmar

7.1.1. La ‘Signora del Nord’

Una reciproca interferenza e un forte coinvolgimento aveva da


sempre caratterizzato la politica dei Paesi scandinavi, che era stata
segnata anche dalla loro capacità di estendere il proprio dominio
oltre i confini nazionali, del resto – come si è avuto modo di con-
statare – certamente non intesi in senso moderno. La potenza del
Regno danese, a esempio, si era imposta in Scandinavia tra il IX
secolo e la prima metà dell’XI, culminando con il re Canuto il
Grande. Anche il Regno norvegese aveva saputo guadagnare gran-
de prestigio, acquisendo colonie nelle isole britanniche e imponen-
do il proprio potere sulle Føroyar,1 sull’Islanda e sulla Groenlan-
dia. Infine, a un certo punto della loro storia gli Svedesi avevano
avuto nella figura di Magnus Eriksson un sovrano il cui dominio si
estendeva a regioni tradizionalmente danesi, così come al Regno di

1
La comunità faroese, formata per la gran parte da coloni di origine norvegese,
aveva a lungo saputo mantenere una certa indipendenza, a dispetto dei tentativi dei re
norvegesi di imporre il proprio dominio sull’arcipelago. Nell’anno 999, nonostante
l’opposizione di molti fra gli abitanti, le isole erano state cristianizzate per volere di
Olav Tryggvason; più tardi (1026) Olav il Santo avrebbe tentato di imporre ai Faroesi
le leggi norvegesi e il pagamento del tributo. L’assemblea generale dei Faroesi, fonda-
ta attorno all’anno 900, svolse in pieno le proprie funzioni fino a quando (1271) il re
Magnus Emendatore di leggi estese all’arcipelago la validità del codice di leggi antico
del Gulating e nominò il figlio Håkon duca di Oppland, di Oslo, delle Shetland e
delle Føroyar. Dopo di ciò questo organismo poté avere voce in capitolo solo a riguar-
do di questioni locali. Le Føroyar dunque divennero di fatto una colonia norvegese e
seguirono i destini di quel Paese (vd. pp. 1436-1439).

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La grande Scandinavia 437

Norvegia.2 Se le vicende personali di questo re dovevano poi


volgere al peggio,3 gli avvenimenti politici del XIV secolo avreb-
bero condotto – per tutta una serie di circostanze – alla unione dei
diversi Paesi nordici sotto un’unica Corona. Un risultato, questo,
certamente indotto da una particolare successione di eventi, ma
favorito anche dalla situazione in cui si trovava la nobiltà scandi-
nava. In effetti, mentre l’identità nazionale dei diversi Paesi veniva
progressivamente consolidandosi, il potere centrale continuava per
molti aspetti a essere minacciato: già poco dopo la sua stabilizza-
zione i potentati locali avevano trovato nuova forza grazie a un
modello, in buona parte ricalcato su quello feudale, introdotto dal
continente. Questo fatto determinò un complesso gioco di interes-
si e di alleanze che oltrepassando i confini nazionali creò tra gli
appartenenti ai ceti socialmente elevati una importante ed estesa
rete di relazioni.
Nel 1363 il figlio di Magnus Eriksson, Håkon re di Norvegia,
aveva sposato la principessa danese Margherita (di soli dieci anni),
figlia di Valdemaro IV Nuovo giorno. Si trattava, evidentemente,
di una unione determinata da ragioni politiche, collegata tra l’altro
al patto (tuttavia di breve durata) con il quale i Paesi nordici si
erano uniti contro le città anseatiche. Nel medesimo anno i nobili
svedesi si erano rivolti ad Albrecht di Mecklemburgo, offrendo il
trono di Svezia al di lui figlio, Albrecht egli stesso, che sarebbe
stato proclamato re di quel Paese nel 1364. A questi avvenimenti
seguirono anni inquieti durante i quali il re danese, in guerra con-
tro le città anseatiche, fu costretto a lasciare il potere, Copenaghen
fu distrutta e la pace fu siglata in cambio di notevoli concessioni.
In Svezia Albrecht (tra l’altro attaccato da Magnus Eriksson e da
suo figlio) vide scemare la propria autorità in favore di una nobiltà
sempre più potente e aggressiva.4 Nel 1375 moriva Valdemaro IV
Nuovo giorno: l’anno successivo il Consiglio del Regno, cui era
andato il potere, nominava erede al trono il giovanissimo Olav (nato
nel 1370), figlio di Margherita e del sovrano norvegese Håkon.
Margherita divenne tutrice del figlio. Solo dieci anni dopo (1380)
moriva anche Håkon e Olav, ancora minorenne, ereditava anche la
Corona di Norvegia (dalla quale dipendevano ormai le Føroyar,

2
Si trattava di una unione di carattere personale che cessò nel 1355 quando il figlio
di Magnus, Håkon, divenne maggiorenne e salì al trono di Norvegia.
3
Vd. sopra, pp. 355-356.
4
Nel 1371 egli dovette, tra l’altro, accettare una forte limitazione al proprio
potere a vantaggio del Consiglio del Regno (DS X: 1, nr. X 75, 9 agosto 1371, pp.
61-66).

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438 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

l’Islanda e la Groenlandia). A Margherita fu così affidata una nuo-


va reggenza mentre Danimarca e Norvegia vennero legate in quel-
la che doveva essere una unione personale: nessuno avrebbe allora
potuto prevedere che per una serie di eventi successivi essa sareb-
be durata più di quattrocento anni!5 I lutti infatti non erano finiti.
Il giovane Olav, divenuto maggiorenne nel 1385, moriva solo due
anni dopo: con lui si estingueva la discendenza di Araldo Bella
chioma. Nelle mani di Margherita si concentrava dunque il potere
sui regni di Danimarca e Norvegia (con le sue colonie), mentre le
inquietudini svedesi le avrebbero affidato ulteriori responsabilità.
Già nel 1386, alla morte del potentissimo drots Bo Jonsson Grip,
il Consiglio si era rivolto a lei, opponendosi alle pretese di Albrecht
di Mecklemburgo. Così con una serie di riconoscimenti Margheri-
ta divenne di fatto, in poco tempo, ‘Signora’ di tutto il Nord:
proclamata reggente plenipotenziaria di Danimarca nel 1387 e
regina di Norvegia nel 1388, fu infine nello stesso anno dichiarata
reggente di Svezia (e dei possedimenti finlandesi).6
L’anno successivo Albrecht di Mecklemburgo rientrava nel
Paese con un esercito ma veniva sconfitto e fatto prigioniero a Åsle
presso Falköping (Västergötland). Con l’eccezione di Stoccolma
che rimarrà a lungo in mani tedesche, Margherita governava ora
su tutta la Scandinavia.7 L’unione così costituitasi sarebbe stata
successivamente formalizzata. Dopo la pace conclusa nel 1395 con
Albrecht di Mecklemburgo,8 nel 1396 Erik (polacco Eryk) di Pome-
rania (1382-1459), già riconosciuto erede al trono di Norvegia
(1389), veniva proclamato re di Svezia e, parimenti, di Danimarca.
Erik era figlio di Wartislaw (polacco Warcisław) VII e di Maria di
5
 Per la precisone quattrocentotrentaquattro, cioè fino al 1814. Henrik Ibsen (vd.
pp. 1077-1078) definirà questo periodo della storia norvegese “una notte lunga quat-
trocento anni.” Si legga nel IV atto del Peer Gynt (1867): “Ahimè, ma poi venne il
giogo straniero/ e corruppe la lingua della foresta vergine./ Una notte di quattrocento
anni/ si distese sopra la scimmia;/ e si sa, notti così lunghe/ soffocano [lo spirito]
delle popolazioni” (DLO nr. 108).
6
 STFM II, nr. 411 a, 22 marzo 1388, pp. 458-464. Nell’accettare l’autorità di Mar-
gherita sul proprio Paese gli Svedesi la definivano “signora plenipotenziaria e giusto
padrone” (p. 459: “futlmechtich fruwæ ogh ræet husbundæ”, un termine, quest’ultimo,
solitamente usato in relazione agli uomini, vd. p. 110).
7
 In questo contesto si inserisce l’attività dei pirati tedeschi detti Fratelli vitaliani, i
quali – almeno inizialmente – avevano il compito di rifornire di viveri (vitalia, donde
il loro nome) la città di Stoccolma, assediata dalle truppe di Margherita, nella quale il
numero di cittadini tedeschi era molto elevato. Successivamente tuttavia costoro si
diedero a razzie incontrollate, finché furono definitivamente sconfitti dai Cavalieri
dell’Ordine teutonico (cfr. p. 379). Vd. Puhle M., Die Vitalienbrüder. Klaus Störtebeker
und die Seeräuber der Hansezeit, Frankfurt a.M. 1992.
8
 STFM II, nr. 422 1, 17 giugno 1395, pp. 512-524.

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La grande Scandinavia 439

Meckemburgo, a sua volta figlia di Ingeborg, sorella di Margherita:


costei aveva preso con sé il pronipote dopo la morte del figlio Olav.
Nel medesimo 1396 in un’assemblea tenuta a Nyköping (Söder-
manland) si sottoscriveva un accordo che tra l’altro contemplava
l’impegno a una ‘pace perpetua’ nel Nord.9 L’anno successivo (1397)
l’Unione dei tre Paesi nordici sarebbe stata ratificata a Kalmar, dove
Erik fu incoronato re: Margherita avrebbe tuttavia di fatto mante-
nuto il potere fino alla morte (1412).10
L’epoca di Margherita (che nel 1398 riuscirà infine a imporre il
proprio dominio anche su Stoccolma) è segnata dalla forte perso-
nalità di questa donna, certamente assai capace in politica ma anche
tendente all’assolutismo. Ella infatti, che era stata assai abile nel
guadagnarsi il favore e l’appoggio dei nobili, non esitò, una volta
consolidata la propria autorità, a contrastarli: tra l’altro fin dal 1396,
per limitarne il potere, aveva proibito loro la costruzione di castel-
li.11 Nello stesso tempo tuttavia seppe mantenere una buona armo-
nia tra Stato e Chiesa, basata su una intelligente collaborazione.
Naturalmente con Margherita la Danimarca ebbe un ruolo guida
nell’Unione, il che avrebbe determinato importanti conseguenze
sia sul piano politico sia su quello sociale.

7.1.2. Tendenze disgregatrici

Se si considerano gli atti nei quali venne sancita l’Unione di


Kalmar, appaiono ben chiare le ragioni per cui dopo la morte
di Margherita essa si avviò verso una inevitabile disgregazione. Si
tratta di due documenti principali: quello relativo all’incoronazio-
ne di Erik e quello più propriamente relativo all’Unione. Il secon-
do in particolare ha dato luogo a numerose speculazioni, dal momen-
to che esso non presenta le caratteristiche dell’ufficialità: redatto
su carta e non su pergamena, elenca un numero di persone auto-
revoli incaricate di ratificarlo, ma conserva solo il sigillo di alcune
di esse (tra l’altro nessun norvegese). Dietro la stesura dei due testi
9
 STFM II, nr. V (Bihang), 20 settembre 1396, pp. 655-664. Secondo l’opinione
di H. Norén (“Drottning Margaretas recess i Nyköping 1396”, in Sörmlandsbygden,
2003, pp. 143-152) questo atto è di fondamentale importanza in quanto costituisce
una premessa determinante dell’Unione di Kalmar. Con il termine recess si indica il
testo di una risoluzione adottata dal re (non di rado un capitolare) e/o dal Consiglio
del Regno, dunque pienamente efficace.
10
 STFM II, nr. 423, 13 luglio 1397, pp. 560-585.
11
 Vd. la fonte indicata a p. 343, nota 63 (il passo relativo a questa proibizione alle
pp. 53-54).

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440 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

appaiono del resto evidenti gli interessi contrastanti della Corona


da una parte e della nobiltà dall’altra, il che lascia supporre che le
parti in causa si ripromettessero col tempo di correggere a proprio
vantaggio questo accordo. Il quale dunque, al di là delle enuncia-
zioni di principio, vero accordo non fu. A fronte di finalità certa-
mente ambiziose – dalla decisione di costituire una unione perpe-
tua tra i tre regni alla affermazione del diritto ereditario sulla
Corona, dal principio che ogni Paese dovesse essere governato
secondo le proprie leggi all’impegno di darsi reciproco soccorso in
caso di guerra – esso fu in gran parte disatteso, innanzi tutto da
Margherita, la quale una volta ottenuto un saldo potere nelle pro-
prie mani si preoccupò soltanto di raggiungere i suoi obiettivi. Si
può ragionevolmente ritenere che i motivi fondamentali che por-
tarono all’Unione di Kalmar siano stati il bisogno di un coordina-
mento politico nella lotta contro lo strapotere delle città ansea-
tiche, così come l’insoddisfazione della nobiltà scandinava che si
sentiva minacciata dai vistosi progressi conseguiti dai molti citta-
dini tedeschi che avevano acquisito posizioni sociali prestigiose e
remunerative.
In effetti Margherita era riuscita a mantenere la propria autorità
più a motivo dell’abilità personale che in ragione di una effettiva
disponibilità dei diversi Paesi a restare uniti sotto un’unica Corona.
Tra l’altro la sua scelta di affidare anche in Svezia e in Norvegia le
cariche (e i feudi) più importanti a funzionari danesi aveva gene-
rato parecchia insoddisfazione.
Alla morte di Margherita nella stessa Danimarca si manifesta-
rono presto molti segnali di scontento. Erik di Pomerania fu
innanzi tutto impegnato in una lunga guerra contro i conti di
Holstein nel tentativo di riconquistare il ducato dello Jutland
meridionale, guerra complicata dal conflitto con le città anseatiche,
che alla fine determinò la sua sconfitta. Nonostante i proventi del
dazio per il trasporto di merci sull’Øresund (introdotto nel 1427
o nel 1429) il re venne a trovarsi in una difficile posizione anche
per il crescente scontento da parte dei nobili e della popolazione
svedese: in questo Paese le decisioni di Erik, che riteneva di poter
portare avanti la politica autoritaria e filo-danese di Margherita,
furono fieramente avversate. Nel 1434 scoppiò una rivolta nelle
zone minerarie della Dalecarlia12 (duramente colpite dalle conse-
12
L’attività mineraria nella zona risaliva addirittura al VII secolo d.C. Fin dal 1288
si conosce un documento (DS II, nr. 964, 16 giugno 1288, pp. 49-50) che testimonia
l’esistenza di questo tipo di industria (citata come Tiscasioberg, vale a dire Tiskasjöberg)
a Falun dove c’era una grande miniera di rame (Falu kopparberg): dunque una delle

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La grande Scandinavia 441

guenze della guerra del re contro i commercianti anseatici) sotto


la guida di un notabile locale di nome Engelbrekt Engelbrektsson,
rivolta che presto si estese. La nobiltà svedese non si lasciò sfug-
gire l’occasione e in un’assemblea tenuta a Vadstena (Östergötland)
ritirò il proprio appoggio al sovrano. L’anno dopo ad Arboga
(Västmanland), nel corso di quello che è stato definito il primo
‘parlamento’ svedese, Engelbrekt fu nominato comandante in
capo.13 Sebbene egli venisse ucciso poco tempo dopo (1436),14 la
lotta continuò, sotto la guida di Carlo Knutsson Bonde.15 Anche
la nobiltà norvegese – seppure fortemente indebolita dalla politi-
ca aggressiva di Margherita – appoggiò la ribellione, sicché anche
in questo Paese ci furono insurrezioni e tentativi di cacciare i
danesi dalle loro posizioni di prestigio, coronati da qualche suc-
cesso.16 Del resto per la Norvegia il conflitto tra Erik e i commer-
cianti anseatici aveva significato in primo luogo un pesante aggra-
vio del carico fiscale, in secondo luogo l’attacco a Bergen da
parte di pirati tedeschi (i Fratelli vitaliani) nel 1428 e la sua distru-
zione nel 1429.17
Una serie di mosse politiche e di trattative (tra cui l’accordo rag-
giunto a Kalmar nel 1436)18 non impedì che nel 1439 Erik di Pome-
rania, nel frattempo ritiratosi nell’isola di Gotland, fosse dichiarato
decaduto. In Danimarca già dall’anno precedente il Consiglio aveva
proposto come reggente il nipote, Cristoforo (Christoffer/Kristoffer)
di Baviera (1416-1448), mentre in Svezia questa carica era andata
a Carlo Knutsson Bonde. Il tentativo di Erik (appoggiato dagli
Olandesi) di riprendere il potere indusse i Danesi a proclamare
più antiche del mondo. L’industria nata qui si chiamerà di seguito Stora Kopparberg
(letteralmente “Grande montagna di rame”) e allargherà la propria sfera di attività fino
a confluire (1998) nella multinazionale Stora Enso con sede a Helsinki.
13
Vd. Carlsson G., Arboga möte 1435, Stockholm 1936.
14
La data della sua nascita, ignota, è collocabile negli anni ’90 del XIV secolo. Alla
sua figura è ispirato il dramma Engelbrekt di August Strindberg (vd. pp. 1082-1083)
del 1901.
15
Su di lui Harrison D., Karl Knutsson. En biografi, Lund 2004.
16
In questo quadro si inserisce la figura di Hallvard Ciuffogrigio (Gråtopp), forse
da identificare con tale Hallvard Toressøn (ca.1390-ca.1438) il quale nel 1438, esauri-
tasi una precedente rivolta che aveva visto coinvolti anche dei nobili, guidò una
sommossa contadina partita dal Telemark contro i funzionari danesi e la politica
fiscale di Erik di Pomerania. Il ricordo della sua figura leggendaria è rimasto vivo
nella memoria popolare della regione. Vd. Daae L.,“Bidrag til Norges Historie i Aare-
ne 1434–1442”, in NHT IV (1877), pp. 62-108 (in particolare pp. 86-89) e Henneseid
S., Hallvard gråtopp og bondeopprøret i 1438, Drangedal 1988.
17
Sui Fratelli vitaliani cfr. nota 7.
18
STFM III, nr. 475, 1 settembre 1436, pp. 160-180; Sundberg 1997 (Abbr.), nr.
58, pp. 120-121.

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442 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

Cristoforo loro re (1440); l’anno successivo egli diveniva ufficial-


mente anche sovrano di Svezia, seppure dovesse accettare pesanti
limitazioni della sua autorità a favore del Consiglio del Regno.19
Mentre questi avvenimenti rafforzavano la consapevolezza e la
capacità decisionale della nobiltà danese e svedese, i Norvegesi si
mostrarono invece deboli e incerti. Sebbene le rivolte antidanesi
avessero ottenuto qualche risultato, essi per un certo periodo con-
tinuarono a rivolgersi a Erik medesimo (minacciando di dichiarar-
lo decaduto), incapaci di assumere decisioni autonome a riguardo
dei destini della nazione. Sicché dapprima costituirono un’alleanza
difensiva con la Svezia, poi accettarono come loro re Cristoforo di
Baviera (1441).

I sentimenti patriottici degli Svedesi desiderosi di recuperare l’autono-


mia della nazione in opposizione al sovrano Erik di Pomerania sono
efficacemente espressi dal vescovo Thomas Simonsson di Strängnäs
(ca.1380-1443) nei versi dedicati a Engelbrekt Engelbrektsson (composti
verosimilmente nel 1439), la cui parte finale costituisce un ‘Inno alla
libertà’ (Friheten – Nota de libertate) che è divenuto un classico della
letteratura svedese:

“La liberta è la miglior cosa


che si cerca ovunque nel mondo,
chi la libertà sa gestire.
Se vuoi essere benevolo con te stesso,
ama la libertà più dell’oro
poiché alla libertà segue l’onore.

La libertà si può davvero paragonare a una torre,


dove un guardiano dà fiato al suo corno:
Stai in guardia!
Quando abbandoni quella torre,
e un altro vi entra,
allora cadi in lacrime.

E la libertà è come quel luogo,


in cui tutte le cose si susseguono ordinatamente.
Là è bene costruire.
Se la libertà si allontana da te,

19
L’anno successivo egli avrebbe fatto reprimere con la forza una grande rivolta dei
contadini danesi.

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La grande Scandinavia 443

allora la cosa migliore è distrutta.


Così mi pare.

Il vecchio testamento e anche il nuovo


prescrivono la pace in ogni luogo.
Tuttavia non può esserci pace
se là non c’è libertà,
che reca pace e protezione
e può scacciare i conflitti.

Tieni la libertà nelle tue mani,


racchiusa e legala con un nastro!
Poiché la libertà è come un falco;
e chi la libertà lascia andare,
dovrebbe essere preso per i capelli
e messo tra gli inetti.

Se la libertà vola via da te,


può poi ben starsene in guardia.
Ovunque tu galoppi o tu corra,
tu non puoi emettere un grido così alto,
deluso resti seduto avvolto nel [tuo] mantello,20
e via è volato il falco dalle mani.

Io ora ti consiglio: abbi cara la libertà,


se puoi comprendere che cosa è libertà!
Non è bene perderla.
Pace e protezione porta nella casa,
conforto e gioia a tutti quelli,
che si riparano sotto i suoi rami.

La libertà è un porto sicuro,


lo indica la libertà con il suo nome,
per coloro che sanno obbedirle.
Un porto riparato da vento e marosi.
La libertà protegge chi è in basso e chi è in alto.
Per questo bisogna guarnire la libertà.”21

20
Qui il senso del testo è poco chiaro. Si potrebbe anche supporre che l’allusione
sia piuttosto al cappuccio di stoffa che si mette sulla testa dei falchi e che ci si ritrova
tra le mani se l’uccello si è liberato ed è volato via (vd. ed. cit., p. 78).
21
Il testo si trova alla p. 178 del manoscritto che porta la segnatura Cod. Holm. B

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444 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

A questo punto l’Unione di Kalmar poteva dirsi, almeno formal-


mente, ricostituita. Essa si sarebbe tuttavia di nuovo dissolta pochi
anni dopo alla prematura morte del sovrano che aveva solo trenta-
due anni (1448). Morto, tra l’altro, senza eredi, il che riaprì le
dispute e innescò nuovi conflitti. Gli Svedesi, assai scontenti del
dominio danese, elessero Carlo Knutsson Bonde, che si rivelò tut-
tavia assai autoritario. I Danesi nominarono il giovane conte Cri-
stiano (Christiern) di Oldenburg (1426-1481) che accettò di sposa-
re la vedova del suo predecessore. In Norvegia si era giunti a una
svolta decisiva per il Paese: una parte politica desiderava legarsi alla
Svezia e accettare come sovrano Carlo Knutsson, l’altra alla Dani-
marca riconoscendo invece Cristiano. In ogni caso un destino di
dipendenza. Il conflitto politico fu risolto nel corso dell’assemblea
di Halmstad (1450) che vide riuniti il Consiglio del Regno danese e
quello svedese, allorché la Norvegia fu ceduta al re Cristiano. In
questa occasione si trovò altresì un compromesso preventivo rispet-
to a future lotte per il potere tra Danimarca e Svezia. Cercando di
salvaguardare l’ideale dell’Unione fu stabilito che alla morte di uno
dei due re ci si sarebbe dovuti adoperare perché l’altro potesse
essere eletto al trono vacante o che vi sarebbe stato nominato un
reggente. Alla morte dell’altro sovrano si sarebbe dovuto eleggere
nuovamente un unico re per entrambi i Paesi. Nello stesso anno a
Bergen fu proclamata l’unione definitiva tra la Danimarca e la
Norvegia,22 un’unione che avrebbe dovuto basarsi su un principio
di parità ma che vide poi piuttosto la Norvegia scivolare gradata-
mente in una posizione di sudditanza, non da ultimo dal punto di
vista culturale e linguistico.
Intanto i contrasti tra i Danesi e gli Svedesi esplosero, dal momen-
to che Cristiano, per altro appoggiato da quella parte di aristocrazia
svedese che era scontenta di Carlo Knutsson, avanzava pretese anche
su quel Paese. Ciò portò a una serie di aspri conflitti, che videro infine
prevalere il re danese che il 23 giugno 1457 fu proclamato anche re di
Svezia. Una vittoria tuttavia non definitiva perché in seguito Carlo
avrebbe ripreso il potere gestendolo, a fasi alterne, tra il 1464 e il 1465
e poi ancora tra il 1467 e il 1470, anno della sua morte.23 Il successore

42 conservato presso la Biblioteca reale (Kungliga biblioteket) di Stoccolma (DLO nr.


109); vd. Bengtsson N.A., “Några Bidrag till kännedomen om biskop Thomas’
Frihetsvisa”, in Samlaren, XXVIII (1947), pp. 108-109.
22
STFM III, nr. 490, 13 maggio 1450, pp. 237-241; nr. 491, stessa data, pp. 243-247;
Sundberg 1997 (Abbr.), nr. 64, pp. 130-131. Il trattato definitivo di unione stipulato
a Bergen porta la data del 29 agosto (NGL IIR II: i, pp. 54-57).
23
La politica del re danese in Svezia aveva tra l'altro determinato (1463) grave scon-

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La grande Scandinavia 445

di Carlo, il reggente Sten Sture il Vecchio (den äldre, ca.1440-1503),


avrebbe saputo respingere le nuove pretese del re danese, infliggen-
dogli una pesante sconfitta a Brunkeberg, presso Stoccolma (1471).24
Ciò gli consentì di mantenere il governo della Svezia, quasi ininterrot-
tamente, fino al 1503. Le cose in realtà non furono affatto semplici.
Alla morte di Cristiano I (1481) infatti gli successe il figlio Giovanni
(Hans, 1455-1513), divenuto poi anche re di Norvegia (1483); in quel
medesimo anno fu concluso un accordo per stabilire in base a quali
condizioni egli potesse essere accettato anche come sovrano di Svezia:25
ciò lo pose dunque in conflitto con Sten Sture finché (1497) riuscì a
diventare re di Svezia, seppure Sten Sture si riprendesse infine (1501)
il governo del Paese. Seguirono anni inquieti nel corso dei quali il
Paese – governato (non certo senza opposizione!) da rappresentanti
della famiglia Sture – fu nuovamente aggredito dal re danese Cristiano
II (succeduto al padre Giovanni nel 1513), che ancora una volta vole-
va imporre il proprio dominio e ricostituire l’Unione. Dopo alterne
vicende egli riusciva infine a sconfiggere Sten Sture il Giovane (den
yngre, 1492 o 1493-1520), che veniva ferito a morte nella battaglia di
Bogesund (attuale Ulricehamn in Västergötland), conquistava Stoc-
colma e si faceva proclamare re (1520). Poco dopo, nonostante le
promesse di clemenza, colpiva con straordinaria ferocia i suoi avver-
sari: con una falsa accusa di eresia più di ottanta persone (ma il nume-
ro preciso resta incerto) furono infatti brutalmente giustiziate in quel-
lo che è rimasto tristemente noto come il “bagno di sangue di
Stoccolma” (Stockholms blodbad: 7-9 novembre 1520).26 I sentimenti

tento nell’Uppland, dovuto all’introduzione di nuove tasse. In questa situazione l'arcive-


scovo di Uppsala, Jöns Bengtsson (1417-1467), che pure in precedenza aveva collaborato
con Cristiano, fu arrestato e condotto in Danimarca. In seguito a ciò il vescovo di Linköping
Kettil Karlsson (ca.1433-1465) si pose alla guida dei rivoltosi che sconfissero i danesi.
24
Vd. Lönnroth E., “Slaget på Brunkeberg och dess förhistoria”, in Scandia, 1938,
pp. 159-213. Per celebrare questa vittoria Sten Sture commissionò al celebre scultore
tedesco Bernt Notke (ca.1440-1509) una statua raffigurante San Giorgio e il drago con
la quale si alludeva alla sua vittoria su Cristiano I. Questa statua, realizzata nel 1489,
è conservata nella cattedrale di Stoccolma (Stockholms storkyrka).
25
Si tratta del cosiddetto Kalmar recess. I lavori preparatori di questo documento
erano stati svolti all’inizio dell’anno nella città di Halmstad (Halland); vd. Carlsson
G., Kalmar recess 1483, Stockholm 1955.
26
L’accusa era stata portata avanti dall’arcivescovo svedese Gustavo (Gustaf) Trolle.
Nato nel 1488, egli aveva studiato all’estero e dopo il ritorno in patria aveva intrapreso
la carriera ecclesiastica fino alla nomina ad arcivescovo di Uppsala. Entrato in conflitto
con Sten Sture il Giovane per via delle sue idee favorevoli all’Unione, nel 1517 era stato
da questi rimosso dall’incarico. Quando nel 1520 Cristiano II giunse in Svezia Gustavo
Trolle fu subito dalla sua parte e lo incoronò re. Dopo i tragici eventi di Stoccolma,
riebbe dal sovrano la carica di arcivescovo. Presto dovette tuttavia lasciare la Svezia e
rifugiarsi in Danimarca. Divenuto vescovo di Odense (1534), morì poi (1535) a seguito

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446 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

antidanesi che erano maturati in Svezia nel corso dei decenni giunse-
ro così al culmine e i rapporti tra i due Paesi conobbero la definitiva
rottura. Mentre dopo questi fatti Cristiano II diveniva l’uomo più
potente del Nord e si guadagnava il favore di una parte del popolo
danese anche grazie all’emanazione di leggi di diritto ecclesiastico e
leggi di diritto laico (Gejstlige Lov e Verdslige Lov),27 almeno in parte
ispirate a princìpi umanitari (1521-1522), si era già ben profilata all’o-
rizzonte la figura carismatica che avrebbe cambiato i destini della
nazione svedese, quel Gustavo Vasa (Gustav Eriksson Vasa o Wasa)
che nel 1523 sarebbe stato eletto sovrano del proprio Paese.

Negli anni delle lotte politiche che segnano la disgregazione dell’Unio-


ne di Kalmar, comincia ad affermarsi uno ‘stendardo svedese’ da cui poi
deriverà la bandiera ufficiale della nazione. Sebbene la tradizione popo-
lare voglia collegare la sua origine alla crociata di Erik il Santo in Finlan-
dia (1155 ca.),28 esso pare innanzi tutto da ricondurre (quantomeno per i
colori) agli stemmi di Albrecht di Mecklemburgo29 e di Carlo Knutsson
Bonde.30 Per quanto se ne sa le prime apparizioni di un drappo blu con

delle ferite riportate nella battaglia di Øksnebjerg (Fionia), combattuta nel quadro della
“guerra del conte” (vd. p. 464 con nota 13). Al “bagno di sangue di Stoccolma” è ispi-
rato il romanzo La famiglia Sture; ovvero il bagno di sangue di Stoccolma della scrittrice
danese Sophie May (pseudonimo di Sophie Friedr. Elise Mayer, 1788-1827), edito nel
1832 (Familien Sture; eller Blodbadet i Stockholm).
27
In realtà il nome attribuito a questi codici non corrisponde se non in parte al
contenuto: essi infatti sono stati così definiti in relazione alle prime disposizioni che vi
sono contenute. Vd. p. 461 con nota 3.
28
Vd. sopra, p. 275. Si racconta infatti che al momento dello sbarco sulle coste
finlandesi il re avrebbe visto una croce d’oro stagliarsi sull’azzurro del cielo. L’episodio,
del tutto fantasioso, è palesemente ricalcato sulla vicenda relativa alla visione dell’im-
peratore Costantino prima della battaglia di ponte Milvio (312).
29
Uno scudo suddiviso in quattro settori dei quali quello in alto a sinistra raffigu-
ra tre corone dorate su fondo blu. Le tre corone compaiono come simbolo della
Svezia fin dalla prima metà del XIV secolo (Törnquist 2008, pp. 32-33), ma risulta-
no già presenti in un sigillo reale del secolo precedente, appartenente al re Magnus
Serrature ai fienili (vd. Fleetwood H., Svenska medeltida kungasigill, I-III, Stockholm
1936-1947, I, pp. 55-58, figure 55, 57, 59, 61, 63, 65; vd. anche un sigillo della regina
Margherita, ibidem, II, figura 56). Esse potrebbero avere un significato religioso,
alludendo ai tre Re magi, molto venerati nel medioevo le cui presunte reliquie erano
state sottratte a Milano da Federico Barbarossa e trasportate a Colonia, che divenne
così una frequentata meta di pellegrinaggi. È tuttavia anche possibile che questo
simbolo voglia alludere ai tre territori (Svezia, Norvegia e Scania) riuniti per un
certo periodo sotto la corona di Magnus Eriksson (cfr. p. 354 e p. 355, nota 112). Le
tre corone dorate in campo blu sono comunque rimaste emblema caratteristico
della Svezia.
30
Uno stemma suddiviso in quattro settori, al centro dei quali si trova, racchiusa

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La grande Scandinavia 447

croce gialla risalgono al 1560 in occasione del funerale di Gustavo Vasa:


tra le insegne dei diversi territori del Regno quella della Finlandia meri-
dionale presentava un elmo appoggiato su due lance incrociate ciascuna
ornata da una bandiera con una croce gialla in campo blu.31 Di due anni
dopo è il primo riferimento ‘ufficiale’: in una lettera reale del 19 aprile
1562 a firma di Erik XIV si legge che nello stendardo reale (che di ciò, in
primo luogo dovette trattarsi) ci dovrà essere “del giallo in forma di cro-
ce applicato su del blu”.32
La scelta di un vessillo simile a quello danese ma diverso nei colori è
verosimilmente da interpretare come un segno di esplicita contrapposi-
zione. Durante la guerra dei sette anni con la Danimarca (1563-1570)33
questo stendardo comparirà fra le insegne innalzate dal celebre coman-
dante Klas Kristersson Horn (ca.1517-1566). Inizialmente simbolo del re,
la bandiera blu con la croce gialla diverrà definitivamente simbolo della
Svezia a partire dal XVII secolo.
Una serie di raffigurazioni ne testimonia il progressivo affermarsi.
Assai interessanti sono, in particolare, un’immagine conservata nel
Museo dell’esercito (Armémuseum) di Stoccolma che raffigura l’assedio
di Riga (1621) da parte delle forze svedesi e un acquerello, custodito
nell’Archivio di guerra (Krigsarkivet) a Stoccolma. Nella prima si vedo-
no, fra le tante a strisce ondulate, due bandiere a doppia punta recan-
ti la croce, il che vuole probabilmente indicare l’autorità del re, Gusta-
vo Adolfo II, personalmente impegnato nell’assedio;34 nella seconda
navi svedesi che issano la bandiera giallo-blu (rettangolare o a tre
punte) all’ancoraggio presso il porto di Pillau (Балтийск, nell’exclave
russa tra Lituania e Polonia), raggiunto dalla flotta del re Gustavo
Adolfo nel 1626.
Le più antiche bandiere svedesi che ci siano giunte si trovano nel Museo
nazionale (Rijksmuseum) di Amsterdam: si tratta di due trofei di guerra
conquistati nel corso di una battaglia navale tra Olandesi e Svedesi
nell’Øresund (29 ottobre 1658), un avvenimento raffigurato in un quadro
del pittore fiammingo Jan Abramsz Beerstraten (1622-1666) conservato

in uno stemma più piccolo, una barca dorata in campo rosso (simbolo della dinastia
dei Bonde). Nel settore in alto a sinistra e in quello in basso a destra compaiono tre
corone dorate in campo blu, mentre negli altri si vede un leone dorato con la corona
in testa sopra tre strisce argentate in campo blu (stemma della dinastia detta dei
folkungar e del re Magnus Serrature ai fienili).
31
Vd. Tarkiainen 2008 (App. 1), p. 256. Uno stendardo simile si ritrova poco dopo
(1562) come simbolo di Gotland; vd. Nevéus C. – de Waern B. J., Ny svensk vapenbok,
p. 20.
32
In svedese: “gult udi korssvijs fördeelt påå blott” (il riferimento è ripreso dallo
scritto di Clara Nevéus citato in nota 36 [p. 49]).
33
Vd. pp. 531-532.
34
Vd. p. 560. Un’immagine simile, tuttavia assai meno dettagliata è conservata
nell’Archivio di guerra (Krigsarkivet). Qui si intravede una nave da guerra che inalbe-
ra bandiere con la croce.

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448 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

nel Museo Marittimo Olandese (Nederlands Scheepvaartmuseum).35 Altre


opere – come i dipinti realizzati nel 1686 dal danese Claus Møinichen
(ca.1660-ca.1730) ed esposti nel castello di Frederiksborg a Hillerød
nella Selandia settentrionale che illustrano le battaglie navali di Öland
(1676) e del golfo di Køge (1677), o gli arazzi realizzati dal fiammingo
Berent van der Eichen (date ignote) che si trovano nel castello di Rosenborg
a Copenaghen e rappresentano lo scontro navale di Öland e quello di
Møn (1677) – distinguono inequivocabilmente la nazionalità delle navi
coinvolte (danesi e svedesi) proprio grazie ai vivaci colori delle loro
bandiere.36

7.2. Tramonto della colonia groenlandese

Nel corso del XV secolo la colonia groenlandese andò incontro


alla propria decadenza. Abitata a partire dall’XI secolo da intrapren-
denti coloni nordici che vi avevano fondato due principali insedia-
menti – quello ‘orientale’ (Eystribygð) nei distretti sud-occidentali di
Nanortalik, Narsaq e Qaqortoq (Julianehåb), dove sorgeva anche la
cattedrale di Garðar, e quello ‘occidentale’ (Vestribygð) nell’area
orientale del distretto di Nuuk (Godthåb) –37 essa aveva potuto pro-
sperare relativamente, nonostante le obiettive difficoltà ambientali,
arrivando a contare una popolazione di qualche migliaio di persone
(forse addirittura raggiungendo un ‘picco’ di circa 5000). Fonti prin-
cipali del suo sostentamento erano l’allevamento e il commercio dei
prodotti locali (soprattutto le prede animali catturate con la caccia e
la pesca), che si appoggiava ai traffici navali norvegesi (si ricordi qui
che nel 1261 la Groenlandia era passata sotto il controllo del re Håkon
Håkonsson, entrando a far parte del ‘grande impero’ di quel Paese).
Ma una serie di fattori ne doveva decretare, fatalmente, il declino.
La prima causa è certamente da ricercare nel peggioramento delle

35
Altre immagini della battaglia sono conservate in disegni (tuttavia non a colori)
del pittore olandese Willem van de Velde il Vecchio (de oude) (1610-1693), che fu
testimone diretto degli avvenimenti.
36
Vd. Törnquist 2008, pp. 46-53. Notizie sulla storia della bandiera svedese si
trovano anche in Tollin G. – Åberg Å. et al., Flaggan och fanan. Regler och anvisningar,
Stockholm 1999, pp. 9-14 e in Nevéus C., “Svenska flaggan. Historik och utveckling
i praxis och lagstiftning”, in FFF, pp. 45-55.
37
Un terzo insediamento, detto ‘di mezzo’ (Miðbygð) che si trovava nei distretti di
Ivittuut e Paamiut (danese Frederikshåb), era considerato parte di quello orientale.

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La grande Scandinavia 449

condizioni climatiche che cominciò a manifestarsi nel XIII secolo per


acuirsi nel XIV: ciò determinò non soltanto una progressiva riduzio-
ne delle aree sfruttabili economicamente, ma anche la necessità di
difendersi dagli Eschimesi che per le medesime ragioni volevano
usufruire di quelle risorse; a ciò si aggiunse l’aumentata difficoltà nel
mantenere regolari contatti via mare con l’Islanda e la Norvegia (dal-
la quale, dopo il disastro provocato dalla peste, giungevano sempre
meno navi). Contemporaneo alla diminuzione dei beni disponibili fu
il calo nella loro richiesta, dovuto alla comparsa di nuove merci che
potevano sostituirle (e, conseguentemente, il disinteresse della Ansa).
Il primo dei nuclei abitati da nordici sul territorio groenlandese a
soccombere fu la colonia occidentale: colpita anche da una invasione
di insetti nocivi che devastò gli allevamenti, essa cessò di esistere
intorno al 1340. La maggior parte delle persone dovette cercare rifu-
gio nella colonia orientale, ma non è escluso che alcuni (forse soprat-
tutto donne) si siano aggregati agli Eschimesi.38 L’insediamento orien-
tale resistette fino al XV secolo. Qualche nave vi giunse
saltuariamente (anche dopo il 1410, anno nel quale si ha notizia
certa del ritorno di un bastimento da quelle regioni). Ma il crescente
isolamento, le avversità climatiche, la diminuzione del numero dei
coloni e i loro difficili rapporti con gli Eschimesi ne determinarono
l’inesorabile scomparsa. Dalla seconda metà del XV secolo e per
quasi duecento anni, non ci sarebbero più stati regolari contatti tra
quella remota regione e il resto dell’Europa.39

Nel XIV secolo si ha notizia di tale Ivar Bårdsson (Ívar Bárðarson),


ecclesiastico norvegese, il quale (in assenza del vescovo titolare) aveva
amministrato la diocesi di Garðar in Groenlandia. Il resoconto della sua
esperienza – che costituisce una importante testimonianza relativa a que-
sto Paese – contiene interessanti notizie a riguardo della colonia nordica
in quel periodo. Si legga:

“Dall’insediamento orientale all’insediamento occidentale ci sono dodici


miglia di mare ed è tutto disabitato. Nell’insediamento occidentale c’è una
grande chiesa che si chiama chiesa di Steinsnes, quella chiesa fu per un po’
cattedrale e sede vescovile, ora gli Eschimesi occupano tutto l’insediamento

38
Vd. Barbarani 1987 (C.3.1), p. 100 dove si riporta l’ipotesi antropologica di C.
Gini su una crisi dovuta allo squilibrio fra i sessi (vd. ivi il rimando bibliografico a p.
530) e Jones 1977 (C.3.1), pp. 326-327.
39
Vd. Holmsen 1971-19774 (B.3), I, p. 366 e Jones 1977 (C.3.1), pp. 327-330. Cfr.
pp. 754-755 e pp. 1452-1454.

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450 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

occidentale. Là ci sono a sufficienza cavalli, capre, bovini e pecore, tutti


selvatici, ma nessuna persona, né cristiani né pagani.40
Tutto questo che è stato detto, ci riferì di aver visto Ivar Bårdsson, groen-
landese, che per molti anni era stato intendente presso il vescovato di
Garðar in Groenlandia,41 ed egli era uno di quelli che erano stati incari-
cati dal lagman42 di recarsi nell’insediamento occidentale contro gli Eschi-
mesi per scacciarli di là. [Ma] quando essi giunsero là non trovarono
nessuno, né cristiani né pagani, solo parecchi animali selvatici e pecore e
si cibarono di quegli animali selvatici, e ne presero quanti le navi poteva-
no trasportarne, e con ciò fecero vela verso casa e il suddetto Ivar con
loro.”43

7.3. Vita sociale e culturale

La difficile situazione politica del XV secolo, con i suoi conflit-


ti e le sue incertezze ebbe, naturalmente, riflessi anche sulla vita
sociale e culturale dei Paesi nordici. Certamente questo fu un
periodo di riassestamento per la classe contadina, dopo la grave
crisi dell’agricoltura determinata dall’epidemia di peste della metà
del XIV secolo (cui erano seguiti diversi contagi minori), aggrava-
ta nei decenni successivi dal perdurare di condizioni climatiche

40
Questa affermazione è solo apparentemente in contrasto con quella precedente,
dal momento che gli Eschimesi, conducendo una vita nomade, si spostavano da un
territorio all’altro nei diversi periodi. Qui si intende verosimilmente che, una volta
scacciati i nordici, questa zona restò a loro disposizione per lo sfruttamento delle
risorse che poteva offrire.
41
Questa dovrebbe essere la ragione del suo soprannome. È probabile che egli sia
rimasto in Groenlandia circa vent’anni. A Ivar Bårdsson corrisponde verosimilmente
Ivarus Barderij, menzionato in un documento del 25 giugno 1364 (DN IV: 1, nr. 442,
pp. 339-341, la citazione a p. 341). Lo studioso norvegese Asgaut Steinnes mette in
relazione la figura di Ivar Bårdsson con la ‘spedizione al Polo Nord’ compiuta nel 1360
da un monaco inglese di Oxford, il quale ne avrebbe lasciato un resoconto, ora per-
duto, dal titolo Inventio Fortunata. Una sintesi di quel lavoro fu poi redatta da un
viaggiatore brabantino, tale Jacobus Cnoyen, in un Itinerarium, anch’esso perduto.
Del suo contenuto si riferisce tuttavia in una lettera del 20 aprile 1577 scritta dal
geografo belga Gerardus Mercator (1512-1594) che costituisce dunque l’unica fonte
disponibile al riguardo. Da qui deriva l’immagine del Polo Nord come un’isola costi-
tuita da una rupe magnetica e circondata da quattro continenti: un’idea che a lungo
doveva persistere nelle descrizioni delle regioni artiche. Vd. Steinnes A., “Ein Nord-
polsekspedisjon år 1360”, in Syn og Segn, LXIV (1958), pp. 410-419.
42
Vd. p. 373 con nota 188.
43
Det gamle Grønlands beskrivelse (DLO nr. 110).

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La grande Scandinavia 451

particolarmente ostili.44 Uno stato di cose tuttavia complesso sia in


relazione alle diverse figure riferibili a quel mondo (liberi agricol-
tori, fittavoli, braccianti) sia al contesto politico-sociale dei singoli
Paesi. La situazione era certamente più sfavorevole in Danimarca,
dove in alcuni casi i contadini furono ‘vincolati’ alla terra e si sci-
volò verso una vera e propria servitù della gleba; tuttavia anche
altrove la diminuzione della forza lavoro seguita alle gravi epidemie,
combinata con la necessità del potere centrale, dei nobili e della
Chiesa (spesso in conflitto tra loro) di attingere copiosamente alle
risorse prodotte determinò non di rado una grande quantità di
lavoro e un gravoso carico fiscale. È tuttavia vero che in Svezia i
contadini riuscirono comunque a mantenere quella che si potreb-
be definire una ‘coscienza di classe’ (e dunque una qualche forma
di peso politico), mentre in Norvegia il progressivo distacco dal
potere centrale favorì una sorta di ripresa delle autonomie locali,
riflessa nel rinnovato ruolo svolto dalle corrispondenti assemblee.
Pur tuttavia si assiste, in diverse circostanze, a vere e proprie ribel-
lioni, regolarmente soffocate dagli uomini del re e dai nobili.45
Le città nordiche del XV secolo non avevano certamente le
dimensioni né l’importanza di molte di quelle che sorgevano nel
resto d’Europa.46 E tuttavia in esse si praticavano fiorenti commer-
ci e furono fondate corporazioni. Le città avevano statuti propri
(anche se in Svezia e in Norvegia risulta l’emanazione di codici
‘urbani’ comuni ricondotti ai re Magnus Eriksson e Magnus Emen-
datore di leggi Håkonsson),47 ma allo stesso tempo erano sottopo-
ste al controllo dell’autorità centrale, sebbene l’amministrazione
locale fosse per lo più gestita dai mercanti.
Del resto la nobiltà esercitava il proprio potere e traeva il proprio
sostentamento piuttosto grazie ai vasti possedimenti terrieri che
si era assicurata nel tempo. Caratteristico del XV secolo è una
sorta di riassestamento della classe nobiliare che, a fronte di pre-
cise istanze della Corona, viene, per così dire, selezionando i
propri membri, privilegiando in molti casi gli esponenti di casate
antiche e ormai consolidate rispetto a coloro che avevano cono-
sciuto fortune recenti: si veda a esempio il cosiddetto ‘accordo’

44
A quanto pare i decenni tra il 1330 e il 1390 costituiscono una fase climatica
segnata da un abbassamento delle temperature (vd. Vahtola 2003, p. 559 e il riferi-
mento ivi riportato).
45
Per un approfondimento in merito si rimanda a Orrman 2003, pp. 606-610.
46
La più grande, Bergen, doveva avere circa 7000 abitanti, Stoccolma e Copenaghen
circa 5000-6000 (vd. Dahlbäck 2003, p. 615).
47
Vd. sopra, p. 362 con nota 145 e p. 369.

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(recess) di Nyköping’ (1396) che prevede la restituzione alla Coro-


na dei beni venuti in possesso dei nobili dopo il 1363.48 La riaffer-
mazione dei privilegi e dei diritti di una casta ‘antica’ e potente e,
insieme, l’aggressività di molti dei suoi membri, costituisce dunque
la base per la separazione da una ‘nobiltà bassa’ che viene talora
respinta verso la classe dei contadini, i cui più eminenti rappresen-
tanti riescono al contrario in qualche occasione, a elevare il proprio
grado sociale.
Anche la Chiesa aveva dovuto subire pesanti conseguenze dall’e-
pidemia di peste, tradotte in primo luogo nella sensibile riduzione
degli introiti che provenivano dalle terre che essa amministrava e
dalle decime. Ciò nonostante fu capace di riorganizzare la propria
situazione in tempi relativamente rapidi. I secoli XIV e XV costi-
tuiscono tuttavia un periodo di tensioni che si legano, in primo
luogo, alle grandi questioni che vedono coinvolta tutta la cristiani-
tà (il trasferimento della sede papale ad Avignone, le conclusioni
dei Concili di Basilea e di Ferrara, la questione di una moralizza-
zione dei costumi). Come si è accennato in precedenza, il Nord
porta un consistente contributo al dibattito religioso soprattutto
con la figura di Santa Brigida. Ma fino alla vigilia della riforma
protestante (che per certi versi livellerà molti contrasti) la lotta
politica si rifletterà anche nei rapporti tra il potere centrale (spesso
abilmente capace di instaurare un interessato rapporto di collabo-
razione con il papato) e gli alti ecclesiastici, alleati o avversari, in
ogni caso pienamente coinvolti nelle lotte per il predominio e, non
di rado, desiderosi di riaffermare una effettiva autonomia delle
Chiese nordiche.
Tra la fine del XIV e il XV secolo, seppure Parigi (così come altri
‘tradizionali’ centri di studio) non cessi di essere frequentata, un
cospicuo numero di studenti nordici si indirizza piuttosto verso
università sorte in località come Erfurt, Praga, Lipsia, Rostock (dove
si ha notizia del cosiddetto Collegium Norvegianorum o Bursa Ola-
vi e di iscritti provenienti anche dalla lontana Islanda) e Greifswald
(ma anche Vienna e Colonia). Del resto gli atenei stranieri continua-
no a svolgere un ruolo di primo piano anche dopo la fondazione
delle prime due università nordiche: Uppsala, sorta nel 1477 (dun-
que la prima in Scandinavia) per iniziativa dell’arcivescovo Jakob
Ulfsson (formatosi a Rostock e a Parigi, morto nel 1521);49 che
aveva ottenuto la necessaria autorizzazione papale e poi Copenaghen,
Cfr. nota 9.
48

Su di lui Kellerman G., Jacob Ulvsson och den svenska kyrkan, I-II, Stockholm
49

1953-1940)

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La grande Scandinavia 453

istituita nel 1479 (anch’essa dietro concessione papale), nella città


che il re Erik di Pomerania aveva definitivamente sottratto alla
giurisdizione del vescovo di Roskilde. A lungo questi centri di
studio non saranno capaci di contrastare il prestigio di quelli stra-
nieri.50 Innanzitutto in Danimarca compaiono nel tardo medioevo
anche le prime scuole cittadine, le quali pur restando legate all’am-
bito religioso costituiscono un punto di svolta rispetto alla tradi-
zione dell’insegnamento presso le strutture ecclesiastiche.
Ma la necessità d’una approvazione papale per la fondazione
delle università nordiche ci ricorda come il mondo della cultura
resti ancora in misura sostanziale ‘monopolio’ della Chiesa. È un
fatto che le più ricche biblioteche appartengono ai conventi (si
stima che quello brigidino di Vadstena in Svezia possedesse all’ini-
zio del XVI secolo circa 1400 volumi),51 alle chiese, ai vescovati e
ai capitoli, seppure fin dalla fine del XIII secolo si abbia notizia di
singoli eruditi (spesso ecclesiastici ma poi anche sovrani o persone
di alto livello sociale) che disponevano di raccolte private di testi.
Del resto la produzione letteraria resta, in buona parte, ancora-
ta a temi devozionali e religiosi: basti pensare a titoli come Il con-
forto dell’anima, ispirato a un modello basso tedesco (Der Grosse
Seelentrost), la cui versione svedese (Siælinna thrøst) va ricondotta
all’attività culturale del monastero brigidino di Vadstena,52 mentre
quella danese (Siæla trøst) ci resta solo in forma frammentaria, o
Libro della tentazione del demonio (Bok aff dyäfwulsens frästilse),53
ma anche ai versi dedicati alla Madonna (Mariaviserne) dal mona-
co danese Per Ræff Lyllæ vissuto attorno al 1470, così come al
50
Vd. Sällström 1972, Johnsen 1972, Laugesen 1972 e Benediktsson 1972 (tutti
in C.6.5).
51
Vd. Malin[iemi] A., “Studier i Vadstena klosters bibliotek”, in NTBBV XIII
(1926), pp. 129-153; in Vorstius J. – Joost S., Grundzüge der Biblioteksgeschichte,
Wiesbaden 19808, p. 23 si arriva alla cifra di circa 1500. Sull’attività quotidiana e
culturale nel convento vd. anche Rajamaa R., Systrarnas verksamhet, undervisning och
uppfostran i Vadstena kloster 1384-1585 / The sister’s activity, teaching and training in
Birgittine Abbey in Vadstena 1384-1595, Stockholm 1992.
52
Vd. Thorén I., Studier över Själens tröst. Bidrag till kännedomen om den litterära
verksamheten i 1400-talets Vadstena, Stockholm 1942.
53
Il titolo completo (indicato nell’ultima pagina) recita: Qui si compone il libro del
Maestro Johan Gerson sulla tentazione del demonio (Här änas mester Johans gerson bok
aff dyäfwulsens frästilse): si tratta della traduzione svedese a opera del canonico e
teologo di Uppsala Ericus Nicolai del Trattato delle diverse tentazioni del demonio
(Traité des diverses tentations de l’ennemi) del teologo e mistico francese Johannes
(Jean) Gerson (1363-1429), reso anche in versione latina (vd., nell’edizione indicata in
EF, Glorieux P., “Introduction”, p. xvi). Di Ericus Nicolai si sa che aveva studiato
all’estero e che negli anni tra il 1485 e il 1489 era stato attivo presso l’Università di
Lipsia per poi passare a quella di Uppsala. Vd. anche sotto, nota 65.

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protrarsi del genere della ‘leggenda’ a carattere religioso. E tuttavia


già si preannunciano sviluppi futuri: non solo si incrementa il lavo-
ro di traduzione di parti della Bibbia (un ‘esercizio’ che nell’ottica
luterana diverrà di importanza fondamentale) ma si dà l’avvio anche
a una letteratura salmista, genere che conoscerà un interessante
sviluppo dopo la riforma.54 E così, seppure lentamente, anche
qualche forma di teatro (riproposizione di modelli continentali)
muove i suoi primi, per altro assai incerti, passi.
Del resto in letteratura, come nella vita sociale, l’ideale cavalle-
resco da una parte e la indiscussa autorità della Chiesa dall’altra
cominciano a declinare: si fa strada ora piuttosto un crudo realismo
e una amara ironia, naturale reazione di fronte alle drammatiche
vicende sociali e politiche. Il che tra l’altro si constata nella diffu-
sione di una ‘letteratura popolare’ fatta di proverbi, massime,
indovinelli. Ma anche – a livelli culturalmente più elevati – nella
fortuna (destinata a perdurare nel tempo) di un’opera come la
raccolta di novelle che va sotto il titolo Sette saggi maestri (Sju vise
mästare, di cui esistono tre versioni collocabili tra il 1420 e l’ultimo
decennio del XV secolo), traduzione in lingua svedese di un testo
di provenienza orientale assai diffuso nel medioevo, i cui contenu-
ti sono per molti versi tutt’altro che ‘moralizzanti’;55 o, d’altro
canto, in quella di uno scritto (ancora svedese) dal titolo Una
grande satira su tutti gli abati (Aff abotum allum skemptan myklä,
prima metà del XV secolo), rivolto contro gli uomini di Chiesa, ben
più attenti – a quanto pare – alla soddisfazione dei propri piaceri
che non alla salvezza delle anime. Una ispirazione di carattere
politico si può forse già intravedere nella storia in knittelvers del
Re Alessandro (Konung Alexander), resa in svedese (attorno al 1380)
per iniziativa del drots Bo Jonsson Grip: un lungo testo (più di
diecimila versi!) basato non tanto sulla reale storia del grande
condottiero, quanto piuttosto sulla Storia delle guerre di Alessandro
Magno (Historia de preliis Alexandri Magni), opera in prosa com-
posta dall’arciprete Leone di Napoli tra il 951 e il 968 nella quale

54
In questo ambito il componimento migliore (anche perché autenticamente ori-
ginale) resta certamente l’anonimo Il giorno benedetto (Then signadhe dagh), svedese
(forse tuttavia originariamente danese), rielaborato in seguito dai protestanti e noto in
tutto il Nord.
55
Vd. Noreen E., “Om ‘Sju vise mästare’ på fornsvenska”, in Samlaren, XXXV
(1914), pp. 67-70. Questa storia avrebbe avuto grande fortuna in Svezia e in Danimar-
ca dove sarebbe stata riversata nei cosiddetti “libri popolari” (vd. pp. 497-498 e p.
504). Le versioni a stampa, che compaiono a partire dal XVII secolo, riportano un
testo modificato rispetto ai manoscritti (vd. Svenska folkböcker, I, pp. 1-7).

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si rielaborano tarde storie fantastiche di provenienza greca.56 Essa


è tuttavia ben più palese nel cosiddetto Gioco degli scacchi (Schack-
tavelslek, 1460 circa), anch’esso in knittelvers, che riprendendo un
modello ampiamente diffuso in Europa, consente all’autore di
esprimere la propria opinione sulla situazione della società svede-
se (i cui rappresentanti sono simboleggiati dai diversi pezzi del
gioco degli scacchi).
Tentativi di ‘autonomia’ della cultura che del resto appaiono
paralleli al sorgere di una coscienza nazionale, soprattutto là dove
essa dà espressione al senso di identità e al desiderio di libertà
soffocati dall’imposizione di un dominio danese nel contesto delle
lotte interne all’Unione;57 basti pensare al già citato ‘Inno’ del
vescovo Thomas Simonsson di Strängnäs.58 Anche l’Islanda cono-
sce del resto una ‘poesia politica’ nella satira dal titolo “Disonore
del mondo” (Heimsósómi), attribuita al poeta Skáld-Sveinn (del
quale per altro non si sa nulla) che nei suoi versi denuncia l’arro-
ganza e l’illegalità dei potenti.59
La nascita di una storiografia a fini nazionalistici si constata in
Svezia sia con la cosiddetta Cronaca in prosa (Prosaiska krönikan
o Vetus chronicon Sveciæ prosaicum),60 sia con la Cronaca del Regno
dei Goti (Chronica Regni Gothorum) scritta su incarico di Carlo
Knutsson Bonde da Ericus Olai (ca.1420-1486), laureato nel 1452
a Rostock, più tardi (1475) dottore in teologia a Siena, divenuto
arcidiacono e professore all’Università di Uppsala: opere nelle
quali si afferma la teoria del primato della nazione svedese, patria
d’origine di quei Goti che avevano saputo compiere grandi impre-
se conquistando vasti territori, il che dunque assegnava alla
Svezia il diritto di rivaleggiare in grandezza con la Grecia e con

56
Vd. Blanck A., “Konung Alexander, Bo Jonsson Grip och Albrekt av Mecklem-
burg”, in Samlaren, X (1929), pp. 1-73 e anche Ronge H.H., Konung Alexander.
Filologiska studier i en fornsvensk text, Uppsala 1957.
57
Sulle composizioni ‘politiche’ del tardo medioevo svedese vd. Hildeman 1950.
58
Vd. testo alle pp. 442-443.
59
Vd. Nordal G., Heimsósómi. Athugun á upptökum íslensks heimsádeilukveðskapar,
Reykjavík 1982.
60
Sulla Cronaca in prosa è verosimilmente basata la cosiddetta Piccola cronaca in
rima (Lilla rimkrönikan), un testo (di qualche valore letterario ma di ben scarsa con-
sistenza storica) composto attorno alla metà del XV secolo; in esso le diverse figure di
sovrani parlano in successione e in prima persona degli eventi riguardanti il loro regno.
La definizione tradizionale Piccola cronaca in rima è sorta per contraddistinguerla
dall’insieme delle cronache che formavano quella che veniva definita Grande cronaca
in rima (vd. p. 407 con nota 308). Sull’autore della Cronaca in prosa, per altro ignoto,
vd. le osservazioni di G.E. Klemming nell’edizione da lui curata (EF), pp. 292-295.

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Roma.61 Da qui sarebbe nato il movimento noto come ‘goticismo’


che tanta importanza avrebbe avuto nei secoli successivi.62
Come è del tutto lecito attendersi la stampa fu introdotta nel Nord
dai Tedeschi.63 In Germania c’erano stampatori ambulanti che si
recavano nelle diverse località nelle quali era richiesta la loro opera.
Fra costoro tale Johan Snell (morto dopo il 1519, forse, a giudicare
dal cognome, di origini basso-tedesche) che fu (1482) a Odense
– dove il convento di Sant’Albano rappresentava un importante
centro di cultura – e successivamente (1483) a Stoccolma dove pub-
blicò opere in lingua latina: i primi libri usciti nel Nord. Un notevo-
le impulso venne naturalmente dall’ambiente ecclesiastico, nel qua-
le presto si era compresa l’importanza di questo nuovo strumento.
Le prime opere in lingua nordica uscirono nel 1495: in Danimarca
la Cronaca danese in rima64 e in Svezia il Libro della tentazione del
demonio, poco sopra citato.65 In Islanda la prima tipografia sorse per
iniziativa di Jón Arason vescovo di Hólar che invitò nell’isola un
ecclesiastico svedese, Jón Matthíasson il quale nel 1534 diede alle
stampe un breviario che fu dunque il primo libro islandese.66 La
prima opera stampata in Norvegia, un messale, comparirà solo nel
1643:67 questo ritardo e il fatto che qui la maggior parte dei libri
risulti prodotta all’estero (specie in Danimarca) sottolinea ulterior-
mente la condizione di decadimento culturale e di dipendenza poli-
tica di questo Paese.

7.4. Verso nuovi equilibri

Nel 1523 l’ascesa di Gustavo Vasa al trono svedese segna il tra-


monto definitivo dell’Unione di Kalmar, in un quadro generale nel

61
Si veda Nyrin-Heumann 1944.
62
Vd. pp. 577-584.
63
Per una breve introduzione alla storia della stampa nei Paesi nordici si rimanda
a Dahl – Rosenkilde 1957.
64
Vd. pp. 395-396 dove si dà anche conto di altre opere ‘letterarie’ danesi del XV
secolo. Per una storia del libro in Danimarca vd. Nielsen L., Den danske bog. Forsøg til
en dansk boghistorie fra den ældste tid til nutiden, København 1941.
65
Bok aff dyäfwulsens frästilse, uscito per i tipi di Johan Smed (Johannes Fabri) a Stoc-
colma nel 1495. Vd. nota 53. Per una storia della stampa in Svezia vd. Klemming G.E. –
Nordin J.G., Svensk boktryckerihistoria 1483-1883 (Jubileumsutgåva), Bromma 1983 [1883].
66
Vd. p. 510 con nota 159.
67
Vd. p. 507 con nota 146.

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La grande Scandinavia 457

quale gli equilibri di potere risultano profondamente modificati.


Infatti, mentre la Danimarca e la Svezia andranno a costituire due
regni consolidati, assai diverso sarà il destino della Norvegia e
dell’Islanda.
Gradatamente il primo di questi due Paesi era divenuto sempre
più dipendente dal dominatore danese, che era stato capace di
accaparrarsi la maggior parte delle posizioni di potere (sia nella
struttura statale sia in quella ecclesiastica) svigorendo di fatto il
tessuto sociale e culturale della nazione. Simbolicamente il declino
di quella che era stata la ‘grande potenza norvegese’ è segnato non
soltanto dal documento di Bergen del 1450,68 ma anche dalla ces-
sione da parte del re danese Cristiano I delle Orcadi e delle Shetland,
date in pegno per la dote della figlia Margherita (1456-1486), spo-
sa di Giacomo III di Scozia (1469).69 Una perdita che, nonostante
le successive richieste e promesse, non sarebbe mai stata recupera-
ta. All’inizio del XVI secolo (1507-1508) ci fu un sussulto di ribel-
lione nei confronti del potere straniero con una rivolta, divampata
soprattutto nella regione di Hedmark, che fu inesorabilmente
soffocata. Il vescovo di Hamar, Carlo (Karl) Jensson (1460-1512),
accusato di aver sostenuto gli insorti fu imprigionato e morì prima
di riacquistare la libertà.
Degli antichi possedimenti norvegesi restavano le Føroyar,
l’Islanda e la Groenlandia: dell’ultima si è detto. Le Føroyar furo-
no considerate, almeno inizialmente, una colonia norvegese e
governate come tali; nel 1490 i commercianti olandesi ottennero i
medesimi privilegi di quelli anseatici per i traffici con le isole, i cui
abitanti alla fine del secolo subirono gli attacchi di pirati prove-
nienti dalla Francia e dalle terre britanniche. Nel 1521 il re dane-
se, certamente per rimarcare la sua completa autorità, inviava
nell’arcipelago un proprio rappresentante. L’Islanda, dove il XV
secolo era iniziato con l’epidemia di peste, conobbe un drastico
calo della popolazione, ma anche – di conseguenza – una maggio-
re disponibilità di risorse. Il commercio del pesce si incrementò,
sia per la presenza dei commercianti anseatici, sia – soprattutto –
per quella degli Inglesi che (in qualche caso con intenti piuttosto
aggressivi) sempre più spesso frequentavano con le loro navi le
acque islandesi.70 Tuttavia per l’isola fu questo un secolo di deca-
68
Vd. p. 444 con nota 22.
69
NGL IIR: II: i: nr. 116, pp. 184-185 del 28 maggio 1469; cfr. l’accordo matrimo-
niale: ibidem, nr. 115, pp. 174-183 dell’8 settembre 1468 e Tillæg til no. 115-16, 1 e 2
del 20 febbraio 1471 e del 13 maggio 1472, pp. 185-187.
70
Vd. p. 389 con nota 245.

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dimento politico, sociale e culturale, tragicamente concluso


da una nuova epidemia che imperversò nel Paese tra il 1494 e il
1495.71
Il XVI secolo vedrà dunque la Danimarca e la Svezia affermare,
con diverse fortune e non senza reciproci e gravi contrasti, la pro-
pria identità nazionale, sociale e statale, mentre per la Norvegia e
l’Islanda si confermerà una situazione di dipendenza e di declino
destinata a perdurare per lunghissimo tempo.

71
Per comprendere in quale misura il dominatore danese imponesse fin da princi-
pio la propria autorità sul Paese basterà leggere il cosiddetto “lungo emendamento”
del re Cristiano I (Kong Christian den Førstes den saa kaldede Lange Retterbod del
1450, in KFAaBI I [nr. II], pp. 10-22 con successiva traduzione in danese) nel quale è
prevista tutta una serie di limitazioni alle libertà degli Islandesi.

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Apparato iconografico capitoli 4-7

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Fig. 22

Il corpo di Olav il Santo viene posto in un sarcofago: particolare di un


frontale di altare (prima metà del XIV secolo) probabilmente appartenu-
to alla stavkirke di Haltdalen nella regione di Trøndelag e ora conservato
nel duomo di Trondheim (pp. 255-257)

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Fig. 23

Il crociato Sigurd Viaggiatore a Gerusalemme, re di Norvegia, entra a


Costantinopoli, detta dai nordici Miklagarðr (pp. 258-260)

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Fig. 24

La Saga della cristianizzazione (Kristni saga) è una delle fonti primarie


sulla conversione degli Islandesi (§ 4.2.4). Qui è raffigurato il frontespizio
dell’edizione voluta da Þórður Þorláksson, vescovo di Skálholt, uscita nel
1688

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Fig. 25

La magnifica stavkirke di Borgund nella regione norvegese di Sogn og


Fjordane (pp. 270-271)

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Fig. 26

Così in un manoscritto dell’Edda di Snorri Sturluson (Codex Upsaliensis) è


immaginato il re Gylfi che incontra Odino sotto triplice veste (pp. 288-289)

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Fig. 27

Figura di cavaliere su un arazzo (1200 ca.) collocato nella chiesa


norvegese di Balleshol nella regione di Hedmark (p. 330)

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Fig. 28

Santa Brigida distribuisce la regola del suo ordine. Da una stampa delle
sue Revelationes pubblicata a Lubecca nel 1492 (p. 356 e p. 402)

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Fig. 29

Funzionari reali (fogdar) che intimidiscono e trattano con durezza i sudditi


soggetti al pagamento delle tasse: immagine che si trova nell’opera di
Olaus Magnus, Historia de gentibvs septentrionalibvs (p. 360)

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Fig. 30

Sigillo della città di Stoccolma fondata da Birger jarl (p. 361)

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Fig. 31

Da un monastero della Scania settentrionale (forse Herisvad) provengono


due manoscritti contenenti testi antico danesi scritti utilizzando l’alfabeto
runico. Qui è riprodotta una pagina della Legge della Scania riportata nel
manoscritto AM 28, 8vo (p. 393)

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Fig. 32

Esempio di antico svedese tratto da Il conforto dell’anima (Siælinna thrøst).


Il testo recita: “Quando vai in chiesa, non devi parlare inutilmente, né
sussurrare, né scherzare o chiacchierare, e non parlare alle spalle di qualcuno.
Perché tutte le maldicenze, le parole vane e inutili, che le persone dicono in
chiesa, il diavolo le annota scrupolosamente, e te le rinfaccerà [nel giorno del]
giudizio di Dio” (pp. 408-409 e p. 453)

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Fig. 33

Scena di aratura su un affresco nella chiesa di Elmelunde sull’isola danese


di Møn (p. 432)

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Fig. 34

Crocifisso appartenuto all’antica chiesa di Aaby (Jutland), seconda metà


del XII sec. Si noti la severa espressione del Cristo e la corona reale sul
capo, particolare che si riscontra solo nel Nord (pp. 432-433)

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Fig. 35

Albertus pictor, la ‘ruota della vita’, uno degli affreschi nella chiesa
svedese di Härkeberga in Uppland, ca. 1480 (p. 432)

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Fig. 36

Il castello di Kalmar, dove nel 1397 fu siglata l’unione fra i Regni nordici,
disegnato da Alfred Larsen (1860-1946; pp. 437-439)

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Fig. 37

L’ultima pagina del Dyalogus creaturarum moralizatus, un libro stampato a


Stoccolma da Johan Snell nel 1483 (p. 456)

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Capitolo 8

Una seconda rivoluzione religiosa

8.1. Stato e Chiesa: la riforma protestante

Tra la seconda metà del XV e i primi decenni del XVI secolo


erano dunque state poste in Scandinavia le premesse di profondi
cambiamenti, che – in conseguenza della disgregazione dell’Unio-
ne – avrebbero portato all’affermazione dei due importanti regni
di Danimarca e di Svezia, destinati a giocare un ruolo di primo
piano nel quadro della politica europea, mentre Norvegia e Islanda
venivano spinte inesorabilmente in una condizione di inferiorità
che si sarebbe andata consolidando per durare a lungo nel tempo.
E tuttavia: l’evoluzione di quelli che sarebbero divenuti i due
‘stati-guida’ del mondo scandinavo non fu affatto esente da pro-
blemi di carattere interno né da conflitti con le potenze straniere;
inoltre una persistente e radicata inimicizia – derivante dalle vicen-
de del passato ma anche dal desiderio parallelo di imporre il proprio
predominio nell’area – segnava i loro reciproci rapporti. Due fat-
tori principali furono determinanti ai fini degli sviluppi politici,
sociali e culturali cui gli stati nordici sarebbero andati incontro.
In primo luogo l’introduzione della riforma protestante: un
elemento religioso che (seppure basato su motivazioni di natura
confessionale) si venne intrecciando con finalità di carattere essen-
zialmente politico e venne dunque utilizzato dai sovrani per raffor-
zare la propria autorità. La sua attuazione infatti permise da una
parte di stroncare lo strapotere della Chiesa (e di convogliare nelle
casse dei sovrani i suoi beni e le sue entrate), dall’altra (in partico-
lare nell’ottica danese, ma anche – riguardo alla Finlandia – in
quella svedese) di stabilizzare la supremazia su Paesi ormai consi-
derati alla stregua di semplici colonie, imponendo insieme a un

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nuovo ordinamento religioso il definitivo riconoscimento d’un


indiscusso dominio.
In secondo luogo gli sviluppi delle ripetute lotte fra il sovrano e
gli esponenti della nobiltà, sfociati nel XVII secolo nell’imposizio-
ne del potere assoluto della monarchia: un risultato certamente
favorito dall’assimilazione di modelli stranieri ma frutto, al con-
tempo, di lunghi sforzi e ripetuti tentativi in quella direzione. A
tutto ciò si accompagna, originandone ma anche determinandolo,
un clima culturale dominato dalla riscoperta e dalla celebrazione
del patrimonio della tradizione dei popoli scandinavi, un insieme
di modelli e di valori (non di rado per molti versi manipolati e
fraintesi) il cui obiettivo divenne, in sostanza, l’esaltazione del
mondo nordico che voleva ora orgogliosamente rimarcare il proprio
carattere, la propria grandezza e (neppure troppo allusivamente)
la propria superiorità.

8.1.1. Società, Chiesa e Corona in Danimarca

Come si è detto, il dominio del re danese Cristiano II sulla Svezia


non era stato di lunga durata: già nel 1523, a soli tre anni da quella
che pareva una sua definitiva vittoria, gli Svedesi erano stati capaci
di sottrarsi all’autorità straniera, nominando Gustavo Vasa come
proprio sovrano. Ma anche nella madrepatria il destino di Cristiano
non sarebbe stato favorevole. Qui infatti egli si era adoperato per
circoscrivere il potere dei nobili, la cui gestione dei feudi volle, là
dove possibile, affidare a funzionari di nomina regia; inoltre mani-
festò l’intenzione di limitare le prerogative ecclesiastiche: scelte che
avrebbero portato a un aperto conflitto. Il dissidio tra la Corona e
la nobiltà aveva radici profonde e la politica reale di sostegno ai
commercianti delle città lo aveva di fatto accentuato. Parallelamen-
te si acuì il contrasto fra la Chiesa e la Corona: anche in questo caso
in precedenza le contrapposizioni non erano certo mancate e la
tendenza verso una sempre maggiore interferenza del sovrano nelle
questioni ecclesiastiche si era manifestata fin dai tempi di Valdema-
ro Nuovo giorno.1 Nel 1521 Cristiano II aveva manovrato per
imporre al Papa Leone X il suo segretario Didrik Slagheck come
arcivescovo danese presso la sede di Lund; pur fondandosi sull’im-
portante questione di principio sul diritto di tale nomina, questa
politica sottolineava in realtà il desiderio della Corona di sottrarre

1
Vd. Hugason Hj., “Religion”, in UNH, pp. 189-190 e p. 193.

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Una seconda rivoluzione religiosa 461

all’amministrazione della Chiesa il territorio da essa gestito (Bornholm


e Scania), convogliandolo sotto il proprio potere. Didrik Slagheck
era un personaggio tanto ambizioso quanto ambiguo (poche sono
le notizie che lo riguardano prima del suo coinvolgimento al servizio
del re danese) e in questo contesto divenne presto un ideale capro
espiatorio su cui scaricare l’intera colpa del “bagno di sangue di
Stoccolma” (in particolare l’uccisione di due vescovi), nel quale per
la verità aveva avuto parte attiva. Di conseguenza egli fu condanna-
to a morte e crudelmente giustiziato affinché subisse la medesima
sorte delle sue vittime (24 gennaio 1522).2 Tra il 1521 e il 1522
Cristiano II predisponeva anche una nuova legislazione: la cosid-
detta “legge ecclesiastica” ed emanava una propria “legge civile”
accentrando molti poteri.3 Negli attacchi dei suoi avversari ciò si
tradusse nell’accusa di avere non solo un comportamento da tiran-
no ma anche una posizione compiacente nei confronti di quella che
era ancora considerata l’eresia luterana: il che mostra in modo
chiaro – una volta di più – come l’atteggiamento religioso personal-
mente assunto (o da altri attribuito) si legasse in realtà in buona
parte a motivazioni di carattere politico.4 In effetti in quel medesimo
periodo il re aveva sollecitato l’invio di un predicatore luterano in
Danimarca: l’incaricato fu Martin Reinhart (o Reinhard) che venne
inserito nella facoltà di teologia dell’Università di Copenaghen e,
senza successo (anche per difficoltà linguistiche che ne fecero l’og-
getto di caricatura e derisione) prestò la sua opera presso la chiesa
di San Nicola (Nikolaj kirke) a Copenaghen.5
2
Su di lui vd. Weibull L., “Didrik Slaghæk efter Stockholms blodbad”, in Scandia,
X (1937), pp. 165-190.
3
Legge [di diritto] ecclesiastico di re Cristiano II (Kong Christian den Andens Gejst-
lige Lov) e Ordinanza di re Cristiano II ovvero la cosiddetta legge [di diritto] laico (Kong
Christian den Andens Ordinants eller saakaldte verdslige Lov).
4
Successivamente, durante i lunghi anni dell’esilio Cristiano si sarebbe effettiva-
mente convertito al luteranesimo (cui aveva per prima aderito la moglie); tuttavia
sarebbe poi tornato sulla propria decisione, una volta che (volendo riconquistare il
potere) comprese di aver bisogno del sostegno dell’imperatore Carlo V (che tra l’altro
era suo cognato) per contrapporsi efficacemente ai suoi avversari, Cristiano III e
Gustavo Vasa, entrambi sostenitori della riforma.
5
Vd. Münter 1823-1833 (B.7.2), III, pp. 23-29. Di Martin Reinhart si sa che dopo
il ritorno in Germania fu sacerdote a Jena; di lì fu allontanato perché sosteneva le
dottrine sull’Eucarestia di Andrea Carlostadio (Andreas von Karlstadt, ca.1480-1541),
il riformatore scomunicato dal Papa Leone X insieme a Lutero (1521) con il quale
spesso ebbe tuttavia contrasti di natura teologica. Dello stesso Andrea Karlstadt è noto
che in quel medesimo anno aveva fatto una breve visita in Danimarca; vd. Kolde Th.,
“Carlstadt und Dänemark”, in Zeitschrift für Kirchengeschichte, VIII (1886), pp. 283-
292 e anche Heise A., “Paulus Eliæ og Martin Reinhard”, in KSam V (1869-1871), pp.
273-299.

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462 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

Insieme agli alti ecclesiastici anche i nobili mal tolleravano dun-


que la politica del re e apertamente avversavano la palese influen-
za sulle sue decisioni esercitata da Sigbrit Villoms, madre della sua
celebre amante Dyveke:6 essi manifestarono ripetutamente la pro-
pria contrarietà e presto si giunse allo scontro aperto. Già nel 1523
(significativamente il medesimo anno nel quale tramontava defini-
tivamente l’ambizioso progetto d’una incontrastata supremazia
danese nei Paesi del Nord), Cristiano II si trovò a fronteggiare una
ribellione armata in seguito alla quale fu costretto a lasciare il pro-
prio Regno rifugiandosi nei Paesi Bassi: al suo posto divenne re lo
zio Federico, duca di Schleswig e Holstein, cui si era rivolta una
parte della nobiltà e dei vescovi. Gli abitanti delle città, a lui fede-
li, cercarono di resistere, ma nel 1524 Copenaghen si arrendeva al
nuovo sovrano. Cristiano in realtà progettava una rivincita per
impadronirsi nuovamente del potere: egli tuttavia fu catturato nel
1532 e, a dispetto delle garanzie ottenute, imprigionato (prima nel
castello di Sønderborg sull’isola di Als e poi in quello di Kalundborg
in Sjælland) fino alla morte (1559).
Il regno di Federico I (1471-1533) fu segnato, come era logico

6
Negli anni 1506-1512 Cristiano era stato viceré della Norvegia. Lì aveva cono-
sciuto una ragazza di origine olandese, Dyveke (“Colombella”) Sigbritsdatter (ca.1490-
1517) che presto era divenuta la sua amante. Il loro rapporto era proseguito anche
dopo che Cristiano, ormai salito al trono di Danimarca, aveva sposato (1514) Elisa-
betta (Isabella) d’Asburgo (1501-1526), sorella di Carlo V. L’improvvisa morte di
Dyveke (sospetto avvelenamento), per la quale il nobile danese Torben Oxe ritenu-
to colpevole di complotto fu condannato a morte e decapitato (29 novembre 1517,
data di nascita non nota) per precisa volontà del sovrano, non pose fine al rapporto
di fiducia che quest’ultimo aveva con la madre di lei, da molti considerata una vera
e propria strega (la morte di costei si colloca intorno al 1532); sui rapporti tra questa
donna e il re vd. Scocozza B., Kongen og købekonen, København 1992). La relazio-
ne amorosa fra Cristiano II e la giovane Dyveke era ben nota e fu motivo ispiratore
per molti letterati e artisti, non solo danesi: basti qui ricordare l’opera di Ole Johan
Samsøe (1759-1796), Dyveke. Dramma in cinque atti (Dyveke. Et Sorgespil i fem
Acter), i Canti di Dyveke (Dyvekes Sange, 1879) con testo dello scrittore Holger
Drachman (vd. p. 1083 e p. 1088, nota 559) e musica di Peter Heise (vd. p. 1099,
nota 611), l’opera in tre atti Dyveke (1899) del musicista Johan Bartholdy (1853-1904)
su libretto di Einar Christiansen (1861-1939), il romanzo storico Dyveke. Historisk
roman, dello scrittore danese Carl Ewald (1856-1908) uscito a Copenaghen nel 1907.
Più recentemente il tema è stato ripreso in una pièce teatrale (1967) di Kjeld Abell
(vd. pp. 1174-1175) e Poul Henningsen (vd. p. 1184, nota 262) con musiche di Kai
Normann Andersen (1900-1967): Dyveke. Revykomedie i to akter af Kjeld Abell
med viser af Poul Henningsen, udgivet med efterskrift af S. Møller Kristensen,
København 1967. Ben noto è anche il ritratto della giovane (della quale per altro
non si conosce il vero volto) che suona uno strumento a corda in compagnia del re,
eseguito nel 1885 da Vilhelm Rosenstrand (1838-1915; l’opera appartiene a una
collezione privata).

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Una seconda rivoluzione religiosa 463

attendersi, da un rinnovato potere della nobiltà che stroncò con


durezza i malumori dei borghesi e l’opposizione dei contadini. Ma
anche il potere ecclesiastico (i cui più eminenti rappresentanti
erano del resto nobili) poteva ora risollevare la testa. Lo statuto
emanato poco dopo la proclamazione del nuovo sovrano, lo dimo-
stra chiaramente.7 È evidente che nella sua stesura ebbero un
ruolo fondamentale personaggi influenti come il vescovo di Aarhus
Ove Bille (morto nel 1555),8 ma anche Poul Helgesen (ca.1480-data
di morte ignota), che si era scagliato con veemenza contro la poli-
tica di Cristiano II.9 In ogni caso Federico I – che in seguito a più
riprese avrebbe inviato chiari segnali in favore del nascente movi-
mento luterano – vedrà stabilito nella dieta di Odense (1527) il
principio che il re debba essere considerato capo della Chiesa.10
Successivamente (1530) in occasione di una nuova dieta tenuta a
Copenaghen (nella quale si discussero le contrapposte posizioni
religiose) i luterani poterono presentare i loro quarantatré ‘artico-
li di fede’ (Confessio Hafniensis) e videro riconosciuto il loro dirit-
to a parlare liberamente.11
In questi anni la società danese restava fortemente squilibrata,
irrequieta e percorsa da sussulti di ribellione che esplosero alla
morte di Federico (1533) quando la nobiltà e gli alti ecclesiastici
(naturalmente legati alla dottrina cattolica) deliberarono di sospen-
7
Una prima versione porta la data del 26 marzo 1523, dopo che l’assemblea dello
Jutland aveva accettato Federico come sovrano (vd. SGDL IV, pp. 137-140), la defini-
tiva, quella del 3 agosto dello stesso anno, quando ormai l’intero Paese aveva ricono-
sciuto il nuovo re (vd. AaKG II [1856-1860], pp. 65-79).
8
Vescovo e poi cancelliere, egli si mostrò strenuo difensore della Chiesa cattolica:
in seguito fu tuttavia costretto dalle circostanze a porsi al servizio del re luterano
Cristiano III. La stima di cui godeva impedì che dopo l’imposizione della nuova dot-
trina da parte di quest’ultimo (vd. poco più avanti) egli subisse conseguenze troppo
pesanti (sebbene per un periodo di tempo fosse posto agli arresti).
9
L’introduzione a questo documento, che riassume il giudizio pesantemente nega-
tivo contro questo re, è certamente opera sua (vd. Arup 1925-1955 [B.3], II, pp. 399-
400). Poul Helgesen (altrimento noto come Paulus Elie/Eliæ o Paulus Helie/Heliæ) fu
al pari di Ove Bille un fervente difensore del cattolicesimo in Danimarca; su di lui vd.
pp. 492-493 con note 95-97. Cfr. il testo riportato a p. 467.
10
In questa assemblea furono in sostanza poste le premesse per una agevole diffu-
sione della dottrina luterana in Danimarca. Essa del resto rafforzava decisioni assunte,
sempre a Odense, l’anno precedente (1526), quando era stato sottratto all’autorità del
Papa qualsiasi diritto sulla nomina dei vescovi e degli alti prelati, così come i benefici
finanziari relativi che dovevano ora essere versati nelle casse della Corona (vd. Paludan
Müller C., Herredagene i Odense 1526 og 1527. Et Bidrag til en kritisk Behandling af
den danske Reformationshistorie, Kjöbenhavn 1857).
11
Vd. Andersen 1954; cfr. oltre p. 494. Certamente sugli orientamenti religiosi di
Federico ebbe notevole influenza il nobile Mogens Gøye (o Gøje o Gjøe, ca.1470-1544),
rappresentante del re, egli stesso convinto luterano.

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464 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

dere l’elezione del nuovo sovrano e di gestire il potere direttamente


attraverso il Consiglio del Regno. Tale decisione, che doveva scate-
nare una vera e propria guerra civile, era dovuta al fatto che Cristia-
no, figlio del defunto e candidato naturale al trono, aveva da tempo
e con convinzione abbracciato la fede luterana: un atteggiamento
assolutamente inviso a gran parte dell’alta nobiltà e, soprattutto, ai
vescovi che appoggiavano piuttosto il fratellastro Giovanni (Hans).12
Questo conflitto, noto come “guerra del conte”13 vide gli abitanti
delle città (in particolare quelli di Malmö e Copenaghen, che anco-
ra auspicavano un ritorno di Cristiano II) allearsi con Lubecca
(scontenta dell’appoggio dato dal Consiglio del Regno agli Olande-
si nella loro espansione commerciale sul Baltico): all’inizio essi
ottennero una serie di vittorie che costrinsero i nobili a ridimensio-
nare le proprie ambizioni. A complicare la situazione intervenne poi
una insurrezione contadina nello Jutland e, con la dura sconfitta dei
nobili nella battaglia di Svenstrup (16 ottobre 1534), parve che le
sorti del conflitto fossero ormai decise. In questi frangenti l’oppo-
sizione alla nomina del figlio di Federico I era stata superata dalla
necessità dei fatti ed egli, proclamato re a Horsens (Jutland) con il
nome di Cristiano III, fu dunque a capo della propria fazione. Gra-
zie all’abilità del comandante in capo dell’esercito – quel Johann
Rantzau che già era stato al servizio di suo padre e persino suo
tutore – il nuovo sovrano poté rovesciare una situazione assai sfa-
vorevole: garantitosi l’alleanza del re svedese Gustavo Vasa che
temeva il ritorno di Cristiano II,14 egli avanzò nello Jutland e in
Fionia e cinse d’assedio Copenaghen che fu conquistata il 29 luglio
del 1536 dopo un anno durissimo che aveva stremato gli abitanti,
causando la morte per fame di molti. Cristiano dunque otteneva con
le armi quello che molti interessi politici avrebbero voluto negargli.
12
Cristiano, educato in gioventù da maestri luterani come il cancelliere Wolfgang
von Utenhof (ca.1495-ca.1542) e Johann Rantzau (1492-1565), aveva in seguito com-
piuto un viaggio in Germania dove aveva avuto la possibilità di partecipare alla Dieta
di Worms (1521) assistendo all’appassionata difesa delle proprie tesi fatta da Martin
Lutero: il giovane principe ne era rimasto profondamente impressionato. La sua fede
luterana era certamente ben radicata, come dimostra anche il fatto che egli aveva poi
fondato una scuola di studi teologici luterani a Haderslev nello Jutland meridionale
(1526).
13
Questa definizione (danese grevens fejde) fa riferimento al conte Cristoforo
(Christoffer) di Oldenburg (1504-1566), capo dell’esercito che combatteva nel nome
di Cristiano II.
14
Tra l’altro Gustavo Vasa era cognato di Cristiano III, avendo essi sposato due
sorelle, rispettivamente Caterina (Katarina, 1513-1535) e Dorotea (Dorothea, 1511-1561)
di Sachsen-Lauenburg. È comunque evidente che l’intervento di Gustavo nella guerra
era dovuto essenzialmente a interessi politico-economici piuttosto che familiari.

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Una seconda rivoluzione religiosa 465

Il nuovo sovrano, che avrebbe governato la Danimarca fino al


1559, anno della morte, era un riformatore convinto e determinato
nel raggiungimento dei propri obiettivi. Il primo atto da lui compiu-
to (11-12 agosto 1536), appena preso possesso della sconfitta città
di Copenaghen, fu quello di far imprigionare i vescovi che lo ave-
vano osteggiato (accusandoli di essere la causa del disordine che
aveva regnato nel Paese) e di confiscare tutti i loro beni e possedi-
menti; con parte del ricavato furono coperte le spese della guerra.15
Questa decisione (per molti versi una sorta di ‘colpo di stato’) mutò
radicalmente gli equilibri di potere in Danimarca: se è vero che il
sovrano (tenendo certo in conto l’appoggio ricevuto nel corso
della guerra civile) concesse alla nobiltà di continuare a godere dei
suoi molti privilegi, è altrettanto vero che egli divenne a tutti gli
effetti capo della Chiesa danese, la cui amministrazione venne
affidata a funzionari statali,16 mentre il Consiglio del Regno era ora
composto solo da membri laici. Assai significativo fu anche che la
dieta riunita a Copenaghen nell’ottobre del 1536, per la quale
furono convocati rappresentanti delle diverse classi sociali danesi,
non prevedesse la presenza di ecclesiastici accanto agli esponenti
della nobiltà, della borghesia e del mondo contadino. A Cristiano
è del resto dovuta una prima introduzione del principio dell’ere-
ditarietà della Corona: dalle decisioni della medesima assemblea
risulta che se egli non poté stravolgere completamente l’antico e
consolidato principio della monarchia elettiva, riuscì tuttavia a
ottenere con un compromesso che suo figlio Federico fosse indi-
cato come successore al trono.17
Certamente questo re aveva nelle proprie mani un grande pote-
re e lo sfruttò abilmente per organizzare la vita religiosa secondo
i canoni della riforma luterana: l’Ordinanza per la riorganizzazione
della Chiesa danese in versione latina è datata 1537 (1539 quella
definitiva in volgare).18 Egli riuscì dunque ad asservirla totalmen-
15
Vd. Hassø A.G., “Bispernes Fængsling og Herredagen i København 1536”, in
KSam III (1939-1941), pp. 448-573; vd. anche “Kong Christian III’s Klageskrift mod
Danmarks Biskopper, oplæst paa Gammeltorv i Kjøbenhavn den 30te Oktober 1536”,
in Monumenta Historiæ Danicæ. Historiske Kildeskrifter og Bearbejdelser af Dansk
Historie især fra det 16 Aarhundrede. Udgivne af H. Rørdam, I, Kjøbenhavn 1873, pp.
133-256.
16
Inizialmente i vescovi furono sostituiti dai cosiddetti “sovrintendenti” (superin-
tendenter), un titolo che tuttavia sarebbe stato in seguito abolito. Va qui in ogni caso
rilevato che il significato originario del greco ἐπίσκοπος è, appunto, “ispettore”,
“custode”.
17
Vd. SGDL IV, pp. 157-171.
18
Ordinatio ecclesiastica (2 settembre 1537) e Den danske Kirke ordinans (14 giugno
1539). La redazione preliminare (1537) è in lingua danese: Det danske udkast til kirke-

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466 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

te allo Stato: gli antichi conventi vennero abbattuti o riconvertiti


ad altri usi (come nel caso di Sorø nella Selandia sud-occidentale
che sarebbe poi divenuto una celebre accademia),19 i monaci
(innanzi tutto quelli delle città) cacciati,20 le consuetudini tradizio-
nali del cattolicesimo (in particolare i riti sfarzosi, la venerazione
per i santi e per le immagini sacre, l’acquisto delle indulgenze, il
celibato ecclesiastico)21 furono eliminate e totalmente soppiantate
dalle regole della nuova dottrina nella quale furono istruiti i sacer-
doti, mentre anche gli alti ecclesiastici venivano ora – dovendo in
sostanza rispondere alla sola autorità del sovrano – scelti tra per-
sone di sua fiducia. Il legame secolare tra nobiltà e potere eccle-
siastico era spezzato. Già nel 1537 (nel medesimo giorno, il 2
settembre, in cui veniva formalmente proclamata la nuova ordi-
nanza) Johann Bugenhagen (1485-1558), stretto collaboratore di
Lutero e primo coordinatore della Chiesa danese riformata, con-
sacrava i primi sette vescovi luterani del Paese. Nel volgere di pochi
decenni le strutture portanti del cattolicesimo furono smantellate.
Il processo iniziato durante il regno di Federico I fu dunque por-
tato a compimento.

ordinansen. Una integrazione a queste disposizioni fu decretata il 4 maggio 1542 (vd.


DKL I, nr. 86, pp. 195-206), una serie di note esplicative furono pubblicate il 12 mag-
gio 1555 (vd. ibidem, nr. 462, pp. 460-471). Sull’argomento si veda l’esaustivo studio
di C.T. Engelstoft (“Kirke-Ordinantsens Historie, en Undersøgelse”, in KSam II
[1860-1862], pp. 1-110 e pp. 369-442).
19
Il convento cistercense di Sorø, fondato nel 1142 e riformato nel 1162 sotto gli
auspici dell’arcivescovo Absalon (su cui vd. p. 274 e p. 333) divenne di proprietà
della Corona dopo la riforma. A partire dal 1586 (per decreto reale del 31 maggio, le
indicazioni relative in DKL II, nr. 536, pp. 399-400) fu sede di un istituto di istruzione.
Su questa importante istituzione culturale danese vd. Academia Sorana. Kloster, aka-
demi, skole, udgivet af Soransk Samfund i anledning af dets 100 års dag, København
1962 e Sorø. Klostret, Skolen, Akademiet gennem Tiderne skrevet af gamle Soranere,
I-II, udgivet af Soransk Samfund, 1923-1931. Cfr. p. 391, nota 252, p. 570 con nota
176, p. 774, nota 408 e p. 884 con nota 90. In particolare sui primi decenni dopo la
riforma vd. Rørdam H. Fr., “Af Sorøs Historie i de første Aarhundrede efter Reforma-
tionen”, in KSam V (1887-1889), pp. 534-543.
20
In Danimarca conosciamo un breve testo in latino, composto intorno al 1530,
dal titolo Dell’espulsione dei frati minori [dai loro conventi in Danimarca] (De expul-
sione fratrum minorum). Basti leggere: “[…] la setta dei Luterani, agitata e rigonfia di
uno spirito diabolico e furibondo, venne al nostro monastero e lo circondò e tentò con
la violenza di entrare nel cenobio […] Tuttavia per la resistenza dei frati non ebbero
accesso all’interno del monastero; ragion per cui riversarono nelle orecchie dei frati
molti e innumerevoli urli e insulti, chiamandoli omicidi, malviventi, ladri, sanguisughe,
e così pure uccisori di anime ecc.” (DLO nr. 111).
21
In proposito va osservato che il matrimonio degli ecclesiastici veniva favorito e
considerato come segno tangibile dell’adesione alla nuova dottrina; cfr. p. 278 con nota
193.

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Una seconda rivoluzione religiosa 467

Nel contesto dello scontro fra cattolici e luterani emerge la figura


di Poul Helgesen, fiero avversario di Cristiano II. Si legga in proposi-
to il seguente brano tratto dalla sua cosiddetta Risposta a Hans Mikkelsen22
nella quale il riprovevole comportamento del re viene palesemente
ricondotto alla sua propensione verso la dottrina luterana che l’autore
definisce senza mezzi termini una vera e propria eresia che avvelena le
anime. Il tono di questa semplice ‘risposta’ ben evidenzia il clima di
veemente polemica politico-religiosa che segnò il periodo della
riforma:

“Se è vero che gli eretici sono spinti da Dio a trasporre le Sacre Scritture
e a proclamare una dottrina eretica, allora anche il re Cristiano è spinto da
Dio. Ma dal momento che tu23 hai reso nota la prima parte ti si dovrà dare
risposta. La prefazione di Lutero che egli [i.e. il re Cristiano II] ha fatto
tradurre dal Testamento in tedesco faccia sì che la sua concezione cristiana
sia riconosciuta come singolare. E chi è colui che non ride sinceramente,
allorché tu dal tuo cuore avvelenato ti rendi tanto ignobile e [lo] definisci
così amabilmente benevolo signore e sovrano di noi tutti? In che misura
egli è stato benevolo con te e con i farabutti a lungo noi [lo] abbiamo spe-
rimentato, ma la benevolenza che egli ci ha dimostrato, noi l’abbiamo
pagata piuttosto cara. Se egli userà nei confronti di altre persone quella
benevolenza che ha usato con noi, voglia Iddio che non diventi mai un uomo
probo o benigno. Ma quello che tu non puoi sostenere, [è una cosa] che abbia
il potere di cambiare nome a tutto [?]: tirannia, crudeltà, oppressione,
dominazione, vessazione, tassazione, assassinio e incendio tu [li] chiami
benevolenza e misericordia. Ma a te e ad altri suoi consiglieri, che hanno
corrotto il suo cuore regale, egli ha fatto una grande grazia, che non vi ha
castigato come traditori della sua patria con la morte24 e [la confisca] dei
beni. Ma nei confronti di uomini incolpevoli, donne e bambini innocenti
ha usato quella benevolenza che il lupo usa avere nei confronti dell’agnello,
come più oltre si tratterà nella prosecuzione di questa risposta, e quale
significato abbia questo medesimo libro, noi possiamo ben considerare, come
è stato detto, sebbene tu ci definisca [teste di] legno indurite e altro secondo
quanto ti garba.”25

22
Questa risposta è volta a confutare il contenuto di una lettera di Hans Mikkelsen
che accompagnava la pubblicazione (1524) del Nuovo Testamento fatto tradurre in
danese dal re Cristiano II; vd. pp. 516-517. In essa tra l’altro l’autore parificava i
nemici di Cristiano II ai nemici di Lutero.
23
Il riferimento è, ovviamente, a Hans Mikkelsen, al quale Poul Helgesen si rivolge
direttamente.
24
Per la precisione l’espressione wed hals (dove hals “collo”) fa riferimento all’ese-
cuzione di una condanna a morte per decapitazione.
25
Svar til Hans Mickelsen (DLO, nr. 112).

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468 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

8.1.2. Gustavo Vasa: sovranità civile e autorità religiosa

È facile comprendere come dopo il “bagno di sangue di Stoc-


colma” i sentimenti antidanesi fossero in Svezia largamente diffusi.
Già nel 1521 c’era stata una sollevazione popolare nella regione
della Dalecarlia, guidata da un giovane appartenente alla nobile
famiglia dei Vasa, Gustavo (1496-1560). Estesasi in breve tempo la
rivolta (nello stesso anno le sue truppe avevano raggiunto Stoccol-
ma), egli aveva ottenuto l’appoggio della nobiltà svedese e di Lubec-
ca, assai scontenta della politica di Cristiano II che favoriva il
commercio danese a scapito delle città tedesche. Quando si era
messo a capo dell’insurrezione Gustavo era reduce da diverse
peripezie e aveva motivazioni personali più che valide: nel 1518 era
stato preso in ostaggio dai Danesi; riuscito a fuggire aveva trovato
rifugio proprio a Lubecca, città nella quale i malumori contro la
politica di Cristiano II erano, come appena detto, tutt’altro che
mascherati. Successivamente, nonostante fosse braccato dai Dane-
si (che tra l’altro avevano ucciso suo padre durante il “bagno di
sangue di Stoccolma”) aveva poi raggiunto la Dalecarlia da dove
avrebbe preso il via la sua marcia verso il potere. Dichiarato reg-
gente a Vadstena nel 1521, egli fu capace di rafforzare la propria
posizione e – complice anche la difficile situazione interna della
Danimarca – nel 1523 fu proclamato sovrano degli Svedesi, por-
tando a compimento quello che era stato il sogno degli Sture.26
Certo i primi anni del regno di Gustavo non furono facili. Innan-
zi tutto egli dovette affrontare proprio l’ostilità e le trame degli
appartenenti alla famiglia Sture e dei loro seguaci che volevano
vedere sul trono di Svezia un discendente di Sten, o – addirittura
– auspicavano il ritorno di Cristiano II. A questo contesto si lega,
almeno in parte, una prima ribellione nella regione della Dalecar-
lia, fomentata da Peder Jakobsson Sunnanväder (nato presumibil-
mente nel 1508 o 1509), un tempo cancelliere di Sten Sture il
Giovane: egli era il vescovo di Västerås fatto deporre dalla sua
carica dal re; con lui l’arcidiacono Knut Mikaelsson (anch’egli
destituito), noto come Mäster (Magister) Knut (data di nascita
26
Vd. sopra, pp. 444-445. Nel quadro della propaganda antidanese il re Gustavo
Vasa commissionò nel 1524 il cosiddetto “pannello raffigurante il bagno di sangue”
(blodbadsplanschen) a due artisti di Anversa, Cort Steinkamp e Hans Kruse (di entram-
bi sono ignote le date). Essi realizzarono una incisione che però è andata perduta. Si
veda tuttavia Karling S., “Blodbadstavlan”, in Sankt Eriks Årsbok, 1977, pp. 25-50
dove si riportano anche le immagini di una copia riconducibile a Dionysius Padt-
Brugge (1628-1683). Gustavo Vasa fu dichiarato ufficialmente re di Svezia il 6 giugno:
quella data è stata scelta come festa nazionale svedese.

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Una seconda rivoluzione religiosa 469

ignota). Alla base della loro iniziativa stava certamente anche la


difesa della istituzione cattolica minacciata dalla politica di Gusta-
vo. Una iniziativa, comunque, sfortunata: dopo essere riparati in
Norvegia costoro furono rimandati in Svezia dove andarono incon-
tro a un processo per tradimento (fortemente condizionato) e alla
condanna a morte (1527). Una sorte accompagnata da pesanti
oltraggi e dall’esposizione al pubblico ludibrio cui entrambi furo-
no penosamente sottoposti.27 Con una politica abile ma soprattut-
to assolutamente determinata Gustavo ebbe dunque ragione degli
avversari. Così avvenne anche per un pretendente al trono che si
proclamava erede legittimo alla Corona di Svezia, sostenendo di
essere Nils figlio di Sten Sture nato nel 1512. La propaganda
reale si sforzò di identificarlo in un millantatore popolano, tale
Jöns Hansson originario di Björksta (Västmanland).28 Conosciuto
con l’appellativo di Daljunkern,29 costui comparve in Dalecarlia nel
1527 godendo dell’appoggio dei contadini (che in questa regione
avevano orgogliosamente mantenuto una certa autonomia) i qua-
li diedero vita a una insurrezione. Costretto dalla reazione del
sovrano a fuggire in Norvegia trovò sostegno presso il nobile
danese Vincenzo (Vincens) Lunge (ca.1486-1536), membro del
Consiglio del Regno norvegese30 la cui cognata gli fu promessa in
sposa. Egli poi organizzò una spedizione in terra svedese, conclu-
sasi tuttavia con un totale fallimento. Dovette quindi riparare in
27
L’ingresso infamante a Stoccolma dei due, fatti oggetto di insulti e derisione da
parte della gente, è raffigurato in un quadro (1879) del celebre pittore svedese Carl
Gustaf Hellqvist (vd. p. 1090) conservato nel Museo nazionale (Nationalmuseum di
Stoccolma). Allo stesso artista si deve un’altra opera (1875) che riproduce Gustavo
Vasa nell’atto di accusare il vescovo Peder Sunnanväder di fronte al capitolo del duo-
mo di Västerås (collezione privata). Vd. Stensson R., Peder Jakobsson Sunnanväder och
maktkampen i Sverige 1504-1527, Uppsala 1947 e Carlsson G., Peder Jakobsson
Sunnanväder, Lund 1949.
28
Nella Cronaca di Peder Swart (vd. p. 470 con nota 31) si legge: “Jens [...] pro-
clamò [d’essere] il giovane figlio di Ser Sten, si diede nome Nils Stenson [...] Disse che
poiché egli aveva diritto al trono dopo suo padre il Re Gustavo non lo poteva soppor-
tare, anzi non appena lo vedeva saltava su e metteva mano alla spada, e lo voleva
uccidere. E anche che il Re Gustavo aveva rigettato la fede Cristiana ed era diventato
un Luterano e un pagano” (DLO nr. 113); vd. Larsson 2002, pp. 149-163. Nell’opera
La Signora Inger di Østråt (Fru Inger til Østeraad, cfr. nota 71) Henrik Ibsen (vd. pp.
1077-1078) lo considera senz’altro figlio di Sten Sture.
29
Il termine junker (di derivazione tedesca) definiva nel medioevo un giovane
nobile che non era ancora divenuto cavaliere; successivamente passò a indicare una
persona di rango indipendentemente dall’età e, ancora, un appartenente alla bassa
nobiltà, soprattutto nelle campagne. Daljunkern vale dunque “Junker di Dalecarlia”.
Vd. Lindberg 1942.
30
Su di lui vd. oltre, p. 480 con nota 71. Presso Olav e Vincenzo Lunge avevano
trovato rifugio precedentemente Peder Sunnanväder e Knut Mikaelsson.

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470 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

Germania, dove venne infine giustiziato a Rostock su sollecitazio-


ne di Gustavo Vasa (1528).

Desideroso di sostenere il proprio potere ammantandolo di un alone


quasi leggendario, il re Gustavo Vasa si preoccupò anche di mantenere uno
stretto controllo su quanto veniva scritto su di lui. Per questo motivo diede
incarico al vescovo e letterato Peder Swart di redigere una cronaca relativa
alle vicende della sua vita.31 Si riporta qui la descrizione di un celebre epi-
sodio avvenuto nel difficile inverno 1520-1521, quando Gustavo, inseguito
dai Danesi, sfuggì loro in diverse occasioni in circostanze rocambolesche.
In particolare il testo fa qui riferimento alla fuga di Gustavo da Mora, dove
egli aveva inutilmente tentato di incitare il popolo alla rivolta.32 È detto che
dopo la sua partenza gli abitanti di Mora ebbero conferma del brutale
comportamento del re Cristiano II e si pentirono di non aver dato ascolto
al giovane rivoltoso; mandarono dunque sulle sue tracce i migliori sciatori
che c’erano fra loro. Costoro lo raggiunsero presso Sälen, convincendolo a
tornare indietro per dare inizio alla lotta contro Cristiano. Da questo epi-
sodio il giornalista Anders Pers (1860-1951) trasse nel 1922 l’idea di una
corsa sugli sci che ripetesse il medesimo percorso: è quella assai celebre
nota come Vasaloppet (letteralmente “corsa di Vasa”).33

“Una settimana dopo Lasse Olson giunse a Mora e poté dare informazio-
ni più dettagliate sulle azioni del re Cristiano, come egli pensasse di percor-

31
Peder Andersson Swart (latinizzato in Peder Andreæ Niger) fu cappellano di
corte presso il re Gustavo Vasa e successivamente vescovo di Västerås, dove morì nel
1562. La cronaca relativa a Gustavo Vasa (per altro non pubblicata) si interrompe, per
ragioni ignote, al 1534. Essa fu poi completata dal nipote di Gustavo, Per Brahe il
Vecchio (den äldre, 1520-1590) che redasse una Storia del benedetto e altamente lode-
vole Re Gustavo (Salig och Höglofflig Konungh Giöstaffz Historia, nella quale il sovra-
no viene dipinto come un uomo di corte ricco di doti fisiche e morali: ma qui il
modello parrebbe essere il cortigiano così come descritto da Baldassarre Castiglione
(1478-1529). Su Per Brahe vd. Eriksson B., I skuggan av tronen. En biografi över Per
Brahe den äldre, Stockholm 2009.
32
Riferiti a questo fatto sono un quadro del 1836 del pittore svedese Johan Gustav
Sandberg (vd. p. 926), conservato al Museo nazionale (Nationalmuseum) di Stoccolma,
e uno del 1841 del norvegese Adolph Tidemand (vd. p. 937 e pp. 1091-1092), che si
trova in Germania presso la Stiftung Sammlung Volmer di Wuppertal: entrambi mostra-
no Gustavo Vasa mentre arringa gli abitanti della Dalecarlia. Un’altra immagine è
affrescata (ancora da Johan Gustav Sandberg) all’interno della cattedrale di Uppsala,
dove, sulle pareti della cappella restrostante l’altare in cui è collocata la sontuosa
sepoltura del sovrano (con accanto le due mogli), sono raffigurate diverse scene che
illustrano gli episodi più significativi della vita del re.
33
Si veda il suo articolo (“Ett nationellt skidlopp”) del 10 febbraio di quell’anno
comparso sul Vestmanlands Läns Tidning, p. 3 (cfr. ibidem, “Vasaloppet”, 8 maggio
1922, p. 3).

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Una seconda rivoluzione religiosa 471

rere la sua Eriksgata34 nel Paese, e avesse ordinato di innalzare delle forche
presso la sede di ogni funzionario governativo delle zone rurali; e anche che
dovevano attendersi presto una lettera a riguardo d’una tassa straordinaria
per l’accoglienza che per questo doveva essere fatta. Allora alcuni fra loro
mormorarono, dicendo: Buon Dio, mi pento [ben più di] una volta che noi
abbiamo respinto Gustavo Eriksson. Lasse Olson domandò insistentemen-
te sue notizie, e quando ebbe saputo in quale direzione era partito, li consi-
gliò seriamente di richiamarlo indietro. Poiché (egli disse) voi brava gente
adesso avete proprio bisogno di quell’uomo, nella misura in cui voi abitan-
ti della Dalecarlia e di tutta la Svezia non volete essere semplicemente
distrutti e annientati.
Poco dopo giunse là un nobile di nome Inge Mikelson di Nederby in
Trögden, egli aveva informazioni ancora più dettagliate al riguardo e riferì
nei particolari tutte le crudeltà che il Re Cristiano aveva commesso a Stoc-
colma e durante il percorso per uscire dal Paese, ciò descrisse in modo cir-
costanziato agli abitanti della Dalecarlia sicché a loro vennero le lacrime agli
occhi. Disse loro anche così, che nel Paese c’erano parecchi uomini di corte
svedesi che si erano dati alla macchia, che mai si erano piegati al governo
danese, né mai lo avrebbero fatto, ma si sarebbero liberati e avrebbero
difeso la loro vita tanto a lungo quanto avrebbero potuto, il che egli disse di
voler fare, e disse quanto il governo danese sarebbe stato oppressivo per gli
Svedesi, poiché essi [i Danesi] non risparmiavano certo il sangue svedese e
gioivano nel vedere che molte forche dondolavano cariche di corpi svedesi.
Gli abitanti della Dalecarlia ebbero ora grande timore che Gustavo
stesse per essere condotto oltre le montagne in Norvegia, [così] fecero
secondo il consiglio di Lasse Olson e di Inge Mikelson, e inviarono un tale
Engelbrekt con alcuni altri sciatori, i quali procedettero notte e giorno
attraverso i boschi con quel medesimo incarico e trovarono Gustavo lassù a
Lima.35 Essi resero noto subito il loro incarico chiedendogli per amor di Dio
di voler tornare indietro, venendo loro in aiuto e soccorso; essi ora non solo
volevano tutti garantirgli fedeltà, devozione, uomini in armi e ubbidienza,
ma anche mettere a repentaglio e in gioco insieme a lui vita e sangue. Allo-
ra li seguì indietro fino a Mora.”36

Ma i problemi del sovrano non venivano soltanto da coloro che


volevano spodestarlo. Fin dall’epoca di Sten Sture la Chiesa sve-
dese si era trovata in duro contrasto con il potere reale, contrasto
destinato ora ad acuirsi. Le alte gerarchie ecclesiastiche non vede-
34
Vd. p. 129 con nota 112.
35
Località che si trova, appunto, nel comune di Malung-Sälen.
36
DLO nr. 114. Le ‘avventure’ di Gustavo Vasa nella regione di Dalecarlia acqui-
sirono presto carattere leggendario; sulle fonti relative vd. Samuelsson S., Källorna för
Gustaf Vasas äfventyr i Dalarna, Uppsala 1908.

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472 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

vano certo di buon occhio il diffondersi, per quanto ancora limi-


tato, delle idee luterane, né il desiderio del re di accentrare ogni
forma di potere. Gustavo Vasa dal canto suo comprese immedia-
tamente – da quell’abile politico che era – come le cospicue ric-
chezze accumulate dalla Chiesa cattolica avrebbero potuto facil-
mente liberarlo dai debiti che aveva contratto per la campagna
contro i Danesi e come, al contempo, una Chiesa indebolita eco-
nomicamente non avrebbe avuto la forza per contrastare i suoi
piani. Per la verità in Svezia non era affatto diffuso (come era il
caso innanzi tutto delle città danesi) un eccessivo malcontento nei
confronti del clero cattolico. Al contrario: mentre la popolazione
rurale mostrava un notevole fastidio verso i cambiamenti che con-
vinti predicatori cercavano di introdurre in ambito religioso, anche
innovazioni come l’introduzione della lingua svedese nelle funzio-
ni religiose non dovevano trovare totale consenso.37 È verosimile
piuttosto che la dottrina di Lutero avesse i propri sostenitori soprat-
tutto fra gli abitanti tedeschi di alcune città. L’ostilità dei contadini
indusse naturalmente gli ecclesiastici ad appoggiare i tentativi di
ribellione contro Gustavo. Si scatenò, in sostanza, una guerra (per
quanto non dichiarata) contro il re. Gustavo era determinato e
senza scrupoli e non intendeva certamente rinunciare al potere.
Colse dunque senza esitazione l’opportunità irrinunciabile offerta
dalla riforma per rafforzare la Corona a scapito della Chiesa e
sanare al contempo la pessima situazione finanziaria in cui versava
il Paese: semplicemente espropriò gli ecclesiastici di tutti i loro
(sostanziosi) beni. Seppure le motivazioni ideologiche gli fossero
fornite da ferventi sostenitori della dottrina luterana – tra tutti
l’arcidiacono di Uppsala e poi cancelliere reale Laurentius Andreæ
(Lars Andersson; nato nei primi anni ’70 del XV secolo, morto nel
1552) e Olaus (Olavus) Petri (Olof Persson/Petterson, 1493-1552),
anch’egli cancelliere reale –38 il sovrano guardava ben al di là delle
questioni teologiche di principio che utilizzava al bisogno solo come
utili pretesti.39
Nel 1527 fu convocata una dieta a Västerås, nella quale si sareb-
37
A Stoccolma dove nel 1524 Olaus Petri (su cui vd. poco oltre) aveva cominciato
a predicare il luteranesimo, nel 1525 vennero per la prima volta celebrati riti in svede-
se. Ma si deve tener conto che in questa città la presenza di tedeschi era consistente.
38
Su di loro vd. oltre, pp. 500-501.
39
Nel 1524, a esempio in risposta alle lamentele presentate dall’importante con-
vento di Vadstena, era stata inviata una lettera (redatta proprio da Laurentius Andreæ)
nella quale si sosteneva il principio che i beni della Chiesa dovevano essere di proprie-
tà del popolo, dal momento che essa rappresentava la comunità dei credenti (HSH
XVII, Stockholm 1832, pp. 205-213).

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Una seconda rivoluzione religiosa 473

be dovuto discutere della difficile situazione in cui si trovava il


Regno, tra l’altro minacciato dal rivoltoso noto come Daljunkern.
Questa assemblea avrebbe sancito un cambiamento epocale per la
Chiesa svedese.40 Gustavo vi tenne un celebre discorso (eccellenti
erano le sue qualità oratorie),41 dichiarandosi disposto a lasciare il
potere se altri fossero stati in grado di risolvere le complesse que-
stioni che si dovevano affrontare. Abilmente sottolineò che la
Chiesa non avrebbe potuto sottrarsi al preciso dovere di venire
incontro alle necessità del Paese e – al contempo – che la Corona
non poteva soddisfare le giustificate richieste dei nobili, i cui beni
del resto erano in gran parte finiti nella disponibilità degli ecclesia-
stici. Riuscì in tal modo a portare dalla propria parte la nobiltà che
sperava di riappropriarsi di molti possedimenti e riguadagnare
ricchezza e prestigio. La conclusione (appoggiata dai diversi stati,
fatta naturalmente eccezione per i rappresentanti del clero) fu che
si diede il via alla confisca dei beni della Chiesa che non ebbe la
forza né la possibilità di opporsi. Anche perché Gustavo aveva
abilmente fatto sì che il suo legame con Roma, un tempo saldo,
venisse allentato. Nel testo che recepiva le decisioni assunte (il
cosiddetto Västerås recess)42 si parlava, naturalmente, di alienazio-
ne di beni superflui e di un’azione (anche di carattere fiscale)
regolamentata: in realtà fu dato l’avvio a una vera e propria spolia-
zione che non risparmiò neppure le piccole parrocchie. Inoltre il
sovrano veniva nominato capo della Chiesa. In seguito a tutto
questo il principale avversario cattolico del re, il vescovo di Lin-
köping Hans Brask (1464-1538) partì per un esilio volontario in
Polonia.43
40
Vd. Hjärne H., Reformationsriksdagen i Västerås (Svenska spörsmål, VII), 1893;
Tunberg S., “Västerås riksdag (1527). Några kritiska anmärkningar”, in UUÅ, 1915,
pp. 1-65 e Weibull L., “Västerås riksdag”, in Scandia, X (1937), pp. 76-128.
41
L’abilità del sovrano nell’uso dello strumento linguistico per finalità politiche
appare del resto in modo assai chiaro anche dalle sue lettere, nella cui prosa si fondo-
no con grande efficacia qualità come realismo, buonsenso, chiara visione delle cose,
coerenza dell’argomentare ma anche autocelebrazione e ironia. Una scelta di queste
lettere è stata pubblicata da Nils Edén (Brev av Gustav Vasa. Ett urval av N. Edén,
Stockholm 1917).
42
Västerås recess (22-24 giugno 1527) in KGFR IV (1868), pp. 200-215. Di poco
successiva è la cosiddetta Västerås ordinantia (25-27 giugno 1527) che segna chiara-
mente l’affermazione del potere dello Stato sulla Chiesa (ibidem, pp. 214-243 e pp.
244-247: rispettivamente versione in svedese e in latino).
43
Fin dal 1522, pronunciando una solenne minaccia di scomunica nei confronti di chi
avesse aderito alla nuova fede, costui si era presentato come il più fiero avversario del
luteranesimo in Svezia. In seguito il re Gustavo Vasa gli aveva tra l’altro confiscato la
stamperia fondata a Söderköping; su di lui vd. Stobaeus P., Hans Brask. En senmedeltida
biskop och hans tankevärld, Skellefteå 2008. I ‘meriti religiosi’ di Gustavo Vasa sono

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474 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

Le statuizioni assunte nella dieta di Västerås rappresentano un


momento decisivo per la realizzazione del grande progetto di Gusta-
vo: costituire uno stato stabile concentrando saldamente il potere
nelle proprie mani. La sconfitta successivamente inflitta ai sosteni-
tori del rivoltoso Daljunkern (eliminati senza troppi scrupoli) ha il
medesimo significato. Ma le chiare tendenze accentratrici del re,
così come la sua disinvolta politica nei confronti della Chiesa dove-
vano ancora procurargli dei problemi. Innanzi tutto i tumulti con-
tadini scoppiati nel 1529 soprattutto nelle regioni di Västergötland
e di Småland e da lui repressi con estrema durezza. Successiva-
mente, ancora, una nuova rivolta in Dalecarlia, nota come la
“rivolta delle campane”: nel 1530 infatti, seguendo l’esempio
danese, il re aveva ordinato che una campana per ogni chiesa
fosse ceduta per incrementare le finanze dello Stato.44 Anche
questa volta la reazione di Gustavo fu spietata e non risparmiò
antichi alleati.
A differenza di Cristiano III, monarca determinato ma allo
stesso tempo convinto seguace di Lutero, Gustavo guardava alla
riforma principalmente dalla prospettiva dei possibili vantaggi
politici, tenendo innanzi tutto ben presente il progetto di creazio-
ne di uno stato centralizzato e ben organizzato sotto diretta e
costante supervisione, non volendo che alcun tipo di potere sfug-
gisse al suo stretto controllo. Una prima conseguenza di questo
fatto fu che – a differenza di quella danese – la Chiesa riformata
svedese non trovò subito una precisa strutturazione. La sua cre-
scita si basò piuttosto sull’iniziativa dei riformatori, ai quali il
sovrano lasciava una certa libertà. Fu così che Olaus Petri si dedi-
cò alla stesura di un manuale destinato a coloro che dovevano

celebrati da Andreas Johannis Prytz (che già aveva lodato l’impegno cristiano del re
Olof Skötkonung, cfr. p. 242, nota 73) nell’opera teatrale in versi dal titolo Una piace-
vole commedia, sul potente re della Svezia, dei Goti, dei Vendi etc. Re Gustavo I, in qual
modo egli venne elevato al governo della Svezia, quando ebbe scacciato dal Paese, re
Cristiano il Tiranno, e in che modo per grazia di Dio salvò la Svezia dalle tenebre e dagli
errori del Papa, e introdusse l’autentica luce del Vangelo che il Papa a lungo aveva sot-
tratto (En Lustigh Comoedia, Om then Stormechtige Sweriges, Göthes, Wendes Konung
etc. Konung Gustaf Then Första, Huru han til Regementet i Swerige bleff vphögd, tå han
Konung Christiern Tyrann, af landet vthdriffuit hadhe, oc huru han genom Gudz nådh
vprättade Swerige ifrån Påfwens mörcker och wilfarelse, och införde Ewangelij reena
liws thet Påfwen länge bortröfwat hadhe, 1622).
44
Vd. KGFR VII (1877), pp. 12-13 (6 gennaio 1530); cfr. ibidem, pp. 96-98 (20
maggio 1530) e pp. 107-108 (27 maggio e 3 giugno 1530). La “rivolta delle campane”
fu definitivamente soffocata nel 1533; vd. Hildeman K-I., ”Klockupproret”, in SHT
LXVI (1946), pp. 1-35.

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Una seconda rivoluzione religiosa 475

predicare la nuova dottrina.45 Nel 1536 un nuovo sinodo, tenuto a


Uppsala, eliminava definitivamente consuetudini cattoliche come
la messa in latino e l’obbligo del celibato e si può affermare che nel
decennio che va dal 1530 al 1540 la Chiesa cattolica sia stata sostan-
zialmente sconfitta. Del resto l’arcivescovo cattolico svedese, Johan-
nes Magnus (Jöns Månsson, 1488-1544), che pure era stato a suo
tempo (1523) nominato proprio da Gustavo, aveva definitivamen-
te scelto l’esilio, quando inviato all’estero in missione diplomatica
(1526) aveva deciso di non fare ritorno in patria recandosi in Italia,
dove sarebbe vissuto fino alla morte.46 Al suo posto sarebbe stato
nominato (1531) Laurentius Petri (Lars Persson/Pettersson,
1499-1573) fratello di Olaus, che fu dunque il primo arcivescovo
luterano del Paese. Ma che la condiscendenza del re nei confronti
del nuovo clero avesse limiti ben precisi è chiaramente dimostrato
dalla sua decisione di mettere sotto accusa Olaus Petri e Laurentius
Andreæ che nel 1540 vennero, addirittura, condannati a morte:
vittime, assai verosimilmente, del timore di Gustavo di vedersi
sfuggire di mano il controllo della sfera ecclesiastica. E se in segui-
to i due furono graziati, il risultato fu comunque che la Chiesa
venne completamente sottomessa allo Stato.47 Un obiettivo per il
cui raggiungimento il sovrano si avvalse della collaborazione del
tedesco Georg Norman (morto nel 1553), che era giunto in Svezia
nel 1539 raccomandato personalmente da Lutero e Melantone
(Philipp Melanchthon, 1497-1560).
Il re si era infatti circondato di consiglieri tedeschi e la sua atti-
vità di rinnovamento del Paese procedeva. E tuttavia ancora una
volta egli avrebbe dovuto affrontare una rivolta legata al conserva-
torismo dei contadini: questa rivolta (la più estesa nella storia scan-

45
Un utile insegnamento tratto dalle [Sacre] Scritture sulla caduta dell’essere umano
e su come Dio di nuovo lo salvò (Een nyttwgh wnderwijsning wthwr scrifftenne om
menniskiones fall, och hwrwledhes gwdh henne wprettadhe jghen). Si tratta del primo
scritto luterano svedese. L’attribuzione di questo testo a Olaus Petri non è tuttavia
certa. Sui primi scritti svedesi relativi alla riforma protestante vd. Steffen R., “Våra
första reformationsskrifter och deras författare”, in Samlaren, nr. straordinario, 1893,
pp. 5-61.
46
Sulla sua opera vd. oltre, pp. 535-536.
47
Vd. Almquist J-R., “Dödsdomen över Olaus Petri den 2 januari 1540. Nya syn-
punkter på ett gammalt problem”, in Festskrift tillägnad professor, juris och filosofie
doktor Nils Stjernberg vid hans avgång från professorämbetet den 1 september 1940 av
Stockholms högskolas juridiska och humanistiska fakulteter, Stockholm 1940, pp. 29-50.
Il rapporto tra Olaus Petri e Gustavo Vasa ha fornito l’ispirazione all’opera (in diver-
se versioni) Maestro Olof (Mäster Olof, la cui prima stesura è del 1872) scritta da August
Strindberg (vd. pp. 1082-1083).

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476 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

dinava) va sotto il nome di Dackefejden “guerra di Dacke”:48 essa


ebbe origine dalla regione di Småland nel giugno del 1542 e
si estese all’isola di Öland e ad alcuni territori dell’Östergötland
e del Västergötland. Nonostante gli insorti conseguissero qualche
successo, anche importante (come il ripristino della tradizione
cattolica nei territori sui quali essi avevano ottenuto giurisdizione),
in capo a due anni essa fu sostanzialmente domata.49 Fu questo
l’ultimo rilevante conflitto scatenato contro il potere centrale da
tensioni di carattere regionalistico. Da questo momento in poi e
fino alla morte (1560) Gustavo Vasa avrebbe potuto dedicarsi alla
completa realizzazione del suo progetto di uno Stato potente e ben
amministrato,50 ottenendo tra l’altro una riforma sostanziale dell’or-
dinamento del Regno: l’introduzione del principio di ereditarietà
della Corona, sancito dalla dieta di Västerås nel 1544.51 Il governo
fortemente accentratore di Gustavo Vasa (interessato a tutti gli
aspetti della vita politica e sociale) aveva fatto della Svezia un Pae-
se ben organizzato e in crescita,52 che presto avrebbe svolto un
ruolo di grande rilievo sulla scena europea. Ciò naturalmente
aveva avuto ripercussioni anche sulle diverse componenti della
società e, di riflesso, sul loro peso politico. A parte l’esemplare caso
della Chiesa, ridotta, come si è visto, a un condiscendente strumen-
48
Il riferimento è al capo dei rivoltosi, tale Nils Dacke di Torsås (ca.1510-1543).
49
Nils Dacke fu circondato e ucciso a Rödeby nel Blekinge. Dopo la sua morte gli
uomini del re procedettero con grande durezza: i suoi seguaci furono giustiziati o
deportati, i distretti che lo avevano sostenuto depredati e i contadini condannati a
pagare pesanti multe collettive. Per diversi anni tuttavia si mantennero alcuni focolai
di ribellione. Vd. Åberg 1960, Hellström 1999, Larsson 1992 e Alvemo 2006. Dopo
la guerra di Dacke si concluse il periodo di grande influenza dei consiglieri tedeschi
alla corte svedese (1539-1544), il che è simbolicamente rappresentato dall’imprigiona-
mento (per ragioni non del tutto chiarite) del potente Corrado (Conrad) von Pyhy
(morto nel 1553), cancelliere dal 1538, che fino ad allora era stato una delle figure di
maggior prestigio tra quanti erano più vicini al sovrano.
50
Significativamente l’affermazione della piena autorità del re venne sancita anche
dalla costituzione di un corpo di fanteria a disposizione della Corona.
51
Vd. SRA I: i, nr. 163, 13 gennaio 1544, pp. 378-390. I figli del sovrano vengono
dichiarati “[…] legittimi e prossimi eredi della Corona e del regno di Svezia […]”
(“[…] rätte och neste Sveriges crones och rikes ärfvinger […]”; la citazione da p. 383).
Sui presupposti di questa decisione vd. Hildebrand K.G., “Gustaf Vasas arvförening.
Dess medeltida bakgrund och förutsättningar”, in SHT LIV (1934), pp. 129-166.
52
Da rilevare in questo contesto l’insistenza con cui il sovrano invitava i sudditi a
spingersi verso le zone incolte di Norrland e della Finlandia, il che avrebbe da una
parte consentito di aumentare la produzione agricola e, dall’altra, di sottomettere al
controllo centrale nuovi territori, fino ad allora rimasti sostanzialmente nella disponi-
bilità delle popolazioni semi-nomadi di etnia sami. Del resto nelle zone più settentrio-
nali mancava ancora una precisa e riconosciuta delimitazione dei confini tra Norvegia,
Svezia, Finlandia e Russia.

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Una seconda rivoluzione religiosa 477

to al servizio della Corona, anche la nobiltà aveva subito un note-


vole ridimensionamento, mentre i contadini avevano dovuto impa-
rare a disciplinarsi secondo rigide regole volute dal sovrano in
persona.53
Erik XIV (1533-1577), figlio primogenito di Gustavo Vasa e a
lui succeduto, è certamente una figura complessa. Dotato di note-
voli qualità intellettuali e di acume politico era tuttavia psichica-
mente instabile, una condizione che andò peggiorando negli ultimi
anni del suo regno inducendolo tra l’altro ad azioni sconsiderate
dettate da comportamenti irosi e tirannici. Nella sua vicenda e
nelle sue decisioni ebbe un ruolo decisivo il consigliere Jöran Pers-
son (ca.1530-1568) giustiziato quando Erik fu destituito dai fratel-
li. A Erik si deve, per altro, l’avvio d’una importante politica espan-
sionistica che anticipava quella che avrebbe successivamente
caratterizzato la “grande potenza” svedese.54 Questo re tentò di
contrarre matrimonio con Elisabetta I di Inghilterra (il che gli
avrebbe garantito un’importante posizione sull’area del Mare del
Nord), ma fu respinto; in seguito cercò di sposare altre nobildonne
(tra cui Maria Stuarda) a fini evidentemente politici. Suscitando il
forte disappunto degli ambienti della corte e della nobiltà prese
poi in moglie (segretamente nel 1567 e ufficialmente nel 1568) una
ragazza di modesta condizione, Karin Månsdotter (1550-1612) che
divenuta regina avrebbe assunto il nome di Katarina. Rovesciato
dal trono dai fratelli, alleati con gran parte della nobiltà, trascorse
in prigionia gli ultimi anni della vita.55
53
Sulla figura di questo re è incentrato il dramma di August Strindberg (vd. pp.
1082-1083) Gustav Vasa del 1899. Vd. anche p. 833, nota 696.
54
Vd. oltre 9.1.2.
55
Karin Månsdotter condivise con lui questa condizione fino al 1573 quando per
ordine del re Giovanni III fu trasferita nel castello di Åbo (venne liberata nel 1577
dopo la morte di Erik). Su di lei si rimanda, in particolare, ad Ahlquist A.G., Karin
Månsdotter. En monografi, Stockholm 1874, ma soprattutto ad Arnell S., Karin Måns-
dotter. Tolv kapitel om en drottning och hennes tid, Stockholm 1951. La storia d’amo-
re tra il re Erik e Karin Månsdotter ha ispirato opere teatrali come Karin Månsdotter,
dramma in 5 atti (Karin Månsdotter, skådespel i 5 akter), di Adolf Paul (1863-1943) del
1899; la figura di questa donna riveste un ruolo anche nel dramma Erik XIV di Bengt
Lidner (vd. p. 842), così come in quello dal medesimo titolo di August Strindberg (vd.
pp. 1082-1083) del 1899. A quest’ultima opera è ispirato il film del regista Alf Sjöberg
(vd. p. 1193), Karin Månsdotter (1954). La regina ‘figlia del popolo’ è anche la prota-
gonista di alcuni romanzi storici: Catharina Månsdotter. Historisk roman (1848) di
Wilhelmina Stålberg (1803-1872); Kaarina Maununtytär. Historiallinen romaani (1942)
dello scrittore finlandese Mika Waltari (vd. p. 1376); Karin Måns dåter (1992) di Anna
Sparre (1906-1993). La coppia reale è riprodotta in un celebre dipinto del 1871 ese-
guito da Georg von Rosen (vd. pp. 1090-1091) e conservato al Museo nazionale
(Nationalmuseum) di Stoccolma. Da Karin Erik ebbe un figlio, Gustavo (1588-1607)

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478 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

L’assemblea di Västerås del 1544 aveva anche dichiarato la Sve-


zia un Paese luterano. E tuttavia la situazione della Chiesa era
tutt’altro che definita. Ciò appare evidente dal fatto che uno statu-
to ecclesiastico predisposto da Laurentius Petri avrebbe ottenuto
l’approvazione regia solo nel 1571.56 Ma se questo documento
regolava le questioni formali e amministrative, l’aspetto più pro-
priamente teologico non era ancora stato chiaramente precisato: in
sostanza ci si era sempre semplicemente richiamati alla necessità
di predicare correttamente la parola del Vangelo basandosi unica-
mente sulle Sacre Scritture. Questa ambiguità risultò evidente
proprio durante il regno di Giovanni (Johan) III (1537-1592), figlio
di Gustavo succeduto nel 1568 al fratellastro Erik, che lui stesso
– a quanto pare – avrebbe poi fatto avvelenare. Nel quadro delle
lotte per il predominio sul Baltico Giovanni, che aveva sposato
(1562) la principessa polacca Caterina Jagellona (Katarzyna
Jagiellonka, 1526-1583), mirava a una unione tra la Svezia e la
Polonia, Paese di lunga e consolidata tradizione cattolica: per que-
sto motivo aveva cercato di riavvicinare la Chiesa riformata all’an-
tica dottrina. Il che si rileva dalla sua Nova Ordinantia Ecclesiastica
(1575)57 e dal cosiddetto Libro rosso (Röda boken) sulla liturgia
(1576) che mostrano una chiara tendenza controriformatrice.58
Ancora una volta ragioni politiche alla base di scelte religiose. La
situazione si rovesciava qualche anno dopo la sua morte, quando
(1599) l’erede Sigismondo (Sigismund, 1566-1632), re di Polonia
dal 1587 e di Svezia dal 1592 venne in pratica detronizzato dallo
zio, il potentissimo Carlo (Karl, 1550-1611), figlio minore di Gusta-
vo Vasa e duca di Södermanland,59 attorno al quale si erano raccol-
che a motivo delle sventure politiche del padre e della condizione sociale della madre
ebbe un infelice destino (vd. Larsdotter A. – Olsson K., “Kungasonen som dog i
armod”, in PH 1993: 6, pp. 20-22); su Erik XIV vd. anche Harrison D., “Bildad &
grym” (PH 2010: 12, pp. 18-28, al cui interno [p. 25] si trova “Svårt att avgöra om Erik
XIV var sjuk” del medesimo autore).
56
Vd. Den svenska kyrkoordningen 1571. Una precedente versione manoscritta
dello stesso Laurentius Petri (1561) è edita in Laurentii Petri Handskrifna Kyrkoordning
af År 1561 af O. Ahnfelt, LUÅ XXIX, pp. 1-40, Lund 1894.
57
Distribuita in copie ed edita per la prima volta solo nel 1872. Su questo testo e
sulle sue implicazioni politiche vd. Persson R., Johan III och Nova Ordinantia, Göteborg
1973 e anche Hammargren J.A., Om den liturgiska striden under konung Johan III,
Uppsala 1898.
58
E tuttavia è noto che Giovanni (che perseguiva piuttosto una riconciliazione fra
le chiese) si trovò in disaccordo con il Papa su diversi punti, in particolare sull’obbligo
del celibato per i sacerdoti. Su Giovanni III si rimanda a Ericson Wolke L., Johan III.
En biografi, Lund 2006.
59
Oltre al ducato di Södermanland Carlo aveva autorità anche su gran parte di
Närke e su altri territori in Värmland e Västergötland.

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Una seconda rivoluzione religiosa 479

ti i principali esponenti del luteranesimo svedese, avversi alla poli-


tica filo-cattolica di Giovanni e all’unione con la Polonia. Nel 1593
un sinodo riunito a Uppsala su sua iniziativa sanciva solennemen-
te la piena adesione del Paese al credo luterano, facendo inequivo-
cabile riferimento alla cosiddetta “Confessione di Augusta”.60
Sebbene contrario, il re Sigismondo fu costretto a sottoscrivere
questo documento.

8.1.3. Un’occasione perduta per l’indipendenza

Nel 1450, come è stato detto,61 la Norvegia veniva ceduta al re


Cristiano I di Danimarca. Formalmente si trattava dell’unione di due
regni che avrebbero dovuto mantenere pari dignità: in realtà il potere
danese sul Paese fu progressivamente consolidato e né malumori né
richieste non soddisfatte dei Norvegesi poterono scalfirlo. La Norve-
gia fu dunque di seguito assoggettata al figlio di Cristiano I, Giovanni,
e successivamente a Cristiano II.62 La debolezza (non da ultimo nume-
rica) della nobiltà e gli interessi dei diversi membri del Consiglio del
Regno favorivano questo stato di cose. Del resto in Norvegia anche la
classe borghese (che pure si andava formando) restava divisa in pic-
coli gruppi e soffocata dal potere dei commercianti anseatici.
Quando, nel corso degli anni ’20 del XVI secolo, il luteranesimo
cominciò a farsi strada nei Paesi nordici, in Norvegia l’accoglienza
della nuova dottrina restò limitata a cerchie assai ristrette. Absalon
Pederssøn Beyer63 riferisce di un monaco proveniente dalla Ger-
mania, tale Antonio (Antonius)64 che predicava a Bergen, dove – lo
si ricordi – era consistente la presenza di cittadini tedeschi.65 Ciò

60
La “Confessione di Augusta” (Confessio augustana) è il testo presentato nel 1530
alla dieta di Augusta (Augsburg) nel quale sono contenuti i princìpi fondamentali del
luteranesimo.
61
Vd. p. 444.
62
Negli anni 1501-1502 in particolare c’era stato uno sfortunato tentativo di ribel-
lione nei confronti del re Giovanni, capitanato dal nobile Knut Alvsson (1455-1502)
che sarebbe rimasto ucciso. È tuttavia difficile determinare in quale misura esso fosse
ispirato dalla causa dell’indipendenza dai Danesi piuttosto che dalle ambizioni perso-
nali del suo promotore.
63
Su cui vd. oltre, pp. 508-509 e p. 593. La fonte cui qui si fa riferimento è l’Ora-
zione per Maestro Geble (Oration om Mester Geble, 1571) dedicata al primo vescovo
luterano di Norvegia (vd. p. 483), p. 26 e p. 55, nota 1.
64
Di lui si sa molto poco. La data di nascita resta ignota, la morte è certamente
successiva al 1537. Come la gran parte degli aderenti alla dottrina luterana aveva
contratto matrimonio (con una donna di nome Anna).
65
Cfr. pp. 377-378.

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480 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

doveva avvenire nel 1526 (al più tardi nel 1528). Nello stesso perio-
do abbiamo notizia dell’arrivo di ecclesiastici dalla Germania che
cominciarono (comportandosi anche con una certa arroganza) a
diffondere la dottrina luterana.66 Ma al di fuori di questo ambito e
di quello della famiglia del consigliere del Regno Vincenzo Lunge,
le idee riformiste non trovarono un vero seguito.67 Contro di esse
vi fu comunque una decisa reazione, capeggiata dall’arcivescovo di
Nidaros,68 Olav Engelbrektsson (ca.1480-1538), nella quale motivi
religiosi si intrecciarono (ancora una volta!) con precisi scopi poli-
tici. Olav Engelbrektsson, formatosi a Rostock secondo i canoni di
una rigida teologia cattolica,69 era stato nominato capo della Chie-
sa norvegese nel 1523, al culmine di una brillante carriera. La sua
adesione alla dottrina tradizionale era totale: fin dal 1519 egli
aveva collaborato alla stesura del cosiddetto Messale di Nidaros
(Missale nidrosiense), redatto su iniziativa del suo predecessore Erik
Valkendorf (ca.1465-1522) e destinato a tutta l’arcidiocesi norve-
gese.70 Olav Engelbrektsson era uno fra i membri più autorevoli
del Consiglio del Regno, organismo che, dopo la caduta di Cristia-
no II, aveva assunto il governo della Norvegia e dell’Islanda. Con
l’aiuto del danese Vincenzo Lunge – che avendo sposato la figlia
del maggiore possidente terriero del Paese e consigliere del Regno,
Nils Henriksson (ca.1455-1523) era divenuto a tutti gli effetti un
‘nobile norvegese’ e coltivava grandi ambizioni di potere –71 l’arci-
66
Ciò è riferito nell’anonimo scritto dal titolo Fondazione di Bergen (Bergens Fundas,
p. 65) risalente al 1560 ca., un testo che costituisce il primo tentativo di tracciare una
storia della città dalla sua fondazione fino al 1559. In realtà il manoscritto attribuisce
quest’opera a Christoffer Valkendorf (Walckendorff, signore di Bergenhus, 1525-1601;
cfr. p. 685, nota 34), il che tuttavia è errato.
67
Altri singoli casi sono tuttavia segnalati; vd. Helle 1998 (B.3), V, p. 46.
68
L’antico nome dell’attuale Trondheim, Nidaros, è certamente rimasto in uso fino
al XVI secolo, ma se ne hanno anche testimonianze successive (vd. Lockertsen R.,
Namnet på byen Trondheim, ei språkhistorisk og faghistorisk tilnærming, Bergen 2006).
69
A Rostock esisteva un collegio per gli studenti norvegesi (cfr. p. 452) di cui Olav
Engelbrektsson (che aveva soggiornato in quella città dal 1503 al 1514) era stato ret-
tore per diversi anni.
70
Dal momento che in Norvegia non c’erano stampatori il messale fu pubblicato a
Copenaghen da Poul Ræff (morto nel 1533 ca.). Dello stesso anno è il Breviario di
Nidaros (Breviarium nidrosiense) compilato da Erik Valkendorf in persona e uscito a
Parigi presso Jean Kerbriant e Jean Bienayse. Si tratta delle prime opere a stampa
conosciute in ambito norvegese. Vd. Munthe W., “Missale Nidrosiense. Vår eldste
trykte bok”, in Norsk Tryk. Magasin for grafisk Kunst of Håndverk, IV: 3 (1930), pp.
61-66 e Nielsen L., “Nye oplysninger om to danske palæotyper”, in NTBBV I (1914),
pp. 38-39. Sull’arcivescovo Valkendorf vd. Hamre L., Erkebiskop Erik Valkendorf.
Trekk av hans liv og virke, Bergen 1943.
71
Su di lui vd. Bull E., Vincens Lunge, Kristiania 1917. Nils Henriksson (1525-
1523) era il più grande latifondista norvegese. Sua moglie era l’autorevole Inger di

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Una seconda rivoluzione religiosa 481

vescovo aveva stabilito i presupposti in base ai quali il re Federico


I poteva essere accettato come sovrano di Norvegia: parità di
condizioni con la Danimarca, rispetto delle leggi norvegesi, recu-
pero dei beni perduti sotto l’amministrazione dei precedenti sovra-
ni e un impegno formale in difesa dell’ortodossia cattolica. Un
impegno che tuttavia (insieme ad altri) non fu affatto mantenuto.
Con il passare del tempo si constatò infatti che quanto più la posi-
zione del sovrano danese veniva consolidandosi, tanto più quella
dell’arcivescovo si faceva precaria. Vincenzo Lunge, che, come
detto, si era avvicinato alla dottrina luterana cominciò a conside-
rare poco vantaggioso spendersi per la causa norvegese: da amico
e sostenitore dell’arcivescovo divenne infine suo nemico. I Danesi
cui egli ora garantiva il proprio appoggio (tenendo in primo luogo
ben presenti i propri interessi personali) si dimostrarono quanto
mai aggressivi e determinati. I feudi principali nei quali si gestiva
in sostanza il potere (Båhus, Akershus, Bergenhus) furono tutti
affidati a uomini di fiducia del re e anche a Olav Engelbrektsson
fu intimato di cedere il proprio nel Trøndelag. Egli tuttavia non
volle piegarsi e non si diede per vinto: opponendosi alla volontà
del sovrano danese non volle rinunciare ai suoi possedimenti, si
rafforzò militarmente72 e si preparò alla lotta armata, schierandosi
(seppure non apertamente) dalla parte del deposto Cristiano II.
Del resto gli obiettivi politico-religiosi dei suoi avversari gli erano
ben chiari e un episodio come quello della spoliazione della Chie-
sa della Madonna (Mariakirke) di Oslo, compiuta dal principe
danese (il futuro Cristiano III) inviato in missione in Norvegia
insieme ai suoi uomini (1529), dovette apparirgli in tutta la sua
gravità. Ma nel 1532 il sovrano nel quale Olav Engelbrektsson
riponeva le proprie speranze fu, come sopra è stato detto, sconfit-
to e imprigionato.73 Quando l’anno dopo il re Federico I morì, in
Danimarca si aprì la lotta per la successione e nelle ‘more politiche’
per l’elezione del nuovo re l’arcivescovo indisse un’assemblea da
tenersi a Bud (comune di Fræna in Møre e Romsdal) cui convocò

Østraat, una delle figure femminili di maggior rilievo della storia norvegese e convin-
ta sostenitrice dell’indipendenza del proprio Paese: alla sua figura Henrik Ibsen (vd.
pp. 1077-1078) avrebbe dedicato una celebre opera (Fru Inger til Østeraad, cfr. nota
28). Vd. Christopherson K.E., “Lady Inger and Her Family. Norway’s Exemplar of
Mixed Motives in the Reformation”, in Church History. Studies in Christianity and
Culture, LV: 1 (1986), pp. 21-38.
72
Egli tra l’altro fin dal 1525 aveva dato inizio alla costruzione dell’imponente
fortezza di Steinvikholm (su un isolotto nel fiordo di Trondheim) che fu completata
nel 1532.
73
Vd. sopra, p. 462.

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482 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

i consiglieri del Regno, diversi notabili e rappresentanti del popo-


lo: un’occasione per riaffermare l’autonomia decisionale norvegese.
E tuttavia le diverse defezioni evidenziarono quella mancata com-
pattezza che, insieme ad altri fattori, sarebbe stata fatale per le
sorti del Paese. Del resto, come si è visto, la contesa danese per il
potere sfociò nella guerra del conte le cui conseguenze portarono
al trono il luterano Cristiano III.74 In una situazione fattasi davve-
ro problematica l’arcivescovo intravide una possibile soluzione
nell’appoggio al genero di Cristiano II, Federico II di Renania-
Palatinato (Friedrich von Pfalz) che, sostenuto dall’imperatore
Carlo V, aspirava alla corona che era stata del suocero. Costui gli
pareva poter garantire la continuità della dottrina cattolica (e degli
interessi della gerarchia ecclesiastica) in Norvegia. Contando su
questa possibilità egli fece assassinare Vincenzo Lunge (1536) e
cercò di incitare i Norvegesi alla rivolta, ma il suo tentativo restò
senza esito. L’atteso intervento di Carlo V non ci fu e di fronte
all’avanzata delle forze danesi inviate da Cristiano III, Olav com-
prese la propria sconfitta e nella primavera del 1537 scelse l’esilio
volontario recandosi nei Paesi Bassi, dove rimase fino alla morte
avvenuta l’anno successivo. Nel volgere di pochi mesi, nonostante
qualche tentativo di resistere, i vescovi norvegesi persero i loro beni
e la loro posizione (arrendendosi o finendo prigionieri). La partita
della difesa della tradizione cattolica e, insieme, quella di un vagheg-
giato ritorno all’indipendenza dalla Danimarca era definitivamen-
te perduta. Per Olav Engelbrektsson una sconfitta sul piano reli-
gioso, politico e personale riflessa in un giudizio negativo sulla sua
figura (più che verosimilmente influenzato dalla ‘teoria dei vinci-
tori’) per troppo tempo condiviso dagli storici.75
Già dal 1536 re Cristiano III aveva formalmente dichiarato nel
suo capitolare che la Norvegia doveva a tutti gli effetti essere sot-
tomessa alla Corona danese, abolendone allo stesso tempo il Con-
siglio del Regno.76 Contemporaneamente il Paese veniva suddiviso

74
Vd. sopra, p. 464.
75
Vd. RÅNA L., “...ei gåte i norsk politikk.” En studie av synet på erkebiskop Olav
Engelbrektsson i norsk historieforskning, Bergen 2003. Sulla vicenda umana e politica
dell’ultimo arcivescovo cattolico norvegese è incentrato il romanzo Vieni avanti, prin-
cipe! (Kom fram, fyrste!, 2004) dello scrittore Edvard Hoem (vd. p. 1272), preceden-
temente (1993) autore del libretto per l’opera Olav Engelbrektsson musicata dal
compositore Henning Sommerro (n. 1952).
76
Vd. il “paragrafo norvegese” (Norgesparagrafen) del suo capitolare del 30 ottobre
1536: “[…] perciò abbiamo promesso e assicurato al Consiglio e alla nobiltà del Regno
danese che […] il Regno di Norvegia […] dovrà […] d’ora in poi essere e rimanere
sotto la Corona di Danimarca, così come una delle altre terre, Jutland, Fionia, Selandia o

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Una seconda rivoluzione religiosa 483

in cinque grandi distretti: Båhus, Akershus, Bergenhus, Steinvikholm


(Trondheim) e Vardø(y)hus.77 In coerenza con i propri obiettivi
politici e la propria fede questo sovrano volle naturalmente intro-
durre la riforma anche in questo Paese: segnale non soltanto di un
cambiamento nella dottrina religiosa e di un profondo rinnovamen-
to dell’organizzazione ecclesiastica, ma anche – soprattutto – di un
riconfermato prepotente dominio straniero. L’Ordinanza danese78
fu imposta anche qui. Tra i vescovi consacrati nel 1539 da Johann
Bugenhagen79 figurava del resto anche Geble Pederssøn (ca.1490-
1557) il quale convertito dal cattolicesimo al luteranesimo avrebbe
potuto mantenere la sua carica divenendo il primo vescovo della
nuova Chiesa.
L’introduzione della riforma segnò dunque un ulteriore indebo-
limento della società norvegese, paradossalmente soprattutto per
quanto riguarda le classi sociali più elevate che divennero totalmen-
te dipendenti dal dominatore danese, anche (e forse soprattutto) dal
punto di vista culturale. Furono invece piuttosto i contadini (che
pure avevano sopportato pesanti condizioni di vita a causa princi-
palmente della prevaricazione di molti funzionari regi) a conservare
il patrimonio della tradizione e – seppure frammentata nei diversi
dialetti – l’antica lingua norvegese. Sebbene dal punto di vista eco-
nomico il Paese conoscesse una certa ripresa esso, in seguito a
questi eventi, fu definitivamente sottomesso al dominio straniero.

Nel 1523, dopo la nomina ad arcivescovo norvegese, Olav Engelbrekts-


son si era recato a Roma per ottenere l’approvazione papale. Durante il
soggiorno in quella città aveva avuto modo di incontrare il geografo
tedesco Jacob Ziegler (1470 o 1471-1549), che nel 1532 avrebbe dato alle
stampe una vasta opera al cui interno si trova una sezione dal titolo Scan-
dinavia (Schondia). In questo testo l’introduzione storica alla sezione che
riguarda la Norvegia risente certamente in gran parte delle opinioni
dell’arcivescovo di Nidaros:

Scania, e d’ora in poi non essere o chiamarsi un Regno a se stante, ma una parte del
Regno di Danimarca e [rimanere] per sempre sottomesso alla Corona di Danimarca”
(DLO nr. 115). La Norvegia tuttavia mantenne un codice di leggi e un’amministrazio-
ne della giustizia propri. Vd. Øyen E., “Artikkelen om Norge i Kristian 3’s håndfestning
1536”, in NHT XXXII, pp. 285-341.
77
In ciascuna di queste località era presente un castello assegnato al rispettivo
‘signore’.
78
Vd. sopra p. 465 con nota 18.
79
Vd. sopra, p. 466.

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484 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

“Norvegia, cioè via settentrionale. Questo Regno è stato per parecchio


tempo davvero fiorente, ed ebbe potestà sulla Danimarca, la Frisia e
[diverse] isole in lungo e in largo, finché il governo del Paese fu ammini-
strato per via ereditaria. Successivamente durante un interregno, con il
consenso dei notabili del Paese fu stabilito che i re fossero scelti per via
elettiva, ritenendo, che essi avrebbero amministrato questo Regno con
maggiore equità, quanto meno si sentissero sicuri a motivo dell’innova-
zione [introdotta]. Ma avvenne che nella misura in cui qualcuno primeg-
giava per ricchezze [e] ambizione ed [era] favorito dalla parentela, di
conseguenza nutriva maggiori speranze di conseguire il Regno, ragion per
cui si divisero in fazioni e anche gli stranieri si intromisero vista l’oppor-
tunità di ottenere il Regno: costoro a seconda di quanto pareva loro
[opportuno] appoggiavano o destituivano le parti in causa. Perciò ora [la
Norvegia] è sotto il potere dei Danesi. Questi non impongono soltanto
tasse legali e canoni ragionevoli, ma mettendo insieme tutto ciò che vale
qualcosa [lo] portano in Danimarca, vale a dire fondando la continuità
del loro potere sulla debolezza dei sudditi, del che ci sono in questi tempi
molti esempi nel mondo cristiano; infatti, una volta che le virtù che deve
avere un principe, cioè il padre della patria, sono andate perdute, resta solo
la superba arroganza del potente che si manifesta nell’ingiustificato arbi-
trio verso i sudditi; a ciò consegue che i Capi, non essendosi procurati
alcuna protezione nell’amore vicendevole con il popolo, cercano la sicu-
rezza della loro condizione attraverso la forza e il costante deterioramento
dei beni di tutti.
Questa è la sorte della Norvegia: e neppure gli edifici nelle città hanno
potuto conservare l’antica grandezza e decoro e non c’è speranza che si
ponga rimedio alla situazione. E dunque infatti le riunioni comuni su
questo non sono permesse e nessuno di propria iniziativa osa fare proposte
o tentare azioni, non conoscendo la volontà di tutti. A questa difficoltà si
aggiunge la conformazione del territorio, infatti la Danimarca tiene sotto
il proprio controllo tutta la navigazione in Norvegia, la quale non può
solcare il mare o esportare le proprie merci, con questo re come nemico,
non essendo per di più considerata modesta o poco favorita per quanto
riguarda il cielo, la terra o il mare. Il Paese esporta nel resto d’Europa il
pesce del genere Asellus, reso duro dal freddo e disteso su aste, ragion per
cui i Tedeschi lo chiamano Stockfisch. La cattura di questo pesce è racco-
mandata soprattutto in gennaio, quando fa abbastanza freddo per farlo
essiccare; il pesce che viene catturato nelle stagioni più miti, marcisce e
non può essere esportato.”80

80
DLO nr. 116.

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Una seconda rivoluzione religiosa 485

8.1.4. Potere vescovile e potere coloniale

La Chiesa nordica prima della riforma aveva esteso ovunque il


proprio dominio e conseguito una forza economica impressionan-
te. Grazie alla sua organizzazione essa riusciva a controllare anche
le comunità più piccole, esercitando la propria influenza sulla vita
di ogni individuo. Tuttavia soprattutto in Islanda, dove il potere
reale era sentito come un’autorità piuttosto lontana, i vescovi di
Skálholt (nel sud-ovest) e di Hólar (a nord nello Skagafjörður)
erano i veri e propri signori dell’isola. Del resto dalla morte di
Federico I (1533) e durante la cosiddetta “guerra del conte” – quan-
do non era ben chiaro chi sarebbe divenuto re di Danimarca – essi
avevano di fatto governato il Paese, agendo per conto del Consiglio
del Regno norvegese. In realtà per molto tempo i titolari delle due
diocesi islandesi erano stati imposti dall’esterno (da Nidaros, dal
re o dal Papa) in base a interessi che troppo spesso certamente non
coincidevano con quelli degli abitanti dell’isola: scorrendo la loro
lista si incontra una cospicua presenza di nomi norvegesi e danesi
ma anche svedesi, inglesi, olandesi e tedeschi. Solo a partire dal
1458 gli Islandesi ebbero di nuovo la possibilità di far sentire la
propria voce al riguardo, il che comunque non impedì che due degli
ultimi tre vescovi cattolici di Hólar fossero ancora norvegesi, indi-
vidui palesemente ben più interessati al proprio tornaconto perso-
nale che non al benessere della comunità.81 Ma quelli a cui toccò
fronteggiare l’introduzione della riforma erano entrambi islandesi.
Ǫgmundur Pálsson (nato nel 1465), vescovo di Skálholt, era stato
consacrato nel 1521 mentre Jón Arason (nato nel 1484) era dive-
nuto vescovo di Hólar nel 1524. Prima degli eventi che li avrebbe-
ro visti fare fronte comune contro l’imposizione della nuova dot-
trina (perché di vera e propria imposizione si trattò) essi erano
stati divisi da durissimi contrasti: Ǫgmundur Pálsson si era opposto
in ogni modo alla nomina di Jón Arason (cercando addirittura di
catturarlo) e lo aveva a lungo osteggiato con tutte le forze, finché
nel 1527 essi si erano drammaticamente scontrati (per trovare
infine un accordo) nel corso dell’assemblea generale.

81
Si tratta di Olav Rognvaldsson (Ólafur Rögnvaldsson, data di nascita ignota, in
carica dal 1458 al 1495, anno della morte) e di Gottskålk Nikulåsson (Gottskálk
Nikulásson, nato nel 1469, in carica dal 1496 al 1520, anno della morte) che dopo la
riforma fu ricordato come “lo Spietato” (inn grimmi). Sebbene solo al secondo sia
stato attribuito un soprannome che ne sottolinea la tirannica condotta, il suo prede-
cessore è ricordato come il più avido e dispotico vescovo che ci sia mai stato nel
Paese.

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486 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

Nel XVI secolo l’Islanda restava un Paese ai margini dell’Euro-


pa e la sua popolazione, numericamente limitata, era sparsa nelle
diverse fattorie che costellavano le aree sfruttabili economicamen-
te e si trovavano in diversi casi in località sperdute. Questa situa-
zione di isolamento non era certo il miglior presupposto per la
diffusione di nuove idee né tantomeno per il dibattito teologico: in
una società per molti aspetti economicamente arretrata la gran
parte degli abitanti manteneva salde posizioni tradizionaliste. E del
resto i centri di cultura erano nella maggioranza dei casi stretta-
mente dipendenti dalla Chiesa. Come in Norvegia dunque, l’intro-
duzione della riforma fu qui il risultato di un preciso disegno del
re danese Cristiano III, che imponendo al popolo questo cambia-
mento ne approfittò per rimarcare la propria autorità.
Se infatti è vero che le idee riformiste erano in qualche modo giun-
te autonomamente anche qui, è altrettanto vero che esse erano rima-
ste appannaggio di cerchie ristrette di persone nella zona meridiona-
le del Paese: queste erano costituite in primo luogo dai mercanti
anseatici (provenienti soprattutto da Amburgo) che soggiornavano
nell’isola (nel 1534 costoro si erano anche costruiti una chiesa a
Hafnarfjörður, a sud di Reykjavík) e da persone che avevano condot-
to i propri studi in Germania. E tuttavia negli ambienti tedeschi si era
contrari ad azioni di forza, tenuto conto dei proficui commerci con i
monasteri e la Chiesa. La situazione era dunque per molti versi ambi-
gua, come dimostra anche il fatto che un gruppo dei sostenitori della
nuova dottrina gravitava proprio attorno alla diocesi di Skálholt,
evitando di esporsi apertamente. Fra costoro Oddur Gottskálksson82
che per primo avrebbe tradotto (lavorando segretamente) il Nuovo
Testamento in lingua islandese e Gissur Einarsson (ca.1512-1548) che
sarebbe divenuto il primo vescovo luterano d’Islanda.83
Tra la fine degli anni ’30 e l’inizio degli anni ’40 del XVI secolo la
vita religiosa e sociale islandese fu segnata da drammatici avvenimen-
ti. Nel 1538, quando Cristiano III stabilì che la propria Ordinanza84
entrasse in vigore anche nell’isola, l’assemblea generale respinse que-
sto testo e i due vescovi cattolici si levarono in difesa della dottrina
tradizionale, cercando di scongiurare il grave pericolo che minacciava
82
Costui era figlio del vescovo norvegese Gottskålk Spietato Nikulåsson (cfr. nota
precedente), ma non era un ecclesiastico; vd. oltre p. 525.
83
Anche Gissur Einarsson fu attivo nella traduzione di testi utili alla diffusione
della riforma. Altri promotori del luteranesimo in Islanda furono Gísli Jónsson (vd. p.
609), che sarebbe in seguito divenuto vescovo di Skálholt e Jón Bjarnason (1514-1576)
che avrebbe preso parte attiva nella decisione di far decapitare il vescovo cattolico Jón
Arason (vd. poco oltre).
84
Vd. p. 465 con nota 18.

0140.testo8.indd 486 15/02/17 10.49


Una seconda rivoluzione religiosa 487

l’istituzione ecclesiastica e, di conseguenza, il loro potere. Il vesco-


vo Ǫgmundur Pálsson rispose alla decisione del sovrano con la
scomunica per chi avesse aderito alla nuova dottrina. Si arrivò così
allo scontro aperto (e sanguinoso). L’anno successivo, nel giorno
della domenica di Pentecoste, il governatore e rappresentante del
re (hirðstjóri) Claus van der Marwitzen (olandese o tedesco) e il
suo collaboratore Didrik von Minden con i loro uomini portarono
un brutale attacco al ricco convento di Viðey (un’isola al largo di
Reykjavík), lo distrussero, malmenarono i monaci e si impadronirono
di tutto ciò che vi era contenuto. Questa azione, segnata da violenza
e sopraffazione, determinò in seguito una dura vendetta con l’ucci-
sione degli ‘uomini del re’ che l’avevano compiuta. Nello stesso anno
il vescovo Ǫgmundur, vecchio e malato, sostenne all’assemblea gene-
rale la candidatura di Gissur Einarsson come suo successore: una
scelta che suscita perplessità ma che pare tuttavia dovuta da una
parte alla sua predilezione nei confronti di Gissur e dall’altra all’abile
(e ambiguo) comportamento di quello.85 Si può anche ragionevolmen-
te ritenere che il vecchio vescovo volesse impedire che la diocesi
fosse assegnata a un riformatore dichiarato e rigoroso. Gissur accettò
formalmente l’impegno a non apportare cambiamenti nella tradizione
religiosa, ciò nonostante si adoperò in seguito per far affermare la
dottrina luterana e, insieme, la volontà del re danese. Il che non avven-
ne senza contrasti, come dimostra il fatto che il suo comportamento
fu denunciato all’assemblea generale dell’anno successivo (1540),
durante la quale furono anche assolti da ogni addebito coloro che
avevano vendicato l’oltraggio di Viðey. A questo punto il re Cristiano
ritenne indifferibile un intervento diretto ed energico. Nel 1541 giun-
se in Islanda un nuovo governatore con due navi da guerra. Ǫgmundur
Pálsson fu fatto prigioniero, privato dei suoi beni e imbarcato per
essere condotto in Danimarca, ma morì durante il viaggio per mare
(13 luglio 1541). L’assemblea generale deliberò ufficialmente l’intro-
duzione della riforma in Islanda. Dalla consacrazione di Ǫgmundur
Pálsson erano trascorsi solo vent’anni, ma la potenza della Chiesa
cattolica che allora sembrava inattaccabile era ora piegata.
Gli abitanti dei distretti settentrionali non avevano partecipato
all’assemblea generale e la loro resistenza proseguì. Per un certo
periodo del resto le cose procedettero con ragionevole equilibrio,
85
Da sottolineare che in tale occasione nessuno trovò il coraggio di chiedere che
fossero sottoposti a giudizio gli autori della devastazione del convento di Viðey, sep-
pure poi – come si è detto – alcuni si prendessero feroce vendetta. Lo sdegno degli
Islandesi fu semplicemente espresso in una lettera (15 luglio 1539), inviata al re dane-
se dal vescovo di Skálholt (DI X, pp. 444-447).

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488 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

dal momento che – seppure divisi sul piano teologico – i due vesco-
vi, luterano e cattolico, evitarono reciproche interferenze. E, tra
l’altro, Gissur Einarsson incontrava non poche difficoltà nella sua
opera di indottrinamento della gente comune. La lotta si riaccese
alla sua morte (1548), quando entrambe le fazioni si arrogarono il
diritto di nominare il nuovo vescovo di Skálholt: ciò portò alla
duplice designazione di un cattolico e di un luterano. Tuttavia solo
quest’ultimo, Marteinn Einarsson (ca.1500-1576), ottenne in Dani-
marca la consacrazione ufficiale e tornò in Islanda. Il vescovo di
Hólar, Jón Arason, che si era adoperato a sostegno del candidato
cattolico, scrivendo anche al Papa e all’imperatore Carlo V, fu
accusato di tradimento nei confronti del re danese e all’assemblea
generale del 1549 venne dichiarato fuorilegge. L’energico prelato
non si arrese e passò all’attacco: Marteinn Einarsson fu fatto pri-
gioniero e trasferito a Hólar. Nell’estate dell’anno successivo Jón
Arason si recò a Skálholt con una schiera di uomini armati: lì fece
riconsacrare la chiesa e disseppellire il cadavere del vescovo lute-
rano, segnale inequivocabile di restaurazione dell’antica tradizione.
Nel frattempo i conventi di Viðey e di Helgafell venivano ripristi-
nati.86 Ma la posta in gioco era troppo elevata e – soprattutto – non
limitata ad aspetti teologici. Jón Arason non era soltanto nemico
della nuova dottrina, egli piuttosto rappresentava una minaccia per
quei notabili che dalla conversione al luteranesimo avevano tratto
vantaggi economici vedendosi assegnati beni che precedentemen-
te erano stati di proprietà della Chiesa. Fu così che nell’ottobre di
quel medesimo 1550 Jón Arason, insieme a quello che era il suo
personale ‘esercito’, fu sconfitto dagli uomini del grande possiden-
te terriero Dáði Guðmundsson (ca.1495-1563) e con due dei suoi
figli, Björn e Ari, fu condotto come prigioniero a Skálholt. Nessu-
no si dichiarò disponibile a far parte della giuria che avrebbe
dovuto giudicarli. Ciò non di meno, nel timore che venissero libe-
rati dai loro sostenitori, il sette novembre essi furono sbrigativa-
mente messi a morte per decapitazione. Un atto di cui i seguaci del
vescovo si presero inevitabile vendetta uccidendo coloro che lo
avevano perpetrato (gennaio 1551). I corpi di Jón Arason e dei suoi
figli furono esumati e portati a Hólar per la solenne sepoltura. Ma
senza il suo campione la battaglia per la difesa della fede cattolica
(e per l’Islanda) era perduta. Da questo momento la riforma sareb-
be stata attuata con determinazione (anche qui si procedette senza
86
Sebbene non avesse subito la medesima sorte di quello di Viðey, il convento di
Helgafell era decaduto e i suoi possedimenti erano stati incamerati dalla Corona
danese.

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Una seconda rivoluzione religiosa 489

scrupoli alla spoliazione dei beni della Chiesa): senza ulteriore


sostanziale opposizione le forze danesi inviate nell’isola nell’esta-
te del 1551 avrebbero infine potuto imporre un vescovo luterano
(Ólafur Hjaltason) nella diocesi di Hólar la quale l’anno succes-
sivo fu sottomessa totalmente. Significativamente il cadavere di
Gissur Einarsson veniva ancora una volta esumato e di nuovo
seppellito con onore. Tuttavia la figura dell’eroico Jón Arason
(ultimo vescovo cattolico di tutto il Nord) avrebbe lasciato un
segno incancellabile nella memoria del popolo islandese.87 A
ricordarlo restano diversi racconti e testi poetici, non ultimi i
versi che egli stesso aveva composto a commento delle proprie
vicende.88

Nelle cosiddette “saghe dei vescovi”89 sono compresi anche i Fram-


menti e brevi racconti relativi al vescovo Jón Arason di Hólar (Sögubrot og
smáþættir um Jón Arason, biskup á Hólum), eroe della resistenza cattolico-
nazionale contro la ferrea volontà riformatrice del re danese. In uno di
questi si dà conto di una tradizione popolare che vuole la sua morte
violenta prefigurata in un sogno fatto dalla madre:

“Raccontano i vecchi che una volta in cui il vescovo Jón Arason cavalca-
va verso nord nel distretto di Vaðlasýsla e di Þingeyjarsýsla, incontrò il
contadino Jón di Svalbarð in Svalbarðsströnd; costui era un importante
capitano e [un uomo] saggio, e da molti ritenuto indovino e preveggente. Il
vescovo gli domandò: ‘di quale morte ritieni, contadino Jón, che io debba
morire?’ – Jón tacque un momento, poi disse così: ‘Io ho sentito dire, che
prima che voi nasceste, vostra madre aveva fatto un sogno, in questo modo,
che le sembrava di mettere al mondo un’aquila; le parve come se quell’aqui-
la volasse su in cima al tetto della chiesa di Hafragil nell’Eyjarfjörður e si
posasse là; allora le parve nel sonno che la testa di quell’aquila schizzasse
via dal corpo, e in direzione sud-est.’
Inoltre il succitato Jón disse: ‘state attento alle discussioni importanti,
signore.’ Pare che il vescovo abbia risposto: ‘quella morte, io scelgo, che
87
Sulla vicenda di Jón Arason, che tanta eco doveva lasciare nel suo Paese sono
incentrati diversi testi letterari: così la tragedia di Matthías Jochumsson (vd. p. 1076),
Jón Arason (1900); la storia scritta da Torfhildur Þorsteinsdóttir Hólm (vd. p. 1077),
Jón biskup Arason; il romanzo (in danese) di Gunnar Gunnarsson (vd. p. 1167), Jon
Arason (1930) e infine quello, assai più recente, di Ólafur Gunnarsson (vd. p. 1280,
nota 220) L’ascia e la terra. Romanzo storico sul vescovo Jón Arason e i suoi figli (Öxin
og jörðin. Söguleg skáldsaga um Jón biskup Arason og syni hans, 2003).
88
Vd. Biskupa sögur, gefnar út af Hinu íslenzka bókmenntafèlagi [sic], II: ii,
Kaupmannahöfn 1867, pp. 315-508; cfr. nota 158.
89
Vd. p. 325.

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490 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

toccò al mio Patrono, e non una morte da donnicciola.’ Terminarono così il


loro colloquio.
Si dice che il vescovo Jón considerasse come proprio Patrono San Giovan-
ni Battista.”90

8.2. Cultura e società negli anni della riforma

Come è logico attendersi, l’introduzione della riforma protestan-


te avrebbe profondamente modificato la realtà sociale dei Paesi
nordici, seppure la sua definitiva affermazione avvenisse, come si
è visto, con modalità e tempi diversi. Anche dal punto di vista
culturale essa si confrontò con situazioni differenti, pur presentan-
do, naturalmente, anche tendenze comuni.
Tale fu, in primo luogo, l’impatto in più di una occasione dram-
matico che si constata negli anni della violenta contrapposizione
tra i seguaci della nuova e della vecchia dottrina. È noto infatti
come il netto distacco da tutto ciò che rappresentava la tradizione
religiosa che nel corso dei secoli aveva permeato la società scandi-
nava sfociasse non di rado in azioni dettate da brutalità, fanatismo
e ottusità. Il riferimento è qui, in primo luogo, all’aggressività con
cui spesso furono attaccati i rappresentanti della Chiesa cattolica,
obbligati alla fuga, all’esilio o addirittura uccisi, costretti in molti
casi a ‘trovare rifugio’ in una frettolosa (certo non spontanea) con-
versione.91 Un dispregio verso gli uomini al quale corrispose, fatal-
mente, quello verso gli oggetti simbolo dell’odiata istituzione (del
resto in molti casi appetibili per il loro valore venale). Sicché i
preziosi beni artistici conservati presso le chiese e i conventi furo-
no sottratti (spesso per essere trasformati) quando non addirittura
distrutti con furia vandalica. Il che riguardò anche (e non da ultimo)
il patrimonio librario. Se in quantità non trascurabile esso era già
andato perduto per deterioramento dovuto all’uso o magari per
cause accidentali (a esempio un incendio), l’ondata riformatrice ne
determinò una ulteriore massiccia riduzione. In taluni casi solo

90
DLO nr. 117. Come è noto San Giovanni Battista era morto per decapitazione.
Si confronti nello stesso gruppo di racconti un altro sogno della madre di Jón Arason,
nel quale le era prefigurato il destino del figlio nella diocesi di Hólar (ibidem, pp. 421-
422).
91
I luterani si dimostrarono particolarmente aggressivi nei confronti dei frati men-
dicanti, assai invisi alla popolazione.

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Una seconda rivoluzione religiosa 491

alcune opere di interesse per docenti, storici o comunque appas-


sionati, poterono salvarsi. Un danno, senza dubbio, irreparabile.
In secondo luogo la necessità di propagandare il nuovo credo
determinò un’attenzione privilegiata ai testi di carattere religioso
(spesso ripresi da modelli tedeschi) che furono scritti o tradotti in
grande quantità e (potendosi avvalere del prezioso supporto forni-
to dall’introduzione della stampa) furono diffusi nelle parrocchie
perché a essi facessero ora riferimento i fedeli. In questo contesto
va collocata anche la nascita di una letteratura salmista che non
mancherà di dare frutti di notevole pregio.92 A questa medesima
esigenza si lega, in particolare, il recupero e lo sviluppo degli idio-
mi nazionali che (fatta eccezione per il norvegese)93 troveranno, a
partire dalla riforma, il proprio riconoscimento divenendo, al
contempo, importanti strumenti espressivi e oggetto di grande
interesse.
Infine, dal punto di vista più strettamente culturale, il distacco
dalla tradizione rimarcò una tendenza che già si era manifestata nel
XV secolo: l’imitazione di modelli tedeschi, più che la ricerca di un
rapporto diretto con i centri di diffusione del pensiero umanistico e
rinascimentale, in primo luogo Roma, sede dell’inviso potere papale.
L’umanesimo nordico – pur non escludendo totalmente la dovuta
considerazione e il doveroso omaggio a classici modelli meridionali – si
sviluppò dunque in gran parte (e non avrebbe potuto avvenire diver-
samente) nella scia di quello nord-europeo, cercando spesso i propri
punti di riferimento in figure (come Melantone) capaci di combinarlo
proficuamente con il luteranesimo (seppure in questioni di principio
essi siano tutt’altro che sovrapponibili). Ma nel ripiegamento verso il
proprio patrimonio culturale esso si aprì anche alla riscoperta e alla
celebrazione del (glorioso) passato delle nazioni scandinave. Il che,
come si vedrà più avanti,94 vale in misura preponderante per la Dani-
marca e la Svezia, potenze dominanti di questi secoli.

8.2.1. Danimarca

La Danimarca era un Paese con una struttura sociale articolata


e ben sviluppato economicamente. Questo fatto ebbe importanti
riflessi nella diffusione della riforma: infatti la sua conformazione
geografica e la concentrazione abitativa nel territorio, la consisten-
92
Vd. pp. 608-609.
93
Vd. 8.2.5.3.
94
Vd. 9.2 e 9.2.1.

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492 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

za numerica della borghesia (che qui aveva sviluppato una vera e


propria ‘cultura cittadina’), la presenza di diversi teologi che (secon-
do una tradizione consolidata) avevano studiato all’estero (soprat-
tutto in Germania) e l’esistenza di una università danese fecero sì
che le nuove idee si diffondessero (nonostante qualche difficoltà
iniziale) con relativa rapidità, soprattutto fra i cittadini; di conse-
guenza la riforma fu un cambiamento che vide coinvolta anche la
gente comune. Grazie al tradizionale stretto rapporto di vicinanza
(non solo geografica) con la Germania gli studenti provenienti da
Wittemberg e i predicatori luterani iniziarono presto l’attività di
divulgazione delle nuove idee. La loro propaganda del resto si
scagliava contro una Chiesa in cui una buona parte dei membri più
eminenti (e non solo) erano manifestamente corrotti, mentre gli
altri parevano incapaci di arginare il dilagante malcostume. Sicché
in sostanza l’unica voce che con enfasi e severità si era alzata contro
la degenerazione degli ecclesiastici e in favore della necessità di una
moralizzazione e di un rinnovamento, era stata quella di Poul Hel-
gesen, monaco carmelitano e teologo (che aveva approfondito lo
studio della dottrina di Erasmo da Rotterdam), nella cui parabola
si riflette, per molti versi, il destino della Chiesa cattolica danese,
avviata a una inesorabile sconfitta. Inizialmente anche con il soste-
gno del re Cristiano II egli aveva raggiunto una posizione di tutto
rilievo95 e, pienamente coinvolto nello spirito di quell’umanesimo
biblico che chiedeva di ritornare al dettato delle Sacre Scritture, si
era avvicinato a Lutero. Ma da Lutero, come del resto dal sovrano,
egli avrebbe preso le distanze una volta constatato il pericolo che
le idee dell’uno96 e la politica dell’altro costituivano per la Chiesa.
Questa sua scelta gli causò danno personale97 e fece di lui l’oggetto

95
Nato a Varberg (nell’attuale regione svedese di Halland) Poul Helgesen aveva
studiato a Skara ed era poi stato attivo a Copenaghen. Lì, con l’aiuto del sovrano, i
carmelitani avevano aperto un collegio per gli appartenenti all’ordine che erano iscrit-
ti all’università: nel 1519 Poul Helgesen ne divenne direttore ricoprendo anche un
insegnamento nell’ateneo.
96
Tuttavia, ancora nel 1526 egli tradusse in danese con il titolo Un insegnamento
cristiano (Een cristelig vnderwyszningh) il Libretto di preghiere di Lutero (Eyn Bett-
büchlein, nell’edizione del 1522), premurandosi comunque nella premessa di insistere
sulla propria estraneità alla dottrina riformata, il che lo aveva indotto a modificare il
testo.
97
Per via dei violenti attacchi contro Cristiano II i suoi incarichi (vd. sopra, nota 95)
vennero revocati: dopo di ciò egli riparò (a quanto pare) nello Jutland per sfuggire
all’ira del re. Di lì sarebbe tornato (riprendendo l’insegnamento universitario e dive-
nendo provinciale dei carmelitani per il Nord) dopo l’ascesa al trono di Federico I, che
tuttavia, come si è visto (cfr. sopra, pp. 462-463; cfr. nota 101) aveva dal punto di vista
religioso un atteggiamento ambiguo. Seppure fra difficoltà e polemiche Poul Helgesen

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Una seconda rivoluzione religiosa 493

di un feroce disprezzo: pari, del resto, alla furia con cui egli si sca-
gliò contro i seguaci della riforma.98 Chiari esempi di un clima di
violentissima polemica.99 Ben riflesso, del resto, anche in altre
figure esemplari e carismatiche.
Tra i fieri avversari di Poul Helgesen spicca certamente Hans
Tausen (Hans Tawssøn, 1494-1561), monaco giovannita dell’im-
portante convento di Antvorskov (nei pressi di Slagelse in Selandia)
che aveva studiato a Rostock, Lovanio e Wittemberg. Fuoriuscito

avrebbe portato avanti la sua battaglia, tuttavia dopo gli eventi che condussero alla
nomina di Cristiano III egli scompare quasi improvvisamente di scena, forse riparato
all’estero. La sua morte è in ogni caso certamente posteriore al 1534: in questa data si
interrompe una sua opera in latino comunemente nota come Cronaca di Skiby (Chronicon
Skibyense), dal nome del luogo (Skiby/Skibby in Selandia) in cui il manoscritto è stato
ritrovato nel 1650 dietro un muro all’interno di una chiesa. Su Poul Helgesen come
storico vd. Rübner Jørgensen K., “Paulus Helie som humanistisk historieskriver”, in
Møller Jensen J. – Bisgaard L. et al. (red.), Renæssancen i svøb. Dansk renæssance i
europæisk belysning 1450-1550, Odense 2008, pp. 150-171. La profonda antitesi tra la
concezione di Poul Helgesen e quella di Cristiano II si rileva anche nel rifiuto da lui
opposto alla richiesta del sovrano di tradurre Il principe di Machiavelli (vd. SPH VII,
p. 6), proponendo piuttosto la presentazione della versione danese della Institutio
principis erasmiana (En cristhen førstis lære, 1522), un testo che egli avrebbe in seguito
pubblicato a Roskilde (Een christen Furstis Wnderwiisning oc Lære) nel 1534, non a
caso l’anno in cui il luterano Cristiano III saliva al trono di Danimarca. Dell’opera di
Erasmo conosciamo anche una rielaborazione svedese curata dal capellano e poi vesco-
vo Peder Månsson (latinizzato in Petrus Magni, morto nel 1534, su cui cfr. p. 628, nota
472) che porta il seguente titolo: Questo libro è scritto in svedese per la buona istruzione
dei probi giovani fanciulli di buona famiglia (Ärligom, welbördigom, vungom barnom till
godh lärdom schriffs thenne bock på swensko) e verosimilmente redatta nel corso del
lungo periodo in cui egli fu a Roma (1508-1524). Secondo K. Rübner Jørgensen (“Paulus
Helie og Peder Månsson. To 1500-tals oversættere af Erasmus ‘Institutio principis
christiani’, in ANF CXV [2000], pp. 203-232) il testo svedese è, in realtà, la ripresa in
forma abbreviata della traduzione di Poul Helgesen.
98
Si veda in proposito il testo riportato a p. 467.
99
Tra le numerose satire riconducibili al periodo della riforma non ne manca una
intesa a diffamare proprio Poul Helgesen: Un componimento sui nemici della parola di
Dio e in particolare il lettore Poul voltagabbana che fu un buon compare di Staagefyr nel
parlamento di Copenaghen (En viise om gudtz ordß fiender oc serdeles Lectorr Powel
wendekaabe som wor staagefyr een godt stolbroder i then herredag i Køpenhaffuen; il
termine lektor fa riferimento al grado accademico). Questa satira in versi fa parte di
un gruppo di quattro componimenti di ignoto autore stampati a Malmö nel 1530 e nei
quali è efficacemente riflesso lo spirito della veemente contesa che contrapponeva i
seguaci della vecchia e della nuova dottrina. Il riferimento del titolo è alla seduta del
parlamento tenuta a Copenaghen in quello stesso anno (vd. p. 463) alla quale parteci-
pò Niels Stagefyr (o Stagefuhr, Stagebrand), forse un teologo di Colonia al quale,
insieme ad altri, i vescovi cattolici avevano affidato la difesa delle loro posizioni (vd.
però Andersen 1954 (C.8.1), p. 48, nota 17; e inoltre la breve nota di Simonsen D.,
“Dr. Stagefyr – Stagebrand”, in KSam IV, [1907-1909], pp. 385-386 e Rasmussen J.
Nybo, “Herborn og Stagefyr”, in KSam VI: 1 [1966], pp. 44-60).

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494 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

dall’ordine, egli fu attivo dapprima a Viborg nello Jutland (1525),100


poi a Copenaghen dove fu nominato cappellano reale da Federico I,
che già nel 1526 gli aveva concesso una lettera di protezione.101 Proprio
a Copenaghen Hans Tausen insieme con altri teologi luterani avreb-
be redatto la sopra citata Confessio Hafniensis (in occasione della
dieta ivi tenuta nel 1530) nella quale si assumeva la Sacra Scrittura
come sola base della fede cristiana. Le sue prediche infervorate ebbe-
ro grande seguito fra i cittadini che lo elessero portavoce del proprio
rancore contro la corruzione della gerarchia ecclesiastica: vari episo-
di che testimoniano il clima di tensione e di contrapposizione non di
rado violenta lo vedono protagonista in mezzo a una folla che certa-
mente proiettava sul piano religioso un disagio di carattere sociale e
politico.102 Un sentimento, questo, che si riflette tra l’altro in diverse
“canzoni” (viser), ampiamente diffuse tra la gente comune, nelle
quali ci si fa scherno di tutti i possibili vizi (non ultimi ingordigia e
lussuria) attribuiti al clero:103 letteratura – appunto – ‘canzonatoria’
cui appartiene anche l’anonimo Dialogus, rielaborazione danese in
versi (la cui più antica edizione risale al 1533) di uno dei ‘cavalli di
battaglia’ luterani (satira della messa cattolica), pubblicato nel 1528
dal pittore e riformatore svizzero Niklaus Manuel (1484-1530).104 Ma
anche opere come l’anonimo Peder il fabbro e Adser il contadino
100
In realtà al ritorno da un soggiorno a Wittemberg, avendo manifestato inclina-
zioni luterane, Hans Tausen era stato inviato a Viborg per essere rieducato nella dot-
trina tradizionale: quel luogo divenne invece il punto di partenza della sua attività di
diffusione delle nuove idee religiose.
101
Queste scelte appaiono del resto coerenti con l’atteggiamento del sovrano, il
quale – nonostante si fosse formalmente impegnato a difendere la Chiesa cattolica –
non si faceva riguardo a dimostrare le proprie simpatie luterane.
102
Basti qui ricordare un episodio riferito da Poul Helgesen (Cronaca di Skiby, pp.
120-121) avvenuto a Copenaghen il 27 dicembre 1530 (l’indicazione dell’anno 1531
che si trova nella fonte è in effetti da retrodatare; vd. SPH VII, p. 170) quando un
gruppo di abitanti della città con alla testa il borgomastro Ambrosius Bogbinder
(morto nel 1536) fece irruzione nella chiesa di Nostra Signora (Vor Frue kirke) e si
diede alla distruzione delle immagini sacre fino a quando non fu fermato dall’inter-
vento e dalle parole del predicatore (vd. Rübner Jørgensen K., “Kirkestormen i
København 1530. Kilder og studier”, in Danske Magazin, VIII: 6 [1995], pp. 337-371
e Wittendorff A., “Ambrosius Bogbinder og den kristne frihed. Ambrosius Bogbin-
der”, in OSD, pp. 11-34). L’ascendente esercitato da Hans Tausen fu determinante
anche tre anni dopo (1533) quando egli fu processato (con Poul Helgesen come
accusatore) per il suo atteggiamento di insubordinazione e oltraggio nei confronti
dell’autorità ecclesiastica, nonché per eresia. Benché ritenuto colpevole la conseguen-
te sentenza di morte non fu emessa ed egli venne rilasciato da una giuria fortemente
influenzata dalle pressioni della folla. Anche la condanna ad astenersi da ogni attività
religiosa e ad allontanarsi dalla Selandia e dalla Scania fu successivamente revocata.
103
Si vedano a esempio quelle edite in VRT.
104
Malattia e testamento della messa (Krankheit und Testament der Messe).

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Una seconda rivoluzione religiosa 495

(Peder Smed og Adser Bonde), un testo (in forma rimata) che anco-
ra una volta riprende un modello tedesco. In esso è proposto un
dialogo tra quattro avventori di un’osteria (un prete cattolico, un
frate, un contadino e un fabbro) nel quale si affida a quest’ultimo,
convinto luterano, un messaggio religioso permeato di democrati-
ca saggezza, il che tra l’altro appare come il riflesso di un reale
coinvolgimento popolare nel dibattito.
Sicché i gesti eclatanti (talora anche eccessivi) e le scelte di pro-
vocatoria rottura delle norme tradizionali (come il fatto di consa-
crare nuovi sacerdoti o contrarre matrimonio)105 produrranno un
reale ed effettivo coinvolgimento delle folle. Sul quale potrà poi far
leva la volontà dei nuovi pastori della Chiesa riformata, desiderosi
di veder radicare l’insegnamento luterano nelle coscienze. Il che si
attuerà anche, concretamente, nella fondazione di diverse scuole
per formare i nuovi sacerdoti (Haderslev, Viborg, Malmö) così come
nel lavoro di traduzione di scritti di Lutero e di divulgazione di
testi fondamentali della nuova dottrina: in primo luogo – natural-
mente – la Sacra Scrittura ora finalmente volgarizzata e resa acces-
sibile all’intera comunità.106 In effetti la rapida affermazione del
luteranesimo in Danimarca si deve anche all’avvio quasi contem-
poraneo dell’attività dei suoi promotori in diversi centri.107
105
A quanto pare Hans Tausen fu il primo monaco danese a sposarsi. Questa sua
decisione (e comunque tutta la sua attività di diffusore della nuova dottrina) venne
duramente attaccata da Poul Helgesen che nella Cronaca di Skiby (p. 108) lo definisce
“il primo di tutti i priapisti danesi” (“omnium priapistarum in Dania primus”). Come
opportunamente si fa osservare in Petersen – Andersen 1932-1934 (B.4), I, p. 248,
nota 2, il termine “priapista” non fa soltanto un riferimento (non privo di allusioni
oscene) a Priapo, divinità simbolo della potenza sessuale maschile, ma va anche con-
siderato in opposizione a “papista”. Si sa del resto che Poul Helgesen aveva tradotto
in danese uno scritto contro il matrimonio degli ecclesiastici (il testo è tuttavia andato
perduto: vd. SPH III, pp. 300-301).
106
Vd. oltre, 8.2.5.1. Dopo l’Ordinanza del 1537 (che tra l’altro stabiliva che le
funzioni religiose dovessero essere svolte in lingua danese) i preti ebbero l’obbligo di
procurarsi diversi testi tra cui la Bibbia, la Confessio augustana, alcuni scritti di Lutero
e di Melantone.
107
Si ricordi qui l’opera di figure come Hermann Tast (1490-1551) a Husum nell’attua-
le regione tedesca dello Schleswig-Holstein (1522), Claus Mortensen (noto come Claus
Tøndebinder, ca.1499-ca.1576), Hans Tausen e Jørgen Sadolin (ca.1499-1559) a Viborg,
Christiern Clausen Skrok (morto nel 1568 ca.) e Peder Laurentsen (o Lauridsen, 1485
o 1490-1552) ad Assens, Jørgen Kock (morto nel 1556) e Hans Olufsen Spandemager
(morto nel 1571) a Malmö. Claus Mortensen (Mortensøn, su cui vd. Andersson H.,
“Malmöreformatorn Claus Mortensen 1499-1575”, in Malmö fornminnes-
förenings årsskrift 1975, pp. 41-58) pubblicò a quanto pare tre edizioni (1528, 1529 e
1543) di un Libro dei salmi e nel 1528 un messale in danese, noto come ‘Messale di
Malmö’ (Thet cristelighe mesße embedhe paa dansche [...]) che sono tra i primi libri di
ispirazione luterana comparsi in Danimarca (vd. Psalmebøger fra Reformationstiden.

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496 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

Una delle figure che più si adoperarono perché l’insegnamento


luterano fosse compreso dal clero e dal popolo è certamente quella
del vescovo della Selandia, Peder (Petrus) Palladius (1503-1560)
che per il re Cristiano III aveva tradotto in danese l’Ordinanza
della nuova Chiesa.108 Nominato al prestigioso incarico con l’ap-
poggio di personaggi autorevoli come lo stesso Lutero e Melantone
(dei quali era amico) egli fu uno dei primi vescovi luterani del
Paese,109 carica cui affiancò quella di professore di teologia all’uni-
versità. Ebbe dunque modo di impegnarsi sul piano teorico così
come su quello pratico e profuse ogni energia nel gravoso compito
di trasformare le coscienze dei fedeli, ancora per molti versi pro-
pensi a mantenere tradizioni cattoliche come la venerazione della
Madonna o il culto dei santi (alcuni dei quali erano strettamente
legati alla storia della nazione danese).110 Testimonianza del suo
impegno apostolico che lo indusse a recarsi personalmente in tutte
le parrocchie (poco meno di quattrocento) della sua diocesi è il
celebre Libro delle visite pastorali (Visitatsbog), nel quale egli anno-
ta tutto quanto può essergli utile nella preparazione dei suoi incon-
tri con i fedeli.111 Questo testo, che è considerato il miglior prodot-
to letterario danese del XVI secolo, offre non solo un quadro della
società e della cultura del Paese nel periodo della riforma, ma
palesa anche in modo esplicito il voluto coinvolgimento del popo-
lo nel profondo cambiamento che si è avviato: gli argomenti tratta-
ti che toccano la vita (e i vizi!) quotidiani rivelano non soltanto un
acuto spirito di osservazione ma, soprattutto, mostrano una società
in profonda trasformazione.
Un’altra fra le autorevoli guide che indirizzarono il cambiamen-

Udgivne af Chr. Bruun, Kjøbenhavn 1865-1866: parte I, “Efterskrift”, pp. 193-200).


Nessuna delle edizioni del Libro dei salmi ci è conservata, tuttavia possediamo una
raccolta del 1533 (che secondo Chr. Bruun sarebbe una copia riveduta e ampliata di
quella del 1528; vd. op. cit., parte II, pp. 5-10) nella quale è contenuto un testo dal
titolo I dieci comandamenti di Dio, che ci insegnano tutto ciò cui siamo obbligati nei
confronti di Dio (De x. Guds Budord, som lær oss alt thet wij ere Gud plictige; ibidem,
II: pp.120-122, cfr. pp. 162-163) che si considera opera sua: esso sarebbe, dunque, il
primo salmo originale composto in una lingua nordica. Sui primi riformatori nella
città di Malmö vd. Sonnenstein Wendt C., “Om reformatorerna i Malmö och de
första lutherska presterna derstädes”, in KSam II (1860-1862), pp. 128-235.
108
Vd. sopra, p. 465 con nota 18.
109
Cfr. sopra, p. 466.
110
Basti pensare a Canuto il Santo o a Canuto Lord (su cui cfr. p. 238, p. 274, p.
332 e p. 392). A proposito di Canuto Lord cfr. anche p. 498.
111
Questo testo ci è noto solo da una copia del XVII secolo ritrovata nel 1866
nella Biblioteca reale (Det kongelige bibliotek) di Copenaghen. Su Peder Palladius vd.
Lausten M. Schwarz, Biskop Peder Palladius og kirken (1537-1560), København 1987.

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Una seconda rivoluzione religiosa 497

to fu Christiern Pedersen (Christiern Pederssøn, ca.1480-1554),


attivo traduttore di testi sacri destinati a essere diffusi tra il popolo,112
il quale ora dunque avrebbe potuto partecipare ai riti religiosi in
modo più diretto, ascoltando la parola di Dio, recitando le preghie-
re e cantando i salmi nella propria lingua. Certamente la letteratu-
ra religiosa del periodo della riforma resta per la gran parte un
prodotto di imitazione quando non di mera traduzione (basti pen-
sare che veri e propri ‘poeti salmisti’ si conosceranno solo più
avanti)113 e tuttavia il ricorso all’idioma volgare avrà effetti di straor-
dinaria rilevanza.114
Il cambiamento non coinvolgerà infatti solo il mondo degli
intellettuali ma anche la gente comune, seppure in forme per l’ap-
punto ‘popolari’. Innanzi tutto assistiamo alla rifondazione dell’U-
niversità di Copenaghen (1537), certamente dovuta alla volontà di
Cristiano III di ampliare il proprio potere promuovendo un radi-
cale cambiamento religioso e culturale,115 come dimostra il fatto
che essa diventa in primo luogo un centro di sapere luterano116 dove
opereranno teologi di fama come Niels Hemmingsen (1513-1600)
e Hans Poulsen Resen (1561-1638), successivamente vescovo della
Selandia.117 E poi constatiamo gli effetti del nuovo clima (non si
dimentichi che l’umanesimo operò parallelamente alla riforma) in
molti ambiti della cultura, dell’arte e della scienza. Ma, contempo-
raneamente, osserviamo – si ricordi che la capacità di leggere
aveva avuto un soddisfacente incremento – la diffusione di una
letteratura destinata alla gente comune, soprattutto con i cosiddet-
112
Cfr. oltre, p. 517, pp. 578-579, p. 604 e p. 636, nota 499. Vd. Brandt C.J., Om
Lunde-Kanniken Christiern Pedersen og hans Skrifter, København 1882.
113
Vd. oltre, pp. 608-609.
114
Vd. sotto, 8.2.5. e 8.2.5.1.
115
Vd. Sjöstrand 19652 (C.9.3), pp.127-129. Complice il disinteresse del re Federi-
co I, l’attività dell’università aveva conosciuto dal 1527 una sorta di paralisi, per via dei
timori cattolici di una infiltrazione della nuova dottrina religiosa. Ma già due anni dopo
l’Ordinanza del 1537 essa ebbe un nuovo statuto (vd. Rørdam 1868-1877 [C.9.2], I,
pp. 21-22 e pp. 44-115). In questa prospettiva va considerata anche l’istituzione previ-
sta dall’Ordinanza delle cosiddette ‘scuole di latino’, nelle città: nei centri principali
esse costituivano il luogo deputato per la formazione del clero luterano mentre nelle
località di minore importanza spesso ‘regredirono’ a scuole di livello popolare nel-
le quali l’insegnamento del latino era in buona parte trascurato (vd. Nellemann 1966
[B.8], pp. 32-33; cfr. p. 638, nota 503).
116
Nel 1543 alla carica di rettore sarà nominato Peder Svave, originario della
Pomerania (1492 o 1496-1552), un erudito strettamente legato a Lutero e a Melanto-
ne che era stato precettore del figlio di Federico I, Giovanni (Hans).
117
Entrambi furono tuttavia al centro di accese dispute teologiche: per questa
ragione Niels Hemmingsen nel 1579 fu addirittura rimosso dall’incarico. Hans Poulsen
Resen è considerato il fondatore dell’ortodossia danese.

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498 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

ti “libri popolari” (folkebøger), talora in versi, che riprendono temi


d’importazione in molti casi già noti fin dal XV secolo e (come nel
caso delle folkeviser)118 sono in realtà un prodotto letterario origi-
nariamente destinato alle classi elevate e solo successivamente
divenuto patrimonio della gente comune.119 Un filone, quello dei
“libri popolari” che resterà molto produttivo e che rappresenterà
per lungo tempo un modello di riferimento della cultura letteraria,
seppure di modesto livello. Del resto, una volta che la riforma con
la sua esigenza di ‘purismo’ religioso e di sobrietà negli aspetti
rituali aveva spazzato via anche la lunga tradizione di leggende
agiografiche, la fantasia popolare aveva dovuto indirizzarsi verso
nuove espressioni.
Dopo la riforma riceve impulso anche il teatro, un genere già
presente ma ancora assai poco sviluppato (e limitatamente docu-
mentato). Come altrove esso era nato in ambito religioso, su imi-
tazione di modelli stranieri (‘misteri’, ‘miracoli’, poi anche ‘mora-
lità’ e farse),120 probabilmente all’inizio in lingua latina. Già
un’opera come la Rappresentazione su San Canuto Lord (Lvdvs de
Sancto Kanvto dvce), uno dei più antichi drammi in lingua danese
(sicuramente riportabile ai primi decenni del XVI secolo) mostra,
seppure ispirato alla figura esemplare di un santo nazionale, un
distacco da temi troppo marcatamente cattolici. E del resto non a
caso il primo vero teatro danese sarà, in sostanza, quello ‘scolastico’
(in quanto sorto, appunto nell’ambito delle ‘scuole di latino’)121 che
faceva ricorso a materiale di ispirazione biblica così come al teatro
classico (in particolare a Terenzio): un genere ripreso palesemente
118
Su cui vd. pp. 396-397.
119
Tra quelli che possono vantare una migliore qualità letteraria la versione curata
da Herman Weiger (date ignote) del celebre Romanzo della volpe di tradizione fran-
cese che in danese porta il titolo En Ræffue Bog, la storia di Frate Sbornia (Broder Rus),
la Danza della morte (Dødedansen), testi ripresi dal retroterra tedesco e, naturalmente,
anche la storia dei “sette saggi maestri” che risale a una tradizione letteraria preceden-
te (cfr. p. 454 con nota 55) ma della cui versione danese (De syv vise mestre) non resta
che un frammento. Per l’edizione dei “libri popolari” danesi vd. EF alla voce folkebøger.
Vd. anche Marelli 2008.
120
I ‘misteri’ erano la rappresentazione in forma drammatica di episodi biblici, i
‘miracoli’ di leggende agiografiche. Quando verso la fine del medioevo la componen-
te mondana delle rappresentazioni venne sopravanzando quella religiosa anche il
teatro passò dalla sfera ecclesiastica a quella laica, sicché ora piuttosto che su argo-
menti strettamente religiosi si pose l’accento sui valori morali e nelle ‘moralità’ venne-
ro rappresentati (a scopo educativo) vizi e virtù; d’altro canto le scene di comicità
legate alla figura del demonio o a quella dei buffoni (già presenti nei ‘misteri’) furono
la base sulla quale si svilupparono le farse.
121
Vd. p. 638, nota 503. E in effetti, all’inizio, la recitazione era in latino poiché
questa attività faceva parte dell’insegnamento.

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Una seconda rivoluzione religiosa 499

dal modello tedesco cui aveva dato impulso lo stesso Lutero. Esso
conoscerà un interessante sviluppo, ma i risultati resteranno comun-
que, dal punto di vista della qualità letteraria, di portata limitata.122
Per conoscere un grande teatro danese bisognerà attendere Ludvig
Holberg.123

L’opera di Hans Tausen, fervente promotore della riforma luterana, è


particolarmente significativa dell’atmosfera venutasi a creare nel contesto
dell’aspra contesa religiosa. Se ne può avere un significativo esempio
dalla lettura di questi versi, tratti dal suo celebre componimento [Sulla]
Menzogna e la Verità ([Om] Løgn og Sandhed, pubblicato nel 1547) nei
quali si sostiene che la Verità, già scacciata dai castelli e dalle città non
riesce a trovare rifugio neppure fra le mura dei conventi, dove, si afferma,
i monaci sono ormai divenuti fedeli seguaci della menzogna:

“La Verità dovette andare in Convento,


non poteva restare con i Vescovi,
Si mise l’Abito monastico,
le pareva piacevole indossarlo,
la Verità si rivolse al Monaco, contro la Menzogna doveva lottare,
Perché essa potesse restarsene tranquilla in Convento,
li sapeva molto pii.

Verità, tu sei un fuggitivo,


E nessuno può averti cara,
Questo rispose il frate guardiano, come un uomo,
noi non vogliamo combattere per te,
Poiché ora serviamo fedelmente la Menzogna,
Per questo non puoi vivere nel nostro Convento,
Tu lo sai [che siamo] poco pii.

La Menzogna nel Convento è potente,


Essa non ci dà alcun tormento
Al mondo non c’è nulla di simile,
che ci dia giorni così,
la Menzogna costruisce muri possenti
E nessun lavoro ci è sgradevole,
Essa sa guidarci senz’altro.

122
Si può comunque citare qui, quantomeno, un autore come Hieronimus Justesen
Ranch (1539-1607), cui si devono opere incentrate sulla figura del re Salomone o di
Sansone, così come la farsa dal titolo L’avaro Niding (Karrig Niding).
123
Vd. oltre, pp. 789-792 e pp. 830-831.

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500 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

Verità, tu sei affamata e magra,


dalla tua cucina uscirebbe poco fumo,124
per la nostra Prigione sei un ospite proprio adatto,
E dovrai approfittarne,
Ora la Menzogna è divenuta patrona del Monaco,
E la Verità sta nella loro Prigione,
Essi vogliono farla morire di fame.”125

8.2.2. Svezia

In Danimarca l’affermazione del luteranesimo era certamente il


risultato della politica dei sovrani, in particolare della determina-
zione di Cristiano III; tuttavia, come si è detto, essa era stata accom-
pagnata da un movimento popolar-borghese che aveva visto il
coinvolgimento della gente comune. In Svezia la situazione ci appa-
re differente: l’introduzione della riforma fu possibile, in sostanza,
solo perché essa corrispondeva alla ferma volontà di Gustavo Vasa
(i cui interessi, come si è detto, erano di carattere politico piuttosto
che religioso) e in questo contesto il supporto della borghesia (alme-
no di quella della capitale) era stato solo un elemento secondario
da lui sfruttato a proprio vantaggio. La borghesia svedese restava
infatti di modesto livello, sia dal punto di vista numerico sia da
quello economico mentre le diverse rivolte contadine contro il
sovrano si legavano, come è stato detto, anche a un forte conserva-
torismo religioso. Con la confisca dei beni della Chiesa Gustavo
Vasa respinse gli ecclesiastici in una posizione sociale di assai minor
prestigio rispetto a quella di cui essi avevano goduto per secoli. Ciò
ebbe tra gli altri risultati lo svigorimento della forza culturale della
Chiesa, con evidenti ripercussioni negative. Anche la disputa reli-
giosa e teologica provocata dall’avvento della riforma non appare
in Svezia vivace come altrove. Certo il luteranesimo svedese poté

124
Cioè “tu potresti offrirci poco da mangiare”. Il termine stegers, qui tradotto con
“cucina”, è formato da steger “persona che si occupa di arrostire (in generale di “cuci-
nare”) e hus “casa”, “locale”: significa dunque propriamente “locale in cui si arrostisce
[la carne]”; vd. Dahlerup 1993-1997 (B.5), XXI, coll. 1111-1112. L’allusione alla
ingordigia dei monaci, un vizio ripetutamente loro imputato (cfr. p. 454) è qui del
tutto evidente.
125
[Om] Løgn og Sandhed, str. 9-11 (DLO nr. 118). Sul componimento vd. Paludan
J., “Visen om Løgn og Sandhed”, in DS 1912, pp. 76-86 e Meisling P., “Den fortsødte
Sandhed. Om DV9 Løgn og Sandhed”, in DS 1985, pp. 25-56.

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Una seconda rivoluzione religiosa 501

vantare figure di tutto rilievo come i già citati Olaus Petri e Lauren-
tius Andreæ,126 ma a differenza della Danimarca l’esigenza di un
dibattito teologico appare qui meno sentita, seppure non ne man-
chino esempi. Fra tutti la celebre disputa tenuta a Västerås (in
Västmanland) nel giugno del 1527 tra Olaus Petri e Peder Galle,
professore di teologia all’Università di Uppsala e difensore della
tradizione cattolica.127 Sebbene questa disputa non potesse incidere
sulle decisioni in materia religiosa che erano state ormai assunte,128
essa originava tuttavia da una iniziativa del re Gustavo Vasa che in
precedenza aveva chiesto a diversi eminenti rappresentanti del
clero di rispondere a dieci domande (successivamente ne furono
aggiunte altre due) in materia religiosa. Protagonisti della contro-
versia furono dunque in primo luogo proprio Olaus Petri e Peder
Galle, tuttavia anche il teologo danese e paladino del cattolicesimo,
Poul Helgesen, volle portare il proprio contributo.129
Nell’affermazione del luteranesimo svedese la netta prevalenza
delle motivazioni politiche su quelle religiose si riflette anche nella
constatazione che dal punto di vista strettamente teologico l’intro-
duzione della riforma fu, in Svezia, un processo prolungato nel
tempo, tanto è vero che la Chiesa riformata svedese si è avvicinata
a quella anglicana, che per certi versi rappresenta una sorta di via
di mezzo tra il cattolicesimo e il luteranesimo.
Il decadimento della cultura svedese dopo la riforma si misura
innanzi tutto nella sconsiderata distruzione di gran parte del patri-
monio artistico e librario conseguenza della devastazione e dell’ab-
bandono dei conventi; un personaggio culturalmente piuttosto
rozzo come Gustavo Vasa si preoccupò infatti di arraffare ogni
126
Vd. sopra, p. 472.
127
Di Peder Galle è ignoto l’anno di nascita. Si sa che era di famiglia nobile, che
aveva studiato a Rostock e successivamente soggiornato a Roma. Aveva poi ricoperto
diversi incarichi ecclesiastici a Uppsala prima di diventare docente presso l’università.
La sua morte si colloca tra il 1537 e il 1538. La scena che lo vede contrapposto a Olaus
Petri è raffigurata in un quadro del 1883 di Carl Gustaf Hellqvist (vd. p. 1090) con-
servato nel Museo nazionale (Nationalmuseum di Stoccolma). È probabile tuttavia che
al dibattito partecipassero anche altre persone. Vd. il primo testo citato a p. 522.
128
Come ha mostrato Henrik Schück che ha dettagliatamente analizzato la questio-
ne (“Striden mellan Olavus Petri samt Peder Galle och Paulus Heliæ”, in Samlaren,
VII [1886], pp. 49-70, vd. in particolare p. 62).
129
I contenuti della disputa furono affidati ad alcuni scritti, tra cui meritano parti-
colare attenzione la Risposta a dodici quesiti […] (Swar påå tolf spörsmål […], 1527)
di Olaus Petri (che contiene anche le osservazioni di Peder Galle), la Risposta a Re
Gustavo (Svar til Kong Gøstaff, 1528) di Poul Helgesen, nella quale egli polemicamen-
te pone a sua volta al re dodici domande, e la replica a questo scritto (Una modesta
lettera aperta a Poul Helgesen […]) da parte di Olaus Petri (Jtt fögho Sendebreff Til
Paulum Helie […], 1528). Una sintesi della questione si trova in SPH VII, pp. 51-53.

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502 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

possibile oggetto di valore, libri compresi, per farne un uso pratico:


mentre manufatti preziosi sottratti dagli edifici religiosi venivano
fatti a pezzi o riutilizzati per usi mondani, pagine di preziosi volu-
mi furono adoperate addirittura per la rilegatura di libri contabili.
Segni espliciti di disprezzo per la cultura fino ad allora dominante
unito in molti casi a ignoranza e avidità.
Un ulteriore effetto negativo fu la decadenza delle scuole: Gusta-
vo Vasa era certamente interessato ad avere buoni prelati ma anche
(soprattutto!) efficienti funzionari e nonostante i diversi inviti alla
popolazione affinché si mandassero i figli a scuola non mostrò di
dedicare la dovuta attenzione a questa materia. Per altro tra la
gente comune la necessità di una istruzione era scarsamente per-
cepita (anche a motivo dell’avversione popolare nei confronti
della nuova dottrina) e, parallelamente, divenne ben poco ambita
la mansione di docente (anche per il timore di essere chiamati al
servizio diretto del sovrano, noto per la sua intransigenza).130 Occor-
rerà dunque attendere il 1571 perché venga emanata la prima
regolamentazione del sistema scolastico, per gran parte opera
dell’arcivescovo Laurentius Petri:131 la cui impostazione (marcata-
mente finalizzata all’apprendimento della dottrina luterana) sarà
poi revisionata con nuovi provvedimenti, in particolare negli anni
1611, 1649 e 1693.132 Parallelo a quello della scuola è il decadimen-
to di una istituzione come l’Università di Uppsala (certamente in

130
Vd. Warne A., “Den svenska folkundervisningen från reformationen till
1809”, in Fredriksson V. (red.), Svenska folkskolans historia, I, Stockholm 1940,
pp. 89-90.
131
Questa regolamentazione è contenuta all’interno dello statuto ecclesiastico
emanato in quell’anno (cfr. sopra, p. 478): esso fa riferimento all’insegnamento in
diversi punti, in particolare tuttavia in due paragrafi dal titolo Sulle scuole (Om Scholar)
e (assai dettagliato) Ordinanza su come si deve studiare nelle scuole (Ordning huru läsas
skal vti Scholarna; ed cit., pp. 173-193); vd. Sjöstrand 19652 (C.9.3), pp. 97-101. Per
l’ordinamento scolastico contenuto nella versione manoscritta del 1561 (cfr. nota 56)
vd. SAL I-III, pp. 3-24. Le norme dispongono come suddividere gli alunni in base alle
loro conoscenze pregresse e impostano l’insegnamento soprattutto sul latino e sulla
religione. In generale su questa prima regolamentazione scolastica svedese vd. Hall
B.R., Om Sveriges första läroveksstadga. Studier rörande reformationstidens skola och
skolfrågor (= Årböcker i svensk undervisningshistoria, 1921: 1). Nella Nova Ordinantia
ecclesiastica del 1575 sarà naturalmente ripreso il ‘tema scolastico’, auspicando la
fondazione a Stoccolma di una schriffue schole (cioè “scuola per [l’apprendimento]
della scrittura”) e anche di una scuola per ragazze (pijge schola); ed. cit., p. 348.
132
Per l’ordinamento scolastico del 1611 vd. SAL I-III, pp. 25-40; per quello del
1649, ibidem, pp. 42-111; per quello del 1693 (il primo a introdurre una sorta di esame
di maturità) vd. SAL IV-VI, pp. 1-15. Per un sunto della situazione delle scuole sve-
desi vd. Schück – Warburg 19853 (B.4), II, pp. 102-106 e pp. 152-154.

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Una seconda rivoluzione religiosa 503

crisi già dal secondo decennio del XVI secolo),133 che, nonostante
qualche sforzo di Erik XIV, solo dal 1595 per decisione di Carlo
IX riprenderà a funzionare pienamente seppure, innanzi tutto,
come centro di formazione teologica strettamente controllato dai
luterani.134 Sicché, in sostanza, coloro che desideravano procurar-
si una istruzione di livello adeguato dovettero ancora una volta
indirizzarsi all’estero: ora (per evidenti preclusioni di tipo religioso)
quasi esclusivamente alla Germania, in primo luogo a Wittemberg
e, ancora, a Rostock.135 Nel periodo della riforma il loro numero
risulta tra l’altro diminuito, per conoscere poi una ripresa verso la
fine del XVI secolo. Solo all’inizio del XVII secolo (1617) l’Uni-
versità di Uppsala potrà, almeno in parte, affrancarsi da compiti
strettamente confessionali aprendosi anche all’insegnamento di
discipline ‘mondane’.136 Qui sarà docente e anche rettore Johannes
Johannis Rudbeckius (1581-1646), una delle personalità più con-
sapevoli dell’importanza sociale di una formazione scolastica ade-
guata.137 Almeno a livello dell’istruzione superiore ci si comincia a
svincolare da una formazione di tipo strettamente confessionale.
Durante il regno di Gustavo Vasa in Svezia anche l’uso di uno
strumento culturale innovativo e ricco di potenzialità come la stam-
pa risulta fortemente condizionato dalla politica del sovrano. Sicché,
la capacità di leggere resta limitata, almeno ai livelli più bassi
dell’istruzione, alla fruizione di semplici testi di carattere religioso.138
Questo Paese viene dunque isolandosi dalla cerchia culturale

133
Vd. Annerstedt 1877 (C.7.3), pp. 43-44.
134
Vd. oltre, pp. 570-571 con note relative.
135
Del resto il riformatore svedese per eccellenza, Olaus Petri, aveva studiato a
Lipsia e Wittemberg.
136
Ancora nel 1600 tuttavia Laurentius Paulinus Gothus (1565-1646), nominato
professore di teologia all’Università di Uppsala, aveva inaugurato il suo insegnamen-
to con una prolusione, tenuta il 23 maggio, nella quale riaffermava la necessità che
qualsiasi disciplina dovesse essere asservita all’insegnamento teologico, considerato
assolutamente centrale (vd. Lundström H., Laurentius Paulinus Gothus, hans lif och
verksamhet (1565-1646), Uppsala 1893-1898, I, pp. 75-80, le indicazioni relative al
testo di questo discorso a p. 38-39, nota 3); cfr. p. 629, nota 474 e p. 800, nota 518.
137
Nel 1604 (il 12 settembre) egli, assumendo l’incarico di docente, pronunciava un
discorso dal titolo Orazione sull’utilità e al contempo sulla necessità dell’istruzione e delle
scuole (Oratio de Literarum et Scholarum Utilitate simul ac Necessitate) nel quale sono
esposti i princìpi che lo avrebbero guidato nella sua opera pedagogica. A lui si deve, tra
l’altro, la fondazione del primo ginnasio e della prima scuola femminile svedesi (1623 e
1632, rispettivamente). Su di lui vd. Scheffer H., Johannes Rudbeckius. En kämpagestalt
från Sveriges storhetstid, Stockholm 1914.
138
La situazione della stampa, del mercato librario e della censura durante il regno
di Gustavo e dei suoi figli è dettagliatamente analizzata in Schück – Warburg 19853
(B.4), II, pp. 50-56.

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504 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

europea, una involuzione che inevitabilmente condizionerà anche


la produzione letteraria. Anche qui comunque constatiamo l’affer-
mazione (destinata a durare nel tempo) dei “libri popolari” (folk-
böcker),139 semplici traduzioni (per lo più dal danese), e il primo
sviluppo del genere teatrale (drammi biblici e drammi scolastici):
si citi almeno la Commedia di Tobia (Tobie comedia), del 1550,
tradizionalmente considerata opera di Olaus Petri.140 Un genere,
quest’ultimo, che solo faticosamente si svincolerà dai presupposti
religiosi e che a lungo e per la gran parte resterà legato a temi di
importazione, almeno fino a quando Johannes Messenius cercherà
ispirazione nel leggendario passato della nazione.141 Il resto è per
lo più letteratura teologica (o, comunque, di carattere religioso) ma
anche poesia d’encomio dei potenti o d’occasione e – ma questo
sarà considerato più avanti – letteratura ‘storica’ nella quale si fa
strada un marcato e non di rado grottesco patriottismo.

Nel panorama poco esaltante (se non altro dal punto di vista estetico)
della letteratura svedese del XVI secolo si distingue un anonimo compo-
nimento che con semplicità ed efficacia descrive la situazione dell’uomo
anziano:142

“Il vecchio, assomiglia


a una quercia senza corteccia.
Tutti i suoi rami
li lascia cadere.
Le radici marciscono,
in cima viene giù.
Il vecchio svigorisce
il giovane prospera.

Povertà e malattia
se ne andavano in giro in paese;
alla fonte incontrarono il dolore;
così erano tre sorelle.

139
Per l’edizione dei “libri popolari svedesi” vd. Svenska folkböcker (Sahlgren
1946-1956).
140
Di diverso parere è tuttavia E. Noreen (vd. “Tobie commedia”, in Göteborgs
Handels- och Sjöfarts-Tidning, 13 marzo 1940, p. 3).
141
Vd. oltre, pp. 580-581.
142
Il tema della vecchiaia si ritrova già in testi poetici tedeschi e danesi del XV
secolo, così come in un componimento dal titolo Poesia sulla vecchiaia (Ellikvæði)
attribuito al poeta islandese Jón Hallsson (ca.1470-ca.1540).

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Una seconda rivoluzione religiosa 505

Posero il loro sigillo


sulla porta del vecchio.
Dio abbia misericordia del vecchio,
che vive là dentro!

Il vecchio si strofina
la testa grigia.
La vecchiaia mette alla prova
i suoi parenti.
Parenti ne ha molti
e amici ne ha pochi.
Il Signore Iddio del cielo abbia misericordia di colui
che deve fare affidamento su questo.

Il naso del vecchio


si piega come un ramo verso terra.
Il mondo è ingannevole
come il ghiaccio, sta sopra a un fiume.
Scricchiola e crepita,
si spezza e va a fondo.
Così succede a un vecchio,
che vive a lungo.

La morte, essa somiglia


a un cacciatore instancabile.
Scioglie i cani.
Essa azzanna un capriolo,
certo ne azzanna uno,
certo ne azzanna due,
certo azzanna tutti gli animali che ci sono,
grandi e piccoli.”143

8.2.3. Le colonie danesi: Norvegia e Islanda

Nel 1542 il capitolo del duomo di Trondheim, sede dell’arcive-


scovato cattolico e della celebre cattedrale nella quale per secoli
erano state conservate le sacre reliquie di Olav il Santo, accettava
di propria iniziativa l’Ordinanza luterana e la designazione di un
vescovo (sovrintendente) della chiesa riformata. A questo punto il
venerato scrigno di Sant’Olav era probabilmente già andato distrut-
to: esso non solo era stato l’oggetto più prezioso esistente in Nor-
143
DLO nr. 119.

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506 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

vegia (la sua parte più antica contava almeno cinquecento anni)
ma, soprattutto, aveva conservato per secoli le veneratissime reliquie
del re patrono ed era stato meta di numerosissimi pellegrini che da
tutto il Nord (ma anche da altri Paesi) si erano recati in quel luogo
a pregare e a implorare grazie. Questa data ha dunque una doppia
e significativa valenza: da un lato essa sancisce la sconfitta conclu-
siva (anche sul piano simbolico) del cattolicesimo norvegese, dall’al-
tro chiude definitivamente il medioevo in questo Paese.144 Il domi-
nio danese è ormai incontrastato e l’antico potere della Chiesa
viene smantellato. Ma in Norvegia, come si è visto, l’affermazione
della riforma era stata il risultato di una volontà politica imposta
dall’esterno ed estranea al sentire della popolazione: qui infatti la
borghesia (più pronta ad accogliere la nuova dottrina) era nume-
ricamente limitata e non aveva grandi mezzi, mentre la maggior
parte degli abitanti era costituita dai contadini che restavano lega-
ti alle antiche tradizioni (e che, a quanto risulta, opposero anche
una certa resistenza all’imposizione dei rituali riformati). Di con-
seguenza nei primi anni l’introduzione delle nuove norme religiose
luterane fu lenta, i vecchi sacerdoti (ai quali fu fornita una istruzio-
ne modesta e alquanto superficiale) rimasero nelle parrocchie e
anche gli edifici ecclesiastici conobbero pochi cambiamenti, il che
non di rado appare determinato dalla necessità di non creare inu-
tili (e pericolosi) motivi di risentimento nell’animo popolare.145
Questo anche se, naturalmente, dal punto di vista ‘amministrativo’
la riforma fu concretizzata in tempi abbastanza brevi: da una parte
ci fu la precoce trasformazione (ma anche la distruzione) dei con-
venti (facilitata dal diffuso disprezzo per la vita gaudente dei mona-
ci e delle suore): essi del resto già dagli anni 1528-1532 erano stati
affidati all’amministrazione di nobili funzionari statali; dall’altra la
rapida estromissione dei vescovi cattolici i cui possedimenti finiro-
no sotto la gestione di uomini di fiducia del sovrano e la cui carica
fu assegnata a ecclesiastici di nomina regia, sostituiti poi da ener-
gici e convinti luterani danesi.
Ma in un Paese (tra l’altro ancora scarsamente popolato) nel
quale non c’era una monarchia autonoma né una nobiltà forte, la
Chiesa cattolica era stata l’unico elemento unificatore: la sua elimi-

144
Vd. Ekroll 2000 (C.4.3).
145
Ciò conosce anche un riflesso sul piano artistico in quanto il rifacimento degli
edifici religiosi secondo i canoni luterani non avvenne prima del XVII secolo; in que-
sto periodo si colloca il cosiddetto “rinascimento di Stavanger”, in quanto le chiese
di quella diocesi furono artisticamente rinnovate da abili artisti (vd. Kloster R.,
Stavangerrenessansen i Rogalands kirker, Stavanger 1936).

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Una seconda rivoluzione religiosa 507

nazione (qui come altrove resa definitiva dall’espropriazione delle


sue risorse economiche) ebbe dunque importanti ricadute sia dal
punto di vista sociale sia da quello culturale. A parte la tradizione
popolare (racconti, ballate) che certamente rimaneva viva (seppu-
re la si potrà conoscere in forma scritta solo molto più avanti), la
cultura norvegese che aveva saputo sopravvivere alla ‘grande crisi’
iniziata nella seconda metà del XIV secolo era in sostanza gestita
dalla Chiesa e fu dunque – almeno inizialmente – coinvolta nel
decadimento dell’istituzione ecclesiastica. Ciò si lega naturalmente
a fattori pratici, in particolare il declino dei capitoli (e, conseguen-
temente, della loro possibilità di offrire istruzione), la riduzione del
numero dei sacerdoti e il parallelo ampliamento territoriale delle
parrocchie. Solo dalla seconda metà del XVI secolo si potrà con-
statare un graduale recupero di autorevolezza del clero luterano
(ora meglio istruito e più organizzato), anche per il proficuo affer-
marsi della consuetudine delle visite pastorali; esso saprà consoli-
dare la propria posizione sociale fino a riconquistare nel XVII
secolo un sufficiente prestigio. Il che si rifletterà nella tendenza al
formarsi di vere e proprie ‘dinastie ecclesiastiche’ che tramandano
ai figli e alle figlie (a loro volta ecclesiastici o loro spose) una soli-
da posizione.
Per altro si deve ricordare che, a differenza della Danimarca e
della Svezia, la Norvegia non aveva una università propria e che
l’arte tipografica sarebbe giunta qui con grande ritardo: addirittu-
ra nel 1643.146 A parte l’alfabetizzazione di base che rispondeva alla
necessità di un approccio diretto alle Sacre Scritture, il Paese
poteva contare sulle sole ‘scuole di latino’ nelle città, frequentate
in particolare dai futuri pastori:147 tuttavia a quanto risulta (almeno

146
Per questa ragione, evidentemente, le opere a stampa che circolavano nel
Paese erano tutte prodotte all’estero. Cfr. sopra, nota 70 (cfr. anche l’ordinanza
relativa all’assunzione di un ‘libraio’ per la diocesi di Oslo e Hamar: Winge 1988
[Abbr.], nr. 336, 2 gennaio 1575, p. 132). Il primo tipografo a ottenere il ‘privilegio’
per aprire una stamperia in Norvegia fu il danese Tyge Nilsson (nato tra il 1600 e il
1610, morto nel 1687) che giunse a Christiania (Oslo) nel 1643, rimanendovi tutta-
via (a causa di questioni processuali) solo un anno; una seconda stamperia fu aperta
nel 1647, una terza nel 1656. Bergen ebbe la sua prima officina tipografica nel 1721,
Trondheim nel 1739; vd. Ridderstad 2005, p. 1247. Un’indagine approfondita sulla
storia del mercato librario in Norvegia è stata svolta da H.L. Tveterås (Geschichte
des Buchhandels in Norwegen, Wiesbaden 1992 = Geschichte des Buchhandels,
herausgegeben von H.G. Göpfert – A. Martino et al., V), il quale ha rilevato la
presenza di ‘librai’ (verosimilmente ambulanti) nel Paese fin dal 1533. Per notizie
dettagliate sugli inizi della stampa in Norvegia si rimanda dunque a questo lavoro,
in particolare alle pp. 5-17.
147
Vd. p. 638, nota 503.

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508 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

per i primi decenni dopo la riforma) essi non vi ricevevano una


formazione particolarmente accurata (anche a motivo delle preca-
rie condizioni degli istituti).148 Dunque tutti coloro che necessita-
vano di una istruzione superiore dovevano rivolgersi agli atenei
stranieri (tra cui, naturalmente, l’Università di Copenaghen). A ciò
si aggiunga, considerazione niente affatto secondaria, che la rifor-
ma segnò (come sarà esposto più avanti) la definitiva affermazione
della lingua danese come idioma ufficiale in Norvegia.149
Tutto ciò naturalmente non significa che in questo periodo il
Paese sia assolutamente privo di personalità di rilievo, capaci di
portare avanti le istanze della cultura e dell’istruzione. Se infatti è
vero che in Norvegia è praticamente assente la vivace polemica
religiosa che, soprattutto in Danimarca, aveva caratterizzato gli ‘anni
caldi’ della riforma, è altrettanto vero che l’esigenza di consolida-
mento della nuova dottrina costituirà poi la base di riferimento
d’una schiera, modesta ma non trascurabile, di umanisti norvegesi
la cui attività si lega ai centri principali (Bergen, Oslo, Stavanger)
nei quali operavano autorevoli figure di ecclesiastici luterani e
magari anche amministratori interessati a favorire la vita culturale.
Un ‘precursore’ di questi umanisti è certamente il vescovo Geble
Pederssøn, precedentemente ricordato,150 il quale, convertitosi alla
nuova dottrina, mantenne costanti contatti con il danese Peder
Palladius151 e portò avanti una intensa attività rivolta alla diffusione
dell’insegnamento, aiutando i giovani più meritevoli a frequentare
l’università. Egli era, non a caso, vescovo di Bergen, una delle poche
località norvegesi (se non l’unica) nelle quali il luteranesimo aveva
fin da principio trovato una qualche accoglienza.152
Fra gli allievi di Geble Pederssøn (ma anche fra gli umanisti
norvegesi) spicca certamente Absalon Pederssøn Beyer (1528-
1575),153 che da lui era stato accolto e sostenuto fin da quando,
rimasto orfano in giovane età, era stato inviato in quella città per
studiare. Formatosi a Copenaghen (dove aveva soggiornato presso
Peder Palladius) e a Wittemberg (dove aveva potuto ascoltare le
lezioni di Melantone), egli era tornato a Bergen nel 1552 dove
sarebbe stato attivo come insegnante e come studioso. E, a quanto
pare, anche come promotore del genere dei “drammi scolastici”

148
Vd. Heffermehl 1913 (B.8), pp. 62-63.
149
Vd. oltre, 8.2.5.3.
150
Vd. p. 483.
151
Vd. p. 496.
152
Vd. pp. 479-480.
153
Cfr. p. 479 con nota 63.

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Una seconda rivoluzione religiosa 509

cui già si è fatto riferimento a proposito della Danimarca e della


Svezia. Se la sua fama è dovuta soprattutto a un’opera ‘nazionali-
stica’ che porta il titolo Sul regno norvegese (Om Norgis Riige),154 il
suo Diario (Dagbok)155 offre un quadro immediato e realistico
della vita in una città norvegese nel XVI secolo. In entrambe egli
opta (fortunatamente!) per la lingua madre.
*
Anche in Islanda l’introduzione della riforma fu, come si è visto,
il risultato di un preciso disegno del re Cristiano III, imposto sen-
za troppi riguardi. Del resto in questo Paese il numero dei religio-
si che potevano vantare una formazione teologica luterana di un
certo rispetto era assai limitato e dunque in quel momento manca-
rono, anche da questo punto di vista, figure davvero autorevoli e
rappresentative. Sicché il cambiamento (riflesso anche qui nel
drastico impoverimento della Chiesa) se da una parte servì a rimar-
care la sovranità danese nell’isola, comportò dall’altro un grave
danno culturale con profonde ripercussioni. I conventi furono
chiusi, i beni di valore depredati, le scuole decaddero.156 Ovvia-
mente nell’isola non c’era una università e la necessità di recarsi
all’estero (in primo luogo a Copenaghen) per compiere gli studi
superiori rendeva ancora più evidente lo stato di subordinazione
(ora anche formativo) nei confronti del dominatore danese. Paral-
lelamente, del resto, l’assemblea generale si riduceva a strumento
di approvazione formale di decisioni assunte dall’esterno, mentre
la società non trovava la forza di opporsi a una crescente invaden-
za del potere della Corona (che tra l’altro si era impadronita di un
sesto dei possedimenti terrieri nel Paese), invadenza che sarebbe
sfociata nel monopolio commerciale danese, introdotto nel 1602:
una decisione che per la popolazione islandese avrebbe avuto
conseguenze devastanti.157
Il cambiamento religioso comportò dunque anche un cambia-
mento culturale, segnando un preciso momento di svolta rispetto
154
Vd. oltre, p. 593.
155
Altrimenti noto come il Libro del capitolo di Bergen (Bergens Kapitelsbok).
156
Nella sua Storia ecclesiastica d’Islanda il vescovo Finnur Jónsson (vd. p. 727)
osserverà che dopo la riforma “[…] si trovavano molto pochi che volessero istruire
nelle lettere i figli e i minori loro affidati, inoltre in tutta l’Islanda non c’era una scuo-
la pubblica, nella quale i giovani potessero essere formati, e quei pochissimi che erano
in grado di insegnare qualcosa a vantaggio della religione luterana, la vedevano di
malocchio. Per di più a questo problema si aggiunse una notevole penuria di libri […]”
(DLO nr. 120).
157
Vd. oltre, pp. 551-552.

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510 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

a quell’esercizio letterario di lunga tradizione che ancora nel tardo


medioevo cattolico aveva prodotto tutta una serie di autori e di
componimenti (di carattere religioso ma non solo). Del resto all’af-
fermazione della cultura luterana avrebbe contribuito, suo malgra-
do, Jón Arason stesso, l’eroico paladino della resistenza nazional-
religiosa, il quale era, oltre che un vescovo e un combattente, un
uomo di cultura e un poeta, da taluni ritenuto il migliore della sua
epoca, giudizio nel quale ha forse pesato la vicenda umana, per
altro da lui stesso commentata in versi ben noti alla tradizione.158
Egli infatti si adoperò per l’introduzione della stampa nel proprio
Paese, uno strumento che sarebbe divenuto assai utile ai fini della
diffusione della nuova dottrina. Intorno al 1530 (o forse qualche
anno prima) il vescovo aveva accolto a Hólar un prete svedese, Jon
Mattheusson (nato verosimilmente attorno al 1500, morto nel 1567),
detto nelle fonti islandesi Jón Matthíasson o anche Jón Svedese
(Jón sænski), che vi impiantò una stamperia. A Hólar vennero
dunque prodotti i primi libri islandesi.159 Sappiamo che dovette
trattarsi di un Breviario (1534) del quale non ci restano che due
fogli160 e di un testo cui viene dato il titolo i Quattro evangelisti
(Fjóra guðspjallamenn): quest’ultimo è tuttavia andato completa-
mente perduto.161 Nel 1535 Jón Matthíasson ebbe affidata la par-
rocchia di Breiðabólsstaður (in Vesturhóp, Húnavatnssýsla) e lì
trasferì i suoi macchinari. Dopo la morte di Jón Arason la diocesi
di Hólar fu presto occupata dai luterani, Jón Matthíasson si con-
vertì alla nuova religione e il nuovo strumento fu utilizzato a nuo-
vi scopi. Ólafur Hjaltason, primo vescovo luterano della diocesi di
158
I versi attribuiti a Jón Arason sono raccolti in Biskupa sögur, gefnar út af Hinu
íslenzka bókmenntafèlagi [sic], II: iii, Kaupmannahöfn 1878, pp. 509-595. Qui sono
compresi anche i suoi componimenti di carattere religioso. Cfr. p. 489 con nota 88.
159
Si vedano, tra l’altro, il breve testo Sulla stamperia in Islanda ai tempi del vescovo
Jón (Um prentsmiðju á Íslandi í tíð Jóns biskups) in Söguþættir og ættartölur Jóns
biskups Arasonar (Biskupa sögur, II: ii, pp. 440-442; per l’indicazione bibliografica si
rimanda a nota 88) e gli Annali islandesi di Björn Jónsson di Skarðsá (pp. 67-68). Vd.
Hermansson H., “Introduzione” a Guðspjallabók 1562, Bishop Ólafur Hjaltason’s Ritual
(Breiðabólsstaður, Jón Matthiasson, 1562), Facsimile Edition with an Introduction in
English and Icelandic, Copenhagen 1933, pp. 5-17 (in lingua inglese) e pp. 27-38
(in lingua islandese) e Franzson Bj., “Jon svenske och det första tryckeriet på Island”, in
NTVKI XXIX (1953), pp. 190-193.
160
Essi sono conservati nella Biblioteca reale (Kungliga biblioteket) di Stoccolma;
si tratta in sostanza di una versione del Breviarium nidrosiense stampata presso la
diocesi islandese di Hólar (e detta perciò Breviarium holense; vd. Collijn I., “Två blad
af det förlorade Breviarium nidrosiense, Hólar 1534”, in NTBBV I [1914], pp. 11-16).
Cfr. nota 70.
161
Vd. in proposito Stefánsson Bj.S., “Íslenzkt guðspjallarit Jóns biskups Ara-
sonar”, in Saga, XXVIII (1990), pp. 176-178.

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Una seconda rivoluzione religiosa 511

Hólar,162 fece pubblicare alcune opere di carattere religioso. Suo


successore fu il celebre Guðbrandur Þorláksson (ca.1542-1627).
Tornato in Islanda dopo aver completato gli studi a Copenaghen,
egli era stato dapprima rettore della scuola di Skálholt e poi, alla
morte di Jón Matthíasson gli era succeduto a Breiðabólsstaður. Nel
1571, dopo essere stato nominato vescovo di Hólar, riuscì a con-
vincere Jón Jónsson, figlio dello “Svedese” che aveva ereditato la
stamperia dal padre, a riportare i macchinari a Hólar e a lavorare
per lui. Pienamente consapevole dell’importanza di una diffusione
capillare dei princìpi della nuova dottrina, egli diede l’avvio a una
produzione di libri che per quei tempi può senz’altro essere defi-
nita ragguardevole (circa novanta titoli), pubblicando innanzi
tutto testi di carattere religioso.163 Alla sua iniziativa è dovuta
un’opera di fondamentale importanza come la traduzione della
Bibbia in lingua islandese164 ma anche un diffuso libro di canti per
la messa (Gradvale, popolarmente noto come Grallarinn, uscito nel
1594), un Libro dei salmi (Sálmabók, 1589) e un Libro di poesia (Ein
Ny Wiisna Bok, 1612) nel quale inserisce testi di diversi autori, non
tralasciando (in assenza di ostacoli di carattere teologico) versi com-
posti in epoca cattolica (cui, se del caso, apporta qualche variazione).165
Ma il suo impegno rivela chiaramente anche il preciso desiderio di
disciplinare la cultura e la società del suo Paese, allontanandola da
tradizioni ancora ben radicate e instradandola verso modelli di vita
da lui ritenuti coerenti con la dottrina luterana e, conseguentemen-
te, graditi a Dio. Uno sforzo che egli persegue anche sul piano let-
terario, promuovendo la diffusione di quei salmi che – in pieno
spirito riformatore – costituiranno uno dei migliori prodotti poetici
dei secoli successivi. Accanto al quale conosceremo comunque non
solo una letteratura ‘scientifica’ seicentesca ma anche espressioni
letterarie ‘mondane’ o ‘popolari’ tutt’altro che disprezzabili.

Nelle intenzioni di molti dei suoi promotori il luteranesimo era una


dottrina che non soltanto avrebbe dovuto riformare la visione cristiana dei
162
La sua data di nascita è incerta: 1481, 1484, 1491 o 1492. Morì nel 1569.
163
E tuttavia a Hólar fu stampato nel 1578 anche il primo libro islandese di carat-
tere laico, il cosiddetto Jónsbók (cfr. p. 384). Vd. “Guðbrandur Þorláksson, biskup”,
in BR, pp. 9-12 e anche Pétursson E.G., “Guðbrandur Þorláksson og bókaútgáfa
hans”, in Landbókasafn Íslands. Árbók, X (1984), Reykjavík 1986, pp. 5-26.
164
Vd. oltre, p. 526.
165
In realtà il titolo è almeno in parte fuorviante, in quanto esso contiene per la
gran parte testi in prosa.

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512 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

fedeli ma anche incidere profondamente sui diversi aspetti della loro vita.
Nella “Introduzione” (Formale) alla raccolta di salmi (Sálmabók, 1589)
da lui promossa, il vescovo islandese Guðbrandur Þorláksson rivolgen-
dosi “a tutti gli abitanti dell’Islanda pii e timorati di Dio” spiegava che così
come la parola di Dio doveva ora essere nota a tutti, “ricchi e poveri,
giovani e vecchi”; allo stesso modo tutti quanti avrebbero dovuto poter
cantare i salmi nella propria lingua madre, così come in Germania, in
Danimarca e in altri luoghi dove “i contadini e i cittadini, i bambini e
tutta la gente comune, sia donne sia uomini sanno cantare ogni tipo di
salmi e canti spirituali.” Il che doveva essere fatto per trarne “diletto,
gioia e divertimento nel timor di Dio.” Ma negli intendimenti del vescovo
questi canti religiosi dovevano – soprattutto – rimuovere e sostituire la
tradizione versificatoria in lingua islandese166 (della quale egli tuttavia si
mostra per qualche verso anche fiero) che per lungo tempo aveva preval-
so nel Paese. Sicché si sarebbero dovuti ora mettere da parte “[...] gli
inutili carmi, le rímur167 degli stregoni e degli antichi, i canti d’amore,168 le
canzoni licenziose,169 i poemi erotici, le canzoni di dileggio e di invettiva e
gli altri componimenti malvagi e abominevoli, [versi] osceni, canzoni d’in-
famia170 e scherno, che qui, per la collera di Dio e dei suoi angeli, per la
gioia e in favore di Satana e dei suoi demoni, sono gradite e coltivate dalla
gente comune assai più che in qualsiasi altro Paese cristiano, e più secondo
l’usanza dei pagani che dei cristiani, durante le veglie o altre occasioni di
incontro, ecc. Allo stesso modo nelle feste e nei banchetti difficilmente si
sente per l’intrattenimento qualcosa di diverso da questo futile modo di far
poesia, che Dio abbia misericordia.”171

8.2.4. Le colonie svedesi in Finlandia

Nelle colonie di Finlandia che nel 1523 Gustavo Vasa aveva


definitivamente legato ai destini del suo Regno172 le idee riformiste
166
Nel testo Guðbrandur Þorláksson usa il termine “norreno” (su cui vd. pp. 157-158).
167
Vd. p. 396, nota 270 e p. 426.
168
Il termine islandese manso˛ngr “canto d’amore” è legato a contesti magici: vd. p.
434 con nota 401.
169
Letteralmente Afmors Vijsur (afmorsvísur) andrebbe tradotto con “canzoni
d’amore”. Tuttavia va rilevato che mentre il composto manso˛ngvar (sing. manso˛ngr) fa
riferimento a composizioni di tipo magico intese a suscitare l’amore di una donna (cfr.
nota precedente) qui il termine afmor – che risale al latino amor – ha piuttosto il senso
di “amore carnale” ed è più tardi inteso in senso lussurioso e osceno.
170
Vd. p. 202 con nota 404.
171
DLO nr. 121-125.
172
Alla morte di Gustavo Vasa (1560) il Regno svedese avrà confini ben definiti
nelle zone centrali e meridionali (dalle quali restavano escluse regioni dell’attuale
Svezia come Scania, Blekinge, Halland a sud e Bohuslän, Jämtland, Härjedalen a ovest).

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Una seconda rivoluzione religiosa 513

avevano cominciato a farsi strada con Peter Särkilaks (Pietari Sär-


kilahti, morto presumibilmente nel 1529), un ecclesiastico che
aveva condotto i propri studi a Rostock e Lovanio e forse anche a
Wittemberg: nelle sue prediche infervorate egli prendeva di mira
consuetudini cattoliche come la venerazione dei santi, il celibato e
la vita nei conventi. Del resto anche Martin (Martti) Skytte (ca.1460
o ca.1480-1550), ultimo vescovo cattolico di Finlandia, era un
umanista con tendenze riformatrici che accettò, nonostante obiet-
tive difficoltà ambientali, di adeguarsi alle disposizioni del re in
materia religiosa. Centro delle idee luterane fu soprattutto la città
di Viborg (finnico Viipuri, russo Выборг)173 in Carelia (svedese
Karelen, finnico Karjala, russo Карелия), dove tra l’altro era stato
attivo ed era morto Peder Särkilaks. La relativa vicinanza di questo
luogo con i Paesi baltici, in particolare con la città di Tallin, la Reval
dei Tedeschi che aveva assai presto abbracciato il luteranesimo,
aveva fatto sì che la nuova dottrina vi trovasse qualche seguito. Non
casualmente il grande riformatore finlandese, Mikael Olavi Agri-
cola (Mikael Olavinpoika, ca.1509-1557) che aveva avuto qui la
propria formazione scolastica, si era successivamente recato a
studiare a Wittemberg dove era stato allievo di Lutero e Melanto-
ne. Tornato in patria nel 1539, egli divenne rettore della scuola
della cattedrale di Åbo (finnico Turku)174 e nel 1554 succedette a
Martin Skytte (del quale un tempo era stato segretario) nella carica
di vescovo. Qualche anno dopo (1554) una parte della diocesi
finlandese veniva scorporata e un altro celebre luterano finlandese,
Paulus Petri Juusten (Paavali Juusten, 1516-1575), anch’egli già
responsabile della scuola della cattedrale di Åbo, era nominato
vescovo della nuova sede episcopale di Viborg. È plausibile che
questa decisione avesse lo scopo di indebolire l’autonomia della
diocesi di Åbo, il cui titolare aveva a lungo goduto di una posizio-
ne di grande prestigio.175
Seppure, come è stato detto, l’influsso del mondo tedesco doves-

I confini delle regioni settentrionali resteranno invece incerti in quanto non chiaramen-
te definiti da alcun trattato. Lo stesso si può dire della linea di demarcazione dal terri-
torio russo che – a parte le statuizioni dell’accordo di pace di Nöteborg (per altro
oggetto di disputa; cfr. p. 351, nota 93 e p. 378 con nota 206) – rimarrà sostanzialmen-
te imprecisata almeno fino al trattato di pace di Teusina (cfr. pp. 556-557 con nota 123).
173
Oggi essa fa parte del territorio della Federazione Russa, non lontano dal con-
fine con la Finlandia.
174
Questa scuola era stata fondata nella seconda metà del XIII secolo per rispon-
dere alle esigenze formative legate al funzionamento della diocesi.
175
Nel 1723 il vescovato di Viborg sarà trasferito a Borgå (finnico Porvoo) in Nyland
e con esso il ginnasio.

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514 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

se giocare un certo ruolo, l’introduzione della riforma in Finlandia


fu soprattutto il risultato della volontà del re svedese Gustavo Vasa.
Essa avvenne senza particolari contrasti, seppure la gran parte
della popolazione restasse estranea alla diffusione delle nuove idee
religiose, la cui ricezione appare inizialmente limitata alla riflessio-
ne teologica e alla volontà riformatrice di singole figure. In conse-
guenza del rapporto di dipendenza dalla Svezia, la sua applicazio-
ne fu parallela a quanto avvenuto in quel Paese: i conventi furono
smantellati, i monaci cacciati e i beni ecclesiastici confiscati. E dal
punto di vista strettamente teologico la nuova Chiesa finlandese
restò a lungo (come la svedese) in bilico fra cattolicesimo e tradi-
zione da una parte, umanesimo biblico e luteranesimo dall’altra.176
Naturalmente anche in Finlandia l’imposizione di una struttura
statale-ecclesiastica di stampo luterano andrà infine a permeare la
cultura del Paese: nel 1584 la definitiva chiusura del convento
brigidino di Nådendal (finnico Naantali) nella regione della Fin-
landia propriamente detta (svedese Egentliga Finland, finnico
Varsinais-Suomi),177 che per lungo tempo aveva rappresentato un
prestigioso centro cattolico, esprime anche simbolicamente il decli-
no definitivo di un’era.178
La riforma doveva segnare anche qui un importantissimo momen-
to di svolta. Nel Paese la lingua ufficiale era stata fino ad allora
quella del dominatore e, soprattutto in ambito ecclesiastico, il latino,
mentre il finnico restava frammentato in dialetti e relegato all’uso
popolare. Ma dal punto di vista luterano della diffusione capillare
della nuova dottrina e della necessità di un rapporto diretto dei
fedeli con la parola sacra esso trovò ora la propria giustificazione e
il proprio riconoscimento. Fu in primo luogo Mikael Agricola ad
adoperarsi in questa direzione. Nel 1543 egli infatti pubblicava un
Abbecedario (Abc-kiria) nel quale i rudimenti della lingua sono
accompagnati dai fondamenti della fede: si tratta del primo libro
redatto in finnico. A questo seguirono – come è logico attendersi –

176
Qui a esempio i vescovi conservarono sotto molti aspetti una posizione di pre-
stigio e la successione apostolica (cioè l’ordinazione di nuovi sacerdoti solo da parte
di consacrati) fu mantenuta. Del resto le vicende della Corona svedese con l’ascesa al
trono di sovrani come Giovanni III (che tra l’altro era stato governatore e duca di
Finlandia) e Sigismondo, entrambi favorevoli al cattolicesimo, non avevano mancato
di far sentire i loro effetti anche da questo punto di vista.
177
Cfr. p. 1351 con nota 3.
178
La decisione di istituire questo prestigioso monastero brigidino (1438) si deve
al potente vescovo Magnus Tavast (Magnus Olai Tawast, vd. pp. 1357-1358). A lui si
deve anche la ristrutturazione e la fortificazione del castello di Kustö, non lontano da
Åbo, residenza dei vescovi finlandesi per tutto il medioevo.

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Una seconda rivoluzione religiosa 515

opere di carattere strettamente religioso, finalizzate alla catechesi


del popolo. La più importante è certamente la traduzione del Nuo-
vo Testamento (Se Wsi Testamenti), la cui pubblicazione risale
all’anno 1548. Mikael Agricola progettava in realtà la traduzione
dell’intera Bibbia, ma questo lavoro non poté essere realizzato se
non in parte.179 Per la loro stessa natura di opere indirizzate al
popolo (e che dovevano quindi essere comprensibili da tutti) questi
lavori richiesero un impegno in direzione di una lingua unitaria che,
seppure basata in buona parte sui dialetti delle zone sud-occiden-
tali, risente anche della formazione dell’autore e delle sue conoscen-
ze linguistiche (latino, tedesco e svedese); Mikael Agricola inoltre,
dove necessario, introdusse in finnico anche nuove parole.180 Verso
la fine del secolo (1583) anche la Finlandia avrebbe avuto il proprio
Libro dei salmi (Virsikirja) grazie a Jacobus Petri Finno (Jaakko
Suomalainen o Jaakko Finno, ca.1540-1588), curatore altresì – insie-
me a Theodoricus/Theodric Petri Rutha (Didrik Ruuth, nato attor-
no al 1560, morto prima del 1617) di Nyland – della popolare rac-
colta di inni religiosi in lingua latina Pie canzoni ecclesiastiche e
scolastiche (Piæ Cantiones Ecclesiasticæ Et Scholasticæ): essa costi-
tuisce tra l’altro il primo libro di canti utilizzati nelle scuole prodot-
to nel Regno di Svezia e Finlandia.181 Questa ‘letteratura’ – seppure
di scarso interesse dal punto di vista puramente estetico – riveste
importanza straordinaria per la storia della lingua finnica, finalmen-
te affrancata dalla propria condizione di inferiorità. Inferiorità
culturale che tuttavia sarebbe perdurata sotto altri punti di vista:
non a caso i primi libri finlandesi furono realizzati in Svezia182 in
quanto la stampa sarebbe giunta in questo Paese solo nel 1642.

179
La prima traduzione in lingua finnica della Bibbia preparata da una commissio-
ne coordinata dal vescovo Isak Rothovius (1572-1652) è del 1642: si tratta di una
pubblicazione molto curata, non certo intesa per un uso ‘popolare’. Nel 1685 uscirà
una nuova edizione (destinata a una maggiore diffusione) rivista dal vescovo di Turku
Johannes Gezelius (cfr. p. 575) e da Henricus Matthiae Florinus (ca.1633-1705; cfr. p.
606).
180
Di grande importanza per la lingua finnica è anche il codice (completato nel
1546) compilato dal vicario e pedagogo della città di Raumo Mathias Johannis Westh
(morto nel 1549): in esso è compresa la traduzione della messa in lingua finnica. Que-
sto testo tuttavia fu pubblicato per la prima volta solo nel 1893 da E.N. Setälä e K.B.
Wiklund nella prima parte dell’opera Documenti della lingua finnica, una raccolta che
contiene antichi manoscritti finnici (Monumenta lingvae fennicae / Suomen kielen
muistomerkkejä, Helsingissä 1893).
181
Vd. oltre, p. 626.
182
A parte un messale destinato alla diocesi di Åbo che venne stampato a Lubecca
da Bartholomäus Ghotan (morto nel 1494), dopo che egli era tornato da Stoccolma
(DAHL – ROSENKILDE 1957 [C.7.3], coll. 45-46).

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516 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

8.2.5. L’evoluzione delle lingue

Come è noto la dottrina luterana – nella sua volontà di semplifi-


cazione e ‘purificazione’ dell’esperienza religiosa – attribuiva fonda-
mentale importanza all’esistenza di un rapporto diretto tra i fedeli e
la parola di Dio alla cui conoscenza tutti dunque dovevano ora poter
accedere personalmente. Recependo la tendenza umanistica di un
ritorno alle fonti, il luteranesimo – per il quale la fonte per eccellen-
za era evidentemente la Bibbia – sviluppò dunque quello che con
definizione recente è noto come umanesimo biblico, una corrente di
studi che per altro aveva già avuto eccellenti rappresentanti, tra
tutti Erasmo da Rotterdam. Questo orientamento ebbe importantis-
sime conseguenze per le lingue volgari: riprendere in mano la Bibbia
significò infatti altresì tradurne il testo per renderlo accessibile al
popolo. Naturalmente prima della diffusione della riforma esisteva-
no diverse versioni della Bibbia e del resto non pochi studiosi aveva-
no intrapreso, in epoca ancora cattolica, questo lavoro. Tuttavia la
diffusione delle idee di Lutero (egli stesso in primo luogo eccellente
traduttore delle Sacre Scritture in lingua tedesca) diede un notevole
impulso a questa attività. Ragion per cui, mentre da una parte le
lingue volgari venivano ‘nobilitate’ in quanto ritenute adeguate a un
contenuto di così alto livello (benché il latino mantenesse una posi-
zione di prestigio soprattutto nelle università e nelle sfere culturali
più elevate), si producevano d’altro canto testi destinati a un uso
costante diffusi fra i diversi strati della popolazione, il che avrebbe
evidentemente influito in profondità sulle lingue stesse favorendo la
costituzione di un canone e di una norma. Ma, naturalmente, anche
altri fattori avrebbero in questo periodo condizionato l’evoluzione
degli idiomi nordici, come si vedrà trattando delle singole realtà.

8.2.5.1. La lingua danese

In Danimarca, come si è detto,183 l’introduzione della riforma


era stata piuttosto rapida e presto se ne riscontrarono le conseguen-
ze anche dal punto di vista linguistico. Già al tempo del re Cristia-
no II era stata pubblicata a Lipsia la traduzione danese del Nuovo
Testamento (1524).184 Questo lavoro, curato principalmente da Hans

Vd. sopra, 8.1.1.


183

Thet Nøye Testamenth. La traduzione era accompagnata da una lettera di Hans


184

Mikkelsen, nella quale si tessevano gli elogi del sovrano e si equiparavano i nemici del
luteranesimo ai nemici del re. Questa lettera destò vivaci reazioni (vd. tra l’altro il
brano riportato a p. 467 con nota 22).

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Una seconda rivoluzione religiosa 517

Mikkelsen, Christiern Winter e Henrik Smith185 e pubblicato a


Wittemberg, era tuttavia di scarsa qualità, sia dal punto di vista
strettamente teologico sia da quello linguistico. Solo pochi anni
dopo (1529) esso veniva superato (non solo stilisticamente) da una
nuova traduzione eseguita da Christiern Pedersen,186 un autore che
insieme a Peder Palladius187 avrebbe successivamente dato un
contributo fondamentale alla traduzione dell’intera Bibbia, espres-
samente voluta dal re Cristiano III e uscita nel 1550.188 Un’opera
questa, eseguita con grande cura anche dal punto di vista linguisti-
co (e ortografico) e che risultò dunque di fondamentale importan-
za. La frequentazione delle funzioni nelle chiese e la vita religiosa
della comunità (nelle quali naturalmente si utilizzavano anche altri
testi di carattere catechetico o devozionale come scritti per la medi-
tazione o salmi)189 concorsero infatti in misura determinante a
diffondere fra la popolazione una lingua (almeno sul piano religio-
so) ‘nazionale’ in un Paese nel quale le differenze dialettali mante-
nevano tutta la loro vitalità.190 Certamente anche testi di altra
natura, come le opere giuridiche (non da ultimo il codice di leggi
185
Hans Mikkelsen (Hans Michelssøn, morto nel 1532), già borgomastro di Malmö,
fu fedele seguace del re Cristiano II che accompagnò nell’esilio; Christiern Winter
(date di nascita e di morte ignote), segretario, istitutore e poi dottore in giurispruden-
za e medicina, fu come Hans Mikkelsen un sostenitore di Cristiano II; Henrik Smith
(o Smyth, Smid, morto nel 1563), umanista originario di Malmö, studiò all’estero
(Rostock) e lavorò in seguito come segretario di Hans Mikkelsen.
186
Det Ny Testamente Jhesu Christi egne ord oc Euangelia. Su Christiern Pedersen
vd. pp. 496-497, pp. 578-579, p. 604 e p. 636, nota 499.
187
Vd. p. 496.
188
Un testo che sarà proibito ristampare senza il permesso del sovrano (vd. DKL I,
nr. 267, 26 giugno 1550, pp. 299-300). Tra le versioni precedenti la pubblicazione
dell’intera Bibbia in lingua danese merita una citazione la traduzione dei Libri di Mosè,
curata da Hans Tausen (vd. pp. 493-494 con note relative) e uscita a Magdeburgo nel
1535 (Det gamle testamente […]). Un lavoro di traduzione delle Sacre Scritture in
tempi precedenti la riforma è tuttavia ben testimoniato (vd. Petersen – Andersen
1932-1934 [B.4], I, pp. 105-106). Della Bibbia ci sarebbero state in seguito edizioni
ulteriori, in particolare quella del 1607 di Hans Poulsen Resen (su cui vd. p. 497) che
tradusse il testo direttamente dal greco e dall’ebraico; nella revisione di Hans Svane
(su cui cfr. p. 545, nota 67) essa sarebbe stata pubblicata nel 1647 e rimasta in uso fino
alla prima metà del XX secolo.
189
Fin dai primissimi anni della riforma il canto dei salmi aveva svolto un ruolo di
grande importanza ed erano state pubblicate raccolte di questi testi (vd. Petersen –
Andersen 1932-1934 [B.4], I, pp. 233-236). All’ecclesiastico Hans Thomesen (Hans
Thomæsen, 1532-1573) si deve la raccolta dei salmi sparsi in diversi testi: nel 1569 egli
pubblicava il Libro danese dei salmi (Den danske Psalmebog), un’opera che sarebbe
rimasta in uso fino alla fine del XVII secolo.
190
Del resto in una ‘spiegazione’ di alcuni articoli dell’Ordinanza ecclesiastica (12
maggio 1555, vd. DKL I, pp. 460-471) era contenuto l’obbligo di disporre di una copia
della Bibbia in ogni parrocchia (p. 470).

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518 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

di Cristiano V)191 o scientifiche e (in ambito letterario) le raccolte di


folkeviser,192 i folkebøger193 o le traduzioni come quella dei Gesta
Danorum di Sassone,194 avrebbero portato un ulteriore contributo
in questa direzione.
Attorno al 1525 si considera concluso il periodo del danese
medio (middeldansk)195 e si apre la prima fase del danese moder-
no (ældre nydansk) che si protrae fino all’epoca di Holberg.196 E
tuttavia la lingua resta ancora, in questi secoli, disomogenea sia
dal punto di vista del patrimonio lessicale, sia da quello dell’or-
tografia, sia da quello della ricezione di influssi stranieri. Basti
qui ricordare la compresenza di forme letterarie e dialettali,
l’irregolarità nella grafia,197 l’accoglimento di termini e costru-
zioni di altre lingue (latino, tedesco e francese) fortemente con-
dizionato da fattori regionali o sociali. Solo in Selandia (in par-
ticolare a Copenaghen) si avvertono, seppure limitatamente ad
ambienti culturalmente elevati, i primi segnali in direzione di una
lingua nazionale. Come è logico attendersi il latino influenza la
lingua degli eruditi che del resto continueranno a utilizzarlo per
lungo tempo; ma, almeno fino al Settecento, esso resta anche (per
certi versi sorprendentemente) la lingua privilegiata della scuola.
Dopo la riforma l’influsso del tedesco, già ben rilevabile in pre-
cedenza, si fa ancor più consistente in tutto il Paese, e addirittu-
ra preponderante nello Jutland meridionale dove di fatto esso
verrà sostituendosi al danese. Il tedesco (ma anche il latino)
risulta utilizzato a corte198 e negli ambienti della nobiltà ma anche
191
Kong Christian den Femtis Danske Lov, emanato nel 1683 (vd. p. 545).
192
Vd. p. 396 con nota 269. La ‘moda’ di raccogliere e trascrivere questi testi si
diffuse in Danimarca e in Svezia a partire dalla seconda metà del XVI secolo. La prima
raccolta è il cosiddetto Libro a forma di cuore (Hjertebog), compilato tra il 1553 e il
1555 da Albert Muus, gran cuoco di corte di Cristiano III, e ora conservato nella
Biblioteca reale (Det kongelige bibliotek) di Copenaghen (Thottske Sml. 1510, 4to).
193
Vd. sopra, pp. 497-498.
194
Vd. pp. 578-579.
195
Secondo la suddivisione proposta in Skautrup 1944-1968 (B.5) il periodo del
“danese antico” o “runico” (olddansk o runedansk) va dall’800 al 1100; segue il perio-
do del “danese medio” (middeldansk) suddiviso in una fase più antica (ældre middel-
dansk) dal 1100 al 1350 e in una più recente (yngre middeldansk) dal 1350 al 1500.
196
Vd. pp. 789-792 e pp. 830-831.
197
Nonostante l’impegno in tal senso dei traduttori della Bibbia (che comunque
posero le basi per una ortografia regolamentata, quantomeno per le opere a stampa)
l’adesione a precise norme restò per lungo tempo disattesa da molti (non da ultimo
nell’ambiente delle cancellerie). Ma naturalmente gli estensori delle prime opere di
carattere grammaticale e linguistico (vd. oltre, pp. 598-600) non trascurarono la
discussione dei problemi di carattere ortografico.
198
Vd. Skautrup 1944-1968 (B.5), II, pp. 168-169.

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Una seconda rivoluzione religiosa 519

in ambito militare. E se in precedenza l’influsso era esercitato


prevalentemente dal basso tedesco, con la riforma (ma anche con
il declino della Ansa) si apre la strada all’alto tedesco. Nel XVII
secolo sarà poi il francese a trovare ampia diffusione negli strati
sociali elevati, naturale conseguenza dell’affermarsi di un model-
lo politico e culturale. Ma occorre precisare che la stragrande
maggioranza della popolazione (costituita dai contadini) restava
naturalmente legata all’uso dei dialetti e, per evidenti ragioni
dovute al peso sociale assai limitato, letteralmente impossibilita-
ta a ‘far sentire la propria voce’ e a incidere in misura significa-
tiva su quelli che saranno gli sviluppi in direzione di una lingua
nazionale.
Nel XVI secolo si vanno assestando (seppure con qualche cam-
biamento) un sistema fonetico e caratteristiche di pronuncia in gran
parte manifestatesi già in precedenza,199 in particolare il cosiddetto
stød (fenomeno esclusivo del danese all’interno del gruppo
nordico).200 Dal punto di vista morfologico si conferma e si raffor-
za la tendenza alla semplificazione sia nella declinazione nominale,
aggettivale e pronominale, sia nella coniugazione dei verbi che già
verso la fine del XVII secolo presentano nella lingua parlata la
convergenza delle forme del singolare e del plurale che si manter-
ranno tuttavia distinte nei testi scritti fino al XIX secolo.201 La
sintassi appare fortemente influenzata dal latino (ma anche, in
diversi casi, dal tedesco).

199
Vd. Karker 2005 e Ruus 2005.
200
Lo stød è un’unità soprasegmentale (unità fonologica, come il tono, l’accento
intensivo e alcune articolazioni secondarie, che abbraccia più segmenti) connessa con
alcune sillabe (con vocale lunga o che terminano con consonante sonora) della fono-
logia danese; non si tratta di un fonema autonomo. Nella sua forma più comune si
realizza come un tipo di fonazione cricchiata (creaky voice, laringalizzazione) appli-
cato ad alcuni segmenti; in una pronuncia enfatizzata può essere realizzato anche
come un colpo di glottide. L’originaria opposizione tra accenti tonali nordici è stata
sostituita nella lingua danese da un’opposizione tra sillabe con e senza stød. Lo stød
ha funzione distintiva in quanto molte parole sono differenziate solo sulla base della
sua presenza/assenza: si vedano a esempio løber ['lø:b̥ɐ] “corridore” ≠ løber ['lø̰:b̥ɐ]
“corre” o ven ['vεn] “amico” ≠ vend ['vεn̰] “gira!” Si noti che la fonazione cricchiata,
laringalizzata (stød) è segnata con il segno diacritico [ ̰]. Questo fenomeno fonetico
verrà per la prima volta rilevato ed esaminato nell’opera del linguista danese Jens
Højsgaard (1698-1773). Vd. Hansen Aa., Stødet i dansk, København 1943 e anche
Heger S., “Stødregler for dansk”, in DS 1980, pp. 78-99.
201
A livello parlato esse restano in effetti solo nel dialetto della Scania, conseguen-
za evidente dell’influsso dell’area linguistica svedese.

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520 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

8.2.5.2. La lingua svedese

Anche in Svezia la traduzione e la diffusione dei testi sacri conse-


guente all’introduzione della riforma ebbe primaria importanza dal
punto di vista linguistico. Nel 1526 Olaus Petri e Laurentius Andreæ
(verosimilmente in collaborazione con altri eruditi) pubblicavano la
traduzione del Nuovo Testamento,202 un’opera che si caratterizza per
lo stile chiaro e sciolto, per certi versi quasi parlato (ma che altresì
richiama la lingua delle città, in particolare Stoccolma, dove era
consistente la presenza di cittadini tedeschi). Ben più ‘impegnata’ è
invece la versione della Bibbia, anch’essa in gran parte riconducibile
al lavoro dei medesimi Olaus Petri e Laurentius Andreæ: un lavoro
voluto in prima persona dal re Gustavo Vasa e uscito nel 1541.203 In
precedenza, in epoca ancora cattolica, non erano mancate traduzio-
ni di scritti sacri,204 tuttavia questa versione doveva segnare un fon-
damentale momento di svolta sia dal punto di vista religioso sia da
quello linguistico. Infatti, se è pur vero che la diretta fruizione di
questo testo (nonostante la diffusione delle copie a stampa) restava
limitata a coloro che avevano la possibilità di procurarselo e – soprat-
tutto – erano in grado di leggere, non di meno il suo uso costante
nella vita religiosa influenzò in modo consistente la mentalità dei
fedeli e, al contempo, l’evoluzione della lingua svedese. La quale in
questo testo venne trattata con grande cura sia dal punto di vista
ortografico, sia da quello lessicale, sia da quello sintattico (con una
certa propensione per le forme arcaiche). Sicché è palese l’intenzio-
ne (in un certo senso parallela allo sforzo politico di recupero dell’in-
dipendenza e della creazione di un forte stato nazionale portato
avanti da Gustavo Vasa) di dare vita alla norma di un idioma auto-
nomo, riscattato dal deterioramento derivante dall’invadenza del
danese e del tedesco.205 Il che non significa (e del resto il modello era
202
Thet Nyia Testamentit på Swensko af år 1526. Questa pubblicazione era stata
‘annunciata’ in quello che è considerato il primo scritto dei riformatori svedesi, il testo
di catechesi dal titolo Un utile insegnamento tratto dalle [Sacre] Scritture sulla caduta
dell’essere umano e su come Dio di nuovo lo salvò (vd. pp. 474-475 con nota 45), ricon-
ducibile allo stesso Olaus Petri.
203
È certo comunque che al lavoro contribuirono diverse persone: vd. in proposito
la citazione di una lettera di Laurentius Petri riportata in Bergman 19723 (B.5), p. 87.
204
Cfr. pp. 403-404. A una traduzione della Bibbia voluta da Santa Brigida si fa
riferimento in due lettere del vescovo Hans Brask (cfr. sopra, p. 473 con nota 43):
questo testo tuttavia non ci è pervenuto (vd. HSH XVIII, 1833 pp. 295-296).
205
Una sorta di ‘rivincita linguistica’ sulla Danimarca si avrà nella seconda metà del
XVII secolo, quando in seguito alla conquista delle province danesi situate nella par-
te meridionale della penisola scandinava (in primo luogo la Scania) la lingua danese
sarà qui in un tempo relativamente breve (qualche decennio) sostituita dalla svedese.

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Una seconda rivoluzione religiosa 521

la versione di Lutero!) un purismo esasperato (anche perché il tede-


sco proponeva una terminologia facilmente ricalcabile in forme
svedesi) ma piuttosto una serie di scelte consapevoli ed equilibrate.206
Occorre tuttavia rilevare che il dialetto delle zone orientali della
regione di Svealand, da cui provenivano i traduttori, influenzò da
quel momento la lingua scritta. Come in Danimarca una ‘lingua
nazionale religiosa’ fu diffusa anche da altre opere di carattere devo-
zionale. Tra tutte l’anonima raccolta di salmi (da alcuni attribuita a
Olaus Petri) Canti o canzoni svedesi (Swenske songer eller wisor), per
lo più traduzioni, uscita nel 1536 e che è dunque la prima opera di
questo genere in questo Paese.
Accanto alla lingua dei testi religiosi riveste importanza quella
delle cancellerie (chiaramente influenzata dal latino ma anche dal
tedesco) che tuttavia mostra, come in Danimarca, una minore
attenzione alla norma, riflessa soprattutto in una ortografia incoe-
rente e in scelte lessicali meno consapevoli (presenta, a esempio,
ancora numerosi danicismi). E tuttavia, nello spirito di un rinno-
vato orgoglio nazionale, la coscienza dell’importanza di uno sve-
dese corretto e depurato da sgradite interferenze straniere è espres-
sa chiaramente in diverse occasioni.207 Nella prospettiva di quella
che diventerà la “grande potenza” svedese208 anche l’orgoglio lin-
guistico troverà in modo palese il proprio spazio e la discussione
sulla lingua non trascurerà gli aspetti letterari e poetici; al contem-
po, tuttavia, la parlata del popolo, ancorata ai dialetti, viene senti-
ta ‘diversa’ da quella delle classi sociali elevate. E tuttavia non sarà
evidentemente possibile respingere del tutto l’acquisizione di paro-
le straniere, in particolare tedesche e (soprattutto dalla seconda
metà del XVII secolo) francesi.209

Vd. Ohlsson S.O., Skånes språkliga försvenskning, I-II, Lund 1978-1979; del resto la
‘svedesizzazione’ della Scania rappresenterà un obiettivo perseguito ai più alti livelli
politici. Cfr. p. 534, nota 16.
206
Ulteriore testimonianza dell’importanza di questo lavoro per la vita religiosa e
sociale svedese è il fatto che nel 1618 (per iniziativa del re Gustavo Adolfo II) ne
usciva una nuova versione curata dall’erudito Johannes Rudbeckius (su cui cfr. p. 503)
che tuttavia riproponeva il testo sostanzialmente inalterato: Biblia Thet är: All then
helgha scrifft På Swensko. Effter förre bibliens text, oförandrat [...]; lo stesso del resto
si può dire (a parte qualche cambiamento nell’ortografia) della Bibbia di Carlo XII,
pubblicata nel 1703 che sarebbe rimasta il testo ufficiale della Chiesa luterana svedese
fino al 1917.
207
Vd. le citazioni riportate in Wessén 197510 (B.5), p. 116.
208
Vd. sotto, 9.1.2.
209
Nella seconda metà del XVII secolo compaiono in svedese (naturalmente in parti-
colare negli ambienti di corte e letterari) prestiti dal francese che in seguito saranno abban-
donati; si vedano come esempi: approchera “avvicinarsi”, iudicera “giudicare”, molestera

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522 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

Il 1526, anno della pubblicazione delle prime opere riformatrici,


è la data dalla quale si fa convenzionalmente terminare il periodo
dello svedese antico (fornsvenska) e iniziare quello dello svedese
moderno (nysvenska), la cui prima fase (äldre nysvenska) si fa arri-
vare fino al 1732, l’anno in cui Olof von Dalin pubblicherà il primo
numero del giornale L’Argo svedese (Then Swänska Argus).210

La rilevanza dell’uso della lingua volgare nell’ottica dei luterani è ben


esplicitata nel racconto della Cronaca di Peder Swart211 dove si fa riferi-
mento alla disputa teologica fra Olaus Petri e Peder Galle:212

“Il Dottor Peder Galle e Mastro Olof si alzarono e si azzuffarono furio-


samente. Essi erano in disaccordo soprattutto su questa cosa, che il Dottor
Peder voleva fare la discussione in latino, ma Mastro Olof voleva farla in
svedese, in modo che la gente comune potesse comprendere quello che
dicevano, giusto o sbagliato. Andarono avanti per un bel po’ che a quello
che l’uno domandava in una lingua l’altro rispondeva nell’altra, finché la
gente comune cominciò ad alzare la voce e chiese loro di parlare in
svedese.”213

Del resto il medesimo Olaus Petri si sarebbe premurato poi di spie-


gare perché la messa dovesse essere celebrata in svedese anziché in
latino:

“Anche noi Svedesi apparteniamo a Dio così come gli altri popoli, e
quella lingua che abbiamo ce l’ha data Dio, così come ha dato le loro lingue
agli Ebrei, ai Greci e ai Latini. Non c’è distinzione di persone per Dio. Egli
non disprezza noi Svedesi più di altri popoli, e neppure disprezza la nostra
lingua più di altre lingue. Ma dal momento che egli vuole portare tutti i
popoli alla sua conoscenza e all’eterna salvezza, così egli vuole anche che
la sua sacra parola sia annunciata e predicata in tutte le lingue […] Per
questo noi Svedesi dobbiamo ben ascoltare la messa nella nostra propria
madrelingua.”214

“infastidire”, pardonera “perdonare”, persuadera “persuadere”, salvera sig “salvarsi”.


210
Vd. oltre, pp. 802-803.
211
Vd. p. 470 con nota 31.
212
Vd. sopra, p. 501.
213
Konung Gustaf Is krönika (DLO nr. 126). Si confronti una simile contrapposi-
zione a riguardo della lingua danese e del latino, secondo quanto riferito in Andersen
1954 (C.8.1), pp. 60-61.
214
Dal testo intitolato Ragioni per cui la Messa debba essere nella lingua che è com-
prensibile alle persone comuni, 1531 (Orsack hwar före Messan böör wara på thet tungomål
som then menighe man forstondelighit är; DLO nr. 127).

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Una seconda rivoluzione religiosa 523

8.2.5.3. La lingua norvegese

Come sopra si è visto, l’introduzione della riforma protestante


in Norvegia non fece che aggravare la situazione di dipendenza del
Paese dalla Danimarca,215 non solo a motivo del fatto che sul piano
politico l’amministrazione dello Stato passò saldamente in mano ai
Danesi. In precedenza, come si è detto, l’idioma norvegese era
andato incontro a un inarrestabile declino.216 Frantumato nei diver-
si dialetti e relegato all’uso popolare, esso era stato sostituito in
tutti gli ambiti ufficiali dal danese, che fu dunque anche la lingua
della Chiesa norvegese riformata. Danesi furono gli ecclesiastici di
rango superiore e nelle chiese norvegesi vennero introdotti i testi
sacri tradotti in Danimarca; inoltre per l’insegnamento elementare,
che aveva lo scopo di fornire ai bambini i fondamenti della dottri-
na luterana, si utilizzavano testi danesi (quando non erano danesi
anche gli ecclesiastici che lo impartivano). Il Paese non ebbe una
propria versione della Bibbia e dovette adeguarsi al linguaggio
religioso del dominatore.217 Il primato che i Danesi esercitavano
dal punto di vista amministrativo e religioso ebbe dunque impor-
tanti riflessi anche sul piano culturale e linguistico. Mentre gli
studenti norvegesi che desideravano conseguire una formazione di
livello superiore dovevano recarsi all’estero (a partire dalla fine del
XVII secolo in primo luogo a Copenaghen), accanto ai dialetti
venne affermandosi (in particolare nelle città) una parlata che, pur
segnata da vari ‘norvegismi’, era fondamentalmente basata sul
danese dei diversi documenti e testi religiosi. Sicché per lungo
tempo anche i migliori autori nati in questo Paese si sarebbero
espressi in questa lingua: basti, fra i tanti, l’esempio eccellente di
Ludvig Holberg, il quale – benché nativo di Bergen – è considera-

215
Vd. 8.1.3. Assai significativo, da questo punto di vista, il fatto che il re Cristiano
IV facesse revisionare e tradurre in danese il Codice di Magnus Emendatore di leggi
(vd. pp. 368-369), che sarebbe uscito nella nuova versione, più tardi indicata come
Legge norvegese di Cristiano IV (Christian IV:s norske Lov), nel 1604.
216
Vd. pp. 419-420.
217
Solo nel 1816 verrà fondata la Società biblica norvegese (Det norske bibelselskap).
Le sue prime pubblicazioni saranno tuttavia versioni rivisitate riprese dal danese: così
il Nuovo Testamento (Nye Testamente) che reca la data del 1819 (anche se in realtà fu
pubblicato l’anno successivo) e l’intera Bibbia uscita nel 1854. Una vera traduzione
norvegese ‘autonoma’ della Bibbia uscirà solo nel 1904. Va qui tuttavia opportunamen-
te ricordato che nel 1700 ca. il filologo norvegese Jacob Rasch (1669-1737) aveva
tradotto il primo capitolo della Lettera ai Romani nel dialetto di Stavanger (vd. Kolsrud
S., “Eldste nynorske bibeltekst: Jacob Rasch ca.1700”, in Syn og Segn, LXXVII [1950],
pp. 97-111).

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524 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

to uno dei massimi rappresentanti della letteratura danese.218 Ragio-


ni storiche e culturali, ma anche l’affinità linguistica, che rendeva
relativamente agevole per i Norvegesi la comprensione dell’idioma
del dominatore, favorirono questo processo. E tuttavia, seppure in
posizione di predominio, il danese non fu l’unica lingua utilizzata
in Norvegia. Non va infatti dimenticato che nelle città (soprattutto
a Bergen) era ancora molto comune il tedesco, così come il fatto
che le persone istruite restavano legate all’uso del latino, espressio-
ne per eccellenza della cultura.
Accanto a queste lingue sopravvivevano i dialetti. La vitalità di
questi idiomi regionali è testimoniata del resto dai ‘norvegismi’ che
(anche dal punto di vista ortografico) transitano in diverse occa-
sioni nei testi scritti, in maggior misura in quelli di carattere priva-
to rispetto alle opere prodotte a stampa.

8.2.5.4. La lingua islandese

Nel tardo medioevo, dopo la straordinaria fioritura letteraria dei


secoli precedenti, la lingua islandese – il nobile idioma delle saghe
e della poesia scaldica – aveva vissuto un periodo di decadenza,
subendo, a partire dal XV secolo, un consistente influsso da parte
del danese e del basso tedesco. In conseguenza dell’imposizione
del dominio danese sull’isola e dell’introduzione della riforma
protestante, questa situazione avrebbe potuto produrre effetti
molto gravi. Ciò tuttavia non avvenne. Sebbene incapace di rag-
giungere i livelli di eccellenza dei secoli precedenti, l’attività lette-
raria era infatti proseguita, non soltanto con le rímur, un genere
coltivato tra la fine del medioevo e la prima metà del XIX,219 ma
anche con la composizione di testi per il ballo popolare: una lette-
ratura, questa, che sarà messa per iscritto solo più tardi e che è
dunque, almeno in parte, andata perduta.220 Del resto ancora nel

218
Nato a Bergen nel 1684, Ludvig Holberg perse entrambi i genitori quando era
ancora bambino. Di famiglia agiata poté completare gli studi prima presso la scuola
della cattedrale di Bergen poi all’università di Copenaghen. Dopo diversi viaggi
all’estero, nel 1717 fu nominato professore di metafisica (cfr. p. 787, nota 466), più
tardi (1720) di retorica e infine (1730) di storia. Nel 1747 per i meriti acquisiti fu
nominato barone. Trascorse l’ultima parte della vita nella sua tenuta di Sorø e morì a
Copenaghen nel 1754. Su di lui vd. oltre, pp. 789-792 e pp. 830-831.
219
Cfr. p. 426 con nota 376. Tra i migliori compositori di rímur è ricordato il conta-
dino Hjálmar Jónsson (1796-1875), noto come Bólu-Hjálmar, dal nome dalla fattoria
(Bóla nello Skagafjörður) in cui viveva. Su di lui vd. “Bólu-Hjálmar”, in BR, pp. 101-105.
220
Queste ‘canzoni’ sono designate con il nome di sagnadansar (sing. sagnadans).
Anche a loro fa verosimilmente riferimento il vescovo Guðbrandur Þorláksson quan-

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Una seconda rivoluzione religiosa 525

XV e nel XVI secolo l’Islanda conosce poeti di un certo talento,


come il già citato Skáld-Sveinn,221 l’eroico vescovo Jón Arason222
o Jón Hallsson al quale è attribuita una Poesia sulla vecchiaia
(Ellikvæði).223 Si tratta, come si può facilmente constatare, di una
produzione nella quale la lirica occupa una posizione predomi-
nante, il che – soprattutto là dove (come nelle rímur) resta forte il
legame con la tradizione – favorirà la salvaguardia dell’idioma
letterario. Oltre a ciò va osservato che il tradizionale sentimento
nazionalistico degli Islandesi e l’amore per le lettere che da sempre
li aveva caratterizzati indirizzò molte persone (anche donne)224 a
dedicarvisi: anche ciò contribuì a valorizzare e difendere la lingua
nazionale. Al che si aggiunga infine l’effettiva difficoltà da parte
della gente comune di comprendere la lingua danese, ormai for-
temente evoluta rispetto a quell’antico nordico del quale invece
l’islandese conservava (e tuttora conserva!) gran parte del sistema
flessivo e del lessico.
In seguito alla riforma furono dunque tradotti in islandese i testi
fondamentali per la dottrina luterana. Fin dal 1540 era uscita a
Roskilde presso lo stampatore Hans Barth (morto attorno al 1540)
la versione del Nuovo Testamento (Þetta er hid nya Testament […]):
il primo libro pubblicato in lingua islandese che ci sia giunto per
intero. Questo lavoro era stato preparato (verosimilmente, come si
è detto, in segreto) da Oddur Gottskálksson (ca.1515-1556), che
pure viveva presso la diocesi di Skálholt, guidata da Ǫgmundur
Pálsson, energico difensore del cattolicesimo.225 Oddur aveva stu-
diato in Germania e in Danimarca: egli, a quanto pare, godeva
della stima del re Cristiano III, le cui parole di apprezzamento per
il lavoro sono stampate nel volume. Anche in Islanda fiorì dunque

do rimprovera gli Islandesi di coltivare composizioni poetiche sconvenienti (vd. il testo


a p. 512). Più tardi si diffonderanno i cosiddetti vikivakakvæði, i “componimenti per
il vikivaki”, il più antico dei quali risale ai primi anni del Seicento. Il termine vikivaki
designa un ballo popolare, molto comune in Islanda fino al XVIII secolo, che si dan-
zava nel corso di una festa che durava diversi giorni.
221
Vd. p. 455 con nota 59.
222
Vd. sopra, p. 510 con nota 158.
223
Vd. nota 142.
224
In tal senso testimonia Absalon Pederssøn Beyer nella sua opera Sul regno nor-
vegese (su cui vd. p. 593): “Inoltre la Norvegia ha assoggettato sotto di sé molti Paesi,
il più grande dei quali è l’Islanda, che è suddivisa in due diocesi, che sono Skálholt e
Hólar, una per il nord e l’altra per il sud. In quel Paese c’è un popolo valoroso, ardito
e franco, adatto a imparare ogni genere di arte, presso tale popolo è pratica comune
che essi insegnano ai propri figli a leggere e a scrivere, sia alle femmine sia ai maschi,
e i ragazzi devono imparare il loro codice delle leggi a memoria […]” (DLO nr. 128).
225
Vd. pp. 486-487.

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526 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

una letteratura religiosa di stampo luterano (catechismo, postille,


testi di meditazione, salmi), non di rado ripresa dal danese o dal
tedesco. Naturalmente in questo contesto il prodotto di gran lunga
più importante è la traduzione dell’intera Bibbia, uscita nel 1584
(in cinquecento esemplari) a cura del vescovo di Hólar Guðbrandur
Þorláksson, certamente coadiuvato da altre persone.226 Questi
lavori segnano un momento fondamentale della storia della lingua
islandese perché con la loro pubblicazione fu eretto un argine
contro la possibile introduzione della lingua religiosa danese nel
Paese. Con tutte le conseguenze che ne sarebbero potute derivare.
Sebbene i secoli successivi, particolarmente bui per la storia di
questa nazione,227 conoscano anche un decadimento sul piano
linguistico e si constati in molti casi una predilezione per il latino
(per molti versi comunque obbligata) da parte degli eruditi o un
disinvolto uso del danese specie negli ambienti dell’amministrazio-
ne e del commercio, la lingua islandese riuscirà tuttavia a mante-
nere la propria autonomia e a preservare le proprie caratteristiche,
in ciò favorita anche dalla scarsa densità abitativa e dalla distribu-
zione di gran parte dei parlanti in fattorie sparse sul territorio.
Tra il XIV e il XVI secolo l’islandese va incontro a una serie di
importanti cambiamenti di carattere fonetico che avranno inevita-
bili riflessi sulla pronuncia. Dal punto di vista morfologico esso
appare invece (tranne qualche aggiustamento) assai conservativo.228
Questo spiega la sostanziale facilità con cui ancor oggi gli Islande-
si possono leggere (sebbene la sintassi mostri una serie di
mutamenti)229 i testi della loro tradizione letteraria medievale. Una
tradizione che – mantenuta viva presso il popolo – ha fatto sì che
226
Divenuto vescovo di Hólar nel 1571, egli si era procurato i macchinari per la
stampa che erano stati di Jón Arason (cfr. pp. 510-511). In tal modo poté dare un impor-
tantissimo contributo allo sviluppo della cultura. La Bibbia (nota come Guðbrands-
biblía), fu il primo libro in lingua islandese a essere pubblicato in Islanda. Il successo-
re di Guðbrandur, Þorlákur Skúlason (1597-1656) fece a sua volta stampare (1644)
una versione della Bibbia (nota come Þorláksbiblía) che conobbe diverse edizioni. In
sostanza si tratta di una riproposizione della versione precedente, tuttavia rivista in
relazione alla Bibbia danese.
227
Vd. sotto, pp. 551-552.
228
Tra le innovazioni di maggior interesse va segnalato il cambiamento di significa-
to degli antichi pronomi di prima e seconda persona plurale. L’islandese possedeva
per entrambi una doppia forma: il duale við “noi due” e þið “voi due” e il plurale vér
“noi” (più di due) e þér “voi” (più di due). A partire dal XVII secolo le antiche for-
me del duale vennero sostituendo quelle del plurale che, in sostanza, scomparvero
dall’uso fino a che nel XIX secolo furono riprese come forme di plurale maiestatis.
229
Per indicazioni più specifiche si rimanda a Pétursson M., “The development of
Icelandic from the mid-16th century to 1800”, in Bandle 2002-2005 (B.5), II, pp.
1258-1269.

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Una seconda rivoluzione religiosa 527

questa lingua, costantemente riferendosi a quei modelli, non abbia


conosciuto la formazione di dialetti. In un ambiente come quello
islandese, naturalmente tradizionalista e conservatore, anche mol-
ti prestiti provenienti dall’esterno avrebbero avuto vita breve. E
tuttavia, nonostante l’impegno dei puristi e la conseguente creazio-
ne di neologismi (non di rado calchi) che, attingendo al materiale
lessicale proprio, avrebbero sostituito termini altrove in molti casi
agevolmente accolti,230 diverse parole sarebbero entrate nel voca-
bolario islandese per rimanervi, dovendo comunque adattarsi al
sistema flessivo di questa lingua.
Dalla metà del XVI secolo si fa convenzionalmente iniziare la
fase dell’islandese moderno.

Come si è detto sopra gli avvenimenti politici e le campagne militari


così come lo sviluppo degli studi scientifici e i contatti di carattere cultu-
rale e commerciale contribuirono tra il XVI e il XVII secolo a introdurre
nelle lingue nordiche una nuova nutrita serie di prestiti, in particolare dal
tedesco231 e dal francese, ma anche dal latino e dal greco (questi ultimi di
solito mediati) molti dei quali sono tuttora in uso. Si trattò di un apporto
cospicuo che lo sforzo e il rigore dei puristi non avrebbero potuto elimi-
nare se non in parte. Ciò riguarda innanzi tutto, per le ragioni che sono
state esposte, il danese e lo svedese. Di seguito si dà conto di qualche
esempio.232 Sono di provenienza tedesca termini233 come bestemme/
bestämma “stabilire”, citron “limone” (ma si confronti il francese citron:
la parola deriva comunque dall’ital. citrone), daddel/dadel “dattero” (a
ritroso dal latino), gevær/gevär “fucile” (originariamente col senso di
“arma di difesa”); erfare/erfara “apprendere”, “venire a sapere” (origina-
riamente con riferimento a un’esperienza che si acquisisce viaggiando),
erobre/erövra “conquistare”, fæn(d)rik/fänrik “sottotenente”, forvalte/
förvalta “amministrare”, gaffel “forchetta”, gestalt (arcaico in dan.) “aspet-

230
Vd. oltre gli esempi riportati a p. 826.
231
I prestiti vanno riferiti sia all’area basso tedesca sia a quella alto tedesca. Per
semplicità tuttavia ciò non è stato specificato per i singoli esempi. Per più dettagliate
informazioni si rimanda alla letteratura critica di riferimento.
232
Per comodità sono stati scelti termini che compaiono sia in danese sia in svede-
se: le due forme (tranne nei casi in cui siano identiche) sono indicate nell’ordine.
Naturalmente in questo contesto ci si è dovuti limitare nel numero, sicché si fornisco-
no solo pochi significativi esempi tratti da diversi ambiti semantici.
233
In alcuni casi termini tedeschi giunsero in svedese per il tramite danese.
Dal tedesco sono ripresi anche i frequenti prefissi an-, be-, er-, for-/för-, e suffissi
assai produttivi come, in particolare ‑isk (ted. ‑isch), largamente utilizzato negli
aggettivi.

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528 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

to”, “figura”, kaffe “caffè” (ovviamente, a ritroso, dall’arabo),234 krokodil


“coccodrillo” (a ritroso dal greco), madras/madrass “materasso” (a ritro-
so dall’arabo), soldat “soldato”, sprog/språk “lingua”,235 tobak “tabacco” (a
ritroso dall’inglese). Dal francese sono riprese parole quali ambassade/
ambassad “ambasciata”, armé “esercito”, ballett/balett “balletto”, “ballo”
(a sua volta dall’italiano), chokolade/choklad “cioccolato”, garanti “garanzia”,
ingeniør/ingenjör “ingegnere”, pistol “pistola”, porcelæn/porslin “porcel-
lana” (per probabile intermediazione tedesca o nederlandese), præsident/
president “presidente”, prins “principe”, promenade/promenad “passeg-
giata”, teater “teatro” e molte altre. Esempi di termini provenienti diret-
tamente dal latino o dal greco sono diamant “diamante” (in danese anche
più antico), horisont “orizzonte”, kollegium “collegio”, medicin “medici-
na”, professor “professore”, rektor “preside”, “rettore”, spektakel “spet-
tacolo” (soprattutto nel senso di “piazzata”), student “studente” e molti
altri appartenenti, come è logico attendersi, al mondo dell’erudizione e
della scienza.236 A questo periodo va riferito anche l’ingresso di nuovi nomi
propri,237 così come l’affermarsi di toponimi che ben riflettono interven-
ti sull’organizzazione del territorio che naturalmente corrispondono
all’evolversi della società.238
In Norvegia molti prestiti sarebbero entrati attraverso il danese river-
sandosi poi in buona parte soprattutto nel bokmål.239
Tra gli esempi di termini stranieri entrati in islandese a partire dal XVI
secolo e tuttora presenti nella lingua si possono ricordare parole prove-
nienti dal latino (figúra “figura grottesca”, “personaggio comico o stupi-
do”, kapítuli “capitolo”); dall’inglese (sápa “sapone”); dal danese (aflífa
“uccidere”, lykta “odorare”, rist “grata”) o dal tedesco (angist “angoscia”,

234
In realtà la parola è attestata in diverse forme e dunque si può pensare anche a
una provenienza dal francese. Vd. Hellquist 19803, I, pp. 431-432 e Dahlerup 1993-
1997, IX, col. 1060 (entrambi in B.5).
235
In danese tuttavia già noto in epoca precedente in alcune forme composte, vd.
Dahlerup 1993-1997 (B.5), XXI, col. 526.
236
Per indicazioni più dettagliate si rimanda a Skautrup 1944-1968 (B.5), II, p.
252-260, pp. 391-399 e a Hellquist 1929-1932 (B.5), II [Lånord], pp. 477-982),
amplissima trattazione che suddivide i prestiti per area di provenienza con indicazio-
ne cronologica. Per una sintesi della situazione si rimanda a Ekberg 2005, pp. 1308-
1311. Un particolare influsso del francese (in particolare del parigino) sul danese (ma
anche sul tedesco e sull’inglese di alcune aree) parrebbe essere, secondo alcuni, il
cambiamento di pronuncia della consonante [r] che assumerebbe così la caratteristica
articolazione posteriore di vibrante ulvulare. Questa teoria appare tuttavia poco soste-
nibile (vd. Skautrup 1944-1968 [B.5], II, p. 345).
237
In particolare per il danese si veda Skautrup 1944-1968 (B.5), II, p. 129 e p. 400;
per lo svedese Hellquist 1929-1932 (vd. nota precedente), passim (si faccia riferimen-
to alla III parte, Register, pp. 983-1101).
238
Su questi si rimanda in primo luogo a WAHLBERG 2005.
239
Vd. 11.3.3.1 (in particolare p. 944).

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Una seconda rivoluzione religiosa 529

pappír “carta”, vakta “sorvegliare”).240 Diversi altri prestiti sono invece


ormai scomparsi dall’uso: basti pensare a termini come armóður “pover-
tà” o blífa “diventare” (entrambi dal tedesco); ciò è avvenuto, in partico-
lare, per molti verbi modellati sull’esempio straniero con i prefissi bí- o
for- (a es.: bígripa “comprendere”, bítala “pagare, forhindra “impedire”,
forlengja “allungare”).

240
Fra i prestiti la presenza degli aggettivi con il suffisso ‑ligur, ‑igur, ‑ugur è parti-
colarmente numerosa (vd. Pétursson 2005, p. 1266; a questo articolo in sostanza qui
ci si riferisce).

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Capitolo 9

Nuovi poteri e nuovi equilibri

9.1. Due potenze contrapposte

Dopo gli anni dei durissimi conflitti che avevano condotto allo scio-
glimento definitivo dell’Unione, Danimarca e Svezia si erano, almeno
apparentemente, riconciliate. L’interesse di Federico I e di Gustavo
Vasa a far fronte comune contro Cristiano II – il re che in Svezia
era ricordato con l’eloquente appellativo di “Tiranno” (tyrann) –
aveva riavvicinato i due Paesi. Questo riavvicinamento parve con-
solidarsi quando salì al trono Cristiano III: nel settembre del 1541
i due sovrani si incontrarono a Brömsebro (al confine tra le regioni
di Småland e Blekinge) e stipularono un patto di collaborazione
militare che avrebbe dovuto vedere alleate per un periodo di cin-
quanta anni la Danimarca, la Norvegia e la Svezia.1 In teoria questo
patto legava i tre Paesi con vincoli molto più stretti della stessa
Unione di Kalmar: ma le guerre per il predominio che ne seguirono
lo videro completamente naufragare. La questione fondamentale
era il dominio sul Mar Baltico, dove era tramontata la potenza dei
Cavalieri dell’Ordine teutonico. In quest’area si contrapponevano
gli interessi commerciali di diversi soggetti: il Gran Principato di
Mosca, le città baltiche di Tallin, Riga, Danzica e Königsberg (che
in quest’ottica erano competitrici di Lubecca), il Regno di Polonia,
quello di Danimarca e quello di Svezia. All’interno di quest’ultimo
del resto, dopo la morte di Gustavo Vasa, la situazione era tutt’altro
che pacifica. I suoi figli, Erik XIV e il fratellastro Giovanni duca di
Finlandia, erano infatti a loro volta in conflitto per il potere su
quest’area. Nel 1561 Tallin e una parte dell’Estonia furono sotto-
messe al re Erik che garantì loro la protezione della Svezia: Giovan-
1
STFM IV, nr. 38 a, 14 o 15 settembre 1541, pp. 206-225.

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Nuovi poteri e nuovi equilibri 531

ni rispose sposando la sorella del re polacco e rafforzando la sua


posizione militare nell’area. Il contrasto portò all’accusa di alto
tradimento nei confronti di Giovanni e al suo imprigionamento nel
castello di Gripsholm (1563).2 Nel frattempo i Danesi avevano
stretto un nuovo trattato di amicizia – destinato presto a fallire! –
con gli Svedesi (1562) e concluso un patto con i Russi che riconob-
bero la loro sovranità sulla Livonia e sull’isola estone di Saaremaa.3
Del resto la Danimarca aveva sul Baltico una posizione di vantaggio:
non solo possedeva l’isola di Gotland ma essendo la Scania parte
integrante del Regno danese controllava l’importantissima via di
passaggio dell’Øresund. A parte le regioni finlandesi lo sbocco sul
mare del Regno di Svezia era invece limitato a una sottile striscia di
terra tra le coste danesi e quelle norvegesi presso la foce del Götaälv.
Tenuto conto delle ambizioni militari di Federico II (1534-1588,
succeduto nel 1559 al padre Cristiano III) e della necessità del re
svedese di garantirsi una sicura posizione sul Baltico4 la guerra (che
sarà ricordata come la guerra nordica dei sette anni) fu dunque
inevitabile. Essa poi fu complicata dall’intervento di Lubecca, i cui
traffici con la Russia erano ostacolati da Erik XIV, e della Polonia
che aspirava a estendere il proprio dominio sulle province baltiche:
entrambe dunque si allearono con i Danesi. Né si deve dimentica-
re che dopo lo scioglimento dell’Unione di Kalmar il profondo
risentimento fra i due Paesi non era affatto sopito, il che si riflette-
va, tra l’altro, in una disputa sui rispettivi titoli regali e sull’uso di
determinati simboli negli stemmi araldici. Ma le ragioni sostanzia-
li di predominio marittimo che stanno alla base del conflitto sono
immediatamente manifeste in una delle prime azioni d’attacco
danesi che portò alla conquista della fortezza di Älvsborg, che
dominava l’unico accesso svedese al Mare del Nord. La guerra ebbe
2
Cfr. pp. 477-478.
3
Rispettivamente: DNT II, nr. 2, 27 agosto 1561, pp. 7-11 e nr. 4, 7 agosto 1562, pp.
20-50. La regione storica della Livonia comprendeva grosso modo le attuali Lettonia ed
Estonia; essa godeva di autonomia all’interno dei territori posseduti dai Cavalieri dell’Or-
dine teutonico. Va tuttavia precisato che nell’ottica storica svedese il nome si riferisce
piuttosto ai territori livoni occupati nel periodo della “grande potenza” (su cui vd. 9.1.2),
cioè alla parte meridionale dell’Estonia e quella settentrionale della Lettonia.
4
Il che in precedenza aveva portato a un conflitto con la Russia (1554-1557) combat-
tuto tra l’esercito di Gustavo Vasa e quello di Ivan il terribile. Esso, noto come “grande
guerra russa” (stora ryska kriget), si sarebbe concluso con la pace di Novgorod (STFM IV,
nr. 46, pp. 306-312, marzo 1557; Sundberg 1997 [Abbr.], nr. 100, pp. 201-202). Questo
trattato come altri in precedenza (STFM III, nr. 549, pp. 448-451, 3 marzo 1497; STFM III,
nr. 568, pp. 502-506, 14 settembre 1504; STFM IV, nr. 35, pp. 181-185, 26 giugno 1537)
confermava sostanzialmente le statuizioni di Nöteborg (vd. p. 351, nota 93 e p. 378 con
nota 206).

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532 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

un andamento complicato da problemi interni ai due Paesi: in


Svezia la contesa tra Erik e Giovanni, che spodestò dal trono il
fratellastro nel 1568;5 in Danimarca i contrasti tra il sovrano e la
nobiltà. Il conflitto fu un susseguirsi di successi e sconfitte,6 pro-
vocò pesanti devastazioni, che non risparmiarono le regioni norve-
gesi lasciando un segno profondo nella memoria delle popolazioni,
e determinò l’aumento della pressione fiscale;7 il tutto senza che si
giungesse a un chiarimento: nel 1570 quando fu conclusa
la pace di Stettino, la situazione restò sostanzialmente inalterata e la
Danimarca mantenne il predominio sul Mar Baltico.8 Questa guer-
ra, nella quale erano sfociati rancori a lungo coltivati che vennero
ulteriormente inasprendosi,9 segna l’inizio di una contrapposizione
fra i due Paesi che durerà, con pochi momenti di tregua armata,
per molto tempo.
Essa infatti conoscerà nel XVII secolo nuove guerre: dapprima
la cosiddetta guerra di Kalmar (1611-1613) iniziata dai Danesi con
l’attacco al castello di Kalmar e conclusa con la pace di Knäred (in
Halland);10 poi la guerra scoppiata nel 1643 con l’aggressione sve-

5
Cfr. p. 477.
6
I successi danesi furono dovuti in particolare alla bravura del comandante Daniel
Rantzau (1529-1569) che tra l’altro guidò tra il 1567 e il 1568 una famosa campagna
d’inverno che raggiunse il territorio dell’Östergötland dove le sue truppe si diedero a
ripetuti saccheggi.
7
Nel 1567 a esempio, per pagare i costi della guerra la Danimarca triplicò l’impo-
sta per il passaggio attraverso lo stretto dell’Øresund (Øresundstolden) che era stata
introdotta nel 1427 (o 1429) dal re Erik di Pomerania (vd. p. 440).
8
STFM IV, nr. 60, 13 dicembre 1570, pp. 380-411; Sundberg 1997 (Abbr.), nr. 102,
pp. 209-211 (vd. anche in STFM IV nella medesima data il nr. 61, pp. 411-432, relati-
vo all’accordo fra la Svezia e Lubecca e il nr. 62, pp. 432-441 relativo alla Livonia).
Dopo il trattato la Danimarca restituì alla Svezia la fortezza di Älvsborg alla foce del
fiume Götaälv, tuttavia dietro il pagamento di una ingente somma (cfr. nota 10).
9
Come detto una delle ragioni del conflitto fu la disputa sui titoli e sugli stemmi
araldici dei sovrani: per sottolineare i diritti della Danimarca sulla Svezia – i Danesi
non avevano mai accettato di buon grado lo scioglimento dell’Unione di Kalmar – il re
Cristiano III aveva infatti inserito nel suo stemma le tre corone, emblema tradizional-
mente svedese. Da parte sua Erik XIV aveva inserito nel proprio i simboli danesi. La
questione non fu risolta neppure col trattato di pace e fu rimandata a successive trat-
tative. Per dare un’idea dei sentimenti di profonda inimicizia che dividevano i due
Paesi, basterà qui ricordare, a esempio, che la nave ammiraglia svedese Makalös (lette-
ralmente “Senza pari”) aveva anche il significativo soprannome di Jutehataren (letteral-
mente “Che odia gli Jutlandesi”).
10
STFM V: i, nr. 21, 20 gennaio 1613, pp. 211-220; Sundberg 1997 (Abbr.), nr. 109,
pp. 228-231 (questo trattato prevedeva tra l’altro che gli Svedesi rinunciassero a qual-
siasi pretesa sulla regione di Finnmark compresa tra il Tysfjorden e il Varangerfjorden.
Ancora una volta, alla fine della guerra, gli Svedesi dovettero pagare una enorme
somma per rientrare in possesso della fortezza di Älvsborg (cfr. nota 8).

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Nuovi poteri e nuovi equilibri 533

dese allo Jutland e terminata nel 1645 con la pace di Brömsebro,11


un trattato che garantirà alla Svezia il possesso delle regioni di
Jämtland e Härjedalen (la cui sovranità era stata a lungo contesa
alla Norvegia), delle isole baltiche di Gotland e di Saaremaa e, per
trent’anni, della regione meridionale di Halland, fino ad allora
danese, e inoltre l’esenzione totale dal pagamento del pedaggio
doganale nell’Øresund;12 poi ancora la guerra dichiarata dalla
Danimarca e dalla Norvegia nel 1657 con l’intento di rifarsi delle
perdite precedenti ma conclusa l’anno successivo con un ulteriore
rafforzamento della Svezia che, con la pace di Roskilde (1658),
sottrarrà alla Danimarca la Scania, il Blekinge, il Halland (defini-
tivamente) e l’isola di Bornholm e alla Norvegia la regione di
Bohuslän e il vastissimo distretto di Trondheim.13 Esito che avreb-
be indotto gli Svedesi al tentativo di soggiogare completamente
l’avversario con una successiva aggressione che portò infine l’asse-
dio a Copenaghen (1658-1659): tentativo che non riuscì come non
riuscì l’attacco alla Norvegia che vide le truppe di Carlo Gustavo
tentare inutilmente di occupare Fredrikshald (odierna Halden in
Østfold), importante centro per il commercio.14 Nel 1675 infine la
Danimarca riaprirà le ostilità in quella che è ricordata come guerra
per la Scania15 con l’intento, inizialmente coronato dal successo, di
11
STFM V: ii, nr. 71, 13 agosto 1645, pp. 591-640, compresi atti correlati; Sundberg
1997 (Abbr.), nr. 114, pp. 245-248. Questo conflitto è noto anche come “guerra di
Torstenson” (svedese Torstensons krig) dal nome del comandante svedese Lennart
(Linnardt) Torstenson (cfr. p. 562); i combattimenti avvenuti in questo contesto ai
confini norvego-danesi negli anni 1644-1645 sono noti come Hannibalsfeiden (dove
fejd “guerra”) dal nome dell’allora governatore Hannibal Sehested (cfr. p. 550). Vd.
Munthe C.O., Hannibalsfejden 1644-45. Den norske hærs bloddåb, Kristiania 1901.
12
Come si è detto (vd. nota 7), questa tassa doganale era stata istituita quando la
Svezia era unita alla Danimarca nell’Unione di Kalmar. Anche dopo lo scioglimento
dell’Unione tuttavia, gli Svedesi erano riusciti a mantenere l’esenzione dal pagamento.
Ma le statuizioni della pace di Knäred avevano posto al riguardo alcune limitazioni.
13
DNT V, nr. 13, 26 febbraio 1658, pp. 218-243 (compresa la lettera di cessione
della Scania; ivi anche l’accordo preliminare: nr. 12, 18 febbraio 1658, pp. 215-218);
vd. Weibull C.G., Freden i Roskilde den 26 februari 1658, Stockholm 1958.
14
In seguito a questi eventi (pace di Copenaghen, 1660: DNT V, nr. 21, 27 maggio
1660, pp. 345-380; Sundberg 1997 [Abbr.], nr. 122, pp. 283-285) il distretto di Trond-
heim (comunque riconquistato dal nobile ufficiale Jørgen Bjelke, 1621-1696) tornerà
alla Norvegia, così come l’isola di Bornholm i cui abitanti fin dal 1658 si erano ribel-
lati, liberandosi dal dominio svedese.
15
In Norvegia tuttavia questo conflitto è noto come “guerra di Gyldenløve” (Gyl-
denløvefeiden, su cui vd. Gulowsen I., Gyldenløvefeiden 1675-1679, Christiania 1906)
a motivo dell’attacco al Bohuslän da parte delle truppe norvegesi guidate dal gover-
natore Ulrik Frederik Gyldenløve (1638-1704), figlio illegittimo del re danese Federi-
co III. Costui ebbe in moglie Marie Grubbe, personaggio celebre e molto ‘chiacchie-
rato’ dell’epoca (vd. p. 713 e p. 1054 con nota 411).

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534 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

riconquistare i territori perduti: uno sforzo che tuttavia si rivelerà


inutile, visto il successivo andamento del conflitto e le statuizioni
della pace di Lund (1679).16
Questo prolungato conflitto opponeva in realtà due Paesi in
situazioni assai diverse. Fortemente indebolita la Danimarca, anche
a causa del suo attivo coinvolgimento nella guerra dei trent’anni
nella quale a partire dal 1625 era stata trascinata dal re Cristiano
IV (1577-1648)17 che nel 1626 avrebbe subito una personale e
pesante sconfitta presso Lutter am Barenberg (a sud-ovest di Braun-
schweig) e di conseguenza (anche per l’occupazione dello Jutland
da parte delle truppe tedesche nel 1627) fu costretto a cercare la
pace nel 1629 con l’imperatore Ferdinando II (1578-1637).18 Raf-
forzata al contrario la Svezia e ormai avviata verso il periodo della
sua “grande potenza” (stormaktstiden).19
Non di meno l’ambizione al predominio determinò una oppo-
sizione che non si manifestò soltanto sul piano militare e politico
ma anche su quello del prestigio statale e cercò sostegno nella
ricerca storica cui venne affidato il compito di dimostrare l’antichi-
tà e dunque l’autorevolezza della nazione alla quale, di conseguen-
za, sarebbe di diritto appartenuto un indiscutibile primato. In
Scandinavia le opere di carattere storico avevano, come si è visto,
consolidata tradizione. Ma in questo periodo tale tipo di studi
assume particolare importanza divenendo primario strumento
culturale di promozione dello Stato, un fattore del quale i sovrani
paiono essere ben consapevoli. Ragion per cui, a esempio, viene
istituita sia in Danimarca sia in Svezia la carica di “storico ufficiale
del Regno”, affidata a personalità di sicuro prestigio20 con il com-
16
DNT VII, nr. 18, 26 settembre 1679, pp. 297-344 (con documenti correlati); cfr.
l’accordo preliminare: ibidem, nr. 15, 16 giugno 1679, pp. 238-248 e Sundberg 1997
(Abbr.), nr. 129, pp. 296-297. L’opera di integrazione della Scania nel Regno svedese
fu portata avanti con grande determinazione. Nei primi anni ’80 il diritto svedese
venne esteso a questa regione, mentre la chiesa e la scuola venivano ‘svedesizzate’ (vd.
Fabricius 1972, IV, pp. 76-115 e pp. 124-150 e Åberg 1995. In 333års-boken ([Abbr.],
pp. 248-255) si dà conto (sulla base del lavoro di Uno Röhndal) dei trattati stipulati
tra la Danimarca e la Svezia a proposito della Scania; ivi vd. anche Larsén S. – Rydzén
I., “Hur Skåne blev svenskt”, pp. 47-65 e Liljenberg C., “Skåneland och den svenska
staten”, pp. 208-212. Cfr. p. 520, nota 205.
17
Salito al trono a soli undici anni nel 1588, Cristiano IV è stato il sovrano danese
che ha regnato più a lungo.
18
DNT IV, nr. 5, 12-22 maggio 1629, pp. 42-86 con documenti correlati. Cfr. nota 140.
19
Vd. 9.1.2.
20
In Danimarca la prima nomina a questo incarico che risulta con certezza è quel-
la di di Hans Svaning (1503-1584) nel 1553 (l’ufficio fu mantenuto fino al 1893). In
Svezia nel 1618 fu nominato a questo incarico il filologo e poeta olandese Daniel
Heinsius (1580-1655) che tuttavia non ricoprì mai effettivamente l’incarico. A lui

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Nuovi poteri e nuovi equilibri 535

pito di sostenere e difendere l’onore e la grandezza della nazione,


mentre tutta una schiera di studiosi ed eruditi appare impegnata,
nell’ottica di una vera e propria ‘disputa’, in una competizione
(parallela a quella politica e militare) per affermare non soltanto
l’antica nobiltà del proprio Paese ma la sua incontestabile supre-
mazia rispetto al rivale scandinavo. Uno sforzo che in misura pre-
ponderante caratterizza la storiografia danese e svedese nel XVI e
nel XVII secolo.
In Danimarca ci si rifà, innanzi tutto, all’opera di Sassone,21 del
resto già fatta propria dal tedesco Albert Krantz (nato tra il 1440
e il 1445-morto nel 1517) il quale nella sua storia dei Paesi nor-
dici (Cronaca dei regni settentrionali)22 aveva celebrato la gran-
dezza della nazione danese.23 In Svezia le aspirazioni al recupero
di un passato illustre e glorioso che facesse risalire la nobiltà
della patria – attraverso i Goti –24 fino ai tempi e ai personaggi
biblici furono (per certi versi paradossalmente) tradotte in un
imponente lavoro da Johannes Magnus, arcivescovo cattolico

succedette lo svedese Ægidius Girs (1583-1639). In questo Paese la carica di storico


ufficiale del Regno fu abolita nel 1835.
21
Vd. pp. 322-323.
22
Chronica Regnorum Aqvilonarivm. L’opera fu completata nel 1504 ma circolò in
copie prima di essere pubblicata nel 1546 (vd. L. Daae, “Nogle bemærkninger om
historieskriveren Albert Krantz”, in NHT V [1886], pp. 225-261). La trattazione
dedica nove libri alla Danimarca, sei alla Svezia (una buona parte dei quali tratta di
Goti, Ostrogoti, Visigoti e perfino Unni), sei alla Norvegia (pp. 3-364, pp. 365-587 e
pp. 588-755, rispettivamente).
23
Del resto già nel 1555, dopo la diffusione di una edizione della Cronaca danese
in rima (Den danske rimkrønike, su cui cfr. pp. 395-396), nella quale erano contenute
accuse alla Svezia, Gustavo Vasa aveva deciso di reagire in prima persona (i sentimen-
ti del re nei confronti dei Danesi, del resto comprensibili, sono esposti in una lettera
del 15 febbraio 1539: vd. KGFR XII [1890], pp. 161-166). A quanto pare egli aveva
composto dei versi diffamatori nei confronti della Danimarca e con la collaborazione
di Peder Andersson Swart (cfr. p. 470 con nota 31) aveva redatto una replica nella
quale essi furono inseriti. Questo testo fu pubblicato nel 1558 con il seguente titolo:
Alcuni brani della cronaca danese […] Parimenti la giusta e inevitabile replica svedese
[…] (Någer stycker aff then Danske Cröneke […] Teslikest the Swenskes rätferdelige
och oumgångelige genswar […]; vd. Westin 2002 [C.8.1], pp. 15-17; in una copia
facsimile pubblicata a Stoccolma nel 1863 è aggiunta una nota finale anonima (forse
del bibliotecario Harald Wieselgren, 1835-1906) sulla genesi del testo e sulle sue due
versioni. Vd. anche Nelson A., “Peder Swarts Gensvar 1558”, in Uppsala universitets-
biblioteks minneskrift 1621-1921, Uppsala 1921, pp. 139-166. A sua volta il cancellie-
re danese Johan Friis (1494-1570) aveva risposto con altri versi; il testo di questa
‘risposta’ ci è conservato in un manoscritto di Anders Sørensen Vedel (vd. pp. 579-580)
che si trova nella Biblioteca reale (Det kongelige bibliotek) di Copenaghen (Ny kgl.
saml. 606, 2do).
24
Da essi prenderà nome il movimento noto come goticismo, su cui si tornerà più
avanti (vd. 9.2.1).

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536 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

costretto all’esilio volontario dalla scelte politiche di Gustavo


Vasa.25 Riprendendo temi già affiorati in precedenza in opere
come la cosiddetta Cronaca in prosa (Prosaiska krönikan) e la
Cronaca del Regno dei Goti (Chronica Regni Gothorum) scritta da
Ericus Olai,26 ma anche in solenni affermazioni di personaggi di
rilievo,27 egli compose una corposa ed erudita Storia di tutti i re
degli Svedesi e dei Goti (Historia de omnibus Gothorum Sveonum-
que regibus, pubblicata dopo la sua morte dal fratello Olaus nel
1554) destinata a divenire il testo di riferimento su cui misurare
la grandezza della nazione svedese e legittimare le ambizioni dei
suoi governanti. I quali, tra l’altro, non esitarono ad accogliere
acriticamente la fantasiosa successione dei sovrani (quasi cento-
cinquanta a partire da Magog, figlio di Jafet e, dunque, nipote di
Noè) da lui proposta:28 sicché, a esempio, i figli di Gustavo Vasa,
salirono al trono con il nome di Erik XIV e Carlo IX, giustifican-
do questa numerazione sulla base dei calcoli di Johannes; in
realtà la storia conosce prima di loro solo otto re di nome Erik e
due di nome Carlo. L’opera di Johannes Magnus conobbe diver-
se edizioni e fu tradotta in svedese nel 1620 da Ericus Schroderus
(ca.1570-1647) verosimilmente per incarico del re Gustavo II
Adolfo.29
25
Vd. p. 475.
26
Vd. p. 455.
27
Il riferimento è al vescovo Nicolaus Ragvaldi (Nils Ragvaldsson) e al politico ed
ecclesiastico Hemming Gadh (1450?-1520). Del primo è noto il discorso tenuto in
occasione del sinodo di Basilea nel 1434 per rivendicare la nobiltà della nazione sve-
dese (vd. oltre p. 577); al secondo è attribuita una celebre invettiva contro i Danesi,
pronunciata 1509 di fronte al consiglio del Regno svedese e riportata (così come il
discorso di Nicolaus Ragvaldi) proprio nell’opera di Johannes Magnus: Orazione di
Hemming Gadh sovrintendente della chiesa di Linköping (Oratio Hemmingi Gaddi
Ecclesiae Lincopensis Antistitis, libro XXIII, cap. 21, pp. 753-776); vd. V. Söderberg,
“Det Hemming Gadh tillskrifna talet mot danskarne”, in HSHH, pp. 645-674 e (più
in generale) G. Carlsson, Hemming Gadh. En statsman och prelat från Sturetiden.
Biografisk studie, Uppsala 1915.
28
Genesi, 10, 1-2. Johannes sostiene che il figlio di Jafet, Magog (dal quale
avrebbero preso nome i Goti!), fu il primo a stabilirsi nella penisola scandinava
ottantotto anni dopo il diluvio universale (Historia de omnibus Gothorum [...], I,
IV, p. 22): in tal modo egli ritiene di poter attribuire al popolo svedese una origi-
ne antichissima paragonabile solo a quella del popolo ebraico. Questa ‘discen-
denza biblica’ era già presente nella Cronaca in prosa dove si precisa che a Gog,
figlio di Magog era toccata la Svezia (p. 220). Johannes sostiene altresì che una
parte dei Goti non sarebbe emigrata dalla Scandinavia (cfr. pp. 73-75) ma sareb-
be rimasta opponendosi costantemente ai nemici danesi, volentieri dipinti come
falsi e crudeli.
29
Swea ok Götha Crönika, 1620. Su re Gustavo II Adolfo vd. oltre, pp. 559-561.
In precedenza la Storia di Johannes Magnus era stata tradotta, a quanto pare, dal re

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Nuovi poteri e nuovi equilibri 537

Nella sua Storia di tutti i re degli Svedesi e dei Goti Johannes Magnus
non manca, accanto all’elogio della nazione svedese, una denuncia delle
cattive qualità dei Danesi, non da ultime quelle relative al loro modo di
esprimersi:

“E se mancassero tutti gli altri argomenti con cui dimostrare che i


medesimi Danesi sono bugiardi, senza dubbio i loro terribili giuramenti,
che accompagnano quasi a ogni singola parola con bocca empia e blasfema,
dimostrerebbero a sufficienza, che essi sono indotti a mentire da una
natura corrotta. In realtà, al modo in cui gli uomini sinceri parlano senza
giurare e a essi viene sempre accordata una piena credibilità, così i bugiar-
di non hanno timore di fare ricorso al nome di Dio invano, per procurare
alla loro menzogna una qualche apparenza di verità. Né tuttavia in qual-
sivoglia modo riescono a ottenere che le persone prudenti si affidino alla
loro credibilità. Io ormai sono giunto a un’età, nella quale mi è già com-
piuto il settantesimo anno, inoltre ho viaggiato per gran parte di tutta
l’Europa e là non sono mai stato in nessuna regione, che per ogni dove
fosse abituata a tanti empi giuramenti al modo in cui [fanno] tutti gli
abitanti della Danimarca. Certamente se rivolgi la parola a un contadino
e a un cittadino, o ai maggiorenti e ai principi, o ai loro sacerdoti e Prela-
ti, anche per una cosa di minima [importanza], subito ti dicono, rispon-
dendo con orrendo giuramento: ‘Per Dio è così!’, ‘Per le cinque piaghe di
Cristo non è [così]’, ‘Per il divin sangue’, ‘Per la morte di Dio non [l’ho]
fatto’, e ripetono così frequentemente molti efferati giuramenti simili a
questi e [anche] più orribili, che nessuna [persona] avveduta dubiterà che
questi siano uomini assai disposti a qualsiasi menzogna. E non è più raro
presso di loro, utilizzare anche in cose di minima importanza, la sorpren-
dente testimonianza di mille demoni. Né ritengono decoroso parlare come
le altre persone, anzi, alla maniera di coloro che soffrono di tosse o forma-
no le parole a metà della gola, così pronunciano in modo artificioso sicché
distorcendo il labbro superiore verso il lato sinistro, quello inferiore verso
il destro, credono di poter conseguire un particolare apprezzamento grazie
alla particolare deformazione della bocca. La lingua tedesca (che non
conoscono) fanno risuonare balbettando, la svedese in verità utilizzano

Erik XIV che nel corso della sua prigionia (cfr. p. 477 con nota 55) si era dedicato
a lavori di carattere letterario; successivamente era stata resa in knittelvers (vd. p.
396, nota 268) da Jonas Petri Base Gothus (1587-1644), in un testo nel quale i sin-
goli sovrani parlano in prima persona; infine era stata tradotta (1602) da Elof
Engelbrektsson Terserus (1554-1617): questi lavori tuttavia non furono pubblicati
(vd. Wieselgren H., “Reconditi labores. Otryckta böcker af svenska författare från
15- och 16-hundratalen”, I e II, in Samlaren, IX, [1888], pp. 106-107 e XI [1890],
pp. 36-37). Su Schroderus vd. Norberg A., “Ericus Schroderus som kulturspridare
och propagandamakare”, in Burius A. – Lidman T. et al. (red.), Några hyll(nings)
centimeter. Festskrift till Folke Sandgren den 15 februari 1998, Stockholm 1998, pp.
383-396.

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538 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

con disprezzo e in maniera alterata, sicché dai nostri Svedesi viene com-
presa a malapena.30 Dal momento che noi nominiamo Giacomo [Iacobum]
Iacob, che i Danesi dicono Ippo, Ieppo. Giovanni [Iohannes] dai nostri
viene chiamato Iohan, [ma] i Danesi lo nominano Iusse, Iesse. Nicola
[Nicolaus] invece da noi viene detto Claus e dai Danesi Niss, Nesse: una
storpiatura che si trova in molte altre parole, storpiate dalla falsità dei
Danesi.”31

Celebrata in patria,32 la Storia suscitò in Danimarca forte irri-


tazione. La contrapposizione, come si è detto, era aspra e alimen-
tata non soltanto dal desiderio di predominio ma anche dalle
vicende belliche. Seguì dunque dalle due parti tutta una serie di
scritti che avevano lo scopo di confutare le affermazioni dell’av-
versario, puntualizzando le proprie posizioni e convinzioni con
il ricorso all’autorità (vera o presunta) di autori classici e stranie-
ri, con la citazione di fonti antiche non di rado del tutto inaffida-
bili o completamente fraintese,33 con la costruzione di etimologie
assolutamente fantasiose34 o talvolta (ma solo con l’aiuto del caso!)
corrette, con la produzione di documenti fasulli35 e con l’impre-
scindibile richiamo alla Bibbia che doveva garantire la verità
dell’assunto e – al contempo – consacrare la nobiltà della patria.
Tra coloro che profusero le proprie energie intellettuali in questa
disputa vanno certamente citati almeno Claus Christoffersen
Lyschander (o Lyskander, 1558-1623 o 1624) e Olof Rudbeck
(1630-1702). Il primo, che ebbe la carica di storico ufficiale dane-
se, è autore di un imponente volume sulla genealogia dei sovrani
30
Si noti che nel testo per “svedese” viene utilizzato l’aggettivo gothica e per “Sve-
desi” il sostantivo Gothi.
31
Historia de omnibus Gothorum [...], XXIII, xxi (DLO nr. 129). Il testo fa parte
dell’invettiva di Hemming Gadh (cfr. nota 27).
32
Non tuttavia da Gustavo Vasa che certamente doveva avervi riconosciuto nella
descrizione di cattivi sovrani (con nome affine al suo) una neppur troppo velata accu-
sa di tirannia nei suoi confronti.
33
Basti pensare all’autorità riconosciuta all’opera di Annio da Viterbo (1432-1502),
Diciassette volumi di antichità varie (Antiquitatum variarum volumina XVII), raccogli-
tore (e fabbricatore!) di una grande quantità di fonti assire, egizie, greche e romane.
34
Cfr. nota 317.
35
Il riferimento è qui, in particolare, al cosiddetto “Documento di Gotland” (Gul-
landske dokument) redatto da Niels Pedersen (Nicolaus Petreius, ca.1522-1579) nel
quale sarebbe attestata la diretta discendenza dei Cimbri (cioè dei Danesi) da Noè!
Simili affermazioni si trovano anche nell’opera (uscita postuma nel 1695) dal titolo
Origini, migrazioni, guerre e insediamenti dei Cimbri e dei Goti […] (Cimbrorum et
Gothorum origines, migrationes bella, atqve coloniæ).

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Nuovi poteri e nuovi equilibri 539

del suo Paese36 nel quale riprendendo anche un documento pro-


dotto da Niels Pedersen37 fa risalire la stirpe danese (in primo
luogo i Cimbri considerati suoi antenati) a un pronipote di Noè
di nome Gomer (che avrebbe dato loro anche il nome!), mentre
i Goti (dunque gli Svedesi) avrebbero preso nome da Guthi che
era solo un suo discendente. Il secondo – certamente più portato
agli studi scientifici che a quelli antiquari – arriverà ad affermare
che la Svezia era in realtà la patria di tutto il genere umano (e che
la lingua svedese era il più antico e nobile idioma), dando vita,
addirittura, a una scuola di pensiero.38
Naturalmente accanto a queste opere non mancarono scritti sto-
rici fondati su una più corretta analisi delle fonti e su una più equi-
librata valutazione dei fatti: si pensi in primo luogo alla Cronaca
svedese (En swensk Cröneka) di Olaus Petri che per il suo rigoroso
moralismo e per l’assenza di qualsiasi concessione alle fantasie patriot-
tarde non dovette certo incontrare il gusto di Gustavo Vasa, seppu-
re non trattasse del periodo del suo regno (la narrazione si ferma
infatti al “bagno di sangue di Stoccolma”)39 o all’opera dei danesi
Jon Jacobsen Venusin (morto nel 1608)40 e soprattutto Arild Huitfeldt
(1546-1609) autore della Cronaca del regno di Danimarca (Danmarks
Riges Krønike), un voluminoso lavoro (pubblicato in varie parti),
scritto in lingua danese e basato su una imponente documentazione
da lui puntualmente presentata in ordine cronologico. Huitfeldt che
intende la storia come modello e ‘maestra di vita’ ha lasciato in ere-
dità agli studiosi danesi un vastissimo materiale di riferimento.41
36
Compendio della storia danese. Breve sintesi della storia danese dall’inizio del mon-
do fino al regno e governo del presente e attualmente regnante potentissimo Principe Ser
Cristiano quarto [...] (Synopsis Historiarvm Danicarvm. En kort Svmma offuer den
Danske Historia fra Verdens Begyndelse til Neruerendis oc nu Regerendis Stormectige
Førstis, Herris Christan den Fierdis [...]), opera pubblicata nel 1622. Su Lyschander vd.
Rørdam H.Fr., Klaus Christoffersen Lyschanders Levned, samt hans Bog om danske
Skribenter, Kjøbenhavn 1868 e Lundgreen-Nielsen F., “Claus Christoffersen Lyschan-
der – et forfatterportræt”, in LNNER, pp. 81-91.
37
Vd. sopra, nota 35.
38
Di lui più ampiamente oltre, vd. pp. 582-584 e pp. 630-631.
39
Vd. p. 445. Sulla disapprovazione di Gustavo nei confronti di questo lavoro
(pubblicato solo nel 1917) vd. Westin 2002 (C.8.1), pp. 14-15 e anche, del medesimo
autore, Historieskrivaren Olaus Petri. Svenska krönikans källor och krönikeförfattarens
metod, Lund 1946.
40
Vd. il brano di un suo discorso accademico riportato in questo testo alle pp.
634-635. Su di lui Rørdam H. Fr., “Jon Jakobsen Venusinus”, in KSam I (1874-1877),
pp. 241-310.
41
Su Huitfeldt vd. Rørdam H.Fr., Historieskriveren Arild Hvitfeldt. Danmarks Riges
Kansler og Raad, Skoleherre for Herlufsholm, Kjøbenhavn 1896. Sulla sua scia si muo-
veranno, più tardi, lo storico del Regno Johan Isaksen Pontanus (1571-1639), di

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540 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

Ma il clima culturale del periodo esigeva, come si è detto, un


utilizzo diverso della materia storica cercandovi il fondamento e la
giustificazione dell’azione politica. Non solo: esso voleva mostrare
come gli eventi storici si legassero strettamente ai destini dei ‘gran-
di’ in un intreccio che coinvolgeva aspetti religiosi quando non
addirittura visionari. Così, a esempio, Gustavo Vasa in un messag-
gio rivolto ai sudditi della regione di Uppland aveva paragonato se
stesso a Mosè: come quello aveva salvato i figli di Israele, così egli
aveva fatto con il popolo svedese42 e, non a caso, aveva incaricato
Peder Swart di redigere una cronaca che illustrasse le sue imprese
e il suo regno.43 Più tardi Gustavo II Adolfo44 – sostenuto da uno
dei suoi insegnanti, l’erudito e visionario Johannes Bureus (1568-
1652) – avrebbe proficuamente sfruttato a fini della propaganda
politica la profezia di Paracelso sull’avvento di un “leone del Nord”.45

Come è stato detto in precedenza, la Ansa aveva di fatto a lungo domi-


nato il commercio nel Nord, conoscendo il suo massimo sviluppo alla fine
del XIV secolo. Prima del suo declino definitivo ne sarebbero trascorsi
ancora almeno altri due, nel corso dei quali essa avrebbe continuato a
rappresentare un fattore di condizionamento nella politica dei Paesi
scandinavi estendendo tra l’altro i propri interessi anche all’Islanda. Di
seguito si elencano gli avvenimenti principali a questo riguardo nel perio-
do tra il XV e il XVII secolo.

genitori olandesi e, in minor misura, Johannes Meursius (1579-1639), olandese trasfe-


rito in Danimarca. Su di loro vd. Skovgaard-Petersen K., Historiography at the court
of Christian IV 1588-1648. Studies in the Latin histories of Denmark by Johannes
Pontanus and Johannes Meursius, Bergen 1998. In Svezia comparirà nel 1622 un lavo-
ro a metà tra lo storico e il compilativo, la Storia del potente, nobile principe e signore
cristiano, Ser Gustavo un tempo re della Svezia, dei Gothi e dei Vendi […] (Then Stoor-
mechtige, Högborne Furstes och Christelighe Herres, Her Gustaffs, Fordom Sweriges,
Göthes, och Wendes konungs […] historia) di Erik Jöransson Tegel (ca.1560-1636), che
scrisse anche la Storia di re Erik XIV, Che riferisce delle sue rimarchevoli azioni, ma in
particolare delle guerre condotte contro i nemici della Svezia di allora (Konung Erics den
XIV:des Historia, Som förtäljer deß merckwerdiga Handlingar, men i synnerhet de emot
Sweriges då warande Fiender förda Krig; testo pubblicato oltre un secolo dopo la mor-
te dell’autore nel 1751).
42
Vd. KGFR XII (1890), pp. 252-259 (8 dicembre 1539, in particolare p. 253).
43
In questa cronaca il re viene descritto come un eletto destinato a compiere il bene
del popolo, un uomo (nonostante i suoi errori) devoto e fiducioso in Dio: senza di lui
– si lascia intendere – non ci sarebbe stato per la Svezia alcun futuro. Cfr. p. 470 con
nota 31.
44
Vd. oltre, pp. 559-561.
45
Vd. Nordström J., “Lejonet från Norden”, in Samlaren, XV (1934), pp. 1-66. Su
Bureus cfr. p. 590 e p. 601 con nota 337.

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Nuovi poteri e nuovi equilibri 541

1410: scoppia una guerra tra il re Erik di Pomerania e la Ansa: un


conflitto che si trascinerà per venticinque anni
1427 (o 1429): il re Erik di Pomerania istituisce la tassa doganale per
il passaggio nell’Øresund (Øresundstolden)
1428: le forze della Ansa attaccano Copenaghen che però riesce a
resistere
1432: armistizio fra la Ansa e il re Erik di Pomerania46
1435: trattato di pace tra la Ansa e il re Erik di Pomerania: i privilegi
dei mercanti anseatici vengono riconosciuti47
1444-1447: i privilegi dei mercanti anseatici vengono ridefiniti e tutta-
via estesi a Oslo e a Tønsberg, il che permetterà loro di gestire molti
commerci nelle regioni orientali della Norvegia48
1455: gli anseatici tedeschi ottengono con la forza un’estensione dei
propri privilegi49
1468: con il permesso del re danese Cristiano I i mercanti tedeschi
cominciano a visitare l’Islanda50
1475: Cristiano I emana delle disposizioni che favoriscono i commer-
cianti danesi nei confronti di quelli stranieri51
1494: lo zar Ivan III fa chiudere l’ufficio commerciale della Ansa a
Novgorod e i commercianti tedeschi si spostano a ovest, in particolare
a Tallin52
1503: dietro pressione danese la Ansa interrompe i contatti commer-
ciali con la Svezia
1508: i commercianti di Rostock insediati a Oslo e a Tønsberg vengo-
no privati dei loro privilegi a favore dei Norvegesi53
46
STFM III, nr. 465, 22 agosto 1432, pp. 110-114; Sundberg 1997 (Abbr.), nr. 49,
pp. 104-105.
47
STFM III, nr. 472, 17 luglio 1435, pp. 143-146; Sundberg 1997 (Abbr.), nr. 51,
pp. 107-108. A riguardo dei rapporti tra i sovrani nordici e l’Ansa a partire dal 1439
si rimanda a Christensen W., Unionkongerne och Hansestæderne 1439-1466, København
1974 (rist.).
48
NGL IIR: ia, nr. 130, 4 dicembre 1444, pp. 234-243; vd. anche le appendici (Tillæg
1-5), pp. 243-257; nr. 140, 26 giugno-7 luglio 1447, pp. 282-302, nel quale essi vengo-
no in parte eliminati e nr. 143, 22 ottobre 1447, pp. 304-305 a riguardo di nuovi pri-
vilegi per i commercianti di Rostock.
49
NGL IIR: II: i, nr. 62, 16 maggio 1455, pp. 110-112 e nr. 63, 1 luglio 1455, pp.
112-114; cfr. nr. 64, 2 luglio 1455, pp. 114-115.
50
Come si deduce da un documento citato in DI XVI (nr. 220, p. 424). Come fa
osservare Björn Þorsteinsson (Þorsteinsson 1961, coll. 213-214) questo fatto determi-
nò una conflittualità legata al commercio del pescato che si riflesse in successivi divieti
agli anseatici di recarsi in Islanda o, comunque, di restarvi per l’inverno. Fra il 1544 e
il 1545 infine le proprietà tedesche in Islanda furono confiscate (ibidem, col. 215).
51
NGL IIR: II: i, nr. 148, 30 settembre 1475, pp. 239-243 (vd. anche le appendici
[Tillæg 1-2], pp. 242-243).
52
Vd. Большая Советская Энциклопедия, Главный редактор А. М. Прохоров,
VI, Москва, 19713, pp. 109-110, alla voce “Ганза” (con relativa bibliografia).
53
NGL IIR: III: i, nr. 197, 7 gennaio 1508, pp. 306-313; questi privilegi erano stati
concessi nel 1487, vd. ibidem, nr. 37, 20 maggio 1487, pp. 112-113.

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542 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

1509: a Bergen i privilegi commerciali vengono garantiti agli abitanti


della città a sfavore dei Tedeschi54
1510: la Ansa sostenuta dagli Svedesi entra in guerra con la Danimar-
ca ma ne esce pesantemente sconfitta (1512)
1513: il re danese Cristiano II proibisce il commercio diretto del pesce
tra l’Islanda e la Germania55
1521-1522: nei codici di leggi emanati in questi anni dal re danese
Cristiano II sono contenute disposizioni intese a ostacolare il potere
economico delle città anseatiche56
1522-1524: la città di Lubecca è coinvolta nelle lotte tra Gustavo Vasa
e i Danesi
1523: rivolta dei mercanti anseatici di Bergen contro i concorrenti
norvegesi e scozzesi
1534-1536: la città di Lubecca è coinvolta nella guerra del conte; tro-
vandosi dalla parte degli sconfitti la Ansa vedrà declinare la sua suprema-
zia sui mercati nordici
1535-1537: l’ufficio dei mercanti anseatici a Bergen perde gradatamen-
te i suoi privilegi57
1544: nel quadro degli accordi di pace conclusi nel corso della dieta di
Spira (Speyer) viene stipulato un trattato commerciale tra la Danimarca e
l’imperatore Carlo V che concede agli Olandesi libero accesso commer-
ciale sui mari del Nord58
1559: il governatore di Bergen impone con la forza ai commercianti
anseatici di prendere la cittadinanza norvegese: molti di loro lasciano la
città59
1560: i commercianti anseatici di Bergen perdono molti privilegi60
1562: il re svedese Erik XIV proibisce ogni commercio a Narva susci-
tando le proteste di Lubecca61
1570: con la pace di Stettino, che pone fine alla guerra nordica dei
sette anni, Lubecca perde gran parte del proprio monopolio commer-
ciale
1628: l’ultima nave tedesca raggiunge l’Islanda da Amburgo

54
NGL IIR: III: i, nr. 213, 24 giugno 1509, pp. 321-322; i privilegi ai Tedeschi di
Bergen erano stati confermati ancora nel 1499, vd. ibidem, nr. 123, 19 dicembre 1499,
pp. 219-220.
55
NGL IIR: IV: i: nr. 5, 12 agosto 1513, pp. 43-44. Cfr. sopra, nota 50.
56
SGDL IV, si vedano in particolare i paragrafi intesi a regolamentare il commercio
contenuti nella Legge [di diritto] laico (passim).
57
Cfr. in primo luogo Paus 1751 (Abbr.), pp. 287-288.
58
DNT I, nr. 65 (a), 23 maggio 1544, pp. 468-470.
59
Cfr. NRR I, pp. 253-255.
60
Winge 1988 (Abbr.), nr. 148, 25 luglio 1560, pp. 66-67; vd. anche ibidem, nr. 154,
11 agosto 1561, p. 75 e ibidem, nr. 281, 27 settembre 1571, p. 115.
61
Vd. Andersson I., Erik XIV, Stockholm 1948, pp. 87-90. La città anseatica, di
conseguenza, si alleerà con il re danese Federico II nella guerra nordica dei sette anni
(vd. pp. 531-532).

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Nuovi poteri e nuovi equilibri 543

1630-1648: in conseguenza dei successi svedesi nella guerra dei


trent’anni si afferma il dominio di questo Paese sul Mar Baltico con
conseguente forte indebolimento delle posizioni delle città anseatiche
1669: ultima dieta della Ansa tenuta nella città di Lubecca

9.1.1. La Danimarca e i suoi possedimenti

Dopo la guerra nordica dei sette anni i regni uniti di Danimarca


e Norvegia vissero un quarantennio di pace. Nel 1588, alla morte
di Federico II, salì al trono il figlio Cristiano IV (1577-1648) di soli
undici anni. La giovane età del sovrano facilitò naturalmente la
reggenza da parte del Consiglio di Stato e parve così che l’alta
nobiltà potesse continuare ad amministrare il Paese, come del resto
era avvenuto durante l’ultimo periodo di regno di Federico.62 Ma
Cristiano IV era di carattere autoritario e una volta assunto effet-
tivamente il potere (1596)63 mostrò una ferma volontà di comando.
La sua determinazione e la sua ambizione lo videro attivo nei
molti campi della politica, spinto anche dal desiderio di garantirsi
una importante posizione nei traffici marittimi sia con le Indie
orientali sia con quelle occidentali. A lui si deve anche una vigoro-
sa iniziativa mercantilistica che mirava ad arricchire il Paese e, di
conseguenza, le casse dello Stato grazie ai proventi delle tasse. In
questo campo tuttavia egli non ottenne grandi successi. Furono
però la decisione di riaprire le ostilità con la Svezia64 e quella di
coinvolgere il Paese nella guerra dei trent’anni ad avere sia per il
sovrano – che ne subì anche conseguenze fisiche –65 sia, soprattutto,

62
In particolare l’amministrazione del Paese era gestita da diversi funzionari tra cui
il nobile Peder Oxe (1520-1575). Costui, caduto in disgrazia presso il re Cristiano III,
aveva dovuto fuggire all’estero, ma Federico II gli consentì di tornare affidandogli
importanti incarichi. Vd. Troels-Lund T.F., Peder Oxe et historisk billed, København
1906.
63
Il suo capitolare venne reso pubblico a Copenaghen il 17 agosto di quell’anno
(AaKG II [1856-1860], nr. 24, pp. 103-109).
64
Vd. sopra, p. 532.
65
Nella battaglia navale combattuta contro gli Svedesi nel 1644 a Kolberger Heide,
un tratto di mare tra l’isola di Femern (tedesco Fehmarn) e il fiordo di Kiel, il re – che
si trovava sulla nave ammiraglia Trefoldigheden (“Trinità”) – rimase gravemente ferito
perdendo l’occhio destro. Questo episodio è ricordato nella prima strofa dell’inno
reale danese Il re Cristiano stava presso l’albero maestro (Kong Christian stod ved højen
mast) che viene eseguito in presenza dei componenti della famiglia reale o in occasione
di cerimonie militari. Questo inno riprende le parole di una lirica contenuta nell’ope-
ra I pescatori (Fiskerne, 1778) di Johannes Ewald (su cui vd. p. 835); non è certo tut-
tavia che la melodia che lo accompagna sia attribuibile al medesimo Johan Ernst

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544 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

per il Paese ripercussioni disastrose: diversi territori dovettero


essere ceduti agli Svedesi mentre la gran parte della popolazione si
trovò a fare i conti con un’economia in gravissima crisi che pagava
il prezzo di guerre inutili e per di più perdute. D’altra parte il pre-
stigio della Corona e della nobiltà era considerevolmente scaduto.
Nel 1648 Cristiano IV morì. Essendo deceduto l’anno prima
anche il figlio maggiore il trono passò al secondogenito, Federico
III (1609-1670). Poco interessato, contrariamente al padre, al
governo del Paese egli dovette sottoscrivere un capitolare parti-
colarmente rigoroso e lasciò sostanzialmente mano libera ai nobi-
li dedicandosi ai propri interessi. Nonostante rivalità, incompren-
sioni e sospetti tra la corte e i nobili,66 il Consiglio di Stato si
sforzò di rimettere in sesto la situazione, ma la decisione di dichia-
rare un’altra guerra alla Svezia determinò una nuova catastrofe.
Con la pace di Roskilde la Danimarca subiva gravi e definitive
perdite territoriali, dovendo in particolare cedere la regione della
Scania. Sebbene, come si è detto, il successivo tentativo svedese
di soggiogarla completamente non andasse a buon fine, l’orgoglio
della nazione (ma anche la sua economia e le sue finanze) usciro-
no da questa nuova esperienza di guerra quasi completamente
annientati.
La svolta decisiva avvenne nel 1660. Alla riunione degli Stati
generali (nobiltà, clero e borghesia), convocata a Copenaghen, ci
si trovò di fronte al forte malcontento determinato da questo stato
di cose. In questa situazione la nobiltà – che continuava a godere
di molti privilegi ormai difficili da giustificare – si trovò costretta
a difendersi dalle accuse degli altri stati che, con l’intento di sot-
trarle l’eccessivo potere (sia politico sia economico) di cui godeva,
proposero di trasformare il Regno di Danimarca da elettivo a ere-

Hartmann che compose la musica per l’intero dramma (cfr. p. 854). La scena è raffi-
gurata anche nell’affresco eseguito dal pittore danese Vilhelm Nikolai Marstrand (vd.
p. 919, nota 256, p. 920, nota 258, p. 1086, nota 552 e p. 1087) nella cappella di Cri-
stiano IV all’interno della cattedrale di Roskilde (1864-1866); uno studio per questo
affresco (ca.1864) è esposto nel Museo storico nazionale del castello di Frederiksborg
(Det Nationalhistoriske Museum. Frederiksborg Slot) a Hillerød (Selandia).
66
In particolare si venne a creare un grave dissidio tra due nobiluomini di grande
peso, Corfitz Ulfeldt (cfr. p. 613 con nota 395) e Hannibal Sehested (vd. p. 550) che
erano generi di Cristiano IV da una parte, la corte e il Consiglio di Stato dall’altra.
Durante il regno di Federico III essi caddero in disgrazia (nonostante avessero in
precedenza ben operato ricoprendo importanti incarichi) e furono costretti a rifugiar-
si all’estero. Vd. Heiberg S., Enhjørningen Corfitz Ulfeldt, København 1993 e Rian Ø.
“Hannibal Sehested og sønderjydane hans”, in FNKF, pp. 90-111 o, ben più ampio,
Boggild-Andersen C.O., Hannibal Sehested. En dansk statsmand, I-II, København).

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Nuovi poteri e nuovi equilibri 545

ditario.67 È praticamente certo che l’iniziativa fosse ispirata dalla


corte, e infatti il sovrano vi aderì immediatamente. Ai nobili fu
impedito di lasciare la città per invalidare l’assemblea ed essi furo-
no costretti a cedere. Il 18 ottobre 1660 una fastosa cerimonia
consacrava Federico III monarca ereditario (e assoluto) di Dani-
marca.68 La nuova forma di governo (che sarebbe durata fino al
1849) fu presto rafforzata con provvedimenti legislativi ben mirati
che precedettero la cosiddetta Legge del re (Kongeloven, Lex regia),
emanata il 14 novembre 1665. Il parlamento non venne più con-
vocato e il Consiglio del Regno fu soppresso.69 Alla morte di Fede-
rico III (1670) salì sul trono di Danimarca Cristiano V (1646-1699),
un sovrano capace di consolidare (attraverso una serie di riforme)
l’assolutismo regio e, nello stesso tempo, di farsi benvolere dai
sudditi. A lui si deve il codice di leggi unitario che va sotto il nome
di Legge danese di Cristiano V (Christian den Femtis Danske Lov,
1683)70 che (recependone gli aspetti migliori) sostituirà le leggi
regionali. Egli fu a lungo coadiuvato dall’abile e spregiudicato
conte di Griffenfeld,71 il quale inutilmente si oppose a una nuova
guerra contro la Svezia, che nelle intenzioni del re avrebbe dovuto
riscattare le precedenti sconfitte e consentire alla Danimarca di
rientrare in possesso delle regioni meridionali svedesi (in partico-
lare la Scania) la cui perdita aveva così profondamente ferito l’or-
goglio della nazione. Il conflitto, come è stato detto,72 si concluse
ancora una volta in favore della Svezia, nonostante la spontanea
adesione di molti contadini della Scania e di ribelli – i cosiddetti

67
Portavoce della proposta furono soprattutto il borgomastro di Copenaghen Hans
Nansen (1598-1667) e il vescovo della Selandia Hans Svane (1606-1668), che fu ricom-
pensato dal re con doni e onori, tra l’altro il titolo di arcivescovo (che nessun altro in
Danimarca ha avuto dopo di lui). Egli ottenne anche alcuni privilegi per il clero
danese. Su di lui Jørgensen J., “Bidrag til ærkebiskop Hans Svanes historie”, in KSam
VI: 1 (1966), pp. 85-136 e KSam VI: 3 (1966), pp. 575-591.
68
Vd. Heiberg 1828 e Bøggild-Andersen 19712.
69
Fin dal 1661 erano stati emanati i cosiddetti ‘Atti di sovranità’ (Souverainitets-
akterne) nei quali le precedenti forme di governo venivano dichiarate nulle e il potere
assoluto del re veniva riconosciuto dalle autorità civili e religiose (AaKG II, pp. 125-
143; vd. anche alle pp. 143-150 un analogo documento relativo alla Norvegia, all’Islan-
da e alle Forøyar).
70
Cfr. pp. 517-518.
71
Costui in realtà si chiamava Peder Schumacher (1635-1699) ed era di modeste
origini. Riuscì tuttavia a conquistare la fiducia di Federico III (per il quale lavorò alla
Legge del re) e poi di Cristiano V. Alla fine fu tuttavia accusato di tradimento e con-
dannato a morte, condanna che venne però commutata nel carcere a vita. Vd. Jørgen-
sen A.D., Peter Schumacher Griffenfeld, I-II, København 1893-1894.
72
Vd. sopra, pp. 533-534 con nota 16.

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546 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

“tipi dal grilletto facile” (danese snaphaner, sved. snapphanar) –73


e la grande vittoria danese nella battaglia navale combattuta nel
golfo di Køge (1677).74

Nel 1656 un anonimo “patriota sottomesso e fedele ligio al proprio


dovere” (“en underdanig Tro Pligtskyldig Patriot”) nel quale va assai vero-
similmente riconosciuto l’ecclesiastico e precettore Jens Dolmer (morto
nel 1670),75 presentava un saggio dal titolo Il Regno di Norvegia Regno
ereditario […] (Norges Rige Arfve-Rige […])76 nel quale (tra l’altro in
polemica con Arild Huitfeldt)77 si sosteneva il principio dell’ereditarietà
della Corona (secondo lui da sempre applicato in Norvegia) e, insieme,
la piena legittimità della sovranità dei re danesi sul Paese. Gli argomenti
a favore della superiore autorità regia, l’intento chiaramente celebrativo
della medesima e il poco spazio lasciato ad altri poteri non potevano che
riuscire graditi al re:

“Dopo la morte del re Cristiano III, suo figlio, il duca Federico II, andò
al governo, secondo l’unione, che era stata fatta tra i regni. Egli venne
proclamato re di Danimarca nell’anno 1542, mentre il suo signor padre
[ancora] regnava, prima a Lybers Høj78 in Scania, secondo l’antico costume,
e poi il medesimo anno in tutte le assemblee regionali di Danimarca.
Nell’anno 1547 fu inviato in Norvegia, e là ricevette l’omaggio a Oslo,
come figlio del re e prossimo erede del Regno secondo la legge. Quando
egli dopo la morte di suo padre assunse il governo, fu incoronato in Dani-
73
Costoro si erano schierati al fianco dei Danesi già nei conflitti degli anni 1657-
1660 (vd. sopra, p. 533). Dopo la sconfitta danese gli abitanti della Scania che si erano
rivoltati contro il dominio svedese subirono una durissima repressione. Sugli snapp-
hanar vd. Åberg A., Snapphanarna, Stockholm 1981.
74
Cfr. p. 448.
75
Vd. Storm G., “Om Forfatteren til det statsretlige Skrift fra 1656 „Norges Rige
Arve-Rige””, in NHT IV (1884), pp. 114-128.
76
Questo testo è conservato in una copia del manoscritto originale che si trova
nella Biblioteca reale (Det kongelige bibliotek) di Copenaghen (Gml. kgl. sml. 2834,
4to). Esso è stato edito da J. Chr. Berg. È verosimile che sia stato presentato in occa-
sione dell’omaggio dei sudditi norvegesi al principe Cristiano in Norvegia nel 1656
(vd. Meddelelser fra Det Norske Rigsarchiv, indeholdende Bidrag til Norges Historie af
utrykte Kilder, I, Christiania 1870, pp. 269-270).
77
Vd. p. 539.
78
Skt. Libers høj (in svedese Sankt Libers hög o Lerbäckshögen) è un antico luogo
di culto (a circa 2 km. dal centro di Lund in Scania) dove si trova un tumulo dell’età
del bronzo. Secondo la tradizione nessuno poteva essere legalmente considerato
sovrano danese se prima non era stato proclamato tale dalle assemblee di Viborg
(nello Jutland), di Ringsted (in Selandia) e in questo posto, che dal XII secolo costituì
il luogo di riunione dell’assemblea della Scania (sulle assemblee danesi vd. p. 340 con
nota 53).

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Nuovi poteri e nuovi equilibri 547

marca, e l’incoronazione ebbe luogo a Copenaghen il 20 agosto 1559. Egli


morì nel 1588 dopo circa 29 anni di governo prospero e legittimo all’età
di 54 anni. Suo figlio, Re Cristiano IV fu eletto e proclamato re di Dani-
marca e Norvegia nell’anno 1581, mentre il suo signor padre ancora
viveva; e dal momento che suo padre morì prima che egli raggiungesse la
maggiore età, 4 fra i più eminenti consiglieri del Regno vennero delegati
a reggere il governo ad interim; ma quando egli compì 20 anni, la sua
incoronazione ebbe luogo a Copenaghen nel 1596 con grande fasto. Egli
regnò lodevolmente per 60 anni, e morì a Rosenborg presso Copenaghen
il 28 febbraio 1648, dopo aver vissuto 70 anni 10 mesi e 16 giorni. Il suo
figlio maggiore, il duca Cristiano venne eletto e proclamato principe dei
regni nel 1608 ma […] morì […] all’età di 44 anni, l’anno successivo alla
dipartita di suo padre. Perciò divenne sovrano e signore il nostro attuale
regnante, re Federico III, che era principe vescovo di Brema,79 ma venne
richiamato, e per provvidenza particolare di Dio eletto al governo di que-
sti regni. Sua Maestà reale fu proclamata a Copenaghen, lo stesso anno in
cui suo padre morì, con il consenso di tutti gli stati, benevolenza e soddi-
sfazione. Dopo di che egli si recò in Norvegia, dove tutti gli stati erano
radunati a Christiania, e lo accolsero con grandi onori; e quando il cancel-
liere Ser Cristiano Thomassen avanzò la proposta a quelli che erano riu-
niti nella chiesa di Christiania nella data della proclamazione, il cancel-
liere del Regno di Norvegia Jens Bjelke80 a nome di tutti gli stati rispose:
Non è solo più che giusto, che noi prestiamo obbedienza a Sua maestà il
duca Federico, e non c’è bisogno di una lunga o circostanziata riflessione,
dal momento che egli è il legittimo erede e sovrano del Regno di Norvegia,
e non c’è nessuno che sia in vita, più vicino al Regno di questo buon
signore. Egli ricevette dunque l’omaggio a Christiania e fu incoronato a
Copenaghen nel 1648.”81

Dopo le decisioni del 1536 la Norvegia aveva di fatto perso


completamente qualsiasi principio, anche formale, di autonomia
divenendo parte integrante del Regno di Danimarca.82 Per molti
decenni dunque i suoi destini avrebbero semplicemente seguito
quelli del dominatore, fino all’esito ultimo dell’affermazione dell’as-
solutismo regio, che per di più andava a tutto vantaggio di un re
straniero. E tuttavia sotto la superficie di un apparente appiatti-
mento alle sorti danesi qualche cosa si sarebbe mosso: le basi

79
Per la precisione Federico era stato nominato vescovo di Brema e principe vesco-
vo di Verden (1635).
80
Cfr. oltre, p. 759.
81
DLO nr. 130.
82
Vd. sopra, p. 482 con nota 76.

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548 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

della rinascita nazionale e politica che troverà il proprio esito nel


1814 vanno infatti ricercate proprio nel XVII secolo.83
Naturalmente la Norvegia fu pienamente coinvolta nelle lotte
per il predominio tra Danimarca e Svezia. In primo luogo nella
guerra nordica dei sette anni. Gli Svedesi ambivano da tempo a
conquistare il Paese (il che tra l’altro avrebbe garantito loro il
controllo degli importantissimi traffici marittimi che facevano
capo ai porti della costa atlantica, in particolare Bergen) e cerca-
rono di sfruttare l’occasione. Favoriti dall’impreparazione alla
guerra delle popolazioni che abitavano le aree rurali interne (la
forza militare norvegese era tradizionalmente legata alla marina)
e dalla scarsa volontà delle medesime di combattere per un sovra-
no straniero, essi riuscirono nel 1564 a penetrare nelle zone cen-
trali del Paese. Nel giro di pochi mesi tuttavia dovettero ritirarsi,
sia per l’abilità militare del comandante dano-norvegese Erik
Rosenkrantz (1519-1575), sia perché gli abitanti – che in alcuni
casi li avevano accolti come liberatori – conobbero presto i loro
abusi. Un’altra area di interesse per gli Svedesi era la regione
norvegese orientale di Båhus, dove sorgeva una importante for-
tezza oltre, naturalmente, al territorio del fiordo di Oslo. Tra i
diversi tentativi di sottomettere queste zone quello più energico
fu condotto nel 1567 nel quadro della guerra nordica dei sette
anni; anch’esso si concluse tuttavia con una ritirata nel corso
della quale gli invasori devastarono diverse località tra cui l’anti-
co centro religioso di Hamar (in Hedmark) con la sua importan-
te cattedrale.84 E le distruzioni, che lasciarono una profonda
ferita nell’animo dei Norvegesi, non risparmiarono Oslo, data alle
fiamme dagli stessi abitanti (che in seguito la ricostruirono) per
evitare che i nemici potessero installarsi nella fortezza di Akershus.
Dopo la pace di Stettino che, come si è detto, lasciò la situazione
dei contendenti sostanzialmente invariata,85 i re danesi vollero
rimarcare la loro autorità sulla Norvegia. Particolare interesse per
il Paese fu in seguito dimostrato da Cristiano IV che, al contrario
dei suoi predecessori, vi si recò diverse volte e si adoperò attiva-
mente per promuoverne la crescita economica. Per sua volontà la
città di Oslo, distrutta da un terribile incendio nel 1624 fu rico-
struita (con pianta a scacchiera) a ovest della baia detta Bjørvika
(dall’ant. norv. Bæjarvík “baia della città”) dietro i bastioni della
Vd. 11.1.3.
83

Durante l’avanzata essi del resto avevano già devastato la città di Sarpsborg (in
84

Østfold).
85
Vd. sopra, p. 532.

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Nuovi poteri e nuovi equilibri 549

fortezza di Akershus: in suo onore essa ebbe nome Christiania,86


restando così per lungo tempo legata alla memoria del sovrano che,
anche con la concessione di privilegi, ne aveva promosso lo svilup-
po.87 Del resto, nella sua politica (non sempre fortunata) il re non
si occupò solo dei territori effettivamente appartenenti all’area
geografica danese ma mise sullo stesso piano la Norvegia, incorag-
giandone il progresso economico. E quanto gli stesse a cuore la
‘provincia’ norvegese si vede anche dal costante interesse dimo-
strato nel rivendicare l’autorità danese sulle regioni più settentrio-
nali del Paese, ambite tanto dagli Svedesi quanto dai Russi. La
minaccia straniera alla sovranità su quei territori sarà una delle
motivazioni con le quali egli convincerà il Consiglio del Regno a
dare la propria approvazione alla guerra di Kalmar,88 alla quale
tuttavia i Norvegesi daranno un contributo tanto obbligato quan-
to modesto.89 La conclusione di questo conflitto vedrà tuttavia gli

86
Più tardi (dal 1878) scritto Kristiania (sull’antica Christiania vd. Daae L., Det gamle
Christiania 1624-1814, Christiania 19243). A questo re fanno riferimento anche i toponi-
mi norvegesi Kristiansand (un tempo Christianssand) in Vest Agder, città fondata nel 1641
(della cui pianta rimane ora traccia solo nella rete stradale) e Kongsberg (in Buskerud),
letteralmente “Montagna del re”, nome di un insediamento cresciuto attorno a una
miniera d’argento fatta impiantare dal sovrano dopo che questo metallo era stato trovato
nella zona nel 1623. Altre città fondate nelle diverse regioni del Regno sono legate al suo
nome: Kristianopel (Christianopel) in Blekinge, sorta nel 1599 come installazione difensi-
va contro la minaccia svedese e Kristianstad (Christianstad) in Scania fondata nel 1614.
Anche Christianshavn (ormai inglobata nella città di Copenaghen) era un tempo una
località autonoma, sorta nel 1619 su un’isola artificiale che faceva parte del sistema difen-
sivo della capitale. L’uso di intitolare insediamenti urbani a membri delle case reali è del
resto ben noto anche in Svezia (vd. Wahlberg M., “The development of place-names
from the 16th to end of the 18th century”, in Bandle 2002-2005 (B.5), II, p. 1328.
87
La città riprenderà l’antica denominazione di Oslo dal 1 gennaio 1925 in seguito
a una delibera del parlamento norvegese assunta l’anno precedente (11 luglio 1924).
Sulla sua storia vd. Sønstenvold V. – Hammer S.C. et al., Kristianias historie, I-V,
Kristiania 1922-1936.
88
Vd. sopra, p. 532.
89
Nel corso di questa guerra si colloca tuttavia un celebre episodio: un gruppo
di mercenari scozzesi al servizio del re svedese cadde in un’imboscata tesa dai
contadini della valle di Gudbrandsdalen e fu quasi completamente annientato (26
agosto 1612). Questo fatto è ricordato come Skottetoget (“spedizione degli Scoz-
zesi”) o anche come Sinclairtoget (“spedizione di Sinclair”), dal nome di un
comandante di compagnia, George Sinclair (nato nel 1580 ca.) che vi perse la vita.
Esso ha lasciato tracce nella toponomastica locale e trovato eco nella tradizione
patriottica norvegese (ma anche nella ‘memoria’ danese e svedese): il poeta Edvard
Storm (cfr. p. 940) compose (1781) una Canzone di Sinclair (Zinklars vise, in Sam-
lede Digte, Kiøbenhavn 1785, pp. 142-143), recentemente ripresa da gruppi musi-
cali; più tardi (1840 ca.) Henrik Wergeland (vd. pp. 930-931) scrisse una tragedia
in tre atti dal titolo La morte di Sinclair (Sinclars død, 1830). Il pittore norvegese
Adolph Tidemand (vd. pp. 937-938 e pp. 1091-1092) ha rappresentato in un qua-

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550 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

Svedesi costretti a rinunciare alla loro pretesa di controllare i Sami


che abitavano le coste del Nordland (e, di conseguenza, di esigere
da loro tributi) e a qualsiasi ambizione sul feudo di Vardø(y)hus
(nell’estremo nord-est norvegese). Anche la successiva guerra del
1643-1645 vide i Norvegesi partecipare con assai scarso entusiasmo.
In tutto questo periodo appare chiaro come questo Paese – sep-
pure resti strettamente legato alla Danimarca e a essa soggetto –
mostri un crescente desiderio di autonomia decisionale, riacquisti
convinzione della propria specificità e venga riproponendosi come
una vera e propria nazione. Del resto, nella seconda metà del XVI
secolo tutta una serie di decisioni da parte danese porteranno a
una rivalutazione della nobiltà e del Regno norvegese come unità
amministrativa a se stante.90 Anche l’azione di un governatore come
Annibale (Hannibal) Sehested (1609-1666),91 che – pur servendo
gli interessi danesi – seppe nel periodo della sua reggenza (1642-
1651) creare le basi di una gestione autonoma del potere (in par-
ticolare riformando il sistema fiscale e organizzando un esercito),
avrebbe nel lungo periodo fatto sentire i suoi effetti per uno stato
norvegese che avrebbe prima o poi rivendicato completa indipen-
denza.92 In questa prospettiva si inquadrano le vicende legate alla
guerra dano-svedese degli anni 1657-1660,93 che vede i Norvegesi
reagire vigorosamente all’eventualità di una spartizione del loro
Paese e riconquistare la città di Trondheim in mano agli Svedesi.
Il 1660, anno dell’introduzione dell’assolutismo regio in Danimar-
ca, è anche la data in cui, a seguito delle statuizioni del trattato di
pace di Copenaghen,94 la Norvegia vede fissati i propri confini: un
punto di partenza che segna simbolicamente il lento ma progres-
sivo cammino verso la riconquista della dignità della nazione
e dell’autonomia dello Stato.95 Sotto il regno di Cristiano V,

dro del 1876 conservato nel Museo nazionale di arte architettura e design (Nasjonal-
museet for kunst, arkitektur og design) di Oslo lo sbarco dei soldati scozzesi nell’Isfjor-
den. Vd. Michell Th., History of the Scottish Expedition to Norway in 1612, London
1886 e anche Grant J., The Scottish Soldiers of Fortune. Their adventures and achieve-
ments in the armies of Europe, London 1889, pp. 176-184.
90
Holmsen 1971-19774 (B.3), I, pp. 414-415.
91
Cfr. nota 66.
92
Dal punto di vista economico è tra l’altro importante la costituzione (16 agosto
1654) di una unica autorità di riferimento per le miniere norvegesi (Paus 1751 [Abbr.],
pp. 810-812).
93
Vd. sopra, p. 533 con nota 14.
94
Vd. nota 14.
95
I confini definitivi tra Svezia e Norvegia verranno stabiliti nel 1751 con il tratta-
to di Strömstad (Bohuslän): STFM VIII, nr. 52, 21 settembre-2 ottobre 1751, pp.
586-630 (ivi compreso un documento precedente del 27 febbraio 1738, pp. 620-628).

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Nuovi poteri e nuovi equilibri 551

figlio di Federico III, la Norvegia fu ancora oggetto delle atten-


zioni del re che nel 1687 promulgò una nuova legge per il Paese.96
Sebbene la redazione di questo codice recepisse in gran parte
influssi e schemi giuridici danesi, essa rappresenta tuttavia un
punto fermo nel percorso di affrancamento del regno di Norvegia
dallo stato di passiva condivisione di modelli stranieri.
Come sopra è stato detto, l’introduzione della riforma protestan-
te aveva significato per l’Islanda un consolidamento della posizione
di subalternità alla Danimarca. Il Paese, nel quale – come si è visto
– un’oligarchia di possidenti controllava grandi estensioni di terri-
torio, conobbe in seguito all’introduzione della nuova dottrina una
sorta di ‘nazionalizzazione’ dei beni della Chiesa (al pari di quelli
un tempo appartenuti ai conventi) che finirono nella diretta dispo-
nibilità del sovrano danese.97 Il quale, del resto, adeguandosi a un
modo di pensare di ‘ovvia’ e radicata tradizione, considerava l’iso-
la solo come una colonia da sfruttare in relazione ai propri interes-
si; un atteggiamento che si può qui illustrare attraverso due esempi
assai significativi: il tentativo della Corona di vendere l’Islanda
agli Inglesi o agli Olandesi (1518) e, successivamente, la concessio-
ne in affitto dell’isola al Consiglio della città di Copenaghen (1547).
Di fatto l’Islanda divenne dunque uno dei quattro grandi ‘feudi’ di
cui il re danese disponeva fuori dai confini del suo Paese.98 La
conseguenza più grave di questo stato di cose venne tuttavia da una
decisione del re Cristiano IV. Questo sovrano, come è stato detto,
aveva promosso una importante politica mercantilistica99 nella cui
ottica decise di concedere il monopolio del commercio con l’isola
alle città di Copenaghen, Helsingør e Malmö (1602).100 A questo
scopo venne poi redatta una rigida regolamentazione che compor-
tava pene molto severe per i trasgressori, per coloro cioè che aves-
sero cercato di intrattenere rapporti di compravendita con altri
soggetti. Per gli Islandesi questa decisione ebbe effetti devastanti.
Nonostante le statuizioni del decreto i commercianti danesi infatti
non si curarono d’altro se non dei propri interessi, imposero prez-
zi stabiliti a loro piacimento e sfruttarono ignobilmente la situazio-
ne di inferiorità degli isolani, impossibilitati ad acquisire da altri
fornitori i prodotti di cui avevano bisogno. Più volte modificato

96
Legge norvegese di re Cristiano V (Kong Christian den Femtes norske lov 15de
April 1687).
97
In Islanda tuttavia il re non si appropriò dei beni vescovili.
98
Gli altri erano i feudi norvegesi di Akershus, Bergenhus e Steinvikholm.
99
Vd. sopra, p. 543.
100
LFI I, 20 aprile 1602, pp. 138-143.

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552 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

con nuove regolamentazioni, il monopolio101 fu abrogato a partire


dal 1787, quando (seppure con forti limitazioni) entrò in vigore
qualche forma di libero scambio.102 Per quasi due secoli gli Islan-
desi vennero dunque a trovarsi in una situazione economica disa-
strosa: costretti praticamente a svendere le proprie merci e, al con-
trario, ad acquistare il necessario (non di rado di cattiva, quando
non pessima, qualità) a prezzi assai elevati. Inutilmente rivolsero al
sovrano istanze e petizioni. Il monopolio commerciale danese segna
in maniera drammatica un periodo di grave degrado per il Paese,
che alla situazione di decadimento economico dovette sommare
l’umiliazione di vedere la propria terra alla mercé di un sovrano che
non ne aveva alcuna considerazione, se non quella che poteva deri-
vare da vantaggi di tipo economico.103 Basti pensare che per lungo
tempo tutti coloro che governavano l’Islanda per conto del re erano
di nazionalità danese, con l’unica eccezione di Eggert Hannesson
(ca.1515-1583) che lo resse negli anni 1551-1553. Il potere dei capi-
tani locali (del resto non particolarmente interessati al progresso
della nazione) era ormai sostanzialmente compromesso.
E tuttavia il re danese dovette, almeno in una occasione, corri-
spondere alle richieste degli Islandesi. A ciò egli fu costretto in
seguito a brutali azioni di pirateria. Nell’estate del 1627 infatti, navi
provenienti dalle coste nordafricane raggiunsero l’isola dandosi a
saccheggi e rapimenti. L’episodio più grave avvenne alle Vestmanna-
eyjar dove i pirati approdarono il 17 luglio e catturarono un nume-
ro considerevole di persone.104 I prigionieri furono condotti in
Algeria, ridotti in schiavitù, venduti all’asta e costretti a convertir-
si alla religione islamica. La richiesta di riscatto inviata al re dane-
se cadde in un primo tempo nel vuoto, a motivo della disastrosa
situazione in cui versavano le casse del Regno. Tuttavia, di fronte
alla contrarietà di molti Islandesi a raccogliere i fondi necessari
101
Dal 1620 esso passò alla sola città di Copenaghen: ciò anche in relazione al fatto
che tra il 1619 e il 1662 fu gestito dalla prima compagnia commerciale destinata a
occuparsi dell’Islanda (ma anche delle Føroyar e del Nordland norvegese), La compa-
gnia islandese, faroese e del Nordland (Det islandske færøiske og nordlandske Kompagni).
In seguito, quando questa fu soppressa esso fu regolamentato a livello strettamente
distrettuale e amministrato da quattro cosiddetti principali ‘azionisti’ (in danese
hovedparticipanter; LFI I, 31 luglio 1662, pp. 277-283). Successivamente di nuovo si
alternarono compagnie commerciali e nel 1774 la gestione passò direttamente nelle
mani del re.
102
Vd. LFI V, 18 agosto 1786, pp. 301-316 e pp. 317-338 (medesima data); cfr. pp.
417-462 (13 giugno 1787). La data stabilita per la cessazione del monopolio fu il 31
dicembre 1787.
103
Vd. Aðils 1926-1927 e Gunnarsson 1987.
104
Duecentoquaranta o forse, addirittura, trecentottanta.

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Nuovi poteri e nuovi equilibri 553

(motivata dai dubbi sull’effettivo esito favorevole della trattativa e


sulla incertezza riguardante i destini dei singoli) fu promossa una
colletta in Danimarca e nel 1636 ventisette persone (ma otto erano
morte durante il viaggio di ritorno) poterono rientrare nel loro
Paese.105
L’introduzione dell’assolutismo regio in Danimarca si riflesse,
naturalmente, anche sulla colonia islandese. Ufficialmente esso fu
accolto il 26 luglio 1662 nel corso di una riunione tenuta a Kópa-
vogur (a sud di Reykjavík). Infatti il governatore (höfuðsmaður)106
Henrik Bielke (o Bjelke, 1615-1683), che doveva raccogliere l’ap-
provazione degli Islandesi al nuovo ordinamento, giunse nell’isola
quando l’annuale assemblea (Alþingi) si era già conclusa e dunque
convocò in tutta fretta una riunione straordinaria da tenersi in
quella località. La tradizione vuole che di fronte alle rimostranze
dei notabili islandesi – tra i quali il vescovo Brynjólfur Sveinsson,107
e il lögsögumaður108 Árni Oddsson (1592-1665) – egli si limitasse a
indicare la presenza dei soldati del re, ragion per cui i rappresen-
tanti del popolo furono costretti a firmare, alcuni, a quanto pare,
con le lacrime agli occhi. In seguito a ciò la struttura amministra-
tiva del Paese fu modificata e l’Islanda divenne una ‘provincia’
(amt) danese109 che ebbe un “governatore generale” (stiftamtmaður)
il cui interesse nei confronti della popolazione è presto misurato
dal fatto che egli risiedeva a Copenaghen.110 Alle sue dipendenze
un “governatore provinciale” (amtmaður) e tutta una serie di fun-
zionari e amministratori che si occupavano dei possedimenti della
Corona o gestivano le diverse unità amministrative.111 Anche l’an-
tico e prestigioso istituto dell’Alþingi conosceva un declino defini-
105
Anche nel 1579 e successivamente nel 1614 l’isola era stata attaccata da pirati,
provenienti nel primo caso dall’Inghilterra, nel secondo dalla Spagna. Sulla vicenda
degli Islandesi rapiti dai pirati magrebini è assai interessante il resoconto di uno dei
protagonisti, il pastore Ólafur Egilsson (1564-1639) catturato con moglie e figli ma
liberato l’anno successivo allo scopo di raccogliere il riscatto per i prigionieri: Libro di
viaggio del reverendo Ólafur Egilsson (Reisubók séra Ólafs Egilssonar, redatto subito
dopo il ritorno in patria nel 1628). In proposito vd. Helgason J. (ritstj.) Tyrkjaránið,
Reykjavík 1983.
106
Cfr. p. 387, nota 239.
107
Su cui vd. p. 586.
108
Vd. p. 151. Su di lui vd. “Árni Oddsson, lögmaður”, in BR, pp. 17-20.
109
Cfr. p. 668.
110
Solo a partire dal 1770 a questo funzionario sarà richiesto di trasferirsi nell’iso-
la. In quell’anno l’Islanda fu suddivisa in due distretti (dal 1787 in tre) ciascuno dei
quali aveva un governatore proprio (uno di loro tuttavia fungeva sia da governatore in
un distretto sia da governatore generale).
111
Sýslur e hreppar (cfr. pp. 387-388). In realtà ora i sýslumenn assunsero i compiti
che precedentemente erano assegnati ai hirðstjórar.

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554 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

tivo.112 Lo stato di sottomissione assoluta era così sancito e pareva


dover durare per sempre.

9.1.2. La “grande potenza” svedese

In Svezia l’avvento al trono di Gustavo Vasa e la sua energica


politica avevano garantito al Paese la definitiva indipendenza dalla
Danimarca ma avevano altresì impresso una svolta decisiva in
direzione della costituzione di un Regno fortemente centralizzato
nel quale era consegnato nelle mani del re un grande potere. Le
tendenze decisamente accentratrici (per non dire assolutistiche) di
Gustavo e l’affermazione dell’autorità della monarchia sopra ogni
altra si erano del resto espresse anche nell’introduzione (1544) del
principio dell’ereditarietà della Corona.113 Meno di venti anni dopo,
nel 1561, il figlio e successore, Erik XIV, aveva promulgato i cosid-
detti “articoli di Arboga” (Arboga artiklar), che – intesi principal-
mente ad arginare il potere del fratello Giovanni –114 avevano
ribadito l’autorità centrale del sovrano sopra ogni altra.115 Erik, del
resto, nutriva ossessionanti timori nei confronti della nobiltà di cui
paventava i possibili complotti: ciò lo indusse ad atteggiamenti in
qualche caso maniacali che sfociarono nella sanguinosa repressio-
ne del 1567, quando diversi rappresentanti dell’aristocrazia accu-

112
Sull’Alþingi vd. pp. 151-152.
113
Vd. sopra, p. 476 con nota 51.
114
Cfr. pp. 477-478 e pp. 530-531.
115
Ufficialmente essi nascevano dalla necessità di definire i rapporti tra i duchi e il
re. Alla morte di Gustavo Vasa, quando il figlio Erik era salito al trono, il titolo di duca
– che risaliva ai tempi di Birger jarl (vd. pp. 350-354) – era andato ai di lui fratelli,
secondo il testamento di Gustavo medesimo. Tuttavia, la tradizionale tendenza dei
duchi a comportarsi come principi del tutto autonomi rispetto al sovrano e l’ambigui-
tà delle disposizioni del defunto re in merito ai rapporti che dovevano intercorrere tra
i ducati e la Corona, indussero Erik XIV a convocare una riunione del parlamento
nella città di Arboga (Västmanland) per definire la questione. In quella occasione egli
riuscì a far accettare ai fratelli questi “articoli” che vennero promulgati il 14 aprile 1561
(SRA I: ii, nr. 258, pp. 9-24). In essi erano poste notevolissime limitazioni all’autorità
dei duchi e il potere di fatto ricondotto nelle mani della Corona. In seguito tuttavia gli
“articoli di Arboga” sarebbero stati una delle motivazioni addotte per la destituzione
di Erik. Ma successivamente anche il re Giovanni III avrebbe ottenuto l’emanazione
dei cosiddetti “articoli di Vadstena” (Vadstena artiklar), di contenuto sostanzialmente
equivalente, con i quali egli avrebbe cercato di limitare il potere del fratello Carlo, duca
di Södermanland (vd. SRA I: ii, nr. 534, pp. 758-768, 13 febbraio 1587). Da notare che
nel medesimo anno 1561 veniva istituita in Svezia la dignità nobiliare di conte la cui
concessione spettava al re.

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Nuovi poteri e nuovi equilibri 555

sati di tradimento furono messi a morte.116 Con l’avvento al trono


di Giovanni III la nobiltà riprese vigore e di nuovo ottenne note-
voli privilegi: essa non fu tuttavia in grado di costituire un Consiglio
del Regno capace di porsi come vero e proprio contraltare al pote-
re regio, il quale, d’altro canto, manifestò presto la propria insof-
ferenza nei suoi confronti. I conflitti tra l’alta nobiltà (che propen-
deva, naturalmente, per una monarchia costituzionale) e la Corona
(che di fatto si avvicinava alle posizioni dei nobili solo quando
intravedeva la possibilità di trarne vantaggio) furono ripetuti.117 Essi
appaiono particolarmente aspri anche durante il regno di Carlo IX
(1603-1611),118 che contrastò con forza il desiderio dell’aristocrazia
di riportare un solido potere nelle mani del Consiglio del Regno,
seppure sapesse ben ‘gestire’ i nobili quando aveva bisogno del loro
sostegno. Questa situazione riflette in effetti la propensione del
potere regio ad affermarsi come massima autorità alla quale tutto
il Paese deve obbedienza e ossequio: il che sarà infine conseguito
dal re Carlo XI. Su queste basi l’intraprendenza risoluta e l’ambi-
zione espansionistica dei diversi sovrani della dinastia dei Vasa
(alcuni dei quali dotati di particolare abilità politica e militare)
avrebbero presto prodotto i propri effetti.
Come è stato rilevato in precedenza, il problema fondamentale
che si frapponeva alle ambizioni svedesi era la sostanziale impos-
sibilità di controllare le vie commerciali a oriente, in particolare su
quel Mar Baltico il cui dominio garantiva i ricchi proventi di un
intenso traffico mercantile. L’espansione svedese in questa direzio-
116
Tra costoro anche Nils Svantesson Sture (1543-1567), nipote per parte di madre
di Gustavo Vasa e appartenente a una delle più nobili famiglie svedesi. Vd. von Konow
J., Sturemorden 1567. Ett drama i kampen mellan kungamakt och högadel, Karlskrona
2003.
117
Nella direzione del rafforzamento di un solido potere regio andavano anche i
cosiddetti “decreti di Kalmar” (Kalmare-stadgar) promulgati per regolare i rapporti
tra la Svezia (governata da Giovanni III) e la Polonia (di cui era sovrano suo figlio
Sigismondo) nell’eventualità della morte del primo (SRA I: ii, nr. 541, 5 settembre
1587, pp. 789-799; vd. anche Strömberg-Back K., Kalmare stadgar 1587, Umeå 1989).
Sottolineando la necessità che l’unione svedese-polacca, che in tal caso si sarebbe
venuta a creare, dovesse essere contraddistinta da amicizia e collaborazione contro il
comune nemico russo, essi consegnavano di fatto nelle mani del re ogni decisione a
riguardo della nomina di coloro che avrebbero dovuto tenere la reggenza del governo
svedese durante l’assenza di Sigismondo. Il duca Carlo di Södermanland (futuro re
Carlo IX) riuscì tuttavia a far abrogare queste statuizioni, insieme agli “articoli di
Vadstena” (cfr. nota 115), approfittando di un contrasto tra Giovanni III e l’alta nobil-
tà. Sebbene poi egli stesso, una volta divenuto re, imprimesse una svolta autoritaria al
suo governo.
118
Carlo cominciò a fregiarsi del titolo di re nel 1603, tuttavia la sua incoronazione
ufficiale avvenne a Uppsala nel 1607. Cfr. p. 560, nota 137.

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556 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

ne comincia con i figli di Gustavo Vasa, il quale con la costituzione


di un forte esercito nazionale e di una potente marina ne aveva di
fatto posto le premesse. Dell’importanza della sovranità su quest’area
i discendenti di Gustavo paiono del resto pienamente consapevoli
nel momento in cui, considerandola strettamente connessa alla loro
stessa affermazione come signori di Svezia, scateneranno quella che
può essere considerata una vera e propria guerra fratricida.119 Ma
al contempo essi appaiono ben consci del fatto che dal dominio sul
Baltico deriva una posizione di forza rispetto al tradizionale nemi-
co danese120 e che – contemporaneamente – esso consentirà di
regolare i secolari contenziosi con la Russia e di definire altresì la
situazione del Paese nei confronti della Polonia. Come sopra è
stato detto i primi tentativi della Svezia in questa direzione non
avevano sortito risultati apprezzabili, sia – appunto – a motivo
dell’ostilità tra Erik XIV e Giovanni III, sia per l’energica opposi-
zione all’espansionismo svedese da parte della Danimarca. Alla fine
della guerra nordica dei sette anni la pace di Stettino vide dunque
insoddisfatte le ambizioni della Svezia che, per di più, fu costretta
a versare un’ingente somma per rientrare in possesso della fortezza
di Älvsborg.121 Ma i sovrani della dinastia dei Vasa non erano certo
disposti ad accettare questo stato di cose. Giovanni III, succeduto
a Erik XIV nel 1568, individuò nella Russia di Ivan Četvërtyj
Vasil’evič (Иван Четвёртый, Васи́льевич, 1530-1584), noto come
Ivan il Terribile (Иван Грозный), il nemico da abbattere per otte-
nere finalmente il controllo dei traffici orientali. Affidando il proprio
esercito al leggendario comandante francese Pontus (Ponce) de la
Gardie (1520-1585) egli ottenne importanti vittorie, fra tutte quel-
la che consentì agli Svedesi di espugnare Narva (1581). Nel frat-
tempo si premurò di guadagnare la Polonia, riuscendo a insediare
sul trono di quel Paese il figlio Sigismondo, nato dal suo matrimo-
nio con la principessa polacca Caterina Jagellona.122 Nel 1595
venne siglato con la Russia il trattato di pace di Teusina (finnico
Täyssinä, russo Тявзино, in Ingria) che consentì alla Svezia di
ottenere una linea di confine definita che garantiva uno sbocco sul
Mare di Barents,123 il che avrebbe dovuto assicurare – raccogliendo
119
Vd. pp. 477-479 e pp. 530-531.
120
Vd. pp. 530-532.
121
Vd. p. 532 con nota 8.
122
Cfr. p. 478. Su Sigsmondo vd. Östergren S., Sigismund. En biografi över den
svensk-polske monarken, Ängelholm 2005.
123
Essa partiva dalla foce del Siestarjoki (o Rajajoki, svedese Systerbäck, russo
Сестра) nel golfo di Finlandia e dal lago Saimaa (svedese Saimen) saliva fino al lago
Inarijärvi (o Inarinjärvi, svedese Enare träsk), poi seguiva il corso del Neidenelva

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Nuovi poteri e nuovi equilibri 577

I secoli XVI e XVII mostrano dunque nei Paesi nordici un


mondo culturale dinamico e operoso nel quale si muovono nume-
rose figure di studiosi in molti casi dotati di una impressionante
erudizione che spazia in diversi ambiti disciplinari. Conseguente-
mente il confine tra le opere ‘rigorosamente letterarie’ e quelle di
diverso intento (storiche o scientifiche, qualche volta tali solo nel-
le intenzioni dell’autore!) risulta spesso imprecisato, mentre il
desiderio di dar voce a una cultura di livello corrispondente (quan-
do non superiore) rispetto a quella di altri Paesi europei condizio-
na l’impegno compositivo, giustificando (ma non del tutto, ché
molto andrebbe certamente rivisitato) il successivo giudizio della
critica non di rado troppo severo dal punto di vista estetico e non
solo.

9.2.1. Il richiamo del passato e la rivendicazione della supremazia


scandinava

Come è stato rilevato precedentemente il conflitto che oppone-


va le due principali potenze della Scandinavia, Danimarca e Svezia,
non riguardava solamente l’ambito politico e militare ma si nutriva
anche di una controversia sull’antichità e sul prestigio della nazio-
ne e dunque sulla rivendicazione del suo primato rispetto alla
rivale. Questo atteggiamento affondava le proprie radici fin nel XV
secolo.218 In quell’epoca, come sopra si è riferito, erano state scrit-
te opere svedesi quali la Cronaca del Regno dei Goti e la Cronaca in
prosa, cui era seguita all’inizio del XVI secolo la Cronaca dei regni
settentrionali del tedesco Albert Krantz, nella quale veniva gran-
demente elogiata la nazione danese.219 Del resto fin dal 1434, duran-
te il sinodo tenuto a Basilea, il vescovo di Växjö Nicolaus Ragvaldi
(Nils Ragvaldsson, ca.1380-1448), che sarebbe divenuto arcivesco-
vo di Uppsala nel 1438, aveva rivolto ai partecipanti un discorso
nel quale affermava la nobiltà del proprio ruolo, chiedendo – di
conseguenza – che gli fosse riservato il sedile d’onore (o, almeno,
quello immediatamente vicino), in quanto rappresentante di un
popolo (gli antichi Götar, ora Svedesi) che poteva vantare una
diretta discendenza da quei Goti che avevano saputo sconfiggere
o costringere alla pace (tra gli altri) gli Egizi, i Persiani, i Macedo-
ni e i Romani.220 Si è visto come affermazioni di questo tipo fosse-
218
Le sue premesse e le fonti alle quali ci si rifece sono riportate in Lindroth 1961.
219
Vd. p. 535 con nota 22.
220
Anche questo discorso, come quello attribuito a Hemming Gadh (su cui vd.

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558 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

del Baltico. Allo scopo di indebolirlo Carlo IX lo attaccò, pose un


blocco ai suoi porti e si lasciò coinvolgere nelle vicende interne
russe che – nel periodo di grande confusione e debolezza politica
vissuto da quel Paese nei primi anni del Seicento – vedevano i
Polacchi direttamente coinvolti. Per evitare l’insediamento di un
potere nemico in Russia questa volta gli Svedesi si allearono con lo
zar Basilio IV Ivanovič Šujskij (Василий IV Иванович Шуйский,
1552-1612) e nel 1610 le truppe svedesi fecero il loro ingresso a
Mosca. Ma l’esercito russo-svedese fu sconfitto da quello polacco
e lo zar deposto. In quelle circostanze al candidato al trono di
Russia Ladislao (Władysław), figlio di Sigismondo (1595-1648),127
fu contrapposto uno svedese nella persona di uno dei figli di Car-
lo IX, dapprima Gustavo Adolfo (Gustaf Adolf) poi Carlo Filippo
(Karl Filip). Le vicende interne russe si risolsero però con l’ascesa
al trono di Michail (in italiano non del tutto correttamente reso con
Michele) Fëdorovič Romanov (Михаил Фёдорович Романов, 1596-
1645), avversario degli Svedesi.
Ma, come si è detto, Carlo IX desiderava altresì stabilire la
propria autorità sulle regioni settentrionali della Norvegia e del-
la Russia (e sui relativi traffici). Seppure quelle zone fossero
raggiungibili solo percorrendo un lungo tratto di mare lungo le
coste norvegesi (dunque sotto giurisdizione danese), egli ne ambi-
va il controllo: perciò nel 1603 decise di fondare sulle coste
occidentali presso la foce del Götaälv la città di Göteborg (che
sarebbe divenuta la seconda della Svezia) e concesse ai suoi abi-
tanti (in primo luogo olandesi che cercavano di ottenere vantag-
gi mercantili) privilegi relativi al commercio, alla navigazione e
alla pesca nel lontano Nord. Questi piani determinarono la rea-
zione della Danimarca, il cui re Cristiano IV era parimenti assai
interessato a quei territori che riteneva facessero parte della
Norvegia e dunque appartenessero, di diritto, al suo Regno. Ne
seguì la guerra di Kalmar (nel corso della quale la nuova città fu
immediatamente data alla fiamme e distrutta)128 dopo la quale gli
Svedesi dovettero rinunciare (e fu una rinuncia definitiva) alle
loro ambizioni di uno sbocco sulle coste del Mare di Barents.129
A queste aspirazioni insoddisfatte si lega il crescente interesse per

127
Ladislao IV, che fu re della confederazione polacco-lituana (1632-1648), ebbe
nel 1610 il titolo di zar, ma non ne esercitò mai il potere.
128
La costruzione di Göteborg riprese l’avvio nel 1619 con il re Gustavo II Adolfo
(vd. Andersson B., Göteborgs historia. Näringsliv och samhällsutveckling, I. Från
fästningsstad till handelsstad 1619-1820, Stockholm 1996, pp. 25-29).
129
Cfr. sopra, p. 532, nota 10.

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Nuovi poteri e nuovi equilibri 559

le regioni settentrionali della Svezia, abitate dai Sami, come più


avanti verrà evidenziato.
Alla morte di Carlo IX (1611) l’erede al trono, Gustavo II Adol-
fo (1594-1632) non aveva neppure diciassette anni, il che permise
all’aristocrazia di rialzare la testa. Tra i nobili emergeva la figura di
un consigliere ancora piuttosto giovane ma assai dotato e compe-
tente: Axel Oxenstierna (1583-1654), nominato nel 1612.130 L’ere-
de al trono si dimostrò tuttavia da subito capace di assumere le
proprie responsabilità ma contemporaneamente si affidò alla di lui
esperienza. Fu così posto termine alla logorante guerra di Kalmar.
Il giovane sovrano partecipò inoltre in prima persona alla campagna
di Russia e con notevole abilità compose i contrasti con l’aristocra-
zia, alla quale fin dal 1612 furono concessi nuovi privilegi, che
vennero confermati nel 1617.131 Ma nonostante la ritrovata influen-
za e autorità dei nobili sarebbe stata piuttosto l’eccezionale perso-
nalità di Gustavo II Adolfo (salito al trono giovanissimo nel 1611
ma incoronato ufficialmente nel 1617) a imprimere una svolta
decisiva non solo alla politica svedese ma anche al prestigio dell’au-
torità regia. Una iniziativa di particolare importanza con cui il
sovrano pose le basi di quella che sarebbe stata la “grande potenza”
della Svezia fu la riorganizzazione dell’esercito (con particolare
attenzione all’artiglieria), per la quale egli non soltanto introdusse
la leva obbligatoria (costituendo in sostanza una forza armata
nazionale), ma anche un efficace addestramento e l’utilizzo di
armamenti all’avanguardia.132 Del resto egli fin da giovane aveva
dimostrato grande interesse per la strategia militare – il suo model-
lo era il celebre principe olandese, condottiero e stratega Maurizio
di Orange-Nassau (1567-1625) – uno studio che avrebbe prodotto
risultati davvero straordinari.
La Svezia aveva a oriente due nemici: la Polonia e la Russia. Con
quest’ultima (dopo un nuovo conflitto durato otto anni) fu stipu-
lato nel 1617 il vantaggioso trattato di pace di Stolbova (russo

130
Sulla figura di questo importantissimo uomo di stato svedese vd. Wetterberg
G., Kanslern Axel Oxenstierna i sin tid, I-II, Stockholm 2002.
131
Vd. p. 653 con nota 563.
132
Vd. Dupuy T., The military life of Gustavus Adolphus. Father of modern war, New
York 1969. Sulla storia dell’esercito svedese si rimanda a Holm T., Från allmogeuppbåd
till folkhär, Stockholm 1943. Simbolo del trionfante potere militare svedese avrebbe
dovuto essere anche l’imponente nave da guerra, fatta costruire dal sovrano con note-
vole investimento di denaro, ma che sfortunatamente si capovolse e affondò pochi
minuti dopo il varo (10 agosto 1628). Localizzata nel 1956 essa è stata recuperata dai
fondali marini nel 1961 ed è ora conservata nel Vasamuseet di Stoccolma. È comune-
mente nota come Vasa (o Wasa) ma anche come Vasaskeppet.

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560 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

Столбово, a sud del Lago Ladoga)133 in base al quale in sostanza


veniva sancito il dominio svedese sul Baltico: dovette tuttavia
rinunciare a Novgorod134 mentre la Russia cedeva gran parte della
regione dell’Ingria,135 il distretto di Kexholm e rinunciava a qual-
siasi pretesa sull’Estonia e la Livonia. Queste concessioni consen-
tirono di garantire sicurezza alle frontiere finlandesi e di control-
lare gli sbocchi russi sul golfo di Finlandia. Risolte queste
questioni il giovane re si volse al problema polacco: il prolungato
conflitto (che sarebbe continuato con alterne vicende e per diversi
decenni) conosceva in quegli anni una tregua, dopo gli armistizi
siglati nel 1614.136 Ma forti restavano i sospetti nei confronti di
questo Paese, legati non soltanto alle possibili pretese di Sigismon-
do sul trono di Svezia,137 ma anche ai timori della gerarchia lutera-
na nei confronti di una eventuale rivincita cattolica.138 Fu così che
Gustavo nel 1621 attaccò la Livonia e ne conquistò la capitale Riga,
che sarebbe stata una città ‘svedese’ per quasi novanta anni (fino
al 1710). Nel 1626 spostò l’attacco in Prussia, territorio che dal
punto di vista economico aveva per i Polacchi un’importanza stra-
tegica. Grazie a queste iniziative poté concludere nel 1629 l’armi-
stizio di Altmark (attuale Stary Targ nella Pomerania polacca), in
base al quale alla Svezia era riconosciuta la sovranità sulla Livonia
e sui territori conquistati in Prussia ed erano inoltre garantiti van-
133
STFM V: i, nr. 24, 27 febbraio 1617, pp. 242-269; Sundberg 1997 (Abbr.), nr.
110, pp. 232-234 (dove viene indicato con la data del 17 febbraio).
134
La città era stata conquistata nel 1611 dopo un breve assedio.
135
Vd. p. 1352, nota 6.
136
STFM V: i, nr. 22 a (e ratifica: 22 b), 20 gennaio 1614, pp. 225-227 e nr. 22 c, 29
settembre 1614, p. 229.
137
Anche se nel corso della dieta tenuta a Norrköping nel 1604 il re Carlo IX aveva
fatto approvare una risoluzione (Afföreningen [sic] som aff menighe Rijksens Rådh,
Ridderskap, Biscoper, Prelater, Ständer, Städher, Krijgzfolck, och then meneghe Man, är
blefwen förnyet och eendrächteligen stadfäst och bekräfftiget vthi Norköpings Herredagh.
Then 22 Martii, Åhr &c. 1604, in RMB I, pp. 561-579) in base alla quale dopo di lui la
Corona sarebbe andata ai suoi discendenti maschi secondo la linea ereditaria o – in
mancanza – agli eredi di Giovanni duca di Östergötland (figlio di Giovanni III) ivi
comprese, in certe circostanze, anche le donne (cfr. nota 148). Va tuttavia doverosa-
mente rilevato che Carlo si era sentito nel pieno diritto di occupare il trono di Svezia
solo dopo che Giovanni duca di Östergötland aveva chiaramente manifestata la propria
rinuncia a qualsiasi pretesa in tal senso.
138
Questi timori si manifestarono in modo addirittura violento nel corso della
dieta tenuta a Örebro nel 1617, al termine della quale l’ostilità nei confronti della
Polonia fu espressa nella decisione di proibire qualsiasi contatto con quel Paese: una
decisione nella quale gli aspetti politici e quelli religiosi appaiono strettamente connes-
si. Nella stessa occasione fu stabilito di punire con grande severità chi avesse profes-
sato la religione cattolica (Örebro stadga in SRA II: 2, nr. 95, pp. 267-272, 27 febbraio
1617; cfr. nr. 94, pp. 258-267, stessa data).

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Nuovi poteri e nuovi equilibri 561

taggi di carattere commerciale.139 L’anno successivo Gustavo deci-


se di intervenire nella guerra dei trent’anni. Questa scelta fu cer-
tamente condizionata dalla situazione di debolezza della
Danimarca che non garantiva più una efficace barriera contro
l’impero tedesco,140 tuttavia le ragioni che indussero il re a questo
passo furono diverse.141 Nel 1630 l’esercito svedese guidato dal
sovrano in persona occupava la Pomerania. L’anno successivo a
Breitenfeld (presso Lipsia) esso conseguì una epica vittoria contro
le truppe del celebre generale Johann Tserclaes, conte di Tilly
(1559-1632) riuscendo poi a scendere – in una avanzata che pare-
va inarrestabile – fino in Baviera. Il re svedese era ora il capo
riconosciuto dell’esercito dei protestanti e le prospettive parevano
lasciare spazio alle più ottimistiche previsioni. Ma il destino, alme-
no per lui, non sarebbe stato favorevole. Dopo aver subito una
battuta d’arresto presso Norimberga contro il generale boemo
Albrecht von Wallenstein (Vojtěch Václav Eusebius z Valdštejna,
1583-1634) nell’estate del 1632, il 6 novembre egli di nuovo gli si
oppose a Lützen (in Sassonia). La battaglia non ebbe un esito
risolutivo, ma per Gustavo fu fatale: vi perse infatti la vita in uno
scontro di cavalleria.142
Dopo la morte di Gustavo il cancelliere Oxenstierna assunse il
comando dell’esercito e cercò di portare avanti i piani del sovrano.
Ma la situazione politico-militare era complessa. Nel 1635 fu siglato
un trattato con la Polonia a Stuhmsdorf (Sztumska Wieś, poco a sud

139
STFM V: i, nr. 35, 16-26 settembre 1629, pp. 347-358; Sundberg 1997 (Abbr.),
nr. 111, pp. 235-238. In particolare le veniva concesso di incamerare per i successivi
sei anni i proventi doganali dei porti prussiani.
140
Un tentativo di cooperazione tra Danimarca e Svezia per far fronte comune
nella guerra dei trent’anni fu fatto nel 1629 con un incontro tra Cristiano IV e Gusta-
vo II Adolfo. Poco dopo la Danimarca, la cui situazione era ormai insostenibile,
concludeva a Lubecca la pace con l’imperatore (cfr. p. 534 con nota 18).
141
Vd. tra l’altro Ringmar 1996, Part II: “Why did Sweden go to war in 1630?”
(pp. 93-186 e anche pp. 190-193).
142
Vd. Eriksson B., Lützen 1632. Ett ödesdigert beslut, Stockholm 2007. La batta-
glia di Lützen è riprodotta in quadri di noti pittori: la morte del re è rappresentata
dallo svedese Johan Wilhelm Carl Wahlbom (cfr. p. 1089, nota 563) in un quadro del
1855 che si trova nel Museo nazionale (Nationalmuseum) di Stoccolma dove sono
conservate anche due opere di Carl Gustaf Hellqvist (un olio su tela e un disegno)
relative al trasporto del cadavere del re a Wolgast (cfr. p. 1090). Sulla figura di Gusta-
vo II Adolfo è incentrato il dramma di August Strindberg (vd. pp. 1082-1083) Gusta-
vo Adolfo (Gustav Adolf) del 1900. Il poeta Johan Henric Kellgren (vd. p. 835) ha
dedicato il dramma lirico in tre atti Gustavo Adolfo ed Ebba Brahe (Gustaf Adolf och
Ebba Brahe, 1788) alla storia d’amore tra il sovrano e la nobildonna Ebba Brahe
(1596-1674); in proposito vd. Norrhem S., Ebba Brahe – makt och kärlek under stor-
maktstiden, Lund 2007.

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562 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

dell’attuale Sztum, nella Pomerania polacca) e furono restituiti i


diritti doganali sui porti prussiani:143 una scelta necessaria, stante
l’impegno dell’esercito svedese che continuava la guerra dei trent’an-
ni e che, dopo una dura sconfitta subita a Nördlingen (in Baviera)
nel 1634, aveva trovato nel generale Johan Banér (1596-1641) un
degno successore del sovrano defunto, capace di guidare le sue
truppe al successo contro l’imperatore a Wittstock nel Brandeburgo
(1636). In seguito l’eredità militare di Gustavo fu assunta da Lennart
Torstenson (1603-1651), sotto la cui guida i soldati svedesi avreb-
bero compiuto altre imprese. Non soltanto nel quadro dell’intermi-
nabile guerra che insanguinava l’Europa (del 1642 è una nuova
vittoriosa battaglia di Breitenfeld, del 1645 quella di Jankov in
Boemia) ma anche nel conflitto degli anni 1643-1645 contro il tra-
dizionale nemico danese che fu costretto alla pace di Brömsebro.144
Dal 1646 l’impegno militare degli Svedesi in campo tedesco prose-
guì sotto un nuovo comandante in capo: Carlo Gustavo (Karl Gustaf)
Wrangel (1613-1676), il quale (alleato con i Francesi)145 aveva con-
dotto una serie di spedizioni nella Germania meridionale. Nel 1648
sotto la guida di Hans Kristofer von Königsmarck (1600-1663) le
truppe svedesi assalirono infine la città di Praga impadronendosi di
un ricco bottino sottratto dalla celebre Kunstkammer dell’impera-
tore Rodolfo II nel castello di Hradčany.146 In quello stesso anno si
concludeva – finalmente! – la guerra dei trent’anni: essa aveva
assicurato alla Svezia l’egemonia sul Mar Baltico.147

143
STFM V: ii, nr. 41, 2/12 settembre 1635; Sundberg 1997 (Abbr.), nr. 112, pp.
241-242.
144
Vd. pp. 532-533.
145
Nei diversi conflitti che videro coinvolta la Svezia (e anche, naturalmente, la
Danimarca) grande importanza ebbero le intese intercorse con le grandi potenze stra-
niere che giocavano la propria partita sul terreno europeo. Oltre alla Francia e all’Im-
pero, furono in particolare l’Inghilterra e i Paesi Bassi a svolgere un ruolo fondamen-
tale, stante l’interesse che essi nutrivano per i traffici marittimi nel Mare del Nord e nel
Baltico. Ciò determinò una serie di alleanze tanto spregiudicate quanto instabili.
146
Tra l’altro egli portò in Svezia il preziosissimo manoscritto noto come Codex
argenteus, contenente la gran parte di ciò che resta della traduzione della Bibbia in
lingua gotica eseguita dal vescovo Ulfila (ca.310-383); insieme ad altri questo mano-
scritto fu in seguito ceduto (come forma di pagamento) dalla regina Cristina (vd. poco
avanti) a Isaak Vossius (1618-1689), noto erudito e raccoglitore di manoscritti olande-
se che era stato uno dei suoi bibliotecari. Esso venne riacquistato nel 1662 dal cancel-
liere Magnus de la Gardie (vd. p. 567) che nel 1669 ne fece dono all’Università di
Uppsala, nella cui biblioteca Carolina Rediviva esso è ora custodito (una edizione in
facsimile è stata pubblicata nel 1927). Vd. Kleberg T., Codex Argenteus. The Siver Bible
at Uppsala, Uppsala 1984 e Munkhammar L., The Silver Bible. Origins and history of
the Codex argenteus, Uppsala 2011. Cfr. nota 251.
147
Con il trattato di pace di Westfalia (STFM VI: i: 1, nr. 24, 14/24 ottobre 1648,

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Nuovi poteri e nuovi equilibri 563

Alla morte del padre, l’unica figlia di Gustavo, la principessa


ed erede al trono Cristina (Kristina, 1626-1689), non aveva anco-
ra compiuto sei anni.148 Si trattava quindi di affrontare un lungo
periodo di reggenza. Il cancelliere Oxenstierna riuscì (tra l’altro
sostenendo di aver avuto l’approvazione verbale del defunto re)
a far accettare dal Consiglio del Regno una nuova regolamenta-
zione di governo che, di fatto, rafforzava grandemente l’aristo-
crazia (emarginando al contempo i fautori della causa regia);
inoltre favorì la nomina ad altissime cariche di alcuni membri
della sua famiglia o, comunque, di persone di sua fiducia. La
reggenza per conto della giovanissima principessa durò fino al
1644 quando ella fu dichiarata maggiorenne. Dotata di notevoli
qualità intellettuali e di vasta cultura, Cristina mostrò subito un
carattere indipendente e una chiara propensione ad assumere le
proprie decisioni senza farsi condizionare dallo strapotere del
cancelliere Oxenstierna, dal quale andò progressivamente distac-
candosi. Nel 1648 ella nominò il cugino, Carlo Gustavo (1622-
1660), comandante in capo per le operazioni in Germania, l’an-
no dopo riuscì a farlo riconoscere erede provvisorio al trono di
Svezia, con il pretesto che occorreva essere preparati nel caso in
cui ella fosse morta senza figli.149 Ciò fu ribadito in forma defi-
nitiva alla riunione del parlamento tenuta a Stoccolma l’anno

pp. 149-466, con tutti i documenti correlati; Sundberg 1997 [Abbr.], nr. 117, pp. 254-
263) essa infatti ottenne importanti concessioni territoriali tra cui, in particolare, il
dominio sulla Pomerania occidentale (il territorio a sinistra del fiume Oder), le isole
di Rügen, Usedom e Wolin, alcune località e parti della Pomerania orientale, la città
di Wismar (Mecklemburgo-Pomerania anteriore) e i ducati (antichi vescovati) di
Brema (non tuttavia la città) e Verden (nella Bassa Sassonia) collocati tra il basso
corso dell’Elba e della Weser.
148
Il suo diritto al trono si fondava sulle statuizioni della dieta di Norrköping
(vd. nota 137), specificamente richiamate nel corso della seduta del parlamento
tenuta a Örebro nel 1617 (vd. RMB I, p. 715) e fatte puntualmente valere da Gusta-
vo II Adolfo (Sweriges Rijkes Ständers Besluth, Som aff them eenhellelighen giordes
på then Rijksdagh som höltz vthi Stockholm, then 24 Decembris, Åhr 1627, in SFS
1627). La possibilità di una successione femminile (naturalmente con tutta una serie
di limitazioni) era del resto contemplata fin dal 1590 (in base a una deliberazione
della dieta di Stoccolma del 7 marzo, vd. SRA I: ii, nr. 585, 7 marzo 1590, pp. 923-
938). Sulla questione della successione femminile al trono si veda la panoramica e
l’analisi di Lagerroth F., “Kvinnlig tronföljd”, in Statsvetenskaplig tidskrift, LXIX:
1 (1966), pp. 1-40.
149
Sweriges Rijkes samptlige Ständers eenhällige Förklaring, öfwer H.F. Nådes Her-
tigh Carl Gustafs, Pfalzgrefwes widh Rhein i Beyern, til Gülich, Clewe och Bergen
Hertigs, Grefwes til Veldentz, Spanheimb, Marck och Rawensburg, Herres til Rawenstein,
&c. Succession til Sweriges Chrono och Rijke. Dat. Stockholm den 10. Martii, Anno 1649,
in RMB II, pp. 1105-1116.

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564 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

successivo.150 In realtà, a sostegno di queste decisioni, ella aveva


promesso di unirsi in matrimonio con lui: atto dovuto per garan-
tire stabilità alla Corona ed eredi al regno e scelta del tutto
naturale nell’ottica del tempo.151 Ma Cristina (incoronata uffi-
cialmente con una sontuosa cerimonia nel 1650) aveva una per-
sonalità molto determinata e un forte desiderio di realizzarsi
innanzi tutto come persona. Ciò è dimostrato in primo luogo dal
fatto che l’auspicato matrimonio non fu mai celebrato e che fin
dal 1651, appena un anno dopo la sua solenne incoronazione (ma
la decisione dovette essere a lungo meditata), ella manifestò di
fronte al Consiglio del Regno la sua intenzione di abdicare in
favore del cugino Carlo Gustavo. Certamente la sua decisione è
legata a un importantissimo fattore: la crisi religiosa e la conse-
guente conversione al cattolicesimo, maturata nei primi anni
’50.152 Una risoluzione del genere fece certamente scalpore nella
Svezia dell’epoca (si ricordino le statuizioni della dieta di Örebro
del 1617!).153 La cerimonia di solenne deposizione della corona
da parte di Cristina e l’incoronazione di Carlo X Gustavo avven-
nero nel medesimo giorno, il 6 giugno 1654: al mattino l’abdica-
zione ufficiale nel castello di Uppsala, al pomeriggio l’incorona-
zione del nuovo re nella cattedrale. Subito dopo Cristina
lasciava il Paese (dal quale si era comunque fatta garantire una
più che cospicua rendita). Ella portò con sé una ingente quanti-
tà di oggetti artistici di grande valore. Nel mese di dicembre del
1655, dopo aver attraversato l’Europa facendo tappa in diversi
Paesi, giungeva a Roma. Naturalmente dal punto di vista del Papa
la conversione al cattolicesimo della regina di uno Stato prote-
150
Vd. RMB II, pp. 1162-1173 (particolarmente pp. 1167-1168) in data 6 novembre
1650; cfr. la solenne dichiarazione di Carlo Gustavo del 20 ottobre 1650 (SFS [1650]). In
quell’occasione fu anche cancellata l’ereditarietà del titolo di duca, il che pose le basi di
un Regno fortemente unitario il cui governo restava saldamente nelle mani del sovrano.
151
Del resto ciò era chiaramente richiesto dalle statuizioni ereditarie di Norrköping
(cfr. nota 148).
152
In questa decisione pesarono certamente le sue frequentazioni (del tutto confi-
denziali) con rappresentanti dell’Ordine dei gesuiti, così come con il diplomatico
spagnolo don Antonio Pimentel de Prado (date di nascita e morte ignote) che la avvi-
cinò al re di Spagna, o con importanti figure di cattolici, tra i quali il diplomatico
francese Pierre Chanut (1604-1662) e lo stesso Cartesio (René Descartes, 1596-1650)
che, come è noto, morì di polmonite proprio a Stoccolma dove era stato invitato dalla
regina (sul loro rapporto vd. Cassirer E., Drottning Christina och Descartes. Ett bidrag
till 1600-talets idéhistoria. Föreläsningar vid Göteborgs högskola den 18, 21 och 25
oktober 1938, Stockholm 1940). Anche il suo carattere indipendente che la rendeva
insofferente ai rigidi insegnamenti del luteranesimo più ortodosso dovette comunque
avere un ruolo assai importante.
153
Vd. nota 138.

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Nuovi poteri e nuovi equilibri 565

stante avrebbe dovuto avere importanti ricadute. Ma Cristina


non si lasciò condizionare e portò avanti un’attività e una poli-
tica autonome. Fu tra l’altro in Francia dove con il cardinale
Mazarino (1602-1661) progettò una spedizione militare per
sottrarre Napoli al dominio spagnolo e poi cercando anche,
senza esito, di essere nominata successore del re polacco Gio-
vanni II Casimiro (Jan II Kazimierz Waza, 1609-1672). In un paio
di occasioni (1660 e 1667) ella tornò in Svezia per curare i propri
interessi finanziari, una preoccupazione che le veniva dalle ingen-
ti spese sostenute per mantenere il suo tenore di vita, il suo
seguito e per coltivare i suoi interessi culturali. 154 Trascorse a
Roma – dove fra l’altro aveva stretto una più che affettuosa ami-
cizia con il cardinale Decio Azzolino (1623-1689) – gli ultimi
dieci anni della vita e vi morì, dopo breve malattia, nel 1689.
Cristina di Svezia è sepolta nelle grotte vaticane della basilica di
San Pietro.155 Dopo la sua morte l’ingente patrimonio artistico
da lei posseduto andò presto disperso in molte direzioni.
Nel 1654, anno in cui la regina Cristina lasciava il suo Paese e il
cugino saliva al trono, con il titolo di Carlo X Gustavo, moriva
il cancelliere Axel Oxenstierna, rappresentante eccellente della

154
È del resto ben nota la sua disordinata (e in diversi casi scorretta) gestione delle
proprie finanze.
155
La discussa vicenda di questa sovrana ha ispirato molti artisti. Non essendo qui
possibile elencare tutte le opere che vi fanno riferimento, ci si limiterà a ricordare il
dramma La regina Cristina (Drottning Christina) scritto dal re Gustavo III con la
collaborazione di Johan Henric Kellgren (su cui vd. p. 835) e rappresentato nel 1785
(si veda in JHKS II la nota a p. 367 sul contributo del re Gustavo); quello di August
Strindberg (vd. pp. 1082-1083) Kristina (1901); l’opera C. regina di Svezia. Romanzo
storico (Christina, drottning af Sverige. Historisk roman, I-II, 1861) di Wilhelmina
Stålberg (cfr. p. 477, nota 55); quella di Elisabet Kuylenstierna-Wenster (1869-1933)
La regina Moi-méme. Profilo storico (Drottning Moi-méme. Historisk silhuett, 1909); la
trilogia drammatica in versi e in cinque atti di Alexandre Dumas padre (1802-1870),
Stockholm, Fontainebleau et Rome (1830); l’opera musicale dal titolo Cristina di Svezia
(1855) del compositore austriaco Sigismund Thalberg (1812-1871) su libretto di Felice
Romani (1788-1865). Nel 1933 la celebre attrice svedese Greta Garbo (vd. p. 1192)
interpretò un film liberamente ispirato alla vita della sovrana dal titolo La regina Cri-
stina (Queen Christina) per la regia di Rouben Mamoulian (1897-1987). Più recente-
mente vanno segnalati i lavori teatrali La regina Cristina. Opera teatrale in due atti
(Queen Christina. A play in two acts, 1982) della drammaturga inglese Pam Gems
(1925-2011) e quello della scrittrice finlandese Laura Ruohonen (n. 1960) La regina K
e altri lavori teatrali (Kuningatar K ja muita näytelmiä, 2004), tradotto in molte lingue.
La biografia critica sulla figura della regina Cristina è molto vasta. Si rimanda qui in
primo luogo a Weibull 19664, Stolpe 1975 e Rodén 2008. Dal nome della regina
Cristina ha preso il proprio la località di Kristinehamn (letteralmente “porto di Cristi-
na”) sul lago Vänern in Värmland. Essa infatti (che precedentemente si chiamava Broo)
ebbe da lei restituiti nel 1642 i privilegi di città.

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566 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

nobiltà. Questa coincidenza ha in un certo senso valenza emble-


matica, stante la piega che la politica svedese avrebbe assunto con
i nuovi sovrani. Al modo di Gustavo II Adolfo questo re era in
primo luogo un condottiero militare e, considerata la necessità
della Svezia di stabilizzare la propria situazione di supremazia sul
Baltico (a fronte del pericolo russo e polacco) e di difendersi dai
molti nemici che si era procurata, a partire dal 1655 impegnò l’e-
sercito in una campagna in Polonia, dalla quale non trasse tuttavia
i vantaggi sperati. Nonostante una serie di brillanti successi inizia-
li egli si trovò poi a dover affrontare la reazione dei Polacchi che
lo contrastarono con una logorante guerriglia e a temere la reazio-
ne delle potenze straniere che non vedevano di buon occhio un
ulteriore rafforzamento delle posizioni svedesi. Nel frattempo si
erano riaperte le ostilità con i Russi che avevano invaso alcuni
possedimenti svedesi sul Baltico.156 Ma dal fronte polacco il re
dovette spostare la propria azione (per certi versi opportunamente)
quando nel 1657 i Danesi attaccarono la Svezia con l’intento di
rifarsi delle perdite territoriali subite nel 1645.157 Nonostante la
situazione apparisse sfavorevole il sovrano riuscì a concludere
questa guerra con esito insperato,158 sottraendo tra l’altro definiti-
vamente alla Danimarca importantissime regioni, fra tutte la Sca-
nia.159 Ma il suo tentativo di annientare completamente il rivale
danese (forse dettato dall’ambizione di costituire sotto la sua sovra-
nità una nuova Unione scandinava?) non ebbe successo.160 Del resto
nel medesimo 1660, l’anno in cui sarebbero state siglate la pace di
156
Nel 1658 sarebbe stato concluso con loro un armistizio (vd. Sundberg 1997
[Abbr.], nr. 120, pp. 275-276) che avrebbe posto le premesse della pace di Kardis
(attuale Kärde nel comune di Jõgeva in Estonia, 1661): Ewig-Fredzfördragh, Emillan
Swerige och Ryssland. Oprättadh oppå Tractatz. Orten Kardis den 21. Dagh vthi Junii
Månadt Åhr 1661, Tryckt i Stockholm [...] Åhr 1662; Sundberg 1997, nr. 123, pp.
286-287. Essa avrebbe poi sostanzialmente riconfermato le decisioni assunte a Stolbo-
va nel 1617 (vd. pp. 559-560).
157
Vd. pp. 532-533.
158
In ciò egli fu favorito anche da circostanze casuali come il clima eccezionalmen-
te freddo dell’inverno 1657-1658: essendosi infatti formata una solida crosta di ghiac-
cio sulla superficie del mare, l’esercito svedese (con tanto di cavalli e artiglieria) poté
tranquillamente attraversare lo stretto che separa lo Jutland dalla Fionia (Lillebælt)
come se procedesse sulla terraferma; successivamente allo stesso modo esso raggiunse
la Selandia, avanzando attraverso le piccole isole e lo Storebælt (lo stretto che separa
la Fionia da quest’ultima). Questa azione fu determinante per l’esito della guerra. Vd.
Ericson Wolke L., 1658. Tåget över Bält, Lund 2008 e Weibull C., “Tåget över Bält”,
in HPOU, pp. 114-141.
159
Vd. p. 533.
160
Nell’ambito di questo conflitto Carlo Gustavo subì la più grave delle sue scon-
fitte nella battaglia combattuta presso Nyborg (in Fionia) il 14 novembre 1659.

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Nuovi poteri e nuovi equilibri 567

Copenaghen con la Danimarca161 e la pace di Oliva (Oliwa presso


Danzica) con la Polonia,162 il re moriva nel breve volgere di un mese.
Il culmine della “grande potenza” era stato raggiunto e gli Svedesi
potevano definire il Baltico se non un mare nostrum (l’aspirazione
del dominio totale non era stata realizzata dal momento che sulle
sponde meridionali diversi territori restavano esclusi dalla loro
giurisdizione) almeno un mare claustrum.163
A Carlo X Gustavo succedeva il figlio Carlo XI (1655-1697),
tuttavia ancora bambino. Fu questa una nuova occasione per l’alta
aristocrazia di esercitare il proprio potere, ma sebbene fra le sue
fila ci fossero persone di notevole prestigio (fra tutte il cancelliere
Magnus Gabriel de la Gardie, 1622-1686)164 essa non seppe – per
via dei dissensi che la indebolivano – far valere un’autorità pari a
quella dimostrata ai tempi della reggenza per Cristina. Carlo salì al
trono giovanissimo nel 1672. Da principio egli si interessò poco
degli affari del Regno, lasciando in pratica il potere nelle mani del
cancelliere de la Gardie. Presto però seppe assumersi le proprie
responsabilità in prima persona. In quello stesso anno infatti il
governo di reggenza (ma l’iniziativa era stata del cancelliere) aveva
stipulato (in cambio di un importante contributo economico) una
alleanza con la Francia di Luigi XIV. Questa decisione determinò
il coinvolgimento della Svezia nel conflitto europeo scatenato
dall’aggressione francese all’Olanda e l’esercito svedese subì una
pesante sconfitta a Fehrbellin (circa 50 km. a nord-ovest di Berlino,
18 giugno 1675) mostrando di non essere più all’altezza della sua
fama. Ciò indusse la Danimarca a dichiarare nuovamente guerra
alla Svezia con l’intento di recuperare i territori perduti. Il conflit-
to (1675-1679) fu segnato da importanti successi del comandante

161
Vd. nota 14.
162
Instrumentum Pacis Perpetuæ. Eller Instrumentet af den Ewiga Freden, Hwilken
emellan Hans Kongl. Maytt. Wår Allernådigste Konungh och Sweriges Rijke, på then
eena; och Hans Kongl. Maytt. och Republiken Pohlen, Tillijka med thess Bundzförwanter
och Krijgs Consorter såsom Hans Keyserl. Mayst. sampt Hans Durchleuchtigheet Chur-
försten af Brandenburgh, på then andre sijdan Fullkommeligen är sluten och vprättad
worden vthi Olive/ på den 23. Dagh Apr. St. V. men undertecknadh och Besegladh then
30. i samma Månadh St. V. på thet Åhret effter Christi Bördh 1660, Tryckt i Stockholm
[...]. Questo trattato risolse anche controversie in cui erano coinvolti l’imperatore
Leopoldo I e il principe elettore Federico Guglielmo di Brandeburgo. Vd. Sundberg
1997 (Abbr.), nr. 121, pp. 279-282. In base a questo accordo il figlio di Sigismondo
Giovanni Casimiro II rinunciava definitivamente a qualsiasi pretesa sul trono di Svezia.
163
L’espressione è ripresa da Carlsson – Rosén 1978-19804 (B.3), I, p. 462.
164
Magnus era nipote del celebre comandante Pontus de la Gardie (cfr. p. 556). Su
di lui vd. Fåhræus R., Magnus Gabriel De la Gardie, Stockholm 1936. Cfr. p. 574, p.
591, nota 289 e p. 619.

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568 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

danese Nies Juel (1629-1697)165 che tra l’altro conquistò l’isola di


Gotland (che alla fine delle ostilità fu tuttavia restituita agli Svede-
si) e insieme agli Olandesi inflisse una severa sconfitta alla flotta
nemica nella battaglia navale nel golfo di Køge.166 Il giovane re
partecipò in prima persona ai combattimenti e ottenne importanti
vittorie (fra tutte quella di Landskrona in Scania, 14 luglio 1677).
Coadiuvato dall’abile consigliere Johan Göransson Gyllenstierna
(1635-1680)167 egli riuscì a concludere la pace senza che il Paese
subisse gravi perdite territoriali.168 Dopo la guerra ci furono tenta-
tivi di riportare i rapporti alla normalità, non da ultimo con il
matrimonio combinato da Gyllenstierna tra Carlo XI e la princi-
pessa danese Ulrica Eleonora (Ulrika Eleonora, 1656-1693), ma gli
antichi rancori e i diversi obiettivi rimasero più forti di qualsiasi
interesse comune.169
A Carlo XI toccava ora gestire la pace in un Paese sfinito dai
continui impegni militari e in grave crisi finanziaria. Sebbene il
prezioso consigliere Gyllenstierna morisse improvvisamente nel
1680, il sovrano dimostrò di saper corrispondere a questo impegno
con grande capacità e autorità. La sua politica mirò soprattutto al
risanamento dell’economia, la cui gravissima situazione dipendeva
non soltanto dalle continue spese belliche ma anche dall’egoistico
rifiuto da parte dei nobili di contribuire, cedendo in parte i loro
beni (richiesta ripetutamente avanzata dai rappresentanti degli altri
stati). Su questo fronte il sovrano si mosse con grande abilità riu-
scendo nel duplice intento di ristabilire la situazione finanziaria
del Regno e di svigorire il potere dell’alta aristocrazia. Nel 1680,
alla fine di una riunione del parlamento tenuta a Stoccolma e nel-
la quale le diverse posizioni si erano duramente scontrate, egli
riuscì a raggiungere tre principali obiettivi: l’avvio di una inchiesta
sulla condotta del governo di reggenza, l’approvazione dell’inca-
meramento forzato di gran parte dei beni nobiliari (reduktion)170
e lo svuotamento del potere del Consiglio: ciò fu ottenuto grazie
all’abilità politica del sovrano che seppe ben sfruttare il diffuso
165
A lui è dedicata la seconda strofa dell’inno reale danese (vd. nota 65). Vd. Barfod
J.H., Niels Juel. Liv og gerning i den danske søetat, Aarhus 1977.
166
Cfr. p. 448.
167
Su di lui vd. Rystad G., Johan Gyllenstierna, Stockholm 1957.
168
Vd. sopra, pp. 533-534 e pp. 545-546. Tuttavia tutti i possedimenti svedesi in
territorio tedesco andarono perduti.
169
Da rilevare, in questo contesto, l’iniziativa assunta dal cancelliere per una con-
venzione monetaria con la Danimarca (1680), un progetto per quell’epoca senza
precedenti.
170
Sull’incameramento dei beni nobiliari vd. Svedelius 1851 e Clason 1895.

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Nuovi poteri e nuovi equilibri 569

malcontento nei confronti dell’alta nobiltà. Significativamente il


Consiglio del Regno fu trasformato nel Consiglio del re171 e grada-
tamente Carlo XI fu capace di accumulare nelle proprie mani un
enorme potere economico, legislativo, amministrativo, ecclesiastico,172
del quale dispose con fermezza (talora con eccessiva severità) ma
anche con grande senso dello Stato, il cui sviluppo e la cui sicurez-
za costituivano per lui obiettivi fondamentali. Questa situazione
sfociò tuttavia in un vero e proprio assolutismo (una tendenza del
resto affermata in altri Paesi d’Europa, in primo luogo la Francia).
Si giunse così nel 1693 alla cosiddetta ‘proclamazione di sovranità’
da parte degli stati i quali dichiararono che da Carlo in poi il re
sarebbe stato “un monarca assoluto, che comanda e governa su
tutti, e che su questa terra non risponde a nessuno delle proprie
azioni, ma ha forza e potere di guidare e reggere il suo Regno
secondo la propria volontà e come un re cristiano.”173 Alla morte
del sovrano, avvenuta nel 1697, questa situazione pareva ormai
immodificabile.

9.2. Sviluppi culturali tra Cinquecento e Seicento

Come è stato detto, l’introduzione della riforma protestante


aveva, per così dire, ‘tagliato i ponti’ tra il Nord e il mondo meri-
dionale e (favorendo una tendenza manifestatasi per altro in pre-
cedenza) risospinto la cultura scandinava piuttosto verso l’ambito
germanico che, del resto, le era connaturale. Questo fatto ebbe un
duplice e rilevante risultato. In primo luogo pose in sostanza ter-
mine a una situazione di sostanziale dipendenza da modelli stra-
nieri che aveva finito per soffocare l’espressione di istanze origina-
li: infatti, se è pur vero che dopo la riforma l’influsso del mondo
tedesco fu assai consistente, è altrettanto vero che soprattutto da
quel mondo giunse l’impulso alla rivalutazione delle lingue e delle
tradizioni nazionali. In secondo luogo tuttavia questo distacco
171
Vd. Kongl. May:ts Rådz och Samptelige Ständers enhelleligen giorde Förklarningh
Widh Rijksdagen i Stockholm åhr 1682 angående någre Ährender, in SFS 1682.
172
Nel 1686 venne varata una nuova legislazione ecclesiastica in base alla quale la
Chiesa passava, in sostanza, sotto il totale controllo della Corona (Kyrkio=Lag och
Ordning). Questa legislazione è rimasta in uso fin verso la fine del XX secolo.
173
DLO nr. 131. L’introduzione dell’assolutismo regio segna di fatto per il ceto
nobiliare l’inizio della fine. Sulla storia dell’aristocrazia in Svezia si veda Eriksson B.,
Svenska adelns historia, Stockholm 2011.

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570 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

impedì la piena ricezione di movimenti quali l’umanesimo e il


rinascimento che comunque – una volta placata la violenta disputa
teologico-religiosa – si affermarono anche nel Nord dove avrebbe-
ro prodotto i propri frutti. L’umanesimo nordico (al quale del resto
contribuiva l’esigenza del ritorno alle fonti sostenuta dal pensiero
riformatore) si concentrò per buona parte nella ricerca e nella
rivalutazione delle testimonianze del passato delle nazioni scandi-
nave: un impegno i cui risultati sarebbero stati utilizzati sia a fini
politici sia per sottolineare una sorta di ‘rivincita’ rispetto alla
cultura meridionale.
Naturalmente in quest’ottica (che si combinò con le esigenze
della Chiesa di Stato) grande importanza assunsero le istituzioni
culturali. In Danimarca l’Università di Copenaghen fondata nel
1479 su concessione papale174 era divenuta fin dal 1537 un centro
di sapere luterano nel quale le discipline ‘mondane’ restavano
comunque subordinate alla dottrina religiosa.175 Successivamente,
grazie soprattutto all’opera del consigliere del Regno Holger Rosen-
krantz (1574-1642) essa fu riorganizzata elevando il livello degli
studi e dando il giusto peso alle materie scientifiche accanto a
quelle umanistiche; contemporaneamente furono aperti nel Paese
diversi ginnasi. Nel 1623 il medesimo Holger Rosenkrantz veniva
nominato direttore della Reale accademia cavalleresca (Kongelige
ridderakademi) istituita a Sorø, nella quale i giovani nobili avreb-
bero potuto approfondire i propri studi e prepararsi a operare
nella politica e nell’amministrazione.176 Del resto l’impegno in
questo ambito mostra come, nonostante i molti problemi politici
che doveva affrontare, il re Cristiano IV (che aveva anche assunto
importanti provvedimenti per l’università) volesse mostrarsi all’al-
tezza dell’illustre rivale Gustavo II Adolfo.177 Il figlio e successore,
Federico III, mostrerà un grande interesse per la cultura.
In Svezia l’Università di Uppsala, sorta come si è detto, nel 1477178
aveva ricevuto qualche sostegno da Erik XIV,179 ma era poi deca-

174
Vd. pp. 452-453.
175
Vd. p. 497.
176
Questa prima accademia fu attiva fino al 1665. Cfr. p. 391, nota 252, p. 466 con
nota 19, p. 774, nota 408 e p. 884 con nota 90.
177
Si veda il documento con il quale il sovrano rinnovava lo statuto e i privilegi per
l’università (Rørdam 1868-1877, IV. Aktstykker og Breve, nr. 309, 5 ottobre 1596, pp.
424-426). Più tardi fu stabilito che per ottenere un incarico religioso nel territorio
della Corona si dovesse possedere un attestato rilasciato dall’università (ibidem, nr.
154, 7 novembre 1629, pp. 173-175; cfr. nr. 155, medesima data, pp. 175-176).
178
Vd. p. 452.
179
Tra l’altro fin dal 1566 egli vi aveva istituito la cattedra di greco (vd. Annerstedt

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Nuovi poteri e nuovi equilibri 571

duta sotto Giovanni III180 per essere restituita alla sua importanza
alla fine del XVI secolo da Carlo IX.181 Sebbene anch’essa fosse un
centro di studio saldamente imperniato su una concezione cultu-
rale luterana, non di meno al suo interno fu dato spazio a nuove
discipline, inoltre per iniziativa di Gustavo II Adolfo questa istitu-
zione conobbe un vero sviluppo espresso anche nella fondazione
della sua biblioteca che resta una delle più prestigiose d’Europa.182
La ripresa della cultura avviata in questo Paese tra la fine del XVI
e i primi decenni del XVII secolo fu estesa, naturalmente, anche ai
territori sui quali la “grande potenza” svedese esercitava il proprio
dominio: sorsero così l’Università di Tartu (sved. Dorpat) in Estonia
(1632) aperta, per volere del re Gustavo II Adolfo anche a giovani
senza mezzi provenienti dalla classe contadina183 e la Reale accade-
mia di Åbo (1640), in Finlandia;184 significativa è anche la fonda-
zione dell’Università di Lund (1666) nella Scania che doveva esse-
re ‘svedesizzata’.185 E non va dimenticato che al termine della
guerra dei trent’anni la Pomerania anteriore divenne, di fatto, un
territorio ‘svedese’, sicché l’antica e prestigiosa Università di Greifs-
wald (fondata nel 1456) venne a trovarsi sotto la sfera di influenza
culturale della “grande potenza”.186 Allo scopo di preparare agli

1877 [C.7.3], pp. 60-61). Certo è vero che questo re appare, per certi versi, un principe
rinascimentale: possessore di una ricca biblioteca, si era dedicato alla composizione
letteraria e musicale, al disegno, allo studio dell’astronomia e della matematica. Ma è
altrettanto vero che egli aveva coltivato i propri interessi piuttosto sul piano personale.
180
Questo sovrano aveva infatti preferito fondare a Stoccolma un seminario teolo-
gico (Pædagogicum theologicum) nel quale (in accordo con le tendenze religiose del
sovrano) gli studenti venivano istruiti nella dottrina cattolica (1576). Successivamente
questo istituto fu trasformato in una scuola superiore (a orientamento luterano) che
ebbe tuttavia vita piuttosto breve. Dal punto di vista culturale Giovanni III mostrò
interesse quasi esclusivo per l’architettura.
181
Già nel 1593, in occasione del sinodo di Uppsala (cfr. p. 479) in cui egli (ancora
duca) aveva avuto un ruolo di primissimo piano, era stato stabilito che l’università
dovesse essere rifondata (vd. Annerstedt 1877 [C.7.3], I, pp. 82-85). Più che da
interessi culturali Carlo IX appare comunque primariamente assorbito dal raggiungi-
mento di obiettivi politici.
182
Ibidem, pp. 150-153, pp. 190-191, pp. 211-214 e pp. 265-266 (in riferimento alla
biblioteca); vd. inoltre i saggi compresi in Lundström S. (red.), Gustav II Adolf och
Uppsala universitet, Uppsala 1982; cfr. pp. 502-503.
183
Vd. Bergman J., Universitetet i Dorpat under svenska tiden. Gustav II Adolfs
sista kulturskapelse, Uppsala-Stockholm 1932.
184
Vd. p. 1360.
185
Vd. Ahnfelt P.G., Lunds universitetets historia, Första delen, Stockholm 1839,
pp. 1-49.
186
Vd. Seth I., Universitetet i Greifswald och dess ställning i svensk kulturpolitik
1637-1815, Uppsala 1952.

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572 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

studi universitari furono inoltre aperti diversi ginnasi.187 Ben conscio


dell’importanza della cultura Gustavo II Adolfo promosse la nasci-
ta di officine per la stampa, favorì il mercato editoriale, istituì un
fondo per la letteratura,188 sostenne la traduzione di importanti
opere in lingua svedese, concesse una generosa donazione all’Uni-
versità di Uppsala (1624) e creò l’ufficio di “antiquario del Regno”
(riksantikvarie, 1630) stabilendo che si dovessero raccogliere con
cura tutte le ‘antichità’ svedesi. Più ancora del padre Cristina mostre-
rà una straordinaria attenzione per la vita intellettuale (seppure per
molti versi a lei si debba imputare un interesse in primo luogo
personale). Donna cosmopolita e di vastissima cultura, che conosce-
va lingue classiche e moderne, ella si circonderà di personalità di
spicco straniere e svedesi: tra loro il sopra ricordato Cartesio,189
l’olandese Isaak Vossius,190 il tedesco Johannes Schefferus (1621-
1679) titolare dal 1647 della cattedra skytteana all’Università di
Uppsala191 e autore di una celebre opera sui Sami,192 il poeta Georg
Stiernhielm,193 l’erudito Olof Rudbeck194 e altri come il filologo e
diplomatico olandese Nicolaas Heinsius (1620-1681),195 l’erudito
francese Claudius Salmasius (Claude Saumaise, 1588-1653), il teolo-
go protestante e orientalista francese Samuel Bochart (1599-1667),
il medico tedesco (ma anche, tra l’altro, filosofo e studioso di scien-
ze politiche) Hermann Conring (1606-1681), lo storico tedesco Johan
Henrik Boeclerus (1611-1672) e il teologo e orientalista tedesco
Christian Raue (latinizzato in Ravis o Ravius, 1613-1677).196 Alla sua
corte saranno messe in scena rappresentazioni teatrali, eseguiti bal-
187
Come è stato detto in precedenza il primo ginnasio svedese fu fondato nel
1623 a Västerås da Johannes Rudbeckius (cfr. p. 503 con nota 137). Agli istituti
aperti durante il regno di Gustavo II Adolfo diversi altri seguirono sotto Cristina
e Carlo XI.
188
Questo fondo servì in primo luogo per le spese connesse alla pubblicazione di
una nuova edizione della Bibbia, uscita nel 1618 e nota come “Bibbia di Gustavo
Adolfo”; cfr. p. 521, nota 206.
189
Vd. nota 152.
190
Cfr. nota 146.
191
La prestigiosa ‘cattedra skytteana’ prende nome da Johan Skytte (1577-1645),
precettore di Gustavo II Adolfo, consigliere del Regno e cancelliere dell’Università di
Uppsala che nel 1622 vi fece istituire l’insegnamento di oratoria e scienze politiche
(vd. Ericson Wolke L.,“Historien on Johan Skytte – Borgarsonen som blev kungens
lärare”, in PH 1999: 1, pp. 52-56 e Annerstedt 1877 [C.7.3], pp. 195-198).
192
Vd. p. 615 e p. 738.
193
Vd. pp. 601-603 e pp. 610-611.
194
Vd. pp. 582-584 e pp. 630-631.
195
Costui era figlio di Daniel Heinsius su cui cfr. nota 20.
196
Vd. Wrangel E., “Om de främmande lärde vid drottning Christinas hof.
Några anteckningar ur utländksa arkiv”, in SHT XVII (1897), pp. 331-336.

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Nuovi poteri e nuovi equilibri 573

letti e recitate poesie ed ella si preoccuperà di raccogliere un vero e


proprio tesoro di opere d’arte (non da ultimo preziosi volumi).197
Gran parte di questo patrimonio Cristina porterà con sé al momen-
to di lasciare il proprio Paese, ma molto andrà disperso dopo la sua
morte.198 A Roma ella fonderà (1674) una Accademia reale (Kunglig
akademi).199 È più che verosimile che nella sua decisione di conver-
tirsi al cattolicesimo fattori di carattere culturale abbiano giocato un
ruolo considerevole.
Ma nei Paesi nordici fu anche la nobiltà (piuttosto che, come
altrove, la borghesia) a svolgere un ruolo fondamentale nel sostegno
e nello sviluppo della cultura.200 L’abitudine delle famiglie aristo-
cratiche, ormai da molto tempo invalsa, di mandare i propri figli a
studiare all’estero aveva creato una classe di veri e propri eruditi
che conoscevano alla perfezione il latino (ma anche non di rado il
greco) e diverse lingue moderne, mantenevano intensi rapporti con
studiosi di altri Paesi, vantavano una cultura eterogenea e si mostra-
vano aperti allo studio di nuove discipline.201 Presso le famiglie
nobili vengono ora assunti anche insegnanti privati che in taluni
casi seguiranno gli studenti durante gli studi universitari. Ma i
nobili non vorranno soltanto garantirsi una ragguardevole erudi-
zione, abbellire le loro splendide dimore con manufatti artistici di
grande pregio e corredarle di ricche biblioteche private nelle qua-
li hanno un posto d’onore celebri autori stranieri (italiani, francesi,
inglesi e anche tedeschi): essi ora comprenderanno anche il rico-
noscimento sociale derivante dal mecenatismo e si mostreranno
assai interessati a ricercare in un ‘glorioso’ passato le origini e la
giustificazione della propria posizione. Eccellente esempio di que-
197
Nel castello Tre Kronor di Stoccolma (vd. p. 618 con nota 415) confluirono tra
l’altro i tesori artistici frutto del saccheggio di Praga (vd. p. 562 con nota 146).
198
Cristina aveva anche ambizioni letterarie e scrisse saggi in francese, così come
massime e note di carattere autobiografico (vd. tra l’altro Meyer E., “Om drottning
Kristinas literära verksamhet i Italien”, in Samlaren, V [1884], pp. 65-114 e Stolpe
1975 (C.9.1), II, pp. 213-228).
199
Vd. Nordström J., “Några notiser om drottning Kristinas Akademier”, in Lych-
nos, 1940, pp. 333-341. Dal gruppo di coloro che la frequentavano provengono i
fondatori dell’Accademia dell’Arcadia (1690).
200
Va tuttavia constatato che con il miglioramento delle proprie condizioni econo-
miche la borghesia ebbe un qualche ruolo come ‘consumatore’ di cultura. Ciò vale
anche per i più benestanti fra i contadini.
201
Bastino come esempi studiosi di lingue orientali quali il danese Hans Svane (su
cui cfr. nota 67) che ne divenne docente presso l’Università di Copenaghen a partire
dal 1635, gli svedesi Johannes Rudbeckius (su cui cfr. p. 503 con nota 137) e Gustav
Peringer (che ebbe poi la dignità nobiliare assumendo il cognome Lillieblad, 1651-
1710) ma, soprattutto, il celebre orientalista danese Theodor Petræus (1630-1672),
conoscitore di lingue come l’arabo, il copto, l’amarico, il persiano e l’armeno.

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574 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

sto atteggiamento culturale è la figura del cancelliere svedese Magnus


Gabriel de la Gardie, certamente assai più portato alla gestione dei
beni culturali che non a quella degli affari politici.202 Poeta, mece-
nate e promotore delle arti e delle scienze, a lui si deve la nascita
(1667) del Collegio delle antichità (Antikvitetskollegium),203 una
istituzione – alla quale daranno il proprio contributo nomi presti-
giosi – che rileverà i compiti affidati all’antiquario del Regno,
ambiziosamente ampliandoli in direzione dell’approfondimento
della storia patria, sia secolare sia religiosa,204 della ricerca archeo-
logica, della topografia, della lingua nazionale, del diritto e – signi-
ficativamente! – delle genealogie.205 Grande importanza rivestirà,
da questo punto di vista, la ricerca e lo studio dei testi della tradi-
zione nordica, quel patrimonio letterario norreno (ma non solo) dal
quale si trarranno preziose informazioni sul passato della nazione.
Ma in questi secoli l’istruzione diventa più facilmente accessibi-
le anche alle classi economicamente più deboli. Non solo, infatti,
troviamo tra gli eruditi persone di estrazione sociale borghese o,
addirittura, popolare cui, grazie a un adeguato sostegno economi-
co, era stata data la possibilità di accedere allo studio, ma consta-
tiamo un vero e proprio interesse in questa direzione. In Danimar-
ca fin dal 1565 il nobile Herluf Trolle (1516-1565) aveva dato vita,
insieme alla moglie Birgitte Gøye (1511-1574)206 alla celebre scuo-
la di Herlufsholm (nella Selandia meridionale) e sebbene la sua
occupazione principale fosse quella di ammiraglio e combattente,
egli si occupò attivamente dell’istruzione dei figli di famiglie pove-
re sostenendo diversi istituti di formazione. Anche il re Gustavo II
Adolfo volle, come si è visto, favorire l’istruzione di giovani della
classe contadina. Nel XVII secolo del resto si constata da parte di
quest’ultima un certo interesse per l’istruzione dei propri figli.
202
Cfr. p. 567, p. 591, nota 289 e p. 619.
203
I collegi erano una sorta di ‘ministeri’ (che dovevano comunque rispondere alla
superiore autorità centrale) cui era affidata la gestione di una determinata materia (vd.
oltre, pp. 667-668). Il Collegio delle antichità, il cui primo presidente fu Georg Stier-
nhielm (vd. pp. 601-603 e pp. 610-611) fu istituito in relazione al decreto reale con il
quale si ordinava di raccogliere tutto il materiale antiquario riguardante il Paese (vd.
p. 591 con nota 287).
204
Significativo, da questo punto di vista, che nella Svezia della “grande potenza”
alcuni giovani nobili fossero invitati a studiare i documenti riservati custoditi nell’ar-
chivio di Stato – a cui nessun altro se non lo storico del Regno (cfr. p. 534 con nota
20) aveva accesso – allo scopo di poter meglio servire gli interessi del Paese.
205
Dal 1692 questa istituzione sarà trasformata nell’Archivio delle antichità (Antikvitets-
arkiv) che, nonostante le notevoli difficoltà economiche, esisterà fino al 1780 (vd.
Schück – Warburg 1985³ [B.4]), II, pp. 168-170.
206
Costei era figlia del tesoriere reale Mogens Gøye (cfr. p. 463, nota 11).

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Nuovi poteri e nuovi equilibri 575

In questo clima ben si inquadra una figura come quella del vesco-
vo di Turku Johannes Gezelius il Vecchio (den äldre, 1615-1690),
allievo di Johannes Rudbeckius207 e grande promotore dell’istru-
zione popolare in Finlandia secondo presupposti innovativi. Egli
era del resto seguace dei princìpi pedagogici di Comenio (Jan Amos
Komenský, latinizzato in Iohannes Amos Comenius, 1592-1670), le
cui idee dovevano influenzare la nuova impostazione delle scuole
svedesi (basti pensare che il cancelliere Axel Oxenstierna lo aveva
incaricato di redigerne i programmi).208 E non va dimenticato che
l’uso della stampa permetteva di diffondere (anche, come si è visto,
a livello popolare)209 un numero discreto di opere, certamente ben
più di quelle che sono giunte ai nostri giorni.210
Per lungo tempo, dopo l’introduzione della riforma protestante
e il rafforzamento del potere della Corona danese, sia la Norvegia
sia l’Islanda erano rimaste ai margini. Nessuno di questi due Paesi
aveva una università propria, il che sottolineava la loro dipendenza
e la necessità di fare costante riferimento, in primo luogo, alla
Danimarca. Naturalmente le ‘scuole di latino’ erano state organiz-
zate anche qui e nelle località maggiori erano presenti istituti di una
certa importanza,211 non tali tuttavia da giustificare una effettiva
indipendenza culturale. E tuttavia a Oslo e a Bergen si formarono
importanti centri di studi umanistici, mentre in Islanda ci si affidò
in buona parte all’iniziativa personale: in questo Paese la lunga
tradizione letteraria si riflette nell’attività di singoli come a esempio
l’eclettico autodidatta, letterato, poeta e artista Jón Guðmundsson

207
Cfr. p. 515, nota 179 e p. 503 con nota 137.
208
Vd. Husén T., “Comenius and Sweden, and Bengt Skytte’s Sophopolis”, in Scan-
dinavian Journal of Educational Research, XLVII: 4 (2003), pp. 387-398 e Göransson
S., “Comenius och Sverige 1642-48”, in Lychnos, 1957-1958, pp. 102-137, dove si
rilevano gli aspetti politico-religiosi del rapporto tra Comenio e la Svezia nel quadro
della situazione storica dell’epoca. Comenio del resto era influenzato dalle idee di
Wolfgang Ratke (Ratichius, 1571-1635), il quale aveva presentato le proprie proposte
pedagogiche al re Gustavo II Adolfo e al cancelliere Oxenstierna. Si noti, tra l’altro,
che il famoso testo di Comenio, Janva lingvarum, apparve in traduzione svedese nel
1640.
209
Vd. p. 498 e p. 504.
210
Un ‘pedagogo’ come Johannes Gezelius mostra, a esempio, di aver ben presen-
te l’importanza del libro come fondamentale strumento di diffusione della cultura,
facendo pubblicare testi sia in svedese sia in finnico da diffondere nelle scuole della
sua diocesi. A questo scopo egli aveva fondato a Åbo nel 1668 una stamperia propria.
211
In Norvegia, in particolare, a Oslo (anche se il diritto di conferire la ‘maturità’
venne concesso anche alle scuole di Bergen, Stavanger e Trondheim; vd. Sjöstrand
19652 [C.9.3], pp. 220-221; cfr. pp. 507-508 con nota 148); in Islanda presso i vesco-
vati di Skálholt e Hólar.

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576 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

l’Erudito (lærði, 1574-1658);212 Björn Jónsson di Skarðsá (1574-


1655), anch’egli autodidatta e compilatore di importanti annali213
(dunque, per molti versi, l’unico ‘storico’ islandese del periodo);
Brynjólfur Sveinsson (1605-1675) vescovo di Skálholt, appassiona-
to ricercatore di testi antichi;214 Páll Björnsson di Selárdalur (1621-
1706) alla cui scuola avrebbe studiato la lingua ebraica l’erudito
Jón Þorkelsson Vídalín (1636-1719).215 Qui, ancor più che altrove,
restava comunque in primo luogo la Chiesa (che avrebbe mante-
nuto il monopolio sulla stampa fino al tardo XVIII secolo)216 a
gestire la gran parte della vita culturale: basti ricordare la figura di
Oddur Einarsson (1559-1630), rettore della scuola di Hólar tra il
1586 e il 1588, vescovo di Skálholt dal 1589 fino alla morte, che
(seppure assai attento a favorire gli interessi familiari!) si impegnò
nell’ambito della sua diocesi a promuovere gli studi e incoraggiò a
comporre opere ispirate alle tematiche della riforma. Seppure con
il limite costituito dall’esclusivo interesse religioso, il suo richiamo
ebbe benefici effetti in un Paese nel quale per quasi due secoli (XV
e XVI) l’attività letteraria aveva conosciuto un periodo di sostan-
ziale declino.217

212
Sui suoi interessi e i suoi testi nell’ambito dell’antica letteratura nordica vd.
Pétursson E.G., Eddurit Jóns Guðmundssonar lærða. Samantektir um skilning á Eddu
og að fornu í þeirri gömlu norrænu kölluðust rúnir bæði ristingar og skrifelsi, I (“Þættir
úr fræðasögu 17. aldar”), Reykjavík 1998. Vd. anche Guttormsson H., “Um ævi og
verk Jóns lærða”, in Glettingur, XVIII: 3 (2008), pp. 28-32.
213
Essi sono relativi al periodo tra il 1440 e il 1646. A lui sono stati per lungo tem-
po attribuiti anche gli Annali groenlandesi (Grænlands annáll) che lo studioso Ó.
Halldórsson ha invece dimostrato essere opera di Jón Guðmundsson l’Erudito. Björn
Jónsson di Skarðsá infatti si sarebbe limitato ad ampliarli e correggerli in qualche
punto (vd. Jón Guðmundsson, Grænlands annáll in EF).
214
Vd. Guttormsson Þ., Brynjólfur biskup Sveinsson, [Reykjavík] 1973, Harðarson
G., “Brynjólfur Sveinsson. En filosofisk orienteret humanist i det 17. århundrede“, in
LNNER, pp. 133-142 e anche “Brynjólfur Sveinsson, biskup”, in BR, pp. 21-24.
Secondo la consuetudine degli umanisti Brynjólfur aveva trasposto il proprio nome in
latino definendosi lupus loricatus (islandese brynja, f., “corazza” e úlfur, m., “lupo”).
215
Vd. p. 667 con nota 610. Páll Björnsson di Selárdalur è tuttavia ricordato anche
come direttamente coinvolto in processi per stregoneria e relative condanne al rogo;
su di lui vd. Þorsteinsson H., “Páll Björnsson prófastur í Selárdal”, in MÍ III, 1964,
pp. 43-84.
216
Un monopolio in molti casi difeso gelosamente: basti pensare che quando nel 1649
il vescovo di Skálholt, Brynjólfur Sveinsson ottenne l’autorizzazione a impiantare una
stamperia presso la sua diocesi, Þorlákur Skúlason (1597-1656), vescovo di Hólar (dal
1628 alla morte) si oppose con ogni mezzo, riuscendo a far naufragare il progetto.
217
Di Oddur Einarsson è noto che ebbe un aspro conflitto con Herluf Trolle Daa
(1565-1630), governatore danese dell’isola dal 1606 al 1619, un personaggio per altro
assai malvisto dagli Islandesi. Su di lui vd. Steindórsson S., “Oddur Einarsson biskup:
1559-1630”, in ÍN, pp. 8-15.

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Nuovi poteri e nuovi equilibri 577

I secoli XVI e XVII mostrano dunque nei Paesi nordici un


mondo culturale dinamico e operoso nel quale si muovono nume-
rose figure di studiosi in molti casi dotati di una impressionante
erudizione che spazia in diversi ambiti disciplinari. Conseguente-
mente il confine tra le opere ‘rigorosamente letterarie’ e quelle di
diverso intento (storiche o scientifiche, qualche volta tali solo nel-
le intenzioni dell’autore!) risulta spesso imprecisato, mentre il
desiderio di dar voce a una cultura di livello corrispondente (quan-
do non superiore) rispetto a quella di altri Paesi europei condizio-
na l’impegno compositivo, giustificando (ma non del tutto, ché
molto andrebbe certamente rivisitato) il successivo giudizio della
critica non di rado troppo severo dal punto di vista estetico e non
solo.

9.2.1. Il richiamo del passato e la rivendicazione della supremazia


scandinava

Come è stato rilevato precedentemente il conflitto che oppone-


va le due principali potenze della Scandinavia, Danimarca e Svezia,
non riguardava solamente l’ambito politico e militare ma si nutriva
anche di una controversia sull’antichità e sul prestigio della nazio-
ne e dunque sulla rivendicazione del suo primato rispetto alla
rivale. Questo atteggiamento affondava le proprie radici fin nel XV
secolo.218 In quell’epoca, come sopra si è riferito, erano state scrit-
te opere svedesi quali la Cronaca del Regno dei Goti e la Cronaca in
prosa, cui era seguita all’inizio del XVI secolo la Cronaca dei regni
settentrionali del tedesco Albert Krantz, nella quale veniva gran-
demente elogiata la nazione danese.219 Del resto fin dal 1434, duran-
te il sinodo tenuto a Basilea, il vescovo di Växjö Nicolaus Ragvaldi
(Nils Ragvaldsson, ca.1380-1448), che sarebbe divenuto arcivesco-
vo di Uppsala nel 1438, aveva rivolto ai partecipanti un discorso
nel quale affermava la nobiltà del proprio ruolo, chiedendo – di
conseguenza – che gli fosse riservato il sedile d’onore (o, almeno,
quello immediatamente vicino), in quanto rappresentante di un
popolo (gli antichi Götar, ora Svedesi) che poteva vantare una
diretta discendenza da quei Goti che avevano saputo sconfiggere
o costringere alla pace (tra gli altri) gli Egizi, i Persiani, i Macedo-
ni e i Romani.220 Si è visto come affermazioni di questo tipo fosse-
218
Le sue premesse e le fonti alle quali ci si rifece sono riportate in Lindroth 1961.
219
Vd. p. 535 con nota 22.
220
Anche questo discorso, come quello attribuito a Hemming Gadh (su cui vd.

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578 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

ro destinate ad avere grande fortuna per la loro capacità di soste-


nere con ragioni ‘storico-culturali’ l’autorità del Regno e
di promuovere e giustificare una politica di dominio. Del resto i
Danesi avevano presto individuato nei Cimbri i ‘nobili’ antenati (di
origine addirittura biblica!)221 grazie ai quali legittimare la propria
supremazia fra i popoli della Scandinavia (e non solo). Anche il
desiderio dell’aristocrazia di sostenere la propria posizione (e i
propri privilegi) avrebbe, come si è osservato, giocato un ruolo
importante da questo punto di vista.
Queste dunque le premesse alla nascita d’un vasto movimento
culturale che (proprio dai ‘Goti svedesi’) avrebbe tratto il nome di
goticismo e avrebbe conosciuto la sua massima fioritura (sebbene
i suoi effetti dovessero protrarsi ben più a lungo) tra il XVI e i
primi decenni del XVIII secolo. Per le ragioni sopra esposte esso
avrebbe naturalmente interessato in primo luogo la Danimarca e
la Svezia, tuttavia il coinvolgimento della Norvegia e dell’Islanda
non sarebbe stato secondario. Al suo interno avrebbero trovato
posto innanzi tutto studi di carattere ‘storico’ e speculazioni dai
presupposti stravaganti e dalle conclusioni grottesche. Tuttavia a
questo clima culturale si collegano anche ricerche filologiche e
antiquarie (non sempre prive di fondamento scientifico) in un
insieme sostanzialmente interdipendente cui portarono il proprio
contributo figure di eruditi, umanisti e studiosi.
In Danimarca il punto di riferimento per eccellenza è, natural-
mente, la Storia dei Danesi (Gesta Danorum) di Sassone,222 il cui
contenuto (sebbene per buona parte leggendario) viene a costitui-
re la fonte primaria per la conoscenza delle vicende della patria.
L’interesse per questo lavoro si manifesta fin dai primi decenni del

p. 536 con nota 27), è riportato nella Storia di tutti i re degli Svedesi e dei Goti di
Johannes Magnus, XVI, capp. 28-30 (pp. 533-538). A quanto pare su proposta del
medesimo Nicolaus Ragvaldi l’esclusiva discendenza del Regno di Svezia da quello dei
Goti verrà inserita nella parte iniziale della “sezione relativa al re” (konungsbalken)
della Legge generale per il Paese emanata da Cristoforo di Baviera nel 1442 (Konungx
balker, I, p. 11; cfr. p. 355, nota 111). Quando (1734) questa legge sarà modificata,
questo preambolo verrà tuttavia mantenuto: ed. cit. pp. 1-5); vd. Holmbäck Å., “Om
företalet till 1734 års lag och dennas stadfästelse”, in Lychnos, 1938, pp. 333-364. In
proposito si rimanda a Tengström L., “Muschoviten – Turcken icke olijk”. Ryssattribut,
och deras motbilder, i svensk heraldik från Gustav Vasa till freden i Stolbova, Jyväskylä
1997, pp. 340-416 e anche pp. 416-429 (sul mito dei ‘Goti svedesi’ in Finlandia). Vd.
anche Söderberg F.F.V., Nicolaus Ragvaldi och Baselkonciliet, Upsala 1902; Losman
B., “Nikolaus Ragvaldis gotiska tal”, in Lychnos, 1967-1968, pp. 215-221 e Svennung
1967, pp. 34-43.
221
Vd. pp. 538-539.
222
Vd. pp. 322-323.

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Nuovi poteri e nuovi equilibri 579

XVI secolo quando Christiern Pedersen223 durante un soggiorno


parigino ne cura l’edizione (1514) e successivamente la traduzione,
che tuttavia è andata perduta.224 Certamente questa iniziativa ebbe
il grande merito di riportare alla luce e rendere disponibile agli
uomini di cultura europei un’opera che (insieme ad altri testi della
tradizione nordica) avrebbe successivamente fatto parte di quel
patrimonio ‘autenticamente germanico’ che tanto avrebbe affasci-
nato intellettuali e poeti a partire dalla seconda metà del XVIII
secolo.225 E tuttavia le insidie legate a una ricezione assolutamente
acritica dei testi del passato appaiono da subito evidenti: basti
scorrere le Cronache danesi del medesimo Christiern Pedersen – per
cui egli attinge a diverse fonti –226 che mostrano una palese tenden-
za a trarre conclusioni tanto facili quanto errate, grazie alle quali si
persegue l’unico obiettivo di nobilitare la patria.227 Alla cui gloria
l’autore ‘recupererà’ anche un eroe esemplare nella figura di Olger
il Danese (Olger danske), da lui considerato a tutti gli effetti una
figura storica: ma la sua Cronaca del re Olger il Danese (Kong Olger
Danskis Krønicke) consiste in realtà nella rielaborazione di una
versione francese della storia di questo personaggio che compare
innanzi tutto nella letteratura cavalleresca relativa a Carlo Magno
ed è noto a quella tradizione come Ogier le Danois (o anche Ogier
de Dannemarche).228
Dopo Christiern Pedersen l’opera di Saxo venne tradotta e pub-
blicata (1575) da Anders Sørensen Vedel (1542-1616), storiografo
ufficiale del Regno, la cui preoccupazione principale nell’affrontare
questo impegnativo lavoro (cui si dedicò a partire dal 1571) pare
essere quella di rendere accessibile a ogni lettore la storia patria: egli
di fatto ‘riscrive’ il testo e risolve in forma prosastica i versi inseriti
da Saxo nel suo racconto. Il medesimo interesse lo vedrà in seguito
dare alle stampe il lavoro di Adamo da Brema, quelle Opere dei
223
Su cui cfr. pp. 496-497, p. 517, p. 604 e p. 636, nota 499.
224
In riferimento a questo scritto cfr. Olrik A., “Bråvallakvadets kæmperække.
Tekst og oplysninger. VIII Tillæg: Kristiern Pedersens oversættelse”, in ANF X (1894),
pp. 283-284.
225
Vd. oltre, 10.5.3.
226
Questi testi sono raccolti da C.J. Brandt in Chr. Pedersens Danske Kröniker
(EF). Oltre a Sassone egli mostra di ben conoscere la Cronaca danese in rima (su cui
vd. pp. 395-396), le ballate e i racconti della tradizione popolare, oltre che fonti islan-
desi.
227
Egli a esempio crede di poter affermare che tanto l’imperatore romano Aureliano
quanto le Amazzoni erano in realtà danesi: vd. p. 336 e pp. 347-350, rispettivamente.
228
Vd. Petersen – Andersen 1932-1934 (B.4), I, pp. 153-154 e pp. 227-230. Ogier
è detto da Christiern Pedersen figlio del re danese Goffredo, personaggio la cui esi-
stenza è storicamente attestata (cfr. pp. 133-134).

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vescovi della Chiesa di Amburgo, il cui manoscritto era stato rinve-


nuto a Sorø (Historia ecclesiastica continens Religionis propagatæ
Gesta […]). Un altro suo fondamentale contributo alla ‘edificazio-
ne’ della grandezza danese è la raccolta e la pubblicazione delle
ballate popolari.229 Sebbene col passare del tempo egli non nutris-
se più una fiducia incondizionata nelle fonti antiche (in primo
luogo Sassone), considera tuttavia ancora le ballate da una prospet-
tiva storica, quanto meno nell’ottica della storia come ‘maestra di
vita’: in loro vede esemplificate le diverse manifestazioni del carat-
tere degli antichi Danesi, mentre al contempo sottolinea la bellez-
za della lingua in cui sono composte.
Anche in Svezia come si è visto era largamente diffuso il senti-
mento di esaltazione della grandezza della patria e la lezione di
Johannes Magnus230 avrebbe fatto scuola. Ciò si constata a esem-
pio nell’opera in versi latini (per altro senza alcun pregio ulterio-
re) dell’umanista Laurentius Petri Gothus (1529 o 1530-1579) dal
titolo Stratagemma dell’esercito gotico contro Dario (Strategema
gothici exercitvs adversus Darium, 1559) nel quale egli, rifacendo-
si a un episodio narrato da Erodoto, individua negli Sciti, avver-
sari del re persiano, i ‘Goti svedesi’.231 L’importanza politico-
culturale attribuita alla celebrazione letteraria delle personalità e
degli eventi storici232 appare ben compresa dall’ambizioso Johan-
nes Messenius (ca.1579-1636), il quale dopo aver invano atteso
un importante riconoscimento per la Genealogia compilata per il
re polacco-svedese Sigismondo233 offrì i suoi servigi a Carlo IX,
ottenendo in tal modo prestigiosi incarichi come una cattedra
all’Università di Uppsala234 e, successivamente, la nomina a cura-
tore dell’archivio del Regno. Egli divenne così prolifico autore di
scritti polemici nei confronti dei due grandi avversari della Svezia:

229
Sul che si rimanda a p. 396 con nota 269. Su Anders Sørensen Vedel vd. tra
l’altro Karker A., Anders Sørensen Vedel og den danske krønike, København 1954.
230
Vd. pp. 535-536.
231
Testo ritrovato nella Biblioteca reale (Det kongelige bibliotek) di Copenaghen
da Johan Nordström e da lui pubblicato.
232
In questo contesto va inquadrata, a esempio, la rappresentazione avvenuta in
occasione dell’incoronazione di Gustavo II Adolfo, nella quale il re in persona inter-
pretava il leggendario sovrano dei ‘Goti’ Berig (o Berich, citato da Giordane in Getica,
IV, 25 e XVII, 94-95 e ripreso da Johannes Magnus nella sua Historia de omnibus
Gothorum [...], I, xiv, p. 37), che aveva guidato i suoi in gloriose imprese (non da
ultimo nei territori del Baltico!); vd. Ringmar 1996 (C.9.1), p. 160.
233
Genealogia Sigismundi tertii; cfr. pp. 478-479.
234
In questa veste egli entrò in acerrimo conflitto con Johannes Rudbeckius (vd. p.
503 con nota 137).

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Nuovi poteri e nuovi equilibri 581

la Danimarca235 e la Chiesa cattolica. Ma, soprattutto, compose


testi teatrali (fatti recitare ai suoi studenti) ispirati a temi ‘patriot-
tici’, quale – fra gli altri – Disa dove si celebra (in omaggio alla
regina Christina) una leggendaria sovrana che avrebbe dato l’av-
vio alla colonizzazione delle terre del Nord e salvato dalla carestia
il suo popolo.236 E anche quando per i suoi contatti con i gesuiti
(dunque per una presunta propensione al cattolicesimo) egli
cadde in disgrazia e fu imprigionato nel castello di Kajaneborg
(finnico Kajaanin linna) nella Finlandia centrale (1616), la sua
ispirazione non venne meno: a questo periodo infatti risale la sua
grande opera Scandinavia illustrata (Scondia illustrata) sulla storia
laica e religiosa dei Paesi nordici,237 grazie alla quale egli verosi-
milmente sperava di ottenere la liberazione (che giunse solo nel
1635). Sebbene questo lavoro si segnali per un apprezzabile
spirito critico, all’epoca alquanto inusuale, è altrettanto vero che
anche qui il racconto ha inizio a partire dal diluvio universale e
per i tempi più remoti segue in buona parte l’impostazione di
Johannes Magnus.238
Ma la celebrazione del mondo del Nord aveva raggiunto il
pubblico degli eruditi europei fin dal 1555. In quell’anno infatti
era stata pubblicata a Roma un’opera destinata a segnare un
punto fermo: la Storia dei popoli settentrionali (Historia de gentibvs
septentrionalibvs) di Olaus Magnus (Olof Månsson, 1490-1557).
Fratello dell’altrettanto celebre Johannes e a lui succeduto nell’in-
carico (ormai puramente nominale) di arcivescovo cattolico di
Svezia (fu egli dunque l’ultimo della serie), Olaus imposta il
proprio lavoro nella prospettiva di un fervente amor di patria. E
tuttavia, mentre la Storia di tutti i re degli Svedesi e dei Goti di

235
Che attaccò a esempio ironizzando sui risultati del lavoro dello storico del Regno
danese Hans Svaning (su cui cfr. nota 20).
236
Il nome Disa fa palese riferimento alle figure sovrannaturali della mitologia nor-
dica note come dísir (sing. dís), su cui vd. pp. 176-177. Cfr. il testo tratto dall’opera di
Olaus Magnus e riportato alle pp. 595-597. Nel castello di Venngarn (a nord di Sigtuna
nell’Uppland) si trova una sala nella quale è raffigurata la storia di Disa. L’opera (che
fu eseguita negli anni ’80 del XVII secolo) viene attribuita a un pittore di nome Lorenz
Wolter. Vd. Bygdén L., “Några studier rörande Disa-sagan”, in Samlaren, XVII (1896),
pp. 21-74. Sulla produzione teatrale di Messenius vd. Lidell H., Studier i Johannes
Messenius dramer, Uppsala 1935.
237
Essa fu tuttavia pubblicata solo negli anni 1700-1705. Vi si tratta oltre che
di Danimarca, Svezia e Norvegia, anche dell’Islanda e della Groenlandia. Su Mes-
senius si veda Schück H., Messenius. Några blad ur vasatidens kulturhistoria,
Stockholm 1920.
238
Su quest’opera vd. Olsson H., Johannes Messenius Scondia illustrata. Studier i
verkets tillkomsthistoria och medeltidspartiets källförhållanden, Lund 1944.

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Johannes resta solo come efficace testimonianza del clima cultu-


rale dell’epoca, quella di Olaus – che in realtà è piuttosto una
serie (per certi aspetti si potrebbe quasi dire una congerie) di
notizie di carattere geografico ed etnografico –239 offre anche al
lettore moderno una grande quantità di informazioni di straordi-
nario interesse. La sua fortuna, presto sottolineata dalle numero-
se traduzioni in diverse lingue,240 lo dimostra. Di notevole inte-
resse è anche un suo precedente lavoro, la cosiddetta Carta
marina, una mappa dei Paesi nordici pubblicata a Venezia nel
1539 che contiene (in basso a sinistra) un breve commento.241
Pure, al modo in cui sulla Carta mostri acquatici, creature sovran-
naturali riconducibili alla tradizione mitologico-leggendaria
nordica,242 affiancano indicazioni corrette sulle correnti marine,
così anche nella Storia dei popoli settentrionali si constata la com-
presenza di elementi e notizie di diversa natura, origine e atten-
dibilità. E tuttavia se l’opera di Olaus (come del resto quella del
fratello Johannes) diventerà un punto di riferimento imprescin-
dibile per l’orgoglio nazionalistico svedese almeno fino a tutto il
Seicento, il suo equilibrio e la sua moderazione (anche se non vi
mancano esplicite critiche ai nemici danesi)243 saranno dimenti-
cati per lasciare spazio a forme di singolare per non dire strava-
gante patriottismo.
Tale è, assolutamente, il caso della voluminosa opera di Olof
Rudbeck che, con contributo statale, venne pubblicata in tre volu-
mi oltre un secolo più tardi (1679-1698):244 Atlantide ovvero Man-
239
Vi si tratta infatti anche di natura e clima, usi e costumi, fauna e conformazione
geografica, consuetudini e leggende popolari.
240
Essa fu tuttavia resa in svedese solo a partire dal 1909 (Historia om de nordiska
folken, I-IV, Stockholm 1909-1925); un quinto volume di commento (Kommentar) è
apparso nel 1951 (ried. 1976 e 1982).
241
L’intitolazione ne rivendica la scientificità precisando che essa è “diligentissime
elaborata”. Il che non impedisce all’autore di elencare gli Unni, le Amazzoni, gli Sviz-
zeri e i Bulgari fra i popoli che sarebbero emigrati dal Nord, né di disegnare la Dani-
marca come un Paese dalle dimensioni insignificanti. Vd. innanzi tutto Brenner O.,
“Die ächte Karte des Olao Magno vom Jahre 1539 nach dem Exemplar der Münche-
ner Stastsbibliothek”, in Christiania Videnskabs-Selskabs Forhandlinger 1886, n:o 15 e
anche Richter H., Olao Magno’ Carta marina 1539, Uppsala 1967.
242
Cfr. Chiesa Isnardi 20084 (B.7.1), pp. 530-532.
243
In Grape 1942, pp. 356-357 sono evidenziati i passi dell’opera in cui Olaus
esprime il proprio giudizio nei confronti della ‘piccola’ Danimarca e dei suoi abitanti
che definisce, tra l’altro, naturalmente predisposti alla tirannia, alla crudeltà e alla
sregolatezza.
244
Insieme alla prima parte fu pubblicato un voluminoso atlante relativo all’opera.
Nel 1702 (cfr. p. 631 con nota 481), quando un disastroso incendio devastò Uppsala
distruggendo anche tutto il materiale posseduto da Rudbeck, egli aveva già fatto pub-

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Nuovi poteri e nuovi equilibri 583

heim (Atland eller Manheim),245 scritta in svedese ma corredata di


testo a fronte in latino.246 Seppure non vada dimenticato che l’au-
tore era in primo luogo uno scienziato e che, dunque, affrontò
questo impegno con metodo – per quanto (come è del tutto lecito
attendersi) non sempre sostenuto da adeguate conoscenze – occor-
re tuttavia constatare che le sue conclusioni furono davvero ardite,
per non dire avventurose. Secondo gli esiti delle sue ricerche (archeo-
logiche, storiche, geografiche, toponomastiche, folcloristiche, lin-
guistiche, letterarie, mitologiche e via dicendo) egli ritenne di poter
affermare che il ripopolamento della Terra dopo il diluvio univer-
sale aveva avuto inizio dalle regioni del Nord. Di più, egli sostenne
che molto di ciò che veniva conservato nelle fonti, in particolare
quelle greche (tra l’altro la menzione dei mitici Iperborei, la storia
di Giasone e del vello d’oro, i racconti sull’Ade), facesse un evi-
dente riferimento alla Svezia: i miti greci dunque non sarebbero
stati nulla di più che un ricordo (corrotto e frainteso) di antiche
storie sui ‘Goti’. La leggendaria Atlantide di Platone avrebbe dovu-
to essere identificata nella Svezia e la sua capitale individuata nella
città di Uppsala, da lui considerata la culla della civiltà occidenta-
le. Ragion per cui la sua fine doveva essere interpretata come la
decadenza di un’età dell’oro, piuttosto che come il reale inabissar-
si di un’isola nelle profondità dell’oceano.247 A dimostrazione
della sua tesi egli esibisce molte prove, non da ultima una serie di
forzature etimologiche, relative naturalmente anche alle figure degli
dèi (che per altro considera secondo una visione evemeristica).248
Nonostante qualche critica,249 l’opera di Rudbeck ebbe enorme
blicare una parte del quarto volume. Ma il lavoro non poté essere terminato in quanto
la morte lo colse in quel medesimo anno. Sugli aspetti bibliografici dell’opera si
rimanda a Klemming G.E., Anteckningar om Rudbecks Atland, Stockholm 1863.
245
Comunemente nota come Atlantica. Snorri Sturluson (vd. p. 287, nota 13)
informa nella Saga degli Ynglingar (cap. 8) che Mannheimar (“Paese degli uomini”)
era il nome dato alla Svezia da Odino e dagli Asi quando essi vi si erano stabiliti.
Rudbeck spiega tuttavia che il nome Manheim va ricondotto al tacitiano Mannus
(Germania, cap. 2) che indicherebbe il dio Njörðr (al quale viene tra l’altro attribuita
la fondazione della città di Menfi in Egitto!): vd. IV, i-iv, pp. 122-133 (cfr. I, p. 287 =
cap. XIII, iii), l’allusione a Menfi (Menby) a p. 131. Su Njörðr vd. pp. 174-175.
246
Atland sive Manhem; la traduzione non fu tuttavia eseguita dall’autore (vd.
Schück – Warburg 19853 [B.4], II, pp. 256-257 con nota 1).
247
Per superare l’evidente difficoltà geografica derivante dall’indicazione di Plato-
ne, secondo il quale Atlantide sarebbe un’isola, Rudbeck fa notare che nel testo greco
viene utilizzato il termine νῆσος che significa “isola” ma può anche essere riferito a
un promontorio (I, p. 95 = cap. VII, iv).
248
Vd. p. 289, nota 18.
249
Uno dei pochi che si opposero alle fantasie rudbeckiane fu l’antiquario del Regno
Johan Hadorph (cfr. p. 591).

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584 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

risonanza anche all’estero e in patria fece scuola.250 Eruditi ‘rud-


beckiani’ – che in alcuni casi fabbricarono dei veri e propri falsi –251
sono conosciuti in Svezia fino a oltre la metà del XVIII secolo;252
tuttavia il suo ‘allievo’ più originale fu probabilmente il norvege-
se Jonas Danilssøn Ramus (1649-1718)253 che nel suo libro di
notevole successo Ulisse e Odino una sola e medesima [persona]
(Ulysses et Otinus unus et idem, 1702) volle dimostrare (tramite
allettanti accostamenti trasformati con acrobatiche argomenta-
zioni in prove attendibili) l’equivalenza dell’eroe greco con il dio
nordico.254
Per quanto l’interpretazione delle fonti fosse disinvolta e con-
ducesse a risultati non di rado eccentrici, l’esigenza del ricorso ai
testi originali (unica via che, secondo lo spirito umanistico, poteva
produrre reale conoscenza) stimolò dunque negli studiosi nordici
la ricerca degli scritti del passato, documenti in cui ritrovare testi-
monianze dell’antica grandezza delle nazioni scandinave. Venne
pertanto manifestandosi un grande interesse in questo campo con
conseguente competizione tra la Danimarca e la Svezia nel con-
tendersi preziosi manoscritti. Il riferimento è, naturalmente, in

250
La figura di Rudbeck fu efficacemente commemorata e riproposta all’attenzione
degli studiosi svedesi da Per Daniel Amadeus Atterbom (su cui vd. pp. 923-924) con
uno scritto dal titolo Minne af Olof Rudbeck den äldre (testo in Minnesteckningar och
tal, parte I [= vol. VI: i di ASSOS, Örebro 1869, pp. 1-244]).
251
È a esempio praticamente certo che sia stato un seguace delle teorie di Rudbeck
a manipolare il manoscritto della Bibbia di Ulfila (cfr. nota 146) per portare sostegno
alle di lui tesi. Vd. v. Friesen O. – Grape A., Om Codex Argenteus. Dess tid, hem och
öden, Uppsala 1928, pp. 152-154. J.V. Johansson (“De Rudbeckianska förfalskningar-
na i Codex Argenteus”, in NTBBV XLII [1955], pp. 12-27) ha analizzato a fondo la
questione, giungendo alla conclusione che il falsario sia stato Carl (Carolus) Lundius
(1638-1715), all’epoca stimato studioso di scienze giuridiche e cognato di Rudbeck (su
di lui cfr. nota 616). Portando l’interpretazione del passo falsificato (Vangelo di Gio-
vanni, X, 23) alle estreme conseguenze si sarebbe addirittura potuti arrivare a soste-
nere che Cristo era stato nel tempio di Uppsala! Vd. anche Munkhammar 2011
(indicazioni in nota 146), pp. 148-149.
252
Vd. Schück – Warburg 19853 (B.4), II, pp. 263-264.
253
Jonas Ramus era il marito della celebre Anna Colbjørnsdatter, l’eroina della
grande guerra nordica (1700-1721) il cui nome resta legato all’attacco sferrato contro
gli Svedesi a Norderhov in Ringerike nella notte tra il 28 e il 29 marzo 1716; vd. oltre,
p. 682.
254
Un interessante precedente che quanto a fantasie patriottarde e a conclusioni
stravaganti potrebbe facilmente competere con l’Atlantide è fornito dal teologo Petrus
Bång (1633-1696) il quale in una storia della Chiesa svedese dal titolo Chiesa degli
antichi Sveogoti o storia ecclesiastica dei primi abitanti delle terre sveogotiche (Priscorum
Sveogothorum ecclesia, seu historia ecclesiastica de priscis Sveogothicae Terraæ colonis
[...], 1675) sosteneva che Adamo era verosimilmente vissuto in Svezia dove avrebbe
potuto addirittura essere vescovo! (I, vi, pp. 26-29).

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Nuovi poteri e nuovi equilibri 585

primo luogo ai testi della letteratura medievale norvegese e –


soprattutto – islandese, che vengono ora non solo ricercati ma
anche, in diversi casi, pubblicati e tradotti. In questa prospettiva
gli studiosi di questi ultimi Paesi – ai quali mancavano, come si è
visto, gli stimoli politici per una celebrazione della patria – trova-
no dunque una loro considerazione, producendo lavori che nell’im-
mediato vanno a soddisfare queste esigenze culturali, ma nel
lungo periodo produrranno benefici effetti anche dal punto di
vista del rafforzamento di un sentimento nazionalistico fornendo
poi un supporto culturale ai movimenti per l’indipendenza poli-
tica. Attorno alla metà del XVI secolo alcuni norvegesi avevano
iniziato (su sollecitazione danese) a trasporre l’opera storica di
Snorri Sturluson;255 fu tuttavia grazie a Peder Claussøn Friis (1545-
1614) che tradusse, rielaborò (e integrò) la Heimskringla256 che
l’autore islandese divenne noto a livello internazionale (ma fu
altresì riscoperto in patria!) andando a costituire, accanto a Sas-
sone, la massima autorità cui fare riferimento per la storia nordica.
L’opera, Breve estratto della cronaca dei re norvegesi (En kort Extract
af de norske Kongers Chronica) fu fatta pubblicare dal celebre
antiquario danese Ole Worm (di cui più avanti) nel 1633.
Certamente il XVII secolo è un periodo nel quale l’impegno
appassionato di tanti eruditi dà risultati ragguardevoli e avvia a
ricerche antiquario-filologiche che costituiranno la base (per quan-
to ancora in molti casi più che approssimativa) di future discipline
(e di future correnti di pensiero). In Danimarca nel breve volgere
di pochi decenni possiamo annoverare una serie di circostanze di
grande rilievo. Innanzi tutto il recupero di manoscritti islandesi (che

255
Qui merita una citazione il lagmann (vd. p. 373) Mattis Størssøn (ca.1500-1569)
che fin dal 1551 aveva completato una sintesi della prima parte dell’opera di Snorri.
Questo lavoro fu diffuso in copie una delle quali venne in possesso dello storico dane-
se Arild Huitfeldt (vd. p. 539) e fu da lui fatta pubblicare a Copenaghen nel 1594:
Cronaca e imprese dei re norvegesi, fino al tempo del giovane Re Håkon, che morì
nell’anno 1263 (Norske Kongers Krønicke oc bedrifft, indtil unge Kong Haagens tid,
som døde: Anno Domini 1263). Si tratta dunque della prima storia norvegese a essere
stampata (anche se il titolo, l’introduzione e alcune parti sono scritti a mano). Dal
momento che la curatela del lavoro fu affidata a Jens Mortensen (erudito ed ecclesia-
stico morto nel 1595), esso è stato erroneamente considerato la “Traduzione delle saghe
di Jens Mortensen” (Jens Mortensens saga øversættelse); vd. Storm G., “Et gjenfundet
Haandskrift af Mattis Størssons Sagaoversættelse”, in NHT V [1886], pp. 271-272. È
in ogni caso più che verosimile che anche in precedenza fosse disponibile almeno una
versione dell’opera di Snorri, utilizzata in particolare da Christiern Pedersen per le sue
Cronache (cfr. p. 579); vd. Petersen – Andersen 1932-1943 [B.4], I, p. 221 e p. 417.
256
Sulla Heimskringla vd. p. 321. Su Peder Claussøn Friis vd. Faye A., Peder Clausson.
Sogneprest til Undal, Christiania 1858.

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586 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

finiranno in gran parte nel possesso di eminenti personaggi, in pri-


mo luogo il re Federico III) contenenti opere di straordinaria impor-
tanza: fra tutte l’Edda di Snorri257 e l’Edda poetica.258 Per quest’ulti-
ma dobbiamo essere grati al vescovo di Skálholt, Brynjólfur
Sveinsson (1605-1675), uomo di vastissima cultura e appassionato
raccoglitore che era venuto in possesso del codice contenente que-
sto testo fin dal 1643, ma l’aveva donato al sovrano danese (solo
perché spinto da ragioni familiari) nel 1662.259 Poi ancora la ripro-
posizione (con intenti filologici) dell’opera di Sassone, corredata da
un commento, dovuta all’erudito, docente dell’Accademia di Sorø
e storico del Regno Stephan Hansen Stephanius (1599-1650).260
Successivamente la traduzione in lingua danese del celebre carme
norreno dal titolo Dialogo di Kráka (Krákumál, 1652)261 curata da
Christen Berntsen Viborg (morto nel 1670), ma – soprattutto! –
257
Tutti e quattro i principali manoscritti in cui questo testo ci è conservato transi-
tarono in Danimarca, seppure solo due di essi – il Codex Regius (Gml. kgl. sml. 2367,
4to) e il Codex Wormianus (AM 242 fol.) – vi siano a lungo rimasti prima di essere
restituiti all’Islanda. Vd. Snorri Sturluson, Edda. Gylfaginning og prosafortellingene
av Skáldskaparmál, pp. v-vii.
258
Per la ragione in base a cui le due opere, sostanzialmente diverse, portano lo
stesso titolo di Edda vd. p. 287 e p. 290.
259
Di Brynjólfur Sveinsson (cfr. p. 576 con note 214 e 216 e p. 623) è noto che fu
in possesso di altri importanti manoscritti tra cui uno contenente la Saga di Njáll, del
Libro di Flatey, del manoscritto noto come Konungsbók contenente il codice di leggi
islandesi detto Grágás e della cosiddetta Pergamena marcia (Morkinskinna); su queste
opere vd. p. 313 e pp. 423-424.
260
L’edizione è del 1645 (sebbene la data indicata sul frontespizo sia 1644), così
come il commento, dal titolo Note più esaurienti (Notæ uberiores). Su Stephanius vd.
Rørdam H.Fr., “Den kongelige Historiograf Steffen Hansen Stephanius”, in Historiske
Samlinger og Studier vedrørende Danske Forhold og Personligheder især i det 17.
Aarhundrede, Kjøbenhavn 1891, I, pp. 1-74 e pp. 193-275.
261
Questo carme (edito in Skj I: A, pp. 641-649, B, p. 649-656) è stato composto
(verosimilmente nelle Orcadi) nel XII secolo. Tuttavia la tradizione lo attribuiva al
leggendario eroe Ragnarr Brache di pelo il quale, fatto gettare dal suo nemico Ella in
una fossa di serpenti, di fronte alla morte avrebbe voluto ricordare in versi il proprio
glorioso passato. Uno dei manoscritti che lo riporta contiene anche la Saga di Ragnarr;
incentrata sulla medesima figura (cfr. p. 107 con nota 36 e p. 134, nota 137) e nella
quale l’episodio della fossa dei serpenti è, naturalmente, riferito (cap. 15); cfr. Saxo
Grammaticus, Gesta Danorum, IX, iv, 38; vd. Simek – Pálsson 1987 (B.4), p. 218. Il
titolo della traduzione danese, piuttosto libera, è Dardo dei Danesi, vale a dire il dardo o
l’arma danese, che presenta un’antica canzone eroica sul coraggio e le azioni valorose
dell’uomo danese, composto da Ragnarr Brache di pelo, tradotto dall’antico danese. Con
piccole spiegazioni ai margini, dove occorre (Bildur Danskum, det er, den danske Bilde eller
Kaarde, præsenterende en gammel Kiempe Vise om danske Mands tapperhed oc mande-
lige gierninger, dictet aff Regner Lodbrog, aff den gamle danske udsat. Med smaa Forkla-
ringer udi Brederne, huor behoff giøris). In precedenza una traduzione latina del mede-
simo carme (fatta da Magnús Ólafsson, cfr. nota successiva) era stata inserita nell’opera
Runir seu Danica Literatura antiqvissima di Ole Worm (sul quale più avanti).

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Nuovi poteri e nuovi equilibri 587

l’edizione nel 1665 dell’Edda di Snorri e dei due primi carmi dell’Ed-
da poetica a cura di Peder Hansen Resen (1625-1688), giurista,
storico, filologo e antiquario. Il primo testo, l’Edda degli Islandesi
(Edda Islandorum) è in realtà basato su un rimaneggiamento, la
cosiddetta Laufás Edda:262 a esso in ogni caso per lungo tempo si
sarebbe fatto riferimento in relazione all’opera di Snorri. La Predi-
zione dell’Indovina (Vo˛luspá)263 ebbe titolo Antichissima filosofia
norvego-danese (Philosophia antiquissima norvego-danica), mentre
il Dialogo dell’Alto (Hávamál)264 fu reso come Etica di Odino (Ethi-
ca Odini):265 entrambi i poemi furono tradotti dal poeta Stefán
Ólafsson266 (1619-1688) e commentati da Guðmundur Andrésson
(ca.1614-1654).267 Ovviamente i ‘sudditi islandesi’ – in sostanza gli
unici naturalmente in grado di comprendere l’antico e nobile idio-
ma norreno – furono progressivamente (nonostante un disinteresse
iniziale) sempre più coinvolti in questo lavoro, sicché in seguito
alcuni fra loro ebbero l’incarico ufficiale di traduttori; basti qui
citare almeno Þormóður Torfason (Thormod Torfæus, 1636-1719)
che ebbe anche il compito di ricercare nuovo materiale e fu proli-
fico autore storico: egli si interessò alle diverse terre colonizzate dagli
uomini del Nord (Føroyar, Orcadi, Groenlandia268 e persino
Vínland)269 e scrisse un voluminoso trattato dal titolo Storia della
Norvegia (Historia rerum norvegicarum, 1711), dedicato al Paese nel
quale trascorse gran parte della vita. Nonostante i molti difetti e la
forte tendenza alla ricezione dell’elemento leggendario questo testo
avrebbe costituito per molto tempo un’opera di riferimento per gli
studiosi.270 Ben più attento agli aspetti scientifico-filologici appare
262
Laufás (nel nord dell’Islanda sull’Eyjafjörður) era la parrocchia islandese in cui
operava l’ecclesiastico e letterato Magnús Ólafsson (1573-1636), il quale rielaborò il
testo di Snorri e lo tradusse in parte in latino. Entrato in possesso di una copia di
questo lavoro, accompagnata dalla traduzione danese, Resen fece completare quella
latina da Þormóður Torfason (su cui poco oltre) e la diede alle stampe.
263
Vd. p. 291.
264
Vd. p. 292.
265
In realtà alcuni versi dell’Edda poetica (due strofe della Predizione dell’Indovina)
erano stati pubblicati in precedenza, in quanto Stephan Hansen Stephanius li aveva
inseriti nel suo commento a Sassone.
266
Vd. p. 612.
267
Vd. Guðmundur Andrésson, Discvrsvs oppositivus […], pp. xx-xxii. Su di lui:
Jónsson F., “Guðmundur Andrjesson fornfræðingur (dáinn 1654)”, in Sögusafn Stefnis,
Akureyri 1894-1895, II, pp. 3-22. Cfr. p. 606 e p. 672 con nota 634.
268
Vd. oltre, p. 759.
269
Vd. pp. 123-124 con nota 98. Il suo testo Storia dell’antico Vínland (Historia
Vinlandiæ antiqvæ) uscì nel 1705.
270
Su di lui Hermannsson H., “Þormóður Torfason 1636-1719”, in MÍ IV (1965),
pp. 39-72; Titlestad T. (red.), Tormod Torfaeus. Ei innførimg, Hafrsfjord 2001;

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588 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

invece il suo connazionale Árni Magnússon (1663-1730), segretario


dell’archivio reale, poi professore all’Università di Copenaghen (il
primo islandese a ottenere un così prestigioso riconoscimento),
instancabile e appassionato collezionista di antichi manoscritti (anche
incompleti) da lui analizzati con un rigore e un equilibrio che per
molti versi anticipano gli studi filologici moderni.271 E non si dimen-
tichi, in questa prospettiva, la compilazione sopra ricordata di
raccolte manoscritte di folkeviser (a cura di esponenti delle famiglie
nobili) con le loro fondamentali edizioni a cura di Anders Sørensen
Vedel (1591) e Peder Syv (1695).272
Ma lo scopo di questa fervente attività non è certo, in primo
luogo (fatta una doverosa eccezione per Árni Magnússon), di carat-
tere strettamente scientifico. Ciò si constata con facilità leggendo
gli scritti che accompagnano questi lavori. Così il traduttore del
Dialogo di Kráka sottolinea come quel testo fosse opera di un anti-
co re danese e come esso dunque potesse mostrare ai giovani
contemporanei di che pasta fossero fatti un tempo gli abitanti
della patria;273 così, nell’introduzione all’edizione dell’Edda, Resen
– prima di proporre un vero e proprio commento all’opera di
Snorri – espone le sue considerazioni sul diverso modo in cui gli
uomini hanno espresso i propri valori morali; così, ancora, Ole
Worm nell’introduzione alla versione della Heimskringla eseguita
da Peder Claussøn Friis approfondisce l’analisi delle fonti storiche
e ne sottolinea l’importanza per la patria danese, mentre allude con
rimpianto e ammirazione alle antiche composizioni degli scaldi. Con-
siderazioni che permeano in profondità il clima culturale dell’epoca
e che troveranno espressione compiuta con Thomas Bartholin il
Giovane (den yngre, 1659-1690), figlio del celebre anatomista,274 che
nella voluminosa opera Tre libri di antichità danesi, delle ragioni del

“Þormóður Torfason, sagnaritari”, in BR, pp. 33-36 e anche Jacobsen A.U. – Synnøve
Vea M. et al. (red.), Den nordiske histories fader Tormod Torfæus, Karmøy 2004.
271
 Purtroppo una gran parte della sua raccolta è andata perduta nell’incendio di
Copenaghen del 1728 (cfr. p. 685, nota 32). Vd. “Árni Magnússon, prófessor”, in BR,
pp. 37-40 e Jónsson M., Árni Magnússon. Ævisaga, Reykjavík 1998. Il celebre scritto-
re islandese Halldór Laxness (vd. pp. 1168-1169, p. 1173 e p. 1175) si è ispirato ad
Árni Magnússon per il personaggio di Arnas Arnæus nel romanzo storico La campana
dell’Islanda (Íslandsklukkan), uscito a Reykjavík in tre parti tra il 1943 e il 1946.
272
 Vd. p. 396 con nota 269 e p. 518, nota 192; su Peder Syv vd. pp. 599-600.
Un’approfondita analisi del mondo culturale delle folkeviser tra il 1500 e il 1700 si
trova in Lundgreen-Nielsen – Ruus 1999-2002.
273
 Come è stato detto (vd. p. 134, nota 137) potrebbe forse essere possibile iden-
tificare il leggendario Ragnarr Brache di pelo, al quale i versi sono attribuiti (vd. sopra,
nota 261), con il re danese Horik vissuto nel IX secolo.
274
 Vd. p. 630.

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Nuovi poteri e nuovi equilibri 589

disprezzo della morte da parte dei Danesi quando erano ancora paga-
ni, raccolte da manoscritti e documenti fino a ora inediti (Antiquitatum
Danicarum de causis contemptæ a Danis adhuc gentilibus mortis libri
tres ex vetustis codicibus & monumentis hactenus ineditis congesti,
1689), andando ben oltre il tema indicato nel titolo, compie un
itinerario nel mondo nordico del passato, per sottolineare l’eroismo
dei suoi antichi compatrioti.
Del resto Thomas Bartholin poteva ormai contare su un nume-
ro ragguardevole di ‘antichità’ riportate alla luce da diversi stu-
diosi. Tra costoro un posto di primo piano spetta senza dubbio a
Ole Worm (1588-1654). Figura di vasta erudizione (fu tra l’altro
attivo come medico) che si era formato sia in patria sia all’estero,
egli dedicò molte energie alla raccolta e alla catalogazione di ogni
tipo di materiale (documenti storici, manoscritti, oggetti antichi,275
iscrizioni runiche su qualsiasi materiale, ivi compresi i cosiddetti
calendari runici),276 ma anche di informazioni (tradizioni, usi e
costumi, nomenclature, unità di peso e di misura) ritenuti utili
per illustrare e celebrare il passato della nobile nazione danese.
In tal modo, seppure gli mancasse un corretto spirito critico, Ole
Worm diede un contributo insostituibile alla promozione degli
studi antiquari, ambito nel quale resta di fondamentale importan-
za (nonostante l’obiettiva inconsistenza delle sue osservazioni
critiche) l’impulso alla ricerca e allo studio delle iscrizioni runi-
che.277 Sebbene in precedenza i monumenti runici danesi con le
loro misteriose incisioni (ma anche le testimonianze archeologiche
più antiche come le tombe megalitiche) avessero già attirato l’atten-
zione278 e suscitato curiosità,279 era mancato al riguardo un inte-

275
Alla sua raccolta apparteneva anche uno dei due celebri corni d’oro di Gallehus
(vd. p. 87, nota 91).
276
Si trattava di calendari perpetui nei quali venivano segnati i giorni della settima-
na (indicati dai primi sette segni dell’alfabeto runico) e i numeri aurei. In taluni casi essi
indicavano anche le festività religiose. Di loro parla anche Olaus Magnus (Historia
de gentibus septentrionalibus, I, xxxiv).
277
Vd. 2.5.
278
Sassone vi fa riferimento nella sua opera, innanzi tutto nel “Prologo” (Gesta
Danorum, Præfatio, I, 3) e successivamente in diversi altri luoghi (per il dettaglio e il
commento relativo vd. Saxo Grammaticus 1979-1980 [Abbr.], II, p. 207 alla voce runes
con i rimandi ivi indicati). Egli del resto ricorda anche le tombe megalitiche, attribuen-
done la costruzione ai giganti che un tempo popolavano la Danimarca (Gesta Danorum,
Præfatio, III; cfr. p. 29, nota 62).
279
Va qui ricordato che nel 1586 Caspar Markdanner (1533-1618), signore di
Koldinghus nello Jutland meridionale, fece recuperare e risistemare la grande pietra
runica di Jelling (cfr. p. 135) destando l’interesse e l’ammirazione del mondo cultura-
le europeo.

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590 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

resse specifico, ed essi erano stati presi in considerazione in modo


occasionale o comunque solo per avvalorare argomentazioni di
carattere storico. Ma l’alfabeto runico restava in uso in taluni
ambiti280 e dopo che Olaus Magnus ne aveva riferito nella sua
Storia dei popoli settentrionali281 esso suscitò rinnovato interesse.
Nel contesto della rivalità dano-svedese Ole Worm fu certamente
spronato a questi studi anche da alcune pubblicazioni di Johannes
Bureus (primo antiquario del Regno svedese),282 il quale a sua
volta aveva focalizzato la propria attenzione sulle rune svedesi,
viaggiando nel Paese alla loro ricerca.283 Naturalmente dal canto
suo Ole Worm sosteneva la maggiore arcaicità delle rune danesi
e riteneva altresì che esse fossero comunemente usate nell’anti-
chità per redigere i testi. A testimonianza delle sue ricerche in
questo campo resta in primo luogo l’opera dal titolo Le rune
ovvero l’antichissima letteratura danese (Runir seu Danica Litera-
tura Antiqvissima del 1636, seconda edizione 1651), che natural-
mente fu molto elogiata in patria (ricevendo anche consensi
dall’estero) mentre destò irritazione (e polemiche) in Svezia. Nel
1643 uscì poi la voluminosa opera dal titolo Monumenti danesi
(Danicorum monumentorum [...]) nella quale è riportato (con
grande quantità di illustrazioni) un numero assai elevato di testi-
monianze del passato danese comprese, naturalmente, le pietre
runiche. Si tratta del primo tentativo di organizzare scientifica-
mente uno studio archeologico e runologico, un lavoro che a
lungo sarà considerato un punto di riferimento fondamentale.284
Dell’importanza attribuita a livello politico a questo tipo di ricer-
che ben testimonia il fatto che fin dal 1622 il sovrano aveva

280
Specie nell’ambiente rurale nei cosiddetti ‘calendari runici’ (vd. sopra, nota 276);
cfr. p. 84 con nota 77.
281
I, xxxvi. Anche il riformatore Olaus Petri (vd. p. 472 e pp. 500-501) aveva
mostrato interesse al riguardo: suo è un breve scritto Sulla scrittura runica (Om runskrift).
In proposito si veda Schück H., “Några småskrifter af Olavus Petri”, in Samlaren, IX
(1888), pp. 5-15.
282
Vd. p. 572.
283
Si vedano, in particolare la Tavola runica del 1599 e il cosiddetto Abbecedario
runico (Rvna ABC-boken, 1611; su Bureus cfr. p. 601 con nota 337). L’approccio di
Bureus allo studio delle rune è per molti versi scientifico, il che non impedirà ad altri
studiosi di proporre teorie del tutto fantasiose, come farà Olof Rudbeck il quale
nell’Atlantica si spingerà ad affermare che l’alfabeto runico non soltanto presenta
forti somiglianze con quello greco, ma ne è – addirittura – il modello (avendo tanto i
Fenici quanto i Greci copiato dai Nordici!) e costituisce la più antica forma di scrit-
tura esistente (I, pp. 524-542 = cap. XXXVIII; III, pp. 11-85 = cap. II).
284
Nel 1651 questo testo fu completato con la pubblicazione delle Aggiunte ai
monumenti danesi (Additamenta ad monumenta danica).

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Nuovi poteri e nuovi equilibri 591

inviato una circolare a tutti i vescovi di Danimarca e Norvegia


perché si facessero promotori presso il clero loro sottoposto (il
quale a sua volta avrebbe dovuto sollecitare i fedeli) della raccol-
ta sistematica di tutte le possibili testimonianze del passato, il che
avrebbe permesso a Ole Worm di catalogarle e studiarle.285
Anche in Svezia non mancarono affatto i ‘patrioti’ cultural-nazio-
nalisti. E anche qui non mancò, seppure in ritardo rispetto alla
Danimarca, un decreto del re che inviava in giro per il Paese perso-
ne specificamente incaricate di recuperare materiale antiquario (e
annotare osservazioni di carattere geo-topografico ed etnografico);286
più tardi (1666) con un’altra disposizione si estendeva al clero l’in-
carico di curare la raccolta di ogni genere di materiale ritenuto
interessante per lo studio della storia e della cultura patria:287 un’or-
dinanza che recepiva la proposta di Johan Hadorph (1630-1693),
che in seguito sarebbe stato nominato antiquario del Regno. Il risul-
tato più eclatante di queste ricerche sarebbe stata l’Atlantide di Olof
Rudbeck, i cui metodi di studio non erano per altro condivisi da
Hadorph. A parte la figura di Rudbeck e quella di Johannes Bureus,
visionario, runologo, linguista,288 altri insigni studiosi si adoperarono
attivamente per recuperare la nobile tradizione del loro popolo.
Anche da qui ci si rivolse alle fonti islandesi e fu possibile acquisire
un cospicuo numero di manoscritti, una gran parte dei quali giunse
nel Paese per il tramite dell’islandese Jón Eggertsson (1643-1689).289
Anche qui gli Islandesi furono impiegati nel lavoro di edizione e
traduzione di testi antichi, come dimostra in primo luogo la pubbli-
cazione del testo norreno (con traduzione latina e svedese) della
285
Secher (Abbr.) IV (1897), nr. 18, 11 agosto 1622, pp. 19-20 e DKL III, nr. 94,
p. 88. Fin dal 1596 il re Cristiano IV aveva inviato un’ordinanza ai sudditi islandesi
perché consegnassero documenti e oggetti antichi utili per lo studio della storia (KFAaBI
II, pp. 206-207, nr. xxviii, 17 aprile 1596).
286
Vd. Almgren O., “Om tillkomsten av 1630 års antikvarie-institution”, in FV
1931, pp. 28-47.
287
Kongl. Myst.ts Placat och Påbudh om Gamble Monumenter och Antiquiteter Tryckt
aff Georg Hantsch, Åhr 1666 (28 novembre); di interesse in proposito può essere il
volume di saggi: Baudou E. – Moen J. (red.), Rannsakningar efter antikviteter – ett
symposium om 1600-talets Sverige, Stockholm 1995. Un decreto analogo verrà ema-
nato nel 1735: Kongl. Maj:ts Nådige Förordning Angående Gambla Skrifters och Hand-
lingars framskaffande til uplysning uti Historie Och Antiquiteterne. Gifwen Stockholm
i Råd-Cammaren den 20. Martii 1735 (SFS 1734-1735).
288
 Vd. p. 601 con nota 337.
289
 Altri testi di grande importanza finirono nel possesso svedese grazie al cancel-
liere Magnus de la Gardie (cfr. p. 567, p. 574 e p. 619) il quale, quando la vedova di
Stephan Hansen Stephanius (vd. p. 586 con nota 260) trovandosi in difficoltà econo-
miche mise in vendita la biblioteca del marito, la acquisì donandone poi gran parte
alla biblioteca dell’Università di Uppsala.

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592 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

Heimskringla di Snorri (1697) curata da Johan Peringskiöld


(1654-1720),290 runologo e antiquario del Regno, coadiuvato da
Guðmundur Ólafsson (1652-1695), traduttore presso il Collegio
delle antichità:291 un’opera la cui prima parte, non lo si dimentichi,
tratta di re svedesi. Ma grande eco ebbero soprattutto le edizioni
di saghe leggendarie, nelle quali in qualche modo si faceva riferi-
mento alla Svezia:292 del 1664 è l’edizione della Saga di Gautrekr
(Gautreks saga) curata con l’aiuto dell’islandese Jón Rúgman (in
svedese Jonas Rugman, 1636-1679)293 da Olof Verelius (1618-1682)
professore di antichità patrie a Uppsala e antiquario del Regno,
indiscussa autorità in materia.294 Diversi altri lavori seguirono fino
a quando, nel 1737, uscì la celebre raccolta dal titolo Gesta eroiche
dei Nordici (Nordiska Kämpa dater) curata dallo studioso di anti-
chità, traduttore e ‘goticista’ Eric Julius Biörner (o Biœrner, 1696-
1750).
Certamente alla base della riemergente storiografia norvegese
vi furono in buona parte interessi politici danesi. Il Paese era sta-
to ‘unito per l’eternità’ alla Corona di Danimarca,295 di conseguen-
za la ricerca e lo studio degli antichi documenti rappresentava un
utile strumento per determinare circostanze giuridiche e politiche

290
Il cognome Peringskiöld fu da lui assunto (in sostituzione dell’originario Perin-
ger) a partire dal 1793 quando ottenne la dignità nobiliare.
291
Costui tra l’altro fece giungere in Svezia diversi importanti manoscritti islandesi
ora conservati presso la Biblioteca reale (Kungliga biblioteket) di Stoccolma. Qui si
trovano anche (sebbene l’attribuzione non sia del tutto certa) otto suoi volumi mano-
scritti in folio (1693) contenenti un dizionario islandese che arriva fino alla lettera S:
GUDMUNDUS OLAI (OLSSON), Lexicon Islandico-Latinum (N2: 1-8); nella medesima
biblioteca sono conservati altri otto volumi manoscritti in quarto di un Lessico islan-
dese (Lexicon Islandicum) che presentano molte correzioni e cancellature (N 1:1-8):
questi potrebbero essere i lavori preparatori dell’opera.
292
I riferimenti sono, evidentemente, da considerare nella prospettiva di una storia
assolutamente ‘favolosa’. Tuttavia la Saga di Hervör e di re Heiðrekr (Hervarar saga ok
Heiðreks konungs) conserva nella parte finale (palesemente estranea al resto del rac-
conto) notizie di una qualche sostanza storica relative alle antichità svedesi (cap. 20).
Sulle saghe leggendarie vd. 5.2.4.
293
Imbarcato alla volta della Danimarca dove avrebbe dovuto condurre gli studi
superiori, Jón Rúgman fu fatto prigioniero dagli Svedesi, quando la sua nave fu da loro
catturata. Fu così trasferito a Uppsala dove completò gli studi. Lavorò poi sino alla
morte al loro servizio.
294
Proseguendo il lavoro di Bureus sulle rune egli pubblicò tra l’altro nel 1675 una
Breve introduzione alla runografia scandinava antica (Manuductio compendiosa ad
runographiam scandicam antiqvam). Il suo lessico islandese dal titolo Indice dell’antica
lingua scito-scandinava o gotica (Index lingvæ veteris scythoscandicæ sive gothicæ) fu
pubblicato postumo (1691) a cura di Olof Rudbeck.
295
Vd. sopra, p. 482 con nota 76.

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Nuovi poteri e nuovi equilibri 593

di interesse del dominatore.296 E tuttavia, grazie alla operosità degli


storici norvegesi (alcuni dei quali anonimi) che vengono produ-
cendo una cospicua serie di lavori (tra cui cronache relative a
singole realtà locali), si viene gradatamente rinvigorendo un sen-
timento nazionale che non mancherà di dare i suoi frutti. In que-
sto quadro l’opera di maggior interesse è certamente Sul regno di
Norvegia (Om Norgis Riige) di Absalon Pederssøn Beyer:297 sep-
pure non sia del tutto esente da finalità politiche, questo testo
fornisce – pur nella sua sostanziale sinteticità – una efficace descri-
zione delle fasi storiche del Paese considerate in paragone con le
diverse età dell’essere umano, concludendo con l’auspicio che la
Norvegia possa superare la decadenza della vecchiaia facendo
ricorso alle tante ricchezze che la natura le ha elargito e all’indole
forte e generosa dei suoi abitanti.
Si è visto come nella prospettiva multidisciplinare riflessa dalla
cultura vasta e variegata degli eruditi del Cinquecento e del Seicen-
to la ‘storia’ fosse assai spesso intesa in un’accezione assai ampia
del termine. L’orgogliosa rivendicazione dell’identità scandinava
passò quindi anche attraverso descrizioni geo-topografiche dei
luoghi, la cui bellezza e le cui attrattive divennero a loro volta fun-
zionali a una nuova forma di patriottismo.298 L’esempio migliore da
questo punto di vista è certamente l’opera dell’esule svedese Olaus
Magnus, tuttavia anche negli altri Paesi non mancarono lavori di
questo tipo. In Danimarca si segnala, tra le altre, la Nuova descri-
zione della Danimarca (Daniæ descriptio nova, 1594) di Jon Jensen
Kolding (morto nel 1609).299 In Norvegia, ancora una volta, dob-
biamo considerare il lavoro di Peder Claussøn Friis, autore di una
Descrizione della Norvegia e delle Isole Circostanti (Norriges Oc
Omliggende Øers sandfærdige Bescriffuelse) completata nel 1613
296
In questa prospettiva merita una citazione la traduzione della cosiddetta Hirðskrá
(vd. p. 211 con nota 434) pubblicata a Copenaghen nel 1594 a cura di Arild Huitfeldt
(vd. p. 539): La Legge di corte norvegese [...] (Den Norske Hirdskra [...]).
297
L’opera fu scritta attorno al 1567 ma fu pubblicata (in forma riassuntiva) solo
alla fine del XVIII secolo (vd. Suhm P.F., Samlinger til den Danske Historie, II, i,
Kjøbenhavn 1781, pp. 33-102: M. Absolon Pedersens Norges Beskrivelse) e, in
forma completa, solo alla fine del XIX. Sull’autore vd. pp. 508-509; cfr. p. 643,
nota 522.
298
Un aspetto di questa questione è analizzato in Supphellen S., “Den historisk-
topografiske litteraturen i Noreg i siste halvparten av 1700-talet, regionalisme eller
nasjonalisme?”, in Heimen, XVIII, 1979: 4, pp. 198-211 dove si rileva come questo
particolare tipo di patriottismo sia uno dei fondamenti del forte spirito nazionalitico
che si esprimerà in Norvegia dopo il 1814.
299
Su di lui Rørdam H. Fr., “Efterretninger om M. Jon Jensen Kolding”, in Ksam
V (1869-1871), pp. 378-400.

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594 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

ma pubblicata postuma nel 1632, di nuovo per iniziativa di Ole


Worm.300 Un testo che avrebbe fatto scuola e contribuito a risve-
gliare quel sentimento d’appartenenza alla nazione (e alla natura!)
norvegese che diversi decenni più tardi avrebbe ispirato i celebri
versi della Tromba del Nordland (Nordlands trompet) composti da
un altro ecclesiastico, Petter Dass (1647-1707) – pastore di Alstahaug
in Helgeland – nei quali è celebrata la magnificenza delle regioni
all’estremo nord del Paese.301
Anche la lontana Islanda, in gran parte ‘depredata’ dei mano-
scritti contenenti i suoi tesori letterari302 vantò da questo punto di
vista contributi importanti. Già tra il 1588 e il 1589 il vescovo Oddur
Einarsson303 aveva lavorato a una Qualsivoglia descrizione dell’Islan-
da (Qualiscunque descriptio Islandiæ).304 Assai più nota e diffusa è
tuttavia l’opera di Arngrímur Jónsson Vídalín, detto Saggio (lærði,
1568-1648) che utilizzò come titolo per il suo lavoro il calco greco

300
Il titolo completo è: Veritiera descrizione della Norvegia e delle isole circostanti,
contenente ciò che è degno di essere conosciuto, sia a riguardo del Paese sia della situazio-
ne e condizioni degli abitanti, sia nel tempo passato sia ai nostri giorni; Brevemente
compendiata da S. Peder Claussøn, pastore di Undal (Norriges Oc Omliggende Øers
sandfærdige Beschriffuelse, Indeholdendis huis vært er at vide, baade om Landsens oc
Indbyggernis Leilighed oc vilkor, saa vel i fordum tid, som nu i vore Dage; Korteligen
tillsammen fattit Aff H. Peder Claussøn, Sogne præst i Undal). In precedenza egli aveva
composto anche scritti Sull’Islanda (Om Island) e la Groenlandia (cfr. pp. 758-759).
301
L’opera uscì una prima volta a Bergen nel 1739; una vera e propria edizione fu
stampata tuttavia solo nel 1763. L’autore amava sottolineare la sua appartenenza a
quelle terre remote. In un testo poetico dal titolo Una richiesta alla Signora Dorthe
Engelbretsdatter per una copia dei suoi canti (En Begiæring til Mad. Dorethe Engebrets-
Daatter [sic] om et Exemplar af hendis Sange) egli si esprime così: “Un umile saluto/
del resto io voglio mandare/ Petter Dass son di nome/ del mondo sto al limitare” (“Een
ydmyg Salutatz/ For Resten vil jeg sende;/ Mit Navn er Petter Dass,/ Som boer mod
Verdens Ende”; in PDSV, I, pp. 266-268, la citazione da p. 268). Su questo autore vd.
Midbøe H., Petter Dass, Oslo 19972; Hansen K., Petter Dass. Mennesket, makten og
mytene, Sandnessjøen 2006 e Rian Ø., “Petter Dass – Nordlands trompet”, in FNKF,
pp. 156-183; Skard S., “Petter Dass”, in Edda. Nordisk Tidsskrift for litteraturforskning,
XXXII (1932), pp. 1-17. Su Dorthe Engelbretsdatter vd. p. 611 con nota 387.
302
Come è stato detto una gran parte dei manoscritti islandesi era finita nel possesso di
personaggi eminenti della cultura e della politica danese e svedese. Rispetto a questo stato
di cose l’unico contributo di rilievo al ‘recupero’ della storia patria e del senso dell’identi-
tà nazionale fu l’edizione (1688), promossa dal vescovo di Skálholt Þórður Þorláksson
(1637-1697) di tre testi fondamentali: il Libro dell’insediamento (Landnámabók), il Libro
degli Islandesi (Íslendingabók) di Ari Þorgilssson il Saggio e la Saga della cristianizzazione
(Kristni saga); su questi testi cfr. nell’ordine, p. 310 con nota 85, p. 260 e p. 182, nota 318.
303
Cfr. p. 576 con nota 217.
304
Questo testo fu pubblicato solo nel 1928 da Fritz Burg che lo attribuì erronea-
mente a Sigurður Stefánsson (morto nel 1595), docente presso la scuola di Skálholt.
Sulla questione del suo autore si rimanda a Sigmarsson E., Draugur vakinn upp. Hver
er höfundur Qualiscunque descriptio Islandiae?, Reykjavík 2002.

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Nuovi poteri e nuovi equilibri 595

del toponimo Ísland, sicché la sua “Terra del ghiaccio”305 ebbe


nome Crymogæa (1609). L’opera di Arngrímur, umanista di gran-
de valore, traduttore e autore di testi storici,306 dà informazioni di
carattere geografico e storico, etnografico e linguistico-letterario
e costituisce il punto di arrivo di una serie di scritti il cui scopo
era quello di sfatare definitivamente giudizi (e pregiudizi!) sul
Paese e sui suoi abitanti, fornendo corrette indicazioni che faces-
sero giustizia di notizie strane e fantasiose (quando non condite
da una dose di ironia), contenute in opere che circolavano in
Europa.307 Va da sé, dunque, che essa dovette essere scritta in
latino.

Dalla Storia dei popoli settentrionali di Olaus Magnus:

Dei mercati [invernali] sul ghiaccio

“Con questa immagine308 si mostra l’antichissima consuetudine dei mer-


cati invernali che si osservano in molte province e località sulla superficie
liscia e aperta del ghiaccio con il ricchissimo afflusso dei commercianti. Tra
questi luoghi il più celebre si trova nella città arcivescovile di Uppsala, nel
Regno di Svezia, [dove] il vastissimo fiume309 che la attraversa, più frequen-
temente verso l’inizio di febbraio, congela [formando] una crosta di ghiaccio
tanto spessa che [può] sostenere il peso di una numerosissima moltitudine
di persone, così come di animali da tiro e di merci di ogni tipo. E questo
mercato anticamente si chiamava e ancora oggi si chiama, Dysting, vale a
dire Tribunale della prudentissima regina Dysa, in quanto ella, donna di
animo eccelso e di intelletto assai sagace, vedendo che la innumerevole
moltitudine del popolo rischiava la sventura della fame, [essendo] impove-

305
Cfr. p. 146.
306
Di lui ci restano in particolare i Frammenti di storia danese (Rerum danicarum
fragmenta) basati sulla Saga degli Skjo˛ldungar (Skjo˛ldunga saga) un testo che è andato
quasi completamente perduto e rispetto al quale dunque l’opera di Arngrímur (com-
pletata nel 1596) costituisce un insostituibile punto di riferimento (il testo di questo
scritto, che all’epoca non fu pubblicato, è conservato in una copia che si trova presso
la Biblioteca reale (Det kongelige bibliotek) di Copenaghen (Bartholins Samling, nr.
25). Vd. “Arngrímur lærði”, in BR, pp. 13-16. Cfr. il testo riportato alle pp. 607-608.
307
Vd. Ólason – Guðmundsson et al. 1992-2006 (B.4), II, pp. 491-494. Interes-
santi in questo contesto sono anche due brevi scritti di Gísli Oddsson (1593-1638),
succeduto al padre Oddur Einarsson come vescovo di Skálholt, dal titolo Miscuglio
degli annali d’Islanda (Annalium in Islandia farrago, 1637) e Delle meraviglie dell’Islan-
da (De mirabilibus Islandiae, 1638).
308
Come è noto l’opera di Olaus Magnus è riccamente illustrata. Vd. figura nr. 46
309
Si tratta del Fyrisån, che tuttavia non è affatto un fiume “vastissimo”.

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596 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

riti le biade e i raccolti per dell’effetto del clima rigidissimo, consigliò che,
affidandosi alla sorte, [una parte] lasciasse il suolo natale, cercando in
terre straniere oltre il mare una dimora in cui vivere pacificamente, e col-
tivasse con cura le [terre] cercate, piuttosto che essere privati della vita
dalla rozza crudeltà di taluni uomini sconsiderati. Né tuttavia questa emi-
grazione di popoli dalla penisola scandinava è quella che Paolo Diacono
ricorda a proposito dei Longobardi.310 La causa poté essere simile: ma [c’è]
un lunghissimo intervallo di tempo dal regno di questa Regina Dysa, e
diverso [è] l’ordinamento, il modo, la massa dell’innumerevole moltitudi-
ne e l’importanza. Dal momento che in verità, il mio dilettissimo fratello
e predecessore Johannes Magnus Arcivescovo di Uppsala fa menzione di
questa cosa nella sua storia,311 rimando il lettore incuriosito a quanto detto
da lui e ritornando ai mercati invernali sul ghiaccio, dico che facendo rife-
rimento a un segnale e a un tempo fisso tutti i popoli settentrionali, e le
nazioni vicine a loro, hanno l’abitudine di osservare rigorosamente in
questo modo l’usanza dei mercati: così, si intende, che il plenilunio seguen-
te la prima ricomparsa della luna che avvenga dopo il giorno o [anche dopo]
la mezzanotte dell’Epifania in gennaio, determina infallibilmente il segnale
e il tempo in cui tutti hanno la possibilità di recarsi ai suddetti mercati nel
luogo ben noto a ciascuno; tuttavia tenendo a mente questo, che prima e
durante e dopo l’illuminarsi di quello considerino istituiti i commerci,
finché la luna calante col suo chiarore indichi a ciascuno [che è il momen-
to di fare] ritorno al luogo da cui proviene. Dunque le cose che per il
desiderio e l’uso dei commercianti vengono trattate sono di ogni genere:
naturalmente le pelli preziose di diversi animali, certamente vasi d’argen-
to da mettere in tavola, e per [soddisfare] l’inesauribile [desiderio di]
ornamento delle donne, certamente cereali, articoli di metallo, di ferro, di
rame, di stoffa e generi alimentari; i quali vengono più frequentemente
venduti in base a una giusta stima, piuttosto che a peso, con reciproco e
cordiale consenso. Fanno eccezione le cose di cui la sagace lungimiranza
dei governatori consideri che la gente del luogo possa chiedere per le pre-
senti e le future necessità: come sono cereali, cavalli da battaglia, alimenti
sfusi del burro, dei formaggi e della carne di maiale conservata; generi di
cose che in caso di guerra imminente è proibito, con pubblico decreto raf-
forzato da pene, cedere ai commercianti stranieri o ai loro rappresentanti.
Inoltre ci sono dei mercati [invernali] sul ghiaccio su un lago congelato,
detto Mälaren, attorno alla fine di febbraio, presso le mura della città di
Strängnäs. Più tardi a metà marzo nel territorio di Jämtland nelle montagne
della Svezia e della Norvegia in un luogo detto Oviken312 vengono tenuti
altri mercati sopra il ghiaccio; senza dubbio in molti luoghi a metà o fine

310
Cfr. pp. 76-77 con nota 50.
311
Il riferimento è, naturalmente, alla Storia di tutti i re degli Svedesi e dei Goti
Historia de omnibus Gothorum Sveonumque regibus (su cui vd. pp. 535-536).
312
Con ogni probabilità si tratta della località che porta questo nome, situata nel
comune di Berg nella regione di Jämtland in Svezia.

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Nuovi poteri e nuovi equilibri 597

maggio sulle acque congelate e sulla [loro] amplissima [superficie] avan-


zano squadroni di cavalieri sia in [tempo di] pace sia in [tempo di] guerra,
mentre a Roma ci si ciba [già] di frutti deliziosi.”313

9.2.2. Studi e lavori di carattere linguistico

Una trattazione a parte merita l’aspetto linguistico. La ‘risco-


perta’ delle lingue volgari e la loro ‘promozione’ a nobili idiomi
in grado di trasmettere (al pari delle tre ‘lingue sacre’ ebraico,
greco e latino) nientemeno che la parola di Dio o cantare le sue
lodi, ebbero come conseguenza una notevole attenzione nei loro
confronti, attenzione che senza dubbio si lega anche alla consi-
derazione della lingua come elemento caratterizzante di una
nazione. Ciò vale, innanzi tutto, per la Danimarca e la Svezia,
stati il cui consolidamento politico rendeva indispensabile il sup-
porto di un forte senso dell’identità patria. 314 In questi Paesi
troviamo dunque, in primo luogo, grammatici e studiosi che si
adoperarono per conferire una norma a quelle che nel loro inten-
to avrebbero dovuto diventare a tutti gli effetti ‘lingue nazionali’.
A ciò si aggiungano ragioni di natura pedagogica (il bisogno di
impartire l’insegnamento nell’idioma volgare) e letteraria (il tardo
rinascimento poetico), elementi nei quali facilmente si riconosce
l’influsso di tendenze provenienti dall’estero.315 E inoltre, natu-
ralmente, importanti modelli di riferimento quali la fondazione
delle accademie linguistiche (come l’Accademia della Crusca
sorta nel 1582, la tedesca Die fruchtbringende Gesellschaft nel
1617, l’Academie française nel 1635) o la diffusione di opere stra-
niere, soprattutto quelle dello slesiano Marin Opitz, intese a
ridare vigore alla lingua e alla letteratura tedesca, affrancandola
dallo stato di inferiorità in cui era caduta.316
Troviamo dunque tutta una schiera di autori dediti allo studio

313
Historia de gentibus septentrionalibus, IV, vi; DLO nr. 132.
314
“Patrioti della lingua” (Sprogets patrioter) sono opportunamente definiti da Peter
Skautrup (Skautrup 1944-1968 [B.5], II, pp. 307-309) gli autori che in questo periodo
si dedicarono allo studio della lingua danese.
315
Vd. ibidem, p. 308.
316
Come è noto Martin Opitz (1597-1639), era autore di un trattato in difesa della
lingua tedesca dal titolo Aristarco ovvero, del disprezzo della lingua tedesca (Aristarchus
sive De contemptu linguæ teutonicæ, 1617). Anche il suo Libro sulla poetica tedesca
(Buch von der Deutschen Poeterey, 1624) ebbe ampia risonanza nei Paesi
nordici.

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598 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

degli idiomi volgari e della teoria poetica, che rivendicano nel loro
lavoro l’amore per la propria lingua, naturale conseguenza di quel-
lo per la propria patria. Nelle loro opere princìpi sostanzialmente
scientifici si mescolano ad affermazioni prive di qualsiasi fonda-
mento (in primo luogo sul piano delle parentele linguistiche e su
quello etimologico),317 coerenti tuttavia con la cultura imperante
dell’epoca (non da ultimo col ruolo attribuito alla Bibbia come
imprescindibile punto di riferimento di ogni verità).318
In Danimarca Hans Mikkelsen Ravn (Johannes Michaelius Cor-
vinus, 1610-1663) autore di un breve trattato dal titolo Esercizio
della lingua danese (Linguæ danicæ exercitatio) cerca un posto per
il danese fra le lingue del mondo, partendo dal racconto biblico
sulla torre di Babele, e si scaglia contro la ricezione delle parole
straniere non indispensabili, paragonandole a una malattia che
aggredisce la semplicità dell’amato idioma patrio.319 In seguito egli

317
Qui il termine “etimologico” è inteso secondo i canoni della linguistica moder-
na; si noti tuttavia che nelle opere di questi autori esso viene altresì riferito (senza
chiare distinzioni) ad aspetti morfologici. Come esempio di etimologie assolutamente
stravaganti basti qui citare l’interpretazione del nome dei Goti e dei Cimbri proposta
da Søren Poulsen Judichær (sul quale poco più avanti): “Ma io suppongo che questa
parola Goti [Gother], sia formata dalle due parole danesi Got-her. Poiché quando gli
antichi Goti giungevano in fertili terre straniere, che erano migliori delle loro, in tem-
po di carestia, allora essi dicevano: Qui è buono [Got-her, vale a dire Her er got] [...]
E così gli stranieri diedero loro il nome di Goti [Gother], conformemente a quella loro
stessa espressione di giubilo, e per questo fu messa la lettera (H) nel mezzo della
parola, dunque Gothi. E mi pare che i Latini abbiano formato questa parola Cimbri,
dalla parola danese Kimper o Kemper [Eroi]. Ciò, dal momento che i Cimbri, parago-
nati a quelli che essi sottomisero erano il popolo amante della guerra, eminente,
grande […] ed essi stessi si erano dati nome Kemper (o Kimper nel dialetto dello
Jutland, poiché gli Jutlandesi erano fra loro la maggior parte) [...]” (da Prosodia
danica, Eller danske Riimkunst, 1671; DLO nr. 133)
318
Parallelamente l’ebraico veniva considerato da molti come la lingua madre
di tutte le altre. Come esempio basti citare un’opera del danese Peder Jensen
Wandal (1602-ca.1659) dal titolo Elenco di 300 parole e glosse danesi, che non soltanto
si accordano con la sacra lingua ebraica, ma da essa traggono altresì la propria origine e
il proprio inizio (Catalogus CCC Vocabulorum Danicorum, quæ non tam cognationem
cum sancta Ebræa lingva habent, quam eidem natales suos debere comperiuntur. Det er:
En Fortegnelse Paa 300 Danske Ord oc Gloser, Som icke alleeniste komme offuereens
med det hellige Ebræiske Tungemaal, men end oc haffue deraff deris oprindelse oc
begyndelse, 1651); lo sforzo dell’autore di dimostrare la stretta affinità tra l’ebraico e
il danese conduce – come è facile attendersi – a risultati assolutamente fantasiosi. Vd.
PETERSEN C., Peter J. Wandal, København 1924.
319
L’opera, scritta tra il 1636 e il 1640, non fu pubblicata ed è conservata in un
manoscritto (che pare essere di mano dell’autore): Gml. kgl. sml., 764 fol., custodito
nella Biblioteca reale (Det kongelige bibliotek) di Copenaghen); vd. Rørdam H. Fr.,
“M. Hans Mikkelsen Ravn. Et Bidrag til den danske Literaturhistorie i 17de Aarhun-
drede, in DHT III: 4 (1865-1866), pp. 495-584 (in particolare pp. 501-512).

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Nuovi poteri e nuovi equilibri 599

scriverà di musica320 e di metrica:321 e tuttavia sempre in latino! Più


avanti sarà Søren Poulsen Judichær (noto anche come Gotlænder,
“Gotlandese”, 1599-1668) a comporre – finalmente in lingua dane-
se – un’opera dal titolo Prosodia danese o arte danese della versifi-
cazione (Prosodia danica, Eller danske Riimkunst, 1671)322 in cui
tratta dettagliatamente la materia metrico-poetica: un testo nel
quale l’autore ripetutamente sottolinea l’importanza di salvaguar-
dare la lingua danese, arrivando a scagliarsi con veemenza contro
chiunque non le porti il dovuto rispetto: “Colui che non tiene in
alta considerazione la propria lingua madre, dovrebbe essere cac-
ciato dalla sua patria con [lancio di] uova marce e non dovrebbe
essere considerato degno di chiamarsi danese.” “Poiché tutti noi
per natura, siamo tenuti a questo, che dobbiamo onorare e tenere
in alta considerazione la nostra lingua madre, come altre nazioni
fanno e hanno fatto con la loro.”323 Nella stessa direzione si muove
anche Peder Pedersen Syv (1631-1702), al quale si deve un’opera
che avrà ampia risonanza: Alcune considerazioni sulla lingua cim-
brica (Nogle betenkninger om det Cimbriske Sprog, 1663).324 Egli
dichiara esplicitamente di essere mosso dall’amore per l’idioma
patrio che occorre coltivare scrivendo molti libri e molti traducen-
done dalle altre culture. E così elogia la semplicità di questa lingua
(ricca di parole monosillabiche che si possono facilmente combi-
nare), considera le rune derivate dall’alfabeto ebraico325 e, dunque,
più antiche delle lettere greche e latine, si schiera contro l’eccesso
di termini stranieri molti dei quali suggerisce di sostituire con
equivalenti autenticamente danesi. Senza tralasciare i problemi
dell’ortografia né la poetica cui dedica l’ultima parte del suo lavo-

320
Vd. oltre, p. 628.
321
In questo ambito ispirandosi a Martin Opitz: si veda il Brevissimo compendio
dal manoscritto di Metrica danese (Ex Rhythmologia danica msc. epitome brevissima).
Le opere degli studiosi danesi di metrica sono raccolte in ed. facsimile in DM.
322
In essa, pubblicata postuma, è ripreso e ampliato un lavoro precedente: Sinossi
della prosodia danese (Synopsis Prosodiæ Danicæ). Vd. Rørdam H.Fr., “Søren Povlsen
Judichær Gotlænder”, in Ksam, III (1881-1882), pp.1-93.
323
DLO nr. 134-135.
324
Come si è visto i Danesi avevano individuato i propri nobili antenati nei Cimbri,
ma anche nei Goti, questi ultimi tuttavia rivendicati con forza come propri dagli Sve-
desi. L’uso degli aggettivi “cimbrico” e “gotico” va dunque considerato in questo
contesto. Nell’opera di Peder Syv tuttavia (ma non si tratta di un caso isolato) l’agget-
tivo “cimbrico” è riferito in generale alle lingue nordiche e al tedesco, sebbene poi egli
tratti soprattutto del danese. Su di lui vd. Horn Fr. Winkel, Peder Syv, en litærer-
historisk Studie, København 1878.
325
In ciò seguendo la teoria di Ole Worm, su cui vd. pp. 589-591; cfr. nota 318.

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600 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

ro esaminando i prodotti letterari del passato (Edda,326 poesia


scaldica,327 folkeviser),328 così come la poetica contemporanea. A
Peder Syv si deve anche la prima Grammatica danese (Den Danske
Sprog-Kunst eller Grammatica) scritta in volgare: un’opera uscita
nel 1685 che si proponeva di raggiungere un pubblico più vasto
sia per le ridotte dimensioni sia, appunto, per la scelta della lingua
in cui era redatta. Una Grammatica danese in latino era infatti
uscita nel 1668 (Grammatica danica), opera di Erik Eriksen Pon-
toppidan il Vecchio (den ældre, 1616-1678), testo voluminoso la
cui fruizione restava limitata alle cerchie degli eruditi.329 Parimen-
ti il traduttore di Saxo, Vedel,330 diede un cospicuo apporto alla
valorizzazione della lingua danese, tra l’altro studiandone le affini-
tà con il “gotico” (termine con cui egli indicava il norreno) di cui
raccolse anche un piccolo vocabolario e progettò di scrivere una
grammatica.331
Anche in Svezia non mancarono i ‘patrioti della lingua’. In un
Paese che si era imposto come una “grande potenza”, i sentimenti
nazionalistici furono incoraggiati anche da questo punto di vista:
la consapevolezza e l’orgoglio nei confronti della lingua svedese
ben si deducono, a esempio, da una serie di disposizioni di cancel-
leria che ne impongono l’uso.332 Anche qui la rivalutazione dell’idio-
326
In realtà dell’Edda poetica egli afferma che si tratta di un testo troppo vecchio e
difficile, mentre mostra di conoscere bene l’Edda di Snorri Sturluson che gli era nota
in traduzione danese (vd. Petersen – Andersen 1932-1943 [B.4], I, pp. 884-885);
sulle due ‘Edde’ vd. pp. 287-296.
327
Vd. 5.2.2.
328
Vd. pp. 396-397.
329
In latino è anche l’Introduzione alla lingua danese, in particolare di Sjælland
(Introductio ad lingvam Danicam, puta Selandicam, ca.1660) scritta da Laurids Olufsen
Kock (1634-1691): un testo destinato agli stranieri che volessero apprendere il danese.
Il riferimento al danese di Selandia (la regione della capitale e dell’università) è indice
di una predilezione per altro condivisa da Søren Poulsen Judichær Gotlænder. Su
Pontoppidan vd. Rørdam H.Fr, “Dr. Erik Eriksen Pontoppidan, Biskop i Trondhjems
Stift”, in Ksam, II (1891-1893), pp. 231-262.
330
Vd. p. 579.
331
Su Vedel come filologo vd. Akhøj Nielsen 2004 e Akhøj Nielsen 2005 e anche
della stessa autrice: “Norse Philology Anno 1570”, in RF V (2008) (www.renæssance-
forum.dk) che fa particolare riferimento ai suoi studi sul norreno.
332
Vd. le citazioni in Bergman 19723 (B.5), pp. 124-125; cfr. Hovdhaugen 1987, p.
78. È indubitabile che l’impulso a un rinnovamento letterario veniva proprio dall’ambien-
te della cancelleria, piuttosto che da quello universitario che restava fortemente conser-
vatore (Olsson – Algulin 1987 [B.4], p. 54). Si consideri a esempio che nel 1626
quando fu istituita la cattedra di poetica presso l’Università di Uppsala, il compito asse-
gnato al titolare fu quello di insegnare a comporre versi in latino seguendo i precetti e il
modello dei classici (vd. Annerstedt 1877 [C.7.3], p. 223). Una breve sintesi sulla consi-
derazione della lingua svedese si trova in Ahlqvist 1879 (citato alla nota 337), pp. 259-262.

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Nuovi poteri e nuovi equilibri 601

ma nazionale si intreccia con la teoria e la pratica dell’arte poetica,


come mostra – innanzi tutto – la figura di Georg Stiernhielm (anche
Stjernhielm, 1598-1672), considerato (seppure scrivesse anche in
latino) il “padre della poesia svedese” (“svenska skaldekonstens
fader”).333 Il programma linguistico di questo autore è esposto in
primo luogo in uno scritto del 1643, Il corredo dell’antica lingua
degli Svedesi e dei Goti334 (Gambla Swea- och Götha Måles Fatebur),335
nel quale egli paragona la sua lingua madre a una vecchia signora
che vada doverosamente onorata e non spogliata della sua ricchez-
za espressiva per far spazio a materiale linguistico straniero, ma
piuttosto rivestita dei suoi antichi ornamenti: l’intento è chiaramen-
te quello di riproporre parole autenticamente nordiche (l’autore
non fa distinzione tra antico svedese e antico islandese) con le
quali sostituire i prestiti.336 Del resto Stiernhielm era stato allievo
di Johannes Bureus, il primo vero studioso della lingua svedese,
autore di una grammatica andata purtroppo perduta.337 Contem-
poraneo di Stiernhielm è l’ignoto autore che si cela sotto lo pseu-
donimo di Skogekär Bergbo338 cui si deve il Lamento della lingua

333
La definizione si trova in quella che è considerata la prima storia della letteratu-
ra svedese ‘annotata’ dal poeta romantico Per Daniel Amadeus Atterbom (vd. pp.
923-924): Poeti e visionari svedesi o fondamenti della tradizione storico-letteraria svede-
se fino a e compreso il periodo di Gustavo III (Svenska siare och skalder eller Grund-
dragen af Svenska Vitterhetens Häfder intill och med Gustaf III:s Tidehvarf, III: 2, p. 3).
334
Vd. sopra, nota 324.
335
Il termine svedese fatebur (sved. mod. fat(a)bur), qui tradotto con “corredo”
significa più precisamente “locale in cui vengono conservate le provviste”, o “stanza
per il vestiario”, “guardaroba”, per traslato “materiale di cui si dispone”, come mostra
l’espressione ur egen fat(a)bur “di propria inventiva” o, più banalmente, “farina del
proprio sacco”.
336
In realtà di quest’opera uscì soltanto la parte riguardante la lettera A. Essa cer-
tamente riprende il lavoro preparatorio per un dizionario etimologico dell’antico
svedese che Stiernhielm in realtà non completò mai.
337
Il titolo doveva essere Saggio dell’antica lingua scandinava (Specimen primariæ
linguæ Scanzianæ), nel che si allude forse allo studio di una fase arcaica; il suo lavoro
come grammatico è esaminato approfonditamente in J.Th. Bureus, den svenska gram-
matikens fader, utarbetad af Hj. Lindroth, Lund 1911-1912. In realtà quella di Bureus
non sarebbe stata la prima grammatica svedese. Nella seconda metà del XVI secolo,
infatti, nell’ambito dell’attività controriformatrice portata avanti soprattutto dai gesui-
ti, risulta la redazione di un testo per l’apprendimento della lingua svedese da parte di
coloro che dovevano attuare l’opera missionaria di riconversione (vd. Ahlqvist A.G.,
“Anteckningar om en svensk språklära under 16:de seklet”, in Historiskt bibliotek, VI
[1879], pp. 259-269).
338
Vd. Nordström J., “Till frågan om Skogekär Bergbo”, in Samlaren, XXXVIII
(1917), pp. 165-192 e Chiesa Isnardi G., “Un petrarchista svedese: Skogekär Bergbo”,
in Studi di letteratura italiana in onore di F. Montanari, Genova 1980, pp. 133-134 (dove
si dà conto delle diverse ipotesi sulla sua identificazione).

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svedese, che non viene onorata come si converrebbe (Thet Swenska


Språketz Klagemål, At thet, som sigh borde, icke ährat blifwer, 1658)
in cui essa in prima persona lamenta l’oblio e il disprezzo di cui
viene fatta segno non soltanto dai numerosi stranieri residenti in
Svezia ma anche da coloro che come figli di quella nazione (e qui
non mancano accenti autenticamente ‘goticisti’) dovrebbero amar-
la e sentirla propria.339 E se anche in questo Paese non vengono a
mancare la discussione e i trattati sulla poetica – come quello, per
altro ispirato a lavori stranieri, composto da Andreas Arvidi (1620-
1673) –340 sarà poi l’allievo e amico di Stiernhielm Samuel Colum-
bus (1642-1679) a proporre ancora una volta di riportare lo svede-
se alla sua originaria purezza e forza espressiva, una finalità che lo
induce a indicare come norma superiore quella dell’uso della lingua
viva.341 La sua opera, Una disamina delle parole svedesi, con riferi-
mento a lettere, parole e modi di dire (En Swensk Ordeskötsel,
angående Bokstäfver, Ord och ordesätt, ca.1677-1679) è in gran
parte ispirata alle considerazioni sulla lingua cimbrica di Peder Syv,
al punto da riportarne alcune parti. Seguace come Columbus del
goticista Olof Rudbeck342 è anche Urban Hiärne (1641-1724),
interessato soprattutto ai problemi dell’ortografia.343 Sottolineando
la stretta connessione tra osservazione linguistica e teoria poetica
questi autori non mancarono di mettere in pratica i propri princì-
pi in opere letterarie che si propongono di celebrare le qualità
dell’idioma svedese: basti pensare in primo luogo alla raccolta
delle composizioni poetiche di Stiernhielm che ben assolve il com-
pito imposto dal suo impegnativo titolo Musæ Suethizantes, thet är
Sång-Gudinnor Nu först lärande Dichta och Spela på Swenska (Muse

339
Sul testo vd. lo studio di E. Källquist nell’edizione da lui curata (riferimento in EF).
340
Il testo porta il titolo Introduzione alla poesia svedese. Cioè un breve manuale
sulla poetica svedese, arte del verso e della rima (Manuductio ad poesin svecanam. Thet
är, En kort handledning till thet Svenske Poeterij, Verß- eller Rijm-Konsten, 1651); vd.
Levertin O., “Andreas Arvidi Manuductio”, in Samlaren, XV (1894), pp. 79-96. Come
Hans Mikkelsen Ravn (vd. pp. 598-599) egli si rifà alla poetica di Martin Opitz.
341
Di fronte al problema della molteplicità dei dialetti Columbus suggerisce di
operare una scelta. Secondo lui lo svedese migliore si parla a Stoccolma, in Östergöt-
land e in Småland (vd. Wessén 197510 [B.5], pp. 118-119 dove sono riportate le
parole dell’autore stesso). Vd. su di lui Ekholm R., Samuel Columbus. Bidrag till
kännedomen om hans levnad och författarskap, Uppsala 1924.
342
Vd. pp. 582-584.
343
Cfr. p. 612, p. 614, p. 631, nota 484, p. 643 con nota 526, p. 767 e p. 833. Negli
studi di carattere linguistico Urban Hiärne entrò in aperta polemica con Jesper Swed-
berg (sul quale vd. p. 608 e p. 818, nota 616). Si veda Ohlsson S.Ö., Språkforskaren
Urban Hiärne, Lund 1992.

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Nuovi poteri e nuovi equilibri 603

svedesi, cioè le dèe del canto che ora per la prima volta insegnano a
poetare e a recitare in svedese, 1668) o ai sonetti in stile petrarchista
di Skogekär Bergbo (Wenerid, 1680), preceduti da un testo intro-
duttivo rivolto “Al lettore” (Til Läsaren) nel quale egli esplicita-
mente rivendica il valore dello svedese come idioma poetico.344 A
parte studi che per qualche aspetto possono avere interesse in
questo contesto345 le prime grammatiche svedesi vere e proprie
compaiono verso la fine del XVII secolo.346
In Norvegia, come si è visto, mancavano del tutto i presupposti
sociali e linguistici per un percorso parallelo. E tuttavia occorre qui
segnalare la figura di Jørgen Thomassøn (morto nel 1655), al qua-
le molto probabilmente va attribuito un brevissimo lavoro gram-
maticale che ha per oggetto la lingua norvegese (dunque non il
dano-norvegese!): Piccolo avvio per una grammatica norvegese (En
liden Begyndelse til en norsk Grammaticam).347
In Islanda, come si è constatato in precedenza, l’amore per
l’idioma nazionale era ben radicato e studi di carattere linguistico
risalivano addirittura al XII secolo.348 Nonostante l’ormai consoli-
data dipendenza politica ed economica dalla Danimarca (fattore
che, come si è rilevato, determinò per gli Islandesi un periodo di
gravissima crisi)349 nel Paese ci fu tuttavia chi ebbe la possibilità di
dedicarsi a studi letterari e linguistici (spesso trasferendosi in Dani-
marca): a costoro era ben chiara la necessità di preservare l’antica
344
Vd. Chiesa Isnardi 1980 (indicazioni in nota 338), p. 136 e nota 19.
345
Vd. Hovdhaugen 1987, pp. 77-78.
346
Nel 1682 abbiamo un lavoro breve e incompleto di Gabriel Wallenius (1648-
1690), Progetto per una grammatica svedese messo su carta velocemente e con buone
intenzioni (Project af swensk grammatica hastigt och wälment å papperet gifwit); nel
1684 il Saggio di grammatica svedese (Grammaticae Svecanae Specimen, edito solo nel
1884 da Gustaf Stjernström) di Ericus Aurivillius (1643-1702), nel quale si fanno
alcuni riferimenti (con citazioni) al lavoro di Bureus; poi una Grammatica svedese
(Grammatica svetica, 1696), per altro non pubblicata, scritta da Johan Salberg (al cui
proposito si rimanda ad Andersson A., Om Johan Salbergs Grammatica svetica. Ett
bidrag till kännedom om 1600-talets svenska, Uppsala 1884, opera di cui tuttavia è
uscito solo il primo volume); poi ancora la Grammatica svedese, ossia l’arte del parlare
e dello scrivere in svedese (Grammatica suecana, Äller En Svensk Språk- Ock Skrif-Konst,
1696) di Nils Tiällmann (1652-1718). Nella categoria delle ‘grammatiche’ svedesi
rientra anche uno scritto di Jacob Boëthius (1647-1718), Dissertazione di alcuni para-
grafi riguardanti la pratica della lingua svedese (Dissertatio de nonnullis ad cultum sve-
tici sermonis pertinentibus paragraphis, 1684).
347
Si tratta in realtà solo di pochissime pagine che trattano della pronuncia e dei
verbi forti. Il suo interesse per la lingua madre è riflesso anche in una piccola raccolta
di proverbi della regione di Vest Agder dal titolo Qualche proverbio norvegese (Nogle
faa Norske Ordsprog, 1625 circa).
348
Hovdhaugen 1987, pp. 74-75; vd. p. 429 con note 380-381.
349
Vd. pp. 551-552.

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e nobile lingua patria, giustamente considerata la più conservativa


tra quelle nordiche. Così, a esempio, il celebre erudito Arngrímur
Jónsson pare ben consapevole dell’esigenza di salvaguardarne la
purezza.350 In questo contesto va ricordata la figura di Runólfur
Jónsson (Runolphus Jonas, 1620-1654), autore di un’opera dal titolo
Nuovissima descrizione dell’antichissima lingua settentrionale nella
sua origine, cioè rudimenti di grammatica islandese (Recentissima
Antiqvissimæ Linguæ Septentrionalis Incunabula Id est Grammaticæ
Islandicæ Rudimenta, 1651), destinata a rimanere a lungo (pur con i
suoi molti limiti) l’unica grammatica islandese disponibile.351 Questo
autore, che pubblicò anche un saggio sulle lingue nordiche,352 aveva
tra l’altro avuto l’incarico di realizzare un dizionario latino-islandese,
progetto che non fu realizzato a causa della sua prematura morte.
Con le grammatiche cominciavano infatti a essere compilati anche
i dizionari: il primo (latino-danese) fu il Vocabolario a uso dei Dane-
si (Vocabularium ad usum Dacorum) uscito fin dal 1510 a opera di
Christiern Pedersen e più volte ristampato;353 altri (sempre in rife-
rimento alla lingua latina) seguirono fino al Dizionario di Herlufsholm
(Dictionarium Herlovianum, 1626),354 il primo vocabolario danese-
latino, compilato più di un secolo dopo da Poul Hensen Colding
(1581-1640).355 Fin dal 1538 compare in Svezia l’anonimo lessico
dal titolo Vocaboli [riferiti] a diverse cose con interpretazione svede-
se (Variarum rerum vocabula cum Sueca interpretatione), un testo

350
 Vd. Benediktsson J., “Arngrímur lærði og íslenzk málhreinsun”, in Böðvarsson
Á. – Halldórsson H. et al. (ritnefnd), Afmæliskveðja til próf. dr. phil. Alexanders
Jóhannessonar háskólarektors, 15. júli 1953 frá samstarfsmönnum og nemendum,
Reykjavík 1953, pp. 117-138; si veda il testo che segue questo paragrafo. Cfr. pp. 594-595.
351
 Solo nel 1811 sarebbe infatti uscito il testo del celebre filologo danese Rasmus
Rask Guida all’islandese o antica lingua nordica (vd. p. 823 con note 648 e 649).
352
 Gli elementi delle lingue settentrionali basati su tre affermazioni (Lingvæ Septen-
trionalis Elementa Tribus Assertionibus Adstructa, 1651). Egli sosteneva tra l’altro che
il norreno era la lingua portata da Odino nel Nord quando questi (secondo il raccon-
to di Snorri Sturluson, Ynglinga saga, cap. 5) vi si era trasferito provenendo dall’Asia
(p. 3 del testo, per altro non numerata).
353
 Cfr. pp. 496-497, p. 517, pp. 578-579 e p. 636, nota 499. La stesura di un dizio-
nario latino-danese era stata progettata anche da Jacob Madsen Aarhus (1538-1637),
un autore che in precedenza si era interessato (con ragguardevole scientificità) di
fonetica. I testi preparatori per quest’opera, che la morte prematura gli impedì
di portare a termine, sono purtroppo andati perduti, insieme ad altri suoi scritti,
nell’incendio di Copenaghen del 1728 (cfr. p. 685, nota 32).
354
 Il nome fa riferimento alla scuola di Herlufshom (vd. p. 574), presso la quale
Poul Jensen Colding prestò la sua opera tra il 1622 e il 1631; egli dichiara esplicita-
mente di aver chiamato il proprio dizionario “herloviano” per questo motivo.
355
 Per altri dizionari danesi vd. Skautrup 1944-1968 (B.5), II, p. 148 e Adams –
Zeeberg 2010 (C.8.2).

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Nuovi poteri e nuovi equilibri 605

strutturato tematicamente che riscosse un buon successo, come


dimostrano le diverse ristampe.356 Del 1637 è il Lessico latino-scan-
dinavo (Lexicon Latino-scondicum) con voci in svedese, finnico,
tedesco e latino, compilato da Ericus Johannis Schroderus (ca.1608-
1639).357 Va da sé che opere di questo tipo erano legate in primo
luogo agli studi classici. Ma, come si è accennato, si compilarono
anche liste di parole delle quali si ricercavano fantasiose etimologie
(non di rado riportate alla lingua ebraica),358 finché infine si avvertì
la necessità (innegabilmente collegata a motivazioni puriste) di
redigere dizionari monolingua, come quello progettato (ma mai
completato) da Peder Syv, e soprattutto quello – davvero imponen-
te – di Matthias Moth (ca.1647-1719), primo segretario della can-
celleria reale danese, che fin dal 1680 cominciò a lavorare a un
dizionario per il quale ebbe l’aiuto di molti eruditi dell’epoca (non
da ultimi Syv stesso e Laurids Kock).359 Tra il 1680 e il 1719 egli
raccolse in ben sessanta volumi manoscritti una grande quantità di
parole, comprese quelle in uso in Norvegia.360 Un vero e proprio
glossario, che nel titolo e nell’introduzione fa esplicito riferimento
alla specificità della lingua norvegese in diversi ambiti, venne inve-
ce compilato da Christen Jensøn (date di nascita e morte ignote) e
dato alle stampe nel 1646: Il dizionario o glossario norvegese, nel
quale sono contenute molte glosse norvegesi ed espressioni quotidiane,
i nomi di diversi strumenti, uccelli e pesci così come di animali, che si
trovano e hanno nome in Norvegia. E così gli orologi dei contadini e
l’almanacco che è detto calendario runico.361
356
Vd. Johansson 2000 (citato alla nota successiva) pp. 50-53. Cfr. sotto, nota 365.
357
Da non confondere con l’omonimo traduttore dell’opera di Johannes Magnus (cfr.
p. 536 con nota 29). Il titolo completo è Lessico latino-scandinavo quadrilingue nel quale
metodicamente vengono inserite quattro lingue (Lexicon latino-scondicum quadrilingue,
quo quattuor linguæ methodice inculcantur). Per i primi dizionari svedesi vd. anche
Wieselgren P., Sveriges sköna litteratur, en öfverblick vid akademiska föreläsningar, III:
Statens sköna litteratur, Lund 1835, pp. 365-366; al riguardo si rimanda inoltre a
Ralph B., “Svensk lexikografitradition”, in LN VII (2000), pp. 5-23 e Johansson M.,
“Ordbildningsmönster och ordrepresentation i svenska ordböcker från 1500- och
1600-talen”, ibidem, pp. 49-60. Il primo vero lavoro relativo al lessico svedese sarà nel 1712 il
Glossario sveogotico (Glossarium-Sveo-Gothicum) curato da Haqvin Spegel (su cui vd. p. 608).
358
Vd. nota 318.
359
Vd. nota 329. Il lavoro preparatorio da lui fatto per un dizionario danese-latino
andò infatti piuttosto a vantaggio dell’opera di Moth.
360
Tra coloro che dalla Norvegia inviarono a Moth raccolte di parole si segnalano
Jonas Ramus (vd. p. 584) e Jacob Rasch (cfr. p. 523, nota 217). I manoscritti di Matthias
Moth contenenti il risultato dell’immensa mole di lavoro svolto sono conservati presso
la Biblioteca reale (Det kongelige bibliotek) di Copenaghen (Gml. kgl. saml. 774, 2do).
361
Den Norske Dictionarium eller Glosebog, udi huilcken indeholdis mange norske
Gloser oc daglige Tale, atskillige Redskaber, Fuglis oc Fiskes, saa oc Diurs Naffne, som i

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Per quanto riguarda l’islandese abbiamo il Saggio di lessico runi-


co (Specimen Lexici runici) uscito nel 1650 per iniziativa di Ole
Worm: questo lavoro era stato iniziato da Magnús Ólafsson di
Laufás362 e portato a termine, dopo la di lui morte, da Jón Magnús-
son (ca.1601-1675); in realtà si tratta, più che di un dizionario, di
una raccolta di particolari espressioni in prosa e in versi accompa-
gnate da una spiegazione; esso è tuttavia considerato il primo dizio-
nario islandese a essere dato alle stampe. Il progetto di un diziona-
rio affidato a Runólfur Jónsson non poté, come è stato detto,
essere portato a termine.363 Il primo vero dizionario islandese fu
dunque compilato (su sollecitazione di Ole Worm) da Guðmundur
Andrésson: tuttavia, a causa della morte dell’autore e del suo patro-
no (entrambi colpiti dalla peste), esso fu pubblicato solo nel 1683
per iniziativa di Peder Hansen Resen364 (Lexicon Islandicum), dive-
nendo un punto di riferimento fondamentale per lo studio di
quella lingua.
Anche in Finlandia si constata un ‘rinascimento linguistico’
legato non soltanto alla rivalutazione della lingua volgare conse-
guente all’introduzione della riforma, ma anche al manifestarsi di
un interesse per la tradizione culturale-letteraria indigena che non
mancherà di dare i propri frutti. E ciò anche se la lingua delle
classi dominanti restava piuttosto lo svedese. Nel 1649 veniva
pubblicata la prima Breve introduzione alla lingua finnica (Linguae
Finnicae brevis institutio) redatta da Eskil (Eskillus) Petraeus (1593-
1657), mentre del 1678 è la Brevissima nomenclatura delle cose
latino-svedese-finnica (Nomenclatura rerum brevissima, latino-sveco-
finnonica) di Ericus Matthiæ Florinus che avrebbe conosciuto
diverse ristampe.365 La soggezione politica dalla Svezia si riflette

Norge findis oc kaldis. Item Bondens Seyerserck oc Allmanach som kaldis Primstafven.
Vd. Giil H.S., Ein grafofonematisk studie av Christen Jensøns “Den Norske Dictionarium
eller Glosebog”, med ei utgreiing om mannen og verket hans, Bergen 1970. Per la verità
fin dal 1634 Jens Bielke (vd. p. 759) aveva inserito in un’opera sulle leggi un elenco di
termini giuridici norvegesi corredato di spiegazione (Termini Juridici, utgjevne for
Kjeldeskriftfondet ved S. Kolsrud, Oslo 1952; vd. Skard 1972-1979 [B.5], II, p. 67-68).
362
Cfr. nota 262.
363
Come pure quello di Guðmundur Ólafsson; vd. p. 604 e nota 291.
364
Cfr. p. 587.
365
Cfr. p. 515, nota 179. Va segnalato che nel 1644 comparve la prima di tre edi-
zioni del sopra menzionato dizionario Variarum rerum vocabula con traduzione in
finnico (vd. Johansson 2000, citato alla nota 357). Per una informazione più dettaglia-
ta sui primi dizionari di lingua finnica si rimanda a Romppanen B., “Från ordlista till
ordbok. Utvecklingen av den finsk-svenska ordboken från 1600-talet till idag”, in LN
VII (2000), pp. 102-104 e, della stessa autrice: “Från målspråk till källspråk. Utveck-
lingen av den finsk-svenska och den enspråkiga finska ordboken”, Vaasa 2001.

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qui (riprendendo il modello del dizionario di Ericus Johannis


Schroderus sopra citato) nella scelta di considerare il lessico finni-
co comunque legato a quello del dominatore svedese.366
Tutti questi lavori, seppure contengano inesattezze ed errori e si
richiamino in molti casi a presupposti tutt’altro che scientifici che
lasciano spazio a interpretazioni scorrette e talora strampalate,
dimostrano tuttavia il pieno inserimento dei linguisti nordici nel
clima culturale europeo dell’epoca e la vasta erudizione acquisita
in anni di studi in patria e all’estero. A loro risultano ben note le
opere di autori antichi, come Quintiliano (ca.30/40-96 d.C.), Dona-
to (ca.350 d.C.) o Prisciano (ca.500 d.C.), ma anche studi di lingui-
stica e retorica recenti o contemporanei come quelli dei tedeschi
Melantone, Laurentius Albertus Ostofrancus (nato nel 1540 circa,
morto dopo il 1583), Albert Oelinger (nato prima del 1568, data
di morte ignota), Johannes Clajus (1535-1592), Georg Philipp
Harsdörfer (1607-1658), dell’olandese Gerardus Joannis Vossius
(Gerrit Janszoon Vos, 1577-1649), del francese Joachim Du Bellay
(1522-1560), solo per fare qualche nome.367

Sebbene per il suo scritto più celebre, Terra del ghiaccio (Crymogæa,
1609) avesse scelto di utilizzare quella lingua latina che ne avrebbe garan-
tito la diffusione fra gli eruditi, Arngrímur Jónsson era ben consapevole
dell’importanza della salvaguardia del nobile idioma islandese:

“Del resto questa lingua una volta era detta danese o norreno368 e ho
detto che solo gli Islandesi la usavano inalterata, se si esclude la prima con-
sueta e inevitabile causa di tutti i cambiamenti delle lingue […] che consiste
nello scorrere del tempo, dal momento che non solo le lingue ma anche
tutte le [altre] cose mutano e tutto [ciò che appartiene alla] natura decade
[...] Perciò non si dovrà negare che ciò possa essere avvenuto sotto qualche
aspetto anche per la nostra lingua, tuttavia non così in profondità o in un
tempo così breve. Per preservare la cui purezza noi possiamo basarci in
particolare su due elementi: da una parte i manoscritti che conservano l’an-
tica purezza della lingua e il [suo] mirabile stile, dall’altra i limitati contat-
ti con gli stranieri. Ma io vorrei che i miei compatrioti in questo tempo ne
aggiungessero un terzo: vale a dire che essi non scimmiottassero i Danesi
366
Del resto l’idea che la Finlandia appartenesse senz’altro alla Svezia e dunque ne
condividesse, almeno in parte, il glorioso passato ‘gotico’ si ritrova nell’opera di Petrus Bång,
professore di teologia a Åbo (cfr. nota 254).
367
È certamente per fare sfoggio della propria erudizione che Erik Pontoppidan
(vd. p. 600) nella prefazione alla sua opera (pp. 12-13) cita più di cento grammatici!
368
Vd. pp. 157-158.

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e i Tedeschi nel parlare e nello scrivere, piuttosto cercassero i loro modelli


nella ricchezza e nell’eleganza della loro lingua madre, che ne possiede a
sufficienza, e a ciò aggiungessero intelligenza e studio; allora diminuirebbe in
futuro il pericolo di cambiamenti [della lingua], altrimenti in caso contrario
non ci sarebbe bisogno dei contatti con gli stranieri per deteriorarla.”369

9.2.3. La produzione letteraria

Si è visto in precedenza come l’introduzione della riforma pro-


testante avesse prodotto sulla cultura dei Paesi nordici effetti pro-
fondi e destinati a protrarsi nel tempo. Dal punto di vista più
strettamente letterario l’efficacia di questa vera e propria ‘rivolu-
zione’ si misura innanzi tutto nella fioritura delle opere di ispira-
zione religiosa, in particolare della poesia salmista, la quale pur
sorta (naturalmente su modello tedesco) dall’esigenza di diffonde-
re i contenuti e le forme della nuova dottrina, verrà via via affer-
mandosi (nonostante il forte dogmatismo della Chiesa) come auten-
tica e praticata norma di espressione lirica nella quale tutti i Paesi
scandinavi possono vantare autori di prestigio. In Danimarca basti
citare il vescovo Thomas Kingo (1634-1703) al cui nome resta
legato il Libro dei salmi (noto come Kingos Salmebog) che nel 1699
sostituì ufficialmente la vecchia raccolta di Hans Thomesen.370 In
Svezia, dove la tradizione salmista risaliva forse allo stesso Olaus
Petri,371 vanno ricordati Haqvin Spegel (1645-1714) e Jesper Swed-
berg (1653-1735), rappresentanti eccellenti della letteratura reli-
giosa del “periodo della grande potenza”.372 Nel 1695, per volontà
del sovrano Carlo XI, veniva pubblicato il Libro dei salmi svedese
(Then swenska psalmboken) che raccoglieva componimenti e tra-

369
Da Crymogæa (DLO nr. 136).
370
Vd. p. 517, nota 189. In realtà Thomas Kingo aveva fin dal 1689 dato alle stam-
pe un Libro dei salmi ufficiale della Chiesa danese e norvegese – Sezione invernale (vale
a dire inni per il periodo che va dall’Avvento al periodo della Pasqua). Questo testo
(Danmarks og Norges Kirkers forordnede Psalme-bog – Vinter part) fu tuttavia quasi
immediatamente cassato. In seguito a una lunga e complicata questione egli dunque
non partecipò alla redazione del nuovo testo uscito poi nel 1699, un lavoro nel quale
furono comunque inseriti diversi salmi originali da lui composti e comparsi in raccol-
te precedenti. Vd. Svendsen E. Norman, “Kingos Salmebog. En studie over dens
forhistorie”, in KSam VI: 2 (1966), pp. 343-375.
371
Seppure non di sua mano l’anonima raccolta Swenske songer eller wisor (vd. p.
521) fu probabilmente realizzata anche con il suo contributo.
372
Su di loro gli scritti di Helander J., Haquin Spegel. Hans lif och gerning intill år
1693, in UUÅ 1900 e Tottie H.W., Jesper Swedbergs lif och verksamhet, I-II, Uppsala
1885-1886.

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Nuovi poteri e nuovi equilibri 609

duzioni di diversi autori. In Norvegia meritano una citazione Peder


Oluffssøn Svegning (morto nel 1671) che vedrà alcune delle sue
composizioni accolte nel Libro dei salmi danese del 1699 e, soprat-
tutto, Petter Dass,373 seppure i suoi componimenti religiosi non
appartengano del tutto, a rigore, a questo genere. In Islanda, dove
questa tradizione era stata inaugurata con le traduzioni promosse
dal vescovo Guðbrandur Þorláksson, fu presto attiva una schiera
di poeti salmisti, tra i quali i più noti sono certamente Gísli Jóns-
son374 (1515-1587), Einar Sigurðsson (1538-1626), Bjarni Jónsson
(ca.1560-ca.1640) e, soprattutto, Hallgrímur Pétursson (1614-1674),
figura di grande notorietà e prestigio alla quale la tradizione popo-
lare non mancò di attribuire anche conoscenze di carattere magico.375
I suoi Salmi della Passione (Passíusálmar, 1666) sono certamente
una delle migliori opere dell’intera letteratura islandese. Un Libro
dei salmi in lingua finnica (Vanha virsikirja, letteralmente Antico
libro dei salmi) fu pubblicato nel 1701.
Ma l’esercizio poetico non si limitò, naturalmente, a questo
ambito e molti poeti salmisti si dedicarono anche a composizioni
di ispirazione profana (si veda l’esempio eccellente di Thomas
Kingo). Del resto la poesia non poteva non accogliere, accanto
all’aspetto religioso, spesso grave e solenne (ma anche intenso e
sofferto), quello mondano nelle sue diverse espressioni. Conoscia-
mo dunque altri e svariati temi: dalla poesia sulla natura a quella
pastorale, dalla composizione d’occasione (tramite la quale gli
autori aspirano a riconoscimenti sul piano sociale)376 a quella sati-
rica (anche di satira politica), dalla poesia in latino377 a rielabora-
zioni (talvolta vere e proprie traduzioni), dal componimento epico
a quello patriottico, dalla poesia moraleggiante agli aforismi, dall’ele-

373
Vd. p. 594.
374
Cfr. p. 486, nota 83. Cfr. anche p. 511.
375
Come chiaramente testimoniano i racconti popolari islandesi. Vd. Íslenzkar
þjóðsögur og ævintýri, III, pp. 471-472 (cfr. I, p. 458, II, p. 496, III, p. 576, V, pp. 353-
354 e pp. 466-467). In questi testi si allude esplicitamente al fatto che, prima di diven-
tare uomo di Chiesa (Hallgrímur fu consacrato sacerdote nel 1644), egli fosse dedito
a pratiche magiche. A ciò si lega forse anche la sua complicata storia d’amore con una
donna che faceva parte del gruppo di coloro che erano stati riscattati dalla schiavitù nel
Nordafrica (vd. pp. 552-553). Su di lui, tra l’altro, “Hallgrímur Pétursson, sálmaskáld”,
in BR, pp. 25-28.
376
In questo contesto vale forse la pena di citare Gunno Eurelius Dahlstierna (1669-
1709) autore del panegirico in memoria del re Carlo XI (1698) che in uno stile baroc-
co quasi esasperato inquadra la figura del re sullo sfondo della grandezza del Paese.
Su di lui vd. Lamm M., Gunno Dahlstierna. Minnesteckning, Stockholm 1946.
377
In questo ambito merita una citazione almeno il danese Rasmus Glad (latinizza-
to in Erasmus Laetus, 1526-1582).

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610 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

gia all’epigramma, dai versi d’amore a quelli di tono personale. E


tuttavia, nella pur nutrita schiera degli autori (che non di rado
attingono a diversi spunti ispiratori) è difficile distinguere voci di
autentico pregio letterario. Quasi che il pieno coinvolgimento dei
più in un ambiente dinamico e legato a molteplici interessi
dei quali essi in prima persona sono portatori (il che è tra l’altro
testimoniato dalla fitta rete di contatti con il mondo culturale euro-
peo di cui anche i nordici fanno ormai parte a pieno titolo)378 con-
dizioni – per certi versi paradossalmente – lo sforzo letterario che
nella maggior parte dei casi resta confinato nei limiti dello sfoggio
di una notevole quanto eclettica erudizione, pur avvalendosi di una
apprezzabile sensibilità linguistica. Né, del resto, salvo un paio di
eccezioni, incontriamo grandi poeti al di fuori di questo ambito.
Rimandando senz’altro ai numerosi e ben documentati testi
storico-letterari, si citeranno qui comunque alcuni nomi di un
certo rilievo. In primo luogo il danese Anders Christensen Arrebo
(1587-1637), discusso vescovo di Trondheim successivamente
deposto, il cui scritto più celebre è il poema didattico Hexaemeron
nel quale (rompendo con la tradizione versificatoria medievale) si
corrisponde all’esigenza di un ἔπος di ispirazione cristiana, com-
posto tuttavia sull’esempio dei classici. Il tema, la creazione, non è
originale e si rifà al modello francese di Guillaume de Salluste du
Bartas (1544-1590), al tempo assai ammirato per la sua opera dal
titolo La settimana, o Creazione del Mondo (La Sepmaine, ou Créa-
tion du Monde, 1578), che si fonda palesemente sul racconto bibli-
co relativo.379 In Svezia il nome di maggior spicco è certamente
quello di Georg Stiernhielm,380 studioso appassionato della propria
lingua (che in pieno spirito goticista riteneva fosse la più antica
della Terra)381 e del passato della patria,382 umanista e filosofo,
378
Il che è dimostrato chiaramente anche nella loro padronanza (talora davvero
sorprendente) di diverse lingue straniere: oltre al latino (cui in molti casi si affiancava
lo studio del greco e dell’ebraico) è frequente la conoscenza del tedesco, del francese,
dell’italiano, dell’inglese. Solo per fare un esempio: Lasse Lucidor (di cui si dirà poco
più avanti) che conosceva ben sette lingue ne fece anche mostra nei suoi componimen-
ti poetici.
379
Genesi, 1-2, 1-4. Vd. Rørdam H.Fr., Mester Anders Christensen Arrebos Levnet
og Skrifter, I-II, Kjøbenhavn 1857. In Svezia essa ispirerà invece Haqvin Spegel per la
sua Opera e riposo di Dio (Gudz Werk och Hwila) del 1685.
380
Egli in realtà si chiamava Georg Olofsson (successivamente Georg Lilia o Lillie)
ma assunse il cognome Stiernhielm insieme al titolo nobiliare.
381
Cfr. pp. 600-601.
382
In particolare egli si era assai interessato ai mitici Iperborei, cercando di dimostrar-
ne il collegamento con la Svezia. I suoi scritti in proposito furono pubblicati postumi
(1685) con il titolo Breve trattato sugli Iperborei (De hyperboreis dissertatio brevis).

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Nuovi poteri e nuovi equilibri 611

autore tra l’altro di versi in onore della regina Cristina e di testi


per i balletti di corte, il quale nel poema in esametri Ercole (Her-
cules, la cui prima versione parrebbe risalire al 1643 sebbene esso
fosse pubblicato solo nel 1650) ricorda alla giovane nobiltà sve-
dese, galvanizzata dalle vittorie sui campi di battaglia e allettata
da una vita di lussi e divertimenti, la favola di Ercole al bivio fra
Piacere e Virtù (un tema ricorrente nell’educazione dei rampolli
di nobile e regale famiglia):383 l’intenzione è quella di spronarli a
indirizzare le loro migliori energie al servizio della patria ma,
contemporaneamente, di mettere in mostra le grandi risorse
espressive della lingua svedese. Siamo in pieno tardo rinascimen-
to, il processo riformatore è ormai concluso e il nuovo ordina-
mento statale e religioso (che ha imposto una soffocante ortodos-
sia) stabilmente assestato. La letteratura attinge, in buona parte,
a modelli stranieri. Nondimeno riescono a farsi spazio nel mondo
letterario anche espressioni poetiche originali come quelle dei
due ‘scapigliati’ svedesi384 Lars Wivallius (1605-1669)385 e Lasse
Lucidor (1638-1674),386 entrambi protagonisti di vicende avven-
turose e travagliate. Il primo, assai efficace soprattutto nei versi
in cui prende ispirazione dalla natura, mostra di voler corrispon-
dere poeticamente anche alle esigenze della politica; il secondo,
ormai autentico rappresentante della poesia barocca, risulta
capace di trasmettere l’intensità della vita vera a versi d’occasio-
ne che solo nominalmente restano tali. In Norvegia l’autore di
miglior levatura è il già citato Petter Dass, ma in questo contesto
va ricordata anche Dorthe (Dorothe) Engelbretsdatter (1634-
1716), che si autodefinisce orgogliosamente “la prima poetessa”
(den første Skialderinde) del Paese di Sua maestà Cristiano V;387
un giudizio, per altro, confermato dall’autorevolissimo Ludvig Hol-

383
Si trattava del celebre scritto del sofista Prodico (Πrόδικος) di Ceo (V secolo
a.C.) dal titolo, di significato incerto, Ὧραι (il riferimento è forse alla giovinezza o alle
stagioni della vita). L’opera, andata perduta, è riassunta da Senofonte.
384
Riprendo qui l’espressione, che mi pare particolarmente efficace, di M. Gabrie-
li (Gabrieli 1969 [B.4], p. 133).
385
Il suo vero nome era Lars Svensson di Wivalla (località presso Örebro), latiniz-
zato in Laurentius Svenonis Wivallius. Vd. Schück H., En äfventyrare. Värklighetsroman
från det trettioåriga krigets tid, Stockholm 1918 e Bergh B., Lars Wivallius. Skojare och
skald, Lund 2005.
386
Lasse Lucidor è, in realtà, lo pseudonimo di Lars Johansson. Vd. Schück H.,
“Till Lucidors biografi”, in Samlaren XII (1931), pp. 1-4 e Olin L., Om Lars Johansson
Lucidor, hans levnad och andliga diktning, Trelleborg 1974.
387
Dorothe Engelbretsdatter, Samlede skrifter, utgitt av Kr. Valkner, med
etterord av L. Akslen og I. Vederhus, Oslo 1999, p. 416.

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612 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

berg.388 Gratificata da un grande consenso ella ha lasciato soprat-


tutto poesie di ispirazione religiosa. In Islanda la composizione di
carattere profano è assai ben testimoniata e appare, in taluni casi,
preminente. Fin dalla seconda metà del XVI secolo si conosce qui
una schiera di poeti di un certo valore, tra cui va menzionato Stefán
Ólafsson (1619-1668)389 autore molto popolare che sa ben rispec-
chiare nei propri versi l’ambiente islandese e cogliere un nuovo
senso della natura; tra gli altri merita forse una segnalazione la
poetessa Steinunn Finnsdóttir (1640 o 1641-ca.1710), certo non
celebrata come Dorothe Engelbretsdatter, e tuttavia come lei ben
determinata (seppure lo dichiari con garbo) a far sentire la propria
voce di donna.390
Più ancora della poesia la prosa risente in misura massiccia del-
le istanze politiche e culturali del secolo. Sicché, fatta salva una
nutrita produzione di opere di ispirazione religiosa (libri di devo-
zione, postille, catechismi, prediche, letteratura edificante, testi di
teologia)391 che continueranno ad apparire per lungo tempo dopo
la riforma, essa consiste in gran parte piuttosto di scritti e saggi in
diversa misura scientifici: storici, archeologici, etno-geografici,
linguistici e filologici, o giuridici, matematici, astronomici, medici,
chimici, geologici, botanici. Poco spazio resta dunque a una prosa
autenticamente letteraria. Il genere del romanzo, che pure prende
l’avvio in questo periodo, è ancora poco diffuso e i risultati restano
modesti. Una citazione merita tuttavia Stratonice di Urban Hiärne,392
romanzo pastorale (di ispirazione autobiografica) del 1665.393 Una
prosa più ‘viva’ è piuttosto da ricercare nelle raccolte di aneddoti,
388
Ludvig Holberg (su cui vd. pp. 789-792 e pp. 830-831) fa riferimento a lei (sua
concittadina) nella Descrizione di Bergen (Bergens Beskrivelse), definendola “[…] la
più grande poetessa che i Regni nordici abbiano [mai] avuto […]” (in LHV I [1969],
p. 23: “[…] den største Poetinde, som de nordiske Riger have haft […]” Cfr. anche nota
301. Contemporanee di Dorthe Engelbretsdatter sono Elisabeth Pedersdatter Hebo
(1634-1703) e Inger Jensdatter Sønberg (date ignote), poetesse danesi che come lei si
dedicano a componimenti di carattere religioso.
389
Cfr. sopra p. 587.
390
Vd. “Steinunn í Höfn”, in SKFA II, pp. 23-36.
391
In questi testi si può seguire il dibattito (non di rado segnato da toni polemici)
portato avanti dai diversi teologi (cfr. p. 497 con nota 117), ma anche l’intransigente
sistematizzazione dell’ortodossia: basti pensare ai danesi Hans Poulsen Resen, Jesper
Brochmand (1585-1652) e Holger Rosenkrantz (cfr. p. 570); particolare ostilità fu
riservata al movimento criptocalvinista, che sulla scorta delle idee di Melantone cer-
cava un punto di incontro tra luterani e calvinisti.
392
Cfr. p. 602, p. 614, p. 631, nota 484, p. 643 con nota 526, p. 767 e p. 833.
393
Insieme a Hiärne va ricordato, seppure assai meno noto, Olof Broman (1676-
1750), anch’egli considerato iniziatore del romanzo svedese (su di lui Barr K., “Olof
Broman. Vår förste romanförfattare”, in Samlaren, XVIII [1897] pp. 1-90).

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Nuovi poteri e nuovi equilibri 613

nelle lettere, nei diari, nei resoconti di viaggio394 e nelle autobiogra-


fie tra le quali si segnala per intensità espressiva la Memoria delle
afflizioni (Jammers Minde) di Leonora Cristina (Leonora Christine,
1621-1698), figlia di Cristiano IV di Danimarca, che per ventidue
anni (dal 1663 al 1685) visse in prigionia, rinchiusa nella Torre blu
(Blåtårn) di Copenaghen.395
Il teatro viene gradatamente allontanandosi dal dramma scola-
stico396 per accogliere ora nuovi modelli stranieri:397 l’opera italiana,
il dramma di ispirazione mitologica, la tragedia e la commedia di
origine francese; in questo contesto anche il balletto e le masche-
rate vengono acquisendo importanza. Le rappresentazioni sono
volentieri ospitate a corte, spesso gli spettacoli sono realizzati da
compagnie di attori girovaghi che giungono dall’estero, ma insigni
rappresentanti della nobiltà (quando non della famiglia reale) non
disdegnano talora di cimentarsi sulla scena.398 In questo ambiente,

394
Tra cui mi pare meriti qui una citazione il Libro di viaggio (Reisubók) dell’islan-
dese Jón Ólafsson (1593-1679) che tra il 1615 e il 1626 andò per mare visitando
regioni lontane come le isole Svalbard, e circumnavigò l’Africa fino a raggiungere la
base danese di Trankebar in India (su cui vd. oltre, p. 650). Per questa ragione egli è
noto con il soprannome di “Viaggiatore in India” (Indíafari).
395
Ella era sposata con Corfitz Ulfeldt (1606-1664; cfr. nota 66), personaggio noto
per l’avidità di denaro, la smisurata ambizione e la mancanza di scrupoli. Dopo la
morte di Cristiano IV costui aveva per alcuni anni guidato il Consiglio del Regno. Ma
la sua carriera, segnata da intrighi e macchinazioni, si concluse quando tramò per
insediare sul trono di Danimarca Federico Guglielmo (Friedrich Wilhelm, 1620-1688),
grande elettore del Brandeburgo. Quando il complotto fu scoperto egli venne accusa-
to di tradimento: privato dei suoi titoli e delle sue proprietà fu condannato a morte.
Fuggendo all’estero riuscì tuttavia a evitare di essere giustiziato. La moglie invece,
accusata di averlo sostenuto, dovette affrontare la lunga prigionia. Certamente nella
sua vicenda ebbero molto peso i pessimi rapporti con il nuovo re, Federico III e,
soprattutto, con la regina Sofia Amalia (Sophie Amalie, 1628-1685). In effetti Leonora
Cristina venne liberata dalla sua prigionia solo dopo la morte di quest’ultima. L’opera
scritta come memoriale per i figli è stata data alle stampe per la prima volta nel 1869
da Sophus Birket Smith. Su di lei vd. Birket Smith S., Leonora Christina Grevinde
Ulfeldts Historie, I-II, Kjøbenhavn 1879-1881 e anche Bjørn H. – Mai A-M. et al.,
Leonora Christina. Historien om en heltinde, Århus 1983.
396
Vd. sopra, pp. 498-499.
397
Il che tra l’altro spiega, in ambiente danese, il successo del tedesco Hans Wil-
lumsen Lauremberg (1590-1658). Nato a Rostock, egli trascorse gran parte della vita
in Danimarca, dove morì. Fu docente all’Accademia di Sorø e autore di opere teatra-
li, di un arguto scritto satirico in latino (nel quale prende di mira l’immoralità e i vizi
del suo tempo non risparmiando pungenti stoccate alla nobiltà) e poesie in basso-
tedesco.
398
Come fu il caso in Svezia di Gustavo II Adolfo (cfr. nota 232) ma anche di Car-
lo XI, il quale nel 1672 prese parte a un torneo in cui alla guida di soldati romani e
‘goti’ combatteva contro i Turchi, a simboleggiare la lotta dell’Europa contro i ‘bar-
bari’.

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614 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

dove la vita è vita scandita da momenti conviviali e battute di


caccia, concerti, mascherate, balletti e rappresentazioni di vario
genere va in scena uno sfarzo che non soltanto dà origine al mal-
contento degli esclusi, ma determina altresì la differenziazione fra
un ‘teatro di élite’ per la corte e la nobiltà e uno ‘borghese’ e
‘popolare’: sarà per altro quest’ultimo a produrre i frutti migliori.
In Danimarca piuttosto che la Rappresentazione per la festa per il
compleanno di Cristiano V nel 1683 (Festspil ved Chr. V’s Fødselsdag
1683) di Thomas Kingo (ben più noto come salmista) merita una
citazione la Commedia del conte e del signorotto (Grevens og
Friherres Komedie, ca.1680) di Mogens Skeel (1650-1694) non
accolta sulle scene ufficiali a motivo della satira politica che la
pervade. Anche in Svezia la corte guarda con grande interesse al
‘nuovo’ teatro al quale portano il proprio contributo nomi di
prestigio: in primo luogo Georg Stiernhielm ma anche Samuel
Columbus e il segretario reale e consigliere Erik Lindschöld (1634-
1690) che nella sua opera non esiterà ad affiancare i ‘Goti svede-
si’ al dio Marte. Ancora una volta è a Urban Hiärne399 che va
attribuita la prima vera tragedia svedese: Rosimunda (1665). Ver-
so la fine del secolo assistiamo a Uppsala alla nascita di un ‘teatro
svedese’ per iniziativa di un gruppo di studenti (formatosi nel
1682) sostenuto da Erik Lindschöld. Nel 1686 essi trasferiranno
la loro attività a Stoccolma nel locale detto Lejonkulan (letteral-
mente “Tana del leone”), dove svolgeranno la propria attività fino
al 1691.400 Tra questi attori-scrittori merita una citazione Isak Börk
(nato negli anni ’60 del 1600, morto nel 1700 o 1701) che cerca
ispirazione nella storia e, soprattutto, vivacizza i propri dialoghi
inserendovi volentieri espressioni della lingua parlata.401
Accanto alla letteratura ‘ufficiale’ non va infine dimenticata la
fioritura di testi considerati ‘popolari’ per carattere e diffusione.
Non solo “libri popolari”, ma anche almanacchi, canzoni, testi per
la danza, racconti.402 Così come non va dimenticato che l’afferma-
zione di una consapevole e orgogliosa identità nazionale investe
399
Cfr. p. 602, p. 612, p. 631, nota 484, p. 643 con nota 526, p. 767 e p. 833.
400
In realtà si trattava di una piccola costruzione nell’antico fossato del castello. I
testi dei drammi rappresentati nella Lejonkulan sono stampati in Lejonkulans dramer
efter Löberödshandskriften, utgivna av E. Ljungren – C. Polack et al., I-VII, Uppsala
1908-1941.
401
Lo stesso del resto si constata nei poeti Gunno Dahlstierna (cfr. nota 376) e Johan
Runius (1679-1713).
402
Dal XVII secolo cominceranno ad apparire anche manuali di varia natura
(dall’arte della cucina a quella militare), ma questo tipo di pubblicazioni non può,
evidentemente, essere considerato letteratura in senso stretto.

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Nuovi poteri e nuovi equilibri 615

anche l’idea stessa di letteratura: alla seconda metà del XVII e ai


primi decenni del XVIII secolo appartengono infatti opere che
possono essere considerate le prime vere ‘storie letterarie’ (ma
più opportuno sarebbe chiamarle bibliografie) che riguardano
una regione danese e, soprattutto, la Svezia. Si tratta in partico-
lare del monumentale lavoro in tre volumi dal titolo Cimbria
erudita (Cimbria literata) compilato da Johannes Moller, nativo di
Flensburg (1661-1725),403 in cui sono compresi non solo tutti gli
scrittori delle regioni di Schleswig e Holstein, Ribe, Kolding,
Amburgo e Lubecca, bensì anche quelli attivi in queste regioni
per un certo periodo, e della Svezia erudita (Svecia literata, 1680)
di Johannes Schefferus.404

In Ulisse di Itaca (Ulysses von Ithacia), il grande commediografo dane-


se Ludvig Holberg405 propone la parodia delle compagnie che sulle piaz-
ze o in locali presi in affitto mettevano in scena riproposizioni grossolane
e approssimative di lavori teatrali classici. Egli stesso dichiara esplicita-
mente che l’intento canzonatorio sta alla base della composizione di
questo lavoro. Si legga:

“Con ancora maggiore consenso è stata accolta la dodicesima [opera]


Ulisse di Itaca. Essa si prende gioco delle sciocche, antiquate, orribili com-
medie che una volta venivano rappresentate qui nel Paese da attori girova-
ghi. Si sviluppa su un periodo di quaranta anni e la scena cambia molte
volte. I personaggi principali parlano in un linguaggio pomposo e magnilo-
quente per distinguersi dalla gente comune; si dà fiato alle trombe ogni
volta che il condottiero entra in scena; i personaggi sono in un’occasione
giovani, subito dopo vecchi e grigi [di capelli]. E poi essa è piena di anacro-
nismi, nomi incomprensibili e altre cose del genere, di cui i testi degli
attori girovaghi sono sempre zeppi. Tutti questi difetti vengono svelati da
Arlecchino, servitore di Ulisse, in modo così elegante che il pubblico nor-
male, il quale diversamente ha l’abitudine di addormentarsi di fronte a
commedie [di tono] moralizzante o critico, esprime il medesimo apprezza-
mento di quello raffinato.”406

403
L’opera fu pubblicata postuma nel 1744. Essa si basa in parte sul lavoro di Albert
Bartholin (1620-1663), figlio di Caspar (su cui cfr. p. 630).
404
Vd. p. 572 e p. 738.
405
Su di lui vd. pp. 789-792 e pp. 830-831.
406
Dalla Prima lettera a un illustrissimo signore (1728); DLO nr. 137.

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616 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

9.2.4. Sviluppi delle arti figurative e della musica

Si è detto in precedenza come l’introduzione della riforma pro-


testante avesse nei Paesi nordici fortemente condizionato la rice-
zione di istanze cultural-letterarie provenienti dal sud dell’Europa.
Anche nel campo delle arti e della musica essa ebbe significativi
effetti, seppure in forme diverse. Una prima rilevante conseguenza
riguardò innanzi tutto l’arte religiosa. Come è noto la regola lute-
rana, che assegnava il primato alla parola rispetto all’immagine,
prescriveva per i luoghi di culto l’essenzialità delle forme e l’assen-
za di immagini sacre e arredi fastosi, un principio in base al quale,
come si è visto, furono condotte vere e proprie spoliazioni. Il cam-
biamento fu radicale: dalle ‘chiese delle immagini’, nelle quali
l’insegnamento religioso era per molta parte affidato a una ricca
iconografia, si passò alle ‘chiese della parola’ dove si ascoltava
l’omelia, si pregava e si cantavano i salmi. L’arte religiosa che fino
ai primi decenni del XVI secolo aveva continuato ad arricchire i
luoghi di culto conobbe dunque un arresto e un declino.407 L’affer-
marsi del netto predominio dello Stato sulla Chiesa, che in sostan-
za veniva integrata come strumento subalterno all’interno nel
nuovo sistema politico-sociale, si riflette parallelamente nel fatto
che le arti figurative trovano ora applicazione in primo luogo nei
palazzi del potere. Da principio ci si ispira chiaramente al rinasci-
mento (nelle forme dello stile italiano, francese e olandese). Dal
tardo rinascimento si passerà poi al barocco di cui l’arte nordica
conosce numerosi e significativi esempi.
In Scandinavia i secoli XVI e XVII vedono l’edificazione (o
la ristrutturazione) di imponenti castelli nei quali non soltanto
i reali ma anche i nobili esibiscono la propria ricchezza e il
proprio primato. Se da principio queste costruzioni mostrano
ancora una chiara prevalenza dello scopo difensivo, si constata
poi la loro trasformazione in vere e proprie fortezze-residenze
le cui linee vengono affinate con l’applicazione di elementi
decorativi (colonne, portali, timpani): modifiche che per molti
versi anticipano lo stile di fastose dimore di rappresentanza.408
407
In Norvegia, addirittura, dopo la riforma molte chiese vennero abbandonate in
quanto la gente (che qui non aveva facilmente accettato i cambiamenti imposti dalla
nuova dottrina) aveva cessato di frequentarle.
408
La tendenza a fondere lo scopo difensivo e quello abitativo è del resto già evi-
dente in una costruzione come la casa-fortino di Glimmingehus (Scania) fatta edifica-
re a partire dal 1499 da Jens Holgersen Ulfstand (morto nel 1523), governatore di
Gotland, combattente sul mare e consigliere del Regno danese. Esempi precedenti
sono Spøttrup nello Jutland nord-occidentale, Gjorslev (nel comune di Stevns in

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Nuovi poteri e nuovi equilibri 617

In Danimarca gli esempi più notevoli sono quelli del castello di


Koldinghus, eretto in posizione strategica nello Jutland meri-
dionale alla fine del XIII secolo, ma fatto consistentemente
rinnovare da Cristiano III che ne fece la propria residenza;
Kronborg (presso Helsingør sull’Øresund) fatto costruire in
stile rinascimentale da Federico II tra il 1574 e il 1585 nel luo-
go in cui sorgeva una fortezza del XV secolo e completato da
Cristiano IV (dopo un incendio) nel 1638;409 Skanderborg nel-
lo Jutland orientale, anch’esso rinnovato da Federico II e Rosen-
borg (a Copenaghen) voluto da Cristiano IV,410 iniziato nel 1606
e inaugurato nel 1624. Ma, soprattutto, il magnifico maniero di
Frederiksborg (Hillerød, Selandia) che, per decisione del mede-
simo sovrano, a partire dal 1602 venne sostituendo quello pre-
cedente (fatto erigere da Federico II nel 1560) quasi interamen-
te demolito per far spazio a una costruzione ben più maestosa
in stile rinascimentale olandese. Più tardo è l’imponente palaz-
zo Charlottenborg nella capitale (edificato tra il 1672 e il 1683)
in stile barocco olandese.411
Decaduto nel 1483 il divieto imposto dalla regina Margherita,412
anche i nobili avevano ripreso a costruirsi castelli e fortezze: testi-
monianza d’una sontuosa architettura sono diverse tenute in pieno
stile rinascimentale quali Gisselfeld e Borreby (in Selandia), Egeskov
e Hesselager (in Fionia), Rosenholm e Voergaard (nello Jutland),
Vittskövle (in Scania),413 ma anche il castello del duca Giovanni,
figlio di Cristiano III (1545-1622) a Glücksburg (danese Lyksborg)
sul fiordo di Flensburg. Similmente la celebre dimora-osservatorio
di Tycho Brahe,414 Uraniborg sull’isola di Ven (danese Hven)
nell’Øresund, costruita tra il 1576 e il 1580, che si ispira palese-

Selandia) e Lillöhus in Scania: il primo risale almeno agli inizi del XV secolo, il secon-
do, addirittura, alla seconda metà del XIII (seppure costruito nella forma attuale alla
fine del XIV), il terzo (ormai in rovina) alla prima metà del XIV.
409
Questo castello è stato reso celebre da William Shakespeare ed è altrimenti noto
come ‘castello di Amleto’ a Elsinore (Helsingør).
410
Per questo re (molto attivo anche nella costruzione e ristrutturazione di rocca-
forti militari) lavorarono il celebre architetto Hans van Steenwinckel (ca.1550-1601),
appartenente a una famiglia di artisti fiamminghi ma trapiantato in Danimarca, i suoi
figli Hans (1587-1639) e Lorenz (1585-1619) e un altro fiammingo, Antonius van
Opbergen (1543-1611). Cfr. nota 433.
411
Originariamente esso era noto come palazzo Gyldenløve, essendo stato costrui-
to per Ulrik Frederik Gyldenløve, figlio illegittimo di Federico III (cfr. nota 15 e p.
713).
412
Vd. p. 343, nota 63.
413
Si ricordi che fino al 1658 la Scania era una regione danese.
414
Vd. pp. 632-633.

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618 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

mente a modelli stranieri, in particolare alla “Villa rotonda” presso


Vicenza disegnata da Andrea Palladio (1508-1580).
Anche il re svedese Gustavo Vasa si preoccupò di far costruire
(o rafforzare) imponenti castelli, con scopi, almeno in una prima
fase, di carattere innanzitutto militare. Tra questi quelli di Stoc-
colma (il celebre Tre corone, Tre kronor, che risaliva ai tempi di
Birger jarl),415 Kalmar,416 Vadstena, Uppsala e Gripsholm (presso
Mariefred in Uppland), eretto nel luogo in cui sorgeva il manie-
ro del drots Bo Jonsson Grip.417 Sebbene col tempo il sovrano
mostrasse un certo interesse per il possesso di dimore regali, egli
restava tuttavia assai più rivolto all’esercizio del governo che non
alla cultura. Furono dunque piuttosto i suoi figli (ai quali aveva
comunque garantito una adeguata istruzione) a manifestare
grande attenzione in tal senso. Erik XIV e Giovanni III (costui
davvero un ‘re costruttore’) si adoperarono per far abbellire
questi edifici ispirandosi allo stile rinascimentale e trasforman-
doli in sontuose residenze. Questa tendenza fu portata avanti da
Carlo IX (si veda il restauro in stile francese del castello di Örebro
in Närke), da Gustavo Adolfo e da sua figlia Cristina, ben consci
della rappresentatività delle dimore regali. Le cui ulteriori modi-
ficazioni mostrano poi, inevitabilmente, l’affermazione del gusto
barocco. Un magnifico esempio dell’adeguamento costruttivo ai
diversi stili realizzato attraverso una serie di successive modifi-
cazioni è il castello di Drottningholm sull’isola di Lövön nel
Mälaren: fatto edificare già da Giovanni III per la moglie, fu
distrutto da un incendio nel 1661 e, dall’anno dopo, per volere
della regina Edvige (Hedvig) Eleonora (1636-1715), vedova di
Carlo X, ricostruito in stile barocco per essere successivamente
ripensato e arricchito con nuovi elementi.418 Una realizzazione
di particolare interesse che si lega alla promozione culturale
portata avanti da Gustavo II Adolfo è il più antico edificio dell’U-
niversità di Uppsala, il Gustavianum (che dal sovrano prende il
nome) completato nel 1625 (ma modificato negli anni ’60 del
415
Cfr. p. 361. Il castello sarebbe stato distrutto da un incendio il 7 maggio 1697
(vd. p. 625 con nota 453). Questo avvenimento ha ispirato un celebre quadro del
pittore svedese Johan Fredrik Höckert (vd. p. 927 con nota 297).
416
Su questa costruzione si veda, tra l’altro, Eichorn Chr., “Kalmar slotts konst-
historia under renässancen”, in Svenska Fornminnesföreningens Tidskrift, IV (1880),
pp. 218-238.
417
Vd. p. 359, nota 129 e p. 438.
418
Nel suo parco si trovano le statue sottratte a Praga nel 1648 (cfr. p. 562). Vd.
Böttiger J., Hedvig Eleonoras Drottningholm. Anteckningar till slottets äldre byggnads-
historia, Stockholm 1897.

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Nuovi poteri e nuovi equilibri 619

medesimo secolo) su progetto dell’architetto olandese Caspar (o


Casper) van Panten.419
La nobiltà svedese possedeva da tempo ricche residenze, ma con
l’affermazione del Paese sulla scena europea i suoi più eminenti
rappresentanti poterono soddisfare l’ambizione di costruirsi dimo-
re davvero sfarzose: basti pensare ad Axel Oxenstierna che fece
costruire il magnifico palazzo di Tidö (Västmanland) e la residenza
in stile rinascimentale franco-olandese di Fiholm (Södermanland),
a Magnus de la Gardie420 che disponeva, addirittura, di una dozzi-
na di castelli, tra cui il celebre Makalös (letteralmente “Senza pari”)
a Stoccolma, fatto edificare da suo padre Jacob in stile tardo-
rinascimentale con evidenti influssi italiani,421 Läckö (presso
Lidköping) anch’esso eredità paterna, Höjentorp422 (anch’esso in
Västergötland), e Venngarn presso Sigtuna (Uppland); o al celebre
comandante militare Carlo Gustavo Wrangel423 che si fece erigere
(negli anni 1654-1679) sul lago Mälaren nell’Uppland l’imponente
castello di Skokloster ispirato al barocco, e inoltre Gripenberg
nella regione di Småland, che costituisce il più grande edificio in
legno di tutta la Svezia.
Come è stato detto, tutte queste costruzioni si rifanno palese-
mente a precise correnti artistiche d’importazione, dal rinascimen-
tale al barocco. Del resto la gran parte degli architetti e degli artisti
impegnati in questi lavori proveniva da Paesi stranieri (Germania,
Paesi Bassi, Italia,424 Francia), basti pensare al francese Simon de
la Vallée (1590-1642), considerato il fondatore dell’architettura
svedese e a suo figlio Jean (1624-1696) cui si devono opere di stra-
ordinaria importanza.425 E, se è vero che tra il XVII e il XVIII
secolo si affermarono i celebri architetti svedesi Nicodemus Tessin

419
Di lui si sa che fu chiamato in Svezia nel 1622, dove giunse accompagnato da
artigiani e artisti. Lavorò a diversi edifici tra cui la sede della cancelleria reale nel
castello Tre kronor di Stoccolma e il castello di Uppsala. La sua morte è certamente
precedente al giugno 1630.
420
Vd. p. 567, p. 574 e p. 591, nota 289.
421
Questo splendido palazzo è stato completamente distrutto da un incendio
divampato il 24 novembre 1825.
422
A sua volta distrutto da un incendio il 4 settembre 1722.
423
Cfr. p. 562.
424
Il riferimento è qui, in primo luogo, ai fratelli Pahr (Paar): Giovanni Battista
(Johannes Baptista), Francesco (Franciscus) e Domenico (Domenicus), di famiglia
lombarda ma attivi prima in Germania e poi in Svezia nella seconda metà del XVI
secolo.
425
Come la cosiddetta “Casa dei Signori” (Riddarhuset) a Stoccolma (vd. p. 625),
seppure quest’ultima non sia totalmente opera sua.

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620 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

il Vecchio (den äldre, 1615-1681)426 e suo figlio Nicodemus Tessin il


Giovane (den yngre, 1654-1728), è altrettanto vero che nella loro arte
essi non poterono prescindere da modelli europei che (soprattutto il
secondo) conobbero direttamente durante i loro soggiorni all’estero
(Germania, Paesi Bassi, Italia, Francia, Inghilterra).427
All’imponenza delle costruzioni corrisponde la decorazione degli
interni, sfarzosamente abbelliti con arazzi,428 affreschi, quadri e
sculture, quasi che la fantasia artistica, per molti versi bandita dai
luoghi di culto, trovasse qui un inevitabile sfogo. Si rappresentano
frequentemente scene storiche, religiose o allegoriche (del resto
l’allegoria è uno degli elementi caratterizzanti del tardo rinascimen-
to e del barocco: basti pensare all’Ercole di Stiernhielm),429 ma ci si
ispira anche alla tradizione mitologico-patriottica.430 Assai diffu-
si sono, naturalmente, i ritratti di insigni personaggi (un uso che si
afferma fin dai primi decenni del XVI secolo), raffigurati in abiti
sfarzosi e dal contegno generalmente sostenuto.431 Le raffigurazio-
ni pittoriche dei sovrani ne sottolineano il prestigio politico. Molti
artisti provengono dall’estero. Per i regnanti e i nobili del Nord
lavoreranno infatti importanti pittori e scultori stranieri.432 Per

426
In realtà egli era nato a Stralsund in Pomerania, ma era giunto in Svezia in gio-
vane età. Oltre al progetto per il castello di Drottningholm, a lui si deve, tra l’altro, il
rifacimento a partire dagli anni ’60 del XVII secolo del castello di Strömsholm (non
lontano da Västerås in Västmanland), anch’esso voluto da Edvige Eleonora.
427
In proposito si veda, tra l’altro, Turander R., Tessin. En lysande epok. Arkitektur,
Konst, Makt, Stockholm 2009.
428
Magnifici arazzi furono realizzati da artisti provenienti dalle regioni fiamminghe
come il pittore Hans Knieper (morto nel 1587), probabilmente originario di Anversa,
che disegnò le scene ispirate alla Bibbia, ma soprattutto la lunga serie dei re danesi
(centotredici compresi, ovviamente, quelli assolutamente leggendari) riprodotte sulle
pareti del castello di Kronborg; così anche Berent van der Eichen (date ignote) cui si
devono gli arazzi del castello danese di Rosenborg. E tuttavia anche artisti scandinavi
appresero quest’arte: si citi qui lo svedese Nils Eskilsson (morto dopo il 1569). Cfr.
note 430 e 432. Questa antica tradizione è stata ripresa nel 1990, in occasione del
cinquantesimo compleanno dell’attuale regina di Danimarca, Margherita (Margrethe)
II, quando, su disegni dell’artista danese Bjørn Nørgaard (vd. p. 1295), è stata realiz-
zata una serie di arazzi dai vivaci colori che illustrano la storia della Danimarca e che
sono stati collocati nel castello di Christiansborg a Copenaghen.
429
Vd. p. 611.
430
Si pensi agli arazzi ispirati ai miti goticisti voluti da Erik XIV (vd. Andersson 1948
[indicazione a p. 542, nota 61], p. 166), o alle opere di David Klöcker Ehrenstrahl (cfr.
nota 432) che raffigurano scene relative alla saga di Disa (su cui cfr. p. 581 con nota 236).
431
Si consideri che la pittura a olio secondo la tecnica importata dalle Fiandre
compare in Scandinavia nei primi decenni del XVI secolo; tuttavia una pittura a olio
di tipo diverso era già utilizzata in precedenza in Norvegia per dipingere frontali
d’altare (mentre in Danimarca si preferiva ornarli di metallo dorato).
432
Come i tedeschi: Jacob Binck (ca.1500-1569, anche incisore), Franz Cleyn (o

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Nuovi poteri e nuovi equilibri 621

quanto affidata a una nota la copiosa (e tuttavia non completa!)


elencazione, vuole qui sottolineare – rimandando il lettore interes-
sato alla letteratura critica relativa – l’ormai totale apertura dei
signori nordici alle tendenze culturali dominanti in Europa nel
campo delle arti figurative. Del resto non di rado artisti scandinavi
(magari di origini straniere) saranno inviati all’estero ad apprende-
re il mestiere. Tra le figure principali dell’arte nordica vanno ricor-
dati almeno i nomi di due svedesi che operarono negli anni della
riforma, Anders Larsson (morto nel 1566) e Urban Larsson (del
quale non si sa quasi nulla se non che morì verosimilmente tra il
1568 e il 1574): a entrambi la tradizione assegna l’appellativo di
“Pittore” (målare); più tardi sarà attivo Johan Sylvius (ca.1620-1695).
Una citazione va riservata anche ai danesi Morten Steenwinckel
(1595-1646),433 Søren Kjær (morto dopo il 1630) e Reinhold Timm
(morto nel 1639) e ai norvegesi Peder Andersen (morto nel 1694,
attivo tuttavia in Danimarca), Elias Fiigenschoug (nato attorno
all’inizio del secolo, probabilmente a Copenaghen, morto dopo il
1661) che si ispira alla scuola olandese ed è considerato il più
importante pittore norvegese del barocco (e il primo cui si deve la
raffigurazione di un paesaggio)434 e Peter Anderssøn Lillie (morto

Clein o Klein, ca.1582-1658), Wolfgang Heimbach (ca.1615-1678), David Klöcker


(1628-1698), che diverrà poi il nobile svedese Ehrenstrahl, e suo nipote David von
Krafft (1655-1724); gli olandesi: Jost Verheiden (morto probabilmente dopo il
1563), Willem Boy (1520-1592), anche architetto, a cui si deve l’imponente monu-
mento funerario di Gustavo Vasa e delle sue due mogli Caterina di Sachsen-
Lauenburg e Margherita (Margareta) Leijonhufvud (1516-1551, sposata nel 1536
dopo la morte di Caterina) collocato nel duomo di Uppsala, Steven van der Meulen
(morto nel 1564 ca.), Domenicus Verwilt (del quale si sa per certo solo che fu in
Svezia tra il 1556 e il 1566), Johan Baptista van Uther (morto nel 1597), Peter
Isaacsz (1569-1625), Adam van Breen (ca.1590-ca.1645), Karel van Mander (1609-
1670) che apparteneva a una famiglia di talentuosi artisti (in particolare suo padre
– Karel anch’egli, 1579-1623 – aveva realizzato, su commissione del re Cristiano
IV, diversi arazzi per il castello di Frederiksborg, purtroppo distrutti nel devastan-
te incendio del 16 dicembre 1859), Jacob van Doordt (morto nel 1629), David
Beck (1621-1656), Hendrick Munnichhoven (1630-1664), Abraham Wuchters
(1610-1682), Martin Mijtens o (van) Meytens (1648-1736), anch’egli appartenente
a una famiglia di artisti: il figlio, suo omonimo (1695-1770), sarà miniaturista e
ritrattista in stile barocco e lavorerà poi alla corte austriaca; i francesi: Sébastien
Bourdon (1616-1671, pittore di corte della regina Cristina), Bénoit (Benedix) Le
Coffre (nato tuttavia in Danimarca, 1671-1722), Abraham César Lamoureux
(morto nel 1692) e Jacques D’Agar (ca.1640-1715); il livone Jacob Heinrich Elbfas
(1600-1664).
433
Tuttavia di origine fiamminga in quanto era figlio di Hans van Steenwinckel (cfr.
nota 410).
434
In particolare quella del convento di Halsnøy (Hordaland) realizzata nel 1656 e
conservata nel castello svedese di Skokloster (Uppland).

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622 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

nel 1711). Nomi prestigiosi nell’arte sono anche quelli del danese
Melchior Lorck (o Lorch o Lorichs, 1527-ca.1590), pittore, inci-
sore ma – soprattutto – disegnatore di straordinario talento435 e dei
norvegesi Magnus Berg (1666-1739), celebre in tutta Europa per i
suoi lavori di intaglio nell’avorio, e Jacob Maschius (morto nel
1678), incisore di notevolissima abilità.
In Norvegia, per evidenti ragioni, la costruzione di castelli e
residenze nobiliari fu più limitata; più che la ristrutturazione
della fortezza di Akershus (a Oslo) voluta da Cristiano IV, occor-
re qui ricordare la cosiddetta Torre di Rosenkrantz (Rosenkrantz-
tårnet) di Bergen: si tratta della riedificazione, voluta da Erik
Rosenkrantz, signore di Bergenhus tra il 1560 e il 1568,436 di una
vecchia torre del XIII secolo, di fatto trasformata in un severo
‘castello’ in pietra abbellito con elementi tipicamente rinascimen-
tali e affacciato sul quartiere di Bryggen. Altre costruzioni di un
certo interesse sono la dimora (Herregården), interamente in legno,
fatta costruire dal conte Ulrik Frederik Gyldenløve, viceré di
Norvegia,437 a Larvik (in Vestfold), città da lui fondata nel 1671
(nella quale fece anche erigere una chiesa) e l’antica residenza
medievale dell’arcivescovo di Trondheim, trasformata in sede del
governo della regione del Trøndelag,438 riccamente decorata con
motivi di caccia e colori vivaci da un artista, quasi certamente
norvegese, noto come Bjørn Pittore (maler), del quale per altro
non si sa nulla di più. In taluni casi le abitazioni dei nobili fun-
zionari vennero elegantemente trasformate: si veda in primo
luogo Østråt (o Austråt, più recentemente Austrått), sul fiordo
di Trondheim, ristrutturata in stile rinascimentale per volontà del
cancelliere del regno Ove Bjelke (1611-1674).439 Negli anni ’60
del 1600 fu invece costruita la residenza di Rosendal sul fiordo di
Hardanger, tuttavia in parte modificata nel corso dei secoli: in
essa restano tuttavia parti originali, in particolare il piano nobile.
In questo Paese mancano comunque esempi di dimore imponen-
ti e sfarzose come quelle danesi e svedesi. Va da sé che questo
tipo di costruzioni fu del tutto assente in Islanda, dove i notabili
435
Un altro incisore di una certa fama è il danese (di probabile origine olandese)
Albert Haelwegh (morto nel 1673).
436
Cfr. p. 548.
437
Cfr. nota 15 e p. 660, nota 591.
438
La costruzione, che è la più antica dimora privata costruita in pietra in Norvegia,
fu iniziata dall’arcivescovo Øystein Erlendsson (cfr. p. 321, nota 119, pp. 363-365, p.
411 e p. 415) nella seconda metà del XII secolo.
439
Essa fu tuttavia severamente danneggiata da un incendio nel 1916 e ha dovuto
essere sottoposta a un restauro completato solo nel 1961.

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Nuovi poteri e nuovi equilibri 623

disponevano al massimo di grandi, ben attrezzate e ben arredate


fattorie.
La Chiesa aveva dominato nel campo dell’arte per secoli. Ora
però i suoi edifici sacri erano stati svuotati dei loro tesori artistici
e, sebbene in Scandinavia l’atteggiamento dei riformatori nei con-
fronti delle raffigurazioni religiose al loro interno (soprattutto gli
affreschi) non fosse stato, specie in Svezia, intollerante come altro-
ve, esse avevano perso gran parte dell’antico splendore. Dagli inizi
del XVII secolo la decorazione riprende gradatamente con la ricca
lavorazione artistica degli altari, dei cori e dei pulpiti ma anche
delle pareti.440 Il Seicento è un periodo particolarmente felice per
la scultura. All’interno delle chiese trovano posto imponenti monu-
menti funerari (in stile prima rinascimentale e poi barocco) tra cui
il sopra citato sarcofago di Gustavo Vasa nel duomo di Uppsala e
quello di Federico II in quello di Roskilde.441 Anche qui lo stile è
di chiara ispirazione straniera (quando essi non siano direttamente
commissionati all’estero). Tra gli artisti spicca il nome dell’olande-
se Thomas Quellinus (1661-1709 o 1710), attivo in Danimarca e
nelle regioni di Schleswig e Holstein.
Ma l’edificazione e la ristrutturazione degli edifici di culto è ora
compito dell’autorità dello Stato e diversi sovrani saranno attivi in
questa direzione. Tra le nuove chiese vanno citate almeno quella
della Trinità (Heliga Trefaldighetskyrkan) a Kristianstad in Scania,
magnifico esempio di stile rinascimentale, la Holmens kirke di
Copenaghen (trasformazione, per volere di Cristiano IV, di una
officina per la produzione di ancore risalente al 1563), la cattedra-
le di Kalmar (prima chiesa svedese in stile barocco, iniziata nel
1660) e la chiesa del Salvatore (Vor Frelsers kirke) a Copenaghen
(nella zona di Christianshavn) voluta dal re Cristiano V e consa-
crata nel 1696, anch’essa in stile barocco.442 E, con le dovute dif-
ferenze, va ricordata qui anche la magnifica chiesa in legno fatta
costruire a Skálholt dal vescovo Brynjófur Sveinsson443 e alla cui

440
Già dal XV secolo abbiamo tuttavia cospicui esempi di frontali d’altare lavorati
o dipinti, quale, in particolare, la tavola d’altare del duomo di Aarhus, opera di Bernt
Notke (cfr. p. 445, nota 24).
441
Anche questo uso trova significativi precedenti nel XV secolo: si veda la splen-
dida tomba della regina Margherita, anch’essa collocata nel duomo di Roskilde (Selan-
dia).
442
Il progetto di questa chiesa si deve al norvegese Lambert von Haven (1630-1695)
appartenente a una famiglia di artisti (sul padre Salomon cfr. p. 755, nota 326; il fra-
tello Michael, 1625-1679, divenne ritrattista reale). Si noti tuttavia che il celebre
campanile a spirale è più tardo ed è opera di Laurids de Thurah (vd. p. 846).
443
Vd. p. 576 con note 214 e 216 e p. 586.

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624 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

realizzazione in stile barocco lavorò anche Guðmundur Guðmunds-


son di Bjarnastaðahlíð (ca.1618-ca.1700), considerato uno dei
maestri dell’intaglio dell’epoca (l’edificio venne demolito nel 1802).
Una nuova e importante applicazione dell’architettura in questi
secoli è l’urbanistica che prevede città accuratamente progettate.
Si è già detto come il re danese Cristiano IV fosse particolarmente
attivo in questo senso.444 In particolare Christianopel nel Blekinge445
ebbe una pianta tracciata secondo schemi rinascimentali, divenen-
do, in effetti, la prima città del Nord costruita secondo questi
princìpi.446 In Svezia tra la metà del XVI e i primi decenni del XVIII
secolo viene progettata ed eseguita una ripianificazione dei centri
urbani che non ha confronti nell’Europa del tempo: le città di
nuova edificazione (come Göteborg,447 Söderhamn, Sundsvall, Piteå,
Luleå,448 Torneå) sono impostate con criteri del tutto nuovi, mentre
altre, come Umeå449 e, soprattutto, Stoccolma (in gran parte deva-
stata da un incendio divampato il 1 settembre 1625 che distrusse
gran parte della zona sud-occidentale del nucleo abitato) vengono
ridisegnate.450 Le grandi città, in particolare le capitali, cominciano
444
Vd. nota 86. In Norvegia occorre ricordare anche la fondazione della città di
Fredrikstad in Østfold (vd. nota 601), che in parte conserva l’antico aspetto, e la rico-
struzione di Trondheim la quale, dopo l’incendio del 1681 (che tuttavia non coinvolse
la cattedrale e altri importanti edifici), fu ‘ripensata’ su pianta ottagonale con strade
ampie e perpendicolari, secondo il progetto del lussemburghese Johan Caspar von
Cicignon (ca.1625-1696), al servizio del re danese come generale, ingegnere e urbanista.
445
Si ricordi che all’epoca della fondazione (1599) questa città si trovava in una
regione ancora sotto il dominio danese.
446
Uno studio approfondito sulle città danesi dalla fine del medioevo all’inizio
dell’era industriale è proposto in Birkedal Lorenzen V., Vore byer. Studier i bybygning
fra middelalderens slutning til industrialismens gennembrud, 1536-1870, I-V, København
1947-1958. La situazione nei centri urbani nel periodo dell’assolutismo è invece ana-
lizzata in Bitsch Christensen S. – Mikkelsen J. (eds.), Danish Towns during Absolut-
ism. Urbanisation and Urban Life 1660-1848, Århus 2008.
447
Cfr. p. 558 con nota 128.
448
Per la precisione occorre specificare che la città di Luleå era sorta nel 1621 nel
luogo in cui ora si trova la città vecchia. In seguito alla colonizzazione di questi terri-
tori (avviata nella prima metà del XIV) si trovavano qui una chiesa (risalente al XV
secolo) e un mercato. Ma nel 1649 Luleå sarebbe stata spostata più vicino al mare, per
facilitare il commercio legato alla navigazione.
449
Nelle regioni settentrionali della Svezia e della Finlandia, che acquisivano ora
crescente interesse per la Corona, diverse città furono pianificate da Olof Bure (1578-
1655) il quale, sebbene fosse medico di corte, nel 1620 ebbe questo importante inca-
rico da Gustavo II Adolfo. I suoi progetti si ispirano all’urbanistica rinascimentale.
450
Vd. Ahlberg N., Stadsgrundningar och planförändringar. Svensk stadsplanering
1521–1721, I-II, Uppsala 2005. Su Stoccolma capitale della “grande potenza svedese”
vd. Larsdotter A. – Ericson Wolke L., “Stockholm. Stormaktens huvudstad fick ny
form”, in PH 1992: 5, pp. 12-17. L’unica città svedese risalente al medioevo (1410) che
presenta una pianta regolare è Landskrona in Scania (che però un tempo era danese).

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Nuovi poteri e nuovi equilibri 625

a distinguersi per la presenza di splendidi edifici, alcuni dei quali


– come il palazzo della borsa (Børsen) di Copenaghen, voluto da
Cristiano IV e costruito tra il 1619 e il 1625 in stile rinascimentale
olandese – testimoniano il crescente potere mercantile e l’emerge-
re della borghesia (i cui membri più facoltosi si costruiscono ade-
guate dimore451 e si fanno ritrarre dai migliori artisti). Tra le costru-
zioni più significative di Stoccolma c’è la cosiddetta Casa dei
Signori (Riddarhuset, edificata tra il 1641 e il 1674) cui lavorarono
architetti tedeschi, olandesi e i francesi della famiglia de la Vallée,452
e il Palazzo di Tessin (Tessinska palatset) opera di Nicodemus
Tessin il Giovane; costui ebbe anche l’incarico di portare avanti la
ricostruzione del castello reale distrutto da un incendio nel 1697:453
la nuova reggia, costruita in stile barocco italiano (ma negli interni
si riconosce il rococò), fu terminata nel 1754 e andò a costituire un
modello per le nobili dimore. Naturalmente tuttavia la gran parte
delle comuni costruzioni abitative veniva ancora realizzata in legno
(soprattutto in Svezia e Norvegia).
In Svezia un importantissimo contributo per la conoscenza del-
le arti figurative (specie l’architettura) verrà da Erik Jönsson (1625-
1703), ingegnere, architetto e militare (che nel 1660 ottenne la
dignità nobiliare assumendo il cognome Dahlbergh): nel 1661 egli
ebbe l’incarico di riprodurre in immagini i luoghi di maggior inte-
resse del Paese (innanzi tutto castelli, città, tenute); questo lavoro,
durato molti anni e nel quale si giovò di alcuni collaboratori, risul-
ta di straordinaria importanza in quanto offre (seppure i disegni
non siano sempre del tutto corrispondenti alla realtà) una ampia
panoramica della Svezia dell’epoca della “grande potenza”. Le
incisioni di Dahlbergh furono raccolte in un’opera dal titolo Svezia
antica e contemporanea (Svecia Antiqua Et Hodierna) pubblicata
tra il 1667 e il 1716.454

451
Il cui miglior esempio è la casa del ricco mercante Jens Bang (morto nel 1644)
a Ålborg costruita negli anni 1623-1624.
452
Essa fu la sede dei nobili che nel 1626 si erano organizzati nell’Ordine dei
Signori; vd. p. 653.
453
Vd. Chrispinsson J., “Tre Kronor brinner!”, in Bergsten 2004 (C.9.1), pp. 131-
138.
454
Il lavoro avrebbe dovuto essere accompagnato da un testo scritto, la cui reda-
zione passò da un autore a un altro: alla fine tuttavia esso non fu pubblicato; vd. Bring
S.E., “Sueciaverket och dess text”, in Lychnos, 1937, pp. 1-67 e (più in generale) Schück
– Warburg 19853 [B.4], II, pp. 270-272; vd. anche Ericsson E. – Vennberg E., Erik
Dahlbergh. Hans levnad och verksamhet. Till 300-årsminnet 1625-1925, Uppsala 1925
e Magnusson B., Att illustrera fäderneslandet. En studie i Erik Dahlberghs verksamhet
som tecknare, Uppsala 1986.

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626 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

Anche dal punto di vista musicale la riforma portò notevoli


innovazioni. Il canto dei salmi venne infatti a costituire uno dei
momenti centrali dell’esercizio religioso e si rese necessario un
adeguato accompagnamento a questi testi: la ricerca del verso
‘artistico’ fu dunque associata a quella della melodia ‘artistica’ e
si sviluppò in una vera e propria tradizione musicale luterana che,
anche grazie alla possibilità di stampare gli spartiti, era destinata
a durare a lungo nel tempo. Si considerino le celebri Piæ Cantiones
Ecclesiasticæ Et Scholasticæ raccolte da Jacobus Petri Finno e
Theodoricus Petri Rutha di Nyland,455 pubblicate a Greifswald
nel 1582456 e rimaste assai popolari fino al XIX secolo; i diversi
“libri dei salmi”457 o i testi come il Graduale (Gradual) del dane-
se Niels Jespersen (1518-1587). In molti casi le melodie affonda-
vano le proprie radici nell’epoca cattolica,458 riprendendo o rie-
laborando motivi precedenti come il canto gregoriano, tuttavia
l’impronta protestante si riconosce facilmente, tra l’altro nell’in-
troduzione del corale luterano importato dalla Germania. Col
passare del tempo si constata un’accresciuta attenzione alla ‘for-
ma’ e alla ‘regola’ musicale (grazie anche alla possibilità di stam-
pare gli spartiti). Da segnalare nell’ambito della composizione di
musica religiosa l’organista Dieterich Buxtehude (1637-1707), di
nazionalità danese (forse tuttavia tedesca).459
Anche al di fuori dell’ambiente religioso gli influssi stranieri si
fecero sentire in misura massiccia. Un grande sviluppo conobbe la
musica di corte: tanto in Danimarca quanto in Svezia affluirono
compositori ed esecutori da diversi Paesi, in primo luogo dalla
Germania, dai Paesi Bassi e dall’Inghilterra ma anche dall’Italia.
Alla corte di Cristiano IV,460 vero e proprio melomane, di Gustavo
455
Cfr. p. 515.
456
La prima edizione finnica è tuttavia del 1616. La raccolta comprende altresì
(seppure in misura minore) canti di carattere profano. Essa riveste importanza anche
dal punto di vista letterario in quanto conserva alcuni tra i primi testi di poesia della
Finlandia.
457
Vd. pp. 608-609.
458
Con l’introduzione del cristianesimo era naturalmente entrata nel Nord anche
la musica liturgica che si rifaceva soprattutto a modelli inglesi e tedeschi.
459
Sulla musica danese dell’epoca si veda: Jensen N.M, “Dansk musik på Buxtenhudes
tid”, in Holten E. – Holten B. (red.), Dansk musik i tusind år. En sammenfatning af det
svundne millenium, København 1999, pp. 46-51.
460
Musicisti di corte (trombettieri) sono noti in Danimarca fin dai tempi di Cristia-
no I, ma una vera e propria orchestra di corte (Det Kongelige kapel) venne formando-
si nella prima metà del XVI secolo.

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Nuovi poteri e nuovi equilibri 627

Adolfo e, soprattutto, di sua figlia Cristina,461 la musica divenne un


abituale passatempo: notevole importanza ebbero i balletti ma
anche le rappresentazioni teatrali con accompagnamento musicale.
Il che, inquadrandosi nel complesso degli interessi artistici di que-
sti sovrani, sottolineava altresì la volontà di porsi sul medesimo
livello dei più nobili regnanti europei. Questa tendenza si raffor-
zerà nella seconda metà del XVII secolo quando la cultura musi-
cale scandinava risentirà soprattutto dell’influsso francese.462
Ora tuttavia anche i nordici si recano all’estero per compiere
studi musicali; nomi di prestigio sono quelli di Mogens Pedersøn
(ca.1585-ca.1623) e Hans Nielsen (morto dopo il 1643) inviati da
Cristiano IV a Venezia presso il celebre maestro Giovanni Gabrie-
li (1557-1612)463 e, più tardi, dello svedese Harald Vallerius (1646-
1716) che soggiornò in Olanda, fu chiamato a produrre composi-
zioni per occasioni importanti (come l’incoronazione di Carlo XI)
e collaborò con Olof Rudbeck,464 il quale tra le molteplici attività
scientifiche, antiquarie e accademiche si dedicò anche alla promo-
zione della musica.465
Naturalmente collegata a questi interessi è la comparsa di opere
di carattere teorico, nelle quali l’arte musicale viene esaminata da un

461
L’esistenza di una orchestra di corte svedese risale ai tempi di Gustavo Vasa: essa
conoscerà un periodo di grande splendore tra il XVII e il XVIII secolo quando alla
sua guida si succederanno i membri della famiglia Düben (di origine tedesca): Anders
il Vecchio (den äldre, 1597?-1662), suo figlio Gustav il Vecchio (den äldre, ca.1628-
1690) e i figli di quest’ultimo Gustav il Giovane (den yngre, 1659-1726) e Anders il
Giovane (den yngre, 1673-1738). Sulla musica alla corte della regina Cristina vd. Aulin
– Connor 1974-1977 (B.6), I, pp. 61-72.
462
Vd. Fielden F.J., “Court Masquerades in Sweden in the Seventeenth Century”,
in The Modern Language Review, XVI: 1 (1921), pp. 47-58 e XVI: 2 (1921), pp. 150-
165 e Grönstedt J., Svenska hoffester, I-V, 1911-1917 (in particolare voll. I e IV).
463
Questi giovani talenti erano affidati al dano-tedesco Melchior Borchgrevink (ca.
1570-1632), il più illustre musicista di corte.
464
Cfr. pp. 582-584 e pp. 630-631.
465
L’opera di Rudbeck a sostegno dell’insegnamento e della pratica musicale all’Uni-
versità di Uppsala rivela l’interesse crescente verso questa disciplina. Del resto anche
i programmi delle scuole di livello inferiore prevedevano uno spazio adeguato alle
materie musicali. Si legga: “Nelle classi inferiori gli alunni debbono essere ben abitua-
ti a cantare diligentemente i salmi e gli inni svedesi, usati comunemente in chiesa, e si
deve fare attenzione che conoscano non solo il canto o le melodie, ma anche le parole
stesse e le frasi correttamente ed esattamente, non [malamente] come spesso avviene”
(Ordinanza scolastica del 1649, DLO nr. 138). Sull’insegnamento della musica nelle
scuole svedesi vd. Aulin – Connor 1974-1977 (B.6), I, pp. 47-58. Di interesse a questo
riguardo è anche la fondazione (1726) a Uppsala di un Collegium musicum per inizia-
tiva di Eric Burman (1692-1729, anche matematico, astronomo e meteorologo!).
Rudbeck e Vallerius del resto revisionarono anche la musica religiosa per l’edizione
del Libro dei salmi del 1695 (vd. pp. 608-609).

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628 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

punto di vista tecnico: si pensi a lavori come l’Eptacordo danese


(Heptachordum danicum) di Hans Mikkelsen Ravn466 del 1646, ma
anche all’opera del polistore Matthias Henriksen Schacht (1660-1700)
dal titolo Il musico danese o il maestro di canto danese (Musicus
Danicus eller Danske Sangmester, 1687), nella quale è compreso un
elenco di musicisti di diverse nazionalità (a suo modo una prima
‘storia della musica’)467 o agli scritti di teoria musicale di Vallerius.468
A livelli più popolari è ben nota la presenza di musicanti nelle
città in occasione di feste o rappresentazioni, e la persistenza di
melodie spesso utilizzate per il ballo, quali quelle che accompagna-
vano le folkeviser469 o, in Islanda, il vikivaki.470 Infine si ha notizia
di un’ampia diffusione della capacità di suonare strumenti anche
fra le persone di più umili condizioni.471

9.2.5. Il mondo della scienza

In precedenza si è avuto modo di sottolineare il pieno coinvolgi-


mento degli intellettuali e degli eruditi nordici nel mondo culturale
europeo. Ciò vale, evidentemente, non soltanto dal punto di vista
delle discipline umanistiche, bensì anche da quello delle materie di
carattere più propriamente scientifico. È del resto un dato di fatto
che la successiva netta distinzione tra questi due ambiti del sapere
era, in quei secoli, inimmaginabile: sicché diversi fra i nomi che sopra
sono stati citati ritornano in questo contesto con uguale, se non più
forte, diritto.472 Naturalmente, alla ‘dimensione europea’ delle ricer-
466
Cfr. pp. 598-599.
467
Questo testo è stato pubblicato solo nel secolo scorso (1928).
468
Vd. Moberg C-A., “Musik und Musikwissenschaft an den schwedischen Uni-
versitäten. I”, in Mitteilungen der Internationalen Gesellschaft für Musikwissenschaft
/ Bulletin de la Société internationale de Musicologie, I: iv, pp. 54-70 (soprattutto pp.
65-70).
469
Vd. pp. 396-397.
470
Vd. p. 524, nota 220.
471
Vd. Aulin – Connor 1974-1977 (B.6), I, pp. 98-100.
472
Una tipica figura di intellettuale eclettico, versato in diverse discipline, è fin
dai secoli XV-XVI quella di Peder Månsson (su cui cfr. p. 492, nota 97), il quale
aveva progettato una sorta di enciclopedia (scritta in lingua svedese) di cui ci
restano solo alcune parti che trattano tra l’altro di diritto marittimo, medicina,
agricoltura, gemmologia, mineralogia (vd. Peder Månssons Strids-konst och Stridslag,
efter författarens handskrift, af G.O. Hylén-Cavallius, Stockholm 1845 [SSFS: 1:
3]; Peder Månssons skrifter på svenska, efter handskrifter i Stockholm, Uppsala och
Linköping, med en inledning utgifna af R. Geete, Stockholm, 1913-1915 [SSFS:
43] e Peder Månssons bondakonst jämte paralleltexter utgiven med inledning och
kommentar av J. Granlund, Stockholm 1983 [SSFS: 75]). Vd. anche: Holmkvist

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Nuovi poteri e nuovi equilibri 629

che condotte da studiosi scandinavi un aiuto determinante venne


dall’introduzione della stampa (seppure essa fosse servita in primo
luogo ai fini della fiera disputa religiosa e come strumento per la
diffusione della nuova dottrina), la quale non soltanto facilitò la
circolazione di testi stranieri ma permise anche di pubblicare un
cospicuo numero di volumi dedicati ad argomenti scientifici di varia
natura473 e libri destinati a uso scolastico, consentendo inoltre di
diffondere una scienza ‘popolare’ (almanacchi per i contadini, manua-
li per il lavoro). E tuttavia in quest’epoca la scienza intesa in senso
moderno muove con difficoltà i primi passi, mancando in molti casi
di strumenti adeguati e di comprovati presupposti; sicché in diversi
casi essa appare ‘contaminata’ con dottrine di tipo esoterico-cabali-
stico474 o – per salvaguardarsi di fronte alla rigida impostazione
dottrinale dell’ortodossia (che non di rado la considera con diffiden-
za, quando non con aperta avversione) – tradotta in complicate
speculazioni di sapore quasi filosofico. Ciò non di meno i risultati
raggiunti (ma anche, lo si conceda, la confusione e gli errori) rappre-
sentano un apporto di assoluto rilievo. Avendo ben presente la
molteplicità degli interessi dei singoli (le cui ricerche si collegano,
nella sostanza, alle correnti del pensiero scientifico europeo) si darà
qui breve conto dei contributi di maggior valore.
Una disciplina tradizionalmente praticata e della quale nel Nord
anche in precedenza si conoscono studi specifici è, naturalmente,
la medicina.475 Tradizionale punto di riferimento erano stati per

E., “Om Peder Månssons författarskap och landsmanskap”, in ANF LII (1936),
pp. 340-349.
473
Per evidenti scopi di diffusione anche al di fuori dei confini nazionali gran par-
te di questi testi – quantomeno quelli di intento e taglio ‘scientifico’ – furono redatti
in lingua latina.
474
Solo per fare un paio di esempi basti citare Laurentius Paulinus Gothus che
quando aveva ricoperto la cattedra di astronomia all’Università di Uppsala pubblicava
un almanacco (1598) nel quale inseriva profezie astrologiche (Lundström 1893-1898
[cit. a p. 503, nota 136], I, pp. 41-46; cfr. qui p. 800, nota 518) o i numerosi seguaci
scandinavi delle teorie del medico Teofrasto Paracelso. Vd. sotto e nota 476.
475
Cfr. p. 394 con nota 262. Un testo di una certa importanza dal titolo Un utile
libro di medicina nel quale si trova consiglio, aiuto e medicamento per ogni tipo di
malattia umana sia interna sia esterna. In particolare inoltre un insegnamento e indiriz-
zo, su come le donne deboli e malate possano essere aiutate a venir fuori da tutte le
malattie esistenti. E anche contro le affezioni che possono facilmente colpire i bambini
piccoli. E anche un insegnamento e introduzione alla chirurgia (Een nyttigh läkere book
ther vthinnen man finner rådh, hielp och läkedom til allehanda menniskiornes
siwkdomar bådhe inwertes och uthwertes. Serdeles ock een vnderwisning och rättelse, huru
swaghe och siwklighe quinnor sigh vthi alla förefallende siwkdomar hielpa kunna. Item
emoot the kranckheter som små spädh barn lätteligha henda kunna. Item een vnderwisning
och ingång til chirurgiam) era uscito a Stoccolma nel 1578, per opera di Benedictus

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630 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

secoli i princìpi del celebre Claudio Galeno (129-201 d.C.) ai qua-


li tuttavia si venivano ora affiancando nuove impostazioni: in primo
luogo le teorie dello svizzero Paracelso (Philippus Aureolus Theo-
phrastus von Hohenheim, 1493-1541) che ebbe in tutta Europa
numerosi seguaci e fu, tra l’altro, in Danimarca e Svezia.476 Nomi
di grande prestigio sono in Scandinavia quelli dei danesi Thomas
Bartholin il Vecchio (den ældre, 1616-1680) e dello svedese Olof
Rudbeck. Il primo, figlio di Caspar Bartholin (1585-1629),477 filo-
sofo, teologo, grecista e latinista, ma – soprattutto – medico, con-
tinua con grande successo gli studi del padre, tra l’altro usufruen-
do del nuovo ‘teatro anatomico’ realizzato nel 1643 presso
l’Università di Copenaghen: una struttura che rispondeva all’esi-
genza di studi condotti direttamente su cadaveri secondo quanto
sostenuto dal belga Andreas Vesalius (1514-1563), fondatore
dell’anatomia moderna. Ma la paternità della fondamentale sco-
perta del sistema linfatico che fu materia di controversia tra
Bartholin e Olof Rudbeck si deve alla fine considerare come un
merito sostanzialmente condiviso.478 Figura dai vastissimi interessi
umanistici e scientifici, Rudbeck479 fu professore di medicina al-

Olai (ca.1523-1582), medico di Erik XIV e di Giovanni III. Dell’anno precedente è il


Libro di medicina (Lægebog) di Henrik Smith (ca.1495-1563), vd. Petersen – Andersen
1932-1943 (B.4), I, pp. 297-298; H. Schück (“Ur gamla anteckningar. VI. Vårt äldsta
medicinska arbete”, in Samlaren, XXXVI [1915], pp. 206-212) riporta la dedica al re
Erik XIV di un testo medico (andato purtroppo perduto) di tale Empiricus Svecus.
Di interesse è anche l’opera del danese Niels Mikkelsen Aalborg (1562-1645). Vd.
Jörgensen N., “Old Nordic types of texts II: Old Swedish and Old Danish”, in
Bandle 2002-2005 (B.5), I, pp. 994-995 (“Medical writing”). Si tenga presente che
anche il celebre antiquario Ole Worm (vd. pp. 589-590) aveva condotto studi di
medicina ed esercitava la professione.
476
Nel Nord il più celebre tra i suoi seguaci fu il danese Petrus Severinus (Peder
Sørensen, 1542-1602) autore di una fortunata opera dal titolo Idea di medicina filosofica,
contenente tutti i fondamenti della teoria di Paracelso, di Ippocrate e di Galeno (Idea
Medicinæ Philosophicæ, fundamenta continens totius doctrinæ Paracelsicæ, Hippocraticæ
et Galenicæ, 1571). Su di lui vd. Sørensen Peder, Petrus Severinus og hans Idea medicinæ
philosophicæ. En dansk paracelsist, indledning og kommentar ved E. Bastholm, Odense
1979 e Shackelford J., A philosophical path for Paracelsian medicine. The ideas,
intellectual context, and influence of Petrus Severinus (1540/2-1602), Copenhagen 2004.
Per la diffusione del paracelsismo in Svezia si rimanda a Lindroth S., Paracelsismen i
Sverige till 1600-talets mitt, Uppsala 1943.
477
E, a sua volta, padre di Thomas Bartholin il giovane, sopra menzionato (vd.
pp. 588-589). Su Thomas Bartholin vd. Garboe A., Thomas Bartholin. Et Bidrag til
dansk Natur- og Lægevidenskabs historie i det 17. Aarhundrede, I-II, København
1949-1950.
478
Vd. von Hofsten N., “Upptäckten av bröstgången och lymfkärlssystemet” in
Lychnos, 1939, pp. 262-288.
479
Vd. sopra, pp. 582-584. Sui suoi interessi ‘tecnici’ vd. Dahl P., Svensk ingenjörskonst

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Nuovi poteri e nuovi equilibri 631

l’Università di Uppsala,480 ma anche architetto,481 chimico, fisico,


matematico, astronomo, tecnico, inventore, ingegnere, e – soprat-
tutto – botanico (a lui si deve la creazione del giardino botanico
dell’Università di Uppsala e, successivamente, di quello reale).482 I
suoi studi medici si basarono in primo luogo sulla dissezione dei
cadaveri (alla sua iniziativa si deve la realizzazione tra il 1662 e il
1663 del ‘teatro anatomico’ di Uppsala, ancor oggi visitabile all’in-
terno del cosiddetto Gustavianum). Nel 1653 egli diede alle stam-
pe l’opera dal titolo Nuova esercitazione anatomica che mostra i
dotti epatici acquosi e i vasi sierosi delle ghiandole [...] (Nova excer-
citatio anatomica, exhibens ductus hepaticos aquosos, & vasa glan-
dularum serosa [...]) nella quale vengono per la prima volta illustra-
te le sue osservazioni sul sistema linfatico. Se la sua epoca lo celebrò
soprattutto come studioso di antichità (il re Carlo XI in prima
persona apprezzava molto le sue grandiose teorie sulla storia patria),
è certamente sul piano degli studi scientifici che Rudbeck ha por-
tato un contributo davvero considerevole. Seppure il vero “padre
della medicina svedese”483 sia da considerare piuttosto il meno
celebre Pehr (Petrus) Hoffwenius (1630-1682), orientalista e filo-
sofo ma poi professore di medicina a Uppsala, assertore delle idee
di Cartesio (il che gli procurò forti critiche), il quale fu capace di
creare una vera e propria scuola.484

under stormaktstiden. Olof Rudbecks tekniska undervisning och praktiska verksamhet


/ Swedish art of engineering during the Age of Greatness. Olof Rudbeck’s teaching of
technology and technical enterprises, Uppsala 1995.
480
All’interno dell’ateneo egli raggiunse una posizione di grande potere fino a
divenire rettore. Le sue posizioni e le sue decisioni determinarono tuttavia una situa-
zione di aspro conflitto con diversi colleghi, conflitto che sfociò, addirittura, in
azioni legali.
481
La sua attività in questo campo riguardò tra l’altro gli edifici dell’università (in
particolare egli fece modificare il Gustavianum, su cui vd. pp. 618-619) e il castello di
Uppsala restaurato nel 1664. Inoltre dopo il terribile incendio del 16 maggio 1702
preparò un progetto per la ricostruzione della città. A proposito dell’attività architet-
tonica di Rudbeck, Ragnar Josephson (Det hyperboreiska Upsala, Stockholm 1940) ha
cercato di evidenziarne il collegamento con le concezioni goticiste sulla supremazia
dei popoli nordici, con particolare riferimento agli Iperborei.
482
Il quale è, di fatto, l’attuale giardino botanico. Vd. oltre, pp. 779-780.
483
Definizione di Israel Hwasser (“Pehr Hoffvenius. Den svenska medicinens Fader
och Grundläggare”, in Valda skrifter, IV, Stockholm 1870, pp. 3-34).
484
Vd. Hwasser I., Pehr Hoffwenius, Uppsala 1859. Tra i suoi allievi (ma anche tra
quelli di Olof Rudbeck) è opportuno citare qui Urban Hiärne, il quale ad approfon-
diti studi compiuti anche all’estero e all’esercizio della professione (fu medico di
corte) affiancava interessi letterari e, negli ultimi anni, linguistici (cfr. p. 602, p. 612,
p. 614, p. 643 con nota 526, p. 767 e p. 833). Studioso anche di chimica, di farmaco-
logia e naturalista, a lui si deve la promozione della idroterapia.

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632 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

I secoli XVI e XVII conoscono un grande sviluppo delle scien-


ze naturali. Nel campo della botanica, oltre agli importantissimi
studi di Rudbeck, vanno ricordate le ricerche del danese Simon
Paulli (1603-1680), medico di corte e autore di una Flora Danica
(1648) il cui intento resta tuttavia (ma nell’ottica dell’epoca non
stupisce affatto) quello di indicare l’uso medicinale delle diverse
piante. Come lui era medico (ma anche chimico, filologo e botani-
co) il compatriota Ole (Oluf) Borch (1626-1690) che per talune
osservazioni sulla suddivisione delle piante anticipa gli studi di
Linneo.485 Di notevole interesse sono poi gli studi di Rasmus Bar-
tholin (1625-1698), fratello di Thomas, scopritore della doppia
rifrazione della luce sulla calcite; quelli di Niels Steensen (Nicolaus
Stenonius, 1638-1686), anatomista di grande valore e autore di testi
religiosi (nel 1667 si era convertito al cattolicesimo divenendo poi
addirittura vescovo), ma – soprattutto – fondatore degli studi geo-
logici e paleontologici (e scopritore del dotto escretore della ghian-
dola parotide).486
Tra il XV e il XVI secolo allo stesso modo in cui i princìpi di
Galeno, sui quali si era per secoli basata la scienza medica, vengo-
no messi in discussione, anche il pensiero astronomico tolemaico
va incontro a critiche che ‘ribalteranno’ la concezione stessa dell’uni-
verso. I nomi di immediato riferimento sono, naturalmente, quelli
del polacco Nicola Copernico (Mikołaj Kopernik, 1473-1543) e
dell’italiano Galileo Galilei (1564-1642). Ma in questo contesto
non si può prescindere dagli studi del danese Tyge (latinizzato in
Tycho) Brahe (1546-1601), astronomo per vocazione (nonostante
l’opposizione della famiglia) e scopritore (1572) della Nova, una
stella nella costellazione di Cassiopea: un evento, questo, che con-
tribuì grandemente alla sua fama consentendogli di difendere con
maggiore autorità le proprie osservazioni e l’uso di strumenti per-
sonalmente progettati e costruiti. Allo scopo di favorire le sue
ricerche astronomiche il re Federico II (che aveva anche interessi
scientifici) gli concesse l’isola di Hven nell’Øresund (insieme a una
cospicua elargizione) dove egli fece costruire (1580) la sua celebre
485
Vd. pp. 780-782. Su di lui Koch E.F., Oluf Borch. En litærerhistorisk-biografisk
skildring, Kjøbenhavn 1866 e anche Fink-Jensen M., “Ole Borch mellem naturlig magi
og moderne naturvidenskab”, in DHT C: 1 (2000), pp. 35-67. Come chimico Ole Borch
è noto in particolare per essere stato il primo a isolare l’ossigeno.
486
Su di lui vd. Koch C.H., Niels Steensen og naturiagttagelsen, Lyngby 2003 e
anche Garboe A., Nicolaus Steno (Niels Stensen) and Erasmus Bartholinus. Two 17th
century Danish scientists and the foundation of exact geology and crystallography,
København 1954 e, in italiano, Cioni R., Niccolò Stenone. Scienziato e vescovo, Firen-
ze 1953.

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Nuovi poteri e nuovi equilibri 633

dimora-osservatorio, cui diede nome Uraniborg (in latino Urani-


burgum), ispirata – come si è detto in precedenza – al gusto rina-
scimentale. A essa fu affiancato un vero e proprio osservatorio cui
venne dato nome Stjerneborg (in latino Stellaeburgum).487 Questi
luoghi divennero un centro di studi frequentato da insigni eruditi
e nel quale Tyge Brahe poté completamente dedicarsi alle sue
osservazioni. Dopo la morte di Federico II, suo grande protettore,
egli vide progressivamente peggiorare la propria situazione, finché
decise di trasferirsi all’estero. Negli ultimi anni della vita, trascorsi
in Boemia sotto la protezione dell’imperatore Rodolfo, ebbe fra i
propri assistenti Giovanni Keplero (Johannes Kepler, 1571-1630).
Di Tyge Brahe ci restano, oltre al fondamentale contributo agli
studi astronomici, anche elegie latine, alcune comprese nei testi
scientifici, altre ancora affidate a manoscritti. Un tirocinio lettera-
rio tutt’altro che disprezzabile e nel quale egli dimostra di ben
conoscere i modelli classici (soprattutto Ovidio).488
Del resto, l’esercizio di diverse discipline dipende non solo da
un’idea di erudizione come armonioso e parallelo sviluppo di dif-
ferenti saperi o dal desiderio di coltivare svariati interessi ma anche
dal convincimento che talune materie di studio siano, in un certo
senso, ancelle di altre (in primo luogo la chimica, ma anche la
botanica, rispetto alla medicina) o che gli ambiti di ricerca siano
necessariamente intrecciati: a esempio gli studi geografici stretta-
mente legati a quelli topografici e cartografici (che conoscono ora
un notevole sviluppo)489 o antropologici.490 Sicché ricordando qui
487
La cosiddetta “Torre rotonda” (Rundetårn) di Copenaghen, nella quale troverà
collocazione uno dei primi osservatori astronomici pubblici in Europa, sarà costruita
tra il 1637 e il 1642 per volere di Cristiano IV. Il primo direttore di questo osservatorio
sarà Christian Sørensen Longomontanus (1562-1647), professore di matematica e
astronomia, allievo di Tyge Brahe. Si osservi che in Svezia un osservatorio astronomi-
co universitario sarà realizzato solo nel 1739.
488
A proposito di Tycho Brahe si legga anche Moesgaard Kr.P., “Copernican
Influence on Tycho Brahe”, in RCHT, pp. 31-55.
489
Cfr. p. 669 con nota 621.
490
La diffusione degli interessi geografici è ben testimoniata anche in Islanda. A
questo riguardo va ricordata innanzi tutto la figura di Þórður Þorláksson, vescovo di
Skálholt dal 1674 e uomo dai vasti interessi culturali: trasferita la stamperia di Hólar
a Skálholt fu tra l’altro, come detto (vd. nota 302), il primo a pubblicare testi antichi;
cfr. LFI I, 14 febbraio 1685, p. 428. Assai interessato alle scienze naturali, nel 1666 fece
uscire a Wittemberg una Dissertatio Chorographico-Historica De Islandia corredata da
carte geografiche dell’Islanda e della Groenlandia (cfr. p. 760, nota 349). Þórður
Þorkelsson Vídalín (1661-1742), fratello di Jón (vd. p. 576 e p. 667 con nota 610),
scrisse in latino il primo trattato sui ghiacciai del suo Paese, noto come Scritto sui
ghiacciai (Jöklarit). Vd. Steindórsson S., “Þórður Þorkelsson Vídalín rektor: 1662-
1742”, in ÍN, pp. 33-40. Il testo fu pubblicato in tedesco nel 1754.

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634 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

ancora i danesi Thomas Fincke (1561-1656) per gli studi matema-


tici e geometrici, Ole Rømer (1644-1710) per quelli astronomici e
fisici (a lui si deve la prima misurazione della velocità della luce),491
Caspar Bartholin il Giovane (den yngre, 1655-1738) per quelli
anatomici492 e il finno-svedese Sigfrid Aron Forsius (1550-1624),
autore del primo scritto di scienze naturali apparso in Svezia dal
titolo generico di Fisica (Physica, 1611),493 si dovrà di nuovo sotto-
lineare il loro impegno in diversi campi del sapere ma anche in
quello della produzione letteraria.494

Da un discorso accademico dello storico danese Jon Jacobsen Venusin495


tenuto nel 1602 nel quale egli sostiene le teorie copernicane:

“Ma noi qui inutilmente ci adoperiamo, se invero non si riesce a persua-


dere i dotti, [ad affermare] che l’ordine dei corpi celesti è quello stabilito da
Copernico, quantunque le assurdità certamente vergognose e mostruose
delle vecchie ipotesi e dei moti creduti, possano manifestamente essere poste
davanti agli occhi sia contro la adeguatezza di queste ipotesi sia [contro] la
reale verità. Un mio amico poco tempo fa si prendeva gioco di coloro, che
affermavano la rotazione del globo terrestre, [sostenendo] che [erano piut-
tosto] le loro menti a esser prese da qualche rotazione. Perciò, seppure fosse
un uomo non incompetente di questioni matematiche, e anche di ingegno
acuto, gli piacque scherzare. Senza dubbio quelli che [tengono] per vero il
limite che si creano, si persuadono che il cielo delle stelle fisse sia messo in
moto da una rotazione giornaliera: incredibile quanto siano ingenui. E
queste cose certamente mi richiamano il ricordo di Lattanzio.496 Egli infatti
491
Vd. Nielsen A.V., Ole Rømer. En skildring af hans liv og gerning, Aarhus 1944.
492
Da lui, che per primo le individuò nell’apparato genitale femminile, prendono
nome le ghiandole di Bartolino.
493
Questo testo è stato pubblicato solo nel secolo scorso (1952) da Johan Nordström.
Vd. Kiiskinen T., Sigfrid Aronus Forsius. Astronomer and philosopher of nature, Frank-
furt am Main 2007.
494
Il che si constata assai bene, a esempio, proprio in Forsius, il quale nel suo testo
(che tratta di fisica, geologia, biologia e psicologia), inserisce dei versi al termine di
ogni libro.
495
Cfr. p. 539.
496
Il riferimento è allo scrittore apologista del cristianesimo Lucio Cecilio
Firmiano Lattanzio (ca.250-ca.327) il quale nel terzo libro delle sue Istituzioni
divine (Divinarum Institutionum libri VII), dal titolo Sulla falsa sapienza dei filo-
sofi (De falsa sapientia philosophorum), contesta con argomentazioni sorprenden-
ti per la loro ingenuità le teorie sulla sfericità del pianeta Terra: “Come è riguardo
a coloro che credono che ci siano degli Antipodi opposti ai nostri passi, che
dicono [in proposito]? o c’è qualcuno tanto stolto da credere che ci siano degli
uomini i cui passi siano più in alto della loro testa? o che le cose che presso di noi

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Nuovi poteri e nuovi equilibri 635

non poteva con alcun argomento essere persuaso d’altro, [se non] che la
terra fosse piatta e che l’Oceano si estendesse fino al cielo, e che essa in tal
modo quasi galleggiasse, non so poi di altre stupidissime fandonie, che
avesse ripreso dal popolo e dai Poeti: e però derideva come menzogneri
coloro che avessero detto che la terra è sferica o del tutto rotonda, appoggia-
ta sul proprio centro e cinta attorno dall’atmosfera. Eppure l’erudizione di
quest’uomo, la sapienza, l’eloquenza non sono in dubbio. La verità di costo-
ro, che ai ciechi, che ciò affermano, e ai barbieri è notissima, al punto che i
marinai e le donnette la possono dimostrare, la mente di Lattanzio non la
conteneva, sicché neppure molti altri, che si sono conquistati un nome illu-
stre nella cultura, a quel tempo poterono essere persuasi di ciò che ora anche
il popolo conosce. Perciò ci sarà un tempo in cui la verità di queste cose non
sarà nota solo ai Matematici ma anche al popolo, sebbene esse ora siano
derise da molti.”497

sono coricate presso di loro poggino al contrario? [che] le messi e gli alberi cre-
scano all’ingiù? [che] le piogge, e le nevi e la grandine cadano sulla terra all’insù?
[…] L’origine di questo errore deve essere a noi svelata. Infatti essi sempre sba-
gliano nello stesso modo. Dal momento che hanno assunto una cosa falsa all’inizio,
indotti dalla somiglianza con la verità, necessariamente incorrono in quelle che
sono le sue conseguenze. Così incappano grandemente nel ridicolo, dal momento
che necessariamente sono false le cose che sono conformi al falso […] Quale
ragionamento li ha dunque portati all’idea degli Antipodi? Vedevano il corso degli
astri procedere verso ovest, il sole e la luna tramontare sempre dalla stessa parte,
e sorgere sempre dalla medesima. Ma dal momento che non hanno compreso
quale sistema regoli il loro corso, né in qual modo essi tornino da occidente a
oriente, hanno supposto che il cielo stesso si inclini verso il basso da ogni lato, il
che deve apparire così per via della sua immensa estensione: hanno pensato che il
mondo sia rotondo come una palla, e dal moto delle stelle hanno ipotizzato che il
cielo giri sicché gli astri e il sole, una volta tramontati, ritornano a sorgere grazie
alla medesima rotazione del mondo […] Perciò a questa rotondità del cielo ciò
conseguiva, che la terra era rinchiusa nel mezzo del suo involucro. Che se così
fosse la terra stessa [sarebbe] simile a un globo, infatti non potrebbe non essere
rotondo ciò che è contenuto in qualcosa di rotondo […] Così la rotondità della
terra portò in aggiunta all’invenzione di questi Antipodi sospesi. / Ma se doman-
date a coloro che difendono queste fantasticherie, come mai tutte le cose non
cadano in quella parte inferiore del cielo, essi rispondono che tale è la natura
delle cose, che ciò che è pesante è spinto verso il centro, e che tutte le cose sono
connesse al centro, al modo in cui vediamo i raggi in una ruota; ma le cose che
sono leggere, come il vapore, il fumo e il fuoco, sono allontanate dal centro, perché
si muovano verso il cielo. Non so che dire di quelli, che, una volta sbagliato, per-
severano costantemente nella stupidità e difendono cose vane con vani [argomen-
ti…]” (DLO nr. 139).
497
DLO nr. 140.

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636 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

9.3. La società scandinava tra Cinquecento e Seicento

Va da sé che la riforma protestante incise profondamente anche


sulla realtà sociale dei Paesi nordici. La trasformazione può essere
definita, senza cadere in esagerazioni, epocale. Il che è tra l’altro
rimarcato da una sorta di disorientamento che si constata negli anni
della transizione, quando, pur avendo spazzato via la vecchia dot-
trina non si era ancora potuto far radicare la nuova, sicché la vita
quotidiana della gente comune, quasi improvvisamente privata
delle certezze e dei punti di riferimento che per secoli l’avevano
determinata e regolata, conobbe un decadimento.498
In seguito però, una volta esaurito l’impeto, ci si impegnò per
una trasformazione della società che doveva ora adeguarsi ai nuo-
vi princìpi e ristrutturarsi secondo i nuovi equilibri. Lo Stato, come
si è detto, si era appropriato dei beni della Chiesa: il definitivo
passaggio del potere è simboleggiato dallo smantellamento (paral-
lelo a quello dell’antica struttura ecclesiastica) degli edifici religio-
si, il cui materiale viene talora utilizzato per la costruzione di
castelli e fortezze, così come dall’inserimento all’interno del nuo-
vo sistema delle parrocchie di antiche chiese che, pur conservando
in taluni casi una certa autonomia economica (almeno quando si
poté dimostrare che ciò era necessario per il loro funzionamento),
perdono gran parte delle proprietà. Ma l’aver esautorato la Chie-
sa ebbe come conseguenza che il potere statale dovette farsi cari-
co di quelli che erano stati i servizi di carattere sociale che essa
aveva gestito. Innanzi tutto l’assistenza sanitaria e l’istruzione,499
498
Ciò spiegherebbe, almeno in parte, l’estendersi di cattive abitudini, come a
esempio il vizio del bere: tra il XV e il XVI secolo si assiste del resto alla diffusione
di una bevanda simile all’acquavite, ottenuta per lo più dalla fermentazione di cerea­
li: danese brændevin, svedese, brännvin, norvegese brennevin; islandese brennivín,
finnico (palo)viina. Tale bevanda, introdotta dai commercianti tedeschi, serviva
inizialmente come ingrediente nella preparazione della polvere da sparo o per uso
medicinale.
499
Ciò era ben chiaro (sulla scia di Lutero) ai promotori della riforma: in tal senso
testimonia, a esempio, il testo della dedica della propria Postilla (Winterdelen aff
Postillen […]) scritto da Hans Tausen (vd. pp. 493-494) per Cristiano III, dove si
sottolineano i doveri in materia di istruzione e assistenza sanitaria e sociale che il
sovrano deve assumersi nei confronti del popolo. Il che poi questo re effettivamente
fece garantendo fondi alle scuole e agli ospedali. Ma anche l’opera di un ‘riformatore
cattolico’ come Poul Helgesen (vd. pp. 492-493) comprende uno scritto sulla cura dei
malati e dei poveri: In che modo le Persone malate, disgraziate, ferite, Povere e Indigen-
ti debbano essere trattate e curate, un breve Insegnamento di Fratello Paulus Helie
(Huore krancke, mijslige, saare, Arme oc Fattige Menniskir schule tracteris oc besørgis,
een kort Vnderwijsning aff Broder Paulo Helie, 1528), nel quale trovano spazio anche

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Nuovi poteri e nuovi equilibri 637

due ambiti per i quali fin dal tardo medioevo le autorità laiche
avevano mostrato (in particolare nelle città) un crescente interes-
se. Il cambiamento è sostanziale in quanto pone i presupposti di
una nuova impostazione del problema, trasferito dal piano reli-
gioso a quello etico-sociale. Effetti di grande importanza si ebbe-
ro in primo luogo nel campo dell’istruzione. Fino ad allora il
sistema scolastico non aveva conosciuto una precisa strutturazio-
ne. In Scandinavia dopo la conversione al cristianesimo erano
sorte diverse scuole (accanto a quelle tradizionalmente presenti
presso i capitoli e i conventi erano comparse in seguito anche
scuole cittadine) dove l’insegnamento era gestito con una certa
autonomia.500 Per altro esso restava, nella stragrande maggioranza
dei casi, affidato a ecclesiastici di diverso grado e dunque sotto-
posto al controllo della Chiesa: lo scopo primario era infatti quel-
lo di formare i suoi nuovi membri o, più semplicemente, di dif-
fondere fra il popolo i fondamenti della fede. Se è vero che già il
re danese Cristiano II aveva cercato di intervenire sulla materia,
affermando così per la prima volta il principio che allo Stato spet-
ta regolamentare il funzionamento delle scuole,501 fu tuttavia a
partire dalla riforma che l’istruzione del popolo cominciò a essere
organizzata in modo più sistematico (anche se il concetto che ciò
debba costituire un diritto/dovere pubblico si sarebbe affermato
molto più avanti).502 È evidente che – tenuto conto della grande
alcune considerazioni sulla necessità di migliorare il sistema scolastico. Nello scritto
di Christiern Pedersen (cfr. pp. 496-497, p. 517, pp. 578-579 e p. 604) dal titolo Su
come educare i bambini alla Scuola e allo Studio E formare per loro buoni Maestri (Om
børn ath holde till Scole och Studium Och ath skicke gode Scolemestere till dem, 1531)
la necessità del cambiamento si intreccia con la polemica contro i metodi tradizionali
della Chiesa cattolica; il testo è d’altronde ripreso direttamente da Lutero.
500
La base in ogni caso erano le cosiddette septem artes liberales, suddivise in trivium
(grammatica, retorica e dialettica) e quadrivium (aritmetica, geometria, musica e astro-
nomia). Spesso tuttavia nelle scuole di livello inferiore il numero delle discipline era
più limitato e si privilegiavano quelle del cosiddetto quadrivium.
501
Vd. Skovgaard-Petersen 1970 (C.8.2) e Münter 1823-1833 (B.7.2), III, pp.
56-61. Nella cosiddetta Legge [di diritto] ecclesiastico di re Cristiano II (1521) le
norme relative all’istruzione si trovano alle pp. 1-68 (vd. sul punto in particolare pp.
3-4). Nel § 125 (p. 60) si precisa che i bambini devono per prima cosa imparare il
Padrenostro, l’Avemaria e il Credo in lingua danese “in modo che essi li possano
leggere e capire bene, e poi imparino a leggerli e a scriverli in danese” (“saa the
thennom vell kunde lesse och understaa, och siden at lere at lesse och schrifue paa
dansche”). Inoltre si stabilisce che chi voglia diventare pastore debba frequentare le
scuole di città a proprie spese studiando soprattutto il latino e la Bibbia. Le norme
inoltre ribadiscono (p. 12) il divieto di compiere studi superiori all’estero se prima
non si sia ottenuto il titolo di baccalaureatus in patria (cfr. la Legge [di diritto] laico:
§ 94 [99], pp. 119-120).
502
Vd. Skautrup 1944-1968 (B.5), II, pp. 173-174.

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638 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

attenzione dei luterani per l’ortodossia – i fondamenti e gli obiet-


tivi religiosi nell’istruzione sarebbero rimasti ben saldi.503 E, d’al-
tra parte, i promotori delle nuove scuole si sarebbero evidentemen-
te ispirati ai modelli tedeschi. Ma nel momento in cui la Chiesa
veniva in sostanza sottomessa al potere secolare la sua attività in
questo campo dovette adeguarsi ai bisogni di quest’ultimo: sicché
l’insegnamento mirava ora a formare buoni luterani che sarebbero
stati, al contempo, sudditi buoni e fedeli.504 Sulla scorta delle idee
erasmiane la scuola avrebbe dovuto insegnare ma anche, soprat-
tutto, formare. Almeno nell’ambito dell’educazione della gente
comune (affidata in buona parte alla responsabilità delle famiglie
seppure sotto la supervisione ecclesiastica) lo scopo principale fu,
dunque, questo; non di meno, dal punto di vista del progresso
sociale, la diffusione capillare di una scolarizzazione di base (segui-
ta a una prima fase di assestamento e dovuta in buona parte
all’iniziativa del clero locale) fornì in molti casi almeno la capaci-
tà di leggere, elemento che avrebbe nel tempo avuto effetti di
grande rilevanza. Il susseguirsi di ordinanze contenenti direttive
sull’istruzione mostra del resto una crescente presa di coscienza
della sua importanza in una prospettiva non più soltanto stretta-
mente religiosa505 come mostra, contemporaneamente, l’apertura
a nuove discipline.506 Il che significa, a livelli più elevati, non solo
503
Si noti anche che l’Ordinanza danese (vd. p. 465 con nota 18) conteneva
disposizioni sulla scuola, istituendo le cosiddette “scuole di latino” (latinae scholae;
KO, pp. 120-125 e pp. 202-210; cfr. pp. 75-80), dove l’insegnamento di questa lingua
e (naturalmente!) della religione erano prevalenti. Ai livelli di istruzione più alti esse
erano, in sostanza, dei ginnasi. Così furono sostituite le antiche scuole cattoliche che
avevano sede presso i conventi e le cattedrali. In Norvegia le “scuole di latino” sono
esistite fino al 1869, in Danimarca fino alla riforma del 1903 (vd. p. 978 con nota
107). Vd. Winge 1988 (Abbr.), p. 15; Jørgensen C.E., Skolemester og hører. Latin-
skoleliv før 1800, København 1965 e Jensen Kr., Latinskolens dannelse. Latinunder-
visningens indhold og formål fra reformationen til enevælden, København 1982. Per
l’Islanda vd. pp. 910-911 con note relative.
504
Dopo la riforma gran parte dell’insegnamento di base venne affidata al diacono
(dan. degn, dal latino diaconus; norv. klokker, letteralmente “campanaro”). A questa
persona erano assegnati nelle parrocchie incarichi di supporto, come, appunto, l’istru-
zione religiosa (e scolastica) dei bambini e la gestione del coro (funzione che pare
prevalente per il klockare svedese). Vd. Dahlerup T., “Degnen i middelalderen”, in
KSam III (1957-1959), pp. 513-522.
505
Vd. Sjöstrand 19652, pp. 116-125.
506
Per le ordinanze relative alle scuole svedesi vd. p. 502 con note 131 e 132; si
ricordi qui che nell’Ordinanza ecclesiastica del 1686 (Kyrkio=Lag och Ordning, cfr.
nota 172) fu stabilito (II, § x) che tutti dovessero acquisire la capacità di leggere
(naturalmente al fine di accedere direttamente ai testi religiosi). Per la Danimarca si
vedano le norme comprese nel recess di Cristiano IV (Secher [Abbr.] IV [1897], nr.
310, 27 marzo 1629, pp. 446-477); per la Norvegia il documento del 2 gennaio 1604

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Nuovi poteri e nuovi equilibri 639

un evidente influsso dell’umanesimo (seppure, come si è detto,


di un umanesimo ‘filtrato’)507 ma anche il dibattito (e la ricezione) di
dottrine come il cosiddetto “ramismo”508 o il neoaristotelismo.509
E, infine, il sorgere, seppure lento e graduale, di una cultura laica.
Ma la profonda trasformazione nei rapporti tra autorità religio-
sa e autorità civile messa in moto dalla riforma luterana ebbe
effetti importanti anche sul piano più strettamente politico: essa
infatti si legò a una tendenza europea che interessava l’idea stessa
di Stato e nella quale erano poste le premesse di quella crescente
centralizzazione del potere (riflessa anche nella progressiva cresci-
ta di importanza delle cancellerie reali) che sarebbe infine sfociata
nell’assolutismo regio. Come si è visto, nella seconda metà del XVII
secolo i due regni di Danimarca e di Svezia (e con essi quelle che
a tutti gli effetti possono essere considerate loro ‘colonie’) si avvia-
no, ciascuno con un proprio percorso, verso l’affermazione di
questa forma di governo. In questa prospettiva il luteranesimo (che
divenne una vera e propria ‘religione di stato’) ebbe un ruolo
determinante.510 Lo storico Arild Huitfeldt511 aveva ricordato che
per lunga tradizione il Regno danese era di carattere elettivo e non
ereditario e che un sovrano pur trovandosi al vertice della pirami-
de sociale non avrebbe potuto governare da solo, considerazioni

(NRR IV, pp. 40-41) relativo all’Ordinanza ecclesiastica per la Norvegia emessa poi il
2 luglio 1607 e valida anche per l’Islanda (En Kircke Ordinantz, Huor effter alle,
Baade Geistlige oc Verdslige vdi Norgis Rige, skulle sig rette oc forholde, in particola-
re pp. 520-535; cfr. LFI I, pp. 150-171 e pp. 206-208: decreto del 29 novembre 1622)
e il recess del 27 marzo 1629 sopra menzionato.
507
Cfr. p. 491.
508
Il riferimento è alle idee del filosofo francese Petrus Ramus (Pierre de la
Ramée, 1515-1572) che, come noto, ebbero importanti ricadute dal punto di vista
pedagogico: egli infatti rivalutava, ai fini dell’insegnamento, l’importanza della
pratica rispetto alla teoria. Essendosi convertito al calvinismo Ramus fu una delle
vittime della cosiddetta ‘notte di San Bartolomeo’; vd. Waddington C., Ramus
(Pierre de la Ramée). Sa vie, ses écrits et ses opinions, Paris 1855. Uno dei più
convinti seguaci del ramismo fu il vescovo danese Jens Dinesen Jersin (1588-1634),
per altro rigorosamente ortodosso seppure, per certi versi, precursore del pietismo
(su cui vd. pp. 762-764).
509
Una dottrina, applicata più al campo pedagogico che a quello filosofico, che per
certi versi riportò indietro il sistema scolastico (un percorso, del resto, coerente con
l’affermazione della piena ortodossia).
510
Da questo punto di vista è significativo che il cosiddetto Libro di concordia
(Concordia) pubblicato nel 1580 e contenente i testi dogmatici fondamentali del lute-
ranesimo trovasse ora diffusione nei Paesi nordici dove inizialmente era stato combat-
tuto in nome di una maggiore libertà religiosa; vd. Lenhammar 20014 (B.7.2), pp. 44-45
e p. 48.
511
Cfr. p. 539.

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640 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

inserite nella prospettiva biblico-cristiana del luteranesimo. Ma la


sua opinione sarebbe stata travolta dai fatti. Nel passato uno degli
ostacoli maggiori al pieno dispiegarsi del potere statale era stata
proprio la Chiesa, che nel corso dei secoli era riuscita a costituire
un’autorità parallela e sostanzialmente autonoma. Con l’introdu-
zione della riforma, come si è detto, essa venne decisamente inde-
bolita (in primo luogo economicamente), sicché mentre veniva
profondamente rinnovata sul piano teologico coll’adeguamento
alla dottrina luterana, la sua nuova organizzazione poté costituirsi
solo sotto la stretta tutela del potere politico. Per la verità un
ampliamento dell’influenza dei sovrani nordici nei confronti del
mondo ecclesiastico si può constatare fin dalla fase finale del medio-
evo, riflesso nei diversi segnali di rottura con il papato. La riforma
si inserì dunque in questa tendenza conducendo a compimento il
processo di affermazione dello Stato sulla Chiesa, la quale – natu-
ralmente – sopravvisse ma fu sostanzialmente privata della propria
autonomia e divenne, per molti aspetti, un semplice strumento al
servizio del potere centrale, il quale seppe efficacemente impiega-
re per i propri scopi l’organizzazione ecclesiastica. Per questo
motivo i vescovi e i pastori luterani non solo si preoccuparono di
correggere l’atteggiamento religioso dei fedeli,512 ma divennero
anche un tramite tra il potere della Corona e i sudditi (a esempio
svolgendo incarichi di carattere prettamente amministrativo),513
una sorta di ‘burocrazia religiosa’ integrata e conforme all’ordina-
mento sociale che andava strutturandosi in senso piramidale: una
piramide al cui vertice ci sarebbe stato naturalmente solo il re. Se
dunque grazie al lavoro assiduo dei nuovi pastori la Chiesa rifor-
mata riuscì tra la fine del XVI e il XVII secolo a far prevalere
l’ortodossia luterana,514 disciplinando i fedeli e guidandoli verso
una ubbidienza regolamentata (all’interno di una struttura sociale

512
In questa ottica sono da intendere le numerose visite pastorali il cui ‘clima’ ci
è descritto nel Libro delle visite pastorali (Visitatsbog) del vescovo danese Peder
Palladius (vd. p. 496) e in quelli (Visitatsbøger) del vescovo di Oslo Jens Nilssøn
(1538-1600).
513
Vd. in proposito Holm 1885-1886 (C.10.2), I, pp. 376-378.
514
Ciò fu ottenuto non di rado con metodi assai duri: per fare un esempio basti
ricordare la vicenda del professore danese Christoffer Dybvad (1572-1622), matema-
tico reale, il quale fu condannato al carcere a vita per aver osato criticare lo stato
assolutista e la Chiesa (vd. Fink-Jensen M., “Enevældens ensomme fortrop. Christoffer
Dybvads systemkritik under Christian 4.”, in OSD, pp. 36-64) o quella di Niels
Svendsen Chronich (Chronius, nato nel 1608 ca., morto dopo il 1672) il quale avendo
portato durissimi attacchi al clero luterano fu dapprima imprigionato e poi condan-
nato all’esilio.

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Nuovi poteri e nuovi equilibri 641

che si voleva stabilita da Dio), nel XVII e nel XVIII secolo essa
svolse anche tutta una serie di compiti al servizio dello Stato.515
Parallela allo sviluppo dell’assolutismo regio fu, sul piano più
strettamente ecclesiale, l’affermazione di una rigida ortodossia, la
quale non mancò (come del resto avveniva, con le dovute differen-
ze di prospettiva, anche nella cattolica Francia) di fornire solida
legittimazione religiosa al nuovo sistema politico516 e, dunque, di
favorire il controllo sul mondo culturale in tutti i suoi aspetti sot-
tomettendolo senza possibilità di replica al dettato biblico. Ciò
ebbe indiscutibili ricadute (ben note anche altrove) non solo sulla
nascente ricerca scientifica, ma anche – evidentemente – sull’im-
postazione degli studi di carattere storico. Del resto in Danimarca
fin dall’introduzione del luteranesimo (in concomitanza con la
rifondazione dell’Università di Copenaghen) era stata introdotta
la censura, che demandava ai vescovi e alle autorità accademiche
il controllo sulla stampa (in primo luogo quella religiosa).517 E anche
in Svezia il controllo sulla stampa, prima affidato alla Corona, poi
passato ai vescovi e alle autorità accademiche e infine a funzionari
della cancelleria (al cui interno nel 1680 sarà istituito l’incarico
ufficiale di censore), appare ben saldo fin dai tempi di Gustavo
Vasa.518 Questo atteggiamento ben spiega, del resto, l’interesse da
515
In questo ambito va ricordata quella che può essere definita una ‘campagna
difensiva’ nei confronti delle tendenze controriformatrici, portate avanti soprattutto
dai gesuiti che si adoperarono attivamente per introdurre e diffondere nei Paesi
nordici scritti e insegnamenti favorevoli alla dottrina cattolica. Tra di loro è nota in
particolare la figura del norvegese Laurits Nilssøn (Laurentius Nicolai Norvegus,
1538-1622), più noto come “Lasse del convento” (Kloster-Lasse) a motivo della sua
attività di docente e rettore del Pædagogicum-theologicum voluto dal re svedese
Giovanni III a Stoccolma (cfr. p. 571, nota 180): questo collegio infatti aveva sede
nell’antico convento dei francescani. Celandosi dietro il prestigioso incarico egli fece
di questo istituto la base della propria attività controriformatrice. Le sue reali inten-
zioni vennero infine alla luce e contro di lui nei giorni della Pentecoste del 1580
scoppiò un tumulto, sicché egli fu costretto a lasciare la Svezia. Successivamente fu
in Italia e in Austria, finché nei primi anni del Seicento si recò in Danimarca dove
volle tentare – addirittura – di convertire il re Cristiano IV e la nobiltà. Cercò anche
di raggiungere la Norvegia, ma ciò gli fu impedito. Terminò i suoi giorni a Vilnius.
Su Lars Nilsson vd. Garstein O., Klosterlasse. Stormfuglen som ville gjenerobre
Norden for katolisismen, Oslo 1998.
516
Si pensi a esempio all’opera del vescovo e professore di teologia danese Hans
Wandal (1624-1675) autore di un’imponente opera in sei volumi di Diritto regio (Juris
regii), uscita tra il 1663 e il 1672.
517
Vd. KO, pp. 90-91, p. 98, p. 136 e pp. 231-232 (DKL I, nr. 24, pp. 119-120),
ripreso in un decreto del 15 maggio 1576 (DKL II, nr. 368, pp. 264-266; cfr. nr. 369,
medesima data, pp. 266-267).
518
La città di Stoccolma e l’Università di Uppsala avevano tuttavia diritto a un
proprio censore (vd. Schück – Warburg 19853 [B.4], II, p. 172). La censura fu chia-

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642 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

parte del potere centrale per i testi sui quali si basa e ai quali si
richiama la pratica della vita religiosa: sicché non deve sorprende-
re che i sovrani in prima persona dispongano la traduzione o la
revisione della Bibbia (le cui diverse edizioni sono legate non a caso
al loro nome) o l’istituzione di commissioni preposte a compilare
libri dei salmi che trovino uniforme diffusione tra i fedeli. Ma
questo ‘assolutismo ortodosso’, se così è consentito definirlo, fu
applicato con burocratica e soffocante pignoleria anche alla vita
ordinaria della gente comune e fu tradotto in una serie di norme e
precetti religiosi che, almeno esteriormente, livellarono l’esperien-
za della fede, trasformata – in una sorta di ritualizzazione della
quotidianità – nella diligente osservanza di regole (non di rado
cavillose) semplicemente imposte dall’alto.519
Questa severa intransigenza non poté, d’altro canto, che favorire
l’estendersi, anche in Scandinavia, di quell’atmosfera commista di
intolleranza e fanatismo che, soprattutto nel XVII secolo, si tradus-
se nel fenomeno della ‘caccia alle streghe’. Come è noto la Chiesa
aveva da sempre condannato la magia e l’accusa di stregoneria era
stata un efficace strumento nelle mani dei potenti per eliminare
scomodi avversari: processi e condanne sono ben noti nei secoli
precedenti la riforma, soprattutto dopo che nel XIII secolo i teolo-
gi avevano ‘codificato’ ogni forma di eresia e credenza magica o
superstiziosa come effetto dell’opera del demonio. Fu tuttavia dalla
metà del XVI secolo che il terrore di Satana e dei suoi presunti
seguaci dilagò in Europa.520 Anche nei Paesi nordici (persino nella
remota Islanda)521 ci sono numerosi esempi di processi e condanne
per stregoneria che non soltanto ebbero come protagonisti e vittime
individui di condizione modesta, magari affetti da patologie psichi-

ramente ribadita in Svezia nel 1684. Sulla storia della censura in questo Paese (e i
decreti relativi) si rimanda a Eek 1942 (C.10.4), cap. 4: “Rättsutvecklingen i Sverige
på tryckfrihetens område”, pp. 151-230.
519
Si pensi solo all’istituzione di ‘giornate di preghiera’ stabilite dal re per diverse
occasioni quali un’epidemia (decisione verosimilmente condivisa dalla gente) ma anche
una gravidanza a corte, il viaggio per mare di una principessa, una vittoria sul campo
di battaglia.
520
Come è noto un impulso in questo senso venne dalla diffusione del cosiddetto
Martello delle streghe (Malleus maleficarum, 1487), scritto da due grandi inquisitori, il
tedesco Heinrich Institor Kramer (1430-1505) e lo svizzero Jacob Sprenger (1436-1495):
un testo che si proponeva di fornire gli strumenti per ‘schiacciare’ le streghe.
521
Dove si calcola che tra il 1554 e il 1719 ci siano stati centoventi processi per
stregoneria (vd. Júlíusson – Ísberg 2005 [B.3], pp. 128-129). Le condanne al rogo
furono ventuno, cui si deve aggiungere una sentenza di morte per decapitazione e una
per impiccagione. In controtendenza a quanto avveniva altrove nel novero di coloro
che furono giustiziati si registra solo una donna.

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Nuovi poteri e nuovi equilibri 643

che o dall’epilessia, ma che coinvolsero anche persone di livello


sociale più elevato: nella prospettiva di una ottusa inflessibilità,
qualsiasi presunta ‘deviazione’ veniva considerata una minaccia nei
confronti della religione e dell’autorità ufficiale e consolidata. E, del
resto, inimicizie e desideri di vendetta personali ebbero certamente
il loro peso.522 Un contesto culturale che sul versante più popolare
(ma non solo) si espresse in un intreccio di credenze e superstizioni523
e su quello degli uomini di cultura risultò in un dibattito che coin-
volse non solo teologi (basti pensare in primo luogo al danese Niels
Hemmingsen)524 ma anche uomini di scienza e letterati;525 tra questi
si citeranno qui alcuni fra coloro che non esitarono a prendere
posizione contro l’opinione prevalente: il medico danese Johann
Weyer (morto nel 1588) che pur accettando la possibilità di un
influsso del demonio sull’animo umano denunciò la crudeltà dei
metodi repressivi; il medico, chimico e scrittore svedese Urban
Hiärne526 che, dopo averla in un primo tempo sostenuta, si oppose
poi alla brutalità esercitata nei confronti delle presunte streghe
sostenendo che ci si trovava di fronte a un’isteria di massa piuttosto
che a episodi di magia;527 il filologo islandese Árni Magnússon528 che

522
Si veda il caso di Anne Pedersdatter, moglie dell’illustre umanista norvegese Absa-
lon Pederssøn Beyer (cfr. pp. 508-509 e p. 593) la quale, dopo un primo processo nel
quale era stata prosciolta, fu in una successiva occasione condannata al rogo (1590). Vd.
Gilje N., Heksen og humanisten. Anne Pedersdatter og Absalon Pederssøn Beyer. En
historie om magi og trolldom i Bergen på 1500-tallet, Bergen 2010 e anche Rian Ø.,“Absalon
Pederssøn Beyer og Anne Pedersdotter – ein norsk patriot og kona hans”, in FNKF, pp.
45-68.
523
Qui si collega anche una certa produzione letteraria legata per vari aspetti a
credenze popolari (almeno in parte pagane), a speculazioni di tipo astrologico e a
fenomeni ritenuti di carattere sovrannaturale.
524
Vd. p. 497 con nota 117. In questa questione il concorso degli uomini di Chiesa
fu, naturalmente, determinante.
525
Si ricordi qui, a esempio, il libro scritto dall’ecclesiastico ed erudito (ma anche poe-
ta salmista) Johan Brunsmand (1637-1707) dal titolo Uno spaventoso calvario (Et forfærde-
ligt Huus-Kaars, 1674) nel quale, sulla base di fonti ‘autentiche’, riferisce di un caso di
possessione demoniaca a Køge (in Selandia) all’inizio del secolo: questo libro ebbe grande
successo, fu tradotto in tedesco e latino e ripubblicato fino a tutto il XIX secolo.
526
Cfr. p. 602, p. 612, p. 614, p. 631, nota 484, p. 767 e p. 833. Sulla eclettica figura
di Urban Hiärne considerato come letterato ma anche come medico e chimico si riman-
da ai saggi contenuti in Ohlsson S.Ö. – Tomingas-Joandi S. (red.), Den otidsenlige
Urban Hiärne. Föredrag från det internationella Hiärne-symposiet i Saadjärve 31
augusti – 4 september 2005, Tartu 2008 e anche a Lindroth S., Urban Hiärne 1641-1724,
Stockholm 1952.
527
In Svezia ebbero grande risonanza i processi di Älvdalen (1668) e di Mora (1669)
in Dalecarlia, al termine dei quali furono condannate a morte ventitré persone (tra cui
un uomo).
528
Vd. pp. 587-588.

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644 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

in uno scritto dal titolo Breve e veritiera narrazione dell’ampiamente


proclamata possessione di Thisted (Kort og sandfærdig Beretning om
den vidtudraabte Besættelse udi Tisted, 1699), mostra, con le armi
dell’ironia, che tale presunta ‘possessione demoniaca’ non è in real-
tà che una colossale montatura.

Tra il 1658 e il 1659 Jón Magnússon (ca.1610-1696), pastore della


parrocchia di Eyri nello Skutulsfjörður (nel nord-ovest dell’Islanda non
lontano dall’attuale abitato di Ísafjörður), redasse un dettagliato resocon-
to di quella che chiamò Storia del [mio] tormento (Píslarsaga), testo in cui
descrisse le sofferenze fisiche e morali, patite per ben tre anni, che – a suo
modo di vedere – gli erano state provocate per opera di magia. Colpito
da una malattia egli ne aveva infatti attribuito la responsabilità due uomi-
ni, padre e figlio, che secondo lui erano all’origine del suo problema. Dopo
che essi furono chiamati in causa e per questo motivo condannati al rogo
egli constatò un certo miglioramento nella propria situazione:529 si trattò
tuttavia di un cambiamento temporaneo e dunque egli imputò il nuovo
peggioramento alla figlia e sorella dei due ‘stregoni’; costei però fu in
grado di ben difendersi (e a sua volta di denunciarlo) e così l’accusa del
pastore non sortì gli effetti da lui sperati. Si legga:

“Là nel coro, dalla parte in cui c’è una piccola edicola [mentre] stavo
prostrato in preghiera [venni] calpestato dal Demonio, come da una perso-
na furiosa, come si sente [quando vien fatto] con le ginocchia e le nocche.530
E un’altra volta, mentre ero prostrato allo stesso modo, il Demonio mi
soffiò nell’orecchio destro, che era rivolto verso quella stessa edicola, fiati
terribili, sicché non mi fu più a lungo di alcuna utilità pregare in quel luogo
ma dovetti stare un po’ più avanti in chiesa e un po’ fuori dalla chiesa per
provare a fare le mie preghiere.
E così aumentò sempre di più quella apparizione di demoni, soprattutto
quando questi esseri miserabili531 venivano in chiesa, perciò io non feci
cessare ammonimenti e avvertimenti al riguardo quando riuscivo a celebra-
re qualche servizio divino. E quanto più gli assalti dei demoni aumentavano
e si manifestavano sia fuori sia dentro la fattoria e in chiesa, tanto più si
moltiplicava la schiera dei demoni e il loro numero e le loro forme, cosicché
là dove all’inizio si vedeva un solo demonio in aspetto di cane, cresceva poi
la loro moltitudine in modo tale che non solo se ne vedeva in ogni luogo e

529
Tuttavia solo dopo che i loro resti, non completamente distrutti, furono nuova-
mente bruciati.
530
Poco prima Jón Magnússon ha lasciato intendere che quel luogo fosse ‘stregato’
in quanto uno degli uomini da lui accusati di magia lo aveva fissato a lungo prima di
allontanarsi.
531
Il riferimento è ai due ‘stregoni’, padre e figlio.

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Nuovi poteri e nuovi equilibri 645

[in ogni] angolo, là dove l’ombra e l’oscurità si diffondeva nel soggiorno,532


ma c’era anche nel corridoio e nella stanza533 una quantità innumerevole di
quei demoni con diverse forme e aspetti cosicché la fattoria e ogni costruzio-
ne ne era piena, come riferirono quelli dotati di una seconda vista,534 per cui
quelli che non ne erano dotati passavano, secondo la testimonianza degli
altri, in mezzo a quelle figure di demoni dal momento che erano così folte
insieme [...] il Demonio assumeva la figura propria, la corporatura e l’appa-
renza di quegli uomini che erano la causa di tutto ciò535 il che ugualmente
videro alcuni di coloro che non erano dotati di una seconda vista, sul che
concordarono persone di altre fattorie qui nel distretto e altri che qui erano
di casa, dal momento che le apparizioni del demonio si manifestavano anche
nelle altre fattorie. Ma comunemente furono viste qui mosche pallide, così
come farfalle, che svolazzavano e turbinavano sopra di me e altrove fra le
case, e quelle mosche e farfalle furono viste ugualmente da tutti e allo stes-
so modo in ogni momento nell’inverno. Alcuni videro anche altre figure di
mosche, alcune con una lunga coda, alcune con lunghi artigli e zampe, il che
è troppo lungo per essere riportato.”536

532
Nel testo originale í baðstofunni (forma del dativo). Nelle case islandesi la baðstofa
(f.), letteralmente “stanza da bagno” era anticamente il locale in cui si faceva il bagno
e che era più facile da riscaldare; col tempo il termine passò a indicare la stanza comu-
ne e principale della casa dove si soggiornava e nella quale c’erano anche letti per
dormire; cfr. nota successiva.
533
Nel testo originale í göngunum og skálanum (dativo). Il termine islandese skáli
(m.), che attualmente significa “capanna” o “casupola”, indicava in origine una sala
dove ci si tratteneva a bere (originariamente la costruzione principale di un complesso
abitativo) e anche a dormire, probabilmente a motivo del fatto che il fuoco vi rimane-
va costantemente acceso. Già in epoca antica tuttavia i testi distinguono fra skáli,
stofa e baðstofa (vd. nota precedente): forse il primo locale era riservato soprattutto
agli uomini, il secondo alle donne. Nell’evoluzione delle costruzioni islandesi la stofa
(e/o la baðstofa) vennero ad assumere maggiore importanza. Lo skáli divenne invece
una sorta di grande locale accanto all’atrio, finché succesivamente scomparve del
tutto.
534
Qui nel testo originale è usato l’aggettivo skyg(g)n che in islandese indicava le
persone “dotate di una seconda vista”, cioè in grado di vedere gli esseri sovrannatu-
rali. Poco più avanti si trova, con lo stesso significato, il sinonimo ófreskur, il quale
nell’islandese moderno è passato a indicare coloro che sono dotati di capacità tele-
patiche.
535
Il riferimento è ai due ‘stregoni. La frase islandese tuttavia è poco chiara; si
accoglie qui l’interpretazione data da Einar Már Jónsson nella traduzione francese (Jón
Magnússon, Histoire de mes souffrances, Paris, 2004, p. 60).
536
DLO nr. 141. A questa storia è ispirato il libro in lingua islandese del 1982
Uomini destinati alla morte. Romanzo storico (Dauðamenn. Söguleg skáldsaga) di Njörður
P. Njarðvík (n. 1936) così come il film del 1999 Il signore delle tenebre (Myrkra-
höfðinginn) del regista Hrafn Gunnlaugsson (vd. p. 1197).

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646 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

Tra il XVI e il XVII secolo le classi sociali dei Paesi nordici anda-
rono incontro a una profonda trasformazione. Ciò avvenne in modi
diversi a seconda della situazione contingente dei singoli stati (come
brevemente si vedrà nei paragrafi successivi), fattori di carattere
generale furono tuttavia la perdita di prestigio della ‘nobiltà’ eccle-
siastica, cui si è già fatto riferimento, e le prolungate conseguenze
della crisi agraria, in quanto gli effetti devastanti della grande epi-
demia di peste che a metà del secolo XIV aveva colpito anche la
Scandinavia si erano fatti sentire a lungo e in profondità. Ragion per
cui, se da una parte si dovette attendere parecchio tempo prima che
la drammatica crisi dell’agricoltura (determinata soprattutto dall’ab-
bandono di molte fattorie) fosse superata, dall’altra si verificarono
nella vita economica cambiamenti sostanziali e inarrestabili.

9.3.1. La società danese

Se si guarda alla società danese nell’epoca successiva all’intro-


duzione della riforma, si constata come essa vada cercando, pur
tra contrasti e diseguaglianze, un assestamento. Le vicende della
guerra civile avevano fatto comprendere ai nobili l’opportunità
di convivere al meglio con il potere centrale del sovrano: solo in
questo modo essi avrebbero potuto mantenere l’alto tenore di
vita e conservare i molti privilegi (come il diritto esclusivo alla
carica di feudatario e l’esenzione dal pagamento delle tasse). Del
resto, seppure dopo la confisca dei beni della Chiesa quasi la
metà del territorio fosse divenuta proprietà della Corona (che
vide in tal modo triplicati i propri possedimenti), la nobiltà con-
tinuava a usufruire delle rendite delle terre direttamente posse-
dute, tenute che talvolta (seppure esistessero delle limitazioni)
essa riuscì a trasformare in veri e propri latifondi, incorporando
poderi precedentemente affidati a coloni e facendo un uso ampio
(ma non sempre necessariamente arbitrario) della consuetudine
della corvée, un obbligo imposto ai contadini che dovevano
garantire tutta una serie di lavori. Seppure assai limitata nume-
ricamente (si calcola che i suoi membri non superassero lo 0,25%
dell’intera popolazione),537 essa divenne sempre più consapevo-
le del proprio ruolo: cominciò a ricercare nella storia una giusti-
ficazione alle proprie prerogative, fece compiaciuto uso degli

537
Per la crisi dell’agricoltura infatti molti membri della bassa nobiltà erano venu-
ti a trovarsi in difficoltà ed erano retrocessi sulla scala sociale.

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Nuovi poteri e nuovi equilibri 647

stemmi, si costruì dimore fastose, si fece ritrarre dai migliori


artisti e si preoccupò di procurarsi tombe sontuose per il riposo
eterno.538 Inoltre ampliò i propri interessi intellettuali frequen-
tando università o accademie, affidandosi a precettori, facendo
viaggi di studio all’estero (in qualche caso per acquisire esperien-
za militare) ed esercitando opera di mecenatismo.539 Un ottimo
esempio da questo punto di vista è la figura di Henrik Rantzau
(1526-1598),540 viceré dello Schleswig e del Holstein e vero signo-
re rinascimentale che raccolse una ricca biblioteca, mantenne
stretti contatti con gli eruditi europei e sostenne sotto diverse
forme la promozione culturale del proprio Paese. Va anche det-
to che nella prima metà del XVII secolo, periodo segnato da
guerre, epidemie,541 catastrofi naturali542 e difficoltà di vario
genere, la nobiltà danese (anche opponendosi alla crescente
presenza di stranieri in posizioni di prestigio) seppe dare un
forte segnale di patriottismo, un sentimento che in seguito si
sarebbe esteso ad altri strati della popolazione.543 Ma, al contem-
po, essa si allontanò sempre di più dalla tradizione culturale
della società e della nazione, aprendosi a mode straniere. Chiari
riflessi di questa tendenza si constatano anche dal punto di vista

538
La definitiva ‘presa di coscienza’ dello status nobiliare si riflette anche
nell’affermazione, nel XVI secolo, dei cognomi delle casate. (vd. Wiktorsson P-A.,
“The development of personal names in the Late Middle Ages”, in Bandle 2002-
2005 [B.5], II, p. 1179 e S kautrup 1944-1968 [B.5], II, pp. 261-262). Tra le più
antiche e prestigiose dinastie danesi (alcune risalenti al XIII-XIV secolo) si ricor-
dano: Bille, Brock, Friis, Gyldenstierna, Gøye (o Giøe), Juel, Oxe, Rosenkrantz,
Thott e Trolle (in Scania; cfr. nota 561).
539
Questi elementi hanno un notevole peso dal punto di vista della vita culturale,
se si considera che (non soltanto in Danimarca) l’esercizio letterario era possibile in
primo luogo solo a coloro che disponessero di una rendita familiare o che occupasse-
ro una posizione che garantisse sufficienti entrate. Del resto occorre anche considera-
re che le spese di pubblicazione (come non di rado viene chiaramente indicato sui
volumi) erano a carico dell’autore quando – appunto – egli non trovava generosi
finanziatori. Questa situazione spiega anche buona parte delle motivazioni della poe-
sia d’occasione, più finalizzata a conseguire la benevolenza dei potenti che a permet-
tere agli scrittori di ‘vivere della propria penna’ (considerato il più che modesto
ritorno economico di tale attività).
540
Egli era figlio di Johan Rantzau, comandante delle truppe di Cristiano III (vd.
p. 464 con nota 12).
541
In particolare nel 1637 e nel 1654 il Paese fu colpito dalla peste; la seconda
epidemia causò la morte di un terzo degli abitanti di Copenaghen.
542
Nel 1634 si verificò una devastante inondazione sulla costa occidentale dello
Jutland che colpì soprattutto l’isola di Strand (a ovest della città di Husum attualmen-
te appartenente alla Germania) che fu per tre quarti sommersa dalle acque. Migliaia
di persone persero la vita.
543
Vd. Skautrup 1944-1968 (B.5), II, pp. 105-106.

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648 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

linguistico così come da quello letterario: una lingua ‘alta’ (cui


si accompagna la conoscenza di diversi idiomi), una letteratura
e un teatro per molti versi ‘dotti’ (o comunque di gusto raffinato)
si contrappongono a un danese ‘popolare’544 e a opere come i
folkebøger545 o rappresentazioni teatrali (per certi aspetti attra-
zioni circensi) destinate alla gente comune. Questo distacco ebbe,
come si è visto, anche effetti politici, dal momento che lo stra-
potere e gli eccessivi privilegi di cui godeva resero la nobiltà
sempre più invisa alle altre classi sociali le quali, ritenendo di
poter a buon diritto rivendicare il gravoso contributo dato alla
nazione nei duri tempi delle guerre,546 appoggiarono il sovrano
nella sua volontà di conquistare il potere assoluto.
In effetti con l’introduzione dell’assolutismo regio le cose sarebbe-
ro profondamente cambiate. Quando la Corona riuscì a concentrare
ogni autorità nelle proprie mani, le antiche casate dei nobili manten-
nero una certa ricchezza ma persero gran parte dei loro privilegi come
l’esenzione fiscale (di grande rilievo è l’introduzione della tassazione
sui terreni agricoli) e il diritto esclusivo a occupare gli incarichi più
prestigiosi (in sostanza le prerogative di carattere politico). Del resto
i vantaggi fiscali erano originati come compenso per l’impegno a
combattere nella cavalleria: dunque con il mutamento dell’organiz-
zazione militare (anche con l’introduzione di imposte destinate a
sostenerne il costo) e del modo di condurre le guerre essi avevano
perso gran parte della loro ragion d’essere. Dopo il 1671, anno in cui
furono istituite le dignità di conte e di barone (cui furono concessi
molti privilegi) il re gratificò con tali titoli borghesi o stranieri natu-
ralizzati: questi nuovi nobili perciò erano strettamente legati alla
corte.547 Tra di loro vi era anche chi era stato capace di acquisire

544
Vd. Widmark – Pedersen et al. 2005 (C.10.5), pp. 1339-1340. Assai interes-
sante da questo punto di vista sarà l’analisi della lingua contadina e borghese fatta da
Hans Olufsen Nysted (Hans Oluvssön Neopolitan, 1664-1740) nel suo libro Retorica
laica e pagana. Cioè l’arte di parlare del laico e l’oratoria del contadino (Rhetorica laica
et pagana. Det er Læg-Mands Tale-Kunst Og Bondens Vel-talenhed, 1708, 1727).
545
Vd. pp. 497-498.
546
A parte il coinvolgimento diretto dei contadini nei combattimenti si pensi alla
difesa di Copenaghen da parte dei suoi cittadini durante l’assedio portato dagli Sve-
desi negli anni 1658-1659 (vd. p. 533).
547
In questo stesso anno venne costituito anche l’Ordine dei cavalieri del Dannebrog
(Dannebrogordenen, cfr. pp. 334-335), mentre nel 1679 venne emanato lo statuto del
prestigioso Ordine dell’elefante (Elefantordenen) che aveva le proprie radici nel XV
secolo (Arup 1925-1955 [B.3], II, p. 252). Queste istituzioni ‘esclusive’ appaiono stret-
tamente legate alla monarchia. Vd. De kgl. Danske ridderordener. Personalhistorisk
festskrift, udgivet i anledning af Hans Majestæt kong Christian den niendes 40aarige
regeringsjubilæum, paa foranstaltning af H.F. Grandjean, redigeret af J. Madsen, med

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Nuovi poteri e nuovi equilibri 649

grandi proprietà approfittando degli anni della grande crisi finanzia-


ria quando la Corona aveva dovuto cedere almeno tre quarti dei suoi
possedimenti terrieri.548 Inoltre l’amministrazione dello Stato fu rior-
ganizzata in modo da concentrare la gestione del potere nelle mani
di un ristretto numero di funzionari che rispondevano direttamente
al re. Per la nobiltà tradizionale la possibilità di una gestione autono-
ma degli affari politici fu preclusa, così come quella di fare sentire la
propria voce: significativa in proposito è la vicenda di Oluf Rosenkrantz
(1622-1685), membro di una delle più eminenti famiglie danesi. Nel
1681 egli fece uscire (a Lubecca, aggirando in tal modo la censura
danese) uno scritto dal titolo Difesa della nobiltà danese (Apologia
nobilitatis Danicæ), nel quale oltre sostenere (con opportuni richiami
storici) la causa chiaramente espressa nel titolo, ricordava che il suo
Paese era divenuto un regno ereditario solo in conseguenza di una
deliberazione degli stati e che grazie a ciò il sovrano aveva ottenuto il
potere assoluto: questo gli costò perdita di diritti e incarichi di pre-
stigio nonché una consistente pena pecuniaria. In questo periodo ha
inizio di fatto il declino dell’aristocrazia.549
In questo quadro fu particolarmente efficace l’azione della bor-
ghesia la quale si sentiva minacciata proprio sul piano commercia-
le (dalla prima metà del XVI secolo la nobiltà si era messa a fare
concorrenza ai suoi traffici), sicché il conflitto religioso tra cattoli-
ci e luterani e la guerra civile scoppiata nel 1533 trovano precisi
riferimenti in questo contesto550 e non è un caso che nella ‘rivolu-
zione assolutista’ del 1660 questa classe sociale svolgesse un ruolo
di primaria importanza. E se è vero che dopo di ciò essa vide
consistentemente diminuita la propria autonomia, è altrettanto vero
che dal punto di vista fiscale e politico ottenne vantaggi che prima
erano stati esclusivo appannaggio dei nobili. Agli inizi del XVII
secolo la borghesia rappresentava il 10-12% della popolazione
danese e se, ovviamente, le dimensioni delle città erano ben più
ridotte delle attuali (verso la fine del XVI secolo Copenaghen

en afhandling om ridderordenernes historie af C.V. Nyholm, København 1903. È


significativo il fatto che in Norvegia l’Ordine di Sant’Olav (St. Olavs Orden), una delle
massime onorificenze del Paese, sarà istituito solo nel 1847, tuttavia preceduto (1821)
dalla Medaglia al valor civile (Borgerdådsmedaljen) abolita nel 2004.
548
Un ottimo esempio di funzionario e commerciante di successo è Henrik Müller
(1609-1692), originario del Holstein, il quale fu capace (con mezzi spesso illeciti) di
procurarsi una notevole ricchezza e vasti possedimenti. Egli fu anche uno dei maggio-
ri creditori della Corona. Tuttavia dopo il 1680 perse gran parte della sua fortuna.
549
Vd. Holm 1885-1886 (C.10.2), I, pp. 119-123. Parallela è invece la crescita
della borghesia vd. ibidem, pp. 124 129 e pp. 131-134.
550
Vd. sopra, pp. 463-464.

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650 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

contava circa 20.000 abitanti, attorno alla metà del XVII circa
30.000, una parte dei quali tedeschi),551 è indubbio che ormai si era
venuta definitivamente strutturando una classe mercantile ben
attenta ai propri interessi e ben determinata a difenderli. Tra l’altro
i ricchi commercianti compresero presto l’importanza dell’istru-
zione e se ne avvantaggiarono per accrescere il proprio peso socia-
le ed economico. La borghesia seppe dunque impegnarsi nella
gestione di fiorenti traffici, sicché il commercio (in particolare
quello con i Paesi stranieri) venne progressivamente e definitiva-
mente sottratto alla gestione dei nobili. In questo quadro si situa
la politica mercantilistica portata avanti da Cristiano IV: nel 1616
veniva fondata la Compagnia delle Indie orientali (Ostindisk
kompagni) che si procurò (1620) una base a Trankebar o Tranque-
bar (Tharangambadi) sulla costa del Coromandel (Cholomandalam)
nell’India sud-orientale;552 più tardi la Danimarca tramite la Com-
pagnia delle Indie occidentali e della Guinea (Vestindisk-Guineisk
kompagni), che ottenne privilegi dal re nel 1671, si sarebbe annes-
sa la colonia di St. Thomas nelle Isole Vergini (cui poi si aggiunse-
ro St. John e St. Croix)553 e la cosiddetta “Costa d’oro” in Ghana:554
i traffici (compreso quello degli schiavi) furono intensi.555 Tuttavia
nei primi decenni dopo l’introduzione dell’assolutismo regio l’eco-
nomia dei centri urbani (fatta in parte eccezione per la capitale)
non fu florida come sperato e conobbe anzi un certo regresso.
Nelle città vivevano anche gli artigiani: le loro antiche gilde
medievali, consacrate a diversi santi, erano come tali decadute con
l’introduzione del luteranesimo e si erano trasformate in corpora-
zioni che con l’avvento dell’assolutismo regio vennero deliberata-
551
Fu durante il regno di Cristiano IV che Copenaghen divenne, a tutti gli effetti,
una vera e propria ‘capitale’. Altre città danesi importanti erano Flensborg (Flensburg,
attualmente in territorio tedesco), Malmö (in Scania), Helsingør, Odense e Ålborg.
Vd. Wallensteen 1995, p. 71 e Winding 1997, pp. 92-93 (entrambi in B.3).
552
In quella località, ceduta nel 1845 agli Inglesi, resta ancora il forte danese (Dans­
borg). La Compagnia delle Indie orientali incontrò molte difficoltà ed ebbe notevoli
perdite finché, di fatto, cessò la propria attività nel 1729. Pochi anni dopo tuttavia
(1732) nasceva la Compagnia asiatica (Asiatisk kompagni) che ne rilevò l’attività
ampliandola in direzione della Cina: essa sarebbe passata allo Stato danese nel 1777.
553
Queste colonie saranno poi vendute agli Stati uniti nel 1917 in seguito a una
decisione presa dopo un lungo dibattito nell’ambito del quale era anche stata fondata
(1902) l’Associazione Isole danesi dell’Atlantico (Foreningen De Danske Atlanterhavsøer,
con riferimento a Islanda, Føroyar e colonie americane) che si opponeva alla cessione.
554
La “costa d’oro danese” (den danske guldkyst) sarebbe stata ceduta agli Inglesi
nel 1850.
555
Sulle colonie danesi si vedano i saggi compresi in Hoxcer Jensen P., Dansk
kolonihistorie. Indføring og studier, Århus 1983, in particolare la parte introduttiva
(“Indføring i dansk kolonihistorie”), pp. 7-98.

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Nuovi poteri e nuovi equilibri 651

mente ostacolate dal potere centrale. La posizione sociale di queste


persone era in effetti assai meno forte di quella dei commercianti
e al contrario di questi ultimi che facevano parte del Consiglio
cittadino (e vi difendevano in primo luogo i propri interessi) essi
ne erano esclusi. Infine c’erano i lavoratori a giornata e i servi, i
quali, evidentemente, avevano una condizione assai svantaggiata.
Quasi l’80% della popolazione danese viveva in campagna. La
maggior parte di queste persone non possedeva la terra che lavo-
rava ma l’aveva in enfiteusi dal re o da un nobile, una condizione
che si era estesa dopo la grande crisi agraria. La situazione di
coloro che restavano proprietari (una minoranza) non era comun-
que sostanzialmente diversa (sebbene costoro mantenessero il
diritto a vendere e a lasciare in eredità i loro terreni): essi paga-
vano pesanti imposte e, come gli altri, erano tenuti a svolgere le
corvées. Sebbene da un punto di vista formale ai contadini fosse-
ro riconosciuti dei diritti, non era per loro facile vederli rispetta-
ti ed era consuetudine che essi in sostanza dipendessero dal
proprietario del podere (soprattutto quando si trattava di un
nobile che disponeva di grandi estensioni di terreno), il quale non
di rado gestiva anche l’amministrazione della giustizia, almeno in
ambito locale. I terreni erano di solito in comune tra più famiglie,
suddivisi in vari appezzamenti (talora distanti fra loro) assegnati
ai singoli. Se da una parte ciò incideva sul rendimento del lavoro
(anche avvantaggiando i meno solerti), dall’altra li metteva tutta-
via al riparo dagli effetti nefasti di danni che avessero colpito il
raccolto. La condizione della classe degli agricoltori era indub-
biamente svantaggiata: la fatica di un’attività svolta ancora in gran
parte con mezzi inadeguati, il pagamento del canone e delle
decime, le imposte (molte volte straordinarie) da versare ai fun-
zionari governativi e (in diversi casi) le prevaricazioni subite
condizionavano la loro esistenza e limitavano le loro possibilità.556
Le insurrezioni e i tumulti testimoniano un diffuso malcontento.
Se nella seconda metà del XVI secolo c’era stata una considere-
556
Va comunque osservato che le condizioni dei contadini danesi variavano da
regione a regione. Nelle isole di Sjælland, Lolland, Falster e Møn (e quelle limitrofe)
era stata infatti imposta fin dal XIV secolo la servitù della gleba che invece non era
stata introdotta nello Jutland, in Fionia, in Langeland e in Scania. Considerata iniqua
persino da Cristiano II essa fu ridiscussa diverse volte fino a che nel 1702 il re Fede-
rico IV la abolì (21 febbraio 1702: Schou [Abbr.] II, pp. 65-71). Tuttavia solo tren-
tuno anni più tardi essa sarebbe stata sostituita dalla cosiddetta ‘ascrizione’, un
provvedimento che avrebbe riguardato tutto il Paese (vd. oltre, p. 687). Sull’atteggia-
mento dei sovrani assoluti di Danimarca nei confronti del ceto contadino vd. Holm
1885-1886 (C.10.2), I, pp. 138-151.

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652 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

vole ripresa dell’agricoltura con aumento della produzione e


delle esportazioni (soprattutto grano e bovini) la riapertura dei
conflitti avviata da Cristiano IV nel 1611 con la guerra di Kalmar
aggravò nuovamente la situazione e verso la metà del XVII seco-
lo la condizione dei contadini risulta peggiorata sia dal punto di
vista economico sia da quello politico, il che, in particolare, si
riflette nel fatto che i loro rappresentanti non venivano neppure
più convocati alle riunioni del parlamento.557 La distanza tra il
centro del potere (la ricca e fiorente Copenaghen) e le campagne,
dove perdurava una economia di tipo sostanzialmente feudale si
misura così in tutta la sua effettività. E tuttavia, in questo quadro
generale per molti versi poco positivo, ci sono testimonianze di
persone che si mostrarono capaci di organizzare efficacemente il
lavoro sfruttando al meglio le proprie possibilità e raggiungendo
un tenore di vita apprezzabile. Segno del loro aumentato benes-
sere è – come per la borghesia – il desiderio di provvedere i
propri figli di una adeguata istruzione per poter migliorare la loro
condizione.558 Ma la maggioranza doveva ancora guadagnarsi
duramente la vita, mentre non erano pochi i braccianti che pas-
savano da un podere all’altro in cerca di lavoro. E non si dimen-
tichi che un’annata poco propizia o un’epidemia incidevano
pesantemente innanzi tutto sulla vita di queste persone. Un qua-
dro di questo mondo, assai interessante dal punto di vista sociale,
è tracciato in un testo scritto tra il 1709 e il 1710 da Jørgen
Jørgensen Sorterup (1662-1723) dal titolo Rivelazione degli ingan-
ni dell’economia rurale (Præstigiæ oeconomiæ ruralis revelatæ) nel
quale si denunciano le frodi e le ingiustizie subite dai contadini.559
Legata all’attività contadina è una ‘letteratura’ fatta di manuali
e almanacchi (ma anche di ‘calendari runici’) interessante e ben
testimoniata.560

557
E tuttavia, per conferire – almeno formalmente – piena validità legale alla deci-
sione di introdurre la monarchia assoluta alcuni di loro furono invitati alla cerimonia
dell’omaggio al re Federico III tenuta a Copenaghen il 18 ottobre 1660 (cfr. p. 545).
558
Una efficace parodia del ‘contadino istruito’ si trova nella commedia di Ludvig
Holberg Erasmus Montanus (pubblicata nel 1731; vd. p. 830 con nota 681).
559
Questo testo si trova in un manoscritto (Thott 891 4to) conservato presso la
Biblioteca reale (Det kongelige bibliotek) di Copenaghen. Il titolo completo è: Præsti-
giæ Oeconomiæ ruralis revelatæ per Geopum Melanocomium, il quale ultimo pare
essere uno pseudonimo dell’autore, la cui paternità rispetto al testo è per altro prati-
camente sicura.
560
Vd. p. 589, con nota 276.

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Nuovi poteri e nuovi equilibri 653

9.3.2. La società svedese

Nel XVI secolo anche la nobiltà svedese aveva ormai definitivamen-


te affermato la propria supremazia sulle altre classi sociali. Un certo
numero di eminenti famiglie che potevano vantare un casato illustre561
– cui nel passato erano stati concessi importanti privilegi –562 aveva
consolidato le proprie posizioni: nel 1569 il titolo nobiliare diveniva
ereditario, nel 1617 venivano concessi e confermati notevoli benefici,563
nel 1626 veniva ufficialmente istituito l’Ordine dei Signori (letteral-
mente “dei Cavalieri”: Riddarhusordning), il cui statuto li trasformava
in una vera e propria ‘casta’ rigorosamente suddivisa all’interno, che
otteneva ulteriori vantaggi (non da ultimo di carattere commerciale).
Nei primi decenni del XVII secolo la nobiltà svedese accolse anche
diversi nuovi membri provenienti dall’estero. Se è pur vero che in
alcuni momenti (in particolare durante il regno di Erik XIV) i nobili
avevano dovuto affrontare aspri conflitti con la Corona (talora tragi-
camente conclusi), va constatato tuttavia come essi fossero a lungo
stati capaci di far sentire la propria voce e di far valere la propria
influenza negli affari politici. Così come i parigrado danesi essi mostra-
rono grande interesse per la cultura e la storia (nella quale, proprio
come quelli, cercavano una giustificazione al proprio status), assun-
sero assai spesso precettori privati e volsero rinnovata attenzione ai
Paesi stranieri che visitarono, studiandone le lingue e apprezzandone
la cultura. Anche in Svezia appare evidente una distinzione tra la
cultura della nobiltà (che si poteva permettere viaggi e istruzione) e
quella del popolo.564 Anche in questo Paese si segnalano figure di
mecenati generosi e lungimiranti.565 Questa tendenza, che contribuì
561
Tra le famiglie di maggiore importanza si ricordano i Banér, i Bielke, i Brahe, i
de la Gardie, i Lejonhufvud, gli Oxenstierna, gli Sparre, gli Stenbock, i Tre Rosor, i
Trolle (originari di Småland ma presenti anche in quella Scania che a lungo era stata
territorio danese; cfr. nota 538).
562
Vd. p. 360.
563
Tra gli altri il diritto esclusivo alla nomina alle più alte cariche e la regolamenta-
zione del cosiddetto ‘patronato’ (cioè in sostanza l’autorità sulle chiese locali): Privi-
legia uthaff then stormechtigste Herr Gustaff Adolph, giffne Sweriges rijkes Rådh,
Ridderskap och Adel, Upsala, then 8. Octob. Åhr 1617 (in SFS 1620-1639). Nella
stessa occasione fu regolamentata l’attività del ceto nobiliare nel quadro delle riunioni
parlamentari. Queste decisioni furono prese in concomitanza con l’emanazione del
primo regolamento parlamentare svedese, che tra l’altro stabiliva la suddivisione in
quattro stati (24 gennaio 1617: RMB I, pp. 706-708).
564
In proposito è opportuno ricordare qui la fondazione (1626) del Collegium regium
et illustre di Stoccolma, affidato inizialmente a Johan Skytte (vd. p. 572, nota 191),
istituzione scolastica (che comunque cessò la propria attività nel 1632) alla quale
potevano accedere esclusivamente i figli dei nobili.
565
Parallelamente alla Danimarca (cfr. nota 539) anche in Svezia doveva dunque

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654 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

grandemente a rompere l’isolamento del Paese, si combinò poi con


l’effetto dei trionfi dell’esercito svedese sui campi di battaglia euro-
pei, amplificando quel desiderio di primeggiare che trova riscontri,
come si è visto, sia nel campo letterario sia in quello artistico.566 La
consapevolezza della funzione sociale della nobiltà (e di ciò che a
essa si richiede) è del resto il presupposto della stesura di un testo
come Economia o libro di gestione domestica per giovani nobili
(Oeconomia, eller Huusholdz-book för ungt adels-folk) redatto tra il
1581 e il 1585 da Per Brahe il Vecchio.567 Ma ben più tardi an-
che Åke Rålamb (1651-1718), autore dell’ambizioso progetto di
un’opera ‘enciclopedica’ che avrebbe dovuto contenere venti volu-
mi su argomenti di vario genere, volle indirizzare il proprio lavoro
in primo luogo alla nobiltà, così come chiaramente indica il titolo
Tirocinio nobiliare (Adelig öfning).568
Ma la politica accentratrice di un sovrano come Carlo XI avreb-
be profondamente modificato questo stato di cose. Le premesse
del cambiamento sono da ricercare, soprattutto, nelle ingenti spe-
se determinate dalle ripetute campagne militari, alle quali – anche
in Svezia – i nobili non portavano più, come in passato, un appor-
to tale da giustificare i loro benefici fiscali. A fronte degli altri
stati che avevano corrisposto pesanti contributi (e della Corona che
aveva alienato a tal fine molte proprietà) gli alti aristocratici (osteg-
giati anche dalla bassa nobiltà) vennero a trovarsi in una situazione
di obiettiva difficoltà che ebbe come conseguenza la ‘riduzione’ dei
loro beni e, dunque, una sensibile diminuzione del loro potere
economico cui si aggiunse lo svuotamento del loro potere politico
conseguente all’introduzione dell’assolutismo regio.569 La burocra-
zia svedese sarebbe ora stata costituita da membri della bassa
nobiltà, assai più facilmente sottomessi all’autorità del sovrano.
Nella seconda metà del XVI secolo si calcola che la popolazione
delle città svedesi non superasse il 5% del totale. Esse erano abi-
fiorire una letteratura d’occasione; anche qui era molto difficile se non impossibile
‘vivere della propria penna’.
566
Vd. sopra, pp. 610-611 e p. 619.
567
Il testo fu tuttavia dato alle stampe solo nel 1677 a Visinborg. Cfr. p. 470, nota 31.
568
Rispetto al progetto originario uscirono, tra il 1690 e il 1691, solo sei volumi. Tra
gli argomenti trattati aritmetica, economia, agrimensura, costruzioni navali, fortifica-
zioni. Del 1690 è un’edizione del lavoro in forma di compendio (En lijten hand-book
utaf adelig öfning) che conobbe numerose riedizioni e fu diffusa in Svezia fino al XIX
secolo. Inoltre furono pubblicati altri testi su diversi argomenti (titoli in EF).
569
Vi furono tuttavia fra i componenti dell’alta nobiltà alcune persone che appog-
giarono la limitazione dei privilegi. Tra questi Johan Göransson Gyllenstierna (vd. p.
568 con nota 167) che nella riunione del parlamento del 1664 portò avanti le istanze
della bassa nobiltà.

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Nuovi poteri e nuovi equilibri 655

tate da artigiani e commercianti (non di rado stranieri) e ammini-


strate, in base a statuti speciali (i cosiddetti ‘privilegi delle città’),
dal Consiglio cittadino presieduto dal borgomastro (un organismo
che veniva definito magistrat). Ma nel quadro della crescente cen-
tralizzazione del potere anche questo istituto fu di fatto svuotato
della propria autonomia e i suoi membri trasformati in funzionari
statali, il che creò in molti casi dissidi e proteste. Anche in Svezia
le gilde medievali consacrate ai diversi santi erano state spazzate
via dalla riforma e, come in Danimarca, si erano riorganizzate in
corporazioni di artigiani. Sebbene le città svedesi non potessero
competere con quelle di altri Paesi europei (di rado raggiungevano i
2000-3000 abitanti), esse conobbero una certa espansione e aumen-
tarono di numero. E se la crescita dei commerci favorì soprattutto
le località costiere, fu in particolare Stoccolma, per lungo tempo di
dimensioni inferiori a Copenaghen, a conoscere un rapido svilup-
po economico e demografico, riflesso positivo dell’affermazione
della “grande potenza” svedese: sede della corte e dunque del
potere reale essa divenne un centro culturale oltre che commercia-
le.570 Del resto obiettivi mercantilistici non mancarono neppure in
Svezia, appoggiati, anche qui, al desiderio di garantirsi colonie
oltremare in Paesi lontani. Sicché nel 1627 prese l’avvio l’attività
della Compagnia del Sud o Compagnia della Nuova Svezia (Söder-
kompaniet o Nya Sverigekompaniet) che nel 1638 acquistò un ter-
ritorio dagli indigeni presso il fiume Delaware nell’America del
Nord e vi fondò la Nuova Svezia (Nya Sverige): questa colonia
conobbe un certo sviluppo negli anni ’40 ma nel 1655 cadde in
mano olandese e i tentativi di recuperarla furono vani.571 Nel 1649

570
Si calcola che dai 10.000-15.000 abitanti dei primi decenni del XVII secolo sia
passata ai 40.000-45.000 del 1663 (vd. Schück – Warburg 19853 [B.4], II, pp. 188-189).
Una parte di loro era di origine straniera, per lo più tedeschi, anche se il numero di
questi ultimi era diminuito rispetto al passato.
571
Molti coloni tuttavia rimasero e, nonostante le difficoltà, la piccola comunità
svedese continuò a esistere fino a che all’inizio del XIX secolo essa risulta completa-
mente integrata (anche dal punto di vista linguistico) nella ‘grande famiglia americana’.
Sulla colonia nel Delaware vd. Åberg A., The people of New Sweden. Our colony on
the Delaware river 1638-1655, Stockholm 1988. Interessante in proposito è l’opera di
Thomas Campanius Holm (ca.1670-1702): Kort Beskrifning om Provincien Nya Sweri­
ge uti America, Som nu förtiden af the Engelske kallas Pensylvania. Af lärde och trowär-
dige Mäns skrifter och berättelser ihopaletad och sammanskrefwen, samt med åthskillige
Figurer utzirad, Stockholm 1702 (ed. facsimile Stockholm 1988). Essa è stata tradotta
in inglese (Description of the province of New Sweden, now called, by the English,
Pennsylvania, in America. Compiled from the relations and writings of persons worthy of
credit, and adorned with maps and plates) a cura della Historical society of Pennsylvania
(Millwood, N.Y. 1975).

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656 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

nasceva invece la Compagnia svedese-africana o Compagnia della


Guinea (Svenska afrikanska kompaniet o Guineakompaniet) che
l’anno successivo si procurò un territorio – la cosiddetta “costa d’oro
svedese” (svenska guldkusten) – nella zona di Cabo Corso. Nel 1658
la colonia passò in mano danese,572 tornò alla Svezia nel 1660 per
finire nel 1663 in possesso degli Olandesi.573 Significativa da questo
punto di vista è anche la nascita del “collegio per il commercio”
(kommerskollegium),574 sorto nel 1651. La borghesia svedese (alme-
no quella più intraprendente) seppe crescere economicamente ed
emanciparsi culturalmente e vide in diversi casi appagato il desiderio
di ottenere un titolo nobiliare. Illustri scrittori svedesi del periodo
provengono dalla classe borghese, anche se fra di loro il solo Israel
Holmström (1661-1708) trae ispirazione da quell’ambiente.575
Accanto al commercio venne favorita l’industria. Fin dal medio-
evo (almeno dal XIV secolo) in Svezia si era sviluppata (soprattut-
to nella zona centrale del Paese, nel territorio detto Bergslagen)576
una importante attività mineraria cui, ovviamente, si legavano
nuove figure di piccoli imprenditori e lavoratori (tra cui non pochi
immigrati). Questa attività, già promossa da Gustavo Vasa e dai
suoi figli, venne progressivamente incentivata sicché i prodotti
delle miniere svedesi (soprattutto ferro e rame) trovarono una
larga diffusione nei mercati europei.577 Figura di grande importan-
za da questo punto di vista fu quella del vallone Louis de Geer
(Louwis d’Djer, 1587-1652), che può essere definito il fondatore
dell’industria svedese. Trasferitosi in questo Paese nel 1627, attrat-
to dalle sue notevoli risorse naturali, egli avviò diverse imprese (tra
572
Cfr. sopra, p. 650.
573
Vd. Norman H. – Larsdotter A., “När Sverige skulle bli kolonialmakt”, in PH
1994: 4, pp. 34-40.
574
Cfr. pp. 667-668.
575
Olsson-Algulin 1987 (B.4), p. 55.
576
Il nome di questo territorio va in effetti ricondotto a bergslag, termine con cui
venivano indicate le corporazioni costituite da coloro che svolgevano questa attività;
esso è formato su berg “monte” e lag “legge”, nel che si può riconoscere un chiaro
riferimento alle statuizioni di carattere giuridico che regolavano la concessione per
l’estrazione del metallo. La zona detta Bergslagen comprende in primo luogo territori
nel Västmanland, in Värmland e in Dalecarlia. L’attività estrattiva in Svezia risaliva
comunque molto indietro nel tempo, essendone state constatate tracce sicure fin
dall’età del bronzo. Nel XVIII secolo saranno aperte altre importanti miniere di ferro
nella zona di Fredriksberg in Dalecarlia. Cfr. p. 440, nota 12.
577
Per mantenere alto il prezzo del rame senza tuttavia diminuire la produzione
(ma anche per evitare l’importazione di argento), il re Gustavo II Adolfo ne stabilì
l’impiego per la coniazione delle monete, determinando anche la quantità di metallo
che doveva essere usata, alla quale il valore della moneta doveva corrispondere. Le
prime monete di rame furono prodotte in Svezia nel 1624.

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Nuovi poteri e nuovi equilibri 657

cui la lavorazione del ferro e dell’ottone) e introdusse nuovi meto-


di di produzione (e anche mano d’opera vallone). Sue furono le
armi in dotazione all’esercito svedese vittorioso sui campi di bat-
taglia europei.578 La Svezia, sua seconda patria, lo ricompensò con
la concessione del titolo nobiliare.579 L’afflusso di capitali stranieri
fu determinante per sostenere la politica e l’economia svedese.
I contadini svedesi godevano tradizionalmente di una certa
autonomia, e avevano – per dirla in termini moderni – una suffi-
ciente ‘coscienza di classe’. Inoltre, come altrove, costituivano la
stragrande maggioranza della popolazione. Ciò nonostante le loro
condizioni restavano assai disagiate. Parallelamente alla crescita di
importanza e all’arricchimento della nobiltà, essi persero terreno
sia dal punto di vista sociale sia da quello politico, nonostante i loro
rappresentanti (per altro solo i possessori di terre) continuassero a
partecipare alle sedute del parlamento. Già soggetti al pagamento
di molte tasse essi dovettero dare un oneroso contributo alla poli-
tica militare della Corona, il che determinò ripetuti tumulti e pro-
teste. Una situazione nella quale – paradossalmente – chi era pro-
prietario della terra (circa il 45%) venne a trovarsi in una
posizione più svantaggiata rispetto a chi la conduceva in locazione:
infatti, in base ai privilegi concessi ai nobili da Gustavo II Adolfo,
i coloni che lavoravano per loro erano in parte esentati dal paga-
menti delle imposte e (in alcuni casi) dal servizio di leva (anche se
essi erano più facilmente soggetti all’arbitrio dei signori). Questa
condizione di disparità creò le premesse per la formazione di gran-
di latifondi nei quali venivano spesso inglobati i piccoli poderi
adiacenti: in tal modo i contadini divenivano di fatto ‘sudditi’ di
un signore. Si calcola che la percentuale dei terreni nelle mani
della nobiltà avesse raggiunto, nella prima metà del XVII secolo
quasi i tre quarti del totale.580 Comunque, anche se l’asservimento
del contadino svedese non toccò i livelli constatabili in Danimarca
(soprattutto nelle zone in cui vigeva in quel Paese la servitù della
gleba), il loro malcontento nei confronti dei nobili non aveva mol-
te possibilità di portare a radicali mutamenti della situazione. In
ogni caso, sebbene naturalmente le decisioni importanti fossero

578
In questo contesto va ricordato anche un altro vallone, Gillis de Besche (1579-
1648), che fu tra l’altro socio di de Geer, il quale si era trasferito in Svezia insieme ai
fratelli Willem (1573-1647), Hubert (1582-1664) e Gerard (1585-1656), attivi nel
Paese come architetti e costruttori.
579
Su di lui vd. Dahlgren E.W., Louis De Geer, 1587-1652, hans lif och verk, I-II,
Uppsala 1923 (ed. facsimile Stockholm 2002).
580
Vd. Andersson 1975 (B.3), pp. 143-144 e p. 164.

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658 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

demandate a una ristretta oligarchia, i rappresentanti dei contadi-


ni avanzarono in sede parlamentare proteste e istanze. Nel 1644, a
esempio, essi avevano chiesto l’eliminazione di antichi obblighi
come quello dell’ospitalità (gästgiveri) e dell’organizzazione del
trasporto gratuito per il re e i nobili (skjutsningsplikten), così come
il recupero da parte della Corona dei beni da essa ceduti all’aristo-
crazia.581 Se dal punto di vista politico la forza contrattuale dei
contadini era assai scarsa, la loro profonda insoddisfazione li spin-
se tuttavia ad appoggiare le rivendicazioni degli stati ostili alla
nobiltà, sicché si può dire che anch’essi ebbero la loro parte quan-
do, nel 1680, ne fu finalmente decisa la confisca (reduktion).582
Questo risultato restituì loro una certa indipendenza, seppure i
latifondi di più antica istituzione venissero mantenuti.583 La politi-
ca di Carlo XI introdusse poi nelle campagne un ulteriore cambia-
mento (1679-1682). Infatti, come forma di pagamento per gli
ufficiali dell’esercito venne loro assegnato un podere in cui stabi-
lirsi, mentre i soldati potevano ricevere dai contadini un sussidio o
un appezzamento di terreno con una casetta (soldattorp) in cambio
dell’esenzione di questi ultimi dal servizio di leva. Questo intelli-
gente sistema (indelningsverket), che riprendeva in parte usi pre-
cedenti, sarebbe rimasto in vigore molto a lungo.584

La politica espansionistica della Svezia nella prima metà del XVII


secolo rispondeva alle ambizioni della Corona e dei ceti dominanti ma
certamente non era molto gradita al popolo costretto a sostenerne il peso
anche con l’aggravio del carico fiscale. Lo scrittore ‘scapigliato’ Lars
Wivallius,585 imprigionato nel castello di Kajana (finnico Kajaani) e dunque
bisognoso di guadagnarsi il favore dei potenti, considerò cosa utile unirsi
alla propaganda in favore della guerra. A questo scopo scrisse il Bastione

581
Qui si ricordi la figura dell’ecclesiastico Samuel Petri Brask (1613-1668) che
nelle sedute del parlamento espose le ragioni dei contadini, da lui anche ‘tradotte’ in
forma letteraria nel dramma Il figliol prodigo, o il viaggiatore inesperto (Filius prodigus,
seu imperitus peregrinans, 1645).
582
Vd. sopra, p. 568.
583
Va qui tuttavia doverosamente ricordato che la reale natura del rapporto tra con-
tadini e nobiltà nella Svezia di questo periodo resta materia di discussione fra gli storici.
584
In proposito vd. Ågren S., Karl XI:s indelningsverk för armén. Bidrag till dess
historia åren 1679-1697, Uppsala 1922. Nel 1927 Vilhelm Moberg (su cui vd. pp. 1168-
1169) debutterà con il romanzo Raskens, ambientato nell’Ottocento, che descrive la
difficile lotta quotidiana per l’esistenza di un povero soldato e della moglie in un soldat-
torp.
585
Vd. p. 611 con nota 385.

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Nuovi poteri e nuovi equilibri 659

del Regno svedese (Sweriges Rijkes Ringmur, 1637), di cui ci restano due
versioni ampiamente discordanti.586 L’opera si situa in un periodo nel
quale la stanchezza per un conflitto che dopo la morte di Gustavo II
Adolfo non conosce più i grandi trionfi svedesi è diffusa mentre cresce,
parallelamente, il desiderio di vedere finalmente siglata la pace. Alternan-
do parti in svedese e in latino, Wivallius si impegna per trasmettere al
popolo un messaggio sulla necessità di restare uniti per amore della patria,
di confidare in Dio e nella saggezza dei governanti e, dunque, di accetta-
re la prosecuzione dei combattimenti: in nome di un ‘ideale’ (in realtà ai
fini della propaganda politica) egli abilmente utilizza argomenti di natura
religiosa, non da ultimo il tema prettamente luterano della lotta all’Anti-
cristo e l’imminenza della fine dei tempi. Si legga:

“L’un popolo si solleva sempre di più contro l’altro; Satana è liberato


dalla sua prigionia, e sa che il tempo della sua tirannia e dei suoi inganni
volge al termine, per questo egli provoca ogni genere di inimicizia e dissidio:
infuria e imperversa tra i figli della miscredenza, tra i quali soltanto egli è
potente contro di noi, soltanto fino al punto in cui egli potrebbe indurre
ciascun uomo a rinnegare il suo Dio e creatore, al che poi consegue una
eterna perdizione. Ma rifletti, uomo, e abbi sempre davanti agli occhi questo
esempio cosicché tu non ti lasci indurre da alcunché ad abbandonare la
retta via: Vedi, se tu sapessi che da qualche parte ci fosse una fornace orri-
bile e profonda che ardesse all’interno con pece e zolfo, e tu sapessi di avere
un avversario e arcinemico che giorno e notte aspirasse a poterti spingere
con parole melliflue al punto da poterti far cadere là giù a capofitto, non
avresti paura di ciò? e perciò cercheresti dal tuo re aiuto e libero lasciapas-
sare, sì un salvacondotto, che potesse sottrarti a lui e a tutte le sue macchi-
nazioni. Sì certamente. Rifletti bene su questo fra te e te e ricorda che solo
il grande re Cristo Gesù ha il potere di proteggerti dagli attacchi veementi
e dalle tentazioni del maligno. Se noi dunque considerassimo ciò, allora
vivremmo secondo i suoi comandamenti (poiché nessuno può attendersi
aiuto dal suo re fintanto che gli disubbidisce). Ma [ci] corregga Dio, l’uno
tradisce l’altro reciprocamente! reciprocamente ci odiamo! il male ha preso
il sopravvento, e l’amore si è spento tra i fratelli! come potrà dunque Satana
non prendere il potere e soffiare sempre più su quel fuoco che noi stessi
quotidianamente aumentiamo?
Nichts dann feuer und blut; nihil est nisi sangvis et ignis!
Rien que feu et que sang; niente se non sangue e fuoco!
[...]
Ride e irride i Cristiani Lucifero stesso,
E con lui il Turco alleato, feroce tiranno!
Poiché ci annienta una spada empia e fratricida:
Siamo membra di un unico corpo che si combattono!
Il Turco osserva, ride, insieme al Demonio si rallegra,

586
La prima delle quali è in molti punti lacunosa.

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660 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

Entrambi esultano: ciascuno gioisce coi suoi.


Intanto satana si impegna a distruggere questo potente
Popolo Cristiano, e a innalzarsi templi.
Si adopera per svigorire le forze, estinguere la luce, e
Debilitare i piedi, acciocché il corpo cada.”587

9.3.3. La società norvegese

Come sopra è stato detto l’introduzione della riforma protestan-


te aveva significato per la Norvegia la definitiva sottomissione al
potere danese. L’autorità e il prestigio dell’antica aristocrazia loca-
le erano da tempo esauriti: ridotta nel numero essa si era per gran
parte ‘dissolta’ lasciando spazio all’agguerrita e influente nobiltà
straniera.588 Il Consiglio del Regno, l’unico organismo nel quale
avrebbe potuto far valere le proprie ragioni e, insieme, quelle del
Paese, aveva cessato di esistere ed era apparso evidente che essa
non era in grado di opporsi al dominio di Cristiano III. L’unica
reazione era venuta, come si è visto, dal mondo ecclesiastico, ma
una volta che questa fu domata il sovrano poté imporre la propria
volontà senza grossi ostacoli.589 Prese dunque l’avvio una nuova
organizzazione statale norvegese (che prevedeva anche la riforma
del sistema dei feudi e, soprattutto, della riscossione dei tributi)
per la quale il re si affidò in primo luogo a nobili danesi. Nel 1572
fu deciso che la Norvegia dovesse avere un governatore generale
(stattholder) con sede nella fortezza di Akershus (a Oslo) cui ogni
altra autorità nel Paese avrebbe dovuto fare riferimento.590 Se in
alcuni casi – come quello di Annibale Sehested – si trattò di figure
assai capaci,591 altre volte i signori stranieri (e i loro collaboratori)

587
DLO nr. 142.
588
In seguito alla gravissima epidemia di peste che aveva colpito il Paese (cfr. p. 370
e anche pp. 419-420) una gran parte delle famiglie nobili si era estinta (quando erano
deceduti i figli maschi), mentre altre erano decadute sul piano sociale nel momento in
cui la mancanza di forza lavoro nelle campagne aveva fatto venir meno i loro introiti;
in altri casi infine esse erano confluite per via matrimoniale all’interno di famiglie
nobili provenienti da altri Paesi (in particolare dalla Danimarca).
589
Vd. sopra, pp. 479-482.
590
NRR II, pp. 33-34. Vd. Supphellen 1979; il primo a rivestire questa funzione fu
Povel Huitfeldt (ca.1520-1592); su di lui vd. Larsen H., Povel Huitfeldt, norsk statt­
holder 1572–77, Oslo 1936.
591
E tuttavia Hannibal Sehested non mancò di curare (anche troppo attentamen-
te!) i propri interessi, al punto che quando le sue appropriazioni indebite vennero

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Nuovi poteri e nuovi equilibri 661

spadroneggiarono badando più agli interessi del dominatore (e ai


propri) che non a quelli dei sudditi.592 I quali restavano, per la
stragrande maggioranza, contadini e pescatori che consideravano
il governo come qualcosa di remoto alle cui esigenze ci si doveva
piegare sia in pace sia in guerra per consuetudine ma anche per
timore.593
In questo contesto la residua nobiltà norvegese non aveva grandi
possibilità di farsi valere. Del resto la lontananza dal centro del
potere, ma anche dagli ambiti culturali più vivaci, le conferì un
carattere, per così dire, ‘provinciale’. Certo i suoi rappresentanti
partecipavano insieme ai membri del Consiglio del Regno danese e
agli uomini di legge alle riunioni del herredag (in sostanza una ‘corte
suprema’ che decideva sulle cause ed emanava decreti)594 ma dove-
vano – soprattutto – essere presenti nelle occasioni in cui era prevista
l’acclamazione di un nuovo sovrano (atto, ormai praticamente
formale, di evidente sottomissione).595 A partire dal 1628 fu-
rono convocate riunioni degli stati alle quali naturalmente essi
furono invitati: si trattava, per lo più, di approvare l’imposizione
di nuove tasse, tuttavia in questo contesto si aprì qualche spazio
anche su temi di natura politica. E comunque anche tra questi
aristocratici troviamo, seppure in numero minore, persone interes-
sate alla storia patria ed encomiabili promotori della cultura. In
due occasioni (1582 e 1591) i nobili ‘norvegesi’ avevano ottenuto

alla luce egli dovette rinunciare all’incarico; su di lui cfr. p. 550. Benefici effetti ebbe
in seguito anche la nomina a governatore del figlio illegittimo di Federico III, Ulrik
Frederik Gyldenløve (cfr. nota 15 e p. 622) il quale portò avanti le riforme intraprese
da Hannibal Sehested, difese gli interessi dei contadini e fu molto benvoluto dai
Norvegesi.
592
Un caso esemplare è quello di Ludvig Munk (ca.1537-1602), nominato gover-
natore nel 1577. Il suo comportamento prevaricatore e spietato fu motivo di molte
lagnanze e, dopo alterne vicende, egli fu costretto a lasciare i suoi incarichi.
593
La distanza tra l’ambiente rurale norvegese e i centri del potere si misura anche
sotto l’aspetto linguistico. Seppure naturalmente il linguaggio ufficiale (anche quello
della Chiesa) fosse ormai il danese (vd. sopra, 8.2.5.3), i contadini e i pescatori norve-
gesi continuarono a usare quotidianamente i loro dialetti (dai quali tuttavia non sorse
alcuna lingua scritta) preservando così un patrimonio che sarebbe stato rivalutato nel
XIX secolo (vd. 11.3.3.1).
594
Il termine herredag indicava originariamente in Svezia una sorta di riunione
parlamentare (cfr. p. 359 con nota 131). In Danimarca (dove si sviluppò più tardi
presumibilmente su modello svedese) esso assunse funzioni giudiziarie (vd. Nielsen
H., “Herredag”, in KHLNM VI [1961], coll. 495-496): ciò avvenne, per evidenti
ragioni, anche in Norvegia.
595
A. Holmsen (Holmsen 1971-19774 [B.3], I, p. 413) fa opportunamente rilevare
come da parte danese ciò si inquadrasse nei rapporti tra il potere centrale e le diverse
‘regioni’ del Regno.

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662 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

la concessione di privilegi, il che ne segna chiaramente il distacco


rispetto alle altre classi sociali.596
Il 1660, anno in cui il re danese diveniva monarca assoluto, segna
un punto di svolta anche per la Norvegia. Lo svuotamento del
potere nobiliare conseguente a questa vera e propria ‘rivoluzione
politica’ coinvolse naturalmente anche i signori che amministrava-
no questo Paese. Anche qui essi furono sostituiti da funzionari e
amministratori che dipendevano direttamente dalla Corona, tra-
mite una nuova ed efficiente organizzazione burocratica. È pur vero
che, ancora una volta, la gran parte di costoro era di nazionalità
straniera (danese o tedesca), tuttavia questo cambiamento riportò
la Norvegia in una situazione di maggiore equilibrio rispetto al
dominatore. Del resto, in precedenza, a una sua ‘migliore conside-
razione’ aveva certamente contribuito la politica di Cristiano IV,
un monarca che (a differenza dei suoi predecessori) si era assai
interessato al Paese, visitandolo ripetutamente e promuovendone
lo sviluppo. Naturalmente nell’ottica dei sovrani danesi la Norvegia
era – e doveva restare – parte integrante del loro Regno: il che si
comprende bene sia dal viaggio ‘trionfale’ attraverso il Paese fatto
nel 1685 dal re Cristiano V, sia – a maggior ragione – dall’emana-
zione nel 1687 della Legge norvegese che avrebbe dovuto regolare
i rapporti dei sudditi norvegesi con la Corona.597
In questo quadro si situa, a partire dalla seconda metà del XVI
secolo, un significativo sviluppo economico (e un parallelo aumen-
to della popolazione) e la conseguente nascita di una, seppur ancor
numericamente limitata, borghesia norvegese (in realtà ancora una
volta per molta parte straniera).598 Da questo punto di vista risulta
determinante, in primo luogo, l’incremento dei traffici marittimi
(non più lasciati solo agli Olandesi, agli Inglesi o agli anseatici) cui
si lega una importante ripresa delle costruzioni navali. Grazie al
sostegno della Corona i commercianti norvegesi possono ora farsi
valere. Le merci principali sono il pesce (in particolare le aringhe),
il legname e i prodotti delle miniere (argento, ferro, rame): infatti,
mentre nella pesca vengono introdotti nuovi strumenti (tuttavia
avversati per diverse ragioni dai pescatori tradizionali), l’industria

596
Vd. Winge 1988 (Abbr.), nr. 465, 14 febbraio 1582, p. 195 e nr. 608, 31 luglio
1591, pp. 235-237.
597
Queste erano certamente le intenzioni da parte danese; vd. tuttavia p. 551 con
nota 96.
598
I Paesi da cui provenivano molti dei ‘nuovi borghesi norvegesi’ furono l’Olanda,
l’Inghilterra, la Scozia, la Germania e la Danimarca (soprattutto dalla regione dello
Jutland). Vd. Holmsen 1971-19774 (B.3), I, pp. 429-431.

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Nuovi poteri e nuovi equilibri 663

estrattiva conosce un notevole sviluppo599 e la produzione di legna-


me aumenta grazie all’introduzione (attorno al 1520) di un nuovo
strumento, la sega idraulica, innovazione che permetterà l’allesti-
mento di grandi segherie (che producono per l’esportazione) ma
anche di piccole imprese a carattere locale. I relativi decreti legi-
slativi sottolineano la consapevolezza da parte del potere centrale
di queste nuove fonti di reddito. Si comincia così a creare una
classe di ‘salariati’.
La borghesia risiede naturalmente nelle città: le principali sono
Christiania,600 Trondheim, Bergen (che pur risentendo del declino
degli anseatici resta il più importante centro norvegese), Christians-
sand, Skien, Tønsberg e Fredrikstad.601 Anche se la Corona tende
a estendere il proprio controllo, esse conservano una discreta auto-
nomia. Nel 1662 ottengono nuovi privilegi.602 I mercanti borghesi
vengono dunque presto emergendo come nuova componente
sociale: accrescono la loro influenza e la loro ricchezza, divengono
consumatori di beni di lusso e di cultura. Già nel 1591 i loro rap-
presentanti sono chiamati alla cerimonia di acclamazione del sovra-
no Cristiano IV. Gradatamente emerge un numero limitato di
famiglie che detiene gran parte della ricchezza derivante dal com-
mercio. Con l’affermarsi dello stato burocratico molti borghesi
entreranno a far parte dell’amministrazione.
Anche in Norvegia la classe sociale più disagiata restava quella dei
contadini (e dei pescatori). Su di loro gravava il peso dell’intera
piramide sociale e il rapporto tra il contributo loro richiesto e ciò
che ricevevano in cambio era certamente assai sfavorevole. La mag-
gior parte (l’80% ca.) conduceva la terra in locazione dalla Corona

599
La prima miniera aperta in Norvegia fu quella di rame a Sundsberg (comune di
Seljord in Telemark) nel 1524 cui, grazie all’interesse della Corona, altre seguirono (vd.
Holmsen 1971-19774 [B.3], I, pp. 435-437): tra queste la miniera d’argento presso la
quale si sarebbe sviluppata la città di Kongsberg (cfr. p. 549, nota 86) fondata nel 1624
e quella di rame là dove sarebbe presto sorta Røros nel Trøndelag meridionale (1646).
In relazione all’apertura della miniera di Kongsberg fu anche realizzata, per volontà
del re, la prima strada carrabile del Paese (Gamle Kongbergsvei). Le prime industrie
norvegesi sorsero del resto in relazione al settore minerario: la Orkla (fondata nel 1654
a Løkken Verk nel Trøndelag meridionale) nacque per l’estrazione di calcopirite, la
Ulefos come fonderia (fondata nel 1657 a Ulefoss nel Telemark).
600
Parallelo al suo sviluppo è, al contrario, il regresso di Stavanger penalizzata
dallo spostamento nella capitale della sua sede vescovile e di quella giudiziaria.
601
Questo centro (inizialmente Fredriksstad) prende nome dal re danese Federico
II che la fondò nel 1567 per ‘sostituire’ la vicina Sarpsborg data alle fiamme dagli
Svedesi nel corso della guerra nordica dei sette anni (cfr. p. 548 con nota 84). Una
parte della città conserva ancora la struttura originale.
602
Vd. Stang – Dunker 1838 (Abbr.), pp. 4-10.

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664 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

o da un nobile, ma anche quelli che possedevano il podere lavorato


erano pesantemente sfruttati. Questo sfruttamento si realizzava
tramite tutta una serie di obblighi e divieti che se da una parte impo-
nevano di cedere gran parte del frutto del proprio lavoro, dall’altra
soffocavano per molti versi ogni libera iniziativa. I temuti ammini-
stratori e gli esattori della Corona provvedevano (talvolta anche
troppo severamente) a far rispettare queste imposizioni e a riscuote-
re le tasse: un carico fiscale che andò tendenzialmente crescendo,
soprattutto in relazione alle ripetute guerre cui i contadini dovevano
fornire anche un notevole contributo di uomini. Certamente essi
erano malcontenti di questo stato di cose e vi si opposero nelle forme
legali di cui disponevano (a partire dalle assemblee locali fino ad
arrivare al herredag), ma in diversi casi l’esasperazione provocò
ribellioni e tumulti, repressi generalmente con estrema durezza.
Formalmente la loro voce veniva ascoltata ma in pratica solo in poche
occasioni essi riuscivano a far valere appieno le proprie richieste.
Sebbene, al pari dei borghesi, venissero ufficialmente riconosciuti
come ‘stato’, il potere aveva ogni interesse a mantenerli in una con-
dizione di sottomissione e, di conseguenza il loro peso politico
restava assai limitato. Gradatamente infatti il distacco dalle altre
classi sociali si accrebbe, l’autonomia delle antiche assemblee locali
fu svuotata e la pressione dell’autorità centrale si fece più opprimen-
te. Sicché, in sostanza, dal miglioramento economico verificatosi nel
Paese la maggior parte di loro trasse ben pochi benefici. Ed erano
sempre loro, in primo luogo, i più colpiti ogni qualvolta (come
avvenne in particolare nel 1601 e nel 1695) si verificava una carestia
o un cattivo raccolto. Seppure indubbiamente si possa constatare
qualche forma di miglioramento delle condizioni di vita, la presenza
di contadini discretamente benestanti e una maggiore libertà nel
commercio dei loro prodotti.603

9.3.4. Crescente centralizzazione

Nei paragrafi precedenti non si è parlato specificamente del


clero, che – pure – costituiva una classe sociale ben distinta nel
contesto della società scandinava. La ragione, in parte già esposta,
è che dopo la riforma protestante esso venne ovunque innanzi
tutto a costituire un elemento funzionale alla prospettiva di quella
603
Sulla situazione dei contadini norvegesi nel primo periodo dell’assolutismo (in
ogni caso meno difficile di quella dei danesi) vd. Holm 1885-1886 (C.10.2), I, pp.
166-176.

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Nuovi poteri e nuovi equilibri 665

crescente centralizzazione del potere che sarebbe sfociata nell’as-


solutismo regio. Infatti se è vero che dopo i primi decenni di asse-
stamento del nuovo ordinamento religioso i vescovi e i loro sotto-
posti (prevosti e pastori) riacquistarono in gran parte la loro
influenza, è altrettanto vero che essi non poterono più del tutto
affrancarsi dalla ‘tutela’ del potere reale al cui servizio divennero,
per così dire, le ‘sentinelle’ della comunità che doveva far loro
riferimento nelle diverse circostanze della vita. Vita che era scan-
dita dalla parola di Dio e dall’obbligatoria osservanza di precetti
imposti dalla Chiesa ma al contempo confacenti all’interesse dello
Stato: non si dimentichi che il primo rappresentante di Dio sulla
Terra era ora il sovrano.604 Sebbene dunque la ‘nobiltà ecclesiastica’
604
Questa ‘politica ecclesiastico-statale’ fondata su una rigida ortodossia segna
almeno tutto il XVII secolo e si esprime in una serie di disposizioni legislative e di
pubblicazioni religiose intese a convogliare la vita dei sudditi-fedeli verso una comple-
ta uniformità. In Danimarca e Norvegia, Paesi a lungo dominati dall’assolutismo regio,
abbiamo l’Ordinanza ecclesiastica per la Norvegia del 1607 (indicazioni alla nota 506);
il capitolare del re Cristiano IV del 27 febbraio 1643 (Secher [Abbr.] V [1903], nr.
143, pp. 122-354, in particolare libro I, pp. 143-211); la Legge del re, del 14 novembre
1665 (vd. p. 545), in particolare §§ I-II; la Legge norvegese di re Cristiano V del 1687
(vd. p. 551 con nota 96), in particolare libro II (Sulla religione e il Clero: Om religionen
og Geistligheden); il Rituale ecclesiastico per la Danimarca e la Norvegia (Danmarks og
Norgis Kirke-Ritual) del 1685 (vd. p. 720 con nota 178); la nuova edizione – la prece-
dente, nota come Den ældste danske Alterbog, risaliva a Peder Palladius (su cui cfr. p.
496) – del Libro ufficiale per l’altare (Forordnet Alterbog udi Danmark og Norge, 1688)
pubblicata a uso dei pastori luterani dal teologo e vescovo Hans Bagger (1646-1693);
il cosiddetto Libro dei Salmi di Thomas Kingo del 1699 (vd. p. 608). Tuttavia (per
ragioni politico-commerciali) dalla fine del XVII secolo in Danimarca si constaterà
qualche prima apertura alla libertà di culto per i seguaci di altre confessioni. In Svezia,
dove l’equivalenza Stato-religione luterana era stata sancita dall’intervento di Gustavo
II Adolfo nella guerra dei trent’anni e l’unità religiosa era considerata un fondamento
del buon funzionamento dello Stato, abbiamo la costituzione del 1634 (cfr. p. 667 con
nota 611), in particolare § 1; la “solenne dichiarazione del re” (Kungaförsäkran), di
Carlo XI del 18 dicembre 1672 (Kongl. May:tz Försäkring, Gifwen samptlige Rijkzens
Ständer på Rijkzdagen i Stockholm then 18. Decembris Anno 1672, in SFS 1670-1674),
§§ I e II in particolare; la legislazione ecclesiastica del 1686 (vd. nota 172); il Catechi-
smo (Enfaldig förklaring öfwer Lvtheri lilla catechismum, stält genom spörsmåhl och
swar, 1689) dell’arcivescovo Olof Svebilius (Olaus Swebilius, 1624-1700) che a partire
dal 1773 sarebbe stato l’unico ammesso (il testo fu tradotto in lingua sami nel 1738:
Qvigstad – Wiklund 1978 [vd. p. 1646], p. 25); l’edizione revisionata (1693) sulla base
della nuova legislazione ecclesiatica del Manuale per la chiesa (Handbok) a suo tempo
curato dal futuro arcivescovo Petrus Kenicius (1555-1636); il Libro dei salmi (Psalmbok)
del 1695 (in Finlandia un Libro dei salmi, Virsikirja, sarebbe uscito nel 1701; vd. p.
609); la traduzione della Bibbia (1703) revisionata per disposizione di Carlo XII (vd.
p. 521, nota 206). Si ricordi qui anche l’obbligo stabilito tanto dalla legge danese
quanto da quella svedese di frequentare le funzioni religiose (vd. rispettivamente pp.
763-764 con nota 365 e Kongl. Placat och Stadga Om Eder och Sabatzbrott del 2 ottobre
1665 [SFS 1665]).

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666 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

cercasse di difendere la propria autonomia e potesse ottenere pri-


vilegi (anche a scapito dei sottoposti, il che determinò notevoli
disparità di condizione all’interno del clero a seconda della carica
rivestita) il processo di assoggettamento del potere religioso al
potere temporale (e dunque la trasformazione della struttura eccle-
siastica in una ‘Chiesa di Stato’) non poté essere fermato. Tutto ciò
si riflette chiaramente nelle nuove leggi relative alla Chiesa, nelle
quali sono contenute disposizioni che sottolineano la sudditanza
dei religiosi rispetto al potere politico, anche per questioni almeno
apparentemente di competenza ecclesiastica.605 Al di là dell’impe-
gno teologico per la definizione e la difesa dell’ortodossia, ai vesco-
vi e, soprattutto, ai sacerdoti non restò che sorvegliare e indirizza-
re l’esistenza quotidiana della gente: istruire nella dottrina
ufficiale e denunciare i comportamenti immorali. Nel quadro di
una società ‘chiusa’606 e ben regolamentata ai fedeli era fatto obbli-

605
Si veda a esempio la sostanziale sottrazione al clero danese di una autonoma
gestione economica (DKL III, nr. 48 [§ 41], 31 marzo 1615, p. 45); l’obbligo imposto
dal re di possedere un attestato universitario per poter esercitare l’attività di pastore
(ibidem, nr. 154 e nr. 155 del 7 novembre 1629, pp. 173-176) o la parte relativa alla
Chiesa nel recess di Cristiano IV (27 febbraio 1643, Secher [Abbr.] V, nr. 143, pp.
122-354, in particolare libro I, pp. 143-211). In sostanza si era stabilita una intransi-
gente regolamentazione della vita religiosa da parte dell’autorità reale (cfr. p. 684 con
nota 30). Del resto anche un decreto come quello relativo alle ‘religioni straniere’
(Forordning om fremmede Religioner; ibidem, nr. 515 del 6 aprile 1676, pp. 502-505)
la cui pratica, tranne pochissime eccezioni, viene totalmente esclusa dal territorio del
Regno, rispecchia la chiara volontà della monarchia di avocare a sé la gestione (uni-
formante) di qualsiasi aspetto della realtà sociale, con ciò ritenendo di garantire forza
e continuità al potere assolutista.
606
Una serie di provvedimenti evidenzia la volontà di ‘difendersi’ anche rispetto a
possibili influssi provenienti dall’esterno. A esempio in Danimarca fin dal 1569 era
stato emesso un decreto in base al quale agli stranieri che avessero voluto stabilirsi nel
Paese veniva fatto obbligo di accettare formalmente gli articoli di fede luterana o,
altrimenti, allontanarsi nel termine massimo di tre giorni, diversamente incorrendo
nella pena di morte (Secher [Abbr.] I, pp. 412-420). Il 22 ottobre 1604 era stata ema-
nata una circolare relativa alle scuole nella quale si faceva divieto di ricoprire incarichi
a chi fosse stato allievo dei gesuiti (Secher III [1889-1891], nr. 204 pp. 175-178).
Naturalmente queste norme dovevano valere anche per le ‘colonie’. In Svezia nel 1667
era stata emessa un’ordinanza che, ribadito l’obbligo per i sudditi di professare l’unica
fede luterana ammessa nel Regno (§§ i-ii), ingiungeva agli stranieri che si trovavano nel
Paese di praticare la propria religione nel chiuso delle loro case, proibendo categorica-
mente qualsiasi forma di proselitismo e affidando all’autorià civile ed ecclesiastica il
controllo sul loro comportamento in modo da evitare che qualsiasi tipo di ‘eresia’ (anche
di carattere filosofico o letterario!) potesse diffondersi (Kongl. Mayst.s Religions Placat,
Vthgifwit på Stockholms Slott den 19. Martij Åhr 1667); un successivo decreto (Kongl.
Mayst:tz Forbudh Angående Skadelige Böckers Införsel och Hemmande [...] Stockholm
then 2. Novembris Anno 1667), imponeva una severa vigilanza sulla temuta introdu-
zione nel Paese di libri considerati ‘pericolosi’ (entrambi in SFS).

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Nuovi poteri e nuovi equilibri 667

go (anche prevedendo pene per i ‘renitenti’) di frequentare rego-


larmente le funzioni.
I membri del clero luterano si formavano spesso, in questi seco-
li, sulla base di una tradizionale appartenenza familiare (spesso i
figli di pastori divenivano pastori essi stessi e sposavano figlie o
vedove di altri pastori)607 tuttavia altri provenivano dalla borghesia
o anche dalla classe contadina. Una carriera ecclesiastica era spes-
so l’unica via per accedere a un livello culturale superiore. Questo
quadro ben spiega l’importanza sociale e l’influsso esercitato nelle
diverse realtà da eminenti figure di prelati come – solo per fare
qualche esempio – il danese Peder Palladius,608 il norvegese Jens
Nilssøn609 e l’islandese Jón Þorkelsson Vídalín la cui diffusissima
Postilla costituisce un testo ‘classico’ del protestantesimo in quel
Paese.610 Un ulteriore contributo ecclesiastico al funzionamento
dello stato centrale verrà, a partire dalla seconda metà del XVII
secolo (in Danimarca tuttavia fin dal 1645) dalla obbligatoria com-
pilazione dei registri parrocchiali.
Ma l’opera di uniformazione e di controllo sulla società passò
anche attraverso una mirata riorganizzazione dell’amministrazione
centrale il cui avvio certamente anticipa lo stabilirsi dell’assolutismo
regio. Naturalmente questa tendenza si legò al processo di raffor-
zamento del potere reale e, dunque, prese il via in Danimarca
(Paese che essendo stato il perno dell’Unione di Kalmar poteva da
tempo contare su una efficiente burocrazia) e in Svezia: poi natu-
ralmente fu estesa, con le opportune forme, alle rispettive colonie.
In Svezia il progetto, risalente già a Gustavo Vasa, fu portato avan-
ti da Carlo IX e da suo figlio Gustavo II Adolfo e definitivamente
completato nel 1634 quando, per opera del cancelliere Axel Oxen-
stierna, fu promulgata una “forma di governo” (regeringsform), in
sostanza una costituzione.611 Con l’introduzione dei cosiddetti
“collegi” l’amministrazione della cosa pubblica (politica interna ed

607
Si constata come, in questa ottica, lo spazio riservato alle donne fosse assai
limitato: ben lontani sono i tempi in cui una figura femminile appartenente alla sfera
religiosa come quella di Santa Brigida poteva addirittura rivolgere il proprio rimpro-
vero al re di Svezia! (cfr. p. 356 e anche p. 402).
608
Vd. p. 496.
609
Vd. nota 512.
610
Cfr. p. 576. Il titolo completo dell’opera è: Postilla per la casa ovvero semplici
prediche su tutti i vangeli delle solennità e delle domeniche dell’anno (Húspostilla eður
einfaldar predikanir yfir öll hátíða- og sunnudagaguðspjöll árið um kring, 1718-1720).
Vd. “Meistari Jón”, in BR, pp. 41-44.
611
Vd. Nilsson S.A., “1634 års regeringsform”, in Scandia, X (1937), pp. 1-37 e,
del medesimo autore, Axel Oxenstierna och regeringsformen 1634, Lund 1937.

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668 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

estera, finanze, giustizia, guerra)612 veniva suddivisa e regolamen-


tata. Uno sviluppo analogo (in parte ispirato a quello svedese e
tuttavia non ugualmente compiuto) avvenne in Danimarca (e, di
riflesso, in Norvegia e in Islanda) a partire almeno dal regno di
Cristiano IV: esso conobbe poi una accelerazione dopo il 1660,
quando anche qui vennero istituiti diversi “collegi”.613 Grazie a
questi provvedimenti vennero stabilendosi strutture burocratico-
amministrative che garantivano l’effettiva applicazione delle deci-
sioni assunte ai più alti livelli: non è un caso che in Danimarca e in
Norvegia dopo l’introduzione dell’assolutismo regio quelli che
erano stati antichi feudi divenissero ora province (amter in danese
e bm, amt in nn; sing. amt in danese e in entrambe le varianti del
norvegese)614 gestite da un prefetto (dan. amtmand, norv. amtmann)615
cui era demandato l’incarico di sorvegliare l’applicazione delle
leggi.616 In Svezia una figura sostanzialmente corrispondente è

612
L’istituzione di un Collegio di guerra (Krigskollegium) si lega del resto alla rior-
ganizzazione dell’esercito e della marina, ambiti di grande interesse per il re Gustavo
II Adolfo e anche, più tardi, per Carlo X e Carlo XI.
613
Tra questi il Collegio dello Stato (Statskollegium), che doveva occuparsi delle
questioni importanti in politica interna ed estera; esso fu sostituito da Cristiano V con
un Consiglio segreto (Gehejmekonseilet) di cui facevano parte oltre al re solo i sei
massimi funzionari del Regno: esso costituiva la suprema autorità del Paese.
614
In Norvegia il termine amt è stato in seguito sostituito da fylke, tuttora in uso
per indicare distretti regionali amministrativi che raggruppano diversi comuni.
615
La cui figura risale per molti versi a quella del sysselman (cfr. p. 340, p. 372 e
anche p. 387). I diversi decreti successivi all’introduzione dell’assolutismo regio sono
pubblicati in AaKG II (1856-1860), pp. 151-326 (nr. 1-52). La Norvegia venne suddi-
visa in quattro “province diocesane” (ciascuna indicata con il termine stiftamt) i cui
confini corrispondevano a quelli delle quattro diocesi. Vd. anche Holm 1885-1886
(C.10.2), I, pp. 82-85.
616
All’intensa attività legislativa che caratterizza questo periodo corrisponde ora
tutta una serie di studi e lavori di carattere giuridico: qui basti citare Christen Ostersen
Veile (Christen Osterssøn, morto dopo il 1652) il quale redasse un Glossario giuridico
danese (Glossarium juridico-Danicum, 1641; seconda edizione 1652) che – pure tenen-
do conto dei molti errori – costituisce una fonte importantissima per lo studio della
tradizione legale di questo Paese; Peder Lassen (1606-1681) e Rasmus Vinding (1615-
1684) che (per quanto in contrasto tra loro) portarono un notevole contributo alla
redazione della Legge danese del 1683, per la quale va qui ricordato anche il nome di
Peder Schumacher (vd. p. 545 con nota 71); Johannes Loccenius (1598-1677), fonda-
tore degli studi giuridici svedesi (seppure egli fosse originario del Holstein) e, soprat-
tutto, Johan Olofsson Stiernhöök (Johan Olofsson Dalkarl, poi insignito della dignità
nobiliare, 1596-1675) per molti versi già illuminista, il cui intelligente uso delle fonti
unito a una chiara visione dei problemi aprì la strada a una nuova concezione del
diritto che avrebbe positivamente influenzato la stesura della legge generale del 1734
(vd. oltre, pp. 698-699). La sua opera, Antico diritto degli Svedesi e dei goti (De jure
Sveonum et Gothorum vetusto), uscita nel 1674 (tale è l’anno in cui ottenne l’autoriz-
zazione alla pubblicazione, seppure il frontespizio rechi la data di due anni prima)

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Nuovi poteri e nuovi equilibri 669

quella del landshövding, anch’essa istituita nel 1634. La dettagliata


articolazione della macchina statale coinvolse naturalmente anche
l’aspetto giudiziario. Vennero dunque distinte le incombenze dei
diversi tribunali (da quelli locali fino alle corti supreme)617 e i loro
ambiti di competenza.618 Là dove (come soprattutto in Norvegia)
ancora funzionavano antiche forme di amministrazione della giu-
stizia a livello locale nelle quali era coinvolta la comunità, esse
furono completamente smantellate.619
In questa sede è evidentemente impensabile dare conto di gran
parte delle leggi e degli ordinamenti che furono emanati e di
tutte le decisioni assunte. E tuttavia, per offrire qualche esempio
del modo in cui il potere centrale volle porre sotto il proprio
controllo i diversi ambiti giuridici basterà ricordare la legge
marittima danese (1561),620 l’istituzione dell’Ufficio svedese per
il rilevamento topografico (Lantmäteriverket, 1628)621 o la rego-
lamentazione delle dogane in Norvegia (1661);622 ma anche la

costituisce un momento fondamentale della storia del diritto svedese. Anche perché
si pone in aperto contrasto con le fantasie goticiste che avevano ‘contagiato’ anche il
campo del diritto: si pensi a Carl (Carolus) Lundius figura altamente stimata e convin-
to fautore dei fondamenti giuridici dell’assolutismo regio, che in pieno spirito rudbe-
ckiano considerava Zalmoxis – il leggendario riformatore sociale e religioso venerato
dai Daci – il primo legislatore svedese (Zalmoxis primus Getarum legislator academica
dissertatione luci publica restitutus, 1687; cfr. p. 584, nota 251). Su Stiernhöök vd.
Helander H. – Nelson A. et al., Johan Stiernhöök i sin samtid, Stockholm 2005.
617
In Danimarca la Corte suprema (Højesteret) fu istituita nel 1661, in Svezia (Högsta
domstolen) tuttavia solo nel 1789 (vd. p. 706, nota 118).
618
Una importante innovazione fu, in Norvegia l’introduzione nel 1591 del cosid-
detto sorenskriver (da svoren skriver, letteralmente “scrivano giurato”) che divenne il
giudice nei tribunali di prima istanza delle comunità rurali. Questa figura venne
grosso modo a corrispondere al häradshövding svedese e al herredsfoged danese, due
termini che richiamano l’antica suddivisione territoriale di carattere giuridico-ammi-
nistrativo detta hérað (vd. p. 340 e p. 358) e composti rispettivamente con hövding
“capo” e foged (su cui vd. p. 360 con nota 134). Vd. Olafsen A., Våre sorenskrivere.
Sorenskriverinstitusjonen og sorenskrivere i Norge. Et bidrag til den norske dommerstands
historie, I-II, Oslo, 1941-1945 (in particolare il primo volume).
619
Vd. Holmsen 1971-19774 (B.3), I, pp. 445-447.
620
Si tratta di un regolamento (9 maggio 1561) assai dettagliato (NRR I, nr. 68, pp.
109-158).
621
Il che esprime chiaramente la volontà di porre sotto controllo tutto il territorio
del Regno. In questo ufficio fu attivo il pioniere degli studi cartografici svedesi il
celebre Andreas Bureus (1571-1646) – cugino di Johannes (cfr. p. 590 e p. 601) – che
nel 1626 pubblicò una carta del Nord (Orbis Arctoi nova et accvrata delineatio) corre-
data di una descrizione e che fu ripubblicata qualche anno dopo: Descrizione nuova e
accurata del Settentrione, innanzi tutto del Regno di Svezia (Orbis Arctoi, imprimisqve
regni Sveciæ nova et accurata descriptio, 1631). In Finlandia il primo agrimensore fu
nominato nel 1633.
622
Paus 1751 (Abbr.), pp. 940-943.

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670 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

serie di decreti che più da vicino toccavano la vita delle persone


come l’ordinamento dell’istituto del fidanzamento e del
matrimonio,623 i dettami sul commercio di singole merci (della
più svariata natura), le disposizioni relative ai ‘giorni di preghie-
ra’ o ‘di ringraziamento’ (indetti per svariate occasioni),624 quel-
le sulla caccia e – persino – le direttive da seguire in occasione
di funerali. E, naturalmente, le numerose norme legate a interes-
si commerciali (in primo luogo quelli della Corona). Un quadro
dal quale facilmente si comprende come oramai la costruzione
di forti stati centralizzati avesse completato il suo corso, impo-
nendo (insieme a una struttura gerarchica) le proprie regole e
sottraendo quasi completamente ogni residuo potere alle auto-
rità locali.
Tutto pareva muoversi in una precisa direzione cui anche altri
fattori contribuirono. Così la creazione di servizi postali (in Dani-
marca nel 1624,625 in Svezia nel 1636,626 in Norvegia nel 1647).627
In Svezia si aggiunga la fondazione della Palmstruchska banken
(o Stockholm banco) fondata nel 1656 dal livone Johan Palmstruch
623
Si veda in particolare la dettagliata serie di norme emessa dal re danese Federi-
co II per la Danimarca e la Norvegia con l’ordinanza del 19 giugno 1582 (Kong Fre-
derik den Andens Ordinants om Ægteskabssager, in SGDL IV, pp. 300-310). Una
essenziale normativa in materia era contenuta nell’Ordinanza luterana (KO, p. 111 e
p. 187, passim; cfr. pp. 63-64); per l’Islanda vd. Ordinants, hvorledes udi Ægteskabs-
sager paa Island dömmes skal (LFI I, 2 giugno 1587, pp. 113-124). In Svezia una ana-
loga regolamentazione si trova nella Legge generale del 1734 (vd. oltre, pp. 698-699);
in proposito vd. Pylkänen A., “Giftermålsbalken i 1734 års lag”, in Statens beroende
av familjen, Helsingfors 1996, pp. 7-37.
624
Cfr. nota 519. Talora la motivazione è legata a circostanze singolari come appa-
re (solo per fare un esempio curioso) nel decreto che stabilisce la “celebrazione di
giorni di preghiera a motivo della scoperta di alcuni complotti dei papisti e di una
miniera d’argento in Norvegia” (Om Afholdelse af Bededage i Anledning af Opdagelse
af nogle papistiske Anslag og af en Sølvminne i Norge, 6 marzo 1624, in DKL III, nr.
109, pp. 107-108).
625
Vd. Olsen Fr., Det danske Postvæsen, dets Historie og Personer indtil dets Over-
tagelse af Staten 1711, Kjøbenhavn 1889 e Israelsen H.K. (red.), P&Ts historie, I-V,
København 1991-1993 (in particolare il primo volume redatto da O. Madsen: P&Ts
Historie til 1711). I primi francobolli danesi furono emessi nel 1851.
626
Ciò fu dovuto all’iniziativa del cancelliere Axel Oxenstierna. Del resto fin dal
1620 il re Gustavo II Adolfo aveva fatto aprire un ufficio ad Amburgo, dove doveva
essere raccolta la corrispondenza da inviare nel Paese. Un altro ufficio con la medesi-
ma funzione fu aperto a Helsingør nel 1640. Vd. Forssell N., Svenska postverkets
historia, I-II, Stockholm 1936 e anche Linnarsson M., Postgång på växlande villkor.
Det svenska postväsendets organisation under stormaktstiden, Lund 2010. I primi
francobolli svedesi furono emessi nel 1855.
627
Vd. Schou A., Postens historie i Norge, Oslo 1947 e Johannessen F.E. – Thue L.
et al., Alltid underveis. Postverkets historie gjennom 350 år, I-II, Oslo 1997. I primi
francobolli norvegesi furono emessi nel 1855.

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Nuovi poteri e nuovi equilibri 671

(1611-1671) su concessione del re Carlo X Gustavo: il primo


istituto di credito europeo a emettere banconote. Sebbene essa
dovesse cessare l’attività nel 1664 a motivo di grosse perdite,628
dalle sue ceneri sarebbe sorta nel 1668 una Banca degli stati del
Regno (Riksens Ständers Bank), gestita dal parlamento, dalla
quale infine ebbe origine la Banca nazionale svedese (Sveriges
Riksbank), che resta dunque il più antico istituto di questo gene-
re tuttora in funzione.629

9.3.5. La società islandese

Si è volutamente lasciata all’ultimo posto la situazione dell’Islan-


da, distante non solo geograficamente dagli altri Paesi scandinavi.
Come è stato detto in precedenza, anche qui l’introduzione della
riforma protestante era stata determinata in misura preponderante
da ragioni politiche ed economiche. Il Paese rappresentava una
base importante per la pesca e il relativo commercio nel Mare del
Nord. La supremazia degli Inglesi (assai sgraditi al re danese) che
nel corso del XV secolo ne avevano a lungo controllato i traffici era
stata intaccata, a partire dal XVI, dai Danesi e dai mercanti prove-
nienti dalla Germania (in particolare da Amburgo). In tal modo
l’isola era definitivamente entrata in un grande gioco di interessi
contrapposti che di fatto trascuravano le necessità della maggior
parte dei suoi abitanti. L’accentuata dipendenza dalla Danimarca
conseguente all’imposizione della riforma fu ottenuta anche grazie
al coinvolgimento di diversi notabili che disponevano di vasti pos-
sedimenti terrieri: si venne così consolidando una ‘nobiltà’ islan-
dese numericamente ridotta ma economicamente assai benestante,
che naturalmente legava i propri interessi a quelli del dominatore.630
E tuttavia era ora piuttosto il re in prima persona a possedere

628
Il che portò alla condanna all’esilio e al pagamento dei danni per il suo fonda-
tore, che tuttavia fu in seguito graziato.
629
La prima banca danese, la Kiøbenhavnske Assignations-, Vexel- og Laanebanken
detta anche Kurantbanken (per altro privata), sarà fondata nel 1736; nel 1773 sarà
trasformata in banca statale. A essa seguirà nel 1786 un istituto fondato in relazione
alle riforme agrarie, la Reale cassa di credito (Det kongelige kreditkasse) e nel 1791 un
istituto dano-norvegese, Den Danske og Norske Speciebank, sostituito nel 1799 dalla
cosiddetta Deposito-Cassen. Una Banca nazionale danese (Rigsbanken) sarà fondata
nel 1813, nel 1818 essa verrà trasformata nella Nationalbanken inizialmente a capitale
privato. La fondazione della Banca norvegese (Norges bank) risale al 1816, quella
della Banca islandese (Landsbanki) al 1885.
630
Vd. Júlíusson – Ísberg 2005 (B.3), p. 118.

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672 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

un’ampia estensione di territorio gestita tramite funzionari (anche


locali). Ma la maggioranza della popolazione viveva in condizioni
disagevoli dovendo per di più pagare le tasse:631 sudditi in inesora-
bile declino sotto molti punti di vista. L’Islanda era ormai, a tutti
gli effetti, uno dei grandi feudi danesi. La decadenza dell’antica e
prestigiosa istituzione dell’Alþingi non è che il riflesso (forse il più
evidente) di questa mortificante situazione. Se tra la fine del XV e
i primi decenni del XVI secolo questa assemblea aveva continuato
a legiferare e a emanare decreti godendo di una discreta autonomia,
con l’introduzione della riforma le cose cambiarono decisamente.
Basti pensare che nel 1564 (solo quattordici anni dopo l’uccisione
di Jón Arason) in questa sede fu imposta l’approvazione del cosid-
detto Grande editto (Stóridómur), un rigido codice di comporta-
mento morale che prevedeva pene assai severe (fino alla morte)632
per qualsiasi forma di relazione sessuale al di fuori del matrimonio:
in tal modo la vita degli Islandesi veniva, in sostanza, sottoposta al
totale controllo (attuato attraverso i funzionari governativi e i
membri della Chiesa) del sovrano danese.633 Le voci di dissenso
furono inesorabilmente soffocate.634 Dopo la riforma l’Islanda fu

631
Si è tuttavia constatato che esse furono meno pesanti di quelle corrisposte dai
Norvegesi e dai Danesi stessi. In diverse occasioni gli Islandesi riuscirono a opporsi al
pagamento di nuove imposte, a motivo della situazione assai grave in cui versava
l’economia del Paese. Inoltre il contributo di uomini all’esercito del re fu assolutamen-
te limitato (vd. Júlíusson – Ísberg 2005 [B.3], pp. 116-117).
632
Da eseguirsi per annegamento nei confronti delle donne, per decapitazione nei
confronti degli uomini (fonte citata nella nota successiva).
633
Il decreto fu emesso il 2 luglio 1564 e ratificato dal re danese il 13 aprile 1565
(LFI I, pp. 84-89 e pp. 89-90); questa legge sarebbe rimasta in vigore fino al 1838. Vd.
Björgvinsson D.Þ., “Stóridómur”, in Kristjánsson G. – Hákonarson H. (ritstj.),
Lúther og íslenskt þjóðlíf. Erindi flutt á ráðstefnu um Martein Lúther, er haldin var 4.
nóvember 1983 í tilefni þess að 500 ár voru liðin frá fæðingu hans, Reykjavík 1989, pp.
119-140. La pena di morte in Islanda verrà abolita con una legge del 7 maggio 1928
(Lög um nokkrar breytingar til bráðabirgða á hegningarlöggjöfinni og viðauka við hana)
a quasi cento anni dall’ultima esecuzione avvenuta nel 1830 quando Agnes Magnús-
dóttir (nata nel 1813) e Friðrik Sigurðsson (nato nel 1811) furono giustiziati per aver
ucciso Natan Ketilsson (1792-1828) e un suo ospite dando poi fuoco all’abitazione nel
tentativo di distruggere le tracce del delitto. Successivamente altre condanne capitali
furono comminate, ma sempre commutate in pene detentive.
634
Contro questo provvedimento Guðmundur Andrésson scrisse tra il 1647 e il 1648
il cosiddetto Discorso in opposizione, o Trattato in opposizione al decreto emesso in Islanda
nell’anno 1564 (Discvrsvs oppositivus edur gagnstæd yfferferd løgriettunnar dom titils sem
geinged heffur a Alþingi Anno 1564; in versione latina: Discursus oppositivus, seu Tractatus
oppositus plebiscito in Islandia concinnato Anno 1564): quando il testo giunse nelle mani
delle autorità egli fu arrestato e rinchiuso nella Torre blu di Copenaghen. Tuttavia il 24
dicembre 1649 ottenne la grazia dal re per intercessione di Ole Worm, il quale era inte-
ressato alla sua collaborazione negli studi di antichità nordiche (cfr. p. 587 e p. 606).

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Nuovi poteri e nuovi equilibri 673

dunque in balìa del dominatore straniero. Soldati mercenari prima


e danesi poi furono inviati nell’isola con il pretesto di difenderla
(agli Islandesi erano state requisite tutte le armi), in realtà con il
compito di prevenire ribellioni e salvaguardare gli interessi del re.
Le condizioni di vita della maggioranza degli isolani erano dun-
que tutt’altro che favorevoli e l’economia restava basata sostanzial-
mente sull’allevamento e la pesca condotti ancora con sistemi
piuttosto antiquati. La politica mercantilistica della Corona danese
che aveva istituito il monopolio commerciale le inferse un durissi-
mo colpo.635 Difficile se non impossibile sottrarsi al rigore della
legge e alla disonestà di chi poteva legalmente gestire i commerci;
il ‘mercato nero’ (che pure naturalmente fece la sua comparsa) era
severamente proibito: navi dano-norvegesi pattugliavano le coste
per impedirlo, ufficialmente tuttavia per difendere l’isola dai pira-
ti.636 Ad aggravare la situazione si aggiunse un notevole peggiora-
mento del clima: il XVII secolo fu inaugurato da anni ricordati coi
nomi, assai significativi, di Lurkur (“Bastone”), Píningur (“Tortura”)
ed Eymdarár (“Anno di miseria”) e migliaia di persone morirono
per i rigori del freddo e le precarie condizioni di vita. A ciò si
aggiunsero poi diverse epidemie e gli effetti disastrosi di un dibo-
scamento incontrollato. Dopo un relativo miglioramento (a partire
dagli anni ’40) il freddo tornò a toccare punte estreme verso la fine
del secolo quando per le sue conseguenze molte persone perirono
letteralmente di fame.637
A fronte di uno scenario tanto cupo non desta meraviglia che tra
gli Islandesi fossero assai diffuse oscure superstizioni (del resto di
antica origine)638 che, come altrove, trovarono la loro peggiore
espressione nei ‘processi alle streghe”639 ma che risultarono anche

635
Vd. sopra, pp. 551-552. Nel 1619 venne fondata una compagnia commerciale
(vd. nota 101) che in sostanza gestì (seppure venissero apportate diverse modifiche al
suo ordinamento) il commercio tra la Danimarca e l’Islanda fino al 1787.
636
Cfr. pp. 552-553.
637
Vd. p. 723 con nota 197.
638
Si pensi, solo per fare un esempio, che il vulcano Hekla (nel sud dell’isola) era
considerato la vera e propria porta dell’inferno. Esso tra l’altro ebbe imponenti eru-
zioni nel 1510, nel 1597, nel 1636 e nel 1693.
639
In realtà, come sopra ricordato, in Islanda il numero degli uomini condannati al
rogo per stregoneria fu assai superiore a quello delle donne. La maggior parte dei
processi e delle condanne (tuttavia testimoniati fino al 1720) si situa nel periodo tra il
1625 e il 1690. Anche Jón Guðmundsson l’Erudito (cfr. pp. 575-576) autodidatta
versato in molte discipline (tra cui lo studio delle erbe a scopi medicinali e la compo-
sizione di carmi), subì un processo per magia e fu condannato alla proscrizione (1631).
Egli cercò una riabilitazione ma la condanna fu confermata nel 1637, anche se poi
riuscì a non lasciare l’Islanda e poté ancora dedicarsi ai suoi interessi culturali.

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674 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

in una serie di scritti di carattere magico i quali trattano per lo più


di magia medicinale o magia bianca, ma talora riportano formule
e procedimenti per arrecare danno alle persone. Nella tradizione
dei racconti popolari islandesi resta traccia cospicua di questo
clima.640 E tuttavia anche in questo difficile periodo abbiamo testi-
monianze dell’amore e dell’attenzione di questo popolo per le
lettere: infatti al di là delle opere degli umanisti e degli eruditi del
periodo (la gran parte formatisi anche a Copenaghen), cui sopra si
è fatto cenno, risultano diffuse tra la gente comune diverse letture
di carattere tanto religioso quanto profano (e anche qualcuno dei
cosiddetti ‘libri popolari’).641 Così come appare viva la consuetu-
dine di narrare e rinarrare le storie della propria gente, tanto quel-
le più antiche quanto quelle ispirate da avvenimenti più recenti.
Una tradizione che a lungo accompagnerà la dura vita quotidiana
degli Islandesi, segnata per la maggior parte di loro dalla povertà
e dall’isolamento.

640
Ma si veda, a esempio, anche la testimonianza di un documento reale, siglato da
Cristiano IV, nel quale si faceva proibizione agli Islandesi “di esumare i cadaveri dei
morti dalle tombe e tagliare loro la testa o bruciarli o danneggiarli in altro modo” (DLO
nr. 143).
641
In islandese essi sono detti almúgabækur (sing. almúgabók).

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Capitolo 10

I princìpi della modernità

10.1. La grande guerra nordica

Alla morte di Carlo XI, nel 1697, la Svezia era stabile e in pace.
Come si è detto il re aveva risanato (soprattutto a spese della nobil-
tà) la finanza pubblica e con l’imposizione dell’assolutismo regio
era riuscito a far sì che il potere centrale dominasse e regolasse
l’intero organismo statale. Il Paese era a tutti gli effetti una “grande
potenza” e la sua posizione di predominio sul Mar Baltico era con-
solidata. Naturalmente questa situazione generava lo scontento di
nemici tradizionali quali, in primo luogo, la Danimarca e la Russia.
Motivi di tensione non erano mancati. La Danimarca, che non
aveva mai del tutto accettato la perdita di regioni ‘storiche’ come la
Scania, il Blekinge, il Halland e l’isola di Gotland, trovava un ulte-
riore motivo di irritazione nella tradizionale alleanza della Svezia
con il ducato di Holstein-Gottorp,1 il cui territorio, distribuito tra
le regioni dello Schleswig e del Holstein, la Corona danese aspirava
a riportare sotto il proprio dominio: essa cercava dunque una rivin-
cita che consentisse di spezzare l’accerchiamento da parte del
potente nemico. Sul versante orientale la Russia, svantaggiata dalle
disposizioni della pace di Stolbova,2 puntava a riprendere il con-
trollo delle vie commerciali sul Baltico. Nel 1658 essa aveva attac-
cato la regione dell’Ingria, ma la questione si era conclusa con un
armistizio:3 le sue ambizioni dunque erano rimaste insoddisfatte.
Nel 1699 vennero perciò avviate trattative per un patto di aggres-
sione contro la Svezia tra lo zar Pietro I il Grande (Пётр Алексеевич
Vd. p. 1419.
1

Vd. pp. 559-560 con nota 133.


2
3
Trattato di Valiesar (località presso Narva), 20 dicembre 1658 (Sundberg 1997
[Abbr.], nr. 120, pp. 275-276).

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676 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

Романов Великий) e il re danese Cristiano V; a queste parteciparo-


no il re di Polonia e principe elettore di Sassonia Augusto II (August
II der Starke, 1660-1733) il quale coltivava l’ambizione di espande-
re il proprio territorio e di costituire un potente regno nell’Europa
orientale; egli era tra l’altro sobillato da un nobile livone, Johann
Reinold Patkul (1660-1707), sfuggito agli Svedesi e rifugiatosi pres-
so di lui, il quale mirava a sottrarre la Livonia al dominatore stra-
niero. L’inattesa morte (nello stesso anno) del re danese per un
incidente di caccia non mutò il quadro; il nuovo sovrano Federico
IV (1671-1730) portò avanti senza indugio i piani del padre.
Nel primi mesi del 1700, senza alcun preavviso, venne sferrato
l’attacco: a febbraio le truppe di Augusto assalirono Riga (tuttavia
senza successo) e in marzo i Danesi si mossero contro il ducato di
Holstein-Gottorp. In aiuto del giovane sovrano svedese Carlo XII
(1682-1718) che a soli quindici anni era succeduto al padre, si
mossero tuttavia l’Inghilterra e l’Olanda. Contrarie, per ragioni
commerciali, a una guerra nel Baltico esse inviarono le loro flotte
nell’Øresund: Carlo poté così sbarcare in Selandia presso Humlebæk
e sconfiggere il nemico. Da subito si capì che egli era un coman-
dante militare nato, al modo di Gustavo II Adolfo. Il carattere
risoluto e taciturno, i modi schietti e la condivisione della dura vita
delle truppe ne avrebbero presto fatto un personaggio leggendario.
I Danesi furono dunque costretti a cedere e in agosto siglarono un
deludente trattato di pace nel castello di Traventhal (a ovest di
Lubecca), in base al quale tra l’altro il ducato di Holstein-Gottorp
vide sancita la propria sovranità.4 Ora il re svedese poteva volgersi
al fronte orientale, dove in quello stesso mese i Russi aprivano le
ostilità invadendo l’Ingria e ponendo l’assedio a Narva. Ma gli dèi
della guerra erano (almeno inizialmente!) favorevoli alla Svezia: il
20 novembre i Russi venivano duramente sconfitti nella battaglia
di Narva;5 il 9 luglio dell’anno successivo presso la Dvina occiden-
4
DNT XI, nr. 15, 18 agosto 1700, pp. 378-398 con documenti correlati; Sundberg
1997 (Abbr.), nr. 131, pp. 301-302.
5
La grande vittoria è celebrata in un quadro (1907-1910) del pittore svedese Gustaf
Olof Cederström (vd. pp. 1090-1091) conservato nel Museo nazionale (Nationalmuseum)
di Stoccolma. Si tenga presente che la data di questa battaglia, così come di altri eventi
citati in relazione a questo conflitto, varia a seconda del calendario di riferimento (sve-
dese, giuliano o gregoriano). Come è noto l’adozione del calendario gregoriano nei
Paesi protestanti ebbe luogo con grande ritardo, a motivo del fatto che esso si legava alla
figura di un Papa. In relazione a ciò in Svezia fu in vigore, tra il 1700 e il 1712, il cosid-
detto ‘calendario svedese’ che presentava un ritardo di dieci giorni rispetto a quello
gregoriano e un anticipo di un giorno rispetto a quello giuliano. Il calendario gregoriano
fu adottato in questo Paese (e nella ‘colonia’ finlandese) nel 1753 mentre in Danimarca
(e nelle ‘colonie’ di Norvegia, Islanda e Føroyar) era stato introdotto fin dal 1700.

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I princìpi della modernità 677

tale la vittoria svedese si ripeteva. La Svezia si impadroniva anche


della Curlandia. Un anno dopo, il 9 luglio 1702, Augusto subiva una
disfatta a Kliszów, circa 60 km. a nord-est di Breslavia (Wrocław) e
i vincitori si installavano a Cracovia (Kraków); nel 1703 la città di
Toruń con la sua fortezza sulla Vistola cadeva in mano svedese e
Danzica era costretta a sottomettersi; nel 1704 Augusto veniva
deposto dal trono polacco e Carlo XII riusciva a far eleggere a
sovrano Stanislao I (Stanisław Bogusław Leszczyński, 1677-1766). In
questo modo egli intendeva porre le basi di una forte alleanza sve-
dese-polacca: una situazione che, dopo alterne vicende, fu sancita
dal trattato di pace di Altranstädt (presso Lipsia) del 1706.6
Sul fronte più orientale tuttavia la situazione non si sviluppò
altrettanto favorevolmente. Nel 1702 i Russi intrapresero una serie
di azioni che portarono alla conquista della fortezza svedese di
Nyenskans alla foce del fiume Neva,7 la distrussero e nelle vicinanze
diedero il via alla costruzione della città di San Pietroburgo (Санкт-
Петербург) e di quella di Kronštadt (Кронштадт) sull’iso-
la di Kotlin (Котлин); inoltre invasero l’Ingria, poi attaccarono ed
espugnarono Narva (1704). Essi avanzarono anche in Estonia, dove
occuparono Tartu e si impadronirono di buona parte del territorio
estone e livone fermandosi solo di fronte alla resistenza dell’eser-
cito svedese di stanza in Curlandia. Nei primi mesi del 1706 la
posizione della Svezia in Polonia si fece dunque più precaria,
tuttavia una fortunata conduzione delle operazioni militari – tra
cui spicca la grande vittoria conseguita il 3 febbraio dal marescial-
lo di campo svedese Carl Gustaf Rehnskiöld (o Rehnschiöldt,
1651-1722) nella battaglia di Fraustadt (Wschowa nella Polonia
occidentale) contro un grande esercito sassone-russo-polacco-
lituano portò al trattato di Altranstädt, di cui è appena detto.
Rafforzato da questi successi e convinto di poter contare sull’ap-
poggio della Polonia che era ora sottomessa a un sovrano di suo
gradimento, Carlo XII decise di attaccare i Russi: l’ambizione era
non soltanto quella di respingerli verso il loro territorio, ma – addi-
6
Instrumentum Pacis inter Sacras Regias Majestates Sveciae et Poloniae ab una, et
Serenis. Regiam Majestatem ac Electoralem Serenitatem Saxoniae ab altera parte, Conclu-
sae in Pago Alt-Ransteda, prope Lipsiam, Die xiv/xxiv Mensis Septembris mdccvi. /
Freds-Fördrag emillan Deras Kongl. Maj:ter af Swerige och Pohlen å den ena/ och Hans
Kongl. Maj:t och Churförstl. Durchleuchtighet af Saxen å den andra sidan/ oprättat uti
Alt-Ranstad wid Leipzig den 14/24 dagen i September månad åhr 1706 (SFS 1705-1709);
Sundberg 1997 (Abbr.), nr. 133, pp. 305-306. In seguito a questo accordo Johann
Patkul fu consegnato agli Svedesi e da loro crudelmente giustiziato.
7
La fortezza e la città vicina erano già state conquistate e devastate dai Russi nel
1656, successivamente però erano tornate in mano svedese.

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678 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

rittura – di conquistare Mosca. Ebbe così inizio la ‘campagna di


Russia’ (1707-1709). Ma dopo i primi successi8 i suoi piani si scon-
trarono con diversi ostacoli: i problemi interni polacchi (sicché da
quella parte non gli venne in sostanza alcun aiuto), le difficoltà di
ricevere approvvigionamento e rinforzi,9 le defezioni e le sconfitte
cui era andato incontro il capo cosacco Ivan Stepanovych Mazepa
(Іван Степанович Мазепа, 1639-1709) che dopo la pace di Altran-
städt si era alleato con lui per l’indipendenza dell’Ucraina (dal cui
territorio intendeva marciare verso la capitale russa) e, infine, l’ar-
rivo di un nemico imprevisto, quel ‘generale inverno’ (il quale in
altre occasioni storiche avrebbe fatto la sua parte!) che tra il 1708 e
il 1709 fu particolarmente severo.10 Nella primavera del 1709, dopo
che in gennaio c’era stata la conquista di Vepryk (Веприк, Ucraina)
costata sangue e fatica, Carlo XII decise di porre l’assedio alla città
fortificata di Poltava (Полтава, Ucraina) preparandosi allo scontro
decisivo che ebbe luogo il 28 giugno. Essendo il re ferito a un piede
e febbricitante, le operazioni militari furono condotte dal marescial-
lo di campo Carl Gustaf Rehnskiöld e dal generale Adam Ludwig
Lewenhaupt, i quali tuttavia trovandosi in contrasto non furono in
grado di coordinare le azioni. La battaglia si risolse per gli Svedesi
in una disfatta totale: migliaia di soldati furono fatti prigionieri
(compreso il maresciallo Rehnskiöld), mentre quel che restava
dell’esercito di Carlo si ritirò lungo il fiume Vorskla, ma il 1 luglio
subì una ulteriore sconfitta a Perevoločna (ucraino Переволочна).11
Il re riuscì a rifugiarsi oltre il confine turco e ottenne asilo a Bender
in Bessarabia (attualmente controllata dalla ‘repubblica’ di Trans-
nistria) dal sultano Ahmed III (1673-1736) che pensava di trarre
vantaggio dall’alleanza con lui contro il nemico russo.12

8
Il riferimento è, in particolare, alla battaglia di Holowczyn (Галоўчын, in Bielo-
russia) del 4 luglio 1708.
9
Il 19 settembre del 1708 infatti le truppe di supporto in arrivo dalla Livonia
guidate dal generale Adam Ludwig Lewenhaupt (1659-1719) furono sconfitte nella
battaglia di Ljasnaja (Лясная) nell’attuale Bielorussia (polacco Leśna, russo Лесная)
e si congiunsero al grosso dell’esercito fortemente indebolite.
10
Le sofferenze dei soldati in questa situazione sono tradotte nella canzone L’in-
verno più freddo che si ricordi (The Coldest Winter in Memory, 1996) del compositore
e cantante scozzese Al Stewart (n. 1945).
11
Questo villaggio non esiste più dal 1964 in quando la popolazione è stata evacua-
ta ed esso è stato sommerso dalle acque di un grande bacino idrico.
12
Vd. Tengberg E., Karl XII och Ryssland. Studier rörande ryska fälttågets slutskede,
Stockholm 1958 ed Englund P., Poltava. Berättelsen om en armés undergång, Helsing-
borg 1988. La famosa battaglia di Poltava è raffigurata in un quadro (1726) del pitto-
re francese Pierre-Denis Martin (1663-1742) conservato nel Palazzo di Caterina allo
Tsarskoye selo (Царское Село) di San Pietroburgo e in uno (1717) di Jean-Marc

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I princìpi della modernità 679

Stando così le cose i nemici della Svezia ritrovarono coraggio: in


breve tempo i trattati di pace furono denunciati, Stanislao deposto
dal trono polacco, vari possedimenti svedesi sul Baltico e nel Nord
della Germania occupati a diverso titolo.13 Federico IV tentò anche
una riconquista degli antichi possedimenti danesi a est dell’Øresund
inviando truppe in Scania, ma la sconfitta subita a Helsingborg il
28 febbraio 1710 da parte dei soldati svedesi guidati dal governa-
tore generale della regione Magnus Stenbock (1664-1717) lo costrin-
se al ritiro. Le province orientali subirono nuovi attacchi: tra il 1710
e il 1715 i Russi si impadronirono di Riga in Livonia (che capitolò
dopo un lungo assedio), Pärnu e Tallin in Estonia, Kexholm e
Viborg in Carelia. Inoltre portarono l’attacco alla Finlandia: la
resistenza fu tenace ma piegata nella battaglia di Storkyro (finnico
Isokyrö) nell’Ostrobotnia (Österbotten) il 19 febbraio 1714. Anche
Helsinki era stata data alle fiamme (1713). In precedenza un ten-
tativo condotto da Magnus Stenbock che su ordine del re (ancora
lontano dal Paese) doveva attaccare la Polonia attraverso la Pome-
rania era fallito per l’interferenza nemica (le navi di rifornimento
erano state bloccate) e la presenza di un esercito russo-sassone. Egli
si era dunque diretto verso ovest e il 9 dicembre 1712 aveva con-
seguito l’ultima vittoria svedese contro i Danesi a Gadebusch (35
km. a sud di Lubecca), tuttavia era stato poi costretto a rifugiarsi
nella fortezza di Tønning nello Jutland e successivamente ad arren-
dersi al nemico insieme ai suoi uomini (1713).
Alla fine del 1714 Carlo XII (i cui rapporti con gli Ottomani si
erano assai complicati)14 decise di tornare in patria. In realtà egli si
fermò a Stralsund dove si trattenne circa un anno. Alla dichiarazione
di guerra della Danimarca e di Augusto II del 1709 si aggiunse ora

Nattier (1685-1766) che si trova nel Museo statale di arti figurative A.S. Pushkin
(Государственный музей изобразительных искусств имени А.С. Пушкина) a Mosca,
mentre un altro quadro (1879) del pittore svedese Gustaf Olof Cederström (vd. pp.
1090-1091) appartenente a una collezione privata mostra il re Carlo e il cosacco Maze-
pa dopo la sconfitta. All’evento sono anche ispirati due film: uno svedese del 1925
diretto da Johan W. Brunius (1884-1937) dal titolo Carlo XII (Karl XII) e uno russo
del 2007 dal titolo Il servitore del sovrano (Слуга Государев) diretto da Oleg Ryaskov
(Oлег Pяcкoв, n. 1961).
13
Brema e Verden furono sottomesse dalla Danimarca che cercò di portare dalla
propria parte Giorgio (Georg), principe elettore di Hannover e futuro re Giorgio I
d’Inghilterra (1660-1727) vendendogli questi possedimenti. Dal canto suo la Prussia
si impadronì di parte della Pomerania e di Stettino.
14
Il 1 febbraio 1713 era scoppiato un tumulto nel quale egli era stato fatto prigio-
niero. A quel punto, dopo essere stato liberato, Carlo comprese che era giunto il
momento di tornare in patria, affrontando un viaggio lungo e non certo agevole né,
tantomeno, sicuro a motivo delle possibili insidie da parte dei suoi nemici.

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680 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

quella della Prussia e di Hannover. Il 15 novembre 1715 egli venne


sconfitto dai Prussiani nella battaglia di Stresow (sull’isola di Rügen)
e dovette cedere questo possedimento. Il mese dopo anche Stralsund
capitolò. Il re, che nell’imminenza della resa aveva lasciato la città
per trasferirsi a Lund dovette poi assistere alla caduta di Wismar,
ultimo caposaldo svedese sulle coste meridionali del Mar Baltico
(1716). E tuttavia la situazione dei nemici della Svezia non era del
tutto favorevole. Re Giorgio di Inghilterra, che era anche principe
elettore di Hannover, pur avendo interesse per Brema e Verden
non vedeva di buon occhio l’affermarsi di una potenza russa trop-
po forte in Europa. Per questa ragione non sostenne il piano dane-
se di riconquista della Scania con l’appoggio dello zar.
Da parte sua il sovrano svedese seguì una via diplomatica e una
militare. Le trattative con i Russi furono affidate all’abilissimo baro-
ne Georg Heinrich von Görtz (1668-1719) uno dei politici di spic-
co del ducato di Holstein-Gottorp, mentre il re progettò di
indebolire la Danimarca attaccandola sul fronte della colonia nor-
vegese. Questa non fu tuttavia una decisione fortunata, sia per le
difficoltà di approvvigionamento sia per la resistenza dei Norvege-
si. Sul fronte opposto si creò una frattura fra i nemici della Svezia.
La Danimarca, che ancora sperava di riconquistare la Scania e le
province limitrofe non poté contare, come sperato, sul sostegno
dell’esercito russo: interessi contrapposti allontanarono gli antichi
alleati, sicché i Danesi si trovarono ora dalla parte degli Inglesi in
opposizione ai Russi che si erano avvicinati alla Prussia: verso que-
sti ultimi guardava anche Augusto II. E tuttavia ciò non avrebbe
giovato alla Svezia. Mentre la diplomazia di Carlo XII tesseva le sue
trame, il re si preparava a sferrare l’attacco decisivo alla Norvegia.
Voleva in tal modo riconquistare una posizione di forza dalla quale
poter negoziare. Anche questo progetto era però destinato all’in-
successo. Fin dal 1716 alcune navi dano-norvegesi capitanate dal
celebre eroe della guerra navale contro gli Svedesi Peter Wessel
Tordenskjold (1691-1720)15 avevano attaccato di sorpresa una gros-
sa flotta svedese che trasportava armi pesanti e approvvigionamen-
ti ancorata nel fiordo di Dynekilen a nord di Strömstad (Bohuslän)
catturando diverse navi a distruggendone altre (28 giugno); inoltre
nel 1717 un primo assalto alla fortezza di Akershus a Christiania
non aveva avuto successo. Nel 1718 l’attacco fu sferrato su due
fronti: a nord (in direzione di Trondheim) con le truppe guidate da

15
Su di lui vd. Rian Ø., “Peter Wessel Tordenskiold – sjøkrigens Mozart”, in FNKF,
pp. 184-208.

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I princìpi della modernità 681

Carl Gustaf Armfeldt, lo sconfitto di Storkyro (1666-1736) e a sud


(per attaccare le difese di Christiania) con quelle condotte dal re in
prima persona. Ma un evento inatteso doveva sovvertire ogni piano:
il 30 novembre 1718 durante l’assedio alla fortezza di Fredriksten
presso la città di Fredrikshald il re veniva ferito a morte (non man-
ca il sospetto di un atto premeditato). Per gli Svedesi fu questo un
colpo durissimo.16 Per di più i Russi, che nel corso delle trattative
avevano tentato di imporre dure condizioni di pace, si diedero a
una ripetuta serie di incursioni sulle coste orientali del Paese nel
corso delle quali molte città furono assaltate e date alle fiamme:
attacchi che sfiorarono ripetutamente la stessa Stoccolma.
A questo punto non restava che cercare la pace. Essa fu conclu-
sa separatamente: il 9 novembre 1719 fu siglato a Stoccolma il
trattato con l’Inghilterra e Hannover;17 il 21 gennaio 1720 nella
stessa città fu la volta della Prussia;18 sempre nel 1720 fu firmato
l’accordo con Danimarca.19 Ben più onerosa fu tuttavia l’intesa con
la Russia conclusa nella località finlandese di Nystad (finnico Uusi-
Kaupunki) il 30 agosto 1721.20 Se dagli altri nemici la Svezia otte-

16
Un quadro che raffigura il mesto corteo dei soldati che trasporta il corpo del re
venne dipinto nel 1878 da Gustaf Olof Cederström (vd. pp. 1090-1091). Il medesimo
pittore ne fece poi una nuova versione nel 1884. La prima opera si trova al Museo dell’ar-
te di Göteborg (Göteborgs konstmuseum), la seconda al Museo nazionale (Nationalmuseum)
di Stoccolma.
17
Vd. The Consolidated Treaty Series, edited and annotated by C. Parry, New York
1969-1981, XXX, pp. 81-91; Sundberg 1997 (Abbr.), nr. 134, pp. 309-310. A Han-
nover vennero cedute Brema e Verden.
18
Vd. Preussens Staatsverträge aus der Regierungszeit König Friedrich Wilhelms I,
herausgegeben von V. Loewe, Leipzig 1913, pp. 226-243; Sundberg 1997 (Abbr.), nr.
135, p. 311. Alla Prussia andarono la parte meridionale della Pomerania anteriore (a
sud del fiume Peene) con Stettino, le isole di Usedom e Wolin e le città di Damm e
Gollnow (polacco Goleniów).
19
Vd. Traité de Paix, Entre Sa Majesté le Roy & la Couronne de Suede [sic], Et Sa
Majesté le Roy de Dannemarc. Signé a Stockholm le 3 & ratifié le 30 Juin l’An 1720 /
Freds Fördrag Emellan Kongl. Maj:t och Cronan Swerige / Och Kongl. Maj:t af Dannemark.
Underskrifwit i Stockholm den 3 och ratificerat den 30 Junii 1720 (in SFS 1720); Sund-
berg 1997 (Abbr.), nr. 136, pp. 312-313. In base a esso la Svezia dovette rinunciare
all’esenzione doganale sull’Øresund (cfr. p. 533 con nota 12) e si impegnò a non sosten-
tere più il ducato di Holstein-Gottorp. Dal canto loro i Danesi restituirono l’isola di
Rügen, Stralsund, Wismar, Marstrand nel Bohuslän (quest’ultima località, costituita da
due isole vicine, era stata conquistata nel 1719 da Peter Wessel Tordenskjold) e parti
della Pomerania anteriore; inoltre si impegnarono a non fornire supporto ai Russi.
20
Tractat Des ewigen Friedens, Welcher zwischen Sr. Czaaris. Majest. und Sr. Königl.
Majest. in Schweden den 30ten Augusti v. st. 1721, Zu Neustadt in Finnland geschlossen
worden. Berlin [...] unter dem Berl. Rath.; Sundberg 1997 (Abbr.), nr. 137, pp. 316-318.
La Russia infatti otteneva le province baltiche di Estonia (con le isole di Saaremaa e
Hiiumaa), la Livonia, l’Ingria e una parte della Carelia.

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682 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

neva quantomeno un indennizzo in denaro per la cessione dei suoi


territori,21 il patto con lo zar segnò invece il definitivo declino
della sua “grande potenza”, decretando, al contempo, la suprema-
zia russa sul Baltico. Una dichiarazione di pace con la Polonia
sarebbe stata firmata dalle due parti solo nel settembre 1732 (con
successivo scambio dei documenti).22

La ‘campagna di Norvegia’ delle truppe di Carlo XII non fu, come si


è detto, affatto fortunata per gli Svedesi essendo segnata da molti gravi
episodi. Della disfatta nella battaglia navale di Dynekilen si è riferito, così
come della morte del re.

*
Un altro episodio chiama in causa una ‘eroina’ norvegese, Anna
Colbjørnsdatter (1665 o 1667-1736), moglie dell’ecclesiastico ed erudito
Jonas Danielssøn Ramus.23 Nel 1690 costei si era trasferita con il marito
e i figli a Norderhov (nel comune di Ringerike in Buskerud) dove egli era
stato nominato pastore. La sera del 28 marzo 1716 le truppe svedesi
(circa seicento uomini) guidate da Axel Löwen (1686-1772) giunsero in
quella località. Gli ordini erano di percorrere quelle regioni per prendere
alle spalle i soldati norvegesi che al comando del tedesco Barthold Hein-
rich von Lützow (1654-1729) erano stanziati a Gjellebekk nel comune di
Lier, dove avevano respinto un precedente attacco. La tradizione vuole
che (essendo il marito a letto malato) ella accogliesse i nemici con grande
affabilità offrendo loro da mangiare e, soprattutto, da bere. Ma al con-
tempo inviasse segretamente un messaggio alle forze norvegesi più vicine.
Nella notte i soldati svedesi (a quanto pare rilassati ma anche ubriachi)
furono colti di sorpresa da un primo attacco cui un altro seguì quando da
Gjellebekk giunsero rinforzi. Molti furono uccisi, altri fatti prigionieri, il
resto si diede alla fuga.24

21
Alla Danimarca tuttavia la Svezia versò un risarcimento.
22
STFM VIII, nr. 14, 26 settembre 1732, pp. 162-166; Sundberg 1997 (Abbr.), nr.
139, pp. 320-321.
23
Cfr. p. 584.
24
Questa storia (che resta per altro in gran parte da verificare), è riportata in primo
luogo dallo storico e politico danese Ove Malling (1748-1829) nell’opera Grandi Azio-
ni di Danesi, Norvegesi e abitanti del Holstein (Store og Gode Handlinger af Danske,
Norske og Holstenere, samlede ved O. Malling, Kiøbenhavn 1777, pp. 221-227; qui
il cognome della donna è Colbiørsen). Ad Anna Colbjørnsdatter sono ispirati due
romanzi della scrittrice norvegese Berit Sagen Ramsfjell (n. 1927): La Signora Anna
Ramus (Fru Anna Ramus [1988]) e Mente chiusa. “La signora Anna Ramus II”. La
storia di Anna Colbjørnsdatter di Norderhov (Stengt sinn. “Fru Anna Ramus II.” Sagaen
om Anna Colbjørnsdatter fra Norderhov, 1990).

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I princìpi della modernità 683

*
Dopo la morte del re Carlo XII le truppe svedesi presenti in Norvegia
ebbero l’ordine di ritirarsi. Anche per i soldati che agli ordini di Carl
Gustaf Armfeldt avevano portato l’attacco in direzione di Trondheim
era dunque giunto il momento di tornare a casa. Il percorso di rientro
avrebbe dovuto essere il più breve: dalla valle Gauldalen sarebbero
risaliti verso le montagne dette Tydalsfjellene in Trøndelag e di lì ridisce-
si verso Åre nella regione di Jämtland. Il giorno 28 dicembre del 1718,25
per quanto male equipaggiati, essi intrapresero la lunga marcia. Seppu-
re si fosse in pieno inverno il tempo sembrava sufficientemente favore-
vole. Ma il freddo pungente e la fatica fecero presto le prime vittime.
Quando raggiunsero la base della montagna molti di loro erano già
morti per il clima rigido e gli stenti. Il primo giorno dell’anno 1719,
accompagnati da un guida norvegese iniziarono la salita vera e propria.
Le condizioni del tempo parevano consentire una marcia se non agevo-
le, almeno possibile. Ma nel pomeriggio esse cambiarono rapidamente
e gli uomini furono colti da una violenta tempesta che li costrinse ad
accamparsi. Cercarono di difendersi dal freddo alla meglio, non potendo
granché. Altri di nuovo morirono nel gelo della montagna. Tornare
indietro non era possibile. Sicché essi, uomini e cavalli proseguirono in
direzione della Svezia: lungo il sentiero molti cadevano a terra sfiniti. Chi
riusciva a procedere lasciava dietro di sé i cadaveri dei compagni, le
carcasse dei cavalli, il peso insostenibile dell’equipaggiamento. Alla fine,
dopo tre giorni di marcia nella tempesta, i primi (fra loro Carl Gustaf
Armfeldt) raggiunsero Handöl ai piedi del massiccio di Snasahögarna,
nelle montagne svedesi, seguiti nei giorni successivi da compagni stre-
mati: ma la gran parte era caduta lungo la strada. E altri ancora moriro-
no durante l’ultimo tratto verso l’alloggiamento di Duved a pochi chilo-
metri da Åre. Dei circa seimila uomini partiti dalla Norvegia quasi due
terzi non giunsero a destinazione. Molti dei sopravvissuti rimasero
menomati per la vita.

10.2. Destini nazionali

10.2.1. Assolutismo e propositi di riforma

Il Settecento danese scorre nel segno dell’assolutismo regio. Ciò


nonostante nel Paese giungono e si sviluppano i fermenti delle
nuove idee che attraversano il continente: un contributo che non
mancherà di dare i propri frutti.
 In questo caso il riferimento è alla data del calendario svedese (cfr. nota 5).
25

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684 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

Al termine della guerra nordica la Danimarca, dopo aver affer-


mato la propria autorità sul ducato di Holstein-Gottorp, consoli-
dando le proprie posizioni in quella regione,26 poté finalmente
andare incontro a un lungo periodo di pace. Certamente Il Paese
ne aveva bisogno, dal momento che le sue finanze erano state
completamente disastrate dalle guerre. Nel 1730 moriva Federico
IV cui succedeva il figlio Cristiano VI (1699-1746). Il nuovo re era
una persona responsabile, dal carattere riservato e dall’animo
religioso, profondamente influenzato dal pietismo che dalla Ger-
mania si era diffuso in Danimarca.27 Del resto era stata proprio sua
madre, la contessa tedesca Luisa (Louise) di Mecklemburgo-Güstrow
(1667-1721), a introdurre questo movimento alla corte danese.
Insieme alla moglie, la regina Sofia Maddalena (Sophie Magdalene)
di Brandenburgo-Kulmbach (1700-1770)28 egli viveva un’esistenza
ritirata e incolore, che si riflesse sulla vita di corte dalla quale fu
bandito ogni divertimento ‘mondano’. Sulle sue scelte ebbe del
resto grande influenza il pastore di corte Johannes Bartholomæus
Bluhme (1681-1753).29 Ben conscio del suo potere assoluto Cri-
stiano volle imporre ai sudditi la propria concezione di vita e nel
1735 emanò il cosiddetto “decreto sui giorni festivi” (helligdagsfor-
ordning) che al dovere di frequentare la chiesa aggiungeva la proibi-
zione di fare commercio e di darsi a qualsiasi forma di svago nei
giorni festivi.30 Per sua volontà fu anche introdotto l’obbligo della
cresima in Danimarca e Norvegia (1736):31 un provvedimento che, per
chi non si fosse adeguato, avrebbe naturalmente comportato una serie
26
Con la pace di Stoccolma essa si era di fatto impadronita di quella parte del
ducato di Holstein-Gottorp che si estendeva nella regione dello Schleswig e Federico
IV ne era stato proclamato principe ereditario e reggente. Nel 1773 anche la parte
compresa nella regione del Holstein sarebbe finita sotto la sovranità danese. Questi
territori avrebbero comunque mantenuto una certa autonomia (vd. nota 57).
27
Vd. oltre, pp. 762-764. In parte attratto da questa corrente religiosa era stato del
resto anche il padre.
28
Per celebrare la sua unione con il re, fondata (per quei tempi una vera eccezione)
su una libera scelta d’amore, nel 1732 questa regina istituì l’Ordine dell’amore perfet-
to o Ordine della fedeltà (Ordenen de l’Union parfaite o Ordenen de la Fidélité), il
primo riconoscimento danese che poteva essere assegnato anche alle donne.
29
Su di lui vd. Koch 1886, pp. 144-148.
30
Schou (Abbr.) III, 12 marzo 1735, pp. 163-172.
31
Forordning angaaende den tilvaxende Ungdoms Confirmation og bekræftelse udi
Deres Daabes Naade, in Schou (Abbr.) III, 13 gennaio 1736, pp. 241-249. Di interesse
al riguardo i documenti riportati in Rørdam H. Fr., “Bidrag til Konfirmationens Histo-
rie”, in Ksam, V (1909-1911), pp. 368-396. In Svezia l’obbligo della cresima parrebbe
implicito nel testo del Manuale ecclesiastico (Kyrkohandbok), pubblicato nel 1811 (vd.
Staaff A.W., Om Konfirmationens uppkomst och antagande i Sverige. Kyrkohistorisk
bidrag, Stockholm 1871, in particolare alle pp. 109-121).

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I princìpi della modernità 685

di ripercussioni negative sul piano sociale. Cristiano VI ha fama di


essere stato (insieme alla moglie) il sovrano assoluto più sgradito al
popolo. Ciò dipende certamente anche dal fatto che, nonostante
la grave crisi economica, egli volle far erigere magnifiche costruzioni
di rappresentanza, fra tutte il castello in stile tardo barocco di
Christiansborg a Copenaghen (città in grande crescita e ormai a tutti
gli effetti affermata come prestigiosa capitale del Regno)32 che fu com-
pletato nel 1740 e divenne la sua residenza.33 Il che contribuì a inde-
bolire ulteriormente le già precarie finanze dello Stato. E tuttavia la
sua politica ebbe anche effetti benefici: animata dallo spirito religioso
(e, verosimilmente, sollecitata dall’esempio di iniziative individuali per
sostenere l’istruzione dei meno abbienti)34 è, tra l’altro, la promulga-
zione di una legge riguardante la fondazione di scuole nelle zone rurali,35
32
Va tuttavia ricordato che nel 1711 la città fu colpita da un’epidemia di peste e
nel 1728 devastata da un terribile incendio (divampato per quattro giorni dal 20 al
23 di ottobre) che, si calcola, ne distrusse il 28%. Oltre alle perdite umane e mate-
riali le conseguenze sul piano culturale furono enormi. Il fuoco infatti divorò prezio-
se collezioni di libri e opere di grande valore dei più prestigiosi autori e scienziati del
XVI e XVII secolo (vd. Lauring K., Byen brænder – den store brand i København
1728, København 2003). E tuttavia Copenaghen, favorita a livello politico, passerà
dai circa 30.000 abitanti della metà del XVII ai circa 80.000 della metà del XVIII
secolo.
33
La costruzione fu avviata nel 1731 con la demolizione del vecchio castello e
terminata nel 1740. Il progetto venne affidato all’architetto tedesco Elias David
Häusser (o Haüsser, 1687-1745) con il quale collaborarono i danesi Laurids Lauridsen
de Thurah (vd. p. 846 con nota 760) e Nicolai Eigtved (vd. pp. 845-846 con nota
756). Il castello fu distrutto da un primo incendio il 26 febbraio 1794 e poi ricostrui-
to. Il 3 ottobre 1884 un nuovo incendio devastò anche questa seconda costruzione
che, di nuovo, fu riedificata. Attualmente esso è sede del parlamento danese, della
corte suprema e dell’ufficio del primo ministro. Vd. Hvidt Kr. – Ellehøj S. et al.,
Christiansborg slot, billedredaktion Chr. Bang, I-II, København 1975.
34
Si ricordi qui il contributo di singoli benefattori come Ole Borch (vd. p. 632 con
nota 485) che aveva fondato a Copenaghen (1691) il cosiddetto Borchs collegium nel
quale venivano accolti studenti privi di mezzi. Nello stesso anno il consigliere di stato
Jørgen Elers (1647-1692) aveva destinato una grossa somma alla fondazione di un altro
collegio per ospitare studenti bisognosi: una decisione presa per onorare la memoria
dei suoi due figli periti nel terribile incendio che il 19 aprile 1689 aveva completamen-
te distrutto l’edificio che ospitava l’Opera (nel quale in quel momento si teneva una
rappresentazione nell’ambito dei festeggiamenti per il compleanno del re) così come
l’adiacente castello di Amalienborg (vd. pp. 853-854 con nota 809). Tale istituzione è
dunque nota come Elers kollegium. Addirittura al 1595 risaliva la fondazione del
collegio voluto da Christoffer Valkendorf, signore di Bergen (cfr. p. 480, nota 66). Vd.
anche nota successiva.
35
Un modello per queste scuole rurali fu rappresentato dagli istituti fondati da
alcuni appartenenti alla nobiltà nell’ambito dei loro possedimenti terrieri: fra questi il
principe Carlo (Karl, 1680-1729) e la principessa Sofia Edvige (Sofhie Hedevig, 1677-
1735), fratello e sorella di Federico IV. Il quale, da parte sua, aveva istituito nel 1721
le cosiddette “scuole per la cavalleria” (rytterskoler) destinate ai figli di coloro che

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686 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

in sostanza una riforma;36 così come norme relative all’insegnamen-


to superiore.37 Questi provvedimenti, nonostante determinassero
difficoltà di tipo economico,38 furono evidentemente positivi. In
particolare il primo (anche se lo scopo era ancora, in sostanza,
dottrinale) contribuì a diffondere ulteriormente la capacità di
leggere,39 cui in diversi casi si aggiunse quella di scrivere e far
vivevano nei dodici distretti nei quali erano acquartierati gli appartenenti a questo
corpo (cfr. Schou [Abbr.] II, 28 marzo 1721, pp. 436-440 e anche l’ordinanza prece-
dente nella medesima data, pp. 434-436). Va infine rilevato come nell’ordinanza sulla
povertà del 24 settembre 1708 (Schou II, pp. 192-210 [a riguardo della capitale] e pp.
210-232 [per il resto del Paese], passim) si fosse fatto per la prima volta riferimento
alla necessità di offrire una istruzione gratuita ai bambini delle famiglie povere e di
aprire scuole nelle zone rurali. Vd. Rørdam H.Fr., “Bidrag til Historien om Indretning
af Skoler paa Landet i Christian VI’s Tid”, in Ksam VI (1911-1913), pp. 241-312.
Sulla ‘politica scolastica’ dei precedenti sovrani assoluti vd. Holm 1885-1886, I, pp.
384-408.
36
La legge sull’insegnamento generale in Danimarca, Forordning om Skolerne paa
Landet i Danmark, og hvad Degnene og Skoleholderne derfor maae nyde, è del 23 gen-
naio 1739 (Schou [Abbr.] III, pp. 320-339; vd. anche alle pp. 339-347 le ‘istruzioni’
per gli insegnanti). Della stessa data è quella per l’insegnamento in Norvegia (Forordning
om Skolerne paa Landet i Norge, og hvad Klokkerne og Skoleholderne derfor maae nyde;
ibidem, pp. 347-358 con relative ‘istruzioni’ alle pp. 358-362). La legge danese fu poi
modificata con un comunicato ufficiale in data 29 aprile 1740 (Schou III, pp. 410-417),
quella norvegese in data 5 maggio 1741 (Schou III, pp. 449-454) per mitigare alcuni
aspetti che avevano suscitato proteste (vd. nota 38); in esso tuttavia si precisava che
ogni parrocchia doveva avere una sua scuola; vd. Nellemann 1966 (B.8), pp. 49-57.
Il 17 aprile 1739 veniva varata una riforma delle cosiddette “scuole di latino” (vd. p.
638, nota 503; Nellemann 1966, pp. 58-59). In relazione a questa riforma scolastica
cominciano a comparire libri di testo scritti in lingua danese in misura assai maggiore
che nel passato.
37
Vd. i documenti raccolti in Rørdam H.Fr., “Reformen i det lærde Skolevæsen i
Christian VI’s Tid”, in Ksam II (1903-1905), pp. 485-543 e pp. 661-699.
38
In effetti i costi dell’operazione andavano a gravare sugli abitanti delle campagne
e ci furono dunque molte proteste. In ogni caso nei decenni che seguirono furono
aperte circa un migliaio di scuole nelle aree rurali.
39
I testi destinati alla lettura dovevano naturalmente corrispondere allo scopo di
far apprendere agli allievi i princìpi del luteranesimo. Per questo motivo si trattò,
innanzi tutto, di brani della Bibbia e salmi. Al pastore e futuro vescovo di Bergen Erik
Pontoppidan il Giovane (den yngre, 1698-1764) fu affidato l’incarico di scrivere un
libro specificamente dedicato a questo scopo: nel 1737 uscì dunque il suo Verità per
il timor di Dio, in una semplice spiegazione del piccolo catechismo del Beato M. Lutero
(Sandhed til Gudfrygtighed, udi en eenfoldig Forklaring over Sal. Dr. Mort. Luthers
Liden Cathechismo). Non casualmente ciò avveniva in concomitanza con l’introdu-
zione dell’obbligo della cresima, per la quale era richiesta una conoscenza più appro-
fondita della dottrina cristiana (cfr. p. 684 con nota 31). Quest’opera, che consisteva
in domande e risposte che gli allievi dovevano imparare praticamente a memoria ed
era ispirata allo spirito pietista, fu obbligatoria ai fini dell’insegnamento religioso per
moltissimo tempo. Vd. Brøndsted M., “Historien om Pontoppidans „Forklaring i
Danmark og Norge”, in Fund og forskning i Det kongelige biblioteks samlinger, XII
(1965), pp. 47-66.

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I princìpi della modernità 687

di conto (un insegnamento che tuttavia veniva impartito a paga-


mento). Iniziative (nelle quali ben si coordina il potere dello Stato
con l’organizzazione della Chiesa) che portarono alla costituzione
(1789) della Grande commissione per la Scuola (Den Store Skolekom-
mission, rimasta in funzione fino al 1814 quando fu introdotto
l’obbligo dell’istruzione generale)40 e i cui obiettivi erano, almeno
inizialmente, strettamente legati a quelli della grande riforma agra-
ria di fine Settecento.41 E tuttavia la vita culturale restò condizio-
nata dalla visione austera del re, basti pensare che il teatro danese
distrutto dal terribile incendio che devastò Copenaghen nel 1728
non fu ricostruito.42
La cattiva fama di questo sovrano è dipesa altresì, per gran parte,
dall’introduzione della cosiddetta ascrizione (stavnsbåndet). Dopo
la grande guerra nordica la situazione finanziaria della Danimarca
era davvero precaria e la congiuntura gravava soprattutto sui lavo-
ratori delle campagne.43 Per far fronte ai problemi economici nel
1730 il re aveva deciso di sciogliere la ‘milizia popolare’ (introdotta
da suo padre nel 1701) della quale facevano parte solo contadini
(scelti dai signori locali) ai quali era fatto obbligo di partecipare a
regolari esercitazioni per essere pronti alla guerra.44 Ma in seguito
a questo provvedimento (e anche per via della crisi agraria) molti
erano stati indotti ad abbandonare le campagne. Venuta meno una
parte della forza lavoro i proprietari terrieri fecero pressioni sul
sovrano ed egli con un nuovo decreto ripristinò la milizia e stabilì
che i maschi tra i diciotto e i trentasei anni non potessero lasciare
senza permesso (ottenuto quasi sempre dietro pagamento) il pode-
re in cui abitavano (1733).45 Questa decisione colpì duramente la

40
Vd. p. 883 con nota 87.
41
Vd. oltre, pp. 693-696.
42
Cfr. sopra, nota 32 e oltre, p. 831 con nota 684.
43
In questo contesto va rilevata la comparsa di scritti nei quali si analizza la situa-
zione economica della Danimarca e si presentano concrete proposte in merito: ci si
riferisce, in particolare, ad autori come Thomas Jørgensen Hørning (ca.1675-1711) e,
più tardi, Otto Thott (1703-1785).
44
Rispettivamente: Forordning Om Land-Militiens Indrettelse i Danmark (22 feb-
braio 1701) e Forordning om Land-Militiens Ophævelse (30 ottobre 1730); vd. le
indicazioni in Schou (Abbr.) II, p. 24 e Schou III, p. 1.
45
Schou (Abbr.) III, nr. 4 febbraio 1733, p. 88. Il titolo di questo documento è
sufficientemente significativo: Ordinanza sull’istituzione di una nuova forza armata
nazionale in Danimarca. Dal momento che i contadini hanno fatto cattivo uso della
libertà ottenuta con l’abolizione della precedente forza armata nazionale, tralasciando le
coltivazioni e abbandonando la campagna (Forordningen Om en nye Land-Milices
Indrettelse i Danmark. Saasom Bøndekarlene misbrugte den ved forrige Land-Milices
Ophævelse bekomne Frihed, ved at lade Aagerdyrkningen fare og begive sig af Landet).

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688 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

popolazione rurale alla quale si chiedeva altresì di produrre grano


a sufficienza per il Paese e le colonie:46 del resto ancora una volta su
di essa andava a gravare il maggior peso della crisi. Ciò nonostante
nel 1735 il limite d’età fu abbassato a quattordici anni, nel 1742
esteso alla fascia d’età tra i nove e i quarant’anni e nel 1764 ulterior-
mente abbassato ai quattro anni.47 In tal modo ai contadini che
avevano parenti nelle città venne impedito di mandare i figli picco-
li a vivere presso di loro: una forma di servitù della gleba era stata
così reintrodotta.48 A fronte delle difficoltà dell’agricoltura il gover-
no cercò di potenziare l’industria con una politica che non solo
favoriva le diverse imprese ma aveva anche carattere protezionistico.49
Del resto le navi danesi – che potevano contare sugli importanti
punti d’appoggio delle colonie oltremare50 ed erano estranee ai
conflitti che opponevano le grandi potenze marittime – trasporta-
vano merci preziose (e prodotti esotici) che non di rado erano, in
quei territori, frutto del lavoro degli schiavi. Tutto questo portò un
notevole arricchimento a una ristretta cerchia di uomini d’affari.51
L’avversione dei contadini per la vita del soldato e il conseguente timore di essere
chiamati a far parte dell’esercito sono efficacemente espressi nella commedia Erasmus
Montanus di Ludvig Holberg (cfr. p. 652, nota 558), dove il figlio di contadini Rasmus
Berg – che torna al paese dopo aver compiuto gli studi – crea scompiglio affermando
che la Terra è sferica e non piatta, ma si affretterà a rimangiarsi le proprie parole di
fronte alla prospettiva di essere arruolato (atto V, pp. 192-200). Sulla formazione
dell’esercito danese vd. Rockstroh K.C., Udviklingen af den nationale Hær i Danmark
i det 17. og 18. Aarhundrede, I-III, København 1909-1926.
46
Nel 1735 (16 settembre) era stato introdotto il divieto di importare grano stra-
niero (vd. le indicazioni in Schou [Abbr.] III, p. 201); esso sarebbe stato eliminato in
parte nel 1741 (27 ottobre, indicazioni in Schou III, p. 477) e definitivamente nel 1788
(Schou IX, 6 giugno 1788, pp. 450-456).
47
Si vedano rispettivamente le ordinanze del 9 dicembre 1735 e del 30 marzo 1742;
indicazioni in Schou (Abbr.) III, p. 219 e p. 487) e l’Ordinanza relativa a modifiche
nell’istituzione delle forze armate in Danimarca (Forordning Angaaende forandring i
Landmilitiens Indrettning i Danmark) in Schou IV, 13 aprile 1764, pp. 769-770. Si
vedano inoltre le ordinanze del 21 agosto 1767 (Schou V, p. 47) e del 14 settembre
1774 (Schou V, pp. 432-451).
48
Cfr. p. 651, nota 556.
49
Nel 1735 veniva fondato il ‘collegio’ (come detto una sorta di ministero) per
l’economia e il commercio (General Landets Økonomi- og Kommerce Kollegium).
50
Vd. sopra, p. 650.
51
Nella seconda metà del XVIII secolo si collocherà la fondazione delle prime
importanti aziende danesi come la Raadvad (1758), che aveva sede nell’omonima
località (Selandia orientale) presso un antico mulino ad acqua dove in precedenza si
producevano armi e utensili agricoli e iniziò la propria attività nel campo delle ferra-
menta; la fabbrica di orologi Urban Jürgensen & Sønner con sede a Copenaghen (1773);
la fabbrica di porcellane Den Kongelige Porcelainsfabrik (Royal Copenhagen, 1775), la
fabbrica di pitture Sadolin & Holmblad di Copenaghen (1777), l’industria grafica
Stibo di Højbjerg nello Jutland (1794).

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I princìpi della modernità 689

A Cristiano VI non mancavano obiettivi ambiziosi. Nel solco del


radicato e insoddisfatto convincimento danese (sorretto da un forte
sentimento nazionale)52 d’una propria naturale supremazia nel Nord,
egli seguiva con grande favore gli sviluppi che agitavano l’inquieto
mondo politico svedese, soprattutto quando da parte di alcuni fu
proposto di ristabilire l’Unione di Kalmar:53 nel 1743 dunque si ado-
però per la designazione del figlio come successore al trono di quel
Paese.54 Tuttavia tali manovre non approdarono a risultati concreti e
questi dovette attendere la morte del padre (1746) per salire al trono
danese con il nome di Federico V (1723-1766). Di carattere comple-
tamente dissimile, estroverso e aperto alla vita, il nuovo sovrano si
guadagnò presto una notevole popolarità: egli tra l’altro amava par-
lare danese (la lingua di corte era a lungo stata il tedesco) e non di
rado si faceva vedere fra i sudditi insieme alla regina Luisa (Louise) di
Hannover (1724-1751), figlia del re Giorgio II d’Inghilterra.55 Ma la
sua esuberanza lo portò presto all’eccesso nel bere e nei rapporti con
le donne. Tutto ciò, unito al suo scarso interesse per gli affari del Regno,
fece sì che il potere fosse gestito da diversi funzionari. In primo luogo
dal conte di origine tedesca Adam Gottlob Moltke (1710-1792), suo
principale consigliere. In effetti con l’ascesa al trono di questo re ha
inizio un periodo di grande influenza tedesca in Danimarca. Nomi di
prestigio sono quelli del ‘ministro degli Esteri’ Johan Sigismund
Schulin (1694-1750) che già si era fatto apprezzare da Cristiano VI,
del ricchissimo commerciante Heinrich Carl von Schimmelmann
(1724-1782) che saprà conquistarsi la fiducia di Cristiano VII e,
soprattutto, del conte Johann Hartwig Ernst von Bernstorff (1712-
1772) che dal 1751 avrebbe guidato la politica estera danese. Si riuscì
così a stabilizzare i rapporti con la Svezia56 e la Russia,57 e a mantene-
re la neutralità danese nella guerra dei sette anni (1756-1763).
52
Il quale si era sviluppato proprio in contrapposizione agli Svedesi non soltanto
nell’ambito della ‘disputa storica’ di cui sopra si è detto, quanto, a livello più popola-
re, nel corso delle ripetute guerre che nel XVII secolo avevano opposto i due Paesi.
53
Vd. 7.1.
54
In quell’anno c’era stata una deliberazione dei rappresentanti dei contadini
svedesi che aveva indicato nel principe ereditario danese il proprio candidato alla
Corona; vd. p. 700.
55
Nel 1752, dopo la morte della prima moglie, Federico V sposò la principessa
tedesca Giuliana (Juliana) Maria di Braunschweig-Wolfenbüttel (1729-1796).
56
Da sempre difficili, essi erano stati ulteriormente complicati dalla complessa
questione della successione al trono svedese. La Danimarca aveva comunque ottenuto
che Adolfo Federico (Adolf Fredrik) di Holstein-Gottorp, scelto dagli Svedesi come
successore al trono (cfr. p. 700), rinunciasse ufficialmente a qualsiasi pretesa sul Hol-
stein (1749) e sui territori del ducato nello Schleswig (1750).
57
Vd. pp. 1419-1420 con nota 34.

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690 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

Tra i tedeschi che influenzarono la politica e la vita danese in


questo periodo spicca la figura di Johann Friedrich Struensee
(1737-1772). Nel 1766 moriva Federico V e, secondo le regole
della monarchia assoluta, gli succedeva sul trono il figlio Cristiano
VII (1749-1808) appena diciassettenne. Costui era dotato di intel-
ligenza e grande cultura e aveva un carattere aperto, tuttavia era
incline al bere e alla vita dissoluta,58 inoltre mostrò presto chiari
sintomi di squilibrio mentale, problema forse aggravato da una
educazione assolutamente inadeguata ed eccessivamente severa.
Struensee, che era stato assunto come medico del giovane re duran-
te un viaggio all’estero di quest’ultimo (1768), entrò presto nelle
sue grazie. In breve divenne suo medico personale e si trasferì alla
corte danese. Qui seppe abilmente manovrare e nel 1770 fu nomi-
nato segretario della regina Carolina Matilde (Caroline Mathilde,
1751-1775), principessa di Galles e sorella del re Giorgio III d’In-
ghilterra: presto fu risaputo che ne era divenuto l’amante.59 In poco
tempo, isolando il re dagli alti funzionari di corte, egli concentrò
nelle proprie mani ogni potere: alla fine dell’anno il Consiglio
segreto (Gehejmekonseilet) era stato di fatto soppresso.60 Succes-
sivamente Struensee cominciò a emettere provvedimenti senza
neppure sottoporli al sovrano per una, per quanto formale, ratifica
(sostenendo di averne avuto approvazione orale). Egli era animato
da uno spirito illuministico e aperto alle novità:61 introdusse dunque
una serie di riforme grandemente migliorative del sistema giudi-
ziario (tra cui abolizione della tortura e attenuazione delle pene)
58
In particolare egli frequentava assiduamente tale Anna Caterina (Anne Cathrine)
Benthagen (1745-1805), nota popolarmente come “Caterina degli stivaletti” (Støvlet
Cathrine) a motivo del fatto che da giovane consegnava gli stivaletti fabbricati dalla
madre. Anna Caterina era una prostituta che divenne l’amante del re. Le loro ‘notti
folli’ tra bordelli e osterie di Copenaghen (ma anche le apparizioni in pubblico) crea-
vano scalpore, ma facevano anche temere per la sicurezza del Regno. Per questo
motivo gli uomini di governo che circondavano il sovrano riuscirono a farla esiliare ad
Amburgo. Per tenerla lontana dalla corte le venne anche garantita una pensione. Sul
suo rapporto con Cristiano VII è incentrato il racconto Conversazione notturna a
Copenaghen (Samtale om Natten i København) di Karen Blixen (vd. p. 1170), uscito
per la prima volta sulla rivista danese Heretica, VI (1953), pp. 465-494.
59
È tra l’altro praticamente certo che la figlia della regina (che in precedenza aveva
dato alla luce un maschio, il futuro re Federico VI), Luisa Augusta (Louise Augusta,
1771-1843) fosse figlia naturale di Struensee.
60
A partire dagli anni ’70 del XVII secolo, dopo l’avvento dell’assolutismo regio,
questo organismo, formato da un numero molto ristretto di persone che dovevano
consigliare il sovrano, aveva assunto buona parte del potere. Talora si riuniva in assen-
za del re al quale venivano poi sottoposti i provvedimenti da adottare. Cfr. p. 668, nota
613.
61
Fu, tra l’altro, uno dei pionieri della vaccinazione.

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I princìpi della modernità 691

ed economico e si adoperò per la fondazione di ospedali.62 Emise


in breve tempo un numero impressionante di decreti, in una sor-
ta di ‘frenesia riformatrice’. Per la prima volta la Danimarca conob-
be anche la libertà di stampa, una decisione che rimuovendo la
censura (strumento di controllo tanto religioso quanto politico)
fece sensazione in tutta l’Europa.63 Struensee aveva anche in men-
te di abolire molti privilegi nella prospettiva di una maggiore
equità sociale. Ma la sua stella doveva presto tramontare. La posi-
zione privilegiata e, verosimilmente, l’eccessiva sicurezza di sé (tra
l’altro egli non si era curato di imparare il danese e parlava esclu-
sivamente tedesco) gli procurarono molti nemici: naturalmente i
nobili (in poco meno di un anno e mezzo egli aveva completamen-
te smantellato l’antico sistema di potere aristocratico), ma – soprat-
tutto – la vedova di Federico V, Giuliana Maria (Juliane Marie,
sposata in seconde nozze) che aspirava a veder salire al trono il
proprio figlio, il principe Federico (Frederik, 1753-1805). Per
rovesciare Struensee si fecero circolare false voci su un suo pro-
getto di colpo di stato, lo si accusò apertamente di violazione
della Legge del re e la sua relazione amorosa con la regina fu resa
di pubblico dominio. Il popolo, che da principio aveva accolto
con favore le riforme introdotte, era all’oscuro della malattia men-
tale del re e a poco a poco si convinse che Cristiano fosse ostaggio
del medico tedesco e della sua amante. L’arresto (per il quale fu
ottenuta la firma del sovrano) fu eseguito nella notte tra il 16 e il
17 gennaio 1772. Abilmente manipolata l’opinione pubblica accol-
se la notizia con manifestazioni di giubilo. Seguì il processo e la
condanna a morte. La regina Carolina Matilde venne arrestata
insieme a Struensee e processata. Il matrimonio con Cristiano VII
fu sciolto ed ella fu mandata in esilio in Germania, dove terminò
i suoi giorni nel castello di Celle (Bassa Sassonia) non senza ten-
tare di tornare al potere in Danimarca.64 Il 28 aprile del 1772 Johann
Friedrich Struensee fu giustiziato insieme al suo stretto collabo-

62
Cfr. nota 459.
63
L’ordinanza di abolizione della censura è del 14 settembre 1770 (vd. indicazioni
in Schou [Abbr.] III, p. 298 e in Stang – Dunker 1838 [Abbr.], p. 281). Tuttavia
Struensee medesimo fece le spese della nuova libertà di espressione venendo aperta-
mente attaccato (seppure gli autori degli scritti si mantenessero prudentemente
anonimi). Per questa ragione in data 7 ottobre 1771 (vd. indicazioni in Schou III, p.
298 e in Stang – Dunker 1838, p. 288) le norme furono corrette in senso restrittivo.
Vd. Jørgensen H., Da censuren blev opgivet, udgivet i anledning af tohundreåret for
Trykkefrihedsreskriptet af 14. september 1770, København 1970.
64
Su di lei vd. Bregnsbo M., Caroline Mathilde. Magt og skæbne, En biografi,
[København] 2007.

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692 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

ratore Enevold Brandt (1738-1772).65 La breve stagione delle


riforme era conclusa.
Considerate le condizioni mentali di Cristiano VII, il principe
Federico fu nominato reggente. In realtà il potere era gestito da sua
madre e da un funzionario di origine borghese, Ove Høegh-Guld­
berg (1731-1808), suo istitutore, che abilmente aveva tramato con
lei, aprendosi così la strada a una rapida carriera. In breve fu attua-
ta una ‘controriforma’ e le leggi promulgate da Struensee vennero
abrogate. I sentimenti antitedeschi contro il ‘medico-usurpatore’
avevano radici profonde nell’animo danese e dunque nel 1776 fu
agevole promulgare un decreto in base al quale solo le persone di
nazionalità danese, norvegese o originarie del Holstein avrebbero
potuto assumere cariche pubbliche.66
Al momento dell’arresto di Struensee e di sua madre il giovane
figlio di Cristiano VII e di Carolina Matilde, Federico (1768-1839)
aveva poco meno di cinque anni; evidentemente dunque restò esclu-
so dai giochi di potere, non tuttavia così a lungo come avrebbero
voluto Giuliana Maria e Ove Høegh-Guldberg. Compiuti i sedici anni
infatti il giovane partecipò per la prima volta al Consiglio di Stato: era
il 14 aprile 1784. In quella occasione egli, spalleggiato da abili diplo-
matici come Andreas Peter von Bernstorff (1735-1797), nipote di
Johann e già incaricato degli affari esteri allontanato dal suo ufficio,67
65
La vicenda di Struensee e Carolina Matilde ha ispirato diverse opere artistiche
come i romanzi La regina perduta (The Lost Queen, 1969) della scrittrice inglese Norah
Lofts (1904-1983) e La visita del medico di corte (Livläkarens besök, 1999, tradotto in
italiano con il titolo Il medico di corte) del romanziere svedese Per Olov Enquist (vd. pp.
1266 e p. 1267, nota 180) il quale ha altresì rielaborato il proprio racconto nel libretto
per l’omonima opera (Livlægens Besøg, 2008) la cui musica si deve al compositore
danese Bo Holten (vd. p. 1336); i film Il dittatore (The Dictator, 1935) del regista ingle-
se Victor Saville (1985-1979) e Un affaire reale (En kongelig affære, 2012), del regista
danese Nikolaj Arcel (vd. p. 1191); il balletto in due atti Caroline Mathilde (1991) del
compositore inglese Peter Maxwell Davies (n. 1934). Anche dal romanzo dello scrittore
austriaco Robert Neumann (1897-1975), Il favorito della regina (Der Favorit der Königin,
1953) è stato tratto un film dal titolo Re senza corona (Herrscher ohne Krone, comparso
tuttavia in Italia con il titolo Il principe folle) uscito nel 1957 e diretto dal regista tedesco
Harald Braun (1901-1960). Anche il poeta svedese Carl Snoilsky (vd. p. 1075 con nota
488) ha dedicato dei versi all’infelice vicenda amorosa della regina danese: Una regina
(Caroline Mathilde), in Samlade dikter af Carl Snoilsky, nationalupplaga, II, Stockholm
1925, p. 59: En drottning (Caroline Mathilde). Recentemente (2015) Dario Fo (1926-
2016) ha, su questo tema, pubblicato il romanzo C’è un re pazzo in Danimarca.
66
Diritto di cittadinanza, in base al quale l’accesso alle cariche nei regni e territori di
Sua Maestà è riservato solamente ai sudditi ivi nati, e a coloro, che sono considerati alla
pari (Indføds-Retten, hvorefter Adgang til Embeder i Hans Majestæts Riger og Lande
foreholdes alene de infødte Undersaatter, og dem, som derved lige agtes, in Schou [Abbr.]
VI, 15 gennaio 1776, pp. 143-151).
67
Cfr. p. 689.

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I princìpi della modernità 693

riuscì a mettere in atto un vero e proprio ‘colpo di stato’ esautoran-


do Høegh Guldberg e assumendo in prima persona la carica di
reggente (la sua firma era ora necessaria, accanto a quella del padre,
perché qualsiasi decreto avesse valore).68 Dal 1808, anno della
morte di Cristiano VII, egli sarebbe poi succeduto sul trono. Fede-
rico VI (che di fatto fu sovrano effettivo anche durante il lungo
periodo di reggenza) considerava proprio dovere adoperarsi per la
giustizia sociale. Durante il suo regno venne realizzata quella gran-
de riforma agraria che tanto in profondità avrebbe influenzato la
società danese e fortemente inciso sulle sue prospettive di sviluppo.
Per la verità la necessità di una riforma che regolasse la situazio-
ne nella campagne e, al contempo, consentisse un adeguato svilup-
po dell’agricoltura danese era sentita da tempo. Essa aveva radici
nella congiuntura degli ultimi decenni del XVII secolo e dei primi
del XVIII, dovuta alle conseguenze delle guerre e delle ripetute
epidemie,69 quando tra l’altro molti grandi proprietari terrieri (che
dovevano garantire le tasse dei loro coloni) avevano eliminato dei
poderi incamerandoli nelle loro tenute (una tendenza che nel 1682
aveva indotto il governo a regolamentare la materia).70 Gradata-
mente la congiuntura era migliorata (verso la metà del XVIII
secolo ci fu una notevole crescita dei prezzi agricoli), ma la situa-
zione nelle campagne mostrava notevoli disparità e rimaneva in
molti casi precaria. In diverse circostanze l’introduzione da parte
dei proprietari di un nuovo sistema di rotazione dei raccolti (con
l’abbandono di quello triennale) aveva portato notevoli progressi,
tuttavia i singoli contadini continuavano a praticare i metodi di
lavoro tradizionali. Essi erano legati alla cosiddetta comunità rura-
le nella quale a ciascuno erano attribuite piccole strisce di terreno
dove si alternavano le coltivazioni. Nella seconda metà del secolo
il dibattito sui problemi agricoli del Paese, incoraggiato dal gover-
no stesso, si fece vivace:71 del resto l’uomo più potente del Regno
68
 All’organizzazione del ‘colpo di stato’ aveva contribuito anche Niels Ditlev Regels
(1755-1802), ‘illuminista radicale’ assai critico nei confronti della società danese,
della Chiesa, della politica sociale e del sistema educativo dell’epoca; vd. Petersen M.,
“Oplysningens gale hund. Niels Ditlev Regels”, in ODS, pp. 118-148.
69
 Anche quelle, diffusesi negli anni ’40, che decimarono il bestiame.
70
 Schou (Abbr.) I, 28 gennaio 1682, pp. 190-194 e 16 dicembre 1682, pp. 240-243.
71
 Tra coloro che si opponevano alle innovazioni proposte si citi qui Esaias Fleischer (1732-
1804), profondo conoscitore della situazione del mondo rurale, il quale sosteneva che la
concessione di una maggiore libertà ai contadini avrebbe avuto come conseguenza un com-
pleto decadimento del mondo agrario; egli riteneva piuttosto che la soluzione dei problemi
dovesse passare, in primo luogo, per una riduzione delle tasse. Si vedano le sue Lettere rela-
tive ai proprietari e ai contadini danesi su ciò che entrambi rappresentano per lo Stato, e su come
possano divenire ciò che essi dovrebbero essere per il più grande vantaggio del medesimo.

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694 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

era all’epoca Adam Gottlob Moltke, grande proprietario terriero


il quale aveva in prima persona introdotto nuove tecniche di lavo-
ro nei suoi possedimenti. Egli era anche favorevole alla cosiddetta
ricomposizione fondiaria, un principio destinato a rivoluzionare il
mondo agricolo. Si trattava, in sostanza, di concentrare su un’uni-
ca area tutti i terreni assegnati a un contadino, il quale avrebbe
gestito il proprio lavoro autonomamente, svincolato dall’obbligo
di arare, seminare e mietere nei medesimi periodi di tutti gli altri.
Una innovazione che tuttavia non era esente da problemi. Si trat-
tava infatti di definire con precisione il valore dei singoli appezza-
menti, di stabilire chi si dovesse trasferire, di evitare che dall’ope-
razione traessero profitto solo i grandi latifondisti (i quali
esigevano un impegno maggiore nelle corvée per ottenere guadagni
più alti con le nuove tecniche introdotte). Ma certamente in questo
modo si andava incontro al desiderio di indipendenza (e di libertà!)
dei contadini, diversi fra i quali erano riusciti ad acquistare terreni
alienati dalla Corona. L’opera di Adam Gottob Moltke fu da que-
sto punto di vista determinante.72 Per altro le teorie dei fisiocratici,
che ponevano l’agricoltura alla base di ogni attività economica e
per i quali la libertà e la proprietà erano i fondamenti dell’ordine
sociale, si erano presto diffuse in Europa. Nel 1767 era stata dunque
istituita una Commissione agraria generale (Generallandvæsenskom-
mission) che l’anno successivo divenne un ‘collegio’ (General-
landvæsenskollegiet). Inoltre nel 1769 fu fondata (sull’esempio di
enti analoghi costituiti all’estero) la Reale società danese per l’eco-
nomia rurale (Det Kongelige Danske Landhusholdningsselskab) il
cui scopo era quello di incentivare l’iniziativa dei contadini e degli
artigiani, promuovendo miglioramenti nella gestione dell’agricol-
tura e favorendo l’introduzione di nuove tecniche di lavoro. Duran-

Scritte dal vero amico della patria con patriottica libertà (Breve angaaende den danske Proprietær
og Bonde, hvad begge ere for Staten, og hvorledes det kunde blive det, som de til største Nytte
for samme burde være. Med patriotisk frihed skrevne af fædrelandets sande ven, 1786).
72
Per primo aveva proposto l’istituzione di una commissione sui problemi dell’agri-
coltura (1757). A lui si devono i decreti del 29 dicembre 1758, del 28 dicembre 1759 e
dell’8 marzo 1760 con cui nelle diverse regioni del Paese veniva abolita la comunità
rurale (indicazioni in Schou [Abbr.] IV, p. 584, p. 607 e pp. 612-613); cfr. le ulteriori
ordinanze del 15 maggio 1761, del 10 febbraio 1766, del 28 luglio 1769 e del 13 maggio
1776 (indicazioni in Schou IV, pp. 670-671, Schou V, p. 2 e p. 139, Schou VI, pp. 180-
181). Come si dirà poco più avanti la comunità rurale scomparirà definitivamente nel
1781. Ad Adam Gottob Moltke si deve anche l’iniziativa di sollecitare proposte per
migliorare l’economia danese, gran parte delle quali furono pubblicate nella Rivista eco-
nomica di Danimarca e Norvegia (Danmark og Norges oeconomiske Magazin) uscita in otto
volumi tra il 1757 e il 1764 ed edita anonimamente da Erik Pontoppidan (su cui cfr. nota
39). Gran parte dei contributi venne dall’ecclesiastico Otto Didrik Lützen (1713-1788).

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I princìpi della modernità 695

te il periodo del potere di Struensee furono presi alcuni provvedi-


menti migliorativi della loro condizione e fu decisa una limitazione
della corvée.73 Dopo la sua caduta queste misure furono soppresse,74
tuttavia il governo guidato da Høegh-Guldberg confermò la poli-
tica della ricomposizione fondiaria,75 ma una vera riforma agraria
sarebbe stata portata a compimento solo durante il regno di
Federico VI. L’ispiratore ne fu il conte Christian Ditlev Reventlow
(1748-1827), ricchissimo possidente terriero. Convinto che il pro-
gresso del Paese dovesse passare per il miglioramento delle diffi-
cili condizioni di vita dei contadini egli si adoperò attivamente a
questo scopo.76 Con l’appoggio del potente ministro Andreas Peter
von Bernstorff e la collaborazione del giurista norvegese Christian
Colbjørnsen (1749-1814) diede l’avvio (1786) a una commissione
(Den store Landbokommission) che avrebbe dovuto esaminare la
situazione: temi principali furono lo stato giuridico dei contadini (i
cui diritti venivano ora finalmente presi in considerazione) e la ricom-
posizione fondiaria. Con due decreti dell’anno successivo il rappor-
to tra i fittavoli e i proprietari terrieri fu modificato a vantaggio dei
primi mentre i diritti e i doveri delle due parti venivano chiaramen-
te definiti per porre fine a qualsiasi possibile arbitrio.77 Il 20 giugno
del 1788 fu finalmente emanata l’ordinanza che decretava (seppure
fossero previste norme transitorie) l’abolizione dell’ascrizione a
partire dal 1 gennaio 1800 (ma la definitiva scomparsa della servitù
della gleba in tutte le regioni della Danimarca non avverrà prima
del 1805) trasferendo inoltre allo Stato il reclutamento dei soldati.78
73
Schou (Abbr.) V, 20 febbraio 1771, pp. 223-226: qui si precisa che la corvée “deve
essere non soltanto regolamentata ma anche sopportabile” (p. 223: “skal være ikke
alene bestemte, men endog taalelige”). Si veda la precedente ordinanza del 6 maggio
1769 (Forordning om Hoveriets Bestemmelse i Danmark, Schou V, pp. 125-126).
74
Schou (Abbr.) V, 12 agosto 1773, pp. 383-391.
75
Schou (Abbr.) VIII, 23 aprile 1781, pp. 96-133.
76
Su di lui vd. Bjørn Cl., Den gode sag. En biografi om Christian Ditlev Frederik
Reventlow, København 1992.
77
Forordning angaaende Rettigheder og Pligter, som bør have Sted imellem Jord-
drotter og Fæstebønder i Danmark (Schou [Abbr.] IX, 8 giugno 1787, pp. 260-273, cui
si collega un’altra ordinanza (emessa nella medesima data) per regolamentare la ces-
sione di terreni da parte dei contadini dietro compenso (ibidem, pp. 273-275).
78
Vd. Schou (Abbr.) IX, 20 giugno 1788, pp. 494-514 (ulteriormente specificata
in data 22 marzo 1793). La questione della corvée sarebbe stata ripresa da un decreto
del 25 marzo 1791 (Schou X, pp. 208-215; cfr. il documento del 23 dicembre 1791:
ibidem, pp. 281-285) e definitivamente risolta con un decreto del 1799 (Forordning
som indeholder almindelige Regler for Hoveriet i Danmark, pubblicata a Copenaghen
il 6 dicembre) in cui si prendeva in considerazione anche il problema delle decime,
che (nonostante diversi decreti in merito) non sarebbero state eliminate come tali fino
alla promulgazione d’una legge specifica del 1903 (vd. p. 971 con nota 71).

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696 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

Seppure i contadini non fossero del tutto soddisfatti di questi prov-


vedimenti (si verificarono infatti anche dei tumulti) una nuova
strada era stata intrapresa.79 Ora in diversi casi i grandi signori non
avevano più interesse a mantenere i propri possedimenti e ciò por-
tò alla alienazione di molti poderi ai contadini che li lavoravano (i
quali poterono a tal fine accedere a un credito appositamente isti-
tuito): il numero dei piccoli proprietari crebbe dunque considere-
volmente andando a costituire un ceto che avrebbe avuto grande
peso nell’evoluzione sociale e politica del Paese. Parallelamente a
questi sviluppi un profondo cambiamento nel mondo agricolo fu
determinato dalla ricomposizione fondiaria che in pochi decenni,
tra la fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo trasformò radicalmen-
te la campagna danese. Come si è detto, il principio basilare su cui
essa si fondava era quello di unificare il terreno assegnato a ciascun
contadino. Ciò ridisegnò il paesaggio rurale, sostituendo alle serie
di villaggi separati dai terreni e dai pascoli una più varia distribu-
zione degli abitati, così come ancora si vede. L’antica comunità
agricola fu dunque disgregata e i singoli avrebbero da quel momen-
to dovuto contare sulla propria capacità: questo creò ottime oppor-
tunità per i più esperti e intraprendenti. Ma la situazione non era
uguale per tutti: nelle campagne rimase un congruo numero di
persone sostanzialmente indigenti che lavoravano come braccianti
nelle tenute dei grandi proprietari e le cui condizioni dipendevano
in sostanza dalla volontà di questi ultimi. Se le riforme agrarie ave-
vano creato una classe di contadini discretamente benestanti, a
costoro non era venuto, al contrario, alcun vantaggio.
Lo spirito riformista in buona parte legato alle nuove idee illu-
ministiche fu applicato anche in altri campi: il governo mise mano
all’assistenza sociale per i più poveri,80 emanò un nuovo regolamen-
to doganale che di fatto eliminava il sistema proibizionistico (1797),81
parificò i diritti degli Ebrei a quelli dei cittadini danesi (1814),82
79
Per celebrare l’affrancamento dei contadini fu innalzato a Copenaghen il “Monu-
mento alla libertà dei contadini” (Bondefriheds-Monumentet), altrimenti noto come
“Colonna della libertà” (Frihedsstøtten) eretto nel 1797: esso fu voluto in primo luogo
da politici e intellettuali, il che rivela chiaramente il legame di questa iniziativa con
l’atmosfera culturale dominante a quel tempo.
80
Per ogni utile approfondimento in materia si rimanda a OAF [Jørgensen H.],
pp. 29-108.
81
Forordning om Tolden og Kiøbstæd-Consumtionen i Danmark og Norge, Kiøben-
havn den 1ste Februarii 1797.
82
Anordning som bestemmer hvad Bekjendere af den mosaiske Religion der opholde
sig i Kongeriget Danmark, have at iagttage (29 marzo 1814); vd. Cohen A.D., De
mosaiske Troesbekjenderes Stilling i Danmark forhen og nu, Odense 1837, cap. 4 (in
particolare pp. 62-63).

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I princìpi della modernità 697

proibì la tratta degli schiavi nelle proprie colonie (1792).83 E tutta-


via il re non si spinse al punto da consentire aperture che potesse-
ro minacciare l’assolutismo regio (un principio per lui irrinuncia-
bile) sicché il dibattito pubblico (anche stimolato dagli eventi
della rivoluzione francese) dovette sottostare alle regole di una
rigida censura. Ma al di là dell’assolutismo ‘illuminato’ e degli
sforzi di Federico VI la Danimarca si sarebbe presto trovata coin-
volta in conflitti di portata europea che ne avrebbero segnato il
destino: sicché per il Paese il secolo XIX si aprirà sullo scenario di
una ‘bancarotta’ tanto economica quanto politica.

10.2.2. Parlamentarismo, assolutismo e fermenti sociali

Con la morte improvvisa di Carlo XII si chiudeva per la Svezia


l’era dell’assolutismo regio.84 Il sovrano non aveva moglie né figli
e dunque si aprì immediatamente la lotta per la sua successione. Il
trono era conteso dalla sorella minore del re Ulrica (Ulrika) Eleo-
nora (1688-1741) e da suo marito Federico (Friedrich/Fredrik)
d’Assia (1676-1751) da una parte e, dall’altra, dal di lei nipote
Carlo Federico di Holstein-Gottorp (1700-1739) figlio di Edvige
(Hedvig) Sofia (1681-1708), sorella maggiore del re, e di Federico
(Friedrich/Frederik) IV di Holstein-Gottorp (1671-1702).85 Ulrica
Eleonora si mosse da subito con grande determinazione rivendi-
cando i propri diritti. Tuttavia ella si scontrò contro i vecchi pote-
ri che potevano ora cogliere l’occasione di rialzare la testa. Fu così
che nel corso della seduta del parlamento tenuta a Stoccolma nei
primi mesi del 1719 ella fu accettata come regina; tuttavia fu dichia-
rata ‘eletta’ e non sovrana ‘per diritto ereditario’: ciò infatti avven-
ne solo dopo che ebbe formalmente rinunciato al principio di
ereditarietà della Corona, riconoscendo una nuova forma di gover-
83
Schou (Abbr.) X, 16 marzo 1792, pp. 346-348. La legge sulla tratta degli schiavi
entrò in vigore nel 1803 ma la condizione di schiavitù nelle isole caraibiche soggette
al dominio danese durò ben più a lungo. Solo nel 1848 infatti il re ne avrebbe solen-
nemente proclamato la fine (Aabent Brev angaaende Stadfæstelse af de ufrie Negeres
Emancipation paa de vestindiske Øer m.m., 22 settembre 1848, in Damkier – Kretz
[Abbr.] V, pp. 553-555; cfr. Schou V, pp. 2-3).
84
Alla figura del re Carlo XII è ispirato il dramma di August Strindberg (vd. pp.
1082-1083) Karl XII del 1901.
85
Costui è ricordato, insieme al giovane Carlo XII, per gli eccessi cui si lasciò
andare insieme al giovane re dopo essere giunto a Stoccolma per unirsi in matrimonio
con la principessa Sofia (1698). Le loro intemperanze (ripetute nel 1699 in occasione
di un’altra visita di Federico) suscitarono indignazione e proteste. In seguito tuttavia
il sovrano adottò uno stile di vita assai più sobrio.

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698 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

no.86 Se dunque Ulrica Eleonora aveva ottenuto il proprio scopo87


la strada per un ritorno del sistema parlamentare era spianata ed
ella non poté opporsi. L’assolutismo regio, per quanto in parte
indebolito durante il lungo soggiorno di Carlo XII tra gli Ottoma-
ni, restava per lei modello di governo ed ella non tardò a scontrar-
si con insigni rappresentanti dell’assemblea, fra tutti il presidente
della cancelleria Arvid Bernhard Horn (1664-1742). La questione
fu risolta dalla decisione di Ulrica Eleonora di abdicare in favore
del marito (1720), solo riservandosi il diritto di riprendere il trono
se egli fosse deceduto.88 Non sarebbe stato questo il caso.
Con Federico I di Assia un tedesco sedeva ora sul trono svedese:
a lui toccò riconoscere lo svantaggioso trattato di pace di Nystad89
che di fatto sanciva il definitivo tramonto della “grande potenza”.
Per una monarchia affidata a un sovrano che non poteva certo
vantare straordinarie qualità fu questo un colpo durissimo. Negli
anni successivi l’autorità del parlamento e degli stati crebbe e al re
non bastò l’appoggio dei contadini per rafforzare la sua sovranità
e raggiungere i suoi scopi: tra l’altro (considerato che con Ulrica
Eleonora non aveva avuto figli) egli ambiva al riconoscimento del
diritto della Casa di Assia sul trono svedese. Ma il parlamento andò
acquisendo sempre maggiore potere (molte delle innovazioni intro-
dotte da Carlo XII in senso assolutista furono abrogate) e il Paese
entrò in quella che è stata definita “l’era della libertà” (frihetstiden),
compresa tra il 1719 e il 1772, nella quale non soltanto si constata
l’indebolimento della monarchia a fronte del dinamismo degli
stati ma, soprattutto, il sorgere di un autentico dibattito politico
inteso in senso moderno. Momento culminante di questo periodo
fu l’approvazione, nel 1734, di una Legge generale per il Paese
(Sveriges Rikes Lag)90 espressione di una completa revisione (da
86
Sweriges Rikes Samtl. Ständers Enhällige Beslut Angående Hennes Maj:ts Drottning
Ulricæ Eleonoræ Utkorelse Til Sweriges Crono och regemente. Giordt och författadt i
Stockholm den 21 Februarii 1719 [...] Stockholm [...] 1719 (vd. anche Brusewitz 1916
[Abbr.], pp. 3-21).
87
Ella tra l’altro aveva fatto arrestare Georg Heinrich von Görtz (vd. sopra, p. 680),
che aveva appoggiato il suo rivale: accusato di aver sostenuto la monarchia assoluta e
di aver mal consigliato il defunto re causando gravi danni al Paese egli fu successiva-
mente giustiziato dopo un processo per molti aspetti illegale (1719).
88
In quell’anno fu pertanto emanata una nuova costituzione (Brusewitz 1916
[Abbr.], pp. 22-43).
89
Vd. sopra, pp. 681-682 con nota 20.
90
Comprendente dunque anche la Finlandia. Entrata in vigore il 1 settembre
1736, essa è per qualche aspetto ancora valida in entrambi i Paesi. Gran parte del
lavoro di estensione del testo è dovuto al consigliere del Regno Gustav Cronhielm
(1664-1737).

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I princìpi della modernità 699

tempo avviata) dei precedenti codici medievali:91 in essa sono com-


presi i diversi aspetti del diritto civile e penale.92
Indice di questo nuovo clima fu la formazione di due partiti
fieramente contrapposti: il “partito delle berrette” (mösspartiet) e
il “partito dei cappelli” (hattpartiet).93 I primi, con alla testa il can-
celliere Arvid Horn (che allontanato durante il breve regno di
Ulrica Eleonora era stato richiamato da Federico I) avevano in
sostanza governato dal 1720, attuando una politica ragionevole e,
per certi versi, accomodante al fine di consentire al Paese di ripren-
dersi dal lungo periodo delle guerre; inoltre si erano appoggiati
all’alleanza franco-inglese contro la Spagna, l’Austria e la Russia.
La caduta di Horn (appoggiato soprattutto dai burocrati e dal
clero) come politico fu, in gran parte, conseguenza di questa scel-
ta. Infatti, quando il patto fra Francia e Inghilterra venne meno il
Paese si trovò, per così dire, ‘allo scoperto’. Egli allora rinnovò un
precedente trattato con la Russia,94 ma fu accusato di mancanza di
patriottismo per aver cercato l’appoggio di quel nemico che – non
lo si dimentichi! – aveva sottratto alla Svezia gran parte dei posse-
dimenti sul Baltico. Nella seduta del parlamento tenuta a Stoccol-
ma tra il 1738 e il 1739 le “berrette” furono messe in minoranza e
Horn dovette ritirarsi.95 I “cappelli” avevano vinto e il loro capo,
Carl Gyllenborg (1679-1746) divenne presidente della cancelleria.96
Essi ebbero la maggioranza nella Commissione segreta del Consiglio
del Regno (ripristinata con la caduta dell’assolutismo)97 e promos-
91
Si tratta in particolare della Legge generale per il Paese di Magnus Eriksson (Konung
Magnus Erikssons Landslag) entrata in vigore nel 1350 (nel 1352 nella Finlandia sve-
dese), della Legge generale per il Paese di Cristoforo di Baviera (Kristoffers landslag) del
1442 che ne costituisce la revisione, e della Legge per le città di Magnus Eriksson (Magnus
Erikssons Stadslag); vd. pp. 354-355 con nota 111 e p. 362.
92
Tra l’altro da questo momento non era più contemplata la pena della mutilazione
(ma rimaneva la condanna a morte); vd. Sveriges rikes Lag: Mißgiernings Balk e Straff
Balk, pp. 151-210 e p. 210-215.
93
Questi nomi curiosi derivano dal fatto che gli aderenti al “partito delle berrette”,
nato dal gruppo di coloro che si opponevano a una politica audace e per molti versi
temeraria, erano considerati dai loro rivali timorosi e irresoluti, persone degne di
indossare al più una berretta da notte (nattmössa). Il termine “cappello” (hatt) al
contrario faceva riferimento al copricapo a tre punte indossato da nobili e ufficiali.
94
STFM VIII, nr. 19, 5 agosto 1735, pp. 213-224; il precedente trattato di amicizia
e reciproco soccorso è del 1724 (STFM VIII, nr. 3, 22 febbraio-2 marzo 1724, pp.
22-49, con documenti relativi).
95
Sulla figura di questo politico vd. Wetterberg G., Från tolv till ett – Arvid Horn
(1664-1742), Stockholm 2006.
96
Su di lui Nilzén G., Carl Gyllenborg. En frihetstida hattpolitiker, Stockholm 2007.
97
La Commissione segreta (Sekreta utskottet), risalente al 1627, costituiva un orga-
nismo ristretto del quale facevano parte i rappresentanti della nobiltà, del clero e

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700 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

sero una gestione parlamentare del potere che fece sempre più
diminuire l’autorità reale. Marcatamente filo-francesi (a quel Pae-
se essi guardavano come a un vero e proprio modello) essi proget-
tarono una rivincita contro la Russia. La guerra, iniziata nel 1741,
si risolse in un disastro: nel 1742 l’esercito svedese capitolava e i
Russi occupavano l’intera Finlandia.98
La pace che seguì (sottoscritta ad Åbo nel 1743)99 – seppure
subita dagli Svedesi con grande amarezza – non risultò tuttavia
disastrosa: alla fine furono ceduti alla Russia solo un paio di
territori nella Finlandia sud-orientale fino al lago Saimen (fin-
nico Saimaa) e al fiume Kymmene (finnico Kymijoki). Ma ciò
dipese dall’esito della questione, sempre aperta, della succes-
sione al trono. Come è stato detto, Ulrica Eleonora e Federico
d’Assia non avevano figli e inutili erano stati i tentativi del re di
far riconoscere il diritto sul trono svedese al proprio casato. In
ballo c’erano ora due pretendenti: da una parte il principe ere-
ditario danese Federico, figlio di Cristiano VI, dall’altra Adolfo
Federico (svedese Adolf Fredrik, tedesco Adolf Friedrich, 1710-
1771) di Holstein-Gottorp (cugino di quel Carlo Federico che
inutilmente aveva conteso la corona a Ulrica Eleonora): la scel-
ta di quest’ultimo venne di fatto imposta dalla zarina Elisabetta
Petrovna.100 Ma il conflitto fu aspro e divise la società svedese:
i contadini in particolare parteggiavano per il principe danese
e il 20 giugno 1743 una nutrita schiera di costoro, quasi cinque-
mila persone provenienti dalla Dalecarlia (dove il malcontento
serpeggiava da tempo) si riversò nella capitale. La loro manife-
stazione (legata anche alla richiesta di abbassare le tasse e pro-
seguire le ostilità contro la Russia) si trasformò tuttavia (22
giugno) in uno scontro a fuoco con i soldati del re: molti furono

della borghesia, mentre i contadini ne erano esclusi (seppure dopo il 1742 essi fossero
in qualche forma coinvolti). Sorta per discutere con il re le questioni di politica estera,
venne gradatamente ampliando l’ambito delle proprie competenze e acquisì sempre
maggior potere: nel regolamento parlamentare del 1723 la sua struttura venne formal-
mente definita (Kongl. Maj:ts Och Sweriges Rikes Ständers Riksdags-ordning Författad
wid Riksdagen uti Stockholm den 17 october 1723, § 18; in SFS 1723). Come indica il
nome essa doveva discutere le questioni di carattere riservato. Nella seconda metà del
XVIII secolo questo organismo perse di importanza, in particolare dopo il colpo di
stato di Gustavo III (vd. p. 704).
98
In relazione alla sconfitta i due generali dell’esercito svedese Charles Lewenhaupt
(n. 1691) e Henrik Magnus von Buddenbrook (n. 1685) furono condannati a morte e
giustiziati a Stoccolma nel 1743.
99
STFM VIII, nr. 36, 16 giugno‑20 agosto 1743, pp. 377-433 (con i preliminari e
vari documenti relativi); Sundberg 1997 (Abbr.), nr. 140, pp. 322-324.
100
Cfr. pp. 1419-1420.

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I princìpi della modernità 701

dispersi, molti fatti prigionieri, i capi fuggiti o condannati a


morte.101

Nel clima di ostilità nei confronti dei Russi, amplificato dal patriottismo
politicizzato dei “cappelli”, si inserisce un celebre episodio. Il 17 giugno
del 1739 infatti il diplomatico svedese di origini scozzesi Malcom Sinclair
(n. 1690), di ritorno da una missione in Turchia, mentre si trovava poco
a nord di Breslavia, veniva catturato da una pattuglia russa e ucciso.
Questo fatto destò enorme scalpore e indignazione e, per quanto il gover-
no russo declinasse qualsiasi coinvolgimento in merito, contribuì in
misura consistente allo scoppio della guerra tra i due Paesi. Ispirata a
questo tragico avvenimento è la lunga Canzone per Sinclair (Sinclairvisan,
1739) composta dallo scrittore svedese Anders Odel (1718-1773)102 sul
tema musicale della ‘follia’: in essa lo sfortunato diplomatico incontra
nell’aldilà, tra gli altri, il re Carlo XII che gli domanda notizie del Paese.
I versi sono percorsi da un marcato patriottismo (l’autore era un simpa-
tizzante dei “cappelli”) che vuole palesemente incitare gli Svedesi alla
rivincita e alla vendetta. Si leggano queste strofe:

“Sì, egli prese [a dire] la nostra Svea103 è


Una signora che siede tranquilla,
E miete i suoi verdi allori,
Compiaciuta del cinguettio degli uccelli:
Assapora il vino dolce della pace
Dalle coppe dorate di [re] Federico,
E osserva con vigile espressione
Le sue truppe [con la divisa] blu.

E difficilmente qualcuno avrà visto


Una fanciulla tanto giudiziosa,
Che per quanto d’ora innanzi si prepari

101
Questa “rivolta della Dalecarlia” (Dalupproret) era provocata anche dall’infelice
esito della guerra con la Russia e dallo scontento per la politica economica dei “cap-
pelli”. Sull’argomento vd., tra l’altro, Sennefelt K., Den politiska sjukan. Dalupproret
1743 och frihetstida politisk kultur, Hedemora 2001.
102
Su di lui vd. Hörnström E., Anders Odel. En studie i frihetstidens litteratur- och
kulturhistoria, Uppsala 1943. Cfr. p. 711.
103
Il nome Svea o anche Moder Svea (“Madre Svea”) compare a partire dalla prima
metà del XVII secolo a indicare la personificazione (in figura femminile rappresenta-
ta con ornamento di armi) della madre patria svedese. Ne fanno uso autori come
Stiernhielm (vd. pp. 601-603 e pp. 610-611) e Messenius (vd. pp. 580-581). Esso
certamente si rifà, seppure il collegamento non sia del tutto chiaro, all’antroponimo
Svear (vd. pp. 155-156; cfr. pp. 136-138).

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702 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

A ricamare la [sua] sottana verde;


Pure ha caricato il rapido fucile,
E se lo tiene a fianco,
Sicché se alcuno [le] dovesse recar danno,
Debba aspettarselo.

Si veste come un uomo col cappello,


Non tollera le berrette;
Nessuno ha mai toccato, tantomeno potuto
Baciare la sua bocca purpurea,
Oltre al suo legittimo sposo
Re Federico, il grande, amato
Nelle cui mani forti, fedeli,
Ella ha affidato la sua guida [...].”104

Adolfo Federico, succeduto a Federico I nel 1751 era privo di


forte personalità e assai condizionato dalla moglie, l’energica
Luisa Ulrica (ted. Luise Ulrike, sved. Lovisa Ulrika) di Prussia
(1720-1782), sposata nel 1744. Fin dal suo arrivo alla corte sve-
dese ella aveva apertamente appoggiato il “partito dei cappelli”,
anche a motivo del suo rapporto di grande fiducia con Carl Gustaf
Tessin (1695-1770) figura di spicco di quella parte politica.105 Ciò
aveva suscitato irritazione negli ambienti governativi e tra i diplo-
matici russi che dopo la pace di Åbo avevano acquisito in Svezia
peso e prestigio. In realtà il suo scopo era quello, una volta che il
marito fosse divenuto re, di riportare tutta l’autorità nelle mani
della Corona. Ma dopo che Adolfo Federico fu salito al trono le
sue speranze andarono deluse. I “cappelli” si mostrarono contra-
ri a un ampliamento dei poteri reali e lo scontro con il parlamen-
to fu inevitabile, mentre attorno alla coppia reale si formava il
cosiddetto “partito di corte” (hovpartiet) i cui adepti erano fau-
tori di una forte monarchia. La crisi raggiunse il proprio culmine
nel 1756 quando la regina guidò un complotto per rovesciare il
regime parlamentare. Per raccogliere i fondi necessari ella impe-
gnò segretamente parte dei gioielli della Corona che erano pro-

Sinclairvisan, str. 29-31 (DLO nr. 144).


104

Costui era figlio del celebre architetto Nicodemus Tessin il Giovane (vd. sopra,
105

p. 620). Dopo una brillante carriera diplomatica nel 1747 divenne presidente della
cancelleria, in pratica primo ministro. In seguito tuttavia i rapporti con i reali si gua-
starono ed egli fu allontanato dalla corte insieme alla moglie. Su di lui vd. Holst W.,
Carl Gustaf Tessin. En grandseigneur från XVIII:de seklet, Stockholm 1936.

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I princìpi della modernità 703

prietà dello Stato. Ma le trame vennero scoperte e diversi rappre-


sentanti del partito di corte furono imprigionati, torturati e infine
giustiziati; la regina severamente redarguita: ciò segnò la fine del
suo progetto di reintrodurre l’assolutismo regio. Scampato il
pericolo il “partito dei cappelli” continuò a governare. E continuò
a perseguire una politica militare, ancora una volta fallimentare.
Nel 1757 infatti la Svezia si fece coinvolgere nella guerra europea
dei sette anni. Da una parte ciò fu il risultato delle pressioni del-
la Francia, Paese cui si ispirava la politica dei “cappelli”, dall’al-
tra del desiderio di infliggere un duro colpo alla Prussia dove
regnava Federico II il Grande (Friedrich II der Große, 1712-1786)
fratello della regina Luisa Ulrica. La guerra di Pomerania si risol-
se ancora una volta in un inutile dispendio di energie e di risorse.
Essa fu conclusa nel 1762, sostanzialmente con un nulla di fatto,
con la pace di Amburgo sottoscritta anche grazie all’intervento
della sovrana che in tal modo riguadagnava un po’ del rispetto
perduto.106 Ma le difficoltà economiche e i ripetuti insuccessi dei
“cappelli” (che pure, nei decenni precedenti, avevano operato
per sostenere l’economia) avrebbero presto mutato il quadro
politico. Nel corso della seduta del parlamento del 1765-1766
tenuta a Stoccolma (ormai definitivamente ‘promossa’ a sede
ufficiale di tali riunioni) il partito delle “berrette” riuscì con l’ap-
poggio di quello “di corte” a conquistare il potere: ciò portò a
misure intese a risanare l’economia e, in politica estera, a un
riavvicinamento all’Inghilterra e alla Russia con conseguente
distacco dalla Francia. La situazione restava tuttavia difficile: i
seguaci del re continuavano a premere per una modifica della
costituzione in senso favorevole alla Corona, i “cappelli” trama-
vano per riprendere il potere, il sovrano si sentiva sostanzialmen-
te messo da parte. Nel 1768, addirittura, ‘scioperò’ rifiutando di
assolvere ai suoi incarichi per imporre una convocazione del
parlamento che avrebbe dovuto avviare i lavori per una riforma
della costituzione. A sostenerlo il figlio Gustavo (Gustaf) che da
tempo si adoperava per una riaffermazione del potere reale. Cer-
tamente la conflittualità fra i partiti, le ambizioni personali, il
servilismo, la corruzione avevano raggiunto livelli intollerabili:
tutto questo dunque preparò il terreno per il cambiamento radi-
cale che sarebbe intervenuto pochi anni dopo.

106
STFM VIII, nr. 73, 22 maggio 1762, pp. 831-856 (con documenti relativi); Sund­
berg 1997 (Abbr.), nr. 141, pp. 327-329.

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704 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

Il 12 febbraio del 1771, giorno in cui moriva il re Adolfo Fede-


rico, Gustavo si trovava a Parigi dove raccoglieva l’omaggio del
mondo culturale ma anche l’appoggio francese alla Svezia. Torna-
to in patria lavorò inizialmente per una riconciliazione nel Paese,
tuttavia i suoi veri scopi sarebbero ben più chiaramente emersi
nell’anno successivo. Il giorno 21 agosto del 1772 infatti, ottenuto
il sostegno dell’esercito, egli convocò una riunione del parlamento
nel corso della quale riuscì a imporre una nuova costituzione che,
di fatto, esautorava il Consiglio del Regno e limitava fortemente le
prerogative del parlamento reintroducendo il potere supremo
della Corona.107 Potere che Gustavo seppe esercitare, almeno ini-
zialmente, in pieno spirito illuministico, sicché la sua ‘autocrazia’
fu segnata da importanti riforme come l’introduzione della libertà
di culto con il cosiddetto “editto della tolleranza” (toleransedikt,
1781),108 la concessione di importanti diritti agli Ebrei (1782),109
disposizioni assai più umane in materia penale tra cui l’abolizione
della tortura110 e interventi in campo economico e amministrativo.
In politica estera il re coltivava piani ambiziosi che riguardavano
sia la Norvegia sia la Finlandia, progetti che destavano preoccupa-
zione tanto in Danimarca quanto in Russia. Con il primo Paese
Gustavo – che tra l’altro era sposato con la principessa danese
Sophie Magdalene (1746-1813), figlia di Federico V –111 concluse
107
Kongl. Maj:ts Och Riksens Ständers Faststälte Regerings-Form. Dat. Stockholm
then 21 Aug. 1772. Stockholm [...] 1772.
108
Kongl. Maj:ts Nådiga Kungörelse, Angående Några omständigheter rörande then
Religions Frihet, som bewiliad är i anledning af 7.§ uti Sweriges Rikes Ständers Beslut, giordt,
samtykt och förafskedadt på then Almänna Riksdagen, som slöts i Stockholm then 26 Janua-
rii 1779. Gifwen Stockholms Slott then 24 Januarii 1781 (SFS 1780-1781). Ciò nondimeno
ai luterani non era consentito rinnegare la propria fede. Vd. Granberg 1998, pp. 84-86.
109
Kongl. Mj:ts och Riksens Commerce-Collegii Reglemente, För them af Judeska
Nationen, som wilja hit i Riket inflytta och sig här nedsätta. Gifwit Stockholm then 27
Maji 1782 (SFS 1782-1783). Vd. Granberg 1998, pp. 86-88.
110
In una lettera del 27 agosto 1772 il re ordinava che tutti gli strumenti di tortura
presenti nel territorio del regno venissero distrutti (Protokoll, hållit i Kongl. Maj:ts
Råd-kamare på Stockholms Slott, angående den så kallade Rosenkammarens och andra
pinliga Fängelse-rums förstörande, in UPH X [1781], pp. 34-35). La strada per una
umanizzazione del codice penale era tracciata; cfr. p. 982.
111
Sul matrimonio, in particolare sulla sua consumazione, correvano indiscrezioni
e pettegolezzi, dal momento che – a quanto risulta – in tale circostanza il re si era
fatto ‘assistere’ da un uomo di corte (il conte Adolf Fredrik Munck, 1749-1831). La
regina Luisa Ulrica, che aveva un cattivo rapporto con la nuora, sosteneva (e con lei
altri) che il primogenito della coppia, il futuro re Gustavo IV Adolfo (Gustav IV Adolf,
1778-1837) fosse in realtà figlio naturale di Munck. Del resto queste dicerie circolava-
no anche fra l’opinione pubblica e i rapporti della coppia reale (in particolare della
regina) con Munck furono oggetto di scritti e disegni satirici. Altre voci (per altro non
dimostrate) sostenevano che il re Gustavo III fosse omosessuale.

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I princìpi della modernità 705

un trattato di neutralità armata per difendersi dalle azioni di pira-


teria marittima da parte degli Inglesi (1780)112 e quando gli Stati
uniti proclamarono l’indipendenza egli li riconobbe stringendo un
patto di amicizia con il nuovo Stato (1783). Mantenne inoltre otti-
mi rapporti con la Francia, primo rivale dell’Inghilterra.113 Nei
confronti della Russia, che mirava a una totale supremazia sul
Baltico, Gustavo volle invece rivendicare l’autonomia e la potenza
svedese. Per questo motivo si impegnò a partire dal 1788 in una
guerra che tuttavia, nonostante la grande vittoria nella battaglia
navale di Svensksund nel golfo di Finlandia (9 luglio 1790) non
produsse i risultati sperati.114 Essa si concluse in quel medesimo
anno con il trattato di pace di Värälä (località presso la foce del
fiume Kymmene) che lasciò inalterati i confini.115 Piuttosto, nel
corso di questa guerra si formò un gruppo di ufficiali dissidenti
uniti nella cosiddetta “Lega di Anjala” (Anjalaförbundet) che vole-
vano concludere subito la pace e al cui interno erano presenti
tendenze separatiste miranti all’autonomia della Finlandia rispetto
alla Svezia.116
Sul fronte interno l’autoritarismo del re lo portò sempre più a
scontrarsi con l’opposizione. Nel 1786 quest’ultima riuscì a far
respingere dal parlamento alcuni provvedimenti proposti dal re,117
per contro nel 1789 egli fece approvare, nonostante la manifesta

112
La convenzione e altri documenti collegati in Scott J. Brown, The armed neut­
ralities of 1780 and 1800. A Collection of official Documents preceded by the Views of
representative Publicists, New York 1918, pp. 273-345 (in particolare pp. 321-323).
113
In questo contesto va segnalato che nel 1784 alla Svezia fu ceduta da Luigi XVI
l’isola caraibica di Saint Barthélemy nelle Piccole Antille (dove lavoravano anche degli
schiavi) in cambio di diritti commerciali a Göteborg. L’isola fu rivenduta ai Francesi
nel 1878.
114
Svensksund (finnico Ruotsinsalmi) è un’insenatura che si trova nella Finlandia
sud-orientale.
115
Freds-Fördag Emellan Hans Maj:t Konungen af Swerige Och Sweriges Rike Å ena,
samt Hennes Maj:t Kejsarinnan af Ryssland Och Ryska Riket Å andra sidan, Afhandladt
och slutit på Werele Slätt nära wid Kymene Elf emellan båda Lägrens Förposter den 3/14
Augusti 1790, och Ratificeradt uti Lägret wid Werele den 19, och på Czarskoe Selo den
6/17 i samma månad. / Traité de Paix Entre Sa Majesté le Roi de Suede [sic] et la Cou-
ronne de Suede [sic] D’une part, et Sa Majesté l’Impératrice de Toutes les Russies, et
l’Empire de Russie, De l’autre, Fait & conclu dans la Plaine de Verele près de la riviere
de Kymene entre les Avant-postes des deux Camps le 3/14 Août 1790, & ratifié au camp
de Werele le 19 & à Czarskoe Selo le 6/17 du même mois, Stockholm [...] 1790.
116
Vd. Sandström A., Officerarna som fick nog – Anjalamännen och Gustaf III:s
ryska krig 1788-1790, Örebro 1996. Vd. p. 1363.
117
Le questioni riguardavano soprattutto la libertà di stampa (vd. alle pp. 812-814
il testo relativo a questo argomento) ma anche la distillazione dell’acquavite che da
molti si chiedeva fosse sottratta al monopolio della Corona.

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706 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

contrarietà della nobiltà (una parte dei cui rappresentanti aveva


fatto imprigionare) una nuova costituzione che di fatto faceva di
lui un sovrano assoluto. Questo Atto per l’unità e la sicurezza
(Förenings- och säkerhetsakten)118 infliggeva un colpo mortale ai
privilegi dell’aristocrazia (tra l’altro abolendo il Consiglio del
Regno). Parallelamente alla tendenza al dispotismo ora manifesta-
ta da Gustavo III crebbe dunque il risentimento e il livore degli
aristocratici.119 Lo stato di tensione sfociò infine in un tragico
avvenimento: l’assassinio del re. Il 16 marzo del 1792 nel corso di
un ballo in maschera che aveva luogo nel Palazzo dell’Opera
(Operahuset) di Stoccolma120 il capitano Jacob Johan Anckarström
(1762-1792), che coltivava una personale e profonda inimicizia
nei confronti di quello che considerava un vero tiranno, esplose
un colpo di pistola alle spalle del sovrano. Il re (che pure era sta-
to messo sull’avviso da una lettera scritta anonimamente da un
cospiratore pentito)121 rimase ferito gravemente e morì il 29 mar-
zo. I congiurati vennero arrestati e processati, alcuni condannati
al carcere a vita, altri all’esilio. Anckarström fu giustiziato il 27
aprile.122
Il Settecento è per la Svezia un periodo di grandi rivolgimenti
sociali. In un secolo che si apriva dopo le gravi carestie degli anni
1695 e 1697 e per di più su un quasi costante scenario di guerra le
118
Il decreto è datato 21 febbraio e 3 aprile 1789: Kongl. Maj:ts Och Riksens Stän-
ders Faststälte Förenings- Och Säkerhets-Act, Dat. Stockholm den 21 febr. och 3 April
1789. In questa occasione fu stabilito (§ 2) che la “Corte suprema del re” (Konungens
högsta domstol) – nella quale egli aveva diritto a due voti – fosse composta sia da
nobili sia da persone comuni.
119
Particolarmente ostile al re fu il conte Adolf Ludvig Hamilton (1747-1802),
convinto sostenitore (almeno inizialmente) della rivoluzione francese, il quale non
mancò di esprimere con forza la propria opposizione nelle sedute del parlamento e di
dar voce per iscritto a una pungente satira contro la monarchia e, in particolare, con-
tro Gustavo III.
120
Questa costruzione, voluta dal medesimo Gustavo e terminata nel 1782 fu in segui-
to (1892) demolita per fare spazio all’Opera reale (Kungliga operan) tuttora esistente.
121
Si trattava di Carl Pontus Liljehorn (1758-1820) che in seguito a questi fatti fu
condannato all’esilio.
122
Vd. Ericson Wolke L., Mordet på Gustav III, [faktagranskning M. Alm], Lund
2005 e Brunner E., Anckarström och kungamordet. Historien i sin helhet, Stockholm
2010 (una sorta di romanzo storico basato tuttavia sulle fonti). All’assassinio del re
Gustavo III sono ispirate due opere liriche: la prima del compositore francese Daniel
François Esprit Auber (1782-1871), su libretto di Augustin Eugène Scribe (1791-1861),
porta il titolo Gustavo III, o Il ballo in maschera (Gustave III, ou Le bal masqué, 1833),
la seconda di Giuseppe Verdi (1813-1901) su libretto di Antonio Somma (1809-1864),
a sua volta ispirato dall’opera di Scribe, dal titolo Un ballo in maschera (1859). Alla
figura del re è dedicato tra l’altro il dramma di August Strindberg (vd. pp. 1082-1083)
Gustav III pubblicato nel 1903.

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I princìpi della modernità 707

premesse non erano certo incoraggianti.123 Per conoscere la pace il


popolo svedese avrebbe dovuto attendere ancora una ventina
d’anni. Due decenni durante i quali l’economia fu ulteriormente
messa a dura prova da nuove spese militari: basti pensare all’emis-
sione, dal 1715 al 1719, delle cosiddette “monete d’emergenza”
(nödmynt), in sostanza monete di rame con valore nominale più
alto (una forma mascherata di obbligazione pubblica), introdotte
dal fidato consigliere del re Georg Heinrich von Görtz124 per poter
raccogliere i fondi necessari alla guerra in Norvegia. In Svezia, ma
– soprattutto – nelle colonie finlandesi lo scenario era di devasta-
zione e sfinimento.
Dal punto di vista sociale la costituzione del 1719125 segna l’avvio
di importanti cambiamenti e se è vero che ci sarebbe voluto anco-
ra molto tempo prima di raggiungere una soddisfacente equipara-
zione tra le diverse classi sociali, è tuttavia altrettanto vero che
questo risultato non sarebbe stato raggiunto senza la chiara presa
di coscienza di questo problema e il conseguente dibattito (indi-
scutibilmente promosso e influenzato dal pensiero illuministico).
L’alta aristocrazia (già consistentemente penalizzata dalla politica
di Carlo XI) andò perdendo ulteriormente terreno: certo dopo la
fine dell’assolutismo essa cercò l’appoggio della Corona per rigua-
dagnare privilegi (in parte anche ottenendoli) ma dovette accetta-
re suo malgrado il riconoscimento di diritti delle altre classi socia-
li. E in seguito al colpo di stato di Gustavo III essa sarebbe stata
ridotta a funzioni sostanzialmente ‘decorative’ andando a recupe-
rare una parte dell’antico prestigio solo dopo gli avvenimenti del
1809.126 Indubbi benefici ottenne al contrario, la bassa nobiltà il
cui peso (anche numerico) si faceva adesso sentire nella Casa dei
Signori,127 là dove venivano discusse le questioni di interesse di
quello che restava il più ambito ceto sociale: essa, che era costitui-
ta prevalentemente da funzionari di nomina regia, aveva infatti
123
Per dare un’idea della situazione di miseria in cui versava gran parte della popo-
lazione basti ricordare l’emanazione, nel 1698, di una legge in cui di fatto si riconosce-
va l’accattonaggio come fonte di sussistenza (Kongl. May.tz Förnyade Stadga Och
Förordning/ Huru med Tiggiare och Fattige som rätt Allmoso behöfwa/ så och med
Landzstrykare och Lättingar/ förhållas skal. Daterad Stockholm den 21 October 1698;
in SFS 1697-1699). Ad aggravare la situazione giunse, nel 1710, una terribile epidemia
di peste che devastò il Paese. E nel 1725 ci fu una nuova, grave carestia. Sulla situa-
zione di povertà in Svezia e i provvedimenti al riguardo si rimanda a OAF [Johanson
U.], pp. 217-361.
124
Cfr. sopra, p. 680.
125
Vd. pp. 697-698 con nota 86.
126
Vd. pp. 865-868.
127
Questo organismo aveva sede nell’omonimo edificio, cfr. p. 625.

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708 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

guadagnato posizioni anche dal punto di vista formale.128 Parimen-


ti si avvantaggiò la borghesia: già agevolata dalla politica economi-
ca saggiamente gestita da Arvid Horn negli anni ’20, essa fu poi
ampiamente favorita dal convinto credo mercantilistico dei “cap-
pelli”, partito al quale aderì la gran parte dei suoi rappresentanti.
Tra il 1738 e il 1756 infatti fu dato un forte impulso al commercio
e all’esportazione (fra tutte quella di metalli) e all’industria svedese,129
che conobbero un notevole sviluppo, seppure accompagnato da
una pesante inflazione.130 Assai importante fu anche la fondazione
a Göteborg della Compagnia svedese delle Indie orientali (Svenska
ostindiska kompaniet, attiva dal 1731 al 1813) che gestiva in parti-
colare il traffico con la Cina.131 Un ceto medio borghese si andava
così consolidando.
La classe contadina svedese restava ancora in gran parte svan-
taggiata. Come si è detto essa non solo era esposta più direttamen-
te alle devastazioni dovute alle guerre (cui per di più i suoi rappre-
sentanti dovevano partecipare in prima persona), alle epidemie e
alle carestie, ma, seppure avesse da sempre avuto una propria

128
In particolare nell’organizzazione della Casa dei Signori essa aveva ottenuto che
le decisioni venissero assunte con votazioni nelle quali ciascuno contasse individual-
mente e non più, come era stato in precedenza, sulla base di una tripartizione dei
membri legata al grado di nobiltà posseduto (vd. in Brusewitz 1916 [Abbr.], Riddarhus-
ordningen, III, §§ 1-3, p. 373).
129
Al Settecento risale la fondazione di importanti industrie svedesi come il lanifi-
cio fondato nel 1724 ad Alingsås da Jonas Alströmer (1685-1761), il quale diede poi
l’avvio ad altre attività e fu promotore del consumo della patata; la fabbrica di ogget-
ti in vetro Kosta Boda (il cui primo nucleo fu fondato nel 1742 a Johanstorp nella
regione di Småland) e che nel 1990 si fonderà con altre fabbriche (tra cui la ben nota
Orrefors glasbruk nata nel 1898) sotto la denominazione di Orrefors Kosta Boda; quel-
la di ceramiche pregiate Rörstrand (nata nel 1726 a Stoccolma). Addirittura al 1646
risale l’industria Bofors (sorta per la lavorazione del ferro, poi dell’acciaio, poi di
armamenti) con sede a Karlskoga (Värmland) della quale per un periodo sarà proprie-
tario anche Alfred Nobel (vd. p. 992); al 1689 la Husqvarna (che prende il nome da
un sobborgo di Jönköping in Småland), inizialmente una fabbrica di fucili, ma poi nota
per le macchine da cucire, gli elettrodomestici, le biciclette e i motocicli, le macchine
per giardinaggio; al 1692 lo stabilimento tessile Ekelund di Horred (Västergötland).
130
Una incisiva politica deflazionistica fu attuata quando le “berrette” nel 1765
ritornarono al potere. Successivamente (1777) il re Gustavo avrebbe deciso una sva-
lutazione della moneta grazie alla quale l’economia fu rafforzata (cfr. nota 140).
131
In quel periodo questo Paese suscitava un grande interesse non solo dal punto
di vista economico ma anche da quello culturale. Basti pensare che nel parco del
castello di Drottningholm (cfr. p. 618) sorse il ‘castello cinese’ (Kina slott) fatto edifi-
care dal re Adolfo Federico per il compleanno della regina Luisa Ulrica nel 1753:
questa costruzione in legno fu poi sostituita da un’altra che ne riprendeva lo stile
orientaleggiante disegnata dall’architetto Carlo Federico (Carl Fredrik) Adelcrantz (vd.
p. 847).

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I princìpi della modernità 709

rappresentanza parlamentare, poteva vantare ben scarso peso


politico. Nel Settecento questa situazione avrebbe conosciuto una
svolta. E ciò non soltanto perché in questo secolo aumentò il nume-
ro di coloro che ebbero la possibilità di acquistare i terreni della
Corona da loro lavorati. In questo secolo si conosce infatti, final-
mente, l’introduzione di più moderne tecniche di coltivazione, di
nuovi strumenti (fra tutti l’aratro in ferro) e – soprattutto – una
incisiva riforma agraria. Il principio, fu, anche qui, quello della
cosiddetta ‘ricomposizione fondiaria’.
Fautore di questa riforma fu in Svezia Jacob Faggot (1699-1777),
geometra ed economista di origine vallone che si adoperò per l’in-
troduzione, a partire dal 1749, della cosiddetta “grande suddivi-
sione” (storskifte) che fu sancita con una legge del 1757:132 in tal
modo le diverse piccole strisce di terreno affidate ai vari contadini
furono riunite in lotti più grandi e ridistribuite. A questa fase ne
seguì una seconda, promossa in primo luogo in Scania dal nobile
Rutger Macklean (o Macklean, 1742-1816)133 che nella sua proprie-
tà di Svaneholm applicò la cosiddetta “suddivisione individuale”
(enskifte) facendo trasferire i contadini in singole fattorie all’inter-
no di nuovi poderi costituiti dall’accorpamento dei terreni. Il suo
modello ebbe successo e costituì la base del decreto relativo ema-
nato per l’intero Paese nel 1807.134 Naturalmente, poiché la situa-
zione non era uniforme venne a crearsi una serie di difficoltà, alle
quali si volle infine porre rimedio con un terzo provvedimento, la
cosiddetta “suddivisione legale” (laga skifte) che fu in vigore a
partire dal 1827:135 essa prevedeva che tutti i poderi fossero sogget-
ti alla riforma. Questi provvedimenti segnano un punto di svolta
importantissimo per il mondo contadino, seppure per gran parte
dei lavoratori, i braccianti che si spostavano da un luogo all’altro
in cerca di lavoro, esso non portasse nei fatti alcun sostanziale
miglioramento.136 D’altro canto va rilevato come l’interesse (anche
132
Kongl. Maj:ts Nådige Kundgjörelse Och Förordning, Om Hemmansägors läg-
gande i Storskiften. Gifwen Stockholm i Råd-Cammaren then 5. April 1757 (SFS 1757).
133
Il cognome era precedentemente Macklier, la famiglia di origine scozzese.
134
Kongl. Maj:ts Nådiga Förordning Om Enskiften. Gifwen Malmö den 2 Februarii
1807 (SFS 1807). Nella regione della Scania il sistema dell’enskifte era stato introdotto
fin dal 1803: Kongl. Maj:ts Nådiga Förordning, Angående Ägors fördelande i Enskiften
och utflyttningar ifrån större Byalag i hertigdomet Skåne. Gifwen Stockholms Slott den
31 Martii 1803 (SFS 1803).
135
Kongl. Maj:ts Nådiga Stadga om Skifteswerket i Riket: Gifwen Stockholms Slott den
4 Maji 1827 (SFS 1827: i). Rinnovata con pochi cambiamenti non sostanziali il 9 novembre
1866 (testo in Samling af Kongl. Författningar angående Skiftesverket i Riket [...] utgifven
den 24 februari 1892 [J.A. Thurgren], Stockholm 1892, pp. 1-47). Vd. Schütz 1890.
136
Queste persone erano note come torpare dal momento che, in cambio di gior-

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710 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

culturale) per l’agricoltura si rifletterà poi nella fondazione (decre-


tata nel 1811) della Reale accademia per l’agricoltura (Kungliga
Lantbruksakademien), attivamente presieduta dal principe eredi-
tario Jean Bernadotte, il futuro re Carlo XIV. Ma queste disposi-
zioni, se naturalmente concorsero a migliorare le condizioni di vita
dei contadini, modificarono radicalmente il paesaggio rurale sve-
dese: i villaggi furono abbandonati e al loro posto sorsero diverse
fattorie isolate: dell’antico scenario agreste non restano che limita-
te testimonianze nella regione della Dalecarlia.137 Il che si riflesse
anche in una sorta di ‘disgregazione’ dell’antica comunità rurale
culturalmente intesa.138 D’altro canto in relazione a ciò si constata,
seppure non si possa parlare di grandi cambiamenti, un accresciu-
to interesse dei contadini per l’istruzione, strumento in grado di
garantire loro (e, soprattutto, ai loro figli) un ruolo attivo e consa-
pevole di fronte alle nuove opportunità. Nelle campagne comin-
ciano così a sorgere scuole locali,139 premessa a quella che sarà una
politica scolastica nazionale nel secolo successivo.
Nella società svedese i contrasti tra le diverse classi restavano
profondi. Essi si riflettevano, naturalmente, nel parlamento, là dove
le diverse forze politiche e il sovrano medesimo rivolgevano la
propria attenzione ora agli uni ora agli altri, spesso a seconda degli
scopi che si erano prefissi: basti pensare che il re Gustavo III, che

nate di lavoro (o talora del pagamento di un canone di affitto), avevano il permesso di


occupare una modesta abitazione (torp) alla quale era annesso un piccolo appezzamen-
to di terreno all’interno di una proprietà altrui. A partire dagli inizi del XIX secolo a
loro si affiancarono i cosiddetti statare che venivano alloggiati presso il datore di
lavoro e compensati in parte in denaro e in parte in natura; vd. Hedlund 1990. In
Svezia e in Finlandia c’erano anche i cosiddetti backstugusittare, cioè coloro che abi-
tavano in una backstuga, vale a dire una modestissima casupola (quasi sempre di una
sola stanza) costruita sul fianco di una collinetta che ne costituiva una delle pareti.
Erano di solito molto poveri e si sostentavano con lavori di artigianato non disponen-
do di terreno coltivabile. Dopo il 1827 molti torpare, privati del loro modesto appez-
zamento di terreno furono costretti a diventare backstugusittare e a cercare di essere
reclutati per giornate di lavoro.
137
 Si veda, in particolare, il villaggio di Härnevi, a nord di Enköping. Si noti che il
toponimo – che significa “luogo sacro alla [dèa] Hǫrn” – rimanda a un antichissimo
insediamento. Hörn infatti è un appellativo di Freyja, divinità della fecondità, da
intendersi verosimilmente come “dèa del lino” (vd. Chiesa Isnardi 20084 [B.7.1], p.
285 e p. 541; cfr. pp. 189-190 con nota 359).
138
 Pare utile segnalare qui che dalla metà del XVIII secolo in Svezia si cominciò a
utilizzare il terriccio rosso per tingere le case, dando il via a un’usanza molto diffusa
che inciderà in maniera caratteristica sul paesaggio svedese.
139
 Come le due scuole popolari fondate da Rutger Macklean il quale era molto
interessato all’educazione dei contadini e fece impostare l’insegnamento sui princìpi
del pedagogista svizzero Giovanni Enrico (Johann Heinrich) Pestalozzi (1746-1827).

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I princìpi della modernità 711

aveva goduto dell’appoggio dell’aristocrazia per porre in atto il


colpo di stato del 1772, cercò poi il sostegno dei ceti non nobili per
far approvare la costituzione del 1789. E del resto la situazione
rimaneva grandemente squilibrata e i conflitti, per gran parte (nono-
stante diverse enunciazioni di principio) irrisolti; inoltre eventi
contingenti (come la grave carestia degli anni 1771-1772) non
facevano che accrescere la tensione.140 Tutto ciò ci è consegnato nei
verbali delle vivaci riunioni parlamentari, ma le diverse voci del
dibattito, le diverse idee e proposte sono altresì (e altrettanto pro-
ficuamente) riversate in una nutrita serie di scritti che ben testimo-
niano il clima culturale dell’epoca. Sarà sufficiente citare qui, in
primo luogo, il cappellano finno-svedese Anders Chydenius (1729-
1803), promotore di idee liberali, il quale nel 1765 pubblicò un’ope-
ra dal titolo Il profitto nazionale (Den Nationnale Winsten) che per
molti aspetti anticipa le teorie economiche di Adam Smith (1723-
1790);141 ma anche Alexander Kepplerus (1732-1776) borgomastro
di Lovisa (Loviisa, in Nyland, Finlandia) – e come tale delegato al
parlamento – il quale redasse un Memoriale a riguardo dei privilegi
della borghesia e dei contadini (Memorial, rörande Privilegier för
Borgare- och Bonde-stånden pubblicato nel 1770) in cui, esaminato
il conflitto fra i diversi stati, si propongono concreti miglioramenti
della condizione dei borghesi e dei contadini e si sostiene la necessità
di una politica economica più libera.142 Una riflessione, non priva
di toni idealistici e di richiami goticisti, sulla necessità di una pro-
ficua collaborazione fra le classi sociali, è proposta in forma di
‘favola’ nel breve testo dal titolo La storia del piatto di cereali (Sagan
om grötfatet, 1756),143 a firma di Macarius Microcosmus, pseudonimo
di Anders Odel, autore della sopracitata Canzone per Sinclair.144
Per quanto il turbolento parlamentarismo della cosiddetta “era
della libertà”, così come la discussa autocrazia gustaviana mostrino
in prospettiva storica tutti i loro difetti, i loro pregi non vanno

140
Lo stato di grande confusione e crisi finanziaria (dovuto anche alle spese per la
guerra con la Russia) fu risolto grazie all’abilità di Johan Liljencrantz (Westerman
prima della concessione della dignità nobiliare, 1730-1815) il quale a partire dal 1777
realizzò un adeguato programma di stabilizzazione monetaria.
141
Su di lui si veda Virrankoski P., Anders Chydenius. Demokratisk politiker i
upplysningens tid, Stockholm 1995. Cfr. p. 750 e p. 776.
142
Vd. Nurmiainen J., “Gemensamma privilegier för ett odalstånd. Alexander
Kepplerus som borgmästare och samhällstänkare”, in RKP, pp. 171-191, pp. 369-373
e p. 413.
143
Letteralmente “piatto di gröt”. Il termine svedese gröt indica una specie di
pappa ottenuta cuocendo farine o cereali con acqua o latte.
144
Vd. testo a p. 701.

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712 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

sottovalutati, in primo luogo perché è da qui che nascerà nella


società svedese – almeno in alcuni ambiti – quella chiara coscienza
di classe sulla quale si innesteranno i grandi movimenti politico-
culturali del secolo successivo.

10.2.3. Orgoglio di classe e patriottismo

In Norvegia il Settecento è il periodo nel quale vengono poste le


basi per la riscossa nazionale e la riconquista dell’indipendenza.
Sono basi in primo luogo culturali, ma anche sociali, politiche ed
economiche. Per la verità i primi germi di questa rinascita si posso-
no individuare fin dal secolo precedente, basti ricordare Arent
Berntsen (1610-1690), originario di Bergen ma trasferito in Dani-
marca, autore di un voluminoso lavoro in quattro tomi dal titolo
Fecondo splendore della Danimarca e della Norvegia (Danmarckis oc
Norgis Fructbar Herlighed) pubblicato a Copenaghen tra il 1650 e
il 1656: opera di carattere economico-topografico, riguardante i due
Regni e le relative colonie di Islanda, Føroyar e Groenlandia, alla
quale molto si deve per la conoscenza del Seicento danese e norve-
gese.145 Costui, seppure assai ben collocato (e in posizione econo-
mica molto solida) all’interno dell’apparato sociale danese146 non
manca di lasciar trasparire un profondo sentimento nazionalistico
nelle pagine (contenute nella seconda parte del primo libro) dedi-
cate alla descrizione del suo Paese d’origine. La letteratura topogra-
fica aveva già prodotto in quell’ambito diverse opere, in particolare
quella di Peder Claussøn Friis:147 a lui Berntsen fa diretto riferimen-
to, premurandosi tuttavia di rimarcare come al suo popolo appar-
tengano per natura tutte le migliori qualità.148 Considerazioni di
questo tipo, e – al contempo – l’osservazione ammirata della splen-
dida natura norvegese, al cui confronto il paesaggio danese appare
piatto e uniforme, contribuiranno in misura sostanziale alla ricosti-
tuzione di un orgoglio nazionale per troppo tempo dimenticato.
D’altra parte se è pur vero che i Norvegesi, grazie all’eredità del
145
In essa si tratta anche delle isole Svalbard.
146
Egli possedeva un patrimonio davvero considerevole, al punto di potersi per-
mettere di prestare denaro alla Corona.
147
Vd. sopra, pp. 593-594.
148
Egli infatti così definisce i Norvegesi: “Timorati di Dio, pii, sinceri, fedeli, paci-
fici, docili, compassionevoli, modesti, liberali, sagaci, abili, laboriosi, capaci e servizie-
voli” aggiungendo che quando se ne presenti l’occasione sanno dimostrarsi un “popo-
lo ardito, virile e coraggioso” così come sono stati i loro padri nel corso del tempo
(DLO nr. 145-146).

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I princìpi della modernità 713

passato, non avevano mai perso il senso della propria identità, è


altrettanto vero che la riscoperta dei testi della loro tradizione stori-
ca ricercati, tradotti e rielaborati da diversi studiosi, portò un con-
tributo altrettanto cospicuo nella medesima direzione. E, pure, non
si deve pensare che il percorso di rinascita norvegese debba essere
ricondotto unicamente a ragioni prettamente culturali. A partire dal
regno di Cristiano IV il Paese aveva goduto di maggiore considera-
zione149 e aveva tratto indubbi benefici dall’opera di due governato-
ri capaci e interessati alle sue sorti quali erano stati Annibale Sehe-
sted150 e Ulrik Frederik Gyldenløve151 i quali avevano introdotto
importanti riforme: il primo – che mirava a una maggiore indipen-
denza rispetto all’amministrazione centrale di Copenaghen –
aveva riorganizzato il sistema fiscale e l’esercito (riuscendo tra l’al-
tro a creare una flotta nazionale),152 promosso lo sfruttamento
delle risorse e assicurato, per quanto parzialmente, un controllo
autonomo delle finanze; il secondo, che aveva mostrato grande
attenzione alle condizioni del territorio che gli era stato affidato,
aveva semplificato il sistema fiscale e favorito l’istituzione di una
corte d’appello (Ober Hoff Rett) separata da quella danese (1666).153
Sulla loro scia saranno poi molti i funzionari governativi (figure che
dopo l’introduzione dell’assolutismo regio andarono acquisendo
crescente autorità) capaci di assumere un ‘punto di vista norvegese’
nella gestione del potere. Del resto la presenza di norvegesi all’in-
terno dell’apparato amministrativo del Paese andava aumentando154
e, se è pur vero che le decisioni importanti venivano comunque
assunte a Copenaghen, è altrettanto vero che mancava in Danimar-
ca una approfondita conoscenza della sua reale situazione, delle sue
risorse e delle sue prospettive. Alla vigilia del secolo XVIII un
importante momento di svolta fu rappresentato dall’entrata in
vigore, nel 1688, di un nuovo Codice di leggi norvegese (Norske

149
 Un segnale in tale direzione sono anche le visite dei sovrani danesi nel Paese,
divenute una consuetudine a partire da Cristiano IV. Nel 1733 il re Cristiano VI con
la regina Sofia Maddalena vi fece un viaggio di quattro mesi accompagnato da un
seguito di quasi duecento persone. Cfr. p. 662.
150
 Vd. sopra, p. 550 e p. 660 con nota 591.
151
 Cfr. p. 533, nota 15, p. 622 e p. 660, nota 591.
152
 Dal 1661 l’esercito norvegese avrebbe avuto un comandante proprio.
153
 Il decreto è del 14 marzo 1666 (AaKG II [1856-1860], nr. 12a e 12b, pp. 173-
175); questo organismo avrebbe sostituito il cosiddetto herredag (cfr. p. 661).
154
Tra costoro vale forse la pena di ricordare la figura di Jørgen Olufsen Mandal
(1640-1724) che pur essendo di famiglia contadina divenne benestante e fu poi ammi-
nistratore della contea di Jarlsberg in Vestfold dove rimase per più di trent’anni (vd.
Rian Ø., “Jørgen Olufsen Mandal i Jarlsberg-grevens tid”, in FNKF, pp. 134-155).

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714 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

Lovbog), approvato il 15 aprile 1687.155 Sebbene esso dovesse nella


sostanza uniformarsi all’ordinamento danese, nella sua redazione fu
comunque posta attenzione alla situazione dei sudditi norvegesi (a tal
fine un gruppo di esperti di quel Paese revisionò il testo) ed esso
dunque diverge in alcuni aspetti (tra i più interessanti questioni pena-
li e norme giuridiche riguardanti i contadini) dal proprio modello.
Tutti questi segnali sono tuttavia da considerare sullo sfondo di una
società che restava, tradizionalmente, ancorata a uno stato di dipen-
denza dalla Danimarca, consolidato con l’introduzione dell’asso-
lutismo regio;156 tra l’altro i Norvegesi avevano dovuto dare il
proprio consistente contributo di uomini e di risorse alla lunga serie
di guerre condotte dai Danesi, conflitti che non avevano risparmia-
to il loro territorio,157 e ciò aveva naturalmente comportato pesan-
ti ripercussioni sulla popolazione: alla fine della grande guerra
nordica il Paese appariva economicamente impoverito. Ma nel
lungo periodo di pace successivo al 1720 esso avrebbe conosciuto
una notevole ripresa, anche se va ricordato che in determinati
momenti la popolazione si trovò ancora a fare i conti con situazio-
ni di grave crisi causate da carestie ed epidemie (come quella di tifo
diffusasi nel 1773) che provocarono un’alta mortalità.
La classe sociale che guidò il cambiamento fu quella dei borghe-
si. Nel 1662 le città avevano ottenuto un nuovo regolamento,158
155
Suddiviso in sette libri relativi ai diversi campi del diritto civile (ivi compresi
quello economico e quello della navigazione) e penale. Vd. pp. 550-551 con nota 96.
156
Del resto il principio di centralizzazione del potere aveva determinato una
ristrutturazione amministrativa introdotta al fine di consentirne una più agevole
gestione; cfr. p. 668. Tra l’altro, nel 1704, in occasione di una visita in Norvegia del re
Federico IV, fu costituita una commissione formata da cinque membri (con alla pre-
sidenza il vice governatore) per amministrare il Paese secondo le sue leggi e tradizioni.
Essa (che aveva anche funzioni consultive) fu ufficialmente insediata l’11 giugno del
medesimo anno alla presenza del sovrano (Placat. Hvorved kundgiøres, at Hans Kongl:
Majestæt haver anordnet paa Aggershuus Slot i Norge en Slots-lov, 16 febbraio 1704; in
Kong Friderich den Fierdes Allernaadigste Forordninger og Aabne Breve, II Forordnin-
ger 1699-1711) Questa commissione, che ebbe tuttavia scarso peso, fu formalmente
funzionante fino al 1721 e abolita con decreto del 17 aprile 1722 (vd. anche Stang –
Dunker 1838 [Abbr.], p. 39 e p. 59). Questa norma era una cosiddetta slotslov (lette-
ralmente una “legge del castello”), termine con il quale originariamente si faceva
riferimento agli impegni assunti da chi riceveva la nomina di ‘feudatario’ e con essa la
gestione di un castello e del territorio di pertinenza ma anche ai provvedimenti da
questi emanati nell’ambito delle sue competenze.
157
In relazione a ciò nel 1660 in base alle statuizioni del trattato di pace di Cope-
naghen (vd. p. 533, nota 14) la Norvegia vide nella sostanza stabiliti i propri confini
così come essi sono rimasti fino a ora. Una definitiva determinazione fu poi prevista
nel trattato di pace di Stoccolma tra Svezia e Danimarca del 1720 (§ 14) e la questione
infine risolta nel 1751; vd. p. 550, nota 95.
158
Vd. p. 663 con nota 602.

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I princìpi della modernità 715

conquistando ulteriori privilegi e conseguendo così il controllo non


soltanto dei traffici d’oltremare ma anche del commercio praticato
nei rispettivi entroterra.159 Per questo il numero dei centri urbani
andò crescendo.160 Ma la borghesia che veniva formando una nuova
categoria imprenditoriale e gestiva la nascente industria del Paese
(ma che ancora non otteneva importanti riconoscimenti politici) non
proveniva certo dal mondo dei contadini norvegesi e i suoi membri
erano spesso cittadini stranieri: danesi, tedeschi, olandesi e inglesi
attirati dalle opportunità che le risorse naturali del Paese potevano
offrire.161 A fronte di una nobiltà poco numerosa,162 di limitato pre-
stigio e assai scarso peso politico, fu dunque piuttosto il ceto bor-
ghese a emergere non soltanto sul piano economico ma anche su
quello sociale. Un ceto (che non di rado acquisiva funzioni ammini-
strative) che godeva di privilegi e che dunque ben si distingueva dagli
altri abitanti delle città (artigiani, servitori, garzoni, uomini di fatica,
marinai) e, naturalmente, da chi viveva nelle campagne. Elemento
determinante fu lo sfruttamento sempre meglio organizzato delle
risorse naturali: il commercio del legname (sottratto ai contadini a
159
Che, in taluni casi, erano costituiti da un territorio davvero molto esteso: a esempio
Trondheim aveva come ‘entroterra’ l’intera regione del Trøndelag. L’assegnazione alle
città di un ‘entroterra riservato’ fu abolita solo nel 1742, anno in cui fu emessa una
dettagliata ordinanza sul commercio (Schou [Abbr.] III, 4 agosto 1742, pp. 492-506).
160
Accanto alle località norvegesi che avevano ottenuto i privilegi di città si sarebbe-
ro presto sviluppati (in primo luogo sulla costa) altri centri (tra cui a nord Hammerfest
e Tromsø, cui tale status fu riconosciuto rispettivamente nel 1789 e nel 1794), sicché
nel 1801 le città norvegesi avrebbero raggiunto il numero di trenta; vd. Sogner S., Krig
og fred 1660-1780 (= vol. VI di Helle 1998 [B.3]), pp. 198-199.
161
Tra coloro che nel XVII secolo si erano stabiliti in Norvegia avviando importan-
ti attività economiche si debbono ricordare qui almeno alcuni nomi. Selius Marselis
(1600-1663) e suo fratello Gabriel (1609-1673), appartenenti a una ricca famiglia di
commercianti olandesi, i quali si costruirono una posizione economica solidissima,
godendo di svariati privilegi (tra cui la concessione di miniere) e divenendo i più
grandi proprietari terrieri del Paese e fornitori della Corona (alla quale concessero
anche prestiti). Selius Marselis fu inoltre nominato direttore del servizio postale (1653),
acquisendo i privilegi connessi a quello che era, a tutti gli effetti, un monopolio priva-
to (cfr. p. 670); nel 1667 tale incarico andò al figlio. Il tedesco Jørgen Thormøhlen (o
Thor Møhlen, ca.1640-1708) che si creò una fortuna in diversi campi e divenne il più
importante armatore del Paese (arrivando a emettere banconote proprie, le prime in
Norvegia!), ma nel 1697 andò incontro a un fallimento. Accanto a loro vanno tuttavia
citati norvegesi che ‘fecero carriera’ come Claus Andersen (ca.1624-1681), funzionario
governativo e proprietario di segherie a Skien in Telemark (vd. Rian Ø., “Eit dinasti i
Skien: frå Claus Andersen til Anne Clausdotter”, in FNKF, pp. 112-133) e Peder
Nielsen Leuch (ca.1636-1693) che fece fortuna con il commercio del legname e diven-
ne anche consigliere a Christiania.
162
Si noti a tale proposito che in Norvegia fu istituita (1678) una unica baronia
concessa a Ludvig Rosenkrantz (1628-1685) proprietario insieme alla moglie Karen
Mowatt (ca.1630-1675) della tenuta di Rosendal sul fiordo di Hardanger (cfr. p. 622).

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716 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

favore esclusivo dei commercianti),163 dei prodotti della pesca (ripre-


so a partire dagli anni ’30 dopo un periodo di crisi nelle esportazio-
ni) e di quelli dell’industria mineraria (dove tuttavia non mancarono
problemi)164 avrebbe dato un grande impulso al progresso economi-
co. Il governo centrale vedeva di buon occhio il formarsi di una
classe borghese provvista di solidi capitali, ma al contempo consi-
derava che i due Regni dovessero costituire una unità anche dal
punto di vista commerciale.165 Allo sviluppo dei traffici marittimi e
alla crescita della borghesia contribuiranno poi anche fattori esterni,
come la guerra di indipendenza americana che aprirà grandi oppor-
tunità al commercio navale.166 Tradizionalmente i Norvegesi erano
da sempre gente di mare: del resto nei confronti della Danimarca
potevano ben rivendicare il notevole contributo dato alla flotta
militare comune; dallo sviluppo della marineria venne dunque in
buona parte una spinta a richieste di maggiore autonomia commer-
ciale, naturale presupposto di più ampia autonomia politica. Nel
1739 veniva fondata la Compagnia norvegese concessionaria per
beneficio reale (Det Kongeligt Allernaadigst Octrojerede Nordske
Compagnie) che aveva lo scopo di sfruttare al meglio le risorse del
Paese e produrre carbone di legna, catrame e vetro.167
163
 Ciò fu definitivamente stabilito nel 1688 (6 settembre) con il ‘decreto sulle
segherie’, le quali stabilite in numero di seicentosessantaquattro, erano autorizzate a
lavorare un determinato quantitativo di legname ogni anno (Reskript af 6. Septbr. 1688,
riportato in Wessel Berg [Abbr.] I, pp. 179-181). Questi impianti venivano gestiti da
mercanti ai quali nel decreto del 30 luglio 1662 (relativo ai privilegi delle città; vd. p.
663 con nota 602) era stato concesso il diritto esclusivo a commerciare il legname.
164
 Sebbene il lavoro dei minatori fosse discretamente retribuito ed essi godessero di
qualche forma di ‘assicurazione sociale’ gli incidenti non erano rari e non mancavano i
motivi di protesta. Si pensi alle sommosse scoppiate alle miniere di Røros (1682) e di
Kongsberg (1690 e, ancora, 1770); vd. Sogner S., op. cit. (cfr. nota 160), pp. 147-150.
165
 Ciò spiega, tra l’altro, l’introduzione del monopolio della vendita del ferro
norvegese alla Danimarca (Schou [Abbr.] II, 8 settembre 1730, pp. 581-585; vd. anche
Schou VI, 13 maggio 1776, pp. 179-180) e, di quello del grano danese alla Norvegia
sud-orientale (cfr. nota 46). Il primo fu eliminato nel 1745 (Schou III, 29 marzo 1745,
p. 609), il secondo nel 1788 (Schou IX, 6 giugno 1788, pp. 450-456).
166
 Del resto già l’Atto di navigazione inglese (An Act for Increase of Shipping, and
Encouragement of the Navigation of this Nation: Thursday, the ninth of October 1651
[...], London 1651), mirante in primo luogo a sottrarre spazi commerciali agli Olan-
desi aveva avvantaggiato i naviganti norvegesi che trasportavano soprattutto legname.
167
 Di qui nasce l’industria norvegese in questo settore, a partire dalla vetreria Nøste-
tangen fondata a Hokksund (regione di Drammen) nel 1741 e dalla Hadeland Glassverk
(in Oppland) del 1762. Nel 1760 fu introdotto nei due Paesi il divieto di importare vetro
dall’estero (Schou [Abbr.] IV, 25 marzo 1760, pp. 613-615). Nel Settecento sorgono
altre importanti industrie norvegesi come la Mandals (fondata nel 1775 a Mandal in Vest
Agder) che inizialmente produceva cordami e successivamente tubi e la Friele (fondata
nel 1799 presso Bergen) per la lavorazione del caffè; cfr. p. 663, nota 599.

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I princìpi della modernità 717

La gran parte della popolazione norvegese (più del 90%) resta-


va però costituita da contadini (proprietari, affittuari o braccianti)168
e pescatori che magari possedevano anche un piccolo pezzo di
terra e qualche animale (dal punto di vista dell’amministrazione
essi erano in sostanza parificati ai contadini). La lunga serie delle
guerre aveva colpito duramente queste persone e le proteste contro
la gravosa pressione fiscale si erano ripetute, alla fine senza sostan-
ziali successi. E non erano stati rari i casi in cui i funzionari del
Regno (fogder o futer)169 avevano agito con disonestà e prevarica-
zione nei confronti della popolazione rurale. D’altro canto le antiche
assemblee locali, seppure venissero ancora convocate, erano ormai
solo il luogo in cui, senza possibilità di discussione, erano comuni-
cate le decisioni (non di rado relative a nuove imposte) assunte
dall’alto. Il mondo contadino norvegese non conobbe nel XVIII
secolo una riforma agraria parallela a quelle attuate in Danimarca
e in Svezia. Tuttavia ci furono anche in questo settore importanti
cambiamenti. Innanzitutto dopo il 1660 c’era stata una precisa
ricognizione di tutti i terreni agricoli e si era riorganizzata la loro
tassazione. Inoltre i problemi derivanti dalla grave situazione finan-
ziaria della Corona (le imposte non bastavano a sostenere i costi
delle guerre né a riempire le casse dello Stato), avevano fatto sì che
dovessero essere alienati molti beni:170 se da principio essi furono
acquisiti soprattutto da nobili o da alti funzionari, col tempo anche
una parte dei contadini ebbe la possibilità di divenire proprietaria
del podere in cui viveva (anche perché decreti reali favorivano la
vendita dei terreni a chi li lavorava). Questo fatto, legato all’intro-
duzione di nuovi strumenti e tecniche di lavorazione (e poi anche
di nuove colture come quella della patata)171 favorì il progresso

168
 Costoro erano detti husmenn (sing. husmann) e la loro condizione corrisponde-
va grosso modo a quella dei torpare svedesi (cfr. nota 136). Divennero molto numero-
si tra il XVII secolo e la prima metà del XIX. Un’altra categoria di persone che viveva
presso un podere altrui erano i cosiddetti innerster (sing. innerst), in sostanza persone
che prendevano in affitto un alloggio. Per lo più (tranne qualche caso) costoro si
trovavano in una situazione sociale ancor più svantaggiata rispetto ai husmenn. Nella
condizione di queste persone vi erano tuttavia localmente delle differenze. Vd. Skappel
1979. Si tenga dunque ben presente che anche in Norvegia, nonostante gli effettivi
progressi, persisteva una larga fascia di indigenti: sulla loro situazione e sui provvedi-
menti assunti si rimanda a OAF [Dyrvik S.], pp. 109-184.
169
 Vd. p. 360 con nota 134.
170
 La situazione economica era talmente grave che furono messe in vendita non
soltanto fattorie ma anche chiese con i relativi possedimenti.
171
 La coltivazione di questo ortaggio, la cui diffusione fu in diversi Paesi (tra cui la
Francia) ostacolata da false informazioni e pregiudizi, avvenne nel Nord piuttosto
tardi. In Svezia, come si è visto, essa fu promossa da Jonas Alströmer (vd. sopra, nota

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718 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

dell’agricoltura, anche per la diretta partecipazione di ecclesiastici


e amministratori che si dimostrarono assai interessati al miglior
rendimento delle terre da loro possedute. Né mancarono coloro
che si dedicarono alla redazione di manuali indirizzati ai coltivato-
ri.172 Non va qui dimenticato che a partire dal XVI secolo si era
proceduto al recupero di vecchie fattorie abbandonate e alla rea-
lizzazione di nuove e che, parallelamente, si era avuto un notevole
incremento demografico: una situazione che pare stabilizzarsi tra
il XVII e il XVIII secolo, con una crescita più contenuta ma sostan-
zialmente continua. Sicché, in definitiva, anche da questo settore
venne un contributo alla crescita economica del Paese, uno svilup-
po che si constata soprattutto verso la fine del Settecento. Seppure
non vada dimenticato che il malcontento contadino (indirizzato in
primo luogo contro le troppe tasse, i privilegi dei commercianti e
gli abusi degli amministratori) diede origine anche in questo perio-
do ad aspri conflitti.173 Qui si vuole ricordare la lotta capeggiata da
Kristian Lofthus (1750-1797) che tra il 1786 e il 1787 si fece por-
tavoce delle lamentele dei contadini che vedeva pesantemente
svantaggiati sul piano sociale. Alla fine egli fu imprigionato e con-
dannato ai lavori forzati a vita, ma la sua figura sarebbe ben presto
divenuta un simbolo.174 Nonostante persistenti difficoltà, il ceto

129), benché si sappia che già in precedenza Olof Rudbeck (vd. pp. 582-584 e pp.
630-631) ne aveva coltivato alcune piante nel Giardino botanico di Uppsala. In Dani-
marca e in Norvegia la patata divenne comune a partire dalla metà del XVIII secolo,
quando molti amministratori ed ecclesiastici, i cosiddetti ‘preti delle patate’, ne
sostennero l’utilità: tra costoro si ricordano il danese Jacob Kofoed Trojel (1736-1812)
cui si deve il manuale dal titolo Trattato sulla coltivazione e l’impiego delle patate
(Afhandling om Kartoflers Avl og Brug, 1772), distribuito gratuitamente nei territori
dei due Regni, e il norvegese Peder Harboe Hertzberg (1728-1802) autore di un bre-
ve scritto dal titolo Informazioni per i contadini di Norvegia, su [come] piantare e colti-
vare l’utilissimo prodotto della terra patata, proposto dall’esperienza personale (Under-
retning for Bønder i Norge, om den meget nyttige Jord-Frugt Potatos: at plante og bruge,
af egen Erfarenhed forestillet, 1774). Vd. Brandt N., Potetprester, Oslo 1973.
172
Cfr. nota precedente. Va inoltre ricordato qui l’ecclesiastico Christian Teilman
(1743-1821), che fondò una scuola di frutticultura e fu autore di un Insegnamento alle
scuole norvegesi di frutticultura per l’impianto e la cura (Anviisning til Norske Frugt-
træskoler at anlægge og vedligeholde, 1797) basato, come egli afferma, su venticinque
anni di esperienza diretta e pubblicato a proprie spese.
173
Va qui menzionata la sommossa contadina (nota come Strilekrigen) scoppiata
nel 1765 nella zona di Bergen contro l’imposizione di una tassa straordinaria.
174
Sulla sua vicenda scriverà in seguito un celebre autore norvegese come Henrik
Wergeland (vd. pp. 930-931) che gli dedicherà lo scritto dal titolo Il portavoce del
popolo C.J.L. (Almuetalsmanden Christian Jensen Lofthus samt almue-urolighederne i
1786 og 87 i Nedenæs Amt, in HWSS IV: iv, pp. 1-150); vd. Sverdrup G., Lofthu-
sbevægelsen, Kristiania 1917, Bjorvatn Ø., Lofthus-reisinga. Synet på Loft­husreisinga
og bondestriden i slutten av 1700-tallet, Oslo 1962 e anche Rian Ø., “Kristian Lofthus

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I princìpi della modernità 719

contadino sarà dunque coinvolto – non soltanto dal punto di vista


economico! – nel processo di affermazione di una rinnovata ‘iden-
tità nazionale’. In particolare, riferendoci alla rivalutazione del
mondo rurale che caratterizza la seconda metà del Settecento175 va
ricordato qui lo scrittore e filosofo danese Tyge Rothe (1731-1795),
attento tra l’altro a tematiche patriottiche ispirate al passato dei
popoli del Nord, il quale nello scritto dal titolo Su alcune rivendi-
cazioni reciproche della Danimarca e della Norvegia; in occasione del
viaggio del principe ereditario in Norvegia (Om nogle Dannemarks
og Norges Fordringer til hinanden. I Anl. af Kronprindsens Reise til
Norge, 1788), pur ribadendo l’indissolubilità del legame tra i due
Regni, elogia il carattere del popolo norvegese e il suo saldo legame
con la tradizione e individua nel mantenimento dell’antico diritto
allodiale (venuto meno altrove in Scandinavia) il fondamento del-
la peculiarità della cultura di quel Paese.176 Il contadino norvegese
diventa così, in questa prospettiva, un modello ideale, non senza
echi dell’uomo ‘naturale’ di Rousseau (ma anche delle dottrine di
Montesquieu).177
Per tornare a circostanze di carattere più concretamente sociale:
un fattore che avrebbe senza dubbio favorito il progresso del mon-

– fridomskjempar og martyr”, in FNKF, pp. 233-256. Qui pare opportuno anche


segnalare che nel 1781 a Lofthus era stato assegnato il premio della Reale società
norvegese delle scienze di Trondheim (su cui poco più avanti) per le migliorie da lui
apportate al suo podere.
175
 Testimoniata anche dai numerosi scritti in materia (cfr. note 72, 171, 172), come
quello del norvegese Povel Juel (ca.1675-1723; cfr. nota 329) autore di un fortunato
manuale di agricoltura dal titolo Un buon contadino (En god Bonde) uscito nel 1722
ma ripetutamente ripubblicato e tradotto anche in lingua islandese.
176
 Vd. pp. 32-34, dove egli difese questo diritto (minacciato di soppressione da
interessi strettamente economici). A p. 32 si legge: “Ho creduto di capire quali effetti
ha avuto la restrizione del diritto di proprietà autonoma presso di noi (i.e. in Danimar-
ca): ho creduto di capire, quali effetti ha avuto il diritto allodiale in Norvegia; sono
stato spinto a pensare di fondare la grandezza della Norvegia [sulla base] di quel
diritto” (DLO nr. 147). Si veda anche l’elogio del contadino norvegese a p. 93. In testi
precedenti Rothe aveva ripetutamente indicato il “libero contadino” (odelsbonde) come
figura fondamentale nell’antica società nordica. Cfr. nota successiva.
177
 Questa idealizzazione dell’antico mondo rurale scandinavo trova naturalmente
espressione anche in poesia: si ricordi qui il norvegese Hans Bull (1739-1783), autore
del componimento dal titolo Della felicità del contadino per il godimento della libertà
e della proprietà (Om Landmandens Lyksalighed ved Friheds og Eiendoms Nydelse,
1771) nel quale celebra i liberi contadini norvegesi. Il tema sarà assai gradito ai roman-
tici, come mostra fra l’altro la poesia di Erik Gustaf Geijer (su cui vd. p. 923 con nota
273) dal titolo Il libero contadino (Odalbonden, 1811; in Dikter, Under redaktion av
C. och L. Burman och med inledning av T. Segerstedt, Lund 1999, pp. 12-15). Ma tra
la realtà e la sua idealizzazione c’era naturalmente molta distanza: vd. Rian Ø., “Den
frie og stolte norske bonden. Myter og realiteter”, in LØN, pp. 117-159.

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720 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

do contadino (e dunque, più in generale, della nazione) fu la pro-


gressiva diffusione della scolarizzazione. Come si è accennato in
precedenza, l’autorità reale a Copenaghen non aveva dimenticato i
sudditi norvegesi quando si trattava di legiferare a riguardo dell’istru-
zione. Tuttavia l’intento era in primo luogo quello di far appren-
dere ai bambini (magari a memoria) i fondamenti del luteranesimo,
ma talune disposizioni (come quelle sulla partecipazione obbliga-
toria degli scolari alle funzioni con l’assistenza degli insegnanti,
prevista nel cosiddetto Rituale ecclesiastico per la Danimarca e la
Norvegia – Danmarks og Norgis Kirke-Ritual)178 erano ottemperate
qui in modo assai superficiale, in primo luogo perché ci si riferiva
alle scuole di città presenti nel Paese in numero limitato. Una vera
e propria alfabetizzazione restava dunque da strutturare e rispetto
alla popolazione danese quella norvegese restava, da questo punto
di vista, in ritardo.179 Il primo vero ordinamento scolastico norve-
gese fu di fatto emanato solo nel 1739.180 Sebbene esso resti legato
alle finalità dell’insegnamento religioso (venne del resto promulga-
to tre anni dopo l’introduzione dell’obbligo della cresima),181 va
tuttavia sottolineato come in esso per la prima volta si disponga
che in tutto il Paese i bambini (dai sette anni e – fattore di grande
importanza – senza distinzione di classe) debbano frequentare la
scuola per un quinquennio. Tenuto conto che la popolazione rura-
le norvegese era sparsa sul territorio ci furono nel Paese, accanto
alle scuole collocate in edifici specifici, ‘maestri ambulanti’ che si
spostavano da un luogo all’altro per raggiungere tutti gli allievi. Non
va però dimenticato che la lingua dei libri scolastici restava il danese
e che dunque – almeno da questo punto di vista –
gli scolari norvegesi si trovarono ancora una volta in posizione
svantaggiata.
Nel quadro generale delineato dai diversi elementi di rinnova-
mento cui qui si è fatto cenno, si sviluppò dunque in Norvegia un
178
Questa raccolta di norme (in pieno spirito assolutistico) fu emessa il 25 luglio
1685 con lo scopo di uniformare la vita religiosa sulla base di regole dettagliate. La
disposizione cui qui si fa riferimento si trova nel cap. I, art. 1 (fonte in EF, p. 475). Fin
dal 2 luglio 1607 era stata emessa l’Ordinanza ecclesiastica per la Norvegia (cfr. p. 638,
nota 506) che elencava precise norme comportamentali in materia religiosa (vd. in
particolare pp. 463-482). Nella Legge norvegese emanata da Cristiano V (vd. pp. 550-
551, con nota 96) era ribadito che i pastori e i diaconi (che avevano anche l’incarico
di dirigere il coro durante le funzioni) avevano l’obbligo di istruire i bambini una
volta alla settimana (II, 6, § 1 e II, 15, § 2).
179
Vd. Markussen 2005 (C.9.2), p. 1373.
180
Vd. sopra, nota 36. Uno degli ispiratori della riforma fu Erik Pontoppidan (su
cui vd. sopra, nota 39).
181
Vd. sopra, pp. 684-685 con nota 31.

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I princìpi della modernità 721

crescente sentimento di rivendicazione della identità nazionale,


particolarmente forte nell’ambito della borghesia, che si tradusse
anche in richieste concrete come la creazione di una banca e di una
università proprie.182 Istanze che – seppure sgradite al governo
centrale – avrebbero trovato concreta attuazione nel giro di pochi
decenni.183 Dal punto di vista più strettamente culturale è doveroso
ricordare qui la fondazione (1760) della Società di Trondheim (Det
trondhjemske Selskab), che dal 1767 si sarebbe rinominata Reale
società norvegese delle scienze (Det Kongelige Norske Videnskabers
Selskab), sorta con lo scopo di portare avanti studi di carattere
storico, naturalistico ed economico riguardanti il Paese. Sebbene
due dei suoi fondatori fossero in realtà danesi,184 questa istituzione
diede un notevole contributo non soltanto a queste discipline ma
anche alla rinascita di una letteratura ‘autenticamente norvegese’.
Di stampo per qualche verso anche goliardico fu la Società lettera-
ria norvegese (Det Norske Litteraire Selskab) sorta a Copenaghen
nel 1772 per iniziativa di studenti norvegesi residenti in quella città185
e ampliatasi fino a contare circa centoventi membri.186 Per quanto
recentemente se ne sia definitivamente respinta l’immagine tradi-
zionale che ne faceva un circolo di patrioti ardenti e nostalgici,187 è
un fatto che i diversi scritti dei suoi aderenti ispirati alla sublime
natura del Paese natìo e al fiero carattere dei suoi abitanti avrebbe-
182
La prima proposta della istituzione di una università norvegese era venuta dal
vescovo di Trondheim Johan Ernst Gunnerus (cfr. nota 184) ma fra coloro che più si
adoperarono in questo senso vi furono anche Ove Gjerløw Meyer (1742-1790), uno
dei fondatori della Società letteraria norvegese (su cui vedi poco più avanti), da lui
presieduta per diversi anni, e Bernt Anker (1746-1805), appartenente a una delle più
importanti famiglie norvegesi (su di lui vd. Rian Ø., “Bernt Anker – den aristokratiske
kjøpmannen”, in FNKF, pp. 209-232; cfr. nota 690 e nota 795). Sulla banca norvegese
vd. p. 671, nota 629.
183
Vd. pp. 901-902.
184
Si trattava di Peder Frederik Suhm e Gerhard Schøning (vd. pp. 792-793 e p.
933, nota 331). Il terzo era il vescovo di Trondheim Johan Ernst Gunnerus (1718-1773),
umanista e amante delle scienze naturali i cui studi di botanica furono apprezzati anche
da Linneo (su cui vd. pp. 779-782). Su questa istituzione vd. Midbøe H., Det Kongelige
Norske Videnskabers Selskabs historie 1760-1960, I-II, Trondheim 1960.
185
Va qui ricordato che gli studenti norvegesi iscritti all’Università di Copenaghen
avevano costituito fin dal 1611 il cosiddetto Collegio norvegese (Det Norske Kollegium),
un’associazione che per certi versi anticipa la Società letteraria norvegese. Vd. Winsnes
A.H., Det Norske selskab 1772-1812, Kristiania 1924.
186
Essi si riunivano presso il Caffè (Kaffehuset) gestito da Madame Juel in Læder-
stræde e dal 1774 in un locale, tuttora funzionante, che dal nome di uno di loro (il
poeta Johan Herman Wessel di cui poco oltre) è divenuto noto come “Osteria di
Wessel” (Wessels Kro) in Sværtegade.
187
Vd. Bliksrud L., “Norsk grålysning eller europeisk aftenrøde? Patriotisme i
Norske Selskab i København”, in Kults skriftserie, LXXXVIII (1997), pp. 185-201.

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722 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

ro contribuito a ‘costruirne’ una immagine cui avrebbero presto


fatto riferimento sia il romanticismo sia il patriottismo ottocentesco.
In ciò resta dunque, in prospettiva nazionalistica, il merito princi-
pale di questa istituzione che, diversamente, si dimostrò incapace
di realizzare l’ambizioso programma letterario che si era prefisso
(ispirato ai classici ma orientato altresì ai modelli francesi e inglesi in
voluta opposizione all’influsso letterario tedesco) se non nell’opera
di pochi autori come Johan Nordahl Brun (1745-1816), più tardi
vescovo di Bergen188 e Johan Herman Wessel (1742-1785)189 o, in
particolare dal punto di vista critico, Claus Fasting (1746-1791).190
Non casualmente la Società letteraria norvegese avrebbe cessato di
esistere nel 1813, anno di poco successivo al decreto di fondazione
dell’Università di Oslo (1811)191 e di poco precedente la separazio-
ne della Norvegia dalla Danimarca (1814). Dopo la quale diversi fra
i suoi membri andarono a occupare importanti posizioni all’interno
del nuovo Stato norvegese.192

10.2.4. Calamità naturali e tentativi di ripresa

Non c’è dubbio che i secoli XVII e XVIII siano stati i più
difficili della storia islandese. Dal punto di vista economico l’in-
troduzione del monopolio commerciale danese aveva, come si è

188
Già membro della Reale società norvegese delle scienze, a lui si devono i primi
drammi norvegesi: Zarine (fortemente influenzata dal modello francese della Zaïre di
Voltaire) e, soprattutto, Einer Tambeskielver, segnato da un evidente patriottismo
(entrambe le opere furono pubblicate nel 1772). In quel medesimo periodo scriveva
anche il componimento Brindisi per la Norvegia (Norges Skaal) che inizia con il celebre
verso “Per la Norvegia, Patria di Eroi, Vogliamo vuotare questo Calice” (For Norge,
Kjæmpers Fødeland,/ Vi denne Skaal vil tømme), un testo che però non ottenne il
consenso per la stampa: ciò nonostante (forse anche per questo) fu presto assai diffu-
so e divenne una sorta di inno nazionale (su di esso e sulla musica che lo accompagnò
vd. Berulfsen Bj., For Norge, Kiæmpers Fødeland. Om en komposisjon og konfiskasjon,
Oslo 1965). Pur tuttavia Brun considerava un valore irrinunciabile la fedeltà alla
Corona danese. Su di lui vd. Marthinussen K. – Bing J. et al., Johan Nordahl Brun.
Presten, poeten, politikeren, Bergen 1945 e Rian Ø., “Johan Nordal Brun – ‘min norske
vinter er så vakker’, in FNKF, pp. 282-303.
189
Celebre soprattutto per l’opera teatrale in alessandrini Amore senza calze (Kjær-
lighed uden Strømper, 1772) nella quale parodiava la tragedia neoclassica di gusto
francesizzante.
190
Cfr. p. 808, p. 821 e p. 842.
191
Vd. p. 902 con nota 168.
192
Una nuova Società norvegese (Norske selskab), fondata a Cristiania nel 1818 per
iniziativa di alcuni membri della precedente e tuttora esistente, divenne una sorta di
club riservato alle personalità più prestigiose del mondo culturale norvegese.

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I princìpi della modernità 723

visto, determinato una gravissima situazione193 e l’istituzione in


Danimarca dell’assolutismo regio non fece che aggravare lo stato
di sottomissione della lontana colonia. Basti ricordare che nel
1662 l’assenso degli Islandesi al nuovo ordinamento fu ottenuto
in tutta fretta e solo ricorrendo a minacce neppur troppo velate;194
da allora il vecchio accordo del 1262, il cosiddetto “Antico trat-
tato” (Gamli sáttmáli)195 che (con i dovuti emendamenti) era per
secoli rimasto in vigore nel Paese, fu abolito. E se fin da allora
l’autonomia legislativa degli Islandesi aveva subito una notevole
limitazione essa veniva ora del tutto negata: l’Alþingi, antica e
prestigiosa assemblea, fu ridotta a svolgere esclusivamente fun-
zioni giudiziarie.196
A ciò dovevano purtroppo aggiungersi altre avversità. Fin dagli
ultimi decenni del XVII secolo il clima aveva subito, come si è
detto, un deciso peggioramento197 e le condizioni della maggior
parte della popolazione si erano fatte assolutamente precarie, al
punto che la fame era divenuta una causa comune di mortalità (con
un picco nel 1702) con migliaia di decessi. Di fronte a questo stato
di cose e rispondendo a richieste che non potevano più rimanere
inascoltate, il re Federico IV, da pochi anni salito al trono, decise
di intervenire. Egli nominò dei commissari che avrebbero dovuto
verificare la situazione del Paese.198 Gli incaricati del sovrano erano
due islandesi che nutrivano un profondo amore per la propria patria
e che svolsero il loro mandato con competenza e senso di respon-
sabilità. Si trattava dell’antiquario Árni Magnússon199 e del giurista
Páll Vídalín (1667-1727): essi fecero un censimento degli abitanti
e delle proprietà terriere e si adoperarono per migliorare la condi-
zione della popolazione, cercando di contrastare i ripetuti soprusi
da parte dei commercianti danesi e dei funzionari governativi.
Questo intervento (i lavori della commissione durarono una doz-
zina d’anni) avrebbe dunque potuto produrre effetti assai positivi,
ma il destino aveva in serbo nuove catastrofi. Tra il 1707 e il 1709
si diffuse nell’isola una terribile epidemia di vaiolo che uccise un
193
Vd. sopra pp. 551-552.
194
Vd. p. 553.
195
Vd. pp. 383-384.
196
E tuttavia dovendo dipendere, in ultima istanza, dalla Corte suprema danese.
197
È ricordato che nell’inverno del 1695 i lastroni di ghiaccio formatisi sul mare
furono particolarmente spessi e compatti: dal nord essi furono spinti a est e poi a sud
e di fatto accerchiarono tutta l’isola fino all’estate.
198
Vd. LFI I, 22 ottobre 1701, p. 562; 15 aprile 1702, pp. 577-580 e 22 maggio 1702,
pp. 582-583 e pp. 584-592.
199
Vd. pp. 587-588.

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724 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

terzo degli abitanti,200 tra il 1752 e il 1759 imperversò la carestia e


nel 1760 il Paese fu colpito dalla peste bovina; oltre a ciò si verifica-
rono ripetute scosse simiche201 e – soprattutto – si ebbero disastrose
eruzioni vulcaniche.202 Nel 1727 il più grande vulcano d’Islanda
l’Öræfajökull (regione meridionale), entrò in attività dopo ben 365
anni con conseguente distruzione di numerose fattorie, morte di
uomini e capi di bestiame;203 nel 1755 fu la volta del vulcano Katla
e tra il 1766 e il 1768 del vulcano Hekla (entrambi nel sud del
Paese). Ma la più terribile sciagura di tutta la storia islandese dove-
va ancora verificarsi. L’8 giugno del 1783, domenica di Pentecoste,
dopo una serie di terremoti, i crateri del vulcano Laki (a ovest
dell’enorme ghiacciaio che ha nome Vatnajökull) cominciarono a
eruttare con eccezionale violenza. Da subito si comprese che que-
sta eruzione, rimasta nella memoria degli Islandesi con il nome di
Skaftáreldar,204 avrebbe prodotto effetti drammatici. E fu così:
uomini e animali, presto intossicati dai gas velenosi, trovarono la
morte, le fattorie vennero divorate dalla lava, il terreno si ricoprì
di lapilli e ceneri, il cielo si oscurò e il sole praticamente scompar-
ve. Presto cominciò a scarseggiare il cibo, la gente fuggiva disorien-
tata e in preda al terrore senza sapere dove cercare aiuto e riparo.
Ci furono episodi di sciacallaggio. Già colpiti da una lunga serie di
200
Il censimento del 1703 ne aveva contato poco più di 50.000 che si ridussero a
circa 34.000. Un’altra epidemia di vaiolo si diffuse tra il 1785 e il 1787, vd. oltre, p. 726.
201
 Come noto l’Islanda è un territorio soggetto a forte rischio sismico e terremoti
di diversa intensità si sono succeduti nel tempo. Nel XVIII secolo essi furono partico-
larmente frequenti e causarono la morte di diverse persone e la distruzione di nume-
rose fattorie. I più disastrosi furono registrati nelle zone sud-occidentali: nel 1706 nel
territorio di Ölfus; nel 1732 nel territorio di Rangárvellir; nel 1734 nel territorio di Flói
e nel 1784 nel territorio di Holt, Skeið, Biskupstungur e Flói: quest’ultima serie di
terremoti fece anche crollare tutte le case, ma non la chiesa, nell’area di Skálholt; in
ogni caso in seguito a questo evento il vescovo Hannes Finnsson (1739-1796) dovette
trasferire la propria sede a Reykjavík; cfr. p. 731 con nota 234. Oltretutto gli effetti
devastanti di questo sisma si combinarono con quelli della terribile eruzione vulcanica
del 1783 (su cui si veda poco oltre). Un altro terremoto di notevole intensità ebbe
luogo nella regione settentrionale (Norðurland) nel 1755, colpendo soprattutto il
territorio circostante la località di Húsavík e lo Skagafjörður. Il numero limitato di
vittime provocate da questi eventi va naturalmente messo in relazione con la scarsa
densità abitativa.
202
 Nel XVIII secolo ci furono in Islanda una ventina di eruzioni vulcaniche: qui si
citano solo quelle più imponenti e devastanti.
203
 Questo vulcano ha avuto in epoca storica solo due eruzioni: la prima, avvenuta
nel 1362, ebbe a sua volta effetti rovinosi (cfr. p. 389).
204
 Letteralmente “Fuochi di Skaftár”; Skaftár è un fiume che scorre nella zona
occidentale del territorio di Skaftafellsýsla il cui corso segna per buona parte il cam-
mino della lava. Vd. Guðlaugsson G.Á. – Guðbergsson G.M. et al. (ritnefnd), Skaftár­
eldar, Reykjavík 1984.

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I princìpi della modernità 725

sciagure gli Islandesi si trovarono inermi di fronte alla violenza


della natura. I racconti dei testimoni oculari di questo disastro
disegnano uno scenario apocalittico.205 La lava si diramò in tre
direzioni principali, una delle quali puntò verso l’abitato di
Kirkjubæjarklaustur che fu raggiunto il 20 giugno: nella chiesa il
pastore Jón Steingrímsson (1728-1791), che considerava questa
eruzione un segno dell’ira divina (si leggano le sue parole), stava
dicendo la messa. La tradizione vuole che il fervore delle sue pre-
ghiere abbia fermato miracolosamente la lava nel punto da essa
raggiunto all’inizio della celebrazione, all’incirca a 2 km. dalla
chiesa.206 Per questo fatto Jón Steingrímsson è ricordato come
“prete del fuoco” (eldprestur o eldklerkur).207 La disastrosa eruzio-
ne andò avanti per molti mesi con brevi intervalli e si esaurì solo il
7 febbraio dell’anno successivo. Effetti importanti si ebbero natu-
ralmente anche nel continente europeo e nel Nord-America rag-
giunti dalla nube vulcanica (le cui componenti tossiche provoca-
rono la morte di diverse persone) e persino in Asia e Nord-Africa.
Il clima subì cambiamenti drammatici con un’estate segnata da
violentissimi temporali e ripetute grandinate e un inverno rigidis-
simo il che provocò distruzione di raccolti, morie di bestiame e
carestie. Tutto ciò si protrasse per alcuni anni ed è opinione ormai
affermata che la grave crisi economica cagionata da questo evento
sia tra le cause dello scoppio, nel 1789, della rivoluzione francese.208
Quando finalmente la furia del vulcano si esaurì la lava aveva
coperto un’area di circa 580 km. quadrati nella zona meridionale
205
 Tra costoro Jón Steingrímsson (sul quale vd. poco più avanti) che descrisse gli
eventi in un resoconto noto come “Scritto del fuoco” (Eldritið). Questo testo si può
leggere in traduzione inglese (Jón Steingrímsson, Fires of the earth. The Laki eruption
1783-1784, Reykjavík 1998).
206
 Qui pare opportuno ricordare che il ‘miracolo’ di Jón Steingrímsson avvenne
in un luogo (anticamente noto come Kirkjubær) considerato dalla tradizione islande-
se un centro ‘privilegiato’ della religione cristiana (cfr. p. 262 e il testo riportato a p.
268).
207
 Allo stesso modo la messa che egli stava celebrando è nota come “messa del
fuoco” (eldmessa). Vd. Bjarnason B., “Eldpresturinn”. Líf og störf Síra Jóns Steingríms-
sonar (1728-1791), Reykjavík 1987 e anche “Jón Steingrímsson, eldprestur”, in BR, pp.
61-74.
208
 Sugli effetti climatici dell’eruzione del 1783-1784 vd., tra l’altro, Thordarson
Th. – Self S., “Atmospheric and environmental effects of the 1783-1784 Laki eruption.
A review and reassessment”, in Journal of Geophysical Research, CVIII (NO. D1, 4011),
2003, pp. AAC 7-1 – 7-29. Più in generale vd. anche Brayshay M. – Grattan J., “Envir­
onmental and social responses in Europe to the 1783 eruption of the Laki fissure
volcano in Iceland: a consideration of contemporary documentary evidence”, in Firth
C.R. – McGuire W.J. (eds.) Volcanoes in the Quaternary, London 1999 (Geological
Society Special Publication No. 161), pp. 173-187.

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726 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

del Paese, ma in tutta l’isola si erano sparsi i gas tossici che aveva-
no avvelenato l’aria e le ceneri vulcaniche che avevano ricoperto i
pascoli e i campi di fieno; gran parte degli animali che erano soprav-
vissuti alle esalazioni letali moriva ora per mancanza di cibo. E per
mancanza di cibo morivano gli uomini. Le autorità inviarono aiuti
e generi alimentari, ma i trasporti erano difficili ed era problema-
tico raggiungere coloro che abitavano nelle zone più isolate e
impervie. E al disastro nuovi disastri si aggiunsero con i terremoti
del 1784,209 l’epidemia di vaiolo del 1785-1787, i rigidissimi inver-
ni degli anni ’80 e ’90. Negli anni tra il 1783 e il 1788 la popolazio-
ne islandese si ridusse di circa un quinto (per diverso tempo il
tasso di mortalità superò abbondantemente quello di natalità),
mentre parallelamente il numero dei capi di bestiame si riduceva
della metà (gli ovini addirittura del 75% circa).210
Eppure in questo quadro dalle tinte così fosche è possibile indi-
viduare qualche segnale positivo. È probabile che il susseguirsi di
tante sciagure abbia suscitato una maggiore attenzione verso questa
terra martoriata e dato impulso a studi e ricerche (per altro, come
si è visto, già avviati nel XVII secolo)211 volti a valorizzare il patri-
monio culturale islandese ma anche a portare un contributo con-
creto allo sviluppo economico e sociale dell’isola. Già nel 1752 il
re danese aveva dato un nuovo incarico a due giovani islandesi,
allora iscritti all’Università di Copenaghen, per compiere una rico-
gnizione nel loro Paese al fine di verificarne le risorse naturali e
culturali. Si trattava di Eggert Oláfsson (1727-1768)212 e Bjarni
Pálsson (1719-1779)213 i quali, animati da convinto spirito illumi-
nistico, affrontarono questo viaggio (durato sei anni) con intenti
scientifici: a esempio scalarono i vulcani Hekla (1750) e Snæfells­
jökull (1753), sfidando la tradizione popolare che li considerava

209
Vd. nota 201.
210
Vd. Júlíusson – Ísberg 2005 (B.3), pp. 174-177. Come è facilmente intuibile
tutte queste sciagure aggravarono la situazione di miseria in cui si trovavano molti
Islandesi: sullo stato di povertà nell’isola e i provvedimenti assunti al riguardo nel
XVIII secolo si rimanda a OAF [Gunnlaugsson G.Á.], pp. 185-215.
211
Il riferimento è, in primo luogo ad Arngrímur Jónsson (vd. pp. 594-595).
212
Vd. oltre, p. 823 e p. 839.
213
Dopo aver studiato scienze naturali e medicina Bjarni Pálsson divenne, a parti-
re dal 1760, il primo “medico generale d’Islanda” (landlæknir), in sostanza il respon-
sabile della sanità nel Paese. Vd. “Bjarni Pálsson, landlæknir”, in BR, pp. 49-52. Il
primo islandese ad avere il titolo di farmacista (1772) fu tale Björn Jónsson (1738-1798)
che aveva studiato a Copenaghen e che collaborò con Bjarni Pálsson. Egli si dedicò
anche alla coltivazione di molte piante alimentari (patata, cavoli, rape, cipolle, cereali)
e fu il primo islandese a dedicarsi alla silvicoltura.

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I princìpi della modernità 727

infestati da spiriti maligni e porte di ingresso dell’inferno.214 Il


resoconto della loro esperienza fu in seguito redatto da Eggert
Oláfsson e pubblicato in lingua danese col titolo Viaggio attraverso
l’Islanda (Reise igiennem Island, 1772), un testo fortunato che
conobbe traduzioni in tedesco, inglese e francese e che resta una
fonte di primaria importanza per la conoscenza del mondo islan-
dese nel XVIII secolo.215 Alla seconda metà del quale risalgono del
resto altri scritti dettati dal crescente interesse per i diversi aspetti
della vita del Paese: così l’Introduzione storica all’antica e nuova
procedura giudiziaria in Islanda (Historisk Indledning til den gamle
og nye Islandske Rættergang) del funzionario governativo ma anche
studioso e bibliofilo Jón Árnason (1727-1777) pubblicata a Cope-
naghen nel 1762 a cura di Jón Eiríksson (del quale poco più avan-
ti); il trattato sulla rinascita dell’Islanda redatto da Páll Vídalín,
sopra menzionato;216 la monumentale Storia ecclesiastica d’Islanda
(Historia Ecclesiastica Islandiæ, 1772-1778) scritta in latino dal
vescovo di Skálholt Finnur Jónsson (1704-1789); il Viaggio econo-
mico nelle regioni nord-occidentali, settentrionali e nord-orientali
dell’Islanda (Oeconomisk Reise igiennem de nordvestlige, nordlige,
og nordostlige Kanter af Island, 1780) di Ólafur Ólafsson (latiniz-
zato in Olavius, 1741-1788) e i saggi scientifici del naturalista e
medico Sveinn Pálsson, che tuttavia per lungo tempo non sareb-
bero stati presi nella dovuta considerazione.217 In questo contesto
oltre a ricordare che nel 1770 il re danese aveva istituito una nuova
commissione per l’Islanda,218 va anche messo in risalto l’operato
214
Cfr. il testo riportato alle pp. 153-154 con note relative.
215
Per l’edizione in lingua islandese occorrerà attendere il 1943 (Ferðabók Eggerts
Ólafssonar og Bjarna Pálssonar um ferðir þeirra á Íslandi árin 1752-1757, samin af Eggert
Ólafssyni, íslenzkað hefur St. Steindórsson frá Hlöðum, Reykjavík 1943).
216
Cfr. p. 723. L’opera, contenuta nel manoscritto Thott 963 fol. conservato presso
la Biblioteca reale (Det kongelige bibliotek) di Copenaghen, fu redatta in latino nel 1699
con il titolo A Dio, al Re e alla Patria (Deo, Regi, Patriæ); il lavoro fu in seguito rielabo-
rato in lingua danese e pubblicato a Sorø a cura di Jón Eiríksson nel 1768 (Udtog af
Vidalins Afhandling om Islands opkomst [...]). Esso è stato tradotto in islandese solo in
tempi recenti: Um viðreisn Íslands – Deo, Regi, Patriæ, 1699-1768, Páll Vídalín samdi
frumgerð 1699, Jón Eiríksson endursamdi, jók og gaf út í Sórey, S. Steindórsson frá
Hlöðum íslenskaði, J. Hafsteinsdóttir bjó til prentunar, Reykjavík 1985.
217
Vd. oltre, p. 777 con nota 426.
218
Vd. LFI III, 20 marzo 1770, pp. 639-640; 27 marzo 1770, pp. 641-642 e 22
maggio 1770, pp. 665-677. Questa commissione presentò una nutrita serie di proposte
per migliorare le condizioni di vita degli isolani: tra queste l’introduzione di nuove
colture (come la patata), un più razionale sfruttamento delle risorse della pesca con
l’utilizzo di migliori attrezzature e il miglioramento delle vie di comunicazione. Si deve
a ciò – almeno – l’introduzione del servizio postale e l’avvio di regolari collegamenti
navali tra Copenaghen e Reykjavík (1776). Sebbene molte delle proposte non trovas-

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728 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

del sopraccitato Jón Eiríksson (1728-1787), letterato, bibliotecario


reale, consigliere e membro del Collegio del Commercio (Kommerce­
kollegiet) al cui interno si occupava delle questioni relative all’Islan-
da, alle Føroyar, alle regioni settentrionali della Norvegia e alla
Groenlandia. Costui, seppure avesse trascorso gran parte della vita
in Danimarca, si dedicò concretamente ai problemi del proprio
Paese da lui trattati anche in una serie di studi (destinati anche alla
salvaguardia della lingua islandese!) buona parte dei quali compar-
vero fra le pubblicazioni della Società islandese delle discipline
erudite (Hið íslenska lærdómslistafélag), fondata a Copenaghen nel
1779,219 alla quale nella sua veste di presidente egli impresse un
‘indirizzo pratico’.220 Per la promozione sociale e culturale dell’Islan-
da diverse iniziative furono dunque intraprese sia dal punto di vista
educativo sia da quello strettamente economico.221
In questo secolo si constata infatti un notevole sviluppo dell’al-
fabetizzazione, legato in gran parte all’attività della Chiesa.222 Nel
1741 era stato inviato nell’isola Ludvig Harboe (1709-1783), più
tardi vescovo di Trondheim e poi della Selandia, con il compito di
verificare la situazione della Chiesa islandese e riorganizzarla, ove
necessario, con particolare riferimento alla catechizzazione. Egli si
trattenne nell’isola per più di quattro anni durante i quali fu riaf-
fermato l’obbligo della cresima223 e fu dato impulso alla scolarizza-
zione. Ludvig Harboe intervenne anche per migliorare le condi-

sero effettiva applicazione, va tuttavia ricordato che la coltura della patata si diffuse
grazie all’impegno dell’ecclesiastico Björn Halldórsson di Sauðlauksdalur (1724-1794),
autore di diversi scritti intesi a diffondere nuove e utili conoscenze in campo agricolo,
il quale aveva cominciato a coltivarla intorno agli anni ’60. Ma si deve qui doverosa-
mente ricordare come fin dal XVII secolo l’amministratore distrettuale (sýslumaður,
vd. p. 387) Gísli Magnússon (1621-1696) soprannominato “Gísli il Saggio” (Vísi-Gísli),
uomo di vasta cultura che aveva studiato e soggiornato all’estero (Danimarca, Olanda
e Inghilterra), avesse sperimentato la coltivazione di nuove piante (a quanto pare anche
la patata) e avesse scritto dotti trattati sull’agricoltura (ma anche sull’attività mineraria).
Su queste figure si rimanda a “Björn Halldórsson í Sauðlauksdal” e “Vísi-Gísli”, in
BR, pp. 53-56 e pp. 29-32 rispettivamente.
219
Vd. p. 824. La rivista pubblicata dalla società (uscita annualmente tra il 1780 e
il 1795) aveva per titolo Scritti della società islandese delle discipline erudite (Rit hins
íslenzka lærdómslistafélags).
220
Su di lui vd. “Jón Eiríksson, konferenzráð”, in BR, pp. 65-68.
221
Tra l’altro furono introdotte nel Paese le renne, con l’intento di fornire agli
allevatori islandesi una ulteriore fonte di reddito. L’esperimento tuttavia non diede i
risultati sperati.
222
Si veda tuttavia anche il decreto reale del 25 giugno 1735 (LFI II, pp. 196-197)
relativo all’esigenza di diffondere la scolarizzazione tra i sudditi islandesi.
223
Cfr. LFI II, pp. 505-508 (Reskript til Biskoppen over Skalholt Stift, ang. Confir-
mationen, 29 maggio 1744 con nota 1 a p. 505 (di rimando a LFI III, pp. 366-371).

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I princìpi della modernità 729

zioni di vita delle persone.224 Tenuto conto che la popolazione


islandese viveva nelle molte fattorie (non di rado isolate) sparse sul
territorio, ci furono qui, come in Norvegia, ‘maestri ambulanti’ che
si trattenevano per un po’ di tempo in una località istruendo (prima
di tutto nella religione) i bambini del circondario. Ma poiché que-
sti poi studiavano a casa (spesso con l’aiuto delle donne di famiglia),
un sistema scolastico vero e proprio si sarebbe sviluppato nel Pae-
se assai lentamente.
Nonostante le molte difficoltà la cultura islandese trovò in que-
sto secolo nuovo impulso anche a livelli più elevati: le “scuole di
latino”225 di Skálholt e Hólar vennero riorganizzate,226 un numero
più che apprezzabile di studiosi ebbe la possibilità di conseguire
all’estero (spesso in Danimarca) un’alta formazione e fu fondata
(1794) la Società nazionale dell’istruzione (Landsuppfræðingarfélagið)
con l’obiettivo di introdurre nuove idee e di dare impulso alla vita
sociale e culturale del Paese. Promotore di questa iniziativa fu, del
resto, Magnús Stephensen (1762-1833), esemplare rappresentante
dell’illuminismo.227
224
Nel suo viaggio in giro per il Paese Ludvig Harboe fu accompagnato da Jón
Þorkelsson (1697-1759, noto anche come Thorcillius o Thorchillius), che gli faceva da
interprete. Jón era stato rettore della scuola di Skálholt ed era molto interessato alla
promozione culturale dei suoi compatrioti. Per questa ragione si era recato a Copena-
ghen a perorare la causa dell’istruzione in Islanda e lì aveva ricevuto l’incarico di
accompagnare Harboe. Successivamente egli si sarebbe stabilito a Copenaghen, dove
morì. Non avendo figli, provvide a che i suoi beni fossero utilizzati per la costruzione
di una scuola per i bambini delle famiglie indigenti. Essa fu realizzata nel 1792 a
Hausastaðir sulla penisola di Álftanes a sud-ovest di Reykjavík ed è considerata la
prima scuola elementare d’Islanda (in funzione fino al 1820) anche se, per la verità,
già in precedenza (1745) era stata aperta una scuola elementare alle Vestmannaeyjar
la cui attività era tuttavia cessata dopo qualche anno. Per altro fin dal 1542 il re Cri-
stiano III aveva emesso un’ordinanza per l’apertura di scuole per i bambini a Þykkvabær,
Skríða e Kirkjubær, precedentemente sedi di conventi (KFAaBI, pp. 236-237, nr. ix).
225
Vd. p. 638, nota 503. Le prime “scuole di latino” in Islanda erano state aperte
per ordine di Cristiano III a Helgafell e Víðey, nelle sedi degli antichi conventi (vd.
KFAaBI I, pp. 234-235, nr. viii, 1542; cfr. tuttavia ibidem, p. 247, nr. xv, stesso anno,
dove la scuola di Víðey viene soppressa e p. 267, nr. xxviii, 1550).
226
Vd. LFI II, 3 maggio 1743, pp. 435-470 (Anordning om de latinske Skoler paa
Island) e LFI II, 10 giugno 1746, pp. 636-640 (Reglement for de tvende latinske Skoler
udi Skalholt og Holum paa Island).
227
Magnús, che era figlio di Ólafur Stephensen (1731-1812), unico islandese a
ricoprire (1790-1806) la carica di governatore generale dell’isola (stiftamtmaður, vd.
p. 553 con nota 110), rilevò la stamperia di Hrappsey nel Breiðafjörður (fondata nel
1773) e la trasferì a Leirárgarðar nel Borgarfjörður. La stamperia di Hrappsey era
stata la prima a produrre in Islanda esclusivamente testi di carattere laico (dal momen-
to che il monopolio sui testi religiosi e scolastici era detenuto dal vescovo di Hólar).
Vd. “Magnús Stephensen, dómstjóri”, in BR, pp. 85-88 e Sigurðsson I., Hugmynda-
heimur Magnúsar Stephensen, Reykjavík 1996.

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Al progresso economico (e all’avvio di qualche forma di industria)


si lega, in particolare, la figura di Skúli Magnússon (1711-1794),
nominato nel 1749 responsabile generale dell’economia e delle
finanze nell’isola (landfógeti). Diversamente dai suoi predecessori,
funzionari danesi che avevano dato prova di ben scarso interesse per
la situazione degli isolani (in molti casi neppure soggiornando in
Islanda o comunque restandovi solo per lo stretto necessario),228 egli
si dimostrò energico e capace, adoperandosi per favorire un concre-
to miglioramento delle condizioni di vita dei suoi compatrioti. Ani-
mato da un convinto spirito illuministico egli si guadagnò il sostegno
del re danese, riuscendo a fondare (1751) la Società azionaria islan-
dese (Hið íslenska hlutafélag),229 grazie alla quale si poté dare l’avvio
a numerose imprese in diversi campi (agricolo, tessile, della lavora-
zione delle pelli, dell’estrazione dello zolfo, della pesca e altri). A
queste iniziative seguì l’introduzione di nuovi strumenti e nuove
tecniche per il lavoro, non da ultimo in agricoltura. E tuttavia non
tutti i progetti di Skúli Magnússon poterono trovare concreta appli-
cazione, soprattutto per l’ostilità dei commercianti danesi.230
Sebbene le nuove attività fossero svolte in diverse zone del Pae-
se, il centro operativo trovò collocazione in una piccola località
dell’Islanda sud-occidentale, sulle rive meridionali della baia detta
Faxaflói, là dove si era stabilito il primo colono, Ingólfr Arnarson,
nel luogo che (verosimilmente a motivo dei vapori che fuoriusci-
vano dalle sorgenti di acqua bollente nei dintorni) ebbe nome
Reykjavík (inizialmente Reykjarvík, letteralmente “Baia dei fumi”).231
Per questa ragione là dove per lungo tempo non c’era stata che una
grande fattoria con qualche casolare intorno, cominciò presto a
svilupparsi un vero e proprio centro abitato che nel 1786 si vide
ufficialmente riconosciuto lo status di città,232 un riconoscimento
228
La sede del governatore di Islanda e dei suoi funzionari si trovava a Bessastaðir
sulla penisola di Álftanes, a sud-ovest di Reykjavík. In quella località esisteva nel XIII
secolo una fattoria appartenente a Snorri Sturluson (vd. p. 287, nota 13); dopo la sua
morte essa era entrata in possesso del re di Norvegia, divenendo in seguito la tradizio-
nale dimora dei rappresentanti dell’autorità straniera nel Paese. Attualmente a Bessa-
staðir ha la propria residenza il presidente della repubblica islandese.
229
L’anno successivo essa ottenne una concessione esclusiva da parte del re e un
notevole sostegno economico ed ebbe da allora un nome danese: Det privilegerte
Islandske Interessentskab (Società concessionaria islandese in nome collettivo).
230
Su di lui vd. “Skúli Magnússon, fógeti”, in BR, pp. 45-48. Queste imprese sono
dette in islandese innréttingarnar.
231
Sull’arrivo di Ingólfr Arnarson in Islanda vd. pp. 147-148; di ciò riferiscono
naturalmente sia il Libro dell’insediamento (Landnámabók, pp. 41-47) sia il Libro degli
Islandesi (Íslendingabók, cap. 1) di Ari Þorgilsson. Vd. anche Jónsson 1929, I, pp. 1-9.
232
Vd. LFI V, 17 novembre 1786, pp. 343-352. Nel giro di un secolo Reykjavík

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I princìpi della modernità 731

certamente dovuto anche al fatto che, come è stato detto in


precedenza,233 in seguito al devastante terremoto che nel 1784
aveva colpito anche Skálholt, il vescovo Hannes Finnsson aveva
trasferito qui la propria sede. Sicché più tardi, quando venne deci-
so, nonostante le proteste degli abitanti dei distretti settentrionali,
di abolire la diocesi di Hólar (1801) l’autorità religiosa sull’intera
isola venne riunita nelle mani di un unico vescovo che aveva ormai
sede definitiva a Reykjavík.234

Nel Settecento islandese si colloca la travagliata storia di un celebre


fuorilegge, Eyvindur Jónsson, noto comunemente come Fjalla-Eyvindur
(“Eyvindur delle montagne”), le cui vicissitudini lo accomunano a leg-
gendarie figure delle saghe quali Gísli Súrsson e Grettir Ásmundarson.235
In realtà la sua vicenda si svolge su un piano per molti versi meno ‘eroico’,
pur tuttavia la sua vita grama e la sua fiera volontà di indipendenza ne
hanno fatto la personificazione dell’uomo solo capace di affrontare una
cruda quotidianità scandita non solo dalla necessità di trovare qualcosa
con cui sfamarsi, un luogo in cui ripararsi dalle intemperie e un rifugio
sicuro per sottrarsi alla cattura, ma anche un momento di quiete per
ritemprarsi e provare a vivere.

A quanto pare Eyvindur Jónsson (nato nel 1714), aveva cominciato fin
da giovane a commettere piccoli furti. In particolare è detto che avesse
rubato del formaggio a una donna: per questo motivo lei gli fece una
fattura per cui non avrebbe più smesso di essere ladro per tutta la vita. È
riferito anche che quando le fu chiesto di ritirare il maleficio ella affermò

vide così quintuplicati i propri abitanti: nel 1703 risulta che vi risiedessero sessanta-
nove persone che lavoravano sei poderi, nel 1786 il loro numero era salito a cento-
sessantasette, mentre nel 1803 se ne contavano trecentosette e la ‘città’ aveva comin-
ciato a enuclearsi attorno alle costruzioni realizzate per le nuove attività
manifatturiere (vd. Karlsson 1995 [C.11.1], p. 37).
233
Vd. sopra, nota 201.
234
L’antica e prestigiosa scuola di Skálholt fu riaperta a Reykjavík, dove fu nota
col nome Hólavallaskóli (da Hólavellir, il luogo in cui sorgeva) e attiva dal 1786. Nel
1801 a essa fu accorpata anche la scuola di Hólar. Ma le condizioni dell’edificio in cui
si svolgeva l’insegnamento erano precarie e fu dunque deciso di provvedere in meri-
to: nel 1804 essa fu chiusa e successivamente (1805) trasferita a Bessastaðir (cfr. nota
228) per tornare a Reykjavík nel 1846. Questa rimase per più di quarant’anni l’unica
scuola superiore islandese. Vd. Jónsson J., “Saga latínuskóla á Íslandi til 1846. III.
Bessastaðaskóli”, in Tímarit Hins íslenzka bókmenntafélags, XIV (1893), pp. 85-97.
235
Vd. p. 313, cfr. p. 213. Nonostante l’ampiezza della narrazione si è voluto qui
dare spazio al racconto relativo alle vicende di questo celebre ‘fuorilegge’, dal momen-
to che esso, oltre a costituire un ‘classico’ della tradizione islandese offre un efficace
spaccato sulla vita nel Paese nel XVIII secolo.

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732 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

che ciò non le era consentito, tuttavia mitigò la sua ‘condanna’ con la
promessa che egli non sarebbe mai stato catturato. Entrambe le cose, in
sostanza, si avverarono per lui.
Nella regione dei fiordi occidentali Eyvindur conobbe una vedova che
viveva insieme ai suoi figli: costei si chiamava Halla Jónsdóttir (non si
conosce la data della sua nascita) ed Eyvindur la sposò. Di lei si dice che
avesse brutte fattezze e brutto carattere, che fosse miscredente e, per di
più, facesse grande uso di tabacco. Eyvindur, al contrario, era di caratte-
re gioviale e intelligente, atletico e pieno di risorse. Ma il tabacco piaceva
molto anche a lui.
Non è chiaro il motivo (forse un infanticidio commesso da Halla)
per cui essi a un certo punto decisero di abbandonare i figli e la fatto-
ria per rifugiarsi sulle montagne. Per molti anni avrebbero vissuto sugli
altipiani, nelle zone più impervie dell’Islanda, procurandosi il cibo con
furti di bestiame e talvolta con imboscate ai viaggiatori, costruendosi
ripari nella montagna e ingegnandosi per vivere alla meglio. I primi tem-
pi furono nel territorio di Hveravellir, caratterizzato da intensa attività
geotermica e particolarmente inospitale.236 Con loro c’erano altri due
fuorilegge, tali Arnes e Abraham. Essi rubavano il bestiame o assalivano
le persone che percorrevano la lunga pista, nota come Kjalvegur, che dal
sud-ovest dell’isola conduce a nord, verso lo Skagafjörður. I ripetuti fur-
ti (soprattutto di ovini) provocarono una ovvia reazione. Essi vennero
dunque ricercati: il loro misero rifugio fu scoperto e distrutto, Halla fu
catturata e trattenuta per un periodo e Abraham fu impiccato dagli abi-
tanti del nord. Tracce della loro presenza in Hveravellir restano visibili
ancor oggi.
Eyvindur e Arnes erano sfuggiti alla cattura ma l’inverno successivo fu
per loro durissimo e poterono nutrirsi solo grazie alla caccia di pernici.
Quando Halla tornò Eyvindur decise per precauzione di trasferirsi e si
spostò a sud-est sotto l’Arnarfellsjökull [Hofsjökull]. Qui si costruirono
un riparo che fu la loro casa per quattro o cinque inverni. Poi ricomincia-
rono con i furti di bestiame e così di nuovo vennero ricercati. È detto che
una volta gli abitanti delle fattorie che erano stati derubati riuscirono a
raggiungere il loro rifugio, cogliendoli quasi di sorpresa, dal momento
che essi erano intenti a dire le devozioni. Tuttavia Eyvindur riuscì ad
afferrare la pentola e qualche utensile e si nascose in una palude; tutti poi
poterono sfuggire dirigendosi verso il ghiacciaio. Gli inseguitori, ammi-
rati dall’abilità di Eyvindur nel costruirsi utili arnesi, fecero piazza pulita
del rifugio, portarono via quanto poterono e diedero il resto alle fiamme.
È probabile che dopo questo episodio Eyvindur, come in qualche altra
occasione, avesse trovato rifugio presso il fratello Jón a Skipholt237 dove

236
Questo territorio si trova tra i due grandi ghiacciai Langjökull e Hofsjökull (si
noti che in lingua islandese jökull significa “ghiacciaio”).
237
Questa località si trova nella zona sud-occidentale dell’Islanda, circa 15 km. a
nord-est di Skálholt.

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I princìpi della modernità 733

avrebbe trascorso l’inverno successivo nascosto insieme a Halla nel magaz-


zino del pesce secco. Dopo di ciò, rifornito da Jón degli utensili indispen-
sabili, tornò verso nord sugli altipiani, questa volta stabilendosi sotto
Sprengisandur238 nella località che da lui ha preso nome Eyvindarver (o
Eyvindarkofaver)239 a est del fiume Þjórsá. Lì si costruì una capanna: in
quel luogo avrebbe trascorso il periodo più lungo della sua latitanza. Ebbe
anche un altro rifugio a est del fiume noto come Eyvindarsandur.240
Sebbene Eyvindur fosse un abile cacciatore e un uomo pieno di risor-
se, alla fine dell’inverno venne talora a trovarsi al limite della sopravvi-
venza. Si narra che una volta, nella settimana precedente la Pasqua, essi
stavano per morire di fame: il mattino di Pasqua Eyvindur disse che
voleva comunque leggere un brano di devozione dalla Postilla di Vídalín241
e che preferiva morire dopo averlo fatto; Halla disse invece che ciò le era
indifferente perché non si sarebbero riempiti la pancia con quella lettura.
Ma quando egli ebbe finito di leggere e stavano recitando il Padrenostro,
sentirono un rumore alla porta: Eyvindur andò ad aprire e videro un
cavallo ben in carne; con quello poterono sfamarsi. È detto tuttavia che
mangiarono la carne cruda perché non avevano nulla con cui accendere
un fuoco.
In seguito Eyvindur sognò che presto sarebbe stato catturato, per
questo spostò il suo rifugio un po’ più a est: ciò tuttavia gli portò sfortu-
na perché fu scoperto dal proprietario del cavallo e catturato insieme a
Halla. Essi furono condotti a nord a Reykjahlíð sulle sponde del lago
Mývatn. Ma in estate Eyvindur riuscì a fuggire dalla chiesa durante la
celebrazione della messa. Fu a lungo cercato, ma con difficoltà, anche
perché sulla zona gravava una nebbia fitta e tenebrosa.242 In realtà si era
nascosto dietro un costone di lava vicino alla chiesa, dove nessuno aveva
pensato di poterlo trovare. Per l’inverno successivo egli se ne andò a
Herðubreiðarlindir243 dove con grande ingegnosità si costruì un riparo
(del quale sono ancora visibili le rovine). E tuttavia non aveva altro da
mangiare se non carne di cavallo cruda (nelle vicinanze non c’erano peco-
re da rubare) e radici di angelica: quello fu per lui l’inverno peggiore.
Successivamente, travestitosi da viandante, riuscì a farsi rivelare da una

238
Con una altitudine media di 700-800 metri s.l.m. Sprengisandur è la più grande
distesa di sabbia vulcanica d’Islanda: essa si trova tra i ghiacciai di Vatnajökull e
Hofsjökull per una larghezza massima di circa 30 km. e una lunghezza di circa 70 km.
239
Ver (n.) significa, tra l’altro, “luogo acquitrinoso ricoperto d’erba”, “prato” “oasi”
(con particolare riferimento alle zone desertiche del Paese), kofi (m., gen. kofa) è
“capanna”. Dunque i toponimi possono essere tradotti con “Oasi di Eyvindur” e “Oasi
della capanna di Eyvindur”.
240
Vale a dire “Sabbia (o “Spiaggia”) di Eyvindur”.
241
Vd. p. 667 con nota 610.
242
È detto che da allora gli abitanti della zona di Mývatn chiamano la nebbia fitta
e tenebrosa “nebbia di Eyvindur” (Eyvindarþoka).
243
Si tratta di una sorta di ‘oasi’ presso il vulcano Herðubreið che si trova a nord-est,
nel mezzo del deserto di lava detto Ódáðahraun sugli altipiani islandesi.

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donna dove fosse stata condotta Halla, la raggiunse e la riportò con sé.
Essi furono per un po’ nelle zone disabitate della valle di Jökuldalur244 e
poi nella landa di Fljótsdalsheiði245 di nuovo vivendo di furti di bestiame:
di nuovo dunque vennero ricercati, ma ancora una volta riuscirono a
sfuggire alla cattura. È detto che nella landa di Fljótsdalsheiði i cavalli
degli inseguitori rimasero impantanati in una palude che da allora è nota
come Eyvindarkelda.246
Si sa che Eyvindur e Halla vissero sugli altipiani d’Islanda per oltre
vent’anni. Quando Eyvindur fu riabilitato ritornò alla vita nella comuni-
tà (a quanto pare nella località dalla quale era fuggito) ed ebbe occasione
di parlare della sua terribile esperienza. Riferì come il periodo migliore
fosse stato quello di Eyvindarver (dove poteva anche cacciare e pescare),
ma anche dei venti ghiacciati che talora sferzano la zona di Sprengisandur
e ai quali può resistere solo un uomo adulto e ben protetto da abiti pesan-
ti. Disse anche che non avrebbe voluto per nessuno la sua sorte e di non
avere un nemico tanto infame da augurargli di vivere nelle lande deserte
dell’Islanda occidentale, ma in quelle dell’Islanda orientale egli avrebbe
volentieri mandato un amico. Fjalla-Eyvindur è ricordato per la sua straor­
dinaria agilità e forza fisica (si racconta che una volta riuscì a sfuggire a
due aggressori saltando oltre un crepaccio) ma anche per l’ingegnosità
con cui si costruiva ripari e utensili per rendere meno disagevole la sua
vita di fuggiasco. Se e quante volte sia stato effettivamente catturato resta
incerto.
Si sa invece che Eyvindur e Halla durante gli anni sulle montagne
ebbero dei figli: una difficoltà supplementare che Halla risolveva
spietatamente. È detto che Eyvindur non poteva essere presente quan-
do ella si sbarazzava di loro. E tuttavia una bambina raggiunse l’età di
due anni: essi avevano deciso di lasciarla vivere ma poi furono sorpre-
si da un gruppo di persone che li ricercavano, così dovettero mettersi
in salvo e non poterono portarla con sé. Halla però ebbe il tempo di
gettarla da una rupe. Eyvindur se la prese molto a male per questo
fatto.
Eyvindur morì, a quanto pare, nel 1784 e Halla poco tempo dopo.
Essi sarebbero stati sepolti in una palude vicino alla fattoria. E tuttavia
alcuni sostengono che Halla non sia morta lì: dicono infatti che quando
si arrese o fu catturata era troppo malandata per essere rinchiusa in una
casa di pena, così ottenne di vivere in una capanna nel distretto di
Mosfellssveit.247 Là ella rimase per un periodo nell’estate. Ma un giorno
d’autunno in cui il sole splendeva luminoso e gradevole nell’aria piace-
volmente fresca, Halla se ne stava seduta fuori sotto la parete della fat-

244
Nell’est del Paese. La fonte qui ripresa (vd. sotto, nota 248) aggiunge che là ci
sono delle montagne che da lui prendono nome (Eyvindarfjöll).
245
È la landa che si stende fra le valli di Jökuldalur e Fljótsdalur.
246
Che significa, appunto, “Palude di Eyvindur”.
247
Territorio a nord-est di Reykjavík ai piedi del monte Esja.

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I princìpi della modernità 735

toria e disse: “È bello adesso sulle montagne.” Quella stessa notte ella
scomparve e non fu ritrovata. Alcuni anni dopo fu scoperto il cadavere
di una donna sui monti con accanto due carcasse di pecora. La gente
pensò che si trattasse del cadavere di Halla la quale aveva voluto fuggire
sulle montagne, ma era morta là, essendo sopraggiunto il maltempo,
subito dopo essere scomparsa.248

10.3. Vecchie e nuove colonie

10.3.1. La ‘conquista finale’ del territorio dei Sami

Tra il Seicento e il Settecento le regioni più settentrionali della


Scandinavia, per lunghissimo tempo abitate quasi esclusivamente
dalle popolazioni semi-nomadi dei Sami, vengono definitivamen-
te (e strutturalmente) inglobate nel territorio dei due regni di
Danimarca-Norvegia da una parte e Svezia-Finlandia dall’altra,
sulla spinta di motivazioni di carattere economico, politico e reli-
gioso.
I Sami (detti nelle fonti più antiche Finni) erano da sempre
stati in contatto (in primo luogo per ragioni commerciali) con le
popolazioni scandinave. Nell’epoca vichinga è ben noto come essi
fossero soggetti all’imposizione di tasse, innanzi tutto (fin dai tem-
pi del re Araldo Bella chioma)249 da parte della Corona norvegese,
e di come il commercio con loro fosse regolato da precise disposi-
zioni di monopolio. I rapporti con queste popolazioni erano dun-
que fonte di consistenti guadagni: di conseguenza – anche a moti-
vo dell’inesistenza di confini chiaramente delineati – le autorità dei
Paesi vicini (Danimarca-Norvegia, Svezia-Finlandia ma anche
Russia) accampavano diritti in proposito. Tuttavia, mentre i Nor-
248
Questo resoconto è basato sulla narrazione delle vicende di Fjalla-Eyvindur che
si trova nella raccolta dei racconti popolari islandesi curata da Jón Árnason (vd. p.
1074 con nota 485): II, pp. 237-245. Alla figura di questo celebre fuorilegge è ispirato
il dramma di Jóhann Sigurjónsson (vd. p. 1085) dal titolo Fjalla-Eyvindur. Dramma in
quattro atti (Fjalla-Eyvindur. Leikrit í fjórum þáttum, 1912), pubblicato l’anno prece-
dente in lingua danese col titolo Eyvindur delle montagne e sua moglie. Dramma in
quattro scene (Bjærg-Ejvind og hans hustru. Skuespil i fire Optrin); esso è stato tradotto
in diverse lingue. Nel 1918 da questa pièce fu tratto un film muto di grande successo
diretto dal regista svedese Victor Sjöström (vd. p. 1192): Eyvindur delle montagne e
sua moglie (Berg-Ejvind och hans hustru).
249
Vd. pp. 142-143.

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vegesi si erano preoccupati innanzi tutto di accedere alle risorse


della pesca e controllare la gestione dei commerci nelle regioni più
settentrionali, gli Svedesi avevano, fin dal XIV secolo, dato inizio
a una vera e propria colonizzazione dei territori sami:250 essa aveva
tuttavia in seguito subito un rallentamento a causa, in primo luogo,
delle gravissime epidemie di peste che provocando lo spopolamen-
to di molte aree avevano determinato una maggiore disponibilità
di terreni (certamente ben più appetibili) nelle zone meridionali.
Ma a partire dal XVI, e soprattutto dal XVII secolo, si manifestò
una rinnovata attenzione nei confronti di quelle regioni, riflessa
nelle diverse riaffermazioni di sovranità, sia da parte svedese sia da
parte dano-norvegese.
Sul versante svedese occorre ricordare il grande interesse dimo-
strato dal re Carlo IX, desideroso di estendere il proprio dominio
fino alle sponde del Mar glaciale artico.251 Interesse che ebbe,
naturalmente, risvolti religiosi e comportò l’invio di ecclesiastici e
la costruzione di chiese, il che significò anche la creazione di ‘cen-
tri stabili’ in una regione dove fino ad allora avevano prevalso gli
insediamenti temporanei.252 Inoltre Carlo IX volle avviare l’istru-
zione del popolo sami e stabilì pertanto (1605) che sedici fra i loro
giovani fossero mandati a Uppsala per studiare e divenire pastori:
una iniziativa che si risolse tuttavia in un sostanziale insuccesso.253
Anche Gustavo II Adolfo (figlio e successore di Carlo IX), assai
attento alla cultura e all’istruzione, si occupò dei territori sami: nel
1631 su sollecitazione di Johan Skytte254 decretò la fondazione

250
Vd. p. 355 con nota 113.
251
Vd. sopra, pp. 558-559.
252
E anche una certa promiscuità tra la popolazione di etnia sami e i coloni, non
da ultimo i funzionari incaricati di riscuotere le tasse per il re, come dimostra un
decreto del 3 dicembre 1603 (Poignant 1872 [Abbr.], nr. 1, pp. 5-6) che proibisce
severamente di ‘comprare’ ragazze sami per avere con loro rapporti sessuali. Ma altri
documenti dimostrano chiaramente anche la volontà di controllare i mercati e i com-
merci locali: si vedano i decreti del novembre 1605 (Poignant 1872, nr. 2, pp. 6-8,
data non ulteriormente specificata) e dell’11 settembre 1607 (Poignant 1872, nr. 3,
pp. 8-9).
253
Al fine di selezionarli e organizzare il loro viaggio era stato incaricato il funzio-
nario Daniel Thordsson Hjort (vd. Nordberg 1973 [Abbr.], nr. 18, pp. 26-29; la
notizia si ricava dalla relazione di Hjort datata 28 aprile 1606 e riportata a p. 29). Daniel
Hjort (morto assassinato nel 1615) è il protagonista della tragedia omonima (1862)
dello scrittore finno-svedese Josef Julius Wecksell (1838-1907): Daniel Hjort. Sorgespel
i fem akter med fyra tablåer af J.J. Wecksell, Första gången uppfördt på Nya Theatern
i Helsingfors den 26 November 1862; och på Kongl. Theatern i Stockholm den 16
Januari 1864, Örebro 1864.
254
Vd. p. 572, nota 191.

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I princìpi della modernità 737

della prima scuola a Lycksele255 che fu aperta l’anno successivo; qui


i primi insegnanti furono sami che erano stati educati a Piteå dove
fin dal 1617, per iniziativa del pastore Nicolaus Andreæ, era stata
avviata una scuola che ogni anno avrebbe dovuto offrire a sei
ragazzi sami la formazione necessaria a divenire pastori.256
Al consolidamento delle strutture volute dai colonizzatori con-
tribuì poi la scoperta di importanti risorse minerarie nel territorio
(innanzi tutto argento),257 un fatto che produsse una inattesa oppor-
tunità di lavoro (soprattutto nel trasporto) per i Sami – spesso
tuttavia duramente sfruttati e maltrattati – ma anche l’incremento
dell’immigrazione.258
A tutto ciò si accompagnò un crescente interesse verso gli aspet-
ti geo-etnografici dell’area, interesse che si esprime nella redazione
di diversi testi, fonti preziose per la conoscenza di un mondo
ancora sostanzialmente ‘intatto’ e saldamente legato alle proprie
tradizioni. Dopo le notizie fornite da Olaus Magnus, che dedica
agli abitanti dell’estremo Nord una parte consistente della sua
Storia dei popoli settentrionali,259 abbiamo tutta una serie di autori
seicenteschi che hanno lasciato opere (o semplici resoconti) di
straordinario interesse. Nomi di spicco sono, fra gli altri, quelli
di Olaus Petri Niurenius, Samuel Rheen, Johannes Tornæus e,
soprattutto, Johannes Schefferus. Olaus Petri Niurenius (1580-
1645), pastore a Umeå attivo fra i Sami per ben ventisei anni e
promotore della scuola di Lycksele, ha lasciato una descrizione
della vita di questa popolazione nella zona da lui frequentata, un
testo in latino nel quale sono contenute importantissime e origina-

255
Nordberg 1973 (Abbr.), 20 luglio 1631, nr. 55, pp. 84-86 in particolare e pp.
77-149 più in generale. Vd. Hasselhuhn A.R., Om Skytteanska scholan i Lycksele
lappmark, Sundsvall 1851.
256
Su Nicolaus Andreæ vd. oltre in questo medesimo paragrafo. Quando fu fon-
data la scuola di Lycksele gli allievi di Piteå vennero trasferiti lì.
257
In proposito si può leggere Lönn B., I skuggan av ett silververk. Människoöden
under stormaktstiden, Stockholm 2004. Si vedano anche Bromé J., Nasafjäll, Stockholm
1923 e Awebro K., Luleå silververk. Ett norrländskt silververks historia, Luleå 1983.
258
A partire dal XVII secolo si sviluppano località come Lycksele (sami Liksjoe o
Likssjuo, sorta nel 1607 come sede di una chiesa e di un mercato), Arvidsjaur (il cui
nome deriva forse dal termine sami árviesjávrrie “lago generoso”, anch’essa sede di
una chiesa), Jokkmokk (sami Jåhkåmåhkke o Dálvvadis, antico villaggio sami e sede
di un mercato), Karesuando (sami Gárasavvon), che risale al 1670; altre chiese furono
costruite a Jukkasjärvi (sami Čohkkiras), Enontekis (sami Eanodat, Enudak e Iänudâh)
e Åsele (sami Sjeltie).
259
Vd. pp. 581-582. Nella Storia di Olaus trattano dei Sami (Finni) i capp. III, xvi;
IV, iv e IV, xviii; X, iii; XI, v-vi e XI, xiii; XIII, xix e XIII, xxvii. Considerazioni per-
sonali sono qui intrecciate con informazioni del tutto fantasiose e radicati pregiudizi.

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li osservazioni (Lapponia, 1630 circa).260 Samuel Rheen (ca.1615-


1680), anch’egli ecclesiastico, predicatore a Jokkmokk e poi pasto-
re a Råneå presso Luleå (sami Luleju), è autore di Una breve
relazione sulla vita, i costumi dei Sami, le superstizioni, e in molti casi
i [loro] grossolani errori (En kortt relation om lapparnes lefwerne och
sedher, wijdskiepellsser, sampt i många stycken grofwe wildfarellsser,
1671) che, come ben fa intendere il titolo, contiene molte informa-
zioni sulla loro religione. Johannes Tornæus (morto nel 1681),
anch’egli pastore, descrive (1672) i Sami della zona di Torneå (sami
Duortnus).261 Ma il lavoro più completo (e più celebre) è senza
dubbio la Lapponia (1673) di Johannes Schefferus, professore
all’Università di Uppsala,262 il quale – paradossalmente – non fu
mai in quelle zone. Egli tuttavia, sollecitato all’impresa dal cancel-
liere Magnus Gabriel de la Gardie263 seppe raccogliere un ricco
materiale, sia basandosi su scritti precedenti sia assumendo infor-
mazioni da persone (soprattutto ecclesiastici) che ben conoscevano
la regione, fra gli altri Ericus Plantinus (ca.1630-1688), figlio di
Niurenius. All’epoca l’interesse verso la “grande potenza” svedese
era in Europa assai vivo e da qualche parte si era lasciato intende-
re che dietro i brillanti successi conseguiti sui campi di battaglia
potesse esserci la magia dei Sami (non si dimentichi che la strego-
neria era la grande ossessione dell’epoca). L’opera di Schefferus
seppe ben rispondere alle attese: la redazione in lingua latina, la
completezza e la corretta impostazione ne fecero un testo assai
diffuso ed esso fu presto tradotto in diverse lingue.264 Nella scia di
questo successo avremo poi tutta una serie di resoconti di viaggio
nei territori sami redatti da visitatori stranieri che costituiranno
letture assai apprezzate.265

260
Il titolo completo è Lapponia, ovvero descrizione del territorio nordico abitato dai
Sami nelle zone più remote della Scandinavia o Svezia (Lappland, eller beskrivning över den
nordiska trakt, som lapparne bebo i de avlägsnaste delarne af Skandinavien eller Sverge).
261
Nel periodo in cui egli fu attivo a Torneå venne lì costruita la prima chiesa. Il suo
lavoro è noto in diverse versioni, qui si fa riferimento all’edizione del 1900 (Berättelse om
Lapmarckerna och deras Tillstånd che risale al 1672). Sulla ‘rappresentazione’ dei Sami in
questo testo e nello scritto di Nicolaus Lundius (vd. nota 267) si veda: Hilli-Eklund P.,
Synen på samerna i 1600-talets Sverige. En studie av två Lapplandsskildringar, Uppsala 1995.
262
Cfr. p. 572 e p. 615.
263
Vd. p. 567, p. 574, p. 591, nota 289 e p. 619.
264
Nel 1674 in inglese, nel 1675 in tedesco e nel 1678 in francese.
265
Si pensi agli scritti dei francesi Jean François Regnard (1655-1709), Pierre-
Martin de la Martiniére (1634-1690), Aubry de la Motraye (1674-1743), dell’italiano
Francesco Negri (1623-1698) e del tedesco Johann Gerhard Scheller (morto nel 1740).
Più tardi sono resoconti come quello del francese Réginald Outhier (1694-1774), col-
laboratore del filosofo e scienziato Pierre Louis Moreau de Maupertuis (1698-1759) da

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I princìpi della modernità 739

Come si è visto la diffusione di notizie sui Sami è in molti casi


opera di ecclesiastici; ciò è del tutto naturale, dal momento che
l’interesse economico e ‘colonialista’ si affianca a quello missiona-
rio (e su di esso si ‘appoggia’): sebbene tentativi di conversione di
queste popolazioni risalgano molto indietro nel tempo,266 è infatti
a partire dal XVII secolo, parallelamente all’aumento dell’interes-
se per lo sfruttamento delle risorse del territorio, che l’attività di
propaganda religiosa presso di loro conosce una notevole accele-
razione. E, dunque, occorre valutare con grande prudenza e senso
critico le informazioni, in primo luogo quelle sulla religione paga-
na, che ci vengono da questi testi.267
Sul versante norvegese l’attività missionaria non era stata altret-
tanto sollecita. In effetti le regioni abitate dai Sami (soprattutto le
zone costiere) erano state meta di una significativa immigrazione
(vi erano stati inviati anche dei detenuti), favorita dal governo allo

lui accompagnato in una spedizione nella terra dei Sami; dell’italiano Giuseppe Acer-
bi (1773-1846) e del tedesco Christian Leopold von Buch (1774-1853). Più in genera-
le sui viaggiatori in Scandinavia vd. Barton H.A., Northern Arcadia, Foreign Travelers
in Scandinavia, 1765-1815, Southern Illinois University 1998, cap. 1: “Travelers and
Travel in the North, 1765-1815”, pp. 7-22. Ma non si dimentichi qui il resoconto, per
quanto incompleto, di Olof Rudbeck il Giovane (vd. p. 780 con nota 434), figlio
dell’omonimo autore dell’Atlantide (vd. pp. 582-584 e pp. 630-631), dal titolo Lapponia
illustrata (Laponia illustrata, con testo a fronte svedese e latino, 1701), quello di Linneo
(vd. p. 780 con nota 440) e quello di altri tre svedesi (sebbene assai meno noti)
Anders Fredrik Skjöldebrand (1757-1834) che visitò l’estremo nord nel 1799, Johan
Wilhelm Zetterstedt (1785-1874), entomologo, e Gustaf von Düben (1822-1892),
medico, anatomista ed etnologo.
266
Vd. pp. 1391-1394.
267
Qui è opportuno ricordare altri ecclesiastici svedesi che in misura maggiore o
minore hanno lasciato resoconti di un certo interesse. Così Olaus Stephani Graan
(1618-1690), a quanto pare di etnia sami e traduttore di testi religiosi e scolastici nella
loro lingua (con lui dovette collaborare il sami Simon Granmark, detto Angurdolf,
morto attorno al 1728, certamente dopo il 1727); Gabriel Tuderus (1638-1705), attivo
nella zona di Torneå, che profuse grandissimo impegno per sradicare riti antichissimi;
Nicolaus Lundius (morto nel 1726), figlio del primo pastore sami (Anders Petri Lun-
dius morto nel 1665 ca.) e dunque ottimo conoscitore della cultura dei suoi antenati
che per molti versi mostra di rispettare; Petrus Noræus Fjellström (1657-1706), che
fece condannare a morte per stregoneria uno sciamano sami; Henric Forbus (1674-
1737), animato da straordinario zelo nell’opera di conversione; Pehr Fjellström (1697-
1764, del quale anche oltre), che si interessò ai riti legati alla caccia all’orso; Carl
Solander (1699-1760), l’unico ad averci lasciato qualche informazione sulla cosmologia
sami; Pehr Högström (1714-1784) tra l’altro traduttore di salmi in lingua sami. Di un
certo interesse sono anche le notizie (riguardanti soprattutto i riti sacrificali) fornite
da tale Nils Spirri, un sami della zona di Luleå (anni ’70 del XVII secolo). Precedente
all’opera di Schefferus è il resoconto del gesuita svedese Johan Ferdinand Körningh
(1626-1687), attivo a Praga, il quale (molto interessato alla medicina dei Sami) opera-
va in previsione di un (auspicato) ritorno al cattolicesimo nell’area scandinava.

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scopo di sfruttare, innanzi tutto, le risorse della pesca. In quei


luoghi erano dunque state erette delle chiese e, come si sarebbe poi
constatato, un discreto numero di Sami si erano, almeno formal-
mente, avvicinati al cristianesimo: nondimeno non abbiamo notizie
riferibili a un vero e proprio programma di evangelizzazione anche
se è noto che Erik Bredal (1607-1672), vescovo di Trondheim,
aveva operato in tal senso durante il periodo (un anno circa) in cui
si era autoesiliato a Trondenes (in Troms), rifiutando di sottomet-
tersi agli Svedesi.268 Si sa, inoltre, che ‘maestri ambulanti’ (il cui
compito era naturalmente anche quello di diffondere la dottrina
luterana) erano stati inviati in quelle regioni: tale è, a esempio, il
caso di Isaac Olsen (di cui poco più avanti) che fu attivo nell’area
del fiordo di Varanger (sami Várjjatvuotna) a partire dal 1703 e, più
tardi (1708-1716), a Porsanger (sami Porsáŋggu) e Kvalsund (sami
Fálesnuorri).269 Tradizionalmente, tuttavia, gli interessi per quei
territori erano sostanzialmente rimasti confinati all’ambito econo-
mico, come dimostra (fin dal 1562) un decreto con cui si proibiva
alle navi straniere di spingersi a nord di Bergen: di fatto un mono-
polio commerciale per la regione di Finnmark concesso alla città
e, al contempo, una decisione assai svantaggiosa per la popolazio-
ne di quel territorio.270 Per l’avvio di una vera e propria attività
missionaria occorrerà dunque attendere la fondazione (1714) del
Collegio per le missioni271 e la spinta del movimento pietista, assai
interessato all’aspetto della solerte divulgazione della fede.272 Per
268
 Ciò era avvenuto nel 1658 quando, dopo la pace di Roskilde (vd. p. 533 con nota
13), la regione del Trøndelag era finita sotto la sovranità svedese. Egli tuttavia fece
ritorno nella sua sede dopo che il territorio era stato restituito. Sulle parrocchie nella
regione di Finnmark nel XVII secolo si veda comunque Sollied P.R., Prester, prestegjeld
og kirker i Finmarken i det 17de århundrede, Kristiania 1903.
269
 Vd. Nielsen J.P., Altas historie, I, Alta 1990, p. 181.
270
 Paus 1751 (Abbr.), p. 342. Nel 1687 il re avrebbe decretato una concessione sul
commercio in Finnmark per i cittadini di Bergen della durata di 12 anni a partire dal
1 gennaio 1688 (indicazioni in Schou [Abbr.] I, p. 536; cfr. i decreti del 16 maggio
1691, ibidem, p. 607; del 25 aprile 1702: indicazioni in Schou II, p. 71; del 1 dicembre
1745: indicazioni in Schou III, p. 617; del 15 agosto 1763: indicazioni in Schou IV,
p. 722 e, soprattutto, quello del 20 agosto 1778 che regolava dettagliatamente il com-
mercio in quella regione: in Schou VII, pp. 75-101). Del resto i commercianti di
Bergen a lungo e tradizionalmente erano stati attivi negli scambi con le regioni più
settentrionali del Paese.
271
 Il cosiddetto Missionskollegiet (Collegium de cursu evangelii promovendo), attivo
fino al 1859, aveva il compito di diffondere la fede cristiana tra le popolazioni pagane
sottomesse al Regno di Danimarca. La sua attività fu dunque rivolta in primo luogo
verso i Sami, poi verso gli Eschimesi, ma anche verso le popolazioni delle colonie
d’oltremare.
272
 Su questo movimento religioso nel Nord vd. oltre, pp. 762-770.

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I princìpi della modernità 741

la verità il problema dell’evangelizzazione dei Sami norvegesi era


stato sollevato fin dai primi anni del Settecento dal vescovo di
Trondheim, Peder Krog (1654-1731), il quale aveva fatto alcune
visite pastorali nella regione di Finnmark. Il re Federico IV era
parso interessato, ma le vicende della grande guerra nordica avreb-
bero preso il sopravvento. Eppure, proprio nei timori di possibili
offensive del rivale svedese nelle regioni più settentrionali del
Paese sta una delle principali motivazioni del conflitto e della suc-
cessiva decisione di organizzare una vera e propria missione fra i
Sami. L’aspetto politico della questione risulta evidente fin dagli
anni 1706-1707, quando un incaricato del re, tale Poul Hansen
Resen (1674-1725) dottore in teologia, fu inviato in quei territori
per verificare lo stato della vita religiosa ma anche (probabilmente
soprattutto) la situazione dei confini (che del resto, nei loro spo-
stamenti, i Sami non tenevano in alcuna considerazione).273 Nel
1716, due anni dopo la sua fondazione, il Collegio per le missioni
affidò l’incarico di organizzare l’evangelizzazione dei Sami di Nor-
vegia a un ecclesiastico del distretto di Romsdal, Thomas von Westen

273
 I confini tra la Svezia e la Norvegia saranno stabiliti, come si è detto, nel 1751,
quelli con la Russia nel 1826 (vd. p. 550, nota 95 e sopra, nota 157). Al fine di amplia-
re il più possibile l’area soggetta al loro dominio gli Svedesi avevano costruito chiese
a Karasjok (sami Káráśjohka) e Kautokeino (sami Guovdageaidnu) e una cappella a
Masi (sami Máze, nome che deriva dal vicino Mazéjohkka “fiume serpeggiante”): qui
nel 1721 i Norvegesi avrebbero a loro volta costruito una chiesa (vd. Nielsen 1990,
citato alla nota 269, I, pp. 185-191), successivamente però in base agli accordi del 1751
queste località furono incorporate nella regione norvegese di Finnmark. Una chiesa
venne eretta anche nei pressi di Utsjok (sami Ohcejohka, Uccjuuhâ o Uccjokk, finnico
Utsjoki) in una zona passata ai Norvegesi nel 1751 ma ora in territorio finlandese. La
questione doveva essere ben chiara come si deduce, a esempio, dal testo di una lette-
ra inviata dal vescovo Krog al Collegio delle missioni in data 6 aprile 1715, nella quale
si legge: “Dal momento che gli Svedesi hanno saputo dai tempi della regina Cristina
cercare il proprio tornaconto e assai bene dislocare in Lapponia chiese per i Sami,
preti e scuole lungo tutto il tratto settentrionale, così da usurpare la sovranità su qua-
si tutti i Sami e ridurre la nostra a loro [vantaggio], dunque sembra che valga la pena
che gli Svedesi vengano, per quanto possibile, tenuti lontani dai nostri confini, i qua-
li per altro sulle montagne non sono individuabili”; in Hammond 1787 (vd. nota 277),
DLO nr. 148. Sull’argomento si rimanda tra l’altro a Enewald 1920. Si consideri che
la questione dei confini rifletteva quella, più antica, del ‘diritto’ di tassazione sui Sami
(nel che, ovviamente, non ci si preoccupava affatto della loro condizione di semi-
nomadi). Che la controversia risalisse assai indietro nel tempo è dimostrato, solo per
fare un esempio, dal decreto del 1 agosto 1598 nel quale, lamentando il fatto che i
Sami di Salten, Senja e Tromsø, pur abitando in territorio norvegese paghino il tribu-
to anche agli Svedesi e ai Russi, si stabilisce la costante presenza in loco di un funzio-
nario incaricato di sorvegliare la situazione e prevenire abusi (NRR III, pp. 543-546;
cfr. ibidem, pp. 537-540, documento del luglio 1598 e NRR IV, pp. 7-8, documento
del 16 aprile 1603).

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(1682-1727), nominato altresì docente di teologia presso la scuola


della cattedrale di Trondheim sotto la cui giurisdizione erano com-
presi quei territori.274 Thomas von Westen poté constatare che,
almeno formalmente, l’avvicinamento al luteranesimo da parte dei
Sami era in gran parte già avvenuto: molti di loro infatti risultavano
battezzati e magari frequentavano occasionalmente la chiesa. Tut-
tavia egli osservò anche come l’antica cultura pagana fosse ancora
ben radicata: di conseguenza i suoi sforzi si indirizzarono verso una
autentica conversione che facesse piazza pulita, senza lasciarne
alcun residuo, di ogni forma della religione tradizionale. Ciò com-
portò naturalmente la distruzione dei luoghi sacrificali e degli
oggetti (soprattutto tamburi cerimoniali) utilizzati nei riti, ma anche
la proibizione di imporre ai bambini nomi tradizionali, così come
un atteggiamento minaccioso e intimidatorio nei confronti di chi
si fosse ostinato a praticare l’antico credo; tuttavia l’orientamento
pietista lo indusse ad adoperarsi affinché i Sami fossero individual-
mente e personalmente coinvolti nel cambiamento, venendo in tal
modo ad assimilarsi a tutti gli effetti agli altri sudditi del Regno.
Un progetto di queste proporzioni comportò un notevole lavo-
ro organizzativo: innanzitutto furono creati due distretti missiona-
ri (Finnmark occidentale e orientale), cui venne poi aggiunto quel-
lo di Porsanger e Laksefjorden (sami Lágesvuotna), inoltre furono
fondati un seminario e delle scuole. Centro di riferimento di questa
attività era, naturalmente, la diocesi di Trondheim. Oltre a occu-
parsi del cosiddetto Seminarium scholasticum (sorto nel 1717) dove
coloro che erano destinati a lavorare in quell’area (ecclesiastici e
insegnanti) studiavano anche la lingua sami, Thomas von Westen
aprì, a proprie spese, un Seminarium domesticum riservato ai ragaz-
zi sami che avrebbero poi accompagnato missionari e maestri nei
loro territori. Come si vede, l’aspetto dell’insegnamento (natural-
mente ancora strettamente legato all’indottrinamento religioso)
aveva grande importanza, tanto è vero che ai missionari era affida-
ta in primo luogo l’autorità scolastica.275 I maestri erano d’altronde
274
Thomas von Westen era uno dei sette ecclesiastici del distretto di Romsdal che
facevano parte di un collegium pietista, noto come Plèiadi (Syvstjernen), sorto nel 1713.
Essi volevano lottare contro la decadenza morale, lo scarso impegno dei religiosi e il
disinteresse delle autorità: per questo si rivolsero sia al vescovo Peder Krog sia al re
Federico IV, il quale decise di istituire una commissione per indagare sulla situazione
della vita religiosa.
275
E tuttavia va qui rilevato come in seguito (decreto del 9 febbraio 1742, in
Wessel Berg [Abbr.] I, pp. 811-812) le regioni di Nordland e Finnmark saranno in
sostanza esentate dall’applicazione della legge sull’insegnamento del 1739 e 1741 (vd.
sopra, nota 36): sicché in quell’area l’organizzazione delle scuole decadrà almeno fino

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I princìpi della modernità 743

incaricati di vigilare sulla condotta dei Sami, che molto spesso


erano tutt’altro che ligi ai precetti impartiti.276
Dopo la morte di von Westen277 la responsabilità del progetto
passò a Eiler Hagerup (1685-1743), più tardi (1731-1743) vescovo
di Trondheim.278 Egli era favorevole all’uso del danese e, di conse-
guenza, lo studio della lingua sami fu tralasciato e i seminari venne-
ro chiusi.279 Ma, come è lecito attendersi, l’istruzione in danese
restava spesso lettera morta, dal momento che i Sami (soprattutto
le donne) non erano quasi mai in grado di comprenderlo: in diver-
si casi essi imparavano a memoria testi dei quali non capivano
praticamente nulla. La missione norvegese fu attiva per tutto il XVIII
secolo, ma venne poi perdendo importanza per l’atteggiamento di
vescovi come Marius Frederik Bang (1711-1789) e Johan Christian
Schønheyder (1742-1803), suo successore, i quali avevano scarsa
considerazione del popolo sami: essa dunque ebbe termine nel 1802.
Anche da parte norvegese possediamo una importante lettera-
tura sui Sami. Già Peder Claussøn Friis nel suo libro sulla Norvegia
al 1775 quando, dopo una visita pastorale del vescovo Marius Frederik Bang (di cui
poco oltre), questi si adopererà per il loro riassetto.
276
 Un grosso problema era determinato dall’abuso di bevande alcoliche contro il
quale molto si adoperò Thomas von Westen, vietandone la vendita e cercando di
impedirne qualsiasi commercio. Cfr. oltre, nota 301.
277
 Una fonte di grande importanza sui primi anni della missione norvegese fra i
Sami è l’opera dell’ecclesiastico norvegese Hans Hammond (1733-1792) il quale nel
1787 ne pubblicava a Copenaghen un dettagliato resoconto: Storia della missione
nordica nelle terre del Nord [...] (Den Nordiske Missions-Historie i Nordlandene [...]).
In questo lavoro Hammond difende l’operato di von Westen (di cui sua madre era
figliastra) mentre appare molto critico nei confronti del vescovo Peder Krog, a lui
notoriamente ostile. Nonostante il chiaro intento dell’autore, quest’opera ha grande
rilevanza storica. Di notevole interesse al riguardo è anche uno scritto di Hans Skanke
(1679-1739), collaboratore del vescovo Krog (edito in Nordnorske Samlinger V: Nord-
lands og Troms Finner i eldre Håndskrifter, I: 1 [1943], “Hans Skankes Epitomes
Historiæ Missionis Lapponicæ Pars Quarta, 1730” ved. Johs. Falkenberg, pp. 5-30;
si veda anche l’introduzione del curatore nella quale viene riportata la storia di questo
lavoro e le ragioni della pubblicazione parziale [pp. 3-4], così come i “Marginalier” di
J. Qvigstad relativi a questo scritto, pp. 31-58).
278
 Come von Westen egli faceva parte del gruppo delle Plèiadi (cfr. nota 274).
279
 Il Seminarium scholasticum sarebbe stato riaperto con il nome di Seminarium
Lapponicum Fredericianum solo nel 1752 quando la lingua sami avrebbe nuovamente
trovato spazio nell’insegnamento e nella pubblicazione di testi. Qui avrebbero lavora-
to i linguisti Knud Leem e Anders Porsanger, sui quali si veda poco oltre. Il Seminarium
Lapponicum sarebbe stato definitivamente chiuso nel 1774 per volontà del vescovo
Marius Frederik Bang che voleva imporre ai Sami l’apprendimento e l’uso del danese.
Vd. Grankvist R., “Seminarium Lapponicum Fredericianum i Trondheimsmiljøet”,
in Hagland J.R. – Supphellen S. (red.), Knud Leem og det samiske. Foredrag holdt ved
et seminar i regi av Det kongelige norske videnskabers selskab 11.-12. oktober 2002 (=
Det kongelige norske videnskabers selskabs skrifter, 2003: 2), pp. 45-60.

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fa riferimento a quella che egli definisce la loro stregoneria e ido-


latria immorale e spaventosa.280 E così Petter Dass che nella sua
Tromba del Nordland descrive il loro aspetto e modo di vivere senza
dimenticarne l’abilità magica.281 Di notevole interesse è anche l’ope-
ra di Hans Hansen Lilienskiold (o Lillienskiold, ca.1650-1703),
governatore distrettuale di Finnmark tra il 1684 e il 1701. Dal 1687
egli risiedette a Vadsø282 e si dedicò alla stesura di testi – in parte
ancora manoscritti – sulla regione, la cultura (e la magia) dei Sami.
Tra questi l’opera più nota è certamente lo Specchio del Nord (Spe-
culum boreale), un lavoro di carattere topografico, arricchito da
interessanti illustrazioni, contenente anche informazioni sulla fau-
na, la flora, il clima. Per le critiche alla gestione del commercio in
Finnmark da parte dei mercanti di Bergen, Lilienskiold andò
incontro a notevoli problemi e quest’opera costituisce anche una
difesa del suo operato.283
Come in Svezia tutta una serie di lavori – preziose testimonianze
su un mondo che stava subendo una inesorabile trasformazione – va
messa in relazione con l’attività missionaria. La gran parte dei
diversi testi redatti da Thomas von Westen è purtroppo andata
perduta. Di lui ci rimane però uno scritto che tratta della religione
pagana dei Sami, un argomento sul quale aveva avuto informazio-
ni innanzi tutto da Isaac Olsen (ca.1680-1730), sopra ricordato.284
280
Vd. pp. 593-594; la parte sui Sami intitolata Sulla fede e la religione dei Finni.
(Om Finnernis Tro oc Religion) si trova alle pp. 399-403.
281
Vd. p. 594; la parte relativa Sui Sami e sui Finni (Om Lapperne og Finderne) si
trova alle pp. 64-73.
282
Situata nell’estremo nord-est della Norvegia sul fiordo di Varanger, Vadsø (sami
Čáhcesuoli, finnico Vesisaari) si era sviluppata da un villaggio di pescatori presente fin
dal XVI secolo. Sulla storia di questa località si rimanda a NIEMI E., Vadsøs historie 1.
Fra øyvær til kjøpstad (inntill 1833), Vadsø 1983. Il testo arriva fino all’anno in cui
Vadsø ottenne lo status di città.
283
Su di lui Niemi E., “Hans Hansen Lilienskiold – Embetsmann, vitenskapsmann
og opprører”, in Portretter fra norsk historie, Oslo 1993, pp. 43-72 e Hagen R.B.,
“Hans H. Lilienskiold – Amtmann i Finnmark 1684-1701”, in Ottar, V (1998), pp.
29-36.
284
 Si tratta di una lettera inviata al clero della regione di Jämtland in data 11 marzo
1723, edita in Källskrifter till Lapparnas mytologi, utgifna af E. Reuterskiöld, Stockholm
1910, pp. 1-7. Alle pp. 8-16 del medesimo testo si trovano commenti relativi a questo
documento – in particolare la spiegazione (fornita da tali Kerstin Jakobsdotter e Paulus
Samilin) di termini sami ivi riportati. Alla situazione della religione cristiana si riferisco-
no invece gli scritti “Topographia Ecclesiastica 2. Del: Finmarckia 1717” e “Ex Topo-
graphia ecclesiastica Findmarckiæ Thomæ von Westen 1717”, pubblicati in Brock Utne
M. – Solberg O. (red.), Nordnorske samlinger 1.2. Finnmark omkring 1700, Oslo 1938,
pp. 78-118 e pp. 119-133. Di von Westen ci resta anche un testo dal titolo Topographia
arctarchiæ Danicæ ecclesiastica dividendæ in Lapmarkiam et Finmarkiam, conscripta a
Thoma von Westen, S. Theolog. Lectore Nidrosiensi ibidemque Vicario Collegii de cursu

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I princìpi della modernità 745

Olsen è a sua volta autore di un testo dal titolo Sugli errori e la


superstizione dei Sami (Om lappernes Vildfarelser og Overtro, 1717)
ma anche di materiale cartografico sulla regione. Di notevole inte-
resse è anche l’opera di Jens Kiildahl (o Kildal, 1683-1767), uno
stretto collaboratore di von Westen (distintosi per la determinazio-
ne nel distruggere i luoghi di culto e gli oggetti sacri legati alla
tradizione) che aveva sposato una donna di etnia sami: a lui si deve
una sorta di manuale dal titolo Repressione dell’idolatria, e progres-
so della vera dottrina (Afguderiets Dempelse, og den Sande Lærdoms
Fremgang, 1727).285
Conseguenza assai importante dell’attività missionaria (tanto in
Svezia quanto in Norvegia) fu l’attenzione alla lingua (o, per meglio
dire, ai diversi dialetti) sami.286 Se è vero che ciò fu in primo luogo
dettato dalla necessità di comunicare al meglio la parola del Van-
gelo, è altrettanto vero che si cominciarono ad annotare e studiare
le caratteristiche di questo idioma, nel quale vennero dunque
pubblicati i primi libri destinati all’uso religioso (spesso traduzioni)
e all’insegnamento. Fin dal 1619 abbiamo un Abbecedario in lingua
evangelii promovendo (poi edito in Budstikken, VII [1826], nr. 1, coll. 8-38). Thomas
von Westen risulta anche essere la fonte delle informazioni sulla religione pagana dei
Sami che l’ecclesiastico Johan Randulf (1686-1735), responsabile della parrocchia di
Nærøy (in Namdalen nel Nord-Trøndelag), annotò (1723) in un manoscritto il cui
originale è tuttavia andato perduto. Sulla base di copie questo testo è stato edito da
J. Qvigstad (Relation Anlangende Find-Lappernes, saavel i Nordlandene og Findmarchen,
som udi Numedalen, Snaasen og Selbye, deris Afguderie og Sathans Dyrkelser som af
Guds Naade, ved Lector udi Tronhjem Hr. Thomas von Westen og de af Hannem samme
Stæder beskikkede Missionarier, af hvilke eendeel ere Præster, og eendeel Studentere og
Candidati S: S: Ministerii, Tiid effter anden ere bleve udforskede og decouvrerede, in
Kildeskrifter til den lappiske mythologi, Trondhjem 1903, pp. 6-90).
285
Altri autori degni di menzione in questo contesto sono in primo luogo Ludvig
Christian Paus (ca.1674-1745) e Niels Tygesøn Knag (1661-1737, dopo la concessione
della dignità nobiliare Knagenhielm): il primo diede un importante contributo alla
missione fra i Sami mentre il secondo (il cui padre è verosimilmente da riconoscere in
quel Tyge Nilsson che per primo introdusse la stampa in Norvegia, vd. p. 507, nota
146) ha lasciato, tra l’altro, la Descrizione di un viaggio a Malmis (Kola) al confine tra
la Norvegia e la Russia nel 1690 (Beskrivelse av en Reise til Malmis [Kola] på Grænd­
serne mellem Norge og Russland 1690). Inoltre vanno citati Lennart (o Linnert) Sidenius
(1702-1763) originario di Jämtland, Sigvard Kiildahl (o Kildal, 1704-1771), fratello di
Jens, ed Erich Johan Jessen-Schardebøll (1705-1783), il quale ebbe anche il merito di
far conoscere le ricerche di von Westen e i contenuti delle relazioni inviate al Collegio
delle Missioni.
286
La lingua sami (sámegielat), che fa parte del gruppo ugro-finnico (cfr. nota 297;
vd. pp. 1406-1408), è un idioma tutt’altro che uniforme e presenta diverse varianti
dialettali (qualcuna estinta) a loro volta raggruppabili per grado di affinità; per una
introduzione si rimanda a Magga 1997 (App. 2). Gli studi (così come le traduzioni di
testi) cui qui si fa riferimento sono dunque da intendere in relazione alla variante
parlata nella zona nota all’estensore dello scritto.

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746 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

sami (ABCbook på Lappesko Tungomål) e un Piccolo messale (En


lijten Sångebook, huruledes Messan skal hållas, läsas, eller siungas
på Lappesko),287 entrambi opera di Nicolaus Andreæ (morto nel
1628), promotore della scuola di Piteå: si tratta comunque di lavo-
ri di scarsa qualità (soprattutto dal punto di vista linguistico).288 In
area svedese saranno in seguito prodotti diversi altri testi, fra cui
un Catechismo sami (Same nolmay Catechesis, 1633) pubblicato a
cura di Olaus Petri Niurenius (ma probabilmente tradotto da
Nicolaus Andreæ) e il diffuso Manuale Lapponicum (1648, tradu-
zione del corrispondente Manuale Sveticum) curato dal pastore
Johannes Tornæus, sopra citato, e contenente tra l’altro salmi,
prediche, brani di meditazione e preghiere.289 In area norvegese,
parallelamente al tardo avvio di una ‘missione di Stato’ testi analo-
ghi compariranno con grande ritardo.290 Il primo, uscito nel 1728,
sarà la traduzione, basata sulla versione danese, del Piccolo catechi-
smo di Lutero, a cura del missionario Morten Lund (morto nel
1758): Doktor Morten Lutter Utza Katekismusaz. Ma in questo
campo sarà poi attivo anche un linguista come Knud Leem (su cui
poco oltre) che fra l’altro rivedrà il lavoro di Lund.
I primi studi relativi alla lingua sami, anzitutto grammatiche e
dizionari, compaiono solo nel XVIII secolo:291 in essi (specie nei
secondi) è riflessa la variante dialettale dell’area meglio nota all’au-

287
Letteralmente: Piccolo libro dei canti, su come la messa vada celebrata, letta o
cantata in lingua sami.
288
Cfr. p. 737. Vd. Wiklund 1922 b.
289
Un nuovo ‘manuale’ sarà pubblicato nel 1669 da Olaus Stephani Graan (cfr. nota
267).
290
Per la verità occorre qui ricordare che Erik Pontoppidan il Vecchio (vd. p. 600)
aveva, a quanto pare, fatto tradurre il catechismo per i Sami di Finnmark, ma di
quest’opera (che dovrebbe risalire al 1674) non possediamo copia. Si tratta comunque
del primo tentativo in area norvegese di rendere in qualche modo disponibile per loro
un testo religioso. La ‘spiegazione’ del catechismo comparirà nel 1849 a cura di N.V.
Stockfleth (Oanedubme Dr. Erik Pontoppidan cˇilgitusast. Asatuvvum oappogirjen. Samas
jorggaluvvum papast N.V. Stockflethast, Kristianiast. 1849); cfr. p. 1398.
291
Qui va tuttavia menzionato Michael Olai Wexionius Gyldenstolpe (1609-1670),
rettore della Reale accademia (Kungliga akademien) di Åbo e tra i primi poeti barocchi
in lingua svedese, il quale nel 1650 (in pieno “periodo della grande potenza”) aveva
pubblicato un Compendio della descrizione della Svezia (Epitome descriptionis Sueciæ)
in cui si trovano interessanti osservazioni sul lettone, sul finnico e sulla lingua dei Sami.
Inoltre occorre ricordare l’esistenza di un elenco di parole latino-sami (circa 820)
raccolte in un manoscritto risalente al 1672 circa e redatto da Zacharias Plantinus (ca.
1620-1688), figlio di Olaus Petri Niurenius sopra menzionato. Vd. Setälä E.N., “Ein
lappisches Wörterverzeichnis von Zacharias Plantinus. Mit Einleitung nach der
Originalhandschrift herausgegeben“, in Suomalais-ugrilaisen seuran aikakauskirja /
Journal de la Société Finno-Ougrienne, VIII (1890), pp. 85-90.

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I princìpi della modernità 747

tore.292 Nomi di rilievo sono in Svezia quelli di Pehr Fjellström,


sopra citato, direttore della scuola di Lycksele e traduttore tra
l’altro del Nuovo Testamento (Ådde testament, 1755),293 al quale si
deve il tentativo di una sistematizzazione dei dialetti nel territorio
di Piteå, Lycksele e Åsele che distingue in una variante settentrio-
nale e in una meridionale;294 egli è anche autore di una Grammati-
ca Lapponica e di un Dizionario svedese-sami (Dictionarium Sueco-
Lapponicum), pubblicati entrambi nel 1738 e basati sul dialetto
della zona di Umeå. Una nuova Grammatica Lapponica uscirà a
Stoccolma nel 1743 a cura di Henricus (Henrik) Ganander (1700-
1752), mentre un Dizionario sami con spiegazione dei vocaboli
svedese-latina (Lexicon Lapponicum cum interpretatione vocabulorum
sveco-latina) sarà pubblicato nel 1780 da Erik Lindahl (1717-1793)
e Johan Öhrling (1718-1778) con prefazione di Johan Ihre (1707-
1780).295 In Norvegia occorre citare innanzi tutto Knud Leem
(ca.1696-1774), missionario nel distretto di Porsanger e Lakse-
fjorden ma anche rettore del Seminarium Lapponicum, tra i cui
numerosi scritti spicca una interessantissima Descrizione dei Sami
di Finnmark (Beskrivelse over Finmarkens Lapper, 1767): egli redas-
se una Grammatica basata sul dialetto di Porsanger (En Lappisk
Grammatica, 1748) e un Lessico sami in due parti. Sami-danese-
latino e danese-latino-sami, con indice in latino (Lexicon Lapponicum
292
Cfr. nota 286.
293
In precedenza il Nuovo Testamento era stato tradotto negli anni 1701-1713 da
Lars Rangius (ca.1667-1717), pastore di Silbojokk (la parrocchia di coloro che lavora-
vano nella miniera d’argento di Nasafjäll (cfr. sopra, p. 737 con nota 257). Questo testo
tuttavia non fu pubblicato (il manoscritto è conservato nella Biblioteca Carolina
Rediviva di Uppsala: catal. T 4:d). Se ne ha comunque una prova di stampa del 1715
(Specimen Novi testamenti lapponici, Provtryck år 1715 av Lars Rangius’ översättning
av Nya Testamentet till lapska samt Skriftväxlingen mellan Georg Wallin i Härnösand
och lappmarksprästerna om lapsk ortografi. Grammatikprov. ordlistor, Utgivna av E.
Nordberg, in Svenska Landsmål och Svenskt Folkliv, LXVI [1970], pp. 1-40). In
proposito vd. il recente studio di K. Wilson: Markusevangeliet i Lars Rangius samiska
översättning från 1713, Uppsala 2008. Per una Bibbia nella variante di sami meridio-
nale occorrerà attendere il 1811, per la variante di sami settentrionale addirittura il
1895. Il primo testo biblico tradotto per i Sami di Russia sarà, nel 1878, il Vangelo di
Matteo: Махьтвеест Пась-Eвангели. Самас. Евангеліе отъ Матөея (на русско-
лопарскомъ языкTb̌), изданное Обществомъ Распространенія Библіи въ Велико-
Бритаиіи и въ другихъ странахъ, Helsingissä 1878. In proposito si ricordi anche che
un primo ‘dizionario’ sami-russo (in realtà solo una lista di parole) risale già al 1557:
vd. Abercromby J., “The earliest list of Russian Lapp words”, in Suomalais-ugrilaisen
seuran aikakauskirja / Journal de la Societé Finno-Ougrienne, XIII: 2 (1895), pp. 1-8;
si vedano anche alle pp. 8-10 le “Bemerkungen zum Obigem” di A. Gienetz.
294
 Vd. Sköld T., “Pehr Fjellström och det svensk-samiska skrift-språket”, in SoS
1984, pp. 16-26.
295
 Vd. p. 819.

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748 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

bipartitum: Lapponico-Danico‑Latinum & Danico‑Latino-Lapponicum:


cum Indice latino).296 Nel suo lavoro Leem ebbe la collaborazione
di Anders Porsanger (1735-1780), allievo della scuola della catte-
drale di Trondheim, del Seminarium Lapponicum e studente di
teologia a Copenaghen che in seguito sarebbe divenuto missionario,
ma soprattutto primo teologo e scrittore di etnia sami. Dei molti
lavori di traduzione e di carattere linguistico da lui eseguiti poco è
rimasto, a esempio due scritti che trattano dell’ortografia sami (un
problema assai dibattuto). A motivo della sua origine Anders Por-
sanger dovette subire parecchie discriminazioni, il che lo amareggiò
molto e (secondo quanto da lui stesso affermato) lo indusse a dare
alle fiamme le sue traduzioni di testi biblici.297
Il risultato di tutta questa attività fu l’imposizione di un dominio
definitivo sui Sami, ottenuto, ancora una volta, con il concorso di
interessi politici e religiosi.298 In Svezia dove, come si è visto, il
progetto di colonizzazione missionaria era partito con largo antici-
po rispetto alla Norvegia, ci si avvalse tuttavia in seguito dell’espe-
rienza del Paese vicino. Sorse così nel 1723 l’Ente ecclesiastico per
il territorio dei Sami (Lappmarkens ecklesiastikverk) che con un
decreto del 1739 ebbe poi una propria direzione.299 Nel medesimo

296
Il primo volume di quest’opera uscì nel 1768. Dopo la morte di Leem il lavoro
fu completato dal missionario Gerhard Sandberg (1741-1805) e pubblicato nel 1781;
vd. Nielsen K., “Knud Leems lexicon lapponicum”, in Studia Septentrionalia, V (1953),
pp. 17-30.
297
Su di lui vd. Martinussen B., “Anders Porsanger – teolog og språkforsker fra
1700-tallets Finnmark”, in Nordlyd. Tromsø University working papers on language &
linguistics, XVIII (1992), pp. 15-59. È noto fra l’altro che Porsanger fu in contatto con
lo studioso ungherese János Sajnovics (1733-1785), pioniere degli studi dell’area ugro-
finnica, il quale approfondì le affinità riscontrate tra la sua lingua madre e i dialetti sami
esponendo il risultato dei suoi studi nell’opera dal titolo Dimostrazione che l’idioma degli
Ungheresi e dei Sami è il medesimo (Demonstratio idioma Ungarorum et Lapponum idem
esse, 1770). Una trentina d’anni dopo un altro ungherese, Sámuel Gyarmathi (1751-1830),
uno dei pioneri della comparativistica, pubblicava l’Affinità della lingua ungherese con
le lingue di origine finnica dimostrata grammaticalmente (Affinitas linguae Hungaricae
com linguis fennicae originis grammatice demonstrata, 1799).
298
Qui non va dimenticata la tracciatura di mappe del territorio sami, le quali oltre
a rispondere a interessi strettamente geo-topografici avevano anche una importante
funzione dal punto di vista amministrativo.
299
12 gennaio 1739; vd. Haller 1896, p. 32 e pp. 40-57. In questo contesto va
ricordata anche la nascita delle cosiddette “città attorno alla chiesa” (kyrkstäder, sing.
kyrkstad), vale a dire complessi di abitazioni che dovevano ospitare i fedeli provenien-
ti dalle diverse località della regione in occasione delle cerimonie religiose cui essi
avevano l’obbligo di partecipare. Il migliore esempio nella città vecchia di Luleå dove
si contano ben quattrocentootto edifici (questo sito è stato dichiarato patrimonio
mondiale dall’Unesco nel 1996).

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I princìpi della modernità 749

1723 fu emessa un’ordinanza scolastica per quelle zone.300 Da


subito si erano stabilite importanti norme, come il divieto di com-
mercio di bevande alcoliche,301 l’obbligo per i missionari di cono-
scere la lingua sami, ma anche il principio che si dovessero costrui­
re scuole nelle località dove sorgeva una chiesa e stampare libri
nell’idioma locale.
La colonizzazione, a suo tempo favorita da provvedimenti incen-
tivanti, era in sostanza completata.302 Ma, parallelamente a ciò, si
era prodotto un peggioramento delle condizioni di vita dei Sami,
in quanto gli equilibri su cui si fondava la loro economia tradizio-
nale erano stati gravemente compromessi. Ciò portò all’emanazio-
ne (1741) di un decreto e successivamente (1749) di una normati-
va per il territorio sami, entrambi promulgati dal re Federico I allo

300
Kongl. Maj:tts Nådige Förordning/ Om Lappländarnes flitigare underwisande i
Christendomen och Scholars inrättande der i Orten. Gifwen Stockholm i Råd-Camma-
ren den 3 Octob. 1723 (in SFS 1723). Essa porterà alla costruzione di scuole (tuttavia
piccole scuole!) in diverse località (anche al di fuori del territorio sami propriamente
detto): nel 1732 a Åsele e Jokkmokk; nel 1743 ad Arjeplog (sami Aarjepluevie, Árje-
pluovve e Árjepluovve) e a Utsjok (questa venne tuttavia chiusa nel 1750, cfr. sopra,
nota 273); nel 1744 a Jukkasjärvi; nel 1748 circa a Föllinge e nel 1756 a Gällivare (sami
Jiellevárri o Váhčir).
301
Il problema dell’alcolismo fra i Sami era del resto piuttosto grave. In materia si
susseguì dunque una serie di decreti intesi (per molti versi inutilmente!) ad arginarlo
attraverso lo strumento legale. Cfr. nota 276.
302
Come sopra si è detto (vd. p. 736 con nota 250), gli incentivi per coloro che
avessero voluto trasferirsi nei territori settentrionali risalgono assai indietro nel tempo;
il Nord della Svezia tuttavia rimase abitato quasi esclusivamente dai Sami (soggetti
comunque a tassazione da parte della Corona) fino a tutto il XVI secolo. Dall’inizio
del XVII l’accresciuto interesse per le risorse di queste zone portò alla intensificazione
dei commerci; a località come Piteå (dove fin dal XV secolo era stata eretta una chie-
sa), Luleå e Torneå sorte nei luoghi in cui soggiornavano i birkarlar (vd. p. 1395) altri
centri si aggiunsero, sia come sedi di chiese (cfr. nota 258 e nota 273) sia come centri
mercantili: tra i principali Kuoksu, Karesuando e Kuttainen (sami Guhttás). Il 27
settembre 1673, sollecitato dal governatore (landshövding, vd. pp. 668-669) del Väster-
botten Johan Graan (morto nel 1679) – il quale riteneva che i Sami e i coloni avreb-
bero potuto vivere fianco a fianco con reciproco vantaggio – il re Carlo XI emanò il
cosiddetto “manifesto per i territori sami” (Lappmarksplakatet, in Poignant 1872
[Abbr.], pp. 20-21) che concedeva ai sudditi svedesi e finlandesi che avessero intra-
preso lo sfruttamento dei terreni inutilizzati diversi privilegi tra cui una quindicenna-
le esenzione fiscale e la dispensa dal servizio militare. Questa decisione indusse molti
a trasferirsi in quelle zone (soprattutto nel distretto finlandese di Kemi), il che tuttavia
(almeno dal punto di vista dei Sami) non produsse certo gli effetti sperati. Nel 1695
(3 settembre, in Poignant 1872, pp. 33-34) venne dunque emesso un nuovo decreto
che aveva lo scopo di limitare lo sfruttamento del territorio da parte dei coloni, in
particolare il diboscamento selvaggio. Diversi documenti relativi alla ‘politica eccle-
siastico-colonizzatrice’ di Carlo IX nei territori sami sono raccolti anche nel cap. 1 di
Nordberg 1973 (Abbr.), pp. 15-52.

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750 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

scopo di regolamentare l’accesso al territorio.303 A partire dal 1750


si cercò anche di stabilire i confini dell’area, una questione che fu
definita solo con una risoluzione assunta in una riunione degli
stati nel 1766.304 In questo modo la “Regione dei Lapponi [Sami]”
(Lappland) veniva definitivamente istituita.
Anche in Norvegia l’esito della missione era stata l’integrazio-
ne definitiva del territorio dei Sami in quello del Regno e, dunque,
l’inizio di una nuova fase nella storia di questo popolo. Il che
appare emblematicamente rappresentato in un decreto del 1787
con il quale si stabiliva la fine del monopolio mercantile della
città di Bergen nella regione di Finnmark e, insieme, la fondazio-
ne di centri per il commercio a Tromsø (sami Romsa, nel distret-
to di Troms), a Hammerfest (sami Hámmárfeasta) e a Vardø
(sami Várggát) nell’estremo est della regione.305 Due anni dopo (1
giugno 1789) entrava in vigore il libero scambio: Hammerfest,
Tromsø e Vardø divenivano così le prime città della Norvegia
settentrionale.306
Molti cambiamenti erano intervenuti e una ‘questione sami’ – che
a lungo avrebbe atteso una soluzione (per altro non ancora del
tutto positivamente raggiunta) – si era definitivamente aperta. I più
perspicaci presto lo avevano compreso. A esempio Anders Chyde-
nius, il più classico dei liberali nordici,307 di fronte al problema del
rapporto tra le risorse del territorio sami e la popolazione (ormai
costituita in gran parte anche da coloni), aveva proposto la trasfor-
mazione di quell’area in uno stato con sovranità limitata allo stret-
to indispensabile, dove ciascuno godesse delle sue proprietà e,
soprattutto, della sua libertà, con l’unica presenza di un giudice
che garantisse da qualsiasi prevaricazione: utopia di un mondo
basato sul diritto naturale individuale dove i Sami e i coloni potes-
sero vivere in pace nel rispetto reciproco. E tuttavia un’utopia e
dunque – in quanto tale – irrealizzabile. Eppure sul piano pratico
qualcosa fu comunque fatto. In base al trattato di Strömstad che

303
Rispettivamente: 20 novembre 1741 (Poignant 1872 [Abbr.], pp. 36-37) e 24
novembre 1749 (ibidem, pp. 37-43).
304
Vd. Norstedt G. – Norstedt S., Landskapsgränsen mellan Ångermanland, Väster-
botten och Åsele lappmark, Umeå 2007, pp. 36-39 (ma anche pp. 96-106).
305
 Schou (Abbr.) IX, 5 settembre 1787, pp. 336-344.
306
 Schou (Abbr.) X, 17 luglio 1789, pp. 37-43. L’ordinanza si rifà esplicitamente al
decreto del 5 settembre 1787. Cfr. nota 160. Vd. Sivertsen J., Hammerfest 1789-1914,
Hammerfest 1973; Kyrre Reimert P., “Hammerfest – Norges første ishavsby 1778-
1829”, in Heimen, XVIII (1980: 1) pp. 285-294 e Ytreberg N.A., Tromsø bys historie,
I-II, Tromsø 1946-1971.
307
Cfr. sopra, p. 711 con nota 141 e p. 776.

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I princìpi della modernità 751

nel 1751 stabiliva la linea di confine tra la Svezia e la Norvegia308


si determinava infatti il problema dei Sami che nei loro sposta-
menti frequentemente l’avrebbero attraversata. Al trattato venne
dunque aggiunto un codicillo (comunemente noto come “codi-
cillo per i Sami”): un testo in trenta articoli nel quale si stabiliva
che essi avrebbero dovuto scegliere ‘da che parte stare’, divenen-
do, di fatto, sudditi svedesi o norvegesi ma, al contempo, si rico-
nosceva il loro diritto di utilizzare liberamente (anche in caso di
guerra) i pascoli per le renne da entrambi i lati del confine secon-
do l’antica consuetudine.309 Seppure questa deliberazione abbia
notevole importanza in quanto per la prima volta riconosce ai
Sami diritti speciali rispondenti alle loro esigenze, un’enfasi ecces-
siva (che ha portato nel secolo XIX a definire questo trattato la
Magna Charta dei Sami) non pare condivisibile.310 I problemi dei
Sami come ‘minoranza’ si sarebbero infatti trascinati a lungo e
tutt’oggi non paiono aver trovato una soluzione pienamente sod-
disfacente.

Nel suo scritto Sugli errori e la superstizione dei Sami, Isaac Olsen rife-
risce – volendo sottolineare la difficoltà dell’opera di evangelizzazione –
molte notizie ed episodi di notevole interesse. Particolarmente curiosa è
la storia di tale Olof (Olaus) Sirma Mattsson (Čearbmá-Ovllá, morto nel
1719), il prete che diventò sciamano (noaidi).311 Di lui si racconta che era
un sami nato nella regione di Torneå da una famiglia povera nella quale
si praticava assiduamente la magia. Una volta un signore svedese che
viaggiava in quelle zone prese con sé il ragazzo e si occupò della sua
istruzione, mandandolo a scuola e inviandolo infine anche a Stoccolma
perché completasse la formazione da prete. Olof era soprannominato

308
Vd. p. 550, nota 95.
309
Första Bihang eller Codecill till Gränsse Tractaten emellan Konunga Rikerne
Swerige och Norge, Lappmännerne beträffande in STFM VIII, 21 settembre – 2 ottobre
1751, pp. 597-608. Questo trattato rimase in vigore per più di centocinquanta anni
finché fu emanata la legge per i Sami nei Regni uniti di Svezia e Norvegia (Laka
bagjesami harrai dain ovtastattujuvvum gonagasrikain Norgast ja Ruottarikast / Lov
angaaende Lapperne i de forenede Kongeriger Norge og Sverige: emanata il 2 giugno
1883, in vigore dal 1 gennaio 1884, corredata di una ‘risoluzione reale’ il 17 novembre;
[trad. di J.K. Qvigstad]). Dopo la separazione della Norvegia dalla Svezia nel 1905
(vd. pp. 1013-1017) sono state stipulate (e rimodulate) al riguardo diverse conven-
zioni.
310
In proposito si legga: Lappcodicillen av 1751 – var det Samernas Magna charta?
(= Dieđut: I [1989]) e Pedersen S., Lappekodisillen i nord 1751-1859. Fra grenseavtale
og sikring av samenes rettigheter til grensesperring og samisk ulykke, Guovdageaidnu
2008.
311
Questa storia si trova nell’ed. cit. in EF alle pp. 77-82.

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752 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

sciermo, vale a dire “lupo”, per via dell’aspetto brutto e trasandato che
aveva quando giunse a scuola.312 Una volta divenuto prete egli fu inviato
nella parrocchia di Enontekis dove rimase dal 1675 fino alla morte.313 È
riferito che Olof era duro e severo nei confronti dei suoi parrocchiani
(arrivando anche ad alzare le mani) e pretendeva che essi abbandonasse-
ro completamente le loro credenze, si sbarazzassero di ogni oggetto
rituale (soprattutto i tamburi) e si dedicassero ad apprendere la nuova
dottrina e a leggere i libri. All’inizio la gente del posto non gli diede
importanza, poi però di fronte alle sue insistenze gli domandò perché
fosse così intransigente, dal momento che – essendo lui stesso di etnia
sami – doveva ben sapere quali benefici venissero dall’osservanza della
tradizione. Essi avrebbero fatto ciò che lui chiedeva (ascoltare le prediche
e leggere i testi religiosi), quando ne avessero avuto il tempo, ma – l’una
cosa non escludeva l’altra – non avrebbero mai tralasciato i rituali che per
secoli erano stati praticati dai loro antenati. Dissero anche che se non li
avesse lasciati in pace lo avrebbero ucciso o fatto morire per opera di
magia, ammonendolo ripetutamente, finché – dal momento che lui era
sempre più intollerante e ostinato – diverse volte lo acchiapparono e
gliele suonarono di santa ragione. Egli però quando si rimetteva in piedi
ricominciava a trattarli duramente e a pretendere che abbandonassero le
loro tradizioni. Alla fine gli fecero una magia che avrebbe dovuto ucci-
derlo. Così Olof dovette pagare uno sciamano per togliersi di dosso il
maleficio, molte altre volte tuttavia essi gli mandarono malefici e lui pagò
altri sciamani per liberarsene.

“[...] alla fine però essi gli mandarono una maledizione e una magia così
potente, che quasi ne morì, allora ebbe paura di loro e promise che avrebbe
lasciato perdere, se si fosse ripreso, poi essi ritirarono il maleficio, dal
momento che egli aveva promesso di cambiare le cose, sicché poi lasciò loro
il permesso di praticare liberamente i loro riti tradizionali, purché per lo
meno andassero in chiesa nei giorni festivi e quando si teneva la predica, il
che essi ugualmente promisero, e poi egli stesso cominciò a praticare la magia
e a eseguire canti tradizionali,314 allo stesso modo degli altri Finni e Sami e
312
 Olsen precisa (p. 77) che sciermo (tsjierma) è un termine della lingua dei Kveni,
una popolazione di parlata ugro-finnica stanziata all’epoca nell’estremo nord della
Norvegia e nelle regioni del Norrland svedese di Tornedalen (attuali comuni di Pajala,
Övertorneå e Haparanda) e di Lannanmaa (attuali comuni di Kiruna, in sami Giron,
e Gällivare). Il ragazzo infatti era stato mandato a scuola nella regione dei Kveni. Cfr.
p. 145 con nota 176.
313
 Cfr. nota 258.
314
 Nel testo queste azioni sono espresse dai verbi rune e joige (joike). Il primo (che
contiene un indubbio richiamo al valore magico delle rune, su cui vd. 2.5) significa
“esercitare arti segrete”, “pronunciare formule magiche”, “praticare la magia” (del
resto il tamburo sami è detto in norvegese runebomme). L’allusione alle rune contenu-
ta in questa parola è qui certamente rafforzata dall’uso di simboli magici da parte degli
sciamani sami: ciò del resto appare chiaro poco più avanti quando Olsen definisce
“runici” i loro tamburi (decorati con tutta una serie di figure dal valore simbolico). Il

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I princìpi della modernità 753

dei loro sciamani e non solo si recava ad ascoltare lo sciamano e la messa


magica,315 quando lo sciamano celebrava la messa magica, ma anche lui
stesso praticava la magia ed eseguiva i canti tradizionali con tamburi
runici e altri strumenti che a ciò sono utili, e ogni tanto egli stesso cele-
brava la messa magica; così dopo un po’ vennero da lui i noaide-gadzer316
e lo invitarono ad accettare l’eredità dell’arte [magica] e [insieme] loro
che gli toccavano in eredità da suo padre e dai suoi parenti, che erano
morti, e se lui non avesse voluto accettarli e [con loro] l’arte [magica]
allora lo avrebbero ucciso, ma lui non volle e pagò sempre degli sciamani,
ogni volta che [quelli] venivano, per scacciarli con la magia e i canti tra-
dizionali; ma alla fine, quando vennero da lui, essi non vollero più ubbi-
dire agli sciamani e ritirarsi di fronte ai suoi diabolici sciamani; allora
dovette accettarli e insieme l’arte [magica], e in particolare quella di suo
padre, [il che] fu per lui la cosa più difficile; e poi diventò abile come gli
altri nelle arti e nelle tecniche [magiche], cosicché [ora] pratica la magia
ed esegue canti tradizionali come gli altri sciamani e celebra la messa
magica quando è necessario come il migliore fra gli sciamani [...] e quan-
do esce dalla chiesa nei giorni festivi e ha fatto la sua predica, allora getta
via il mantello in un angolo e subito comincia a praticare la magia e a
eseguire canti tradizionali [...].”317

È detto anche che i noaide-gadzer volevano che Olof gettasse via il suo
libro, cioè, in pratica, rinunciasse a essere prete. Egli tuttavia sempre
rifiutò, sostenendo che in tal modo avrebbe rinunciato alla fonte del suo
sostentamento e al suo ufficio. Nonostante quelli gli promettessero gran-
di ricchezze e lunga vita non cambiò mai idea su questo punto.

secondo è tratto dal termine sami joik (“canto”): un’espressione musicale (nella quale
l’aspetto vocale è assolutamente prevalente) attraverso cui si vuole esprimere l’essenza
di una forma di realtà visibile: sia essa una persona, un animale, un luogo, una circo-
stanza. Vd. p. 1411 con nota 133.
315
Col termine troldmesse (scritto troldmeße) “messa magica”, l’autore vuole sot-
tolineare la netta opposizione tra il rito cristiano e quello da lui considerato diabolico.
316
Come precisa J. Qvigstad, editore del lavoro di Olsen (p. 30, nota 1), il termi-
ne noaide-gadze (o noaide-gaddse, nel testo in un plurale formato con la desinenza
del dano-norvegese!) indica il seguito di spiriti (buoni o cattivi) che assistono lo
sciamano, il quale può decidere a chi, dopo la sua morte, essi debbano andare in
eredità. Questi dunque poi si manifestano all’erede designato chiedendo di essere
presi al suo servizio e non di rado, nel caso in cui egli rifiuti, lo tormentano fino a
quando non hanno ottenuto il loro scopo. Questi spiriti appaiono allo sciamano in
aspetto di bambini che indossano abiti sami tradizionali e parlano solo la lingua sami.
Per lo sciamano essi sono compagni e guide che gli trasmettono i segreti delle arti
magiche e gli insegnano come comportarsi di fronte alle malattie o alla sfortuna. Vd.
pp. 1387-1388.
317
DLO nr. 149.

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754 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

10.3.2. La riscoperta della Groenlandia

Come è stato detto in precedenza318 attorno alla metà del XV


secolo gli insediamenti dei coloni nordici in Groenlandia erano
quasi certamente deserti e le rotte nell’Atlantico settentrionale
praticamente abbandonate.319 Tuttavia, qualche decennio dopo, un
fatto di straor­dinaria importanza – la scoperta dell’America nel 1492
– avrebbe cambiato le cose. A partire dalla fine del secolo ebbero
infatti inizio le spedizioni verso le zone più settentrionali del conti-
nente americano, alla ricerca di quel passaggio a nord-ovest che, a
partire da Giovanni Caboto (ca.1450-1498?), avrebbe attratto esplo-
ratori e naviganti. È ben più che probabile che tali spedizioni
abbiano toccato la Groenlandia, il che, naturalmente, diede l’avvio
a qualche forma di commercio con gli Eschimesi che vi abitavano.
Poco più di un secolo dopo, nel 1596, il navigatore olandese Willem
Barents (ca.1550-1597), in questo caso impegnato nella ricerca di
un passaggio a nord-est, scopriva Spitsbergen, l’isola più grande
dell’arcipelago delle Svalbard.320 Questo fatto ebbe grande impor-
tanza dal punto di vista economico perché presto in queste acque

318
Vd. 7.2.
319
Poco credito ha ottenuto presso gli studiosi la tesi di Sophus Larsen (The Discov­ery
of North America twenty years before Columbus, Copenhagen 1925), secondo il quale
con il patrocinio del re danese Cristiano I nel 1473 alcune navi sarebbero partite per
la Groenlandia, raggiungendo anche le coste americane (Terranova o il Labrador).
Questa spedizione (cui avrebbero partecipato anche navigatori portoghesi) sarebbe
stata guidata dal polacco Johannes Scolvus o Scolnus (Jan z Kolna, 1435-1484) e dal
tedesco Didrik Pining (ca.1430-1491) che più tardi (1478-1481) sarebbe divenuto
governatore d’Islanda (vd. GHM III, pp. 628-630; Daae L., “Didrik Pining”, in NHT
III [1882], pp. 233-245; Storm G., “Søfareren Johannes Scolvus og hans reise til
Labrador elle Grønland”, in NHT V [1886], pp. 383-400; Hughes Th.L., “The German
discovery of America. A review of the controversy over Pining’s 1473 voyage of explora­
tion”, in German Studies Review, XXVII [2004], pp. 503-526). È invece certo che,
successivamente il re Cristiano II, progettò di inviare navi in Groenlandia (vd. Svens-
son S., Kristian den andres planer på en arktisk expedition och deras förutsättningar. Ett
bidrag till de geografiska upptäckternas ideologi, Lund 1960).
320
Sebbene questa sia considerata la data ufficiale della scoperta delle isole, si può
ragionevolmente ritenere che esse fossero già conosciute dai Nordici: il nome Svalbarð
(noto fin dal medioevo, seppure non sia affatto certo il riferimento a questo arcipelago)
significa in norreno “Coste fredde”. È anche probabile che questi territori fossero
frequentati da cacciatori provenienti dalle coste del Mar Bianco almeno a partire dal
XIV e XV secolo. Il toponimo Spitsbergen (in nederlandese “Montagne appuntite”)
fu coniato da Barents stesso in riferimento alla morfologia del luogo, tuttavia in segui-
to è stato frequentemente usato per indicare l’intero arcipelago. Sulla storia delle
isole vd. Conway M., No Man’s Land. A History of Spitsbergen from its Discovery in
1596 to the Beginning of Scientific Exploration of the Country, Cambridge 1906. Cfr.
p. 1104 con nota 633.

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I princìpi della modernità 755

prese l’avvio una redditizia caccia alle balene che si sarebbe estesa
anche ai mari della Groenlandia. Il re Cristiano IV considerò da
subito le Svalbard come parte di quell’antica colonia, sulla quale
già suo padre Federico II si era affrettato a ribadire la propria
sovranità organizzando spedizioni (per altro fallite)321 ed emanando
alcuni decreti, come quello emesso nel 1579 in cui si legge che il
Paese, da lungo tempo non più visitato, doveva ora venire riporta-
to sotto “la sua giusta autorità e i sudditi […] guidati verso la giusta
fede.”322 I primi a raggiungere e ‘riscoprire’ la Groenlandia furono
tuttavia gli Inglesi.323 Negli anni tra il 1605 e il 1607 il re Cristiano
IV, direttamente interessato anche nella ricerca del passaggio a
nord-ovest così come di quello a nord-est,324 organizzò delle spedi-
zioni navali delle quali solo la prima ebbe qualche successo;325 esse
proseguirono poi con il successore Federico III.326
321
La più nota è quella affidata nel 1581 al faroese Magnus Heinason (danese Mogens
Heinesen, ca.1545-1589), vd. GHM III, pp. 634-660; cfr. p. 1447.
322
NRR II, pp. 337-338 (21 maggio 1579; la citazione in lingua danese: “sin rette
Öffrighed Och Vundersotternne [...] föris till thend rette thro”). Nel testo del decreto
inoltre si stabiliva di inviare una spedizione di due navi con il compito di acquisire tra
l’altro informazioni sugli approdi, che l’equipaggio avesse il salario raddoppiato e che
ne facessero parte due esperti di lingua.
323
Nel 1585 vi arrivò infatti John Davis (1550-1605) dal quale prende nome lo
stretto tra la Groenlandia e l’isola di Baffin; vd. GHM III, p. 657, pp. 666-670 e
Bugge G.N., John Davies tre rejser til Grønland i Aarene 1585-87 (Det Grønlandske
selskabs skrifter VII [1930]). Ma già in precedenza Martin Frobisher (ca.1535-1594)
nel corso dei suoi viaggi alla ricerca del passaggio a nord-ovest (1576-1578) aveva
raggiunto la Groenlandia: egli tuttavia riteneva che si trattasse dell’isola di Frisland,
un territorio segnato sulle carte dell’epoca ma, in realtà, inesistente. Egli le diede nome
Nuova Inghilterra (vd. GHM III, pp. 637-638).
324
L’incarico di trovare questi passaggi fu da lui affidato al navigatore Jens Munk
(1579-1628). Nel 1610 costui fu al comando di una delle due navi inviate dal re a
verificare le possibilità di un passaggio a nord-est: questa spedizione si concluse in
sostanza con un nulla di fatto. Tra il 1619 e il 1620, invece, Munk navigò alla ricerca
del passaggio a nord-ovest. Ma l’esplorazione si risolse in un totale disastro, dal
momento che la gran parte dell’equipaggio, sorpreso dal precoce inverno senza ade-
guato equipaggiamento e cibo sufficiente, fu uccisa dallo scorbuto. Jens Munk poté
fare ritorno solo insieme a due uomini. Le memorie di questa esperienza sono da lui
raccolte nello scritto dal titolo Navigazione settentrionale (Navigatio septentrionalis)
del 1624 redatto in lingua danese. Vd. GHM III, pp. 702-711.
325
Vd. GHM III, pp. 670-699 e anche Gosch C.C.A., Danish Arctic Expeditions,
1605 to 1620, I-II, London.
326
Nella sezione etnografica del Museo nazionale (Nationalmuseet) di Copenaghen
è conservato un dipinto realizzato a Bergen nel 1654 che raffigura quattro eschimesi
(tre donne e un uomo) catturati dai componenti della spedizione guidata da David
Urbanus Dannel (ufficiale olandese, ca.1605-1661) nel fiordo di Nuuk e condotti in
Europa. L’autore dell’opera è ignoto, tuttavia dovrebbe trattarsi di Salomon von Haven
(nato prima del 1600, morto dopo il 1670) originario di Stralsund e poi attivo a Bergen.
Si tratta della prima dettagliata rappresentazione pittorica di individui appartenenti

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756 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

Nonostante le pretese danesi il commercio con la Groenlandia


restò, almeno inizialmente, affidato alla libera iniziativa. La caccia
alle balene era intensiva (soprattutto da parte degli Inglesi e degli
Olandesi) e il mercato dei prodotti artici prosperava. Oltre all’olio
e al grasso di balena le merci più richieste erano le pelli di foca e
l’avorio di tricheco e di narvalo venduti dagli Eschimesi, i quali
chiedevano in cambio stoffe e utensili ma anche perle di vetro327 e
liquori: la diffusione di questi ultimi, così come il diffondersi di
diverse malattie avrebbe presto prodotto deleteri effetti. Nel 1636
il sovrano danese, richiamandosi all’antico diritto del suo Regno
su quella terra, fondò la Compagnia commerciale groenlandese
(Grønlands Handelskompagni) per gestire i traffici in quella regio-
ne: ciò tuttavia non portò a significativi risultati (un tentativo
analogo era già stato fatto nel 1619).328 Del resto le risorse di quel
territorio facevano gola a molti.329
Ma il predominio danese sulla Groenlandia si sarebbe afferma-
to piuttosto grazie all’opera di avventurosi missionari. Il primo – e
il più celebre – è senz’altro Hans Povelsen Egede (1686-1758), un
ecclesiastico dano-norvegese cui era stata affidata la parrocchia di
Vågan nelle isole Lofoten: nel 1721 egli ottenne da Federico IV
l’autorizzazione a recarsi in Groenlandia, dove era sua intenzione
ritrovare i discendenti dei nordici che un tempo vi si erano inse-
diati (all’epoca si riteneva infatti che essi ancora vivessero lì) e
convertirli al luteranesimo.330 Egli si stabilì sull’isola Illuerunnerit
che chiamò in danese Håbets ø (“Isola della speranza”) sul lato
settentrionale presso l’ingresso del fiordo di Nuuk e vi rimase per
sette anni. Quando si rese conto che la sua ricerca era vana, si
dedicò alla conversione degli Eschimesi. Nel 1728 si trasferì dunque

all’etnia inuit; in precedenza possediamo una incisione su legno raffigurante una


donna inuit e il suo bambino in un opuscolo tedesco risalente agli anni ’60 del XVI
secolo (vd. Sturtevant W.C., “First Visual Images of Native America”, in Chiappelli
F. [ed.], First Images of America. The Impact of the New world on the Old, Berkeley
1976, pp. 417-454).
327
Queste sono poi divenute elemento irrinunciabile del costume nazionale groen-
landese, in particolare di quello femminile.
328
Cfr. p. 552, nota 101.
329
In questo contesto va considerata anche l’infelice e complicata vicenda del
funzionario e scrittore norvegese Povel Juel (cfr. nota 175). Nel 1722 egli aveva sotto-
posto al re Federico IV un progetto relativo alla colonizzazione della Groenlandia.
Non avendo avuto alcun riscontro si era rivolto dapprima agli Svedesi e infine ai
Russi e al duca di Holstein-Gottorp (tradizionale antagonista del re danese). Le sue
trame furono tuttavia scoperte ed egli fu condannato a morte come traditore. Vd.
Flood C., Povel Juel. En Levnetsbeskrivelse, Mandal 1876.
330
Vd. Fenger 1879, pp. 35-36.

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I princìpi della modernità 757

nel luogo in cui sarebbe sorta la capitale Nuuk, che ebbe il nome
danese di Godthåb (“Buonasperanza”). Nel 1731, a fronte dei man-
cati risultati economici, il re Cristiano VI ordinò che le imprese
groenlandesi chiudessero; tuttavia Hans Egede grazie ai buoni
risultati ottenuti nella conversione degli Eschimesi poté restare.331
Nel 1736, in seguito alla morte della moglie, Hans Egede tornò in
Danimarca; la sua opera fu comunque portata avanti per sei anni
dal figlio Poul (1708-1789).332 La strada era ormai tracciata. Del
resto già due anni prima altri missionari, appartenenti al movimen-
to dei cosiddetti Fratelli di Herrnhut,333 avevano avuto l’autorizza-
zione reale a recarsi in Groenlandia: anch’essi furono molto attivi
nell’opera di conversione e rimasero a lungo nel Paese.334 I risultati
da loro ottenuti furono (almeno dal punto di vista numerico del-
le conversioni) inferiori rispetto a quelli dei rappresentanti della
Chiesa di Stato, ma la loro missione ebbe carattere fortemente
evangelico rispetto a quello più ‘civilizzatore’ dell’altra.
Naturalmente l’aspetto mercantile della ‘ricolonizzazione’ assun-
se presto un’importanza preminente: del resto l’iniziativa di Hans
Egede era stata finanziata da commercianti di Bergen – che avevano
fondato per quello scopo una Compagnia di Bergen per la Groen-
landia (Det Bergen Grønlandske Kompagni, attiva dal 1721 al 1727
quando fallì) – e, dunque, si attendevano un ritorno economico: nei
diversi centri che erano sorti sul territorio si esercitava un intenso
commercio che la Corona danese ambiva a portare sotto stretto
controllo.335 Dopo il fallimento della Compagnia di Bergen, la
gestione dei traffici fu affidata all’iniziativa privata, in particolare a

331
Vd. ibidem, p. 110.
332
Vd. GHM III, pp. 728-740. Sulla figura di Hans Egede è incentrato il lavoro
(assai critico nei confronti dei colonizzatori) Hans Egede. Ovvero la parola di Dio per
mezzo barile di grasso di balena. Opera teatrale in 4 atti con un preludio (Hans Egede.
Eller Guds ord for en halv tønde spæk. Skuespil i 4 akter med et forspil, 1979) dell’auto-
re danese Sven Holm (vd. p. 1256).
333
Vd. oltre, p. 762 con nota 356. Questo movimento diede all’attività missionaria
un impulso fondamentale.
334
La prima delle loro colonie che ebbe nome Neu Herrnhut sorse nel 1733 a sud
di Nuuk. Altri centri da loro fondati sono Akunnat (tedesco Lichtenfels), presso
Qeqertarsuatsiaat sulla costa sud-occidentale (1766) e Alluitsoq (tedesco Lichtenau)
nel sud del Paese (1774). L’attività missionaria dei Fratelli di Herrnhut in Groenlandia
proseguì fino al 1900. Altri missionari che successivamente opereranno qui promuo-
vendo la vita culturale della colonia saranno Peter Kragh (1794-1883) traduttore di
diversi testi religiosi in lingua inuit e Johannes Jakob Kjeld Løchte (1786-1857) pro-
motore della scolarizzazione fra gli Eschimesi.
335
Tra l’altro in Groenlandia fu dato il via anche a una attività mineraria (grafite,
carbone).

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758 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

Jacob Sørensen Severin (1691-1753), un danese che aveva preceden-


te esperienza con l’Islanda e la regione settentrionale norvegese di
Finnmark (e che dunque si sentiva in grado di affrontare l’impresa):
costui nel 1733 ottenne dal re Cristiano VI il monopolio del commer-
cio in Groenlandia (rinnovato poi nel 1740) e un notevole contributo
in denaro. In nome del re danese egli sostenne anche dei conflitti
armati con gli Olandesi. Così il commercio riprese e fiorirono nuovi
centri.336 Nel 1749 il monopolio passò alla Compagnia commerciale
generale (Det Almindelige Handelskompagni) fondata nel 1747.337
Quando questa fu liquidata (1774) le subentrò il cosiddetto Reale
commercio groenlandese (Den Kongelige Grønlandske Handel) che
avrebbe gestito i traffici del Paese addirittura fino al 1950.338
Ma la riscoperta della Groenlandia non comportò solo interessi
di tipo economico, politico o religioso (per altro strettamente con-
nessi). Essa si riflette infatti anche in una serie di scritti che raccol-
gono informazioni di carattere geografico, storico, etnografico e
naturalistico sul Paese e che, se da una parte ben si inquadrano in
un filone scientifico-letterario tipico dell’epoca, dall’altra offrono
la sponda al potere politico nelle sue mire coloniali. In particolare
nel 1596 abbiamo lo scritto Sulla Groenlandia (Om Grønland) di

336
I principali sono: Qasigiannguit (danese Christianshåb, ”Speranza [nel nome
di] Cristiano”) fondata nel 1734 da Jacob Severin; Ilulissat (danese Jakobshavn,
“Porto di Jakob”) fondata nel 1741 a 2 km. a nord dell’antico insediamento di
Sermermiut dal medesimo Severin al quale fa riferimento il nome danese;
Paamiut (danese Frederikshåb, “Speranza [nel nome] di Federico”, 1742); Sisimiut
(danese Holsteinsborg in onore di Johan Ludvig Holstein, 1694-1763, uomo di stato
e intellettuale danese), sorta nel 1756 ed enucleatasi in un territorio da lunghissimo
tempo colonizzato dagli Eschimesi (a circa 15 km. a sud di questa località, sull’isola
di Nipisat, era stata costruita nel 1724 una base per la caccia alle balene che fu distrut-
ta dagli Olandesi: essa venne poi ricostruita e rafforzata militarmente nel 1729 ma in
seguito fu di nuovo distrutta): in questa località nel 1775 sarebbe stata edificata la
seconda chiesa groenlandese (dopo quella di Nuuk del 1758); Qeqertarsuaq (in
danese Godhavn, “Buon porto”, 1773); Qaqortoq (in danese Julianehåb, “Speranza
[nel nome] di Giuliana”, con riferimento alla regina Giuliana Maria, su cui cfr. pp.
691-692). Tutte queste località si trovano nella zona occidentale del Paese dove le
condizioni climatiche sono più accettabili: Qasigiannguit e Ilulissat sulla baia di Disko,
Paamiut e Sisimiut sulla costa, Qeqertarsuaq nella parte meridionale dell’isola Disko,
Qaqortoq nella punta meridionale del Paese. Sulla costa orientale il centro di Tasiilaq
(fino al 1997 detta Ammassalik) fu fondato come stazione commerciale danese solo
nel 1894.
337
Vd. Sveitstrup P.P., Det almindelige Handelskompagni 1747-1774. Med saerligt
Henblik paa dets Virksomhed i Grønland, København 1943.
338
Da questo anno esso avrebbe avuto solo compiti di approvvigionamento. A
partire dal 1986 la gestione è passata al Commercio groenlandese (Kalaallit Niuerfiat
nella lingua degli Inuit).

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I princìpi della modernità 759

Peder Claussøn Friis;339 nel 1607 circa (una Relazione sulla Groen-
landia (Relation om Grønland) in rima, composta da Jens Bielke (o
Bjelke, 1580-1659) che poi sarebbe divenuto cancelliere di
Norvegia;340 nel 1608 La cronaca groenlandese (Den Grønlandske
Chronica) composta (ancora in knittelvers!)341 dallo ‘storico’ Lyschan-
der342 allo scopo di celebrare le spedizioni in quella terra volute da
Cristiano IV; negli anni 1653-1654 la redazione (in latino) dello
scritto Groenlandia di Peder Hansen Resen basato su materiale
tratto da manoscritti islandesi e resoconti di viaggio;343 nel 1688
(uscita postuma) la Groenlandia o storia della Groenlandia (Gron-
landia edur Grænlandz saga) di Arngrímur Jónsson;344 infine 1706
la Groenlandia antica (Gronlandia Antiqva) di Torfæus.345 Ma in
questo contesto vanno ricordati anche gli Annali groenlandesi di
Jón Guðmundsson l’Erudito,346 così come la Relation du Groenland
uscita anonima a Parigi nel 1647 ma dovuta a Isaac de la Peyrère
(1596-1676): essa costituisce la prima opera su questo Paese com-
posta in una lingua europea di grande diffusione.347
339
Vd. p. 585 e pp. 593-594.
340
Su di lui vd. Nielsen Y., “Jens Bjelke til Østraat. Norges Riges Kantsler. Et Bidrag
til Norges indre Historie i den første Halvdel af det syttende Århundrede” (= NHT
1871-1872) e anche Kisbye Møller J., “Jens Bielkes Grønlandsberetning 1605. Grøn-
lands genopdagelse – en aldrig tidligere offentliggjort øjevidneskildring af de første
grønlænderes ankomst til Danmark”, in Grønland, 1985: 5, pp. 117-148. Cfr. p. 547.
341
Vd. p. 396, nota 268.
342
Vd. pp. 538-539. In proposito si legga Storm G., “Om Kilderne til Lyschanders
‘Grønlandske Chronica’”, in AaNOH 1888, pp. 197-218.
343
Su Peder Hansen Resen vd. p. 587. A lui si deve anche uno scritto sull’Islanda (Peder
Hansen Resen, Íslandslýsing, J. Benediktsson þyddi og samdi inngang og skýringar, Reykjavík
1991). Questi lavori facevano parte dell’ambizioso progetto della stesura di un Atlante dane-
se (Atlas danicus) che avrebbe dovuto offrire una descrizione geo-topografica completa
della Danimarca, dell’Islanda, delle Føroyar e della Groenlandia (con riferimento anche alla
flora, alla fauna e ai luoghi di interesse storico). Su incarico di Resen medesimo l’ecclesiastico
ed erudito Johan Brunsmand (cfr. p. 643, nota 525) ne redasse una versione ridotta in latino
e, più tardi, un compito analogo venne affidato dalla vedova di Resen a Christen Aarsleb
(morto nel 1723). Sebbene l’imponente lavoro sia per molta parte andato perduto nell’incen-
dio di Copenaghen del 1728 che distrusse anche la biblioteca universitaria (cfr. p. 685, nota
32), possediamo manoscritti e incisioni che hanno consentito di proporre edizioni critiche
relative a diversi territori; sicché, quantomeno, è possibile avere un’idea di come avrebbe
dovuto risultare l’opera nelle intenzioni dell’autore. Per le parti relative alla Groenlandia
contenute in questo materiale vd. Kisbye Møller J., “Resens Grønlandsbeskrivelse 1687. En
uudgivet tysk-grønlandsk ordliste”, in Grønland, 1985: 5, pp. 149-192.
344
Vd. pp. 594-595.
345
Vd. p. 587.
346
Vd. p. 576, nota 213.
347
Vd. Kisbye Møller J., “Isaac de la Peyrère: ‘Relation du Groenland’. En 335 år
gammel fransk ‘beretning om Grønland’. Den ældste almindelige Grønlandsbeskri-
velse på et europæisk hovedsprog”, in Grønland, 1982: 6, pp. 168-184.

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760 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

Non si può qui dimenticare Hans Egede. Dopo l’arrivo in Dani-


marca la sua attività non si era interrotta: egli divenne punto di
riferimento per tutte le iniziative religiose riguardanti la lontana
colonia, venne nominato vescovo per la Groenlandia (1740) e
consulente del Collegio per le missioni.348 Di particolare interesse
è tuttavia la pubblicazione di due volumi nei quali riversò la propria
esperienza: Dettagliata e completa relazione riguardante l’inizio e il
proseguimento della missione groenlandese (Omstændelig og udførlig
Relation, Angaaende Den Grønlandske Missions Begyndelse og
Fortsættelse, 1738) e Nuova esplorazione dell’antica Groenlandia o
storia naturale (Det gamle Grønlands nye Perlustration, Eller Naturel-
Historie, 1741), rielaborazione ampliata di un precedente scritto
(una continuazione di queste ‘relazioni’ sarà poi redatta dal figlio).
A questo periodo risale anche un importante materiale cartografico,
in parte opera del medesimo Hans Egede.349 E inoltre, nell’ambito
di interessi linguistici ormai ben consolidati, l’annotazione di termi-
ni della lingua inuit, da cui prendono l’avvio i primi lessici350 e le
prime grammatiche. Lavori pionieristici (e fondamentali) sono innan-
zi tutto quelli di Poul Egede (1708-1789), figlio e successore di Hans:351
il Dizionario groenlandese-danese-latino (Dictionarium Grönlandico-
Danico-Latinum, 1750) e la Grammatica groenlandese-danese-latina
(Grammatica Grönlandica Danico-Latina, 1760); poi anche quelli
348
Vd. sopra, p. 740 con nota 271.
349
Di grande interesse, per restare in ambito nordico, sono anche le mappe (in
particolare la cosiddetta ‘mappa di Skálholt’ risalente al 1570) che accompagnano un
manoscritto della seconda metà del XVII secolo (GKS 2881, 4to) conservato presso la
Biblioteca reale (Det kongelige bibliotek) di Copenaghen nel quale è contenuta la
Descrizione della Groenlandia raccolta dalle antichità islandesi da un curioso signore in
Islanda di nome Björn Jónsson di Skarðsá (Grønlands Beskriffvelse Colligeret af Iszland­ske
Antiqvitäter ved en Curieux mand paa Iszland ved naffn Biörn Jonsön paa Skarsaa, 1669)
e, insieme, un testo latino sul medesimo argomento: Concisissima descrizione della
Groenlandia, corografica, topografica e cronologica (Compendiosissima Gronlandiæ
Descriptio Chorographica, Topographica et Chronologica, 1668) a firma di Theodorus
Thorlacius (Þorður Þorláksson, vescovo di Skálholt), un testo per altro pubblicato a
Wittemberg nel 1666 (cfr. p. 633, nota 490).
350
Vd. Kisbye Møller 1985 (la citazione completa in nota 343), pp. 150-151.
351
Giunto in Groenlandia all’età di tredici anni egli aveva presto e bene appreso
l’idioma locale il che fu di fondamentale importanza per i lavori di carattere linguistico
cui si sarebbe poi dedicato. Tradusse in lingua inuit il Nuovo Testamento (la cui prima
versione è del 1744: Evangelium okausek tussarnersok Gub Niarnanik Innungortomik
okausianiglo Usornartuleniglo, tokomello umarmello, Killaliarmello, Innuin
annauniartlugit, aggerromartomiglo, tokorsut tomasa umartitsartortlugit) e molti altri
testi di carattere religioso. Per una traduzione completa di tutte le Sacre scritture
sarebbe occorso tuttavia molto tempo; vd. comunque Nielsen F.A.G., “The earliest
Greenlandic Bible. A study of the Ur-Text from 1725”, in Elliott S.S. – Boer R. (eds.),
Ideology, Culture, and Translation, Atlanta 2012, alle pp. 113-115.

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I princìpi della modernità 761

del missionario, zoologo e linguista Otto (Otho) Fabricius (1744-


1822): il Tentativo di una grammatica groenlandese migliorata (Forsøg
til en forbedret Grønlandsk Grammatica, 1791) e Il dizionario groen-
landese emendato e ampliato (Den Grønlandske Ordbog, forbedret
og forøget, 1804). Studi che culmineranno con i lavori del missio-
nario appartenente alla comunità dei Fratelli di Herrnhut Samuel
Kleinschmidt (1814-1886), di famiglia dano-tedesca ma nato in
Groenlandia al quale si deve la prima sistematizzazione dell’orto-
grafia della lingua inuit.352

10.4. Uomini e idee

Il Settecento è un secolo di grandi cambiamenti che coinvolgono


i diversi aspetti del mondo sociale e culturale scandinavo. Nell’e-
vidente impossibilità di analizzarli nel dettaglio per i limiti imposti
dal presente lavoro si darà qui risalto alle correnti e agli uomini che
in vari ambiti hanno ‘marcato’ questo secolo, una rassegna che si
propone di fornire indicazioni fondamentali e, al contempo, spun-
ti per ulteriori approfondimenti.

10.4.1. Il mondo religioso e la ricerca spirituale individuale

Dal punto di vista religioso il Seicento era stato il secolo dell’in-


flessibile ortodossia. Essa aveva imposto norme rigide e formali
imprigionando la vita spirituale in schemi stabiliti dall’alto e dai
quali pareva impossibile potersi liberare. Sicché almeno in parte
(soprattutto a livello popolare) si erano cercate vie di fuga in un
complesso di credenze e superstizioni che affondavano le proprie
radici nel paganesimo ma anche nella dottrina cattolica oppure (in
ambito erudito) ci si era abbandonati a una sorta di indifferenza
religiosa o dedicati a ricerche scientifiche, sempre tuttavia condi-
zionate dal timore di trovarsi in pericolosa contraddizione con la
verità dogmaticamente riconosciuta. Ma con il propagarsi delle
nuove idee, soprattutto delle critiche alla religione ‘statale’ e non
352
Nel 1851 egli pubblicherà la Grammatica della lingua groenlandese con parziale
inserimento del dialetto del Labrador (Grammatik der grönländischen Sprache mit
theilweisem Einschluss des Labrador-dialects; rist. 1968) e nel 1871 Il dizionario groen-
landese, rielaborato (Den Grönlandske Ordbog, omarbejdet).

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762 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

piuttosto ‘naturale’ formulate dal filosofo inglese John Locke (1632-


1704), vennero sviluppandosi nuove concezioni che presto produs-
sero i propri effetti, diversificati certo, ma in sostanza riconducibi-
li alle medesime ragioni. Da una parte ci fu chi (una minoranza di
intellettuali) ricercò soluzioni individuali, che condussero a esiti
assai diversi, dall’ateismo a un personalissimo misticismo. Dall’altra
si manifestarono invece reazioni che pur rimanendo nell’ambito
dell’esperienza religiosa vollero, parallelamente, affermare la volon-
tà e la capacità di scelta dell’individuo.
In tale prospettiva va certamente considerata la nascita in Ger-
mania del pietismo, un movimento che, raccogliendo fermenti da
lungo tempo presenti nella vita religiosa, sorse negli anni ’70 del
XVII secolo rivendicando un nuovo e più personale rapporto del
singolo individuo con Dio e sottolineando al contempo l’impor-
tanza d’una condotta morale rigorosa e di una fede attiva.353 Per la
contiguità geografica e il secolare rapporto culturale con l’area
tedesca, questa corrente religiosa si diffuse naturalmente anche in
Danimarca, ma la sua affermazione avvenne qui piuttosto tardi
– in sostanza intorno agli anni ’30 del Settecento –354 nella scia
della sua corrente più tradizionalista, che restava legata al magiste-
ro della Chiesa.
In precedenza (1706) c’era stato un divieto riguardante le riunio-
ni di preghiera355 dettato dal forte timore di dispute religiose come
quelle che si erano verificate in Germania: il pietismo infatti aveva
sviluppato una corrente radicale, più portata al soggettivismo reli-
gioso, e conosciuto la nascita del movimento dei cosiddetti Fratelli
di Herrnhut.356 Sopra è stato ricordato come il re Cristiano VI,

353
Vd. Brecht M. – Deppermann Kl. et al. (hrsg.), Geschichte des Pietismus, im
Auftrag der Historischen Kommission zur Erforschung des Pietismus, I-IV, Göttingen
1993.
354
Si ricordi che all’epoca Philipp Jakob Spener (1635-1705), fondatore del movi-
mento (sul quale Wallmann J., Philipp Jakob Spener und die Anfänge des Pietismus,
Tubingen 1970), era morto ormai da molti anni.
355
Indicazioni in Schou (Abbr.) II, 2 ottobre 1706, pp. 128-129.
356
Esso va ricondotto all’opera di Nikolaus Ludwig conte di Zinzendorf (1700-1769).
Allievo a Halle del pietista August Hermann Francke (cfr. nota 364), nel 1722 egli
aveva accolto nella sua tenuta nella Lusazia superiore un gruppo di Fratelli Boemi
(legati al movimento hussita) cui poi si aggiunsero persone appartenenti ad altre con-
fessioni che sfuggivano alla persecuzione religiosa. La colonia, sorta sulle pendici del
monte Hut, ebbe nome Herrnhut: qui Zinzendorf intendeva, in spirito di piena tolle-
ranza, permettere a ciascuno di praticare liberamente la propria fede. Essendo tuttavia
sorti forti contrasti, Zinzendorf si impegnò per stabilire delle regole che furono for-
malmente accettate nel 1727. Ciò produsse benefici effetti in quanto la vita della
comunità conobbe un notevole progresso spirituale. Particolare attenzione fu posta

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I princìpi della modernità 763

sua madre e sua moglie, aderissero a questo movimento religioso,


il che ben testimonia in che misura esso fosse accolto nel Paese;357
d’altronde è noto come Nikolaus Ludwig conte di Zinzendorf,
fondatore della comunità di Herrnhut, avesse trovato (almeno in
un primo momento) un’ottima accoglienza in Danimarca.358 Pieti-
sti furono personaggi di grande rilievo come il vescovo Ludvig
Harboe,359 l’apostolo della Groenlandia Hans Egede, il vescovo di
Bergen Erik Pontoppidan,360 il vescovo di Ribe e poeta salmista
Hans Brorson,361 l’insegnante e pastore dell’orfanatrofio di Cope-
naghen362 Enevold Ewald (1696-1754), padre del poeta Johannes:363
quest’ultimo anzi, avendo studiato anche a Halle, fu uno dei più
convinti promotori e una delle figure di riferimento di questa dot-
trina.364 E tuttavia il pietismo nella ‘versione di Herrnhut’ (che
trovava nel Paese crescente favore) così come il pietismo radicale
costituivano – per la capacità di scardinare il legame di assoluta
obbedienza del singolo fedele nei confronti dei precetti della Chie-
sa – una potenziale minaccia per l’assolutismo monarchico. La
Corona danese accettava il pietismo solo come una forma rinnova-
ta della religione di Stato. Ciò determinò dunque una precisa
scelta da parte del re (riflessa nell’allontanamento da Zinzendorf)
sicché nel volgere di pochi anni vennero presi diversi provvedimen-
ti: nel 1735 venne imposto l’obbligo di prendere parte alle funzioni

all’attività missionaria nelle colonie. Negli anni Zinzendorf dovette affrontare molte
difficoltà di carattere sia teologico sia pratico, tuttavia portò avanti la propria opera
per tutta la vita, affidando infine la sua comunità al vescovo Johannes von Watteville
(1718-1788) marito di sua figlia Benigna (1725-1786).
357
Vd. p. 684.
358
Egli non soltanto aveva preso parte nel 1731 alla cerimonia di incoronazione del
re Cristiano VI, ma era stato anche insignito dell’Ordine dell’Elefante (vd. p. 648, nota
547).
359
Vd. pp. 728-729.
360
Vd. sopra, nota 39. L’opera ivi citata è fortemente impregnata di spirito pietista.
In proposito vd. Neiiendam M., Erik Pontoppidan. Studier og bidrag til pietismens
historie, I-II, København 1930-1933.
361
Vd. p. 827.
362
Questa istituzione (Vajsenhus) era stata fondata nel 1727 da Federico IV. Essa si
inquadra fra le diverse iniziative nel campo dell’educazione che (in buona parte ispi-
rate dal pietismo) caratterizzano questo secolo.
363
Vd. p. 835.
364
Vd. Graversen H., Wajsenhuspræsten Enevold Ewald og den pietistiske Bevægel-
se i København i det 18. Aarhundrede, København 1913. Come è noto Halle divenne
il centro principale del pietismo: presso la sua università, fondata nel 1694 da Federi-
co principe elettore di Brandeburgo e futuro re di Prussia Federico I (1657-1713),
anche per impulso di Spener, fu attivo il teologo August Hermann Francke (1663-1727),
certamente uno dei più significativi rappresentanti del movimento.

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764 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

tenute nelle chiese;365 nel 1737 fu istituito un Collegio generale di


sorveglianza sulla Chiesa (Generalkirkeinspektionskollegiet) con il
compito di vigilare sulle questioni religiose,366 un organismo che di
fatto garantiva l’interferenza del potere centrale sulle comunità
locali; infine, il 13 gennaio 1741, venne emesso un decreto, noto
come Konventikelplakaten, che impediva di tenere qualsiasi riunio-
ne di carattere religioso (konventikel) nelle case – fatta eccezione
per i consueti momenti di preghiera della famiglia – senza il con-
senso del pastore e la sua presenza, ponendo inoltre tutta una serie
di limitazioni al loro svolgimento.367 Esso in sostanza minava alla
base (le piccole comunità riunite in gruppi di preghiera) ogni forma
di espressione religiosa non strettamente osservante colpendo al
contempo altri movimenti come, a esempio, i Battisti. È facile com-
prendere come questa norma rispondesse tanto ai timori della
Chiesa quanto a quelli dello Stato. Nel 1745 fu poi stabilito per
legge che l’unica religione ammessa fosse quella evangelico-luterana.368
In ogni caso, anche se dopo la morte di Cristiano VI (1746) in
Danimarca il pietismo venne gradatamente perdendo terreno, la sua
impronta sarebbe rimasta ben riconoscibile nella società dove più
tardi avrebbe prodotto i propri frutti.369
Nei territori sottoposti alla Corona danese il movimento ebbe
diversa fortuna. In Norvegia se ne constata una significativa diffu-
sione. Figura fondamentale del pietismo norvegese è Peder Hersleb
(1689-1757), che era venuto in contatto con il conte di Zinzendorf
e la cerchia di Halle: egli fu attivo alla corte di Federico IV e dal 1730
al 1737 fu vescovo di Christiania (successivamente di Selandia).370
365
 Vd. sopra, p. 684 con nota 30. Si legga: “Tutti coloro che, tanto nelle città quan-
to nelle campagne, possono ascoltare con profitto la parola di Dio, la domenica e i
giorni festivi, fra i quali sono sempre compresi il giovedì e il venerdì santo, così come
nei giorni di preghiera stabiliti per decreto, dovranno diligentemente trovarsi in chiesa,
sia per la messa solenne sia per i vespri, quando vengano recitati; e nessuno potrà sot-
trarsi pena la punizione per l’accusa di sacrilegio a termini di legge, a meno che non sia
impedito da una malattia o da altra causa legalmente riconosciuta [...]” (DLO nr. 150).
Nei confronti dei disobbedienti erano previste multe e la gogna. In questo contesto va
tenuto conto anche del fatto che dopo il 1730 numerosi pietisti radicali svedesi si erano
rifugiati in Danimarca dopo aver lasciato il proprio Paese in volontario esilio.
366
 Schou (Abbr.) III, 1 ottobre 1737, pp. 296-299. Vd. Reitzel-Nielsen E., “Nogle
bidrag til generalkirkeinspektionskollegiets historie”, in KSam VI: 4 (1966), pp. 496-553.
367
 Schou III (Abbr.), 13 gennaio 1741, pp. 427-434.
368
 Indicazioni in Schou III (Abbr.), p. 609 (18 giugno 1745).
369
 Tuttavia ancora nel 1773 i Fratelli di Herrnhut avrebbero addirittura fondato in
Danimarca una loro città, Christiansfeld nello Jutland meridionale grazie ai privilegi
concessi dal re Cristiano VII (da cui essa prende il nome) a chi si fosse stabilito in quel
luogo.
370
In Norvegia il pietismo dei Fratelli di Herrnhut verrà poi (dal 1820) diffuso

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I princìpi della modernità 765

Un’altra figura di un certo rilievo è quella di Søren Jensen Bølle


(1714-1780 ca.), nato in Danimarca ma trasferitosi in Norvegia, il
quale influenzato dai Fratelli di Herrnhut e dal pietismo radicale
diede vita a una setta detta La nuova Sion (Det nye Zion) i cui
seguaci erano i “sioniti” (zionitter): egli rifiutava le cerimonie della
Chiesa ufficiale celebrando riti propri. Per questi motivi venne
prima imprigionato e poi esiliato ad Altona dove morì.371 Ma il
pietismo norvegese richiama anche la citazione di figure femmini-
li, attive propagatrici della nuova spiritualità, come Catharina Maria
Freymann (1708-1791), seguace dei Fratelli di Herrnhut che aveva
aperto a Christiania una scuola per fanciulle,372 e tale Anne Mar-
grethe Ingebrigtsdatter (date di nascita e morte ignote), che negli
anni all’incirca tra il 1735 e il 1740 organizzò riunioni di carattere
religioso nella sua casa di Sanden presso Trondheim, il che provo-
cò tumulti e la reazione delle autorità.
Uno sviluppo peculiare del pietismo norvegese è il movimento
fondato dal predicatore laico Hans Nielsen Hauge (1771-1824). Di
famiglia contadina, a partire dal 1796 egli prese a percorrere la
Norvegia per diffondere la parola di Dio (e la propria interpreta-
zione del cristianesimo) tra coloro che incontrava, organizzando
incontri di meditazione e preghiera. Presto raccolse numerosi
seguaci. Nel frattempo si dedicò attivamente alla redazione di
scritti di carattere religioso che trovarono ampia diffusione. Dota-
to di iniziativa e capacità organizzative seppe anche dare impulso
alla vita economica delle località in cui soggiornava, ciò tuttavia
generò il sospetto che egli mirasse a un arricchimento personale.
Sebbene Hauge si considerasse fedele membro della Chiesa lute-
rana, la sua azione suscitò proteste e preoccupazione nell’ambien-
te del clero (non di rado da lui fortemente criticato) ed egli
fu arrestato diverse volte per aver contravvenuto ai decreti del
Konventikelplakaten. Nel 1804 fu condotto in prigionia a Oslo, in
attesa che una commissione esaminasse le accuse rivolte contro di
lui. La detenzione (nei primi tempi assai dura) si protrasse fino al

anche dallo scrittore danese Niels Johannes Holm (1778-1845), che fino al 1834 sarà
responsabile della comunità di Christiania. Negli anni ’20 del XIX secolo verrà fon-
data la comunità pietista di Stavanger alla cui guida sarà Søren Daniel Schiøtz (1796-
1863).
371
Vd. SØRENSEN S.A., Zioniterne. En religiøs Bevægelse i Drammen og Omegn i
Midten af det 18de Aarhundrede, Kristiania 1904.
372
In seguito alle restrizioni adottate con il decreto del 1741 Catharina lasciò la
Norvegia. Di lei resta una Autobiografia (Lebenslauf der ledigen Schwester Catharina
Maria Freymann) in tedesco. Su di lei vd. Øverland P., Catharina Maria Freymann. En
kvinnelig lederskikkelse i pietismens tid i Norge, Trondheim 1984.

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766 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

1809, ma la sentenza fu emessa solo nel 1813 quando egli fu con-


dannato a due anni di lavori forzati. Fu tuttavia rilasciato in cambio
del pagamento di una pesante multa. Con la salute compromessa
a causa della prigionia Hauge tralasciò la ‘predicazione itinerante’
e si stabilì presso Oslo dedicandosi piuttosto ai suoi scritti. I suoi
seguaci (haugianere) furono numerosi e in diversi casi se ne con-
staterà l’influenza nella vita politico-sociale norvegese dell’Otto-
cento.373
In Islanda la diffusione del pietismo fu modesta. Un certo influs-
so di questa dottrina si constata attorno alla metà del secolo in rela-
zione alla visita del vescovo Ludvig Harboe,374 sebbene già in prece-
denza se ne possa cogliere l’eco nella celebre Postilla di Vídalín.375
Ben più evidente è invece la sua presenza in Svezia, dove esso si
manifesta fin dalla fine del XVII secolo. Anche qui l’ortodossia
ecclesiastica agiva in parallelo con l’assolutismo regio.376 Nonostante
il richiamo alla necessità di un rinnovamento della vita religiosa (in
sostanza imposta al popolo e da questo passivamente subita) fatto
da alcuni,377 l’impulso al cambiamento sarebbe giunto dall’esterno.
Accolto inizialmente nelle colonie svedesi sul continente e negli
ambienti tedeschi, il pietismo trovò presto nuovi aderenti, tra i
primi senza dubbio il funzionario statale Elias Wolker378 (1660-
373
Il pittore norvegese Adolph Tidemand (vd. pp. 937-938 e pp. 1091-1092) ha raf-
figurato Hauge e i suoi seguaci in un celebre quadro che porta il titolo Haugianerne:
questo dipinto esiste in diverse versioni, la prima delle quali (1848) è conservata nel Museo
dell’arte (Kunstmuseum) di Düsseldorf. I seguaci di Hauge sono anche ben rappresen-
tati nell’opera dello scrittore norvegese Alexander Kielland (1849-1906, vd. p. 1080).
374
Vd. sopra, pp. 728-729.
375
Vd. p. 667 con nota 610.
376
Che fosse il re in prima persona a intervenire nelle questioni religiose lo si era
visto, a esempio, nel caso della cosiddetta ‘disputa cartesiana’ che a Uppsala aveva
opposto i teologi ortodossi e i seguaci del filosofo francese nella seconda metà del XVII
secolo. Dopo che una commissione aveva esaminato la questione e il compromesso
proposto dai cartesiani era stato in sostanza accettato, il re assegnò una cattedra nella
facoltà di teologia a uno dei loro più eminenti rappresentanti, il vescovo Johannes
Bilberg (1646-1717), provocando vivaci proteste da parte degli ortodossi. La questio-
ne fu poi risolta dal sovrano trasferendo Bilberg in un’altra sede.
377
Tra cui vanno citati almeno Daniel Anander e Olof Ekman. Il primo (data di
nascita ignota) per i suoi attacchi alla Chiesa fu rimosso dall’incarico ecclesiastico che
ricopriva e come persona mentalmente disturbata ricoverato in ospedale dove poi morì
(1697); vd. Odenvik N., Daniel Anander. Svenska pietismens föregångare, Stockholm
1935. Il secondo (1639-1713), pastore di Falun in Dalecarlia, si adoperò con la parola
e con gli scritti (che per certi versi ricordano Spener) contro la decadenza della vita
religiosa e per un profondo rinnovamento della Chiesa.
378
O Walcker, come si chiamò dopo aver ricevuto la dignità nobiliare nel 1720. Su
di lui vd. Odenvik N., Elias Wolker – Sveriges förste frikyrkopredikant. Till 200 års-
minnet. Ett blad ur svenska pietismens historia, Örebro 1933.

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I princìpi della modernità 767

1733), in contatto con Francke, che per aver organizzato incontri


di preghiera subì accuse e interrogatori; più noti sono certamente
la regina Ulrica Eleonora (che, non lo si dimentichi, era danese) la
quale, nota per la sua nobiltà d’animo, fu in contatto con Spener e
favorì la diffusione di questa corrente religiosa nell’ambiente delle
dame di corte, e il medico e scrittore Urban Hiärne.379 La reazione
delle autorità ecclesiastiche e politiche non fu benevola: nel 1706
il re Carlo XI emanò un decreto che sostanzialmente censurava
ogni espressione religiosa non conforme alla dottrina ufficiale.380 I
timori del sistema di potere politico-religioso tuttavia non si placa-
rono: del 1713 è infatti un ulteriore provvedimento restrittivo.381
Ciò nonostante la forza di questa corrente religiosa non poté esse-
re contrastata. Del resto la gravissima epidemia di peste degli anni
1710-1713, la carestia del 1717-1718, gli attacchi dell’esercito rus-
so, crearono una atmosfera di grande angoscia che spingeva le
persone a cercare l’unico conforto in una fede individualmente
vissuta che potesse condurre a una vera redenzione. A ciò si deve
aggiungere che i soldati ‘carolini’ reduci dalla prigionia in terra
russa dopo la disfatta di Poltava contribuirono in misura notevole
alla propagazione delle idee pietiste.382 In questi anni si colloca la
379
Cfr. p. 602, p. 612, p. 614, p. 631, nota 484, p. 643 con nota 526, e p. 833.
380
Kongl. Maj:ts Nådigste Bref och Befalning Til des samtel. i Stockholm warande Råd,
angående hwariehanda willfarande Biläror, Swärmerien och det så kallade Pietisteriet,
samt deras straff som därmed beträdas. Dat. Lusuc. i Wollynien den 7 Junii 1706 (SFS
1705-1709). Del resto nel 1723 il clero riuscirà a far riconfermare i propri privilegi di
casta (Privilegia Af Then Stormechtigste och Allernådigste Konung Friedrich Sweriges,
Gothes och Wändes Konung. x.x.x. Ahr 1723 uppå Riksdagen i Stockholm öfwersedde och
stadfästade, För Biskoparna och samtliga Presterskapet i Swerige och deß underliggande
Landskaper, 16 ottobre 1723 [SFS 1723]). E tuttavia l’uniformità dell’ortodossia era
minacciata anche da ragioni economiche che esigevano qualche concessione: ciò appare
chiaro dall’ordinanza del 1741 con la quale si garantiva libertà religiosa agli appartenen-
ti ad altre confessioni luterane (Kongl. Maj:ts Nådigste Kundgiörelse, Angående Fri
Religions-Öfnings förunnande här i Riket åt alla them af then Engelske och Reformerte
Kyrkan som wilja sig härstädes nedsättia. Gifwen i Råd-Cammaren then 27 Augusti 1741
[SFS 1741]). Una decisione certamente dovuta alla necessità di salvaguardare il com-
mercio e l’industria mineraria nei quali erano attivi molti stranieri.
381
Hennes Kongl. Höghets Arf-Prinsessans, Och Samtelige Kongl. Maj:ts Härvarande
Herrar Råds Åtwarning, Angående hwarjehanda willfarelser och swärmerij, som sig här
insmygt emot den rätta Christeliga Läran och Gudstienesten, Stockholm den i December
1713. Il testo fa preciso riferimento al decreto del 1706.
382
Vd. p. 678. A migliaia i soldati svedesi (ma anche donne e bambini) erano
finiti come prigionieri nelle mani dei Russi: gran parte di loro era stata condotta
nella località di Tobolsk (russo Тобольск) nella Siberia occidentale. Lì il capitano dei
dragoni Curt Friedrich von Wreech (tedesco di nascita, date ignote), che al servizio
del re svedese era stato catturato a Poltava, si era dedicato – profondamente influen-
zato dal pietismo di Halle – alla vita religiosa della comunità, fondando anche una

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768 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

figura di Erik Tolstadius (1693-1759), attento non solo all’impor-


tanza della predicazione ma anche alla realizzazione di azioni con-
crete a favore della comunità (insegnamento, assistenza ai poveri e
agli ammalati).383 D’altronde la dottrina pietista aveva, come noto,
indubbie ricadute sul piano sociale con la fondazione di scuole e
orfanatrofi e la promozione delle condizioni di vita della gente
comune: una prospettiva nella quale va inquadrata anche l’opera
del pastore Nils Nilsson Grubb (1681-1724) che aveva studiato in
Germania e insegnato a Greifswald. Egli cercò di applicare le teo-
rie sociali pietiste nella comunità di Umeå che gli era stata affidata
ma per questo motivo andò incontro a molte difficoltà.
Le riunioni di preghiera, dunque, erano frequenti e per le auto-
rità era difficile venire a capo della situazione.384 Nel 1726 venne
emesso il decreto che (come l’analogo provvedimento che sarebbe
stato promulgato quindici anni dopo per la Danimarca e la Norve-
gia) ebbe nome Konventikelplakatet.385 Mentre si incoraggiava la
preghiera e il buon esempio in famiglia si vollero al contempo
proibire (pena multe severe, la prigione o l’esilio) le riunioni reli-
giose aperte a persone estranee alla casa: l’interpretazione della
parola di Dio doveva rimanere prerogativa della Chiesa ufficiale.
In Svezia, dove la caduta dell’assolutismo regio aveva aperto spi-
ragli di libertà anche in campo religioso, il pietismo era comunque
rimasto legato alla corrente più tradizionale. Tuttavia proprio per
reazione al Konventikelplakatet, la componente radicale trovò
nuovo vigore (anche in relazione alla visita di Johan Konrad Dippel
a Stoccolma tra il 1727 e il 1728).386 Portavoce della libertà di cul-
scuola. Della sua esperienza, durata dodici anni, egli ha lasciato testimonianza in un
resoconto (pubblicato nel 1725) dal titolo lunghissimo la cui prima parte recita Veri-
tiera e particolareggiata storia dei prigionieri svedesi in Russia e in Siberia (Wahrhaffte
und umständliche Historie von denen schwedischen Gefangenen in Russland und
Siberien).
383
Vd. Odenvik N., Eric Tolstadius. Svenska pietismens centralgestalt under 1700-talet,
Stockholm 1942.
384
Uno dei testi più diffusi tra i pietisti svedesi era il Libro dei canti di Mosè e
dell’agnello (Mose Och Lamsens Wisor), uscito a Stoccolma nel 1717 e curato (tra gli
altri) da Georg Lybecker (morto nel 1718), amico di Elias Wolker. Questo testo si
poneva in contrapposizione alle raccolte di salmi ufficiali.
385
Kongl. Maj:tz Förnyade Placat Och Förbud, Angående The oloflige Sammankomster,
hwilka uti enskylte Hus til en särskild och enkannerlig Gudztiensts förrättande anställas;
Samt deras straff, som ther med beträdas. Stockholm i Råd-cammaren den 12. januari
Åhr 1726 (SFS 1726-1727).
386
Johann Konrad Dippel (Christianus Democritus, 1673-1734), medico, alchimista
e teologo tedesco, è stato uno dei più significativi rappresentanti del pietismo radica-
le. Nel 1727 egli aveva visitato anche la Danimarca. Vd. Henning K., Johan Conrad
Dippels vistelse i Sverige samt dippelianismen i Stockholm 1727-1741, Uppsala 1881.

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I princìpi della modernità 769

to fu in primo luogo Carl Michael von Strokirch (1702-1776) che


nel 1734 fondò la Società di Filadelfia (Filadelfiska Societén) prima
‘chiesa libera’ di Svezia387 e per questo conobbe anche la prigione;
una personalità religiosa di tutto rilievo è anche quella di Sven
Rosén (1708-1750), fratello del celebre medico Nils388 che fu con-
dannato all’esilio.389 Nel 1735, ancora una volta, i rappresentanti
dell’ortodossia riuscirono a far approvare un nuovo severissimo
regolamento religioso (religionsstadga):390 in reazione a ciò il movi-
mento radicale si disunì e in pratica (anche a motivo di sentenze di
proscrizione) si disperse.
Di carattere intransigente era stato, fin da subito, il pietismo
diffusosi in Finlandia. Qui la figura preminente è certamente quel-
la di Lars Ulstadius (ca.1650-1732), autentico ‘profeta biblico’, il
quale scontò il suo atteggiamento inflessibile e i duri attacchi por-
tati alla Chiesa ufficiale con un processo al termine del quale fu
condannato a morte: la condanna fu poi commutata in pena deten-
tiva ed egli trascorse quarant’anni di prigionia a Stoccolma rifiu-
tando la grazia. La sua figura divenne un punto di riferimento per
i pietisti radicali svedesi.391 I suoi allievi Peter Schæfer (ca.1660-1729)
e Olaus Uhlegius (morto nel 1702) furono coinvolti nel medesimo
processo: essi rinnegarono le proprie convinzioni e furono rilascia-
ti. Schæfer si trasferì in Pennsylvania per un periodo ma poi, tor-
nato in patria, riprese la propria predicazione e fu nuovamente
imprigionato e processato (1707): condannato a morte ebbe la pena
commutata in ergastolo. Un pietismo moderato parve dunque
qui impossibile: del resto una figura autorevole come il vescovo
387
Le cui riunioni si tenevano a Stoccolma nel palazzo Reenstierna (Reenstiernska
palatset) fatto erigere nel quartiere di Södermalm dall’uomo d’affari olandese Jakob
Momma (1625-1678) che aveva assunto il cognome Reenstierna dopo la concessione
della dignità nobiliare. Esso era noto come “Casa di Momma” (Mommas hus). Vi
parteciparono fra gli altri Sven Rosén (di cui subito oltre) e lo stampatore Peter
Momma (vd. p. 806 con nota 537). Vd. Odenvik N., Carl Michael von Strokirch och
Sveriges första friförsamling, grundad i Stockholm 1734, Stockholm 1938.
388
Vd. p. 783.
389
Vd. Odenvik N., Sven Rosén. En trosfrihetens martyr i Sverige under 1700-talet,
Stockholm 1944. Il pietismo radicale diede vita in Svezia anche al movimento detto
(dall’abbigliamento dei suoi aderenti) “Casacche grigie” (Gråkoltarna), cui aderirono
persone provenienti dai ceti popolari e un numero consistente di donne; vd. Odenvik
N., Gråkoltarna. En bild från den pietistiska väckelsen i Sverige under 1700-talet,
Stockholm 1936.
390
Kongl. Maj:ts Nådige Stadga Och Påbud, Til Hämmande Af hwarjehanda will-
farelser, och deras utspridande, emot den rena Evangeliska Läran. Gifwit Stockholm i
Råd-Cammaren den 20. Martii 1735 (SFS 1734-1735).
391
 Vd. Odenvik N., Lars Ulstadius. En pietismens banérförare i fångenskap för sin
tro – och några av hans medkämpar, Stockholm 1940.

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770 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

Johannes Gezelius il giovane (den yngre, 1647-1718), in un primo


momento favorevole al movimento, ne divenne poi fiero avversario.
Nel contesto del pietismo svedese e finlandese si inquadrano
anche figure di visionari come Anna Rågel (1751-1784), predica-
trice la cui fama si propagò dalla regione dell’Ostrobotnia, o movi-
menti revivalisti popolari (in Tornedalen e in Härjedalen) che
anticipano quelli che si svilupperanno nel secolo successivo.
Sul piano individuale e soprattutto nell’ambito delle persone
dotate di sufficiente cultura, accanto al pietismo ebbero effetti impor-
tanti le dottrine illuministiche. Esse minarono l’ortodossia sotto
diversi aspetti: da una parte ci fu chi cercò di rielaborarla alla luce
delle nuove idee, a esempio sforzandosi di combinare i risultati del-
le ricerche scientifiche con le verità trasmesse dalle Sacre Scritture,
dall’altro chi cominciò a distinguere fra ciò che costituiva il nucleo
irrinunciabile (e insondabile) della fede (e che, in quanto tale, non
andava discusso ma semplicemente accettato) e ciò che poteva esse-
re compreso dall’intelletto. La necessità di comunicare i concetti
religiosi a individui pronti ad accoglierli criticamente avrebbe modi-
ficato anche la stesura dei testi messi a disposizione dei fedeli (nei
quali si avvertono ora non solo gli influssi del pensiero pietista ma
anche quelli della ‘filosofia matematica’ e della ‘teologia razionale’
di Wolff),392 così come l’organizzazione della Chiesa, il suo rapporto
con gli appartenenti ad altre confessioni e la formazione dei sacer-
doti.393 Sorse dunque la cosiddetta ‘neologia’, che applicava i con-
cetti illuministici alla teologia luterana.394 Naturalmente una nutrita
schiera di ecclesiastici restava strettamente legata alla tradizione.395
392
Una delle figure di riferimento da questo punto di vista è quella del cappellano
di corte del re danese Christian Bastholm (1740-1819). Il pensiero del filosofo tedesco
Christian Wolff (1679-1754), a sua volta per molti aspetti riferibile a quello di Gottfried
Wilhelm von Leibniz (1646-1716), si diffuse anche in Scandinavia dove trovò sosteni-
tori e detrattori.
393
Vd. Hugason 1997, pp. 200-201 e Lenhammar 20014, pp. 60-65 (entrambi in
B.7.2). Si ricordi qui la figura di Erik Lindblom (1746-1819), arcivescovo di Svezia che
introdusse nel Paese la nuova teologia illuministica. Si ricordi anche il pastore Carl
Magnus Wrangel (1727-1786) che nel 1771 fondò l’associazione Pro fide et christiani-
smo con il semplice scopo di diffondere la fede attraverso l’istruzione popolare e la
diffusione di testi (vd. Parkman A., “Hofprediger Wrangel und die Societas Svecana
Pro Fide et Christianismo”, in Pietismus und Neuzeit. Ein Jahrbuch zur Geschichte des
neueren Protestantismus, VII [1981], pp. 43-51).
394
 Uno dei più noti predicatori legati a questa nuova corrente è lo svedese Magnus
Lehnberg (1758-1808), che divenne vescovo di Linköping.
395
 Si nominino qui il vescovo danese Nicolai Edinger Balle (1744-1816), il quale
(pur comprendendo la necessità di qualche cambiamento) si oppose decisamente alle
proposte avanzate da Christian Bastholm (vd. nota 392); il vescovo e scrittore norve-
gese Johan Nordahl Brun (vd. p. 722 con nota 188) e il vescovo svedese Olof Wallquist

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I princìpi della modernità 771

Ma nel momento in cui la vita spirituale degli individui (quan-


tomeno di quelli intellettualmente, culturalmente ed economica-
mente avvantaggiati) fu resa libera dalle barriere dell’ortodossia, si
aprirono molteplici prospettive. Ciò spiega, almeno in parte, quel-
lo che pare essere il paradosso del XVIII secolo, là dove il raziona-
lismo coesiste con forme di misticismo che per certi versi richia-
mano atmosfere medievali, una prospettiva nella quale ben si
comprende, tra l’altro, il diffondersi anche nei Paesi nordici di
un’associazione come la massoneria (di origine inglese e scozzese),
con tutto il suo patrimonio di simbologie metafisiche e iniziatiche.396
Sebbene in questa sede ci si debba limitare a tracciare le linee
generali dello sviluppo della cultura scandinava, non si può certa-
mente – concludendo il paragrafo sulla vita religiosa nel Settecen-
to – tralasciare la singolare figura del ‘profeta mistico’ svedese
Emanuel Swedenborg (1688-1772), oggetto tanto di rispetto, talo-
ra perfino venerazione, quanto di riprovazione, se non addirittura
sarcasmo.397 Figlio di Jesper Swedberg noto come salmista e vesco-

(1755-1800). Del resto si deve tenere nel dovuto conto il fatto che non di rado i più
illustri rappresentanti della Chiesa venivano nominati per ragioni politiche, piuttosto
che per ‘meriti’ religiosi.
396
La prima loggia fondata in Danimarca (Copenaghen) fu quella di San Martino
(1743): a essa aderì il conte Christian Conrad Danneskiold-Laurvig (1723-1783) che
avrebbe poi dato vita (1749) alla Grande loggia provinciale dano-norvegese (Den
dansk-norske provinsial-storloge); egli fu anche promotore (nello stesso anno) della
prima loggia norvegese, non a caso intitolata a Sant’Olav (St. Olai loge). In Svezia
conosciamo la massoneria fin dal 1735, anno in cui il conte Axel Wrede Sparre
(1708-1772) fondò (con il beneplacito del re) la loggia che da lui prese nome. La
massoneria svedese ottenne poi il patrocinio del re Adolfo Federico e a partire dal
1774 ebbe come gran maestro il duca Carlo, futuro sovrano con il nome di Carlo
XIII. In Islanda la massoneria ha una storia molto più recente: la prima loggia (Edda)
è stata fondata a Reykjavík solo nel 1913 (pienamente riconosciuta nel 1919). Vd.
Bugge K.L., Det danske Frimureries Historie, I-II, Kjøbenhavn 1910-1927; Ullgren
P., Hemligheternas brödraskap. Om de svenska frimurarnas historia, Stockholm 2000
e anche Eklund D. – Svensson S. et al., Hertig Carl och den svenska frimureriet,
Uppsala 2010.
397
È noto che dopo un iniziale interesse nei confronti di Swedenborg, Immanuel
Kant (1724-1804) lo attaccò nell’opera dal titolo Sogni di un visionario spiegati
per mezzo dei sogni della metafisica (Träume eines Geistersehers erläutert durch
Träume der Metaphysik, 1766: se ne veda l’edizione critica curata da R. Malter,
Stuttgart 1987). Molto duro fu anche il giudizio del poeta svedese Johan Henric
Kellgren (su cui vd. p. 835), che nel componimento dal titolo Non si è un genio
solo perché si è pazzi (Man äger ej snille för det man är galen) scrive: “Ma sebbene
qualche volta si siano viste delle macchie sul sole,/ In ogni caso con le sue macchie
la luna resta luna/ Seppure persino Newton un giorno sia stato colto da una feb-
bre spirituale/ Swedenborg resta lo stesso semplicemente – un imbecille” (DLO
nr. 151).

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772 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

vo di Skara (Västergötland),398 egli comprende in sé, per molti


versi, le contraddizioni del proprio secolo, passando da una visio-
ne tecnico-razionalistica a una mistico-profetica che non rispar-
mierà severe critiche alla dottrina della Chiesa (il che gli costerà
anche un’accusa di eresia). La sua crisi spirituale, che (sebbene
affondi le proprie radici nell’adolescenza) si rivela tra gli anni 1743
e 1745, in età – dunque – ormai matura, provoca in lui, almeno
apparentemente, un completo rivolgimento nella visione della vita,
inducendolo ad abbandonare la sua attività in campo tecnico399 e
portandolo a sostenere di parlare con gli angeli e gli spiriti dei
defunti e di avere visioni ultramondane. Dopo lunghi anni dedica-
ti a studi matematici, geometrici, chimici e meccanici ma anche
filosofici, anatomici e fisiologici, la svolta (solo apparentemente
radicale) origina dal profondo desiderio di comprendere (e rego-
lare) il rapporto tra la materia e lo spirito e dal conseguente bisogno
di combinare discipline pratiche e speculative, il che lo porterà a
formulare la cosiddetta ‘teoria delle corrispondenze’.400 La riven-
dicazione di sogni premonitori e visioni sovrannaturali lo trasfor-
merà nel discusso mistico e profeta che conosciamo. Il quale dedi-
cherà ogni energia alla stesura di una imponente mole di scritti,
redatti in latino e pubblicati all’estero per aggirare la censura
ecclesiastica. Ma nella ricerca di una interpretazione unitaria del
reale, capace di conciliare il finito e l’infinito, e nella strutturazio-
ne d’una dottrina cristiana profondamente rivisitata (sulla cui base
sarebbero sorte le chiese che a lui si ispirano),401 egli finirà per fare
398
Vd. p. 608 e p. 818, nota 616. Il cognome Swedenborg fu da lui assunto dopo
la concessione della dignità nobiliare.
399
Cfr. p. 776. Egli tra l’altro ricopriva l’importante carica di assessore presso il
cosiddetto Collegio delle miniere (Bergskollegium), un’istituzione che aveva lo scopo
di gestire l’industria estrattiva svedese. Swedenborg è ricordato per diverse realizza-
zioni di carattere tecnico. Suo fu tra l’altro il progetto di una macchina per volare (vd.
Söderberg H., “En machine att flyga i wädret”. Emanuel Swedenborgs förslag till en
flygmaskin år 1714”, in Dædalus LVII [1988], pp. 79-95).
400
In sostanza egli sostiene che il mondo materiale è determinato da quello spiri-
tuale e ne è, dunque, immagine. A esempio ci sono due soli: quello naturale che
riscalda e illumina la Terra e quello spirituale che viene da Dio e si manifesta come
Amore e Saggezza; così, allo stesso modo, la luce è intelligenza, la parola è pensiero, il
sangue spirito e così via. Questa concezione si riflette molto chiaramente nella sua
interpretazione delle Sacre Scritture.
401
Per quanto conducesse una vita ritirata e non facesse opera di proselitismo,
Swedenborg ebbe, fin dagli anni ’60, un discreto numero di seguaci: si pensi, in Svezia,
a Gabriel Andersson Beyer (1721-1779) e Johan Rosén (1726-1773), attivi a Göteborg
(i quali subirono per questo anche un processo), ma anche all’alto ecclesiastico di
Skara (Västergötland) Anders Knös (1721-1799) e al giornalista Johan Gustaf Halldin
(1737-1825). Tuttavia le sue idee ebbero fortuna soprattutto nei Paesi anglosassoni

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I princìpi della modernità 773

ricorso a strumenti di indagine razionali (si sarebbe tentati di dire


matematici) e la meticolosa (si sarebbe tentati di dire tediosa)
formulazione del suo pensiero rifletterà la struttura di taluni lavo-
ri scientifici, andando tuttavia talvolta, nella ricerca dell’ultimo
dettaglio, ad arenarsi nel ridicolo o nel grottesco.402 Eppure, nono-
stante le perplessità di molti (non da ultimo sull’autenticità della
sua esperienza mistica), l’influsso di Swedenborg (seppure non
esente da valutazioni critiche) è stato notevole e prolungato.403 I
frequenti (e non sempre corretti e accettati) accostamenti del suo
pensiero con le dottrine spiritualiste, esoteriche, occultiste, spiri-
tiste, teosofiche, sufiste, ne danno – in buona parte – spiegazione.
E del resto è noto quanto della sua lezione sia stato recepito nell’am-
bito della massoneria.404 Sicché un approfondimento della sua
figura può, quantomeno, aiutare a far luce sulle ragioni della nasci-
ta del movimento romantico,405 ma anche delle più tarde sugge-

dove, per quanto egli non avesse manifestato il desiderio di separarsi dalla Chiesa
luterana, sorsero le comunità dette della Chiesa Nuova o della Nuova Gerusalemme,
la cui ‘Bibbia’ è l’opera Autentica religione cristiana (Vera Christiana Religio), uscita
nel 1771. In Inghilterra Robert Hindmarsh (1759-1835) organizzò un primo gruppo
di discepoli e contribuì alla fondazione della Conferenza generale della Nuova Chiesa
di Gerusalemme (Londra, 1787). Negli Stati uniti, dove la dottrina swedenborghiana
venne diffusa a partire dal 1784 da James Glen (morto nel 1814), la prima Chiesa
sorse nel 1792 a Baltimora. A tutt’oggi i seguaci di Swedenborg (suddivisi in correnti
e presenti in diversi Paesi del mondo) sono circa 30.000. Fin dai primi tempi essi si
sono distinti per l’impegno in ambito sociale.
402
Egli a esempio non soltanto sostiene che l’anima è materia ed è per questo
governata da leggi meccaniche, ma descrive un aldilà che per molti aspetti ricalca
questo mondo e che appare ordinato secondo quella che si potrebbe definire una
sorta di ‘burocrazia borghese’.
403
Basti pensare a nomi (indicati in ordine cronologico proprio per mostrare la
continuità del suo influsso) come quelli di Benjamin Franklin (1706-1790), Johann
Wolfgang Goethe (1749-1832), William Blake (1757-1827), Thomas Thorild (1759-
1808, vd. p. 842), Samuel Taylor Coleridge (1772-1834), Friedrich Schelling (1775-1854),
Carl Jonas Love Almqvist (1793-1866, vd. p. 925 e p. 1056 con nota 418), Thomas
Carlyle (1795-1881), Honoré de Balzac (1799-1850), Ralph Waldo Emerson (1803-
1872), Elisabeth Barrett Browning (1806-1861), Robert Browning (1812-1889), Char-
les Baudelaire (1821-1867), Fëdor Michajlovič Dostoevskij (Фёдор Михайлович
Достоeвский, 1821-1881), August Strindberg (vd. pp. 1082-1083), William Butler
Yeats (1865-1939), Carl Gustav Jung (1875-1961), Vilhelm Ekelund (1880-1949, vd.
p. 1171), Jorge Luis Borges (1899-1986), Gunnar Ekelöf (1907-1968, vd. p. 1171 e p.
1262), Lars Gyllensten (1921-2006, vd. p. 1265).
404
In proposito può essere di interesse il saggio: Snoek J.A.M., “Swedenborg,
Freemasonry, and Swedenborgian Freemasonry. An Overview”, in Rothstein M. –
Kranenborg R. (eds.), New Religion in a Postmodern World, Aarhus 2003, pp. 23-75.
405
Vd. Benz E., “Emanuel Swedenborg als geistiger Wegbahner des deutschen
Idealismus und der deutschen Romantik”, in Vision und Offenbarung. Gesammelte
Swedenborg-Aufsätze, Zürich 1979, pp. 121-153 e Viatte A., Les sources occultes du

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774 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

stioni simboliste.406 Del resto egli è il rappresentante più celebre


della propensione – ben presente nel Settecento nordico, in parti-
colare quello svedese – verso l’esperienza mistica e lo studio delle
discipline cabalistiche e occulte.407

10.4.2. Il mondo scientifico tra passato e futuro

Le nuove prospettive culturali derivanti dalla diffusione delle


idee illuministiche ebbero naturalmente una forte ricaduta in ambi-
to scientifico. Sebbene i secoli precedenti (in particolare il Seicen-
to) avessero prodotto un’abbondanza di studi nelle più diverse
discipline, è tuttavia ora che la ricerca riesce finalmente a svinco-
larsi dal condizionamento di verità teologicamente precostituite, il
che – seppure non sempre avvenga in maniera netta – si riflette
anche nell’istituzione di nuovi insegnamenti universitari che, accan-
to a quello a lungo ritenuto fondante della teologia, vengono gra-
datamente assumendo crescente prestigio.408 E, per contro, molti
ecclesiastici si dedicano sempre più frequentemente a ricerche di
carattere scientifico-naturalistico. Anche la sottomissione agli inte-
ressi preponderanti dello Stato assolutista (non esclusiva degli
studi storici e giuridici) pare fortemente attenuarsi. I primi decen-
ni del secolo mostrano chiaramente come in una sorta di reazione
alle discipline ‘astratte’ si vada in direzione di ricerche ‘utili’ e
della loro applicazione pratica. Nel Settecento è tutto un fiorire di

Romantisme, Illuminisme – Théosophie 1770-1820, Tome premier, Le préromantisme,


Paris 1928, pp. 71-103.
406
Dedicata alla figura di Emanuel Swedenborg è l’opera Segreti (Hemligheter, 2011)
composta dal musicista svedese Jonas Forssell (n. 1957) su libretto di Magnus Florin (n. 1955).
407
Si pensi a personaggi come Gustaf Björnram (1746-1804) che vantava contatti con il
mondo degli spiriti e doti miracolose e per un certo periodo godette del favore di Gustavo
III; Carl Anders Plommenfeldt (n. 1750, data di morte ignota), mistico e massone di alto
grado, fuggito in America dopo una condanna a morte per lesa maestà; August Nordenskiöld
(1754-1792), alchimista finlandese seguace di Swedenborg, anch’egli per un periodo assecon-
dato dal sovrano; Henrik Gustaf Ulfvenklou (1756-1819) che ebbe notevole influenza nella
cerchia del futuro re Carlo XIII. Anche il conte Adolf Fredrik Munck, molto vicino al re
Gustavo III (cfr. nota 111) era noto per i suoi interessi nei riguardi delle discipline esoteriche.
408
In questa prospettiva va anche considerata la ‘rifondazione’ dell’Accademia di Sorø
(cfr. p. 391, nota 252; p. 466 con nota 19, p. 570 con nota 176 e p. 884 con nota 90) che,
in pieno spirito illuministico (seppure vi potessero accedere solo studenti che proveni-
vano da famiglie nobili), fu attiva dal 1747 al 1793 e sotto molti aspetti costituì una
sorta di alternativa rispetto all’Università di Copenaghen che era ormai quasi esclusiva-
mente divenuta un luogo di formazione per i membri del clero. Qui venne dato grande
rilievo all’insegnamento di discipline come le scienze naturali, l’economia e il diritto,
sicché questa istituzione divenne un punto di riferimento dell’illuminismo danese.

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I princìpi della modernità 775

associazioni sorte sul modello di analoghe istituzioni europee: in


Danimarca abbiamo la Reale società danese per le scienze (Det
Kongelige Danske Videnskabernes selskab, Copenaghen 1742);409
in Svezia la Società per la scienza (Vetenskapssocieteten, Uppsala
1719), dovuta all’iniziativa del letterato, bibliofilo e arcivescovo
Erik Benzelius (1675-1743),410 la Reale accademia della scienza
(Kungliga vetenskapsakademien, Stoccolma 1739)411 che annovera
fra i fondatori Jonas Alströmer412 e Linneo e, più tardi, la Reale
società per la scienza e la letteratura (Kungliga Vetenskaps- och
Vitterhetssamhället) di Göteborg (1773); in Norvegia la Società per
le scienze (Videnskabers Selskab, Trondheim 1760), sopra citata.413
L’attività di ricerca interessa numerosi campi (non di rado colti-
vati dal medesimo studioso): si va dalle scienze naturali alla medi-
cina, dall’astronomia alla matematica, dalla botanica alla zoologia,
dal diritto all’economia, dalla geografia alla tecnica.414 Non man-
cano iniziative ed esperimenti.415 E non mancano nomi di prestigio.
409
Sorta con l’intento di svolgere studi di carattere scientifico e tecnologico la socie-
tà comprese poi altre discipline, quali la storia, la geografia e la linguistica. Essa fu
fondata dal conte Johan Ludvig Holstein (1694-1763), dallo storico del Regno Hans
Gram (cfr. p. 792 e nota 604), dal teologo Erik Pontoppidan (cfr. nota 39) e dal cancel-
liere Henrik Henrichsen (più tardi, in seguito al riconoscimento della dignità nobiliare,
Hielmstierne, 1715-1780). Vd. Lomholt A., Det kongelige danske Videnskabernes
Selskab 1742-1942. Samlinger til selskabets historie, I-V, København 1942-1973.
410
In precedenza Erik Benzelius era stato uno dei promotori di due associazioni
culturali che, in un certo senso, anticipano la Società per la scienza. Nel 1710 (anno in
cui a motivo dell’epidemia di peste l’Università di Uppsala venne chiusa) aveva dato
vita insieme ad altri eruditi al cosiddetto Collegium curiosorum, i cui membri si riuni-
rono regolarmente fino all’anno successivo; nel 1719 all’associazione cui venne dato
nome Bokwettsgillet (letteralmente “Circolo della scienza erudita”).
411
Vd. Hildebrand B., Kungl. Svenska vetenskapsakademien. Förhistoria, grund-
läggning och första organisation, I-II, Stockholm 1939.
412
Vd. sopra, nota 129.
413
Vd. p. 721.
414
Un ottimo esempio della poliedricità degli studiosi dell’epoca (lascito, del resto,
dell’erudizione seicentesca) è la figura dell’enciclopedico vescovo di Åbo (in seguito
arcivescovo svedese) Carl Fredrik Mennander (1712-1786), teologo, naturalista, sto-
rico ma anche bibliofilo e promotore dell’istruzione e membro attivo del “partito dei
cappelli”.
415
Per citare un paio di casi da ambiti assai diversi basterà qui ricordare l’esplora-
tore danese Vitus Jonassen Bering (1681-1741) che per conto dello zar Pietro il Gran-
de intraprese una spedizione alla ricerca di un eventuale collegamento tra l’Asia e
l’America e scoprì lo stretto che porta il suo nome (1728), ma anche l’assai meno noto
farmacista Johan Andreas Mühlenstedt (1746-1819) che il 27 dicembre 1783 riuscì a
far alzare una piccola mongolfiera nel cielo di Copenaghen (ritrovata poi a circa 50
km. dalla città). Nello stesso mese anche Peter Christian Abildgaard (1740-1801), che
ottenne un contributo per i suoi esperimenti dalla Reale società danese per le scienze,
fece un tentativo (tuttavia fallito) con un pallone aerostatico. Abildgaard, che nel 1789

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776 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

Tali sono fra gli altri quelli dello svedese Christopher Polhem
(ca.1661-1751),416 tecnico, inventore e fondatore (1697) del cosid-
detto Laboratorium mechanicum di Stoccolma, prima scuola inge-
gneristica svedese, ma anche filosofo e pedagogo; dell’astronomo
danese Peder Horrebow (1679-1764), allievo di Ole Rømer417 e
padre di Christian Horrebow (1718-1776) scopritore della perio-
dicità delle macchie solari; di Erik Pontoppidan il Giovane, teolo-
go, storico, linguista e autore del Primo tentativo di [scrivere] una
storia naturale della Norvegia (Det første Forsøg paa Norges Natur-
lige Historie), un’imponente opera dalla chiara impronta illumini-
stica uscita in due volumi tra il 1752 e il 1753;418 di Johan Browal-
lius (1707-1755), vescovo di Åbo, botanico, ma anche fisico,
studioso di mineralogia, teologo, linguista, filosofo e pedagogo; di
Johan Ernst Gunnerus, vescovo di Trondheim e pioniere della
botanica e della zoologia norvegese.419 E poi l’economista, medico
e naturalista finlandese Anders Chydenius, sopra ricordato;420 gli
svedesi Emanuel Swedenborg, la cui ‘conversione’ spirituale avreb-
be in buona parte oscurato l’attività scientifica a lungo fruttuosa-
mente praticata,421 Samuel Klingenstierna (1698-1765), matemati-

darà vita alla Società per la storia naturale (Naturhistorisk Selskab) è considerato il
fondatore degli studi veterinari in Danimarca: nel 1773 aveva fondato la Reale scuola
di veterinaria (Den Kongelige Veterinærskole). Suoi allievi sono altri importanti scien-
ziati danesi come Erik Nissen Viborg (1759-1822), veterinario e botanico, Carl Gottlob
Rafn (1769-1808), naturalista e Jens Veibel Neergaard (1775-1864), veterinario. Vd.
Petersen J., Søfareren Vitus Bering, København 1941; Andersen S. (red.), P.C. Abildgaard
(1740-1801). Biography & bibliography, Copenhagen 1985; I ballon over Danmark,
Dansk Ballonunion, 2006, pp. 5-11.
416
Il cognome Polhem, assunto dopo la concessione della dignità nobiliare, sostituì
quello della famiglia (di origine tedesca) Polhammar.
417
Vd. p. 634 con nota 491.
418
Il titolo completo è Il primo tentativo di [scrivere] una storia naturale della Nor-
vegia, che di questo Regno presenta il cielo, la terra, i campi, le acque, le piante, i metal-
li, i minerali, i tipi di pietra, gli animali, gli uccelli, i pesci e infine la natura insieme ai
costumi e al modo di vivere degli abitanti (Det første Forsøg paa Norges Naturlige
Historie, forestillende Dette Kongeriges Luft, Grund, Fielde, Vande, Væxter, Metaller,
Mineralier, Steen-Arter, Dyr, Fugle, Fiske og omsider Indbyggernes Naturel, samt Sædvaner
og Levemaade). A lui si devono anche i primi tre volumi di un Atlante danese (Den
Danske Atlas, 1763-1767), completato dopo la sua morte dal cognato Hans de Hofman
(1713-1793); vd. Cedergreen Bech S., Den Danske Atlas og værkets tilblivelseshistorie,
København 1969. Su Erik Pontoppidan vd. sopra, nota 39.
419
Cfr. nota 184. Vd. Jakobsen R. Nøtvik – Bakken T. et al., Aspects of Johan Ernst
Gunnerus’ life and work, Trondheim 2011.
420
Vd. p. 711 con nota 141 e p. 750.
421
Cfr. p. 772 con nota 399. Non si dimentichi che fin dall’anno della fondazione
egli fu membro della Società per la scienza di Uppsala, che nel 1734 entrò a far parte
dell’Accademia russa delle scienze (Петербургская академия наук), sorta nel 1724 a

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I princìpi della modernità 777

co e fisico di fama europea e docente all’Università di Uppsala dove


strinse amicizia con Linneo, Torbern Olof Bergman (1735-1784),
naturalista e astronomo ma, soprattutto, farmacologo tra i cui
collaboratori si distinguerà Carl Wilhelm Scheele (1742-1786),
celebre farmacista e chimico, scopritore di elementi fino ad allora
sconosciuti (come l’ossigeno e il cloro) e inventore di nuovi
composti;422 il dano-tedesco Christian Gottlieb Kratzenstein (1723-
1795), medico e scienziato (che tuttavia mostra qualche residuo
interesse per l’alchimia);423 il ‘Linneo danese’424 Otto Frederik
Müller (1730-1784), zoologo e botanico; gli islandesi Jón Ólafsson
di Grunnavík (1705-1779), autore (tra molti altri scritti di diverso
argomento) di una Ittiografia islandese (Ichthyographia Islandica,
1737), che rappresenta il primo scritto scientifico di impronta
illuministica redatto in quel Paese425 e Sveinn Pálsson (1762-1840),
medico e naturalista le cui importantissime osservazioni sui ghiac-
ciai e i vulcani dell’isola saranno tuttavia per lungo tempo trascu-
rate.426 Più tardi si segnaleranno nomi come quelli dei danesi Hans
San Pietroburgo per volere dello zar, e che fu tra i primi ad essere ammesso (1740) alla
Reale accademia della scienza di Stoccolma.
422
A sua volta Torben Bergman era succeduto nell’insegnamento a Johan Gottschalk
Wallerius (1709-1785), primo titolare della cattedra di chimica presso l’Università di
Uppsala e fondatore degli studi chimici applicati all’agricoltura.
423
Suo allievo sarà lo zoologo e mineralogista Morten Thrane Brünnich (1737-1827),
il primo danese a redigere testi di fondata scientificità in queste materie.
424
Riprendo la definizione di “Linneo danese” (“den danske Linné”) da Skautrup
1944-1968 (B.5), III, p. 97.
425
Questo autore, collaboratore del celebre Árni Magnússon (vd. pp. 587-588), è
noto anche e soprattutto per studi filologici e runologici. Su di lui vd. Helgason J.,
Jón Ólafsson frá Grunnavík, Kaupmannahöfn 1926. La sua figura è stata scelta da
Halldór Laxness (vd. pp. 1168-1169, p. 1173 e p. 1175) come modello per il perso-
naggio di Jón Guðmundsson di Grindavík (Jón Grindivicensis) nel romanzo storico
La campana dell’Islanda (cfr. sopra p. 588, nota 271).
426
Egli fu il primo a compiere una ricognizione fra i crateri del vulcano Laki dieci
anni dopo la devastante eruzione del 1783-1784 (vd. pp. 724-726) e a scalare l’Öræfajökull.
I risultati dei suoi studi inviati alla Società per la storia naturale di Copenaghen, non
riscossero tuttavia l’attenzione che avrebbero meritato. Essi furono pubblicati una
prima volta parzialmente solo negli anni 1882-1883 (“Islændingen Sveinn Pálssons
beskrivelser af islandske vulkaner og bræer. Meddelte af A. Helland”, in Den norske
Turistforenings Årbog for 1881, pp. 22-74 e Den norske Turistförenings Årbog for 1882,
pp. 19-79). In forma completa sono apparsi in lingua islandese nel 1945 (Ferðabók
Sveins Pálssonar, dagbækur og ritgerðir 1791-1797, J. Eyþórsson bjó til prentunar,
Reykjavík) e, recentemente, in lingua inglese (Draft of a Physical, Geographical, and
Historical Description of Icelandic Ice Mountains on the Basis of a Journey to the Most
Prominent of them in 1792–1794, with Four Maps and Eight Perspective Drawings,
Reykjavík 2004). Su Sveinn Pálsson vd. Steindórsson S., Íslenskir náttúrufræðingar
1600-1900, Reykjavík 1981, pp. 97-117 (questo testo offre una panoramica sui natu-
ralisti islandesi) e anche “Sveinn Pálsson, læknir og náttúrufræðingur”, in BR, pp.

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778 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

Christian Friedrich Schumacher (1757-1830), anatomista, chirurgo


e botanico; Hans Christian Ørsted (1777-1851), autore di ricerche
fondamentali sull’elettromagnetismo;427 Heinrich Christian Schu-
macher (1780-1850), direttore del celebre osservatorio astronomi-
co di Altona e fondatore (1821) della prestigiosa rivista scientifica
Astronomische Nachrichten. Come pure dello svedese Jöns Jacob
Berzelius (1779-1848), chimico di levatura internazionale, cui si
deve la prima tabella relativa al peso atomico, la scoperta del sele-
nio e l’introduzione della consuetudine di indicare gli elementi con
l’iniziale del nome latino o greco.428 I nomi di maggior prestigio e
di fama più duratura restano tuttavia, senza dubbio, quelli degli
svedesi Anders Celsius e Carl (Carolus) Nilsson Linnæus (Linneo,
più tardi, ottenuta la dignità nobiliare, Carl von Linné).
Il primo (1701-1744) apparteneva a una famiglia di scienziati,
alcuni dei quali, come il padre Nils Celsius (1658-1724), il nonno
paterno Magnus Nicolai Celsius (1621-1679) e – soprattutto – quel-
lo materno, Anders Spole (1630-1699), professore universitario sia
a Lund sia a Uppsala, erano stati insigni studiosi di matematica e
astronomia.429 Per la verità dopo la morte di Spole gli studi astro-
nomici presso l’Università di Uppsala erano decaduti, anche per
via del fatto che l’osservatorio che egli aveva predisposto nella sua
casa era andato distrutto nell’incendio del 1702. Fu dunque proprio
con Anders Celsius che essi ripresero vigore, con la realizzazione
di un nuovo osservatorio la cui costruzione (completata nel 1741)

81-84. Va qui sottolineato che in Islanda le ricerche scientifiche rivolte allo studio
della natura del Paese si collocano non soltanto nella scia della letteratura topografica
e naturalistica, ma anche di quella ‘consapevolezza della propria specificità geografico-
storico-culturale’ già rivendicata (in reazione a informazioni fantasiose e inattendibili,
quando non offensive, diffuse all’estero) da autori come Arngrímur Jónsson (vd. pp.
594-595 con nota 307) e concretamente rappresentata nella celebre mappa del Paese
realizzata (1585) dal vescovo Guðbrandur Þorláksson (vd. p. 511) e pubblicata nel
1590 dal cartografo fiammingo Abraham Ortelius (1528-1598), sulla quale per altro
sono raffigurati anche mostri marini che, molto verosimilmente, non comparivano
sull’originale. Vd. Júlíusson – Ísberg 2005 (B.3), pp. 125-126. Cfr. nota 349.
427
Su di lui vd. Kousholt Bj., H.C. Ørsted og fornuften i naturen, Lyngby 2000.
428
Su di lui lo studio di Melhado E.M., Jacob Berzelius. The Emergence of His
Chemical System, Uppsala 1981.
429
Altri personaggi eminenti della famiglia erano lo zio, Olof Celsius (1670-1756)
botanico e primo briologo svedese ma anche linguista e studioso di rune (una passio-
ne ereditata dal padre Magnus) che in polemica con il ‘rudbeckiano’ Biörner (vd. p.
592) propugnò un approccio scientifico nello studio di questo alfabeto, e il di lui figlio
e omonimo (1716-1794), uno dei più importanti storici svedesi del periodo. Lo zio Johan
Celsius (1660-1710) faceva parte del gruppo di studenti che avevano dato vita a diver-
se iniziative teatrali sia a Uppsala sia a Stoccolma, nel teatro noto come Lejonkulan
(vd. p. 614 con nota 400).

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I princìpi della modernità 779

fu possibile grazie alla grande considerazione che egli si era guada-


gnato sia in patria sia all’estero. E, in effetti, sebbene sia ricordato
dai più per aver dato il proprio nome alla scala delle temperature
(detta, appunto, scala Celsius), egli ha lasciato una cospicua eredi-
tà scientifica, frutto di studi approfonditi, di viaggi all’estero e di
contatti con i più noti ricercatori del tempo. Per dirimere la que-
stione sulla forma del globo terrestre (poi risolta a favore della
teoria di Isaac Newton) fece parte della spedizione nella terra dei
Sami organizzata dall’Académie des sciences francese e guidata da
Pierre Louis Moreau de Maupertuis.430 A lui si devono ricerche
sulla relazione tra il magnetismo terrestre e l’aurora boreale, sui
pianeti, le stelle e le comete, sull’aberrazione della luce, sull’acce-
lerazione gravitazionale e molto altro, non da ultimo osservazioni
di carattere meteorologico. Attivo anche nel campo della topogra-
fia, fu inoltre il primo a studiare il fenomeno dell’innalzamento
della penisola scandinava rispetto al livello del mare, fenomeno che
ha avuto inizio con lo scioglimento della massa di ghiaccio da cui
essa era ricoperta nel corso dell’ultima glaciazione.431 La sua opi-
nione ebbe notevole peso anche nella decisione (assunta nel 1753)
di adottare finalmente anche in Svezia il calendario gregoriano.432
Anche il secondo (1707-1778), celeberrimo botanico, doveva
raccogliere l’eredità di una consolidata tradizione di studi in una
materia che – tuttavia – era sempre stata considerata funzionale
alla medicina, limitandosi in primo luogo lo studio delle piante alla
determinazione delle loro proprietà terapeutiche. In proposito
occorrerà citare i più importanti predecessori di Linneo: il medico
e botanico Johannes Chesnecopherus (1581-1635) che diede alle
stampe una cinquantina di ‘dissertazioni’ universitarie tra cui la
prima pubblicazione prodotta in Svezia nell’ambito di questa
disciplina433 e il suo collaboratore e collega Johan Franck (Francke­
nius, 1590-1661) studioso altresì di alchimia e seguace della teoria
di Paracelso secondo la quale vi è una relazione tra le caratteristi-
che delle piante e le loro proprietà terapeutiche: costui avrebbe
avuto tra i suoi allievi il celebre Olof Rudbeck, il quale tra gli
innumerevoli interessi coltivava anche questo e aveva fatto impian-
tare sia il primo giardino botanico dell’università sia quello reale
(il giardino botanico attuale). Egli inoltre aveva progettato di
riprodurre a stampa tutte le piante allora conosciute, coinvolgen-
430
Cfr. nota 265.
431
Vd. p. 14, nota 4.
432
Cfr. nota 5.
433
Dissertazione fisica delle piante (Disputatio physica de plantis, 1621).

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780 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

do nell’impresa familiari e studenti: un lavoro imponente il cui


risultato fu la pubblicazione di diversi cataloghi. Figlio ed ‘erede’
degli interessi botanici del padre era stato poi l’omonimo Olof
Rudbeck il Giovane (den yngre, 1660-1740)434 al quale va ricono-
sciuta l’idea di una catalogazione delle specie vegetali, principio
che sarebbe stato realizzato dal suo allievo migliore, Carlo Linneo,
appunto.435
Figlio di un ecclesiastico e, dunque, destinato alla medesima
carriera, il giovane Carl aveva assai presto mostrato una diversa
inclinazione.436 Iscritto (1727) all’Università di Lund (dove abitò
presso l’illustre medico e naturalista Kilian Stobæus, 1690-1742) e
poi (1728) a quella di Uppsala, si distinse assai presto fra gli stu-
denti di medicina;437 nel frattempo cominciò a scrivere saggi scien-
tifici438 ed ebbe l’incarico di tenere lezioni di botanica come sup-
plente.439 Nel 1732 grazie alla concessione di un contributo in
denaro intraprese un viaggio nei territori sami e, successivamente
(1733-1734), nella regione di Dalecarlia. Di queste esperienze (cui
altre simili sarebbero seguite nel corso della vita) Linneo ha lascia-
to resoconti assai interessanti, redatti in uno svedese stringato ed
efficace, il che gli ha anche guadagnato un posto tra i migliori
prosatori della sua epoca.440 Dopo un lungo soggiorno all’estero (in
434
Così detto, appunto, per distinguerlo dal padre Olof Rudbeck il Vecchio (den
äldre). Olof Rudbeck il Giovane è noto anche per i suoi studi di linguistica: si tratta
tuttavia di lavori privi di qualsiasi scientificità e riferibili piuttosto alla impostazione
‘goticista’ del padre.
435
Proprio in onore di Olof Rudbeck e di suo padre Linneo avrebbe dato il nome
Rudbeckia a una pianta della famiglia delle Asteraceae.
436
Del resto l’amore per la natura e le piante era comune ai membri della sua fami-
glia, il che è testimoniato anche dal fatto che il cognome Linnæus (Linnaeus) era stato
scelto dal padre (al momento della sua iscrizione all’università) in riferimento a un
grande tiglio che si trovava presso la fattoria di famiglia a Jonsboda nella regione di
Småland (“tiglio” è in svedese lind, ma lin nel dialetto di Småland). Sul giovane Linneo
può essere interessante leggere Larsson L-O., “En småländsk blomsterprins”, in PH
2007: 2, pp. 36-40.
437
Qui per un periodo abitò nella casa di Olof Celsius (cfr. nota 429) e poi presso
l’insigne professore Olof Rudbeck il Giovane divenendo precettore dei suoi figli.
438
Il suo primo scritto fu Introduzione allo sposalizio delle piante (Præludia Sponsa-
liorum Plantarum, 1729) nel quale egli metteva in evidenza le differenze sessuali fra le
piante e la diversa funzione dei loro organi ai fini della riproduzione. Questo lavoro
suscitò notevole attenzione e fu successivamente presentato alla Società per la scienza
di Uppsala.
439
A Uppsala Linneo ebbe tra l’altro la possibilità di consultare la celebre opera
del botanico Joachim Burser (1583-1639), un Erbario (Hortus siccus, 1623) in ben
venticinque volumi che fu per lui di grande utilità.
440
Dal punto di vista botanico il viaggio nei territori sami (descritto nel suo Iter
lapponicum, 1732) fu all’origine della pubblicazione dell’opera Flora Lapponica (1737)

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I princìpi della modernità 781

primo luogo nei Paesi Bassi) che gli permise di entrare in contatto
con illustri studiosi441 e di pubblicare alcuni lavori scientifici – tra
cui il fondamentale Sistema della natura (Systema Naturæ, 1735)
nel quale espone la sua classificazione del mondo naturale –442
Linneo tornò in patria nel 1738 e, dopo un periodo trascorso a
Stoccolma (dove fu un medico molto apprezzato e compare tra i
fondatori della Reale accademia della scienza), nel 1741 ottenne la
nomina a professore di medicina presso l’Università di Uppsala.443
La sua fama era ormai consolidata,444 le sue lezioni erano sempre
molto affollate e frequentate anche da studenti provenienti dal-
l’estero. L’attività di redazione dei risultati delle proprie ricerche
fu intensa (così come la relazione epistolare con altri studiosi, sia
svedesi sia stranieri) sicché la sua produzione scientifica, redatta in
latino con l’evidente scopo di renderla disponibile all’intera comu-
nità scientifica, conterà alla morte una settantina di libri e più di
trecento saggi.445 Oltre al citato Sistema della natura è opera fon-
damentale, tra le altre, Species plantarum del 1753,446 nella quale
egli adotta per le piante (ma successivamente la applicherà anche
alle specie animali) la nomenclatura binomiale che affianca al nome
del genere quello della specie, ben distinguendo (con l’attenta
osservazione dei dettagli che caratterizzava il suo approccio scien-

che per la prima volta descriveva le specie vegetali di una regione ancora per molti
aspetti sconosciuta.
441
Come gli olandesi Herman Boerhaave (1668-1738), Jan Frederik Gronovius
(1686-1762) e Johannes Burmann (1707-1780).
442
Il titolo completo è Systema Naturæ, sive regna tria naturæ systematice proposita
per classes, ordines, genera, & species. Il lavoro fu pubblicato a Leida grazie all’interes-
samento di Gronovius (cfr. nota precedente).
443
In realtà le cattedre di medicina erano due, una delle quali, per le ragioni sopra
esposte, riguardava in sostanza la botanica e le scienze naturali. Linneo si accordò con
il collega Nils Rosén (del quale poco oltre) che aveva ‘ereditato’ il proprio incarico da
Olof Rudbeck il Giovane e gli lasciò gli insegnamenti più strettamente medici (come
anatomia e fisiologia) per dedicarsi al giardino botanico e allo studio delle piante.
444
Egli divenne membro di molte prestigiose istituzioni scientifiche, ottenne (1753)
la concessione del titolo di cavaliere dell’Ordine della stella polare (vd. nota 675), il
titolo di archiatra (1756) e la dignità nobiliare (1757).
445
Qui va tra l’altro doverosamente aggiunto che Linneo si preoccupò anche di
dare alle stampe l’opera dell’amico Peter Artedi (1705-1735), fondatore degli studi
ittiologici, dal titolo, appunto, Ichthyologia (1738). Sull’amicizia tra i due scienziati è
incentrata l’opera di Gun Frostling (n. 1938) Il figlio di Elena. Romanzo su Peter
Artedi e la sua amicizia con Carlo Linneo (Helenas son. En roman om Peter Artedi och
hans vänskap med Carl Linnaeus), Visby 2010.
446
Il titolo completo è Species plantarum, exhibentes plantas rite cognitas, ad genera
relatas, cum differentiis specificis, nominibus trivialibus, synonymis selectis, locis nata-
libus, secundum systema sexuale digestas.

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782 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

tifico) anche le varietà.447 Ben conscio della necessità di impostare


i propri studi secondo criteri razionali Linneo restò tuttavia sempre
legato all’esigenza di conciliare le osservazioni scientifiche con le
istanze religiose dalle quali non volle mai prescindere: egli infatti
riteneva che l’armonia che governa il Regno vegetale e quello ani-
male fosse espressione della saggezza divina (da qui traggono
verosimilmente origine le sue ‘poetiche’ descrizioni della natura).
Al contempo rifletteva sulle questioni morali tentando di organiz-
zare una sorta di teologia sperimentale nel perseguire la quale
rivela pienamente, soprattutto in uno scritto, la Vendetta divina
(Nemesis divina),448 il suo ininterrotto legame con il dettato biblico,
là dove egli si sforza di catalogare i destini degli uomini nella cor-
nice di una legge superiore che li richiama al dovere di osservare
una condotta morale tramite profezie, presagi, sogni, intuizioni ma
anche attraverso la voce della natura.
Naturalmente Linneo fece scuola: tra i suoi ‘allievi’ nordici più
illustri basterà citare qui i danesi Otto Frederik Müller (1730-1784),
entomologo, botanico e biologo marino; Otto Fabricius, missiona-
rio in Groenlandia, etnologo e zoologo;449 Johan Christian Fabricius
(1745-1828), entomologo ma anche economista; gli svedesi Anders
Jahan Retzius (1742-1821), fondatore (1772) della Reale società
fisiografica (Kungliga Fysiografiska Sällskapet) di Lund indirizzata
a studi naturalistici, tecnici e medici;450 Pehr Löfling (1729-1756),
botanico; Fredric Hasselquist (1722-1752), naturalista;451 Erik
Acharius (1757-1819) che approfondì le ricerche sui licheni; Olof
Swartz (1760-1818) che fece viaggi di studio nelle Americhe;452 il

447
Per la verità va qui precisato che questo tipo di nomenclatura era stato in pre-
cedenza proposto dal botanico svizzero Gaspard (Caspar) Bauhin (1560-1624).
448
Il testo di questo manoscritto, inteso per meditazione personale, fu acquisi-
to dalla biblioteca universitaria di Uppsala Carolina Rediviva nel 1845 (vd. Hulth
J.M., “Uppsala universitetsbiblioteks förvärv av Linneanska originalmanuskript”,
in Uppsala Universitetsbiblioteks minnesskrift 1621-1921, Uppsala 1921, pp. 411-
412) ed è stato edito in forma completa solo nel 1968; vd. Lepenies W., “Linnaeus’s
Nemesis divina and the Concept of the Divine Retaliation”, in Isis, LXXII (1982),
pp. 11-27.
449
Cfr. p. 761.
450
Allievo di Retzius sarà il celebre ornitologo Sven Nilsson (1787-1883).
451
Gli ultimi due facevano parte del gruppo dei cosiddetti ‘apostoli’ di Linneo,
studiosi che in accordo con il maestro compirono viaggi in diverse parti del mondo
per studiare la flora o la fauna locale. Vd. Hansen L. (editor-in-chief), The Linnaeus
apostles. Global science & adventure, I-VIII, London 2006-2012.
452
Allievo di Olof Swartz sarà, a sua volta, Carl Adolph Agardh (1785-1859), natu-
ralista, matematico e pioniere degli studi sulle alghe. Allievo di Agardh (e di Retzius)
sarà poi Elias Fries (1794-1878), autore di importanti studi nel campo della micologia.

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I princìpi della modernità 783

finlandese Pehr (Pietari) Kalm (1716-1779) che fu nell’America del


Nord.453
‘Sorella maggiore’ della botanica, la medicina, godeva da lungo
tempo di indubitabile prestigio. Anche nel XVIII secolo la Scandi-
navia può vantare (nella scia di una tradizione consolidata, basti
pensare a Olof Rudbeck e a Thomas Bartholin)454 figure di illustri
studiosi capaci di apportare un rilevante contributo al suo sviluppo.
Tali sono, solo per citare i più celebri, gli svedesi Lars Roberg (1664-
1742), tra l’altro insegnante di Linneo e fondatore (1717) del Noso-
comium academicum (il futuro ospedale universitario di Uppsala) e
Nils Rosén von Rosenstein (1706-1773), sopra citato, considerato il
fondatore della pediatria moderna;455 i danesi Jacob Benignus Winsløw
(1669-1760) che diede un notevole contributo all’anatomia descritti-
va; Georg Heuermann (1723-1768), allievo di Simon Crüger (ca.1687-
1760),456 chirurgo e oftalmologo (che per primo praticò in Scandina-
via l’estrazione della cataratta),457 Johan Christian Berger (1724-1789)
che diede un importante impulso agli studi di ostetricia e più tardi
l’anatomista, chirurgo e veterinario ma anche osteologo svedese Arvid
Henrik Florman (1761-1840). E tuttavia, accanto a questi antesigna-
ni della medicina moderna, ancora trovavano spazio i seguaci di
dottrine assai meno scientifiche quale, a esempio, quella mesmerista
sul magnetismo animale, introdotta in Svezia nel 1786 dal barone Karl
Jöran Silfverhjelm (1759-1808) di ritorno da un viaggio in Francia.
Egli non soltanto raccolse notevole consenso soprattutto fra i rappre-
sentanti delle classi più elevate, ma si dedicò alla ‘cura’ dei numerosi
pazienti che si rivolgevano a lui e scrisse anche un’opera dal titolo
Introduzione alla conoscenza del magnetismo animale (Inledning til
kunskapen om den animale magnetismen, 1787). Del resto occorre

453
Anche lui ‘apostolo’ di Linneo (cfr. nota 451).
454
Vd. p. 630.
455
Il suo testo dal titolo Insegnamenti sulle malattie infantili e sui loro rimedi
(Underrättelser om Barn-Sjukdomar Och deras Bote-Medel, 1764) fu tradotto in molte
lingue e conobbe una lunga serie di edizioni utilizzate fin oltre il XIX secolo. Su di lui
vd. Segerstedt T.T., Nils von Rosenstein. Samhällets människa, Stockholm 1981 e
Sjögren I., Nils Rosén von Rosenstein. Mannen som förlängde människolivet, Stockholm
2006.
456
Sebbene nella sua formazione non avesse seguito rigorosi criteri accademici,
questi era stato anche chirurgo di corte. Per sua iniziativa nel 1736 venne aperta la
prima scuola pubblica di chirurgia denominata Theatrum anatomico-chirurgicum (vd.
Norrie G., Theatrum anatomico-chirurgicum, I-II, København 1931-1932) nella quale
si sarebbero formati medici di grande valore.
457
Su di lui vd. Brahe Pedersen Chr., “Georg Heuermann – dansk kirurg og læge
i 1700-tallet”, in OV, pp. 245-254. In Danimarca nel 1772 fu fondata La società medi-
ca (Det Medicinske Selskab), tuttora esistente, che è perciò la più antica al mondo.

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784 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

anche ricordare come una branca della medicina rilevante come la


chirurgia per lungo tempo restasse legata all’insegnamento pratico
(tradizionalmente affidato ai barbieri e non di rado appreso sui
campi di battaglia) piuttosto che a una rigorosa formazione accade-
mica.458
Ciò nonostante, le ricerche approfondite su basi scientifiche, le
esperienze di studio all’estero e gli intensi scambi con i colleghi
stranieri portarono un notevole contributo. Va qui ricordato che
nel XVIII secolo si constata la fondazione di nuove strutture ospe-
daliere, con le quali si ponevano – seppure in misura ancora del
tutto inadeguata – le basi di quella che sarà la moderna assistenza
sanitaria.459

Il 25 settembre del 1759, alla presenza della famiglia reale, Linneo


nella sua veste di rettore dell’Università di Uppsala teneva un discor-
so sulla scienza nel quale riassumeva la propria concezione a un
tempo razionalistica e religiosa e, insieme, le finalità di promozione

458
Si pensi che la Societas chirurgica svedese, sorta nel 1685, era in sostanza la continua-
zione del cosiddetto Bardskärareämbetet (letteralmente “Ufficio dei tagliabarba”) sorto nel
1571. Nel 1786 prendeva l’avvio a Copenaghen l’attività dell’Accademia chirurgica (Det
Chirurgiske Akademie) indipendente rispetto alla facoltà universitaria di Medicina. Ai
contrasti fra medicina e chirurgia si ispira ironicamente una delle ‘favole morali’ di Holberg
(su cui vd. pp. 789-792 e pp. 830-831) dal titolo La disputa fra medicina e chirurgia
(Tvistighed mellem Medicinen og Chirurgien; Fabel 146, in LHV IX, pp. 397-398).
459
Per quello che riguarda la Danimarca si segnala la fondazione a Copenaghen,
per iniziativa del re Federico V, del primo ospedale (nel senso moderno del termine)
che dal sovrano prese il nome di Frederiks Hospital e fu inaugurato nel 1757. Esso
offriva assistenza gratuita ai pazienti privi di mezzi. Il primo vero ospedale del Nord
fu tuttavia il sopra citato Nosocomium academicum di Uppsala. Nel 1752 grazie soprat-
tutto all’opera di Abraham Bäck (1713-1795), medico di corte e del chirurgo Olof af
Acrel (1717-1806), fu aperto a Stoccolma il Serafimerlasarettet con scopi sia di cura sia
di insegnamento. In Svezia esisteva fin dal 1663 un Collegium medicum (sorto inizial-
mente – con il nome di Collegium medicorum – allo scopo di combattere la ciarlatane-
ria). Esso ebbe poi anche compiti di insegnamento (svolti in realtà in modo discontinuo)
e, soprattutto, funzioni amministrative, in ciò venendo a costituire la base di quello
che sarebbe poi stato il Sistema sanitario del Paese. Una analoga istituzione con il
medesimo nome (e il medesimo destino) fu creata in Danimarca nel 1740 soprattutto
in reazione alla fondazione del Theatrum anatomico-chirurgicum voluto da Crüger (vd.
nota 456). Del resto anche in Svezia le perplessità dei medici di formazione accademi-
ca nei confronti dei chirurghi erano (a motivo di quanto è stato detto) assai forti.
Naturalmente i centri di cura, così come le farmacie, si trovavano nelle città e la situa-
zione degli abitanti della campagna era, da questo punto di vista, molto più precaria.
Ciò anche se dalla fine del XVII secolo era stata istituita la figura del medico distret-
tuale che conosciamo anche nella lontana Islanda (cfr. nota 213).

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I princìpi della modernità 785

umana e culturale (ma anche, più semplicemente, economica) dell’istru-


zione. Si legga:

“Le scienze sono una luce, che si scorge appena da coloro [che] vi sono
immersi, così come brilla con splendore per coloro che camminano nelle
tenebre. Un essere umano senza istruzione, abbandonato a se stesso, è più
simile a una scimmia 460 che all’immagine di Dio.
Popolazioni selvagge, barbari e ottentotti, si differenziano da noi solo
grazie alle scienze; al modo in cui una mela selvatica rinsecchita differisce
da una gustosa renetta, solo per l’essere coltivata.
Sì, grazie alle scienze il più piccolo principato della Germania brilla con
più splendore del grande impero Mogol con tutti i suoi tesori.

Le scienze ci guidano alla venerazione verso il nostro Dio,


all’ubbidienza verso le nostre Autorità,
all’amore verso il nostro Prossimo.
Le scienze ci illuminano in tutta la nostra vita, ci insegnano
 attraverso la Lingua, ad avvalerci dell’esperienza altrui.
 attraverso l’Economia, a procurarci sufficiente sostentamento.
 attraverso la Storia, a guardarci dagli errori degli altri.
 attraverso la Politica, a governare e vivere felici.
 attraverso la Morale, a vivere irreprensibili e virtuosi.
 attraverso la Giurisprudenza, a vivere secondo le leggi.
 attraverso la Teologia, a percorrere i sentieri di Dio.
 attraverso l’Astronomia, a intravedere l’infinita potenza di Dio.
 attraverso le Scienze naturali, a vedere la meravigliosa opera di Dio,
 attraverso la Fisica, a servirci delle leggi della natura,
 attraverso la Matematica, a comprendere la nostra propria forza,
 attraverso la Patologia, a conoscere la nostra propria debolezza,
 attraverso la Dietetica, a vivere sobri e soddisfatti
 attraverso la Medicina, a presentare appello contro la morte.
[...]
In verità, senza le scienze tutto sarebbe confuso
 nella Religione,
 nel Governo,
 nella Famiglia,
  in tutta la nostra Vita.

Le scienze sono dunque la luce, che illumina i popoli che camminano


nelle tenebre, e li rende [capaci di] vedere con occhi limpidi, e sentire con
orecchi aperti, per questo si deve giustamente rendere più lode e onore alle
Autorità che hanno illuminato il loro popolo con le scienze, piuttosto che
soggiogare i barbari e devastare i Paesi con sacrificio di esseri umani.”461

460
Per la precisione un cercopiteco (svedese markatta).
461
DLO nr. 152.

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786 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

10.4.3. Il dibattito storico, politico e sociale. I giornali

Se si considerano i fermenti culturali che nel XVIII secolo per-


corrono (non solo nei ceti socialmente più elevati) il mondo scan-
dinavo non si può non ricondurli, innanzi tutto, alla nuova filoso-
fia che prendendo a modello i maestri stranieri (da Grotius a
Hobbes, da Cartesio a Locke, da Leibniz a Wolff, da Montesquieu
a Voltaire, da Hume a Rousseau e molti altri) voleva ora anche in
Scandinavia rivendicare una nuova visione dell’essere umano e
delle condizioni della sua esistenza, non da ultimo sul piano giuri-
dico e, dunque, sociale. In primo luogo la nuova filosofia aveva qui
naturalmente dovuto fare i conti con la rigorosa ortodossia lutera-
na e si è accennato come correnti di pensiero innovative come
quelle che si rifacevano a Cartesio o, più tardi, a Wolff, incontras-
sero proprio su quel fronte una decisa ostilità. E tuttavia, come è
stato detto, le nuove dottrine avevano trovato accoglienza anche
negli ambienti ecclesiastici, sicché la solidità della costruzione
biblico-religioso-filosofica che pretendeva di comprendere e gover-
nare ogni aspetto della vita era stata minata anche dall’interno.
Il pensatore norvegese Jens Kraft (1720-1765), professore di
matematica e filosofia all’Accademia di Sorø, seguace di Wolff (ma
al contempo difensore di Newton) è considerato il primo filosofo
sistematico in senso moderno del suo Paese e uno dei massimi
promotori del pensiero illuministico in Danimarca e Norvegia:
oppositore delle teorie estetiche di Jens Schelderup Sneedorff462,
formula tra l’altro una ‘teologia naturale’ e, pur sottolineando
(parallelamente a Rousseau) la propria considerazione per le ‘vir-
tù’ dei popoli cosiddetti selvaggi, mostra tuttavia di apprezzare il
progresso nell’ambito delle arti e delle scienze. Senza tralasciare
un compiaciuto sentimento nazionalistico, quando afferma che i
Norvegesi sono il popolo ‘più naturale’ di tutti, grazie alla bellez-
za e all’armonia del paesaggio nel quale si trovano a vivere. Primo
pensatore danese moderno è invece considerato Frederik Christian
Eilschov (1725-1750), influenzato da Wolff (ma anche da Holberg):
uno dei primi a rivendicare il diritto delle donne a una istruzione
adeguata ma anche il rispetto e la protezione degli animali. La sua
è una filosofia che si indirizza a fini pratici, il che si constata tanto
nel desiderio che essa divenga una disciplina diffusa e capace di
suscitare un dibattito ampio e consapevole, quanto nella scelta di
redigere i propri scritti in danese, in ciò sottoli­neando uno ‘strap-

462
Vd. p. 805 e p. 834.

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I princìpi della modernità 787

po’ nei confronti delle cerchie di eruditi vincolati al tradizionale


ed ‘esclusivo’ uso del latino. Una morte prematura (provocata dal
vaiolo) ne ha purtroppo impedito produttivi sviluppi. Aspetti
pratici sono constatabili anche nel pensiero di Tyge Rothe, sopra
citato,463 che applica un punto di vista filosofico alla storia cultu-
rale, sia quando analizza l’influsso del cristianesimo sulla storia dei
popoli,464 sia quando esamina l’evoluzione della struttura dello
Stato che ha visto i liberi contadini di un passato, per molti versi
retoricamente enfatizzato, decadere a miseri servi. La critica socia-
le è dunque preminente: lo spirito dei tempi esige che si interven-
ga nel dibattito con perspicacia e capacità propositive. Un dibat-
tito, che vuole svincolarsi dalle pedanti regole accademiche e
rivolgersi a un pubblico più vasto, al cui interno trovino eco e
applicazione le nuove idee: un percorso che, del resto, era già
stato indicato da Andreas Rydelius (1671-1738), professore di
filosofia e teologia a Lund, il quale non aveva mancato di sottoli-
nearne le ricadute pedagogiche e (come Eilschov) aveva privile-
giato nei suoi scritti l’uso della lingua madre.465 Le dotte e ponde-
rose disputazioni accademiche dei filosofi e teologi ‘di mestiere’
vengono ora trascurate e, persino, derise.466 Sicché è più che
463
 Vd. p. 719.
464
 Una prospettiva, questa, che si ritroverà in N.F.S. Grundtvig (vd. pp. 883-884,
p. 886 e pp. 914-915), chiaramente influenzato dal pensiero di Rothe.
465
 Vd. Eklund J.A., Andreas Rydelius och hans lifsåskådning, Stockholm 1899.
466
 Un diffuso sentimento di disprezzo verso il mondo universitario (soprattutto nei
confronti dei filosofi e dei metafisici) è evidente per tutto il 1700. Anche Ludvig Hol-
berg (su cui più avanti) non aveva mancato di mettere alla berlina in più di una occa-
sione i tronfi rappresentanti delle discipline accademiche, per quanto egli stesso nel
1717 avesse dovuto accettare (come unica possibilità che gli si offriva) la cattedra di
metafisica all’Università di Copenaghen (si leggano tuttavia le sue considerazioni in
merito nella Prima epistola a un illustrissimo signore [Første Brev til en højvelbaaren
Herre, 1728], in LHV XII, pp. 110-111). Tra i diversi passi relativi è nota, in partico-
lare, la satira contenuta nel Terzo Canto (Tredie Sang) del poema eroicomico Peder Paars
(vd. p. 830; in LVH II, [1969], pp. 67-82). Si veda però anche la ‘favola morale’ dal
titolo Disputa sul prestigio sociale fra le scienze (Rang-Tvistighed mellem Videnskaber,
Fabel 152, in LHSS IX, pp. 403-404). Si tenga comunque presente che in Danimarca
si discusse a lungo di una riforma universitaria e con un’ordinanza del 7 maggio 1788
vennero introdotti importanti cambiamenti (Schou [Abbr.] IX, pp. 385-441: Nye
Fundation og Anordning for Kiøbenhavns Universitet). Un simile atteggiamento di
irrisione nei confronti degli accademici ritroviamo in Olof Dalin, il quale nelle pagine
del suo Argo svedese (vd. oltre, pp. 802-803) non solo schernisce gli eruditi pedanti che
studiano argomenti astrusi riversandoli in dissertazioni futili e oziose, ma a proposito
dell’accanita disputa che in ambiente universitario opponeva allora ‘cartesiani’ e ‘wol-
fiani’ (seguaci del filosofo tedesco Wolff) scrive: “I cartesiani hanno rovinato la terra e
i wolfiani hanno stretto d’assedio i cieli” (Then Swänska Argus, nr. XI, i, p. 74: “Carte-
sianer skadade jorden och Wolfianer bestormade Himlarne”); sul filosofo tedesco

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788 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

naturale che la prospettiva filosofica si apra a studi di più pratica


applicazione, in primo luogo l’economia e il diritto.
L’economia (una scienza che nasce come tale proprio in questo
secolo) non poteva non fare riferimento al concetto di ‘utilità’ e,
considerato il clima dei tempi, legarsi in primo luogo al dibattito
sull’agricoltura, in ciò del resto intrecciandosi agli studi botanici (e,
almeno in parte, anche a quelli zoologici).467 Sicché non fa alcuna
meraviglia che gli scritti specificamente dedicati ad argomenti eco-
nomici si susseguano e costituiscano materia per una discussione
che coinvolge direttamente anche le scienze della politica. Abbiamo
così contributi come quelli del danese Andreas Schytte (1726-1777),
professore a Sorø e autore di studi nei quali l’amministrazione
dello stato e l’economia sono messe in stretta relazione; dello sve-
dese Anders Nordencrantz (1697-1772), che con concretezza tutta
borghese esplicitamente dichiara l’inutilità delle discipline esclusi-
vamente teoriche; di Anders Berch (1711-1774), primo titolare
della cattedra di economia a Uppsala468 e difensore delle teorie
mercantilistiche. In direzione di un liberismo commerciale vanno
Christopher Polhem469 e, soprattutto, Anders Chydenius,470 mentre
non va dimenticato che le teorie fisiocratiche trovano seguito anche
in Scandinavia.471 Non più strettamente soggetta alla politica l’eco-
nomia viene dunque affermandosi come disciplina indipendente e
sempre più ispirandosi a concezioni liberali.
Strettamente connessi al dibattito promosso dalla diffusione

Wolff, le cui idee venivano considerate una minaccia all’ortodossia luterana, cfr. p. 770
con nota 392. Più tardi anche Johan Henric Kellgren (vd. p. 835) non perderà l’occa-
sione di canzonare l’istituzione accademica. Sulla situazione dell’università svedese nel
Settecento vd. Schück – Warburg 19853 (B.4), III, pp. 8-28 e IV, pp. 12-28.
467
 Molti degli studiosi di botanica furono infatti anche economisti: tale è il caso, in
primo luogo, del dano-tedesco Georg Christian Oeder (1728-1791), professore di
botanica ed economia all’Università di Copenaghen, che nel 1769 aveva suscitato un
dibattito pubblico sulla questione delle riforme agrarie con uno scritto dal titolo
Riflessione sulla questione: in che modo si possa procurare al ceto contadino libertà e
diritto di proprietà nei Paesi in cui mancano entrambe le cose (Betænkning over det
Spørsmaal: Hvorledes Frihed og Eiendom kunde forskaffes Bondestanden i de Lande,
hvor den fattes begge Dele). Botanici ed economisti a un tempo furono poi anche, tra
gli altri, gli svedesi Carl Adolph Agardh (vd. nota 452), Anders Jahan Retzius, Pehr
Löfling, Fredric Hasselquist, Erik Acharius, Olof Swartz, Pehr Kalm, tutti allievi di
Linneo. Anche lo zoologo danese Johann Christian Fabricius si dedicò a studi econo-
mici; cfr. pp. 782-783.
468
 Questo insegnamento ebbe sede nel cosiddetto Theatrum Œconomicum, una
costruzione in stile rococò nel centro di Uppsala.
469
 Vd. p. 776.
470
 Vd. p. 711 e p. 750.
471
 Cfr. p. 694.

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I princìpi della modernità 789

delle idee illuministiche sono anche gli studi giuridici che devono
ora rimodellarsi conformandosi alla nuova concezione del ‘diritto
naturale’ degli individui e dei popoli. In questo campo, seppure
nei limiti imposti dall’assolutismo, il mondo culturale danese mostra
tutta la sua vitalità. Nomi eminenti sono quelli di Peder Kofod
Ancher (1710-1788), fondatore degli studi danesi di storia del
diritto; Henrik Stampe (1713-1789) che, pur ben integrato nell’ap-
parato statale – fu tra l’altro procuratore generale (segretario)
della Cancelleria e membro della Corte suprema – mostra di saper
esporre con grande chiarezza princìpi fondamentali come quello
della separazione dei poteri, così come di averne chiara la puntua-
le applicazione pratica472 e Martin Hübner (1723-1795, di famiglia
tedesca) studioso di diritto internazionale (in particolare delle
questioni relative alla navigazione in tempo di guerra).473 In Svezia,
dove pure la tradizione degli studi giuridici vantava nomi di pre-
stigio (si pensi a Johan Stiernhöök e a Samuel von Pufendorf),474
solo Daniel Boëthius (1751-1810) pioniere degli studi di filosofia
del diritto, pare poter reggere il confronto.
Ma nel Nord la figura che più esemplarmente incarna l’afferma-
zione dei princìpi illuministici è certamente quella di Ludvig Hol-
berg (1684-1754). Per quanto di nazionalità norvegese (era nato a
Bergen) egli è considerato il più eccellente rappresentante della
cultura (e della letteratura) danese del Settecento.475 Dotato di
mente aperta e animo cosmopolita, capace di integrare al meglio
la propria formazione con le opportunità fornite da lunghi viaggi
all’estero (dove fu pronto ad apprendere le nuove idee sulla scien-
za, la morale, la filosofia, la religione, la società), Holberg ne fu
convinto ed efficace diffusore in una ragguardevole serie di scritti

472
 Stampe fu tra l’altro direttamente coinvolto nel dibattito sulla questione agraria
e fece parte della commissione nominata nel 1767 (vd. p. 694). Su di lui vd. Evald J.,
“Henrik Stampe, enevælden og oplysningstiden”, in OV, pp. 361-369.
473
 Le sue proposte al riguardo trovarono consenso e furono successivamente
riprese nella cosiddetta “Dichiarazione del Congresso di Parigi sul diritto marittimo”
(legata al Trattato di Parigi) sottoscritta il 16 aprile del 1856. Vd. Anchieri E., Antolo-
gia storico-diplomatica. Raccolta ordinata di documenti diplomatici, politici, memoriali-
stici, di trattati e convenzioni dal 1815 al 1940, Varese 1941, pp. 89-90.
474
 Sul primo cfr. p. 668, nota 616. Il secondo (1632-1694), tedesco di nascita, si era
trasferito in Svezia nel 1667 dopo essere stato chiamato a ricoprire la cattedra di diritto
naturale e internazionale presso la neocostituita Università di Lund (un incarico prece-
dentemente svolto a Heidelberg). Successivamente (1677) era stato nominato storico del
Regno a Stoccolma. Il suo merito sta principalmente nell’aver svincolato gli studi giuridi-
ci dalla teologia e dalla scolastica, facendone una disciplina autonoma con dignità propria.
475
 Sul contributo letterario di Holberg (in particolare le commedie) vd. oltre, pp.
830-831. Per una breve biografia vd. p. 524, nota 218.

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790 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

che affrontano argomenti storici, religiosi, filosofici, morali, socia-


li con l’unica ‘bussola’ della ragione.476 In lui la lezione di filosofi
come l’inglese John Locke o il francese Pierre Bayle (1647-1706)
appare chiara, mentre la sua visione per molti versi lo accomuna a
Montesquieu e Voltaire. Non essendo questa la sede in cui poter
proporre una approfondita disamina di tutti i suoi contributi, si
porterà, come esempio eccellente, Il viaggio sotterraneo di Niels
Klim, romanzo da lui scritto in latino (Nicolai Klimii Iter Subterra-
neum) e uscito anonimamente a Lipsia nel 1741 (nel che si com-
prende il desiderio di sottrarsi alla censura danese e far conoscere
il proprio lavoro a un pubblico il più vasto possibile).477 Il libro si
inserisce nel filone dei romanzi incentrati su viaggi fantastici in
Paesi inesistenti (il cui modello ispiratore va ricondotto a Tommaso
Moro: si pensi Jonathan Swift ma, se si vuole, anche a Montesquieu,478
e a Voltaire479) nei quali è possibile immaginare società basate su
princìpi molto diversi da quelli comunemente vigenti.480 Il prota-
gonista, un giovane norvegese, di ritorno a Bergen dopo aver
completato gli studi a Copenaghen, incuriosito da una strana
caverna finisce per cadervi dentro e si ritrova così nel mondo sot-
terraneo: qui compie un itinerario della durata di dodici anni nel
corso del quale viene a contatto con diverse società. La loro descri-
zione fornisce a Holberg il pretesto per esprimere i propri convin-
cimenti e guidare il lettore in un percorso di riflessione avendo
come unica guida il proprio intelletto. Ciò vale particolarmente
quando Niels si confronta con il Regno di Potu (si legga il nome al
contrario!), abitato da saggi alberi pensanti, per i quali la legge non
è altro che applicazione del diritto naturale e dove egli trova (sep-
pure nella cornice di un assolutismo illuminato) tolleranza religio-
sa, giustizia imparziale, buon senso equilibrato, parità sociale; di
476
 Ci si rifà qui al titolo del volume Ludvig Holberg, Con la ragione come bussola,
Antologia degli scritti a cura di J. Stender Clausen, traduzione di A.M. Paroli Clausen,
Pisa 1990.
477
 L’opera ebbe un immediato successo e in breve tempo fu recensita su diverse
riviste europee e tradotta in molte lingue. In danese apparve nel 1742 nella versione
di Hans Hagerup (nato attorno al 1712); l’edizione di riferimento in questa lingua è
tuttavia quella di Jens Baggesen (vd. pp. 838-839), del 1789. Vd. Ehrencron-Müller
1924-1939 (B.4), XII (1935), pp. 213-326.
478
 Il riferimento è al romanzo epistolare Lettere persiane (Lettres persanes, 1721).
479
 Il rimando è, in questo caso, a Candido (Candide, 1759).
480
 Questo modello sarà più tardi ripreso nel titolo di una rivista uscita anonimamen-
te negli anni 1795-1796, Il viaggio sulla luna dell’ebreo errante (Jerusalems skomagers
Rejse til Maanen) portata avanti successivamente da Malthe Conrad Bruun (vd. nota
569). Si trattava di una pubblicazione che celava dietro la finzione letteraria il dibatti-
to sulle questioni dell’ordinamento dello Stato.

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I princìpi della modernità 791

Martinia, il Regno delle scimmie, dove al contrario dominano


intolleranza cieca, ortodossia inflessibile, formalismo ottuso, appiat-
timento passivo (verrebbe da dire scimmiottatura insulsa); di
Mardak (Danmark?) dove per non incorrere in severe punizioni
corporali si è costretti a negare ciò che è evidente ai propri occhi.481
Opera della maturità, Niels Klim costituisce per molti versi la
summa del pensiero illuministico di Holberg: in perfetto equilibrio
tra parodia, satira e riflessione filosofico-morale egli combatte
contro la superstizione, l’intolleranza, l’ignoranza e ogni forma di
soffocamento della libertà individuale (non da ultimo un ottuso
pietismo), rivendicando il diritto dell’individuo di ‘sperimentare’
il mondo basandosi in primo luogo sulle proprie risorse intellet-
tuali, piuttosto che accettando verità dogmaticamente imposte.482
Egli inoltre mette in guardia dalla cattiva abitudine di giudicare
positivamente ciò cui siamo avvezzi solo perché affermato nella
consuetudine, insegnando piuttosto a considerare criticamente con
imparzialità e sulla base di un sano buon senso ciò che ci appare
diverso ma che per altri può essere (secondo il nostro medesimo
errore di prospettiva ) consueto e, dunque, positivo. In ciò quello
che è stato definito il suo ‘relativismo’.
Uno dei campi nei quali l’opera di Holberg ha lasciato frutti
copiosi è certamente quello della ricerca storica, coltivata fin dagli
anni giovanili, seppure egli si dedicasse a questo tipo di studi
soprattutto dopo la lunga parentesi destinata alla stesura delle
commedie: nel 1730 aveva del resto ottenuto la cattedra in questa
disciplina all’Università di Copenaghen. A lui si devono, tra l’altro,
una voluminosa Storia del Regno di Danimarca (Dannemarks Riges
Historie, 1732-1735), in tre tomi, e una Storia universale della Chie-
sa (Almindelig Kirke-Historie, 1738). Il metodo di Holberg è (da
pragmatico quale egli era) pienamente illuministico: sottraendo
l’analisi a soggezioni teologico-bibliche e a manie di grandezza
asservite alla propaganda politica egli dà prova di un sicuro uso
delle fonti ed espone il proprio pensiero (che appare orientato alla
difesa dell’assolutismo regio e degli interessi della borghesia) in
481
Il riferimento è concreto. Si dice infatti che qui la maggioranza degli abitanti
abbia gli occhi di forma allungata, ma taluni li abbiano di forme diverse: costoro
hanno, di conseguenza, una diversa percezione visiva (in particolare il riferimento è
alla tavola sacra del dio-sole). Ciò nonostante sono costretti a giurare di vedere esat-
tamente come gli altri.
482
Particolarmente severo risulta il suo giudizio sulla religione (si ricordi che l’ope-
ra fu pubblicata nel periodo in cui vigeva in Danimarca un soffocante ‘pietismo di
Stato’ (cfr. pp. 762-764). Holberg stesso del resto esprime chiaramente la sua opinio-
ne a proposito del pietismo nell’Epistola ccxxviii (LHSS III, pp. 100-104).

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792 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

uno stile limpido e fluente, sottolineando il valore pratico degli


studi storici dai quali vanno tratti opportuni insegnamenti.483 Suoi
contemporanei sono altri studiosi che (seppure non mostrino iden-
tità di prospettive) come lui pongono le basi della storiografia
danese moderna.484 Nel medesimo anno in cui Holberg otteneva la
cattedra di Storia, Hans Gram (1685-1748) veniva nominato stori-
co del Regno, segretario dell’Archivio e bibliotecario reale:485 grazie
a ciò ebbe a disposizione testi e documenti riservati che studiò con
pazienza e dedizione impostando un severo metodo di critica del-
le fonti (storiche e diplomatiche) che risente in maniera palese
d’una formazione in primo luogo filologica, sicché il suo è – piut-
tosto che un lavoro di analisi – la diligente opera di un raccoglito-
re e catalogatore di materiale prezioso. Allievo di Gram fu Jakob
Langebek (1710-1775), fondatore (1745) e primo presidente della
Reale società danese per la storia patria (Det kongelige danske
Selskab for Fædrelandets Historie),486 ma anche linguista ed editore
di fonti: a lui si deve l’avvio della serie dal titolo Scriptores Rerum
Danicarum Medii Ævi così come il progetto di un diplomatarium
dano-norvegese (per altro basato su materiale raccolto da Gram).
A Gram e Langebek dichiara esplicitamente il proprio debito di
riconoscenza Peter Frederik Suhm (1728-1798), anch’egli poi
presidente della Società per la storia patria, possessore di una ricca
biblioteca e autore di molti lavori (anche di carattere divulgativo)
tra i quali spicca una Storia della Danimarca (Historie af Danmark)
in ben quattordici volumi (1782-1828), che, seppure non esente da
483
Un sunto delle idee di Holberg sulla funzione della storia si trova in una ‘favola
morale’ dal titolo Il destino della storia (Historiens Skiebne; Fabel 148, in LHSS IX,
pp. 399-400).
484
In Danimarca, come si è visto, la ricerca storica era per molto tempo rimasta
ancorata – seppure non del tutto (si ricordi Huitfeldt, su cui vd. p. 539 con nota 41) –
alle esigenze della politica che aveva a lungo (in taluni casi anche troppo) assecondato (basti
pensare a Lyschander, vd. pp. 538-539 con nota 36). Ma anche storici seicenteschi autori
di resoconti più attendibili – si citino qui almeno Vitus Bering (1617-1675), prozio del
celebre esploratore (cfr. nota 415) e Niels Slange (1656-1737) – mostrano di non avere
sviluppato un autentico senso critico: l’opera del primo è infatti ricordata più per l’elegan-
za e la fluidità dello stile (è scritta in latino) che per i contenuti, mentre il secondo dà
prova di totale approssimazione nell’elaborazione dei dati incorrendo in moltissimi errori.
485
L’anno successivo Gram divenne segretario dell’Archivio segreto.
486
Nell’ambito di questa associazione grande risalto venne dato ai concetti di patria
e di lingua nazionale. La denominazione originale era: Una società riunita per il pro-
gresso della lingua e della storia danese (Et Til det Danske Sprogs og Histories Forbedring
Samlet Selskab). La Reale società danese per la storia patria, tuttora esistente, pubbli-
ca la rivista Danske Magazin, il cui primo numero (nel quale appare ben chiaro il suo
programma patriottico-linguistico) risale all’anno della fondazione. Negli anni essa è
tuttavia uscita in modo discontinuo.

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I princìpi della modernità 793

difetti e imprecisioni (tra l’altro accetta ancora la cronologia basa-


ta sulla Bibbia) costituisce un imprescindibile punto di riferimento
nella storiografia danese. Della sua parallela attività letteraria,
frettolosamente giudicata dai contemporanei di alto livello, meri-
tano attenzione più che altro le opere ispirate al patrimonio cultu-
rale nordico nelle quali è manifesto quello stretto collegamento tra
amore per la tradizione e storiografia che tanti frutti avrebbe pro-
dotto dal romanticismo in poi.487 Collaboratore e amico di Suhm
fu Gerhard Schøning (1722-1780), originario delle isole Lofoten,
il cui ambizioso progetto di una grande storia della Norvegia fu
solo in parte realizzato:488 sebbene anche nella sua opera ancora si
trovino richiami ben precisi al valore ‘storico’ della Bibbia (fa
discendere i primi abitanti del Nord da Tubal, figlio di Jafet a sua
volta figlio di Noè),489 la sua capacità di inserire i dati in un più
ampio contesto culturale ne sottolinea al contempo la qualità inno-
vativa; senza dimenticare che il suo patriottismo (non esente da
intenti didattici) lo induce a sottolineare le qualità del suo popolo,
rivendicandone tutta la ‘dignità storica’. Schøning può dunque
essere considerato il fondatore di una ricerca storica norvegese
indipendente.490 Né va qui dimenticato, seppure per certi versi
inviso a Holberg, Andreas Hojer (o Høyer, 1690-1739), i cui scrit-
ti mostrano chiarezza di intenti e indipendenza di giudizio: doti
che si ritrovano nei suoi lavori giuridici.
Nel Settecento anche la storiografia svedese avrebbe conosciuto
importantissimi sviluppi. Per la verità fin dal secolo precedente
487
Un influsso indiscutibile egli avrebbe esercitato su autori come Oehlenschläger
(vd. p. 889, p. 914 e p. 924) e Grundtvig (vd. pp. 883-884, p. 886 e pp. 914-915). Su
di lui si veda Bruun Chr., Peter Frederik Suhm. 18. Oktober 1728 – 7. September 1798.
En levnetsbeskrivelse af Chr. Bruun, Kjøbenhavn 1898. Cfr. p. 933, nota 331.
488
Dell’opera, Storia del regno di Norvegia (Norges Riiges Historie), uscirono solo
tre volumi, dei quali l’ultimo fu pubblicato postumo (1771-1781). La trattazione si
interrompe all’anno 995, al rientro del re Olav Tryggvason in Norvegia (cfr. p. 253).
489
Cfr. Genesi, 10, 2 (La sacra Bibbia, Antico Testamento p. 15). Questa convinzio-
ne era tutt’altro che tramontata e ancora ben radicata era l’idea che i popoli si fosse-
ro dispersi per aver voluto costruire la torre di Babele. A lungo e da molti (anche da
Suhm) ci si adoperò dunque per calcolare l’anno in cui ciò era avvenuto (collocato
attorno al 4.000 a.C., circa 1750 anni dopo la creazione, con qualche differenza fra i
diversi studiosi). E tuttavia fin dalla seconda metà del Seicento l’avvio degli studi
archeologici aveva fatto emergere il problema di una giusta interpretazione e collo-
cazione cronologica dei reperti, il che insieme all’accresciuto interesse per ogni forma
di ‘antichità culturale’ avrebbe contribuito a scardinare princìpi a lungo considerati
inviolabili.
490
Su di lui vd. Daae L., Gerhard Schøning. En biographi, Christiania 1880 e Ræder
T., “Gerhard Schøning”, in Det kongelige norske videnskabers selskabs forhandlinger,
XXXIII (1960), pp. 105-116.

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794 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

c’erano stati nel Paese nomi illustri, come quelli degli storici del
Regno Bogislaus Philipp von Chemnitz (1605-1678, di origine
tedesca) e Johannes Widekindi (1618 o 1620-1675), i cui lavori
costituiscono un punto di riferimento per la storia svedese con-
temporanea e non solo. E tuttavia l’impostazione goticista restava
assai diffusa, come dimostra, tra l’altro, il progressivo adeguamen-
to a quel canone nell’opera di un altro storico del Regno, il già
citato giurista Johannes Loccenius:491 si è del resto rilevato come
quella prospettiva rispondesse a una precisa esigenza politica.
Sicché in pieno Settecento, nonostante le riserve ormai da più
parti avanzate tanto sul merito quanto sul metodo, l’ombra lunga
delle fortunate teorie rudbeckiane ancora si proiettava sugli studi
storici. Si annoverano così autori come Johan Göransson (1712-
1769) che nello slancio goticista si lascia andare ad affermazioni
che oltrepassano il limite dell’assurdo492 ed Eric Julius Biörner che
riteneva le saghe islandesi fonti sicure della storia patria.493 Ma una
nuova storiografia muove i suoi passi. Nel 1745 Bengt Bergius
(1723-1784) fondava, su modello danese, una Accademia storica
(Historisk akademi) che tuttavia (per l’opposizione della Reale
accademia della scienza) non ebbe la necessaria approvazione
(1749);494 ciò naturalmente non impedì (anche per gli sviluppi
all’interno dell’Archivio delle antichità)495 l’impostazione delle
ricerche su basi scientifiche: una strada già indicata da Erik

491
Vd. p. 668, nota 616.
492
Nel testo dal titolo Storia e genealogia dei re svedesi dall’anno 2200 a.C. fino al
1749 (Svea Rikes Konungars Historia Ok Ättartal, Ifrån 2200 År före Christum, Intil
1749, 1749) egli arriva a esempio a sostenere l’esistenza di una pietra runica risalente
addirittura a 2400 anni prima del diluvio universale, così come a collocare la compo-
sizione dell’Edda poetica (pp. 290-296) molto tempo prima della nascita di Cristo (si
vedano innanzi tutto la tavola allegata al volume e i rimandi ivi indicati). Inoltre egli
faceva risalire i primi re di Svezia a Saturno e Giove i quali erano – naturalmente! –
vissuti in quel Paese. A Johan Göransson si deve tuttavia un importante contributo
alla runologia: nel 1750 infatti egli pubblicò l’opera dal titolo Bautil, vale a dire: Tutte
le pietre runiche del Regno degli Svedesi e dei Goti (Bautil, det är: Alle Svea och Götha
Rikens Runstenar). In essa sono raccolte le riproduzioni grafiche delle pietre runiche
svedesi sulla base del lavoro curato da diversi ‘antiquari’ quali Nils Wessman (1712-1763),
Johan Peringskiöld (cfr. p. 592) e Johan Hadorph (cfr. p. 591). Il valore dell’opera per
gli studiosi moderni consiste primariamente nel fatto che in essa sono fedelmente
riprodotte pietre runiche andate in seguito distrutte o perdute.
493
Vd. p. 592.
494
Vd. Hernlund H., “En undertryckt historisk akademi”, in SHT V (1885), pp.
97-103.
495
Un importante impulso in direzione di una più moderna valutazione del valore
delle ‘antichità’ venne da Carl Reinhold Berch (1706-1777), segretario dell’Archivio a
partire dal 1750. Cfr. nota 672.

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I princìpi della modernità 795

Benzelius496 e seguita da Göran Nordberg (1677-1744), storico di


Carlo XII, e più tardi da Olof Celsius il giovane497 (professore a
Uppsala e autore di studi su Gustavo Vasa ed Erik XIV) ma
– soprattutto – da Sven Lagerbring (1707-1787, Bring prima del-
la concessione della dignità nobiliare), vero innovatore della sto-
riografia svedese alla quale applicò un rigoroso metodo critico.
La sua Storia del Regno svedese (Swea rikes historia) purtroppo
incompiuta, è uno studio condotto secondo metodi sorprenden-
temente moderni.498 Quasi coetaneo di Lagerbring è un altro
storico che, seppure in questo campo gli resti inferiore, di molto
lo sovrasta per la fama: Olof Dalin (1708-1763, dal 1751 il nobile
von Dalin). A sua volta autore di una Storia del regno svedese (Svea
Rikes historia, 1747-1762) che copre il periodo dalle origini fino
al tempo dei figli di Gustavo Vasa e inserisce le vicende svedesi in
prospettiva europea, egli rigetta (finalmente) l’idea che i sovrani
svedesi abbiano discendenza biblica499 e, insieme, rifiuta la con-
suetudine di ‘costruire’ verità storiche basandosi su supposizioni
quando non – addirittura – su invenzioni. Col che viene definiti-
vamente messa la parola fine alle stravaganze goticiste. Non che
ciò avvenga (da parte sua) senza errori, né (da parte di altri)
senza opposizione.500

L’affermazione del nuovo metodo storico segna una netta distanza dalle
fantasie goticiste che tanto consenso politico-culturale avevano ottenuto nel

496
Vd. p. 775.
497
Cfr. nota 429.
498
Vd. Bollerup E., “Lagerbrings Svea Rikets Historia. Tillkomst, utgivning,
mottagande”, in Scandia, XXXVI (1970), pp. 298-332. Più tardi un altro storico,
Carl Gustaf Nordin (1749-1812) con la sua preziosa raccolta di materiali porrà le
basi per importanti edizioni di fonti. Altri nomi di un certo rilievo della storiografia
svedese del periodo sono quelli di Anders Schönberg (1737-1811), Jonas Hallenberg
(1748-1834), allievo di Lagerbring, ed Erik Michael Fant (1754-1817) che si dedicò
tra l’altro all’edizione delle fonti antiche.
499
 Vd. p. 536, nota 28.
500
 Fin dal 1739 del resto Eric Julius Biörner (vd. p. 592) aveva pubblicato anoni-
mamente un breve testo dal titolo Serie questioni su un pubblico autore di satire
(Alfwarsama Frågo Tankar Om en Publik Satyrist) nel quale (senza mai nominarlo)
contestava Dalin per l’ironia con la quale egli si faceva gioco del ‘metodo storico’ fino
ad allora quasi universalmente adottato in Svezia. Dalin naturalmente non si lasciò
sfuggire una replica e compose uno scritto di carattere satirico dal titolo Descrizione
di una pietra runica presso Drottningholm [...] di Olavus Björnerus Antiquario. Di
Lovö (Beskrifning Om en Run-Sten vid Drottningholm [...] Af Olavo Björnero Anti-
quario. Lovöensi), nel quale si faceva beffe delle teorie di Biörner, facilmente indivi-
duabile nell’antiquario cui il titolo fa riferimento.

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796 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

XVII secolo. In un breve scritto Ludvig Holberg volle rimarcare la propria


critica a un certo modo di ‘costruire’ la storia interpretando i dati con faci-
loneria e lasciandosi trasportare da entusiasmi tanto scientificamente incon-
sistenti quanto risibili. Nella sua parodia dell’Atlantide di Rudbeck501 è
proposta una satira intelligente che, per la persistente tendenza a proporre
teorie tanto allettanti e fantasiose quanto fasulle e scientificamente inconsi-
stenti, neppure al tempo presente ha perso la sua attualità:

“Ho recentemente letto l’Atlantide di Rudbeck e mi sono meravigliato


della capacità di quest’uomo di trovare e portare alla luce cose nascoste e
prima sconosciute, col che egli ha guadagnato ai Paesi nordici una grande
considerazione, e restituito quell’onore che gli scrittori greci e romani hanno
loro tolto o per cattiveria o ignoranza. Con argomenti incontestabili egli ha
dimostrato che molte cose, che gli antichi scrittori ritengono essere avvenute
in Oriente, Asia o Grecia, in realtà sono avvenute nel Nord. Io credo di
poterne indicare ancora altre. La lettura degli antichi scrittori greci e romani
diventa perciò inutile, fatta eccezione solo per lo stile; poiché le storie che essi
compongono sono false, i luoghi inventati e i nomi alterati. Io voglio conce-
dere qualcosa a Omero, dal momento che egli era un poeta, e un poeta non
fa nient’altro se non mentire. Ma un Erodoto, un Diodoro, e altri, che
vogliono avere il nome di storici veritieri, non possono in alcun modo essere
perdonati. Non si può leggere senza turbamento con quale impudenza essi
attribuiscano alla loro patria ciò che è avvenuto qui nel Nord. Un sudore
freddo, cari fratelli! mi copre la fronte, tutte le volte che vedo in che modo
essi hanno alterato nomi di luoghi e persone nordici, e li hanno rivestiti con
abiti asiatici, greci e romani [...] Poiché al primo sguardo si può vedere come
innumerevoli nomi di persone e di luoghi stranieri siano stati rubati al nostro
Nord, e come li si sia voluti rendere irriconoscibili, o aggiungendo, o toglien-
do una sillaba; al modo in cui da Troels [si trae] Troilus, che essi hanno
fatto diventare un principe frigio; da Dania Dardania: Poiché è incontestabi-
le che il termine Dania sia più antico, dal momento che bravi scrittori hanno
mostrato che il patriarca Dan poco dopo il diluvio universale si stabilì in
questo Regno, che dal suo nome venne detto Dannemark, cioè Territorio di
Dan502 [...] Con talune altre parole ciò è ancora più evidente, perché i sud-
detti scrittori le hanno lasciate quasi inalterate, ma ciò nonostante o per
ignoranza o per cattiveria hanno voluto farne nomi dei loro Paesi [...] Altre
al contrario le hanno rese maggiormente irriconoscibili, non tuttavia al
punto che con l’aiuto delle regole dell’etimologia e degli anagrammi non si
possa scoprire quale sia la loro origine [...] È a questo riguardo e [mosso] da
ardore patriottico, che io per un po’ di tempo ho cercato di dedicarmi a que-
sto studio, e posso affermare, che da questo lavoro ho mietuto ottimi risulta-

Vd. pp. 582-584.


501

Al fine di mantenere l’effetto satirico che, in buona parte, si gioca sui nomi, si è
502

qui deciso di lasciarli in lingua danese, limitandosi a indicare tra parentesi quadre la
traduzione di quelli non identificabili con immediatezza.

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I princìpi della modernità 797

ti: Poiché con questo mezzo ho scoperto che la maggior parte delle cose rag-
guardevoli che si trovano riportate nelle storie greche e romane sono
avvenute nel Nord [...] Ho scoperto e posso tra l’altro chiaramente mostra-
re, che la guerra di Troia ha avuto luogo in Norvegia, e che Troja è lo stesso
di Trandia vale a dire Trundhiem [Trondheim] [...] Trojlus non è altro se
non Troels o Truels, Paris [Paride] Per Iversen, Hector [Ettore] Henrik
Thorsen, Palamedes Palle Mikelsen, Agamennon Aage Mogensen, Olysses
[Ulisse] Ole Lykke, Achilles Acho Hellesen, Ajak [Aiace] Anders Jacobsen,
Helene Ellen, e via dicendo. Poiché in tal modo io nella mia tesi sono con-
fortato dalla corrispondenza dei nomi, sono stato incoraggiato a cercare la
vera storia della guerra di Troia, la quale ho chiaramente trovata in un
antico manoscritto islandese in questo modo. La figlia di un re di Hedemark503
di nome Ellen fu rapita da uno jarl504 di Trundheim Per Iversen; ragion per
cui tutti i re locali a sud delle montagne si allearono contro il padre di quel
medesimo jarl, che allora governava a Trundhiem e si chiamava Prebend
Amundsen, il quale nome i Greci poi hanno trasformato in Priamus. Dopo
due anni di assedio (i menzogneri Greci dicono dieci anni) la città di Tran-
dia o Troja fu infine conquistata e distrutta: Essa poi a lungo rimase deser-
ta; i re che vennero dopo si accontentarono semplicemente di un castello
detto Laden [Lade], finché infine ritennero opportuno fondare una nuova
città sulle fondamenta dell’antica Troja, la quale ebbe nome Nidraas
[Nidaros].505 Fra tutti gli eroi che si fecero coinvolgere in questa guerra,
trovo solo un comandante danese, cioè il vecchio Nestor, il quale si ritiene
abbia fondato la città di Næstved in Selandia [...] In proposito qualcuno
potrebbe domandare: In che modo i più antichi scrittori greci sono venuti a
conoscenza delle vicende nordiche, e in che modo hanno potuto avere l’idea
di farle divenire storie proprie. Al che si risponde: Dal momento che le
terre nordiche sono state colonizzate immediatamente dopo il diluvio uni-
versale, si possono ricondurre a loro le storie più antiche [...] perciò non
desta meraviglia che gli scrittori greci, che ambivano a conferire una grande
antichità alle loro storie, ma non avevano materiale, dal momento che le
loro terre sono state colonizzate più tardi, abbiano composto le loro storie
dai racconti delle imprese danesi, norvegesi e svedesi ascoltati dai viaggia-
tori nordici, e per vanità le abbiano fatte passare come se fossero avvenute
nelle loro terre [...]”506

L’opera storica di Dalin si collega certamente ai suoi indiscuti-


bili interessi politici e dunque all’analisi della situazione svedese,
da lui tra l’altro proposta in forma allegorica nello scritto dal titolo
503
Hedmark, regione norvegese che si trova nella parte sud-orientale del Paese e
confina con la Svezia.
504
Vd. p. 210.
505
Vd. p. 253 con nota 108.
506
DLO nr. 153.

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798 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

La storia del cavallo (Sagan om hästen, 1740) nel quale il destino


della patria viene paragonato a quello di un cavallo le cui sorti
dipendono dalle virtù o dai difetti di chi lo possiede.507 Tuttavia, a
parte una produzione letteraria di un certo valore (fu autore di
poesie e testi teatrali) Dalin è noto, soprattutto, per la pubblicazio-
ne di un giornale508 che avrebbe fatto epoca: L’Argo svedese (Then
Swänska Argus).
Come noto il Settecento è, non solo in Scandinavia, il secolo in
cui questo tipo di pubblicazioni si afferma come strumento di
dibattito politico e sociale, così come di divulgazione e confronto
su temi scientifici e letterari (ancora imprecisato è il confine tra
‘giornale’ e ‘rivista’): la loro origine risale tuttavia al Seicento.509
Grazie alle nuove possibilità offerte dall’introduzione della stampa
anche in Scandinavia si era diffuso l’uso di far circolare lettere
informative o relazioni su ‘fogli volanti’ che riportavano notizie di
vario genere (per lo più eventi relativi alla famiglia reale, fenomeni
naturali di particolare impatto, informazioni di carattere politico
ma anche dati e notizie utili per i commercianti e gli amministra-
tori), un ‘servizio’ (talora promosso dallo Stato o dalla Chiesa) cui
l’introduzione della posta avrebbe impresso notevole impulso.510 I
primi giornali risposero dunque alle medesime esigenze. In Dani-
marca, dove per lungo tempo ci si richiamerà alla Germania, il
507
Il periodo preso in considerazione da Dalin in questo scritto è quello della
dinastia dei Vasa. Questo tipo di allegorie avrà poi una certa fortuna, come dimostra,
a esempio, La storia del piatto di cereali, già citata, di Anders Odel (vd. p. 711) e La
storia del gallo (Sagan om tuppen, 1758) di Abraham Sahlstedt (cfr. p. 820).
508
Certamente il termine “giornale” non va qui (né di seguito nel paragrafo) inteso
nel senso etimologico di “pubblicazione quotidiana”, quanto piuttosto in quello di
serie di scritti uscita con una certa regolarità. Si perdoneranno dunque i bisticci lin-
guistici che ne possano derivare.
509
Non essendo possibile elencare nella sezione EF tutti i giornali qui citati con le
rispettive dettagliate indicazioni, si rimanda ai repertori bibliografici di seguito elen-
cati. Per la Danimarca: Søllinge J. Drachmann – Thomsen N., De danske aviser 1634-
1991, I-III, [s.l.] 1988-1991 (in particolare il vol. I che copre il periodo tra il 1634 e il
1847); questo lavoro include anche le colonie danesi (distretto di Oldenburg tra il 1671
e il 1773, Schleswig, Holstein e Lauenburg fino al 1864, Norvegia fino al 1814, Islan-
da fino al 1874, Føroyar e Groenlandia per l’intero periodo, Isole Vergini fino al 1917
e la stampa relativa agli emigranti danesi); per la Svezia: Lundstedt B., Sveriges perio-
diska litteratur 1645-1899. Bibliografi, I-III, Stockholm 1895-1902 (in particolare vol.
I: 1645-1812); per la Norvegia: Høeg T.A. (red.), Norske aviser 1763-1969. En biblio-
grafi, I-II Suppl., Oslo 1973-1974; per l’Islanda: Kvaran B. – Sigurðsson E., Íslensk
tímarit í 200 ár. Skrá um íslensk blöð og tímarít frá upphafi til 1973 / 200 years Icelandic
periodicals. A bibliography of Icelandic periodicals, newspapers, and other serial publica-
tions 1773-1973, Reykjavík 1991.
510
Vd. p. 670. Sui ‘fogli volanti’ (diffusi in primo luogo in Danimarca su modello
tedesco) vd. Stolpe 1878-1882, I, pp. 30-102.

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I princìpi della modernità 799

primo decreto di concessione del ‘privilegio’ di produrre un tale


tipo di pubblicazione “in danese e tedesco” (“paa danske og tydske”)
venne emesso nel 1634 a beneficio di due stampatori di origine
tedesca Melchior Martzan (morto nel 1654) e Joachim Moltke
(morto nel 1664): della loro attività in questo campo non restano
che poche tracce.511 Solo una ventina d’anni dopo si può comincia-
re a parlare di giornali veri e propri, destinati tuttavia a vita piut-
tosto breve. Gli stampatori sono Peter Hake (di probabile origine
tedesca, morto nel 1659), e Peder Jensen Morsing: entrambi fece-
ro uscire titoli in lingua tedesca.512 Morsing morì nel 1658, duran-
te l’assedio di Copenaghen: la vedova passata a seconde nozze
cedette i diritti ereditati al nuovo marito, Henrik Gøde (morto nel
1676) che portò avanti la pubblicazione del Settimanale (Wochent-
liche Zeitung) iniziato da Morsing tra il 1657 e il 1659513 e più tardi
(dal 1667?) intitolato Corriere ordinario (Ordinarie Post-Zeitung):
esso riportava in primo luogo notizie dall’estero. Nel Paese il primo
giornale regolare in lingua nazionale è piuttosto Il Mercurio danese
(Den danske Mercurius), un mensile (in versi alessandrini!) fatto
uscire dall’agosto del 1666 fino alla morte da Anders Bording
(1619-1677), noto anche come autore di salmi.514 Un foglio certa-
mente ispirato, non solo nel nome, al Mercurio nordico (Nordischer
Mercurius, pubblicato ad Amburgo a partire dal 1665, dal poeta,
scrittore e traduttore tedesco Georg Greflinger, ca.1620-1677).515
Nel suo lavoro Bording dedica alla Danimarca grande spazio, sep-
pure non manchi di riferire le notizie provenienti dall’estero (soprat-
tutto da Germania, Inghilterra, Francia). Ma il suo interesse, foca-
511
Vd. il testo del decreto (29 giugno 1634) in Nyerup 1805, pp. 229-230 e (ibidem,
pp. 230-237) il commento relativo; vd. anche Stolpe 1878-1882, I, pp. 126-169.
512
Il giornale di Hake (avviato probabilmente nel 1657) era il Settimanale di Ambur-
go (Wochentliche Zeitung ausz Hamburg), più tardi (1660?) Settimanale Europeo
(Europäische Wochentliche Zeitung), contenente sunti tratti da giornali stranieri. L’in-
tento di Hake appare del resto chiaro dalla parallela produzione di numerosi volanti-
ni informativi. Si ricordi tra l’altro che la Corona danese considerava la città di
Amburgo parte del Holstein e, quindi, accampava dei diritti su di essa (cfr. p. 1421,
nota 37).
513
Søllinge-Thomsen 1988-1991 (vd. nota 509), I, pp. 73-75. Sull’attività di Hans
Clausen Gøde e le sue pubblicazioni in tedesco vd. Stolpe 1878-1882, I, pp. 202-223.
514
Da segnalare che nel 1672 uscirà un mensile in versi latini redatto da Georg
Huber (morto nel 1686) dal titolo Mercurio Latino-poetico (Mercurius Latino-poeticus).
Dopo la morte di Bording il suo giornale fu portato avanti da Jesper Als (o Alsing,
1652-1680) e Ahasverus Bartholin (1653-1710), i quali tuttavia (soprattutto il secondo)
non avevano le capacità né le qualità del fondatore.
515
Il riferimento a Mercurio (anche con il nome greco Ἐρμῆς, cfr. nota 518), da
considerarsi in relazione alla sua qualità di messaggero, è presente fin dal 1605 nel
Mercure François.

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800 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

lizzato in primo luogo su argomenti commerciali e politici (siamo


in piena epoca mercantilistica ma anche, e soprattutto, nel periodo
del consolidamento dell’assolutismo regio), dimostra chiaramente
la volontà di creare consenso al potere, del resto è assai probabile
che l’idea di redigere questa pubblicazione gli venisse direttamen-
te dall’ambiente di corte. Qualche anno dopo (1672) fanno la
propria comparsa le pubblicazioni (in prosa) di quello che viene
considerato il primo vero e proprio giornalista danese: Daniel
Paulli (1640-1684), figlio del celebre medico e botanico Simon,516
il quale nel 1672 pubblica in tedesco la Relazione Straordinaria
(Extraordinaire Relation) e in danese le Relazioni mensili (Maaned-
lige Relationer)517 e il Giornale danese (Dansk Advjs); per la vivaci-
tà dello stile, la varietà degli argomenti trattati, la corretta redazio-
ne delle notizie, i contatti diretti con le fonti, egli precorre la
stampa moderna.
Anche nella Svezia della “grande potenza” il governo non aveva
mancato di comprendere l’utilità del nuovo mezzo di comunica-
zione: il primo giornale svedese risale infatti al 1645;518 in realtà si
tratta di un settimanale, il Corriere ordinario (Ordinari Post Tijden-
der), affidato a Johan von Beijer (1606-1669) direttore del servizio
postale; come nel caso del Mercurio danese l’intento di sostenere la
politica governativa appare evidente nella scelta di riportare infor-
mazioni (ben selezionate) fornite da corrispondenti all’estero (spe-
cie dal fronte di guerra) per trasmettere alla popolazione messaggi
positivi e patriottici.519
516
Vd. p. 632.
517
A questo giornale vennero in diverse occasioni aggiunti degli allegati tra i quali meri-
ta una menzione l’annuale Mercurius Librarius Danicus che dava conto dei libri pubblicati.
518
Per la verità il primo ‘giornale’ della Scandinavia (se tale lo si può considerare)
risale addirittura al 1624: si trattava di una pubblicazione svedese uscita a Strängnäs
(Södermanland) dal titolo Ermete Gotico (Hermes Gothicus) e curata da Laurentius Pau-
lini Gothus (cfr. p. 503, nota 136 e p. 629, nota 474) nella quale erano riportate notizie
relative alla guerra dei trent’anni. Se ne conosce tuttavia un solo numero e nulla si sa
sulla sua effettiva distribuzione (vd. Lundstedt 1895-1902 [vd. nota 509], I, nr. 1, pp. 2-3).
519
Il giornale uscì fra il 1645 e il 1651(?) e di nuovo dal 1663 al 1673. Fu seguito
nel 1674 dal Mercurio svedese (Swenska Mercurius, da non confondere con il giornale
Den Swänska Mercurius di Gjörwell di cui più avanti) che riprese la precedente inti-
tolazione nel 1678; dal 1682 ebbe una sorta di allegato dal titolo Corriere svedese
(Svenske Post-Ryttaren). Esso ebbe fin dall’inizio, il carattere di ‘organo ufficiale’ del
governo; tra il 1734 e il 1736 vi furono tuttavia aggiunte delle Annotazioni (Anmärknin-
gar). Questo periodico si occupava quasi esclusivamente di notizie dall’estero. Nel
1720 cominciò dunque a uscire il Corriere delle notizie di Stoccolma (Stockholmiske
Post-Tidender). Da qui nascerà nel 1821 il Giornale del Corriere e dell’interno (Post- och
inrikes tidningar) che dal 1834 diverrà la Gazzetta ufficiale svedese (Svensk Statstidning).
Nonostante le diverse interruzioni nella pubblicazione, esso è dunque l’organo di

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I princìpi della modernità 801

Se dunque si fa eccezione per Paulli la stampa seicentesca appa-


re pedissequamente legata a modelli stranieri o piegata alle finalità
del potere politico (anche se Bording va considerato piuttosto un
poeta), sicché nell’ottica di un reale contributo al dibattito sociale
il vero ‘secolo dei giornali’ sarà, senza dubbio, il Settecento. Il
numero delle testate (che compaiono ora anche in centri di mino-
re importanza e nelle colonie)520 aumenta, così come la varietà degli
argomenti trattati. In Danimarca l’eredità di Paulli (morto a soli
quarantaquattro anni) era stata raccolta dal tedesco Johan Philip
Bockenhoffer (ca.1651-1697) coadiuvato dal poeta Povel Pedersen
(date ignote) e, successivamente, da Johannes Laverentzen (ca.1648-
1729) con il quale l’editoria giornalistica conobbe un periodo di
decadenza. Dal 1720 iniziarono a uscire le Relazioni straordinarie
(Extraordinaire Relationer) dello stampatore Joachim Wielandt
(1690-1730, noto anche per i suoi contrasti con Holberg), un foglio
che più tardi (1731) si fuse con Il corriere di Copenaghen (Kiøben-
havns Post-Rytter) di Johan Jørgen Høpfner (1689-1759), il quale
avendo sposato la vedova dello stampatore di libri Jørgen Mathie-
sen Godiche (morto nel 1717) aveva acquisito il ‘privilegio’ di
pubblicare giornali.521 Wielandt diede tra l’altro alle stampe pub-
blicazioni in lingua francese522 e, dal 1722, il primo giornale dane-

stampa di più antica fondazione tuttora esistente. Vd. Gustafsson K.E. – Rydén P.
(red.), Perspektiv på Post- och Inrikes Tidningar, Göteborg 1998.
520
Il primo giornale locale comparso in Danimarca ha per titolo Lista settimanale
di notifiche provinciali (Ugentlige Provincial Notifications Liste) pubblicato per la
prima volta a Odense nel 1735; da segnalare anche le Notizie utili e dilettevoli dallo
Jutland (Nyttige og fornøyelige jydske Efterretninger) uscito a Aalborg nel 1767 e suc-
cessivamente intitolato Notizie dalla diocesi di Aalborg (Aalborg Stiftstidende): questo
giornale è tuttora esistente, seppure si debba segnalare che nel 1999 è confluito nella
testata Notizie dalla diocesi dello Jutland settentrionale (Nordjydske Stiftstidende). In
Svezia il primo giornale locale è La lista settimanale di Göteborg (Götheborgs Weko-lista,
1749-1757?), nella stessa città sarà fondato nel 1813 il Corriere di Göteborg (Göteborgs
Posten); del 1754 è Il foglio settimanale di Karlskrona (Carlscronas Wekoblad) pubbli-
cato fino al 1878; del 1758 i Settimanali di Norrköping (Norrköpings Weko-Tidningar),
successivamente Norrköpings Tidningar.
521
Høpfner pubblicò anche un Corriere (Post-Rytter) mensile e un settimanale in
tedesco dal titolo La Fama danese (Die Dänische Fama).
522
Oltre a un bisettimanale di notizie dal titolo Notizie da diversi luoghi (Nouvelles
des divers Endroits, avviato nel 1719) a lui si deve anche un mensile, l’Estratto di notizie
(Extrait des Nouvelles, 1720-1721), redatto da Andreas Hojer (vd. p. 793) e incentrato
soprattutto su argomenti di letteratura e di storia. Tali pubblicazioni non costituiscono
affatto un’eccezione. Interessante è il caso del francese Laurent Angliviel de La Beaumel-
le (1726-1773), precettore a Copenaghen, il quale tra il 1748 e il 1750 curò un bisettima-
nale dal titolo La Spettatrice danese (La Spectatrice Danoise). Anche in Svezia lo stampa-
tore Peter Momma (1711-1772) pubblicò tra il 1742 e il 1758 una Stockholm Gazette in
lingua francese.

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802 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

se economico di annunci;523 inoltre riuscì (1724) a ottenere dal


servizio postale il diritto di spedizione in abbonamento, il che
favorì ulteriormente la diffusione delle sue pubblicazioni. Tra i
primi editori di giornali danesi va ricordato soprattutto, Ernst
Henrich Berling (1708-1750), di origine tedesca, che nel 1748
aveva acquistato il ‘privilegio’ per la stampa di giornali dalla vedo-
va di Wielandt: grande fortuna avrebbe avuto, in particolare, il suo
Corriere delle notizie danesi di Copenaghen (Kiøbenhavnske Danske
Post-Tidender) uscito come bisettimanale a partire dal gennaio del
1749: esso – che avrebbe in seguito (1833) mutato il nome in Noti-
zie di Berling politiche e di annunci (Berlingske Politiske og
Avertissements Tidende, 1833),524 più tardi (1936) semplificato in
Berlingske Tidende e infine (2011) in Berlingske – resta uno dei
quotidiani più diffusi di Danimarca.525
In Svezia il nome di primissimo piano è, come detto, quello di
Olof Dalin. L’Argo svedese (Then Swänska Argus),526 uscito setti-
523
Questa pubblicazione va messa in relazione con il fatto che Joachim Wielandt
gestiva insieme al funzionario Jacob Frants von der Osten (1664-1739) una sorta di
agenzia di mediazione detta Adressekontor (letteralmente “Ufficio degli indirizzi”).
Questo tipo di agenzie, sorto in Europa su modello francese, raccoglieva le offerte di
merci e di lavoro e le portava a conoscenza degli interessati. Sebbene l’agenzia non
andasse troppo bene egli pubblicò un giornale dal titolo Informazioni dall’Agenzia degli
indirizzi di Copenaghen (Kjøbenhavns Adressecomptoirs Efterretninger), abbreviato in
Giornale degli indirizzi (Adresseavisen) che in seguito fu allegato ad altre pubblicazio-
ni, in particolare al Berlingske Tidender (di cui poco oltre). Si ricordi qui che il primo
annuncio su un giornale danese (fatto da un olandese che offriva un corso di contabi-
lità) era comparso in data 8 gennaio 1685 sull’Europäische wochentliche Zeitung (vd.
nota 512).
524
In realtà il titolo completo era Notizie di politica e annunci di Berling con privi-
legio per la spedizione con Poste reali (Den til Forsendelse med de kongelige Brevposter
privilegerede Berlingske politiske og Avertissements Tidende), col che si era voluto
sottolineare il ‘privilegio’ postale di cui godeva questa testata.
525
La pubblicazione giornaliera si ebbe a partire dal 1831. In Danimarca il primo
vero quotidiano fu, a partire dal 26 dicembre 1811, Il Giorno (Dagen, fondato tuttavia
nel 1803). Gli altri grandi giornali danesi a diffusione nazionale, Il corriere dello Jutland
(Jyllandsposten) e Il politico (Politiken, vd. p. 967) sono stati fondati rispettivamente
nel 1871 e nel 1884. Dal 1904 (inizialmente come allegato a Politiken) ha cominciato
a uscire il tabloid Extra Bladet che dal 1915 avrebbe trovato un concorrente in BT.
526
Il nome fa riferimento al mostro gigantesco Argo (Ἄργος) che secondo la mito-
logia greca era dotato di cento occhi alcuni dei quali restavano dunque sempre aperti.
Da ciò l’appellativo πανόπτης “che vede tutto”. Sebbene (come indicato nella nota
509) nella sezione EF non si possa dare conto di tutti i giornali citati, si vuole qui
comunque segnalare (tenuto conto della sua straordinaria importanza) l’edizione de
L’Argo svedese (Then Swänska Argus) curata da B. Hesselman e M. Lamm. Per il suo
giornale Dalin aveva pensato anche ad altri titoli: Il Chiacchierone (Frispråkaren, evi-
dente imitazione dell’inglese The Tatler), Raccolta di liberi pensieri da Utopia (Sambling
af Frja Tankar från Utopia) e Den Sanna Frispråkaren (Il vero chiacchierone).

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I princìpi della modernità 803

manalmente a Stoccolma tra il dicembre 1732 e il dicembre del


1734, doveva infatti segnare un punto di svolta, anche in prospet-
tiva linguistica. Spesso affidandosi a dialoghi immaginari tra per-
sonaggi di fantasia (con nomi assolutamente espressivi)527 o a storie
con protagonisti degli animali, Dalin (che non tralascia di rivolger-
si anche al pubblico femminile) esprime il proprio pensiero su
argomenti di vario genere, dalla politica alla storia, dall’economia
all’istruzione, dai problemi di carattere morale a quelli sociali,
dalla letteratura alla lingua. Lo stile sciolto e vivace e la capacità di
approfondimento dei temi trattati nel giornale ne faranno da subi-
to una lettura di successo fra persone di diversa estrazione, dando
l’avvio a un dibattito ampio e informato. Siamo nella cosiddetta
“era della libertà”,528 eppure l’autore – che deve comunque sotto-
porre i propri scritti al giudizio del censore – si cela prudentemen-
te dietro l’anonimato. Finché il suo nome sarà svelato e la polemi-
ca politica prenderà il sopravvento (Dalin del resto faceva parte di
quel settore del “partito dei cappelli” del tutto leale verso la monar-
chia al cui interno si sarebbe poi formato il “partito di corte”).
Forse sta qui la ragione per cui, nonostante lo straordinario con-
senso di pubblico, il giornale cesserà le pubblicazioni dopo soli due
anni. Non dopo aver fatto epoca e collocato il proprio autore fra i
grandi nomi della letteratura svedese.529 Dalin ebbe naturalmente
seguaci e imitatori: innanzi tutto Olof Gyllenborg (1676-1737) che

527
Come a esempio: il Signor Attaccabrighe (Herr Gräl), il Signor Zelomiaccieca
(Herr Nitblind), il Signor Cervellobacato (Herr Hiernbrott), il Signor Colpoalcuore
(Herr Hiertskott), il Signor Veteranidiguerra (Herr Krigsbussar), il Signor Onorema-
però (Herr Ehrenmenvet), la Signora Temperanza (Fru Måttelighet), la Signora Auto-
rità (Fru Myndighet), la Signora Scemenza (Fru Dumhet), la Signora Costumatezza (Fru
Ärbarhet).
528
Vd. pp. 698-699.
529
Figlio di un pastore, Dalin era nato nel 1708 a Vinberg (Halland). Rimasto
orfano di padre in tenera età fu allevato dal vicario pastorale Severin Böckman (1688-
1748) che aveva ottenuto l’affidamento della parrocchia e che sua madre aveva sposa-
to in seconde nozze. Dopo aver ricevuto la prima istruzione privatamente il giovane
Olof venne iscritto all’Università di Lund, dove ebbe modo di frequentare assidua-
mente il professore di filosofia Andreas Rydelius (cfr. p. 787 con nota 465). Trasferi-
tosi a Stoccolma ottenne l’incarico di precettore presso la nobile famiglia dei Rålamb:
grazie a ciò entrò in contatto con le più alte sfere sociali, finché, nel 1744 (anche per
il successo de L’Argo svedese) divenne precettore reale, guadagnandosi la benevolenza
dei sovrani. Fu successivamente nominato storico del Regno (1741) e insignito della
dignità nobiliare (1751). La sua costante lealtà nei confronti della famiglia reale gli
procurò naturalmente molti nemici e nel 1756, in occasione del fallito colpo di stato
(cfr. pp. 702-703), essi ottennero che Dalin fosse allontanato dalla corte. Vi fu riam-
messo, per decisione personale del re, nel 1761. Era tuttavia ormai cagionevole di
salute e morì solo due anni dopo.

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804 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

nel 1735 pubblicò L’ombra dell’Argo defunto (Skuggan af den döda


Argus); poi Johan Browallius (1707-1755), Olof Celsius il Giovane,530
Johan Fredrik Kryger (1707-1777) e Anders Berch il Giovane (den
yngre, 1736-1770). Il primo, che aveva conosciuto il fallimento del
suo foglio Innocente chiacchierata conviviale (Oskyldig målro, 1731),
cercò di adeguarsi alla lezione dell’Argo svedese con Il Mercurio
filosofico (Den Philosophiske Mercurius, 1734) e Il patriota svedese
(Den svenske patrioten, 1735); il secondo volle invece insieme al
poeta e drammaturgo Andreas Hesselius (1714-1762) proporre una
continuazione del giornale di Dalin pubblicando nel 1738 Lo zelo
svedese (Thet swenska nitet) nel quale per la prima volta vennero
introdotti anche argomenti di critica letteraria;531 il terzo, che già dal
1751 aveva pubblicato un settimanale economico Il patriota di buone
intenzioni (Den Wälmenande patrioten), nel 1767 salutò la libertà di
stampa con Il libero pensatore razionale (Den Förnuftige Fritänkaren);
il quarto, infine, con il suo Corriere (Posten, 1768-1769) fu proba-
bilmente l’unico capace di reggere il confronto con il proprio
modello.
Seppure lo straordinario consenso ottenuto da L’Argo svedese
fosse dovuto alle qualità del suo autore, l’iniziativa di Dalin non è
da considerarsi originale. Egli si era evidentemente ispirato a due
celebri testate inglesi, The Tatler (1709-1711) e The Spectator (1711-
1712)532 la cui fama doveva produrre anche in Scandinavia nume-
rose imitazioni, certamente anche legate al successo de L’Argo sve-
dese (di cui negli anni 1740-1741 comparvero traduzioni in danese).
In Danimarca – dove per altro il primo tentativo in quella dire-
zione risale agli anni 1724-1726, quando era stato dato alle stampe
Il patriota di Amburgo (Den hamborgske patriot) versione danese di
un giornale di quella città – constatiamo la prolungata fioritura
di numerose pubblicazioni legate a questo modello. Così Lo spet-
tatore danese (Den danske Spectator, 1744-1745)533 di Jørgen Riis

530
Cfr. nota 429.
531
In seguito (1739-1740) Hesselius pubblicherà (in versi) La verità svedese (Den
swenska sanningen).
532
Per la storia dei giornali nei Paesi in cui essi sono nati si rimanda a Stangerup
H., Avisens historie i de lande, der skabte den: England, Frankrig, Tyskland og USA,
I-III, København 1973-1974 (in particolare, a riguardo del periodo qui trattato il I
volume: Fra de første tilløb til 1850).
533
Il titolo completo era Lo spettatore danese nonché l’indagatore della verità (Den
danske Spectator Samt Sande- og Gransknings-Mand). Nel medesimo 1744 il filosofo
Andreas Johansen Lundhoff (ca.1710-1748) avviava la pubblicazione de Lo spettatore
filosofico dello spettatore danese (Den danske Spectators filosofiske Spectator) che però
sarebbe uscito solo fino all’anno successivo.

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I princìpi della modernità 805

(o Ries, 1717-1749), settimanale popolare in tutto il Paese che


lasciava molto spazio alla satira e diede origine a una vivace discus-
sione su temi sociali (molte delle idee di Riis avrebbero ispirato le
riforme negli anni a venire);534 Lo spettatore patriottico (Den patrio-
tiske Tilskuer, 1761-1763) di Jens Schelderup Sneedorff (1724-1764),
professore di diritto, precettore del principe ereditario, studioso
delle problematiche sociali, sostenitore dei diritti dei contadini,
uno dei grandi nomi dell’illuminismo danese; Lo spettatore danese
(Den Danske Tilskuer, 1791-1806) del critico Knud Lyhne Rahbek
(1760-1830) che fece poi seguire testate analoghe.535 Un contesto
nel quale va citato anche Johann Elias Schlegel (1719-1749), scrit-
tore tedesco residente in Danimarca – e zio dei ben più celebri August
Wilhelm (1767-1845) e Karl Wilhelm Friedrich (1772-1829) Schlegel
– che nella propria lingua pubblicò a Copenaghen il periodico Lo
straniero (Der Fremde, 1745-1746).
In Svezia, dove una sorta di precedente del giornale di Dalin
(seppure qualitativamente assai inferiore) può essere indicato nel
Mercurio moralizzante (Sedo Lärande Mercurius, 1730-1731) dei
fratelli Carl (1703-1761) ed Edvard (1704-1767) Carleson,536 com-

534
Egli stesso portò un ulteriore contributo alla discussione pubblicando un settimana-
le poetico dal titolo L’anti-spettatore danese, ovvero uno per tutti contro il testimone danese
(Den danske Anti-Spectator eller en for alle imod den danske Sandemand) titolo uscito tra il
luglio 1744 e il marzo 1745. Il termine Sandemand, qui non del tutto propriamente reso
con “testimone”, corrisponde al nordico sannaðarmaður, con il quale nell’antico ordina-
mento giuridico si indicava una persona chiamata a confermare la veridicità di una affer-
mazione, eventualmente prestando giuramento insieme a chi la aveva pronunciata. In
Danimarca (in particolare nello Jutland) esso indicò anche un giudice (vd. Dahlerup
1993-1997, XVIII, coll. 726-727 e Cleasby – VigfUsson 1957, p. 514 [entrambi in B.5]).
535
Cfr. p. 809, nota 557, p. 839 e p. 918, nota 246. Cfr. anche la pubblicazione di
Laurent Angliviel de La Beaumelle (vd. nota 522). Da segnalare inoltre La sentinella
nordica (Der nordischer Aufseher, 1758-1761) edito dal teologo tedesco Jonas Andreas
Cramer (1723-1788), attivo a Copenaghen.
536
Il primo diede poi alle stampe anche il mensile Consigli per la casa (Hushålds-
Råd, 1734-1735) sostenendo la necessità di interventi concreti per salvaguardare le
famiglie da situazioni di indigenza legate, in primo luogo, a lutti o a eventi calami-
tosi. Le sue proposte riguardano la necessità di fornire una copertura assicurativa:
un progetto che del resto muoverà in Svezia i primi passi con la istituzione di una
cassa assicurativa per le vedove e gli orfani dei funzionari di stato civile (vd. Kongl.
Maj:ts Stadfästelse Och Privilegier på Civil Statens Förening, om en Underhålls Cassa
för deras Änkor och omyndige Barn, 1 febbraio 1743 in UPH III, pp. 2004-2019)
accanto a una analoga per le vedove e gli orfani dei militari (vd. Kongl. Maj:ts
Stadfästelse och Privilegier, på den för Militiæ-Statens, Enkor och minder-årige barn,
inrättade Underhålls-Cassa, 30 giugno 1747, in UPH III, pp. 2392-2409). In seguito
questi enti vennero fusi (23 febbraio 1784) in quella che resta la più antica società
svedese di assicurazioni (Allmänna änke- och pupillkassan): vd. Reglemente, för
Allmänna Enke- och Pupill-Cassan i Swerige in UPH XIII, pp. 13-41. Sulla storia di

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806 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

paiono nella seconda metà del secolo periodici di una certa impor-
tanza come Il Settimanale di Stoccolma (Stockholms Weckoblad,
1745-1779) di Peter Momma537 e il Quotidiano eterogeneo (Dagligt
Allehanda) del 1769, inizialmente (dal 1767) un allegato economi-
co del precedente.538 Interessante è anche la nascita della prima
vera testata politica, Un onesto svedese (En Ärlig Swensk, 1755-1756),
redatto anonimamente da Niklas von Oelreich (1699-1770) ultimo
censor librorum539 per il partito dei “cappelli”.540
La novità editoriale costituita dai giornali doveva naturalmente,
prima o poi, raggiungere anche gli altri Paesi nordici. In Norvegia
il primo tentativo di pubblicare un periodico fu fatto a Bergen nel
1721 quando il danese Peter Povelsen Nørvig (morto nel 1741)
diede l’avvio alla propria stamperia541 e fece uscire Il corriere Mer-
curio (Ridende Mercurius), un settimanale che tuttavia ebbe vita
breve: nel maggio del 1722 esso dovette infatti cessare le pubblica-
zioni, dal momento che rifacendosi alle Relazioni straordinarie di
Wielandt pregiudicava il suo ‘privilegio’. Si sarebbe dunque dovu-
to attendere il maggio del 1763, quando a Christiania uscì un set-
timanale dal titolo Fogli dell’Intelligenza norvegese (Norske Intelli-
genz-Seddeler)542 pubblicato dallo stampatore Samuel Conrad
Schwach (ca.1731-1781) originario della Pomerania, nel quale oltre
agli annunci erano contenuti solo testi di carattere economico e
religioso.543 Il che mostra chiaramente i limiti entro i quali poteva

questa istituzione si rimanda a Munthe A., Allmänna Enke- och Pupillkassan i


Sverige 1784-1934, Stockholm 1934, in particolare pp. 9-88. Si veda anche l’istitu-
zione (16 settembre 1746) di una cassa assicurativa per le vedove e i figli degli
ecclesiastici (Kongl. Maj:ts Stadfästelse-bref och Privilegier, på Präste-Ståndets Änke
och minder-årige Barns underhålls-Cassa, in UPH III, pp. 2341-2359 e anche pp.
2409-2417). Ciò sottolinea la stretta relazione tra i temi trattati sulla stampa perio-
dica e le problematiche sociali.
537
Cfr. nota 522.
538
Questo giornale è stato pubblicato fino al 1944 (con una sospensione di dieci
anni fra il 1849 e il 1859).
539
Vd. sotto, p. 812.
540
I grandi quotidiani nazionali svedesi Foglio della sera (Aftonbladet) e Notizie del
giorno (Dagens nyheter) verranno fondati più avanti: essi infatti risalgono rispettiva-
mente al 1830 (seppure un precedente giornale con il medesimo titolo fosse pubblica-
to a Göteborg tra il 1811 e il 1833) e al 1864. Il quotidiano svedese (Svenska Dagbladet)
inizierà le proprie pubblicazioni nel 1884.
541
Cfr. p. 507, nota 146.
542
Su modello tedesco questi titoli fanno riferimento alla fruizione da parte di un
pubblico colto (sul significato di Intelligenz in questo contesto vd. Dahlerup 1993-1997
[B.5], IX, coll. 608-609).
543
Altri giornali di questo tipo seguirono: nel 1765 uscivano le Informazioni dall’Agen-
zia degli indirizzi di Bergen in Norvegia (Efterretninger fra Adresse Contoiret i Bergen i

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I princìpi della modernità 807

muoversi la stampa nel Paese. In Islanda il primo periodico (uscito


tra il 1773 e il 1776 a cura di Magnús Ketilsson, sýslumaður
di Búðardalur, 1732-1803)544 è Il mensile islandese (Islandske
Maanedstidende, 1773-1776) pubblicato in lingua danese.545 Due
anni prima, nel 1771, comparivano in Finlandia i Giornali editi da
una Società di Åbo (Tidningar utgifne af et Sällskap i Åbo).546
Va da sé che l’aumento delle testate e la loro migliore diffusione
furono fattori positivi che diedero impulso al confronto sociale (ma

Norge); nel 1767 quelle di Trondheim (Trondhjems Adresse Contoirs Efterretninger);


nel 1769 le Informazioni dell’Agenzia degli indirizzi con privilegio reale nella diocesi di
Christianssand (Kongelige Privelegeret Adrese Contoirs Efterretninger udi Christiansands
Stift, un giornale scritto a mano!), nel 1780 il Settimanale di Christianssand (Christianssandske
Ugeblade). Il foglio di Trondheim (ora Adresseavisen) è il più antico giornale norvegese
tuttora stampato. Nel 1819 veniva fondato a Oslo (allora Christiania) il Foglio del mattino
(Morgenbladet), ora settimanale, di tendenze liberali. Il più diffuso quotidiano norvegese
è Il Corriere della sera (Aftenposten) fondato nel 1860. Del 1868 sono le Notizie di Bergen
(Bergens Tidende) che attualmente è per tiratura il quarto giornale norvegese (dal 2006
esce in forma di tabloid). Una elevata tiratura hanno anche tabloid come Il foglio quoti-
diano (Dagbladet) fondato nel 1869 e VG che riprende il titolo di un giornale del passato,
Verdens Gang (un titolo traducibile con “Così va il mondo”) uscito tra il 1868 e il 1923.
544
Vd. “Magnús Ketilsson, sýslumaður”, in BR, pp. 69-72. Sulla figura del sýslumaður
vd. p. 387.
545
Più tardi Magnús Stephensen (cfr. p. 729 con nota 227) avrebbe pubblicato
le Notizie degne di nota (Minnisverð Tíðindi, 1796-1808 e Il corriere del convento
(Klausturpósturinn, 1818-1827) il cui titolo fa verosimilmente riferimento all’antico
convento che si trovava sull’isola di Viðey (vd. p. 421, nota 358) dove Magnús aveva la
propria residenza (cfr. p. 853). Di quegli anni è anche una pubblicazione molto apprezza-
ta dal titolo Fogli di storia islandesi (Íslenzk sagnablöð), noto anche come Sagnablöðin,
uscito in due volumi suddivisi in diverse parti tra il 1816 e il 1826. Sui primi periodici
islandesi vd. Hermannsson H., The Periodical Literature of Iceland down to the Year 1873.
An (sic) historical Sketch, Ithaca, New York 1918 (= Islandica: 11). Nelle altre colonie
danesi la stampa sarebbe apparsa molto più tardi: nelle Føroyar nel 1852 con le Notizie
faroesi (Færingetidende) e in Groenlandia nel 1861 con l’Atuagagdliutit (letteralmente
“Materiale di lettura distribuito”), tuttora esistente ma dal 1952 fuso con il Corriere groen-
landese (Grønlandsposten) e da allora pubblicato in lingua inuit e in lingua danese. In
Islanda il quotidiano più diffuso è certamente Il foglio del mattino (Morgunblaðið) che
risale al 1913, mentre nelle Føroyar abbiamo Aurora (Dimmalætting, letteralmente “Il venir
meno dell’oscurità”) fondato nel 1877 e Il socialista (Sosialurin), giornale di partito che alla
fondazione (1927) aveva nome Føroya Sosial-Demokrat, successivamente Føroya Sosial-
Demokratur, comunemente noto come Sosialurin, nome che esso ha assunto definitiva-
mente dal 1955.
546
 La ‘Società’ in questione era l’Aurora, un circolo segreto fondato nel 1770 dallo
storico Henrik Gabriel Porthan (vd. p. 1374), i cui membri gravitavano attorno all’Ac-
cademia di Åbo (Turku) e si interessavano di discipline umanistiche ed economiche
ponendo grande attenzione al patrimonio culturale finlandese. Essa fu sciolta nel 1799.
Sulla storia della stampa finlandese si rimanda (per chi legga il finnico) a TOMMILA P.
(ed.-in-chief), Suomen lehdistön historia, I-X, Kuopio, 1985-1992. Il più antico gior-
nale finlandese tuttora esistente ha per titolo Informazioni di Åbo (Åbo underrättelser)
ed è stato fondato nel 1824.

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808 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

anche, nel caso di pubblicazioni scandalistiche, a quello che con


termine attuale viene definito gossip). A un dibattito più circoscrit-
to sul piano letterario o scientifico doveva invece contribuire la
parallela fioritura di pubblicazioni specializzate (anch’esse con
modelli e radici nel Seicento), seppure i giornali comunemente
intesi non disdegnassero questi argomenti. In ambito letterario
abbiamo in Danimarca fin dal 1720 le Ultime notizie su questioni
dotte (Nye Tidender om lærde Sager)547 di Wielandt, una pubblica-
zione che, ispirandosi a modelli stranieri, proponeva innanzi tutto
una panoramica delle novità librarie; seppure gradatamente faces-
se spazio alla critica;548 un titolo analogo hanno i Giornali eruditi
(Lärda Tidningar, 1745-1773) di Lars Salvius (1706-1773), grande
innovatore dell’editoria svedese.549 Di seguito si affermano perio-
dici di contenuto più specificamente critico-letterario come, in
Danimarca, il Giornale critico (Kritisk Journal, 1767-1779) curato
da Jacob Baden (1735-1804), allievo di Sneedorff e linguista; in
Norvegia i Fogli provinciali (Provinzialblade) di Claus Fasting;550 in
Svezia il Corriere di Stoccolma (Stockholms Posten, 1778-1832),
organo delle idee enciclopediste nel Nord, fondato da Johan Hen-
ric Kellgren551 e il quotidiano Corriere straordinario (Extra-Posten,
1792-1795) cui porterà il proprio contributo critico soprattutto il
poeta e drammaturgo Carl Gustaf af Leopold (1756-1829).552
Altre discipline, come l’economia, la storia, la filosofia, la mate-
matica, la medicina, la topografia troveranno il proprio forum di
discussione in riviste specializzate (non di rado edite dalle diverse
547
Al periodico, che ha cambiato diversi nomi nel corso degli anni si fa comune-
mente riferimento con il titolo Informazioni erudite (Lærde Efterretninger). Esso è
stato stampato fino al 1836.
548
In tale senso operò, in particolare, Thomas Christensen Clitau (1694-1754), che
vi lavorò a partire dal 1735. Alla redazione del periodico fu probabilmente per un
periodo anche Søren Jensen Gyldendal (1742-1802), fondatore nel 1770 della presti-
giosa Casa editrice danese che da lui prende nome.
549
Da citare in questo contesto anche gli Acta Literaria Sueciæ del Collegium curio-
sorum (vd. p. 775, nota 410), sorta di continuazione del Dædalus Hyperboreus (su cui
poco oltre) nel quale si dava conto (in latino, a vantaggio del mondo culturale stranie-
ro) delle novità letterarie e scientifiche svedesi.
550
Cfr. p. 722 e p. 821.
551
Vd. p. 835.
552
Vd. p. 835. Altri periodici di carattere letterario usciti in Svezia verso la fine del
secolo sono la Lettura su vari argomenti (Läsning i blandade ämnen, 1797-1801) di
Georg Adlersparre (vd. pp. 867-868) oltre al Giornale letterario (Litteratur-Tidning,
1795-1798) e al Giornale per la letteratura svedese (Journal för svensk litteratur, 1797-
1812) di Gustaf Abraham Silfverstolpe (cfr. p. 890, nota 118) e Benjamin Höijer (vd.
p. 923 con nota 271; cfr. p. 890 con nota 118), cui va attribuito il merito di aver intro-
dotto in Svezia le nuove correnti filosofiche ed estetiche (soprattutto tedesche).

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I princìpi della modernità 809

associazioni), sicché sarebbe lungo l’elenco: tra le molte basterà


qui citare qualche titolo prestigioso come il Dædalus Hyperboreus,
prima rivista scientifica svedese pubblicata fra il 1716 e il 1718 da
Emanuel Swedenborg;553 i Pensieri sull’economia svedese (Tanckar
öfwer den Swenska Oeconomien, 1738) di Lars Salvius; le Pubblica-
zioni dell’Accademia della scienza (Vetenskapsakademiens Handlin-
gar, avviate nel 1739, seppure in effetti stampate dal 1741); la
storica Rivista danese (Danske Magazin, 1745)554 e il Giornale
topografico per la Norvegia (Topographisk Journal for Norge, 1793-
1808).555 Un nome di rilievo in questo contesto è quello dello
svedese Carl Christoffer Gjörwell (1731-1811), promotore di una
quindicina di periodici dedicati a diversi argomenti, tra i quali
vanno qui ricordati almeno Il Mercurio svedese (Den Swänska
Mercurius, 1755) e Il raccoglitore (Samlaren, 1773-1778) rivista di
carattere storico e letterario alla cui redazione collaboreranno noti
poeti e scrittori.556
La tiratura dei giornali era naturalmente piuttosto limitata (al
massimo qualche centinaio di copie) e la loro diffusione non sem-
pre agevole. Ma l’interesse cresceva e in diversi casi si sottoscrive-
va un abbonamento collettivo. Luogo di lettura e discussione degli
articoli furono dunque i club, come il noto Drejers Klub, fondato
nel 1775 da Jacob Drejer (1743-1813) a Copenaghen (e il cui orga-
no fu dal 1785 la rivista mensile Minerva, espressione di concezio-
ni illuministiche e borghesi)557 ma anche i caffè,558 i salotti letterari
e le associazioni.
553
Vd. p. 772 con nota 399. 
554
Vd. nota 486. Una Rivista norvegese (Norske Magasin) dedicata alla pubblica-
zione di fonti storiche successive alla riforma sarà edita tra il 1858 e il 1870 a cura
dell’archeologo e antiquario Nicolay Nicolaysen (1817-1911).
555
Pubblicato dalla Società topografica per la Norvegia (Det topographiske Selskab
for Norge), fondata nel 1791.
556
Su di lui vd. von Beskow B., “Minne af Kongl. Bibliotekarien Karl Kristofer
Gjörwell”, in Svenska Akademiens handlingar, XXXVI (1863), pp. 81-203 e anche (in
relazione al suo impegno politico espresso, tra l’altro, nella pubblicazione de L’Aristar-
co politico, 1769-1770) Oscarsson I., “‘Rikets Frihet, Borgerlig Frihet, Skrif-Frihet’
Gjörwell och Den politiske Aristarchus” 1769-72, in RKP, pp. 315-338. A riguardo del
Mercurio svedese cfr. sopra, nota 519. Il titolo Samlaren sarà poi ripreso nel 1880 da
quella che resta la più antica rivista di critica letteraria svedese tuttora pubblicata,
edita a cura della Società letteraria svedese (Svenska litteratursällskapet) fondata in
quel medesimo anno.
557
Tra i nomi più noti al riguardo il poeta Christen Henriksen Pram (1756-1821,
cfr. p. 901 con nota 167) e Knud Lyhne Rahbek (cfr. p. 805, p. 839 e p. 918 nota 246).
558
Per la Danimarca cfr. sopra, nota 186; sui locali di Stoccolma vd. LUNDIN C.,
“Källare och kaffehus i Stockholm under senare hälften af 1700-talet”, in Samfundets
S:t Eriks årsbok, 1903, pp. 34-56.

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810 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

Elemento fortemente condizionante nello sviluppo dell’editoria gior-


nalistica (e non solo) fu, in Scandinavia, l’istituto della censura. Sorto
in primo luogo nell’ambito religioso per ragioni di ortodossia (dopo che
l’introduzione della stampa aveva notevolmente facilitato la produzione
e la diffusione di testi) esso venne successivamente esteso anche a quel-
lo politico. In Danimarca le prime disposizioni in merito si trovano
nell’Ordinanza luterana.559 Esse sono sostanzialmente riprese nella Leg-
ge danese di Cristiano V del 1683,560 dove si stabiliva che nessun testo
potesse essere dato alle stampe se non dopo aver ricevuto l’imprimatur
delle autorità competenti (religiose o accademiche), il che tuttavia non
sempre garantiva gli autori da critiche e problemi.561 Un regolamento
del 19 marzo 1701 emanato dal censore Johan Bartram Ernst (1663-1722)
ha per oggetto specifico i giornali ai quali viene fatto obbligo di ripor-
tare in modo imparziale le notizie raccolte senza alcun tipo di commen-
to e comunque solo dopo averle sottoposte al censore.562 Il pensiero va
a Daniel Paulli che prudentemente aveva impresso sulle sue testate il
motto “Riferisco quanto mi viene riferito” (“Relata refero”). Durante il
periodo in cui il governo danese fu, di fatto, nelle mani di Johann Fried-
rich Struensee venne emesso un decreto di abolizione della censura,
successivamente tuttavia corretto in senso restrittivo.563 La caduta di
Struensee comportò la cancellazione dei provvedimenti da lui emanati,
sicché anche la censura venne in sostanza reintrodotta.564 Dopo la presa
di potere di Federico VI si ebbero due decreti in materia: ma se il primo
(1790) mostrava la tendenza a una maggiore tolleranza (nel che si rico-
nosce l’influsso di una personalità come Andreas Peter Bernstorff),
quello successivo, emesso nel 1799 (significativamente due anni dopo
la di lui morte) pose nuovamente notevoli limitazioni.565 Naturalmente
nel clima dell’illuminismo il dibattito sulla questione era ampio e vivace:
tra i molti scritti sull’argomento appaiono assai significativi quelli (entram-
bi del 1797) dell’ecclesiastico Michael Gottlieb Birckner (1756-1798),

559
Vd. p. 465 con nota 18.
560
Libro II, cap. 21 (§§ 1-6): Om Bøger og Almanakker.
561
Cfr. p. 641 con nota 517.
562
Stolpe 1878-1882, II, pp. 293-302 e documenti alle pp. 438-355 (nr. 14).
563
Vd. p. 691 con nota 63. A queste decisioni farà riferimento una serie di scritti,
talora di carattere umoristico; vd. Petersen – Andersen 1932-1934 (B.4), II, pp. 648-650.
564
Il 20 ottobre 1773 fu infatti emanato un decreto che limitava fortemente la
libertà di espressione (indicazioni in Stang – Dunker 1838 [Abbr.], pp. 204-205).
565
Sebbene il provvedimento del 3-4 dicembre 1790 (Schou [Abbr.] X, pp. 163-
165) avesse l’obiettivo dichiarato di punire ogni “cattivo utilizzo della libertà di stam-
pa” (“Trykkefrihedens Misbrug”, p. 163), esso costituisce un importante punto di
svolta. Al contrario l’Ordinanza che più precisamente spiega e definisce i limiti della
libertà di stampa (Forordning, som nærmere forklarer og bestemmer Trykkefrihedens
Grændser. Friderichsberg slot, den 27de September 1799) mostra una decisa chiusura
da parte dell’autorità governativa.

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I princìpi della modernità 811

Sulla libertà di stampa e le sue leggi (Om Trykkefriheden og dens Love)566


e dello scrittore Peter Andreas Heiberg (1758-1841), Una goccia nel
mare degli scritti sulla libertà di espressione, dedicato alla commissione567
(En Draabe i det store Hav af Skrifter om Skrivefriheden, tilegnet
Kommissionen).568 Quest’ultimo autore, condannato all’esilio, sarebbe
stato vittima del rinnovato clima autoritario.569 Del resto anche Peter
Collett (1767-1823), giudice a Copenaghen, fu rimosso dall’incarico
senza diritto alla pensione per aver elogiato lo scritto di Birckner e
sostenuto la libertà di stampa. Il decreto del 1799 sarebbe a lungo rima-
sto in vigore:570 ancora nel 1835 un cospicuo gruppo di liberali inviava
al re Federico VI una lettera aperta per evitare una sua ulteriore restri-
zione; costoro fondarono anche la Società per l’uso corretto della liber-
tà di stampa (Selskabet for Trykkefrihedens rette Brug) che avrebbe
svolto un’intensa attività di promozione culturale. La libertà di espres-
sione sarebbe stata reintrodotta in Danimarca solo con l’approvazione

566
Il testo venne redatto in due parti tra il 1797 e il 1798 delle quali la seconda
porta il titolo Ulteriore analisi sulla libertà di stampa e le sue leggi (Videre Undersøgelse
om Trykkefriheden og dens Love). A queste si aggiunse poi Sulla libertà di stampa
(scritto nel 1790), in originale Om Trykkefriheden (skreven 1790).
567
La commissione cui si fa riferimento è quella istituita nel 1797 con il compito di
stabilire nuove regole in materia e il cui lavoro avrebbe costituito la base del decreto
del 1799 (vd. riferimento in nota 565). Su Heiberg vd. HENNINGSEN P., “Skarp lud til
skurvede hoveder. Peter Andreas Heibergs kamp mod opblæsthed, hykleri og råd-
denskab i oplysningstidens Danmark”, in OSD, pp. 150-188.
568
Anche Holberg aveva in molti luoghi fatto riferimento alla censura, lamentando
le limitazioni da essa poste alla libera espressione del pensiero; si veda a esempio la
Terza lettera a un illustrissimo signore (Tredie Brev til en højvelbaaren herre, 1743) in
cui, in relazione al romanzo che ha per protagonista Niels Klim (vd. pp. 790-791),
afferma tra l’altro: “Qui da noi gli scrittori hanno il più grande impiccio di dover tene-
re sotto controllo il loro estro di modo che censori sospettosi e severi non li mettano in
difficoltà.” (DLO nr. 154). Assai significativa del suo pensiero al riguardo è inoltre
l’Epistola cccxcv (in LHV XI, pp. 232-233). Un elenco dettagliato di tutti i passi della
sua opera in cui egli affronta questo tema si trova in Holberg-Ordbog, Ordbog over Ludvig
Holbergs Sprog, Redigeret af Aa. Hansen fra 1957 sammen med Sv. Eegholm-Pedersen.
Under medvirken af Chr. Maaløe, I, København-Oslo 1981, coll. 859-861.
569
Anche Malthe Conrad-Bruun (1775-1826), poeta, scrittore di satire, celebre
geografo e giornalista danese, fu condannato all’esilio e dovette riparare in Francia
(dove è noto come Conrad Malte-Brun). Egli aveva tra l’altro pubblicato un volantino
dal significativo titolo Sui diritti [relativi] alla libertà di stampa (Om Trykkefrihedens-
Rettigheder, 1795) e, successivamente, una satira dal titolo Una singolare legge sulla
libertà di stampa in Abissinia (En besynderlig Trykkefrihedslov i Abessinien, 1797).
570
Integrato da diverse disposizioni tra cui quella del 2 ottobre 1810, quella del 13
maggio 1814 che stabiliva una censura preventiva e quella, almeno in parte liberale,
del 3 giugno 1846. Sulla censura danese si rimanda al saggio di Thomsen N., “Dansk
presses udvikling til 1848”, pp. 20-62, in Søllinge-Thomsen 1988-1991, I (indicazio-
ni alla nota 509) dove si fa puntuale riferimento ai diversi decreti in materia (per
quelli citati in questa nota vd. ivi, pp. 36-37 e p. 44 rispettivamente), oltre che, natu-
ralmente a Stolpe 1878-1882, I-II, passim.

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812 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

della nuova Costituzione nel 1849571 e rinnovata nelle successive revi-


sioni fino alla vigente legge costituzionale del 1953.572
In Svezia la censura risaliva a Gustavo Vasa. Desideroso di dominare
tutti gli aspetti della vita pubblica, egli aveva avocato a sé ogni diritto
sulla stampa, dando il via a un controllo che sarebbe stato a lungo eser-
citato sia nell’ambito ecclesiastico sia in quello accademico, sia anche
– soprattutto – da parte della cancelleria reale.573 Successivamente si
sarebbero susseguiti decreti in materia e nel 1686 sarebbe stata istituita
la figura del censor librorum con il compito di esaminare ogni tipo di
pubblicazione. Questo funzionario svolse il proprio compito anche duran-
te la cosiddetta “era della libertà”, come ben testimonia Dalin medesimo.574
Ma il dibattito illuministico sulle ‘libertà’ dell’individuo doveva imporsi
anche qui: nomi di rilievo sono quello dell’economista e politico Anders
Nordencrantz,575 dell’allievo di Linneo e filosofo Peter Forsskål (1732-
1763) e del padre del liberalismo nordico Anders Chydenius.576 Il primo,
che fin dal 1756 aveva pubblicato uno scritto a favore della libertà di
stampa presto sequestrato,577 è noto soprattutto per Una rispettosa anali-
si (En wördsam föreställning, 1759) presentata al parlamento nel 1760: un
corposo volume nel quale propone una critica approfondita della società
e del suo funzionamento, non dimenticando di indicare nella censura un
grosso ostacolo al suo migliore sviluppo. Il secondo è autore dei Pensieri

571
Vd. pp. 864-865. Al § 91 della legge è chiaramente indicata la libertà di stampa
e, insieme, la proibizione di reintrodurre la censura. Tuttavia un decreto del 3 gennaio
1851 (Presseloven. Lov om Pressens Brug af 3. januar 1851, kommenteret Udgave ved
O.H. Krabbe, København 1935) avrebbe posto una serie di limitazioni.
572
Vd. Grundloven af 1953, § 77.
573
Un’ottima e documentata sintesi della storia della censura svedese prima del 1766
(anno dell’emanazione del primo decreto sulla libertà di stampa di cui poco oltre) si
trova in Rydin H.L., Om Yttrandefrihet och Tryckfrihet. Försök till belysning af Svens-
ka Press-lagstiftningen, Stockholm 1859, pp. 124-155, cui si rimanda. Si rilevi qui solo
l’importante ordinanza emessa da Carlo XI nel 1684: Hans Kongl. May:tz Stadga och
Förordning Om alla Nyskreffne Wärkz Censerande i Rijket, så wid Academier och Skolar,
som andra Orter innan dhe tryckte warda. Item Stadfästelse på förra Kongl. Förordningar
om thet samma, så och Exemplars inlefwererande til Kongl. Archivum och Bibliotheket
aff alt thet som tryckt warder. Sampt Booktryckiarnes Straff som här emot bryta. Dat.
Stockholm 5 Julij 1684. Vd. anche Eek 1942, p. 156; cfr. p. 641 con nota 518.
574
Vd. p. 803. Descrivendo le incombenze pratiche del suo lavoro di giornalista egli
annota tra l’altro: “Di venerdì sto a scrivere, sabato sera lo porto dal mio censore, che
ha abbastanza grattacapi per causa mia” (“Om fredagen lagt på Papperet, om Lördagsafton
burit till min Censor, som nog har bekymmer af mig”; da Then Swänska Argus, N: 51,
vol. II, pp. 471-472). Nel periodo di pubblicazione de L’Argo svedese il censore (che
fu in generale ben disposto nei confronti di Dalin dandogli spesso utili consigli) era
Johan Upmarck (1664-1743) che dopo la concessione della dignità nobiliare mutò il
cognome in Rosenadler.
575
Vd. p. 788.
576
Vd. p. 711 e p. 750.
577
Il titolo è Pensieri incontestabili sulla libertà nell’uso dell’intelletto, della penna
e della stampa (Oförgripelige tankar, om frihet i bruk af förnuft, pennor och tryck).

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I princìpi della modernità 813

sul liberalismo (Tankar om borgerliga friheten), uno scritto che benché


approvato dal censore fu tuttavia fatto togliere dalla circolazione.578 Il
terzo ebbe un ruolo di primo piano per la decisione assunta nel 1766 dal
partito delle “berrette” di abolire la censura (tranne che per i testi di
contenuto religioso).579 Una liberalizzazione che determinò la comparsa
di numerosi scritti di carattere politico ma che avrebbe avuto vita breve.
Dopo l’ascesa al trono di Gustavo III le cose, infatti, cambiarono. Con la
promulgazione della nuova costituzione voluta dal re e approvata dagli
stati il 21 agosto 1772 il decreto infatti decadeva; nel 1774 fu emessa una
disposizione che avrebbe dovuto chiarire la questione ma, in realtà, limi-
tava la libera espressione:580 essa sarebbe stata successivamente corretta
in senso ancor più restrittivo.581 Decisioni che, naturalmente, determina-
rono malcontento e reazioni, come è il caso di Pehr af Lund (1737-1806)
che tra il 1781 e il 1783 pubblicò un quotidiano dal provocatorio titolo
Quotidiano – Benedetta libertà di stampa (Dagbladet – Wälsignade
tryckfriheten).582 Anche il poeta Thomas Thorild583 si espresse con grande
forza per il diritto alla libera espressione da lui considerato un fondamen-
to dello Stato. Ciò fu una delle cause che, insieme ad altri scritti di carat-
tere liberale, gli costarono l’arresto, il processo e la condanna all’esilio
(1793).584
Di libertà di stampa si sarebbe seriamente ridiscusso dopo la cacciata
dal trono di Gustavo IV Adolfo:585 nella nuova costituzione ratificata il
6 giugno 1809, due paragrafi vi fanno esplicito riferimento.586 Questi
princìpi troveranno applicazione in un decreto emesso successivamente.587
Ma si tenga conto che nel 1812 il principe Carlo Giovanni (Karl Johan)
578
Peter Forsskål morì di malaria nello Yemen nel corso di una spedizione scienti-
fica. Su di lui vd. Schück H., Från Linnés tid. Petter Forsskål, Stockholm 1923.
579
 Kongl. Maj:ts Nådige Förordning, Angående Skrif- och Tryck-friheten, Gifwen
Stockholm i Råd-Cammaren then 2. Decembr. 1766. La battaglia per la libertà di
stampa era stata portata avanti anche dal settimanale Uno svedese libero (En fri swänsk),
il cui redattore non è stato con certezza identificato, uscito tra il 1761 e il 1762.
580
Vd. le indicazioni (e la discussione in merito) in Eek 1942, pp. 167-178 e anche
Rydin 1859 (citato alla nota 573), pp. 155-188.
581
 Eek 1942, in particolare, pp. 171-172.
582
Lo stesso pubblicò poi (1783-1784) il periodico Libertà di stampa la benedetta
(Tryckfriheten den Wälsignade). Entrambi i titoli furono ripresi senza successo nel 1792.
583
Vd. p. 842 con nota 742.
584
Ciò provocò una reazione che si espresse in forme satiriche soprattutto negli
ambienti universitari di Uppsala.
585
Vd. p. 867. In Eek 1942, pp. 176-178 si segnala come nel periodo successivo alla
rivoluzione francese e alla dichiarazione di indipendenza degli Stati uniti d’America,
la censura svedese si affrettasse a proibire la pubblicazione di testi (in particolare
delle nuove costituzioni) provenienti dai quei Paesi. Del resto da questo punto di vista
il potere si mostrò reazionario e intollerante.
586
 Kongl. Maj:ts Och Riksens Ständers Faststälde regerings-Form [...] 1809, §§ 85 e
86, p. 30.
587
 Kongl. Maj:ts Och Riksens Ständers Tryckfrihets-Förordning; Dat. Stockholm den
9 Martii 1810 (SFS 1810: i).

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814 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

riuscirà a far approvare il diritto di sequestro (indragningsmakten) per la


stampa sgradita al governo.588 Più recentemente il diritto costituzionale
alla libertà di stampa è stato proclamato nel 1949; nel 1991 inoltre è
stato promulgato un decreto costituzionale sulla generale libertà di
espressione.589
La Norvegia e l’Islanda seguirono naturalmente anche in questo ambi-
to i destini danesi. Tuttavia dopo gli eventi del 1814590 i Norvegesi videro
riconosciuti i loro diritti (ivi compresa un’ampia libertà di stampa) nella
costituzione di Eidsvoll.591 In Islanda ci fu un decreto del re danese del 9
maggio 1855;592 attualmente la libertà di stampa è garantita dall’articolo
settimo della costituzione approvata il 17 giugno 1944 in occasione della
definitiva riconquista dell’indipendenza.

10.5. Sviluppi linguistici e letterari

10.5.1. Le lingue nordiche tra influssi stranieri e purismo

Sul versante linguistico il Settecento è, per molti versi, un seco-


lo di assestamento, non da ultimo dal punto di vista ortografico.
L’aumento costante degli scritti e la sostanziale mancanza di
norme esigevano una maggiore uniformità.593 In Danimarca, nono-
stante la diffusione di testi di riferimento come la Bibbia di

588
 Kongl. Majts Och Riksens Ständers Faststälde Tryckfrihets-Förordning; Dat.
Örebro den 16 Julii 1812 (SFS 1812), in particolare § 8. Vd. in proposito Reinhold
Kl., De svenska oppositionstidningarna och indragningsmakten. Historisk studie, Göte-
borg 1935 e anche Boberg S., “Carl XIV Johan och indragningsmakten”, in Press-
historisk årsbok, VII (1990), pp. 44-51.
589
 Rispettivamente: Kungl. Maj:ts kungörelse angående beslutad ny tryckfrihetsförord-
ning. Given Stockholms slott den 5 april 1949 e Yttrandefrihetsgrundlag 14 november
1991 con ulteriore Lag om ändring i tryckfrihetsförordningen utfärdad den 14 november
1991.
590
 Vd. pp. 871-875.
591
  Si veda il § 100 (indicazione a p. 873, nota 50).
592
 LFI XXI, pp. 154-164.
593
 Da questo punto di vista è interessante anche una osservazione linguistica con-
tenuta in un’ordinanza di carattere censorio (la proibizione di commerciare libri non
stampati in Danimarca; vd. Secher [Abbr.] III, pp. 9-10) là dove non soltanto si dice
che queste pubblicazioni introducono e diffondono “deviazione ed errore” (“vilfarelse
och irringe”) fra la gente ma anche che “[…] in alcuni punti [questi] medesimi libri
appaiono erroneamente essere ostici in modo contorto e il danese reso oscuro, sicché
a stento si può comprendere […]” (DLO nr. 155).

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I princìpi della modernità 815

Cristiano III594 e, più tardi, la Legge danese di Cristiano V,595 una


effettiva omogeneità ortografica non era stata raggiunta (soprattutto
nei testi manoscritti), per quanto questa esigenza fosse da tempo ben
avvertita.596 Un fattore condizionante fu certamente la grande varie-
tà dialettale. Una caratteristica, questa, che doveva influire sul dane-
se anche in altri ambiti, sicché le scelte linguistiche mostrano non di
rado il carattere della casualità e ci consegnano un idioma nel quale
non solo coesistono forme contraddittorie (tratte ora dai testi lette-
rari ora dai dialetti) ma compaiono anche ingiustificate analogie
grafiche.597 Del resto la stragrande maggioranza della popolazione si
esprimeva nelle parlate locali e l’egemonia del latino negli ambienti
accademici e colti (per non parlare della diffusione del tedesco e del
francese)598 aveva a lungo ostacolato la formazione di una lingua
nazionale che sarebbe emersa solo verso la fine del secolo sulla base
della parlata di Copenaghen e della Selandia.599 A livello letterario

594
 Vd. p. 517.
595
 Vd. p. 545.
596
 Sulle diverse posizioni dei linguisti seicenteschi a proposito dei problemi orto-
grafici e le soluzioni adottate vd. Skautrup 1944-1968 (B.5), II, pp. 318-332. Nel
Settecento la questione fu ripresa e un aspetto della discussione riguardò la scelta di
un segno che sostituisse la grafia aa per la quale fu suggerito persino l’uso della ω
greca. La proposta di introdurre (analogamente allo svedese) il segno å non trovò, per
il momento, accoglimento. Vd. Ruus 2005 (C.8.2), p. 1286. Per un’approfondita
discussione sull’ortografia nel Settecento e nella prima metà dell’Ottocento si rimanda
a Skautrup 1944-1968 (B.5), III, pp. 165-170.
597
 Come la conservazione delle grafie dissimilate ld e nd anche dopo che nella pro-
nuncia i suoni erano stati assimilati in ll e nn e la loro ‘forzata’ applicazione anche agli
originari nessi ll e nn. Su questo punto si rimanda a Wessén 197510 (B.5), p. 85 e Skautrup
1944-1968 (B.5), II, p. 45, p. 186, p. 192 e pp. 330-331. Cfr. p. 399 con nota 281.
598
 Non è casuale che nelle commedie di Holberg (vd. pp. 830-831) i personaggi
parlino ora in danese, ora in francese, ora in tedesco, ora in latino (magari macchero-
nico) o, talvolta, mescolino diversi elementi di queste lingue. Naturalmente questa
scelta è finalizzata all’effetto comico, tuttavia appare evidente come l’autore voglia in
ciò proporre una parodia della società danese anche dal punto di vista linguistico. Del
resto all’Accademia di Sorø si tenevano lezioni anche in tedesco e francese.
599
 La prevalenza di queste parlate era già stata sottolineata (seppure con qualche
discordanza nel giudizio) dai linguisti seicenteschi (vd. Skautrup 1944-1968 [B.5], II,
pp. 316-317). Si citano qui, a esempio, le parole di Henrik Gerner (1629-1700), il
quale (particolarmente ostile alle forme dialettali) nel suo lavoro sull’ortografia dane-
se (Orthographia danica), che risale al 1678, aveva sottolineato come fosse necessario
per chi volesse parlare o scrivere un danese corretto prendere a modello la lingua
della capitale: “[...] essi devono apprenderlo da coloro che vivono in città e testimo-
niare [così] la loro autorità; Perciò vediamo che tutte le province circostanti imitano
Copenaghen, dove i costumi e la lingua sono al massimo livello” (DLO nr. 156). Nel
Settecento la parlata migliore (vale a dire quella meno influenzata dai dialetti) viene
da taluni indicata come quella di Christiania in Norvegia! (vd. Skard 1972-1979 [B.5],
II, p. 99).

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816 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

molti progressi vennero fatti grazie all’opera di autori come Holberg


e Ewald600 (i quali – soprattutto il primo – seppero esprimere al
meglio tutte le potenzialità della lingua danese) ma anche all’atti-
vità di un’istituzione come la Società per la promozione delle
scienze belle e utili (Selskabet til de skiønne og nyttige Videnskabers
Forfremmelse) – comunemente nota come la Società del gusto (Det
smagende Selskab) – fondata a Copenaghen nel 1759 allo scopo di
promuovere la poesia e la retorica.601 Dal 1700 si parla di “danese
moderno recente” (yngre nydansk):602 il dibattito sulla questione
linguistica si vivacizza,603 gli studi lessicografici e grammaticali del
Seicento vengono portati avanti con approccio critico più sicuro,604

600
Vd. pp. 789-792, pp. 830-831 e p. 835, rispettivamente.
601
 Su di essa vd. Plesner K.F., Det smagende Selskab. Selskabet til de skiønne og
nyttige videnskabers forfremmelse 1759-1959, København 1959. Una sorta di ‘prece-
dente’ di questa è la Societas litteraria indagantium fondata a Copenaghen nel 1705 dal
vescovo Søren Lintrup (1669-1731), futuro professore di eloquenza, che raccolse
intorno a sé giovani studenti per esaminare criticamente le nuove pubblicazioni. Que-
sto circolo ebbe tuttavia vita breve (vd. Paludan J., “Societas indagantium”, in DHT
VIII [1907-1908], pp. 292-299).
602
 Si segue qui la suddivisione proposta in Skautrup 1944-1968 (B.5) il quale
ripartisce ulteriormente il periodo in tre fasi: periodo di Holberg (Holbergstiden) dal
1700 al 1750, “danese più recente” (nyere dansk) dal 1750 al 1870 e “danese recentis-
simo” (nyeste dansk) dal 1870 al 1950.
603
 Si consideri la discussione sulla lingua danese ‘riversata’ sulle pagine de Lo spetta-
tore patriottico di Sneedorff (vd. p. 805), che appare anche come una sorta di ‘palestra’
per un nuovo modo di esprimersi, così come il dibattito sul medesimo argomento tra lo
stesso Sneedorff e tale Niels Randulf With (1720-1788) un ecclesiastico impegnato in
lavori di traduzione (i testi relativi sono raccolti in Sneedorffs Samtlige Skrivter, IX,
Kiøbenhavn 1777, pp. 153-222). Di interesse in questo contesto è anche l’anonimo
scritto Riflessioni sullo stato e il miglioramento attuale e passato della lingua danese per il
popolo danese; e soprattutto per tutte le persone danesi assennate e oneste colte e rette
(Tanker om det danske Sprogs nye og gamle Tilstand og Forbedring til det Danske Folk; og
i sær til alle fornuftige og ærlige lærde og retsindige Danske Mænd. Kiøbenhavn 1766),
forse dello stesso With. Parallela procede una discussione di carattere filosofico sulla
natura del linguaggio umano.
604
Si citino qui almeno i nomi di Jens Høysgaard (1698-1773), studioso tra l’altro
di ortografia e sintassi; di Hans Gram (cfr. p. 792 e nota 409), filologo di vaste com-
petenze oltre che storico, e di Jacob Baden, critico e linguista (cfr. p. 808). Di ottimo
livello è anche un testo grammaticale conservatoci in un manoscritto ed edito solo
recentemente: Dansk rigssprog. En beskrivelse fra 1700-tallet, Gl. kgl. Saml. 789 fol.,
Udgivet med Indledning av af C.C. Henriksen, København 1976. Nel Settecento
compaiono anche diversi testi destinati all’apprendimento della lingua danese da
parte degli stranieri, in particolare i Tedeschi. Di rilievo è inoltre il lavoro del lessico-
grafo norvegese Hans von Aphelen (1719-1779), il primo a compilare dizionari bilin-
gue (danese-francese e danese-tedesco) secondo criteri moderni. A lui si deve anche
la versione di un lessico della chimica (uscito anonimamente a Parigi nel 1761 ma
opera del celebre scienziato Pierre Joseph Macquer, 1718-1784) e la traduzione del
Dictionnarie raisonné d’histoire naturelle (1764-1765) del naturalista francese Jacques-

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I princìpi della modernità 817

le concezioni puriste si fanno strada (soprattutto dagli anni ’40)


insieme a una forma di ‘nazionalismo linguistico’.605 Così si comin-
cia a tenere lezioni e, più frequentemente, a scrivere trattati in
lingua volgare606 mentre si manifesta chiaramente la crescente
presa di coscienza dell’identità linguistica come elemento qualifi-
cante della nazione. Dopo la caduta di Struensee,607 che non aveva
fatto mistero del proprio spregio per tutto ciò che era danese, si
ebbe una ‘reazione patriottica’ e l’idioma nazionale venne promos-
so anche negli ambiti (come quello militare608 e di corte) in cui il
tedesco aveva a lungo prevalso,609 mentre l’ordinanza scolastica del
1775 previde specificamente lo studio della lingua nazionale.610 Già
Ludvig Holberg del resto si rallegrava del fatto che a corte si par-
lasse finalmente danese, criticando al contempo la ‘moda’ di istrui-
re i bambini innanzi tutto nelle lingue straniere (francese e tedesco).611
Lo sforzo sarà anche quello di sostituire i molti prestiti (in primo
luogo francesi) con sinonimi soddisfacenti (magari tuttavia model-
lati sul tedesco), ma anche di introdurre uno stile meno influen-
zato dagli idiomi stranieri. Ciò nonostante continueranno a
essere accolti nella lingua danese i termini che designano nuove

Christophe Valmont de Bomare (1731-1807): Chymisk Dictionnaire (1771-1772) e Den


almindelige Natur-Historie i form av en Dictionnaire, in versione, come si precisa nel
sottotitolo, ampliata e migliorata (1767-1770).
605
Elementi che, del resto, sono già ben riscontrabili fra i linguisti del Seicento (basti
pensare a Søren Poulsen Judichær, Peder Syv, Hans Mikkelsen Ravn (cfr. pp. 598-600)
ma anche a Henrik Gerner (cfr. nota 599).
606
Si pensi, in primo luogo, alle opere filosofiche di Fredrik Christian Eilschow (vd.
pp. 786-787).
607
Vd. pp. 691-692.
608
Si noti tuttavia che sebbene la lingua dell’esercito fosse il tedesco quella della
marina era il danese.
609
Il ‘clima patriottico’ di quegli anni è ben espresso nell’opera di autori come Ove
Malling (cfr. nota 24) e Peter Frederik Suhm (vd. pp. 792-793). Per altro queste idee
erano espresse anche nella Lettera sull’amor patrio (Brev om Kierlighed til Fædrene-
landet, 1767) del giurista Eiler Hagerup (1736-1795, nato in Norvegia). Del 1782 è
uno scritto (non pubblicato) dell’ufficiale e scrittore dello Schlesvig Werner Hans
Frederik Abrahamson (1744-1812; cfr. p. 918, nota 246) dal titolo Il deterioramento
della lingua nordica (Det nordiske Sprogs Fordærvelse), dall’autore attribuito all’inva-
denza del tedesco (il manoscritto, conservato alla Biblioteca reale di Copenaghen [Det
kongelige bibliotek], porta la segnatura NKS 825 a.s 4to). Abrahamson fu del resto tra
i primi a riprendere gli studi di antico nordico.
610
Fr. Ang. Skole-Væsenets Forbedring ved de publiqve latinske Skoler, og hvad den
studerende Ungdom, der saavel fra publiqv som privat Information kommer til Academiet,
skal giøre Rede for (11 maggio 1775, art. 21: in Schou [Abbr.] VI, pp. 17-66; l‘articolo
in questione, § 21, è alle pp. 28-31). Del resto già nella riforma delle “scuole di latino”
del 1739 (vd. nota 36) alla lingua danese veniva riservata maggiore considerazione.
611
Vd. l’Epistola ccclxxvii, in LHSS XVI, pp. 351-352.

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818 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

tecniche o nuove mode.612 I lavori lessicografici, in primo luogo il


grande dizionario la cui redazione verrà intrapresa (non senza un
certo intendimento purista) sotto la direzione della Reale società
danese per le scienze,613 ne danno palese testimonianza.614
Anche in Svezia il Settecento inaugura una nuova fase linguistica.
Punto di svolta è la pubblicazione de L’Argo svedese di Dalin dalla
quale si fa convenzionalmente iniziare lo “svedese moderno più
recente” (yngre nysvenska). La lingua di questo autore si pone a
modello per l’agilità dello stile e il rinnovamento del lessico (inten-
ti che appaiono ben chiari quando si confrontino le due edizioni
dell’opera)615 sicché – seppure in ambito letterario (ma, soprattutto,
religioso)616 ancora si trovino complesse e antiquate costruzioni
sintattiche – la strada appare tracciata con certezza.617 Dal punto di
vista ortografico talune convenzioni sono ormai consolidate, così
612
D’altronde le tendenze puriste furono accolte in diversa misura, quando non
respinte, addirittura con ironia. È questo certamente il caso della scrittrice Charlotte
Dorothea Biehl (vd. p. 832 e p. 1053), la quale nella commedia Il cavillatore (Haarkløve-
ren, 1765) usa a scopo umoristico diversi termini di stampo purista. Al contrario Caspar
Peter Rothe (1724-1784) aveva dato provocatoriamente alle stampe un breve scritto dal
titolo Proposta del Signor B*** per l’introduzione in Francia della lingua danese (Herr B***
Forslag om Det Danske Sprogs Indførsel udi Frankerige, 1755). Con “Signor B***” si
allude a La Beaumelle (vd. nota 522). Rappresentante eminente di un purismo equili-
brato è certamente Sneedorff. Una posizione per certi versi contraddittoria è quella di
Holberg, il quale sebbene critichi (o addirittura canzoni) i puristi (basti come esempio
la parodia del ‘danese ripulito’ che leggiamo nell’Epistola cdxlviii (in LHSS XVI, p.
484) si sforza poi nelle riedizioni dei propri testi di sostituire molte parole straniere con
opportuni sinonimi danesi, ponendosi, di fatto, in una posizione intermedia e ‘tolleran-
te’ (del resto chiaramente espressa nell’Epistola cdxv, in LHSS XVI, pp. 403-406).
613
Cfr. p. 775 con nota 409.
614
Dansk Ordbog udgiven under Videnskabernes Selskabs Bestyrelse 1793-1905. In
realtà questo dizionario si pone come la continuazione di lavori precedenti: già dal
1693 Frederik Rostgaard (1671-1745) aveva cominciato a raccogliere materiale per un
dizionario danese con traduzione latina. Questo lavoro, rimasto incompiuto, era poi
stato ripreso da Jacob Langebek (cfr. p. 792) e successivamente proposto alla Reale
società per le scienze da Hans Gram. Solo nel 1777 fu tuttavia presa una decisione
definitiva (con il necessario avallo reale). Il primo volume (contenente le lettere dalla
A alla E) uscì nel 1793. Vd. Dahlerup 1993-1997 (B.5), I, pp. xv-xxi.
615
La seconda (in formato di volume) è del 1754.
616
Qui va ricordata la figura del vescovo, salmista e professore Jesper Swedberg
(vd. p. 608) il quale aveva dedicato grande attenzione alla lingua svedese, tuttavia con
un approccio rivolto piuttosto al passato. Oltre che per aver fatto parte di una com-
missione per la revisione della Bibbia, da lui considerata testo assoluto di riferimento
anche dal punto di vista linguistico, si era dedicato a studi sullo svedese (ivi compresa
l’ortografia) i cui frutti principali sono una Breve grammatica svedese (En kort Swensk
Grammatica, 1722) e Un dizionario svedese (Swensk Ordabok), cui lavorò fino alla
morte, rimasto inedito fino al 2009.
617
Come fa notare Elias Wessén (Wessén 197510 [B.5], pp. 122-123) a questo perio-
do risale l’uso di semplificare le frasi omettendo nelle secondarie il verbo ausiliare.

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I princìpi della modernità 819

come abbiamo indizi sicuri di cambiamenti nella pronuncia e nella


morfologia che ancora sono presenti nella lingua contemporanea.618
Anche nella lingua svedese continuano a entrare prestiti stranieri (in
primo luogo tedeschi e francesi ma anche inglesi e danesi)619 mentre,
per contro, si manifestano tendenze puriste. Un’analisi lessicografi-
ca scientificamente strutturata è alla base del dizionario etimologico
compilato dal linguista Johan Ihre (1707-1780), dal titolo Glossario
svedese-gotico (Glossarium-Sveo-Gothicum, 1769). Questo studioso,
nonostante resti in parte legato a pregiudizi goticisti (era a esempio
convinto che le lingue nordiche fossero state introdotte in Scandi-
navia da Odino),620 ha in sostanza spazzato via le fantasiose etimo-
logie di stampo ‘rudbeckiano’; inoltre ha lasciato osservazioni fon-
damentali sui rapporti di parentela fra le lingue di ceppo germanico,
sulle affinità del gotico, con il greco e il latino e sui mutamenti
consonantici621 (con ciò aprendo la strada a Jakob Grimm).622 Ihre
appare inoltre un convinto assertore della necessità di tenere le
lezioni e scrivere i trattati in lingua volgare, una scelta che guada-
gnerà crescenti consensi.623 Se il Seicento era stato il secolo dell’or-

618
Tali sono l’abbandono delle maiuscole per i sostantivi e dell’uso grafico della
doppia vocale: tra l’altro l’antica aˉ si era da tempo foneticamente evoluta (nella Svezia
centrale almeno dal XIV secolo) chiudendosi in [o] (con grado di chiusura e durata
diversi a seconda della zona e del periodo preso in considerazione); conseguentemen-
te la grafia aa (del resto sentita come particolarmente ‘danese’) era stata definitivamen-
te sostituita da å (un segno che, per altro, compare già nel Nuovo Testamento del 1526;
cfr. p. 520 e sopra, nota 596). Inoltre abbiamo la palatalizzazione delle consonanti g,
k e del nesso sk davanti a vocali anteriori; la defonologizzazione delle consonanti h, l
e d (in sostanza soggette a dileguo) davanti a j; l’abbandono pressoché totale dei casi.
Vd. Wessén 197510 (B.5), pp. 121-122.
619
Una esauriente elencazione si può trovare in Bergman 1972³ (B.5), pp. 150-156,
dove si considerano anche i nomi propri.
620
Così appare in modo evidente dalla Dissertazione accademica sulle mutazioni
della lingua sveo-gotica (Dissertatio Academica De Mutationibus Linguæ Sueo-gothicæ),
discussa da Jacobus Boëthius (1716-1781) in due distinte sessioni presiedute da Ihre
presso l’Università di Uppsala (3 giugno 1742 e 14 giugno 1743).
621
Ihre aveva anche studiato il Codex argenteus (vd. p. 562, nota 146) così come si
era dedicato a studi di filologia nordica, esaminando fra l’altro il Codex upsaliensis
dell’Edda di Snorri Sturluson (vd. pp. 287-289). Le sue osservazioni in merito restano
tuttora valide (vd. in particolare Analecta Ulphiliana, Upsaliæ 1769 e Bref till Herr
Cancellie-Rådet Sven Lagerbring, Rörande Then Isländska Edda, och egentligen then
handskrift theraf som på Kongl. Bibliotheket i Upsala förvaras, Uppsala 1772).
622
Come è noto Grimm formulerà in seguito una delle principali leggi fonetiche
relative alle lingue germaniche: la cosiddetta “prima rotazione consonantica” (erste
Lautverschiebung) sulla quale vd. Ringe D.A., From Proto-Indo-European to Proto-
Germanic, Oxford 2006, pp. 93-116.
623
Già dal 1723 questa ‘novità’ era stata introdotta dal professor Andreas Rydelius
(cfr. p. 787 con nota 465) all’Università di Lund.

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820 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

gogliosa rivalutazione della nobiltà della lingua svedese (basti pen-


sare a Rudbeck, a Stiernhielm e a Skogekär Bergbo, ma non solo!)
il Settecento è quello in cui appare chiaro il desiderio di conferirle
una forma nobile, pura (il che non necessariamente corrisponde a
un intento purista) e condivisa ma che, al contempo, tende a esclu-
dere non solo le forme dialettali ma anche l’apporto (e la ricchezza
espressiva) di ogni parlata ‘popolare’.624 In questa prospettiva si
constata il primato della lingua della capitale e dell’area dell’Uppland.
Importanti contributi sono anche quelli di Erik Sotberg (1724-1781),
allievo di Ihre, Sven Hof (1703-1786) professore a Skara,625 ma
– soprattutto – di Abraham Sahlstedt (1716-1776),626 tra i cui diver-
si lavori di carattere linguistico e lessicale si segnalano la Gramma-
tica svedese (Svensk grammatika, 1769) e il Dizionario svedese con
spiegazioni in latino (Swensk Ordbok med Latinsk Uttolkning, 1773)
che porteranno un contributo determinante allo stabilirsi di una
norma linguistica.627 Di importanza fondamentale al riguardo è poi
la fondazione dell’Accademia svedese (Svenska Akademien) sorta
nel 1786 per volere di Gustavo III “allo scopo di rafforzare e colti-
vare la lingua svedese, e di esercitare la retorica e la poesia svedese”,628
impegni cui il sovrano avrebbe mostrato di voler adempiere in
prima persona. L’istituzione dell’Accademia (il cui compito è stato
tra l’altro quello di compilare un grande dizionario629 e pubblicare
624
Wessén 197510 (B.5), p. 126. Dove tuttavia si fa opportunamente notare l’ecce-
zione costituita dall’opera letteraria di Carl Michael Bellman (vd. pp. 836-838).
625
Su di lui vd. Beckman N., Sven Hof. En levnadsskildring från frihetstidens Väs-
tergötland, Göteborg 1923.
626
Cfr. p. 798, nota 507.
627
Su di lui si veda Alvin R., Abraham Salstedt, En litterär mångfrestare, Lund
1914. Interessante è anche la redazione di quella che risulta essere la prima gram-
matica svedese per stranieri curata da Andreas Heldmann (1688-1770): Versuch einer
schwedischen Grammatica, fürnehmlich zum Gebrauch eines Teutschen, verfaszet und
herausgegeben von And. Heldmann, Upsal 1738.
628
Dalla lettera del re presentata al Consiglio il 20 marzo 1786: “till Svenska Språkets
stadgande ock upodlande, samt till öfning för Vältaligheten ock Svenska skalde-
konsten”; vd. “Svenska akademiens stiftelsebrev, privilegiebrev, ordningsbok och stat,
1786”, utgivna av B. Svensén, in Svenska akademiens handlingar, XIV (1989), pp.
71-143 (la citazione da p. 84. Per essa fu scelto il motto: “genio e gusto” (snille och
smak). Sulla storia di questa istituzione si rimanda in primo luogo a Schück H., Svenska
akademiens historia, på akademiens uppdrag författad, I-VII, Stockholm 1935-1939 (in
particolare il I vol.: Gustav III:s akademi) ma anche a Ljunggren G., Svenska akademiens
historia 1786-1886, Stockholm 1886 e Segerstedt T.T., Svenska akademien i sin samtid.
En idéhistorisk studie, I-III, 1986-1992. Come è noto l’Accademia assegna ogni anno
il Premio Nobel. Si consideri che la corrispondente Accademia danese (Det danske
Akademi) è stata fondata solo nel 1960.
629
Il lavoro relativo fu molto lungo e il primo volume del Dizionario della lingua
svedese edito dall’Accademia di Svezia (Ordbok öfver svenska språket, utgifven af Svenska

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I princìpi della modernità 821

diverse grammatiche)630 raccoglie in realtà una serie di istanze che si


erano manifestate nel corso del secolo, relative – più in generale –
alla questione della lingua (che anche qui aveva conosciuto il dibat-
tito sul purismo)631 e – più nello specifico – alla necessità di costitui-
re un organismo di riferimento, esigenza del resto espressa fin dal
1740 dai promotori del cosiddetto Circolo della lingua svedese
(Svenska tungomålsgillet) che ebbe, tuttavia, vita breve.632
Nel Settecento, nonostante i chiari segnali di risveglio nazionale,
la lingua ‘norvegese’ è ancora (fatta eccezione per i dialetti) il dane-
se imposto dai dominatori, sebbene in molti casi esso accolga una
serie di ‘norvegismi’ (non soltanto lessicali).633 Una interessante
dimostrazione al riguardo è data dal Glossario Norvegese (Glossarium
Norwagicum, 1749) di Erik Pontoppidan il Giovane,634 che pur
costituendo il primo lavoro su questa lingua uscito nel Paese (fu
pubblicato quando egli era vescovo di Bergen), ha lo scopo di met-
tere in rilievo il contributo che questi termini possono recare “al
chiarimento e miglioramento della lingua comune”,635 non da ultimo
in una prospettiva purista. Appare quindi chiaro come le caratteri-
stiche che distinguono la ‘parlata norvegese’ siano in sostanza con-
siderate alla stregua di pure e semplici ‘varianti dialettali’ del danese,
sicché anche autori come Christian Braunmann Tullin, Johan Herman
Wessel o Claus Fasting,636 pur ponendosi su un piano di tutto rispet-
to dal punto di vista della qualità letteraria delle opere (nelle quali
si possono comunque riscontrare evidenti ‘norvegismi’), restano

Akademien) fu pubblicato solo nel 1893. A tutt’oggi è uscita (2012) la seconda parte
del XXXVI volume (upphäva-utsudda).
630
La più recente è quella in quattro volumi curata da Ulf Teleman, Staffan Hellberg
e altri (Teleman U. – Hellberg S. et al. 1999 [B.5]).
631
Del resto seppure in polemica tra loro già Swedberg (vd. p. 608 e p. 818, nota
616) e Hiärne (vd. p. 602 con nota 343) erano stati convinti puristi.
632
Vd. Hernlund H., “Svenska Tungomåls-gillet och dess förhållande till Veten-
skaps-akademien” in Samlaren, VI (1885), pp. 25-41 e anche Schück H., “Ur gamla
anteckningar. vii. Tungomålsgillet”, in Samlaren, XXXVII (1916), pp. 241-277, dove
si esamina il lavoro dell’associazione a riguardo della lingua svedese.
633
Non da ultimo in Holberg (specie nelle prime opere), vd. Skautrup 1944-1968,
III, pp. 27-29; Skard 1972-1979, II, p. 91 (entrambi in B.5) e Seip D.A., Om norskhet
i språket hos Ludvig Holberg, Oslo 1954. Tuttavia, come opportunamente rilevato in
Skard 1972-1979, II, pp. 93-94 (che riprende una osservazione di Ivar Aasen, su cui
vd. pp. 942-943) la grande diffusione delle opere di questo autore (che dal punto di
vista linguistico si sentiva pienamente danese) contribuì piuttosto a introdurre in
Norvegia una ‘ulteriore dose’ di lingua danese.
634
Vd. sopra, nota 39 e p. 776.
635
“Det fælles Sprog Oplysning og Forbedring”, come indica specificamente l’autore;
vd. Hamre H., Erik Pontoppidan og hans Glossarium Norvagicum, Bergen 1972.
636
Vd. p. 722, p. 808 e p. 836.

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822 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

sostanzialmente degli scrittori ‘danesi’. La tendenza a una maggiore


considerazione degli elementi linguistici tipicamente norvegesi è un
fenomeno che si avverte in maniera sensibile a partire dagli anni ’70,
parallelamente al manifestarsi di quel sentimento patriottico che
trovava sostegno anche nella fondazione delle diverse ‘società nor-
vegesi’.637 In tale prospettiva è interessante considerare l’uso dei
‘norvegismi’ in un autore come Johan Nordahl Brun638 o, più in
generale, nella letteratura topografica e in quella di ambito locale.639
Il senso della peculiarità del norvegese è riflesso, in primo luogo, in
una serie di lavori a carattere lessicale tra i quali, oltre al già ricorda-
to Glossario di Pontoppidan, meritano una citazione almeno il Pic-
colo glossario (Een liden Glose-bog) di Knud Leem640 e la Raccolta di
termini norvegesi (Norsk Ordsamling, 1802) di Laurents Hallager
(1777-1825).641 A quest’ultimo si deve anche quella che può essere
considerata la prima ‘grammatica’ norvegese, in realtà una Introdu-
zione al dizionario,642 mentre Marcus Schnabel (1744-1780) in un
breve studio dedicato al dialetto della natìa regione di Hardanger,
mostra di saper opportunamente inserire questa parlata nel contesto
della storia linguistica norvegese.643 Su queste basi si poggerà, qual-
che decennio dopo, il lavoro fondamentale di Ivar Aasen.644
Il conservatorismo (per molti versi inevitabile) dell’islandese ave-
va a lungo fornito a questa lingua gli anticorpi necessari (per dirla
con un termine preso a prestito dall’immunologia) a respingere
l’invadenza di parlate straniere. Ciò nonostante la situazione di
dipendenza politica ed economica aveva introdotto nell’isola il
danese come lingua dell’alta amministrazione, il che aveva di fatto
minacciato la purezza del nobile idioma delle saghe. Se è pur vero
che, nonostante la grave crisi sociale, gli Islandesi avevano mantenu-
to il gusto per la cultura letteraria (potendo anche vantare la ricchez-
za d’una tradizione cui gli altri Paesi scandinavi avevano comunque
dovuto fare riferimento) e (non lo si dimentichi!) continuato a pre-
637
 Vd. p. 721.
638
 Vd. p. 722 con nota 188.
639
 Per quest’ultima si rimanda a Skard 1972-1979 (B.5), II, pp. 118-120. In questo
contesto il nome di maggior prestigio è certamente quello di Edvard Storm (vd. p. 940
con nota 365). Va qui tuttavia citato anche il poeta Andreas Bull (1746-1796) che
dedica i propri versi alla descrizione dei paesaggi norvegesi (cfr. p. 899, nota 155).
640
 Cfr. p. 747. Il lavoro, redatto fra il 1743 e il 1748, contiene circa quattromila voci.
641
 Per una elencazione completa si rimanda a Skard 1972-1979 (B.5), II, pp. 121-124.
642
 Forerindring (nel dizionario, alle pp. iii-xxiv).
643
 Il suo saggio, Prøve paa hvorhvidt det gamle Norske Sprog endnu er til udi det
Hardangerske Bonde-Maal. Første Stykke, fu pubblicato nel 1784 in Det kongelige
norske videnskabers selskab skrifter, I (1784), pp. 297-322.
644
 Vd. pp. 942-943.

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I princìpi della modernità 823

gare nella loro lingua, è altrettanto vero che termini e costruzioni


sintattiche straniere erano ormai comunemente accettati.645 Il sus-
sulto di orgoglio nazionalistico che si espresse nella seconda metà
del Settecento (e al quale va ricondotta l’origine di quello che sarà
poi il movimento per l’indipendenza) coinvolse dunque anche la
sfera linguistica, tanto più che le tendenze puriste non tardarono a
manifestarsi anche qui. Promotore della rinascita fu, anche da questo
punto di vista, Eggert Ólafsson.646 Del 1786 è l’imponente Lessico
islandese-latino-danese (Lexicon Islandico-Latino-Danicum) comple-
tato (dopo molti anni di lavoro!) da Björn Halldórsson:647 un testo
che tuttavia sarebbe stato pubblicato solo nel 1814 dal celebre lin-
guista danese Rasmus Christian Rask (1787-1832).648 Fondatore degli
studi moderni di filologia nordica649 e curatore della raccolta

645
Interessanti testimonianze della lingua islandese nella prima metà del Settecento
sono la Grammatica Islandica, redatta negli ultimi anni della sua vita da Jón Magnússon
(1662-1738), fratello del più celebre Árni (vd. pp. 587-588), e il Nucleus latinitatis (cui
talora si fa riferimento come Kleyfsi, verosimilmente una sorta di nomignolo creato
dagli allievi: vd. Blöndal Magnússon 1989 [B. 5], p. 475) del 1738, in sostanza un
dizionario latino con spiegazioni in lingua islandese, compilato dal vescovo di Skálholt
Jón Árnason (1665-1743) per uso degli studenti.
646
A lui (cfr. p. 726 e p. 839) si fa tra l’altro risalire l’idea di immaginare l’Islanda in
figura di donna. Questa rappresentazione della patria (che si constata parallelamente
presso altre nazioni) si collega verosimilmente al concetto della terra come madre (la
‘madrepatria’, appunto); cfr. p. 701 con nota 103. A quanto pare una illustrazione di
questo genere (ora perduta) accompagnava il testo da lui composto dal titolo Miraggi al
funerale della regina Luisa 1752 (Ofsjónir við jarðarför Lóvísu drottníngar [sic] 1752,
scritto dopo la morte di Luisa di Hannover, moglie del re danese Federico V; cfr. p. 689):
in esso (III, pp. 107-108) si descrive dettagliatamente una donna dall’aspet-
to triste, seduta su una pietra nella natura islandese (in alto in una valle) con sopra la
testa la scritta “Islanda”. Questa idea successivamente ripresa da Eggert Ólafsson stesso,
diverrà assai popolare nel XIX secolo: si veda tra l’altro il celebre testo scritto durante il
lungo soggiorno a Copenaghen dal poeta Bjarni Thorarensen (vd. p. 911, p. 946 e p.
1049), Ricordo dell’Islanda (Íslands minni), con il ben noto incipit: “Antica Ísafold,/
diletta terra madre,/ splendida donna dei monti!” (“Eldgamla Ísafold,/ ástkæra fósturmold,
fjallkonan fríð!”), dove per la prima volta compare la definizione Ísaföld “Terra dei
ghiacci” e si lega questa figura alle montagne d’Islanda con la fortunata definizione
“donna dei monti”. Questa immagine è stata anche frequentemente raffigurata grafica-
mente e adottata in occasione di celebrazioni patriottiche. Tanto Fjallkonan quanto
Ísafold verrano in seguito scelti come titoli di giornali (vd. pp. 1046-1047).
647
Cfr. nota 218.
648
Su di lui vd. Diderichsen P., Rasmus Rask og den grammatiske tradition. Studier
over vendepunktet i sprogvidenskabens historie, København 1960 e Rask K., Rasmus
Rask, store tanker i et lille land, København 2002; cfr. p. 918 e p. 945.
649
Sua è la celebre Guida all’islandese o antica lingua nordica (Vejledning til det
islandske eller gamle nordiske Sprog [1811]; edizione riveduta Anvisning till isländskan
eller nordiska fornspråket, af R. Chr. Rask. Från danskan, öfversatt och omarbetad af
författaren, Stockholm 1818).

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824 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

arnamagnæana,650 Rask soggiornò in Islanda per due anni (1813-


1815) dando impulso definitivo agli studi sulla lingua del Paese.
Tornato in patria fu tra i promotori della Società letteraria islan-
dese (Hið íslenzka bókmenntafélag, 1816), attiva a Copenaghen
e a Reykjavík, che nel 1818 si sarebbe fusa con la Società islan-
dese delle discipline erudite (Hið íslenska lærdómslistafélag), un
ente che fin dalla fondazione (1779) aveva esplicitamente indi-
cato come proprio compito primario la salvaguardia della
lingua.651
Sviluppi peculiari riguardano anche (in tutte le lingue nordiche)
tanto la toponomastica quanto l’onomastica che chiaramente riflet-
tono gli sviluppi socio-culturali dei diversi Paesi (si prenda come
esempio il definitivo affermarsi dei cognomi che appaiono almeno
all’inizio come un chiaro marcatore sociale).652

Il purismo, come è stato detto, raggiunse anche i Paesi scandinavi e le


proposte di sostituzione di termini stranieri con sinonimi riconducibili a
materiale linguistico proprio furono in molti casi soddisfacenti, sicché
650
Il celebre antiquario Árni Magnússon (vd. pp. 587-588), morto nel 1730,
aveva destinato per testamento i propri beni, che comprendevano l’importantissima
collezione di manoscritti, all’Università di Copenaghen. Per la gestione di questo
prezioso patrimonio venne istituita (1760) una Fondazione (Den Arnamagnæanske
Stiftelse / Det Arnamagnæanske Legat) gestita a partire dal 1772 da una apposita
commissione (Den Arnamagnæanske Kommission). Nel 1956 sorse l’Istituto
arnamagnæano (Det Arnamagnæanske Institut), più tardi denonimato Raccolta
arnamagnæana (Den Arnamagnæanske Samling) per la conservazione e lo studio di
questi codici. Nel 2003 esso è entrato a far parte di un più ampio ente l’Istituto
nordico di ricerca (Nordisk forskningsinstitut). Del 1965 è la decisione, in accogli-
mento di pressanti richieste degli Islandesi, di restituire gran parte dei preziosi
manoscritti al Paese d’origine dove, fin dal 1962, era stato fondato a Reykjavík l’I-
stituto dei manoscritti islandesi (Handritastofnun Íslands) successivamente denomi-
nato Istituto arnamagnæano di Islanda (Stofnun Árna Magnússonar á Íslandi).
Recentemente (2006) esso è confluito insieme ad altri enti culturali nell’Istituto
arnamagnæano di studi islandesi (Stofnun Árna Magnússonar í íslenskum fræðum).
Tra le pubblicazioni ‘storiche’ curate da questa fondazione l’Edda poetica uscita in
tre volumi a Copenaghen fra il 1787 e il 1828 (Edda Sæmundar hinns Fróda, sumptibus
Legati Magnæani et Gyldendalii) e l’Edda di Snorri Sturluson, anch’essa in tre
volumi (Edda Snorra Sturlusonar / Edda Snorronis Sturlæi, Hafniæ, 1848-1887). Su
‘ritorno in patria’ dei manoscritti islandesi vd. Kristjánsson J., Heimkoma handritan-
na, Reykjavík 1981.
651
Vd. p. 728.
652
Basti pensare, a esempio, all’uso di cambiare il proprio cognome al momento
dell’ottenimento della dignità nobiliare. Non potendo in questa sede compiere una
approfondita analisi di questi sviluppi si rimanda ai diversi articoli compresi nei capp.
145-148 (sui nomi propri) e 149 (sui toponimi) in Bandle 2002-2005 (B.5), II, pp.
1314-1325 e pp. 1326-1332 rispettivamente.

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I princìpi della modernità 825

molti di loro (non di rado tuttavia calchi, specie dal tedesco) sono stati
pienamente integrati nelle lingue nordiche.653 Non mancarono però, da
parte di più d’uno, vere e proprie forzature lessicali delle quali si vuole
qui fornire qualche illuminante esempio.654
Abbiamo così in danese: dybtænker “filosofo” (“profondo pensatore”),
fjederkraft “elasticità” (“forza della molla”), jord-deeleren “equatore”
(“divisore della terra”), tegnmelding o tegnmeldelse “telegramma” (“comu-
nicazione per mezzo di segni”), nordlede “orientare” (“guidare verso nord”),
omgangssyge “epidemia” (“malattia da relazione”); in svedese: blodsvittnedöd
“martirio” (morte [subita come] testimonianza col sangue”), eldhug “entu-
siasmo” (“infiammazione dell’animo”), örtkännare “botanico” (“conosci-
tore delle erbe”); in norvegese: bokstavregning “algebra” (“calcolo con le
lettere”), oljebær “oliva (“bacca da olio”), samsang “coro” (“canto insieme”);
sårlæke/sårlækjar “chirurgo” (“medico [che cura aprendo] ferite”), vinånd
“alcool” (“spirito del vino”);655 in islandese: bjúgaldin “banana” (“frutto
curvo”), eiraldin “albicocca” (“frutto [color] rame”), glóaldin “arancia”
(“frutto luccicante”), gulaldin “limone” (“frutto giallo”), jarðaldin “patata”
(“frutto della terra”),656 rauðaldin “pomodoro” (“frutto rosso”).657

*
Tanta creatività non fu, naturalmente, in grado di sbarrare la strada ai
prestiti che (soprattutto negli ambiti in cui più diretto era il rapporto con
i Paesi stranieri)658 furono comunque accolti in gran numero.659 In questo
653
È questo un fenomeno facilmente constatabile soprattutto nel lessico relativo ai
diversi ambiti scientifici.
654
Si tenga presente che i termini qui elencati risalgono sia al XVIII sia al XIX secolo. Tra
parentesi viene indicato il loro significato letterale. Celebri puristi furono il danese Hannibal
Peter Selmer (1802-1877), il cui testo sulle parole straniere in danese, la situazione della lingua
e le sue prospettive (Om de i det danske sprog forekommende fremmede ord, samt tyskagtig-
heder, andre ufuldkommenheder, sprog- og retskrivningsfejl. En blik paa modersmaalets
nuværende tilstand og muligheden af dets fuldkomnere udvikling herefter, Kjøbenhavn 1861)
è da questo punto di vista davvero significativo (in particolare la terza parte che porta il
titolo Fremmed-afløsnings-ordbog, eller Ordbog over fremmede ord med deres afløsninger ved
danske e propone ‘autentici danicismi’ per sostituire i prestiti); lo svedese Viktor Rydberg
(vd. p. 1081) e il norvegese Knud Knudsen (vd. pp. 943-944 e p. 1080), autore tra l’altro di
un dizionario dal titolo Urnorsk og Norsk eller fremmedords avløsning (Kristiania 1881), nel
quale sono proposte forme ‘autenticamente norvegesi’ per le parole di origine straniera.
655
Per le ragioni linguistiche esposte in 11.3.3.1 si tratta di termini che compaiono
nel XIX secolo.
656
Si confronti qui tuttavia il francese pomme de terre.
657
Queste denominazioni hanno tuttavia (con qualche resistenza) ceduto di fronte
a prestiti come (rispettivamente): banani, apríkósa, appelsína, sítróna, kartafla, tómatur.
658
Si pensi ad ambiti come quello delle nuove merci, dei nuovi mestieri, delle
nuove mode o dei nuovi modelli culturali introdotti dall’estero. Un caso esemplare è
quello della terminologia teatrale francese entrata nello svedese durante l’era gustavia-
na, quando il sovrano volle promuovere questo tipo di spettacolo rifacendosi a una
cultura di cui era convinto ammiratore.
659
 Per esempi significativi si rimanda a Ekberg 2005 (C.8.2), pp. 1308-1313.

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826 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

contesto va tuttavia segnalato il caso particolare dell’islandese, una


lingua che per la sua complessa morfologia risulta per così dire ‘imper-
meabile’ all’inserimento di elementi estranei. Sicché qui i veri e propri
prestiti restano assai limitati nel numero660 mentre – a fronte del pro-
gressivo intensificarsi dei rapporti con il resto del mondo – si attinge al
materiale lessicale tradizionale per creare neologismi che esprimano con
pari efficacia il significato delle parole straniere. Evitando una lunga
elencazione che resterebbe, comunque, largamente incompleta ci si
limiterà qui a pochi significativi esempi che mostrano come il purismo
islandese si sia consapevolmente protratto nel tempo. Si considerino
dunque i seguenti termini (nei quali comunque in qualche caso si con-
stata l’adesione a un modello d’importazione): bjartsýni “ottimismo”
(“visione luminosa”), bölsýni “pessimismo” (“visione di sventure”),
heimspeki “filosofia” (“scienza [delle cose] del mondo”), bókasafn
“biblioteca” (“raccolta di libri”), bókavörður “bibliotecario” (“custode
di libri”), leikhús “teatro” (“casa per le rappresentazioni”), lyfjabúð
(accanto ad apótek) “farmacia” (“negozio dei medicamenti”),661 lyfsali
(accanto ad apótekari) “farmacista” (“venditore di medicamenti”),
lögregla “polizia” (“regola della legge”), ritsími “telegrafo” (“cavo per
scrivere”), talsími (poi semplicemente sími) “telefono” (“cavo per
parlare”),662 símabréf “fax” (“lettera telefonica”), ljósmynd “fotografia”
(“immagine [ottenuta con] la luce”), útvarp “trasmissione radio” (for-
mato su út “verso l’esterno” e varp “lancio”), sjónvarp “trasmissione
televisiva” (formato su sjón “vista” e varp), eðlisfræði “fisica” (“scienza
della natura”), efnafræði “chimica” (“scienza delle sostanze”),663 náttföt
“pigiama” (“veste per la notte”), verkfall “sciopero” (“caduta del lavo-
ro”). Per concludere con il caso emblematico di un termine assai recen-
te come tölva “computer”, formato dalla combinazione di tala “numero”
(pl. tölur) e völva “sibilla”, “indovina”).664

660
Si citino a esempio termini come kaffi “caffè”, sykur “zucchero”, tóbak “tabac-
co”, banki “banca”.
661
Sul significato originario di búð cfr. p. 109.
662
Ma in precedenza erano stati coniati i termini: fréttaþráður “telegrafo” (“filo [per
trasmettere] notizie”) e málþráður o talþráður “telefono” (rispettivamente “filo per con-
versare” o “filo per parlare”).
663
Similmente sono formati i nomi di altre scienze mentre il nome della persona
che le esercita viene formato con ‑fræðingur.
664
Questo secondo termine richiama la protagonista del carme eddico Völuspá, che
è, appunto, la Predizione dell’indovina (vd. p. 291). La parola fu suggerita dall’illustre
scrittore e studioso Sigurður Nordal (cfr. p. 1281, nota 221) dopo che in un primo
momento era stato proposto Vala (nome proprio di donna) poi modificato in valva;
vd. Helgadóttir S., “Um uppruni orðsins tölva”, in Tölvumál, XVIII (1993), p. 28.
Per una storia del purismo islandese si rimanda a Ottósson 1990.

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I princìpi della modernità 827

10.5.2. Molteplicità delle tendenze letterarie

I primi decenni del Settecento sono, per molti versi, una fase
di transizione nel quale la produzione letteraria porta ancora
avanti le istanze del passato mentre al contempo si apre a nuove
tematiche e a nuovi modelli. Sulla scia della tradizione poetica di
ispirazione religiosa si protrae la produzione dei cosiddetti ‘sal-
misti’ con nomi di spicco quali quelli dei danesi Hans Adolph
Brorson (1694-1764)665 e Ambrosius Stub (1705-1758),666 dello
svedese Olof Kolmodin (1690-1753) e del finlandese Jacob Frese
(1691-1729): alcuni di loro (Brorson, Frese) mostrano una chiara
impronta pietista. La vitalità della poesia religiosa si constata
anche nelle diverse composizioni scritte da donne (un nome per
tutti: la svedese Sophia Elisabet Brenner, 1659-1730).667 Sul ver-
sante laico il tradizionalismo letterario è rappresentato dalle
composizioni pastorali (magari per il teatro) e dalla poesia d’oc-
casione ancora proficuamente esercitata.668 Lo stile, che risente
talora del tardo barocco, si apre alle forme più lievi del rococò. I
modelli tedeschi (ai quali a lungo la letteratura era rimasta legata,
soprattutto in Danimarca e Norvegia) cedono ora il passo a quel-
li francesi (molto ammirati da Holberg) e poi anche inglesi. Ai
primi decenni del Settecento appartengono anche autori classici-
sti, convintamente rispettosi della supremazia degli antichi: basti
qui ricordare il poeta e critico danese Tøger Reenberg (1656-
1742)669 e il poeta satirico svedese Samuel Triewald (1688-1742)
665
Su di lui Koch L., Salmedigteren Brorson. En Mindebog til Tohundredåret for
hans Julesalmer, København 1931 e Arndal S., H.A. Brorsons liv og salmedigtning,
Frederiksberg 1994.
666
Autore di poesie di vario genere Stub è tuttavia ricordato soprattutto per i versi
ispirati da un fresco senso della natura. Su di lui Brix H., Ambrosius Stub, København
1960.
667
Considerata dai contemporanei “la nostra erudita poetessa” (“wår lärda Skalde
fru”) secondo la definizione del pastore e poeta Johan Göstaf Hallman (1701-1757),
una definizione ripresa nel titolo di una recente miscellanea sulla sua figura (Lingärde
V. – Jönsson A. et al. [red.], Wår Lärda Skalde-fru. Sophia Elisabet Brenner och hennes
tid, Lund 2011, vd. pp. 8-9), Sophia Elisabet Brenner fu gratificata al suo tempo di
grande considerazione. In seguito fu tuttavia fortemente ridimensionata soprattutto
sul piano artistico. Oltre che di versi a carattere religioso è autrice di poesia d’occasio-
ne. La sua figura è emblematica della cultura svedese nel periodo della “grande
potenza” al quale la sua vita scorre per gran parte parallela e gli studi raccolti nel testo
qui citato ben approfondiscono i diversi aspetti della sua personalità opportunamente
inserendoli nel contesto culturale dell’epoca.
668
Si vedano i danesi Jørgen Sorterup (1662-1723), lo stesso Ambrosius Stub, la
svedese Sophia Elisabet Brenner (vd. nota precedente).
669
Sulla scorta di Boileau (Nicolas Boileau-Despreaux, 1636-1711) e tuttavia con

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la cui opera troverà tuttavia riconoscimento nella seconda metà


del secolo quando questa corrente conoscerà in Svezia il suo
periodo migliore.
In un clima culturale che non esiterà a sottoporre al vaglio della
ragione anche princìpi ritenuti inviolabili, il rinnovamento dello
stile, strettamente legato alle esigenze espressive del dibattito sulle
questioni sociali e culturali, non potrà mancare. Così i fautori di
una nuova prosa (in primo luogo Holberg e Dalin) sceglieranno
di abbandonare la tradizionale formazione erudita e opteranno per
un linguaggio nuovo, fluido e gradevole sostenuto su una sintassi
semplice e, per dirla con un termine caro all’epoca, ‘naturale’. Un
filo conduttore comune sembra ora stimolare le diverse esperienze
letterarie: la combinazione dell’utile col dilettevole, l’ideale che il
poeta latino Orazio (65 a.C.-8 d.C.) aveva riassunto nel celebre
motto: “Omne tulit punctum, qui miscuit utile dulci.”670 Parole cui
si era rifatto Boileau, assertore dell’imitazione dei classici, e che
Dalin sceglierà come massima da riportare sulla copertina de
L’Argo svedese, sicché più tardi (1766) in sua memoria verrà costi-
tuita una società letteraria e culturale che si chiamerà, appunto,
Utile Dulci.671 Una citazione, questa, che impone, in primo luogo,
di ricordare altre associazioni (quantomeno le più importanti)
sorte nella seconda metà del secolo: la Reale accademia di lettere,
storia e antichità (Kungliga Vitterhets Historie och Antikvitets
Akademien) fondata a Stoccolma nel 1753 per iniziativa della
regina Luisa Ulrica, attiva promotrice di iniziative culturali,672

non trascurabili differenze, egli aveva composto un’opera di critica letteraria dal tito-
lo Ars poetica (ca.1700).
670
“Ha ottenuto totale consenso chi ha abbinato l’utile al dilettevole” (Ars poetica,
verso 343, ed. cit., p. 67).
671
Uno dei più attivi promotori dell’associazione era stato il funzionario e poeta
Elis Schröderheim (1747-1795) che fu poi chiamato da Gustavo III a costituire l’Ac-
cademia svedese. Vd. Sylwan O., “Till Utile Dulcis historia”, in Samlaren, XXVIII
(1907), pp. 230-241. L’associazione collaborava con altre come la Auroraförbundet di
Åbo (vd. nota 546) e la Apollini Sacra fondata a Uppsala nel 1767 da Olof Bergklint
(1733-1805), poeta e critico e da Olof Kexél (1748-1796), autore di teatro e prosatore
(essa cessò l’attività nel 1779).
672
L’accademia seguì in sostanza i destini della sua fondatrice, sicché quando nel
1756 ella cadde in disgrazia dopo il fallito colpo di stato (vd. pp. 702-703) anche
l’attività di questo ente fu di fatto interrotta. Ma nel 1773, dopo l’ascesa al trono di
Gustavo III, essa fu ripresa, sebbene in seguito alla fondazione (1786) dell’Accademia
svedese (vd. p. 820 con nota 628) i suoi ambiti di competenza venissero circoscritti.
Nel medesimo anno 1786 la sua struttura fu riorganizzata ed essa venne a inglobare
ciò che restava dell’antico Collegio delle antichità (vd. p. 574 con nota 203) il quale,
dopo i ‘fasti’ seicenteschi, era stato ridotto (1692) a un semplice “Archivio delle anti-
chità” (Antikvitetsarkivet) al cui interno comunque continuava a operare l’antiquario

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I princìpi della modernità 829

l’Ordine dei costruttori del pensiero (Tankebyggarorden) fondato


dal poeta e massone Carl Fredrik Eckleff (1723-1786), la Reale
associazione delle scienze e delle lettere (Kungliga Vetenskaps- och
Vitterhets-Samhället) costituita nel 1773 (ma ufficialmente appro-
vata nel 1778) e divenuta un importante punto di riferimento
culturale grazie all’iniziativa del futuro vescovo di Kalmar, Martin
Georg Wallenstråle (1733-1807),673 la Società letteraria danese
(Det danske Litteraturselskab) nata nel 1775 e anche la Società
invisibile (Ósýnilega félagið), creata in Islanda nel 1760 con lo
scopo di favorire la pubblicazione di testi antichi e scientifici.674
D’altro canto occorre constatare come il fiorire delle diverse
associazioni e accademie, tipico del secolo, risponda a una ten-
denza che percorre il mondo culturale il quale, per quanto preso
dai nuovi studi e dalle sfide della critica (sia essa sociale o esteti-
ca), mostra una generale propensione a considerare la propria
‘superiorità’ (per non parlare di autoreferenzialità). Precisi ‘mar-
catori’ di dignità letteraria o scientifica sono del resto il conferi-
mento della dignità nobiliare (casi esemplari: Linneo, Dalin,
Holberg), l’ammissione in qualità di membri (accanto a persone
provenienti dalla nobiltà) a club e società più o meno segrete e
(in particolare in Svezia) il conferimento di un ‘ordine’.675 Ma
anche, più semplicemente, la possibilità di frequentare salotti
letterari676 o caffè o di conversare in francese. Un preciso indica-

del Regno (vd. p. 572) che sarebbe divenuto segretario della riformata accademia. In
proposito vd. Bachman M.L., “Kungl. Vitterhets historie och Antikvitets Akademiens
instiftande”, in FV 1963, pp. 90-107; sulla sua storia Kgl. Vitterhets historie och antik-
vitets akademien. Dess förhistoria och historia, på akademiens uppdrag författade av
H. Schück, I-VIII, Stockholm 1932-1944.
673
Cfr. p. 775. Vd. Beckman N., Göteborgs Kungl. Vetenskaps- och Vitterhetssam-
hälle 1778-1928. En historik, Göteborg 1928. Gran parte dell’attività di questa asso-
ciazione è tuttavia dedicata, fin dalla fondazione, alle discipline scientifiche. In Svezia
un precedente può essere considerato il club Awazu och Wallasis, sorto nel 1732 e di
cui fece parte anche Olof Dalin (vd. pp. 797-798 e pp. 802-803). Per la precisione va
ricordato che più tardi (1769) un gruppo di amici tra cui il poeta Kellgren (vd. p. 835)
fonderà una nuova associazione detta Awazu, della quale per altro si sa poco.
674
Un precedente di questa è l’associazione Sakir (o Secta, vd. Ólason – Guðmunds-
son 1992-2006 [B.4], III, pp. 74-79).
675
In Danimarca sono già stati ricordati l’Ordine dell’elefante e l’Ordine del Danne-
brog (cfr. p. 648, nota 547). In Svezia nel 1748 il re Federico I reintrodusse antichi
ordini decaduti: l’Ordine dei Serafini (Serafimerorden), l’Ordine della spada (Svärdsorden),
riservato ai militari, e l’Ordine della stella polare (Nordstjärneorden). Accanto a questi
va menzionato l’Ordine dei Vasa (Wasaorden) istituito nel 1772 da Gustavo III. Nel
1811 verrà creato l’Ordine di Carlo XIII (Carl XIII:s orden).
676
Anche se la ‘cultura dei salotti’ fiorirà in Scandinavia soprattutto a partire dalla
fine del XVIII secolo – si ricordino quelli di Karen Margarete, ‘Kamma’ Rahbek (1775-

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830 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

tore della ‘nobiltà’ della cultura è del resto la costante presenza


di istitutori privati per i figli delle famiglie nobili e benestanti che
ancora chiaramente marca la distanza rispetto all’istruzione della
gente comune. La letteratura del Settecento, anche quando si
occupa di temi che riguardano il popolo o si sforza di divulgare
nuove idee di progresso umano e sociale, non è affatto ‘popolare’.
In realtà l’illuminista si pone in una posizione per così dire ‘peda-
gogica’ e considera con malcelato disprezzo una cultura che
ritiene legata a credenze irrazionali e ingiustificate superstizioni.
Salvo poi, in diversi casi, cedere al fascino di rituali esoterici
ancorché esclusivi (magari legati alla massoneria).677
La critica politica e sociale caratterizza dunque, nelle sue diver-
se forme, una buona metà del secolo. Ne sono espressione, in
primo luogo, i testi a carattere satirico, innanzi tutto quelli di
Holberg (si consideri qui almeno il fortunatissimo poema eroico-
mico Peder Paars, uscito tra il 1719 e il 1720 e in forma ampliata
di nuovo nel 1720)678 ma anche (seppure su un piano artistica-
mente inferiore) quelli del filologo danese Christian Falster (1690-
1752),679 così come i contributi al dibattito politico (in primo
luogo da parte di Dalin). L’ironia come arma di critica sociale è
del resto la straordinaria risorsa che caratterizza le commedie di
Holberg (pubblicate, come Peder Paars, con lo pseudonimo Hans
Mikkelsen).680 Certo è vero che l’ispirazione per questi testi (ven-
tisei, di cui i primi quindici scritti nel giro di un anno tra il 1722
e il 1723, gli altri undici tra il 1723 e il 1727)681 si deve in buona

1829, moglie di Knud Lyhne; cfr. p. 805, p. 809, nota 557, p. 839 e p. 918, nota 246),
a Copenaghen e di Malla Silfverstolpe (1782-1861) a Uppsala – l’abitudine di tenere
incontri presso le accoglienti dimore di colte padrone di casa è ben testimoniata anche
in precedenza: si pensi alle poetesse Sophia Elisabet Brenner (vd. nota 667) e Hedvig
Charlotta Nordenflycht (sulla quale vd. p. 834).
677
Cfr. p. 771 con nota 396. Si noti come in Svezia il Settecento veda il fiorire di
tutta una serie di associazioni più o meno segrete.
678
L’opera fu tradotta in svedese e in tedesco nel 1750, in nederlandese nel 1792,
in inglese nel 1862 (prima traduzione completa).
679
Ma la satira potrà essere utilizzata anche come arma contro il ‘nuovo’: si veda il
caso del norvegese Gerhard Treschow (1703-1765) autore di scritti contro Holberg e
contro lo stile poetico introdotto da Klopstock (sul che poco più avanti).
680
Anche Michelsen, Mickelsen.
681
Le commedie più note sono: Lo stagnino politicante (Den politiske Kandestøber,
1722, 1724 seconda edizione rielaborata), Beppe della montagna o il contadino trasforma-
to (Jeppe paa Bjerget Eller Den forvandlede Bonde, 1722) ed Erasmus Montanus o Rasmus
Berg (E. M. eller R. B.; si consideri che in danese Berg significa “monte”, il che fa evi-
dente riferimento al vezzo degli eruditi – o di chi si riteneva tale! – di latinizzare il proprio
nome). Altre sei commedie, assai inferiori per qualità artistica, furono scritte negli ultimi
anni di vita dell’autore. L’occasione di avvicinarsi al teatro era venuta a Holberg dal

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I princìpi della modernità 831

parte a modelli stranieri (italiani e francesi ma anche classici),682


ma è altrettanto vero che la loro applicazione al contesto sociale
danese – le cui distorsioni, ingiustizie e (sia consentito di dire)
miserie vengono magistralmente messe alla berlina – ne fa al
contempo una rappresentazione esemplare dell’eterna ‘commedia
umana’ così come una lezione sull’indispensabile primato della
ragione. Un ammonimento che Holberg non cesserà di ripropor-
re nelle opere successive, dai Pensieri morali (Moralske Tanker,
1744) alle Favole morali (Moralske Fabler, 1751), insistendo su
un concetto di ‘moralità’ intesa in primo luogo come dovere di
diffondere (anche attraverso strumenti come la satira, l’umorismo
e la parodia) i princìpi riformatori dell’illuminismo. Se (prescin-
dendo naturalmente dagli eccellenti risultati sul piano letterario)
è questo il primo merito che va riconosciuto a tale autore, gli va
del resto parimenti attribuito quello di avere rifondato (ma meglio
sarebbe dire fondato) il teatro danese. Come è stato detto, dopo
il furioso incendio che aveva devastato Copenaghen nel 1728, il
teatro (che per altro era stato chiuso una prima volta nel 1725 e
poi nel 1727) non fu ricostruito: anzi l’atteggiamento profonda-
mente religioso del re Cristiano VI impose (1738) forti limitazio-
ni a questo genere di spettacoli considerati moralmente disdice-
voli.683 Solo nel 1746, dopo l’ascesa al trono di Federico V in
Danimarca, si sarebbe tornati alle rappresentazioni teatrali ospi-
tate in locali provvisori: ma nel 1748 in Kongens Nytorv sarebbe
stata edificata una Casa della commedia (Komediehus) sede del
Teatro reale (Det Kongelige Teater) voluto dal sovrano.684 Per
fatto che una troupe francese (diverse compagnie teatrali straniere erano da tempo attive
in Danimarca), dopo aver recitato a lungo a corte, era stata disimpegnata per lasciare
spazio a rappresentazioni operistiche. Si prese dunque a tenere spettacoli in un teatro
che si trovava in Lille Grønnegade (l’attuale Ny Adelgade) dove si cominciò a recitare
in danese. Questa scelta fece affluire il pubblico (soprattutto un pubblico borghese) che
poco dopo poté assistere alle commedie di Holberg. Sul teatro di Lille Grønnegade vd.
Jensen A.E., Teatret i Lille Grønnegade 1722-1728, København 1972.
682
Il riferimento è, naturalmente, alla commedia dell’arte e al grande commedio-
grafo Molière (Jean-Baptiste Poquelin, 1622-1673) cui Holberg si ispira soprattutto
per la caratterizzazione dei personaggi. Nell’impianto artistico si può inoltre facilmen-
te riconoscere la lezione di Plauto come anche di Terenzio (sebbene Holberg dichiari
esplicitamente di preferire il primo al secondo: vd. l’Epistola cxcv, in LHV XI, pp.
172-175). Ma le fonti cui Holberg attinge sono molteplici.
683
Indicazioni in Schou (Abbr.) III, 21 marzo 1738, p. 314 (decreto che per altro
sarebbe stato ripreso ed esteso il 27 ottobre 1773 in particolare nei confronti degli
artisti circensi stranieri: vd. Schou V, pp. 415-416; cfr. p. 684 e p. 687).
684
L’architetto incaricato di realizzare quest’opera (in stile rococò) fu Nicolai Eigtved
(vd. p. 845 con nota 756). Già nel 1774 fu tuttavia decisa una ristrutturazione e un
ampliamento affidati questa volta all’architetto Caspar Frederik Harsdorff (vd. oltre,

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832 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

quanto fossero passati quasi vent’anni e i modelli francesi fossero


in auge, la lezione di Holberg era di grande attualità. Sicché,
seppure con risultati artistici meno brillanti, altri autori si sareb-
bero dedicati a questo genere: fra di loro i danesi Charlotte Doro-
thea Biehl (1731-1788), Peter Andreas Heiberg685 e i norvegesi
Niels Krog Bredal (1733-1788), dal 1771 direttore del Teatro
nazionale danese,686 Johan Nordahl Brun,687 Claus Fasting,688 Johan
Herman Wessel689 e il poeta preromantico (e difensore della ‘pura
norvegicità’) Jonas Rein (1760-1821).690
Anche in Svezia le commedie di Holberg ebbero notevole
successo: qui tuttavia per vantare in questo ambito nomi di pre-
stigio internazionale come quello del commediografo danese si
sarebbe dovuto attendere ancora a lungo. Ciò nonostante le
rappresentazioni teatrali avevano in questo Paese una buona
tradizione, rafforzatasi durante il periodo della “grande potenza”.
Oltre alla cosiddetta “Tana del leone” (Lejonkulan)691 anche un
altro edificio era stato destinato (fin dal 1667) agli spettacoli: si
trattava della “Grande casa della palla” (Stora bollhuset, demo-
lita nel 1793)692 che costituisce dunque il primo teatro svedese.
Esso avrebbe ospitato drammi e commedie, opere e balletti. Gli
artisti erano per lo più stranieri (il che limitava spesso la fruizio-
ne degli spettacoli a coloro che conoscevano le lingue) ma gra-
pp. 846-847; cfr. p. 919). In proposito vd. Krogh T., Fra Bergs hus i Læderstræde til
Komediehuset paa Kongens Nytorv, København 1949 e Krogh T. (red.), Komediehuset
paa Kongens Nytorv 1748, København 1948. Dopo varie ristrutturazioni di questo edifi-
cio un nuovo Teatro reale, edificato accanto all’antico, sarebbe stato inaugurato nel 1874.
685
Cfr. p. 811.
686
In tale veste egli avrebbe proposto un suo lavoro che fu oggetto di dure critiche
e suscitò una violenta polemica, sicché poi si dedicò esclusivamente alla direzione del
teatro. Qui, proprio a partire dall’anno 1771, sarebbe stata aperta una scuola di bal-
letto cui si sarebbe aggiunta due anni dopo una scuola di canto. Da segnalare, nell’am-
bito della rinascita di questo genere, la prima rivista teatrale pubblicata in Danimarca:
Il giornale drammatico (Den dramatiske Journal, 1771-1773) dovuta all’iniziativa di
Peder Rosenstand-Goiske (1752-1803).
687
Vd. p. 722 con nota 188.
688
Vd. sopra, p. 722 con nota 190.
689
Vd. sopra, p. 722 con nota 189.
690
In Norvegia l’attività teatrale sarebbe a lungo rimasta affidata all’iniziativa pri-
vata. Da questo punto di vista sarebbe stata importante la fondazione delle diverse
‘società teatrali’, la prima delle quali (Det dramatiske Selskab) fu fondata a Christiania
nel 1780 per iniziativa di Bernt Anker (cfr. nota 182 e nota 795).
691
Vd. p. 614.
692
Il nome fa riferimento al fatto che la costruzione era stata inizialmente destinata
a uso sportivo. Per rappresentazioni teatrali era utilizzata in alcuni casi anche una
costruzione adiacente detta “Piccola casa della palla” (Lilla Bollhuset). Vd. Flodmark
J., Bollhusen och Lejonkulan i Stockholm. Teaterhistorisk lokalstudie, Stockholm 1897.

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I princìpi della modernità 833

datamente si cominciò a mettere in scena spettacoli in lingua


svedese. Tentativi letterari in tal senso non erano mancati (basti
pensare a Messenius e a Urban Hiärne),693 tuttavia era mancata
l’idea di creare una autentica tradizione nazionale in un luogo
davvero aperto al pubblico.694 I primi spettacoli di un Teatro
reale svedese (Kungliga Swenska skådeplatsen) si ebbero a parti-
re dal 1737, ma nel 1753 la regina Luisa Ulrica licenziò gli atto-
ri per sostituirli con una compagnia francese. 695 Un impulso
determinante sarebbe venuto solo con Gustavo III. Nel 1771 egli
infatti congedava la compagnia francese, dando l’avvio a un vero
e proprio teatro nazionale con spazi dedicati all’opera, al ballet-
to e alle rappresentazioni comiche e drammatiche.696 Ma a queste
iniziative non corrispose la qualità dei prodotti letterari. Le
opere teatrali di Dalin, a esempio, non possono vantare un livel-
lo paragonabile a quello degli scritti giornalistici o storici, men-
tre il testo teatrale del futuro presidente della cancelleria Carl
Gyllenborg697 dal titolo Il bellimbusto svedese (Swenska sprätthöken,
1737) merita una citazione solo perché, a quanto pare, si tratta

693
Vd. pp. 580-581 e p. 614 rispettivamente.
694
In questo contesto debuttarono le prime attrici svedesi tra cui la celebre Elisabeth
(nota tuttavia come Lisa o Elise) Lillström (1717-1791) e la di lei figlia, Elisabeth Olin
(1740-1828) che in seguito si sarebbe affermata anche come cantante.
695
Le rappresentazioni in lingua svedese tuttavia proseguirono a livello ‘popolare’.
Esse venivano tenute in diversi locali (tra cui il teatro nel parco di Humlegården a
Stoccolma) o in giro per il Paese (e in Finlandia). A mantenere vivo il teatro in lingua
svedese fu, soprattutto, la compagnia di Petter Stenborg (1719-1781), cui dunque va
gran parte del merito di aver portato avanti questo filone. Luisa Ulrica aveva favorito
gli spettacoli a corte e fatto ricostruire dopo un incendio il teatro nel suo castello di
Drottningholm, che fu terminato nel 1766 (vd. p. 618); vd. Beijer A., Slottsteatrarna
på Drottningholm och Gripsholm, Stockholm 1937.
696
A questo scopo nel 1782 il sovrano aveva istituito l’Associazione per il miglio-
ramento della lingua svedese (Förbättringssällskapet för svenska språket) che doveva
esaminare i testi proposti per il teatro; del 1787 è invece la fondazione della Scuola di
arte drammatica (Dramatens elevskola) per la quale furono chiamati maestri francesi
e che avrebbe continuato la propria attività fino al 1964. Nel 1788 nasceva inoltre il
Teatro drammatico svedese (Svenska dramatiska teatern). In realtà, tuttavia, l’allonta-
namento degli attori francesi non fu affatto definitivo e diverse rappresentazioni (a
beneficio di ristrette cerchie di persone) continuarono a essere messe in scena. Il
sovrano incoraggiò anche traduzioni svedesi di drammi francesi e in collaborazione
con il poeta Kellgren (vd. p. 835) scrisse l’opera in versi Gustavo Vasa (lavoro rappre-
sentato nel 1786 ma verosimilmente concluso fin dal 1783, Gustaf Wasa, Lyrisk trage-
di i tre akter; vd. in JHKS II il commento alle pp. 360-362). Ma la produzione dram-
matica svedese di questo periodo resta di scarso livello: anche un’opera come Odino
(Oden, 1790) di Carl Gustaf af Leopold (vd. p. 835), pure segnata da un grande suc-
cesso, si rivela debole, soprattutto dal punto di vista linguistico.
697
Cfr. p. 699.

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834 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

della prima commedia scritta in lingua svedese.698 È piuttosto sul


versante della poesia che andrà ricercata la migliore produzione
letteraria svedese del Settecento.699
Dal punto di vista delle concezioni illuministiche – con tutto il loro
corredo di ‘utilitarismo’ – la poesia era un genere letterario alquanto
penalizzato. Una reazione a questo atteggiamento non tardò tuttavia
a manifestarsi. Si pensi, in primo luogo, al danese Sneedorff, uno dei
fondatori della Società del gusto700 per il quale il “gusto estetico”
(smag) era, appunto, ciò che gli studi avrebbero dovuto in primo
luogo sviluppare.701 Sulla scorta di idee di questo tipo il culto del-
la poesia sarebbe dunque rifiorito, soprattutto in Svezia. Nella
seconda metà del secolo troviamo qui una nutrita serie di autori
che mostrano di voler applicare la lezione classicista francese a una
lingua svedese che certamente aveva beneficiato dell’attenzione e
dell’affinamento di cui era stata oggetto nel secolo precedente (basti
ricordare Stiernhielm). In primo luogo sono questi i nomi di pre-
stigio dell’Ordine dei costruttori del pensiero, promotori delle idee
illuministiche ma anche di una poesia elegante ispirata ai modelli
francesi: Hedvig Charlotta Nordenflycht (1718-1763), che compo-
ne liriche in cui dà sfogo ai tormenti personali, il finno-svedese
Gustaf Philip Creutz (1731-1785) autore fra l’altro di versi pasto-
rali, Gustaf Fredrik Gyllenborg (1731-1808), interprete d’un aspro

698
La figura del petit-maître, il “bellimbusto”, che andava diffondendosi tra i gio-
vani nobili svedesi, era già stata ridicolizzata da Dalin ne L’Argo svedese (si veda il nr.
XIII, 1734, II, pp. 105-109), che sul modello dell’espressione francese aveva coniato
il calco småmästare. Ma il termine sprätthök (letteralmente “falco elegantone”) ebbe
maggior successo, tanto è vero che Dalin stesso lo accolse nella ristampa de L’Argo
svedese del 1754. Si veda del resto anche lo Scritto in occasione del matrimonio (Bröllops-
Skrift) del poeta e pastore Johan Göstaf Hallman (cfr. sopra, nota 667) dedicato a Peter
Gabriel Forster e Elisabeth Petre sposatisi il 30 ottobre 1735 (in Samlade vitterhets-
arbeten af svenska författare från Stjernhjelm till Dalin. Efter originalupplagor och
handskrifter utgivna af P. Hansell, XIX, Uppsala 1875, pp. 192-195). Ai petit-maîtres
fa del resto diverse allusioni anche Holberg; per il dettaglio delle citazioni vd. Holberg-
Ordbog (indicazioni alla nota 568), IV, 1986, col. 402: egli del resto dichiara esplicita-
mente che Jean de France, protagonista dell’omonima commedia, è una satira di questo
personaggio.
699
In ambito teatrale si possono citare anche i nomi di Erik Wrangel (1686-1765),
Reinhold Gustaf Modée (1698-1752), Olof Celsius il Giovane (den yngre, vd. nota
429), Johan Stagnell (1711-1795) ed Eric Brander (Skjöldebrand, dopo la concessione
della dignità nobiliare, 1722-1814); le loro opere tuttavia non vanno al di là di un
volonteroso esercizio letterario.
700
Vd. p. 816.
701
Questa sua affermazione incontrò la decisa opposizione del filosofo Jens Kraft
(vd. p. 786), suo collega all’Accademia di Sorø che difendeva la supremazia delle
scienze naturali.

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I princìpi della modernità 835

sentimento del Nord. Ma anche i ‘gustaviani’: Johan Gabriel Oxen-


stierna (1750-1818), poeta della natura, Carl Gustaf af Leopold
(1756-1829) difensore dell’estetica classica, Anna Maria Lenngren
(nata Malmstedt, 1754-1817), abile in modo particolare negli epi-
grammi satirici e, soprattutto, Johan Henric Kellgren (1751-1795),
unico membro dell’Accademia svedese a non possedere un titolo
nobiliare, versatile scrittore e critico, promotore (1787) della socie-
tà Pro sensu communi che avrebbe dovuto difendere le ‘ragioni
della ragione’ contro il diffondersi di forme di irrazionale
spiritualità,702 fautore dell’impegno sociale dello scrittore.703
Ma nel Nord la riconsiderazione del valore intrinseco della poe-
sia è dovuta anche alla presenza in Danimarca del celebre poeta
tedesco Friedrich Gottlieb Klopstock (1724-1803), trattenutosi a
lungo nel Paese grazie al sostegno finanziario della Corona e, pro-
babilmente, tra i fondatori della Società del gusto.704 Il suo influsso
sulla letteratura (in primo luogo danese ma non solo) sarebbe
stato fondamentale: non si dimentichi tra l’altro che Klopstock era
stato ospite del critico svizzero Johann Jakob Bodmer (1698-1783)
che insieme a Johann Jakob Breitinger (1701-1776) si era opposto
alla supremazia francese in letteratura rivalutando piuttosto i model-
li inglesi. La sua lezione sarebbe stata accolta da un poeta norve-
gese come Peter Christopher Stenerson (1723-1776) ma, soprat-
tutto, da Johannes Ewald (1743-1781), profondo innovatore della
letteratura danese che con lui romperà di fatto i vincoli del classi-
cismo. Prosatore, poeta, drammaturgo e commediografo, capace
di coniugare le declinanti correnti settecentesche per indirizzarle
verso un deciso preromanticismo, egli cercò motivi ispiratori nelle
tematiche dell’attualità così come nella Bibbia e nel patrimonio
eroico-leggendario della nazione riportato in Saxo grammaticus.705
I suoi seguaci si raccolsero nella Società letteraria danese contro la
quale montò la polemica critico-letteraria degli aderenti alla Società
702
Non si dimentichi l’attacco portato da Kellgren a Swedenborg (vd. nota 397).
La società Pro sensu communi fu fondata da Kellgren insieme con Nils von Rosenstein
(1752-1824), funzionario e filosofo, figlio del celebre medico (vd. p. 783 con nota 455);
essa rimase tuttavia sostanzialmente circoscritta a loro. Un’altra associazione di cui
Kellgren fece attivamente parte (ma della quale non si sa molto) è il cosiddetto Ordi-
ne dei francescani (Franciskanerorden), fondato nel 1780 o 1781 allo scopo di contra-
stare ogni forma di fanatismo e irrazionale pregiudizio.
703
Qui meritano una citazione anche le figure di Carl Gustaf Tessin (vd. p. 702 con
nota 105 e p. 848) e Anders Johan von Höpken (1712-1789), rappresentanti di una
nobiltà che ricopre importanti incarichi politici ma dedica una buona parte del proprio
tempo alla cultura e alla letteratura.
704
Vd. p. 816.
705
Vd. pp. 322-323.

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836 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

letteraria norvegese706 (in sostanza difensori dell’estetismo classico


di impronta francese versus i fautori del modello tedesco), il che
ben testimonia la misura del dibattito. Sulla soglia del preroman-
ticismo resta Christian Braunmann Tullin (1728-1765), celebrato
poeta norvegese vincitore di premi della Società del gusto, che in
un elegante stile rococò si mostra capace di combinare la tradizio-
ne (è autore soprattutto di poesia d’occasione) con un nuovo
sentimento della natura.707
E tuttavia, se si deve ricercare un poeta tanto innovativo quanto
indipendente da circoli letterari bisognerà volgersi alla lettura dei
versi dello svedese Carl Michael Bellman.708 Precursore dei poeti-
musicisti che tanto successo riscuoteranno nel Nord (e, per diver-
si aspetti, anche dei moderni cantautori), fu – per lo meno da
principio – considerato estraneo al raffinato gusto dei letterati
gustaviani.709 Benché godesse del sostegno del sovrano, fosse assai

706
Per queste società letterarie vd. rispettivamente p. 829 e p. 721.
707
Cfr. p. 821.
708
Nato nel 1740 nella zona sud di Stoccolma, Bellman apparteneva a una famiglia
di origine tedesca che lo allevò secondo un’educazione rigidamente luterana ma gli
fornì anche un precettore, Claes Ludvig Ennes (1727-1791) uomo di grande prepa-
razione e poeta, che lo istruì in diverse discipline (retorica, emblematica, lingue
straniere, composizione, musica e metrica). Il poeta non mancherà di riconoscergli
grandi meriti. Assunto nel 1757 presso la banca statale e iscritto all’Università di
Uppsala, egli si dimostrò tutt’altro che ligio al dovere, dedicando gran parte del suo
tempo al divertimento e alla musica. Divenne così un abilissimo suonatore di cetra,
ma fu licenziato e si ritrovò pieno di debiti. Questa situazione (aggravata da una
malattia del padre) si ripercosse sulla famiglia che fu costretta a trasferirsi in cam-
pagna. Carl Michael volle comunque tornare a Stoccolma dove cominciò a compor-
re le prime canzoni. Di certo non conduceva una vita agiata né, tantomeno, regolare,
tuttavia una canzone composta in onore di Gustavo III, Alla salute, 30 maggio 1771
(Skål, den 30 Maj 1771: in Carl Michael Bellmans Skrifter, Standardupplaga utgiven
av Bellmanssällskapet, Dikter till Gustaf III och Konungahuset, Stockholm 1938, N:o
4., p. 8), divenuta molto popolare gli procurò il favore del sovrano e una certa sta-
bilità economica. Le sue composizioni ora lo avevano reso celebre (seppure non
mancassero ottuse critiche alla sua arte da taluni considerata sconveniente). Nel 1777
Bellman sposò Luisa Federica (Lovisa Fredrika) Grönlund (1755-1847) dalla quale
ebbe quattro figli. La scarsa propensione per gli impegni di lavoro, trascurati per
dedicarsi alla poesia e alla musica, determinò un progressivo peggioramento della
sua posizione economica. Dopo l’assassinio del suo protettore Gustavo III (vd. p.
706) la sua situazione si fece assai critica. Sommerso da debiti e denunce dovette
subire l’arresto e fu imprigionato nel carcere del castello reale. Sebbene venisse
liberato grazie all’interessamento di alcuni amici, la sua salute ne risentì pesantemen-
te e nel 1795 morì a causa della tubercolosi.
709
Il poeta Kellgren, arbitro del gusto dell’epoca, aveva inizialmente riservato una
severa critica a questi componimenti nello scritto satirico I miei dileggi (Mina Löjen,
in JHKS I, pp. 113-123, p. 121 in particolare) salvo poi rivalutarli al punto di scrivere

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I princìpi della modernità 837

popolare e le sue composizioni divenissero una gradita forma di


intrattenimento anche nei migliori salotti, egli rimane una figura
isolata e per certi versi schiva (si dice che gli ci volesse qualche
bicchiere per dare la stura al suo estro poetico). Eppure Bellman
fu capace (seppure si richiami a Lucidor e Dalin710 e riprenda
modelli francesi) di proporre un’arte innovativa, esercitandosi
dapprima in felici parodie e caricature per poi ispirarsi al mondo
della gente comune, alla vita reale lontana dai fasti della corte e
dalle ricercatezze dei ceti elevati (si vedano i Canti di Fredman).711
I personaggi che animano le sue Epistole di Fredman (Fredmans
Epistlar, pubblicate la prima volta nel 1790)712 sono tratti dai quar-
tieri degradati di Stoccolma (ben riflesso vi è il contesto di decadi-
mento morale, economico e sociale della Svezia al tramonto della
cosiddetta “era della libertà”),713 dalle taverne e dai bordelli in cui
le uniche gioie sono dispensate da Bacco714 e da Venere (con un

la Prefazione (Företal) all’edizione delle Fredmans epistlar (di cui poco oltre) del 1790
(pp. vii-xii, riportata anche in JHKS I, pp. 411-415).
710
Sui quali vd., rispettivamente, p. 611. pp. 797-798 e pp. 802-803.
711
Nei Canti di Fredman (Fredmans sånger, 1791) sono raccolti sessantacinque
componimenti scritti da Bellman lungo tutto l’arco della vita, una selezione assai
limitata dei testi non compresi nelle Fredmans Epistlar (di cui subito dopo). Essi
rappresentano dunque tutti i generi in cui l’autore si era esercitato (parodia bibli-
ca, canzone bacchica, poesia sulla natura). Un’opera assai utile (benché la critica
le abbia riservato minor attenzione rispetto alle Epistole di Fredman) per delinea-
re la parabola artistica di questo autore. Il nome Fredman fa riferimento a Jean
Fredman (1712 o 1713-1767), orologiaio di corte assai noto a Stoccolma che finì
in rovina dopo aver sperperato il patrimonio della moglie (poi morta) ed essere
caduto preda dell’alcolismo. In realtà nei Canti di Fredman egli compare solo in
poche occasioni, ma il titolo della raccolta è presumibilmente dovuto alla scelta
dell’editore di proporre un volume in continuità con le Epistole di Fredman uscite
l’anno precedente.
712
La raccolta comprende ottantadue canzoni. Il termine ‘epistole’ contiene,
secondo le regole della parodia, una allusione di carattere religioso, volendo Bellman
(almeno inizialmente) fare di Fredman una sorta di ‘apostolo’ da contrapporre a San
Paolo.
713
Si veda Schück H., “Stockholm på Bellmans tid”, in Bellmansstudier (1924), pp.
9-38.
714
 Al fine di parodiare i diversi ‘ordini’ tanto di moda al tempo, Bellman fondò nel
1766 il cosiddetto Ordine di Bacco (Bacchi orden) nel quale venivano accolti individui
allo sbando cui non era rimasta altra consolazione se non quella di affogare i problemi
nell’alcol. Legata a ciò è, in particolare, l’opera dal titolo Il tempio di Bacco aperto per
la morte di un eroe (Bacchi Tempel öppnat vid en Hiältes död, 1783), rielaborazione di
uno scritto precedente, nella quale una complicata parodia mitologica (e religiosa)
ripropone ancora una volta un quadro della vita degli emarginati in una Stoccolma
decadente. Ispirata al Bacchi orden fu la società che ebbe nome Par Bricole, creata nel
1779 da Olof Kexél (sul quale cfr. nota 671). Il nome della società, tuttora esistente,
viene inteso come “d’improvviso”, sebbene in realtà la sua traduzione precisa sia “di

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838 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

originale uso della mitologia ‘applicata’ ai diversi personaggi) e


dove l’allegria si intreccia alla miseria che spinge a godere edoni-
sticamente e spontaneamente dell’attimo che fugge, sempre incal-
zati dall’ombra della morte, quasi ricercata in una sorta di autodi-
struzione. Figure che Bellman, padroneggiando appieno ogni
raffinatezza stilistica sapientemente combinata con la musica, ha
reso immortali.715 Per lungo tempo la ‘canzone d’autore’ non avreb-
be conosciuto interpreti al suo livello.716
La letteratura di viaggio e quella topografica rispondono (ripren-
dendo un genere che fin dal secolo precedente conosce opere di
un certo rilievo) alla grande ‘apertura di orizzonti sul mondo’
tipica del Settecento. In Svezia al già citato Linneo717 si affiancano
nomi come quello di Jacob Wallenberg (1746-1778) prete di bordo
e autore di Mio figlio sulla galea (Min son på galejan, 1781), fresco
e umoristico resoconto di un lungo e avventuroso viaggio per mare;718
di Pehr Kalm, viaggiatore in America719 di Carl August Ehrensvärd
(1745-1800), discepolo del celebre archeologo e storico dell’arte
Johann Joachim Winckelmann (1717-1768), che dalle sue esperien-
ze trae il resoconto dal titolo Viaggio in Italia (Resa till Italien, 1780,
1781, 1782, uscito nel 1786) e insieme la convinzione, espressa
anche in altre opere, della superiorità artistica del mondo meridio-
nale rispetto a quello nordico. Proprio alla vigilia di un’epoca che
avrebbe volentieri rovesciato il giudizio.720 In Danimarca Il labirin-
to, ovvero viaggio attraverso la Germania, la Svizzera e la Francia
(Labyrinten, eller Rejse gennem Tyskland, Schweiz og Frankrig,
1792-1793) di Jens Baggesen (1764-1826), anche poeta e critico,
sfrutta la traccia della descrizione di viaggio per creare una prosa
moderna, mutevole ed elegante, psicologica e di stile impressioni-

rimbalzo” (in riferimento alla terminologia del biliardo). Di essa fece parte anche il
celebre poeta Kellgren (vd. p. 835).
715
Le melodie che accompagnano le canzoni di Bellman sono tratte da composito-
ri noti ma anche da temi popolari e, talvolta, rielaborate (forse composte) da lui stesso.
Insieme a Bellman, seppure molto lontano per i risultati artistici, si può qui ricordare
il norvegese Jens Zetlitz (1761-1821) autore di vivaci componimenti conviviali (su di
lui Breen E., Jens Zetlitz. Et tohundreårsminne, med et utvalg av Jens Zetlitz’ dikt, Oslo
1990). Ma anche altri autori si dedicarono a questo genere (come Peter Andreas
Heiberg, su cui cfr. p. 811).
716
Tra gli imitatori di Bellman Samuel Olof Tilas (1744-1772) e Olof Rudbeck
(1751-1777), nipote del celebre omonimo goticista (vd. pp. 582-584 e pp. 630-631).
717
Vd. p. 780.
718
Su di lui Stålmarck T., Jacob Wallenberg. Ostindiefarare, Präst, Författare, 1746-
1778, Stockholm 1995.
719
Vd. p. 783.
720
Vd. paragrafo successivo.

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I princìpi della modernità 839

sta, mentre altri ancora si dedicano alla letteratura topografica (si


ricordi l’Atlante danese di Pontoppidan).721 Nell’ambito della pro-
sa meritano una citazione anche scrittori di romanzi: i danesi Ema-
nuel Balling (1733-1795), Sophie Louise Charlotte Baden (1740-
1824) e Knud Lyhne Rahbek (autore di un ciclo di romanzi politici);722
gli svedesi Jakob Henrik Mörk (1714-1763) e Hans Gustaf Rålamb
(1716-1790)723 e i numerosi memoriali di persone appartenenti alle
classi elevate che spesso risultano utili anche al fine di delineare il
quadro storico-culturale del periodo.724
L’illuminismo, come si è già avuto modo di osservare, era giun-
to anche nella lontana e martoriata Islanda per il tramite di stu-
diosi che avevano avuto la possibilità di completare la propria
formazione all’estero (in primo luogo in Danimarca) venendo così
in contatto con le nuove correnti culturali. E dunque, pur di
fronte ai gravissimi problemi del Paese, non desta meraviglia il
fervore dell’attività letteraria. Poeti di spicco sono Páll Vídalín725
che compone sia in islandese sia in latino; Þorlákur Þórarinsson
(1711-1773), celebre per i versi di carattere profano;726 Eggert
Ólafsson727 che nel suo Poema sulla vita campestre (Búnaðarbálkur,
1783) offre una immagine idealizzata del contadino islandese;728
Jón Þorláksson (1744-1819) versificatore e traduttore di Milton,

721
Vd. nota 418. Il culmine di questi studi si avrà con i lavori di Jens Peter Trap
(1810-1885) che produrrà una vastissima e dettagliata descrizione statistico-topogra-
fica della Danimarca (prima edizione 1856-1860), cui si aggiungeranno (1861-1864)
due volumi sullo Schlesvig (l’edizione più recente in B.1) e di Jens Edvard Kraft (1784-
1853) che redigerà una monumentale Descrizione topografico-statistica sul regno di
Norvegia (Topografisk-statistik Beskrivelse over Kongeriget Norge) pubblicata in sei
volumi tra il 1820 e il 1835.
722
Cfr. p. 805, nota 557 e p. 918, nota 246.
723
Sul primo, considerato il fondatore del romanzo svedese, vd. Stålmarck T., Jacob
Mörk – Studier kring våra äldsta romaner, Stockholm 1974.
724
Una citazione particolare merita lo svedese Samuel Ödmann (1750-1829), orien-
talista, salmista e studioso della natura che sa tradurre in immagini assai efficaci il
senso del paesaggio e della cultura del suo Paese.
725
Cfr. p. 723.
726
La raccolta dei suoi componimenti è nota come Libretto di Þorlákur (Þorlákskver).
Essa fu pubblicata una prima volta a cura di Hálfdan Einarsson (su cui poco oltre)
nel 1775 (Nockur liod-mæli), ma in tale occasione i versi di carattere profano furono
tralasciati. Essi saranno invece compresi nell’edizione del 1858 curata da J. Pjetursson
ed E. Jónsson (Ljóðmæli. Ný útgáfa, stórum aukin, endurbæætt og löguð, Reykjavík
1858).
727
Vd. p. 726, p. 823 con nota 646 e p. 945. Su di lui si rimanda in primo luogo a
“Eggert Ólafsson, skáld og náttúrufræðingur”, in BR, pp. 57-60.
728
Si tenga presente che in islandese il termine Búnaðarbálkur traduce il latino
Georgica.

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840 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

Pope, Klopstock e Tullin.729 Un particolare interesse meritano


inoltre Le veglie serali (Qvøld-vøkurnar, 1796-1797) del vescovo
Hannes Finnsson730 scritte allo scopo di fornire una lettura che
sostituisse i racconti della tradizione (ritenuti dannosi perché infar-
citi di credenze pagane ed esseri sovrannaturali) e contribuisse
così al buon ‘nutrimento delle anime’.731 Anche in Islanda si svi-
luppa una prosa a carattere autobiografico (si ricordi Jón
Steingrímsson),732 di resoconto di viaggio (è il caso di Árni Magnús-
son di Geitastekk, nato nel 1726 e morto presumibilmente tra il
1810 e il 1820, e di Eiríkur Björnsson, 1733-1791, entrambi
giunti fino in Cina) o romanzesco che si ispira a modelli stranieri
(tra gli altri Jón Oddsson Hjaltalín, 1789-1836). Il primo roman-
ziere islandese è considerato Eiríkur Laxdal (1743-1816). Il gover-
natore distrettuale (sýslumaður)733 Sigurður Pétursson (1759-1827)
è ricordato come fondatore del teatro islandese, in ciò influenza-
to da Holberg che aveva conosciuto negli anni di studio a Cope-
naghen.734 A Hálfdan Einarsson (1732-1785) detto “Maestro
Hálfdan” (meistari H.), rettore della scuola di Hólar, si devono
infine i Lineamenti di storia letteraria islandese (Sciagraphia histo-
riæ literariæ Islandicæ, 1777).735
729
Su di lui vd. Stefánsson S., Jón Þorláksson – þjóðskáld Íslendinga. Æfisaga,
Reykjavík 1963 e anche “Jón Þorláksson, prestur og skáld”, in BR, pp. 73-76.
730
Vd. p. 724, nota 201.
731
Nell’introduzione (I, p. xxiii) egli spiega chiaramente il suo intento definendo il
patrimonio letterario tradizionale un “nutrimento malsano per l’anima” (“óheilnæm
andarfæða”), al contempo rallegrandosi del divieto relativo alle danze e al vikivaki (vd.
p. 524, nota 220; cfr. p. 858 con nota 833).
732
Vd. p. 725 e nota 205.
733
Vd. p. 387.
734
Per la verità la prima opera teatrale islandese è la commedia Sperðill (1760 circa)
di Snorri Björnsson di Húsafell (1710-1803) della quale tuttavia non si sa se fu mai
rappresentata. Successivamente Geir Vídalín (1761-1823), dal 1801 primo vescovo di
Reykjavík, scrisse un testo dal titolo La ricompensa per il salvataggio (Bjarglaunin,
verosimilmente del 1790; l’opera è nota anche con il titolo di Brandur). A Sigurður
Pétursson, poeta e autore di due commedie (Hrólfur e Narfi, entrambe rappresentate
nel 1799), va tuttavia il merito di aver prodotto opere artisticamente mature. Su di lui
si veda “Sigurður Pétursson, sýslumaður og leikritahöfundur”, in BR, pp. 77-80 e
Jónsson F., “Sigurður Pjetursson, 1759-1827”, in Ársrit Hins íslenska fræðafélags, IX
(1927-1928), pp. 34-73.
735
Una precedente ‘storia letteraria’ riferita agli autori del XVI e XVII secolo era
stata redatta da Páll Vídalín (cfr. p. 723) che aveva compilato una Elencazione dei poeti
e degli scrittori islandesi di questo secolo e del precedente (Recensus poetarum et scriptorum
Islandorum hujus et superioris seculi), opera che egli non riuscì a completare e della
quale possediamo solo parti comprese in altri scritti o tradotte in islandese; essa era,
quantomeno, nota a Hálfdan Einarsson (vd. Sæmundsson M.V., “Fyrsta bókmennta-
sagan”, in Myndir á sandi. Greinar um bókmenntir og menningarástand, Reykjavík 1991,

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I princìpi della modernità 841

Da Canto per un pasto (Måltids sång) di Carl Michael Bellman:

“E così poco a poco trotterelliamo via


Dal chiasso e dal tumulto di Bacco,
Quando la morte chiama, Amico vieni,
Ormai la tua clessidra si è riempita.
Tu Vecchio lascia cadere il bastone,
E tu, tu Giovane, obbedisci alla mia legge,
La Ninfa più bella che ti sorride
Prendila fra le braccia.
Se pensi che la tomba sia troppo profonda,
Beh, fatti comunque un bicchierino,
Poi fattene anche un altro, due, tre,
Così morirai più contento.”736

10.5.3. Preromanticismo e impulsi letterari di ritorno

In Scandinavia, come altrove, il preromanticismo nasce e si


sviluppa sulla falsariga dei modelli tedeschi e inglesi. Di Klopstock
(e del suo influsso su Ewald ma non solo) s’è detto. Ma sono natu-
ralmente anche Herder, Goethe, Schiller e Tieck i maestri del
nuovo gusto letterario germanico. Quanto agli inglesi è del tutto
evidente il fascino esercitato dai Canti di Ossian dello scozzese
James Macpherson737 così come l’influsso di Edward Young (1683-
1765) e James Thomson (1700-1748) e degli immortali Shakespeare

pp. 130-137 e Jensson G.Þ., “Hversu mikið er nonnulla? Recensus Páls Vídalíns í
Sciagraphiu Hálfdans Einarssonar”, in Ritmennt. Ársrit Landbókasafns Íslands –
Háskólabókasafns, V [2000], pp. 112-130). A Hálfdan Einarsson si deve la scelta di
includere una composizione di Guðný Guðmundsdóttir (nata nel 1660 ca.) dal titolo
Sospiro quotidiano dell’anima timorata di Dio (Daglegt Andvarp gudhræddrar Sælar nel
Libro islandese dei salmi (Islendsk Psalma-Book) pubbicato nel 1772 (testo alle pp.
240-241): è questa la prima volta in cui in Islanda viene pubblicato il lavoro di una
donna (in generale sulla ‘rinascita’ della letteratura femminile in Islanda vd. Hughes
S.F.D., ”The Re-emergence of Women’s Voices in Icelandic Literature, 1500-1800”,
in Anderson S.M. – Swenson K., Cold Cousel. Women in Old Norse Literature and
Mythology, New York-London 2002, pp. 93-128). Si ricordi infine che Hólar era tra-
dizionalmente un importantissimo centro culturale nel quale era in funzione l’antica
stamperia. Essa avrebbe poi cessato l’attività nel 1799 dopo più di duecento anni (cfr.
p. 510).
736
Da Fredmans sånger; DLO nr. 157.
737
In danese l’opera risulta tradotta una prima volta in prosa da Andreas Christian
Alstrup (1763-1821), Ossians Digte, I-II, Kiøbenhavn 1790-1791. Ben più noto è

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842 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

e Milton.738 Le nuove generazioni di autori, per più di un verso


ancora legate alle regole stilistiche del classicismo, si aprono ora a
una nuova sensibilità che prepara la strada al movimento romanti-
co (il quale, come si vedrà, troverà nei Paesi nordici applicazioni
diversificate). Nomi di riferimento sono, oltre ai già citati danesi
Ewald e Baggesen,739 i norvegesi Fasting740 e Peter Harboe Frimann
(1752-1839) che sarà molto apprezzato dai romantici;741 gli svede-
si Bengt Lidner (1757-1793), autore di poesia sentimentale e pregna
di fantasia, Thomas Thorild (1759-1808)742 difensore del diritto
dello scrittore a crearsi regole artistiche proprie, coinvolto in
fiera polemica con l’illuminista Kellgren (ma anche con Leopold)743

tuttavia il lavoro pubblicato in due volumi a Copenaghen da Steen Steensen Blicher


(vd. p. 916) tra il 1807 e il 1809 (Ossians Digte). In svedese, a parte la versione di
qualche singolo brano (vd. Schück – Warburg 19853 [B.4], IV, pp. 197-202 e Graves
2004, pp. 198-204), la prima traduzione apprezzabile è Skaldestycken af Ossian
uscita in tre volumi a Uppsala tra il 1794 e il 1800, curata da Gustaf Knæs (1773-
1828), Olof Andersson Knös (1756-1804) e Gustaf Rosén (1772-1735). A essa
seguirà tra il 1842 e il 1846 l’edizione di Nils Arfvidsson (1802-1880) che come
specifica il titolo è condotta sul testo gaelico (Oisians sånger, efter gaeliska originalet
och på dess vers-slag försvenskade, I-II, Stockholm). In Norvegia Ossian sarà intro-
dotto da Claus Fasting nei suoi Fogli provinciali (vd. p. 808 con nota 550) men-
tre il primo islandese che lo prenderà in considerazione (in relazione al pagane-
simo nordico) sarà il professor Finnur Magnússon (1781-1847) nel saggio in lingua
danese dal titolo Tentativo di spiegazione di alcuni passi di Ossian, riguardanti
in particolare il paganesimo della Scandinavia (Forsøg til Forklaring over nogle
Steder af Ossians Digte, mest vedkommende Skandinaviens Hedenhold, København
1814; vd. B arnaby 2004, p. xli). Più tardi poeti come Bjarni Thorarensen e Jónas
Hallgrímsson (vd. p. 946 e p. 948) ma anche Grímur Thomsen (vd. p. 953, nota
13 e p. 1076 con nota 491) e Steingrímur Thorsteinsson (vd. p. 1076 con note
491-492) ne tradurranno alcune parti. Il tema diverrà anche argomento di studi
critici e motivo ispiratore nell’arte figurativa: si pensi in primo luogo al pittore
danese Christian Gottlieb Kratzenstein-Stub (di cui a p. 849); vd. C h. C hristen-
sen , “Ossian-illustrationer i Danmark”, in Fund og Forskning, XIX (1972), pp.
7-32.
738
Uno dei primi a risentire di questa nuova atmosfera fu lo svedese Gudmund
Göran Adlerbeth (1751-1818), autore neoclassico coinvolto nelle iniziative teatrali
di Gustavo III ma, al contempo, interessato a Ossian, a Young e all’antica poesia
nordica.
739
Vd. p. 835 e pp. 838-839 rispettivamente.
740
Vd. p. 722, p. 808 e p. 821.
741
Anche il fratello Claus (1764-1829) fu autore e poeta, la sua opera tuttavia è
assai meno segnata dal preromanticismo e ha un taglio, si potrebbe dire, quasi rea-
listico.
742
In realtà il cognome di famiglia era Thorén, ma nel 1785 egli lo mutò in Tho-
rild, cioè Thors eld “fuoco di Thor” per esprimere il suo carattere ‘incendiario’. Su
di lui vd. Nilsson A., Thomas Thorild. En studie över hans livsåskådning, Stockholm
1915.
743
Vd. p. 835.

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I princìpi della modernità 843

e affascinato dal goticismo; l’ecclesiastico finno-svedese Frans


Michael Franzén (1772-1847) ispirato da un idealismo al contem-
po estetico e religioso.
In questo clima lo sguardo si rivolge verso il Nord, inteso come
spazio privilegiato di una natura possente, libera e indomabile
(caratteristiche riflesse nel temperamento dei suoi abitanti):744
territorio al contempo geografico, estetico e spirituale apertamen-
te contrapposto al meridione. Nel paesaggio scandinavo e nelle
vicende degli eroi che la tradizione vi ha collocato i romantici
troveranno ideale fonte di ispirazione.745
I nordici tornavano dunque a riconsiderare il proprio passato.
Una riconsiderazione basata, come in parte già si è osservato, su
una visione storico-culturale in notevole misura distorta,746 ma che
– con buona pace dei cultori di rigorosi studi storici e filologici – a
lungo condizionerà (non solo in Scandinavia!) la visione di quel
mondo. Non che, per quanto tramontato il goticismo, si fosse
tralasciato di pubblicare i testi medievali747 o di studiare le ‘anti-
chità’.748 Ora però quella materia trovava larga diffusione (e pote-
va dunque esercitare un profondo influsso) anche su scala europea.
Il tutto era cominciato, per così dire, con l’opera del ginevrino Paul
Henri Mallet (1730-1807). Professore di letteratura francese all’Uni-
versità di Copenaghen (dove rimase fino al 1760) egli aveva pub-
blicato, nel breve volgere di un biennio, due scritti da questo
punto di vista fondamentali: l’Introduzione alla storia della Dani-
marca, in cui si tratta della religione, delle leggi, degli usi e costumi
degli antichi Danesi (Introduction à l’Histoire de Dannemarc, ou
l’on traite de la religion, des loix, des moeurs et des usages des anciens
Danois, 1755) e i Monumenti della mitologia e della poesia dei
Celti, e particolarmente degli antichi Scandinavi: come supplemento
e testimonianza all’introduzione alla storia della Danimarca749 (Monu-
744
Il che seppure certamente si richiami a Rousseau appare già anticipato nella
descrizione dell’uomo nordico fatta da Olaus Magnus (vd. pp. 581-582).
745
Questa tendenza trova del resto collegamenti anche con gli studi storici: basti
pensare a Peter Frederik Suhm (vd. pp. 792-793) che non aveva mancato di suscitare
un rinnovato interesse per la mitologia nordica.
746
Vd. 9.2.1.
747
Ancora nel Settecento Snorri Sturluson e Saxo grammaticus vengono conside-
rati punti di riferimento imprescindibili e le loro opere riedite in forma rielaborata;
vd. Jørgensen 2005 (C.9.2), p. 6 e Skautrup 1944-1968 (B.5), III, pp. 153-155.
748
Si citino qui almeno i danesi Thomas Broder Bircherod (1661-1731) e Otto
Sperling (1634-1715) e gli svedesi Eric Julis Biörner (cfr. p. 592 e p. 795, nota 500) e
Johan Göransson (cfr. p. 794 con nota 492).
749
Qui Mallet incorre nell’errore, ancora assai comune all’epoca, di considerare
Celti e Germani come appartenenti a un’unica tradizione culturale: errore che Thomas

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844 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

ments de la mythologie et de la poésie des Celtes, et particulièrment


des ancien Scandinaves: pour servir de supplement et de preuves à
l’introduction à l’histoire de Dannemarc, 1756).750 Certo, in prece-
denza, il frutto del lavoro degli umanisti nordici non era fuori dai
confini della Scandinavia del tutto ignorato: ora però esso veniva
reso disponibile in una lingua di grande diffusione. I lavori di
Mallet non mancarono di attirare l’attenzione ed ebbero notevole
diffusione: lo scrittore inglese Thomas Percy (1729-1811) ne tras-
se presto ispirazione con il preciso scopo di stimolare l’interesse
verso la letteratura nordica e sottolineare l’amore per la poesia
delle popolazioni scandinave,751 ma volle anche estendere i ‘valori
nordici’ alle antichità del suo Paese. Similmente il suo connazio-
nale Thomas Gray (1716-1771) ne fu certamente influenzato,
sicché le sue Odi nordiche (Norse Odes, composte nel 1761 ma
pubblicate solo nel 1768) costituiscono un’ulteriore testimonianza
di quel clima letterario preromantico che guardava alla Scandina-
via e al mondo celtico (tutt’altro che chiaramente distinti) come a
sorgenti incontaminate di una nuova poesia. E non si dimentichi
che dal 1760 uscivano i volumi del ciclo di Ossian! Il mondo cul-
turale europeo dunque disponeva ora di fonti (per quanto mani-
polate) cui attingere direttamente. Nei Monuments di Mallet era
compresa una traduzione parziale dell’Edda di Resen;752 essa fu
‘riversata’ in inglese nel 1770 quando Percy stesso pubblicò ano-
nimamente le Antichità nordiche (Northern Antiquities): un lavoro
che, in sostanza, riprende l’opera dell’autore ginevrino. In tedesco
una traduzione anonima dell’opera di Mallet (che comprendeva i
medesimi Monuments e l’Histoire) apparve tra il 1765 e il 1779 con
introduzione di Gottfried Schütze (1719-1784),753 convinto asser-
tore della superiorità del mondo nordico su quello greco e romano;
gli scritti di Schütze, rettore del ginnasio di Altona (presso Ambur-
go), avrebbero profondamente influenzato durante gli anni di

Percy (su cui poco oltre) confuterà puntualmente nella prefazione alle Antichità
nordiche.
750
Queste due opere saranno seguite dalla vera e propria Storia della Danimarca
(Histoire de Dannemarc), in sei volumi, dei quali esse costituiscono le prime due
parti. Su Mallet vd. Stadler H., Paul-Henri Mallet 1730-1807, Lausanne 1924.
751
Nacquero così i Cinque brani di poesia runica tradotti dalla lingua islandese (Five
Pieces of Runic Poetry Translated from the Icelandic Language, 1763). L’opera non ebbe
tuttavia immediato successo (sfavorevole era il paragone con l’Ossian di Macpherson)
ma fu rivalutata qualche anno dopo.
752
Vd. p. 587.
753
Herrn Professor Mallets Geschichte von Dänemark, I-III, Rostock und Greifswald,
1765-1779.

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I princìpi della modernità 845

studio in quell’istituto Heinrich Wilhelm Gerstenberg (1737-1823)


a sua volta antesignano dei preromantici e vissuto diversi anni in
Danimarca, dove tra l’altro introdusse l’opera di Percy e di Macpher-
son. Nel 1777 fu pubblicata l’Edda islandese (Die isländische Edda)
curata da Jacob Schimmelmann (1712-1778) che seguiva pedisse-
quamente Mallet e, a ritroso, Resen.754 Un’edizione molto criticata
che tuttavia dimostra quanto l’interesse per la materia letterario-
mitologica nordica fosse ampio e consolidato. Dal che il nuovo
‘goticismo’ nordico avrebbe tratto sostegno e consenso. Con tutte
le conseguenze culturali che ne sarebbero seguite.

10.6. Arti figurative e musica

In Danimarca e Svezia, entrambe ancora in posizione privile-


giata rispetto agli altri Paesi nordici, il mondo dell’arte si apre
nel Settecento al trionfo dei modelli artistici francesi (e, per quel
tramite, anche italiani) che prendono il posto degli olandesi cui
si era guardato nel secolo precedente. L’ambizione dei reali si
manifesta innanzi tutto in grandiosi progetti architettonici il cui
scopo è emulare la magnificenza degli originali. Il primato delle
capitali, Copenaghen e Stoccolma, viene così definitivamente
legittimato anche dal punto di vista urbanistico. A Copenaghen,
come si è detto, il re Cristiano VI aveva fatto erigere il grande
castello di Christiansborg,755 un’opera cui aveva collaborato
l’architetto Nicolai Eigtved (Niels Madsen, 1701-1754).756 Nel
1749 Federico V, figlio di Cristiano, affiderà allo stesso Eigtved
la realizzazione della sua ‘città nella città’ (Frederiksstaden)757
collegando il progetto alla ricorrenza dei trecento anni dall’asce-
sa al trono della dinastia degli Oldenburg).758 Qui tra le case
costruite dai nobili e dai borghesi benestanti (secondo le rigide

754
Schimmelmann, che per altro non possedeva le conoscenze necessarie, cercò
tuttavia di dimostrare una sorta di armonia tra la Bibbia e l’Edda, libri che considerava
i più antichi del mondo.
755
Vd. p. 685 con nota 33.
756
Su di lui vd. Voss K., Arkitekten Nicolai Eigtved 1701-1754, København 1971.
757
Vd. Erichsen J., Frederiksstaden. Grundlæggelsen af en københavnsk bydel 1749-
1760, København 1972.
758
Come è stato detto (vd. p. 444) il primo sovrano di questa dinastia era stato nel
1448 Cristiano I.

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846 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

regole imposte dall’alto) troverà spazio un complesso in stile


rococò (che Eigtved aveva introdotto in Danimarca) in cui spic-
ca il celebre palazzo di Amalienborg, residenza reale dal 1794.759
Questi edifici, che ostentano appieno tutto il potere della monar-
chia assoluta, si inseriscono in una ‘linea costruttiva’ che risale
almeno a Cristiano IV e conosce altri magnifici esempi di dimo-
re prestigiose come il castello di Frederiksberg con il suo splen-
dido parco, opera barocca iniziata da Federico IV ma il cui
completamento venne affidato da Cristiano VI al celebre archi-
tetto autodidatta Laurids (Lauritz) Lauridsen de Thurah (1706-
1759).760 Al quale ultimo si devono altri edifici di tutto rilievo,761
ma anche opere grafiche di fondamentale importanza per la
storia dell’architettura di questo Paese come Il Vitruvio danese
(Den danske Vitruvius, 1746-1749),762 raccolta di incisioni che
raffigurano le principali realizzazioni architettoniche del regno
di Danimarca (compresi i ducati), e Copenaghen odierna (Hafnia
Hodierna, 1748) che ci conserva l’immagine della capitale così
come si presentava nel XVIII secolo. In un percorso estetico che
va dal barocco al rococò e al neoclassicismo e nel quale l’apporto
di artisti stranieri risulta fondamentale,763 verrà dunque forman-
dosi una nutrita schiera di architetti i cui nomi di spicco sono
(oltre ai sopra citati) quelli di neoclassicisti come Caspar Frederik
759
Il trasferimento della famiglia reale ad Amalienborg fu causato dalla distruzione
del castello di Christiansborg in seguito a un terribile incendio (cfr. nota 33). Su
questo complesso vd. Nørring O., Amalienborg, the royal palaces, chambers and gardens,
the royal Danish collections, Valby 2000.
760
Cfr. nota 33. Una citazione merita anche il piccolo castello Eremitagen nel parco
forestale di Dyrehaven a nord di Copenaghen, realizzato dallo stesso de Thurah in
stile tardo barocco. Vd. Weilbach F., Architekten Lauritz Thura, København 1924.
Nel 1702 era stato completato anche il Teatro dell’Opera (Operahuset) che tuttavia fu
utilizzato per quello scopo solo per un breve periodo. Attualmente esso ospita un
tribunale (Østre Landsret).
761
Fra gli altri: il castello di Hirschholm (presso Hørsholm nella Selandia setten-
trionale) destinato a residenza di campagna dei reali (demolito nel 1810); il palazzo
reale noto come “Palazzo giallo” (Det Gule Palæ) di Roskilde; i primi padiglioni del
Frederiks Hospital (cfr. nota 459) di Copenaghen.
762
Il titolo (che riprende un’idea dell’architetto scozzese Colen Campbell, 1676-
1729) fa chiara allusione a Marco Vitruvio Pollione (Marcus Vitruvius Pollio, ca.75-25
a.C.), autore della celebre De architectura.
763
Si citino qui il tedesco Elias David Häusser (o Haüsser; cfr. nota 33) che aveva
realizzato il primo progetto di Christiansborg; Philip de Lange (1704-1766), olandese
o forse tedesco, eclettico architetto al servizio della ricca borghesia, attivo a Copenaghen
ma non solo (a lui si deve la splendida residenza barocca di Glorup in Fionia); il fran-
cese Nicolas-Henri Jardin (1720-1799) che avrebbe introdotto il neoclassicismo in
Danimarca e, tra l’altro, avrebbe rinnovato proprio Glorup insieme al danese Christian
Joseph Zuber (1736-1802).

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I princìpi della modernità 847

Harsdorff (1735-1799) e Christian Frederik Hansen (1756-


1845).764
A Stoccolma il Settecento viene inaugurato dal progetto di
riedificazione del palazzo reale, dopo che l’antico Tre kronor era
andato distrutto nell’incendio del 1697.765 La costruzione, affida-
ta a Nicodemus Tessin il Giovane,766 si protrarrà a lungo (non da
ultimo per motivi economici) e sarà completata nel 1754. Da
allora il sovrano svedese e la sua famiglia vi hanno residenza uffi-
ciale. E tuttavia in questa città, pur in presenza di opere architet-
toniche assai apprezzabili (si consideri la chiesa fatta erigere da
Adolfo Federico, Adolf Fredriks kyrka), non si avverte (almeno
sino all’avvento di Gustavo III) un chiaro disegno architettonico.
Non che manchino artisti di valore, quali Carl Hårleman (1700-
1753), che introduce il rococò in Svezia (come si constata dalle
decorazioni interne del castello reale da lui curate dopo la morte
di Tessin),767 o Carl Fredrik Adelcrantz (1716-1796) cui si devono
tra l’altro il teatro e il padiglione cinese in stile rococò nel parco
del castello di Drottningholm così come il teatro del castello di
Ulriksdal.768 Ad Adelcrantz del resto Gustavo III commissionerà
l’Opera (Operahuset), destinata a essere teatro di rappresentazio-
ni musicali ma anche dell’attentato che lo porterà alla morte.769 Con
questo sovrano, personalmente coinvolto in svariati progetti cultu-
rali, l’architettura svedese opterà decisamente per il neoclassicismo
di impronta francese, sviluppando (seppure per molti versi paralle-
lamente al suo modello) un’impronta propria (si considerino costru-
zioni come il padiglione gustaviano nel parco di Haga,770 il palazzo
della Borsa (Börshuset) progettato da Erik Palmstedt (1741-1803),771

764
Vd. Lund H., C.F. Harsdorff, København 2007 e Raabyemagle H. – Smidt Cl.M.
(eds.), Classicism in Copenhagen. Architecture in the age of C.F. Hansen, photographs
by J. Lindhe, Copenhagen 1998.
765
Vd. p. 625 con nota 453.
766
Vd. p. 620 e p. 625.
767
Hårleman fu anche incaricato di ricostruire il castello di Uppsala (risalente ai
tempi di Gustavo Vasa) dopo l’incendio che aveva devastato la città nel 1702. Vd. Alm
G., Carl Hårleman och den svenska rokokon, Lund 1993.
768
È il teatro comunemente noto come Confidencen a motivo del fatto che nell’edi-
ficio vi era una sala in cui la famiglia reale poteva consumare i pasti in totale riservatez-
za. In precedenza la costruzione ospitava una scuola di equitazione (da cui il nome
Beridarehuset, cioè ”Casa dei cavalieri”) e una taverna. Vd. Fogelmarck S., Carl Fredrik
Adelcrantz. Ett gustavianskt konstnärsöde, Stockholm 1995.
769
Vd. p. 706 con nota 120. Cfr. p. 1098, nota 606.
770
Qui lavorò anche l’architetto del paesaggio Fredrik Magnus Piper (1746-1824).
771
Vd. Setterwall Å., Erik Palmstedt 1741-1803. En studie i gustaviansk arkitektur
och stadsbyggnadskonst, Stockholm 1945.

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848 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

la facciata del Palazzo della cancelleria (Kanslihuset) disegnata da


Olof Samuel Tempelman (1745-1816),772 ma anche le realizzazio-
ni di Jean Eric Rehn (1717-1793)773 e, in ultimo, di Carl Fredrik
Sundvall (1754-1831) cui si deve la biblioteca universitaria di
Uppsala, Carolina Rediviva (1819).774 Un percorso diverso è quel-
lo di Carl Georg Brunius (1792-1869), anche filologo e storico
dell’arte, il quale propugnava un ritorno ai modelli architettonici
medievali.
In un secolo che vede il fiorire di diverse accademie non man-
cano, naturalmente, quelle dedicate alle arti figurative. In Svezia
fin dal 1735 viene fondata per iniziativa di Carl Gustaf Tessin775 la
Reale accademia svedese delle belle arti (Kungliga Akademien för
de fria konsterna)776 mentre la Reale accademia danese della pittu-
ra, della scultura e dell’architettura di Copenaghen (Det Kongeli-
ge Danske Skildre-, Billedhugger- og Bygnings-Academie i Kiøben-
havn) prende l’avvio nel 1754.777 A queste istituzioni, natural-
mente aperte a maestri provenienti dall’estero (soprattutto
francesi),778 faranno riferimento nomi prestigiosi. L’intensa attivi-
tà di insegnamento e lo studio dei modelli stranieri (spesso in
occasione di viaggi in Francia e in Italia ma non solo) contribui-
scono alla formazione di una nutrita schiera di artisti nordici che
– per quanto restino fedeli ai canoni appresi dall’esterno – mostra-
no di averne al meglio assimilato le tecniche. Nel campo della

772
Su di lui vd. Berg Villner L., Tempelman. Arkitekten Olof Tempelman, 1745-
1816, Stockholm 1997. Un architetto di chiara impronta classicistica è Carl Wilhelm
Carlberg (1746-1814) attivo soprattutto a Göteborg, dove aveva lavorato anche il padre,
Bengt Wilhelm (1696-1778).
773
Vd. Wahlberg A.G., Jean Eric Rehn, Lund 1983.
774
Nel 1778 era stata demolita l’antica Academia carolina, edificio universitario che
doveva ospitare le raccolte dei volumi appartenenti all’ateneo. Per questo motivo,
quando la nuova (e attuale) biblioteca fu costruita essa ebbe nome Carolina Rediviva.
775
Vd. p. 702 con nota 105, cfr. nota 703.
776
Inizialmente Accademia del disegno (Ritareakademien).
777
Più tardi (1814) semplicemente Reale accademia delle belle arti (Det Kongelige
Academie for de skjønne Kunster). Essa è stata riorganizzata nel 1968. Un precedente
tentativo era stato fatto nel 1701 da un gruppo, di cui faceva parte il pittore di corte
Henrik Krock (1671-1738), che voleva costituire una Società degli artisti (Kunstner-
societet). Nel 1738 il pittore tedesco Johan Salomon Wahl (1689-1765), molto attivo
in Danimarca come ricercato ritrattista, aveva fondato la prima scuola d’arte danese
che può essere considerata il vero precedente dell’accademia.
778
Come Guillaume Thomas Rafael Taraval (1701-1750), cui si devono magnifiche
decorazioni nel castello di Stoccolma, Jacques-François-Joseph Saly (1717-1776),
autore della statua equestre di Federico V che si trova ad Amalienborg, e Nicolas-
Henri Jardin (cfr. nota 763).

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I princìpi della modernità 849

pittura la ritrattistica continua a occupare un posto di primissimo


piano, mentre si affina una raffigurazione paesaggistica che darà
frutti cospicui (e originali) nel secolo successivo. Fonte privilegia-
ta di ispirazione è anche la materia classica (non solo mitologica),
biblica e allegorica e, più tardi (in parallelo con gli sviluppi lette-
rari), le tematiche della tradizione celtica e nordica (scelta, questa,
alquanto dibattuta). Nomi di prestigio sono in Danimarca quelli
di Vigilius Eriksen (o Erichsen, 1722-1782) ritrattista di corte;
Nicolai Abraham Abildgaard (1743-1809) rettore dell’Accademia
e fratello del celebre veterinario Peter Christian;779 dei suoi allievi
Christian Fædder Høyer (1775-1855) e Christian Gottlieb Kratzen-
stein-Stub (1783-1816), influenzato dalle atmosfere preromantiche;
di Jens Juel (1745-1802), uno dei massimi pittori danesi;780 di Erik
Pauelsen (1749-1790), ritrattista e (soprattutto) pittore di paesag-
gi (uno dei pionieri in quest’arte), di Christian August Lorentzen
(1749-1828) ricercato ritrattista;781 di Asmus Jacob Carstens (1754-
1798) maestro del neoclassicismo. Una citazione merita anche
Peter Cramer (1726-1782), tra i pochi a ispirarsi a scene di vita
quotidiana e anche Johanne Marie Fosie (1726-1764), prima pit-
trice professionista danese. La ricca raccolta di opere conservate
nel castello reale costituirà la base di quello che diventerà il Museo
nazionale dell’arte (Statens Museum for kunst).
Anche in Svezia, dove a lungo avrebbe soggiornato il maestro
francese Louis Jean Desprez (1737-1804) chiamato da Gustavo
III (per il quale realizzò anche grandiose scenografie), si afferma
uno stuolo di pittori: i ritrattisti Johan Henrik Scheffel (1690-
1781)782 e Gustaf Lundberg (1695-1786);783 Olof Arenius (1701-
1766); Lorens Pasch il Vecchio (den äldre, 1702-1766) e il fratello
Johan Pasch (1706-1769), appartenenti a una famiglia di artisti;784
779
Cfr. nota 415. Su di lui vd. Kragelund P., Abildgaard – Kunstneren mellem
oprørerne, I-II, København 1999.
780
Su di lui si rimanda a Poulsen E., Jens Juel, I-II, København 1991.
781
Cfr. p. 334.
782
Vd. Roth S., Porträttmålaren Johan Henrik Scheffel, hans liv och verk, Göteborg
1936.
783
Vd. Laine M. – Brown C., Gustaf Lundberg 1695-1786. En porträttmålare och
hans tid, Stockholm 2006.
784
La quale, di origine tedesca (il padre era di Lubecca), ebbe ancora nei nipoti
Lorens Pasch il Giovane (den yngre, 1733-1805) e Ulrika (1735-1796) altri due pittori
di talento che furono ammessi all’Accademia delle belle arti. Ulrica Pasch che, a
quanto pare, riusciva a trarre guadagno dal suo lavoro di pittrice, costituisce certamen-
te un’eccezione in un mondo nel quale le donne potevano dedicarsi ad attività cultu-
rali solo se possedevano mezzi adeguati; su di lei vd. Lindberg A.L. (red.), Ulrica
Fredrica Pasch 1735-1796, Norrköping 1992.

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850 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

Carl Gustaf Pilo (1711-1793), autore della celebre Incoronazione


di Gustavo III;785 Alexander Roslin (1718-1793) che a lungo lavo-
rerà a Parigi;786 Johan Säfvenbom (Sevenbom, 1721-1784), celebre
per le sue vedute e i suoi castelli, Niclas Lafrensen (1737-1807),
miniaturista di corte;787 Elias Martin (1739-1818) pittore di gene-
re, ritrattista e paesaggista di fama internazionale;788 l’autodidatta
Pehr Hörberg (1746-1816), autore fra l’altro di numerose pale
d’altare;789 il ‘van Dyck svedese’ Carl Fredrik von Breda (1759-
1818)790 e molti altri. Lo stretto legame dell’arte svedese con quel-
la francese è simbolicamente rappresentato in Louis Masreliez
(1747-1810).791
Notevole importanza ha anche la scultura, che si muove tra
tradizione e rinnovamento. Nomi di prestigio sono quelli del
danese Johannes Wiedewelt (1731-1802),792 autore molto produt-
tivo, il cui capolavoro è il sarcofago del re Federico V collocato
nella cattedrale di Roskilde (dove si può ammirare anche quello
di Cristiano VI) che rappresenta una svolta stilistica (si tratta
della prima scultura neoclassica in Danimarca) e dello svedese
Johan Tobias Sergel (1740-1814), antesignano del gusto neoclas-
sico, artista eclettico cui si deve l’imponente statua di Gustavo III
collocata presso la banchina di Skeppsbron a Stoccolma.793 Due
esempi che ci ricordano come l’attività artistica (e i suoi successi)
restino strettamente legati alla compiacente benevolenza e al favo-
re dei potenti.
Nel Settecento continuano a essere proficuamente esercitate
anche arti ‘minori’ come l’incisione: artisti di rilievo sono il dano-
tedesco Jonas Haas (1720-1775) e i suoi figli, in particolare Johan

785
Opera conservata al Museo nazionale (Nationalmuseum) di Stoccolma. Vd. Sirén
O., Carl Gustaf Pilo och hans förhållande till den samtida porträttkonsten i Sverige och
Danmark. Ett bidrag till den skandinaviska konsthistorien, Stockholm 1902.
786
Vd. Olausson M., Alexander Roslin, Stockholm 2007.
787
Altri celebri pittori svedesi di miniature furono Peter Adolf Hall (1739-1793),
attivo soprattutto in Francia, e Jacob Axel Gillberg (1769-1845).
788
Di grande talento come disegnatore e grafico fu il fratello Johan Fredrik (1755-
1816).
789
Vd. Cnattingius B., Pehr Hörberg, Stockholm 1937.
790
Vd. Hultmark E., Carl Fredrik von Breda, Stockholm 1915.
791
Luis era figlio di Jacques Adrien (1717-1806), scultore e decoratore chiamato
dalla Francia per lavorare al castello reale nel quale prestò la propria opera anche
l’altro figlio, Jean Baptiste (1753-1801).
792
Vd. Nielsen M. – Rathje A. (eds.), Johannes Wiedewelt. A Danish Artist in Search
of the Past, Shaping the future, Copenhagen 2010.
793
Vd. Looström L., Johan Tobias Sergel. En gustaviansk tidsbild, Stockholm 1914
e Göthe G., Johan Tobias Sergels skulpturverk, Stockholm 1921.

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I princìpi della modernità 851

Jacob Georg (1756-1817); i danesi Johan Martin Preisler (1715-


1794), suo figlio Johan Georg (1757-1831) e Johan Frederik Clemens
(1749-1831); lo svedese Martin Rudolf Heland (1765-1814). Assai
apprezzata resta l’antica arte dell’arazzo, praticata tra gli altri dallo
svedese Pehr Hilleström (1732-1816), più tardi eccellente pittore
di genere.
Fino al fatidico 1814, anno in cui la Norvegia si sarebbe final-
mente separata dalla Danimarca,794 molti degli artisti di questo
Paese desiderosi di completare una formazione adeguata nelle
discipline figurative si recavano all’estero restando, non di rado, a
lavorarci. Una sorta di ‘sindrome provinciale’ che, insieme alla
nutrita presenza (fin dal Seicento e per gran parte del Settecento)
di maestri stranieri (tedeschi, danesi, olandesi, svedesi e scozzesi)
in Norvegia, pare in qualche modo limitare lo sviluppo di una
scuola artistica autonoma. Ciò tuttavia è vero solo in parte: la
richiesta di manufatti – rivolta in primo luogo a soddisfare l’ambi-
zione ritrattistica o di abbellimento residenziale delle famiglie più
in vista795 e a fornire opere per la decorazione delle chiese – fece sì
che emergessero anche pittori norvegesi di talento. Tali sono Eggert
Munch (ca.1685-1764), nella cui produzione si avverte il passaggio
dal tardo barocco al rococò; Peder Aadnes (1739-1792), noto per
i ritratti ma soprattutto per le decorazioni di interni;796 Mathias
Blumenthal (1719-1763) di genitori lettoni ma trasferito a Bergen
dove fu attivo fino alla morte.797 Anche in Norvegia abbiamo inol-
tre notizie di ‘scuole’ per l’arte figurativa: così la Scuola di disegno
dell’Accademia armonica (Harmonisternes Akademis tegneskole,
su cui poco oltre) fondata nel 1772 a Bergen da Claus Fasting e
Jens Boalth;798 la ‘scuola-laboratorio’ di Niels Thaaning (ca.1732-
1779) a Christiania (a partire dal 1766) frequentata anche da Peder
Aadnes; la scuola di disegno fondata a Bergen (1793) da Johan
Georg Müller (1771-1822), pittore e decoratore che aveva studiato
presso l’Accademia danese (tra i suoi maestri il celebre Nicolai

794
Vd. pp. 872-873.
795
Esemplare è il caso del pittore Frederik Petersen (1759-1825) che a lungo
lavorò per la ricchissima famiglia degli Anker a Christiania (cfr. nota 182 e nota
690).
796
Vd. Sverdrup Ugelstad J., Thi han blev en kunstmaler. Peder Aadnes og hans
billedverden, Oslo 2007. Nell’arte della decorazione va ricordato anche Johan Carl
Christian Michaelsen (nato attorno al 1750, morto dopo il 1802).
797
Vd. Johannesen O. Rønning, Mathias Blumenthal. Østfoldbyenes skildrer –
portrettmaler i Bergen, Oslo 2002.
798
Vd. p. 857; su Fasting cfr. p. 722, p. 808, p. 821 e p. 842.

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852 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

Abraham Abildgaard, sopra citato), un istituto nel quale si sarebbe


formato il grande Johan Christian Dahl.799
Un’arte più tradizionalmente ‘norvegese’ (sebbene si ritrovi anche
in qualche zona della Svezia) va tuttavia ricercata nella decorazio-
ne detta rosemaling (nn rosemåling) (verosimilmente “pittura di
rose”) che si sviluppò in ambiente contadino, innanzi tutto nei
distretti di Telemark e Buskerud (Hallingdal e Numedal) ma anche
di Vest-Agder e Aust-Agder (Setesdal) raggiungendo la massima
fioritura tra la seconda metà del XVIII il XIX secolo. Si tratta di
una pittura dai colori vivaci e spesso contrastanti che tende a
‘coprire’ gli ambienti interni della casa (pannelli, porte, stipiti,
mobili ma anche utensili) con disegni ricchi di elementi − per lo
più motivi floreali − che traggono la loro ispirazione da immagini
barocche (ma che risentiranno poi felicemente anche della legge-
rezza del rococò) e nella quale si specializzarono veri e propri
‘maestri’.800 Quest’arte ‘popolare’ si accompagna a quella, di più
antica tradizione, delle decorazioni ottenute dall’intaglio del legno.801
Di entrambe si hanno magnifici esempi anche nell’arte religiosa.
Ambito nel quale si apprezzano i migliori prodotti della scultura
norvegese (altari, pulpiti)802 che mostra sviluppi stilistici paralleli
alle correnti artistiche europee.803
Se dal punto di vista architettonico la Norvegia non poteva
certo vedere realizzate imponenti residenze reali, vi sorsero tut-
tavia dimore patrizie di tutto rispetto come il cosiddetto Stifts-
gården di Trondheim, grandioso palazzo in legno fatto erigere tra
il 1774 e il 1778 da Cecilia Christine Schøller (nata Frølich, 1720-
1786) vedova del ricchissimo funzionario Stie Tønsberg Schøller
(1700-1769) o l’edificio padronale (anch’esso in legno) di Dams-
gård (Jansongården) presso Bergen con l’elegante facciata rococò.
Anche l’architettura religiosa conosce la realizzazione di impor-
tanti luoghi di culto come la Chiesa nuova (Nykirken) di Bergen

799
Vd. p. 936.
800
Si ricordi qui almeno Thomas Blix (1676-1729) detto Blixius, uno degli inizia-
tori di quest’arte nel Telemark.
801
Anche in questo caso abbiamo specialisti di una certa fama come Jakob Klukstad
(1715-1773) e Ola Rasmussen Skjåk (noto come Skjåk-Ola, 1744-1803; Skjåk nell’Oppland
è la località in cui era nato).
802
A cominciare da quelli della cattedrale di Oslo, un tempo Chiesa del Salvatore
(Vor Frelsers kirke) che risalgono al 1699. Tra i migliori artisti in questo campo va
citato almeno Torsten Ottersen Hoff (ca.1688-1754).
803
Una particolare applicazione della scultura norvegese è quella relativa alle arti-
stiche piastre per le stufe, molte delle quali disegnate da maestri dell’intaglio del legno;
vd. Nygård-Nilssen A., Norsk jernskulptur, I-II, Oslo 1944.

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I princìpi della modernità 853

realizzata su disegno dell’architetto tedesco-norvegese Joachim


Reichborn (1715-1783),804 la chiesa di Kongsberg (Buskerud)
iniziata nel 1740 e quella di Rorøs (Trøndelag meridionale) con-
sacrata nel 1784.
In Islanda solo un numero assai limitato di persone poteva
permettersi un’esistenza agiata e il ‘lusso dell’arte’. Tra di loro il
responsabile generale dell’economia e del tesoro nell’isola Skúli
Magnússon805 che fece erigere la propria residenza sull’isola di
Viðey presso Reykjavík (1753-1755): si tratta del primo palazzo
in pietra di tutto il Paese.806 A essa altre seguirono come Nes-
stofa in Seltjarnarnes (1761-1767) destinata al “medico generale
d’Islanda”,807 la sede del governatore distrettuale a Bessastaðir
(1761-1766) sul promontorio di Álftanes, più tardi scuola e attual-
mente residenza del presidente della repubblica, l’edificio nel
centro di Reykjavík che ora ospita il governo, originariamente
progettato come una prigione. Alla seconda metà del Settecento
risalgono anche chiese in pietra, innanzi tutto la cattedrale di
Hólar (1763), poi la chiesa delle Vestmannaeyjar (1774) e la cat-
tedrale di Reykjavík (consacrata nel 1796). Sebbene rappresenti-
no un punto di svolta fondamentale nelle tecniche costruttive
questi edifici non possono certo competere con la magnificenza
degli edifici eretti altrove.
*
Come si è visto in precedenza nelle corti nordiche la musica
svolgeva una importante funzione di rappresentanza sia nelle
circostanze religiose sia in quelle mondane. In Danimarca in
questo contesto era stata introdotta l’opera italiana e tedesca, ma
il 15 aprile 1689 in occasione del compleanno del sovrano si vol-
le rappresentare la prima composizione danese di questo genere,
La contesa degli dèi pacificata (Der vereinigte Götterstreit) del
musicista Poul Christian Schindler (ca.1648-1740).808 Purtroppo
in occasione della replica (19 aprile) il teatro fu completamente
devastato da un incendio che provocò la morte di decine di per-

804
Reichborn fu anche docente di architettura presso la sopra citata Scuola di
disegno dell’Accademia armonica.
805
Cfr. p. 730.
806
Vd. Gunnarsson Þ., Viðeyjarstofa og kirkja. Byggingarsaga, annáll og endurreisn,
Reykjavík 1997.
807
Vd. nota 213.
808
Il libretto si deve a Peter Anton Burchard (1656-1714) originario dello
Schleswig.

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854 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

sone.809 Pochi anni dopo, nel 1703, Federico IV (che aveva chia-
mato come maestro presso la corte l’italiano Bartolomeo Bernardi,
ca.1660-1732) aprì un nuovo teatro nel quale tornarono a essere
messe in scena opere straniere e si esibirono artisti provenienti da
altri Paesi, come il tedesco Reinhard Keiser (1664-1739). Succes-
sivamente (1727) cominciarono a essere tenuti a Copenaghen i
primi concerti pubblici, frequentati soprattutto da un pubblico
borghese: questi spettacoli ebbero notevole sviluppo durante il
regno del devoto pietista Cristiano VI che, come è stato detto,
aveva proibito le rappresentazioni teatrali.810 Sorsero così associa-
zioni di musicisti, la più nota delle quali è La società musicale (Det
musicalske Societet), attiva dal 1744 al 1749 e tra i cui fondatori si
annoverano il compositore dano-tedesco Johann Adolph Scheibe
(1708-1776), maestro di cappella di Cristiano VI assai polemico
con l’opera italiana;811 il maestro Johannes Erasmus Iversen (1713-
1755) autore di cantate;812 il compositore Carl August Thielo
(1707-1763) cui si deve il primo manuale di musica pubblicato in
Danimarca813 e anche Ludvig Holberg per le cui commedie lo
stesso Thielo aveva composto diverse melodie. Ma la dipendenza
dai modelli stranieri era tutt’altro che superata: per tutta la secon-
da metà del Settecento in Danimarca ci si affiderà a prestigiosi
musicisti stranieri come gli italiani Paolo Scalabrini (1713-1806)
e Giuseppe Sarti (1729-1802), maestri di cappella alla corte dane-
se, o si inviteranno personalità come Christoph Willibald Gluck
(1714-1787).814 Del resto saranno compositori tedeschi come Johann
Ernst Hartmann (1726-1793),815 Johann Abraham Peter Schulz
(1747-1800) e Friedrich Ludwig Æmilius Kunzen (1761-1817) ad
accompagnare con le loro melodie i componimenti di importanti

809
Vd. Operahusets brand paa Amalienborg den 19de april 1689. Et mindeskrift,
samlet efter trykte og utrykte kilder af L. Bobé, Højbjerg 1998; cfr. nota 34.
810
Vd. p. 831.
811
Si veda il periodico da lui edito tra il 1737 e il 1740, Il musico critico (Der critische
Musicus).
812
Nel 1749 quando la società cesserà l’attività egli fonderà un Collegium musicum
per portare avanti l’attività concertistica.
813
Idee e regole dai fondamenti sulla musica (Tanker og Regler fra Grunden af om
Musiken, 1746).
814
Un notevole impulso alla vita musicale danese venne da Louisa di Hannover,
prima moglie di Federico V, la quale tra l’altro nel 1747 chiamò a corte una compagnia
operistica italiana.
815
Cfr. p. 543, nota 65. Da lui, traferitosi a Copenaghen, prenderà il via una vera e
propria generazione di musicisti danesi (cfr. p. 921 con nota 264).

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I princìpi della modernità 855

autori816 creando, su modello francese (opéra comique) e tedesco


(Singspiel), i fortunati syngespil, sorta di operette o vaudeville
nelle quali il parlato è inframezzato da brani musicali: motivi pre-
sto diffusi nella tradizione (anche popolare) danese. Essi sono in
gran parte ispirati al mondo nordico, le cui tematiche si impongo-
no ora anche in ambito musicale. A quella stessa tradizione sarà
ispirata l’opera Holger danske scritta da Jens Baggesen817 e musi-
cata da Kunzen.818 Nella seconda metà del secolo altre due asso-
ciazioni (fra le molte) rivestono importanza nella vita musicale
danese: la Reale accademia musicale (Det kongelige musikalske
Akademi, 1767-1817)819 e la Società armonica (Det harmoniske
Selskab o Harmonien, 1778-1830).820 La musica religiosa risente
dell’influsso pietista.
Anche in Svezia, come si è detto in precedenza, la musica aveva
trovato ampio spazio soprattutto negli ambienti di corte e aristocra-
tici, seppure poi, specie sotto Carlo XII, gli spettacoli fossero stati
in gran parte tralasciati, magari in favore di composizioni militari.
Momento di transizione da questo punto di vista può essere consi-
derato il Balletto inframezzato di canti eroici (Ballet meslé de chants
héroïques, 1701) musicato da Anders von Düben per celebrare la
grande vittoria di Narva:821 da esso prende infatti avvio l’opera
svedese.822 Per lungo tempo tuttavia anche in questo Paese (in misu-
ra anche maggiore rispetto alla Danimarca) la scena resterà domi-
nata da compositori ed esecutori stranieri − in primo luogo tedeschi
e italiani − che riscuoteranno grande successo (soprattutto durante
il regno di Federico Adolfo ben più interessato alla musica che non
al teatro). Ancora nel periodo gustaviano, segnato da un sovrano

816
Primo fra tutti Ewald (cfr. p. 835 e il primo riferimento alla nota precedente).
817
Vd. pp. 838-839; cfr. p. 579.
818
La prima opera ispirata alla tradizione nordica era stata Gram e Signe (Gram og
Signe, 1756) scritta dal drammaturgo Niels Krog Bredal (vd. p. 832) su un tema ripre-
so da Saxo grammaticus e musicata da Giuseppe Sarti.
819
Questa accademia per così dire ‘rilevò’ l’attività di un club preesistente noto
come Rådhusstrædets Selskab dal nome della strada nella quale si trovava la sala in cui
si tenevano i concerti, un’associazione alquanto esclusiva frequentata soprattutto da
nobili.
820
Nella seconda metà del secolo nasce anche (1773) la Reale scuola danese di
canto (Den kongelige Danske Syngeskole).
821
Vd. p. 676; sull’opera (e sul suo ‘retroterra’ francese) si rimanda ad Axelsson
P., Från fransk pastoral till svensk segerbalett. Om sambandet mellan Jean Desfontaines
“Le Désespoir de Tirsis” och Anders Dübens “Ballet meslé de chants heroiques”, Upp-
sala 2001.
822
Cfr. p. 627, nota 461. Vd. Smith 2002 (B.6), pp. 15-16, con nota 2 (p. 28) e il
riferimento ivi indicato.

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856 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

assai colto e interessato a promuovere anche il mondo musicale – nel


1771 aveva fondato la Reale accademia musicale (Kungliga musika-
liska Akademien) –823 molti nomi stranieri di prestigio risiederanno
in Svezia: basti pensare all’italiano Francesco Antonio Uttini (1723-
1795) e al tedesco Johann Gottlieb Naumann (1741-1801), un
lavoro del quale sarebbe stato scelto per l’inaugurazione del Palaz-
zo dell’Opera (Operahuset) nel 1782824 e che avrebbe composto le
musiche per il testo di Gustaf Wasa, scritto dal poeta Johan Henric
Kellgren in collaborazione con il sovrano.825 Ma anche a Georg
Joseph Vogler (1749-1814), Joseph Martin Kraus (1756-1792) e
Johan Christian Friedrich Hæffner (1759-1833). Accanto a questi
talenti cominciano tuttavia a farsi strada gli svedesi, in primo luogo
Johan Helmich Roman (1694-1758), promotore dell’Accademia
musicale e considerato il “padre della musica svedese”:826 il primo
compositore del Paese a godere di prestigio sovrannazionale, artista
che tra l’altro seppe oltrepassare i confini della composizione a uso
esclusivo religioso o di corte. E se i grandi musicisti stranieri (Gluck
e Händel innanzi tutto ma anche gli autori dell’opéra comique)827
continuavano a essere eseguiti e ammirati,828 si dovrà citare qui Johan
Agrell (1707-1765) che avrebbe trovato la propria fortuna presso le
corti tedesche. Altri compositori svedesi di un certo rilievo sono
Johan Wikmanson (1753-1800), esecutore musicale presso la socie-
tà Utile Dulci 829 e per buona parte autodidatta; e Olof Åhlström
(1756-1835) considerato il miglior autore di ‘canzoni’ del XVIII
secolo. Senza dimenticare le musiche che accompagnano le compo-
sizioni di Bellman e che costituiscono un importante esempio del
gusto dell’epoca.830

823
Legata a questa istituzione è l’attività di Olof Åhlström (su cui poco oltre) che
fu il primo editore di testi musicali in Svezia e pubblicò anche la rivista Passatempo
musicale (Musikaliskt Tidsfördrif, 1789-1834).
824
Vd. p. 706 con nota 120.
825
Cfr. nota 696. Nel periodo gustaviano si affermò anche in Svezia l’opéra comique,
seppure qui si facesse ricorso soprattutto a lavori francesi in traduzione.
826
Così è definito già nella monografia dal titolo Svenska musikens fader. Några anteck-
ningar om Johan Helmich Roman pubblicata a Uppsala nel 1885 da F. Cronhamn. Tra i
più dotati allievi di Roman si ricorda Ferdinand Zellbell il Giovane (den yngre, 1719-1780).
827
In primo luogo Pierre-Alexandre Monsigny (1729-1817), André Grétry (1741-
1813) e Nicolas Marie d’Alayrac (o Dalayrac, 1753-1809).
828
Un imitatore del genere sarà lo svedese Johan David Zander (ca.1753-1796).
829
Vd. p. 828. Un settore di questa società culturale era infatti riservato alla musica
(con specifica biblioteca) e si occupava di organizzare concerti ed eventi musicali in
relazione alle più importanti riunioni dei suoi membri.
830
Cfr. pp. 836-838. Editore della prima edizione (1790) delle Epistole di Fredman
fu proprio Olof Åhlström (su cui cfr. nota 823).

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I princìpi della modernità 857

Anche sul piano musicale il persistente legame (non solo politi-


co) con la Danimarca produsse in Norvegia i propri effetti. In
questo Paese infatti assistiamo al diffondersi di una cultura musi-
cale di importazione che si lega alla presenza di compositori ed
esecutori stranieri nelle principali città (soprattutto a Christiania
dove fu anche Gluck). Nel contempo, seppure a livelli inferiori,
vengono organizzati numerosi eventi affidati nelle diverse città a
gruppi musicali della cui presenza si ha del resto notizia fin dal
XVI secolo. Anche la musica di carattere religioso (concerti d’or-
gano, corali) risulta proficuamente coltivata. Sorgono così anche
in questo Paese associazioni musicali, la prima delle quali è l’Ac-
cademia armonica (Harmonisternes akademi) fondata a Bergen nel
1765 da Jens Boalth (1725-1780, rettore della scuola della catte-
drale con il sostegno di Claus Fasting (che era anche un abile
pianista);831 del 1786 è la Società musicale di Trondheim (Trond-
hjemske Musicalske Selskab) che cesserà l’attività nel 1843. A
Christiania una società musicale di una certa importanza sarà il
Liceo musicale (Det musikalske Lyceum) fondato nel 1810. Esibi-
zioni private erano naturalmente tenute nelle dimore delle famiglie
più nobili e facoltose.
Non mancano nel Paese musicisti di un certo rilievo. Due di
loro sono tuttavia di origine tedesca, seppure trasferiti in Nor-
vegia: Georg von Bertouch (1668-1743) comandante militare
nella fortezza di Akershus a Christiania e Johan Daniel Berlin
(1714-1787), stabilitosi a Trondheim.832 Per contro il norvegese
Johan Henrik Freithoff (1713-1767) visse a Copenaghen dove
lavorò presso la corte.
Non manca, soprattutto, lo sviluppo peculiare della musica
‘popolare’ che si avvale di strumenti caratteristici come il lange-
leik (cordofono a corde pizzicate, sorta di salterio a cassa dota-
to di una sola corda melodica e di una serie di bordoni) e il
cosiddetto “violino di Hardanger” (hardingfele, cordofono a
corde sfregate, con quattro corde melodiche e quattro corde di
risonanza).
Fino al XIX secolo le informazioni sulla musica islandese restano

831
Detta più tardi Società musicale Armonia (Musikselskabet Harmonien) è tuttora
attiva. Tra i nomi di prestigio che essa può vantare spicca quello di Edvard Grieg (vd.
p. 1100). Vd. Fasting K., Musikselskabet “Harmonien” gjennom to hundre år 1765–1965,
Bergen 1965.
832
Vd. Michelsen K. (red.), Johan Daniel Berlin 1714-1787 – universalgeniet i
Trondheim, Trondheim 1987. Suo figlio Johan Henrich (1741-1807), organista e com-
positore, sarà tra i fondatori della Società musicale di Trondheim.

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858 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

assai scarse. Considerati l’isolamento e le condizioni sociali del


Paese, si deve qui più che altro fare riferimento alle melodie popo-
lari. Come è stato detto, esse dovevano accompagnare le danze,
come il vikivaki.833 Anche le rímur,834 ancora molto in voga, dovet-
tero essere recitate secondo un’intonazione musicale, seppure
restino in primo luogo prodotti letterari. Strumenti musicali popo-
lari sono in Islanda il langspil, corrispondente al langeleik norve-
gese e la fiðla (cordofono a corde sfregate, sorta di salterio a cassa
con due corde e privo di tastiera).
In Islanda, come del resto per buona parte in tutta la Scandi-
navia, la musica religiosa resta legata soprattutto alla tradizione
salmista.

833
Vd. p. 524, nota 220. A lungo la Chiesa aveva combattuto contro ogni forma di
danza, ritenuta sconveniente. Questa campagna era stata portata avanti da diversi
vescovi, sia cattolici (come il primo vescovo di Hólar, Jón Ǫgmundarson, vd. p. 420),
sia protestanti (come, in particolare, Guðbrandur Þorláksson, vd. pp. 511-512). Dopo
la visita in Islanda di Ludvig Harboe (vd. pp. 728-729) fu redatta una dettagliata
‘istruzione’ per i vescovi del Paese (LFI II, 1 luglio 1746, pp. 648-668) dalla quale
traspare chiaramente la volontà di inquadrare la popolazione, sotto la supervisione del
clero, entro i limiti di un rigido ‘comportamento morale’; si veda anche l’ordinanza
relativa alle visite pastorali nelle case del 27 maggio 1746 e quella sulla “disciplina
domestica” (húsaga) del 3 giugno del medesimo anno: ibidem, pp. 566-578 e pp. 605-
620. In questo clima, naturalmente, il vikivaki fu considerato un divertimento ripro-
vevole e, di fatto, proibito.
834
Vd. p. 396, nota 270 e p. 426.

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Apparato iconografico capitoli 8-10

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Fig. 38

La storia d’amore tra re Cristiano II e la sua giovane amante Dyveke ha


continuato a ispirare scrittori e musicisti: copertina dell’opera in tre atti
del 1899 del musicista Johan Bartholdy (p. 462 con nota 6)

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Fig. 39

Karin Månsdotter, sposata dal re Erik XIV. Dettaglio di una decorazione su


vetro che si trova nella cattedrale di Turku (Åbo) in Finlandia (dove ven-
ne sepolta) eseguita dall’artista russo-finlandese Wladimir Swertschkoff
(Владимир Сверчкοв, 1821-1888; p. 477 con nota 55)

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Fig. 40

Il vescovo islandese Jón Arason, paladino del cattolicesimo, raffigurato


in un mosaico sulla parete sopra la sua tomba nella torre della cattedrale
di Hólar nel distretto dello Skagafjörður (§ 8.1.4)

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Fig. 41

Dopo la riforma la propaganda anticattolica fu durissima. Qui vediamo


una illustrazione (che compare in diverse edizioni della Bibbia) in cui
il Papa è raffigurato nell’aspetto della bestia che sale dall’Abisso di cui
parla l’evangelista Giovanni. La tiara sul capo non lascia adito a dubbi
(pp. 490-491)

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Fig. 42

Frontespizio dell’edizione del 1577 di Peder Smed og Adser Bonde (pp.


494-495)

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Fig. 43

Fig. 44

Nave da guerra svedese e nave da guerra danese nel XVI e XVII secolo
(pp. 530-534)

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Fig. 45

Nel XVII secolo la stampa era ormai una tecnica acquisita. Questa im-
magine prodotta dalla stamperia di Henrik Keyser a Stoccolma è del
1691 e ha per titolo “Qualche campione di stile” (Någre få Prooff)

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Fig. 46

Raffigurazione di un mercato invernale sul ghiaccio nell’opera di Olaus


Magnus, Historia de gentibvs septentrionalibvs (pp. 581-582 e pp. 595-
597)

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Fig. 47

Il complesso monumentale runico di Hunnestad (Scania) così come illu-


strato da Ole Worm nella sua opera Danicorum monumentorum [...] del
1643. Una immagine particolarmente utile dal momento che in seguito
esso è andato in parte distrutto (p. 590)

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Fig. 48

Il castello reale di Stoccolma noto come Tre corone (Tre kronor; p. 618)

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Fig. 49

Incontro tra i coloni svedesi e i nativi americani nella regione del fiume
Delaware, immagine che si trova nell’opera di Thomas Campanius Holm,
Breve descrizione della provincia della Nuova Svezia in America, Che ora
è detta dagli Inglesi Pennsylvania. Raccolta e compilata dalle relazioni e
dagli scritti di persone degne di credito, e arricchita con diverse figure (Kort
Beskrifning om Provincien Nya Swerige uti America, Som nu förtiden af
the Engelske kallas Pensylvania. Af lärde och trowärdige Mäns skrifter och
berättelser ihopaletad och sammanskrefwen, samt med åthskillige Figurer
utzirad, Stockholm 1702; p. 655, nota 571)

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Fig. 50

L’imponente palazzo reale di Christiansborg fatto costruire dal re danese


Cristiano VI (p. 685)

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Fig. 51

Contadini al lavoro in piccole strisce di terreno prima della riforma agra-


ria dello storskifte: incisione di Jean Eric Rehn (1717-1793) inserita nel
trattato Ragioni del miglioramento dell’agricoltura e del [suo] rapido progres-
so, dopo molti anni di tentativi ed esperimenti (Anledning til åkerbrukets
förbättring och snara uphjelpande, efter flera års försök och rön, Stockholm
1749) di Petter Strandberg (1723-1756; p. 709)

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Fig. 52

Fanatici religiosi raffigurati dal pittore norvegese Adolph Tidemand


(Fanatikerne, 1866; pp. 761-770)

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Fig. 53

Il sistema sessuale delle piante studiato da Linneo è qui raffigurato da


Georg Dionysius Ehret (1710-1770), artista tedesco specializzato in illu-
strazioni botaniche. L’immagine risale al 1736 (pp. 780-782)

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Fig. 54

Frontespizio del primo numero de L’Argo svedese (Then Swänska Argus;


pp. 802-803)

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Fig. 55

Vignetta satirica sulla libertà di stampa che mostra due membri della
commissione incaricata di analizzare la questione che, in veste animale,
cercano di spegnerne la luce (pp. 810-814)

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Fig. 56

L’Islanda immaginata in figura femminile come “donna della montagna”


(fjallkonan), disegno dell’artista tedesco Johann Baptist Zwecker (1815-
1876; p. 823, nota 646)

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Capitolo 11

Decenni cruciali

11.1. Percorsi politici

Tra la fine del XVIII e i primi decenni del XIX secolo i Paesi
scandinavi vanno incontro a profondi cambiamenti. Il definitivo
tramonto dell’assolutismo, la piena affermazione del sentimento
nazionale (una sorta di nuova ‘religione di Stato’) che coinvolge
in sostanza la totalità della popolazione, la crisi dell’autorità
centrale della Chiesa di fronte al sorgere spontaneo di nuove
organizzazioni religiose, il passaggio da una società di ‘stati’ a
una società di ‘classi’, il primo svilupparsi di veri e propri parti-
ti politici: tutti fattori il cui concorso determinerà lo stabilirsi di
nuovi equilibri sui quali, almeno in parte, ancora poggia l’attua-
le impalcatura degli Stati nordici e si misura la portata della loro
sovranità.

11.1.1. La crisi danese

Per i destini del Regno di Danimarca la prima causa di cambia-


mento fu un avvenimento geograficamente assai lontano ma le cui
ripercussioni avrebbero presto inciso in profondità sulle sue poli-
tiche e sul suo futuro. Nel 1775 scoppiava la guerra di indipenden-
za americana contro l’oppressione commerciale della madrepatria
inglese: in conseguenza di ciò tre anni dopo (1778) la Francia (e
poi la Spagna) dichiararono guerra all’Inghilterra approfittando
della sua debolezza. Se da una parte questa situazione ebbe risvol-
ti positivi creando ottime opportunità al commercio navale neutra-

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860 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

le (e tale era quello dano-norvegese),1 fu chiaro dall’altra che occor-


reva muoversi con cautela non soltanto per non inimicarsi la
potente Inghilterra ma anche per tenere a bada, nel gioco dei con-
trapposti interessi sul Mar Baltico, le interferenze dei Russi. Ciò
parve possibile per un paio di decenni, grazie all’abile gioco diplo-
matico del ministro degli esteri A.P. von Bernstorff.2 Ma nel 1797
egli morì e i suoi successori non furono in grado di gestire la situa-
zione. Le pretese degli Inglesi, che chiedevano di ispezionare tutte
le imbarcazioni da carico, anche se scortate da navi da guerra dane-
si, incontrarono la ferma opposizione del governo e il conflitto fu
inevitabile. La Danimarca vide nella Russia (ma anche nella Svezia
e nella Prussia) alleati con i quali far fronte a eventuali attacchi e nel
1800 furono siglati con questi Paesi patti di neutralità armata che
avrebbero dovuto dissuadere gli Inglesi da qualsiasi tentativo di
imporre ispezioni alle navi commerciali.3 Questa decisione non
sortì affatto gli esiti sperati ché, anzi, dopo inutili trattative l’Inghil-
terra passò all’attacco. La flotta ai comandi dell’ammiraglio Hyde
Parker (1739-1807) e del suo vice, il celebre Orazio (Horatio) Nel-
son (1758-1805), giunse così nell’Øresund e il 2 aprile 1801 attaccò
pesantemente le navi danesi schierate a difesa di Copenaghen costrin-
gendo il reggente Federico ad accettare le condizioni dei vincitori,
a ciò anche indotto dagli avvenimenti russi che erano culminati
nell’assassinio dello zar, il cui successore, Alessandro I Pavlovič
Romanov (Александр Павлович Романов) mostrava di voler abban-
donare la politica estera ostile all’Inghilterra.4 Dopo essersi di fatto
1
In questo contesto venne fondata nel 1778 la Reale compagnia mercantile danese
concessionaria delle Indie occidentali (Det Kongelige Danske octroyerede Vestindiske
Handelsselskab), con l’intento di coprire le principali rotte. La sua attività si protrasse
fino al 1785 (due anni dopo la conclusione, nel 1783, del trattato di pace di Parigi).
Su di essa si rimanda a Sveistrup P.P., “Det Kongelige Danske octroyerede Vestindiske
Handelsselskab 1778-85. En driftsøkonomisk Undersøgelse”, in DHT VI (1942-1944),
pp. 385-427.
2
Vd. p. 692.
3
 DT 1800-1863, nr. 1-7, pp. 3-17 (dove sono riportati i diversi accordi). Preceden-
ti patti per garantire la libertà di commercio marittimo neutrale erano stati siglati con
la Russia nel 1780 (Convention maritime entre le Danemark et la Russie pour le maintien
de la liberté du commerce et de la navigation neutre, faite à Copenhague le 28 Juin / 9
Juillet 1780, in DT 1751-1800, nr. 57, pp. 380-390) e con la Svezia nel 1794 (Den 27
Martii. Convention emellan H.M. Konungen av Swerige å ena, och H.M. Konungen af
Danmark å andra sidan, til gemensamt wärn och förswar af Swenska och Danska handelns
och segerfartens fri- och säkerhet, in UPH XV, pp. 602-610).
4
È noto che nel corso del combattimento Nelson ignorò l’ordine di Parker di
sospendere le ostilità e volle portare avanti lo scontro fino alla resa definitiva dei
Danesi. Su questo episodio noto come “battaglia della rada” (slaget på Reden) vd.
Feldbæk O., Slaget på Reden, København 2001.

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Decenni cruciali 861

piegati al volere del nemico ci si dovette presto misurare con un


nuovo problema: Napoleone, grande avversario degli Inglesi, ave-
va imposto il proprio dominio su gran parte dell’Europa ed era
riuscito (1807) ad allearsi con lo zar.5 Ma l’accordo fra le due gran-
di potenze esigeva che Danimarca e Svezia aderissero al cosiddetto
‘blocco continentale’ contro l’Inghilterra, il che per i Danesi deter-
minò una vera e propria catastrofe. Gli Inglesi infatti reagirono
pretendendo la consegna della flotta danese (non potevano certo
accettare che essa entrasse nella disponibilità di Napoleone): il
tentativo del governo di barcamenarsi nel conflitto (le truppe fran-
cesi erano pericolosamente vicine ai confini meridionali del Paese)
non ebbe – come c’era da attendersi – alcun successo e così Cope-
naghen dovette subire tra il 2 e il 5 settembre 1807 un nuovo
pesantissimo bombardamento che non soltanto distrusse gran
parte della città ma causò la morte di circa milleseicento persone
(forse assai di più) e il ferimento di moltissime altre.6 Il 6 settembre
il governo dovette cedere. Questa tragedia e la perdita della flotta
furono determinanti per le decisioni che vennero assunte, in quan-
to l’erede al trono Federico si alleò definitivamente con Napoleone.
Scelta che avrebbe comportato una inutile guerra contro la Svezia,
trascinatasi a lungo nonostante il trattato di pace di Jönköping
(1809)7 e che avrebbe avuto come ultima (e più mortificante) con-
seguenza la perdita della Norvegia sancita nel 1814 dal trattato di
pace di Kiel.8 Tuttavia l’Islanda, la Groenlandia e le Føroyar

5
Il riferimento è alla pace di Til’zit (russo Тильзuт), attuale Sovetsk (Советск,
nell’exclave di Kaliningrad). Vd. Gesetz-Sammlung für die Königlich-Preußischen Staa-
ten 1806-1810. Sammlung der fuer die Koeniglichen Preussischen Staaten erschienenen
Gesetze und Verordnungen von 1806 bis zum 27sten Oktober 1810, repr., Berlin 1985,
pp. 153-164.
6
Si veda Møller J., 1807. En by i flammer, Viborg 1982; Glenthøj R. – Rahbek
Rasmussen J. (red.), Det Venskabelige bombardement. København 1807 som historisk
begivenhed og national myte, København 2007 e Munch-Petersen Th., København i
flammer. Hvordan England bombarderede København og ranede den danske flåde i 1807,
København 2007.
7
Fredstractat mellem Danmark og Sverig, dat. Jønkøping den 10de December 1809
(in DT 1800-1863, nr. 15, pp. 37-43; vd. anche il nr. 16, stessa data, pp. 43-45).
8
Freds Fördrag Emellan Hans Maj:t Konungen af Swerige och Sweriges Rike Å
ena, samt Hans Maj:t Konungen af Dannemark och Danska Riket Å andra sidan,
Afhandladt och slutit i Kiel den 14 Januarii, Ratificeradt i Stockholm den 31 i samma
månad, och i Köpenhamn den 7 Februarii, 1814 / Traité de Paix Entre Sa majesté le
Roi de Suède et le Royaume de Suède D’une part, et Sa Majesté le Roi de Dannemac
et le Royaume de Dannemarc De l’autre, Fait et conclu à Kiel le 14 Janvier, ratifié à
Stockholm le 31 du même mois, et à Copenhague le 7 Fevrier, 1814 (SFS 1814); cfr.
11.1.3.

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862 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

restavano danesi.9 Ma i problemi non erano finiti: in seguito agli


eventi causati dal ‘ciclone napoleonico’ si era venuta creando anche
una ‘questione meridionale’ che riguardava i ducati di Schleswig
e Holstein i cui abitanti chiedevano ora maggiore autonomia. Una
conseguenza di queste richieste fu la decisione del re Federico VI
di stabilire un nuovo ordinamento dello Stato nel quale le realtà
locali avessero, quantomeno, potere consultivo: vennero così isti-
tuite quattro assemblee ‘regionali’, due per i ducati, una per lo
Jutland e una per le isole.10 Ciò non significava naturalmente la
fine dell’assolutismo (fin dall’ascesa al trono il sovrano aveva chia-
ramente mostrato di voler esercitare un fermo controllo su qual-
siasi decisione) ma era certamente un passo avanti in quella dire-
zione. A partire dal 1835, quando questi ‘stati generali’
cominciarono a riunirsi, fu gradatamente possibile avviare nel
Paese un dibattito politico che, successivamente, poté ampliarsi
quando, con due decreti del 1837 e del 1841, vennero istituiti
nuovi consigli cittadini, provinciali e dei comuni rurali, seppure la
possibilità di esservi eletti restasse ristretta a persone di un certo
livello sociale ed economico.11 Del resto un crescente movimento
di opinione chiedeva ora una liberalizzazione dello Stato.12 Nel 1839
moriva Federico VI; non avendo egli eredi legittimi il trono passò
al cugino Cristiano Federico (Christian Frederik, 1786-1848) che
assunse il nome di Cristiano VIII: questi sarebbe stato l’ultimo
sovrano assoluto di Danimarca. Nonostante come reggente di Nor-
vegia avesse manifestato idee liberali,13 egli volle ora mantenere e
difendere il potere centrale della monarchia cercando l’appoggio
di quegli ambienti sociali (funzionari, proprietari terrieri, contadini)
tradizionalmente fedeli alla Corona. Dovette però affrontare

9
In seguito a questo trattato la Danimarca cedeva l’isola frisone di Helgoland
all’Inghilterra ma acquisiva l’isola di Rügen e la Pomerania svedese che successivamen-
te sarebbero state cedute alla Prussia in cambio del piccolo ducato di Lauenburg.
10
Il primo decreto relativo è del 28 maggio 1831 (DFL, pp. 32-34); l’ordinamento
definitivo del 15 maggio 1834 (DFL, pp. 35-54). Vd. la nota introduttiva in DFL, pp.
31-32.
11
Anordn. ang. Kjøbstædernes økonomiske Bestyrelse del 24 ottobre 1837 e Anordn.
ang. Landkommunevæsenet del 13 agosto 1841 (in Damkier – Kretz [Abbr.], V, pp.
120-124 e pp. 303-312, rispettivamente).
12
In questo contesto va citata la figura di Jacob Jacobsen Dampe (1790-1867), che
fin dagli anni ’20 aveva sostenuto la necessità di istituire una assemblea costituente,
ritenendo che l’assolutismo dovesse essere spazzato via, se necessario con l’intervento
dell’esercito. Condannato a morte, ebbe la pena commutata e trascorse vent’anni in
prigione; vd. Tarbensen K., “Den første demokrat. Cand. Theol. Og dr. Phil. J.J.
Dampe”, in OSD, pp. 190-216.
13
Vd. pp. 872-873.

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Decenni cruciali 863

due problemi: da un lato il complicarsi della situazione nei ducati


di Schleswig e Holstein, dove tra i filo-tedeschi e i filo-danesi sor-
gevano ora gravi contrasti, dall’altro il diffondersi delle idee libe-
rali che dal resto d’Europa giungevano anche in Scandinavia dove
si combinavano con aspirazioni (coltivate soprattutto da gruppi
giovanili) a una riunificazione di tutti i Paesi nordici.14 Cristiano
VIII morì nel 1848 e gli subentrò sul trono il figlio, Federico VII
(Frederik Carl Christian, 1808-1863). Nel frattempo gli eventi
nell’area dei ducati subirono un’accelerazione e si cominciarono a
manifestare contrasti tra coloro che sostenevano la fedeltà alla
Corona danese e coloro che miravano ad aderire alla federazione
tedesca.15 Di più: sull’onda degli avvenimenti europei lo Schleswig
e il Holstein si accordarono per chiedere al re di concedere loro
una costituzione liberale e l’ingresso anche dello Schleswig nella
Lega tedesca. Quando questa richiesta fu presentata a Copenaghen
scoppiò la crisi: il governo conservatore cadde e al suo posto ne fu
nominato uno nuovo, noto come “governo di marzo” (marts-
ministeriet)16 nel quale trovarono posto anche personalità nazional-
liberali come Lauritz Nicolai Hvidt (1777-1856), Anton Frederik
Tscherning (1795-1874),17 Martin Orla Lehman (1810-1870) e
Ditlev Gothard Monrad (1811-1887). Le richieste dei rappresen-
tanti dei ducati non furono accolte e ciò fece precipitare la situa-
zione: il 23 marzo 1848 questi ultimi proclamarono un governo
provvisorio a Kiel e occuparono la fortezza danese di Rendsborg
(tedesco Rendsburg). La guerra (nota come “guerra dei tre anni”,
treårskrigen) fu inevitabile e andò avanti, con alterne vittorie e
sconfitte. La battaglia definitiva, risoltasi a favore dei Danesi, fu
quella di Isted (ted. Idstedt, a nord della città di Schleswig) com-
battuta il 25 luglio 1850. Per la verità la soluzione del conflitto
(come si vedrà, tutt’altro che definitiva) fu dovuta all’intervento
delle grandi potenze che sottoscrissero poi il cosiddetto ‘protocol-
lo di Londra’: un esito che tuttavia sottoponeva la politica danese
all’interferenza degli interessi tedeschi.18
14
Di ciò più dettagliatamente nel paragrafo 12.1.
15
Vd. pp. 1421-1424.
16
Esso infatti assunse le proprie funzioni il 23 marzo e governò fino all’11 novem-
bre 1848.
17
Su di lui vd. Tarbensen K., “Den urokkelige eg i skoven. Officeren og politikeren
A.F. Tscherning”, in OSD, pp. 218-242.
18
Per la precisione i protocolli sono due: il primo (2 agosto 1850) siglato da Russia,
Prussia e Austria stabiliva il principio dello ‘Stato unitario’ dano-tedesco; il secondo
(8 maggio 1852) sottoscritto dalle medesime più Francia, Inghilterra, Danimarca e
Svezia attribuiva i ducati al Regno di Danimarca (sotto forma di unione personale

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864 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

Gli eventi legati alla ‘questione meridionale’ avevano fortemen-


te coinvolto il Paese: la diffusione delle idee liberali (soprattutto
fra i borghesi) era manifesta e ormai difficile da contrastare e anche
l’opinione pubblica chiedeva un cambiamento.19 Nel 1848 venne
perciò eletta una assemblea costituente che con consistente mag-
gioranza approvò una proposta (elaborata nella sostanza da Ditlev
Gothard Monrad e Orla Lehman) da presentare al re: il 5 giugno
1849 Federico VII poneva la sua firma in calce a un documento
fondamentale, la nuova costituzione, nota appunto come Costitu-
zione di giugno (Junigrundloven).20 Questo documento rappresen-
tava il punto di arrivo di un lungo e difficile processo di matura-
zione politica. Basti qui ricordare che fin dagli ultimi decenni del
Settecento erano state avanzate proposte al riguardo, nell’imme-
diato senza alcuna fortuna.21 La nuova legge trasformava radical-
mente la forma dello Stato: ora con suffragio universale (riservato
tuttavia agli uomini) si sarebbero eletti due rami del parlamento
(Rigsdagen): la Camera (Folkethinget) e il Senato (Landsthinget),

nella figura del re), affermando tuttavia al contempo la loro peculiarità e assegnando
il diritto di successione al trono danese (Federico VII non aveva figli) a Cristiano di
Glücksburg (in ciò volendo anche risolvere una difficile questione sul diritto eredita-
rio rispetto ai ducati che aveva visto contrapposti la Corona danese e il duca Cristiano
Augusto di Augustenborg, 1798-1869); DT 1800-1863, nr. 95, pp. 217-218 e nr. 101,
pp. 281-287. In questo contesto si colloca la promulgazione della cosiddetta “costitu-
zione per lo Stato unitario” (Helstatsforfatningen) del 1855 (Forfatningslov af 2.
Oktober 1855 for det Danske Monarchies Fælledsanliggender, in DFL, pp. 92-100) con
la quale si tentò di regolare le questioni comuni: essa però fu accolta con sfavore dagli
abitanti dei ducati.
19
Queste idee trovarono voce in una serie di giornali di tendenze liberali pubbli-
cati non senza difficoltà. Fra di loro il più significativo è La Patria (Fædrelandet, 1834-
1882) cui diede il via l’economista Christian Georg Nathan David (1793-1874), il
quale per le sue critiche al governo subì un processo. La sua vicenda attirò l’attenzio-
ne dell’opinione pubblica e contribuì alla nascita di un vero movimento di opposizio-
ne politica nel Paese
20
Vd. la nota in DFL, pp. 55-60. La data del 5 giugno diventerà poi la festa nazio-
nale danese. Con l’emanazione di questo documento venivano anche eliminati tutti i
privilegi della nobiltà.
21
In questo contesto si menzioni innanzi tutto lo storico Peter Frederik Suhm
(vd. pp. 792-793) che nel 1772 aveva redatto un Abbozzo per una nuova forma di
governo (Fragment af et Udkast til en ny regeringsform, pubblicato tuttavia solo nel
1799) con cui proponeva l’istituzione di una monarchia costituzionale sotto il con-
trollo di un parlamento nel quale non era previsto alcun rappresentante dell’aristo-
crazia, e nell’opera Euphron (1774) celava sotto la forma del romanzo allegorico le
proprie idee liberali. Suo amico fu Niels Ditlev Riegels (1755-1802) che, animato
da ideali illuministici, espresse una severa critica dell’ordinamento sociale basato
sulla monarchia assoluta (su di lui vd. Petersen M., Oplysningens gale hund. Niels
Ditlev Riegels, oprører, kirkehader & kongeskænder, 1755-1802, en biografi, Køben-
havn 2003).

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Decenni cruciali 865

seppure l’eleggibilità fosse legata a precise condizioni.22 La nuova


legge assegnava così i tre poteri fondamentali: quello legislativo al
parlamento e al re (che aveva il diritto di veto), quello esecutivo al
re e quello giudiziario alla magistratura. In sostituzione dei collegi
vennero introdotti i ministeri sottoposti alle regole del parlamento.
Ma, soprattutto, vennero finalmente riconosciuti fondamentali
princìpi come la libertà di pensiero, di espressione, di culto, di
associazione. Nonostante taluni aspetti restrittivi questa costituzio-
ne rappresentò un momento di grande progresso anche nella più
ampia prospettiva europea.

11.1.2. Un francese sul trono di Svezia

L’assassinio di Gustavo III23 non provocò la rivoluzione che


taluni avevano sperato. L’erede al trono, Gustavo IV Adolfo (1778-
1837), era ancora minorenne e dunque la reggenza andò al duca
Carlo (Karl, 1748-1818), fratello del re. Questi si scelse come con-
sigliere il finno-svedese Gustaf Adolf Reuterholm (1756-1813), suo
amico e oppositore del defunto sovrano, che aveva fatto parte del
“partito delle berrette” ed era riparato all’estero per motivi politi-
ci. Seppure avesse inizialmente mostrato simpatia per la causa
della rivoluzione francese Reuterholm paventava (e con lui il duca
Carlo) la diffusione degli ideali liberali24 e considerava con grande
preoccupazione la minaccia militare russa sul fronte orientale.
Almeno in questo, come si vedrà, non aveva torto. Inoltre era
attratto da dottrine mistico-visionarie (al pari del duca Carlo era
iscritto alla massoneria)25 e per la sua durezza di carattere era mol-
to impopolare. Su di lui e sul suo operato gli storici ottocenteschi
hanno espresso un severo giudizio che andrebbe – almeno in par-
te – rivisto, se non altro per il suo interessamento ai problemi e alle

22
Il diritto di voto non era comunque garantito a tutti: erano infatti specificamen-
te previste delle limitazioni (Junigrundloven, IV, §§ 34-44). Il Senato veniva eletto
indirettamente, vale a dire da un gruppo di grandi elettori indicati dal voto popolare.
23
Vd. p. 706.
24
A ciò si deve, a quanto pare, la sospensione dell’attività dell’Accademia svedese
nel 1795, in quanto ritenuta luogo d’incontro dei liberali raccolti attorno al segretario
Nils von Rosenstein (cfr. p. 835, nota 702).
25
Questo aspetto è tutt’altro che secondario: si vedano i testi raccolti nell’anto-
logia Gustaviansk mystik. Alkemister, kabbalister, magiker, andeskådare, astrologer
och skattgrävare i den esoteriska kretsen kring G.A. Reuterholm, hertig Carl och
hertiginnan Charlotta 1776-1803, Inledning och kommentarer av Kj. Ekeby, Stockholm
2010.

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866 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

necessità della gente comune. Raggiunta la maggiore età Gustavo


IV Adolfo salì al trono nel 1796. In politica estera la Svezia si trova-
va, come la Danimarca, in una difficile posizione a causa dell’ostili-
tà tra la Russia e l’Inghilterra e della pretesa di quest’ultima di
imporre la propria supremazia sui mari, anche intraprendendo
azioni dirette nei confronti delle navi mercantili. Per questo motivo
il Paese aveva aderito ai patti di neutralità armata di cui s’è detto.26
Dopo l’assassinio dello zar Paolo e l’ascesa al trono del figlio Ales-
sandro la situazione parve semplificarsi. La nuova politica russa, ora
più favorevole agli Inglesi, consentì al re svedese di migliorare i
rapporti con l’Inghilterra, Paese verso cui andava gran parte delle
sue esportazioni di ferro. Gustavo IV Adolfo era un sovrano asso-
luto e, sebbene psichicamente instabile, le sue decisioni non pote-
vano essere contestate: egli aveva maturato nel tempo una profonda
avversione per Napoleone (le cui posizioni sul continente minaccia-
vano i domini svedesi) sicché per sua volontà la Svezia fu coinvolta
nella coalizione contro la Francia formata nel 1805 da Inghilterra e
Russia. In tal modo il re abbandonava una difficile neutralità, ma al
contempo metteva in moto una serie di eventi che avrebbero pro-
fondamente inciso sul futuro del Paese. Dal punto di vista militare
questa scelta fu un insuccesso pressoché totale, complicato dalle
deliberazioni dell’accordo di Til’zit del 1807. Frattanto, come si è
visto, i Danesi si erano alleati con Napoleone, sicché la posizione
della Svezia era ora di grande debolezza. Per di più lo zar aveva
nuovamente rotto con gli Inglesi e pretendeva da Gustavo IV Adol-
fo un sostegno che questi non poteva dargli se non a prezzo di veder
naufragare le proprie buone relazioni commerciali con l’Inghilterra.
La pressione militare e politica si fece sempre più forte e alla Svezia
fu imposto di aderire al blocco continentale. Ma quando il re non
volle rompere l’alleanza con l’Inghilterra le truppe russe attaccarono
la Finlandia (21 febbraio 1808) e poco dopo arrivò una dichiarazio-
ne di guerra da parte danese. A complicare il quadro intervenne poi
la decisione di conquistare la Norvegia, per realizzare l’antico desi-
derio di farne una propria colonia. Il risultato delle operazioni
militari sul fronte orientale fu disastroso: nonostante un fortunato
contrattacco tra la primavera e l’estate del 1808, l’esercito capitolò
e sulla base della convenzione di Olkijoki (nella regione settentrio-
nale di Oulu, 19 novembre 1808) la Finlandia (dove del resto si
erano sviluppati movimenti separatisti) fu abbandonata dalle truppe

26
Vd. p. 860.

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Decenni cruciali 867

svedesi.27 Una disfatta per la quale si cercarono capri espiatori, fra


tutti Carl Olof Cronstedt (1756-1820) comandante della ‘invinci-
bile’ fortezza di Sveaborg (presso Helsinki)28 da lui consegnata agli
assedianti russi il 3 maggio 1808 in circostanze non del tutto chia-
rite. Alla sconfitta in Finlandia si aggiunse il timore di ulteriori
ferite, quando le truppe russe attaccarono direttamente il territorio
nazionale. Di fronte a questa situazione montò la ribellione e si
predisposero piani per deporre il sovrano. Principali artefici di
questa ‘operazione’ furono Jakob Cederström (1782-1857) e Georg
Adlersparre (1760-1835).29 Pur a capo di due movimenti distinti
essi unirono le forze e il 13 marzo del 1809 fu realizzato un vero e
proprio colpo di stato: il re fu fatto prigioniero e fu nominato un
governo provvisorio.30 Lo stesso giorno ci si rivolse ancora al duca
Carlo che sarebbe divenuto il nuovo sovrano. Ma la situazione
della monarchia assoluta era, evidentemente, compromessa: nel
frattempo infatti, sull’onda della diffusione delle idee liberali, il
parlamento aveva lavorato per redigere una nuova costituzione
basata sulla suddivisione dei poteri: ora il re avrebbe dovuto sot-
tomettere a ratifica le proprie decisioni. Approvato il 6 giugno 1809
questo documento (con le dovute modificazioni) è rimasto in
vigore per centosessantasei anni ed è considerato il più antico del
genere in Europa.31 Il giorno successivo alla sottoscrizione della
costituzione il duca Carlo venne formalmente proclamato sovrano

27
Testo in Montgomery G., Historia öfver kriget emellan Sverige och Ryssland ären
1808 och 1809, Örebro 1942, I, pp. 136-137. Le tragiche vicende della guerra russo-
svedese del 1808-1809 hanno trovato una eco letteraria in una celebre opera dello
scrittore finno-svedese Johan Ludvig Runeberg (vd. p. 1375) dal titolo Leggende del
sottotenente Stål (Fänrik Ståls sägner, 1848 e 1860). Da questo testo fu tratto il film del
1910 col medesimo titolo diretto dal regista Carl Engdahl (1864-1939).
28
Vd. pp. 1361-1362 con nota 51.
29
Cfr. p. 808, nota 552.
30
I protagonisti degli avvenimenti che portarono alla destituzione del re sono
ricordati con l’appellativo di “uomini del 1809” (1809 års män); vd. tra l’altro Forssberg
E., Karl August, gustavianerna och 1809 års män. Ett bidrag till Nordens historia år
1810, [Stockholm] 1942.
31
Kongl. Maj:ts Och Riksens Ständers Faststälde regerings-Form [...] 1809. Importan-
ti contributi alla redazione di questo testo vennero da Anders af Håkansson (1749-1813)
e Hans Järta (cfr. nota 118). La data del 6 giugno non è casuale: essa infatti si richiama
al 6 giugno 1523, giorno della proclamazione del re Gustavo Vasa e festa nazionale
svedese (vd. p. 468, nota 26). Una costituzione profondamente rinnovata è stata appro-
vata nel 1974 ed è entrata in vigore il 1 gennaio 1975 (Kungörelse om beslutad
ny regeringsform, 28 febbraio 1974). Essa ha subito modifiche nel 2002 con decorren-
za dal 1 gennaio 2003 (Lag om ändring i regeringsformen, 28 novembre 2002) e nel
2010 con decorrenza 1 gennaio 2011 (Lag om ändring i regeringsformen, 25 novembre
2010).

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868 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

di Svezia e assunse il nome di Carlo XIII. Il 17 settembre 1809


veniva siglata la pace con la Russia a Fredrikshamn (finnico Hamina,
nella regione di Kymenlaakso).32 Dopo circa seicentocinquanta anni
la Finlandia si separava definitivamente dalla Svezia; con essa veni-
va ceduta una parte di territorio nell’estremo nord e le isole Åland.33
Il nuovo re era tuttavia fisicamente debole e non aveva figli
legittimi.34 Si trattava dunque di procedere a una adozione per
garantire la successione al trono. La scelta fu, naturalmente, dibat-
tuta essendo in gioco contrastanti interessi: alla fine però Adler-
sparre riuscì a far prevalere la candidatura del principe danese
Federico Cristiano Augusto (Fredrik Christian August) di Schlesvig-
Holstein-Sønderborg-Augustenborg (1768-1810).35 Costui era noto
come convinto scandinavista36 e si sperava che avrebbe sostenuto
la Svezia nelle sue mire sulla Norvegia. Egli accettò, assumendo il
nome di Carlo Augusto (Carl August), ma non divenne mai re: il
28 maggio 1810 infatti morì improvvisamente, ucciso da un colpo
apoplettico.37 A questo punto i giochi furono riaperti. Il fratello del
defunto, Federico Cristiano (Frederik Christian, 1765-1814), pen-

32
 Freds Fördrag Emellan Hans Maj:t Konungen af Swerige Och Sweriges Rike Å
ena, samt Hans Maj:t Keisaren af Ryszland Och Ryska Riket Å andra sidan, Afhandladt
och slutit i Fredricshamn den 17 September 1809 och Ratificeradt i Stockholm den 3
October och i S:t Petersburg den 13 i samma månad / Traité de Paix Entre Sa Majesté
le Roi de Suède et la Couronne de Suède D’une part, et Sa Majesté l’Empereur de Tou-
tes les Russies et l’Empire de Russie De l’autre, Fait et conclu à Fredricshamn le 7
September 1809 & ratifié à Stockholm le 3 Octobre et à S:t Petersbourg le 13 du même
mois (SFS 1809: i).
33
Qui nel marzo del 1808 la popolazione si era ribellata contro gli occupanti russi
e un esercito di contadini locali sostenuto da soldati svedesi era riuscito a sconfigger-
li e a farli prigionieri.
34
Dalla moglie, Hedvig Elisabet Charlotta di Holstein-Gottorp (1759-1818) aveva
in realtà avuto due figli entrambi morti in fasce: Luisa Edvige (Lovisa Hedvig, 1797) e
Carlo Adolfo (Carl Adolf, 1798). È comunque probabile che Carl Axel Löwenhielm
(1772-1861), dato alla luce dalla sua amante Augusta von Fersen (1754-1846), fosse in
realtà figlio suo: costui avrebbe rappresentato la Svezia al Congresso di Vienna.
35
L’altro candidato eccellente era Gustavo, figlio del re deposto (1799-1877) men-
tre lo stesso Federico VI di Danimarca si era proposto per il trono di Svezia.
36
Vd. 12.1.
37
In seguito alla sua morte fu sparsa ad arte la voce che fosse stato avvelenato. Carlo
Augusto era molto popolare e durante il corteo funebre scoppiarono dei tumulti: il
maresciallo del Regno Axel von Fersen (1755-1810, noto anche per la sua chiacchierata
amicizia con la regina di Francia Maria Antonietta) che scortava la bara, ingiustamente
additato come responsabile di questo inesistente delitto, fu linciato dalla folla inferocita.
Axel von Fersen era stato un rappresentante del partito fedele al deposto re Gustavo IV
e avrebbe voluto vedere sul trono il di lui figlio: questo spiega le (ignobili) ragioni del
suo assassinio, certamente provocato con fredda pianificazione. Vd. Barton H. Arnold,
Count Hans Axel von Fersen. Aristocrat in an age of revolution, New York 1975.

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Decenni cruciali 869

sò di poterne prendere il posto, il re danese Federico VI sperò nuo-


vamente di poter ricostituire una ‘grande Scandinavia’ sotto il suo
scettro, i gustaviani duramente colpiti dall’assassinio di uno dei loro
più qualificati rappresentanti38 credettero che ci fosse una nuova
possibilità per il giovane principe Gustavo. Ma la soluzione (per
molti versi inattesa) fu diversa. Già in precedenza il governo svedese
si era rivolto a Napoleone perché dalla Francia fosse proposto qual-
che candidato di suo gradimento. Ora avvenne che il nobile e luogo-
tenente Carl Otto Mörner (1781-1868), inviato a Parigi per ottenere
il sostegno francese alla nomina di Federico Cristiano, di propria
volontà si rivolse al maresciallo Jean Baptiste Bernadotte (1763-1844)
offrendogli il trono svedese. Questa singolare iniziativa sarebbe cer-
tamente fallita (del resto al ritorno in patria Mörner fu posto agli
arresti) se non fosse che, nel frattempo, la diplomazia francese si mise
in moto e Napoleone concesse la propria approvazione. Fu così che
nella speranza che questa scelta potesse finalmente risolvere i pro-
blemi del Paese, il 21 agosto 1810 a Örebro (Närke) Bernadotte
venne proclamato principe ereditario di Svezia, con l’unica condi-
zione di convertirsi alla religione luterana. Ufficialmente adottato dal
re, alla di lui morte (1818) sarebbe salito al trono con il nome di
Carlo XIV Giovanni (Karl XIV Johan). Fin da subito (considerata
l’età e, soprattutto, le condizioni di salute del re) Bernadotte assunse
il potere nelle proprie mani mostrandosi deciso e intraprendente,
adoperandosi (non senza un certo autoritarismo) per gestire la diffi-
cile situazione politica ed economica svedese. Dopo una iniziale
adesione alla politica napoleonica (e una guerra più formale che
reale contro l’Inghilterra) egli decise infatti di passare dalla parte degli
Alleati. Carlo Giovanni considerava la questione finlandese di diffi-
cile soluzione, ritenendo che il suo protrarsi avrebbe soltanto pro-
lungato nel tempo i problemi con la Russia: pensava piuttosto che la
Svezia avrebbe potuto rafforzarsi realizzando l’antica aspirazione di
annettere la Norvegia. Per questa ragione intraprese trattative con lo
zar che portarono il Paese nel campo degli avversari di Napoleone
(il quale nel 1812 aveva occupato la Pomerania svedese). Nelle azio-
ni militari che seguirono egli seppe risparmiare le forze dell’esercito
volendole utilizzare piuttosto contro la Danimarca. Il che in effetti
avvenne, finché i Danesi furono costretti a sottoscrivere il trattato di
pace di Kiel con il quale rinunciavano definitivamente alla Nor-
vegia.39 Di fatto, come si vedrà,40 l’auspicata annessione di quel
38
Vd. nota precedente.
39
Vd. p. 861 con nota 8.
40
Vd. paragrafo successivo.

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870 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

Paese si sarebbe risolta in una unione personale sotto Carlo XIII


che nel 1814 divenne dunque re di Norvegia con il nome di Carlo
II. Il quadro dei rapporti con i Paesi stranieri era così definito e
per gli anni a venire Carlo XIV Giovanni avrebbe dovuto affron-
tare solo questioni di minore importanza. Ebbe piuttosto a misu-
rarsi con conflitti interni e istanze liberali, legati agli sviluppi poli-
tico-sociali del Paese.41 Quando egli morì (1844) e il figlio Oscar I
(1799-1859) salì al trono parve – almeno inizialmente – che tali
conflitti fossero destinati a trovare una rapida e soddisfacente
soluzione. La strada verso una completa democratizzazione del
Paese era però ancora molto lunga.

Nel 1810, quando Jean Baptiste Bernadotte salì al trono, gli Svedesi si
trovarono ad avere una nuova regina: francese e, per di più, di origine
borghese. Bernardine Désirée Clary (1777-1860), nota come Desideria,42
aveva sposato il futuro principe di Pontecorvo e re di Svezia nel 1798. In
precedenza era stata fidanzata addirittura con Napoleone e, successiva-
mente, con il generale Mathurin Leonard Duphot (1769-1797), ucciso nel
corso di uno scontro tra le truppe papali e i francesi. Sua sorella Giulia
(Marie Julie, 1771-1845) era la moglie di Giuseppe Bonaparte (1768-1844),
sicché ella rimase sempre legata a quella famiglia.
Divenire regina di Svezia non fu certamente per lei il coronamento di
un sogno. Tutt’altro: ella detestava il rigido clima del Nord, non sapeva
adattarsi agli usi e alle abitudini del nuovo Paese e non imparò mai la
lingua svedese. Il suo comportamento eccentrico e le lunghe assenze le
alienarono il favore dei sudditi, un sentimento per altro da lei pienamen-
te ricambiato. Si legga il seguente brano tratto da una lettera da lei indi-
rizzata all’imperatore:

“Sire,

È alla bontà di Vostra Maestà che devo il sollievo alla mia cattiva salute;
considererò per tutta la vita come uno dei vostri più grandi favori nei miei
confronti, Sire, il permesso che vi degnaste d’accordarmi di fare un viaggio
in Francia, dal momento che serie ragioni lo esigevano. Le acque di Plom-
bières43 hanno già lenito i mali di cui soffrivo a Stoccolma, mi è permesso di
sperare in un esito ancora migliore dai loro prossimi effetti. Sono venuta ad
attenderlo più vicino alla mia famiglia e a dei buoni medici; oso sperare che

41
Vd. paragrafo 11.2.2.
42
Desideria fu la prima regina di Svezia di origine non nobile dopo Karin Månsdot-
ter (su cui vd. p. 477 con nota 55).
43
Il riferimento è alla stazione termale di Plombières-les-Bains, in Lorena.

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Decenni cruciali 871

nello stesso tempo Vostra Maestà non disapproverà che io mi rechi a Parigi
per concludere là diverse faccende di famiglia e soprattutto per avere l’ono-
re di porre ai piedi di Vostra Maestà l’omaggio della mia riconoscenza, le
mie felicitazioni e quelle di mio marito.
Sono con un profondo rispetto,
Sire,
l’umilissina e obbedientissima serva
di vostra Maestà
Dèsirée.”44

11.1.3. La Norvegia verso l’indipendenza

Come la Danimarca la Norvegia aveva ampiamente beneficiato


delle possibilità offerte al commercio navale neutrale negli anni
del conflitto anglo-americano e anglo-francese-spagnolo. Tuttavia,
quando nel 1807 il governo danese si schierò apertamente dalla
parte di Napoleone, la situazione cambiò radicalmente. La flotta
inglese bloccò di fatto il Paese e le comunicazioni navali con la
Danimarca furono interrotte: ciò provocò pesanti ripercussioni
economiche accresciute da una grave carestia. Per di più l’anno
successivo la Danimarca dichiarava guerra alla Svezia e la Norve-
gia veniva attaccata dalle truppe svedesi. Nel frattempo, in conse-
guenza del complicarsi della situazione, il governo del Paese era
stato affidato ad interim a una commissione presieduta da Fede-
rico Cristiano Augusto di Schlesvig-Holstein-Sønderborg-Augusten-
borg, futuro principe ereditario di Svezia.45 Questi, che aveva una

44
DLO nr. 158. La lettera, alla quale a quanto risulta Napoleone non rispose, è del
6 settembre 1811. Sulla figura di Désirée molto si è scritto. Si veda, tra l’altro, il volu-
me di F. Kermina, Bernadotte et Désirée Clary. Le Béarnais et la Marseillaise, souverains
de Suède, Paris 1991. Piuttosto noto è anche il romanzo Désirée della scrittrice austria-
ca Annemarie Selinko (1914-1986), dal quale è stato poi tratto il film omonimo del
1954 diretto dal regista Henry Koster (1905-1988) e interpretato da Marlon Brando
(1924-2004) e Jean Simmons (1920-2010). Un precedente film del 1942 è Lo straordi-
nario destino di Désirée Clary (Le destin fabuleux de Désierée Clary), diretto da Sacha
Guitry (1885-1957).
45
Cfr. p. 868. Gli altri membri erano il funzionario e possidente Gebhard Moltke
(1764-1851), il giurista Enevold de Falsen (1755-1808) e il governatore distrettuale
Marcus Gjøe Rosenkrantz (1762-1838). Il decreto di costituzione di questa commis-
sione è del 24 agosto 1807 (Wessel Berg [Abbr.] IV, pp. 667-668). Successivamente
la Norvegia ebbe una gestione finanziaria, una corte penale e un ammiragliato indi-
pendenti (ibidem: pp. 668-669, 3 settembre; pp. 679-680, 9 ottobre; pp. 698-699,
12 dicembre).

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872 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

formazione militare, si dimostrò un ottimo governatore anche in


campo civile, si guadagnò la totale fiducia dei Norvegesi e dell’eser-
cito, condusse in prima persona la difesa del Paese (condividen-
do in tutto e per tutto la vita dei soldati) e lo guidò verso la
risoluzione del conflitto, in ciò per altro avvantaggiato dal fatto
che nel marzo 1809 l’esercito svedese si ritirò verso Stoccolma
dove il 13 dello stesso mese il re Gustavo IV Adolfo sarebbe
stato destituito.46
Nel dicembre del 1808 due nuovi membri erano entrati a far
parte della commissione di governo: uno di loro era Johan Caspar
Herman conte di Wedel Jarlsberg (1779-1840), un politico che
desiderava emancipare la Norvegia dalla posizione di sudditanza
nei confronti della Danimarca e mirava a un avvicinamento alla
Svezia.47 La proclamazione di Federico Cristiano Augusto come
erede al trono di quel Paese lo confortò dunque nel suo progetto,
ma la sua improvvisa morte inferse un duro colpo alle sue speran-
ze.48 E tuttavia gli eventi sarebbero andati proprio nella direzione
da lui auspicata. Nel 1813 Cristiano Federico, destinato a salire
sul trono di Danimarca, veniva nominato governatore della Nor-
vegia, allo scopo di assicurare la fedeltà del Paese alla Corona
danese.49 Ma gli eventi avevano ormai preso una piega diversa: il
14 gennaio 1814 veniva siglata la pace di Kiel e la cessione della
Norvegia alla Svezia era decisa. Cristiano Federico convocò allo-
ra i notabili del Paese che si incontrarono a Eidsvoll (circa 60 km.
a nord-est di Oslo) il 16 febbraio 1814. Esito di questo incontro
fu la decisione di indire una assemblea nazionale che ponesse le
basi di una costituzione basata sul principio della sovranità popo-
lare. Il 25 febbraio nelle chiese del Paese furono eletti i rappre-
sentanti che vi avrebbero partecipato e fu letta una formula di
giuramento cui tutti avrebbero dovuto aderire: con essa i Norve-
gesi manifestavano la loro volontà di difendere la propria indi-
pendenza. Il 10 aprile 1814 più di un centinaio di delegati (fun-
zionari, uomini d’affari, ecclesiastici, militari, proprietari terrieri

46
Vd. p. 867.
47
L’altro era il funzionario Mathias Sommerhielm (1762-1827).
48
Sulla figura di questo importante politico vd. Nielsen Y., Lensgreve Johan Caspar
Herman Wedel Jarlsberg. Amtmand, Medlem af Rigsforsamlingen paa Eidsvold, Stats-
raad, Stortingsmand, Statholder og Prokansler ved det Kgl. Frederiks Universitet. 1779-
1840, I-III, Christiania 1901-1902.
49
Egli era figlio di Federico, a sua volta nato dal secondo matrimonio del re Fede-
rico V e della regina Giuliana Maria (cfr. p. 691). Dal momento che Federico VI non
aveva eredi legittimi a lui spettava il trono per diritto.

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Decenni cruciali 873

ma anche contadini) si riunirono nuovamente a Eidsvoll: nell’am-


bito dei lavori venne istituita una commissione che doveva pro-
porre una nuova costituzione. La discussione dell’assemblea fu
ampia e segnata anche da duri contrasti. Alla fine venne appro-
vato un testo che in buona parte riflette gli ideali ispiratori della
rivoluzione francese.50 La costituzione di Eidsvoll rappresenta
certamente un documento all’avanguardia dal punto di vista dei
princìpi di libertà che vi sono affermati51 e, con le dovute oppor-
tune modifiche, resta a tutt’oggi la base giuridica dello Stato
norvegese. Il 17 maggio essa fu dichiarata legalmente in vigore e
nello stesso giorno Cristiano Federico venne proclamato re di
Norvegia.52
Queste risoluzioni erano la vampata di un fuoco che a lungo
aveva covato sotto la cenere. Nella seconda metà del Settecento i
sentimenti nazionalistici dei Norvegesi si erano espressi (come si è
visto in precedenza) innanzi tutto (e ampiamente) in forma lettera-
ria: tuttavia durante il breve periodo in cui Struensee aveva conces-
so la libertà di stampa53 erano comparsi anche scritti di carattere più
propriamente politico. Sebbene il sentimento patriottico restasse
limitato all’ideale di singole figure di intellettuali, le acque erano
state smosse anche da questo punto di vista. La favorevole congiun-
tura economica degli ultimi decenni del XVIII secolo aveva contri-
50
Vd. Kongeriget Norges grundlov. Given i Rigsforsamlingen paa Eidsvold den 17
mai 1814. Principali ispiratori della costituzione norvegese sono considerati Christian
Magnus Falsen (1782-1830), figlio di Enevold (cfr. nota 45) e Johan Gunder Adler
(1784-1852) la cui bozza fu assunta come base per la discussione. Altre figure di
prestigio che parteciparono all’assemblea costituente furono Peder Anker (1749-
1824, fratello di Bernt, cfr. p. 721, nota 182); l’ufficiale Diderich Hegermann (1763-
1835); il professor Georg (Jørgen) Sverdrup (cfr. p. 902); Johan Caspar Herman
conte di Wedel Jarlsberg; Nicolai Wergeland (1780-1848), padre del celebre scrit-
tore Henrik (vd. pp. 930-931). Con le dovute modificazioni questa costituzione è
tuttora in vigore; la versione più aggiornata (con le ultime modifiche del 2014) è
disponibile sul sito https://www.stortinget.no/no/Stortinget-og-demokratiet/
Grunnloven/om_grunnloven.
51
Il principio della libertà religiosa era tuttavia (almeno in parte) condizionato
dalle esigenze politiche (vd. Lenhammar 20014 [B.7.2], pp. 68-69). Inoltre nel testo
della legge era contemplato (§ 2) un preciso divieto nei confronti dei gesuiti e degli
ordini monastici (che sarebbe scomparso solo con l’emanazione della legge del 27
luglio 1956 che regolava l’accesso degli stranieri nel Paese).
52
In quanto data di approvazione della libera costituzione norvegese, il 17
maggio è stato scelto come festa nazionale del Paese a partire dal 1824. L’accetta-
zione solenne del titolo di re da parte di Cristiano Federico avvenne tuttavia il 19
maggio, insieme alla dichiarazione ufficiale di chiusura dei lavori che comunque
terminarono il giorno successivo (vd. in proposito il testo inserito alla fine di questo
paragrafo).
53
Vd. p. 691 con nota 63 e p. 810.

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874 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

buito a far crescere nella borghesia norvegese (la vera ‘vincitrice’ di


Eidsvoll) il desiderio di una gestione autonoma del Paese e, di
conseguenza, l’insofferenza per la dominazione straniera.
Naturalmente questi esiti non erano graditi al re di Svezia,
soprattutto al reggente, il quale non esitò a passare all’offensiva.
La guerra fu breve.54 I successi militari svedesi (non si dimentichi
che Bernadotte era stato maresciallo di Napoleone!) e la pressio-
ne delle grandi potenze fecero sì che presto si giungesse alla
cosiddetta “convenzione di Moss” (località in Østfold) con la
quale il progetto di una totale indipendenza doveva per il momen-
to essere accantonato.55 In base a questo accordo Cristiano Fede-
rico rinunciava a qualsiasi pretesa sulla Norvegia: essa entrava in
unione personale con il re di Svezia, il quale dal canto suo si
impegnava a rispettare (salvo qualche adattamento) la costituzio-
ne approvata a Eidsvoll,56 accettando che il neocostituito parla-
mento norvegese (Stortinget)57 avesse sempre voce in capitolo
sulle questioni riguardanti il Paese. La struttura di governo a
lungo imposta dai Danesi e con essa la passiva sottomissione al
volere di un sovrano straniero era ormai, dunque, definitivamen-
te superata.58 Si trattava, stante la situazione politico-militare, di
un accordo obbligato, ed esso fu pienamente applicato: il 4 novem-
bre 1814 Carlo XIII di Svezia divenne re di Norvegia con il nome

54
La si considera iniziata il 26 luglio con un attacco svedese alle navi norvegesi alla
fonda presso le isole Hvaler (Østfold) e conclusa il 9 agosto con la battaglia di Langnes
(Østfold) che, pure, vide il sopravvento delle forze norvegesi.
55
Mossekonvensjonen: 14 agosto 1814 (Convention imellem Hans Kongelige Høihed
Kronprindsen af Sverrig, i Hans Svenske Majestaets Navn paa den ene, og den Norske
Regjering paa den anden Side, sluttet under Betingelse af Stadfaestelse, ved Undertegne-
de paa Moss, den 14 August 1814, Frederikstad 1814).
56
Si ebbe dunque una revisione che portò alla cosiddetta ‘costituzione di
novembre’ (Novemberforfatning).
57
Previsto dal § 49 della costituzione di Eidsvoll esso era suddiviso in Odelstinget
(Camera bassa) e Lagtinget (Camera alta). La prima denominazione è formata su ting
“assemblea” “parlamento” e odel che risale all’antico nordico óðal termine con cui si
indicavano le terre possedute con diritto allodiale (si noti qui che il termine allodium
è la sua forma latinizzata, vd. Cleasby-VigfUsson 1957 [B.5], p. 470); la seconda su
ting e lag “legge” (ant. nordico lǫgþing “assemblea stabilita per legge”). L’Odelstinget,
che comprendeva i tre quarti dei seggi, era la prima Camera a valutare le proposte di
legge che venivano successivamente inoltrate al Lagtinget. Dal 1814 al 1854 le riunio-
ni si tennero nell’auditorio della scuola della cattedrale di Christiania, poi (fino al
1866) nel salone dell’università e infine nell’edificio costruito appositamente che
tuttora le ospita.
58
E ciò non soltanto dal punto di vista generale: si pensi che l’unico ‘collegio’
norvegese era stato quello delle miniere (Bergverksdirektoriet), istituito nel 1773 e
tuttavia soppresso fin dal 1791. Cfr. p. 668.

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Decenni cruciali 875

di Carlo II.59 Nonostante lo sconcerto e la delusione della popo-


lazione molta strada era comunque stata fatta da quel lontano
1628 in cui per la prima volta c’era stata a Christiania una riunio-
ne dei rappresentanti degli stati.60
Negli anni che seguirono i Norvegesi cercarono di far valere la
propria volontà attraverso le decisioni del parlamento. Ma secondo
le clausole della ‘costituzione di novembre’ nel Paese doveva esser-
ci un viceré nominato dalla Svezia, ragion per cui sorsero non pochi
contrasti.61 A esempio nel 1821, quando il parlamento decretò l’a-
bolizione della nobiltà opponendosi al re che voleva imporre il suo
veto sull’emanazione di tale legge;62 o quando (1826) esso richiese
con forza la parità di diritti nelle decisioni riguardanti l’unione.
Chiari segni di insofferenza cui si sommeranno nei decenni a venire
episodi, movimenti e decisioni che preannunceranno l’effettiva e
definitiva riconquista dell’indipendenza politica del Paese.

59
Egli tuttavia non fu ufficialmente incoronato. Fu invece il suo successore, Carlo
XIV Giovanni (per i Norvegesi Carlo III) a ricevere la corona di Norvegia il 7 settem-
bre 1818 nel duomo di Trondheim. Per questo re furono avviati i lavori di costruzione
del castello di Oslo, progettato dall’architetto dano-norvegese Hans von Linstow
(1787-1851) e terminato solo nel 1849.
60
Vd. p. 661. Per altro va ricordato che una parte dell’élite non era affatto contra-
ria a questa soluzione: fin dal 1790 infatti c’erano stati degli incontri segreti tra alcuni
rappresentanti del mondo industriale e commerciale norvegese e Gustaf Mauritz
Armfelt (cfr. p. 1364 con nota 63) per la parte svedese. Obiettivo di questi incontri
(ispirati da motivi di carattere economico) era quello di formulare un piano che con-
sentisse alla Norvegia di separarsi dalla Danimarca con l’aiuto svedese.
61
 Secondo i §§ 12-14 della ‘costituzione di novembre’ in Norvegia doveva esserci
un governatore (capo del governo e dell’esercito) che sostituisse il re svedese nelle sue
funzioni quando questi non si trovava nel Paese. Dopo incarichi di breve durata, tra
il 1814 e il 1829 questo ufficio fu costantemente affidato a funzionari svedesi, nell’or-
dine: Hans Henric von Essen (1755-1824) dal 1814 al 1816, Carl Mörner (1755-1821)
dal 1816 al 1818, Johan August Sandels (1764-1831) dal 1818 al 1827 (con una breve
interruzione), Baltzar von Platen (cfr. p. 898) dal 1827 al 1829. Successivamente non
ci furono nuove nomine fino a quando venne finalmente designato il norvegese Johan
Caspar Herman conte di Wedel Jarlsberg, sopra ricordato, in carica dal 1836 al 1841.
A lui seguì Severin Løvenskiold (1777-1856) che, in sostanza, fu l’ultimo a rivestire
questa carica. Cfr. oltre, p. 1006.
62
 Lov, angaaende Modificationer og nærmere Bestemmelser af den Norske Adels
Rettigheder (1 agosto 1821). In Norvegia la nascita di un sentimento antiaristocratico
non si deve solo alla diffusione delle idee illuministiche di eguaglianza o alla crescente
influenza della borghesia. Esso infatti dipese anche dal fatto che, dopo il quindicesimo
secolo, la nobiltà autenticamente norvegese era venuta quasi completamente scompa-
rendo, assorbita o sostituita da quella danese. L’avversione antiaristocratica fu dunque
qui anche un motivo di agitazione politica in chiave antisvedese: essa infatti si rivolse
contro un Paese nel quale (come del resto in Danimarca) la nobiltà era ancora ben
salda e, comunque, meno fieramente avversata.

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876 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

I lavori della dieta di Eidsvoll ci sono noti attraverso la testimonianza


diretta di molti dei partecipanti.63 Tra di loro, come è stato detto, Nicolai
Wergeland.64 A lui è infatti da riferire una raccolta di lettere pubblicata
nel 1830 e dalla quale si trae qui il resoconto della giornata conclusiva,
segnata dalla constatazione del risultato raggiunto nonostante divergenze
e lotte anche aspre e, al contempo, da una consapevole (e giustificata)
solennità. Si legga:

“Quest’ultimo giorno a Eidsvoll pura amicizia e cordialità! Ci siamo


incontrati per sottoscrivere il protocollo e ascoltare la lettura del dibattito e
poi congedarci gli uni dagli altri. Sono state composte alcune canzoni, che
non esprimevano altro se non riconciliazione, superamento [dei conflitti],
unità, amicizia, fratellanza. L’agnello e il leone si sono accovacciati l’uno di
fianco all’altro all’alba dell’età dell’oro. Il più dolce sorriso del sole dopo la
tempesta! Gli spiriti più fieramente avversi si sono tesi la mano. Al ban-
chetto finale si è brindato al re, alla Norvegia, all’unità e all’amicizia, alla
lealtà norvegese. Dopo tavola siamo andati nella sala dell’assemblea. Il
protocollo è stato letto e sottoscritto da tutti. Il presidente ci ha invitato a
separarci senza rancore, poiché noi tutti avevamo perseguito uno scopo, solo
eravamo stati discordi sui metodi. Volesse Iddio che si fosse utilizzato un
simile linguaggio dall’inizio della riunione, e che una deliberazione amiche-
volmente spassionata con riguardo interiore ed esteriore gli uni per gli altri
avesse avuto luogo! Forse avremmo potuto augurarci un risultato migliore
dei nostri lavori, o quantomeno essere certi di separarci senza rancore, sì
forse pienamente d’accordo. Ora si gridava: ‘Tutto superato! Tutti amici!
Fortuna alla vecchia Norvegia!’ con evviva e battimani. Ah, ora non può
essere altro che appianare [i contrasti almeno] esteriormente, per quel che
riguarda i caratteri profondi e le menti concrete che si prendono a cuore la
cosa; dal momento che ciò non si basa sulla comunicazione di pensieri e
sentimenti, non sulla convinzione, non su qualcosa di diverso da un pio
desiderio che sia così.
C. Fa.,65 persona di grande umanità e assai amichevole ci incoraggiò,
prima di lasciare per l’ultima volta i nostri scranni, a formare la catena
dell’amicizia. Ciascuno diede la mano destra a quello che stava alla sua
sinistra e la sinistra a quello che stava alla sua destra, e stando così gridam-
mo: ‘Uniti e fedeli, finché [la montagna di] Dovre non cada!’.66 “Poi lasciam-

63
Si veda Nielsen Y., Bidrag til Norges Historie i 1814. Afhandlinger og Aktstykker,
I-II, Christiania 1882-1886.
64
Vd. nota 50.
65
Il riferimento è a Christian Magnus Falsen (cfr. nota 50). Su di lui vd. Østvedt
E., Christian Magnus Falsen. Linjen i hans politikk, Oslo 1945 e anche Mykland K.,
“Grunnlovens far og kongemaktens forsvarer”, in Samtiden (1964), pp. 276-291.
66
La montagna di Dovre (Dovrefjell) è una catena che si trova nel cuore della
Norvegia a sud della regione di Trøndelag ed è considerata un simbolo nazionale.

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Decenni cruciali 877

mo quel luogo, nel quale erano trascorsi così tanti momenti interessanti,
così tante cose importanti decise. Ci separammo tra strette di mano e rassi-
curazioni d’amicizia. Con le lacrime agli occhi e i più ardenti auspici per la
felicità del popolo che avevamo avuto l’onore di rappresentare, ce ne andam-
mo da Eidsvoll [...].”67

11.1.4. Primi segnali d’una riscossa islandese

In Islanda l’Ottocento si apre con un atto simbolico che pare


suggellare un secolo davvero travagliato. Con un decreto reale,
infatti, ciò che rimaneva dell’antico e prestigioso Alþingi (che dal
1798 aveva abbandonato la tradizionale sede di Þingvellir per riu-
nirsi a Reykjavík)68 veniva definitivamente abolito. Contemporanea-
mente era istituita una nuova Corte di giustizia (danese Landsoverret,
islandese Landsyfirréttur).69
In tal modo scompariva l’ultimo simbolo di quella che era
stata l’indipendente e orgogliosa repubblica fondata ottocento-
settanta anni prima.70 Dal canto suo l’isola era stata duramente
colpita dalle conseguenze del conflitto tra le grandi potenze che
aveva suo malgrado coinvolto la Danimarca: le difficoltà di quel
Paese si erano infatti tradotte in un diradamento delle comunica-
zioni navali, il che in sostanza venne a significare mancanza di
adeguati approvvigionamenti e impossibilità di esportare le pro-
prie merci. Del resto, seppure nel 1787 fosse stato per gran parte
abolito il monopolio commerciale,71 gli scambi potevano avveni-
re esclusivamente con i sudditi del Regno. Ciò naturalmente
comportava gravissimi disagi, solo in parte rimediati dall’arrivo
di navi inglesi.72 Ma nel 1809 si verificò un importante episodio.

67
DLO nr. 159. Il volume da cui si trae questo testo ha per titolo Lettere confiden-
ziali a un amico, scritte da Eidsvoll l’anno 1814, da un membro dell’assemblea naziona-
le (Fortrolige Breve til en Ven, Skrevne fra Eidsvold i Aaret 1814, af Et Medlem af
Rigsforsamlingen, Christiania 1830). Sugli avvenimenti di Eidsvoll, punto di svolta
della storia norvegese, lo scrittore contemporaneo Karsten Alnæs (n. 1938) ha incen-
trato il romanzo Il seguito dei re in fuga. 1814 “Annus mirabilis” (Flyktende kongers
følge. 1814 “Annus mirabilis”, 1982).
68
Su Þingvellir vd. pp. 151-152.
69
Il decreto è del 7 giugno 1800 (LFI XXI, pp. 445-447).
70
Come è stato detto la fondazione della repubblica d’Islanda si fa risalire al 930:
vd. p. 152.
71
Vd. pp. 551-552.
72
Nell’estate del 1808 era giunta in Islanda anche una nave pirata, comandata da
tale Thomas Gilpin, il quale non solo non portò alcun tipo di rifornimento, ma si

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878 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

Un vascello proveniente da Liverpool si ancorò a Hafnarfjörður,


poco a sud di Reykjavík. Dopo aver trovato un accordo con le
autorità locali, i mercanti vendettero le loro merci e acquistaro-
no prodotti islandesi. A bordo di questa nave viaggiava un avven-
turiero danese, tale Jørgen Jürgensen (1780-1841) che a suo
tempo era finito nelle mani degli Inglesi. Questi si era impegna-
to a procurare sego e fegato di merluzzo per un fabbricante di
sapone. Fu così stabilito un nuovo canale commerciale. Ma
quando giunse in Islanda con un viaggio successivo Jørgen Jür-
gensen venne a sapere che le autorità avevano cercato di ostaco-
lare il commercio appena avviato. Egli dunque passò all’azione
arrestando il governatore dell’isola, il conte danese Frederik
Christopher Trampe (1779-1832) che fu tenuto prigioniero sulla
nave. Inoltre tra il 26 giugno e l’11 luglio emanò tre proclami che
annunciavano solennemente l’indipendenza dalla Danimarca e
la sua nomina a governatore e protettore del Paese.73 Le sue
intenzioni erano (almeno dichiaratamente) buone. Egli infatti si
impegnava a dimettersi quando una assemblea nazionale avesse
redatto una nuova costituzione. Nel frattempo fece visita ai suoi
‘sudditi’ e si adoperò per migliorarne le condizioni economiche.
Il suo ‘regno’ fu però di breve durata. Jürgensen non godeva
affatto, come voleva lasciar intendere, dell’appoggio del governo
inglese. All’arrivo di una nave da guerra di quella flotta tanto il
governatore quanto i massimi notabili islandesi si affrettarono a
denigrare il suo operato con il capitano: egli dunque fu arrestato
e ricondotto in Inghilterra. Il 22 agosto i suoi decreti vennero
aboliti.74 Jürgensen trascorse un periodo in prigione; liberato
divenne una spia degli Inglesi, ma successivamente dopo aver
commesso altri reati fu deportato in Australia: stabilitosi in
Tasmania visse là fino alla morte. Jørgen Jürgensen è ricordato
dagli Islandesi come “Jörundur re dei giorni di canicola” (Jörundur
hundadagakonungur), perché il suo ‘regno’ grossolanamente
corrisponde a tale periodo. La sua iniziativa si inquadra per altro

impadronì della cassa del re danese (jarðarbókarsjóður); vd. in proposito: Agnarsdóttir


A., “Gilpinsránið 1808”, in Landnám Ingólfs. Nýtt safn til sögu þess, Reykjavík 1991,
pp. 61-77.
73
 Vd. Þorkelsson 1892, pp. 151-152 e pp. 152-153 (entrambi del 26 giugno) e pp.
169-171 (11 luglio); Jørgen Jürgensen stabilì anche che l’Islanda dovesse avere una
bandiera propria: un vessillo di colore azzurro scuro sul quale nell’angolo in alto a
sinistra erano riportati tre merluzzi essiccati (vd. in particolare il decreto dell’11 luglio,
comma 3, a p. 169 del testo citato). Oltre a questi egli emanò altri proclami minori
(tutti riportati in Þorkelsson 1892: Fylgiskjöl).
74
 Vd. Þorkelsson 1892, p. 198.

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Decenni cruciali 879

in un interesse niente affatto secondario dell’Inghilterra nei


confronti dell’Islanda.
Con le deliberazioni della pace di Kiel il Paese restava, a diffe-
renza della Norvegia, sotto il dominio danese: una situazione che
pareva destinata a protrarsi per sempre. Seppure gradatamente,
invece, qualche cambiamento si sarebbe messo in moto. Anche qui
infatti le idee di libertà e indipendenza e il desiderio di progresso
avevano cominciato a manifestarsi e l’atteggiamento della popola-
zione a cambiare. Nel 1835, come è stato detto, erano entrate in
funzione le assemblee ‘regionali’ danesi.75 In questa occasione
l’Islanda non era stata presa in alcuna considerazione, ottenendo
soltanto la partecipazione di due rappresentanti all’assemblea
delle isole. Ciò naturalmente aveva creato forte malcontento e il
desiderio di ricostituire l’antica assemblea generale cominciò a
farsi strada. Naturalmente esso si diffuse in primo luogo negli
ambienti colti, specie fra gli studenti islandesi che si trovavano a
Copenaghen per compiere la loro formazione. Una esplicita richie-
sta venne dunque da uno di loro, Baldvin Einarsson (1801-1833)
che le diede voce tramite una rivista di carattere culturale e sociale:
Ármann all’Alþingi ovvero l’assemblea generale degli Islandesi
(Ármann á Alþingi eða almennur Fundur Íslendinga), uscita negli
anni 1829-1832.76 Si trattava di una pubblicazione nella quale era
proposto un dibattito immaginario (che aveva luogo a Þingvellir,
sede dell’antica assemblea) tra persone di diversa estrazione socia-
le, le quali discutevano dei problemi del Paese. Con la morte pre-
matura di Baldvin Einarsson si interruppe l’uscita della rivista ma
non si spensero i suoi ideali.77 Al contrario: la tragedia che lo colpì
(cessò di vivere per le ustioni riportate in un incendio) parve repli-
care, per la costernazione che ne seguì in tutto il Paese, il lutto
provocato nel 1768 dalla scomparsa di Eggert Ólafsson,78 il quale
aveva dedicato la propria esistenza allo scopo di risollevare i com-

75
Vd. p. 862.
76
In islandese Ármann è nome proprio maschile, esso fa tuttavia anche riferimen-
to alla figura del funzionario detto ármaður (norvegese årmann, cfr. p. 372), ovvero
a uno spirito protettore che dimora in una montagna o in una roccia (cfr. p. 264,
nota 149). Sull’antica assemblea detta Alþingi vd. pp. 151-152 e p. 379. Del resto
Baldvin Einarsson aveva fondato a Copenaghen una associazione con quel medesimo
nome.
77
Su di lui vd. Ólafsdóttir N., Baldvin Einarsson og þjóðmálastarf hans, Reykjavík
1961 e anche “Baldvin Einarsson, lögfræðingur”, in BR, pp. 110-113.
78
Vd. p. 726, p. 823 con nota 646, p. 839 e p. 945. Un breve ritratto di Eggert
Ólafsson si può leggere in Gunnarsdóttir H.Kr., “Eggert Ólafsson skáld og upp-
lýsingarmaður”, in Ritmennt, V (2000), pp. 102-111.

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880 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

patrioti dallo stato di prostrazione materiale e spirituale in cui si


trovavano. Il re danese rispose alle sollecitazioni, concedendo
almeno l’istituzione di un comitato che avrebbe dovuto riunirsi
ogni due anni a Reykjavík per discutere delle questioni riguardan-
ti l’isola (1838). Fu però solo con l’avvento al trono di Cristiano
VIII che, finalmente, il desiderio degli Islandesi fu esaudito. Con
decreto dell’8 marzo 1843,79 il sovrano – che, non lo si dimentichi,
aveva sostenuto a suo tempo la causa di indipendenza dei Norve-
gesi – deliberò la ricostituzione dell’Alþingi che (nonostante in un
primo momento si fosse pensato all’antica sede di Þingvellir) si
riunì per la prima volta a Reykjavík il 1 luglio 1845 nell’edificio
della Scuola di latino (Latínuskóli).80 Sebbene gli argomenti discus-
si restassero di importanza secondaria una nuova era stava per
cominciare. Nel 1841 avevano preso l’avvio le pubblicazioni della
Nuova rivista sociale (Ný félagsrit, cessata nel 1873) “edita da alcu-
ni Islandesi” (“gefin út af nökkrum Íslendíngum” [sic], come si
legge sul frontespizio: tra di loro il giovane Jón Sigurðsson (1811-
1879), proveniente dal piccolo villaggio di Hrafnseyri nei fiordi
occidentali, destinato a diventare il punto di riferimento di un’in-
tera nazione nella sua lotta per l’indipendenza.81

11.2. Percorsi sociali

Se è vero che avvenimenti politici di così grande portata ebbero,


come è logico attendersi, importanti riflessi sulla società dei Paesi
nordici, è d’altro canto altrettanto vero che essi furono, in misura
non secondaria, effetto dei mutamenti che si erano manifestati al
suo interno. Innanzi tutto a riguardo di due categorie sociali che
per secoli avevano goduto di una posizione di privilegio: il clero e
la nobiltà. Il pensiero illuministico aveva sottratto alla sfera religio-
sa tutta una serie di competenze che a lungo avevano consentito
79
 Kongelig Resolution ang. Anordning om Althingets Oprettelse paa Island / Til-
skipun um stiftun sérlegrar ráðgefandi samkomu fyrir Island, er á að nefnast Alþingi;
LFI XII, 8 marzo 1843, pp. 451-525.
80
 Nota anche come Scuola erudita (Lærði skólinn), o con la definizione latina di
Schola Reykjavicensis (o Reykjavicana), è l’attuale ginnasio (Menntaskólinn). Si tratta
dell’istituto che porta avanti la tradizione della scuola fondata a Skálholt nel 1057,
successivamente trasferita e Reykjavík e, ancora, a Bessastaðir (cfr. p. 731, nota 234,
p. 853 e p. 911 con nota 219).
81
 Vd. pp. 1030-1033.

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Decenni cruciali 881

alla gerarchia ecclesiastica di dirigere e ‘dominare’ diversi aspetti


della vita sociale: ora quelle stesse competenze divenivano piuttosto
di interesse della comunità che avrebbe dovuto gestirle in una
prospettiva laica. Parallelamente, con l’introduzione del concetto
di pari dignità fra tutti gli esseri umani, si era accelerato (seppure
non con conseguenze drammatiche come in Francia) il declino
dell’aristocrazia, dimostratasi in molti casi incapace di misurarsi
con la nuova realtà e, dunque, di adattarsi al cambiamento. A que-
sti sviluppi si associò la crescente affermazione della borghesia (che,
in sostanza, assorbì e sostituì la nobiltà) così come la formazione
del proletariato, ma anche la maturazione nelle diverse componen-
ti sociali di una coscienza politica che avrebbe trovato espressione
nei partiti. Si passò dunque definitivamente dall’antica società che
si fondava (e regolava) sulla suddivisione in stati (nobiltà, clero,
borghesia, contadini) alla nuova, nella quale diveniva ora fonda-
mentale il dinamismo delle diverse classi: i sudditi si stavano tra-
sformando in cittadini.

11.2.1. La Danimarca dalla grande crisi alla ripresa

Per la Danimarca, come si è visto, gli ultimi decenni del XVIII


e i primi del XIX secolo erano stati funesti. Non solo dal punto di
vista della politica estera e dei suoi disastrosi risultati che avevano
distrutto il prestigio del Paese trasformandolo in un interlocutore
insignificante e screditato verso il quale le grandi potenze europee
non mostravano alcun riguardo. I costi delle guerre avevano gra-
vato pesantemente sulle casse dello Stato e sulle risorse della
popolazione e, tra l’altro, nel 1795 un violento incendio aveva
ancora una volta devastato Copenaghen. Si determinò così una
gravissima crisi economica che toccò il culmine nel 1813 quando
si cercò di contrastare la crescente inflazione con l’istituzione di
una banca statale, l’emissione di nuove banconote e una sorta
di imposta patrimoniale del 6% sui terreni: questa operazione non
sortì gli esiti sperati e lo Stato fu costretto a dichiarare la banca-
rotta. Dunque, quando nel 1814 la Danimarca dovette cedere la
Norvegia, la grave congiuntura del Paese non era solo di natura
politica. Una preoccupante crisi dell’agricoltura e delle imprese,
la riduzione dei traffici con le colonie d’oltremare, la dipendenza
dalle importazioni (gestite in primo luogo dalla città di Amburgo),
l’inflazione: tutto contribuì a immiserire le condizioni della popo-
lazione. Nel 1818 venne fondata a Copenaghen la Banca nazionale

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882 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

(Nationalbanken i København) che, finanziariamente indipenden-


te dallo Stato, riuscì gradatamente a riportare la situazione sotto
controllo. Ma la ripresa economica in agricoltura (favorita dall’in-
troduzione di nuove tecniche e da accresciute possibilità di espor-
tazione) sarebbe cominciata solo dagli anni ’30. Più tardi quella
dell’industria. Dal punto di vista più strettamente sociale vi fu
comunque una serie di progressi. Il che non è sorprendente, se si
tiene conto del vivace dibattito su diversi temi, riversato, negli
ultimi decenni del XVIII secolo, in una nutrita serie di scritti.
Innanzi tutto ci furono cambiamenti nel sistema scolastico. Il
principio che l’istruzione è compito dello Stato era rimasto per
lungo tempo ignorato e anche quando nel Settecento esso si era
finalmente affermato (si considerino i diversi saggi usciti sull’argo-
mento), la sua realizzazione era stata solo parziale.82 Nel Paese
erano presenti le “scuole di latino” (riformate nel 1739),83 in sostan-
za ginnasi, e le scuole di campagna il cui funzionamento era tutt’al-
tro che regolare; inoltre erano state aperte le cosiddette “scuole di
filatura” (spindeskoler) nelle quali gli allievi studiavano e svolgeva-
no anche attività nell’ambito dell’industria tessile. Sulla scia delle
idee di promozione umana introdotte dal pietismo prima e dal
pensiero illuministico poi, il problema dell’istruzione era ora mol-
to sentito. C’erano state perciò diverse iniziative al riguardo. Nel
1771 Hans Holck (1726-1783), giornalista, scrittore e noto bene-
fattore, aveva aperto cinque scuole per i bambini bisognosi; suc-
cessivamente (1787 e 1795) se ne erano aggiunte altre due (una a
Copenaghen e una a Christianshavn) per iniziativa della Società per
le virtù civiche (Selskabet for Borgerdyd) fondata (1785), fra gli altri,
dal redattore dell’Aftenposten Emanuel Balling (1733-1795) e dal
medico dano-tedesco Johan Clemens Tode (1736-1806).84 L’anno
82
Se è pur vero che Cristiano II aveva per la prima volta promulgato delle leggi al
riguardo (vd. p. 637 con nota 501) è altrettanto vero che esse in realtà miravano piut-
tosto a regolamentare la situazione degli insegnanti che non a introdurre il principio
fondamentale del dovere dello Stato di provvedere all’istruzione dei cittadini. Anche
dopo la riforma, nonostante diversi decreti in materia fossero emanati dall’autorità
statale, la loro applicazione restava di fatto affidata al clero e l’insegnamento aveva a
lungo mantenuto lo scopo prioritario di formare nuovi sacerdoti o devoti e disciplina-
ti fedeli.
83
Cfr. p. 497, nota 115, p. 638, nota 503, p. 686, nota 36 e p. 817, nota 610.
84
Ben noto come chirurgo egli divenne poi medico di corte. La sua intensa attività
non si limitò al campo pratico ma lo portò anche ad approfondire gli studi di medici-
na, all’insegnamento universitario (fu anche rettore) e all’attività critico-letteraria.
Promosse anche una importante campagna per diffondere le regole fondamentali
dell’igiene. Su di lui vd. Schmiegelow E., Johan Clemens Tode. En biografisk kultur-
historisk skitse, København 1941.

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successivo quest’ultimo lasciò l’associazione e insieme a letterati e


pedagoghi costituì la Società per la posterità (Selskabet for Efter-
slægten) che, a sua volta, diede l’avvio a una scuola a Copenaghen
con l’intento di offrire agli allievi una formazione completa (che
oltre a fornire nozioni nelle discipline tradizionali prevedesse di
sviluppare le loro facoltà critiche, così come un armonioso svilup-
po fisico).85 Anche il conte Ludvig Reventlow, ricco proprietario
terriero, aveva aperto scuole di campagna nei suoi possedimenti,
introducendo un insegnamento ben più completo di quello comu-
nemente adottato e una disciplina meno rigida, un esempio segui-
to da diversi altri. In tutto questo l’influsso delle teorie filantropiche
del pedagogo tedesco Johann Berhard Basedow (1724-1790, che
tra l’altro era stato professore a Sorø), degli svizzeri Jean-Jacques
Rousseau (1712-1778) e Johann Heinrich Pestalozzi (1746-1827)
e – a ritroso – di Comenio86 e di Locke, è del tutto evidente. Da
parte governativa nel 1789 fu istituita una commissione che dove-
va valutare il sistema scolastico e proporre una riforma che fu
pronta (e promulgata) nel 1814.87 Essa introduceva l’obbligo sco-
lastico per i bambini fra i sette e i quattordici anni, nonché quello
dell’apprendimento della lingua scritta (in precedenza si era pun-
tato in primo luogo a fornire la capacità di leggere) e, insieme, il
principio che i contenuti dell’insegnamento (marcatamente orien-
tati a stimolare il patriottismo degli scolari) fossero stabiliti dal
governo centrale. Un ulteriore e determinante impulso alla promo-
zione culturale del popolo danese sarebbe poi venuto da N.F.S.
(Nikolaj Frederik Severin) Grundtvig (1783-1872).88 Filosofo,
85
Uno fra i più celebri allievi di questa scuola fu Adam Oehlenschläger (vd. p. 914).
86
Il quale, si ricordi, era stato in Svezia (vd. p. 575 con nota 208).
87
Il contenuto della riforma era espresso in tre leggi, una per le scuole di campagna
e una per quelle di città (separatamente per la capitale): Anordn. for Almue-Skole-
væsenet i Kjøbstederne i Danmark, Khavn undtagen (con relativi allegati); Anordn. for
Almue-Skolevæsenet paa Landet i Danmark (con relativi allegati) e Reglem. for Almue- og
Borgerskolevæsenet i Kiøbenhavn (con relativi allegati): in Schou XVII (Abbr.), pp. 186-
233; pp. 233-275 e pp. 275-305, tutte in data 29 luglio 1814. Vd. Larsen J., Skolelovene
af 1814 og deres Tilblivelse aktmæssig fremstillet, København 1914. Della commissione,
presieduta dal duca Federico Cristiano Augusto di Schlesvig-Holstein-Sønderborg-
Augustenborg (cfr. p. 868), aveva fatto parte anche Christian Ditlev Reventlow, fratello
di Ludvig, che già è stato ricordato come attivo promotore della riforma agraria (vd. p.
695). Anch’egli aveva aperto scuole nelle sue proprietà. Al 7 novembre 1809 risale inve-
ce un’ordinanza riguardante l’istruzione superiore ancora valida anche per la Norvegia:
Frdg. ang. de lærde Skoler i Danmark og Norge, in Damkier – Kretz (Abbr.), III, pp.
444-460, riportata anche in Schou XV (Abbr.), pp. 314-351. L’importanza di questo
decreto sta sostanzialmente nel fatto che con esso si recideva il tradizionale legame tra
la scuola e la Chiesa.
88
Cfr. pp. 914-915.

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884 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

politico, storico, letterato, insegnante, pedagogo e teologo, egli


riteneva che l’istruzione dovesse essere finalizzata a promuovere
l’attiva partecipazione di ciascuno alla vita della comunità e a susci-
tare sentimenti patriottici. Sottolineando la necessità di far rivivere
l’assopito ‘spirito nordico’ egli sosteneva che una istruzione gene-
ralizzata (in cui le finalità della scuola non rispondessero sempli-
cemente agli scopi della Chiesa) fosse l’unico strumento grazie al
quale si potesse coltivare il senso di responsabilità dei cittadini
verso la società e la nazione (sua è l’idea che lo spirito di un popo-
lo, da cui origina la nazione, sia riflesso di Dio creatore). A lui
viene riconosciuto il merito di aver ideato le “scuole popolari
superiori” (folkhøjskoler) per promuovere la formazione degli
adulti (in primo luogo i contadini), una istituzione che presto si
sarebbe diffusa negli altri Paesi scandinavi e non solo;89 Grundtvig
(che voleva anche riformare l’Accademia di Sorø)90 intendeva così
porre le basi di una istruzione superiore più direttamente finaliz-
zata all’impegno sociale. La prima ‘scuola popolare superiore’ fu
aperta nel 1844 a Rødding nello Jutland meridionale dall’ecclesia-
stico e politico Christian Flor (1792-1875).91 Accanto alle scuole di
ispirazione grundtvigiana sorsero inoltre le “scuole libere” (friskoler)
ideate da Christen Mikkelsen Kold (1816-1870), in pratica istituti
(autogestiti) in cui si dava grande importanza all’insegnamento
orale (piuttosto che alla ricezione passiva di testi ‘canonici’) e che
rispondevano al desiderio di promozione umana e sociale diffuso
nel ceto contadino.
Importanti sviluppi si ebbero nel riconoscimento dei diritti dei
non luterani (non da ultimi gli Ebrei) la cui presenza nelle città
era consentita in sostanza da motivi in primo luogo economico-
commerciali. Nel 1788 un decreto concedeva loro di praticare
liberamente attività artigianali,92 il che significava sostanzialmen-
89
L’idea di promuovere l’alfabetizzazione e la promozione culturale degli adulti
non era tuttavia nuova. Già il celebre riformatore Johann Bugenhagen aveva voluto,
al medesimo scopo, le prime ‘università popolari’ della storia.
90
La ‘seconda’ Accademia di Sorø aveva funzionato appieno tra il 1747 e il 1793 grazie
anche al consistente contributo testamentario di Ludvig Holberg (cfr. pp. 789-792 e pp.
830-831), dopo di che l’istituzione era decaduta. Per di più nel 1813 era scoppiato un
incendio che aveva distrutto gran parte degli edifici del complesso. I progetti di Grundtvig
relativi alla sua ricostituzione non furono realizzati, piuttosto a partire dal 1826 fu attiva una
‘terza’ Accademia di Sorø che sarebbe rimasta in funzione fino al 1849: essa avrebbe costi-
tuito un importante punto di riferimento della cosiddetta ‘età dell’oro danese’ (su cui vd.
11.3.1). Cfr. p. 391, nota 252, p. 466 con nota 19, p. 570 con nota 176 e p. 774, nota 408.
91
Più tardi (1865), sempre nello Jutland meridionale, fu fondata la scuola popola-
re superiore di Alskov che divenne presto la più prestigiosa.
92
29 settembre 1788 (indicazioni in Schou [Abbr.] IX, p. 548).

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Decenni cruciali 885

te il riconoscimento di prerogative fino ad allora negate. Di impor-


tanza fondamentale fu tuttavia il provvedimento in loro favore
emesso nel 1814 dal re Federico VI.93 Per la verità la società
danese, in preda come si è detto a una gravissima crisi economica,
era tutt’altro che pienamente disposta ad accogliere positivamen-
te queste disposizioni. Molte persone consideravano infatti gli
Ebrei responsabili dei problemi finanziari del Paese e contro di
loro ci furono reazioni anche violente con attacchi diretti alle
persone e ai loro beni (settembre 1819-gennaio 1820). Si trattò,
certo, di una reazione popolare ma i germi di questo antisemitismo
vanno ricercati nella propaganda di taluni intellettuali.94 Gli Ebrei
danesi vedranno riconosciuti i loro diritti nella costituzione del
1849.95
Nonostante difficoltà e resistenze, questi progressi dal punto di
vista dei diritti civili segnano la maturazione della società danese in
questi decenni.96 Una maturazione che, certamente, aveva le proprie
radici nel secolo precedente, quando non solo erano state introdot-
te importanti riforme (fra tutte quella agraria) ma era altresì emer-
sa sempre più chiaramente la riflessione su una struttura sociale
fondata su diseguaglianze ormai insostenibili: si pensi al Catechismo
degli aristocratici (Aristokraternes Catechismus, 1796) del già citato
Malthe Conrad Bruun97 che in forma di satira sottolineava tutte le
ingiustizie sociali operate da quel ceto, così come all’importante
opera Il governo interno degli stati (Staternes indvortes Regiering,
in cinque volumi, 1773-1776) di Andreas Schytte,98 studioso di
scienze politiche, il quale sosteneva la necessità di scardinare la
società basata sugli stati in quanto un tale ordinamento era in con-
trasto con il diritto dell’individuo. Simili princìpi di cittadinanza
erano propugnati da Tyge Rothe.99 E del resto il termine “cittadini”
compare per la prima volta nel decreto del 1776 che escludeva gli

93
Vd. p. 696 con nota 82.
94
In particolare il poeta Thomas Thaarup (1749-1821) e il teologo e pastore di
corte Christian Bastholm (vd. p. 770, nota 392), mentre a favore degli Ebrei si schie-
rarono celebri autori come Jens Baggesen (vd. pp. 838-839) e Steen Steensen Blicher
(vd. p. 916 e p. 925).
95
Junigrundloven, VII, § 84. E tuttavia la medesima costituzione (I, § 3) precisava
che la Chiesa luterana in quanto Chiesa nazionale doveva essere sostenuta dallo Stato
e che il monarca doveva obbligatoriamente appartenervi (II, § 6).
96
Non si dimentichi qui la proibizione della tratta degli schiavi (1792); vd. p. 697
con nota 83.
97
Vd. p. 790, nota 480 e p. 811, nota 569.
98
Vd. p. 788.
99
Vd. p. 719 e p. 787.

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886 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

stranieri dalle cariche pubbliche.100 E che la rivendicazione di


diritti non fosse un concetto limitato solo alle sfere culturalmente
più elevate della popolazione è dimostrato dagli scioperi e dalle
manifestazioni degli anni 1793-1794. Tutto questo aveva continua-
to a ‘fermentare’ nella società danese, finché si giunse alla procla-
mazione della nuova costituzione.
Ma lo scardinamento dei poteri tradizionali si attuò anche sul
piano religioso, come conseguenza dell’evolversi dell’esperienza
spirituale dell’individuo avviata dal pietismo (e dal herrnhutismo)
e come reazione ai tentativi di regolarla con decreti come il Kon-
ventikelplakaten.101 Quegli ecclesiastici che cercavano di mantene-
re il proprio potere e i propri privilegi non furono capaci, in molti
casi, di muoversi al passo coi tempi. Tra il 1790 e il 1840 sorsero
così movimenti religiosi autonomi (gudelige vækkelser),102 diffusi
in tutto il Paese (soprattutto nelle isole)103 che, rifiutando la disci-
plina (e i testi per il culto) voluti dalla Chiesa ufficiale, organizza-
rono autonomamente la propria vita religiosa.104 Si trattò di una
‘mobilitazione dal basso’ espressione di una concreta volontà di
emancipazione del mondo contadino (ma non solo) che non man-
cò di coinvolgere altri ambiti, fra tutti quello dell’istruzione. Sor-
sero così anche scuole serali, scuole per i contadini e furono avvia-
te altre iniziative simili. Un notevole contributo venne dalle idee
del sopra citato Grundtvig, promotore di un cristianesimo attivo e
gioioso.105 Egli sostenne tra l’altro la richiesta della gente di elimi-
nare il cosiddetto “vincolo parrocchiale” (sognebåndet) che legava
le persone alla parrocchia di residenza: nel 1855 sarebbe stata
legalmente concessa la possibilità di sottrarvisi.106 Nel 1839 del
100
Vd. p. 692 con nota 66. Nelle premesse al testo (p. 145) si legge: “[…] i figli del
Paese dovranno godere del pane del Paese, e i benefici dello Stato dovranno toccare
ai suoi cittadini” (“[…] Landets Børn skal nyde Landets Brød, og Fordelene i Staten
falde i dens Borgeres Lod”).
101
Vd. p. 764.
102
Letteralmente “risvegli [spirituali] religiosi”, detti anche gudelige forsamlinger
“assemblee religiose”.
103
Tuttavia il primo di loro, quello dei cosiddetti “forti Jutlandesi” (de stærke Jyder)
sorse, appunto, nello Jutland centro-orientale nei villaggi della zona di Horsens e
Vejle. Grande richiamo ebbe in Fionia la predicazione di Christen Madsen (1776-1829),
il quale pur essendo un contadino privo di particolare istruzione, riuscì ad attrarre
numerosi ascoltatori e seguaci.
104
A ciò contribuì, in Danimarca come negli altri Paesi nordici, la nascita delle
diverse società bibliche che avevano lo scopo di diffondere il testo sacro fra la gente
(Lenhammar 20014 [B.7.2], p. 72).
105
I suoi seguaci, definiti grundtvigiani, fonderanno nel 1898 la Società ecclesiale
(Kirkeligt Samfund), ora detta Forum grundtvigiano (Grundtvigsk Forum).
106
Lov om Løsning af Sognebaandet, 4 aprile 1855.

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Decenni cruciali 887

resto, alla morte di Federico VI, il Konventikelplakaten fu abrogato.107


Nonostante i conflitti che si vennero a creare con le autorità (che
non fecero mancare multe e condanne) questi movimenti costitui-
rono una fase fondamentale nella presa di coscienza civile (ma anche
politica) di gran parte della popolazione danese e, del resto, in
questo Paese le ‘chiese popolari’ ebbero (certamente per l’influsso
di Grundtvig) una forte connotazione nazionale, il che infine le
integrò nella Chiesa di Stato. Sebbene la loro forza propulsiva si
esaurisse attorno alla metà del secolo (del resto l’emanazione della
costituzione liberale del 1849 eliminava buona parte delle proble-
matiche che ne avevano determinato la nascita) a questo ‘risveglio
spirituale’ va ancora ricondotta la fondazione (1853) dell’Associa-
zione per la missione interna (Foreningen for den Indre Mission, più
semplicemente Indre Mission) che svolgerà un ruolo di rilievo nella
società danese, soprattutto dopo che (1861) il pastore Johan Vilhelm
Beck (1829-1901) ne curerà la riorganizzazione.108 Tra i ‘difensori’
della Chiesa ‘ufficiale’ e di un cristianesimo strettamente confessio-
nale va qui tuttavia ricordato il vescovo della Selandia Jakob Peter
Mynster (1775-1854). E per altro, anche stimolata dalla nascita dei
movimenti popolari, la discussione teologica appare in questi decen-
ni molto accesa, dal che deriva nel corso dell’Ottocento un profon-
do rinnovamento della Chiesa danese che, integrata nell’apparato
statale, diverrà una vera e propria Chiesa nazionale.
In Danimarca la grande diffusione dell’alcolismo costituiva un
grave problema sociale. Le prime notizie sulla fondazione di asso-
ciazioni fondate allo scopo di combatterlo risalgono agli anni ’40
dell’Ottocento e si devono all’iniziativa del predicatore laico e
politico Rasmus Sørensen (1799-1865), dell’insegnante Ole Syver-
sen (1801-1847) e dell’ecclesiastico Knud Eskil Møhl (1805-1890).
Esse ebbero tuttavia scarso seguito.109 Solo nel 1879 sarà fondato
a Vejle (Jutland meridionale) un gruppo dal quale originerà l’As-
sociazione danese contro l’alcolismo (Danmarks Afholdsforening).

107
Vd. Lausten 1999 (B.7.2), p. 63.
108
Vd. tra l’altro: Holt P., Kirkelig Forening for den Indre Mission i Danmark gen-
nem 100 år, København 1961. Sui diversi aspetti della vita religiosa in Danimarca
nella prima metà del XIX secolo si rimanda a Lenhammar 20014 (B.7.2), p. 70, p. 74
e pp. 76-77.
109
Al che si allude tra l’altro nel syngespil dal titolo I dirimpettai (Gjenboerne, 1844)
dello scrittore Jens Christian Hostrup (1818-1892), atto primo, scena prima, pp. 15-16.
In generale la nascita di una ‘filosofia antialcolica’ si deve alla diffusione delle idee (e
degli scritti) dell’ecclesiastico americano Robert Baird (1798-1863) il quale viaggiò
diverse volte in Scandinavia (su di lui vd. Baird H.M., The Life of the Rev. Robert Baird,
D. D., New York 1866).

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888 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

Nel 1769 era stato fatto nel Paese il primo censimento da cui
risultava che la popolazione danese raggiungeva gli 800.000 abi-
tanti.110 Nonostante gli anni della crisi la crescita demografica fu
consistente e nel 1835 se ne poterono contare 1.224.000. La mag-
gioranza erano contadini, poi c’erano i borghesi delle città (tra cui
la sola Copenaghen, che già all’inizio del secolo contava circa 100.000
abitanti, aveva dimensioni ragguardevoli) nelle quali però vivevano
anche prestatori d’opera tutt’altro che agiati. I servizi sociali resta-
vano in gran parte carenti, tuttavia nel 1799 era stato riorganizzato
a Copenaghen l’Ente per l’assistenza ai poveri (Kjøbenhavns
Fattigvæsen)111 e nel 1803 era stato fondato un ‘Ministero della
sanità’ (Sundhedscollegium) che rilevava le competenze del prece-
dente Collegium medicum risalente al 1740.112 Ma nello stesso
tempo alcune novità come l’apertura di una linea di collegamento
navale tra Copenaghen e Kiel nel 1819 e tra Copenaghen e Malmö
nel 1838, quella di una linea ferroviaria tra Copenaghen e Roskilde
nel 1847, il primo viaggio di un battello a vapore da Aarhus all’In-
ghilterra nel 1849, segnalavano un progresso tecnico che non
avrebbe mancato di far sentire i propri effetti. Poco dopo la metà
del secolo (1852) Peter Christian Frederik Faber (1810-1877)
veniva nominato responsabile del neonato servizio telegrafico
danese, che egli avrebbe trasformato in uno strumento di fonda-
mentale importanza per le comunicazioni sia all’interno del Paese
sia coll’estero.

Nel 1819 la Società per la promozione delle scienze belle e utili113 si


incaricò di gestire un concorso voluto dagli ufficiali dell’esercito danese
110
Più quelli dello Schleswig (338.000) e del Holstein (436.000); vd. Winding 1997
(B.3), p. 134.
111
A lungo l’assistenza agli indigenti era stata sostanzialmente lasciata all’iniziativa
delle famiglie, delle parrocchie o dei privati. Vanno qui tuttavia segnalati due decreti
in merito, il primo del 5 maggio 1683 (riguardante la campagna e le città con l’esclu-
sione di Copenaghen; indicazioni in Schou [Abbr.] I, p. 346), il secondo, più ambi-
zioso, del 24 settembre 1708 (Schou II, pp. 192-210 riferito a Copenaghen e, pp.
210-232, al resto del Paese). Verso la fine del secolo venne emesso un ulteriore decre-
to assai dettagliato (Schou X, 9 marzo 1792, pp. 327-346). Vd. OAF, pp. 29-108
[Jørgensen H.].
112
Qui operò l’illustre anatomista, chirurgo e botanico Heinrich Christian Friedrich
Schumacher (1757-1830). Si segnali anche il decreto del 1810 (valido anche per la
Norvegia) che introduceva l’obbligo di sottoporsi alla vaccinazione contro il vaiolo ed
esibire il relativo certificato in diverse circostanze (Forordning for Danmark og Norge
angaaende Vaccinationen, in NL 1682-1934, pp. 66-67). Sulla storia della ‘sanità’ in
Danimarca cfr. oltre, nota 189.
113
Vd. p. 816.

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Decenni cruciali 889

di stanza in Francia per la composizione di un inno nazionale. Vincitri-


ce fu la scrittrice Juliane Marie Jessen (1760-1832) che aveva presenta-
to un testo dal titolo Danimarca! Danimarca! – suono sacro (Dannemark!
Dannemark! - hellige Lyd) il cui accompagnamento si deve al celebre
musicista Christoph Ernst Friedrich Weyse.114 La scelta fu assai conte-
stata e la composizione presto dimenticata a favore di un’altra scritta
dal poeta Adam Oehlenschläger115 dal titolo C’è una terra incantevole
(Der er et yndigt land) che fu musicata da Hans Ernst Krøyer (1798-
1879).

“C’è una terra incantevole,


Sulla quale si estendono i faggi
Presso le rive salate a oriente;
Si flette in colline, vallate,
Ha nome vecchia Danimarca,
Ed è la reggia di Freyja.116
[…]
La nostra vecchia Danimarca ci sarà,
Fino a quando il faggio rispecchierà
Le sue chiome nell’azzurro dell’onda”117

11.2.2. La Svezia tra ricerca del passato e tensione verso il futuro

Come mostrano esemplarmente gli avvenimenti del 1809 che


portarono alla destituzione di Gustavo IV Adolfo, i fermenti libe-
rali e il desiderio di incisivi cambiamenti erano ben presenti nella
società svedese. Durante gli anni della reggenza, seguiti alla morte
di Gustavo III, il prestigio della Corona era assai decaduto, mentre
appariva evidente che l’equilibrio fra gli stati sul quale fino ad allo-
ra si era retto il funzionamento del Regno era ormai superato. Con
l’ascesa al trono di Gustavo IV Adolfo era parso, almeno inizial-
mente, che le cose potessero migliorare. Il giovane re si trovò davan-
ti a una situazione difficile da diversi punti di vista, non ultimo
quello finanziario: una crisi determinata dalle guerre, dalla stagna-
zione dei commerci e dalle carestie. Il problema fu affrontato in una

114
Vd. p. 921.
115
Vd. p. 914.
116
Sulla dèa Freyja vd. p. 34, nota 78, pp. 163-164, p. 174, pp. 189-190 con nota
359 e p. 200.
117
DLO nr. 160. Qui viene riportata solo una versione ridotta (la prima e parte
dell’ultima strofa). Al componimento Oehlenschläger antepone una citazione da
Orazio: “Ille terrarum mihi præter omnes Angulus ridet” (Odi, II, 6, 13).

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890 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

riunione del parlamento tenuta a Norrköping (Östergötland) nel


1800, durante la quale la contestazione di un gruppo di nobili nei
confronti della monarchia assunse un carattere clamoroso;118 in
quella sede venne comunque decisa una rivalutazione monetaria.
L’insofferenza degli aristocratici nei confronti del sovrano (anche
per una sorta di ‘involuzione’ del suo carattere) andò progressiva-
mente crescendo e dopo la sua destituzione essi riacquistarono
parte del potere perduto negli anni di Gustavo III. Ciò nonostante
la costante evoluzione sociale avrebbe reso inevitabile il tramonto
di quel ceto, mentre – parallelamente – si andava rafforzando il
ruolo della borghesia. Insieme ai nobili i borghesi e gli ecclesiastici
continuavano (seppure qualche provvedimento perequativo fosse
stato adottato) a godere di una serie di privilegi contro cui non
mancò la ripetuta protesta dei contadini (non sempre pienamente
persuasi dei vantaggi derivanti dalle riforme agrarie),119 i quali anda-
vano progressivamente sviluppando maggiore consapevolezza dei
propri diritti.120 Ma le classi sociali tradizionali non ‘coprivano’ più
la totalità della società svedese. Accanto a queste c’erano infatti i
lavoratori delle miniere e, soprattutto, i braccianti e i mezzadri
privi di terre che non soltanto non avevano potuto trarre beneficio
dall’introduzione delle riforme agrarie, ma – anzi – ne erano stati
danneggiati, nel momento in cui l’antica comunità agricola di cui
facevano parte si era disgregata e, con essa, le loro possibilità di
accedere a beni un tempo comuni (in primo luogo le risorse boschi-
ve). Insieme a quel proletariato che sarebbe sorto nella seconda metà
del secolo in seguito alla industrializzazione del Paese costoro avreb-
bero fatto parte di una larga fetta di popolazione costretta a vivere
in condizioni di indigenza o, magari, a emigrare.

118
In tale occasione per manifestare platealmente la propria opposizione alcuni
nobili rinunciarono pubblicamente al titolo. Tra di loro Hans Hierta (1774-1847), che
in seguito a questo gesto cambiò il proprio cognome in Järta e che sarebbe poi stato
uno degli “uomini del 1809” (cfr. nota 30). Un altro fatto clamoroso si verificò in quel
medesimo 1800 quando a Uppsala, in occasione dei festeggiamenti per l’incoronazio-
ne ufficiale del sovrano, alcuni musicisti che avevano tentato di suonare la ‘marsiglie-
se’ abbandonarono la sala quando ciò fu loro impedito. Costoro (che furono per
questo processati) facevano parte di un circolo politico-culturale denominato “Giun-
ta” (Juntan) i cui membri di maggior spicco erano il filosofo Benjamin Höijer (vd. p.
923), il docente Gustaf Abraham Silfverstolpe (1772-1824, uno degli ‘scioperanti’) e
lo stesso Järta.
119
Vd. pp. 709-710.
120
In questo contesto si possono inquadrare anche i tumulti scoppiati nel 1811
nella regione della Scania contro il forzato reclutamento di soldati. Una rivolta che
venne puntualmente soffocata, ma che testimonia la crescente insofferenza della clas-
se contadina contro le imposizioni del governo.

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Decenni cruciali 891

La costituzione del 1809 aveva introdotto nuove garanzie ma il


potere del re restava saldo. Del resto Carlo XIV Giovanni era ini-
zialmente riuscito a mantenere il controllo sulla politica interna e a
imporre la propria volontà ai rappresentanti degli stati, anche grazie
all’azione di risanamento della pessima situazione finanziaria (che
tuttavia sarebbe stata definitivamente risolta solo nel 1834 con una
drastica svalutazione della corona). Nelle riunioni del parlamento
del 1823 il re dovette per la prima volta affrontare una opposizione
sufficientemente agguerrita, interpretata in primo luogo da Carl
Henrik Anckarsvärd (1782-1865); successivamente essa si manifestò
in tutta la sua forza a partire dalle sedute del parlamento convocate
negli anni 1828-1830, quando i suoi rappresentanti proclamarono
ideali liberali e reclamarono nuove riforme sociali ed economiche.
E, del resto, gli effetti dei moti di luglio a Parigi si fecero sentire
anche in Svezia. Questo movimento trovò espressione soprattutto
sulle pagine del Foglio della sera (Aftonbladet, uscito a partire dal
1830), la cui pubblicazione fu, di conseguenza, proibita (1835),
seppure l’editore aggirasse il divieto rinominando di volta in volta
il giornale con titoli simili.121 La contrapposizione si fece aspra: da
una parte il sovrano e i suoi uomini di fiducia, persone come Magnus
Brahe (1790-1844), amico, consigliere e portavoce del re o August
von Hartmansdorff (1792-1856), che da posizioni liberali era pas-
sato nel novero dei conservatori; dall’altra i paladini delle idee
nuove, figure come Magnus Jacob Crusenstolpe (1795-1865) che,
al contrario, dopo essere stato redattore del giornale filo-monar-
121
Vd. Göransson J., Aftonbladet som politisk tidning 1830-1835, Uppsala 1937. Il
primo giornale svedese di opposizione è considerato Verità e svago (Sanning och nöje,
1779-1780) di Josias Carl Cederhielm (1734-1795). Seguirono poi L’osservatore (Den
uppmärksamme, 1780-1781), il Quotidiano – Benedetta libertà di stampa (Dagbladet
– Wälsignade tryckfriheten, vd. p. 813), Il nuovo revisore (Den nye granskaren, 1784)
di Thomas Thorild (vd. p. 813 e p. 842 con nota 742; il titolo riprende quello di un
precedente Granskaren, 1782-1783, pubblicato da Erik Ekholm, 1716-1784, curatore
di diversi periodici), Il Licurgo svedese (Den swenske Lycurgus, 1785-1786). Più tardi
comparvero pubblicazioni come Il critico (Anmärkaren, 1816-1829), pubblicato dallo
scrittore Fredric Cederborgh (vd. nota 280) e dal pubblicista e inventore Pehr Georg
Scheutz (vd. p. 898) che avrebbe in seguito lavorato anche all’Aftonbladet. Un altro
giornale dell’opposizione liberale fu Argo, giornale politico, letterario e commerciale
(Argus, politisk, litterär och commerciell tidning, 1820-1838) edito dallo stesso Scheutz
e da Johan Johansson (1792-1860). Si ricordi qui anche Johan Gustaf Halldin (1737-
1825) il quale celandosi dietro lo pseudonimo di Publicola nel 1779 scrisse una serie
di articoli sullo Stockholms Posten, proponendo coraggiose analisi politiche. Per
questo motivo fu accusato di lesa maestà e condannato alla confisca dei beni e alla
morte. Gustavo III tuttavia gli concesse la grazia. Anche il Giornale del commercio e
della navigazione di Göteborg (Göteborgs Handels- och Sjöfarts-Tidning, 1832-1973)
nato come pubblicazione commerciale, ospitò poi voci polemiche.

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892 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

chico La patria (Fäderneslandet, 1830-1833), sostenuto economi-


camente dal sovrano, divenne un fiero oppositore della Corona, il
che gli costò tre anni di prigione: considerato dai liberali e dal
popolo una sorta di eroe, la sua incarcerazione scatenò a Stoccolma
tumulti sedati dopo diversi giorni (giugno 1838).122 O come Anders
Lindeberg (1789-1849) che non aveva esitato a denunciare il pote-
re esclusivo del re e per questo era stato condannato a morte (ma
successivamente graziato). Anche in questo caso la partecipazione
popolare alla vicenda era stata intensa, il che dà la misura del coin-
volgimento generale nel nuovo clima politico. Segnato, del resto,
anche dalla ‘conversione’ alle idee liberali di una eminente figura
di conservatore quale quella di Erik Gustaf Geijer (1783-1847),
scrittore, storico, musicista e professore all’Università di Uppsala.123
Un primo vero successo dei liberali fu la riforma del 1840, in base
alla quale i vecchi ‘uffici’ della cancelleria furono soppressi e sosti-
tuiti dai ministeri, i cui rispettivi capi di gabinetto andarono a far
parte del Consiglio di Stato (non toccato nel 1809) insieme ad
alcuni altri consiglieri.124
Se altri importanti cambiamenti dal punto di vista costituzionale
sarebbero avvenuti solo nella seconda metà del secolo, non manca-
rono in questi anni riforme di grande importanza. Innanzi tutto a
riguardo dell’istruzione. Ai decreti relativi emessi nel XVII secolo125
ne era seguito uno del 1724126 che tuttavia non aveva introdotto
sostanziali cambiamenti. La necessità di una nuova regolamenta-
zione è riflessa in due ordinanze scolastiche del 1807 e del 1820,127
esito di un vivace dibattito nel quale anche qui ci si misurava con
le teorie di illustri pedagoghi come Basedow, Pestalozzi o l’inglese
Joseph Lancaster (1778-1838).128 In effetti la situazione delle scuo-

122
Vd. Österman P., “Kravakller för det tryckta ordet”, in PH 1994: 2, pp. 46-49.
123
Cfr. p. 923, p. 926 e p. 983. In seguito a questa decisione (fortemente influenza-
ta dalla questione relativa alla schiavitù) Geijer fondò il giornale intitolato Foglio let-
terario (Litteratur-bladet), uscito tra il 1838 e il 1839.
124
Si tratta della cosiddetta Departementalreformen: Kongl. Maj:ts Nådiga Stadga,
angående fördelning af Ärenderne imellan Stats-Departementerne; nr. 14 del 16 maggio
1840.
125
Vd. p. 502 con nota 132.
126
 SAL IV-VI, pp. 17-65.
127
 SAL IV-VI, pp. 67-122 e SAL VII, pp. 1-96 con tabelle. In queste due ordinan-
ze si precisa la funzione di quelle che vengono definite apologistklasser (apologisten era
il nome dato all’insegnante di scrittura e di calcolo), vale a dire corsi di studio desti-
nati a chi necessitava di una formazione di base per un ‘avviamento’ al lavoro nell’in-
dustria e nel commercio. Esse furono abolite con una circolare del 6 luglio 1849 (vd.
oltre, p. 1001, nota 197).
128
Le teorie di Lancaster, che propugnava il cosiddetto ‘mutuo insegnamento’ (nel

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Decenni cruciali 893

le pubbliche era tutt’altro che brillante e chi possedeva adeguati


mezzi economici preferiva ricorrere all’insegnamento privato. Nel
1822 venne fondata l’Associazione per la promozione dell’insegna-
mento popolare (Sällskapet för folkundervisningens befrämjande),
nel 1825 venne istituito un comitato per la scuola che doveva
dibattere le questioni della formazione e presentare proposte. Il
risultato di questo lavoro fu (1842) una legge che introduceva in
Svezia il principio dell’istruzione generalizzata con l’obbligo di
frequenza della scuola elementare per quattro anni:129 una riforma
che tuttavia incontrò anche ostilità e necessitò di lungo tempo
prima di trovare piena applicazione. L’attenzione a una più diffusa
scolarizzazione si rileva anche dalla fondazione di diverse scuole
superiori destinate alle ragazze.130 Inoltre si constata un accresciu-
to interesse per le materie tecniche con la nascita di istituti dedica-
ti (i primi dei quali risalgono già alla seconda metà del secolo XVIII).

quale gli studenti migliori vengono coinvolti nella formazione dei compagni), vennero
introdotte in Svezia verso gli anni ’20 e diverse scuole ispirate a quel metodo furono
aperte. Un esperimento scolastico secondo nuovi criteri pedagogici fu portato avanti
con la fondazione a Stoccolma (1828) della Nuova elementare (Nya Elementar) nella
quale, tra l’altro, si sostituivano le punizioni corporali con altri metodi disciplinari (vd.
Nordin Th., Nya elementarskolan i Stockholm. Ett försök att förverkliga frihetens och
jämlikhetens idéer, Uppsala 1978). In questo periodo la più importante figura di
pedagogo nel Paese è quella di Carl Ulrik Broocman (1783-1812), allievo di Pestaloz-
zi, morto prematuramente, la cui opera avrebbe a lungo fatto sentire la propria
influenza. Tra il 1810 e il 1812 Broocman aveva pubblicato la Rivista per genitori e
insegnanti (Magasin för föräldrar och lärare), il primo periodico svedese di carattere
pedagogico. Accanto a lui va ricordato Anders Fryxell (1795-1881), poi storico di
successo (vd. p. 926), che partecipò attivamente al dibattito sulla riforma della scuola
con una serie di scritti nei quali propugnava una impostazione moderna e democrati-
ca dell’insegnamento sia per i ragazzi sia per le ragazze. Cfr. nota 130.
129
Kongl. Maj:ts Nådiga Stadga angående folk-underwisningen i Riket; Gifwen
Stockholms Slott den 18 Juni 1842 (SAF 1842-1921, pp. 4-15). Successivamente l’ob-
bligo scolastico fu elevato a sei anni (più due facoltativi). Nel 1919 verrà stabilito un
nuovo programma generale di insegnamento nel quale grande importanza sarà data
allo studio della lingua madre mentre quello della religione costituirà ora semplice-
mente una fra le numerose discipline che l’allievo dovrà apprendere (Kungl. Maj:ts
kungörelse angående undervisningsplan för rikets folkskolor, given Stockholms slott
den 31 oktober 1919).
130
Il primo ginnasio femminile, sorto nel 1831 per iniziativa di Anders Fryxell (cfr.
nota 128) fu la Wallinska flickskolan di Stoccolma così chiamata dal nome del suo
promotore, il celebre predicatore e poeta Johan Olof Wallin (cfr. p. 925). Nel 1847
Karin Åhlin (1830-1899) aprì nella stessa città una scuola superiore per ragazze (Åhlinska
skolan), destinata ad avere notevole successo. Il primo Istituto per la formazione di
insegnanti donne (Seminarium för bildande af lärarinnor, più tardi Högre lärarinne-
seminariet) fu aperto nel 1861. Vd. Lopez S., “Kungliga högre lärarinneseminariet och
flickskolans framväxt”, in Hatje A-K. (red.), Sekelskiftets utmaningar. Essäer om välfärd,
utbildning och nationell identitet vid sekelskiftet 1900, Stockholm 2002, pp. 181-198.

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894 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

Ma la distanza tra la scuola ‘popolare’ e gli istituti di istruzione


superiore, läroverk (ginnasi per pochi privilegiati), ancora sottoli-
neava le differenze sociali.131

Nella prima metà del XIX secolo si situa la vicenda del celebre mal-
vivente svedese Lars Larsson (1785-1845), meglio conosciuto come
Lasse-Maja per l’abitudine (legata alla sua attività ladresca ma anche, a
quanto pare, a un’innata tendenza) a travestirsi da donna. Dopo aver
compiuto diversi furti, subito diversi arresti e tentato con successo
diverse evasioni, nel 1812 Lasse-Maja fu catturato per aver rubato
oggetti d’argento in una chiesa. Condannato all’ergastolo fu rinchiuso
nel castello di Marstand nel 1813. Dotato di notevoli risorse, riuscì a
gestire al meglio la propria vita da detenuto, sfruttando la naturale
inventiva e l’abilità culinaria e guadagnandosi fama (e denaro) con il
racconto delle sue avventure. Molte persone si recarono a Marstrand
per incontrarlo, tra gli altri il principe ereditario Oscar. Nel 1838 Lasse-
Maja ottenne la grazia e si ritirò presso Arboga (Västmanland). Nel
frattempo le sue memorie erano state raccolte e pubblicate, divenendo
una lettura popolarissima. Per questo Lasse-Maja è stato definito “l’a-
nalfabeta che spinse gli Svedesi [a dedicarsi] alla lettura”.132 Si legga
questo breve estratto:

“Nella notte mi introdussi in una fattoria per procurarmi del cibo. Ma


non ero neppure entrato nella stanza che il contadino in persona insieme
ai suoi due garzoni, armati di ascia e di armi di altro genere arrivarono
e mi colpirono sul collo. ‘Che diavolo di persona sei,’ dissero, ‘che vuoi
ereditare dalle persone mentre sono ancora vive?’ Ebbero come risposta
che ero una signora in viaggio e stavo in compagnia di altri contadini,
ma questi se ne erano andati via da me, e inoltre ciò che riuscii a imba-
stire nella fretta. Il mio scopo era solo procurarmi un alloggio e un po’
di cibo.
‘Canaglia!’ rispose il contadino, ‘come se io stesso non fossi stato [qui] e
non avessi sentito quando ti sei introdotto dalla porta.’ Dopo che ebbero
illuminato la porta risultò che le cose stavano così. Ti saresti procurato
l’alloggio da solo, se noi non fossimo arrivati in tempo, e per di più avresti
rovistato nei nostri armadi e nelle nostre casseforti; ma noi interromperemo
131
 La relazione fra classe sociale di appartenenza e accesso agli studi fu al centro
dell’interesse pedagogico di Torsten Rudenschöld (1798-1859), il quale riversò le sue
riflessioni e le sue esperienze in diversi scritti tra cui Pensieri sulla scuola elementare
(Tankar om folkskolan, 1853).
132
  Matz E., “Lasse-Maja – analfabeten som fick svenskarna att läsa”, in PH 1995:
5, pp. 8-12. Altre letture della gente comune furono (oltre ai consolidati testi religiosi)
i ‘libri popolari’ (vd. p. 504, cfr. pp. 497-498), i cosiddetti skillingtryck (fogli volanti
da uno o due scellini sui quali erano stampate canzoni ma anche ballate popolari) e
diversi testi (magari di tipo antologico) per la scuola.

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Decenni cruciali 895

il viaggio di questa spiritosa signora! Poi mi presero e mi condussero in casa,


perquisirono anche il fagotto che avevo con me, vi trovarono degli indumen-
ti e due rasoi, uno specchio e una scatola per il sapone. Allora cominciarono
a interrogarsi fra loro, su che cosa ci facesse una signora con arnesi di quel
genere, poi mi passarono [la mano] sul mento e allora sentirono che c’erano
tracce di barba.
‘Ah!’ esclamarono, ‘ora ti abbiamo preso in castagna: tu non sei altro che
Lasse-Maja! Benvenuto mio grazioso signore!’ Furono abbastanza sfacciati
da perquisirmi ulteriormente. Tuttavia furono così educati da non prender-
mi nulla. Ora la situazione era abbastanza grigia per il povero Lasse-Maja!
Se i miei soldi, pensavo tra me e me, non avessero potuto salvarmi, la mia
libertà sarebbe [stata] perduta. Chiesi di poter comprare un po’ di cibo, il
che mi fu concesso.
Una folla di persone si raccolse per guardarmi. Tutti mi osservavano con
sorpresa. Per mostrarmi cortese con tutti quegli sconosciuti, domandai se si
potesse procurare un po’ di acquavite, per offrirla alla compagnia. Diamine!
allora furono piuttosto soddisfatti e domandarono: ‘Quanta ne ordina la
signora?’ Dal momento che si trattava di spendere, mi rivolgevano di nuovo
buone parole.
Ora avvenne questo: l’acquavite fu scaldata e dal momento che la vecchia
di casa aveva del miele, fu allestita una festa vera e propria. Mi sistemarono
nel posto d’onore e brindarono a tutte le donne. Tutti furono d’accordo sul
fatto che io fossi una signora perfetta. Peccato solo che io non fossi una
donna vera!”133

Il periodo tra il XVIII e il XIX secolo segna in Svezia il rico-


noscimento di importanti diritti, non da ultimo in campo reli-
gioso, il che avrà come naturale conseguenza un indebolimento
della Chiesa ufficiale. Interessante è, da questo punto di vista,
l’atteggiamento di Gustavo III, fautore di una totale libertà di
fede, il quale a esempio proteggeva gli aderenti di una setta in
pieno contrasto con la gerarchia ecclesiastica, senza tuttavia
disconoscere l’importanza di quest’ultima.134 Nel 1781 venivano
riconosciuti i diritti dei non luterani,135 nel 1782 veniva conces-
so agli Ebrei di stabilirsi nelle città (Stoccolma, Göteborg e

133
DLO nr. 161.
134
Vd. Granberg 1998 (C.10.2). Pur rafforzando la Chiesa svedese nella sua strut-
tura episcopale Gustavo aprì a più strette relazioni con gli anglicani e i cattolici in
direzione di una Chiesa di carattere più internazionale.
135
Vd. p. 704 con nota 108. Essi tuttavia non avrebbero potuto ricoprire cariche
pubbliche né aprire scuole.

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896 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

Norrköping) e di costruirsi sinagoghe.136 Anche in questo Paese


la spiritualità popolare (che fin dalla fine del XVIII secolo sul-
la scia del pietismo aveva mostrato di ricercare sbocchi al di
fuori della dottrina ufficiale)137 sarebbe stata incanalata (qui
tuttavia a partire dagli anni ’40) in movimenti religiosi revivali-
sti.138 Uno dei più importanti è certamente il læstadianismo, che
prende nome dal pastore Lars Levi Læstadius (1800-1861), la
cui opera è tuttavia da riferire in primo luogo alle zone abitate
dai Sami.139 Effetto di questi movimenti sarebbe stata la crea-
zione di Chiese libere autonome rispetto a quella ufficiale e,
infine, la separazione della Chiesa dallo Stato al principio del
secolo XIX.
All’ambito dell’attività religiosa si lega anche la volontà di
adoperarsi efficacemente a fronte di gravi problemi: nel 1828 il

136
Vd. p. 704 con nota 109. Ulteriori leggi a riguardo degli Ebrei vennero emesse
nel 1838 (Kongl. Maj:ts Nådiga förordning, angående Mosaiske Trosbekännares skyldig-
heter och rättigheter här i Riket, Gifwen Stockholms Slott den 30 Junii 1838; Kongl.
Maj:ts och Rikets Commerce-Collegii Circulaire till Öfwer-Ståthållare-Embetet i
Stockholm och Kongl. Maj:ts Befallningshafwande, angående en fastställd särskild
Ordning för Mosaiska Trosbekännare i afseende på utöfningen af deras Religion m.m.;
utfärdadt den 13 Augusti 1838; Kongl. Maj:ts Nådiga Kungörelse, rörande tillämp-
ningen i wissa fall af Dess under den 30 sistlidne Junii utfärdade Nådiga Förordning,
angående Mosaiske Trosbekännares rättigheter och skyldigheter här i Riket; Gifwen
Stockholms Slott den 21 September 1838). Con un decreto del 1860 agli Ebrei veni-
va concesso di stabilirsi definitivamente nel Paese e acquisirvi proprietà (Kongl. Maj:ts
Nådiga Förordning angående Mosaiske trosbekännares rättigheter att bosätta sig och
besitta fast egendom i riket; Gifwen Stockholms Slott den 26 Oktober 1860).
137
Diversi movimenti (per quanto di breve durata) erano sorti in Småland (i cosid-
detti åkiani, dal nome del loro capo, il contadino Åke Svensson), in Ostrobotnia, in
Härjedalen, in Tornedalen (vd. Lenhammar 20014 [B.7.2], pp. 65-66; cfr. p. 770). Il
movimento degli skevikiani (da Skevik, località su un’isola dell’arcipelago di Stoccol-
ma in cui avevano un importante centro) si diffuse anche in Danimarca e Germania.
138
Seppure fiorito a partire dagli anni ’40, il cosiddetto schartauanismo (dal nome
del predicatore Henric Schartau, 1757-1825) ha tuttavia radici nei due decenni prece-
denti. Esso focalizza la propria attenzione sui presupposti per la salvezza dell’individuo
(vd. Rodhe E., Henrik Schartau såsom predikant, Lund 1909). Un altro movimento
sorto in Svezia nella prima metà dell’Ottocento è quello dei ropare (letteralmente
“urlanti”), così detti per via delle prediche infuocate che tenevano in preda a una
sorta di esaltazione (fatto che riguardava soprattutto giovani, giovanissimi, donne e
persino bambini). Fortemente osteggiato dalla Chiesa, era diffuso dalla regione di
Småland su fino a Värmland, ma fu particolarmente radicato in Närke, dove risultava
ancora presente dopo che intorno al 1843 si era altrove esaurito. Esso viene collegato
al cosiddetto hoofianismo (da Jacob Otto Hoof, il fondatore, 1769-1839), termine che
indica una sorta di setta caratterizzata da severe regole di vita (vd. Carlsson D., Roparna,
Gävle 1978). Sui diversi aspetti della vita religiosa svedese nella prima metà del XIX
secolo si rimanda a Lenhammar 20014 (B.7.2), p. 68, pp. 70-71 e pp. 73-74.
139
Vd. pp. 1398-1400 con note 88, 89, 93, 94.

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Decenni cruciali 897

pastore Carl Emanuel Bexell (1786-1873) fondava a Rydaholm


(Småland) una tra le prime associazioni svedesi contro l’alcolismo,
cui presto altre seguirono; egli avrebbe poi collaborato con Peter
Wieselgren (1800-1877), tra gli attivisti più impegnati in questo
campo: queste iniziative avrebbero avuto importanti ricadute
sociali.140
Ma passi avanti furono fatti anche in altri campi: nel 1801 venne
effettuata a Malmö la prima vaccinazione generale contro il vaiolo,
che successivamente divenne obbligatoria per tutti;141 nel 1841
vennero emessi diversi provvedimenti migliorativi del diritto pena-
le tra cui l’abolizione della gogna e nel 1855 fu eliminata la pena
della fustigazione;142 nel 1858 fu soppresso il diritto del capofami-
glia di infliggere punizioni corporali ai familiari e ai servitori della
casa (husaga);143 nel 1841 fu riconosciuta alle donne uguale parità
ereditaria rispetto agli uomini;144 nel 1846 vennero eliminate le
corporazioni e il commercio fu liberalizzato;145 nel 1848 fu emana-
ta la prima legge sulle società per azioni.146
140
 La distillazione delle bevande alcoliche (tratte per lo più dai cereali o dalle
patate) aveva in Svezia una lunga tradizione. Le autorità erano intervenute in diverse
occasioni, spesso distinguendo tra la produzione per uso proprio e quella a fini di
commercio, il che non aveva impedito che il problema dell’alcolismo assumesse dimen-
sioni davvero preoccupanti. Vd. Evers A., Den svenska brännvinslagstiftningens histo-
ria, I-II, Lund 1923-1931; Bergman J., Den svenska nykterhetsrörelsens historia. En
översikt, Stockholm 19133 ed Elgeskog J., Peter Wieselgren, Stockholm 1950. Cfr. p.
1000.
141
 Tuttavia che la situazione sanitaria fosse ancora molto precaria risulta evidente
dalla grave epidemia di colera che imperversò nel Paese nel 1834 facendo migliaia di
morti. Altre (seppure meno devastanti) seguirono nell’arco di circa un ventennio.
142
 Kongl. Maj:ts Nådiga Förordning angående upphörande af Stockstraffet, Gifwen
Stockholm Slott å Riks-Salen den 10 Juni 1841 e Kongl. Maj:ts Nådiga Förordning, om
afskaffande af spö- och risstraff; Gifwen Stockholm Slott den 4 Maj 1855.
143
 Kongl. Maj:ts Nådiga Kungörelse, angående upphäfwande af 2 § i 36 Capitlet
Missgernings-Balken samt ändring af 5, 9 och 10 §§ i Legostadgan den 23 November
1833; Gifwen Stockholms Slott den 1 Oktober 1858. In realtà la husaga non fu abo-
lita del tutto (ciò avverrà solo con una legge del 1920: Lag angående upphävande av
vissa paragrafer i legostadgan för husbönder och tjänstehjon den 23 november 1833; given
Stockholms slott den 18 juni 1920).
144
 Kongl. Maj:ts Nådiga Förordning, angående förändring i wissa delar af lagens
stadganden om giftorätt och arfsrätt; Gifwen Stockholms Slott å Rikssalen den 19 maj
1845.
145
 Fabriks- och Handtwerks-Ordning af Kongl. Maj:t i Nåder fastställd den 22 decem-
ber 1846. Fin dal 1782 (decreto del 26 aprile) era stato consentito ai contadini di
vendere liberamente i propri animali d’allevamento nella località di residenza (UPH
XII [1799-1802], pp. 282-283): Kongl. Swea Hof-Rätts Universal, angående landtbruka-
res rättighet at i hemorten sälja sin afwel. Cfr. p. 992 con nota 159.
146
 Kongl. Maj:ts Nådiga Förordning angående aktiebolag; Gifwen Stockholms Slott
den 6 Oktober 1848.

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898 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

Anche dal punto di vista tecnico non mancarono novità che


segnalavano importanti progressi: nel 1800 venne aperto al traffico
navale il canale Trollhätte (Trollhätte kanal), tra il lago Vänern e il
Kattegat; nel 1810 cominciò (attraverso la regione di Götaland) la
costruzione del canale Göta (Göta kanal), progettato da Baltzar
von Platen (1766-1829), che sarebbe stato inaugurato nel 1832; nel
1818 il primo battello a vapore, costruito da Samuel Owen (1774-
1854), un inglese trasferito in Svezia, prese servizio sul lago Mäla-
ren; nel 1834 viene impiantata la prima tessitura meccanica a
Rydboholm (Västergötland); nel 1843 presso le Officine di Motala
(Motala verkstad, in Östergötland)147 si diede l’avvio alla costruzio-
ne della prima nave a elica; nel 1846 venne inaugurata a Göteborg
l’illuminazione stradale a gas. Almeno in parte collegata a tutto ciò
è la fondazione a Stoccolma dell’Istituto tecnico (Teknologiska
Institutet, 1825) che raccoglieva l’eredità della scuola di ingegneria
di Polhem148 alla quale nel 1798 era seguita una Scuola meccanica
(Mekaniska skolan). E non mancano nomi interessanti in campo
scientifico: da Gustaf Erik Pasch (1788-1862) il chimico che rea-
lizzò i fiammiferi ‘svedesi’ (o di sicurezza), ai fratelli Nils (1802-1870)
e Johann Ericsson (1803-1889),149 poi emigrati in America, i quali
(soprattutto il secondo) con una serie di importanti invenzioni
diedero un notevole contributo al progresso nell’industria dei
trasporti, dal fisico e astronomo Anders Jonas Ångström (1814-
1874), uno degli ideatori del metodo spettroscopico, a Pehr Georg
Scheutz (1785-1873)150 che nel 1843 insieme al figlio Edvard (1821-
1881) sviluppò un progetto dell’inglese Charles Babbage (1791-1871)
realizzando una macchina differenziale (‘antenato’ dei moderni
computer). Di interesse dal punto di vista socio-economico è anche
l’apertura (Göteborg, 1820) della prima Cassa di risparmio (Spar-
banken). Né va dimenticato che al 1810 risale la fondazione del
Kongliga Carolinska medico-chirurgiska institutet (l’attuale istituto
universitario noto come Karolinska Institutet), voluto dal re Carlo
XII, centro di studi in campo medico destinato ad acquisire sempre
maggiore prestigio.151
Nel 1749 era stato istituito in Svezia l’Ufficio di statistica demo-
147
Questo stabilimento, tuttora attivo, era stato fondato nel 1822 da Baltzar von
Platen.
148
Vd. p. 776.
149
Nominato barone nel 1854 Nils cambiò il cognome in Ericson. Johan invece
adottò la forma inglese del suo nome, John.
150
Cfr. nota 121.
151
Vd. Johannisson K. – Nilsson I. et al. (red.), Medicinen blir till vetenskap.
Karolinska Institutet under två århundraden, Stockholm 2010.

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Decenni cruciali 899

grafica (Tabellverket) con il compito di censire la popolazione.152


Dal primo calcolo risultò che il Paese (esclusi i territori finlandesi)
contava 1.800.000 abitanti. All’inizio del secolo successivo essi
erano saliti a 2.400.000 e attorno alla metà dell’Ottocento sarebbe-
ro stati 3.500.000: un incremento certamente conseguente alle
migliorate condizioni igienico-sanitarie, così come a una accresciu-
ta disponibilità di cibo dovuta non solo a nuove tecniche agricole
(che consentivano una maggiore resa nel raccolto dei cereali) ma
anche alla definitiva diffusione della coltivazione delle patate e
all’aumento delle superfici coltivate.153 Miglioramenti che tuttavia
non avevano certamente risolto il problema della povertà, acuito
da anni (in particolare il 1773) segnati da gravissime carestie: ciò
appare chiaramente dal fatto che ancora a metà secolo era del
tutto evidente la necessità di provvedere in merito,154 ma anche dal
flusso migratorio verso l’America che avrebbe raggiunto cifre dav-
vero ragguardevoli.

11.2.3. Una nuova Norvegia

In Norvegia il crescente desiderio di indipendenza era stato


sostenuto da fermenti patriottici ma anche da situazioni contingen-
ti. Infatti, quando precedentemente al 1814 si parla di ‘patriottismo’,
si deve sottolineare come accanto al senso di appartenenza a una
comunità nazionale culturalmente (ma anche, come si è visto,
‘geograficamente’) caratterizzata, esso comportasse, soprattutto, il
bisogno e il desiderio di impegnarsi concretamente per il miglio-
ramento delle condizioni di vita della società in tutte le sue com-
ponenti.155 Un patriottismo più marcatamente nazionalistico (che
pure in qualche forma, emerge già nei decenni cruciali tra la fine
152
 Da esso ha origine l’attuale Ufficio centrale di statistica (Statistiska centralbyrån).
Di importanza fondamentale per l’istituzione di questo ente fu la figura dell’astronomo
Pehr Wargentin (1717-1783), ideatore di prospetti per gli studi demografici.
153
 Da segnalare che nel 1811 venne fondata la Reale accademia per le foreste e
l’agricoltura (Kungliga Skogs- och Lantbruksakademien) con lo scopo di promuovere
un miglioramento delle attività boschive e agricole applicando nella pratica i risultati
degli studi tecnici relativi a questi settori. Si tenga presente che attorno alla metà del
XIX secolo ancora il 90% della popolazione svedese viveva nelle campagne.
154
 Il riferimento è all’ordinanza del 13 luglio 1853 (che riprendeva un precedente
testo del 1847): vd. Nilsson G.B., “Svensk fattigvårdslagstiftning 1853-1871”, in Berg-
gren – Nilsson 1965 (C.12.2), pp. 1-164, in particolare pp. 3-14.
155
Si citi, come esempio, il poeta Andreas Bull (cfr. p. 822, nota 639), il quale più
che per componimenti di scarso valore letterario è ricordato per scritti in cui dibatte-
va temi di carattere economico al fine di promuovere lo sviluppo del suo Paese.

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900 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

del XVIII e l’inizio del XIX secolo)156 si svilupperà dopo quella


data decisiva venendo per certi aspetti tingendosi di sentimenti
antidanesi,157 mentre la sottolineatura dello ‘spirito norvegese’
espresso nella storia (ma anche nella lingua) non mancherà di
accompagnarsi alla orgogliosa rivendicazione di una cultura affat-
to inferiore alla classica. Per la società norvegese il 1814 è davvero
una ‘data-spartiacque’, in quanto la promulgazione della costitu-
zione rappresenta un punto di ripartenza e, insieme, di costante
riferimento: la difesa di questo documento − simbolo d’una ritro-
vata (per quanto ancora parziale) indipendenza e della stessa idea
di ‘nazione norvegese’ − resterà al centro dell’attenzione per alme-
no due decenni.
Ma gli eventi del 1814 non sono solo lo sbocco di avvenimenti
politici determinati dall’esterno e combinati con l’affermarsi di
una autonoma volontà di indipendenza.158 Gli anni di grave crisi
seguiti alla stagnazione dei traffici marittimi avevano alimentato
un risentimento contro il dominatore danese e – al contempo –
avevano rafforzato la consapevolezza che fosse ormai tempo di
disporre di maggiore autonomia in campo politico (in particolare
nei rapporti internazionali), in campo economico e in campo
culturale: ciò del resto era stato sperimentato con la nomina nel

156
Si ricordi il giurista dano-norvegese Eiler Hagerup (nato a Trondheim) il
quale nella sua Lettera sull’amor patrio (cfr. p. 817, nota 609) indicava come
determinante ai fini del sentimento patriottico il luogo di nascita. Di notevole
interesse in proposito sono anche gli scritti di Johan Nordahl Brun (vd. p. 722
con nota 188) e Hans Arentz (1731-1793) autore anche di testi di caratere topo-
grafico. Non necessariamente tuttavia questo ‘patriottismo’ si legava al desiderio
di indipendenza dalla Danimarca. Vd. in proposito Larsen S., Med dragning mot
nord. Gerhard Schøning som historiker, Hovedoppgave i historie, Universitetet i
Tromsø, pp. 93-95 e Storsveen O.A., Norsk patriotisme før 1814, Oslo 1997. Di
notevole interesse da questo punto di vista è anche l’uscita della rivista Hermoder,
scritto periodico norvegese (Hermoder, et norsk periodisk skrift, 1795-1800) redat-
ta dall’ecclesiastico Frederik Schmidt (1771-1840) e poi dal professore e biblio-
tecario Jacob Rosted (1750-1833). Secondo la mitologia nordica Hermóðr, fratel-
lo di Baldr, dopo la morte di questi provocata dal maligno Loki, si reca a cavallo
nel Regno dei morti per chiedere che egli possa tornare indietro (vd. C hiesa
Isnardi 20084 [B.7.1], pp. 157 e p. 170, nota 6).
157
In questo contesto va ricordata la fondazione dell’Associazione norvegese (Nord-
mandsforeningen) sorta a Copenaghen nel febbraio del 1814.
158
In relazione ai fatti culminati con la promulgazione della costituzione del 1814,
gli storici norvegesi hanno a lungo discusso su quale sia stato il peso di fattori di carat-
tere ‘interno’ (movimento indipendentista) o, piuttosto, ‘esterno’ (avvenimenti politi-
ci europei e deliberazioni assunte dalle grandi potenze). Un’ampia disamina delle
diverse posizioni al riguardo è stata fatta da Odd Arvid Storsveen (www.nb.no/
baser/1814).

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Decenni cruciali 901

1807 della commissione ad interim.159 Prima che le circostanze


legate alle guerre napoleoniche provocassero la grave crisi di
inizio Ottocento, la Norvegia aveva conosciuto un periodo
di prosperità legato anche a opportuni provvedimenti legislativi:
nel 1787 era stato liberalizzato il commercio nella regione setten-
trionale di Finnmark;160 nel 1788 era stato abrogato l’obbligo di
acquistare solo grano danese;161 nel 1795 erano stati eliminati i
‘privilegi’ sul taglio degli alberi per trarne legname;162 nel 1797
erano stati fortemente ridotti i dazi doganali163 e semplificato il
sistema giudiziario.164 Inoltre, grazie soprattutto all’iniziativa di
Nikolai Frederik Krohg (o Krogh, 1732-1801) − e nonostante la
contrarietà di molti ambienti contadini − nella seconda metà del
XVIII secolo era stata finalmente tracciata una vera rete stradale
carrabile. Ma gli effetti delle vicende belliche avevano rovesciato
la situazione. Il risultato politicamente (seppure non compiuta-
mente) positivo degli eventi del 1814 non poté dunque impedire
una grave crisi finanziaria che segnò (con una forte inflazione) gli
anni 1815 e 1816. In relazione a ciò fu fondata la Banca norvege-
se (Norges Bank).165 Tra il 1816 e il 1818 il governatore del Paese
fu Carl Mörner, che sebbene svedese, seppe guadagnarsi apprez-
zamento e riconoscenza.166
Per lungo tempo autorevoli personalità norvegesi (come Chri-
sten Henriksen Pram, Johan Ernst Gunnerus, Enevold de Falsen,
Nicolai Wergeland, Johan Caspar Herman conte di Wedel Jarls-
berg)167 ma anche danesi (si pensi al topografo e metereologo
Jakob Nicolai Wilse, 1736-1801) si erano battute per l’istituzione
159
Vd. sopra, p. 871.
160
Vd. p. 750 con nota 305.
161
Vd. p. 688 con nota 46.
162
Frd. ang. Skovene, Saugene og Trælast-Tienden, 22 aprile 1705, in Timme (Abbr.)
II, pp. 271-275.
163
Fr. om Tolden og Kjøbsted-Consumptionen i Danmark og Norge (Schou XII [Abbr.],
1 febbraio 1797, pp. 16-213). In proposito si può vedere Jørgensen H.J., Det norske
tollvesens historie. Fra middelalderen til 1814, Oslo 1969.
164
Indicazioni in NL 1682-1934, pp. 63-64.
165
A essa seguirà (1848) la prima banca d’affari norvegese, la Cassa di credito di
Christiania (Christiania Creditkasse) e nel 1851 la Banca norvegese delle ipoteche (Den
norske hypoteksbank), fondata allo scopo di offrire prestiti a tasso agevolato garantiti
da ipoteche (il che si rivolgeva soprattutto al mondo agrario). Nel 1818 era stata isti-
tuita la Borsa (Børsen) a Christiania.
166
Cfr. nota 61.
167
Cfr. p. 809, nota 557, p. 776 con nota 419, p. 871, nota 45, p. 872 e p. 873, nota
50. Per la precisione Pram era di padre danese e madre norvegese, tuttavia, seppure a
lungo vissuto in Danimarca, era rimasto tenacemente attaccato alla Norvegia ed era
un fervente patriota. Egli risulta essere, tra l’altro, il primo romanziere norvegese.

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902 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

di una università norvegese. Il re era a lungo stato contrario, sia


per motivi economici sia per il timore che essa potesse divenire
focolaio di movimenti separatisti. Nel 1811 tuttavia cedette.168
Sorse dunque a Christiania la Reale università fredericiana (Det
kongelige Frederiks Universitet), a lui intitolata, che poté avviare
l’attività due anni dopo. Qui si sarebbero formati molti dei pro-
tagonisti della ricostruzione del Paese dopo il 1814. Primi docen-
ti furono il celebre filosofo Niels Treschow (1751-1833),169 il
filologo Georg Sverdrup (1770-1850),170 il naturalista Jens Rathke
(1769-1855), il matematico Søren Rasmussen (1768-1850), lo
storico, geografo e statistico Ludvig Stoud Platou (1778-1833) e
il teologo ed ebraista Svend Borchmann Hersleb (1784-1836). I
costi furono coperti in parte dal re danese, in parte grazie a una
sottoscrizione aperta nel Paese (il che sottolinea la ‘partecipazio-
ne popolare’ all’iniziativa). Fino ad allora la Norvegia aveva potu-
to contare solo su ‘ginnasi’ (latinskoler)171 e scuole delle cattedra-
li dalle quali si poteva accedere all’università.172 Nel 1750 si era
aggiunta la Libera scuola di matematica (Den frie matematiske
skole) di Christiania, in realtà un istituto superiore indirizzato alla
formazione militare173 e nel 1757 l’Istituto geologico norvegese di

168
Il decreto definitivo di costituzione è del 2 settembre 1811. Una dettagliata descri-
zione del processo che portò alla istituzione di un ateneo norvegese si trova in Nielsen
Y., “Inledning”, in Aa. Vv., Det Kongelige Fredriks Universitet 1811–1911. Festskrift,
I-II, Kristiania 1911, I, pp. iii-lx. Vd. anche Aubert L.M.B., “Kristiania universitet” in
Några anteckningar till de nordiska universitetens historia under de sista femtio åren,
in NTVKI 1878, pp. 701-707 e Collett J.P., Historien om Universitetet i Oslo, Oslo 1999.
169
Su di lui vd. fra l’altro Kristiansen K.A., Niels Treschow. 1751–1951. Et min-
neskrift, Oslo 1951.
170
Cfr. nota 50.
171
Cfr. p. 882 con nota 83. A questi tradizionali istituti si era aggiunto (1750) il
cosiddetto Seminarium Fredericianum (così chiamato in onore del re Federico V) di
Bergen nel quale alle tradizionali materie di studio (lingue classiche e teologia) si
affiancavano lingue moderne, letteratura, filosofia e materie scientifiche (in sostanza
un precedente delle cosiddette realskoler, su cui vd. p. 978 con nota 104, che saranno
presenti anche in Norvegia). Questa iniziativa non ebbe tuttavia il successo sperato e
l’istituto fu infine chiuso nel 1808. Presso il Seminarium Fredericianum insegnò, tra gli
altri, Fredrich Arentz (1736-1825) ricordato come uno dei migliori pedagoghi norve-
gesi dell’epoca (su di lui Nordahl Brun J., Fredrich Christian Holberg Arentz’s Portrait
og Biographie, København 1816).
172
Alcune di queste scuole godevano di un certo prestigio e potevano contare
sull’apporto di docenti di notevole levatura. Tale è, a esempio, il caso della scuola
della cattedrale di Bergen dove insegnò Lyder Sagen (1777-1850), che fu maestro di
molti importanti protagonisti del mondo politico e culturale norvegese dell’epoca, tra
cui Johan Sebastian Welhaven (vd. oltre, pp. 931-932).
173
Successivamente infatti (1798) rinominata Istituto militare norvegese (Det
norske militære Institut). Essa è tuttora in attività.

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Decenni cruciali 903

Kongsberg (Det Kongelige Norske Bergseminarium)174 che sareb-


be poi stato assorbito dall’Università di Oslo. La prima scuola
superiore per ragazze (tuttavia un istituto privato) sarebbe stata
fondata a Christiania solo nel 1849 per iniziativa del filologo e
pedagogo Hartvig Nissen (1815-1874).175
Ma importanti iniziative furono prese anche sul versante dell’i-
struzione elementare. Nel 1814 fu istituita una commissione (di
cui faceva parte anche Niels Treschow) per la sua riorganizzazione
e nel 1827 venne promulgata una legge che istituiva l’obbligo
scolastico dai sette anni fino al ricevimento della cresima (quattor-
dici anni); essa inoltre stabiliva che ci dovesse essere una scuola in
ogni comunità parrocchiale e negli insediamenti lavorativi di una
certa consistenza. Per i figli di coloro che restavano esclusi erano
previste “scuole itineranti” (omgangsskoler).176 A questa legge ne
sarebbe seguita più tardi (1848) una relativa alle scuole cittadine.177
Alla necessità di regolamentare la formazione dei docenti si prov-
vide con la creazione di istituti specifici, il primo dei quali fu
aperto a Harstad (in Troms) fin dal 1826. Sebbene tutto ciò rap-
presentasse un notevole progresso nell’alfabetizzazione della popo-
lazione, molte difficoltà e problemi (non solo di carattere econo-
mico) restavano irrisolti, basti pensare che nelle campagne si
parlavano comunemente i dialetti, mentre la lingua dei libri era il
danese.178
Il progresso sociale e civile della Norvegia nella prima metà del

174
L’intitolazione dell’istituto dipende dal fatto che inizialmente esso aveva il com-
pito di sviluppare le competenze legate all’attività mineraria (fu il primo istituto
europeo di questo genere).
175
Da lui fu detta Scuola femminile di Nissen (Nissens Pigeskole); in seguito presso
di essa fu attivato anche un corso di formazione per donne insegnanti, la Scuola di
Nissen per insegnanti donne (Nissens Lærerinneskole). Precedentemente (1843) insie-
me a Ole Jacob Broch (1818-1889), matematico, fisico, educatore e politico, Nissen
aveva fondato una Scuola di latino e scuola ‘media’ (Nissens Latin- og Realskole); cfr.
p. 979 e p. 1025.
176
 Lov ang. Almue-Skolevæsenet paa Landet, 14 luglio 1827. Perché in un insedia-
mento lavorativo fosse presente una scuola era richiesto un numero minimo di trenta
lavoratori. Questa legge sarebbe rimasta in vigore fino al 1860, anno della promulga-
zione di una nuova regolamentazione per le scuole nelle zone rurali con la quale si
incentivava, tra l’altro, la costruzione di edifici scolastici anche nelle località minori
(vd. p. 1025 con nota 282). In generale, sugli sviluppi della scuola norvegese di base
vd. Dokka 1967.
177
 Lov om Almueskolevæsenet i Kjøbstæderne, 12 luglio 1848.
178
 Per altro occorre dire che tradizionalmente i testi invogliavano ben poco alla
lettura, limitandosi sostanzialmente a proporre insegnamenti religiosi. I primi libri
norvegesi capaci di suscitare un qualche interesse fra le persone di condizione sociale
modesta compaiono solo dopo il 1811 (vd. Beyer 1974-1975 [B.4], II, pp. 19-21).

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904 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

XIX secolo è ulteriormente segnato dagli effetti che i moti france-


si di luglio ebbero sull’opinione pubblica. Dopo quegli avvenimen-
ti l’insofferenza per l’egemonia dei funzionari e dei burocrati nella
vita politica si accentuò, parallelamente al desiderio di una più
diretta partecipazione popolare. Fu così che le votazioni per la
nomina dei rappresentanti al parlamento convocato per il 1833
portarono a un consistente aumento dei rappresentanti dei conta-
dini. Le cui rivendicazioni erano sostenute non soltanto da porta-
voce della loro causa particolarmente energici (si citi qui John
Neergaard, 1795-1885, alla cui propaganda si deve in gran parte il
risultato del voto),179 o da uomini di cultura – come lo storico ed
etnologo Ludvig Kristensen Daa (Christensen Daae, 1809-1877),
il poeta Henrik Wergeland,180 il giurista Jonas Anton Hielm (1782-
1848) –181 ma si fondavano anche sul progresso culturale (e, paral-
lelamente, tecnico) promosso dai seguaci di Hauge.182 Voce del
dissenso furono giornali d’opposizione come il Foglio del mattino
(Morgenbladet)183 e, più tardi, Il cittadino (Statsborgeren, 1831-1835,
fondato dall’insegnante Peder Pedersen Soelvold, 1799-1847). Negli
anni successivi fu emessa una significativa serie di decreti di varia
natura: nel 1837 vennero promulgate leggi sulla gestione comuna-
le autonoma (formannskapslovene);184 nel 1839 venne semplificata
la normativa doganale (il che diede notevole impulso al mercato
del legname e del ferro), fu liberalizzato il commercio nelle cam-
pagne ed eliminato l’obbligo per gli artigiani di far parte di una
corporazione;185 nel 1845 fu concessa la libertà religiosa (sempre
179
Suo è lo scritto dal titolo Pensieri di un libero contadino sull’attuale costituzione
della Norvegia (En Odelsmands Tanker om Norges nærværende Forfatning, 1830),
comunemente indicato come Libro di Ola (Olaboka, dove Ola è il nome di un conta-
dino protagonista di un dialogo con altre tre persone di diversa estrazione sociale). In
esso si incitavano i contadini a far valere i propri diritti politici, innanzi tutto eleggen-
do propri rappresentanti in parlamento.
180
Vd. pp. 930-931.
181
Cfr. sotto, nota 367.
182
Vd. pp. 765-766. Non si dimentichi tuttavia che anche la classe contadina nor-
vegese era divisa fra coloro che avevano potuto mantenere o acquisire la proprietà
delle terre e i lavoratori che non possedevano nulla (cfr. p. 717 con nota 168). E si
ricordi come in precedenza (1818) ci fossero stati dei tumulti nella regione di Øst-
landet, chiaro segno di una crescente insofferenza nei confronti del potere e del desi-
derio di contare politicamente di più.
183
Vd. p. 806, nota 543.
184
Lov, om Formandskaber i Kjøbstæderne, samt om Bestyrelsen af Kjøbstædernes
almindelige Commune-Anliggender, 14 gennaio 1837 e Lov, om Formandskaber paa Landet,
samt om Bestyrelsen af Districternes almindelige Commune-Anliggender (stessa data).
185
Rispettivamente: Lov indeholdende nogle Bestemmelser, Toldvæsenet angaaende,
9 agosto 1839; Lov angaaende Haandværksdriften, 15 luglio 1839.

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Decenni cruciali 905

nell’ambito della dottrina cristiana) ai cittadini norvegesi;186 nel 1851


gli Ebrei (per i cui diritti si era fortemente battuto Henrik Wergeland)
ottennero libero accesso nel Paese.187 Miglioramenti nel campo dell’as-
sistenza sociale e sanitaria risalgono già al secolo precedente: fin dal 1741
era stato fondato (nel distretto di Akershus)188 il primo ente di pubblica
assistenza cui altri sarebbero seguiti, mentre nel 1785 nel medesimo
distretto era sorto il primo centro sanitario pubblico; nel 1809 (dunque
ancora sotto dominio danese) era stato istituito, parallelamente a quel-
lo danese, un ‘Ministero della sanità’ (Sundhedscollegium).189 Anche
in questo Paese nacque (1845) L’associazione norvegese contro l’al-
colismo (Den norske Forening mod Brændevinsdrik) che si adoperò
contro questa piaga sanitaria e sociale.190
Dietro a questi risultati c’erano uomini dinamici e iniziative
concrete che si ricollegavano alle idee di progresso civile e sociale
diffuse dall’illuminismo. Si pensi alla Società utile (Det nyttige
Selskab) costituita a Bergen nel 1774 per iniziativa di Jens Boalth191
il cui scopo iniziale era di promuovere lo sviluppo economico e il
progresso in campo medico; ma anche alla Reale società per
il benessere della Norvegia (Det Kongelige Selskap for Norges Vel)
voluta nel 1809 da uomini come, tra gli altri, Johan Caspar Herman
conte di Wedel Jarlsberg,192 Martin Richard Flor (1772-1829),
economo, naturalista e pedagogo e Frederik Julius Bech (1758-
1822), politico e teologo.193 Dopo la fondazione dell’Università di
186
Lov ang. dem, der bekjende sig til den christelige Religion, uden at være Medlem-
mer af Statskirken, 16 luglio 1845.
187
Lov om Ophævelse af det hidtil bestaaende Forbud mod at Jøder indfinde sig i
Riget, 21 luglio 1851. L’accesso agli Ebrei in Norvegia era espressamente negato dal
§ 2 della costituzione di Eidsvoll (che li escludeva insieme ai gesuiti e agli ordini
monastici). Tra gli scritti di Henrik Wergeland (su cui cfr. pp. 930-931) che si espres-
se ripetutamente a loro favore si segnali qui La questione degli Ebrei nel parlamento
norvegese (Jødesagen i det norske Storthing, in HWSS IV: 3, 1925 [1842], pp. 370-444,
volume che per altro contiene altri testi sull’argomento). In proposito vd.
Koritzinsky H.M.H., Jødernes historie i Norge, Henrik Wergelands kamp for jødesa-
ken, [s.l.] 1922.
188
Nella zona sud-orientale del Paese (Østlandet) con capoluogo Christiania.
189
Una utile sintesi della storia dell’assistenza sanitaria nei Regni uniti di Danimar-
ca e Norvegia si trova in Schjønsby H.P., Sundhedescollegiet 1809-1815. Det første
sentrale administrasjons- og tilsynsorgan for helsevesenet i Norge, Oslo 2009, pp. 10-17.
Sulla storia della medicina in Norvegia si veda Reichborn-Kjennerud I. – Grøn Fr. et
al., Medisinens historie i Norge, Oslo 1936.
190
All’associazione collaborerà attivamente anche Johan Sebastian Welhaven (vd.
pp. 931-932). Del resto anche Henrik Wergeland non mancò di far ripetutamente
sentire la propria voce contro i danni dell’alcolismo.
191
Vd. p. 851 con nota 798.
192
Cfr. p. 872.
193
Vd. Kaus Kr., Viktige trekk fra Norges vels historie 1809-1995, Skjetten 1996.

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906 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

Oslo e gli eventi del 1814 (cui i suoi membri avevano dato un
sostanziale contributo) essa fu riorganizzata (1829) e venne pro-
muovendo diverse iniziative per il progresso economico, soprattut-
to nei campi dell’agricoltura e della pesca.194 Entrambe queste
società sono tuttora attive. Un notevole sviluppo si avrà anche in
campo scientifico: basti qui ricordare l’astronomo e geofisico Chri-
stopher Hansteen (1784-1873), noto per gli studi sul magnetismo
terrestre,195 i botanici Christen Smith (1785-1816) e Matthias Num-
sen Blytt (1789-1862), i geologi Baltazar Mathias Keilhau (1797-
1858) e Theodor Kjerulf (1825-1888),196 il geniale matematico Niels
Henrik Abel (1802-1829),197 il fisico e matematico Carl Anton
Bjerknes (1825-1903),198 lo zoologo Michael Sars (1805-1869).199
Secondo un censimento del 1769 la Norvegia raggiungeva i
724.000 abitanti che erano saliti a 880.000 nel 1801. All’inizio del
XIX secolo Bergen (che allora contava circa 18.000 abitanti) era
ancora la terza città dei Regni uniti (dopo Copenaghen e Altona),
ma ora Christiania si avviava, in quanto sede del nuovo parlamen-
to e degli uffici amministrativi, a divenire a tutti gli effetti la capi-
tale.200 All’aumento della popolazione non corrispose quello delle
risorse. A partire dagli anni ’40 si ebbe dunque anche qui un
movimento migratorio verso l’America per certi versi ‘anticipato’
da una immigrazione interna constatabile tra gli ultimi decenni del
Settecento e i primi dell’Ottocento, ma in taluni casi determinato
anche da motivazioni di carattere religioso.

194
A cura di questa società venne pubblicato il periodico dal titolo Budstikken che
costituì un importante punto di riferimento per il dibattito in quegli anni cruciali. Il
termine budstikke indica la bacchetta (di legno o metallo) che nel medioevo veniva
inviata di fattoria in fattoria per convocare le persone in occasione di importanti riu-
nioni come l’assemblea (su cui vd. p. 130).
195
Vd. Grønningsæter T., Christopher Hansteen og framveksten av norsk astro-
nomi i begynnelsen av det 19. århundre, Oslo 2001 e anche Elgarøy Ø., “Christopher
Hansteen (1784-1873)”, in VP 1800-tallet, pp. 9-34.
196
Vd. Reusch H., “Theodor Kjerulf som vitenskapelig forsker”, in NTVKI 1889,
pp. 103-113.
197
Vd. Bjerknes C.A., Niels Henrik Abel. En skildring af hans liv og videnskabelige
virksomhed, Stockholm 1880.
198
Vd. Bjerknes V., C. A. Bjerknes. Hans liv og arbeide. Træk av norsk kulturhistorie
i det nittende aarhundrede, Oslo 1925.
199
Vd. Økland F., Michael Sars. Et minneskrift, Oslo 1955. Michael Sars, sposato
con la sorella di Johan Sebastian Welhaven, Maren Cathrine (1802-1889) ebbe da lei
otto figli. Fra di loro lo storico Johan Ernst (vd. pp. 1017-1018) e lo zoologo Georg
Ossian (1837-1927); e anche la figlia Eva Helene (1858-1907), cantante d’opera, che
avrebbe sposato Fridtjof Nansen (vd. pp. 1104-1105).
200
Essa contava nel 1814 quasi 11.000 abitanti che salirono a oltre 18.000 nel 1835.

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Decenni cruciali 907

Dal 1824 gli studenti norvegesi avevano cominciato a festeggiare il 17


maggio, data della proclamazione della costituzione a Eidsvoll, una ini-
ziativa che non era affatto piaciuta al sovrano Carlo XIV Giovanni il
quale, infatti, aveva proibito qualsiasi tipo di celebrazione. Ciò nonostan-
te il 17 maggio 1829 un gran numero di persone si radunò a Christiania.
I tentativi di disperderla pacificamente non ebbero esito sicché venne
dato l’ordine di caricare la folla. Nel tumulto che seguì ci furono alcuni
feriti e diverse persone (tra cui il poeta Henrik Wergeland,201 che sarebbe
divenuto l’eroe della giornata) furono fermate e interrogate.202 Questi
fatti sortirono l’effetto di rafforzare il sentimento nazionale e il desiderio
di totale indipendenza da parte dei Norvegesi, che in seguito poterono
liberamente festeggiare la ricorrenza.

*
Dopo il 1814 la volontà dei Norvegesi di affermare la propria specifi-
cità culturale e indipendenza politica trovò naturalmente espressione
anche nel desiderio di avvalersi di una bandiera propria (fino ad allora si
era utilizzato il vessillo danese), da issare innanzi tutto sulle navi commer-
ciali. Inizialmente (1814-1821) ci si limitò a inserire il simbolo del ‘leone
norvegese’, nel cantone superiore del Dannebrog dal lato dell’asta.203 A
partire dal 1815 (dopo che la Norvegia era entrata in unione con la Svezia)
venne stabilito che le navi norvegesi utilizzassero la ‘bandiera nazionale’
(il Dannebrog con il leone) fino al limite del Capo Finisterre, più oltre esse
dovevano issare il vessillo svedese allo scopo di essere protette dagli
attacchi dei pirati nord-africani (con i quali la Svezia aveva concluso un
oneroso accordo).204 Nel 1821 fu istituita una commissione parlamentare
che doveva valutare diverse proposte per una bandiera ‘esclusivamente
norvegese’: la scelta cadde su quella avanzata da Frederik Meltzer (1779-
1855), politico e uomo d’affari che aveva fatto parte dell’assemblea costi-
tuente di Eidsvoll, il quale suggeriva di adottare una croce blu bordata di
201
Vd. pp. 930-931.
202
L’episodio è ricordato come “la battaglia nella piazza” (Torvslaget).
203
Il decreto relativo fu emesso dal reggente Cristiano Federico (Regentes Kund-
gjørelse ang. det norske Flag, 27 febbraio 1814, in Love, Anordninger og Tractater m.m.
for Kongeriget Norge i Tidsrummet fra 1814-1848, Til Brug for den Lovstuderende
udtogsviis udgivne af J.A.S. Schmidt, I, Christiania 1849, p. 24). Sulla bandiera dane-
se, detta Dannebrog vd. pp. 334-335. Il ‘leone norvegese’ era un simbolo presente fin
dalla prima metà del XIV secolo su sigilli nobiliari o stendardi utilizzati in diverse
occasioni su navi o in ambito militare ma anche (accanto ai tre leoni danesi) nello
stemma dei Regni uniti. Sulla bandiera esso regge un’ascia d’argento a ricordo dell’ar-
ma con cui era stato ucciso il patrono del Paese, Olav il Santo a Stiklestad (vd. p. 256).
Un Ordine del Leone di Norvegia (Den Norske Løve) fu istituito dal re Oscar II nel
1904.
204
Decreto del 12 gennaio 1815. In seguito si cercò di trovare un compromesso e
si stabilì l’uso di una bandiera svedese che nel cantone superiore dalla parte dell’asta
riportava una croce bianca obliqua in campo rosso (ma nessun ‘leone norvegese’;
decreto del 7 marzo 1815).

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908 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

bianco in campo rosso, in pratica la bandiera che oggi conosciamo. La


decisione fu approvata dal parlamento (ma non ratificata dal sovrano)
e questo vessillo (che rimaneva in sostanza limitato all’ambito navale)
poteva essere utilizzato solo dalle imbarcazioni che non si fossero spin-
te oltre Capo Finisterre.205 Ma a partire dal 1838, dopo che i Francesi
ebbero occupato l’Algeria risolvendo di fatto il problema dei pirati, esso
poté essere liberamente utilizzato sui mari. Nel 1844 il re Oscar I, appe-
na salito al trono, stabilì che ciascuno dei due Paesi dell’unione avesse
una propria bandiera nella quale tuttavia il cantone superiore dal lato
dell’asta doveva riportare un simbolo comune: una combinazione di
ritagli (infelice anche dal punto di vista cromatico) che la gente non
tardò a paragonare ironicamente a una insalata di aringhe.206 Nel 1898,
sette anni prima del definitivo raggiungimento della piena indipenden-
za politica, i Norvegesi ottennero (dopo diversi tentativi) di eliminare
definitivamente questo simbolo da tutte le insegne (non tuttavia da
quelle militari).207

11.2.4. Verso una nuova Islanda

All’inizio del XIX secolo l’Islanda non era più tanto lontana.
Non soltanto le sciagure che l’avevano colpita ne avevano suo
malgrado fatto l’oggetto di una maggiore attenzione, ma la natura
e l’ambiente erano divenuti oggetto di studio e meta di esplorazio-
ne. E non solo da parte dei nordici. Basti pensare al celebre viag-
giatore inglese Joseph Banks (1743-1820), che l’aveva visitata nel
1772, o alla spedizione condotta nel 1810 dal baronetto scozzese
George Stuart Mackenzie (1780-1848).208 Nel Paese, che andava
riscoprendo aspirazioni autonomistiche, i primi decenni dell’Ot-
tocento furono segnati al contempo da difficoltà e progressi. L’ini-

205
Decreti del 13 e 17 luglio 1821.
206
Decreto del 20 giugno 1844.
207
La legge è del 10 dicembre 1898. Sulla questione della ‘legalità’ della bandiera
norvegese si rimanda a Rydin H.L., Om norska flagglagens rättsliga betydelse, Stockholm
1899, un testo in cui sono fatti puntuali riferimenti ai diversi decreti qui indicati e che
riporta in appendice il testo della legge del 10 dicembre 1898 (pp. 68-69) e quello
della ratifica da parte del sovrano svedese (pp. 70-71, medesima data). Una panorami-
ca degli stemmi, dei colori e dei più antichi vessilli norvegesi si trova in Storm G.,
Norges gamle Vaaben, Farver og Flag, Kristiania 1894. Vd. anche Engblom Chr. –
Engblom L-Å., “En trikolor for Norge”, in FFF, pp 80-81.
208
Tra gli altri viaggiatori stranieri di questo periodo si possono ricordare il bota-
nico inglese William Jackson Hooker (1785-1865) che la visitò nel 1809 e l’ecclesiasti-
co scozzese Ebenezer Henderson (1784-1858) che vi soggiornò tra il 1814 e il 1815.
Entrambi hanno lasciato interessanti resoconti della loro esperienza.

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Decenni cruciali 909

zio del secolo non era certo stato favorevole: negli anni 1803-1804
centinaia di persone erano morte di malattia e denutrizione, nel
1807 c’era stato un inverno rigidissimo che aveva tra l’altro visto
diminuire il numero degli abitanti di Reykjavík da quattrocento-
quarantasei a trecentosessantanove.209 La situazione economica non
era certo delle migliori: la gran parte della popolazione, duramen-
te provata dalle catastrofi naturali che avevano segnato il secolo
precedente, viveva ancora praticando l’allevamento, la pesca e la
limitata agricoltura consentita dalle condizioni climatico-ambien-
tali secondo metodi tradizionali. Inoltre la situazione sanitaria
restava carente.210 I benestanti erano solo una minoranza di perso-
ne di grado sociale elevato: funzionari del re danese ed ecclesiasti-
ci, spesso discendenti delle grandi famiglie che avevano dominato
il Paese nei secoli passati e che avevano saputo adattarsi ai muta-
menti della situazione politica; molti di costoro (soprattutto i dane-
si) non esitavano, forti dei loro privilegi, a sfruttare il lavoro altrui.
E tuttavia le sciagure da cui gli Islandesi erano stati colpiti ave-
vano − almeno − avuto l’effetto di far comprendere la fragilità
d’una economia primariamente basata sulle risorse locali: una
condizione che in caso di gravi calamità naturali, comportava, come
era apparso con tragica evidenza, conseguenze disastrose. Le disgra-
zie avevano costretto gli Islandesi a confrontarsi con la modernità.
Un effetto pratico della spaventosa eruzione degli anni 1783-1784
era stato, a esempio, lo spostamento di diverse persone dalle fatto-
rie interne alle zone costiere dove c’era, quantomeno, la possibilità
di pescare: ciò aveva dato l’avvio a una, per quanto limitata, indu-
stria del pesce. Nonostante le resistenze degli ambienti contadini,
le cose avevano dunque cominciato a cambiare, in primo luogo per
l’impegno di individui come Skúli Magnússon, Jón Eiríksson e
Magnús Stephensen.211 Grazie a loro, come si è detto, era stato dato
impulso all’economia e ci si era impegnati a diffondere fra la popo-
lazione i risultati del progresso sociale e civile raggiunto in altri
Paesi.212
209
Vd. Júlíusson – Ísberg 2005 (B.3), p. 186.
210
Si noti, a esempio, che tra gli incarichi affidati a Páll Vídalín e Árni Magnússon
nel loro viaggio in giro per il Paese (vd. p. 723) c’era anche quello di verificare la
situazione dei malati di lebbra. Ancora nel 1843, nel 1846 e nel 1860 si sarebbero
verificate gravissime epidemie con un numero elevato di vittime.
211
Vd. pp. 728-730.
212
Questo compito era stato svolto in primo luogo dalla Società dell’educazione di
Magnús Stephensen, tra le cui pubblicazioni si ricordano anche la Piacevole gioia degli
amici (Skémtileg Vina-Gleði, 1797) e Serio e faceto di vario genere (Margvíslegt Gaman
og Alvara, 1798 con una seconda uscita nel 1818).

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910 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

Pur tra le molte difficoltà della vita gli Islandesi possedevano un


grado elementare di scolarizzazione: in sostanza quasi tutti sapeva-
no leggere. Era questo, certo, un riflesso dell’indottrinamento
luterano, ma anche dell’ideale pietista, uno dei cui più eminenti
seguaci, Ludvig Harboe, aveva efficacemente operato nell’isola
negli anni ’40 del XVIII secolo.213 Per altro l’interesse di questo
popolo per la letteratura (quantomeno per le storie tramandate
tradizionalmente) non era mai venuto meno, neppure nei secoli più
bui. Un sistema scolastico vero e proprio non esisteva e l’insegna-
mento di base veniva impartito all’interno della casa (chi ne aveva
la disponibilità assumeva un precettore). Del 1746 è il decreto noto
come húsagatilskipun214 che regolamentava la vita familiare e tra
l’altro imponeva di istruire i figli e i domestici, naturalmente ai fini
di una esistenza impostata sull’educazione religiosa, intento chia-
ramente riconfermato in una direttiva del re danese al vescovo di
Skálholt (1790) nella quale si incaricano i pastori di verificare che
i bambini ricevano una formazione adeguata.215 Sebbene una prima
scuola elementare per i figli di famiglie indigenti fosse stata fonda-
ta nel 1792,216 il Paese restava, da questo punto di vista, in posizio-
ne arretrata. Nemmeno Reykjavík, che pure stava gradatamente
acquisendo un ruolo preminente, disponeva di una scuola elemen-
tare e quando questa fu aperta (1830) venne previsto il pagamento
di una retta, consentendo solo a un numero limitato di scolari di
ottenere una riduzione.217 Qui si imparava a leggere, a scrivere e a
far di conto; inoltre si studiava il catechismo, la storia biblica e la
geografia, ma una buona parte dell’insegnamento era tenuta in
lingua danese! Per difficoltà economiche la scuola fu chiusa nel
1848 e si dovette attendere fino al 1862 per la sua riapertura. Si
calcola che attorno alla metà del secolo XIX solo il 25-30% degli
Islandesi fosse in grado di scrivere.
Più favorevole restava la situazione dell’istruzione superiore, se

213
Vd. pp. 728-729. In proposito si rimanda a Guttormsson L., “Læsefærdighed
og folkeuddannelse [i Island] 1540-ca.1800”, in UNK III, pp. 152-165.
214
Indicazioni a p. 858, nota 833.
215
Rescr. (til Biskopen over Skalholt paa Island) ang. Forældres og Præsters Pligter i
henseende til Ungdommens undervisning (in Fogtman [Abbr.] VI, 2 luglio 1790, pp.
424-425). Con questa disposizione vennero di fatto poste le basi della scolarizzazione
del popolo islandese. Si vedano tuttavia le precedenti ‘raccomandazioni’ ai vescovi
d’Islanda contenute in un documento che porta la data del 1 luglio 1746 (LFI II, pp.
658-659).
216
Vd. p. 729, nota 224.
217
A questa sarebbero seguite nel 1852 quella di Eyrarbakki nel sud-ovest del
Paese e nel 1870 quella di Akureyri nel nord.

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Decenni cruciali 911

non altro perché destinata a un numero circoscritto di allievi. In


Islanda scuole di un certo livello erano esistite fin dal medioevo
presso i conventi, le diocesi e le residenze di famiglie eminenti:218
dopo la riforma esse erano rimaste attive presso i due vescovati di
Skálholt e Hólar. Compiuti qui gli studi, i pochi che ne avevano la
possibilità si trasferivano all’estero (per lo più a Copenaghen) per
completare la formazione all’università. Nel 1785, come si è visto, in
seguito a una serie di calamità naturali il vescovo di Skálholt, Hannes
Finnsson, aveva spostato la propria sede a Reykjavík e con quella la
scuola, poi trasferita a Bessastaðir.219 Unico istituto di istruzione
superiore del Paese, per molti versi ancora legato a una impostazio-
ne di tipo luterano (basti pensare che tra le materie di insegnamento
era compreso l’ebraico), qui si formarono molte delle figure più
significative della cultura e della politica islandese del periodo. A
partire dalla fine del XVIII secolo si diffusero in Islanda le “società
per la lettura” (lestrarfélög, sing. lestrarfélag) che, seppure inizial-
mente raccogliessero un numero limitato di persone, svolsero un
importante ruolo costituendo la base delle future biblioteche.220
In Islanda non si manifestarono, contrariamente agli altri Paesi
nordici, movimenti religiosi di iniziativa popolare: le ragioni di
questa assenza non sono ben chiare, certamente tuttavia la scarsis-
sima concentrazione abitativa ebbe in ciò la sua parte.
Nel 1831 fu fondata la Società per le strade di montagna (Fjall-
vegafélagið) per iniziativa del governatore delle province settentrio-
nali e orientali, Bjarni Thorarensen,221 con lo scopo di tracciare e
segnalare percorsi praticabili con cavalli e carri e costruire rifugi. Nel
frattempo una serie di circostanze fece sì che Reykjavík assumesse
crescente importanza. Il primo vero nucleo della città fu costituito
dalle costruzioni sorte per ospitare le attività industriali della Socie-
tà azionaria islandese; nel 1785 il vescovo di Skálholt vi si trasferì e
l’anno dopo con l’abolizione del monopolio commerciale danese essa

218
Vd. pp. 422-423.
219
Cfr. p. 724, nota 201 e p. 731 con nota 234. Qui furono attivi eminenti docenti
come Hallgrímur Scheving, Sveinbjörn Egilsson (cfr. nota 405) e il matematico Björn
Gunnlaugsson (1788-1876), figure di spicco del ‘risorgimento’ culturale e sociale
islandese. Su quest’ultimo vd. “Björn Gunnlaugsson, stærðfræðingur”, in BR, pp.
93-96.
220
La prima (fondata nel 1790) fu la Società islandese per la biblioteca e la lettura
di Suðurland (Hið íslenska bókasafns- og lestrarfélag Suðurlands). Vd. in proposito
Sverrisdóttir I.S., “Upphaf og þróun lestrarfélaga”, in Pálsdóttir G. – Hannesdóttir
S.K. (ritstj.), Sál aldanna. Safn greina um bókasöfn og skyld efni, Reykjavík 1997, pp.
25-35.
221
Cfr. p. 946.

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912 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

ottenne lo status di città e il diritto al libero scambio:222 ciò favorì la


nascita dei primi esercizi commerciali e ne fece un centro distinto
dagli altri, in quanto l’economia dei suoi abitanti non si basava più
sulle tradizionali risorse dell’allevamento, della pesca e dell’agricol-
tura quanto piuttosto sull’attività marinaresca e manifatturiera. A
partire dal 1761 era stata costruita presso la collina di Arnarhóll la
prima prigione del Paese: l’edificio in pietra che dal 1819 divenne
residenza del governatore e ora ospita il governo. Fu naturale impie-
gare i condannati nel lavoro delle manifatture. Altre circostanze
segnano la progressiva affermazione di questo centro: la consacra-
zione della cattedrale (1796), la decisione di tenervi le ultime due
riunioni dell’assemblea generale (Alþingi) che aveva abbandonato la
tradizionale sede di Þingvellir (a Reykjavík, del resto, essa sarebbe
stata ripristinata nel 1843),223 l’istituzione della Corte di giustizia,224
la fondazione (1818) della biblioteca distrettuale che sarebbe poi
divenuta Biblioteca nazionale (Landbókasafn), la creazione di una
Cassa cittadina (1822), l’avvio della scuola elementare (1830), il
trasferimento da Seltjarnarnes della sede del “medico generale
d’Islanda”,225 la progressiva formazione di una amministrazione
locale, completata nel 1836.226
Per il resto i cambiamenti furono meno evidenti e la gran parte
della popolazione continuò a vivere nelle fattorie o (per chi si
sostentava soprattutto con la pesca) nelle abitazioni costruite vici-
no al mare. Con il trasferimento della sede vescovile a Reykjavík i
terreni della Chiesa furono alienati e alcuni affittuari poterono
acquistare dei poderi, una parte rilevante andò tuttavia ai grandi
possidenti. In alcune zone (anche al di fuori della capitale) comin-
ciò a svilupparsi un commercio autonomo (legato alle esportazioni
di pesce secco e salato, olio di fegato di squalo, manufatti in lana e
prodotti dell’allevamento). La prima metà del XIX secolo segna
dunque per il Paese (ma il paragone è con i travagliati decenni
precedenti!) un certo sviluppo, tuttavia (per taluni aspetti simbo-
licamente) essa si chiuderà con un’annata di freddo eccezionale
con lastroni di ghiaccio serrati attorno alle coste dell’isola fino al
mese di agosto.
222
Vd. p. 730 con nota 232.
223
Vd. p. 880 con nota 79.
224
Vd. p. 877.
225
Cfr. p. 726, nota 213 e p. 853.
226
Il primo ‘sindaco’ di Reykjavík era stato (1786) Skúli Magnússon (vd. p. 730);
successivamente (1803) era stato nominato il primo prefetto della città nella persona
di Rasmus Frydenberg (1777-1840) che fu coadiuvato dai primi due poliziotti islan-
desi.

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Decenni cruciali 913

In seguito alle calamità naturali e alle epidemie verificatisi nel


XVIII secolo l’Islanda aveva subito una drastica diminuzione del-
la popolazione227 e all’inizio del XIX secolo contava circa 47.000
abitanti (di cui meno di quattrocento a Reykjavík). Nella prima
metà dell’Ottocento si constata un (seppur irregolare) aumento
della popolazione che nel 1850 raggiungerà il numero di circa 57.000
individui e nel 1860 quello di circa 67.000.

11.3. Percorsi culturali228

11.3.1. L’età dell’oro danese

Con le deliberazioni della pace di Kiel la Danimarca non soltan-


to aveva dovuto rinunciare alla supremazia sulla Norvegia, ma era
di fatto decaduta a Paese di secondo piano, cui le grandi potenze
prestavano ben scarsa considerazione. Sul piano culturale al con-
trario (e per certi versi paradossalmente) i primi decenni dell’Ot-
tocento costituiscono un periodo di straordinaria fioritura, quasi
che, di fronte al disastro politico ed economico, si cercasse rifugio
in valori più alti. La prima metà del XIX secolo viene dunque
considerata, da questo punto di vista, una “età dell’oro danese”
(dansk guldalder).229 Epicentro dell’attività culturale è naturalmen-
te, in primo luogo, la capitale (una città che raggiungeva la cifra – per
l’epoca ragguardevole – di circa 100.000 abitanti), tuttavia non va
dimenticato l’apporto di una istituzione come l’Accademia di Sorø
né, tantomeno, l’influsso delle correnti e dei maestri stranieri.
In letteratura il secolo è inaugurato dall’irrompere del romanti-
cismo. Nel 1802 il naturalista norvegese Henrik Steffens (1773-1845)

227
Con picchi di mortalità dovuti al diffondersi del vaiolo tra il 1707 e il 1709 e
dopo la devastante eruzione del 1783-1784.
228
Nei Paesi scandinavi fin dalla seconda metà del Settecento, ma soprattutto
dall’Ottocento, la produzione nei diversi campi della letteratura, delle arti e della
musica conosce uno straordinario sviluppo, ragion per cui di qui in poi ci si dovrà
limitare a citare le principali correnti e i nomi più prestigiosi e significativi. Si riman-
da, per i necessari approfondimenti, alla ricca bibliografia di riferimento (riportata
in B.4 e B.6).
229
Il primo a usare questa espressione fu Valdemar Vedel (1865-1942) nello scritto
Studier over Guldalderen i dansk Digtning, Kjøbenhavn 1890. Esso fu poi ripreso
dallo studioso e critico Vilhelm Andersen (1864-1953), coautore di una opera fonda-
mentale sulla storia della letteratura danese (Petersen – Andersen 1932-1934, in B.4).

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914 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

tornava da un periodo di formazione trascorso in Germania dove


aveva avuto modo di conoscere personalmente diversi esponenti
delle nuove correnti filosofiche e letterarie tedesche, non da ultimo
Goethe e Schelling, la cui filosofia della natura lo aveva profonda-
mente influenzato. A Copenaghen Steffens fu invitato presso l’Elers
kollegium230 a tenere una serie di lezioni (che richiamarono un
folto pubblico) sulla filosofia e la poesia tedesca, con particolare
riferimento proprio a questi due autori: questo evento è unanime-
mente considerato il punto di partenza del movimento romantico
in Danimarca. Movimento che, fondato su presupposti filosofici,
trovò immediato sbocco letterario nelle opere di uno degli assidui
frequentatori delle lezioni di Steffens: Adam Oehlenschläger (o
Øhlenslæger, 1779-1850),231 scrittore di poesia, epica e opere tea-
trali (drammi lirici, fiabeschi e storici) il quale cerca ispirazione in
primo luogo nella tradizione nordica232 ma anche in quella cristia-
na, classica ed esotica233 e nello sforzo (tutto romantico) di dare
voce a una imperiosa e, per certi versi, disordinata creatività si
affida a diverse forme espressive non sempre esenti da quel classi-
cismo da cui rifuggiva. Nonostante i limiti (riscontrabili soprattut-
to nell’inadeguata caratterizzazione psicologica dei personaggi) e
le severe critiche di Jens Baggesen234 che diedero l’avvio a una
vivace polemica, Oehlenschläger fu – ed è tuttora – considerato il
più autentico romantico danese e il fondatore del dramma nazio-
nale. Una fama che lo accompagnò per tutta la vita, seppure le
opere della maturità mostrino una tendenza più moderata e un
certo distacco dal romanticismo ‘militante’. Un esito diverso ma
altrettanto fruttuoso della diffusione delle idee romantiche in
230
Vd. p. 685, nota 34.
231
Il doppio cognome (la forma danese fu da lui utilizzata per ‘firmare’ le prime
opere) dipende dal fatto che il padre era originario dello Schleswig. Di origine tedesca,
ma nell’animo profondamente ‘danese’ era anche Adolf Wilhelm Schack von Staffeldt
(1769-1826), autore di innovativa poesia romantica, che debuttò negli stessi anni ma
godette di scarsa considerazione, rimanendo oscurato dalla fama di Oehlenschläger.
232
Il suo componimento I corni d’oro (Guldhornene) che fa riferimento ai due
corni d’oro di Gallehus, preziosi reperti risalenti all’età del ferro (vd. p. 87, nota 91 e
p. 434), e fu scritto nel 1802 poco dopo che essi erano stati rubati, può essere consi-
derato il primo testo romantico in Danimarca. Esso fu poi musicato (1832) da Johan
Peter Emilius Hartmann (op. 11), sul quale vd. p. 921.
233
L’interesse romantico per i Paesi orientali non nasce soltanto da un generico
‘esotismo’ ma si fonda su una tradizione di studi risalente indietro nel tempo e assai
ben testimoniata nel Settecento anche in Scandinavia: si citi come esempio l’orienta-
lista svedese Johan David Åkerblad (1763-1819) che fu tra l’altro il primo a ottenere
risultati significativi dalle sue ricerche sull’iscrizione della stele di Rosetta.
234
Cfr. pp. 838-839; sul rapporto fra i due autori vd. Arentzen Kr., Baggesen og
Oehlenschläger. Literaturhistorisk Studie, I-VIII, Kjøbenhavn 1870-1878.

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Decenni cruciali 915

Danimarca si constata nel percorso letterario-filosofico-pedagogi-


co dell’ecclesiastico N.F.S. Grundtvig.235 Nel suo caso, per la veri-
tà, il romanticismo fornisce soltanto l’impulso iniziale per una
riflessione (lunga, approfondita, talora dolorosa e segnata da con-
trasti e difficoltà) che farà di lui l’alfiere di una religiosità nuova e
libera da incrostazioni dogmatiche, destinata a porsi come elemen-
to trainante della promozione della gente comune nella prospetti-
va di un risveglio nazional-patriottico.236 Nonostante i successivi
sviluppi, i princìpi fondamentali del suo pensiero resteranno reli-
gione, popolo, patria: concetti che cercherà di armonizzare perse-
guendo anche una sorta di conciliazione tra paganesimo nordico e
cristianesimo.237 Del resto anche i suoi salmi riflettono l’intima
convinzione sulla necessità di vivere l’esperienza cristiana con
impegno gioioso e fiduciosa speranza, superando da una parte
pensieri e immagini angoscianti e, dall’altra, la tendenza pietista a
una chiusura eccessivamente introspettiva. La sua decisa afferma-
zione della libertà dell’individuo ne farà negli anni maturi un
convinto fautore della democrazia.
In Danimarca il romanticismo (cui si deve tra l’altro la rivaluta-
zione delle folkeviser)238 si esprime in diverse forme: nelle poesie e
nei saggi ispirati alla filosofia della natura di Hans Christian Ørsted
(1777-1851), celebre come scienziato e scopritore (1820) dell’elet-
tromagnetismo;239 nei componimenti e romanzi storici di Bernhard
Severin Ingemann (1789-1862), docente di letteratura a Sorø (e
autore anche di poesia religiosa) sollecitato da Grundtvig allo
sforzo di rivitalizzare il passato danese;240 nelle opere (lirica, dram-
mi e romanzi storici)241 di Carsten Hauch (1790-1872), docente a
235
Cfr. pp. 883-884 e p. 886.
236
La distanza di Grundtvig dalle idee romantiche più radicali si rileva anche nel
fatto che egli aderì alla polemica di Baggesen contro Oehlenschläger.
237
Il che, del resto, non era una novità: in area germanico-scandinava infatti molti
umanisti avevano voluto combinare la dottrina cristiana con gli aspetti più positivi
della tradizione pagana che venne, dunque, da loro riabilitata.
238
Su cui vd. pp. 396-397.
239
Per la verità Ørsted riconobbe più tardi l’importanza degli studi precedente-
mente svolti in questo campo dall’italiano Gian Domenico Romagnosi (1761-1835):
vd. Stringari S. – Wilson R.R., “Storia delle scienze sperimentali - Romagnosi and
the discovery of electromagnetism”, in Rendiconti lincei - Scienze fisiche e naturali,
Serie 9, tomo XI: 2 (2000), p. 123. Membro della Reale società per la scienza, Ørsted
fondò nel 1824 la Società per la diffusione della fisica (Selskabet for Naturlærens
Udbredelse), tuttora attiva.
240
Grundtvig stesso del resto si era dedicato a importanti studi di mitologia nordica (un
tema che destava crescente interesse) e aveva tradotto Saxo grammaticus (vd. pp. 322-323).
241
Si ricordi qui il modello rappresentato dall’opera dello scozzese Walter Scott
(1771-1832).

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916 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

Sorø, poi a Kiel e Copenaghen, nel quale tuttavia già si avverte il


manifestarsi di nuove istanze (accanto al predominio della bellezza
e della fantasia) quali la ricerca della verità e l’indagine psicologica.
E tuttavia si tratta di un movimento letterario che mostra una pre-
coce evoluzione; basti citare due scrittori che possono per molti
versi essere considerati i primi ‘realisti’ danesi: Poul Martin Møller
(1794-1838) che pure, appoggiando Oehlenschläger, non esitò a
comporre una parodia su Baggesen (ma anche su Grundtvig) e
Steen Steensen Blicher (1782-1848) che per altro ancora trova
ispirazione in Ossian. Sicché (intorno agli anni ’30) verrà emergen-
do la corrente che viene definita ‘romantismo’, dal momento che
in essa elementi tipici del romanticismo (in primo luogo il valore
della fantasia) si combinano con una accentuata attenzione alla
realtà, nella ricerca di un difficile equilibrio estetico e artistico.242
Se fosse possibile (ma per i grandi non lo è!) si potrebbe par-
tire da qui per inquadrare la figura di Hans Christian Andersen
(1805-1875), autore che sa mirabilmente conferire forma realisti-
ca al prodotto della propria fantasia. Seppure abbia scritto anche
poesie, opere teatrali, romanzi e resoconti di viaggio, Andersen è
universalmente noto per le sue favole, la cui prima raccolta uscì
nel 1835: Favole, raccontate per i bambini (Eventyr, fortalte for
Børn). Stimolato dalla raccolta dei fratelli Grimm (un modello
che produrrà in tutta la Scandinavia frutti copiosi) egli volle
trarre ispirazione (oltre che dalla tradizione popolare e dalla
storia) dalla vita quotidiana e dal mondo circostante, che nella
sua totalità partecipa pienamente dell’esperienza del lettore,
sicché non fa meraviglia che nei suoi racconti non solo gli anima-
li, ma anche gli oggetti parlino e agiscano come esseri umani,
rivelando di condividerne pensieri e sentimenti. I segreti dell’ar-
te di Andersen, pare di poter affermare, sono semplicità ed equi-
librio: la prima gli consente di attingere con immediatezza al
senso più profondo della vita, il secondo di muoversi con facilità
(e al contempo con garbo e coerenza) tra la realtà e la fantasia,
intrecciandole o separandole ma sempre trovando la giusta misu-
ra poetica: si tratti di strappare un sorriso, di indurre una rifles-
sione, di suggerire un insegnamento. Senza che (in ciò certamen-
te aiutato da una giusta dose di umorismo) si cada in un inutile
pedagogismo.
Sul versante filosofico la tendenza a un romanticismo ‘razionale’
242
Si pensi qui alle opere di Johan Ludvig Heiberg (vd. p. 921) figlio di Peter
Andreas (cfr. p. 811 con nota 567), Henrik Hertz (1798-1870), Christian Winther
(1796-1876), Emil Aarestrup (1800-1856) e Ludvig Bødtcher (1793-1874).

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Decenni cruciali 917

e ‘realista’ si constata innanzi tutto in Frederik Christian Sibbern


(1785-1872) che seppure venuto a contatto con diversi rappresen-
tanti del mondo culturale tedesco (tra gli altri Fichte, Schleier-
macher, Goethe, Hegel, Schelling) indirizza la propria riflessione
(di carattere anche psicologico) piuttosto sul piano pratico criti-
cando l’idealismo hegeliano243 e in ciò anticipando il sopra citato
Poul Martin Møller e, soprattutto, il grande Søren Aabye Kierke-
gaard (1813-1855).
Segnato da un’infanzia vissuta in un ambiente cupamente reli-
gioso, oppresso per tutto il corso della breve esistenza dal tormen-
to del peccato e dalla depressione, afflitto da problemi fisici,
Kierkegaard visse un’esistenza orientata alla solitudine e dedicata
alla introspezione e alla ricerca filosofica. Come si è detto il pun-
to di partenza della sua speculazione è il rifiuto dell’idealismo
hegeliano al quale egli contrapporrà il principio della centralità
dell’individuo che, in quanto essere umano, deve fare i conti con
la libertà di scelta tra bene e male, una libertà che genera angoscia
e disperazione (in termini semplici il ‘male di vivere’) e, sul piano
religioso, può indurre al peccato. In questa condizione esistenzia-
le (tradotta in una costante riflessione interiore) egli individua gli
sbocchi d’una vita ‘estetica’ (cioè la sola ricerca del piacere) o
d’una vita ‘etica’ (cioè l’adesione a doveri morali e sociali); entram-
be queste scelte risultano tuttavia insufficienti: la prima conduce
a un senso di vuoto, la seconda di inadeguatezza. Non resta,
dunque, che una terza via: il paradosso della fede. Esso (che com-
prende e trasforma la scelta etica) è l’unica possibilità offerta al
singolo per rapportarsi con Dio, un rapporto intimo che prescin-
da da regole e precetti imposti da una struttura ecclesiastica più
attenta all’esteriorità che non a una reale adesione all’essenza
della vita religiosa. La polemica di Kierkegaard contro la Chiesa
ufficiale si farà così (soprattutto negli ultimi anni di vita) partico-
larmente dura. A lui non mancarono critiche, si ricordi la polemi-
ca con Heiberg244 o l’attacco che nel 1846 gli fu portato dal setti-
manale satirico Il Corsaro (Corsaren), fondato dallo scrittore Meïr
Aaron Goldschmidt (1819-1887). Sebbene in realtà anche Gold-
schmidt, e con lui altri autori di rilievo del periodo come Frederik
Paludan-Müller (1809-1876) e Hans Egede Schack (1820-1859),
rappresentino (seppure in modi diversi) il superamento definitivo
243
L’occasione gli venne dalla pubblicazione, da parte di Johan Ludvig Heiberg
(cfr. nota 242), della rivista filosofica Perseus (1837-1838) nella quale si propugnavano
le teorie del filosofo tedesco.
244
Cfr. nota precedente e p. 921.

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918 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

della romantica ‘fuga dal mondo’, il cambio di prospettiva, l’as-


sunzione di una responsabilità, sia essa etico-religiosa o politico-
sociale.245
La vivacità della vita culturale danese si constata anche nei fre-
quentati ‘salotti’, così come nell’affermarsi di personalità destinate
a lasciare la propria impronta in diversi campi di studio. Tali sono,
fra gli altri, il bibliofilo, storico della letteratura e antiquario Rasmus
Nyerup (1759-1829);246 lo scrittore e biografo di Thorvaldsen, ma
– soprattutto – raccoglitore di racconti popolari danesi, Just Matthias
Thiele (1795-1874);247 lo storico Erich Christian Werlauff (1781-
1871); il botanico, geografo e metereologo Joakim Frederik Schow
(1789-1852); il chimico e geologo Johan Georg Forchhammer
(1794-1865); il filologo e antiquario Carl Christian Rafn (1795-1864)
studioso di antichità nordiche e assertore dell’approdo dei vichin-
ghi sulle coste americane che, insieme al già citato Rasmus Rask248
e all’archeologo islandese Finnur Magnússon (1781-1847), fondò
nel 1825 la Reale società nordica dei testi antichi (Det kongelige
nordiske Oldskriftselskab);249 il filologo classico Johan Nicolai Mad-
vig (1804-1886); l’orientalista Jens Lassen Rasmussen (1785-1826);
l’archeologo autodidatta Christian Jürgensen Thomsen (1788-1865)
che spazzò via le stravaganti cronologie sull’antichità (derivanti da
calcoli basati sul racconto biblico!) e determinò per primo la sud-
divisione in età della pietra, del bronzo e del ferro, oltre a imposta-
re un rigoroso studio scientifico dei reperti;250 il filologo e archeo-
logo Niels Iversen Schow (1754-1830); il giurista Anders Sandøe
245
Per diversi aspetti vicino a Kierkegaard è anche il filosofo Rasmus Nielsen (1809-
1884) che, partito da presupposti hegeliani, tenta una conciliazione tra scienza e fede.
246
Insieme a Knud Lyhne Rahbek (cfr. p. 805, p. 809, nota 557 e p. 839) e a Werner
Hans Frederik Abrahamson (cfr. p. 817, nota 609) egli diede alle stampe una raccolta
di folkeviser danesi (Udvalgte danske Viser fra Middelalderen, I-V, Kjøbenhavn 1812-
1814). Inoltre fu promotore della Reale commissione per la conservazione delle anti-
chità (Den Kongelige Kommission til Oldsagers Opbevaring), istituita nel 1807.
247
La raccolta principale, Leggende popolari danesi (Danske Folkesagn), successi-
vamente ampliata, uscì in quattro volumi tra il 1818 e il 1823. Sullo scultore Thorvald-
sen vd. poco oltre.
248
Vd. p. 604, nota 351 e p. 823 con note 648-649.
249
Dall’anno successivo la società iniziò la pubblicazione dei prestigiosi Annali per
lo studio delle antichità e della storia nordiche (Aarbøger for nordisk Oldkyndighed og
Historie). Finnur Magnússon era stato anche, insieme a Rask, uno dei fondatori della
Società letteraria islandese; vd. p. 824.
250
Egli fu anche il fondatore (1849) del Reale museo etnografico (Det Kongelige
Etnografiske Museum), il primo del suo genere. Su di lui vd. Rosborn S., “Sten, brons
och järn – Sorterande dansk ‘amatör’ skapade arkeologins tidsåldrar”, in PH 1995: 4,
pp. 16-20. La strada da lui tracciata sarà poi percorsa da un altro illustre archeologo
danese, Jens Jacob Asmussen Worsaae (vd. p. 1102).

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Decenni cruciali 919

Ørsted (1778-1860), fratello del sopra citato Hans Christian, che


sarà primo ministro negli anni 1853-1854; il geologo Heinrich Dau
(1790-1831); il botanico Jens Wilken Hornemann (1770-1841).251
Nella Copenaghen della prima metà dell’Ottocento povertà,
malattie, alcolismo, emarginazione non erano certamente ignoti.252
E tuttavia nella prospettiva culturale l’immagine che ce ne resta è
quella di una capitale in fermento (per certi versi anche caotico):
un luogo di salotti letterari, associazioni, club e caffè, rappresenta-
zioni teatrali e concerti. Dal punto di vista architettonico va tenuto
presente che il devastante incendio del 1795 e il bombardamento
inglese del 1807 avevano reso necessaria la ricostruzione di buona
parte della città. Lo stile dominante è quello neoclassico introdot-
to da Caspar Frederik Harsdorff cui molti si ispirarono.253 Figura
di spicco è l’allievo di Harsdorff Christian Fredrik Hansen che, tra
l’altro, ebbe il compito di riprogettare il castello di Christiansborg
(distrutto da un incendio nel 1794), disegnò la cattedrale di Nostra
Signora (Vor Frue Kirke) abbattuta dagli Inglesi e il Palazzo di
giustizia (Domhuset).254 Un altro architetto che ha segnato il perio-
do è certamente Michael Gottlieb Birckner Bindesbøll (1800-1856)
cui si deve il museo dedicato a Thorvaldsen.
Di padre islandese Bertel Thorvaldsen (ca.1770-1844) crebbe in
Danimarca dove fin da giovanissimo frequentò la Reale accademia
danese della pittura, della scultura e dell’architettura sotto la guida
del celebre Abildgaard,255 mostrando un precoce talento di sculto-
re. Nel 1796, ottenuta una borsa di studio, partì per l’Italia. Qui (a
Roma fu aiutato dall’archeologo e numismatico originario dello
Schleswig Jørgen Zoëga, 1755-1809) ebbe modo di ammirare l’ar-
te classica e rinascimentale portando a maturazione tutte le sue
potenzialità e guadagnandosi celebrità e grande considerazione
(non da ultimo da parte di Antonio Canova, 1757-1822). Sebbene
l’Italia (visse molto a lungo a Roma)256 sia stata la sua vera ‘patria

251
Che fu, tra l’altro, curatore del giardino botanico di Copenaghen.
252
Basti qui ricordare che ancora nel 1853 la città fu colpita da una grave epidemia
di colera.
253
Vd. pp. 846-847 con nota 764. Nel filone neoclassico si inserisce anche Theo-
philus Hansen (1813-1891) che, tuttavia, lavorò per lo più a Vienna.
254
Il ricorso ai classici è propugnato anche dal dano-tedesco Gustav Friedrich
Hetsch (1788-1864).
255
Vd. p. 849 con nota 779.
256
Come è noto in questi decenni l’Italia (in particolare Venezia, Firenze, Napoli e
Roma) era meta di studio obbligata di molti artisti. A Roma si formò una sorta di ‘cir-
colo’ dei danesi. Oltre a Thorvaldsen vi soggiornarono tra gli altri gli scultori Hermann
Ernst Freund (1786-1840), che trova ispirazione anche nella mitologia nordica, Herman

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920 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

artistica’ egli ebbe naturalmente commissionati molti lavori dall’e-


stero: in Danimarca (dove presto gli fu dedicato un museo) sono
celebri le statue (il Cristo e i Dodici apostoli) da lui eseguite per la
chiesa di Nostra Signora di Copenaghen.
Sul versante della pittura il nome più prestigioso di questa “età
dell’oro” è certamente quello del ‘realista’ Christoffer Wilhelm
Eckersberg (1783-1853). Dopo una lunga formazione all’estero,257
fu docente dell’accademia a Copenaghen, attività che gli consen-
tì di creare negli anni una vera e propria ‘scuola’: la sua lezione
segna un punto di svolta nella storia della pittura danese perché
il suo influsso non si esercitò solo su coloro che erano stati suoi
allievi diretti.258 Ora certo ci si rifà al mondo classico, ma (si
ricordi la lezione dei romantici!) si trae ispirazione anche dalla
tradizione mitologica259 o dalla storia nordica (il senso dell’animo
‘nordico’ è del resto ben avvertibile anche nelle sculture neoclas-
siche di Thorvaldsen), si raffigurano scenari marcati da eleganti
architetture o ci si sofferma a riprodurre paesaggi rurali (svinco-
landosi da modelli stranieri) e marini (dei quali Eckersberg è
maestro).260 Senza tralasciare i ritratti né la pittura di genere. Il
fondamentale impulso di Eckersberg, si combinerà nei migliori
artisti con il frutto dell’esperienza degli studi all’estero (non si
dimentichino i molti lavori ispirati all’Italia) e con l’apporto del
proprio talento originale. Un ‘ponte’ tra il mondo degli artisti e

Wilhelm Bissen e August Saabye (vd. p. 1089), l’architetto Michael Gottlieb Birckner
Bindesbøll, i pittori Johan Ludwig Gebhard Lund (tedesco di nascita, 1777-1867),
Ernst Meyer (1797-1861), Ditlev Conrad Blunck (1798-1854), Martinus Christian
Wesseltoft Rørbye (1803-1848), Albert Küchler (1803-1886), Carl Christian Constan-
tin Hansen (1804-1880), Fritz Peztholdt (1805-1838), Jørgen Roed (1808-1888),
Christen Købke (vd. pagina successiva), Vilhelm Nikolai Marstrand (1810-1873). Cfr.
nota 258.
257
In particolare a Parigi dove ebbe come maestro Jacques-Louis David (1748-1825)
e Roma, dove entrò a far parte della schiera di artisti che gravitava intorno a Thorvald-
sen (cfr. nota precedente).
258
Si citino qui (come spunto per opportuni approfondimenti) i nomi di Ernst
Meyer, Martinus Christian Wesseltoft Rørbye, Albert Küchler, Wilhelm Ferdinand
Bendz (1804-1832), Carl Christian Constantin Hansen, Fritz Petzholdt, Jørgen Roed,
Vilhelm Nikolai Marstrand, Sophus Peter Lassenius Schack (1811-1864) e Adam
August Müller (1811-1844). Cfr. nota 256.
259
Sull’uso della mitologia nell’arte nordica si veda il breve saggio di H. Kuhn: “The
native alternative. Visual representation of Northern mythology in 19th century Scan-
dinavia”, in Heitmann A. – Hoff K. (hrsg.), Ästhetik der skandinavischen Moderne,
Frankfuhrt a.M. 1998, pp. 343-361.
260
Ciò del resto corrisponde, non solo in Danimarca, a quella ‘poesia del paesaggio’
di derivazione romantica che certamente traeva origine anche dalla consolidata tradi-
zione topografica.

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Decenni cruciali 921

il pubblico sarà creato con la fondazione (1825) della Società dell’ar-


te (Kunstforeningen), un’iniziativa cui concorreranno molti nomi
prestigiosi tra cui Eckersberg stesso. Un pittore di straordinarie
qualità che ha ‘segnato’ l’età dell’oro danese è anche Christen Købke
(1810-1848), allievo di Lorentzen261 e di Eckersberg, morto prema-
turamente.
L’atmosfera romantica coinvolse naturalmente anche il mondo
musicale. Per la verità in questo periodo i due compositori più
importanti attivi in Danimarca sono di origine tedesca: Christoph
Ernst Friedrich Weyse (1774-1842), cui si devono innanzi tutto
celebri ‘romanze’ (romancer, sing. romance) ispirate alle melodie
delle folkeviser262 e Daniel Friedrich Rudolph Kuhlau (1786-1832),
autore eclettico, noto nel Paese soprattutto per il tema musicale de
La collina degli elfi (Elverhöi, 1828), dramma nazional-romantico
di straordinario e durevole successo, con testo scritto da Johan
Ludvig Heiberg, figlio di Peter Andreas (1791-1860).263 Più tardi
nomi di prestigio saranno quelli di J.P.E. (Johan Peter Emilius)
Hartmann (1805-1900); di suo genero, Niels Wilhelm Gade (1817-
1890); di Hans Christian Lumbye (1810-1874). Il primo, apparte-
nente a una famiglia di musicisti,264 docente alla scuola musicale
(Musikkonservatorium) aperta dall’italiano Giuseppe Siboni (1780-
1839) nel 1827,265 a lungo (1839-1892) direttore della Associazione
musicale (Musikforeingen), fondata a Copenaghen nel 1836,266 e assai

261
Vd. p. 849 con nota 781. Su Christen Købke, certo assai dotato, si rimanda a
Nørregård-Nielsen. H.E. – Monrad K., Christen Købke 1810-1848, København
1996; cfr. nota 256.
262
Vd. pp. 396-397.
263
Su Peter Andreas Heiberg vd. p. 811 con nota 567.
264
Il primo Hartmann ad affermarsi in Danimarca come musicista era stato Johann
Ernst, giunto a Copenaghen dalla Slesia nel 1762 (cfr. p. 543, nota 65 e p. 854 con
nota 815). Musicisti di un certo talento furono anche i suoi figli Johan Ernst (1770-
1844), organista, Ludvig August (1773-1831), violinista, e August Wilhelm (1775-1850),
padre del nostro Johan Peter Emilius e suo primo maestro. La madre di Johan Peter
Emilius era Christiane Petrea Frederica Wittendorff (1778-1848), il cui padre era, a
sua volta, cantore. Anche Wilhelm Emilius Zinn Hartmann (1836-1898), figlio di Johan
Peter Emilius, sarebbe divenuto compositore ed esecutore. Vd. Sørensen I., Hartmann.
Et dansk komponistdynasti, København 1999.
265
Si trattava, più che altro, di una scuola di canto. Un vero e proprio Reale con-
servatorio musicale danese (Det Kongelige Danske Musikkonservatorium) avvierà la
propria attività nel 1867, grazie al lascito di un mecenate, il gioielliere Peter Wilhelm
Moldenhauer (1800-1864), grande appassionato di musica. La direzione di questo
istituto sarà affidata a Niels Wilhelm Gade.
266
La società cesserà di esistere dopo quasi un secolo, nel 1935. Vd. Hammerich
A., Musikforeningens Historie 1836-1886, [s.l.] 1886 (= II vol. di Ravn V.C. – Hamme-
rich A., Festskrift i Anledning af Musikforeningens Halvhundredaarsdag). Di notevole

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922 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

apprezzato da Schumann,267 fu autore di diversi componimenti


ispirati alla tradizione nordica, ma anche di musica da camera e
cantate; il secondo, a cui si deve la celebre composizione romantica
dal titolo Echi di Ossian (Efterklange af Ossian, 1840), ottenne rico-
noscimento internazionale; il terzo fu autore prolifico, noto soprat-
tutto per musiche da ballo (galop, polca, mazurca) e marce.268 Nella
prima metà dell’Ottocento si afferma anche – riflesso del crescente
coinvolgimento generale nello spirito nazionalistico – la musica
popolare, un genere che conoscerà notevole fortuna tra la fine del
XIX e i primi decenni del XX secolo. Nel campo del balletto (sem-
pre di gran moda) va citato il nome di August Bournonville (1805-
1879, di padre francese), ballerino e coreografo che in questo ambi-
to resta un punto di riferimento per la storia della danza danese.269
L’affermarsi di una ‘identità musicale nazionale’ è riflessa anche nei
diversi lavori di teoria, tra cui spiccano quelli di Johan Christian
Gebauer (1808-1884). La tradizione musicale religiosa, basata in
primo luogo sul canto dei salmi, mostra parallelamente di adeguar-
si alle nuove tendenze, molti dei succitati compositori furono del
resto autori di musiche religiose o abili organisti. In ogni caso il
mondo musicale danese risulta in continuo e proficuo contatto con
l’esterno.

11.3.2. Nuovi orientamenti culturali

Per la Svezia i fatidici avvenimenti di inizio secolo appaiono


determinanti non soltanto dal punto di vista politico. In letteratu-
ra, a esempio, non si può parlare di romanticismo prima del 1809,
quando la ‘grave onta’ sofferta dall’orgoglio nazionale per la per-

importanza sarà poi l’Associazione Cecilia (Cæciliaforeningen) fondata nel 1851 dal
compositore Henrik Rung (1807-1871); essa avrebbe cessato l’attività nel 1934.
267
Cfr. anche nota 232.
268
Il suo pezzo più noto è Champagnegaloppen, composto nel 1845 in occasione del
decennale dei Giardini di Tivoli. Un film dal medesimo titolo girato (1938) dal regista
danese George Schnéevoigt (vd. p. 1189) si ispira alla vita di questo autore. Nel 1863
Hartmann e Gade saranno tra i fondatori del Conservatorio musicale di Copenaghen
(Københavns Musikkonservatorium), più tardi Reale conservatorio musicale (Det
Kongelige Danske Musikkonservatorium; cfr. nota 265).
269
Suo padre Antoine Bournonville (1760-1843) che lavorava nel teatro svedese
voluto da Gustavo III (dove nel 1773 era stata aperta una scuola di ballo) era stato
chiamato presso il balletto nazionale danese dal coreografo italiano Vincenzo Galeot-
ti (1733-1816) che era giunto in Danimarca nel 1775 e vi sarebbe rimasto fino alla
morte.

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Decenni cruciali 923

dita della Finlandia (qualche anno dopo, almeno in parte, rimedia-


ta dall’unione con la Norvegia) provocò significativi cambiamenti.270
Centro del romanticismo svedese è, in primo luogo, l’università di
Uppsala (ma anche quella di Lund), che, dopo un periodo di deca-
denza, viene così sottraendo il primato culturale alla capitale. Qui,
del resto, furono attivi filosofi come Benjamin Höijer (1767-1812),271
Nils Fredrik Biberg (1776-1827), Samuel Grubbe (1786-1853) e
Christopher Jacob Boström (1797-1866) le cui ricerche (seppure i
risultati naturalmente divergano) riflettono per taluni aspetti prin-
cìpi cari ai romantici.272 Fra gli allievi di Höijer va in primo luogo
annoverato Erik Gustaf Geijer (1783-1847) autore nel 1811 di
poesie ispirate all’ambiente norreno.273 Nel medesimo anno egli
compare tra i fondatori della Associazione goticista (Götiska För-
bundet), un circolo patriottico-letterario il cui scopo era quello di
far rivivere lo spirito dei ‘Goti’ (con ciò, naturalmente intendendo
gli abitanti dell’antica Svezia).274 La rivista Iduna (1811-1824),275 da
essa pubblicata, riveste in questa prospettiva un ruolo di tutto
rilievo. In precedenza (1807) Per Daniel Amadeus Atterbom (1790-
1855), fiero avversario della tradizione illuministica, insieme ad alcu-
ni amici aveva dato vita all’Associazione Aurora (Auroraförbundet,
1807-1810),276 con il preciso intento di rinnovare la letteratura
270
In quale misura lo spirito patriottico dei romantici svedesi si legasse anche
alla ‘dolorosa’ perdita della Finlandia può essere constatato dall’entusiastica
accoglienza che ricevette in quella cerchia il componimento Gylfi (Gylfe) nel
quale il giovane Per Henrik Ling (su cui poco oltre) alludeva allegoricamente a
quei fatti.
271
Attorno a Höijer si formò la cosiddetta “Giunta” (Juntan), cfr. nota 118.
272
Naturalmente anche qui la disgregazione dei valori estetici del classicismo affon-
da le proprie radici nel tardo Settecento, non soltanto con la comparsa della poesia
ossianica, ma anche con il venir meno delle regole formali che avevano dominato la
composizione letteraria, come si constata nelle riflessioni sulla letteratura di Jakob
Fredrik Neikter (o Neichter, 1744-1803), titolare della cattedra skytteana all’Univer-
sità di Uppsala (cfr. p. 572, nota 191) e seguace di Montesquieu.
273
Questi testi si ispirano a figure del passato pagano della Scandinavia come il
vichingo, l’ultimo scaldo, il libero contadino (odalbonden, cfr. p. 719 con nota 177),
ma richiamano anche il ‘mitico’ nome della Svezia Manhem, già riproposto da Rudbeck
(cfr. pp. 582-584 con nota 245; il componimento di Geijer con questo titolo si può
leggere nell’edizione citata a p. 719, nota 177, alle pp. 5-7). Vd. Chiesa Isnardi G.
“L’evocazione del mondo degli eroi in Erik Gustaf Geijer”, in Il superuomo e i suoi
simboli nelle letterature moderne, VI, Firenze 1979, pp. 83-101.
274
Sul goticismo vd. 9.2.1. I membri della società si sceglievano un nome antico
nordico, leggevano saghe e bevevano dal corno come i vichinghi.
275
Si ricordi che nella mitologia nordica Iðunn è il nome della sposa di Bragi (dio
della poesia) alla quale sono affidate le mele dell’eterna giovinezza; vd. Chiesa Isnardi
20084 (B.7.1), pp. 115-116 e p. 244.
276
Atterbom, considerato il primo ‘storico della letteratura’ svedese in senso

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924 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

svedese, il che chiaramente si manifesta sulle pagine del loro men-


sile Phosphoros (1810-1813).277 All’iniziativa del poeta Karl Fredrik
Dahlgren (1791-1844) e dell’insegnante Anders Jakob Danielsson
Cnattingius (1792-1864) va invece ricondotta l’Associazione di
Manhem (Manhemsförbundet, 1815-1823),278 costituita come luogo
di incontro tra docenti e studenti,279 ma divenuta un centro di
studi sulle antichità nordiche fortemente permeato di spirito goti-
cista e patriottico. Dell’associazione entrò presto a far parte Carl
Jonas Love Almqvist (sul quale poco oltre) che cercò di applicare
le idee goticiste (ma anche i princìpi religiosi e morali) ai program-
mi di studio.
Gli approcci al romanticismo non sono dunque uniformi. Ma,
come è lecito attendersi, in questo clima si constata, anche in Sve-
zia, il predominio quasi incontrastato della poesia:280 una poesia
rinnovata e arricchita nelle forme (seppure in taluni si riconosca
ancora la lezione classica) che va a ricercare i propri motivi di
ispirazione in territori in qualche modo ‘lontani’ dalla realtà, tem-
porale, spaziale o concreta che sia, prediligendo dunque temi
legati alla storia (innanzi tutto il passato nordico), a una natura
filtrata attraverso la sensibilità individuale, all’esperienza religiosa,
alla fiaba. L’influsso tedesco è dominante, ma i modelli vengono
ricercati anche in Inghilterra, Italia, Spagna, Oriente e persino in
Danimarca (in primo luogo Oehlenschläger). Solo la Francia pare
definitivamente messa da parte. Oltre a Geijer e Atterbom i nomi
di prestigio del romanticismo svedese sono quelli di Esaias Tegnér
(1782-1846), formatosi a Lund e divenuto celebre per la Saga di

moderno (cfr. p. 601, nota 333), aveva scritto anche una storia della poesia in due
parti: Poesiens historia (= vol. II: 1-2 e II: 3-4 di ASSOS, Örebro 1861) cui poi fece
seguire Grunddragen af Forn-skandinaviska och svenska Vitterhets historia intill
Stjernhielm (= vol. IV di ASSOS, Örebro 1864) e Ästetiska Afhandlingar (= vol. V di
ASSOS, Örebro 1866). Su di lui Tykesson E., Atterbom. En levnadsteckning, Stockholm
1954.
277
Altre riviste di rilievo del periodo sono Polyphem (1809-1812) di carattere criti-
co-letterario, il Calendario poetico (Poetisk calender, 1812-1822), la Rivista letteraria
svedese (Svensk Litteratur-Tidning, 1814-1824) e Svea (uscita negli anni 1818-1829 e
1831-1832; per il significato del titolo vd. p. 701, nota 103).
278
Sul significato di Manhem si rimanda a p. 583, nota 245. Vd. Hedin G.,
Manhemsförbundet. Ett bidrag till göticismens och den yngre romantikens historia,
Göteborg 1928.
279
L’iniziativa infatti era partita all’interno di una scuola privata fondata a Stoccol-
ma da Lars Afzelius (1779-1847) e successivamente gestita dal fratello Arvid August
(sul quale poco oltre).
280
L’unico prosatore svedese di un certo rilievo nei primi decenni dell’Ottocento è
Fredrik Cederborgh, per altro ben lontano dallo spirito romantico (1784-1835).

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Decenni cruciali 925

Frithiof (Frithiofs saga, 1825) liberamente ispirata a una “saga del


tempo antico” islandese;281 di Johan Erik Stagnelius (1793-1823),
forse l’unico ‘autentico romantico’ svedese;282 di Arvid August
Afzelius (1785-1871), traduttore di testi norreni, storico e racco-
glitore delle ‘canzoni popolari’;283 di Johan Olof Wallin (1779-1839),
poeta religioso nei cui salmi si avverte chiara l’impronta dell’idea-
lismo romantico.284 Come quello danese, il romanticismo svedese
va presto incontro a trasformazione, in parallelo con l’affermarsi
di una nuova coscienza che guarda, dal punto di vista politico, al
liberalismo e riconosce, da quello sociale, la definitiva affermazio-
ne della borghesia. Sicché dunque non c’è più spazio per le fanta-
sie romantiche (il che del resto si constata nel percorso letterario e
politico di diversi autori). L’attenzione dello scrittore ora si con-
centra sulla realtà e sui problemi della società, o guarda con più
obiettività all’ambiente circostante, ‘dipinto’ (si ricordi qui il dane-
se Blicher)285 con toni ben più realistici.286 Si inquadrano qui, in
particolare, le esperienze letterarie di Carl Jonas Love Almqvist
(1793-1866) che, anche quando prevedeva tematiche romantiche,
le volgeva sul piano pratico della promozione umana (si conside-
rino l’impegno pedagogico nella Associazione di Manhem e la
produzione saggistica che comprende anche testi di carattere
didattico);287 di Fredrika Bremer (1801-1865), prima scrittrice
femminista svedese,288 e di Emilie Flygare-Carlén (1807-1892), i cui

281
Sulle “saghe del tempo antico” o “saghe leggendarie” (fornaldarsögur) vd.
5.2.4. La versione più antica della Saga di Friðþjófr il prode (Friðþjófs saga hins
frækna) risale alla fine del XIII secolo o all’inizio del XIV. Essa fu resa in svedese
(e in latino) nell’opera Nordiska Kämpa Dater di Eric Julius Biörner del 1737 (nr.
6: Sagan Af Fridthjof den Fräcka eller modiga / Historia De Fridthiofo Fræknio Seu
animoso); cfr. p. 592. Si ricordi qui che anche Tegnér era membro dell’Associazio-
ne goticista. Su Tegnér vd. Böök F., Esaias Tegnér. En biografi, I-II, Stockholm
1963.
282
Su di lui Böök F., Erik Johan Stagnelius, Stockholm 1919.
283
Frutto della sua ricerca sono due testi: Tradizioni delle danze popolari svedesi
(Traditioner af Swenska Folk-Dansar, 1814-1815) edito in collaborazione con Olof
Åhlström (cfr. p. 856 con nota 830) e Canzoni popolari svedesi del passato (Svenska
folkvisor från forntiden, I-III, 1814-1817) in collaborazione con Erik Gustaf Geijer
(che in realtà si limitò a scrivere l’introduzione). Più tardi (1834-1842) uscirà la rac-
colta Antichi canti svedesi (Svenska fornsånger) curata da Adolf Ivar Arwidsson (1791-
1858).
284
Cfr. nota 130 e p. 1071, nota 475.
285
Vd. p. 916.
286
Un precursore di questa ‘letteratura d’ambiente paesano’ è da riconoscere nello
svedese Gunno Dahlstierna (su cui cfr. p. 609, nota 376 e p. 614, nota 401).
287
Su di lui Romberg B., Carl Jonas Love Almqvist. Liv och verk, Stockholm 1993.
288
Sul movimento femminista vd. 12.3. Sulla Bremer vd. p. 1055.

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926 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

romanzi (seppure a lungo conservino un tono melodrammatico)


traggono ispirazione dalla realtà della vita quotidiana.289 E in un
periodo nel quale la Svezia sente il bisogno di ‘riappropriarsi’ del-
la sua storia non vanno dimenticate figure di insigni studiosi e
raccoglitori di fonti come il giurista Carl Johan Schlyter (1795-1888),
editore del corpus delle antiche leggi svedesi290 e il sopra citato
Anders Fryxell291 che redasse i ventitré volumi dei Racconti sulla
storia svedese (Berättelser ur swenska historien) usciti tra il 1823 e
il 1879. Del resto un esponente eccellente del romanticismo come
Geijer, professore di storia all’Università di Uppsala dal 1817,
indirizzerà i propri interessi patriottici nello studio delle vicende
della nazione (cui ha portato un consistente, seppur non sempre
ineccepibile, contributo) e nell’impegno politico.292
Dal punto di vista delle arti figurative la Svezia non può vantare
una fioritura di talenti paragonabile a quella che si constata in
Danimarca: piuttosto i primi anni del secolo mostrano un’arte
ripetitiva e priva di originalità. Solo a partire dagli anni ’20 si affer-
mano pittori di un certo livello: fra loro Johan Gustaf Sandberg
(1782-1854), ispirato in primo luogo (secondo la ‘moda’ romantica)
dalla storia patria, autore di diversi ritratti e noto soprattutto per
gli affreschi che contornano la tomba di Gustavo Vasa nella catte-
drale di Uppsala.293 Nel 1814 egli fu tra i fondatori della Società
per lo studio dell’arte (Sällskapet för konststudium) il cui intento
era quello di rinnovare l’insegnamento, in polemica con i metodi
– ritenuti ormai superati – dell’accademia.294 Qui Per Henrik Ling
(1776-1839), maestro di scherma e inventore della ginnastica
svedese,295 ma anche poeta romantico primariamente rivolto alla
tradizione e alla storia del passato, tenne (tra il 1814 e il 1817) una
serie di lezioni nelle quali, tra l’altro, sottolineava l’importanza del
289
Vd. Kjellén A., Emilie Flygare-Carlén. En litteraturhistorisk studie, Stockholm
1932.
290
Corpus juris sveogothorum antiqui, tredici volumi usciti tra il 1827 e il 1877. Ad
alcuni di questi si fa riferimento nel presente lavoro: vd. nell’elenco delle fonti (EF) i
diversi titoli alle voci Codex iuris […].
291
Vd. note 128 e 130.
292
Vale qui la pena di ricordare che sul piano degli studi storici Geijer e Fryxell
furono divisi da una fiera contrapposizione.
293
Vd. p. 470, nota 32.
294
Insieme allo scultore Bengt Erland Fogelberg (su cui poco più avanti) e al pit-
tore Johan Fredrik von Breda (1788-1835), figlio del più celebre Carl (vd. p. 850 con
nota 790) e appartenente a una famiglia di artisti.
295
Nel 1813 egli fondò a Stoccolma l’Istituto centrale di ginnastica (Gymnastiska
Centralinstitutet), l’attuale Scuola superiore per la ginnastica e lo sport (Gymnastik- och
idrottshögskolan).

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Decenni cruciali 927

patrimonio mitologico nordico e l’opportunità di farne oggetto


delle arti figurative.296 Il che avverrà anche ben oltre il periodo
romantico, come mostrano, a esempio, le opere di Mårten Eskil
Winge (1825-1896). Dal punto di vista della rappresentazione
della natura, il migliore interprete della sua ‘sublimità’ resta Simon
Marcus Larsson (1825-1864) le cui immagini ‘drammatiche’ espri-
mono al meglio il senso che in essa viene ricercato. Ma poi, paral-
lelamente al decadere del romanticismo letterario, anche la pittura
mostra presto la tendenza a ricercare nuove forme. Del resto, al
pari dei danesi, anche gli artisti svedesi intraprendono frequenti
viaggi di studio all’estero, in primo luogo in Italia e Francia. Gli
esiti di queste esperienze sono chiaramente riscontrabili nelle ope-
re di autori come Olof Johan Södermark (1790-1848), Carl Gustaf
Hjalmar Mörner (1794-1837), Nils Andersson (1817-1865), Gustaf
Uno Troili (1815-1875) e, soprattutto, Johan Fredrik Höckert
(1826-1866).297 A partire dagli anni ’40 la meta preferita sarà piut-
tosto la Germania: fra i molti che vi soggiornarono formandosi
presso la celebre Accademia di Düsseldorf (Königlich-Preußischen
Kunstakademie) va nominato innanzi tutto Carl Henning Lutzow
d’Unker (o D’Uncker, 1828-1866).298
Anche nella scultura si constata, accanto al permanere di model-
li classici (si ricordino Johan Niklas Byström, 1783-1848, a lungo
attivo in Italia 299 ed Erik Gustaf Göthe, 1779-1838), la comparsa
di lavori ispirati a temi prettamente mitologici: il nome di riferi-
mento è, qui quello di Bengt Erland Fogelberg (1786-1854, anche
archeologo), rappresentante, come si è detto, della ‘fronda’ contro
il tradizionale insegnamento artistico dell’accademia.300 Sebbene

296
Membro dell’Associazione goticista, egli l’aveva lasciata nel 1817 in polemica
con Geijer, il quale in un articolo sulla rivista da essa edita (“Betraktelser i afseende på
de Nordiska Mythernes anwändande i skön konst”, Iduna, nr. 7, 1817, pp. 86-132,
firmato G – r.) si era espresso in senso contrario.
297
Noto tra l’altro per i quadri ispirati all’ambiente sami ma anche per il celebre
Incendio del castello a Stoccolma 7 maggio 1697 (Slottsbranden i Stockholm den 7 maj
1697, 1864) conservato nel Museo nazionale (Nationalmuseum) della capitale svedese
e considerato il suo capolavoro. Cfr. p. 618, nota 415.
298
A Düsseldorf molti avrebbero assimilato la lezione del norvegese Tidemand (vd.
pp. 937-938 e pp. 1091-1092) e molti sarebbero rimasti. Tra questi Bengt Nordenberg
(1822-1902), Ferdinand Julius Fagerlin (1825-1907), August Jernberg (1826-1896),
Axel Wilhelm Nordgren (1828-1888) e lo stesso d’Uncker.
299
Oltre a diversi lavori a tema classico, a lui si devono il busto del poeta Carl
Michael Bellman (vd. pp. 836-838) che si trova a Stoccolma sull’isola di Djurgården,
la statua di Linneo collocata nel giardino botanico di Uppsala e quelle di alcuni sovra-
ni svedesi.
300
Vd. sopra, nota 294.

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928 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

traesse ispirazione anche da altri temi (tra cui la mitologia classica)


egli è ben noto per le statue degli dèi nordici, che insieme a quelle
di sovrani e personaggi illustri della storia svedese costituiscono la
parte migliore della sua produzione. Sulla sua scia l’allievo di
Byström, Carl Gustaf Qvarnström (1810-1867).
L’architettura dei primi decenni dell’Ottocento (almeno fino a
Fredrik Blom, 1781-1853) mantiene, per così dire, un profilo bas-
so, pur recependo impulsi dello stile impero.301 Dopo gli anni ’20
nomi di prestigio sono quelli di Per Axel Nyström (1793-1868),
formatosi all’estero (soprattutto a Parigi e Roma), che lavorò per
la corte e per la città di Stoccolma302 e, più tardi, di suo nipote
Fredrik Wilhelm Scholander (1816-1881), che dopo il dovuto
apprendistato all’estero divenne docente dell’accademia e maestro
di molti dei più noti architetti svedesi della seconda metà dell’Ot-
tocento: tra le sue opere la sinagoga di Stoccolma (realizzata tra il
1867 e il 1870).303
Sul versante musicale continua il successo dei grandi composi-
tori stranieri304 e il ‘reclutamento’ di maestri come lo svizzero
Edouard du Puy (1770-1822)305 o, più tardi, l’italiano Iacopo Gio-
vanni Battista Foroni (1825-1858). Anche in Svezia la composizio-
ne risente ora dell’atmosfera romantica: non soltanto infatti si
ricercano le melodie ‘popolari’, ma si scrivono motivi ispirati ai
temi cari ai romantici: storia nordica, cultura tradizionale, natura.
Si citi qui il finno-svedese Bernhard Henrik Crusell (1775-1838)
autore di melodie per la Saga di Frithiof di Tegnér, ma anche Erik
Gustaf Geijer che compose musiche ‘gotiche’, e non solo. Del resto
i modelli stranieri (opera, operetta, sinfonie, musica da camera,
musica religiosa) sono da tempo pienamente accolti e assimilati.

301
La più importante realizzazione in questo stile è il castello di Rosendal sull’isola
di Djurgården a Stoccolma che si deve, appunto, a Fredrik Blom. Sua è anche la chie-
sa sull’isolotto di Skeppsholmen (Skeppsholmskyrkan) costruita tra il 1824 e il 1842.
Vd. Roth Th., Fredrik Blom. Karl Johans arkitekt, Stockholm 2009.
302
 Nel 1832 insieme al disegnatore Mikael Gustaf Anckarsvärd (1792-1832) e
all’appassionato di arte conte Axel Gabriel Bielke (1800-1877) fondò a Stoccolma la
prima Società dell’arte (Konstföreningen).
303
A Scholander si devono anche gli interni del Museo nazionale (Nationalmuseum)
di Stoccolma, costruzione realizzata su progetto dell’architetto tedesco Friedrich August
Stüler (1800-1865). Tra gli allievi di Scholander Herman Holmgren (1842-1914) che
realizzò il palazzo universitario di Uppsala e Helgo Zettervall (vd. p. 1097).
304
Un autore come Per Frigel (1750-1842), a esempio, appare fortemente influen-
zato dai musicisti tedeschi.
305
Dopo un primo periodo in Svezia (1793-1799), dalla quale era stato allontanato,
egli era stato attivo in Danimarca. Bandito anche da qui per intrighi amorosi, fu riam-
messo in Svezia nel 1812.

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Decenni cruciali 929

Senza che i migliori autori – e qui si ricordi Franz Berwald, 1796-


1868, appartenente a una famiglia di abili musicisti –306 perdano
quel ‘timbro tipicamente svedese’ che caratterizza l’atmosfera del
Paese.307 Nel balletto (che almeno fino a tutti gli anni ’50 sarà
ancora molto apprezzato) l’impronta romantica è introdotta da
Anders Selinder (1806-1874). Una menzione meritano infine due
celebri cantanti: Karl Stenborg (1752-1813), anche compositore, e
la celeberrima soprano Johanna Maria (nota tuttavia come Jenny)
Lind (1820-1887) che debuttò nel 1838 ed è considerata una delle
voci più pure e straordinarie dell’Ottocento.308
L’inno nazionale svedese, Tu antico, tu libero, tu Nord dalle alte
montagne (Du gamla, du fria, du fjällhöga nord) risale al 1844. Si
tratta di un testo scritto da Richard Dybeck (1811-1877), giurista,
poeta e studioso di tradizioni che lo adattò a una melodia popola-
re della sua regione d’origine, il Västmanland,309 ma lo pubblicò
per la prima volta nel 1865 nel periodico Runa da lui redatto. In
origine, per la verità, il componimento di Dybeck iniziava con le
parole Tu, antico, tu salubre (Du gamla, du friska) ma in seguito
friska (“salubre”) fu sostituito da fria (“libero”). Inserito nel proprio
repertorio dal celebre tenore-baritono Karl Fredrik Lundkvist
(1841-1920) e spesso fatto eseguire in importanti occasioni (come
i concerti degli studenti universitari di Uppsala) dall’autorevole
maestro e compositore Ivar Eggert Hedenblad (1851-1909), fu
diffuso e apprezzato in tutto il Paese e ‘riconosciuto’ come un vero
e proprio inno nazionale. Tale, a quanto pare, esso divenne almeno
306
Tra cui il cugino e ‘rivale’ Johan Fredrik Berwald, 1787-1861), ben noto come
pioniere dell’ortopedia ma anche come compositore che per molti versi si richiama al
romanticismo.
307
Si citino inoltre almeno Adolf Fredrik Lindblad (1801-1879), amico di Geijer e
Atterbom e maestro di allievi blasonati, fra tutti il “principe cantante” (sångarprinsen)
Frans Gustaf figlio del re Oscar I (1827-1852), anch’egli musicista e compositore;
Gunnar Wennerberg (1817-1901), autodidatta; Jacob Axel Josephson (1818-1880),
noto soprattutto per le romanze.
308
E con lei l’altra soprano Christina Nilsson (1843-1921). Ma la Svezia avrà poi
altri celebri cantanti d’opera come John Forsell (1868-1941), baritono ma anche
direttore dell’Opera reale tra il 1924 e il 1939, il tenore Jussi (Johan Jonatan) Björling
(1911-1960), la soprano Birgit Nilsson (1918-2005), il baritono Ingvar Wixell (1931-
2011), la mezzosoprano Anne Sofie von Otter (n. 1955).
309
Questa melodia accompagna la ballata dal titolo Così me ne vado a cavallo nella
foresta delle dodici miglia (Så rider jag mig över tolfmilan skog) che costituisce la varian-
te G della ballata cavalleresca classificata con il nr. 133 nella raccolta delle ballate
medievali di Svezia curata dall’Archivio svedese dei canti (Svenskt visarkiv); vd. Sveriges
Medeltida Ballader [The Swedish medieval ballads], utgivna av Svenskt visarkiv, huvud-
redaktör: B.R. Jonsson, melodiedering: M. Jersild, textedering: S-B. Jansson – B.R.
Jonsson, I-V, Stockholm 1983-2001, vol. IV: 1, pp. 16-17.

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930 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

dal 27 maggio 1893, quando in occasione di una cerimonia fu ese-


guito a Lund alla presenza del re Oscar II, il quale si alzò in piedi
per ascoltarlo.
Questa semplice melodia popolare ebbe così la meglio su altre
proposte: Dio salvi il nostro re (Bewara, Gud! wår Kung!), tradotto
dall’inno nazionale inglese (di cui utilizza anche la melodia) da Abra-
ham Niclas Clewberg (1754-1821, Edelcrantz dopo la concessione
della dignità nobiliare), più celebre come fisico e inventore che come
poeta,310 e utilizzato tra il 1805 e il 1866; Inno (Hymn) noto anche
con le parole del primo verso Dal profondo del cuore svedese (Ur
svenska hjärtans djup) composto nel 1844 dallo scrittore e giornalista
Carl Vilhelm August Strandberg (pseudonimo Talis qualis, 1818-1877)
e musicato da Otto Lindblad (1809-1864); Ascoltaci, Svea (Hör oss,
Svea, 1853)311 scritto e musicato da Gunnar Wennerberg (1817-1901)
e Svezia (Sverige) del celebre poeta e scrittore Verner von Heidenstam,312
musicato da Wilhelm Stenhammar.313

11.3.3. Rifondare una nazione

Sebbene Henrik Steffens, primo diffusore delle idee romantiche


in Scandinavia fosse, come si è visto, norvegese,314 il romanticismo
cominciò a diffondersi in questo Paese solo intorno al 1820, per
esprimersi compiutamente negli anni ’30.315 Gli effetti dei determi-
nanti eventi politici del 1814 erano ancora ben presenti e i roman-
tici norvegesi si trovarono di fronte al compito – tanto ambizioso
quanto difficile – di rifondare una nazione. Il che avvenne anche
sulla spinta del sentimento popolare, ma non senza contrasti.
Tutt’altro. ‘Anime’ del romanticismo norvegese sono due figure
che incarnano visioni opposte e, per molti versi, inconciliabili.
Il primo è Henrik Wergeland (1808-1845). Figlio di uno dei

310
Egli sviluppò l’idea del francese Claude Chappe (1763-1805) di un telegrafo otti-
co. Ma fu anche tra i primi traduttori di Ossian (vd. Graves 2004 [C.10.5], p. 201 e p.
204). Sua è una Ode al popolo svedese (Ode till svenska folket, 1786), pubblicata anoni-
mamente, un testo impregnato di nazional-romanticismo; vd. Wiklund R., “Kungens
gunstling fick fart på telegrafen”, in PH 2008: 8, pp. 42-45. Cfr. p. 991, nota 158.
311
Su Svea vd. p. 701, nota 103.
312
Vd. p. 1084.
313
Vd. p. 1099.
314
Vd. sopra, pp. 913-914.
315
Per correttezza occorre qui tuttavia ricordare un autore minore come Johan
Storm Munch (1778-1832), ammiratore di Oehlenschläger (vd. p. 914), che fu tra i
primi a sperimentare nuove forme poetiche.

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Decenni cruciali 931

delegati di Eidsvoll316 egli era divenuto una sorta di ‘eroe popolare’


in seguito alla cosiddetta “battaglia della piazza” del 1829.317 Stu-
dioso eclettico e attivo promotore dei diritti civili (non da ultimo
di quelli degli Ebrei) Wergeland sosteneva quella che si potrebbe
definire una ‘pura norvegicità’ che rifiutasse (anche sul piano
linguistico)318 ogni interferenza straniera, in particolare ogni ‘lasci-
to’ di quegli oltre quattro secoli in cui il Paese era rimasto sogget-
to alla dominazione danese, seppure (in realtà solo nominalmente)
i due Regni venissero considerati alla pari. Riteneva infatti che gli
eventi del 1814 fossero il risultato di uno sviluppo del tutto interno
alla nazione norvegese e che la costituzione (da lui considerata un
modello per altri stati) fosse il frutto dello spirito del popolo, rifles-
so nel lavoro della commissione che l’aveva infine redatta: nella sua
visione dunque ‘popolo’ e ‘stato’ sono due concetti strettamente
collegati. Autore prolifico (poesia, opere teatrali, saggi, articoli di
giornale),319 redattore di periodici,320 attivista sociale, egli propugna,
con radicale entusiasmo, princìpi liberali e fede nel progresso,
mentre nella rivalutazione del mondo rurale norvegese (il solo che
a suo parere aveva preservato nei secoli l’autentico spirito della
nazione) individua i presupposti per la definitiva rinascita del-
la Norvegia.321 E tuttavia, per quanto fortemente nazionalista (nel
senso romantico del termine), egli mostra di possedere anche una
acuta capacità di osservazione e un concreto spirito pratico.
Una vivace polemica lo vide dunque protagonista nei confronti
di Johan Sebastian Welhaven (1807-1873) fin dal 1830.322 Rappre-
316
Vd. p. 873, nota 50 e p. 876.
317
Vd. sopra, p. 907 con nota 202.
318
Vd. paragrafo successivo.
319
La sua opera forse più nota (certamente la più impegnativa!) è La creazione,
l’uomo e il Messia (Skabelsen, Mennesket og Messias, 1830), suddivisa (secondo quan-
to suggerisce il titolo) in tre parti. Si tratta di un lungo poema ispirato alla Bibbia, ma
nel quale si avvertono chiaramente echi della dottrina platonica e della filosofia roman-
tica. A essa si ispira l’oratorio Skabelsen og Mennesket, opera 26 del musicista Johannes
Haarklou (1847-1925), 1880-1891.
320
Come Per la gente comune (For Almuen, 1830-1839), Statsborgeren (vd. p. 904),
il settimanale Per la classe lavoratrice (For Arbeidsklassen, 1839-1845), il cui primo
numero in realtà aveva per titolo Per la povera gente (For Fattigmand) e il Foglio popo-
lare (Folkebladet, 1831-1833), rivista di carattere politico ed economico.
321
Sulla storia norvegese così come interpretata da Wergeland si veda Storsveen O.A.,
Henrik Wergelands norske historie. Et bidrag til nasjonalhistoriens mythos, Oslo 1997.
322
Il 15 agosto di quell’anno il giornale Morgenbladet (Nr. 227, p. 8) pubblicava un
breve poema satirico dal titolo A Henrik Wergeland! (Til Henrik Wergeland!), in cui
Welhaven attaccava l’opera La creazione, l’uomo e il Messia (vd. sopra, nota 319); esso
inizia col ben noto verso “Per quanto tempo infierirai contro la ragione?” (“Hvor længe
vil Du rase mod Fornuften?”). Successivamente la disputa tra i due, nota come Stumpe-

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932 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

sentante di una posizione moderata, Welhaven sosteneva che il


progresso del Paese non potesse avvenire se si fosse rescisso ogni
rapporto con la Danimarca (cui egli era legato anche da vincoli
familiari)323 la quale, anzi, considerava un modello culturale cui
rifarsi per costituire consapevolmente una vera nazione norvegese.
Queste idee furono da lui espresse in diverse occasioni, non da
ultimo nella sua opera in versi L’alba della Norvegia (Norges Dæmring,
1834).324 La polemica – che non fu solo politico-sociale ma anche
critico-letteraria (in questo ambito Welhaven è del resto conside-
rato un pioniere) – segna l’inizio di una contrapposizione (nella
sostanza tra la chiusura in direzione di un nazionalismo radicale e
l’apertura agli influssi e alle prospettive offerti dal mondo esterno)
che a lungo perdurerà nell’animo dei Norvegesi (e che, a mio pare-
re, ancora si è manifestata in occasione dei referendum popolari
sull’adesione alla Comunità europea).325

feiden (termine letteralmente traducibile come “contesa dei pezzi”) si sviluppò all’inter-
no della Società degli studenti norvegesi (Det Norske Studentersamfund, fondata nel
1813) dove essi si scambiarono brevi pezzi sarcastici. Divenuta di pubblico dominio (fu
particolarmente accesa tra il 1832 e il 1833), essa diede origine alla radicale controversia
che sempre caratterizzò il rapporto fra i due, divisi da opinioni inconciliabili. Nel 1832
Welhaven insieme ai suoi amici lasciò l’associazione studentesca e ne fondò una propria
(Studenterforbundet). I suoi seguaci (tra i quali Peter Andreas Munch, su cui poco più
avanti) costituivano il cosiddetto “Partito dell’intelligenza” (Intelligenspartiet; cfr. p. 806,
nota 542), noto anche come “Truppa” (Troppen), mentre i sostenitori di Wergeland – che
ironicamente definivano gli avversari “danomani” (danomanerne) – erano noti come
“Patrioti” (Patriotene) o anche “Partito della norvegicità” (Norskhedspartiet). Il gruppo
di Welhaven diede alle stampe (1832-1834) il settimanale Vidar, il cui nome fa riferimen-
to alla figura mitologica del dio nordico Víðarr, figlio di Odino, del quale è detto che
nell’ultimo giorno ucciderà il lupo Fenrir, simbolo del male cosmico (vd. Chiesa Isnardi
20084 [B.7.1], pp. 188-189). L’allusione a una lotta senza quartiere contro l’avversario è
qui del tutto evidente. Successivamente le idee propugnate da Welhaven avrebbero
trovato voce sul quotidiano conservatore Il costituzionale (Den Constitutionelle, 1836-
1847), fondato dall’amico Johan Dahl (1807-1877), figura di grande importanza nel
mondo culturale norvegese, in quanto editore di molte opere degli autori più significa-
tivi del periodo. Il gruppo guidato da Wergeland pubblicò invece il periodico Foglio
popolare (Folkebladet, cfr. nota 320) marcatamente antidanese.
323
La nonna materna era infatti di origine danese ed era cugina dello scrittore Johan
Ludvig Heiberg (vd. p. 921), mentre il nonno paterno era tedesco.
324
Significativamente fatta uscire da Johan Dahl (cfr. sopra, nota 322) nel giorno
del compleanno di Oehlenschläger (vd. p. 914) essa era naturalmente rivolta contro i
nazionalisti radicali. Ne conseguì una rinnovata polemica, nota come Dæmringsfeiden
(dove feiden “contesa”), alla quale partecipò attivamente anche il padre di Wergeland,
Nicolai (vd. p. 873, nota 50 e p. 876), il quale arrivò a proporre di dare alle fiamme le
copie del libro di Welhaven in occasione del 17 maggio, data simbolica per il Paese (il
che, in alcuni casi, avvenne veramente). Si noti qui che il termine dæmring è, in realtà,
ambiguo, in quanto significa tanto “alba” quanto “crepuscolo”.
325
Vd. oltre, pp. 1242-1243.

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Decenni cruciali 933

In Norvegia, dove la rivalutazione dell’elemento nazionalistico


trovava – se possibile – terreno ancor più fertile che altrove, l’at-
tenzione, tutta romantica, alla cultura popolare produsse molti
frutti. A cominciare da Andreas Faye (1802-1869), storico e demo-
logo che per primo pubblicò racconti popolari;326 per passare a
Magnus Brostrup Landstad (1802-1880) cui si deve una celebre
edizione delle folkeviser;327 a Peter Christen Asbjørnsen (1812-1885)
e Jørgen Moe (1813-1882) che sull’esempio dei fratelli Grimm
raccolsero le fiabe popolari norvegesi, stampate in celebri raccolte;328
a Eilert Lund Sundt (1817-1875), studioso della vita quotidiana
della gente comune e considerato uno dei fondatori della moderna
sociologia in quanto, pur partendo da presupposti nazional-roman-
tici, mostra un approccio razionale ed evoluzionistico.329 Mentre
sul piano storico (talora intrecciato con quello filologico e non del
tutto esente da tentazioni folcloristiche) si ricorda non solo il lavo-
ro di Wergeland ma, forse soprattutto, quello di Jacob Rudolf
Keyser (1803-1864) e del suo allievo Peter Andreas Munch (1810-
1863),330 convinti sostenitori (anche in base a errate valutazioni
linguistiche) della “teoria dell’immigrazione” (innvandringsteorien)331
secondo la quale la Norvegia e la Svezia centro-settentrionale

326
Fin dal 1833 egli aveva pubblicato le Fiabe norvegesi (Norske Sagn, seconda
edizione 1844).
327
Norske Folkeviser, 1853. Da notare qui che per il proprio lavoro Landstad ave-
va utilizzato anche materiale raccolto da Olea Crøger (1801-1855), la quale si era
dedicata alla ricerca delle ballate popolari (e delle melodie relative) della zona del
Telemark. Su di lei, unica donna di questo gruppo di studiosi, vd. Heggtveit H.G.
– Berge R., Olea Crøger, Risør 1918.
328
Le prime Fiabe popolari norvegesi (Norske Folkeeventyr) furono pubblicate in
quattro fascicoli tra il 1841 e il 1844, l’edizione completa ampliata (cui qui si fa riferi-
mento) nel 1852. Da solo Asbjørnsen pubblicò le Fiabe su esseri sovrannaturali e rac-
conti popolari (Norske Huldreeventyr og Folkesagn, 1845-1848) che riflettono il persi-
stere nel folclore della credenza su esseri sovrannaturali e della possibilità per gli
umani di incontrarli (per la precisione il termine hulder indica una figura femminile
dall’aspetto attraente, ma con la schiena cava e una lunga coda come di una mucca,
che dimora nelle colline e nelle montagne e che cerca di attirare a sé gli uomini in
giovane età). Come è lecito attendersi questi lavori ebbero una numerosa serie di
edizioni (e riedizioni).
329
Su di lui vd. Allwood M.S., Eilert Sundt. A Pioneer in Sociology and social
Anthropology, Oslo 1957 e anche Stenseth B., “Eilert Sundt som nasjonalromantiker”,
in VP 1800-tallet, pp. 77-90.
330
Si tratta dei medesimi studiosi a cui si deve l’avvio della raccolta delle antiche
leggi norvegesi (NGL).
331
La quale riprendeva e sviluppava studi dello storico Gerhard Schøning (cfr. p.
721, nota 184 e p. 793 con note 488 e 490). Vd. Bonafede C. Wiborg, Innvandringslæren
hos Jakob Rudolf Keyser og Peter Andreas Munch, Oslo 1956. Su Keyser vd. Koht H.,
“Rudolf Keyser”, in Syn og Segn, 1962, pp. 137-142.

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934 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

sarebbero state colonizzate da genti provenienti da nord e da est


che si sarebbero stanziate in territori disabitati. Questi popoli
‘nordici’ si sarebbero successivamente spinti nella Svezia meridio-
nale e in Danimarca, zone in precedenza occupate da popolazioni
provenienti da sud (come i Goti) che sarebbero state sopraffatte.
Ma il substrato culturale presente in questi territori avrebbe impe-
dito qui lo sviluppo di una cultura ‘autenticamente nordica’ così
come avvenuto in Norvegia: solo in questo Paese dunque la strut-
tura sociale e la lingua sarebbero state ‘pure’.332 Questa antica
tradizione sarebbe stata preservata nell’ambiente rurale norvegese
e in quello islandese (che da esso direttamente deriva) e avrebbe
trovato espressione, a esempio, nelle saghe. Su un diverso livello lo
sforzo di enfatizzare il nazionalismo norvegese attraverso la storia
patria è evidente nel primo testo sull’argomento destinato a un’am-
pia diffusione nelle scuole, opera del sopra citato Andreas Faye.333
Anche la fondazione della Rivista norvegese di scienza e letteratura
(Norsk Tidsskrift for Videnskab og Litteratur) comparsa nel 1847
sotto la direzione dell’archivista Christian Lange (1810-1861), così
come l’imponente lavoro di recupero e pubblicazione delle fonti
(in primo luogo le saghe)334 avranno una importante ricaduta sul
consolidamento dell’identità nazionale.335
332
L’opera principale di P.A. Munch è la voluminosa Storia del popolo norvegese
(Det norske Folks Historie, 1852-1859). Su Munch vd. Dahl O., “Peter Andreas Munch
(1810-1863)”, in VP 1800-tallet, pp. 65-75. La teoria di Keyser e Munch sarebbe stata
confutata da Ludvig Kristensen Daa (cfr. p. 904 e p. 953) nel congresso dei naturalisti
nordici tenuto nel 1868 a Christiania (Have Germanerne invandret til Skandinavien fra
nord eller syd? Særtrykk av Forhandlinger ved de Skandinaviske Naturforskeres Møde
1868, Christiania 1868).
333
Il titolo è Storia della Norvegia a uso dell’insegnamento per la gioventù (Norges
Historie til Brug ved Ungdommens Underviisning, 1831).
334
In questo ambito i nomi di maggior spicco sono quelli dei succitati storici Jacob
Rudolf Keyser e Peter Andreas Munch (cfr. nota 330) ma anche del filologo Carl Richard
Unger (1817-1897). L’importanza di questo lavoro per la ricostituzione dell’identità
nazionale norvegese è evidente; del resto già la traduzione delle “saghe dei re” di
Snorri Sturluson (vd. pp. 321-322) uscita negli anni 1838-1839 a cura di Jacob Aall
(1773-1844), possidente, politico, membro dell’assemblea costituente di Eidsvoll e
letterato, aveva avuto un notevole impatto in questo senso. Tale è anche l’intendimen-
to alla base del noto testo sulla mitologia nordica pubblicato una prima volta da Munch
a Christiania nel 1840 con il titolo Le antiche storie degli dèi e degli eroi del Nord
esposte in breve (Nordens gamle Gude- og Helte-Sagn i kortfattet Fremstilling) e succes-
sivamente ampliato (1854, 1880). In questo periodo Christian Lange e Carl Richard
Unger danno anche l’avvio alla corposa raccolta del Diplomatarium Norvegicum (DN).
335
Più tardi (1894) nella scia di questo costante senso di ricerca e consolidamento
dell’identità nazionale sorgerà il Museo di storia popolare (Norsk Folkemuseum) di
Bygdøy presso Oslo per iniziativa del bibliotecario Hans Aall (1869-1946), pronipote
per parte di padre di due dei delegati di Eidsvoll, Jacob (vd. sopra, nota 334) e Jørgen

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Decenni cruciali 935

Seppure nell’ambito del romanticismo norvegese non manchino


opere strettamente ‘letterarie’ – si pensi al poeta Andreas Munch
(1811-1884),336 per altro sopravvalutato dai contemporanei, agli
stessi Wergeland e Welhaven e, forse soprattutto, a Maurits Hansen
(1794-1842), pioniere della prosa norvegese – questo movimento
appare in gran parte indirizzato verso obiettivi pratici: sicché le
esigenze dell’estetica restano in molti casi disattese (non è casuale
che la produzione del ‘radicale’ Wergeland sia, da questo punto
di vista, assai meno disciplinata di quella del ‘moderato’ Welhaven).
Del resto anche un autore minore come il giurista Henrik Anker
Bjerregaard (1792-1842) conosce il successo quando per un paio
di pezzi teatrali (un syngespil e un dramma) attinge a tematiche
nazionali,337 ma – soprattutto – quando compone una canzone
fortemente improntata allo spirito nazionalistico che per lungo
tempo sarà considerata dai Norvegesi alla stregua di un inno
nazionale.338
Tra i due secoli si situa la figura del pittore Jacob Munch (1776-
1835) il quale, dopo la formazione a Copenaghen, in Francia e
Italia, godette in patria di una certa notorietà e realizzò numero-
si ritratti. Nel 1818 veniva finalmente aperta in Norvegia quella
che, almeno nelle intenzioni dei fondatori, avrebbe dovuto diven-
tare una vera accademia, la Reale scuola di disegno e di arte di
Christiania (Den kongelige Tegne- og Kunstskole i Christiania)339
dalla quale sarebbero usciti molti dei più significativi artisti nor-
vegesi del periodo. Qui insegnerà a lungo il dano-norvegese

Aall (1771-1833); gran parte delle costruzioni tradizionali che si trovano nel museo
erano state raccolte su iniziativa di re Oscar II che si era adoperato per sostenere la
cultura norvegese.
336
Andreas era figlio di Johan Storm Munch (cfr. nota 315).
337
Nella prima metà dell’Ottocento il teatro norvegese muove i primi passi; vd.
oltre, pp. 1079-1080. Il celebre syngespil di Bjerregaard, dal titolo Fiaba di montagna
(Fjeldeeventyret, 1825) fu il primo del genere in Norvegia e fu musicato da Waldemar
Thrane (su cui poco più avanti). Intimo amico di Bjerregaard fu Conrad Nicolai Schwach
(1793-1860) che, seppure attratto dalla nuova estetica (fu tra l’altro traduttore di
Atterbom e Stagnelius; vd. pp. 923-924 e p. 925), rimane ancora legato alle forme
espressive del Settecento.
338
Cfr. p. 938 e p. 1029. In precedenza erano stati composti diversi ‘canti naziona-
li’, quale – a esempio – Per la Norvegia [nell’anno] 1808 (For Norge 1808) del poeta
Ole Christian Bull (1762-1814, cfr. nota 365), testo rimasto per altro inedito (per i
riferimenti ai manoscritti vd. O. Chr. Bull, Leilighetsdikt, med en avhandling om
språkformen, Kristiansundsdialekt, av D.A. Seip, Oslo 1942, pp. 35-36 e p. 97, nr. 59).
339
Dal 1911 ha preso il nome di Scuola statale dell’artigianato e dell’industria
artistica (Statens håndverks- og kunstindustriskole). Dal 1996 fa parte della Scuola
superiore dell’arte (Kunsthøgskolen) creata in quell’anno per raccogliere diversi isti-
tuti attivi nel campo dell’arte, della musica e del teatro.

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936 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

Johannes Flintoe (1787-1870), noto per i suoi paesaggi di atmosfera


romantica, così come per la celebre Stanza degli uccelli (Fugleværelset)
dipinta all’interno del castello di Oslo tra il 1841 e il 1843 e consi-
derata uno dei lavori più significativi dell’arte norvegese dell’Ot-
tocento.340 Nel 1836 verrà fondata l’Associazione artistica di Chri-
stiania (Christiania Kunstforening), che darà l’avvio a diverse
esposizioni,341 tra i cui promotori si annoverano Johan Sebastian
Welhaven, il futuro primo ministro Frederik Stang342 e il pittore
Johan Christian Claussen Dahl (1788-1857), attivo fautore di un
risveglio artistico nel suo Paese, il vero ‘grande nome’ della pittura
norvegese del periodo conosciuto anche fuori dai confini nazionali.
Formatosi all’estero (Danimarca, Germania e Italia) e a lungo vissu-
to a Dresda (dove insegnò presso la celebre accademia), Dahl si
concentra in primo luogo sulla pittura di ispirazione paesaggistica,
attraverso la quale vuole innanzi tutto esprimere lo spirito della natu-
ra norvegese in cui egli trasfonde sentimento e memoria. Ben lontano,
dunque, da quella che sarà la realistica, quasi ‘scientifica’ rappresen-
tazione dei naturalisti. Seppure la sua esperienza lo porti ad aprirsi
anche a più luminose atmosfere meridionali (si pensi ai suoi ‘lavori
italiani’) la sua arte ha voluto per gran parte comunicare il senso
della magnificenza, si vorrebbe dire della ‘eroicità’ (se non della
‘sublimità’) della natura norvegese, riflesso della grandiosità di un
Paese cui egli sentiva di appartenere, seppure ne restasse troppo
spesso lontano: da lui viene dunque un impulso determinante alla
nascita del sentimento patriottico che permea l’arte norvegese a
partire dalla metà del secolo.343 Allievi (per quanto non nel senso
stretto del termine) di Dahl sono altri pittori ‘romantici’ come Thomas
Fearnley (1802-1842),344 Peder Balke (1804-1887)345 e Knud Baade

340
A Flintoe si devono anche le incisioni (di chiara impronta nazionalistica) inseri-
te nell’edizione delle saghe dei re di Jacob Aall del 1838-1839 (vd. sopra, nota 334).
341
Tuttora attiva come Oslo Kunstforening, essa ospita dunque la più antica galleria
d’arte del Paese. In Norvegia la prima esposizione artistica permanente fu aperta nel
castello di Christiania nel 1841.
342
Vd. pp. 1006-1007.
343
Un ‘precursore’ della pittura paesaggistica di stampo romantico può essere visto
in Johan Friedrich Leonhard Dreier (1775-1833), che ha lasciato numerose raffigura-
zioni della città di Bergen.
344
Su di lui Willoch S., Maleren Thomas Fearnley, Oslo 1932.
345
Questo artista fu il primo ad attribuire un grande valore pittorico ai paesaggi
della Norvegia settentrionale. Altri interessanti pittori norvegesi romanticamente
ispirati da questo territorio sono Knud Baade (subito oltre citato) e Christian Due
(1805-1893). Vd. Kværne P. – Malmanger M. (red.), Un peintre norvégien au Louvre.
Peder Balke (1804-1887) et son temps / A Norwegian painter in the Louvre. Peder
Balke (1804-1887) and his times, Oslo 2006.

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Decenni cruciali 937

(1808-1879), che si ispirò anche alla mitologia nordica. La raffigu-


razione paesaggistica (i grandiosi paesaggi della Norvegia!) ma
anche la pittura di genere e la ritrattistica caratterizzano artisti come
Adolph Tidemand (1814-1876) e Hans Frederik Gude (1825-1903),
‘nazional-romantici’ che molto significheranno anche nei decenni
successivi,346 mentre il miglior ritrattista della prima metà del seco-
lo è Matthias Stoltenberg (1799-1871) le cui figure mostrano già
tratti realistici. La mancanza di una consolidata tradizione spinge-
va la gran parte dei pittori norvegesi a formarsi all’estero, ma la
consapevolezza di questa lacuna indusse alcuni di loro ad adope-
rarsi per diffondere in patria una cultura artistica: così il sopra
citato Johan Christian Dahl (che si interessò anche della salvaguar-
dia delle stavkirker)347 o Johan Fredrik Eckersberg (1822-1870),
che nel 1859 aprì una scuola di pittura a Christiania.348
Le restanti arti figurative restano su un piano inferiore. Qui
basterà citare lo scultore Hans Hansen (1820-1858), ancora legato
ai modelli neoclassici mentre, dal punto di vista architettonico (un
ambito nel quale si constata un certo adeguamento agli influssi
stranieri), appaiono di interesse soprattutto le costruzioni realizza-
te in legno, in primo luogo quelle delle zone rurali.
In questa atmosfera di recupero dell’identità nazionale non
manca il contributo del mondo musicale: in pieno spirito nazional-
romantico si va alla ricerca delle melodie ‘popolari’. Pioniere in
questa direzione era stato Waldemar Thrane (1790-1828)349 che ne
aveva tratto ispirazione, tra l’altro, per la composizione delle musi-
che del primo syngespil norvegese, la celebre Fiaba di montagna
(Fjeldeventyret).350 Così il violinista e compositore Ole Bornemann
346
Vd. oltre, p. 938 e pp. 1091-1092. Eccellente allievo di Gude fu August Cappe-
len (1827-1852) prematuramente scomparso.
347
Sulle stavkirker vd. pp. 270-272. Nell’ambito di questi interessi nel 1844 Dahl
diede vita insieme al pittore Joachim Frich (1810-1858) all’Associazione per la tutela
dei monumenti antichi (Foreningen til norske Fortidsminnesmerkers Bevaring).
348
La scuola sarà in seguito gestita dal pittore Knud Larsen Bergslien (1827-1908),
noto come ritrattista e pittore di temi storici. Va qui inoltre ricordato, per ragioni di
completezza, un pittore ‘norvegese solo in parte’, Knud Bull (1811-1889), fratello del
violinista Ole (su cui poco oltre) e allievo di Dahl a Dresda, il quale successivamente
in Inghilterra fu condannato come falsario e deportato in Australia (1846), dove rima-
se anche dopo aver scontato la pena stabilendosi a Hobart in Tasmania e successiva-
mente a Sidney. Bull è considerato uno dei fondatori della scuola pittorica australiana.
Su di lui vd. Hansen I., Australia’s Norwegian Convict Painter Knud Geelmuyden Bull
1811-1889, Canberra 1989.
349
Vd. Benestad F., Waldemar Thrane. En pionér i norsk musikkliv, Oslo 1961.
350
Il cui testo (1825) fu scritto, come si è visto, da Henrik Anker Bjerregaard (cfr.
nota 337). A questa generazione di musicisti appartengono anche i dano-norvegesi
Hans Hagerup Falbe (1772-1830) e Lars Møller Ibsen (1786-1846).

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938 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

Bull (1810-1880), invitato per numerosi concerti anche all’estero,


dà un notevole impulso alla tradizione del hardingfele,351 valoriz-
zando esecutori come Torgeir Augundsson (1801-1872, noto co-
me Myllarguten)352 di Telemark o Ola Mosafinn (1828-1912)
di Hordaland,353 mentre Ludvig Mathias Lindeman (1812-1887) di
Trondheim si dedica alla raccolta delle melodie tradizionali,354 in
parallelo con il lavoro di Olea Crøger e Magnus Brostrup Landstad,
ma dando alle stampe anche altri temi popolari.355 Più tardi (1883)
egli fonderà a Kristiania insieme al figlio Peter una scuola d’organo
che diverrà nel 1894 il Conservatorio musicale (Musikkonservatoriet),
istituzione di fondamentale importanza per la vita musicale norve-
gese.356 Nomi di prestigio in questo periodo sono anche quelli di
Christian Blom (1782-1861), cui si deve l’accompagnamento all’in-
no di Bjerregaard,357 e Halfdan Kjerulf (1815-1868), amico e colla-
boratore di Welhaven,358 autore di cori, romanze e sonate per
pianoforte, influenzato dai romantici e dalla musica popolare ma
aperto anche alle prospettive europee. Il suo componimento più
noto è certamente Il viaggio della sposa nel fiordo di Hardanger
(Brudefærden i Hardanger, 1848, su testo del poeta Andreas Munch)
per coro di voci maschili, ispirato all’opera dei pittori norvegesi
Adolph Tidemand e Hans Frederik Gude, uno dei prodotti arti-
351
Vd. p. 857.
352
Il soprannome significa “ragazzo del mugnaio”; in effetti il padre di Torgeir
Augundsson era un mugnaio (norv. møller e mylnar, rispettivamente in bm e nn, ter-
mine che compare in forma alterata nel composto il cui secondo elemento è ripreso
da gutt “ragazzo”).
353
Nell’Ottocento la tradizione del hardingfele appare assai apprezzata, si veda
anche la figura di Knut Fingarson Fosslia (1816-1880) originario della regione di
Buskerud ma poi (1848) emigrato in America.
354
Ludvig Mathias Lindeman apparteneva a una nota famiglia di musicisti: il padre Ole
Andreas (1769-1857) era organista a Trondheim; il figlio Peter (1858-1930), compositore
e docente di musica, avrebbe sposato la cugina Anna (1859-1938), come lui docente e
compositrice; a sua volta il figlio della coppia Tryggve (1896-1979) sarebbe stato un apprez-
zato violoncellista (vd. Lindeman T., Den trønderske familie Lindeman, Trondheim 1924).
355
Vd. Gaukstad Ø., Ludvig Mathias Lindemans samling av norske folkeviser og
religiøse folketoner, I-II, 1997-2003.
356
Solo nel 1973 sarà istituita la Scuola superiore norvegese di musica (Norges
musikkhøgskole), gestita dallo Stato.
357
Cfr. p. 1029.
358
 La sorella di Halfdan, Ida Kjerulf, morta di tubercolosi nel 1840 a soli ventitré
anni, era stata il grande amore dello scrittore, un amore ricambiato ma non approvato
dalla famiglia di lei per la quale la condizione sociale di Welhaven non era all’altezza
delle aspettative. Ciò nonostante tanto Halfdan quanto il fratello, il pittore Hjalmar
(1815-1847), mantennero con Welhaven un rapporto di amicizia e collaborazione. Su
Halfdan Kjerulf vd. Grinde N., Halfdan Kjerulf. Nordmann og europeer. En komponist
og hans tid, Oslo 2003.

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Decenni cruciali 939

stici più significativi della rinascita culturale nel Paese.359 Di ispi-


razione ancora romantica (ma con un richiamo ai modelli tedeschi)
è la produzione di Martin Andreas Udbye (1820-1889), che sarà
autore della prima vera opera norvegese, Fredkulla (1858), su
libretto di Carl Arnoldus Müller (1818-1893), ispirata alla figura
della regina Margherita, sposa di Magnus Piedi nudi,360 mentre
Thomas Tellefsen (1823-1874), allievo di Chopin, sceglierà piutto-
sto di lavorare in Francia.
Questo fervore di attività culturali (certamente non esente da
forzature e idealizzazioni), che toccherà il culmine tra gli anni ’40
e ’50 e lascerà segni profondi anche nei decenni successivi, è stato
sentito dai Norvegesi come espressione di una vera e propria rina-
scita nazionale, secondo la definizione (det nasjonale gjennombrudd),
ormai entrata nell’uso comune, che ne avrebbe dato lo studioso di
folclore Moltke Moe (1859-1913), figlio del celebre Jørgen racco-
glitore di fiabe.361

11.3.3.1. Una nazione, due lingue

Come è stato detto in precedenza, alla fine del XV secolo una


lingua nazionale norvegese era di fatto scomparsa, sopraffatta dal
danese sia nell’ambito statale sia in quello religioso.362 Piena vitali-
tà avevano invece mantenuto i diversi dialetti comunemente utiliz-
zati nelle zone rurali. La persistenza di queste parlate aveva – alme-
no in parte – fatto sentire il proprio influsso, sicché non è difficile
rilevare una serie di ‘norvegismi’ che caratterizzano anche la lingua
letteraria, a esempio, in Holberg.363 I sentimenti ‘patriottici’ di fine
359
Su Gude e Tidemand si è detto a p. 937, sul secondo vd. anche pp. 1091-1092.
Anche August Bournonville (vd. p. 922) creò (su musiche di Holger Simon Paulli,
1810-1891) un balletto sul tema. Vd. Haverkamp F.E. – Lange M.I. (red.), Der aander
en tindrende Sommerluft varmt over Hardangerfjords Vande…, catalogo della mostra
Tidemand & Gude, Nasjonalgalleriet 28 september – 7 desember 2003, [Oslo], pp. 8-15
e inoltre Kjørup S., “Tekstens billede – om Andreas Munchs digt ‘Brudefærden’”, in
NRZB, pp. 121-128. Del 1926 è inoltre un film muto dal medesimo titolo realizzato
dal regista norvegese Rasmus Breistein (1890-1976).
360
Vd. p. 329, nota 6.
361
Moe usò questa espressione nel titolo di una serie di conferenze, successivamente
pubblicate (vd. Moe M., Samlede skrifter, utgitt ved K. Liestøl, I-III, Oslo 1925-1927,
vol. III, pp. 1-196). In questo contesto il termine gjennombrudd (così in bm, gjennombrot(t)
in nn) è difficilmente traducibile in italiano, in quanto ha senso di “rottura”, “cedimen-
to”, “sfondamento”, “irruzione”, ma anche di “prima manifestazione”, “primo successo”.
362
Vd. pp. 419-420.
363
Vd. p. 821 con nota 633.

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940 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

Settecento non avevano mancato di comprendere l’aspetto lingui-


stico: nel 1771 veniva redatto uno scritto di carattere politico in
una lingua che possiamo senz’altro definire ‘norvegese’,364 mentre
un autore come Edvard Storm innalza la poesia dialettale a livello
artistico.365 Il che non deve essere visto come un vezzo nazional-
patriottico, ma piuttosto come il segno di una nuova consapevo-
lezza anche linguistica che, strettamente legata alle tematiche della
cultura popolare, non mancherà di dare i propri frutti. La lingua
ufficiale (dunque in generale la lingua scritta) era, come detto, il
danese. Ma accanto a essa (e ai dialetti) si era sviluppata (in primo
luogo nelle città)366 tra le persone di ceto più elevato e di cultura, i
funzionari e i membri della borghesia, una parlata fortemente
connotata da elementi norvegesi (nella pronuncia, nella morfologia
e nel lessico): quello che a partire dallo storico Christian Molbech
(1783-1857) verrà definito come dano-norvegese.367 Negli anni

364
Si tratta di un testo pubblicato in forma anonima nel 1771 dal titolo Dialogo
tra Einar Jermonsøn e Reidar Randulvsøn di Opland nella diocesi di Akershus in
Norvegia (Samtale imellem Einar Jermonsøn og Reidar Randulvsøn paa Opland i
Aggershuus-Stift i Norge) da attribuire all’ecclesiastico Rejer Giellebøl (1737-1803):
esso è redatto nel dialetto orientale della zona di Vik. Vd. Seip D.A., “Et norsk
stridsskrift mot embedsmagten fra trykkefrihetstiden”, in NHT III (1916), pp. 397-
406.
365
Qui ci si riferisce in particolare alle cosiddette “canzoni della vallata” (døleviser)
composte nel dialetto di Gudbrandsdalen attorno al 1770. In questo contesto vanno
ricordati altri poeti: il funzionario Tomas Rosing De Stockfleth (1742-1808) che nel
medesimo dialetto scrisse (1770 o 1771) un componimento dal titolo Ritorno a casa
(Heimattkomsten); Hans Hanson (1777-1837), autore di poesie nel dialetto di Telemark
(vd. Schneider J.A., Bygdemaalsdigteren Hans Hanson, Kristiania 1909); Ole Christian
Bull che compone volentieri nel dialetto di Kristiansund, suo luogo natale (vd. O. Chr.
Bull, Leilighetsdikt, citato alla nota 338, un testo in cui alle pp. 43-44 sono riportate
notizie su altri poeti dialettali). La tradizione di una ‘letteratura dialettale’ è rappre-
sentata anche da autori come Mons Lie (1757-1827), Tarjei Vinsvaal (1770-1832), Hans
Allum (1777-1848) e Tormod Knutsson Borgegjorde (1797-1868), ma anche dal pit-
tore, prosatore e poeta Simon Olaus Wolff (1796-1859). Vd. anche Skard 1972-1979
(B.5), II, pp. 118-120.
366
Tra le quali Christiania andava assumendo crescente importanza anche da que-
sto punto di vista.
367
O anche norvego-danese: tale denominazione fu usata per la prima volta nel
1817; vd. Skard 1972-1979 (B.5), III, p. 7. Una distinzione fra tre varianti: i dialetti
parlati nelle zone rurali e vicini all’antico nordico, la lingua parlata nella città (il
‘norvegese’ influenzato dal danese e dalla lingua letteraria) e la lingua scritta (in
sostanza il danese) viene fatta nel 1832 in un articolo “Sulla lingua norvegese” (“Om
norsk språk”) del giurista e politico di opposizione Jonas Anton Hielm (1782-1848),
il quale sottolinea altresì la necessità di mettere ordine nella confusa situazione lin-
guistica del Paese (lo scritto di Hielm è riportato in Fra norsk språkhistorie. En
antologi ved E. Hanssen, Oslo 19792, pp. 108-118). È evidente che, tenuto conto
della conformazione geografica del Paese e della ubicazione dei centri urbani, la

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Decenni cruciali 941

successivi al 1814, superato il rischio di una nuova ‘colonizzazione


linguistica’ da parte svedese, ci si domandò quale dovesse essere
l’idioma nazionale: ciò del resto corrispondeva all’idea (tutta roman-
tica) che, in mancanza di un tale strumento la specificità della
cultura di un Paese non potesse essere compiutamente espressa.368
In questa prospettiva va considerata la fondazione (1831) della
Società per la lingua e la storia del popolo norvegese (Samfundet
til det Norske Folks Sprog og Historie), voluta da Gregers Fougner
Lundh (1786-1836), Henrik Anker Bjerregaard e Henrik Werge-
land.369
Al quale ultimo, fautore di un pieno affrancamento dalla cultu-
ra danese, il problema della lingua appare, dunque, ben chiaro.
Mentre dal lato pratico risulta evidente il suo sforzo di conferire
un ‘carattere norvegese’ alle proprie opere,370 da quello teorico si
devono considerare alcuni lavori, in particolare lo scritto Sulla
riforma della lingua norvegese (Om norsk sprogreformation, redatto
nel 1832 ma pubblicato nel 1835)371 e un articolo del 1833.372 Wer-
geland sostiene la necessità di trasformare profondamente (soprat-
tutto dal punto di vista lessicale ed espressivo ma anche da quello
ortografico)373 la lingua scritta (il ‘vecchio danese’ cui gran parte
del mondo culturale restava legato) attingendo al patrimonio dia-
lettale, l’unico davvero capace di esprimere tutta la ricchezza dell’an-
tica cultura del Paese. Per questo egli accoglierà con entusiasmo
l’uscita della raccolta curata da Asbjørnsen e Moe che, seppure

suddivisione tra i ‘diversi tipi’ di norvegese risulta più articolata. Vemund Skard
sottolinea come anche nelle zone circostanti le città si parlasse una lingua sostanzial-
mente impostata sul danese, seppure meno raffinata (Skard 1972-1979 [B.5], II, pp.
115-116).
368
 Va però rilevato come la possibilità di una ‘separazione linguistica’ della Norve-
gia dalla Danimarca fosse stata considerata fin dalla seconda metà del Settecento,
trovando poi un convinto assertore in Gregers Fougner Lundh, economista ma,
soprattutto, promotore del risveglio culturale del suo Paese; vd. Skard 1972-1979 (B.5),
II, pp. 127-128 e Andresen A.Fr., “Gregers Fougner Lundh – nasjonsbyggeren (1786-
1836)”, in VP 1800-tallet, pp. 37-63.
369
Su Lundh cfr. nota precedente, su Bjerregaard cfr. p. 935 con nota 337 e p. 1029.
370
Il che si rileva soprattutto nell’inserimento di termini ripresi dai dialetti e nell’adat-
tamento delle forme grafiche alla pronuncia, ma in parte anche nella morfologia, nella
sintassi, nella formazione delle parole e nello stile (per gli esempi si rimanda a Skard
1972-1979 [B.5], III, pp. 30-38).
371
Il testo Om norsk Sprogreformation è riportato in Fra norsk språkhistorie (indi-
cazioni alla nota 367), pp. 131-156.
372
HWSS III: i, p. 447 (da Statsborgeren, 10 marzo 1833). Si tratta di un elenco di
otto norme inteso a contribuire al miglioramento della lingua norvegese.
373
In ciò inaugurando quello che sarà il successivo dibattito ortografico che met-
terà in luce la necessità di vere e proprie riforme in questo ambito.

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942 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

nella forma resti in sostanza danese, introdurrà in letteratura lo


stile delle parlate popolari. In posizione diversa rispetto a Wergeland
si pone Peter Andreas Munch. Seguace di Welhaven (e dunque
assai attento all’aspetto estetico!) egli aveva profondo rispetto per
la lingua danese, che riteneva esprimesse “la letteratura di una
delle nazioni più colte d’Europa”,374 mostrandosi tuttavia al con-
tempo conscio della necessità di ‘ricostruire’ una lingua autentica-
mente norvegese. Il modo di procedere di Wergeland gli pareva
casuale e disordinato e il suo unico risultato quello di produrre un
danese deteriorato piuttosto che una vera lingua norvegese. Munch
(che, non si dimentichi, era anche uno studioso di linguistica ger-
manica e nordica)375 riteneva che occorresse partire da un dialetto
nel quale le antiche forme norvegesi si fossero conservate al meglio
e su quella base riformare la struttura della lingua, individuando la
giusta norma sia per quella parlata sia per quella scritta.
Questa posizione anticipa, almeno in parte, quello che sarebbe
stato il lavoro di Ivar Aasen (1813-1896), destinato a segnare la
storia linguistica e culturale norvegese. Originario della regione di
Sunnmøre, egli era, sostanzialmente, un autodidatta. Negli anni
’30, ancora giovane, si era interessato al dibattito sulla lingua, ma
la sua attenzione era focalizzata piuttosto sui dialetti che conside-
rava, da questo punto di vista, l’unico vero patrimonio della nazio-
ne. Tra il 1842 e il 1846, ottenuta una borsa di studio dalla Reale
società norvegese delle scienze,376 egli percorse le zone rurali del
Paese giungendo a nord fino in Helgeland377 per ricercare e valo-
rizzare questo patrimonio: diede così inizio agli studi di dialettolo-
gia norvegese.378 Il suo intento era tuttavia un altro: sulla base dei
374
“en af Europas mest dannede Nationers Literatur”: questa affermazione si trova
nello scritto sulla Riforma della lingua norvegese (Norsk Sprogreformation del 1832
(riportato in Fra norsk språkhistorie, vd. indicazioni alla nota 367, pp. 119-130; la
citazione da p. 121) che costituisce il suo principale contributo al dibattito.
375
A Munch (e a Keyser; cfr. pp. 933-934) va tra l’altro il merito di aver ottenuto
che l’antico nordico fosse inserito (in alternativa all’ebraico) come materia a scelta nel
piano di studi per la laurea in filologia.
376
Cfr. p. 721.
377
È la regione che si trova sotto il circolo polare artico.
378
Accanto ad Aasen, che nel 1841 compilò una grammatica del dialetto di Sunnmøre,
sua zona di origine (vd. Bondevik J. – Nes O. et al. [red.], Sunnmørsgrammatikkane
av Ivar Aasen, Bergen 1992), furono pionieri in questo ambito Niels Svenungssen
(1779-1847), autore di un lavoro su La lingua norvegese di montagna (Det norske
Fjeldsprog), che fa riferimento al dialetto delle zone montane della Norvegia meridio-
nale (testo pubblicato solo nel 1985) e Caspar Hansen (1808-1886) che ha lasciato
studi inediti (grammaticali e lessicali) sul dialetto di Hallingdal i cui manoscritti (tutti
del 1844) sono conservati presso la Biblioteca nazionale (Nasjonalbiblioteket) di Oslo:
ms. 692 8vo (Forsøg til Fremstilling af de væsentligste grammatikalske Regler i den

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Decenni cruciali 943

dialetti (in particolare quelli che riteneva più vicini all’antico


nordico)379 egli si proponeva di ‘ricostruire’ una lingua scritta
‘autenticamente nazionale’. Di questo idioma, che chiamò landsmaal
(“lingua del Paese”)380 Aasen redasse una grammatica (1848) e
compilò un dizionario (1850),381 sforzandosi di conferirgli una
norma, come appare chiaramente nel testo dal titolo Esempi della
lingua del Paese in Norvegia (Prøver af Landsmaalet i Norge, 1853)
che presenta brani in diversi dialetti e nella ‘nuova’ lingua. Gli
sviluppi di questo lavoro di ‘regolamentazione’ si possono consta-
tare nelle opere pubblicate successivamente.382 In seguito a una
deliberazione parlamentare del 1929383 il landsmaal è ora chiamato
nynorsk “neonorvegese”, termine che ha dunque sostituito la defi-
nizione coniata da Aasen.
Parallelamente continuava il lavoro di ‘adattamento’ del dano-
norvegese. Nome di spicco in questo ambito è quello di Knud
Knudsen (1812-1895). Questo studioso riteneva che i dialetti non
fossero adatti allo scopo di restituire al Paese una lingua nazionale,
in quanto restavano, comunque, espressione di realtà locali. Egli
proponeva piuttosto di basarsi sulla parlata informale delle classi
colte, partendo dall’adeguamento della lingua scritta alla effettiva
pronuncia norvegese (rigettando dunque ogni sforzo di imitare
quella danese) e procedendo con l’inserimento di parole e caratte-
ristiche morfologico-sintattiche riprese dalla tradizione linguistica
propria. Il danese godeva ancora di una posizione di grande pre-
stigio: basti pensare che il ‘teatro norvegese’ restava in realtà in

Hallingdalske Mundart), ms. 693 8vo (Ordbog, indeholdende Samling af Hallingdalske


Ord), ms. 900 4to (Forsøg til en Grammatik i den Hallingdalske Mundart) e ms. 901 4to
(ancora con il titolo Ordbog, indeholdende Samling af Hallingdalske Ord). Gli ultimi
tre sono redatti in collaborazione con Andreas Wulfsberg Grøtting (1816-1870). Vd.
in proposito anche Hovdhaugen 1987 (C.9.2), pp. 85-86 e Hannaas T., “Norske
bygdemåls-arbeid fyrr Ivar Aasen”, in Festskrift til Amund B. Larsen. På hans 75-års
fødselsdag 15. desember 1924, Kristiania 1924, pp. 87-105.
379
Che egli ritrovò nelle zone costiere dei fiordi e in quelle montagnose a loro
prospicienti nella Norvegia sud-occidentale (Vestlandet), in particolare nelle regioni
di Hardanger, Sogn e Voss.
380
In pieno spirito patriottico egli intendeva dunque che quella fosse la lingua
della nazione. Tuttavia con il termine land (“Paese”, ma anche “campagna”) Aasen
(che rivendicava le proprie origini contadine) voleva anche sottolineare come tale
idioma provenisse dalle zone rurali considerate in contrasto con la città (Skard 1972-
1979 [B.5], III, p. 82).
381
Rispettivamente Det norske Folkesprogs Grammatikk e Ordbog over det norske
Folkesprog.
382
In primo luogo nelle nuove edizioni della grammatica (1864) e del dizionario
(1873).
383
Vd. nota successiva.

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944 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

mano a compagnie danesi, il che aveva già provocato la vivace


reazione di Wergeland e induceva ora Knudsen a collaborare
con la Scuola norvegese di drammaturgia (Den norske dramatiske
skole), fondata nel 1852, per insegnare agli attori l’uso di una pro-
nuncia correttamente norvegese. Il nazionalismo linguistico non
poteva certo tralasciare questo aspetto! Il lavoro di Knudsen si
inseriva in un dibattito complesso e vivace e tra il 1852 e il 1853
egli fu oggetto della critica di Munch. La lingua da lui proposta
venne poi definita riksmaal “lingua nazionale” ed è ora indicata
con il termine bokmål, letteralmente “lingua dei libri”.384
Al di là delle divergenze di opinione va qui sottolineato che la
Norvegia, a lungo privata d’una lingua propria, disponeva ora di
ben due alternative: da una parte l’idioma ‘ricostruito’ da Aasen,
dall’altra il dano-norvegese alla cui definizione si era dedicato in
primo luogo Knudsen. Ciò provocò una vera e propria contesa,
non esente da risvolti politici: il riksmaal infatti era la lingua delle
classi dominanti, colte e conservatrici, il landsmaal quella dei con-
tadini, il che appare per certi versi paradossale se si considera che
il landsmaal esprimeva l’attaccamento alla pura tradizione norve-
gese e, di conseguenza, una diversa (e più antica) forma di conser-
vatorismo.385 Questa disputa sarebbe andata avanti a lungo e a
risolverla non sarebbe bastata la proposta di favorire una graduale
fusione.386 Entrambe le lingue sono ora a pieno titolo legalmente
considerate idiomi ufficiali del Regno di Norvegia.

384
Il cambio di denominazione è avvenuto nel 1929, contestualmente a quello del
landsmaal; vd. Lov om lærerskoler med nye navn på de to mål (approvata all’Odelstinget
il 1 febbraio e al Lagtinget il 21 febbraio di quell’anno). Si fa qui notare che nell’indi-
cazione delle denominazioni di queste lingue si è preferito usare la grafia dell’epoca in
cui esse furono coniate (dunque landsmaal e riksmaal anziché landsmål e riksmål),
mentre per bokmål si è preferito ricorrere alla grafia stabilita dalla riforma ortografica
del 1917. Su Knudsen cfr. p. 825, nota 654.
385
Si ricordi anche la fondazione nel 1868 della casa editrice Det Norske Samlaget
i cui promotori si prefiggevano lo scopo di pubblicare libri in landsmaal.
386
Si citi qui la nascita di associazioni linguistiche attive in questo ambito come la
Vestmannalaget, sorta a Bergen nel 1868 (e dunque la più antica del Paese), la Norigs
Maallag (ora Noregs Mållag, 1906) intesa a promuovere il landsmaal e l’Associazione
per il riksmaal (Riksmaalforbundet fondata nel 1907 da Bjørnstjerne Bjørnson (vd. p.
1079). Ma si ricordi anche il caso di Wollert Konow (1845-1924), primo ministro tra
il 1910 e il 1912 che, per essersi espresso in favore del landsmaal nel corso di una
conferenza, fu costretto alle dimissioni in quanto si sostenne che non aveva mantenu-
to una posizione di equidistanza a riguardo.

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Decenni cruciali 945

11.3.4. Premesse culturali d’una riscossa politica

Come sopra si è visto, tra la fine del Settecento e i primi decenni


dell’Ottocento l’Islanda si era trovata al centro di un rinnovato inte-
resse che aveva coinvolto anche uomini di cultura stranieri, fra tutti
Rasmus Rask e Carl Christian Rafn.387 Da costoro era arrivato un
forte impulso a quella rinascita della nazione per la quale si erano
adoperate figure come Skúli Magnússon, Eggert Ólafsson, Jón Eiríks-
son e Magnús Stephensen.388 Nel 1816 Rask era stato tra i fondatori
della Società letteraria islandese mentre Rafn aveva promosso la
Reale società nordica dei testi antichi389 che pubblicava opere della
letteratura medievale: la cultura del Paese trovava dunque ora con-
vinti difensori, dopo un periodo di decadenza anche dal punto di vista
linguistico, un problema che fin dal 1779 aveva richiamato l’attenzio-
ne dei fondatori della Società islandese delle discipline erudite.390 Per
altro in Islanda l’esercizio culturale non era mai venuto meno: si
pensi agli autori citati in precedenza ma anche allo storico Jón (Jóns-
son) Espólín (1769-1836) compilatore di importanti Annali d’Islanda
(Íslands árbækur í sögu-formi, 1821-1855) e al giurista Benedikt Jóns-
son Gröndal (1762-1825), che traducendo Alexander Pope (1790)
aveva rivitalizzato l’antico metro poetico fornyrðislag.391 Sebbene egli
fosse ancora un rappresentante dell’illuminismo, la sua scelta avrebbe
significato molto per la ripresa della tradizione poetica islandese. La
quale si sarebbe dunque strettamente legata alla rivalutazione della
lingua, obiettivo già indicato da Eggert Ólafsson e ribadito da Baldvin
Einarsson.392 Da questo punto di vista gli scritti pubblicati dalla
Società delle discipline erudite e dalla Società letteraria ebbero gran-
de importanza in quanto contribuirono a ‘depurare’ la lingua islan-
dese da quelle che i romantici definiranno “le macchie di danese”393
387
Vd. p. 604, nota 351 e p. 823 con note 648-649; p. 316 con nota 104 e p. 918,
rispettivamente.
388
Vd. p. 730 e p. 853; p. 726, p. 823 e p. 839; p. 728 e p. 729, tutte con note relative.
389
Vd. p. 918.
390
Vd. p. 824.
391
Vd. p. 294. Questo autore (da non confondere con l’ononimo nipote) avrebbe
avuto un notevole influsso su Jónas Hallgrímsson (su cui vd. poco oltre). Su di lui vd.
Björnsson Á.S., Benedikt Gröndal Jónsson. Þættir um líf hans og list, Reykjavík 1976.
Successivamente (1798) Pope sarà tradotto da Jón Þorláksson (vd. pp. 839-840). Cfr.
p. 1075, nota 490.
392
Vd. pp. 879-880.
393
Questa espressione (dönskusletturnar) si trova nell’articolo che introduce il
primo numero della rivista Fjölnir (su cui poco più avanti): Fjölnir. Árs-Rit Handa
Íslendíngum. Samið, kostað og gefið út af Brynjólfi Péturssyni, Jónasi Hallgrimssyni,
Konráði Gjíslasyni, Tómasi Sæmunzsyni. Fyrsta ár, 1835, p. 6.

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946 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

e, al contempo, favorirono la nascita, in sostituzione dei prestiti, di


nuove parole create partendo dal materiale lessicale tradizionale.394
Anche in Islanda alla lingua sarà dunque affidato il compito di
fornire un indispensabile supporto allo spirito nazionale.395 Una
prospettiva nella quale si inserisce, innanzi tutto, Bjarni Thoraren-
sen (1786-1841), celebre poeta in bilico tra classicismo e romanti-
cismo (è probabile che a Copenaghen avesse ascoltato alcune
delle lezioni di Steffens),396 cantore della patria e della natura (due
temi che saranno ‘portanti’ nel romanticismo islandese)397 ma anche
dell’amore e della memoria. Indice di un rinnovato impulso cultu-
rale (che si esprime anche nell’attività letteraria di autori ‘popolari’)398
è anche l’uscita di nuovi periodici: nel 182 7 inizia le proprie pub-
blicazioni la rivista Skírnir,399 tuttora attiva, edita dalla Società
letteraria islandese400 sulla quale compaiono articoli relativi a varie
discipline (letteratura, storia, filosofia, politica, folclore, scienze
naturali) e che resta la più prestigiosa pubblicazione periodica
islandese; tra il 1835 e il 1836 e ancora nel 1838 appare il mensile
Il corriere del Sud (Sunnanpósturinn), che raccoglie annunci, arti-
394
Vd. gli esempi riportati a p. 825.
395
Nell’articolo introduttivo della rivista Fjölnir (cfr. nota 393) si legge: “Nessuna
nazione diviene tale se prima non parli una propria lingua e se muoiono le lingue
muoiono ugualmente le nazioni o si trasformano in un’altra […]” (DLO nr. 162). In
questo contesto va menzionata anche la compilazione di dizionari come quello, sopra
citato, di Björn Halldórsson di Sauðlauksdalur (vd. p. 823) e il dizionario danese-
islandese pubblicato nel 1819 dall’ecclesiastico Gunnlaugur Oddsson (1786-1835) allo
scopo di facilitare agli Islandesi la lettura di testi danesi: Dizionario che contiene la
maggior parte delle parole rare, inusuali e di difficile comprensione che compaiono nei
libri danesi (Orðabók, sem inniheldur flest fágæt, framandi og vandskilin orð er verða
fyrir í dönskum bókum).
396
Cfr. p. 911. Su di lui: “Bjarni Thorarensen, skáld og amtmaður”, in BR, pp. 89-92.
397
Sulla scorta d’una tradizione che comincia a formarsi a partire dal XVI secolo
questi due elementi appaiono ora strettamente legati (il che è, del resto, anche il caso
della Norvegia). Va qui opportunamente osservato che nella letteratura medievale
islandese i riferimenti alla natura sono al contrario decisamente scarsi. Il caso più
celebre è forse un passo della Saga di Gísli (cap. 12) nel quale l’evocazione di uno
scenario naturale ha la funzione di sottolineare l’ineluttabilità del destino (il testo è
riportato a p. 179, nota 312).
398
Si citino qui Sigurður Breiðfjörð (1798-1846; vd. “Sigurður Breiðfjörð, skáld”,
in BR, pp. 106-109), Hjálmar Jónsson di Bóla (vd. p. 524, nota 219) e le poetesse Guðný
Jónsdóttir di Klambrar (1804-1836; vd. Kress H. “Líf og ljóð. Guðný Jónsdóttir frá
Klömbrum”, in Kress H. – Traustadóttir R. [ritstj.], Íslenskar kvennarannsóknir,
Reykjavík 1997, pp. 23-32) e Rósa Guðmunsdóttir, nota come Vatnsenda-Rósa (da
Vatnsendi, fattoria in cui abitava in Vesturhópur, 1795-1855; vd. “Vatnsenda-Rósa”,
in SKFA II, pp. 109-171).
399
Nella mitologia nordica Skírnir è il nome del servitore del dio Freyr che corteg-
gia per lui Gerðr, figlia di un gigante (vd. Chiesa Isnardi 20084 [B.7.1], pp. 149-152).
400
Vd. p. 824.

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Decenni cruciali 947

coli, racconti e poesie. Di grande importanza è la rivista Fjölnir401


uscita annualmente tra il 1835 e il 1847 e considerata l’organo
‘ufficiale’ dei romantici islandesi, il che mostra come questa cor-
rente si affermi nel Paese piuttosto tardi.402 Si tratta, del resto, di
un romanticismo già ‘maturo’ e per molti versi lontano da quelli
che ne erano stati gli ideali ispiratori: per altro in Islanda (come già
in Norvegia) esso doveva misurarsi con la necessità di rivitalizzare
una nazione, non soltanto dal punto di vista estetico-letterario ma
anche da quello, ben più pratico, del progresso sociale e dell’indi-
pendenza politica (un traguardo qui ancora lontano ma le cui
premesse sono da ricercare in questo periodo). Per questo nell’ar-
ticolo introduttivo di Fjölnir si pone in primo luogo l’accento
sull’importanza del concetto di utilità, dopo di che si fa riferimen-
to alla bellezza e alla verità, princìpi comunque tutti soggetti a quel-
lo dell’etica.403 Fjölnir, fondata a Copenaghen, era redatta da Tómas

401
Per molti versi in contrasto con Il corriere del sud.
402
 Nei testi di carattere mitologico Fjölnir, che significa “assai sapiente” (o “eclet-
tico”), è uno dei numerosi appellativi del dio Odino (vd. Chiesa Isnardi 20084 [B.7.1],
p. 203). Un altro personaggio dal medesimo nome era, secondo Snorri Sturluson (sul
quale vd. p. 287, nota 13), un leggendario re svedese, figlio del dio Freyr, che regnò a
Uppsala dopo suo padre. È detto che una volta questo re si recò in Selandia da Fróði
dove fu allestito un grande banchetto. In questa occasione ci furono grandi bevute. In
seguito a ciò durante la notte Fjölnir uscì dalla sua stanza (dormiva al piano superiore)
per fare i propri bisogni, ma poiché era ubriaco fradicio e assonnato quando volle
tornare a letto inciampò e cadde dentro un grande recipiente, posto nel cortile interno,
che era colmo di idromele e lì morì annegato (Ynglinga saga, cap. 11). La figura di
Fjölnir e la sua storia fanno evidente allusione al dio della fecondità (cui rimanda anche
il nome Fróði attribuito nella tradizione a diversi personaggi leggendari); vd. Chiesa
Isnardi G., “Il re sacrificato. Morte rituale del sovrano nell’antica società nordica”, in
I gesti del sacro. Rito e rituali (= I quaderni di Avallon, XXXI, 1993), pp. 108-109 e
Chiesa Isnardi 20084 (B.7.1), pp. 280-281. Vd. inoltre Kristjánsson A., “Fjölnir. 159.
ár”, in Skírnir CLIX (1985), pp. 29-44.
403
“Il primo punto è l’utilità. Tutto ciò che verrà detto nella rivista concorre a una
qualche utilità. Per questo si richiede che esso riguardi la vita e il comportamento degli
uomini e provi ad abbattere quegli ostacoli che sono posti a una più razionale orga-
nizzazione e al benessere, o dalla natura o dalla società umana o dall’intimo dell’uomo
medesimo […] Il secondo punto che noi non intendiamo mai dimenticare è la bellez-
za. Essa è legata all’utilità in così grande misura che ciò che è bello è sempre utile,
spiritualmente o fisicamente, o così [concorre] all’accrescimento dell’utilità. Tuttavia
la bellezza per sua natura non è in alcun modo dipendente da quella, piuttosto è così
eccellente che tutti gli uomini devono desiderarla per se medesima […] Il terzo punto
è la verità. La ragione ha sete della verità per se stessa; essa le è tanto preziosa che ogni
volta [non deve] domandarsi di che utilità sia; essa è tanto indispensabile all’anima
quanto il cibo al corpo […] Ma al quarto posto sta quella cosa, senza la quale tutto ciò
che prima è stato detto non avrebbe per l’uomo alcun valore, e questa cosa, in ogni
impresa umana, deve essere al primo posto davanti a tutte le altre, e stare particolar-
mente a cuore a tutti gli scrittori. La ragione non chiede solo ciò che è utile e bello e

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948 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

Sæmundsson (1807-1841), Jónas Hallgrímsson (1807-1845), Konráð


Gíslason (1810-1891) e Brynjólfur Pétursson (1810-1851). Mentre
il contributo di quest’ultimo fu sostanzialmente organizzativo,
Tómas Sæmundsson scrisse soprattutto di argomenti relativi all’in-
teresse del Paese e all’economia.404 Ben più significative sono le
figure di Konráð Gíslason e Jónas Hallgrímsson. Il primo, linguista
e filologo, dedicò i propri sforzi allo scopo di far rivivere la purez-
za e lo splendore dell’antica lingua islandese (una questione, come
si è visto, cruciale).405 Il secondo, poeta profondamente influenza-
to da Heine (che aveva tradotto insieme a Ossian, Schiller, Oehlen-
schläger, Tieck), è considerato il più autentico romantico d’Islanda:
in lui, innovatore della metrica su modelli europei, l’amore per la
natura si fonde con quello per la patria, sicché la sua poesia divie-
ne non solo un inno alla terra natìa ma anche un’esortazione agli
Islandesi a riappropriarsi della loro cultura e del loro destino (egli
d’altronde non perde occasione per sostenere la necessità di rico-
stituire l’antica assemblea a Þingvellir),406 il che ritiene si possa
realizzare solo ricollegandosi alla secolare tradizione del Paese,
patrimonio che resta per gli Islandesi un punto di riferimento
irrinunciabile.407
Verso la metà del secolo verrà pubblicata una nuova rivista che,
pur destinata a breve vita (comparve solo negli anni 1848 e 1849),
avrà notevole importanza per il risveglio culturale e politico della
nazione islandese: si tratta del Viaggiatore verso Nord (Norðurfari)
curata dal poeta Gísli Brynjólfsson (1827-1888) e da Jón Thoroddsen,
autore che darà l’avvio al romanzo islandese.408
Dal punto di vista delle arti visive e della musica l’Islanda resta-

vero, piuttosto anche ciò che è buono e morale” (DLO nr. 163).
404
Vd. “Brynjólfur Pétursson, stjórnardeildarforseti” e “Tómas Sæmundsson,
prófastur”, in BR, pp. 127-130 e pp. 114-117, rispettivamente.
405
Alla ‘decontaminazione’ della lingua contribuirono anche i docenti della scuo-
la di Bessastaðir (vd. p. 731, nota 234), tra cui Hallgrímur Scheving (1781-1861)
filologo, linguista e insegnante di Konráð Gíslason, e Sveinbjörn Egilsson (1791-1852),
teologo, traduttore e poeta cui si devono, tra l’altro, versioni islandesi di celebri testi
greci come l’Iliade e l’Odissea, ma anche la traduzione dell’Edda di Snorri. Egli inol-
tre ha lasciato un dizionario della lingua degli scaldi (Lexicon poëticum, pubblicato a
Copenaghen nel 1860), successivamente rivisto e ampliato dal linguista e filologo
Finnur Jónsson (cfr. p. 1102, nota 627); un lavoro che resta un punto di riferimento
per gli studi in materia (in Bibliografia [B.5] è indicata la prima edizione nella revi-
sione di Jónsson). Vd. “Sveinbjörn Egilsson, kennari og skáld”, in BR, pp. 97-100 e
“Konráð Gíslason, prófessor”, ibidem, pp. 123-126.
406
Vd. p. 877 e p. 880.
407
Vd. “Jónas Hallgrímsson, skáld”, in BR, pp. 118-122.
408
Vd. oltre, p. 1076 con nota 495.

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Decenni cruciali 949

va ancora ferma al passato. Se qualche passo avanti veniva fatto (in


particolare nell’ambito della musica e della danza) si trattava
in realtà di ‘novità’ riprese dall’estero e delle quali ‘usufruivano’
praticamente solo i funzionari e i commercianti danesi.

Tra maggio e settembre del 1865 il geologo e docente di mineralogia


svedese Carl Wilhelm Paijkull (1836-1869) faceva un lungo viaggio in
Islanda, esperienza che avrebbe riversato in un resoconto dal titolo Un’esta-
te in Islanda. Diario di viaggio (En sommar på Island. Reseskildring).409
Qui, accanto a descrizioni paesaggistiche e osservazioni scientifiche, egli
dà conto della vita e delle abitudini degli isolani. Il brano che segue trat-
teggia efficacemente la condizione delle molte persone appartenenti agli
strati sociali più umili:

“Ma tra la popolazione più povera si vive invece praticamente in vere e


proprie casupole di terra, per quanto esse siano comunque costruite in
superficie e non scavate nel terreno. Io per esempio sono stato in una fatto-
ria nella zona di Reykjavík, costruita con il consueto materiale, il cui inter-
no basso [d’aria] e scarsamente illuminato era costituito da un unico ambien-
te, che da una estremità era occupato da due lettucci [posti] ai due lati
della parete più lunga con in mezzo un piccolo tavolo quadrato a forma di
bancone, dall’altra invece da uno spazio per il lavoro e le provviste dove
erano accatastati o ammucchiati lana, licheni e altre cose, e nel cui mezzo
sulla parete più lunga proprio davanti all’ingresso si trovava il focolare
segnalato solo da alcune pietre. Questa casa non aveva pavimento e neppu-
re un tetto che non fosse la stessa struttura che reggeva la copertura di torba;
la luce entrava solo attraverso due piccole finestre nel tetto, e la casa era così
bassa [d’aria] che le travi [che facevano] da tiranti per sorreggere la strut-
tura del tetto, mi arrivavano all’incirca al[l’altezza del] petto, quando stavo
dritto in piedi là dentro. L’impossibilità di fissarvi un controsoffitto si com-
prende dal fatto che, se ci fosse, non si potrebbe entrare e uscire se non
strisciando, e non si potrebbe stare dentro se non seduti. Che in una fattoria
del genere tutto dovesse essere nero, fuligginoso e sporco sta nella natura
delle cose e del resto il suo aspetto sfida qualsiasi descrizione. Quel giorno
io avevo fatto un viaggio lungo e disagevole, quando alla sera arrivai a
quella fattoria, pioggia e nebbia mi avevano messo freddo addosso, e avevo
da cavalcare molte ore per tornare a Reykjavík, per di più avevo avuto il
piacere non richiesto di cavalcare dentro a un ruscello freddo come il ghiac-
cio, che scorreva direttamente dai cumuli di neve dell’Esja410 che si stavano
sciogliendo, e avevo fatto un pediluvio nell’acqua del ghiacciaio, ragion per
cui quasi con piacere accettai il cortese invito del contadino di entrare a bere

Il libro fu pubblicato dall’editore Bonnier di Stoccolma nel 1866.


409

Si tratta del monte Esja (o Esjan), alto 914 mt. che si trova a circa 10 km. a nord
410

di Reykjavík.

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950 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

un po’ di caffè, il che insieme all’acquavite costituisce una specie di bevanda


nazionale. D’altronde nel corso dei miei viaggi mi sono dato la regola di
seguire la ben nota massima di saggezza: quello che passa attraverso la
bocca non contagia la persona. Si capisce, io evito le porcherie per quanto
possibile; lo considero un dovere altrettanto importante quanto non essere
troppo schizzinoso. Dopo che ebbi percorso incolume il corridoio buio e
sporco che conduceva nella piccola abitazione, e con pari fortuna evitato
l’impatto contro le basse travi del tetto, mi accomodai su uno dei lettucci
sopra menzionati aspettando il caffè, ed ebbi nel frattempo la possibilità di
fare le osservazioni che ho appena riferito al lettore. Il caffè fu del resto
presto pronto, dal momento che nelle fattorie islandesi la caffettiera deve di
certo ‘star su’ a ogni ora del giorno, più o meno come in certe zone della
Svezia, e il caffè era anche buono, così come lo si trova in generale in Islan-
da, ma di certo rimasi un po’ sorpreso, quando vidi che il mio ospite frugava
nel letto vicino ai piedi del medesimo e da un sacchetto che si trovava là,
del cui colore esterno ci si può fare un’idea, tirava fuori lo zucchero, che
tuttavia era raffinato e bianco. Ora non di meno era bene avere la regola
cui attenersi: quello che passa attraverso la bocca ecc.”411

411
DLO nr. 164.

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Capitolo 12

Verso le democrazie nordiche

12.1. Scandinavismo

Attorno alla metà dell’Ottocento conosce il suo culmine in


Scandinavia un movimento di carattere politico e culturale che,
sorto sulle ceneri delle antiche contrapposizioni, si proponeva una
collaborazione (e magari una nuova unione politica) tra i Paesi
nordici: il cosiddetto scandinavismo. Dopo secoli segnati da con-
flitti quasi ininterrotti, i primi segnali in direzione di un avvicina-
mento (in primo luogo fra i tradizionali nemici Danimarca e Svezia)
si erano avuti fin dalla seconda metà del Settecento, manifestando-
si innanzi tutto nell’ambito letterario, allorché uno scrittore come
il dano-norvegese Holberg aveva trovato in Svezia calorosa acco-
glienza e la lettura delle opere di Ewald e Baggesen aveva stimola-
to la riflessione critica dei migliori autori svedesi.1 Minore impor-
tanza va attribuita a fattori politici, come accordi conclusi in
diversi ambiti (commerciale, difensivo, politico) tra i due Paesi che,
del resto, non avrebbero tardato a ritrovarsi su fronti opposti. Se
da questo punto di vista gli interessi nazionali e le contrapposte
alleanze determinarono dunque la ripresa delle ostilità, l’ambito

1
Tra i ‘precedenti’ dello scandinavismo va ricordata la fondazione a Londra nel
1786 della Società nordica (Det nordiske Selskab) voluta dal norvegese Johan (John)
Collett (1758-1810), appartenente a una famiglia di industriali del legname, che risie-
deva e lavorava in quella città. Essa riuniva diversi membri della colonia nordica.
Nella primavera del 1792 lo storico danese Frederik Sneedorff (1760-1792), figlio del
celebre Jens Schelderup Sneedorff (vd. p. 805 e p. 834) tenne qui un importante
discorso nel quale auspicava la fondazione in tutte e tre le capitali nordiche di simili
associazioni e sottolineava l’appartenenza di Danesi, Svedesi e Norvegesi alla comune
patria scandinava. È questa, verosimilmente, la prima volta in cui il termine ‘scandi-
navo’ acquisisce, oltre a quello geografico, un significato culturale (vd. Petersen –
Andersen 1932-1934 [B.4], p. 966 e p. 980).

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952 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

privilegiato per tentativi di una nuova collaborazione fu piuttosto


quello culturale: del 1796 è la fondazione a Copenaghen, per ini-
ziativa di Jens Kragh Høst (1772-1844) della Società letteraria
scandinava (Skandinavisk litteraturselskab)2 che tuttavia fu presto
in pratica ‘monopolizzata’ dai danesi; non soltanto al suo interno i
membri svedesi erano in minoranza, ma la rivista Museo scandina-
vo (Skandinavisk museum, 1798-1803) da essa pubblicata concesse
loro poco spazio.3 Un impulso decisivo venne (complice il rinno-
vato ideale del prestigio dei popoli nordici e della loro tradizione)
con il periodo romantico: il nuovo clima di superamento dei con-
flitti si inaugura con l’omaggio fatto da Esaias Tegnér ad Adam
Oehlenschläger in occasione del suo addottoramento a Lund con
l’imposizione della corona di alloro (1829).4 Il decennio successivo
vedrà l’intensificarsi dei contatti e il progressivo affermarsi dell’idea-
le di fraternità dei popoli nordici: nel 1839 si terrà a Göteborg il
primo congresso interscandinavo dei naturalisti, nello stesso anno
molti studenti festeggeranno a Copenaghen la ‘triade nordica’ e il
letterato danese Povl Frederik Barfod (1811-1896) avvierà la pub-
blicazione della rivista Bragi e Iðunn (Brage og Idun)5 allo scopo di
promuovere la collaborazione fra gli uomini di cultura dei Paesi
scandinavi. Come è facile intuire questi ideali trovarono accoglien-
za soprattutto nell’ambiente universitario: nel 1843 ci fu una riu-
nione di studenti nordici a Uppsala alla quale seguì la fondazione
della Società scandinava (Skandinavisk Selskab);6 due anni dopo
un’altra a Lund e Copenaghen: in questa occasione il giurista dane-
se Martin Orla Lehman7 tenne un celebre discorso davanti a circa
millesettecento giovani i quali, infiammati dalle sue infervorate
parole, giurarono di lottare per l’unione del Nord. Questi raduni
si ripeterono poi con una certa frequenza.8
2
Suoi promotori furono inoltre Jens Baggesen (vd. pp. 838-839), Christen Henriksen
Pram (vd. p. 809, nota 557 e p. 901 con nota 167) e Rasmus Nyerup (vd. p. 918). In
precedenza Høst aveva pubblicato a Lund la rivista Nordia (1795-1796) con contribu-
ti danesi e svedesi.
3
Successivamente (1805-1832) la società darà alle stampe una serie di Scritti (Det
skandinaviske literaturselskabs skrifter).
4
Sui sentimenti scandinavisti di Tegnér in rapporto alla realtà della politica vd.
Svanberg V., “Skandinavismen i Tegnérs ‘Nore’”, in Samlaren, XIII (1932), pp. 1-51.
5
Vd. p. 923, nota 275.
6
Essa sarà sciolta nel 1856.
7
Cfr. p. 863.
8
Essi ebbero luogo a Christiania (1851 e 1852), a Uppsala (1856), a Lund e Cope-
naghen (1862) e di nuovo a Christiania (1869). L’incontro di Uppsala è ricordato come
affollatissimo, in quell’occasione ci fu (13 giugno) un raduno presso i tumuli di Gamla
Uppsala (luogo simbolo della tradizione nordica, vd. p. 90 e p. 137) nel corso del

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Verso le democrazie nordiche 953

Convinti scandinavisti saranno uomini di cultura danesi come il


poeta e politico Carl Parmo Ploug (1813-1894) e lo storico della
letteratura Carl Frederik Rosenberg (1829-1885); norvegesi come
il giornalista, storico e politico Ludvig Kristensen Daa,9 il matema-
tico, fisico, educatore e politico Ole Jacob Broch,10 lo storico dell’ar-
te (noto studioso delle stavkirker)11 e scrittore Lorentz Henrik
Segelcke Dietrichson (1834-1917); svedesi come Carl Vilhelm
August Strandberg12 che espresse i propri sentimenti scandinavi-
stici in poesia, tra l’altro esortando alla liberazione della Finlandia
dal dominio russo, il giornalista e politico Per August Ferdinand
Sohlman (1824-1874), il politico, storico e giornalista Sven Adolf
Hedin (1834-1905). Accanto a loro (e a molti altri) nomi ben più
noti come, a esempio, quelli di N.F.S. Grundtvig (che aveva pro-
gettato di fondare una grande università nordica a Göteborg),
Esaias Tegnér, Andreas Munch, Johan Sebastian Welhaven e
Bjørnstierne Bjørnson.13
Inizialmente limitato all’ambito culturale il movimento non
tardò tuttavia a ‘colorarsi’ di toni politici: in tal senso indirizzavano
da una parte la situazione della Danimarca che aveva in sospeso
con la Germania il problema delle regioni di confine di Schlesvig
e Holstein, dall’altra quella della Svezia che comunque, dopo la
perdita della Finlandia, aveva con la Russia rapporti difficili. Dal
punto di vista dei sostenitori del movimento una Scandinavia uni-
ta avrebbe assai meglio potuto difendersi dalle minacce straniere.
Queste motivazioni erano tutt’altro che sgradite al re svedese Oscar
I che, essendo anche sovrano di Norvegia, avrebbe potuto esten-
dere il proprio potere sulla Danimarca (considerando anche il
fatto che il sovrano danese Federico VII non aveva eredi): da par-

quale Carl Parmo Plough (del quale poco più avanti) tenne un discorso in cui parlò
esplicitamente della necessità dell’unione politica fra i Paesi scandinavi, ma anche (15
giugno) l’intervento del re Oscar I il quale si impegnava per una difesa comune (vd.
Hallendorf 1914, p. 9). Per l’incontro di Copenaghen del 1862 il musicista danese
Otto Johann Anton Dütsch (1823-1863) compose appositamente una Polka delle dame
scandinave (De skandinaviske Damers Polka).
9
Cfr. p. 904 e p. 934, nota 332.
10
Cfr. p. 903, nota 175.
11
Vd. pp. 270-272.
12
Vd. sopra, p. 930.
13
In questo contesto, come si vede, gli Islandesi restano ai margini manifestando
scarso coinvolgimento. Va tuttavia citato qui il poeta Grímur Thomsen (cfr. p. 842,
nota 737 e p. 1076 con nota 491) il quale, unico rappresentante di quel Paese, parte-
cipò al grande raduno di Uppsala del giugno 1856 dove prese anche la parola (vd.
BJÖRNSSON A., “Grímur Thomsen og Uppsalamótið”, in Árbók Landbókasafns Íslands
– Nýr flokkur, XIV [1988], pp. 5-15).

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954 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

te danese ci si dimostrò tuttavia più cauti. Ma nei fatti l’ideale


scandinavistico non avrebbe superato la prova della politica. Seb-
bene dopo lo scoppio della crisi dei ducati nel 184814 Oscar I
avesse garantito un appoggio militare ai Danesi, il suo intervento
fu piuttosto quello della mediazione diplomatica. Se è pur vero che
nel 1857 fu presentato per iniziativa svedese un piano per istituire
un sistema di difesa comune (appoggiato da Oscar I e respinto da
Federico VII) e che nel 1863 durante un incontro tenuto a Skods-
borg (a nord di Copenaghen) Carlo XV (succeduto al padre Oscar
nel 1859) aveva promesso di inviare i propri soldati in aiuto dei
Danesi nel caso in cui i Tedeschi li avessero attaccati, è altrettanto
vero che in entrambi i casi il risultato fu del tutto deludente, sia
perché la difesa comune rimase lettera morta, sia perché tanto il
governo svedese quanto il parlamento norvegese esclusero la pos-
sibilità di intervento militare a sostegno della Danimarca. Sicché la
guerra per lo Schleswig e il Holstein combattuta tra il 1863 e il 1864
si sarebbe conclusa – nonostante la partecipazione di numerosi
volontari affluiti dalla Svezia tra le fila dei Danesi – con la sconfit-
ta di questi ultimi costretti a sottoscrivere la pace di Vienna.15
Per altro, nonostante gli sforzi dei suoi promotori lo scandina-
vismo era rimasto un movimento d’élite coltivato da anime nobili
(ma per taluni aspetti anche ingenue) che continuavano a vagheg-
giare la costituzione di uno stato sovrannazionale al cui interno i
popoli nordici potessero vivere in naturale concordia sulla base
della comune eredità culturale, espressa tra l’altro da lingue affini
(auspicabilmente destinate ad avvicinarsi sempre più).16 Per costo-
14
Vd. sopra, pp. 862-863.
15
Vd. oltre, pp. 959-960 con nota 34.
16
L’aspetto linguistico aveva per gli scandinavisti grande importanza. Questa con-
statazione consente di sottolineare ancora una volta come il movimento si incentrasse,
essenzialmente, sui rapporti tra il Regno di Svezia-Norvegia e quello di Danimarca, di
cui l’Islanda (la cui lingua conservava tratti arcaici e non era certo per gli altri nordici
di immediata comprensione) non era considerata che una appendice; cfr. nota 13. Da
ciò derivava anche il ‘problema’ dei Sami e quello della Finlandia, la cui inclusione in
un’idea di ‘grande Scandinavia’ (realizzabile quantomeno sul piano culturale) avrebbe
dovuto avvenire più tardi. In Norvegia, dove il dibattito linguistico era particolarmen-
te vivace e la competizione tra landsmaal e riksmaal con tutte le sue ripercussioni
sociali e politiche era ormai avviata (vd. 11.3.3.1), la rilevanza della questione appare
evidente, a esempio, quando si osservi che Knud Knudsen (vd. pp. 943-944), fautore
del riksmaal, era un convinto scandinavista mentre un autore come Aasmund Olavsson
Vinje (su cui vd. nota 522 e cfr. nota 231), che aveva scelto il landsmaal come propria
lingua letteraria, prediligeva un punto di vista nazionalistico. Negli anni ’60 lo ‘scan-
dinavismo linguistico’ conobbe il suo periodo migliore, toccando il culmine nel 1869
quando esperti dei tre Paesi si riunirono a Stoccolma per fare proposte utili a un
avvicinamento fra le lingue, quantomeno dal punto di vista ortografico.

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Verso le democrazie nordiche 955

ro la questione relativa allo Schleswig e al Holstein era, prima che


un problema politico, un principio ideale di vitale importanza in
quanto queste regioni ‘marcavano’ il limite con l’area tedesca, la
cui tradizione culturale era ormai considerata (per più di un verso
anche con ostilità) ‘altra’, sicché il confine meridionale della Dani-
marca veniva da loro inteso come confine della ‘nazione scandina-
va’ nel suo insieme. Ma, come si sa, ideali e politica sono troppe
volte difficilmente conciliabili.
Dopo i primi momenti di smarrimento, la cocente delusione per
l’esito della guerra dano-tedesca e per il mancato sostegno ai ‘fra-
telli danesi’ da parte degli altri Paesi, fece comprendere agli scan-
dinavisti la necessità di formulare proposte su basi più concreta-
mente programmatiche per sviluppare un progetto politico
mirante all’unificazione. Ciò portò alla costituzione di associazioni
finalizzate allo scopo: la prima, sorta in Norvegia nel 1864, fu una
nuova Società scandinava (Skandinavisk Selskab) attiva fino al 1871;
la seconda, fondata in Svezia nel medesimo anno, fu l’Associazione
nazionale nordica (Nordiska Nationalföreningen) voluta, tra gli altri,
dal sopra citato August Sohlman; seguì infine (1866) in Danimarca
la Società nordica (Nordisk Samfund).17 Naturalmente il dibattito
aveva trovato spazio su diversi giornali:18 di primaria importanza
fu la Rivista nordica di politica, economia e letteratura (Nordisk
Tidskrift för Politik, Ekonomi och Litteratur), uscita a Lund tra il
1866 e il 1870 allo scopo di promuovere la formazione di uno
Stato nordico unitario.
Fallito sul piano dell’unione politica,19 lo scandinavismo avrebbe
17
Un sodalizio danese che in buona parte condivideva gli ideali scandinavisti era
l’Associazione popolare danese (Dansk Folkeforening), di ispirazione nazional-libera-
le, sorta nel 1865; una simile tendenza traspariva del resto anche nella pubblicazione
L’amico del popolo (Folkevennen, 1852-1900) edita dalla Società per la promozione
dell’educazione popolare (Selskapet for folkeoplysningens fremme), attiva in Norvegia
fin dal 1851 e il cui presidente era Hartvig Nissen (vd. p. 903 con nota 175).
18
Si menzioni in primo luogo il Corriere dell’Öresund (Öresundsposten) di Helsingborg
che fu per un periodo portavoce delle idee degli scandinavisti. Fondatore e redattore
del giornale era lo svedese Oscar Patrick Sturzenbecker (più tardi Sturzen-Becker,
1811-1869) che auspicava una federazione tra gli stati nordici. Accanto a questo si
citino il danese La Patria (Fædrelandet, cfr. p. 864, nota 19); lo svedese Foglio della sera
(Aftonbladet), il cui redattore fu (dal 1857 alla morte con una breve interruzione) il
convinto scandinavista August Sohlman; i norvegesi Foglio del mattino (Morgenbladet)
e Il Nord (Norden, 1866-1868).
19
 La speranza in tal senso non era tuttavia del tutto perduta, anche perché movi-
menti politici paralleli, come quello dell’unificazione d’Italia e della confederazione
degli Stati tedeschi, cui gli scandinavisti guardavano con sincero interesse, avevano
avuto, come noto, esiti ben più concreti. Nel 1870 il politico danese Frederik Bajer (vd.
pp. 970-971; cfr. p. 1057), premio Nobel per la pace nel 1908 (assieme allo svedese

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956 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

comunque visto maturare i propri frutti. Se l’obiettivo della difesa


comune non era raggiunto, si poté in altri campi stabilire una utile
cooperazione. Tali sono l’ambito giudiziario (del 1872 è il primo
congresso interscandinavo dei giuristi), quello della circolazione di
persone e merci e quello valutario: nel 1873 venne infatti concluso un
accordo tra Danimarca e Svezia (cui la Norvegia avrebbe aderito due
anni più tardi) in base al quale le rispettive valute (il cui valore unita-
rio veniva fissato come corrispondente a 0,40323 grammi d’oro)
avrebbero avuto corso legale nei quattro Paesi (non si dimentichi
l’Islanda).20 Inoltre la cooperazione in ambito culturale, dalla quale lo
scandinavismo era sorto, proseguì più che proficuamente: si tennero
molti congressi internordici nelle varie discipline, si allestirono mostre
di arte nordica, si eseguirono traduzioni dei capolavori letterari scan-
dinavi nelle lingue ‘sorelle’. Benché nel 1905 la separazione tra Svezia
e Norvegia21 determinasse una sospensione del processo di avvicina-
mento, nei decenni successivi alla prima guerra mondiale (evento che,
dimostrando la debolezza dei singoli stati sullo scenario internazio-
nale, aveva evidenziato la necessità di intensificare la cooperazione)
lo scandinavismo riprese vigore. Nel 1919 in ciascuno dei tre Paesi
venne fondata di comune accordo una Associazione del Nord,22

Klas Pontus Arnoldson, 1844-1916) aveva fondato la Società per gli Stati liberi del
Nord (Nordisk Fristats-Samfund, attiva senza troppo successo fino al 1882), immagi-
nando la possibilità di una sorta di confederazione repubblicana tra i Paesi nordici.
20
In concomitanza di questa decisione le antiche valute (i rigsdaler danesi, i riksdaler
svedesi e gli speciedaler norvegesi) vennero sostituiti dalle “corone”: dan. krone (pl.
kroner), norv. (bm e nn) krone (pl. kroner, nn anche kronor), sved. krona (pl. kronor),
islandese króna (pl. krónur). I daler (denominazione nordica dei “talleri” erano mone-
te d’argento che cominciarono a essere coniate in Scandinavia a partire dalla prima metà
del XVI secolo. Dall’inizio del XVII compare in Svezia la denominazione riksdaler
“talleri del Regno”, mentre in Danimarca e Norvegia si parla di speciedaler (“talleri in
specie”) detti successivamente in Danimarca krondaler “talleri della Corona” e infine
rigsdaler “talleri del Regno” (nella colonia islandese, dove tuttavia la circolazione di
denaro restò molto a lungo assai limitata, ríkisdalir). Una frazione del “tallero” era lo
“scellino” (dan. sved. e norv. skilling, isl. skildingur). L’unione valutaria scandinava
sarebbe sopravvissuta allo scioglimento dell’unione tra Svezia e Norvegia ma si sarebbe
infranta contro la crisi economica determinata dalla prima guerra mondiale. L’accordo,
concluso il 27 maggio fu pubblicato il 26 giugno 1873 (se ne veda la versione danese: Lov
nr. 66 af 23. maj - møntlov). La legge norvegese al riguardo fu emessa il 17 aprile 1875
(NL 1682-1934, pp. 234-237). L’unione monetaria cessò formalmente di esistere nel 1924.
21
Su cui vd. oltre, pp. 1013-1016.
22
In danese Foreningen Norden, in norvegese Foreningen Norden (bm) e Foreiningen
Norden (nn), in svedese Föreningen Norden. Successivamente l’associazione fu istitui-
ta anche in Islanda (Norræna félagið, 1922), in Finlandia (Pohjola Norden, 1924) e in
territori dotati di una certa autonomia come le Føroyar (Norrøna Felagið, 1951), le
isole Ahvenanmaa (sved. Åland, 1970) e la Groenlandia (1991). Sedi dell’associazione
esistono anche in Russia, Estonia, Lituania e Lettonia.

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Verso le democrazie nordiche 957

allo scopo di operare, insieme alle istituzioni ‘sorelle’, per lo svilup-


po della cooperazione internordica. La quale si è poi, in effetti, assai
intensificata, anche con l’istituzione (1965) dell’Unione delle asso-
ciazioni del Nord23 che coordina l’attività di quelle nazionali favo-
rendo la reciproca conoscenza e la diffusione della cultura nordica
a livello internazionale. Del 1952 (dopo che gli avvenimenti legati
alla seconda guerra mondiale avranno ulteriormente rafforzato la
necessità di una stretta collaborazione) sarà la fondazione del Con-
siglio nordico,24 un ente interparlamentare cui è demandato il
compito di discutere problematiche di interesse comune e propor-
le per la soluzione ai rispettivi governi.25 Dal 1971 esso è affiancato
dal Consiglio dei ministri nordico che gestisce il coordinamento tra
i governi. Al di fuori dell’attività di queste istituzioni restano tutta-
via i vecchi nodi irrisolti della politica estera e della difesa.

Nel 1787 il re svedese Gustavo III aveva compiuto una visita a Cope-
naghen. In tale occasione sulla rivista Minerva26 comparve un breve
articolo, nel quale si sottolineava l’importanza della comune cultura dei
popoli nordici, e un saluto in versi al re svedese. Anche in questo testo il
termine ‘scandinavo’ arricchisce il suo significato prettamente geografico
di una precisa valenza culturale.27 Si legga:

“Il 29 di questo mese nella capitale del Regno ci fu una visita, troppo
importante, perché non sia annotata nei nostri diari. Il re Gustavo III di
Svezia giunse del tutto inaspettato in visita d’amicizia al re danese. Certa-
mente per ogni scandinavo è una visione entusiasmante, vedere i popoli dei
tre Regni, rappresentati dai loro monarchi,28 camminare amichevolmente
l’uno accanto all’altro mano nella mano. Che cosa c’è di più bello, quale
emblema più significativo dell’auspicata concordia, amicizia e piena com-
prensione tra quelle nazioni, che la vicinaza, la comune origine, il comune
interesse, lingua, usanze, tutto unisce?”

23
In danese e norvegese Foreningerne Nordens Forbund, in svedese Föreningarna
Nordens Förbund, in islandese Samtök Norrænu Félaganna, in finnico Norden-yhdistys-
ten liitto.
24
In danese e norvegese Nordisk råd, in svedese Nordiska rådet, in islandese Norður-
landaráð, in finnico Pohjoismaiden neuvosto. Vd. pp. 1234-1235.
25
Dopo lo scioglimento dell’Unione sovietica i contatti e la collaborazione con i
Paesi baltici (Estonia, Lituania e Lettonia) si sono intensificati ed è stato anche pro-
posto di accoglierli come membri all’interno del Consiglio.
26
Vd. p. 809.
27
Cfr. sopra, nota 1.
28
Si ricordi qui che Danimarca e Norvegia ancora condividevano un unico sovrano.

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958 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

E ancora (dal componimento in onore del sovrano svedese):


“Questo giorno è per noi di festa; seppure giorni lontani
Lo richiamino con mente festevole,
Il giorno in cui nacque la speranza per il futuro della Svezia,
Il più sacro nel cuore del popolo amico
Al petto di Cristiano, nei santuari di Pallade
Il nobile Gustavo – Giorno dolce! tu vieni
Ogni volta portavoce di felici presagi,
Così felice per i sovrani del Nord il popolo del Nord.
Purché il suo cuore possa appieno percepire,
Il nostro grido di benvenuto è la voce di un popolo amico:
Benvenuto, eccelso eroe straniero! Poiché colui,
che è amico di Atene e del nostro [re] Cristiano,
È l’amico benvenuto di tutti i Danesi!29

12.2. La ‘rivoluzione moderna’: progressi e conflitti politici


e sociali

Nella seconda metà dell’Ottocento vengono a più completa matu-


razione i fermenti politici e sociali (le cui radici affondano nel pen-
siero illuministico) che fin dalla prima metà del secolo avevano sti-
molato il dibattito e l’impegno civile. Da una parte i diversi
movimenti religiosi autonomi avevano determinato la conquista di
una libertà di scelta individuale che a sua volta implicava compor-
tamenti responsabili, in sostanza i presupposti di una vera democra-
zia. Se da un lato ciò corrispondeva alla presa di coscienza del
popolo come nazione, dall’altro – sul piano sociale – ne conseguì la
presa di coscienza di classe.30 La capacità di adattamento delle Chie-
se nordiche a questa nuova situazione avrebbe permesso loro (pur
nel diverso sviluppo dei rapporti con l’autorità istituzionale e con i
movimenti religiosi autonomi) di contribuire alla costruzione della
moderna società scandinava. In essa la Chiesa sarebbe rimasta lega-
ta allo Stato, perdendo tuttavia la propria funzione di ausiliare del
potere politico e garante dell’ordine sociale ora affidata piuttosto al

29
DLO nr. 165-166.
30
Vd. Thorkildsen 1997 (A), pp. 157-160.

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Verso le democrazie nordiche 959

senso di appartenenza dei cittadini alla nazione.31 Su un altro versan-


te la crescente libertà di scelta concessa all’individuo avrebbe determi-
nato il definitivo affermarsi di nuove dottrine (liberalismo, socialismo,
positivismo) favorito naturalmente anche dalla trasformazione della
società, che fino ad allora aveva conosciuto il predominio di una eco-
nomia di tipo agricolo: il progresso della scienza e della tecnica, l’in-
dustrializzazione, l’urbanizzazione (ma anche il manifestarsi di una
consistente emigrazione) l’avrebbero infatti profondamente trasforma-
ta. Anche il processo di secolarizzazione del mondo scandinavo, tanto
evidente ai giorni nostri, origina da qui. Il popolo si trasforma ora da
una massa di sudditi in un insieme di individui nei quali crescono la
consapevolezza e la volontà di essere cittadini responsabili, partecipi
della vita della comunità cui vogliono portare il proprio concorso di
idee. Si vengono dunque formando partiti e associazioni, si allarga il
dibattito sui temi politici e sociali. Ma il contributo non sarà (come nel
secolo dei lumi) di carattere esclusivamente razionale, esso coinvolge
anche il sentimento e la passione dell’individuo, del che si deve dare
merito all’eredità del pensiero romantico. E tuttavia questo pensiero è
ormai superato: nella seconda metà del secolo (i decenni in cui il resi-
duo potere della nobiltà si viene disgregando, mentre la borghesia si
compiace della propria definitiva affermazione) trionfano piuttosto lo
spirito pratico e l’ottimismo razionale. Mentre, accanto al ceto conta-
dino che viene ora organizzandosi come consapevole soggetto politico,
si viene formando quel proletariato che vorrà poi, a sua volta, fare
sentire la propria voce e reclamare i propri diritti.32 Uno sviluppo,
quello dell’acquisita consapevolezza e della rivendicazione d’una legit-
tima dignità, che non riguarderà esclusivamente determinate classi ma
anche componenti sociali ‘trasversali’, in primo luogo le donne.

12.2.1. Danimarca

Dopo la promulgazione della costituzione liberale del 1849


poterono finalmente svilupparsi le forze che avrebbero contribui-
to alla formazione dello stato danese moderno. Ma i problemi
31
Ibidem, p. 157.
32
Si ricordi qui che nei vari Paesi esso aveva alle spalle diversi percorsi e situazioni.
Come osservato in precedenza, nel XVIII secolo i contadini svedesi godevano di
talune prerogative, mentre a quelli dei Regni uniti di Danimarca e Norvegia non erano
riconosciuti diritti politici e, paradossalmente, quelli danesi risultavano i più oppressi.
In Islanda poi essi avevano vissuto una situazione di totale sfruttamento, pesantemen-
te aggravata dal monopolio commerciale. La ‘rinascita politica’ dei contadini si lega in
primo luogo alle riforme agrarie e (per gli islandesi) all’abolizione del monopolio.

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960 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

politici non erano finiti. Restava in primo luogo l’annosa questio-


ne dei ducati. La vittoria nella battaglia di Isted e il riconoscimen-
to da parte tedesca della sovranità danese su quelle regioni aveva-
no risolto la faccenda solo temporaneamente. Nel novembre del
1863, infatti, su pressione dell’opinione pubblica, il re Cristiano
IX (1818-1906), succeduto a Federico VII morto da pochi giorni,
aveva dovuto promulgare (nonostante la contrarietà personale) la
cosiddetta ‘costituzione di novembre’, il cui scopo era di legare
più strettamente lo Schleswig alla Danimarca:33 questa decisione
aveva però portato a una nuova guerra con i Tedeschi. Una guer-
ra sfortunata, in quanto i Danesi, attaccati anche dalla Prussia e
dall’Austria, subirono la pesante sconfitta di Dybbøl (18 aprile
1864), dovettero assistere all’occupazione dello Jutland da parte
delle truppe tedesche e furono infine costretti a sottoscrivere il
trattato di pace di Vienna in base al quale le regioni di Schleswig
e Holstein furono perdute insieme al ducato di Lauenburg.34 Una
perdita assai grave sia in termini territoriali sia in termini demo-
grafici. La ‘grande Danimarca’ di un tempo vedeva così ulterior-
mente ridotto il proprio territorio, il proprio potere e, insieme, il
proprio prestigio.
La seconda guerra per lo Schleswig-Holstein fu l’ultimo con-
flitto nel quale il Paese venne coinvolto per volontà propria. Dopo
questa data la storia danese riporta piuttosto i molti e importanti
sviluppi della politica, in primo luogo di quella interna. Innanzi
tutto la formazione e il consolidamento dei partiti, naturale con-
seguenza d’una situazione sociale in rapido mutamento: dissolti
ormai gli ‘stati’ che per secoli avevano costituito la struttura della
società, vecchie e nuove forze si misuravano ora sulla scena poli-
tica. I notevoli progressi dell’industrializzazione35 avevano avuto
come conseguenza la crescita di agglomerati urbani e la nascita di
un proletariato che naturalmente avrebbe trovato il proprio refe-
rente politico nell’ideologia socialista. Il primo socialista danese
era stato Frederik Dreier (1827-1853) – in realtà una figura al suo
tempo isolata –36 il quale aveva impostato la propria critica socia-
33
In danese Novemberforfatningen (Grundlov for Kongeriget Danmarks og Hertug-
dømmet Slesvigs Fællesanliggender, 18 novembre 1863, in DFL, pp. 101-111).
34
Il trattato fu concluso il 30 ottobre 1864 e reso pubblico in Danimarca il 16 novembre
(Allerhøieste Kundgjørelse ang. den i Wien den 30te October 1864 afsluttede Fredstractat
med tillhørende Protokol angaaende Jyllands Rømning). In base a questo trattato il confine
meridionale danese veniva posto lungo il corso del fiume Kongeå (ted. Königsau).
35
Sull’argomento vd., tra l’altro, Willerslev R., Studier i dansk Industrihistorie
1850-1880, København 1952.
36
Vd. tuttavia Stybe S.E., Frederik Dreier. Hans liv, hans samtid og hans sociale

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Verso le democrazie nordiche 961

le in prospettiva materialistica, indirizzandola non soltanto all’ana-


lisi del rapporto tra forza lavoro e capitale ma anche contro i
princìpi nazionalistici e religiosi.37 Egli si era attivato per la costi-
tuzione di un ‘partito dei lavoratori’, organizzazione politica che
sarebbe stata realizzata più avanti, innanzi tutto per iniziativa di
Louis Pio.38 Nel 1846, sull’onda di crescenti proteste degli
agricoltori,39 era stata fondata la Società degli amici dei contadini
(Bondevennernes selskab) allo scopo di migliorarne la condizione
sul piano economico, sociale e politico.40 Essa aveva presto trova-
to numerosi aderenti e aveva potuto far sentire la propria voce
all’interno dell’assemblea che aveva redatto la costituzione del
1849. Questo organismo sarebbe stato una delle basi su cui si
sarebbe venuto formando il primo partito della Sinistra (Venstre),41
tænkning. With a summary in English: Frederik Dreier, his life, contemporaries and social
philosophy, Copenhagen 1959.
37
È significativo che questa critica trovi spazio in una rivista dal titolo Riforma
sociale (Samfundets Reform, 1852-1853). Su di lui vd. anche Nymark J., Frederik Dreiers
politisk-ideologiske virksomhed, Kongerslev 1975.
38
Vd. pp. 965-966. Va tuttavia ricordato che Frederik Dreier fece parte di alcune
associazioni di lavoratori come l’Associazione per la formazione degli artigiani (Haand-
værkerdannelsesforeningen) fondata nel 1847 e l’Associazione per il benessere della
classe lavoratrice (Foreningen for Arbeidsklassens Vel) sorta per iniziativa di Peter Fre-
derik Lunde (1803-1893), industriale liberale attento ai problemi sociali; esse nel 1853
confluirono nell’Associazione dei lavoratori (Arbeiderforeningen). La prima di queste,
benché sorta con scopi di carattere formativo, acquisì in seguito valenza politica. Presi-
dente dell’Associazione dei lavoratori (che per un periodo collaborò con la Società degli
amici dei contadini, su cui immediatamente sotto) fu Christian Vilhelm Rimestad (1816-
1879). Quando la cooperazione si interruppe Jens Andersen Hansen (vd. nota 40) diede
vita alla Associazione dei lavoratori di Copenaghen (Kjøbenhavns Arbejderforening, 1856)
mentre nel 1860 Rimestad fondò una nuova Associazione dei lavoratori (Arbejderforening)
che avrebbe acquisito grande importanza.
39
Che sarebbero culminate nella sommossa della primavera del 1848 in Selandia;
vd. Bjorn Cl., Frygten fra 1848. Bonde- og husmandsuroen på Sjælland i foråret 1848,
Odense 1985.
40
Principali promotori ne furono l’insegnante e agitatore sociale Asmund Christian
Gleerup (1809-1865); l’agronomo e industriale della carta Johan Christian Drewsen
(1777-1851); il giurista Balthasar Christensen (1802-1882), già redattore del giornale
liberale La Patria (Fædrelandet, cfr. p. 864, nota 19 e qui nota 18); i politici Orla Lehman
e Anton Frederik Tscherning (vd. p. 863) che ne fu presidente. Organo della società
divenne L’amico del popolo (Almuevennen), uscito tra il 1842 e il 1856 (negli ultimi
quattro anni Foglio popolare, Folkebladet) fondato da Jens Andersen Hansen (1806-
1877), una figura che molto avrebbe significato nella politica danese (vd. poco oltre).
Un importante collaboratore di questo periodico fu Peder Hansen Lundby (1801-1854),
contadino egli stesso.
41
Nell’ambito della Sinistra e in relazione alla costituzione del 1849 vanno menzio-
nati anche i cosiddetti “convegni all’ippodromo” (hippodrommøderne), incontri svoltisi
nel 1848 all’ippodromo di Copenaghen, i cui partecipanti (rappresentanti di questa
parte politica, ma anche liberali di ampie vedute) si confrontarono su diverse questioni

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962 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

nel quale tuttavia non sarebbero mancati, fin dagli inizi, quei con-
trasti che anche successivamente ne avrebbero determinato una
scomposizione e una (temporanea) ricomposizione. Del resto,
benché restassero (anzi si accentuassero) le differenze tra contadi-
ni proprietari delle terre e braccianti, la situazione nel mondo
agrario era notevolmente migliorata in quanto il governo aveva
acconsentito a diverse richieste, abolendo antichi privilegi dei
signori.42 I quali ultimi nel 1864 costituirono il gruppo noto come
Possidenti nazionali (De Nationale Godsejere) naturalmente orien-
tato a destra e che il partito della Destra (Højre) avrebbe contribui-
to a costituire nel 1881. Una grande importanza aveva avuto fin dai
primi decenni dell’Ottocento la componente nazional-liberale che
reclamava le riforme e si batteva per la questione dei ducati, indi-
cando come confine meridionale irrinunciabile la linea segnata dal
corso del fiume Eider. I nazional-liberali avevano avuto molta voce
in capitolo nell’elaborazione della costituzione del 1849, ma in
seguito alla sconfitta del 1864 (al termine di una guerra che i loro
rappresentanti avevano sostenuto) persero gran parte del proprio
consenso e finirono per spostarsi, inevitabilmente, a destra.43
L’insuccesso del 1864 doveva in effetti rimescolare le carte
della politica. L’anno successivo i medesimi nazional-liberali
davano vita all’Associazione del popolo danese (Dansk Folkefore-
ning) il cui scopo era di rinnovare lo spirito nazionale, rafforzan-
do i legami con gli abitanti danesi dello Schleswig. Anima dell’as-
sociazione era, ancora una volta, Orla Lehman (alla cui morte

politiche di attualità. Sulla storia della Sinistra danese vd. Nørgaard F. – Jensen H.
(red.), Venstres Historie i Danmark gennem 100 Aar, I-II, Odense 1937-1938. Si pre-
cisa che il termine ‘Sinistra’ va qui inteso nel senso di opposizione liberale alle forze
conservatrici.
42
 Tra le leggi che favorirono il progresso del mondo rurale ci fu nel 1845 la libe-
ralizzazione del commercio dei prodotti agricoli (Fr., ang. Opkiøb af landmandens
Producter, 23 aprile 1845) e nel 1861 (19 febbraio) un decreto che favoriva coloro
che conducevano un podere in enfiteusi (anche se in esso si teneva debito conto degli
interessi dei proprietari terrieri): Lov om nogle Forandringer i Fæstelovgivningen.
43
 L’Eider (danese Ejderen) scorre a sud dello Schleswig. Fin dall’inizio del IX
secolo questo corso d’acqua aveva avuto grande importanza nella determinazione di
una linea di confine tra i territori tedeschi e quelli danesi (cfr. p. 233 e pp. 1413-1414).
La ‘politica dell’Eider’ (Ejderpolitiken) venne formulata da Orla Lehman (vd. p. 863)
fin dal 1842 e sostenuta nel corso di quelli che sono ricordati come gli “incontri al
Teatro Casino” (Casinomøderne) tenuti nel marzo del 1848 a Copenaghen (si ricordi
che subito dopo in quello stesso mese fu insediato il “governo di marzo”; vd. p. 863).
In sostanza i promotori di questa idea davano per scontata la rinuncia al ducato del
Holstein, mentre ritenevano che lo Schleswig dovesse far parte integrante del Regno
danese. In effetti la responsabilità politica delle due guerre per i ducati (1851-1854
e 1864) ricade in gran parte, nel bene e nel male, sui nazional-liberali.

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Verso le democrazie nordiche 963

infatti essa non sopravvisse).44 Questa politica lo allontanava (e


con lui l’associazione) dal partito agrario, benché quasi vent’anni
prima egli fosse stato uno dei promotori della Società degli amici
dei contadini. Del resto il medesimo partito, che da quella era
originato, avrebbe poi realizzato un accordo – la cosiddetta “asso-
ciazione di ottobre” (oktoberforeningen, 1865) – con i Possidenti
nazionali per difendere i comuni interessi: un’alleanza che fun-
zionò al meglio solo inizialmente ma venne sciolta (per l’evidente
incompatibilità delle politiche perseguite) nel 1870. Un’altra
associazione, di impronta chiaramente conservatrice, fu la cosid-
detta “associazione di agosto” (augustforeningen), sorta nel 1864,
che tra l’altro sottolineava il primato della Corona; essa cessò la
propria attività nel 1869. Nel 1866 nasceva il Partito di centro
(Mellempartiet)45 che cessò di esistere dieci anni dopo (quel che
ne restava confluì nella Destra); nel 1870 le diverse ‘anime’ della
Sinistra si riunirono dando vita alla Sinistra unita (Det forenede
venstre) sulla base di un accordo che tuttavia non avrebbe sanato
i contrasti interni a questo schieramento il quale avrebbe in segui-
to conosciuto nuove e profonde divisioni. Una situazione, come
si vede, in pieno divenire nella quale le forze politiche danesi si
misurarono sui temi fondamentali, volendo far prevalere la propria
idea di Stato e di sovranità. Del resto alcuni di questi gruppi (come
i nazional-liberali e i contadini) lo avevano già fatto concretamen-
te contribuendo alla redazione della costituzione liberale del 1849.
Questo documento, per l’epoca assai avanzato, certamente non
accontentava le componenti più reazionarie della società danese
le quali, dunque, si erano poste l’obiettivo di una sua revisione.
Per altro i conservatori, nonostante gli incalzanti cambiamenti
sociali del 1849, erano presto tornati al potere: già dal mese di
novembre di quel medesimo anno era stato nominato un nuovo
governo nel quale essi si riprendevano gli spazi che in marzo
erano stati occupati dai nazional-liberali; essi avrebbero mante-
nuto la guida del Paese fino al 1854. Nel dicembre di quell’anno
il governo passò invece ai nazional-liberali che lo ressero (con una

44
Rappresentanti eminenti del gruppo furono anche Carl Christian Hall (1812-1888,
cfr. nota 47) e il giornalista Carl Steen Andersen Bille (1828-1898) che dal 1852 pub-
blicò il Foglio quotidiano (Dagbladet), autorevole organo di stampa che dava voce
all’opinione dell’alta borghesia (negli ultimi decenni del secolo il giornale perse di
importanza ma fu comunque pubblicato fino al 1931).
45
I suoi rappresentanti principali furono Jakob Marius Elieser Kristian Gad (1827-
1902), Carthon Kristoffer Valdemar Nyholm (1829-1912) e Niels Christian Frederik-
sen (originariamente Friderichsen, 1840-1905).

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964 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

breve interruzione)46 fino al 1864, quando il disastroso risultato


della seconda guerra per i ducati alienò loro, come detto, il sostegno
della pubblica opinione.47
La discussione sulle modifiche costituzionali riprese vigore nel
1865. In quell’anno il governo del Paese era stato affidato al conte
Christian Emil Frijs (Christian Emil Krag-Juel-Vind-Frijs, 1817-
1896), grande possidente terriero. Costui, come si è detto, aveva
trovato un accordo con il Partito dei contadini guidato da Jens
Andersen Hansen,48 il quale riteneva di poter lucrare utili risultati
dall’alleanza: in realtà, benché i contadini desiderassero difendere
la costituzione liberale del 1849, il mutato clima politico indusse
Hansen ad accettare le proposte di revisione (il che, in sostanza
consegnava il Senato ai proprietari terrieri) e, dal momento che
anche i nazional-liberali si dichiararono favorevoli, la Costituzione
riveduta (Den gennemsete Grundlov) fu siglata dal sovrano Cristia-
no IX di Glücksburg (1818-1906) il 28 luglio 1866.49 Seppure in
sostanza politicamente sconfitto, il Partito dei contadini seppe
superare (almeno temporaneamente) le divisioni interne e nel 1870
confluì nella Sinistra unita. Due anni dopo, grazie a un programma
elettorale incentrato su richieste di maggiore libertà (sia dal punto
di vista individuale sia da quello, non meno rilevante, del carico
fiscale) questa formazione ottenne alle elezioni la maggioranza alla
Camera. Ciò non fu tuttavia sufficiente a far sì che il governo del
Paese fosse affidato ai suoi rappresentanti. Sebbene – da una par-
te – avesse saputo incanalare il malcontento dei contadini per il
persistere di vecchi tributi (come le decime), l’insoddisfazione per
l’esclusione (dagli ‘alti ceti’ ritenuta ‘scontata’) dalle cariche di
responsabilità e (di conseguenza) dalla gestione del denaro pubbli-
co, e – dall’altra – dar voce al ‘rinnovamento dal basso’ espresso
dai movimenti religiosi autonomi (non da ultimo quello promosso
46
Il riferimento è al governo di Carl Eduard Rotwitt (1812-1860) del partito degli
Amici dei contadini che fu presidente del consiglio per un breve periodo dal 2 dicem-
bre 1859 all’8 febbraio 1860 (data della morte): tuttavia nella sua compagine di mini-
stri oltre a lui (in realtà nominato per la considerazione di cui godeva piuttosto che per
l’appartenenza politica) vi era un solo rappresentante di quel partito. Fino alla forma-
zione del secondo gabinetto Hall (24 febbraio; cfr. nota successiva) fu sostituito dal
barone Carl Frederik Axel von Blixen-Finecke (1822-1873).
47
In questo periodo il loro miglior rappresentante fu, probabilmente, il primo
ministro Carl Christian Hall che fu in carica una prima volta dal 13 maggio 1857 al 2
dicembre 1859 e una seconda volta dal 24 febbraio 1860 al 31 dicembre 1863.
48
Sul quale cfr. sopra, nota 40.
49
Cristiano di Glücksburg era succeduto a Federico VII nel 1863, in base agli
accordi seguiti alla guerra dei tre anni (1848-1850) per lo Schleswig e il Holstein (cfr.
p. 863, nota 18).

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Verso le democrazie nordiche 965

da Grundtvig),50 la Sinistra restava sostanzialmente disunita in


quanto i suoi migliori rappresentanti erano portatori di idee diver-
se quando non contrastanti.51 In questa situazione era assai diffici-
le, se non impossibile, far valere la ‘legge dei numeri’. Fu così che
i governi successivi furono costituiti dai nazional-liberali e dai
grandi proprietari terrieri. E quando questi cedettero il passo, lo
cedettero alla Destra. La Destra si era formata dalla confluenza di
gruppi politici conservatori e aveva, evidentemente, l’appoggio
della Corona. Tradizionalmente vi aderivano i rappresentanti dell’al-
ta borghesia cittadina, così come dei poteri economici, ma anche
la gran parte dei componenti del ceto medio. Inoltre vi trovarono
spazio i proprietari terrieri e ciò che restava del Partito di centro e
dei nazional-liberali. Essa traeva forza anche dalla reazione al
socialismo, la nuova corrente politica che si consolidava in diretta
conseguenza dell’espandersi di una classe di proletari formatasi in
seguito al processo di industrializzazione.
Fondatore del ‘movimento operaio’, il futuro partito socialde-
50
Su N.F.S. Grundtvig vd. sopra, pp. 883-884, p. 886 e pp. 914-915.
51
Fin dall’inizio in quest’area si era determinata una divergenza che vedeva contrap-
poste un’anima ‘grundtvigiana’ e ‘nazionale’ e una ‘popolare’. All’interno della Camera
si era poi formato il gruppo dei cosidetti bjørnbakkerne (letteralmente “i bjørnbakkiani”
guidati da Geert Henrik Winther, 1813-1905), legati a un attivista politico dello Jutland
di nome Lars Bjørnbak (1824-1878) che era stato tra i fondatori (1862) dell’Associazio-
ne del popolo jutlandese (Den jyske folkeforening), allo scopo di difendere la costituzio-
ne del 1849, promuovere il progresso del popolo e opporsi a spese in campo militare.
Altre figure di rilievo erano quelle dei grundtvigiani Sophus Høgsbro (1822-1902),
leader dell’ala ‘nazionale’ e presidente della Camera tra il 1887 e il 1901 e Frede Bojsen
(1841-1926), il mediatore che avrebbe concluso nel 1894 un accordo con la Destra (vd.
p. 968). Più radicali furono il popolarissimo Christen Berg (1829-1891), promotore di
diversi giornali tra cui il Foglio del mattino (Morgenbladet, 1873-1892) di Copenaghen,
che pure era stato fortemente influenzato da Grundtvig; Viggo Hørup (1841-1902) ed
Edvard Brandes (1847-1931), fratello del più celebre Georg (vd. oltre, p. 1073; su di lui
vd. Hvidt Kr., Edvard Brandes. Portræt af en radikal blæksprutte, København 1992).
Figure di rilievo della Sinistra furono anche Niels Thomasius Neergaard (1854-1936),
di formazione accademica, autore di un obiettivo e ‘classico’ resoconto sui fatti politici
del periodo dal titolo Con la costituzione di giugno, una presentazione della storia politi-
ca del popolo danese tra il 1848 e il 1866 (Under Junigrundloven, en Fremstilling af det
danske Folks politiske Historie 1848–1866, uscito in tre parti a Copenaghen tra il 1889
e il 1916) e Ludvig Holstein-Ledreborg (1839-1912) che sebbene sia considerato uno
dei grandi leader della Sinistra rimane in una posizione particolare in quanto converti-
tosi al cattolicesimo e ritiratosi dalla politica dopo aver constatato l’inefficacia di molti
suoi sforzi. Voce di questa parte furono diversi giornali: oltre a quelli sopra citati si
ricordino qui L’amico del popolo (Almuevennen) di Hansen (vd. sopra, nota 40), le
Notizie dello Jutland settentrionale (Nørrejyske Tidende, fondato nel 1848 a Aarhus,
pubblicato da Winther dal 1850, cessato nel 1973), le Notizie popolari danesi (Dansk
Folketidende, di notevole successo, uscito a Copenaghen tra il 1865 e il 1883 e curato
da Høgsbro) e il Notiziario provinciale di Sorø (Sorø Amtstidende, 1845-1863).

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966 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

mocratico, era stato nel 1871 Louis Pio (1841-1894). Dopo un’in-
fanzia difficile, sia per motivi economici sia per problemi familiari,
egli era stato per un periodo insegnante, poi impiegato postale,52
un lavoro sicuro che tuttavia avrebbe lasciato per dedicarsi alla
politica. Influenzato dalle idee socialiste (soprattutto dal tedesco
Ferdinand Lassalle, 1825-1864), cominciò − con la collaborazione
del cugino Harald Brix (1841-1881) − a pubblicare i propri scritti
e in seguito si adoperò per fondare una sezione danese dell’Inter-
nazionale socialista, l’Associazione internazionale dei lavoratori di
Danimarca (Den internationale arbejderforening for Danmark)
sorta il 15 ottobre 1871 a Copenaghen. Nel maggio del 1872 Pio
fu arrestato insieme al cugino e a Poul Johansen Geleff (nato nel
1842, morto in America in data ignota) per aver convocato una
manifestazione operaia.53 Condannato a cinque anni di prigione fu
comunque liberato in anticipo e riprese l’attività politica. In con-
trasto con molti dei suoi e costantemente tenuto d’occhio dalla
polizia, decise infine di trasferirsi in America (Kansas) con l’idea
di fondarvi una comunità modello. Progetto che, per altro, fallì. In
patria il lavoro da lui avviato andò comunque avanti e nel 1878
nacque l’Associazione socialdemocratica (Socialdemokratisk
Forbund), un partito (i cui primi due rappresentanti in parlamento
vennero eletti nel 1884)54 destinato a rivestire un’importanza fon-
damentale per il Paese: esso recepiva pienamente le idee socialiste
(tra l’altro considerava la Chiesa come un naturale avversario) ma
non aveva tendenze rivoluzionarie. Suo organo di stampa fu Il
socialista (Socialisten) fondato dallo stesso Luis Pio nel 1871.55 Dopo
l’imprigionamento di Pio e dei suoi compagni i lavoratori diedero
vita a diversi sindacati, tuttavia a causa della crisi economica degli
anni ’70 un organismo forte e rappresentativo sarebbe sorto solo
alla fine del secolo.
La Destra stava, per il momento, al potere. E al potere salda-

52
È noto che fu proprio Pio a disegnare le caratteristiche cassette postali di colore
rosso che si vedono ovunque in Danimarca.
53
Vd. nota 90.
54
Si trattava di Peder Thygesen Holm (1848-1898) e di Christen Ivar Hørdum
(1846-1911).
55
Il giornale, stampato a Copenaghen, si chiamò in seguito (1874-1959) Il socialde-
mocratico (Social-Demokraten) e poi Attualità (Aktuelt, 1959-2001), per un decennio
tuttavia (1987-1997) Attualità libera (Det Fri Aktuelt). In precedenza (dal 1871) Louis
Pio aveva pubblicato i Fogli socialisti (Socialistiske Blade) che furono poi sostituiti da
Il socialdemocratico. Tra i primi giornali dei socialisti vanno segnalati anche il Settima-
nale socialdemocratico (Socialdemokratisk Ugeblad, 1883-1884) di Aarhus, divenuto in
seguito Il democratico (Demokraten) e uscito fino al 1974.

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Verso le democrazie nordiche 967

mente restò a partire dal 1875, quando fu nominato primo ministro


Jacob Brønnum Scavenius Estrup (1825-1913), uomo politico
sicuro delle proprie idee e assai determinato (verrebbe da dire
ostinato) che avrebbe governato la Danimarca per ben diciannove
anni. Un governo basato non tanto sulla forza parlamentare quan-
to piuttosto sulla disinvoltura politica (verrebbe da dire sulla
spregiudicatezza) dello stesso Estrup. Sordo a ogni richiesta di un
parlamentarismo che riflettesse la volontà della maggioranza dei
votanti (le elezioni del 1876 avevano segnato un significativo pro-
gresso della Sinistra unita), nel 1877, di fronte al rifiuto della
Camera di approvare la legge finanziaria, egli decise di sciogliere
il parlamento e, appellandosi a un codicillo della costituzione, la
emanò comunque. Questa decisione sparigliò le file dell’opposi-
zione, al cui interno si formarono due correnti: una moderata
(raccolta intorno a Frede Bojsen) e una radicale (i cui principali
rappresentanti erano Viggo Hørup e Christen Berg); nel 1879
quest’ultima ottenne le preferenze degli elettori a scapito della
prima. Il ‘problema Estrup’ restò comunque irrisolto. Ci fu, nel
tentativo di indebolire il suo potere, un successivo riavvicinamen-
to all’interno della Sinistra e fu concordato di mettere in atto un
ostruzionismo parlamentare che rendesse impossibile l’azione del
governo,56 il quale però apriva ora un nuovo fronte, quello della
difesa. Dopo l’amara sconfitta del 1864, la propaganda della Destra
voleva concentrare gli sforzi per la protezione del Paese da even-
tuali attacchi fortificando la capitale. Sul fronte opposto si era,
naturalmente, contrari. Ma mentre l’ala della Sinistra moderata
riteneva che la difesa dovesse essere organizzata in modo diverso
(innanzi tutto affidandola a un esercito popolare), quella radicale
era ostile per principio a qualsiasi spesa di carattere militare. Ciò
determinò una violenta disputa politica e, soprattutto, una nuova
definitiva rottura.57 Il politico più radicale, Viggo Hørup, formò
un proprio gruppo e fondò insieme a Edvard Brandes58 il giornale
La politica (Politiken) che, pubblicato a partire dal 1884, è tuttora
uno dei più diffusi quotidiani danesi. Nonostante la passata colla-
borazione con Hørup, Berg e i suoi si aggregarono all’ala modera-
ta che conservava un’impronta grundtvigiana e, per taluni aspetti,
nazional-liberale. A dispetto di queste divisioni la Sinistra aumen-
tava (ora anche nelle città) i propri consensi e nelle elezioni del
56
La cosiddetta visnepolitik, la “politica del [lasciar] appassire” qualsiasi proposta
del governo.
57
Vd. Hvidt Kr., Venstre og forsvarsagen 1870-1901, Aarhus 1960.
58
Vd. nota 51 e p. 1110.

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968 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

1884 ottenne una nuova significativa vittoria. Estrup però andava


avanti per la sua strada, affidandosi a leggi (finanziarie ma non solo)
provvisorie, sicché gli anni tra il 1885 e il 1894 sono stati definiti “il
periodo provvisorio” (provisorietiden). Con atteggiamento per
certi versi dittatoriale egli (inviso alla gran parte dell’elettorato
ma sostenuto dal sovrano) impose la propria volontà su diverse
questioni, fece costruire la fortificazione di Copenaghen, limitò la
libertà di stampa e, in sostanza, defraudò il parlamento delle sue
prerogative. Persino un illustre politico di destra come Andreas
Frederik Krieger (1817-1893) si oppose ai suoi metodi, rilevando
l’anticostituzionalità delle sue decisioni.59 Nonostante i successi
elettorali, dunque, la politica della Sinistra non aveva prodotto
risultati concreti. A questo punto si cercò una mediazione, affidata
al moderato Frede Bojsen che tentò di trovare un punto di intesa
con i rappresentanti dell’opposto schieramento più disposti al dia-
logo: il risultato fu che nel 1894, per la prima volta, la legge finan-
ziaria fu approvata secondo la procedura legislativa regolare e che
alcuni mesi dopo Estrup lasciò l’incarico. Ma la reazione dei più
radicali a questo accordo fu tutt’altro che di approvazione, il che
fruttò loro uno straordinario risultato nelle elezioni del 1895: lo
stesso anno in cui essi diedero vita al Partito riformista della sinistra
(Venstrereformpartiet), il cui leader divenne Jens Christian Christensen
(1856-1930), che raccoglieva l’eredità politica di Christen Berg. Gli
altri rappresentanti della Sinistra formarono un gruppo a parte che
venne tuttavia perdendo influenza e consensi. Nelle elezioni del 1898
la Destra subì una nuova pesante sconfitta; ciò nonostante per ben
due volte vennero ancora nominati primi ministri appartenenti a
quello schieramento. Ormai però tempi nuovi erano maturi e nelle
votazioni del 1901 il fallimento di quella parte fu evidente. Alla fine
la condotta governativa di Estrup ma anche la mancanza di un
nuovo autentico leader e il disaccordo sulla linea politica l’avevano
gravemente danneggiata. Fu così che Cristiano IX dovette rinuncia-
re a governi per lui ‘rassicuranti’ e il 24 giugno nominò primo
ministro Johan Henrik Deuntzer (1845-1918) che diede dunque il
via a un esecutivo i cui ministri appartenevano tutti al Partito rifor-
mista della sinistra. Questo “cambiamento di sistema” (systemskiftet)
rappresenta un’autentica svolta nella storia danese in quanto segna
l’affermazione del parlamentarismo. Del governo Deuntzer faceva
parte naturalmente anche Jens Christian Christensen, che ne era il

59
Su di lui vd. Jørgensen Troels G., Andreas Frederik Krieger. Juristen – politikeren
– borgeren, København 1956.

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Verso le democrazie nordiche 969

vero ispiratore e che a Deuntzer sarebbe succeduto nel 1905. Seb-


bene la situazione non fosse facile (il Senato restava in mano alla
Destra) esso condusse un’intelligente strategia, portando a compi-
mento diverse riforme.
Sulla strada della Sinistra si sarebbero tuttavia frapposti due
nuovi ostacoli: una nuova spaccatura e uno scandalo. La spacca-
tura fu diretta conseguenza della questione della difesa, un tema
sul quale non si era riusciti a trovare un compromesso soddisfa-
cente: quando Christensen, in qualità di primo ministro, si rese
conto che – considerata la situazione europea – non era più pos-
sibile eludere il problema e si espresse a favore di un rafforzamen-
to militare del Paese, una parte dei rappresentanti della Sinistra
decise di formare un gruppo autonomo dal quale avrebbe poi
avuto origine la Sinistra radicale (Det radikale Venstre),60 un par-
tito che avrebbe presto iniziato con i socialdemocratici una natu-
rale collaborazione, dalla quale entrambe le parti avrebbero tratto
profitto. Per il momento tuttavia il resto degli uomini della Sinistra
si ricompattò recuperando anche i moderati dello schieramento.
Lo scandalo fu il clamoroso affaire Alberti. Peter Adler Alberti
(1851-1932) era un moderato della Sinistra (per certi aspetti addi-
rittura vicino alla Destra), fondatore del giornale Dannebrog:61
persona assai capace ma senza scrupoli, soprattutto per quanto
riguardava le questioni finanziarie (in ciò certamente condiziona-
to dal vizio del gioco). La sua carriera politica era stata segnata da
sospetti e scorrettezze, tuttavia egli si era conquistato una posizio-
ne di tutto rilievo divenendo ministro della giustizia in quanto,
Deuntzer prima e Christensen poi, gli avevano accordato fiducia.
Fiducia immeritata perché quando l’8 settembre del 1908 Alberti
fu costretto ad autodenunciarsi per aver sottratto quindici milioni
di corone62 il primo ministro Christensen dovette dimettersi. Per
lo schieramento di governo si trattò di un colpo durissimo e dopo
due esecutivi (guidati da Niels Neergaard e da Ludvig Holstein-
Ledreborg) alle elezioni del 1909 essa perse molti seggi alla Came-
ra. Nel frattempo si era però riusciti a definire un accordo sull’an-
noso problema della difesa e a ricompattare le file del partito per
il quale fu scelto il semplice nome di Sinistra (Venstre) e nelle
elezioni del 1910 furono riconquistate in parte le posizioni perdu-
60
I suoi rappresentanti più significativi furono il sopra citato Edvard Brandes, Carl
Theodor Zahle (1866-1946), Ove Rode (1867-1933) e Peter Rochegune Munch (1870-
1948). Vd. Fog-Petersen G. (red.), Det Radikale Venstres Historie, I-II, Odense 1938-1939.
61
Il titolo fa riferimento alla bandiera danese (vd. pp. 334-335).
62
Il corrispondente di circa centoventi milioni di euro.

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970 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

te, sicché Klaus Berntsen (1844-1927) poté costituire un esecutivo


che governò fino al 1913. I radicali, che in seguito al caso Alberti
nell’autunno del 1909 avevano formato un governo di minoranza
di breve durata,63 consideravano prioritaria una nuova revisione
costituzionale, un tema ripreso da Berntsen nel 1912 ma che
incontrava l’evidente opposizione della Destra. Nel frattempo la
collaborazione fra la Sinistra radicale e i Socialdemocratici, il cui
nuovo leader era l’esperto Thorvald Stauning (1873-1942), aveva
dato buoni frutti. Il risultato fu che alle elezioni del 1913 la Sinistra
perse consensi a favore di questi partiti che ottennero la maggio-
ranza alla Camera. Fu così possibile affidare il nuovo governo al
radicale Carl Theodor Zahle,64 il quale approfittando della debo-
lezza della Destra (sfavorita anche dal sistema elettorale maggio-
ritario) ottenne (1914) nuove elezioni per il Senato che determi-
narono la sconfitta degli avversari. Il che nell’anno successivo
avrebbe aperto le porte a una importante revisione costituzionale
che introduceva anche il diritto di voto alle donne.65
Nel Paese la lotta per ottenere questo risultato era stata lunga.
Infatti dal 1835 (anno in cui avevano cominciato a funzionare le
assemblee regionali)66 l’accesso al voto era consentito solo a chi
fosse di sesso maschile, avesse almeno 25 anni, possedesse delle
terre, non avesse problemi con la giustizia né debiti e non fosse
sotto tutela. È del tutto evidente che in tal modo questo diritto
restava riservato a una minoranza. Con la costituzione del 1849
l’età minima per votare fu innalzata a 30 anni, tuttavia il possesso
di terre fu sostituito dal diritto di cittadinanza. Ma la legge eletto-
rale continuò a discriminare le donne, coloro che appartenevano
alla servitù, avevano commesso reati, erano sotto tutela o falliti, così
come gli indigenti e gli stranieri. Inoltre essa prevedeva per la
Camera l’elezione diretta, ma indiretta per il Senato (del quale
potevano far parte solo persone dotate di un cospicuo patrimonio).67
Fin dal 1886 il politico Frederik Bajer (1837-1922)68 aveva propo-

63
Si tratta dell’esecutivo presieduto da Carl Theodor Zahle (cfr. nota 60) il quale
restò in carica, con l’appoggio dei socialdemocratici, tra il 28 ottobre 1909 e il 5 luglio
1910.
64
Cfr. nota precedente.
65
Danmarks Riges Grundlov af 5. juni 1915. Significativamente siglata il 5 giugno,
medesimo giorno dell’emanazione della costituzione del 1849 (cfr. p. 864 con nota 20).
66
Vd. p. 862 con nota 10.
67
Dal punto di vista elettorale la costituzione revisionata del 1866 introdusse ulte-
riori restrizioni per l’elezione del Senato, il che accentuò la sua caratteristica di assem-
blea che rappresentava le classi privilegiate.
68
Cfr. nota 19 e p. 1057.

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Verso le democrazie nordiche 971

sto di concedere il diritto di voto per le elezioni comunali a Cope-


naghen alle donne che pagavano le tasse. La proposta, seppure
bocciata in Senato, diede l’avvio a un dibattito sull’argomento e a
nuove proposte, tuttavia ancora respinte. Nel 1907 venne fondata
da Elna Munch (1871-1945) l’Associazione nazionale per il diritto
di voto delle donne (Landsforeningen for Kvinders Valgret)69 e nel
1908 fu raggiunto un primo importante risultato: il suffragio alle
elezioni comunali.70 Come detto, una piena parità di diritti eletto-
rali sarebbe stata raggiunta con la costituzione del 1915 che avreb-
be finalmente consentito l’accesso al voto anche agli appartenenti
alla servitù.
Ma torniamo al 1914: mentre sul fronte interno si vivevano
importanti cambiamenti, sullo scenario europeo deflagrava il primo
conflitto mondiale. Un evento alle cui conseguenze la ‘piccola
Danimarca’ non avrebbe potuto sottrarsi né dal punto di vista
politico né, tanto meno, da quello economico-sociale.
Nel Paese durante la seconda metà dell’Ottocento si constatano
gli effetti dello sviluppo tecnologico. Nel campo dell’agricoltura
(dove ci si avvantaggia della diffusione di nuovi macchinari) attorno
agli anni ’80 (un periodo di crisi in questo settore) si verificherà
(soprattutto a causa della forte concorrenza straniera nelle esporta-
zioni di grano) un importante cambiamento: il passaggio dalla
coltivazione dei prodotti vegetali (in particolare cereali) a una pro-
duzione incentrata soprattutto sull’allevamento. Inoltre i contadini
danesi vedranno esaudite una serie di richieste, non da ultima
l’abolizione delle decime.71 Grazie anche alla presenza di propri

69
In precedenza (1904) ella aveva fondato l’Associazione politica delle donne
(Politisk Kvindeforening), fortemente orientata a sinistra. Elna Munch aveva infatti
idee radicali ed entrò a far parte del partito della Sinistra radicale fin dalla fondazione.
Nell’articolo “La battaglia delle donne per il diritto di voto” (“Kvindernes valgretskamp”),
comparso sulla rivista Il nuovo secolo (Det ny Aarhundrede, 1906: II, pp. 349-359), ella
riassume la lotta per una pari dignità a partire dalla rivoluzione francese. Elna Munch
fu una delle prime donne danesi a essere eletta in parlamento. Oltre che per il diritto
di voto si adoperò per il raggiungimento della parità di trattamento salariale fra uomi-
ni e donne e all’interno del matrimonio. Inoltre si espresse a favore dell’ammissione
delle donne al sacerdozio (cfr. più avanti, pp. 1070-1072).
70
Per la verità già in precedenza le donne erano state ammesse a votazioni di mino-
re importanza come i consigli parrocchiali, le commissioni comunali per l’infanzia, gli
enti di gestione dell’assistenza sociale.
71
Si vedano le leggi dell’8 maggio 1894 (Lov om Adgang til at afløse Tiender) e,
soprattutto, quella del 15 maggio 1903 (Lov om Afløsning af Tienden, con relativa
notifica del 1 ottobre successivo). In quella stessa data fu anche riformato il sistema
fiscale (vd. in particolare: Lov om Ejendomsskyld e Lov om Indkomst- og Formueskat
til Staten).

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972 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

rappresentanti alla Camera, la loro situazione appare palesemente


migliorata, il che si riflette positivamente non solo nello stile di
vita ma anche sul piano più generale del sistema produttivo nazio-
nale.72 Se la perdita dello Schleswig aveva sottratto terreni alla
coltivazione, si cominciò ora a lavorare per rendere coltivabili le
distese abbandonate73 e sorsero istituzioni (come casse di risparmio,74
cooperative75 e assicurazioni) destinate a favorire lo sviluppo
dell’economia agraria. Sul piano dell’industria si constatano note-
voli progressi con un generale incremento (o, comunque, un
miglioramento) delle strutture produttive: la lavorazione del ferro,
dei macchinari,76 del cemento77 e dei laterizi, del sapone, del tabac-
co, dello zucchero78 e degli alcolici (birra e acquavite)79 occupa un
crescente numero di persone. Accanto alle tradizionali piccole
imprese di stampo artigiano nascono i primi veri complessi indu-
striali.80 Parallelamente aumenta la quantità di merci scambiate

72
Agli inizi del XX secolo anche i piccoli coltivatori (husmænd, sing. husmand, che
tuttavia avevano una situazione giuridica diversa dai husmenn norvegesi, su cui vd. p.
717, nota 168) formarono delle associazioni di categoria per rivendicare i propri
diritti. Su di loro si veda Skrubbeltrang F., Husmænd i Danmark gennem 300 Aar,
København 1942.
73
In questo contesto va ricordato il ruolo svolto dalla Società danese delle brughie-
re (Det danske Hedeselskab, tuttora attiva), fondata nel 1866 dal giurista Georg Mor-
ville (Niels Georg Christian, 1817-1904) e dall’ufficiale e ingegnere Enrico Mylius
Dalgas (1828-1894).
74
Per la cui costituzione si adoperarono in diversi casi attivisti della Sinistra come
Lars Bjørnbak e Carl Christian Alberti (1814-1890), padre di Peter Adler Alberti.
75
Questi consorzi (che ebbero rapida diffusione) sorsero in primo luogo per la
produzione dei prodotti caseari e della carne. Vd. Ravnholt H., Il movimento coope-
rativo in Danimarca, Roma 1953.
76
Nel 1898 veniva fondata la A/S Vølund, importante fabbrica di macchinari tuttora
attiva, sviluppatasi da una semplice officina aperta nel 1875. Il nome Vølund fa riferimen-
to al celebre fabbro della mitologia nordica (vd. Chiesa Isnardi 20084 [B.7.1], pp. 439-442).
77
Nel cui ambito (e in quello dei macchinari relativi) si segnala la FLSmidth fonda-
ta a Copenaghen nel 1882 e tuttora attiva.
78
Nel 1872 Carl Frederik Tietgen (vd. p. 981) diede l’avvio alle Fabbriche danesi
dello zucchero (De danske Sukkerfabrikker) che inglobarono precedenti raffinerie.
L’attività è proseguita all’interno della Danisco che nel 2009 ha ceduto questo settore
alla tedesca Nordzucker.
79
La celebre fabbrica di birra Tuborg venne fondata nel 1874; nel 1881 le Fabbri-
che danesi di alcolici (De Danske Spritfabrikker) di Carl Frederik Tietgen (vd. nota
precedente) e Chresten Andreas Olesen (1845-1920).
80
Come il cantiere navale Burmeister & Wains Maskin- og Skibsbyggeri sorto nel
1871 a Christianshavn. L’impresa era dovuta originariamente all’iniziativa di Hans
Heinrich Baumgarten (1806-1875) che nel 1843 aveva aperto un’officina meccanica.
Successivamente egli era entrato in società con Carl Christian Burmeister (1821-1898)
e insieme avevano costruito la prima nave (1858). Poi Baumgarten si ritirò e Burmeister
portò avanti l’attività.

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Verso le democrazie nordiche 973

con l’estero da dove provengono su larga scala anche prodotti


coloniali divenuti d’uso comune.81
Fin dal 1838 esisteva a Copenaghen l’Associazione industriale
mercantile (Den merkantile industriforening i Kjøbenhavn)82 e nel
1872 e nel 1888 saranno organizzate nella capitale due grandi
esposizioni.83 La nuova concezione economica introdotta dal libe-
ralismo si afferma pienamente: nel 1857, in attuazione del dettato
costituzionale sulla libertà di impresa,84 veniva promulgata la Leg-
ge sulla gestione dell’artigianato e delle fabbriche e sul commercio e
la ristorazione ecc. che sarebbe entrata in vigore nel 1862;85 essa
introduceva la liberalizzazione del commercio ed eliminava le cor-
porazioni. Anche l’antica tassa doganale per il passaggio sull’Øre-
sund veniva ora abolita.86 Le nuove disposizioni incontravano
naturalmente la contrarietà dei membri di queste antiche consor-

81
 Nell’ambito del commercio va menzionata la nascita (1897) della Compagnia
dell’Asia orientale (Østasiatisk Kompagni), fondata da Hans Niels Andersen (1852-
1937), tuttora in piena attività (è nota come øk). Nell’ambito dell’industria navale il
varo (1912) del primo bastimento transoceanico, Selandia, spinto da motore diesel
anziché a vapore.
82
 Una precedente Società per l’artigianato nazionale (Selskabet for indenlandsk
Kunstflid) era sorta nel 1808 per iniziativa del naturalista Carl Gottlob Rafn (cfr. p.
775, nota 415), redattore della rivista Notizie dal commercio e dall’industria (Handels-
og Industrie-Tidende, che uscirà con diverse intitolazioni tra il gennaio 1782 e il dicem-
bre 1851). Aperta ai Danesi ma anche ai Norvegesi, essa aveva lo scopo di promuo-
vere i prodotti manufatturieri nazionali (a scapito delle importazioni dal nemico
inglese) anche premiando quelli migliori. Simili organismi erano poi sorti nel resto del
Paese. Nel 1911 l’Associazione mercantile industriale diverrà il Consiglio industriale
(Industrirådet), un organismo che nel 1990 confluirà nella [Confederazione del-
l’]industria danese (Dansk Industri). Di quest’ultima fa parte anche l’Associazione
danese dei datori di lavoro (Dansk Arbejdsgiverforening), sorta nel 1896 dall’unione
di diverse sigle minori.
83
Queste esposizioni, come quelle organizzate precedentemente e successiva-
mente a Stoccolma, Göteborg (vd. p. 993) e (di minori dimensioni) Christiania nel
1857 e nel 1861, furono ispirate all’ideale scandinavistico che ancora si voleva
perseguire.
84
Junigrundloven, VIII, § 88.
85
Lov om Haandværks- og Fabriksdrift samt Handel og Beværtning m.m. (29
dicembre 1857), successivamente modificata e integrata con un nuovo provvedi-
mento (23 maggio 1873: Lov om Forandring i og Tillæg til Lov om Haandværks- og
Fabriksdrift m.m. af 29de December 1857). Per una eliminazione dei dazi e un com-
mercio davvero libero si era adoperato soprattutto Andreas Peschcke Køedt (1845-
1929), imprenditore e politico che aveva soggiornato in Inghilterra, avendo modo di
conoscere da vicino la politica economica di quel Paese. Nel 1908 sarà emanata una
legge (dall’iter molto contrastato) per l’abbassamento dei dazi (Lov om Toldafgifterne,
5 maggio 1908).
86
Essa era stata introdotta da Erik di Pomerania nel 1427 o 1429 (vd. p. 440; cfr.
p. 532, nota 7).

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974 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

terie, riuniti in associazioni sorte allo scopo di difendere i propri


interessi.87
Dal canto suo il mondo operaio, dopo la crisi degli anni ’70, era
riuscito nel 1898 a creare il Coordinamento sindacale (De samvir-
kende Fagforbund), una organizzazione che raggruppava preceden-
ti associazioni di questo tipo.88 Sotto la guida di Jens Jensen (1859-
1928) essa riuscì – nonostante conflitti interni, diserzioni e un duro
scontro con il padronato – a porre le basi di un sindacalismo mode-
rato e capace, con una tattica accorta, di ottenere risultati concre-
ti e di migliorare gradatamente le condizioni di vita dei lavoratori.
Ciò si rifletté evidentemente sul partito socialdemocratico – suo
naturale riferimento politico – ed ebbe come conseguenza il rifiu-
to della rivoluzione proletaria (sostenuta da un numero limitato di
militanti) a favore di una strategia più realistica e, tutto considera-
to, più facilmente realizzabile.89 In questa prospettiva il mondo
operaio non mancò di dar vita alle prime manifestazioni e ai primi
scioperi90 e negli anni si cominciarono a vedere i risultati di queste
87
Fin dal 1840 il maestro falegname Johannes Lasenius Kramp (1808-1876) aveva
fondato a Copenaghen l’Associazione degli artigiani (Haandværkerforeningen), che fu
la prima di questo genere (vd. Bauer A., Haandværkerforeningen i Kjøbenhavn 1840-90.
En historisk Fremstilling, Udg. af Foreningen i Anledning af dens halvtredsaarige Jubi-
læum d. 20. Nov. 1890, København 1890).
88
Essa sta alla base dell’attuale grande sindacato detto Organizzazione nazionale
danese (Landsorganisationen i Danmark), comunemente noto con la sigla LO.
89
Ciò non significa affatto che il movimento disconoscesse le proprie radici socia-
liste, in quanto il suo programma restava, sostanzialmente, quello redatto nel 1876 nel
corso di un congresso dei socialisti danesi tenuto a Frederiksberg presso Copenaghen.
Esso conteneva richieste precise riguardanti l’orario di lavoro, la proibizione del lavo-
ro minorile, l’assistenza sociale e sanitaria, le condizioni abitative dei lavoratori ma
anche la separazione tra Stato e Chiesa, il diritto di voto a ventidue anni e l’abolizione
del Senato. In effetti una legge per la Cassa malattie fu approvata nel 1892 (Lov om
anerkendte Sygekasser, 12 aprile 1892) e nel 1898 una per l’aiuto economico in caso di
infortunio (Lov om Arbejderes Forsikring mod Følger af Ulykkestilfælde i visse Virksom-
heder, 7 gennaio 1898; vd. anche Bekendtgørelse om Opprettelse af Arbejderforsikrings-
raadet, 1 aprile 1898). Nei primi anni del Novecento, sotto il governo della Sinistra, fu
stabilito un contributo di disoccupazione (Lov om anerkendte Arbejdsløshedskasser, 9
aprile 1907).
90
Si ricordi qui la cosiddetta “battaglia del parco demaniale” (Slaget på Fælleden)
che ebbe luogo il 5 maggio 1872 tra gli operai che partecipavano a una manifestazione
di sostegno allo sciopero dei muratori e le forze dell’ordine (soldati e polizia). La
manifestazione era stata convocata da Louis Pio con un articolo su Il socialista (Socia-
listen), nr. 26 del 2 maggio. In seguito a ciò Pio e altri due attivisti erano stati impri-
gionati (cfr. p. 966) e la manifestazione vietata. Ciò nonostante migliaia di persone (tra
cui donne e bambini) si recarono all’appuntamento: ci furono scontri e i dimostranti
furono caricati all’arma bianca, col risultato che si contarono molti feriti. Questo
episodio ha assunto un grande significato simbolico nella storia del movimento ope-
raio danese. Si legga il testo dell’appello di Louis Pio alle pp. 975-977.

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Verso le democrazie nordiche 975

lotte: del 1873 è la prima legge che regolamenta il lavoro nelle


fabbriche, nella quale si tiene conto dell’occupazione dei bambini
e delle donne, nonché dell’orario e dei pasti; a essa altre, migliora-
tive, seguirono.91 Del 1899 è il cosiddetto “accordo di settembre”
(septemberforliget) tra l’organizzazione dei datori di lavoro e il sin-
dacato: un risultato (raggiunto dopo mesi di lotta e lunghe trattati-
ve) che vede per la prima volta il padronato accettare l’organizza-
zione dei lavoratori come interlocutore riconosciuto.92 Nel 1901
venne inoltre istituito l’Ispettorato del lavoro e delle fabbriche
(Arbejds- og Fabriktilsynet). Alla seconda metà del XIX secolo van-
no dunque riferite le principali organizzazioni e le prime leggi sulla
cui base si svilupperanno gli eventi politico-sociali del Novecento.

Nell’aprile del 1872 fu proclamato a Copenaghen uno sciopero degli


operai edíli che chiedevano migliori condizioni di lavoro. Con un artico-
lo sul giornale Socialisten Louis Pio esortò a sostenere gli scioperanti
partecipando a una grande manifestazione nel parco demaniale di Cope-
naghen, iniziativa che determinò il suo arresto e scontri fra i manifestan-
ti e le forze dell’ordine.93 Si legga di seguito il testo del suo appello:

“La misura è colma!


Presto farà giorno, fratelli, a est albeggia!94
Al lavoro avanti insieme!
Menzogne e calunnie nei giornali, comportamento illegale delle autorità,
91
Lov om Børns og unge Menneskers Arbeide i Fabrikker og fabrikmæssig drevne
Værksteder samt det Offentliges Tilsyn med disse (23 maggio 1873). In base a questo
provvedimento era vietato far lavorare nelle fabbriche bambini al di sotto dei dieci
anni e il loro orario non poteva superare le sei ore intervallate da una pausa di mezz’ora.
Con una legge successiva dell’11 aprile 1901 (Lov om Arbejde i Fabrikker og dermed
ligestillede Virksomheder samt det offentliges Tilsyn dermed) il limite d’età fu elevato a
dodici anni e l’orario ridotto a cinque ore e mezza (più mezz’ora di pausa, §§ 9-10).
Solo nel 1913 (29 aprile: Lov om Arbejde i Fabrikker m.v. samt det offentliges Tilsyn
dermed) vennero stabilite regole più severe (vd. in particolare: I, § 2 e IV, §§ 20-21).
Nella stessa data furono emanate altre disposizioni relative alla Cassa di assistenza
sociale, al sostegno alle vedove e all’ufficio di collocamento (vd. Haarløv V.R., “De
sociale Love af 1913”, in Nationaløkonomisk Tidsskrift, III: 21 [1913], pp. 321-348).
92
Overenskomst mellem Dansk Arbejdsgiver- og Mesterforening og De samvirkende
Fagforbund, 5 settembre 1899.
93
Vd. sopra, nota 90.
94
Le parole “Presto farà giorno fratelli” (Snart dages det Brødre) corrispondono ai
primi versi della Marcia dei socialisti (Socialisternes Marsch, 1872) scritta in occasione
della fondazione della sezione danese dell’Internazionale dei lavoratori dal poeta Ulrich
Peter Overby (noto con i soprannomi di Overbye e Johannes Barner, 1819-1879) e
musicata da Christian Joseph Rasmussen (1845-1908).

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976 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

odio e persecuzione da parte dei capitalisti, questo è il ‘venire incontro’, che


è dato alle nostre modeste ed economiche richieste da [questi] idioti rappre-
sentanti del potere. Hanno detto che si doveva cogliere l’occasione di mostra-
re chiaramente al lavoratore quanto egli sia dipendente dalla benevolenza
e dalla clemenza del capitale, per fargli sentire, quanto sia facile per la pic-
cola cricca al potere, in un modo del tutto legale per l’alta borghesia, farlo
morire di fame, se non piega il collo sotto il giogo, se non si umilia e chiede
loro la grazia di sgobbare come al solito per accrescere il contenuto dei
gonfi borsellini dell’alta borghesia.
E quanto non son bravi i nostri avversari a mettersi d’accordo quando si
tratta di una cosa del genere! Ministri, sindaco, questore, proprietari di
terreni e ricconi – tutti si sono dati da fare a complottare contro il popolo;
tutti loro sentono che ora si tratta di soffocare il germe della libertà, indif-
ferentemente dal fatto che ciò debba avvenire ‘con o senza’ la legge. Perciò
il ministero libera dai suoi impegni l’imprenditore edìle che lavora al teatro
reale, perciò la Corona chiama ogni giorno degli operai edíli, indipendente-
mente dal fatto che non abbiano commesso degli errori, perciò il sindaco
rinvia le prove degli apprendisti muratori, e ha anche la sfacciataggine di
voler rapinare il denaro delle corporazioni e dichiarare incapaci gli artigia-
ni e i lavoratori di Copenaghen, perciò la commissione per gli accertamenti
fiscali si accanisce con i muratori con lettere, perciò i proprietari di terreni
esigono spietatamente l’affitto dagli scioperanti; perciò gli insegnanti delle
scuole95 rimproverano i loro incolpevoli figli; perciò le associazioni assisten-
ziali rifiutano di aiutare i bisognosi fra di loro; perciò infine tutta la stampa
si scaglia contro di loro con menzogne, ingiurie, con disprezzo e minacce.
Lavoratori di Copenaghen!
Il nostro avversario più zelante e carico di odio, il redattore C. Ploug
spiega su ‘Fædrelandet’96 che ‘il bene comune della società esige nel modo
più deciso che questo tentativo (lo sciopero dei muratori) abbia termine, che
i lavoratori giungano a una migliore consapevolezza dei loro stessi interessi’,
il che in altre parole vuol dire che egli invita gli impresari edíli a far morire
di fame i loro operai, di modo che anche gli altri artigiani e lavoratori non
trovino il coraggio di cercare di migliorare le loro condizioni!
Dovremo dunque come agnelli farci portare al banco del macellaio del
capitale? Dovremo sopportare che i nostri nemici, forse per molti anni
arrestino il nostro progresso? No, i lavoratori di Copenaghen non faranno
una cosa del genere! Riuniamoci dunque; i governi hanno l’abitudine ogni
momento di passare in rassegna quelli, fra i loro sudditi, che alla prima
occasione che si presenta sacrificheranno sull’altare della follia bellica per
soddisfare la loro ambizione. Facciamo dunque per una volta il censimento
di tutti i lavoratori liberi, di tutti quelli che vogliono aiutarci nella lotta
contro il capitale, allora conosceremo la nostra vera forza e la debolezza dei

Letteralmente “scuole libere”, cfr. p. 884.


95

Il riferimento è a Carl Parmo Ploug, scrittore, giornalista e politico appartenente ai


96

nazional-liberali e collaboratore del loro giornale Fædrelandet (cfr. p. 953 e p. 864, nota 19).

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Verso le democrazie nordiche 977

nostri nemici; riuniti a migliaia presenteremo le nostre richieste e ci promet-


teremo a vicenda di condividere la buona e la cattiva sorte fino a che la
vittoria sarà nostra!
Ma voi, adoratori dell’oro, voi sanguisughe dei poveri! A voi noi voglia-
mo gridare ancora una volta: ‘Per millenni ci avete dato da bere una vita
amara; state in guardia adesso, la misura è colma! Non aggiungete neppure
una goccia, oppure – traboccherà!’”97

Importanti progressi si ebbero anche sul piano dell’assistenza


sociale che in precedenza era stata considerata una sorta di ‘aiuto
concesso ai poveri’,98 più che un dovere dello Stato nei confronti
dei cittadini. Una legge che istituiva le cosiddette “casse per i pove-
ri” (De fattiges Kasser), le cui risorse dipendevano comunque da
donazioni volontarie, venne emanata nel 1856.99 Provvedimenti
successivi di rilevanza sociale sono quello per il sussidio per i figli
illegittimi (1888), la revisione della legge sull’assistenza agli indi-
genti (1891) e l’introduzione di un sostegno agli anziani (la prima
vera ‘pensione’ in senso moderno, 1891) nei quali si può constata-
re un cambio di prospettiva.100
In questo periodo si ebbero anche rilevanti sviluppi nell’ambito
dell’istruzione. Mentre si affermavano le cosiddette scuole ‘tecniche’,
più specificamente indirizzate all’acquisizione di capacità lavorative,101
97
DLO nr. 167.
98
I ‘poveri’ (cioè coloro che dovevano ricorrere a questi sussidi) erano privati di
diritti elementari quali quello di votare e di sposarsi.
99
Lov om Tilveiebringelse af Midler til Fattigunderstøttelse og om disse Midlers
Bestyrelse, 8 marzo 1856. Vd. Kæmpegaard P. Chr., De fattiges Kasse. Historisk, retslig
og statistisk, Aalborg 1903.
100
Rispettivamente: Lov om Underholdsbidrag til Børn, der ere avlede udenfor Ægteskab
m.m. (20 aprile 1888); Lov om det offentlige Fattigvæsen (9 aprile 1891) e Lov om Alder-
domsunderstøttelse til værdige trængende udenfor Fattigvæsenet, stessa data; il contributo
era assegnato dopo i sessanta anni). A queste si accompagnarono le leggi relative al mon-
do del lavoro sopra ricordate (vd. pp. 974-975 con note 89 e 91). Più tardi verrà emanata
una normativa sull’assicurazione per gli invalidi (Lov om invalideforsikring, 6 maggio 1921).
Nel 1922 (7 agosto) un ulteriore provvedimento (Lov om Aldersrente) avrebbe stabilito
nuove regole pensionistiche e innalzato il limite d’età a sessantacinque anni.
101
Fin dal 1800 l’ecclesiastico Nicolaus Heinrich Massmann (1766-1816) aveva
aperto scuole domenicali destinate agli apprendisti delle varie corporazioni per offrire
loro gratuitamente una istruzione elementare (che venne poi allargata ad altre discipline).
Massmann avrebbe voluto imprimere a queste scuole un indirizzo prettamente tecnico
ma si trovò in contrasto con i finanziatori. All’iniziativa di Johannes Lasenius Kramp
(vd. nota 87) si deve la nascita (1843) dell’Istituto tecnico (Det tekniske Institut) antesi-
gnano dell’attuale Scuola tecnica di Copenaghen (Københavns Tekniske Skole). La
gestione di questo istituto fu affidata alla Società tecnica (Det tekniske Selskab, sorta nel

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978 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

cresceva il numero delle “scuole popolari superiori” di ispirazione


grundtvigiana.102 Nella costituzione del 1849 il dovere dello Stato
di provvedere all’istruzione era contemplato, tuttavia in forma
piuttosto generica103 e le scuole sorte dalla libera iniziativa venivano
dunque viste di buon occhio. La situazione dell’insegnamento ele-
mentare restava carente nelle campagne, mentre in città i ragazzi
ricevevano una formazione soddisfacente. Nella seconda metà del
XIX secolo cominciarono ad affermarsi le cosiddette realskoler (poi
una sorta di ‘scuola media superiore’)104 che prevedevano un inse-
gnamento fino ai sedici anni e un successivo esame, mentre diverse
disposizioni regolamentarono gli istituti per la formazione degli
insegnanti.105 Le “scuole di latino” (latinskoler dette anche lærde
skoler, letteralmente “scuole erudite”), in sostanza i ginnasi, furono
riorganizzate nel 1871.106 Ma le grandi riforme della scuola danese
vennero nel 1899 e nel 1903.107 La prima (riguardante la folkeskole,

medesimo anno). Successivamente (1876) l’istituto confluì in quella che venne detta
Scuola della società tecnica (Det tekniske selskabs skole). Nel 1906 dalla collaborazione
tra l’Associazione industriale mercantile e l’[Ufficio] comune di rappresentanza per
l’industria e l’artigianato (Fællesrepræsentationen for dansk Industri og Haandværk,
sorto nel 1879) nacque l’Istituto tecnologico (Teknologisk Institut), tuttora esistente,
mentre nel 1911 il Consiglio industriale (vd. nota 82) darà vita, insieme all’Associazione
degli artigiani (vd. nota 87) al Museo tecnico di Danimarca (Danmarks tekniske museum).
102
Vd. p. 884.
103
Si veda il § 90: “I bambini, i cui genitori non hanno possibilità per occuparsi della
loro istruzione, riceveranno insegnamento gratuito dalla scuola pubblica” (DLO nr. 168).
104
Su modello delle Realschulen tedesche, esse proponevano un insegnamento
allargato a discipline utili a formare gli allievi che dovevano poi dedicarsi ad attività
pratiche, come a esempio il commercio. Già previste nella legge sulle scuole urbane
del 1814 (vd. p. 883, nota 87), che consentiva di aprire delle “scuole reali cittadine”
(borgerlige realskoler) nei maggiori centri (§§ 1-3), si diffusero tuttavia più tardi.
105
In danese seminarier (sing. seminarium); vd. Lov om Lønninger for de ved Skole-
lærerseminarierne ansatte Forstandere og Lærere, om Undervisningen ved disse samt om
en ny Skolelærerexamen og ministeriets Bekjendtgørelse (15 febbraio 1857) e Lov om
Seminarier og Prøver for Lærere og Lærerinder i Folkeskolen m.m. (30 marzo 1894).
Una precedente legge riferita a questi istituti risaliva al 1818 (Reglement for samtlige
Skolelærer-Seminarier i Danmark, in Schou XVIII [Abbr.], pp. 6-28, 10 febbraio 1818).
Qui si può leggere De Coninck-Smith N. “‘At give Gud hvad Guds er og Keiseren hvad
Keiserens er’ 1850’ernes danske skolelovgivning og den offentlige debat om almue-
skolen”, in DHT VI: 2 (1985), pp. 240-257.
106
Loven om undervisningen i de lærde skoler i Danmark (1 aprile 1871); cfr. p. 497,
nota 115, p. 638, nota 503 e p. 686 nota 36.
107
 Lov om forskellige Forhold vedrørende folkeskolen, 24 marzo 1899 e Lov om
højere Almenskoler m.m. (più semplicemente nota come Almenskoleloven, 24 aprile
1903). Alla prima seguì una circolare relativa ai programmi di insegnamento (Cirkulære
om undervisningsplaner for de offentlige folkeskoler, 6. april 1900), per la prima volta
stabiliti da un’autorità centrale. Cominciò così ad affermarsi il principio della “scuola
unificata” (enhedsskole).

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Verso le democrazie nordiche 979

cioè la scuola dell’obbligo), riaffermava il dovere dello studio dai


sette ai quattordici anni, determinava la durata dell’anno scolastico
in quarantuno settimane108 e prevedeva un ampio spettro di disci-
pline (con maggiori possibilità nelle città). La seconda (che riguar-
dava l’istruzione superiore) recepiva il principio che chiunque ne
avesse le capacità potesse (indipendentemente dalle condizioni
sociali ed economiche e dal sesso) seguire un percorso di studi
ininterrotto dal livello più elementare a quello più avanzato. Essa
perciò istituì la “scuola media” (mellemskole) della durata di quat-
tro anni, che dava accesso a una realklasse (della durata di un anno)
o al ginnasio (della durata di tre anni); in essa inoltre le vecchie
“scuole di latino” furono soppresse.109 L’aumento delle opportuni-
tà formative, la progressiva ‘democratizzazione’ della scuola cui si
aggiungerà la sua ‘secolarizzazione’110 (princìpi sui quali si fonderà
il moderno sistema scolastico danese)111 rispondono naturalmente
ai cambiamenti di una società nella quale le differenze si vengono
livellando, se non dal punto di vista economico, almeno da quello
108
Nelle scuole di campagna l’insegnamento settimanale era previsto in diciotto
ore, in ventuno nelle scuole di città.
109
Per un approfondimento sulle leggi scolastiche danesi di questo periodo si
rimanda a Nellemann 1966 (B.8), pp. 95-130, cui qui ci si riferisce.
110
Vd. Nellemann 1966 (B.8), pp. 131-136. Una legge del 1933 (Lov om Folke-
skolens Styrelse og Tilsyn og Tilsynet med private Skoler, 20 maggio) ridurrà grande-
mente il potere sulle scuole fino ad allora riservato agli ecclesiastici, che verrà poi di
fatto scomparendo. Questa legge introdurrà piuttosto il principio dell’attiva parteci-
pazione dei genitori nella loro gestione.
111
Le principali leggi di regolamentazione della scuola danese nel XX secolo sono
le seguenti: 18 maggio 1937 per la scuola dell’obbligo, Lov om Folkeskolen, che si
sforzava di porre gli allievi su un piano di parità e individuava come principio ispira-
tore quello del libero e armonioso sviluppo dell’individuo, piuttosto che quello della
formazione basata sull’insegnamento religioso; 7 giugno 1958 per la scuola dell’obbli-
go (un provvedimento molto discusso) e i ginnasi: rispettivamente Lov om ændringer
af lov om folkeskolen (che eliminava la mellemskole, creava una scuola unica per i
primi anni e parificava l’insegnamento nelle campagne con quello nelle città) e Lov om
gymnasieskoler; 26 giugno 1975 per la scuola dell’obbligo: Lov om folkeskolen, che
introduceva il principio di una formazione ‘democratica’ degli allievi e sopprimeva le
realskoler; 30 giugno 1993 per la scuola dell’obbligo: Lov om folkeskolen, il cui testo
oltre ad affermare il principio dell’educazione adattata alle specificità dei singoli allie-
vi mostra di recepire problematiche contemporanee quali quelle derivanti dalla mul-
ticulturalità e dalle questioni ecologiche. L’efficacia dell’insegnamento scolastico in
relazione alle problematiche dell’attualità è ben evidenziata nella recente direttiva del
24 giugno 2009 (Bekendtgørelse af lov om folkeskolen 24. juni 2009). Si aggiunga che
le punizioni corporali furono abolite in Danimarca solo con una circolare del 14 giugno
1967 (Cirkulæret om god ro og orden, la cosiddetta spanskrørscirkulæret, dove spanskrør
è la bacchetta utilizzata dagli insegnanti per colpire gli allievi). Si aggiunga anche che
nel 2000 è stata istituita l’Università pedagogica di Danimarca (Danmarks Pædagogiske
Universitet) gestita dall’Università di Aarhus.

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980 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

giuridico e nella quale la crescente consapevolezza della gente


comune si esprime anche nel desiderio di accedere a una istruzio-
ne superiore, traendone non soltanto un appagamento di ambizio-
ni personali ma anche un riconoscimento sul piano pubblico.
Il che corrisponde a una profonda trasformazione cui si lega
anche un ‘riposizionamento’ delle componenti della società tradi-
zionalmente più forti; una evoluzione ben riflessa anche nell’au-
mento del numero dei giornali e della loro diffusione: pubblicazio-
ni tramite le quali si esprimono le istanze dei diversi gruppi e viene
portato avanti un vivace dibattito.112
E tuttavia a fronte di queste positive considerazioni non va dimen-
ticato che un equilibrio era tutt’altro che raggiunto: il che è certa-
mente ben testimoniato dal numero di coloro che migrarono verso
le Americhe. Questo fenomeno (che in Danimarca fu comunque di
dimensioni più contenute rispetto alla Svezia e alla Norvegia) ebbe
come causa principale un consistente aumento demografico e la
conseguente impossibilità dell’agricoltura e dell’industria di assorbi-
re la forza lavoro in eccesso: spesso coloro che si erano spostati dalle
campagne verso la città con la speranza di trovare un occupazione
soddisfacente furono costretti piuttosto a cercare fortuna oltreocea-
no. Si calcola che tra il 1868 e il 1900 circa 165.000 cittadini danesi
abbiano lasciato il proprio Paese. Più avanti la cifra raggiungerà i
300.000 circa.113 Meno ‘invasivo’ ma altrettanto importante è il feno-
meno dell’urbanizzazione che nell’ultimo trentennio del XIX secolo
vide aumentare di quasi il 20% gli abitanti delle città.
Nella seconda metà dell’Ottocento il notevole progresso del-
la Danimarca passò anche attraverso importanti sviluppi per le
comunicazioni e la circolazione di persone e merci: nel 1869
sorse la Grande società nordica del telegrafo (Det store nordiske
112
Particolare interesse può avere qui la citazione dei cosiddetti ‘giornali di Ferslew’.
Jean Christian Ferslew (1836-1910), che aveva ereditato dal padre una officina litogra-
fica, divenne un grande nome del giornalismo danese, introducendo non soltanto
innovazioni tecniche (fu il primo a procurarsi macchinari di stampa all’avanguardia)
ma anche conferendo al proprio lavoro un’impronta manageriale. Egli inoltre seppe
rispondere alle esigenze del pubblico stampando giornali di diverso indirizzo: Il quo-
tidiano telegrafico (Dags-Telegraphen, 1864-1891), Il quotidiano (Dagbladet, 1891-1930),
che lo sostituì, e le Notizie del giorno (Dagens Nyheder, 1889-1961) erano destinati al
ceto medio; Il corriere della sera (Aftenposten, 1873-1931) alla classe lavoratrice; le
Notizie nazionali (Nationaltidende, 1876-1931) all’alta borghesia. Nel 1931 la famiglia
cedette la proprietà dei giornali.
113
Vd. Hvidt Kr., Flugten til Amerika eller Drivkræfter i masseudvandringen fra
Danmark 1868-1914, København 1976, cap. 2 e, più in generale Hvidt 1976. Si tenga
conto che il numero consistente di migranti aveva indotto a stabilire una linea di col-
legamento diretto tra Copenaghen e New York.

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Verso le democrazie nordiche 981

Telegrafselskab),114 nel 1881 la Società telefonica per azioni di


Copenaghen (Københavns Telefonaktieselskab), presto seguita
da altre;115 i collegamenti navali interni così come quelli con
l’estero furono incrementati; nel 1866 fu fondata a Thisted
(Jutland settentrionale) la Società riunita delle navi a vapore
(Det forenede Dampskibsselskab) e nel 1868 furono iniziati i
lavori del porto di Esbjerg (Jutland occidentale) con il quale
(1874) fu realizzato un allacciamento ferroviario, il che permise
collegamenti diretti con Londra. Per la rete ferroviaria vennero
inoltre aperte nuove linee. In diverse di queste imprese fu coin-
volto Carl Frederik Tietgen (1829-1901), figura emblematica del
periodo dell’industrializzazione danese con interessi in molti
settori (cantieristica, trasporti, comunicazioni, costruzioni, ali-
mentari) e direttore della Banca privata (Privatbanken).116 Nel
1891 verrà aperta la prima centrale elettrica a Køge, cui presto
altre seguiranno: l’anno successivo (5 marzo) in Kongens Nytorv
a Copenaghen sarà inaugurata l’illuminazione stradale alimen-
tata elettricamente.117
Con queste (e molte altre) luci ma ancora con molte ombre, la
Danimarca di inizio Novecento era un Paese che guardava al
futuro.

114
Si tratta della prima multinazionale danese. Sorta per iniziativa dell’imprendito-
re Carl Frederik Tietgen (sul quale poco oltre) essa avrebbe creato una rete di comu-
nicazioni dall’Inghilterra ai Paesi nordici alla Russia, rete che sarebbe poi stata estesa
al Giappone e alla Cina (il collegamento fra Shangai e l’Europa attraverso la Siberia
fu attivo dal 1 gennaio 1872), cui si sarebbe aggiunto un collegamento tra la Danimar-
ca e la Francia.
115
Anche questa si deve all’iniziativa di Tietgen. Il telefono era giunto in Danimar-
ca nel 1877. Presso questa società lavorò, a partire dal 1893, Valdemar Poulsen (1869-
1942), inventore (1898) del ‘telegrafone’ (registratore a filo) e realizzatore di altri
importanti dispositivi per le comunicazioni radiotelegrafiche (ticker, ‘arco di Poulsen’).
116
Questa banca sorse nel 1857 per iniziativa di un gruppo di commercianti ade-
renti alla Società dei grossisti (Grosserer Societetet), nucleo di quella che in seguito sarà
la Camera di commercio (Handelskammeret). Nel 1871 nascerà come società per
azioni la Banca agricola delle ipoteche e del cambio (Den danske Landmandsbank,
Hypothek- & Vexelbank) destinata a divenire, come Banca danese (Danske bank), il
maggiore istituto di credito del Paese: suo primo direttore sarà Isak Glückstadt (1839-
1910), uno dei nomi di rilievo della grande finanza del periodo; due anni dopo sarà la
volta della Banca commerciale di Copenaghen (Københavns Handelsbank) che molto
più tardi (1990) si fonderà con la precedente. Su Tietgen cfr. nota 78.
117
Nel 1907 nella centrale elettrica di Skovshøved (in Selandia a nord di Copena-
ghen) si passò dalla corrente continua alla corrente alternata.

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982 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

12.2.2. Svezia

Il 1848 fu un anno significativo anche per i destini della Svezia.


Sull’onda delle notizie provenienti dalla Francia il 18 marzo scop-
piarono a Stoccolma gravi tumulti ai quali in un primo momento
il sovrano Oscar I rispose con un atteggiamento di apertura, nella
speranza di calmare la folla. I moti popolari tuttavia proseguirono
nella giornata successiva e il re decise di passare alle maniere forti:
il risultato fu una carica della polizia che provocò diciotto morti e
numerosi feriti. Questo episodio non costituisce soltanto il corri-
spondente svedese di analoghe manifestazioni in diversi Paesi
europei: esso rivela piuttosto la sostanza dei problemi che agitava-
no la società dell’epoca e al contempo l’atteggiamento dell’autori-
tà, in parte consapevole della necessità di cambiamenti ma ancora
fortemente legata a una mentalità conservatrice e restia a cedere
poteri e privilegi accumulati e consolidati nel corso dei secoli. Del
resto Oscar I, per quanto come principe ereditario avesse ripetu-
tamente mostrato tendenze liberali,118 una volta divenuto re deluse
molte aspettative e in più di una occasione si mostrò rigido e auto-
ritario. Il cambiamento era però ormai inarrestabile. Le idee libe-
rali, che nel secolo precedente erano state sapientemente promos-
se da figure autorevoli come Anders Chydenius,119 avevano trovato
sostenitori sul piano pratico della politica120 e molti nella società
svedese le avevano fatte proprie. Si citi qui, in primo luogo, Johan
Gabriel Richert (1784-1864), insigne giurista, che a lungo lavorò a
una riforma del sistema penale (con abolizione delle punizioni
corporali) così come di quello civile, ma anche a una nuova orga-
nizzazione parlamentare di tipo rappresentativo che superasse
l’antica struttura basata sui quattro stati (nobiltà, clero, borghesia
118
Basti qui ricordare il suo scritto Sulle pene e i penitenziari (Om straff och straff-
anstalter) – uscito nel 1840 e popolarmente noto come “libro giallo” (“gula boken”)
– nel quale censurava la pena di morte, le punizioni corporali e la deportazione, indi-
cando piuttosto la necessità di un recupero morale dei carcerati. Ciò è ben compren-
sibile se si pensa che il suo maestro in materia di diritto era stato Johan Gabriel Richert
(sul quale poco oltre). Questo testo uscì in forma anonima e i proventi furono desti-
nati alla Fondazione Gutenberg (Gutenbergska Stiftelsen), un ente che si proponeva
di sostenere librai e stampatori in difficoltà economiche. Presto fu tradotto in diverse
lingue e (così come l’opera di Cesare Beccaria, nota anche in Svezia) influenzò anche
all’estero il dibattito in materia. Una utile sintesi della storia del diritto penale svedese
fino alla importante legge di riforma del 1864 (di cui alla pagina successiva), si trova
in Munktell H., Brott och straff i svensk rättsutveckling, Stockholm 1943.
119
Vd. p. 711, p. 750 e p. 776.
120
Si ricordi Carl Henrik Anckarsvärd, fiero oppositore del re Carlo XIV Giovan-
ni (vd. p. 891).

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Verso le democrazie nordiche 983

e contadini) adeguandosi agli incalzanti mutamenti sociali.121 Se è


vero che egli morì prima di vedere attuate le sue proposte, è altret-
tanto vero che la riforma del sistema penale approvata nel 1864122
così come la riforma parlamentare del 1866 (su cui poco oltre),
sarebbero state in gran parte ispirate al suo pensiero.
Come è appena stato detto, il re Oscar aveva comunque idee
assai più liberali del padre, Carlo XIV Giovanni, ma al contempo
un carattere deciso e una volontà indipendente: si sottolinei qui
l’autonomia con la quale condusse la politica estera (condiziona-
ta dalle sue mire scandinavistiche) allontanandosi gradatamente
dalla Russia per avvicinarsi alle potenze occidentali.123 Dopo gli
eventi del 1848 egli avvertì la necessità di correre ai ripari e per
mostrare il suo volto ‘progressista’ fece presentare alla riunione
del parlamento del 1850 una proposta di riforma parlamentare
che però fu respinta. Una richiesta in questo senso arrivava da
tempo da diversi politici, come Carl Henrik Anckarsvärd124 che
l’aveva sollecitata fin dal 1830 o i cosiddetti “amici della riforma
rappresentativa” (representationsreformens vänner) presenti in
parlamento: costoro nel 1844 avevano fondato a Stoccolma l’As-
sociazione degli amici della riforma (Reformvännernas sällskap),
sul cui modello altre simili sarebbero sorte altrove. Tra coloro
che si battevano per il suffragio universale c’erano figure presti-
giose come Gustaf Ferdinand Ekholm (1803-1865), rappresen-
tante della borghesia, Erik Gustaf Geijer125 e, naturalmente
Anckarsvärd e Richert. Successivamente, tra il 1849 e il 1853, si
sarebbero svolti alcuni incontri in una tenuta di Örebro (Närke),
nel corso dei quali la questione sarebbe stata ampiamente dibat-
tuta e sarebbero state elaborate proposte. Fautore della indiffe-
ribilità di un cambiamento era anche Louis de Geer (1818-1896),
appartenente alla famiglia dell’omonimo pioniere dell’industria,126
poi ministro della giustizia dal 1858. De Geer era stato un impor-
121
Cfr. nota 118.
122
Straff-lag, gifven Stockholms Slott den 16 Februari 1864. Una riforma completa
del diritto civile non fu compiuta, tuttavia molte delle idee di Richert in questo campo
trovarono applicazione in una serie di decreti minori relativi a questa materia.
123
Nel 1855 fu siglato con l’Inghilterra e la Francia il cosiddetto “trattato di novem-
bre” (novembertraktaten: STFM XI, nr. 58, 21 novembre 1855, pp. 307-309) in base al
quale questi Paesi si obbligavano a garantire l’integrità dei Regni di Svezia e Norvegia
in cambio dell’impegno a non concedere ai Russi alcun diritto sul proprio territorio, il
che si riferiva in particolare alle zone settentrionali di Finnmark che interessavano ai
Russi nel contesto d’una politica espansionistica nell’area del Mare di Barents.
124
Vd. p. 891.
125
Cfr. p. 892, p. 923 e p. 926.
126
Vd. pp. 656-657.

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984 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

tante collaboratore del principe ereditario Carlo Ludovico Eugenio


(Carl Ludvig Eugen, 1826-1872) nel periodo in cui, a partire dal
1857, egli di fatto aveva sostituito il padre gravemente malato:
sicché quando alla morte di Oscar I (1859) questi salì al trono con
il nome di Carlo XV, de Geer acquisì ulteriore prestigio. Egli si
adoperò presso il nuovo sovrano perché una riforma parlamentare
fosse finalmente adottata, in conformità con quanto avvenuto in
molti Paesi europei. Il dibattito sulla questione raggiunse il culmi-
ne all’inizio degli anni ’60, ma la decisione definitiva fu assunta il
7 dicembre del 1865 e il 22 giugno dell’anno successivo la nuova
regolamentazione fu definitivamente ratificata alla presenza del
re.127 Il ‘parlamento degli stati’ cessava dunque di esistere: al suo
posto veniva istituito un sistema bicamerale. I componenti della
Prima Camera (Första Kammaren), eletti con metodo indiretto dai
consigli provinciali e da quelli comunali delle principali città, dove-
vano avere un’età minima di trentacinque anni e dimostrare il
possesso di un patrimonio molto consistente:128 norma che in
sostanza salvaguardava il potere delle classi superiori.129 Il loro
mandato era di nove anni, rinnovabile e non retribuito (ragione
ulteriore per cui poteva candidarsi solo chi disponesse di cospicue
risorse economiche). I membri della Seconda Camera (Andra
Kammaren), eletti direttamente, dovevano avere almeno venticinque
anni e un discreto reddito130 o dimostrare comunque il possesso di
beni. Il loro mandato durava tre anni ed era retribuito. La parteci-
pazione al voto era riservata ai soli uomini. In sostanza: tutti colo-
ro che erano privi di mezzi e, comunque, le donne erano esclusi da
qualsiasi rappresentanza politica. Più avanti (1876) sarebbe stato
istituito l’ufficio di primo ministro, un incarico affidato allo stesso
de Geer che lo avrebbe conservato fino al 1880. La nuova assemblea
si riunì per la prima volta il 15 gennaio 1867. Indubbiamente la
riforma rappresentò un importante risultato non solo per la ricca
borghesia ma anche, si potrebbe dire soprattutto, per i contadini

127
Kungl. Maj:ts och Rikets Ständer fastställda Riksdagsordning, dat. Stockholm den
22 juni 1866. Con l’emanazione di questa riforma vennero anche eliminati i privilegi
dei diversi stati.
128
In termini monetari: un introito annuale di almeno 4000 riksdaler specie (cioè
quelli coniati in argento) oppure un capitale di almeno 80.000.
129
Si tenga anche presente che per l’elezione delle amministrazioni locali (che in
gran parte a loro volta designavano poi i membri della Prima Camera) il diritto di voto
era ‘graduato’, cioè proporzionato all’ammontare del patrimonio del singolo elettore,
il che evidentemente favoriva i più ricchi il cui voto poteva arrivare a contare come un
centinaio (nelle campagne anche migliaia) di voti altrui.
130
Stabilito in un introito annuale minimo di 800 riksdaler specie.

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Verso le democrazie nordiche 985

(non a caso in precedenza questi due ‘stati’ avevano spesso fatto


fronte comune contro i rappresentanti del clero e della nobiltà);
tuttavia le regole di voto della Prima Camera tutelavano in buona
parte gli interessi dell’aristocrazia (un ceto comunque destinato a
regredire in quanto tale) i cui rappresentanti vi restarono a lungo
in maggioranza. Fu comunque il potere economico e finanziario
(requisito indispensabile per l’eleggibilità) a far confluire in quell’as-
semblea alti funzionari, grandi possidenti terrieri, industriali e
facoltosi commercianti, il che determinò ripetuti conflitti con la
Seconda Camera i cui membri erano per la maggior parte contadi-
ni, borghesi con un discreto reddito e piccoli proprietari terrieri.
In ogni caso, seppure la riforma fosse ben lungi dall’essere piena-
mente democratica, essa consentiva alla Svezia di allinearsi a Paesi
da questo punto di vista più evoluti, non da ultimo la Norvegia (che
le era legata nell’unione), il cui bicameralismo era spesso stato
tirato in ballo nell’ambito della discussione. Alla riforma conseguì
un più stretto legame tra parlamento e Consiglio di Stato,131 in
buona parte favorito dalla personalità del sovrano. Infatti il re
Carlo XV aveva tendenze chiaramente conservatrici, ma non pos-
sedeva le qualità politiche del padre e non di rado agiva con impru-
denza e precipitazione. La sua mancanza di autorevolezza rafforzò
perciò il potere del Consiglio, nel quale l’abile de Geer era figura
di sicuro riferimento: in più di una occasione (non da ultimo nelle
delicate trattative per un appoggio militare alla Danimarca)132 la
parola definitiva spettò a quest’ultimo. Il peso conservatore della
monarchia andò dunque riducendosi e così, oltre a quella parla-
mentare, i liberali poterono far approvare altre riforme: dal diritto
di muoversi liberamente all’interno del Paese (1860)133 alla riorga-
nizzazione del potere locale cui veniva garantita maggiore autono-
mia (1862),134 dall’introduzione di un nuovo codice penale (in cui,
come avevano auspicato Richert e il suo allievo Oscar I, erano
131
Istituito con la costituzione del 1809 il Consiglio di Stato (Statsråd) sostituiva
l’antico Consiglio del regno, di fatto abolito da Gustavo III. Originariamente era
previsto che ne facessero parte due ministri (della giustizia e degli esteri) più altri
membri: essi erano considerati consiglieri del sovrano nel cui nome assumevano le
decisioni.
132
Vd. p. 954.
133
Kongl. Mat:ts nådiga Förordning om upphäfwande af skyldigheten för resande att
wara försedda med pass; Gifwen Ulrikssals Slott den 21 September 1860.
134
In quell’anno vennero regolamentati i consigli comunali sia in campagna sia in
città e istituiti i “consigli distrettuali” (landsting): Kongl. Maj:ts nådiga förordning om
Kommunalstyrelse på landet; Gifwen Stockholms Slott den 21 Mars 1862 e Kongl.
Maj:ts nådiga förordning om Kommunalstyrelse i stad, medesima data; Kongl. Maj:ts
nådiga förordning om landsting, medesima data.

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986 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

finalmente abolite le punizioni corporali)135 al riconoscimento


della libertà religiosa.136
Ulteriore effetto di questi mutamenti politici e sociali fu anche
in Svezia la nascita dei primi partiti intesi in senso moderno.
Nella Prima Camera si formò (1873) il Partito della Scania (Skånska
Partiet), favorevole al governo, il cui leader, Jules Edvard Stiernblad
(1813-1886) proveniva, appunto, da quella regione; da questo
gruppo avrebbe preso origine (1885) il Centro (Centern) che nel
1888 in seguito alla disputa sui dazi (di cui più avanti in questo
stesso paragrafo) confluì nel Partito di minoranza (Minoritetspartiet).
Quest’ultimo si sarebbe poi chiamato (1905) Partito dei mode-
rati (Moderata partiet) e si sarebbe fuso (1912) nel Partito nazio-
nale (Nationella partiet) insieme a un’altra formazione conserva-
trice, il Partito della destra unita (Förenade högerpartiet), erede
(1910) del Partito protezionista (Protektionistiska partiet) che,
come esprime chiaramente il nome, aveva assunto una posizione
di chiusura nella disputa sui dazi. Questo raggruppamento delle
forze di destra sarebbe rimasto presente nella Prima Camera fino
al 1934. Nella Seconda Camera fu presente, fin dall’inizio, il

135
Vd. sopra, p. 983 con nota 122. La pena di morte venne tuttavia mantenuta e
sarebbe scomparsa per i reati civili solo con deliberazione parlamentare sancita dal
sovrano il 30 giugno 1921 (Lag om ändring i vissa delar af strafflagen), mentre per
quelli di carattere militare si sarebbe dovuto attendere il 1973 (vd. in particolare Lag
om upphävande av lagen [1948: 450] om dödsstraff i vissa fall då riket är i krig, del 26
gennaio). Il numero delle condanne andò comunque calando; l’ultima donna a essere
giustiziata fu Anna Månsdotter (1841-1890), l’ultimo uomo Alfred Ander (1873-1910),
entrambi colpevoli di omicidio. Vd. Bruun J-E., “Sista avrättningen i Sverige”, in PH
2010: 11, pp. 16-17.
136
Fin dal 1860 era stata emanata una legge che aboliva le sanzioni per chi avesse
abbandonato la Chiesa svedese (il che in sostanza significava che essa cessava di esse-
re a tutti gli effetti Chiesa di Stato) e introduceva una certa libertà per i cattolici
(Förordning angående främmande trosbekännare och deras religionsöfning, 23 ottobre
1860, cui era abbinata una nuova normativa relativa a “chi si convertisse a una dottri-
na erronea o la diffondesse”: Kongl. förordningen den 23 Oktober 1860, angående
ändring i gällande bestämmelser om ansvar för den, som träder till eller utsprider
villfarande lära); questa legge fu ulteriormente migliorata nel 1873 (Kongl. Maj:ts
nådiga förordning angående främmande trosbekännare och deras religionsöfning; Gifwen
Stockholms Slott den 31 Oktober 1873), facendo seguito ad altre precedenti delibe-
razioni relative alle riunioni religiose dei non luterani, all’abolizione delle pene in
relazione alla pubblica proclamazione di ‘dottrine erronee’ e alla possibilità di avere
diritto al voto o all’eleggibilità indipendentemente dalla fede praticata. Una piena
libertà religiosa sarebbe tuttavia stata garantita solo nel 1951 (Religionsfrihetslag; given
Stockholms slott den 26 oktober 1951). Si tenga presente che tanto Desideria, moglie
di Carlo XIV Giovanni, quanto Giuseppina (Josefina) di Leuchtenberg (1807-1876),
moglie di Oscar I, erano cattoliche, il che aveva coinvolto anche la corte nelle proble-
matiche relative alla libertà religiosa.

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Verso le democrazie nordiche 987

Partito agrario (Lantmannapartiet), formato dai contadini e da


alcuni proprietari terrieri, che si adoperò per ribadire la richiesta
di abolizione di antichi privilegi i cui oneri ancora gravavano su
quella classe sociale, ma volle anche farsi parte attiva nel control-
lo della gestione del potere e delle risorse finanziarie.137 Dopo una
frattura sulla questione dei dazi (1888), esso si sarebbe ricomposto
nel 1895 e nel 1912 sarebbe confluito nel Partito degli agricoltori
e dei cittadini (Lantmanna- och Borgarepartiet) insieme al Partito
nazionale del progresso (Nationella framstegspartiet), a sua volta
erede del Gruppo dei moderati amici della riforma (De moderata
reformvännernas grupp), sorto nel 1903.138 Questi raggruppamen-
ti avevano un orientamento conservatore e possono essere consi-
derati precursori del Partito comune dei moderati (Moderata
samlingspartiet) che tuttora costituisce una delle forze politiche
principali nel Paese: esso a sua volta si rifà all’Associazione gene-
rale degli elettori (Allmänna valmansförbundet) costituita nel 1904
allo scopo di coordinare le forze parlamentari di destra nella lotta
contro il crescente consenso della sinistra.139 Un altro gruppo
formatosi nella Seconda Camera poco dopo l’approvazione della
riforma (1868) fu il Partito neoliberale (Nyliberala partiet),140 il
quale – a dispetto del nome, che nell’ottica attuale lo collochereb-
be in diversa prospettiva – era di tendenze radicali e mirava a una
amplissima estensione del diritto di voto e all’eliminazione di
cariche civili ed ecclesiastiche (a esempio quella di vescovo). Esso
ebbe tuttavia vita breve: già nel 1871 i parlamentari che lo forma-
vano si trovarono in disaccordo e transitarono in altre formazioni

137
Le figure di maggior rilievo erano i rappresentanti dei contadini Carl Ifvarsson
(1818-1889) e Jöns Rundbäck (1830-1895), il conte Arvid Posse (1820-1901) che
sarebbe stato primo ministro tra il 1880 e il 1883 e il possidente Carl Frederik Emil
Key (1822-1892). Vd. Svensén E., Karl Ifvarsson och Landtmannapartiet, Stockholm
1890 e Bokholm R., Kungen av Skåne. En bok om statsmannen Arvid Posse, Lund 1998.
Il primo rappresentante di questo partito a diventare ministro (dell’agricoltura) fu nel
1905 Alfred Petersson (1860-1920).
138
Il Partito degli agricoltori e dei cittadini è stato presente in parlamento fino al
1934.
139
Tra i fondatori vanno menzionati Christian Lundeberg (1842-1911), primo
ministro che avrebbe gestito lo scioglimento dell’unione con la Norvegia nel fatidico
anno 1905 (vd. p. 1016); l’industriale e possidente Gustaf Fredrik Östberg (1847-1924);
lo storico Harald Gabriel Hjärne (1848-1922). All’Associazione generale degli eletto-
ri aderirono anche i rappresentanti dell’Associazione patriottica (Fosterländska förbun-
det) fondata nel 1893 ma successivamente ritiratasi dalla scena politica.
140
 Esso si rifaceva alla Società neoliberale (Nyliberala sällskapet) fondata a Stoccol-
ma l’anno precedente. I suoi rappresentanti più eminenti erano il militare e politico
Julius Mankell (1828-1897) e il pubblicista Sven Adolf Hedin (cfr. p. 953 e nota 179).

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988 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

come il Partito agrario o il Partito di centro (Centern).141 Quest’ul-


timo, presente nella Seconda Camera fin dalla riforma (seppure
la denominazione Partito di centro risalga al 1873), costituiva la
compagine di coloro che appoggiavano il governo142 e mantene-
va una posizione di equilibrio raccogliendo i propri aderenti
tanto fra uomini di destra quanto di sinistra. Nel 1883 tuttavia
esso si sarebbe diviso in due correnti per poi riunirsi a sostegno
del libero mercato. Al 1900 risale l’organizzazione del Partito
comune dei liberali (Liberala samlingspartiet) che costituisce un
antesignano del Partito popolare (Folkpartiet).143 Anche in que-
sto caso si trattò dell’aggregazione di forze già presenti in par-
lamento.144
Ma anche al di fuori dei palazzi del potere (nei quali per via
delle rigide norme elettorali era rappresentata una minoranza
della popolazione) si muovevano forze nuove. Il 6 novembre 1881
fu tenuta a Malmö una conferenza dal tema “Che cosa vogliono i
socialdemocratici?”: relatore era il sarto August Teodor Palm
(1849-1922), a tutti gli effetti considerato il pioniere della social-
democrazia svedese.145 Palm era venuto in contatto con le nuove
idee politiche durante soggiorni in Germania e Danimarca e ave-
va deciso di diffonderle in patria. A Malmö egli aveva anche
avviato la pubblicazione di un giornale, La volontà popolare

141
Principali rappresentanti dei neoliberali furono lo scrittore e giornalista August
Blanche (1811-1868; cfr. nota 418 e nota 531), coloni come Jonas Andersson di Häckenäs
(1810-1887), Johan Svensén (1823-1883) e Ola Jönsson di Kungshult (1826-1904).
142
Essa infatti era nota in precedenza come Partito ministeriale (Ministeriella partiet).
I suoi rappresentanti più in vista erano l’imprenditore Johan August Gripenstedt poi
ministro delle finanze (vd. pp. 991-992) e il giurista Axel Bergström (1823-1893).
143
Al Partito comune dei liberali aderirono anche i rappresentanti di un preceden-
te Partito popolare attivo in parlamento tra il 1895 e il 1900. Due anni dopo veniva
costituita l’Associazione nazionale liberale (Frisinnade landsföreningen) come ente di
coordinamento dei suoi elettori. L’attuale Partito popolare risale al 1934, anno in cui
dopo una serie di divergenze politiche e conseguenti formazioni di nuovi gruppi i
membri dei due principali partiti liberali svedesi allora esistenti, il Partito liberale di
Svezia (Sveriges liberala parti) e il Partito popolare liberale (Frisinnade folkpartiet),
entrambi sorti in seguito a una spaccatura all’interno del Partito comune dei liberali,
decisero di fondersi, accogliendo anche i rappresentanti di alcune formazioni minori.
Cfr. oltre, p. 1126, nota 51.
144
Come il Club di discussione dei contadini (Bondeska diskussionsklubben) e il
Club di discussione di Friesen (Friesenska diskussionsklubben) che traeva il proprio
nome dal fondatore, Sixten Gabriel von Friesen (1847-1921).
145
Vd. Palm A., Hvad vil sosialdemokraterna? Föredrag i Malmö den 6 november
1881, med inledning och kommentar av J. Lindgren, Stockholm 1932. Sugli inizi del
Partito socialdemocratico vd. Nordström H., Sveriges socialdemokratiska arbetare-
parti under genombrottsåren 1889-1894, Stockholm 1938.

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Verso le democrazie nordiche 989

(Folkviljan) che tuttavia ebbe scarso successo.146 Ben più fortuna


trovò invece con Il social-democratico (Social-Demokraten), fonda-
to a Stoccolma nel 1885,147 un foglio cui avrebbero dato il proprio
contributo figure eminenti della nascente socialdemocrazia svede-
se che, come altrove, si intrecciò con il movimento dei lavoratori
e l’emergente rappresentanza sindacale. Il Partito socialdemocra-
tico dei lavoratori (Socialdemokratiska Arbetarepartiet) sarebbe
sorto nel 1889148 e, nonostante il tentativo del governo conserva-
tore di limitare la diffusione delle nuove idee,149 nel 1897 avrebbe
visto il suo primo rappresentante sedere in parlamento nella figu-
ra di Hjalmar Branting (1860-1925), redattore (insieme ad Axel
Danielsson, 1863-1899) de Il Social-democratico, e destinato a
diventare (1920) il primo rappresentante di questo partito a capo
di un governo.150
Nel nuovo parlamento i diversi movimenti politici avevano di
fronte importanti questioni. Da una parte si trattava di misurarsi
con i cambiamenti della società e con le regolamentazioni che essi
esigevano; dall’altra di affrontare i problemi contingenti, la cui
soluzione determinò forti contrasti non solo tra gruppi di diverso
orientamento ma anche all’interno dei partiti, cagionando in più
di un caso disaccordi e scissioni. Per la verità negli anni ’70 e per
gran parte degli anni ’80 il dibattito fu a lungo assorbito dalla pro-
posta di una riorganizzazione dell’esercito (la cui necessità veniva

146
Esso uscì tra il 1882 e 1885.
147
Il giornale sarebbe stato edito fino al 1944. Successivamente con il nuovo titolo
di Giornale del mattino (Morgon Tidningen) avrebbe proseguito le pubblicazioni fino
al 1958.
148
In quello stesso anno esso avrebbe anche tenuto il suo primo congresso. Il pro-
gramma presentato in questa occasione marca le caratteristiche fondamentali dell’ideo-
logia di questo partito che, nella sintesi tra le idee di Marx e quelle di Ferdinand
Lassalle (1825-1864), mirava a una società pienamente democratica la cui politica
fosse determinata dalla volontà popolare attraverso il suffragio universale. In effetti
con la sua attività questa formazione – ora Partito socialdemocratico dei lavoratori
della Svezia (Sveriges socialdemokratiska arbetareparti) – ha grandemente contribuito
alla realizzazione del cosiddetto welfare state svedese (cfr. pp. 1210-1211).
149
Ci si riferisce qui, in particolare, alla proposta di quella che venne presto battez-
zata “legge museruola” (munkorgslagen), un provvedimento (su modello tedesco)
approvato in quello stesso anno (7 giugno), dal governo del conservatore Gillis Bildt
(1820-1894), con il quale si vollero inserire nel codice penale i reati di incitamento (con
parole o scritti) alla sedizione e all’agitazione sociale (cfr. Eek 1942 [C.10.4], pp. 193-204).
150
Vd. Franzén N-O., Hjalmar Branting och hans tid. En biografi, Stockholm 1985
e Zennström P-O., Axel Danielsson. En biografi, Lund 1983. Axel Danielsson nel 1887
aveva fondato il settimanale Il lavoro (Arbetet) che sarebbe poi divenuto quotidiano.
Un’altra pubblicazione di orientamento socialista sarebbe stata la rivista Il tempo (Tiden)
avviata da Branting nel 1908.

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990 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

collegata agli avvenimenti europei degli ultimi decenni). Essa incon-


trò l’ostinata opposizione del Partito agrario, il che trascinò a lungo
la questione, risolta nel 1892 con un compromesso (assai gradito
dal sovrano), proposto dal primo ministro Erik Gustaf Boström
(1842-1907): in base a ciò i contadini ottenevano importanti con-
cessioni fiscali in cambio del via libera alla riforma del servizio
militare.151 Un’altra questione, imposta questa volta dall’eco-
nomia, fu quella riguardante i dazi. Essa emerse nel momento in
cui la liberalizzazione del commercio mostrò di poter avere per i
produttori svedesi anche effetti negativi e da più parti si invocaro-
no misure protezionistiche. Si trattò di un problema che scatenò
un vivacissimo dibattito, fece divampare la polemica ed ebbe impor-
tanti risvolti politici; il nuovo re Oscar II (1829-1907), succeduto
al fratello morto di tubercolosi intestinale nel 1872, cercò una
inutile conciliazione finché nel 1888 vennero introdotti dazi sui
cereali e su taluni prodotti industriali. Questa questione mostra
chiaramente come nella seconda metà dell’Ottocento la Svezia
fosse pienamente coinvolta in un contesto economico sovrannazio-
nale, il che è diretta conseguenza degli sviluppi dell’agricoltura e
(forse soprattutto) della rivoluzione industriale (i cui promotori
guardavano volentieri all’Inghilterra).
In quest’ultimo settore, come si è visto, le premesse del cambia-
mento si erano già manifestate in precedenza: tuttavia lo sviluppo
che l’industria svedese conosce in questi decenni appare tanto
rapido quanto incisivo. Esso tocca diversi campi: dal settore della
metallurgia (nel 1858 l’industriale Göran Fredrik Göransson sarà
il primo a sperimentare con successo il metodo Bessemer per otte-
nere l’acciaio)152 a quello della fabbricazione di utensili; dalla pro-

151
 Per la verità il ‘compromesso’ di Boström seguiva analoghe risoluzioni risalenti al
1873, anno in cui la carica di primo ministro era ricoperta da Louis de Geer, e al 1885
quando alla guida del governo c’era Oscar Robert Themptander (1844-1897). La rifor-
ma definitiva della difesa con l’introduzione della leva generale obbligatoria in sostitu-
zione del sistema dell’indelningsverket (vd. p. 658 con nota 584) sarebbe stata approva-
ta il 23 maggio 1901 quando il governo era presieduto da Fredrik Wilhelm von Otter
(1833-1910). L’obbligo generale di leva è stato abolito il 16 giugno 2009 (si veda in
proposito il documento Statens offentliga utredningar 2009: 63). Sull’argomento si
rimanda a Ericson Wolke L., Medborgare i vapen. Värnplikten i Sverige under två sekel,
Lund 1999.
152
 Göran Fredrik Göransson (1819-1900), commerciante e industriale, fondò nel
1862 una importante acciaieria, la Sandvikens Jernverks AB, divenuta in seguito l’at-
tuale multinazionale Sandvik. Il metodo per la produzione dell’acciaio cui Göransson
riuscì a dare applicazione pratica prende nome dall’ingegnere inglese Henry Bessemer
(1813-1898); vd. Lange E.F., Bessemer, Göransson and Mushet. A contribution to
technical history, Manchester 1913. Un altro ‘pioniere dell’acciaio’ svedese è Johan

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Verso le democrazie nordiche 991

duzione di legname153 (poi anche della cellulosa)154 a quella dei


fiammiferi; dall’industria meccanica a quella tessile (nella quale si
utilizzano ora i telai meccanici); dalla cantieristica alla costruzione
di macchinari. La crescita dell’industria va anche messa in relazio-
ne con il progresso nelle comunicazioni dovuto all’introduzione (a
partire dal 1853) del telegrafo155 e successivamente (1877) del
telefono,156 e con lo sviluppo dei trasporti: dalle ferrovie157 ai col-
legamenti marittimi e fluviali che possono ora avvantaggiarsi delle
nuove macchine a vapore.158 A ciò si legano provvedimenti di tipo
economico, voluti innanzi tutto dal ministro delle finanze, il libe-
Fredrik Lundin (1826-1868) che applicò il metodo elaborato dal francese Pierre-
Émile Martin (1824-1915); vd. Hellgren O., “J. F. Lundin och hans ugnskonstruktioner”,
in Dædalus (1946), pp. 51-63. Da allora la produzione di acciaio svedese è caratteriz-
zata da una qualità molto elevata. In questo contesto va altresì ricordato che, verso la
fine del secolo, l’introduzione del processo ideato dall’inglese Sidney Gilchrist Thomas
(1850-1885) per rimuovere il fosforo dai minerali ferrosi avvantaggiò l’industria mine-
raria svedese che poté sfruttare al meglio le proprie risorse. Per di più nel 1887 sareb-
be stata avviata l’attività estrattiva dei minerali ferrosi a Gällivare, in territorio sami
(dove già erano noti e sfruttati i giacimenti del monte Kiirunavaara o Kirunavaara (sami
Gironvárri e Kierunavaara) nei cui pressi sorge la città di Kiruna.
153
Dal 1849 erano state introdotte in Svezia le seghe a vapore in sostituzione di
quelle idrauliche. Oltre a essere più pratiche esse eliminarono il problema di installa-
re le segherie in prossimità di rapidi corsi d’acqua, permettendo di collocarle alla foce
dei fiumi (dai quali il legname veniva trasportato) in modo che il materiale pronto per
l’esportazione fosse più agevolmente caricato sulle navi.
154
Per la produzione della cellulosa furono assai importanti i metodi elaborati
dall’ingegnere Alvar Müntzing (1848-1917) e dal chimico Karl Daniel Ekman (1845-
1904). Il primo fece degli esperimenti per sostituire nella lavorazione la soda con il
solfato di sodio e nel 1885 ottenne l’impasto noto come kraftmassa (letteralmente
“massa forte”) dal quale si trae una carta particolarmente resistente; il secondo realiz-
zò invece il ‘processo al bisolfito’. Ciò contribuì in maniera determinante all’espansio-
ne di questa industria.
155
In quell’anno fu aperto il primo collegamento tra Stoccolma e Uppsala.
156
Nel 1876 Lars Magnus Ericsson (1846-1926) aveva fondato la famosa società di
telecomunicazioni tuttora attiva. Il primo elenco telefonico, che comprendeva 320
abbonati, fu pubblicato nel 1879. All’inizio del XX secolo Stoccolma sarà la città con
più apparecchi telefonici al mondo; vd. Kaijser A., “När telekriget kom till Stockholm”,
in PH 1999: 1, pp. 7-9.
157
Lo sviluppo della rete ferroviaria svedese resta legato, in particolare, alla figura del
conte Adolf Eugène von Rosen (1797-1886) che aveva collaborato con John Erics-
son (vd. p. 898 con nota 149). Egli si adoperò per far comprendere l’importanza, per un
Paese come la Svezia, della diffusione di questo mezzo di trasporto. La prima linea ferro-
viaria svedese a scartamento normale aperta al traffico fu, nel 1856, quella che collegava
Nora con Ervalla (nei pressi di Örebro in Västmanland). L’importante linea Stoccolma -
Göteborg fu inaugurata nel 1862, quella Stoccolma - Uppsala fu completata nel 1866.
158
Si ricordi in questo contesto la figura del fisico e inventore (ma anche poeta e
scrittore) Abraham Niclas Edelcrantz che per primo introdusse dall’Inghilterra le
macchine a vapore, convinse Samuel Owen (cfr. p. 898) a trasferirsi in Svezia e realiz-
zò il telegrafo ottico (cfr. p. 930 con nota 310).

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992 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

rale Johan August Gripenstedt (1813-1874), capaci di imprimere


una forte spinta al commercio con l’estero.159 Nell’industria svede-
se si affermeranno nomi di prestigio ben noti anche fuori dai con-
fini nazionali, fra tutti quelli dei fratelli Nils e John Ericsson;160 del
celeberrimo Alfred Nobel (1833-1896), noto soprattutto per l’in-
venzione della dinamite (1866) e per il lascito testamentario legato
ai prestigiosi premi;161 di Carl Gustaf Patrik de Laval (1845-1913)
ricordato in primo luogo come ideatore della turbina a vapore e
della scrematrice;162 di Jonas Wenström (1855-1893) cui si deve il
sistema trifase per la produzione di energia elettrica;163 di Carl
Edvard Johansson (1864-1943) che realizzò strumenti di precisio-
ne; di Nils Gustaf Dalén (1869-1937) premio Nobel per la fisica
nel 1912;164 di Sven Gustaf Wingquist (1876-1953) che produsse i
cuscinetti a sfera.165
Tutta questa attività traeva giovamento anche dalla fondazione
di nuovi istituti di credito: nel 1856 André Oscar Wallenberg (1816-
1886) fondava la Banca privata di Stoccolma (Stockholms enskilda
bank) che non solo concesse prestiti all’industria ma divenne anche

159
Fin dal 1846 era stata emanata una legge che permetteva agli artigiani di stabi-
lirsi nelle campagne, liberalizzando il commercio in quelle zone e, di fatto, abolendo
le corporazioni (cfr. p. 897 con nota 145). Dal 1864 questa libertà venne estesa al
territorio delle città e si permise anche alle donne di svolgere liberamente attività
commerciali (Kongl. Maj:ts Nådiga Förordning, angående utwidgad näringsfrihet; Gif-
wen Stockholms Slott den 18 Juni 1864).
160
Vd. p. 898 con nota 149.
161
Figlio di Immanuel (1801-1872), ingegnere e a sua volta inventore, nel 1842
Alfred si era trasferito in Russia (San Pietroburgo) con la famiglia: lì essi si dedicarono
a diverse attività industriali tra cui lo sfruttamento dei giacimenti petroliferi. Nel 1863
tornò in Svezia.
162
Nel 1883 egli fondò la nota industria Alfa Laval.
163
La prima centrale elettrica svedese entrò in funzione a Stoccolma nel 1891; nel
1893 nel distretto minerario di Bergslagen fu immessa per la prima volta in circolazio-
ne una grande quantità di corrente alternata trifase. Più tardi si cominciò a costruire
centrali idroelettriche: nel 1909 fu fondata la Reale direzione [dello sfruttamento
energetico] delle cascate (Kungliga Vattenfallsstyrelsen, attuale Vattenfall di proprietà
statale) per gestire questi impianti. Tuttavia nell’illuminazione il petrolio e il gas (che
a loro volta avevano sostituito materiali tradizionali come olio di balena, di colza o
resina) furono definitivamente sostituiti dalle lampadine elettriche solo nel secondo
decennio del XX secolo.
164
Cfr. nota 629.
165
Si ricordino qui anche Johan Petter Johansson (1853-1943), detentore di un
centinaio di brevetti tra cui quello della chiave inglese regolabile; Frans Wilhelm
Lindqvist (1862-1931) inventore del fornelletto da campo e anche lo svedese-canade-
se Gideon Sundbäck (1880-1954) che apportò sostanziali modifiche alla chiusura
lampo, ideata in precedenza dal pioniere della macchina per cucire Elias Howe (1819-
1867), facendone un congegno di facile applicazione e comodo utilizzo.

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Verso le democrazie nordiche 993

la base di una solida attività finanziaria autonoma.166 Con un’altra


banca fondata a Göteborg nel 1864, la Società azionaria di credito
scandinava (Skandinaviska Kreditaktiebolaget), più tardi semplice-
mente Banca scandinava (Skandinaviska Banken) essa avrebbe dato
vita (a partire dal 1972) alla Banca privata scandinava (Skandinaviska
enskilda banken), una delle più grandi nel Paese. A sua volta la
Banca commerciale di Stoccolma (Stockholms Handelsbank) sareb-
be poi divenuta l’importante e tuttora attiva Banca commerciale
svedese (Svenska handelsbanken). Dal punto di vista economico
ebbe grande importanza anche il notevole sviluppo delle società
per azioni, così come quello delle cooperative.167 Nel 1866 Stoccol-
ma ospiterà la prima fiera industriale scandinava; nel 1869 e nel
1891 (occasione in cui sarà mostrata al pubblico la prima automo-
bile) toccherà a Göteborg; nel 1897 ci sarà una nuova e grandiosa
esposizione nella capitale.168
Nella prima metà del secolo l’introduzione delle riforme e di
nuove tecniche e strumenti di lavoro aveva portato a notevoli pro-
gressi anche in campo agricolo. Tuttavia i vantaggi che ne erano
derivati erano andati in sostanza solo a coloro che possedevano le
terre coltivate o avevano comunque potuto acquistarle. Una gran
parte erano invece braccianti senza alcuna tutela, ragion per cui la
rappresentanza parlamentare dei contadini era, in realtà, solo la
rappresentanza di coloro che possedevano i poderi. Attorno alla
fine degli anni ’70 cominciò a manifestarsi anche in Svezia una
crisi agricola determinata dalla caduta dei prezzi dei cereali (dovu-
ta all’importazione in grandi quantità di queste derrate dall’Ame-
rica e dalla Russia), crisi che toccò il culmine attorno alla metà degli
anni ’80 (con le richieste protezionistiche di cui s’è detto) sicché
anche qui si puntò in buona parte piuttosto sull’allevamento del
bestiame: ciò, insieme alla diffusione di colture come quella della
barbabietola da zucchero, diede buoni risultati.
La condizione delle classi meno abbienti (sia del proletariato
agricolo sia di quello operaio) restava dunque assai precaria e
queste categorie non avevano voce in capitolo in parlamento. Tale

166
Su di lui vd. Nilsson G.B., André Oscar Wallenberg 3. Ett namn att försvara
1866-1886, Stockholm 1994.
167
Del 1899 è la fondazione dell’Associazione delle cooperative (Kooperativa för-
bundet) che tuttora gestisce molte cooperative di consumo svedesi.
168
Precedenti esposizioni erano state organizzate a Stoccolma (1823 e 1851) e a
Göteborg (1836). Più avanti ci saranno la fiera di Gävle (Gästrikland) nel 1901, quel-
la di Norrköping (Östergötland) nel 1906 e quella di Malmö (Scania) nel 1914 oltre a
una nuova fiera nella capitale (1909).

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994 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

situazione, combinata con una notevole crescita demografica,169


determinò due importanti effetti. Il primo fu l’emigrazione. Già
tra la fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo molti braccianti
svedesi si erano trasferiti in Danimarca alla ricerca di migliori
occasioni di lavoro; questo flusso, sostanzialmente modesto, sareb-
be presto stato largamente superato da un’ondata migratoria ben
più consistente: quella che tra i primi anni ’40 dell’Ottocento e gli
anni ’30 del Novecento (con un picco tra il 1867 e il 1869, periodo
segnato da gravi carestie, e, ancora, nel 1887) avrebbe visto oltre
un milione di svedesi trasferirsi in America (la grande maggioran-
za negli Stati uniti e in Canada), sottraendo forza lavoro al Paese.170
Il secondo effetto fu la nascita dei movimenti operai. Il malcon-
tento sociale derivante dalle gravose condizioni di vita e di lavoro
dei salariati delle fabbriche sfociò presto in scioperi e manifesta-
zioni, episodi che si legano strettamente alla nascita di organizza-
zioni ispirate alla dottrina socialista.171 Inizialmente i sindacati
svedesi sorsero come associazioni di categoria: il primo fu l’Asso-
169
La popolazione svedese, che all’inizio del Settecento è stata calcolata in 1.400.000
unità, aveva raggiunto un secolo dopo la cifra di 2.400.000. Si calcola che nel corso
dell’Ottocento essa sia più che raddoppiata, raggiungendo 5.100.000 abitanti all’inizio
del Novecento. E ciò nonostante la massiccia emigrazione (vd. Weibull 1996 [B.3],
p. 82).
170
Sebbene il costante incremento demografico ovviasse almeno in parte al pro-
blema, le componenti più conservatrici della società e del mondo politico guardaro-
no con grande preoccupazione al flusso migratorio cercando di contrastarlo. Emi-
nenti uomini di cultura (si pensi all’economista Knut Wicksell, 1851-1926; cfr. nota
444) si espressero con parole e scritti contro il fenomeno. Nel 1907 sorse addirittu-
ra la Società nazionale contro l’emigrazione (Nationalföreningen mot Emigrationen)
per iniziativa del sociologo Adrian Leopold Molin (1880-1942) e del funzionario
Karl Axel Fryxell (1873-1935), con il patrocinio del principe ereditario. Uno dei suoi
membri era lo studioso di statistica Gustaf Sundbärg (1857-1914) al quale il gover-
no affidò la guida della commissione che tra il 1907 e il 1913 realizzò una indagine
sul problema. Le conclusioni del lavoro suggerirono di introdurre riforme atte a far
progredire il Paese, di modo che l’emigrazione non fosse più considerata da molti
l’unica soluzione possibile per costruirsi una vita migliore; vd. Scott Franklin D.,
“Sweden’s constructive opposition to emigration”, in Journal of Modern History,
XXXVII: 3 (1965), pp. 307-335 e Kälvemark A-S., Reaktionen mot utvandringen.
Emigrationsfrågan i svensk debatt och politik 1901-1904, Uppsala 1972. Per una
analisi più dettagliata sui numeri dell’emigrazione svedese in America vd. Andersson
1975 (B.3), pp. 287-289. Sugli Svedesi e l’America nel periodo precedente vd. Åberg
A., Drömmen om Vinland. Svenskarna och America 1637-1800, Stockholm 1966.
171
Il Manifesto del partito comunista (Manifest der Kommunistischen Partei) di Marx
ed Engels era stato tradotto in svedese dal libraio Per Götrek (1799-1876), autore
anche di altri scritti sull’argomento, il quale riteneva che il comunismo potesse porta-
re giustizia nella società al modo del cristianesimo (Kommunismens röst. Förklaring af
det kommunistiska partiet, offentliggjord i februari 1848, 1848). Vd. Gamby E., Per
Götrek och 1800-talets svenska arbetarrörelse, Stockholm 1978.

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Verso le democrazie nordiche 995

ciazione sindacale dei tipografi (Typografiska fackföreningen) costi-


tuita nel 1846.172 Nella seconda metà del secolo il grande sviluppo
industriale ebbe come riflesso parallelo l’espansione della protesta
operaia. Uno degli episodi più noti in questo contesto è, nel 1879,
lo sciopero dei lavoratori delle segherie di Sundsvall. I territori
della regione di Norrland, in gran parte sottratti ai Sami, avevano
conosciuto fin dal XIV secolo una certa immigrazione che, favo-
rita dalla Corona, aveva dato luogo a insediamenti di tipo agrico-
lo.173 Quando nel XIX secolo la richiesta di legname si fece molto
consistente si pensò di sfruttare le grandi risorse forestali del
Paese: questo sfruttamento fu particolarmente intenso proprio in
quell’area che conobbe dunque una rapida espansione dei suoi
centri abitati ma anche uno sconsiderato diboscamento.174 In questo
contesto si situa il grande sciopero degli operai delle segherie di
Sundsvall che, seppure conclusosi per loro con una totale sconfit-
ta, rappresenta un punto di svolta per la presa di coscienza del
movimento operaio svedese.175 Il quale dunque gradatamente si
172
Da essa sarebbe poi sorto (1886) il primo sindacato di categoria: l’Associazione
svedese dei tipografi (Svenska typografförbundet). Nel medesimo anno le ostetriche
avrebbero dato vita alla loro associazione nazionale (Sveriges barnmorskeförbund),
tuttora attiva, mentre a Lund le sarte si sarebbero organizzate in un sindacato di due
anni precedente il Sindacato operaio femminile (Kvinnliga arbetarföreningen) in cui
sarebbero confluite soprattutto queste lavoratrici. Sulla base di queste e di altre espe-
rienze sarebbe sorta nel 1902 L’associazione operaia femminile (Kvinnliga Arbetarför-
bundet) con Anna Sterky (cfr. nota 438) come presidente.
173
Vd. p. 355 con nota 113.
174
La prima sega a vapore (cfr. nota 153) fu installata nel 1849 a Tunadal, presso
Sundsvall. Nella zona l’industria del legname si sviluppò rapidamente e Sundsvall, che
in precedenza era un piccolo centro agricolo, arrivò a contare circa 9000 abitanti, gran
parte dei quali traevano il proprio sostentamento dal lavoro nelle segherie della zona
(una trentina alla fine degli anni ’70). Tuttavia solo una parte di loro aveva un lavoro
regolare mentre la maggioranza era costituita da operai con contratti precari. Sull’in-
dustrializzazione della regione di Norrland vd. Åkerman S., “Från jordbruksland till
industrisamhälle”, in PH 1993: 1, pp. 12-17.
175
 Causa prima dello sciopero fu una crisi del settore che fece crollare il prezzo del
legname. La reazione dei proprietari delle segherie fu di abbassare il salario degli operai,
decisione che fu mantenuta anche quando essi ebbero ottenuto un consistente sostegno
finanziario da parte del governo. Di fronte a questa situazione fu dunque proclamato
uno sciopero che in breve tempo raccolse migliaia di aderenti in molte delle segherie
della zona. Il padronato rispose coinvolgendo le autorità statali. Il governatore provin-
ciale Curry Treffenberg (1825-1897) incontrò i lavoratori, il cui portavoce era il giovane
Isak Boström (1851-1944), tentando inutilmente di convincerli a riprendere il lavoro.
Nonostante gli scioperanti mantenessero un atteggiamento pacifico (insieme pregavano
e cantavano salmi ed erano molto attenti a che nessuno si ubriacasse) le loro richieste
rimanevano inascoltate ed essi andavano avanti nella loro protesta con determinazione.
I padroni decisero allora di impiegare lavoratori esterni e Treffenberg, facendosi forte
della presenza di forze militari da lui chiamate, minacciò di arrestare gli scioperanti e

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996 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

organizzò e trovò il proprio referente politico nel partito socialde-


mocratico. Un passo decisivo verso una qualificata rappresentan-
za dei lavoratori fu fatto nel 1898 quando si volle costituire un
coordinamento tra i diversi sindacati locali e di categoria: nacque
infatti in quell’anno il Sindacato nazionale (Landsorganisationen)176
alla cui guida fu chiamato Fredrik Sterky (1860-1900), membro
della sezione socialdemocratica di Göteborg (arbetarkommun),177
fondatore e caporedattore del giornale Tempi nuovi (Ny Tid).178 A
questo risultato conseguì una più efficace strategia e la possibilità
di individuare obiettivi condivisi. In primo luogo, naturalmente,
migliori condizioni di lavoro (anche dal punto di vista della sicu-
rezza), forme assicurative,179 sussidi,180 normative sul lavoro mino-

punirli a termini di legge. A questo punto anche i più risoluti si arresero. Alcuni di loro
furono incarcerati tuttavia senza conseguenze troppo gravi (Boström ebbe sette settima-
ne di prigione). Nonostante la sconfitta questo sciopero – al contrario di precedenti (a
esempio quello del 1875 alla segheria di Sprängviken in Ångermanland) – ebbe una
grande eco e un forte impatto sociale e rese consapevoli i lavoratori dell’impossibilità di
ottenere risultati concreti senza avere alle spalle una efficiente organizzazione. Questa
fu anche la prima volta in cui i padroni fecero ricorso al potere pubblico per aver ragio-
ne degli scioperanti. Vd. Lundberg H., Sundsvallsstrejken 1879, Bjästa 1979 e anche
Söderlund G., “Isak Boström – arbetarnas talesman i sundsvallsstrejken”, in Fack-
föreningsrörelsen, 1941, pp. 397-401. In questo contesto occorre tuttavia anche ricorda-
re il caso particolare dell’industriale del legno Frans Kristofer Kempe (1847-1924) il
quale possedeva una segheria a Norrbyskär presso Umeå: lì egli aveva voluto realizzare
un villaggio modello nel quale vivevano i suoi dipendenti ai quali era garantita un’abita-
zione insieme ai servizi necessari (emporio, scuola, centro sanitario, chiesa).
176
Come nel caso della Danimarca (cfr. nota 88) il nome significa Organizzazione
nazionale ed è comunemente abbreviato in LO.
177
Letteralmente “comune dei lavoratori”. La sezione di Göteborg fu la prima a
essere fondata in Svezia (1890).
178
Per la precisione il titolo del giornale è Tempo nuovo. Sterky vi lavorò dal 1892
al 1898. In precedenza era stato economo de Il social-democratico.
179
Dal punto di vista della sicurezza del lavoro e dell’assistenza pensionistica occor-
re ricordare l’opera di Sven Adolf Hedin (cfr. p. 953 e nota 140), primo politico sve-
dese a proporre (1884) una legislazione in materia. La prima legge sulla sicurezza nei
luoghi di lavoro è del 1889 (Lag angående skydd mot yrkesfara; gifven Stockholm slott
den 10 Maj 1889); nel 1901 vennero stabiliti risarcimenti per gli infortuni sul lavoro
(Lag angående ersättning för skada till följd af olycksfall i arbete; gifven Stockholms
slott den 5 Juli 1901). Nel 1891 furono regolamentate le casse per malattia (Lag om
sjukkassor; gifven Stockholms slott den 30 Oktober 1891), nel 1906 fu promulgata la
legge per l’istituto di mediazione sulle controversie lavorative (Lag angående medling
i arbetstvister; gifven Stockholms slott den 31 december 1906 e Kungl. May:ts nådiga
instruktion för förlikningsmän för medling i arbetstvister, medesima data); nel 1913 fu
istituita la pensione di vecchiaia (Lag om allmän pensionsförsäkring; given i Stockholms
slott den 30 juni 1913): il limite d’età per usufruire di questo diritto era di sessantasei
anni.
180
Per la verità fin dal 1847 in Svezia il re Oscar I aveva promulgato una legge per
l’assistenza agli indigenti: in essa si stabiliva che questa responsabilità dovesse compe-

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Verso le democrazie nordiche 997

rile,181 suffragio universale. Per dar voce alle richieste furono orga-
nizzate imponenti manifestazioni e nuovi scioperi:182 il 1 maggio
venne celebrato per la prima volta in Svezia nel 1890 con la par-
tecipazione di migliaia di persone. Fu in tal modo evidente che
una efficiente organizzazione sindacale poteva davvero incidere
sulla vita e sui destini del Paese. Non casualmente nel 1902 veniva
fondata l’Associazione svedese dei datori di lavoro (Svenska Arbets-
givareföreningen, SAF) allo scopo di contrastare la crescita del

tere all’amministrazione delle città e alle parrocchie. Si trattava comunque di un


provvedimento (emendato nel 1853) che per la prima volta recepiva il principio che
la soluzione di questo problema doveva essere opportunamente regolamentata (rispet-
tivamente: Kongl. Maj:ts Nådiga Förordning, angående Fattigvården i Riket; Gifwen
Stockholm Slott den 25 Maj 1847 e Kongl. Maj:ts Nådiga Förordning, angående Fat-
tigvården i Riket; Gifwen Stockholm Slott den 13 Juli 1853).
181
Come altrove il lavoro minorile era molto diffuso. La prima legge di una certa
rilevanza al riguardo fu promulgata nel 1912 (Lag om arbetarskydd; gifven Stockholms
slott den 29 juni 1912); per il lavoro dei ‘minori’ (vale a dire coloro che non avevano
compiuto i diciotto anni) essa stabiliva una serie di regole che tuttavia consentivano
diversi lavori ai ragazzi di almeno dodici anni (§§ 8-17); inoltre erano previste alcune
tutele anche per le donne (§§ 18-22).
182
Certamente non tutte le manifestazioni del disagio proletario furono pacifiche
come lo sciopero di Sundsvall. Il caso più clamoroso è senza dubbio quello verifi-
catosi nel 1908 a Malmö, dove i portuali avevano proclamato un’agitazione per
ottenere migliori condizioni e salari più alti. A motivo della dura reazione dei
datori di lavoro – che avevano coinvolto la polizia e ingaggiato operai inglesi a
svolgere i compiti degli scioperanti – la tensione raggiunse livelli altissimi al punto
che i lavoratori provenienti dall’Inghilterra, alloggiati sulla nave Amalthea, apriro-
no il fuoco contro gli scioperanti svedesi. Nella notte tra l’11 e il 12 giugno tre
attivisti socialisti, Algot Rosberg (1886-1939), Anton Nilson (1887-1989) e Alfred
Stern (1886-1966) collocarono una bomba sullo scafo della nave allo scopo di
intimidire gli inglesi. Benché l’intenzione non fosse quella di uccidere, lo scoppio
provocò la morte di un operaio e il ferimento di altri ventitré. Gli autori dell’azio-
ne furono scoperti e arrestati: Rosberg e Nilson vennero condannati a morte, Stern
ai lavori forzati a vita. La pena di Rosberg e Nilson venne poi commutata in lavori
forzati a vita. Inizialmente l’episodio fu unanimemente e duramente condannato
anche da parte della sinistra. E tuttavia successivamente si levarono molte voci e
furono organizzate molte manifestazioni (anche all’estero) a sostegno dei condan-
nati, ritenuti comunque portatori di un ideale di giustizia sociale. Nei confronti di
Anton Nilson, che divenne noto come “l’uomo dell’Amalthea” (Amaltheamannen)
ci fu anche un tentativo di liberazione dalla prigione (1 maggio 1917) compiuto da
un migliaio di dimostranti. Nell’ottobre di quello stesso anno i tre furono rilascia-
ti. Anton Nilson si trasferì in Russia, dove entrò a far parte dell’Armata rossa, ma
tornò in Svezia nel 1926 ritenendo la dittatura stalinista un tradimento degli idea-
li socialisti. Egli ha lasciato diversi scritti relativi alla sua esperienza umana e
politica. Vd. Nilsson Th., Dynamitattentatet som skakade Malmö sommaren 1908.
Historia om och kring Amaltheadådet, Malmö 2002, che raccoglie fonti dell’epoca.
Su Anton Nilson la regista Maj Wechselmann (n. 1942) ha diretto (1980) Il film su
Anton Nilson. Per i bambini delle classi lavoratrici (Filmen om Anton Nilson. Till
arbetarklassens barn).

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998 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

movimento operaio.183 Un grande scontro fra queste due forze si


ebbe nel 1909. In quell’anno si verificò una grave crisi che deter-
minò riduzioni degli stipendi e serrate, al che i lavoratori rispose-
ro con un imponente sciopero generale che coinvolse quasi 300.000
persone in tutto il Paese colpendo pesantemente l’economia. La
forza del sindacato non era tuttavia tale da sostenere una lotta di
così vasta portata (le riserve cui attingere non erano sufficienti) e
lo scontro si concluse dunque con una pesante sconfitta. Ciò
determinò l’abbandono di molti iscritti che preferirono confluire
nella nuova Organizzazione centrale dei lavoratori svedesi (Sveriges
Arbetares Centralorganisation), che (dopo due congressi prepara-
tori tenuti a Lund) fu costituita a Stoccolma nel 1910. Nel frat-
tempo cominciarono a nascere i primi sindacati generali di cate-
goria.184
Parallela alla crisi del sindacato fu la spaccatura tra i socialde-
mocratici. Fin dal 1905 l’Associazione giovanile (Ungdomsförbund)
del partito, più marcatamente orientata a sinistra, aveva manife-
stato il proprio disaccordo sulla questione delle riforme propen-
dendo piuttosto per soluzioni rivoluzionarie. Nel tentativo di
arginarne l’influenza ed emarginarla, i dirigenti avevano creato una
nuova struttura, l’Associazione giovanile socialdemocratica (Social-
demokratiska ungdomsförbund). La frattura avvenne nel 1908:
sebbene il programma politico stilato in quell’anno risentisse in
buona parte delle idee più radicali (in primo luogo nella decisa
posizione antimilitarista) due rappresentanti di quella corrente
furono allontanati dal partito; si trattava di Carl Gustaf Schröder
(1876-1959) e Henrik Bergegren (detto Hinke, 1861-1936), in duro
contrasto con Hjalmar Branting.185 In seguito a questa decisione
anche i componenti dell’Associazione giovanile abbandonarono i
socialdemocratici e fondarono il Partito dei giovani socialisti
(Ungsocialistiska Partiet) che coerentemente con i propri princìpi
anarchico-rivoluzionari non si presentò alle elezioni, ritenendo che
il cambiamento potesse essere realizzato solo attraverso interventi
diretti di rivolta sociale. Dall’altra parte ci si muoveva invece sem-
pre più in direzione di un socialismo moderato (si vedano i risul-

183
Nel 2001 la SAF si è fusa con l’Associazione degli industriali svedesi (Svensk
Industriförbund, sorta a sua volta nel 1910) a formare l’Associazione commerciale e
industriale svedese (Svenskt näringsliv, letteralmente “Imprenditoria svedese”).
184
Questo tipo di sindacato viene indicato con la sigla FCO (Facklig Centralorgani-
sation).
185
Schröder e Bergegren furono tra l’altro considerati gli ispiratori dell’attentato
alla nave Amalthea (vd. nota 182).

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Verso le democrazie nordiche 999

tati del congresso tenuto nel 1911) incarnato in primo luogo nella
figura di Carl Lindhagen (1860-1946) e si andò verso una collabo-
razione con i liberali che si sarebbe concretizzata nella coalizione
di governo in carica dal 1917 al 1920.
Del resto, il carattere sostanzialmente moderato della politica
svedese e la sua capacità di riformarsi dall’interno va ricondotto
anche a quel risveglio delle coscienze che in questo Paese, come
altrove, caratterizza il XIX secolo e si esprime nella nascita di chie-
se libere e movimenti popolari che, non a caso, appaiono frequen-
temente collegati alle nuove comunità sorte nelle zone industriali,
oppure traggono impulso e sostegno dall’ambiente degli emigrati.186
Già presenti nella prima metà del secolo187 essi ebbero grande dif-
fusione a partire dagli anni ’50, anche grazie alle leggi sulla libertà
religiosa e al decreto che aboliva il Konventikelplakatet.188 Figura
fondamentale in questo contesto è quella del predicatore laico Carl
Olof Rosenius (1816-1868), originario del Västerbotten, che si era
formato in un ambiente nel quale erano diffuse piccole comunità
religiose che si riunivano per attingere direttamente alla lettura
della parola di Dio.189 Influenzato dal metodista scozzese George
Scott (1804-1874), attivo a Stoccolma, con lui fondò la rivista Il
Pietista (Pietisten) nel 1842, il medesimo anno in cui Scott fu costret-
to a lasciare la Svezia. Rosenius ne raccolse, per così dire, l’eredità
e la cappella – nota come “chiesa inglese” (“engelska kyrkan”) – che
questi, insieme all’industriale Samuel Owen,190 aveva fatto erigere a
Stoccolma (1840) fu acquistata per la Fondazione evangelica patriot-
tica (Evangeliska fosterlandsstiftelsen) sorta nel 1856 per iniziativa
dell’ecclesiatico Hans Jakob Lundborg (1825-1867) con l’attiva
partecipazione di Rosenius stesso.191 Il carattere di questa organiz-

186
In questo contesto vanno doverosamente segnalati anche casi in cui le scelte
religiose (specie se in duro contrasto con la dottrina ufficiale) furono la ragione che
indusse taluni a emigrare. Si ricordi qui la setta degli Erik-jansarna, così detti in quan-
to seguaci di tale Erik Jansson (1808-1850) i quali si stabilirono nell’Illinois dove
fondarono una colonia.
187
Cfr. p. 896 con nota 138.
188
Kongl. Maj:ts Nådiga Förordning, angående serskilda sammankomster för andakts-
öfning; Gifwen Stockholms Slott den 26 Oktober 1858. Vd. p. 768 con nota 385 e cfr.
in questo capitolo la nota 136.
189
In svedese queste persone vengono definite con il termine läsare (letteralmente
“lettore”/“lettori”); vd. in proposito Hallingberg G., Läsarna. 1800-talets folkväckelse
och det moderna genombrottet, Stockholm 2010.
190
Cfr. p. 898. Scott era stato chiamato in Svezia da Owen nel 1830 perché si occu-
passe dell’assistenza religiosa ai lavoratori inglesi impiegati nella sua fabbrica. La
comunità di Scott costituì la prima “chiesa libera” di Svezia.
191
In tale occasione essa venne ribattezzata Chiesa di Betlemme (Betlehemskyrkan).

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1000 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

zazione, indipendente ma comunque incardinata nella Chiesa uffi-


ciale e nella quale il ruolo dei laici ha particolare risalto, ben riflette
un atteggiamento politico-sociale che esige responsabilità ma anche
fiducia nelle istituzioni (dunque anche patriottismo), non certo
disubbidienza o, peggio, rivolta. Nella direzione del periodico Il
pietista sarebbe più tardi subentrato Paul Petter Waldenström (1838-
1917) il quale, pur in polemica teologica (fu successivamente esclu-
so dalla fondazione) volle sempre mantenere il legame con la Chie-
sa tradizionale che, riteneva, dovesse essere rinnovata dall’interno.
Ma anche nei casi in cui si giunse a un distacco,192 il vivace dibattito
(teologico ma non solo) contribuì da una parte a favorire un’evolu-
zione all’interno della Chiesa svedese (che andò in direzione di una
crescente autonomia dallo Stato) ma anche a risvegliare nei singoli
fedeli attenzione e desiderio di partecipazione attiva. Questi movi-
menti rappresentarono dunque un sicuro punto di riferimento non
solo per la coscienza religiosa dei singoli ma anche per la matura-
zione civile del popolo svedese.193 La quale si manifesta anche in un
altro importante campo di azione, quello della lotta all’alcolismo,
strettamente legata all’impegno religioso. Del resto una delle prime
associazioni svedesi contro l’alcolismo era stata fondata nel 1831
proprio da George Scott e dall’industriale Owen e lo stesso princi-
pe ereditario Oscar aveva dato immediata adesione alla Società
svedese per l’astinenza [dall’alcol] (Svenska nykterhetssällskapet)
nata nel 1837 che si sarebbe avvalsa dell’opera del sopra citato Peter
Wieselgren, figura fondamentale dell’organizzazione.194 Organizza-
192
Si ricordi il pastore Erik Jakob Ekman (1842-1915), che nel 1879 lasciò la Chiesa
per contrasti di natura teologica, sebbene l’anno precedente fosse stato tra i fondatori e
primo presidente dell’Associazione missionaria svedese (Svenska missionsförbundet),
organismo tra i più impegnati nell’evangelizzazione all’estero: attività che – come è stato
detto – aveva ricevuto forte impulso dalla visione religiosa pietista. Dal 2003 l’Associazio-
ne missionaria svedese ha nome Chiesa missionaria svedese (Svenska Missionskyrkan).
193
Tra i diversi movimenti si ricordino qui anche il læstadianismo (cfr. p. 896 con
nota 139); la Chiesa battista, promossa in Svezia fin dal 1848 da Fredrik Olaus
Nilsson (1809-1881); la Chiesa metodista ufficialmente riconosciuta nel 1876, sep-
pure già presente in precedenza; la Chiesa avventista fondata nel 1880; l’Esercito
della salvezza (in svedese Frälsningsarmén), diffuso nel Paese dal 1882; il movimen-
to dei pentecostali giunto in Svezia nel 1907. Notevole importanza ebbe anche il
Movimento ecclesiale dei giovani (Ungkyrkorörelsen) originato nel 1901 nell’ambito
dell’Associazione cristiana degli studenti di Uppsala (Uppsala Kristliga Studentförbund)
che promuoveva una ‘missione nel Paese’ con lo slogan “Il popolo svedese – un
popolo di Dio” (“Sveriges folk – ett Guds folk”). Non si dimentichi qui che diverse
di queste chiese operarono attivamente anche nel campo delle missioni estere (cfr.
nota precedente).
194
Vd. sopra, p. 897, con nota 140. Lo stretto rapporto tra impegno religioso,
astinenza dall’alcol e movimento operaio appare chiaro nella vicenda dello sciopero

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Verso le democrazie nordiche 1001

zione che (a partire dal 1902) si chiamerà Società svedese per l’asti-
nenza [dall’alcol] e l’educazione popolare (Svenska sällskapet för
Nykterhet och Folkuppfostran), volendo sottolineare gli scopi edu-
cativi della propria azione.195 I quali sono del tutto evidenti anche
nell’istituzione, per iniziativa del partito socialdemocratico, dell’As-
sociazione per la formazione dei lavoratori (Arbetarnas bildningsför-
bund, 1912). Del resto anche in Svezia si erano diffuse le “scuole
popolari superiori” (dette qui folkhögskolor) su modello danese,196
promosse, in primo luogo, da Leonard Pontus Holmström (1840-
1919). E tutta una serie di provvedimenti relativi all’istruzione (tra
gli altri quelli del 1842, 1856, 1870, 1882, 1905), in cui vengono
tenuti nella dovuta considerazione anche i percorsi formativi di
carattere più prettamente tecnico, dimostra in quale misura l’im-
portanza della gestione statale in questo campo sia ormai ben pre-
sente alla politica.197 Degli anni ’60 è la proposta del pubblicista e

dei lavoratori delle segherie di Sundsvall (vd. sopra, p. 995 con nota 175), i quali tra-
scorrevano il tempo a pregare e cantare salmi e si astenevano rigorosamente dal bere.
195
Nel 1917 verrà introdotto in Svezia il cosiddetto ‘sistema di Bratt’ dal nome del
medico Ivan Bratt (1878-1956) che lo aveva suggerito. Esso si proponeva di ridurre
il consumo di alcolici con l’introduzione di una sorta di registro personale di controllo, il
cosiddetto motbok (letteralmente “libro contro”) nel quale venivano annotati gli acquisti
di questo genere di bevande. L’assegnazione di un motbok dipendeva dalla condizione
sociale, dall’età e dal sesso della persona interessata. Nel medesimo 1917 veniva creata
una società per azioni (Aktiebolaget Spritcentralen) per la gestione statale della produzio-
ne di alcolici. Nel 1955 venne creato il cosiddetto Systembolaget, catena di negozi statali
con il monopolio della vendita degli alcolici (tuttora in funzione) e il motbok fu eliminato.
196
Cfr. p. 884. Le prime tre “scuole popolari superiori” svedesi furono aperte nel
1868 a Hvilan e Malmöhus in Scania e a Lunnevad nell’Östergötland; diverse altre
seguirono negli anni ’70.
197
Per il provvedimento del 1842 vd. p. 893 con nota 129; inoltre: Kongl. Maj:ts
Nådiga Stadga För Rikets Allmänna Elementar-Lärowerk; Gifwen Stockholms Slott den
14 Augusti 1856; Kongl. Maj:ts Nådiga Skrifwelse till Cancellers-Embetet för Universiteten
i Upsala och Lund, angående ändring i wissa §§ af Universitetsstatuterna, 16 aprile 1870, in
particolare Transsumt.af Kongl Maj:ts Nådiga Skrifwelse till Sundhets-Collegium angående
rättighet för qwinna till läkareyrkets utöfning m.m., 3 giugno 1870 (con il quale per la prima
volta si consentiva alle ragazze l’accesso allo studio della medicina); Kongl. Maj:ts förnyade
Nådiga Stadga angående folkundervisningen i riket; gifven Stockholms slott den 20 Januari
1882; Kungl. Maj:ts Nådiga Stadga för rikets allmänna läroverk; gifven Kristiania slott den
18 februari 1905 (che introduceva le scuole medie comunali). Nel 1849 una circolare del
6 luglio (Cirkulär till samtlige Consistorier i Riket och Direktionen öfwer Stockholms stads
Underwisningswerk, angående reglering af Elementar-lärowerken) introduceva, nella sostan-
za, le cosiddette realskolor (che anche qui diventeranno una sorta di ‘scuola media’ cfr. p.
978, nota 104) decretando al contempo la scomparsa delle apologistklasser (cfr. p. 892, nota
127); vd. Åstrand S., Reallinjens uppkomst och utveckling fram till 1878, Stockholm 1976
(in particolare pp. 61-72). Va rilevato tuttavia che fin dal 1767 l’ecclesiastico Nathanaël
Thenstedt (1731-1808) aveva aperto a Stoccolma uno di questi istituti su modello tedesco.
Le realskolor resteranno nell’ordinamento scolastico svedese fino al 1972.

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1002 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

politico liberale Sven Adolf Hedlund (1821-1900) di istituire una


‘libera accademia’ aperta a tutti coloro che avessero interessi di
carattere umanistico o scientifico: una istituzione senza vincoli né
esami in cui l’apprendimento fosse basato solo sul desiderio del
singolo di sviluppare le proprie conoscenze e le proprie capacità.
La moderna scuola svedese (evidentemente regolata da tutta una
serie di nuove leggi)198 poggia su queste basi.199
In questo intreccio di fede religiosa, motivazioni politiche, impe-
gno sociale e culturale affonda le proprie radici la presa di coscien-
za dell’indipendenza e della responsabilità del singolo che in pro-
spettiva nazionale costituisce, come altrove, una delle basi della
democratizzazione e della modernizzazione del Paese: a tutto ciò
l’autorità dovrà dunque rispondere con azioni concrete.200 Innanzi
tutto nel soddisfare la richiesta di suffragio universale. Al 1890
risale la fondazione dell’Associazione svedese per il suffragio uni-
versale (Sveriges allmänna rösträttsförbund), di ispirazione liberale,
guidata da Julius Mankell;201 al 1902 l’Associazione nazionale per
il diritto di voto politico alle donne (Landsföreningen för kvinnans
politiska rösträtt),202 sorta, non casualmente, nello stesso anno in

198
Si citino qui, tra gli altri, i provvedimenti del 20 maggio 1927, osteggiato dalla
destra, che mirava a una equiparazione nell’accesso allo studio sia per quanto riguar-
dava la classe sociale, sia dal punto di vista del sesso degli allievi (vd. Bergman G.,
Skolreformen av år 1927. En orientering, Stockholm 1927); quello del 6 ottobre 1950
(Transsumt av Kungl. Maj:ts brev till skolöverstyrelsen angående riktlinjer för det svenska
skolväsendets utveckling m.m.) che introdusse la cosiddetta “scuola unificata” (enhetsskola);
quelli del 23 maggio 1962 (1962 års skollag, skolstadga och läroplan för grundskolan), che
al posto della scuola elementare popolare (folkskola) introducevano la cosiddetta “scuo-
la di base” (grundskola), obbligatoria, della durata di nove anni suddivisi (fino al 1994) in
tre livelli; l’ordinanza (Skolförordning) del 17 giugno 1971 (sia per la scuola elementare
sia per la superiore). Di recente (2011) sono stati pubblicati nuovi programmi di insegna-
mento, tra i quali ha particolare interesse quello per i ginnasi. Nelle scuole svedesi le
punizioni corporali sono state proibite con un regolamento emesso nel 1958 (Kungl. Maj:ts
stadga för folkskolor, fortsättningsskolor och försöksskolor. Given den 23 maj 1958, § 54;
cfr. la legge del 1962, V, § 26).
199
Segnale del mutamento di clima è anche la fondazione a Uppsala (1886) dell’as-
sociazione Studenti e lavoratori (Studenter och arbetare), cui altre simili seguirono, allo
scopo di creare, attraverso i rapporti interpersonali, le basi per costruire una società
nuova libera da pregiudizi.
200
Di interesse in questa prospettiva è un provvedimento del 1902 (K. Maj:ts nådi-
ga förordning om inkomstskatt; gifven d. 21 juni 1902) con il quale si introduceva in
Svezia il principio della autodichiarazione dei redditi ai fini della tassazione progres-
siva basata su di essi.
201
Cfr. nota 140. Uno dei più convinti promotori del suffragio universale fu il
giornalista Frans Gustaf Isidor Kjellberg (1841-1895).
202
Le fondatrici furono Anna Margreta (o Ann Margret) Holmgren (cfr. p. 1061),
Anna Whitlock (1852-1930), Lydia Wahlström (1869-1954) e Signe Wilhelmina Ulrika

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Verso le democrazie nordiche 1003

cui (20 aprile) si era svolta una turbolenta dimostrazione per riven-
dicarlo. Dopo vari tentativi, il primo politico che affrontò seria-
mente la questione fu il liberale Karl Staaff (1860-1915), capo del
governo nel biennio 1905-1906, il quale coerentemente con le
proprie idee si dimise quando la sua proposta in merito fu respin-
ta dal parlamento.203 Staaff avrebbe tuttavia beneficiato della rifor-
ma migliorativa del suo successore, il conservatore Arvid Lindman
(1862-1936) che nel 1907 condusse in porto una modifica costitu-
zionale che introduceva il sistema proporzionale e il suffragio
universale (limitato agli uomini e comunque con alcune eccezioni)
nelle votazioni per la Seconda Camera:204 i liberali infatti vinsero le
elezioni del 1911 (le prime svoltesi secondo il nuovo sistema) ed
egli tornò al governo, questa volta proponendo il voto e l’eleggibi-
lità per le donne, il che tuttavia fu bocciato dalla Prima Camera.
La questione restò dunque in sospeso e sarebbe stata risolta solo
nel 1919.205 Del resto il nuovo sovrano, Gustavo V (Oscar Gustaf
Adolf, 1858-1950), salito al trono alla morte del padre nel 1907, non
Bergman (1869-1960). Il movimento, che era apartitico, si richiamava naturalmente
alle suffragette inglesi e tra il 1912 e il 1919 pubblicò il periodico Diritto di voto alle
donne (Rösträtt för kvinnor). Nel 1911 organizzò a Stoccolma la Conferenza interna-
zionale femminile. Per la verità il voto alle donne (solo a quelle che pagavano le tasse)
era stato concesso per le elezioni comunali fin dal 1862 (cfr. p. 985 con nota 134)
quando agli uomini era stato garantito il medesimo diritto indipendentemente dal ceto
sociale di appartenenza, ma graduato in base al patrimonio posseduto. Dal 1889 le
donne divennero eleggibili nei consigli scolastici e in quelli per la gestione dell’assi-
stenza sociale (Kungl. Maj:ts Nådiga Förordning angående ändrad lydelse af femte
stycket af § 23 i K. förordningen om kyrkostämma samt kyrkoråd och skolråd den 21
Mars 1862; gifven Stockholms slott den 22 Mars 1889).
203
Non si dimentichi qui che Karl Staaff era stato tra i fondatori (1882) dell’Asso-
ciazione Verdandi (Föreningen Verdandi, tuttora esistente) sorta nei circoli studenteschi
di Uppsala allo scopo di promuovere in primo luogo un’assoluta libertà religiosa, ma
anche la massima libertà di espressione: sin dall’inizio essa organizzò dibattiti su mol-
ti problemi sociali dell’attualità (anche quelli più ‘difficili’) e diversi tra i suoi membri
(basti ricordare Hjalmar Branting, vd. p. 989) divennero figure di tutto rilievo nella
società svedese. Vd. Zweigbergk O. von, Studentföregingen Verdandi genom femtio år.
Ur den svenska radikalismens historia, Stockholm 1932.
204
Questa legge fu definitivamente ratificata dal parlamento nel 1909: Lag om val
till Riksdagen; gifven Stockholms slott den 26 maj 1909. In quello stesso anno le
donne furono dichiarate eleggibili nei consigli comunali (le prime furono nominate
nelle votazioni dell’anno successivo): Lag angående ändring i vissa delar af förord-
ningen om kommunalstyrelse på landet den 21 Mars 1862; gifven Stockholms slott den
26 Mars 1909; Lag angående ändring i vissa delar af förordningen om kommunal-
styrelse i stad den 21 Mars 1862; gifven Stockholms slott den 26 Mars 1909; Lag an-
gående ändring i vissa delar af förordningen om kommunalstyrelse i Stockholm den 23
maj 1862; gifven Stockholms slott den 26 maj 1909. Lindman è ricordato anche come
colui che introdusse l’uso dei manifesti elettorali.
205
Vd. oltre, p. 1125 con nota 47.

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1004 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

vedeva di buon occhio la forza crescente del parlamentarismo ed


era in contrasto con Staaff, soprattutto sul tema della difesa, tor-
nato prepotentemente alla ribalta e da molti ritenuto di cogente
attualità, a motivo dei venti di guerra che soffiavano in Europa.206
Il 6 febbraio 1914 ci fu a Stoccolma una grande manifestazione di
contadini (Bondetåget) nella quale si reclamava una difesa più
forte, in contrasto con la politica dei liberali al governo e a sostegno
del re. Quest’ultimo, per dare prova della propria autorità, vi inter-
venne con un discorso nel quale, di fatto, sconfessava la linea
dell’esecutivo. Il che per la verità era un modo del tutto scorretto
di abusare delle proprie prerogative: in ogni caso il governo si
dimise e non si trovò soluzione migliore se non quella di indire
nuove elezioni in seguito alle quali i socialdemocratici ottennero la
maggioranza alla Seconda Camera. La grave frattura fra Corona e
parlamento era ben lontana dall’essere sanata quando lo scoppio
della prima guerra mondiale spazzò via ogni altro problema. E di
fronte a questo conflitto la Svezia si trovò sola poiché nel 1905 la
Norvegia aveva abbandonato l’unione. Del che si parlerà nel pros-
simo paragrafo.

Nel 1912 la città di Stoccolma ospitò la quinta edizione dei giochi


olimpici moderni.207 Un evento vissuto dal popolo svedese e, soprattutto,

206
Del 1912 è un celebre scritto di Sven Anders Hedin (cfr. nota 631), noto per i
molti viaggi di esplorazione in Asia, dal titolo Una parola di avvertimento (Ett var-
ningsord), nel quale egli metteva in guardia gli Svedesi dal pericolo russo: il testo ebbe
un incredibile successo di vendite superando il milione di copie. Nel medesimo anno
fu fondata l’Associazione svedese per la corazzata (Svenska pansarbåtsföreningen) il
cui scopo era quello di raccogliere fondi per completare la costruzione di una nave da
guerra, sospesa dal governo liberale di Staaff: il risultato fu presto raggiunto. Del resto
il pericolo di un espansionismo russo era stato ben presente anche al re Oscar II, la
cui ascesa al trono aveva significato un avvicinamento alla Germania (e parallelo
‘disimpegno’ rispetto alla Francia) proprio a motivo del fatto che ciò pareva rafforza-
re la Svezia nei confronti dei Russi. Tale avvicinamento si era presto esteso dall’ambi-
to della politica estera ad altri (economico, culturale, militare).
207
Fin dal secolo precedente l’attività fisica e sportiva aveva suscitato anche in
Scandinavia crescente interesse: si ricordi qui Per Henrik Ling (vd. pp. 926-927) ma
anche il suo allievo migliore, il politico socialista Hjalmar Branting (vd. p. 989), così
come l’avvio delle gare sciistiche in Norvegia nel 1879. Sulle Olimpiadi di Stoccolma
del 1912 si rimanda a Isaksson Cl., Stockholm 1912. Första moderna olympiska spelen.
Människorna, idrotten och Sverige, Stockholm 2011. Qui può essere interessante ricor-
dare che nel 1834 (vale a dire ben sessanta anni prima di de Coubertin!) lo svedese
Gustaf Johan Schartau (1794-1853) allievo di Per Henrik Ling, aveva organizzato dei
giochi olimpici a Ramlösa (quartiere della città di Helsingborg in Scania, noto per la

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Verso le democrazie nordiche 1005

dalle autorità, come occasione per mostrare al resto del mondo il valore
e la dinamicità del Paese e, insieme, la dignità e l’orgoglio della nazione.
Il 1 giugno, giorno dell’inaugurazione dello stadio olimpico,208 il colon-
nello Viktor Balck (1844-1928), figura di prestigio del mondo sportivo
svedese, tenne l’orazione ufficiale, della quale di seguito si riporta qualche
brano:

“Sport e patria sono due concetti strettamente legati l’uno all’altro.


Il significato più profondo dello sport è la celebrazione dell’idea di patria;
poiché non è esclusivamente per calcolo personale che il singolo individuo
vuole procurarsi salute e forza per mezzo degli esercizi sportivi, piuttosto è
che come uomo svedese [vuole] contribuire alla salute e alla forza dell’inte-
ra nazione.
Il nostro sforzo per diffondere lo sport è dunque quello di educare una
gioventù vigorosa ed energica, abile al lavoro e fedele al [proprio] dovere
con carattere svedese, una gioventù che vuole e può giovare alla patria e
difenderla.
Quanto più profondamente e ampiamente, quanti più elementi che raf-
forzano il corpo e lo spirito noi possiamo infondere nella nostra nazione,
tanto meglio per il Paese. Ma questi elementi devono preferibilmente esse-
re di quelli che possono unirci tutti. Poiché il popolo che raccolto in concor-
dia e unità è capace di riunirsi attorno a una comune idea di patria ha il
futuro davanti a sé […] Fra poche settimane i popoli delle altre nazioni ci
manderanno il fior fiore dei migliori, dei più abili e dei più forti fra i loro
ben formati sportivi per contendersi l’alloro olimpico dentro questo Stadio.
Allora per noi conterà in questo grandioso confronto di forze tra le nazioni,
mostrarci capaci del massimo sforzo, accompagnato da forza di volontà
indomabile, per sostenere la prova con onore. Gioiranno i cuori svedesi se
la nostra bandiera giallo-blu sarà innalzata come segno di vittoria su uno
dei tre pennoni che vediamo qui.”209

12.2.3. Norvegia

Come è stato detto, dopo lo scioglimento del secolare legame


con la Danimarca nel 1814, la Norvegia aveva dovuto riconoscere
il re svedese come proprio sovrano, a lui legandosi in unione per-

presenza di una sorgente di acqua minerale). L’iniziativa fu ripetuta nel 1836 ma poi
tralasciata. Vd. Jönsson Å., “Olimpiska spelen i Ramlösa blev ingen succé”, in PH
1996: 3, pp. 42-43.
208
L’impianto fu disegnato dall’architetto Torben Grut (1871-1945) all’epoca con-
siderato uno dei migliori del Paese.
209
DLO nr. 169.

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1006 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

sonale.210 Per la verità l’accettazione delle clausole della convenzio-


ne di Moss era stata un passo obbligato e l’insofferenza dei Norve-
gesi, desiderosi di godere d’una piena autonomia politica, era
manifesta. Simbolo dello stato di subordinazione al re svedese era
la figura del viceré (riksstattholder), capo del governo e dell’eser-
cito nei periodi in cui il sovrano era assente dal Paese. Vale a dire
praticamente sempre. Sopra si è visto come questa carica fosse
stata assegnata a funzionari svedesi fino a quando (1836) era final-
mente stato designato un norvegese.211 Come che fosse, la presen-
za stessa di questo ufficio rimarcava l’esistenza di un vincolo che il
Paese (fatta eccezione per una esigua minoranza) non poteva né
voleva più accettare.212 Ci fu dunque, tra gli anni ’50 e ’60, un con-
flitto sulla questione. Dal 1856 l’incarico era rimasto vacante e nel
dicembre del 1859 il parlamento norvegese ne decretò l’abolizione,
un atto che tuttavia il nuovo re Carlo IV213 (per quanto in prece-
denza si fosse dichiarato favorevolmente disposto) rifiutò di ratifi-
care influenzato dall’opinione pubblica svedese. Questo fatto deter-
minò una crisi, rimarcò il divario fra i due Paesi, sottolineò la
diversa interpretazione degli accordi di Moss e fu il punto di par-
tenza di un percorso di progressivo distacco che avrebbe portato
alla definitiva separazione. Nel 1861, permanendo la vacanza della
carica, il giurista Frederik Stang (1808-1884) divenne automatica-
mente capo del governo norvegese: ciò in virtù di una norma
secondo cui, in mancanza del viceré per la parte norvegese (ché
esisteva anche una ‘controparte’ svedese con sede a Stoccolma),214
la guida dell’esecutivo andava a chi lo presiedesse. Successivamen-
te, quando l’ufficio di viceré fu formalmente abolito e venne isti-
tuita la carica di primo ministro (1873) Stang ottenne la nomina,
rimanendo in carica fino al 1880. Pur dovendo fare i conti con la
‘controparte svedese’ del governo (nei cui confronti voleva evitare
posizioni troppo rigide) e con una conflittualità interna al parla-

210
Vd. pp. 874-875.
211
Vd. p. 875, nota 61.
212
Del resto la sottomissione norvegese alla Svezia si constata anche da fatti di
minore importanza, come l’intitolazione (1852) a Carlo Giovanni (Jean Baptiste Ber-
nadotte, re di Norvegia con il nome di Carlo III Giovanni) della strada principale di
Christiania (Oslo) che ancor oggi si chiama Carl Johans gate (in precedenza essa era
detta Slotsvejen, vale a dire “Via del castello”).
213
Tale era il titolo in Norvegia del re svedese Carlo XV.
214
Nella capitale svedese c’era un altro viceré che, in sostanza, rispondeva al sovra-
no e aveva più voce in capitolo rispetto al rappresentante governativo presente nella
capitale norvegese. Il primo politico norvegese capace di imporre la propria autorità
anche rispetto al ‘collega’ svedese fu, appunto, Frederik Stang.

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Verso le democrazie nordiche 1007

mento, Stang ebbe una notevole influenza sugli sviluppi politici del
suo Paese. Di natura era un conservatore moderato (in gioventù
aveva fatto parte del gruppo dei seguaci di Welhaven lavorando
anche alla redazione del periodico Vidar)215 e aveva una visione
sostanzialmente democratica, tuttavia riteneva che si dovessero
porre delle limitazioni nell’accesso al potere.216 Nel 1866 si ripre-
sentò una questione politica che aveva provocato un dibattito fin
dagli anni immediatamente successivi al 1814: se i membri del
governo dovessero o no partecipare alle sedute del parlamento. La
faccenda non era di poco conto: da una parte si sosteneva che in
tal modo essi avrebbero meglio compreso le necessità e il volere
del popolo e, di conseguenza, assunto le migliori decisioni; dall’al-
tra si invocava il principio della separazione dei poteri. Stang,
ribaltando l’opinione favorevole precedentemente espressa, rivide
la propria posizione, ritenendo che ciò potesse facilitare l’avvento
al potere di uomini incapaci di gestirlo correttamente. Da questo
momento i rapporti del suo governo con il parlamento andarono
deteriorandosi anche perché egli si adoperò perché le diverse deli-
berazioni in materia assunte in tale sede non venissero poi ratifica-
te. Del resto nonostante diverse manifestazioni di sfiducia egli
conservò l’appoggio dei sovrani, Carlo XV prima e Oscar II poi.
Ma questo conflitto aveva inasprito i rapporti tra il parlamento
(dove le forze progressiste crescevano di numero) da una parte e
la Corona e il governo dall’altra. Quando Stang dovette ritirarsi per
motivi di salute (1880),217 il suo successore, Christian August Selmer
(1816-1889) portò avanti la medesima linea politica e il tentativo
di inserire nella costituzione il diritto/dovere dei ministri a pren-
dere parte alle sedute parlamentari fu nuovamente respinto. Fu
così che due anni dopo il parlamento sottopose la questione al
giudizio della Corte costituzionale (Riksrett), la quale, con senten-
za del 27 febbraio 1884, gli diede ragione: a questo punto il gover-
no Selmer fu costretto a lasciare. In una situazione molto tesa si
temette anche che il re svedese e il governo volessero comunque
imporre la propria volontà ricorrendo al colpo di stato con l’ap-
215
Vd. p. 931, nota 322.
216
Su di lui vd. Svare Bj., Frederik Stang, I-II, Oslo, 1939-1950. Egli è fra l’altro
ricordato come fondatore (1865) e primo presidente della Croce rossa norvegese
(Norges Røde Kors), inizialmente denominata Associazione per la cura dei malati e dei
feriti sul campo e per il sostegno dei feriti e dei familiari dei caduti (Foreningen for
Pleje av syke og saarede i Feldt og for Understøtelse av Saarede og Faldnes Efterladte).
217
È significativo che quando egli fu collocato a riposo il parlamento votasse contro
la proposta governativa di aumentare la sua pensione. Al che fu avviata una raccolta
di fondi a suo favore, somma che comunque egli donò all’università.

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1008 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

poggio militare. Ciò non avvenne, ma Oscar II nominò ancora una


volta un governo conservatore, affidando l’incarico a Christian
Homann Schweigaard (1838-1899). Questi fu dunque a capo del
cosiddetto “governo di aprile” (aprilministeriet), durato poco meno
di due mesi (dal 3 aprile al 31 maggio): risultò infatti impossibile
gestire il Paese a fronte di un parlamento in cui l’opposizione era
numericamente molto forte. Dopo un ulteriore tentativo di for-
mare un governo più moderato l’incarico andò infine a Johan
Sverdrup (1816-1892) – uno degli uomini invisi a Stang! – che
assunse formalmente la carica il 26 giugno 1884. Questi eventi
rappresentano per la Norvegia la vittoria definitiva del parlamen-
tarismo e, dunque, un passo avanti decisivo nella democratizza-
zione del Paese.
L’ascesa al governo di Sverdrup era l’esito di un percorso poli-
tico che nel gennaio di quello stesso anno aveva portato alla costi-
tuzione del Partito liberale (la Sinistra, di cui Sverdrup era presi-
dente), primo vero partito politico norvegese in senso moderno.
Esso rappresentava le tendenze social-liberali: suoi obiettivi erano
il pieno parlamentarismo, il suffragio universale (fin dal 1851 Sver-
drup ne era stato uno dei promotori nelle elezioni comunali), la
libertà di religione e l’introduzione delle giurie popolari.218 E, in
effetti, negli anni ’80 diverse riforme furono approvate: una mode-
rata estensione del diritto di voto (1884),219 la parificazione legale
delle due forme di norvegese (riksmaal e landsmaal) a livello scrit-
to (1885),220 l’introduzione delle giurie popolari nei procedimenti

218
Nel febbraio 1883 si era costituita l’Associazione liberale dei membri del parla-
mento (Stortingsmændenes liberale Forening) che l’anno successivo si organizzò in
partito nel corso del suo primo raduno (28-29 gennaio) e assunse il nome di Associa-
zione norvegese di sinistra (Norges Venstreforening), comunemente nota come Sinistra
(Venstre). In realtà questa denominazione fa riferimento al partito liberale, in quanto,
più che come indicazione di un indirizzo politico (nel senso attuale del termine) va
intesa in contrapposizione alla politica conservatrice della Destra (Højre), su cui si veda
poco più avanti (cfr. p. 961, nota 41). Del resto Sverdrup fu tra il 1876 e il 1878 redat-
tore del giornale d’opposizione Verdens Gang (cfr. p. 806, nota 543).
219
Grundlovbestemmelse ang. Forandring i Grundlovens § 50, 4 luglio 1884. Con
questa deliberazione di revisione costituzionale il diritto di voto (solo maschile, cfr.
nota 247) fino ad allora riservato ai funzionari, ai proprietari terrieri e ai commercian-
ti era esteso a tutti coloro che potevano dimostrare di possedere un reddito e di con-
seguenza pagavano le tasse. Il suffragio universale maschile (per coloro che avevano
compiuto i venticinque anni) sarebbe stato introdotto nel 1898 (Grundlovsbestem-
melse angaaende Forandring i Grundlovens §’er 50 og 52, 30 aprile 1898).
220
Su riksmaal e landsmaal vd. sopra, 11.3.3.1. La risoluzione del parlamento nota
come jamstillingsvedtaket (o likestillingsvedtaket o sidestillingsvedtaket) “risoluzione
sulla parificazione” è del 12 maggio 1885.

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Verso le democrazie nordiche 1009

penali(1887).221 La questione del landsmaal stava particolarmente


a cuore alla Sinistra (il Partito liberale), in quanto legata alle istan-
ze del mondo contadino. Un vero e proprio ‘partito dei contadini’
non esisteva, tuttavia all’interno del parlamento norvegese i loro
rappresentanti avevano a lungo condotto l’opposizione sotto la
guida di Ole Gabriel Ueland (1799-1870),222 al quale era succedu-
to Søren Pedersen Jaabæk (1814-1894), fondatore (1865) della
Società degli amici dei contadini (Selskabet Bondevennerne), ben
presto ampiamente diffusa sul territorio, che aveva lo scopo
di promuovere lo sviluppo nelle campagne.223 Con il supporto di
Jaabæk Sverdrup avrebbe organizzato la Sinistra (il Partito libera-
le), raccogliendo anche le istanze della cosiddetta Associazione per
le riforme (Reformforeningen) che nel 1859 era stata costituita in
parlamento – per la verità senza troppo successo – da Ueland stes-
so allo scopo (tra l’altro) di difendere gli interessi norvegesi nell’am-
bito dell’unione con la Svezia, di promuovere il decentramento, di
ottenere che il parlamento medesimo fosse convocato una volta
all’anno (anziché una ogni tre anni) in modo da rafforzarne la
posizione nella gestione degli interessi nazionali (risultato che fu
poi raggiunto nel 1869). Il Partito liberale andò incontro a fratture
e ricomposizioni. Nel 1888 un gruppo di parlamentari di orienta-
mento religioso e conservatore se ne staccò e costituì una forma-
zione che si definì Sinistra moderata (Moderate Venstre):224 in
realtà non del tutto moderata, come dimostra il fatto che nel 1891
essa stabilì una collaborazione con la Destra, decisione che indus-
se alcuni suoi rappresentanti a rientrare nel Partito liberale. Questo
gruppo rappresentava politicamente movimenti religiosi ben dif-
fusi anche in Norvegia e impegnati nel sociale con la lotta contro
l’alcolismo e l’immoralità: sotto tali aspetti esso può essere consi-
derato un precursore del Partito popolare cristiano (Kristelig
Folkeparti),225 sorto nel 1933.
Ma il vero partito di sinistra sarebbe stato piuttosto il Partito dei

221
 Lov om Rettergangsmaaden i Straffesager, 1 luglio 1887.
222
Vd. Bergsgård A., Ole Gabriel Ueland og bondepolitikken, I-II, Oslo 1932. È
noto che la figura di Ueland ha ispirato il personaggio del contadino Anders Lundestad
nell’opera L’Unione dei giovani (De unges Forbund) di Henrik Ibsen (su cui vd. pp.
1077-1078).
223
Vd. Slettan D. – Try H. (red.), Bondevenene. Jaabækrørsla 1865-1875, Oslo
1979.
224
Si ricordi che la denominazione del Partito liberale era Venstre (vd. nota 218).
Principali rappresentanti di questa corrente furono Jacob Sverdrup (1845-1899) e Lars
Oftedal (1838-1900).
225
Denominazione in bm, ma Kristeleg Folkeparti in nn.

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1010 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

lavoratori norvegesi (Det norske arbeiderparti) fondato ad Arendal


(Aust-Agder) il 21 agosto 1887 e rappresentato in parlamento dal
1903: primo leader fu Anders Andersen (1846-1831), figura di
riferimento Christian Holtermann Knudsen (1845-1929), che nel
1884 aveva dato vita al giornale Il nostro lavoro (Vort Arbeide).226
Un’iniziativa che era la naturale risposta ai fermenti che attraver-
savano il mondo dei lavoratori e che in diverse occasioni si erano
espressi nella proclamazione di scioperi (come quello degli operai
delle segherie del 1881).227 Esso raccoglieva le istanze di un movi-
mento avviato per la prima volta quasi quarant’anni prima da
Marcus Thrane (1817-1890), primo vero socialista norvegese. Nato
in una famiglia molto ricca,228 Thrane era poi stato costretto a
vivere in povertà a causa dei rovesci finanziari del padre (per altro
non incolpevole). Dopo aver girovagato per l’Europa si era stabi-
lito a Drammen da dove aveva cominciato a diffondere idee pro-
gressiste e dove (27 dicembre 1848) aveva dato vita alla prima
organizzazione dei lavoratori norvegesi, nota come “movimento di
Thrane” o “movimento dei thraniti” (Thranebevegelsen o thranitt-
bevegelsen in bm; thranittarrørsla in nn). Essa ebbe una rapida
diffusione (soprattutto nella regione di Østlandet) ed egli ne fu
anima e organizzatore instancabile dando anche alle stampe il
Foglio delle associazioni dei lavoratori (Arbejder-Foreningernes Blad,
1849-1856). Il suo intendimento era quello di migliorare le condi-
zioni sui luoghi di lavoro, rendere indipendenti gli operai e i
braccianti anche attraverso l’istruzione (a questo scopo fondò a
Oslo una scuola domenicale gratuita),229 ottenere il suffragio uni-
versale, introdurre leggi economiche di carattere liberale, istituire
la leva militare generale,230 ridurre la circolazione di bevande
alcoliche. Richieste solo in parte ‘rivoluzionarie’ che tuttavia incon-
trarono una netta opposizione da parte delle autorità. Opposizio-
ne che provocò fermenti e rivolte che egli cercò inutilmente di
226
Divenuto l’anno successivo Il social-democratico (Social-Demokraten) per poi
chiamarsi dal 1923 Foglio dei lavoratori (Arbeiderbladet). Tuttora pubblicato (dal 1997)
come Il quotidiano (Dagsavisen). Sulla figura di Christian Holtermann Knudsen vd.
Helle E., Grunnleggeren. Christian Holtermann Knudsens liv i norsk arbeiderbeve-
gelse, Oslo 1988.
227
Un altro sciopero di notevole impatto sociale sarà (1889) quello proclamato
dalle lavoratrici (molte giovanissime) impiegate nella produzione di fiammiferi.
228
Era tra l’altro nipote del musicista Waldemar Thrane (cfr. p. 937).
229
Tra i cui insegnanti ci furono Henrik Ibsen (vd. pp. 1077-1078) e Aasmund
Olavsson Vinje (vd. nota 522, cfr. nota 16).
230
Che fu poi introdotta nel 1854 (Lov om Værnepligten, 26 agosto 1854). Essa era del
resto prevista dal paragrafo 109 della costituzione fin dalla versione ‘di Eidsvoll’
del 1814.

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Verso le democrazie nordiche 1011

controllare.231 Successivamente, con l’aiuto del collaboratore


Theodor Frederik Scheel Abildgaard (1826-1884), Thrane si
adoperò per portare le questioni sociali da lui evidenziate all’at-
tenzione del parlamento, senza tuttavia ottenere granché. L’as-
semblea del movimento riunita a Christiania nel luglio del 1851
(il cosiddetto Lilletinget)232 suscitò le inquietudini del potere,
ragion per cui con molti dei suoi collaboratori egli venne arresta-
to, processato e condannato. Quando, dopo aver trascorso quat-
tro anni ai lavori forzati, Thrane uscì di prigione, il suo movimen-
to era ormai esaurito. Nel 1863 emigrò in America (Illinois) dove
fu attivo nell’ambiente socialista di Chicago. Thrane tornò tem-
poraneamente in Norvegia nel 1883, troppo presto per assistere
alla nascita del partito dei lavoratori da lui auspicato, sorto, come
detto, quattro anni dopo. Come pure per portare un eventuale
contributo alla commissione per il lavoro istituita nel 1885 (i cui
risultati sarebbero stati alla base della legge sulla sicurezza nei
luoghi di lavoro del 1892)233 o per vedere la nascita del Sindacato
norvegese, per la precisione l’Organizzazione nazionale di cate-
goria dei lavoratori Arbeidernes Faglige Landsorganisasjon (LO,
denominazione analoga alla danese e alla svedese). Esso fu infat-
231
Thrane aveva un atteggiamento sostanzialmente moderato; non così taluni suoi
collaboratori come Halsten Knudsen (1805-1855) responsabile del movimento a
Ringerike (Buskerud), convinto della necessità di dover agire in prima persona (even-
tualmente ricorrendo all’uso della forza) per raggiungere gli scopi prefissati. Nel 1851,
sospettato di preparare una rivolta, Halsten Knudsen fu arrestato a Ringerike insieme
a molti lavoratori da lui riuniti (26 luglio). Condannato a 15 anni morì in prigione in
circostanze mai chiarite. Henrik Ibsen (vd. pp. 1077-1078) scrisse di questo evento
nella rivista Andhrimner da lui fondata insieme ad Aasmund Olavsson Vinje (su cui
vd. nota 522 e cfr. nota 16) il testo Il conflitto del cappellaio di Ringerike (Hattemager-
feiden paa Ringerike), titolo che allude al fatto che Knudsen era di professione cappel-
laio. Il nome della rivista fa riferimento al cuoco Andhrímnir il quale, secondo il mito,
preparava il cibo dell’immortalità per i guerrieri di Odino nella Valhalla (vd. Chiesa
Isnardi 20084 [B.7.1], p. 59 e pp. 620-621).
232
Il termine significa letteralmente “piccolo parlamento”, definizione in evidente
contrapposizione a Stortinget (letteralmente “grande parlamento”) con cui si designa
l’assemblea degli eletti (cfr. p. 874).
233
Questa normativa (Lov om Tilsyn med Arbeide i Fabrikker m.v., 27 giugno 1892)
entrò in vigore il 1 luglio 1893. Nel 1894 fu emanata una legge relativa all’assicurazio-
ne per invalidità (Lov om ulykkesforsikring for arbeidere i fabrikker, 23 luglio 1894,
successivamente più volte modificata). Con un provvedimento del 12 giugno 1906
inteso a creare uffici di collocamento nei principali centri (Arbeidsformidlingsloven)
fu regolamentato il sussidio di disoccupazione; il provvedimento sarà efficacemente
migliorato con la legge del 24 giugno 1938 (Lov om arbeidsledighetstrygd). Il diritto
alla pensione di vecchiaia sarebbe stato sancito con una legge del 7 dicembre 1923
(Lov om alderstrygd) che tuttavia per mancanza di fondi trovò applicazione solo dopo
l’approvazione di un analogo provvedimento del 16 luglio 1936.

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1012 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

ti fondato sedici anni anni dopo (1 aprile 1899) dall’unione di


rappresentanze locali di categoria che avevano cominciato a
formarsi negli anni ’80 sulla base di precedenti associazioni sorte
a partire dagli anni ’30. L’organismo di rappresentanza dei dato-
ri di lavoro (Norsk Arbeidsgiverforening) venne costituito l’anno
successivo.234 Tuttavia, dal momento che non tutti si riconosce-
vano nelle idee socialiste, si formò anche la Società norvegese dei
lavoratori uniti (Det forenede norske Arbeidersamfund) che si
presentò autonomamente per la prima volta alle elezioni nel 1906
vinte dai liberali. Essa raccoglieva i lavoratori di orientamento
‘borghese’ e piccoli proprietari terrieri. Pur ponendosi a sinistra
del Partito liberale, si richiamava a circoli di lavoratori estranei
al movimento di Thrane.235 Nel 1911 mutò il proprio nome in
Lavoratori democratici (Arbeiderdemokratene) e nel 1921 in Par-
tito radicale popolare (Det radikale Folkeparti). Pur essendo
numericamente poco consistente, questa formazione collaborò
proficuamente con il Partito liberale sostenendo una politica di
riforme sul piano sociale. Essa fu sciolta nel 1940. Per contro
vanno qui ricordati gruppi di tendenze ben più estremiste: l’As-
sociazione norvegese dei giovani socialisti (Norges Ungsocialistiske
Forbund) nata nel 1909 dalla diaspora di un gruppo di apparte-
nenti all’Associazione giovanile socialdemocratica norvegese
(Norges socialdemokratiske Ungdomsforbund)236 che nella sua
lotta contro il capitalismo, la religione, il militarismo, deviò verso
idee anarchiche. Del resto nel 1923 essa avrebbe mutato il proprio
nome in Associazione social-anarchica norvegese (Norges Social-
Anarkistiske Forbund).237

234
La denominazione è Associazione norvegese dei datori di lavoro (comunemen-
te indicata con la sigla NAF).
235
Come l’Associazione dei lavoratori di Bergen (Bergens Arbeiderforening) sorta
nel 1850 e la Società dei lavoratori di Christiania (Christiania Arbeidersamfund) fon-
data nel 1864 da Eilert Sundt (vd. p. 933 con nota 329). In quest’ultima fu attivo Jon
Hol (1851-1941), ingegnere e politico che in precedenza aveva promosso la pubblica-
zione del periodico Il lavoratore (Arbeideren) e per un certo tempo fu redattore del
giornale La società (Samfundet), nei quali era esposto il punto di vista di questo diver-
so orientamento all’interno del mondo del lavoro.
236
A sua volta questa rappresentava il settore giovanile del Partito dei lavoratori
norvegesi.
237
Un precedente movimento riconducibile all’area anarchica era stato, a partire
dal 1891, il gruppo anarchico-comunista “Libertas” (Anarkistisk-Communistisk Grup-
pe “Libertas”) il cui rappresentante di spicco fu Kristofer Hansteen (1865-1906) che
diede alle stampe L’Anarchico (Anarkisten, 1898-1899). Questo gruppo si esaurì dopo
la morte di Hansteen ma le sue idee furono riprese dall’Associazione norvegese dei
giovani socialisti.

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Verso le democrazie nordiche 1013

A destra erano naturalmente riuniti i conservatori e coloro che


volevano mantenere l’unione con la Svezia. Nel 1870 era morto
il celebre giurista Anton Martin Schweigaard (nato nel 1808),238
considerato il leader dei cosiddetti “ministeriali” (ministerielle),
denominazione con la quale (tra gli anni ’30 e i ’40) si indicavano
i parlamentari filo-governativi.239 Un vero e proprio coordinamen-
to tuttavia mancava e fu solo parallelamente all’organizzarsi del-
le forze politicamente contrapposte, che anche in quest’area fu
costituito il primo partito. Si trattò della Direzione centrale delle
associazioni dei conservatori (De konservative Foreningers Central-
styre) voluta da Emil Stang (1834-1912, figlio del primo ministro
Frederik), sorta l’8 ottobre 1884: essa fu il nucleo di una Destra
(Højre) strutturata che sarebbe stata capace di assorbire altre
forze. A cominciare dall’inclusione del partito del Centro (Centrum),
nato nel 1894, che con essa si sarebbe fuso nel 1900.240 Per pro-
seguire con l’alleanza coi liberali della Sinistra moderata di cui
sopra si è detto, dalla quale nel 1903 avrebbe avuto origine il
Partito comune (Samlingspartiet) che non solo si sarebbe opposto
alle idee radicali dei liberali ma avrebbe mantenuto una posizio-
ne unitaria sul problema della separazione dalla Svezia.241 Dopo
il 1905 tuttavia le sue componenti si sarebbero nuovamente allon-
tanate. Risolta infatti (come si vedrà) la questione dell’unione con
la Svezia, era avvenuto fra i liberali un ‘riposizionamento’ che
aveva determinato una netta separazione: da una parte sotto la
guida di Gunnar Knudsen (1848-1928) nasceva (gennaio 1908)
la cosiddetta Sinistra consolidata (Det konsoliderte Venstre), in
sostanza un partito social-liberale, mentre Christian Michelsen
(1857-1925) che già era stato uno dei promotori del Partito comu-
ne costituiva (marzo 1909) insieme ai liberali più moderati e
conservatori la Sinistra liberale (Det frisinnede Venstre) che tut-
tavia perse presto d’importanza.
La grande questione cui gli opposti schieramenti si trovarono di
fronte nella fase finale del XIX secolo fu quella dell’unione con la
Svezia. Da molte parti si premeva non soltanto perché al suo inter-
no fosse effettivamente garantita alla Norvegia una posizione pari-
taria, ma anche perché il Paese potesse godere di maggiore auto-

238
Egli era padre di Christian Schweigaard, il sopra citato primo ministro (vd. p. 1008).
239
Vd. Sørensen Ø., Anton Martin Schweigaards politiske tenkning, Oslo 1988.
240
Il presidente di questa formazione era l’insegnante e pedagogo Frits Hansen
(1841-1911). Il Centro contava seguaci soprattutto nella Norvegia orientale.
241
Un suo eminente rappresentante era Christian Michelsen, in seguito (1905-1907)
primo ministro (vd. poco oltre).

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1014 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

nomia. Infatti non era certo raro il caso in cui il parlamento


norvegese si vedesse negare dal re la ratifica delle proprie delibere;
per di più, il fatto che un viceré per la Norvegia avesse sede a Stoc-
colma sottolineava una situazione di subalternità che molti non
erano più disposti a tollerare. Sebbene, al contrario, ci fossero anche
coloro che restavano favorevoli all’idea di una federazione, non da
ultimo il filosofo Marcus Jacob Monrad (1816-1897), figura di
grande prestigio accademico ma fortemente conservatore e ostile
al parlamentarismo. Il fatto è che, fin dal 1814, i legami tra i due
Paesi non erano mai stati definiti con precisione ed entrambe le
parti interpretavano in modo ben diverso il loro rapporto. I ripe-
tuti tentativi svedesi di dare sostanza definitiva all’unione (in sostan-
za inglobando la Norvegia nel Regno come un tempo era stato con
la Finlandia, dunque per una sorta di ‘compensazione’) erano
stati regolarmente rintuzzati dal parlamento norvegese e anche il
lavoro della commissione per la definizione dei termini dell’unione,
istituita di comune accordo fin dal 1839, si era inutilmente trasci-
nato fino al 1862. Dopo i due principali conflitti (quello sul gover-
natore svedese in Norvegia e quello sulla presenza in parlamento
dei membri del governo)242 a innescare la contesa fu infine il nodo
della politica estera comune, gestita da un consiglio dei cui membri
gli Svedesi volevano avere la maggioranza. La richiesta norvegese
di pari rappresentanza fu da loro legata alla condizione che comun-
que il ministro degli affari esteri fosse svedese. I negoziati, svolti
tra il 1885 e il 1886 non approdarono a nulla. Ma ciò acuì le ten-
sioni all’interno del Partito liberale, che (come sopra è stato detto)
nel 1888 si spaccò: Johan Sverdrup (criticato per la posizione
troppo ‘moderata’ e per il modo autoritario di gestire le questioni
politiche) migrò, per così dire, nel gruppo della Sinistra moderata,
il suo governo si indebolì e nel 1889 egli dovette dare le dimissioni.
Fu così formato un esecutivo di destra (il primo a carattere parla-
mentare), guidato da Emil Stang: due anni dopo tuttavia anch’esso

242
Una terza faccenda di minore importanza ma che a suo tempo aveva avuto
molta eco e aveva provocato il malumore norvegese contro la Svezia era stata la cosid-
detta “questione di Bodø” (Bodøsaken), un semplice fatto legato al contrabbando che
tuttavia aveva generato un complicato conflitto tra Inghilterra, Svezia e Norvegia. Nel
1818 a Bodø (in Nordland) un commerciante inglese era stato accusato di contrabban-
do, arrestato e le sue merci confiscate. Con l’aiuto di un avvocato tanto abile quanto
disonesto egli era riuscito a far apparire il tutto come un atto di prevaricazione da
parte dei Norvegesi nei confronti di un cittadino straniero. Per questa ragione la
merce dovette essere restituita e fu pagato un pesante risarcimento. Nel Paese
la vicenda provocò un forte risentimento contro la Svezia che, si riteneva, non aveva
difeso come avrebbe dovuto gli interessi norvegesi.

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Verso le democrazie nordiche 1015

sarebbe caduto a motivo della medesima questione sulla gestione


della politica estera. Dopo di ciò si succedettero diversi governi e
diverse proposte per dirimere il problema. A destra si indicava la
soluzione in un unico ministro degli esteri, svedese o norvegese che
fosse, mentre a sinistra si insisteva per una politica estera autonoma,
finché infine si passò alla richiesta di un sistema consolare autono-
mo. Richiesta che fu ripetutamente respinta. Successivamente
(durante il primo governo di coalizione guidato da Francis Hagerup,
1853-1921)243 fu istituita una commissione che si occupasse dei
problemi dell’unione. Problemi acuiti dalla politica protezionistica
della Svezia, che sottrasse ai Norvegesi molti vantaggi economici,
e dal timore che la questione fosse trasferita sul piano militare (il
che determinò nel Paese una serie di preparativi per affrontare
l’eventuale minaccia).244 Nel 1897 il Partito liberale ottenne una
importante affermazione elettorale proprio grazie alla sua posizio-
ne rispetto alla questione dell’unione. Tra la fine del XIX e l’inizio
del XX secolo un fattore esterno attenuò in parte la tensione: i due
Paesi infatti guardavano con preoccupazione alla Russia, paven-
tando politiche espansionistiche ai danni delle loro regioni più
settentrionali; furono tuttavia proprio le conseguenze della politica
russa a far rientrare questi timori, dal momento che l’intento dello
zar di ampliare i propri territori mirava anche a est e in quell’area
si scontrò con gli interessi giapponesi dando origine a una sangui-
nosa guerra (1904-1905) che determinò la sua sconfitta. Gran
parte dei politici norvegesi volevano risolvere la questione con la
Svezia con la trattativa, contraria era soprattutto l’ala radicale del
Partito liberale. Dopo le elezioni del 1903, vinte dai sostenitori del
negoziato (in sostanza il Partito comune), il conservatore Francis
Hagerup ottenne il suo secondo mandato governativo. Ma le trat-
tative finirono quasi subito su un binario morto in quanto da
parte svedese si rispose alle proposte norvegesi con un documento
che di fatto sanciva la supremazia di quel Paese nell’unione. A
questo punto il governo Hagerup fu costretto a dimettersi anche
sull’onda del sentimento comune che sosteneva, ormai senza mez-
zi termini, l’autodeterminazione in fatto di politica estera. A Hage-
rup succedette Christian Michelsen il quale presentò al parlamen-
to una proposta per l’istituzione di un sistema consolare autonomo,
proposta che venne approvata all’unanimità (27 maggio 1905). Al
243
In carica una prima volta dal 1895 al 1898, Francis Hagerup era un celebre
giurista, fondatore (1888) della Rivista di scienze giuridiche (Tidsskrift for Retsvidenskab).
244
Vd. Stensland T., “Norges sjømilitære opprustning 1895-1902 og forholdet til
Sverige”, in Scandia, LXI: 1 (1995), pp. 29-44.

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1016 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

rifiuto del sovrano di ratificare la decisione tutte le autorità nor-


vegesi fecero quadrato: il 7 giugno il governo presentò le dimis-
sioni e quando esse furono respinte rimise il proprio mandato al
parlamento il quale lo invitò a restare in carica e ad agire secondo
la costituzione, sottolinenando al contempo che il comportamen-
to di Oscar II – che in pratica aveva agito nell’interesse di una
sola parte – lo rendeva a tutti gli effetti decaduto dalla carica di
re norvegese.245 In Svezia, sebbene il dissenso sulle strategie da
seguire fosse stato presente anche all’interno del governo e nel-
l’opinione pubblica, l’orgoglio nazionale fu ferito quando con le
loro decisioni i Norvegesi, di fatto, umiliarono il re Oscar II (al
quale fin dal 1893 il parlamento norvegese aveva decurtato
l’appannaggio).246 Qui il fallimento delle trattative aveva determi-
nato la caduta del secondo governo guidato da Erik Gustaf
Boström, cui era seguita la breve parentesi del primo ministro
Johan Olof Ramstedt (1852-1935): dopo di ciò era stato nomina-
to un esecutivo di coalizione capeggiato da Christian Lundeberg.
Su mandato del parlamento (ed era la prima volta che tra parla-
mento e governo si instaurava uno stretto rapporto di reciprocità)
questo richiese che la decisione norvegese fosse convalidata
mediante referendum; la consultazione, svoltasi il 13 agosto, non
ottenne altro risultato se non quello di evidenziare come la stra-
grande maggioranza dei Norvegesi desiderasse una piena auto-
nomia: infatti su 368.392 votanti il 99,95% si dichiarò favorevole
allo scioglimento dell’unione. A questo punto non restava che
definire i termini della separazione, il che fu fatto (non senza
difficoltà) nella città di Karlstad (Värmland) tra la fine di agosto
e settembre. Dopo più di cinquecento anni di subalternità la
Norvegia tornava finalmente a godere di una piena indipendenza.
Con tutte le conseguenze del caso. Innanzi tutto si trattò di
decidere se mantenere l’ordinamento monarchico o costituire
una repubblica (opzione promossa da sinistra). Anche questo fu

245
L’anno successivo venne istituita la cosiddetta “medaglia del 7 giugno” (7. juni-
medaljen) a ricordo dell’evento. Questa onorificenza fu conferita ai membri del
governo e del parlamento.
246
Significativo del clima venutosi a creare nell’imminenza dello scioglimento
dell’unione è il caso del socialista svedese Zeth Höglund (1884-1956) il quale nel 1905
di fronte alla prospettiva, invocata da alcuni, di intervenire militarmente contro i
Norvegesi diffuse in oltre centomila copie il celebre volantino Giù le armi! – Pace con
la Norvegia (Ned med vapnen! – Fred med Norge, dato alle stampe l’anno successivo),
con l’invito a non rispondere a una eventuale chiamata alle armi contro un popolo
‘fratello’ e a scioperare per evitare la guerra: ciò gli guadagnò l’accusa di incitare alla
rivolta sociale e di conseguenza una condanna a sei mesi di prigione.

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Verso le democrazie nordiche 1017

deciso tramite un referendum (12-13 novembre) nel quale il 78,9%


dei votanti si espresse in favore della monarchia. Queste decisioni
popolari avevano ora un peso effettivo in quanto nel 1898 in Nor-
vegia era stato introdotto il suffragio universale maschile.247 Il
trono fu offerto al principe Carlo di Danimarca (1872-1957), che
accettò e come segno di considerazione nei riguardi del popolo
norvegese e della sua secolare tradizione assunse il nome di Haakon
VII, riallacciandosi in tal modo alla tradizione dei sovrani di quel
Paese.248 Il nuovo re fece il suo ingresso ufficiale il 25 novembre.
La sconfitta dei conservatori aveva anche ragioni storico-cultu-
rali, con ciò intendendo che, nella Norvegia del XIX secolo impe-
gnata a ridefinire la propria identità nazionale, gli studi storici
rappresentavano un momento fondamentale di riflessione. In que-
sto quadro la figura di Johan Ernst Sars (1835-1917) svolse un
ruolo primario. La sua visione evoluzionistica riconosceva nella
storia del Paese una fase di grandezza (il medioevo) cui ne era
seguita una di decadenza (il periodo della sottomissione a domina-
tori stranieri), prevedendo ora sviluppi positivi che l’avrebbero
riportato all’antico splendore. Sars era di orientamento liberale e
la sua interpretazione offriva sostegno e legittimazione alla politica
di quel partito nel suo impegno per smantellare la struttura buro-
cratico-amministrativa ereditata dal ‘periodo danese’ e rivendicare
il diritto dei Norvegesi a una piena autonomia. Ma il suo sforzo per

247
Cfr. sopra, nota 219. Una proposta sul voto alle donne era stata presentata in
Norvegia fin dal 1886 da parlamentari della sinistra come Ole Anton Qvam (1834-1904)
e Viggo Ullmann (1848-1910), che rispondevano a un crescente movimento d’opinio-
ne (sostenuto anche da molti rappresentanti della cultura). Nel 1890 ci fu la discussio-
ne e la successiva bocciatura, tuttavia il dibattito andò avanti, incalzato anche da
importanti manifestazioni come quella del 17 maggio 1899 quando circa quattromila
donne si raccolsero davanti al parlamento per rivendicare questo diritto. Dopo qualche
apertura (1901 e 1907), con provvedimenti che accordavano la possibilità di votare a
un numero limitato di donne, legandola a precise condizioni economico-sociali (vd.
Norsk Lovtidende, 2den Afdeling, 1901, pp. 242-248 e Norsk Lovtidende, 2den afdeling,
1907, pp. 281-282) il primo risultato significativo fu ottenuto nel 1910, quando fu
approvato il diritto di voto e l’eleggibilità di tutte le donne nei consigli comunali tan-
to in città quanto in campagna (Lov 7. juni 1910 om forandringer i lov om formand-
skaper i kjøpstæderne m.v. av 14. januar 1837 med ændrings- og tillægslove e Lov 7. juni
1910 om forandringer i lov om formandskaper paa landet m.v. av 14. januar 1837 med
ændrings- og tillægslove). Due anni dopo, nel 1913, una modifica costituzionale intro-
dusse in Norvegia il suffragio universale (Kundgjørelse av grundlovsbestemmelse av 11.
juni 1913 til forandring i grundlovens § 50, 7 luglio 1913).
248
Håkon VI, morto nel 1380, era padre di Olav IV, ultimo re di Norvegia (morto
giovanissimo) prima che il Paese confluisse nell’unione di Kalmar e restasse poi per
oltre cinque secoli in posizione di subalternità prima alla Danimarca e poi alla Svezia
(vd. pp. 437-438).

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1018 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

ridestare il senso dell’identità nazionale attraverso l’analisi storica


ebbe ben più ampia risonanza e la sua opera divenne un punto di
riferimento per la coscienza storica del popolo norvegese.249
Lo scioglimento dell’unione non era solo un risultato di caratte-
re politico, bensì anche lo sbocco di un processo che aveva fatto
comprendere ai Norvegesi l’importanza di gestire autonomamente
i propri interessi economici. Del resto la rilevanza della questione
del sistema consolare autonomo appare strettamente legata allo
sviluppo dei commerci gestiti da una efficiente flotta mercantile.
Dagli anni ’40 il Paese aveva conosciuto per circa trent’anni una
crescita costante, fino a quando anch’esso venne coinvolto nella
crisi generale che ebbe inizio attorno al 1873. Crisi che determinò
stagnazione e chiusure protezionistiche sicché, anche la Svezia – che
pure avrebbe dovuto aver a cuore i comuni interessi – decise (1895)
di denunciare gli accordi di libero commercio che avevano regolato
i rapporti fra i due Paesi.250 Una ripresa economica, spinta dal mer-
cato del legname si verificò alla metà degli anni ’90, ma fu presto
esaurita.251 Ad acuire la congiuntura contribuiva una notevole cre-
scita demografica: dai quasi novecentomila abitanti che all’inizio del
secolo popolavano la Norvegia si era passati, dopo circa cento anni,
a quasi due milioni e duecentocinquantamila.252 Tutto ciò determi-
nò anche qui una spinta all’emigrazione: molti (provenienti soprat-
tutto dalle campagne) decisero infatti di espatriare e stabilirsi, per
la maggior parte, nell’America del Nord. Si calcola che tra il 1866
e il 1905 più di mezzo milione di persone abbiano lasciato il Paese.253
Parallelo, anche se meno vistoso, è il fenomeno dell’urbanesimo che
facilmente si constata nel progressivo aumento degli abitanti delle
città. Nella seconda metà del secolo, dunque, la società norvegese

249
Ernst Sars era figlio del celebre zoologo Michael (vd. p. 906 con nota 199) e, per
parte di madre, nipote di Johan Sebastian Welhaven (vd. pp. 931-932). Su di lui vd.
Fulsås N., Historie og nasjon. Ernst Sars og striden om norsk kultur, Oslo 1999 e anche
Fulsås N., “Ernst Sars og historia (1835-1917)”, in VP 1800-tallet, pp. 107-117.
250
 Sulle norme di legge che avevano disciplinato i rapporti commerciali fra Svezia
e Norvegia fin dai primi anni dell’unione e sulla loro abolizione nella prospettiva del
suo scioglimento vd. Eriksen T., Opphevelsen av mellomriksloven. En kamp i unions-
politisk perspektiv, Oslo 1959.
251
Anzi a Kristiania, epicentro di una febbrile attività speculativa, un vero e proprio
boom si rovesciò nel 1899 in una bolla immobiliare con tutte le sue conseguenze.
252
In questo contesto si situa l’emanazione di una “legge sulla povertà” (Fattigloven,
promulgata il 19 maggio 1900).
253
Vd. Hagemann G., Det moderne gjennombrudd 1870-1905, Oslo 1997 (vol. IX
di Helle 1998 [B.3]) pp. 74-80 (l’indicazione relativa al numero dei migranti a p. 75).
Il fenomeno conobbe picchi tra il 1866 e il 1870, agli inizi degli anni ’80 e nei primi
anni del Novecento.

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Verso le democrazie nordiche 1019

– che a lungo era rimasta legata a uno stile di vita tradizionale con-
solidato nel corso dei secoli – va incontro a una profonda trasfor-
mazione. Trasformazione dovuta, naturalmente, allo sviluppo dell’in-
dustria, all’introduzione di nuove tecniche e strumenti di lavoro, al
miglioramento delle comunicazioni: in sostanza alla necessità di
stare al passo con gli altri Paesi.
In Norvegia un vero processo di industrializzazione prende
l’avvio solo nell’ultimo trentennio del XIX secolo e – pur scontran-
dosi con le difficoltà della crisi di cui si è appena detto – esso
contribuirà a porre le basi della moderna economia del Paese. La
spinta viene, in buona parte, dalla necessità di adattarsi alle nuove
esigenze del mercato, come appare evidente in primo luogo nel
comparto del legname (tradizionale prodotto di esportazione)
nel quale si produce ora anche la cellulosa.254 E mentre la pesca si
conferma (grazie anche a nuove tecniche) una delle principali risor-
se dell’economia, si sviluppano industrie come quella metallurgica,
mineraria,255 tessile e casearia.256 Nel settore agricolo (dove aumen-
ta il numero dei contadini proprietari delle terre) vengono introdot-
te nuove coltivazioni e promossa la ricerca,257 il che è tra l’altro
testimoniato dalla grande esposizione tenuta a Christiania nell’ot-
tobre del 1877, occasione in cui il re istituì una onorificenza da
assegnare a chi si fosse particolarmente distinto in questo campo:
la Medaglia del re Oscar II come premio per l’agricoltura norvege-
se (Kong Oscar IIs Medaille til Belønning for det norske Landbrug).
254
Nel 1889 veniva fondata a Sarpsborg (Østfold) la fabbrica Borregaard (tuttora
attiva e con interessi nella produzione di carburanti biologici) nella quale veniva pro-
dotta la cellulosa con il ‘processo al bisolfito’ (cfr. nota 154). Si tratta di una delle più
grandi fabbriche del Paese. Dal primo gennaio 1860 era entrato in vigore il provvedi-
mento del parlamento (Lov om Saugbrugsvæsenet, 26 agosto 1854) che aboliva i privi-
legi per le segherie liberalizzando questo tipo di attività. Vd. Sejersted F., “Da sag-
skuren ble frigitt”, in MMFJAS, pp. 94-109. La prima segheria a vapore (Wullum-saga)
fu aperta nel 1853 nel comune di Namsos (Nord Trødelag) da Erik Olsen Wullum
(1777-1872) seguace di Hauge (vd. pp. 765-766).
255
In questo contesto va ricordata la figura dell’ingegnere Christian August Anker
(1840-1912) il quale, oltre a portare avanti e a modernizzare la produzione di derivati
del legname (attività ereditata dal padre), diede l’avvio alla lavorazione del marmo (a
lui risale la Ankerske di Fauske in Nordland, tuttora nota per questa lavorazione) e nel
1906 aprì (anche con capitali stranieri) una miniera di ferro nella zona di Sør Varanger
(sami Mátta-Várjjat) nell’estremità orientale della regione di Finnmark.
256
Ma anche l’artigianato fa notevoli passi avanti con la nascita delle fabbriche di
porcellana Egersund Fayancefabrik (Rogaland) nel 1847 e Porsgrund (a Billingstad, non
lontano da Oslo) nel 1885.
257
Si pensi a Frederik Christian Schübeler (1815-1892), medico passato alla bota-
nica, il quale introdusse in Norvegia molte piante utili, sperimentando la possibilità di
coltivarle anche a elevate latitudini.

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1020 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

Anche i trasporti conoscono un notevole incremento. Le comu-


nicazioni marittime (attorno agli anni ’70 la flotta mercantile nor-
vegese era inferiore solo a quelle inglese e americana) si avvantag-
giano della progressiva introduzione di imbarcazioni a vapore,258
mentre si cominciano a realizzare le prime ferrovie; pioniere del
progetto (appoggiato dall’allora ministro degli Interni Frederik
Stang) è l’ingegnere e politico Johan Georg Ræder (1814-1898):
nel 1854 verrà dunque inaugurata la linea di collegamento tra
Christiania ed Eidsvoll (Hovedbanen).259 Altre tratte seguiranno
(finanziate con denaro pubblico o privato) anche allo scopo di
realizzare collegamenti con i porti per una più rapida movimenta-
zione delle merci. La linea settentrionale Narvik-Kiruna-Luleå
(Ofotbanen)260 destinata in primo luogo al trasporto del metallo
estratto dalle miniere svedesi sarà aperta nel 1902, quella comple-
ta fra Oslo e Bergen nel 1909, la cosiddetta Dovrebanen (“Ferrovia
di Dovre”) tra Eidsvoll e Trondheim nel 1921.261 Negli stessi anni
verrà migliorata la rete stradale, un’attività che vedrà impegnato in
primo luogo l’Ente per la viabilità (Vegdirektoratet), istituito nel
1864.262 Il telegrafo venne introdotto in Norvegia nel 1855 quando

258
Fin dal 1851 era stata fondata la Compagnia di Bergen delle navi a vapore (Det
bergenske dampskibsselskab), cui seguì nel 1857 la Compagnia delle navi a vapore
della Norvegia settentrionale (Det Nordenfjeldske Dampskibsselskab; per la precisione
l’aggettivo nordenfjeldsk, qui tradotto con “settentrionale” indica le regioni norvegesi
a nord della nontagna di Dovre, su cui cfr. p. 876, nota 66). Queste società gestivano
principalmente le rotte verso la città di Amburgo. In seguito tuttavia esse cominciaro-
no a collegare anche le località lungo la costa. A partire dagli ultimi anni del XIX
secolo, insieme alla Compagnia delle navi a vapore di Vesterålen (Vesteraalens Damp-
skibsselskab, fondata nel 1881) cominciarono a navigare tra il sud e il nord del Paese
lungo l’itinerario di quella che sarebbe divenuta la celebre e tuttora pienamente attiva
Hurtigruten (fondata nel 1893 dal capitano Richard With, 1846-1930, che già era
stato tra i promotori della Compagnia delle navi a vapore di Vesterålen). Questo
“percorso rapido” (tale è il significato del nome) avrebbe reso possibili veloci trasfe-
rimenti fino ad allora impensabili. Non a caso questa linea navale è considerata la
“strada nazionale nr. 1” (“Riksvei Nr. 1”). Fin dal 1827 tuttavia era in servizio la Costi-
tuzione (Constitutionen) una piccola nave a vapore (costruita in Inghilterra) che
effettuava il servizio postale tra Kristiania e Kristiansand (Vest-Agder). La prima nave
a vapore costruita in Norvegia fu Re Ring (Kong Ring) nel 1837.
259
Vale a dire “Ferrovia principale”.
260
Vale a dire “Ferrovia di Ofoten”, cioè della regione settentrionale (in lingua sami
Ufuohttá) il cui centro principale è Narvik.
261
Sulla catena montuosa di Dovre cfr. p. 876, con nota 66. L’inaugurazione di
questa linea (18 settembre 1921) resta purtroppo legata a un incidente ferroviario che
si verificò nella notte quando il treno che riportava nella capitale le autorità (sovrano
compreso) che avevano partecipato alla cerimonia si scontrò con un altro convoglio
provocando la morte di sei persone e il ferimento di numerose altre.
262
Esso diventerà poi l’attuale Vegvesen. Primi direttori, direttamente coinvolti

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Verso le democrazie nordiche 1021

fu attivata la prima linea di collegamento tra Drammen e Christia-


nia; nel medesimo anno venne fondato l’Ente del telegrafo
(Telegrafverket) che si attivò per estendere il servizio sia all’interno
del Paese (che nel 1870 sarà completamente ‘coperto’) sia con
l’estero. Nel 1880 la International Bell Company aprì un ufficio
nella capitale offrendo il servizio telefonico ai privati, presto però
dovette affrontare la concorrenza della Società telefonica di Chri-
stiania (Christiania telefonforening, 1881): alla fine del secolo la
Norvegia sarà uno dei Paesi europei in cui questo nuovo strumen-
to di comunicazione risulterà più diffuso. Dal 1875 la capitale ebbe
il primo servizio di tram trainati da cavalli;263 poco meno di vent’an-
ni dopo, nel 1894, essi (i primi in Scandinavia) saranno alimentati
dall’energia elettrica. Del resto, molto più a nord, già da tre anni
la città di Hammerfest (anche in questo caso prima in Scandinavia)
aveva inaugurato l’illuminazione stradale fornita dall’energia elet-
trica. Presto arrivarono anche le prime auto: nel 1899 una vettura
elettrica percorrerà i novantasei chilometri del tragitto Kristiania
– Sundvollen (Buskerud) – Kristiania in dieci ore e mezza.264 Rifles-
so di tutti questi progressi sarà la grande esposizione (aperta anche
al resto del Nord) tenuta nella capitale nel 1883, in una città che
alla fine del secolo conterà circa 250.000 abitanti rispetto ai 17.000
di cento anni prima.
Del resto lo sviluppo tecnico-scientifico norvegese appare ben
testimoniato anche nell’esistenza di un’istituzione come l’Associa-
zione politecnica (Den Polytekniske Forening), sorta nel 1852, il
cui primo presidente fu l’inventore e imprenditore Peter Severin
Steenstrup (1807-1863):265 il suo scopo era diffondere le scienze
naturali e la tecnologia e sottolineare la necessità di aprire scuole

nella costruzione e nell’ammodernamento della rete stradale norvegese (in un Paese


in cui gran parte dei trasporti avvenivano via mare o su impervi sentieri interni) saran-
no gli ingegneri Christian Vilhelm Bergh (1814-1873) e Hans Hagerup Krag (1829-
1907), tra l’altro uno dei fondatori dell’Associazione turistica norvegese (Den Norske
Turistforening) nel 1868.
263
A Stoccolma questo servizio sarebbe partito due anni dopo.
264
Si veda in proposito l’articolo di Einar Rasmussen sul Settimanale tecnico (Teknisk
Ugeblad), 1899: 15-16, pp. 181-184 e pp. 201-202.
265
Per sua iniziativa nel 1841 furono impiantate a Christiania presso il fiume Akers-
elva delle officine meccaniche (Agers mechaniske Værksted) dalle quali si sarebbe
sviluppato un importante cantiere navale rimasto in attività fino al 1982. Tra i promo-
tori dell’associazione ci fu anche Jens Jensen (1817-1890) che con il fratello e il cogna-
to aveva dato vita (1848) alle officine meccaniche note come Myrens mekaniske Verksted
nelle quali si sarebbero sperimentati nuovi metodi e nuovi strumenti di lavorazione.
Dal 1854 l’Associazione politecnica avrebbe pubblicato la Rivista politecnica (Polytek-
nisk Tidsskrift) che dal 1883 diventerà il Settimanale tecnico (cfr. nota precedente).

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1022 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

a indirizzo tecnico (altre ne sorgeranno poi in tutto il Paese). Da


essa si staccherà (1874) l’Associazione degli ingegneri e degli
architetti norvegesi (Den Norske Ingeniør- og Arkitektforening)
che tuttavia dal 1883 riprenderà una collaborazione.266 Nel 1914,
in occasione delle celebrazioni per il centenario della costituzione
di Eidsvoll, una grande mostra esporrà i risultati raggiunti (in
primo luogo dall’industria e dall’agricoltura, ma non solo) nella
nuova Norvegia.
Questi cambiamenti andavano a incidere su un mondo già di per
sé in trasformazione. Infatti anche in Norvegia riveste grande
importanza la nascita di movimenti ‘dal basso’ di carattere sia reli-
gioso sia sociale (due aspetti per molti versi intrecciati). Oltre a
quello dei lavoratori, di cui s’è detto, sorsero qui – analogamente
alla Danimarca e alla Svezia – chiese libere e missionarie e associa-
zioni contro l’alcolismo. Le prime certamente nella scia del grande
esempio di Hauge.267 In primo luogo va ricordato qui il pastore
Gustav Adolph Lammers (1802-1878) che con la sua comunità
fondata a Skien nel 1853 fu il primo a rompere con la Chiesa uffi-
ciale (seppure poi tornasse sui suoi passi), poi la Fondazione lute-
rana norvegese (Den norske Lutherstiftelse) successivamente nota
come Società della missione interna (Indremisjonsselskap) sorta nel
1868 per iniziativa del teologo Gisle Christian Johnson (1822-1894)
e alla quale portò il proprio contributo anche il sopra citato Lars
Oftedal.268 Di tendenze più conservatrici rispetto alla Chiesa uffi-
ciale (al cui interno si era fatto spazio per una teologia liberale) essa
vi rimase comunque integrata, il che testimonia come in Norvegia
ci si ponesse in una posizione intermedia fra la Danimarca (dove i
movimenti revivalisti contribuirono a rinnovare la Chiesa ma anche
a ribadirne il ruolo come Chiesa di Stato) e la Svezia (dove, al
contrario, si andò verso la separazione tra Stato e Chiesa). La ragio-
ne di questo sviluppo va tra l’altro ricollegata anche all’atteggia-
mento conservatore di Gisle Johnson e dei suoi seguaci, i quali,

266
Frutto di questa collaborazione saranno i periodici Settimanale tecnico (cfr. nota
264) e Rivista tecnica norvegese (Norsk Teknisk Tidsskrift) poi accorpati nel 1898.
267
Vd. pp. 765-766.
268
Vd. nota 224. In precedenza (1855) egli aveva fondato l’Associazione per la
missione interna di Christiania (Christiania Indremissjonsforening), attuale Missione
cittadina della Chiesa (Kirkens Bymisjon). Più precisamente Società della missione
interna è abbreviazione comunemente usata per Società norvegese luterana della
missione interna (Den norske lutherske Indremissjonsselskap). Su Gisle Johnson vd.
Thorkildsen D., “Gisle Johnson – ‘The Godfather’ i norsk kirkeliv (1822-1894)”, in
VP 1800-tallet, pp. 93-105 e Ousland G., En kirkehøvding. Professor Gisle Johnson
som teolog og kirkemann, Oslo 1950.

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Verso le democrazie nordiche 1023

osteggiando apertamente i democratici e i liberali, crearono una


profonda frattura fra costoro e la Chiesa.269 Nel Paese si diffusero
naturalmente molti altri movimenti revivalisti270 tra cui merita una
citazione particolare la Congregazione cristiana (Den Kristelige
Menighet), più tardi nota come Chiesa cristiana di Brunstad (Brunstad
Christian Church) fondata da Johan Oscar Smith (1871-1943)271 il
quale, dapprima vicino ai metodisti e ai pentecostali, seguì poi un
percorso religioso proprio: percorso che ebbe notevole seguito di
adepti, tanto è vero che questo movimento (caso unico tra quelli
sorti in Scandinavia) è attualmente diffuso in decine di Paesi in
tutto il mondo. Tutto questo fiorire di comunità religiose autocto-
ne o introdotte dall’esterno fu, naturalmente, favorito dalla legge
emanata nel 1845 che garantiva il diritto alla libertà religiosa ai
cristiani che non si riconoscevano nella Chiesa di Stato.272 Ciò, come

269
Vd. Thorkildsen 1997 (A), pp. 154-155. Lo studioso ricorda come al culmine
della battaglia politica tra liberali e conservatori Gisle Johnson si fosse fatto promoto-
re di un appello Agli amici della cristianità nel nostro Paese (Til Christendommens
Venner i vort Land), sottoscritto da tutti i vescovi e da altri eminenti rappresentanti
della società norvegese, nel quale attaccava la politica liberal-radicale (ibidem, p. 155).
Nell’edizione del testo (indicata in EF) l’elenco dei firmatari si trova alle pp. 7-16.
270
Si citino qui: la Società dei quaccheri (Kvekersamfunnet) o Società degli amici
(Vennenes samfunn), presente fin dal 1818; la Chiesa metodista la cui prima comunità
fu costituita in Norvegia dal pastore Ole Peter Petersen (1822-1901) nel 1856; la Chie-
sa battista attiva nel Paese dal 1860; la Società ecclesiale evangelico-luterana (Det
evangelisk-lutherske kirkesamfunn) sorta nel 1872 sul modello della Chiesa luterana
norvegese negli Stati uniti (Norwegian Lutheran Church in the United States) costituita
nel Wisconsin (1846) per iniziativa di Elling Eielsen (1804-1883); la Chiesa libera
evangelico-luterana (Den Evangelisk Lutherske Frikirke), fondata a Moss nel 1877; la
Chiesa avventista che avviò la propria attività nel 1879; l’Associazione missionaria
norvegese (Det Norske Misjonsforbund) fondata nel 1884: l’Esercito della salvezza
(Frelsesarmeen), attivo dal 1888; la congregazione Comunione (Samfundet) fondata
nel 1890 a Kristiansand da Bernt Berntsen Lomeland (1836-1900) insegnante e predi-
catore; la Chiesa unitarianista norvegese (Den norske unitarkirke) fondata nel 1895
dall’ecclesiastico e scrittore Kristofer Janson (1814-1917) come Chiesa della fratellan-
za (Broderskapets kirke); le Libere assemblee evangeliche (De frie evangeliske forsam-
linger), organizzate nei primi anni del Novecento dal pastore Erik Andersen Nord-
quelle (1858-1938) e inizialmente collegate al movimento dei pentecostali introdotto
nel Paese nel 1906 da Thomas Ball Barratt (1862-1940). Una comunità religiosa mino-
re è in Norvegia, come altrove in Scandinavia, anche quella cattolica.
271
Con la seconda denominazione essa è nota soprattutto in Canada e negli Stati
uniti. Il riferimento a Brunstad dipende dal fatto che nel 1956 questa comunità ha
acquistato la proprietà di Brunstad (Vestfold). Inizialmente gli adepti erano detti
semplicemente “amici di Smith” (Smiths venner).
272
Lov angaaende dem, der bekjende sig til den christelige Religion, uden at være
medlemmer af Statskirken (16 luglio 1845). Le reazioni e il dibattito suscitati da questo
provvedimento portarono poi (1891) all’emanazione di una nuova legge (Lov angaaende
kristne Dissentere og andre, der ikke er medlemmer af Statskirken, 27 giugno 1891).

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1024 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

altrove, contribuì in misura decisiva alla formazione di una consa-


pevolezza sociale che si combinò con l’impegno politico, il senti-
mento nazionale (reso qui particolarmente forte dalla situazione di
subalternità del Paese) e il senso della responsabilità individuale
all’interno della comunità.
La Prima associazione norvegese per l’astinenza dall’alcol (Den
første norske avholdsforening) era stata fondata alla fine del 1859 a
Stavanger (Rogaland) da Asbjørn Olsen Kloster (1823-1876), peda-
gogo e predicatore quacchero.273 Il suo esempio sarebbe stato segui-
to da molti e nel 1875 sarebbe sorta a livello nazionale la Società
norvegese per la totale astinenza [dall’alcol] (Det Norske Totalavholds-
selskap) cui altre seguirono (non da ultimo nelle regioni dei Sami).274
La maturazione democratica del popolo norvegese passò, natu-
ralmente, anche attraverso una più capillare diffusione dell’istruzio-
ne. Fin dal 1851 era stata fondata la Società per la promozione
dell’educazione popolare (Selskabet for Folkeoplysningens Fremme)
voluta da Hartvig Nissen275 che si proponeva di favorire lo sviluppo
culturale e spirituale degli individui. Presso questa istituzione lavo-
rò come segretario e redattore del periodico L’amico del popolo
(Folkevennen, 1852-1900) Ole Vig (1824-1857),276 il quale inoltre
elaborò idee e progetti per una efficace diffusione della scolarizza-
zione fra tutti gli strati della popolazione. Vig era un entusiasta
seguace di Grundtvig,277 il cui pensiero era stato introdotto in Nor-
vegia dal pastore dano-norvegese Wilhelm Andreas Wexels (1797-
1866), nato e cresciuto in Danimarca ma giunto nel Paese nel 1814:278
appare dunque evidente anche qui l’influenza del filosofo e peda-
gogo danese sulle tematiche educative. Su modello grudtvigiano
sorgeranno anche in Norvegia scuole popolari superiori.279 Figure
di riferimento in questo ambito sono quelle di Hermann Anker
273
Su di lui vd. Fuglum P., Asbjørn Kloster, pedagog, forkynner og avholdspioner,
Oslo 2004. Dello stesso autore anche Kampen om alkoholen i Norge 1816-1904, Oslo
1972. In realtà l’associazione fondata da Kloster non era affatto la prima, come sopra
si è detto (vd. p. 905 con nota 190).
274
Nel 1907 verrà addirittura fondato il Partito dell’astinenza [dall’alcol] (Avholds-
partiet), attivo fino al 1933.
275
Cfr. p. 903 con nota 175. Alla società diedero il proprio contributo personaggi
illustri come i linguisti Ivar Aasen e Knud Knudsen (vd. pp. 942-943 e pp. 943-944) e
i demologi Peter Chr. Asbjørnsen ed Eilert Sundt (vd. p. 933).
276
Su di lui vd. Høverstad T., Ole Vig. Ein norrøn uppsedar, Hamar 1953.
277
Vd. pp. 883-884, p. 886 e pp. 914-915.
278
Su di lui vd. Præsten W.A. Wexels’s Liv og Virken tilligemed en Smule norsk
Kirkehistorie, fremstillet og udgivet af E. Mau, Kristiania 1867.
279
 Folkehøyskoler, folkehøiskoler, folkehøgskoler in bm; folkehøgskolar, folkehøg-
skular in nn.

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Verso le democrazie nordiche 1025

(1839-1896)280 e Christopher Bruun (1839-1920).281 A Hermann


Anker va il merito, condiviso con Olaus Arvesen (1830-1917)
– entrambi erano naturalmente seguaci di Grundtvig – di aver
aperto il primo di questi istituti a Sagatun (presso Hamar,
in Hedmark): esso iniziò la propria attività nel 1864. Nel 1867
Christopher Bruun ne fondò un altro a Sel in Gudbrandsdalen,
destinato a divenire (dopo il trasferimento a Vonheim) un centro
culturale di notevole importanza. All’attività pratica si accompagnò
la riflessione pedagogica riversata in diverse pubblicazioni che non
mancarono di esercitare il proprio influsso nel dibattito sulla neces-
sità di un ammodernamento del sistema scolastico norvegese, dibat-
tito che si tradusse anche nella proposta di nuovi testi da adottare
nell’insegnamento, come il celebre Libro di lettura per le scuole e le
case del popolo (Læsebog for Folkeskolen og Folkehjemmet, 1863) in
tre parti (destinate ai tre livelli scolastici) curato dall’ecclesiastico
e scrittore Peter Andreas Jensen (1812-1867) e, più tardi, il for-
tunatissimo Libro di lettura per la scuola popolare (Læsebog for
folkeskolen, cinque volumi pubblicati per la prima volta tra il 1892
e il 1895) del pedagogo e scrittore Johan Nordahl Brun Rolfsen
(1848-1928) che fu utilizzato fino agli anni ’50 del Novecento.
Da parte governativa vennero assunti importanti provvedimenti.
Fin dal 1860 era stata emanata una legge sulle scuole di campagna
nella quale si stabiliva che esse dovessero avere una sede fissa e che
le cosiddette ‘scuole itineranti’ potessero essere previste solo in casi
particolari;282 nel 1869 fu introdotta la scuola ‘media’ (middelskole,
tra il 1935 e il 1970, quando fu soppressa, detta realskole) della
durata di sei anni, cui seguivano i tre anni del ginnasio (gymnasium,
per la prima volta presente nell’ordinamento norvegese); inoltre
veniva regolamentato l’examen artium che dava accesso all’univer-
sità. Il percorso formativo superiore contemplava un indirizzo
umanistico e uno scientifico (che comprendeva anche l’insegna-
mento dell’inglese), mentre lo studio della lingua madre includeva
ora anche l’antico nordico (norma fortemente caldeggiata dai lin-
guisti impegnati nell’opera di ‘rigenerazione’ del norvegese). Dun-
que il latino (a lungo materia fondamentale) veniva perdendo il
proprio primato.283 In seguito a questa riforma molti piccoli istitu-

280
Hermann Anker era fratello di Christian August Anker, su cui vd. nota 255.
281
Su di lui si rimanda a Sletten V., Christopher Bruun. Einsleg stridsmann, Oslo 1986.
282
Lov om almueskolevæsenet paa landet (16 maggio). Sulle ‘scuole itineranti’ vd. p. 903.
283
Lov om Examen artium e Lov om offentlige skoler for den høiere Almendannelse,
entrambe del 17 giugno 1869. Una nuova regolamentazione dell’insegnamento supe-
riore sarebbe stata introdotta nel 1896 (Lov om Høiere Almenskoler, 27 luglio 1896)

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1026 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

ti si adeguarono alla nuova regolamentazione e di conseguenza a


livello superiore l’insegnamento fu in buona parte uniformato. Nel
1889 venne finalmente stabilito che il percorso scolastico di base
dovesse essere aperto a tutti: fu dunque istituita la “scuola popo-
lare” (folkeskole) che doveva essere presente in ogni comune (dove
doveva esserci anche un comitato apposito) e imposto l’obbligo di
frequenza dai sette ai quattordici anni. La normativa stabiliva tut-
tavia regole diverse per le città e le campagne (in particolare per
l’orario). Una novità di grande rilievo fu la parificazione delle due
varianti di norvegese che costituivano ora entrambe materia di
studio.284 Mentre lo Stato si assumeva direttamente la responsabi-
lità dell’istruzione dei cittadini, cominciarono a sorgere centri di
insegnamento per l’avviamento professionale, talvolta per iniziati-
va privata o della Chiesa. I primi furono istituti agrari aperti in
diverse località fin dalla prima metà del secolo; nel 1854, per ini-
ziativa di Frederik Stang, fu avviata la grande scuola di agraria di
Ås (nel distretto di Akershus) che iniziò la propria attività nel 1859.
A partire dal 1897 essa ebbe lo status di istituto di istruzione
superiore (il secondo, dopo l’Università di Oslo) divenendo la
Scuola superiore norvegese di agraria (Norges landbrukshøgskole)
e si sviluppò come centro di studi e ricerche finché (2005) è stata
dichiarata Università per gli studi sull’ambiente e le scienze bio-
logiche (Universitetet for miljø- og biovitenskap).285 Nel 1870 fu
istituita la prima scuola di educazione fisica, per la precisione la

nella quale, tra l’altro, sarebbe stato eliminato l’obbligo dello studio del latino. La
scuola ‘media’ assorbì le realskoler (cfr. nota 104), da cui prese il nome, presenti anche
in Norvegia. Nel tempo saranno apportate diverse modifiche, tra cui quelle dell’im-
portante provvedimento del 1964 (Lov om realskoler og gymnas, 12 giugno 1964)
decaduto nel 1974 con l’emanazione di una nuova regolamentazione (Lov om vide-
regående opplæring, 21 giugno 1974). Cfr. anche nota successiva.
284
Lov om Folkeskole paa Landet e Lov om Folkeskole i Kjøbstæderne, entrambe del
26 giugno 1889. La normativa sulle “scuole popolari” sarà revisionata nel 1936 (Lov
om folkeskolen på landet e Lov om folkeskolen i kjøpstedene, entrambe del 16 luglio
1936) e nel 1959 (Lov om folkeskolen, 10 aprile 1959), quando si darà la possibilità ai
comuni di estendere l’obbligo scolastico a nove anni e si limiterà il ruolo degli eccle-
siastici al solo ambito dell’insegnamento religioso. Nel 1969, affermato ormai il prin-
cipio di un uniforme livello per l’istruzione di base, sarà introdotto l’obbligo generale
di completare nove anni di studio (successivamente elevati a dieci) presso quella che
viene ora detta, appunto, “scuola di base” (grunnskole): Lov om grunnskolen, 13 giugno
1969, successivamente modificata. Le tendenze pedagogiche attuali, misurate sulle
esigenze di una società in profonda trasformazione sono riflesse in una normativa
piuttosto recente che riguarda sia l’insegnamento elementare sia quello superiore: Lov
om grunnskolen og den vidaregåande opplæringa, del 17 luglio 1998 con successive
modificazioni.
285
Così in bm, ma Universitetet for miljø- og biovitskap in nn.

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Verso le democrazie nordiche 1027

Scuola centrale per l’esercizio fisico e l’uso delle armi (Den gym-
nastiske Centralskole for Legemsøvelse og Våpenbruk); in seguito
all’apertura di alcuni istituti per bambini affetti da handicap nel
1881 fu emanata una legge che garantiva loro il diritto allo studio.286
La politica del Partito liberale che mirava a sottrarre alla Chiesa
il predominio dell’educazione determinò naturalmente una reazio-
ne: nel 1893 a Gvarv (Telemark) fu fondata da Asbjørn Knutsen
(1842-1917) una scuola per la gioventù di ispirazione cristiana che
sarebbe servita da modello per altre analoghe sorte successivamen-
te. Nel 1875 furono istituite le “scuole distrettuali” (amtsskoler)
sostenute economicamente dallo Stato: loro promotore fu Nils
Hertzberg (1827-1911) teologo ed educatore di tendenze conser-
vatrici, in contrasto con il pensiero educativo grundtvigiano.287
Come sopra è stato detto i livelli più alti della formazione pote-
vano contare solo su due istituzioni: l’Università di Oslo e la
Scuola superiore norvegese di agraria. Nuovi atenei sarebbero
sorti solo più tardi.288 Nell’attesa di scuole superiori specialistiche
in diverse discipline (che comparvero a partire dai primi decenni
del XX secolo) era sorta nel 1864 l’associazione Libero insegna-
mento (Fri undervisning) che si proponeva di diffondere cono-
scenze di livello accademico anche a coloro che non potevano
frequentare l’università. Nel 1949 le sue diverse sezioni furono
unificate e nel 1965 essa assunse il nome di Università popolare
(Folkeuniversitet).
286
Om abnorme Børns undervisning, 8 giugno 1881; essa fu modificata nel 1915
(Lov om døve, blinde og aandssvake barns Undervisning og om Pleie- og arbeidshjem
for ikke-dannelsesdygtige Aandssvake, 4 giugno 1915). Nel 1951 (23 novembre) fu
emanata la cosiddetta Legge per le scuole speciali (Spesialskoleloven). Per un diverso
approccio al problema, che rifiutasse il principio di esclusione (basato tuttavia sulla
convinzione che gli allievi portatori di handicap necessitassero, appunto, di scuole
“speciali”), si sarebbe dovuto attendere il 13 giugno 1975, data in cui fu emanato un
provvedimento, noto come Legge dell’integrazione (Integreringsloven) che inseriva
questi bambini nel sistema scolastico generale.
287
Nils Hertzberg si adoperò fattivamente anche per introdurre l’educazione fisica
nelle scuole.
288
Nel 1946 l’Università di Bergen (Universitetet i Bergen); nel 1968 quella di Tromsø
(Universitetet i Tromsø, Romssa universitehtta in lingua sami); nel 2005 l’Università di
Stavanger (Universitetet i Stavanger, in Rogaland) con sede a Ullandhaug, nel 2007
l’Università di Agder (Universitetet i Agder, con sedi a Kristiansand, Grimstad e Aren-
dal) e nel 2011 l’Università del Nordland (Universitetet i Nordland) con sede a Bodø. L’Uni-
versità di scienze tecniche e naturali di Trondheim (Norges teknisk-naturvitenskapelige
universitet), ufficialmente istituita nel 1996 raccoglie l’eredità di scuole e istituzioni
culturali precedenti come la Società di Trondheim fondata nel 1760 (vd. p. 721),
l’Istituto tecnico di Trondheim (Trondhjems Tekniske Læreanstalt, che risale al 1870)
e la Scuola superiore di studi tecnici (Norges tekniske høgskole, avviata nel 1910).

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1028 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

Notevoli passi avanti furono fatti anche sul piano dell’assistenza


sanitaria, basti qui citare le iniziative di Frederik Stang tra cui
l’istituzione del Consiglio medico (Medisinalrådet) nel 1854.
Gli anni immediatamente successivi al raggiungimento dell’in-
dipendenza furono per la Norvegia un periodo di crescita econo-
mica e di rinnovata fiducia: si poteva finalmente gestire il proprio
destino in piena autonomia. L’industrializzazione procedeva (elet-
trochimica, elettrometallurgica, attività mineraria, lavorazione del
legno), le società per azioni crescevano di numero,289 l’agricoltura
e la pesca (cui si era aggiunta una intensa caccia alle balene) pro-
gredivano grazie a nuovi strumenti e all’uso delle imbarcazioni a
vapore e a motore, i trasporti e le comunicazioni miglioravano, le
città si ingrandivano, i piccoli centri nei quali si stabilivano attività
industriali si sviluppavano:290 un futuro migliore pareva finalmen-
te a portata di mano. E tuttavia non mancava qualche timore. In
diversi Paesi (Inghilterra, Francia, Germania e Svezia) si dimostra-
va ora grande interesse per le prospettive economiche norvegesi e
si era pronti a investire capitali nelle nuove imprese.291 Questo
fatto determinava un problema non da poco in quanto a taluni
appariva evidente non soltanto il rischio di una nuova dipendenza
(questa volta economica) ma anche il pericolo che uno sfruttamen-
to incontrollato delle risorse naturali (in particolare le numerose
cascate da cui si poteva trarre energia idroelettrica) avrebbe pro-
vocato danni al prezioso patrimonio ambientale. Un bene che,
come si è visto, era sentito come parte integrante del concetto
stesso di ‘nazione norvegese’. Ciò diede origine a un lungo conflit-
to che fu risolto con l’emanazione di “leggi sulle concessioni”
(konsensjonslovene) che affermarono il primato in materia dello

289
Del 19 luglio 1910 è la prima legge di regolamentazione in proposito: Lov om
aksjeselskaper og kommandittaksjeselskaper av 19. juli 1910, med endringslover til og
med 8. april 1938, med anmerkninger og henvisninger av E. Hanssen, Oslo 1946.
290
Si pensi a Kirkenes (sami Girkonjárga) nell’estremo Finnmark orientale che dopo
l’apertura delle miniere di ferro gestite dalla società Sydvaranger, fondata nel 1906, si
sviluppò con grande rapidità.
291
Si veda a esempio il caso della Norsk Hydro, uno dei colossi dell’industria nor-
vegese, che fu fondata nel 1905 con capitale francese, svedese e norvegese. Promotore
dell’impresa fu l’ingegnere Sam Eyde (1866-1940) il quale, in collaborazione con lo
scienziato Kristian Birkeland (vd. p. 1103, nota 629), aveva sviluppato un metodo per
la produzione di concimi chimici a base di azoto (il cosiddetto ‘processo Birkeland-
Eyde’), ragion per cui inizialmente l’impresa ebbe nome Società per azioni idroelettri-
ca norvegese dell’azoto (Norsk hydro-elektrisk Kvælstofaktieselskab). Sam Eyde con
l’appoggio finanziario della famiglia di banchieri svedesi Wallenberg fu anche fonda-
tore nel medesimo anno della Società per azioni norvegese per l’industria elettrochi-
mica (Det Norske Aktieselskab for Elektrokemisk Industri, attualmente Elkem).

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Verso le democrazie nordiche 1029

Stato norvegese: queste leggi furono volute dalla Sinistra al potere


(con il primo ministro Gunnar Knudsen)292 cui portò un contribu-
to determinante il ministro della giustizia Johan Castberg, leader
dell’Associazione norvegese dei lavoratori uniti (i futuri Lavorato-
ri democratici).293
Nel 1914 la Norvegia celebrava i cento anni dalla costituzione
di Eidsvoll e guardava fiduciosa al futuro. Ma lo scoppio della
prima guerra mondiale avrebbe (seppure il Paese restasse neutrale)
mutato gli scenari.

Alla nuova Norvegia non poteva certo mancare un inno nazionale. Nel
1820 (come sopra si è accennato) Henrik Anker Bjerregaard aveva vinto
un concorso per il miglior canto di ispirazione patriottica con Figli di
Norvegia (Sønner af Norge), la cui melodia si deve a Christian Blom.294
L’attuale inno nazionale norvegese “Sì, noi amiamo questa terra” (“Ja, vi
elsker dette landet”) fu scritto da Bjørnstierne Bjørnson e musicato da
Rikard Nordraak.295 La sua affermazione come inno nazionale non è
tuttavia dovuta a una deliberazione ufficiale, bensì alla sua popolarità. “Sì,
noi amiamo questa terra” fu eseguito pubblicamente per la prima volta a
Eidsvoll il 17 maggio (festa nazionale norvegese) nel 1864, in occasione
del cinquantennale della costituzione del 1814. Se ne riporta qui la prima
strofa, quella che viene più comunemente eseguita:

“Sì, noi amiamo questa terra,


così come essa si innalza
scabra, esposta alle intemperie, sull’acqua,
con i [suoi] mille focolari.
L’amiamo, l’amiamo e pensiamo
a nostro padre e a nostra madre.
E alla notte [intrisa] di leggenda che riversa
sogni sulla nostra terra.”296

292
Cfr. p. 1013.
293
Molto importante è, tra le altre, la legge del 18 settembre 1909 sullo sfruttamen-
to delle cascate e delle risorse minerarie (Lov om ervervelse av vannfall, bergverk og
annen fast eiendom m.v.).
294
Cfr. p. 938.
295
Vd. p. 1079 e p. 1100. Il testo di Bjørnson fu redatto in una prima versione nel
1859 ma successivamente rivisto. Vd. Jørgensen J.G. – Kydland A.J. et al., Historien
om Ja, vi elsker, Oslo 2002.
296
DLO nr. 170.

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1030 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

12.2.4. Islanda

Sebbene ancora sostanzialmente isolata rispetto al resto d’Euro-


pa l’Islanda era ormai (quanto meno a livello sociale e culturale
elevato) partecipe delle nuove correnti di pensiero europee e dun-
que coinvolta in un cambiamento indilazionabile.297 Il che doveva
essere ben chiaro anche in Danimarca, dove – dopo la forzata
rinuncia alla Norvegia nel 1814 – non si voleva ora perdere il pre-
dominio da secoli esercitato sui restanti possedimenti. Anche se
all’assemblea danese che aveva promulgato la costituzione liberale
del 1849298 aveva preso parte anche qualche rappresentante islan-
dese, a fronte dei radicali cambiamenti che essa aveva introdotto
la questione relativa allo status dell’antica colonia non era stata
adeguatamente affrontata. Ciò consentì agli Islandesi – primo fra
tutti il leader del movimento indipendentista Jón Sigurðsson (uno
dei delegati nell’assemblea costituente) – di sostenere che, stando
così le cose, il Paese poteva ritenersi svincolato dai legami con la
Danimarca (fatta salva l’unione personale nella persona del re), dal
momento che i rapporti bilaterali erano stati per l’ultima volta
definiti nel cosiddetto “Antico trattato”, sottoscritto con il re nor-
vegese tra il 1262 e il 1264.299 Questa presa di posizione natural-
mente preoccupò il sovrano e il parlamento danese che corsero ai
ripari per arginare le spinte autonomiste. Per la verità il problema
era stato affrontato, almeno formalmente, con la costituzione di
una commissione ad hoc, ma le aspettative degli Islandesi andavano
ben oltre ciò che gli antichi signori erano disposti a concedere: nel

297
In taluni casi anche la gente comune mostrò, dopo secoli di sottomissione, di
voler rialzare la testa: si ricorda in particolare un episodio, la cosiddetta “cavalcata nel
Nord” (Norðurreiðin), avvenuto il 23 maggio 1849 (dunque nel pieno del clima rivo-
luzionario europeo), quando una settantina di abitanti dello Skagafjörður e dell’Eyjafjörður
si recarono a cavallo alla residenza del governatore distrettuale Grímur Jónsson (o, alla
danese, Grímur Johnsen, come voleva essere chiamato, 1785-1849). Questo funziona-
rio, assai malvisto per la sua marcata predisposizione a fare il solo interesse del domi-
natore, abitava a Möðruvellir in Hörgárdalur in una lussuosa residenza (all’epoca tra
le più belle del Paese e nota come Dono di Federico, Friðriksgáfa, poiché il denaro per
costruirla era stato concesso dal re). Ivi giunti costoro scesero di sella e presentarono
un duro ammonimento al governatore allo scopo di farlo dimettere dall’incarico, dopo
di che di nuovo cavalcarono verso casa. Quindici giorni dopo, il 7 giugno, Grímur
Jónsson morì per un attacco cardiaco. In seguito a questo episodio il re danese avreb-
be inviato nell’isola un contingente di soldati a ‘vigilare’ sullo svolgimento dell’assem-
blea dei rappresentanti di cui si dirà poco oltre. Della magnifica residenza non resta
nulla in quanto essa fu distrutta da un incendio nel 1874.
298
Vd. p. 864.
299
Vd. p. 384.

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Verso le democrazie nordiche 1031

Paese c’erano fermento e attesa. Il periodico Þjóðólfur (pubblicato


a Reykjavík a partire dal 1848) diffondeva il punto di vista di Jón
Sigurðsson e dei suoi: per questa ragione ne venne spesso fatta
sospendere la pubblicazione.300 Nel 1851, dopo una lunga serie di
rinvii, fu finalmente convocata a Reykjavík presso la Scuola di
latino301 l’assemblea dei rappresentanti (regolarmente eletti) dei
diversi distretti: a loro il governatore dell’isola, conte Jørgen Ditlev
Trampe (1807-1868), presentò le proposte danesi. In città la pre-
senza di soldati (schierati anche presso la sede in cui si teneva la
riunione) lasciava ben comprendere come l’intenzione fosse quel-
la di imporre il documento così come era stato predisposto. I
delegati islandesi tuttavia non si lasciarono intimorire e apparve
chiaro che esso sarebbe stato rigettato. A quel punto, nonostante
le vibrate proteste di Jón Sigurðsson, sostenuto dalla quasi totalità
dei presenti (favorevoli erano solo i sei delegati scelti dal re),302 la
seduta fu sciolta risolvendosi in un nulla di fatto. Gli Islandesi non
avevano ottenuto nulla e tuttavia lo scontro verificatosi durante la
riunione dimostrò che il contrasto avrebbe dovuto essere in qualche
modo composto e che ora per il parlamento e il sovrano danese
l’Islanda costituiva davvero un problema da risolvere: inutile pena-
lizzare chi condivideva gli ideali di indipendenza303 o favorire chi
(il più delle volte per calcolo personale) si dimostrava ossequiente

300
Come è stato detto (vd. p. 880), quando viveva e lavorava in Danimarca Jón
Sigurðsson aveva avviato la pubblicazione della Nuova rivista sociale. Direttore di
Þjóðólfur fu fino al 1852 Sveinbjörn Hallgrímsson (1814-1863), noto per uno ‘scanda-
lo’ avvenuto nel 1850: egli infatti al termine di una predica del vescovo Helgi Thor-
dersen (1794-1867) nella cattedrale, prese la parola criticando aspramente l’autorità
ecclesiastica e chiedendo la nomina di un nuovo pastore. A motivo dell’inserimento
del testo di questo discorso nel giornale Þjóðólfur la pubblicazione fu sospesa. Sveinbjörn
Hallgrímsson trovò comunque il modo di stamparlo in quanto si recò in Danimarca e
lo fece uscire con il titolo modificato di Hljóðólfur. Dopo di lui fu direttore Jón Guð-
mundsson (1807-1875), presidente dell’assemblea generale tra il 1859 e il 1861, che
mantenne l’incarico fino al 1874; la biografia di questo importante politico (Jón
Guðmundsson alþingismaður og ritstjóri, þættir úr ævisögu, Reykjavík 1960) è stata
scritta da Halldór Laxness (vd. pp. 1168-1169, p. 1173 e p. 1175). In islandese Þjóð-
ólfur è nome proprio maschile composto da þjóð “popolo” e úlfur “lupo”, etimologi-
camente vale dunque “lupo del popolo”.
301
Vd. p. 880 con nota 80.
302
Il totale dei delegati era di quarantatré. Tra coloro che si schierarono dalla par-
te del re c’era Páll Melsteð (1812-1910) incaricato di presiedere la riunione. Egli era
stato segretario del rappresentante reale all’assemblea ed era ora direttore della tipo-
grafia nazionale (su di lui: “Páll Melsteð, sagnfræðingur”, in BR, pp. 136-139).
303
Un caso esemplare è quello del sopra citato Jón Guðmundsson (vd. nota 300)
che fu rimosso dall’incarico di sýslumaður (vd. p. 387) dei distretti (occidentale e
orientale) di Skaftafell per la sua stretta collaborazione con Jón Sigurðsson.

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1032 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

ai voleri del dominatore: ormai era chiaro a tutti che si sarebbe


dovuto trovare uno sbocco politicamente concordato.304 Il che non
fu affatto facile. Negli anni che seguirono furono presentate nuove
proposte, ma ciò che soddisfaceva una delle parti incontrava l’op-
posizione dell’altra (si considerino in particolare il documento
islandese del 1867 e quello danese del 1869). Neppure con la
mediazione del nuovo governatore Hilmar Finsen (1824-1886),
cresciuto in Danimarca ma di origini islandesi,305 la questione poté
essere risolta. Nel 1871 il parlamento danese varò una legge
che doveva regolare i rapporti fra i due Paesi: in essa si ribadiva che
l’isola costituiva parte integrante del territorio danese e tuttavia si
garantiva agli Islandesi un risarcimento in denaro a fronte delle
ingenti risorse loro sottratte nel corso dei secoli. Inoltre veniva
concessa una gestione indipendente per le questioni interne, come
pure un tribunale autonomo per le cause minori, seppure la Corte
suprema dovesse rimanere quella della capitale danese.306 Nono-
stante le molte contrarietà questa legge (in sostanza la prima costi-
tuzione islandese) fu infine accettata dall’assemblea generale
(Alþingi)307 nel 1873 ma, in previsione del millenario della fonda-
zione dello stato islandese che sarebbe caduto l’anno successivo,308
venne chiesto al re di riconoscere maggiori diritti e maggiore auto-
nomia. Ciò, in effetti, fu accordato. Primo fra tutti i sovrani dane-
si, Cristiano IX visitò l’Islanda in occasione delle celebrazioni (1874)
recando con sé il nuovo ordinamento, la Costituzione sulla questio-
ne particolare dell’Islanda (Stjórnarskrá um hin sjerstaklegu málefni
Íslands / Forfatningslov for Islands særlige Anliggender) nel quale
venivano fatte numerose concessioni soprattutto a riguardo della
gestione degli affari interni: il potere legislativo tornava all’Alþingi
(ma il sovrano conservava il diritto di ratifica) e così anche la
gestione delle finanze. Inoltre erano ampliate le libertà individuali

304
La dimensione del ‘problema islandese’ si evidenzia anche nel fatto che nel
contesto del conflitto per i ducati degli anni 1863-1864 (vd. p. 960) la Danimarca
aveva anche preso in considerazione la cessione dell’isola alla Prussia in cambio della
parte dello Schleswig in cui la maggioranza della popolazione era danese; lo scambio
tuttavia non andò in porto.
305
Il nonno paterno era il vescovo Hannes Finnsson (vd. p. 731 e p. 840).
306
Lov om Islands forfatningsmæssige Stilling i Riget, 2 gennaio 1871, nota in dane-
se anche come Landsstillingsloven (Legge sullo stato del Paese), in islandese Stöðulögin.
307
Vd. p. 151.
308
Come si è detto (vd. p. 147) l’anno di fondazione della nazione islandese è
considerato l’874, quando il primo colono, Ingólfr Arnarson, si era stabilito nel
Paese. Sulle celebrazioni del millenario vd. Tobíasson B., Þjóðhátíðin 1874, Reykjavík
1958.

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Verso le democrazie nordiche 1033

(di culto, di stampa, di commercio). In accordo con la legge del


1871 la carica di stiftamtmaður309 veniva abolita e al suo posto era
istituita quella di “governatore del Paese” (landshöfðingi), rap-
presentante del re e del parlamento danese e mediatore tra questi
e gli Islandesi. Il primo cui fu affidata questa funzione fu il sopra
citato Hilmar Finsen. Pur non rispondendo in pieno ai desideri
degli autonomisti queste decisioni ottennero il consenso dei più
e Cristiano IX venne accolto con calore.310 La sua presenza con-
tribuì a dare lustro alle grandi celebrazioni (in particolare quelle
tenute a Þingvellir, sede dell’antica assemblea generale)311 e a
richiamare grande attenzione su un Paese ancora assai poco
conosciuto.
Leader indiscusso del movimento indipendentista islandese era,
come sopra si è detto, Jón Sigurðsson. A lungo vissuto in Dani-
marca, dove aveva lavorato all’Istituto arnamagnaeano in cui
erano raccolti i preziosi codici, custodi della storia islandese dei
primi secoli,312 non aveva mancato di mantenere stretti rapporti
con la madrepatria. In una nutrita serie di scritti egli discusse la
situazione del suo Paese, affermandone il diritto a godere di pie-
na libertà politica ma anche analizzandone i problemi sociali
(legati alla situazione economica, alle condizioni sanitarie, alla
necessità di diffondere l’istruzione). Punto di riferimento per gli
Islandesi fin da quando viveva a Copenaghen (dove la sua casa
era luogo di incontro per i compatrioti che si trovavano nella
capitale danese) fu membro dell’assemblea generale e presidente
della Società letteraria islandese.313 Il suo coinvolgimento nella
lotta per l’indipendenza non ebbe pari, al punto che il giorno
della sua nascita (17 giugno) sarebbe stato scelto come data della
festa nazionale.
Jón Sigurðssson moriva nel 1879, ma le sue idee non morivano
certamente con lui. Gli Islandesi avevano assaporato il gusto di

309
Vd. p. 553 con nota 110.
310
Non mancò, tuttavia, chi continuò a opporsi duramente, ritenendo che l’unica
soluzione per il Paese fosse il definitivo distacco dalla Danimarca. Tra di loro Jón
Ólafsson (1850-1916), redattore del giornale Göngu-Hrólfr (sul personaggio cui questo
nome si ispirava vd. p. 112 con nota 49), il quale per due volte fu espulso dal Paese per
le sue idee e i suoi scritti e infine riparò in America. Particolare irritazione suscitò il suo
Componimento degli Islandesi (Íslendingabragur), da cantare sulla musica della ‘marsi-
gliese’, comparso sulla rivista Baldur (da lui diretta), III: 4, del 19 marzo 1870, p. 15.
311
Vd. sopra, nota 307.
312
Vd. p. 824, nota 650.
313
Vd. p. 824. Egli fu anche presidente dell’assemblea islandese. Questo è il moti-
vo per cui in Islanda è noto come Jón forseti, vale a dire “Jón il presidente”.

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1034 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

una maggiore autonomia e desideravano ora ottenere una effettiva


indipendenza. I tentativi di trovare una soluzione andarono avan-
ti per diverso tempo ma, stante anche il fatto che il governo dane-
se era retto dal conservatore Jacob Estrup,314 non approdarono a
nulla. Nel 1894 il quadro politico danese cambiò e, con esso, le
prospettive dell’Islanda. Qui il dibattito, mai sopito, aveva eviden-
ziato due principali opinioni; da una parte c’era chi, cercando di
trovare un punto di incontro coi Danesi, proponeva la nomina
di un ministro con il compito specifico di occuparsi di tutti i pro-
blemi relativi alla vita del Paese: questi avrebbe dovuto essere di
nazionalità islandese ma risiedere a Copenaghen. Per contro c’era
chi esigeva che il governo dell’isola fosse gestito totalmente in loco.
I due principali rappresentanti di queste correnti furono convo-
cati a Copenaghen: si trattava dello storico dell’Islanda Valtýr
Guðmundsson (1860-1928) e del poeta e scrittore Hannes Hafstein
(1861-1922) che vi si recarono nell’estate del 1901.315 L’esito dell’in-
contro fu che il governo danese rimise agli Islandesi la scelta: e la
scelta degli Islandesi fu che essi volevano un governo interno al
Paese. Questa decisione venne ratificata dalle autorità danesi e
Hannes Hafstein, nominato primo ministro, entrò in carica il
1 febbraio 1904. Aveva così termine il “periodo dei governatori”
(landshöfðingjatímabilið) e, seppure l’Islanda restasse unita alla
Danimarca, davvero iniziava una nuova fase della sua storia. Hannes
Hafstein sarebbe rimasto in carica fino al 1909: ora l’isola aveva un
proprio governo (cui era demandato anche il potere esecutivo) e propri
ministri. Quando nel 1907 il sovrano Federico VIII (1843-1912), sali-
to al trono l’anno precedente, volle istituire una nuova commissione
per regolare i rapporti tra i due Paesi, Hannes Hafstein ne fece natu-
ralmente parte insieme al collega danese Jens Christian Christensen;
l’esito dei lavori (svoltisi tra febbraio e marzo del 1908 a Copenaghen)
fu un nuovo documento – la “bozza” (uppkastið) del 1908 – che, pur
ribadendo la sovranità del re danese sull’isola, accoglieva molti deside-
rata degli Islandesi;316 ciò tuttavia apparve ai più ancora insufficiente
rispetto all’obiettivo di una totale indipendenza: di conseguenza il
primo ministro perse la maggioranza e dovette rassegnare le dimissio-
ni. Suoi successori furono Björn Jónsson (1846-1912), il cui governo
fu tuttavia logorato da conflitti interni alla maggioranza e da vivaci
314
Vd. pp. 967-968.
315
Su di loro vd. Þór J.Þ., Dr. Valtýr. Ævisaga, Hafnarfjörður 20102 e Albertsson
Kr., Hannes Hafstein. Æfisaga, Reykjavík 20043.
316
 Betænkning afgiven af den Dansk-islandske Kommission af 1907 / Álit hinnar
dönsku og íslensku nefndar frá 1907, København 1908.

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Verso le democrazie nordiche 1035

reazioni alle sue decisioni (accompagnate da tumulti popolari), e


Kristján Jónsson (1852-1926) che restò in carica tra il 1911 e il
1912, quando dopo nuove elezioni Hannes Hafstein tornò al
potere, restandovi fino al 1914.
Appare chiaro come in questi anni la questione dei rapporti con
la Danimarca fosse elemento discriminante317 e anche come i primi
veri partiti islandesi (intesi in senso moderno) si venissero forman-
do su questa base. Il periodo tra il 1903 e il 1908 è chiarificatore di
questi sviluppi: il gruppo di coloro che seguivano Hannes Hafstein
si chiamò infatti Partito dell’autogoverno (Heimastjórnarflokkurinn),
mentre i fautori della completa autonomia si raccolsero nel Partito
dell’indipendenza (Sjálfstæðisflokkurinn)318 in cui erano confluiti anche
i membri del Partito della difesa nazionale (Landvarnarflokkurinn)
di chiare tendenze nazionaliste. Nel 1912, quando Hannes Hafstein
tornò al potere, egli era alla guida del Partito dell’unione (Sambands-
flokkurinn) nel quale infine erano riuniti il Partito dell’autogover-
no e il Partito dell’indipendenza, alla ricerca di una soluzione
dell’annosa controversia. Il problema restava quello della bozza del
1908 che ai Danesi pareva contenesse notevoli concessioni (sicché
dopo la morte di Federico VIII il successore Cristiano X (1870-
1947) preferì riprendere la discussione sulla base del testo del 1871)
mentre in Islanda si chiedevano ulteriori emendamenti (alcuni
esigevano senz’altro che i rapporti tra i due Paesi fossero definiti-
vamente rescissi). Su queste questioni (e sulla volontà degli Islan-
desi di avere una bandiera propria)319 si andò avanti nel dibattito,
mentre nel 1916 nascevano due nuove forze politiche: il Partito del
progresso (Framsóknarflokkurinn),320 nato dalla fusione del Partito
dei contadini (Bændaflokkurinn) con i Contadini indipendenti (Óháðir
bændur) e guidato dall’influente e discusso politico Jónas Jónsson
(1885-1968) e il Partito socialdemocratico (Alþýðuflokkurinn,
letteralmente “Partito popolare”) che rispondeva alla necessità di
317
Lo studioso di storia del cristianesimo Hjalti Hugason fa notare (Hugason 1997
[B.7.2], p. 206) come il coinvolgimento della Chiesa islandese nella rinascita dello
spirito nazionale e nella lotta per l’indipendenza riguardasse sostanzialmente i pastori
e il clero di grado più basso, mentre il vescovo, così come gli ecclesiastici che ricopri-
vano cariche di prestigio si schierarono in difesa degli interessi del re danese.
318
Inizialmente questo gruppo era il Partito per i miglioramenti costituzionali
(Stjórnarbótarflokkurinn), divenuto poi Partito del progresso (Framfaraflokkurinn e
Framsóknarflokkurinn) e, ancora, Partito democratico (Þjóðræðisflokkurinn). La
denominazione Partito dell’indipendenza risale al 1908. Si osservi qui, doverosamen-
te, che l’attuale Partito del progresso (Framsóknarflokkurinn) è sorto, come si specifi-
ca poco più avanti, nel 1916.
319
Vd. oltre, pp. 1049-1050.
320
Cfr. nota 318.

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1036 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

coordinare le forze sindacali che anche in Islanda cominciavano a


reclamare un proprio spazio. Ma lo scoppio della prima guerra
mondiale costrinse anche questo Paese (che pure era ben lontano
dal teatro delle operazioni militari) a subire le conseguenze del
conflitto: ciò determinò la formazione di un governo di coalizione
guidato da Jón Magnússon (1859-1926) con il compito di affron-
tare le nuove difficoltà.
Seppure lentamente, anche la società islandese si stava trasforman-
do, per molti aspetti in parallelo con i mutamenti che sono stati
constatati negli altri Paesi nordici, e tuttavia – tenuto conto del
persistente isolamento, del numero limitato degli abitanti e del loro
radicato tradizionalismo – in forma meno incisiva. Qui, a esempio,
non sorsero come altrove movimenti revivalisti ma la vita delle pic-
cole comunità ricevette impulso quando (1872) venne promulgata
una legge comunale, che coinvolgeva anche i rappresentanti del
clero locale, grazie alla quale fu possibile una più attiva partecipa-
zione alla gestione della vita sociale.321 Fra la fine del XIX e i primi
decenni del XX secolo il dibattito di natura religiosa tra i conserva-
tori e i progressisti si fece intenso e sorse qualche chiesa libera.322
Anche in Islanda – dove l’alcolismo era molto diffuso – non man-
cò un movimento per contrastare il problema: nel 1884 un calzolaio
norvegese costituiva ad Akureyri la prima ‘loggia’ dell’ordine dei
Good Templars, poi portata avanti dal legatore e libraio Fríðbjörn
Steinsson (1838-1918) che la ospitò nella propria casa: a questa
molte altre presto seguirono in tutto il Paese. Anche altre associa-
zioni come il Club dei marinai (Sjómannaklúbburinn), fondato a
Reykjavík nel 1875, si proponevano questo scopo sottolineando
l’importanza di perseguire il decoro e la dignità personale: è del
tutto evidente che tra i marinai l’alcolismo era molto diffuso. Mol-
ti (fra cui ecclesiastici e funzionari) divennero completamente
astemi e le voci in favore di una legge di carattere proibizionistico
furono numerose: essa fu dunque promulgata nel 1909, sebbene
l’entrata in vigore fosse stabilita per il 1 gennaio 1912 (ma piena-
mente solo nel 1915). Una attenuazione delle disposizioni si avrà
nel 1922, la loro abolizione nel 1935.323

321
Forordning om de islandske landkommuners styrelse: LFI XXI, 4 maggio 1872,
pp. 354-403.
322
Per altro fin dalla seconda metà del XIX secolo i cattolici avevano potuto ritro-
vare spazi e dal 1923 essi ebbero nel Paese la propria prefettura apostolica.
323
Il testo della legge del 1 maggio 1909 è riportato in Frækorn, X (7 maggio1909),
pp. 1-8. Dal 1922 in seguito a trattative col governo spagnolo, che chiedeva di poter
esportare vino in Islanda in cambio di pesce salato, il divieto totale fu attenuato (vd.

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Verso le democrazie nordiche 1037

Ma la rinascita dell’Islanda percorse, naturalmente, anche la


via economica. Due elementi furono determinanti al riguardo. Il
primo fu la revoca definitiva (1854) di ogni forma di restrizione
mercantile: infatti nel 1787 l’abolizione del monopolio (che aveva
determinato per gli Islandesi una pesante situazione economica)
era in realtà consistita nella sola estensione del diritto di commer-
ciare a tutti i sudditi del Regno, il che aveva continuato a favorire
i mercanti danesi.324 Fin dal 1844 si erano formate (soprattutto
nelle zone lontane dai centri nei quali si svolgeva il commercio,
in particolare nel distretto di Þingeyjarsýsla) associazioni di con-
tadini che avevano lo scopo di gestire direttamente la vendita dei
prodotti, più tardi ci furono alcuni imprenditori che diedero
l’avvio a vere e proprie compagnie commerciali.325 Il secondo
elemento fu il pagamento delle somme risarcitorie per i molti beni
sottratti all’Islanda dopo la riforma e per i guadagni derivati dal
monopolio mercantile. Queste somme furono di grande utilità
per costituire il primo nucleo del patrimonio del futuro stato
islandese.
A questi fattori positivi si accompagnò un miglioramento dell’agri-
coltura e dell’allevamento, da secoli fonte primaria di sostentamen-
to per la popolazione. Fin dal 1837 era stata fondata la prima
società agricola,326 presto seguita da altre in tutto il Paese: lo scopo
era, naturalmente, quello di promuovere il progresso dell’economia

Fram, 18 marzo 1922, p. 9): il 1 gennaio di quell’anno fu istituita la Rivendita statale


delle bevande alcoliche (Áfengisverslun ríkisins) per l’importazione di vino spagnolo
(di gradazione non superiore a 21°). La legge di soppressione del divieto (Áfengislög,
9 gennaio 1935) entrò in vigore il 1 febbraio, restando comunque valida la proibizione
relativa alla birra, che sarebbe stata tolta molto più avanti, nel 1989 (Áfengislög del 15
giugno 1988 con decorrenza 1 marzo 1989; il testo è consultabile su www.althingi.is/
lagas/130b/1998075.html).
324
Legge del 15 aprile 1854 entrata in vigore il 1 aprile 1855 (Lög um siglingar og
verslun á Íslandi, in Lagasafn 1990. Íslensk lög 1. Október 1990, búið hefur til prentunar
M. Másson, Reykjavík 1991, II, coll. 1702-1703). Cfr. pp. 551-552 con note 100-103.
Pioniere del commercio islandese era stato Guðmundur Scheving (1777-1837) di
Flatey. Cfr. nota 330.
325
Il più noto è certamente Tryggvi Gunnarsson (1835-1917) il quale fu direttore
della Gránufélagið, una società commerciale (fondata ad Akureyri nel 1869) che tra
l’altro diede un notevole impulso all’industria del pesce salato. Fu poi direttore della
Banca nazionale islandese fondata, come si è detto (vd. p. 671, nota 629), nel 1885.
Promotore della Gránufelagið fu Arnljótur Ólafsson (1823-1904), anche politico,
autore del primo testo di carattere economico scritto in islandese dal titolo Economia
nazionale (Auðfræði), edito per la prima volta a Copenaghen dalla Società letteraria
islandese nel 1880.
326
Per la precisione Società per la gestione [economica] della casa e della fattoria
del distretto meridionale (Hús- og Bústjórnarfélag Suðuramtsins).

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1038 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

agricola, per troppi versi ancora arretrata (si ricordi che non di rado
l’introduzione di nuove colture era stata accolta con diffidenza, per
non dire con ostilità, da parte dei contadini).327 Nel 1899 si sareb-
be dato l’avvio a un ente di carattere nazionale, la Società agricola
islandese (Búnaðarfélag Íslands) al quale potevano aderire tanto le
associazioni minori quanto i singoli. Un’ordinanza di Cristiano IX
emessa nel 1872 aveva decretato l’istituzione di scuole di agraria:328
la prima fu aperta nel 1888 in Ólafsdalur (nel Gilsfjörður), per
iniziativa di Torfi Bjarnason (1838-1915) il quale, soggiornando in
Scozia, aveva appreso nuove tecniche e sperimentato nuovi stru-
menti (tra cui un tipo di falce che, da lui adattata, si diffuse rapi-
damente in Islanda). Questa scuola (il cui ideatore godeva della
stima e del sostegno di Jón Sigurðsson) ebbe un’importanza fon-
damentale per lo sviluppo dell’agricoltura nel Paese.329 Così come
fu di grande utilità il compito assegnato dalla società agricola a
Guðjón Guðmundsson (1872-1908) il quale nel 1900 fece un viag-
gio in Inghilterra per apprendere più efficaci metodi di allevamen-
to del bestiame che poi introdusse in patria. Inoltre con la vendita
di terreni di proprietà della Corona danese o della Chiesa aumen-
tò il numero di coloro che lavoravano poderi propri. Per secoli gli
Islandesi avevano praticato la pesca allo scopo di integrare la loro
modesta economia, e tuttavia con mezzi assai più limitati rispetto
agli stranieri (in primo luogo gli Inglesi) che a lungo avevano sfrut-
tato le risorse del loro mare. Nel XIX secolo le cose incominciaro-
no a cambiare anche in questo settore dal momento che furono
introdotte imbarcazioni più grandi e meglio attrezzate,330 finché
(1902) comparvero i primi battelli a motore e (1904) i primi moto-
pescherecci a strascico. Grazie anche all’acquisizione di nuove
tecniche si sviluppò dunque in diverse zone del Paese (non da
ultimo nel Nord e nei fiordi occidentali) una pesca commerciale
327
Anche in altri casi le innovazioni furono osteggiate: si pensi che nel 1859 Jón
Sigurðsson e Hans Christian Tschernig (1804-1886), insigne veterinario danese, dovet-
tero essere ufficialmente investiti di pieni poteri per curare la scabbia ovina a causa
della contrarietà dei contadini (ma anche dell’assemblea generale!) che ritenevano si
dovessero semplicemente abbattere gli animali malati.
328
Tilskipun um stofnun búnaðarskóla í Ísland / Forordning om Oprettelsen af
Landbrugsskoler i Island: LFI XXI, 12 febbraio 1872, pp. 163-164.
329
Altre presto seguirono: nel 1882 fu fondata la Scuola di Hólar (Hólaskóli) in
Hjaltadalur; nel 1883 la Scuola di Eiðar (Eiðaskóli) in Austurland; nel 1889 la Scuola
di Hvanneyri (Hvanneyrarskóli) in Borgarbyggð (Islanda occidentale). Su Torfi Bjarna-
son vd. “Torfi Bjarnason, skólastjóri”, in BR, pp. 172-175.
330
Pionieri del commercio e dell’industria della pesca erano stati Ólafur Thorlacius
(1762-1815) di Bildudalur (nei fiordi occidentali) e Bjarni Sívertsen (1763-1833) di
Hafnarfjörður (a sud di Reykjavík).

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Verso le democrazie nordiche 1039

che determinò la nascita di un’industria per la lavorazione e la


conservazione del prodotto (merluzzo, aringhe) e, per un certo
periodo, per la produzione dell’olio di pescecane; ci fu inoltre una
intensa caccia alle balene.331 A partire dagli anni ’80 si cominciò a
introdurre l’itticoltura. Il commercio islandese con l’estero (Italia
compresa) si basò dunque in primo luogo sull’esportazione di
prodotti della pesca opportunamente trattati (salati o essiccati), ma
anche di ovini (commercio che conobbe tuttavia una crisi attorno
al 1865) e cavalli,332 di burro e carne salata oltre che di lana. Nel
1882 fu fondata a Húsavík la prima società cooperativa islandese
(Kaupfélag Þingeyinga); dal 1886 il suo rappresentante fu il grossi-
sta danese Louis Zøllner (1854-1945), a lungo residente in Inghil-
terra, figura di grande importanza per lo sviluppo economico
dell’isola;333 altre presto seguirono.334 Elemento di grande rilevanza
per lo sviluppo sociale ed economico islandese fu anche l’attenua-

331
Essa venne proibita nel 1915 per via del notevole calo nel numero degli animali.
332
I cavalli vennero introdotti in Islanda dai coloni provenienti dalla Norvegia. Si
tratta dei discendenti di una razza di origine mongolo-siberiana che inizialmente
furono incrociati con animali provenienti da altre zone di immigrazione come la
Scozia e le isole britanniche. Sebbene da talune parti si sostenga che assai presto (nel
930, 950 o 982) l’importazione fosse stata proibita per il timore dell’introduzione di
malattie equine, nelle fonti giuridiche antiche non c’è traccia di questo divieto. La
prima legge in questo senso (che comunque riguarda in primo luogo gli animali da
allevamento) risale piuttosto al 1882 (Lög um bann gegn innflutningi á útlendu kvikfje
/ Lov om Forbud mod Indførsel af Kreaturer fra udlandet, 17 marzo 1882, in STfÍ 1882,
pp. 62-63). L’isolamento e la scarsità di incroci ha comunque consentito di sviluppa-
re una razza particolare con caratteristiche proprie tra le quali le più evidenti sono le
dimensioni ridotte, la folta criniera, lo spesso manto invernale, la resistenza alla
fatica, la capacità di muoversi con cinque diverse andature (passo, trotto, galoppo,
corsa e ambio). Inoltre il pelame ha una grande varietà di colori. Vd. Sigurjónsson
S. [photographs] – Jónasson Kr. B. [text], Icelandic horses, Reykjavík 2008.
333
Zøllner fu, tra l’altro, mediatore di affari e finanziatore di diverse società. Diede
quindi anche un impulso alla nascita di diverse imprese legate alla pesca.
334
Tra di loro rivestono grande importanza il Consorzio degli abitanti dell’Eyjafjörður
(Kaupfélag Eyfirðinga, KEA), in precedenza Cooperativa di vendita (Pöntunarfélag),
sorto nel 1886 e l’Unione delle cooperative islandesi (Samband íslenskra samvinnufélaga,
SÍS) fondata nel 1902; in entrambi i casi il promotore fu Hallgrímur Kristinsson (1876-
1923). All’attività di vendita si accompagnò la costruzione di mattatoi e di impianti
per la lavorazione del latte. Nel 1906 inizierà la propria attività la Johnson & Kaaber,
prima società di commercio all’ingrosso. Nomi eccellenti della nascente industria
islandese sono quelli di Thor Jensen (1863-1947), danese trasferito in Islanda, proprie-
tario di grandi società attive nel settore della pesca come Kveldúlfur (per il significato
del nome vd. p. 113 con nota 51) e, successivamente, in collaborazione con Pétur Jens
Thorsteinsson (1845-1929) la Milljónarfélagið; Einar Þorgilsson (1865-1934), anch’egli
proprietario di pescherecci; Björn Kristjánsson (1858-1939), commerciante. Ma anche
Jón Þorláksson (1877-1935) impresario che tra l’altro costruì molti ponti e strade nel
Paese e Þórarinn Erlendur Tulinius (1860-1932) che gestiva una flotta di navi mercantili.

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1040 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

zione (1894) dell’obbligo per coloro che non possedevano terre


proprie di lavorare nelle fattorie alle dipendenze di altri per un
periodo minimo di un anno, dopo di che potevano entrare al ser-
vizio di un nuovo padrone: in sostanza una sorta di ‘servitù’ che
limitava fortemente la libertà di queste persone.335 Legata a questi
progressi è anche la nascita di un sistema bancario islandese: ad
alcune casse di risparmio locali (che cominciarono a sorgere tra la
fine degli anni ’50 e gli anni ’70) si aggiunse infatti (1885) la Banca
nazionale (Landsbanki), che tuttavia si sviluppò solo gradualmente.336
Nel 1904 fu fondata la banca d’Islanda (Íslandsbanki), primaria-
mente allo scopo di sostenere l’industria della pesca: avendo il
monopolio dell’emissione delle banconote essa divenne la prima
banca del Paese ma cessò di operare nel 1930.337

Analogamente a quanto avvenuto in Norvegia le risorse del territorio


islandese rappresentavano un’attrattiva per gli investitori stranieri. Anche
qui tuttavia ci furono persone capaci di difendere con grande determina-
zione il patrimonio di bellezze naturali del Paese impedendo che una
ottusa volontà di arricchimento portasse alla sua sconsiderata distruzione.
Ben noto è il caso di Sigríður Tómasdóttir (1874-1957), nata nei pressi
della magnifica “cascata d’oro” di Gullfoss, compresa nel terreno di
proprietà della sua famiglia. Si racconta che quando questo luogo destò
l’interesse straniero (ma non solo) ai fini di uno sfruttamento idroelettri-
co, il padre di Sigríður avesse rifiutato di cederlo pronunciando una
celebre frase: “Io non vendo il mio amico” (“Ég sel ekki vin mín”).338
335
Questo obbligo che risaliva a un decreto del 1490 (LFI I, 11 luglio 1490, pp. 41-43,
§ 2), è detto in islandese vistarband o vistarskylda, (mal) traducibile con “obbligo di dimora”;
esso fu ribadito con un decreto del 19 febbraio 1783 (LFI XXI, pp. 683-686) con cui si
proibiva la condizione definita come lausamennska, in base alla quale chi non avesse fattoria
propria né un lavoro fisso poteva acquistare il diritto a non prestare obbligatoriamente ser-
vizio presso altri: queste persone erano dette lausamenn (sing. lausamaður), letteralmente
“uomini sciolti”. Il decreto che (con tutta una serie di vincoli) reintroduceva questa condi-
zione è del 26 maggio 1863 (Tilskipun um lausamenn og húsmenn á Islandi; LFI VIII, pp.
549-553). Una prima liberalizzazione fu sancita il 2 febbraio 1894 (Lög um breytingar á
tilskipun um lausa- og húsamenn á Íslandi 26. maí 1863; STfÍ 1894, pp. 32-35); la legge di
abolizione definitiva è del 22 novembre 1907 (Lög um lausamenn, húsmenn og þurrabúðar-
menn / Lov om Løsemænd, Husmænd og Tomthusmænd, in STfÍ 1907, pp. 398-405).
336
Cfr. p. 671, nota 629. La Cassa di risparmio di Reykjavík (Sparisjóður Reykjavíkur),
fondata nel 1872, confluì nella Banca nazionale. Quest’ultima esiste tuttora seppure
le sue funzioni ‘governative’ siano state trasferite (1961) alla Banca centrale d’Islanda
(Seðlabanki Íslands).
337
Dal 1927 al 1961 (cfr. nota precedente) il diritto di emettere la banconote islan-
desi fu concesso alla Banca nazionale.
338
 Si precisi qui che in lingua islandese foss “cascata” è di genere maschile.

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Verso le democrazie nordiche 1041

Successivamente, quando l’area passò a persone ricche e potenti che


volevano sfruttarla a fini industriali, Sigríður diede inizio a una lunga e
durissima battaglia personale e legale – in ciò sostenuta da Sveinn Björns-
son, futuro primo presidente del Paese – in difesa della cascata. Ella
arrivò a minacciare di togliersi la vita gettandovisi dentro se i progetti
industriali non fossero stati fermati. Alla fine il terreno e la cascata diven-
nero di proprietà dello Stato andando a costituire uno dei patrimoni
naturali più spettacolari d’Islanda.339

Insieme a coloro che erano occupati nelle attività manifatturiere


avviate da Skúli Magnússon,340 i lavoratori impiegati in queste nuo-
ve realtà industriali andarono a formare la classe operaia islandese,
ancora limitata nel numero e con ben poca voce in capitolo. Negli
anni ’80 si cominciò dunque a sentire il bisogno di organizzazioni
sindacali che difendessero i loro interessi: nel 1887 i tipografi si
riunirono nell’associazione che da loro prese il nome (Prentara-
félagið); dieci anni dopo nacque a Reykjavík l’Associazione dei
giornalisti islandesi (Blaðamannafélag Íslands): si tratta delle più
antiche confederazioni di categoria del Paese. Piuttosto antica è
anche la Bárufélagið che riuniva i marinai fondata a Reykjavík nel
1894, cui altre seguirono.341 Nel 1897 nasceva un sodalizio operaio
a Seyðisfjörður sulla costa orientale, esso fu poi sostituito dal sinda-
cato Avanti (Fram) nel 1904. Nel 1906 fu fondato a Reykjavík il
Sindacato dei lavoratori Alba del giorno (Verkamannafélagið Dagsbrún)
che organizzerà il suo primo sciopero nel 1913.342 Nello stesso anno
usciva il Giornale del popolo (Alþýðublaðið), primo foglio socialista
islandese. Ma per una lega nazionale si sarebbe dovuto attendere il
1916, anno in cui fu costituita l’Unione sindacale (letteralmente
“popolare”) d’Islanda (Alþýðusamband Íslands) nella quale conflui-
rono sette organizzazioni locali tra cui l’Associazione dei lavoratori
Difesa di Hafnarfjörður (Verkamannafélagið Hlíf í Hafnar-
firði)343 e l’Associazione dei marinai di Hafnarfjörður (Hásetafélag
339
Sulla figura di Sigríður Tómasdóttir vd. Sigurðardóttir A., “Sigríður í Brattholti”,
in Tímarit Máls og menningar, VI: 2 (1945), pp. 144-145 e Ingadóttir E., “Fyrsti náttúru-
verndarsinni Íslands. Sigríður í Brattholti”, in Árnesingur (Eyrarbakka), 1994: 3, pp. 57-77.
340
Vd. p. 730 con nota 230.
341
Letteralmente Bárufélagið significa “Associazione dell’onda”. Si ricordi qui che nella
mitologia nordica Bára, che significa appunto “onda” è il nome di una delle figlie del mitico
re del mare Ægir e di sua moglie Rán (vd. Chiesa Isnardi 20084 [B.7.1], pp. 319-320).
342
A fermare il lavoro furono gli operai impegnati nella costruzione del nuovo
porto di Reykjavík, un’astensione che si protrasse per due mesi.
343
 In islandese il termine hlíf (f.) significa “difesa”, “protezione”, “riparo”, “scudo”.

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1042 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

Hafnarfjarðar): presidente fu Ottó N. Þorláksson (1871-1966). Come


sopra si è detto, il Partito socialdemocratico nascerà nello stesso
anno come braccio politico del sindacato. Inizialmente le idee
socialiste erano state diffuse in Islanda da Gestur Pálsson (1852-
1891) e Þorsteinn Erlingsson (1858-1914),344 scrittori e poeti che
nelle loro opere attaccavano la Chiesa e le autorità. Ma la vera
anima della socialdemocrazia islandese saranno, appunto, i promo-
tori del sindacato e del partito socialdemocratico: oltre a Ottó N.
Þorláksson, Jón Baldvinsson (1882-1936) e Ólafur Friðriksson
(1886-1964), a lungo redattore del Giornale del popolo e uno fra gli
organizzatori dello sciopero dei lavoratori dei pescherecci del 1916.
Anche in Islanda una delle richieste principali era quella del
diritto di voto generalizzato: qui come altrove esso era a lungo
rimasto limitato agli uomini incensurati e possessori di un determi-
nato patrimonio. La prima regolamentazione era stata quella legata
alla ricostituzione dell’Alþingi nel 1843:345 si trattava di un insieme
di norme molto restrittive che lo limitavano agli appartenenti al
sesso maschile con almeno 25 anni d’età, ma – soprattutto –
in grado di dimostrare una solida posizione economica. Queste
regole furono rese un po’ meno cogenti con un provvedimento
successivo,346 dopo di che furono riprese nella costituzione del 5
gennaio 1874.347 Esse saranno cambiate con una legge del 1903 che
pur ampliando l’accesso al voto (sempre riferito ai soli uomini),
avrebbe comunque escluso tutti quelli che, in qualsiasi forma,
fossero al servizio di altri.348 Restavano dunque non ammessi tutti
quelli la cui sussistenza dipendeva da altri e le donne. Per la verità
esse (ma solo le vedove e le nubili che pagavano le tasse!) avevano
ottenuto il voto per le elezioni amministrative locali nel 1882, suc-
cessivamente esteso.349 Solo nel 1915 si potrà tuttavia parlare di un
344
Su di loro vd. rispettivamente Höskuldsson S.S., Gestur Pálsson. Ævi og verk,
Reykjavík 1965 e Benediktsson Bj., Þorsteinn Erlingsson, Reykjavík 1958 (e anche
“Þorsteinn Erlingsson, skáld”, in BR, pp. 204-207).
345
Vd. p. 880 con nota 79. Le norme sul diritto al voto si trovano ai §§ 3-5.
346
Tilskipun um breytingu á tilskipun 8. marzmánaðar 1843 viðvíkjandi kosningum
til Alþingis del 6 gennaio 1857 (LFI XVII, pp. 3-9).
347
Vd. sopra, p. 1032; Stjórnarskrá um hin sjerstaklegu málefni Íslands / Forfatnings-
lov for Islands særlige Anliggender, § 17.
348
 Stjórnskipunarlög um breytinga á stjórnarská um hin sérstaklegu málefni Islands 5. janúar
1874, nr. 16 (3 ottobre 1903). Per il testo di questi provvedimenti si rimanda a Líndal S.,
“Þróun kosningarréttar á Íslandi 1874-1963”, in Tímarit lögfræðinga, XIII: 1 (1963), pp. 35-47.
349
 Lög um takmarkaðan kosningarétt kvenna, 12 maggio 1882 (in STfÍ 1882, p. 70) e
anche Lög um breyting á lögum, er snerta kosningarrjett og kjörgengi í màlefnum [sic]
kaupstaða og hreppsfjelaga / Lov om Forandring af Love angaaende Valgret og Valgbarhed
i Købstæders og Repskommuners Anliggender, 30 luglio 1909 (in STfÍ 1909, pp. 242-245).

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Verso le democrazie nordiche 1043

universale diritto al voto e all’eleggibilità, sebbene non su un piano


di totale parità, che sarà raggiunta solo dopo una ulteriore serie di
emendamenti.350
I cambiamenti sociali legati a tutti questi sviluppi si riflettono
anche nella crescita di diverse località. Innanzi tutto Reykjavík che
viene sempre di più affermandosi come capitale: nel 1866 vi viene
aperto un ospedale (un secondo per la cura della lebbra nel 1898,
un terzo, più moderno, nel 1902); nel 1876 si accende la prima
illuminazione stradale; nel 1880 viene costruito l’edificio che d’ora
in poi ospiterà il parlamento (Alþingishúsið); nel 1898 quello della
Banca nazionale (Landsbankahúsið); nel 1908 la Casa della cultura
popolare o Museo (Þjóðmenningarhúsið o Safnahúsið); nel 1890
sono avviati i lavori per le fognature mentre vengono tracciate
nuove strade351 e si costruiscono case signorili.352 Da quando (1866)
il primo peschereccio era partito da qui Reykjavík era venuta anche
trasformandosi da sede di funzionari a importante città di mare: lo
sviluppo in questa direzione è segnato dalla costruzione di un
nuovo porto fra il 1913 e il 1917.353 Ma la città non è più l’unico
centro urbano.354 Oltre ad Akureyri (nel Nord sull’Eyjafjörður, che
nel 1862 aveva ottenuto lo status di città)355 e Ísafjörður (che, pur
collocata nei remoti fiordi occidentali, era per numero di residen-

350
Il 19 giugno di quell’anno il suffragio universale venne infatti introdotto nella
nuova costituzione (vd. Stjórnarskrá Íslands og þingsköp Alþingis, gefið út að tilhlutan
Alþingis, Reykjavík 1916, II, §§ 19-20). Questo risultato fu festeggiato con una grande
manifestazione che ebbe luogo a Reykjavík il 7 luglio. Sulla questione del voto alle don-
ne vd. Jónsson G., Konur og kosningar. Þættir úr sögu íslenskrar kvenréttindabaráttu,
Reykjavík 1977.
351
La prima strada a essere asfaltata (prima in tutto il Paese) sarà Austurstræti nel
1912.
352
Il primo edificio in calcestruzzo sarà realizzato nel 1903 in Bankastræti. Dopo il
devastante incendio del 1915, nel quale saranno completamente distrutte dieci case,
per le nuove costruzioni si tralascerà il tradizionale utilizzo del legno a favore del
cemento armato.
353
In precedenza le imbarcazioni attraccavano presso il porto naturale che si
trovava sull’isola (in realtà ora collegata alla terraferma da una striscia di terra) di
Örfirisey. Per costruire il nuovo porto furono anche realizzati due brevi tratti ferro-
viari, gli unici che, a tutt’oggi, siano mai esistiti in Islanda. Si aggiunga qui che nel
1878 era stato costruito a Reykjanes (sulla penisola omonima nel Sud del Paese) il
primo faro.
354
Nel 1872 la città avrà un proprio regolamento comunale (LFI XXI, 20 aprile
1872, pp. 243-268). La sua crescita demografica nella seconda metà del XIX secolo
sarà piuttosto rapida: dai circa 2.600 abitanti del 1880 si passerà all’inizio del XX
secolo a circa 6.700.
355
Per altro una conferma di quello concesso nel 1787. Nel 1872 vi venne aperto
un primo ospedale, un secondo nel 1898.

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1044 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

ti la terza località del Paese)356 altri abitati cominciano a ingrandir-


si soprattutto sulle coste per via dello sviluppo della pesca. Verso
la fine del secolo circa la metà degli Islandesi – che in precedenza
per la gran parte vivevano in piccoli villaggi o in fattorie isolate –
abiterà qui. Anche i trasporti e le comunicazioni migliorarono: nel
1858 fu inaugurato un servizio regolare effettuato da una nave a
vapore tra Reykjavík e Copenaghen (dal 1866 incrementato dalla
danese Società riunita delle navi a vapore),357 furono innalzati
ponti,358 stanziati fondi statali per realizzare strade, costruiti rifugi
nelle zone più impervie, organizzato un trasporto con carri traina-
ti da cavalli (per altro di breve durata).359 La prima auto arrivò
nell’isola nel 1904, dieci anni dopo il traffico automobilistico era
una realtà. Anche in Islanda si diffusero mezzi di comunicazione
all’avanguardia: nel 1906 fu posato un cavo telegrafico che dalla
Scozia raggiungeva l’isola a Seyðisfjörður (nell’est del Paese) e fu
creato un collegamento con Akureyri e Reykjavík; in quello stesso
anno venne fondata la Compagnia telefonica islandese (Landssími
Íslands) tuttavia il completamento dei collegamenti in tutto il Pae-
se sarebbe avvento solo nel 1929.360 Il servizio postale istituito nel
1872361 (con collegamenti a cavallo!) venne potenziato.
Miglioramenti si ebbero anche nel campo dell’educazione. Dal
1846 l’unica scuola superiore del Paese (la “scuola erudita” o
356
Lo sviluppo di questo centro era legato all’industria del pesce salato. Fin dal
1787 esso aveva ottenuto lo status di città, che venne rinnovato nel 1866. Nel 1852 vi
era stata aperta la prima scuola per marinai del Paese (Sjómannaskóli) che tuttavia restò
in funzione per soli quattro anni. Nel 1876 fu aperta una Cassa di risparmio, nel 1898
un ospedale. La popolazione di Ísafjörður ebbe una crescita consistente tra il 1845 e
il 1855.
357
Vd. p. 981. La Compagnia islandese delle navi a vapore (Eimskipafélag Íslands)
sarà fondata nel 1914, il suo primo presidente sarà Garðar Gíslason (1876-1959), che
sarà anche il primo presidente della Camera di commercio (Verzlunarráð Íslands,
successivamente Viðskiptaráð Íslands) fondata nel 1917.
358
I primi ponti furono costruiti a nord nella zona dello Skagafjörður; poi (sempre
a nord) sul fiume Skjálfandafljót (1880), a Reykjavík sul fiume (i fiumi) Elliðaár (1882),
nel Borgarfjörður sul fiume Hvitá (1883) e presso Selfoss sul fiume Ölfusá (Islanda
meridionale, 1891). Diversi altri furono edificati nel volgere di pochi decenni.
359
La prima volta in cui questo servizio collegò i bassopiani meridionali con la
capitale, passando nella landa di Hellisheiði, fu quando in seguito a un terremoto che
aveva colpito quelle zone molti bambini furono accolti dagli abitanti di Reykjavík
(1896).
360
In precedenza (1860) c’era stato uno studio per creare una linea di collegamen-
to tra Europa e America attraverso l’Islanda, ma il progetto era stato abbandonato. La
costruzione della linea telegrafica islandese incontrò notevole ostilità sia da parte di
chi proponeva di adottare il telegrafo senza fili di Marconi, sia da parte di molti con-
tadini. Nel 1918 sarebbe entrata in funzione la prima stazione telegrafica di Reykjavík.
361
Anno in cui in Islanda compaiono anche i primi francobolli.

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Verso le democrazie nordiche 1045

“scuola di latino”) era stata trasferita a Reykjavík, istituto frequen-


tato da studenti destinati a divenire figure di riferimento nella
storia politica e culturale islandese.362 L’anno successivo era sorta
una scuola per ecclesiastici, che sottraendo alla “scuola erudita” il
compito di formare i futuri membri del clero permise al contempo
di diversificare l’insegnamento. Nel 1880 venne emanata una legge
sull’istruzione che ‘raccomandava’ la scolarizzazione generalizzata.363
Dagli ultimi decenni del secolo saranno aperti istituti e corsi in
discipline specifiche (medicina, giurisprudenza, agricoltura, nau-
tica, tecnica). Nel frattempo la prima ‘scuola media’ (gagnfræðaskóli)
sarebbe sorta a Möðruvellir in Hörgárdalur.364 A fronte di questi
sviluppi si darà il via anche a istituti per la preparazione degli inse-
gnanti (1908). E tuttavia per una formazione di tipo universitario
gli Islandesi dovranno ancora recarsi all’estero (in primo luogo in
Danimarca) finché (1911) verrà finalmente fondata l’Università di
Islanda (Háskóli Íslands), con sede, naturalmente, nella capitale.365
Come in precedenza è stato detto, l’educazione primaria dei bambi-
ni veniva assai spesso curata in famiglia e la prima vera scuola ele-
mentare di Reykjavík sorse solo nel 1862.366 Lo sviluppo in questo
senso fu comunque piuttosto rapido e nei primi decenni del XX
secolo si può constatare come la gran parte delle zone più densamen-
te abitate sia ‘coperta’ dal servizio scolastico (che in taluni casi pre-
vedeva tuttavia ‘scuole itineranti’). Contemporaneamente si comin-
cia a prendere in considerazione l’istruzione dei bambini affetti da
handicap.367 Del 1907 è una legge di regolamentazione dell’istruzione
362
Vd. p. 731, nota 234. La vivacità della vita studentesca in questa scuola si misura
in un episodio avvenuto nel 1850, quando il rettore Sveinbjörn Egilsson (cfr. p. 948, nota
405) voleva costringere gli allievi ad aderire all’associazione contro l’alcolismo. Guidati
da Arnljótur Ólafsson (cfr. nota 325) essi protestarono vivacemente e si radunarono
sotto la residenza del rettore gridando, in latino, “Rektor Sveinbjörn Egilsson pereat!”.
In conseguenza di questo affronto egli ottenne dalle autorità di Copenaghen di dichia-
rare nullo l’anno scolastico.
363
 Lög um uppfræðing barna í skript og reikningi, 9 gennaio 1880 (STfÍ 1880, pp.
6-9). Per gli sviluppi della scuola islandese da questa data in poi si rimanda a Guttorms-
son 2008 (B.8).
364
Si trattava, in sostanza di una realskole (vd. p. 978 con nota 104).
365
L’Università di Islanda fu inaugurata il 17 giugno, nel centenario della nascita di
Jón Sigurðsson. In essa confluirono la scuola per ecclesiastici sorta nel 1847, la scuola
di medicina fondata nel 1876 e la scuola giuridica nata nel 1909. A queste fu aggiunta
la facoltà di filosofia. Sulla sua storia vd. Jónsson G., Saga Háskóla Íslands. Yfrlit um
hálfrar aldar starf, Reykjavík 1961.
366
Vd. p. 910.
367
Vd., a esempio, il decreto sull’istruzione dei bambini sordomuti (Tilskipun
handa Íslandi um kennslu heyrnar- og málleysinga o. fl. / Forordning for Island om
Dövstummes Undervisning m.v.; LFI XXI, 26 febbraio 1872, pp. 187-190).

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1046 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

elementare, la prima in Islanda, con la quale si afferma il principio


del diritto generale e gratuito alla formazione (con l’obbligo scola-
stico) e si dà l’avvio alla moderna scuola islandese.368
Si è detto come nel corso della loro storia gli Islandesi avessero
continuato, anche in periodi segnati da condizioni socio-politico-
economiche sfavorevoli, a coltivare l’amore per la tradizione letteraria.
Il che si constata anche nel XIX secolo, rilevando ora altresì un
accresciuto interesse per il mondo esterno sia dal punto di vista uma-
nistico e artistico, sia da quello dei movimenti politico-sociali
e delle idee, sia – più semplicemente – da quello dell’informazione e
della cronaca. Tutti ambiti da cui trarre spunti utili per il dibattito
interno. Il che si riflette nell’aumento del numero dei giornali e dei
periodici (in diversi casi chiaramente orientati politicamente o
culturalmente), tra i quali vanno citati qui almeno Il corriere di
Reykjavík (Reykjavíkurpósturinn, uscito tra il 1846 e il 1849); il
sopra menzionato Þjóðólfur;369 le Notizie del Paese (Lanztíðindi,
Reykjavík: 1849-1851), organo dei funzionari della capitale; Setten-
trionale. Quindicinale per gli Islandesi (Norðri. Hálfmánaðarrit
handa Íslendingum, 1853-1861)370 e Viaggiatore dal Nord (Norðanfari,
1862-1865), entrambi di Akureyri; Baldur (1868-1870);371 Ísafold
(1874-1929, a lungo una delle pubblicazioni più diffuse);372 La
volontà popolare (Þjóðviljinn, 1886-1915);373 La donna della monta-

368
Lög um fræðslu barna, 22 novembre 1907 (STfÍ 1907, pp. 380-397). Il testo
riprendeva in buona sostanza le proposte del filosofo Guðmundur Finnbogason (1873-
1944) che su incarico del parlamento aveva viaggiato nei diversi Paesi nordici (e anche
in Islanda) allo scopo di formulare proposte per una migliore politica educativa; vd.
Antonsdóttir E.A., Guðmundur Finnbogason og fræðslulögin 1907, Reykjavík 1978.
Più in generale vd. Júlíusson – Ísberg 2005 (B.3), pp. 296-299 e Guttormsson 2008
(B.8). L’anno successivo veniva dato l’avvio a una scuola per insegnanti e in seguito a
istituti tecnici, agrari e scuole femminili. Successivamente importanti leggi di riordino
della scuola islandese sono state emanate il 10 aprile 1946 (Lög um fræðslu barna), il
21 maggio 1974 (Lög um skólakerfi), il 19 maggio 1988 (Lög um framhaldsskóla) e
il 12 giugno 2008 (Lög um leikskóla, Lög um grunnskóla e Lög um framhaldsskóla).
369
Vd. p. 1031 con nota 300. Mentre Þjóðólfur era il portavoce degli indipenden-
tisti, Il corriere di Reykjavík proponeva il punto di vista dei funzionari governativi.
370
Nella mitologia nordica Norðri (insieme a Austri “orientale”, Vestri “occidenta-
le” e Suðri “meridionale” è uno dei quattro nani che stanno agli angoli della terra e
sorreggono il cielo (vd. Chiesa Isnardi 20084 [B.7.1], p. 50); nella tradizione popolare
islandese Norðri è anche la personificazione del vento del Nord.
371
Come è noto nella mitologia nordica Baldr, dio bello e luminoso, è figlio di
Odino e di sua moglie Frigg (vd. Chiesa Isnardi 20084 [B.7.1], pp. 239-240).
372
Cfr. p. 823, nota 646.
373
Questo giornale, fondato nel 1886 da Skúli Thoroddsen sýslumaður di Ísafjörður
(vd. pp. 1065-1066 e, per la carica di sýslumaður, p. 387) pubblicò negli anni seguen-
ti molti articoli legati alla lotta per l’emancipazione femminile.

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Verso le democrazie nordiche 1047

gna (Fjallkonan, 1884-1911);374 Lögrjetta (Reykjavík: 1906-1936);375


il Foglio del mattino (Morgunblaðið, 1913), tuttora il più diffuso
quotidiano islandese.376 Segnali ulteriori di uno sviluppo culturale
sono la fondazione (1869) della Società della lettura di Reykjavík
(Lestrarfélag Reykiavíkur) e (1871) della Società degli amici del
popolo (Þjóðvinafélagið), che dal 1874 darà alle stampe il periodi-
co Andvari,377 nata in realtà come aggregazione di carattere politi-
co gravitante attorno a Jón Sigurðsson ma divenuta in seguito una
fondazione per la promozione culturale.378 Del 1863 è la fondazio-
ne del Museo delle antichità (Forngripasafn) – che costituirà la base
dell’attuale Museo nazionale islandese (Þjóðminjasafn Íslands) – cui
diede un contributo decisivo Sigurður il Pittore (málari), appassio-
nato cultore della tradizione;379 del 1889 la nascita della Società
islandese di storia naturale (Hið íslenska náttúrufræðifélag).
A fronte di questi indubitabili progressi molti problemi restava-
no tuttavia irrisolti. Innanzi tutto la situazione sanitaria: epidemie,
lebbra, tubercolosi, malattie del bestiame erano purtroppo ancora
ben presenti, anche se gli sforzi delle autorità cominciavano a sor-
tire i propri effetti.380 E gli Islandesi continuavano a fare i conti con
eventi naturali devastanti, in primo luogo terremoti ed eruzioni
vulcaniche,381 ma anche inverni particolarmente gelidi (come quel-
lo rigidissimo tra il 1880 e il 1881) che mettevano a dura prova la
popolazione provocando la morte di diverse persone. Questi fat-
tori combinati con la notevole crescita del numero degli abitanti,382
la scarsità di terre coltivabili, le opportunità di lavoro che ancora
restavano limitate, determinarono anche qui il fenomeno dell’emi-

374
Cfr. p. 823, nota 646.
375
Sul significato di lögrjetta (lögrétta) vd. p. 152.
376
Vd. p. 807, nota 545.
377
Nella mitologia nordica Andvari è il nome di un nano (che compare nel mito
sull’oro dei Nibelunghi) possessore di un magico anello grazie al quale la sua ricchez-
za poteva continuamente essere rinnovata; (vd. Chiesa Isnardi 20084 [B.7.1], p. 333 e
pp. 386-388).
378
A questa società fu affidato il compito di gestire i festeggiamenti del 1874 per il
millenario dello Stato islandese.
379
Vale a dire Sigurður Guðmundsson, artista molto legato alla cultura islandese (a
lui si deve, tra l’altro, il modello dell’attuale costume nazionale femminile); cfr. p. 1049
e p. 1095.
380
Un approfondimento di questo tema in Júlíusson – Ísberg 2005 (B.3), pp. 300-
301.
381
Nel 1874 si verificarono delle scosse sismiche nella zona del vulcano Askja, che
l’anno successivo ebbe una violenta eruzione. Cfr. anche nota 359.
382
Dai circa 57.000 del 1840 si passò ai circa 68.000 del 1860, ai circa 78.000 del
1900 fino ai circa 94.000 del 1920.

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1048 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

grazione che riguardò soprattutto persone provenienti dalle zone


rurali più disagiate. In questo Paese, il fenomeno ebbe inizio tra
il 1855 e il 1857, anni in cui alcuni mormoni si trasferirono nello
Utah. Otto anni dopo altri emigranti raggiunsero addirittura il
Brasile, mentre un flusso ben più consistente si dirigerà poi (soprat-
tutto negli anni ’70 e ’80 segnati da una grave crisi) verso il Midwest
americano (Wisconsin, Minnesota, Nebraska e, più tardi, Dakota).
Agenti di compagnie navali stuzzicavano il desiderio d’avventura
di molti giovani o lasciavano intravedere un futuro migliore a
persone in grave difficoltà economica. Meta degli emigranti islan-
desi (uomini e donne in misura sostanzialmente equivalente) fu
anche l’Alaska e, soprattutto, il Canada dove a nord di Winnipeg
sorse (1875) un centro che ebbe nome Nuova Islanda (Nýja
Ísland).383 Dal 1905 il flusso migratorio andò rapidamente sceman-
do: tuttavia si calcola che il numero di emigranti partiti dall’Islan-
da in cerca di migliori condizioni di vita sia stato di quasi 17.000
individui, una cifra del tutto ragguardevole se la si rapporta al
totale degli abitanti.384

383
Figura di notevole importanza per l’immigrazione islandese in Canada fu quella
di Sigtryggur Jónasson (1852-1942), egli stesso partito nel 1872. Divenuto agente del
governo dell’Ontario indusse molti connazionali a trasferirsi nella sua nuova patria.
Fu anche fondatore (1877) del primo giornale di lingua islandese pubblicato in terri-
torio americano che ebbe titolo Progresso (Framfari). La colonia islandese in Canada
annovera anche scrittori di tutto rispetto, si pensi a Stephan G. Stephansson (Stefán
Guðmundur Guðmundsson), fine poeta la cui opera influenzò la letteratura nella patria
di origine. Cfr. p. 1085 con nota 544.
384
 Si riporta di seguito un breve brano (in realtà un esercizio di traduzione inse-
rito in un vecchio testo grammaticale) che esprime in modo semplice – ma al contem-
po assai efficace – i sentimenti dei migranti islandesi verso il loro Paese d’origine:
“Che cosa avete sentito o letto sull’Islanda? Ho letto molto e ho parlato con molti
che sono stati là. E voi ci siete stati? Sì, l’ho visitata una volta; fu nell’anno 1930
quando gli Islandesi organizzarono una grande celebrazione a Þingvellir in ricordo
dell’istituzione dell’assemblea generale (Alþingi) mille anni prima. Con mia moglie ci
siamo procurati un passaggio su una nave che gli Islandesi d’America (letteralmente
“Islandesi d’occidente”) avevano noleggiato per il viaggio. Avevano intenzione di
radunarsi in massa [per tornare] a casa […] Non ho mai visto così tanti Islandesi
d’America riuniti insieme. Vecchi e donne, che non avevano rivisto la madrepatria
per decenni. Gente giovane che non l’aveva mai vista, se non con l’immaginazione.
Ma tutti nutrivano amore per quel Paese, e tutti aspettavano con fremente attesa di
vedere la terra. Alla fine la terra comparve: un isolotto grigio ed esposto alle intem-
perie sotto scrosci di pioggia. La gente non se l’era immaginata così quella terra. Ma
poi avrebbe potuto vederla carezzata dai raggi del sole dell’estate, rivestita d’erba
verde e avvolta in una nebbia scura. Poi avrebbe potuto vedere le vette e i ghiacciai
di un bianco scintillante come erano [descritti] nelle storie dei vecchi. Questa era la
terra dei sogni” (DLO nr. 171).

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Verso le democrazie nordiche 1049

In un Paese percorso da un crescente sentimento patriottico e da ambi-


zioni indipendentiste non poteva non affermarsi un canto in cui si espri-
messe l’unità e l’identità della nazione. Il primo ‘inno nazionale’ islandese
era stato il componimento Antichissima Ísafold (Eldgamla Ísafold) del
poeta Bjarni Thorarensen,385 eseguito sulla musica di quello inglese. Ma
nel 1874, in occasione dei festeggiamenti per i mille anni dello Stato islan-
dese, un altro poeta, Matthías Jochumsson386 compose un Canto di lode
(Lofsöngur), per la verità una sorta di salmo, che – musicato dal più noto
compositore islandese del periodo, Sveinbjörn Sveinbjörnsson – fu ese-
guito nella cattedrale di Reykjavík alla presenza del re danese.387 Signifi-
cativamente il titolo completo recitava: Canto di lode in memoria dei
mille anni dell’Islanda (Lofsöngur í minningu Íslands þúsund ára). Se ne
riporta qui la prima strofa:

  “O Dio del nostro Paese! del nostro Paese o Dio,


Noi lodiamo il tuo santo, santo nome!
Dai sistemi solari dei cieli i tuoi eserciti
ti intrecciano una corona, insieme dei tempi!
Per te un giorno è come mille anni,
e mille anni un giorno, non di più,
un piccolo eterno fiore con lacrime tremolanti,
che venera il suo Dio e muore.

  Mille anni dell’Islanda,


mille anni dell’Islanda,
un piccolo eterno fiore con lacrime tremolanti,
che venera il suo Dio e muore.”388

Verso la fine del XIX secolo si cominciò anche a discutere di una ban-
diera nazionale. Dopo lo sfortunato tentativo di Jörundur “re dei giorni
di canicola”,389 il pittore Sigurður Guðmundsson (1833-1874) aveva
proposto un vessillo recante un falco bianco con le ali spiegate in campo
blu, incontrando un certo consenso (soprattutto fra gli studenti).390 Una
successiva proposta, discussa all’assemblea generale nel 1885, riguardava
una bandiera suddivisa in quattro cantoni: tre a fondo blu recanti un
falco bianco e uno (quello in alto dalla parte dell’asta) uguale alla bandie-

385
Vd. p. 946 e p. 823, nota 646.
386
Vd. p. 1076.
387
L’inno è anche noto con il titolo O Dio del nostro Paese (Ó Guð vors lands),
dalle parole iniziali. Su Sveinbjörn Sveinbjörnsson vd. p. 1101.
388
DLO nr. 172.
389
Vd. sopra. p. 878.
390
Cfr. p. 1047 con nota 379 e p. 1095.

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1050 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

ra danese (croce bianca in campo rosso). Nel 1897 con un articolo di


giornale il poeta Einar Benediktsson sostenne la necessità che esso
piuttosto recasse, analogamente a quelli degli altri Paesi nordici, il sim-
bolo cristiano della croce e propose che essa fosse di colore bianco in
campo blu. Questa bandiera – che ebbe una certa diffusione – fu chia-
mata, appunto, “Biancoblu” (Hvítbláinn).391 Essa non era tuttavia uffi-
cialmente riconosciuta, tanto è vero che l’ordinamento costituzionale
del 1908 prevedeva che nei rapporti con i Paesi stranieri l’Islanda uti-
lizzasse il Dannebrog danese.392 Questa disposizione andava contro il
sentimento degli isolani e un episodio verificatosi il 12 giugno del
1913 nelle acque del porto di Reykjavík rivelò come la questione fosse
di assoluta attualità. Quel giorno un giovane commerciante, Einar
Pétursson (1892-1961), aveva innalzato sulla sua imbarcazione la ban-
diera bianco-blu. La guardia costiera lo fermò, gliela fece ammainare e
la requisì, in base alla norma per cui sul mare si potevano utilizzare solo
le insegne danesi. Questo fatto creò un forte risentimento nell’opinione
pubblica: ne scaturì una questione che fu discussa all’assemblea gene-
rale e fu costituita una commissione ad hoc: il risultato fu che nel 1915
fu finalmente riconosciuto agli Islandesi il diritto di utilizzare un proprio
vessillo sul loro territorio e anche (ma solo entro certi limiti) sul mare.393
La questione tuttavia riguardò anche i colori da adottare (il re esigeva
che la bandiera islandese non somigliasse troppo a quella di altri Paesi
e il bianco-blu richiamava quella greca). Fin dal 1906, in occasione di
una riunione studentesca, Matthías Þórðarson (1877-1961), che più
tardi sarebbe divenuto direttore del Museo nazionale, aveva proposto
di adottare una croce bianca con all’interno una rossa di dimensioni
minori, in campo blu: questi colori dovevano rappresentare il bianco
dei ghiacci, il rosso del fuoco e il blu delle montagne: si tratta della
bandiera islandese come la conosciamo oggi. Nel 1918, quando fu pro-
clamata la legge che dava il via alla federazione tra Danimarca e Islanda
su un piano paritario, questa bandiera divenne simbolo del Paese e fu
ufficialmente issata per la prima volta il 1 dicembre di quell’anno sul
pennone del palazzo del governo.394

391
“Íslenski fáninn”, in Dagskrá, 13 marzo 1897, pp. 251-252. Su Einar Benedikts-
son vd. p. 1077.
392
Su cui vd. pp. 334-335.
393
Decreto reale del 19 giugno 1915 (Konungsúrskurður, sem með tilvísun til
konungsúrskurðar um sjerstakan íslenskan fána 22 nóvbr. 1913 ákveður gerð fánans, in
STfÍ 1915, p. 23.
394
Vd. oltre, p. 1158. Sulla bandiera islandese vd. Engblom Chr. – Engblom L-Å.,
“Island drog torsk och falk till korset”, in FFF, pp. 84-85.

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Verso le democrazie nordiche 1051

12.3. La questione femminile

Tra le numerose problematiche sociali che nell’Ottocento si impon-


gono all’attenzione generale, quella relativa al ruolo della donna è
certamente fra le più rilevanti e (per l’estensione del dibattito e il
numero di persone coinvolte) costituisce uno degli elementi primari
nel processo di costruzione democratica, in Paesi che d’ora in poi
diverranno, in questa prospettiva, punti di riferimento a cui guardare.
Per la verità nel mondo germanico e in quello nordico la donna
(ma naturalmente si parla, in primo luogo, di persone di classi
sociali elevate) godeva, seppure in palese soggezione rispetto all’uo-
mo, di un certo prestigio e rispetto: che si trattasse di un retaggio
matriarcale o meno395 questo fatto è dimostrato sia da precise
allusioni delle fonti sia da diverse norme giuridiche sul matrimo-
nio.396 In effetti la prima ‘femminista’ scandinava è, a quanto risul-
ta, la dèa Freyja, figura eminente della famiglia dei Vani (cui si
legano le ipotesi matriarcali): di lei il mito riferisce che non soltan-
to gestiva in piena autonomia la propria vita sessuale, ma anche che
oppose un deciso rifiuto quando le fu chiesto – allo scopo niente-
meno di salvare il mondo e gli dèi! – di accettare per marito un
gigante.397 Nel prosieguo dei secoli molte figure di donne si sono
affermate nei Paesi nordici per la loro autorevolezza e per l’indi-
pendenza di giudizio e di azione: basti citare qui Santa Brigida, le
regine Margherita ‘signora’ di tutto il Nord e Cristina di Svezia,398
che tuttavia – lo si ricordi! – pur avendo pieno diritto al trono era
stata allevata come un erede maschio e volentieri vestiva come
tale.399 Cristina fu la prima donna svedese a completare una vera e
propria formazione accademica: del resto una delle strade percor-
se dall’emancipazione femminile sarà proprio quella, fondamenta-
395
Cfr. pp. 33-34 con nota 78.
396
Vd. l’elenco completo e l’analisi di tali norme in Scovazzi 1975 (B.8), pp. 1-98.
397
A riguardo di questa storia e della dèa Freyja vd. Chiesa Isnardi 20084 (B.7.1),
pp. 118-121 e pp. 285-286.
398
Vd. p. 356 e pp. 402-403; pp. 437-439; pp. 563-565, rispettivamente.
399
Il tema del ‘travestimento da uomo’ come strumento necessario alla donna per
conseguire una piena considerazione sociale è assai ampio e non può certo essere
trattato in questa sede. Si ricordino tuttavia casi come quelli della principessa danese
Leonora Cristina (vd. p. 613 con nota 395) la quale dopo aver cominciato a frequen-
tare proprio Cristina di Svezia aveva preso l’abitudine di vestirsi con abiti maschili, o
(in tempi più recenti) la scrittrice svedese Viktoria Benedictsson (su cui vd. pp. 1081-
1082) che firmava i propri testi con lo pseudonimo maschile di Ernst Ahlgren. Come
spunto di riflessione sull’argomento si veda Dekker R.M. – van de Pol L.C., The
tradition of female transvestism in early modern Europe, New York 1989.

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1052 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

le, dell’istruzione. Infatti, se si cercano esempi di donne dimostra-


tesi capaci di conseguire, non solo formalmente, un ricono-
scimento sociale, essi dovranno in primo luogo essere rintracciati
nel mondo della cultura. Così, a esempio, le danesi Birgitte Thott
(1610-1662) nobildonna studiosa di lingue (tra cui l’ebraico) e
traduttrice che dedicò al genere femminile la sua versione di Sene-
ca (ricordando come quell’autore considerasse con favore l’istru-
zione delle donne),400 l’infelice principessa Leonora Cristina,
lottatrice coraggiosa contro le avversità della vita401 e la pittrice
Magdalene Margrethe Bärens (1737-1808) ammessa all’accademia
nel 1780; le svedesi Agneta Horn (1629-1672) autrice di brillan-
ti memoriali, Sophia Elisabeth Brenner (1659-1730), dichiarata-
mente fiduciosa nelle qualità e capacità delle donne,402 Hedvig
Charlotta Nordenflycht, prima scrittrice di professione nel suo

400
Su di lei si veda Alenius M., “Seneca-oversætteren Birgitte Thott, et fagligt
portræt”, in DS 1983, pp. 5-47.
401
In Danimarca altri nomi di rilievo sono quelli di Anne Margrethe Quitzow
(1652-ca.1700), traduttrice dal latino e dal tedesco, e Cille Gad (1675-1711) autrice
di versi in latino. Appassionate raccoglitrici di libri e manoscritti furono Anne Giøe
(1609-1681) e sua nipote Karen Brahe (1657-1736). Inoltre non va dimenticata Sophie
Brahe (1556 o 1559-1643) sorella del celebre astronomo Tyge (vd. pp. 632-633), con
il quale collaborò efficacemente negli studi scientifici. Di interesse a questo proposi-
to è l’opera dell’ecclesiastico e scrittore Friderich Christian Schønau (1728-1772):
Raccolta delle donne danesi di cultura, che grazie alla loro erudizione, e agli scritti
pubblicati o lasciatici si sono fatte un nome nel mondo della cultura (Samling af Danske
Lærde Fruentimmer, Som ved deres Lærdom, og Udgivne eller efterladte Skrifter have
gjort deres Navne i den lærde Verden bekiendte) uscito a Copenaghen in due volumi
nel 1753. Di simile intento è Galleria di ritratti per le donne, che contiene la descri-
zione della vita di famose donne istruite danesi, norvegesi e straniere (Billedgallerie
for Fruentimmer, indeholdende Levnetsbeskrivelser over berømte og lærde danske,
norske og udenlandske Fruentimmere, I-III) dell’eclettico pastore Hans Jørgen Birch
(1750-1795), libro uscito a Copenaghen tra il 1793 e il 1795, nel quale non manca una
introduzione sulla natura e i doveri delle donne. Del resto fin dal XVII secolo il
reverendo islandese Magnús Ólafsson di Laufás (vd. p. 587, nota 262) aveva compo-
sto una Danza delle donne (Kvennadans) nella quale ricordava figure di donne emi-
nenti (a partire, naturalmente, dalla Bibbia!) elogiandone i pregi (vd. Þorkelsson
1888 [C.8.2], p. 469). Il testo, conservato alle pp. 634-648 del ms. ÍB 150 4to (pres-
so l’Università di Reykjavík), è stato edito di recente.
402
Sophia Elisabeth Brenner intratteneva frequenti rapporti culturali con la con-
tessa Aurora von Königsmarck (1662-1728), figura di riferimento della vita culturale
svedese, la quale aveva organizzato a corte con il patrocinio della regina Ulrica Eleo-
nora la rappresentazione, tutta femminile (anche i ruoli maschili erano interpretati da
donne), della Iphigénie di Racine (gennaio 1684); la prima del genere avvenuta in
Svezia. Su Aurora von Königsmarck, donna eclettica, emancipata e indipendente,
femminista ante litteram, vd. Olsson B., “Aurora Königsmarck och 1600-talets femi-
nism”, in Karolinska förbundets årsbok 1978, pp. 7-23 e Schimanski F., “Salongsfemi-
nist. Aurora von Königsmarck”, in PH 1999: 5, pp. 44-48.

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Verso le democrazie nordiche 1053

Paese,403 Eva de la Gardie Ekeblad (1724-1786), prima donna a


entrare (1748) nell’Accademia svedese delle scienze e Ulrika Pasch,
pittrice di talento, anch’ella ammessa nel 1773 all’Accademia
artistica;404 la poetessa norvegese Dorthe Engelbretsdatter, elogia-
ta da Holberg; l’islandese Steinunn Finnsdóttir.405 Pur nei limiti
della cultura settecentesca una scrittrice di teatro come la danese
Charlotte Dorothea Biehl, di estrazione borghese, esprime il proprio
‘femminismo’ – affinato nella dura lotta contro un ambiente fami-
liare rigidamente (salvo poche eccezioni) tradizionale – in opere
come la prima commedia (di notevole successo) Il buon marito (Den
kierlige Mand, 1764) che ribalta il titolo della goldoniana La buona
moglie (1751) o in quella dell’anno successivo La truffatrice scaltra
(Den listige Optrækkerske, 1765) in cui la disinvolta protagonista
sfrutta a proprio vantaggio gli impulsi sessuali degli uomini.406 Il
percorso verso una maggiore indipendenza procede parallelamen-
te anche lungo la via della lettura: quest’ultima però per certi versi
insidiosa, dal momento che fin dal Seicento (ma soprattutto nel
Settecento) si viene creando una letteratura (per lo più d’importa-
zione, ma si pensi anche a un romanzo come Thecla dello svedese
Jakob Henrik Mörk)407 specificamente destinata al pubblico fem-
minile, il che contribuirà a rafforzare lo stereotipo della donna
intesa unicamente come buona moglie e buona madre, di fatto
ponendo un ostacolo a una autentica emancipazione.408
Una condizione, quella di moglie e madre, strettamente legata
alle esigenze imposte dall’organizzazione sociale. Nel medioevo,
quando ancora la comunità scandinava si reggeva sulle ‘grandi
famiglie’, la donna (comunque soggetta all’autorità di un ‘tutore’)
svolgeva questo ruolo al loro interno e la sua collocazione, così
come i suoi diritti, erano direttamente legati al contributo (ivi
403
Vd. p. 834. Su di lei Stålmarck T., Hedvig Charlotta Nordenflycht. Ett porträtt,
Stockholm 1997.
404
Vd. p. 849, nota 784.
405
Su queste ultime vd. p. 611 e p. 612 con nota 390.
406
Proprio per questo la commedia suscitò scalpore e fu tolta dal cartellone. Alle cri-
tiche l’autrice rispose con un atto unico dal titolo La disputa, ovvero critica della truffatri-
ce scaltra (Tvistigheden, eller Critiqve over den listige Optrækkerske, 1766). Cfr. p. 832.
407
Vd. p. 839. La protagonista del romanzo è una fanciulla cristiana, incarnazione
di ogni virtù, che eroicamente riesce a difendere la sua castità minacciata (anche con
mezzi crudeli) da un pagano invaghito di lei.
408
E tuttavia si vuole segnalare qui anche la figura di una ‘imprenditrice’ settecen-
tesca, Christina Piper (nata Törnflycht, 1673-1752), consorte del conte Carl Piper
(1647-1716), nota per l’intensa attività e l’inaspettata intraprendenza nella gestione dei
possedimenti familiari (su di lei PETRÉN B., “Mästerkattan i stövlarna”, in PH 1993: 3,
pp. 12-18).

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1054 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

compreso il numero dei figli) che ella poteva apportare alla pro-
sperità comune. Con il declinare del potere dei grandi gruppi
(inversamente proporzionale all’espansione dell’autorità centrale)
si accrebbe l’importanza del nucleo familiare ristretto, al cui inter-
no la funzione della donna come moglie e madre venne ulterior-
mente rimarcata, mentre il suo legame con la ‘grande famiglia’ di
provenienza fu attenuato. Ciò determinò anche una visione più
rigida rispetto ai rapporti sessuali di una donna al di fuori del
matrimonio e pose le premesse di quella che sarebbe divenuta la
visione dominante contro cui il nascente movimento femminista
avrebbe dovuto scontrarsi.409 Se, dunque, un riconoscimento all’at-
tività culturale svolta da una donna poteva essere accordato e,
talora, considerato addirittura doveroso (si veda, fra tutti, il caso
di Anna Maria Lenngren),410 sul piano più strettamente sociale la
lotta per l’emancipazione avrebbe incontrato ostacoli ben più dif-
ficili da superare. Emblematico è il caso di Marie Grubbe (1643-
1718) la quale, pur di nobile estrazione, pagò in prima persona la
sua scelta di una disinvolta vita sessuale.411 Lo ‘spazio di manovra’
concesso alle donne restava dunque assai limitato e una ‘ideologia
femminista’ avrebbe potuto nascere solo dal pensiero illuminista
con i suoi princìpi di uguaglianza e pari dignità degli individui.
409
Queste considerazioni sono esposte in Markkola 1997, cui si rimanda.
410
Vd. p. 835.
411
Nata in una famiglia nobile e facoltosa ella fu sposata a Ulrik Frederik Gyldenløve
(vd. p. 533, nota 15, p. 622 e p. 713), con il quale si trasferì in Norvegia. Presto ebbe diver-
si amanti. Divisa dal marito (che aveva rinunciato per questo a farla condannare a morte)
si risposò con il nobile Palle Dyre (morto nel 1707) ma anche questa volta trovò conforto
in una relazione extraconiugale con un giovane cocchiere di nome Søren Sørensen Møller
(morto nel 1736). Questo comportamento suscitò le ire del padre che decise di diseredarla
e farla rinchiudere. La cosa si risolse poi con un nuovo divorzio e la perdita dei beni. Dopo
di ciò Marie e il suo amante si trasferirono in Germania e si sposarono, vivendo tuttavia in
condizioni di povertà. Come è noto le vicende di questa donna hanno ispirato diversi
autori danesi: in primo luogo il romanziere Jens Peter Jacobsen (vd. p. 1083) che nel 1876
pubblicò a Copenaghen La signora Marie Grubbe. Interni dal diciassettesimo secolo (Fru
Marie Grubbe. Interieurer fra det syttende århundrede) e, molto più recentemente, Ulla Ryum
(n. 1937) con la pièce teatrale “Marie Grubbe” (1986), Juliane Preisler (n. 1959) con Maria
dei baci. Una storia su Marie Grubbe (Kysse-Marie. En historie om Marie Grubbe, 1994) e
Lone Hørslev (n. 1974) con L’anno della bestia. Un romanzo su Marie Grubbe (Dyrets år.
En roman om Marie Grubbe, 2014). Altri autori del passato l’hanno ricordata nei loro
lavori: così Ludvig Holberg (vd. pp. 789-792 e pp. 830-831) che allude a lei nell’Epistola
lxxxix (LHV XI, pp. 92-93); Steen Steensen Blicher (vd. p. 916) che inserisce la sua figura
nei Frammenti del diario di un diacono di campagna (Brudstykker af en Landbydegns Dagbog,
1824); Hans Christian Andersen (vd. p. 916) che la cita ne La famiglia di Grete delle galline
(Hønse-Grethes Familie, in Tre nye Eventyr og Historier af H. C. Andersen, Kjøbenhavn
1870, pp. 7-42; storia pubblicata in lingua inglese l’anno precedente). Su Marie Grubbe vd.
Andersen D.H., Marie Grubbe og hendes tid. En biografi, København 2006.

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Verso le democrazie nordiche 1055

Fatta qui la doverosa citazione di Olympe de Gouges (Marie Gou-


ze, 1748-1793) e di Mary Wollstonecraft (1759-1797), il cui pen-
siero raggiunse naturalmente anche i Paesi scandinavi (la seconda
li aveva visitati nel 1795), occorrerà ricordare come nel Settecento
eminenti uomini di cultura nordici si siano espressi con convinzio-
ne in favore delle donne: basti citare Ludvig Holberg che sostene-
va il loro pieno diritto all’emancipazione e alla parità sul piano
legale,412 il filosofo danese Frederik Christian Eilschov,413 Olof
Dalin,414 Christian Braunmann Tullin415 o il ‘rivoluzionario’ Thomas
Thorild416 che sottolinea le loro qualità di esseri razionali, esseri
umani e cittadini a pieno diritto.
Nell’Ottocento il tema dei diritti delle donne (promossi tra l’al-
tro da John Stuart Mill, 1806-1873), si afferma prepotentemente.
La prima vera ‘femminista’ nordica è senza dubbio la svedese Fred-
rika Bremer (1801-1866) che (per le ragioni sopra esposte) si affida,
innanzi tutto, ad ‘armi letterarie’. Cresciuta in una famiglia tradi-
zionalista sotto il rigido controllo di un padre autoritario che per
le figlie non considerava alcuna prospettiva al di fuori del matri-
monio, ella rifiutò di sposarsi volendo dimostrare che una donna
poteva realizzarsi anche senza rifugiarsi sotto un ‘ombrello maschi-
le’ e che, al contempo, poteva da sola raggiungere l’indipendenza
economica: i suoi romanzi (tutti dedicati alle problematiche legate
alla condizione della donna) otterranno un grande successo sia in
patria sia all’estero. Dopo la Bremer per lungo tempo tutta una
serie di autrici incentrerà le proprie opere su queste tematiche: le
più celebri restano le norvegesi Camilla Collett (1813-1895,417 una
delle poche capaci di ottenere una retribuzione per il lavoro di

412
Si veda, tra l’altro, la satira in versi dal titolo La ginecologia di Zille Hansdotter
o scritto in difesa del sesso femminile (Zille Hansdotters Gynaicologia eller Forsvars
Skrift for Qvinde-Kiønnet, 1722, in LHV II, pp. 387-433; vd. ivi anche le annotazioni
del curatore F.J. Billeskov Jansen, pp. 306-307).
413
Vd. p. 786.
414
Il quale dedicò alle lettrici alcuni numeri de L’Argo svedese. Egli tuttavia continua
a ritenere che la donna debba con saggezza e buon senso occupare ‘il proprio posto’
all’interno della società. Su Dalin vd. p. 795, pp. 797-798 e pp. 802-803.
415
Vd. Christian Braunmann Tullins Samtlige Skrifter, II, Oslo 1976, p. 51 e p. 62. Su
Tullin vd. p. 836. Per questo autore tuttavia la donna (seppure il suo diritto all’emanci-
pazione non si discuta) rimane per molti versi una figura quasi divina che aiuta l’uomo
ad attingere all’armonia universale.
416
Vd. p. 842 con nota 742.
417
Nata Wergeland, Camilla era sorella del celebre Henrik (vd. pp. 930-931) e per
un periodo fu legata sentimentalmente al ‘grande nemico’ del fratello, Johan Sebastian
Welhaven (vd. pp. 931-932). Infine sposò Peter Jonas Collett (1813-1851), giurista e
critico norvegese. Loro figlio fu Robert Collett (1842-1913), noto zoologo.

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1056 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

scrittrice) e Cora Sandel (pseudonimo di Sara Cecilia Görvell


Fabricius, 1880-1974), anche pittrice, che difende il diritto delle
donne all’attività letteraria e alla libera espressione; le svedesi Fri-
da Stéenhoff (Helga Frideborg Maria Stéenhoff, nata Wadström,
1865-1945), fautrice dell’amore libero, ed Elin Wägner (1882-1949,
attiva anche come giornalista) i cui scritti (soprattutto articoli e
romanzi) diverranno un punto di riferimento per il movimento
femminista. Del resto i temi centrali sui quali si incentrava la lotta
per l’emancipazione – istruzione, autonomia finanziaria, libera
scelta in materia sessuale e di famiglia – non avrebbero lasciato
indifferenti gli scrittori: qui sarà sufficiente ricordare i casi clamo-
rosi di opere come il romanzo Così va bene (Det går an, 1838)
dello svedese Carl Jonas Love Almqvist nel quale si difendeva
l’unione di un uomo e di una donna al di fuori di qualsiasi vincolo
matrimoniale sulla base di una totale parità economica (il che pro-
vocò violente reazioni ed enorme scandalo)418 o (più tardi) la notis-
sima pièce teatrale Casa di bambola (Et dukkehjem, 1879) di Henrik
Ibsen,419 nella quale la protagonista abbandona il marito (e i figli!)
per ricercare la propria dignità e autonomia: una conclusione che
suscitò enorme scalpore, al punto che per talune rappresentazioni
all’estero fu scritto un finale alternativo in cui ella decide di resta-
re per amore dei suoi bambini.420
418
Particolarmente duro fu lo scontro che vide Almqvist opposto al giornalista
August Blanche (cfr. nota 141 e nota 531) che aveva aspramente criticato questo lavo-
ro, scrivendone anche una parodia (Sara Widebeck, 1840). La contesa si trasferì poi sul
piano personale con una sfida a duello (per altro non raccolta da Almqvist) e gravi
insulti. Diversi altri sottoposero l’opera di Almqvist a una critica feroce pubblicando
scritti di protesta e parodie: in particolare il pubblicista e filosofo Johan Vilhelm Snell-
man (1806-1881), Malla Sifverstolpe (cfr. p. 829, nota 676), il pubblicista e politico
Vilhelm Fredrik Palmblad (1788-1852). In quella che fu una delle più vivaci polemiche
del tempo Almqvist (su cui vd. pp. 924-925) fu considerato un vero e proprio distrut-
tore della morale. Vd. Westman Berg K., C.J.L. Almqvists kvinnouppfattning, Uppsa-
la-Göteborg 1962.
419
Vd. pp. 1077-1078. L’opera ispirerà numerosi film fin dai primi anni della
cinematografia.
420
Una eco di tutto ciò si ebbe anche in Italia: in particolare va qui segnalata l’ope-
ra teatrale di Cesare Giulio Viola (1886-1958) Nora seconda del 1954 nella quale
ancora era ripreso il tema dello ‘scandalo’ della Nora ibseniana. Nella pièce, di grande
successo, si immagina che ella viva il proprio esilio sull’isola di Capri nel silenzio e
nella rinuncia. Qui trae modeste risorse vendendo fazzoletti e affittando camere, ma
la sua rassegnata quotidianità viene improvvisamente interrotta dall’arrivo della figlia
Emmy che ha abbandonato il marito per seguire l’amante. Donna libera e disinvolta
ella non si fa scrupolo di lasciare anche lui per una nuova avventura e, quando anche
questa finisce, decide di partire da sola andando incontro a un futuro di incertezza ma
anche di libertà. A questo punto l’autore inserisce un colloquio finale nel quale Nora
riflette a voce alta sulla sua scelta di un tempo che, ora, considera sbagliata: “ho visto

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Verso le democrazie nordiche 1057

All’impegno letterario si affiancò gradatamente una crescente


consapevolezza politico-sociale che si tradusse nella nascita di
associazioni e nella pubblicazione di documenti e riviste che por-
tavano avanti un dibattito (non di rado segnato da nette contrap-
posizioni) presto esteso ad altri temi quali i diritti dell’infanzia e il
pacifismo. In Danimarca – dove, come si è visto, si era a lungo
dovuto attendere il superamento dell’assolutismo regio in favore
di una forma dello Stato di orientamento più liberale – la prima
organizzazione femminista vera e propria fu la Società delle donne
danesi (Dansk Kvindesamfund), sorta nel 1871 e tuttora attiva.
Promotori ne furono i coniugi Frederik Bajer421 e la moglie Matil-
de (Pauline Matilde Theodora, nata Schülter 1840-1934), pacifisti
e convinti assertori dell’uguaglianza degli individui all’interno
della società. Presto essi raccolsero adesioni, anche se le linee di
indirizzo dell’associazione (in particolare la richiesta del voto alle
donne) non furono, almeno inizialmente, unanimemente condivise.
L’accento andò piuttosto sulla necessità di garantire pari diritti
all’interno della famiglia (la donna sposata era praticamente posta
sotto la piena tutela del marito) e un’adeguata formazione scolasti-
ca (cui sarebbe conseguita la possibilità di raggiungere l’autonomia
economica).422 Temi che, del resto, riprendevano le tesi del roman-
zo (per molti versi autobiografico) Clara Raphael, dodici lettere
(Clara Raphael, tolv Breve, 1851)423 di Mathilde Fibiger (1830-1872),
considerato il primo scritto femminista danese: un’opera che andò
incontro a severe critiche ma anche a lusinghieri apprezzamenti e
nonostante la polemica che seguì alla sua pubblicazione (o, forse,
proprio grazie a quella) portò un contributo determinante alla
nascita di un dibattito sulla questione femminile.424 L’Associazione
delle donne danesi (cui la Fibiger aveva aderito da subito) perse-
guiva intenzionalmente (nonostante qualche dissenso) una linea
perpetuarsi il mio errore in te” dice alla figlia (ed. cit., p. 116), invitandola a riflettere
se sia più ‘eroico’ abbandonare tutto e tutti per inseguire un ideale di libertà o restare
al proprio posto affrontando le difficoltà e i sacrifici quotidiani. L’autore non indica
quale sarà la decisione della giovane donna.
421
Cfr. nota 19 e pp. 970-971.
422
 In questo ambito fu particolarmente attiva la ‘pioniera’ Natalie Zahle (1827-1913)
che nel 1851 aprì un istituto privato per la formazione di insegnanti donne.
423
 Così nel testo, ma il libro uscì in realtà nel dicembre del 1850.
424
 Il punto di vista della Fibiger trovava una eco quasi immediata nell’opera Quat-
tro lettere su Clara Raphael a una giovane ragazza da sua sorella (Fire Breve om Clara
Raphael til en ung Pige fra hendes Søster) scritta da Pauline Worm (1825-1883) che con
il romanzo in due parti I ragionevoli (De fornuftige, 1857) avrebbe poi rivendicato il
pieno diritto delle donne all’autonomia. Vd. Busk-Jensen L., “Ormen i den borgerlige
selvtilfredshed. Pauline Worm”, in OSD, pp. 244-261.

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1058 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

politica neutrale. Fu così che nel 1885 – anno in cui essa avviava la
pubblicazione del periodico La donna e la società (Kvinden og
Samfundet),425 Matilde Bajer ne sarebbe uscita per costituire l’As-
sociazione femminile per il progresso (Kvindelig Fremskridts-
forening),426 marcatamente orientata a sinistra e legata alle proble-
matiche del mondo operaio427 così come a quelle pacifiste: voce di
questo nuovo organismo sarebbe stata la pubblicazione dal signi-
ficativo titolo Ciò che vogliamo (Hvad vi vil) uscita a partire dal
1888,428 lo stesso anno in cui veniva organizzato il primo congresso
delle femministe nordiche (Copenaghen, 14-16 luglio).
Il problema del diritto di voto era ora in primo piano e presto
sarebbero sorte associazioni che si prefiggevano primariamente tale
scopo, fra tutte l’Associazione per il voto alle donne (Kvindevalg-
retsforeningen) fondata nel 1889 da Line (Nicoline) Luplau (1823-
1891) e Louise Nørlund (1854-1919).429 L’anno successivo essa si
fondeva con l’Associazione femminile per il progresso e con alcuni
gruppi sindacali femminili per dar vita all’Unione delle associazioni
femminili (De samlede Kvindeforeninger) nell’intento di coinvolge-
re nella lotta il maggior numero possibile di persone, indipenden-
temente dalla loro estrazione sociale. Nonostante la sua capacità di
425
Redattrice tra il 1913 e il 1919 ne fu la scrittrice Gyrithe Lemche (1866-1945),
una delle figure di maggior rilievo del movimento (cfr. poco più avanti con nota 436).
La rivista, tuttora esistente, è la più antica pubblicazione al mondo dedicata alle pro-
blematiche femminili. La Rivista per la casa, dedicata alla donna svedese (Tidskrift för
hemmet, tillegnad den svenska qvinnan) infatti, pur essendo stata fondata in preceden-
za (1859), aveva almeno inizialmente un ‘taglio’ ben diverso (vd. p. 1063).
426
Con lei un’altra attivista, l’insegnante, scrittrice e traduttrice Elisabeth
Ouchterlony (1842-1890), di padre svedese e madre danese, che era stata tra i
promotori dell’Associazione delle donne danesi. La nuova associazione sarà attiva
fino al 1904.
427
Le prime organizzazioni operaie femminili risalgono agli anni ’70 del XIX seco-
lo. Del 1901 è l’Unione delle lavoratrici (Kvindeligt Arbejderforbund). Tuttavia gli
interessi sindacali delle donne furono spesso gestiti da apposite sezioni all’interno
delle corrispondenti organizzazioni maschili.
428
Caporedattore fu Johanne Meyer (1838-1915), seguace di Grundtvig e militan-
te di prima linea per il diritto di voto e l’eleggibilità delle donne.
429
Entrambe avevano seguito Matilde Bajer quando questa aveva abbandonato
l’Associazione delle donne danesi. Louise Nørlund, che lavorava in ambito scolastico,
fu anche tra le promotrici dell’Associazione delle insegnanti del comune di Copenaghen
(Københavns Kommunelærerindeforening) sorta nel 1891. Quando l’Associazione per
il voto alle donne fu sciolta (1898) ella diede vita alla Commissione delle associazioni
delle donne danesi per il diritto di voto (Danske Kvindeforeningers Valgretsudvalg), in
seguito Lega delle associazioni delle donne danesi per il diritto al voto (Danske
Kvindeforeningers Valgretsforbund). In tal modo poté riunire diversi gruppi minori e
stabilì legami a livello internazionale partecipando in prima persona a importanti
convegni.

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Verso le democrazie nordiche 1059

dare vita a importanti manifestazioni (come una grande festa della


donna svoltasi il 1 giugno 1891 nel parco Dyrehaven di Copenaghen)
essa fu sciolta nel 1893. Nel 1899 fu fondato il Consiglio delle
donne danesi (Dansk Kvinderaad),430 che raccoglieva diverse orga-
nizzazioni e in collaborazione (o alternanza) con l’Associazione
delle donne danesi partecipò a diversi incontri internazionali; esso
era del resto una sezione dell’International Council of Women. Del
1907 è la nascita dell’Unione nazionale per il diritto di voto alle
donne (Landsforbundet for Kvinders Valgret) che dal 1908 pubbli-
cò il periodico Diritto di voto alle donne (Kvindevalgret).431 Anima
di questo movimento fu Elna Munch (1871-1945), una delle prime
a essere eletta in parlamento (1918).432 Quando il risultato della
parità elettorale con gli uomini fu pienamente raggiunto (con la
costituzione del 15 giugno 1915)433 i movimenti organizzarono un
grande corteo che attraversò Copenaghen fino al palazzo reale di
Amalienborg per esprimere soddisfazione e gratitudine. Al corteo
parteciparono circa dodicimila donne in rappresentanza di nume-
rose associazioni, il che, se da una parte testimonia un autentico
coinvolgimento dell’universo femminile nelle questioni politiche e
sociali, mostra al contempo la molteplicità delle posizioni, spesso
fortemente contrastanti anche all’interno di una medesima orga-
nizzazione.
Parallelamente alla lotta per il diritto di voto molte donne por-
tarono avanti una politica pacifista, sentita in molti casi come una
‘necessità biologica’ strettamente legata al fatto di essere destinate
dalla natura a dare la vita a nuovi esseri umani. Particolarmente

430
Dal 1905 Consiglio nazionale delle donne danesi (Danske Kvinders Nationalråd),
dal 1999 (anno del centenario) nuovamente Dansk Kvinderåd.
431
La redattrice era Julie Arenholt (1873-1952), attiva come ispettrice di fabbrica,
mansione nella quale si occupò delle condizioni di lavoro e di igiene nei laboratori di
panetteria e pasticceria. Si veda Nørregaard Hansen H., Landsforbundet for Kvinders
Valgret 1907-15, København 1992.
432
Su Elna Munch cfr. sopra p. 971 con nota 69. Altre figure importanti all’interno
dell’associazione furono Hansine Pedersen (1861-1941) che pure era di estrazione
contadina; Johanne Rambusch (1865-1944), tra i fondatori della Sinistra radicale; Olga
Knudsen (1865-1947), impegnata nel sociale, prima donna a prendere la parola al
Senato; Ingeborg Møller (1867-1945), dotata di grandi capacità organizzative; Thora
Ingemann Drøhse (1867-1948) molto attiva sul fronte della lotta all’alcolismo; Marie
Hjelmer (1869-1937) che dal 1918 sarebbe stata l’unica eletta della Sinistra radicale al
Senato. Oltre a quelle qui citate le prime donne che divennero membri del parlamen-
to danese furono alla Camera Helga Larsen (1884-1947), Karen Ankersted (1859-1921)
e Mathilde Malling Hauschultz (1885-1929); al Senato Nina Bang (1861-1941, cfr. nota
474), Marie Christensen (1860-1935) e Inger Gautier Schmit (1877-1963).
433
Vd. p. 970 con nota 65.

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1060 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

attive in questo senso furono la sopra citata Matilde Bajer che


insieme a Sophie Alberti (1846-1947) fondò (1906) l’Associazione
delle donne danesi per la pace (Danske Kvinders Fredsforening)434
cui sarebbero seguiti (1915) l’Ufficio per la pace delle donne dane-
si (Danske Kvinders Fredsbureau) e (1916) l’Unione delle donne
danesi per la pace (Danske Kvinders Fredsforbund). Tutte queste
iniziative (naturalmente non solo quelle femminili) interpretavano
un sentimento diffuso e ponevano le basi di quel movimento paci-
fista che, seppure in diversi modi, avrebbe fatto sentire la propria
voce fino ai giorni nostri. Un altro importante tema della battaglia
femminista, quello della morale sessuale, assai dibattuto (con aspre
contrapposizioni) negli anni ’80 del XIX secolo, toccò solo in par-
te il movimento delle donne danesi: se ne occupò, in particolare,
Elisabeth Grundtvig (1856-1945), nipote del celebre filosofo e
pedagogo, la quale si battè per una morale tradizionale alla quale
fossero tenuti anche i maschi. Ciò provocò l’irridente e feroce
satira di Georg Brandes e la difesa di Bjørnstjerne Bjørnson,435 ma
anche il sostanziale accantonamento della questione da parte del
movimento femminista. Questo tema fu trattato piuttosto dalle
scrittrici, come Gyrithe Lemche (nata Frisch, 1866-1945) che in
seguito fu attiva nell’Associazione delle donne danesi di cui scrisse
la storia,436 o Agnes Henningsen (nata Andersen, 1868-1962) che
nei suoi scritti riversa anche riflessioni derivanti dalla propria per-
sonale (e non troppo felice) esperienza.
In Svezia, come si è detto, la prima a mettere in evidenza con la
dovuta determinazione le problematiche della condizione della
donna era stata la scrittrice Fredrika Bremer. Sulla scorta delle idee
espresse nei suoi romanzi si sarebbe poi mossa Sophie Adlersparre
(1823-1895) pioniera, insieme a Rosalie Olivecrona (nata Roos,
1823-1898), del movimento femminista svedese: nel 1884 ella
avrebbe fondato l’Associazione Fredrika Bremer (Fredrika Bremer
Förbundet), la prima del genere nel Paese, per propugnare il rico-
noscimento dei diritti negati. Si trattava di un organismo non
schierato politicamente né confessionalmente ma che fece sentire
la propria voce in importanti questioni, non da ultima la richiesta
del voto alle donne, per la prima volta presentata come proposta
al governo (1899) da due delle sue socie più attive, Agda Montelius
434
Si ricordi qui che il marito di Matilde, Frederik aveva promosso una intensa
azione pacifista che gli sarebbe valsa il premio Nobel (cfr. nota 19).
435
Vd. p. 1073 e p. 1079 rispettivamente.
436
Dansk Kvindesamfunds historie gennem 40 år. Med tillæg 1912-1918, København
1939. Cfr. nota 425.

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Verso le democrazie nordiche 1061

(nata Reuterskiöld, 1850-1920)437 e Gertrud Virginia Adelborg


(1853-1942). Per il raggiungimento di questo fondamentale obiet-
tivo altri gruppi si adoperarono: fra tutti l’Associazione nazionale
per il diritto al voto delle donne (Landsföreningen för kvinnans
politiska rösträtt) sorta nel 1902 e che dall’anno successivo avrebbe
coordinato l’attività di gruppi locali. In questo caso l’iniziativa si
deve ad attiviste come Anna Lindhagen (1870-1941) socialde-
mocratica,438 Lydia Katarina Wahlström (1869-1954) di orienta-
mento più conservatore, Anna Whitlock (1852-1930) grande inno-
vatrice del sistema pedagogico439 e Ann Margret Holmgren (nata
Tersmeden, 1850-1940), scrittrice. Nel 1911 questa associazione
ospitò a Stoccolma (con grande successo organizzativo) il congres-
so dell’Alleanza internazionale per il voto alle donne (International
Women Suffrage Alliance) che ebbe una notevole ricaduta dal
punto di vista sociale poiché il dibattito fu ripreso da molti organi
di stampa.440
Anche nel movimento femminista svedese confluirono donne di
diversa estrazione sociale e orientamento politico e non mancarono
polemiche e contrapposizioni, il che come altrove denota la mol-
teplicità delle proposte e la vivacità del dibattito.441 Molte sono le
figure di riferimento. Emilia Augusta Clementina Broomé (nata
Lothigius, 1866-1925) nel 1914 sarebbe stata la prima donna sve-
dese a far parte di una assemblea legislativa: impegnata sul piano
sociale e attiva pacifista, ella operò all’interno dell’Associazione
centrale per il lavoro sociale (Centralförbundet för Socialt Arbete),
un ente (sorto nel 1903 su modello inglese e tedesco) che si pone-

437
Ella era la moglie del celebre archeologo e studioso di antichità Oscar Montelius
(vd. nota 627).
438
Membro del Sindacato femminile (Kvinnornas fackförbund), sorto nel 1900 per
iniziativa di Anna Sterky (Anna Nielsen, 1856-1939, danese trasferita in Svezia), ella
sarà redattrice del giornale Brezza del mattino (Morgonbris), voce di quella organizza-
zione. Di Anna Sterky è nota la scelta di convivere con Fredrik Sterky (vd. p. 996) al
di fuori di un matrimonio legalmente riconosciuto pur volendone assumere il cognome.
439
A lei si deve la fondazione (1878) di una scuola privata nota come Whitlockska
Samskolan nella quale si applicavano nuovi metodi di insegnamento che lasciavano
maggiore autonomia agli allievi e si aumentava lo spazio dedicato alle esercitazioni
pratiche. Sul significato di samskola vd. nota 465.
440
Il merito dell’ottima organizzazione va in gran parte a Signe Wilhelmina Ulrika
Bergman (1869-1960), che sarà poi presidente dell’associazione fra il 1914 e il 1917.
441
Del resto la necessità di un coordinamento appare chiara già nell’iniziativa di
Ellen Fries (sulla quale più avanti) che nel 1896 aveva fondato l’Associazione naziona-
le delle donne svedesi (Svenska Kvinnors Nationalförbund), sezione dell’International
Council of Women, allo scopo, appunto, di costituire un punto di riferimento per i
diversi movimenti.

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1062 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

va l’obiettivo di promuovere una maggiore equità e giustizia per


tutti gli individui; più tardi sarebbe divenuta presidente delle
Donne liberali (Frisinnade kvinnor),442 organizzazione fondata nel
1914 da Ada Nilsson (1872-1964) e Julia Kinberg (1874-1945), due
donne medico che molto si adopereranno per diffondere una cor-
retta educazione sessuale. Assai considerata in patria e all’estero fu
Ellen Key (1849-1926), autrice del fortunatissimo testo Il secolo del
bambino (Barnets århundrade, 1900) che fu tradotto in molte lingue;
il suo è tuttavia un femminismo per così dire ‘condizionato’ che
ritiene di non poter prescindere dalle differenze biologiche tra i
sessi: una posizione, espressa anche nel testo Il movimento femmi-
nista (Kvinnorörelsen, 1909) che la vide in forte contrasto con le
rappresentanti di idee ben più radicali.443 Schierata nettamente in
favore del libero amore e del controllo delle nascite è invece la
scrittrice Frida Stéenhoff, il cui romanzo La morale del femminismo
(Feminismens moral, 1903) farà conoscere in Svezia un significato
tutto nuovo di questo termine.444 Di notevole importanza è anche
l’opera della scrittrice e giornalista Elin Wägner (1882-1949) il cui
femminismo si apre non solo al tema (più che mai attuale) della
pace, ma anche a quello dell’ecologia.445
Lo sviluppo del dibattito si riflette in diverse pubblicazioni
periodiche dedicate specificamente alle donne. La prima (non solo

442
Dal 1931 la denominazione verrà mutata in Associazione delle donne svedesi di
Sinistra (Svenska Kvinnors Vänsterförbund), tuttora mantenuta.
443
Rappresentante di un femminismo radicale fu, tra le altre, Alma Åkermark
(1853-1933) che diede vita al giornale Avanti (Framåt) nel quale, suscitando notevole
scandalo, trovò spazio un dibattito sulla morale sessuale che non rifiutava prese di
posizione estreme (vd. Weidel Randver G., Tidskriften Framåt. Kvinnors kamp för det
fria ordet, Göteborg, 1985).
444
In questo contesto si ricordino anche l’economista Knut Wicksell (cfr. nota 170)
che fu tra i primi a dichiararsi a favore del controllo delle nascite e la scrittrice Stella
Kleve (pseudonimo di Mathilda Malling, 1864-1942) che nelle sue opere esprime
liberamente le sensazioni represse delle donne.
445
Per entrambe queste scrittrici cfr. p. 1056. Elin Wägner è ricordata anche come
membro del cosiddetto “gruppo di Fogelstad” (Fogelstadsgruppen) dal nome della
località (in Södermanland) in cui fu aperta una scuola femminile per incentivare la
formazione delle ragazze e sviluppare la loro coscienza sociale e civile. Con lei Elisabeth
Tamm (1880-1958), attivo membro delle Donne liberali e proprietaria della tenuta di
Fogelstad, Ada Nilsson, sopra ricordata, Kerstin Hesselgren (1872-1962), che fu la
prima donna ispettrice del lavoro e Honorine Hermelin (1886-1977), direttrice della
scuola. Vd. Knutson U., Kvinnor på gränsen till genombrott. Grupporträtt av Tidevar-
vets kvinnor, Stockholm 2005. Kerstin Hesselgren ed Elisabeth Tamm furono anche
(1921) tra le prime donne svedesi elette in parlamento; insieme a loro Hedvig Eleono-
ra Bertha Wellin (1870-1951), Agda Östlund (1870-1942) e Nelly Maria Thüring
(1875-1972).

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Verso le democrazie nordiche 1063

in Svezia ma in tutto il Nord) è la Rivista per la casa, dedicata alla


donna svedese (Tidskrift för hemmet, tillegnad den svenska qvinnan,
1859-1885) dovuta all’iniziativa di Sophie Adlersparre e Rosalie
Olivecrona: un foglio per molti versi ancora legato a valori religio-
si e borghesi tradizionali. Come è stato detto nel 1884 la Adlerspar-
re e la Olivecrona daranno vita all’Associazione Fredrika Bremer,
il cui organo ufficiale sarà (dal 1886) Dagny che, dunque, prende-
rà il posto della precedente pubblicazione e uscirà fino al 1913. Nel
1914 esso verrà a sua volta sostituito da Hertha446 edito in forma
cartacea fino al 1999 (successivamente, fino al 2005, in formato
elettronico). Assai significativa è la trasformazione di una pubbli-
cazione come Idun,447 nata nel 1887 per iniziativa del giornalista
Frithjof Hellberg (1855-1906) allo scopo di fornire consigli pratici
alle donne per la cura della casa e della famiglia: gradatamente essa
verrà facendo spazio al dibattito sulla questione femminile e, per
un certo periodo (1907-1911), sarà redatta da Elin Wägner. Di
grande rilievo sono anche le sopra citate pubblicazioni Diritto di
voto alle donne e Brezza del mattino;448 più avanti molte firme di
prestigio – tra cui, oltre a Elin Wägner, si segnala la scrittrice fin-
landese Hagar Olsson (1893-1978) – faranno del settimanale Epo-
ca (Tidevarvet, 1923-1936), organo delle Donne liberali, un fonda-
mentale punto di riferimento culturale e politico.
Nella Norvegia che stava liberando tutte le proprie energie,
impiegandole nel rinnovamento del tessuto sociale, politico e cul-
turale del Paese, il dibattito sulle tematiche femministe ebbe straor-
dinaria importanza.449 Nomi di prestigio sono quelli, sopra ricorda-
ti, di scrittori come Camilla Collett e Henrik Ibsen: accanto a loro
però diversi altri vanno qui citati, dal momento che il “dibattito
sulla morale” (sedelighetsdebatten) che divampò a partire dagli anni
’80 dell’Ottocento trovò spazio soprattutto in ambito letterario.
446
Dagny e Hertha sono entrambi nomi di donna. Il primo tuttavia può anche
essere letto ‘a rovescio’ come Ny dag, vale a dire “Nuovo giorno”: così suggerisce, tra
l’altro, la conclusione dell’articolo il cui inizio è riportato a p. 1072 (si veda l’edizione
citata in DLO nr. 173, p. 9). Il secondo richiama il titolo di un romanzo della Bremer
Hertha, ovvero La storia di un’anima. Raffigurazione dalla vita reale (Hertha, eller en
själs historia. Teckning ur det verkliga livet, 1856), la cui protagonista divenne simbolo
dell’emancipazione femminile.
447
Vd. p. 923, nota 275.
448
Vd. sopra nota 202 e nota 438.
449
Si vuole segnalare qui la figura singolare di Catharine Kølle (1788-1859) che a
partire dal 1826 viaggiò a lungo a piedi (da sola o con le sorelle) in diversi Paesi d’Eu-
ropa. Il ricordo della sua esperienza è affidato ad appunti di viaggio e a numerosi
acquerelli (ella risulta dunque essere la prima pittrice norvegese). Vd. Hansen J.E.,
Catharina Kølle. Vår første vandrerske. En skisse, illustrert av U. Aas, Oslo 1991.

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1064 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

Nel 1883 con l’opera teatrale Un guanto (En Hanske), Bjørnstjerne


Bjørnson aveva sostenuta la parità di doveri morali di fronte al
matrimonio: se l’uomo chiedeva castità alla propria compagna
avrebbe dovuto ripagarla con la medesima moneta.450 Ma la que-
stione del comportamento sessuale (in primo luogo quello della
donna) ‘esplose’ due anni dopo con la pubblicazione del romanzo
Dalla Bohême di Kristiania (Fra Kristiania-Bohêmen, 1885) dello
scrittore Hans Jæger (1854-1910). Socialista e anticlericale, egli
riteneva che il matrimonio fosse, nella sostanza, solo un patto di
carattere economico e che la morale tradizionale, così come la
religione, fossero causa dell’infelicità delle persone: una posizione
che, insieme ad altre,451 voleva scardinare l’impalcatura della ‘buo-
na società borghese’; un obiettivo cui il filone del romanzo natura-
lista (e realista) che si stava allora affermando avrebbe portato
ulteriori contributi.
Sul piano più propriamente pratico si constata anche in Norve-
gia la nascita di gruppi organizzati, come l’Associazione femminista
norvegese (Norsk Kvindesagsforening) fondata nel 1884 dal gior-
nalista e politico Hagbart (o Hagbard) Emanuel Berner (1839-1920)
e da Gina Krog (1847-1916) che nel corso di un viaggio in Inghil-
terra era venuta in contatto con i circoli femministi di quel Paese.
Alla sua iniziativa si deve anche la nascita dell’Associazione per il
diritto di voto alle donne (Kvindestemmeretsforeningen, 1885), che
si lega alla volontà di insistere su questo punto a fronte di posizio-
ni considerate troppo moderate e, successivamente (e per le stesse
ragioni), dell’Associazione nazionale per il diritto di voto alle don-
ne (Landskvindestemmeretsforeningen, 1898). Come è stato detto,
in Norvegia la parità dei diritti elettorali sarebbe stata riconosciuta
nel 1913.452 Nel 1904 sempre Gina Krog avrebbe dato vita al Con-
siglio nazionale delle donne norvegesi (Norske Kvinders Nasjonalråd),
un ente inteso a favorire il coordinamento tra i diversi gruppi che
presto sarebbe entrato a far parte dell’International Council of

450
Cfr. sopra, p. 1060 e anche p. 1079. Una delle prime sostenitrici della parità dei
doveri morali nelle questioni sessuali era stata fin dal 1875 Aasta Hansteen (1824-1908),
pioniera del movimento femminista, convinta sostenitrice del landsmaal e prima ‘pit-
trice professionista’ norvegese.
451
In primo luogo quella espressa dal pittore e scrittore Christian Krohg (1852-1925)
che nel romanzo Albertine (1886) affrontava lo ‘scandaloso’ tema della prostituzione
(l’opera venne immediatamente proibita). Cfr. oltre, p. 1093.
452
Vd. sopra, nota 247. Un argomento ‘forte’ portato da queste organizzazioni fu
l’impegno delle donne per il raggiungimento della piena indipendenza della Norvegia
dalla Svezia, accompagnato dalla richiesta (per altro disattesa) di poter votare per il
referendum sullo scioglimento dell’unione nel 1905 (vd. pp. 1016-1017).

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Verso le democrazie nordiche 1065

Women; esso sarebbe stato promotore di importanti iniziative anche


sul piano pratico (soprattutto nell’ambito dell’istruzione).453 Ciò si
lega alla chiara consapevolezza che la lotta per i diritti, pur non
trascurando l’aspetto ideologico, debba essere combattuta con l’ar-
ma dell’impegno diretto.
Di ciò danno testimonianza le vicende personali delle più note
femministe norvegesi. Così la ‘pioniera’ Vilhelmine (Mina) Ullmann
nata Dunker (1816-1915), attiva nel mondo della scuola;454 Ida
Cecilie Thoresen (1858-1911), prima donna a ottenere l’accesso
all’università (1882); Betzy Kjelsberg (1866-1950), fortemente impe-
gnata per la promulgazione della legge sulla sicurezza nei luoghi di
lavoro;455 Kathrine (Katti) Anker Møller (1868-1945), che lottò per
i diritti dei bambini e delle madri e portò un indispensabile contri-
buto al miglioramento delle norme relative ai figli illegittimi; Anna
Bugge Wicksell (1862-1928), presidente dell’Associazione femmi-
nista norvegese tra il 1888 e il 1889, la quale molto si adoperò perché
fosse conseguita la parità economica fra i sessi; Fredrikke Marie
Qvam (1843-1938) fondatrice dell’Associazione sanitaria delle don-
ne norvegesi (Norske Kvinners Sanitetsforening), ente umanitario
finalizzato alla prevenzione e alla cura e tuttora attivo; Anna Georgi-
ne Rogstad (1854-1938), di orientamento liberale, che diede vita al
sindacato di categoria delle insegnanti (Norges Lærerindeforbund,
1912) e fu la prima donna norvegese a entrare in parlamento (1911).456
Diverse fra le figure sopra citate contribuirono con i loro scritti al
giornale Nuove frontiere (Nylænde, letteralmente Nuove terre), orga-
no dell’Associazione femminista norvegese e, per allora, unica pub-
blicazione specificamente dedicata ai problemi delle donne.
Le nuove idee sull’emancipazione della donna raggiunsero pre-
sto anche l’Islanda dove negli ambienti più progressisti diversi
politici e scrittori (ma non solo) si espressero in favore dei suoi
diritti (in particolare quello di voto): innanzi tutto Þorlákur Ólafur
Johnson (1838-1917), un commerciante che aveva vissuto alcuni
anni in Inghilterra e in Danimarca, il quale aveva sottolineato l’in-
giustizia del divario salariale tra uomini e donne a parità di lavoro
svolto. Poi i giuristi Páll Briem (1856-1904) e Skúli Thoroddsen
453
Esso tra l’altro organizzò corsi di formazione nell’ambito dell’assistenza sociale.
Direttrice fu per lungo tempo Anna Caspari Agerholt (1892-1943), nota anche come
autrice della Storia del movimento femminista norvegese (Caspari Agerholt 1937).
454
Figlia di Vilhelmine Ullmann era Ragna Nielsen (1845-1924) tra le fondatrici dell’As-
sociazione femminista norvegese di cui fu poi anche presidente (1886-1888 e 1889-1895).
455
Vd. sopra, p. 1011 con nota 233.
456
In realtà ella vi fu presente come supplente. La prima donna regolarmente
eletta fu (1922) Karen Platou (1879-1950), rappresentante della Destra.

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1066 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

(1859-1916), così come lo scrittore e politico Hannes Hafstein.457


Nel 1894 veniva costituita l’Associazione delle donne islandesi (Hið
íslenska kvenfélag)458 alla quale seguirà l’Associazione per i diritti
delle donne d’Islanda (Kvenréttindafélag Íslands) nata nel 1907,
anno del primo sciopero proclamato a Hafnarfjörður dalle lavora-
trici impiegate nell’industria del pesce (cui un altro seguirà nel
1912). Anima del movimento e vera e propria ‘campionessa’ nella
lotta per la parità fu Bríet Bjarnhéðinsdóttir (1856-1939), che die-
de alle stampe Il giornale delle donne (Kvennablaðið, 1895-1926).459
Nel medesimo anno cominciò a uscire a Seyðisfjörður (nell’est del
Paese) e a Reykjavík Progresso (Framsókn, 1895-1901) edito da
Sigríður Þorsteinsdóttir (1841-1924) e Ingibjörg Skaptadóttir (1867-
1945).460 Un notevole contributo diedero Þorbjörg Sveinsdóttir
(1827-1903) e sua nipote Ólafía Jóhannesdóttir (1863-1924) che
lavorò alla stesura di proposte da presentare all’assemblea genera-
le. Dove, una volta ottenuto il diritto di voto e l’eleggibilità,461 dal
1922 siederà la prima donna Ingibjörg H. Bjarnason (1867-1941).
Più tardi Halldóra Bjarnadóttir (1873-1981) lavorerà alla forma-
zione dell’Unione delle donne delle zone settentrionali del Paese
(Sambandsfjelag norðlenskra kvenna) di cui sarà la prima presiden-
te, curando anche la redazione del periodico Hlín, pubblicato da
questa associazione e uscito ad Akureyri tra il 1917 e il 1967.462
Ólafía Jóhannesdóttir può essere anche definita l’unica scrittrice
femminista islandese del suo tempo, in quanto il resoconto della
sua esperienza al servizio di donne povere o ai margini della socie-
tà (svolto per un lungo periodo in Norvegia) è stato riversato in
457
Vd. sopra, pp. 1034-1035.
458
Fin dal 1869 c’era stato un congresso di donne ad Ás (nello Skagafjörður) nel
quale si era discusso degli ambiti di loro competenza. Questo avvenimento è conside-
rato l’inizio del movimento femminista islandese.
459
Già nel 1885 Bríet Bjarnhéðinsdóttir aveva pubblicato un articolo “di una gio-
vane ragazza di Reykjavík” (“eptir unga stúlku í Reykjavík”) dal titolo “Qualche paro-
la sull’istruzione e i diritti delle donne” firmandosi come Æsa (“Nokkur orð um
menntun og rjettindi kvenna”, in Fjallkonan, XI, 5 giugno 1885, pp. 42-43 e XII, 22
giugno 1885, pp. 45-47); successivamente (30 dicembre 1887) aveva tenuto a Reykjavík
una conferenza dal titolo “Sulla condizione e i diritti delle donne” (“Um hagi og rjettindi
kvenna”), organizzata da Þorlákur Ólafur Johnson.
460
Framsókn sarà anche il nome del primo sindacato operaio femminile, fondato
nel 1914.
461
Vd. sopra, pp. 1042-1043 con nota 350.
462
Nella mitologia nordica Hlín (“protettrice”) è il nome di una divinità femminile
di secondo piano definita dèa soccorrevole che si prende cura degli uomini (vd. Chie-
sa Isnardi 20084 [B.7.1], p. 61 e p. 216). In precedenza un giornale con il medesimo
titolo (tuttavia dedicato ad argomenti tecnici ed economici) era stato pubblicato a
Reykjavík tra il 1901 e il 1905.

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Verso le democrazie nordiche 1067

racconti che toccano temi ‘scandalosi’ come quello della prostitu-


zione. Di grande interesse è anche la sua autobiografia Dal buio alla
luce (Frá myrkri til ljóss, 1925).
Anche se nel passato in talune occasioni le donne dei Paesi nor-
dici si erano viste riconoscere, almeno parzialmente, qualche diritto,463
è solo dalla seconda metà dell’Ottocento che prende avvio un
reale percorso verso quella parità il cui raggiungimento la società
scandinava può oggi sostanzialmente – e a buon diritto – vantare.
Risultato determinato, da una parte, dagli sviluppi sociali e, dall’al-
tra, dalla maturazione della coscienza civile espressa nell’azione di
persone (non si dimentichino i molti uomini!) concretamente
impegnate in questa direzione.
Gli ambiti principali nei quali si dovette esplicare l’attività
riformatrice furono molteplici. Del diritto di voto si è ampiamen-
te detto, sottolineando come questo tema avesse una estesa rica-
duta, dal momento che esso non coinvolgeva soltanto un principio
di parità fra i sessi, bensì anche l’idea stessa della dignità dell’in-
dividuo, indipendentemente dalla sua posizione sociale ed eco-
nomica. Il che vale, almeno in parte, anche per l’ambito dell’istru-
zione, che ai livelli superiori troppo a lungo era rimasta riservata
a chi godesse di una posizione privilegiata, dovendosi altrimenti
affidare alla benevolenza e generosità altrui. In ogni caso non le
donne, costrette ad accontentarsi di una formazione di base (che
nella migliore delle ipotesi – vale a dire nelle famiglie nobili e
benestanti – veniva integrata con letture e lezioni private) e alle
quali l’accesso all’università era comunque assolutamente inter-
detto. Per di più: appare del tutto evidente la precisa delimita-
zione delle discipline ‘di competenza femminile’, il che di fatto
precludeva la possibilità di condurre studi in diverse materie ‘di
competenza maschile’, non ultime la teologia e la medicina. Inol-
tre non era facile per le donne ottenere incarichi di insegnamen-
to anche ai livelli elementari. Nel XIX secolo (in particolare
nella seconda metà) le cose cominciarono (gradatamente) a
cambiare: furono create scuole per le ragazze e istituti di for-
mazione per insegnanti donne e in talune scuole popolari supe-
riori464 vennero avviati corsi specifici per le allieve; un vero
passo avanti fu tuttavia la nascita delle ‘scuole comuni’, vale a
dire istituti di insegnamento superiore aperti ai maschi come alle

463
Si ricordino qui, a esempio, le leggi svedesi di Birger jarl (vd. p. 352 con nota
99) con le quali fu introdotto in Svezia il principio dei diritti delle donne (kvinnofrid).
464
Vd. p. 884.

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1068 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

femmine.465 Successivamente fu finalmente riconosciuto il diritto


di sostenere l’esame di maturità e accedere agli studi accademici
(tuttavia con alcune limitazioni), un’opportunità che tuttavia fino
ai primi decenni del Novecento fu colta da un numero limitato di
studentesse. Le prime donne a laurearsi in Scandinavia furono le
svedesi Betty Pettersson (1838-1885) nel 1875 ed Ellen Fries (1855-
1900), tra le fondatrici dell’Associazione Fredrika Bremer, che nel
1883 ottenne il titolo di dottore di ricerca presso l’Università di
Uppsala;466 in Danimarca Mathilde Nielsen (1850-1916) che con-
seguì (1877) la laurea in medicina. Per la Norvegia oltre a Ida
Cecilie Thoresen, sopra ricordata, va citata Clara Holst (1868-1935)
che nel 1903 ottenne il dottorato di ricerca con una tesi di lingui-
stica, mentre in Islanda (dove nel 1874 fu fondata a Reykjavík la
prima scuola femminile) l’istituzione di un ateneo nazionale fu uno
degli obiettivi per cui si batterono i movimenti femminili: quando
(1911) esso fu finalmente aperto, tra i primi quarantacinque stu-
denti risulta anche il nome di Kristín Ólafsdóttir (1889-1971) che
completò la formazione da medico.467 Nelle università le donne
dovettero guadagnarsi il loro spazio, anche in rapporto alle asso-
ciazioni studentesche, il che certo non fu facile, almeno inizial-
mente.468
Sul piano economico la situazione era parimenti di assoluta
inferiorità. Per secoli la donna era stata soggetta all’autorità del
padre prima e a quella del marito poi: questi di fatto gestiva il
patrimonio familiare, ivi compresi i beni portati in dote dalla moglie.
Le norme legislative riguardanti l’eredità erano palesemente sbi-
465
In Scandinavia il più antico di questi istituti risale al 1877: si tratta della Palmgrenska
samskolan, fondata da Edvard Palmgren (1840-1910). In svedese samskola è, appunto,
una scuola (skola) nella quale gli allievi sono inseriti insieme (samman) nella medesima
classe indipendentemente dal sesso.
466
In Svezia la prima donna a ricoprire una cattedra universitaria fu la russa Sofia
Kovalevskaja (Софья Васильевна Ковалевская, 1850-1891) che nel 1884 divenne
docente di matematica all’università di Stoccolma (prima in assoluto in Europa in
questa disciplina).
467
Di quell’anno (11 luglio 1911) è la legge che garantiva alle donne islandesi piena
parità nell’accesso agli studi e ai pubblici uffici (Lög um rétt kvenna til embættisnáms,
námsstyrks og embætta). Già nel 1899 tuttavia Camilla Torfason (1864-1927) aveva
superato l’esame di maturità presso un istituto di Copenaghen. Sempre del 1911 è la
fondazione della Società per la lettura delle donne (Lestrarfélag kvenna) che aveva lo
scopo di facilitare il loro accesso all’istruzione e alla conoscenza.
468
Ida Cecilie Thoresen, a esempio, dovette fondare (1883) un club privato di
discussione che ebbe nome Skuld (nel quale fu attiva anche Anna Bugge). Esso costi-
tuì un precedente dell’Associazione femminista norvegese. Nel mito nordico Skuld è
il nome di una delle tre dèe del destino, le Norne, che vivono ai piedi dell’albero
cosmico; vd. Chiesa Isnardi 20084 (B.7.1), p. 304.

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Verso le democrazie nordiche 1069

lanciate dal momento che nella maggior parte dei casi il diritto
scandinavo prevedeva che le sorelle percepissero una quota pari
alla metà di quella spettante ai fratelli; inoltre alle donne era inter-
detto l’accesso alle attività commerciali. Una indipendenza econo-
mica era dunque ben difficile da raggiungere. In Svezia la legge del
1734469 aveva, se possibile, ulteriormente aggravato la situazione.
Le donne erano in sostanza perennemente considerate alla stregua
di minori. Solo in determinati casi (vedovanza o contingenze par-
ticolari) erano previste eccezioni per consentire una gestione eco-
nomica autonoma. A tutto ciò si aggiunga l’autorità ‘disciplinare’
che la legge assegnava al marito sulla famiglia e sui domestici. Anche
in questo ambito nell’Ottocento si andò in direzione di una mag-
giore giustizia: il pari diritto ereditario fu stabilito per legge in
Svezia nel 1845, in Islanda nel 1850, in Norvegia nel 1854 e in
Danimarca (dopo un primo parziale provvedimento del 1845) nel
1857.470 A ciò si accompagnò il riconoscimento della ‘maggiore età’
per le donne nubili, mentre le sposate rimasero ancora a lungo
sotto la tutela del marito. Il raggiungimento di questo obiettivo si
collegò a una serie di decreti che favorirono l’accesso al commercio
e al mondo del lavoro (gli sviluppi della società che si andava indu-
strializzando lo richiedevano!) e nel volgere di qualche decennio
le donne trovarono occupazioni nuove non di rado gravose ma non
più necessariamente legate alla sola gestione della casa.471
Una situazione particolarmente difficile era da sempre quella
delle ragazze madri (ben più duramente colpite rispetto ai padri
dei loro bambini): contro di loro l’ostilità della Chiesa e la condan-
na dello Stato che si traducevano in severe e umilianti punizioni

469
Vd. pp. 698-699.
470
In questa sede non è possibile dare specificamente conto delle numerose leggi
e decreti che contribuirono a mutare il quadro normativo nei diversi ambiti citati. In
proposito si rimanda alla letteratura elencata nella sezione bibliografica relativa a
questo paragrafo, in particolare a Blom – Tranberg 1985.
471
In Danimarca le donne nubili furono dichiarate maggiorenni nel 1857 al com-
pimento dei venticinque anni, le donne sposate nel 1899; con una legge del 1880
queste ultime ottennero il diritto di gestire personalmente i propri beni; una piena
parità da questo punto di vista fu tuttavia raggiunta solo nel 1925. In Svezia le donne
nubili ottennero la maggiore età a venticinque anni nel 1858 ma solo nel 1884 il limite
fu portato a ventuno anni alla pari degli uomini, quelle sposate tuttavia sarebbero
rimaste sotto la tutela del marito fino al 1921; dal 1874 le donne sposate poterono
amministrare le proprie entrate. In Norvegia le donne nubili furono dichiarate mag-
giorenni al compimento dei ventuno anni (al pari degli uomini) nel 1869, nel 1888 le
sposate. In Islanda le donne nubili ottennero la maggiore età al compimento dei
venticinque anni nel 1861 e, con essa, la gestione dei propri beni, che fu concessa alle
donne sposate solo nel 1900 ma pienamente nel 1923.

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1070 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

quali multe, costrizione al pubblico riconoscimento della ‘colpa’,


esclusione dal sacramento della comunione, fustigazione, incarce-
razione, obbligo di esibire un ‘segno’ esteriore del proprio stato.
Nei casi in cui alla gravidanza ‘irregolare’ fosse seguito un infanti-
cidio era prevista la condanna a morte. A questa situazione di
grave disagio (non di rado determinata da violenze o comunque da
soprusi commessi nell’ambiente in cui la ragazza lavorava come
domestica) era connessa, evidentemente, quella dei figli illegittimi,
a lungo privati dei diritti riconosciuti ai fratellastri.472 Anche questa
questione, collegata da una parte alla protezione dell’infanzia e,
dall’altra, al tema della morale sessuale, fu un argomento assai
dibattuto all’interno dei circoli femministi, dibattito che avrebbe
portato alla promulgazione di diverse leggi di tutela delle madri
nubili e dei loro figli ma anche del lavoro delle donne e dei minori.
Il cammino verso l’emancipazione passò naturalmente attraver-
so l’esperienza (e l’intraprendenza) di singole figure; si rafforzò con
la crescente presenza di donne in organizzazioni (vecchie e nuove)
che non avrebbero cessato di far sentire la propria voce (in taluni
periodi, come gli anni ’60 e ’70 del XX secolo, con maggior
clamore);473 si realizzò in una intensa attività in ambito sociale; si
consolidò con la crescente presenza femminile in politica anche in
posizioni di assoluto prestigio.474 E, infine (ma per importanza non
472
 Non così nelle famiglie nobili o reali (dove questi casi erano tutt’altro che rari):
sebbene anche qui essi non si vedessero riconosciuta pari dignità rispetto agli eredi
legittimi, la loro posizione veniva solitamente assicurata in primo luogo dal punto di
vista economico ma anche da quello dell’assegnazione di importanti incarichi.
473
 Si pensi a organizzazioni femministe come le “Calze rosse” che, su modello
americano, si diffusero negli anni ’70 anche in Scandinavia, alle svedesi Grupp 222
(1964) e Grupp 8 (1968), al Fronte delle donne (Kvinnefronten, 1972) norvegese.
474
 Nel 1924 la Danimarca avrà la sua prima donna ministro (all’educazione) nella
persona di Nina Bang (cfr. nota 432); nel 1943 Nina Andersen (1900-1990) sarà la
prima a ricoprire la carica di segretario di partito (per i socialdemocratici); dal 2011 ci
sarà una donna premier, la socialdemocratica Helle Thorning-Schmidt (vd. p. 1209);
in Svezia nel 1947 Karin Kock-Lindberg (1891-1976) sarà la prima a essere nominata
ministro (tuttavia con funzioni consultive); successivamente (1948-1949) sarà respon-
sabile del Ministero per l’Economia popolare (Folkhushållningsdepartementet), istitui-
to per gestire le risorse delle famiglie in tempo di guerra; in Norvegia la prima donna
ministro (con funzioni consultive) sarà nel 1945 Kirsten Hansteen (1903-1974); qui
nel 1981 Gro Harlem Brundtland (n. 1939) diventerà primo ministro, mentre Brit
Kirsti Kolle Grøndahl (n. 1943) sarà tra il 1993 e il 2001 presidente del parlamento.
In Islanda Auður Auðuns (1911-1999) sarà nominata ministro (per la giustizia e le
questioni ecclesiastiche) nel 1970, mentre nel 1980 Vigdís Finnbogadóttir (vd. pp.
1231-1232) sarà la prima donna al mondo a essere democraticamente eletta presiden-
te della repubblica; successivamente (1988) Guðrún Helgadóttir (cfr. p. 1289) sarà
nominata presidente del parlamento islandese. Dal 2009 al 2013 Jóhanna Sigurðar-
dóttir ha avuto la carica di primo ministro (vd. p. 1231).

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Verso le democrazie nordiche 1071

certo all’ultimo posto), nel raggiungimento della parità anche in


ambito religioso, vale a dire là dove il predominio maschile era
stato per secoli incontrastato e considerato acriticamente legittimo:
una egemonia che solo il pietismo prima e i movimenti revivalisti
poi avrebbero cominciato a intaccare.475 Nel Novecento il dibatti-
to sull’accesso delle donne agli studi teologici e al sacerdozio si fece
intenso e, nonostante le forti opinioni contrarie (sostenute con il
ricorso al dettato biblico), il risultato fu loro favorevole; in Dani-
marca le prime donne-sacerdote furono ordinate nel 1948: Ruth
Vermehren (1894-1983), Edith Brenneche Petersen (1896-1973) e
Johanne Andersen (1913-1999); in Svezia nel 1960: Ingrid Persson
(1912-2000), Margit Rigmor Sahlin (1914-2003) ed Elisabeth Djur-
le Olander (1930-2014); in Norvegia nel 1961 Ingrid Bjerkås (1901-
1980);476 in Islanda nel 1974 Auður Eir Vilhjálmsdóttir (n. 1937).477
Più recentemente si sono avute anche donne vescovo: le prime sono
state Rosemarie Köhn (n. 1939) in Norvegia (1993); Lise-Lotte
Rebel (n. 1951) in Danimarca (1995);478 Christina Odenberg (n.
1940) in Svezia (1997); Agnes Sigurðardóttir (n. 1954)479 in Islanda
475
Da sempre gli ambienti ecclesiastici avevano mostrato un pressoché generale
atteggiamento di chiusura nei riguardi della figura femminile, desiderando per lo
più confinarla nel ristretto ambito familiare. Non a caso nel 1827 una giovane Fred-
rika Bremer polemizzò aspramente con il vescovo, teologo e poeta Johan Olof
Wallin (vd. p. 925) il quale in un sermone dal titolo La nobile e mite vocazione della
donna. Predica per il giorno dell’Annunciazione del 1827 (Qvinnans ädla och stilla
kallelse. Predikan på Mariæ Bebådelsedag 1827 af J.O. Wallin, Stockholm 1827)
aveva affermato che all’interno della casa maritale la donna avrebbe dovuto pazien-
temente farsi carico non soltanto di fatiche fisiche bensì anche di responsabilità
morali proprie e del coniuge, il quale più facilmente (e scusabilmente) poteva essere
indotto a tralasciare i propri doveri di uomo e di cristiano; vd. Lindstén G., “Fred-
rika Bremer och J.O. Wallins predikan på Maria Bebådelsedag 1827”, in Svensk
litteraturtidskrift 1956, pp. 73-83 e anche Åsbrinck E., Genom portar II. Studier i den
svenska kyrkans syn på kvinnans ställning i samhället åren 1809-1866, Stockholm
1962.
476
Per la verità fin dal 1939 la cosiddetta “Legge Mowinckel” (dal nome del poli-
tico che l’aveva proposta, Johan Ludwig Mowinckel, cfr. p. 1144, nota 109) del 24
giugno 1938 consentiva alle donne l’accesso a qualsiasi ufficio statale (ivi compreso,
nell’ottica ecclesiastico-statale, l’incarico di pastore). Essa tuttavia condizionava tale
possibilità al consenso della comunità parrocchiale. Sulla discussione politica relativa
vd. Stendal S. Hinnaland, “-under forvandlingens lov”. En analyse av stortingsdebatten
om kvinnelige prester i 1930-årene, Lund 2003.
477
Qui in precedenza nel 1945 Geirþrúður Hildur Bernhöft (1921-1987) aveva
completato (prima donna nel suo Paese) gli studi teologici; tuttavia non ebbe l’ordi-
nazione sacerdotale.
478
Nel 1995 Sofie Petersen (n. 1955) verrà consacrata vescovo per la Groenlandia.
479
Sulla questione dell’accesso delle donne al sacerdozio vd. Lenhammar 20014
(B.7.2), pp. 110-112. A riguardo della complessa questione dei rapporti tra il mondo
femminile e la Chiesa nei Paesi nordici pare qui opportuno citare la nascita in Islanda

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1072 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

(2012). Dal 2014 Antje Jackelén (n. 1955), vescovo di Lund, sarà
il primo arcivescovo donna di Svezia.

Nel 1899 il giornale Dagny riportava un articolo, siglato L. D-n,480 dal


titolo Il secolo della donna. Riflessioni di fine secolo, nel quale si propone-
vano alcune considerazioni sulla misura in cui il XIX secolo avesse dav-
vero riscoperto (e rivalutato) la figura femminile. Se ne riporta di seguito
la prima parte:

“Il secolo, che si fa vanto di avere scoperto la donna, volge al termine.


Ancora pochi brevi mesi e saremo dentro al nuovo secolo, che farà altre
scoperte altrettanto geniali, forse quella che la donna, tutto considerato,
c’era fin dall’infanzia del genere umano e che la sua identità non può essere
ragionevolmente esclusa dalla storia e dalla cultura, fino a quando la specie
homo esisterà su questa terra destinata al mutamento e alla caducità.
Per la verità sembra una forma di crudele ironia definire il XIX come
secolo della donna. Ella è stata fatta uscire dal ‘grande ignoto’, è vero, è
stata posta su un piedestallo e si è bruciato incenso in suo onore, le è stato
riconosciuto di possedere un’anima, persino intelletto, qualche volta addi-
rittura intelligenza; e poi? Oggi come oggi gli eruditi discutono ancora sul
significato dell’essere femminile, ancora la posizione che ella occupa rispet-
to alla società e allo sviluppo è ben lungi dall’essere chiara, ancora è consi-
derata in un certo senso un usurpatore, che sì, è tollerato in nome dell’uma-
nità, ma al quale la società, come mossa da una sorta di spinta all’auto-
conservazione, con tutte le forze non debba lasciare spazio. E dunque l’Ot-
tocento sarebbe l’epoca della donna?
Tuttavia, consideriamo di essere state ‘scoperte’, immaginiamo di dover
essere grate al secolo giunto al termine per il fatto di esistere, con ancora
maggior diritto gli porremo questa domanda: ‘In che modo ti sei avvantag-
giato della tua scoperta?’ E la domanda prende la forma di una severa
verifica, una di quelle terribilmente serie, là dove il rendiconto dei guadagni
e delle perdite viene calcolato nel valore dell’essere umano e là dove il
bilancio comprende i nostri più profondi interessi vitali.”481

(1992) della cosiddetta Chiesa delle donne (Kvennakirkjan) che si pone come rappre-
sentante della ‘teologia femminista’; vd. Vilhjálmsdóttir A.E., “God, Our Sister and
Friend. Kvennakirkjan in Reykjavík, Iceland”, in Berger Th. (ed.), Dissident Daughters.
Feminist Liturgies in Global Context, Louisville 1989, pp. 135-146.
480
La sigla L. D-n fa riferimento a Lotten Dahlgren (1851-1934), studiosa di storia
culturale, una delle firme di prestigio della rivista.
481
Kvinnans århundrade. Reflexioner vid sekelslutet (DLO nr. 173).

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Verso le democrazie nordiche 1073

12.4. Una cultura ‘nuova’

12.4.1. L’impegno del letterato

La definizione “uomini della rivoluzione moderna” appartiene,


come noto, al critico danese Georg Brandes (1842-1927), promo-
tore di una nuova letteratura cui egli affidava ora il compito di
farsi strumento di impegno sociale e politico.482 Nel mondo cultu-
rale della seconda metà dell’Ottocento convivevano, come non mai,
tendenze innovative e resistenze tradizionaliste. Le prime erano
fortemente influenzate dall’affermarsi, in Scandinavia come altro-
ve, di nuove correnti come il darwinismo, il positivismo,483 il socia-
lismo (non esente da radicalismo politico) e (sul piano artistico) il
realismo e il naturalismo. Ciò poneva gli scrittori di fronte alla
prospettiva di un coinvolgimento diretto nelle grandi questioni del
dibattito sociale: i diritti dell’individuo, il suo rapporto con la reli-
gione (non solo da parte di Brandes ci furono duri attacchi contro
la Chiesa),484 la sua posizione all’interno della comunità (con la

482
Il riferimento è al suo volume dal titolo Gli uomini della rivoluzione moderna.
Una serie di ritratti (Det moderne Gjennembruds Mænd. En Række Portræter, 1883)
nella quale prende in considerazione l’opera di diversi autori dell’Ottocento. Fin dal
1871 Brandes aveva tenuto una serie di conferenze presso l’Università di Copenaghen
nelle quali esponeva la nuova visione della letteratura e della storia: esse sono consi-
derate un momento fondamentale per il cambiamento della prospettiva culturale dei
decenni successivi. Il testo delle conferenze fu poi raccolto in sei volumi dal titolo
Correnti principali nella letteratura del XIX secolo (Hovedstrømninger i det 19de
Aarhundredes Litteratur), usciti tra il 1872 e il 1890.
483
Uno dei più significativi rappresentanti di una ‘conversione’ alle nuove idee è
l’influente filosofo danese Harald Høffding (1843-1931), passato da una visione kierke-
gaardiana al credo positivista. Naturalmente le nuove dottrine ebbero anche fieri
avversari: si ricordi qui in primo luogo il medico norvegese Ernst Ferdinand Lochman
(1820-1891), professore all’università di Oslo dove il 2 settembre 1874 aveva tenuto
un celebre discorso contro le teorie positivistiche e darwiniste.
484
Uno scontro particolarmente duro e prolungato, si ebbe in Norvegia tra il 1880 e
il 1930. Alimentato dalla discussione sulle questioni sociali (non da ultima l’emancipa-
zione femminile) e dal giudizio sulle nuove teorie scientifiche, esso coinvolse non solo
gli intellettuali che esprimevano un totale rifiuto della religione, ma anche coloro che
chiedevano l’abbandono di un rigido dogmatismo e una nuova interpretazione del
dettato biblico, mentre all’interno del mondo ecclesiastico si rifletté in un conflitto (non
senza ricadute politiche) tra i conservatori più intransigenti e i fautori di una teologia
liberale (kirkestriden, letteralmente “guerra nella Chiesa”). Nel 1906 la nomina a pro-
fessore universitario di teologia di Johannes Ording (1869-1929), sostenitore delle
nuove idee, provocò una dura reazione degli ortodossi con le dimissioni del ministro per
la Chiesa Christoffer Knudsen (1843-1915) e di Sigurd Odland (1857-1937), che lasciò
l’ateneo e fondò la Libera facoltà di teologia (Det teologiske Menighetsfakultet, letteral-

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1074 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

fondamentale questione dell’istituto matrimoniale e del ruolo dei


sessi), la dignità del lavoro, la proprietà privata versus l’interesse
pubblico. Eppure: questa ‘responsabilità civile’ – che in molti
autori appare così fortemente sentita – poggiava, per molti aspetti,
proprio su quella tradizione che in tanti mostravano di volersi
lasciare alle spalle. Perché da quella, come si è visto (soprattutto
per la Norvegia ma non solo!), originava il profondo senso di
appartenenza al proprio Paese delle cui vicende e dei cui destini ci
si sentiva pienamente partecipi. Sicché il permanere di una ‘vecchia’
letteratura nazionalistica (per taluni versi ancora romantico-nazio-
nalistica) e il sorgere di una ‘nuova’ (tutta votata all’impegno civi-
le) altro non sono che manifestazioni diverse di un medesimo clima:
entrambe germogliano dal medesimo terreno. Il che si constaterà
anche quando (tra il declinare del XIX secolo e il sorgere del XX)
si assisterà a una sorta di ‘rivincita’ della ricerca estetica, per molti
versi indotta da una forma di ‘stanchezza’ e ‘disillusione’. Alla
seconda metà dell’Ottocento e ai primi anni del Novecento appar-
tengono dunque a buon diritto tanto gli scrittori, per così dire,
‘ripiegati sul passato’, quanto quelli intensamente concentrati sul-
le problematiche del presente. Tendenze apparentemente opposte
che, non di rado, si trovano a convivere nell’opera del medesimo
autore.
Nella congerie di scrittori e di opere si dovranno ricordare qui
almeno i nomi più significativi. La tradizione nordica trova ancora
espressione privilegiata nella letteratura folcloristica con i lavori
del danese Evald Tang Kristensen (1843-1929) e degli islandesi Jón
Árnason (1819-1888) e Magnús Grímsson (1825-1860), assidui
raccoglitori di fiabe e racconti popolari (nella scia dei fratelli Grimm
e dei norvegesi Asbjørnsen e Moe),485 ma – soprattutto – si esprime

mente la Facoltà teologica della comunità), tuttora attiva. Al di là delle critiche più
feroci, le Chiese nordiche nel XIX secolo compresero (almeno per quanto riguarda i loro
membri più consapevoli) la necessità di rinnovarsi per adeguarsi alle nuove esigenze, non
soltanto in relazione ai movimenti revivalisti ma anche alla profonda trasformazione
della società (si veda in proposito Lenhammar 20014 [B.7.2], pp 82-95).
485
Vd. sopra, p. 933 con nota 328. Su Jón Árnason, al quale (a motivo della prema-
tura morte di Magnús Grímsson) questo imponente lavoro resta in primo luogo
legato, vd. “Jón Árnason, þjóðsagnafræðingur 1819-1888”, in BR, pp. 144-147. La
raccolta ha per titolo Racconti popolari e fiabe islandesi (Íslenzkar þjóðsögur og ævintýri,
1862-1864). Qui vanno ricordati anche Ólafur Davíðsson (1862-1903) che insieme a
Jón Árnason raccolse Indovinelli, passatempi, vikivaki e filastrocche islandesi (Íslenzkar
gátur, skemtanir, vikivakar og þulur, I-IV, Kaupmannahöfn 1887-1903) e contribuì ad
altre opere nell’ambito del folclore letterario; Þorsteinn Erlingsson (1858-1914), Jón
Þorkelsson (1859-1924) e Hannes Þorsteinsson (1860-1935) raccoglitori a loro volta
di racconti e tradizioni popolari.

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Verso le democrazie nordiche 1075

in autori capaci di ‘reinventare’ la tradizione del passato, come farà


in primo luogo la svedese Selma Lagerlöf (1858-1940),486 autrice di
suggestive ‘saghe’, che anche nel celeberrimo Viaggio di Nils Hol-
gersson attraverso la Svezia (Nils Holgerssons underbara resa genom
Sverige, 1906-1907), commissionatole come libro di geografia per i
bambini delle scuole elementari, mostrerà di saper fondere lettera-
tura topografica e paesaggistica, tradizione e folclore, fiaba e inse-
gnamento pratico.487 Del resto anche uno scrittore come Carl Snoil-
sky (1841-1903) resta, in diversa maniera, legato al passato: autore
tra l’altro di una lunga serie di poesie dedicate ai protagonisti della
storia svedese, egli mostra grande attenzione alle esigenze della
forma poetica mentre il suo interesse per gli ideali politici del libe-
ralismo affiora (in forma pacata) solo negli scritti più maturi.488
Il perdurare di una letteratura che esprime il senso profondo (e
lirico) della madrepatria489 è particolarmente significativo in Islan-
da, dove la tendenza a guardare verso il passato e quella a impe-
gnarsi nel presente convivono fin dal romanticismo che, avendo
avuto qui tarda ricezione, accompagnava all’espressione dell’amo-
re per il proprio Paese la consapevolezza di doversi adoperare per
migliorare le condizioni di vita e la coscienza civile dei suoi abitan-
ti. A esempio, un autore come Benedikt Sveinbjarnarson Gröndal
(1826-1907)490 trova negli studi di filologia nordica lo spunto per
intense liriche, ma al contempo si impegna nella fondazione della
Società islandese di storia naturale allo scopo di promuovere la
conoscenza del territorio e il suo rispettoso utilizzo. E se Steingrímur
486
Premio Nobel per la letteratura nel 1909, ella sarà dal 1914 la prima donna a
divenire membro dell’Accademia svedese.
487
Di Selma Lagerlöf si vuole qui citare anche Gerusalemme (Jerusalem, 1901-1902),
unanimemente considerato uno dei prodotti migliori della sua arte. Vi si narra di un
gruppo di contadini della Dalecarlia che, spronati da un predicatore, si trasferiscono
in Palestina. Pur ispirandosi a un fatto realmente accaduto nel 1896, la narrazione
privilegia, più che gli aspetti sociali, il dramma umano e morale di queste persone.
488
Carl Snoilsky è considerato il miglior rappresentante tra i cosiddetti “poeti
sotto pseudonimo” (signaturpoeterna) legati alla Società dei senza nome (Namnlösa
sällskapet) sorta a Uppsala nel 1860 allo scopo di coltivare l’esercizio della poesia per
mostrare il vero attraverso il bello.
489
Ma anche lo studio delle sue tradizioni, come si vede nell’opera di Jónas
Jónasson di Hrafnagil (1856-1918), autore di Usanze popolari islandesi (Íslenskir
þjóðhættir), pubblicato postumo nel 1934 (vd. “Jónas Jónasson frá Hrafnagili”, in
BR, pp. 196-199). Tra gli autori islandesi più legati al passato si considerino anche
Guðmundur Friðjónsson (1869-1944) e Kristín Sigfúsdóttir (1876-1953).
490
Benedikt Sveinbjarnarson Gröndal era figlio di Sveinbjörn Egilsson (cfr. p. 911,
nota 219 e p. 948, nota 405 e qui nota 362). Egli è comunemente indicato come Bene-
dikt Gröndal il Giovane (yngri) per non confonderlo con l’omonimo giurista (cfr. p.
945 con nota 391).

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1076 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

Thorsteinsson (1831-1913), infiammato dal desiderio dell’indipen-


denza della patria, e Grímur Thomsen (1820-1896), forse l’unico
scandinavista islandese,491 paiono restare ancorati a un autentico
spirito romantico,492 Matthías Jochumsson (1835-1920), pur ponen-
dosi nel solco della tradizione – si pensi al suo dramma I fuorilegge
(Útilegumennirnir, 1864) –493 mostra nel suo rapporto di amicizia
con Brandes, le cui lezioni aveva ascoltato nel 1871, di avere ben
chiare (mai tuttavia rinunciando alle proprie convinzioni religiose)
le nuove istanze letterarie.494 Che in Islanda significano anche
(almeno in parte) affrancamento dai canoni estetici imposti da una
tradizione certamente prestigiosa ma, al contempo, ormai supera-
ta. Ed è per questo che i romanzi di Jón Thoroddsen (1818-1868),
seppur rimandino per certi versi ad atmosfere romantiche, segnano
un momento fondamentale di passaggio della prosa islandese,
finalmente svincolata dalla tradizione delle saghe.495 Non che in
questo Paese non si conosca un vero realismo: nel 1882 la pubbli-
cazione del periodico Verðandi (pure uscito a Copenaghen e in un
unico numero) segna l’affermarsi anche qui di questa corrente.496
Tra i suoi redattori Hannes Hafstein, sopra ricordato come figura
politica di tutto rilievo,497 qui come poeta di notevole talento. Del
491
Vd. nota 13. Su questi autori: “Grímur Thomsen, skáld” e “Steingrímur Thor-
steinsson, skáld og rektor”, in BR, pp. 148-151 e pp. 152-155, rispettivamente.
492
 Steingrímur Thorsteinsson è noto per aver tradotto (dal tedesco) le Mille e una
notte (Þúsund og ein nótt. Arabiskar sögur, íslenzkað hefir Steingímur Thorsteinsson,
Kaupmannahöfn 1857-1864), in selezione già rese note anche da Benedikt Gröndal.
A lui si deve anche la versione islandese delle Favole di Andersen (Æfintýri og sögur,
Steingrímur Thorsteinsson þýddi, I-II, Reykjavík 1904-1908). Inoltre tanto Steingrímur
Thorsteinsson quanto Matthías Jochumsson (di cui subito oltre) furono traduttori di
Shakespeare.
493
Vd. p. 213 e anche la storia di Fjalla-Eyvindur alle pp. 731-735. Cfr. p. 489,
nota 87.
494
Vd. sopra, nota 482. Su di lui: “Matthías Jochumsson, prestur og skáld”, in BR,
pp. 164-167. E tuttavia anche in Islanda si venne diffondendo uno scetticismo religio-
so in parte legato a un sentimento anticlericale; del resto anche all’interno della Chie-
sa una figura di primo piano come Jón Helgason (1866-1942), vescovo d’Islanda e
professore di teologia all’università, mostra di voler ‘attenuare’ la rigorosa osservanza
dogmatica.
495
Il primo (e più noto) è Ragazzo e ragazza (Piltur og stúlka, 1850), mentre Uomo
e donna (Maður og kona) non fu completato per la morte dell’autore e fu edito solo
nel 1876. Vd. “Jón Thoroddsen, sýslumaður og skáld”, in BR, pp. 140-143.
496
Nel mondo mitologico nordico Verðandi è il nome di una delle tre dèe del
destino, le Norne, che vivono ai piedi dell’albero cosmico; vd. Chiesa Isnardi 20084
(B.7.1), p. 304. Nel medesimo spirito due anni dopo usciva (anche in questo caso solo
per quell’anno) il mensile Heimdallur che conteneva anche diverse traduzioni di auto-
ri stranieri (sul dio nordico Heimdallr vd. Chiesa Isnardi 20084, pp. 221-225).
497
Vd. pp. 1034-1035.

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Verso le democrazie nordiche 1077

resto un altro fra i suoi redattori, Gestur Pálsson, che è stato men-
zionato insieme a Þorsteinn Erlingsson tra i promotori delle idee
socialiste in Islanda,498 rivolge la sua attenzione di scrittore alle
problematiche dell’attualità (ma scrive anche intensi versi realisti),499
mentre il prosatore Þorgils gjallandi (1851-1915),500 contadino
autodidatta, incentra volentieri le proprie novelle su figure di anti-
conformisti.501 L’attenzione all’attualità appare evidente anche in
un poeta come Einar Benediktsson (1864-1940) il quale il 31
ottobre 1896 pubblicava sul quotidiano Programma (Dagskrá)502
un articolo dal titolo “Movimento dei lavoratori” (“Félagsskapur
verkamanna”): in sostanza un invito alla mobilitazione operaia per
dare l’avvio a un processo di miglioramento delle condizioni di vita
dei molti poveri, soprattutto a Reykjavík.503 Ma alla nuova consa-
pevolezza si deve altresì la comparsa di una letteratura femminile,
le cui migliori rappresentanti sono (seppure i temi ispiratori restino
in diversi casi tradizionali) Júlíana Jónsdóttir (1838-1918), la prima
donna a dare alle stampe (a proprie spese) un libro (di liriche),504
Ólöf Sigurðardóttir (1857-1933), fine poetessa, e Torfhildur
Þorsteinsdóttir Hólm (1845-1918), la prima a guadagnarsi da vive-
re col mestiere di scrittrice.505 Nella seconda metà dell’Ottocento
anche il teatro islandese acquisisce consistenza: le opere si ispirano
inizialmente al passato e alla tradizione del Paese. In questo ambi-
to il primo nome degno di menzione è quello di Indriði Einarsson
(1851-1939), che fu anche economista coinvolto nella fondazione
delle prime banche islandesi.506
In Norvegia la compresenza di motivi tradizionali e di impulsi
innovatori si constata, niente meno, che in Ibsen medesimo. Presto

498
Vd. sopra, p. 1042.
499
Gestur Pálsson fu anche redattore di giornali come Þjóðólfur (vd. p. 1031) e
Suðri, uscito tra il 1883 e il 1886 (cfr. nota 370).
500
Il vero nome di questo autore è Jón Stefánsson. Lo pseudonimo Þorgils gjallandi
è ripreso da un personaggio della Saga di Egill Skalla-Grímsson, incentrata sulle vicen-
de del celebre scaldo (vd. pp. 306-307 e p. 313). Il soprannome gjallandi significa
“sbraitone”.
501
Una chiara impronta realista hanno anche le opere di Jón Trausti (Guðmundur
Magnússon, 1873-1928) ed Einar Hjörleifsson Kvaran (1858-1938), che fu tra i fonda-
tori di Verðandi. Su di loro: “Jón Trausti” ed “Einar Hjörleifsson Kvaran, rithöfundur”,
in BR, pp. 232-235 e pp. 208-211, rispettivamente.
502
Nr. I, 29, pp. 113-114. Dagskrá, da lui fondato, fu il primo quotidiano islandese.
503
Einar Benediktsson fu anche attivamente coinvolto nella fondazione del Partito
della difesa nazionale.
504
Si tratta della raccolta di poesie Ragazza (Stúlka), uscita nel 1876.
505
Cfr. p. 489, nota 87.
506
Vd. p. 1040.

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1078 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

impegnatosi nell’attività letteraria, Henrik Ibsen aveva ricercato i


primi successi nel solco della tradizione romantico-nazionalistica507
andando ad attingere i propri spunti innanzi tutto fra i temi del
passato norvegese, sapientemente rivitalizzandoli.508 Ma i viaggi
all’estero, così come il contatto con figure prestigiose (non da ulti-
mi Johan Ludvig Heiberg509 e Georg Brandes) faranno maturare
in lui quella consapevolezza sociale che, accompagnandosi all’affi-
namento dell’espressione letteraria, lo porterà a denunciare i
mali della società, svelandone i conflitti mascherati dietro la fac-
ciata delle ipocrisie borghesi.510 Nel che, occorre dirlo, sta la
grandezza ma anche la caducità di un’arte che, se da una parte si
eleva sul piano superiore della costante (quasi esasperata) ricerca
della verità, dall’altra resta (per molti versi quasi fatalmente)
legata alla contemporaneità. Ma la forza dirompente del suo
messaggio teatrale riforma la struttura stessa del dramma che
acquisisce al contempo realismo e modernità, ponendosi come
modello per generazioni di autori. E, pure, il più grande Ibsen va
ricercato nei versi di Brand (1866) e Peer Gynt (1867): ritratto, il
primo, dell’idealista ‘eroico’ tanto immerso nel proprio convin-
cimento da farsene totalmente assorbire fino alla morte e, il
secondo, del vagheggiante sognatore, insensibile ed egoista, che
potrà infine cercare redenzione (e maturazione) solo nella sua
terra e nell’amore della sua donna.511

507
Se si fa eccezione, in primo luogo, per Catilina (uscito nel 1850 sotto lo pseudo-
nimo di Brynjolf Bjarme), un dramma che comunque molto risente delle esperienze
teatrali dei romantici, in particolare di Oehlenschläger (su cui vd. p. 914).
508
Nato a Skien il 20 marzo 1828 in una famiglia agiata, Henrik Ibsen ebbe una
infanzia tranquilla fino a quando, a partire dal 1834, le sorti economiche del padre
subirono un rovescio. Fu dunque poi costretto a cercarsi un lavoro (garzone di far-
macista) dedicandosi al contempo al giornalismo e avvicinandosi all’ambiente del
teatro nel quale troverà la strada che lo condurrà al successo. Dopo essere stato
chiamato dal celebre violinista Ole Bull (vd. pp. 937-938) a lavorare (e a scrivere)
per il teatro di Bergen, egli intraprenderà diversi viaggi all’estero, dove trascorrerà
lunghi periodi (in particolare in Italia). Sposato nel 1858 con Suzannah Thoresen
(1836-1914) avrà da lei il figlio Sigurd (1859-1930); un altro figlio (Hans Jacob
Hendriksen, 1846-1916) aveva avuto in gioventù da Else Sophie Jensdatter Birkedalen
(1818-1892), domestica del farmacista. Acquisita una solida posizione e (per quanto
la sua opera fosse costantemente discussa) un sicuro riconoscimento internazionale,
continuerà a produrre per il teatro fino al 1900, quando si manifesterà (con un primo
ictus) la malattia che progressivamente lo condurrà alla morte, avvenuta a Oslo il 23
maggio 1906.
509
Vd. p. 921.
510
Un primo tentativo in tal senso aveva fatto fin dal 1862 con la Commedia dell’amo-
re (Kærlighedens komedie).
511
Come è noto la figura di Peer Gynt è ripresa dai racconti popolari norvegesi

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Verso le democrazie nordiche 1079

Una produzione letteraria irrimediabilmente ancorata al clima


politico e culturale vissuto dall’autore è, a maggior ragione (a moti-
vo dell’inferiorità dei risultati artistici), quella di Bjørnstjerne
Bjørnson (1832-1910), legato a Ibsen da un’amicizia che si sarebbe
poi incrinata,512 anch’egli approdato alla critica della società bor-
ghese dopo un avvio nel solco della tradizione nazionale. Giorna-
lista, saggista e politico,513 Bjørnson intendeva la letteratura come
strumento di diffusione delle proprie convinzioni morali e delle
proprie idee riformatrici, sicché nella sua produzione letteraria
(pure premiata con il Nobel nel 1903) si avverte chiaramente il
prevalere dell’intento ideologico sulle esigenze dell’espressione
artistica.
Non a caso i più noti lavori di Ibsen e Bjørnson sono stati scrit-
ti per le scene, spazio ideale per dar voce al dibattito sociale. Nella
capitale norvegese un primo teatro pubblico era stato fondato (1827)
da Johan Peter Strömberg (1772-1834), un attore svedese, che a
lungo aveva qui soggiornato,514 iniziativa (per altro ancora per
molti versi dilettantesca) cui aveva portato il proprio entusiastico
contributo Henrik Anker Bjerregaard.515 A esso era seguito (1837)
il vero e proprio ‘teatro di Christiania’516 e (1850) il teatro di Bergen,
voluto dal celebre violinista Ole Bull,517 nel quale tanto Ibsen quan-
to Bjørnson avrebbero potuto ‘fare pratica’. Ma se agli inizi non si
della regione di Gudbrandsdalen (a loro volta probabilmente ispirati a un personaggio
realmente esistito).
512
Un profondo legame aveva unito i due per lungo tempo, tanto che alla nascita
del figlio di Ibsen, Sigurd, Bjørnson era stato scelto come padrino. In seguito tuttavia
i rapporti si guastarono: dopo l’uscita del Peer Gynt infatti Ibsen accusò l’amico di non
averlo adeguatamente difeso nei confronti di Clemens Petersen (1834-1918), influen-
te critico danese molto vicino a Bjørnson, il quale aveva riservato un giudizio piuttosto
severo nei riguardi dell’opera. In ogni caso nel 1892 il figlio di Ibsen avrebbe preso in
moglie proprio una delle figlie di Bjørnson, Bergljot (1869-1953), di professione can-
tante.
513
Convinto scandinavista in gioventù, Bjørnson aveva fatto proprie le idee della
Sinistra e rivolto il suo impegno alla causa norvegese cui si dedicò con foga e passione.
Ostile a qualsiasi tentativo di inglobare definitivamente la Norvegia nel Regno svede-
se, divenne simbolo e punto di riferimento nella lotta per la definitiva indipendenza
(del che testimonia, tra l’altro, la sua battaglia per una bandiera norvegese). Per questa
ragione si adoperò in seguito per la costituzione (1903) del Partito comune (vd. p.
1013). Fu inoltre pienamente coinvolto nella disputa linguistica e convinto sostenito-
re del riksmaal (vd. p. 944 con nota 386).
514
In precedenza c’era stata tutta una serie di iniziative locali con la formazione di
compagnie drammatiche, a partire dalla prima (Det dramatiske selskab i Christiania)
risalente al 1780.
515
Vd. p. 935 con nota 337, p. 941 e p. 1029.
516
Vd. Blanc T., Christiania Theaters Historie 1827-1877, Christiania 1899.
517
Cfr. nota 508.

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1080 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

poteva certo parlare di un ‘teatro nazionale’, tantomeno dal pun-


to di vista linguistico,518 fu proprio il dibattito su questo aspetto
al quale presero parte molti nomi di prestigio della cultura norve-
gese (si ricordino qui almeno Henrik Wergeland, Knud Knudsen
e Peter Andreas Munch),519 a farne luogo privilegiato di discussio-
ne in cui i problemi della ‘norvegicità’ vennero intrecciandosi con
quelli sociali e politici ai quali infine cedettero il passo. Sicché
quando (1899) verrà inaugurato il vero e proprio Teatro naziona-
le (Nationaltheatret), la cui direzione sarà affidata a Bjørnson, il
processo di maturazione avrà prodotto opere di assoluto rilievo
internazionale.
È tuttavia anche su un altro fronte, quello della narrativa, che la
‘letteratura militante’ (così come la intendeva Brandes) darà in Nor-
vegia i propri frutti. Una tendenza che trova espressione non soltan-
to nelle scrittrici che danno voce alle problematiche femminili520 ma
anche nell’impegno di un autore come Alexander Kielland (1849-
1906). Questi, che pure era di estrazione sociale elevata e aveva
ricevuto una educazione borghese, denuncia nei suoi romanzi di
tono realista (certamente le sue opere migliori, pur essendosi egli
misurato anche con il teatro) l’arroganza e l’ipocrisia dei potenti,
l’imposizione di dogmi religiosi, le ingiustizie e le storture sociali.521
Ma nei lavori del contemporaneo Jonas Lie (1833-1908) il realismo
già declina in impressionismo e la riflessione sui problemi della
società e degli individui (non da ultimo le figure femminili) si stem-
pera piuttosto in indagine psicologica e trova nuova linfa nell’inin-
terrotto legame con la tradizione. Del resto, fra i romanzieri norve-
gesi, la ‘militanza’ diventa per taluni piuttosto convinta difesa della
‘norvegicità’ riflessa nella scelta linguistica di avvalersi del landsmaal:
così, soprattutto, Arne Garborg (1851-1924) che, pur aderendo al
518
Vd. sopra, pp. 943-944. Si legga in proposito Seip D.A., “Norsk teaterspråk
før 1850”, in Gjennom 700 år. Fra diskusjonen om norsk språk, Oslo 1954, pp.
46-66 e B erg T h., Debatten om et norsk scenespråk i Christiania 1848-1853. Med
hovedvekt på Knud Knudsen og hans arbeid for et norsk scenespråk ved Den
norske dramatiske Skoles Theater i sesongene 1852/53, Trondheim 1977. Per un
approfondimento si veda anche S kard 1972-1979 (B.5), III, pp. 12-15 e pp.
96-101.
519
Ma anche quello (affatto disgiunto e tutt’altro che irrilevante) sulla scelta delle
opere da rappresentare, in quanto anche in questo caso la preferenza per un autore
anziché per un altro segnalava chiaramente un orientamento culturale ma, al contem-
po, politico.
520
Come la già citata Camilla Collett (vd. p. 1055, con nota 417), ma anche la
scrittrice naturalista Amalie Skram (1846-1905).
521
Su di lui, tra l’altro, Obrestad T., Sannhetens pris. Alexander Kielland. En beret-
ning, Oslo 1996.

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Verso le democrazie nordiche 1081

credo naturalista, resterà in bilico alla ricerca di una soluzione nel


conflitto tra scienza e fede.522
In Svezia un caso emblematico è quello del saggista, giornalista
e scrittore Viktor Rydberg (1828-1895) il quale, pur mostrando
aperture a una letteratura realistica e conducendo una dirompente
polemica contro la Chiesa523 resta ancora legato (anche dal punto
di vista stilistico) alla tradizione (cui affianca l’interesse mitologico
e quello per il mondo classico). Eppure è a lui che si deve una
lunga composizione poetica, destinata a divenire un testo-simbolo
nella letteratura sul proletariato. Il nuovo canto di Grotti (Den nya
Grottesången, 1891) traspone infatti una storia di crudele oppres-
sione tramandata nei miti nordici nella realtà sociale di fine Otto-
cento, paragonando il mulino Grotti, alle cui macine un tirannico
sovrano costringeva giorno e notte senza riposo due gigantesse, alla
‘macchina industriale’ che per la smisurata sete di profitto di pochi
riduce in schiavitù i molti che sono costretti con il loro lavoro a
farla funzionare.524 In ciò dunque sottraendo vigore agli entusiasmi
positivistici: un atteggiamento (ribadito nelle sue ultime opere)525
che proprio verso la fine del secolo spingerà molti alla ricerca di
nuove (per taluni versi vecchie) soluzioni artistiche. Ma si citi qui
anche il poeta (e critico) Ola Hansson (1860-1925) nel cui natura-
lismo lirico (che sconfina in impressionismo) trova spazio il senso
dell’indignazione sociale e della solidarietà nei confronti dei dere-
litti.526 In Svezia non mancano, naturalmente, autrici ‘femministe’
come Anne Charlotte Leffler (1849-1892)527 o l’infelice Victoria
Benedictsson (nata Bruzelius, 1850-1888), autrice di romanzi incen-
trati su intense figure di donne, che avrebbe affidato al suo diario,
522
Prima di lui la ‘nuova’ lingua era stata adottata da Aasmund Olavsson Vinje (1818-
1870), eclettico descrittore di paesaggi così come di sentimenti e riflessioni; vd. Midttun
O., A.O. Vinje, Oslo 19662. Moglie di Arne Garborg era Hulda Bergersen (1862-1934)
impegnata al contempo nella questione sui diritti delle donne e nella conservazione della
tradizione folcloristica norvegese (tra cui si segnala l’interesse per i costumi popolari).
523
Nell’opera dal titolo La dottrina biblica su Cristo (Bibelns lära om Kristus, 1862)
egli infatti negava il dogma della Trinità e la divinità di Cristo. Questo libro, insieme ad
altri – come traduzioni di opere del teologo tedesco David Friedrich Strauss (1808-1874)
e del filosofo francese Ernest Renan (1823-1892) – provocò la reazione delle autorità
religiose e laiche; esso d’altronde era manifestazione di quel ‘liberalismo religioso’ che
già era stato espresso dal filosofo Christopher Jacob Boström (vd. p. 923).
524
Il mito relativo a Grotti, il ‘mulino dell’abbondanza’, è riferito da Snorri Sturluson
nella sua Edda, dove viene riportato l’anonimo Canto di Grotti (Grottasǫngr); vd. p.
295 e inoltre Chiesa Isnardi 20084 (B.7.1), pp. 181-185.
525
Vd. Hedberg A., En strid för det som borde vara. Viktor Rydberg som moder-
niseringskritiker 1891-1895, Uppsala 2012.
526
Vd. Ahlström S., Ola Hansson, Stockholm 1958.
527
Vd. Sylvan M., Anne Charlotte Leffler. En kvinna finner sin väg, Stockholm 1984.

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1082 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

il Grande libro (Stora boken, 1882-1888) le riflessioni di un animo


angosciato, testimonianza di una vita vissuta nella faticosa lotta per
l’autonomia e per il riconoscimento del proprio valore di donna,
tragicamente conclusa col suicidio.528
Pienamente integrato nella contemporaneità e, insieme, da essa
isolato e con essa incompatibile, August Strindberg (1849-1912) è
la figura più complessa (ma anche indiscutibilmente la più grande)
di questo periodo.529 Le diverse espressioni della sua arte (dai
romanzi di impronta naturalistico-realistica530 ai testi in cui propo-
ne un’analisi storica criticamente antitradizionale, dalle liriche ai
drammi sociali e psicologici,531 per finire ai testi in cui è riversata
la sua crisi personale e spirituale) appaiono come le distinte tesse-
528
Dopo due tentativi falliti, legati alla sua infelice situazione matrimoniale, ella si
tolse la vita in un albergo di Copenaghen anche a motivo della freddezza dimostratale
da Georg Brandes, con il quale aveva intrecciato una relazione. Su di lei vd. Böök F.,
Victoria Benedictsson. Minnesteckning, Stockholm 1950.
529
August Strindberg nacque a Stoccolma il 22 gennaio 1849. Di carattere intro-
verso e indocile mostrò, prima di raggiungere il successo letterario, diversi interessi ed
ebbe diverse occupazioni. Sposato per tre volte per tre volte divorziò. La sua attività
letteraria (e, per molti versi, la sua vita) fu costantemente segnata da provocazioni e
conflitti. Si citi qui, almeno, la ben nota “polemica di Strindberg” (Strindbergsfejden)
scatenata da una sua critica pubblica nei confronti del re Carlo XII (vd. pp. 676-681),
un conflitto che andò avanti dal 1910 fino alla morte dello scrittore avvenuta a Stoc-
colma il 14 maggio 1912. Vd. Strindbergsfejden. 465 debattinlägg och kommentarer,
utgivna av H. Järv, förord av J. Landquist, I-II, Staffanstorp 1968.
530
Tra cui non si mancherà di ricordare qui il celeberrimo La stanza rossa. Quadri di vita
di artisti e scrittori (Röda rummet. Skildringar ur artist- och författarlivet, 1879), un’ope-
ra (di immediato successo) che per lo stile innovativo inaugura una nuova era nella nar-
rativa svedese. Si ricordi qui che Strindberg è stato anche un aprezzabile pittore.
531
Con Strindberg il teatro svedese assurge finalmente a un livello artistico di
assoluto rilievo. In precedenza, nonostante la presenza di diversi autori o l’interesse di
sovrani come Gustavo III che vi aveva investito cospicue risorse (vd. Schück – Warburg
19853 [B.4], IV, pp. 451-503), esso era rimasto su un piano di assoluta inferiorità
rispetto ad altri generi letterari. Autori come Carl Israel Hallman (1732-1800, figlio di
Johan Göstaf Hallman su cui cfr. p. 827, nota 667 e p. 834, nota 698), Olof Kexél
(1748-1796), August Blanche (cfr. nota 141 e nota 418), Fredrik August Dahlgren
(1816-1895), Johan Jolin (1818-1884), Frans Hedberg (1828-1908), Ludvig Oscar
Josephson (1832-1899, anche direttore di teatro e regista) e persino il più dotato Josef
Julius Wecksell (cfr. p. 736, nota 253), vanno citati più che altro nel contesto cronolo-
gico dell’evoluzione del teatro svedese, ricordando altresì Emilie Högqvist (1812-1846,
per diversi anni amante del re Oscar I) ed Elise Hwasser (1831-1894) giudicate tra le
migliori attrici del tempo. Punto di svolta nella storia del teatro svedese è considerato
il 1842, anno in cui per iniziativa di Anders Lindeberg (cfr. p. 892) veniva fondato il
Teatro nuovo (Nya Teatern) il che, di fatto, poneva fine al ‘monopolio’ esercitato in
questo ambito dalla Casa reale. Per una storia di questa prima fase (fino al 1842
appunto) vd. Personne N., Svenska teatern, I-VIII, Stockholm 1913-1927; vd. inoltre
Nordensvan G., Svensk teater och svenska skådespelare frå Gustav III till våra dagar,
I-II, Stockholm 1917-1918.

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Verso le democrazie nordiche 1083

re di un mosaico di complicata composizione, immagine irrealiz-


zabile perché mutevole allo sguardo, impossibile da definire perché
sfuggevole e transitoria, seppure focalizzata alla perfezione in cia-
scuna delle sue ‘traduzioni’ letterarie. Una sorta di grande autobio-
grafia, nella quale trovano spazio la critica (e la satira) dell’attuali-
tà (non di rado di ‘taglio’ reazionario o comunque indispettito),532
la riflessione storica, la ricerca mistico-religiosa, l’aperta confessio-
ne (ci si limiti qui a citare Inferno, composto tra il 1896 e il 1897).
Scritti nei quali trova sbocco una personalità prepotente e irrequie-
ta, ribelle e sincera fino all’estremo, segnata nell’intimo da un
profondo disagio non di rado trasformato in profondo dolore. Arte
letteraria che nella perfezione dello stile tutto ciò riesce a compren-
dere esprimendolo sul piano superiore dell’universale umana espe-
rienza.
In Danimarca la letteratura naturalistica dà cospicui frutti nell’ope-
ra di Jens Peter Jacobsen (1847-1885), ateo dichiarato e traduttore di
Darwin assai legato al fratello di Brandes, Edvard:533 nei suoi lavori
tuttavia si possono ancora riscontrare richiami romantici mentre è
assente una vera e propria critica sociale. Come Jacobsen, Holger
Drachmann (1846-1908) è considerato da Brandes uno degli ‘uomini
della rivoluzione moderna’: ma il suo stile innovativo (certamente
condizionato dalle sue ottime qualità di pittore) lo conduce piuttosto
(dopo il periodo rivoluzionario della gioventù) in direzione di una
letteratura nazional-romantica e, insieme, a rigettare il pensiero bran-
desiano. Del resto nel declinare del secolo comincia a manifestarsi una
disillusione tanto ideologica quanto artistica e molti autori sentono la
necessità di percorrere altre strade. I due grandi romanzieri Henrik
Pontoppidan (1857-1943, premio Nobel nel 1917)534 e Herman Bang
(1857-1912) interpretano, ciascuno a suo modo, questo cambiamento

532
Si pensi qui, in primo luogo, a diverse storie di Sposarsi I e II (Giftas I, 1884 e
Giftas II, terminato nel 1885 ma uscito nel 1886) di tono palesemente antifemmini-
sta, la cui stesura non può tuttavia prescindere dalle complesse esperienze matrimo-
niali dell’autore e dal suo irrisolto rapporto con le donne. Si tenga tuttavia conto del
fatto che Strindberg si era espresso in favore del diritto di voto per le donne. Ma si
consideri anche che l’aver trattato il ‘sacro tema’ del matrimonio in forma non con-
venzionale in Sposarsi I portò al sequestro dell’opera da parte delle autorità; nel
successivo processo Strindberg fu tuttavia assolto.
533
Fratello minore di Georg e dell’economista Ernst (1844-1892), Edvard Brandes
(1847-1931) fu scrittore e politico, rappresentante della Sinistra radicale fin dalla sua
fondazione; vd. p. 1110.
534
Riconoscimento condiviso con il poeta, prosatore e drammaturgo danese Karl
Adolph Gjellerup (1857-1919), la cui parabola artistica si muove dall’idealismo roman-
tico al naturalismo per poi rifluire nel neoromanticismo e nel simbolismo.

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1084 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

di clima.535 Il primo passa dagli entusiasmi rivoluzionari della gio-


ventù a una sorta di rassegnazione (anche politica) che lo induce a
un atteggiamento pessimista; il secondo, tormentato per la sua
omosessualità e fragile psicologicamente, esprime il senso della
disgregazione dei valori prima di tutto sul piano personale. Mentre
nuovi poeti – come Viggo Stuckenberg (1863-1905), il simbolista
Sophus Claussen (1865-1931) e l’avversario di Brandes Helge Rode
(1870-1937) – voltano ormai le spalle a qualsiasi suggestione natu-
ralista. Nel che si avverte anche l’influsso della ‘filosofia della vita’
di Ludvig Feilberg (1849-1912) con la sua avversione per l’intellet-
tualismo e il positivismo.
In Norvegia i due romanzieri di maggior spicco, Knut Hamsun
(1859-1952, premio Nobel nel 1920) e Hans Ernst Kinck (1865-
1926), paiono intendere l’arte piuttosto come specchio della vita
interiore. Ma mentre Hamsun (che non nasconderà simpatie per
il nazismo) dichiara esplicitamente il proprio rifiuto del natura-
lismo ed esprime un crescente (e per certi versi esasperato) distac-
co dalla ‘civiltà’, Kinck (grande conoscitore della letteratura ita-
liana) sottolinea piuttosto il contrasto tra l’antica cultura
contadina e la modernità, così come le lotte e il travaglio interio-
re dell’individuo. E mentre nella lirica, accanto ai neoromantici
Vilhelm Krag (1871-1933) e Nils Collett Vogt (1864-1937), si
apprezzano i versi di carattere crepuscolare di Sigbjørn Obstfelder
(1866-1900), il declino di un’era si constata nel drammaturgo
Gunnar Heiberg (1857-1929), il quale – pur considerato allievo
di Ibsen – nelle sue opere dà spazio piuttosto alle atmosfere liri-
che e sentimentali.536
In Svezia la reazione al naturalismo e all’esperienza radicale degli
autori che si riconoscevano nella corrente detta “Giovane Svezia”
(Det unga Sverige)537 trova la propria espressione più completa
nella lirica che annovera poeti di vero talento: Verner von Heiden-
stam (1859-1940), anche prosatore, che riscopre la libertà e la
gioia della fantasia, il sentimento nazionalistico, l’individualismo;538
Gustaf Fröding (1860-1911), il più ‘romantico’ di questa gene-
535
Assai significativa appare anche la parabola di un autore come Johannes Jørgen-
sen (1866-1956) che abbandonato l’estremismo darwinista si avvicina alle tematiche
religiose, approdando alla conversione al cattolicesimo.
536
Né va dimenticato in questa prospettiva il romanziere Tryggve Andersen (1866-1920).
537
Per un approfondimento si rimanda a Tjäder P.A., Det unga Sverige. Åttitalsrörelse
och genombrottsepok / “Young Sweden”. The Eighties’ movement and breakthrough
epoch, Lund 1982.
538
Vd. Björck S., Verner von Heidenstam, Stockholm 19643. Al poeta fu assegnato
il premio Nobel nel 1916.

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Verso le democrazie nordiche 1085

razione;539 Erik Axel Karlfeldt (1864-1931, premio Nobel postumo),540


assai legato al passato svedese così come all’ambiente rurale; Oscar
Levertin (1862-1906) che mostra una straordinaria attenzione alla
forma.541 Anche Bo Bergman (1869-1967) rappresenta bene, nel suo
decadentismo, questo periodo. Ma non si dimentichi la prosa di
alcuni di loro e della sopra citata Selma Lagerlöf542 né quella di Per
Hallström (1866-1960), tanto distante dal bisogno di documentare
quanto capace di indagare con perspicacia (soprattutto nelle sue
esemplari novelle) i contrasti che scuotono l’animo umano.
Anche in Islanda, dove il drammaturgo Jóhann Sigurjónsson
(1880-1919) resta ancora sotto l’influsso di Brandes,543 l’ultima
parte del secolo conosce poeti di talento: tra loro Þorsteinn Erlings-
son e il realista lirico Stephan G. Stephansson (1853-1927), emi-
grato in Canada.544
Nella seconda metà dell’Ottocento, dopo il superbo esempio di
Andersen, ma anche sulla scia di autori meno prestigiosi, prende
l’avvio una specifica ‘letteratura per l’infanzia’,545 che non si basa
esclusivamente sulle raccolte di fiabe e racconti popolari o su
traduzioni di opere straniere, ma vede nuovi autori – si citino qui
il finno-svedese Zacharias Topelius (1818-1898), l’islandese Jón
Sveinsson (1857-1944, più noto come Nonni)546 e la danese Karin
Michaëlis (1872-1950) – impegnati nella composizione di testi
specificamente dedicati.547 Il che riflette, almeno in parte, una

539
Vd. Olsson H., Fröding. Ett diktarporträtt, Stockholm 1967.
540
La ragione dell’assegnazione del prestigioso riconoscimento avvenuta nell’anno
della morte dipende, a quanto pare, dal fatto che in precedenza Karlfeldt aveva rifiu-
tato il premio, essendo egli membro di quella stessa Accademia svedese che designava
il vincitore. Su di lui vd Fogelqvist T., Erik Axel Karlfeldt, Stockholm 19412.
541
Vd. Böök F., Oscar Levertin, Stockholm 1944.
542
Vd. p. 1075 con note 486-487 e p. 1167. Su di lei vd. Wägner E., Selma Lagerlöf,
I-II, Stockholm 1942-1943 ed Edström V., Selma Lagerlöf. Livets vågspel, Stockholm
2002.
543
Va qui tuttavia doverosamente ricordato che questo autore (che scriveva in
islandese ma anche in danese) si era trasferito in Danimarca dove morì a soli trenta-
nove anni a causa della tubercolosi. Il suo lavoro più noto è certamente Bjærg-Ejvind
og hans hustru / Fjalla-Eyvindur (vd. p. 735, nota 248). Vd. “Jóhann Sigurjónsson,
skáld”, in BR, pp. 244-247.
544
Vd. “Stephan G. Stephansson, bóndi og skáld”, in BR, pp. 188-191. Cfr. nota 383.
545
Si pensi alla svedese Wendela Hebbe (1808-1899) la quale, affrontando ostilità
e malevolenza, riuscì a diventare giornalista. A lei si deve un’opera dal titolo Brani
poetici svedesi per la gioventù (Svenska skalde-stycken för ungdom, 1845) che costituisce
un punto di svolta nell’ambito di questo genere di testi.
546
Su Zacharias Topelius vd. p. 1375. Su Jón Sveinsson vd. “Nonni (Jón Sveinsson,
1857-1944)”, in BR, pp. 200-203.
547
In margine si ricordino anche i danesi Hans Vilhelm Kaalund (1818-1885) e Johan

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1086 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

‘nuova’ considerazione del bambino come essere sociale alle cui


esigenze occorre ora prestare maggiore attenzione: idea che deter-
minerà un intenso e importante dibattito pedagogico e che sarà
riassunta da Ellen Key, la quale non esiterà a definire il Novecen-
to come “secolo del bambino”.548

12.4.2. L’impegno dell’artista

Anche sul versante delle arti figurative si constata la persistenza


di motivi ispiratori legati alla tradizione mentre si fanno strada le
nuove correnti. In Danimarca alla straordinaria fioritura della
cosiddetta “età dell’oro” segue una sorta di ‘rallentamento’ che
vede gli artisti indugiare su temi paesaggistici,549 nazionalistici (con
la raffigurazione di scene della vita popolare),550 mitologici551 e
storici,552 ancora (in buona parte) seguendo il dettato del critico

Krohn (1841-1925); le svedesi Laura Fitinghoff (1848-1908), Anna Wahlenberg (1858-


1933) e Anna Maria Roos (1862-1838); i norvegesi Dikken Zwilgmeyer (Barbara
Hendrikke Daae Zwilgmeyer, 1853-1913), considerata una innovatrice del genere,
Barbra Ring (1870-1955), Gabriel Scott (1874-1958, i cui libri per bambini hanno
avuto maggiore fortuna dei testi destinati agli adulti) e anche Ole Haugen-Flermoe
(1878-1956), Marie Andersen (1881-1969), moglie di Knut Hamsun, Halvor Floden
(1884-1956) e Ragnvald Vaage (1889-1966).
548
Vd. p. 1062. E non si dimentichi qui il sopra citato ‘Nils Holgersson’ di Selma
Lagerlöf. Si ricordino inoltre illustratori di testi per l’infanzia come gli svedesi Ivar
Arosenius (vd. sotto, p. 1091), Ottilia Adelborg (1855-1936) che sa ben coordinare i
propri testi con i propri disegni, ed Elsa Beskow (1874-1953), celeberrima; i danesi
Pietro Krohn (1840-1905) che lavorò anche per il fratello Johan (vd. nota 547) e il
pittore Otto Haslund (1842-1917); i norvegesi Louis Moe (1857-1945), trasferitosi in
Danimarca, ed Eivind Nielsen (1864-1939) cui si devono, tra l’altro, i disegni del
celebre Libro illustrato norvegese per i bambini (Norsk Billedbog for Børn) di Elling
Holst (1849-1915), uscito in tre raccolte successive tra il 1888 e il 1903.
549
Si considerino in particolare artisti come Peter Christian Skovgaard (1817-1875)
e Vilhelm Kyhn (1819-1903).
550
Si prendano a esempio i lavori di Johan Thomas Lundbye (1818-1848), Frederik
Vermehren (1823-1910), Christen Dalsgaard (1824-1907) e Julius Exner (1825-1910).
551
Si vedano tra l’altro le opere del pittore e grafico Lorens Frølich (1820-1908) e
di L.A. (Ludvig Abelin) Schou (1838-1867) che si ispira al ‘crepuscolo degli dèi’ (su
cui vd. p. 169 con nota 270). La scelta di motivi mitologici non resta tuttavia limitata
al mondo nordico ma trae ispirazione anche da quello classico, in ciò ricollegandosi al
periodo precedente.
552
Se ne vedano ottimi esempi in pittori come Costantin Hansen (cfr. p. 919, nota 256 e
p. 920, nota 258), autore di un grande dipinto che raffigura l’assemblea costituente del 1848
(Den Grundlovgivende Rigsforsamling; vd. p. 864), eseguito tra il 1860 e il 1864 e conservato
nel Museo di storia nazionale del castello di Frederiksborg a Hillerød in Selandia (Det Natio-
nalhistoriske Museum på Frederiksborg Slot); Wilhelm Marstrand (cfr. p. 919, nota 256, p.
920, nota 258 e p. successiva) i cui celebri affreschi (tra cui quello che ritrae il re Cristiano IV

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Verso le democrazie nordiche 1087

Niels Høyen (1798-1870), riassunto nella celebre conferenza dal


titolo Sulle condizioni per lo sviluppo di un’arte nazionale scandina-
va (Om Betingelserne for en skandinavisk Nationalkonst’s Udvikling)
da lui tenuta il 23 marzo 1844.553 Eppure, già in alcuni pittori (non
da ultimo in Wilhelm Marstrand che apertamente rigettava la
lezione di Høyen) si constata il desiderio di svincolarsi dalla tradi-
zione e di intraprendere nuove strade. Determinante da questo
punto di vista sarà l’insegnamento dei francesi (presso i quali molti
andranno ad apprendere il nuovo credo)554 che introduce nella pit-
tura danese il realismo e il naturalismo. Il contrasto tra tradizione e
innovazione si configurerà, del resto, in una vera e propria ‘azione
di rottura’, con la fondazione (1882) delle Libere scuole di studio
degli artisti (Kunstnernes Frie Studieskoler), aperte anche alle donne,
in diretta opposizione ai metodi convenzionali dell’accademia.555
Così l’arte figurativa danese, pur continuando a prediligere spunti
ispiratori tutto sommato ‘familiari’, si affiderà ora a più attuali cano-
ni espressivi, in diversi casi ricorrendo al colorismo556 e a una diver-
sa interpretazione della luce (e del buio). Nell’ambito della nuova
a bordo della nave Trinità (Christian 4. på Trefoldigheden; cfr. p. 543, nota 65) decorano la
cappella di Cristiano IV nella cattedrale di Roskilde; Carl Bloch (1834-1890) che raffigurò
tra l’altro il re Cristiano II prigioniero a Sønderborg (Christian II i fængslet på Sønderborg
Slot, 1871): un’opera, conservata nel Museo nazionale dell’arte (Statens museum for kunst)
di Copenaghen, ben nota e discussa a motivo dell’interpretazione artistica che avrebbe
condizionato l’analisi storica (cfr. p. 462); Otto Bache (1839-1927) cui si deve la rappresen-
tazione dei congiurati reduci da Finderup dopo l’assassinio del re Erik Klipping (De
sammensvorne rider fra Finderup efter mordet på Erik Klipping Skt. Cæcilienat, 1882; vd. pp.
337-338), quadro che si trova nel Museo di storia nazionale del castello di Frederiksborg.
La pittura ispirata alla storia danese ebbe nuovo impulso dopo l’incendio che nel 1859
devastò proprio questa costruzione: agli artisti vennero infatti commissionati lavori di carat-
tere storico per decorarne le pareti, una volta che la ristrutturazione fosse stata completata.
553
Nel 1847 Høyen (che già era stato tra i promotori della Società dell’arte, vd. pp.
920-921) aveva dato vita all’Associazione per l’arte nordica (Selskabet for Nordisk
Kunst). Particolarmente attento ai dettami artistici di Høyen sembra il pittore Jørgen
Sonne (1801-1890) che tra l’altro realizzò gli affreschi che decorano l’esterno del Museo
di Thorvaldsen a Copenaghen.
554
Maestro prediletto degli artisti danesi fu il pittore Léon Bonnat (1833-1922).
555
Nel 1888 le donne otterranno di potersi iscrivere all’accademia. Uno dei primi
risultati di queste ‘aperture’ sarà, nel 1895, la grande Esposizione delle donne del
passato e del presente (Kvindernes Udstilling fra Fortid og Nutid) tenuta a Copenaghen
e nella quale verranno messi in mostra lavori artistici e artigianali ispirati alla storia
culturale delle donne nordiche; vd. Lous E., Kvindernes Udstilling 1895, Aarhus 2004.
556
Non pare inutile ricordare qui che Georg Brandes, nel saggio dedicato a Jens
Peter Jacobsen, come ‘uomo della rivoluzione moderna’ (vd. p. 1083) definiva questo
autore, unanimemente considerato come uno dei massimi naturalisti danesi, con
queste parole: “Questo è il più grande colorista della prosa contemporanea. Di certo
mai prima d’ora nella letteratura nordica si è dipinto con le parole come fa lui. La sua
lingua è satura di colore. Il suo stile è un accordo di colori” (DLO nr. 174).

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1088 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

scuola si muove un artista come Kristian Zahrtmann (1843-1917),


al quale si riferiranno gli appartenenti al cosiddetto gruppo della
Fionia (Fynboerne),557 la cui pittura della semplice vita quotidiana
non sarà tuttavia esente da severe critiche.558 Verso la fine degli anni
’70 un altro gruppo di artisti individuava nel villaggio di Skagen
(all’estremo nord della penisola dello Jutland) il luogo ideale (a
motivo della particolare luce) per esprimere la propria arte en plein
air in bilico tra realismo e naturalismo: tra di loro il più celebre (e
artisticamente dotato) è forse P.S. (Peder Severin) Krøyer (1851-
1909).559 Nell’ultimo decennio del secolo una nuova iniziativa
‘rivoluzionaria’ segnerà il mondo artistico danese: la fondazione
(1891) della cosiddetta Esposizione libera (Den frie Udstilling),
voluta per permettere a tutti (ivi compresi nomi stranieri prestigio-
si come quelli di Vincent van Gogh e Paul Gauguin) di proporre
al pubblico le proprie opere senza dover sottostare alla rigida
selezione operata dall’accademia. Promotori di questa iniziativa
saranno pittori come Johan Rohde (1856-1935), i coniugi Harald
(1864-1937) e Agnes Slott-Møller (nata Rambusch, 1862-1937),
amici di Georg Brandes, J.F. (Jens Ferdinand) Willumsen (1863-
1958), anche scultore. E, mentre l’impressionismo pare conoscere
in Danimarca un unico vero rappresentante in Theodor Philipsen
(1840-1920), pure partito dal naturalismo, il simbolismo (ancora
una volta di derivazione francese) non tarderà, nell’atmosfera di
disincanto di fine secolo, a trovare spazio proprio in questo ambien-
te, a cominciare dalle opere di Vilhelm Hammershøi (1864-1916),
autentico erede dell’età dell’oro danese, che, almeno in parte, lo
preannunciano. Mentre la pittura di ispirazione religiosa trova un
eccellente interprete in Joakim Skovgaard (1856-1933).560
Anche la scultura risente del nuovo clima: se già con H.W. (Her-
man Wilhelm) Bissen (1798-1868) ci si era potuti lasciare alle spal-
557
Costoro infatti nei primi anni del Novecento costituirono una colonia di artisti
residenti su quell’isola. Fra di loro i nomi di maggior rilievo sono quelli di Johannes
Larsen (1867-1961), Fritz Syberg (1862-1939) e Peter Hansen (1868-1928), ma anche
di pittrici come la moglie di Syberg, Anna (1870-1914), sorella di Peter Hansen e
Christine Swane (1876-1960), sorella di Johannes Larsen e moglie di Sigurd Swane
(1879-1973), anch’egli pittore del gruppo.
558
È nota infatti la polemica nei loro confronti portata avanti da chi considerava il
loro livello artistico troppo ‘popolare’.
559
Altri nomi noti sono quelli dei coniugi Michael (1849-1927) e Anna Ancher (nata
Brøndum, 1859-1935), di Viggo Johansen (1851-1935), di Laurits Tuxen (1853-1927),
ma anche di Holger Drachmann, ben noto come scrittore (vd. p. 1083). Senza dimen-
ticare lo svedese Oscar Björck (1860-1929).
560
In questo campo sarà seguito, con un’impronta più modernista da Niels Larsen
Stevns (1864-1941).

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Verso le democrazie nordiche 1089

le la lezione di Thorvaldsen per ricercare un’arte capace di meglio


adeguarsi al sentimento della nazione,561 si conoscono ora diversi
interpreti delle nuove correnti: così Jens Adolf Jerichau (1816-1883)
le cui opere più mature esprimono un ‘realismo psicologico’, August
Saabye (1823-1916, autore della statua di Andersen collocata nel
parco del castello di Rosenborg a Copenaghen) che approda al
naturalismo, Th. (Johan Carl Henrik Theobald) Stein (1829-1901)
che dà il meglio di sé nelle statue raffiguranti importanti personag-
gi, l’allievo di Bissen Otto Evens (1826-1895), e il figlio di Bissen
Vilhelm (1836-1913). Ma anche simbolisti come Niels Hansen
Jacobsen (1861-1941) che ancora cerca (almeno in parte) ispirazio-
ne nella tradizione scandinava,562 J.F. Willumsen, sopra ricordato,
ed Edvard Eriksen (1876-1959), noto per la celeberrima statua
della Sirenetta (Den lille Havfrue) nel quartiere di Østerbro a Cope-
naghen.
Anche in Svezia, dopo il declino di inizio secolo, la pittura si era
affidata, soprattutto, a temi storici, paesaggistici e di genere, men-
tre la scelta di ricorrere a motivi mitologici aveva determinato, come
sopra si è accennato, una vivace polemica.563 Anche qui il rinnova-
mento sarebbe venuto, innanzi tutto, nello stile e per influsso
delle scuole straniere. Dopo la Germania (che dalla fine degli anni
’40 aveva attratto molti nordici, in particolare nella colonia artisti-
ca di Düsseldorf),564 sarebbe stata (a partire dalla fine degli anni
’60) la volta della Francia, dove i maestri del realismo, del natura-
lismo e dell’impressionismo avrebbero costituito i modelli da imi-
tare per i numerosi pittori svedesi affluiti in quel Paese.565 Una
561
Momento di svolta nel percorso di questo scultore è considerato il monumento
scolpito per la vittoria nella guerra dei tre anni combattuta per i ducati (vd. p. 863) e
collocato a Fredericia nello Jutland meridionale (in quella località il 6 giugno 1849
aveva avuto luogo, nell’ambito di quel conflitto, una battaglia vinta dai Danesi). Cfr.
p. 919, nota 256.
562
Ispirata alla mitologia nordica è anche Anne Marie Carl-Nielsen (nata Brodersen
1863-1945), la prima ‘vera’ scultrice danese, allieva di Saabye (sul quale cfr. p. 919, nota
256).
563
Vd. p. 927, nota 296. In questo contesto va ricordata l’opera di Johan Wilhelm
Carl Wahlbom (1810-1858), molto popolare come pittore di scene a carattere storico
(cfr. p. 561, nota 142) ma anche per i lavori ispirati alla mitologia.
564
Vd. p. 927. In Germania anche l’Accademia delle belle arti (Akademie der Bilden-
den Künste) di Monaco, dove insegnava il celebre Carl Theodor von Piloty (1826-1886),
avrebbe contribuito alla formazione di pittori svedesi come Edvard Perséus (Edvard
Persson, 1851-1890).
565
Già in precedenza diversi artisti svedesi (magari provenienti dalla ‘colonia’ di
Düsseldorf) si erano recati in Francia a studiare. Qui si era trasferito fin dalla fine degli
anni ’30 Per Wickenberg (1812-1846) trovandovi il successo ma anche una morte
prematura.

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1090 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

corrente di idee che anche qui avrebbe determinato una rottura


con la tradizione accademica e la conseguente fondazione (1886)
dell’Associazione degli artisti (Konstnärsförbundet, che avrebbe
anche aperto una scuola), voluta dagli aderenti al gruppo de “I
ribelli” (Opponenterna) alla cui guida si poneva l’energico Ernst
Josephson (1851-1906) che aveva pubblicamente espresso l’insod-
disfazione per i metodi e la politica degli accademici, ritenuti ormai
superati.566 La dura replica di quelli sancì la frattura. Del resto i
‘ribelli’ potevano sbandierare l’esito positivo della mostra allestita
nel 1885 presso il Salone dell’arte di Theodor Blanch (Blanchs
konstsalong) di Stoccolma:567 tra loro i nomi i più prestigiosi sono
quelli dello stesso Josephson, abile colorista, di Carl Larsson (1853-
1919) insuperabile acquarellista ben noto per le delicate e intense
scene di vita familiare, di Karl Nordström (1855-1923), pittore di
paesaggi, di Bruno Liljefors (1860-1939), che rinnova la raffigura-
zione pittorica del mondo animale, di Eugène Fredrik Jansson
(1862-1915), noto per i nudi maschili, ma anche di Anders Zorn
(1860-1920), ritrattista di fama mondiale.568 Sul fronte opposto
restano pittori come Georg von Rosen (1843-1923) che innova la
pittura a tema storico e mitologico;569 Carl Gustaf Hellqvist (1851-
1890), anch’egli autore di celebri quadri ispirati ad avvenimenti del
passato;570 Gustaf Olof Cederström (1845-1933), che pure aveva
studiato a Parigi presso Léon Bonnat.571 La ricerca di spazi ideali
per la pittura è presente anche fra gli artisti svedesi: negli anni ’80
il villaggio di Grez-sur-Loing (a una settantina di chilometri a sud-
est di Parigi) diventa sede di una piccola colonia di pittori, i più
566
Ernst Josephson, anche poeta, fu in seguito colpito da malattia mentale, nel
corso della quale produsse diversi dipinti firmati con i nomi di celebri pittori del pas-
sato. Su di lui vd. Brummer H.H., Ernst Josephson. Målare och diktare, Stockholm 2001.
567
Theodor Blanch (1835-1911), di origini tedesche, fu figura di riferimento per la
vita artistica della capitale svedese. Dopo aver gestito il ristorante dell’Opera (Opera-
källaren), aveva aperto (1868) il Caffè Blanch (Blanch’s Cafè), un locale nel quale si
tenevano concerti. Esso si trovava al piano terreno del cosiddetto Edificio dell’ateljé
(Ateljébyggnaden), realizzato per accogliere gli artisti e le loro opere. Accanto a questa
costruzione, in un ambiente dapprima destinato a uso teatrale, Theodor Blanch aveva
aperto uno spazio espositivo.
568
Vd. Boëthius G., Zorn. Swedish painter and world traveller, Stockholm 1961.
Qui merita una menzione anche Hildur Hult-Wahlin (1872-1904), nata in Finlandia,
il cui quadro Propaganda (Agitation, 1899), conservato nella casa del popolo (Folkets
hus) di Stoccolma, ben esprime il clima nel nascente movimento dei lavoratori.
569
Cfr. p. 477, nota 55.
570
Cfr. p. 469, nota 27; p. 501, nota 127; p. 561, nota 142 e p. 1431, nota 87. Si citi qui
anche il quadro che raffigura la morte di Sten Sture il Giovane nella battaglia di Bogesund
(vd. p. 445) conservato al Museo nazionale (Nationalmuseum) di Stoccolma (1882).
571
Cfr. p. 676, nota 5, p. 678, nota 12 e p. 681, nota 16.

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Verso le democrazie nordiche 1091

importanti dei quali sono i già citati Carl Larsson (che dipingerà qui
i suoi primi acquerelli) e Karl Nordström, mentre l’isola di Dalarö
nell’arcipelago di Stoccolma è in estate una località frequentata da
numerosi artisti.572 Fin dalla metà del secolo il norvegese Adolph
Tidemand aveva ‘scoperto’ il borgo di pescatori di Arild, sulla costa
occidentale della Scania, luogo ideale per la pittura en plein air.573
Qui molti accorsero dalla vicina Danimarca (tra cui P.S. Krøyer) e
dalla Svezia, e negli anni ’80 esso divenne il centro di una intensa
attività artistica:574 vi soggiornarono tra gli altri Gustaf Rydberg
(1835-1933), allievo di Höckert e di Gude e precursore degli impres-
sionisti, Georg von Rosen, Gustaf Cederström, Elisabeth Keyser
(1851-1898), che aveva studiato presso Bonnat, Axel Nordgren,575
Alfred Wahlberg (1834-1906) grandemente apprezzato a livello
internazionale (e considerato fra i migliori pittori svedesi del perio-
do), Nils Kreuger (1858-1930), che era stato a Grez-sur-Loing, e
anche (ma non ultimo!) il principe Eugenio Bernadotte (Eugen
Napoleon Nikolaus, 1865-1947), grande appassionato e sostenitore
dell’arte, mecenate e pittore egli stesso che aveva studiato ed espo-
sto a Parigi.576 E mentre il percorso artistico di Carl Fredrik Hill
(1849-1911), finissimo paesaggista, si perde nei meandri della malat-
tia mentale, altri come Johan Olof Sager-Nelson (1868-1896), Ivan
Johan Gustaf Aguéli (Agelii, 1869-1917) e Ivar Arosenius (1878-1909)
si aprono alle suggestioni del simbolismo (se non del sintetismo), là
dove Karl Nordström, Richard Bergh e Nils Kreuger daranno vita
negli anni ’90 alla cosiddetta “scuola di Varberg” (Varbergsskolan)
che segna il rifiuto della pittura del paesaggio di stile realistico e
appare profondamente influenzata dall’arte di Gauguin.
Nella scultura il realismo viene anticipato in Svezia da John
(Johan) Börjeson (1835-1910) e interpretato da Johan Peter Molin
572
Tra cui Eva Bonnier (1857-1909), Alf Wallander (1862-1914), Anders Zorn,
Richard Bergh (1858-1919). Ma Dalarö è anche meta di diversi scrittori tra cui August
Strindberg.
573
Ottimamente interpretata, fra gli altri, da Per Ekström (1844-1935).
574
In questa località il pittore danese Viggo Pedersen (1854-1926), artista del pae-
saggio, fondò un scuola di pittura.
575
Cfr. p. 927, nota 298.
576
Il principe Eugenio era il quarto e ultimo figlio del re Oscar II e della regina Sofia
(Sophie) di Nassau (1836-1913). Egli è noto con il soprannome di “principe pittore”
(målarprinsen). Più tardi un’altra piccola colonia di artisti (comprendente anche cera-
misti, artigiani del mobile e della tessitura) si raccoglierà presso Arvika (Värmland):
essa è nota come Rackengruppen (Gruppo di Racken, dal nome di un lago a nord di
questa località). Nel 1948 altri artisti si sarebbero lasciati attrarre dal fascino di quella
località formandovi un gruppo: tra loro il grafico Runo Andersson (1906-1981), il
pittore Einar Elmland (1916-1994) e lo scultore Asmund Arle (1918-1990).

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1092 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

(1814-1873) per persistere nella produzione di Carl Eldh (1873-


1954),577 mentre l’allievo di Molin Johannes Frithiof Kjellberg
(1836-1885) resta legato al classicismo. Per Hasselberg (1835-1910),
appartenente al gruppo dei “ribelli” e ben conscio della funzione
sociale dell’arte, si dimostra il più bravo ad apprendere la lezione
dei francesi; Theodor Lundberg (1852-1926) esprime un intenso
realismo; Christian Eriksson (1858-1935) si distingue per l’origina-
lità creativa.
La tendenza dell’arte scandinava a internazionalizzarsi mante-
nendo al contempo uno stretto legame con i tradizionali temi di
ispirazione (motivi storici, scene di vita quotidiana, paesaggio nor-
dico, ritratti) e la ricchezza artistica che ne deriva, si manifestano in
modo esemplare nella pittura norvegese della seconda metà dell’Ot-
tocento. Adolph Tidemand, che era stato attivo a Düsseldorf dive-
nendo punto di riferimento per molti (in Scandinavia e non solo),578
rappresenta ancora al meglio, per più di due decenni, la capacità di
tradurre in immagini quella ricerca dell’identità nazionale che
nell’Ottocento segna in maniera tanto evidente l’atmosfera cultu-
rale dei diversi Paesi: tanto più in Norvegia dove le molte ragioni
politiche ma anche i privilegiati spunti paesaggistici offerti da una
natura superba (e per molti versi coincidente con l’idea stessa di
patria) spingevano in quella direzione.579 Sicché non fa meraviglia
che un pittore di talento come Erik Werenskiold (1855-1938), che
interpreta il naturalismo in chiave nazionalistica, si dedichi a illu-
strare la raccolta di fiabe popolari di Asbjørnsen e Moe580 o un’edi-
zione ‘popolare’ della Heimskringla di Snorri Sturluson (con tra-
duzione dello studioso del medioevo Gustav Storm, 1845-1903),
un testo nel quale l’elemento leggendario convive con quello sto-
rico.581 Impronta fortemente nazionalista ha, del resto, anche la
577
Ben nota è la statua che rappresenta Strindberg (collocata nel parco di Tegnér-
lunden a Stoccolma) come un titano incatenato alla ‘roccia della società’ riprendendo
un’immagine che lo scrittore aveva dato di se stesso ispirandosi a un quadro di Mårten
Winge (vd. p. 927) del 1863, esposto al Museo nazionale (Nationalmuseum) di Stoc-
colma, dove è raffigurato il maligno Loki, dio e demone allo stesso tempo, incatenato
a una roccia fino alla fine del mondo (sul mito relativo vd. Chiesa Isnardi 20084 [B.7.1],
p. 162 e pp. 246-247).
578
Cfr. p. 927, nota 298 e pp. 937-938.
579
Una interpretazione molto personale del paesaggio norvegese è quella di Lars
Hertervig (1830-1902), finito purtroppo nel gorgo della malattia mentale.
580
Vd. p. 933 con nota 328. In questo lavoro collaborò con lui Theodor Kittelsen
(1857-1914), artista molto noto in Norvegia.
581
Alle illustrazioni per il testo lavorarono anche Halfdan Egedius (1877-1899), un
talento scomparso troppo prematuramente, Christian Krohg (vd. poco oltre), Gerhard
Munthe (1849-1929), Eilif Peterssen (1852-1928) e Wilhelm Wetlesen (1871-1925).

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Verso le democrazie nordiche 1093

pittura di Peter Nicolai Arbo (1831-1892) per il quale la storia e la


mitologia sono primarie fonti di ispirazione,582 così come quella di
Oscar Arnold Wergeland (1844-1910), noto soprattutto per il
dipinto che raffigura l’assemblea costituente di Eidsvoll (1882-
1885).583 Il passaggio da temi nazional-romantici a una pittura di
tipo realistico si constata innanzi tutto nel già citato Johan Fredrik
Eckersberg584 e in Carl Fredrik Sundt-Hansen (1841-1907) che
aveva studiato a Düsseldorf (non però con Tidemand) e a Parigi:
l’influsso delle scuole straniere, ora in particolare di quella france-
se, è ben evidente anche in Norvegia. E anche qui si ricercano
‘luoghi ideali’ per la pittura en plein air:585 uno di questi è l’arcipe-
lago settentrionale delle Lofoten, rappresentate da numerosi artisti
tra cui Otto Sinding (1842-1909), Eilert Adelsteen Normann (1848-
1918) e Betzy Akersloot-Berg (1850-1922) a lungo vissuta nei
Paesi Bassi. In Norvegia realismo e naturalismo appaiono in pittu-
ra per molti versi sovrapponibili (o, quantomeno, sentiti come tali):
il più convinto rappresentante di questa corrente è certamente
Christian Krohg, sopra ricordato come scrittore,586 il quale non
mancò di tradurre la sua condanna dell’ipocrisia borghese anche
in forma visiva, seppure la sua produzione pittorica non si limiti a
opere di denuncia sociale. Nell’ambito di questa corrente anche
Fritz Thaulow (1947-1906) che si ritrovava con diversi artisti a
Modum (Buskerud), in quella che fu definita, con enfasi eccessiva,
Accademia della pittura en plein air (Friluftsakademiet) di Modum,
piuttosto invece un’occasione per scambiarsi esperienze. Tra di loro
Jørgen Sørensen (1861-1894) e Karl Jensen-Hjell (1862-1888),
prematuramente scomparsi (il primo ha lasciato soprattutto pae-
saggi, non di rado invernali, il secondo anche scene di interni) e
Gustav Wentzel (1859-1927) che nel 1882 fu tra gli organizzatori della

L’edizione è: Snorre Sturlasøn, Kongesagaer, Kristiania 1899. Sulla Heimskringla vd.


p. 321. Nel contesto dell’interpretazione artistica dello ‘spirito norvegese’ va anche
citato (seppure resti su un piano inferiore) Nils Bergslien (1853-1928) che si ispira a
motivi della vita popolare.
582
Si veda del resto il libro da lui illustrato Immagini della storia norvegese (Billeder
af Norges Historie, tegnede af P.N. Arbo og ledsagede af en kort oplysende Text af P.A.
Munch, Christiania 1860).
583
Il quadro è conservato nella sede del parlamento norvegese. Sull’assemblea di
Eidsvoll vd. sopra, pp. 872-873. Il pittore era imparentato alla lontana con Nicolai
Wergeland (fratello del suo nonno paterno) e suo figlio Henrik (vd. p. 873, nota 50,
p. 876 e pp. 930-931).
584
Vd. sopra, p. 937.
585
I primi artisti norvegesi a dedicarsi a questo tipo di pittura erano stati Amaldus
Nielsen (1838-1932) e Frederik Collett (1839-1914).
586
Vd. sopra, p. 1064, nota 451.

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1094 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

Mostra degli artisti (Kunstnernes Utstilling) allestita per protesta


contro l’Associazione artistica di Christiania che con troppa seve-
rità (e sulla base di rigide norme) respingeva molte opere.587 Anche
qui, dunque, si operò una netta frattura. Ma il nome più prestigio-
so fra tutti è certamente quello di Edvard Munch (1863-1944) che
resta il pittore norvegese più conosciuto e ammirato all’estero.
Partito da un’arte naturalista egli approderà, dopo un soggiorno
parigino finanziato da una borsa di studio statale (1889-1892) e nel
corso del quale sarà influenzato dal simbolismo e dal sintetismo, a
una forma personalissima di espressionismo, anticipando artistica-
mente il ‘dramma esistenziale’ del XX secolo. E quando i suoi
lavori saranno esposti in una mostra del 1892 a Berlino588 ciò rap-
presenterà un punto di svolta per le nuove generazioni e per lui la
fama. Pure Munch resterà per molti un artista isolato e ‘scandalo-
so’, sgradito al gusto tradizionale e borghese, sebbene lo storico
dell’arte norvegese Andreas Aubert (1851-1913) ne avesse da subito
riconosciuto il grande talento. Dal celebre medico Johan Scharffenberg
(1869-1965) egli fu persino ritenuto affetto da problemi psichici.
Ma la sua arte ebbe infine la meglio e Munch fu capace di farsi
riconoscere anche dai contemporanei come il miglior artista nor-
vegese del suo tempo.
Come altrove il neoromanticismo compare in Norvegia nell’ul-
tima parte del secolo, introdotto dai membri del gruppo riunitosi
nell’estate del 1886 a Fleskum nel distretto di Akershus e noto
perciò come “estate di Fleskum” (Fleskumsommeren): oltre a Chri-
stian Skredsvig (1854-1924), padrone di casa, vi erano le pittrici
Kitty Kielland (1843-1914) e Harriett Backer (1845-1932), Gerhard
Munthe, Eilif Peterssen ed Erik Werenskiold. Alcuni di loro avreb-
bero in seguito fatto parte del “circolo di Lysaker” (Lysakerkredsen),
un gruppo di persone stabilitesi in questa località (distretto di
Akershus) e unite dal desiderio di portare avanti un programma
politico-culturale di impronta nazionalistica.589 Un altro artista
nella cui opera si constata il passaggio dal naturalismo al neoro-
manticismo è Thorolf Holmboe (1866-1935), che volentieri raffi-
gura gli scenari del Nord del Paese. Molto apprezzato anche

587
Da allora questa mostra, definita Mostra autunnale (Høstutstilling) è divenuta
un irrinunciabile momento di riferimento nell’ambito dell’arte pittorica norvegese; cfr.
p. 936. Presto al suo interno fu lasciato ampio spazio alle opere realizzate da donne.
588
Nella capitale tedesca, dove resterà fino al 1908, egli frequenterà, tra gli altri,
August Strindberg – che, come si è detto (vd. nota 530), si dedicava anche alla pittura
– di cui realizzerà un ritratto (1896).
589
Tra di loro il celebre esploratore Fridtjof Nansen (vd. pp. 1104-1105).

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Verso le democrazie nordiche 1095

all’estero è Harald Sohlberg (1869-1935) ispirato alla natura e al


paesaggio norvegese.
Dopo l’allievo di Thorvaldsen, Hans Michelsen (1789-1859) e
quello di H.W. Bissen, Christopher Borch (1817-1896), i nomi più
prestigiosi della scultura norvegese sono quelli di Julius Middelthun
(1820-1886) che conserva uno stile classicista;590 Brynjulf Larsen
Bergslien (1830-1898), cui si deve il celebre monumento al re sve-
dese Carlo Giovanni collocato di fronte al castello di Oslo (un’ope-
ra la cui realizzazione aveva acceso vivaci discussioni per le ‘inter-
pretazioni politiche’ che poteva suggerire); il nazional-romantico
Axel Ender (1853-1920), anche pittore; Mathias Skeibrok (1851-
1896) che introduce il naturalismo nella scultura norvegese;591
Valentin Kielland (1866-1944), abile anche nel lavoro del legno, che
raffigura la condizione della povera gente ma anche soggetti reli-
giosi e Ingebrigt Vik (1867-1927), secondo forse al solo Vigeland.592
Gustav Vigeland (1869-1943) è certamente il più noto all’estero fra
gli scultori norvegesi. Dato il doveroso tributo alla storia patria con
busti dei più importanti protagonisti della storia e della cultura del
suo Paese, egli avrebbe raggiunto una grande fama soprattutto con
le numerose realizzazioni (collocate nel parco di Oslo che da lui
prende nome) dove le sue figure si propongono con la loro elo-
quente nudità a esprimere simbolicamente ogni possibile umano
sentimento.593
In Islanda nella seconda metà del XIX secolo si fanno spazio i
primi pittori: Arngrímur Gíslason (1829-1887), un autodidatta
che si ispira soprattutto a temi religiosi; Sigurður Guðmundsson
(1833-1874), il Pittore, anche scrittore e animatore della vita cul-
turale del Paese (fu particolarmente attivo nel teatro);594 Þórarinn
Benedikt Þorláksson (1867-1924), il primo a studiare all’estero e
590
Middelthun è considerato uno dei nomi di prestigio della scultura norvegese:
vd. Gran H., Billedhuggeren Julius Middelthun og hans samtid. En studie i norsk sen-
klassisistik skulptur, Oslo 1946.
591
Vd. Kokkin J., Mathias Skeibrok. Mytologi og realisme, Vanse 2012.
592
Su di lui Brenna A., Billedhuggeren Ingebrigt Vik, [s.l.] 1967.
593
Altri scultori norvegesi degni di una menzione sono il realista Stephan Abel
Sinding (1846-1922), appartenente a una famiglia di artisti; il suo allievo, il discusso
simbolista Gunnar Utsond (1864-1950); il naturalista Anders Svor (1864-1929) e
Ambrosia Theodora Tønnesen (1859-1948), la prima donna norvegese a vivere del
proprio lavoro di scultrice.
594
Fu, tra l’altro, tra i fondatori della Compagnia dello spirito (Leikfélag andans),
più tardi Società della sera (Kveldfélag), una sorta di associazione segreta sorta nel 1861
allo scopo di discutere di temi culturali ma anche di problematiche sociali. Essa cessò
la propria attività nel 1874. Su Sigurður Guðmundsson cfr. p. 1047 con nota 379 e p.
1049.

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1096 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

ad allestire una mostra, che predilige la raffigurazione del pae-


saggio islandese. Pioniere della scultura islandese è Einar Jónsson
(1874-1954) che nelle sue opere ben interpreta lo spirito della
tradizione del suo popolo (e non solo) ma esprime anche un ori-
ginale simbolismo.595
Nella seconda metà del XIX secolo l’architettura scandinava (che
ora deve progettare anche edifici ‘nuovi’ come stazioni ferroviarie,596
alberghi, grandi ristoranti, fabbriche, ma anche ville di facoltosi
privati) mostra una chiara tendenza revivalista che va a cercare
ispirazione dagli stili del passato, applicati a seconda dell’intendi-
mento costruttivo.597 Così, per fare (tra i moltissimi) solo qualche
significativo esempio, lo svedese Emil Viktor Langlet (1824-1898)
disegna in stile neoromanico l’edificio del parlamento norvegese,598
mentre il neogotico (applicato soprattutto in ambito religioso)599
definisce le linee della chiesa di San Paolo eretta tra il 1889 e il 1892
nel quartiere di Grünerløkka a Oslo su progetto di Henrik Bull
595
Assai celebri sono la statua che raffigura il primo colono Ingólfr Arnarson col-
locata nel centro di Reykjavík e quella (Útlagar) che raffigura un ‘fuorilegge’ che tra-
sporta verso valle il corpo della moglie morta per darle degna sepoltura e tiene in
braccio il figlio mentre il cane procede accanto a loro (l’opera originale si trova nel
museo dedicato a questo artista: Listasfan Einars Jónssonar). Su Ingólfr Arnarson vd.
pp. 147-148; sui ‘fuorilegge’ p. 213 (e anche la storia di Fjalla-Eyvindur riportata alle
pp. 731-735). Vd. “Einar Jónsson, myndhöggvari”, in BR, pp. 236-239.
596
 In Svezia diverse tra le stazioni di importanti città (non da ultima la capitale)
furono progettate da Adolf Wilhelm Edelsvärd (1824-1919) coadiuvato da Hjalmar
Kumlien (1837-1897); la prima stazione di Oslo (Østbanestasjonen), aperta nel
1854, fu realizzata dal tedesco Heinrich E. Schirmer (1814-1887) e da Wilhelm
von Hanno (1826-1882), successivamente toccò a Georg Andreas Bull (1829-1917),
fratello del celebre violinista Ole (vd. pp. 937-938) e padre di Henrik (di cui poco
oltre), il compito di disegnare diverse stazioni norvegesi, ma anche a Ivar Næss
(1878-1936). La prima stazione di Copenaghen (1847) si deve forse a Harald Conrad
Stilling (1815-1891), la seconda (aperta nel 1864) a Johan Daniel Herholdt (1818-
1902; cfr. nota 603). La stazione di Roskilde (che insieme a quella costruita nella
capitale è la prima del Paese) si deve a un architetto di cognome Meyer, per altro
non identificato con certezza. Altri architetti danesi attivi in questo campo sono
Vilhelm Carl Heinrich Wolf (1833-1893), Thomas Arboe (1837-1917) ed Emil
Wenck (1851-1936).
597
Il passaggio a questa nuova fase si constata già nel danese Michael Gottlieb
Birckner Bindesbøll, padre di Thorvald (1846-1908), anch’egli architetto e creatore di
oggetti d’arte.
598
A lui si deve anche una serie di chiese a pianta circolare, edifici noti come “chie-
se centrali” (centralkyrkor) che (rifacendosi a modelli romanici e bizantini) si basano
sul presupposto che il culto di Dio e la proclamazione della sua parola (elemento
assolutamente rilevante nella dottrina luterana) debbano costituire il fulcro dell’espe-
rienza religiosa al quale tutti possano attingere in ugual misura.
599
Esso risulta utilizzato già da Carl Georg Brunius (1792-1869), per la verità più
storico dell’arte che architetto.

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Verso le democrazie nordiche 1097

(1864-1953) e quelle della chiesa di San Giovanni nel centro di


Stoccolma commissionata a Carl Oskar Möller (1857-1933) e inau-
gurata nel 1890; in Danimarca Ferdinand Meldahl (1827-1908)
ricostruisce il castello di Frederiksborg seguendo i canoni del
rinascimento e riceve l’incarico (grazie ai fondi messi a disposizio-
ne dall’industriale Tietgen)600 di completare finalmente la chiesa
barocca voluta da Federico V accanto al palazzo di Amalienborg e
a suo tempo progettata da Nicolai Eigtved ma mai portata a termine;601
mentre Emil Axel Berg (1856-1929) rinnova la residenza di
Bregentved (presso Haslev in Selandia) in stile neorococò. A questa
tendenza all’imitazione, assai diffusa, si collega il dibattito sulla
ristrutturazione delle opere preesistenti – e non manca chi (come lo
svedese Helgo Zettervall, 1831-1907, allievo di Fredrik Wilhelm
Scholander)602 ritiene di poterne reinterpretare lo ‘spirito autentico’ –
così come quello sull’utilizzo dei materiali.603 Ma la ricerca dell’i-
spirazione nel passato significa anche adesione allo spirito nazional-
romantico, il che si constata, per esempio, in una costruzione come
il municipio di Copenaghen, disegnato da Martin Nyrop (1849-1921)
o nella comparsa di costruzioni norvegesi in legno che riprendono
le forme delle stavkirker.604 Naturalmente la varietà degli stili cui
ci si ispira, magari sapientemente (ecletticamente!) combinati nel-
la realizzazione di una medesima opera, si traduce in una parallela
varietà dei risultati. Un quadro nel quale i più ricettivi – si pensi a
esempio allo svedese Ferdinand Boberg (1860-1946),605 al sopra
citato norvegese Henrik Bull, al danese Hack Kampmann (1856-
1920) – non mancano di inserire le nuove tendenze straniere, a
partire dall’art nouveau (come fa il norvegese Johan Osness, 1872-
1961), evolvendo verso una maggiore autonomia artistica. Il che

600
Vd. p. 981.
601
Su Nicolai Eigtved vd. pp. 845-846 con nota 756. La chiesa è popolarmente nota
come “Chiesa di marmo” (Marmorkirken). A Meldahl si deve anche la costruzione del
palazzo in cui ha sede il parlamento islandese a Reykjavík (Alþingishúsið).
602
Vd. p. 928 con nota 303.
603
In Danimarca Johan Daniel Herholdt (1818-1902), cui si deve tra l’altro la
Biblioteca universitaria realizzata in stile neogotico, enfatizzò l’uso del mattone come
caratteristica propria dell’architettura nazionale. Cfr. nota 596.
604
Questa tendenza viene definita “stile del drago” (dragestil in bm, drakestil in nn)
poiché volentieri fa ricorso all’elemento decorativo costituito da teste di drago, tipico
di diverse stavkirker ma presente anche sulla prua delle navi vichinghe. Parallelamen-
te va citata la corrente stilistica, interpretata in primo luogo da Holm Hansen Munthe
(1848-1898), che si ispira all’architettura nordica del passato, in particolare alle case
signorili delle grandi fattorie. Sulle stavkirker vd. pp. 270-272.
605
Ferdinand Boberg era sposato con la figlia dell’architetto Frederik Wilhelm
Scholander, Anna (1864-1935), pittrice di talento.

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1098 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

anche in questo caso si riflette in un contrasto nei riguardi del


tradizionale insegnamento accademico.606
Tranne qualche realizzazione di pregio, come il Palazzo del
parlamento (realizzato nel 1881),607 o qualche casa in stile neoclas-
sico, in Islanda l’architettura conosce in questo periodo soprattut-
to la costruzione di chiese in legno, in sostituzione di quelle prece-
dentemente realizzate con l’utilizzo della torba.

Il rinnovamento del clima culturale toccò, naturalmente, anche


la musica la quale nella seconda metà dell’Ottocento conosce l’af-
fermazione di due grandi nomi: quello del danese Carl Nielsen e,
soprattutto, del norvegese Edvard Grieg. In Svezia, seppure non
ci siano musicisti di così alto livello, lo spirito nazional-romantico

606
Il numero degli architetti scandinavi della seconda metà del XIX secolo è dav-
vero cospicuo: per un approfondimento si rimanda dunque alla letteratura critica in
materia. Qui ci si dovrà limitare ad aggiungere alcuni dei nomi più prestigiosi. Fra i
danesi: Jens Vilhelm Dahlerup (1826-1907) e Ludvig Peter Fenger (1833-1905), figure
di punta dell’architettura revivalista; Hans Jørgen Holm (1835-1916), esponente dello
stile nazional-romantico; Albert Jensen (1847-1913), che realizzò in stile neorinasci-
mentale il Magasin du Nord di Copenaghen; Andreas Lauritz Clemmensen (1852-1928),
tra i pionieri del cosiddetto “stile del palazzo” (palæstil, fondato su una commistione
di elementi classici e rococò); Peder Vilhelm Jensen-Klint (1853-1930), cui si deve la
Chiesa di Grundtvig (Grundtvigs Kirke) a Copenaghen, che nel 1909 sarebbe stato tra
i fondatori della Libera associazione degli architetti (Den frie Architektforening) in
opposizione all’accademia; H.B. (Hermann Baagøe) Storck (1839-1922), impegnato
in numerosi restauri; Thorvald Jørgensen (1867-1946) cui fu affidata la ricostruzione
in stile neobarocco del castello di Christiansborg dopo un secondo incendio nel 1884
(cfr. p. 919). Fra gli svedesi: Frans Gustaf Abraham Dahl (1835-1927), che disegnò
l’edificio della Biblioteca reale (Kungliga biblioteket) di Stoccolma; Adolf Vilhelm
Kjellström (1834-1932), attivo soprattutto a Örebro; Gustaf Petterson (1855-1933) cui
furono affidati molti lavori di restauro; Agi (August) Lindegren (1858-1927) cui si deve
la Chiesa di Gustavo Vasa a Stoccolma in stile neobarocco; Axel Johan Anderberg
(1860-1937) che ebbe l’incarico di progettare il nuovo palazzo dell’Opera (realizzato
in stile neobarocco e inaugurato nel 1898) in sostituzione di quello fatto erigere in
precedenza da Gustavo III (vd. p. 847); Aron Johansson (1860-1936) che completò il
Palazzo del parlamento (Riksdagshuset) e quello della Banca nazionale (Riksbanken)
a Stoccolma; Fredrik Lilljekvist (1863-1932) cui si deve il Teatro reale (Kungliga
dramatiska teatern) nella capitale; Isak Clason (1856-1930) che disegnò in stile rina-
scimentale l’edificio in cui è collocato il Museo nordico (Nordiska Museet, istituzione
fondata nel 1873 dal filologo ed etnologo Artur Hazelius, 1833-1901). Tra i norvegesi:
Christian Heinrich Grosch (1801-1865) che si affida al neoromanico e al neogotico;
Eilert Christian Brodtkorb Christie (1832-1906) cui fu commissionato il restauro del
duomo di Trondheim; Rudolf Emanuel Jacobsen (1879-1937) che progettò l’imponen-
te Ufficio postale centrale della capitale norvegese.
607
Vd. sopra, nota 601.

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Verso le democrazie nordiche 1099

è interpretato in primo luogo da Johan August Söderman (1832-


1876), mentre Ivar Kristian Hallström (1826-1901), maestro di
canto e compositore, dà l’avvio all’opera svedese (tale non soltanto
per il tema ispiratore quanto per il tono nazionale e popolare della
musica) e Ludvig Norman (1831-1885) si propone con spirito
profondamente innovatore, come dimostra non solo la sua produ-
zione artistica ma anche l’attiva partecipazione al dibattito teorico
e la rifondazione (insieme a Ivar Hallström e al cantante Julius
Günther, 1818-1904) della Società armonica (Harmoniska sällskapet)
nel 1860.608 Autori più giovani sono Andreas Hallén (1846-1925),
che combina l’influsso d’una formazione tedesca con l’ispirazione
nazional-romantica, Emil Sjögren (1853-1918), assai apprezzato
all’estero, Tor Aulin (1866-1914) e Wilhelm Stenhammar (1871-
1927) componenti di un celebre quartetto;609 Wilhelm Peterson-
Berger (1867-1942) e Hugo Alfvén (1872-1960) che restano legati
a una musica ‘patriottica’.610
In Danimarca nella seconda metà dell’Ottocento prosegue la
composizione di romancer,611 il cui stile musicale si riflette ora anche
sulla composizione di musica religiosa. Un ‘tono danese’ si ricono-
sce del resto anche nelle opere di Asger Hamerik (1843-1923),
seppure egli avesse a lungo studiato e vissuto all’estero;612 di C.F.E.
(Christian Frederik Emil) Horneman (1840-1906) si ricordano,
oltre alle composizioni, le iniziative in campo musicale con lo sco-
po di ampliare il repertorio e suscitare interesse verso diverse forme
espressive,613 e mentre August Enna (1859-1939) continuerà a com-
porre testi di sapore romantico fino alla morte, un tono nazionali-

608
Una precedente Società armonica era sorta nel 1820 ma la sua attività era poi
venuta esaurendosi finché essa fu sciolta nel 1865. La nuova Società armonica cessò
di esistere nel 1880 quando lo stesso Norman diede vita, insieme a Vilhelm Svedbom
(1843-1904), musicista a sua volta e segretario dell’Accademia musicale, all’Associa-
zione musicale (Musikföreningen), tuttora attiva.
609
Noto come Aulinska kvartetten. Vi suonarono tra gli altri Carl Axel Bergström
(1864-1907) e Carl Christian Magnus Sandqvist (1860-1938).
610
Di Hugo Alfvén è assai celebre, in particolare, la rapsodia Veglia di mezza estate
(Midsommarvaka, 1903). Su di lui si rimanda a Hedwall L., Hugo Alfvén. En svensk
tonsättares liv och verk, Stockholm 1973.
611
Si consideri un autore come Peter Heise (1830-1879), ma anche il più giovane
Peter Erasmus Lange-Müller (1850-1926).
612
Anche il figlio di Hamerik, Ebbe (1898-1951), sarà un apprezzato compositore,
soprattutto di musiche per il teatro.
613
In particolare la fondazione della società cui venne dato il nome della musa
protettrice della musica, Euterpe (1865), nella quale si voleva dare spazio alla musica
nordica e dell’Associazione per i concerti (Koncertforeningen, 1874). Alla costituzione
di Euterpe prese parte anche Edvard Grieg.

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1100 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

stico caratterizza anche il più dotato Hakon Børresen (1876-1954).


Ma il più grande nome della musica danese (non solo di questo
periodo) è certamente quello di Carl Nielsen (1865-1931), nella cui
opera (in particolare le celebri sinfonie) l’eredità della tradizione e
le sue tecniche (che egli mostra di conoscere a fondo) si accordano
con la tensione verso la modernità (che fa un uso del tutto nuovo
della tonalità) producendo risultati tanto originali quanto equili-
brati. Carl Nielsen è anche considerato un innovatore del canto
popolare.614
L’altro grande nome della musica scandinava nella seconda metà
dell’Ottocento è quello – ancor più celebre – del norvegese Edvard
Grieg (1843-1907). Per quanto avesse studiato all’estero e benefi-
ciato dell’opportunità di frequentare maestri come Johan Peter
Emilius Hartmann, Niels Gade615 e, più tardi, addirittura, Franz
Listz, Grieg resta fondamentalmente uno straordinario interprete
dello spirito norvegese. Una posizione facilmente comprensibile,
se si considera il clima culturale di quel Paese nell’Ottocento. Le
sue musiche destinate ad accompagnare opere di Bjørnson e di
Ibsen616 (in particolare la superba interpretazione del Peer Gynt),617
così come i brevi ma intensi Pezzi lirici (Lyriske stykker, 1867-1901)
per pianoforte ma anche la gran parte delle altre composizioni (non
sempre ‘ligie’ ai dettami della tecnica) denotano una profonda
sensibilità artistica e la capacità di esprimere al meglio lo spirito
della tradizione nazionale dalla quale egli trae proficua ispirazione.
Negli anni giovanili a Copenaghen Grieg aveva stretto amicizia con
Rikard Nordraak (1842-1866), che molto lo aveva influenzato
nella ricerca di un percorso musicale autenticamente norvegese.618
Sebbene morto giovanissimo Nordraak è noto per la musica dell’in-
no nazionale, ma anche per composizioni ispirate alla storia e alla
patria.619 Profondamente legato alle radici norvegesi è anche Catha-
rinus Elling (1858-1942) che tra l’altro porta avanti la ricerca delle
melodie popolari: Elling si pone nel novero dei seguaci di Listz e
Wagner, tra i quali il più dotato (e quello che mostra maggiore

614
Carl Nielsen era sposato (in un matrimonio spesso problematico) con la scultri-
ce Anne Marie Brodersen (cfr. nota 562).
615
Vd. p. 921.
616
Vd. pp. 1077-1078 e p. 1079, rispettivamente.
617
Musiche per il Peer Gynt erano state scritte nel 1870 anche dal compositore
svedese Johan August Söderman, esse però non furono eseguite.
618
Non si dimentichi in questo contesto l’attività di ricerca e la rielaborazione di
musiche popolari fatta da Ludvig Mathias Lindeman (vd. p. 938, con note 354 e 355).
619
Vd. sopra, p. 1029.

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Verso le democrazie nordiche 1101

autonomia) è certamente Christian Sinding (1856-1941).620 Amico


di Grieg è il direttore d’orchestra Johan Svendsen (1840-1911), le
cui composizioni (che accordano con maestria tecnica le potenzia-
lità dei diversi strumenti) mostrano piuttosto l’apertura verso oriz-
zonti esterni.621 Assai nota per le bellissime romanze è anche la
pianista Agathe Backer Grøndahl (1847-1907).
In Islanda il risveglio culturale del XIX secolo coinvolge, sep-
pure in misura ancora limitata, anche l’ambito musicale. Qui
vanno ricordati Pétur Guðjohnsen (1812-1877) che introduce nel
Paese le nuove tendenze nel canto (in primo luogo quello religio-
so ma non solo), Sveinbjörn Sveinbjörnsson (1847-1927), che
aveva studiato e soggiornato all’estero ed è noto soprattutto come
autore della musica che accompagna l’inno nazionale622 e Bjarni
Þorsteinsson che raccolse le melodie popolari islandesi.623 Più
tardi Sigfús Einarsson (1877-1939) darà un notevole impulso al
canto corale e comporrà arrangiamenti di musica folcloristica.624

12.4.3. Uomini di scienza e di avventura

In un periodo che conosce il trionfo del positivismo e della fede


nel progresso tecnologico anche la Scandinavia può vantare un gran
numero di istituzioni e di scienziati di considerevole levatura.625 In
questa sede è evidentemente impossibile seguire nel dettaglio gli
sviluppi delle ricerche nei diversi campi: tuttavia limitandosi a
ricordare i nomi più prestigiosi si dovrà anche osservare come un
‘metodo autenticamente scientifico’ venga ora definitivamente
applicato anche in ambiti disciplinari più propriamente umanistici.
Qui non si può infatti tralasciare (almeno) la citazione di studiosi
di grande prestigio internazionale, come i danesi Karl Verner (1846-
620
Ma si citino anche Johan Selmer (1844-1910), il primo a comporre musica a
programma, Ole Olsen (1850-1927), Gerhard Schjelderup (1859-1933), Hjalmar
Jensen (o Jenson) Borgstrøm (1864-1925).
621
Molto influenzato da Grieg, ma soprattutto da Svendsen, è Johan Halvorsen
(1864-1935).
622
Vd. sopra, p. 1049. Su di lui vd. “Sveinbjörn Sveinbjörnsson, tónskáld”, in BR,
pp. 180-183.
623
Su di lui vd. “Bjarni Þorsteinsson, tónskáld”, in BR, pp. 216-219.
624
Su di lui vd. Gísladóttir S., Sigfús Einarsson, tónskáld, Reykjavík 1972.
625
Tra le società scientifiche sorte nella seconda metà del secolo si citino qui la
prestigiosa Società delle scienze (Videnskabsselskabet, fondata nel 1857 a Christiania)
che nel 1924 muterà la propria denominazione in Accademia norvegese delle scienze
(Det Norske Videnskaps-Akademi) e la Società islandese di archeologia (Hið íslenzka
fornleifafélag) costituita a Reykjavík nel 1879.

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1102 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

1896), il linguista che formulò l’omonima legge relativa alla fone-


tica del germanico,626 e Jens Jacob Asmussen Worsaae (1821-1885),
l’archeologo che applicò agli scavi il metodo stratigrafico, ma anche
l’islandese Guðbrandur Vigfusson (1827-1889) straordinario pro-
motore della letteratura antico-nordica a cui si deve la fondamen-
tale raccolta dal titolo Corpvs poeticvm boreale, del 1883, nella
quale è compresa tutta la produzione poetica in norreno fino al
XIII secolo.627
Naturalmente anche sul piano più ‘tecnicamente’ scientifico non
mancano studiosi di grande valore: se il più celebre resta il già
citato Alfred Nobel,628 molti altri si sono guadagnati un posto nel-
la storia delle diverse discipline, come il norvegese Sophus Lie
(1842-1899), matematico di fama internazionale, il celebre geneti-
sta svedese Nils Herman Nilsson-Ehle (1873-1949) o i danesi Rasmus
Malling-Hansen (1835-1890), cui si deve la realizzazione di una
macchina per scrivere, Valdemar Poulsen (1869-1942) che nel 1898
626
La ‘legge di Verner’ integra la cosiddetta ‘legge di Grimm’ (che regola il passag-
gio delle consonanti dall’indoeuropeo al protogermanico), formulata da Jacob Grimm
(1785-1863) nella prima parte della sua Deutsche Grammatik (edizione del 1822)
sulla base di precedenti osservazioni di Friedrich Schlegel (1772-1829) e di Rasmus
Rask (vd. p. 604, nota 351 e p. 823 con note 648 e 649). Essa fu esposta da Verner
nell’articolo “Eine Ausnahme der ersten Lautverschiebung”, comparso sulla rivista
Zeitschrift für vergleichende Sprachforschung auf dem Gebiete der indogermanischen
Sprachen, XXIII (1877), pp. 97-138.
627
Ma molti altri andrebbero menzionati. Come spunto per ulteriori indagini si
nominano di seguito almeno i più noti. Fra gli storici: Holger Frederik Rørdam (1830-
1913), danese, studioso in particolare della Chiesa; Martin Weibull (1835-1902), sve-
dese, ‘capostipite’ di una vera e propria famiglia di storici di prestigio come i suoi figli
Lauritz (1873-1960) e Curt (1886-1991) e il nipote Jörgen (1924-1998); Gustav Storm
(1845-1903), studioso del medioevo, e Johan Ernst Sars (vd. pp. 1017-1018 con nota
249), norvegesi. Fra i linguisti e i filologi: il romanista danese Kristoffer Nyrop (1858-
1931); gli svedesi Knut Fredrik Söderwall (1842-1924) impegnato tra l’altro nella
redazione del dizionario dell’accademia (vd. p. 820 con nota 629), Axel Kock (1851-
1935) studioso di storia della lingua svedese, Adolf Noreen (1854-1925), esperto di
antico nordico ed Erik Brate (1857-1924), che diede un notevolissimo apporto allo
studio delle rune; i norvegesi Sophus Bugge (1833-1907), che si interessò di rune e di
poesia, Alf Torp (1853-1916) che con Hjalmar Falk (1859-1928) lavorò a un dizionario
etimologico dano-norvegese (Falk – Torp 1910, in Bibliografia: B.5); l’islandese Finnur
Jónsson (1858-1934; cfr. p. 948, nota 405) esperto di letteratura antico nordica che
portò un fondamentale contributo all’edizione di antichi manoscritti (a lui si deve, tra
l’altro, la raccolta di tutti i versi degli scaldi: vd. Skj). Fra gli archeologi (oltre a Worsaae):
gli svedesi Bror Emil Hildebrand (1806-1884), suo figlio Hans (1842-1913) e Oscar
Montelius (1843-1921); il norvegese Oluf Rygh (1833-1899). E, infine, lo storico delle
religioni danese Vilhelm Grønbech (1873-1948) e lo storico della letteratura svedese
Henrik Schück (1855-1947) la cui opera (Schück – Warburg 19853, in B.4) è stata in
questo lavoro più volte citata.
628
Vd. p. 992 con nota 161.

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Verso le democrazie nordiche 1103

brevettò il registratore a filo e Peter Laurits Jensen (1886-1962,


emigrato negli Stati uniti), inventore dell’altoparlante.629
Qui pare tuttavia opportuno soffermarsi piuttosto sui diversi
pionieri impegnati in progetti e spedizioni, in quanto le loro impre-
se seppero suscitare un enorme interesse anche fra la gente comune,
la quale sentendosi coinvolta con ammirazione ed entusiasmo fu
compartecipe del clima di assoluta fiducia nelle ‘illimitate’ possibili-
tà della scienza e della tecnica che caratterizza questa fase storica.
Già da tempo molti nordici (si pensi a esempio agli ‘apostoli di
Linneo’)630 avevano compiuto viaggi di studio (e di esplorazione) in
Paesi lontani:631 una scelta che ora spingeva alcuni a tentare avven-

629
Si ricordino qui inoltre, in primo luogo, almeno quelli le cui ricerche hanno
ottenuto il riconoscimento del Nobel (data di assegnazione indicata tra parentesi): i
danesi Johannes Fibiger (1867-1928) noto per le ricerche sul cancro (1926), August
Krogh (1874-1949) premiato per gli studi di fisiologia (1920) e Henrik Dam (1895-1976)
medico scopritore della vitamina K, premiato (1943) insieme allo statunitense Edward
Adelbert Doisy (1893-1986); gli svedesi Svante Arrhenius (1859-1927), chimico che
studiò il fenomeno dell’elettrolisi (1903); Allvar Gullstrand (1862-1930), studioso di
oftalmologia (1911), Nils Gustaf Dalén (sopra citato, vd. p. 992), ingegnere e fisico che
realizzò strumenti per l’utilizzo industriale del gas (1912), Hans von Euler-Chelpin
(1873-1964), nato in Germania, biochimico premiato (1929) insieme all’inglese Arthus
Harden (1865-1940), Theodor Svedberg (1884-1971), chimico, per gli studi sui sistemi
dispersi (1926), Manne Siegbahn (1886-1978), per le ricerche sulla spettrografia (1924)
e Arne Tiselius (1902-1971) per le ricerche sull’elettroforesi (1948). E tuttavia (per non
fare torto ai norvegesi e agli islandesi!) si nomineranno (tra i primi) anche il matemati-
co Ludwig Sylow (1832-1918); Christian H.G. Olsen (1835-1921), grande divulgatore
di astronomia; Kristian Birkeland (1867-1917) che individuò il processo che genera il
fenomeno dell’aurora boreale (cfr. p. 1028, nota 291); Cato Maximilian Guldberg
(1836-1902) che insieme al cognato Peter Waage (1833-1900) enunciò la legge di azio-
ne di massa; (tra i secondi) il geologo e geografo Þorvaldur Thoroddsen (1855-1921),
uno dei maggiori scienziati islandesi (su di lui: “Þorvaldur Thoroddsen, landfræðingur”,
in BR, pp. 192-195), l’etnologo Jónas Jónasson (1856-1934), il botanico Stefán Stefánsson
(1863-1921) e Bjarni Sæmundsson (1867-1940), pioniere della biologia marina. Ma non
si tralascino i danesi Julius Thomsen (1826-1909), internazionalmente noto per gli
studi di termochimica, Ludvig Lorenz (1829-1891), studioso dei fenomeni luminosi,
che riuscì a determinare il valore corretto della velocità della luce, Wilhelm Hellesen
(1836-1892) che realizzò le batterie a secco, Emil Christian Hansen (1842-1909), che
scoprì il lievito per produrre la birra, Eugenius Warming (1841-1924) pioniere dell’eco-
logia; né lo svedese Carl Edvard Johansson (1864-1943) che realizzò il blocchetto pian
parallelo. Per i molti altri si rimanda alla letteratura critica, in primo luogo a Kragh
2008 (B.8), Kjærgaard 2006, Lindroth 1952 (C.10.4).
630
Vd. p. 782, nota 451.
631
Si ricordino in questo contesto (tra gli altri) lo zoologo danese Henrik Nikolai
Krøyer (1799-1870) che tra il 1838 e il 1839 aveva preso parte a una spedizione fran-
cese alle isole Svalbard e successivamente viaggiato nelle Americhe; il botanico svede-
se Nils Johan Andersson (1821-1880) che aveva compiuto un itinerario intorno al
mondo; l’anglo-svedese Karl (Charles) Johan Andersson (1827-1867), esploratore in
Africa; lo scienziato svedese Oskar Sandahl (1829-1894) che aveva visitato l’Egitto e

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1104 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

ture straordinarie. Negli anni tra il 1878 e il 1880 l’esploratore finno-


svedese Adolf Nordenskiöld (1832-1901) – che in precedenza aveva
compiuto viaggi in Groenlandia,632 alle isole Svalbard633 e in Siberia –
a bordo della nave Vega, al comando del capitano Louis Palander
(1842-1900), era riuscito pur incontrando notevolissime difficoltà634
a trovare un passaggio a nord-est ed era ritornato in Scandinavia
dopo aver costeggiato tutta l’Asia, attraversato il canale di Suez e lo
stretto di Gibilterra e puntato verso nord lungo le rotte atlantiche.
Ma la grande sfida era ora costituita dal raggiungimento dei poli.
Il 24 giugno 1893 lo studioso di oceanografia norvegese Fridtjof
Nansen (1861-1930), che già aveva alle spalle una traversata della
Groenlandia con gli sci (1888), a bordo della nave Fram (significa-
tivamente “Avanti”) lasciò il porto di Christiania facendo rotta
verso settentrione. Dopo una lunga navigazione e un’altrettanto

l’Algeria e più tardi Sven Anders Hedin (1865-1952; cfr. nota 206), anch’egli svedese,
che avrebbe portato a termine lunghe spedizioni nell’Asia centrale, così come il dane-
se Ole Olufsen (1865-1929); un altro danese, Anders Barclay Raunkiær (1889-1915),
ha lasciato interessanti resoconti di un viaggio in Arabia.
632
Per le esplorazioni della Groenlandia vd. pp. 1457-1458.
633
Come è stato detto le isole Svalbard (o Spitsbergen, vd. p. 754 con nota 320)
erano già note almeno dalla fine del XVI secolo, tuttavia venivano frequentate soprat-
tutto per la caccia alle balene. Dal punto di vista scientifico esse erano state visitate una
prima volta nel 1758 dall’allievo di Linneo, il botanico Anton Rolandsson Martin (1729-
1785). Successivamente (1827) il geologo norvegese Balthasar Keilhau (1797-1858) le
aveva raggiunte a bordo di una nave allestita dal tedesco Barto von Löwenigh (1799-1853);
dieci anni dopo (1836-1837), nel corso di un viaggio che aveva compreso anche la
regione di Finnmark, vi era arrivato il biologo marino svedese Sven Lovén (1809-1885).
Successivamente fu la volta del geologo Otto Torell (1828-1900) il quale a partire dal
1858 visitò alcune volte le isole (particolarmente importante per i risultati scientifici fu
la spedizione da lui organizzata nel 1861): costoro possono essere considerati i pionieri
dei viaggi scientifici nelle zone artiche. Il primo a circumnavigare l’arcipelago fu, nel
1863, il norvegese Elling Carlsen (1819-1900), cacciatore di foche e trichechi; egli suc-
cessivamente avrebbe fatto parte della spedizione austro-ungarica che avrebbe scoperto
la Terra di Francesco Giuseppe. Negli anni 1882-1883 vi fu una spedizione svedese
guidata da Nils Gustaf Ekholm (1848-1923). Alle Svalbard fu anche Alfred Nathorst
(1850-1921), svedese, uno dei più eminenti paleontologi della sua epoca. Nordenskiöld
aveva visitato l’arcipelago insieme a Torell nel 1858 e nel 1861 ma vi tornò in seguito.
Quattro spedizioni alle Svalbard furono organizzate anche dal principe Alberto I di
Monaco (1848-1922) negli anni 1898-1907. Alle ultime due diede il proprio contributo
il norvegese Gunnar Isachsen (1868-1939) che in seguito avrebbe guidato viaggi di
ricerca finanziati dal governo del suo Paese (1909 e 1910); un compito poi affidato ad
Alfred Hoel (1879-1964) che aveva lavorato sia con il principe di Monaco sia con Isachsen
stesso. Studiosa della flora delle isole fu la norvegese Hanna Resvoll-Holmsen (1873-
1943) cui si deve la pubblicazione degli importanti risultati delle proprie ricerche.
634
Un quadro dipinto nel 1886 dal pittore Georg von Rosen (vd. p. 1090) e con-
servato al Museo nazionale (Nationalmuseum) di Stoccolma raffigura l’esploratore in
piedi sul mare ghiacciato con alle spalle la sua nave rimasta imprigionata.

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Verso le democrazie nordiche 1105

lunga deriva, insieme a Hjalmar Johansen (1867-1913) avrebbe


tentato di raggiungere il Polo Nord con le slitte trainate dai cani:
essi tuttavia poterono spingersi solo fino a una latitudine di 81° 13’
6’’. Il che nulla tolse alla loro impresa.635 Più tardi l’esploratore
svedese Salomon August Andrée (1854-1897) progettò di sorvolare
il Polo Nord con la mongolfiera Örnen (L’aquila) per poi atterrare
in Alaska. Il primo tentativo (1896) fallì praticamente subito, men-
tre il secondo ebbe conseguenze tragiche. Andrée e i suoi due
compagni di viaggio636 (che non avevano adeguatamente preparato
la spedizione e per di più avevano sottovalutato rilievi e ammoni-
menti) viaggiarono in balia delle correnti aeree e dopo tre giorni la
loro mongolfiera precipitò sui ghiacci. Essi resistettero per tre mesi
tentando di raggiungere uno dei depositi di cibo che erano stati
predisposti, ma finirono sull’isola di Kvitøya dove morirono nel mese
di ottobre. I loro resti furono ritrovati casualmente solo nel 1930.637
Meta altrettanto ambita era la conquista dell’Antartide. Qui si impe-
gnò nuovamente Adolf Nordenskiöld che nel 1901 partì con la nave
Antarctic al comando del capitano norvegese Carl Anton Larsen (1860-
1924): la spedizione ebbe esito sfortunato in quanto la Antarctic
fu stritolata dai ghiacci e i membri del gruppo (che, oltre tutto, era
rimasto diviso in due) poterono salvarsi solo grazie ai soccorsi invia-
ti da parte argentina. Una ventina d’anni dopo avrebbe avuto inizio
la celebre (e ben più fortunata) avventura del norvegese Roald
Amundsen (1872-1928) che già poteva vantare, tra l’altro, d’aver
finalmente trovato il passaggio a nord-ovest (1903-1906).638 Egli fu il
primo (in competizione con l’inglese Robert Falcon Scott, 1868-1912)
a raggiungere il Polo Sud (14 dicembre 1911).639 In precedenza un

635
A Fridtjof Nansen che, lo si ricordi, faceva parte del “circolo di Lysaker” (vd. p.
1094) sarà assegnato nel 1922 il premio Nobel per la pace per la sua attività come alto
commissario per i rifugiati e per l’impegno con cui aveva combattuto gli effetti della
gravissima carestia russa del 1921.
636
Si trattava dell’ingegnere Knut Frænkel (1870-1897) e del fotografo Nils Strindberg
(1872-1897) le cui immagini, rinvenute (insieme ai diari) col ritrovamento dei corpi,
rendono documentata testimonianza di un’avventura conclusasi in tragedia. Alla
spedizione avrebbe dovuto partecipare Nils Gustaf Ekholm (cfr. nota 633) il quale
tuttavia, in contrasto con Salomon August Andrée, si era ritirato dopo il fallimento del
primo tentativo ed era stato sostituito da Frænkel.
637
A questa vicenda è ispirato il romanzo documentaristico di Per Olof Sundman
(vd. p. 1264) dal titolo Il volo dell’ingegner Andrée (Ingenjör Andrées Luftfärd, 1967).
Essa inoltre è stata tradotta in versione cinematografica (vd. p. 1194, nota 311).
638
Più tardi (1918-1920) egli avrebbe attraversato con successo (ma anche con
molte difficoltà) il passaggio a nord-est.
639
Sulla data vd. oltre, nota 644. Della spedizione di Amundsen faceva parte anche
Hjalmar Johansen, compagno di Nansen nel cammino verso il Polo Nord. Tra i pionie-

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1106 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

altro norvegese, lo zoologo Nicolai Hanson (1870-1899), aveva preso


parte a un viaggio esplorativo in quei luoghi, la cosiddetta Spedizio-
ne della Croce del Sud (Southern Cross Expedition), guidata dall’an-
glo-norvegese Carsten Borchgrevink (1864-1934),640 trovandovi tut-
tavia la morte a causa, a quanto pare, di una malattia intestinale. Roald
Amundsen non si sarebbe accontentato del suo successo: dopo qual-
che tentativo fallito, il 12 maggio 1926, come noto, avrebbe sorvola-
to il Polo Nord a bordo del dirigibile Norge insieme all’italiano
Umberto Nobile (1885-1978) e al finanziatore americano Lincoln
Ellisworth (1880-1951). Più tardi, nonostante le incomprensioni e i
difficili rapporti con Nobile, egli non avrebbe esitato a prendere
parte in prima persona alle ricerche dei sopravvissuti al disastro del
dirigibile Italia, ma l’idrovolante sul quale si trovava scomparve in
mare il 18 giugno del 1928 e di lui non si seppe più nulla.
La tragica fine di Amundsen lega lo spirito di avventura di questi
uomini anche alla nascita dell’aviazione sulle cui potenzialità molti di
loro facevano affidamento. Anche la Scandinavia ebbe i propri pio-
nieri in questo campo come (solo per ricordarne alcuni) i danesi Jacob
Ellehammer (1871-1946) che dal 1905 fece esperimenti con la sua
“nave dell’aria” (luftskib), Robert Svendsen (1884-1938) che fu il
primo a volare sull’Øresund (1910), Anders Peter Botved (1895-1964)
che nel 1926 avrebbe coperto in volo una lunghissima tratta dalla
Danimarca alla Malesia (e ritorno); gli svedesi Carl Richard Nyberg
(1858-1939) che fin dal 1899 aveva provato a volare con un piccolo
aereo da lui personalmente costruito e battezzato La mosca (Flugan),
Carl Cederström (1867-1918) il “barone volante” (flygbaronen),
primo svedese a ottenere il brevetto di pilota,641 Oscar Ask (1883-
1916) e Hjalmar Nyrop (1885-1915) che sul modello del Blériot XI

ri dell’Antartico si ricordino qui il belga Adrien de Gerlache (1866-1934) a capo (1887-


1889) di una spedizione (di cui faceva parte anche Amundsen) i cui componenti per la
prima volta trascorsero l’inverno oltre il circolo polare; il tedesco Erich von Drygalski
(1865-1949) che fu il primo a esplorare l’Antartico orientale; lo scozzese William Bruce
(1867-1921) che installò una stazione metereologica permanente nelle Orcadi meridio-
nali; il francese Jean Baptiste Charcot (1867-1936) che ottenne importantissimi risultati
scientifici; il giapponese Nobu Shirase (1861-1946) il primo a capo di una spedizione
non europea; il tedesco Wilhelm Filchner (1877-1957) che si proponeva di attraversare
l’Antartide; l’australiano Douglas Mawson (1882-1958) che aveva rifiutato di partecipa-
re all’avventura di Scott; l’anglo-irlandese Ernest Henry Shackleton (1874-1922) che nel
corso di un quarto viaggio in quelle regioni morì di infarto mentre la sua nave aveva
raggiunto le coste della Georgia del Sud; l’inglese Aeneas Mackintosh (1879-1916)
scomparso nella tempesta polare insieme a un compagno.
640
Già nel 1895 questi aveva compiuto un viaggio in quella regione.
641
Nel 1910 egli aveva eseguito una prima dimostrazione di volo nella zona di
Ladugårdsgärdet (Gärdet) a Stoccolma davanti a un folto pubblico.

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Verso le democrazie nordiche 1107

realizzarono un apparecchio che ebbe nome La cavalletta (Gräshop-


pan); i norvegesi Einar Lilloe Gran, ingegnere che provò a costruire
il primo aereo nel suo Paese642 e Trygve Gran (1888-1980), compo-
nente della spedizione di Scott in Antartide, il quale fu il primo a
volare sul Mare del Nord dalla Scozia alla Norvegia (1914). Senza
dimenticare Elsa Andersson (1897-1922) “l’ardita ragazza di Scania”
(den käcka skånskan) e la danese Harriett Maybell (1906-1971), moglie
del pilota Christian Førslev (1891-1959), prime donne a ottenere il
brevetto di pilota,643 così come i molti avventurosi che (come nei casi
famosi sopra citati) si affidarono a palloni aerostatici o dirigibili.

Dopo il ritorno dalla spedizione che aveva raggiunto il Polo Sud Roald
Amundsen redasse un resoconto dal titolo Il Polo Sud. Il viaggio al Polo
Sud con [la nave] Fram nel 1910-1912 (Sydpolen. Den norske sydpolsfærd
med Fram 1910-1912, 1912) che fu presto tradotto in altre lingue ed ebbe
larga diffusione. Si riporta qui il brano che riferisce dell’arrivo alla meta
tanto ostinatamente perseguita:

“Il 14 [dicembre] la rilevazione di mezzogiorno diede 89° 37’ di latitu-


dine sud, 89° 38.5’ di latitudine sud dopo aver fatto il punto. Ci fermammo
nel pomeriggio dopo aver coperto 8 miglia geografiche e ci accampammo a
89° 45’ di latitudine sud [secondo il calcolo risultante] dopo aver fatto il
punto. Durante la mattinata il tempo era stato bello come prima; nel pome-
riggio ci furono alcune spruzzate di neve da sud-est.
Quella sera nella tenda era come la vigilia di una festa. Si poteva avver-
tire che qualcosa di grande era alle porte. La nostra bandiera era stata di
nuovo tirata fuori e sbatteva come prima contro le stesse 2 racchette da sci.
Poi fu arrotolata e messa da parte, pronta all’uso. Restai sveglio diverse
volte durante la notte, e avevo allora la medesima sensazione che posso
ricordare avevo da bambino l’antivigilia di Natale – la notte prima della
vigilia – una eccitata attesa di ciò che stava per accadere. Per il resto credo
che quella notte abbiamo dormito proprio bene come le altre.
La mattina del 15 [dicembre]644 il tempo era davvero bellissimo, proprio
642
Di lui è stato possibile reperire solo scarse notizie: vd. Lindtveit Th. – Thoresen
G., På vingene over Norge. Bilder fra flyhistoriens barndom, redigert av F.P. Nyquist,
Oslo 1980, pp. 39-40.
643
Nel 1920 e 1932, rispettivamente.
644
Questa data è indicata nella relazione pubblicata in lingua norvegese dalla qua-
le è tratto il presente brano. In realtà dalla versione inglese risulta la data (comune-
mente accettata) del 14 dicembre (vd. The South Pole. An Account of the Norwegian
antarctic Expedition in the “Fram”, 1910-1912, by Roald Amundsen, translated from
the Norwegian by A.G. Chater, with Maps and numerous Illustrations, in two volumes,
London 1912, II, p. 120).

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1108 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

come se fosse stato predisposto per l’arrivo al Polo. Non sono del tutto
sicuro, ma credo che abbiamo fatto colazione un po’ più in fretta del solito
quel giorno rispetto ai precedenti, e che fossimo più lesti a uscire dalla ten-
da, sebbene debba ammettere che questo avveniva sempre con tutta l’auspi-
cabile rapidità. Ci disponemmo nell’ordine consueto: l’apripista, Hanssen,
Wisting, Bjaaland e il secondo apripista.645 A mezzogiorno avevamo raggiun-
to 89° 53’ di latitudine sud secondo [il calcolo risultante dopo aver fatto] il
punto e ci preparammo ad affrontare il resto in un’unica tappa. Alle 10 del
mattino si era alzata una leggera brezza da sud-est e si era rannuvolato,
sicché non potemmo prendere l’altezza meridiana. Ma lo strato di nuvole
non era spesso, e di quando in quando potevamo intravedere il sole. Quel
giorno il fondo era un po’ irregolare. A volte gli sci avanzavano bene, ma a
volte avevamo difficoltà. Quel giorno si procedeva nello stesso modo mec-
canico dei precedenti. Non si parlava molto ma gli occhi erano usati al
massimo. Il collo di Hanssen quel giorno come i precedenti era lungo il
doppio, da quanto lo stirava e distendeva per vedere se possibile qualche
millimetro più avanti. Prima di partire gli avevo chiesto di scrutare attenta-
mente ed egli lo faceva al massimo. Ma per quanto scrutasse e osservasse al
massimo non poteva vedere altro se non l’infinita e piatta distesa davanti
[a noi]. I cani avevano smesso di fiutare, e sembrava che non si interessas-
sero più alle regioni attorno all’asse del mondo.
Alle 3 del pomeriggio un simultaneo “Alt!” risuonò dai guidatori. Essi
avevano esaminato attentamente i loro contachilometri646 e tutti mostrava-
no la distanza calcolata – il nostro Polo facendo il punto. La meta era rag-
giunta, il viaggio finito. Io non posso dire – sebbene sappia che ciò avrebbe
fatto un ben più grande effetto – che avevo raggiunto l’obiettivo della mia
vita. Direi una bugia piuttosto e apertamente. Devo invece essere onesto e
ammettere direttamente che io non credo che nessuno si sia mai trovato in
un luogo così diametralmente opposto alla meta dei suoi desideri come ero
io in quel momento. Le regioni attorno al Polo Nord – sì accidenti! – lo
stesso Polo Nord mi avevano attratto sin dall’infanzia e ora io mi trovavo
al Polo Sud. Si può immaginare qualcosa di più antitetico?
Calcolavamo ora, di essere al Polo. Naturalmente ognuno di noi sapeva
che non eravamo sul punto esatto – sarebbe stata una cosa impossibile da
determinare con il tempo e gli strumenti a nostra disposizione. Ma vi era-
vamo così vicini che i pochi chilometri che probabilmente ci separavano da
esso non potevano avere la benché minima importanza.

645
I compagni d’avventura che con Amundsen raggiunsero il Polo Sud erano
Helmer Hanssen (1870-1956), Oscar Adolf Wisting (1871-1936), Olav Bjaaland (1873-
1961) e Sverre Hassel (1876-1928).
646
In norvegese, per la precisione, distansehjul, vale a dire una piccola ruota prov-
vista di contatore che veniva applicata alle slitte per misurare il percorso effettuato.

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Verso le democrazie nordiche 1109

Era nostra intenzione inscrivere questo accampamento in un cerchio con


un raggio di 18.5 chilometri ed essere soddisfatti del nostro lavoro quando
fosse finito. Dopo esserci fermati ci riunimmo per congratularci fra di noi.
Avevamo buone ragioni di reciproco rispetto per quanto era stato realizzato,
e io credo, che fosse proprio ciò che sentivamo e che esprimemmo con i pugni
forti e decisi che ci scambiammo.
Dopo questo primo gesto passammo all’altro, il più importante e più
solenne di tutto il viaggio – piantare la nostra bandiera. Amore e orgoglio
brillavano in quelle 5 paia di occhi che osservavano la bandiera, mentre essa
con una schioccata si dispiegò nella fresca brezza e sventolò sul Polo.”647

647
DLO nr. 175.

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Capitolo 13

Il secolo tormentato: i Paesi scandinavi tra la prima


e la seconda guerra mondiale

13.1. Dalla difficile neutralità al coinvolgimento obbligato

Lo scoppio della prima guerra mondiale trovò la Danimarca in


una situazione di obiettiva debolezza rispetto alle grandi potenze
in conflitto. Per il Paese era vitale mantenere buone relazioni sia
con la Germania sia con l’Inghilterra. Il governo radicale, sostenu-
to dai socialdemocratici, optò naturalmente per una posizione di
neutralità e tuttavia a fronte di una situazione tanto problematica
ci si trovò obbligati ad accettare dei compromessi. Da una parte si
dovette aderire alla richiesta tedesca di minare lo stretto che sepa-
ra la Selandia dalla Fionia (Storebælt) per impedire un attacco
della flotta inglese, dall’altra i partiti furono costretti a una tregua
politica, anche perché lo scoppio della guerra aveva provocato il
panico nella popolazione. Il problema della difesa che aveva diviso
la destra dalla sinistra (e la sinistra al suo interno) era ora superato
dallo stato dei fatti e si dovette mobilitare l’esercito e la flotta.
Grazie anche all’abilità del ministro degli esteri, Erik Scavenius
(1877-1962) fu possibile destreggiarsi nelle relazioni con le poten-
ze in conflitto e mantenere i vitali rapporti commerciali. Fu tuttavia
necessaria una severa politica economica gestita dal ministro delle
finanze Edvard Brandes e dal ministro dell’interno Ove Rode (1867-
1933).1 Nonostante il perdurare della guerra fu comunque ripreso
il dibattito sulla revisione costituzionale. Il principale pomo della
discordia era il sistema di elezione del Senato che, così come pre-
visto, favoriva in sostanza i conservatori. In proposito vennero
effettivamente apportate delle modifiche (in primo luogo fu con-

1
Ove Rode era fratello maggiore dello scrittore Helge Rode (vd. p. 1084).

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Il secolo tormentato 1111

cesso a tutti il diritto di elezione dei rappresentanti di questo ramo


del parlamento), ma una serie di norme fece sì che esso non per-
desse la sua ‘funzione di controllo’ sulla Camera. L’accordo sulla
nuova costituzione fu tuttavia raggiunto ed essa fu sottoscritta dal
sovrano Cristiano X il 5 giugno 1915, ma la sua entrata in vigore
fu rimandata alla fine della guerra. Sebbene non compiutamente
democratica la nuova forma di governo rappresentava un effettivo
passo avanti sulla via della piena parità dei diritti e traduceva nei
fatti un nuovo spirito politico-sociale. Quello spirito che nel mede-
simo anno avrebbe indotto la Destra a riformarsi (liberandosi di
ingombranti retaggi del passato come quello della politica di Estrup)2
per dare vita a un nuovo soggetto politico: il Partito popolare dei
conservatori (Det konservative Folkeparti) che raccoglieva l’adesio-
ne delle sue forze più innovative ma anche di una parte dei membri
della Sinistra moderata e, insieme, di quei Liberi conservatori
(Frikonservative) che nel 1902 proprio dalla Destra si erano sepa-
rati in contrasto con alcune scelte politiche.
L’inasprirsi del conflitto e il coinvolgimento degli Stati uniti
dovevano del resto, suo malgrado, sempre di più coinvolgere il
Paese. Innanzi tutto ci fu la richiesta americana di acquistare (per
ragioni strategiche) le Isole Vergini: si trattava di cedere un’altra
colonia. I partiti di governo erano favorevoli, ma in gran parte
dell’opinione pubblica serpeggiava il dissenso: alla fine la questio-
ne fu demandata a un referendum popolare il cui risultato fu pre-
valenza del sì, ragion per cui nel 1917 le isole furono vendute in
cambio di venticinque milioni di dollari3 e dell’assicurazione da
parte americana della piena sovranità danese sulla Groenlandia
(che veniva in parte rivendicata dai Norvegesi). Nonostante le
speranze di una rapida soluzione del conflitto la guerra andava
avanti e la situazione della Danimarca si complicò: stretta nella
morsa di un embargo totale alla Germania (che di fatto bloccava
la sua economia) e la decisione tedesca di attaccare le navi dirette
verso i porti inglesi (molte delle quali trasportavano merci di pro-
venienza danese) essa venne a trovarsi nel gorgo di una gravissima
crisi economica che ebbe culmine tra il 1918 e il 1919, determinan-
do inflazione, razionamenti, disoccupazione (il cui tasso raggiunse
il 30%) e sommosse. Una situazione che avrebbe potuto sfuggire
di mano ai sindacati e ai socialdemocratici i quali tuttavia nelle
elezioni del 1918 mantennero la maggioranza alla Camera insieme

2
Vd. sopra, pp. 967-968.
3
Corrispondenti a circa quattrocentodue milioni di euro.

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1112 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

ai radicali, sebbene il divario di voti fosse tutt’altro che ampio.4 Tra


i più importanti provvedimenti presi in questo periodo si segnala
una riforma giudiziaria che definì l’importante principio della
separazione dei poteri,5 mentre a coronamento di una lotta durata
decenni il 17 maggio del medesimo anno il sindacato e i datori di
lavoro conclusero un accordo che introdusse la giornata lavorativa
di otto ore. Si consideri che gli eventi russi del 1917 facevano
temere alla borghesia danese (e non solo) che la rivoluzione potes-
se estendersi anche al di fuori di quei confini. La situazione socia-
le restava comunque tesa e molti erano quelli (da una parte e
dall’altra) che non approvavano l’azione del governo, sicché presto
una nuova scintilla (ancora una volta legata alla questione dei
ducati) innescò la crisi. Essa fu tanto grave quanto di breve durata.
La sconfitta della Germania aveva infatti riacceso le speranze
danesi di riappropriarsi dei territori settentrionali e centrali dello
Schleswig: una questione che fu discussa nella conferenza di pace
di Parigi e con il successivo trattato di Versailles demandata agli
esiti di un referendum popolare che fu tenuto il 10 febbraio 1920.6
Per chi aveva sperato in una ricongiunzione completa di quelle
regioni (la borghesia rappresentata dalla Destra e i contadini rap-
presentati dalla Sinistra) l’esito di questa consultazione fu assai
deludente: gli abitanti dello Schleswig centrale votarono in mag-
gioranza per la Germania.7 Questo fatto e l’atteggiamento del
governo socialdemocratico-radicale che parve accettare ‘passiva-
4
Non casualmente (naturalmente anche sull’onda degli avvenimenti russi) nel 1919
venne costituito il Partito socialista di sinistra danese (Danmarks Venstresocialistiske
Parti) che nel 1920 avrebbe mutato la propria denominazione in Partito comunista
danese – Sezione dell’Internazionale comunista (Danmarks Kommunistiske Parti –
Sektion af Kommunistisk Internationale). L’anno precedente l’attivista Marie Nielsen
(1875-1951) in contrasto con la politica dei socialdemocratici aveva fondato, insieme
ad altri radicali, il Partito socialista dei lavoratori (Socialistisk Arbejderparti) che tut-
tavia fu sciolto nel 1919. Una parte degli aderenti confluì nel Partito socialista di
sinistra mentre i membri più intransigenti (come la stessa Marie Nielsen e lo scrittore
Martin Andersen Nexø, su cui vd. oltre, p. 1166) entrarono a fare parte dell’organismo
sindacale Associazione dell’opposizione di categoria (Fagoppositionens Sammenslutning),
fondato nel 1910, di carattere marcatamente rivoluzionario. Questi militanti manten-
nero stretti rapporti con l’Unione sovietica e l’Internazionale.
5
Lov om rettens pleje, emanata l’11 aprile 1916 ed entrata in vigore il 1 ottobre
1919.
6
The Treaty of Peace between the allied and associated Powers and Germany, The
Protocol annexed thereto, the Agreement respecting the military occupation of the ter-
ritories of the Rhine, and the Treaty between France and Great Britain respecting Assist-
ance to France in the event of unprovoked aggression by Germany. Signed at Versailles,
June 28th, 1919, London 1919: Parte III, Sezione XII, artt. 109-111 in particolare.
7
Vd. p. 1424.

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Il secolo tormentato 1113

mente’ il risultato determinò la volontà di farlo cadere. Così con


una mossa a sorpresa la Sinistra e i conservatori votarono per lo
scioglimento delle camere e l’indizione di nuove elezioni, trovando
appoggio nel re Cristiano X che dichiarò decaduto il ministero
Zahle e affidò l’incarico al giurista Otto Liebe (1860-1929) il qua-
le, pur non appartenendo alla classe politica, manifestava un chia-
ro indirizzo conservatore. Questa decisione scatenò violente pro-
teste e una vera e propria crisi istituzionale complicata da conflitti
sindacali (con minaccia di serrata da parte dei datori di lavoro). La
decisione del sovrano fu considerata da molti un abuso di potere
e da qualche parte si arrivò a invocare la caduta della monarchia e
l’istituzione della repubblica: fu proclamato lo sciopero generale
(motivato da duplici ragioni sindacali e politiche) e ci furono dimo-
strazioni di piazza. Alla fine Cristiano X fu costretto a destituire il
governo guidato da Liebe (rimasto in carica per soli cinque giorni)
al cui posto fu nominato Michael Petersen Friis (1857-1944) che
godeva di considerazione fra tutti gli schieramenti politici: egli ebbe
l’incarico di condurre il Paese a nuove elezioni non prima di aver
approvato una nuova legge elettorale (con la quale tra l’altro sareb-
be stato introdotto il sistema proporzionale). Questa decisione
arrivò dopo una nottata di intense consultazioni il 4 aprile, dome-
nica di Pasqua. Ventidue giorni dopo si sarebbero svolte le elezio-
ni che avrebbero visto l’affermazione della Sinistra e l’avanzata
dei socialdemocratici. Il successivo governo fu guidato da Niels
Neergaard, rappresentante della Sinistra.8 Per quanto di breve
durata la cosiddetta “crisi di Pasqua” (Påskekrisen) avrebbe lascia-
to un solco profondo nella storia politica danese e la monarchia ne
sarebbe uscita fortemente indebolita.
La conclusione del conflitto mondiale aveva fatto sperare che la
situazione potesse finalmente migliorare e che si potesse tornare a
progettare un futuro sereno. Al contrario gli anni che seguirono
furono segnati da gravi problemi: speculazione, instabilità mone-
taria, crisi finanziaria, fallimenti,9 caduta dei prezzi, crollo della
produzione, durissimi conflitti sindacali con un padronato deciso
a ridurre i diritti e i salari dei lavoratori,10 disoccupazione (che nel
8
Cfr. p. 969.
9
Tra cui, nel 1922, la rovinosa situazione della Banca agricola, (vd. p. 981, nota
116) il più grande istituto di credito del Nord che dovette essere rifinanziata.
10
Uno degli episodi più drammatici fu lo sciopero generale svoltosi a Randers
(Jutland) nel marzo del 1922, in risposta alla politica delle serrate decisa dal padrona-
to. Per quasi un mese la città fu praticamente in stato d’assedio per il deciso interven-
to delle forze di polizia e dell’esercito che più volte si scontrarono con gli scioperanti.
Due anni prima (1920) i datori di lavoro avevano dato vita al cosiddetto Soccorso

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1114 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

1922 toccò la percentuale del 33%), perdita del potere d’acquisto.


Un clima nel quale per chi stava all’opposizione era facile puntare
il dito contro le decisioni politiche e organizzare manifestazioni di
protesta. Fu così che, con le elezioni del 1924, i socialdemocratici
andarono al potere e fu formato il governo guidato da Thorvald
Stauning.11 Il risultato più importante da essi conseguito fu la sta-
bilizzazione della corona per la quale si sarebbe poi addirittura
potuto reintrodurre la conversione in oro (1927). Ciò tuttavia era
stato ottenuto con una stretta sul credito e una riduzione della
quantità di denaro in circolazione, di conseguenza ci fu una crisi
industriale, con agitazioni dei lavoratori, serrate e conseguente
aumento della disoccupazione. Il governo successivo, uscito dalle
elezioni del 1926 e guidato dal leader della Sinistra Thomas Madsen-
Mygdal (1876-1943) si fondava nuovamente sull’alleanza (non
facile) con i conservatori: esso tuttavia riuscì con una politica di
tagli alle spese sociali (con riduzione dei sussidi per vecchiaia,
invalidità, malattia, disoccupazione) a fare in qualche modo ripar-
tire l’industria. Ma in Danimarca – come altrove – si sarebbe presto
abbattuta la tempesta finanziaria del 1929. Per la verità, almeno
inizialmente, i Danesi (in particolare gli agricoltori) trassero bene-
ficio dalla crisi. I prezzi delle materie importate infatti erano più
bassi di quelle esportate. Questa situazione non durò tuttavia a
lungo e presto anche i prezzi delle merci esportate diminuirono: fu
dunque necessario intervenire sul rapporto import/export, un com-
pito che toccò al nuovo governo socialdemocratico-radicale, anco-
ra una volta guidato da Thorvald Stauning che proprio in quell’an-
no aveva vinto le elezioni con il 41,8% dei voti. Nel 1931 ci furono
molti scioperi e manifestazioni: ciò tuttavia non intaccò il consen-
so nei confronti dei socialdemocratici confermato con le successi-
ve elezioni del 1932. Ma la crisi era di difficile gestione: la situazio-
ne aveva innescato politiche protezionistiche e ora il tradizionale
‘cliente inglese’ aveva imposto un dazio del 15% sulle merci pro-
venienti dalla Danimarca (che vi esportava soprattutto prodotti
agricoli). Fu necessario introdurre uno stretto controllo sulle impor-
tazioni. Ci fu un calo della produzione e sebbene l’industria fosse
in condizioni un po’ meno difficili rispetto all’agricoltura, la disoc-

sociale (Samfundshjælpen); con la motivazione che non si potevano arrecare gravi


danni all’economia del Paese (ma in realtà allo scopo di rendere inefficace l’arma
dello sciopero) furono reclutate persone disposte a sostituire chi si asteneva dal lavoro:
costoro tuttavia ebbero spesso la necessità di essere protetti dalla polizia. L’organizza-
zione fu sciolta nel 1960.
11
Cfr. p. 970.

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Il secolo tormentato 1115

cupazione restava alta (arrivando addirittura al 40%) e molte


famiglie vivevano situazioni di estrema indigenza. Eppure alla fine
di gennaio di quell’anno era stato sottoscritto il cosiddetto “accordo
di Kanslergade” (Kanslergadeforliget)12 tra i socialdemocratici e la
Sinistra. In base a esso si era potuto ‘congelare’ – almeno tempora-
neamente – il logorante conflitto lavoratori-padronato (con la deci-
sione di proibire per un anno serrate e scioperi) e si era svalutata la
corona del 10% rispetto alla sterlina inglese per favorire gli agricol-
tori. Inoltre si erano poste le basi di quello che sarebbe stato il
welfare danese, dal momento che la Sinistra aveva accettato di
appoggiare il complesso di riforme predisposte dal ministro degli
Affari sociali Karl Kristian Steincke (1880-1963), riforme che sareb-
bero state approvate in quel medesimo anno.13 Nella stessa occasio-
ne si era poi stabilito di destinare fondi statali per i lavori pubblici
e l’edilizia. Per il momento tuttavia la situazione restava assai grave,
soprattutto per i disoccupati, e i conflitti nel mondo del lavoro
indussero il governo a emettere un ulteriore provvedimento per
regolarne la mediazione.14 Ciò determinò una crescita del Partito
comunista danese che, paradossalmente, divenne il peggior nemico
dei socialdemocratici i quali ora cercavano di ampliare ulteriormen-
te i propri consensi tra i contadini e i piccoli borghesi. Idea tradot-
ta nel programma approvato al congresso del partito nel 1935 e
significativamente intitolato La Danimarca per il popolo. Programma
di lavoro (Danmark for Folket. Arbejdsprogram): un modo per sot-
tolineare il passaggio da un partito ‘di classe’ a un partito ‘popolare’.
Il successo nelle elezioni del 1935 confermò che si trattava di una
strategia azzeccata. Le elezioni dell’anno successivo, in un clima di
persistente difficoltà sociale, diedero ai socialdemocratici e ai radi-
cali la maggioranza anche al Senato e la posizione di Stauning parve
ora assolutamente solida. All’interno delle opposizioni del resto non
mancavano i problemi: la Destra restava in gran parte legata a con-
cezioni politiche ormai superate, mentre una parte dei contadini

12
 Kanslergade è la strada nel quartiere di Østerbro a Copenaghen in cui al nr. 10
il primo ministro Thorvald Stauning aveva la propria residenza, all’interno della qua-
le furono condotte le trattative e raggiunto l’accordo.
13
 Lov om Arbejdsanvisning og Arbejdsløshedsforsikring (sul collocamento e il
sussidio di disoccupazione), Lov om offentlig Forsorg (sull’assistenza sociale ai biso-
gnosi), Lov om Folkeforsikring (sull’assicurazione per invalidità e malattia e la pen-
sione di vecchiaia), Lov om Forsikring mod Følger af Ulykkestilfælde (sull’assicurazio-
ne relativa agli infortuni sul lavoro) tutte del 20 maggio 1933. Questi quattro
provvedimenti sostituivano, regolandole, tutte le norme precedentemente emanate
in queste materie.
14
 Lov om Mægling i Arbejdsstridigheder, 18 gennaio 1934.

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1116 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

non si sentiva più adeguatamente rappresentata dalla Sinistra che,


dunque, conobbe una frattura con la nascita (1934) del Libero
partito popolare (Det frie Folkeparti) che sarebbe divenuto in segui-
to (1939) il Partito dei contadini (Bondepartiet): una formazione che
raccoglieva le istanze della Federazione dei contadini (Landbruger-
nes sammenslutning), a sua volta fondata nel 1930 da Knud Bach
(1871-1948) che aveva saputo incanalare il malessere di questa
componente sociale, convinta di portare sulle proprie spalle gran
parte del peso della crisi economica.15
Alla fine degli anni ’30 la Danimarca era ancora un Paese in
crisi nel quale tuttavia molti passi avanti erano stati fatti, sia dal
punto di vista legislativo sia da quello della qualità della vita: la
socialdemocrazia (che pure alle elezioni del 1939 aveva perso poco
più del 3% dei consensi)16 era comunque riuscita a dare un sostegno
all’economia e a portare avanti importanti provvedimenti di tutela
sociale, seppure ancora in molti ne restassero esclusi.17
Il 1 settembre 1939 le truppe tedesche invasero la Polonia.
Un’azione che, per la verità, non giungeva affatto di sorpresa. Da
tempo era evidente che la Germania portava avanti una politica di
riarmo e l’occupazione della Boemia e della Moravia avviata il 15
marzo dello stesso anno non aveva fatto che confermare le mire di
Hitler. Tuttavia la piccola Danimarca non poteva far altro che
guardare con preoccupazione alle mosse del vicino tedesco, cer-

15
Il 29 luglio 1935 questa organizzazione aveva indetto una grande manifestazione
a Copenaghen alla quale parteciparono circa quarantamila persone: i loro portavoce
furono ricevuti dal primo ministro Stauning, senza tuttavia ottenere significativi risul-
tati. Vd. BROGAARD P., Landbrugernes Sammenslutning, Århus 1969.
16
Nel medesimo anno Stauning andò incontro a una sconfitta sul suo disegno di modi-
fica della costituzione: egli infatti aveva proposto l’abolizione del Senato e l’abbassamento
a 23 anni del limite di età per accedere al voto. Sebbene la maggioranza dei votanti al
referendum confermativo avesse optato per il sì, la proposta non fu approvata perché, sia
pure per poco, non venne raggiunto il quorum richiesto del 45% degli aventi diritto.
17
Nel contesto degli sforzi per creare le basi di un welfare state danese va tuttavia
sottolineato come in questo Paese (analogamente a quanto avverrà negli altri Paesi nordi-
ci) si desse ampio spazio all’eugenetica. Nel 1929 venne promulgata (per la prima volta in
Scandinavia) una legge sulla sterilizzazione di individui affetti da handicap (Lov om Adgang
til Sterilisation, 1 giugno 1929) poi modificata con decreto del 2 maggio 1934 (che intro-
duceva il principio dell’obbligatorietà) e sostituita da una nuova regolamentazione (Lov
om Adgang til Sterilisation og Kastration, 11 maggio 1935). Questa politica trovava con-
senso sia a livello scientifico sia a livello politico, non da ultimo tra i socialdemocratici: si
pensi che la legge del 1929 è per molti versi ispirata al pensiero del ministro Karl Kristian
Steincke. Queste norme resteranno in vigore fino all’emanazione di un provvedimento di
modifica del 3 giugno 1967. Sull’argomento si rimanda a Koch L., Racehygiejne i Danmark,
1920-56, København 2000 e Koch L., Tvangssterilisation i Danmark, 1929-67, København
2000. Tra il 1929 e il 1967 vennero sterilizzate in Danimarca più di diecimila persone.

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Il secolo tormentato 1117

cando di mantenere, per così dire, un ‘basso profilo’ e (per quanto


possibile) confidare nello ‘scudo’ della Società delle Nazioni cui
essa aveva aderito nel 1920. Il che si continuò a fare, sperando in
bene, anche quando giunsero notizie di fonte diplomatica su un
imminente attacco. Ma il 9 aprile 1940 le truppe tedesche entraro-
no nel Paese: di fronte alla loro superiorità militare la resistenza dei
soldati danesi fu assolutamente inutile. In realtà la strategia tedesca
prevedeva l’occupazione del territorio danese al fine di garantirsi
una base d’appoggio per il contemporaneo attacco alla Norvegia
(obiettivo strategico dei suoi nemici): perciò al governo furono
presentate precise condizioni. La Germania avrebbe ‘protetto’ la
Danimarca e non avrebbe interferito sulla sua sovranità ma in
cambio chiedeva (esigeva!) che il Paese accettasse la presenza
tedesca senza opporsi. Era chiaro che gli aerei tedeschi che sorvo-
lavano le città danesi sulle quali lasciavano cadere una pioggia di
volantini con l’invito ad accettare la ‘protezione’ e a collaborare,
con uguale facilità avrebbero potuto lasciar cadere delle bombe.18
La minaccia mascherata dalla mano tesa era ben chiara: dopo una
consultazione fra le diverse autorità non restò dunque che piegar-
si e il re Cristiano X appose la propria firma in calce all’accordo
dano-tedesco che diede inizio alla ‘collaborazione’. Ma col tempo
l’accondiscendenza del governo (determinata anche dalla convin-
zione, condivisa dai socialdemocratici, che Hitler avrebbe vinto la
guerra) e la pazienza della popolazione cominciarono a non basta-
re più: ora i Tedeschi (sostenuti dal piccolo Partito nazista danese19
e dalla Federazione dei contadini con a capo Knud Bach)20 chie-
devano la presenza nel governo di politici di loro gradimento. Tra
questi ci fu il ministro degli Esteri, il ‘vecchio’ Erik Scavenius, che
pur risultando sgradito alla gran parte dei Danesi per l’eccessiva
disponibilità nei confronti degli occupanti, pure costituiva una
sorta di baluardo contro la nomina di politici ancor più aperti a

18
I volantini, scritti in un dano-norvegese piuttosto approssimativo, recavano sulla
prima riga la scritta “oprop!”, vale a dire “proclama!”. A quanto pare il loro testo era
stato predisposto da Hitler in persona.
19
Per la precisione Partito nazionalsocialista danese dei lavoratori (Danmarks
Nationalsocialistiske Arbejderparti), fondato il 16 novembre 1930 sulla scia del succes-
so dei nazionalsocialisti in Germania. I suoi leader principali furono il fondatore Cay
Lembcke (1885-1965) e Frits Clausen (1893-1947); il suo organo di stampa il giornale
La patria (Fædrelandet).
20
In effetti l’agricoltura molto aveva da guadagnare grazie alle esportazioni di
derrate alimentari in Germania. Parimenti gli industriali potevano trarre vantaggio
dalla partecipazione ai progetti tedeschi.

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1118 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

ogni loro volere.21 E tuttavia Scavenius portava avanti una politica


di appoggio praticamente incondizionato: basti pensare all’atteggia-
mento assunto di fronte all’attacco all’Unione sovietica nel 1941, in
conseguenza del quale il Partito comunista danese fu dichiarato fuori
legge, molti attivisti furono incarcerati e il Paese aderì (per la verità
una adesione all’interno del governo molto contrastata) al patto tede-
sco-giapponese Anticomintern che mirava ad annientare ogni forma
di comunismo. Se dunque c’erano ancora simpatizzanti della politica
tedesca e dell’ideologia nazista,22 il malcontento (acuito dalla scarsità
delle merci, dall’isolamento commerciale, dal razionamento dei gene-
ri alimentari) cresceva e da diverse parti si cominciava ora a voler
tradurre in azioni concrete il disagio di appartenere a un Paese che,
nella sostanza, collaborava con la Germania.23 Queste azioni si svilup-
parono a livello diplomatico, a livello militare e a livello di gruppi di
comuni cittadini. Sul piano diplomatico ci furono i casi eclatanti degli
ambasciatori danesi in Inghilterra e negli Stati uniti. Il primo, Eduard
Reventlow (1883-1963), si dimise dal proprio incarico quando la
Danimarca nel novembre del 1941 aderì al patto Anticomintern; il
secondo, Henrik von Kaufmann (1888-1963), che fin dal giorno
dell’ingresso delle truppe tedesche in Danimarca aveva dichiarato che
non avrebbe ottemperato alle disposizioni di un governo che non
considerava in grado di prendere liberamente le proprie decisioni,
sottoscrisse (9 aprile 1941) un accordo con gli Stati uniti in base al
quale essi ottenevano la possibilità di installare proprie basi in Groen-
landia in cambio dell’impegno a mantenervi lo status quo per tutta la
durata della guerra. Sul piano militare ci fu l’azione di ufficiali che
riuscirono a far pervenire agli Inglesi informazioni sulle strategie tede-
sche, mentre fra i comuni cittadini si formarono nuclei di resistenza
(cui diedero un importante contributo i comunisti ‘fuori legge’). Nel
novembre 1942 Hitler inviò in Danimarca un proprio plenipotenziario
nella persona di Werner Best (1903-1989) e di fatto impose un nuovo
governo guidato da Erik Scavenius. Stauning era morto in quell’anno
e il suo successore Vilhelm Buhl (1881-1954) aveva dovuto ritirarsi in
seguito alle pressioni tedesche. Nel 1943 si poterono comunque tene-
re regolarmente le elezioni il cui risultato mostrò chiaramente quanto

21
Su questa discussa figura di politico vd. Sjøqvist V., Erik Scavenius. Danmarks
udenrigsminister under to verdenskrige, statsminister 1942-1945, I-II, København.
22
Il 29 giugno 1941 a esempio fu creato (con il benestare del governo) il Corpo d’ar-
mata libero danese (Frikorps Danmark) nel quale poterono confluire i volontari disposti a
unirsi all’esercito tedesco nella guerra contro l’Unione sovietica. Il corpo fu sciolto nel 1943.
23
Oltre tutto si deve considerare l’obbligo di inviare operai danesi a lavorare in
Germania per sostituire quelli tedeschi chiamati nell’esercito.

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Il secolo tormentato 1119

scarso fosse nel Paese il seguito del partito nazista che ottenne solo il
2% dei consensi. Mentre le sorti della guerra volgevano in favore degli
Alleati, in Danimarca aumentavano le azioni di sabotaggio contro i
Tedeschi, si proclamavano scioperi, si manifestava nelle piazze e cre-
sceva il numero di quelli che volevano porre fine alla politica di colla-
borazione. A ciò naturalmente la Germania rispose con un inaspri-
mento delle pretese e nell’agosto del 1943, quando il governo danese
rifiutò di ottemperare alle sue richieste e cessò le sue funzioni (pur
rimanendo formalmente in carica), si giunse alla rottura. La reazione
fu durissima: proclamato lo stato d’emergenza, l’esercito fu disarmato
e così la flotta (ma per ordine della marina gran parte delle navi furono
affondate dai loro equipaggi mentre altre trovarono rifugio all’estero
in porti sicuri), il governo esautorato, il re posto agli arresti domicilia-
ri, molti fatti prigionieri e deportati. A fianco dei Tedeschi operavano
le SS danesi, il corpo d’armata Schalburg, costituto nel febbraio del
1943.24 E tuttavia la ‘piccola Danimarca’ trovò al proprio interno la
forza di resistere: una resistenza in taluni casi passiva, come quella
portata avanti dai funzionari governativi cui ora era demandato il
compito di gestire il Paese e mantenere le relazioni con i Tedeschi, in
molti altri attiva come quella di chi pianificava ed eseguiva azioni
mirate a danneggiare direttamente i piani del nemico. Costoro avreb-
bero per la gran parte aderito al Consiglio di liberazione della Dani-
marca (Danmarks Frihedsråd) fondato il 16 settembre 1943 allo scopo
di coordinare le azioni dei partigiani.25 Sostegno e incoraggiamento
veniva naturalmente dagli Alleati (che tra l’altro provvedevano al
rifornimento di armi), sia da personalità danesi che si trovavano
all’estero,26 sia dalla diffusione di fogli clandestini che riportavano le

24
Formato innanzi tutto dai volontari del Corpo d’armata libero danese (vd. nota 22)
esso prendeva nome dal comandante di quello, Christian Frederik von Schalburg (1906-1942)
morto in combattimento. Con il pretesto di mantenere l’ordine i suoi componenti ebbero
assai spesso un atteggiamento arrogante e provocatorio nei confronti della popolazione
danese che in misura sempre maggiore si schierò dalla parte del movimento di liberazione.
25
Il movimento comprendeva persone di diverso orientamento politico sebbene i
comunisti vi avessero la maggioranza. Esso infatti, ponendosi in forte contrasto con la
scelta della collaborazione, non vedeva di buon occhio politici che vi avevano contri-
buito. Ciò riguardò anche i socialdemocratici, per quanto uno dei loro rappresentan-
ti, Frode Jakobsen (1906-1997) facesse parte attiva del Consiglio di liberazione. Per il
resto vi parteciparono anche molti uomini di cultura e studenti, tra gli altri Jørgen
Kieler (n. 1919), futuro medico e noto specialista degli studi sul cancro. I più noti
gruppi di partigiani danesi furono KOPA (Kommunistiske Partisaner) vale a dire i
partigiani comunisti e BOPA (Borgerlige Partisaner) vale a dire i partigiani ‘laici’, cioè
non politicamente schierati; inoltre Ringen (“L’anello”) e Holger Danske il cui nome
si rifà a un leggendario eroe danese (vd. p. 579 con nota 228; cfr. p. 855).
26
Tra di loro John Christmas Møller (1894-1948) che, pur appartenendo al Partito

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1120 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

notizie censurate dai Tedeschi.27 I quali risposero con una dura rap-
presaglia: non solo decisero di catturare gli Ebrei danesi,28 ma per
ogni azione partigiana coronata dal successo si vendicarono sulla
popolazione civile, imprigionarono e torturarono molti membri
della resistenza, procedettero ad assassini mirati (tra cui quello del
pastore e drammaturgo Kaj Munk)29 e distrussero un gran numero
di edifici. Quando fu chiaro che gli Alleati (dopo lo sbarco in Nor-
mandia) avrebbero accerchiato la Germania, la resistenza danese
‘esplose’. La risposta tedesca fu durissima e per qualche giorno
Copenaghen fu terreno di battaglia. Per gli occupanti la strada della
sconfitta era tuttavia segnata. In un crescendo di azioni partigiane
ora apertamente sostenute dall’esterno (si pensi ai bombardamenti
aerei che distrussero i quartier generali tedeschi di Copenaghen,
Odense e Aarhus), di dure risposte da parte tedesca (come la depor-
tazione dei poliziotti danesi in un campo di concentramento per
evitare che si schierassero dalla parte degli Alleati),30 di disastri (come
il bombardamento per errore del quartiere di Frederiksborg nella
popolare dei conservatori, aveva voluto rimarcare con decisione la distanza dall’ideo-
logia nazista quando essa aveva trovato qualche sostenitore sia all’interno del partito
stesso sia della sua organizzazione giovanile, la cosiddetta Gioventù conservatrice
(Konservativ ungdom). Ministro del commercio nel ‘governo della collaborazione’ era
stato costretto fin dall’ottobre 1940 a lasciare la propria carica e il seggio in parlamen-
to in seguito alla sua coraggiosa presa di posizione contro i Tedeschi. Riparato a
Londra nella primavera del 1942 si rivolse ai suoi connazionali attraverso i microfoni
della bbc incitandoli alla ribellione.
27
Tra questi I Danesi liberi (De Frie Danske), pubblicato tra il 1941 e il 1945 e
Danimarca libera (Frit Danmark), organo del gruppo di opposizione dal medesimo
nome fondato tra gli altri da John Christmas Møller (vd. nota precedente) e da Axel
Larsen (1897-1972), rappresentante del Partito comunista che nel 1943 sarebbe stato
internato nel campo di concentramento di Sacheshausen (vd. Snitker H., Det illegale
Frit Danmark - Bladet og organisationen, Odense 1977). Dopo la guerra il giornale
avrebbe continuato a uscire fino al 1982. In questo contesto va ricordato il giornalista
Børge Outze (1912-1980) che censurato dai Tedeschi fondò l’agenzia di stampa clan-
destina Informazione (Information).
28
Grazie a una fuga di notizie tuttavia questa operazione non ebbe gli esiti sperati
dai gerarchi tedeschi: gran parte degli Ebrei riuscì infatti a riparare in Svezia e su un
totale di circa settemila ne fu catturato meno del 7%, vale a dire quattrocentosettan-
tadue persone. L’operazione fu condotta il 1 ottobre 1943.
29
Pseudonimo di Kaj Harald Leininger Petersen (1898-1944). Dopo una iniziale
simpatia nei confronti del nazismo e del fascismo egli mutò radicalmente la propria
posizione e con scritti e parole espresse un coraggioso incitamento alla rivolta, dive-
nendo presto per i Tedeschi una voce da far tacere a qualsiasi costo. Fu catturato e
assassinato la notte del 4 gennaio 1944. Vd. oltre, p. 1174.
30
Gli arresti furono eseguiti il 19 settembre 1944. La decisione tedesca era anche
conseguente al rifiuto da parte danese di collaborare contro le crescenti azioni dei
partigiani. Una parte dei poliziotti riuscì tuttavia a sfuggire alla cattura in quanto la
notizia era trapelata alcuni giorni prima.

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Il secolo tormentato 1121

capitale durante l’attacco alla centrale della Gestapo) si giunse infine


al termine della guerra con la resa tedesca il 4 maggio 1945.31 Dopo
la liberazione fu creato un governo provvisorio guidato da Vilhelm
Buhl (nel quale erano rappresentati i partiti tradizionali ma anche le
organizzazioni che avevano lottato per la liberazione) che fu in cari-
ca dal 5 maggio al 7 novembre per poi lasciare il posto a quello
regolarmente uscito dalle elezioni. Contro coloro (non tuttavia i
politici) che avevano collaborato con i Tedeschi ci furono processi
con qualche condanna a morte e successiva esecuzione, ma per lo
più furono comminate pene detentive.
Appare chiaro che gli anni fra le due guerre furono in Danimarca
generalmente assai difficili (e segnati, tra l’altro, da un rallentamento
della crescita demografica).32 E tuttavia, come si è detto, la società
danese conobbe anche dei progressi. Non soltanto sul versante
legislativo,33 ma anche su quello della qualità della vita: in quel perio-
do infatti furono realizzate moderne infrastrutture, costruite migliori
abitazioni, potenziata l’efficacia del servizio sanitario, realizzate scuo-
le ed edifici di interesse pubblico. E molti segni della modernità si
imposero: la fotografia (nata nella prima metà del XIX secolo ma
pienamente affermatasi nella seconda) era ormai uno strumento
comunemente acquisito, i giornali (di vario argomento) sempre più
letti, l’attività sportiva praticata da molti giovani, l’uso della bicicletta
sempre più diffuso, il numero delle automobili circolanti per le stra-
de in aumento: tutto questo mentre i primi aerei solcavano il cielo. E
mentre la cinematografia faceva i primi passi, anche in questo Paese
si sarebbero presto potute ascoltare (a partire dal 1925) le trasmissio-
ni della radio34 mentre sette anni dopo qualcuno avrebbe avuto la
possibilità di assistere a una prima trasmissione televisiva.35

31
Tuttavia, mentre nel Paese entravano le truppe inglesi al comando del generale
Bernard Montgomery (1887-1976), l’isola di Bornholm, pesantemente bombardata,
veniva occupata dalle forze russe (9 maggio) e sarebbe stata restituita allo Stato dane-
se solo il 5 aprile dell’anno successivo.
32
Non si dimentichi qui che l’epidemia di ‘spagnola’ si era diffusa anche nei Paesi
nordici (Islanda compresa) provocando migliaia di vittime.
33
Alle norme sopra citate si aggiunga qui il riconoscimento del diritto alle ferie
sancito da un provvedimento del 1938 (Ferieloven, 13 aprile 1938).
34
La Radiofonia di stato (Statsradiofonien), successivamente Radio di Danimarca
(Danmarks Radio), avviò le proprie trasmissioni il 1 aprile 1925 ma solo due anni dopo
poté ‘coprire’ con il proprio segnale l’intero Paese. Il primo “Giornale radio” (Radioavisen)
fu trasmesso nel 1926.
35
Se, per la verità, la ricezione di qualche trasmissione televisiva straniera c’era già
stata dal 1930, la prima in lingua danese fu effettuata il 30 ottobre 1932 per un pub-
blico ristretto. L’avvio di vere e proprie trasmissioni televisive si ebbe tuttavia solo a
partire dal 1954.

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1122 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

Perciò, seppure le diseguaglianze sociali restassero forti, si deve


constatare come le difficoltà indotte dalla crisi economica e dalle
guerre non potessero fermare (anzi in molti casi la stimolassero)
l’iniziativa di chi si adoperava per il progresso (non da ultime le
donne),36 sicché se è vero che i miglioramenti di cui si è parlato
vanno messi in diretta relazione con l’attività delle forze politiche,
è altrettanto vero che queste ricevevano un costante impulso dal
basso e che la loro azione rispecchiava, recependole, istanze por-
tate avanti da soggetti quotidianamente impegnati nel sociale. Anche
le leggi che migliorarono la condizione della donna (parità salaria-
le, uguale diritto di accesso alle cariche pubbliche, nuova legisla-
zione matrimoniale)37 sono frutto di questo clima. Un cui ulteriore
effetto è l’accelerata secolarizzazione della società e la necessità per
la Chiesa (ora non più considerata un punto di riferimento impre-
scindibile) di ‘riposizionarsi’ indirizzando la propria attività soprat-
tutto sul piano sociale.38 Eppure la Chiesa danese (Folkekirken)
resta una ‘Chiesa di Stato’ nel senso che esso la sostiene economi-
camente e che le leggi che la riguardano sono ancora (seppure essa
al suo interno goda della più ampia libertà) emanate dal parlamen-
to, mentre fra i componenti del governo è previsto un ministro ‘per
la Chiesa’.39
La forza democratica del popolo danese e la sua fede nel parla-
mentarismo, cresciute nel periodo fra le due guerre, furono dunque
infine capaci di superare la durissima prova del ‘periodo tedesco’
e di isolare le tendenze estremiste di destra che pure erano presen-
ti nella società. Così come la socialdemocrazia riuscì (per quanto
36
Le quali cominciarono anche a porre rilevanti questioni come quella del control-
lo delle nascite e quella (strettamente collegata) dell’aborto. Paladina di queste tema-
tiche fu la scrittrice Marie Kirstine Dorothea Jensen, più nota con il nomignolo Thit
(1876-1957) che nel 1923 fondò l’associazione Maternità volontaria (Frivilligt Moder-
skab). Ella era sorella del noto scrittore Johannes V. Jensen (vd. oltre, p. 1166).
37
Per i singoli provvedimenti si rimanda a Blom – Tranberg 1985 (C.12.3).
38
Un altro riflesso è lo sviluppo della teologia liberale (si citi qui il pastore Torkild
Skat Rørdam, 1876-1939) avversario di una ‘teologia accademica’ il quale tra l’altro
interpretava la risurrezione come un evento spirituale; d’altronde ci fu anche un
movimento che sosteneva la necessità di una religione più ‘radicale’ che si liberasse
dell’eredità pietistico-borghese ma, contemporaneamente, non si lasciasse indurre
nella tentazione di rincorrere ogni tendenza del momento (vd. Lenhammar 20014
[B.7.2], pp. 104-106). Si ricordi che nel 1926 è stato fondato per iniziativa di alcuni
giovani teologi, tra cui N.I. (Niels Ivar) Heje (1891-1971), il movimento, tuttora
attivo, che ha nome Tidehverv (“Tempi nuovi”), influenzato dal pensiero del teologo
svizzero Karl Barth (1886-1968) che si oppone alla teologia liberale e ha una forte
connotazione nazional-conservatrice.
39
Questa figura è titolare del Ministero per la Chiesa (Kirkeministeriet), precedente-
mente Ministero per la parità dei diritti e la Chiesa (Ministeriet for Ligestilling og Kirke).

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Il secolo tormentato 1123

tra incertezze ed errori) a impedire che la gran parte del movimen-


to operaio deviasse verso una ideologia di tipo sovietico.
Al prestigio e al progresso del Paese (quest’ultimo messo tuttavia
a dura prova durante il periodo della collaborazione con la Germa-
nia nazista) contribuiranno anche autorevoli studiosi che, nono-
stante le difficoltà economiche e politiche, continueranno a lavora-
re e a produrre importanti risultati. Tra questi si possono qui citare
i linguisti Otto Jespersen (1860-1943) e Louis Hjelmslev (1899-1965),
noto a livello internazionale; l’astrofisico Bengt Strömgren (1908-
1987) che per un periodo avrebbe poi soggiornato negli Stati uniti
e, soprattutto, Niels Bohr (1885-1962, premio Nobel per la fisica
nel 1922) che enunciò il principio di complementarietà, il quale,
dopo aver aiutato molti scienziati in fuga dal potere nazista, per
evitare l’arresto dovette riparare all’estero (1943) e mise le proprie
conoscenze a disposizione degli Alleati.40

13.2. Dalla rigida neutralità alla neutralità discussa

Nel febbraio del 1914, nel pieno della crisi determinata dal
disaccordo sulla questione della difesa,41 il re Gustavo V incaricò
Hjalmar Hammarskjöld (1862-1953) di formare un governo di
transizione in attesa che si svolgessero le elezioni. Esso aveva lo
scopo primario di risolvere l’annosa questione, il che sarebbe stato
fatto aumentando la durata del servizio militare e potenziando la
flotta. Nell’estate dello stesso anno deflagrò la prima guerra mon-
diale di fronte alla quale la Svezia dichiarò la propria totale neutra-
lità. Di più: il re Gustavo V volle un incontro (tenuto a Malmö nei
giorni 18 e 19 dicembre del 1914) con il sovrano danese Cristiano
X e il norvegese Håkon VII per ostentare di fronte al mondo la
comune decisione in tal senso dei governi scandinavi.42 Ma nono-
stante le intenzioni e le dichiarazioni di imparzialità la posizione
assunta dal Paese finì comunque per favorire la Germania. Essa

40
Per una ironia del destino uno dei suoi migliori allievi fu Werner Karl Heisenberg
(1901-1976, a sua volta Nobel per la fisica nel 1932) che avrebbe lavorato al program-
ma nucleare tedesco.
41
Vd. sopra, p. 1004.
42
Sulla politica di neutralità dei Paesi nordici nel corso della prima guerra mondia-
le vd. Salmon P., “Neutrality preserved. Scandinavia and the First World War”, in
Scandinavia and the Great Powers. 1890-1940, Cambridge 1997, pp. 118-168.

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1124 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

infatti, a fronte del blocco commerciale impostole dagli Alleati,


poteva continuare ad approvvigionarsi grazie alle esportazioni
svedesi. La reazione dei nemici fu una intensificazione dei control-
li sul commercio con la conseguenza che non soltanto furono
colpite le esportazioni verso la Germania, ma anche l’importazione
delle merci di cui gli Svedesi avevano necessità. La decisione degli
Stati uniti di schierarsi a fianco degli Alleati e la guerra sottomari-
na ingaggiata dai Tedeschi, che in pratica rendeva quasi impossi-
bile il commercio navale, non fecero che peggiorare la situazione.
Si ebbero dunque grande scarsità di merci (aggravata da cattivi
raccolti), aumento dei prezzi, speculazione, razionamento di gene-
ri di prima necessità e conseguente forte turbolenza sociale: per la
gente il governo di Hammarskjöld divenne il “governo della fame”43
e la condotta del primo ministro fu giudicata antidemocratica e
intesa a favorire unicamente i benestanti. Alla fine Hammarskjöld,
alla cui rigidità di carattere veniva attribuito il costante aggrava-
mento della congiuntura, rifiutò una trattativa commerciale con gli
Inglesi e fu costretto a dimettersi. Gli succedette (30 marzo 1917)
Carl Swartz (1858-1926), un politico di destra che si adoperò per
concludere accordi con gli Alleati e risanare (almeno in parte!) la
grave situazione economico-alimentare. In quell’anno, mentre
molti ambienti erano percorsi dal timore di un contagio della rivo-
luzione russa e il Paese era scosso da imponenti manifestazioni di
piazza,44 ebbero luogo le elezioni. Alle quali seguì un esecutivo
di coalizione guidato da Nils Edén (1871-1945), rappresentante del
43
Con un gioco di parole il cognome del primo ministro fu storpiato in Hungerskjöld
(dove hunger è “fame”).
44
Originate dalla gravissima situazione di carenza di generi alimentari di prima
necessità, queste manifestazioni si tennero in tutta la Svezia. Nel mese di aprile ci fu
una grande protesta popolare a Västervik (in Småland) alla quale nel giro di poche
settimane molte altre (circa centocinquanta) seguirono in tutto il Paese. Non solo nella
capitale e nelle città più grandi (Göteborg, Malmö, Norrköping) ma anche in centri
come Helsinborg, Uppsala, Örebro, Sundsvall, Eskilstuna, Västerås, Arboga, Borlänge,
Arvika, solo per fare qualche esempio: da sud a nord fu tutto un radunarsi di folle di
manifestanti (tra cui moltissime donne) che non solo protestavano contro l’insostenibi-
le situazione economica ma che presto cominciarono a reclamare una maggiore giusti-
zia sociale e a rivendicare diritti sindacali, in qualche occasione richiamandosi alla
rivoluzione russa: quella che pareva una ‘nuova via verso la democrazia’ entusiasmava
molti. Gli scontri con le forze dell’ordine non furono affatto rari e in diversi casi furono
saccheggiati i negozi di generi alimentari. Il 1 maggio Stoccolma fu invasa da molte
migliaia di dimostranti arringati da Hjalmar Branting. Nella protesta si saldavano
diverse motivazioni, non da ultime le ragioni dell’antimilitarismo, il che spiega anche
l’inquietudine che serpeggiava all’interno delle forze armate dove si verificarono delle
dimostrazioni. Vd. Klockare S., Svenska revolutionen 1917-1918, Stockholm 1967 e
Björk G., “De oroliga åren 1917-18. Sverige i uppror”, in PH 2007: 2, pp. 22-28.

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Il secolo tormentato 1125

Partito comune dei liberali ma nel quale quattro ministeri erano


affidati ai socialdemocratici; con opportune trattative questo gover-
no riuscì ad alleggerire ulteriormente la situazione di grave caren-
za di beni alimentari e si può dire che, tutto sommato, alla fine
della guerra la Svezia avesse saputo mantenere (anche se a carissi-
mo prezzo!) la propria neutralità.
Grazie al mutato clima sociale – certamente influenzato dalla
sconfitta della Germania e dalla successiva rivoluzione di novembre
(in seguito alla quale l’imperatore era stato costretto a riparare all’e-
stero e ad abdicare) ma anche dall’eco degli avvenimenti russi –45
si poté procedere alla revisione della costituzione: un iter che si
protrasse dal 1918 al 1921 e sul quale pesarono i contrasti ideolo-
gici fra conservatori e progressisti (ma anche gli avvenimenti della
guerra civile finlandese rispetto alla quale vi erano fra i partiti
posizioni assolutamente contrapposte).46 Tuttavia con importanti
cambiamenti quali l’introduzione del voto alle donne47 e una modi-
fica in senso democratico della Prima Camera la riforma fu appro-
vata nel 1921.48 Nel frattempo i rivolgimenti sociali avevano porta-
to alla nascita di tre nuove formazioni politiche: il Partito
socialdemocratico svedese di sinistra (Sveriges Socialdemokratiska
Vänsterparti) di orientamento comunista49 e due partiti agrari: l’As-
45
L’ideologia comunista (e i primi risultati della rivoluzione russa) attrassero, alme-
no inizialmente, anche diversi intellettuali: tra di loro il giornalista, poeta e politico
Ture Nerman (1886-1969) che visitò tre volte l’Unione sovietica (nel 1918 in compagnia
di Anton Nilson, su cui vd. p. 997, nota 182), accolse Lenin quando questi (nell’apri-
le del 1917) visitò Stoccolma e fu tra i fondatori del Partito comunista (vd. nota 49).
Ben più celebre Karin Boye, che nel 1928 fece un viaggio in Unione sovietica, Paese
verso il quale nutriva molte speranze e che considerava un vero e proprio modello; al
ritorno tuttavia ella cominciò a manifestare diverse perplessità che, rafforzate negli
anni successivi, l’avrebbero portata a prendere le distanze dall’ideologia socialista (vd.
pp. 1173-1174 con nota 210). Del resto lo stesso Hjalmar Branting aveva inizialmente
salutato con entusiasmo l’avvento di quella che riteneva un’evoluzione in senso demo-
cratico, opponendosi in seguito fieramente alla svolta bolscevica e riuscendo a evitare
che il movimento svedese dei lavoratori deviasse in quella direzione.
46
Vd. pp. 1368-1369.
47
L’approvazione parlamentare di questo provvedimento ebbe luogo il 24 maggio
1919, tuttavia trattandosi di una modifica costituzionale essa fu definitivamente rati-
ficata solo nel 1921 (vd. nota successiva).
48
Sui vari provvedimenti e i diversi aspetti della revisione costituzionale si rimanda
a Nilsson J.E., Författningsrevisionen 1918-1921 m.m. En kort handledning, Lund
19212. In questo clima sul fronte del lavoro va segnalata la promulgazione della legge
che introduceva la giornata lavorativa di otto ore (vale a dire quarantotto ore settima-
nali): Lag om åtta timmars arbetsdag, approvata dal parlamento il 29 settembre 1919.
49
Esso era sorto nel 1917 in seguito a una frattura tra l’ala radicale del partito
socialdemocratico, in gran parte rappresentata nella sua Organizzazione giovanile
(Socialdemokratiska Ungdomsförbundet), all’interno della quale aveva prevalso la linea

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1126 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

sociazione dei contadini (Bondeförbundet) e l’Associazione nazionale


degli agricoltori (Jordbrukarnas riksförbund).50 Aggiungendosi alle
forze politiche già consolidate (conservatori, liberali e socialdemocra-
tici) questi partiti avrebbero completato un’offerta politica che (con
qualche aggiustamento) sarebbe rimasta tale per almeno settanta anni.51
Fin dagli ultimi decenni dell’Ottocento la Svezia aveva fatto i
conti con un grande sviluppo industriale e il conseguente aumento
del proletariato (cui si legava un crescente urbanesimo): qui come
altrove non erano mancati aspri conflitti sindacali. Dopo la guerra
c’era stato un breve periodo di relativo benessere ma nel 1922 più
di un terzo dei lavoratori era privo di occupazione. A ciò si cercò di
porre rimedio impiegando i disoccupati in lavori socialmente
utili, che tuttavia erano retribuiti con una paga molto bassa.52 Dal
1925 ci fu una notevole espansione nel campo dell’industria e anche
(con l’introduzione di nuovi macchinari) in quello dell’agricoltura.
La costruzione di nuove infrastrutture, la diffusione dell’elettrifi-
cazione, il potenziamento della flotta: tutto questo pareva tradur-
si in un nuovo periodo di grandezza del Paese. E così in effetti fu,
almeno per qualche anno: l’industria meccanica, quella della cel-
lulosa e dei fiammiferi, i cantieri navali, tutto conobbe una note-
vole espansione. Ma anche qui doveva arrivare l’onda d’urto della

portata avanti da Zeth Höglund (cfr. p. 1016, nota 246), e la direzione che, sotto la
guida di Hjalmar Branting, propendeva per posizioni più moderate. Nel corso degli
anni anch’esso andò incontro a fratture e scissioni. Suo ‘erede politico’ è l’attuale
Partito della sinistra (Vänsterpartiet), che tuttavia dopo il 1989 ha abbandonato la linea
intransigente in favore di una politica socialista di parità tra i sessi, rispetto per l’am-
biente e gestione pubblica delle risorse. Altre formazioni comuniste createsi nel corso
del secondo dopoguerra non hanno avuto consistente seguito.
50
Il primo, sorto nel 1913, il secondo nel 1915. Nel 1921 essi si fusero in quello che
sarebbe diventato l’attuale Partito di centro (Centerpartiet o Centern).
51
Il Partito comunista sorto nel 1917 (vd. nota 49) a sua volta si spaccò nel 1924 e
una parte dei suoi componenti rifluì poi (1926) fra i socialdemocratici. Nel 1929 in
seguito a nuovi disaccordi fra i comunisti fu fondato il Partito socialista (Socialistiska
partiet) che acquisì una certa consistenza ma si avvicinò progressivamente al nazismo e
fu sciolto nel 1948. Nel 1923 anche sul fronte del Partito comune dei liberali si verificò
una frattura che portò alla formazione (1924) del Partito liberale popolare (Frisinnade
folkpartiet) e del Partito parlamentare dei liberali (Liberala riksdagspartiet): motivi di
discordia furono in particolare l’attualissima questione dell’alcolismo (nel 1922 un
referendum popolare aveva abrogato una legge di intento proibizionista), rispetto alla
quale i primi avevano una posizione radicale, e quella, annosa, della difesa. L’organismo
di funzionamento dei liberali (Associazione nazionale liberale) si legò al primo gruppo
mentre il secondo diede vita al Partito liberale svedese (Sveriges liberala parti). Nel 1934
queste due formazioni si sarebbero riunite in quello che sarebbe stato chiamato Partito
popolare (Folkpartiet). Cfr. p. 988 con nota 143.
52
Fin dal 1914 era stata istituita la Commissione statale per la disoccupazione
(Statens arbetslöshetskommission), un ente che avrebbe operato fino al 1940.

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crisi scatenata dal crollo della borsa di New York nel 1929: mani-
festatasi a partire dal 1930 essa toccò il culmine nel 1932. Ci furo-
no fallimenti e rovesci finanziari,53 grande aumento della disoccu-
pazione, caduta dei prezzi, disordini. Nel 1931 ad Ådalen
(Ångermanland) un gruppo di scioperanti si ribellò alla presenza
di crumiri che furono minacciati e (probabilmente) malmenati:
organizzato un corteo di protesta i manifestanti furono affrontati
dalla polizia e dall’esercito dalle cui file partirono dei colpi di fuci-
le che lasciarono sul terreno cinque morti. Questo episodio destò
enorme scalpore: le interpretazioni contrastanti che se ne danno
nelle fonti dell’epoca (legate, evidentemente, alle convinzioni poli-
tiche dello scrivente) rispecchiano chiaramente una situazione di
profonda (e non di rado molto violenta) contrapposizione.54
Il che si rifletteva, naturalmente, anche nel mondo politico. Dopo
il raggiungimento dell’obiettivo della riforma costituzionale la
collaborazione fra i partiti di diverso orientamento era di fatto
cessata. Nel 1920 per la prima volta i socialdemocratici (giungendo
al potere per via pienamente democratica) avevano formato il
governo sotto la guida di Hjalmar Branting, tuttavia in parlamento
erano in minoranza. Così aveva inizio un periodo di esecutivi insta-
bili e di breve durata cui spettava occuparsi delle questioni centra-
li della politica svedese di quei decenni: regolamentazione del
mondo del lavoro, difesa, legislazione sociale. Da una parte c’erano
i conservatori. I loro leader più prestigiosi erano figure come Arvid
Lindman ed Ernst Trygger (1857-1943). Il primo, che tra il 1928 e
il 1930 avrebbe guidato il suo secondo governo,55 era un uomo
capace di condurre i conservatori nel percorso verso una politica

53
Nel 1929 fallì la Cassa di risparmio popolare (Almänna sparbanken), il che pro-
vocò una grave crisi anche nella Banca dell’agricoltura (Jordbrukarbanken). Grande
impressione (nonché gravi ripercussioni finanziarie) suscitò il suicidio a Parigi del
grande industriale Ivar Kreuger (1880-1932), magnate dell’industria dei fiammiferi
con interessi in molti altri ambiti economici.
54
Quattro degli uccisi vennero sepolti in una tomba comune nel cimitero che si trova
presso la chiesa di Gudmundrå (comune di Kramfors, Ångermanland). Sulla loro lapide
sono stati incisi i versi composti dallo scrittore e storico dell’arte Erik Blomberg (cfr. p.
1171): “Qui giace/ un lavoratore svedese. Caduto in tempo di pace. Disarmato indifeso.
Fucilato/ da pallottole ignote. Il suo crimine era la fame. Non dimenticatelo mai” (DLO
nr. 176). Vd. Norman B., Ådalen 31. En berättelse, Stockholm 2010. Cfr. nota 310.
55
Cfr. p. 1003. Il nuovo mandato a Lindman venne dopo le elezioni per la Seconda
Camera svoltesi tra il 15 e il 21 settembre 1928, una consultazione segnata da una
campagna elettorale dai toni particolarmente violenti e aggressivi e per questo ricor-
data come “elezioni cosacche” (kosackvalet). Nel 1930 il secondo governo Lindman
cadde in seguito alla bocciatura di un provvedimento sull’aumento dei dazi sui cerea-
li inteso a favorire il prodotto agricolo interno.

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1128 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

più attenta alle esigenze della gente comune e di tenerlo lontano da


suggestioni estremiste; il secondo, primo ministro tra il 1923 e il
1924, nutriva forti riserve su un pieno parlamentarismo e nel perio-
do in cui fu al potere si preoccupò di portare avanti un progetto
sulla difesa (che fu respinto e, anzi, rovesciato in un consistente
disarmo dal successivo governo a guida socialdemocratica con
l’appoggio di una parte dei liberali). Capo del Partito liberale
popolare era l’abile Carl Gustaf Ekman (1872-1945), primo ministro
fra il 1926 e il 1928 e poi, ancora, fra il 1930 e il 1932: sostenitore
della destra o della sinistra a seconda della convenienza politica, fu
costretto a lasciare quando si scoprì che aveva accettato dei finan-
ziamenti dall’industriale Kreuger. Nel 1928 egli aveva fatto appro-
vare norme di legge che istituivano i contratti collettivi e il tribu-
nale del lavoro (operativo dal 1 gennaio 1929) le quali, nonostante
la forte opposizione del mondo operaio e il voto contrario dei
socialdemocratici, segnano un punto fermo nella storia dei rappor-
ti sindacati-padronato.56 Inoltre aveva convocato una conferenza
per la ‘pace [nei rapporti] di lavoro’ (arbetsfredskonferensen) che
fu tenuta a Stoccolma nei giorni 30 novembre e 1 dicembre di
quello stesso anno. Come è ben comprensibile la situazione da
questo punto di vista era tutt’altro che facile e segnata da duri
conflitti a lungo condotti con strategie legate alle singole contin-
genze e talvolta, dunque, improvvisate. Dieci anni dopo, in seguito
a lunghe trattative, i rappresentanti dell’Associazione svedese dei
datori di lavoro (SAF) e quelli del sindacato (LO) avrebbero appo-
sto la propria firma in calce allo storico accordo di Saltsjöbaden
(località a sud-est di Stoccolma) sottoscritto il 20 dicembre 1938 e
(con successive modificazioni) tuttora valido nella sostanza.57 Esso

56
La risoluzione passò in parlamento il 25 maggio. Per queste leggi si rimanda a
Hansson S., Lagarna om kollektivavtal och arbetsdomstol. Med förklaringar, Stockholm
1928.
57
 Huvudavtal mellan Svenska Arbetsgivareföreningen och Landsorganisationen i
Sverige, Stockholm 1938. Vd. Casparsson R., Saltsjöbadsavtalet i historisk belysning,
Stockholm 1966 e Lundh Chr. (red.), Nya perspektiv på Saltsjöbadsavtalet, Stockholm
2009. In quello stesso anno era stata emanata la legge che per la prima volta introdu-
ceva le ferie (due settimane) per i lavoratori (vd. Holmström N., Semesterlagen. Kom-
menterande redogörelse för lagen den 17. juni 1938 om semester, Stockholm 19414). Un
‘precedente’ dell’accordo di Saltsjöbaden era stato il cosiddetto “compromesso di
dicembre” (decemberkompromissen), raggiunto nel 1906 ma in sostanza naufragato
con il grande sciopero del 1909 nel corso del quale entrambe le parti si erano vicende-
volmente accusate di aver violato le regole stabilite in quella occasione. Con l’accordo
di Saltsjöbaden fu infine abrogata anche la cosiddetta “legge di Åkarp” (Åkarpslagen,
con riferimento al parlamentare che l’aveva proposta Pehr Pehrsson di Åkarp, 1853-
1950): promulgata il 1 luglio 1899 (e successivamente ridiscussa) essa proibiva la

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Il secolo tormentato 1129

introduceva punti fermi nei rapporti di lavoro e regole per i nego-


ziati: sicché, seppure fortemente criticato da vasti settori del mon-
do operaio, creò le premesse per una crescita economico-industria-
le. Un obiettivo perseguito soprattutto dai socialdemocratici. Fra
i quali la figura di maggior spicco è certamente quella di Hjalmar
Branting, primo rappresentante di quell’area a essere eletto in
parlamento.58 Lungimirante e rispettato egli seppe evitare che le
dure proteste del 1917 potessero costituire la premessa per rivolu-
zioni peggiori e portò all’attenzione del governo le istanze del
movimento operaio svedese adoperandosi per raggiungere, attra-
verso la via democratica, una maggiore giustizia sociale. Nel 1921
gli veniva assegnato il Nobel per la pace come riconoscimento del
suo costante sforzo a ricercare soluzioni condivise dei conflitti e
l’impegno per la costituzione della Società delle Nazioni (cui la
Svezia aveva aderito nel 1920).59 Dopo di lui (e prima di Olof
Palme)60 la figura più rappresentativa dei socialdemocratici sarebbe
stata quella di Per Albin Hansson (1885-1946) che avrebbe guida-
to la Svezia dal 1932 al 1946, con la breve parentesi di quello che
– con espressione italiana – si chiamerebbe il ‘governo balneare’ di
Axel Pehrsson-Bramstorp (1883-1954) in carica dal 19 giugno al
31 luglio 1936. Nel 1933 infatti Hansson trovò un accordo con
l’Associazione dei contadini61 in seguito al quale il suo esecutivo,
grazie anche alla migliorata congiuntura economica, poté procede-
re all’emanazione di provvedimenti legislativi di grande impatto
destinati a migliorare la qualità di vita del popolo svedese.
Sintesi del suo progetto politico fu l’espressione folkhemmet,
letteralmente “casa del popolo”: una ‘parola d’ordine’ che da una
parte comunicava concetti di uguaglianza, giustizia, tutela sociale,
collaborazione e solidarietà, mentre dall’altra riassumeva una nuova
visione della socialdemocrazia, non più intesa come movimento
politico legato alla lotta di classe quanto piuttosto come elemento di
traino in direzione della costruzione dello stato sociale, quel welfare

propaganda in favore dello sciopero e proteggeva i crumiri (vd. Karlbom R., Från
Kopparbergsprivilegierna till Åkarpslagen. Rättshistoriska studier rörande bestraff-
ningen av arbetsvägran och strejker, Göteborg 1979).
58
Vd. sopra, p. 989.
59
Il premio fu condiviso con il politico norvegese Christian Lous Lange (1869-1938),
segretario generale dell’Unione interparlamentare dal 1909 al 1933.
60
Vd. oltre, p. 1212 e p. 1214.
61
Questo patto (sottoscritto il 27 febbraio 1933), che garantiva ai socialdemocra-
tici l’appoggio della controparte in cambio di provvedimenti a favore dell’agricoltura,
è stato ironicamente definito kohandel, traducibile in italiano (con analoga espressio-
ne spregiativa di certa politica) come “mercato delle vacche”.

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1130 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

state per il quale la Svezia avrebbe a lungo costituito un esempio


da imitare. Artefice di questo cambiamento era stato, in preceden-
za, Hjalmar Branting che aveva saputo impedire al partito derive
sovietiche, ma esso fu realizzato appieno dallo stesso Hansson
efficacemente coadiuvato dal ministro delle Finanze Ernst Wigforss
(1881-1977), convinto sostenitore di questo modello. Il quale d’al-
tronde poggiava su una diversa interpretazione della dottrina socia-
lista espressa, in particolare, dal teorico Nils Karleby (1892-1926),
che aveva censurato gli sviluppi dittatoriali della rivoluzione russa
e introdotto l’idea della necessità d’un costante rinnovamento del
pensiero politico in relazione ai mutamenti sociali.62 Questa politi-
ca, apportatrice di innegabili benefici, ebbe tuttavia anche aspetti
assai poco condivisibili, a esempio là dove, facendo proprio il
principio della regolazione delle nascite e delle politiche familiari,
introdusse la pratica della sterilizzazione di individui affetti da
handicap (per lo più mentale, talvolta fisico).63 Ciò fu il risultato di
un imponente dibattito che ebbe il proprio culmine con la pubbli-
cazione (1934) del libro Crisi nella questione demografica (Kris i
befolkningsfrågan) dei coniugi Gunnar (1898-1987) e Alva Myrdal
(nata Reimer, 1902-1986)64 i quali, mentre sottolineavano il dovere
della società e dello Stato di sostenere le famiglie, si dichiaravano
favorevoli a questo tipo di interventi. Seppure una siffatta politica
non possa certo essere sovrapposta ai progetti di ‘pulizia etnica’ di
impronta nazista, è tuttavia evidente che essa affonda le proprie
62
Al riguardo le sue pubblicazioni di maggior rilievo sono: Sulla rivoluzione. Punti
di vista socialisti sugli avvenimenti a est (Kring revolutionen. Socialistiska synpunkter
på händelserna i öster, 1918) e Il socialismo di fronte alla realtà. Studi sul concetto di
socialdemocrazia e la politica attuale (Socialismen inför verkligheten. Studier över social-
demokratisk åskådning och nutidspolitik, 1926); vd. Tilton T.A., Nils Karleby and the
development of Swedish social democratic ideology, Stockholm 1982.
63
Sulla legislazione relativa (in particolare le norme del 18 maggio 1934 e del 23
maggio 1941) e il contesto sociale in cui essa maturò si rimanda all’ottimo studio di
L. Dotti: L’utopia eugenetica del welfare state svedese (1934-1975). Il programma
socialdemocratico di Sterilizzazione, Aborto e Castrazione, Soveria Mannelli 2004.
Intesa evidentemente a impedire gravidanze ‘a rischio’, questa pratica riguardò
soprattutto le donne e, seppure fosse richiesto il consenso, esso fu in molti casi indot-
to. Si calcola che tra il 1934 e il 1975 siano stati effettuati in Svezia 62.888 interventi
(vd. Dotti 2004, p. 11, nota 7). Lo scandalo delle sterilizzazioni (ampiamente sfrut-
tato dai media) è esploso nell’opinione pubblica svedese solo in tempi recenti grazie
al lavoro di Maija Runcis, docente di Storia all’Università di Stoccolma: si veda il suo
libro Steriliseringar i folkhemmet, Stockholm 1998. Dopo di ciò il governo ha istituito
una commissione di inchiesta e stabilito risarcimenti per coloro che avevano subito
questo trattamento.
64
Nel 1982 (insieme al messicano Alfonso García Robles, 1911-1991) a lei fu asse-
gnato il premio Nobel per la pace per il suo impegno a favore del disarmo.

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radici in quell’eugenetica (per molti versi risalente al darwinismo


ma anche agli studi di Gregor Mendel, 1822-1884) diffusa in primo
luogo dal medico inglese Francis Galton (1822-1911) e tanto ‘di
moda’ nei primi decenni del Novecento.65 In conclusione: se la
realizzazione della “casa del popolo” pose le basi di un autentico
progresso nella qualità di vita degli Svedesi, in molti casi essa deter-
minò tuttavia – in nome di una ‘società perfetta’ – il prevalere del
disegno politico sulla realtà, nell’ottica di un interesse comune teso
(seppure con le migliori intenzioni) ad adeguare i canoni dell’esi-
stenza a un modello predeterminato che però al contempo sotto-
valutava (quando non reprimeva) le specificità e le esigenze del
singolo cittadino.
In Svezia il periodo tra le due guerre è dunque un periodo
di crisi economica e di conflitti sociali ma anche, come si è visto, di
fasi positive e, comunque, segnato da provvedimenti di riforma
migliorativi dello stato sociale66 e anche di delibere intese a soste-

65
In Svezia basterà ricordare la fondazione (1909) della Società svedese per l’euge-
netica (Svenska sällskapet för rashygien) guidata da Svante Arrhenius (cfr. p. 1103, nota
629) cui seguì (1921) quella dell’Istituto statale per la biologia razziale (Statens institut
för rasbiologi), primo del genere al mondo, proposta e approvata dai socialdemocrati-
ci e dall’Associazione dei contadini. Le ricerche portate avanti in questo istituto (i cui
studiosi si avvicinarono in qualche caso all’ideologia nazista) ebbero un notevole
influsso sul pensiero dei coniugi Myrdal.
66
Oltre a quanto sopra ricordato e ai provvedimenti inseriti come modifiche costitu-
zionali si citino qui: la legge relativa agli infortuni sul lavoro (Lag om försäkring  för
olycksfall i arbete, 17 giugno 1916); il decreto sull’assistenza ai poveri (Lag om fattigvården,
14 giugno 1918); la legge sull’infanzia del 6 giugno 1924 (vd. Samhällets barnavård.
Lagen den 6 juni 1924 om samhällets barnavård och ungdomsskydd [barnavårdslag]
jämte andra författningar, som beröra barnavårdsnämndernas verksamhet, med inledning,
förklaringar, hänvisningar och sakregister utgiven av R. von Koch, Stockholm 19454);
la riforma scolastica del 1927 (vd. p. 1002 con nota 198); il provvedimento del 1923
che permetteva alle donne di accedere alle cariche pubbliche (Lag innefattande bestäm-
melser angående kvinnans behörighet att innehava statstjänst och annat allmänt uppdrag,
22 giugno 1923); la legge sui malati di mente (Sinnessjuklagen) del 19 settembre 1929;
la legge sulle malattie professionali (Lag om försäkring för vissa yrkessjukdomar, 14
giugno 1929); il decreto sull’assicurazione contro la disoccupazione (Förordning om
erkända arbetslöshetskassor, 15 giugno 1934); le modifiche alla legge sulla pensione
approvate nel 1935 e nel 1937 (Folkpensionslagen del 28 giugno 1935 e del 23 aprile
1937, rispettivamente; cfr. p. 996, nota 179). La legge sulla povertà del 1918 è parti-
colarmente importante perché in essa tra l’altro si eliminava la pratica di ‘mettere
all’asta’ i bambini poveri privi del sostegno di un adulto, affidandoli a chi (in una
sorta di ‘gara’) avesse offerto le migliori garanzie (non di rado in seguito disattese),
così come quella di accollare il sostegno dei più bisognosi a diverse famiglie di conta-
dini nel territorio della parrocchia che a rotazione dovevano garantire loro vitto e
alloggio in cambio di qualche servigio. Vd. Lag om fattigvården den 14 juni 1918,
utgiven av E. Wahlberg, Stockholm 195110.

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1132 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

nere l’agricoltura67 e a controllare il commercio estero. Inoltre, è


un periodo di ammodernamento del Paese, sia per la diffusione dei
nuovi mezzi di trasporto,68 sia per l’avvento del cinema (giunto in
Svezia nel 1896) e della radio,69 sia per i cambiamenti nell’esisten-
za quotidiana delle persone, desiderose di modificare il proprio
stile di vita e di adeguarsi, per quanto possibile, all’incalzante
modernità.70 Ma anche interessate a un’attiva partecipazione alla
vita sociale e politica, come dimostra il numero davvero rilevante
di coloro che facevano parte di una qualche organizzazione. Il che
tra l’altro spiega, in un mondo che andava comunque verso la
secolarizzazione, il grande consenso ottenuto dalle teorie del teo-
logo Nathan Söderblom (1866-1931) promotore dell’ecumenismo
come momento di unità religiosa ma anche come elemento di
pacificazione fra i popoli.71
Anche in Svezia nella prima metà del Novecento proseguì la
ricerca scientifica ad alto livello: studiosi di fama internazionale
sono fra gli altri Carl Munters (1897-1989) che insieme a Baltzar
von Platen (1898-1984) inventò il primo frigorifero per uso dome-
stico (diffuso poi dalla Elettrolux sorta nel 1919), la sismologa
Inge Lehmann (1888-1993), Hannes Alfvén (1908-1995), specia-
lista negli studi di fisica del plasma (premiato con il Nobel nel
1970).

67
In questo ambito va segnalato che a motivo di fenomeni come l’urbanizzazione
e l’emigrazione, ma anche per l’introduzione di nuovi strumenti per la lavorazione dei
campi, andò gradatamente scomparendo la figura dei cosiddetti statare (vd. p. 709,
nota 136), mentre i torpare (vd. ibidem) riuscirono in diversi casi ad acquistare le fat-
torie in cui lavoravano.
68
Si rilevi qui che nel 1927 la fabbrica Volvo diede l’avvio alla produzione in serie
di autovetture.
69
Nei primi anni ’20 furono fondati diversi club di radioamatori, mentre il Servizio
radio nazionale (Radiotjänst), inaugurato nel 1925, nel 1957 avrebbe mutato il proprio
nome in Radio di Svezia (Sveriges Radio). La televisione sarebbe invece giunta nel
Paese nel 1954 con trasmissioni regolari a partire dal 1956.
70
Molto importante fu, da questo punto di vista, la politica per la casa che rispon-
deva al desiderio delle classi lavoratrici di possedere un’abitazione propria, sia per
sottrarsi al pagamento di gravose rate di affitto, sia per poter vivere in edifici più
moderni tanto dal punto di vista della funzionalità quanto da quello (non meno impor-
tante!) della salute, in quanto le nuove costruzioni venivano naturalmente dotate di
acqua corrente, riscaldamento e fognature e progettate in modo da garantire spazio
vitale, luce e aria, disponendo inoltre di opportuni spazi verdi. La “casa di proprietà”
(egnahem) divenne così l’obiettivo dei molti che presentarono domanda per ottenere
i prestiti a tal fine erogati.
71
Nel 1925 egli organizzò un grande convegno ecumenico a Stoccolma. Nel 1930
gli fu assegnato il premio Nobel per la pace. Vd. Sundkler B., Nathan Söderblom. His
life and work, Lund 1969.

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Il secolo tormentato 1133

Nella seconda metà degli anni ’30 molti Paesi d’Europa si sta-
vano riarmando: la situazione politica (soprattutto quella tedesca)
determinava infatti un clima di grande incertezza che già lasciava
presagire lo sbocco verso un nuovo infausto conflitto. In Svezia,
dopo che i socialdemocratici avevano ammorbidito le loro posi-
zioni decisamente antimilitariste, si procedette a una riorganizza-
zione delle forze armate mentre il mutamento degli equilibri poli-
tici e la scarsa fiducia nell’effettiva capacità della Società delle
Nazioni di garantire la pace spingevano il Paese (che per altro
aveva aderito a questo organismo sottraendosi all’impegno di
eventuali alleanze militari) a rimarcare (possibilmente in accordo
con i vicini nordici) una posizione di neutralità ed equidistanza.
Con la Danimarca e la Norvegia furono anche intavolate trattative
per una cooperazione nell’ambito della difesa che tuttavia non
approdarono a nulla, mentre nel caso della Finlandia la volontà
svedese di collaborazione si infranse contro i piani dei Russi e il
timore di essere coinvolti in un pericoloso conflitto. Per questo
l’incontro dei capi di Stato nordici (i tre sovrani e il presidente
finlandese), organizzato a Stoccolma il 18 ottobre 1939, non avreb-
be avuto alcun seguito concreto.72 Neppure l’aggressione russa alla
Finlandia che, sebbene provocasse una profonda impressione
nell’opinione pubblica, indusse il governo – nonostante la presa
di posizione in tal senso del ministro degli esteri Rickard Sandler
(1884-1964), che in seguito a ciò si dimise – a prendere la grave
decisione di un intervento armato: solo si concesse l’invio di volon-
tari, un consistente supporto di armi e mezzi militari e un aiuto
finanziario raccolto fra la gente. Troppo temuta era del resto la
potenza dell’Unione sovietica che, come noto, aveva anche stretto
un patto con la Germania. Sicché il trattato di pace russo-finlan-
dese, concluso a Mosca il 12 marzo 1940 a tutto vantaggio degli
aggressori fu, seppure mediato proprio dalla diplomazia svedese,
il minore dei mali.73
Tuttavia: se il governo non aveva ritenuto di dover fornire alla
Finlandia un più consistente supporto militare non ugualmente
aveva agito nei confronti della Germania quando questa, dopo aver
occupato la Danimarca e piegato la resistenza dei Norvegesi, aveva
proposto un accordo per ottenere il transito delle proprie truppe
72
Vi presero parte i sovrani Gustavo V, Cristiano X, Håkon VII e il presidente
finlandese Kyösti Kallio (1873-1940).
73
The Treaty of Peace between The Republic of Finland and The Union of Soviet
Socialist Republics, in Jakobson M., Finland Survived. An Account of the Finnish-
Soviet Winter War 1939-1940, 19842, Helsinki 1984, pp. 260-266.

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1134 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

e dei propri mezzi sul territorio svedese: esso infatti fu concesso


(seppure dopo il termine delle operazioni belliche in Norvegia),74
decisione certamente influenzata dalla favorevole situazione delle
truppe tedesche che, in quel momento, sembravano spadroneggia-
re in Europa.75 A est si guardava con preoccupazione alle mosse
russe, a ovest e a sud a quelle tedesche: nel breve volgere di pochi
mesi la Svezia venne a trovarsi in una difficile situazione di ‘accer-
chiamento’ e nella necessità di cercare una via d’uscita. In primo
luogo economica. Nonostante le riserve saggiamente accumulate
nell’imminenza del conflitto, il Paese aveva bisogno di mantenere
rapporti commerciali, il che fu fatto, in primo luogo, con la Ger-
mania (in quel periodo vero grande importatore delle merci svede-
si) ma anche, nella misura del possibile, con gli altri Paesi nordici.
E tuttavia lo stato di guerra rese nuovamente necessario il raziona-
mento dei generi di prima necessità, un blocco dei prezzi e delle
retribuzioni e, soprattutto, delicate trattative per ottenere che la
flotta mercantile svedese potesse continuare a operare (tra l’altro
le navi svedesi rimaste fuori dalle zone controllate dai Tedeschi
furono noleggiate agli Alleati). Inoltre il governo (questa volta con
l’appoggio di tutte le forze politiche e della popolazione) decise di
investire cospicue somme nel potenziamento delle forze armate.
Nel 1941 la Germania attaccò l’Unione sovietica. Per la Svezia
questo costituiva un ulteriore problema, tenuto conto del proba-
bile coinvolgimento della Finlandia nelle operazioni belliche e
delle crescenti pretese tedesche: in effetti nel 1942 il governo fu
‘costretto’ a consentire il passaggio sul territorio nazionale di una
divisione dell’esercito tedesco diretta dalla Norvegia in Finlandia.
La posizione di neutralità del Paese (all’occasione opportunamen-
te ribadita) era ora in pericolo e si arrivò a temere un attacco
diretto da parte tedesca (preparandosi persino a rendere inutiliz-
zabili le miniere di ferro nel Nord).
Nel 1943, mentre le sorti del conflitto cominciavano a volgere
in favore degli Alleati, cresceva in Svezia il desiderio di affrancarsi
dalla condiscendenza nei riguardi dei Tedeschi, il che ufficialmen-
te si cominciò a fare ritirando il permesso di transito. Successiva-
mente il contrasto alla Germania nazista fu portato avanti con
azioni di solidarietà nei confronti dei profughi dai vicini Paesi

Vd. oltre, p. 1151.


74

L’accordo fu stipulato l’8 luglio 1940; vd. Böhme Kl.R., “Från 9 april till transi-
75

teringsöverenskommelsen”, in Wangel C-A. (red.), Sveriges militära beredskap 1939-


1945, Stockholm 1982, pp. 150-194.

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Il secolo tormentato 1135

nordici (fra gli altri gli Ebrei danesi)76 che in gran numero venne-
ro accolti nel Paese, con l’invio di aiuti materiali, con il supporto
dato alla libera stampa che sarebbe circolata clandestinamente nei
Paesi in guerra, con interventi di carattere diplomatico,77 con il
sostegno dato ai corpi di polizia danesi e norvegesi che furono
addestrati in vista della fine del conflitto. Nelle attività benefiche
un contributo rilevante venne anche dalla Chiesa. In effetti la
Svezia, pur tacciata di collaborazionismo, aveva inteso perseguire,
dal suo punto di vista, una rigida politica di neutralità, non altret-
tanto generosamente giudicata al di fuori dei suoi confini. Del resto,
se è vero che nel Paese i filo-nazisti non ebbero se non scarsissima
cittadinanza politica,78 è altrettanto vero che una pubblicazione
come il Giornale del commercio e della navigazione di Göteborg
(Göteborgs Handels- och Sjöfarts-Tidning),79 che manteneva una
ferma linea antitedesca, suscitò notevole contrarietà negli ambien-
ti politici e governativi e che il suo direttore, Torgny Segerstedt
(1876-1945), fu richiamato dal sovrano in persona. Del resto si
deve ammettere che fu certo la delicata posizione geo-politica del
Paese a indurre il ministro della Giustizia Karl Gustaf Westman
(1876-1944) a introdurre limitazioni alla libertà di stampa, così
come l’intero governo ad acconsentire infine alla richiesta russa di
76
Cfr. p. 1120 con nota 28.
77
Tra questi la liberazione di un gran numero di prigionieri di guerra (oltre quin-
dicimila) in primo luogo di nazionalità nordica ma non solo, che si trovavano nei
campi di concentramento tedeschi: per intermediazione di Folke Bernadotte (1895-
1948), futuro negoziatore delle Nazioni Unite in Palestina (dove sarebbe stato assas-
sinato da estremisti sionisti), e con l’indispensabile supporto della Croce Rossa svede-
se (Röda Korset) essi sarebbero stati portati via a bordo dei ben noti “autobus bianchi”
(“vita bussarna”) per raggiungere la Svezia da dove avrebbero poi fatto ritorno in patria.
78
Il primo partito di estrema destra fu in Svezia la Lega nazionale svedese (Sveriges
nationella förbund) sorta nel 1915 che negli anni assunse posizioni sempre più radicali e
filonaziste. Altri partiti di quest’area ebbero origine dal movimento antisemita che in
questo Paese aveva trovato sbocco nella fondazione (1923) dell’Associazione svedese
antisemita (Svenska Antisemitiska Föreningen), il cui organo era la pubblicazione vidi.
Successivamente sorsero diversi partiti nazisti e fascisti che talvolta si associarono ma non
di rado si divisero per i conflitti tra i diversi leader. In particolare un gruppo, formato dai
seguaci di Sven Olov Lindholm (1903-1998), andò a costituire il Partito nazional-
socialista dei lavoratori (Nationalsocialistiska Arbetarepartiet) che gradatamente si
allontanò dal nazismo tedesco. Nel 1933 diverse formazioni di ispirazione nazista (ma
non quella di Lindholm) si riunirono nel Blocco nazional-socialista (Nationalsocialistiska
Blocket). Nelle elezioni del 1936 i nazisti ebbero risultati assolutamente deludenti.
Durante la guerra diversi rappresentanti di questa parte politica si schierarono aper-
tamente dalla parte di Hitler (fra tutti Per Engdahl, 1909-1994), tuttavia l’ideologia
nazista non riuscì mai a radicarsi fra la popolazione. Oltre a Lööw 1990 vd. Nilsson
K.N.A., Svensk överklassnazism. 1930-1945, Stockholm 1996.
79
Cfr. p. 891, nota 121.

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1136 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

consegnare alle autorità di quel Paese i soldati di nazionalità bal-


tica che avevano dovuto combattere nelle file tedesche. Una deci-
sione assai controversa che, come molte altre prese dalla Svezia
durante la seconda guerra mondiale, ancora attendono una com-
pleta e corretta valutazione.80
Il 31 luglio 1945 il governo di coalizione che aveva retto il Paese
nel corso della lunga ‘emergenza bellica’ cessava di esistere e il
primo ministro Per Albin Hansson (comunque considerato
un ‘punto di riferimento’ negli anni della guerra) poteva dare vita
a un nuovo esecutivo socialdemocratico. Poco dopo tuttavia egli
moriva per un improvviso attacco di cuore.81

Nella storia, non sempre limpida, della Svezia durante il secondo con-
flitto mondiale si inserisce l’esemplare vicenda personale di Raoul Wal-
lenberg (1912-1947?), eroe umanitario grazie al quale fu salvata la vita di
decine di migliaia di Ebrei ungheresi. Appartenente a una famiglia alto-
locata (il bisnonno paterno era André Oscar Wallenberg fondatore della
Stockholms enskilda bank,82 mentre la nonna paterna era nobile) egli
ricevette una formazione di alto livello potendo studiare all’estero, com-
piere viaggi di istruzione e apprendere le lingue. Dopo diverse esperienze
in Paesi stranieri nel 1942 giunse per la prima volta in Ungheria. In pre-
cedenza, nel corso di un periodo trascorso a Haifa, Wallenberg aveva
avuto modo di considerare il problema degli Ebrei contro i quali si indi-
rizzava l’odio nazista tradotto in terribili persecuzioni. La situazione degli
Ebrei ungheresi, già precaria, aveva subito un brusco peggioramento dopo
l’occupazione tedesca del Paese (19 marzo 1944) e la nomina del governo
collaborazionista guidato da Döme Sztójay (1883-1946) che subito si
attivò per organizzare la loro deportazione verso i campi di concentra-
mento tedeschi e la creazione del ghetto di Budapest. In questa situazio-
ne Wallenberg fu chiamato dal War Refugee Board (voluto dal presidente
americano Roosevelt) a occuparsi del problema. Egli si insediò presso
la rappresentanza diplomatica svedese a Budapest, dove oltre a moni-
torare la situazione organizzò una vera e propria azione di salvataggio
fornendo documenti e sicuri rifugi a quanti più Ebrei possibile, un’at-
tività del resto già in parte avviata prima del suo arrivo e parallela a
quella di altri Paesi neutrali (come la Svizzera) e di organizzazioni come

80
A questa vicenda è dedicato il romanzo dello scrittore Per Olov Enquist (vd. p.
1266) dal titolo I legionari (Legionärerna, 1968); da esso il regista Johan Bergenstråhle
(1935-1995) ha tratto il film L’estradizione [dei soldati] baltici (Baltutlämningen, 1970).
81
Su questa importante figura di politico si rimanda a Isaksson A., Per Albin, I-IV,
Stockholm 1985-2000.
82
Vd. pp. 992-993.

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Il secolo tormentato 1137

la Croce Rossa. Sebbene le circostanze non siano state del tutto chia-
rite pare anche che egli abbia svolto un ruolo importante nell’impedi-
re l’attacco al ghetto di Budapest nel 1945. Come che sia, quando i
soldati russi entrarono nella capitale ungherese, Wallenberg fu da loro
preso in consegna, sebbene avesse liberamente preso contatto con il
loro comando. Ma le motivazioni dell’arresto (a quanto pare un’accusa
di spionaggio) e le modalità con cui esso venne attuato non sono state
sufficientemente chiarite. Egli fu visto per l’ultima volta attorno alla
metà del mese di gennaio. Secondo fonti russe sarebbe morto (per
cause naturali o giustiziato) il 17 luglio 1947 nel carcere della Lubjan-
ka a Mosca.83

13.3. Dalla neutralità concordata alla resistenza eroica

Nella seconda metà del XIX secolo, come si è visto, la Norvegia


aveva conosciuto profondi mutamenti politici e sociali (compreso
un aumento demografico che aveva incrementato la popolazione
di un abbondante 40%)84 e, finalmente, dal 1905 aveva riconqui-
stato la piena indipendenza. Sullo slancio di questo risultato e nel
sentimento di una ritrovata forza nazionale essa aveva compiuto
notevoli passi avanti sia sul versante economico (con la crescente
industrializzazione) sia su quello sociale (con opportuni provvedi-
menti legislativi) e si sentiva ora orgogliosamente alla pari dei
Paesi stranieri. Di fronte al mondo poteva vantare i successi di
letterati e artisti ma anche (forse soprattutto) di coraggiosi esplo-
ratori che si erano guadagnati ammirazione e rispetto: non pare
dunque un caso che a una figura come quella di Fridtjof Nansen85
fosse assegnato nel 1906 l’incarico di ambasciatore a Londra. Del
resto anche sul piano diplomatico essa doveva ora organizzarsi al
meglio rispetto alle nuove sfide che l’attendevano.
La prima delle quali era purtroppo alle porte. Allo scoppio del
conflitto mondiale in Norvegia (dove fino all’ultimo i segnali
del pericolo erano stati sottovalutati anche a livello politico) fu
messa in allerta la difesa e dichiarata la neutralità del Paese, in

83
Per un approfondimento sul misterioso ‘caso Wallenberg’ si rimanda, tra l’altro,
a Schiller B., Varför ryssarna tog Raoul Wallenberg, Stockholm 1991 e Jangfeldt B.,
Raoul Wallenberg – En biografi, Stockholm 2012.
84
Si calcola che la popolazione norvegese sia passata da 1.700.000 abitanti nel 1865
a 2.400.000 nel 1910; vd. Hagemann 1998 (indicazioni a p. 1018, nota 253), p. 18.
85
Vd. pp. 1104-1105.

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1138 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

coerenza con l’indirizzo di politica estera stabilito fin dal 1905


quando per la prima volta era stato nominato un ministro degli
Esteri norvegese nella persona di Jørgen Løvland (1848-1922).86
Un atteggiamento, quello della neutralità, per altro fondato su
patti internazionali87 e ribadito in accordo con i vicini scandinavi,
che non sarebbe mutato fino alla seconda guerra mondiale, quan-
do la volontà del governo e del popolo norvegese sarebbe stata
travolta dagli eventi. Nonostante questo atto nel Paese esplose il
panico. La gente (soprattutto nelle città) si precipitò agli sportelli
della Banca nazionale per recuperare i propri risparmi e fece incet-
ta di generi alimentari: ciò provocò una inevitabile impennata dei
prezzi e costrinse il governo a intervenire stabilendo un calmiere,
bloccando la convertibilità in oro delle banconote e l’esportazione
di diverse merci. In effetti si dimostrò presto come, pur rimanendo
la Norvegia ufficialmente estranea al conflitto, essa non potesse
comunque evitare di subirne le conseguenze. Il Paese aveva infatti
stretti rapporti commerciali con le potenze in conflitto, in partico-
lare con l’Inghilterra e la Germania e con lo scoppio delle ostilità
venne a trovarsi in una difficile posizione dovendo contemporanea-
mente garantire le proprie esportazioni e assicurarsi il rifornimen-
to di merci indispensabili (come il carbone inglese). Stretto fra le
pressioni dei contendenti l’esecutivo, guidato da Gunnar Knudsen
al suo secondo mandato, fu costretto a promulgare una legge
sull’assicurazione ‘di guerra’ obbligatoria per i mercantili (l’impor-
tante e vitale flotta norvegese!) per evitare che essi rimanessero
fermi nei porti,88 a ‘chiudere un occhio’ su accordi conclusi priva-
tamente dall’industria ma anche a sottoscrivere patti commerciali
a solo vantaggio di uno dei contendenti.89 La situazione era tutt’al-

86
In seguito, tra l’autunno del 1907 e la primavera del 1908 Løvland avrebbe
ricoperto la carica di primo ministro succedendo a Christian Michelsen (vd. p. 1013,
pp. 1015-1016 e p. 1143) per poi lasciare il posto al primo governo guidato da Gunnar
Knudsen (1908-1910).
87
Il riferimento è, in particolare, al cosiddetto “Atto di integrità” (Integritetsakten)
in base al quale la Francia, la Germania, il Regno Unito e la Russia garantivano di sal-
vaguardare l’integrità territoriale della Norvegia. Il documento fu sottoscritto a Kristiania
il 2 novembre 1907 (ma ratificato dal sovrano inglese il 7 dicembre: Riksarkivet,
Utenriksarkivet, Traktatsamlingen, nr. 81).
88
Il provvedimento fu emesso il 14 agosto 1914; vd. Schjelderup F. – Jantzen J. et al.,
Krigsforsikringen for norske skib (oprettet ved lov av 21. august 1914), I-II, Oslo 1927-1936.
89
Tali furono, in particolare l’accordo relativo al commercio del pesce e quello sul
rame, entrambi del 1916. Nel primo caso, poiché la Germania acquistava grandi
quantità di pesce dalla Norvegia, gli Inglesi fecero pressioni di carattere economico e
riuscirono a bloccare quelle esportazioni impegnandosi ad acquistare direttamente il
prodotto; nel secondo caso essi ottennero che la gestione del commercio della calco-

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Il secolo tormentato 1139

tro che facile: lo sbarramento del mare del Nord imposto dai
Tedeschi e, per contro, il blocco imposto dagli Alleati nei confron-
ti della Germania costringevano alla ricerca di un difficile equilibrio.
Se ciò determinò, almeno per un certo periodo, anche risvolti
economicamente positivi, le ripercussioni negative si tradussero
purtroppo nella perdita di vite umane (oltre che di beni) dovuta
agli attacchi tedeschi contro le navi norvegesi che furono affonda-
te in gran numero (circa novecento), soprattutto dopo che nel 1917
la Germania ebbe scatenato una guerra sottomarina senza quartie-
re. Ma mentre molti marinai (circa duemila) perdevano la vita, gli
armatori e gli speculatori traevano grandi profitti dai propri com-
merci: in quello che è stato definito jobbetiden90 venne così a crear-
si un forte divario tra la gran parte della popolazione (soprattutto
coloro che ricevevano uno stipendio fisso) costretta a un’esistenza
fatta di attese e rinunce (nel 1917 era stato introdotto il raziona-
mento mentre la scarsità di combustibile era pressoché totale) e un
ristretto numero di affaristi (spesso arricchitisi in breve tempo) che
lucrava sfacciatamente sulla tragedia della guerra. Fino alla fine del
conflitto la situazione non mostrò segni di miglioramento sicché,
di nuovo, ‘più che la neutralità poté il digiuno’ e ancora nel 1918
fu concluso (con l’intermediazione di Fridtjof Nansen) un patto
con gli Stati uniti grazie al quale la situazione di grave carenza fu,
almeno in parte, mitigata. Del resto, nonostante lo stato di neutra-
lità rimanesse formalmente tale, anche l’opinione pubblica mostra-
va (complice la scoperta di una intensa attività spionistica da parte
tedesca) una crescente simpatia nei confronti degli Alleati.
Alla fine della guerra seguì un breve periodo di crescita econo-
mica, presto tuttavia interrotto da fallimenti, crisi e conseguente
chiusura delle banche, bancarotta di molti comuni, calo della
produzione, forte disoccupazione, diminuzione delle vendite, cadu-
ta dei prezzi, tutti fattori che inaugurarono una lunga stagnazione
destinata ad aggravarsi ulteriormente col dilagare della crisi mon-
diale del 1929 che sarebbe giunta in Norvegia tra il 1930 e il 1931
portando ulteriore calo produttivo e picchi altissimi di disoccupa-
zione (fino al 40% circa tra il 1933 e il 1934). Di più, la volontà di
riportare la corona (il cui valore era salito parecchio per via di
manovre speculative) alla parità aurea precedente la guerra (risul-

pirite norvegese (da cui si estraeva il rame che la stessa Norvegia doveva poi importa-
re come prodotto raffinato) fosse affidata alla società anglo-spagnola Rio Tinto.
90
Termine composto da jobb (dall’ingl. to job “lavorare saltuariamente o a cottimo”,
ma anche “fare una speculazione”) e da tid “tempo” a indicare un periodo di oppor-
tunità per gli affaristi.

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1140 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

tato raggiunto nel 1928) determinò ulteriori problemi.91 La parità


aurea fu dunque abbandonata (sull’esempio inglese) nel 1931.
Queste difficoltà si innestavano su una situazione politica in
grande movimento. Per tutto il periodo della guerra il governo era
rimasto nelle mani della Sinistra (i liberali), il che dunque signifi-
cava che diversi settori della società non vi erano rappresentati e,
nonostante l’opinione pubblica avesse ripetutamente espresso
l’invito alla istituzione di un più ampio governo di coalizione, ciò
non era mai stato realizzato. Pure i liberali avevano saputo appro-
vare diversi provvedimenti di carattere sociale, spesso per iniziati-
va del ministro Johan Castberg, già ricordato per le norme sulle
concessioni.92 Particolarmente importanti sono la legge sull’assicu-
razione contro le malattie (1909), quella sulla sicurezza nei luoghi
di lavoro (1909), quelle per l’assicurazione contro gli infortuni per
i pescatori (1908), i marinai (1911) e i lavoratori dell’industria
(1915), l’introduzione (1919) della giornata lavorativa di otto ore
e di una settimana di ferie retribuite.93 Notevole scalpore suscita-
rono le leggi da lui fortemente volute per la tutela dei figli illegitti-
mi (1915) che parificavano i loro diritti rispetto a quelli nati all’in-
terno del matrimonio: esse sono ricordate come “le leggi di Castberg
per i bambini” (castbergske barnelovene).94
Nel 1915 era stata promulgata anche una normativa con la qua-
le si introduceva l’arbitrato obbligatorio al fine di dirimere i con-
flitti nel mondo del lavoro.95 Lo scopo era quello di evitare la
91
Questa scelta fu portata avanti dalla Banca nazionale (alla cui guida era Nicolai
Rygg, 1872-1957) con riduzione della quantità di moneta in circolazione e una stretta
creditizia legata all’imposizione di un alto tasso di sconto.
92
Vd. sopra, pp. 1028-1029 con nota 293.
93
Rispettivamente: Lov om sykeforsikring del 18 settembre 1909 (modificata in data 6
ottobre 1915 e successivamente in data 17 luglio 1925); Fabrikktilsynsloven del 10 settem-
bre 1909 che sostituiva il provvedimento del 1892 (vd. sopra, p. 1011 con nota 233) e a sua
volta sarebbe stata modificata in data 18 settembre 1915; Lov om ulykkesforsikring for
fiskere dell’8 agosto 1908 (con integrazioni in data 30 luglio 1915); Lov om ulykkesforsikring
for sjømenn del 18 agosto 1911 (con integrazioni in data 30 luglio 1915 e 19 luglio 1918
e modifiche nella Lov om ulykkestrygd for sjømenn del 24 giugno 1931); Lov om
ulykkesforsikring for industriarbeidere m.v. del 13 agosto 1915 che sostituiva le norme
del 1894 (vd. sopra, p. 1011, nota 233) e che sarebbe stata modificata con la Lov om
ulykkestrygd for industriarbeidere m.v. del 24 giugno 1931). Dopo un primo provvedi-
mento che regolava la materia, la Legge sulla tutela dei lavoratori dell’industria (Lov
om arbeiderbeskyttelse i industrielle virksomheter, 18 settembre 1915), la delibera che
stabiliva il limite massimo di otto ore lavorative fu emanata l’11 luglio 1919 (Endringslov
til arbeiderbeskyttelseloven).
94
Lov om barn, hvis forældre ikke har indgaat egteskap med hverandre, Lov om
forsorg for barn e Lov om forældre og egtebarn, tutte del 10 aprile 1915.
95
Arbeidstvistloven del 6 agosto 1915 entrata in vigore il 1 gennaio 1916. Questo

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Il secolo tormentato 1141

proclamazione di scioperi e la contrapposta decisione di operare


serrate, come avvenuto nel 1911, quando in risposta all’agitazione
dei minatori era stata decisa una serrata che aveva coinvolto decine
di migliaia di persone.96 Le norme restrittive non sarebbero tuttavia
bastate e dopo la guerra i conflitti ripresero vigore: nel 1920 ci fu
l’astensione dal lavoro dei ferrovieri e nel 1921 un nuovo imponen-
te sciopero che, proclamato inizialmente dai marinai, arrivò a
coinvolgere (con manifestazioni di sostegno) circa centocinquan-
tamila persone. Sebbene esso si concludesse con la sconfitta del
sindacato, la situazione di pesante crisi economica determinò nuo-
ve agitazioni, come lo sciopero dei lavoratori siderurgici (1923-1924),
di quelli dell’edilizia (1928) e quello del 1931 (ricordato come il
più grave conflitto nella storia del lavoro in Norvegia) che coinvol-
se decine di migliaia di persone, si protrasse per cinque mesi e
conobbe scontri violenti con le forze dell’ordine.97 Sullo sfondo di
tutto questo certamente la precaria situazione del dopoguerra ma
anche la ‘svolta rivoluzionaria’ all’interno del sindacato LO avve-
nuta nel 1920 (che per altro lo avrebbe penalizzato nel numero
degli iscritti).
Indubbiamente legata agli eventi russi essa trovava corrispon-
denza politica negli sviluppi cui era andato incontro il Partito dei
lavoratori norvegesi. Nel congresso del 1918 infatti l’ala radicale
(legata al movimento giovanile) prese il sopravvento e optò per un
approccio di tipo rivoluzionario eleggendo Kyrre Grepp (1879-
1922) come presidente. Fautore di questa svolta fu, tra gli altri,
Martin Tranmæl (1879-1967), figura carismatica all’interno del
movimento.98 In seguito il partito decise anche l’adesione al patto
Comintern. Questo orientamento determinò tuttavia la diaspora
dei moderati che diedero vita al Partito dei lavoratori norvegesi
socialdemocratici (Norges socialdemokratiske Arbeiderparti). Due
provvedimento fu ripetutamente ridiscusso e rinnovato (cfr. nota 101). In precedenza
le contrattazioni venivano gestite in primo luogo dal sindacato; il primo caso di con-
tratto collettivo siglato in Norvegia, che si riferisce ai lavoratori dell’industria siderur-
gica e metallica, fu concluso nel 1907.
96
La dura contrapposizione nel mondo del lavoro aveva conosciuto anche un
episodio assai grave quando il 21 settembre del 1913 nel corso di uno sciopero a
Buvika (Trøndelag meridionale) un crumiro aveva ucciso un sindacalista. Vd. Næss I.,
Skotet i Buvika. Streiken ved Piene mølle 1913, Oslo 1988.
97
Il riferimento è, in particolare, alla manifestazione operaia di Menstad (nel comu-
ne di Skien in Telemark) dell’8 giugno 1931 nel corso della quale tre poliziotti furono
feriti gravemente e diversi manifestanti arrestati. Vd. Johansen P.O., Menstadkonflik-
ten 1931, Oslo 1977.
98
Per la sua attività in sostegno degli scioperi Martin Tranmæl nel 1924 subì anche
un arresto.

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1142 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

anni dopo la decisione di ritirare l’adesione al Comintern avrebbe


prodotto una ulteriore spaccatura: i più radicali infatti vollero
mantenere uno stretto legame con l’Unione sovietica e costituirono
dunque il Partito comunista norvegese (Norges Kommunistiske
Parti). Nel 1927 il Partito dei lavoratori norvegesi e il Partito dei
lavoratori norvegesi socialdemocratici si riunificarono in una for-
mazione assai meno caratterizzata dal punto di vista ‘rivoluzionario’
e abbastanza forte da risultare prima nelle elezioni del parlamento
tenute in quell’anno: un successo che sarebbe stato confermato
(nonostante la flessione del 1930) fino alla consultazione del 1936
nella quale essa ottenne il 42,5% delle preferenze. Figure di rilievo
del nuovo partito saranno, oltre a Tranmæl stesso, Einar Gerhardsen
(1897-1987), destinato a divenire primo ministro nel secondo dopo-
guerra e considerato uno dei padri della moderna società norvege-
se99 e Oscar Torp (1893-1958), anch’egli futuro primo ministro.
Ma il cambiamento del quadro doveva coinvolgere anche altre
forze. Nel 1920 infatti l’Associazione dei contadini norvegesi (Nor-
ges Landmandsforbund), sorta nel 1896 per difendere gli interessi
della categoria, stabiliva di costituire un vero e proprio Partito dei
contadini (Bondepartiet) per poter incidere più direttamente nella
vita politica del Paese.100 Nel 1959 questa formazione, ormai svin-
colata dal legame esclusivo con il mondo contadino, avrebbe muta-
to il proprio nome in Partito di centro (Senterpartiet). Per contro
le forze più conservatrici si muovevano verso sbocchi per molti
aspetti pericolosi. La tendenza del movimento dei lavoratori alla
radicalizzazione e gli aspri conflitti sociali determinarono infatti,
per contrasto, la nascita (1925) del movimento Lega per la patria
(Fedrelandslaget) che puntando su un deciso e rinnovato naziona-
lismo voleva riunire tutte le forze ostili all’ideologia marxista (che
poneva le problematiche sociali su un piano sovrannazionale) e
stroncare le manifestazioni operaie.101 Nomi importanti al suo
99
Vd. oltre, p. 1154 e pp. 1217-1219.
100
Dal 1922 l’Associazione dei contadini norvegesi, tuttora attiva, ha mutato la
propria denominazione in Norges Bondelag. Essa affonda le proprie radici nella Socie-
tà degli amici dei contadini di Søren Pedersen Jaabæk (vd. sopra, p. 1009). Del 1913
è invece la fondazione dell’Associazione dei piccoli coltivatori norvegesi (Norsk Smaa-
brukerforbund), in seguito Lega dei contadini e dei piccoli coltivatori norvegesi (Norsk
Bonde- og Småbrukarlag), tuttavia senza fini politici. Si tenga presente che tra il 1900
e il 1930 ci fu un incremento di circa il 20% dei piccoli coltivatori.
101
Per la sua attività di contrasto agli scioperi la Lega naturalmente appoggiò l’in-
troduzione della nuova legge sui conflitti di lavoro (Arbeidstvistloven, del 5 maggio
1927) che apportava sostanziali modifiche alle norme emesse il 6 agosto 1915 (cfr. nota
95), introducendo pene severe (fino a tre anni di prigione) per chi partecipasse a
scioperi illegali, li appoggiasse o cercasse di impedire il lavoro dei crumiri. Con amara

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Il secolo tormentato 1143

interno furono (oltre al fondatore Joakim Lehmkuhl, 1895-1984)


quelli dell’esploratore Fridtjof Nansen e di Christian Michelsen,
già primo ministro.102 Seppure l’intendimento iniziale non fosse di
carattere estremista, nel movimento si verificarono, soprattutto
dagli anni ’30 (proprio nel periodo in cui esso stava perdendo
forza) ampie aperture nei confronti del fascismo e del nazismo e
molti dei suoi aderenti transitarono nelle organizzazioni naziste
norvegesi.103 Il che avvenne sebbene la Lega rimanesse assai più
vicina al Partito dei contadini e al Partito popolare liberale e, infi-
ne, si sciogliesse nel fatidico 1940 (dopo di che alcuni suoi membri
avrebbero aderito alla resistenza). Ma il vero partito estremista di
destra, l’Unione nazionale (Nasjonal samling), sarebbe stato fon-
dato da Vidkun Quisling (1887-1945) nel 1933 e avrebbe assunto
a modello il fascismo italiano e il nazismo tedesco: la sua organiz-
zazione paramilitare detta Hird (Hirden)104 era chiaramente rical-
cata sul “reparto d’assalto” tedesco (Sturmabteilung). Del resto nel
1931 era stata costituita un’organizzazione detta Aiuto ai rurali
contro la crisi (Bygdefolkets krisehjelp) che portava avanti i propri
scopi in un’ottica reazionaria. Da quest’organizzazione sarebbe
sorto il partito dei Rurali (Bygdefolket) che nelle elezioni del 1933
si sarebbe alleato all’Unione nazionale di Quisling ma sarebbe
stato sciolto nel 1936. Per altro anche il partito nazista, sebbene
interpretasse, almeno in parte, orientamenti presenti nella società
norvegese (come l’antisemitismo105 e la propensione per l’eugene-

ironia negli ambienti operai e sindacali questo provvedimento fu definito “Legge


della galera” (Tukthusloven). Del resto il contrasto agli scioperi e il sostegno ai crumi-
ri veniva anche da organizzazioni come l’Aiuto sociale norvegese (Norges Samfunnshjelp),
fondato nel 1921 o la Difesa sociale (Samfundsvernet) corpo di polizia civile costituito
nel 1923 allo scopo di intervenire in caso di gravi tumulti.
102
Cfr. p. 1013, pp. 1015-1016 e p. 1138, nota 86. Vd. Norland A., Hårde tider.
Fedrelandslaget i norsk politikk, Oslo 1973 e Sjulseth D., Fedrelandslaget i norsk
politikk 1930-1940. En historisk taper?, Oslo 2008.
103
È nota anche la loro partecipazione a una delle manifestazioni più violente
dell’estremismo di destra norvegese, avvenuta il 17 aprile 1934, quando alcune centi-
naia di attivisti nazisti assaltarono il ginnasio di Oslo allo scopo di aggredire i rappre-
sentanti socialisti che vi si trovavano: ne seguirono tafferugli nel corso dei quali essi
furono respinti sicché poi marciarono verso il parlamento inneggiando a Hitler e
furono arringati dall’attivista di estrema destra Stein Barth-Heyerdahl (1909-1972).
104
Per il significato del nome vd. p. 211.
105
Nel periodo tra le due guerre si constata nel Paese un diffuso antisemitismo
tradotto in discriminazioni di carattere amministrativo. Si rimanda qui a Johansen
P.O., “Oss selv nærmest”. Norge og jødene 1914-1943, Oslo 1984 e, più in generale, a
Mendelsohn O., Jødenes historie i Norge gjennom 300 år, I-II, Oslo 19872. Ancor
peggio degli Ebrei furono trattati i rom i quali non solo in base alla “legge sugli stranie-
ri” (Fremmedloven) del 22 aprile 1927 si videro negare l’ingresso nel Paese (il provve-

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1144 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

tica)106 non ottenne che modesti risultati elettorali (non superò mai
il 3 % dei consensi) e, nonostante la decisa opposizione al temuto
‘pericolo rosso’, la sua spinta parve a un certo punto destinata a
esaurirsi, anche perché il più grande partito di sinistra andò orien-
tandosi in senso socialdemocratico. Ma i grandiosi piani di Hitler
avrebbero cambiato le cose.107
Nel 1919 era stato introdotto in Norvegia un sistema elettorale
proporzionale (quanto meno nei collegi più grandi), sul quale ci si
sarebbe sostanzialmente basati in seguito:108 ciò determinò un mag-
giore equilibrio fra le diverse formazioni politiche ma anche una
frequente alternanza di governi, sicché anche il Partito dei lavorato-
ri giunse al potere, seppure vi restasse per un brevissimo lasso di
tempo (28 gennaio-15 febbraio 1928).109
Come è stato detto, gli anni ’20 costituiscono un periodo di gran-
dimento sarà modificato solo con una legge del 27 luglio 1956) ma, se già presenti,
subirono la politica della cosiddetta “igiene razziale” (rashygiene, vd. nota successiva).
106
Anche in Norvegia furono approvate norme per la cosiddetta ‘igiene razziale’,
un’idea propugnata innanzi tutto da Jon Alfred Mjøen (1860-1939), uno dei fondato-
ri (1912) della Federazione internazionale di eugenetica. La prima Legge sulla steriliz-
zazione (Steriliseringsloven), cui seguirono altri provvedimenti, fu approvata il 1 giugno
1934. In sostanza si consentiva la sterilizzazione o la castrazione (con un consenso
spesso solo teorico) di individui affetti da handicap mentale o fisico, ma anche di
persone in condizioni economiche di indigenza, o ritenute ‘socialmente pericolose’. In
base a queste norme molte donne di etnia rom furono sottoposte (fino al 1977) a
questa operazione. Vd. Haave P., Sterilisering av taterne 1934-1977. Undersøkelse av
lov og praksis, Oslo 2000. In uno studio dal titolo “Zwangssterilisierung in Norwegen
– eine wohlfahrtsstaatliche Politik in sozialdemokratischer Regie?” (in NORDEURO-
PAforum, Zeitschrift für Politik, Wirtschaft und Kultur, XI [2001], pp. 55-78) il mede-
simo studioso ha rilevato come, a differenza della Danimarca e della Svezia, in Norve-
gia la politica eugenetica non possa essere ricondotta a un progetto socialdemocratico
di costruzione del welfare state (al cui interno questi individui costituivano un ‘osta-
colo’). Tra il 1934 e il 1977 furono sterilizzate in Norvegia 43.731 persone (dato
ripreso da una tabella riportata nell’articolo qui citato).
107
Una opposizione al nazionalsocialismo di Quisling venne anche dall’interno di
quell’area politica, in particolare da coloro che gravitavano attorno alla rivista Ragna-
rok uscita tra il 1934 e il 1945 (sul significato del nome vd. p. 169 con nota 270). Il
chiaro riferimento mitologico del titolo mostra come per molti la propensione a un
recupero dell’eredità nordica pagana fosse strettamente collegata con le concezioni
politiche e la presunta superiorità razziale.
108
Valgloven dell’11 luglio 1919.
109
Primo ministro era Christopher Hornsrud (1859-1960), il cui programma pre-
vedeva specificamente la creazione di una società di tipo socialista (vd. Roset I.A., Det
norske Arbeiderparti og Hornsruds regjeringsdannelse i 1928, Oslo 1962). Per il resto
si alternarono governi sostenuti dalla Destra e dalla Sinistra liberale con altri domina-
ti dalla Sinistra. Tutti ebbero durata relativamente breve, comunque non superiore (o
di pochissimo superiore) ai due anni, fatta eccezione per il governo della Sinistra
guidato da Johan Ludwig Mowinckel (1870-1943) che al suo secondo mandato restò
in carica dal 1928 al 1931. Cfr. p. 1071, nota 476.

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Il secolo tormentato 1145

di contrasti, fortemente acuiti dalla crisi economica e dalla radica-


lizzazione dello scontro. Tuttavia, dopo l’ulteriore peggioramento
della situazione, derivante dal contagio della recessione mondiale,
si constata da parte del Partito dei lavoratori l’abbandono della linea
radicale e rivoluzionaria in favore di una politica più pragmatica,
indirizzata alla soluzione dei gravi problemi del Paese (in primo
luogo la drammatica disoccupazione) ma anche per evitare il rischio
di derive fasciste conseguenti a una contrapposizione frontale. Sic-
ché nel 1935, con l’appoggio fondamentale del Partito dei contadi-
ni (risultato di un accordo cui spingeva l’urgenza della congiuntura),
il suo rappresentante, Johan Nygaardsvold (1879-1952) avrà l’inca-
rico di primo ministro, inaugurando (con la sola parentesi della
guerra) un lungo periodo di governo socialdemocratico. Un note-
vole contributo alla ripresa del Paese verrà da Ole Colbjørnsen
(1897-1973), autore di studi e piani economici innovativi.110
Gli anni ’30, pur nel permanere di diversi conflitti, mostrano
anche qualche tedenza al riavvicinamento: sul piano religioso la
guerra all’interno della Chiesa pare trovare composizione nelle
celebrazioni del nono centenario del ‘martirio’ di Olav il Santo
(1930),111 mentre si smorza (almeno in certa misura) anche l’accesa
disputa linguistica che nell’intreccio con i sentimenti politici di
parte aveva conosciuto durissime contrapposizioni legate, tra l’altro,
alla volontà della Sinistra di promuovere il landsmaal nella scuola,
nella Chiesa (nel 1920 si era discusso se il libro dei salmi potesse
essere pubblicato in landsmaal) e nell’amministrazione dello Stato.112
Ciò si tradurrà in una serie di provvedimenti di revisione ortografica,113
110
Egli era tra l’altro collaboratore del Foglio dei lavoratori (Arbeiderbladet), giorna-
le del movimento operaio (vd. p. 1010, nota 226). Qui è doveroso segnalare anche la
proposta di un ‘new deal’ contenuta nel ‘manifesto economico’ della Lega per la patria
dal titolo La via norvegese (Norges vei) redatto da Joakim Lehmkuhl (cfr. p. 1143).
111
Vd. p. 1073, nota 484 e p. 256 con nota 121. Nella prima metà del XX secolo la
Chiesa norvegese annovera tra i suoi teologi Sigmund Mowinckel (1884-1965) uno dei
suoi studiosi più apprezzati e nome di grande prestigio anche all’estero. Nonostante
la tendenza alla secolarizzazione cominciasse a manifestarsi anche qui, il dibattito
teologico restò comunque assai vivace come dimostra anche la diffusione della dottri-
na del cosiddetto Gruppo di Oxford, fondato dall’americano Frank Buchman (1878-
1961) che predicava un nuovo e più personale modo di vivere il cristianesimo per
costruire la giustizia e la pace.
112
Cfr. p. 944.
113
I principali furono promulgati con decreto reale (kongelig resolusjon) il 19 feb-
braio 1907, il 21 dicembre 1917 e il 7 gennaio 1938 (vd. Norske retskrivnings-regler
med alfabetiske ordlister av J. Aars og S.W. Hofgaard. Godkjendte av Kirkedeparte-
mentet ved skrivelse av 25de juni 1907, Kristiania 1907; Den nye rettskrivning. Regler
og ordlister. Utarbeidet ved Den departementale rettskrivningskomité, Kristiania 1918;
Ny rettskrivning 1938. Bokmål, regler og ordliste. Nynorsk, regler og ordliste. Utgitt av

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1146 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

ma anche nella scelta di sostituire termini troppo apertamente


connotati di ‘danicità’ con altri autenticamente norvegesi: basti
pensare alla decisione di ‘ribattezzare’ la capitale chiamandola Oslo
anziché Kristiania (1924), nome che troppo da vicino ricordava la
sottomissione al re danese.114 Scarsa fortuna avrà tuttavia il tenta-
tivo di ‘costruire’ il samnorsk, vale a dire il “norvegese comune”
favorendo la confluenza (almeno a livello scritto) delle due lingue
(in quella direzione del resto andava la riforma del 1938).115
Esso sarà apertamente osteggiato in primo luogo dai sostenitori del
riksmaal (o bokmål come poi si chiamerà), ma anche da quelli
del landsmaal (o nynorsk come poi si chiamerà). Ragion per cui,

Kirke- og undervisningsdepartementet, Oslo 1938). In particolare il primo introdusse


le grafie p, t, k in luogo di b, d, g in accordo con la pronuncia norvegese (esempi: gripe
“afferrare” in luogo del danese gribe; utgang “uscita” in luogo del danese udgang; uke
“settimana” in luogo del danese uge), ma modificò anche le desinenze plurali dei nomi
(a esempio stoler “sedie” in luogo di stole e hus “case” in luogo di huse) e forme ver-
bali al passato. Il secondo oltre a introdurre il segno å in luogo di aa e a ‘norvegizzare’
la grafia di parole di origine straniera (esempio sjåfør per chauffeur, sjef per chef, o miljø
per milieu) aprì a una maggiore libertà in talune forme verbali e nominali articolate,
così come diede pari dignità a varianti di un medesimo termine; inoltre eliminò dissi-
milazioni ortografiche (esempio fjell “montagna” in luogo di fjeld o kvinne “donna” in
luogo di kvinde; cfr. p. 399 con nota 281 e p. 815, nota 597) e introdusse il doppio
segno ortografico in presenza di consonanti lunghe (esempio takk “grazie” in luogo
di tak). Il terzo (che riguardò soprattutto il bokmål) portò ulteriormente avanti la
norvegizzazione’ di molti termini (a esempio introducendo i dittonghi in molte parole,
vd. norv. eim, ma dan. em “vapore”; norv. møy, ma dan. mø “giovinetta”, “vergine”;
norv. gauk, ma dan. gøg “cuculo”) e si sforzò di avvicinare le due varianti dal punto di
vista morfologico e da quello della lingua scritta. Vd. Wessén 197510, pp. 68-69 e Seip
1971, pp. 434-438 (entrambi in B.5).
114
Vd. pp. 548-549 con nota 86. Contemporaneamente la città di Fredrikshald in
Østfold (che si richiamava a Federico III) divenne Halden e Fredriksvern in Vestfold
(che si richiamava a Federico V) divenne Stavern. Una notevole ostilità (con dimostra-
zioni e cortei) incontrò invece la decisione di ripristinare per la città di Trondhjem
l’antico nome di Nidaros (vd. p. 253 con nota 108), finché si stabilì che essa si chiamas-
se ufficialmente Trondheim (seppure la variante Trondhjem sia ancora largamente uti-
lizzata). Questa ondata di ‘purismo’ non toccò solo i toponimi: si ricordi qui che due
termini come amt “distretto” e stift “diocesi”, marcatamente collegati al ricordo di
strutture amministrative danesi, vennero sostituiti rispettivamente da fylke e bispedømme.
115
Il termine samnorsk risale a un articolo del 1909 (“Nationalitet og kultur”) dello
studioso Moltke Moe (vd. p. 939); in Moltke Moes samlede skrifter, utgitt ved K. Lie-
støl, I-III, Oslo 1925-1927, vol. II, pp. 252-262; il termine a p. 260: “una comune
lingua norvegese, che nasca dalla lingua viva [parlata] nelle città e nelle campagne”
(“et samnorsk sprog, vokset op av de levende talemaal, byernes som bygdernes”). In
questa direzione affermavano di voler andare anche i promotori dell’associazione
Valorizzazione (letteralmente “Innalzamento”) dell’Østlandet (Østlandsk reisning),
fondata nel 1916, che rivendicavano l’importanza dei dialetti delle regioni orientali e
sostenevano che l’utilizzo di elementi linguistici di quell’area avrebbe potuto contri-
buire a creare una lingua norvegese comune.

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Il secolo tormentato 1147

dopo la parentesi della guerra, il conflitto linguistico riprenderà


tutto il suo vigore.116
La situazione generale andò dunque gradatamente miglioran-
do.117 Determinate questioni, come quella affatto secondaria del
proibizionismo (che aveva creato grossi problemi nei confronti di
Paesi esportatori di vino) e aveva determinato la caduta di gover-
ni, erano ormai alle spalle.118 Così come era stata risolta la que-
stione relativa alle isole Svalbard sulle quali il Paese aveva da
tempo rivendicato la propria sovranità. Dopo la fine della guerra
essa veniva di fatto riconosciuta (con il cosiddetto Trattato sulle
Spitsbergen), tuttavia con una serie di limitazioni tra cui il mante-
nimento della condizione di territorio demilitarizzato e il pieno
diritto dei firmatari a intraprendere libera attività economica nel-
le isole. La Norvegia avrebbe acquisito giurisdizione sull’arcipelago
a partire dal 1925.119
E, sebbene in modo ancor meno soddisfacente, era stato chiuso
anche il contrasto sulla Groenlandia legato a interessi politici ed
economici (in particolare la caccia alle foche e alle balene).120
116
Vd. oltre, pp. 1247-1248.
117
Un clima di rinnovato ottimismo appare manifesto nella grande esposizione di
Oslo del 1938 significativamente nominata “Noi possiamo” (“Vi kan”).
118
Nel 1919 un referendum popolare sull’importazione e la vendita di bevande
alcoliche aveva visto prevalere coloro che erano favorevoli a mantenere il divieto
introdotto durante la guerra; in seguito a ciò nel 1922 era stato creato (su modello
svedese) il cosiddetto “Monopolio del vino” (Vinmonopolet), un ente sotto controllo
statale che ne gestiva la vendita (rigorosamente controllata). Il dibattito sulla questio-
ne (che presentava risvolti sociali ma anche economici) andò avanti e nel 1923 le
norme furono alleggerite finché un nuovo referendum del 1926 decretò la cancellazio-
ne del divieto.
119
Il trattato sulle Spitsbergen (il nome Svalbard sarebbe stato adottato successi-
vamente) porta la data del 9 febbraio 1920 (Traktat mellem Norge, Amerikas Forente
Stater, Danmark, Frankrike, Italia, Japan, Nederlandene, Storbritannia og Irland og de
britiske oversjøiske besiddelser og Sverige angående Spitsbergen: http://www.lovdata.
no/all/hl-19200209-000.html). L’amministrazione norvegese sull’arcipelago è regola-
ta dalla Legge sulle Svalbard (Lov om Svalbard, 17 luglio 1925). Sull’argomento vd.
Mathisen T., Svalbard i internasjonal politikk 1871-1925, Oslo 1951 e Berg R.,
“Spitsbergen-saken 1905-1925”, in NHT LXXII (1993), pp. 443-457. In precedenza
(1910) c’era stato anche un tentativo svedese di imporre la propria sovranità su una
zona dell’arcipelago (evento legato all’interesse per le riserve di carbone): vd. Nordin
T., “Sveriges okända ockupation”, in PH, 1993: 4, pp. 14-19.
120
La questione della caccia alle balene era da tempo di grande attualità in quanto
nelle zone settentrionali del Paese si era determinato un lungo contrasto tra coloro che
la esercitavano e i pescatori locali i quali sostenevano che essa danneggiava la loro
attività. Per questo con una legge del 1904 che modificava un precedente provvedi-
mento del 1886 (Lov om Forandring i Lov om Hvalfangst af 6te Juni 1886, 7 gennaio
1904) era stata proibita in quelle acque. Essa era poi ripresa (1923) ma sottoposta
all’ottenimento di una concessione. Vd. Hagemann 1998 (indicazioni a p. 1018, nota

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1148 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

Questo territorio, come noto, apparteneva alla Danimarca121 che


ancora nel 1921 aveva ribadito la propria sovranità. Tuttavia negli
ambienti norvegesi più nazionalisti si sosteneva che esso spettasse
piuttosto alla Norvegia, dal momento che da lì erano partiti i pri-
mi nordici che l’avevano colonizzato (il pensiero andava innanzi
tutto a Eirik il Rosso),122 sicché nel 1926 dall’unione di diverse
istituzioni locali era stata istituita la Lega norvegese per la Groen-
landia (Norges Grønlandslag) presieduta dall’archeologo Anton
Wilhelm Brøgger (1884-1951). Il 27 giugno 1931 un gruppo di
uomini decise di passare all’azione: occupò un’area sulla costa
orientale circostante la località di Myggbukta (dove oltre ad alcu-
ne strutture per i cacciatori c’erano una stazione radio e una posta-
zione meteorologica) e vi innalzò la bandiera norvegese. Questo
gruppo era guidato da Hallvard Devold (1898-1957), che in pre-
cedenza (1925-1926) aveva diretto l’istituto meteorologico che i
Norvegesi nel 1922 avevano allestito sull’isola di Jan Mayen a
indicare la presa di possesso di quel territorio (poi ufficialmente
ratificata nel 1929).123 All’area ‘occupata’ (per altro disabitata) fu
dato significativamente il nome di Terra di Eirik il Rosso (Eirik
Raudes Land). Dopo un’iniziale titubanza il governo retto dal
Partito dei contadini e presieduto da Peder Kolstad (1878-1932)
e nel quale Vidkun Quisling aveva la carica di ministro della Dife-
sa124 diede il proprio appoggio all’azione e nominò un funzionario
ad hoc nella persona dell’archeologo Helge Ingstad (1899-2001).
In Norvegia la convinzione di avere esercitato il proprio diritto era
condivisa (non da ultimo dal re) sicché l’anno successivo venne

253), pp. 178-180.


121
Il che era stato confermato nel trattato di pace di Kiel del 1814 (vd. sopra, pp.
861-862 con nota 8).
122
Vd. p. 122 con nota 92.
123
L’isola venne dichiarata territorio norvegese con un decreto reale (Kongelig
resolusjon) dell’8 maggio 1929; l’anno successivo venne emanata la legge per regola-
mentarne l’amministrazione (Lov om Jan Mayen, 27 febbraio 1930). Due anni prima
era stato ottenuto il riconoscimento della sovranità sull’Isola di Bouvet (Bouvetøya)
nell’area sub-antartica dell’oceano Atlantico, occupata dall’equipaggio di una nave
norvegese nel 1927. Vd. Øian L.Ø., Norsk ekspansjonspolitkk i Arktis og Antarktis i
mellomkrigstiden. Beveggrunner for annekteringen av Jan Mayen og Bouvetøya, Bergen
1995. La Norvegia ha inoltre sovranità sulla Terra della regina Maud (Dronning Maud
Land, dal nome della moglie di re Haakon VII) e l’isola Pietro I (Peter I øy) in Antartide.
124
 All’epoca Quisling non aveva ancora fondato l’Unione nazionale, tuttavia
aveva già manifestato più che esplicitamente i propri orientamenti politici, tra l’altro
fondando il 17 marzo di quello stesso anno l’associazione Rinascita del popolo
nordico (Nordisk Folkereisning) che chiaramente anticipa quello che sarà il suo
partito di impronta nazista.

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Il secolo tormentato 1149

messa in atto una vera e propria occupazione della zona compresa


tra 60° 30’ e 63° 40’ di latitudine nord, cui venne dato nome Terra
di Fridtjof Nansen (Fridtjof-Nansen-Land). Come era prevedibile
la Danimarca reagì vigorosamente e portò la questione di fronte
al Tribunale internazionale dell’Aja che accolse pienamente le sue
ragioni sicché per la Norvegia la questione si concluse con un
completo insuccesso.125
Superati gli anni bui della crisi l’economia norvegese riprese
a crescere. Abbandonato il principio della parità aurea la coro-
na era stata opportunamente svalutata con evidenti vantaggi
per le esportazioni che crebbero in misura consistente. Il 9
marzo 1935 fu sottoscritto tra il sindacato (LO) e l’organizza-
zione dei datori di lavoro (NAF) un accordo di principio (hoved-
avtale) che mise fine a decenni di dure contrapposizioni, ponen-
do al contempo le basi di rapporti futuri.126 Inoltre il governo
a guida socialdemocratica approvò provvedimenti di sostegno
all’occupazione e all’agricoltura e portò avanti una ‘legislazio-
ne sociale’ che avrebbe costituito la base del futuro welfare
state norvegese.
Anche in Norvegia, nonostante la guerra e i problemi, la vita
stava profondamente cambiando: sulle strade aumentava il nume-
ro delle biciclette (diffuse dagli anni ’90 del XIX secolo) e delle
automobili (passate tra gli anni ’10 e gli anni ’30 da poco meno di
un migliaio a oltre sessantacinquemila), nelle case (ora più moder-
ne, fornite di elettricità e di qualche apparecchio domestico pro-
dotto dalla nuova tecnologia)127 entrava la radio;128 la pratica spor-
tiva si diffondeva,129 giungeva il cinema e qualche tradizione

125
Vd. Eriksen F.H., Grønlandssaken. Dansk grønlandspolitikk og norske reaksjoner
1909-1933, Oslo 2010 e anche Blom I., Kampen om Eirik Raudes land. Pressgruppe-
politikk i grønlandsspørsmålet 1921-1931, Oslo 1973.
126
Testo in rete su: http://www.arbark.no/Diverse/Dokumentarv/hovedavtalen.
pdf.
127
Un importantissimo contributo al miglioramento delle condizioni abitative
delle classi più disagiate venne da Nanna Broch (1879-1971), che per incarico delle
autorità sanitarie della capitale aveva il compito di ispezionare e verificare le condizio-
ni degli alloggi.
128
Nel Paese le trasmissioni della radio presero l’avvio nel 1925. Il 29 aprile di
quell’anno venne infatti fondata la Società per la radiodiffusione (Kringkastingssel-
skapet) a capitale privato. Essa fu sostituita nel 1933 dalla Radiodiffusione nazionale
norvegese (Norsk rikskringkasting). La televisione giungerà in Norvegia con un certo
ritardo: le prime trasmissioni sperimentali risalgono al 1954, mentre le trasmissioni
ufficiali avranno inizio solo a partire dal 1960.
129
Atleti come Oscar Mathisen (1888-1954) recordman mondiale sui 1500 mt. nel
pattinaggio di velocità (un primato conquistato nel 1914 e durato ben ventitre anni) e

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1150 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

cominciava a lasciare spazio a nuove mode. Anche qui la ricerca


scientifica proseguiva e molti studiosi si segnalano a livello inter-
nazionale.130 Campi nei quali (anche grazie alle diverse spedizioni
scientifiche) essi diedero un apporto cospicuo sono quello della
meteorologia131 e dell’oceanografia,132 sebbene l’eccellenza sia rag-
giunta anche in altri ambiti.133 Né va trascurato il settore umanisti-
co che annovera molti nomi di grande prestigio.134
Nel 1920 la Norvegia era entrata a far parte della Società delle
Nazioni. In realtà all’interno di questo organismo essa aveva più che
altro cercato di rafforzare la posizione dei Paesi per così dire ‘mino-
ri’, sforzandosi di mantenere un costante profilo di neutralità. Per
questo motivo, ma anche per la scelta di privilegiare politiche socia-
li, la difesa era stata in parte trascurata (negli anni ’20 le opinioni al
riguardo erano contrastanti) e solo nella seconda metà degli anni
’30 con l’intensificarsi dei timori di una nuova guerra si cominciò
ad aumentare le spese a essa destinate (più che triplicate tra il 1938
e il 1940). Ma né questo né, tanto meno, il mantenimento di un
indirizzo neutrale in politica estera sarebbero bastati a evitare la
catastrofe.
Che della neutralità norvegese ben poco importasse alle grandi
potenze era apparso chiaro fin dal febbraio 1940 quando nelle acque
norvegesi si era verificato l’incidente (se così lo si vuole definire)

Sonja Henie (1912-1969) campionessa mondiale e olimpica di pattinaggio artistico su


ghiaccio (ma anche attrice a Hollywood) resero lo sport norvegese noto nel mondo.
La Henie tuttavia fu da più parti biasimata per i suoi rapporti con gli ambienti nazisti
tedeschi, non da ultimo con Hitler stesso.
130
Si ricordino, almeno, il celebre matematico Thoralf Skolem (1887-1963), la
zoologa Kristine Bonnevie (1872-1948), prima donna a ottenere una cattedra univer-
sitaria e a essere ammessa alla Società delle scienze (1911). Nell’ambito della medicina
Asbjørn Følling (1888-1973), anche biochimico e Sigvald Refsum (1907-1991) i cui
nomi restano legati alle patologie da loro scoperte.
131
Si segnalano, tra gli altri, i nomi di Henrik Mohn (1835-1916), considerato il
fondatore di questo tipo di studi; di Vilhelm Bjerknes (1862-1951), a capo della ‘scuo-
la di Bergen’ e del suo assistente Halvor Solberg (1895-1974).
132
Dove si vogliono ricordare gli studi di Fridtjof Nansen ma anche quelli del
biologo marino Johan Hjort (1869-1948).
133
A esempio quello, innovativo, dell’ecologia che fin dal secondo decennio del
secolo vede l’attività di studiosi come Nordahl Wille (1858-1924), tra l’altro coinvolto
nella fondazione dell’Associazione norvegese per la protezione della natura (Lands-
foreningen for Naturfredning i Norge, sorta nel 1914), e Yngvar Nielsen (1843-1916).
134
Come lo storico Halvdan Koht (1873-1965), il filologo Magnus Olsen (1878-
1963), il celtista Carl J.S. Marstrander (1883-1965), il linguista Didrik Arup Seip
(1884-1963), l’archeologo ed esploratore Thor Heyerdahl (vd. p. 1196), solo per
menzionare i nomi più noti!

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Il secolo tormentato 1151

della petroliera Altmark.135 In realtà sia i Tedeschi sia gli Alleati (in
particolare gli Inglesi) avevano ben chiara l’importanza della Nor-
vegia nella ‘geografia della guerra’. Essa infatti costituiva uno snodo
fondamentale del traffico di ferro spedito con la ferrovia dalle
miniere svedesi fino al porto di Narvik dal quale poi poteva rag-
giungere la Germania. Inoltre a nessuno sfuggiva l’importanza
strategica dei diversi porti sull’Atlantico. L’operazione denominata
“esercitazione Weser” (Weserübung) con la quale i Tedeschi inten-
devano stabilire il proprio dominio navale, aereo e terrestre sulla
Norvegia ebbe inizio il 9 aprile 1940, lo stesso giorno dell’occupa-
zione della Danimarca. Contrariamente a quanto avvenuto in quel
Paese i soldati tedeschi incontrarono qui una notevole resistenza:
contrastati dalle forze navali inglesi essi dovettero affrontare anche
la reazione norvegese (sostenuta da truppe inglesi e francesi). Lo
stesso 9 aprile il re e i membri del parlamento riuscirono ad allon-
tanarsi in tutta fretta dalla capitale e dopo una prima sosta a Hamar
raggiunsero Elverum dove fu sottoscritto un atto che trasferiva ogni
potere al governo fino al cessare dell’emergenza (il che significò fino
alla fine della guerra). Il tentativo degli aggressori di imporre imme-
diatamente la propria dominazione nominando un nuovo esecutivo
guidato da Vidkun Quisling (che per altro si era subito affrettato
ad autoproclamarsi) si infranse contro la ferma volontà del re
Haakon VII che, pur nella dolorosa consapevolezza delle gravissime
conseguenze che questa scelta avrebbe comportato per il Paese,
dichiarò di non poter venir meno ai princìpi costituzionali e dunque
di preferire l’abdicazione alla resa, pur lasciando ogni decisione
definitiva ai membri del governo: essi all’unanimità rifiutarono di
aderire alle richieste della Germania e invitarono il popolo norve-
gese alla resistenza. La durissima reazione dei Tedeschi costrinse il
re e l’intero esecutivo a fuggire ancora più a nord rifugiandosi
nella città di Tromsø, che il 1 maggio fu dichiarata capitale provvi-
soria. In capo a due mesi le forze di occupazione stroncarono
la resistenza norvegese e il 10 giugno a Trondheim venne firmata la
resa. Tre giorni prima la famiglia reale e i membri del governo si
erano imbarcati alla volta di Londra. Del gruppo faceva parte anche

135
Nel gennaio di quell’anno la petroliera tedesca Altmark inseguita dai cacciator-
pedinieri inglesi si era rifugiata in un fiordo norvegese contando sul fatto che lo stato
di neutralità di quel Paese la garantisse da qualsiasi attacco. Nonostante le affermazio-
ni contrarie dei Tedeschi essa era carica di prigionieri inglesi (marinai di navi affonda-
te dalle forze tedesche) sicché Churchill diede comunque l’ordine di attaccarla e
liberare i prigionieri (16 febbraio): questa azione offrì a Hitler il pretesto per dare il
via all’occupazione della Danimarca e della Norvegia.

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1152 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

Carl Joachim Hambro (1885-1964), presidente del parlamento e


politico della Destra che sempre aveva voluto tracciare una netta
linea di demarcazione tra i princìpi della propria area politica e le
aberranti ideologie nazi-fasciste e che dopo l’attacco del 9 aprile
aveva abilmente ‘sottratto’ il re e i membri del parlamento dalle
mani dei nemici organizzando il trasporto verso Hamar.
Il 15 aprile 1940 la Corte suprema norvegese nel tentativo di ‘sal-
vare il salvabile’ aveva nominato un Consiglio di amministrazione
(Administrasjonsrådet) che potesse in qualche modo trovare una via
d’intesa coi Tedeschi. Con l’avvallo di questi ultimi esso sostituì il
‘governo’ di Quisling ma fu a sua volta presto rimpiazzato. Il 24
aprile Hitler inviò in Norvegia il commissario Josef Terboven (1898-
1945) il quale assunse i pieni poteri instaurando un vero e proprio
regime del terrore: egli tuttavia era ostile a Quisling che cercò sostegno
direttamente presso Hitler. Terboven fu dunque costretto ad accet-
tare la sua collaborazione. Il 25 settembre 1940 in un proclama
Terboven comunicò ai Norvegesi che il re e il governo Nygaardsvold
erano deposti e tutti i partiti sciolti tranne l’Unione nazionale, inoltre
nominò un ‘consiglio’ di collaboratori con a capo Quisling che però
divenne effettivamente primo ministro solo il 1 febbraio 1942.136
Naturalmente il regime imposto era esattamente ricalcato su quel-
lo nazista, mentre la propaganda cercava di portare i Norvegesi dalla
parte degli invasori. In moltissimi casi senza successo; per evitare che
il popolo potesse ascoltare le trasmissioni da Londra (da dove il re si
rivolgeva ai compatrioti) nell’estate del 1941 si arrivò a sequestrare
gli apparecchi radio. Nonostante la morsa degli occupanti fosse ben
salda sul Paese, la resistenza non tardò a organizzarsi sfidando i
metodi spietati dei Tedeschi e dei collaborazionisti che non esitavano
ad aggredire, arrestare, torturare, deportare, uccidere chiunque si
opponesse né a ricorrere a feroci rappresaglie.137 Essa si manifestò
con un atteggiamento passivo di disobbedienza civile che ostacolava
la realizzazione dei piani tedeschi ma anche in vere e proprie azioni
di sabotaggio,138 nell’aiuto ai fuggitivi, spesso ebrei (che in primo
luogo venivano fatti passare in Svezia), nella diffusione di stampa
clandestina.139 Una netta contrapposizione al nazismo si manifestò
136
Sul commissario tedesco vd. Nøkleby B., Josef Terboven. Hitlers mann i Norge,
Oslo 2008. L’8 maggio del 1945, all’annuncio della resa tedesca, Josef Terboven si
sarebbe suicidato facendosi saltare in aria in un bunker.
137
Tra l’altro i Tedeschi organizzarono in Norvegia veri e propri campi di concen-
tramento come quelli di Grini e di Bredtvet presso Oslo.
138
Nelle quali si distinsero organizzazioni come il Gruppo di Osvald (Osvald-
gruppen) e la ‘Gang’ di Oslo (Oslogjengen).
139
I principali giornali diffusi illegalmente erano: Stampa libera (Fri Presse), Rex Ro-

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Il secolo tormentato 1153

dunque da più parti: nel mondo del lavoro140 e della scuola, tra i
funzionari amministrativi e di polizia, nella Chiesa. Così la Corte
suprema si dimetteva per protesta contro il nuovo ordinamento
governativo voluto da Terboven, i vescovi norvegesi prendevano
posizione contro il nazismo seguiti dalla gran parte delle comunità
religiose locali i cui pastori si dimettevano in massa141 e il mondo
della scuola si mostrava non solo refrattario all’infiltrazione dell’ideo-
logia nazista ma fucina di partigiani.142 Questo era ben chiaro alle
autorità tedesche quando, il 30 novembre del 1943, circondarono
l’edificio dell’università di Oslo e arrestarono in massa studenti e
docenti molti dei quali furono poi internati in Germania.143 Del resto
fin dal 1941 il rettore Didrik Arup Seip,144 che pure era stato membro
del Consiglio di amministrazione del 1940, era stato rinchiuso in un
campo di concentramento. Né mancò ai Norvegesi l’appello forte
e chiaro di molti intellettuali: fra tutti il grande scrittore Arnulf
Øverland (1889-1968) che fin dalla seconda metà degli anni ’30
aveva chiaramente avvertito del pericolo nazista.145 Anche episodi
singoli come quello in cui il celebre musicista e direttore d’orchestra
Harald Heide (1876-1956) facilitò la fuga di un violinista ebreo146 o

tary (dal nome dell’apparecchio ciclostile che veniva utilizzato), Notizie da Londra (London-
Nytt), Tutto per la Norvegia (Alt for Norge). Uno dei più attivi redattori fu Petter Moen
(1901-1944) poi arrestato e torturato dalla Gestapo e morto sulla nave che lo stava tra-
sportando in Germania affondata a causa dello scoppio di una mina; vd. p. 1268, nota 183.
140
Tra i primi norvegesi a essere giustiziati dai tedeschi ci furono i sindacalisti
Viggo Hansteen (1900-1941) e Rolf Wickström (1912-1941), arrestati in seguito allo
sciopero proclamato nei giorni 8 e 9 settembre 1941 a causa dell’annunciato raziona-
mento del latte. Le loro figure divennero presto simboli della resistenza.
141
Nell’ottobre del 1940 era stata costituita la Consulta cristiana (Kristeligt samråd)
alla cui guida era Eivind Berggrav (1884-1959), vescovo di Oslo, il quale divenne un
punto di riferimento nella lotta contro l’oppressione nazista. Arrestato e condannato
a morte, fu in seguito posto agli arresti domiciliari in isolamento. Ciò nonostante riuscì a
organizzare la resistenza all’interno della Chiesa norvegese.
142
Molti studenti furono reclutati nella XU, organizzazione di agenti segreti che
raccoglieva informazioni sulle attività e le postazioni tedesche. Vd. Sæter E. – Sæter
S., XU. I hemmeleg teneste 1940-45, Oslo 2007.
143
Pretesto di questa azione era stato l’incendio dimostrativo appiccato all’Aula magna
dell’università il 28 novembre nell’imminenza di un concerto per le forze di occupazione.
144
Cfr. nota 134.
145
Insieme alla moglie Øverland fu arrestato e tradotto in prigionia ma non cessò
di scrivere. Le poesie scritte negli anni della guerra saranno raccolte nel 1945 nel
volume dal titolo: Si sopravvive a tutto! (Vi overlever alt!).
146
Il fatto avvenne durante il concerto tenuto nel 1941 durante il quale un gruppo
di appartenenti alla Hird (vd. p. 1143 con nota 104) cominciò a ingiuriare un violinista
ebreo. Heide ordinò senza indugio all’orchestra di eseguire l’inno nazionale: al che gli
estremisti si alzarono in piedi con la mano sul petto mentre il violinista poté mettersi
in salvo dall’uscita posteriore.

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1154 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

l’atto di insubordinazione dell’ufficiale di polizia Gunnar Eilifsen


(1897-1943) che fu per questo condannato a morte,147 mostrano quan-
to fosse diffuso il sentimento di insofferenza e di rivolta. Quello che
sarebbe stato definito il “Fronte interno” (Hjemmefronten) compren-
deva dunque tanto la resistenza non organizzata quanto quella organiz-
zata. Quest’ultima era presente sia all’interno del mondo militare (Milorg)
sia di quello civile (Sivorg) e rispondeva direttamente al governo in
esilio che nel 1944 ne affidò la guida a Paal Berg (1873-1968).
Nell’ottobre di quello stesso anno l’esercito russo occupava la loca-
lità di Kirkenes nell’estremo nord-est del Paese. Era l’avvio della
liberazione che si concretizzò con l’atto di resa dei Tedeschi l’8 maggio
1945. Essi abbandonarono il territorio norvegese non senza lasciare
dietro di sé rovine e distruzione. La famiglia reale e il governo fecero
ritorno in patria. Il 12 giugno il primo ministro Johan Nygaardsvold
(formalmente – almeno per i norvegesi – rimasto in carica) rassegnò
le dimissioni lasciando spazio a un governo di grande coalizione con
rappresentanti di tutte le forze politiche (esclusa evidentemente
l’Unione nazionale!) guidato da Einar Gerhardsen che accompagnò
il Paese verso libere elezioni in seguito alle quali Gerhardsen stesso
avrebbe formato un nuovo esecutivo socialdemocratico. Quisling
tentò in extremis una sorta di politica del compromesso ma fu arresta-
to e processato. Condannato a morte venne fucilato il 24 ottobre 1945.148

Fin dal 1905, quando era divenuto re di Norvegia, Haakon VII aveva
sempre mostrato grande amore per il suo nuovo Paese, attenzione per il
popolo e rispetto della costituzione. Costretto all’esilio inglese durante la
seconda guerra mondiale, non mancò mai di far sentire la propria vici-
nanza alla nazione. Si riporta di seguito un discorso da lui rivolto ai
Norvegesi nella ricorrenza della festa nazionale, il 17 maggio 1942:

147
Tra le diverse imposizioni fatte dai Tedeschi al popolo norvegese vi era anche
quella del lavoro obbligatorio. Eilifsen, che era un funzionario di polizia, aveva aval-
lato il rifiuto di arrestare delle ragazze che non avevano adempiuto a questo obbligo.
Per questo motivo fu condannato a morte per volontà di Terboven.
148
In Norvegia la pena di morte per i reati civili era stata abolita con una legge
(Almindelig borgerlig Straffelov) del 22 maggio 1902, entrata in vigore il 1 gennaio
1905. Alla stessa data risale un altro provvedimento (Militær Straffelov) che riduceva
i casi di applicazione della pena capitale in ambito militare. La pena di morte per
questi reati e quello di alto tradimento sarà abrogata con una legge dell’8 giugno 1979.
L’ultima esecuzione risale comunque al 28 agosto 1948, data in cui fu fucilato Ragnar
Skancke (1890-1948), collaboratore di Quisling colpevole di aver voluto sottomettere
la Chiesa e la scuola norvegese all’ideologia nazista.

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Il secolo tormentato 1155

“Il 17 maggio è sempre stato un giorno in cui la gioventù marciava in


corteo con le bandiere, e il giorno in cui i più anziani inneggiavano ai nostri
padri di Eidsvoll poiché essi nelle difficili condizioni di allora hanno dato
vita alla costituzione norvegese. Libertà e indipendenza sono due cose che
il popolo norvegese considera sublimi e sacre, e non abbiamo mai preso in
considerazione che qualcuno potesse privarci di questa libertà. Nel 1905 fu
possibile realizzare l’indipendenza della Norvegia e ciò avvenne in modo
pacifico e per mezzo della trattativa. Perciò era forse troppo semplice per il
popolo norvegese credere che anche nel futuro fosse possibile ottenere buo-
ni risultati con la trattativa. Del resto la prima guerra mondiale non ci ha
fatto mutare questa opinione.
È stato solo il 9 aprile che siamo stati strappati a questa convinzione e ci
siamo trovati improvvisamente e inaspettatamente a decidere se accettare le
richieste che i nostri nemici ci facevano o difendere la nostra libertà fino a
che fosse stato possibile. In un giorno come oggi io non posso fare a meno di
esprimere gratitudine a ciascuno dei ministri perché nessuno di loro in quel
momento era in dubbio su cosa dovessimo fare. Il governo era consapevole
della sua responsabilità, e noi sapevamo che non eravamo preparati a una
tale aggressione. Nessuno di noi aveva creduto che ci fosse in agguato qualche
pericolo fintanto che avessimo cercato di tirare avanti e [pensavamo] che
avremmo potuto superare questa guerra nello stesso modo in cui eravamo
riusciti nella guerra precedente. La resistenza che potevamo opporre non
poteva essere molto forte, poiché non eravamo preparati. Ma io sono sicuro
che noi tutti insieme sentivamo di trovarci di fronte alla scelta di poter guar-
dare negli occhi le generazioni future e il resto del mondo con la sensazione
di avere fatto il nostro dovere per la Norvegia, la sua libertà e indipendenza.
Noi avevamo sperato che i nostri alleati potessero darci un sostegno, ma
non si può improvvisare una difesa di fronte a una delle più grandi potenze
militari del mondo che, mentre tutti gli altri procedevano nel disarmo, si
armava in segreto.
Ci trovammo ancora una volta di fronte a una situazione molto difficile
durante i combattimenti, ed è stato allora che abbiamo dovuto deciderci a
lasciare il Paese per continuare la battaglia [...]
Ciò che ha contribuito al buon nome della Norvegia in questo Paese,149
non riguarda solo noi che siamo costretti a restare fuori dai confini del
Paese, ma soprattutto quelli che sono in patria. Ciò che noi chiamiamo
fronte interno, è quello che ci ha guadagnato presso tutto il mondo civile
rispetto e considerazione per ciò che la Norvegia è e per ciò che la Norvegia
fa in questo momento. Tutti noi che stiamo fuori dai confini nazionali,
siamo pieni di ammirazione per il comportamento sereno e coraggioso che
viene assunto nei confronti degli occupanti. Io voglio esprimere gratitudine
e ammirazione per tutti quelli che in un modo o nell’altro hanno dimostra-
to il loro eroismo. È la donna normale che a casa siede a parlare della
situazione con i figli, e tutte le nostre grandi istituzioni che non si sono mai

149
Il riferimento è alla Gran Bretagna dove il re si trovava in esilio volontario.

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1156 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

lasciate piegare. E proprio in questi giorni siamo a leggere degli ultimi


attacchi portati contro la nostra Chiesa e la scuola.
Ci riempie di dolore e di orrore leggere o sentire del trattamento di cui
sono stati fatti oggetto questi norvegesi. Essi sapevano bene dove poteva
portarli il loro atteggiamento, ma non hanno tradito la loro coscienza, seb-
bene sapessero che avrebbero potuto essere messi al muro. Non possiamo
essere grati a loro a sufficienza. Ma il trattamento a cui essi sono stati sot-
toposti, ha fatto sì che noi che ci troviamo fuori dal Paese, sentiamo che ogni
singolo tedesco avrà la responsabilità per ogni azione a cui ha sottoposto il
nostro popolo in patria.
Verrà il giorno della resa dei conti dopo questo, e allora ogni singolo
tedesco dovrà rispondere di tutte le azioni disumane commesse contro per-
sone indifese.
In un giorno come il 17 maggio io sono abbastanza sicuro che tutti i
Norvegesi che si trovano fuori dalla Norvegia pensano a quelli che sono in
patria, ciascuno ai suoi, e aspirano al giorno della liberazione [...]
Tutti vogliono dare il proprio contributo per rendere la Norvegia di
nuovo libera.
Ma ci sono anche altri grandi obiettivi. Non si tratta solo di restituire la
libertà alla Norvegia, ma anche di ricostruirla e al contempo creare una
società in cui tutti possano vivere in futuro una vita libera e felice.
Voglio concludere esprimendo l’auspicio che non debba passare troppo
tempo prima che noi si possa tornare in Norvegia e dare avvio alla
ricostruzione.”150

13.4. Dall’autonomia alla piena sovranità attraverso i conflitti

Per quanto relegata alla periferia dell’Europa anche l’Islanda


doveva subire le conseguenze del primo conflitto mondiale. Il
Paese si era da poco conquistata una maggiore indipendenza che,
complici i problemi determinati dalla guerra, fu presto messa alla
prova. Per la verità (come del resto avvenuto in Norvegia) lo scop-
pio del conflitto aveva (almeno inizialmente) arrecato dei vantaggi
economici: i pescherecci stranieri stavano lontani dalle coste del
Paese e le merci islandesi (non solo il prodotto della pesca) erano
richieste in quantità massicce. Ma se i commercianti traevano otti-
mi profitti lo stesso non si può dire dei lavoratori. Lo stato di
guerra aveva infatti determinato una scarsità di prodotti e un
aumento dei prezzi dei beni importati mentre i salari erano rimasti

150
DLO nr. 177.

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Il secolo tormentato 1157

fermi. Ciò determinò una serie di agitazioni per affrontare le quali


fu indispensabile il supporto dell’Unione sindacale nazionale sorta
nel 1916; del resto negli anni successivi si constaterà una crescente
‘coscienza di classe’ (il 1 maggio sarà per la prima volta festeggiato
in Islanda nel 1923) e una più efficiente organizzazione dei lavora-
tori.151 Come altrove, con il procedere del conflitto la situazione
peggiorò. Le esportazioni furono ‘monopolizzate’ dagli Inglesi che
ottennero di acquistare (tuttavia a prezzi fissi) le eccedenze delle
merci non cedute a Paesi neutrali, in modo da ‘tagliare i viveri’ alla
Germania; inoltre anche il commercio navale islandese fu colpito
dalla guerra sottomarina scatenata dai Tedeschi. Nel frattempo la
carenza di generi di prima necessità aveva determinato la necessità
di un razionamento mentre il governo, guidato da Jón Magnússon
(1859-1926) rappresentante del Partito dell’autogoverno, costituiva
un ente di gestione degli scambi commerciali. Ad aggravare la
difficile situazione si aggiunse nella capitale una gravissima caren-
za di alloggi; notevoli problemi furono inoltre causati dal rigidissi-
mo inverno 1917-1918, quando il mare formò in molti luoghi (non
da ultimo nel porto di Reykjavík) una spessa lastra di ghiaccio,
dalla devastante eruzione del vulcano Katla avvenuta tra i mesi di
ottobre e novembre del 1918 che non causò vittime umane ma
consistenti danni materiali (per la morte di molti capi di bestiame
e la distruzione di numerose fattorie) e dal diffondersi della ‘spa-
gnola’, un’epidemia che non risparmiò neppure i più lontani Pae-
si nordici.152
Eppure il 1918 sarebbe stato un anno di straordinaria importan-
za nella storia islandese. Il 18 luglio di quell’anno veniva infatti
sottoscritto l’Atto di unione con la Danimarca153 in base al quale
l’Islanda riacquistava sostanzialmente la propria indipendenza, solo

151
Cfr. p. 1041. Del 1926 è tra l’altro la fondazione dell’Associazione degli impiega-
ti [della municipalità] di Reykjavík (Starfsmannafélag Reykíavikurborgar). Una prima
significativa vittoria per il sindacato fu l’introduzione di una regolamentazione dell’ora-
rio di lavoro dei marinai dei pescherecci nella quale era previsto un periodo di riposo
di sei ore nell’arco della giornata (Lög um hvíldartíma háseta á íslenskum botnvörskipum,
27 giugno 1921).
152
Si calcola che solo a Reykjavík, dove la maggior parte degli abitanti contrasse
la malattia, siano morte circa duecento persone (Júlíusson – Ísberg 2005 [B.3], p.
243).
153
Dansk-Islandsk Forbundslov in danese, Dansk-íslensk sambandslög in islandese.
Il documento fu sottoposto a referendum popolare che lo approvò con una consisten-
te maggioranza e fu infine ratificato dal sovrano danese Cristiano X il 30 novembre di
quel medesimo anno. Vd. Berlin K., Den dansk-islandske Forbundslov af 30. November
1918, København 19333.

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1158 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

restando legata all’antico dominatore in unione personale nella


figura del re. Un risultato maturato nel tempo ma che aveva potu-
to essere raggiunto anche grazie al clima politico creatosi in Dani-
marca in relazione alla questione del recupero di territori dello
Schleswig a maggioranza danese, per riottenere i quali si era fatto
leva sulla considerazione che i desideri delle popolazioni locali non
potessero essere ignorati.154 Il trattato, che aveva una durata previ-
sta di venticinque anni, conteneva anche una serie di clausole tra
cui quelle che impegnavano la Danimarca a curare la politica este-
ra degli Islandesi e la Suprema corte di Copenaghen a gestire anche
le loro questioni, ma solo fino a che questi non avessero voluto
provvedere direttamente. Il 1 dicembre 1918, giorno successivo
alla ratifica definitiva, la bandiera islandese veniva innalzata al posto
di quella danese sul pennone del palazzo del governo. La città di
Reykjavík e tutta l’Islanda erano in festa. Nel Paese non si perse
tempo a definire gli aspetti rimasti in sospeso con l’Atto del 1918.
Nel 1920 fu approvata una nuova costituzione (Stjórnarskrá
konungsríkisins Íslands), fu costituita la Corte suprema (Hæstiréttur)
e si diede l’avvio alle relazioni diplomatiche aprendo la prima
ambasciata a Copenaghen.
La nuova Islanda indipendente doveva ora affrontare i problemi
del dopoguerra, comuni a molti Paesi. Anche qui infatti le conse-
guenze del conflitto si sarebbero a lungo fatte sentire e l’economia
avrebbe cominciato a dare segni di ripresa solo attorno alla metà
degli anni ’20, una ripresa trainata in primo luogo dal settore della
pesca che si rimodernò sia per quanto riguarda le imbarcazioni sia
per le attrezzature utilizzate nell’industria della conservazione del
pesce.155 Passi avanti furono fatti anche nell’agricoltura sia con
l’introduzione di sistemi di irrigazione sia con il miglioramento dei
macchinari (il che riguardò anche l’industria alimentare legata
all’allevamento), sia con l’introduzione di fertilizzanti chimici, sia
con l’emanazione di opportuni provvedimenti di legge.156

154
Cfr. sopra, p. 1112.
155
Occorre qui ricordare che durante la guerra molte imbarcazioni erano state
vendute alla Francia e all’Inghilterra. Anche questo fatto fu dunque alla base del rin-
novamento della flotta da pesca avvenuto in questo periodo. Inoltre si deve segnalare
che fin dal 1900 l’Islanda aveva ottenuto il riconoscimento delle proprie acque terri-
toriali fino al limite di tre miglia nautiche dalla costa. Nel 1922 il servizio di guardia
costiera fino ad allora gestito dai Danesi fu affidato a imbarcazioni islandesi, una
scelta che insieme ad altre rimarcava la crescente, ormai quasi definitiva autonomia
del Paese.
156
Jarðræktarlög (Legge per l’agricoltura) del 20 giugno 1923.

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Il secolo tormentato 1159

Nel 1930 l’Islanda festeggiava i mille anni dalla sua fondazio-


ne.Vi furono grandi celebrazioni soprattutto a Þingvellir, cuore
storico dello Stato.157 Il Paese fu al centro dell’attenzione inter-
nazionale e una delle più antiche repubbliche del mondo (allora
in realtà soggetta a un monarca!) fu visitata da ospiti illustri, fra
tutti il re Cristiano X. Ma al di là dei festeggiamenti la gente
stava iniziando a risentire della grave congiuntura mondiale che
non tardò a produrre i suoi effetti: nel 1930 falliva la Banca
d’Islanda (un disastro in parte tamponato dalla fondazione,
l’anno precedente, della Banca dell’agricoltura, Búnaðarbanki),
mentre la domanda di beni calava e di conseguenza calava la
produzione, aumentava la disoccupazione, crollavano i prezzi,
si susseguivano i fallimenti. Il governo cercò di intervenire favo-
rendo il mercato interno e creando lavori socialmente utili; le
comunità parrocchiali si adoperarono per venire in soccorso dei
disoccupati. Ma la gravità della situazione appare chiara nelle
diverse manifestazioni dei lavoratori (scioperi cui si rispondeva
con serrate), frequenti nei primi anni ’30 e qualche volta sfocia-
ti in gravi scontri con la polizia. Nel 1934 fu costituita l’Associa-
zione islandese dei datori di lavoro (Vinnuveitendafélag Íslands).158
Nel 1938 fu promulgata la legge sulle categorie professionali e i
conflitti di lavoro per regolare il diritto allo sciopero e alle ser-
rate.159 Verso la fine degli anni ’30 un aiuto venne da una stagio-
ne particolarmente ricca per la pesca delle aringhe, tuttavia la
chiusura del mercato spagnolo (tradizionale cliente) a causa
della guerra civile impedì una vera e propria ripresa. Parados-
salmente sarebbe stato lo scoppio della seconda guerra mondia-
le a dare un contributo decisivo all’economia islandese. L’occu-
pazione da parte dell’esercito inglese prima e di quello
americano poi (di cui poco oltre) avrebbe infatti portato inaspet-
tate opportunità di lavoro ma anche nuove merci, nuovi stru-
menti e nuove tecnologie.
Anche per l’Islanda i primi decenni del XX secolo segnano
(seppure in misura limitata rispetto agli altri Paesi scandinavi)
un passo avanti verso la modernità: al posto di mulattiere dissestate
si cominciarono a costruire strade percorribili da motocar-
ri e automobili (nel 1932 fu terminata quella tra la capitale e

157
Vd. pp. 151-152.
158
Successivamente Vinnuveitendasamband Íslands, ora Samtök atvinnulífsins
(Associazione industriale).
159
Lög um stéttarfélög og vinnudeilur, 11 giugno 1938.

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1160 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

Akureyri),160 si edificarono nuovi ponti, si stabilì una linea di col-


legamento marittimo lungo la costa (1922) e dal 1919 si comincia-
rono a vedere nel cielo i primi aeroplani.161 Gli autobus urbani
presero a circolare nella capitale nel 1931. Anche gli stabilmenti
industriali furono modernizzati e forniti di nuovi macchinari. Nel
1930 fu aperto a Reykjavík l’Ospedale nazionale (Landspítalinn),
inteso a fornire un servizio qualificato a tutto il Paese,162 si aprirono
nuove scuole e si diede l’avvio alla costruzione di case popolari per
gli operai. L’elettricità venne diffusa innanzi tutto nelle zone meri-
dionali e in quella settentrionale circostante Akureyri e Húsavík,163
si realizzarono acquedotti e si cominciò a utilizzare l’acqua delle
sorgenti geotermali per riscaldare le case.164 Nel 1926 furono avvia-
te trasmissioni radio sperimentali (si trattava tuttavia di un servizio
privato attivo solo nella capitale) e nel 1930 ebbero invece inizio le
trasmissioni della Radio islandese (Ríkisútvarpið, più semplicemen-
te RÚV).165 Anche la comparsa della prima pubblicità, così come la

160
Un servizio di trasporti interni su carri trainati da cavalli fu in funzione soltanto
nei primi due decenni del secolo. Nel 1944 si calcola che circolassero nell’isola circa
quattromila automobili.
161
La prima Compagnia aerea d’Islanda (Flugfélag Íslands) fu fondata in quell’anno
a Reykjavík ma ebbe vita breve. Il suo unico velivolo venne utilizzato in primo luogo
per voli dimostrativi. Una seconda Compagnia aerea d’Islanda nacque, sempre nella
capitale, nel 1928, questa volta a scopi di trasporto di persone e merci (nonché di posta);
essa cessò l’attività nel 1931. Nel 1937 fu la volta della Compagnia aerea di Akureyri
(Flugfélag Akureyrar) che dal 1940 mutò il proprio nome in Compagnia aerea d’Islanda
(dunque la terza della serie!): essa ha costituito una delle basi della moderna aviazione
islandese.
162
Sui progressi della sanità islandese a partire dall’istituzione (1760) dell’ufficio di
“medico generale d’Islanda” (landlæknir, vd. p. 726, nota 213) si rimanda a Júlíusson
– Ísberg 2005 (B.3), pp. 300-310 e pp. 356-357 e a Jónsson V., Skipun heilbrigðismála
á Íslandi, Reykjavík 1942.
163
Questo lavoro fu portato avanti in primo luogo da un contadino autodidatta,
Bjarni Runólfsson (1891-1938) che tra il 1927 e il 1937 realizzò un centinaio di cen-
trali elettriche in tutto il Paese. L’Ente per l’elettricità (Rafmagnsveita) di Reykjavík fu
istituito nel 1921.
164
Fin dal 1910 era comparso sul settimanale Reykjavík (XI: 26, 11 giugno, p. 102)
un articolo a firma di tale Stefán B. Jónsson dal titolo “Riscaldamento a buon mercato”
(“Ódyr upphitun”) nel quale si suggeriva (sulla base dell’esperienza personale) l’utilizzo
delle sorgenti geotermali a questo scopo. Pioniere in questo campo fu anche un conta-
dino di Sturlureykir (in Reykholtsdalur nell’ovest del Paese), tale Erlendur Gunnars-
son, che (probabilmente nel 1911) aveva realizzato un impianto per convogliare i
vapori caldi da sfruttare per usi domestici. Vd. Þórðarson S., Auður úr iðrum jarðar.
Saga hitaveitna og jarðhitanýtingar á Íslandi, Reykjavík 1998.
165
La televisione sarebbe invece giunta molto più tardi: negli anni ’60 infatti ebbe-
ro inizio alcune trasmissioni americane destinate al personale statunitense presente sul
territorio e molti islandesi si procurarono degli apparecchi per poterle vedere. Una
televisione islandese (gestita dalla RÚV) prenderà l’avvio solo nel 1966.

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Il secolo tormentato 1161

diffusione della pratica sportiva166 e degli spettacoli di intratteni-


mento come teatro e cinema (seppure questi circoscritti alle città)
sono eloquenti segnali di un cambiamento al quale le associazioni
giovanili portarono un notevole contributo.167 Nel 1925 l’Islanda
superò i centomila abitanti, oltre la metà viveva ancora nelle aree
rurali: ma la crescita delle cittadine così come della capitale (che
tra il 1920 e il 1940 passava da circa 18.000 a circa 38.000 residen-
ti) segnano l’inizio di una inversione di tendenza destinata a raffor-
zarsi nel tempo.
Il periodo fra le due guerre segna anche importanti mutamenti
nel quadro politico. Fin dal 1916, come sopra si è detto,168 erano
sorti due nuovi soggetti: il Partito socialdemocratico e il Partito del
progresso. Ma il cambiamento del 1918 doveva portare a nuovi
sviluppi. A formazioni come il Partito dell’autogoverno o il Partito
dell’indipendenza era venuta a mancare per molti versi la ragion
stessa del loro esistere, sicché nel 1924 essi si fusero, raccogliendo
anche adesioni dall’esterno, nel Partito conservatore (Íhaldsflokkur-
inn), prima vera formazione islandese di destra. Ma non tutti i loro
membri si adeguarono alla scelta: una parte del Partito conservato-
re, a esempio, diede vita (1923) al Partito dei cittadini (Borgara-
flokkurinn), un’altra (1926) al Partito liberale (Frjálslyndi flokkurinn).
Jón Magnússon, transitato nel Partito conservatore di cui divenne
leader, guidò il suo secondo governo tra il 1924 e il 1926 (anno
della morte).169 Nel 1927 le elezioni furono vinte dal Partito del
progresso e Tryggvi Þórhallsson (1889-1935) divenne primo mini-
stro di un esecutivo che godeva anche dell’appoggio del Partito
socialdemocratico. In seguito a una rottura con gli alleati sulla
legge elettorale nel 1931 egli (in buona parte ‘forzando la mano’)
portò il Paese a nuove elezioni e ottenne la maggioranza: di conse-
guenza formò un governo monocolore che tuttavia ebbe vita breve
dal momento che i disaccordi interni al suo movimento lo indus-
sero a lasciare per costituire (1933) il Partito dei contadini (Bænda-
flokkurinn), iniziativa di scarso successo in quanto dopo soli quat-
tro anni questa formazione sarebbe scomparsa dalla scena politica
166
In questo contesto va menzionata la costruzione della grande piscina di Reykjavík
(Sundhöllin), che tuttavia fu sospesa per un certo periodo per mancanza di fondi negli
anni della grande crisi.
167
Già al 1907 risale la fondazione dell’Associazione giovanile d’Islanda (Ung-
mennafélag Íslands).
168
Vd. pp. 1035-1036.
169
Fu dunque sostituito da Jón Þorláksson (1877-1935) che lo avvicendò anche
nella guida del partito e divenne poi presidente del nuovo Partito dell’indipendenza
(di cui poco oltre).

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1162 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

islandese. Dove nel frattempo (1929) era nato un nuovo Partito del-
l’indipendenza dalla fusione del Partito liberale con il Partito con-
servatore. Un quadro in grande movimento (anche per via dell’in-
troduzione di modifiche alla costituzione relative alla legge
elettorale),170 come si constata anche considerando gli sviluppi
nell’ala più radicale della sinistra. Fin dal 1922 negli ambienti gio-
vanili del Partito socialdemocratico si era guardato verso l’Unione
sovietica e si era dato vita all’Associazione dei giovani comunisti
(Félag ungra kommúnista)171 che avrebbe costituito il nucleo di
quello che nel 1930 sarebbe diventato il Partito comunista islandese
(Kommúnistaflokkur Íslands) sotto la guida di Brynjólfur Bjarnason
(1898-1989) ed Einar Olgeirsson (1902-1993). Nel 1938 con l’ap-
porto di un gruppo di ‘esuli’ socialdemocratici esso avrebbe dato
vita al Partito di unità popolare – Partito socialista (Sameiningarflokkur
alþýðu – Sósíalistaflokkurinn) che, nonostante un certo allontana-
mento dalla linea più radicale (esso infatti lasciò il Comintern) sareb-
be comunque rimasto fortemente caratterizzato dalla dottrina comu-
nista.172 In Islanda non mancarono infine i simpatizzanti del nazismo
che si organizzarono nel 1933 nel Movimento nazionalista degli
Islandesi (Þjóðernishreyfing Íslendinga); nel 1934 esso si spaccò e da
questa frattura nacque il Partito nazionalista (Flokkur þjóðernis-
sinna) che non ottenne mai rappresentanti in parlamento e cessò
di esistere nel 1944.
Dal punto di vista legislativo i decenni del primo dopoguerra sono
caratterizzati da un serie di provvedimenti a carattere sociale tra cui
misure di sostegno all’istruzione e l’istituzione di una assicurazione
generale per vecchiaia, malattia e invalidità,173 norme che in parte
costituiranno la base del moderno stato islandese. Tuttavia non man-
ca, anche qui, un decreto sull’eugenetica.174 Dopo il ritiro di Tryggvi
Þórhallsson il governo fu guidato (1932-1934) da Ásgeir Ásgeirsson
(1894-1972), futuro presidente della repubblica. A lui successe
170
Per una sintesi storica delle norme elettorali in Islanda si rimanda a Harðarson
Ó.Þ. “The Icelandic Electoral System 1844-1999”, in Grofman B. – Lijphart A. (eds.),
The Evolution of Electoral and Party Systems in the Nordic Countries, pp. 101-166.
171
Dal 1926 Associazione socialista Sparta (Jafnaðarmannafélagið Sparta).
172
Tra i promotori del nuovo partito Heðinn Valdimarsson (1892-1948), figlio di
Briét Bjarnhéðinsdóttir, pioniera dei diritti delle donne (vd. p. 1066) e presidente del
sindacato Dagsbrún (vd. p. 1041).
173
Lög um alþýðutryggingar, 1 febbraio 1936.
174
In Islanda una legge che consentiva la sterilizzazione fu approvata nel 1938 (Lög
um að heimila í viðeigandi tilfellum aðgerðir á fólki, er koma í veg fyrir, að það auki kyn
sitt, 13 gennaio 1938) e in base a essa duecentocinquantuno persone subirono questa
operazione. Sull’argomento si rimanda a Karlsdóttir U.B., Mannkynbætur. Hugmyndir
um bætta kynstofna hérlendis og erlendis á 19. og 20. öld, Reykjavík 1998.

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Il secolo tormentato 1163

Hermann Jónasson (1896-1976) capo del Partito del progresso il cui


esecutivo di coalizione con i socialdemocratici fu definito il “gover-
no delle classi lavoratrici” (“stjórn hina vinnandi stétta”).175 Nel 1939,
alla vigilia dello scoppio del secondo conflitto mondiale, Hermann
Jónasson diede vita al suo terzo esecutivo, una ‘grande coalizione’
che tuttavia escludeva il Partito socialista. Ma che, comunque, non
andò oltre il 1942, sicché (anche per lo stallo conseguente alle ele-
zioni di quell’anno) al governo si alternarono poi Ólafur Thors
(1882-1964) e Björn Þórðarson (1879-1973) il cui secondo mandato
si concluse nel 1947. Il secondo governo Thors, è ricordato come “il
governo della ricostruzione” (nýsköpunarstjórnin) poiché fu il primo
a entrare in carica dopo una nuova tappa di fondamentale impor-
tanza nella storia del Paese: il raggiungimento della completa indi-
pendenza nel 1944.
Una delle clausole dell’Atto di unione con la Danimarca stabiliva
che prima della sua venticinquennale scadenza esso potesse, su
richiesta di una delle parti, essere ridiscusso e che se un nuovo trat-
tato non fosse stato stipulato esso avrebbe automaticamente perso
la propria validità. In effetti in seguito all’occupazione tedesca della
Danimarca i contatti tra i due Paesi si erano molto allentati e si
cominciò a pensare di poter finalmente far valere tale clausola. Se è
vero che da talune parti si suggeriva di rinviare ogni decisione alla
fine del conflitto, è altrettanto vero che molti premevano per una
risoluzione immediata. Fu così che dopo lunghe discussioni parla-
mentari si giunse alla dichiarazione ufficiale del 16 giugno 1944
(suffragata dall’esito di un referendum quasi plebiscitario nel quale
la prevalenza del sì toccò il 97%) con la quale si dichiarava decadu-
to l’accordo del 1918 e si istituiva (a partire dal giorno successivo) la
repubblica islandese fondata su una propria, nuova costituzione.176
La data del 17 giugno, giorno in cui una solenne cerimonia a Þing-
vellir (nell’eco di festeggiamenti in tutto il Paese) salutava il definiti-
vo ritorno dell’Islanda (dopo ben seicentottantadue anni!) alla piena
indipendenza non era stata scelta a caso: in essa ricorreva infatti
l’anniversario della nascita del ‘padre della patria’, Jón Sigurðsson.177
175
Figura di spicco del Partito del progresso era allora Jónas Jónsson frá Hriflu
(1885-1968), che divenne ministro della giustizia ma fu personaggio molto discusso,
addirittura dichiarato da taluni sanitari malato di mente, il che provocò molto clamo-
re e una lunga polemica. Un sincero riconoscimento per la sua politica gli venne
invece innanzi tutto dal grande scrittore Halldór Laxness (vd. pp. 1168-1169, p. 1173
e p. 1175).
176
Stjórnarskrá lýðveldisins Íslands, 17 giugno 1944.
177
Vd. sopra, p. 1033. Come è stato detto la repubblica islandese indipendente
aveva cessato di esistere tra il 1262 e il 1264 con la sottoscrizione del cosiddetto “Anti-

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1164 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

Il medesimo giorno il primo presidente della rinata repubblica islan-


dese veniva eletto nella persona di Sveinn Björnsson (1881-1952),
già nominato reggente (a fare le veci del re danese) negli anni dal
1941 al 1943. Tra i messaggi di congratulazione inviati dall’estero
non mancò quello di Cristiano X.
Si era comunque in tempo di guerra. In un conflitto che, almeno
inzialmente, era stato vissuto (seppure con interesse e preoccupazione)
da lontano, l’attacco tedesco alla Danimarca e alla Norvegia aveva
messo in allerta gli abitanti dell’isola, situata in mezzo all’Oceano Atlan-
tico in posizione strategica. Ora il timore che Hitler pianificasse una
occupazione era tutt’altro che infondato anche perché, basandosi sul
principio di neutralità, il governo aveva in precedenza respinto la
richiesta di concedere il permesso di atterraggio ai velivoli dell’aviazio-
ne tedesca. Con una decisione unilaterale gli Inglesi (dopo aver ricevu-
to un analogo rifiuto) vollero comunque anticipare l’eventuale mossa
del nemico e il 10 maggio 1940 occuparono l’Islanda e le Føroyar.
Naturalmente ci furono proteste ufficiali ma nello stesso tempo l’invito
alla popolazione a trattare i soldati inglesi come ospiti e ad accettare
pazientemente una situazione che, per altro, non determinò episodi di
violenza. Nell’estate del 1941 le forze inglesi di stanza nel Paese furono
sostituite da quelle americane, questa volta dopo che il governo islan-
dese aveva potuto dare il proprio assenso a condizione che esse si riti-
rassero immediatamente dopo la fine del conflitto. Nonostante l’impe-
gno a non intervenire nella vita del Paese ci fu qualche interferenza
come quando le forze di occupazione inglesi proibirono la pubblica-
zione del giornale La volontà popolare (Þjóðviljinn),178 organo dei socia-
listi, e arrestarono i redattori.179 Alla fine della guerra ci fu una accesa
disputa (che tra l’altro portò alle dimissioni del secondo governo Thors)180
sulla questione della permanenza degli Americani nel Paese: essa fu
risolta con la concessione del permesso di restare solo agli uomini
impegnati nel completamento della costruzione dell’aeroporto di Keflavík
(sulla penisola di Reykjanes nel sud-ovest dell’isola) nell’area in cui,
durante la guerra, era entrata in funzione la base militare americana.181

co trattato” (vd. pp. 384-385). Sui festeggiamenti del 1944 vd. Lýðveldishátíðin 1944,
Þjóðhátíðarnefnd samdi að tilhlutan Alþingis og ríkisstjórnar, Reykjavík 1945.
178
Seppure porti il medesimo titolo questo giornale (uscito tra il 1936 e il 1992)
non va confuso con quello precedente di cui a p. 1046 con nota 373.
179
Ciò avvenne nell’aprile del 1941. Gli arrestati furono condotti nel carcere di
Brixton in Inghilterra e rilasciati solo nel mese di luglio.
180
Dimissioni presentate il 10 ottobre 1946, seppure l’esecutivo restasse in carica fino
al 4 febbraio dell’anno successivo per permettere l’insediamento del nuovo governo.
181
Sui rapporti tra l’Islanda e gli Stati uniti tra il 1945 e il 1960 vd. Ingimundarson V.,
Í eldlínu kalda stríðsins. Samskipti Íslands og Bandaríkjanna 1945-1960, Reykjavík 1996.

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Il secolo tormentato 1165

13.5. Inquietudini e ricerche culturali

Esporre in forma sintetica la cultura nordica del Novecento è


impresa ardua, per taluni versi scoraggiante. In un secolo nel qua-
le antiche e a lungo indiscutibili certezze paiono improvvisamente
dissolversi, e qualsiasi fiducia collassare di fronte alle grandi trage-
die delle guerre, si manifesta, parallelamente, la crisi dell’individuo
alle prese con le problematiche del proprio inconscio ormai svela-
te dalla psicoanalisi, con le questioni sociali riflesse in aspri conflit-
ti, con ideologie totalitarie e difficili ricerche di una via d’uscita,
con una tecnologia che dopo aver suscitato grandiose speranze
mostra ora il proprio lato pericoloso e per molti versi incontrolla-
bile. Il Novecento dunque travolge (e stravolge) i canoni consoli-
dati dell’espressione artistica, confonde i generi letterari, erode i
confini tra letteratura, arti figurative, musica, si apre definitivamen-
te a nuove forme di manifestazione culturale come fotografia182 e
cinematografia, rimuove le barriere tra arte ‘elevata’ e arte ‘comu-
ne’, disgrega questi stessi concetti alla radice fino ad arrivare a
porsi la questione fondamentale della possibilità stessa dell’esisten-
za di un tale tipo di espressione. È evidente come in un simile
contesto le diverse personalità si muovano (anche quando formano
gruppi in qualche modo omogenei) lungo un percorso individuale,
per altro spesso faticoso, alla ricerca di risposte che restano, in
molti casi, provvisorie. Sicché anche l’uso delle definizioni di cate-
goria (basti pensare a modernismo) diventa giocoforza instabile,
fluttuante. Qui si potranno dunque solo indicare i nomi di maggior
prestigio e accennare alla molteplicità dei tentativi che nella fran-
tumazione dell’esperienza artistica riflettono il senso di frantuma-
zione dell’esperienza umana.
182
Anche i Paesi scandinavi vantano molti artisti della fotografia. Per chi volesse
procedere a ulteriori indagini si citano qui almeno alcuni pionieri e primi professioni-
sti: i danesi Mads Alstrup (1808-1876), Ludvig Grundtvig (1836-1901), Kristen
(Christen) Feilberg (1839-1919), Sigvart Werner (1872-1959), Hellwig F. Rimmen
(1884-1960) e Mary Birgitte Cecilie Magdalene Willumsen (1884-1961); gli svedesi
Oscar Gustave Rejlander (1813-1875), Hilda Sjölin (1835-1915), Axel Lindahl (1841-
1906), Ludvig Åberg (1870-1958), Carl Alfred Träff (1880-1947), Arne Wahlberg
(1905-1987) e Victor Hasselblad (1906-1978), noto per aver realizzato la macchina
fotografica che resta legata al suo nome; lo svedese di origine tedesca Henry B. Goodwin
(Heinrich Karl Hugo Bürgel, 1878-1931); i norvegesi Severin Worm-Petersen (1857-
1933) e Anders Beer Wilse (1865-1949); l’islandese Jón Jónsson Kaldal (1896-1981).
Ma molti altri si sono dedicati a quest’arte con notevole successo ottenendo prestigio-
si riconoscimenti internazionali. In proposito si rimanda a Söderberg – Rittsel 1983,
Sandbye – Pedersen et al. 2004, Larsen – Lien 2007 (tutti in B.8).

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1166 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

13.5.1. Letterature

In generale nella produzione letteraria nordica della prima metà


del XX secolo si constata una sorta di divaricazione (ma si tratta
– e non potrebbe essere diversamente – di una suddivisione dav-
vero approssimativa) tra una ricerca che resta, in diverse forme, su
un piano spirituale (o, quantomeno, tradizionale) e un impegno
che si sforza di utilizzare l’arte dello scrivere come strumento di
denuncia sociale ma anche, in taluni casi, di rivendicazione del
proprio esistere da parte di categorie troppo a lungo private della
possibilità di far sentire la loro voce. Eppure, pur avviandosi su
percorsi diversi, molti ancora prendono le mosse dal paesanismo
(un ‘paesanismo esteso’ si vorrebbe dire qui) – tipologia di scrittu-
ra tanto intrinsecamente ‘scandinava’ – nella quale il ricorso a
scenari visivamente e psicologicamente familiari assicura, almeno,
una sorta di saldo fondamento da cui procedere.183 A ciò si possono
ricondurre le esperienze di prosatori come i danesi Jakob Knudsen
(1858-1917), che pare indicare una possibilità di salvezza solo nel
mantenimento di valori religiosi e morali tradizionali; Johannes V.
(Vilhelm) Jensen (1873-1950, premio Nobel nel 1944) che propo-
ne una sorta di ‘darwinismo culturale’ (nel quale ampi spazi sono
riservati all’uomo del Nord, il che non gli ha risparmiato accuse di
razzismo) che consenta di sostituire all’irrealizzabile sogno di un
impossibile ‘paradiso’ il raggiungimento di un equilibrio concreto
nella vita dell’uomo; Jeppe Aakjær (1866-1930) e Martin Andersen
Nexø (1869-1954), per i quali trarre ispirazione dall’ambiente
quotidiano significa piuttosto focalizzare l’attenzione, nel primo
caso, sulle dure condizioni di vita degli operai agricoli e, nel secon-
do, dei lavoratori dell’industria considerati in un’ottica rigorosa-
mente marxista. Il che permette di individuare nella sua opera un
punto di riferimento per successivi ‘scrittori proletari’. Anche in
Svezia, dove un momento di svolta tra una residua cultura ottocen-
tesca e l’incalzante Novecento può essere rappresentato dalla “pole-
mica di Strindberg”,184 i migliori autori della prima metà del seco-
183
Su questo aspetto vd. Gabrieli 1969 (B.4), pp. 304-308.
184
Vd. p. 1082, nota 529. Per certi versi non casualmente la polemica fu avviata
in un periodo di forti tensioni nel mondo del lavoro. Quando Strindberg morì (1912)
operai e lavoratori ne onorarono la memoria come agitatore sociale. In Svezia un
influsso affatto secondario sulla letteratura e sulla società verrà dalle posizioni di
diversi filosofi, tra i quali Axel Hägerström (1868-1939) nome eminente della cosid-
detta “scuola di Uppsala” (Uppsalaskolan) che sosteneva la necessità che la filosofia
si liberasse dalla metafisica e si applicasse più concretamente alla realtà (un’opinio-
ne che ha avuto importanti riflessi sulla filosofia del diritto). Alla scuola di Uppsala

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Il secolo tormentato 1167

lo risentono palesemente del richiamo (nel senso in cui s’è detto)


d’una ispirazione che nasce da ambienti consueti e familiari. Non
soltanto, evidentemente, la sopra citata Selma Lagerlöf,185 ma anche
altri prosatori di grande valore che in forme diverse procedono a
incisive analisi del ‘piccolo mondo’ borghese: Hjalmar Söderberg
(1869-1941), che mantiene un tono sostanzialmente pessimista,
disilluso e per certi versi ironico, Sigfrid Siwertz (1882-1970) seve-
ro censore della società contemporanea e Hjalmar Bergman (1883-
1931), anche drammaturgo, i cui personaggi si muovono in uno
spazio (talora irreale) dominato dalla casualità e pervaso dalla
disillusione e dall’angoscia esistenziale. E mentre Ludvig Nordström
(1882-1942) si propone come convinto sostenitore delle nuove
opportunità offerte dall’industria, Elin Wägner cerca di corrispon-
dere agli interrogativi e alle attese del movimento femminista.186 In
Norvegia il miglior rappresentante di questa scrittura è certamen-
te Olav Duun (1876-1939) che facendo ricorso alla ricchezza espres-
siva del nynorsk tratteggia la trasformazione dell’ambiente conta-
dino soggetto alle sollecitazioni di un rapido cambiamento, mentre
Johan Bojer (1872-1959), la cui fama è (occorre dirlo) superiore
alla qualità artistica, è ricordato tra l’altro per le descrizioni della
vita dei pescatori norvegesi. Anche le opere dell’islandese Gunnar
Gunnarsson (1889-1975), che tuttavia scrive soprattutto in danese,
mostrano chiaramente di non poter prescindere dallo stretto lega-
me dell’autore con la sua terra.187
Ma le difficoltà e il disagio sociale, così come le vicende dell’at-
tualità offrono molteplici spunti e così è facile per i diversi autori
‘scivolare’ su di essi, ampliare l’ambito dei motivi ispiratori, aprir-
si a nuove motivazioni letterarie (non solo tematiche bensì anche
stilistiche). E, dunque, mentre Bojer scrive dei migranti e Oskar
Braaten (1881-1939) richiama l’attenzione del lettore sul logora-
mento fisico e psicologico di coloro che con il proprio lavoro
fanno funzionare la nuova macchina industriale, un altro norvege-
se, Johan Falkberget (1879-1967), noto in primo luogo per i roman-

si riconduce anche la negazione del valore assoluto di verità attribuito a concetti


come ‘morale’, ‘estetica’, ‘legalità’. Importanti sviluppi di queste idee, applicati al
diritto (e alla politica) saranno portati avanti da figure come quelle di Anders Vilhelm
Lundstedt (1882-1955), Karl Olivecrona (1897-1980, assai criticato per le sue sim-
patie verso il nazismo) e dal danese Alf Ross (1899-1979). Contemporaneo di
Hägerström è Hans Larsson (1862-1944) il quale sosteneva piuttosto il primato
dell’intuizione.
185
Vd. p. 1075 con note 486-487 e p. 1085 con nota 542.
186
Vd. sopra, p. 1056 e p. 1062 con nota 445.
187
Cfr. p. 489, nota 87 e pp. 1196-1197.

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1168 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

zi incentrati sulla vita dei minatori (da lui stesso vissuta in prima
persona), traduce efficacemente in forma letteraria il periodo del
cosiddetto jobbetiden.188 In Svezia Vilhelm Moberg (1898-1973),
grande narratore del mondo contadino (visto nell’ottica della pres-
sione sociale che grava sull’individuo) e coraggioso accusatore del
nazismo, riprenderà ancora il tema dei migranti in una serie di
romanzi che usciranno tra il 1949 e il 1959.189 In Islanda, dove
Þórbergur Þórðarson (1889-1974) con il suo Lettere a Laura (Bréf
til Láru) del 1924 doveva provocare un vero e proprio sconvolgi-
mento letterario, andando a puntare il dito contro le ingiustizie
sociali e i mali della Chiesa,190 il nome di maggiore spicco (se non
altro per l’assegnazione del Nobel nel 1955) è quello di Halldór
Kiljan Laxness (pseudonimo di Halldór Guðjónsson, 1902-1998),
nella cui parabola umana e artistica pare riflettersi il percorso socio-
culturale del Paese alla ricerca di una nuova identità e di una
nuova autonomia nella quale confluiscano la riflessione sulla tra-
dizione, l’apertura a impulsi esterni e lo sforzo per conservare (pur
nell’inevitabile cambiamento) la propria specificità.191
Parallela e per molti versi intrecciata a queste tendenze (come si
è detto non si possono tracciare nette demarcazioni!) è la cosiddet-
ta ‘letteratura proletaria’ che non di rado si concentra (volentieri
rifacendosi all’esperienza personale) sui problemi delle classi lavo-
ratrici. È una produzione proposta per lo più da autori di modesta
origine, spesso autodidatti, che considerano la scrittura come stru-
mento di affermazione d’una diversa identità culturale e vogliono,
al contempo, scardinarne gli stereotipi. Suo modello riconosciuto
è, come si è visto, il danese Martin Andersen Nexø, il cui esempio

188
Vd. p. 1139 con nota 90. Un altro autore che trae ispirazione da questo periodo
sarà Johan Borgen (1902-1979), celebre tuttavia soprattutto per Il piccolo lord (Lillelord,
1955), in realtà il primo romanzo di una trilogia che sarà una delle opere di successo
nella letteratura degli anni ’50.
189
 Si tratta di Gli emigranti (Utvandrarna) del 1949, Gli immigrati (Invandrarna)
del 1952, I colonizzatori (Nybyggarna) del 1956 e Ultima lettera per la Svezia (Sista
brevet till Sverige) del 1959.
190
 Il libro gli guadagnò fama immediata ma gli costò anche l’allontanamento
dall’insegnamento.
191
Altri prosatori islandesi del periodo che meritano una citazione sono Guð-
mundur G. Hagalín (1898-1985), che affida a brevi racconti una vivida descrizione dei
suoi paesaggi e della sua gente; Guðmundur Daníelsson (1910-1990), poeta e prosa-
tore che resta legato a uno stile tradizionale e Kristmann Guðmundsson (1901-1983),
autodidatta, autore di romanzi e novelle d’amore di notevole successo, uno dei primi
autori islandesi a essere conosciuto anche all’estero. Un’autrice che riesce a far rivive-
re il mondo contadino e lo spirito della tradizione è Hulda (Unnur Benediktsdóttir
Bjarklind, 1881-1946).

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Il secolo tormentato 1169

molti avrebbero seguito.192 Oltre a Vilhelm Moberg, a Johan Falk-


berget e allo stesso Laxness, vi appartengono nomi di prestigio: il
norvegese Kristofer Uppdal (1878-1961) che in un ciclo di roman-
zi traccia (in uno stile non sempre agevole) la storia della classe
lavoratrice norvegese;193 gli svedesi Ivar Lo-Johansson (1901-1990),
che denuncia le misere condizioni dei ‘proletari della terra’,194 ed
Eyvind Johnson (1900-1976), la cui prosa rivela chiari influssi
stranieri (Joyce e Proust tra gli altri) e sa trattare il conflitto tra
umanità a barbarie volentieri proiettandolo negli eventi del passa-
to. Nel 1974 Eyvind Johnson condividerà il premio Nobel con
Harry Martinson (1904-1978), entrambi membri di quella mede-
sima accademia che lo assegnava, il che avrebbe innescato non
poche polemiche. Come Johnson anche Harry Martinson è da
considerarsi uno ‘scrittore proletario’: per entrambi la migliore
produzione si colloca dal periodo tra le due guerre fino agli anni
’50. Del secondo si deve segnalare qui almeno Aniara (1956) un
ἔπος in centotré canti che nella vicenda di una nave spaziale (defi-
nita con neologismo di straordinaria efficacia un ‘goldonde’) alla
deriva con il suo carico umano denuncia l’insensata distruzione del
pianeta Terra.195 A una letteratura di critica sociale appartengono
anche il danese Hans Kirk (1898-1962) che costruisce quello che
viene definito ‘romanzo collettivo’, una narrazione nella quale non
ci sono protagonisti che spiccano rispetto agli altri personaggi
quanto piuttosto un gruppo di persone unite da una comune
esperienza,196 e il dano-norvegese Aksel Sandemose (1899-1965)
192
Tra i primi gli svedesi Gustav Hedevind-Eriksson (1880-1967) che scrive dei
lavoratori delle più lontane regioni settentrionali e Martin Koch (1882-1940), autore
tra l’altro di un romanzo dal titolo Il bel mondo di Dio. Una storia di giustizia e di
ingiustizia (Guds vackra värld. En historia om rätt och orätt, I-II, 1916) che doveva
provocare scalpore e scuotere le coscienze.
193
L’opera si intitola La danza attraverso il Paese delle ombre (Dansen gjenom skugge-
heimen, 1910-1924). Ma qui vanno citati anche Marius Brått (1886-1909) e Thorleif
Auerdahl (1895-1918) i cui promettenti sviluppi artistici furono impediti da una mor-
te prematura.
194
Proprio questo, Jordproletärerna, è il titolo di una raccolta di novelle pubblicata
nel 1941. In questa stessa prospettiva si possono collocare Jan Fridegård (1897-1968)
che estende il proprio interesse per i diseredati in prospettiva storica, scrivendo anche
degli schiavi di età vichinga e Moa Martinson (Helga Maria Schwartz, 1890-1964),
unica ‘scrittrice proletaria’ che non dimentica di soffermarsi sulla condizione femmini-
le. Ella era sposata in seconde nozze allo scrittore Harry Martinson, di cui appena oltre.
195
A questo lavoro è ispirata l’omonima opera composta (1958) dal musicista Karl-
Birger Blomdahl (vd. p. 1337) su libretto adattato da Erik Lindegren (vd. pp. 1171-
1172).
196
Proprio un romanzo di Kirk, I pescatori (Fiskerne, 1928) è considerato l’esempio
tipico di questo tipo di narrazione.

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1170 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

che tuttavia – come del resto Sigurd Hoel (1890-1960), intellettua-


le dichiaratamente marxista – finisce poi per incentrare le proprie
opere piuttosto sulla psicologia di singoli personaggi analizzati nel
loro rapporto con la società.197 Così anche il danese Martin A.
Hansen (Alfred Martin Jens Hansen, 1909-1955) che passerà dai
romanzi giovanili di carattere sociale a una scrittura simbolista e
più tardi filosofica, influenzata da un esistenzialismo religioso.
Su un altro fronte, quello della ricerca d’una soluzione che resti
sul piano spirituale, si muove fin dai primi anni del secolo il dane-
se Harald Kidde (1878-1918) che indica nell’esperienza ascetica
del cristiano l’ideale di vita dell’uomo. Più dotata di lui, più celebre
e premiata con il Nobel nel 1928, la norvegese Sigrid Undset (1882-
1949) che combina l’interesse (ancora molto vivo) per la storia
patria con la ricerca di un ruolo per la donna che, allontanandosi
dalle suggestioni femministe, la ricollochi in una prospettiva fami-
liare-religiosa.198 Un altro autore norvegese legato ai valori tradi-
zionali è Ronald Fangen (1895-1946) che volentieri si sofferma sui
temi etici, mentre un diverso punto di vista conservatore è espres-
so dal danese Jacob Paludan (1896-1975), difensore della tradizio-
ne di fronte al pericolo di una società superficialmente ‘america-
nizzata’.
Ma qui, pur volendo in qualche modo raggruppare le diverse
esperienze, si dovranno comunque considerare a parte scrittori
come i norvegesi Sigurd Christiansen (1891-1947) e Tarjei Vesaas
(1897-1970): allievo di Dostojevskij il primo, autore d’una prosa
(in nynorsk) di grande efficacia simbolica il secondo, e i danesi
Karen Blixen-Finecke (1885-1962), celebre soprattutto per il roman-
zo autobiografico La mia Africa (Den Afrikanske farm, letteralmen-
te “La fattoria africana”, 1937) e H.C. (Hans Christian) Branner
(1903-1966), romanziere e drammaturgo, che mostra di interessar-
si soprattutto all’analisi psicologica dei personaggi e riafferma il
primato dell’umanesimo inteso come espressione del fondamenta-
le principio del rispetto di ogni uomo.
Harry Martison e diversi altri tra gli autori sopra ricordati sono
stati anche straordinari poeti. Se per la prosa è difficile stabilire

197
 L’impegno politico improntato all’ideologia marxista segna molti intellettuali
norvegesi di questo periodo. Sigurd Hoel fu tra i fondatori (1921) del gruppo che ebbe
nome Mot dag (letteralmente “Verso il giorno”) che pubblicò l’omonima rivista, il cui
primo redattore fu Erling Falk (1887-1940), politico e sindacalista: essa contribuì
grandemente alla diffusione delle idee comuniste in Norvegia.
198
 Il profondo sentimento religioso dell’autrice (e le crisi che vi si legano) la con-
dussero a metà degli anni ’20 a convertirsi al cattolicesimo.

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Il secolo tormentato 1171

delle ‘categorie’ più arduo ancora è farlo per la poesia. È pur vero
che in un’epoca di pressoché totale apertura al mondo esterno le
nuove correnti europee (ma anche americane) sono chiaramente
riscontrabili anche nelle letterature scandinave: tuttavia la ‘verifica’
della misura in cui esse sono presenti nella produzione dei singoli
finisce per tradursi in un esercizio di analisi complessa e, per certi
versi, perfino inutile, oltretutto ostacolato dall’intersecarsi della
grande varietà di motivi ispiratori (spesso dettati da un’urgenza
sociale e psicologica difficile da contenere) con una ricerca stilisti-
ca che esige un profondo rinnovamento. Ciò vale in primo luogo
per i ‘poeti del sociale’: autori come il danese Tom Kristensen
(1893-1974), lo svedese Erik Blomberg (1894-1965),199 i norvegesi
Rudolf Nilsen (1901-1929) e Nordahl Grieg (1902-1943), l’islan-
dese Jóhannes úr Kötlum (Jóhannes Jónasson, 1899-1972). Ma la
ricerca di una lingua assolutamente ‘nuova’ è forse l’unica costan-
te che (tuttavia con diversi esiti) accomuna i grandi della prima
metà del secolo. Tra gli svedesi non si può tralasciare il simbolista
Vilhelm Ekelund (1880-1949), poeta per certi versi ‘aristocratico’
e ‘incompreso’, né Birger Sjöberg (1885-1929) la cui raccolta del
1926 Crisi e ghirlande (Kriser och kransar) segna l’affermazione
del modernismo, una tendenza proposta in primo luogo da autori
finno-svedesi come Edith Södergran (1892-1923) ed Elmer Diktonius
(1893-1961).200 Nel 1929 Artur Lundkvist (1906-1991) insieme a
Harry Martinson e ad altri tre poeti pubblicava la ‘dirompente’
antologia dal titolo Cinque giovani (Fem unga),201 che, con la sua
apertura alle avanguardie (per altro ‘bilanciata’ da una sorta di
primitivismo) segna un punto fermo nella lirica della prima metà
del Novecento. Tendenti a nuove forme di spiritualità sono invece
Hjalmar Gullberg (1898-1961) e Johannes Edfeldt (1904-1997),
mentre Anders Österling (1884-1981) esprime una sorta di neorea-
lismo. Critico e traduttore di grande talento Österling avrebbe dato
un notevole contributo all’apertura verso le correnti della lirica
europea e americana, mentre Gunnar Ekelöf (1907-1968), ben più
alieno alle ideologie, si sarebbe indirizzato verso lo studio della
poesia orientale (araba e persiana).202 Autori come Erik Lindegren
199
Cfr. nota 54.
200
Elmer Diktonius fu anche traduttore e nella rivista Ultra. Kirjallistaiteellinen
aikakauslehti / Tidskrift för ny konst och litteratur, scritta in svedese e in finnico, usci-
ta con qualche numero a Helsinki nel 1922 (prima pubblicazione a diffondere la
poesia modernista) presentò diversi poeti stranieri. Cfr. p. 1376.
201
Con loro Gustav Sandgren (1904-1983), Josef Kjellgren (1907-1948) ed Erik
Asklund (1908-1980).
202
Su di lui Sommar C.O., Gunnar Ekelöf. En biografi, Stockholm 1991.

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1172 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

(1910-1968), Karl Vennberg (1910-1995) e Werner Aspenström


(1918-1997) esprimeranno, pur adempiendo all’impegno politico,
le incertezze ideologiche e il senso della crisi, l’ultimo anche il
bisogno di aderire alle cose semplici e concrete.
In Danimarca c’è chi, come Per Lange (1901-1991) e Paul La
Cour (1902-1956) – entrambi tardo-simbolisti – in qualche modo
‘resta aggrappato’ alla fede nell’arte e nella vita,203 o chi, come Nis
Petersen (1897-1943), si mostra estraneo alle tendenze sociali con-
temporanee, inquieto, in contraddizione, e tuttavia benevolo verso
gli esseri umani, soprattutto i più deboli e indifesi. Su un altro
versante si affermano poeti accomunati dall’impegno sociale e dal
confronto aperto con la modernità: così Gustaf Munch-Petersen
(1912-1938), caduto nella guerra civile spagnola, Emil Bønnelycke
(1893-1953), futurista, Otto Gelsted (1888-1968), convertito al
marxismo, Piet Hein (1905-1996), animato da ottimismo culturale
e Ove Abilgaard (1916-1990) i cui versi sono percorsi dall’ironia.
In Norvegia la poesia del primo Novecento è per certi aspetti
ancora segnata dall’esigenza dell’affermazione d’una identità patria:
si pensi a Nils Collett Vogt (1864-1937) che esprime un forte sen-
timento nazionale, ad Alf Larsen (1885-1967), ispirato agli scenari
naturali del suo Paese, a Tore Ørjasæter (1886-1968) che cerca
spunti simbolici nel paesaggio norvegese, a Olav Aukrust (1883-
1929) poeta assai legato alla tradizione che sceglie il nynorsk. L’in-
novazione già presente nel grande Sigbjørn Obstfelder,204 vero
riformatore della lirica, viene portata avanti da Olaf Bull (1883-1933),
che quasi ponendosi ‘al di fuori della vita’ riesce a coglierne il
senso più intimo e profondo. Accanto a lui Hermann Wildenwey
(1886-1959) che tocca una grande varietà di temi e soprattutto
Arnulf Øverland, il ‘poeta nazionale’ – capace di infondere nuova
forza espressiva alle più semplici parole – che diventerà la voce
della resistenza contro l’oppressione nazista.205
In Islanda, dove ancora non ci si era liberati del tutto della pre-
stigiosa (ma altrettanto ingombrante) eredità medievale,206 il primo
203
Una poesia che vuole trasmettere il messaggio sulla bellezza del creato e sulla
fede nella vita (ma anche sull’amore) è certamente quella di Jens August Schade (1903-
1978).
204
Vd. sopra, p. 1084.
205
Cfr. p. 1153 con nota 145. Due poetesse di rilievo sono Aslaug Vaa (1889-1965)
e Halldis Moren Vesaas (1907-1995) moglie di Tarjei, che scrivono in nynorsk.
206
In questo contesto va ricordata la cosiddetta “Casa di Una” (Unuhús), situata al
numero 15 di Garðastræti nel quartiere di Grjótaþorp a Reykjavík. Questo luogo,
gestito da Una Gísladóttir (1855-1924) e da suo figlio, che offrivano vitto e alloggio a
prezzi contenuti, divenne una sorta di punto di incontro e di discussione per scrittori

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Il secolo tormentato 1173

esempio di modernismo lirico è dato dal componimento Dolore


(Sorg) di Jóhann Sigurjónsson (1880-1919).207 Tra i diversi autori
alla ricerca di nuove strade Stefán frá Hvítadal (Stefán Sigurðsson,
1887-1933), Davíð Stefánsson (1895-1964), che tuttavia poi riflui-
rà verso uno stile tradizionale, Snorri Hjartason (1906-1986) solo
apparentemente legato alla tradizione, e anche Halldór Laxness,
mentre Jón úr Vör (1917-2000) si cimenterà in una poesia dal tono
prosastico.208
Alla ricerca di una propria soluzione (si potrebbe dire di una ‘via
d’uscita’) gli scrittori nordici (in equilibrio tra impressionismo,
simbolismo, espressionismo, surrealismo, modernismo, neorealismo)
danno dunque prova di grande varietà e dinamicità artistica ma
anche di indiscutibile consapevolezza umana e sociale: basti ricor-
dare quanti fra loro seppero tempestivamante mettere in guardia
dal gravissimo pericolo che si annunciava nei trionfi delle ideologie
totalitariste. In questa prospettiva vanno ricordati in particolare
due autori svedesi: Karin Boye (1900-1941) e Pär Lagerkvist (1891-
1974, premio Nobel nel 1951). La prima, la cui vita tormentata da
angosce psicologiche da irrisolti problemi di omosessualità doveva
concludersi tragicamente con il suicidio, aveva aderito fin dagli
anni dell’università al movimento culturale di sinistra Clarté (Svenska
Clartéförbundet, sorto nel 1921) entrando a far parte (1927) della
redazione della rivista (con il medesimo nome) da esso pubblicata.209
Autrice di intense liriche nelle quali dà sfogo alle problematiche di
un animo conteso tra l’inquietudine religiosa, l’intima disillusione
e la fragilità esistenziale, ella ci ha lasciato nel celebre romanzo
Kallocaina (Kallocain, 1940) una magistrale distopia nella quale è
riflesso il potenziale orrore che consegue all’abbandono di qualsia-
si forma di umanità in favore di una idolatrata ideologia che imman-

e artisti ‘moderni’. Nel Paese un ‘punto di svolta’ letterario sarà più tardi la pubblica-
zione della rivista Penne rosse (Rauðir pennar) uscita tra il 1935 e il 1938 a cura
dell’Associazione degli scrittori rivoluzionari (Félag byltingarsinnaðra rithöfunda).
Sorto nel 1933 (e attivo fino al 1940) questo organismo, del quale facevano parte nomi
prestigiosi come Laxness e Steinn Steinarr (vd. p. 1276), avrebbe dato vita nel 1937
all’importante casa editrice Mál og menning (vale a dire “Lingua e cultura”) tuttora
esistente.
207
Vd. p. 1085 con nota 543. Composto prima del 1910, Sorg fu tuttavia pubblica-
to solo nel 1927.
208
Qui meritano una citazione anche Tómas Guðmundsson (1901-1983), il ‘poeta
di Reykjavík’ e Guðmundur Böðvarsson (1904-1974), anche traduttore di Dante.
209
Nel 1931 Karin Boye sarebbe stata tra i fondatori della rivista Spektrum, che,
seppure uscita solo fino al 1933, avrebbe grandemente influenzato il mondo culturale
svedese per la sua apertura alle nuove correnti nel mondo delle arti e delle scienze
sociali.

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1174 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

cabilmente si trasforma in un meccanismo nei cui ingranaggi gli


individui vengono (senza scampo per nessuno) dapprima isolati e
infine stritolati.210 Il secondo aveva messo un punto fermo nella
letteratura svedese fin dal 1916 con la silloge poetica Angoscia
(Ångest). Anche per lui, come chiaramente esplicitato nel celebre
saggio Arte della parola e arte dell’immagine (Ordkonst och bildkonst,
1913), era necessario un totale rinnovamento del linguaggio che
prendesse le distanze dal clima culturale ereditato dal secolo pre-
cedente.211 Un rinnovamento che si constata innanzi tutto nei
drammi (influenzati da Strindberg) che mettono in scena la nudità
e l’angoscioso senso di abbandono degli esseri umani alla ricerca di
un ‘segno dal cielo’.212 Nel 1934 con le riflessioni raccolte ne Il pugno
chiuso (Den knutna näven) Pär Lagerkvist richiamerà esplicitamente
la cultura occidentale (sarà tra i primi a prevedere il disastro profilarsi
all’orizzonte) a difendersi da ogni forma di fascismo: appello legato a
un altro tema centrale della sua ricerca artistica vale a dire la definizio-
ne del male che si annida nel mondo e penetra nell’animo umano
dando origine a vere e proprie maschere dell’orrore nelle quali troppi
protagonisti della storia di quegli anni saranno facilmente riconoscibili.
Postosi all’attenzione internazionale grazie a personalità come Ibsen
e Strindberg, il teatro nordico conosce nella prima metà del Nove-
cento autori di tutto rispetto. A cominciare dal danese Kaj Munk,
vittima dei nazisti,213 che incentra molti dei suoi drammi su figure di
individualisti attratti dal desiderio del potere ma che alla fine devono
cedere alla forza della verità e dell’amore.214 Su un diverso piano si
muovono altri due danesi, Kjeld Abell (1901-1961) e Carl Soya (1896-

210
Si tenga presente che Karin Boye aveva visitato sia l’Unione sovietica (1928), già
finita sotto il dominio di Stalin (seppure gli anni più bui dovessero ancora venire), sia
la Germania (1932), dove si stava annunciando il potere nazista di Hitler. Queste
esperienze l’avevano certamente molto impressionata e indotta alla riflessione.
211
Significativamente il sottotitolo dell’opera è Sulla decadenza della letteratura
moderna – Sulla vitalità dell’arte moderna (Om modärn skönlitteraturs dekadans – Om
den modärna konstens vitalitet).
212
L’idea di teatro di Lagerkvist, ben lontana dal naturalismo, ritenuto incapace di
esprimere la complessità, la problematicità e l’angoscia della vita moderna, è espressa
nello scritto Teatro. L’ora difficile, tre atti unici. Teatro moderno, Punti di vista e critiche
(Teater. Den svåra stunden, tre enaktare. Modern teater, Synpunkter och angrepp) del 1918.
213
Vd. sopra, p. 1120 con nota 29.
214
In Danimarca al notevole successo del teatro contribuirono figure come quelle
dell’attrice Betty Nansen (1873-1943), poi direttrice del teatro che portava il suo nome
(Betty Nansen Teatret) nel quartiere Frederiksberg di Copenaghen; di Clara Pontoppi-
dan (1883-1975) anche celebre stella del film muto; di Poul Reumert (1883-1968) il
più significativo interprete del teatro danese nella prima metà del Novecento; di Liva
Weel (1897-1952), attrice e cantante.

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Il secolo tormentato 1175

1983): il primo, grande sperimentatore, mette in scena il bisogno


dell’essere umano di sviluppare liberamente le proprie capacità e le
proprie aspirazioni; il secondo si sforza di combattere contro ogni
forma di ipocrisia. Di notevole spessore sono anche le opere dram-
matiche dei norvegesi Helge Krog (1889-1962) che predilige il tema
del conflitto tra i sessi e porta avanti la critica nei confronti della
mentalità borghese e Nordahl Grieg (già ricordato come poeta, ma
anche romanziere) i cui lavori sono strumenti nella lotta per la pace
e i diritti.215 Nel teatro islandese i nomi di prestigio sono quelli di
Laxness e, soprattutto, di Guðmundur Kamban (1888-1945) che
volentieri mette in scena conflitti morali.

La ricerca di un linguaggio nuovo è certamente un tema centrale nella


letteratura scandinava dei primi decenni del Novecento, ben presente alla
maggioranza degli autori che ne fanno oggetto della propria riflessione.
Se ne prenda un esempio nel breve saggio di Karin Boye, dal titolo La
lingua oltre la logica (Språket bortom logiken) del 1932:

“Così come tutte le arti la poesia ha un aspetto puramente emozionale:


assonanze, ritmo nel verso e nella prosa, tutto ciò che costituisce un piacere
per l’orecchio e ugualmente o forse di più per la bocca.
Diversamente dalla musica, ma analogamente alla pittura e alla scultura
la poesia ha inoltre un aspetto concettuale (concetto non inteso in un senso
strettamente filosofico, ma nel significato di segno comunemente utilizza-
bile per le cose). È un’arte descrittiva.
La pittura e la scultura possono emanciparsi dal loro aspetto concettuale,
avvicinarsi al modo di operare della musica, lavorare solo con effetti lineari
o superficiali, colori, proporzioni.
La poesia non può mai emanciparsi dal suo aspetto concettuale. Anche
quando un poeta crea l’armonia più perfetta e non tende assolutamente ad
altro, non [può] evitare le parole e le associazioni di parole. Neppure i
dadaisti possono liberarsi dai concetti, perché i suoni parlati di per sé ci
dicono qualcosa solo eccezionalmente, non hanno lo stesso immediato
accento emozionale dei toni e dei colori. L’accento emozionale che possie-
dono può sempre essere ricondotto alla lingua, alle parole e alle immagini
che le parole evocano.
Il poeta dunque lavora in parte con i suoni, in parte anche con le imma-
gini che stanno dietro le parole. Con ciò non si intende che debba lavorare
secondo logica. E tanto meno che l’essenza della poesia sarebbe esauriente-
mente definita con le parole: armonia e un contenuto piacevole. Se fosse

215
Il teatro norvegese ebbe successo anche per la presenza di attrici come Johanne
Dybwad (1867-1950) e Tore Segelcke (1901-1979), così come di Halfdan Christensen
(1873-1950), che fu anche regista e scrittore.

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1176 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

così, allora l’esigenza del periodo illuministico per una buona poesia ‘sano
intelletto in versi eleganti’ potrebbe ancora valere come ideale poetico,
poiché essa in effetti consegue questi due aspetti, quello emozionale e quel-
lo logico. Ma quello che non consegue è tuttavia così importante che senza
esagerare lo si può definire la vera essenza della poesia, ciò che solo può
afferrare il nostro sentimento. (Tra parentesi: anche dall’armonia bisogna
pretendere qualcosa più dell’armonia perché essa possa avere dignità di arte,
nella poesia come nella musica.)”216

13.5.2. Arti visive

Nell’arte scandinava della prima metà del Novecento irrompono,


grazie agli intensi contatti con gli ambienti stranieri, le nuove ten-
denze: il cubismo217 l’espressionismo,218 il futurismo,219 il surrealismo,220

216
DLO nr. 178.
217
Introdotto in Danimarca da Vilhelm Lundstrøm (1893-1950) che si dedicò anche al
collage e da Jais Nielsen (1885-1961) e ben assimilato dagli svedesi John Sten (Wettersten,
1879-1922) e Otto Gustaf Carlsund (1897-1948) e dai norvegesi Thorvald Hellesen
(1888-1937), a lungo vissuto in Francia, e Aage Storstein (1900-1983). Nel 1927 la
pittrice norvegese Charlotte Wankel (1888-1969) organizzò a Oslo presso l’Associa-
zione degli artisti (di cui più avanti) una mostra cubista (dove espose tra gli altri anche
Ragnhild Keyser, 1889-1943) che tuttavia pur destando molta attenzione non fu
compresa dalla critica.
218
I cui migliori rappresentanti nordici sono (oltre naturalmente al ‘precursore’
Edvard Munch, su cui vd. p. 1094), il danese Jens Søndergaard (1895-1957) gli svede-
si Axel Törneman (1880-1925), Martin Emond (1895-1965) e Isaac Grünewald (1889-
1946).
219
Sebbene dal punto di vista figurativo esso avesse nel Nord pochi seguaci, vi
possono almeno in parte essere ricondotte le opere di GAN (Gösta Adrian-Nilsson,
1884-1965), di cui poco oltre. Come futurista è classificato da taluni anche il norve-
gese Alfred Hagn (1882-1958, noto anche per essere stato una spia!) che in realtà si
considerava piuttosto un cubista.
220
Rappresentato tra gli altri dai danesi Franciska Clausen (1899-1986), Wilhelm
Freddie (1909-1995) e Vilhelm Bjerke Petersen (1909-1957) e dagli artisti aderenti alla
cosiddetta Linea (Linien), un gruppo attivo tra il 1934 e il 1939 (che diede anche alle
stampe una pubblicazione con lo stesso nome) di cui facevano parte Henry Heerup,
Richard Mortensen, Egill Jacobsen, Ejler Bille, Carl-Henning Pedersen e Asger Jorn
(sui quali vd. pp. 1293-1295). In Svezia dai membri del cosiddetto “gruppo di Halmstad”
(Halmstadgruppen), in un primo tempo orientato al cubismo, i cui fondatori furono
Axel Olson (1899-1986) e il fratello minore Erik (1901-1986), Waldemar Lorentzon
(1899-1984), loro cugino, Sven Jonson (1902-1981), Stellan Mörner (1896-1979) ed
Esaias Thorén (1901-1981); vd. Bosson V., Halmstadgruppen. Ett kraftfält i svensk
1900-talskonst, Halmstad 2009.

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Il secolo tormentato 1177

l’astrattismo,221 ma anche la pittura naïf.222 Tutto quello che, in


sostanza, va sotto la denominazione un po’ generica di ‘modernità’
(o, se si vuole essere più ‘tecnici’, di modernismo). Il che significa,
evidentemente, una ricerca ininterrotta e, conseguentemente, la
sperimentazione di diverse forme, ragion per cui non di rado nel
medesimo artista diversi stili innovativi convivono e si avvicenda-
no quando non vengono poi abbandonati per tornare a un’arte più
tradizionale. Si prendano in quest’ultimo caso come esempi il
danese William Scharff (1886-1959), un modernista giunto fino
all’astrattismo e poi rifluito verso una pittura figurativa, e il norve-
gese Per Lasson Krohg (1889-1965) che dopo aver esperimentato
cubismo e futurismo ‘si ritira’ verso un’arte più classica rappresen-
tata soprattutto dai suoi grandi affreschi.223 Il notevole dinamismo
che si manifesta nelle arti visive si traduce nell’allestimento di mostre
ma anche nell’aggregazione di gruppi di artisti, non sempre tuttavia
necessariamente omogenei. Uno di questi si formò attorno al 1910
sull’isola danese di Bornholm i cui paesaggi (e la cui luce) stimola-
rono la creatività di pittori come lo svedese Karl Isaksson (1878-
1922) e i danesi Edvard Weie (1879-1943), Oluf Høst (1885-1966),
Olaf Rude (1886-1957),224 Kræsten Iversen (1886-1955) e Niels
Lergaard (1893-1982), molti dei quali erano allievi di Kristian
Zahrtmann.225 Figura centrale del modernismo danese è conside-
rato il pittore e critico Harald Giersing (1881-1927), prematura-
mente scomparso, promotore della mostra Giovane arte danese
(Ung dansk kunst) del 1910 e della costituzione (1915) dell’asso-
ciazione di artisti Grønningen sorta in rottura con la cosiddetta
Esposizione libera226 per spingere la sperimentazione verso nuovi
traguardi.227 Del 1917 è la fondazione, per iniziativa del pittore Axel

221
Se ne vedano esempi nello svedese Olle Bærtling (1911-1981), creatore della
‘forma aperta’ che tuttavia svilupperà la propria arte soprattutto nel secondo dopo-
guerra (su di lui Brunius T., Bærtling. Mannen, verket, Stockholm 1990).
222
Si pensi in primo luogo agli svedesi Axel Nilsson (1889-1981), Hilding Linnqvist
(1891-1984), Eric Hallström (1893-1946), Olle Olsson Hagalund (1904-1972) e anche,
per certi versi, a Nils Dardel (1888-1943) trasferitosi a Parigi e poi negli Stati uniti.
223
Per Krøhg era figlio di Christian Krohg (vd. sopra p. 1093) e di Oda Lasson
Krohg (1860-1935) anch’ella ottima pittrice.
224
Nel 1909 Olaf Rude fu tra gli organizzatori dell’esposizione de “I tredici” (De
Tretten) i pittori le cui opere erano state rifiutate dall’accademia.
225
Vd. sopra, pp. 1087-1088.
226
Vd. sopra, p. 1088.
227
Su di lui si rimanda a Gottlieb L., Giersing. Maler, kritiker, menneske, København
1995. Destinata a diventare la maggiore associazione artistica danese Grønnigen, tut-
tora esistente, prende nome dalla strada di Copenaghen nella quale ebbe luogo la
prima esposizione.

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1178 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

Salto (1889-1961) della rivista La lama (Klingen) che, sebbene


uscita solo fino al 1919, avrebbe rappresentato un importante forum
di discussione sulle tematiche dell’avanguardia, ospitando tra l’al-
tro articoli di Giersing.228 Al 1928, risale l’associazione dei Decem-
bristi (Decembristerne), fondata allo scopo di avere uno spazio
espositivo proprio.229 La mancanza di un ‘programma artistico’ che
accomunasse il gruppo dei fondatori ha fatto sì che molti altri usu-
fruissero in seguito di questa possibilità ed è, probabilmente, anche
la ragione della durata nel tempo di questa iniziativa. Nel 1932 a
Copenaghen sarebbe sorta quella che resta un’altra delle maggiori
‘comunità di artisti’ del Paese, il Gruppo dell’angolo (Corner-
gruppen), tuttora attivo.230 Nello stesso anno si formavano I colori-
sti (Koloristerne) che reagivano al modernismo degli anni ’20,231
mentre I camerati (Kammeraterne) aggregatisi nel 1934 erano uni-
ti da un forte impegno sociale.232 In Svezia il primo gruppo di
modernisti è costituito, a partire dal 1909, dai cosiddetti “Giovani”
(De unga) la maggior parte dei quali aveva studiato in Francia
presso il grande Henri Matisse (1869-1954), rappresentante eccel-
228
Insieme a Vilhelm Lundstrøm (cfr. nota 217), Svend Johansen (1890-1970) e
Karl Larsen (1897-1977) Axel Salto avrebbe formato il gruppo “I quattro” (De fire)
che organizzò esposizioni comuni tra il 1921 e il 1930.
229
I cui promotori furono Svend Albrectsen (1896-1988), Erik Sievert (1897-1961),
Holger J. (Jens) Jensen (1900-1966), Søren Hjorth Nielsen (1901-1983) e Jørgen
Thomsen (1905-1966). Il nome è dovuto al fatto che essi si proponevano di esporre le
loro opere annualmente nel mese di dicembre.
230
Il nome deriva dal fatto che essi avevano allestito la loro esposizione in un loca-
le all’angolo tra Vester Voldgade e Studiestræde nel centro della capitale danese. Tra
i più noti Lauritz Hartz (1903-1987) e Karl Bovin (1907-1985). Nel 1936 nel gruppo
confluirono alcuni pittori naturalisti – come Knud Agger (1895-1973), Harald Leth
(1899-1986) e Flemming Bergsøe (1905-1968) – che in precedenza (1932) avevano
dato vita all’associazione nota come “Esposizione d’autunno” (Høstudstillingen).
Tuttavia nel 1942 alcuni si staccarono dal gruppo e una nuova “Esposizione d’autun-
no” fu attiva fino al 1949. Al Cornergruppen aderì anche Hans Scherfig (1905-1979)
pittore cubista e poi naïf, ma anche scrittore marxista che esprime una critica e una
satira della società borghese.
231
Un finissimo paessaggista e abilissimo colorista è Erik Hoppe (1897-1968), noto
soprattutto per i quadri raffiguranti scorci di Copenaghen. Egli tuttavia non faceva
parte del gruppo.
232
Fra di loro: Valdemar Secher (1885-1976), Helge Nielsen (1893-1980), Axel
Skjelborg (1895-1970), Carl Falbe-Hansen (1896-1969), Albert Gammelgaard (1897-
1963), Peder Larsen (1898-1956), Viggo Rohde (1900-1976), Frederik Klein Rasmus-
sen (1907-1977). E più avanti Gudmund Lervad (1904-1988), Alexander Klingspor
(1897-1978), Folmer Bendtsen (1907-1993), Svend Engelund (1908-2007), Dan Sterup-
Hansen (1918-1995). Un pittore che fin dai primi anni del secolo aveva suscitato
scalpore per i quadri raffiguranti con notevole realismo il degrado sociale e urbano di
talune zone di Copenaghen era stato Aksel Jørgensen (1883-1957) che li aveva esposti
nella mostra De Tretten (cfr. nota 224).

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Il secolo tormentato 1179

lente di quel fauvisme che, pur di breve durata, doveva lasciare


un’impronta determinante negli sviluppi artistici del Novecento.
Tra di loro Birger Simonsson (1883-1938), Leander Engström
(1886-1927), Isaac Grünewald233 e la moglie Sigrid Hjertén (1885-
1948), Gösta Sandels (1887-1919) e Sigfrid Ullman (1886-1960).234
Più tardi molti sarebbero confluiti nella cosiddetta Falange (Falan-
gen), nella quale sono rappresentate le diverse tendenze: dai pitto-
ri naïf Einar Jolin (1890-1976) e Sven “X-et” Leonard Erixson
(1899-1970) al cubista e futurista (ma più tardi rappresentante
della ‘nuova oggettività’) Otte Sköld (1894-1958), dal realista Carl
Ryd (1883-1958) all’impressionista Torsten Palm (1885-1934).
Sulla costa occidentale, a Göteborg, la tradizione pittorica poteva
contare sulla Scuola d’arte di Valand (Valands konstskola) che,
sorta fin dal 1865 come scuola di disegno e pittura del museo, era
venuta trasformandosi in una prestigiosa istituzione che poteva
vantare i migliori maestri.235 Qui fu attivo tra il 1920 e il 1929 Tor
Bjurström (1888-1966), discepolo di Henri Matisse il cui insegna-
mento riversò sui suoi allievi. A questi fu poi attribuito l’appellati-
vo di “coloristi di Göteborg” (Göteborgskoloristerna), sebbene in
realtà essi seguissero percorsi individuali e non avessero mai costi-
tuito un gruppo in quanto tale.236 Né, del resto formavano un
gruppo omogeneo gli artisti che si riunirono nell’associazione
Colore e Forma (Färg och Form), fondata nel 1932 allo scopo di
garantirsi uno spazio espositivo e un contatto diretto con il pub-
blico (e gli acquirenti).237 Ancora durante la seconda guerra mon-
diale ‘resisterà’ la “scuola di Vickleby” (Vicklebyskolan) costituita-
si all’inizio del Novecento in questa località sull’isola di Öland e

233
Cfr. nota 218.
234
Nel 1912 una parte di loro costituì, su iniziativa di Grünewald, il gruppo de “Gli
Otto” (De åtta). Da segnalare in questo contesto anche il gruppo de “I Dodici” (De
tolv) formatosi a Parigi nel 1912 e che raccoglieva artisti della Scania, molti dei quali
avevano studiato presso André Lhote (1885-1962) che proprio in quell’anno espone-
va le prime opere cubiste. Vi appartenevano Johan Johansson (1879-1951), Tora Vega
Holmström (1880-1967), Jürgen Wrangel (1881-1957), poi sostituito (1925) da Erik
Jönsson (1893-1950), Anders Jönsson (1883-1965), Svante Bergh (1885-1946), Ivar
Johnsson (1885-1970), Pär Siegård (1887-1961), Emil Johanson-Thor (1889-1958),
Albert Abbe (1889-1966), Emil Olsson (1890-1964), Nils Möllerberg (1892-1954),
Jules Schyl (1893-1977).
235
Vi avevano insegnato tra gli altri Carl Larsson e Bruno Liljefors (vd. p. 1090).
236
La definizione risale al titolo del testo Romdah – Sundborg et al. 1948. I nomi
più noti sono quelli di Carl Kylberg (1878-1952), Ivan Ivarson (1900-1939), Nils
Nilsson (1901-1949), Åke Göransson (1902-1942), Ragnar Sandberg (1902-1972) e
Inge Schiöler (1908-1971).
237
La loro galleria ha chiuso i battenti nel 2002.

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1180 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

formata da artisti che cercavano ispirazione nelle atmosfere del


luogo.238
Anche per molti pittori norvegesi del Novecento l’apprendistato
presso i maestri stranieri costituisce un momento fondamentale di
formazione: ancora una volta Parigi (e, in primo luogo, l’insegna-
mento di Matisse) si rivelano determinanti per artisti come Ludvig
Karsten (1876-1926), neoimpressionista, Jean Heiberg (1884-1976)
anche scultore e designer, Axel Revold (1887-1962), autore di affre-
schi segnati da vivaci colori,239 Henrik Sørensen (1882-1962) che
insieme ad altri cercava ispirazione nei paesaggi di Holmsbu sul
promontorio di Hurum nel fiordo di Oslo.240 Sørensen fu anche tra
i promotori dell’Associazione degli artisti (Kunstnerforbundet, 1910)
che aprì la celebre galleria espositiva nel centro di Oslo.241 Del resto
anche dal punto di vista dell’insegnamento in Norvegia si era-
no fatti passi avanti: nel 1909 veniva aperta l’Accademia artistica
statale (Statens kunstakademi) nella quale avrebbero insegnato
maestri come Christian Krohg e, più tardi, Axel Revold. Fino ad
allora i suoi compiti erano stati (in qualche modo) suppliti dalla
Reale scuola di disegno e di arte di Christiania.242 L’insegnamento
privato non era tuttavia da meno potendo contare sulla scuola
(attiva fino al 1912) aperta dalla pittrice Harriet Backer, allieva di
Johan Fredrik Eckersberg e di Eilif Peterssen.243 Nel 1926 anche il
pittore Carl Von Hanno (1901-1953) avrebbe avviato propri corsi.
Questo artista, inizialmente ‘romantico’, doveva poi sentire la pro-
pria arte come strumento di impegno sociale, aderendo con con-
vinzione ad ambienti culturali socialisti. Un simile atteggiamento si
riscontra in Søren Steen-Johnsen (1903-1979), in Reidar Aulie
(1904-1977), che ancora nel 1950 tradurrà in affresco la storia del
movimento operaio nel municipio di Oslo, e in Arne Ekeland
238
Tra di loro William Nording (1884-1956), figura centrale, Arvid Fougstedt
(1888-1949) e Torsten Palm. William Nording e Torsten Palm fecero anche parte dei
cosiddetti “coloristi di Smedsudden” (Smedsuddskoloristerna), che rifugiatisi sul pic-
colo promontorio di Smedsudden (sull’isola di Kungsholmen a Stoccolma) ricerca-
vano, in opposizione all’espressionismo, un’arte dai toni più attenuati.
239
In questo periodo in Norvegia l’arte dell’affresco per decorare interni di chiese
ma anche di edifici pubblici sarà largamente praticata: nomi di prestigio sono quelli
di Alf Rolfsen (1895-1979) e di Aage Storstein (cfr. nota 217) e anche, come già detto,
di Per Lasson Krohg (vd. p. 1177).
240
Qui lavorarono anche Oluf Wold-Torne (1867-1919) e Thorvald Erichsen (1868-
1939), innovatori della pittura norvegese.
241
Nel 1930 sarebbe stata aperta, con contributo statale, la “Casa degli artisti”
(Kunstnernes Hus).
242
Vd. sopra, p. 935 con nota 339.
243
Vd. sopra, p. 937, p. 1092, nota 581 e p. 1094.

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Il secolo tormentato 1181

(1908-1994) che si apre all’espressionismo tedesco.244 Altri nomi


di rilievo sono quelli dell’allievo di Revold Bjarne Ness (1902-1927),
morto prematuramente, di Kai Fjell (1907-1989) in bilico tra sur-
realismo ed espressionismo, di Harald Dal (1902-1972) ispirato a
temi storici e dell’originale artista Hannah Ryggen (1894-1970) che
tesseva i propri quadri nei quali non mancano certo spunti politici.245
Anche in Islanda la pittura mostra significativi progressi: accan-
to ad Ásgrímur Jónsson (1876-1958), primo pittore professionista,246
cominciano ad affermarsi Jón Stefánsson (1881-1962), estremamen-
te esigente con se stesso, e Jóhannes S. Kjarval (1885-1972) che,
seppure di modestissima condizione, poté poi formarsi all’estero
e rivela di aver ben assimilato la lezione dei maestri stranieri pur
piegandola a uno stile personale. Paesaggi, ritratti e figure di model-
le sono i temi preferiti da Gunnlaugur Blöndal (1893-1962) che tra
gli anni ’20 e ’30 diffonde in patria la lezione appresa nei suoi
studi in Danimarca, Norvegia e Francia. Molto apprezzati sono i
lavori (in particolare i paesaggi) di Júlíana Sveinsdóttir (1889-1966),
anche artista tessile, una delle prime donne islandesi ad affermarsi
nel campo delle arti visive. Nelle quali non mancheranno anche
qui i modernisti: così in primo luogo Guðmundur Pétursson
Thorsteinsson (1891-1924), più noto come Muggur, artista ecletti-
co247 a sua volta maestro di altri come Snorri Arinbjarnar (1901-
1958), Gunnlaugur Óskar Scheving (1904-1972) o Jón Engilberts
(Jón Sigurjónsson, 1908-1972) e poi Finnur Jónsson (1892-1993)
e Þorvaldur Skúlason (1906-1984) pionieri dell’astrattismo e Svavar
Guðnason (1909-1988) che farà parte del celebre gruppo cobra,248
Nína (Jónina) Tryggvadóttir (1913-1968), rappresentante dell’espres-
sionismo astratto. Seppure dalle biografie di questi artisti emer-
gano, per i più, lunghi periodi di studio e lavoro all’estero, inne-
gabile resta in loro il legame con la madrepatria. Per altro, proprio
l’amore per l’Islanda traspare dalle illustrazioni della grafica Bar-
bara Árnason (nata Moray Williams, 1911-1975), inglese ma tra-

244
Così anche Gert Jynge (1904-1994) che si pone in opposizione al dominante
influsso francese. Un pittore svedese impegnato in un’arte di denuncia sociale è Albin
Amelin (1902-1975).
245
Un caso eclatante sarà quello del famoso arazzo dal titolo Sangue nell’erba (Blod
i gresset) del 1966 che si ispira alla guerra americana nel Vietnam condotta dal presi-
dente Lyndon Johnson (1908-1973) ed è conservato nel Museo dell’arte applicata del
Vestland (Vestlandske Kunstindustrimuseum) di Bergen.
246
Su di lui “Ásgrímur Jónsson, listamálari”, in BR, pp. 240-243.
247
Su di lui Björnsson Bj.Th., Guðmundur Thorsteinsson. Muggur. Ævi hans og list,
Reykjavík 1960.
248
Vd. oltre, pp. 1293-1294.

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1182 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

sferita nel Paese dopo il matrimonio (1937) con Magnús Á. Árnason


(1894-1980), pittore, scultore, scrittore e musicista.
In Danimarca nei primi anni del secolo l’innovazione nell’ambi-
to della scultura si affida in primo luogo a Kai Nielsen (1882-1924)
con le sue figure di nudi e a Gerhard Henning (1880-1967) che
interpreta tutta la sensualità della figura femminile, ma anche a
esperimenti di scultura cubista249 o alle forme classiche stilizzate di
Einar Utzon-Frank (1888-1955). Più tardi con diverse interpreta-
zioni si ispireranno alla figura umana artisti come Astrid Noack
(1888-1954), Povl Søndergaard (1905-1986), Knud Nellemose
(1908-1997), Gunnar Westman (1915-1985). Non mancano infine
scultori come Wilhelm Freddie (sopra ricordato come pittore) e
Sonja Ferlov (1911-1985) che si muovono nell’ambito del surrea-
lismo.
In Svezia il nome di maggior prestigio della scultura del Nove-
cento è certamente quello di Carl Milles (Carl Andersson, 1875-
1955), figura artisticamente ineccepibile ma discussa per la sua
dichiarata ammirazione del nazismo e del fascismo. Vissuto a lun-
go all’estero tra la Francia (dove apprese la lezione di Auguste
Rodin, 1840-1917), la Germania e gli Stati uniti, ottenne grande
successo e sicuri riconoscimenti: le sue numerose opere (celebri
sono soprattutto le sue fontane)250 traducono l’ispirazione nella
plasticità delle forme e nell’armonia degli elementi. Più naïf è la
scultura di Bror Hjorth (1894-1968), anche pittore; centrale
la figura di Gottfrid Larsson (1875-1947) che oltre a produrre
opere aprì nel 1920 una scuola d’arte a Stoccolma insieme al pit-
tore Edward Berggren (1876-1961).251 Anche in Svezia la sperimen-
tazione si traduce nella ricerca di forme nuove e inattese,252 per
altro una tendenza che ‘esploderà’ nel secondo dopoguerra, ma la
figura umana resta comunque un motivo ispiratore fondamentale,
variamente rappresentato.253
In Norvegia, una figura di riferimento è quella di Wilhelm Robert
Rasmussen (1879-1965): professore all’accademia e autore di ope-
re ispirate alla storia nazionale, egli avrebbe aderito al partito di
249
Come quelli di Adam Fischer (1888-1968) e Johannes Bjerg (1886-1955).
250
Come, del resto, quelle di Nils Sjögren (1894-1952).
251
Essa è tuttora attiva con il nome di Scuola d’arte Idun Lovén (Konstskolan Idun
Lovén) dal nome dell’artista (1916-1988) che la diresse dal 1958 al 1988.
252
Si considerino innanzi tutto Christian Berg (1893-1976) e Tyra Lundgren (1897-
1979).
253
Si citino qui, tra i molti, John Lundqvist (1882-1972), Karl Hultström (1884-
1973), Nils Möllerberg (cfr. nota 234), Arvid Källström (1893-1967), Bror Marklund
(vd. p. 1302), Jalmar Lindgren (1908-1990).

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Il secolo tormentato 1183

ispirazione nazista di Quisling (del quale nel 1941 realizzò anche


un busto) e dopo la guerra venne dunque privato dell’insegnamen-
to e sostanzialmente emarginato. Ma la sua lezione era comunque
stata appresa da allievi come Rolf Lunde (1891-1928), prematura-
mente scomparso, Stinius Fredriksen (1902-1977), al quale si devo-
no diverse fra le statue che decorano il rinnovato duomo di
Trondheim, Dyre Vaa (1903-1980) che produsse anche contributi
critici, Ørnulf Bast (1907-1974), autore di opere pubbliche (tra cui
fontane) armoniosamente inserite nel loro contesto e Nils Flakstad
(1907-1979), talora ispirato alla vita di mare. Tra le scultrici Sigri
Welhaven (1894-1991),254 a lungo vissuta a Parigi, e Anne Marie
Grimdalen (1899-1961), nota soprattutto per le figure animali.
Esperimenti di scultura cubista furono fatti all’inizio della carriera
da Emil Lie (1897-1976), che successivamente li rifiutò (arrivando
a distruggere molte opere) per passare a una scultura più classica.
Da menzionare anche Dagfin Werenskiold (1892-1977), il ‘ragazzo
prodigio’ della scultura norvegese.
Nella prima metà del Novecento la scultura islandese compie
notevoli passi in avanti. Gli artisti più noti sono Ríkarður Jónsson
(1888-1977),255 Ásmundur Sveinsson (1893-1982), che aveva anche
studiato presso Carl Milles, la di lui moglie Gunnfríður Jónsdóttir
(1889-1968) e l’allievo del grande Einar Jónsson256 Sigurjón Ólafs-
son (1908-1982).
In Scandinavia l’architettura della prima metà del Novecento
richiama innanzi tutto una parola: funzionalismo. Vale a dire: lo
scopo deve determinare la forma. Questa innovazione di così ampia
portata troverà la sua esemplare espressione nell’esposizione di
Stoccolma del 1930. Essa era stata preceduta dalla fase del cosid-
detto ‘classicismo nordico’ che, rispondendo all’esigenza di ricor-
rere a forme più sobrie, combinava le linee classiche (per altro mai
del tutto abbandonate) con elementi ripresi dalla tradizione e con
le esigenze della nuova architettura urbana. Nei primi anni del
Novecento sorgono in Danimarca nuovi circoli come la Libera
associazione degli architetti (Den frie Architektforening, 1909),257
fondata in reazione al tradizionalismo dell’Associazione accademi-
ca degli architetti (Akademisk Arkitektforening)258 o l’Associazione

254
Sigri Welhaven era nipote dello scrittore Johan Sebastian Welhaven (vd. pp.
931-932) e fu sposata in prime nozze con il pittore Jean Heiberg (vd. p. 1180).
255
Ríkarður era il fratello del pittore Finnur Jónsson, sopra citato (vd. p. 1181).
256
Vd. p. 1096.
257
L’associazione esistette fino al 1919.
258
Fondata nel 1879, essa è tuttora attiva.

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1184 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

nazionale metodo di costruzione migliore (Landsforeningen Bedre


Byggeskik, 1915) che, senza rinnegare del tutto la tradizione, si
proponeva, attraverso la collaborazione tra gli artigiani e gli archi-
tetti di realizzare case solide, funzionali, belle e ben inserite nell’am-
biente.259 All’una, all’altra (o a entrambe) aderiranno importanti
progettisti come P.V. (Peder Vilhelm) Jensen Klint (1853-1930),
pure per molti versi tradizionalista, ma soprattutto i pionieri delle
nuove tendenze come Carl Petersen (1874-1923), Ivar Bentsen
(1876-1943), Povl Baumann (1878-1963), Jesper (Jens Peter)
Tvede (1879-1934), Thorkild Henningsen (1884-1931), Kaare Klint
(1888-1954), figlio di P.V. Klint e designer di mobili, Kaj Gottlob
(1887-1976). Il modernismo architettonico danese sarà rappresen-
tato al meglio anche da Kay Fisker (1893-1965), Frits Schlegel
(1896-1965), Edvard Hiberg (1897-1958), C.F. (Christian Frederik)
Møller (1898-1988),260 Mogens Lassen (1901-1987), Arne Jacobsen
(1902-1971) anch’egli ammirato designer,261 ed Erik Møller (1909-
2002) suo collaboratore. L’attenzione alla progettazione degli arre-
di sottolinea come l’esigenza di costruzioni ‘funzionali’ debba
coinvolgere anche tutto ciò che vi viene collocato all’interno.262
In Svezia, dove fra il 1911 e il 1923 l’architetto Ragnar Östberg
(1866-1945) ancora costruiva il Municipio di Stoccolma in uno
stile nazional-romantico, il funzionalismo trova forse il terreno più
fertile. Qui, ancor più che altrove, esso viene messo in relazione con
il dibattito su una nuova impostazione del vivere sociale, sulla
rimodulazione dei ruoli all’interno della famiglia, sulla necessità di
costruirsi una realtà con cui sia agevole rapportarsi: in sostanza la
cultura del welfare state. Manifesto di queste idee fu la pubblica-
zione del volume accettare (acceptera) scritto a più mani dai princi-
pali promotori di quella che veniva intesa come una vera e propria
filosofia di vita che allo stesso modo rigettava, ritenendola ingom-
brante, l’eredità del passato ma anche, ritenendola inutile, la piani-
259
L’influsso di queste idee si sarebbe esteso anche al di fuori della Danimarca.
260
Nel 1924 Møller fondava lo studio di architettura noto come Arkitektfirmaet
C.F. Møller (o C.F. Møller Architects), destinato a diventare uno dei più prestigiosi del
Paese. Tuttora aperto esso ha realizzato (o ha in progettazione) numerose opere in
diversi Paesi del mondo tra cui gli ampliamenti del Museo di storia naturale (Natural
History Museum) e il Museo marittimo (National Maritime Museum) di Londra.
261
Partito dal classicismo egli si sarebbe poi orientato verso forme più moderne rag-
giungendo un successo internazionale. I progetti usciti dal suo studio avrebbero rappre-
sentato un modello per i giovani architetti danesi. Cfr. p. 1292, nota 257.
262
Un celebre designer (ricordato soprattutto per sue lampade) è Poul Henningsen
(PH, 1894-1967), noto oppositore del fascismo e del nazismo. Egli fu redattore della
Rivista critica (Kritisk Revy), uscita tra il 1926 e il 1928, che introdusse in Danimarca
le nuove tendenze. Cfr. p. 1292, nota 257.

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Il secolo tormentato 1185

ficazione di un utopistico futuro. Gli architetti Gunnar Asplund


(1885-1940), Sven Markelius (Sven Jonsson, 1889-1972), Eskil
Sundahl (1890-1974), Wolter Gahn (1890-1985), Uno Åhrén (1897-
1977) e lo storico dell’arte Gregor Paulsson (1889-1977), autori
dell’opera, sono dunque i profeti del funzionalismo in questo Pae-
se.263 Dove l’arte moderna era stata ‘inaugurata’ con l’apertura (1916)
della Galleria d’arte di Liljevalch (Liljevalchs konsthall) di Stoccol-
ma, disegnata da Carl Bergsten (1879-1935). Il funzionalismo sve-
dese sarà applicato da altri nomi celebri come Ivar Tengbom (1878-
1968), Sigurd Lewerentz (1885-1975) e Paul Hedqvist (1895-1977).
Dalla Svezia il funzionalismo giunse in Norvegia. Anche qui si
era aperto al classicismo con una ricerca di forme più essenziali che
favorirono il passaggio alla nuova dottrina architettonica.264 Un
passaggio che si nota a esempio nell’opera di Finn Bryn (1890-1975).
Un altro eminente neoclassicista norvegese che poi si sarebbe
‘convertito’ al funzionalismo è Gudolf Blakstad (1893-1985). Fun-
zionalisti sono senz’altro Lars Backer (1892-1930), Frithjof Reppen
(1893-1945), Ove Bang (1895-1942), Eindride Slaatto (1896-1963),
Arne Korsmo (1900-1968) e il suo collaboratore Sverre Aasland
(1899-1989).265 Un celebre esempio di costruzione influenzata dal
funzionalismo è il Municipio di Oslo, disegnato da Arnstein Arne-
berg (1882-1961) e Magnus Poulsson (1881-1958). I progressi di
un’architettura norvegese ‘autonoma’ sono sottolineati dall’istitu-
zione (1910) dell’Associazione nazionale norvegese degli architet-
ti (Norske Arkitekters Landsforbund).
Infine, per non dimenticare l’Islanda che si apriva alla moderni-
tà, si constaterà qui lo sviluppo dell’architettura nei diversi edifici
pubblici e nelle abitazioni, in primo luogo a Reykjavík, la cui costru-
zione rivela in molti casi il desiderio di innovazione.266 Sorgono
quindi edifici in stile neoclassico,267 ma anche in neobarocco, in art
déco, in stile chalet svizzero o nazional-romantico. Il tradizionale

263
Contrario a questa corrente fu invece l’architetto Carl Malmsten (1888-1972)
che si espresse con toni molto critici in occasione dell’esposizione di Stoccolma del
1930.
264
Questo si constata, a esempio, in un architetto come Harald Aars (1875-1945)
che pur rimanendo legato alle posizioni di fine secolo nel 1915 realizzava il cinema-
teatro Regina di Oslo in stile neoclassico. Con lui va ricordato Kristian Biong (1870-
1959), considerato uno dei migliori architetti della sua epoca.
265
Più eclettici paiono Georg Eliassen (1880-1964) e Andreas Bjercke (1883-1967)
che aprirono insieme un noto studio di architettura.
266
Il primo architetto islandese in senso moderno è considerato Rögnvaldur Ólafs-
son (1874-1917).
267
Si citi qui Einar Erlendsson (1883-1968).

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1186 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

ricorso al legno viene almeno in parte abbandonato e si moltipli-


cano le costruzioni in cemento. Il funzionalismo giungerà nel
Paese alla fine degli anni ’20, introdotto dall’architetto Sigurður
Guðmundsson (1885-1958). Ma una delle più note costruzioni
d’Islanda, la grande cattedrale di Reykjavík dedicata a Hallgrímur
Pétursson,268 opera del noto architetto Guðjón Samúelsson (1887-
1950) e a lui commissionata nel 1937 (ma costruita tra il 1945 e il
1986), si richiama piuttosto al paesaggio naturale islandese con le
sue colonne di lava basaltica modellate dai vulcani.

13.5.3. Musica

Nel mondo musicale scandinavo del Novecento si affermano,


come altrove, nuove forme di espressione, dalla ‘canzonetta’ al
jazz,269 mentre la rivista, già introdotta nel XIX secolo, miete (e
mieterà) ancora notevole successo.270 Accanto si mantiene la tradi-
zione del balletto,271 della musica popolare e di quella classica. In
Danimarca i nomi più noti sono quelli di Rued Langgaard (1893-
1952), ancora legato allo spirito romantico, di Thomas Laub (1852-
1927), che rinnova profondamente la musica religiosa cercando di
ricondurla alle origini, di Thorvald Aagaard (1877-1937) e di Oluf
Ring (1884-1946), autori di melodie divenute patrimonio popolare.
Più ‘leggere’ sono anche le composizioni di Jacob Gade (1879-1963),

268
Su di lui vd. p. 609 con nota 375.
269
Tra i primi a dedicarsi a questo genere: in Danimarca Svend Asmussen (n. 1916)
e Bernhard Christensen (1906-2004) che lo insegnò ai giovani; in Svezia: Seymour
Österwall (1908-1981) e Thore Ehrling (1912-1994); in Norvegia Lauritz Stang (1903-
1983) e Amund Enger (1904-2000) così come i componenti della Bodø Jazz Band. In
Islanda questa musica fu diffusa fin dagli anni ’20: i primi veri musicisti jazz furono
Jóhannes Eggertsson (1915-2002), Vilhjálmur Guðjónsson (1917-1977) e Sveinn
Ólafsson (1917-1996), detti Jói, Villi e Svenni, che cominciarono a esibirsi subito prima
della guerra. Vd. Wiederman E., Jazz i Danmark, i tyverne, trediverne og fyrrerne,
en musikkulturel undersøgelse, I-III, con cassette, København 1982; Kjellberg E.,
Svensk jazzhistoria. En översikt, Stockholm 1985; Stendahl Bj., Jazz, hot & swing. Jazz
i Norge 1920-1940, med norsk jazzdiskografi av J. Berg, Oslo 1987; Árnason J. Múli,
Djass, Reykjavík 1985, pp. 217-218 e Júlíusson – Ísberg 2005 (B.3), pp. 370-371.
270
Insieme al cabaret e, in generale, agli spettacoli di varietà. Sull’argomento si può
leggere (quantomeno per la Danimarca e la Svezia): Plenov L., Dansk revy 1850-2000.
Et uhøjtideligt tilbakeblik, København 2000; Marott E., Dansk revy, I-III, Valby 1991;
Myggan Ericson U., Historier från revyn, Göteborg 1999.
271
Ambito in cui portarono importanti contributi i danesi Hans Beck (1861-1952),
successore di Bournonville (vd. p. 922) e Harald Lander (1905-1971) e i norvegesi
Gyda Christensen (1872-1964) e Gerd Kjølaas (1909-2000). In generale sul balletto
nordico si può fare riferimento a Sjögren M., Skandinavisk balett, Stockholm 1988.

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Il secolo tormentato 1187

autore, tra l’altro del celeberrimo tango Gelosia (Jalousie ‘Tango


Tzigane’, 1925). Figure di riferimento sono inoltre quelle di Finn
Høffding (1899-1997), compositore e pedagogo che si adoperò per
diffondere la cultura musicale,272 ma anche per aprire alle
innovazioni,273 e di Knud Jeppesen (1892-1974), compositore ma
soprattutto studioso di teoria musicale. Loro eccellente allievo sarà
il neoclassicista Vagn Holmboe (1909-1996), uno dei nomi più
prestigiosi dopo quello di Carl Nielsen.274
In Svezia, mentre Natanael Berg (1879-1957), che ha per model-
lo Richard Strauss (1864-1949), Oskar Lindberg (1887-1955), che
risente della musica popolare, e soprattutto Kurt Atterberg (1887-
1974) mostrano ancora un temperamento romantico, Edvin Kall-
stenius (1881-1967) si presenta come un pioniere del modernismo.
Così anche Hilding Rosenberg (1892-1985), certamente l’artista di
maggior prestigio.275 Altri importanti compositori sono Dag Wirén
(1905-1986) influenzato dal neoclassicismo ma ispirato anche alla
tradizione nordica, il popolare Lars-Erik Larsson (1908-1986) che
si misura con diversi stili espressivi, Gunnar de Frumerie (1908-
1987), autore di corali e di musiche di accompagnamento a testi
poetici ed Erland von Koch (1910-2009) autore di motivi orecchia-
bili che in parte richiamano le melodie tradizionali.276 Assai apprez-
zati sono i ‘trovatori’: Birger Sjöberg (già ricordato come scrittore),277
Ruben Nilson (1893-1971), anche pittore, e soprattutto Evert
Taube (1890-1976) che riprendono la tradizione inaugurata da
Bellman.278 Anche diverse tra le poesie di Nils Ferlin (1898-1961)
saranno musicate entrando a far parte di questo patrimonio.
In Norvegia David Monrad Johansen (1888-1974) mostra, pur
nella varietà dell’ispirazione, di voler ricercare l’identità della
‘musica patria’.279 Del resto nel primo dopoguerra il ‘carattere
nazionale’ che permea la vita culturale nel Paese si riflette inevi-
272
In questo ambito fu attivo anche il compositore Erling Brene (1896-1980).
273
A tale scopo nel 1920 venne fondata l’Associazione dei giovani musicisti (Det
Unge Tonekunstnerselskab).
274
Vd. p. 1100. Un compositore di talento è anche Paul von Klenau (1883-1946)
che tuttavia operò soprattutto in Germania e Austria.
275
A questa tendenza si aprono anche Ture Rangström (1884-1947), Gösta Nystroem
(Nyström, 1890-1966), in gioventù anche pittore cubista, e il finno-svedese Moses
Pergament (1893-1977).
276
Anche il padre di Erland, Sigurd (1879-1919) era compositore ma anche pittore
e poeta.
277
Vd. p. 1171.
278
Vd. pp. 836-838 con note relative.
279
Musicista fu anche il figlio, Johan Kvandal (1919-1999) che dagli anni ’50 mostra
di muoversi verso tonalità più ‘moderne’.

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1188 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

tabilmente anche in questo ambito, accostandosi alla tendenza


all’impressionismo musicale (e talora intrecciandosi con essa),
sicché si parla di ‘impressionismo norvegese’. Di notevole valore
è l’opera del produttivo Geirr Tveitt (Nils Tveit, 1908-1981) che
si ispira alla natura del Paese e alle melodie popolari280 ma anche
al mondo mitologico pagano che egli pare voler ricreare.281 Allo
‘spirito norvegese’ (e alla lotta del popolo contro l’oppressione
nazista) resta legato il nome di Ludvig Irgens-Jensen (1894-1969)
che pure, per molti versi, si presenta come un vero e proprio
innovatore. Una forte critica al dilettantismo e un impulso a cer-
care nuove forme espressive viene da Pauline Hall (1890-1969)
che a tale scopo fonderà nel 1938 l’associazione Musica nuova
(Ny Musikk),282 mentre un influsso di Arnold Schönberg (1874-
1951) si può constatare in Arvid Kleven (1899-1929), morto
prematuramente. Ma l’artista che in questi decenni volge decisa-
mente alla composizione modernista (andando incontro a severe
critiche ma in seguito altamente considerato) è Fartein Valen
(1887-1952) che opta per l’atonalità:283 se si fa eccezione per lui
le aperture alla modernità restano tutto sommato limitate e ‘con-
trobilanciate’, per così dire, da una serie di compositori (tutti più
giovani di Valen!) che mostrano una tendenza neoclassica, sep-
pure in alcuni di loro si osservino poi sviluppi in direzione di una
musica più ‘libera’.284
Di rilievo è anche la composizione di musica religiosa i cui
‘maestri’ sono autori come Sigurd Islandsmoen (1881-1964) e Arild
Sandvold (1895-1984). Infine non si può tralasciare di menziona-
re la soprano Kirsten Flagstad (1895-1962) considerata una delle
voci più limpide del secolo,285 né la ballerina Lillebil Ibsen (Sofie

280
Le quali rappresentano un punto di riferimento irrinunciabile anche per un
compositore come Eivind Groven (1901-1977).
281
Legati allo spirito nazionale sono anche musicisti come Arne Eggen (1881-1955),
Marius Moaritz Ulfrstad (1890-1968), Olav Kielland (1901-1985), Sparre Olsen (1903-
1984); romantico ma non ‘popolare’ è Halfdan Cleve (1879-1951).
282
Vd. Faurdal I. Lokjær, Pauline Hall (1890-1969). Komponist og overgangs-
kvinde i norsk musikliv, København 1993.
283
Vd. GURVIN O., Fartein Valen. En banebryter i nyere norsk musikk, Drammen
1962.
284
Si pensi a Conrad Baden (1908-1989), Knut Nystedt (1915-2014), Hallvard
Johnsen (1916-2003), Øistein Sommerfeldt (1919-1994), Per Hjort Albertsen (1919-
2015), Edvard Fliflet Bræin (1924-1976).
285
Altri cantanti norvegesi di fama internazionale sono: la soprano Kaja Norena
(Karoline Eide Hansen, 1884-1968), il basso Ivar F. (Frithiof) Andresen (1896-1940);
le soprano Aase Nordmo Løvberg (1923-2013) e Ingrid Bjoner (1927-2006), il barito-
no Knut Skram (n. 1937), la mezzosoprano Anne Gjevang (n. 1948), le soprano

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Il secolo tormentato 1189

Parelius Monrad Krohn, 1899-1989), figlia di Gyda Christensen


Hambro, figura fondamentale per l’affermazione della danza
classica anche in Norvegia.286
In Islanda, dove nel 1939 veniva aperto il Conservatorio (Tón-
listarskólinn í Reykjavík), i migliori musicisti del periodo sono Páll
Ísólfsson (1893-1974) che aveva studiato in Germania e in Francia287
e Karl Ottó Runólfsson (1900-1970), che mostra di voler produrre
composizioni in sintonia con il mutare dei tempi.

13.5.4. Cinematografia

Nata alla fine del XIX secolo la cinematografia si diffuse in


breve tempo anche nei Paesi nordici. In Danimarca fin dagli anni
’90 ne fu pioniere Peter Elfelt (1866-1931), esperto fotografo che
avrebbe lavorato anche a corte. Del 1897 è quello che viene consi-
derato il primo film danese Corsa con cani groenlandesi (Kørsel med
grønlandske Hunde). Al 1906 risale la fondazione da parte di Ole
Olsen (1863-1943) dell’importante società di produzione Nordisk
Film Kompagni (dunque una fra le più antiche al mondo), tuttora
attiva, che darà il via a una produzione apprezzata anche all’estero.
Qui, alla realizzazione di una serie di cortometraggi lavorerà il
regista Viggo Larsen (1880-1957). Dal carattere melodrammatico
dei primi film muti si passa poi a lavori più ambiziosi, talora ispi-
rati a opere letterarie. Figure di rilievo sono quelle dei registi
August Blom (1869-1947), Benjamin Christensen (1879-1959), Lau
(Lauritz) Lauritzen (1878-1938), A.W. (Anders Wilhelm) Sandberg
(1887-1938) e, soprattutto, di Carl Theodor Dreyer (1889-1968),
talora attori e sceneggiatori essi stessi.288 Il primo film sonoro dane-
se, Il prete di Vejlbye (Præsten i Vejlbye), ispirato all’omonima
novella di Steen Steensen Blicher del 1829,289 fu girato nel 1931 da
George Schnéevoigt (Fritz Ernst Georg Fischer, 1893-1961). Gli
anni della guerra, con la rigida censura imposta dagli occupanti
tedeschi, costringono a individuare temi ‘neutri’ anche se l’angoscia
Elizabeth Norberg-Schulz di madre italiana (n. 1959) e Solveig Kringlebotn (o Kringle-
born, n. 1963), la mezzosoprano Randi Stene (n. 1963).
286
Lillebil Ibsen era sposata con il regista Tancred Ibsen (vd. p. 1195 con nota 318);
su Gyda Christensen cfr. nota 271.
287
Nel 1940 Páll Ísólfsson fondò il Coro popolare (Þjóðkórinn) che si esibiva alla radio.
288
La grande ‘stella del muto’ danese, celebre a livello internazionale, fu l’attrice
Asta Nielsen (1881-1972), che fu sposata con il regista Urban Gad (1879-1947) il
quale la diresse in molti film. Con lei Valdemar Psilander (1884-1917).
289
Vd. p. 916.

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1190 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

del periodo si riflette in talune opere, mentre i drammatici eventi


legati al conflitto troveranno espressione in pellicole realizzate negli
anni del dopoguerra. Importanti registi sono Bodil Ipsen (1889-
1964), anche apprezzatissima attrice, Lau Lauritzen Jr. (1910-1977),
Bjarne Henning-Jensen (1908-1995)290 e Johan Jacobsen (1912-
1972). Spesso influenzata dalle tendenze straniere (non ultime
quelle americane ma in seguito anche dal realismo italiano e dalla
scuola francese) la cinematografia danese ha poi cercato strade
proprie, a cominciare da Fame (Sult, 1966), una coproduzione
scandinava basata sul romanzo di Knut Hamsun,291 diretta da
Henning Carlsen (1927-2014) e Ballata su Carl-Henning (Balladen
om Carl-Henning, 1969) di Sven Grønlykke (1927-1988) e di sua
moglie Lene (nata Meyer Petersen, 1933-1990).292 Nomi noti del
dopoguerra sono quelli di Erik Balling (1924-2005), il cui film
Qivitoq del 1956 (interamente ambientato in Groenlandia) otterrà
significativi riconoscimenti, tra cui la nomination all’Oscar, e quel-
lo del suo collaboratore, lo sceneggiatore e scenografo Henning
Bahs (1928-2002). Qualche anno dopo la nomination come miglior
film straniero andrà a Harry e il suo servo (Harry og kammertjene-
ren, 1961) diretto da Bent Christensen (1929-1992).293 Un innova-
tore della filmografia danese, che negli anni ’60 risente positiva-
mente delle nuove correnti europee, è Palle Kjærulff-Schmidt (n.
1931). Con il passare del tempo anche il cinema danese ha risposto
alle esigenze degli autori ma anche del pubblico con una grande
varietà di produzioni: dalle storie ‘familiari’ alle commedie popo-
lari, dai film portatori di un messaggio sociale e politico a quelli
d’avanguardia, dalle opere di voluta ‘provocazione’ alle trame
criminali, dai film per bambini a quelli ‘per adulti’, dai documen-
tari (un genere avviato negli anni ’30)294 ai prodotti sperimentali
riservati a un pubblico ‘di nicchia’ fino ai film per la TV. Succes-
sivamente si sono posti all’attenzione internazionale, raccogliendo
prestigiosi riconoscimenti, Nils Malmros (n. 1944), Bille August
(n. 1948), Lars von Trier (n. 1956) e Ole Bornedal (n. 1959). Per
la cinematografia danese gli anni ’80 sono stati ricchi di soddisfa-
290
Anche la moglie Astrid (nata Smahl, 1914-2002) che collaborò con lui è stata
un’apprezzata regista: il suo film Paw (1959) ebbe la nomination all’Oscar.
291
Vd. p. 1084.
292
Coppia altrettanto famosa (forse anche più) per aver aperto una ditta di prodot-
ti alimentari di qualità.
293
L’opera fu scritta da Leif Panduro (cfr. p. 1255, nota 141 e p. 1257).
294
Si veda, in particolare, il discusso film Danimarca (Danmark) realizzato in bian-
co e nero nel 1935 da Poul Henningsen (cfr. nota 262) ma anche le opere di Theodor
Christensen (1914-1967).

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Il secolo tormentato 1191

zioni: per due volte consecutive infatti essa veniva premiata con
l’Oscar: nel 1987 con Il pranzo di Babette, diretto da Gabriel Axel
(1918-2014) e basato sul celebre racconto di Karen Blixen,295 e nel
1988 con Pelle il conquistatore (Pelle Erobreren) di Bille August
ispirato al ciclo di romanzi di Martin Andersen Nexø usciti tra il
1906 e il 1910.296 L’anno successivo ci fu una ulteriore nomination
per Ballando con Regitze (Dansen med Regitze) di Kaspar Rostrup
(n. 1940). Nel 1995 Lars von Trier in collaborazione con Thomas
Vinterberg (n. 1969) ha presentato il manifesto Dogma95 (Dogme95)
con l’intento di produrre una cinematografia sobria ed essenziale,
liberata da tecnicismi esasperati e costosi.297 Più recentemente non
sono mancati ulteriori prestigiosi riconoscimenti: nel 2006 la nom-
ination è andata a Dopo il matrimonio (Efter brylluppet) di Susanne
Bier (n. 1960) che nel 2010 è stata premiata con l’Oscar per l’ope-
ra In un mondo migliore (in danese Hævnen “La vendetta”); nel
2013 la nomination è stata ottenuta da Un affaire reale diretto da
Nikolaj Arcel (n. 1972).298
In Svezia la cinematografia arrivò alla fine del XIX secolo. Uno
dei primi locali per proiezioni dove si poteva assistere alle opere
dei fratelli Lumière fu allestito dal fotografo Numa Peterson (1837-
1902) in uno spazio all’interno della grande esposizione di Stoccol-
ma del 1897. I primi film (di carattere documentario) furono rea-
lizzati a partire dal 1906 da John Bergqvist (1874-1953) e da suo
cognato Gustaf Berg (1880-1933). In pochi anni nelle città svedesi
cominciano a diffondersi i cinematografi. Nel 1909 veniva fondata
la S.p.a. Teatro cinematografico svedese (AB Svenska Biografteatern)299
di cui sarebbe divenuto direttore Charles Magnusson (1878-1948),
figura di importanza fondamentale. Non solo nel 1919 egli diede
impulso alla creazione della Industria cinematografica svedese
(Svensk filmindustri) che divenne presto un ‘colosso’ con sedi anche
all’estero,300 ma fu anche autore di diversi copioni e regista e tra-
295
Pubblicato con lo pseudonimo di Isak Dinesen esso uscì in versione inglese nel
1950 (Babette’s Feast) sul Ladies’ Home Journal di New York e in versione danese
(Babettes Gæstebud) due anni dopo a Copenaghen; vd. Henriksen L., Karen Blixen.
En håndbog, København 1988, p. 31. Su Karen Blixen vd. p. 1170.
296
Su di lui vd. p. 1166.
297
Notizie e approfondimenti sulla storia della cinematografia danese si possono
trovare sul sito dell’Istituto cinematografico danese (Det danske Filminstitut: Fakta
om Film: http://www.dfi.dk/FaktaOmFilm) cui qui ci si è per buona parte riferiti.
298
Vd. p. 692, nota 65.
299
Più tardi nota come Svenska Bio.
300
In essa confluirono la S.p.a. Teatro cinematografico svedese e la S.p.a. Industria
cinematografica Skandia (Filmindustri AB Skandia) che era stata fondata l’anno prece-
dente. Maggiore azionista del nuovo soggetto era l’industriale Ivar Kreuger (cfr. nota 53).

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1192 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

sformò il cinema da esercizio dilettantistico in attività artistica


(anche ricorrendo a trame riprese da opere letterarie). Valenti
registi del muto sono in Svezia Georg af Klercker (1877-1951),
Victor Sjöström (1879-1960), direttore di pellicole che ‘fecero
epoca’,301 e Mauritz Stiller (1883-1928), considerato lo scopritore
della celebre attrice Greta Garbo (Greta Gustafsson, 1905-1990).302
Non condizionati da difficoltà linguistiche i film muti prodotti in
Scandinavia ottennero spesso un notevole successo anche all’este-
ro. Per Sjöström e Stiller scrisse diversi copioni Gustaf Molander
(1888-1973)303 che a sua volta sarà regista di film importanti come
Intermezzo (1936), interpretato da Ingrid Bergman (1915-1982) e
dal celebre attore Gösta Ekman (1890-1938).304 Fra le due guerre
saranno molto popolari le opere del regista Gustaf Edgren (1895-
1954) grazie alle interpretazioni comiche di Fridolf Rhudin (1895-
1935); un buon successo avrà anche Rune Carlsten (1890-1970),
autore di copioni, regista e attore, uno dei primi a sperimentare il
film sonoro. In Svezia i primi tentativi in questa direzione vennero
fatti nel 1929 con pellicole d’importazione o nazionali: i risultati
furono tuttavia insoddisfacenti.305 Il primo vero film sonoro svede-
se è considerato Quando le rose sbocciano (När rosorna slå ut)
diretto nel 1930 dall’attore e regista Edvin Adolphson (1893-1979).
La produzione cinematografica cresce ora quantitativamente e si
differenzia qualitativamente. Registriamo così, a esempio, le storie
comico-sentimentali interpretate dal popolarissimo attore, can-
tante e regista Edvard Persson (1888-1957); i film documentari-
stici di Gösta Roosling (1903-1974); quelli ispirati al movimento
operaio di Sigurd Wallén (1884-1947, che come attore aveva inter-
pretato personaggi astuti e scaltri); le traduzioni cinematografiche
di grandi opere letterarie di Anders Henrikson (1896-1965); il
cinema astratto di Viking Eggeling (1880-1925). Alcuni (tra cui
Gustaf Molander) sentono il bisogno di sottolineare il valore arti-sti-
co e culturale (ma anche tecnico) della produzione cinematografi-

301
Cfr. p. 735, nota 248.
302
Qui merita una citazione una regista donna, Anna Hoffman-Uddgren (1868-1947)
anche attrice e autrice di copioni. Di lei si dice che fosse la figlia naturale del re Oscar
II.
303
Anche il fratello Olof Molander (1892-1966) si affermerà come regista. Il padre,
Johan Harald Molander (1858-1900) era scrittore, direttore e regista di teatro.
304
Tre anni più tardi la Bergman reinterpreterà il film, con lo stesso titolo, negli
Stati uniti insieme all’attore anglo-ungherese Leslie Howard (1893-1943).
305
Tra i numerosi tentativi di accordare le immagini di un film ai suoni va qui
segnalato il sistema ideato dall’ingegnere svedese Sven Berglund (1881-1937) il quale
individuò un metodo per la registrazione ottica delle onde sonore.

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Il secolo tormentato 1193

ca, un intento che si concretizza (1933) nella fondazione della


Società cinematografica svedese (Svenska Filmsamfundet), ora
Accademia svedese del cinema (Svenska Filmakademin), mentre
un regista come Karl Ragnar Gierow (1904-1982) si dedica anche
alla scrittura e alla poesia (e avrà poi un posto nell’Accademia
svedese). Ma il primo a raggiungere fama internazionale sarà
l’autodidatta Alf Sjöberg (1903-1980), che nel 1951 verrà premia-
to al Festival di Cannes e collaborerà con Ingmar Bergman. ‘Avver-
sario’ di quest’ultimo sarà Hasse (Hans) Ekman (1915-2004),
affermatosi a partire dagli anni ’40 con opere che indagano la
complessità dell’essere umano e il conflitto tra vita e arte.306 Il
grande nome della cinematografia svedese resta comunque senza
alcun dubbio quello di Ingmar Bergman (1918-2007). Il suo debut-
to risale agli anni ’40, sia come scrittore per il teatro sia come
autore di copioni e regista, percorso che lo avrebbe portato al
successo internazionale.307 La ‘costruzione’ dei suoi film, che egli
realizzava in prima persona dalla stesura del manoscritto fino al
completamento della pellicola, si basa su un indubbio talento di
scrittore, sulla perizia nell’armonizzare le componenti sceniche,
sulla sicura gestione della recitazione degli attori. Ma anche, anzi
soprattutto, sulla capacità di individuare e tradurre le problemati-
che individuali e sociali dell’uomo del Novecento che vede le
proprie angosce (fra tutte la paura della morte), il disorientante
senso di sradicamento, gli irrisolti conflitti familiari e sociali, la
difficile ricerca del divino, pienamente interpretati anche là dove
il regista propone – come nel caso esemplare de Il settimo sigillo
(Det sjunde inseglet, 1957) – storie ambientate nel medioevo. Una
lunga serie di riconoscimenti ha premiato la sua straordinaria car-
riera.308 Sebbene, almeno in parte, ‘oscurati’ dalla fama di Bergman,
altri registi svedesi nei decenni del secondo dopoguerra hanno
realizzato prodotti di pregio: Olle (Nils Olof) Hellbom (1925-1982)
ricordato soprattutto per la realizzazione di pellicole ispirate ai libri

306
Hasse Ekman era figlio dell’attore Gösta Ekman e a sua volta padre del regista
Gösta Ekman (n. 1939).
307
Tra gli attori da lui prediletti anche Anita Björk (1923-2012) la cui vita sentimen-
tale comprende un rapporto (e successivo matrimonio) con lo scrittore Stig Dagerman
(vd. p. 1264) e una relazione con lo scrittore inglese Graham Greene (1904-1991).
308
Solo per limitarci agli Oscar si ricordino i suoi film premiati a vario titolo: La fon-
tana della vergine (Jungfrukällan, 1960), Come in uno specchio (Såsom i en spegel, 1961),
Sussurri e grida (Viskningar och rop, 1973), Fanny e Alexander (F. och A., 1982) e le
nomination per Il posto delle fragole (Smultronstället, 1957), Il flauto magico (Trollflöjten,
1975), L’immagine allo specchio (Ansikte mot ansikte, letteralmente “Faccia a faccia”,
1976) e Sinfonia d’autunno (Höstsonaten, 1978).

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1194 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

per bambini della celebre Astrid Lindgren;309 Mai Elizabeth Zet-


terling (1925-1994) nota per l’intensità delle storie talora legate alle
problematiche femminili; Bo Widerberg (1930-1997), affermatosi
negli anni ’60 anche a livello internazionale come innovatore del
cinema svedese su impulso francese;310 Jan Troell (n. 1931), giunto
al film dalla fotografia,311 Lasse Åberg (n. 1940), artista eclettico,
capace di ottenere grande successo di pubblico (e notevolissimi
incassi) con film che descrivono la vita svedese; Lasse Hallström
(n. 1946) due volte candidato all’Oscar.312 Un premio, questo,
ottenuto nel suo settore (1974 e 1983) dal grande direttore della
fotografia Sven Nykvist (1922-2006), collaboratore di Ingmar
Bergman, per i film Sussurri e grida e Fanny e Alexander. Ma a
dimostrare che la cinematografia svedese non si sarebbe fermata
a Bergman è, in primo luogo, proprio Nykvist che otterrà (1988 e
1991) due nomination: la seconda, in particolare, per il film Il bue
(Oxen), da lui scritto e diretto. L’onore della nomination toccherà
poi ad altri registi come Colin Nutley (n. 1944), un inglese trasfe-
rito in Svezia, con Sotto il sole (Under solen, 1998), a Mikael Hafström
(n. 1960) con Evil – Il ribelle (Ondskan, letteralmente “Il male”,
2003), trasposizione cinematografica dell’omonimo romanzo del
1981 dello scrittore e giornalista svedese Jan Guillou, a Kay Pollak
(n. 1938) con Così come nel cielo (Så som i himmelen, 2004).313 Nel
2014 l’ambito Leone d’oro, premio assegnato alla Mostra del Cine-
ma di Venezia, è andato a Roy Andersson (n. 1943) per il film Un
piccione seduto su un ramo riflette sull’esistenza (En duva satt på en
309
Vd. oltre, p. 1285.
310
Questo regista ha ottenuto ben tre nomination all’Oscar per il miglior film
straniero con Borgata del borgo (Kvarteret Korpen letteralmente “Il quartiere Corvo”)
del 1963; Ådalen 31 del 1969 ispirato ai tragici avvenimenti legati allo sciopero in
quella località proclamato nel 1931 (vd. p. 1127 con nota 54); Passioni proibite (Lust
och fägring stor “Voglia e bellezza grande”) del 1995.
311
Tre fra le opere di questo regista hanno ottenuto la nomination all’Oscar per il
miglior film straniero. Le prime due Gli emigranti (Utvandrarna) del 1971 e La nuova
terra (Nybyggarna) del 1972 sono ispirate alla serie di romanzi sul tema dell’emigra-
zione scritti da Vilhelm Moberg (vd. p. 1168 con nota 189); il terzo Il volo dell’aquila
(Ingenjör Andrées luftfärd “Il volo dell’ingegner Andrée”) del 1982 ripercorre la
vicenda dell’esploratore Salomon August Andrée che aveva progettato di sorvolare il
Polo Nord con la mongolfiera Örnen (L’aquila) perdendo la vita insieme ai suoi com-
pagni d’avventura (vd. sopra, p. 1105 con note 636-367).
312
Le candidature (per la miglior regia) riguardano il film La mia vita a quattro
zampe (Mitt liv som hund, letteralmente “La mia vita come cane”) del 1985 e Le rego-
le della casa del sidro (The Cider House Rules) del 1999 prodotto negli Stati uniti.
313
Si dovrà qui infine ricordare anche la nomination all’Oscar del film Il mio caro
John (Käre John, 1964) del regista Lars Magnus Lindgren (1922-2004). Su Jan Guillou
vd. p. 1290 con nota 250.

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Il secolo tormentato 1195

gren och funderade på tillvaron). Questo regista, tornato a dirigere


lungometraggi dopo molti lavori di carattere documentaristico e
pubblicitario ha aggiunto questo ad altri prestigiosi riconoscimen-
ti. In Svezia il documentario, i cui veri pionieri sono Stig Wesslén
(1902-1987) e Arne Sucksdorff (1917-2001), ha una lunga e fortu-
nata tradizione.314
Anche in Norvegia la cinematografia era giunta alla fine del XIX
secolo. Qui tuttavia essa non si sviluppò al pari di quella danese e
svedese, restando piuttosto legata a prodotti di importazione. Il
primo film norvegese risale al 1911: si tratta del cortometraggio
muto dal titolo La maledizione della povertà (Fattigdommens for-
bandelse) diretto da Halfdan Nobel Roede (1877-1963), che è
dunque da considerare il primo regista nel Paese;315 un altro pio-
niere è Ottar Gladtvet (1890-1962). Dopo di loro Rasmus Breistein
(1890-1976) che nel decennio 1920-1930 produsse diverse pellico-
le, portando la cinematografia norvegese ai livelli di quella danese
e svedese. In Norvegia il primo film sonoro è Il grande battesimo
(Den store barnedåpen) del 1931;316 basato sull’omonima commedia
del 1925 di Oskar Braaten,317 esso fu diretto da Tancred Ibsen
(1893-1978), nipote del celebre drammaturgo e di Bjørnstjerne
Bjørnson,318 considerato uno dei migliori registi del periodo fra le
due guerre. Nel 1918 Leif Sinding (1895-1985) diede alle stampe
la prima rivista norvegese di cinematografia, Eroe e canaglia (Helt
og Skurk). Al 1932 risale la fondazione della casa di produzione
Norsk film, attiva fino al 2001. Nel secondo dopoguerra il cinema
norvegese ha potuto usufruire di importanti sussidi pubblici, il che

314
Se è vero che i primi film svedesi furono di carattere documentaristico, è anche
vero che furono piuttosto registi come Wesslén e Sucksdorff a dare consapevolmente
l’avvio a questo genere. Sulla cinematografia svedese si può consultare il sito della Film
Sound Sweden (Backspegel: http://www.filmsoudsweden.se) e quello dell’Istituto
svedese di cinematografia (Svenska Filminstitutet) in cui si trova un utile database
(Svensk Film databas: http://www.sfi.se/sv/svensk-filmdatabas/). A queste fonti ci si è
qui in buona parte riferiti.
315
Per la verità si sa anche che nel periodo tra il 1906 e il 1908 venne girato un film
dal titolo Pericoli della vita da pescatore (Fiskerlivets Farer) che tuttavia è andato per-
duto (e il cui regista era, comunque, lo svedese Julius Jaenzon, 1885-1961). Nel
medesimo 1911 Halfdan Nobel Roede realizzò anche un altro film intitolato Per la
legge del cambiamento (Under forvandlingens lov) ispirato ai conflitti nel mondo del
lavoro.
316
Qui occorre tuttavia precisare che fin dal 1930 il regista danese George Schnée-
voigt aveva girato un film sonoro sulla Groenlandia dal titolo Eskimo (1930) con
dialoghi in norvegese.
317
Vd. p. 1167.
318
Cfr. p. 1079, nota 512 e in questo capitolo nota 286.

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1196 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

non sempre si è tradotto nella produzione di pellicole di qualità.


Tra i migliori registi si segnalano Edith Carlmar (1911-2003), prima
regista donna in Norvegia, Nils R. (Russel) Müller (1921-2007),
attento ai temi sociali, e Arne Skouen (1913-2003) la cui opera Nove
vite (Ni liv, 1957) ebbe la nomination per l’Oscar come miglior film
straniero. Un simile riconoscimento sarebbe andato trent’anni dopo
a L’arciere di ghiaccio, un film sami-norvegese (titolo originale in
sami Ofelaš, in norvegese Veiviseren)319 diretto da Nils Gaup (n.
1955). Altri nomi di rilievo sono quelli di Pål Løkkeberg (1934-
1998), il primo a rinnovare la cinematografia nel suo Paese e Anja
Breien (n. 1940), ben nota a livello internazionale.320 Altri impor-
tanti riconoscimenti sono nel 1986 il premio speciale della giuria
alla Mostra del Cinema di Venezia assegnato al film X di Oddvar
Einarson (n. 1949) e successive nomination all’Oscar per Gli ange-
li della domenica (Søndagsengler) del 1996 diretto da Berit Nesheim
(n. 1945) che narra dello sforzo della figlia di un predicatore per
liberarsi da una religiosità ottusa e soffocante; Elling del 2001 di
Petter Næss (n. 1960), incentrato sul problema dell’autismo; Kon-
Tiki (2012) di Joachim Rønning (n. 1972) ed Espen Sandberg (n.
1971) che riprende la spedizione effettuata nel 1947 dal celebre
Thor Heyerdahl (1914-2002). Il quale ultimo, archeologo ed esplo-
ratore che riprende l’eredità dei Nansen e degli Amundsen, è anche
uno dei nomi di rilievo della cinematografia documentaristica, un
filone che in Norvegia si fonda su una salda tradizione che risale al
pioniere Per Høst (1907-1971).321
Sebbene anche in Islanda il cinema giungesse relativamente
presto (proiezioni regolari si ebbero dal 1906), una produzione
nazionale di qualità avrebbe tardato ad affermarsi. I primi film
furono qui pellicole danesi basate su opere letterarie islandesi e per
questo girati nell’isola. Si tratta della Storia della stirpe di Borg
(islandese Saga Borgarættarinnar, danese Borgslægtens historie)
uscito nel 1921, basato su un ciclo dello scrittore Gunnar Gunnars-

319
Termini che in realtà designano un ricognitore, una guida, una persona che
indica la strada.
320
Un’altra affermata regista donna è Vibeke Løkkeberg (Vibecke Kleivdal, n.
1945), moglie di Pål.
321
Sebbene non strettamente documentaristica va qui citata la trilogia di film La
Norvegia per il popolo (Norge for folket, 1936), Costruiamo il Paese (Vi bygger landet,
1936) e Città e campagna mano nella mano (By og land hand i hand, 1937), il primo
diretto da Helge Lunde (1900-1987), gli altri due da Olav Dalgard (1898-1980). Si
trattava di pellicole volute dal movimento politico dei lavoratori a scopo educativo e
propagandistico.

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Il secolo tormentato 1197

son322 e diretto dal regista danese Gunnar Sommerfeldt (1890-1947).


Due anni dopo fu la volta di un’altra produzione danese gestita da
Gunnar Robert Hansen (1901-1964) che realizzò il film Hadda
Padda. Il copione era opera dello scrittore Guðmundur Kamban323
che collaborò alla regia. Ma i veri pionieri del cinema islandese sono
Loftur Guðmundsson (1892-1952) cui si devono anche documen-
tari e il primo film sonoro,324 e Óskar Gíslason (1901-1990), allievo
del sopra ricordato fotografo danese Peter Elfelt. Intanto gli stra-
nieri continuavano a girare diverse pellicole nel Paese. Un primo
impulso alla cinematografia islandese venne dall’avvio (1966) del-
le trasmissioni televisive, ma un grosso ostacolo al suo sviluppo era
certamente la mancanza di fondi adeguati. A ciò si cercò di porre
rimedio con l’istituzione (1978) del Fondo per il film islandese
(Kvikmyndasjóður Íslands), un provvedimento rivelatosi in effetti
molto efficace, come dimostra il fatto che, a partire dagli anni ’80,
questo settore artistico è finalmente progredito, conseguendo anche
risultati di notevole pregio. Tra i registi più noti Reynir Oddsson
(n. 1936), che già l’anno precedente aveva diretto Storia di un
delitto (Morðsaga), il film che segna la ripresa della cinematografia
islandese; Ágúst Guðmundsson (n. 1947), la cui opera Terra e figli
(Land og synir, 1980) è considerata un punto di riferimento,325
Þorsteinn Jónsson (n. 1946), autore di bei documentari, Hrafn
Gunnlaugsson (n. 1948), noto soprattutto per le sue storie
vichinghe,326 Friðrik Þór Friðriksson (n. 1954) che con il suo Figli
della natura (Börn náttúrunnar, 1991) ha avuto la nomination
all’Oscar per il miglior film straniero, la regista Guðný Halldórsdóttir
(n. 1954) e i più giovani Baltasar Kormákur (n. 1966) e Dagur Kári
(Dagur Kári Pétursson, n. 1973).

322
Vd. sopra, p. 1167. L’opera di Gunnarsson (Af Borgslægtens historie) uscì in
quattro parti tra il 1912 e il 1914.
323
Vd. p. 1175.
324
Si tratta di Tra montagna e mare (Milli fjalls og fjöru) del 1949.
325
Suo è anche Il fuorilegge (Útlaginn, 1981) ispirato alla storia di Gísli Súrsson
come narrata nella medievale Saga di Gísli Súrsson (vd. p. 313).
326
Cfr. p. 645, nota 536.

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Capitolo 14

I Paesi scandinavi sullo scenario europeo e mondiale

14.1. I Paesi scandinavi nella seconda metà del XX secolo

Come è stato detto nel capitolo precedente, in Scandinavia i


presupposti dello stato sociale erano stati posti, nonostante le
molte difficoltà, nei decenni tra le due guerre. La fine del secondo
conflitto mondiale apriva dunque lo spazio al loro completamento
così come alla definitiva modernizzazione degli Stati nordici. Natu-
ralmente questo percorso è stato condizionato dalla diversa situa-
zione econo­mico-politica dei singoli Paesi, pur tuttavia in esso si
possono riscontrare elementi e indicazioni comuni che ben hanno
giustificato l’idea, tuttora assai diffusa, che essi siano la patria pri-
vilegiata dei diritti e del benessere dei cittadini.

14.1.1. Welfare e disagio sociale

Il presupposto che lo Stato si debba fare carico della migliore e


più equa organizzazione sociale sta, appunto, alla base di quello
che viene comunemente indicato con l’espressione inglese welfare
state con la quale tra l’altro ci viene ricordato come esso non sia
(fortunatamente) esclusiva dei Paesi nordici. E tuttavia: senza poter
(per evidenti ragioni di spazio) entrare nello specifico, si deve qui
ammettere che i provvedimenti legislativi e l’istituzione di enti
predisposti a garantire l’effettiva applicazione di tale principio sono
stati qui particolarmente numerosi ed efficaci andando a incidere
positivamente sulla qualità della vita dei cittadini in molti e diversi
ambiti. Dal lavoro (incentivi per l’occupazione, aiuto all’inserimen-
to e al reinserimento occupazionale, tutela e contributo ai disoccu-

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I Paesi scandinavi sullo scenario europeo e mondiale 1199

pati, corsi di aggiornamento, condizioni sui luoghi di lavoro, orario


e diritto alle ferie) all’educazione (creazione di asili nido, regolamen­
tazione della scuola dell’obbligo e dell’istruzione superiore, impe-
gno economico per la costruzione di edifici scolastici e biblioteche,
sussidi economici per lo studio); dalla sanità (accesso generalizzato
alle cure, realizzazione di ospedali e consultori, prevenzione) al
sostegno alle categorie sociali più deboli (bambini, anziani, porta-
tori di handicap);1 dalla famiglia (sostegno alla maternità, congedi
parentali per entrambi i genitori, sussidi per i figli minori, aiuto
domestico in caso di necessità, contributi per l’affitto, consulenza
economica, supporto psicologico) all’assistenza sociale (pensioni
di vecchiaia e di invalidità, reddito minimo). Senza dimenticare la
creazione e la manutenzione delle strutture necessarie per la vita
della cittadinanza (amministrazione statale, comunicazioni, traspor­
ti). E inoltre tutte le norme di legge che hanno avuto come finalità
primaria quella di realizzare una effettiva uguaglianza tra gli indi-
vidui: parità di diritti e di opportunità (non solo tra uomini e
donne ma anche tra diverse categorie sociali) e, al contempo, di
doveri. Obiettivo ambizioso e – occorre constatare – in buona
parte realizza­to: armonizzare la vita personale con quella lavorati-
va nel pieno godimento dei diritti di ciascuno.
Eppure: il cammino verso questa meta non è stato (non è) facile,
per via di ostacoli economici, sociali e culturali. I motivi economici
fondamentali sono da individuare, come altrove, nel considerevole
aggravio che una tale politica porta alla spesa statale, aggravio rifles-
so in una forte imposizione fiscale della quale il cittadino non sempre
avverte un ‘ritorno’: combinati con periodi di recessione economica
questi fattori hanno indotto in diversi casi a una rimodulazione del-
la legislazione sociale in senso restrittivo.2 Gli ostacoli sociali sono
stati determinati da fattori quali l’immigrazione, la lotta per diritti
nei fatti ancora molte volte negati, il conflitto generazionale.
1
Categorie rispetto alle quali la tendenza è quella di creare i presupposti affinché
la situazione di disagio non venga ulteriormente appesantita (se non in casi non diver-
samente gestibili) dal ricovero in case di riposo o strutture specializzate, ma venga
piuttosto fornito il supporto necessario affinché la persona possa restare nel proprio
ambiente.
2
Si prenda come caso esemplare quello della Legge sull’assistenza (Bistandsloven)
danese, entrata in vigore il 1 aprile 1973, che unificava la gestione dei servizi sociali
(affidati ai comuni o ai distretti) garantendo a tutti un aiuto immediato. Con provve­
dimenti successivi come la Legge sulla politica sociale attiva (Lov om aktiv socialpolitik)
e la Legge sul servizio sociale (Lov om social service, entrambe entrate in vigore 1 luglio
1998) il diritto a ottenere sussidi sarebbe stato subordinato alla disponibilità ad atti-
vare risorse proprie. Ma anche l’andamento della legislazione pensionistica nei diver-
si Paesi nordici (e non solo!) riflette questa tendenza.

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1200 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

I Paesi scandinavi avevano conosciuto qualche forma di immi-


grazione fin dal medioevo (basti qui ricordare i molti tedeschi che
si erano trasferiti nelle città nordiche durante l’epoca d’oro dell’An-
sa ma anche gli ebrei che si erano stabiliti nel Nord, i lavoratori
polacchi e olandesi in Danimarca, quelli finlandesi nella Norvegia
settentrionale, i rom). Questo fenomeno doveva subire una note-
vole accelerazione dopo la seconda guerra mondiale, accele­razione
determinata da fattori economici (la necessità di mano d’opera nei
periodi di crescita industriale), umanitari (l’accoglienza di profughi
ed esuli) e familiari (ricongiungimenti) e dalla tendenza delle comu-
nità straniere ad allargarsi e consolidarsi.3 Benché la legislazione
relativa all’immigrazione sia sostanzialmente improntata a quei
princìpi di uguaglianza e tolleranza che costituiscono una delle basi
fondamentali delle democrazie nordiche, è del tutto evidente che
questo fenomeno non ha mancato di generare conflitti. Società
che per secoli erano state caratterizzate da una ‘rassicurante uni-
formità’ hanno dovuto misurarsi con culture, abitudini e modi di
pensare molto diversi, espressi anche in obiettive difficoltà lingui-
stiche cui si è cercato di dare soluzione con l’istituzione di corsi
specificamente finalizzati all’apprendimento della lingua del Paese
da parte degli immigrati.4 Nei cui confronti i vari partiti propongo-
no, come è lecito attendersi, soluzioni politiche diversificate, mentre
non sono mancate espressioni di intolleranza (in qualche caso sfo-
ciate in veri e propri reati contro la persona) che hanno trovato
sbocco nella formazione di associazioni o gruppi decisamente con-
trari alla loro presenza sul territorio.5 Del resto va considerato
3
Per evidenti ragioni di prolungato isolamento e di più circoscritto sviluppo eco-
nomico, in Islanda l’immigrazione ha una tradizione molto più recente. Talora c’è
stata nel Paese la presenza di lavoratori provenienti dall’estero legata alla realizzazione
di una determinata opera, ma il numero di coloro che hanno scelto di restare nell’iso-
la o di trasferirvisi è progressivamente cresciuto e si calcola che ora gli immigrati
costituiscano circa l’11% della popolazione. Da segnalare che nel 2007 è stato eletto
al parlamento islandese il primo cittadino di origine straniera, l’americano Paul Fon-
taine Nikolov (n. 1971).
4
A tal proposito si vogliono ricordare qui, come esempio, ‘lingue’ note con definizioni
come kebabnorsk (“norvegese kebab”) o Rinkebysvenska (“svedese di Rinkeby”, dal nome
di un quartiere di Stoccolma dove è particolarmente elevata la presenza di immigrati).
5
 Si porta qui l’esempio di organizzazioni come le svedesi BSS acronimo di Bevara
Sverige svenskt (“Mantieni la Svezia svedese”) sorta nel 1976 e che sarebbe poi con-
fluita nel Partito della Svezia (Sverigepartiet) fondato nel 1986 ma presto sciolto e
Resistenza ariana bianca (Vitt ariskt motstånd) assai vicina alle posizioni dei gruppi
neonazisti; i gruppi di skinheads, ai quali erano vicine le Giacche verdi (Grønjakkerne)
danesi degli anni ’80; il partito norvegese Alleanza elettorale bianca (Hvit valgallianse)
sorto nel 1995 dalla fusione di Stop all’immigrazione (Stopp innvandringen) e Aiutiamo
gli stranieri a tornarsene a casa altrimenti perdiamo la nostra terra (Hjelp de fremmede

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I Paesi scandinavi sullo scenario europeo e mondiale 1201

che atteggiamenti discriminatori non hanno risparmiato i Sami né


gli Eschimesi di Groenlandia. Un elemento di instabilità nei rap-
porti tra i nordici e gli immigrati (ma non solo) è dato anche, in
tempi recenti, dallo sfruttamento di manodopera straniera a un
costo minore, il che determina problemi all’interno del mondo del
lavoro. Il disagio e le problematiche legate all’immigrazione sono
esplose in forma violenta nelle manifestazioni nelle periferie di
Stoccolma (per certi versi inattese) del maggio 2013.
La questione femminile aveva, come si è visto in precedenza,
radici antiche e una lunga storia di militanza e di impegno.6 Che, se
pure avevano portato alla progressiva emanazione di provvedimen-
ti di legge perequativi, tuttavia ancora si scontravano con riserve
mentali e atteggiamenti conservatori. Dal punto di vista normativo
le donne avevano ottenuto grandi risultati (arrivando a ‘conquista-
re’ territori che tradizional­mente erano di esclusiva competenza
maschile come il sacerdozio o il servizio militare) tuttavia per un
completo affrancamento esse necessitavano anche di norme a soste-
gno della famiglia e della maternità (che non mancarono di essere
varate) ma, soprattutto, di un pieno riconoscimento sociale. Sebbe-
ne le loro organizzazioni non avessero mai cessato di esistere, negli
anni ’60 e ’70 ci fu una ‘nuova fiammata di femminismo’, soprattut-
to con l’arrivo, anche nei Paesi nordici, del movimento delle “Calze
rosse”,7 che segnò un punto di svolta anche perché ora la battaglia
per i diritti si estendeva ben oltre i confini della classe lavoratrice
medio-bassa che tradizionalmente l’aveva condotta. Il cambiamen-
to del quadro economico (che vedeva un numero sempre maggiore
di donne impegnate anche nel lavoro al di fuori delle mura dome-
stiche) ma anche la giusta ambizione femminile a una migliore
formazione e a una partecipazione sempre più consapevole alla vita
politica e sociale esigeva incisivi cambiamenti. Le rivendicazioni più
insistite riguardarono dunque l’autodeterminazione in materia di
ma­ternità, la libertà nella vita sessuale, il pieno diritto a un lavoro
digni­toso e confacente alle proprie inclinazioni a parità di retribu-
zione con gli uomini, l’urgenza di politiche a sostegno della famiglia
(soprat­tutto della prole). Accanto alle donne altri gruppi (in parti-
colare gli omosessuali) cominciarono a rivendicare le proprie prero­
gative. Questo tipo di proteste determinò anche un cambiamento
di pro­spettiva in quanto gradatamente si passò dalla richiesta del
hjem ellers mister vi landet vårt). Ma la galassia dei gruppi di nazionalisti contrari
all’immigrazione e, non di rado, con tendenze razziste è assai variegata.
6
Vd. sopra 12.3.
7
Cfr. sopra, p. 1070, nota 473.

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1202 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

riconoscimento dei diritti di determinate categorie all’affermazione,


si potrebbe dire, del ‘diritto al diritto’ basata sulla semplice consta­
tazione che tutti gli esseri umani devono avere pari dignità.
Un altro ‘fronte’ è legato al problema del disagio giovanile a sua
volta in buona parte determinato dai profondi mutamenti sociali
che in un mondo ‘aperto’ e in rapida trasformazione hanno, per così
dire, dato la stura a una critica delle strutture sulle quali la comuni-
tà si era per tanto tempo basata. Disagio che ha talora cercato una
via d’uscita nel ricorso alla droga, vera piaga sociale di troppi Paesi.
Accanto alla quale restava quella dell’alcolismo presente nel mondo
scandinavo da un tempo ben più lontano. Se i giovani hanno per
molti versi ‘messo a soqquadro’ la società per le loro scelte anticon-
formiste (tra cui la convivenza senza vincoli matrimoniali) essi
hanno altresì grandemente contribuito a portare all’attenzione del-
la politica temi nuovi come il rifiuto delle armi atomiche, i problemi
del nucleare, l’esigenza di una coscienza ecologica (cui si lega la
nascita dei partiti ‘verdi’),8 ma anche la definitiva constatazione che
nel mondo è ormai impossibile prescindere da una visione globale
e non si possono ignorare eventi anche lontani in quanto sullo sce-
nario del pianeta non esistono più ‘periferie’ e neppure la Scandi-
navia può pensare di rinchiudersi in un proprio compiaciuto isola-
mento. Sicché le dimostrazioni studentesche del ’68, così come
manifestazioni quali quelle contro la guerra nel Vietnam, non resta-
no episodi fini a se stessi ma testimoniano la presa di coscienza di
una nuova prospettiva politica e sociale.
Altre questioni hanno toccato le società nordiche in questi decen-
ni: la comparsa (o, per meglio dire, la diffusione) della porno­grafia,
per molti versi ‘smaltita’ e accettata, l’aumento della crimi­nalità
spesso legato alle difficoltà economiche ma anche alla interna­
zionalizzazione dei rapporti negli ambienti della malavita, la que-
stione (cui spesso si è voluto dare eccessivo risalto) dei suicidi (in
particolare di quelli giovanili) che continuano in quella fascia
d’età a costituire la prima causa di morte tra gli uomini e la secon-
da tra le donne. Ma che tuttavia mostrano diversa incidenza e
diversa tendenza a seconda del Paese considerato.9
8
A ciò si legano ‘battaglie’ ecologiche come, per esempio, quella ‘combattuta’ in
Norvegia negli anni 1979-1982 contro la costruzione di un impianto idroelettrico sul
fiume Alta nel Nord del Paese e nella quale le ragioni ambientali si combinarono con
la difesa degli interessi delle popolazioni sami dell’area. Vd. pp. 1405-1406.
9
Una statistica del Consiglio nordico (Nordiska rådet) che prende in considera-
zione gli anni fra il 1962 e il 2009 mostra, oltre a una maggiore incidenza di casi fra
gli individui di sesso maschile, una diminuzione in Svezia e Danimarca (dove il calo
è del 30% circa tra gli uomini e del 60% circa fra le donne) mentre in Norvegia e in

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I Paesi scandinavi sullo scenario europeo e mondiale 1203

Tutto ciò si lega alla propensione, non solo scandinava, a una


diminuita fiducia nella comunità sociale e, conseguentemente,
nelle istituzioni che la rappresentanto (non da ultimi i partiti poli-
tici) e a un’accresciuto interesse per la sfera privata, il che ultima-
mente ha anche riaperto la porta a problemi (come la povertà e
l’emargina­zione) che si ritenevano superati.
In questo quadro, così profondamente mutato, le Chiese nordi-
che, in gran parte private dei loro compiti tradizionali, hanno
dovuto ‘riposizionarsi’. Non tanto da un punto di vista formale, in
quanto seppure il tradizionale rapporto Chiesa-Stato sia ormai
tramon­tato,10 nelle importanti occasioni ufficiali l’aspetto religioso
(per certi versi in forme ‘di rappresentanza’) non viene a mancare.
Piuttosto nei rapporti con la società. Negli ultimi decenni esse
hanno reagito al progressivo distacco da un mondo in rapido cam-
biamento sia trovando nuovi ambiti di impegno come attività di
sostegno a carattere sociale e umanitario (campo d’azione condivi-
so da tutta una serie di organizzazioni di volontari) sia intervenen-
do attivamente nel dibattito politico, quando esso abbia toccato
temi ‘sensibili’ come l’aborto, l’eutanasia e simili. D’altronde esse
devono fare i conti anche con la presenza (tutt’altro che marginale)
di fedeli di altre religioni (in primo luogo l’Islam) e mentre non
possono ignorare gli sforzi in direzione dell’ecumenismo devono
scongiurare il pericolo che la fede cristiana sia intesa semplicemen-
te come ‘marcatore di identità etnica’ nell’ottica di uno ‘scontro di
culture’.

14.1.2. Danimarca

Nell’immediato dopoguerra la Danimarca ebbe, come altri Pae-


si, un governo di coalizione la cui guida fu affidata a Vilhelm Buhl:
esso durò pochi mesi ma dovette cominciare ad affrontare i gravi
problemi lasciati dalla guerra, non da ultimo quello di ‘fare giusti-

Islanda si registra un aumento. Pur presentando una certa flessione fra gli uomini
e un lievissimo aumento fra le donne, la Finlandia detiene il triste primato delle
persone che si tolgono la vita (per i grafici si rimanda alla pagina web: http://www.
norden.org/sv/tema/nordisk-statistik-i-50-aar-1/statistik-fraan-196220132012/sja-
elvmord).
10
In Svezia una legge del 26 novembre 1998 (entrata in vigore il 1 gennaio 2000)
ha, di fatto, operato una (quasi) netta separazione (Lag om Svenska kyrkan). Del 1951
(26 ottobre) è una legge sulla libertà religiosa che consentiva di uscire dalla Chiesa
svedese senza l’obbligo di aderire a un’altra comunità religiosa (Religionsfrihetslag,
entrata in vigore il 1 gennaio 1952).

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1204 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

zia’, visto che nel Paese l’oppressione nazista aveva potuto contare
su numerosi collaborazionisti. Non sempre tuttavia gli arresti e le
condanne di queste persone furono corrispondenti (nel bene e nel
male) alle effettive responsabilità. In questo contesto furono ese-
guite in Danimarca le ultime condanne a morte.11 C’era inoltre da
affron­tare una situazione economica che risentiva pesantemente
degli strascichi del conflitto. Nell’ottobre del 1945 ci furono le
elezioni e al governo Buhl succedette un esecutivo liberale (tuttavia
di minoranza) guidato da Knud Kristensen (1880-1962) che dovet-
te (ancora una volta!) affrontare il problema dello Schleswig meri-
dionale, regione appar­tenente alla Germania dove ora tuttavia una
buona parte della popolazione (certamente anche stremata dalle
conseguenze del conflitto voluto da Hitler) aspirava all’annessione
alla Danimarca. La questione era tuttavia condizionata da diversi
fattori: la volontà delle potenze che avevano vinto la guerra (in
primo luogo gli Inglesi) che non desideravano complicazioni, la
gravissima situazione economica della Germania, le difficoltà dane-
si a uscire dalla crisi postbellica, le resistenze politiche. Alla fine la
situazione fu, sostanzialmente, lasciata decantare, il referendum
auspicato dal ‘partito danese’ dello Schleswig meridionale non si
fece e Knud Kristensen diede le dimissioni. In seguito tuttavia, con
il migliorare della congiuntura economica il problema della mino-
ranza danese in Germania e di quella tedesca in Danimarca sareb-
be stato risolto con reciproca soddisfazione.12
La fine delle ostilità aveva lasciato sperare in un’immediata
ripresa dell’economia, tuttavia per il Paese l’uscita dalla crisi sareb-
be stata più difficoltosa del previsto e nel 1948 si dovettero accet-
tare gli aiuti previsti dal piano Marshall per un totale di un miliar-
do e settecento milioni di corone. Fin dal 1945 c’erano stati
scioperi e dimostrazioni, nel 1954 una serie di astensioni dal lavo-
ro (tra cui quella, imponente, nelle fabbriche della Philips) mani-
11
Poiché tale pena era stata abolita dal Codice penale civile nel 1930 (Straffeloven
del 15 aprile), coloro che si erano resi colpevoli di gravi forme di collaborazionismo
furono giudicati in base a una Legge integrativa al codice penale civile a riguardo del
reato di tradimento e altre attività dannose per il Paese (Lov om Tillæg til Borgerlig
Straffelov angaaende Forræderi og anden landsskadelig Virksomhed) approvata il 1
giugno del 1945 (ma di efficacia retroattiva fino al 9 aprile 1940) e accompagnata da
altri provvedimenti – tra cui una Legge sulla pena per i reati di guerra (Lov om Straf for
Krigsforbrydelser del 12 luglio 1946) – che (§ 3) consentiva di applicare questa sentenza.
Il § 3 sarebbe stato cassato in data 18 giugno 1951, tuttavia le norme sarebbero state
abolite il 22 dicembre 1993 (Lov om ændring af lov om tillæg til borgerlig straffelov
angående forræderi og anden landsskadelig virksomhed og lov om straf for krigsfor-
brydelser), data in cui veniva meno anche la pena di morte per reati militari.
12
Vd. p. 1425.

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I Paesi scandinavi sullo scenario europeo e mondiale 1205

festavano un clima tutt’altro che sereno nel mondo dell’industria.


Nel 1956 il con­trasto tra operai e datori di lavoro fu forzosamente
risolto dal governo che diede valore di legge alla proposta di media-
zione del presidente del consiglio arbitrale (forligs­mand): ciò deter-
minò imponenti proteste (che arrivarono a raccogliere quasi due-
centomila persone) fomentate dal Partito comunista (che tuttavia
dopo l’inva­sione sovietica dell’Ungheria nell’ottobre di quell’anno
avrebbe perso consenso). Altri scioperi importanti ci sarebbero
stati nel 1961 (lavoratori del trasporto e dei mattatoi). Del resto
anche nel settore agricolo restavano molti problemi: dopo la guer-
ra le tradizionali esportazioni di prodotti agricoli avevano stentato
a riprendersi ed erano rimaste poco remunerative, anche a motivo
della svalutazione della sterlina inglese (1949) cui la corona danese
era legata. Inoltre, stante la grave situazione della bilancia dei
pagamenti i diversi governi furono costretti ad aumentare l’impo-
sizione fiscale. In effetti per lungo tempo nel dopoguerra il Paese
vedrà le forze politiche tradizionali in lotta per il potere ed elezio-
ni prive di un risultato netto in grado di garantire una forte mag-
gioranza (anche a motivo della bassa soglia di sbarramento posta
al 2%), sicché a lungo si succe­deranno coalizioni condizionate
dalle reciproche richieste e dai veti incrociati degli alleati. In questa
situazione il partito della Sinistra radicale sarà spesso ago della
bilancia. In ogni caso, fatta eccezione per la paren­tesi (1950-1953)
dell’esecutivo guidato dal liberale Erik Erik­sen (1902-1972), che
(in una congiuntura negativa determinata anche dalla guerra in
Corea) imporrà una politica del rigore, al potere saranno per lungo
tempo i socialdemocratici, seppure con governi di minoranza.13 I
socialdemocratici avevano a sinistra un antagonista nel Partito
comunista che essi cercarono di battere sul piano del progresso
economico, un processo nel quale coinvolgere le organiz­zazioni
sindacali e i datori di lavoro.
Nel 1953 fu approvata una riforma della costituzione con la

13
 Negli anni fra il 1947 e il 1968 si succedettero come primi ministri il social­
democratico Hans Hedtoft (1903-1955) dal 1947 al 1950, il liberale Erik Eriksen dal
1950 al 1953, poi ancora Hans Hedtoft dal 1953 al 1955, il socialdemocratico H.C.
(Hans Christian) Hansen (1906-1960) dal 1955 al 1960, il socialdemocratico Viggo
Kampmann (1910-1976) dal 1960 al 1962 e il social­democratico Jens Otto Krag (1914-
1978), con due succesivi governi, dal 1962 al 1968 (egli avrebbe poi guidato il suo
terzo governo fra il 1971 e il 1972). Per certi versi paradossalmente l’esecu­tivo più
solido sarebbe stato quello guidato da H.C. Hansen dopo le elezioni del 1957, quando
la Lega dei diritti (Retsforbundet) sorta nel 1919 accettò sorpren­dentemente di entra-
re a far parte della maggioranza insieme ai socialdemocratici, fino ad allora pesante-
mente criticati.

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1206 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

quale venne abolito il Senato, fu abbassato il limite d’età per poter


votare e si stabilì la successione al trono anche in linea femminile.14
In base a questa nuova legge15 il potere legislativo appartiene al re
e al par­lamento, ma nella sostanza alla Corona restano solo funzio-
ni di rappresentanza. Una rilevante innovazione è la possibilità di
cedere parte della sovranità nazionale a organizzazioni internazio-
nali (il che avrà grande importanza per la successiva adesione
all’Unione euro­pea).
Dalla seconda metà degli anni ’50 il Paese poté finalmente risen-
tire della favorevole congiuntura mondiale: l’industrializzazione
aumentò, così come aumentò l’occupazione che cominciò a vedere
la presenza di lavoratori stranieri e una crescita del numero delle
donne; inoltre molti nuovi posti di lavoro furono creati nel settore
del terziario. Al contrario l’agricoltura continuò ad avere diversi
problemi legati alla caduta delle esportazioni, alla scelta di molti
braccianti di passare all’industria, agli alti costi richiesti dal­
l’indispensabile adeguamento dei metodi e dei macchinari. Per
questo motivo molti piccoli poderi cessarono l’attività e si potero-
no salvare solo quelli grandi o quelli che si accorpavano. Ma in
generale si può dire che (seppure a prezzo di un crescente debito
estero) la Danimarca si modernizzò, la gente comune poté accede-
re al consumo di beni in precedenza considerati ‘di lusso’ (come
automobili e frigoriferi) e l’industria edìle prosperò per la necessi-
tà di fornire nuove abitazioni (che pure per molti restavano ancora
a prezzi proibitivi).
La politica della socialdemocrazia si indirizzò alla costruzione dello
stato sociale, non tuttavia senza incontrare ostacoli.16 La conse­guenza
più negativa era, evidentemente, il suo alto costo; a ciò si aggiungeva-
no il problema dell’indebitamento e quello dell’infla­zione. La soluzio-
ne fu l’aumento delle tasse, la loro rimodulazione ma anche il blocco
(con poche eccezioni) dei prezzi e dei salari decretato dal governo Krag
nel 1963 nell’ambito della cosiddetta “soluzione globale” (helhedløsning)
che prevedeva anche l’impo­sizione di un prestito forzoso imposto ai
più abbienti. Una scelta, fieramente avversata dalla Sinistra e dai con-
servatori, che tuttavia ebbe, almeno inizialmente, effetti positivi.
14
Il che alla morte di Federico IX (1899-1972) consentirà alla figlia primogenita
Margherita (Margrethe Alexandrine Þórhildur Ingrid, n. 1940) di salire al trono.
15
Danmarks Riges Grundlov af 5. juni 1953.
16
Il programma politico dei socialdemocratici era stato formulato nel ‘manifesto’
uscito dal congresso del 1945, al quale era stato dato il significativo titolo La Danimar-
ca del futuro (Fremtidens Danmark). In esso, anche sulla base delle idee keynesiane, ci
si poneva l’obiettivo di costruire una società del benessere nella quale lo Stato svolges-
se un ruolo centrale.

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I Paesi scandinavi sullo scenario europeo e mondiale 1207

Verso la metà degli anni ’60 il quadro politico danese andò


incontro a scomposizioni e ricomposizioni. Da una parte i social­
democratici cominciarono a collaborare con il Partito popolare
socialista (Socialistisk Folkeparti), una formazione sorta nel 1958
da una frattura all’interno del Partito comunista danese per ini-
ziativa di Aksel Larsen (1897-1972), dopo che questi aveva deciso
di ‘denunciare’ la sottomissione acritica rispetto alle direttive
politiche dell’Unione sovietica. La collaborazione con questo
gruppo (inizial­mente accusato di cripto-comunismo), che portò
alla nascita del cosiddetto “governo rosso” (røde kabinet) presie-
duto da Jens Otto Krag al suo secondo mandato, non fu tuttavia
sempre facile e nel 1967 determinò da parte di alcuni socialisti
l’abbandono del partito per dare vita alla nuova formazione dei
Socialisti di sinistra (Venstre­socialisterne).
Dall’altra parte ci fu un riavvicinamento tra la Sinistra e i radi-
cali che erano usciti dal governo nel 1964 e avevano perso la loro
posizione di ‘ago della bilancia’. Questi cambiamenti negli equilibri
politici e, insieme, l’insoddisfazione di molti per l’attività dei gover-
ni socialdemocratici, portarono nel 1968 a un cambio di rotta con
la vittoria dei partiti di centro-destra che formarono il governo
sotto la guida del leader della Sinistra radicale Hilmar Bauns­gaard
(1920-1989). Nono­stante le promesse elettorali esso non riuscì a
migliorare la bilancia dei pagamenti né a ridurre le tasse, che, anzi,
furono aumentate: non bastò il programma di accorpamento di
talune unità amministrative minori né la politica di limitazione
dell’intervento pubblico in alcuni campi come l’edilizia, sicché alle
nuove elezioni l’esecutivo non poté rivendicare molti risultati e la
vittoria andò nuovamente ai social­democratici che (con Jens Otto
Krag al suo terzo mandato) avrebbero accompagnato l’ingresso
della Danimarca nella Comunità economica europea.17
Gli anni ’70, preceduti anche qui dalle contestazioni giovanili
del 1968, cominciarono in un clima economicamente positivo;
presto però anche in questo Paese si sentirono gli effetti della
congiuntura internazionale (in primo luogo la crisi petrolifera che
colpì la Danimarca in misura maggiore rispetto agli altri Paesi
nordici): ci furono aumento della disoccupazione, persistente
saldo negativo nella bilancia dei pagamenti, alti tassi di interesse,
forte pressione fiscale, scarsità di investimenti, crisi dell’agricol-
tura (si tenga presente che ormai l’84% della popolazione aveva
lasciato la campagna) e persino un basso indice di natalità che

17
Vd. p. 1238.

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1208 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

toccò il livello minimo nel 1981. Al governo c’era il successore


del dimissionario Krag, il socialdemocratico Anker Jørgensen (n.
1922) al quale toccò il compito di affrontare una situazione dete-
riorata sia dal punto di vista economico, sia da quello sociale. Il
mondo infatti stava rapidamente cambiando e anche la piccola
Danimarca era percorsa dai fermenti d’una contestazione che non
riguardava solo i princìpi, messi ora in discussione, che per lungo
tempo avevano retto la comunità, ma anche la politica internazio-
nale (si pensi alle dimo­strazioni contro la guerra americana nel
Vietnam) e le grandi questioni della modernità (problema atomi-
co, ecologia), mentre l’opinione pubblica chiedeva maggiore ascol-
to e mostrava di sentirsi più coinvolta (e più libera) nei confronti
dei partiti tradizionali. Ciò spiega lo spazio (e il consenso) tro-
vato da una formazione nuova, come il Partito del progresso
(Frem­skridt­partiet), fondato nel 1972 da Mogens Gilstrup (1926-
2008), di carattere sostanzialmente popu­lista, che prometteva una
sicura riduzione delle tasse e una decisa semplificazione burocra-
tica; ma anche la fondazione (1970) di un nuovo gruppo conser-
vatore, il Partito popolare cristiano (Kristeligt folke­parti),18 che
voleva salvaguardare i valori della tradizione. Nel 1973 nascevano
poi i Democratici di centro (Centrum-Demokraterne) da una dia-
spora della socialdemocrazia. Le elezioni del 1973 sono ricordate
come “elezioni della valanga” (jord­skreds­valget), dal momento che
esse rivoluzionarono il quadro politico (il 44% degli elettori cam-
biò il proprio voto)19 aprendo spazio alle nuove formazioni (in
particolare al Partito del progresso che divenne il secondo partito
danese).20 In seguito a queste votazioni i partiti di centro-destra
tornarono al governo, tuttavia in una situazione di grave diffi­coltà
politica. L’esecutivo, guidato dal rappresentante della Sinistra Poul
Hartling (1914-2000) fu debole e presto costretto a nuove elezio-
ni (anche per il tentativo di limitare fortemente il diritto di scio-
18
Dal 2003 Cristianodemocratici (Kristendemokraterne).
19
I partiti tradizionali furono pesantemente penalizzati: i Socialdemocratici perse-
ro circa il 32% dei propri voti (risultato in parte dovuto al loro appoggio all’ingresso
nell’Unione europea), la Sinistra il 22%, la Sinistra radicale il 29%, il Partito popola-
re conservatore il 45%, i Socialisti il 34%. Solo i Comunisti ebbero un avanzamento
passando da zero a sei seggi.
20
Esso tuttavia avrebbe poi perduto seguito, scendendo dai ventotto eletti del 1973
ai sei del 1984 (ma nove nel 1987). Alla caduta di consensi avrebbe contribuito la
condanna a tre anni di carcere e a una multa di un milione di corone per frode fiscale
comminata a Mogens Gilstrup nel 1983. Nel 1988 il partito ebbe una ulteriore ripresa
sotto la guida di Pia Kjærsgaard (n. 1947) che tuttavia nel 1995 avrebbe dato vita a
una nuova formazione (anch’essa di stampo populista): il Partito del popolo danese
(Dansk folkeparti).

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I Paesi scandinavi sullo scenario europeo e mondiale 1209

pero); nonostante un notevole incremento dei suoi voti la Sinistra


non riuscì a formare un nuovo governo sicché i social­democratici
ripresero il potere con il primo ministro Anker Jørgen­sen il qua-
le (seppure con notevoli problemi) sarebbe rimasto in carica, con
quattro mandati consecutivi, fino al 1982, attuando una politica
anticrisi per molti versi di ispirazione borghese.
Gli anni ’70 sono stati, non solo in Danimarca, anni economica­
mente difficili, di crescente disoccupazione, di crescente indebita­
mento, di crescente disagio sociale. Le vecchie certezze erano
incrinate e le giovani generazioni spesso disincantate quando non
disilluse o, in qualche caso, disperate. Di fronte a questa situazione
non era facile individuare la giusta linea politica: i partiti di sinistra
incolpavano l’economia di mercato, quelli conservatori l’eccesso
di ‘Stato’ e le troppe spese per il welfare.
Nel settembre del 1982 si formò il governo detto ‘del quadri­
foglio’ (firkløver­regeringen) guidato da Poul Schlüter (n. 1929) del
Partito popolare dei conservatori e composto (oltre che da membri
del partito del premier) da rappresentanti della Sinistra, dei Demo­
cratici di centro e del Partito popolare cristiano. Esso affrontò le
problematiche economiche con una rigorosa politica di tagli alla
spesa (con conseguente riduzione delle prestazioni dello stato
sociale) e pose un freno all’indicizzazione dei salari legata all’infla­
zione. Anche se molti problemi rimasero irrisolti e nonostante le
massicce proteste contro i suoi provvedimenti,21 Schlüter sarebbe
rimasto al potere (alla guida di ben quattro governi consecutivi)
fino al gennaio 1993.
Gli anni ’90 inaugurati dal crollo del blocco sovietico, hanno
visto tornare al potere i socialdemocratici con un governo guida-
to da Poul Nyrup Rasmussen (n. 1943) con cui si avviava un’al-
ternanza di esecutivi di sinistra e conservatori. Essi sono stati anni
di rinnovata crescita, di calo della disoccupazione e di risanamen-
to dei conti pubblici. L’alternanza politica è proseguita nel decen-
nio successivo e ha infine (2011) portato alla nomina a capo del
governo dell’espo­nente socialdemocratica Helle Thorning-Schmidt
(n. 1966), prima donna danese a ricoprire questo prestigioso
ruolo.
È comunque evidente che, nonostante le molte difficoltà, la
Danimarca ha goduto nei decenni del dopoguerra di uno standard
di vita piuttosto elevato (soprattutto se paragonato ad altre situa-
zioni dell’Europa continentale). Essa è oggi un Paese moderno e

21
Tra cui lo sciopero di 300.000 dipendenti pubblici nel 1985.

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1210 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

tecnolo­gicamente avanzato, dotato di importanti e funzionali


infrastrutture,22 gestito democraticamente e nel quale la partecipa-
zione dei cittadini alla vita politica è aperta e costante. Ciò nono-
stante permangono problemi di carattere politico e, forse soprat-
tutto, sociale la cui soluzione toccherà alle nuove generazioni.

14.1.3. Svezia

La fine della guerra significò anche per la Svezia, che pure non
era stata coinvolta più di tanto nel conflitto, l’apertura a nuove
speranze. I socialdemocratici mantenevano saldo il potere. Anzi,
dopo la morte improvvisa di Per Albin Hansson il suo successore,
Tage Erlander (1901-1985), si sarebbe dimostrato capace di gui-
dare il Paese per ben ventitré anni. Egli infatti fu nominato primo
ministro nel 1946 e rimase in carica fino al 1969, confermato nel
corso delle successive elezioni con maggiore o minore forza.23 In
un Paese dove il ruolo della monarchia veniva (come del resto in
molti luoghi altrove) sempre più assumendo carattere puramente
rappresentativo, il vero cuore della politica era il parlamento.24 E
nei decenni del dopoguerra il parlamento andò adottando la poli-
tica dello stato sociale ponendo attenzione alla qualità della vita
dei cittadini e alla realizza­zione dei loro diritti, soprattutto dal
punto di vista di una effettiva parità. Molti provvedimenti ebbero
l’adesione delle forze di oppo­sizione, tuttavia una materia di forte
contrasto fu data dalla politica fiscale dei socialdemocratici che
volevano rimodulare la tassazione e appesantire i tributi per le
classi più abbienti. I proventi furono impiegati per la costruzione
del welfare state con interventi sulle assicurazioni sociali per le

22
Si pensi, solo per fare un esempio, ai ponti che collegano le diverse isole e a
quello, davvero imponente, sull’Øresund che unisce il territorio danese (e di conse-
guenza il retroterra europeo) con la Svezia, la cui realizzazione (concordata nel 1991
e finanziata al 50% dai governi dei due Paesi) è stata completata nel 1999. Un’opera
che ha anche una valenza politica molto forte, se si considerano non soltanto gli innu-
merevoli conflitti del passato ma anche, più banalmente, la disputa che ancora nel 1983
li aveva contrapposti sulla questione della linea di confine nel Kattegat, lo stretto che
separa le coste svedesi dalla penisola danese dello Jutland.
23
Il più consistente calo dei consensi si verificò negli anni ’50; esso non fu tuttavia tale
da impedire che i socialdemocratici restassero al governo grazie all’alleanza con l’Asso-
ciazione dei contadini. Ma il terzo (e ultimo) governo Erlander sarebbe rima­sto in carica
per il tempo record di dodici anni (dal 31 ottobre del 1957 al 14 ottobre del 1969).
24
Nel 1950 moriva il vecchio re Gustavo V e gli succedeva il figlio Gustavo VI
Adolfo (Oscar Fredrik Wilhelm Olaf Gustaf Adolf, 1882-1973).

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I Paesi scandinavi sullo scenario europeo e mondiale 1211

pensioni,25 le malattie e la prevenzione, per l’istruzione di grado infe-


riore e superiore,26 per incentivi alla cultura, per le famiglie, per le
condizioni di lavoro, per l’edilizia pubblica, per le infrastrutture.27 Le
diverse questioni relative (particolarmente quella pensionistica) furono
in quel periodo al centro di un intenso e vivace dibattito. Per la verità
dal 1945 (anno segnato da un imponente sciopero dei metalmeccanici)
la strada verso una effettiva ‘società del benessere’ non sarebbe stata
breve. Dopo la guerra il Paese aveva dovuto accettare gli aiuti previsti
dal piano Marshall e nel 1950 lo scoppio delle ostilità in Corea aveva
prodotto anche qui effetti negativi dal punto di vista economico. Sicché
alme­no fino al 1957 il lavoro di riforma aveva conosciuto piuttosto un
assestamento. Quando infine lo sviluppo prese il via esso riguardò in
primo luogo l’industria e il settore terziario cui corrispose tuttavia una
certa crisi dell’agricoltura dovuta anche alla propensione all’ab­bandono
delle campagne, sicché anche qui prevalse la tendenza all’accorpamen-
to dei piccoli poderi, quando essi non furono abban­donati.
Nel 1974, a conclusione di un lavoro ventennale, fu approvata una
riforma della costituzione che entrò in vigore il 1 gennaio 1975:28 essa
ha istituito un parlamento unicamerale attraverso il quale il popolo
esercita la propria sovranità. Le funzioni politiche del re sono state
interamente trasferite a questo organismo, al cui presi­dente spetta
ora (anziché al sovrano) la nomina del primo ministro mentre l’eser-
cito (di cui il re era a capo) risponde ora al governo. Benché la Svezia

25
Sulla questione della perequazione del trattamento pensionistico fra operai e
impiegati (con l’introduzione di una pensione supplementare per tutti) fu condotta
una lunga battaglia nel corso della quale fu anche indetto un referendum consultivo
che si tenne il 13 ottobre 1957. Sulla base del risultato di questa votazione (che aveva
visto prevalere la loro linea (seppure senza la maggioranza assoluta) i social­democratici
portarono avanti e realizzarono il loro progetto di riforma.
26
Si segnali qui che nel 1954 dalla fusione della scuola superiore di Göteborg
(Göteborgs Högskola) e della scuola superiore di medicina (Medicinska Högskolan)
della città, nasceva l’Università di Göteborg e che nel 1960 la Scuola superiore (Högskola)
di Stoccolma veniva trasformata in università. Più tardi (1967) sarà dato l’avvio alle
future sedi universitarie di Örebro (Närke), Linköping (Öster­götland) e Växjö (Småland).
27
Ma ci furono anche provvedimenti intesi a snellire l’amministrazione pubblica
(come la diminuzione del numero dei comuni approvata con una serie di riforme
successive). Parimenti fu introdotto (1971) il tribunale distrettuale (tingsrätt) per i
processi di prima istanza in luogo di strutture preesistenti ormai superate.
28
Kungörelse (1974: 152) om beslutad ny regeringsform. Sulla nuova costituzione e
successivi rilevanti emendamenti si rimanda a: The Constitution of Sweden. The fun-
damental Laws and the Riksdag Act, with an Introduction by E. Holmberg and N.
Stjernquist, revised translation by R. Bradfield, Stockholm 2000. Alcune modifiche
costituzionali sono state approvate dal parlamento nel 2010 (con validità dal 1 gennaio
2011. Per i testi e le informazioni relative si rimanda ai siti: http://www. regeringen.
se/sb/d/13754 e http://www.regeringen.se/sb/d/504/a/3026).

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1212 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

continui ad avere un ordinamento monarchico alla famiglia reale


restano solo mere funzioni rappresentative. Per certi versi simboli-
camente questo ‘passaggio’ si è compiuto non troppo tempo dopo
la morte di Gustavo VI Adolfo (15 settembre 1973) cui è succeduto
il nipote Carlo Gustavo XVI (Carl Gustaf Folke Hubertus, n. 1946).29
Il 1 gennaio 1980 è entrata in vigore una modifica costitu­zionale che
ha introdotto il principio di successione cognatico, il che significa
che la principessa Vittoria (Victoria Ingrid Alice Désirée, n. 1977) ha
scavalcato il fratello Carl-Philip (n. 1979) come erede al trono.30
Nel 1969 Tage Erlander, il capo di governo più a lungo rimasto in
carica nei Paesi a regime democratico, diede le dimissioni e fu sostitui-
to dal compagno di partito Olof Palme (1927-1986). La forza politica
della socialdemocrazia era allora in calo e alle elezioni del 1970 essa
perse la maggioranza assoluta. Il governo Palme dovette perciò ricor-
rere al sostegno del Partito comunista svedese.31 Nelle elezioni del 1973
gli schieramenti di destra e di sinistra ottennero un identico numero
di parlamentari (centosettantacinque ciascuno) ma Palme continuò a
governare.32 Tre anni dopo, nel 1976, la coalizione di destra ebbe la
meglio e dopo quarantaquattro anni di ininterrotta supremazia social-
democratica a capo del governo fu nominato Thorbjörn Fälldin (1926-
2016), membro del Partito di centro. Questa coalizione incontrò
notevoli difficoltà sulla questione delle centrali nucleari (a lungo
dibattuta nella seconda metà degli anni ’70),33 che sarebbe poi stata
sottoposta a un referendum popolare (23 marzo 1980), il cui esito
avrebbe indicato una soluzione di compromesso (numero chiuso
delle centrali e impegno al loro smantellamento entro il 2010).34
Anche in Svezia erano quelli anni di grandi cambiamenti e di

29
Il figlio di Gustavo VI Adolfo, il principe ereditario Gustaf Adolf (1906-1947),
era infatti morto in un incidente aereo.
30
Vd. Eriksson M. – Wångmar E., “Vägen till kvinnlig tronföljd 1952-1980”, in
Scandia, LXXI: 2 (2005), pp. 265-287 e p. 336.
31
Vd. p. 1125 con nota 49. All’epoca esso aveva la denominazione di Partito di
sini­stra – Comunisti (Vänsterpartiet – Kommunisterna).
32
In seguito a questo risultato il numero dei parlamentari fu poi ridotto di una
unità, da trecentocinquanta a trecentoquarantanove.
33
Nel 1978 Fälldin dovette dare le dimissioni proprio per contrasti interni al governo
su questa questione. A lui succedette Ola Ullsten (n. 1931) che guidò un esecutivo di
minoranza monocolore del Partito popolare (Folkpartiet, cfr. p. 988 con nota 143) per
poi di nuovo cedere il passo a Thorbjörn Fälldin che con due governi successivi sarebbe
rimasto in carica fino al 1982.
34
La decisione di costruire la prima centrale nucleare svedese, collocata nel comu-
ne di Oskarshamn (Småland) risale al 1965. Nel 1986 il disastro nucleare di Černobyl’
(Чорнобиль) ha colpito anche la Finlandia, la Svezia e la Norvegia, soprattutto nelle
regioni settentrionali abitate dai Sami, riaccendendo il dibattito.

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I Paesi scandinavi sullo scenario europeo e mondiale 1213

crisi, non soltanto dal punto di vista economico: la collettività


attraversata da profonde inquietudini, la contestazione dei giovani
nei con­fronti dei valori tradizionali, le difficoltà di una società
sempre più multietnica, la progressiva secolarizzazione, l’aumento
del tasso di criminalità, la diffusione della droga e la persistente
piaga dell’alcoli­smo;35 ma anche il maggiore coinvolgimento in temi
di politica nazionale e internazionale, come le battaglie ecologiche,36
la questio­ne dell’utilizzo dell’energia nucleare (assai importante,
come si è appena detto), la critica dell’intervento americano in
Vietnam. Dopo gli anni del grande sviluppo veniva ora (a metà
degli anni ’70) la crisi economica, con conseguente forte disoccu-
pazione, che fu particolarmente acuta all’inizio degli anni ’80 e
toccò in particolare il settore tessile (già precedentemente in soffe-
renza), il siderurgico, la cantieristica: il malcontento per la situa-
zione di incertezza era diffuso e aggravato dalla protesta contro
l’alta pressione fiscale e l’infla­zione. Nel 1980 ci fu una serie di
scioperi (ai quali i datori di lavoro risposero con serrate) che coin-
volsero più di settecentomila persone; nel 1985 uno sciopero degli
aderenti all’Organizzazione centrale degli impiegati (Tjänste­männens
central­organisation, nota con la sigla TCO) cui anche in questo caso
si rispose con serrate; in quello stesso anno (23 maggio) più di
ventimila contadini marciarono a Stoccolma contro la politica del
governo ritenuta sfavorevole alla loro categoria;37 nel 1988 lo scio-
pero riguardò i lavoratori dell’indu­stria.38 Alle elezioni del 1982 la

35
Anche in Svezia sorse (1964) un partito che aveva l’obiettivo di difendere i valo-
ri tradizionali e quelli cristiani. Esso fu fondato con il nome di Unione cristiano-demo­
cratica (Kristen Demokratisk Samling), attualmente Cristiano-democratici (Krist­
demokraterna), e si sviluppò sulla base di un gruppo sorto nel 1955 e detto Respon­sabilità
sociale cristiana (Kristet sam­hälls­ansvar). Nelle elezioni del 1991 il partito ha superato
la soglia di sbarramento del 4% ed è entrato in parlamento dove in seguito è rimasto
costantemente (con una crescita di consensi fino a sfiorare il 12% nel 1998).
36
In relazione a ciò è sorto in Svezia nel 1981 il Partito dell’ambiente i verdi (Miljö­
partiet de gröna), collocato nell’area della sinistra. Entrato per la prima volta in parla-
mento nel 1988 con venti seggi, li avrebbe poi perduti tutti nelle elezioni del 1991 per
rientrare nel 1994, dopo di che è divenuto una presenza costante fino al 2014, quando
non ha ottenuto alcun seggio. In Danimarca e Norvegia, al contrario, queste forma-
zioni non hanno avuto un consistente seguito di elettori.
37
Si tenga presente che in Svezia, come in molti altri Paesi, nei decenni del dopo­
guerra il numero delle persone impiegate nel settore agricolo è calato drasticamente e
si calcola che ora occupi meno del 3% della popolazione.
38
Per altro in precedenza i conflitti di lavoro non erano mancati. Nel 1969 c’era stato un
grande (e prolungato) sciopero nel distretto minerario di Gällivare e Kiruna (Malmfälten),
mentre due anni dopo era stata la volta delle categorie professionali aderenti ai sindacati
SACO (Sveriges Akade­mikers Central­organisation, che com­prende professionisti come
insegnanti, architetti, dentisti, ingegneri e simili) e SR (Stats­tjänste­männens Riks­för­bund, poi

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1214 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

socialdemocrazia, ancora una volta guidata da Olof Palme, era tor-


nata al potere e grazie a misure rigorose (compreso ancora una volta
il ricorso alla svalutazione della corona)39 e al miglioramento della
congiuntura internazionale il governo sarebbe riuscito a dare l’avvio
alla ripresa e al risanamento del deficit. Nel 1985 la Banca centrale
deliberò una liberalizzazione del credito, la cosiddetta “rivoluzione
di novembre” (november­revolutionen) che se nell’immediato diede
un notevole impulso alla ripresa fu poi tra le cause della crisi econo-
mica che di nuovo colpì la Svezia agli inizi degli anni ’90.
La notte di venerdì 28 febbraio 1986, nel pieno centro di Stoc­
colma, mentre tornava a casa dal cinema accompagnato dalla moglie,
Olof Palme veniva assassinato da uno sconosciuto con un colpo di
pistola alla schiena. Olof Palme era un politico al contempo popo-
lare e discusso ma era anche una figura di peso a livello internazio-
nale (seppure le sue prese di posizione avessero non di rado crea-
to pole­miche), il che fra l’altro aveva fatto sì che l’ONU gli
conferisse l’incarico di gestire l’arbitrato internazionale fra Iran e
Iraq, in guerra tra di loro dal 1980. Lunghi anni di indagini non
hanno chiarito i misteri legati a questo delitto.40
Lo shock in Svezia e all’estero fu enorme. Il Paese fu come bru-
scamente investito dalla consapevolezza di non essere più un’iso­la
(tutto sommato) felice. E se in precedenza non erano mancati
gravi episodi di delinquenza o di terrorismo,41 ci si rese conto ora

confluito nel SACO, che rappresentava i dipendenti statali). Ciò aveva determinato dure
reazioni e, infine, l’intervento del governo. Una importante legge sui rapporti sindacali che
tra l’altro ha introdotto il principio del diritto dei dipendenti a intervenire sull’organizzazio-
ne del lavoro è stata emanata il 10 giugno 1976 (Lag om med­bestäm­mande i arbets­livet).
39
Si trattava infatti della sesta svalutazione dal 1976.
40
Molto è stato scritto in proposito. Oltre a Garzia 2007 si citino qui i testi più
recenti: Gruvedal E., Den slutliga sanningen om Palmemordet. En annorlunda mord-
utredning. Nygamla indicier, Sollentuna 2010; Heder­berg H., Offret & gär­nings­mannen.
En essä om mordet på Olof Palme, Stockholm 2010; Anér S., Palme­mordet. De sam-
mansvurna, Göteborg 2011; Vinter­hed K., Mordet. Om öppna och dolda mot­sätt­ningar
bakom Palme­mordet, faktagranskning A.W Johans­son och Kj. Öst­berg, Stockholm
2011; Smith P., Palmes morder. Er mord­gåden løst?, Højbjerg 2012.
41
Ci si riferisce qui in primo luogo all’attacco alla sede diplomatica della Germania
a Stoccolma (24 aprile 1975) portato dalle ‘brigate rosse’ tedesche, la Rote Armee
Fraktion, che occuparono l’edificio e presero in ostaggio l’ambasciatore e diverse altre
persone, uccidendone alcune senza esitazione per ottenere la liberazione di compagni
detenuti in patria. Ma anche a un episodio di comune delinquenza come la rapina alla
Banca di credito (Kredit­banken) di Stoccolma che portò alla presa di quattro ostaggi
trattenuti dal 23 al 28 agosto del 1973: un fatto che ebbe una straordinaria copertura
mediatica e determinò un forte coinvolgimento della popola­zione (e dal quale pren-
derà nome la cosiddetta ‘sindrome di Stoccolma’ che defini­sce un particolare rappor-
to che si viene a creare tra la vittima di un trattamento violento e il suo aguzzino).

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I Paesi scandinavi sullo scenario europeo e mondiale 1215

che occorreva assumere in tempi brevi una diversa prospettiva, dimen­


ticare le ‘rassicuranti certezze’ di un orizzonte circoscritto e misu­rarsi
con sfide nuove e problemi imprevedibili. Dopo la morte di Palme il
governo fu affidato al socialdemocratico Ingvar Carlsson (n. 1943) che
proseguì nella politica del suo predecessore ma dovette cedere il passo
ai conservatori dopo le elezioni del 1991.42 In effetti in questo periodo
di nuovo si era manifestata una crisi economica che non avrebbe
risparmiato la Svezia e ciò ebbe inevitabili effetti sulle scelte degli
elettori. Nuovo primo ministro fu Carl Bildt (n. 1949), esponente del
Partito comune dei moderati. Tra i provve­dimenti più importanti
assunti dal suo governo vi fu l’abolizione dei fondi di solidarietà per i
salariati voluti da Palme (nonostante la dura contra­rietà dei datori di
lavoro),43 una serie di privatizzazioni, un certo di­simpegno dello Stato
dall’assistenza sociale e incentivi all’impren­ditoria privata. Ma la reces-
sione (che aveva portato calo produttivo, elevata disoccupazione, fuga
di capitali, crisi bancaria e finanziaria) non era facile da aggredire e il
governo fu anche costretto a cercare un accordo con l’opposizione per
approvare una serie di provvedimenti economici; inoltre nel 1992 si
decise di lasciar fluttuare la corona che perse circa il 20% del proprio
valore. Per certi versi simbolicamente in quello stesso anno chiudeva
la storica miniera di rame presso Falun in Dalecarlia (Falu koppargruva)
in funzione almeno dal 1288.44
Nel 1994 la Sinistra tornò al potere, ancora una volta con Ingvar
Carlsson come primo ministro al quale (nel 1996) sarebbe succedu-
to Göran Persson (n. 1949).45 Con l’appoggio del Partito di centro
il governo socialdemocratico è riuscito a migliorare la situazione
42
In quell’occasione un notevole successo fu ottenuto anche da un partito populi-
sta di destra di nuova costituzione, Nuova democrazia (Ny demokrati) che ottenne
quasi il 7% dei voti ma successivamente non riuscì più a superare la soglia di sbarra-
mento e cessò l’attività nel 2000.
43
Questi fondi (svedese lön­tagar­fonder) erano costituiti da una parte dei profitti
dell’azienda che dovevano essere utilizzati per acquistare azioni e gestiti dai sinda­cati.
Essi erano basati su un’idea dell’economista Rudolf Meidner (1914-2005), un ebreo
tedesco rifugiato in Svezia dove poi aveva ottenuto la cittadinanza. A lungo furono
contestati: una grande manifestazione per la loro abrogazione, organizzata dalle impre-
se, ebbe luogo il 4 ottobre 1983 a Stoccolma con la partecipazione di migliaia di persone.
44
Vd. p. 440, nota 12.
45
Dell’esecutivo Persson faceva parte, in qualità di ministro degli esteri, Anna Lindh
(1957-2003), già ministro dell’ambiente con Ingvar Carlsson. Il 10 settembre 2003 all’in-
terno di un grande magazzino di Stoccolma ella veniva brutalmente aggredita e accoltel-
lata da tale Mijailo Mijailović (n. 1978) di nazionalità serba, il quale le procurava gravissime
ferite che nonostante le immediate cure dei sanitari quella stessa notte l’avrebbero portata
alla morte. Le ragioni del gesto, la cui responsabilità l’attentatore ha ammesso, sono state
ricercate in disturbi psichici, tuttavia egli è stato dichiarato sano di mente. Condannato
all’ergastolo, Mijailo Mijailović ha chiesto di rinunciare alla cittadinanza svedese.

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1216 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

economica, riducendo il debito e frenando la disoccupazione, e ha


traghettato la Svezia nel terzo millennio. Nel 2006, dopo che i par-
titi conservatori avevano lanciato il programma noto come “Allean-
za per la Svezia” (Allians för Sverige) e vinto le elezioni, Fredrik
Reinfeldt (n. 1965) è divenuto primo ministro, carica rinnovata dopo
il nuovo successo elettorale nel 2010. In quello stesso anno (11
dicembre) due esplosioni di matrice terroristica (accompagnate da
minacce) avrebbero sconvolto Stoccolma provocando un morto
(l’attentatore) e due feriti. Un segnale inquietante che tuttavia (sep-
pure in maniera tragica) sottolinea come anche la Svezia sia ormai a
tutti gli effetti coinvolta nella prospettiva di una politica mondiale.
In seguito alle elezioni svoltesi nel settembre 2014 il socialdemo-
cratico Stefan Löfven (n. 1957) è stato nominato primo ministro alla
guida di un esecutivo comprendente anche alcuni rappresentanti del
Partito dell’ambiente i verdi. Tuttavia non potendo contare sulla
maggioranza dei parlamentari, esso ha incontrato notevoli difficoltà
ed è stato costretto a siglare un patto con l’opposizione di centro-
destra anche allo scopo di scongiurare elezioni anticipate.

La tragedia della guerra nel Vietnam è stata un evento politico che ha


suscitato molta attenzione e molte contestazioni sia negli Stati uniti sia nei
Paesi occidentali, non da ultimi quelli scandinavi. Essa ha provocato non
solo dimostrazioni e proteste di piazza ma ha stimolato anche denunce di
‘sapore’ artistico e letterario. Assai nota è, in particolare, la poesia Sulla
guerra in Vietnam (Om kriget i Vietnam) dello svedese Göran Sonnevi (n.
1939)46 dalla quale si citano qui alcune strofe:

  Dietro il televisore la luce è mutata


fuori dalle finestre. L’oscurità si è trasformata
in grigio e gli alberi sono apparsi
neri nella luce grigio chiara
della neve fresca. Al mattino
era tutto di nuovo coperto di neve. Ora vado
fuori a spazzare dopo la tempesta.
Sento alla radio che gli Stati uniti
hanno pubblicato un libro bianco
sulla guerra in VIETNAM
nel quale il Nordvietnam viene accusato
di aggressione. Ieri sera
alla TV
  abbiamo visto un documentario dei
46
Vd. p. 1263.

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I Paesi scandinavi sullo scenario europeo e mondiale 1217

Viet Cong, abbiamo potuto sentire


il sordo svolazzare
degli elicotteri,
da terra, dalla parte di quelli a cui si spara.
[…] Oggi
di sicuro avremo altra neve
dice il mio vicino, vestito di nero
mentre va al lavoro […]
I morti sono numeri, che riposano, turbinano
come cristalli, nel vento sui campi. Si calcola
che fino a ora 2 milioni siano morti in VIETNAM […]47

14.1.4. Norvegia
Dopo la liberazione la Norvegia aveva dovuto affrontare gli effet-
ti disastrosi provocati dall’invasione tedesca. Come è stato detto,
nell’immediato era stato formato un esecutivo di grande coalizione
guidato da Einar Gerhardsen, nel quale erano rappresentati il Par-
tito dei lavoratori, il Partito comunista, la Destra, la Sinistra, il
Partito dei contadini e il Fronte di liberazione. L’8 ottobre 1945 si
svolsero le elezioni e il Partito dei lavoratori ottenne la maggioran-
za assoluta che avrebbe mantenuto fino al 1961. Su questa base
Ger­hard­sen formò dunque un nuovo governo. Ma la politica che
esso portò avanti non fu ispirata solo ai princìpi della socialdemo-
crazia, bensì fu anche frutto di quella collaborazione fra le diverse
componenti della società norvegese nata dalla situazione venutasi a
creare con l’occu­pazione tedesca. Si era infatti elaborato un vero e
proprio “program­ma comune” (felles­program­met) nel quale erano
delineate le linee di indirizzo per la ricostruzione del Paese, una
ricostruzione che non doveva limitarsi a ripristinare ciò che era
stato distrutto dalla guerra, ma che doveva anche fondarsi su una
visione del futuro basata su nuovi princìpi di uguaglianza (e giusti-
zia) e di garanzia dei diritti di ciascuno, il che lo Stato (con il con-
corso delle diverse componenti sociali) avrebbe dovuto assicurare
con opportuni provvedimenti. Ciò fu, in gran parte, realizzato.48
47
DLO nr. 179.
48
Qui va ricordata anche la nascita, per iniziativa della scrittrice Ingeborg Refling
Hagen (1895-1989), del Movimento Suttung (Sut­tung­beve­gelsen), tuttora attivo.
Essendo stata internata dai Tedeschi durante la guerra la Refling Hagen volle dar
vita a una organizzazione che promuovesse il progresso spirituale e civile per mezzo
della cultura, per evitare che ideologie nefaste come il nazismo potessero in futuro
trovare spazio nella società norvegese. Il nome Suttung, ripreso dalla mitologia

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1218 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

Grazie anche ai contributi previsti dal piano Marshall il Paese ebbe


una ripresa piuttosto rapida, anche se segnata da una forte inflazio-
ne che si tentò di contenere con una politica di controllo dei prezzi.
Nel 1949 tuttavia si rese necessaria una svalutazione della corona, i
cui effetti positivi furono comunque limitati l’anno successivo dall’au-
mento dei prezzi su base mondiale conseguente allo scoppio della
guerra di Corea. Nonostante questi problemi l’economia progredì
e la politica del partito di governo riuscì gradatamente a ridurre le
sofferenze sociali ereditate dal passato e a portare avanti quel pro-
getto di welfare state che avrebbe fatto della Norvegia uno dei
Paesi con la migliore qualità di vita per i suoi abitanti. Nel 1951
Einar Gerhardsen, che dopo il nuovo successo elettorale del 1949
era rimasto al potere, si dimise improvvisamente da primo ministro
(verosimilmente per motivi personali) e fu sostituito in quella carica
da Oscar Torp, suo collega di partito. Torp non apportò sostanzia-
li variazioni alla linea politica e nelle elezioni del 1953 (nonostante
una certa penalizzazione dovuta a una nuova legge elettorale appro-
vata l’anno precedente)49 il Partito dei lavoratori si vide confermare
la maggio­ranza assoluta. Nel 1955 Einar Ger­hard­sen – considerato
dai Norve­gesi un vero e proprio ‘padre della patria’ – fu di nuovo
primo mini­stro, carica che avrebbe mantenuto fino al 1963, anche
se dopo le elezioni del 1961 il suo governo avrebbe dovuto ricorre-
re al sostegno del Partito popolare socialista (Sosia­listisk Folkeparti),50
di fresca costituzione, che disponeva dei due seggi necessari per
raggiungere la maggioranza.
Nel frattempo lo sviluppo economico procedeva, anche grazie a
una liberalizzazione del commercio che aveva ormai spazzato via i
residui razionamenti imposti dalla guerra. Nel 1956 il governo sta-
bilì un blocco dei prezzi e degli aumenti salariali ma anche alleg­
gerimenti fiscali; inoltre venne avviata una politica di partecipazione
statale in una serie di imprese e, parallelamente, furono aperti isti-
tuti di credito di proprietà statale, mentre il governo manteneva uno

nordica (norreno Suttungr), è quello di un gigante possessore di un prezioso idro-


mele che infonde saggezza (e capacità di poetare) a chi lo beva (vd. Chiesa Isnardi
20084 [B.7.1], pp. 90-92).
49
Si trattava di una modifica costituzionale sulle modalità di voto deliberata il 26
novembre 1952.
50
Questa formazione politica era stata costituita da dissidenti del Partito dei lavora­
tori i quali ne criticavano soprattutto la politica estera considerata troppo filo-ameri­cana,
specie in relazione alla questione delle armi atomiche. Fin dal 1952 l’opposi­zione di
sinistra alla socialdemocrazia aveva espresso le proprie posizioni nella rivista Orienta-
mento (Orientering) e quando un gruppo di coloro che si riconosce­vano in quell’area
venne escluso dal partito essi diedero vita al nuovo soggetto.

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I Paesi scandinavi sullo scenario europeo e mondiale 1219

stretto controllo sulla situazione finanziaria. Nel 1957 moriva l’ama­


to re Haakon e il figlio Olav V (1903-1991) gli succedeva sul trono.
Il 5 novembre 1962 ci fu un gravissimo incidente sul lavoro in
una miniera di carbone della Kings-bay presso Ny Ålesund nelle
isole Svalbard, quando (a causa di un’esplosione di gas) ventuno
lavoratori persero la vita. Episodi simili si erano verificati in questa
struttura in anni precedenti ed essa era stata riaperta nel 1956 con
la garanzia che gli impianti erano stati messi in sicurezza. Il dibatti-
to parlamentare che seguì a questo fatto indusse il Partito popolare
socialista a votare la sfiducia al governo e fu così che le forze politi­
che conservatrici diedero vita (per la prima volta dopo ventotto
anni) a un esecutivo di coalizione che comprendeva rappresentanti
della Destra, della Sinistra, del Partito popolare cristiano e del Par-
tito di centro ed era presieduto da John Lyng (1905-1978). Questa
esperien­za tramontò tuttavia in breve tempo in quanto solo quattro
settimane dopo l’accordo fra socialdemocratici e socialisti fu ritro-
vato ed Einar Gerhardsen tornò, per la quarta volta, a essere primo
ministro. Sarebbero state piuttosto le elezioni del 1965 a farlo cade-
re. In quella occasione la socialdemocrazia venne a trovarsi sotto il
fuoco incro­ciato dei partiti conservatori ma anche delle formazioni
di sinistra: sia i socialisti – che in diverse occasioni volentieri aveva-
no posto ostacoli all’approvazione di provvedimenti governativi – sia
i comunisti, da sempre su posizioni radicali. In seguito al risultato
di queste votazioni il potere passò dunque (e questa volta sarebbe
stato per un lungo periodo) ai partiti di centrodestra. Nuovo capo
del governo fu Per Borten (1913-2005), del Partito di centro. Que-
sto esecutivo (tutt’altro che omogeneo) portò avanti una politica
per certi versi di stampo socialdemocratico, a esempio con l’appro-
vazione di una importante Legge sulla previdenza sociale (Lov om
folketrygd, 17 giugno 1966), ‘ereditata’ dalla gestione precedente.
Dai primi anni ’70 si cominciò a estrarre petrolio dalle piatta­
forme nel Mare del Nord e diverse compagnie straniere si affret­
tarono a sollecitare al governo diritti di sfruttamento. Nel 1972
venne fondata la Statoil (Den Norske Stats Oljeselskap), di proprie-
tà pubblica, allo scopo di partecipare direttamente all’estrazione e
alla lavorazione del prodotto grezzo, anche in relazione alla politi-
ca energetica del Paese: parallelamente la Norsk Hydro (in parte di
proprietà dello Stato) e la privata Saga Petroleum, fondata nel
medesimo 1972, ebbero importanti concessioni.51 Tenuto conto
51
La Saga petroleum sarà acquisita dalla Norsk Hydro nel 1999, mentre il setto-
re del petrolio e del gas di quest’ultima (Norsk Hydro-Oil and Gas) si fonderà
successiva­mente (2007) con la Statoil a formare la StatoilHydro, una delle più

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1220 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

degli effetti della crisi petrolifera degli anni 1973-1974 (e del fatto
che il Paese non aveva aderito all’OPEC) il prodotto norvegese fu
molto richiesto. Per la Norvegia si trattò di un vero e proprio salto
di qualità: la scoperta e lo sfruttamento di questa importante risor-
sa (e di consistenti riserve di gas naturale) ha contribuito in misura
signifi­cativa al suo progresso economico, non soltanto per la ric-
chezza che ne è derivata direttamente, ma anche per la creazione
di posti di lavoro conseguente alla nascita di una industria petrol-
chimica che ha visto la costruzione di grandi impianti come quelli
di Rafnes in Telemark e di Mongstad in Hordland. Dal 1978 la
Norvegia ha un proprio Ministero per il petrolio e l’energia (Olje-
og energi­depar­tementet)52 che gestisce non solo il fabbisogno inter-
no (per il quale il Paese è, evidentemente, autosufficiente) ma anche
la vendita del surplus i cui proventi sono destinati a un fondo
pensioni gestito (non senza critiche) dalla Banca nazionale.
Il governo di Per Borten cadde nel 1971 per dissidi sulla questio­
ne dell’adesione alla Comunità europea.53 Con la sua caduta e la
nomina dell’esecutivo socialdemocratico guidato da Trygve Brat-
teli (1910-1984) si inaugura una fase di alternanza politica che vedrà
la prevalenza ora dell’una ora dell’altra parte.54
La questione dell’adesione all’Europa (che fino a ora ha visto la
maggioranza dei Norvegesi optare per il no) doveva comunque ave-
re effetti sugli equilibri dei partiti, contribuendo, con divisioni e
seces­sioni, a indebolire le forze politiche tradizionali. A sinistra i
socialisti e i comunisti, nettamente contrari all’Unione, formarono
(1973) l’Al­leanza elettorale socialista (Sosialistisk Valgforbund) alla
quale ade­rirono anche i Socialisti democratici (Demokratiske Sosia­
grandi compagnie del settore al mondo (dal 2009 Statoil ASA). Sulla Norsk Hydro
cfr. p. 1028, nota 291.
52
 Tra il 1993 e il 1996 questo ministero fu accorpato con quello dell’Economia
(Nærings­departementet) nel Ministero dell’economia e dell’energia (Nærings- og energi­
departementet) per poi essere nuovamente scorporato. Si noti qui che il dibattito sui
problemi ecologici legati all’accresciuta industrializzazione (e intensifi­cato in relazione
ai timori di impatto ambientale dell’industria petrolifera) aveva trovato una risposta
governativa nella costituzione, fin dal 1972, del Ministero per la difesa dell’ambiente
(Miljø­vern­departementet). Nel 1980 l’industria petrolifera norvegese fu colpita dalla
catastrofe della piattaforma Alexander Kielland (dal nome del celebre scrittore, vd. p.
1080), posizionata nel campo petrolifero Ekofisk nel Mare del Nord, che a causa di
una tempesta si rovesciò provocando la morte di cento­venti­tré persone.
53
 Vd. oltre, pp. 1242-1243.
54
 Dopo il primo governo Bratteli (1971-1972), toccherà a un esecutivo conserva-
tore (1972-1973) presieduto da Lars Korvald (1916-2006), poi di nuovo a Trygve
Bratteli (1973-1976), seguito da un altro socialdemocratico, Odvar Nordli (n. 1927),
in carica dal 1976 al 1981. Tra i provvedimenti di quest’ultimo governo l’estensione di
una zona economica esclusiva a 220 miglia nautiche dalle coste (1977).

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I Paesi scandinavi sullo scenario europeo e mondiale 1221

lister, un gruppo sorto in quel medesimo periodo proprio sulla base


della contrarietà all’ingresso in Europa) e alcuni membri del Partito
dei lavoratori. Questa coalizione ebbe un immediato successo eletto-
rale, raccogliendo nelle votazioni tenute in quell’anno più dell’11%
dei suffragi. Essa poi fu consolidata nella fondazione (1975) del
Partito socialista di sinistra (Sosia­listisk Venstre­parti). A destra la
frattura riguardò i liberali della Sinistra dalla quale si separò un grup-
po che si organizzò (1972) nel Nuovo partito popolare (Det nye
folkepartiet)55 che tuttavia sedici anni dopo si sarebbe riunificato con
la Sinistra. Ma in questi anni (1973) nasceva nella destra estrema anche
una nuova forza, il Partito di Anders Lange per una forte riduzione
delle tasse, delle imposte e dell’intervento statale (Anders Langes
Parti til sterk ned­settelse av skatter, avgifter og offentlige inn­grep), il
cui fondatore (1904-1974) poneva le basi di quello che sarebbe dive-
nuto (1977) il Partito del progresso (Frem­skritt­partiet), da più parti
consi­derato una formazione populista. Per altro esso avrebbe comin-
ciato ad avere una consistente presenza in parlamento a partire dalle
elezioni del 1989 (con un calo solo nel 1993) fino a diventare (2009)
la maggiore forza di opposizione con quasi il 23% dei consensi. Al
suo successo hanno contribuito leader carismatici come Carl Ivar
Hagen (n. 1944) che ne è stato alla guida per 28 anni e Siv Jensen (n.
1969) i quali hanno saputo interpretare la sfiducia degli elettori nei
tradizionali partiti di destra, il disagio sociale (soprattutto in materia
di immigrazione) e opinioni conservatrici su questioni di grande
rilevanza come aborto, diritti degli omosessuali e simili.
Nel 1981 Gro Harlem Brundtland (n. 1939), esponente social­
democratica, fu la prima donna norvegese a diventare primo mini-
stro; il suo governo sarebbe tuttavia durato solo pochi mesi. Nelle
elezioni tenute il 14 settembre di quell’anno la socialdemo­crazia
perse più del 5% dei consensi e dovette cedere il passo ai conser-
vatori. A capo del nuovo governo fu nominato Kåre Willoch (n.
1928), rappresentante della Destra che rimase in carica anche dopo
le elezioni del 1985, seppure dovesse ricorrere all’appoggio del
Partito del progresso. Erano quelli, ancora, anni segnati da una
crescita economica che pareva non dover finire: una serie di ele-
menti concomitanti rovesciò invece la situazione determinando una
crisi per molti versi inattesa. Fattori scatenanti furono il cedimen-
to dei titoli di borsa (che avevano raggiunto livelli insostenibili) e
la caduta del prezzo del petrolio, il che ebbe come conseguenze la
55
Dal 1980 il Nuovo partito popolare avrebbe mutato la propria denominazione
in Partito popolare liberale (Det Liberale Folke­partiet). Questo nome sarebbe stato
ripreso nel 1992 da una nuova formazione politica.

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1222 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

crisi bancaria, la svalutazione della corona, la discesa del valore


degli immobili, i fallimenti. La politica governativa di liberalizza-
zioni non era esente da responsabilità e, nonostante gli introiti
ridotti per via del calo dei prezzi del petrolio, lo Stato dovette
intervenire per sostenere massicciamente gli istituti di credito. Nel
1986 Gro Harlem Brundtland fu nuovamente nominata capo del
governo, alla guida di un esecutivo con una importante presenza
femminile. A questa compagine toccò il compito di portare avanti
una politica di rigore. Centrali erano il problema della disoccupa-
zione (che toccherà il punto più alto nel 1992 per poi regredire) e
quello della spesa pubblica, tuttavia si poté contenere l’inflazione
a livelli accettabili. Come altrove l’insoddisfazione sociale si tradus-
se in disaffezione politica e alle elezioni del 1989 tutti i partiti tra-
dizionali persero molti consensi a vantaggio di formazioni come il
Partito socialista di sinistra e il Partito del progresso. Si tornò così
a un governo conservatore,56 che tuttavia incontrò notevoli diffi-
coltà sulla questio­ne dell’adesione allo Spazio economico europeo
e di nuovo dovette cedere il posto a un esecutivo socialdemocrati-
co, ancora una volta guidato da Gro Har­lem Brundtland che restò
in carica dal 1990 al 1996, quando fu sosti­tuita da Thorbjørn Jagland
(n. 1950), anch’egli socialdemocratico, al potere fino al 1997.
I continui cambiamenti d’umore dell’elettorato (in gran parte
influenzato dalle posizioni dei diversi partiti sulla questione dell’ade­
sione all’Europa) hanno continuato a condizionare la vita politica
norvegese, determinando nelle successive elezioni il consolidamen-
to o l’indebolimento delle diverse forze politiche: ciò si è, natural­
mente, riflesso nella composizione delle alleanze, non sempre
soste­nute da una maggioranza sufficientemente autonoma. Spesso
ci si è dunque piuttosto dovuti affidare alle qualità politiche dei
leader, come nel caso dell’esponente del Partito popolare cristiano
Kjell Magne Bondevik (n. 1947) che è stato a capo del governo una
prima volta tra il 1997 e il 2000 e una seconda volta tra il 2001 e il
2005.
Nel 1991 moriva il re Olav V e gli succedeva il figlio Harald V
(n. 1937). L’attuale erede al trono, il principe Haakon Magnus (n.
1973) ha contratto matrimonio nel 2001 con Mette-Marit Tjessem
Høiby (n. 1973), di famiglia non aristocratica: questa unione ha
destato un certo scalpore non tanto per la non appartenenza della
sposa alla nobiltà (questione ormai senza rilevanza alcuna), quanto

56
 Primo ministro fu, questa volta, Jan Peder Syse (1930-1997), rappresentante
della Destra.

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I Paesi scandinavi sullo scenario europeo e mondiale 1223

piuttosto per il suo passato (da lei stessa pubblicamente ricono-


sciuto come sconveniente) e per il fatto che ella aveva un figlio nato
da una precedente relazione. Sulla base di una modifica costituzio-
nale ap­provata nel 1990, la loro primogenita Ingrid Alexandra (n.
2004) sarà, a suo tempo, la prima donna a salire sul trono norve-
gese dopo la regina Margherita nel 1385.57
Dagli anni ’90 al centro del dibattito politico sono tornati i temi
di carattere sociale, così come la questione dell’istruzione e della
cultura, un campo nel quale sono stati presi importanti provve­
dimenti.58 Tra il 2000 e il 2001 e successivamente dal 2005 al 2013
primo ministro norvegese è stato il socialdemocratico Jens Stolten­
berg (n. 1959) la cui ultima coalizione comprendeva anche il Par-
tito socialista di sinistra e il Partito di centro: un’alleanza inedita
nella quale, appunto, si sono riflessi i cambiamenti del quadro
politico nel Paese. Il programma concordato da queste forze riguar­
dava inter­venti di carattere sociale relativi a ospedali e scuole ma
anche la regolamentazione dei diritti degli omosessuali; piani eco-
nomici (in ambito petrolifero e agricolo) e il disimpegno dei solda-
ti norvegesi dalle aree di guerra.59 In seguito alle elezioni svoltesi
nel settembre del 2013 è risultata vincente la coalizione di centro-
destra ed Erna Solberg (n. 1961), rappresentante della Destra è
stata nominata primo ministro.
Il terzo millennio ha visto in Norvegia un costante miglioramen-
to della situazione economica (per quanto non siano mancati i
conflitti nel mondo del lavoro, accompagnati da importanti scio-
peri nel 2000 e nel 2002); la tendenza positiva è stata tuttavia fre-
nata dallo scoppio nel 2008 della nuova crisi mondiale. Ma aldilà
della congiuntura econo­mica la storia recente della Norvegia è
stata segnata dalla terri­bile azione terroristica del 22 luglio del 2011,
quando un estremista di destra, Anders Behring Breivik (n. 1979)
ha dapprima fatto esplodere un’autobomba a Oslo nei pressi dei
palazzi del governo, poi (tra­vestito da poliziotto norvegese) si è

57
Su Margherita si rimanda al paragrafo 7.1.1. La modifica costituzionale (che
riguarda il § 6, approvata il 29 maggio 1990) ha introdotto la discendenza al trono
cognatica, tuttavia ha stabilito che per i nati prima del 1990 valga ancora il principio
della discendenza maschile: per questo motivo la sorella del principe ereditario Haakon,
Märtha Louise (n. 1971), pur essendo maggiore di lui, ne è rimasta esclusa.
58
Ciò non riguarda solo l’istruzione primaria fatta oggetto di diversi decreti di
legge ma anche la fondazione di nuovi istituti di istruzione superiore e di università;
cfr. pp. 1026-1027 con nota 288.
59
Jens Stoltenberg aveva guidato il suo primo governo tra il 2000 e il 2001 ma in
seguito alla forte perdita di consensi elettorali aveva dovuto cedere il passo ai con­
servatori.

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1224 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

recato sull’isola di Utøya (nel Tyrifjorden in Buske­rud), dove era


allestito un campo estivo del settore giovanile del Partito socialde-
mocratico: lì ha aperto il fuoco uccidendo a sangue freddo decine
di ragazzi. Il tragico computo delle sue vittime include otto morti
nella capitale e sessantanove a Utøya. Riconosciuto capace di inten-
dere e di volere Breivik per questo crimine (dettato, a suo dire,
dalla necessità di difendere i valori europei e cristiani messi in
pericolo dalla politica del governo) è stato condannato a ventuno
anni di carcere, la pena massima prevista dal codice penale norve-
gese. Se ancora ce ne fosse stato bisogno questo terribile episodio,
che ha suscitato ovunque angoscia ed esecrazione, ha dolorosamen-
te mostrato come anche la Norvegia debba ‘fare i conti’ con pro-
blematiche che coinvolgono ormai tutti i Paesi.

14.1.5. Islanda

La fine della guerra segnava per l’Islanda il vero inizio della


nuova vita come repubblica pienamente indipendente. Questo
senso della ritrovata autonomia si radicò rapidamente e costituì la
base di una diffusa intolleranza nei confronti di qualsiasi interfe-
renza stra­niera nella politica del Paese. Con ciò facendo riferimen-
to non solo agli Stati uniti e alla Gran Bretagna, bensì anche all’Unio-
ne sovietica verso la quale a lungo ha guardato il Partito comunista.60
In effetti, subito dopo la guerra si era posta la questione della base
di Keflavík che gli Americani mostravano di non voler lasciare e
l’accordo raggiunto nel 1946 era parso a molti tutt’altro che sod-
disfacente, al punto che aveva determinato la caduta del governo.61
In ogni caso esso fu rispettato e fino al 1951 l’Islanda fu libera
dalla presenza militare straniera. In quell’anno tuttavia gli Ameri-
cani sarebbero ritornati. Il 30 marzo del 1949 infatti, pur a fronte
di accese proteste e duri scontri fuori dalla sede del parlamento,
esso aveva approvato l’adesione alla NATO e nel quadro di questo
accordo ne fu succes­sivamente stipulato un altro che affidava agli
Stati uniti la difesa del Paese a tempo indeterminato.62 In effetti essi

60
Per altro anche in Islanda opereranno tra gli anni ’70 e ’80 formazioni comuniste
ancor più radicali come l’Associazione comunista marxista-leninista (Kommúnista-­
samtökin marxistarnir-lenínistarnir) e l’Unione comunista (Einingar­samtök kommúni-
sta) filocinese.
61
Vd. sopra, p. 1164 con nota 180.
62
Sugli avvenimenti del 30 marzo vd. Jónsson P.H. – Guðlaugsson B., 30. mars
1949, Reykjavík 1976.

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I Paesi scandinavi sullo scenario europeo e mondiale 1225

sarebbero rimasti fino al 2006, quando da parte americana è stata


comunicata la decisione unilaterale di ritirare le proprie truppe, il
che è stato effettivamente portato a termine.
Durante la guerra, come è stato detto, l’Islanda aveva goduto di
un significativo sviluppo economico ed era stato possibile anche
accumulare una certa riserva finanziaria. Ciò non di meno nel
primo dopoguerra (1948) essa beneficiò in misura consistente degli
aiuti previsti dal piano Marshall e dovette ristrutturare la propria
econo­mia. Un settore fondamentale della quale era costituito dall’in-
dustria del pesce, risorsa primaria per il Paese. Con il diffondersi
di imbarcazioni moderne dotate di strumenti tecnologicamente
avanzati il numero dei pescherecci stranieri nelle ricche acque
circostanti l’isola (una presenza consueta almeno dal XV secolo) si
era fatto ora eccessivo: ciò indusse nelle autorità la volontà di sta-
bilire precise limitazioni al fine di difendere gli interessi nazionali.
Nel periodo in cui era soggetta alla Danimarca l’Islanda aveva
dovuto subire le politiche commerciali del dominatore, ivi compre-
sa la disposizione (1901) che fissava a sole tre miglia dalla costa il
limite delle sue acque territoriali. Ciò era legato a un accordo con
gli Inglesi, che con una pesca intensiva non soltanto sottraevano
risorse ma mettevano anche a rischio l’equilibrio della fauna mari-
na. Fu così che, una volta che si poté finalmente decidere autono-
mamente, da parte islandese venne emanata una serie successiva di
provvedimenti. Innanzi tutto fu promulgata una legge per la pro-
tezione delle aree di pesca attorno alle coste del Paese;63 poi furono
emessi decreti che successiva­mente estesero il limite delle acque
territoriali a quattro (1952), a dodici (1958), a cinquanta (1972) e
infine a duecento miglia marine (1975). Fu inoltre stabilito di
chiudere le acque interne dei fiordi ai pescherecci stranieri. Queste
decisioni provocarono la reazione degli Inglesi che diedero il via a
quelle che sono ricordate come “guerre del merluzzo” (þorska­
stríðin). La prima volta essi presero la deci­sione di boicottare i
prodotti della pesca islandese, ciò tuttavia ebbe scarso effetto dal
momento che essi furono presto indirizzati verso altri mercati; poi
rifiutarono di riconoscere il limite delle dodici miglia facendo
scortare i propri pescherecci da navi di pattuglia per evitare l’in-
tervento della guardia costiera, il che in qualche occasione provo-
cò incidenti e scaramucce. Nel 1961 fu comunque trovato un
accordo di massima. Quando nel 1972 il limite delle acque territo-
riali fu esteso a cinquanta miglia il conflitto riesplose e questa

63
Landgrunnslögin, 5 aprile 1948.

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1226 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

volta a fianco degli Inglesi si schierarono i Tedeschi della Germania


ovest. La ‘guerra’ fu portata avanti con determinazione: navi mili-
tari inglesi violarono sistematicamente il limite imposto dall’Islan-
da per difen­dere i propri pescherecci ai quali, in diversi casi, gli
Islandesi riusci­rono a tagliare le reti causando loro un gravissimo
danno. Per altro entrambi i contendenti si rivolsero alla Corte
internazionale dell’Aja che dichiarò illegittimo il limite delle 50
miglia. Anche questa volta un compromesso fu comunque raggiun-
to. Ma dopo la decisione islandese di estendere ulteriormente il
limite a duecento miglia dalla costa la situazione di nuovo si aggra-
vò: mentre diversi Paesi (inclusa la Germania ovest) riuscirono a
trovare un accordo, la Gran Bretagna mantenne una posizione
rigida e agli scontri in mare si aggiunse (1976) la rottura delle rela-
zioni diplomatiche. Ciò suscitò molta preoccupazione negli ambien-
ti della NATO, non soltanto perché entrambi i contendenti erano
membri dell’organizzazione, ma anche per la necessità di evitare
che, in piena guerra fredda, l’Islanda deci­desse di chiudere la base
di Keflavík. La contesa fu infine risolta nel 1977 dopo una tratta-
tiva svolta a Oslo, anche per via della decisione della Comunità
economica europea di stabilire quello stesso limite di duecento
miglia per i Paesi membri (quindi anche per la Gran Bretagna).64
Queste ‘guerre’ per la pesca mostrano in modo esplicito quanto
l’economia islandese fosse dipendente da questo settore. E il deci-
so intervento governativo (che, pure, osava mettere la piccola
Islanda di fronte al colosso inglese!) si lega all’impegno statale a
intervenire con utili provvedimenti nel mondo del lavoro, per
sostenere l’indu­stria, combattere la disoccupazione e ridurre le
tasse. Infatti, una volta esaurite le riserve monetarie accantonate in
tempo di guerra, molti problemi economici si erano ripresentati e
i primi anni ’50 (in particolare il 1952 e il 1955) sono ricordati anche
per importanti scioperi. Un’altra questione di grande impatto
sull’economia islan­dese fu quella dell’elevatissima inflazione. Ad
affrontare questi problemi si susseguirono diversi esecutivi.65 In
64
Per un approfondimento su tutta questa questione si rimanda a Jóhannesson
G.Th., Þorskastríðin þrjú. Saga land­helgis­málsins 1948-1976, Reykjavík 2006.
65
Dopo la caduta del “governo della ricostruzione” (vd. sopra, p. 1163), si formò nel
1947 una coalizione composta dai socialdemocratici, dal Partito del Progresso e dal Parti-
to dell’indipendenza con a capo Stefán Jóhann Stefánsson (1894-1980) che decise, tra
l’altro, l’adesione al Patto atlantico e dovette affrontare le violente mani­festazioni di dissen-
so nei confronti di questa scelta svoltesi fuori dal palazzo del parlamento durante la discus-
sione relativa (vd. sopra, p. 1224 con nota 62). Caduto nel 1949 per disaccordi in materia
economica, il governo Stefánsson fu sostituito da un esecutivo di minoranza, formato solo
dal Partito dell’indipendenza e guidato da Ólafur Thors, che tuttavia ebbe durata assai

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I Paesi scandinavi sullo scenario europeo e mondiale 1227

effetti un aspetto della politica islandese è che nel Paese non esiste
un partito che disponga di forza elettorale sufficiente per governa-
re da solo. Si sono dunque dovute di volta in volta creare nuove
coalizioni. Ciò anche perché il dopoguerra ha visto nascere, accan-
to ai partiti tradizionali, nuove formazioni politiche. Tra di esse
quelle di maggiore consistenza sono: il Partito della difesa nazio-
nale (Þjóðvarnarflokkurinn), forte­mente contrario alla NATO e alla
presenza americana sul territorio islandese, che ebbe rappresen-
tanti in parlamento tra il 1953 e il 1957; l’Alleanza socialdemocratica,66
l’Unione dei liberali e della Sinistra (Samtök frjáls­lyndra og vinstri­
manna), sorta nel 1969 e ostile alla perma­nenza nella NATO;67
l’Associazione per una lista delle donne (Samtök um kvennalista)
presente in parlamento dal 1983; il Partito dei cittadini (Borgara­
flokkurinn) politicamente attivo dal 1987 al 1994; il partito del
Risveglio nazionale (Þjóðvaki), formazione populista di sinistra,
sorto nel 1994.68 Nel 1998 veniva fondato il Movimeno democrati-
co (Lýðræðishreyfingin), che tuttavia sarebbe durato solo una deci-
na d’anni. Nel 1999 nasceva una più ampia Alleanza socialdemo-
cratica nella quale confluivano, oltre a quella fondata nel 1956, il
Partito socialdemocratico, l’Associazione per una lista delle donne
e il Risveglio nazionale: ciò avrebbe dato vita a una solida compa-
gine di sinistra, successivamente nota semplicemente come Allean-
za (Samfylkingin).69 Nel 1959 (dopo la breve esperienza di un ese-

breve (dal dicembre 1949 al marzo 1950). Sulla base di un accordo con il Partito dell’indi-
pendenza nacque poi il governo di Steingrímur Steinþórsson (1893-1966) che nel 1953
cedette la carica di primo ministro nuovamente a Ólafur Thors. Questa alleanza si protras-
se fino al 1956. Successivamente Hermann Jónasson (1896-1976), leader del Partito del
progresso che già era stato primo ministro tra il 1934 e il 1942, divenne capo di un esecu-
tivo sostenuto anche dal Partito socialdemocratico e dall’Alleanza socialdemocratica (let-
teralmente “Allean­za popolare”, Alþýðu­banda­lagið), guidata da Hanni­bal Valdimars­son
(1903-1991), una formazione elettorale creatasi nello stesso anno dall’unione del Partito
socialista con alcuni ‘esuli’ socialdemocratici. Hermann Jónasson restò in carica fino al 1958.
66
Cfr. nota precedente. Si ricordi qui che in precedenza (1930) i medesimi socialde­
mocratici avevano conosciuto l’abbandono di coloro che avevano formato il Partito
comunista, filosovietico, e (1938) di coloro che avevano dato vita al Partito socialista.
67
Ne fu fondatore lo stesso Hannibal Valdimars­son, che aveva lasciato l’Alleanza
socialdemocratica (cfr. nota 65).
68
Una formazione minore fu il Partito umanista (Húmanista­flokkurinn), sorto nel
1984, che non ha mai avuto rappresentanti in parlamento.
69
In realtà il nome completo è Alleanza-Partito socialdemocratico d’Islanda
(Samfylkingin – jafnaðarmannaflokkur Islands). Dal gruppo si sarebbero staccati
alcuni membri che avrebbero dato vita al Movimento di sinistra – Proposta (lette-
ralmente “offerta”, “candidatura”) verde (Vinstrihreyfingin–grænt framboð) più
orien­tato ai tradizionali valori socialisti; al contrario nel 2009 vi sarebbe confluito il
Movimento islandese terra - viva (Íslands­hreyfingin – lifandi land), sorto nel 2007.

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1228 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

cutivo socialdemocratico guidato da Emil Jónsson (1902-1986), si


formò una coalizione tra il Partito dell’indipendenza e il Partito
socialdemo­cratico che diede vita a una proficua collaborazione che
sarebbe andata avanti (seppure con diversi primi ministri) fino al
1971.70 In seguito, fino al 1991, si sono alternate diverse coalizioni
che da diverse prospettive politiche hanno cercato di affrontare i
problemi del Paese.71 Problemi almeno in parte preannunciati nei
diversi scioperi dei primi anni ’60, come quello del 1963 in seguito
al quale si era trovato un accordo sui salari. La congiuntura nega-
tiva si manifestò tuttavia (accompagnata da altre astensioni dal
lavoro) nella seconda metà dei medesimi anni ’60: nel 1967 essa era
concla­mata e segnata da una elevata disoccupazione. L’anno succes­
sivo si sommò una grave crisi nel settore della pesca, determinata
dalla scomparsa dei banchi di aringhe,72 una risorsa che fino ad
allora aveva garantito ottimi profitti. I problemi furono poi ulte-
riormente aggravati dalla crisi energetica del 1973. Il 24 ottobre
1975 (anno internazionale della donna) la quasi totalità delle don-
ne islandesi (più del 90%) entrò in sciopero per una intera giorna-
ta allo scopo di dimostrare l’importanza del proprio contributo al
funziona­mento della società e rivendicare uguaglianza sociale e di
diritti: più di ventimila persone si radunarono nel centro della
capitale per una manifestazione. Ma ripetutamente negli anni ’70
e ’80 ci furono astensioni da lavoro.
Come se non bastasse, nella notte tra il 22 e il 23 gennaio 1973 si
verificò una devastante eruzione vulcanica a Heimaey, unica isola
abitata nell’arcipelago delle Vestmannaeyjar:73 nonostante qualche
70
Il governo fu guidato, in successione, da Ólafur Thors, Bjarni Benediktsson
(1908-1970) e Jóhann Hafstein (1915-1980).
71
Si indicano qui i primi ministri (con le rispettive coalizioni) che si sono succeduti
in quel ventennio: dal 1971 al 1974 Ólafur Jóhannes­son (1913-1984) del Partito del
progresso insieme all’Alleanza socialdemocratica e all’Unione dei liberali e della Sinistra;
dal 1974 al 1978 Geir Hallgrímsson (1925-1990) del Partito dell’indi­pendenza insieme
al Partito del progresso; dal 1978 al 1979 di nuovo Ólafur Jóhannes­son insieme al
Partito socialdemocratico e all’Alleanza socialdemocratica; dal 1979 al 1980 Benedikt
Sigurðsson Gröndal (1924-2010), con un monocolore social­democratico; dal 1980 al
1983 Gunnar Thoroddsen (1910-1983) con alcuni suoi seguaci usciti dal Partito dell’in-
dipendenza insieme al Partito del progresso e all’Alleanza socialdemocratica; dal 1983
al 1987 Steingrímur Hermannsson (1928-2010) del Partito del progresso insieme al
Partito dell’indipendenza; dal 1987 al 1988 Þorsteinn Pálsson (n. 1947) del Partito
dell’indipendenza insieme al Partito del progresso e ai socialdemocratici; dal 1988 al
1991 ancora Steingrímur Hermannsson (per due mandati) insieme a socialde­mocratici,
all’Alleanza socialdemocratica e (nel secondo esecutivo) anche al Partito dei cittadini.
72
Questo fatto avrebbe in seguito determinato provvedimenti di totale proibizione
o comunque di severa restrizione di questo tipo di pesca.
73
Come è stato ricordato in precedenza, l’Islanda è un territorio di intensa attività

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I Paesi scandinavi sullo scenario europeo e mondiale 1229

scossa tellurica di avvertimento il fenomeno si verificò quasi improv­


visamente, tuttavia la popolazione (circa 5000 persone) poté esse-
re totalmente evacuata, la gran parte via mare ma alcuni per via
aerea (anche grazie al supporto delle forze americane). L’eruzione,
che portò alla formazione di un nuovo vulcano (cui venne dato
nome Eldfell, vale a dire “Montagna di fuoco”) andò avanti fino al
mese di giugno. Alla fine le case di Heimaey (quelle risparmiate
dalla lava e dal fuoco) erano ricoperte da una coltre di ceneri e
lapilli alta, in certi punti, fino a cinque metri. L’ingresso del vecchio
porto aveva rischiato di essere ‘sigillato’ dalla lava, ma ciò fu evita-
to grazie a un’operazione di raffreddamento della medesima median-
te il pom­paggio di acqua di mare. La lava aveva comunque ‘costrui-
to’ una diga che lo avrebbe reso più riparato e sicuro. Del resto non
fu questo l’unico cambiamento nella morfologia dell’isola, comple-
tamente stravolta dagli effetti dell’eruzione. Abituati a sfruttare al
massimo le loro risorse naturali gli Islandesi hanno poi utilizzato il
calore derivante dal lento raffreddamento della roccia per produr-
re acqua calda; inoltre hanno impiegato l’enorme quantità di tefri-
te caduta sull’isola come materiale di cantiere. Tuttavia i costi
della ricostruzione di Heimaey (completata in meno di tre anni)
sarebbero stati sostenuti dagli Islandesi, seppure giungessero anche
consistenti contributi dall’estero.74
Di particolare gravità per l’economia islandese è stato a lungo il
problema della costante perdita di valore della loro valuta, trasci-
natosi almeno fino all’inizio degli anni ’90. Nel 1979, dimostratasi
insufficiente la svalutazione, si stabilì di togliere dalla circolazione
la vecchia corona sostituendola con una nuova per un controvalo-
re di 1 a 100.75 Ciò nonostante ancora nel 1985 l’inflazione toccò

sismica e vulcanica. Episodi importanti che hanno preceduto la devastante eruzione su


Heimaey si sono avuti nel 1963 e nel 1970. Nel primo caso si è trattato di una eruzione
sottomarina in seguito alla quale si è formata un’isola che ha continuato a ‘crescere’ fino
al giugno del 1967 per poi gradatamente ridursi. Essa è stata battezzata Surtsey, vale a
dire “Isola di Surtr”, dal nome di un mitologico gigante del fuoco (vd. Chiesa Isnardi
20084 [B.7.1], p. 321). Nel secondo caso a eruttare è stato invece il vulcano Hekla (che si
è ripetuto nel 1980-1981, nel 1991 e nel 2000). Più recentemente (2010) è stata la volta
del vulcano che si trova sotto il ghiacciaio Eyjafjallajökull, nel sud del Paese, le cui cene-
ri hanno creato notevoli problemi al traffico aereo in diverse zone del continente europeo;
nel 2014 si sino nuovamente temuti i problemi per i voli sull’Europa in seguito all’attivi-
tà del Bárðarbunga che si trova sotto la superficie dell’enorme ghiacciaio Vatnajökull.
74
Vd. Einarsson Þ., Gosið á Heimaey, Reykjavík 1974. A questo evento è ispirato
anche il romanzo dello scrittore Agnar Þórðarson (1917-2006) dal titolo Richiamato a
casa (Kallaður heim) del 1983.
75
Il provvedimento relativo (Lög um breytt verðgildi íslensks gjaldmiðils) fu ema-
nato il 29 maggio 1979, tuttavia la sua entrata in vigore fu stabilita al 1 gennaio 1981.

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1230 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

la punta del 138% ma due anni dopo essa era contenuta nella
percentuale assai più bassa del 15%. Ancora nel 1989 tuttavia ci
furono impo­nenti manifestazioni contro l’aumento dei prezzi, il
che avrebbe reso necessarie ulteriori svalutazioni. La seconda metà
degli anni ’80 è stata in Islanda un periodo di agitazioni sociali e
scioperi. Nonostante (e forse anche a motivo di) questi problemi
l’economia del Paese si è dimostrata capace di diversificarsi, ren-
dendosi in tal modo meno fragile. Consolidato (anche grazie alla
‘vittoria’ nelle “guerre del merluzzo”) il settore della pesca, nuove
fonti di reddito sono state individuate. Accanto al tradizionale alle-
vamento degli ovini, l’agri­coltura si è aperta ad altre attività (tra cui
la produzione di ortaggi e frutta in serre riscaldate grazie all’energia
geotermica); l’industria (che in misura ancora maggiore fa ricorso
a questa risorsa) ha avviato importanti impianti in diverse zone.
Dagli anni ’70, grazie al miglioramento delle comunicazioni, l’iso-
la è divenuta una meta turistica molto frequentata, il che ha natu-
ralmente generato occupa­zione. Inoltre è cresciuto il settore ter-
ziario e dei servizi (legato anche alla creazione dello stato sociale).
Il mondo del lavoro conosce ora la presenza di immigrati che si è
fatta, specie negli ultimi anni, davvero consistente. Questi cambia-
menti hanno trovato un riflesso nella politica con la nascita di
movimenti che si prefiggono come obiettivo la salvaguardia del
patrimonio naturale del Paese,76 o di gruppi che ritengono di
doverlo difendere piuttosto sul piano etnico.77
Nel 1991 con la nomina a primo ministro di Davíð Oddsson (n.
1948) fu raggiunta una soddisfacente stabilità politica: dapprima
con un esecutivo formato dal Partito dell’indipendenza e dal Par-
tito socialdemocratico e poi grazie a una alleanza con il Partito del
progresso, egli sarebbe rimasto in carica, con quattro successivi
man­dati, per ben tredici anni, fino al 2004. Il suo governo portò
avanti una politica di liberalizzazioni e di sgravi fiscali. A lui suc-
cedettero (con la medesima coalizione) Halldór Hallgrímsson (n.
1947) del Partito del progresso, in carica dal 2004 al 2006, e Geir
Hilmar Haarde (n. 1951), del Partito dell’indipendenza, in carica
dal 2006 al 2007; quest’ultimo sarebbe poi stato confermato dal
76
 Il Ministero dell’ambiente e delle risorse naturali (Umhverfis- og auðlinda­
ráðuneytið), costituito in Islanda nel 1990, è stato recentemente (2013) accorpato con
il Ministero della pesca e dell’agricoltura (Sjávarútvegs- og land­búnaðar­ráðuneytið) il
che ha sollevato le perplessità degli ambientalisti, anche in relazione ai problemi lega-
ti alla caccia alle balene.
77
 Così, a esempio, la formazione sorta nel 2003 che si è data nome Forza nuova
(Nýtt afl). Essa è in seguito confluita nel Partito liberale (Frjálslyndi flokkurinn) sorto
nel 1998.

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I Paesi scandinavi sullo scenario europeo e mondiale 1231

2007 al 2009, in quest’ultimo caso tuttavia in collaborazione con


l’Alleanza. A questo governo sarebbe toccato affrontare la gravis-
sima crisi finanziaria (causata a sua volta da una crisi bancaria) del
2008, che quasi improvvisamente (ma a una approfondita analisi
non inaspettatamen­te) irrompeva nella vita degli Islandesi, ormai
abituati a un elevato standard di vita. Legata come è noto a un
pesantissimo indebita­mento, essa ha provocato nel novembre di
quell’anno imponenti ma­nifestazioni di piazza. Conseguenza poli-
tica di questo fatto è stata, all’inizio dell’anno successivo, la caduta
del secondo governo Haarde sostituito da una coalizione dell’Al-
leanza e del Movimento di sinistra – Proposta verde. Alla carica di
primo ministro fu nominata (per la prima volta nella storia islan-
dese) una donna, Jóhanna Sigurðardóttir (n. 1942). Alle recenti
elezioni si sono presentate molte forze nuove, la cui nascita è
legata al persistente dibattito sulla crisi finanziaria del 2008 ma
anche ai problemi della crisi globale e alla questione dell’a­desione
o meno all’Europa.78 Il risultato elettorale ha premiato i conserva-
tori con una netta vittoria e il rappresentante del Partito del pro-
gresso Sigmundur Davíð Gunnlaugs­son (n. 1975) ha formato il
nuovo governo soste­nuto anche dal Partito dell’indipendenza.
Nel corso del secondo dopoguerra la rinata repubblica islande-
se è stata rappresentata in primo luogo nelle figure di diversi pre-
sidenti, i quali, tranne il primo, nominato al parlamento nel 1944,
vengono eletti direttamente dal popolo. In questa scelta gli Islan-
desi hanno mostrato di privilegiare il principio della continuità.
Nel 1948 infatti essi rinnovarono la propria fiducia a Sveinn Björns-
son che restò in carica fino alla morte (1952). A lui seguì Ásgeir
Ásgeirsson (1894-1972) rieletto per ben tre volte e sostituito nel
1968, da Kristján Eldjárn (1916-1982), dopo aver espressamente
rinunciato a un nuovo mandato. Scelta fatta anche da quest’ultimo
78
Tali sono (tra parentesi l’anno di costituzione): Sturla Jónsson (2008), formazio-
ne che porta il nome del suo fondatore, un camionista (n. 1966) resosi particolarmen-
te attivo nelle proteste di piazza del 2008; il Partito popolare dei verdi di destra (Hægri
Grænir flokkur fólksins, 2010) fautore di una politica di libero mercato; il partito dei
Pirati (Píratar, 2012) che si batte per un’assoluta libertà di informazione; Futuro
luminoso (Björt framtíð, 2012), favorevole all’ingresso dell’Islanda in Europa; Alba –
Associazione politica per la giustizia, l’equità e la democrazia (Dögun – stjórn­mála­samtök
um réttlæti, sanngirni og lýðræði, 2012), in cui sono confluiti gruppi minori come
Movimento (Hreyfingin), Movimento dei cittadini (Borgara­hreyfingin) e il Partito
liberale (cfr. nota precedente); il Partito della famiglia (Flokkur Heimilanna, 2013) nato
dall’unione di forze minori; Arcobaleno (Regnboginn, 2013), che raccoglie i socialisti
euroscettici; il Partito rurale (Lands­byggðar­flokkur, 2013), che si propone di favorire
lo sviluppo di tali aree; Vigilanza democratica (vd. nota successiva); Alleanza popola-
re (Alþýðu­fylkingin, 2013) di tendenze anticapi­talistiche.

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1232 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

al quale seguì (1980) Vigdís Finnbogadóttir (n. 1930), rimasta in


carica per quattro mandati di seguito. Come è stato detto ella è
stata la prima donna al mondo a diventare presidente della repub-
blica in seguito a elezioni democratiche. Dal 1996 è in carica Óla-
fur Ragnar Grímsson (n. 1943). Re­centemente, dopo anni di discus-
sione e di studi preparatori, è stata finalmente redatta da un appo-
sito comitato la bozza di una nuova costituzione che è stata tra-
smessa al parlamento il 29 luglio 2011. Essa è poi stata sottoposta
a referendum consultivo il 20 ottobre 2012, dopo di che la discus-
sione è stata rimessa all’assemblea legi­slativa che tuttavia non ha
ancora trovato un accordo.79
Nel 1974 l’Islanda festeggiava gli undici secoli dalla sua prima
colonizzazione:80 una grande celebrazione con la partecipazione
di migliaia di persone, ma anche l’occasione per ripercorrere la
propria storia e misurare i grandi cambiamenti avvenuti nel corso
dei secoli. Il Paese, per lungo tempo relegato non solo geografi-
camente alla periferia dell’Europa, è ora pienamente integrato
nello scenario poli­tico e sociale mondiale81 e profondamente cam-
biato. Non soltanto grazie al progresso economico, ma anche per
via delle considerevoli trasformazioni nel modo di pensare e nello
stile di vita. E in effetti l’Islanda moderna è un Paese all’avan-
guardia, i cui abitanti risiedono per la maggior parte in città, il
che (soprattutto per molti degli appartenenti alle nuove genera-
zioni) ha determinato un distacco dalla tradizione culturale lega-
ta, in primo luogo, al mondo rurale. E tuttavia in ogni islandese
resta ben chiara la consapevolezza delle proprie radici e della
propria identità.

79
Per promuovere l’adozione della nuova costituzione è nato anche (2013) un
partito che ha assunto la significativa denominazione di Vigilanza democratica (Lýðræðis­
vaktin).
80
Cfr. p. 147. Nel 1956 erano stati celebrati i novecento anni dalla consacra­zione
del primo vescovo islandese, Ísleifr Gizurarson (vd. p. 269). Nel 2000 è stato celebra-
to il millenario della cristianizzazione (vd. pp. 264-267).
81
Si ricordi tra l’altro il summit tra il presidente francese George Pompidou (1911-
1974) e quello americano Richard Nixon (1913-1994) tenuto a Reykjavík il 31 maggio
1973, così come quello tra il segretario generale del Partito comunista sovietico Michail
Gorbačëv (Михаил Горбачёв, n. 1931) e il presidente americano Ronald Reagan (1911-
2004) svoltosi nei giorni 11-12 ottobre 1986. Meno importante politicamente (ma
certo più gradito agli Islandesi che sono grandi appassionati di questo passatempo) fu
il campionato mondiale di scacchi svoltosi qui tra i mesi di luglio e di settembre del
1972, che vide la sfida tra il campione russo Boris Spasskij (Борис Спасский, n. 1937)
e lo sfidante americano Bobby Fischer (1943-2008) e che si concluse con la vittoria di
quest’ultimo.

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I Paesi scandinavi sullo scenario europeo e mondiale 1233

14.2. Cooperazione interscandinava

La seconda guerra mondiale aveva mostrato chiaramente come


la politica di neuralità non fosse di per sé sufficiente a garantire la
sovranità e come lo stravolgimento degli scenari politici ed econo­
mici costituisse un elemento destabilizzante che, spazzando via
qualsiasi illusione di non coinvolgimento, costringeva tutti i Paesi a
fare i conti con nuove prospettive globali dalle quali non ci si pote-
va estraniare dal momento che, comunque, le loro conseguenze
ricade­vano su tutti. Questa constatazione era ben chiara anche nei
Paesi nordici i quali, oltretutto, nello scenario determinatosi con la
guerra fredda erano venuti a trovarsi letteralmente ‘in mezzo’ alle
due grandi potenze in conflitto. Il che non avrebbe mancato di
produrre effetti, anche se la loro traduzione pratica doveva gioco-
forza risentire delle diverse esperienze legate agli eventi bellici.82 In
Danimarca, un Paese che nel giro di centocinquanta anni era pas-
sato dall’essere una potenza coloniale alle dimensioni (territoriali e
politiche) di un piccolo Stato la sensazione di debolezza era ben
chiara e si guardò, in primo luogo, ai vicini nordici. Fu così che
verso la fine degli anni ’40 si manifestò l’idea di un’alleanza difen-
siva scandinava, propugnata con grande convinzione dal primo
ministro Hans Hedtoft (1903-1955). Il progetto tuttavia naufragò a
motivo del fatto che la Svezia (il Paese meno coinvolto nel secondo
conflitto mondiale) non volle rinunciare alla propria tradizione di
neutralità (vero e proprio punto fermo nella sua politica estera) e,
forte anche di una difesa ben organizzata, negò il consenso. In
effetti un’alleanza difensiva avrebbe potuto essere costituita, ma gli
Svedesi pretendevano che essa restasse del tutto svincolata da qual-
siasi rapporto con i due blocchi contrapposti formatisi dopo la
guerra (in particolare con quello occidentale, alleato più naturale),
mentre i Norvegesi propendevano per un accordo in tale direzione.
Alla fine dunque l’alleanza non fu conclusa (anche a motivo della
posizione degli Stati uniti che non l’avrebbero sostenuta in caso di
guerra) e mentre nel 1949 Norvegia e Danimarca (ma anche l’Islan-

82
Durante il secondo conflitto mondiale l’intento di dare vita a forme organizzate
di solidarietà interscandinava si era tradotto nella fondazione della Società per la
libertà nel Nord (Samfundet för Nordens frihet, attiva in Svezia tra il 1939 e il 1946)
e dell’Associazione svedese-norvegese (Svensk-norska före­ningen) sorta nel 1942 (e
tuttora attiva) che nel 1946 avrebbe trovato un corrispettivo nell’Associazione norve-
go-svedese (Norsk-svensk forening).

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1234 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

da) aderivano al Patto atlantico83 la Svezia ne restava al di fuori ponen-


dosi in posizione preminente in quello che sarebbe stato conosciuto
come il fronte dei ‘non allineati’.84 Anche se essa aveva comunque
aderito (1946) alle Nazioni Unite, un organismo alla cui costituzione
la Danimarca e la Norvegia avevano attivamente contribuito entran-
dovi fin dal 1945 e nel quale fu accolta anche l’Islanda (dal 1946).
E tuttavia i legami fra i diversi Paesi nordici erano saldi e anco-
rati a una lunga tradizione. Sulla scorta di quello che era stato lo
scandi­navismo molti accordi di cooperazione erano stati siglati.85 E
negli anni erano state intraprese molte iniziative, come congressi
scien­tifici, mostre ed esposizioni, pubblicazione di testi (compresi
gior­nali) di comune interesse, cooperazione sul fronte sindacale,
non da ultimo in prospettiva politica (arrivando a proporre gli
Stati uniti del Nord), mentre da parte di taluni intellettuali una
attiva e fruttuosa cooperazione interscandinava veniva considerata
elemento di fonda­mentale importanza ai fini della costruzione di
una stabile pace. Perciò, nonostante le divergenze, la necessità
di un organismo di riferimento che consentisse ai diversi Paesi di
misurarsi su temi di interesse comune era sentita come irrinuncia-
bile. Nel 1951 su iniziativa danese vennero dunque intraprese
delle trattative che nel giro di alcuni mesi portarono alla creazione
del Consiglio nordico, istituzione che entrò in funzione l’anno
successivo.86 Esso è formato da ottantasette membri, in rappresen-
tanza dei Paesi aderenti. Questi membri sono scelti dai gruppi
parlamentari dei singoli Stati, in quanto essi costituiscono un tra-
mite tra queste assemblee e il Consiglio, del quale oltre a Danimar-
ca, Svezia, Norvegia, Islanda e Finlandia fanno parte regioni auto-
nome come le Føroyar, la Groen­landia e le isole Åland.87 Sebbene
esso abbia soltanto funzioni con­sultive, la sua costituzione ha
permesso di dare attuazione a molti provvedimenti che hanno
fatto, dell’area scandinava, un territorio per molti versi amministra-

83
La Danimarca entrò nella NATO a condizione che l’organizzazione non instal-
lasse basi né armi atomiche sul suo territorio (pur permettendo il mantenimento di
quelle groenlandesi, sulle quali vd. sopra, p. 1118). L’Islanda a condizione di non dover
fornire truppe e di non consentire la presenza di soldati stranieri sul proprio territorio
in tempo di pace.
84
È tuttavia non facendo mancare forme di collaborazione con la NATO.
85
Sullo scandinavismo vd. sopra 12.1. Oltre a quanto già detto si ricordi qui l’ac-
cordo per una cooperazione postale tra Danimarca e Svezia concluso nel 1869.
86
Danese e norvegese (bm e nn) Nordisk råd, svedese Nordiska rådet, islandese
Norður­landa­ráð, finnico Pohjoismaiden neuvosto. La Finlandia vi aderì nel 1956.
87
Per una sintesi sulla storia delle Åland vd. App. 1, passim, e in particolare, p. 1370
con nota 82.

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I Paesi scandinavi sullo scenario europeo e mondiale 1235

tivamente omogeneo: basti pensare ai provve­dimenti relativi alla


realizzazione di un mercato del lavoro comune, al coordinamento
delle politiche sociali ed economiche, alla libera circolazione e
residenza dei cittadini nordici nel territorio di tutti gli Stati mem-
bri.88 Ma anche alla cooperazione nell’ambito delle stazioni tele-
visive. Inoltre il Consiglio nordico svolge una importante attività
nel campo della politica ambientale e delle riserve naturali, nonché
in quello della cultura. Esso ha istituito anche un prestigioso pre-
mio letterario e altri importanti riconoscimenti nel campo della
letteratura per l’infanzia, della musica, della cinematografia e
dell’ambiente. Nel 1962, con un documento sottoscritto il 23
marzo (il cosiddetto ‘Trattato di Helsinki’), i legami e l’impegno
alla collaborazione tra i Paesi nordici venivano ulteriormente raf-
forzati.89
Anche sulla base di questa intesa, tra il 1968 e il 1970 furono
condotte trattative per la creazione di quello che avrebbe dovuto
essere il Nordek, organismo di cooperazione economica simile alla
CEE. I negoziati tuttavia fallirono perché la posizione della Fin­
landia, fortemente condizionata dalle relazioni con l’Unione so­vietica,
impedì di fatto il raggiungimento di un accordo. Accantonata
questa idea Norvegia e Danimarca scelsero di chiedere l’ingresso
nella CEE, ma mentre la Danimarca entrò a farne parte nel 1973,
la popolazione norvegese respinse l’adesione attraverso un referen-
dum. All’epoca la Svezia preferì rimanere fedele alla sua politica di
neu­tralità, anche in campo economico. Svezia e Finlandia aderi-
ranno all’Unione europea nel 1995.90 Al Consiglio nordico si aggiun-
se in seguito (1971) il Consiglio dei ministri nordico, organo uffi-
ciale di cooperazione tra i diversi Paesi dell’area.91
Pur a fronte dei successivi sviluppi della politica estera dei sin-
goli Paesi, il senso di appartenenza dei popoli nordici a una più
vasta e ben definita comunità resta (nonostante diffidenze e pre-
88
Basata su un accordo del 22 maggio 1954 (in svedese: Protokoll angående
befrielse för nordiska med­borgare från att under upp­ehåll i annat nordiskt land än
hem­landet innehava pass och uppehållstillstånd) questa disposizione entrò in vigore in
Danimarca, Svezia, Norvegia e Finlandia il 1 luglio di quello stesso anno; in Islanda il
1 dicembre 1955 e nelle Føroyar il 1 gennaio 1966.
89
Questo accordo è stato rinnovato, modificato e integrato in varie occasioni (13
febbraio 1971, 11 marzo 1974, 15 giugno 1983, 6 maggio 1985, 21 agosto 1991, 18
marzo 1993 e 29 settembre 1995). Vd. il testo alle pp. 1236-1237.
90
Vd. paragrafo successivo. Per notizie più dettagliate riguardo al Consiglio nor-
dico si può consultare il sito www.norden.org, dal quale qui molte informazioni sono
riprese.
91
Danese e norvegese (bm e nn) Nordisk Ministerråd, svedese Nordiska Minister­
rådet, islandese Norræna ráðherra­nefndin, finnico Pohjoismaiden ministeri­neuvosto.

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1236 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

giudizi, talora tradotti anche in forme umoristiche) radicato. Un


esempio recente che mostra quanto la necessità di una reciproca
collaborazione e di un reciproco aiuto sia consolidata è dato dalla
decisione assunta nel 2009 dai governi di Danimarca, Svezia, Nor-
vegia e Finlandia di ‘soc­correre’ economicamente l’Islanda dopo la
gravissima crisi finan­ziaria del 2008: ‘soccorso’ che si è tradotto in
un prestito di un miliardo e settecentosettantacinque milioni di euro.
In effetti, anche se il diverso rapporto con l’Europa e l’impegno
di taluni Paesi al suo interno pare, per certi versi, aver ‘appannato’
la cooperazione internordica, essa continua a costituire un’istanza
cen­trale come dimostra il dibattito seguito alla proposta dell’allora
primo ministro norvegese Jens Stoltenberg che nel 2009 ha di
nuovo invitato a riflettere sull’opportunità di una comune politica
della difesa e della sicurezza. Temi ‘sensibili’ sui quali nel passato
non si è trovato un accordo ma che (insieme alla questione della
politica estera) si stanno ora discutendo nella prospettiva dei gran-
di cambia­menti verificatisi sullo scenario mondiale.

Estratto del Trattato di Helsinki nel quale sono stabilite le linee guida
del Consiglio nordico e del Consiglio dei ministri nordico:

“I governi di Danimarca, Finlandia, Islanda, Norvegia e Svezia, che voglio-


no promuovere ulteriormente la stretta comunanza che esiste tra i popoli
nordici a riguardo della cultura, delle concezioni giuridiche e sociali, e svilup-
pare ulteriormente la cooperazione tra i Paesi nordici; che perseguono norme
uniformi nei Paesi nordici nella misura più am­pia possibile; che vogliono
realizzare una razionale distribuzione del lavoro tra di loro in tutti gli ambiti
nei quali ve ne siano i presupposti; che vogliono portare avanti la significativa
collaborazione all’interno del Consiglio nordico e degli altri organi di coopera-
zione; hanno con­cordato le seguenti decisioni [...] Le parti contraenti si impe-
gneranno a mantenere e a sviluppare ulteriormente la collaborazione tra i
Paesi nell’ambito giuridico, culturale, sociale ed economico, così come in
relazione alle questioni che riguardano le comunicazioni e la protezione
dell’ambien­te. Le parti contraenti dovranno consultarsi a vicenda nelle que-
stioni di interesse comune che siano trattate all’interno di organizzazioni o
conferenze europee o internazionali [...] Nella formulazione di leggi o altre
norme giuridiche nei Paesi nordici i cittadini degli altri Paesi saranno conside-
rati alla pari di quelli del proprio [...] Le parti contraenti dovranno cercare di
facilitare per i cittadini di un Paese nordico l’acquisizione della cittadinanza in
un altro Paese nordico [...] Le parti con­traenti devono perseguire norme comu-
ni per i reati e le loro conse­guenze. A riguardo di un reato che sia commesso in
un Paese nordico, le indagini e l’iter giuridico devono nella misura più ampia

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I Paesi scandinavi sullo scenario europeo e mondiale 1237

possibile poter essere effettuati anche in un altro Paese nordico [...]. L’insegna­
mento e la formazione nelle scuole dei Paesi nordici dovrà comprendere in
misura adeguata l’insegnamento sulla lingua, la cultura e le condi­zioni gene-
rali della società negli altri Paesi nordici, compresi le Før­oyar, la Groenlandia
e le Åland [...] La collaborazione nell’ambito della ricerca deve essere indiriz-
zata a far sì che i fondi per la ricerca disponibili e le ulteriori risorse siano
coordinati e vengano utilizzati nel miglior modo possibile, istituendo tra
l’altro enti comuni [...] Nell’in­tento di sostenere e rafforzare lo sviluppo cul-
turale le parti contraenti promuoveranno la libera iniziativa nella formazione
popolare e gli scambi nell’ambito della letteratura, dell’arte, della musica, del
teatro, della cinematografia e degli altri ambiti culturali, col che si devono tra
l’altro prendere in considerazione le possibilità offerte dalla radio e dalla
televisione [...] Le parti contraenti dovranno sforzarsi di mante­nere e svilup-
pare ulteriormente il mercato comune nordico del lavoro secondo le linee di
indirizzo che sono state tracciate in precedenti ac­cordi. Gli uffici di colloca-
mento e l’orientamento professionale dovran­no essere coordinati. Lo scambio
di apprendisti dovrà essere libero. Dovrà essere perseguita l’uniformità rela-
tivamente alle norme nazionali sulla protezione del lavoro e questioni simili
[...] Le parti contraenti dovranno adoperarsi perché i cittadini di un Paese
nordico in caso di soggiorno in un altro Paese nordico possano usufruire
nella maggior misura possibile dei vantaggi sociali che devono essere garanti-
ti nel Paese in cui soggiorna ai suoi stessi cittadini [...] Le parti contraenti
dovranno sviluppare ulteriormente la collaborazione relativa all’igiene pub-
blica e all’assistenza sanitaria, alle misure di prevenzione dell’alcoli­smo come
pure alla cura dei bambini e dei giovani [...] Le parti con­traenti, allo scopo di
promuovere la collaborazione economica nordica in diversi ambiti dovranno
consultarsi a riguardo della politica econo­mica. Perciò si dovrà porre attenzio-
ne alle possibilità di coordinare gli interventi da prendere allo scopo di uni-
formare le condizioni econo­miche [...]”92

14.3. I Paesi scandinavi in Europa e nel mondo

Dopo le tragiche vicende della guerra la politica estera danese è


stata improntata alla collaborazione e alla partecipazione a impor-
tanti organismi internazionali. Gli eventi bellici avevano chiara-
mente dimostrato che la scelta della neutralità, per quanto corret-
tamente portata avanti, non poteva garantire dal pericolo di
92
Si tenga presente che qui si fa riferimento alle linee d’indirizzo così come stabi-
lite in data 23 marzo 1962. Il testo integrale e i successivi emendamenti possono
essere consultati alla fonte indicata; DLO nr. 180.

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1238 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

aggressioni o, quanto meno, di pesanti interferenze da parte di


Paesi stranieri (il che era ciò che ora si temeva da parte dell’Unio-
ne sovietica, soprattutto dopo il colpo di stato in Cecoslovacchia
del 1948). Se fin dal 1945 la Danimarca aveva partecipato senza
indugio alla costituzione dell’Or­ganizzazione delle nazioni unite
(ONU), fu invece sulla base di queste considerazioni (per altro non
unanimemente condivise) che nel 1949 essa si associò anche al
Patto atlantico (NATO) consi­derando tale alleanza una sorta di
scudo difensivo. Il Paese però pose il veto alla presenza di truppe
americane sul suo territorio.93 Questa decisione significò di fatto
l’abbandono della politica di neutralità.
Nel 1952 ci fu l’immediata adesione al Consiglio nordico.94 Un’al-
tra pro­spettiva fu quella degli accordi di carattere economico che
vennero stretti tra i Paesi europei. Nel 1948 il Paese entrò a far
parte dell’Or­ganizzazione per la cooperazione economica europea
(OECE) e suc­cessivamente, quando questo organismo fu riformato
(1961), del­l’OCSE. Tradizionalmente legata alla Gran Bretagna, suo
storico partner commerciale, la Danimarca (allora guidata da un
governo formato dai socialdemocratici e dalla Sinistra radicale)
aveva concorso alla creazione dell’Associazione europea di libero
scambio (EFTA, 1960) nella convinzione che la cooperazione in
campo commerciale avrebbe avvantaggiato la sua economia. L’ade-
sione alla Comunità europea era da tempo stata presa in considera-
zione ma, stante l’opposizione francese all’ingres­so della Gran
Bretagna, l’idea era stata accantonata. Caduto nel 1969 questo veto,
la questione ritornò di attualità accendendo un vivace dibattito
politico. Particolarmente favorevole era la dirigenza del partito
socialdemocratico, seppure tra le sue fila non mancassero i dissiden-
ti. Del tutto contrari erano invece il Partito popolare socia­lista di
Aksel Larsen e i comunisti. Ma il fronte del no era trasversale e nel
gennaio del 1972 si coordinò nel Movimento popolare contro l’Unio-
ne europea (Folkebevægelsen mod EU). Gran parte della stampa era
invece schierata per l’adesione. Il principale sindacato (LO) si dichia-
rò favorevole. Dopo una campagna elettorale aspramente combat-
tuta il 2 ottobre 1972 fu tenuto un referendum popolare che vide
un’alta partecipazione e si concluse e la vittoria dei sì con una per-
centuale di quasi il 63%. Il 1 gennaio del 1973 il Paese faceva dun-
que il suo ingresso ufficiale nella Comunità europea. Ma i Danesi si
dimostrarono presto piuttosto tiepidi e fin dalle prime elezioni

93
Essa fu tuttavia confermata in Groenlandia; cfr nota 83.
94
Vd. paragrafo precedente.

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I Paesi scandinavi sullo scenario europeo e mondiale 1239

dirette del parlamento europeo tenute nel 1979 la percentuale di


coloro che sono andati a votare si è mantenuta piuttosto bassa
oscillando attorno al 50%. Questo scarso interesse si è tradotto
nell’indizione di altri referendum popolari legati alla posizione
della Danimarca all’interno dell’Unione i quali non hanno fatto
altro che sottolineare lo scarso coinvolgimento dei Danesi rispetto
alle prospettive comunitarie, ma anche la netta divisione (all’inter-
no di coloro che si sono recati a votare) tra favorevoli e contrari.
Nel 1986 nella consultazione legata alle modifiche al trattato di
Roma i sì hanno raggiunto un modesto 56,2%, mentre il 2 giugno
1992 l’adesione al trattato di Maastricht è stata respinta con meno
del 51% dei voti, il che ha portato a una ridiscussione dei termini
di adesione e a un nuovo referendum (18 maggio 1993) nel quale
quasi il 57% degli elettori ha infine manifestato il proprio consen-
so. In relazione a questo rinnovato ‘dibattito europeo’ si è formato
un altro movimento contrario all’Europa, noto come Movimento
di giugno (Juni­bevægelsen).95 Nel 1999 esso è riuscito a far elegge-
re tre rappresentanti al parla­mento europeo, in seguito però ha
perso consensi e si è sciolto nel 2009. Ma l’euroscetticismo dei
Danesi è stato confermato nel 2000 (quando poco più del 53% di
loro ha votato contro l’introduzione della moneta unica) così come
dai problemi sorti dopo la sigla del trattato di Lisbona (2007) da
alcuni ritenuto in contrasto con la costituzione danese.
Come tutti gli altri Paesi nordici la Danimarca fa parte del Con-
siglio d’Europa, cui ha aderito fin dal 1949, anno della costitu­zione.96
Dagli anni ’80 la politica estera danese ha mostrato un certo
dinamismo. In particolare va segnalata l’insistenza con cui si è
fatta opposizione all’installazione di missili a medio raggio sul
territorio europeo così come la volontà di costituire nel Nord una
zona libera da armi atomiche. Ma anche l’invio di soldati nelle aree
‘calde’ come il Kosovo, l’Iraq o l’Afghanistan. Dal 2009 il liberale
Anders Fogh Rasmussen (n. 1953), già primo ministro negli anni
2001-2009, è stato nominato al prestigioso incarico di segretario
generale della NATO, ricoprendolo fino al 1 ottobre 2014 quando
ha ceduto il posto all’ex primo ministro norvegese Jens Stoltenberg.
Una costante della politica svedese è stata per moltissimo tempo
la scelta della neutralità, a lungo asse portante della sua politica
estera. Se dunque fin dal 1946 il Paese è entrato a far parte delle
95
Nome che fa riferimento al mese in cui si è svolto il referendum sul trattato di
Maastricht.
96
Così anche la Svezia e la Norvegia mentre l’Islanda vi è entrata nel 1950 e la
Finlandia solo nel 1989.

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1240 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

Nazioni unite,97 una adesione alla NATO non è stata qui mai presa
in considerazione. Fallite, come si è detto, le trattative per un’al-
leanza difensiva scandinava,98 il Paese è entrato a far parte, mante-
nendo una posizione molto netta, del gruppo dei cosiddetti ‘non
allineati’ al cui interno ha portato avanti una politica di sostegno
ai Paesi emergenti, in particolare a quelli che andavano rivendican-
do la propria autonomia per liberarsi dalla dominazione coloniale.
Rispetto alle grandi potenze la Svezia non ha mancato di far senti-
re la propria voce in diverse occasioni, in particolare in relazione
alla guerra americana in Vietnam, al problema dell’apartheid in
Sudafrica e all’invasione dell’Afghanistan da parte dei sovietici.99
Ma essa si è espressa in maniera molto netta anche su altri conflit-
ti e ha offerto ospitalità a molti rifugiati (come quelli provenienti
dal Cile dopo il colpo di stato del generale Pinochet). A ciò si lega
la politica di accoglienza dei profughi da Paesi in stato di guerra.
Più recentemente questo indirizzo politico si è espresso nell’imme-
diato riconoscimento e forte sostegno dato agli stati baltici (Letto-
nia, Lituania ed Estonia) all’indomani della ritrovata autonomia
conseguente al declino dell’Unione sovietica.
Rispetto alle politiche europee la scelta è stata, per lungo tempo,
quella di limitarsi ad accordi di tipo commerciale. Impegnato
nell’OECE (e poi nell’OCSE) e nell’EFTA fin dalla costituzione di
questi organismi, il Paese è rimasto a lungo al di fuori della Comu-
nità europea, limitando i rapporti al trattato di libero scambio
siglato dalla stessa EFTA nel 1972.100 Per altro, dal 1 gennaio 1973
la Gran Bretagna e la Danimarca entravano a pieno titolo nella
Comunità, il che anche in Svezia aprì un dibattito sulla questione,
reso tuttavia inutile dall’ancor prevalente scelta della neutralità. I
cambiamenti del quadro politico conseguiti alla caduta del muro di
Berlino (1989) e al collasso del sistema dei Paesi dell’Europa orien-
97
Delle quali lo svedese Dag Hammarskjöld (1905-1961) fu nominato segretario
generale nel 1953. Questi era figlio di Hjalmar Hammarskjöld (vd. pp. 1123-1124).
Nel 1961 a Dag Hammarskjöld fu assegnato (postumo) il Nobel per la pace.
98
Vd. sopra, p. 1233.
99
La crisi vietnamita portò a un certo punto anche alla decisione di richiamare
l’ambasciatore svedese negli Stati uniti. I rapporti con l’Unione sovietica furono a
lungo resi complicati dalla violazione delle acque territoriali da parte di sottomarini
russi, uno dei quali nel 1981 si incagliò presso Karlskrona, così come da incursioni di
aerei militari russi nello spazio svedese.
100
A rimarcare la propria scelta di neutralità la Svezia si oppose alle tendenze
manifestatesi nell’OECE verso la fine degli anni ’40 in direzione di una coope­razione
di tipo politico, sottolineando la mera natura economica delle sue scelte all’interno di
quell’organismo. Vd. Karlsson B., “Sweden and the OECE, 1947-50. Walking the
tightrope”, in Scandinavian Economic History Review, XLIV: 3 (1996), pp. 222-243.

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I Paesi scandinavi sullo scenario europeo e mondiale 1241

tale, resero di nuovo attuale la questione. Fu così che il 1 luglio


1991 (con al governo i socialdemocratici) la domanda di ammissio-
ne fu ufficialmente presentata. L’iter fu per altro piuttosto lungo e
passò attraverso un referendum popolare tenuto il 13 novembre
1994 (con una partecipazione di oltre l’83%) che vide la prevalen-
za dei sì con poco più del 52%. Dal 1 gennaio 1995 la Svezia è
divenuta dunque, a tutti gli effetti, membro della Comunità europea,
lasciando contempo­raneamente l’EFTA. Non diversamente dai
Danesi gli Svedesi si sono dimostrati per la maggior parte euroscet-
tici. Ciò si è constatato fin dalle elezioni dei loro rappresentanti al
parlamento europeo, tenute nel 1995, che hanno registrato una
bassa percentuale di affluenza alle urne (meno del 42%); essa ha
successivamente registrato un calo per risalire oltre il 45% (2009)
e oltre il 51% (2014). Un ulteriore referendum (14 settembre 2003)
ha, almeno per il momento, bocciato l’introduzione della moneta
unica con quasi il 60% dei no. Anche in Svezia sono sorti gruppi
e movimenti contrari all’Europa, tra di loro in particolare un par-
tito politico, Nuovo futuro (Ny framtid) fondato nel 1994 ma di
fatto sciolto nel 2009. Seppure l’ingresso nell’Unione europea abbia
comportato obblighi che la Svezia intende correttamente rispetta-
re, il senso della tradizionale autonomia del Paese in politica este-
ra non è, in realtà, mai venuto meno ed esso continua a influenza-
re le decisioni in tale ambito. Nel quale, per altro, la Svezia è stata
spesso in primo piano anche per la presenza di suoi rappresentan-
ti in posizioni di prestigio,101 così come quella dei suoi soldati in
diverse zone segnate da conflitti.
Come la Danimarca anche la Norvegia aveva partecipato alla
costituzione dell’Organizzazione delle Nazioni unite nel 1945. Del
1949 è invece l’adesione (come uno dei Paesi fondatori) alla NATO,
conseguenza del fallimento delle trattative per un sistema difensivo
comune dei Paesi nordici. Questa decisione (seppure se ne sottoli-
neasse la valenza preventiva) determinò uno stato di tensione politica
con l’Unione sovietica (con la quale il Paese condivide un confine
nell’estremo Nord), tensione legata in particolare alla sovranità nor-
vegese sull’arcipelago delle Svalbard che Mosca considerava strategi-

101
Oltre al sopra citato Dag Hammarskjöld si richiamino qui Folke Bernadotte (vd.
p. 1135, nota 77), Olof Palme (vd. p. 1212 e p. 1214 con nota 40), che nel 1980 fu
nominato mediatore delle Nazioni unite nella guerra fra Iran e Iraq, e Åke Sellström
(n. 1948), esperto di armi chimiche al quale le Nazioni unite affidarono (1990 e 2002)
l’incarico di verificare la presenza di un arsenale segreto di armi chimiche a disposi-
zione di Saddam Hussein; responsabilità analoga gli è stata recentemente (2013) rin-
novata per la guerra in Siria.

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1242 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

che e nelle quali i Russi mantenevano importanti interessi economici.


Fin dal 1944 del resto essi avevano chiesto l’annullamento dell’accor-
do del 1920,102 recla­mando che una parte del territorio (l’isola di
Bjørnøya) passasse sotto la loro sovranità e che l’amministrazione
delle isole fosse condivisa tra l’URSS e la Norvegia, escludendo altre-
sì dalla questione qualsiasi forma di coinvolgimento di altre potenze.
La richiesta fu respinta dal parlamento norvegese nel 1947,103 tuttavia
da parte sovietica la faccenda venne considerata tutt’altro che chiusa.
Essa infatti assunse nuova rilevanza negli anni ’70 in relazione a ripe-
tute pressioni da parte russa, ‘accompagnate’ dalla presenza di sotto-
marini nelle acque a nord della penisola di Kola con base nel porto
di Murmansk. Una controversia che, nonostante contatti e trattative
diplomatiche, non trovò una soddisfacente soluzione, ma che si
sarebbe ‘raffreddata’ dopo il crollo dell’Unione sovietica.104
La questione di un possibile ingresso norvegese nella Comunità
europea era stata discussa fin dai primi anni ’60, in relazione alla
eventuale adesione da parte inglese (e insieme a quella era caduta).
Nel 1970 essa fu ripresa e approvata dal parlamento a larga maggio­
ranza. La stampa era in genere favorevole, così come importanti
componenti sociali (sindacato dei lavoratori, organizzazione degli
industriali). Contrari erano, in primo luogo, i gruppi della sinistra
(che consideravano l’Europa come un prodotto del capitalismo) ma
anche ambienti tradizionali. Richiamandosi a iniziative messe in atto
fin da quando negli anni ’60 si era cominciato a parlare di Europa,
si formarono associazioni ostili a questo progetto. La più importan-
te fu il Movimento popolare contro l’adesione della Norvegia al
Mercato comune (Folke­bevegelsen mot norsk medlem­skap i Felles­
markedet) sorto nel 1970. La decisione venne sottoposta a un refe-
rendum popo­lare che ebbe luogo nei giorni 24 e 25 settembre 1972
con una partecipazione di poco inferiore all’80%. Il risultato fu la
prevalenza dei no con il 53,5% dei voti. L’analisi elettorale dimostrò
che i favorevoli all’Europa erano soprattutto gli abitanti delle regio-
ni intorno a Oslo.105 La tradizionale ‘Norvegia rurale’ aveva votato
contro. Ma aveva votato contro anche la sinistra più radicale che
considerava l’Europa come espressione di interessi imprenditoria-
102
Vd. sopra, p. 1147 con nota 119.
103
Nel 1946 era stata respinta anche la richiesta di installare nelle isole basi milita-
ri norvegesi-russe.
104
In questo contesto si ricordi la vicenda della spia norvegese Arne Treholt (n.
1942), politico e funzionario che nel 1984 fu arrestato per attività di spionaggio a
favore dell’Unione sovietica e dell’Iraq e condannato a venti anni di prigione per alto
tradimento. Rinchiuso in un carcere di massima sicurezza fu tuttavia rilasciato nel 1992.
105
Nella capitale fu raggiunta la più alta percentuale di sì con il 67%.

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I Paesi scandinavi sullo scenario europeo e mondiale 1243

li. Il Paese restò dunque nell’EFTA cui aveva aderito fin dall’inizio,
ma l’anno successivo concluse con la Comunità europea un tratta-
to di collaborazione commerciale. La questione avrebbe comunque
con­tinuato a far discutere i Norvegesi che, chiamati una seconda
volta a esprimersi in proposito con il referendum del 28 novembre
1994, con una partecipazione al voto di quasi il 90% avrebbero
ribadito la loro decisione (anche se questa volta il fronte del no
avrebbe dovuto registrare un calo dell’1,3%). Ancora una volta
l’area del sì si confermava nelle regioni intorno alla capitale.106 Dal
1994 la Norvegia fa comunque parte dello Spazio economico euro-
peo (SEE, detto anche Area economica europea).
Nel quadro di operazioni militari stabilite dalla Nazioni unite
(di cui fa parte fin dal 1945) o dalla NATO la Norvegia ha messo
a disposizione i suoi soldati in diverse aree di crisi.
Una importante questione di politica economica e insieme di
politica estera è stata quella della caccia alle balene. La Norvegia
infatti nel 1982 decideva di non ottemperare alla moratoria stabi-
lita dalla Commissione internazionale per la caccia alle balene (IWC),
permettendo ai propri equipaggi di continuare a operare. Una
decisione che determinava un certo peggioramento delle relazioni
internazionali e la ferma condanna da parte di associazioni ambien­
talistiche. Ciò nonostante, dopo una sospensione decisa nel 1987,
l’attività di caccia è ripresa dal 1993.
Anche in Islanda la questione della caccia alle balene è stata molto
discussa, attirando nei confronti del Paese le ire degli ambien­talisti di
tutto il mondo. Dopo la moratoria stabilita dall’IWC essa ha comun-
que permesso la cattura di un numero limitato di esemplari, per poi
stabilire un divieto nel 1989. Successivamente (1992) per contrasti sui
criteri scientifici da adottare per stabilire la possibilità o meno di
procedere alla caccia, essa è uscita dall’IWC. Vi è rientrata nel 2002
presentando una serie di valutazioni di carattere scientifico allo scopo
di portare il proprio contributo alla soluzione del problema. Nel
frattempo le sue baleniere hanno ripreso l’attività, seppure i caccia-
tori debbano rispettare ogni anno delle quote precise.
Del rapporto di questo Paese con gli organismi sovrannazionali
si è in parte già detto. L’Islanda è entrata nelle Nazioni unite nel
1946 e nella NATO (una scelta molto contrastata) fin dal 1949. Essa
tuttavia ha posto la condizione di non partecipare ad azioni mili-
tari contro altri Paesi. Del resto non possiede un esercito e le sue
106
Rispetto al referendum del 1972 l’unico distretto in cui la maggioranza ha cam­
biato opinione è quello di Østfold dove questa volta hanno prevalso i favorevoli
all’Unione.

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1244 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

uniche forze ‘militari’ sono costituite dalla polizia e dalla guardia


costiera. Alcuni suoi uomini sono comunque stati messi a disposi-
zione per collaborare con le forze di pace dislocate in diverse aree.
Come la Norvegia l’Islanda è rimasta fuori dall’Unione europea.
Essa ha aderito all’EFTA nel 1970 e successivamente (1994) al SEE.
Tuttavia nel 2009, anche sulla scorta delle valutazioni sulla grave crisi
finanziaria dell’anno precedente, ha presentato domanda di adesione
alla UE. In vista delle elezioni del 2013 le trattative sono state sospese
e dopo la vittoria dei partiti di centrodestra è stato stabilito di rimette-
re la questione a un referendum, che tuttavia al momento non è stato
indetto. Passata la ‘grande paura’ è probabile che prevalga il fronte del
no. Tale è del resto l’orientamento espresso dal nuovo governo.
Alla luce della sua lunga lotta per la riconquista dell’indipenden-
za va considerata la rapidità con cui l’Islanda si è affrettata a rico-
noscere Paesi ‘nuovi’ come le repubbliche baltiche e il Montenegro.

La situazione attuale dei Paesi nordici sullo scenario europeo e


mondiale è, dunque in divenire. Fatta eccezione per le Nazioni
unite e il Consiglio d’Europa, l’unico organismo a cui tutte aderi-
scono è il Consiglio nordico che tuttavia, almeno in parte, è stato
privato delle sue prerogative dall’appartenenza di alcuni suoi mem-
bri (non si dimentichi la Finlandia)107 all’Unione europea. Del resto
anche gli Stati che ne sono rimasti fuori (Norvegia e Islanda) man-
tengono con essa importanti rapporti economici. Ma in questa pur
breve esposizione non si deve dimenticare il rapporto che lega i
diversi Paesi dell’area baltica (e quindi fra i nordi­ci in primo luogo
la Danimarca, la Svezia e la Finlandia) il quale ha portato alla costi-
tuzione (1992) del Consiglio degli Stati baltici (Council of the
Baltic Sea States, noto anche con la sigla CBSS).108
Seppure limitata alla sfera religiosa (che comunque resta in
questi Paesi in diversi modi legata a quella statale) va infine citata
la cosiddetta “conven­zione di Porvoo” (1992)109 che ha stabilito un
reciproco riconoscimento tra le Chiese nordiche, quelle dei Paesi

107
E con essa le isole Åland (vd. p. 1373 e p. 1370, nota 82).
108
Ne fanno parte i Paesi gravitanti sul Mar Baltico (Russia, Finlandia, Svezia,
Danimarca, Germania Polonia, Lituania, Lettonia, Estonia) ma vi partecipano anche
la Norvegia, l’Islanda e l’Unione europea. Altri Paesi (tra cui l’Italia) vi hanno un
ruolo di osservatori.
109
Dal nome della città della Finlandia meridionale; vd. “The Porvoo Common
Statement”, in Concordia Theological Quarterly, LXI: 1-2 (1997), pp. 3-34.

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I Paesi scandinavi sullo scenario europeo e mondiale 1245

baltici, la Chiesa anglicana e (successivamente) le Chiese episcopa-


li nella penisola iberica. Essa costituisce il risultato di lunghe e
difficili trattative e, in effetti, non è stata sottoscritta con­giuntamente
da tutti.110

14.4. Stravolgimenti linguistici e culturali?

14.4.1. Lingue a rischio?

Come si è visto in precedenza il nazionalismo si era manifestato


anche sul versante linguistico dove era stata combattuta una vera
e propria ‘battaglia purista’.111 Nel Novecento l’idea della salva-
guardia degli idiomi nazionali non sarebbe venuta meno, tradu-
cendosi nella istituzione di organismi per il loro monitoraggio e la
loro tutela e non tralasciando, in qualche caso, riferimenti alla
comune origine (cioè, in sostanza, un rinnovato scandinavismo
linguistico). Tale era, a esempio, lo scopo della Associazione dane-
se per la salva­guardia della lingua nordica (Dansk Forening til
Nordisk Sprogrøgt), fondata nel 1941 al fine di preservare la ‘nor-
dicità’ del danese e favorire la comprensione tra i parlanti le diver-
se lingue scandina­ve.112 Al 1944 risale il Comitato per la tutela
della lingua svedese (Nämnden för svensk språk­vård),113 al 1955 il
Comitato per la lingua danese (Dansk Sprog­nævn).114 Si tratta di
enti che hanno il compito di seguire gli sviluppi dell’idioma nazio-

110
Le prime firme sono state apposte nel 1994, l’ultima (da parte delle autorità
della Chiesa danese) nel 2010.
111
Vd. in particolare il testo alle pp. 824-826 con la nota 654.
112
Un ente cui sono demandate le questioni linguistiche nei Paesi nordici è il Con-
siglio linguistico nordico (Nordens Sprogråd, fino al 2009 Nordisk Spro­gråd), che
opera all’interno del Consiglio nordico. Nel 1987 è stata sottoscritta una conven­zione
sulla cui base ai parlanti danese, svedese, norvegese, islandese e finnico viene garanti-
to il diritto di rivolgersi alle autorità di un altro Paese nordico utilizzando la propria
lingua madre (testo consultabile in rete su: http://www.norden.org/sv/om-samarbetet/
avtal/nordiska-avtal/spraak/spraakkonventionen?set_language=sv). Del 2006 è una
dichiarazione relativa alle finalità di tutela e promozione delle lingue nordiche (testo
su: http://www.norden.org/da/publikationer/publikationer/2007-746).
113
Riorganizzato nel 1972 è divenuto successivamente (2006) il Consiglio lingui­stico
(Språ­krådet) che si occupa anche delle lingue minoritarie. In ambito linguistico opera
anche l’Accademia svedese; cfr. pp. 820-821 con note 629-630.
114
Con questo ente collabora anche la Società per la lingua e la letteratura danese
(Det Danske Sprog- og Litteraturselskab), fondata nel 1911.

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1246 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

nale, di definirne la corretta grafia e che, più in generale, si occu-


pano di tutte le questioni riguardanti la lingua (le lingue) del
Paese.115 In effetti, seppure dal punto di vista gramma­ticale e sin-
tattico tanto lo svedese quanto il danese mostrino una sostanziale
continuità rispetto alle forme dell’Ottocento,116 molte cose sono
cambiate. Innanzi tutto si deve constatare l’arretramento dei dia-
letti dovuto da una parte ai cambiamenti sociali legati all’industria-
lizzazione (fenomeno che ha contribuito alla nascita di socioletti)
dall’altra alla diffusione capillare della scolarizzazione (che neces-
sitava di una lingua standard) e dei media, in particolare radio e
televisione. Ma anche un progressivo livellamento delle differenze
tra lingua parlata e lingua scritta, riflesso, a un certo punto, anche
nella ‘crisi’ della letteratura come tale. Del resto la trasformazione
della società non poteva non esprimersi sul piano linguistico. Si
pensi alle antiche comunità contadine indebolite per l’urbanesimo
e l’emigrazione, ma contemporaneamente divenute meno isolate
per lo sviluppo dei mezzi di comunicazione e anche ‘ristrutturate’
al proprio interno per le innovazioni tecnologiche e l’avvio di una
vera e propria industria agraria. Il ‘sostegno’ che esse per secoli
avevano dato ai diversi dialetti veniva in questo modo a mancare.
E, d’altronde, l’accresciuta mobilità delle persone, le lotte sociali
per l’uguaglianza fra gli individui, lo sforzo di fornire a tutti una
base educativa comune non potevano non riflettersi nella comuni-
cazione verbale. Evidente risultato ne sono la definitiva afferma-
zione di una lingua ‘nazionale’ (con ciò intendendo che essa viene
effettivamente sentita come propria a livello pressoché gene­rale)
ma anche il suo adeguamento alle esigenze di maggiore semplicità
espressiva derivanti dall’estensione del suo utilizzo quo­tidiano alla
quasi totalità della popolazione con le sue diverse (e non necessa-
riamente del tutto acculturate) componenti. Un ottimo esem­pio di
cambiamento linguistico come riflesso di trasformazioni sociali è
l’introduzione generalizzata (fatta eccezione per contesti di parti-
colare rilevanza) dell’uso del ‘tu’ nei rapporti diretti tra le persone
(anche tra sconosciuti) in luogo di forme di cortesia precedente-
115
In Svezia le lingue minoritarie sono il finnico, il meänkieli (vd. p. 1378), i dialet-
ti sami (vd. pp. 1406-1407), la lingua dei Kveni (vd. p. 145, nota 176), lo yiddish, il
romaní. In Danimarca il tedesco.
116
Il principale cambiamento è il definitivo abbandono delle forme verbali specifi­che
per le persone del plurale in favore di una comune per tutte, un fenomeno di cui in norve-
gese ci sono tracce già in precedenza e che in danese appare sostanzialmente consolidato
fin dalla fine del XVII secolo (con indizi addirittura dal medioevo). Ma dal punto di vista
sintattico si constata soprattutto la rinuncia a periodi troppo complessi, con frasi principali
appesantite da molte secondarie di vario genere e grado, in favore di una lingua più ‘snella’.

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I Paesi scandinavi sullo scenario europeo e mondiale 1247

mente prescritte dal ‘galateo linguistico’. Questa consue­tudine si


è diffusa a partire, quantomeno, dagli anni ’60 ed è legata anche
alla contestazione giovanile.
In Norvegia ancora nel secondo dopoguerra la questione lingui­
stica, con il confronto tra i sostenitori del bokmål e quelli del nynorsk,
era tutt’altro che risolta. Anzi. Dopo gli anni della guerra che, con
i gravissimi problemi del Paese, avevano segnato una sorta di tregua,
la disputa presto si riaccese. Il tentativo di dare vita, alla fusione
delle due varianti, arrivando a una forma comune di norvegese, il
cosiddetto samnorsk117 non era stato del tutto abban­donato. Nel
1952 fu infatti istituito il Comitato per la lingua norve­gese (Norsk
språk­nemnd) che avrebbe dovuto operare in questa direzione. Que-
sta politica linguistica incontrò tuttavia una energica reazione da
entrambe le parti. Gli appartenenti all’Associazione per il riks­mål
(riksmaal)118 avevano organizzato (fin dal 1951) la cosiddetta Azio-
ne dei genitori contro il samnorsk (Foreldreaksjonen mot samnorsk)
che raccolse numerosissime adesioni e si diede anche ad azioni
concrete provvedendo a esempio a ‘correggere’ forme di samnorsk
presenti nei libri scolastici. Nel 1955 essi fondarono anche l’Asso-
ciazione norvegese degli ascoltatori (Norsk Lytterforening) per oppor-
si a qualsiasi tentativo di utilizzare la radio (e poi la televisione) per
promuovere il samnorsk. Sul fronte opposto vennero più tardi
costituite l’associazione Gio­ventù per la lingua norvegese (Norsk
mål­ungdom, 1961)119 e l’Unio­ne Ivar Aasen (Ivar Aasen-sam­bandet,
1965) che, richiamandosi al ‘creatore’ del ny­norsk, propugnava
l’uso del cosiddetto høg­norsk “alto norvegese”, vale a dire la forma
più pura della lingua, che Aasen aveva originariamente chiamato
lands­maal, affrancata da qualsiasi interferenza del bokmål.120 È evi-
dente che a fronte di tanta ostilità l’obiettivo di superare il bilingui-
smo norvegese dovette essere abbandonato.121 Per questo motivo il
117
Cfr. sopra, p. 1146 con nota 115.
118
Riksmaalforbundet, vd. p. 944, nota 386.
119
Essa costituisce il settore giovanile della Noregs Mållag (vd. p. 944, nota 386).
120
Il termine høgnorsk, introdotto dal linguista Torleiv Hannaas (1874-1929) è stato
coniato in parallelo a hochdeutsch “alto tedesco” in quanto riferito alle parlate dia­lettali
delle aree montane della Norvegia occidentale, sulle quali Aasen si era in primo luogo
basato. Ma Hannaas usa anche il termine flat­norsk “basso norve­gese” (letteralmente
“norvegese piatto”), che risulta parallelo a platt­deutsch “basso tede­sco”, in riferimento
alle parlate delle zone più pianeggianti: sulla scorta di Jacob Grimm egli ritiene le prime
‘vincenti’ rispetto alle seconde; vd. l’articolo “Høgnorsk eller flatnorsk” pubblicato nel
1922 su Norsk Aarbok (consul­tabile in rete sul sito Ivar Aasen-tunet: http://www.aasen-
tunet.no/iaa/no/ alla voce Litteratur: For­fattarar). Su Ivar Aasen vd. pp. 942-943.
121
Nel 1964 era stata istituita una commissione presieduta dal linguista Hans Vogt
(1903-1986), rettore dell’Università di Oslo, la quale dopo due anni di lavoro pre-

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1248 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

Comitato per la lingua fu riorganizzato (1972) e divenne il Consiglio


linguistico norvegese (Norsk språk­råd), successivamente (2005)
semplicemente Consiglio linguistico (Språk­rådet). In realtà il con-
flitto non è semplicemente riconducibile all’opposizione bokmål-
nynorsk, va infatti considerata anche la distinzione tra riksmål e
bokmål da una parte e tra høgnorsk e nynorsk dall’altra.122 E, del
resto, non mancano i contrasti e le opposizioni all’interno dei due
schieramenti,123 forme di ‘campa­nilismo linguistico’, rigide prese
di posizione personali, né espres­sioni satiriche nei confronti degli
‘avversari’. Per altro, nonostante tutto questo interesse, neppure il
norvegese (in primo luogo il bokmål) è rimasto esente dagli invasi-
vi attacchi della lingua anglo-americana.
Le caratteristiche di arcaicità dell’islandese e il sostanziale isola­
mento degli abitanti dell’isola lo hanno a lungo garantito da ‘peri­
colosi contagi’. E tuttavia, come si è visto, qualche prestito stranie-
ro vi è stato accolto, quasi sempre piegandosi alle regole flessive
della sua complessa grammatica. Ma con i profondi cambiamenti
derivanti dagli aumentati scambi con gli altri Paesi, dal coinvolgi-
mento nella seconda guerra mondiale (con l’occupazione britanni-
ca e americana), dall’accresciuta presenza di stranieri nel Paese,
dalla diffusione della cinematografia (favorita anche dalla televisio-
ne) e di mode musicali d’importazione, la situazione è mutata. La
lingua islandese (i cui parlanti sono circa 320.000) è in effetti una
‘lingua minore’ che deve ora difendersi in primo luogo dall’inva-
denza dell’inglese, studiato obbligatoriamente a scuola e regolar-
mente presente in tanti aspetti della vita quotidiana, come film,
pubblicità, internet e così via. Un problema questo – cui corrispon-
de per molti versi una tendenza alla ‘americanizzazione’ – condi-
visa con gli altri Paesi nordici (e non solo!). Nel 1964 veniva isti-

sentò una relazione sullo stato delle cose ma non fu in grado di trovare una soluzio-
ne condivisa. Anche se il progetto di giungere a un samnorsk è stato abban­donato
esiste ancora una associazione, l’Organizzazione nazionale per l’unione linguistica
(Landslaget for språklig samling), fondata nel 1959, che continua a perseguire questo
obiettivo.
122
Il termine riksmål (riksmaal), coniato da Bjørnstjerne Bjørnson (vd. p. 944, nota
386 e p. 1079) è stato inizialmente usato come sinonimo di bokmål. Tuttavia, dopo che
nel 1929 con un provvedimento ufficiale si optò definitivamente per la denomi­nazione
bokmål (vd. p. 944, nota 384), esso è passato a indicare una forma più conser­vativa di
questa lingua. Nell’ambito del riksmål opera l’Accademia norvegese per la lingua e la
letteratura (Det Norske Akademi for Sprog og Litteratur) fondata nel 1953. Per la
distinzione fra ny­norsk e høg­norsk vd. nota 120.
123
Si considerino a esempio il conflitto che nel 2004 ha diviso i membri dell’Unio-
ne Ivar Aasen e, sul fronte opposto, le posizioni dell’Associazione per il bokmål (Bok­
måls­for­bundet), sorta nel 1990.

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I Paesi scandinavi sullo scenario europeo e mondiale 1249

tuito il Comitato linguistico islandese (Íslensk mál­nefnd) con il


compito di monitorare la situazione della lingua nazionale e di
redigere proposte in merito. Ben consci dei rischi che un idioma
come l’islandese corre in un mondo globalizzato e, al contempo,
dello straordinario patrimonio culturale che esso rappresenta, non
soltanto per la nazione, i membri di questo comitato hanno sotto-
posto alle autorità delle proposte tradotte poi in un disegno di
legge che è stato approvato dal parlamento nel maggio 2011.124
Questo provvedimento oltre a dichiarare l’islandese lingua nazio-
nale e ufficiale del Paese a tutti gli effetti (dunque una affer­mazione
ora sentita come necessaria), ne promuove l’uso in tutte le situa-
zioni e ribadisce i compiti affidati al Comitato linguistico.
Resta indiscutibile che qui, come altrove, la presenza di elemen-
ti stranieri nella lingua costituisce una sorta di ‘cartina tornasole’
con cui misurare non solo la loro infiltrazione ma anche la capaci-
tà di reazione della cultura nazionale rispetto a mode e modi di
pensare introdotti dall’esterno. Un compito affidato, in primo
luogo, ai vari comitati per la lingua, ma nel quale si impegnano
anche associazioni sorte proprio a questo scopo.125

L’ambito nel quale le lingue nordiche sono più facilmente sottoposte


a influssi stranieri è certamente quello lessicale che, come si è visto, risen-
te in misura cospicua di quella che si potrebbe definire l’invadenza dei
termini di origine anglo-americana. Essa si manifesta in primo luogo
attraverso i prestiti (che talora hanno soppiantato termini originari altret-
tanto efficaci) e i calchi (qualche volta degli ibridi che combinano un
termine straniero con uno originario), ma anche (in forma più subdola)
124
Legge sullo stato della lingua islandese e sulla lingua islandese dei segni (Lög um
stöðu íslenskrar tungu og íslensks táknmáls; 7 giugno 2011). In essa infatti si prevede
anche l’isti­tuzione di un comitato che si occupi della lingua per i non udenti.
125
Si ricordi qui l’associazione svedese Difesa della lingua (Språk­försvaret), sorta
nel 2002, il cui sito (http://www.språkförsvaret.se/sf) raccoglie le ‘denunce’ per l’uso
improprio dell’inglese in contesti nei quali, si sostiene, sarebbe doveroso utilizzare lo
svedese. In Norvegia è attivo dal 1996 il gruppo degli Astronomi contro la divisione
delle parole (Astronomer mot orddeling), così detto perché fondato da alcuni studenti
di astronomia dell’Università di Oslo. Lo scopo di questa organiz­zazione è in primo
luogo di opporsi all’uso (ripreso dall’inglese) di separare le parole composte che in
norvegese formano un unico termine (un esempio tratto dal loro sito: geit melk “latte
di capra”, in luogo del termine corretto geitemelk per evidente influsso dell’inglese
goat milk), un errore, questo, che in taluni casi può anche determinare fraintendimen-
ti. Essi inoltre contestano l’uso errato dell’apostrofo al genitivo (dove il norvegese
aggiunge direttamente al nome una -s) e quelle che definiscono “altre porcherie” (andre
uhumskheter) dal punto di vista linguistico.

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1250 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

tramite l’impianto di locuzioni in un contesto che, apparentemente, resta


strutturato secondo le norme della lingua tradizionale. In taluni ambiti
(l’informatica in primo luogo), nei quali la comunicazione con l’estero è
fondamentale, la diffusione delle nuove parole è così capillare da raggiun-
gere in certi casi l’80-90%. In altri (a esempio la pubblicità) essa è comun-
que cospicua. Di seguito si riportano alcuni significativi esempi tratti
dalle diverse lingue scandinave.126
Nel campo dell’informatica le occorrenze sono dunque molto nume-
rose e corrispondenti a diverse tipologie: dan. browser, download,
webserver (cui secondo le regole delle lingue scandinave può essere
posposto l’articolo determinativo: browseret, down­loadet o la desi­nenza
del plurale: webservere), spam, computer­skærm (ingl. computer screen),
klikke “cliccare”, joystick (in luogo di styre­pind); sved. upp­gradera,
webbsida (ingl. web page), password (in luogo di lösen­ord), data­bas (pl.
databaser), mask (traduzione dell’ingl. worm) “virus”, fil (con articolo
determinativo filen, pl. filer); norv. e-mail (in luogo di e-post), com-
puter (in luogo di data­maskin), software (in bm, ma program­vare in nn),
mus (ingl. mouse); isl. lykla­borð (calco dell’ingl. key­board), harður
diskur (ingl. hard disk), móður­borð (ingl. mother­board) “scheda madre”,
geisla­prentari “stampante laser” (letteralmente “a raggi”). Ma altri
numerosissimi esempi possono essere ripresi da svariati ambiti seman-
tici: si vedano prestiti diretti come dan. lobby, whistle­blower “persona
che rivela informazioni riservate ritenendo di fare una cosa giusta per
la comunità” (in luogo del dan. fløjteblæser, letteralmente “suonatore
di flauto”); sved. design (che potrebbe essere degnamente sostituito
da form­givning), workshop, sales manager (che vale för­säljnings­chef),127
aftershave, bodylotion, shaker; norv. sorry (in molti casi preferito a
unnskyld o beklager), air conditioning, jazz (tuttavia con pronuncia
‘norvegizzata’), agenda (nel senso di “ordine del giorno”), shorts, snow­
board, skate­board; isl. (dove comunque i prestiti hanno dovuto, più
frequente­mente che altrove, ‘adattarsi’ almeno nella grafia) kók, ketsjöpp,
eróbik, djobb, tékka, djús, sjoppa, ma anche l’ibrido bísnessmaður (ingl. coke,
ketchup, aerobic, job, check, juice, shop, businessman). Forme di ‘adatta­mento’
grammaticale (talora abbinato a quello grafico) si trovano del resto anche
al di fuori dell’Islanda in termini come i sopra menzionati browser e down-
load e in molti altri casi: si citino qui dan. træne (ingl. to train), svedese
mobba (un parallelo dell’italiano “mobbizzare”), jobba (formato su jobb a
sua volta ripreso dall’ingl. job); norv. muffins (che, non di rado inteso come
singolare, può presentare il plurale muffinser). Molto numerosi sono
gli esempi di calchi: dan. hænge ud, lomme­penge, ned­tælling (ingl.

126
Si tenga presente che, non di rado, un termine anglo-americano è entrato in più
lingue (quando non in tutte) seppure qui, per lasciare spazio a un numero maggiore
di esempi, si faccia riferimento a una sola fra esse.
127
Ma si osservi che nella parola ‘svedese’ il secondo elemento chef è di chiara
origine francese, anche se oramai ‘metabolizzato’!

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I Paesi scandinavi sullo scenario europeo e mondiale 1251

hang out, pocket money, count down); sved. kärn­vapen, själv­betjäning,


såpopera, växt­hus­effekten (ingl. nuclear weapon, self-service, soap opera,128
green­house effect); norv. kjerne­familie, rocke­stjerne (ingl. nuclear family,
rock star). Come si è detto l’islandese ricorre ai calchi con molta fre-
quenza, quando non ‘si difende’ ancora meglio con la costruzione di
nuove parole che, pur esprimendo appieno il significato di quelle
straniere, mostrano la capa­cità di mantenere una notevole autonomia
linguistica: come esempio ba­sterà citare qui il termine per aids, reso
con alnæmi, vale a dire “iper­sensibilità a qualsiasi cosa” (dunque
immunodeficienza) o con eyðni, in sostanza “distruttore” (dal verbo
eyða “distruggere”).129
Ma l’influsso dell’inglese sulle lingue nordiche si attua, come detto,
anche in forme più ‘subdole’. A esempio ampliando o modificando il
significato origi­nario di una parola (si veda dan. dumpe “cadere, essere
bocciato” che ha acquisito anche il senso dell’ingl. to dump “scaricare
[rifiuti]”),130 intro­ducendo elementi superflui o modificando locuzioni
(come in svedese han vill bli en journalist, in luogo di han vill bli journalist
“vuole diventare giornalista” con l’inserimento dell’articolo su modello
inglese e igen och igen che riprendendo l’ingl. again and again sostituisce
l’espressione om och om igen), oppure condizionando la sintassi come
nella frase danese en ven af mig “un mio amico” (invece di en av mine
venner) palesemente ricalcata sull’ingl. a friend of mine), o anche adat-
tandosi alla complessa grammatica islandese come nell’espressione
(sentita in una conversazione fra ragazzi a Reykjavík) “keepum í contacti”131
“teniamoci in contatto” nella quale l’ingl. keep in contact è stato piega-
to alle regole dell’islandese assegnando al verbo to keep la desinenza
della prima persona plurale del presente e al sostantivo contact quella
del dativo, richiesta dalla preposizione.
Accanto alle parole e alle espressioni inglesi, assolutamente predomi­nanti,
sono entrati nelle lingue nordiche anche termini di diversa origine. Si citino
qui i casi esemplari dei termini jihad (che tuttavia è inteso più nel senso di
“guerra santa” che in quello di “sforzo”, “tensione”), imam, sharia, di ori-
gine araba ma anche, espressioni e parole riprese dal francese come ajour,
128
Si noti qui come nella formazione del calco svedese si sia fatto ricorso, per il
primo elemento, al termine per “sapone” såpa, meno comune rispetto a tvål e tuttavia
più vicino al suo modello.
129
Si segnali tuttavia che in islandese eyðni è di genere femminile. Un altro ottimo
esempio è la parola per design, in islandese hönnun, termine che si rifà al verbo hanna
“disegnare”, “progettare” e all’aggettivo hannarr (ormai scomparso dall’uso) “estroso”,
“dotato di inventiva”, “abile”. Si ricordi che nella mitologia nordica Hannarr (o Hanarr,
Hánarr) è il nome di uno tra i nani, esseri dotati di grande abilità nel realizzare magni-
fici manufatti (vd. Chiesa Isnardi 20084 [B.7.1], pp. 334-335).
130
Un parallelo si ha in italiano con il verbo realizzare che ha assunto anche il
significato di “rendersi conto” per influsso dell’inglese to realize.
131
Non sapendo come riportarla graficamente si è scelto di mantenere la grafia
inglese per le parole chiaramente derivate da questa lingua e quella islandese per í
(corrispondente dell’ingl. in).

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lassez faire o dejà vu.132 Esse però corrispondono piuttosto all’e­sigenza di


esprimere concetti ‘nuovi’ o, anche, a una ‘scelta stilistica’ (in danese ajour
è da taluni preferito all’inglese update). In qualche caso (a esempio kebab,
sushi) sono comunque la ‘spia’ di cambiamenti culturali.

14.4.2. Ricerche e sperimentazioni: letterarie e non solo

Se il dramma della guerra, con il suo carico di aggressione e cru-


deltà e la sua scia di morte e rovine, aveva definitivamente con­clamato
le questioni esistenziali ben presenti fin dai primi decenni del secolo,
i suoi strascichi non avrebbero potuto non riflettersi nella produzio-
ne letteraria successiva. Che, se almeno da una parte, manifesta il
senso di sollievo per la conclusione del conflitto, si trova dall’altra a
dover presto fare i conti con nuove problematiche politiche, sociali
e, di riflesso, individuali. Nuovi fattori di preoccu­pazione, come le
armi atomiche, la guerra fredda, i conflitti scatenati in Paesi ormai
solo geograficamente lontani (si pensi alla Corea, all’Algeria, a Cuba,
al Vietnam, alla Palestina), ma in grado tuttavia di mettere a repen-
taglio gli equilibri mondiali, si sommano a una crescente consapevo-
lezza critica che mette ora in discussione il progresso tecnologico, la
gestione delle risorse naturali, lo stesso sistema economico, esprimen-
do al contempo uno strisciante senso di angoscia per la possibilità,
sempre incombente, d’una catastrofe e il disagio (spesso legato a un
senso di impotenza) per le grandi ingiustizie, perpetrate sia all’inter-
no della società, sentita ormai come disgregata e comunque capace
di esclusione nei confronti di soggetti deboli o ‘diversi’ (basti pensa-
re ai moti studenteschi del ’68) sia a livello mondiale rispetto ai
Paesi del cosiddetto Terzo mondo. Al che si accompagna l’apertura
a nuove tendenze (a esempio beat, punk, pop) così come la definitiva
concessione di ‘cittadinanza’ anche ad argomenti a lungo ritenuti,
quantomeno ‘sconvenienti’. Dopo la ca­duta del muro di Berlino nel
1989, si fa strada un rinnovato nazio­nalismo, si acuisce il senso del
conflitto culturale, si ripropone l’esi­genza di individuare un ‘centro
di gravità’ (quantomeno il proprio), un punto di riferimento sicuro
che, tuttavia, sembra restare irrag­giungibile. Le reazioni degli autori
e i loro tentativi di dare voce a questo complesso di sentimenti sono
molteplici e, si potrebbe dire, si distribuiscono in mille rivoli che si
perdono in molte (forse troppe) direzioni. Il che vale anche dal pun-
132
Pare qui interessante ricordare come fin dall’Ottocento ci sia stato in Danimar-
ca un atteggiamento ostile nei confronti di un possibile influsso del tedesco sul dane-
se, una posizione che gli eventi della seconda guerra mondiale avrebbero consolidato.

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to di vista degli strumenti espressivi che non soltanto vengono scelti


su basi marcatamente soggettive, ma in non pochi casi superano i
confini ‘strettamente linguistici’ per combinarsi con forme tratte da
altri ambiti (arti visive e musica in primo luogo ma, a esempio, anche
mate­matica o fotografia). E, del resto, anche la rivoluzione informa-
tica non sarà senza conseguenze.133 Per altro in alcuni il bisogno di
una letteratura legata alla vita reale porterà all’utilizzo di una lingua
il più possibile aderente alla quotidianità, livellando ogni differenza
fino a determinare una ‘crisi della parola letteraria’, fino a doman-
darsi il senso stesso della sua esistenza.

14.4.2.1. Percorsi danesi

In Danimarca un punto di riferimento del primo dopoguerra è la


rivista Heretica (uscita tra il 1948 e il 1953) tra i cui primi redattori
c’era il poeta Thorkild Bjørnvig (1918-2004), un autore nella cui
opera si riconosce lo sforzo di ritrovare l’armonia dell’a­nimo umano.
Attorno a essa si erano infatti raccolti molti intellettuali e scrittori che
consideravano il disastro della guerra come la conse­guenza di una
visione eccessivamente razionalistica e tecnicistica che aveva finito
per privare l’uomo del suo equilibrio, rendendolo inca­pace di dare
spazio alla propria componente sentimentale e spirituale e di mante-
nere un corretto e proficuo rapporto con la natura: essi ritenevano
che la ‘costruzione di una nuova umanità’ potesse passare attraverso
la poesia.134 Di segno opposto erano altri scrittori (legati all’area cul-
turale di sinistra) le cui idee erano espresse nella rivista Dialog (uscita

133
Al ‘linguaggio’ dei computer si ispirano a esempio il danese Gordon Inc. (Hr.
Claus Winther, n. 1964) che si definisce un “kamikaze culturale” (“en kulturel kami-
kazepilot”: http://www.litteratursiden.dk/forfattere/gordon-inc) e il norvegese Jan
Kjærstad (vd. oltre, p. 1274). Più recentemente (2001) il danese Jens Blendstrup (n.
1968), che tra l’altro ama recitare le sue poesie con l’accompagnamento di una rock
band (Frodegruppen40), ha voluto cimentarsi con un romanzo in chat, mentre Merete
Pryds Helle (su cui vd. p. 1259) ha sperimentato il romanzo per iPad.
134
Tra i più noti Paul la Cour (1902-1956), che sembra abbandonarsi a un senso pantei-
stico della natura; Martin A. Hansen (vd. p. 1170), Ole Sarvig (1921-1981), che esprime un
mondo al contempo simbolico e mistico-religioso nel quale tuttavia non sa trovare quiete
come mostra il suo tragico suicidio; Ole Wivel (1921-2004), che pare recuperare un signi-
ficato della vita solo in una profonda fede in Dio; Frank Jæger (1926-1977), che passa da
toni gioiosi e umoristici a un profondo senso di angoscia e impotenza; Tage Skou-Hansen
(1925-2015) autore i cui romanzi, pur trat­tando dei problemi dell’attualità, offrono spunto
a riflessioni storico-politiche. Nel 1953 venne fondata Prospettiva (Perspektiv, edita fino al
1969), una rivista aperta alla discussione ma di orientamento conservatore. Più avanti un
organo dei conser­vatori sarà Criterio (Kriterium), pubblicazione uscita tra il 1965 e il 1969.

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1254 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

tra il 1950 e il 1961), il cui primo redattore fu lo sto­rico della lettera-


tura Sven Møller Kristensen (1909-1991): secondo questi ultimi, che
si richiamavano al radicalismo culturale degli anni ’30, l’impegno
dello scrittore doveva essere strettamente legato alla realtà concreta
per incidere in misura significativa nella sfera sociale e politica.135 È
opportuno notare qui che questa pubblicazione riportava anche
contributi di architetti e scultori. Dal punto di vista artistico questo
legame diretto con la realtà si esprime tra l’altro, negli anni ’60, nella
cosiddetta ‘poesia del confronto’, che prende nome da una celebre
raccolta del 1960 (Konfrontation) di Klaus Rifbjerg (1931-2015); in
essa si riproduce il rapporto diretto dell’autore con la realtà circostan-
te della quale egli è costretto a constatare tutta la frammentazione: un
confronto, appunto (nel quale è coinvolto il lettore), da cui può
derivare la sola ‘registrazione’ di ciò che si percepisce, la rappresen-
tazione di squarci di realtà. In questo ambito, o comunque, in quello
di una disagevole (per taluni versi quasi imbarazzata) ricerca espres-
siva molti si muovono.136 Esperi­menti linguistici arditi (una vera e
propria ‘poesia visiva’) sono legati al concretismo (si veda l’esempio
di Per Højholt, 1928-2004),137 una tendenza che del resto si riscontra
anche nelle arti visive e nella musica. E dunque il modernismo più
che ‘interpretare’ la realtà prova a ‘crearla’ per mezzo della parola.
Ma esso si nutre anche di surrealismo (se non di nichilismo) e talora
ricorre all’umorismo per ‘coprire’ l’angoscia.138
Anche sul versante della prosa – alla quale per altro molti dei
poeti sopra menzionati, in primo luogo Klaus Rifbjerg (con il suo
135
Tra di loro Otto Gelsted (vd. p. 1172), Erik Knudsen (1922-2007), che aveva
lasciato Heretica, e il faroese William Heinesen (vd. pp. 1449-1450).
136
Qui si possono menzionare poeti come Jørgen Sonne (1925-2015), il cui ricorso
alla metafora anticipa futuri sviluppi, Jørgen Gustava Brandt (1929-2006), che esprime
tutto il senso dell’incertezza di fronte a una realtà caleidoscopica, Benny Andersen (n.
1929), l’ironico poeta cantautore e, soprattutto, Jess Ørnsbo (n. 1932), censore delle
vuote convenzioni che ricorre a uno stile per certi versi grottesco arricchito da elemen-
ti barocchi.
137
Ma anche di Hans-Jørgen Nielsen (1941-1991) che fu inoltre una figura di riferi­
mento nel dibattito culturale, soprattutto per aver definito il concetto di “relativismo
attitudinale” (attitudrelativisme), con ciò volendo descrivere la situazione dell’uomo
moderno che, privato di un proprio ‘centro di gravità’, si trova a interpretare ruoli
diversi (magari socialmente predefiniti): nel che accanto a un ampliamento delle pos-
sibilità si nasconde il rischio di una perdita dell’identità della persona. Si vedano tra
l’altro i saggi “Hr. Godot formoder jeg? Mod en attitudrelativisme” e “Spillets regler.
Til attitudrelativismens psykologi” in‚ “Nielsen” og den hvide verden. Essays, kritik,
replikpoesi, 1963-1968, København 1968, pp. 9-12 e pp. 13-18, rispettiva­mente.
138
Si pensi a poeti come Ivan Malinowski (1926-1989) che, pur cedendo a una
sorta di nichilismo, trasforma la rivolta linguistica in rivolta politico-sociale e Uffe
Harder (1930-2002) legato alla tradizione surrealista europea.

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I Paesi scandinavi sullo scenario europeo e mondiale 1255

linguaggio franco e disinvolto), si dedicano con successo – si consta­


ta, accanto a una letteratura ‘tradizionale’,139 la comparsa di opere
sperimentali i cui autori affrontano con strumenti linguistici il
problema di una realtà di difficile comprensione e definizione, che
si riflette in quelle molteplici, cangianti e frammentarie dei diversi
personaggi. Del resto l’immagine del mondo che ci circonda ci è
trasmessa in buona parte attraverso la lingua: per questo se la si
vorrà analizzare si dovrà fare ricorso a sistemi innovativi che con-
sentano di ‘smontare’ i luoghi comuni (la lingua comune) per
cercare di proporre una diversa prospettiva e svelare gli aspetti
nascosti. Autori che si muovono in questa direzione sono, in primo
luogo, Peter Seeberg (1925-1999), le cui opere riflettono il disagio
di chi non riesce a rapportarsi con il mondo circostante, e Villy
Sørensen (1929-2001),140 interessato alla filosofia, che trarrà ispi-
razione anche dalla letteratura antica per reinterpretarne (in un
linguaggio ricco di forme inaspettate) i significati nella prospettiva
dell’uomo moderno.141 Lo sforzo di superare il disorientamento e
costruirsi un linguaggio capace in qualche modo di ‘dare ordine’
alla realtà si tradurrà anche in una “poesia organizzata secondo un
sistema” (system­digtningen) che, tuttavia, in casi estremi, pare
arrivare a produrre versi ormai privati di un qualche significato che
non sia (forse) l’assenza stessa di significato, la resa dell’autore di
fronte alla complessità e alla inestricabilità dell’esperienza. L’esem-
pio migliore è certamente quello della poetessa Inger Christensen
(1935-2009), più volte ‘in odore’ di Nobel,142 alla ricerca, attraver-
139
Il perdurare di questa tendenza porterà come frutto migliore i romanzi di Thor-
kild Hansen (1927-1989) che a partire dagli anni ’60 scriverà opere ambientate in
terri­tori lontani e talora misteriosi, combinando il resoconto documentaristico con
l’avventu­ra e la storia, in un viaggio di ricerca che tuttavia pare non giungere mai alla
propria meta.
140
Insieme a Klaus Rifbjerg, Villy Sørensen avrebbe redatto dal 1959 al 1973 la rivista
letteraria La rosa dei venti (Vindrosen). Fondata nel 1954 come una sorta ‘continuazione’
di He­retica, sotto la loro guida essa fu aperta alle idee più innovative e contribuì a far
conoscere in Danimarca molti autori stranieri della giovane generazione.
141
Qui si menzioni inoltre Cecil Bødker (n. 1927, anche poetessa) che affida (e non
è la sola) la prosa alla fantasia e all’indagine psicologica in opposizione a una intran­
sigente razionalità, mentre nelle novelle e nei romanzi di Leif Panduro (1923-1977) si
constata la difficoltà di svincolarsi da una lingua ‘normale’ (riflesso di una vita ‘nor-
male’) che non lascia spazio a forme diverse (ma per molti incomprensibili) di espres-
sione.
142
Tra il 1959 e il 1976 Inger Christensen fu sposata con Poul Borum (1934-1996),
poeta, critico, traduttore e redattore (1968-1996) della rivista letteraria Chicco di grano
(Hvede­korn), fondata nel 1920 (nel corso degli anni essa è stata pubblicata con diver-
si titoli). Egli inoltre dal 1987 fu alla guida della Scuola per scrittori (For­fatter­skole),
nata in quell’anno e tuttora attiva.

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1256 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

so la poesia, di una qualche forma di libertà, ma va ricordato come


anche il romanziere e drammaturgo di grande successo Svend Åge
Madsen (n. 1939), capace di manipolare stili e linguaggi diversi, sia
influenzato da questa tendenza.143
In Danimarca come altrove tra gli anni ’60 e gli anni ’70 (che
sono, non lo si dimentichi, anche gli anni degli hippies, della rivol-
ta studentesca e dei collettivi)144 il mondo culturale è fortemente
orien­tato a sinistra e impegnato; in letteratura i temi sociali e
politici con­quistano sempre più spazio: la questione femminile,145
il persistente disagio del proletariato,146 la dipendenza dalla droga,
l’emargina­zione, i conflitti internazionali, il problema dell’energia
atomica. Im­pegni a fronte dei quali la ricerca estetica sembra
cedere il passo. In questo clima si propongono scrittori come
Henrik Stangerup (1937-1998), narratore anticonformista che
muove verso una ricerca etico-filosofica che lasci spazio alla coscien-
za individuale; Ebbe Kløve­dal Reich (1940-2005), assai attivo nel
movimento della sinistra radicale, che scrive volentieri romanzi
ispirati a temi storici, e Sven Holm (n. 1940) che pur formulando
una critica sociale la proietta sul piano dei rapporti umani piutto-
sto che su quello della realtà politica.147 E, per altro, i prodotti
artisticamente migliori si riconoscono là dove gli autori, piuttosto
che alla polemica, danno voce all’ispirazione che nasce dall’espe-
143
Un esemplare rappresentante di questa poesia è anche Klaus Høeck (n. 1938).
144
In questo periodo nasce il cosiddetto “teatro di gruppo” (gruppe­teater), aperto
alle sperimentazioni, il cui esempio migliore è l’Odin Teatret fondato da Eugenio
Barba (n. 1936) il celebre regista italiano formatosi in Polonia e poi trasferitosi in
Scandinavia (nel 1964 in Norvegia dove diede vita a questa compagnia e dal 1966 in
Danimarca). Un altro gruppo assai noto è stato anche Il carro solare (Solvognen; cfr. p.
43 con nota 107). Notevole importanza riveste in questo periodo il ‘teatro politico’,
chiaramente orientato a sinistra e al primo non di rado sovrapposto.
145
Che trova una ‘traduzione letteraria’ nell’opera di diverse autrici. Jytte Borberg
(1917-2007), di origini svizzere ma trasferita in Danimarca fin da bambina, tratta il tema
della ricerca dell’identità femminile, mentre Dorritt Willumsen (n. 1940), moglie di Jess
Ørnsbo (cfr. nota 136), incentra volentieri le proprie storie su figure di donne sottoli-
neandone la solitudine e il bisogno di trovare la propria realizza­zione. Un diverso
approccio si constata nei versi di Marianne Larsen (n. 1951), più orientata a una pro-
spettiva strettamente politico-sociale, e in Vita Ander­sen (n. 1942) che riflette in poesia
e in prosa la sua infelice esperienza infantile. Se per Vibeke Grønfeldt (n. 1947) le pro-
spettive sulla condizione della donna restano ‘ine­vitabilmente’ negative, in Jette Drewsen
(n. 1943) i temi femminili vengono trattati in una prosa realistica attenta alle esigenze
della forma, mentre per Suzanne Brøgger (n. 1944), che debutta nel pieno delle battaglie
per la parità fra i sessi, la lotta al patriarcato può passare anche da una rivisitazione di
antichi miti. Va qui tuttavia infine citata anche un’autrice più anziana, Elsa Gress (1919-
1988), che rifiuta apertamente le istanze femministe in favore di un superiore umanesimo.
146
Si ricordino autori come John Nehm (n. 1934) e Lean Nielsen (1935-2000).
147
Cfr. p. 757, nota 332.

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I Paesi scandinavi sullo scenario europeo e mondiale 1257

rienza personale, dalle problematicità dell’esistenza e dall’empatia


verso i deboli e gli emarginati. Nascono così i versi raffinati e
impreziositi di metafore di Henrik Nordbrandt (n. 1945), al con-
tempo pensieroso e ironico, che dopo aver ricercato nelle atmo­sfere
calde e luminose dei Paesi mediterranei una risposta al proprio
senso di solitudine e disagio ‘farà ritorno’ verso il mondo danese;
ma anche il successo di Tove Ditlevsen (nata nel 1917 o 1918,
morta suicida nel 1976) autrice di poesia e di prosa che riversa nei
propri scritti il ricordo di una infanzia vissuta nei quartieri poveri
di Copenaghen.
Naturalmente anche la drammaturgia risente delle tendenze
mo­derniste. Il primo nome di rilievo è quello di Leif Panduro,
appena ricordato come prosatore: le sue opere mostrano da subi-
to (scriverà poi per la televisione) chiari influssi di Samuel Beckett
(1906-1989), di Eugène Jonesco (1909-1994) e di Harold Pinter
(1930-2008), proponendo le tematiche dell’assurdo. Sotto la spin-
ta di un approccio altrettanto ‘disgregato’ e ‘scomposto’ quanto
la realtà (interiore o esteriore) che è chiamato a rappresentare, il
teatro si apre a sperimen­tazioni che da una parte sono indotte dai
nuovi mezzi di cui dispone (radio, televisione) ma dall’altra con-
fondono i generi (diversi scrit­tori si dedicano anche a riviste e
musical) e i ruoli: non soltanto quelli degli attori bensì anche
quello dell’autore e del suo pubblico in una prospettiva che va a
intaccare la definizione stessa di ‘arte’ e di ‘letteratura’ e nella
quale inoltre diventa difficile marcare un confine tra linguaggio
quotidiano e linguaggio artistico. Il tutto per far sì che la ‘creazio-
ne’ sia ‘realtà’ o, quantomeno, sia capace di ‘rappresenta­zione
della realtà’ senza tralasciarne gli aspetti più sgradevoli e
in­confessabili. Un processo nel quale lo stesso Klaus Rifbjerg
appare pienamente coinvolto. Per certi versi si può dire che nei
suoi aspetti estremi il modernismo abbia portato al disfacimento
della parola letteraria dissolvendola nel magma d’ogni possibile
forma di espres­sione.
A ciò, come è ovvio, si determinò una reazione. Essa aveva
co­munque radici lontane, quantomeno in quel neorealismo che
(ridando spazio alle esperienze personali dell’autore e avvicinando-
si al lettore con storie più immediatamente fruibili) si era manife-
stato fin dagli anni ’60.148 Si noti qui che un’autrice come Kirsten
Thorup (n. 1942) mostra di trovarsi a proprio agio sia con la scrit-

148
I nomi di riferimento sono quelli di Anders Bodelsen (n. 1937) e di Christian
Kamp­mann (1939-1988).

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1258 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

tura sperimentale sia (più tardi) con il romanzo realista. Del resto
negli anni ’80, mentre si assiste al crollo di molte illusioni politiche,
si constata come in un mondo ormai urbanizzato e tecnologico il
legame con la natura sia sostanzialmente reciso mentre non si trova
soluzione al senso di solitudine e disillusione: interviene così una
forma di reazione, una stanchezza, ma anche la resa di fronte al
cambiamento ormai irreversibile, la disgregazione dell’esperienza.
Siamo ormai in un clima postmodernista. La conseguenza è un
ripiegamento alla ricerca della propria identità e, al contempo,
un ritorno (consolatorio?) all’arte. La quale (si veda Peter Laugesen,
n. 1942, poeta e drammaturgo) va liberata, così come la vita, da
tutto ciò che la abbia in qualche modo ‘inquinata’; ma che, al con-
tempo, non conosce confini definiti. Figura emblematica della
poesia degli anni ’80 è Michael Strunge (1958-1986) che, pur rece-
pendo l’eredità degli anni ’60 e ’70, mani­festerà tragicamente nel
suicidio la sete inappagata di una vita vera.149 Accanto a lui Søren
Ulrik Thomsen (n. 1956) che attraverso la poesia riflette sulle gran-
di questioni dell’esistenza; F.P. Jac (Flem­ming Preben Jacobsen,
1955-2008), originale improvvisatore, e Pia Tafdrup (n. 1952) che
pur toccando temi dell’erotismo femminile persegue una sorta di
religiosità umana e poetica. Nella prosa il senso di un’umanità fran-
tumata in una serie di individualità sofferenti alla ricerca di un
qualche conforto è ben interpretato da Peer Hultberg (1935-2007).
Il motivo della frammentazione che induce a soffermarsi su sin-
goli temi resta una caratteristica della letteratura danese anche negli
ulti­mi due decenni. Quando ormai, divenuto ancor più difficile
indivi­duare orientamenti comuni ben definiti, si cerca piuttosto di
distin­guere gli autori di maggior rilievo, nel che si darà merito alla
loro capacità di riappropriarsi di una dimensione estetica (applicata,
non di rado, a opere di svariata natura) capace di prevalere tanto
sul­l’esigenza del dibattito (che tuttavia non manca) quanto su quel-
la dell’impegno politico. Si citano qui dunque (con le dovute caute-
le) poeti come Simon Grotrian (n. 1961) che si richiama al surreali-
smo ma anche al barocco in un percorso sempre più marcatamente
segnato dal sentimento religioso (fino ad arrivare a comporre salmi);
Pia Juul (n. 1962), che si affida a una scrittura fatta di frammenti;
Morten Søndergaard (n. 1964) che ripropone il tentativo di tradur-
re la realtà in poesia; Niels Lyngsø (n. 1968), tra l’altro redattore

149
Michael Strunge fu anche tra i redattori della rivista Strada laterale (Sidegaden),
un forum per il dibattito letterario, uscita tra il 1981 e il 1984. Il titolo del resto ben
riflette l’idea di avviarsi su percorsi inconsueti.

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I Paesi scandinavi sullo scenario europeo e mondiale 1259

del­l’importante rivista letteraria Il portone blu (Den blå port),150 e


Ursula Andkjær Olsen (n. 1970) autrice di una lirica al contempo
vivace e melodiosa.
Nella prosa gli anni ’90 mostrano (con le dovute eccezioni) la tenden-
za a romanzi brevi e a narrazioni affidate a uno stile essenziale (minima-
lista) ma non per questo banale, ma anche nuove forme di realismo. In
questo periodo mentre si consolida il successo di Ib Michael
(n. 1945), che arricchisce il proprio realismo magico con spunti fanta-
stici tratti da culture lontane, si afferma una serie di scrittrici di sicuro
valore come Solvej Balle (n. 1962), interessata a una prospettiva filoso-
fica; Merete Pryds Helle (n. 1965), autrice di opere di vario genere che
nei suoi romanzi (sempre concentrati sulla realtà) coinvolge ora la
storia, ora le scienze naturali; Naja Marie Aidt (n. 1963), anche fine
poetessa;151 Ida Jessen (n. 1964) che abilmente caratterizza la psicologia
dei suoi personaggi, Helle Helle (Helle Olsen, n. 1965), la cui prosa è
al contempo minimalista e realista. Nel 1990 debuttava Jan Sonnergaard
(n. 1963) destinato a diventare, con la sua realistica denuncia del mon-
do danese contemporaneo, uno degli autori più noti nel primo decen-
nio del XXI secolo; mentre Jakob Ejersbo (1968-2008) ritorna al
‘romanzo collettivo’152 (una forma narrativa che, per altro, aveva inte-
ressato anche Sonner­gaard) e Jens Christian Grøn­dahl (n. 1959), il cui
debutto risale al 1985, si concentra sul tema della vita interiore. I
conflitti psicologici e il disagio dell’individuo sono al centro della narra­
zione di Charlotte Weitze (n. 1974) che si avvale di una lingua intrisa
di simboli e colloca le proprie storie al confine fra realtà e fantasia.
Nell’ambito della drammaturgia si vogliono ricordare qui Niko-
laj Cederholm (n. 1963), figura centrale del rinnovamento del
teatro danese, e Line Knutzon (n. 1965), le cui opere, nelle quali
non manca il ricorso all’assurdità e all’umorismo, interpretano assai
bene la critica alla società contemporanea, ma – soprattutto – Peter
Asmussen (n. 1957), tra l’altro collaboratore del famoso regista Lars
von Trier,153 che rivela una visione pessimistica dei rapporti fra gli

150
Fondata nel 1985 dal critico letterario Erik Skyum-Nielsen (n. 1952) e dal poe-
ta Søren Ulrik Thomsen, sopra citato, questa pubblicazione (in cui ogni numero ha
una sezione dedicata a un tema specifico) si propone, con articoli critici e interviste,
di offrire un panorama della letteratura contemporenea; inoltre presenta testi nuovi e
autori stranieri in traduzione. Un’altra rivista culturale di un certo interesse è stata
Venerdì (Fredag), uscita tra il 1985 e il 1991, il cui nome si rifaceva al celebre perso-
naggio di Daniel Defoe (1660-1731).
151
A lei nel 2008 è andato il prestigioso premio letterario del Consiglio nordico
(Nordiska rådets litteraturpris).
152
Vd. p. 1169.
153
Vd. pp. 1190-1191.

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1260 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

individui, sostanzialmente infelici in un mondo, come quello moder-


no, incapace di fare spazio a sentimenti davvero autentici. Uno
sperimentatore di forme teatrali nuove è anche il regista e autore
Lars Kaa­lund (n. 1964).

La difficoltà di misurarsi con il linguaggio, ritenuto incapace di espri­


mere la complessità della vita, è uno dei temi ricorrenti nella letteratura
del secondo dopoguerra, in particolare della poesia. Si leggano in pro­
posito alcune citazioni tratte da composizioni di diversi poeti:

“Lontano dalle mie poesie


era tutto sorprendentemente bianco:
un foglio vuoto con intorno il buio [...]”

(Lasse Söderberg)

“Dunque si tratta di descrivere


una situazione impossibile

- e in un modo possibile, cioè


con parole. E che la situazione è impossibile

non può sostenersi con pure parole (chi crede


alle parole pure oggigiorno? [...]”

(Jan Erik Vold)

“Spesso io resto a distanza


e faccio un cenno alle parole scintillanti –
mi piacerebbe conoscerle più da vicino.

Il problema è
che ben raramente sono sole
e si portano dietro una massa di parole assurde:
se ne chiamo una
arriva quasi senza eccezione un intero giornale [...]”
(Þorsteinn frá Hamri)
“Stanco di tutti quelli che si presentano con parole, parole ma nessuna
lingua [...]
La natura non ha parole.
Le pagine non scritte si estendono in tutte le direzioni! [...]”
(Tomas Tranströmer)

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I Paesi scandinavi sullo scenario europeo e mondiale 1261

Ma si leggano anche i versi straordinari con i quali la poetessa danese


Inger Christensen descriveva il miracolo dell’atto poetico:

“Di nuovo riconosco


un albore nella lingua
le parole rinchiuse
che esistono per essere amate
e ripetute fino all’essenza
Un cigno che si stringe
attorno all’uovo
è ancora un’eco
in noi della creazione [...]”154

14.4.2.2. Percorsi svedesi

In Svezia gli sviluppi in campo letterario sono per molti versi


paralleli. La conclusione della guerra (nella quale, pure, il Paese era
rimasto esente dalle devastazioni e dalle tragedie verificatesi altro-
ve) aveva avviato una amara riflessione sulla catastrofe che si era
com­piuta, allargandola a problemi nuovi o irrisolti come la guerra
fredda, la persistente dittatura franchista in Spagna, i conflitti in
diverse aree del mondo. Una riflessione alla quale il mondo cultu-
rale certo non si sarebbe sottratto, anzi. Dal punto di vista più
stretta­mente legato all’aspetto politico si ricorda, tra l’altro, il
dibattito sul cosiddetto “terzo punto di vista” (tredje stånd­punkten)
che, dopo il colpo di stato con il quale i comunisti avevano preso
il potere in Cecoslovacchia (1948), vide contrapposti intellettuali
di diverso orientamento: da una parte coloro che chiedevano una
ferma con­danna di questo atto, dall’altra quelli che erano tradizio-
nalmente fa­vorevoli all’Unione sovietica. Riallacciandosi alla poli-
tica di neu­tralità portata avanti dal Paese, si propugnava così la
scelta di una posizione ben distinta di equidistanza rispetto ai due
grandi blocchi nei quali il mondo risultava diviso dopo la fine del-
la guerra. In letteratura il modernismo continuava a produrre i suoi
frutti e la ricerca linguistica si sforzava di trovare strumenti adatti
a esprimere i sentimenti di angoscia e indignazione.155 Il tutto si
tradusse in un’intensa dialettica (con inevitabili risvolti sociali
DLO nr. 181-185.
154

Un modernismo portato alle estreme conseguenze caratterizza la prosa di Gösta


155

Oswald (1926-1950), morto prematuramente.

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1262 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

e politici) che vide impegnate figure di primo piano come gli scrit-
tori e critici Olof Lager­crantz (1911-2002) e Bengt Holm­qvist
(1924-2002), finno-svedese, e i sopra citati Karl Venne­berg, Erik
Linde­gren e Werner Aspen­ström. Meno coinvolto restò il ‘poeta
solitario’ Gunnar Eke­löf concentrato piuttosto sulle problematiche
esistenziali (seppure si fosse mostrato avverso ai nuovi indirizzi
politico-sociali). Ma tutti loro non avrebbero mancato di portare
avanti esperimenti e inno­vazioni linguistiche.156 Come si è detto in
Svezia il modernismo era giunto fin dai decenni precedenti il secon-
do conflitto mondiale,157 esso dunque aveva qui avuto modo di
‘maturare’ in tardomoder­nismo: ma il suo segno è ben riconosci-
bile dalla lettura dei diversi poeti che debuttano tra la fine degli
anni ’40 e nei decenni successivi. Si citino almeno Bo Setterlind
(1923-1991), tempe­ramento religioso ispirato alla natura; Östen
Sjö­strand (1925-2006), anch’egli animo profonda­mente religioso
(nel 1953 si convertirà al cattolicesimo) e primo redattore (dal 1975)
della rivista di arte, musica e letteratura Artes (le cui pubblicazioni
sono cessate nel 2005); Folke Isaksson (1927-2013) che se da una
parte si ispira alla natura, mostra dall’altra un serio impegno poli-
tico-sociale; Birgitta Trotzig (nata Kjellén, 1929-2011), anche autri-
ce di romanzi, la cui opera è percorsa da un profondo senso mora-
le e religioso.158 Seppure i loro percorsi siano diversi, in tutti si
riconosce lo sforzo di ‘costruirsi’ una lingua nuova. Fin dal debut-
to, a soli ventitré anni, con la raccolta 17 poesie (17 dikter, 1954),
subito segnata da un grande successo, Tomas Tranströmer (1931-
2015), vincitore del Nobel nel 2011, ha dimostrato uno straordi-
nario talento, presto imponendosi come uno dei massimi autori
scandinavi di ogni tempo. Universalmente riconosciuto come mae-
stro nell’uso della metafora, egli indaga nei suoi versi i territori di
confine, le ‘zone d’ombra’ tra la vita e la morte, lo spazio espressi-
vo tra la parola e il silenzio, privilegiando nelle ultime raccolte la
poesia essenziale sul modello orientale del haiku (assai caro a diver-
si poeti nordici): si veda in particolare Il grande mistero (Den stora
gåtan, 2004).159 Nella prospettiva di un componimento ‘dominan-
156
Su questi poeti vd. sopra, pp. 1171-1172.
157
Vd. sopra, p. 1171.
158
Ella era sposata con il pittore Ulf Trotzig (vd. p. 1301).
159
Qui non si può fare a meno di constatare la ‘distrazione’ di un critico assai
severo come Mario Gabrieli, il quale (Gabrieli 1995 [B.4, nota 6], pp. 60-62), inserisce
Tomas Tran­strömer in un elenco di prosatori, salvo correggersi in una lunga nota
nella quale ne illustra le qualità poetiche, tuttavia sottolineando quello che ritiene
l’affievolirsi della sua arte, che – al contrario – ha mostrato di possedere una straordi-
naria vitalità restando costantemente ad altissimi livelli.

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I Paesi scandinavi sullo scenario europeo e mondiale 1263

te’ rispetto al suo autore (come testimonia Tranströmer stesso),160


di un’opera dello scrittore che non è più ‘rappresentazione’ né
‘interpretazione’ bensì ‘azione’ molto si comprende del moder­nismo
lirico svedese. Che negli anni ’60 e ’70 non manca di adeguarsi alle
esuberanze del concretismo161 così come di radica­lizzarsi politica-
mente (un orientamento al quale pochi paiono sot­trarsi, non da
ultimo proprio Tran­strömer). Se ne prenda esempio in autori come
Lars Forssell (1928-2007), che passa da una lirica di ispirazione
simbolista che si esprime su diversi livelli alla poesia impegnata
nella critica sociale (anche se poi rifluirà verso l’interio­rità e la
riflessione); Lasse Söderberg (n. 1931), ‘poeta’ e ‘socialista’ che
affida il proprio messaggio a un linguaggio innovativo, per certi
versi simbolico e surreale, ma regolato da una propria disciplina
formale;162 Göran Sonnevi, severo giudice della guerra americana
in Vietnam e della società capitalista;163 Björn Håkan­son (n. 1937),
tra i fondatori della rivista letteraria Rondo (uscita tra il 1961 e il
1964) e promotore di un vivace dibattito (noto come tro­lös­hets­
debatten: letteralmente “dibattito sulla mancanza di fede”), nato
dalla sua pro­posta di rigettare le norme codificate e l’autorità in
nome di una nuo­va libertà. Una reazione a queste tendenze verrà
dalla cosiddetta neo­semplicità (ny­enkel­het): in effetti se gli autori
che la perseguono mostrano di volersi riappropriare di una lingua
lineare e aderente alla realtà, anch’essi finiscono poi per lasciarsi
andare a ‘eccessi’ (seppu­re di segno contrario) quando spalancano
gli spazi della poesia agli aspetti più banali della quotidianità.164 Ma
i migliori, come Göran Palm (1931-2016), che fa anche una critica
della società svedese americanizzata,165 e Sonja Åkesson (1926-1977),
che spesso dà voce alla situazione della don­na, sopraffatta da una
società maschilista, riescono a conferire un tono lirico alle situazio-
ni più ordinarie.
160
Vd. Chiesa Isnardi 2011, pp. 123-124.
161
Esemplarmente interpretato da Öyvind Fahlström (vd. pp. 1304-1305) e Bengt
Emil Johnson (1936-2010).
162
Lasse Söderberg fu uno dei componenti del gruppo Metamorfos, orientato in
sen­so neo-romantico e formatosi a partire dal 1951 allo scopo di ‘riformare’ la poesia.
Del gruppo (che aveva un atteggiamento ‘aperto’ nei confronti delle sostanze stupe­
facenti) facevano parte anche Lennart Nilsén-Somre (1923-1991), Björn Lun­de­gård
(1927-1988), Öy­vind Fahl­ström (cfr. nota 161), Paul Andersson (1930-1976), Janne
Bergquist (1930-1994), Urban Torhamn (1930-2010), Svante Foerster (1931-1980),
Ingvar Orre (1932-1983), Birgitta Stenberg (1932-2014) e Petter Bergman (1934-1986).
163
Si rileggano i suoi versi citati alle pp. 1216-1217.
164
Si pensi a Lars Bäckström (1925-2006).
165
Di lui si veda a esempio il saggio dal significativo titolo Indottrinamento in Sve-
zia (Indoktrineringen i Sverige) del 1968.

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1264 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

Anche sul versante della prosa ci sono nomi di grande prestigio.


Nel 1957 debuttava Per Olof Sundman (1922-1992) che con il suo
stile asciutto e puntuale (e le sue storie ispirate ad avventurose
spedizioni)166 avrebbe ottenuto un notevole successo nazionale e
internazionale. Posizioni politicamente radicali sono invece incar-
nate in primo luogo da Artur Lundkvist, sopra ricordato come
poeta,167 ma anche da Sara Lidman (1923-2004), assai attiva sul
piano politico e dotata di uno stile originalissimo, che narra delle
ingiustizie sociali e della pre­varicazione dei potenti. Originaria di un
paese del Väster­botten nella Svezia settentrionale, con le sue rap-
presentazioni di quell’ambiente ella si inserisce per diversi aspetti
nella tradizione della letteratura ‘localistica’, ma al contempo svilup-
pa la propria vocazione di paladina degli oppressi, il che non solo
la porterà a scrivere delle discriminazioni razziali nel Sud Africa, ma
eleverà la sua denuncia (quale che ne sia l’oggetto) su un piano
superiore facendone uno specchio (dunque un motivo di riflessione)
degli squilibri sociali che in ogni tempo hanno deformato i rappor-
ti umani.168 Coetaneo di Sara Lid­man è Stig Dagerman (1923-1954),
morto suicida, capace di indagare e portare alla luce i sentimenti e
i timori dell’animo umano, in tal modo contemporaneamente dimo­
strando quanto la cosiddetta ‘cultura occidentale’ sia per molti
aspetti solo una immagine di facciata dietro la quale si nascondono
paure, istinti primordiali ed egoismi e quanto dunque sia necessaria
una vera e propria ‘presa di coscienza’. Un altro autore appartenen-
te alla sinistra radicale, legato alla Cina di Mao Tse Tung e attiva-
mente interessato al Terzo mondo, è Jan Myrdal (n. 1927), figlio
della celebre coppia formata da Gunnar e Alva, dalle cui idee egli
tuttavia prende notevole distanza.169 Ma accanto agli esponenti del
radicalismo culturale ci sono scrittori che mostrano di prediligere
una diversa prospettiva, in primo luogo Lars Ahlin (1915-1997):
vero innovatore del romanzo svedese che considera uno strumento
di comunicazione fra autore e lettore egli, pur ispirandosi alle pro-
blematiche sociali, va alla ricerca di una sorta di sintesi tra marxismo
e luteranesimo dalla quale possa scaturire una umana riabilitazione,
rammentando come un vero equilibrio sociale possa essere raggiun-
to solo attraverso il rispetto del valore e della dignità di ciascuno.

166
Cfr. p. 1105, nota 637.
167
Vd. p. 1171. Artur Lundkvist fu anche uno dei più convinti sostenitori del
“terzo punto di vista”.
168
Su questa importante figura della letteratura svedese contemporanea vd. Holm
B., Sara Lidman – i liv och text, Stockholm 2005.
169
Sui celebri coniugi Myrdal vd. sopra, p. 1130.

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I Paesi scandinavi sullo scenario europeo e mondiale 1265

Figura centrale del dibattito culturale svedese, Lars Gyllen­sten


(1921-2006), respinge qualsiasi sovrastruttura precostituita per
misurarsi con la vita (nei suoi diversi momenti e nei suoi diversi
aspetti) in una costante e onesta ricerca. Un percorso proprio è
anche quello di Lars Gustafs­son (1936-2016), influenzato dalla
filosofia e molto critico con la società e la politica svedese e, più in
generale, con quella che viene considerata la ‘civiltà’.170 Né manca-
no autori che ritrovano spunti nella realtà locale, in una sorta di
ritorno ad atmosfere più con­suete.171 Del resto, seppure ancora
dominati dalle tematiche politiche e sociali (fra cui conquista terre-
no l’ecologia), gli anni ’70 lasciano già in parte trasparire una sorta
di ‘stanchezza’, una forma di ripie­gamento su se stessi, la ricerca di
una identità perduta, un’indi­gnazione sociale e umana prima che
politica. Un autore che trae ispirazione dalla storia del suo Paese
per mostrarne l’inarrestabile cambiamento è Sven Delblanc (1931-
1992) che negli anni ’80 si dedicherà a una serie di romanzi realisti-
ci nei quali traccia il destino di una famiglia e dei suoi componenti
ma si aprirà anche a una ricerca se non religiosa quanto meno
filosofica;172 mentre il poeta (ma anche prosatore e finissimo critico)
Kjell Espmark (n. 1930) esprime il biasimo per una società insensi-
bile verso il singolo che viene calpestato senza compassione. Accan-
to restano testi che riflet­tono un più marcato ‘impegno’, come
quelli riconducibili a una visione femminista, un ambito nel quale
occorre ricordare almeno Kerstin Ek­man (n. 1933) che mostrerà di
saper ben interpretare le vicende di donne appartenute a diverse
generazioni.173
Negli anni ’80 – che in linea generale segnano un distacco dalla
politica e, insieme, il tentativo di ‘riprendersi’ l’arte in quanto tale – la
molteplicità dei percorsi è, si potrebbe dire, ‘disarmante’. In poe­sia,
mentre procede il percorso ineguagliabile di Tomas Tranströmer, si
afferma una schiera di giovani tra i quali emergono Stig Larsson (n.

170
Nel 1983 Lars Gustafsson ha lasciato la Svezia, trasferendosi ad Austin nel Texas
dove ha a lungo insegnato all’università. È tornato a vivere nel suo Paese nel 2006.
171
Si citi Per Wästberg (n. 1933) noto per la sue descrizioni di Stoccolma (ma suc­
cessivamente autore di libri ispirati all’Africa).
172
Insieme a Lars Lönnroth (n. 1935) Sven Delblanc è redattore di una importan-
te storia della letteratura svedese (Lönnroth – Delblanc et al. 1999 [B.4]).
173
Ma anche Gerda Antti (n. 1929), che sa ben dosare nei suoi scritti satira e ironia;
Inger Alfvén (n. 1940, figlia di Hannes, vd. p. 1132, e pronipote di Hugo, vd. p. 1099,
con nota 610) che rappresenta (anche sulla scena) i conflitti che segnano la vita degli
uomini (e delle donne!); Gun-Britt Sundström (n. 1945) che costantemente sotto­linea
il punto di vista femminile. Su Kerstin Ekman cfr. nota 181.

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1266 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

1955),174 tra l’altro promotore della rivista Crisi (Kris) che ben riflet-
te il clima culturale del periodo, e Mikael Niemi (n. 1959), di madre
sami, originario della regione al confine con la Finlandia, una condi­
zione che conferisce alle sue opere forza e ispirazione.175 Stig Lars­son,
ben noto anche come cineasta e romanziere, è autore di nume­rosi
testi nei quali ha mostrato di saper ben analizzare gli aspetti psicolo-
gici dei rapporti umani; Mikael Niemi è forse più conosciuto come
prosatore capace di trarre storie affascinanti da semplici intui­zioni,
ma anche di ben descrivere i contrasti della sua terra. L’arte narrati-
va di Göran Tunström (1937-2000), che aveva debuttato fin dalla fine
degli anni ’50 ed è anche fine poeta, raggiunge il culmine con L’ora-
torio di Natale (Jul­oratoriet) del 1983, un’opera di note­vole successo
che si pone (come del resto gli altri racconti) nella cornice del realismo
magico. Originario della regione di Värmland, come la celebre Selma
Lager­löf,176 Tunström ne raccoglie per diversi aspetti la preziosa (ma
anche ingombrante e difficile) eredità.177 Altri autori che conoscono
una definitiva affermazione in questo periodo sono Per Olov Enquist
(n. 1934) la cui migliore produzione si lega a romanzi ispirati alla
storia e nei quali la veridicità non è affatto di ostacolo al fascino
della narrazione;178 P.C. (Per Christian) Jersild (n. 1935) che esprime
la sua critica della società contemporanea e dei suoi assurdi parados-
si attraverso la satira; Torgny Lindgren (n. 1938) che proprio in
questi anni si converte al cattolicesimo e, profon­damente influenza-
to dall’aspetto religioso oltre che da quello filoso­fico, trae feconda
ispirazione dall’ambiente tradizionale della Svezia del Nord da cui
proviene; Klas Östergren (n. 1955) che con toni umoristici propone
una decisa critica della società svedese.179
Nel 1980 con la raccolta Cuore a cuore (Hjärta i hjärta) Lars Norén

174
Cfr. p. 1290, nota 251.
175
Si citino qui inoltre Ole Hessler (1945-2002) che costruisce i propri versi come
una sorta di mosaico; Konny Isgren (n. 1948) che mostra tendenze romantico-meta­
fisiche se non, addirittura, mistiche; Ernst Brunner (n. 1950) per molti versi ancora
legato al modernismo; Katarina Frostenson (n. 1953) il cui linguaggio, forse diffi­cile,
risulta però estremamente ritmico e musicale; Niklas Rådström (n. 1953) i cui versi
sono carichi di nostalgia e creano un’atmosfera proiettata fuori dal tempo; Eva Rune-
felt (n. 1953) il cui stile appare, talora, sovrabbondante.
176
Vd. p. 1075 con note 486-487.
177
Göran Tunström era sposato con l’artista Lena Cronqvist (vd. p. 1305).
178
Vd. p. 692, nota 65 e p. 1136, nota 80.
179
Romanzi che si incentrano su problematiche sociali e di identità sono quelli di Inger
Edelfeldt (n. 1956) tra le prime a trattare lo ‘scottante’ tema dell’omosessualità e Jonas
Gardell (n. 1963) che con ironia non di rado amara mette a nudo i problemi della società
svedese contemporanea. Un’autrice tradizionale che debutta negli anni ’80 conoscendo un
notevolissimo successo anche all’estero è Marianne Fredriksson (nata Persson, 1927-2007).

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I Paesi scandinavi sullo scenario europeo e mondiale 1267

(n. 1944) abbandonava la poesia per dedicarsi definitivamente alla


prosa e alla drammaturgia nella quale sarebbe diventato figura cen-
trale. Un vero e proprio nome di riferimento il suo, dopo gli anni del
‘teatro politico’ e dei “gruppi di teatro libero” (fria teater­grup­per)
che avevano in precedenza occupato la scena.180 Ma è proprio alla
poesia di Norén che occorre guardare per ben comprenderne l’ope-
ra teatrale. Un flusso ininterrotto e, almeno apparentemente,
di­sorganico (si potrebbe dire scomposto) di immagini, pensieri,
rifles­sioni, visioni, fantasie, sensazioni, situazioni tradotto in un
flusso pa­rallelo di parole, quasi a ‘coprire’ la realtà esterna, dalla
quale tutta­via tutto ciò deriva. Opere nelle quali la forza dirompen-
te del lin­guaggio scardina, esasperandone l’insostenibilità, precari
equilibri interpersonali; opere spesso imponenti e impegnative che
non di rado hanno dovuto essere riadattate per la messa in scena.
La molteplicità delle esperienze e delle sperimentazioni letterarie
continua negli anni ’90, nei quali tuttavia si può constatare anche in
Svezia una forma di ‘minimalismo letterario’. Autori di rilievo che
si affermano in questo periodo sono Mare Kandre (1946-2005),
debut­tante nel 1984, che in una ‘prosa poetica’ descrive l’esistenza
di persone (non da ultimi i bambini e le donne) che devono fatica-
re a trovare un loro posto nella società (nel che ella coniuga i pro-
blemi sociali con quelli esistenziali); Sigrid Combüchen (n. 1942),
già nota al grande pubblico per la biografia Byron (1988), padrona
di uno stile ricco di sfumature con cui cattura l’attenzione del let-
tore; Björn Larsson (n. 1953) che con i suoi romanzi ispirati alla vita
di mare (e ai pirati) ha conseguito più successo all’estero che in
patria. Negli anni Duemila resta la molteplicità dei temi ispiratori
(seppure si possa sottolineare un certo interesse per i motivi storici
e biografici) e, parallelamente, la molteplicità degli approcci stili-
stici. Benché il suo debutto risalga al 1969 e sia avvenuto nell’am-
bito della poesia, Stewe Claeson (n. 1942) ha ottenuto il pieno
riconoscimento della critica come prosatore solo da questo secolo;
mentre Agneta Pleijel (n. 1940), che negli anni ’70 aveva debuttato
come autrice di teatro, è definitivamente affermata come una delle
prosatrici svedesi più lette e tradotte ma anche come figura di rife-
rimento del mondo culturale svedese.181 Un esordio piuttosto recen-

180
Se negli anni ’60 il maggior drammaturgo ‘svedese’ è il rifugiato tedesco Peter
Weiss (1916-1982), autore ‘politico’, dal decennio successivo un notevole successo in
questo ambito avrà Per Olov Enquist accanto al quale va segnalato il più tradizionale
Arne Törnqvist (1932-2003).
181
Dal 1988 Agneta Plejel fa parte dell’Associazione I Nove (Samfundet De Nio):
una sorta di accademia fondata nel 1913 grazie a un lascito. Oltre a produrre diverse

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1268 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

te (2000) ma che ha subito raccolto notevole consenso è quello di


Lotta Lotass (Britt Inger Liselott Hellberg, n. 1964), la cui scrittura
sottoposta a molte sperimentazioni (come mostrano in particolare
le ultime opere) riesce a far sentire il lettore coinvolto nella creazio-
ne della storia. Lotta Lotass, che è anche autrice di testi per il teatro,
di critica culturale e di testi in formato elettronico, si è così guada-
gnata una sicura posizione nel panorama contemporaneo e (dal
2009) un seggio all’Accademia svedese. Nel 2003 la poetessa Eva
Ström (n. 1947) è stata insignita del prestigioso premio letterario
del Consiglio nordico che ha voluto riconoscere la sua capacità di
rinnovare costantemente il dire poetico, il che ne fa un modello per
le nuove generazioni. Il medesimo riconoscimento è andato (2007)
alla più giovane Sara Stridsberg (n. 1972), romanziera e dramma-
turga padrona di un linguaggio forte ed espressivo.

14.4.2.3. Percorsi norvegesi

In Norvegia dopo la fine della guerra e dell’oppressione nazista


la letteratura poté, finalmente, ‘riprendere fiato’ e riguadagnare i
propri spazi.182 La ritrovata libertà di espressione si tradusse in
molte opere (magari scritte durante il conflitto) nelle quali si river-
savano i ricordi e le angosce di quegli anni terribili in un tentativo
di fissarne la memoria ma anche di elaborarli per poter guardare al
futuro.183 In questo ambito si muovono scrittori di fama già conso-
lidata come Tarjei Vesaas, Johan Borgen e Sigurd Hoel,184 ma anche
debuttanti come Sigurd Evensmo (1912-1978) o autori da poco

pubbli­cazioni essa assegna anche importanti premi letterari. Attualmente gli altri
membri sono: il presidente Inge Jonsson (n. 1928), professore emerito e scrittore; Nina
Burton (n. 1946) poetessa e critica letteraria; Anders R. (Ragnar) Öhman (n. 1925),
avvocato; Kerstin Ekman (vd. p. 1265); Gunnar Harding (n. 1940) critico e scrittore
(cfr. nota 419); Niklas Rådström (vd. nota 175), scrittore e sceneggiatore; Madeleine
Gustafsson (n. 1937), critica letteraria e traduttrice; Johan Svedjedal (n. 1956)
docente di letteratura e scrittore.
182
Del 1947 è la fondazione della rivista La finestra (Vinduet), tuttora pubblicata,
che divenne presto un punto di riferimento per il dibattito culturale.
183
Nel 1949 fu edito anche il Diario di Petter Moen (Petter Moens dagbok) che
riportava le vicende di un partigiano norvegese, Petter Moen (vd. p. 1152, nota 139).
Costui, arrestato dalla Gestapo nel 1944, trovò il modo di raccontare la sua esperienza
in un diario che riuscì a scrivere su fogli di carta igienica perforandoli con un chiodino.
Il testo, da lui nascosto nel condotto di ventilazione, fu in seguito ritrovato in quanto
Moen aveva raccontato la sua storia a un compagno di prigionia che ebbe la fortuna di
sopravvivere al naufragio della nave che li stava trasportando in Germania.
184
Vd. p. 1168, nota 188, p. 1170 e ivi nota 197.

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I Paesi scandinavi sullo scenario europeo e mondiale 1269

comparsi sulla scena letteraria come Kåre Holt (1916-1997) che poi
diventerà lo ‘scrittore della classe proletaria’.185 Ma l’apertura a
nuovi spazi espressivi fa sì che accanto a una prosa realista si venga
affermando anche una tendenza a superare confini ‘razionali’ per
ricercare simbolismi e lasciarsi guidare dalla fantasia o, quantomeno,
dall’irre­golare e irregolabile fluttuare dei sentimenti. In poesia è
finalmente possibile pubblicare i testi di quegli autori che avevano
interpretato in prima persona (fino alle più dure conseguenze) la
resistenza contro il nazismo: in primo luogo Nordahl Grieg e Arnulf
Øverland.186 E saranno in particolare la fama e il prestigio di quest’ul-
timo a contri­buire in misura determinante alla reazione, di cui egli
si farà primo portavoce, contro l’affacciarsi del modernismo.187
Vengono così costituendosi due ‘fronti’ contrapposti: quello dei
poeti legati alle forme tradizionali e quello degli innovatori. Fra i
primi si segnalano, oltre a Øverland, Ragnvald Skrede (1904-1983),
per il quale l’eser­cizio poetico concorre al raggiungimento di valori
etici dai quali l’essere umano non può prescindere; Inger Hagerup
(nata Halsør, 1905-1985), autrice di convinta fede socialista che si
afferma proprio nel dopoguerra (ma è ricordata anche per i versi
‘di resistenza’ scritti durante l’occupazione); André Bjerke (1918-
1985), severo censore e parodista delle ‘nuove mode’.188 Al secondo,
destinato a prendere il sopravvento, appartiene una schiera di
autori (diversi tra i quali debuttano nel 1949 considerato dunque
l’anno dell’avvio ‘ufficiale’ del modernismo norvegese):189 una ten-
denza che troverà in Paal Brekke (1923-1993) il più convinto teori-
co. Poeti come Gunvor Hofmo (1921-1995), che riversa nello scri-
vere la dolorosa esperienza della guerra e vive una costante ricerca
religiosa, lo stesso Brekke, che era stato influenzato dalle nuove
tendenze durante l’esilio svede­se, Harald Sverdrup (1923-1992), i
cui versi esprimono l’intensità della vita ma anche i pericoli cui va
incontro l’uomo moderno, Arnold Eidslott (n. 1926), il ‘poeta reli-

185
Una chiara ‘coscienza di classe’ si constata anche negli scritti di Alf Prøysen
(1914-1970), la cui famiglia apparteneva al proletariato di campagna.
186
Vd. p. 1171 e p. 1175; p. 1153 e p. 1172, rispettivamente.
187
La polemica, accesasi negli anni ’50, fu molto vivace. Si veda in particolare lo
scritto di Øverland “Glossolalia dal parnaso” (“Tungetale fra parnas­set”), testo di una
conferenza nella quale egli criticava duramente le nuove tendenze musicali, artistiche
e letterarie, giudicandole espressione di miseria culturale e solo capaci di produrre
musica senza melodia, arte senza forma e letteratura senza significato.
188
Qui va citato anche Tor Jonsson (1916-1951), poeta assai legato all’ambiente
rurale da cui proveniva, i cui versi tuttavia interpretano la ‘tradizione lirica’ in ma­niera
del tutto originale.
189
Vd. Dahl 1981-1989 (B.4), III, p. 150.

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1270 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

gioso’, Erling Christie (1928-1996), modernista che non tralascia la


riflessione sull’esistenza, e altri più giovani,190 mostrano di voler
sperimentare inaspettate potenzialità linguistiche. Ma si può ugual-
mente constatare come ‘il nuovo corso’ coinvolga anche autori
appartenenti a un’altra generazione:191 in primo luogo Olav H.
(Håkonson) Hauge (1908-1994), poeta-contadino che si esprime in
una forma persona­lissima di nynorsk192 e che, pur restando per
molti versi estraneo alla vita culturale e letteraria, è considerato un
maestro. Del resto il vero pioniere del modernismo lirico norvegese
è Rolf Jacobsen (1907-1994), nome eccellente del Novecento, che
fin dal 1933 con la sua prima raccolta Terra e ferro (Jord og jern)
aveva mostrato un nuovo modo di ‘lavorare’ la lingua e ‘contrappo-
sto’ la natura alla tecno­logia, qui in parte ancora ammirata, ma i cui
rischi avrebbe succes­sivamente sottolineato mostrando come il suo
sviluppo incontrollato dovesse finire per distruggere la natura e
svuotare di significato la vita dell’uomo.
La ‘rottura con la tradizione’ riguardò del resto anche un prosa­
tore ‘religioso’ come Alfred Hauge (1915-1986), mentre la scelta
di una assoluta libertà di contenuti non sarebbe certo passata
inosservata, come mostra il clamore (e le conseguenze giudi­ziarie)
suscitati dall’opera di Agnar Mykle (1915-1994) che soprat­tutto
con la pubblicazione del romanzo Il canto del rubino rosso (Sangen
om den røde rubin, 1956), giudicato osceno, innescò un dibattito
destinato a lasciare il segno.193 Inoltre il modernismo non avrebbe
mancato di far sentire la propria influenza anche nell’ambito della
drammaturgia dove, accanto al persistere di opere realistiche, si
fanno spazio esperienze innovative. Attivi in questa direzione sono
autori dediti anche ad altri generi tra cui Finn Carling (1925-2004)
cui si attribuisce un teatro espressionista e Jens Bjørne­boe (1920-
1976).194 Il quale ultimo avrebbe contribuito a creare una vivace
190
 Come Peter R. (Røwde) Holm (n. 1931) che tuttavia conserva toni romantici,
Georg Johan­nes­sen (1931-2005), poeta, prosatore, critico e attivista politico e Stein
Mehren (n. 1935), per il quale l’esercizio lirico è uno strumento di conoscenza, ma che
poi andrà oltre il modernismo ritenuto d’ostacolo al compito del poeta.
191
 Si citino Ernst Orvil (1898-1985), che modella la propria lingua in forme tanto
inattese quanto efficaci; Astrid Hjertenæs Andersen (1915-1985), tardo simbolista
sempre alla ricerca di immagini nuove e di associazioni inattese, e Hans Børli (1918-
1989), il poeta-boscaiolo.
192
 In nynorsk scrive anche Marie Takvam (1926-2008) che spesso ricorrerà allo
strumento della lirica per la denuncia politica e sociale.
193
 Tre anni più tardi un simile dibattito avrebbe seguito la pubblicazione del roman­
zo Line di Axel Jensen (di cui poco più avanti).
194
 Bjørneboe risulta particolarmente interessato al teatro di Bertolt Brecht (1898-
1956) al quale ha dedicato anche l’opera Om Brecht del 1977.

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I Paesi scandinavi sullo scenario europeo e mondiale 1271

discussione culturale, sia per la sua critica sociale, sia (più tardi)
per la posizione assunta di fronte al problema d’una definizione di
‘lette­ratura’, sia anche per la sua ferma posizione a favore del
riksmål.195
Ma con i drammi di questi due autori siamo già addentro agli
anni ’60 che, anche in Norvegia, conoscono un prevalente impegno
poli­tico-sociale. Il che si riflette, tra l’altro, nella fondazione della
rivista Profilo (Profil, uscita fra il 1959 e il 1992) organo dell’op-
posizione culturale attorno al quale si raduneranno nomi presti-
giosi tra cui Tor Obrestad (n. 1938) convinto socialista e poeta
polemico; Jan Erik Vold (n. 1939), autore popolarissimo, rappre-
sentante esemplare e promotore del rinnovamento della lirica
norvegese che lega volen­tieri ad altre forme di espressione, in
primo luogo la musica; Einar Økland (n. 1940) che pur ricono-
scendo l’importanza dell’impegno sociale e politico prosegue la
ricerca sui temi dell’esistenza;196 Dag Solstad (n. 1941) che nel
decennio successivo si impegnerà come ‘artista al servizio del
popolo’; Espen Haavards­holm (n. 1945) che si sforza di rovescia-
re le prospettive tradizionali della cultura occiden­tale. La quale in
questo periodo viene fatta oggetto di molti giudizi negativi che
non solo prendono di mira scelte politiche ritenute sbagliate se non
ingiuste, ma rilevano come la ‘società del benessere’ sia, in real-
tà, un meccanismo che esclude non soltanto chi viva situazioni
in qualche misura emarginanti ma anche chi non accetti di ade-
guarsi a canoni predeterminati. Nel che sta la sua incapacità di
creare un ‘benessere’ che vada al di là della comodità e dell’effi­
cienza. Una critica ironica e al contempo amara delle prospettive
cui può portare la società contemporanea si trova nel romanzo
distopico Epp (1965) di Axel Jensen (1932-2003).197 Uno scritto-
re che pare ‘adeguare’ la propria opera al clima culturale del
tempo è Sig­bjørn Hølme­bakk (1922-1981), autore che denuncia
195
 Nel secondo dopoguerra, come è stato detto (vd. pp. 1247-1248) la disputa
sulla lingua aveva ripreso vigore. Nel 1952 una schiera di autori tra cui lo stesso
Bjørneboe, ma anche altri scrittori di prestigio (come Arnulf Øverland, André Bjerke,
Sigurd Hoel), avevano abbandonato l’Associazione degli scrittori norvegesi (Den
norske for­fatter­forening), la cui fondazione risaliva al 1893, per costituire l’Associa-
zione degli scrittori (Forfatter­foreningen) in reazione alla decisione di collaborare
alla politica che mirava a risolvere il bilinguismo norvegese con la creazione del
cosiddetto sam­norsk. Le due associazioni tuttavia si sarebbero riunite nel 1966.
196
 Nel 1976 Einar Økland, già aderente a Profil, darà vita insieme a Kjartan Fløgstad
(di cui poco oltre) a Bazar. Rivista letteraria norvegese (Basar. Norsk litterært tids­skrift)
che uscirà fino al 1981.
197
 Altri autori che faranno ricorso alla distopia saranno Kjartan Fløgstad (cfr. nota
precedente) e, più recentemente, Thure Erik Lund (n. 1959).

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1272 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

i pericoli di disuma­nizzazione insiti nel welfare: impegnato sul


versante politico-lette­rario negli anni ’60, rifluisce verso proble-
matiche individuali nel decennio successivo, mentre Ebba Haslund
(1917-2009) che fin dagli anni ’50 aveva proposto tematiche
legate ai problemi della donna, vedrà riconosciuti i propri meriti
solo quando esse otterranno piena cittadinanza nel mondo cultu-
rale e letterario.
Per la verità l’unico vero comune denominatore del modernismo
sembra essere, anche in Norvegia, la contestazione delle forme (e,
almeno in parte, dei contenuti) tradizionali, dal momento che, come
altrove, i percorsi seguiti dagli autori sono molteplici e l’offerta
fortemente ampliata. Ciò anche (forse innanzi tutto) in conseguen-
za della politica statale di sostegno economico all’editoria grazie
alla quale la selezione si fa meno severa e ai più viene offerta la
possibilità di veder pubblicate le proprie opere. Il che spiega il
grande numero di autori, molti dei quali dotati di talento e qui,
dunque, doverosamente citati. Mentre importanti lavori di tradu-
zione dei grandi nomi stranieri forniscono modelli e punti di rife-
rimento, in poesia non mancano esperimenti concretisti,198 né una
neosemplicità; in prosa (dove si muovono molti sperimentatori)
temi di attua­lità (che si estenderanno agli anni ’70) come il
femminismo,199 l’emarginazione sociale, le difficoltà esistenziali.
Nel decennio suc­cessivo l’aspetto politico si accentua e autori come
Dag Sol­stad, Espen Haavards­holm e Tor Obrestad pongono la
propria arte al servizio dell’ideale comunista contro il capitalismo:
si può dunque parlare di realismo socialista. In questo contesto
vanno inquadrati anche Edvard Hoem (n. 1949), che tuttavia tra-
lascerà l’im­pegno rigorosamente politico per analizzare i percorsi
individuali dei suoi personaggi (evoluzione che si può constatare
anche nella sua produzione teatrale) e Torborg Nedreaas (1906-
1987) che, pur anziana, rappresenta una delle figure di spicco
della letteratura del secondo dopoguerra. Legata al radicalismo
culturale è anche l’opera di Knut Faldbakken (n. 1941) che ben

 Si veda in particolare Jorunn Anderaa (n. 1934) ma anche lo stesso Jan Erik Vold.
198

 In questo ambito abbiamo diverse autrici, tra cui Bjørg Vik (n. 1935), che dichia-
199

ra esplicitamente il proprio debito nei confronti di Cora Sandel (vd. p. 1056) e Liv
Køltzow (n. 1945), che riprende l’irrisolta questione del rapporto fra i sessi, le quali
restano legate alla tradizione realista; mentre altre, in particolare Cecilie Løveid (di cui
poco oltre) e la poetessa Eldrid Lunden (n. 1940), per la quale la problematica di
genere è strettamente legata al senso dell’identità della persona, sono alla ricerca di un
linguaggio del tutto nuovo. Negli anni ’70 debutta Tove Nilsen (n. 1952) che partita
dalle questioni femminili e femministe amplierà poi i propri temi, con particolare
attenzione ai problemi degli immigrati.

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I Paesi scandinavi sullo scenario europeo e mondiale 1273

interpreta, con acuta indagine psicologica, il disagio che nasce da


irrisolti problemi sessuali e di relazione.200
Mentre il teatro assiste alle sperimentazioni dei “gruppi liberi”
(frie grupper) non di rado giudicate incomprensibili (ma che prose­
guiranno negli anni ’80), il clima culturale si riflette anche sulla
poesia, dove Sigurd Helseth (n. 1945) propone riflessioni sull’uso
strumentale della lingua e Arnljot Eggen (1923-2009) dà voce, da
posizioni politiche di estrema sinistra, alla disumanizzazione della
società contemporanea. Al di fuori di questo panorama si segnala la
figura singolare e per certi versi incompresa (fu, del resto, avversario
del modernismo) del romanziere ‘ribelle’ Finn Alnæs (1932-1991)
che fin dal debutto nel 1963 aveva suscitato l’interesse della critica
e che porta avanti una visione ideale dell’arte, scevra da coinvol­gimenti
politici. Per altro anche un scrittore molto produttivo come Tor Edvin
Dahl (n. 1943) si affida a una prosa realistica per raccontare le sue
storie che si svolgono talora in ambienti religiosi, le cui atmosfere,
speranze e contraddizioni sono da lui mirabilmente descritte.
Negli anni ’80 l’impegno ‘militante’ si attenua lasciando spazio,
anche nei più convinti sostenitori della funzione politico-sociale
dell’arte, a una nuova (ma per taluni versi si dovrebbe dire antica)
ricerca estetica (che rivaluta anche il ruolo dell’autore in quanto
tale) e a temi più individuali e psicologici, concedendo inoltre
nuovo spa­zio alla fantasia. Così scrittori marxisti e radicali perse-
guono ricerche non più strettamente politiche: si pensi a Kjartan
Fløgstad (n. 1944),201 che si esprime in nynorsk e per il quale il
mondo proletario e le sue condizioni di vita costituiscono un inte-
resse primario, che diviene uno dei massimi rappresentanti norve-
gesi del realismo magico. Anche Gunnar Lunde (1944-1993) intro-
duce nella sua prosa elementi irreali quando non assurdi o
paradossali, mentre Gert Ny­gårds­haug (n. 1946) combina argo-
menti di attualità con spunti narrativi tratti dal passato o da mondi
lontani. Così anche la ‘scrittura femminile’ si svincola dalla mili-
tanza e, pur continuando a occuparsi dei problemi delle donne,
lascia spazio alla fantasia.202 In quegli anni si affermano autori come
200
 Negli anni duemila Faldbakken si dedicherà anche con successo ai romanzi
gialli. Con diverse sfumature sono realisti Bergljot Hobæk Haff (n. 1925) la quale
sceglierà poi una scrittura allegorica affidata alla fantasia, Mona Lyngar (n. 1944) che
si concentra sulla descrizione delle persone e dei loro rapporti, ma ripropone anche
temi tipicamente femminili, e Øystein Lønn (n. 1936) che si affermerà solo a partire
dalla fine degli anni ’80.
201
 Ma anche a Dag Solstad, Espen Haavardsholm, Sigurd Helseth; un altro autore
che tralascia il realismo socialista è Lars Amund Vaage (n. 1952).
202
 Nomi di riferimento sono quelli di Mari Osmundsen (Anne Kristine Halling, n.

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1274 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

Lars Saabye Christen­sen (n. 1953), poeta e prosatore capace di ben


interpretare (anche con toni umoristici) le vicende di personaggi
appartenenti alle nuove generazioni, e Jan Kjærstad, suo coetaneo,
che rigetta le forme tradizionali di realismo per rinnovare il roman-
zo (lasciandosi tuttavia a volte ‘prendere la mano’) per esprimere
appieno il senso (il non-senso) della società postmoderna. Come
loro Roy Jacob­sen (n. 1954), fine conoscitore della realtà norvege-
se approfondita in diversi momenti e situazioni, mentre Arild
Nyquist (1937-2004) riflette, in una lingua apparen­temente disor-
dinata, una fantasia creativa che pare non trovare ostacoli e che si
esprime ora con ironia, ora con stravaganza, ora con invenzioni,
ora anche con il ricorso a immagini sgradevoli. Un notevole suc-
cesso ha conseguito Herbjørg Wassmo (n. 1942), abile nel combi-
nare il modello del ‘romanzo collettivo’203 con una fine analisi
psicologica. Ma i nuovi prosatori (favoriti dal sostegno statale alla
letteratura) sono molto numerosi e, in non pochi casi, capaci.204
Anche in poesia si constata un ritorno alle antiche istanze, lega-
to a un nuovo senso della creazione artistica e della lettura: un
passag­gio già evidente, a esempio, in Annie Riis (n. 1927) che
accanto alla critica sociale propone versi ispirati alla natura, e in
Sigmund Mjelve (1926-1995), debuttante a cinquantadue anni,
influenzato dalle filo­sofie orientali. E mentre poeti già affermati
come Rolf Jacobsen, Jan Erik Vold, Stein Mehren e Arvid Torgeir
Lie (n. 1938), il ‘poeta dell’esattezza’, continuano a produrre pro-
ficuamente, si impongono nomi come quello di Triztan Vindtorn
(Kjell Erik Larsen, 1942-2009) i cui versi surrealisti non lasciano
spazio al linguaggio conven­zionale;205 di Tor Ulven (1953-1995),
anche eccellente prosatore, che riversa negli scritti le proprie rifles-

1951), Karin Sveen (n. 1948) e Karin Moe (n. 1945), l’unica che appare ancora legata
a un impegno ‘militante’.
203
 Vd. p. 1169.
204
 Si citino qui anche Hans Her­bjørns­rud (n. 1938) debuttante a quarantuno anni,
che si muove tra fantasia e realtà; Ragnar Hov­land (n. 1952), anche drammaturgo; Ketil
Bjørnstad (n. 1952), ben noto anche come compositore e pianista, cui si devono, fra
l’altro, le biografie dello scrittore Hans Jæger (vd. p. 1064) del musicista Edvard Grieg
(vd. p. 1100) e del pittore Edvard Munch (vd. p. 1094); Peter Serck (n. 1957) che espri-
me una sorta di ‘modernismo esistenzialista’; Tor Åge Bring­sværd (n. 1939) che oltre a
essere un prosatore e un drammaturgo assai apprezzato ha scritto, in col­laborazione con
Jon Bing (1944-2014), opere di fantascienza di elevata qualità lette­raria.
205
 Nel 1983 insieme ad altri Triztan Vindtorn diede vita al gruppo dei cosiddetti
Poeti acrobati (Stuntpoetene), che proponevano una lirica nuova e sorprendente. Con
lui Karin Moe (cfr. nota 202), Erling Kittelsen (di cui poco oltre), Arne Ruste (n. 1942),
Torgeir Rebolledo Pedersen (n. 1949), Thor Sørheim (n. 1949), Thorvald Steen (n.
1954) e Jón Sveinbjørn Jónsson (1955-2008), nato in Islanda.

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I Paesi scandinavi sullo scenario europeo e mondiale 1275

sioni filosofiche; di Inger Elisa­beth Hansen (n. 1950), alla ricerca


di un linguaggio nuovo che abbatta le sovrastrutture imposte all’uo-
mo; di Paal-Helge Haugen (n. 1945), in bilico (anche nelle scelte
stilistiche) fra tradizione e modernità, che in questo decennio mostra
di avere raggiunto la propria maturità artistica; di Erling Kittelsen
(n. 1946) che trova ispirazione nella letteratura del passato; di
Helge Torvund (n. 1951), scrittore e psicologo, che tramite la poe-
sia cerca di individuare una coerenza fra le cose del mondo; di Terje
Johanssen (1942-2005) tipi­co tardomodernista; di Nils Yttri (1947-
1980), apparentemente anco­ra politico (in realtà autobiografico)
alla disperata ricerca di un senso della vita, conclusasi per lui con
il suicidio.206
Rispetto alla poesia e alla prosa la drammaturgia è rimasta, per
qualche verso, in disparte, e tuttavia negli anni ’80 Cecilie Løveid
(n. 1951), che predilige tematiche legate alle figure femminili (a
esempio il rapporto madre-figlia) si afferma come una delle autrici
più efficaci. Sarà tuttavia negli anni ’90 che il teatro norvegese
tornerà finalmente (per usare un gioco di parole) alla ‘ribalta interna­
zionale’ grazie a Jon Fosse (n. 1959), autore di straordinario succes­
so, i cui drammi affidano ai personaggi un linguaggio quotidiano
e al contempo poetico, fatto di ripetizioni e di silenzi e che, parallela­
mente, esprime in forme intenzionalmente semplici e senza la
pretesa di affondare nell’indagine psicologica le relazioni fra gli
esseri umani così come la loro solitudine in un difficile equilibrio
tra realismo e paradosso. A Jon Fosse, che ha scritto anche liriche
e romanzi è stato assegnato nel 2007 il Premio internazionale Ibsen
(Den internasjonale Ibsen­prisen), intitolato al grande drammaturgo
di cui è ritenuto il primo vero erede. Anche se la loro arte si espri-
me in forme completamente differenti.207
Negli anni ’90 è proseguita la produzione di prosatori come Terje
Stigen (1922-2010), che volentieri si ispira a temi storici, e Kjell
Askild­sen (n. 1929), asciutto osservatore della vita che, per altro,
aveva debuttato fin dal 1953, mentre il giovane Erik Fosnes Hansen
(n. 1965) ha ottenuto un successo internazionale con il romanzo
Corale alla fine del viaggio (Salme ved reisens slutt, 1990)208 che pren-
206
 Alla fine di questo lungo elenco merita una citazione anche Ellen Einan (1931-
2013), autrice di versi oscuri ma intensi nei quali inserisce diverse metafore.
207
 In precedenza (1996) Jon Fosse aveva ricevuto anche il Premio Ibsen (Ibsen­prisen)
assegnato dal comune di Skien, luogo di nascita del celebre drammaturgo. Nel 1999
questo riconoscimento è andato a Cecilie Løveid.
208
 Qui si è indicato il titolo italiano così come apparso nella versione pubblicata a
Milano nel 2012 (una prima edizione risale al 1996), tuttavia la traduzione letterale
sarebbe Salmo alla fine del viaggio.

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1276 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

dendo lo spunto dalla tragedia del Titanic racconta la storia dei musi-
cisti di bordo (in realtà figure diverse dai reali protagonisti di quel
dramma) che un destino di morte ha voluto riunire sul transatlanti-
co. Coetaneo di Hansen è l’eclettico Nikolaj Frobenius (n. 1965),
anche sceneggiatore di successo, che nei suoi ro­manzi si ispira a
singolari personaggi storici ma prende anche spunto dalle proble-
matiche legate alla quotidianità della vita norvegese. Un prosatore
ancora relativamente giovane è Erlend Loe (n. 1969), capace di
interpretare realisticamente (ed efficacemente) lo spirito delle nuove
generazioni. In questo decennio il poeta Kolbein Falkeid (n. 1933),
che ama legare le proprie composizioni alla musica rock e popolare,
giunge alla piena maturazione artistica.
Nella prospettiva ravvicinata del XXI secolo i nomi di maggior
peso paiono essere quello di Per Petterson (n. 1952), prosatore che
nel 2009 ha ottenuto il premio letterario del Consiglio nordico per la
sua capacità di trasmettere al lettore il messaggio sulla difficoltà degli
esseri umani di comunicare fra loro sui temi davvero vitali; quello di
Merethe Lindstrøm (n. 1963), che in una lingua chiara e compiuta sa
interpretare la costante (e faticosa) ricerca dell’uomo moderno e che
ha avuto il medesimo riconoscimento nel 2012; del poeta e prosato-
re Rune Christiansen (n. 1963), vero maestro nell’uso della lingua.

14.4.2.4. Percorsi islandesi

In Islanda fin dai primi decenni del Novecento c’erano stati


tenta­tivi di rinnovamento dell’espressione letteraria. Uno sforzo
per molti versi ancora difficile in un Paese fortemente legato alla
tradizione e in possesso di un patrimonio di poesia e di prosa di
assoluto prestigio. Nel secondo dopoguerra il punto di svolta fu
segnato dall’opera di Steinn Steinarr (pseudonimo di Aðal­steinn
Kristmunds­son, 1908-1958), unanimemente considerato uno dei
più grandi poeti islandesi di tutti i tempi. La sua raccolta Il tem-
po e l’acqua (Tíminn og vatnið) del 1948 doveva infatti inaugura-
re un totale rinnovamento nell’uso dello strumento linguistico:
una ‘rivoluzione’ che non sarebbe rima­sta senza conseguenze. A
essa si riconduce, innanzi tutto, la nascita della poesia dei cosid-
detti “atomisti” (atóm­skáld),209 i modernisti che avrebbero pro-
fondamente trasformato la lirica islandese, introducen­dovi non
209
Questa definizione (inizialmente dispregiativa) è stata coniata da Halldór Laxness
(vd. pp. 1168-1169, p. 1173 e p. 1175) nell’opera dal titolo La stazione atomica
(Atómstöðin) del 1948.

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I Paesi scandinavi sullo scenario europeo e mondiale 1277

soltanto il verso libero ma anche un nuovo modo di impiegare le


parole, ricorrendo ad associazioni lessicali impreviste e a immagini
singolari: tra loro i nomi più noti sono quelli di Stefán Hörður
Grímsson (1920-2002), che pur avendo debuttato nelle forme
della lirica tradizionale è passato poi al modernismo e allo ‘scrive-
re impegnato’, e Hannes Sigfússon (1922-1997), che dà il meglio
di sé quando, evitando di lasciarsi troppo coinvolgere dall’intento
politico, affida a uno stile denso di metafore gli irrisolti enigmi
dell’esisten­za.210 Nel 1955 debuttava Hannes Péturs­son (n. 1931),
che pur proponendo temi di attualità è considerato una sorta di
‘classico’ che volentieri si rifà alla tradizione, mentre Matthías
Johannes­sen (n. 1930) mostra uno straordinario talento di speri-
mentatore, capace di combinare spunti poetici tratti da diversi
ambienti, da diverse epoche e da diverse culture. Legato alla cerchia
della rivista Birtingur,211 di cui fu uno dei redattori, è anche Thor
Vilhjálms­son (1925-2011), in primo luogo prosatore, che dagli anni
’60 si imporrà come una delle figure centrali della letteratura del
suo Paese.212 Autore difficile e non di rado incompreso, grande
conoscitore di letterature straniere (non ultima quella italiana), egli
scrive opere intrise di tutto il fascino misterioso (e talvolta inquie-
tante) della natura e della tradizione islandese, seppure le sue
sperimentazioni linguistiche (che mai oltrepassano il confine di un
autentico dire poetico) ne facciano un campione del modernismo.
Accanto a lui una posizione di primo piano spetta al più giovane
Guðbergur Bergsson (n. 1932), il cui romanzo Tómas Jónsson.
Bestseller (T.J. Metsölubók, 1966) rappresenta un vero momento di
svolta. Modernista e sperimentatore a tutto campo è certamente
210
Altri noti ‘atomisti’ sono Einar Bragi (1921-2005), molto impegnato nel dibattito
culturale ed eclettico traduttore cui si deve la fondazione della rivista di letteratura, arte e
cultura Birtingur (uscita tra il 1953 e il 1954 e poi ancora tra il 1955 e il 1968) che ha costi-
tuito il vero e proprio forum del modernismo islandese; Jón Óskar (1921-1998), che dà voce
al senso di intimità con la propria terra; Sigfús Daðason (1926-1996), assai influenzato dal
mondo culturale francese; Jónas Svafár (1925-2004) la cui poesia ‘sfida’ talora la compren-
sione razionale. Tra gli ‘atomisti’ può essere annoverata anche Vil­borg Dag­bjarts­dóttir (n.
1930), attivamente impegnata nel mo­vimento femminista. Un ‘erede’ degli atomisti sarà
Sigfúss Bjartmars­son (n. 1955), le cui diverse esperienze di viaggio si riflettono negli scritti.
211
Cfr. nota precedente. Birtingur è un nome proprio maschile (raro) derivante da bjartur
“luminoso”, una scelta che qui allude al compito della pubblicazione, quello di ‘fornire
chiarimenti’. Un’altra pubblicazione di carattere culturale, che rappresenta un punto di
riferimento nel dibattito letterario e artistico islandese è la Rivista di lingua e cultura (Tímarit
Máls og Menningar), fondata fin dal 1938 ma inizialmente intesa come foglio informativo
della casa editrice Mál og Menning nata l’anno precedente; cfr. p. 1172, nota 206.
212
Nel dopoguerra una prosa più tradizionale è quella di scrittrici come Elín­borg
Lárus­dóttir (1891-1976), Guðrún Árna­dóttir frá Lundi (1887-1975), Halldóra B.
(Beinteins­dóttir) Björnsson (1907-1968).

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Steinar Sigurjóns­son (1928-1992), mentre una menzione a parte


me­ritano Elías Mar (1924-2007), su posizioni politiche radicali, che
descrive la Reykja­vík del dopoguerra e la misera vita delle persone
costrette ad abitare nelle baracche costruite per i soldati dagli
Inglesi e dagli Americani, e Ásta Sigurðar­dóttir (1930-1972), mor-
ta prema­turamente per problemi derivanti dall’alcolismo, vera
prosatrice modernista e artista che illustrava le proprie opere. Una
critica socia­le da una prospettiva femminile (e femminista) è quel-
la di Svava Jakobsdóttir (1930-2004), che debutta negli anni ’60.213
Censore della società contemporanea è certamente il poeta Þor-
steinn frá Hamri (n. 1938) che pur impegnato su posizioni radi­cali214
rivela la persistenza delle profonde radici che lo legano alla cultu-
ra del suo Paese, sicché nei suoi versi il presente si intreccia con il
passato dal quale egli sa trarre immagini e atmosfere espresse con
rinnovata efficacia; per altro nella sua opera in prosa è presente
l’elemento legato al sogno e alla fantasia. E, del resto, l’Islanda
moderna continua a vivere accanto all’Islanda tradizionale in una
sorta di parallelismo, di interscambio e di confronto (talvolta cau-
sa di inquietudine esistenziale)215 che non manca di riflettersi in
lettera­tura. Negli anni ’70 taluni poeti si riavvicinano allo scrivere
semplice e realistico trovando ispirazione nella vita quotidiana, in
reazione al linguaggio ‘difficile’ e ‘sperimentale’. Tra di loro Jóhann
Hjálmars­son (n. 1939), pur partito da suggestioni surrealiste (ma
poi tornato al modernismo), e Nína Björk Árnadóttir (1941-2000),
nota anche per le opere di teatro, i cui versi sono intrisi di musica-
lità. Ma non mancano poeti che ancora ‘giocano’ e ‘si divertono’
con la lingua.216 Né, tantomeno, chi si ispira a temi politici e socia-
li. Sul versante della prosa si afferma, parallelamente, una forma di
neorealismo al cui interno si può inquadrare la narrativa di Ólafur
Jóhann Sigurðs­son (1918-1988) che, per altro, aveva debuttato fin
dal 1934.
213
Importanti tematiche femminili sono ben presenti anche nelle opere di un’au-
trice anziana come Ragnheiður Jónsdóttir (1895-1967).
214
Una caratteristica che, come si è visto, percorre tutto il mondo letterario scandi­
navo (e non solo) negli anni ’60 e ’70. Si ricordino in questa prospettiva anche autori
come Jóhannes Helgi Jónsson (1926-2001) e Böðvar Guðmunds­son (n. 1939), figlio
di Guðmundur Böðvarsson (vd. p. 1173, nota 208), particolarmente sensibile alle
tematiche politico-sociali e noto anche come autore di teatro.
215
Si ricordi qui il bohémien Dagur Sigurðarson (1937-1994), primo vero ‘poeta di
città’, ma anche pittore.
216
Si pensi ai giochi concretisti di Baldur Óskarsson (1932-2013), all’ironico
Þórarinn Eldjárn (n. 1949) autore delle Disneyrímur del 1978 (sulle rímur vd. p. 426
con le indicazioni alla nota 376) e ad Anton Helgi Jónsson (n. 1955), i cui versi sono
percorsi da una sottile ironia.

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I Paesi scandinavi sullo scenario europeo e mondiale 1279

Negli anni ’80 si procede, da una parte, con racconti che restano
ispirati alla critica sociale, un tema che non manca di toccare la
profonda trasformazione, avvenuta in pochi decenni, della capita-
le Reykja­vík, divenuta ora vero emblema della ‘città’ aperta alle
novità, alle suggestioni, alle ideologie e alle mode straniere (e non
sufficien­temente lontana dalla base americana) cui si contrappone
la ‘campa­gna’ islandese, simbolo e rifugio dei valori tradizionali.
Un tema, quello della condizione dell’uomo in città, già presente
in autori come Indriði G. (Guðmundur) Þorsteins­son (1926-2000)
e Pétur Gunnars­son (n. 1947), ma ripreso (seppure con differente
interpre­tazione) da Einar Már Guðmunds­son (n. 1954), destinato
a divenire uno dei più significativi prosatori islandesi contempora-
nei: il suo romanzo Angeli dell’universo (Englar alheimsins) del
1993, ambien­tato in una clinica per malattie mentali, otterrà nel
1995 il prestigioso premio del Consiglio nordico.217 Il tema delle
misere condizioni delle persone costrette a vivere nelle baracche
abbandonate dai soldati alla fine della guerra torna in Einar Kára-
son (n. 1955), capace di trasmet­tere al lettore il piacere dello scri-
vere.218 Dall’altra parte ci sono autori che seguono un diverso
percorso: un approccio che si apre alla riflessione interiore (con
flashback sul passato) mostra Fríða Á. (Áslaug) Sigurðar­dóttir
(1940-2010), mentre una scrittura molto per­sonale caratterizza
l’opera multiforme di Steinunn Sigurðar­dóttir (n. 1950), che padro-
neggia con grande sicurezza la propria lingua scrivendo versi deli-
cati e profondi e grazie al ‘tirocinio lirico’ rinnova la forma del
romanzo. In poesia gli anni ’80 e ’90 mostrano anche un recupero
della tradizione, seppure naturalmente combinato con metafore e
simbolismi innovativi; del resto in una società profondamente
trasformata sarebbe impossibile ripristinare una continuità di for-
me letterarie: i nuovi autori sono figli di una società modernizzata
e influenzata dall’esterno e per i quali l’esperienza della cultura del
passato è ormai, in diversi casi, indiretta. Parallelamente si osserva
una rinnovata tendenza all’introspezione. In questi anni debutta il
poeta e prosatore Gyrðir Elías­son (n. 1961)219 che si esprime in uno
stile semplice ed efficace, ma si affermano anche poeti surrealisti
come gli appartenenti al gruppo Medúsa, il cui miglior rappresen-

217
Dal libro sarà anche tratto un film con il medesimo titolo diretto dal regista
Friðrik Þór Friðriksson (vd. p. 1197).
218
Nel 1982 debutta Alf­rún Gunnlaugsdóttir (n. 1938), che mostra notevoli capacità
di variazione stilistica e guarda alla realtà islandese nella più ampia prospettiva europea.
219
Fratelli di Gyrðir Elíasson, sono Sigurlaugur (n. 1957), artista (e anche scrittore),
e Nökkvi Elíasson (n. 1966), affermato fotografo.

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1280 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

tante è certamente Sjón (pseu­donimo di Sigurjón Birgir Sigurðs­son,


n. 1962), un autore (che ha lavorato anche a testi per canzoni e
romanzi) che continua a produrre proficuamente e con grande
originalità ricorrendo volentieri all’iro­nia e al gioco dell’ambiguità.
La dissoluzione degli antichi valori viene definitivamente sanci-
ta con il postmodernismo che tuttavia, di fronte al sostanziale
falli­mento della modernità, sospinge verso una riconsiderazione
della storia e della tradizione, seppure viste ormai con lo sguardo
distacca­to dell’analisi più che con la nostalgia di chi sente di aver-
ne perduto il senso. Presupposto indispensabile al tentativo di
‘reinventarsi’ dei rapporti e di riappropriarsi di un linguaggio,
essendo quello ricevuto in eredità ormai travolto, stravolto e mani-
polato (anche dai media). Un compito arduo, ma affrontato con
ottimi risultati da prosatori come Hall­grímur Helgason (n. 1959)
e Jón Kalman Stefánsson (n. 1963), mentre Mikael Torfason (n.
1974) si sofferma sul disagio (si potrebbe dire l’alienazione) di
giovani vite che devono misurarsi (anche in modo violento) con
una società in cui sono, sostanzial­mente, abbandonate a se stesse.
Un’esperienza, quella d’una gioven­tù ‘allo sbando’ di fronte alle
difficoltà, che si ritrova in Didda (Sigur­laug Jóns­dóttir, n. 1964),
che scrive anche testi per musicisti punk. Esperienze musicali
riversate in letteratura si trovano in Bragi Ólafs­son (n. 1962), mem-
bro di un gruppo rock, le Zollette di zuc­chero (Sykur­molarnir o
anche, in inglese, The Sugarcubes, con il quale ha partecipato a
diverse tournée), che le combina con il vissuto islandese.220
Nell’ambito della lirica continua il successo della poetessa e
traduttrice Ingi­björg Haralds­dóttir (n. 1942), i cui versi all’appa-
renza semplici che si susseguono quasi frammentati, lasciano una
scia di sensazioni e nostalgia, così come di Sigurður Páls­son (n.
1948), anche autore di teatro, che vede nell’opera letteraria un
punto di incontro tra il mondo individuale e l’esperienza collettiva.
Assai dotato è altresì il più giovane Steinar Bragi (Steinar Bragi
Guð­munds­son, n. 1975) che si è dedicato anche alla narrativa dove
220
Cfr. p. 1331. Altri importanti autori contemporanei sono Vigdís Gríms­dóttir (n.
1953), che si esprime in un linguaggio simbolico e talvolta astratto; Guðmundur Andri
Thors­son (n. 1957), che analizza individui che vivono a fondo le proprie esperienze
fino a restarne (talora) travolti; Ólafur Jóhann Ólafs­son (n. 1962), scrittore e manager
che si sofferma sull’indagine dei singoli personaggi e sulla loro solitudine; Andri Snær
Magna­son (vd. p. 1289), poeta e prosatore impegnato nella difesa dell’ambiente; Guðrún
Eva Mínervu­dóttir (n. 1976), che consapevolmente risponde al bisogno della gente di
seguire chi abbia storie da raccontare. Una posizione a parte spetta a Ólafur Gunnars­
son (n. 1948) che volentieri si affida a temi religiosi, il che, nel panorama attuale è, in
effetti, inconsueto (cfr. p. 489, nota 87).

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I Paesi scandinavi sullo scenario europeo e mondiale 1281

dà prova della stessa intensità linguistica che caratterizza la sua


poesia.
Il teatro islandese ha storia relativamente recente.221 Per tutto il
XIX secolo la sua esistenza era stata affidata a compagnie amato-
riali e solo dal 1897 si era formata (dalla fusione di due di esse) la
Com­pagnia teatrale di Reykjavík (Leik­félag Reykja­víkur), tuttora
esisten­te. A lungo gli spettacoli nella capitale trovarono spazio a
Iðnó, un locale appositamente costruito nel centro della città in
quel mede­simo anno. Un nuovo edificio destinato alle rappresen-
tazioni, il Teatro nazionale (Þjóð­leik­húsið) disegnato dall’architet-
to Guðjón Samúels­son,222 fu inaugurato nel 1950. Nonostante la
prevalenza della poesia e della prosa, forti di una secolare tradizio-
ne, molti autori si sono dedicati a questo genere (magari anche
grazie a un tirocinio all’estero). Iniziatore del teatro islandese con-
temporaneo è considerato Jökull Jakobs­son (1933-1978) che fin
dall’inizio degli anni ’60 avviò una intensa produzione che avrebbe
portato avanti per tutta la vita; in quel decennio debuttava anche
Guð­mundur Steins­son (1925-1996) che, pur influenzato da Brecht,
mostra una propria individualità artistica legata anche al mutato
clima culturale. Così Oddur Björnsson (1932-2011), che scrive
anche musical e drammi radiofonici, si propone come allievo di
Samuel Beckett e del suo ‘teatro dell’assurdo’, una strada percorsa
anche da Birgir Engilberts (1946-1999). Negli anni ’70 si afferma
Birgir Sigurðs­son (n. 1937), anche poeta e prosatore, i cui drammi
realistici poggiano su una schietta critica sociale che nasce da posi-
zioni di sinistra ma si stem­pera nello stile quasi lirico dei dialoghi;
la sua opera Giorno di speranza (Dagur vonar, 1987), che mette in
scena uno spaccato dell’umanità islandese del dopoguerra, sarà un
autentico successo. Neorealista e marxista è anche Vésteinn Lúðvíks­
son (n. 1944), mentre Ólafur Haukur Símonar­son (n. 1947), molto
popolare, considera i rapporti tra gli individui e la complessità
della società islandese in testi (è anche autore di poesie e romanzi)
che non perdono mai di vista l’importanza della parola letteraria.223
La più giovane Hrafn­hildur Hagalín Guðmunds­dóttir (n. 1965) è
considerata attualmente il miglior talento del teatro islandese.
221
Cfr. p. 840 con nota 734, p. 1077, p. 1085 con nota 543 e p. 1175. Oltre agli
autori ivi citati si ricordino Steinn Sigurðsson (1872-1940), Sigurður Nordal (1886-1974),
forse più noto come studioso (cfr. p. 826, nota 664), Tryggvi Svein­björns­son (1891-1964),
Jón Thoroddsen (1898-1924), Jóhann Frímann (1906-1990) e Steingerður Guðmunds­
dóttir (1912-1999).
222
Vd. p. 1186.
223
Negli anni ’70 debuttava anche Kjartan Ragnars­son (n. 1945), molto popolare
per la comicità delle sue opere.

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1282 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

14.4.2.5. Immigrati, bambini, ragazzi e criminali

A conclusione di questo breve profilo letterario dal secondo


dopoguerra in poi non si possono tralasciare tre generi che carat­
terizzano in forma marcata le letterature scandinave negli ultimi
decenni.
Il primo riguarda la cosiddetta ‘letteratura degli immigrati’,
diretta conseguenza di un fenomeno che ha coinvolto in misura
notevole questi Paesi,224 certo determinando problematiche, ma
anche arricchendo (non solo di forza lavoro) la società e la cultura.
Giunti direttamente da terre lontane o comunque appartenenti a
famiglie di rifugiati, trasfe­ritisi in Scandinavia alla ricerca di asilo
politico o, più semplice­mente, di migliori condizioni di vita, questi
autori mostrano, con il loro contributo, di sentirsi ben integrati
nella nuova patria: e tuttavia il loro retroterra culturale e la situa-
zione ‘ibrida’ da loro vissuta costituiscono elementi che condizio-
nano non solo le loro opere ma anche il criterio con il quale esse
vengono giudicate. Del resto la sensazione di essere comunque
(quantomeno in parte) ‘stranieri’, le difficoltà di inserimento, la
nostalgia per la patria di origine, i problemi di comunicazione e di
identità (bilinguismo e biculturalismo) non possono non ‘pesare’,
anche se si debba tener conto che le ‘nuove forme di scrittura’ (le
‘nuove forme di pensiero’) vanno ad ampliare il panorama letterario.
Ci si limiterà qui a segnalare i nomi che paiono di maggior rilievo.
In Danimarca, dove questo fenomeno (che si manifesta a partire
dagli anni ’90) ha dimensioni minori rispetto alla Svezia (ma anche
alla Norvegia) sono state pubblicate diverse opere (talora di carat-
tere antologico) che presentano la ‘scrittura’ degli autori di origine
straniera. Qui si vogliono citare l’iracheno Muniam Alfaker (n.
1953), poeta che tocca temi esistenziali ma anche drammaturgo e
romanziere; il cileno Rubén Palma (n. 1954), giunto nel Paese da
profugo politico all’età di vent’anni, il quale mostra di saper ben
‘lavorare’ la sua nuova lingua e scrive anche saggi per contribuire
al dibattito sui problemi dell’immigrazione; Adil Erdem (n. 1964),
rifugiato dalla Turchia nel 1982, che si misura con diversi generi.
Le esperienze di donna pachistana al confronto con una diversa
cultura sono riversate in libri di successo dalla giornalista Rushy
Rashid (n. 1968) che, dopo due matrimoni combinati con conna-
zionali, ha trovato la propria strada e il proprio equilibrio anche
sposando un collega danese. Nei versi della poetessa Milena Rudez
224
Vd. p. 1200.

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I Paesi scandinavi sullo scenario europeo e mondiale 1283

(n. 1958), bosniaca, riecheggia la tragedia della guerra dalla quale


è fuggita. Un diverso modo di tradurre in forma letteraria il proprio
retaggio culturale è mostrato da Birgithe Kosovic (n. 1972), di
madre danese e padre serbo, dunque (almeno per metà) ‘immigra-
ta di seconda generazione’ che ambienta il suo fortunato romanzo
La terra doppia (Det dobbelte land, 2010) nella ex Yugoslavia in
guerra, mentre la polacca Janina Katz (1939-2013), poetessa, pro-
satrice, traduttrice e critica letteraria fa volentieri ricorso a ricordi
autobiografici.225
In Svezia il fenomeno è ben più vasto e ha avuto avvio fin dalla
fine degli anni ’60, quando (1969) ha debuttato il greco Theodor
Kalli­fatides (n. 1938), arrivato nel Nord cinque anni prima.226
Divenuto nel corso degli anni una sorta di ‘icona’ di questo tipo di
letteratura, egli è, piuttosto, uno ‘scrittore svedese’ a tutti gli effet-
ti che, oltre a quelli legati all’immigrazione, affronta una grande
varietà di temi. Ma mentre Kallifatides tralascia il greco per eleg-
gere lo svedese a propria lingua letteraria (e non solo), il curdo
Mehmed Uzun (1953-2007), giunto in esilio in Svezia nel 1977, si
avvantaggia del clima di libertà d’espressione trovato nella nuova
patria per dare un contri­buto alla letteratura nella sua lingua madre,
una varietà di curdo, idioma inviso al governo turco e da quello,
addirittura, proibito.227 Nel 1976 era arrivata in Svezia la rumena
Gabriela Melinescu (n. 1942) che aveva già alle spalle esperienze
letterarie in patria: in una lingua concreta e allo stesso tempo imma-
ginosa ella si ispira volen­tieri alla Romania della sua infanzia. Que-
sta autrice scrive anche in rumeno e in francese. Molto apprezzato
è anche il cubano René Vázquez Diaz (n. 1952), trasferitosi in
Svezia nel 1975, autore di poesie, romanzi, saggi e traduzioni. Un
forte legame con la produzione letteraria del Paese d’origine mostra
l’iraniana Jila Mossaed (n. 1948) che dopo un tirocinio in patria si
è presentata al pubblico svedese nella seconda metà degli anni ’90,
periodo in cui esordisce anche il poeta nigeriano Cletus Nelson
Nwadike (n. 1966) i cui versi riflettono, tra l’altro, un persistente
225
Janina Katz fa parte del gruppo di autori di nazionalità ebraica – cui appartiene
anche la tedesca Cordelia Edvardson (1929-2012), una sopravvissuta ai lager nazisti
stabilitasi in Svezia – nelle cui opere si riversano anche i ricordi della tragedia della
shoah.
226
L’opera con la quale Kallifatides ha fatto il suo esordio nel panorama letterario
svedese è una raccolta di poesie dal titolo La memoria in esilio (Minnet i exil), cui
l’anno successivo seguirà il romanzo Stranieri (Utlänningar).
227
Nel 1995 Mehmed Uzun è stato con la giornalista Madeleine Grive (n. 1955)
redattore dell’antologia Il mondo in Svezia (Världen i Sverige), che raccoglie una set-
tantina di voci provenienti da diverse parti del mondo.

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1284 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

legame con l’Africa. In questo decennio debuttano altre due scrit-


trici iraniane, le prosatrici Fateme Behros (1944-2009) e Azar
Mahloujian (n. 1949) nelle cui opere l’itinerario e le difficoltà del
migrante sono considerati anche dalla prospettiva femminile, men-
tre i ricordi della madrepatria montenegrina non mancano di tra-
sparire negli scritti di Zvonimir Popović (n. 1934) che inizia la
propria carriera di scrittore nel 1998.228 Negli anni 2000 hanno
cominciato a pubblicare, con notevole successo, Jonas
Hassen Khemiri (n. 1978), ‘immigrato di seconda generazione’ di
madre svedese e padre tunisino; Johannes Anyuru (n. 1979) di padre
ugandese e madre svedese, innanzi tutto poeta (ma anche dram­
maturgo e prosatore); l’iraniano Hassan Loo Sattarvandi (n. 1975)
e la connazionale Marjaneh Bakhtiari (n. 1980); il cileno Alejandro
Leiva Wenger (n. 1976) anche sceneggiatore. Attivamente impe-
gnata nella lotta contro ogni forma di violenza nei confronti delle
donne è Dilsa Demirbag-Sten (n. 1969) che non manca di riferirsi
al suo retroterra curdo. Un autore che tratta il problema dell’emi-
grazione in una prospettiva umoristica è Zbigniew Kuklarz (pseu-
donimo di Petrus Zbigniew Kukulski, n. 1967), di genitori polacchi.
Cittadinanza italiana ha Marcus Birro (n. 1972), di madre svedese,
che affianca all’attività di pubblicista e conduttore di programmi
quella di scrittore dai tratti non convenzionali e non troppo condi-
zionato dal suo biculturalismo.
In Norvegia la comparsa di una letteratura scritta da stranieri
risale al 1986, anno in cui il pachistano Khalid Hussain (n. 1969),
giunto qui (senza i genitori) a soli sei anni, pubblicava il suo primo
romanzo, Pakkis.229 L’anno successivo debuttava un altro prosatore
‘d’impor­tazione’, il ceco Michael Konůpek (n. 1948), espulso dal suo
Paese per aver sottoscritto insieme ad altri dissidenti la cosiddetta
Charta 77 contro l’operato del governo: nei suoi scritti si avverte
l’orgoglio del proprio retroterra culturale messo a confronto con
quello norve­gese. Negli anni ’90 compaiono sulla scena letteraria la
giovane Nasim Karim (n. 1974) di genitori pachistani, che affronta
il tema del contrasto culturale vissuto dalla donna che, nata in una
famiglia legata alle tradizioni del proprio Paese d’origine, si trova a
vivere la realtà della cultura occidentale, e il cileno Pedro Carmona-
Alvarez (n. 1972) poeta, romanziere e musicista. Sul versante della
lirica si possono citare anche il kosovaro Ismet Januzaj (n. 1963),
228
Un altro autore che debutta alla fine degli anni ’90 è il turco Ihsan Kutlu (n.
1949), tra quelli che hanno appreso lo svedese in età adulta.
229
Il titolo fa riferimento al termine con il quale vengono definiti, con una venatu-
ra di disprezzo, gli immigrati pachistani.

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I Paesi scandinavi sullo scenario europeo e mondiale 1285

il pachistano Jamshed Masroor (n. 1946) e il cinese He Dong (n.


1960) che si dedica anche alla prosa. Gli ultimi due hanno pubbli-
cato opere bilingui e hanno lavorato come traduttori. Il primo ha
introdotto in Norvegia il ghazal, forma poetica derivata dalla poesia
araba e caratteristica della letteratura urdu e persiana.230 Uno dei
‘ragazzi prodigio’ della letteratura norvegese contemporanea (debut-
tante di successo a soli ventuno anni) è stato il poeta e prosatore
ugandese Bertrand Besigye (n. 1972), giunto nel Paese in tenera età
dopo che il padre, medico di Idi Amin (1925-2003), vi si era rifu-
giato temendo di cade­re vittima della paranoia del dittatore. Anco-
ra più giovane è la bosniaca Merima Maja Brkic (n. 1981), giunta
in Norvegia a dodici anni, nelle cui poesie (le prime pubblicate a
soli quindici anni) si riflette il clima della guerra così come vissuto
da un bambino. Negli anni duemila debutta, fra gli altri, il curdo
Memo Darez (n. 1963), che analizza l’incontro di diverse culture.231
La varietà dei temi e degli approcci nelle opere di tutti questi (e
di altri) scrittori mostra, una volta di più, quanto sia riduttivo voler
stabilire una ‘categoria’ in cui inserire autori non di origine (o
cultura) esclusivamente scandinava.

Un secondo genere, di ben più lunga tradizione, è quello della


letteratura per l’infanzia e l’adolescenza,232 che ha certamente la
figura più significativa nella svedese Astrid Lind­gren (nata Erics-
son, 1907-2002), debuttante nel 1945 con le fortunatissime storie
che hanno per protagonista Pippi Calzelunghe (Pippi Lång­strump),
cui si accompagneranno altri fortunati personaggi. I libri della
Lindgren, diffusi a livello mondiale, rappresentano certamente
uno dei vertici raggiunti da questa tradizione letteraria che nel
Novecento nordico aveva tratto impulso anche dalla nuova con-
230
Lo schema prevede strofe di due versi: nella prima essi devono rimare fra loro,
mentre nelle successive solo il secondo deve riproporre la rima con quelli della prima
strofa.
231
Una figura autorevole in questo contesto è anche quella del profugo iracheno
Walid al-Kubaisi (n. 1958) che in diverse pubblicazioni esamina i problemi della mul-
ticulturalità e del razzismo e si pone in una posizione critica nei confronti del­l’islamismo.
232
Basti ricordare nomi famosi come quello di Hans Christian Andersen (vd. p.
916), di Selma Lagerlöf con la storia di Nils Holgersson (vd. p. 1075), ma anche di B.S.
Ingemann (vd. p. 915) e Christian Winther (vd. p. 916, nota 242); ma anche gli autori
meno noti citati in precedenza (vd. pp. 1085-1086 con note 545-547), così come (sep-
pure con prospettiva per molti versi differente) le raccolte di fiabe e racconti popola-
ri, in primo luogo quelle di Asbjørnsen e Moe in Norvegia (vd. p. 933 con nota 328)
e di Jón Árnason e Magnús Grímsson in Islanda (vd. p. 1074 con nota 485).

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1286 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

cezione della figura del bambino così come annunciato, proprio


all’inizio del secolo, da Ellen Key.233 Nel medesimo 1945 debutta
anche, lo si ricordi, la finno-svedese Tove Jansson, creatrice dei
Mumin.234 Più recentemente uno straordinario consenso di pub-
blico su scala mondiale ha premiato il norvegese Jostein Gaarder
(n. 1952) per il romanzo Il mondo di Sofia (Sofies verden, 1991),
nel quale l’autore con rara maestria riesce a ‘dosare’ la storia
della filosofia all’interno di un racconto che ha per protagonista
una ragazzina. Ma molti altri (non da ultimo tra gli autori citati
nei paragrafi precedenti)235 si sono dedicati con successo a questo
tipo di scrittura, che viene ancora da parecchi considerata una
sorta di ‘sorella minore’ della ‘letteratura propriamente intesa’:
giudizio che, almeno nei casi delle opere più riuscite (si pensi, per
restare a casa nostra, a Le avventure di Pinocchio di Collodi),
appare del tutto ingiustificato se solo si rifletta sulla molteplicità
dei piani interpretativi che esse possono offrire anche a un letto-
re adulto (definizione sulla quale ci si dovrebbe, per altro, met-
tere d’accordo).
Si vogliono ricordare qui almeno i nomi di maggior spicco. Così
i danesi Jens Sigsgaard (1910-1991), psicologo e pedagogo; Half­
dan Rasmussen (1915-2002), popolarissimo; Ole Lund Kirke­gaard
(1940-1979) che sottolinea il contrasto tra il mondo infantile e
quello di adulti che hanno dimenticato cosa esso sia stato anche
per loro; Bent Haller (n. 1946), che considera le difficoltà dell’es-
sere bambino all’interno della società e con il Piccolo Lucifero
(Lille Lucifer, 1996) propone in ambiente danese una storia simi-
le a quella di cui è protagonista il Nils Holgers­son della Lagerlöf;
Bjarne Reuter (n. 1950) nei cui libri si riflette il periodo della sua
infanzia e adolescen­za nella Danimarca tra gli anni ’50 e ’60.236
Decenni, questi, in cui emergono in Svezia autori come Lennart
Hellsing (1919-2015), il cui esordio risale al 1945, ‘padre’ del
notissimo personaggio Krakel Spektakel, un monello che ne com-
bina di tutti i colori (e per il cui nome non si trova traduzione più
appropriata di Gianburrasca) e Marie Gripe (Maja Stina Walter,
1923-2007), le cui opere illustrate dal marito Harald (1921-1992)
sono state tradotte in moltissime lingue. Agli anni ’70 risale il

233
Vd. p. 1062.
234
Vd. p. 1376.
235
Ma si ricordi qui anche lo svedese Gösta Knutsson (1908-1973), creatore del
popolare gatto Pelle Svanslös (Pelle Senzacoda).
236
Assai interessante è l’opera di Flemming Quist Møller (n. 1942), anche ‘tradot-
ta’ in cartoni animati.

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I Paesi scandinavi sullo scenario europeo e mondiale 1287

debutto di Gunilla Berg­ström (n. 1942) che ha creato, tra gli altri,
il fortunato personaggio del piccolo Alfons Åberg (il cui nome
nelle varie traduzioni è stato diversamente ‘adattato’) e di Anna-
Clara Tid­holm (n. 1946) prolifica autrice e illustratrice. Più recen-
temente Sven Nord­qvist (n. 1946) ha riscosso un successo interna-
zionale con le storie (che si legano alla ‘buona tradizione svedese’)
sul vecchio contadino Pettson e il suo gatto Findus. Per altro la
letteratura per l’infanzia e l’adolescenza mostra di non rifuggire da
argomenti ‘scomodi’ (come si constata in Gaarder medesimo): in
questa prospettiva si vuole citare qui almeno Annika Thor (n. 1950),
svedese di famiglia ebrea, la quale in una serie di romanzi tratta
con le dovute cautele, ma al contempo con straor­dinaria efficacia
e veridicità, il tema delle persecuzioni degli Ebrei da parte dei
nazisti.237 Un messaggio politico di sinistra si trova nei libri per
ragazzi di Sven Wernström (n. 1925). Nell’ultimo decennio ha
ottenuto un notevole consenso lo scrittore anglo-svedese Douglas
Foley (n. 1949) per la sua capacità di parlare alle nuove generazio-
ni di adolescenti nel loro medesimo linguaggio.

Il successo straordinario di un personaggio come Pippi calzelunghe


(Pippi Långstrump) del­la scrittrice svedese Astrid Lindgren, è dovuto
certamente in buona parte alla sua capacità di comprendere il punto di
vista dei bambini, del quale Pippi diventerà una ‘rivoluzionaria’ espres-
sione. Il primo libro della serie sarebbe uscito nel 1945,238 ma fin dal 1939
la Lindgren mostrava di avere idee ben chiare in proposito. Si legga:

“Non è facile essere bambini, ho letto l’altro ieri su un giornale e mi sono


stupita perché non tutti i giorni si legge sul giornale qualcosa di vero. Chi
parla è un rivoluzionario.
Non è facile essere bambini, no! È difficile, molto difficile. Cosa signi­fica
dunque – essere bambini. Significa che bisogna andare a dormire, alzarsi,
vestirsi, mangiare, lavarsi i denti e tenersi in ordine, quando va bene ai
grandi, non quando uno ne ha voglia [...] Significa anche che bisogna stare
a sentire senza lamentarsi le osservazioni più personali da parte di qualsia-
si adulto a proposito del proprio aspetto, condizioni di salute, vestiti che si
hanno addosso e prospettive per il futuro.

237
Del resto temi ‘seri’ erano già stati affrontati dal norvegese Finn Havrevold
(1905-1988) che, dopo opere iniziali di carattere giocoso, aveva optato per una
lette­ratura che, pur destinata all’infanzia, avesse tono realista e contenuti su cui
riflettere.
238
Esso porta, appunto, il titolo Pippi Långstrump.

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1288 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

Mi sono spesso domandata cosa succederebbe se si cominciasse a trattare


i grandi allo stesso modo.
I grandi hanno una spiacevole tendenza a uscirsene con dei paragoni.
Parlano volentieri della loro infanzia [...] A quel tempo i bambini erano
davvero speciali. Non prendevano mai note, solo bellissimi voti in tutte le
materie, si lucidavano sempre le scarpe da soli, si rifacevano il letto tutti i
giorni, tutte le mattine si lavavano le orecchie e il collo nell’acqua fredda e
a loro piaceva il cibo sano e nutriente, principalmente pesce bollito e verdu-
re. Il loro massimo divertimento era star dietro ai più pic­coli e il solo pen-
siero di ricevere in cambio i soldi per andare al cinema era per loro enorme-
mente obbrobrioso. In breve – la loro infanzia era un’unica lunga lezione
di comportamento.239 Dev’essere a loro che il poeta pensava quando scrive-
va così: ‘Quando vediam bambini, principi immaginiamo, però re adulti non
ne troviamo.’”240

In Norvegia il successo di Gaarder costituisce il culmine di una


tradizione di tutto rispetto rappresentata da autori come Aimée
Sommer­felt (1892-1975), capace di far riflettere i giovani lettori su
temi storici e sociali, Zinken Hopp (Signe Marie Brochmann, 1905-
1987), che fu inoltre apprezzata traduttrice, e Alf Kvasbø (1928-
2014) che si ispira anche alla tragedia della guerra.241 Negli anni ’40
aveva esordito Thorbjørn Egner (1912-1990) che nei suoi testi ha
cercato di trasmettere ai bambini un messaggio ‘socialmente utile’:
il senso del­l’appartenenza e della solidarietà e, insieme, lo stimolo
a sviluppare la propria creatività in forme proficue. Negli anni ’50
debuttavano Anne-Cath. (Anne-Catharina) Vestly (1920-2008), le
cui opere sono state volentieri ‘tradotte’ in film, e Leif Hamre
(1914-2007), capace di trasmettere il senso della vita come affasci-
nante esperienza. Più recentemente scrittori come Klaus Hagerup
(n. 1946)242 e Tormod Haugen (1945-2008) hanno ben interpreta-
to il sentimento dell’infanzia e dell’adolescenza che si sentono
incom­prese in un mondo di adulti a loro volta a confronto (e a
disagio) con tempi profondamente mutati. Nel 1987 Ingvar
239
In svedese sön­dags­skole­berättelse, dove sön­dags­skole, letteralmente “scuola
do­menicale” fa riferimento alle lezioni di religione che venivano tenute ai bambini la
domenica.
240
DLO nr. 186.
241
Qui va forse ricordato anche Arvid Hanssen (1932-1998), più noto tuttavia per
le opere indirizzate agli adulti. Scrittrice per l’infanzia e, insieme, critica letteraria
studiosa anche di questo genere è inoltre Else Breen (n. 1927).
242
Questo autore, ben noto anche per l’attività teatrale, è figlio di Inger Hagerup,
sopra citata (vd. p. 1269), la quale si era dedicata anche a libri per bambini.

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I Paesi scandinavi sullo scenario europeo e mondiale 1289

Ambjørnsen (n. 1956) pubblicava il primo libro della serie dedica-


ta a due personaggi destinati a diventare celebri: Pelle e Proffen,
adolescenti che si trasformano in detective e risolvono tutta una
serie di situazioni complicate.243
In Islanda, dove non sono dimenticate le vecchie storie di Nonni,244
i nomi di rilievo sono quelli di Stefán Jónsson (1905-1966) che con
i suoi racconti voleva stimolare i piccoli lettori alla rifles­sione;
Ármann Kr. Einarsson (1915-1999) molto apprezzato; Hreiðar
Stefánsson (1918-1995) che scriveva in collaborazione con la moglie
Jenna Jens­dóttir (1918-2016); Magnea Magnús­dóttir frá Kleifum
(1930-2015) che colloca le vicende dei suoi libri nella cornice del-
la campa­gna islandese; Guðrún Helga­dóttir (n. 1935)245 e Andrés
Indriðason (n. 1941), popolarissimi e tradotti in diverse lingue.
Notevole successo ha riscosso anche Andri Snær Magnason (n.
1973) con La storia del pianeta blu (Sagan af bláa hnettinum, 1999)
premiato con diversi riconoscimenti, tradotto all’estero e adattato
per il teatro.

Un terzo genere particolarmente diffuso negli ultimi decenni e


nel quale gli autori scandinavi si sono guadagnati se non una sor-
ta di primato almeno notevole fama anche all’estero è quello del
romanzo ‘giallo’: poliziesco, di spionaggio o comunque ‘criminale’.
Esso per la verità era già stato coltivato con successo fin dagli anni
’60 e ’70 dagli autori svedesi Maj Sjöwall (n. 1935) e Per Wahlöö
(1926-1975), marito e moglie, che avevano creato il personaggio
del­l’investigatore Martin Beck, operativo a Stoccolma.246 Negli
anni ’80 fu la volta del danese Dan Turéll (1946-1993), poeta e
romanziere che con la sua ‘serie degli omicidi’, che comprende
tredici storie pubblicate tra il 1981 e 1989, mostra quanto la ‘tenta­
zione del romanzo criminale’ possa essere forte anche per uno
scrit­tore non specificamente votato a questo genere (il che è facil-
mente constatabile anche per molti degli autori sopra citati). In
quello stesso decennio debuttava Leif Davidsen (n. 1950) con
243
Interprete in diverse opere del malessere sociale giovanile, egli è noto soprattut-
to per la serie di romanzi incentrati sull’enigmatica figura di Elling, un ‘disadattato’
psichicamente instabile (forse malato di autismo?), nella cui vicenda si constata in
quale misura gli autentici rapporti fra le persone siano ben più importanti di ogni
politica di welfare, per quanto adeguatamente realizzata.
244
Vd. p. 1085 con nota 546.
245
Cfr. p. 1070, nota 474.
246
Nel 1975 debuttava in questo campo anche il norvegese Jon Michelet (n. 1944).

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1290 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

storie di intrighi internazionali e di spionaggio.247 Dalla fine degli


anni ’70 anche il norvegese Fredrik Skagen (n. 1936) si è dedicato,
con continuità, a questo genere, mostrando grande abilità nella
creazione dell’atmo­sfera drammatica.
In un ambito, come quello della ‘letteratura criminale’, nel qua-
le l’organicità della storia, le corrispondenze e i meccanismi inter-
ni hanno importanza fondamentale (e costituiscono una irrinun-
ciabile aspettativa del lettore), poco ‘spazio di libera manovra
letteraria’ pare essere lasciato all’autore, il quale resta in un certo
senso sottomesso alle esigenze di un racconto ‘chiuso’. In ciò il
limite di questo genere che, nei migliori, viene tuttavia superato
dalla capacità di lavorare sull’ambientazione delle storie, sui carat-
teri dei personaggi e sulla natura delle loro relazioni, nel che può
trovare spazio una riflessione, quando non una denuncia.248
E i migliori sono certamente in Danimarca Peter Høeg (n. 1957),
che nel 1992 ha conseguito uno straordinario successo (ma del
resto questo autore è ben più che un semplice scrittore di gialli)
con Il senso di Smilla per la neve (Frøken Smillas fornemmelse for
sne);249 in Svezia Henning Mankell (n. 1948), creatore del celebre
commis­sario Kurt Wallander di Ystad; Jan Guillou (n. 1944),
giornalista e narratore di storie di spionaggio;250 Stieg Larsson
(1954-2004),251 la cui trilogia nota come Millennium (dal nome
della rivista in cui lavora il protagonista maschile) e pubblicata
postuma ha conquistato i lettori e (nelle versioni cinematografiche

247
Un genere più avanti coltivato con successo anche dallo scrittore Jussi Adler-
Olsen (n. 1950).
248
Una posizione particolare è quella del danese Poul Ørum (1919-1997) che si
avvale del ‘romanzo criminale’ per indagare sul significato di ‘colpa’ e per smaschera-
re quella che può essere la disumanità della legge e dei suoi rappresentanti.
249
Da questo romanzo il regista Bille August (vd. p. 1191) ha tratto l’omonimo film
del 1997. Tra i danesi merita una citazione anche Niels Lillelund (n. 1965), i cui gialli,
ambientati in scenari di diverso genere, hanno come protagonista l’ex poli­ziotto Erik
Andersen.
250
Cfr. p. 1194. Nel 1973, insieme al giornalista Peter Bratt (n. 1944), Guillou
rivelò l’esistenza di una organizzazione segreta, nota come IB, che in patria agiva
contro le aree poli­tiche della sinistra (tenendo sotto controllo i loro appartenenti e
introducendovi infiltrati) e all’estero collaborava con la CIA e i servizi segreti israelia-
ni (in evidente contrasto con la politica svedese di neutralità). Ciò fece scoppiare un
grosso scandalo, il che non impedì che insieme ad altre persone Guillou e Bratt fosse-
ro condannati per spio­naggio: ne scaturì un vivacissimo dibattito sulla libertà di
stampa. In proposito si può leggere il volume di Bratt dal titolo Con buone intenzioni.
Memoriali (Med rent uppsåt. Memoarer), la cui prima edizione è del 2007.
251
In realtà il vero nome di questo autore era Stig Larsson (Karl Stig-Erland Lars­
son), ma esso fu cambiato per evitare ripetute e spiacevoli confusioni con l’omoni­mo
Stig Larsson, anch’egli scrittore (vd. p. 1265).

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I Paesi scandinavi sullo scenario europeo e mondiale 1291

e televisive) gli spettatori di tutto il mondo;252 Håkan Nesser (n.


1950), con la serie sul commis­sario Van Veeteren; Liza Marklund
(n. 1962) che preferisce una detective donna (la commissaria
Annika Bengtzon).253 In Norvegia i nomi di maggior spicco sono
quelli di Gunnar Staalesen (n. 1947), dallo stile realista, il cui
personaggio principale è il detective Varg Veum;254 di Karin Fossum
(Karin Mathisen, n. 1954), molti dei cui romanzi (che hanno per
protagonista l’investigatore Konrad Sejer) sono divenuti anche dei
film; di Anne Holt (n. 1958) considerata la rappresentante del
romanzo criminale in prospettiva femminista.255 Un successo che
ha oltrepassato i confini nazionali è quello dell’islandese Arnaldur
Indriða­son (n. 1961), tradotto anche in italiano, e del faroese Jógvan
Isaksen (n. 1950), noto studioso di letteratura oltre che scrittore.256
Certamente l’interesse per storie al contempo intricate e sempli-
ci, l’agevole trasposizione cinematografica e televisiva, il bisogno
del pubblico di disporre di ‘testi di svago’, hanno contribuito in
misura notevole al successo di questo genere. Il tempo selezionerà
le opere destinate a restare.

14.4.3. Il mondo dell’arte

In panorama delle arti figurative in Scandinavia dopo la seconda


guerra mondiale è davvero affollato e complesso: anche qui come in
letteratura (forse, addirittura, in misura maggiore) la tendenza dei
singoli (anche quando lavorino in ‘collettivo’) a ricercare un proprio
percorso e una propria forma espressiva (per altro spesso provvisori)
si combina con la perdita definitiva di sicuri punti di riferimento e con
la questione (quanto mai attuale) di cosa ‘sia o non sia arte’ (con ciò
intendendo anche l’oggetto della rappresentazione) e con la conse-
252
I romanzi che la compongono sono: Uomini che odiano le donne (Män som hatar
kvinnor, 2005), La ragazza che giocava con il fuoco (Flickan som lekte med elden, 2006)
e Il castello in aria che fu fatto esplodere (Luftslottet som sprängdes, 2007), tradotto in
italiano con il titolo La regina dei castelli di carta (Venezia 2009, a cura dell’editore
Marsilio che ha pubblicato anche gli altri due titoli della serie).
253
Ma si ricordino anche il giornalista Thomas Kanger (n. 1951) e Åsa Larsson (n.
1966), avvocatessa, che proprio a una immaginaria collega, Rebecka Martinsson,
affida la soluzione dei suoi enigmi polizieschi.
254
Qui non si può fare a meno di rammentare (vd. p. 184, nota 331) che questo nome
richiama un’espressione norrena con la quale si designava una persona che fosse stata
bandita avendo commesso un reato in un luogo sacro, in tal modo profanandolo.
255
Una citazione merita qui anche Kim Småge (Anne Karin Thorshus, n. 1945).
256
Si veda il suo testo sulla storia della letteratura faroese: Isaksen 1993, citato in
bibliografia (App. 3.3).

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1292 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

guente apertura a scelte (anche di nuovi materiali) non di rado giudi-


cate provocatorie, quando non addirittura inaccettabili. Al che si
aggiungano gli influssi derivanti dagli stretti contatti con artisti stra­nieri,
ricercati soprattutto dopo la fine del conflitto. Tutti questi fattori
vanno a comporre un quadro assai variegato e dinamico. E tuttavia,
prima di proporre una breve rassegna degli artisti più significativi,
sarà doveroso menzionare un ambito nel quale i Paesi scandinavi sono
da tempo all’avanguardia, vale a dire quello del design che combina
la funzionalità (non a caso esso molto deve al funzionalismo) con
l’estetica, ma che poggia anche su una antica e consolidata abilità
artigianale. Un settore che nel secondo dopo­guerra (soprattutto dagli
anni ’50) ha conosciuto una indiscussa affermazione, una costante
crescita e un generale riconoscimento.257 E non si ometterà di citare
la fotografia (spesso intersecata con la creazione di altre forme di arte)
che ha prodotto, nei migliori casi, veri e propri capolavori.258

14.4.3.1. Arte danese

Per tornare alle arti visive: nell’ottica della commistione di figure,


di stili e materiali di cui si è detto, non stupirà dunque che in Dani­
marca una figura emblematica come Richard Winther (1926-2007)
abbia sperimentato diverse forme di arte (dalla concreta alla collet­

257
Tra coloro che fondarono e consolidarono questa tradizione si citino qui i nomi
dei danesi Ole Wanscher (1903-1985), Finn Juhl (1912-1989), Gertrud Vasegaard (nata
Hjorth, 1913-2007), Børge Mogensen (1914-1972), Hans Jørgen Wegner (1914-2007),
Aksel Bender Madsen (1916-2000), Jens Harald Quist­gaard (1919-2008), Kristian Solmer
Vedel (1923-2003), Poul Kjærholm (1929-1980) e Verner Panton (1926-1998), oltre ai
sopra ricordati Arne Jacobsen (vd. p. 1184 con nota 261) e Poul Henningsen (vd. p.
1184, nota 262); degli svedesi Simon Gate (1883-1945), Edward Hald (1883-1980), Einar
Hjorth (1888-1959), Wilhelm Kåge (1889-1960), Gustaf Axel Berg (1891-1971), Ralph
Lysell (Rolf Åke Nystedt, 1907-1987), Bruno Mathsson (1907-1988), Sixten Sason (Sixten
Anders­son, 1912-1967), Yngve Ekström (1913-1988), Sigurd Fritiof Persson (1914-2003),
Stig Lindberg (1916-1982), Bengt Orup (1916-1996), anche scultore e pittore concreti-
sta, John Kandell (1925-1991), Vivianna Torun Bülow-Hübe (1927-2004) e Hans Ehrich
(n. 1942); dei norvegesi Sverre Pettersen (1884-1959), Nora Gulbrandsen (1894-1978),
Per Tannum (1912-1994), Birger Dahl (1916-1998), Grete Prytz Kittelsen (1917-2010),
Hermann Bongard (1921-1998) e Tias (Mathias) Eckhoff (1926-2016); degli islandesi
Gunnar H. Guðmunds­son (1922-2004), Halldór Hjálmars­son (1927-2010), Árni Jóns­son
(1929-1983), Gunnar Magnús­son (n. 1933) e Pétur B. Lúthersson (n. 1936). Non si
dimentichi infine che la celebre bottiglia della Coca-Cola (che risale al 1916) è stata
disegnata da Alexander Samuelson (1862-1934), uno svedese emigrato negli Stati uniti.
258
Si ricordino qui, almeno, i nomi del danese Joachim Ladefoged (n. 1970), degli
svedesi Lennart Nilsson (n. 1922) e Annika von Hausswolff (n. 1967), del norvegese
Kjell Sten Tollefsen (1913-2002) e dell’islandese Ragnar Axelsson (n. 1958).

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I Paesi scandinavi sullo scenario europeo e mondiale 1293

tiva), con pitture, sculture, fotografie, ceramiche. Egli è del resto un


esemplare rappresentante del gruppo (fondato nel 1947) che ebbe
nome Linea II (Linien II) il quale, almeno inizialmente, avrebbe
do­vuto portare avanti l’indirizzo astratto e surrealista,259 ma passò
poi al concretismo che di fatto introdusse nel Paese con le esposi-
zioni tenute tra il 1950 e il 1952 e alle quali parteciparono anche
prestigio­si nomi stranieri come Kandinsky e Le Corbusier. Con lui,
tra gli altri, artisti come Richard Mortensen (1910-1993) che
nell’immedia­to dopoguerra era stato a Parigi donde aveva riportato
in patria la lezione di un astrattismo ormai rivolto al concretismo;
l’eclettico Gunnar Aa­gaard Andersen (1919-1982), che si dedicò
anche alla scenografia e al design; Preben Hornung (1919-1989),
noto per diverse opere monumentali; Ib Geertsen (1919-2009) e
Paul Gade­gaard (1920-1996), pittori e scultori che avevano abban-
donato il naturalismo; Albert Mertz (1920-1990) anche critico
d’arte e docen­te. In scultura le nuove tendenze sono ben rappre-
sentate da Robert Jacob­sen (1912-1993), rimasto in Francia fino al
1969 e noto a livello internazionale, e da Søren Georg Jensen (1917-
1982), conosciuto anche come creatore di oggetti in argento.260
Nel 1948 alcuni artisti belgi, olandesi e danesi fondavano nella
capitale francese il gruppo cobra.261 Sebbene venisse sciolto solo
tre anni dopo, il contributo che esso portò a livello europeo fu
fonda­mentale per l’impulso determinante dato all’arte astratta e
‘sponta­nea’.262 Tra di loro si distinguono i danesi Henry Heerup
(1907-1993), Egill Jacobsen (1910-1998),263 Ejler Bille (1910-2004),
259
Tale era infatti l’intento di coloro che nel 1934 avevano fondato il gruppo Linea
(vd. p. 1176, nota 220). Altri nomi di rilievo all’interno di Linea II sono Bamse Kragh-
Jacobsen (Hans Bernhardt Kragh-Jacobsen, 1913-1992), pittore e jazzista, e l’autodi-
datta Niels Macholm (1915-1997).
260
Altri importanti rappresentanti del concretismo saranno Mogens Lohmann
(1918-1985) e Ole Schwalbe (1929-1990), pittori e grafici, e Jørn Larsen (1926-2004),
pittore e scultore.
261
L’acronimo, formato dalle iniziali dei nomi di Copenaghen, Bruxelles e Amster­
dam, fu creato da Christian Dotremont (1922-1979), artista e poeta belga, una delle
‘anime’ del gruppo insieme al pittore danese Asger Jorn (Asger Oluf Jørgensen, 1914-
1973), il quale soggiornò a lungo sulla riviera ligure ad Albissola Marina, cittadina nota
per gli artisti della ceramica, dove la villa in cui visse e lavorò è dive­nuta un museo. In
precedenza (tra il 1941 e il 1944) Asger Jorn aveva dato alle stampe una rivista dal
titolo Il cavallo infernale (Hel­hesten, mitico animale a tre zampe che preannuncia la
morte) che in parte avrebbe anticipato lo spirito del gruppo cobra.
262
Una tendenza all’arte spontanea si era manifestata in Danimarca anche durante
gli anni del conflitto, quando l’isolamento provocato dalla situazione del Paese occu-
pato dai Tedeschi aveva indotto gli artisti a ‘ripiegare’ verso modelli espressivi come
quelli degli Eschimesi e quelli medievali.
263
Nel libro De abstrakte. Historien om en kunstnergeneration (København 19912)

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1294 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

Else Alfelt (1910-1974) e, soprattutto, il di lei marito Carl-Henning


Pedersen (1913-2007). Se nelle opere pittoriche l’influsso di Picasso
e di Paul Klee è palese, si deve altresì constatare come in molti l’ispi-
razione cerchi sbocco non soltanto nella pittura e nella scultura ma
anche nella grafica e nella composizione che ricorre a materiali inu-
sitati (a esempio il linoleum o, addirittura, rottami di metallo). Per
altro quest’ultimo aspetto, insieme alla varietà delle forme espressi­ve,
sarà una costante per la maggior parte degli artisti anche nei decenni
a venire. Il gruppo cobra allestirà importanti mostre a Bruxelles e
Amsterdam nel 1949 e a Liegi nel 1951, lo stesso anno in cui verrà
organizzata a Copenaghen una “Esposizione di marzo” (Marts­
udstillingen), evento al quale seguirà la formazione, da parte dei
promotori, di un gruppo che si porrà come obiettivo di dedicarsi
all’arte in se stessa, svincolandola dal mutare delle correnti.264 Gli
anni ’50 conoscono dunque una marcata innovazione e sperimen­
tazione che recependo le tendenze tedesche,265 francesi,266 inglesi e
americane nel decennio successivo si misurerà con pop art e hap-
pening.267 I tentativi, per quanto convinti ed esteticamente solidi,
di difendere una visione più tradizionale (un intento per taluni
versi anche ‘etico’)268 non avrebbero comunque potuto arrestare
un proces­so che si legava (al contempo influenzandola) alla trasfor-
mazione della socie­tà.269 Del resto proprio questo era l’intento
lo studioso Gunnar Jespersen analizza i percorsi dell’arte astratta danese seguendo il
filo conduttore dell’esperienza di questo artista.
264
Non a caso uno degli aderenti sarà Ejler Bille che fin dal 1945 aveva pubblicato
a Copenaghen una serie di saggi dal titolo Picasso. Surrealismo. Arte astratta (Picas­so.
Surrealisme. Abstrakt Kunst), sottolineando l’autonomia dell’arte rispetto al­l’idea di
una ‘continua fuga in avanti’. Con lui nel nuovo gruppo (che sarà sciolto nel 1982)
aderenti di cobra come Carl-Henning Pedersen, Asger Jorn, lo scultore del legno Erik
Thommesen (1916-2008), il pittore e disegnatore Erik Ortvad (1917-2008), Harald
Leth (cfr. p. 1178, nota 230).
265
In questo contesto va ricordata la figura di Arthur (Addi) Köpcke (1928-1977),
artista tedesco trasferitosi in Danimarca (dove aprì una galleria a Copenaghen), che
ebbe un ruolo fondamentale nella diffusione delle nuove idee.
266
Legate in primo luogo all’astrattismo e al dibattito relativo all’arte moderna cui
porterà un importante contributo il pittore Mogens Andersen (1916-2003) che fino al
1965 trascorse lunghi periodi a Parigi.
267
Minore seguito troverà qui il minimalismo, rappresentato soprattutto dalle
scultu­re di Hein Heinesen (n. 1935). Nel 1974 questo artista insieme a Mogens Møller
(n. 1934) e a Stig Brøgger (di cui poco oltre) avrebbe fondato l’Istituto per l’arte in
scala (Institut for Skalakunst), per sperimentare la creazione di opere le cui dimen­sioni
e il cui minimalismo si addattassero in modo nuovo all’ambiente in cui erano inserite.
268
Si pensi a Svend Wiig Hansen (1922-1997), pittore, scultore e grafico, che trae
ispirazione in primo luogo dalla figura umana e rappresenta dunque, insieme ad altri,
un’arte ancora legata alla rappresentazione della realtà.
269
Una buona parte della quale, naturalmente, non era affatto ben disposta nei

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I Paesi scandinavi sullo scenario europeo e mondiale 1295

della cosiddetta Eks-skole, vale a dire la Scuola d’arte sperimenta-


le (Den Eksperimenterende Kunstskole), fondata nel 1961 dall’eclet-
tico Paul Gernes (1925-1996)270 allo scopo (una volta di più in
polemica con l’accademia) di riformare l’insegnamento privilegian-
do il lavoro dell’artista (maestro o allievo) e il messaggio da tra-
smettere rispetto all’opera (nello spirito dell’arte concettuale). Qui
avrebbero lavorato figure come Bjørn Nør­gaard (n. 1947), sculto-
re e grafico271 e Per Kirkeby (n. 1938), artista eclettico (pittore,
scultore, architetto, regista, scrittore) che nel tentativo di dare
espressione alla molteplicità del reale ricorre a materiali estranei
alla tradizione (a esempio cartone, masonite, ritagli di giornale o
rivista), ma anche Stig Brøg­ger (n. 1941), scultore e pittore da
subito aperto alle nuove tendenze. L’indirizzo della scuola ne ren-
deva naturale la vicinanza al movi­mento sovrannazionale noto come
Fluxus272 che portava avanti l’idea dell’abolizione dei confini (rite-
nuti arbitrari) tra arte e vita, tra artista e pubblico, traducendo la
quotidianità in atto creativo, focalizzandosi su una determinata
situazione (si pensi al ‘situazionismo’ di Asger Jorn e del fratello
Jørgen Nash)273 e trasformando lo spettatore in prota­gonista di
performance e happening nelle quali era prevista la con­temporaneità
e l’interazione di diverse forme espressive (arti visive, musica, dan-
za, teatro, poesia).274
Tutto ciò si poneva, naturalmente, in un’ottica rivoluzionaria,
anche dal punto di vista politico. E, del resto, la tendenza a una
forte politicizzazione della cultura, che si manifesta negli anni ’60
per ‘esplodere’ nel decennio successivo, non poteva non coinvolge-
re le arti figurative. Un esempio eclatante è la per­form­ance di Bjørn
con­fronti di tutte queste novità, il che, a esempio, si tradusse in forti manifestazioni di
protesta quando il Fondo statale per l’arte (Statens Kunstfond, istituito nel 1956)
acquistò una scultura di Peter Bonnén (n. 1945) che apparteneva all’ambiente della
Scuola sperimentale dell’arte (di cui appena più avanti).
270
Con lui Jens Jørgen Thorsen (1932-2000), pittore, regista e scrittore, il sopra
citato Richard Winther e lo storico dell’arte Troels Andersen (n. 1940).
271
Cfr. p. 620, nota 428.
272
A Fluxus portò un notevole contributo il danese Eric Andersen (n. 1943), in
pri­ma fila nell’organizzazione di happening e performance.
273
Il cui vero nome era Axel Jørgensen (1920-2004). Jørgen Nash era sposato con
la pittrice e grafica Lis Zwick (1942-2004). Fin dal 1957 Asger Jorn aveva contribuito
alla nascita dell’Internazionale situazionista, che aveva intenti artistici ma anche poli-
tici e contava rappresentanti in Francia, Italia e Scandinavia. Fra i danesi vi aderì anche
il pittore Jens Jørgen Thorsen (cfr. nota 270). Il movimento, culminato negli anni
della rivolta studentesca, fu sciolto nel 1972.
274
Nella seconda metà degli anni ’70 diversi fra gli esponenti della Scuola sperimen­
tale, la cui attività venne meno, formarono il gruppo “Braccia e gambe” (Arme og Ben)
per proseguire nel loro intento.

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1296 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

Nør­gaard e di sua moglie Lene Adler Petersen (n. 1944) i quali il


30 gennaio 1970 in un mercato di Horns­herred (Selandia) uccisero
un cavallo e lo macellarono pubblicamente, conservandone poi i
pezzi sotto formalina con l’intento di esporli alla mostra Tabernakel
presso il noto museo d’arte moderna Louisiana.275 Ciò per mostrare
con un gesto clamoroso come l’abbattimento di un animale destas-
se molto più scalpore e sdegno della quotidiana uccisione di tante
vittime innocenti nella guerra del Vietnam. Per altro negli anni ’70
non mancherà il lato ‘femminista’ dell’arte, per certi versi ‘inaugu-
rato’ ancora da Lene Adler Petersen la quale nella primavera del
1969 era entrata nel palazzo della borsa di Copenaghen completa-
mente nuda reggendo in mano una croce come una sorta di Cristo
al femminile: con ciò volendo al contempo sottolineare, in un ambien-
te dominato dai maschi e dal ‘dio denaro’, la povertà spirituale e la
‘povera’ con­dizione sociale della donna. L’anno successivo venne
aperta a Cope­naghen la prima esposizione di arte femminista: “Imma-
gini di don­na” (Damebilleder).276 Altre mostre di questo genere si
tennero a Copenaghen nel palazzo di Charlottenborg (1975) e
nella residenza di Sophienholm a nord della capitale (1978).277
In un ambiente tanto dinamico nuovi artisti sono venuti alla
ribalta: Arne Haugen Sørensen (n. 1932), sostanzialmente autodidat­
ta, pittore ‘errante’ e in continua ricerca (da tempo trasferito in
Spagna) che sembra trovare la migliore espressione in temi reli-
giosi, e il fratello Jørgen Haugen Søren­sen (n. 1934), anch’egli
autodidatta, autore di opere ‘di contestazione’ verso la scultura
tradizionale. Ma anche i più giovani Merete Barker (n. 1944) che
si ispira a “visioni della terra e delle città” (“Visions of Earth and
the Cities”);278 Niels Neder­gaard (1944-1987), il cui astrattismo si

275
Aperto nel 1958 a Humle­bæk, sulla costa orientale della Selandia, esso ha da
allora rappresentato un imprescindibile punto di riferimento per l’arte contemporanea.
276
Vi presero parte Kirsten Dufour (n. 1941), Jytte Rex (n. 1942), Jytte Keller (n.
1942), Rikke Diemer (n. 1943), Kirsten Justesen (n. 1943) e Gitte Skjold-Jensen (n. 1943).
277
Ancora nel 1997, in seguito a una ripresa di questi temi, sarà formato il gruppo deno-
minato Donne al pub (letteralmente “all’osteria”) (Kvinder på Værts­hus) che raccoglierà
artiste impe­gnate nelle problematiche femministe e nelle questioni legate alla discriminazio-
ne. Ne faranno parte Åsa Sonjasdotter (n. 1966), Andrea Creutz (n. 1970), Kristine Roepstorff
(n. 1972), Marika Seidler (n. 1972), Christina Prip (n. 1969) e Lisa Strömbeck (n. 1966).
Successivamente hanno aderito Katya Sander (n. 1970), Nanna Debois Buhl (n. 1975),
Nynne Haugaard (n. 1976). Ai loro progetti hanno collaborato anche Sofie Hesselholdt (n.
1974) e Vibeke Mejlvang (n. 1976). Alcune di loro pur essendo nate al di fuori della Dani-
marca sono ormai del tutto integrate nell’ambiente culturale danese. Nel 2004 per questo
gruppo la Haugaard ha pubblicato a Copenaghen il volume dal titolo Prospettiva. Strategie
fem­ministe nell’arte figurativa danese (Ud­sigt. Feministiske strategier i dansk billed­kunst).
278
 Come afferma lei stessa sulla sua pagina web (http://www.meretebarker.dk/).

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I Paesi scandinavi sullo scenario europeo e mondiale 1297

basa sullo studio e la combinazione di colori in forme geometriche


influenzate dallo stile decorativo isla­mico,279 e Torben Ebbesen (n.
1945), scultore. Questi tre artisti sono figure rappresentative di un
gruppo fondato nel 1976 e attivo fino al 1988 che ebbe nome Nuo-
va astrazione (Ny Abstraktion); il loro intento era quello di esprimer-
si attraverso le infinite potenzialità dello spazio e del colore.280 La
vitalità di questa compagine è testimoniata dall’adesio­ne, ancora negli
ultimi anni, di nuovi nomi, tra gli altri Bjarne v.H.H. Solberg (n.
1945), anche scenografo. Un altro gruppo degno di menzione (atti-
vo tra il 1971 e il 1988) è quello degli espressio­nisti di Violet Sol,281
mentre Zebra (sorto nel 1976 e indirizzato al lavoro nell’arte grafica)
è formato per lo più da allievi del celebre Palle Nielsen (1920-2000).282
L’attività di queste associazioni testimonia il dinamismo del
mondo artistico danese che anche negli anni ’80 continua a pro-
porre nuove ricerche e ad allestire nuove mostre. Nel 1981 veniva
costituito un gruppo che denominò il proprio atelier (collocato in
Rosenørns Allé 29 a Copenaghen) Officina il Peggio (Værkstedet
Værst): all’inizio esso era composto da Dorte Østergaard Jakobsen
(n. 1958), che sarebbe divenuta una importante designer in ambi-
to tessile, Erik A. (August) Frandsen (n. 1957), autodidatta, e
Christian Lemmerz (n. 1959), un tedesco trasferitosi in Danimar-
ca. A loro si unirono poi Ane Mette Ruge (n. 1955) esperta di video
arte e fotografia, e suo marito l’olandese Jacob F. (Frederik) Schok-
king (n. 1956). L’anno successivo essi aprirono una scuola il cui
allievo Lars Nør­gård (n. 1956) fu presto accolto nel gruppo. Il
quale, per altro, sarebbe stato sciolto già due anni dopo, non sen-
za aver segnato un importante punto di svolta per il rinnovamen-
to dell’arte danese, in primo luogo la pittura, in reazione al con-
cettualismo e al minimalismo. Mentre artisti di talento come Jens
Birke­mose (n. 1943), a lungo vissuto in Francia, e Peter Brandes
(n. 1944) continuavano a esprimersi efficacemente nelle forme
dell’espres­sionismo astratto, anche nell’ambito dell’accademia e
in parallelo con gli sviluppi tedeschi (e italiani) si ritornava ora
(seppure gradualmente) a un’arte figurativa, ispirata in primo
279
 Geometria e colore sono fondamentali anche per Viera Collaro (n. 1946), artista
dano-slovacca formatasi negli Stati uniti.
280
 Tra i fondatori anche Finn Mickel­borg (1932-2007), Tonny Hørning (n. 1941) e
Klaus Hillig­søe (n. 1947).
281
 Ne facevano parte artisti come Per Baa­gøe (n. 1946), che si ispira tra l’altro alle
regioni dell’Europa meridionale (ha studiato anche in Italia), e Niels Reumert (n. 1949)
che affida la propria espressività all’accostamento di colori intensi.
282
 Un grafico molto apprezzato è Jes Foms­gaard (n. 1948), mentre Per Arnoldi (n.
1941) è considerato uno dei migliori disegnatori danesi di manifesti.

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1298 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

luogo al corpo umano. Essa tuttavia si esprimeva in forme improv-


visate, impulsive, per certi versi sregolate e violente. Simbolicamen-
te il punto di svolta fu segnato dalla mostra dal titolo “Il coltello
sulla testa” (Kniven på hovedet) allestita nel 1982 a Trane­gården283
e nella quale esposero allievi dell’accademia: per le caratteristiche
delle loro opere questi pittori emergenti (diversi fra i quali avevano
frequenti rapporti con l’Officina il Peggio) furono etichettati come
“i giovani selvaggi” (“de unge vilde”).284 A questa definizione
corrispon­dono anche Inge Elle­gaard (1953-2010), Knud Odde
Søren­sen (n. 1955), anche musicista di punk-rock, e Lars Ravn (n.
1959), che traduce il suo senso della vita (non certo privo di critica)
in immagini dai forti colori. Con questa esposizione fu sancito il
rilancio della pittura che negli anni ’70 aveva perso vigore. Al 1984
risale la nascita di Leifs­gade 22, gruppo fondato, tra gli altri, dalla
scultrice Anita Jørgen­sen (n. 1942) e dall’eclettico Frans Kannik
(1949-2011), interessato all’arte dell’installazione.285 L’attività di
Officina il Peggio (cessata nel 1983) fu per certi versi portata avan-
ti dal Gruppo di per­form­ance il Peggio (Per­form­ance­gruppen Værst),
anche se l’unico artista che prese parte a entrambe le esperienze fu
il tedesco Chri­stian Lemmerz; una figura significativa in questo
contesto è stata quella del pittore Michael Kvium (n. 1955), che
dipinge soprattutto figure umane al contempo grottesche e surreali.286
Gli artisti che avevano esposto a Tranegården erano allievi di
Stig Brøgger e di Hein Heinesen, scultori che insieme a Willy Ørskov
(1920-1990)287 avevano esercitato (anche con l’insegnamento) note­
vole influenza. Ma la nuova, ‘più libera’ scultura, rappresentata in
primo luogo da Erland Knudssøn Madsen (n. 1942), Steen Krarup

283
Si tratta della Biblioteca dell’arte del comune di Gentofte nella Selandia orienta­
le. Il titolo è ripreso da quello di un quadro realizzato da uno degli espositori, Kehnet
Nielsen (n. 1947). Gli altri artisti erano: Steen Krarup (n. 1943, da non confondere
con Steen Krarup Jensen, di cui poco oltre), Jens Nørregård (1946-1990), la svede-
se Anette Abrahams­son (n. 1954), Peter Carlsen (n. 1955), Dorte Dahlin (n. 1955),
Berit Jensen (n. 1956), Claus Carstensen (n. 1957), Søren Jensen (n. 1957), Nina
Sten-Knud­sen (n. 1957), Peter Bonde (n. 1958) e Kristian Dahl­gård Larsen (n. 1958).
284
Definizione che, per altro, riprendeva quella che in Germania era stata attribuita
ai nuovi pittori (Junge Wilde), autori di quadri neo-espressionisti che proponevano un
messaggio di ironica contestazione.
285
Esso sarà attivo fino al 1992. Il nome fa riferimento all’indirizzo di Copenaghen
presso il quale si trovava l’atelier. Tra i fondatori anche Finn Rein­bothe (n. 1953), Finn
Naur Peter­sen (n. 1954) e Mette Gitz-Johan­sen (n. 1956).
286
Con loro la norvegese Ingunn Jørstad (n. 1953) e Sonny Tronborg (1953-2009).
287
Noto per le creazioni in materie plastiche e quelle ‘pneumatiche’, è anche auto-
re di testi nei quali espone il concetto fondamentale su cui si basa la sua opera, vale a
dire che il contenuto della scultura è la scultura in se stessa.

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I Paesi scandinavi sullo scenario europeo e mondiale 1299

Jensen (n. 1950), Morten Stræde (n. 1956), Elisabeth Toubro (n.
1956) e Henrik B. (Bjørn) Andersen (n. 1958), combina l’uso di
ma­teriali (talora inusitati) con l’intreccio degli stili.
Nel 1989 si teneva per l’ultima volta la rassegna nota come Å-ud­
stil­lingen,288 una esposizione itinerante che a partire dal 1953 aveva
rappresentato una vetrina per l’arte danese contemporanea.289 Due
anni prima era stato costituito il gruppo Bag­huset che presentava i
propri lavori (soprattutto installazioni) nell’omonima galleria.290 Negli
anni ’90 la sperimentazione è andata avanti e nuove forme e tenden-
ze come la videoarte291 o l’uso di strumenti digitali o inter­at­tivi hanno
conquistato spazio, tuttavia si constata anche un ritorno alla tradizio-
ne: molto apprezzati sono infatti artisti come Thomas Kluge (n. 1969),
che (anche se non manca di produrre opere di moderna enigmatici-
tà) ripropone la bellezza del ritratto realizzato con una tecnica che si
rifà ai grandi del passato, o Anders Mose­holm (n. 1959) che dipinge
immagini indistinte e, al contempo, di chiaris­sima ‘lettura’ di metro-
poli anonime o di interni ampi e decoratissimi nei quali prevale l’aspi-
razione all’estensione dello spazio e, insieme, una sensazione di
vuoto. Del resto negli ultimi anni ha ripreso vigore il gusto della
raffigurazione (magari combinata con motivi astratti, surreali o naïf)
per cui si può, con le dovute cautele, parlare di una sorta di realismo.
Del che testimoniano (seppure in modi assai diversi!) le opere di
pittori come John Kørner (n. 1967), Kaspar Bonnén (n. 1968),292
288
 Nel corso degli anni la mostra (udstilling) ebbe luogo ad Aarhus, Aabenraa e
Aalborg (come noto la grafia danese aa corrisponde ad å).
289
 Grazie a essa il pubblico poté conoscere artisti come Finn Mickel­borg (cfr. nota
280), passato dal surrealismo all’astrattismo, Hans Voigt Stef­fen­sen (n. 1941), autodi-
datta i cui dipinti richiamano il fauvisme, René Tancula Nielsen (1949-2014), per il
quale l’opera deve essere scoperta e compresa poco per volta, e Lise Malinovsky (n.
1957) che mostra una diversa e più sentimentale ispirazione.
290
 Il nome significa letteralmente “Casa sul retro”. Il gruppo è stato attivo fino al
1992. Ne facevano parte, tra gli altri, Peter Neuchs (n. 1958), Joachim Koester (n.
1962), Christian Schmidt-Rasmussen (n. 1963), Lars Bent Petersen (n. 1964), Peter
Rössel (n. 1964), Jes Brinch (n. 1966) e Peter Holst Henckel (n. 1966).
291
 Esercitata, tra gli altri, da Joachim Koester (cfr. nota precedente), Ann Lisle­gaard
(n. 1962), nata in Norvegia, Gitte Villesen (n. 1965) e Peter Land (n. 1966).
292
 Insieme a Tal R (di cui subito oltre) e Kirstine Roepstorff (cfr. nota 277) que-
sti due artisti hanno formato (1997) il gruppo del cosiddetto Ufficio di Kørner
(Kørners Kontor) per allestire esposizioni in sedi inusuali e organizzare incontri e
seminari allo scopo di dar vita a un’arte davvero rivolta a tutti. Kaspar Bonnén
è figlio di Peter Bonnén (cfr. nota 269). Un gruppo sorto più recentemente (1999) è
il Seven Up (con ironico riferimento alla nota bevanda) nel quale gli artisti scelgono
un tema cui ispirare le proprie opere. Vi hanno aderito il sopra citato Stig Brøgger,
Freddie A. (Alexander) Lerche (n. 1937), Peter Mandrup (1949-2009), Troels Wörsel
(n. 1950), Erik Steffensen (n. 1961), Ivar Tønsberg (n. 1961) e Signe Guttormsen (n.
1964).

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1300 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

Kathrine Ærtebjerg (n. 1969), Simone Aaberg Kærn (n. 1969) e,


forse, anche Eske Kath (n. 1975).
Altri nomi di recente affermazione sono quelli di Martin Bigum
(n. 1966) che produce quadri animati da immagini spesso coloratis­
sime ed è anche poeta, e Tal R (Tal Rosenzweig, n. 1967), nato in
Israele ma cresciuto in Danimarca fin dalla più tenera età, che
traduce la sua molteplice ispirazione in opere che sembrano com-
poste con ingredienti casuali, ma che rispondono a un bisogno (non
di rado espresso in forme umoristiche) di critica sociale.
Nella scultura contemporanea il più dotato pare essere Ólafur
Elíasson (n. 1967), di genitori islandesi, le cui creazioni molto ap­prezzate
e realizzate in diversi Paesi del mondo prevedono non di rado l’inte-
razione dinamica di elementi (come luce, ombra, acqua, umidità) con
gli elementi componenti l’installazione: un insieme nel quale lo spet-
tatore si sente attivamente partecipe. Un’arte per molti versi parallela
è quella di Jeppe Hein (n. 1974), che per altro era stato suo assistente.
Il più anziano Jens Galschiøt (n. 1954) affida invece alla propria
scultura un messaggio politico per denunciare ingiustizia e sopraffa-
zione, mentre Frans Jacobi (n. 1960) è considerato un neo­realista.
Come si vede un quadro che promette futuri e interessanti sviluppi.

14.4.3.2. Arte svedese

In Svezia nel secondo dopoguerra la nuova stagione fu inaugura-


ta da una celebre mostra di Arte giovane (Ung konst) tenuta a Stoc­
colma nel 1947 presso la galleria Färg och Form.293 Gli artisti che vi
presero parte furono presto etichettati come “uomini del 1947”
(“1947 års män”), definizione data dal critico Lars-Erik Åström
(1917-1994)294 e che, sebbene non tenesse in alcun conto il fatto che
tra gli espo­sitori vi era anche una donna (Randi Fisher, 1920-1997),
fu presto recepita e diffusa ma – soprattutto – intesa come indicativa
di un momento di svolta, vale a dire l’introduzione nel Paese del
concre­tismo. In realtà gli artisti che avevano preso parte alla mostra
– tra i quali si segnalano Lennart Rodhe (1916-2005), Uno Vallman
(1913-2004), Olle Bonniér (n. 1925) e la stessa Fischer –295 non
293
 Vd. p. 1179 con nota 237.
294
 La sua recensione dal titolo “Cronaca d’arte” (“Konstkrönika”) apparve sul gior­
nale Expressen il 27 aprile 1947.
295
 Gli altri erano Olle Gill (1908-1996), Armand Rosander (1914-1976), Arne Jones
(su cui più avanti), Liss Eriksson (1919-2000), Lage Lindell (1920-1980), Knut Erik
Lindberg (1921-1988), Pierre Olofsson (1921-1996), Karl Axel Pehrson (1921-2005).
Olle Bonniér era l’unico che non aveva studiato all’accademia.

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I Paesi scandinavi sullo scenario europeo e mondiale 1301

costituivano affatto un gruppo con un orientamento comune e il loro


concretismo era tutt’altro che compiuto. Ma la ricerca di nuove
forme era anche l’obiettivo del gruppo degli Imaginisti (Imagi­nisterna),
costituitosi a Malmö nel 1945 e dissoltosi verso la metà degli anni
’50, i cui rappresentanti più significativi erano Max Walter Svanberg
(1912-1994) e C.O. (Carl Otto) Hultén (1916-2015).296 Par­tendo da
un’arte surrealista (alla quale Svanberg sarebbe poi tornato) essi
volevano ‘mitigare’ i suoi effetti con una ricchezza di immagini fan-
tastiche (in primo luogo figure femminili, farfalle, uccelli, pesci) che
‘accompagnassero poeticamente’ la lettura del quadro. Tra le diver-
se esposizioni da loro organizzate ve ne fu una anche a Parigi (1953).297
Negli anni ’50, che vedono il moltiplicarsi delle esperienze arti­
stiche, sia per l’emergere di nuovi nomi sia per il formarsi di diver-
se associazioni in tutto il Paese, si constata la contemporanea
presenza di svariate tendenze. Si va dall’espressionismo del pittore
e poi scultore Torsten Ren­qvist (1924-2007) al surrealismo (ripre-
so, come detto, da Max Walter Svanberg), all’astrattismo e al
concretismo. Queste tendenze si ritrovano nelle opere di artisti
come Rune Jansson (1918-2014), che insieme a Eddie Figge (1904-
2003)298 fu uno dei primi a esercitare l’arte informale, con la quale
era venuto in contatto du­rante un soggiorno in Francia, o come
Ulf Trotzig (1925-2013) che nella ripetizione dei suoi motivi pre-
feriti (alberi e uccelli) cerca di fissare in immagini l’inesorabile
scorrere dell’esistenza.299 Un note­vole impulso al rinnovamento
venne dall’immigrato Endre Nemes (Endre Nágel, 1909-1985), di
famiglia ungherese, giunto in Svezia all’inizio della seconda guerra
mondiale. Egli poté presto esporre le proprie opere ed entrare in
contatto con i colleghi.300 Tra il 1947 e il 1955 fu direttore della
Scuola d’arte di Valand301 dove introdusse le nuove tendenze svi-
296
 Con loro Anders Österlin (1926-2011), Gösta Kriland (1917-1989) e la moglie
Gudrun Åhlberg-Kriland (n. 1921) e, successivamente, anche Bertil Gadö (1916-2014)
e Bertil Lundberg (1922-2000). Precedente agli Imaginisti è la breve esperienza (1943)
del gruppo di surrealisti Minotauro (Minotaur) che comprendeva gli stessi Svanberg e
Hultén e inoltre l’americana Adja Yunkers (1900-1983), vissuta a Stoc­colma tra il 1939
e il 1947, Carl O. (Otto) Svensson (1890-1977) ed Endre Nemes (di cui poco più avanti).
297
 Da ricordare qui che ancora negli anni ’40 e ’50 i surrealisti del “gruppo di
Halmstad” (vd. p. 1176, nota 220) formarono una colonia artistica nella località di
Sönd­rum presso Halmstad, alla quale si unirono altri artisti e letterati. Ma la dura
realtà della guerra spinse diversi fra loro ad abbandonare il surrealismo per espri­mersi
(e cercare fiducia?) in un’arte più realistica ispirata a motivi di vita quotidiana.
298
 Anche attrice e poetessa, fu sposata con Rune Jansson tra il 1945 e il 1965.
299
 Egli era il marito della scrittrice Birgitta Trotzig (vd. p. 1262).
300
 Cfr. nota 296.
301
 Vd. p. 1179.

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1302 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

luppatesi nell’Europa centrale (e l’uso degli smalti); il suo allievo


migliore è forse Acke Olden­burg (1923-2005), le cui produzioni sono
spesso caratterizzate dalla forza di colori con­trapposti. Ma la sua
lezione incontrò anche l’opposizione di taluni critici (come Torsten
Berg­mark, 1920-1996) e anche Torsten Ren­qvist, suo successore alla
guida della scuola, disapprovò un’im­mediata (e non sufficientemen-
te ponderata) adesione alle nuove correnti.302 In ogni caso nel 1954
alcuni allievi di Nemes, cui era stato rifiutato l’ingresso nel Club degli
artisti di Göteborg (Göteborgs konst­närs­klubb), fondarono il Gruppo
54 (Grupp 54) che aprì un proprio spazio espositivo (Galleri 54). Gli
aderenti seguivano l’a­strattismo e il surrealismo.303 In questi anni
dunque la pratica del­l’arte ‘nuova’ è proficuamente esercitata: ne
danno prova esemplare pittori come il sopra citato Olle Bonniér, che
si dedica a opere astratte segnate da precisione geometrica e sapien-
te cromatismo, e Olle Bærtling (1911-1981), anche scultore, che si
affida a semplici linee geometriche e a una netta separazione dei
colori; gli scultori Vicke (Viktor) Lindstrand (1904-1983) creatore
di monumentali opere in vetro (ma anche di eleganti oggetti di design);
Bror Marklund (1907-1977), anche scenografo, che interpreta varia­
mente la figura umana con tratti ora delicati ora decisi, in forme ora
realistiche ora astratte, ma sempre con un che di primitivo o, quan-
to meno, di antico; Arne Jones (1914-1976), uno degli “uomini del
1947” ma, soprattutto, uno dei grandi innovatori della scultura
svedese; Gert Marcus (1914-2008), di padre tedesco, che seppure
privo di una regolare formazione seppe trarre inse­gnamento da
diversi soggiorni all’estero (Francia e Italia) e sviluppò un concreti-
smo fatto di linee semplici e di armonia cro­matica.304 Parallelamen-
te continuava la produzione di Torsten Bill­man (1909-1989), inter-
prete a suo modo del socialrealismo, che sa­rebbe divenuto celebre
come grafico e interprete, con le proprie illu­strazioni, di importanti
testi letterari (ma anche di eventi storici scon­certanti). Tra gli anni
’50 e i ’60 pittori che ebbero successo nel cam­po della grafica sono
Philip von Schantz (1928-1998), allievo di Otte Sköld,305 e Nils G.
(Gunnar) Sten­qvist (1934-2005), autore anche di sculture e dipinti
ispirati alle forme armoniose di una chiocciola.

302
Su Nemes vd. Millroth Th., Endre Nemes, Stockholm 1985.
303
Tra di loro Knut Irwe (1912-2002), che tuttavia aveva studiato all’accademia di
Stoccolma.
304
Qui vanno ricordati anche Martin Holm­gren (1921-1969), molto considerato da
Arne Jones, e Palle Pernevi (1917-1997), allievo di Nemes alla scuola d’arte di Valand
e poi direttore del corso di scultura da quando (1950) esso fu aperto nella scuola stessa.
305
Vd. p. 1179.

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I Paesi scandinavi sullo scenario europeo e mondiale 1303

Gli anni ’60 conoscono in Svezia (come altrove) una riviviscenza


del dadaismo il cui rifiuto di ogni regola coinvolge ora anche le
esperienze moderniste. Una importante conseguenza sarà l’apertu-
ra del mondo dell’arte, con ciò intendendo il definitivo superamen-
to di regole fisse sia per quanto riguarda i generi sia per quanto
riguarda i mate­riali. Il che condurrà, nello stesso tempo, all’intera-
zione che origina dall’interesse per forme espressive nate (o svilup-
patesi) in tempi ancora relati­vamente recenti, come la cinematogra-
fia, la pubblicità, i prodotti dei media. Questo sbocco metterà in
discussione l’idea stessa di arte, così come considerata tradizional-
mente: la volontà di avvicinarla alla vita (fino a una sorta di identi-
ficazione) e, insieme, quella di coinvolgere quasi paritariamente il
creatore di un’opera e il suo pubblico, spalancheranno spazi crea-
tivi ma condurranno anche a risultati assai criticati (e criticabili).
Del resto questo sviluppo si ma­nifesterà in parallelo a una crescen-
te politicizzazione dell’impegno artistico, non certo esclusiva, come
si è avuto modo di constatare, di questo ambito culturale. Anche
qui si cercherà dunque di esprimere l’ispirazione in forme nuove,
anche qui si sperimenteranno hap­pen­ing306 e per­form­ance, anche qui
si riuniranno collettivi. In molti casi con lo scopo esplicitamente
dichiarato di produrre un vero e proprio cambiamento sociale in
senso anticapitalista e antimperialista. La pop art fa il suo ingresso
nel Paese. Contemporaneamente, tuttavia, taluni persisteranno in
una ricerca individuale: così Staffan Hall­ström (1914-1976) dallo
stile neoespressionista, così anche Erland Cullberg (1931-2012), a
lungo tormentato da disturbi mentali, che ha lavorato si potrebbe
dire ‘ostinatamente’ col colore in opere anch’esse di carattere espres-
sionista e, nonostante il debutto in questo decennio, avrebbe non a
caso conosciuto l’affermazione solo a partire dagli anni ’80; così
Lasse Anders Andréasson (1924-2007), anche apprezzato scultore.307
Ma altri, come si è detto, percorrevano strade diverse, in molti
casi non limitandosi a elaborare un messaggio politico attraverso
le opere308 o propugnando l’idea dell’arte come prodotto di massa,309
306
Si può qui fare l’esempio di artisti come Bengt Hinnerson (n. 1939) ma anche del
giapponese Yoshio Nakajima (n. 1940) che organizzò una serie di questi eventi a Göteborg.
307
Uno scultore per molti versi tradizionalista è Jerd Mel­lander (1934-1992).
308
Tra coloro che denunciavano attraverso l’arte gli orrori della guerra e delle dit-
tature (come quella cilena) anche Ingrid Olson (n. 1933) che nel 1972 presentava
un’opera dal titolo Mentre facciamo l’amore (Medan vi älskar) con la quale voleva
segnalare l’indifferenza e l’ipocrisia della società svedese del welfare rispetto al dram-
ma della guerra nel Vietnam.
309
Per altro fin dal 1947 era sorta l’associazione Promozione dell’arte (Konst­
främjandet) la quale si proponeva di far sì che tutti potessero avervi accesso.

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1304 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

ma anche impegnandosi direttamente in prima persona con il


dibattito (o la provocazione). Artisti di questo genere sono, a esem-
pio, Roj Fri­berg (n. 1934), pittore, grafico e scenografo che crea
immagini avare di colori (almeno fino alla metà degli anni ’80)
segnate dall’atmo­sfera del sogno tormentoso, talora quasi della
distopia;310 il marxista Öyvind Fahlström (1928-1976), di padre
norvegese, che tralasciata la strada della scrittura si dedica alla pop
art con hap­pen­ing e per­form­ance (anche negli Stati uniti);311 Torsten
Bergmark (1920-1996), pittore che traduce le proprie riflessioni in
materia in una serie di scritti. Altri nomi di rilievo che segnano il
clima predominante del decen­nio312 sono quelli di Carl Fredrik
Reu­ters­wärd (1934-2016), anche poeta, che a metà degli anni ’60
introduce l’ologramma e più tardi diventerà celebre per la sua
interpretazione figurativa della ‘Non-Violenza’ (Non-Vi­ol­ence)
tradotta esemplarmente in sculture che rappresentano una pistola
con la canna annodata;313 lo scultore Erik Dietman (1937-2002),
trasferitosi tuttavia in Francia nel 1959; Elis Eriksson (1906-2006)
e Per Olof Ultvedt (1927-2006) pionieri dell’arte dinamica con le
loro ‘sculture in movimento’. Movimento nell’arte (Rörelse i konsten)
è, del re­sto, il titolo di una importante esposizione organizzata nel
1961 dal Museo d’arte moderna (Moderna museet) di Stoccolma,
una istituzione che sotto la guida del professor Pontus Hultén
(1924-2006) sarebbe divenuta punto di riferimento centrale per le
avanguardie artistiche e le loro sperimentazioni. Ma nel museo
furono ospitate anche mostre dedicate a prestigiosi nomi stranieri,
basti ricordare quella (1968) su Andy Warhol (1928-1987), unani-
memente ri­conosciuto come figura-simbolo della pop art. Per il
museo Pontus Hultén portò avanti anche una politica di acquisi-
zioni che (1962) suscitò un acceso dibattito. Per altro Öyvind
310
Nel 1974 insieme a Folke Lind (n. 1931), Gunnar Thorén, Åke Nilsson (sui
quali poco oltre), Bertil Berg (n. 1935) e Bernt Jonasson (n. 1936), Roj Friberg costi-
tuirà il gruppo Sei Aspetti (Sex Aspekter).
311
Qui fu uno fra coloro che nel 1966 realizzarono a New York le per­form­ance di
9 even­ings: theatre & en­gin­eer­ing, evento che ebbe importanza determinante per l’av­
vio della collaborazione fra artisti e scienziati.
312
Per approfondire il quale si possono leggere gli articoli di importanti periodici
d’arte come Tavolozza (Paletten, fondata nel 1940) o della Rivista d’arte (Konst­revy)
che all’epoca facevano tendenza.
313
A quanto pare l’idea di quest’opera gli venne in seguito alla notizia della morte
violenta del celeberrimo beatle John Lennon (1940-1980). Recentemente Reuter­swärd
ha saputo magistralmente interpretare il messaggio ecologico sulla necessità di tutela-
re il nostro pianeta con la scultura in bronzo (collocata a Borås in Väster­göt­land) dal
titolo “Abbi cura della terra” (Var rädd om jorden), costituita da un enorme punto
esclamativo (alto 4,5 mt.) la cui parte inferiore (il punto) riproduce un mappa­mondo.

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I Paesi scandinavi sullo scenario europeo e mondiale 1305

Fahl­ström, Carl Fredrik Reuter­swärd ed Elis Eriksson facevano


parte di un gruppo, detto Svisch, che organizzava in giro per il
Paese manifestazioni al contempo artistiche e letterarie legate
all’arte concretista.314 Nella seconda metà degli anni ’60 quando
l’onda della politicizzazione era montata (e, in effetti, essa dilagò
nel 1968) sul versante artistico si conosco­no in Svezia altre due
importanti associazioni. Il Movimento Pro­vie (Pro­vie­rö­rel­sen),315
che fu attivo tra il 1966 e il 1967, coniugava le tendenze pacifiste
con la necessità di organizzare manifestazioni di carattere politico
progettate ‘artisticamente’ in forma di hap­pen­ing. La Banda Bas-
sotti (Björn­ligan), fondata a Göte­borg nel 1968,316 era attenta alla
land art, all’arte concettuale, al situazionismo e al mini­malismo,317
ma (si dovrebbe dire soprattutto!) era percorsa da idee politiche
assolutamente radicali e ‘naufragò’ nel 1969.318
Lo spirito degli anni ’60 si protrae sostanzialmente nel decennio
successivo, con diversi risultati espressivi. Una pittrice e scultrice
di talento è Lena Cronqvist (n. 1938), moglie del noto scrittore
Göran Tun­ström,319 che nelle opere predilige temi legati alla fami-
glia e alla donna da lei rappresentate in forme lontane dagli stereo-
tipi, con una propria autentica identità, e viene dunque ricondotta
a un’arte fem­minista. Un genere che, per altro, è ora particolar­mente
coltivato e volentieri tradotto in opere tessili (in tal modo alluden-
do a una atti­vità considerata come specifica delle donne) e al

314
Cfr. p. 1263 con nota 161. Gli altri componenti erano Åke Hodell (1919-2000),
poeta, Torsten Ekbom (1938-2014), scrittore, Leif Nylén (n. 1939), critico e musicista,
Mats G. Bengtsson (1944-2005), scrittore e musicista, e Bengt Emil Johnson (1936-2010),
poeta e compositore. Il nome Svisch corrisponde al titolo di una antologia di poesia con-
cretista pubblicata a Stoccolma nel 1964 e che riportava composizioni di questi autori.
315
Il termine provie risale al latino pro “a favore di” e al francese vie “vita”.
316
Diversi tra coloro che sarebbero diventati membri di questo gruppo avevano
partecipato in quello stesso anno alla mostra 8 st (nella quale erano presenti, appun­to,
otto artisti) tenuta a Göteborg.
317
Essa era formata da Nils Olof Bonnier (1945-1969), Lars Hansson (n. 1944),
Dag E. Nyberg (n. 1944), Anders Bergh (1947-2004), Bo Söderström (n. 1945) e
dall’in­glese Graham Stacy (n. 1940).
318
A determinare la dispersione del gruppo fu infatti una terribile tragedia avvenu-
ta sul traghetto Åbo-Stoccolma a bordo del quale, al ritorno da un viaggio nell’Unione
sovietica, erano imbarcati i componenti della Banda Bassotti. Il giovane Nils Olof
Bonnier aveva infatti una posizione meno estremista rispetto ai compagni e intende­va
privilegiare l’arte rispetto alla politica. Durante la navigazione ci fu in proposito un
feroce diverbio nel quale alcuni di essi in preda a un totale attacco di aggressiva intol-
leranza lo accusarono di tradimento, dopo di che egli si allontanò dalla propria cabina
profondamente avvilito. Era notte: di lui non si seppe più nulla. Si era suici­dato? Era
stato ucciso? Era caduto in mare? Il mistero resta irrisolto.
319
Vd. p. 1266.

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1306 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

quale proprio in questo decennio sono dedicate diverse mostre, cui


non saranno ri­sparmiate critiche e ironia.320 Nel 1973 a Stoccolma
l’esposizione Vita quotidiana (Var dags liv) di Anna Sjö­dahl (1934-
2001), farà conoscere una figura ‘leggendaria’ in questo ambito;
due anni dopo ella parteciperà alla mostra dal titolo assai signifi-
cativo Donne. Lavo­ro femminile, cultura femminile: storia, dibattito,
arte (Kvinn­folk. Kvin­no­arbete, kvinno­kultur: historia, debatt, konst)
allestita, ancora una volta, nella capitale (ma poi esposta anche a
Malmö). L’intento marcatamente politico è ancora ben presente:
lo si riconosce, a esempio, in Gerhard Nord­ström (n. 1925), noto
per una serie di opere di denuncia ispirate alla guerra del Vietnam,
ma anche per lo spirito ecologista (un tema che gli artisti talora
interpretano in un surrealismo distopico); in Gunnar Thorén (1931-
2002) che produce lavori in cui è palese la critica contro la politica
americana; in Åke Nilsson (n. 1935) che tra l’altro si ispira alle
dimostrazioni del ’68. Più enigmatico resta Dick Bengts­son (1936-
1989), eclettico e originale, assai discusso per il costante inserimen-
to nelle opere del motivo della croce uncinata. Un’allusione al male
sempre incom­bente? Una critica alla politica svedese nel periodo
della guerra? Una ‘sfida’ per richiamare l’attenzione? L’artista si è
rifiutato di rivelarlo. In ogni caso l’elemento politico favorirà un
ritorno al realismo (la quotidianità con i suoi problemi sociali ma
anche psicologici), talora fortemente connotato di grottesco come
appare dai lavori di Lars Hillers­berg (Lars Ture Anders­son, 1937-
2004) e della giovane Lena Sved­berg (1946-1972), morta suicida a
soli ventisei anni dopo essersi strenuamente impegnata nella lotta
politica anticapitalista e nella critica sociale: obiettivi che si traduco­
no in modo palese nelle sue opere.321 Una tecnica realistica acco­muna

320
A esempio quelle tenute a Göteborg, dove il movimento delle ‘artiste-donne’ era
molto attivo: Livegen. EGET LIV (un titolo difficilmente traducibile in quanto costruito
su un gioco di parole tra il termine livegen che significa “servo della gleba” ed eget liv,
che significa “vita propria”) nel 1973; La realtà lascia tracce (Verklig­heten sätter spår) nel
1975; Mito della madre, maternità, umanità (Modersmyt, moderskap, mänskoskap)
nel 1979.
321
Il medesimo intento dissacratorio nei confronti del potere vigente è alla base
della nascita (1968) della rivista PUSS (uscita fino al 1974) che entrambi fondarono
insie­me ad artisti come Ulf Rahm­berg (n. 1935), Carl Johan de Geer (n. 1938) e Karin
Frosten­son (n. 1946). Nel contesto di un’arte derisoria e irriguardosa va ricordato qui
anche lo scandalo provocato nel 1970 dall’esposizione a Göte­borg di un quadro del
pittore Peter Dahl (n. 1934), di origine norvegese, dal titolo Il dilagare del liberalismo
nella società (Liberalismens genombrott i societeten), nel quale in una scena a forte
connotazione erotica era raffigurata una donna in cui venne ricono­sciuta la principes-
sa Sibylla (Sibilla di Sassonia-Coburgo-Gotha, 1908-1972, madre dell’attuale re di
Svezia). Per questo motivo il quadro fu sequestrato dalla polizia.

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I Paesi scandinavi sullo scenario europeo e mondiale 1307

altre figure di rilievo come John-E (John-Erik) Franzén (n. 1942) la


cui arte rasenta il risultato ‘foto­grafico’, e Peter Tillberg (n. 1946) che
tuttavia propone anche immagini fantastiche che evocano il mondo
delle fiabe; così anche Ola Billgren (1940-2001) che si era esercitato
in questo tipo di pittura fin dagli anni ’60 (sebbene non mancasse di
ricorrere all’espressionismo astratto) e che conoscerà una vera affer­
mazione negli anni ’80.322 Dal naturalismo a un astrattismo non scevro
da immagini realistiche è passato Olle Kåks (1941-2003), per il quale
il ‘messaggio muto’ di un quadro può essere analizzato ricorrendo a
strumenti simili a quelli con cui si interpretano le parole. Dal neo­
realismo all’arte non figurativa procede Petter Zennström (1945-2014),
le cui opere restano tuttavia costantemente descrittive, nel senso che
riescono pienamente ad ‘aderire’ a ciò che vogliono trasmettere. Tra
i gruppi nati negli anni ’70 va ricordato Vesuvius che raccoglieva
poeti e artisti: tra di loro lo scrittore Kenneth Bruno Öijer (n. 1951)
e l’artista ‘concettuale’ Leif Elggren (n. 1950).
Nella seconda metà del decennio l’impegno politico va sceman-
do anche per la constatazione della sostanziale inadeguatezza dell’ar-
te (per quanto aperta, sperimentale e in continuo rinnovamento) a
fun­gere da strumento per la ‘liberazione sociale’. Si mitiga in tal
modo la rigida opposizione alle forme tradizionali e si abbandona
l’idea d’una incessante ricerca. Il nuovo clima si traduce in un’at-
tività molto intensa cui corrisponde un notevole interesse da parte
del pub­blico. Il neoespressionismo astratto è la tendenza dominan-
te, e il suo miglior rappresentante è probabilmente Jarl Ingvarsson
(n. 1955), maestro nell’uso del colore. Ma come lui diversi artisti
introducono nelle proprie creazioni elementi figurativi: così a
esempio Rolf Han­son (n. 1953), autore di dipinti nei quali sono
inserite componenti del paesaggio circostante come una casa o una
scala (figura per lui parti­colarmente stimolante) o il suo coetaneo
Max Book, auto­didatta, che li ricerca nella natura o anche nella
tradizione popolare. Tra il 1980 e il 1984 Max Book farà parte del
gruppo noto come Wallda (Wallda­gruppen),323 che si scioglierà dopo
pochi anni ma che ‘lasce­rà il segno’ per le scelte provocatorie (in
stile punk) e l’audace com­mistione dei generi. Con lui Eva Löfdahl
(n. 1953), pittrice e scultrice che pone grande attenzione alla scelta
dei materiali, e Stig Sjölund (n. 1955) che molto contribuirà alla
322
Altri neorealisti di rilievo sono Lars Gösta Lundberg (n. 1938), Ulf Wahlberg
(1938-2014), Tord Lager (n. 1942), Ulla Wiggen (n. 1942) e Peder Josefsson (n. 1943).
323
Il nome riprende una scritta che si trovava su un’insegna collocata all’esterno
dell’edificio di Årsta (un sobborgo di Stoccolma) in cui tre di loro avevano affittato
un locale per farne il proprio studio.

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1308 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

diffusione anche in Svezia della cosiddetta ‘arte relazionale’, per la


quale l’autore dell’opera deve creare una situazione di incontro e
cooperazione che si traducano in un evento visivo interattivo.324
Verso la fine del decennio rivestono importanza anche il mini­
malismo e il costruttivismo. Tra i nomi di maggior prestigio Cecilia
Ede­falk (n. 1954) autrice di quadri il cui ‘verismo’ ci interroga sul
nostro modo di intendere la realtà; l’eclettico Ernst Billgren (n.
1957) creatore di immagini per certi versi tradizionali e romantiche
ma anche scultore, scrittore, musicista, designer; ma soprattutto
diversi scultori (anche la Edefalk, del resto, si misura con questa
forma espressiva): Stina Ekman (n. 1950) che si affida a svariati
materiali e si esprime in opere (anche di grandi dimensioni) dai
tratti semplici, talora quasi grezzi, ma dense di significato; Pål
Svensson (n. 1950), noto soprattutto per i lavori in pietra; Fredrik
Wretman (n. 1953) che persegue forme esteticamente ‘pulite’; Dan
Wolgers (n. 1955) che esprime una ironica (ma al contempo impo-
tente) critica sociale e artistica; Truls Melin (n. 1958) che trae
ispirazione dagli elementi della vita quotidiana inseriti in opere che
hanno una loro interna geometria e, di solito, uno (magari due)
colori, mai sgargianti.
Il concetto di arte (sul quale il dibattito non è certamente esaurito)
è ormai profondamente mutato. L’uso di moderne tecnologie diven-
ta dagli anni ’90 parte integrante della creazione che (in parallelo agli
sviluppi internazionali) si affida a tecniche fotografiche, cinemato­
grafiche, informatiche, digitali, di videoregistrazione, di elaborazione
del suono. Il risultato è volentieri tradotto in installazioni e per­formance,
ma anche in espressioni pittoriche, grafiche o scultoree. Dal 1996
Tobias Bernstrup e Palle Torsson (entrambi nati nel 1970) hanno
lavorato tra i primi a un’arte fondata sull’informatica, mentre Peter
Hagdahl (n. 1956), che nel 1998 ha dato vita alla Cre­at­ive Room for
Art and Computing (CRAC) a Stoccolma, diventava docente della
‘nuova scuola’. La tendenza che stimola diversi artisti. Tra di loro
l’eclettica Ann-Sofi Sidén (n. 1962), Magnus Wallin (n. 1965), Miriam
Bäck­ström (n. 1967), molto nota anche come fotografa, Annika Lars­
son (n. 1972).325 A una pittura più ‘tradizionale’ si dedica Karin
Mamma Anders­son (n. 1962), mentre il suo compagno Jockum
Nord­ström (n. 1963) mostra uno stile quasi naïf. Un’artista interes-
sante che coltiva diversi generi è anche Annika Svenbro (n. 1946),
324
Tra i giovani artisti che seguiranno questa tendenza, diffusa tra la fine degli anni
’90 e l’inizio del nuovo millennio, Charlotte Åberg (n. 1966), allieva di Sjölund.
325
Mentre Annika Larsson vive a Berlino, qui si può ricordare anche il tedesco Felix
Gmelin (n. 1963), che risiede e lavora in Svezia.

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I Paesi scandinavi sullo scenario europeo e mondiale 1309

che si propone di suggerire all’osservatore una ricerca di ciò che si


trova ‘oltre l’immagine’. Dal debutto negli anni ’70 continua a
produrre lo scultore ‘concettuale’, grafico e critico Lars Vilks (n.
1946), noto per il progetto Nimis iniziato nel 1980 e costantemen-
te rinnovato: si tratta di una serie di costruzioni realiz­zate (senza
alcun permesso delle autorità) all’interno della riserva naturale di
Kulla­berg (Scania) con pezzi di legno spinti a riva dalle onde del
mare; successivamente (1991) sempre nello stesso luogo egli ha
eretto Arx, una scultura di pietre e cemento.326 Nel 1999 alle­stiva
la sua prima personale la pittrice Linn Fernström (n. 1974), le cui
immagini richiamano il mondo della fiaba e della fantasia ma non
sono prive (né lo sono, del resto, le fiabe stesse) di elementi impres­
sionanti. Verso la fine degli anni ’90 c’è stata una ripresa dell’arte
‘femminista’ a esempio con Fia-Stina Sandlund (n. 1973) e la polac­
ca cresciuta in Svezia Joanna Rytel (n. 1974).
Ma accanto a queste espressioni ultramoderne occorre registrare
la presenza di artisti che preferiscono tornare alla tradizione, come
Mikael Bonne­vie (n. 1969) e Markus Anders­son (n. 1968), i “misti-
ci dell’Upp­land” (Upp­lands­mystikerna), pittori la cui scelta vuole
argi­nare un processo che nella commistione dei generi, nel continuo
spo­stamento (in avanti?) dei confini e degli obiettivi, nella intrinse-
ca transitorietà (inconsistenza?) della creazione rischia davvero di
dis­solvere il concetto stesso di arte, almeno così come inteso nel
senso, per molti versi ancora rassicurante, della tradizione.

A conclusione del suo lavoro sulla storia dell’arte svedese che si ferma
al periodo della seconda guerra mondiale, lo studioso Andreas Lindblom

326
Il lavoro di Vilks ha avuto uno strascico giudiziario in quanto le autorità lo
hanno considerato una ‘costruzione abusiva’. Esso tuttavia è ancora al suo posto e
attrae anche un discreto numero di turisti. Ma Lars Vilks è noto anche per aver scate-
nato una vivace polemica per le sue immagini irriverenti di Cristo e di Maometto. In
par­ticolare nel 2007 la pubblicazione sul giornale Nerikes Allehanda di disegni che
rappresentavano il profeta come un cane ha suscitato violente proteste nei Paesi isla­
mici ed egli è stato fatto oggetto di minacce di morte e aggressioni. Difese sulla base
del diritto di espressione, queste illustrazioni (replicate nel 2010) non hanno certa­mente
tenuto conto del dovere del rispetto per le diverse fedi religiose, principio altrettanto
incontestabile. Un caso analogo è avvenuto del resto in Danimarca nel 2005, quando
il quotidiano Jyllands-Posten pubblicò (30 settembre) dodici vignette satiriche sul
profeta dell’Islam. Anche in quel caso le proteste del mondo musulmano sono state
veementi e sono sfociate in diversi casi di violenza che hanno coinvolto personale
diplomatico e cittadini europei (il che dovrebbe, quanto meno, far riflet­tere gli autori
di questi disegni).

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1310 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

faceva alcune considerazioni su quelli che avrebbero potuto essere i futu-


ri sviluppi in questo ambito. Si legga:

“Riguardo al problema sul futuro dell’arte ci troviamo davanti a molti


fattori di incertezza. La società si sviluppa in direzione di una struttura
priva di classi. Verrà anche un tempo in cui tutti comprenderanno la bel-
lezza? Può darsi. È certo tuttavia che non tutti possono imparare a com-
prendere la medesima opera d’arte. La diffusione della bellezza fra ampi
strati [della popolazione] e la sua aumentata standardizzazione significhe-
ranno la decadenza dell’arte, la sua trasformazione in qualche cosa di
impersonale e appiattito, in analogia con la standardizzazione spirituale che
i pessimisti ritengono sarà conseguenza della nostra mo­derna politica socia-
le? Non lo sappiamo. Non ci dobbiamo meravigliare se nell’inquietudine
politica e sociale di fronte alle innumerevoli do­mande che dopo la seconda
guerra mondiale si riversano su di noi, anche l’arte si presenta come un
fatto problematico. Per lo sviluppo della creazione artistica si vuole [poter]
sperare che il processo di ele­vazione spirituale che sembra pervadere la nostra
più giovane pittura continui, in auspicabile opposizione alla meccanizzazio-
ne dell’epoca delle macchine. A riguardo dell’archittettura, dell’industria e
dell’arti­gianato, tutto quello che quotidianamente ci circonda, osiamo con
cer­tezza prevedere che l’arte in misura assai maggiore di quanto [avvenuto]
fin’ora possa pervadere la società e diventare una comune esigenza di vita
per tutti i suoi membri. In ciò anche il germe della speranza di una accre-
sciuta felicità per i più.”327

14.4.3.3. Arte norvegese

Dopo la fine del secondo conflitto mondiale la liberazione coin­


volse in Norvegia anche il mondo dell’espressione figurativa. Pre-
sto messisi alle spalle i ricordi della guerra i giovani artisti comin-
ciarono a esercitarsi in forme nuove attirandosi critiche e dissenso.
Alcuni – tra cui Oddvar Alstad (1915-1956), Tore Haaland (1918-
2006), Arne Bru­land (1920-1980) – avrebbero presto tralasciato
un’arte ‘radicale’ per aderire all’astrattismo: tra di loro il nome più
significativo è forse quello di Haa­land. Un astrattista di grande
talento è Jakob Weide­mann (1923-2001), artista versatile le cui pit-
ture ‘giocate’ su luce e colore (nelle quali si riconosce un evidente
influsso francese) rappre­sentano una delle migliori espressioni della
pittura norvegese del dopoguerra. Tra gli altri ‘pionieri’ dell’astrat-

327
Lindblom 1944-1946 (B.6); DLO nr. 187.

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I Paesi scandinavi sullo scenario europeo e mondiale 1311

tismo Anna-Eva Berg­man (1909-1987), anch’ella legata alla scuola


francese e ben nota all’estero,328 e Gunnar S. (Sigmund) Gundersen
(1921-1983), le cui opere, che si affidano a colorate astrazioni e
richiamano la cosiddetta optical art, avrebbero influenzato le succes-
sive generazioni. Per altro Gunder­sen e Weidemann facevano parte
del gruppo di artisti Il dado (Terningen), sorto nel 1956: con loro Carl
Nesjar (Carl Carlsen, 1920-2015), collaboratore di Pablo Picasso per
ben diciassette anni, e Inger Sitter (1929-2015), che per dodici anni
(1955-1967) sarebbe stata sua moglie, molto attiva anche sul piano
della politica artistica. Ma i veri pionieri del nascente astrattismo
norvegese sono considerati i compo­nenti della cosiddetta Banda
della morte (Døds­gjengen):329 essa era costituita da Ludvig Eikaas
(1920-2010), anche grafico e scultore e grande sperimentatore di
nuovi materiali che ha lavorato anche in stili figurativi; da Odd Tand-
berg (n. 1924), tra coloro che alla fine degli anni ’50 ebbero l’incari-
co di decorare con rilievi le costruzioni del nuovo complesso di
edifici governativi costruiti a Oslo dall’ar­chitetto Erling Viksjø (1910-
1971);330 da Tor Hoff (1925-1976), la cui memoria (e il giudizio
sulle opere) è inesorabilmente condiziona­ta dal crudele assassinio
commesso nei confronti della sua conviven­te e dal successivo suicidio;
dallo stesso Gunnar S. Gundersen. Alla nuova tendenza si ‘converte’
ora (seppure non totalmente) un artista come Thore Heramb (1916-
2014), ispirato dalla natura e ancora sotto l’influsso degli impressio-
nisti, una sorta di ‘traduttore’ dell’im­pressionismo in astrattismo;
come lui anche Johan­nes Rian (1891-1981), esordiente solo nel 1930
e grande colorista, si dedicherà al­l’astrattismo quando esso (a parti-
re dagli anni ’60) verrà definitiva­mente accettato. Altri nomi di
rilievo di questo periodo sono quelli di Gunnvor Advocaat (1912-
1997) e di suo marito, Øistein Thur­man (1922-1988), a lungo resi-
denti in Italia e convinti sostenitori della pittura modernista; di Knut
Rumohr (1916-2002), noto per i paesaggi astratti segnati da vivaci
colori; di Kåre Tveter (1922-2012) che tuttavia col tempo si muove-
rà dall’arte astratta verso paesaggi figura­tivi.
Nel frattempo procede proficuamente la produzione del celebre
grafico tedesco Rolf (Emil Rudolf) Nesch (1893-1975), rifugiatosi
dalla Germania in Norvegia (sua seconda patria) dopo la presa del

328
Anna-Eva Bergman è stata sposata con il pittore tedesco Hans Hartung (1904-
1989).
329
In effetti il nome non si riferisce a un concetto artistico bensì all’abuso di bevan-
de alcoliche a basso prezzo e, dunque, di scarsa qualità.
330
Gli altri artisti che vi lavorarono erano Inger Sitter, Carl Nesjar e (addirittura!)
Pablo Picasso.

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1312 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

potere da parte dei nazisti; del resto la grafica sarà efficacemente


coltivata anche da artisti come Ludvig Eikaas, Knut Rumohr e, più
avanti, Bjørn Ransve.331 Un fattore certamente non secondario
rispetto alla ‘svolta’ impressa all’arte norvegese è il tiro­cinio di
molti in Paesi stranieri (Francia, Italia, Paesi Bassi, Spagna, Stati
uniti, ma anche Grecia e Turchia). All’estero aveva studiato Halvdan
Ljøsne (1929-2006) che con Roar Wold (1926-2001), Lars Tiller
(1924-1994), Håkon Bleken (n. 1929) e l’ispano-norvegese Ramón
Isern (1914-1989) aveva formato a Trond­heim nel 1961 il cosiddet-
to Gruppo 5 (Gruppe 5), attivo fino al 1970, i cui componen­ti non
erano tuttavia legati da un programma artistico comune quan­to,
piuttosto, dal desiderio di scambiarsi le proprie esperienze e dalla
possibilità di trovare più facilmente comuni spazi espositivi.332 Per
altro mentre Ljøsne, Wold e Tiller sono considerati esemplari
rappre­sentanti dell’astrattismo, Bleken mostra di volersi esprimere
secondo diversi canoni: dall’astratto al figurativo, dal realista al
surrealista, al pari dello scultore, grafico e autore di collage Isern.333
Del resto il cambio di registro stilistico è fenomeno naturale nel
percorso di un artista, come mostra Olav Strømme (1909-1978)
pas­sato da suggestioni dadaiste, cubiste e surrealiste a una pittura
‘ro­mantica’ e – ancora – all’astrattismo e al costruttivismo per
cercare, un’altra volta, strumenti con cui creare un linguaggio
figurativo rin­novato, significativo di per sé e svincolato da qualsia-
si associazione estranea all’opera stessa.
Un intento che tuttavia avrebbe incontrato l’opposizione di altri,
desiderosi di ridare spazio alla pittura figurativa, in primo luogo
Eilif Amund­sen (1930-2007), autore di quadri delicati dai colori
per lo più tenui e ‘sommessi’, pittore che avrà il suo migliore perio-
do creativo tra la fine degli anni ’70 e gli anni ’80. Per sua iniziati-
va nel 1963 fu tenuta a Oslo (presso la galleria privata Holst
Halvorsen kunst­handel) una mostra (allora fortemente criticata) di
artisti che condi­videvano la sua reazione all’astrattismo: tra di loro
Johannes Vinjum (1930-1991), Svein Strand (n. 1934), che con le
sue opere raffinate che si ricollegano alla tradizione francese cono-
scerà maggior successo molto più avanti, e in parte Frans Widerberg

331
Assai più giovane degli altri e del quale dunque si parlerà più avanti in questo
stesso paragrafo.
332
Da segnalare che nel 1966 per iniziativa di Lars Brand­strup (1913-1997) aprirà a
Moss (Østfold), sulla riva orientale del fiordo di Oslo, la Galleria F 15 (Galleri F 15), il
cui nome è tratto dall’indirizzo del primo locale utilizzato per le esposizioni (Fossen 15).
333
Vd. Torheim I., Individuelle tendenser og fellestrekk hos kunstnerne i Gruppe 5
1956-1962, Oslo 1994.

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I Paesi scandinavi sullo scenario europeo e mondiale 1313

(n. 1934), affermatosi anche come grafico: si inaugurava così una


forma di neoromanticismo, coltivata poi anche da Karl Erik Harr
(n. 1940), sul cui ‘tradizionalismo’ ha certamente influito l’ambien-
te della Nor­vegia settentrionale nella quale è cresciuto e da Odd
Nerd­rum (n. 1944) che, seppure nelle prime opere esprima un
chiaro impegno politico (in forme ‘provocatorie’ che suscitarono
una vivace pole­mica), si pone poi in netto contrasto con l’arte
concettuale, l’astrattismo e le mode ‘rivoluzionarie’ provenienti
dall’esterno (l’organizzazione di hap­pen­ing e per­form­ance) che
dominano il clima tra la seconda metà degli anni ’60 e la prima degli
anni ’70. Un diffuso coin­volgimento politico del mondo culturale
non risparmia infatti la Norvegia e molti artisti danno prova di una
vera e propria militanza. La tendenza politica è, naturalmente,
quella della sinistra radicale. In questo con­testo si situano, in primo
luogo, gli appartenenti al gruppo gras, fondato a Oslo alla fine del
1969 e attivo fino al 1973. Un’associazione con scopi di carattere
artistico (ma anche rivendicativo dei propri diritti) e, al contempo,
politico: l’arte deve farsi strumento di lotta sociale, partecipare al
cambiamento promuovendolo, sostenere le battaglie dei lavorato-
ri, denunciare le prevaricazioni e le ingiu­stizie del potere, combat-
tere l’imperialismo. Non a caso uno degli impegni primari (certo
non l’unico) sarà l’opposizione alla guerra americana in Vietnam.
Nonostante la forte (in certi casi predominante) politicizzazione i
risultati artistici sono, in diversi casi, di tutto rispetto. Il migliore
nel gruppo è probabilmente Per Kleiva (n. 1933),334 pittore ma
anche artista che utilizza diversi materiali; con lui Anders Kjær (n.
1940), seguace della pop art; Bjørn Krogstad (n. 1943) che tuttavia,
desideroso di svincolare la creazione del­l’opera dal soffocante
proposito politico, lascerà il gruppo; Victor Lind (n. 1940), che
lavora anche con il linoleum e con il legno; Asle Raaen (1934-2007),
grafico.335
334
Fu lui a coniare il nome gras, vale a dire erba. Nel 1965 Per Kleiva aveva
esposto in una mostra tenuta a Bergen da artisti che vollero chiamarsi Gruppo 66
(Gruppe 66). Accolta con giudizi antitetici essa segnò comunque un momento signi­
ficativo per la nuova arte sperimentale. Tra gli altri membri i nomi più noti sono
quelli di Laurie Grundt (n. 1923), Egil Røed (n. 1932), Olav Herman-Hansen (n. 1935),
Oddvar Torsheim (n. 1938), Ingvald Holmefjord (n. 1941), ma anche dei musicisti
Ketil Hvoslef (Ketil Sæverud, n. 1939) e Knut Kristiansen (n. 1946). In effetti il Grup-
po 66 era costituito da artisti di vario genere che furono tra i primi a organizzare hap­
pen­ing in Norvegia. Nel 1970 sempre a Bergen essi tennero un’altra importante mostra
dal titolo Analisi concreta (Konkret Analyse).
335
Gli altri componenti erano Willibald Storn (n. 1936), artista austriaco trasferi-
tosi in Norvegia nel 1957, Siri Anker Aurdal (n. 1937), Morten Krohg (n. 1937), Arne
Sørensen (n. 1937), Jan Radl­gruber (n. 1940), Egil Storeide (1940-2013), Øivind

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1314 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

Per altro, come si deduce dai nomi sopra citati, nel secondo
dopo­guerra gli sviluppi verso un’arte nuova furono assai più imme-
diati nella pittura e nella grafica che non nella scultura, dove dove-
va pro­trarsi ancora per un po’ di tempo una sorta di naturalismo.
Qui si deve tuttavia citare Arnold Haukeland (1920-1983) che alla
fine de­gli anni ’50 si ‘convertì’ all’astrattismo non soltanto appli-
candolo alle sue opere ma anche sostenendo la necessità di una sua
sperimen­tazione in quell’ambito. Una rottura totale con la tradi-
zione è invece evidente nell’affermarsi dell’installazione, si consi-
deri tra gli altri Kjartan Slette­mark (1932-2008), figura controver-
sa di artista noto per le posizioni politiche di sinistra e anti­americane
tradotte in opere come quella ispirata alle tragiche notizie prove-
nienti dal Vietnam in guerra ed esposta nel 1965 davanti al parla-
mento norvegese.336 Per lui, come per i seguaci delle nuove tenden-
ze straniere (pop art, situa­zionismo, arte concettuale e via dicendo),
non c’è confine tra arte e vita, tra artista e pubblico, tutto può
essere rappresentato, tutto deve essere rappresentato in forme
attive e libere da qualsiasi condiziona­mento. Il che riguarda anche
l’arte ‘femminista’ per la quale si possono citare qui i nomi di Berit
Soot Kløvig (1920-1975) e Sidsel Paaske (1937-1980), pittrici e
scultrici, di Siri Anker Aurdal,337 delle artiste tessili Brit Fuglevaag
(n. 1939) ed Elisabeth Haarr (n. 1945), della protagonista di per­
form­ance Wencke Mühl­eisen (n. 1953),338 della grafica ceco-norve-
gese Zdenka Rusova (n. 1939).
Figure di maggior prestigio che si affermano negli anni ’70 sono
quelle di Jens Johannessen (n. 1934) e di Bjørn Ransve (n. 1944). Il
primo, grafico e pittore discontinuo (ma dotato di forte e sicuro
talen­to) che non manca di applicarsi alla pop art e al collage, conso-
lida un riconoscimento già ottenuto nel decennio precedente; il
secondo è artista eclettico e imprevedibile che in una continua
Brune (n. 1942), Olav Orud (n. 1942), Eva Lange (n. 1944), Marit Wiklund (n. 1945)
e Bjørn Melbye Gulliksen (n. 1946). Alcuni di loro furono attivi anche nel movimento
contro l’ingresso della Norvegia nell’Unione europea (del resto bocciato dal referendum
del 1972; vd. p. 1242).
336
Si trattava di un collage in plastica raffigurante una bocca aperta dentro la qua-
le tra diverse lettere dell’alfabeto ne emergevano alcune a formare la parola vietnam,
una piccola bandiera americana su quella che sembrerebbe la lingua e sopra di essa
una figura di bambino ferito. Accanto le seguenti parole: “Notizie dal Vietnam: I
bambini sono inondati di napalm rovente, la loro pelle brucia formando nere ferite ed
essi muoiono” (“Av rapport fra Vietnam: Barn overskylles av bren­nende napalm, deres
hud brennes til svarte sår og de dør”).
337
Cfr. nota 335.
338
Nel periodo 1976-1985 la Mühleisen ha fatto parte di un collettivo di artisti
radicali stabilitisi a Friedrichshof in Austria.

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I Paesi scandinavi sullo scenario europeo e mondiale 1315

ricerca si rivela capace di utilizzare differenti tecniche e differenti


registri stilistici (figurativo, astratto, realistico seppure non ‘roman-
tico’) e trova ispi­razione in una varietà di motivi. Un percorso indi-
viduale è quello di Bjarne Holst (1944-1993), artista multiforme che
accanto alla pittura coltiva la letteratura, la cinematografia e la musi-
ca; il suo stile surrealista sarà poi mitigato dagli influssi realistici
assorbiti nel corso di un lungo soggiorno (1970-1978) all’estero
(Austria e Ger­mania). Ma in lui è molto chiara anche l’impronta
della sua regio­ne di origine (è nato nell’estremo settentrione del
Paese a Honnings­våg, non lontano da Capo Nord). Il che, per altro,
si riconosce anche in Iver Jåks, di etnia sami.339
In scultura va menzionato ora soprattutto Nils Aas (1933-2004),
anche eccellente ritrattista, che certamente ha appreso la lezione
di Hauke­land, ma sviluppa un’arte originale (astratta o figurativa),
moderna ma al contempo legata alla tradizione artigianale norve-
gese, e per la quale ricorre a svariati materiali; né va dimenticato
Per Ung (1933-2013), considerato insieme ad Aas uno dei miglio-
ri scultori nor­vegesi contemporanei: formatosi tanto nell’arte figu-
rativa quanto in quella modernista avrebbe tuttavia da quest’ultima
preso le distanze, considerandola inadatta a esprimere il suo mes-
saggio. Nella sua opera è possibile rintracciare talora un tocco
neoromantico.
Come è stato detto dopo il fatidico 1814 il mondo culturale nor-
vegese era a lungo rimasto condizionato dalla necessità di ridare al
Paese una propria identità, riscoprendone le tradizioni e riaffer­
mandone la peculiarità rispetto ai vicini scandinavi. Una situazione
che, giocoforza, avrebbe determinato un divario rispetto alla Dani­
marca e alla Svezia (e, tutto sommato, anche all’Islanda), di fatto
condizionando la ricezione di nuove correnti (si pensi alla disputa
sul modernismo in letteratura)340 in nome del rispetto della ‘norve-
gicità’. Seppure naturalmente gli influssi stranieri e le nuove ten-
denze siano riusciti comunque a farsi strada, si può dire che in
campo artistico la definitiva rimozione di questo ‘ostacolo’ sia avve-
nuta solo a partire dalla seconda metà degli anni ’70. In questo
contesto si porranno in luce artisti come Arvid J. (Jarle) Pettersen
(n. 1943), pittore non con­venzionale che negli anni ’80 sarà influen-
zato dall’espressionismo tedesco; Leonard Rickhard (n. 1945), che
dipinge immagini asciutte, segnate da tratti tirati e colori nitidi e
pervase da un senso di quiete (quasi di immobilità); Kjell Torriset

339
Vd. p. 1410.
340
Vd. sopra, pp. 1269-1270.

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1316 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

(n. 1950), formatosi anche in Inghilterra (dove vive) e, dunque,


palesemente influenzato dai britannici ma anche dagli americani:
un artista che ha prodotto opere sia figurative (spesso ispirate alla
persona umana) sia astratte. Per altro anche in Norvegia il clima
degli anni ’80 mostra un abbandono del modernismo, una sorta di
disillusione e di resa, il cedimento alle inquietudini del postmoder-
nismo. Non di meno gli artisti perseguono la propria personale
ricerca. In questo decennio, particolarmente fa­vorevole alla pittura,
debuttano artisti come Ørnulf Op­dahl (n. 1944) che da una forma
di astrattismo decorativo è passato in seguito a sug­gestivi paesaggi
marini e montani; Johanne Marie Hansen-Krone (n. 1952), dallo
stile quasi naïf; Olav Christopher Jenssen (n. 1954), che vive per lo
più in Germania o in Svezia, la cui arte vagamente espressionista
pre­dilige le raffigurazioni astratte; Bjørn-Sigurd Tufta (n. 1956), che
si dedica soprattutto a scenari astratti. Tra i migliori ‘installatori’
Bente Stokke (n. 1952) e Lars Paalgard (n. 1955); tra gli autori di
per­form­ance Kurt Johannessen (n. 1960). Nella scultura va senz’al-
tro citato Kristian Blystad (n. 1946), attualmente il migliore dei
norve­gesi in questo campo, autore di opere in pietra e in bronzo
(ma anche in materiali inconsueti) tanto astratte quanto figurative,
queste ultime frequentemente ispirate al corpo umano nei cui trat-
ti si ricono­sce un che di classico; con lui Jan Groth (n. 1938), che
in precedenza si era conquistato fama internazionale come eccel-
lente artista del­l’arazzo,341 e Gunnar Torvund (n. 1948),342 anche
pittore, volentieri ispirato dal tema del viaggio della vita e innova-
tore dell’arte religiosa. E tuttavia: una tradizionale distinzione fra
‘generi’ non è del tutto corretta, come mostra la gran parte di
questi artisti che si muovono ormai su svariati piani espressivi.343
Negli anni ’80 si sono formati in Norvegia diversi gruppi: tra
quelli di più lunga durata e fondati su intenti artistici condivisi si
vuole citare qui almeno Lambretta, attivo tra il 1982 e il 1987344
che si è dedicato soprattutto alla pittura e alle installazioni ed è
noto, in particolare, per quelle dette Concetti temporali I-V
(Tids­konsep­tene I-V) allestite tra il 1982 e il 1985 e per certi versi
simili a un hap­pen­ing la cui realizzazione prevedeva il ricorso
341
Il suo successo in questo campo si deve in buona parte al contributo della moglie,
l’artista tessile Benedikte Herlufsdatter Hansen (n. 1933).
342
Fratello dello scrittore Helge Torvund (vd. p. 1275).
343
Ma si citino anche Ola Enstad (1942-2013), Steinar Christensen (n. 1946), Oddvar
I.N. (Oddvar Darén, n. 1953) e John Audun Hauge (n. 1955).
344
Ne hanno fatto parte Erik Evensen (n. 1947), Terje Uhrn (n. 1951), Jon Arne
Mog­stad (n. 1950), Edgar Ballo (n. 1955), Axel Ekwall (n. 1955), e Ole H. (Henrik)
Hagen (n. 1955).

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I Paesi scandinavi sullo scenario europeo e mondiale 1317

contempo­raneo a elementi visivi e auditivi (musica rock, rombo di


motori). Caratteri­stiche di questa compagine sono anche la predi-
lezione (tutta norve­gese) per l’arte monumentale e la chiarezza
delle forme. Di interesse è anche il gruppo Provincia (Provins), i
cui migliori rappre­sentanti sono Reidar M. (Martin) Kraugerud (n.
1950) che ultimamente si è volto a studiare il rapporto artistico tra
‘vecchio’ e ‘nuovo’ e Svanhild Heggedal (n. 1944).
Ma ora occorre constatare l’introduzione di nuove tecnologie
ab­binate a quelle tradizionali, come l’uso del video e del computer
di cui si fanno pionieri artisti come Marianne Heske (n. 1946) che
ne trae insospettabili immagini del paesaggio norvegese, e Kjell
Bjørge­engen (n. 1951), formatosi negli Stati uniti, cui seguiranno
Nils Olav Bøe (n. 1958) e Sven Påhlson (n. 1965). Nel 1986 nasce-
rà a Bergen il collettivo di artisti Retroguardia (Bak­truppen) che
organizzerà hap­pen­ing, rappresentazioni di teatro e danza, mostre
di arte video e sonora. Ma anche manifestazioni di intento chiara-
mente politico.345 Del resto questo aspetto, per quanto non preva-
lente come nei decenni precedenti, non manca di trovare ancora
spazio: basti pensare alla nota artista dell’arazzo Else Marie Jakob-
sen (1927-2012) che ne ha prodotto alcuni il cui tema si lega alle
vicende politiche contempora­nee.
Negli anni ’90, mentre si constata un orientamento internaziona-
le ulteriormente marcato e, al contempo (da parte dei più), un
allontana­mento definitivo (senza rimpianti e, talora, ironico) tanto
dalla ricer­ca esasperata delle avanguardie quanto da quelli che sono
sentiti come gli ‘intralci’ della tradizione, l’utilizzo di nuovi mate-
riali e del­le moderne tecnologie è ormai un fatto acquisito. Il soste-
gno econo­mico garantito dallo Stato consente a ciascuno di perse-
guire i propri intenti artistici e di portare avanti le proprie
sperimentazioni. Il Museo dell’arte contemporanea (Museet for
Samtids­kunst), aperto a Oslo nel 1990, accoglie molte opere ed è
divenuto un imprescindibile punto di riferimento. Selezionare i nomi
degli artisti più significativi non è facile, anche perché i percorsi di
maturazione sono tutt’altro che compiuti. Qui si possono citare i
pittori: Per Formo (n. 1952), le cui opere ‘traducono’ in armonie di
colori il suo animo di musicista, Håkon Gullvåg (n. 1959), autore
di ritratti e innovatore (non sempre del tutto convincente) del gene-
re, Bjarne Mel­gaard (n. 1967) che la­vora (in forme espressioniste)
anche con installazioni e fotografie ed è noto (seppure non unani-
memente apprezzato) a livello interna­zionale, Mari Slaattelid

345
Il gruppo sarà sciolto nel 2011.

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1318 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

(n. 1960) che si affida anche a elementi fotografici; l’artista ‘multi-


mediale’ Anne Kathrine Dolven (n. 1953); gli scultori: Per Inge
Bjørlo (n. 1952), anche pittore e autore di installazioni (probabil-
mente il migliore in questo ambito), espres­sionista che produce
opere tormentose spesso dominate dal nero e dal grigio; Per Barclay
(n. 1955), artista eclettico, Marit Benthe Norheim (n. 1960), le cui
sculture di grandi dimensioni uniscono semplicità delle forme e
grande forza espressiva.346 Il periodo di transizione verso il nuovo
millennio ha visto una ripresa dell’idea di un’arte legata al sociale e
intesa come spunto di riflessione in relazione alle problematiche
dell’attualità, conseguen­temente riproponendo il dibattito sul ruolo
di chi la ‘produce’. La commistione dei generi e l’uso di strumenti e
tecnologie avanzate (fotografiche, cinematografiche, di elaborazione
della luce e del suo­no, informatiche e digitali) è ormai indiscussa così
come il fatto che ci si possa esprimere (talora contemporaneamente)
su diversi livelli e che non ci sia, sostanzialmente, una tendenza pre-
dominante. Nell’ul­timo decennio è molto considerato anche Sverre
Bjertnes (n. 1976), in primo luogo pittore, che nella sua arte figura-
tiva esprime un realismo talora quasi fotografico. Ma l’arte norvege-
se del terzo millennio resta in pratica totalmente da scoprire.

14.4.3.4. Arte islandese

In Islanda fin dai primi decenni del XX secolo le aperture ai


modelli e alle correnti straniere avevano dato un impulso fondamen­
tale alle arti visive e alle sperimentazioni di nuovi stili espressivi
coltivati da figure come i sopra citati Snorri Arinbjarnar, Gunn­
laugur Óskar Scheving, Jón Engilberts, Finnur Jóns­son, Þorvaldur
Skúla­son, Nína Tryggva­dóttir,347 cui va aggiunta qui la pittrice
Louisa Matthías­dóttir (1917-2000) la quale dopo gli studi in Dani­
marca e Francia si era trasferita negli Stati uniti (dove tenne la sua
prima personale nel 1948) cominciando a introdurre nelle proprie
opere elementi espressionisti.348 Il secondo dopoguerra è anche in
questo Paese un periodo di notevole dinamismo: mentre Svavar
Guðna­son aderisce al gruppo cobra,349 emergono infatti giovani

346
Molti scultori norvegesi (ma non solo) sono stati coinvolti nel progetto “Nord­
land paesaggio di sculture” (Skulpturlandskap Nordland) avviato nel 1992 che pre­vede
la collocazione di loro opere in diversi luoghi della regione.
347
Vd. p. 1181.
348
Louisa Matthías­dóttir aveva sposato il pittore americano Leland Bell (1922-1991).
349
Vd. p. 1181 e pp. 1293-1294.

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I Paesi scandinavi sullo scenario europeo e mondiale 1319

pittori votati all’astrattismo come Kristján Daviðs­son (1917-2013),


che aveva studiato negli Stati uniti e in Francia, l’eclettico Hörður
Ágústs­son (1922-2005), anche designer, ed Eiríkur Smith (n. 1925),
allievo di Jóhann Briem (1907-1991),350 che aveva completato il
proprio tirocinio all’estero con un lungo viaggio e ha prodotto anche
suggestive immagini ispirate al paesaggio islandese.351 Ma il cambia­
mento si manifesta anche nella scultura, come si constata dai lavo-
ri di Ás­mundur Sveins­son che dagli anni ’50 mostra di preferire
l’astrattismo e di Sigur­jón Ólafs­son (che pure si esprime talora anche
in uno stile realista) le cui sperimentazioni con diversi materiali
avrebbero aperto la strada ad artisti più giovani,352 ma – soprattut-
to – nell’astrattismo tridimen­sionale che segna le opere di Gerður
Helga­dóttir (1928-1975), formatasi in Italia e Francia e nota altre-
sì per i grandi mosaici in prospettiva e le vetrate che decorano
alcune chiese (Skálholt, Kópavogur). Un impulso al rinnovamento
verrà al mondo dell’arte islan­dese (che durevolmente ne sarà influen-
zata) dallo svizzero Dieter Roth (1930-1998), scultore, grafico,
poeta, che dalla metà degli anni ’50 soggior­nerà per lunghi periodi
nell’isola. Nella sua cerchia anche Ragnar Kjartansson (1923-1988),
fondatore dell’arte della ceramica in Islan­da e noto scultore.
Con gli anni ’60 si diffondono come altrove le nuove tendenze
(pop art, concretismo, arte concettuale, hap­pen­ing e per­form­ance) e,
con loro, la politicizzazione della cultura.353 A queste esperienze si
richiama innanzi tutto l’opera di Erró (Guð­mundur Guð­mundsson,
n. 1932),354 formatosi in lunghi periodi di studio e di viaggio all’este-
ro, artista impegnato nella critica politica e sociale ma che continua
a produrre proficuamente opere (spesso nate dal collage) in cui si
am­massano simboli e immagini (talora ironiche) tratti da tempi e
am­bienti culturali molto diversi; attualmente è considerato uno dei
migliori rappresentanti del postmodernismo. A questi anni risalgono
anche le prime sperimentazioni di ‘scultura dinamica’ da parte di
Jón Gunnar Árna­son (1931-1989) e della stessa Gerður Helga­dóttir
che dal decennio successivo comincerà a utilizzare materiali incon-
350
Oltre che docente Jóhann Briem era anche pittore espressionista.
351
Un pittore di talento che segue un percorso proprio è Sverrir Haraldsson (1930-
1985), nato nelle Vestmannaeyjar, le cui opere si distinguono per la capacità dell’arti-
sta di lavorare su diverse sfumature di una tonalità (o di poche tonalità) di colore.
352
Anche Ásmundur Sveinsson e Sigurjón Ólafsson sono stati precedentemente
cita­ti: vd. p. 1183.
353
Un tema centrale è anche qui l’opposizione alla guerra americana in Vietnam (si
veda, a esempio Þórður Ben Sveinsson, n. 1945).
354
Inizialmente (tra il 1954 e il 1967) il suo pseudonimo era Ferró, poi cambiato in
Érro a motivo di una omonimia.

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1320 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

sueti come gesso e cemento. Nell’ambito delle installazioni e delle


per­form­ance si afferma il ‘concettuale’ Sigurður Guðmunds­son (n.
1942), che nel 1978 sarà tra i fondatori del museo di ‘arte vivente’
(living art) di Reykjavík (Ný­lista­safnið, comunemente noto come
Nýló), istituzione gestita direttamente dagli artisti la cui nascita va
ricon­dotta, per molta parte, all’attività del gruppo noto come súm
(súm hópinn), attivo tra la seconda metà degli anni ’60 e la prima
degli anni ’70. Nel 1965, infatti, quattro giovani artisti, fra cui Jón
Gunnar Árnason, avevano allestito a Reykjavík una esposizione
comune alla quale avevano dato questo nome (il cui significato resta,
a quanto pare, inutile da ricercare).355 Altri si unirono a loro succes-
sivamente e il gruppo súm (che continuò a organizzare mostre)
diventò portavoce della rivoluzione artistica islandese, alla quale
anche qui avrebbe do­vuto conseguire una profonda trasformazione
sociale e l’apertura dell’arte alla vita (nel solco delle idee del movi-
mento Fluxus). Tra coloro che fecero parte di súm Magnús Pálsson
(n. 1929), che spesso collaborava con Dieter Roth, Tryggvi Oláfsson
(n. 1940) che colti­vava la pop art, Kristján Guðmundsson (n. 1941),
concettualista e minimalista, e anche Hildur Hákonardóttir (n. 1938),
artista tessile e femminista (un aspetto che, nel clima di quegli anni,
non va certo dimenticato). Nel 1974 rientrava in Islanda Alfreð Flóki
Niel­sen (1938-1987), che a lungo aveva vissuto in Danimarca (era,
in effetti, di padre danese), figura di difficile collocazione artistica,
ma le cui illustrazioni di carattere grottesco e anche, si potrebbe dire,
grosso­lane, avrebbero costituito un punto fermo nella storia della
grafica islandese. Alla fine degli anni ’70 una pittura figurativa (di
carattere espressionista) sarà riproposta da Einar Hákonarson (n.
1945), che si dedica anche alla scultura e alla realizzazione di vetrate.
Per altro, il ‘crepuscolo’ delle tendenze artistiche e politiche rap­
presentate dai componenti del gruppo súm va di pari passo col
mu­tamento del clima culturale che si manifesta nella seconda metà
degli anni ’70 e permea il decennio successivo, quando anche artisti
già affermati muovono verso nuove forme espressive. Così, a esem-
pio, Sigurður Guðmundsson che preferisce ora dedicarsi alla pittu-
ra, alla grafica e alla scultura, così anche Jón Gunnar Árnason la cui
celebre opera dal titolo Il viaggiatore del sole (Sól­far), commissiona-
ta nel 1986 in occasione del bicentenario di Reykjavík,356 sarà collo-
cata nella capi­tale sul lungomare di Sær­braut e inaugurata nel 1990.
Realizzata in alluminio e raffigurante una nave stilizzata, vuole
355
Gli altri tre espositori erano Sigurjón Jóhannsson (n. 1939), Haukur Dór Sturlu­
son (n. 1940) e Hreinn Frið­finns­son (n. 1943).
356
Vd. p. 730 con nota 232.

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I Paesi scandinavi sullo scenario europeo e mondiale 1321

rappresentare, nelle intenzioni dell’autore, la promessa di poter


raggiungere terre nuove e incontaminate. Ma essa richiama alla
mente anche l’imma­gine delle navi vichinghe, così come quella
delle imbarcazioni colle­gate al culto del sole presenti nelle incisioni
rupestri dell’età del bronzo.357 Del resto gli elementi ripresi dalla
tradizione pagana e mitologica, così come dal paesaggio islandese,
restano qui motivi ispiratori irrinunciabili anche se il mondo artisti-
co è ormai necessa­riamente e ‘irrimediabilmente’ coinvolto con
quello straniero e il tirocinio all’estero è per i più prassi acquisita.
Da tutto ciò ciascuno trae il proprio personale linguaggio espressivo.
Negli anni ’80 si affermano (o si confermano) artisti come Jóhanna
Yngva­dóttir (1953-1991) che nei suoi quadri ama rappresentare
figure femminili nei cui tratti è spesso riconoscibile la ‘stanchezza’
per la malattia che la tormentava e che ne avrebbe provocato la
morte prematura; Helgi Þorgils Friðjónsson (n. 1953), come lei
formatosi in Olanda, che traduce elementi fiabeschi in forme qua-
si surreali rinno­vando il genere pittorico; l’eclettico Steingrímur
Eyfjörð (n. 1954) che in opere di vario genere, la cui ispirazione
trae da ambiti dispa­rati, esprime il senso stesso della narrazione
artistica; Birgir Andrés­son (1955-2007), autore di disegni e com-
posizioni che ricercano e reinterpretano (talora ironicamente) la
tradizione e il paesaggio; la ‘scultrice con la cartapesta’ Svava
Björns­dóttir (n. 1952). Nel frat­tempo anche nell’arte islandese si
diffonde l’uso di nuove tecnologie (audio, video, informatiche,
digitali), una tendenza destinata a espan­dersi. Tra i primi a colti-
vare questa nuova possibilità Þorvaldur Þorsteinsson (1960-2013),
anche scrittore, e Ólafur Elíasson, artista molto noto a livello
internazionale.358 Un esempio dello sviluppo di queste tendenze è
dato dal gruppo (tutto al femminile) che ha nome The Icelandic
Love Corporation, costituito nel 1996 da Eirún Sigurðar­dóttir (n.
1971), Jóní Jónsdóttir (n. 1972) e Sigrún Hrólfs­dóttir (n. 1973),359
ben note anche all’estero. Un artista che con la sua ricerca croma-
tica ‘segna’ gli anni ’90 è Tumi Magnússon (n. 1957).
Nel 1998 veniva fondata la Scuola superiore islandese d’arte (Lista­
há­skóli Íslands), i cui corsi (avviati nel 1999) prevedono diver­si
indirizzi: arti visive, teatro, design, architettura e musica. Sono questi,
per altro, gli ambiti che volentieri i nuovi artisti amano inter­secare,
357
Vd. pp. 48-50 e pp. 52-53.
358
Di lui si è detto in precedenza (vd. p. 1300). Pionieri della video arte fin dalla
metà degli anni ’60 (quando si trovavano negli Stati uniti) sono Steina (Steinunn Briem
Bjarna­dóttir, n. 1940) e suo marito, il ceco Woody Vasulka (n. 1937).
359
Tra il 1996 e il 2001 ha fatto parte del collettivo anche Dóra Ísleifs­dóttir (n. 1970).

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1322 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

di fatto non riconoscendo più alcun tipo di demarcazione. Nel pano-


rama dell’ultimo decennio, che ha visto il fiorire di una attività
davvero intensa, i nomi che meritano una citazione sono forse quel-
li degli scultori Rósa Gísla­dóttir (n. 1957), che ricorre a materiali
‘nuo­vi’ come la jesmonite o ‘di scarto’ come le bottiglie in plastica,
e Páll Guðmunds­son (n. 1959), che più tradizionalmente lavora la
pietra su cui volentieri scolpisce volti; di Georg Guðni Hauksson
(1961-2011), morto improvvisamente a cinquant’anni, capace di
‘reinventare’ la pit­tura del paesaggio ispirata ai panorami islandesi;
di Kristinn E. Hrafns­son (n. 1960), scultore, grafico, autore di instal-
lazioni; di Finnbogi Péturs­son (n. 1959) che nello spazio delle proprie
opere ricerca gli effetti del suono; di Katrín Sigurðar­dóttir (n. 1967)
le cui sculture e installazioni interrogano i preconcetti architettonici;
di Kristín Gunnlaugs­dóttir (n. 1963), formatasi in Italia e autrice
anche di opere di carattere religioso (in particolare icone).

14.4.3.5. Architettura

Nei Paesi nordici dopo la fine del secondo conflitto mondiale il


graduale miglioramento delle condizioni di vita e gli impulsi prove­
nienti dall’esterno determinarono importanti cambiamenti nell’archi­
tettura abitativa che venne in molti casi (soprattutto nelle città)
allon­tanandosi dai canoni tradizionali per recepire nuove tendenze
(in primo luogo americane e inglesi). Il funzionalismo, che già ave-
va impresso una svolta in questo settore nei decenni tra le due
guerre, fu definitivamente combinato con il modernismo, allo sco-
po di co­struire case confortevoli collocate in quartieri progettati
razional­mente.360 E, in effetti, molti (e in diversi casi piuttosto
rapidi) sono stati i mutamenti cui questi centri sono andati incontro,
anche se, for­tunatamente, essi non ne sono stati (se non in pochi
casi) esteti­camente devastati (non mancando tuttavia le polemiche
in merito). Il processo di modernizzazione e ripensamento degli
spazi urbani (con la creazione di aree riservate ai pedoni e corsie
per i ciclisti),361 inte­grato con studi di architettura del paesaggio e
360
In Svezia per sopperire alla carenza di abitazioni si portò avanti un progetto noto
come Miljonprogrammet, in base al quale si voleva risolvere definitivamente il pro­blema.
Si calcola che tra il 1965 e il 1974 siano state costruite 1.006.000 abitazioni, cifra che
corrisponde all’incirca a un quarto del totale dell’attuale patrimonio immo­biliare (vd.
Lindqvist M., Miljon­programmet - planeringen och uppförandet: http://www.micral.se/
miljonprogrammet/Miljonprogrammet.pdf).
361
Si ricordino qui i progetti del danese Jan Gehl (n. 1936) che in proposito ha anche
scritto saggi e nel 2000 ha dato vita allo studio di architettura Gehl Architects a Copenaghen.

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I Paesi scandinavi sullo scenario europeo e mondiale 1323

utilizzo di manufatti artistici (in particolare sculture e fontane) da


collocare in punti ‘strategici’ ha tuttavia profondamente modificato
l’immagine delle città nordiche, anche quando l’ispirazione per le
nuove costruzioni è stata ripresa dalle forme tradizionali, ben più
facilmente conservate nelle aree rurali. Nomi di riferimento sono
quelli dei danesi Svenn Eske Kristen­sen (1905-2000), Povl Ernst Hoff
(1903-1992) e Bennet Windinge (1905-1986),362 Nils (1914-2009) ed
Eva Koppel (nata Ditlevsen, 1916-2006), marito e moglie, Jørn Utzon
(1918-2008),363 Gunnar Krohn (1914-2005) ed Eigil Hartvig Rasmus­sen
(1905-1980),364 Henning Lar­sen (1925-2013), Knud Holscher (n.
1930);365 degli svedesi Sven Mar­kelius (1889-1972), sopra ricordato
tra i pio­nieri del funzionalismo,366 Sven Back­ström (1903-1992) e Leif
Rei­nius (1907-1995),367 Gustaf Lett­ström (1913-1999), Ralph Erskine
(1914-2005, anglo-svedese),368 Carl Nyrén (1917-2011),369 Peter
Cel­sing (1920-1974),370 Hans Asplund (1921-1994);371 dei norvegesi
Knut Knut­sen (1903-1969, attivo fin dagli anni ’30 ma figura di rife-
rimento nel secondo dopoguerra), Per Cappelen (1921-1978) con la
moglie Molle (Bergljot Ambrosia Heyer­dahl, 1922-1986), Trond
Elias­sen (n. 1922), Birger Lambertz-Nielsen (1923-2012), Nils Slaatto
(1923-2011) e Kjell Lund (1927-2013),372 Sverre Fehn (1924-2009) e
Geir Grung (1926-1989);373 degli islandesi Gunn­laugur Halldórs­son
(1909-1986), Skarp­héðinn Johannes­son (1914-1970), che si era for-
mato in primo luogo in Italia, Guðmundur Kr. Kristins­son (1925-2001),
Manfreð Vilhjálms­son (n. 1928) e Þor­valdur S. Þorvalds­son (n. 1933),

362
Dalla cui collaborazione nacque lo studio Hoff & Windinge, attivo tra il 1942 e
il 1973.
363
Anche il figlio Kim Utzon (n. 1957) è un affermato architetto.
364
Nel 1946 essi fondarono lo studio Krohn & Hartvig Rasmussen (ora KHR
arki­tekter).
365
Senza dimenticare C. F. Møller e Arne Jacobsen; vd. p. 1184 con nota 261.
366
Vd. p. 1185.
367
Che condivisero tra il 1936 e il 1980 il celebre studio Backström & Reinius.
368
Insieme al quale è doveroso citare il danese Aage Rosen­vold (1914-2006) che a
lungo fu suo collaboratore.
369
Lo studio da lui fondato nel 1948 (Nyréns Arkitektkontor) è tuttora attivo.
370
Il cui figlio Johan Celsing (n. 1955) continua il lavoro del padre.
371
Figlio dell’architetto Gunnar Asplund su cui vd. p. 1185.
372
Dalla cui collaborazione nacque nel 1987 lo studio Lund+Slaatto Arkitekter,
rilevato nel 2003 da Inge Ormhaug (n. 1947), Pål Biørnstad (n. 1960) ed Espen Peder­
sen (n. 1965).
373
Insieme a P A M (Peter Andreas Munch) Mellbye (1918-2005), Håkon Mjelva
(1924-2004), Odd Østbye (1925-2009), Christian Norberg-Schulz (1926-2000), Fehn
e Grung facevano parte del cosiddetto gruppo pagon (Progressive Architects Group)
formatosi nel 1949 e ispirato alle idee di Arne Korsmo per un modernismo di orien-
tamento internazionale.

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1324 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

che a lungo hanno lavorato insieme, Högna Sigurðardóttir (n. 1929),


prima donna islan­dese ad affermarsi in questo campo.
Il rinnovamento coinvolse naturalmente anche gli edifici pub-
blici come municipi, scuole, università, ospedali, musei, chiese,
bibliote­che, luoghi di incontro e, inoltre, hotel, aeroporti, fabbri-
cati a uso commerciale e industriale.374 Si venne così creando un
nuovo ‘mo­dello scandinavo’ destinato a essere esportato anche
all’estero. Lo stile modernista evolse poi da una parte verso il bru-
talismo, dall’altra verso lo strutturalismo che lo misero in discus-
sione fino a che esso non sarebbe stato, in sostanza, superato.375 Un
superamento che in buona parte si constata già dagli anni ’70,
quan­do si comincia a costruire con più attenzione all’aspetto socia-
le e alle esigenze ambientali (e meno a una logica schematica),
restituendo valore alle costruzioni preesistenti.376 Più avanti si
affermerà il post­modernismo, anch’esso successivamente abban-

374
Gli esempi sono molto numerosi e qui non se ne può offrire se non una selezio-
ne puramente orientativa: il municipio di Rødovre, località a circa 9 km. dal centro di
Copenaghen (Arne Jacobsen, 1956); il municipio di Asker (nel distretto di Akershus,
Nils Slaatto e Kjell Lund, 1964); i diversi edifici dell’Università di Oslo a Blindern
realizzati negli anni ’60 e progettati da Olav Moen (1928-1986); l’università di Odense
(Knud Holscher, 1971); il campus sud dell’Università di Copenaghen ad Amager (Nils
ed Eva Koppel, 1972-1979); la casa di riposo nel quartiere di Økern a Oslo (Sverre
Fehn e Geir Grung, 1955); il Museo d’arte moderna Louisiana (cfr. p. 1296 con nota
275), progettato da Jørgen Bo (1919-1989) e Vilhelm Wohlert (1920-2007) e aperto
nel 1958; il Centro per l’arte Henie Onstad (Henie Onstad kunst­senter) di Bærum non
lontano da Oslo, fondato da Sonja Henie (vd. p. 1149, nota 129) e dal marito Niels
Onstad (1909-1978), progettato dagli architetti Jon Eikvar (n. 1933) e Svein-Erik
Engbretsen (n. 1933) e aperto nel 1968; la chiesa cattolica e il convento di San Hallvard
a Oslo (Kjell Lund e Nils Slaatto, 1966); la chiesa di Bagsværd, a circa 12 chilometri a
nord-ovest del centro di Copenaghen (Jørn Utzon, 1973-1976); il Community center
(Med­borgar­huset) di Eslöv in Scania (Hans Asp­lund, 1957); la Casa del popolo (Folkets
hus) a Oslo (Knut Knutsen, 1962); la Casa della cultura (Kultur­huset) a Stoccolma
(Peter Cel­sing, 1971-1974); il cosiddetto Chateau Neuf di Oslo, sede dell’Associazione
degli studenti norvegesi (Det Norske Stu­denter­sam­fund, Kjell Lund e Nils Slaatto,
1971); l’albergo Borga­fjäll nel comune di Dorotea, Lapponia meridionale (Ralph
Erskine, 1955); il Radisson Blu Royal Hotel di Copenhagen (Arne Jacobsen, 1960); i
grandi magazzini di Åhléns City a Stoccolma (Backström e Reinius, 1964); il palazzo
degli uffici centrali della SKF (industria produttrice di cuscinetti a sfera) a Göteborg
(Gustaf Lettström, 1963-1967); l’edificio della Cassa di risparmio (Spar­banks­huset) a
Stoccolma (Carl Ny­rén, 1973-1975).
375
Significativamente nel 1980 uscirà a Stoccolma il volume Addio al funzionali­smo!
(Far­väl till funk­tio­nalis­men!) di Hans Asplund, che pure ne era stato uno dei più
convinti interpreti ma che ora ne metteva in luce gli aspetti insoddisfacenti.
376
In questa direzione andava, a esempio, il piano noto come rot, portato avanti in
Svezia tra il 1977 e il 1989. L’acronimo, da interpretare come Reparation, Om­bygg­nad,
Tillbyggnad (vale a dire “Riparazione, Ristrutturazione, Ampliamento”), ben ne chia-
risce gli scopi.

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I Paesi scandinavi sullo scenario europeo e mondiale 1325

donato in favore di nuove tendenze che si legheranno alle crescen-


ti opportunità offerte dalla tecnologia (senza dimenticare le esigenze
di carattere ecologico) ma anche al minimalismo, all’espressionismo,
a una sorta di neo-funzio­nalismo.

Nel saggio critico in cui dà il ‘benservito’ al funzionalismo377 Hans


Asplund contrappone a questa tendenza lo stile di un edificio come il
Municipio di Stoccolma, realizzato sulla base di un’architettura magari
‘poco organica’ ma dai risultati assolutamente felici:

“L’immagine semplificata del mondo del funzionalismo si è espressa in


divieti di vario genere. Il primo divieto ha riguardato l’imitazione di uno
stile. L’atteggiamento negativo nei confronti delle epoche architet­toniche
storiche, prima di tutto l’Ottocento, si è manifestato in espres­sioni che sono
passate dall’ironia allo scherno e al disprezzo. Oltre alla formula imitazione
stilistica le definizioni comuni dei risultati archietto­nici dell’Ottocento sono
state ecletticismo, copiatura, plagio e ripro­duzione. Qualche volta gli archi-
tetti del passato si sono presi una pacca postuma sulla spalla, sono stati
nominati pionieri e prefunzionalisti [...]
Per fortuna Stoccolma ha fatto in tempo a costruire il suo Municipio
prima dell’avvento del funzionalismo, visto che questo edificio contrasta
totalmente con la morale. In particolare con tutte le tesi funzionaliste.
Frammenti e motivi architettonici sono stati fatti a diretta imitazione o
reinterpretati come parafrasi dell’architettura di diversi Paesi e periodi.
L’architetto Ragnar Östberg378 è riuscito a combinare e amalgamare tutti
questi influssi in un insieme imponente, solido e ricco: il Municipio non è
certo inteso come uno strano uccello esotico sulla fredda spiaggia nordica,
piuttosto come un uccello migratore nordico che torna ripor­tando il ricordo
di regioni più meridionali. Le forme erano meridionali ma i materiali,
pietre, mattoni, legno, ferro e rame arrivavano dal nostro Paese.
Certo il Municipio è un teatro, abitato dalle ombre di Birger jarl e di
Sant’Erik,379 certo il Municipio è una poesia, una bugia provvidenziale con
i massi trasportati fin qui per riprodurre la base di una montagna di roccia,
con le aperture delle finestre richiuse, come un pa­linsesto che alluda alle
diverse necessità nel corso dei secoli, certo l’e­dificio è in parte inadeguato,
certo una parte delle finestre degli uffici sono a livello del pavimento con
vista sul luccichio delle acque del Rid­dar­fjärden,380 certo l’edificio è costoso,
molto costoso. Ma che festa, che gioia, che bellezza, che spettacolo di fronte
al magnifico paesaggio del­la città. Questo edificio è stato costruito quando
377
Vd. nota 375.
378
Vd. p. 1184.
379
Vd. pp. 350-353 e pp. 275-276, rispettivamente.
380
L’ampio braccio di mare che attraversa Stoccolma.

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1326 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

la Svezia era ancora povera, ma ha già deliziato due generazioni di Svedesi


e molti stranieri. Cosa abbiamo realizzato di paragonabile nel corso del
nostro danaroso mezzosecolo?”381

Naturalmente, dunque, gli architetti si dedicarono anche a pro-


getti molto ambiziosi, nei quali poter esprimere al meglio la loro
crea­tività: una creatività fatta di linee semplici e materiali ‘moderni’
(tra cui vetro e acciaio), capace di trarre ispirazione da svariate
culture figurative (anche non ‘di scuola’) e al contempo di non
trascurare il ricorso a elementi tradizionali caratteristici dell’identi-
tà nordica. La combinazione di questi fattori, sapientemente dosa-
ta, ha fatto sì che molti fra i migliori abbiano avuto successo anche
fuori dalla Scandi­navia ottenendo prestigiosi riconoscimenti.
Da questo punto di vista, per la verità, bisogna riferirsi in primo
luogo ai danesi. Il caso più eclatante è quello di Jørn Utzon, il cui
celeberrimo palazzo dell’Opera (Opera House) di Sidney (1973)382
gli ha procurato la soddisfazione di vederlo inserito (2007) nell’elen­
co del patrimonio mondiale dell’umanità stilato dall’Unesco. Un
altro danese, Henning Larsen, ha ottenuto incarichi in Medio
oriente (tra cui la costruzione dell’edificio del Ministero degli
esteri del­l’Arabia saudita, 1982-1984) e altrove, il che consente ai
nuovi nomi dello studio da lui fondato nel 1959 di essere tuttora
coinvolti in importanti progetti in diversi Paesi. Nel 1989, due anni
dopo la morte di Johann Otto von Sprec­kel­sen (1929-1987), veni-
va inaugurato nelle vicinanze di Parigi (nel centenario del completa­
mento della Tour Eiffel e nel bicentenario della rivoluzione) il
cosiddetto Arco de La Défense (La Grande Arche de la Fraternité
o L’Arche de la Défense) da lui progettato. Ancora in Medio orien-
te è stata poi la volta di Hans Dissing (1926-1998) e Otto Weitling
(n. 1930) che hanno disegnato le sedi delle banche centrali in Kuwait
(1976) e Iraq (1985). Allo studio da loro fondato (Dissing+Weitling)
con l’inten­zione di portare avanti il lavoro avviato da Arne Jacob-
sen è stata affidata in tempi più recenti la progettazione di diversi
ponti come il Nelson Mandela Bridge a Johannesburg in Sud Afri-
ca (2003), lo Stone­cutters Bridge a Hong Kong (2009), il New Forth
Road Bridge (Queensferry Crossing) in Scozia (apertura prevista nel

DLO nr. 188.


381

Progetto al quale collaborò l’architetto norvegese Jon Lundberg (n. 1933) che
382

in seguito (1969-1982) avrebbe gestito lo studio Jan & Jon insieme a Jan Digerud (n.
1938), dando un notevole impulso al postmodernismo norvegese.

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I Paesi scandinavi sullo scenario europeo e mondiale 1327

2016).383 Un altro studio architettonico danese che vanta un note-


vole successo è 3XN,384 aperto a Copenaghen nel 1986: tra le sue
rea­lizzazioni il palazzo dei concerti Muziekgebouw aan ’t IJ di
Amsterdam (2005) e il Museo di Liver­pool (Museum of Liver­pool,
2011); così anche schmidt hammer lassen architects, costituito ad
Aar­hus nel 1986,385 che ha lavorato in vari Paesi d’Europa, in Medio
oriente, negli Stati uniti e in Cina (a Shangai, dove esso ha aperto
un ufficio, sono stati recentemente inaugurati i padiglioni proget-
tati per la Shanghai West Bund, Biennale di architettura e arte
contem­poranea). Dello studio C.F. Møller Architects si è detto in
precedenza.386
A livello internazionale gli architetti norvegesi più noti sono cer-
tamente i componenti del gruppo Snø­hetta,387 formatosi nel 1987 e
che solo due anni dopo si sarebbe aggiudicato l’incarico di realiz­zare
la nuova biblioteca ad Alessandria d’Egitto (inaugurata nel 2002).
Fin da allora si unirono a loro anche professionisti stranieri come
Craig Dykers (n. 1961), nato a Francoforte ma a lungo vissuto in
Europa e Nord America, che insieme a Kjetil Trædal Thor­sen ne è
ora il principale esponente. Tra i loro numerosi successi internazio­nali
la partecipazione alla realizzazione del Memorial sul luogo nel quale
sorgeva il World Trade Center di New York distrutto negli attentati
dell’11 settembre 2001, il Centro della cultura mondiale di re Abdul-
aziz a Dhahran nell’Arabia saudita (King Abdulaziz center for world
culture, in costruzione), l’assegnazione dell’incarico per la realizza-
zione del palazzo dell’Opera nella città sudcoreana di Busan.
Per quanto riguarda la Svezia, dove dopo gli anni ’60 l’architet­
tura non è più sembrata in grado di esprimere autentici talenti,388
383
A loro si deve per altro anche la progettazione del grande ponte che collega le
isole danesi di Selandia e Fionia, noto come Storebæltsbroen e aperto al traffico fer­
roviario nel 1997 e a quello automobilistico nel 1998 e, successivamente, di quello
sull’Øresund (danese Øre­sunds­broen, svedese Öre­sunds­bron) che collega la Dani­marca
con la Svezia, aperto nel 2000 (cfr. nota 22).
384
Il nome nasce dal fatto che i soci fondatori avevano tutti cognome Nielsen: Lars
Frank Nielsen (n. 1951), Kim Herforth Nielsen (n. 1954) e Hans Peter Svendler Niel-
sen (n. 1954) che tuttavia in seguito avrebbe lasciato il gruppo.
385
I suoi fondatori sono John Foldbjerg Lassen (n. 1953), Bjarne Hammer (n. 1955)
e Morten Schmidt (n. 1956), cui si sono uniti Kim Holst Jensen (n. 1964) e Kristian
Lars Ahlmark (n. 1973).
386
Vd. p. 1184 con nota 260.
387
Fondato da Johan Østengen (n. 1952), Alf Haukeland (n. 1955), Kjetil Trædal
Thorsen (n. 1958), Inge Dahlman (n. 1959), Berit Hartveit (n. 1960), Øyvind Mo (n.
1956). Il nome Snøhetta fa riferimento a quello della cima più alta (2286 mt.) della
catena montuosa di Dovre (su cui cfr. p. 876, nota 66).
388
Fatta eccezione per Gert Wingårdh (n. 1951), titolare dello studio Wingårdh arki­
tekt­kontor, che ha abbandonato il postmodernismo per sperimentare nuove tendenze.

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1328 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

ci si dovrà limitare a ricordare Ralph Erskine che ha realizzato un


pro­getto di appartamenti nel quartiere di Byker a New­castle in
Inghil­terra (1969-1982) e più tardi (1997-2005) ha dato il proprio
contri­buto al Greenwich Millennium Village di Londra. Gli islan-
desi hanno fatto grandi progressi: lo studio Batteriið Arkitektar389
ha ottenuto in collaborazione con i canadesi di Cibinel Architects
di lavorare al­l’Active Living Centre per l’Università del Manitoba,
aperto nel 2015.
Per altro, pur tributando la dovuta ammirazione ai progetti
inter­nazionali, si deve constatare come l’evoluzione cui è andata
incontro l’architettura scandinava abbia parallelamente prodotto
risultati note­volissimi anche all’interno di questi Paesi, non soltan-
to in termini di rinnovamento delle forme (per il ricorso, come si
è detto, a svariati stili), bensì anche – forse soprattutto – perché
essa ha saputo in diversi casi reinventare e reinterpretare lo spirito
nordico nel suo imprescindibile legame con l’ambiente naturale
che ha contribuito a plasmarlo e con la tradizione formatasi nel
corso dei secoli. Sono dunque senz’altro degni di ammirazione (per
fare solo qualche esempio tra le costruzioni più prestigiose) i
diversi edifici (post­modernisti) dell’Università di Stoccolma nel
quartiere di Frescati realizzati da Ralph Erskine a partire dal 1974;
il quartier generale della compagnia aerea SAS a Solna (nord di
Stoccolma) progettato dal norvegese Niels Torp (n. 1940) e inau-
gurato nel 1985;390 l’edi­ficio della Banca di Norvegia (Norges Bank)
a Oslo, completato nel 1987 su progetto di Kjell Lund e Nils Slaatto;
il Municipio di Reykja­vík (Ráðhús Reykjavíkur) realizzato dallo
Studio Granda391 (1992); la Biblioteca nazionale d’Islanda (Land­
bóka­safn Íslands), opera di Manfreð Vilhjálms­son e Þorvaldur S.
Þorvalds­son (1994); l’edificio in cui ha sede la Corte suprema islan­
dese (Hæsti­réttur Íslands), ancora dello Studio Granda (1996); la
Biblioteca universi­taria (Uni­ver­sitets­bi­blio­teket) di Oslo (Georg
Sverdrups hus, 1998), disegnata dallo studio Telje-Torp-Aasen;392
l’ampliamento della Biblioteca reale di Copena­ghen con il cosid-
detto “Diamante nero” (Den Sorte Diamant) proget­tato dallo studio
389
Lo studio degli architetti La batteria è stato aperto nel 1988 e con sede a
Hafnar­fjörður, non lontano da Reykjavík.
390
Questa realizzazione di successo ha aperto le porte a incarichi prestigiosi, anche
all’estero, affidati al suo studio (Niels Torp).
391
Aperto a Reykjavík nel 1987 da Margrét Harðar­dóttir (n. 1959) e da suo marito,
l’architetto inglese Steve Christer (n. 1960).
392
Fondato nel 1964 da Are Telje (n. 1936), Fredrik Torp (n. 1937) e Knut Aasen
(1936-1996). Rilevato nel 2007 da Torstein Lømo (n. 1960), Jan Arnfinn Mork (n.
1954) e Kay Erik Rosted (n. 1953) è divenuto LMR arkitektur.

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I Paesi scandinavi sullo scenario europeo e mondiale 1329

schmidt hammer lassen architects (1999); il Teatro dell’Opera di


Copenaghen (Operaen) realizzato su disegno di Hen­ning Larsen
(2005); il Teatro reale danese (Skue­spil­huset), sempre nella capita-
le, progettato dallo studio Lund­gaard & Tran­berg393 (2008); il Palaz-
zo dell’Opera (Opera­huset) di Oslo, disegnato dagli architetti di
Snø­hetta (2007); il centro culturale per concerti e conferenze
di Reykja­vík, noto come Harpa (2001), nato dalla colla­borazione
dello studio danese Henning Larsen Archi­tects con quello islande-
se Batteríið Arkitektar e alla cui facciata ha contribuito l’artista
dano-islandese Ólafur Elías­son.394 Ma una particolare atten­zione
meritano opere che richiamano, appunto, la natura e la tradi­zione
nordica, realizzate in primo luogo da norvegesi o islandesi. Tali
sono, a esempio, il Museo dei Ghiacciai (Norsk Bre­museum), che
si trova a Fjær­land (nella regione norvegese di Sogn e Fjordane) ed
è considerato uno dei capolavori di Sverre Fehn (1991); il palazzo
del ghiaccio costruito a Hamar (Hedmark) per i giochi olimpici
invernali del 1994 (Hamar olympia­hall), pronto fin dal 1992 e noto
come “nave vichinga” (viking­skipet), che riprende la forma (rove­
sciata) di tale imbarcazione ed è stato realizzato su disegno di Niels
Torp e dello studio Biong Arkitekter;395 il centro culturale Casa del
Nord (Norður­landa­húsið) di Tórshavn nelle Føroyar, aperto nel
1983 e disegnato da Ola Steen (n. 1942), norvegese, e Kolbrún
Ragnars­dóttir (n. 1939), islandese: una costruzione che si ispira alle
antiche abitazioni nordiche ricoperte di zolle d’erba, così come, in
prece­denza, il Brekke­stranda Fjord Hotel (Brekke, regione di Sogn)
disegnato da Bjørn Simonnæs (n. 1921) e aperto nel 1970. L’indi­
viduazione di una ‘linea neonordica’ nell’architettura è stata per
altro oggetto di un evento culturale tenutosi nel 2012 presso il
museo Louisiana in Danimarca, dal titolo Nuova architettura e
identità nordica (Ny arkitektur og identitet i Norden).
È presumibile che sarà questa una delle sfide che dovranno
affrontare i progettisti nel futuro, insieme a quella di gestire con
razionalità e felici risultati estetici la continua trasformazione dei
moderni centri urbani, in relazione alle esigenze d’un mondo e
d’una società in continuo e rapido divenire.396
393
Fondato nel 1983 da Boje Lundgaard (1943-2004) e Lene Tranberg Hansen (n. 1956).
394
Vd. p. 1300.
395
Si tratta di uno dei più antichi e prestigiosi della Norvegia, risalente addirittura
al 1898 e fondato da Kristian Biong (vd. p. 1185, nota 264).
396
Si ricordino qui infine nomi di rilievo di singoli o di gruppi non citati in prece­
denza: per la Danimarca Søren Robert Lund (n. 1962), uno dei pochi a tentare espe-
rimenti di decostruttivismo, Bjarke Ingels (n. 1974) che nel 2006 ha dato vita al BIG
(Bjarke Ingels Group), capace di conseguire notevoli riconoscimenti interna­zionali, i

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1330 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

14.4.4. Il mondo della musica

14.4.4.1. Ritmi scatenati e nuove canzoni

Fin dal periodo tra il primo e il secondo conflitto mondiale il


mondo musicale scandinavo si era aperto a nuovi modelli provenien-
ti dall’esterno, in primo luogo il jazz (ma anche le canzoni di ‘musica
leggera’), che rappresentavano una novità significativa rispetto alla
tradizione popolare, a quella classica e, ovviamente, a quella della
musica religiosa. Questa tendenza si consolidò nel secondo dopo­
guerra, quando le mode americane e inglesi si propagarono rapida­
mente e nei Paesi nordici cominciarono a formarsi band che si dedi­
cavano alla composizione e all’esecuzione di pezzi che vi si ispira­vano.
La strada fu aperta dal rock and roll, diffuso a partire dagli anni ’50,397
una forma musicale che anche qui avrebbe conosciuto, dal decennio
successivo, l’evoluzione in hard rock, rock progressivo (prog) e poi
heavy metal, in voga negli anni ’70 e ’80, ma che nelle sue varie spe-
cie (e sottospecie) è tuttora coltivata (con l’uso di strumenti sempre
più tecnologicamente sofisticati) e seguita. Una innovazione che ebbe
ovunque un notevole impatto, ma i cui effetti furono particolarmen-
te evidenti in Islanda. In un Paese in cui la tradizione si era a lungo
basata quasi esclusivamente sulle composi­zioni di carattere religioso
e su quelle popolari, l’introduzione di generi ‘moderni’ (i cui pionie-
ri, come altrove, erano stati i musicisti jazz) determinò una vera e
propria ‘rivoluzione’: quasi che il bisogno degli Islandesi di espri-
mersi musicalmente, a lungo in qualche modo ‘forzatamente inca-
nalato’, trovasse ora finalmente il proprio sfogo. Il primo festival rock

team di cebra, cobe, Effekt, Transform (tutti premiati alla Biennale di Venezia nel 2006),
Masu Planning, nord architects, Dorthe Mandrup Architects, tutti a Copenaghen; per la
Svezia, dove dagli anni ’90 la disciplina ha mostrato una ripresa, Studio Grön Arkitekter
e White Arkitekter a Göteborg, Arkitekthuset Monar­ken a Luleå, Henrik Jais-Nielsen
& Mats White Arkitekter a Helsinborg, Sweco Architecture e Tham & Vingård Arkitekter
a Stoccolma; per la Norvegia Kristin Jarmund (n. 1954), che reinterpreta il funziona-
lismo, Carl-Viggo Hølmebakk (n. 1958), formatosi anche negli Stati uniti, i team di
Arkitektgruppen cubus a Bergen, boarch a Bodø, lpo arkitektur & design, Jensen &
Skodvin Arkitektkontor e Narud-Stokke-Wiig a Oslo; per l’Islanda Guðmundur Jónsson
(n. 1953), che vive e lavora in Norvegia, Dagur Eggertsson (n. 1965) che collabora con
il noto architetto finlandese Sami Rintala (n. 1969).
397
Nel 1962 il compositore danese Bent Fabricius-Bjerre (noto anche come Bent
Fabric, n. 1924) avrebbe vinto il prestigioso Grammy award per la miglior incisio-
ne di rock and roll con il suo orecchiabile motivo Alley Cat, uscito nell’album dal
medesimo titolo.

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I Paesi scandinavi sullo scenario europeo e mondiale 1331

nel Paese ebbe luogo a Reykjavík nel 1957 e nel giro di un anno
questo tipo di musica conquistò la gente.398 Sicché non deve fare
meraviglia che nell’isola si siano susseguiti (e con­tinuino a susseguir-
si) con frequenza concerti di musica moderna che richiamano sempre
un grande pubblico399 e che nel corso degli anni siano nate molte
band, alcune delle quali come i Sykur­molarnir400 e Sigur Rós401 hanno
raggiunto fama internazionale.402 Per altro una ‘stella’ musicale islan-
dese universalmente nota è Björk Guðmunds­dóttir (n. 1975), più
semplicemente nota come Björk, che ha anche fatto parte della band
Sykur­molarnir: la sua formazione ha compreso i diversi generi delle
più moderne espressioni musicali. Più recente ma altrettanto clamo-
roso è il successo di Sóley Stefánsdóttir (n. 1986). Ma anche altre
band e cantanti scandinavi hanno raggiunto fama all’e­stero: a esem-
pio i gruppi danesi D-A-D, formatosi nel 1982,403 Dizzy Mizz Lizzy
(1988), Volbeat (2001); gli svedesi The Spotnicks (1961), Europe (1978),
Roxette (duo, 1986), Entombed (1987) e Opeth (1990); i norvegesi
della band a-ha (1982) e del duo Röyk­sopp (1998). Per altro tutte le
forme di rock, di pop rock e di pop music sono ben rappresentate in
questi Paesi, dove naturalmente si è diffuso l’uso di strumenti elet­
tronici, ma anche quello di scrivere (seppure non sempre) i testi in
lingua inglese, il che non soltanto sottolinea la dipendenza dai mo­delli
anglosassoni e americani, ma anche la volontà di raggiungere un
pubblico più vasto.
Parallelamente continua il successo della musica jazz che in Dani­
marca ha conosciuto un momento di grande fortuna negli anni
’60,404 mentre in Svezia è stata sottoposta a sperimentazioni come
quella di Jan Johansson (1931-1968), che l’ha utilizzata per ‘tradur-
re’ melodie popolari, o di Eje Thelins (1938-1990) che lo ha volu-

398
Guðmundsson 1990, pp. 16-19. Uno dei primi cantanti rock islandesi è stato
Megas (Magnús Þór Jónsson, n. 1945).
399
Tra cui si possono ricordare il Festival annuale del jazz di Reykjavík, quello di
rock e pop, noto come Iceland Airwaves (sempre nella capitale) e quello che ha luogo
a Ísa­fjörður (nei fiordi occidentali) dal titolo Non sono mai andato a sud (Aldrei fór ég
suður) ideato dal celebre cantante Mugison (Örn Elías Guðmunds­son, n. 1976).
400
Band costituita nel 1986 che interpreta ora il postrock; cfr. p. 1280.
401
Formata nel 1994. Il nome è ripreso da quello di Sigurrós, sorellina di uno dei
componenti, Jón Þór Birgisson (n. 1975), detto Jónsi, nata in quell’anno. Significa “Rosa
della vittoria”.
402
Ma si citino qui anche i Múm (1997) il cui leader è Örvar Smárason (n. 1977), e
i Sólstafir (termine che indica i raggi di sole che si fanno strada attraverso le nuvole)
che eseguono musica metal.
403
Il nome è stato successivamente cambiato in D.A.D., D˙A˙D, e ancora D:A:D.
404
Si ricordino Palle Mikkelborg (n. 1941), Jesper Thilo (n. 1941) e Niels-Henning
Ørsted Pedersen (1946-2005), noti a livello mondiale.

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1332 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

to ‘progressi­vo’.405 In Norvegia debuttava in quel decennio il cele-


bre Jan Garba­rek (n. 1947),406 mentre in Islanda nel 1977 sarà
costituita la band Mezzo­forte che lo declina nel genere fusion ed è
nota interna­zio­nalmente.407 Tra i cantanti di questo genere le voci
più note sono per lo più femminili.408
Un diverso, parallelo, e altrettanto importante percorso è quello
della canzone melodica, popolare,409 anch’essa felicemente coltiva-
ta in Scandinavia e i cui migliori interpreti (notissimi a livello
mondia­le) sono stati gli svedesi del gruppo degli abba,410 accanto
ai quali vanno comunque ricordate la pop star norvegese Wenche
Myre (n. 1947), le componenti del duo Bobbysocks411 e l’islandese
Emilíana Torrini (n. 1977, di padre italiano).
In Svezia la tradizione della ‘canzone’ che risaliva almeno a
Bellman412 è stata rinnovata da autori come Cornelis Vreeswijk (1937-
1987), di famiglia olandese, e Fred Åkerström (1937-1985), che la
arricchisco­no con toni ripresi dalle nuove mode musicali (come il
rock) ma anche dalle canzoni popolari. Una ‘leggenda’ di questo tipo
di composizione è anche Povel Ramel (1922-2007). Il rinnovamento
del genere ha altresì influenzato la ‘canzone’ norvegese il cui miglior

405
Tra i jazzisti svedesi di fama mondiale Åke Hassel­gård (noto come Stan 1922-1948),
morto tragicamente a soli ventisei anni, il clarinettista Putte (Hans Olof) Wick­man
(1924-2006), il direttore d’orchestra Arne Dom­nérus (1924-2008), il sasso­fonista Lars
Gullin (1928-1976), il pianista Bengt Hallberg (1932-2013), il ceco-svedese Georg
Riedel (n. 1934), noto per aver composto le musiche per i film basati sulle storie scritte
da Astrid Lindgren (vd. p. 1285), Bernt Rosengren (n. 1937), che spesso ha collabora-
to con musicisti americani, il contrabbassista Palle (Nils Paul) Danielsson (n. 1946).
406
Con lui ha spesso suonato il bassista Arild Andersen (n. 1945). Altri noti jazzisti
norvegesi sono il percussionista Jon Christensen (n. 1943), il contrabbassista Bjørn
Alter­haug (n. 1945), il chitarrista Terje Ryp­dal (n. 1947) che si dedica anche alla compo­
sizione di musica ‘seria’, e i più giovani Nils Petter Molvær (n. 1960), trombettista e
Paal Nilssen-Love (n. 1974), batterista.
407
Nomi importanti del jazz islandese sono quelli di Pétur Östlund (n. 1943), tuttavia
di padre americano e vissuto in Islanda solo nell'adolescenza, e Björn Thoroddsen (n. 1958).
408
Come la danese Cæcilie Norby (n. 1964); le svedesi Alice Babs Sjöblom (1924-2014)
e Monica Z (Zetterlund, 1937-2005); le norvegesi Karin Krog (n. 1937) e Silje Nergaard (n.
1966), le islandesi Kristjana Stefánsdóttir (n. 1968) e Ragga (Ragnheiður) Gröndal (n. 1984).
409
Il che non è affatto sorprendente se si pensa che il celeberrimo Elvis Presley
(1935-1977) basava, appunto, il proprio repertorio (e il proprio straordinario succes­
so) sul dualismo rock e canzone melodica.
410
Come noto l’acronimo è formato dalle iniziali dei nomi dei quattro componenti
del gruppo: Frida (Anni-Frid) Lyngstad (n. 1945), Björn Ulvaeus (n. 1945), Benny (Göran
Bror) Andersson (n. 1946) e Agnetha Fältskog (n. 1950), sposata con Björn Ulvæus tra
il 1970 e il 1980. Con loro si può nominare il gruppo Ace of Base costituito nel 1987.
411
Formato da Hanne Krogh (n. 1956) ed Elisabeth Andreassen (n. 1958) che nel
1985 hanno vinto l’Eurovision Song Contest.
412
Vd. pp. 836-838.

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I Paesi scandinavi sullo scenario europeo e mondiale 1333

rappresentante pare essere Bjørn (Lillebjørn) Nilsen (n. 1950).413


Anche in Islanda nel secondo dopoguerra il lato artisticamente
migliore della ‘canzone popolare’ sono probabilmente le compo­
sizioni del ‘trovatore’ Hörður Torfason (n. 1945), all’estero certa­mente
più noto come organizzatore delle proteste di piazza legate alla
gravissima crisi economica del 2008.414 Molto apprezzato per la sua
musica intensa e delicata è anche Snorri Helgason (n. 1984).

14.4.4.2. Musica, avanguardie, politica e società

Come altrove le correnti musicali assolutamente innovative pro­


venienti dall’area anglosassone ebbero da subito particolare diffusio­
ne negli ambienti giovanili e da subito si legarono al clima di ‘ribel­lione’
politica e sociale che tra l’altro sarebbe sfociato nei moti di protesta
del ’68. Sicché esse sono strettamente legate alla ‘filosofia’ hippie
prima e a quella punk poi. Ottimo esempio della stretta con­nessione
tra la contestazione politica e questo tipo di musica è il movimento
progg (o proggen) sorto in Svezia nella prima metà degli anni ’70 allo
scopo di dare spazio alla composizione non ‘commer­ciale’ (anche di
carattere popolare) ma presto divenuto espressione di ambienti poli-
tici della sinistra.415 Una delle principali manifestazioni tenute dagli
aderenti al progg fu il cosiddetto “Progetto tenda” (Tält­projektet) che
nell’estate del 1977 vide la partecipazione di centinaia di artisti (musi-
cisti e attori di teatro) che fecero una lunga tournée in giro per il
Paese. D’altro canto le innovazioni musicali si sarebbero senz’altro
legate con le sperimentazioni delle avanguardie culturali, il che avreb-
be coinvolto (nel solco delle idee portate avanti dal movi­mento Fluxus)
anche musicisti formatisi seguendo un percorso più tradizionale.
Hap­pen­ing e per­form­ance avrebbero dunque costituito occasioni
ideali per realizzare una collaborazione, destinata comun­que a svilup-
parsi ulteriormente con il diffondersi del convincimento della neces-
sità di abbattere i confini (ora giudicati artificiosi) tra le diverse forme
di arte. Un caso esemplare è quello del compositore danese Henning
Christiansen (1932-2008), che accompagnò con il suo violino la per­
form­ance di Bjørn Nørgaard e Lene Adler Petersen, quando essi in
un mercato danese macellarono provocatoriamente un cavallo.416 Egli

413
Ma si ricordino anche i più anziani Birgitte Grimstad (n. 1935) e Alf Cranner (n. 1936).
414
Vd. p. 1231. Un nome emergente della canzone islandese (che continua a susci-
tare interesse internazionale) è quello del giovanissimo Ásgeir (Trausti Einarsson, n.
1992).
415
Vd. Lahger H., Proggen. Musikrörelsens uppgång och fall, Stockholm 2008.
416
Vd. sopra, pp. 1295-1296.

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1334 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

aderiva, del resto, al movimento Fluxus. Come lui anche Niels


Viggo Bentzon (1919-2000),417 che sarebbe divenuto uno dei mag-
giori compositori danesi contemporanei. Un modo diver­so di per-
seguire la ‘fusione’ di forme espressive è, tra gli altri, quello degli
svedesi Ulf Lundell (n. 1949), musicista rock e scrittore (la cui
carriera inizia negli anni ’70) che si richiama alla beat genera­tion418
e Jacques Werup (n. 1945), scrittore le cui poesie vengono messe
in relazione con la musica jazz che egli stesso ha eseguito, spesso in
collaborazione con Frans Sjö­ström (n. 1944).419 Un intento più
mar­catamente politico è rappresentato da autori come gli svedesi
Björn Afzelius (1947-1999) e Mikael Wiehe (n. 1946) che, spesso
insieme, vollero ispirare il loro lavoro al socialrealismo tanto in voga
negli anni ’70 (per altro un risultato piuttosto difficile da consegui-
re in ambito musicale se non con l’aiuto dei testi).
In effetti nei primi decenni del dopoguerra l’intreccio tra pro-
positi politici, critica sociale e ricerca artistica è indiscutibile e
buona parte delle innovazioni portate avanti dai compositori si
legano al quel clima culturale: il panorama appare variegato e il
dibattito vivace.420 Una tendenza che si fa strada anche nel Nord è
quella della ‘musica concreta’, per altro strettamente legata a quel-
la elettronica ed elettro-acustica. Autori come i danesi Else Marie
Pade (1924-2016) e Jørgen Plaetner (1930-2002), gli svedesi Rune
Lindblad (1923-1991) e Bengt Hambræus (1928-2000), interessa-
to anche alla musica seriale, e i più giovani Ralph Lundsten (n.
1936) e Leo Nilsson (n. 1939), il norvegese Arne Nordheim (1931-
2010), radicale nelle sue sperimen­tazioni, ben si inquadrano in
questo contesto. Del resto il desiderio di innovazione si applica
anche alla scelta degli strumenti (si pensi tra gli altri allo svedese
Sven-Eric Johanson, 1919-1997). Agli ‘eccessi del modernismo’
non mancherà una reazione tesa a produrre compo­sizioni ‘neosem-
plici’ (una forma di minimalismo musicale), come è il caso dello

417
Pronipote per parte di madre del celebre musicista J.P.E. Hartmann (vd. p. 921
con nota 264).
418
Un altro scrittore legato al mondo della musica rock è Peter Kihl­gård (n. 1954).
419
Essi in effetti avevano dato vita al gruppo noto come Werup-Sjö­ström­gruppen.
Un altro poeta svedese che volentieri legge i propri versi con l’accompagnamento di
musica jazz è Gunnar Harding (cfr. nota 181).
420
In Svezia la discussione sulle prospettive e le innovazioni nel campo della musi-
ca era stata portata avanti fin dal 1944 dal cosiddetto “gruppo del lunedì” (måndags­
gruppen) del quale facevano parte compositori, esecutori e critici (vd. 40-tal. En klipp­
bok om Måndagsgruppen och det svenska musiklivet, sammanställd och kommenterad
av B. Wallner, Stockholm 1971). In Danimarca un impulso al rinnovamento era
venuto negli anni ’40 da Herman D. (David) Koppel (1908-1998).

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I Paesi scandinavi sullo scenario europeo e mondiale 1335

stesso Henning Christiansen,421 dei suoi connazionali Pelle Gud-


mundsen-Holmgreen (1932-2016) che, pure, aveva voluto tentare
sperimentazioni, Ole Buck (n. 1945), anch’egli ‘convertito’ alla
semplicità e Hans Abrahamsen (n. 1952), le cui prime opere sono
da ‘leggere’ in questa prospettiva, e inoltre dello svedese Lars
Johan Werle (1926-2001) che dà un nuovo impulso all’opera.

14.4.4.3. Prima di tutto musica

Ma le sperimentazioni non si legano soltanto a motivazioni poli­


tico-sociali, bensì anche al bisogno di recepire pienamente stimoli
provenienti dall’esterno o comunque di sviluppare le teorie sorte
nel Novecento (dodecafonia, atonalità) portando un contributo
davvero innovativo. E, dunque, pur tenendo conto dell’impegno
politico-so­ciale ‘imposto’ dal clima degli anni ’60 e ’70, dell’appor-
to dato a hap­pen­ing, per­form­ance e più tardi all’installazione per
finire all’arte intermediale, occorrerà considerare i percorsi dei
compositori nel solco di uno sviluppo che resta, per molti versi,
tutto interno alla mu­sica stessa, anche quando essa sia legata ad
altre forme espressive (da non dimenticare cinematografia, rivista,
balletto e via dicendo).
In Danimarca l’innovazione sarà portata avanti, tra gli altri, da
Ib Nørholm (n. 1931) che dagli anni ’60 comincia a sperimentare
la mu­sica seriale,422 ma produrrà anche composizioni ‘neosemplici’,
da Per Nørgård (n. 1932), prolifico autore di sinfonie, opere, con-
certi (ma anche di molto altro)423 e figura molto influente anche per
l’impor­tante attività di docente,424 da Bent Lorent­zen (n. 1935),
allievo del compositore e musicologo Knud Jeppe­sen (1892-1974)
e di Vagn Holmboe,425 e pioniere della musica elettronica.
Si tratta di autori cresciuti nel solco di una tradizione ‘classica’
nobilitata da nomi come quello del celebre Carl Nielsen,426 ma che

421
Per altro, come si è visto, Henning Christiansen non mancò di presentarsi come
un artista all’avanguardia, portavoce di un punto di vista progressista (cfr. p. 1333).
422
Introdotta nel Paese da Gunnar Berg (1909-1989), che fu uno dei primi danesi
a comporre musica dodecafonica, una innovazione accolta con scetticismo, per non
dire con ostilità.
423
Come pure di saggi sulla teoria e la ‘filosofia’ della musica.
424
Tra i suoi allievi il lirico Erik Højs­gaard (n. 1954), l’eclettico Svend Hvidt­felt
Nielsen (n. 1958) e Karsten Fundal (n. 1966), gratificato da notevole successo.
425
Vd. sopra, p. 1187. Tra i molti allievi di Holmboe anche Per Nør­gård, Ib
Nør­holm e il norvegese Arne Nord­heim.
426
Vd. p. 1100.

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1336 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

in seguito sentono il bisogno di trovare la propria strada attraverso


la sperimentazione di nuove forme espressive (emblematico da que-
sto punto di vista è l’abbandono da parte di Nørgård del conserva-
torio di Copenaghen427 per trasferirsi in quello jutlandese di Aar­hus).428
Ac­canto a loro Axel Borup-Jørgensen (1924-2012), tra i primi a
fre­quentare i celebri corsi di musica contemporanea (Internationale
Ferien­kurse für Neue Musik) tenuti a Darmstadt,429 ma che tuttavia
man­tiene una posizione più distaccata rispetto alle novità, così come
Tage Nielsen (1929-2003), interessato, più che all’aspetto ‘tecnico’,
alla magia che può scaturire dalle nuove melodie.430 Tra i più noti
autori danesi una posizione particolare è quella del cattolico
Bern­hard Lewkovitch (n. 1927), che ‘a disagio’ con le innovazioni
(il che ne farà una sorta di ‘escluso’) troverà la sua strada nella compo­
sizione di opere di carattere religioso. Per altro anche Mogens
Winkel Holm (1936-1999), compositore e critico (ma anche attivo
difensore dei diritti dei musicisti), pur conscio delle innovazioni
moderniste, mostra di sapersi muovere in modo indipendente.431
A partire dagli anni ’80, con l’attenuarsi del clima politico-sociale
che aveva caratterizzato i decenni precedenti, i compositori possono
tuttavia usufruire del ‘lascito’ di quelle esperienze: ciò si constata, a
esempio, in Anders Koppel (n. 1947) che nel proprio percorso tocca
generi assai diversi, dal rock al jazz, dalla world music alla classica,
dai temi per balletto alle colonne sonore; in Karl Aage Rasmus­sen
(n. 1947), che ha sviluppato la sua forma compositiva dalla tecnica
del collage; in Bo Holten (n. 1948), coordinatore di importanti insie-
mi vocali, che ha collaborato con il gruppo di per­form­ance teatrale
Hotel Pro Forma, fondato nel 1985.432 Holten è uno degli autori cui
si deve il rinato interesse per l’opera;433 altri sono certamente Poul

427
Det Kongelige Danske Musikkonservatorium, cfr. p. 921, nota 265.
428
Det Jyske Musik­kon­ser­vato­rium, aperto nel 1927. La decisione fu presa in segui-
to alla mancata ammissione al conservatorio di Copenaghen di Ole Buck. Con lui si
trasferirono ad Aarhus diversi studenti, tra i quali Ingolf Gabold (n. 1942), che sarà
poi autore soprattutto di composizioni vocali.
429
Dove dal 1953 insegnava uno dei maggiori musicisti d’avanguardia, il tedesco
Karl­heinz Stock­hausen (1928-2007) che aveva avuto modo di prendere lezioni da un
altro grande innovatore, il francese Olivier Messiaen (1908-1992), il quale a sua vol­ta
aveva insegnato a Darmstadt nel 1949 e nel 1950.
430
Ma si citino qui anche Poul Rov­sing Olsen (1922-1982), studioso di culture mu­sicali
esotiche e Fuzzy (Jens Vilhelm Pedersen, n. 1939), sperimentatore di musica elettronica.
431
Fratello del ballerino e coreografo Eske Holm (n. 1940), egli ha scritto anche
diverse composizioni per questo genere di spettacolo.
432
Questo gruppo porta avanti l’esperienza del precedente Teatro-immagine (Billed­
stof­teater) attivo dal 1977 al 1985.
433
Nel 1995 veniva aperto a Copenaghen il teatro Seconda opera (Den Anden

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I Paesi scandinavi sullo scenario europeo e mondiale 1337

Ruders (n. 1949), noto a livello internazionale, e la più giovane Eva


Noer Kondrup (n. 1964). Figure di primo piano del panorama musi-
cale danese contemporaneo sono fra i molti Niels Rosing-Schow (n.
1954), concentrato sull’essenza del suono; Anders Nordentoft (n.
1957), che affida alla composizione un messaggio sull’inesprimibile;
Bent Søren­sen (n. 1958) che compone soprattutto musica strumen-
tale di agevole (ma al contempo sorprendente) ascolto; Peter Bruun
(n. 1968) molto attivo anche nella ‘politica musicale’; Frederik Magle
(n. 1977), autore di opere classiche ma anche di componimenti
commissionatigli dalla famiglia reale. Non manca chi si ‘lascia tenta-
re’ dalle possibilità offerte dalle più recenti tecniche, ivi comprese le
applicazioni dell’informatica: tra di loro Gunnar Møller Pedersen
(n. 1943), che fin dagli anni ’70 coltivava la musica elettronica, e
l’allievo di Niels Viggo Bentzon, Ivar Froun­berg (n. 1950).
Anche in Svezia i primi decenni del dopoguerra dovevano aprire
le porte a molte novità provenienti dall’estero e ampliare gli spazi
di quelle già approdate qui nel periodo tra i due conflitti. Come si
è detto in precedenza, un forum di discussione sulle nuove tenden-
ze musicali era costituito dal cosiddetto “gruppo del lunedì” che si
riuniva settimanalmente.434 Diversi fra i suoi componenti sarebbero
stati nomi di riferimento nella trasformazione della musica svedese.
Così, innanzi tutto, il sopracitato Karl-Birger Blomdahl (1916-
1968),435 uno fra i primi a sperimentare la musica dodecafonica, le
cui melodie di accompagna­mento all’opera di Harry Martinson
Aniara mostrano chiari toni modernisti, ma anche Sven-Erik Bäck
(1919-1994), che si misura con l’atonalità e la musica elettronica,436
e l’eclettico e produttivo (per certi versi bizzarro e divertito) Sven-
Eric Johanson (1919-1997), allievo e amico del norvegese Fartein
Valen,437 capace di esprimersi su diversi registri stilistici e anche
sperimentatore e interprete di happening. Non a caso Blomdahl,
Bäck e Johanson avevano studiato presso il celebre Hil­ding Rosenberg,438
pioniere del modernismo che con la sua attività di docente lo aveva
trasmesso agli allievi. Fra i quali è da includere Ing­var Lidholm (n.
1921), grande innovatore che dall’espressionismo e dalla musica
dodecafonica procede verso ulteriori sperimentazioni d’avanguardia.
Opera), dal 2006 noto come plex. Lo scopo era quello di promuovere la musica speri-
mentale e la cosiddetta ‘opera da camera’, vale a dire un’opera realizzata con un
numero limitato di artisti.
434
Vd. sopra, nota 420.
435
Vd. p. 1169, nota 195.
436
Da sottolineare la sua collaborazione con il poeta Östen Sjöstrand (vd. p. 1262).
437
Vd. p. 1188.
438
Vd. p. 1187.

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1338 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

Un ‘pioniere’ è certamente Bengt Hambræus (1928-2000) che aveva


frequentato i corsi di Darmstadt e diffuso la teoria concretista così
come la musica elettronica, mostrando interesse anche per altre forme
espressive come le per­form­ance e la musica seriale.
Diversi percorsi sono quelli di Allan Pettersson (1911-1980), com-
positore celebre per le sue sinfonie che resta in buona parte legato alla
tradizione della musica tonale (seppure sappia declinarla con molte
variazio­ni)439 e di Claude Loyola Allgén (Klas-Thure Allgén, 1920-1990),440
anch’egli, al modo del danese Bernhard Lewkovitch (come lui catto­lico),
figura isolata e per molti versi incompresa, anche a motivo della diffi-
coltà delle sue composizioni.441 Del resto, pur avendo fatto parte del
“gruppo del lunedì” egli ne aveva poi ridimensionato l’im­portanza.442
Ma la sperimentazione proseguiva con musicisti interessati alle
nuove possibilità offerte dall’elettronica. Così Arne Mellnäs (1933-
2002) che avrebbe perfezionato questa tecnica con periodi di studio
ed esperienze all’estero (Europa, Giappone, Stati uniti); Bo Nilsson
(n. 1937) che diede l’avvio a composizioni di questo genere quasi
‘per gioco’; Jan W. (Wilhelm) Mor­then­son (n. 1940) che avrebbe
fatto parte della direzione dello Studio di musica elettronica
(Elektron­musik­studion), un centro fondato a Stoccolma nel 1964
da Karl-Birger Blomdahl e presto divenuto un punto di riferimen-
to per tutti quelli che volevano seguire questo percorso. Punto di
riferimento per questo ‘studio’ era l’as­sociazione Fylkingen (la cui
fondazione risale al 1933):443 nata come un circolo musicale interes-
sato alle opere dei contemporanei (ma aperto anche alla musica
tradizionale), negli anni ’60 diede spazio all’arte e alla musica
d’avanguardia, a hap­pen­ing e sperimentazioni di vario genere.444
439
Autori che in misura maggiore o minore si richiamano alla tradizione sono Jan
Carlstedt (1926-2004) che pure era partito dalla musica atonale; Hans Eklund (1927-
1999), Maurice Karkoff (1927-2013), Bo Linde (1933-1970) la cui vita fu stroncata
dall’alcolismo.
440
In occasione della sua conversione al cattolicesimo (1950) egli cambiò il proprio
nome in Claude Johannes Maria premettendo Loyola al cognome in onore di San
Ignazio che considerava il suo protettore.
441
Gran parte delle quali sono andate distrutte nell’incendio della sua casa del
quale egli stesso restò vittima.
442
La contrapposizione tra tradizionalisti e innovatori che contraddistingue i primi
decenni del secondo dopoguerra è ben rappresentata nel volume autobiografico di
Erland von Koch (vd. p. 1187) dal titolo Musica e ricordi (Musik och minnen), pub­
blicato nel 1989.
443
Il nome fa riferimento all’antico nordico fylking (f.) che indica un ordine di bat­
taglia dei combattenti (vd. Cleasby – Vigfusson 1957 [B.5], p. 179). Nel 1952, in
collabora­zione con la radio svedese, Fylkingen presentò al pubblico il primo concerto
di musica elettroacustica.
444
In questo contesto si situa l’esperienza di autori come Lars-Gunnar Bodin (n.

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I Paesi scandinavi sullo scenario europeo e mondiale 1339

Musicisti dell’innovazione sono anche Jan Bark (1934-2012) e


Folke Rabe (n. 1935), entrambi con un retroterra nel jazz.
Come altrove a partire dagli anni ’80 c’è stato in Svezia un pro­gressivo
declino dell’arte politico-sociale, ma naturalmente la ricerca di nuove
forme espressive non si è affatto interrotta. In questo perio­do si con-
solida l’esperienza di compositori come Sven-David Sand­ström
(n. 1942), che, pur senza rinnegare le esigenze dell’innovazione
rifluisce verso toni più semplici; Daniel Börtz (n. 1943), che ricerca
uno stile più vario; Anders Eliasson (1947-2013), che continua a
coltivare quella ispirazione che lo aveva tenuto lontano dal clima
culturale dei decenni precedenti; mentre Hans Gefors (n. 1952),
allievo di Per Nørgård e a lungo vissuto in Danimarca, è noto soprat­
tutto per le opere, genere coltivato anche da Anders Nilsson (n. 1954)
che in gioventù aveva aderito a gruppi progg. Tra gli autori nati negli
anni ’50 anche l’eclettico Jan Sandström (n. 1954), cui si devono
musica da camera, corali, opere e composizioni per orchestra, gra-
tificato da un successo internazionale; Madeleine Isaksson (n. 1956),
che seleziona e al contempo integra suoni di diversa natura; Carl
Michael von Hausswolff (n. 1956) artista ‘concettuale’ che lavora
con installazioni basate su luci e suoni. Tra i più giovani Anna-Lena
Laurin (n. 1962) cantante e pianista di jazz passata alla composizione,
Fredrik Högberg (n. 1971), postmodernista, padrone di diversi stili
e molto apprezzato, e Benjamin Staern (n. 1978) le cui composizio-
ni musicali per orchestra sono eseguite in diversi Paesi del mondo.445
Un ambito nel quale la musica svedese ha raggiunto risultati di
tutta eccellenza è quello della composizione per corale o per ese-
cuzione vocale: una tradizione che si richiama almeno in parte alla
musica religiosa e conosce nomi prestigiosi di compositori446 e
maestri di coro tra i quali primeggia Eric Ericson (1918-2013).
Anche in campo musicale la Norvegia è rimasta a lungo, seppu-
re in diverse forme, legata allo ‘spirito nazionale’ cui si era affidata
dopo il 1814 per recuperare e promuovere la propria identità. Ma
a partire dagli anni ’30 del Novecento alcuni compositori (come il
sopra citato Fartein Valen)447 cominciarono, recependo influssi
provenienti dall’esterno, a muoversi in una direzione ‘moderna’.
1935) dedito anche alle arti visive, alle performance e alla poesia, e Bengt Emil Johnson
(cfr. nota 314), anche scrittore e poeta. Essi avevano coniato l’espressione “composi-
zione testo-suono” (text-ljud-komposition) con ciò volendo indicare un prodotto
artistico nel quale il confine tra arte del suono e arte della parola è del tutto livellato.
445
Nel parlare di orchestra è doveroso nominare qui almeno Herbert Blomstedt (n.
1927), celebre direttore.
446
In tempi recenti, a esempio, Karin Rehnqvist (n. 1957) e Mattias Sköld (n. 1976).
447
Vd. p. 1188, dove si fa riferimento anche a Ludvig Irgens-Jensen.

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1340 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

Tra costoro Harald Sæ­ve­rud (1897-1992), che tuttavia conserverà


l’impronta nazionale, e Klaus Egge (1906-1979), che da composi­
zioni volentieri ispirate alla tradizione popolare approderà alla
dodecafonia e sarà figura di riferimento nel mondo musicale norve­
gese. Per altro anche Bjarne Bru­stad (1895-1978), che a lungo
aveva mantenuto un tono ‘nazionale’ mostra dagli anni ’50 di voler-
si adeguare alla lezione di maestri stranieri. Ma saranno autori più
giovani a intraprendere con decisione la strada del cambiamento:
così il sopra citato Arne Nordheim, ma anche Finn Mortensen
(1922-1983) che avrebbe sviluppato i princìpi della dodecafonia e
del serialismo per arrivare a ciò che definisce “neoserialismo” (ny-
serialisme), come pure Knut Wiggen (n. 1927) che si trasferirà in
Svezia dove sarà attivo nell’associazione Fylkingen. Un vero e
proprio modernista è Kåre Kolberg (1936-2014), che dagli anni ’60
con le sue proposte ‘rivoluzionarie’ ha portato un notevole contri-
buto al dibattito sulla funzione sociale e politica della musica.
Accanto a questi autori d’avanguardia altri procedono tuttavia
in diverse ricerche. Così quella che si propone il rinnovamento
della compo­sizione religiosa448 e che trova il proprio punto di rife-
rimento nell’as­sociazione Musica sacra, fondata nel 1952 dal musi-
cista Rolf Karl­sen (1911-1982) insieme a Ludvig Nielsen (1906-2001),
direttore di coro molto apprezzato, entrambi allievi di Per
Steenberg.449 L’intento era quello di rinnovare questo tipo di musi-
ca o, per meglio dire, di restituirle il suo autentico carattere nell’ot-
tica d’una ‘nuova oggetti­vità’.450 Figura di primo piano è qui Trond
Kverno (n. 1945) che raccoglie e compendia con grande abilità
creativa spunti da diverse tradizioni cristiane; accanto a lui Kjell
Mørk Karlsen (n. 1947), figlio di Rolf.451
Esaurito l’impeto sperimentale legato a una prospettiva poli­tico-
sociale, anche in Norvegia si è andati verso una neosemplicità e un
recupero del valore intrinseco della composizione. Ciò si constata,
448
Al quale per altro aveva dato un impulso la pubblicazione (1947) Libro corale
(Koralbok) di Per Steen­berg (1870-1947) che propugnava il ritorno a uno stile più
sobrio (e conservativo).
449
Vd. nota precedente. Con loro il sacerdote e storico della musica Hans Buvarp
(1909-1970), l’organista e maestro di musica Anfinn Øien (n. 1922), il teologo e politico
Per Lønning (1928-2016) ed Egil Hovland (1924-2013) che nel suo percorso artistico ha
sperimentato svariati stili sicché la sua esperienza musicale compendia le diverse tenden-
ze del Novecento. L’associazione fu presto presa a modello in Svezia e Danimarca.
450
La definizione di Musica sacra come As­sociazione per il rinnovamento della
musica di chiesa (Samfunn for kirke­musikalsk for­nyelse) è del resto esplicita.
451
Una notevole innovazione porterà la pubblicazione del nuovo Libro corale norve­
gese (Norsk Koralbok, Oslo 1985) a cura del Comitato per il libro corale (Koral­bok­
komitéen) nel quale sono comprese melodie religiose riprese da diverse tradizioni.

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I Paesi scandinavi sullo scenario europeo e mondiale 1341

a esempio, nel percorso artistico di Olav Anton Thommes­sen (n.


1946), formatosi anche all’estero (Europa, Stati uniti), musicista
‘radicale’ che tuttavia non abbandona la tonalità e dagli anni ’80
ricerca spunti anche nella tradizione classica. Docente e attivo
parte­cipe del dibattito culturale, Thommessen è una delle figure
più in­ fluenti del mondo musicale norvegese contempora-
neo.452 All’attività di insegnamento si dedica anche Lasse Thoresen
(n. 1949), ben infor­mato sulle nuove tendenze come musica con-
creta, elettroacustica e spettrale, addentro alla nuova disciplina
della sonologia e studioso delle tradizioni musicali popolari. Un
compositore assai noto è anche Ragnar Søderlind (n. 1945) che
mantiene una posizione di equilibrio tra novità e tradizione.
L’eredità migliore degli anni delle avanguardie pare essere anche
in questo Paese il superamento dei confini tra le diverse espressio-
ni artistiche e musicali, il che consente di creare opere nelle quali
forme musicali del tutto diverse (e diversi registri) vengono ‘com-
posti’ in insiemi che, nei casi migliori, hanno una notevole efficacia
e forza espressiva. Senza dimenticare che l’uso delle moderne
tecnologie (non da ultimo quello del computer) è ormai molto
diffuso. In questo contesto vanno ricordati musicisti nati negli anni
’50 e ’60 come l’eclettico Henning Sommerro (n. 1952); Magnar
Åm (n. 1952) che nella ricerca di una musica ‘spirituale’ combina
l’elemento melodico con la sperimentazione; Cecilie Ore (n. 1954)
che si è imposta all’at­tenzione del pubblico negli anni ’80 con
composizioni elettroacu­stiche; Rolf Wallin (n. 1957), considerato
uno dei più prestigiosi compositori norvegesi contemporanei, che
sa ben combinare i diversi aspetti della musica d’avanguardia (e di
generi come il rock e il jazz) con i frutti della formazione classica;
Asbjørn Schaathun (n. 1961), pioniere dell’uso del computer
nella composizione musicale; Henrik Hellstenius (n. 1963) e
Gisle Kverndokk (n. 1967) che si sono dedicati anche all’opera.453
Tra i più giovani si possono ricordare i nomi Maja Ratkje (n. 1973)
compositrice e cantante che tiene concerti in tutto il mondo, Mar-
tin Romberg (n. 1978) autore che in uno stile postroman­tico si
ispira ai racconti fantastici e alla mitologia; Adrian Clemens Di
Ruscio (n. 1981), musicista ma anche poeta come il padre, l’italia-
no Luigi Di Ruscio (1930-2011) trasferitosi in Norvegia nel 1957.
Da sottolineare che la dinamicità della vita musicale norvegese si
452
Olav Anton Thommessen è stato anche consigliere nell’associazione Musica
nuova (vd. p. 1188)
453
Gisle Kverndokk ha anche composto i brani per il musical Sofies verden (1998)
basato sul fortunatissimo romanzo di Jostein Gaarder (vd. p. 1286).

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1342 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

basa anche sulla presenza di numerose scuole, sull’organizzazione


di festival e concerti, su un importante sostegno economico statale.
Come si è detto in precedenza, per il mondo musicale islandese
il secondo dopoguerra ha significato una vera e propria ‘rivoluzione’.
Ma a parte lo straordinario successo del rock e del pop nelle loro
varie declinazioni, occorre qui menzionare i compositori che hanno
rappresentato (e rappresentano) punti di riferimento negli sviluppi
di quest’arte nel Paese. Nel 1945, dopo un lungo periodo trascorso
al­l’estero, tornava in patria Jón Leifs (1899-1968), musicista di
autentico talento, modernista che pure si ispirava alla natura e alla
tradizione del suo Paese; egli restò tuttavia a lungo incompreso e le
sue compo­sizioni sarebbero state pienamente rivalutate solo verso
la fine del secolo. In ogni caso fin da quell’anno egli contribuiva alla
fondazione dell’Associazione dei musicisti islandesi (Tón­skálda­félag
Íslands), alla quale avrebbe fatto seguito una serie di iniziative tra
cui (1950) la nascita dell’Orchesta sinfonica islandese (Sinfóníu­
hljóm­sveit Íslands).454 Nel 1954 tornava in patria, dopo un tirocinio
negli Stati uniti, anche Magnús Blöndal Jóhannsson (1925-2005),
pioniere della musica elettronica e compositore aperto alla speri-
mentazione di tutte le novità. Anche per sua iniziativa nel 1959
veniva fondata l’associazione Musica Nova, allo scopo di introdurre
le tendenze moderne. Naturalmente il compito non era facile; fu
tuttavia grazie a essa che giovani compositori come Jón Ásgeirsson
(n. 1928), Fjölnir Stefáns­son (1930-2011), Leifur Þórarinsson (1934-
1998) e Þorkell Sigur­björns­son (1938-2013) poterono presentare al
pubblico le loro opere, anche se l’accoglienza fu tutt’altro che
entusiastica. Nonostante le critiche la sperimentazione andò avanti.
Nel 1964 venne rappresentata la prima opera da camera islandese
composta da Þorkell Sigur­björns­son.455 Un altro musicista d’avan-
guardia era Atli Heimir Sveinsson (n. 1938), che si era formato in
454
Essa si basava sull’orchestra sinfonica di Reykjavík. Figura importante in questo
contesto fu quella di Jón Þórarinsson (1917-2012) che aveva studiato all’estero ed era
stato allievo del celebre compositore tedesco Paul Hindemith (1895-1963).
455
Ispirata alla Saga di Gunnlaugr Lingua di serpente (vd. p. 313; cfr. pp. 304-305 e pp.
314-315) e definita dall’autore semplicemente Composizione in tre scene (Tónsmíð í þremur
atriðum) è nota anche come Il fiore artificiale (Gervi­blómið). Per la precisione questa è
stata la prima opera a essere rappresentata pubblicamente (Sveinbjörnsson 1998 [C.13.5],
p. 40). La prima opera islandese, þrymskviða del 1974 (cfr. p. 292), fu composta da Jón
Ásgeirsson, interprete riconosciuto della tradizione del suo Paese. Dopo di ciò il genere ha
conosciuto in Islanda un certo sviluppo. Nel 1978 è stata fondata l’Opera islandese (Íslensk
Ópera) che ora ha sede nell’edificio noto come Harpa (vd. p. 1329) e organizza le rappre-
sentazioni. Il primo celebre cantante d’opera islandese è stato il baritono Guðmundur
Jónsson (1920-2007); noti internazionalmente sono i tenori Kristján Jóhannsson (n. 1948)
e Garðar Thór Cortes (n. 1974), oltre al basso Kristinn Sigmundsson (n. 1951).

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I Paesi scandinavi sullo scenario europeo e mondiale 1343

patria e all’estero (seguendo anche alcuni corsi a Darmstadt), aveva


avuto modo di incontrare personal­mente importanti innovatori come
l’austriaco-ungherese György Ligeti (1923-2006) e il francese Olivier
Messiaen e di studiare con i tedeschi Karl­heinz Stock­hausen e
Gott­fried Michael Koenig (n. 1926). Fu lui che insieme a Dieter
Roth456 si adoperò perché Musica Nova organiz­zasse la performance
(in pieno spirito Fluxus) dell’americana Charlotte Moorman (1933-
1991) e del coreano Nam June Paik (1932-2006) tenuta a Reykjavík
nel 1965, un evento che avrebbe suscitato un grosso scandalo,
costringendo l’associazione stessa a disconoscerne i contenuti.
Ma negli anni ’70 le novità che all’inizio avevano prodotto scal­pore
vennero sempre più conquistando spazio e la musica islandese trovò
modo di esprimere tutta la sua potenzialità estendendo le sperimen-
tazioni ai decenni successivi nei quali avrebbero trovato spazio non
solo la musica elettronica (Hjálmar H. Ragnarsson, n. 1952; Lárus
H. Grímsson, n. 1954; Kjartan Ólafsson, n. 1958) ma anche le com-
posizioni realizzate con l’ausilio del computer (Ríkharður H. Friðriks-
son, n. 1960; Hilmar þórðarson, n. 1960; Helgi Pétursson, n. 1962).
Tra gli autori che si sono imposti all’attenzione del pubblico e della
critica Hafliði Hall­gríms­son (n. 1941) che compone (soprattutto per
strumenti a corda) melodie al contempo semplici e raffinate, accessi-
bili e misteriose e Haukur Tómas­son (n. 1960) che combina i diversi
strumenti in una intensa e vibrante musicalità. Nel 2012 la più giova-
ne Anna Thor­valds­dóttir (n. 1977) è stata insignita del Premio musi-
cale assegnato dal Consiglio nordico per l’opera Sognare (Dreymi): la
giuria ha sot­tolineato la sua capacità di esprimere musicalmente il
senso del sogno che sospende il tempo e fa rivivere all’ascoltatore le
sensa­zioni che si ritrovano nella natura e nella mitologia nordica.457
Va da sé che agli sviluppi della musica si sono ovunque accom-
pagnati quelli della danza, non soltanto quella classica ma anche i
balli mo­derni legati ai nuovi ritmi introdotti dall’esterno.

14.4.5. Uno sguardo al mondo della scienza

In Paesi come quelli nordici che hanno conosciuto gli sviluppi


politici e sociali di cui si è detto, il mondo della scienza ha prose­
guito proficuamente in un lavoro di ricerca i cui fondamenti e le
456
Vd. p. 1319.
457
Nel 2009 Víkingur Ólafsson (n. 1984), vero e proprio talento del pianoforte noto
ormai anche a livello internazionale, è stato il più giovane artista a ricevere una nomination
per il medesimo prestigioso premio.

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1344 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

cui premesse sono agevolmente rintracciabili nei secoli preceden-


ti. Le politiche portate avanti in questo settore da parte dei gover-
ni (ma anche dal Consiglio nordico) hanno garantito un sostegno
che ha permesso la creazione e la crescita di molte prestigiose
istituzioni. L’elenco degli scienziati scandinavi il cui lavoro è
venuto alla ribalta internazionale è cospicuo. Basterà qui consta-
tare come il numero di coloro che negli ultimi decenni sono stati
insigniti (talvolta in condi­visione) del premio Nobel in discipline
scientifiche o economiche sia davvero rilevante, in proporzione
al totale della popolazione, rispetto a molti altri Paesi.458
Studi e ricerche scientifiche di avanguardia vengono condotti
nelle università, alcune delle quali (come quelle di Uppsala e di
Co­penaghen) vantano una storia secolare, ma anche in istituti di
alta specializzazione (finanziati dallo Stato o da enti privati) tra i
quali si devono ricordare almeno il Laboratorio Carlsberg (Carlsberg
Labo­rato­rium) con sede a Valby (Copenaghen) voluto fin dal 1875
dal fondatore della fabbrica di birra Carlsberg, J.C. (Jacob Christian)
Jacobsen (1811-1887), il celebre istituto Karolinska di Stoccolma

458
Per la fisica: i danesi Aage Niels Bohr (1922-2009), figlio di Niels (vd. p. 1123),
e Ben Roy Mottelson (n. 1926), entrambi premiati per gli studi sulla struttura dei nuclei
atomici (1975); gli svedesi Hannes Alfvén (vd. p. 1132) e Kai Siegbahn (1918-2007),
figlio di Manne (vd. p. 1103, nota 629), per il contributo allo sviluppo della spettro-
scopia degli elettroni ad alta risoluzione (1981); il norvegese Ivar Giaever (n. 1929)
per le scoperte relative all’effetto tunnel nei semiconduttori (1973). Per la medicina:
il danese Niels Kaj Jerne (1911-1994) per gli studi sul sistema immu­nitario (1984); il
finno-svedese Ragnar Granit (1900-1991) per le scoperte sui processi visivi fisiologici
e chimici nell’occhio (1967); gli svedesi Hugo Theorell (1903-1982) per le ricerche
sugli enzimi ossidanti (1955), Ulf Svante von Euler (1905-1983), figlio di Hans (vd. p.
1103, nota 629), per il lavoro sui neurotrasmettito­ri (1970), Sune Bergström (1916-
2004) e Bengt Ingemar Samuelsson (n. 1934), entrambi premiati per le ricerche sulle
prostaglandine (1982), Arvid Carlsson (n. 1923) per quelle inerenti ai segnali di trasdu-
zione nel sistema nervoso (2000); i norvegesi Edvard Moser (n. 1962) e la moglie
May-Britt (n. 1963) per la scoperta dei meccanismi cerebrali che gestiscono l’orienta-
mento nello spazio (2014), premio condiviso con l’americano John O’Keefe (n. 1939).
Per la chimica: il danese Jens Christian Skou (n. 1918) per la scoperta della cosiddet-
ta pompa sodio-potassio (1997); i norvegesi Lars Onsager (1903-1976) per lo studio
delle relazioni reciproche (che da lui prendono nome), fondamentali per la termo­
dinamica dei processi irreversibili (1968), e Odd Hassel (1897-1981) per il contribu­to
allo sviluppo del concetto di conformazione e le sue applicazioni in chimica (1969).
Per l’economia: gli svedesi Gunnar Myrdal (vd. p. 1130) per gli studi sull’interre­lazione
tra i processi economici, sociali e politici (1974) e Bertil Ohlin (1899-1979) per quelli
sul commercio internazionale e i movimenti di capitale (1977); i norvegesi Ragnar
Frisch (1895-1973) per aver sviluppato e applicato modelli dinamici all’ana­lisi dei
processi economici (1969), Trygve Haavelmo (1911-1999) per gli studi sull’econome-
tria e l’analisi delle strutture economiche simultanee (1989) e Finn Erling Kydland (n.
1943) per il contributo alla macro­economia dinamica (2004).

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I Paesi scandinavi sullo scenario europeo e mondiale 1345

(Karolinska Institutet) con annesso ospedale, ben noto per l’eccel­


lenza della ricerca in campo medico,459 l’Università di scienze tecni-
che e naturali di Trondheim (Norges teknisk-natur­viten­ska­pelige
univer­sitet) che dal 1996 coordina precedenti esperienze.460
Ma anche l’Istituto arnamagnæano di Islanda (Stofnun Árna Magnú­s-
sonar á Íslandi)461 nel quale vengono condotti studi sui preziosi
manoscritti medievali: il che ci ricorda che anche in campo uma-
nistico la ricerca scientifica è, in questi Paesi, di eccellente livello.
Ottimo viatico per affrontare il futuro.

459
Vd. p. 898 con nota 151.
460
Vd. p. 1027, nota 288.
461
Vd. p. 824, nota 650.

Nella pagina successiva: i Paesi nordici rispetto al resto del mondo

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Conclusioni

Verso quale futuro?

Al termine di questo lungo percorso nel quale si è cercato di


seguire gli sviluppi storico-culturali dei diversi Paesi nordici,
credo si possa riaffermare quanto scritto nell’introduzione: e cioè
come ciascuno di essi sia venuto costruendo, nel corso dei secoli,
una propria ben precisa identità senza che ciò abbia potuto stra-
volgere in maniera irrimediabile le caratteristiche che da sempre
ne hanno fatto un costituente insostituibile della più grande
‘comunità scandinava’. Questo doppio ruolo fatto di autonomia
ma, al contempo, di coopera­zione politica e culturale (e anche di
‘comune sentire’), continua a condizionare la vita e le scelte di
questi popoli, anche (forse soprat­tutto) ora che essi devono misu-
rarsi con i problemi della globalizza­zione. L’identità scandinava,
all’interno della quale è sicuramente più agevole ribadire (e difen-
dere) quella delle singole nazioni, di certo costituisce una sorta
di ‘patente’ da presentare al resto del mondo, rivendicando con-
quiste di progresso civile e democratico di fronte alle quali non
si possono porre obiezioni concrete e che dunque ancora consen-
tono di indicare in questi Paesi un vero e proprio ‘modello’. E
tuttavia: in tempi in cui complesse crisi econo­miche e profondi
rivolgimenti culturali mettono alla prova anche le società costrui-
te su un sincero sforzo di uguaglianza e su un indiscus­so proces-
so di maturazione democratica, la rivendicazione dell’iden­tità
scandinava (danese, svedese, norvegese o islandese che sia)1 non
può da sola bastare né per difendere ciò che si è conquistato né
per mettersi al riparo da involuzioni o regressioni. Di ciò danno
testimo­nianza, a esempio, i problemi sociali legati all’immigrazio-
1
Ma non si dimentichi qui la Finlandia che, pur fondata su una diversa tradizione
etnico-linguistica, è ormai pressoché completamente integrata nell’area scandinava alla
quale del resto appartiene geograficamente (cfr. p. 10).

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1348 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

ne emersi in tempi recenti, così come i casi di diminuzione del


livello di wel­fare derivanti da difficoltà di carattere economico.2
Del resto è del tutto evidente che le sfide derivate dal processo
di globalizzazione non escludono alcun Paese, per quanto esso
possa essere ‘attrezzato’ tanto dal punto di vista politico-sociale
quanto da quello culturale. Tenuto conto del diverso atteggia-
mento che i vari Stati scandinavi hanno assunto rispetto alle
istituzioni sovrannazionali (in primo luo­go la Comunità europea
e la NATO) ma anche della dichiarata volon­tà (espressa nell’ap-
partenenza a organismi comuni, innanzi tutto il Consiglio nordi-
co) di mantenere tra loro rapporti privilegiati, è opportuno doman-
darsi se e in quale misura le problematiche future saranno
affrontate con strumenti (almeno parzialmente) condivisi o secon-
do scelte indipendenti. In relazione a ciò si deve anche conside-
rare che l’orientamento dei governi non è certamente uni­forme,
tenuto conto che frequentemente si alternano al potere esecutivi
di diver­sa tendenza politica.3 La risposta al quesito non è certo
facile, soprattutto perché non è facile prevedere l’evoluzione
della situazio­ne economica mondiale, né degli equilibri di forza
tra quelle che, si può ragionevolmente supporre, ancora per mol-
ti anni resteranno ‘grandi potenze’, vale a dire – almeno – gli
Stati uniti e la Russia (seppure non si possa certo dimenticare il
‘peso’ di altri Paesi, in primo luogo la Cina). Ciò che invece si può
affermare con sufficiente certezza è che i rapporti internazionali
(sia dal punto di vista economico, sia da quello politico, sia da
quello culturale) occuperan­no uno spazio crescente e che, di
conseguenza, sarà necessario (qui come altrove) sviluppare stru-
menti e strategie per corrispondere a questa realtà. È presumibi-
le che i Paesi scandinavi non si faranno trovare impreparati. Da
tempo essi hanno promosso in diversi settori inizia­tive specifiche,
non da ultimo finanziando vari progetti di ricerca scientifica e
promuovendo indagini i cui risultati possono fornire conoscenze
indispensabili per affrontare correttamente i problemi e indicare
le più opportune linee di condotta per gestire al meglio le diver-
se situazioni, siano esse legate a questioni economiche, sociali o
di interrelazione con gli altri Paesi. Naturalmente gli esiti di
queste politiche non dipendono esclusivamente dalle scelte più
o meno cor­rette operate dai singoli governi nordici, ma anche,
2
Il che, evidentemente, è avvenuto in diversa misura a seconda della situazione dei
singoli Paesi.
3
Attualmente in Danimarca l’esecutivo è di centro-sinistra, in Norvegia e in Islanda
di centro-destra, mentre in Svezia si è formata una sorta di ‘grande coalizione’.

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Verso quale futuro? 1349

nel caso in cui determinate problematiche venissero affrontate


sulla base dei risultati di un confronto allargato ai diversi Stati,
dal grado di cooperazione che potrà effettivamente essere messo
in atto. In ogni caso molto resterà comunque dipendente da fat-
tori esterni, come le decisioni politiche assunte da altri governi o
da organismi interna­zionali (come la Comunità europea o l’ONU,
nelle quali l’opinione dei Nordici dovrà di certo essere ascoltata
ma non potrà necessa­riamente prevalere), l’evoluzione dell’eco-
nomia mondiale, quella dei flussi migratori, le tendenze che
verranno affermandosi all’interno della società con le inevitabili
spinte reazionarie in direzione di una ‘chiusura’ ma anche con le
‘fughe in avanti’ intese a risolvere i pro­blemi prima ancora di
averli correttamente esaminati e, dunque, destinate a creare solu-
zioni tanto illusorie quanto di breve durata (due atteggiamenti
contrapposti ma che, parimenti, farebbero solo sorgere problemi
ulteriori). Del resto non vi è garanzia alcuna che la politica resti
esente da errori di questo tipo, soprattutto se, da diverse parti e
con diversi interessi, si vorranno assecondare queste spinte; il che
risulta essere un pericolo reale se si guarda alla storia recente,
nella quale è facile constatare il formarsi (con maggiore o minore
fortuna) di partiti (a esempio quelli di stampo populista o xeno-
fobo) la cui ragion d’essere pare consistere esclusivamente nella
volontà di ‘dare sostanza’ a determinati segnali che si manifesta-
no all’interno del corpo elettorale, piuttosto che quella di costrui-
re una proposta politica di lungo respiro basata su una visione
del mondo e della società e finalizzata alla realizzazione di una
strategia realmente utile al Paese tanto nell’ottica dei suoi equili-
bri interni quanto in quella dei rapporti internazionali. Per altro,
seppure a fronte di cambiamenti profondi che mettono in discus-
sione l’idea stessa di società e di nazione al modo in cui esse si
erano venute consolidando, la tenta­zione di un ‘arroccamento’ in
difesa delle proprie posizioni o, al con­trario, di una ‘fuga in avan-
ti’ siano reazioni del tutto comprensibili, ciò che pare lecito
attendersi da Paesi, come quelli scandinavi, di comprovata tradi-
zione civile e democratica, è – piuttosto – la capa­cità di estende-
re e rafforzare questi valori fondamentali, contri­buendo così in
misura significativa alla loro trasmissione e alla loro affermazione
anche là dove essi restano tuttora disattesi. Il che, a esempio, può
essere conseguito per via politica o culturale ma anche (almeno
in parte) per il tramite dei molti immigrati che possono in qualche
misura diventarne mediatori. Se è dunque auspicabile che gli
Stati nordici possano continuare a rappresentare, almeno dal

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1350 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

punto di vista dell’organizzazione sociale e del rispetto dei dirit-


ti, quello che per molti stranieri è un vero e proprio esempio da
seguire, appare altrettanto auspicabile che essi si dimostrino
capaci di sottoporre il loro modello a un’onesta e costante revi-
sione allo scopo, in primo luogo, di verificarne (soprattutto in
presenza di inattese tensioni sociali) l’effettiva fruizione da parte
di tutti i cittadini. Si ricordi qui che al di là della questione degli
immigrati, minoranze interne (come a esempio i Sami in Svezia e
in Norvegia) sono ancora alle prese con una serie di problemi
irrisolti. Problemi che, per altro, sono in buona parte di carattere
culturale, il che mostra come l’applicazione di uno ‘standard di
uguaglianza sociale’ non sia, di per sé, sufficiente, là dove a essa
non corrisponda un ‘senso dell’uguaglianza’ effettiva­mente dif-
fuso nella coscienza collettiva dei cittadini. Un esito che deve
essere raggiunto attraverso un’educazione che promuova con­
sapevolezza e rispetto. Obiettivo che in quest’area del pianeta
pare, proprio per i risultati conseguiti attraverso i secoli, di più
vicina e possibile realizzazione: nel che dunque si ritiene di poter
indicare l’impegno fondamentale e il conseguente miglior contri-
buto che i Paesi nordici possono portare nel futuro a un mondo
globalizzato.
A chiusura di questo lavoro sia consentito un riferimento autobio­
grafico risalente a molti anni addietro, quando la scelta dell’area di
studio della Scandinavistica da me poi coltivata per decenni fu
deter­minata in non piccola parte da una semplice frase, letta da
qualche parte su un libro, il cui senso può essere riassunto con
queste parole: “La Scandinavia è una terra nella quale la libertà è
fondata sul rispetto e sulla buona educazione”. Ci si augura che
ancora lo resti, tanto nel presente quanto nel futuro.

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Apparato iconografico capitoli 11-14

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Fig. 58

Melodia popolare norvegese che celebra il ricordo dell’assemblea di


Eidsvoll: “A Eidsvoll c’è una «sala leggendaria»” (På Eidsvoll stander en
«sagahall») composta da Olaus Arvesen (1830-1917; § 11.1.3)

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Fig. 59

‘Re d’Islanda’ per un breve periodo: Jørgen Jürgensen ritratto (1808) da


Christoffer Wilhelm Eckersberg (p. 878)

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Fig. 60

L’edificio della scuola e la chiesa di Bessastaðir (sulla penisola islandese


di Álftanes) nel 1834 (p. 911)

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Fig. 61

L’illustrazione (e l’interpretazione) dei miti nordici era uno dei motivi


ispiratori degli artisti nell’età dell’oro danese. Qui un quadro del 1817
che raffigura la morte del dio Baldr dipinto da Christoffer Wilhelm
Eckersberg (p. 920)

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Fig. 62

Ancora tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo gran parte delle abita-
zioni islandesi aveva questo aspetto (pp. 949-950)

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Fig. 63

Il trifoglio simbolo degli scandinavisti che fa evidente riferimento ai tre


Regni di Danimarca, Svezia e Norvegia. Si noti che l’Islanda non viene
presa in considerazione in quanto ritenuta solo una colonia danese (§
12.1)

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Fig. 64

Immagine di Louis Pio che incita i proletari alla rivolta contro il capita-
lismo sul frontespizio de La lanterna danese (Den danske Lanterne) una
rivista uscita solo in due numeri nel gennaio del 1875 (pp. 965-966 e pp.
975-977)

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Fig. 65

Emigranti danesi in attesa di imbarcarsi per l’America raffigurati in un


quadro del 1890 (Udvandrere på Larsen Plads) del pittore Edvard Frede-
rik Petersen (1841-1911; p. 980)

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Fig. 66

Vignetta tratta dalla rivista satirica Folletto della domenica (Söndagsnisse,


12 febbraio 1905) dal titolo: “Il legame si spezza?” (“Brister bandet?”)
nella quale si mostra il primo ministro svedese Erik Gustaf Boström che
cerca di spegnere il fuoco che sta per bruciare la corda che tiene unito
il cane svedese e il gatto norvegese dall’aspetto molto aggressivo (pp.
1013-1016)

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Fig. 67

Nella campagna per la concessione del diritto di voto alle donne si fece
ricorso anche alle cartoline di Natale. Accanto all’augurio di “Buon
Natale e Buon Anno Nuovo!” (“God Jul och Gott Nytt År!”) compare
qui anche la scritta “Diritto di voto alle donne” (“Rösträtt för kvinnor”;
§ 12.3)

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Fig. 68

Colazione sotto la grande betulla (Frukost under stora björken, 1896):


uno dei celebri acquerelli del pittore svedese Carl Larsson (p. 1090)

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Fig. 69

Ancora alla fine dell’Ottocento gran parte della popolazione norvege-


se viveva in condizioni di indigenza come testimonia questo quadro di
Christian Krohg dal titolo Lotta per l’esistenza (Kampen for tilværelsen,
1888-1889) che mostra un gruppo di donne e bambini che si affollano
per prendere il pane stantio distribuito da un fornaio (p. 1093)

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Fig. 70

Durante la campagna elettorale del 1928 le diverse formazioni politiche


si attivarono per attrarre gli elettori, soprattutto gli indecisi e coloro che
si erano in precedenza astenuti (valskolkare). Entrambi i manifesti li in-
vitano sia con le parole sia con le immagini a “svegliarsi”. Il manifesto
del partito socialdemocratico (Arbetarpartiet) indica (in alto a sinistra)
anche l’alto numero di astenuti nelle elezioni del 1924 (p. 1127, nota 55)

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Fig. 71

Disoccupati (Arbeidsløse, 1934), un quadro di Carl von Hanno che mo-


stra l’impegno sociale dell’artista (p. 1180)

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Svezia
Norvegia
Finlandia
Danimarca
Paesi Bassi
Islanda
Germania
Svizzera
Spagna
Italia
Austria
Belgio
Irlanda
Portogallo
Gran Bretagna
Francia
Grecia

5 15 25 35
Fig. 72

Diagramma che mostra la percentuale di donne elette al parlamento in


diversi Paesi europei nel 1990 (pp. 1198-1199)

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Norvegia 608
Finlandia 512
Svezia 490
Gran Bretagna 351
Danimarca 325
Germania 324
Olanda 311
USA 233
Francia 154
Italia 113

100 200 300 400 500 600 700

Fig. 73

Diagramma che mostra il numero di copie di giornali vendute per ogni


1000 abitanti in diversi Paesi nel 1993 (pp. 1198-1199)

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Fig. 74

Scritta contro gli immigrati comparsa su un muro di Oslo. Sotto il car-


tello “Alta tensione. Pericolo di morte” il testo scritto a mano dice “i
lavoratori stranieri si prendono le nostre case e i nostri posti di lavoro”
(p. 1200)

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Mio.
ab.

8
Svezia in generale
Aree rurali 7
Servizi
Centri urbani
6
Commercio, trasporti, comunicazioni
5

4
Industria
3

2
Agricoltura e silvicoltura
1

0
1880 90 1900 10 20 30 40 50 60 70 1980

Fig.75

Profondi cambiamenti sono avvenuti nella società e nell’economia sve-


dese tra il 1880 e il 1985, come mostra questo grafico (pp. 1210-1214)

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Fig. 76

Inviti contrastanti al voto per il referendum sull’adesione della Danimar-


ca all’Unione europea tenuto nel 1972. Mentre il primo manifesto mostra
i giovani danesi che entrano nell’Unione europea (EF) in bicicletta sven-
tolando le bandiere nazionali, il secondo, diffuso dal Partito comunista,
mostra la piovra europea pronta a inghiottire il pesciolino danese (p.
1238)

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Fig. 77

Inviti contrastanti al voto per il referendum sull’adesione della Norvegia


all’Unione europea (EF) tenuto nel 1972: “SÌ all’Unione europea”, “Vota
NO Movimento popolare”, “Vota NO” (p. 1242)

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Fig. 78

Pubblicità su un giornale svedese il cui testo è chiaramente influenzato


da espressioni inglesi (§ 14.4.1)

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Fig. 79

Nuova edizione (2002) del romanzo distopico di Axel Jensen, Epp (p.
1271)

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Fig. 80

La letteratura per l’infanzia occupa nei Paesi nordici una grossa fetta di
mercato: qui la pubblicità di una casa editrice danese (pp. 1285-1289)

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Fig. 81

Un esempio del nuovo modo di interpretare l’arte: la sirenetta di Hans


Christian Andersen realizzata dall’artista danese Bjørn Nørgård (p. 1295)

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Appendice 1

Breve profilo storico-culturale della Finlandia

Cacciatori e pescatori furono i primi abitanti delle regioni finlan-


desi, uomini i cui insediamenti risalgono, al più presto, alla metà del
nono millennio a.C. In epoca successiva, con la cultura co­siddetta
della ‘ceramica a pettine’,1 l’archeologia comincia a rilevare l’esisten-
za di rapporti e interscambi di importanza tutt’altro che secondaria
tra le aree dell’attuale Finlandia e il resto della regione scandinava
(in particolare le zone orientali della Svezia), contatti per altro ben
testimoniati nel prosieguo del periodo preistorico. Questi rapporti
paiono comprendere, nell’età del bronzo, una immigrazione (per
quanto sporadica) di nuclei familiari provenienti da sud-ovest, appor-
tatori di elementi culturali nuovi; in quest’epoca si sarebbero tra
l’altro impostate le basi della lingua finnica.2 L’avvento dell’età del
ferro segna nelle regioni finlandesi, come nel resto del Nord, una
fase di decadimento. È tuttavia questo il periodo nel quale si stabi­
lizzano gli insediamenti nelle regioni meridionali: Finlandia propria­
mente detta (Varsinais-Suomi, svedese Egent­liga Fin­land),3 Sa­ta­kun­
ta (svedese Sata­kunda), Uu­si­maa (svedese Nyland), Hä­me (svedese
Tavast­land), Carelia (Kar­ja­la, svedese Karelen) e l’ Ostro­botnia, area
prospiciente le rive centro-orientali del Golfo di Botnia (Poh­jan­maa,
svedese Öster­botten), uno sviluppo certamente legato anche all’affer­
mazione della pratica agricola, per quanto in forme ancora primitive.
Alla vigilia del periodo vichingo – seppure si constatino differenze
(in misura non secondaria dovute alla ricezione di diversi influssi) –
queste regioni risultano popolate da tribù sostanzialmente orga­nizzate
1
Vd. pp. 38-39.
2
Vd. Tarkiainen 2008, pp. 27-29.
3
Con questa definizione si intende la regione sud-occidentale del Paese e l’arci­
pelago che le sta di fronte compreso nella zona di mare nota come Saaristo­meri (sve-
dese Skär­gårds­havet).

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1352 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

secondo una struttura patriarcale e, a quanto pare, riunite in clan.


Questi uomini vivevano di caccia, di pesca e della raccolta dei pro-
dotti della terra. La loro religione, a forte componente sciamanica,
venerava di­vinità nelle quali erano incarnati diversi aspetti della
natura. Le principali tribù di cui abbiamo conoscenza sono i Finni,4
i Tavasti e i Careli. Con essi entreranno in contatto i vichinghi sve-
desi (Vareghi) quando si muoveranno verso oriente.
Con il periodo vichingo sono poste le basi di quello che diven-
terà nei secoli successivi lo strettissimo rapporto tra la Finlandia
e la Svezia. Un rapporto da cui scaturirà una lunga serie di con-
flitti (nei quali ovviamente gli abitanti resteranno coinvolti),
stante l’interesse parallelo e contrapposto nei confronti di queste
regioni dimostrato da parte russa. Innanzi tutto dalla ‘repubbli-
ca’ di Novgorod (sviluppata­si in uno dei maggiori centri vareghi)5
che vedeva nelle regioni fin­landesi un territorio di passaggio dei
traffici in direzione del Mar Baltico6 e ripetutamente cercò di
4
Da loro, evidentemente, prende nome la Finlandia (“Terra dei Finni”). Si deve
tuttavia tenere presente che nelle fonti antiche l’etnonimo Finni può indicare i Sami
(così nelle saghe norrene) o altri popoli non germanici (si pensi all’uso di questo ter-
mine fatto da Tacito, non definitivamente chiarito). L’etimologia resta incerta (de
Vries 1962² [B.5], pp. 120-121); si consideri tuttavia l’opinione di Riho Grünthal (vd.
il testo in http://www.sgr.fi/ct/ct51.html, sito nel quale si dà conto in inglese dell’ope-
ra in lingua finnica Livvistä liiviin. Itämerensuomalaiset etnonyymit, Helsinki 1997)
che lo collega alla radice *fenthan- da cui deriverebbero termini quali l’antico alto
tedesco fendo, medio alto tedesco vende “persona che va a piedi”, “vagabondo”,
antico inglese fandian “ricercare”, “esplorare”, medio alto tede­sco vanden “visitare”;
una spiegazione che ben si accorderebbe con il carattere semi-nomade di questo
popolo. Incerta è d’altronde anche l’origine del termine Suomi che indica il Paese in
lingua finnica: è tuttavia possibile che esso si leghi al baltico *žemė dal quale derivano
parole come il lituano žem-, e il lettone zeme “terra” (per questo vd. anche p. 1380,
nota 1). Da citare solo come una curiosità l’interpre­tazione di Adamo da Brema il
quale con l’espressione “terra feminarum” (Gesta Hammaburgensis […], III, xv; IV,
xiv; IV, xvii; IV, xix e scolio 119) parrebbe (in base alle indicazioni geografiche da lui
fornite) fare riferimento alla Finlandia: è tuttavia probabile che il riferimento sia,
piuttosto, a Kven­land, toponimo erronea­mente inteso, appunto, come “Terra delle
donne” (su cui cfr. p. 145, nota 176).
5
Vd. pp. 119-120, p. 276 e p. 351.
6
Una via commerciale molto frequentata collegava il lago Ladoga con la foce del
fiume Neva, e proseguiva nel Golfo di Finlandia verso le isole Åland (finnico Ah­ve­nan­
maa) e la penisola scandinava. Presso il lago Ladoga sorgeva l’importante mercato
vichingo di Aldeigju­borg (russo Сmарая Ладога, vd. p. 115 con nota 61). Quando nel
1019 Inge­gerd (Ingi­gerðr), figlia del re svedese Olof Skötkonung, andò in sposa a
Jaroslav, principe di Kiev (cfr. p. 244), ella ebbe in dote i territori intorno al lago
Ladoga. Da lei prende nome, verosimilmente, la regione dell’Ingria (finnico Inkeri,
svedese Inger­man­land, russo Ижора o Ингерманландия) che si trova tra il fiume Neva
e la costa meridionale del Golfo di Finlandia. Сmарая Ладога (Al­degju­borg) sarà
annessa alla ‘repubblica’ di Novgorod nel XII secolo.

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Appendice 1 1353

sottometterle.7 I reperti archeologici del periodo vichingo (tra


cui le monete arabe ritrovate nelle isole Åland) riflettono del resto
questa situazione testimoniando di intensi traffici e rapporti
commerciali non soltanto nelle zone meridionali della Finlandia
ma anche nella fascia a nord del golfo di Botnia.
Lo scontro russo-svedese fu esteso anche all’ambito religioso:
nella storia tutt’altro che lineare della cristianizzazione delle regio-
ni finlandesi (che la leggenda svedese vorrebbe sbrigativamente
attri­buire in primo luogo all’opera del re Erik Jedvardsson coadiu-
vato dal vescovo Enrico)8 occorre infatti piuttosto chiarire la misu-
ra d’una precedente diffusione del credo cristiano, così come il
ruolo svolto dalla Chiesa greco-ortodossa sostenuta dalla ‘repub-
blica’ di Nov­gorod, ruolo testimoniato, tra l’altro, da prestiti entra-
ti in finnico dal­le lingue slave e dal greco.9 Sicché la leggenda
relativa alla ‘crociata’ finlandese che il re svedese e il suo vescovo
avrebbero intrapreso attorno al 1155 deve piuttosto essere intesa
in riferimento a una spedizione di tipo militare, anche se una let-
tera papale del 1172 (o 1171) insiste nel sottolineare il carattere
missionario di tali imprese.10 Appare evidente che l’imposizione di
un nuovo ordine religioso doveva, anche qui, accompagnare l’in-
staurazione di un nuovo potere, garantire da incursioni portate
dalle tribù finniche sulle coste svedesi e consolidare le posizioni nei
confronti della ‘repubblica’ di Nov­gorod (che già era stata attac-
cata nel 1142 e che di nuovo lo sarebbe stata nel 1164).11 Ma che
la cristianizzazione di queste popolazioni non fosse impresa facile
è testimoniato tra l’altro dall’assassinio del ve­scovo Rudolf, succes-
7
Secondo la Cronaca di Novgorod (Новгородская карамзинская летопись) già nel
1042 il principe Vladimir Jaroslavič (Владимир Ярославич) aveva fatto una incursio-
ne militare nel territorio dei Tavasti, qui detti ЯмЬ (Yem/Jam’). Nel 1149, poi, si ha
notizia di uno scontro tra le medesime tribù, i Voti e le forze della ‘repubblica’ di
Novgorod giunte in loro soccorso. I Voti abitavano la regione dell’Ingria (vd. nota
precedente): anch’essi appartenevano alle popolazioni finniche. Un altro attacco con-
tro gli Yem è segnalato nel 1186. Nell’anno 1227 si ha notizia di una guerra intrapresa
da Novgorod contro i medesimi Yem sconfitti l’anno successivo sul lago Ladoga; nel
1278 si riferisce di un attacco portato dai Russi ai Careli; per la Cronaca di Novgorod
si è qui consultata la versione inglese: p. 3, p. 20, pp. 32-33, pp. 68-69 e p. 107 rispet-
tivamente.
8
Vd. pp. 275-276.
9
Vd. Tarkiainen 2008, p. 69.
10
STFM I, nr. 48, 11 settembre 1172 (o 1171), pp. 93-94.
11
In questo quadro si veda la lettera del Papa Innocenzo III che rivolgendosi a
Erik Knuts­son lo riconosce come legittimo sovrano del Regno di Svezia e “della
terra che [...] i tuoi predecessori hanno sottratto al dominio dei pagani” (“terram,
quam [...] predecessores tui a paganorum manibus extorserunt”), in STFM I, nr. 64, 4
aprile 1216, p. 131.

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1354 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

sore di Enrico, il quale a quanto pare fu impri­gionato e ucciso dai


pagani nel 1178.12
L’intreccio tra interessi religiosi e politici si constata chiaramen-
te anche nel XIII secolo quando sia da parte svedese sia da parte
russa si cerca di ‘guadagnare’ definitivamente i popoli della Fin-
landia alla religione cristiana: la conversione dei Tavasti, persegui-
ta dal vescovo Thomas mandatario degli Svedesi,13 così come il
battesimo imposto ai Careli dal principe Jaroslav,14 con l’evidente
scopo di legare que­sta regione all’area russa anche attraverso
l’adesione forzata dei suoi abitanti alla Chiesa greco-ortodossa, ne
danno palese testimonianza. Sul piano militare non mancarono gli
scontri, come l’attacco (1227) ai Tavasti da parte delle forze della
‘repubblica’ di Novgorod, che li sconfissero nel 1229 e la battaglia
della Neva nella quale il principe Alessandro Jaroslavič ottenne nel
1240 una celebre vittoria contro gli Svedesi.15 Le successive ‘cro-
ciate’ organizzate da questi ultimi corri­spondono dunque certa-
mente alla volontà di garantirsi un’autorità politica nel­l’area:16
12
Vd. Strinnholm A.M., Svenska folkets historia från äldsta till när­varande tider,
Stock­holm 1834-1854, IV, p. 193, nota 468.
13
Si trattava di un membro del capitolo di Uppsala, di origine inglese, nominato
vescovo di Finlandia nel 1220. Nel 1221 egli riceveva dal Papa Onorio III l’ordine di
impedire che ai pagani che vivevano nelle zone prossime alla sua diocesi venis­sero
forniti prodotti alimentari e altre merci di cui avessero bisogno in modo da in­debolirli
per arginare i loro attacchi (STFM I, nr. 69, 13 gennaio 1221, p. 137). A lui si deve la
decisione di trasferire la sede vescovile da Nousiainen (svedese Nousis) a Koroinen
(svedese Korois) nelle immediate vicinanze di Turku (Åbo); cfr. p. 276. Alla ribellione
dei Tavasti e al loro ritorno al credo pagano si fa riferimento in una lettera del Papa
Gregorio IX (vd. p. 277 con nota 187). Thomas, ritiratosi dall’incarico nel 1245, morì
poi a Visby (Gotland) nel 1248.
14
Questa notizia, riferita all’anno 1227, si trova in una copia pergamenacea della
Cronaca di Nestore; vd. N. Michajlowitsch Karamzin, Geschichte des russi­schen
Reiches von Karamzin, III, Riga 1823, p. 204 e p. 320, nota 166.
15
Cfr. nota 7 e p. 351, nota 93.
16
In particolare quelle condotte da Birger jarl nel 1238 e nel 1249. Si veda in propo­
sito la cronologia riportata alle pp. 276-277. Tra la fine del XII e l’inizio del XIII
secolo si ha anche notizia di ‘crociate’ danesi in Finlandia delle quali tuttavia non è
chiaro l’esito, anche se da un documento del 1209 (DD I: 4, nr. 161, 30 ottobre 1209,
pp. 298-300) si deduce che in quell’anno l’arcivescovo danese Andrea Sunesen (vd.
pp. 333-334) doveva nominare un vescovo per la Finlandia. Del resto i Danesi avreb-
bero tentato di imporre il proprio dominio sul Paese ancora agli inizi del XVI secolo
fino a che esso sarebbe stato definitivamente sottomesso alla Svezia. In questo conte-
sto si vedano anche la lettera di Papa Gregorio IX con l’invito ad assu­mere misure atte
a proteggere i cristiani di Finlandia (ma anche di Svezia) dalla minaccia rappresentata
dalle tribù finniche ancora pagane (STFM I, nr. 78, 9 gennaio 1230, pp. 175-176 e nr.
79, stessa data, pp. 176-177) ma anche la promessa di Papa Giovanni XXII di accor-
dare ai Norvegesi che fossero caduti in battaglia contro i Finni la medesima indulgen-
za concessa ai Crociati in Terrasanta (DN VI: 1 nr. 106, 10 febbraio 1323, p. 111).

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Appendice 1 1355

obiettivo chiaramente dimostrato dalla costruzione di fortez­ze come


il castello di Turku (svedese Åbo) nella Finlandia propria­mente
detta,17 Hä­meen­lin­na (svedese Tavaste­hus) in Hä­me (Tavast­land) e,
più tardi, Viipuri (svedese Viborg) in Carelia18 e Kas­tel­hol­ma (sve-
dese Kastel­holm) nelle Åland. Dall’altra parte tra la fine del XIII
secolo e i primi decenni del XIV assistiamo a rinnovati scontri fra
Svedesi e Russi i quali nel 1318 conquisteranno Turku (Åbo) dan-
do alle fiamme la residenza episco­pale, mentre nel 1322 a un
attacco svedese a Käkisalmi (svedese Kex­holm),19 per altro non
riuscito, corrisponderà il tentativo russo di conquistare Viipuri
(Viborg). Del resto, nonostante il trattato di pace di Nöteborg del
1323 (nel quale vengono fissati i confini)20 le contrapposizioni non
cesseranno affatto. Nel 1348 gli Svedesi porteranno un nuovo
assalto, per altro inutile, e tre anni dopo (1351) a Tartu (Estonia)
sarà riconfermato l’accordo. Ma ancora nel 1497, a conclusione di
una guerra durata due anni, Svezia e Russia stipuleranno un trat-
tato di pace che ripren­derà le statuizioni di Nöteborg.21
L’imposizione del dominio svedese in Finlandia si attuò da un
lato tramite la stabilizzazione delle strutture ecclesiastiche. La
Chiesa finlandese si venne organizzando e consolidando nel XIII
e XIV secolo con la costruzione di edifici religiosi (a partire natu-
ralmente dalle isole Åland, dove, a Jomala, fu costruita – forse già

Ancora nel 1378 il papa Urbano VI esortava i cristiani in quelle zone a resistere agli
attacchi dei Russi (Ruteni) definiti infedeli e scismatici (STFM II, nr. 407, 13 dicembre
1378, pp. 447-448).
17
Situata presso la foce del fiume Aura (Aurajoki, svedese Aura å), in una zona che
nel periodo vichingo risulta essere un importante snodo commerciale, come del resto
l’area circostante Viipuri (Viborg), Turku (Åbo) era divenuta nel 1229 sede episco­pale
finlandese (vd. p. 276). Essa prese dunque a svilupparsi ulteriormente per diventare
anche un importante centro religioso e di cultura.
18
Cfr. p. 277 (anno 1293). Al reggente Torgils Knutsson si deve la definitiva annes-
sione della Carelia occidentale ai territori finlandesi sottoposti a giurisdizione svedese.
19
In questa località sorgeva, almeno fin dalla prima metà del XII secolo, una impor­
tante fortezza (finnico Käkisalmen linna, svedese Kexholms slott, russo Крепость
Корела) attorno alla quale si sviluppò in seguito il centro abitato.
20
Vd. p. 378 con nota 206.
21
Questo conflitto ebbe inizio nel 1495 con un attacco dei Russi che posero l’as­sedio
alla fortezza svedese di Viborg. La tradizione (per altro piuttosto enfatizzata) vuole
che il difensore Knut Posse (ca.1440-1500) mettesse in fuga i soldati russi facendo
saltare in aria una delle torri del muro di cinta: la cosiddetta “esplosione di Viborg”
(Viborgska smällen). L’anno successivo i Russi imperversarono in Häme (Tavast­land)
ma gli Svedesi appoggiandosi alla fortificazione di Olofs­borg (cfr. nota 26) poterono
respingere le aggressioni, a loro volta attaccando e conquistando la fortezza russa di
Ivangorod presso Narva, un’impresa cui prese parte Svante Nilsson (ca.1460-1511 o
1512), reggente di Svezia dal 1504.

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1356 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

nel XII se­colo – la prima chiesa finlandese), con la creazione


di diverse par­rocchie, con l’istituzione del capitolo del duomo di
Turku (Åbo) (ter­minato e consacrato nel 1300) e con la fondazione,
nel medesimo centro, di un importante convento (1249), cui sareb-
bero seguiti nel XV secolo quelli di Naan­ta­li (svedese Nåden­dal,
cioè Vallis gratiae, nella Finlandia propriamente detta, 1438) e
Rauma (svedese Raumo, in Satakunta, 1442). Il primo vescovo di
origine finlandese, tale Mag­nus (morto nel 1308), fu nominato nel
1291. Dall’altro lato si procedette sul versante amministrativo. Nel
1284 il re svedese Mag­nus Serrature ai fienili nominava il fratello
Bengt Birgers­son (1254-1291) duca di Finlandia22 e nel XIV seco-
lo veniva definita l’effettiva appartenenza del ducato al Regno
svedese23 con il successivo confe­rimento del diritto di partecipare
all’elezione del sovrano.24 Esso di­ventava dunque a tutti gli effetti
un ‘feudo’ i cui territori venivano in parte occupati da coloni
svedesi,25 mentre potenti signori facevano erigere nuovi imponen-
ti castelli.26 E tuttavia la situazione politica appare ancora incerta:
nel 1353 il lag­man27 Nils Tures­son Bielke (morto nel 1364) darà
vita a una rivolta contro la nomina a duca di quel territorio di Bengt
Al­gots­son (morto nel 1360), uomo di fiducia del re. Solo con la

22
Questa informazione su Bengt (Benedictus) è contenuta in una Cronologia sve­dese
(Chronologia svecica), vd. SSRSMAE I: i, p. 41. Tra la metà del XIV secolo e la fine
del medioevo i territori finlandesi sottoposti alla Corona svedese ricaddero sotto la
denominazione Österland, cioè “Terra a oriente”. Le province che costitui­vano
l’Österland erano: Finlandia propriamente detta (finnico Varsinais-Suomi, sve­dese
Egentliga Finland), Uusimaa (Nyland), Häme (Tavastland), Sata­kunta (Satakunda),
Savo (Savolax) e Carelia occidentale, oltre, naturalmente, alle isole Åland. Le provin-
ce di Ostrobotnia e Lapponia (finnico Lappi, svedese Lappland) verranno istituite
successivamente.
23
Nel 1352 la Legge generale di Magnus Eriksson promulgata in Svezia nel 1350
(cfr. pp. 354-355) entrava in vigore anche nei territori finlandesi.
24
Decreto emesso nel 1362 da Håkon Magnusson, re di Norvegia, nominato in
quello stesso anno anche sovrano di Svezia; vd. DS VIII: 1, nr. 6584, 15 febbraio 1362,
pp. 160-161.
25
Una significativa immigrazione si constata del resto già dagli ultimi decenni del
XII secolo.
26
Si pensi a quelli di Rasaborg/Raseborg (finnico Raa­se­po­rin lin­na) in Uu­si­maa
(Ny­land) e di Korsholm (finnico Kors­hol­man lin­na) in Ostrobotnia fatti costruire da
Bo Jonsson Grip (di cui poco oltre) il quale fece anche completare quello di Kastel­holm
(finnico Kastelholma) nelle Åland. Nel 1475 il nobile danese e reggente di Svezia Erik
Axelsson Tott (ca.1419-1481), che tra il 1457 e il 1481 ebbe in feudo i castelli di Viborg
e Ta­vaste­hus, fece iniziare la costruzione della fortezza di Olofs­borg (finnico Olavin­
linna) nella regione di Savo; essa fu eretta in un territorio che secondo i Russi stava
oltre la linea di confine stabilita nel trattato di Nöteborg.
27
Vd. p. 358.

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Appendice 1 1357

concessione del ‘feudo’ al drots Bo Jonsson Grip28 ci sarà una cer-


ta stabilizzazione. Nel 1397 seguendo i destini della Svezia la Fin-
landia entrerà nell’Unione di Kalmar,29 il che spiega la successiva
presenza di amministratori danesi sul suo territorio, il primo dei
quali prenderà possesso del castello di Turku (Åbo) nel 1399. È
questo il periodo nel quale l’ordinamento del Paese viene regola-
mentato sia dal punto di vista amministrativo sia da quello giu­ridico.30
In questi anni le coste finlandesi subiscono ripetuti attacchi da
parte dei cosiddetti Fratelli vitaliani,31 mentre nel 1429 si ha noti­zia
di incursioni piratesche a Turku (Åbo) da parte di uomini prove­
nienti dall’Estonia e nel 1438 di rivolte nelle regioni di Satakunta,
Häme e Carelia. D’altronde in questo contesto vanno anche ricor-
dati gli interessi dell’Ansa che aveva assai presto mostra­to attenzio-
ne per quell’area (basti pensare all’ufficio commerciale tedesco
aperto a Novgorod). È giustamente ritenuto che l’influsso eserci-
tato dall’Ansa nelle zone finlandesi abbia contribuito a che il Pae-
se sia entrato nella sfera culturale occidentale.32
Tra i protagonisti delle lotte che porteranno allo scioglimento
dell’Unione particolare importanza riveste la figura di Carlo (Karl)
Knuts­son Bonde – forse finlandese di nascita – il quale a partire
dal 1440 ebbe in feudo vaste zone della Finlandia occidentale e
stabilì la propria residenza a Turku (Åbo). Successivamente gli
furono con­cesse la regione di Häme (Tavastland) e Viipuri (Viborg)
dove rise­dette fino a quando (1448) divenne sovrano di Svezia.33
Soprattutto quest’ultimo periodo viene ricordato per la buona
amministrazione e per il fiorire dei commerci. Tra le figure di spic-
co nel XV secolo occorre annoverare anche due vescovi: il primo
è Magnus II Tavast (o Tawast, in finnico Maunu O­la­vin­poi­ka,
ca.1357-1452) che fondò il convento di Naan­ta­li (Nåden­dal), pro-
28
Vd. p. 359, nota 129.
29
Vd. 7.1.1.
30
Nel 1411 il re Erik di Pomerania ribadiva l’autorità della Corona sui terreni
della colonia (DS 2: 1: 2, nr. 1375, 16 gennaio 1411, p. 350 e nr. 1470, 2 settembre 1411,
pp. 422-423). Nel 1435 venivano istituiti i due distretti amministrativi di Norr­finne e
Söder­finne, separati dal confine naturale costituito dal fiume Aura. Il primo com­
prendeva le province di Satakunta, Åland, la parte nord-occidentale della Finlandia
propriamente detta e i territori dell’Ostrobotnia; al secondo appartenevano Uusimaa
(Nyland), Häme (Tavastland), Savo (Savolax), la Carelia occidentale e la parte sud-
orientale della Finlandia propriamente detta (vd. Registrum ecclesiæ Aboensis eller Åbo
domkyrkas svartbok, med tillägg ur Skoklosters codex Aboensis, i tryck utgifven af Fin­lands
stats­arkiv genom R. Hausen, Helsing­fors 1890, nr. 456).
31
Vd. p. 438, nota 7.
32
Vd. Niitemaa 1961, col. 200.
33
Vd. p. 441 e p. 444.

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1358 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

mosse una migliore organiz­zazione della giustizia e dell’istruzione


dei giovani, fu attento visi­tatore delle parrocchie a lui affidate
e fece ingrandire e abbellire il duomo di Turku (Åbo); il secondo è
Magnus III Stjernkors (Maunu Nii­lon­poi­ka Sär­ki­lah­ti, morto nel
1500) che lavorò con impegno a una rigorosa organizzazione eccle-
siastica e contribuì alla difesa del Paese da rinnovate incursioni
russe. Nell’ultimo periodo dell’unione di Kalmar, quando i rappor-
ti tra Svedesi e Danesi erano ormai com­pletamente deteriorati,
questi ultimi portarono diversi attacchi alla Finlandia: nel 1507 il
danese Søren Norby (morto nel 1530) conqui­stò le isole Åland
divenendone governatore nel 1509, il medesimo anno in cui un
altro danese, Otte Rud (morto nel 1510), assaliva Turku (Åbo) e la
sottoponeva a un devastante saccheggio. Tra il 1520 e il 1523, anno
in cui Gustavo Vasa li caccerà definitivamente, i Da­nesi domine-
ranno nel Paese.
Dal 1523 i destini dei Finlandesi verranno per lungo tempo
legati alla Svezia: al re Gustavo Vasa si deve tra l’altro la fonda-
zione (1550) della capitale Helsinki.34 Nuclei urbani di una certa
consi­stenza si erano del resto già affermati in precedenza in loca-
lità dove sorgevano importanti castelli, chiese, monasteri o centri
commer­ciali: Viipuri (Viborg) in Carelia, Ulvila (svedese Ulvsby)
e Rauma (svedese Raumo) in Satakunta, Porvoo (svedese Borgå)
in Uusimaa e, naturalmente, Turku (Åbo) e Naan­ta­li (svedese
Nåden­dal) nella Finlandia propriamente detta.35 Durante questo
34
Progettata come punto di snodo per i commerci (allo scopo di spezzare la supre­
mazia dell’Ansa) la città sorse nei pressi di una cascata alla foce del fiume Vanda
(Van­taan­jo­ki, svedese Vanda å): il nome svedese (Helsingfors) si rifà infatti a Helsinge
(la parroc­chia cui questa località apparteneva e fors “cascata”). Per popolarla e incre-
mentarne lo sviluppo nella direzione desiderata il re stabilì che i mercanti si dovessero
trasfe­rire in quel luogo. Ma la città ebbe una crescita lenta, anche a motivo del fatto
che una volta consolidata la supremazia svedese sul Mar Baltico la sua stessa ragion
d’essere venne meno. Nel 1640 per iniziativa del governatore della Finlandia Per Brahe
(di cui più avanti) essa fu spostata nel luogo noto come Kruu­nun­ha­ka (svede­se Krono­
hagen) che si trova nell’attuale centro della città mentre il vecchio insediamento (ora
parte del grande nucleo urbano di Helsinki) fu abbando­nato. Helsinki sarebbe stata
dichiarata capitale nel 1812 dallo zar Alessandro I, ma solo nel 1841 il numero dei suoi
abitanti avrebbe superato quello di Turku (Åbo). Vd. Kuisma M., Helsinge sockens
historia. 2. Från tillkomsten av den gamla Hel­sing­fors till Stora ofreden 1550-1713,
Vanda 1992.
35
Lo status di città che Turku (Åbo) aveva ottenuto almeno dal 1309 fu concesso a
Porvoo (Borgå) nel 1346, a Ulvila (Ulvsby) nel 1364, a Viipuri (Viborg) nel 1403, a
Rauma (Raumo) nel 1442 e a Naantali (Nådendal) nel 1443. I privilegi di città di Ulvila
passeranno tuttavia in seguito (1568) a Pori (svedese Björne­borg, in Sata­kunta), quan-
do essa accoglierà i cittadini di Ulvila che, costretti a trasferirsi a Helsinki (vd. nota
precedente), otterranno di tornare nella loro regione.

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Appendice 1 1359

periodo si intensifica anche la colonizzazione delle zone disabitate.36


Nel frat­tempo, come è stato detto, anche in Finlandia si afferma la
riforma protestante che segna un momento di svolta anche dal
punto di vista culturale.37
E tuttavia la relativa stabilità e prosperità non sarà di lunga
durata: la seconda metà del secolo verrà inaugurata da una gravissi­
ma carestia (1551) mentre tra il 1554 e il 1557 si combatterà la
gran­de guerra russa.38 Dopo la morte di Gustavo Vasa (1560) la
situa­zione non migliorerà affatto: tra il 1570 e il 1595 il Paese sarà
coinvolto in un nuovo lungo conflitto contro la Russia scatenato
da Giovanni III e (nonostante qualche tregua) concluso solo nel
1595 con la pace di Teusina;39 mentre in seguito le lotte per il pote-
re, se­gnate anche da motivazioni religiose, coinvolgeranno la nobil-
tà fin­landese che, schierandosi con Sigismondo (il figlio di Giovan-
ni III che – dal suo punto di vista opportunamente – risiedeva in
Polonia), cercherà di affrancarsi dal dominio svedese per esercita-
re liberamen­te la propria autorità.40 Nel frattempo la popolazione
si ribellerà ai molti abusi dei potenti dando vita, sotto la guida di
Jakob Ilkka (1545-1597), figlio di un possidente contadino, alla
cosiddetta “guer­ra dei randelli” (finnico nuija­sota, svedese klubbe­
kriget), una serie di rivolte scoppiate nel periodo 1596-1597 contro
il governatore Clas (Klaus) Eriksson Fleming (1535-1597). L’insur-
rezione verrà domata (e Jakob Ilkka giustiziato), ma anche l’aristo-
crazia dovrà piegarsi di fronte al duca Carlo (il futuro re Carlo IX)
la cui repressione nei suoi confronti culminerà nel cosiddetto ‘bagno
di sangue di Åbo’ (1599).
Divenuto re Carlo IX avrebbe dimostrato per la Finlandia (consi­
derata ormai a tutti gli effetti una regione svedese) un notevole

36
Nel 1542 veniva aperta a Ojamo (nel comune di Lojo in Uusimaa) la prima
miniera di ferro in territorio finlandese (vd. KGFR XIV, 5 settembre 1542, pp. 223-
225). Del 1547 è una lettera di Gustavo Vasa nella quale egli auspicava l’occupazio­ne
e la colonizzazione di nuovi territori in direzione del confine russo (Hand­lin­gar till
upp­lysning af Fin­lands Häf­der, utgifna af A.I. Arwids­son, Andra Delen, Stock­holm
1848, nr. 177, 7 febbraio 1547, pp. 256-258).
37
Vd. 8.2.4. In seguito all’introduzione della riforma sarà chiuso (1584) l’impor-
tante convento di Naantali (Nådendal).
38
Vd. p. 531, nota 4. Nel 1478 la ‘repubblica’ di Novgorod aveva dovuto sottomet-
tersi all’autorità di Mosca, perdendo la propria indipendenza. Ma l’interesse per le
regioni finlandesi non venne meno e gli scontri con i Russi continuarono.
39
Cfr. pp. 556-557. Nel 1556 il figlio di Gustavo Vasa, Giovanni, era stato nominato
duca di Finlandia e aveva stabilito la propria residenza a Turku (Åbo). Dopo la morte
del padre egli fu fatto prigioniero (1563) ma una volta divenuto re elevò la Finlandia a
granducato (autonominandosi granduca) e concesse molti privilegi alla nobiltà.
40
Cfr. pp. 557-558.

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1360 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

inte­resse riflesso anche nella fondazione delle due nuove città: Oulu
(svedese Uleå­borg, 1605) e Vaasa (svedese Vasa, 1606). Il figlio e
successore di Carlo, Gustavo II Adolfo, visiterà il Paese in diverse
occasioni (nel 1616 anche incontrando i rappresentanti degli stati
a Helsinki). Del 1617 è il trattato di pace di Stolbova che, ponendo
fine a un nuovo conflitto con la Russia, rafforzava i confini orientali;41
tuttavia non si può certo dire che per gli abitanti esso significasse
la cessazione dei conflitti. Tutt’altro. Arruolati nell’esercito svede-
se in numero superiore rispetto ad altre regioni, i Finlandesi por-
tarono un notevolissimo contributo di uomini alla politica militare
della Corona e inoltre furono attivamente coinvolti nella difesa del
loro Paese da rinnovati attacchi russi. Il XVII secolo, iniziato e
concluso da gravis­sime carestie determinate da difficili condizioni
climatiche (1601 e 1695-1697), che provocarono la morte per
malattia o per fame di migliaia di persone (la seconda di quasi un
terzo della popolazione), è comunque anche un periodo segnato
da alcuni fatti positivi. Tali sono l’istituzione (1623) della Corte
d’appello di Turku (Åbo),42 l’aper­tura nella medesima località di
un ginnasio (1630), la creazione dell’Ufficio per il rilevamento
topografico (1633).43
Nel 1637 Per Brahe (1602-1680) diventava governatore della
Fin­landia, una carica che avrebbe ricoperto fino al 1640 e poi,
ancora, dal 1648 al 1654.44 La sua amministrazione fu efficiente e
lungimi­rante: egli istituì, sulla base della scuola della cattedrale,
l’Accademia di Turku (Åbo), dove si insegnava in latino e svedese,
favorì la cultu­ra e l’apertura di scuole, si adoperò per promuovere
lo studio della lingua finnica,45 organizzò l’amministrazione, intro-

41
Vd. pp. 559-560.
42
Una seconda verrà istituita a Vaasa nel 1776.
43
La prima carta geografica della Finlandia è compresa nella grande carta del Nord
realizzata nel 1626 da Andrea Bureus (cfr. p. 669 con nota 621). Successivamente nel
secondo volume (Geographiæ Bla­vianæ volumen secvndvm) dell’Atlas Maior del car-
tografo olandese Joan Blaeu (1596-1673) fu pubblicata una carta della Finlandia
basata sul lavoro di Bureus.
44
Egli era nipote di Per Brahe il Vecchio (den äldre), a sua volta nipote e consiglie-
re di Gustavo Vasa (vd. p. 470, nota 31 e p. 654 con nota 567), ed è quindi noto come
Per Brahe il giovane (den yngre). Su di lui vd. Petersson E., Vicekungen. En biografi
över Per Brahe den yngre, Stockholm 2009.
45
Si ricordi qui che la prima traduzione della Bibbia in finnico comparve nel 1642
(anno in cui fu anche aperta la prima libreria a Åbo), la seconda nel 1685 (vd. p. 515,
nota 179). Questi testi sono di fondamentale importanza per la lingua finnica. Si
ricordi anche che la legislazione ecclesiastica promulgata nel 1686 (Kyrkio=Lag och
Ordning, vd. p. 569, nota 172) prevedeva che i pastori che operavano in Finlandia
dovessero conoscere la lingua locale.

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Appendice 1 1361

dusse (1638) il sistema postale,46 incentivò l’agricoltura e il com-


mercio e fondò una serie di nuove città.47 Il suo ricordo resta
ancora vivo nella popolazione finlandese. Nel 1658 ci fu una nuo-
va aggressione russa nella regione dell’Ingria e di Käkisalmi
(Kexholm), seguita da una tregua.
Come si sa, a Mosca non si era mai rinunciato all’idea di con­
quistare la Finlandia e questi piani cominciarono a concretizzarsi
nel XVIII secolo. L’esito infausto per la Svezia della grande guer-
ra nor­dica segnato dalla disfatta di Poltava (1709)48 diede la spin-
ta decisiva per raggiungere l’obiettivo. A partire dal 1710 i Russi
portarono diverse offensive che permisero loro, tra l’altro, di
conquistare Viipuri (Viborg) e Käkisalmi (Kex­holm) in Carelia e
di penetrare in gran parte del territorio finlandese, attaccare Hel-
sinki (1713) e piegare l’esercito svedese, guidato da Carl Gustaf
Armfeldt (1666-1736), nella battaglia di Isokyrö (svedese Storkyro)
in Ostrobotnia (1714). Le loro truppe rimasero per otto anni sul
territorio e molti abitanti furono deportati. Nel 1721, alla fine di
quello che è ricordato come il “grande caos” (finnico isoviha,
svedese stora ofreden),49 fu sottoscritta la pace di Nystad. In base a
questo trattato la Svezia cedeva alla Russia, tra l’altro, l’Ingria e una
parte della Carelia: per­dite territoriali che non poterono essere
recuperate, anzi furono au­mentate, dopo la guerra di rivalsa in cui
essa fu trascinata dal partito dei “cappelli” che vide l’intera Finlan-
dia occupata dalle truppe nemi­che.50 Un effetto di queste sconfitte
fu la decisione di costruire la grande fortificazione Suomenlinna
(svedese Sveaborg), la cui edifi­cazione fu avviata nel 1748 sugli

46
Ma i primi francobolli saranno emessi in Finlandia solo nel 1856. Nel 1890 la decisio-
ne di sottoporre il servizio postale finlandese al controllo del Ministero degli interni russo
costituirà un primo passo nella politica di ‘russificazione’ del Paese: vd. oltre pp. 1366-1367.
47
Esse sono Sa­von­lin­na (svedese Nyslott, 1639) e Ris­tii­na (svedese Kristina, 1640)
in Savo, Raahe (svedese Brahestad, “città di Brahe”, 1640) e Kris­tii­nan­kau­pun­ki (sve-
dese Kristinestad, “città di Cristina”, 1640) in Österbotten; Hä­meen­lin­na (svedese
Tavastehus, 1639) in Häme; Ka­jaa­ni (svedese Kajana, 1651) in Kainuu (svedese Kajana­
land); Ha­mi­na (svedese Fredriks­hamn, 1653, sorta tuttavia con il nome di Veckelax
Nystad che avrebbe mantenuto fino al 1723; cfr. nota 52) in Ky­men­laak­so (svedese
Kymmene­dalen); Lap­peen­ran­ta (svedese Villman­strand, 1640) in Carelia. In quest’ul-
tima regione fu fondata nel 1653 anche Brahea (nei pressi dell’attuale Lieksa) che
tuttavia presto decadde.
48
Vd. pp. 675-682.
49
Per la precisione il termine finnico significa “grande odio”. L’espressione, di non
facile resa in italiano, indica il lungo periodo caratterizzato da disordine, insicurezza
e soprusi determinati dalla presenza delle truppe russe sul territorio finlandese.
50
Vd. pp. 699-700. Il periodo segnato da questa guerra è ricordato in Finlandia
come “piccolo caos” (finnico pik­ku­vi­ha, svedese lilla ofreden); cfr. nota precedente.

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1362 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

isolotti di fronte a Helsinki, allo scopo di renderne più sicura la dife-


sa.51 Fin dal 1722 era del resto iniziata la fortificazione di Ha­mi­na
(Fredrikshamn) mentre anche la nuova città di Loviisa (svedese
Lovisa), fondata nel 1745, veniva op­portunamente provvista di
bastioni e protetta dalla fortezza di Svart­holma (svedese Svartholm).52
Verso la metà del XVIII secolo il Paese – che ora veniva chiama­
to Finland e non più Österland –53 contava circa 420.000 abitan-
ti. Anche qui le idee illuministe avevano portato qualche pro-
gresso, sia dal punto di vista culturale e della formazione
scolastica di base, sia da quello economico54 con l’abolizione di
restrizioni commerciali per le città e l’introduzione del sistema
dello stor­skifte.55 Intanto uno spi­rito nazionalistico aveva comin-
ciato a manifestarsi. Fin dal 1700 Da­niel Juslenius (1676-1752),
vescovo e docente all’Accademia di Åbo, aveva esposto una tesi
dal titolo Åbo vecchia e nuova (Aboa vetus et nova) nella quale in
pieno spirito goticista56 esaltava i Finlandesi come discendenti di
un popolo antico e glorioso (cui naturalmente veniva attribui-
ta discendenza biblica!) che aveva compiuto leggendarie im­prese
guadagnandosi fama e rispetto in tutta Europa.57 Il suo metodo
(uso disinvolto delle fonti, etimologie spericolate e una buona
dose di fantasia) non era nuovo. E pure, questa volta, utilizzato
per riven­dicare un inatteso nazionalismo, anziché porsi al servi-
zio del domi­natore svedese. Sul piano più pratico: negli ultimi
decenni del secolo viene affermandosi negli ambienti della nobil-
tà finlandese ostile a Gustavo III l’ipotesi di una separazione
della Finlandia dalla Svezia; a partire dal 1786 il nobile Georg
Magnus Sprengt­porten (1740-1819), un militare finno-svedese
di alto grado, aveva sostenuto l’idea di uno stato finlandese indi-

51
L’opera fu realizzata da Augustin Ehrensvärd (1710-1772) militare e architetto.
52
In realtà essa inizialmente aveva avuto nome Degerby, ma nel 1752 esso fu cam-
biato per onorare la regina Luisa (Lovisa) Ulrica, moglie di Adolfo Federico, allo
stesso modo in cui, in precedenza, Vecke­lax Ny­stad era stata ribattezzata Fredriks­hamn
“porto di Federico”, in onore del re Federico I (cfr. nota 47).
53
Vd. Tarkiainen 2008, pp. 259-261. Il cambiamento è significativo in quanto la
definizione di “Terra a oriente” (Öster­land) sottolinea chiaramente come il ‘centro di
gravità’ del potere si trovasse in Svezia, rispetto alla quale si indicava semplice­mente
la posizione geografica di una colonia, mentre con “Terra dei Finni” (Fin­land) si rico-
nosceva al territorio una identità specifica.
54
Non si dimentichi che uno dei più eminenti illuministi nordici, Anders Chydenius,
era finlandese (vd. p. 711 con nota 141, p. 750 e p. 776).
55
Vd. p. 709 con nota 132.
56
Sul goticismo si rimanda alle pp. 577-584.
57
A lui si deve, tra l’altro, anche il Tentativo di un dizionario finnico (Suomalaisen
sana-lugun coetus [...] – Fennici lexici tentamen [...] – Finsk orda-boks försök), 1745.

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Appendice 1 1363

pendente garantito dalla potenza russa (con i cui rappresentanti


diplomatici aveva preso contatti). Condannato (in con­tumacia)
a morte e alla confisca dei beni come traditore, egli passò poi al
servizio dei Russi. Nel 1788, quando il re Gustavo III si impegnò
in un nuovo conflitto contro di loro,58 fra gli ufficiali dell’eserci-
to si formò la cosiddetta Lega di Anjala i cui aderenti, in contra-
sto con la politica del sovrano, chiedevano di trattare un im­mediato
accordo; la guerra sarebbe comunque andata avanti fino alla pace
di Värälä (1790) che avrebbe lasciato la situazione sostan­zialmente
inalterata.59 Ma per il momento il sovrano svedese avrebbe con-
tinuato a imporre la propria volontà: diversi fra i ‘congiurati’
furono imprigionati e uno, Johan Henrik Häste­sko (1741-1790),
con­dannato a morte e giustiziato. Per altro la nuova costituzione
imposta dal re nel 1789 allo scopo di garantirsi amplissimi pote-
ri60 sarebbe stata, naturalmente, applicata anche in Finlandia,
dove avrebbe conti­nuato ad avere validità anche dopo il fatidico
1809.
In quell’anno, dopo oltre sei secoli e mezzo dalla ‘crociata’ di
Erik Jed­vards­son, il Paese (che ha ormai superato i 900.000 abi-
tanti) si separa definitivamente dalla Svezia per passare alla Russia
sulla base degli accordi di pace di Fredriks­hamn.61 Se per gli Sve-
desi questa perdita sembra rappresentare una vera e propria ‘tra-
gedia na­zionale’ per i Finlandesi essa costituisce l’inizio di un
nuovo e lungo periodo di dipendenza dal quale faticheranno a
liberarsi, costretti (anche una volta ottenuta la piena autonomia)
a fare i conti con un ‘ingombrante vicino di casa’. Per la verità, per
gran parte del XIX secolo alla Finlandia sarà garantita una buona
misura di autodeter­minazione. Il 29 marzo 1809, mentre la guerra
era ancora in corso, lo zar Alessandro I (Александр I Павлович
Романов) riceveva dal par­lamento finlandese (finnico maa­päi­vät,
svedese lantdag) riunito a Porvoo (Borgå) il giuramento di fedeltà,
impegnandosi per contro a rispettare le leggi del Paese, la sua
lingua e la sua religione.62 Ed ef­fettivamente dopo la conclusione
58
Nell’ambito del quale si ricorda la celebre battaglia navale nella baia di Viborg
(3 luglio 1790, secondo il calendario svedese, 3 giugno secondo quello giuliano; sul
che cfr. p. 676, nota 5).
59
Vd. p. 705 con note 115-116.
60
Vd. pp. 705-706.
61
Vd. pp. 866-868.
62
Una serie di importanti documenti relativi alla Finlandia nel XIX secolo è rac-
colta (in traduzione francese) in La Constitution du Grand-Duché de Finlande – Recueil
des lois fondamentales et autres actes officiels qui déterminent ou éclaircissent la situation
politique du grand-duché avec un aperçu du développement historique du droit public de

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1364 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

del trattato di pace esso sarà tra­sformato in quello che fino al 1906
sarà il Granducato di Finlandia (finnico Suomen suuriruhtinaskun-
ta, russo Великое княжество Финляндское). Il ‘traditore’ Georg
Magnus Sprengt­porten ne diverrà primo governatore. Tra i con-
siglieri dello zar anche Gustaf Mauritz Armfelt (1757-1814), allie-
vo di Sprengt­porten, abilissimo diploma­tico, militare e uomo di
corte grazie alla cui mediazione Alessandro I consentirà che i
territori ceduti in seguito ai trattati di pace con la Svezia del 1721
e del 1743 siano nuovamente integrati nel territorio finlandese.63
La gestione del Paese venne in primo luogo affidata a un Senato
(Kei­sa­ril­li­nen Suo­men Se­naat­ti) con sede a Turku (Åbo) le cui fun­
zioni furono regolamentate nel 1816: esso sovrintendeva tanto alle
questioni amministrative quanto a quelle giudiziarie. Ma i funzio-
nari erano di norma russi, così come era russo il governatore gene-
rale che presiedeva le riunioni e doveva sottoporre le decisioni
all’approva­zione dello zar.64 Inoltre va considerato che per diversi
decenni il parlamento finlandese non fu più convocato; quando ciò
avvenne (1863) un primo provvedimento fu quello di introdurre il
sistema di amministrazione comunale. In seguito (a partire dal 1869)
questo organismo prese a riunirsi ogni tre anni.
La gran parte del XIX secolo fu dunque, sostanzialmente, un
pe­riodo di relativa tranquillità se si fa eccezione per anni (in parti-
colare il 1867) segnati da carestie. Accanto al potere politico resta-
va quello ecclesiastico che a lungo continuò a fondarsi sulla legi-
slazione in materia emanata nel 168665 con la sola differenza che
dopo il 1809 il capo della Chiesa era lo zar.

la Finlande et un commentaire aux lois fondamentales de 1772 et de 1789, Paris 1900


(senza indicazione di autore).
63
Brillante esponente dell’alta aristocrazia finlandese, egli aveva presto avuto ac­cesso
alla corte di Gustavo III. Perduto e riconquistato il favore del re lo seguì in un viaggio
in Italia. Uomo di mondo ma anche di cultura, fu incaricato dal sovrano di prendersi
cura del figlio Gustavo Adolfo. Ma dopo la morte del re si allontanò dalla corte a
causa dell’ostilità del reggente, il duca Carlo; condannato a morte nel 1794 per il
tentativo di rovesciare il potente consigliere Reuter­holm (vd. pp. 865-866), fu poi
costretto a cercare riparo in Russia. Poté tornare in Svezia solo dopo l’ascesa al trono
di Gustavo IV Adolfo, ma dopo gli eventi del 1809 si risolse infine a met­tersi al servi-
zio dello zar adoperandosi molto per salvaguardare la posizione della Finlandia, suo
Paese natale, che per questo lo annovera tra i suoi più stimati statisti. Vd. Ramel S.,
Gustaf Mauritz Armfelt 1757-1814. Döds­dömd kunga­gunst­ling i Sve­rige, ärad stats­
grundare i Fin­land, Stock­holm 2012.
64
Due sono tuttavia, come detto, le eccezioni: Georg Magnus Sprengt­porten, che
sarà in carica tra il 1808 e il 1809 e Gustaf Mauritz Armfelt nel 1813. Ma entrambi
avevano dichiarato la loro fedeltà alla ‘nuova patria’ russa.
65
Vd. nota 45.

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Appendice 1 1365

Come si è visto, il pietismo era giunto anche in Finlandia e la


vita religiosa aveva anche qui conosciuto un rinnovamento.66 Una
delle prime espressioni di revivalismo fu, all’i­nizio del XIX seco-
lo, quella dei “gruppi di preghiera” (finnico ru­koi­le­vai­suus),
mentre dalla disgregazione del pietismo si formava il movimento
evangelico che ebbe nel pastore Fredrik Gabriel Hed­berg (1811-
1893) una guida spirituale di sicuro riferimento. Grande rile­vanza
avrebbe assunto anche il movimento noto come Risveglio
(Herännäisyys) fondato alla fine del XVIII secolo da Juhana
Lustig (1771-1833), ma il cui animatore principale sarebbe stato
Paavo Ruotsalainen (1777-1852). Molto importante sarà in segui-
to il læsta­dianismo, di cui si parlerà a proposito dei Sami. 67
Queste (e altre) organizzazioni religiose avranno grande impor-
tanza per gli sviluppi sociali e culturali del Paese. Quanto alla
Chiesa ufficiale: nel 1817 il vescovo di Åbo, Jakob Teng­ström
(1755-1832) veniva elevato al rango di arcivescovo;68 più tardi
(1869) era emanata una nuova legge che rafforzava notevolmen-
te l’autonomia ecclesiastica.69
Dal punto di vista economico occorre osservare come nel XIX
secolo la rivoluzione industriale constatabile negli altri Paesi nor-
dici non toccasse la Finlandia se non in misura molto limitata (e
sostan­zialmente solo in relazione alla lavorazione dei derivati del
legno e all’industria mineraria): la gran parte degli abitanti restava
infatti legata a un’economia agraria e forestale.70 Segnali importan-
ti di svi­luppo sono comunque la fondazione della Banca di Finlan-
dia (Suomen Pankki) sorta nel 1811 a Turku (Åbo), ma il cui ufficio
principale fu nel 1819 trasferito a Helsinki; la creazione (1860) di
una valuta propria, il marco (Suomen markka), che nel 1865 sareb-
be stato svincolato dal rublo, la progressiva liberalizzazione dei
66
Vd. pp. 769-770.
67
Vd. pp. 1398-1400 con note 88, 89, 93, 94.
68
Imparentato con Anders Chydenius, Jacob Teng­ström è ricordato anche come
autore dei primi libri per bambini scritti (tuttavia in lingua svedese) in Finlandia:
Esercizio di lettura per i miei bambini (Läse=Öfning för Mina Barn, 1795) e Passa­tempo
per i miei bambini (Tids­för­drif för Mina Barn, 1799). È figura di grande rilievo nel
mondo culturale finlandese dell’epoca.
69
Kyrkolag för den evangelisk-lutherska kyrkan i Finland av Finlands ständer vid
lantdagen år 1867 antagen: den 9 december 1868 stadfäst och given i Helsingfors den 6
december 1869, jämte ändringar intill den 23 januari 1925, utarb. av Y. Loimaranta,
Hel­sing­fors 1926.
70
Si deve tuttavia segnalare qui almeno l’apertura (1820) di un’officina per la produ-
zione di macchinari tessili (poi divenuta un cotonificio) a Tam­pe­re (svedese Tammerfors,
in Satakunta) da parte dello scozzese James Finlayson (1772-1852), considerato il
pioniere dell’industrializzazione in Finlandia.

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1366 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

com­merci completata nel 1879. Figura di riferimento in questo


ambito è quella di Fabian Langen­skiöld (1810-1863). Importan-
ti passi avanti furono fatti anche nelle comunicazioni: tra il 1846
e il 1856 fu co­struito il canale di Saima, che mette in comunica-
zione il grande lago Saimaa (svedese Saimen) con la baia di
Viipuri (Viborg); nel 1836 prese l’avvio un collegamento navale
regolare tra Turku (Åbo) e Stoccolma; nel 1862 entrò in funzione
la prima linea ferroviaria fin­landese tra la capitale e Hä­meen­lin­na
(Tavaste­hus). Nel 1882 per iniziativa di Daniel Johan­nes Wadén
(1850-1930) nasceva a Helsinki la prima società telefoni­ca finlan­
dese (Hel­sing­in Telefoni­o­sa­ke­yh­ti­ö) mentre il telegrafo era già in
funzione per esigenze belliche fin dagli anni della guerra di Cri-
mea.71 La prima auto arriverà nel Paese, a Tampere (Tammer­fors),
nel 1898. Altre date importanti che segnano il XIX secolo sono
il 1827 in cui si verificò un grave incendio a Turku (Åbo), il 1837
quando fu fondata la città di Jyväskylä nella Finlandia centrale
(finnico Keski-Suomi)72 e il 1881, anno della costi­tuzione del-
l’esercito finlandese.
In quello stesso anno, con l’attentato avvenuto il 13 marzo che
costava la vita allo zar Alessandro II (Александр II Николаевич
Романов), la situazione della Finlandia era destinata a peggiora-
re. Nel Paese il sovrano era benvoluto e la sua morte violenta
provocò un diffuso cordoglio.73 Questo tragico evento si combinò
con la crescita di un movimento di nazionalisti russi che si oppo-
nevano alla condizione ‘privilegiata’ della Finlandia all’interno
dell’impero e chiedevano a gran voce che quel territorio fosse
parificato in tutto e per tutto alle altre province. Un primo segna-
le dell’accoglimento di queste richieste venne dal nuovo zar Ales-
sandro III (Александр III Александрович, 1845-1894) con la
promulgazione del cosiddetto ‘manifesto della posta’ (ordinanza
del 12 giugno 1890) con il quale si aboliva l’autonomia del servi-
zio postale finlandese, tra l’altro pre­disponendo l’uso di franco-
bolli russi e imponendo a molti funzionari la conoscenza della
71
Una guerra che non mancò di toccare anche la Finlandia: nel 1854 infatti le
forze anglo-francesi bombardarono la fortezza di Bomarsund (finnico Bomarsundin
linnoitus) nelle Åland, l’anno successivo quella di Suomen­linna (Svea­borg). Al ter-
mine del conflitto (1856) i Russi dovranno sottoscrivere l’impegno a non forti­ficare
le Åland.
72
Altri centri sorti nell’Ottocento sono Kemi in Lapponia (1869) e Kotka (1879)
in Ky­men­laak­so (Kymmenedalen).
73
A lui il popolo finlandese eresse un monumento nel cuore della capitale, opera
realizzata da Walter Runeberg (1838-1920), figlio del celebre scrittore Johan Ludvig
(vd. p. 1377; cfr. p. 1375).

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Appendice 1 1367

lingua russa. Ulteriori passi avanti in questa dire­zione vennero


fatti dal successore di Alessandro III, Nicola II (Николай II
Александрович Романов, 1868-1918), che pure al momento di
salire al trono (1894) si era impegnato a rispettare le leggi finlan-
desi. Nel 1898 Nicola nominava a governatore di Fin­landia Nikolaj
Ivanovič Bobrikov (Николай Иванович Бобриков, 1839-1904),
un alto ufficiale che nutriva ostilità nei confronti di quel Paese e
che impresse alla sua amministrazione una svolta marcata­mente
autoritaria, intesa a smantellare qualsiasi forma di autonomia a
vantaggio del potere centrale. Ebbero così inizio quelli che sono
ri­cordati come gli “anni dell’oppressione” (finnico sorto­vuodet),
inau­gurati dalla promulgazione del cosiddetto “manifesto di
febbraio” (Kei­sa­ril­li­sen Ma­jes­tee­tin Ar­mol­li­nen Ju­lis­tus­kir­ja),
datato 15 febbraio 1899 (3 febbraio secondo il calendario russo),74
documento che fu fatto leggere nelle chiese. Esso in sostanza
subordinava qual­siasi interesse finlandese al superiore interesse
russo, stabiliva il pri­mato delle leggi dell’impero su quelle locali,
svuotava di fatto il parlamento di ogni potere reale e promuove-
va (per certi versi impo­neva) l’uso della lingua russa nell’ammi-
nistrazione. L’anno succes­sivo veniva sciolto l’esercito finlandese
e la condizione dei soldati parificata a quella di tutti gli altri
militari dell’impero (il che dunque li obbligava a prestare servizio
in qualsiasi regione sottoposta al dominio russo).75 L’evidente
limitazione della libertà che conseguiva a queste decisioni fu
motivo di vibrate proteste da parte dei Finlan­desi i quali sotto-
scrissero in massa una petizione allo zar il che tutta­via non modi-
ficò le cose. Anzi, il governatore Bobrikov, che nel 1903 venne
investito di un potere quasi dittatoriale, proseguì nella sua poli-
tica totalitaria istituendo una rigida censura, imponendo l’uso e
lo studio della lingua russa, favorendo la Chiesa ortodossa, impri­
gionando e deportando tutti coloro che in qualche modo si oppo­
nevano alla ‘russificazione’ del Paese. Il 16 giugno 1904, mentre
si recava a una riunione del Senato, il patriota Eugen Schau­man
(1875-1904) gli esplose contro tre colpi di pistola per poi rivol-
gere l’arma contro se stesso. Bobrikov morì il giorno dopo in
ospedale. La sua politica non morì tuttavia con lui. Sebbene gli
eventi della guerra russo-giapponese (1904-1905) richiamassero
altrove l’attenzione e nel 1905 uno sciopero generale inducesse
74
Suo­men suu­ri­ruh­ti­nan­maan a­se­tus-ko­ko­el­ma 1899 nr. 3 / Stor­fursten­dömet Fin­lands
För­fatt­nings-Sam­ling. Nr. 3, 1899.
75
Vd. Kurtén Lindberg B., “Finlands kamp mot tsarväldet”, in PH 1999: 1, pp.
20-25.

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1368 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

lo zar a revocare alcune disposizioni del manifesto di febbraio, il


progetto di piena integra­zione della Finlandia nell’impero fu
ripreso nel 1910 e nel 1912 i russi presenti sul territorio finlande-
se ottennero piena parità di citta­dinanza. Ancora nel 1914 si
progettò la definitiva inclusione della Finlandia nel territorio
russo. Ma l’attuazione di questi disegni si sarebbe scontrata con
i cambiamenti politici conseguenti allo scoppio della prima guer-
ra mondiale e alla rivoluzione russa del 1917 con il conseguente
cruento rovesciamento del potere degli zar.
Ciò significò per la Finlandia il recupero dell’autonomia: a fron-
te di questi eventi infatti il parlamento dichiarò di assumere su di
sé il potere nel Paese e il 6 dicembre di quello stesso anno fu pro-
clamata ufficialmente l’indipendenza.76 Subito dopo venne forma-
to un gover­no guidato da Pehr Evind Svin­hufvud (1861-1944)
rappresentante del movimento indipendentista che aveva conosciu-
to anche la depor­tazione in Siberia. La dichiarazione di indipen-
denza fu riconosciuta da Mosca e si pensò di trasformare la Fin-
landia in una monarchia offrendo il trono al principe tedesco
Fredrik Karl von Hessen (1868-1940) che, per altro, rinunciò.
Mentre l’esercito regolare finlandese veniva riorganizzato sotto la
guida del generale Gustaf Manner­heim (1867-1951), i fautori
dell’instaurazione di uno Stato di tipo sociali­sta (che disponevano
di una milizia di volontari) proclamavano la formazione di un
governo rivoluzionario e la nascita della Repub­blica socialista fin-
landese dei lavoratori (Suo­men so­si­a­lis­ti­nen työ­vä­en­ta­sa­val­ta, 28
gennaio 1918). A ciò seguì, inevitabile, una sangui­nosa guerra
civile tra la fazione dei “rossi” (finnico pu­nai­set, legati ai bolscevi-
chi russi) che dominavano il sud del Paese e quella dei “bianchi”
(finnico val­koi­set) che dominavano il centro e il nord (con quartier
generale a Vaasa). I combattimenti, scatenati da un’offensiva dei
“rossi”, andarono avanti da gennaio a maggio, quando infine i
“bianchi” ottennero la vittoria. Non mancarono, da entrambe le
parti, atti di crudele ferocia e terrorismo.77 Questo conflitto, esplo-
so dopo che il pericolo della russificazione era stato superato dai
fatti, fu espressione del vuoto di potere che si era venuto a creare
con la caduta degli zar ma anche, e soprattutto, della profonda
frattura che divideva la società finlandese nella quale da una parte
stavano i con­servatori e i borghesi benestanti e, dall’altra, la massa
dei diseredati che facilmente aderiva a un credo, come quello

76
Questa data è stata scelta come giorno della festa nazionale finlandese.
77
Vd. Paavolainen J., Röd och vit terror. Finlands tragedi, Stockholm 1986.

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Appendice 1 1369

socialista, che pro­metteva di fare giustizia dopo secoli di illegalità


e oppressione. La sua conclusione, segnata da vendette e rese dei
conti, lasciò dietro di sé circa 37.000 morti e una profonda ferita
nel cuore della nazione che sarebbe stata sanata solo col tempo e
con grande fatica (nel 1926 sarà approvata un’amnistia generale
per i combattenti di entrambi gli schieramenti). Un primo passo fu
la proclamazione (17 luglio 1919) della Repubblica di Finlandia
(Suo­men ta­sa­val­ta) con una nuova costituzione (Suo­men pe­rus­tus­
la­ki):78 primo presidente fu il liberale Kaarlo Juho Ståhl­berg (1865-
1952). Ma per ripristinare la pace sociale sarebbe stato necessario
dare il via a una politica auten­ticamente democratica che prevedes-
se anche provvedimenti a favore delle classi più disagiate come gli
operai e i braccianti agricoli (i cosiddetti torp­pa­rit, sing. torp­pa­ri,
corrispondenti dei tor­pare sve­desi).79
Nel corso dell’Ottocento la vita politica finlandese aveva cono­
sciuto il suo sviluppo e in relazione all’attività del parlamento si
era­no venuti formando i primi partiti, un processo per buona par-
te lega­to alla questione della nazionalità, a sua volta riflessa nella
questione della lingua. Sicché oltre alla formazione di partiti ‘paral-
leli’ a quelli degli altri Paesi (come il liberale e il social­democratico)
ci saranno qui un partito finnico voluto dai cosiddetti ‘fennomani’
(sostenitori della ‘pura finnicità’) e un partito svedese voluto inve-
ce dai nostal­gici dell’unione con la Svezia. Inoltre anche nella
società, oltre ai movimenti revivalisti di cui si è accennato, furono
compiuti progressi sia sul piano dell’istruzione (con la creazione di
nuove scuole e bi­blioteche e l’emanazione di opportune leggi al
riguardo), sia su quel­lo della lotta all’alcolismo (anche qui una vera
e propria piaga socia­le), sia su quello della nascita di movimenti
sindacali per i diritti dei lavoratori e di organizzazioni per l’eman-
cipazione delle donne, le quali fin dal 1906 si vedranno, prime in
Europa, riconoscere il diritto di voto.80

78
L’attuale costituzione della Repubblica di Finlandia approvata l’11 giugno 1999,
è entrata in vigore il 1 marzo 2000. Versione in lingua finnica Suomen perustuslaki:
http://www.finlex.fi/fi/laki/ajantasa/1999/19990731; versione in lingua svedese: Fin­
lands grund­lag: http://www.finlex.fi/sv/laki/ajantasa/1999/19990731.
79
Vd. p. 709, nota 136.
80
In quell’anno il parlamento finlandese venne riformato: non più un consesso dei
quattro stati ma un’assemblea unicamerale. In relazione a ciò fu approvata anche una
riforma elettorale. Nelle elezioni dell’anno successivo (che videro una notevole avan-
zata dei socialdemocratici) le prime donne a essere elette furono Lucina Hag­man
(1853-1946), Alexandra Gripen­berg (1857-1913) e Hilja Pärssinen (1876-1935). Per
le leggi finlandesi relative alla condizione delle donne si rimanda a Blom – Tranberg
1985 (C.12.3).

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1370 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

Tra il 1918 e il 1920 la Finlandia fu coinvolta in una serie di


azioni belliche contro la Russia dettate dalla volontà di sottrarre al
suo dominio territori nei quali vivevano ‘popoli fratelli’ (come gli
abitanti della Carelia e dell’Ingria) o di aiutare altri (come gli Esto-
ni) ad affermare la propria indipendenza. Questo nuovo conflitto
si con­cluse con il trattato di pace siglato a Tartu (Estonia) il 14
ottobre 1920. In esso la Russia riconosceva i confini del 1812 e
cedeva anche il territorio di Petsamo tra la Lapponia finlandese e
la penisola di Kola.81 In quel medesimo anno la Finlandia entrava
a far parte della Società delle Nazioni la quale presto si sarebbe
trovata a dirimere la questione riguardante le isole Åland reclama-
te dalla Svezia anche sulla base della volontà manifestata dalla
grande maggioranza della popolazione (ragion per cui questa deci-
sione re­sterà legata a una serie di precise condizioni).82 Nel periodo
tra le due guerre fu approvata una serie di norme di carattere
liberale, econo­mico e sociale (dalla libertà in materia religiosa
all’istruzione, dagli incentivi per l’agricoltura alla parità fra i sessi);
inoltre (1928) venne nuovamente riformato il parlamento. Ma nel
Paese, tutt’altro che isolato rispetto agli sviluppi sociali e ideologi-
ci del resto d’Europa, nacque anche un movimento di estrema
destra, noto come Movi­mento di Lappo (Lapuan liike), guidato da
Vihtori Kosola (1884-1936) e formato da persone animate da un
81
Peace Treaty between the Republic of Finland and the Russian Socialist Federal
Soviet Republic, Signed At Dorpat, October 14, 1920 (League of Nations – Treaty
Series. 1921, nr. 65).
82
Durante le trattative che avevano portato all’accordo di pace del 1809 la Svezia
aveva chiesto che questo arcipelago continuasse a far parte del suo territorio ma la
Russia non aveva voluto accogliere questa richiesta. Nel 1918, nel corso della guerra
civile, gli Svedesi avevano inviato delle navi militari per provvedere all’evacuazione di
coloro che chiedevano di essere trasferiti in Svezia. Per questo intervento essi si trova-
rono coinvolti in una difficile mediazione fra le forze russe e quelle finlandesi presen-
ti sul territorio dove poi giunsero anche le truppe tedesche chiamate dal governo dei
“bianchi”. Quando la decisione sulle Åland fu rimessa alla Società delle Nazioni ven-
ne stabilito che le isole restassero alla Finlandia ma che potessero godere di una
notevole autonomia (che sarebbe stata nuovamente regolamentata nel 1951). Nel 1954
esse otterranno, dopo diversi tentativi, una bandiera propria (una croce rossa all’in-
terno di una croce gialla più grande in campo blu; vd. Engblom Chr. – Engblom L-Å.,
“Åland flaggar för fred”, in FFF, pp. 86-87). Nel 1970 entreranno a far parte del
Consiglio Nordico; nel 1988 l’organismo di gestione della loro autonomia assumerà
carattere parlamentare. Sulla base dell’esito positivo di un referendum popolare tenu-
to il 20 novembre 1994 le isole Åland sono entrate a far parte della Comunità europea
insieme alla Finlandia. La citta capoluogo, Marie­hamn (finnico Maa­ri­an­ha­mi­na)
“Porto di Maria” prende nome da Marija Aleksandrovna (Мария Александровна,
1824-1880), moglie dello zar Alessandro II, ed è stata fondata nel 1861. Per una valu-
tazione complessiva della situazione delle isole (an­che nel contesto europeo) si riman-
da a Joenniemi P., “The Åland Islands Issue”, in NP, pp. 88-104.

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Appendice 1 1371

forte sentimento anti­comunista e profondamente ostili alla politica


di pacificazione nei confronti dei combattenti “rossi” della guerra
civile.83 Oltre a parte­cipare a diverse dimostrazioni i suoi membri
si resero responsabili di molti atti di violenza contro avversari
politici o presunti tali. Quando (1932) essi cercarono di rovesciare
il governo con la forza (minac­ciando su modello dei fascisti italia-
ni una ‘marcia sulla capitale’) molti di loro furono arrestati e con-
dannati, dopo di che il movimento fu sciolto. Cinque anni dopo il
governo della Finlandia comprenderà di nuovo (dopo l’esperienza
dell’esecutivo minoritario del 1926-1927) rappresentanti del Par-
tito socialdemocratico (Suomen Sosialidemokraattinen Puolue), il
che darà inizio a un’alleanza politica che andrà avanti per di­verso
tempo. La prima metà del Novecento ha segnato in Finlandia
importanti sviluppi in direzione della modernizzazione: nel Paese
ha preso l’avvio una più significativa industrializzazione, sono
arrivati il cinema e la radio,84 si sono diffusi moderni mezzi di tra-
sporto (l’aereo dal 1924) e nuove tecnologie.
Il 30 novembre 1939, come già si è accennato, la Russia aggre­
diva la Finlandia facendo scoppiare quella che è nota come “guer-
ra d’inverno” (finnico tal­vi­so­ta). Un conflitto che la Finlandia
dovette in sostanza affrontare con le sole proprie forze (anche se
numerosi volontari affluirono dai Paesi nordici) in quanto da
parte inglese e francese si temeva il coinvolgimento in una guerra
contro la Russia e da parte svedese fu garantito solo qualche soste-
gno.85 Il 12 marzo 1940 veniva sottoscritto il trattato di Mosca con
il quale il Paese era costretto a cedere all’aggressore circa il 10%
del proprio territorio.86 Ma nel 1941, quando la Germania attaccò
l’Unione sovietica, la Fin­landia approfittò dell’occasione per ingag-
giare una guerra di rivalsa, la cosiddetta “guerra di continuazione”
(finnico jatkosota) che si protrasse fino al settembre del 1944
quando, di fronte alla superiorità delle forze nemiche, i Finlande-
si (che pure avevano eroicamente combattuto) furono costretti a
cercare l’armistizio (sottoscritto a Mosca il 19 settembre 1944)87 e
ad accettare le clausole contenute nei trattati di pace di Parigi del
83
Il nome del movimento fa riferimento al distretto di Lappo in Ostrobotnia nel
quale esso aveva avuto origine.
84
Dopo esperimenti cominciati nel 1917 le prime trasmissioni radio furono effet­
tuate nel 1923, anche se la data ufficiale di inizio di questo servizio è considerata il 9
settembre 1926. Dopo qualche messa in onda di prova (a partire dal 1950) le trasmis-
sioni della televisione finlandese prenderanno l’avvio nel 1958.
85
Vd. p. 1133.
86
Vd. p. 1133, nota 73.
87
Testo consultabile in rete: http://heninen.net/sopimus/1944_e.htm.

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1372 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

1947.88 Sulla base di questi accordi la Finlandia doveva cedere a


sud est la Carelia e alcune isole, oltre a una parte del distretto di
Salla (nel nord-est) e alla regione nord-orientale di Petsamo (con i
suoi importanti giacimenti di nichel). Anche se essa riusciva a man-
tenere la propria autonomia e a restare fuori dal ‘blocco comunista’
questo esito fu vissuto nel Paese come una sorta di lutto nazionale. Il
terzo conflitto che in quegli anni coinvolse il Paese fu, tra il settembre
del 1944 e l’aprile del 1945, la “guerra della Lapponia” (finnico Lapin
sota) con la quale i Finlan­desi si trovarono a combattere gli ex allea-
ti tedeschi per cacciarli dalle regioni settentrionali del Paese. Le
operazioni si conclusero con un successo ma le devastazioni e i dan-
ni che la popolazione civile dovette subire furono enormi.
Il dopoguerra non si presentava dunque affatto facile e nel 1946
i cittadini furono costretti a fare un prestito forzoso allo Stato.
L’orien­tamento politico dei Finlandesi mostrava ora una propen-
sione a sinistra, il che certamente aiutò le autorità a stabilizzare i
rapporti con l’Unione sovietica con la quale nel 1948 fu stretto un
patto di amicizia e collaborazione e nel 1950 un accordo commer-
ciale della durata di cinque anni. Nel 1955 il Paese aderì alle Nazio-
ni Unite e al Consiglio Nordico.89 Il progressivo avvicinamento
all’area ‘occiden­tale’ – segnato (a partire dal 1957) dalla presenza
finlandese in qualità di osservatore nell’Organizzazione per la coo-
perazione eco­nomica europea (OECE), il che una decina d’anni
dopo avrebbe portato all’ingresso nella Organizzazione europea
per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) – non poteva
non suscitare il disappunto di Mosca che considerò anche con
preoccupazione la formazione (1958) del governo di coalizione
sotto la guida di Karl-August Fager­holm (1901-1984), esecutivo
nato grazie a un accordo tra i grandi partiti che escludeva dal pote-
re la Lega democratica per il popolo finlandese (Suo­men Kan­san
De­mo­kraat­ti­nen Liit­to), in sostan­za i comunisti, sebbene essa aves-
se prevalso nelle elezioni tenute in quell’anno. Ne seguì quel peg-
gioramento delle relazioni che è ricor­dato con la definizione di “gelo
notturno” (yöpakkanen), una situa­zione che fu chiarita solo dopo
qualche mese quando (gennaio 1959) il presidente Urho Kekkonen
(1900-1986) si incontrò a San Pietro­burgo (allora Leningrado) con
una delegazione russa guidata in prima persona da Nikita Chruščëv
(Никита Хрущёв, 1894-1971). In quello stesso anno tuttavia la
Finlandia dava una prima adesione all’Associazione europea di
88
Vd. Sandström A., Fort­sättnings­kriget. 1941-1944, Örebro 1991. I trattati di
Parigi si trovano su: http://www.austlii.edu.au/au/other/dfat/treaties/1948/2.html.
89
Vd. pp. 1233-1235.

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Appendice 1 1373

libero scambio (EFTA) di cui sarebbe divenuta membro a pieno


titolo nel 1986.
Nel lungo e difficile periodo della guerra fred­da, segnato da
ripetute tensioni, si deve al presidente finlandese Kek­konen la
proposta (del 1963 ma rinnovata nel 1965) di creare nel Nord una
zona libera da armi atomiche, il che preluderà alla scelta di Helsin-
ki come sede dei negoziati SALT sulla limitazione di questo tipo di
armamenti (1969). Tra il 1973 e il 1975 la capitale finlandese ospi-
terà la conferenza sulla sicurezza europea. La necessità (dettata in
primo luogo dalla geografia!) di mantenere buone relazioni con
l’Unione sovietica pur restando – in un difficile equilibrio – un
Paese ‘occidentale’ segna gran parte della politica finlandese nei
primi de­cenni del dopoguerra: una politica perseguita in primo
luogo dai presidenti Juho Kusti Paasikivi (1870-1956), in carica dal
1946 al 1956, e poi da Urho Kekkonen, in carica dal 1956 al 1982.
Del resto l’invasione della Cecoslovacchia (1968) susciterà qui non
pochi timori.90 Una politica estera meno condizionata potrà essere
messa in atto dopo la caduta del muro di Berlino nel 1989: di quel-
lo stesso anno è l’ingresso nel Consiglio europeo, del 1990 la ridi-
scussione del patto di amicizia e collaborazione stipulato nel 1948
con l’Unione sovietica, il che anche dal punto di vista della difesa
(ministero all’e­poca gestito dall’energica e popolare Elisabeth Rehn,
n. 1935) apriva nuove possibilità. Nel 1993 la Finlandia sottoscri-
verà l’adesione allo Spazio economico europeo e nel 1995 entrerà
nell’Unione europea (adottando la moneta unica); successivamen-
te si è avvicinata alla NATO di cui è divenuta membro associato.
Anche in Finlandia la seconda metà del Novecento avrebbe por­
tato significativi progressi dello stato sociale con l’emanazione di
leggi sull’assicurazione pensionistica e sanitaria, sull’istruzione,
sulle pari opportunità. Ma come altrove il Paese avrebbe risentito
della crisi avviatasi negli anni ’70 e culminata all’inizio degli anni
’90, che determinò nel 1992 la fluttuazione del marco e un forte
aumento della disoccupazione. In questo periodo la congiuntura
economica fu aggravata dagli sviluppi legati alla disgregazione dell’U-
nione sovie­tica che a lungo era stata un importante partner commer-
ciale. Dopo una relativa ripresa la Finlandia risente ora (seppure in
misura mino­re rispetto ad altri Paesi) della crisi mondiale. Il rag-
giungimento di una piena dignità internazionale è stato coronato
nel 2008 con l’asse­gnazione del Premio Nobel per la pace a Martti

90
Tuttavia all’interno del Partito comunista finlandese (Suo­men Kom­mu­nis­ti­nen
Puo­lu­e) una netta separazione dai filo­russi avverrà solo nel 1985.

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1374 STORIA E CULTURA DELLA SCANDINAVIA. UOMINI E MONDI DEL NORD

Oiva Kalevi Ahtisaari (n. 1937), presidente dal 1994 al 2000, per il
suo impegno in favore di una soluzione ai conflitti internazionali
(non da ultimo quello del Kosovo).
Nel secondo dopoguerra la Finlandia si è posta all’attenzione
del mondo anche per l’organizzazione di eventi sportivi di rilevan-
za internazionale come le Olimpiadi di Helsinki del 1952 e i Campio­
nati mondiali di atletica del 1983.

La cultura finnica è stata per lunghissimo tempo circoscritta


al­l’ambito popolare e folcloristico al quale apparteneva un patrimo-
nio di conoscenze trasmesse oralmente tra cui antiche rime (com-
poste in un metro noto come kalevala­mitta) legate alla tradizione
mitologica pagana (ben viva ancora nel XVI secolo), retaggio di una
religione di carattere animistico. Questo importante ἔπος naziona-
le ci è giunto in gran parte grazie all’opera di Elias Lönnrot (1802-
1884), medico e filologo, il quale a lungo viag­giò per il Paese per
raccogliere le antiche storie dalla viva voce della gente, materiale
che elaborò e pubblicò (1835) nel celeberrimo Ka­le­va­la.91 Un impul-
so in direzione di una formazione intellettuale di tipo scolastico ed
erudito venne naturalmente con la colonizzazione svedese; questo
tipo di cultura cominciò a produrre i propri frutti solo dopo la
riforma protestante, col che si diede vigore anche alla lingua finnica,
fino ad allora relegata a un uso esclusivamente popo­lare: figure come
quelle di Mikael Agricola e Johannes Gezelius il Vecchio sono, da
questo punto di vista, fondamentali.92 Nomi di grande rilievo nella
cultura finlandese emergono tuttavia nel Sette­cento. Il primo vero
poeta in lingua finnica è considerato Gabriel Calamnius (1695-1754),
autore di poesia d’occasione, mentre la personalità più autorevole
è certamente quella di Henrik Gabriel Porthan (1739-1804) docen-
te all’Accademia di Åbo, storico e stu­dioso della tradizione e della
lingua finnica alle quali volle dare piena dignità: egli è considerato
il primo promotore della cultura nazionale finlandese. Alla sua
iniziativa si deve la fondazione (1770) della Associazione Aurora
(svedese Auro­ra­säll­skapet, finnico Auro­ra-seura) che l’anno succes-
sivo avvierà la pubblicazione del primo giornale finlandese (per
quanto redatto in svedese): Tidnin­gar ut­gifne af et Säll­skap i Åbo.93
Ka­le­wa­la taik­ka Wan­ho­ja Kar­ja­lan Ru­no­ja. Una edizione riveduta uscirà nel 1849.
91

Vd. pp. 513-515; p. 515, nota 179 e p. 575 con nota 210 rispettivamente.
92
93
Vd. p. 807 con nota 546. Per la verità in precedenza (1775-1776) l’ecclesiastico
Anders Lizelius (finnico Antti Lizelius, 1708-1795) aveva dato alle stampe un Giornale

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Appendice 1 1375

Essa sarà attiva fino al 1779. All’Ottocento ap­partengono nomi pre-


stigiosi come quelli del ‘poeta nazionale’ Johan Ludvig Rune­berg
(1804-1877)94 e di Zacharias Topelius (1818-1898), che, pur apparte-
nendo alla tradizione letteraria finno-svedese, hanno portato un inso-
stituibile contributo alla causa culturale del Paese. A Elias Lönn­rot,
di cui è detto, si deve, con altri, la fondazione (1831) della Società
letteraria finlandese (svedese Finska Litteratur­säll­skapet, finnico
Suoma­laisen Kir­jal­li­suu­den Seura). Anche in Finlandia il romanticismo
si nutrirà di nazionalismo, spingendo alla ricerca e alla rivalutazione
del patrimonio tradizionale. Il che avrà benefici effetti anche sulla
lingua e, di conseguenza, sulla ‘emancipazione’ sociale dei parlanti
finnico. Nel 1889 l’Università di Helsinki (erede dell’Accademia di
Åbo, qui trasferita dopo l’incendio di quella città nel 1827) avrà tra
i suoi iscritti una maggioranza di studenti di madrelingua finnica.95
Nell’Ottocento gli sviluppi cultu­rali (e politici) del Paese passeranno
anche attrav

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