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29/7/2015 Sacrificio nel nome di Satana: il delitto di Chiavenna | Scena Criminis

Sacrificio nel nome di Satana: il delitto 0


di Chiavenna
Pubblicato: 28 luglio 2015 in *Articoli dall'Inferno* 
Tag:adolescenti, aiuto, amiche, appuntamento, assassine, Baby
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Mainetti, suora uccisa

Di Lara Vanni

Un inscindibile patto di sangue, un rito satanico, tre ragazzine adolescenti nate e cresciute a Chiavenna, in provincia di

Sondrio. Una follia sempre crescente, quasi inspiegabile, un delitto efferato commesso per gioco, per noia, “in nome di

Satana”.

La mattina del 7 giugno del 2000, in un vicolo quasi isolato, meta di passeggiate, viene rinvenuto il cadavere di una

donna, dalla figura esile, rannicchiata su un fianco, in una pozza di sangue, irriconoscibile: il viso era  completamente

sfigurato ed il cranio fracassato. Questa donna indossava un abito religioso.

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La scena del crimine

Quando  arrivano  gli  inquirenti,  la  vittima  viene  identificata:  è  Suor  Maria  Laura  Mainetti,  61  anni,  madre  superiore

dell’Istituto dell’Immacolata di Chiavenna.

Inizialmente questo omicidio risulta essere un vero e proprio mistero, nessuno sa dare una spiegazione, nessuno ha idea

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di  quanto  accaduto.  Suor  Maria  Laura  Mainetti,  era  una  donna  che  aiutava  le  famiglie  bisognose,  gli  anziani,  gli

emarginati,  i  poveri,  ma  anche  gli  sbandati,  gente  ai  margini,  persone  fuori  controllo.  La  sua  più  grande  passione  era

quella di educare i giovani, di stare accanto ai bambini, per questo lavorava in un convitto presso una scuola alberghiera:

voleva  portare  tra  i  giovani  la  Parola  di  Dio.  La  sua  vocazione  era  quella  di  donarsi  completamente  agli  altri,  senza

risparmiarsi.

Le  indagini  cominciano:  si  pensa  ad  un  tossicodipendente  che,  quella  sera,  incontra  la  suora  chiedendole  dei  soldi  ma,

vedendosi  rifiutata  la  richiesta,  infierisce  sul  corpo  della  vittima  massacrandola.  In  fondo,  un  caso  simile  era  accaduto

l’anno precedente: un prete era stato assassinato con un fendente di coltello da un giovane extracomunitario che si era

visto rifiutare un prestito di soldi. Questa pista però è poco credibile: non si può nemmeno parlare di una rapina perché la

donna non aveva con sé del denaro. Vengono interrogate le persone più vicine alla suora: le consorelle ed il parroco del

paese.

L’autopsia effettuata sulla vittima rivela che la suora ha ricevuto moltissime coltellate, diciannove, molte delle quali erano

dirette al volto ed al collo: questo ha preso il significato di una rabbia intensa, sintomo di un odio incontrollabile.

La sera in cui è avvenuto l’omicidio, la suora esce dal convento da sola. Di solito la donna, se usciva, andava a pregare

alla  parrocchia  oppure  a  qualche  corso  di  formazione,  ma  sempre  insieme  ad  altre  consorelle.  Stranamente,  quella  sera

esce da sola, dopo aver ricevuto la telefonata di una ragazza, una certa Erika, che vuole incontrarla.

La  stessa  ragazza  si  era  già  messa  in  contatto  con  la  suora  qualche  giorno  prima,  sempre  in  orario  serale.  La  giovane

chiede  aiuto,  racconta  di  essere  stata  vittima  di  una  violenza  sessuale,  qualche  tempo  prima,  da  cui  era  scaturita  una

gravidanza  indesiderata.  La  suora  sentendo  questa  storia,  si  attiva  cercando  una  possibile  soluzione:  la  soluzione  era

quella di farla parlare con un’amica appartenente ad un’associazione che si occupa di casi come questo. Ma quando viene

organizzato il primo appuntamento, la ragazzina, vedendo che la suora non era sola, si spaventa e decide di andarsene.

Suor  Maria  Laura  si  sente  in  colpa,  pensando  di  essere  stata  poco  delicata  a  portare  con  sé  un’altra  persona,  ma  per

fortuna Erika richiama, dando appuntamento alla suora quella sera stessa, nella piazza del paese.

Prima  di  andare,  la  suora  contatta  il  parroco  del  paese  per  chiedere  di  dare  un’occhiata  alla  zona,  dato  che  a  quell’ora

poteva esserci in giro qualche malintenzionato. Lui esce in bicicletta e, dopo una rapida ispezione, tranquillizza la suora

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dicendo  che  aveva  visto  solo  una  ragazza  di  spalle  che  stava  telefonando  con  un  cellulare.  La  suora  va  al  suo

appuntamento con Erika.

Forse  aveva  incontrato  il  suo  assassino  dopo  l’appuntamento  con  la  giovane,  ma,  durante  le  indagini,  la  ragazza  non  si

trova. Trovare questa ragazza era urgente perché si era aperta una nuova pista, un nuovo sospetto: forse l’assassino della

suora  era  proprio  quella  ragazza.  Sia  il  parroco  che  l’amica  della  suora  avevano  visto  la  ragazza  e  potevano  fornire  una

descrizione,  nel  frattempo  le  ricerche  vengono  estese  a  tutti  gli  ospedali  della  zona,  per  chiedere  se  era  stata  vista  una

giovane  incinta  e  bisognosa  di  cure.  Viene  fatto  l’identikit  e  divulgato  a  tutti  i  quotidiani  locali.  Vengono  fatte  anche  le

ricerche sul cellulare che, secondo le testimonianze, aveva la ragazzina.

Sulla scena del crimine, gli inquirenti hanno trovato, dopo qualche giorno dall’omicidio, un elemento inquietante: ad una

decina di metri dal corpo, viene trovata la raffigurazione di una stella a cinque punte sovrastata da tre numeri sei, chiaro

simbolo  satanico.  Ma  non  è  il  soprannaturale  ad  aiutare  le  indagini,  bensì  la  scienza  che  riesce  a  dare  un  contributo

decisivo.  Gli  inquirenti  vogliono  analizzare  tutti  i  cellulari  della  zona  da  cui,  la  notte  dell’omicidio,  sono  partite  delle

telefonate: un lavoro molto complicato perché in quella zona, erano attivi più ripetitori, ma le intercettazioni telefoniche

attivate su alcuni cellulari portano sulla giusta pista.

Dopo circa venti giorni di indagini vengono fermate tre ragazzine, tre adolescenti: Milena, Veronica ed Ambra.

I  giornali  le  ribattezzano  subito  “baby­killer”,  ma  queste  adolescenti  di  16  anni,  sono  tre  ragazzine  normali,  figlie  di

famiglie come tante.

Le tre amiche, in modi diversi, alla fine confessano l’omicidio, commesso per gioco. Raccontano di aver commesso il fatto

per sconfiggere la noia e per passare il tempo.

Ma gli inquirenti non sono convinti: questo non può essere un omicidio commesso per caso, giusto per passare il tempo

in  una  serata  estiva.  Forse,  le  ragazze  volevano  uccidere  la  suora  già  il  3  giugno:  una  di  loro  si  finge  una  ragazzina

bisognosa  di  aiuto,  in  modo  da  poter  individuare  la  vittima  predestinata,  ma  la  suora,  non  essendo  sola  come  avevano

previsto,  fa  desistere  dall’intento  omicidiario  le  tre  giovani  che  decidono  di  tornare  all’attacco  successivamente,  con  lo

stesso  modus  operandi.  Questo  indica  chiaramente  che  la  premeditazione  e  la  reiterazione  non  combaciano  con  la

commissione di un omicidio casuale. Inoltre, il delitto presenta un’escalation di violenza particolare.

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La  suora  quindi  quella  sera  si  presenta  in  piazza  da  sola  e  ad  attenderla  c’è  una  delle  tre  ragazze.  La  giovane  riesce  a

portare lontano da quel luogo la suora, dicendo che aveva le valige in macchina, quelle stesse valige che avrebbe dovuto

portare  nel  convento  che  l’avrebbe  ospitata.  Durante  il  tragitto  vengono  raggiunte  dalle  altre  due  ragazze,  Ambra  e

Veronica,  la  suora  le  segue.  Ma  le  tre  ragazze  si  accorgono  ben  presto  che  è  difficile  uccidere  una  persona.  Una  di  loro

prende  un  mattone  dalla  borsetta  e  da’  il  primo  colpo  in  testa  alla  suora  che,  però,  non  cade  a  terra:  si  inginocchia,

guardandole. Un’altra allora aiuta la prima colpendo più volte la vittima con un sasso al viso e la violenza di questi colpi la

sfigurano, finalmente cade a terra dove viene raggiunta da molte coltellate, per mano di tutte e tre.

La  insultano  in  quei  momenti  concitati  di  pura  violenza,  si  aiutano  tra  loro,  si  incitano.  La  suora,  come  raccontano  le

ragazze,  prima  di  morire  compie  un  gesto  straziante:  sapendo  che  quella  era  la  sua  fine,  suor  Maria  Laura  comincia  a

pregare e chiede a Dio di perdonare le ragazze per il loro gesto.

Compiuto l’efferato omicidio, le tre adolescenti cercano di crearsi un alibi: chiedono un passaggio ad un amico e, per un

breve  lasso  di  tempo,  vanno  in  un  piccolo  Luna  Park  della  zona.  Si  preoccupano  di  lavare  il  coltello  utilizzato  per

l’omicidio,  in  una  fontana  pubblica  poco  distante  dal  luogo  del  delitto  e  poi  riposto  nel  cassetto  della  cucina

dell’abitazione di una delle tre.

Dal giorno successivo le ragazze evitano ogni contatto tra loro, solo per qualche tempo. Gli inquirenti che le interrogano,

pensano  che  le  tre  adolescenti  stiano  mentendo  per  coprire  qualcuno,  perché  è  inconcepibile  che  tre  ragazzine  così

giovani  possano  aver  compiuto  un  delitto  così  efferato  e,  per  di  più,  da  sole.  Forse  dietro  questo  fatto  c’è  un  adulto

mandante che le ha aiutate ad organizzare il delitto o che le ha aiutate a compierlo, ma non c’erano dati oggettivi della

partecipazione di altre persone.

Quindi sono loro e soltanto loro le vere responsabili ed hanno ucciso la suora per gioco: una verità semplice, assurda. Per

questo le ragazze vengono ascoltate da uno psichiatra, consulente del PM del Tribunale dei minori.

Le tre ragazze sono tre studentesse e vengono da famiglie aventi storie di separazioni, silenzi, disagi: le tre provano rabbia

e cercano, insieme, di sfogarla in modi diversi. Erano solite ubriacarsi al bar del paese e si rifugiavano in comportamenti

autolesionistici. Odiavano quel piccolo paese in cui vivevano che le soffocava con la sua monotonia, con la noia e, per

questo, volevano fare qualcosa di trasgressivo, di eclatante, in modo da colpire la comunità. Ascoltavano musica, quella

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di Marylin Manson, ispirandosi, nelle loro fantasie, al loro idolo.

Le tre amiche non sono nuove a gesti ed atti dissacratori: qualche anno prima di quel delitto, le tre giovani, bambine a

quel  tempo,  entrarono  in  una  Chiesa  del  paese,  rubarono  una  Bibbia  e  la  incendiarono  in  un  prato.  Poi  imbrattarono  il

muro  del  cimitero  con  scritte  inneggianti  l’AntiCristo.  I  loro  diari  scolastici  erano  pieni  di  numeri  sei  ripetuti,  di  croci

rovesciate.  Ma  tutto  questo  non  basta  e  vogliono  fare  qualcosa  di  veramente  grosso  e  cominciano  a  pensare  a  diversi

progetti come profanare una tomba e poi rubare un cadavere. Ma, alla fine di queste progettazioni distruttive, decidono di

compiere il gesto più atroce di tutti, ovvero il sacrificio umano.

Prima di questo sacrificio era importante, per loro, celebrare un rito: un mese prima del delitto si riuniscono. Hanno un

coltello  con  il  quale  si  tagliano  e  fanno  cadere  un  po’  di  sangue  in  un  bicchiere  di  acqua,  poi  mescolano  e  bevono  a

turno. Questo  era il  loro  giuramento  di  fedeltà  l’una  per l’altra, il loro  patto di  sangue. Dopo questo,  non rimaneva  che

scegliere  la  persona  da  sacrificare.  La  scelta  di  quella  suora,  non  era  dovuta  al  fatto  che  fosse  lei,  ma  al  fatto  che

rappresentava,  per  loro,  una  persona  pura  d’animo.  Questo  è  il  vero  movente  dell’omicidio:  non  per  gioco,  ma  per

Satana,  per  quanto  irrazionale  ed  illogico  possa  apparire.  Nel  loro  gruppo  avevano  trovato  la  forza  di  andare  avanti

mescolando sangue e fragilità.

Dal progettare il delitto al commetterlo, il passo non è stato facile: dagli interrogatori emerge che le ragazze hanno avuto

momenti di esitazione alternati. Ma c’era quel patto di sangue stretto in nome di Satana ed un patto così forte non si può

tradire. Il loro satanismo rimane sempre molto indefinito, incerto, un satanismo casereccio, fai­da­te, senza alcuna base in

un gruppo più ampio: loro sostengono che questa scelta era dovuta alla paura di dover fare qualche prestazione sessuale.

Una di loro non crede in alcun essere superiore, un’altra sostiene di credere a Satana perché va di moda ed è più semplice

credere al male, la terza, invece, ci crede e descrive dettagliatamente tutti i riti.

Durante  il  processo  vengono  disposte  le  perizie  psichiatriche  sulle  tre  adolescenti:  secondo  il  pm,  tutte  e  tre  sarebbero

affette  da  disturbi  di  personalità  (personalità  “borderline”)  e  non  sarebbero  state  capaci  di  intendere  e  di  volere  al

momento della commissione del fatto. Viene disposto il rito abbreviato, ma anche altre perizie psichiatriche. Il processo, si

conclude  con  una  sentenza  che  sostiene  la  premeditazione  del  delitto  e  demolisce  completamente  il  movente  satanico,

visto solo come cornice motivazionale. Il delitto sarebbe maturato in un contesto di disagio giovanile e noia della vita.

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Tutte  e  tre  rimangono  poco  in  carcere:  vengono  affidate  a  comunità  terapeutiche  di  recupero,  ma  rimarranno  sempre

macchiate di quel terribile delitto commesso.

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