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STORIA AFRICANA RECENTE: gli Occidentali fino agli anni ’60 non riconoscevano che questo

Continente avesse una storia.


POPOLAZIONI NON ISOLATE: vi sono testimonianze circa circuiti di scambio molto antichi tra le coste
dell’Africa orientale e la penisola arabica, così come verso popoli asiatici ma anche scambi interni favoriti
dallo scambio di una risorsa preziosa come l’oro con una considerata altrettanto preziosa come il sale del
deserto (popoli non separati, non arretrati), ma successivamente impossibilitati per guerre intestine o altre
criticità.
RUOLO DELLA DONNA: nel Continente africano la Donna ha da sempre un ruolo di primaria importanza.
Soprattutto nelle società matrilineari, in cui vi è una linea di discendenza materna. Qui è essa a governare la
famiglia, il marito e padre dei suoi figli non ha voce. I dettami della Madre sono trasferiti dal fratello minore
(linea materna) al\ai nipoti.

Africa Subsahariana nell’era della Globalizzazione: il Continente, differentemente da ciò che professano
gli europei (visione eurocentrica), è sempre stato a contatto con il mondo esterno. Ha avuto, infatti, contatti
con il mondo mediterraneo, quello dell’Oceano Indiano e dell’Atlantico attraverso cui ha importato propri
elementi culturali e ne è stato assoggettato.
L’Africa non ha una storia ‘periferica’, sono stati gli europei con una visione ‘eurocentrica’, ha determinarne
questo ruolo secondario. Ha, infatti, avuto una sua storia interna che d’altra parte non venne riconosciuta
altrove se non dopo il 1960.
Storia Interna africana: il commercio dell’Oro ha posto le basi per la formazione di grandi imperi medievali
nell’Africa occidentale (Ghana, Mali) che scambiavano questa ricchezza con una di pari importanza per la
propria sopravvivenza, ovvero il sale del deserto. Gli arabi del Mediterraneo se ne servivano per acquistare
sete preziose in Asia, così come gli scambi con quest’ultimo continente erano favoriti dall’oro dell’area
australe.
In Egitto esso venne sfruttato largamente, ma non disponendone, gli egiziani lo importarono dalle zone
ricche subsahariane.
I portoghesi, stabiliti a fine 1500 sulle coste, utilizzarono l’oro come finanziamento per il commercio
atlantico (oro – schiavi – zucchero)
In conclusione, l’Africa era al centro dell’economia mondiale. Ovviamente, il controllo dei processi di
scambio avvenne grazie alla consolidazione di solide formazioni politiche. D’altra parte, ciò venne
ignorato non solo dal mondo occidentale ma anche dagli stessi africani.
L’Africa si trovò al centro della distribuzione della forza lavoro, strumento produttivo, manodopera, schiavi
fin dai tempi antichi. Prima sfruttati localmente, poi trasportati nel Mediterraneo, Oceano Indiano e
Atlantico.
Nel corso dell’Ottocento, quando la tratta atlantica cessò portando una sovrabbondanza di schiavi nel
Continente e in Europa la Rivoluzione Industriale domandò maggiori materie prime convertite poi in prodotti
industriali, il Continente divenne un centro in cui erano prodotte risorse di prima necessità da parte degli
stessi schiavi precedentemente usati per la tratta.
Comunque, sebbene risultava un grande centro produttivo di materie prime e mano d’opera (schiavi e
oggi migranti), le trasformazioni industriali non furono contemporanee a quelle avvenute in Europa e
tutt’ora il Continente non risulta molto industrializzato. Ciò ha portato gli stessi africani a
considerarsi ‘periferici’ in una Storia che, in ogni caso, vede questo popolo al centro di grandi
interazioni con il mondo.

Le grandi tappe della storia africana fino al XVI. L’Africa subsahariana dell’antico Egitto all’oro
medievale: la storia dell’Africa comincia dall’antico Egitto, dove un grande impero fiorì e contribuì allo
sviluppo di una cultura che influenzerà successivamente il mondo intero. D’altra parte, l’idea di un Egitto
africano venne considerata scandalosa in un Occidente influenzato a partire dall’Ottocento da un ‘razzismo
scientifico’, il quale si proponeva di dividere il mondo umano in razze superiori(bianca)e inferiori(non-
bianca) sulla base di fonti scientifiche. A contrastare queste posizioni che non riconoscevano la storia
africana perché testimone di popoli che avevano vissuto senza scrittura; storici africani successivi (tra cui
Diop e Ki-Zerbo) si impegnarono a rivendicare una Storia a partire dalla presenza dei primi individui (anche
senza abilità di scrittura) rivendicando la posizione dell’Continente africano sulla stessa.
L'Egitto divenne una provincia dell'Impero Romano nel 30 a.C., a seguito della sconfitta di Marco Antonio e
Cleopatra da parte di Ottaviano.
La fase successiva resta oscura: nel Corno d’Africa vi furono invasioni persiane e, successivamente, con
l’avvento dell’islam si andò creando una cultura meticcia chiamata swahili1. La Libia era divisa tra
un’influenza greca, egiziana e romana e più a est araba.
Nel Maghreb la civiltà Musulmana fu più precoce e nel X e il XII secolo fiorirono le grandi dinastie. Queste
conquiste comportarono tensioni tra le popolazioni del nord e del sud del deserto, le popolazioni che
sfuggirono alla conquista araba trovarono rifugio verso est nel massiccio montagnoso etiope (cristiani copti,
popolazioni animiste, ebrei). E’ necessario osservare che i musulmani dell’Africa settentrionale riuscirono a
penetrare nelle città dove vi erano maggiori incontri commerciali grazie proprio alle loro abilità di
commercio, a cui seguirono le jihad (ritorno ad un islam puro contro l’africanizzazione dell’Islam presente
nei territori più interni) e la formazione nel Sahel di grandi centri di cultura musulmana.
E’ indiscutibile che il rapporto tra l’Egitto e l’Africa subsahariana fu stretto e rilevante, sebbene la
storia eurocentrica voglia negare tale rilevanza.
Dal commercio dell’oro alle grandi tratte schiaviste: XII-XVIII secolo. Non vi sono complete fonti scritte su
questo periodo, le poche riguardano le zone sotto il dominio arabo perché caratterizzato da una cultura
letteraria (Sahel e costa orientale). Riguardo l’Africa centrale e occidentale, vi sono scritti di portoghesi e
neerlandesi che circumnavigarono il Continente dopo la seconda metà del Quattrocento.
Etiopia – contatti portoghesi dal 1495. I gesuiti portoghesi si insediarono solamente nel 1557, vennero
espulsi due secoli dopo.
Costa d’Oro – importante centro per il rifornimento d’Oro.
Con la diffusione dell’islam a partire dal Cinquecento, si diffuse anche la scrittura e gli africani poterono
mettere per iscritto la propria storia (sviluppo di centri urbani di cultura musulmana).
Zimbabwe – presenta solo fonti archeologiche. Grandi risorse auree, saccheggiato da Cecil Rhodes
nell’Ottocento prima di essere rinominata come Rhodesia britannica.
Coste Oceano Indiano – il commercio è presente fin dall’antichità grazie agli interni flussi dall’alto Egitto
fino alle coste del Kenya per scambi creati dai romani. Con gli arabi questi si intensificarono e crearono
grandi città costiere in cui venne originata una cultura meticcia che serviva per le comunicazioni: swahili. Le
prime tracce scritte risalgono a partire dal Cinquecento. Solo dal Settecento si sviluppò una cultura specifica
di tipo prevalentemente urbano, quindi appartenente all’aristocrazia musulmana, in quanto fondata
sull’attività portuale degli scambi commerciali tra arabi, indiani e africani. Oggi, lo swahili è la lingua più
parlata (e scritta) a sud del Sahara.
Africa centrale, attuale Rep. Democratica del Congo: emersero due solide formazioni politiche, Luba e
Lunda, che si svilupparono grazie a due elementi quali il mais(favorì il progresso demografico e la
successiva disponibilità di manodopera) e il rame(funzione di moneta per il commercio) che vennero
conosciute solo nel momento della loro decadenza.
La schiavitù africana. Schiavitù ≠ Commercio
La tratta africane avvenne in tre direzioni: verso l’oceano Indiano e l’Asia, verso il Mediterraneo e verso le
Americhe, proibita solo all’inizio dell’Ottocento (anche se la tratta effettivamente terminò solo con
l’abolizione della schiavitù alla fine del secolo).
Lo schiavo è una figura differente rispetto al lavoratore, al primo sono negati totalmente diritti essendo
negato perfino come individuo.
Storicamente lo schiavo non era definito in base al colore della pelle, era il ‘barbaro’ colui che non era
civilizzato o pagano (non appartenente alla stessa religione di colui che professava la schiavitù).
Il Codice nero di Luigi XIV stabiliva che ogni schiavo dovesse essere battezzato e istruito dalla religione
cattolica, sulla base di un mito biblico (falsa interpretazione del ‘mito di Cam’) secondo cui i “neri” erano
considerati maledetti.
E’ con la tratta atlantica che i neri vennero relegati e associati alla condizione di schiavi, infatti le
tratte arabe che avvennero precedentemente nell’Oceano Indiano o interne al Continente potevano
avvenire anche sfruttando i bianchi in quanto non fedeli.
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Trae le sue origini dalle colonie di mercanti musulmani arabi e persiani che si insediarono nei primi secoli dell’era
islamica nell’Africa orientale e interagirono con gruppi autoctoni (bantu). Tra il XII e il XIII secolo, il territorio divenne
lo snodo dei commerci verso l’entroterra e dei traffici verso la Penisola Arabica e l’Asia. Venne sviluppato una cultura
e un islam sincretico e una lingua con influenze arabe, persiane, cinesi, e successivamente portoghesi e inglesi oltre che
autoctone (https://www.spaziosafari.com/la-tanzania/cultura/2019/09/02/la-cultura-swahili/). Divenne una cultura di
tipo prevalentemente urbano, appartenente all’aristocrazia musulmana, in quanto fondata sull’attività portuale degli
scambi commerciali tra arabi, indiani e africani. Oggi, lo swahili è la lingua più parlata (e scritta) a sud del Sahara.
Tratta dei neri: la tratta dei neri è antichissima e risalirebbe alle conquiste arabe. A partire dal X o XI
secolo, durante l’epoca dei grandi imperi africani, milioni di schiavi vennero deportati verso il Mediterraneo
e l’Oceano Indiano per lavorare o combattere. Le donne vennero utilizzate come schiave e\o amanti, il
meticciato era molto frequente e produsse una situazione in cui le mescolanze di popoli furono trascurate in
quanto non più ben distinguibili.
Dal Cinquecento si sviluppò la tratta atlantica a opera dei portoghesi: essa avvenne in due direzioni. Il
commercio triangolare (Europa – Africa – America settentrionale); e fino alla metà dell’Ottocento la tratta
diretta, con cui gli schiavi venivano direttamente trasportati dalle coste angoliane e mozambicane in Brasile;
d’altra parte persistevano delle tratte di schiavi interne il Continente; così come le tratte dall’Oceano Indiano
verso le coste asiatiche.
Le piantagioni schiaviste: piantagioni di canne da zucchero. Presenti nelle coste dell’Africa occidentale
dalla fine del Cinquecento grazie agli adattamenti dei portoghesi che, successivamente, trasferirono in
Brasile dove la schiavitù crebbe dalla metà del Seicento. Nel Settecento, creazione di nuove piantagioni nelle
isole caraibiche con Cuba che ne divenne il maggior centro produttivo verso la fine del secolo.
Nell’America settentrionale vennero introdotte piantagioni di tabacco, e dopo l’Indipendenza statunitense
(1776), piantagioni di cotone nel Sud.
Nel corso dell’Ottocento, lo schiavismo occidentale del Sei-Settecento, ricchezza del periodo
mercantilista, divenne essenziale strumento per il capitalismo industriale in seguito la fine della tratta.
La schiavitù nera e le tratte africane: Mentre nel mondo musulmano gli schiavi potevano avere qualsiasi
colore di pelle, la schiavitù africana fu esclusivamente nera.
Codice nero di Luigi XIV (1685) - gli schiavi erano considerati solo un bene, una cosa che poteva essere
sfruttata, venduta ed eventualmente uccisa.
Fine Settecento. Volontà britannica di porre termine alla schiavitù, abolita ufficialmente nel 1807, fu dovuta
a molteplici fattori: sviluppo del capitalismo industriale (forme di lavoro salariato) e lo sviluppo di un
movimento ‘umanitario’ generato dal periodo illuminista.
Ottocento. Sviluppo di un razzismo biologico su basi scientifiche che vedeva i neri appartenere ad una razza
inferiore ed essere soggetti a tutte le privazioni che tale situazione comportava.
(espansionismo coloniale francese in Africa occidentale, 1830 in Algeria, giustificato dalla lotta contro la
schiavitù interna africana)
Fine della tratta. La fine della tratta atlantica non pose fine al traffico: la pace europea dopo il 1815 generò
uno stock di armi che vennero commerciate (‘fucili come armi di tratta’) con il mondo mediterraneo arabo-
musulmano. Successivamente, l’apertura del Canale di Suez rese inutile la circumnavigazione del
Continente, accorciò le distanze e fece dell’Oceano Indiano il più importante centro degli affari schiavisti
con il sultanato di Zanzibar come centro principale del mercato negriero dove arabi, indiani e swahili ne
furono i protagonisti.
Conseguenze sul continente africano. Nella tratta atlantica, furono importati in America e nei Caraibi circa
11 milioni di schiavi. Per la tratta dell’Oceano Indiano le cifre dovrebbero essere più basse. Comunque, il
Continente africano è il solo al mondo in cui la popolazione nel lungo periodo tra l’inizio del
Cinquecento e fine Ottocento non è aumentata.
Fattore negativo perché non permise lo stesso dinamismo che l’incremento demografico produsse in Europa
(Rivoluzione Industriale).
La tratta schiavista interna comportò una ricerca all’uomo, i capi infatti non vendevano i loro sudditi ma le
prede di guerra, questa ricerca generò altre guerre e tensioni nonché flussi migratori.
La cartina politica africana, già prima del 1815 (Congresso di Vienna), venne segnata a lungo e
profondamente dai traffici negrieri: gli squilibri tra popoli razziatori e razziati spiegano la ripartizione
diseguale della popolazione sul territorio fra nuclei sovrappopolati (zone rifugio nel cuore del
continente) e regioni spopolate (oggetto di tratte continue).
La fine della tratta atlantica produsse un sovrannumero di prigionieri(schiavi) che vennero usati come mano
d’opera per la produzione locale, situazione criticata dagli europei alla fine dell’Ottocento e usata come
giustificazione per la loro conquista in nome della lotta alla schiavitù interna del Continente.
Indubbiamente, la lunga storia del razzismo e della schiavitù contro i neri ha lasciato tracce profonde
nel continente.
L’indipendenza africana nel XIX secolo. Nell’Africa subsahariana, l’Ottocento fu un secolo di grandi
sconvolgimenti che però derivarono solo in parte ai disordini legati al progresso coloniale. Infatti, la
quasi totalità del Continente, tranne Sudafrica e Algeria, restò indipendente fino all’ultimo terzo del
secolo.
Africa occidentale. Le popolazioni africane entrarono presto in contatto con gli stranieri arrivati
dall’Atlantico, i quali crearono numerosi centri commerciali sulle coste già dal Sei-Settecento. Gli stranieri si
confrontarono con piccoli regni che si divisero tra coloro che non seppero far fronte alle nuova opportunità
che la tratta atlantica poteva comportare e declinarono e quelli che divennero piccoli stati-Nazione
utilizzando il mercato di schiavi (fine Seicento fino al 1860) traendo vantaggio da un economia locale e
regionale prospera e le opportunità di un commercio internazionale: regno di Abomey (Fon e esercito di
donne amazzoni); regno del Re Ghezo(Dahomey); Stato Ashanti, il quale sopravvive tutt’ora in quanto
sopravvisse all’invasione Britannica e venne da essa riconosciuta.
Entroterra sahelo-sudanese dell’Africa occidentale fu soggetto a conversioni all’islam, in seguito a
jihad(ritorno alla forma più pura dell’Islam) che si moltiplicarono a partire dal Settecento.
Grazie ad un aumento demografico durante l’Ottocento, e di manodopera, la produzione di viveri aumentò.
Inoltre, dalle Jihad, le popolazioni conquistate che rifiutavano di convertirsi diventavano schiavi usati non
più come merce di tratta ma come mano d’opera agraria; gli altri divenivano soldati che contribuirono a
sollecitare sempre nuove conquiste. I popoli sottomessi al lavoro, vennero liberati solo dalle potenze europee
che seppero presentarsi come liberatrici in un momento in cui la colonizzazione europea era ormai in corso.
Economia e politica dell’Africa orientale. Il ruolo centrale dell’economia schiavista nell’Africa orientale
è evidente(Ottocento).
Un sistema di tipo coloniale si originò nei pressi dell’Oceano Indiano tra Zanzibar, l’Arabia meridionale e
Bombay che favorì la crescita di città costiere swahili eredi del meticciato culturale tra commercianti
persiani, arabi e africani di lingua bantu che vivevano nell’immediato entroterra. Nelle zone della costa a
dominare erano gli arabi, i quali controllavano le grandi piantagioni schiaviste di canna da zucchero e palme
di cocco e che strinsero legami con i commercianti indiani che finanziavano le spedizioni carovaniere verso
l’interno del Continente. Comunque, l’aristocrazia islamica cittadina, con uno status politico e uno stile di
vita differente, tenne a distinguersi rispetto alla sempre più crescente folla urbana fatta di carovanieri
dell’interno.
A Zanzibar ci furono nuove condizioni di lavoro, finanziate da capitali indiane, che furono favorite
dall’economia di piantagione schiavista e la proletarizzazione del personale carovaniero, garantita
dall’emissione della moneta d’argento appositamente coniata per il Continente.
Dominante rimaneva l’agricoltura di sussistenza ma, nel tempo, ogni soggetto iniziò a produrre quel
che era sufficiente per il mercato locale o regionale, e persino internazionale. Il sistema di commercio
era favorito dall’aumento del prezzo dell’avorio e un calo del prezzi dei prodotti industriali.
L’età coloniale e le trasformazioni sociali di lunga durata. La colonizzazione europea non cominciò
nell’Ottocento. Essa fu precedente e inizialmente non brutale; non era finalizzata alla sottomissione
della popolazione africana con cui, anzi, gli europei puntavano a tener buona per insediare i propri
empori commerciali. Infatti, le nazioni europee miravano a ricevere i consensi di capi africani locali
per l’insediamento del proprio centro commerciale affermando così la propria presenza a scapito delle
altre che avevano avuto il riconoscimento in diverse aree (sviluppo della concorrenza). Nelle aree più
redditizie, come la Costa d’Oro, venne a formarsi una fitta rete di città commerciali delle varie nazioni.
A volte, ci fu anche qualche missionario per evangelizzare le zone, ma solamente i portoghesi ne avevano
avuto il riconoscimento dal Papa, seppure non riuscirono di fatto.
D’altra parte, in questa prima fase è prematuro parlare di colonizzazione, fu più una presenza privilegiata.
Il caso del Sudafrica.
 Metà Seicento (boeri, origini olandesi)
 Fine Settecento – inizio Ottocento (arrivo e colonizzazione da parte inglese)
= Boeri sempre presenti a Sud (Capo di Buona Speranza), che condividevano il territorio con popolazioni
nere.
 1835, l’abolizione da parte inglese della schiavitù nelle colonie, determinò il ‘grande trek’(migrazione
verso nord)boero che diede vita ai territori bianchi dell’Orange e del Transvaal relegando sempre più
verso l’interno gli autoctoni.
 1886. La scoperta di diamanti a Joannesburg incrinò il fragile equilibro tra bianchi (boeri – inglesi) che
determinò lo scoppio delle due guerre anglo-boere del 1900-1903. Da queste i Boeri ne uscirono sconfitti
ma vittoriosi per il raggiungimento dell’Indipendenza politica, venne infatti costituita l’Unione
sudafricana bianca(1910).
 Indipendenza del Sudafrica: ricca di risorse auree si sviluppò in modo superiore al resto del continente.
Si svilupparono politiche segregazioniste (aparthaid) che terminarono solamente nel 1900 con l’uscita di
prigione di Nelson Mandela.
Ottocento coloniale. Con la fine della tratta atlantica si pose il problema rispetto al sovrannumero di schiavi
‘liberati’ a cui il governo britannico fece fronte trasformando la Sierra Leone in colonia per il loro rifugio,
essi vennero educati e convertiti alla religione cristiana.
E’vero che la quasi totalità del continente restò indipendente sino alla fine del secolo, d’altra parte
però, poco alla volta, l’economia della tratta degli schiavi venne sostituita dall’economia della tratta
dei prodotti.
La penetrazione europea divenne pressante in tutti i campi: economico, con l’intensificazione degli
scambi; politico, con la trasformazione dei rapporti; e ideologico, con lo sviluppo di una società creola
che diventò il soggetto di analisi privilegiata da parte europea( fino alle teorie razziste scentifiche).
1. Il commercio tra Europa e Africa, decuplicato tra il 1820 e il 1850 in quanto diretto corollario della
rivoluzione industriale, passava per la costa atlantica o per il Maghreb.
Il prezzo delle materie trasformate calò, la domanda delle materie prime aumentò e ne aumentò il valore sul
piano internazionale.
Contemporaneamente, nel corso dell’Ottocento avvennero le grandi scoperte geografiche da parte dei
coloni europei. Durante la prima parte del secolo esse furono disinteressate ma, successivamente, la
penetrazione del continente accrebbe le occasioni di conflitto tra esploratori e trafficanti con le
strutture locali preesistenti.
Le società africane si adattarono al nuovo contesto e molti sfruttarono le nuove opportunità
economiche per rafforzare temporaneamente la coesione interna.
Nell’Africa orientale fiorirono i regni negrieri in mano a guerrieri e trafficanti, arabi o islamizzati, che
scambiavano avorio con le armi necessarie per le loro razzie (‘fucili da tratta’). L’instabilità politica
crescente comportò l’accentuazione del processo di subordinazione alle potenze europee a fine Ottocento.
La Conferenza di Berlino. Spartizione coatta del continente africano in zone d’influenza senza tenere in
considerazione le diverse popolazioni avvenuta nel 1885 (scramble for Africa), secondo la logica della
precedente Conferenza di Vienna del 1815 riguardo la ri-definizione delle frontiere europee dopo la Riv.
Francese e le guerre napoleoniche:
1. gestire gli interessi economici delle potenze europee.
2. adottare un comune regola di colonizzazione.
3. iniziativa di Leopoldo II, creazione lo Stato libero del Congo.
Nel 1900 la spartizione del Continente era compiuta, ad eccezione della Liberia e dell’Etiopia.
La prima fase coloniale (1885-1930 circa). E’ difficile stabilire una precisa periodizzazione, in quanto essa
avvenne con ritmi differenti nelle diverse aree: Sudafrica(colonizzata già alla fine del Quattrocento), Africa
occidentale(dove l’economia di tratta dopo quella schiavista era di antica data), Africa equatoriale
francese(legata alla Francia), Africa orientale(poco aperta allo sfruttamento occidentale prima del XX).
La Grande Depressione del 1930 segnò una rottura decisiva e dimostrò il fallimento dell’economia di rapina
e la necessità di investimenti infrastrutturali diversi da quelli per le strade e ferrovie, idea che venne fermata
dallo scoppio della SGM.
Fino alla PGM, giustificare la colonizza su basi di una missione ‘civilizzatrice’ era un fatto ovvio e non
si sentiva il bisogno di promuovere misure sociali e sanitarie in un contesto in cui non si concepivano
ancora ‘aiuti per lo sviluppo’ e dove erano le colonie a dover essere redditizie per la madrepatria.
Parigi. 1946. Legge sull’autonomia finanziaria delle colonie (le colonie avevano un proprio budget da
finanziare con imposte dirette e tasse doganali, difficile da raggiungere). Essa determinò la necessità per
queste ultime di un’economia che privilegiava il commercio internazionale e una conseguente condizione di
crisi economica che portò l’indebitamento delle stesse con la madrepatria dando vita ad un ciclo infernale
dell’aiuto e dell’indebitamento.
Lo sfruttamento brutale e di rapina da parte dei paesi europei assunse principalmente due forme:
l’economia mineraria (oro, rame e diamanti che venivano estratti da minatori rispediti dopo il lavoro nelle
‘riserve’ per evitare la ‘proletarizzazione’ dei lavoratori) e l’economia di tratta dei prodotti agricoli,
sviluppata principalmente nell’Africa occidentale e successivamente anche nell’Africa centrale, consistente
dell’importazione di beni industriali in cambio di beni di prima necessità. D’altra parte, le ditte espatriate
erano in mano agli europei. Di conseguenza, tale commercio fu caratterizzato ovunque da abusi di
autorità e atrocità considerato il dislivello di numero e autorità tra i coloni e gli indigeni.
Molti scandali portarono a numerosi reazioni sulla stampa e al Parlamento, tanto che lo stesso governo
francese si raccomandò di un ‘colonialismo umanitario’ anche se allo stesso tempo perpetrava la riscossione
di imposte che accrebbero le rivolte popolari contro l’economia d’esportazione europea.
Le rivolte, promosse dai capi locali spesso in modo violento, lasciarono una massa di disorientati che
trovarono nelle nuove religioni (sette e chiese nere più o meno sincretiche) un rifugio rispetto ad una società
alla deriva. Furono movimenti che colpirono sia il mondo musulmano che quello animista, erano una risposta
a un potere coloniale sempre più coercitivo caratterizzato da imposte, lavoro forzato e colture a cui si
aggiungeva la politica delle riserve nei paesi con importanti colonie bianche.
La coercizione europea non ebbe solo effetti negativi: creò nuovi mercati e l’economia monetaria
progredì, ciò favori la formazione della figura del salariato quindi si intensificò un’economia
occidentale, anche se per un primo periodo brutalmente. Tale trasformazione andò a discapito della
produzione e coltivazione di prodotti alimentari rivelandosi incapaci di provvedere ai bisogni di una
popolazione sempre in crescita.
Tra il 1920 e il 1935 vi è una progressiva integrazione dei paesi africani nel sistema capitalista
mondiale mentre niente o quasi niente era previsto sul piano sociale per proteggere la popolazione dai
coloni. Questa situazione portò al ciclo di indebitamenti verso le colonie e nuovi sfruttamenti.
La seconda fase coloniale.1950-1952 il profitto dei coloni raggiunse il culmine. Dal 1952 i coloni
iniziarono però a considerare il mantenimento delle colonie gravoso per l’economia nazionale e
cominciarono a pensare a forme di sfruttamento di tipo post-coloniale.
Al tempo stesso, negli anni ’30 si generarono nuove forze africane interne di resistenza sindacale e
politica che dopo la SGM cominciarono a rivendicare l’Indipendenza nazionale.
La modernizzazione dello sfruttamento. Con la Grande Depressione, i popoli coloniali compresero che,
perché le colonie risultassero nuovamente redditizie, sarebbe stato necessario investire grandi risorse
economiche.
Iniziarono così a provvedere finanziamenti economici e politiche sociali favorite dall’istituzione di Fondi
nazionali specifici.
Negli anni Cinquanta, la povertà del sistema universitario spingeva gli studenti che potevano permetterselo a
recarsi all’estero per provvedere alla propria formazione. D’altra parte, inizialmente l’influenza di questa
piccola élite intellettuale all’interno dei centri urbani africani fu inferiore di quella esercitata dell’élite urbana
da cui si era formata la classe tecnica della colonia, infatti molti studenti laureati riuscirono a trovare come
unico impiego quello di andare a servire un individuo appartenente ai quadri coloniali. Questa élite urbana
creava un legame tra l’amministrazione coloniale e la massa misera di contadini o la massa proletarizzata
della città.
Contrariamente alla volontà dell’amministrazione coloniale, la piccola élite africana (istruita in
Europa), con il tempo, iniziò ad esercitare una sempre maggiore influenza nella gestione delle
istituzioni sociali e andò a costituire il grosso dei quadri dei sindacati e dei partiti politici nascenti,
costituendo l’origine dei movimenti di resistenza.
La fine della SGM aprì il Continente alle idee che si erano e si stavano diffondendo in Occidente, tra
cui quella della ‘libertà dei popoli’ e del ‘marxismo’, così come la conoscenza dei movimenti
panafricani di origine nera americana o antillana che giunsero agli studenti africani a Parigi (Diop e
Ki-Zerbo) e che li spinsero a coniare il termine ‘negritudine’.
I mutamenti portati dalla colonizzazione europea furono enormi. Ma, d’altra parte, non bisogna spiegare il
corso della storia esclusivamente sulla base di tale processo che d’altra parte costituisce solo una piccola
parentesi nella storia africana.
Non si può cambiare, né giudicare la storia.
Decolonizzazione e indipendenza.
La lunga maturazione degli stati africani contemporanei. Colonizzazione e decolonizzazione sono connesse.
Gli stati africani non sono nati negli anni Settanta, come farebbero pensare le date delle proprie
indipendenze, ma hanno cominciato a prendere forma già nel 1885, durante la Conferenza
internazionale di Berlino in cui furono tracciati i loro confini territoriali e il 1900, quando tali confini
furono effettivamente colonizzati dalle potenze europee.
Le linee di frontiera dei territori coloniali, precedentemente riconosciute dalle potenze e delineate sulle
carte, non vennero mai più contestati dagli stati neo-indipendenti in quanto ritennero di avere problemi più
rilevanti da affrontate. L’immutabilità delle linee venne confermate nella carta dell’Organizzazione
dell’Unità Africana (OUA) e tutti i tentativi di secessione, fallirono.
Oggi gli stati-nazione africani non vengono più messi in discussione: durante la colonizzazione almeno tre
generazioni hanno vissuto all’interno delle stesse linee di frontiera, con le stesse leggi, regime politico e
lingua di colonizzazione.
D’altra parte, dove il processo di integramento economico è debole, i popoli si rifugiano in
un’immagine identitaria e in odi etnici, che spesso porta conflitti e tensioni. Vi è una similitudine con
la parentesi nazionalista dell’Europa centrale con le ‘etnie’ (impropriamente dette) per l’Africa.
I movimenti di decolonizzazione sono iniziati con la colonizzazione, in specifici casi anche prima (Ghana,
seconda metà dell’Ottocento).
Le conquiste coloniali hanno comportato una violenza generalizzata.
Fra le due guerre le élite africane hanno progressivamente rivendicato il loro diritto di partecipazione
all’esercizio del potere fino alla rivendicazione di autonomia nazionale nell’ambito dei territori
coloniali definiti dagli europei.
Le due guerre mondiali furono decisive per queste rivendicazioni. La PGM fece aprire gli africani
reclutati al mondo, la SGM li portò ad interiorizzare i valori professati quali ‘i diritti dei popoli’.
Successivamente all’Indipendenza dell’India e del Pakistan nel 1947, iniziò il Ventennio dell’Africa: il
primo paese indipendente fu il Ghana nel 1957, Nkrumah rinominò il paese in nome di un glorioso impero
medievale. Dopo, via via a rendersi indipendenti furono tutti gli stati africani (1960-1980), anche a causa
della mala amministrazione del governo francese sempre più convinto che le colonie erano divenute troppo
dispendiose.
Così, l’Africa riacquistò il suo posto nel mondo, durante la Guerra Fredda divenne campo di scontro
d’influenza tra i due blocchi e allo stesso tempo ebbe un ruolo come sede dei paesi emergenti del Terzo
Mondo, i quali si integrarono alla politica di non-allineamento.
Dopo la caduta del Muro di Berlino, il Continente è divenuto principale acquirenti di armamenti
occidentali che vengono utilizzati nelle guerre intestine.
L’indipendenza: una conquista. 1960 – 1980 (Ventennio dell’Africa).
Si arrivò in diversi casi a vere e proprie guerre di liberazione, in particolare nelle colonie portoghesi
contro la feroce dittatura di Salazar che cadde solamente nel 1974.
In Sudafrica, Mandela guidò la liberazione del paese dal regime d’Apartheid e nel 1994 divenne il Presidente
della Repubblica.
In campo britannico l’evoluzione indipendentista fu ostacolata dalle lobbies dei coloni favorevoli ad un
regime di segregazione per lucrarci.
Per quanto riguarda le colonie francesi, l’indipendenza non fu propriamente concessa. Era diffusa l’idea del
tradimento, ma era falsa. L’indipendenza fu il risultato di un insieme di fattori che mostrano come la Francia
fosse in ritardo rispetto le altre metropoli: da una parte si diffuse l’idea che le colonie erano divenute troppo
dispendiose, dall’altra le riforme promosse favorirono un decentramento dei poteri che effettivamente
contribuì a far aumentare le rivendicazioni di autonomia da parte dell’élite modernizzante e i leader politici
africani.

La periodizzazione: possiamo distinguere nel corso dei cinquant’anni d’indipendenza, tre fasi principali:
1. Il periodo neocoloniale: successivamente al raggiungimento delle indipendenze nei vari territori
dell’Africa, la nuova classe dirigente non fu in grado di rispondere alle domande e alle necessità di una
maggioranza del popolo sempre più distante dal centro. Di conseguenza, ci fu una ricaduta del popolo verso
un immaginario identitario(etnico?) che ebbe effetti tragici. Inoltre, il popolo sostenne capi di stato che con il
tempo si convertirono in veri dittatori (imponendo il partito unico e il sindacato unico) con colpi di stato che
venivano (indirettamente) incoraggiati in maggior o minor misura dai precedenti regimi coloniali.
2. Gli anni 1968-1980: i giovani africani, sempre più istruiti e numerosi, pressarono per un maggior
coinvolgimento\considerazione nei programmi di cooperazione ed una maggiore africanizzazione dei quadri
istituzionali. Dapprima queste rivendicazioni furono respinte, o comunque nell’Africa occidentale (ex
colonia francese) le istituzioni ricevettero un restauro di facciata che appariva in continuità con il periodo
coloniale.
3. Dopo il 1989: la caduta del Muro determinò la liberazione delle forze sociali e politiche interne fino a quel
momento violentemente represse. Infatti, la fine della guerra fredda segnò la fine della contrapposizione dei
due blocchi\ideologie che imponevano un preciso schieramento. Da allora, la società civile e politica si sta
formando e la popolazione è in continuo aumento.
D’altra parte, le Politiche di aggiustamento strutturale proposte dalla Banca mondiale e il FMI, hanno
avuto delle conseguenze tragiche. Dagli anni ’80 gli stati africani hanno dovuto piegarsi a tali programmi
che ne hanno determinato l’attuale stagnazione economica. Questi dovettero assicurare il pagamento
del prestito dei loro debiti a banche private(contratti per pagare debiti con le ex-colonie) ma, non
riuscirono a farvi fronte, il FMI e la BM consigliarono loro delle "riforme di struttura" che avrebbero
dovuto assicurare una crescita sostenuta e preservare la stabilità delle loro economie: riduzione della spesa
pubblica, che colpiva in particolare i servizi sociali; controllo e ribasso dei salari; apertura del mercato
interno; alleggerimento delle restrizioni alle operazioni di investimenti stranieri; svalutazioni successive della
moneta locale per migliorare la competitività delle esportazioni. Oggi, la maggior parte degli stati che
applicarono queste ricette aspettano ancora che il mercato "operi la magia.
Le donne, avvenire dell’Africa? Il ruolo delle Donne in Africa, differentemente da quello che si potrebbe
pensare, non è mai stato di vera sottomissione verso l’individuo maschile. Al contrario, dalle società
tradizionali essa ha un ruolo determinante per il sostentamento familiare. Infatti, in ogni società (patri o matri
lineare) era la Donna ad essere incaricata di coltivare il raccolto che veniva successivamente da loro stesse
cucinato e razionato per il nutrimento del nucleo familiare.
Nelle società in cui la dinastia seguiva la linea matrilineare ovviamente aveva maggiore importanza, era lei a
comandare sui figli e il padre non aveva voce in capitolo. Le sue direttive erano date dal fratello, lo zio
materno. Ella rimaneva indissolubilmente legata alla famiglia di origine, non cambiava cognome.
La famiglia della Donna che, nel momento in cui essa viene data in sposa ad un individuo, deve ricevere un
contributo(bridewealth) prima in beni ed oggi trasformato in denaro liquido in quanto viene a perdere una
componente essenziale per la vita della famiglia.

Attualmente, la Donna continua ad avere un ruolo determinante nelle società africane:


Ruolo domestico (figli, approvigionamento viveri e nutrizione del nucleo familiare)
Ruolo economico, di sussistenza (lavoro informale, mercato)
Ruolo politico (sempre più donne istruite sono oggi al governo)
Ki-Zerbo: nel contesto contemporaneo la donna africana ha un ruolo chiave in diversi campi:
- Alimentazione e nutrizione\ economia informale (raccolgono, trasportano, vendono, acquistano gli alimenti
necessari alla nutrizione del nucleo familiare e ne vendono gli eccessi)
- Sapere (oggi nessuno mette più in dubbio che il diritto all’istruzione sia eguale per entrambi i sessi)
Anche nelle società antiche, il potere femminile era potentemente originale in Africa. Anche se non si fa
notale, la donna ha sempre goduto di una certa capacità d’iniziativa.
Comunque, nella società contemporanea, sebbene abbiano raggiunto grandi conquiste rimangono pur sempre
in una condizione svantaggiata rispetto gli uomini in campi diversi, dalla conoscenza e dall’istruzione:
matrimoni precoci e assoggettamente ai lavori domestici.

Conclusioni.
La storia non va giudicata, va compresa: il Colonialismo è stato una piccola parentesi nella grande
cornice della storia africana, non può essere utilizzato come causa della situazione critica nel quale si
trova il paese. Così come non possono essere incolpati solo i capi di stato che, trasformati in dittatori,
portarono il Continente alla deriva (“la storia non si fa con i sé e con i ma”).
Sono da segnalare i progressi raggiunti dall’Africa negli anni passati, e quante opportunità ci siano nel
futuro: democrazie, aumento demografico, educazione e alfabetizzazione della popolazione, miglioramento
nei programmi sociali(..)

Ki-Zerbo. Non e’ stato soltanto il piu’ grande storico africano. Lo studioso burkinabe’ potrebbe essere
ricordato per sempre come colui che ha ridato la storia all’Africa.
Si era impegnato per il suo Continente, anche politicamente, prima e dopo la decolonizzazione. Gli anni ’60
lo avevano visto impegnato, con altri intellettuali africani e con alcuni politici, a lavorare per costruire
l’Unita’ del Continente africano. Soltanto unita l’Africa avrebbe potuto parlare al mondo, diventare
interlocutrice degli altri continenti; il progetto di regionalizzazione è in corso, anche se molto lento, anche
perchè ogni leader africano vorrebbe rimanere il padrone indiscusso. I leader africani sono molto legati alla
formula della sovranita’ nazionale. Sanno che di fatto non esiste alcuna sovranita’ nazionale, ma amano
illudersi. Come e’ possibile parlare di sovranita’ nazionale laddove la gente muore di fame, non dispone di
acqua potabile, laddove i responsabili politici sono alla merce’ delle multinazionali, sempre pronti a
cambiare idea a seconda dei compensi? Quello di cui aveva bisogno l’Africa era di una ventata di
Democrazia. Aveva anche fondato un partito politico e per molti anni era stato deputato.

E’ stato soprattutto un grande storico. Il piu’ grande storico che l’Africa abbia mai avuto, colui che ha dato
una storia all’Africa. Perchè’ per la prima volta ha messo in dubbio quell’assunto razzista, tipico degli storici
occidentali, secondo cui la storia comincia con la scrittura. Condannando in questo modo i popoli che non
hanno tradizione scritta a non avere una storia. Infatti, riteneva che la tradizione orale africana fosse una
fonte storica valida, credibile e che, come tale, andasse difesa. E, facendone la storia, ha cercato di capire in
profondita’ il perche’ degli accadimenti. Soprattutto per richiamare ciascuno, gli europei innanzitutto, alle
proprie responsabilita’. “Fino al XVI secolo, l’Africa poteva validamente paragonarsi agli altri continenti.
Poi e’ intervenuta una frattura che si e’ andata progressivamente allargando. La progressiva immissione di
strutture politiche ed economiche provenienti dall’esterno ha finito per paralizzare le forze vive e le energie
vitali del continente africano". Una frattura che per il continente africano ha significato prima la tratta degli
schiavi, poi l’epopea coloniale.
E pensare che dall’Africa nasce l’uomo ed è dall’Africa che l’Europa ha ricevuto tanto 

Ma la storia del continente africano che, prima dell’arrivo degli europei, aveva avuto momenti di grande
splendore (regni del Mali, del Ghana e di Gao), si scontra con lo schiavismo e la tratta dei neri. Una tratta
che trova la sua ragione in un altro genocidio, quello degli indigeni del Nuovo Mondo. L’Africa non ha
probabilmente ancora finito di pagare il prezzo della tratta, che ha spopolato e dissanguato il continente. Ma
soprattutto la tratta "ha riguardato la parte piu’ vitale, dinamica e inventiva della popolazione. 
Poi e’ arrivata la colonizzazione, che "e’ servita a porre fine alla tratta, ma non ha cambiato la situazione. Gli
africani hanno continuato a essere dominati e si e’ arrivati fino a efferati genocidi del popolo africano. Sia la
tratta che la colonizzazione hanno lasciato tracce fin nel subconscio dell’uomo africano. Mancanza di fiducia
in se stesso, mancanza di rispetto per se stesso. L’immagine che un uomo ha di sè è un elemento essenziale
per il suo sviluppo

Di fronte a questa situazione di stallo, Ki-Zerbo faceva appello agli africani perchè riscoprissero la loro
identita’ e ai popoli ricchi perche’ li agevolassero. Riteneva che a salvare l’Africa non saranno i Fondi e gli
Aiuti, tali salveranno vite umane nel migliore dei casi, permettendo loro di sopravvivere, ma non salveranno
la vita dell’Africa. Ad importare non sono i mezzi, ma le condizioni: bisogna permettere all’Africa di
ricostruirsi, aiutarla a ricostruirsi (l’Africa deve essere prima che avere).

Il socialismo africano
Per la sua radice culturale di valorizzazione dell'identità africana, risalente al movimento culturale della
négritude (il quale si proponeva di affrancare i popoli africani dal complesso di inferiorità imposto dai
colonizzatori attraverso l'orgogliosa rivendicazione delle qualità peculiari della cultura nera), il socialismo
africano si distingue per avere al suo centro il rifiuto del sistema economico capitalistico portato dai
colonizzatori, a favore del recupero di valori tradizionali africani, come il senso della comunità o della
famiglia o la dignità del lavoro agricolo. In questo senso, il socialismo, in questi Paesi, venne spesso
rappresentato come un elemento intrinseco dell'identità africana.
Il nucleo fondamentale del pensiero del socialismo africano, non risiede nella promessa di innalzare il tenore
di vita degli strati oppressi della cittadinanza come obiettivo prioritario, o esclusivo. Piuttosto, assume
rilevanza la creazione di un modello di vita comunitaria, dove, anche nell'assenza di tassi di crescita
economica rapidissimi (priorità tipica dello stalinismo degli anni ‘30 e dei satelliti dell'Europa dell'Est negli
anni successivi alla SGM), si esaltino ideali di eguaglianza, di relazionalità (“capitale sociale”), di autonomia
culturale. Ideali nei quali il singolo cittadino viene posto al centro dell'attenzione, evitando quindi approcci
calati dall'alto, e valorizzando le istanze dei singoli.
Quattro elementi distintivi di fondo del socialismo africano:
- recupero di un modello culturale, sociale ed economico autonomo, e radicale rifiuto di schemi di
sviluppo occidentale o esogeni;
- nella costruzione di modelli di sviluppo, valorizzazione degli aspetti di sovrastruttura rispetto alle
questioni più legate ai rapporti sociali di produzione;
- coinvolgimento dal basso delle popolazioni nella progettazione dello sviluppo;
- panafricanismo*, ovvero una visione politica mirata a unire gli interessi politici delle varie nazioni
africane, nel tentativo di superare quella balcanizzazione tribale ed etnica che è da sempre un tragico punto
di debolezza dell'Africa.
Va sottolineato che il panafricanismo non è, in genere, innervato di nazionalismo come il panarabismo,
poiché è concepito in chiave federalista e rispettosa delle autonomie di ciascun Paese e gruppo etnico. E'
quindi un concetto strumentale a costruire una maggiore forza negoziale dell'Africa nell'caos politico ed
economico mondiale.
- il socialismo africano differisce, per molti aspetti, dagli elementi tipici del marxismo, poiché agli aspetti
produttivi strutturali antepone aspetti sovrastrutturali di tipo culturale (esaltando una identità culturale e di
relazioni sociali genuinamente africana, che sia reale o artificiale);
- ciò nonostante, come mostrano esempi concreti, i risultati arrivano quando ci si concentra sugli aspetti
economici e produttivi, e non su quelli sovrastrutturali. In particolare, il successo arriva utilizzando approcci
allo sviluppo produttivo che partono dal basso, e che utilizzano un metodo che non si preoccupa
eccessivamente di creare modelli ex ante, in nome di una più o meno presunta coerenza con aspetti culturali
tradizionali.
- gli insuccessi sono venuti da una scarsa coerenza interna nella teoria del socialismo africano.
- gli insuccessi sono venuti anche da una incoerenza fra teoria e decisioni politiche effettivamente adottate.

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