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Dedico questo romanzo al genere romance,
scoperto troppo tardi nella mia vita, fonte continua di sorrisi
e grandi sospiri, meglio di un Prozac, ma senza effetti collaterali.
E lo dedico anche alle amiche scrittrici
che hanno creduto in me molto prima di me:
Mariangela Camocardi, Maria Teresa Casella e Ornella Albanese.
1
Nel rivedere Camille dopo dieci tormentati giorni, Raleigh si sentì fremere
di desiderio, di sollievo, di gratitudine.
Di gelosia.
Era seduta con Jenny Benton insieme ad altre giovani donne, mentre alcuni
gentiluomini facevano corona intorno a loro. Erano gli eredi, per lo più
scapoli, delle famiglie più ricche e in vista di New York, di quella invidiata e
potente aristocrazia del denaro di cui lui stesso, pur non desiderandolo,
faceva ormai parte.
Perché tutti fissavano Camille?
In piedi, davanti a lei, i due Benton, padre e figlio. La guardavano con
ammirazione, Ken come ne fosse ammaliato.
Gli venne voglia di raggiungerlo in quattro falcate, di prenderlo per il collo
e di spaccargli quella faccia da bravo ragazzo. Di fargli capire che Camille
era sua.
Anche se non lo era affatto.
Chiuse gli occhi e cercò almeno una ragione per resistere a quell’allettante
prospettiva. Non gliene venne in mente nessuna.
Forse non è neppure la prima volta che si incontrano. Forse in questi dieci
giorni Ken l’ha corteggiata…
Rimase immobile, in preda a un secondo, ingiustificato attacco di gelosia,
mentre i suoi occhi inghiottivano Camille con voracità, assaporandone ogni
più piccolo particolare. L’incavo del collo, le mani posate in grembo, il suo
abito da contadinella, più seducente che virginale, i lunghi capelli sciolti sulle
spalle, la vivacità del suo sguardo. Sorrideva, Camille, ma era a disagio.
Probabilmente per colpa di quello sciacallo del vecchio Benton che la stava
provocando, forse mettendola alla prova.
E tu, Ken, te ne stai lì tranquillo a guardare mentre tuo padre la massacra?
Che razza di uomo sei?
Stava per correre in suo aiuto, quando tutti, compreso lo sciacallo,
scoppiarono a ridere. Subito dopo, mentre altri ospiti, incuriositi, si univano
al gruppo, vide Ken e Camille dirigersi al tavolo dei rinfreschi. Ken le teneva
il braccio con fare possessivo e lei rideva delle sue battute.
Quell’assurda pantomima doveva terminare subito. Stava già marciando in
direzione della coppia felice, quando gli occhi di Camille incontrarono i suoi
e divennero duri come l’acciaio.
Poche parole bisbigliate all’orecchio di Ken e i due avevano già cambiato
direzione. Al loro posto si era materializzato Mr Benton, lo sciacallo.
Maledizione.
«Frank, ho piacere di vedervi. Ormai non contavo più sulla vostra
presenza.»
«Anch’io Benton, e mi scuso per il ritardo. Sono rientrato in città solo
questa sera. Ho fatto di tutto per poter intervenire alla vostra festa.»
Ipocrita che sono.
«Affari vi hanno condotto fuori città?»
«Sì, ma privati.»
Dopo qualche altra necessaria formalità – nessuno dei due era uomo da
dare troppa importanza alle convenzioni sociali – il vecchio Benton andò
dritto al punto. «Ho conosciuto Miss Brontee. Deliziosa. E intelligente in
modo preoccupante, per essere una femmina.» Così dicendo lo scrutava, con
attenzione.
«Già, ne sono convinto anch’io» rispose Raleigh, laconico.
«Mi ha strappato l’autorizzazione a scrivere la cronaca della festa per il
vostro giornale…»
Raleigh lo guardò sorpreso, reprimendo uno scoppio di ilarità.
«…e non è tutto. Le ho promesso pure alcune fotografie della serata. Non è
incredibile?»
Frank sorrise all’idea che Camille avesse già conquistato anche quel
vecchio marpione.
«No, Benton, non c’è nulla di incredibile quando si tratta di Miss Brontee.»
Con un saluto formale e il cuore in subbuglio, si congedò.
Doveva trovare Camille.
***
Ken la prese per mano e fendendo la folla degli ospiti la condusse verso
un’uscita laterale del granaio. Si ritrovarono all’aperto, in una sera limpida e
fredda, illuminata dalla luna piena.
«Notte ideale per Halloween» mormorò Camille guardando il cielo e
rabbrividendo.
Mentre si stringeva lo scialle intorno alle spalle pensò che avrebbe
sopportato anche il gelo delle Highlands piuttosto di ritrovarsi faccia a faccia
con Raleigh. Doveva rimanere lontana dal suo campo gravitazionale fino al
termine della festa.
Guardò le stelle. «Vi interessate di astronomia, Ken?» chiese.
«Non mo-olto, a essere sincero. Voi s-sì, Camille? Di solito le signore si
interessano di as-strologia, non di astronomia.»
«Non credo nell’astrologia, Mr Benton. Solo nel destino, o meglio, nel
caso.»
«E cosa, in particolare, vi a-a-ttira nello studio degli astri?»
Lei si fermò e lo guardò. «Vi interessa veramente?»
«Uh uh.»
«Sono sempre stata affascinata dalla teoria dei campi gravitazionali. È così
interessante capire i motivi per cui due corpi celesti si attraggono, senza
potersi opporre al loro destino, senza potersi liberare dell’influenza che
esercitano l’uno sull’altro. Il caso li fa avvicinare e loro rimangono incatenati
da una forza misteriosa. A volte, addirittura, collidono.»
«Come i me-eteoriti con la Terra, intendete?»
No, come la sottoscritta con Frank Raleigh.
Si sentiva attratta da Raleigh da una forza incontrollabile, tanto che, se
l’orgoglio e la buona educazione non glielo avessero impedito, non avrebbe
perso un altro minuto e sarebbe corsa a cercarlo. E il gentile Ken Benton
sarebbe rimasto lì solo, a pensare ai meteoriti.
«Esatto, Ken. Non avete mai pensato che anche la vita degli uomini
potrebbe essere governata da campi gravitazionali?»
Lui la fissò sorpreso. «Lo credete dav-vero possibile, Camille?»
«Sì.»
«Io no, non lo cre-e-do affatto. È l’uomo che decide in quale campo g-
gravitazionale orbitare. O con chi c-collidere.»
«Siete dunque tanto pragmatico, Ken, da non credere che la sorte o il caso,
se preferite chiamarlo così, possa indirizzare le nostre scelte?»
«Sì, sono estremamente pragmatico, Miss Brontee, e spero che un giorno
apprezzerete questo lato del mio carattere.» Quella volta, nessun balbettio era
uscito dalla sua bocca.
Giunti al baraccone del tiro a segno, Camille si guardò intorno. A parte i
due addetti, non c’era nessuno: forse Raleigh non l’aveva neppure
riconosciuta e si era mescolato agli altri ospiti. Tirò un sospiro di sollievo.
Il bersaglio, arretrato di una decina di metri rispetto alla linea di tiro, era
costituito da una piccola zucca all’interno della quale brillava una fiamma,
mentre i fucili erano dei veri Winchester caricati con proiettili speciali.
«Sono cu-urioso di vedervi all’opera, Camille.»
«Non so neppure da che parte iniziare, ma non vedo l’ora di provare, Ken.»
Ogni sfida la entusiasmava.
«So-ono certo che riuscirete a co-olpire quel bersaglio con la stessa abilità
con cui riuscite a co-olpire il c-c-uore degli uomini.»
Lei lo guardò sorpresa. Sapeva che non avrebbe dovuto incoraggiarlo, ma
non riuscì a trattenersi.
«Mr Benton…»
«Ken…»
«…Ken. Devo interpretare le vostre parole come un complimento?»
«Ebbene sì, voleva esserlo, a-anche se goffo e banale. Perdonatemi.»
Lei gli sorrise. «Al contrario. L’ho apprezzato molto.»
Camille prese il fucile che lui le stava offrendo. Era più leggero di quanto si
aspettasse. Lui le mostrò come impugnarlo e come mirare. Le sue braccia la
circondarono e lei respirò il profumo pulito di Ken Benton, sperando che le
regalasse un brivido o un’emozione, non solo la fragranza di una colonia
costosa.
Non sentì nulla.
Si mise in posizione, prese la mira e attese finché il suo respiro non si
calmò, come le aveva raccomandato lui. Poi sparò i due colpi a disposizione.
***
Eccoli, davanti al baraccone del tiro a segno. Ken era forse impazzito?
Voleva davvero permettere a Camille di sparare? E se si fosse ferita? A
Raleigh parve che quel rammollito la stesse abbracciando e si ritrovò
all’improvviso a correre.
***
La zucca rimase intatta.
Ciononostante, qualcuno, dietro di lei, applaudì.
Non ebbe bisogno di girarsi per capire di chi si trattasse.
Ken, invece, si voltò. Fissò il nuovo venuto e disse, come tra sé e sé, ma a
voce abbastanza alta per essere udito: «Raleigh! Ma che pia-a-cere!»
A nessuno sfuggì il suo tono sarcastico.
Frank si avvicinò e Camille sentì la temperatura salire. Dentro di lei, su di
lei. Intorno a lei. Sentì il cuore battere più forte e il respiro farsi corto.
A causa di un uomo.
No, non di un uomo. Di Frank Raleigh.
Indossava la stessa vecchia giacca di pelle che portava al porto il giorno del
loro primo incontro. Come quel giorno, avrebbe voluto allungare una mano
per sentire se la pelle di quella giacca fosse davvero morbida come appariva.
Già, una scusa pietosa. Avrebbe voluto passare le sue dita sotto la giacca,
senza fretta, sulle spalle, sul petto, sulle braccia di Raleigh per continuare poi
la sua esplorazione in altre direzioni.
Camille soppresse un risolino e si sentì avvampare. Come poteva solo
pensare a certe cose?
Fingendo indifferenza gli sorrise quando lui chinò il capo per salutare.
«Miss Brontee…»
«Vi conoscete?» fece Benton, subito allarmato.
«Se ti fosse sfuggito, Ken, la signorina lavora nella redazione del Daily,
quindi… per me.»
Pronunciò quelle due brevi parole in modo tanto possessivo da irritare
Camille.
«Non che in redazione ci onoriate spesso della vostra presenza, Mr
Raleigh!» si intromise lei in tono sarcastico, tanto che lo vide trattenere il
respiro e irrigidirsi.
Gli sguardi si inseguirono per alcuni istanti in un silenzio carico di
tensione. Fu Raleigh a romperlo per primo.
«Non appena i miei affari me lo permetteranno, Miss Brontee, rimedierò a
questa mia mancanza e mi vedrete in redazione anche più spesso di quanto
vorrete.»
Lo sguardo di lui fu come uno schiaffo.
«D’altronde, sono certo che Mr Corman abbia provveduto al vostro
inserimento come io non avrei saputo fare.»
«Su ciò siamo d’accordo» rispose Camille, secca, alzando il mento e
raddrizzando le spalle.
***
Frank si irrigidì di nuovo. Come darle torto? In fondo l’aveva abbandonata
a se stessa, una giovane donna sola in un covo di animali.
Era stato un codardo.
«Imma-a-gino che t-utti i tuoi redattori ti stiano u-ugualmente a cuore, vero
Frank?» lo incalzò Benton, più alterato che ironico.
«Ken…» lo supplicò quasi Camille.
«Ken?» ripeté Raleigh chiaramente irritato dal tono intimo della voce di lei.
Benton lo sfidò con lo sguardo, forte di quella piccola vittoria.
Incuranti della presenza di Miss Brontee, i due uomini continuarono a
studiarsi, occhi negli occhi, il capo leggermente in avanti, forse pronti a
prendersi a cornate come due cervi in calore o a beccarsi come due galletti
nell’aia, del tutto consapevoli di desiderare la stessa cosa.
***
Per quanto, forse, avrebbe dovuto ritenersi lusingata dallo spettacolo che si
stava svolgendo sotto i suoi occhi, Camille non poteva permettere che quei
due scriteriati si esibissero a causa sua in uno squallido spettacolo. Erano
talmente presi da quello stupido sfoggio di virilità da essersi praticamente
dimenticati di lei.
Scorse un gruppo di invitati avvicinarsi lentamente ai due baracconi.
Doveva agire in fretta.
Cercò di richiamare su di sé l’attenzione proponendo di rientrare alla festa.
«Mr Benton, non mi avevate promesso dello champagne?» fece con
leggerezza. «Vogliamo andare?»
Nessuna risposta.
Provò in modo più diretto.
«Signori, mi state mettendo in imbarazzo.»
Niente.
«Due gentiluomini non si dovrebbero comportare in questo modo. Mr
Benton, Mr Raleigh, vi prego…»
I due gentiluomini non la degnarono di uno sguardo.
Dio che caldo faceva!
Camille sentì crescere ulteriormente la tensione intorno a sé e temette che
quella ridicola situazione stesse per sfuggire a tutti di mano.
Agire. Doveva agire. Così, senza pensare, strappò quasi il fucile dalle mani
di Benton, si posizionò, mirò al bersaglio e tirò il grilletto.
BOOM!
La zucca volò via in mille pezzi.
I due uomini si voltarono all’unisono verso di lei, a bocca aperta.
«Vi ringrazio per avermi concesso la vostra attenzione, signori!»
Come diavolo ci sarò riuscita?
«Avete distrutto la z-zucca!» disse Benton, sorpreso, quasi intimidito.
«Già» commentò lei, «è evidente.»
«Miss Brontee è una donna dalle molte doti e a quanto pare è anche
pericolosa» aggiunse Raleigh con un sorriso che la colpì alla testa, al cuore e
anche più in basso.
Dannazione a te, Frank Raleigh.
Camille raddrizzò le spalle e il capo, in aria di sfida. «Pericolosa, dite, Mr
Raleigh? Più che altro, sono una donna che ha fame e sete. Quindi, signori,
col vostro permesso…»
Così dicendo, con un movimento secco consegnò il fucile a Benton, fece
una piccola, ironica riverenza e si incamminò con decisione verso il granaio
che ospitava il banchetto.
Benton e Raleigh fecero per seguirla, ma lei si girò di scatto, bloccandoli
come fossero due bambini disubbidienti: prima con lo sguardo, poi
sollevando l’indice della mano destra, infine con poche, scandite parole.
«Non. Fatelo. Vi prego. Non ho bisogno che nessuno di voi due mi mostri
la strada, o che mi porti da bere o del cibo. Sono in grado di fare tutto ciò da
sola.»
I due uomini, immobili e, almeno in quel momento, solidali fra loro,
rimasero a fissarla interdetti mentre rientrava di gran fretta alla festa, lo
scialle bianco ondeggiante sulle spalle come le ali di una farfalla notturna.
*
La festa proseguì tra danze, cibi squisiti e giochi. Ogni momento fu
immortalato da un fotografo, così come ogni abito, ogni risata, ogni sguardo.
Avrebbe avuto immagini splendide per accompagnare la cronaca di quella
serata!
Fissando nella mente quanto si stava svolgendo intorno a lei, Camille evitò
per tutta la sera di avvicinarsi a Raleigh, rimanendo per lo più in compagnia
dei Campbell e di Jenny Benton, che l’aveva ormai elevata al ruolo di suo
faro personale.
Man mano che si avvicinava la mezzanotte, l’ora in cui sarebbe comparsa
la cartomante con i suoi tarocchi e forse – sosteneva qualcuno – anche con
una sfera di cristallo e pozioni magiche, l’atmosfera si fece più gaia.
Camille danzò una quadriglia pur senza conoscerne bene la complessa
coreografia, una polka con Ken Benton e una mazurca con un giovane di
nome Mark. Per tutto il tempo, gli occhi di Raleigh non la lasciarono.
Quando arrivò il momento del Bacio di Halloween, il gioco più atteso della
serata, alcune signorine invitarono Raleigh a farsi avanti, civettando senza
ritegno.
«Su, Frank, sei vecchio ormai. Tocca a te quest’anno.»
Alzando le braccia in segno di sconfitta, Raleigh si arrese subito al volere
delle signore.
A Camille la cosa apparve alquanto sospetta.
Il gruppo degli ospiti più giovani si strinse subito intorno a lui. Insieme a
Ken Benton, anche Camille prese posizione nel cerchio. Non sapeva nulla di
quel gioco, ma fin dall’inizio non le piacque.
Le piacque ancor meno quando Raleigh, colpendola con il suo intenso
sguardo blu, le inviò un tacito messaggio.
Fuggi pure, sembravano dirle quegli occhi, tanto sei già mia.
Uno scherzo della sua immaginazione, certo, ma così suadente che a quel
pensiero le ginocchia cedettero e una nuvola calda, che aveva il profumo
intenso di Frank Raleigh, l’avvolse. Nervosa, cominciò a farsi vento con una
mano, poi con entrambe.
Invano.
La bocca di Frank Raleigh le sorrise vittoriosa mentre gli occhi blu la
trafiggevano di nuovo, divertiti e maliziosi.
Dio che caldo faceva! Possibile che lo sentisse solo lei?
Un cameriere le passò alle spalle con un vassoio colmo di piccoli bicchieri
ghiacciati. Pensando a una limonata fresca, Camille ne prese uno e ne ingollò
il contenuto con avidità.
Non era limonata.
Era un liquore forte, dalla consistenza del velluto e che sapeva di… acqua.
Le scivolò lungo la gola accarezzandola, dandole una sicurezza mendace.
Quando la testa cominciò a girarle, per sostenersi infilò il braccio sotto quello
di Ken Benton. Che la guardò speranzoso.
Il Bacio di Halloween ebbe inizio. Tra incitamenti e sfottò, Raleigh fu
prima bendato, quindi condotto al centro di un cerchio dove qualcuno aveva
già scritto con gessi colorati le lettere dell’alfabeto a caratteri giganteschi.
La piccola folla gli si strinse intorno e trattenne il fiato quando un giovane
armato di cronometro esclamò: «Pronto, Raleigh? Meno tre, due uno... via!
Incamminati verso il patibolo!»
Il patibolo?
Saranno stati anche democratici, gli americani, ma dovevano avere uno
strano senso dell’umorismo.
Raleigh, fingendo una smorfia di terrore, prese a vagare, le braccia protese
in avanti, andando a sbattere contro gli astanti che commentavano ogni passo
con risate e Ohhh e Ahhh.
Camille continuava a non capire.
«Bravo, avanti così!»
«Attento, ormai il tuo destino è segnato!»
«Fatti coraggio!»
«Continua a camminare, mancano venti secondi!»
Risate.
Come un attore consumato Raleigh aveva assunto un’espressione contrita,
preoccupata per la sciagura incombente.
«Cerca di non fermarti su una J» gli urlò Jenny tra le risa generali.
«Sarebbe davvero così terribile, Jenny?» chiese lui muovendosi come un
ubriaco sopra le lettere colorate.
«Cosa dovrebbe essere terribile?» chiese Camille a Jenny, ma questa
rispose soltanto: «Aspettate e vedrete! Molte signore farebbero la firma per
essere le prescelte dal destino».
Inquietante.
E poi…
Tutti trattennero il fiato quando Frank si fermò per caso davanti a Camille.
Con un Oh! preoccupato, Miss Brontee si esibì in un piccolo salto
all’indietro, mentre il cameriere transitava di nuovo alle sue spalle. Senza
pensarci su troppo, si girò e afferrò al volo un altro bicchierino di quella
cosa.
«Camille, non dovreste bere vodka come fosse acqua» cercò di metterla in
guardia Ken.
Troppo tardi.
«Vodka? È così che si chiama? Non sa di molto, ma è buona!»
«È un liquore che mio padre compra da certi immigrati ru-ussi, e che vi fa-
a-rà ubriacare se non starete attenta.»
«Mr Benton, non preoccupatevi. Non mi sono mai ubriacata in tutta la mia
luuuunga vita.»
Perché la mia lingua non funziona come dovrebbe?
Lui le rivolse uno sguardo preoccupato, ma poi la tensione si sciolse
quando Camille gli sorrise.
Il giovane col cronometro scandì gli ultimi secondi - «Quattro, tre…» -
mentre Raleigh rimaneva immobile davanti a lei, quasi riuscisse a vederla da
sotto la benda. Il piede destro poggiava sulla lettera G, il sinistro su una C.
«…due, uno, stop!»
Frank spostò il piede destro e lo pose al fianco del sinistro. Sopra la C.
«È una O» disse qualcuno.
«No, è una G» fece un altro.
È una C, come fate a non vederla, siete tutti ubriachi? pensò Camille.
Che gioco stupido era mai quello? Aggrappandosi ancora più saldamente a
Ken, fu colta da un sospetto.
«È una C» sentenziò infine qualcuno con prosopopea, e ogni dubbio fu
messo a tacere.
Camille sentì le ginocchia cedere sotto il peso di quella C. C, come
Camille. Non sapeva come Raleigh ci fosse riuscito, ma era certa che avesse
imbrogliato. Forse quella benda non era poi così stretta...
«Una C, Frank, sei contento?»
Camille continuava a non capire.
«Entro la fine del prossimo anno, una Miss C ti metterà un anello al dito e
una catena al collo, Raleigh» disse qualcuno ridendo.
«Poveretta!» fece una voce femminile seguita da altre risate.
Mentre le battute di spirito e gli incitamenti a Raleigh proseguivano,
Camille chiese a Jenny: «Adesso cosa succede?»
«Dovrà baciare le signore il cui nome inizia con la C.»
«Tutte?»
«No, solo le nubili.»
«Oh! E per quale motivo?»
«Solo baciandole potrà capire chi è la donna che gli ha riservato il destino,
ma, affinché l’incantesimo si avveri, non dovrà rivelarne il nome a nessuno.»
«Mi sembra un gioco alquanto cretino» disse Camille rinfrancata dalla
vodka.
«Sarà» ribatté Jenny, «ma Paul Remington l’anno scorso ha baciato Susan
Perkins e ora sono marito e moglie. E così è successo a John e Pam.»
A Camille sembrò di soffocare. Incominciò a tossire e si guardò intorno in
cerca di una via di fuga.
Tra le risa generali, un giovane chiese: «Te la senti, Raleigh, di baciare
tutte queste belle signore o vuoi che ti dia una mano?»
Poi qualcuno ordinò in modo solenne: «Tutte le Miss C facciano un passo
avanti».
Non ci penso neppure!
«Charlotte!»
«Claire!»
«Claudette!»
La caccia alle Miss C continuava con zelo fra applausi e risate.
«Christine!»
Raleigh si era tolto la benda dagli occhi e si inchinava a ogni candidata,
sorridendo galante, come sorpreso da tanta fortuna. Per un attimo diede le
spalle a Camille che, sussurrate delle scuse a Ken, ne approfittò per darsela a
gambe.
Non perché quel dannato liquore le stesse facendo girare la testa e piegare
le ginocchia o perché si sentisse ancora soffocare. Ma per il semplice motivo
che se Frank Raleigh l’avesse baciata sarebbe stato chiaro a tutti ciò che lui
già sapeva. Ciò che lei già sapeva.
Ciò che gli altri non dovevano sapere.
«Camille!» sentì infine.
Ma lei era già lontana, rintanata nell’Antro della strega. Appena finito
quello stupido gioco, scampato il pericolo, sarebbe riemersa dal suo
nascondiglio e tornata alla festa.
L’Antro della strega non era che un passaggio collegato a un ingresso
laterale del granaio e separato dal resto dell’ambiente da una pesante tenda di
velluto nero.
Per rendere il tutto più magico, sulle pareti e negli angoli erano stati
sistemati dei drappi neri e alcune decorazioni in tono: pipistrelli ed enormi
ragni di cartapesta, alambicchi, un improbabile libro di magia, un finto
calderone contenente una poltiglia verdastra e una vecchia scopa pronta
all’uso, nel caso la strega volesse prendere il volo, pensò Camille.
Si sedette con un gran sospiro al tavolo e prese una carta dal mazzo di
tarocchi, ma non la girò.
Che senso aveva voler conoscere il proprio destino prima che accadesse?
Eppure, non le sarebbe dispiaciuto sapere cosa stesse facendo Raleigh in quel
momento.
Perché la testa le girava così? E perché aveva tanta voglia di ridere?
Le giunsero le voci degli invitati, ancora presi da quello stupido gioco.
Camille tese l’orecchio.
***
Quando Raleigh si girò, Camille era già sparita e Ken Benton lo fissava con
aria vittoriosa.
Aveva accettato di partecipare a quello stupido gioco e barato in modo
spudorato per dimostrare a Camille… Che cosa? Se avesse voluto
semplicemente baciarla, non avrebbe avuto bisogno di quella messa in scena.
Avrebbe trovato l’occasione per farlo e in modo molto più discreto. E
appassionato.
Doveva esserci dell’altro.
Forse aveva partecipato per gioire dell’espressione delusa di Ken Benton
quando Camille si fosse persa nelle sue braccia. O forse per spiegare senza
giri di parole a quei damerini, così ridicoli nelle loro fasulle camicie da
contadini, che chiunque avesse messo gli occhi su Camille avrebbe dovuto
poi vedersela con lui e con i suoi pugni. Voleva che fosse chiaro a tutti,
soprattutto a Benton, che Miss Brontee non era terra di conquista.
Si concentrò sulle altre Miss C. Tutte belle, tutte desiderabili. Lo colse la
voglia di baciarle come nessuna di loro era stata mai baciata, una piccola
ritorsione nei confronti di Camille. Che era fuggita via come una codarda.
***
Camille non rimase seduta a lungo. Ben presto si alzò e si mise a spiare ciò
che succedeva là fuori. Nascosta dietro la tenda, osservò Raleigh avvicinarsi
a Charlotte.
Giovanissima, lo guardava con occhi dolci, chiari come il cielo. Tremava
leggermente, forse pensando a come avrebbero reagito i suoi premurosi
genitori se avessero saputo che stava per essere baciata dal lupo cattivo.
Raleigh le diede un bacio sulla guancia e subito si ritrasse.
Un bacio innocente toccò pure a Claire e a Christine, ma quando fu la volta
di Claudette, la temperatura sembrò alzarsi di colpo e il silenzio si fece
innaturale.
«Claudette, anche voi? Cosa dirà il vostro fidanzato?» chiese Raleigh
camuffando l’evidente disagio con un tono scherzoso.
Camille trattenne il fiato. Claudette era bellissima e sembrava che ci fosse
qualcosa fra lei e Raleigh…
«Come sempre non dirà niente!» rispose lei mostrando un sorriso
smagliante.
Tutti risero. Compreso il fidanzato.
Claudette Neville, oltre che sfacciata, era un’abile civetta e non faceva
nulla per nasconderlo. Quando Raleigh le posò le labbra sulla guancia, lei
girò il viso di scatto e le loro bocche si incontrarono.
***
Dannazione! pensò Raleigh staccandosi da Claudette come se fosse stato
punto da una vespa. Si chinò a baciarle la mano sorridendo a beneficio dei
presenti e con un solo sguardo lei gli promise il paradiso in terra. E con un
solo sguardo lui le rispose no.
«Allora, Raleigh, hai già scelto la fortunata da impalmare?» chiese
qualcuno.
«Volete sapere troppo, amici miei! Se ve ne rivelassi il nome, l’incantesimo
si spezzerebbe e addio fiori d’arancio!» rispose Raleigh sotto lo sguardo
sognante di Charlotte, Christine e Claire e quello malizioso e divertito di
Claudette. Poi si girò su se stesso come se stesse cercando qualcuno, e non
con intenti pacifici a giudicare dall’espressione del viso.
***
Col cuore che batteva impazzito, Camille lasciò ricadere all’improvviso la
tenda, terrorizzata al pensiero che lui si fosse accorto di lei.
Un hic.
E poi un altro, e un altro ancora.
Cercando rifugio nell’angolo più buio dell’antro, si fece piccola piccola,
mentre l’orchestra riprendeva a suonare. Se fosse rimasta nascosta lì dentro,
forse la musica avrebbe coperto quell’orribile singhiozzo e Raleigh non
l’avrebbe trovata.
Ma come resistere alla tentazione di scostare la tenda e dare un’altra
sbirciatina fuori?
Tornò alla tenda, allungò il collo e…
Ooops!
Raleigh era a pochi metri da lei e stava guardando con un sorriso
indisponente nella sua direzione.
La cosa si metteva male. Le venne la tentazione di fuggire, ma le gambe
sembravano non risponderle. E quell’odioso singhiozzo, poi! Che, dopotutto,
fosse davvero ubriaca?
Col cuore in tumulto, mise di nuovo il naso fuori dalla tenda.
Quell’uomo insopportabile era ancora lì! Perché non se ne andava?
E perché ora si stava dirigendo a passo di marcia verso l’Antro della strega
con quel preoccupante cipiglio sul volto?
Cielo! Devo uscire di qui.
Poi l’alcol che le circolava nel sangue le infuse coraggio. E, invece di
fuggire, decise di prendere il toro, ovvero Raleigh, per le corna. Strappò un
drappo da una parete e si diresse veloce verso il calderone contenente quella
strana poltiglia verde.
***
Diavolo! Doveva trovare Camille, la codarda gli doveva un bacio.
Dopo averla cercata in ogni angolo della grande sala e del cortile esterno,
era tornato sui suoi passi. Qualcosa non tornava. Non poteva essersi dissolta
nel nulla, neppure nella notte di Halloween.
Già, la notte di Halloween. Si ricordò di aver visto qualcosa muoversi
dietro a una tenda.
Un sorriso gli illuminò il volto.
Camille dev’essere sempre rimasta nascosta lì. Se solo avessi allungato un
braccio, l’avrei presa. E poi avrei potuto…
Con ben impresso nella mente ciò che avrebbe potuto farle, a lunghi passi
Frank Raleigh tornò indietro. Scostò la tenda ed entrò. L’ambiente piccolo e
poco illuminato ospitava un tavolo e due sedie. Ingobbita su una di queste,
una donna avvolta in un mantello di stracci stava disponendo i tarocchi
davanti a sé.
Frank Raleigh alzò un sopracciglio, sorrise ed entrò.
***
Eccolo. Era quasi contenta che fosse arrivato, che l’avesse scoperta. Colpa,
o forse merito, di quel liquido che andava giù come l’acqua, ma che bruciava
come il fuoco, se all’improvviso si sentiva tanto coraggiosa.
Forse poi non così coraggiosa. Il modo in cui lui la stava fissando la
induceva a pensare che avesse delle spiacevoli intenzioni nei suoi riguardi.
Che Raleigh fosse un cacciatore di streghe e volesse bruciarla?
Un brivido l’avvolse in una calda spirale.
Rimanendo muta, gli fece cenno di sedersi.
Hic!
***
Frank si sedette e nella luce fioca cercò di studiare il viso della donna. Una
cappa nera – per la verità assai simile ai drappi che pendevano dalle pareti –
la copriva dalla testa ai piedi, ricadendole in parte sul viso.
Gli sarebbe bastato strapparle di dosso quello straccio per smascherarla.
Non ancora. Desiderava centellinare la sua vittoria.
«Vorrei sapere cosa mi riserva il futuro, strega. Vorreste illuminarmi?»
Si sporse verso di lei e sentì un odore familiare. Di… vodka?
La strega prese il mazzo di carte e, del tutto a caso, ne distese dieci in
un’unica fila.
«Non sono una strega, sono una cartomante» disse in tono oltraggiato. Poi
le scappò un altro sonoro hic.
«Per me siete una strega» rispose lui scoppiando a ridere. Poi le guardò le
mani. Quelle di Camille erano delicate e belle. Quelle della donna che gli
stava di fronte erano... verdi?
«Non riderei troppo, se fossi in voi!» lo rimbeccò lei con voce minacciosa.
«Vorreste forse spaventarmi?»
La strega emise un humpf e senza rispondere estrasse dal mazzo altre carte.
Ora che i suoi occhi si erano abituati alla penombra, Raleigh si accorse che
anche quel poco che riusciva a scorgere del viso di lei appariva decisamente
verdastro.
«Girate cinque carte» intimò la strega con voce cavernosa.
Raleigh faticò a rimanere serio.
Alla prima carta, lei scosse la testa. Alla seconda emise un sospiro. Dalla
terza alla quinta cominciò a muoversi scompostamente sulla sedia, come se
una maledizione terribile stesse per rovesciarsi su di lui. O forse su tutto il
mondo.
«Dunque? Dite, strega, è davvero tanto spaventoso il mio futuro?» chiese
Raleigh fingendosi terrorizzato.
Con voce roca lei cominciò a parlare.
Lui sollevò entrambe le sopracciglia, sorpreso. Non solo Camille aveva la
pelle verde, ma era pure ubriaca. Di vodka. Era stato forse Ken a farla bere?
Al solo pensiero, strinse i pugni e serrò la mascella, pensando al piacere che
avrebbe provato a tirargli un cazzotto sul naso.
«Vedo una donna…»
«Anch’io la vedrei, se potessi definirvi tale.»
«Tacete, maschio arrogante e crapulone, e ascoltate! Hic!»
Batté con forza la mano sul tavolo.
Lui non riuscì a sopprimere un risolino. Arrogante e crapulone! Camille
era... divertente.
«Vedo una donna…»
«Una sola?»
«Tacete, vi ho detto!»
«Vedo una giovane donna...» riprese.
Alla luce rossastra della lanterna, il sorriso di Raleigh assunse un che di
diabolico.
«Pronta a darsi a voi…»
«Questa profezia comincia a piacermi, strega.»
«Ma, ma...» ripeté Camille con enfasi puntandogli contro un indice
verdastro, «non lo farà sino a quando non sarà sicura delle vostre intenzioni!
E lo sarà quando le darete un pegno del vostro amore!»
Forse per rendere più convincente quella sua fantasiosa asserzione, o forse
a causa della vodka che le circolava allegra nelle vene, prese in mano una
carta qualsiasi, per combinazione proprio quella raffigurante gli Amanti, e
gliela sventolò sotto il naso.
«Non mi piacciono i pegni, non mi piace sentirmi in trappola, neppure per
una donna» si lamentò lui.
«Eppure le carte dicono in modo chiaro che sarete pronto a offrirle il pegno
che lei vi chiederà.»
Gli sventolò sotto il naso un’altra carta a caso: l’Eremita.
Lui sbuffò. «E quale sarebbe questo pegno?»
«Dimenticarvi di lei.»
«Che diavolo!» sbottò lui. «Una giovane donna è pronta a infilarsi nel mio
letto e io dovrei dimenticarmi di lei? Che senso avrebbe? Siete proprio sicura
di saper leggere le carte, strega?»
«Come osate, maschio…»
«…arrogante e crapulone. L’avete già detto» la interruppe lui.
«Ma» proseguì Camille puntando ancora il dito verdastro contro di lui, «c’è
una seconda condizione. Se questa notte un raggio di luna si poserà sulle
labbra della donna che desiderate, e in quel preciso momento voi la bacerete,
lei sarà vostra. Per sempre. È il Mago» disse battendo l’indice sul Carro, «a
predirlo.»
«Ne siete proprio sicura?»
Raleigh si sporse attraverso il tavolo, incerto se smascherarla subito o
divertirsi ancora un po’. Di solito le donne ubriache erano una lagna unica,
Camille invece era effervescente, per non dire comica!
«Il vostro scetticismo mi offende. Ora dovreste andarvene, altri attendono
di conoscere il loro destino. Hic!»
«Un raggio di luna.»
«Esattamente.»
«Sulle sue labbra.»
«Ho già parlato, e in modo esplicito. Ora via, sciò.» E nel dire ciò raccolse
la scopa che aveva deposto ai suoi piedi e lo minacciò.
Raleigh scoppiò a ridere di nuovo e aggiunse: «Quando lo racconteremo ai
nostri figli, non ci crederanno!»
Si fissarono per qualche istante sbigottiti, i volti all’improvviso seri, il
respiro bloccato in gola.
Ai nostri figli.
Che diavolo gli era passato per la testa? Lui non voleva figli. Né tantomeno
una moglie che gli desse il tormento.
«Vado, vado, vecchia megera, e seguirò i vostri consigli, contateci» disse
col cuore che batteva e una fastidiosa sensazione che gli serpeggiava in
corpo.
Uscì dal granaio a passi lunghi e veloci, in cerca di un po’ d’aria fresca che
gli schiarisse le idee. Quando alzò gli occhi e vide i raggi della luna brillare
nel buio, le parole pronunciate dalla strega lo fecero quasi vacillare.
Se questa notte un raggio di luna si poserà sulle labbra della donna che
desiderate, e in quel preciso momento voi la bacerete, lei sarà vostra.
Sorrise.
Il pensiero che la bislacca profezia di Camille avrebbe potuto realizzarsi
proprio quella notte gli donò un brivido di eccitazione, se non addirittura di
speranza.
Perché no, in fondo? La notte era ancora lunga.
***
Circa un’ora più tardi, Mrs Campbell e Miss Brontee salirono in carrozza
pronte a rientrare in Washington Square.
«Mio marito ci raggiungerà subito, cara. Dimmi, ti sei divertita?»
«Non sapete quanto, signora. Ma sono talmente stanca che temo di crollare
addormentata sulla via del ritorno.»
«E che male c’è, mia cara? Io adoro schiacciare un pisolino cullata dal
movimento della carrozza.»
Sedute una di fronte all’altra, le due donne spartirono una coperta e
appoggiarono il capo sul soffice poggiatesta. Quando, poco dopo, Mr
Campbell e Mr Raleigh salirono in carrozza, le trovarono entrambe
addormentate. Ben presto anche Mr Campbell cedette alle lusinghe di
Morfeo.
Accanto a Camille, Raleigh sorrise e le sfiorò con dita leggere il volto, in
attesa che un raggio di luna attraversasse il buio della notte per posarsi su
quelle labbra morbide e desiderabili.
Moody, il suo cavallo, trotterellava leggero dietro di loro.
9
Lo individuò ancor prima di uscire dalla powder room. Come calamitati, gli
occhi di Camille si posarono sull’imponente figura di Raleigh, sui suoi
capelli scuri che dolcemente sfioravano il colletto della camicia immacolata.
Le dava le spalle mentre parlava con un uomo di mezza età di un argomento
che sembrava appassionare entrambi. Donne? Politica? Per quanto
interessante, Raleigh se ne sarebbe subito scordato non appena l’avesse vista.
Con quell’abito indosso.
E se le avesse fatto una scenata?
«Pronta?» chiese a Jenny prendendo un gran respiro.
«Prontissima!» rispose questa, trascinando di fatto Camille.
Sulle prime non si rese conto che molti sguardi si erano posati su di lei. Che
Ken Benton stava lottando con se stesso per non correrle incontro. Che
all’improvviso un sinistro silenzio era caduto nella stanza. Per la verità non si
accorse di nulla se non di Raleigh che con lentezza esasperante ruotava su se
stesso. Ancora mezzo giro, una frazione di secondo, e i loro sguardi si
sarebbero incrociati…
Et voilà.
Ora non c’era più modo di sfuggirgli, la stava fissando. Un lampo di
magnesio rischiarò la sala, per altro già sfavillante di luci, e Mr Roesveg poté
immortalare il proprio editore mentre fissava attonito la sorprendente
scollatura di Miss Brontee.
Camille era sicura che Agnes avrebbe apprezzato quello scatto.
Raleigh sgranò gli occhi e spalancò la bocca finché non ne scaturì una a
sorpresa e peraltro muta. La mascella gli cadde un poco verso il basso,
facendolo assomigliare per qualche istante a un tonno appena pescato.
Camille assaporò quell’attimo come una piccola vittoria, resa ancora più
gloriosa dal fatto che Ken si stava dirigendo verso di lei più velocemente di
Raleigh.
Se uno dei due non avesse rallentato, avrebbero finito per scontrarsi
frontalmente, con esiti imbarazzanti. O meglio, comici.
***
Lo sconcerto, per Frank Raleigh, arrivò subito dopo e si manifestò con il
cambiamento della forma delle labbra, che da una a passarono a formare una
u. Cercava di spiegarsi come mai l’abito che aveva scelto per Camille
apparisse così diverso. A parte il colore, naturalmente, e la lunghezza della
gonna. O Madame Renard era una perfetta cretina o nel frattempo era
successo qualcosa di inspiegabile.
Non c’era cosa al mondo che per Raleigh non potesse avere una
spiegazione. E la sua razionalità in quel momento gli suggeriva che quella
trasformazione, che si concentrava particolarmente sul corpetto dell’abito di
Miss Brontee, non potesse essere casuale. In altre parole, era stato preso
bellamente in giro! Da Camille, naturalmente, su cui sembravano puntati gli
occhi di tutti i maschi presenti. E non c’era da stupirsene, visto che era quasi
nuda.
Gli occhi di Raleigh si strinsero in due fessure minacciose.
Per battere sul tempo Ken che si stava avvicinando veloce, allungò il passo,
ma all’improvviso un’ombra viola gli bloccò la strada.
Claudette.
«Miss Neville!» mormorò Raleigh, e non in un saluto di benvenuto.
«Frank, aspettavate forse me? Trovo così eccitante fare il mio ingresso al
ricevimento con voi. Potrei anche ricompensarvi… sapete come, vero?»
«No, non aspettavo voi, Claudette. Fareste meglio a raggiungere il vostro
fidanzato, invece, ed evitare di rendervi ridicola, almeno per una volta»
rispose lui a denti stretti.
Lei sorrise in modo malizioso e si sventagliò come se lui le stesse
rivolgendo il più galante dei complimenti.
«Frank, volete davvero liberarvi di me? Eppure, quella notte, non sembrava
vi dispiacessero le mie attenzioni» rispose chiudendo il ventaglio con un
colpo secco.
Per l’ennesima volta Raleigh maledisse la propria stupidità di maschio.
«Forse vi siete scordata che quella notte vi ho anche respinta, Miss Neville.»
Miss Neville si concesse un sospiro civettuolo. «E ricordo anche quanto vi
sia costato. Eravate tutto rosso in volto e decisamente… avete capito, no?
Siete stato uno stupido a non afferrare l’occasione al balzo, Frank.»
«Al contrario, non ho mai avuto tanto buon senso in vita mia.»
Claudette sorrise a solo vantaggio dei presenti, poi, civettando senza
ritegno, lo prese sottobraccio e si strinse in modo provocante a lui. In una
stanza piena di gente. Col suo fidanzato a pochi metri. E con i fotografi di
almeno tre giornali pronti a scattare!
Un altro lampo al magnesio, un’altra fotografia.
Raleigh imprecò fra sé e con un diavolo per capello guardò verso Camille.
Come se già non ne avesse avuto abbastanza della farsa che Miss Brontee
aveva messo in scena, vide Ken che si chinava a baciarle la mano, come un
perfetto gentiluomo, quale lui non sarebbe mai stato.
Incurante di quanto quella piccola vipera di Miss Neville stava
sussurrandogli, Raleigh continuò a seguire ogni respiro di Camille. Con
sollievo si accorse che sembrava essersi già stancata del perfetto gentiluomo e
che si stava accomiatando da lui con una frase gentile che Raleigh, in quel
momento di dissesto emotivo, interpretò così: Vi raggiungerò nel vostro
appartamento, Ken, a mezzanotte in punto.
Istintivamente le mani gli si strinsero a pugno, pronte a colpire il naso di
Ken o di chiunque gli fosse transitato troppo vicino.
Lasciato Benton al suo destino, Camille sembrava ora intenzionata a…
raggiungerlo? Sì, si stava dirigendo verso di lui, con un’espressione angelica
sul volto ma con un luccichio diabolico e vittorioso in fondo agli occhi.
Non certo di voler stare al gioco di lei, Raleigh si irrigidì, pronto a passare
dalla difesa all’attacco.
«Perdonate il ritardo, Mr Raleigh, ma sono certa che già sappiate cosa
succede quando una donna e uno specchio si imbattono l’una nell’altro»
disse, tutta frivolezza e gorgheggi. «Ora sono pronta.»
Non che Raleigh non se ne fosse accorto...
Poi, rivolgendosi a Miss Neville, continuò: «Perdonatemi Claudette se mi
intrometto, ma Mr Raleigh deve presentarmi ad alcune persone. Sapete, per il
giornale…» aggiunse alzando gli occhi al cielo, quasi fosse una condannata
ai lavori forzati.
Quindi squadrò Raleigh con intensità.
Perché mi fissa in questo modo? pensò lui, e rimase così, senza sapere bene
cosa fare, ammaliato dalla sua bellezza e stupito dalle sue parole.
«Mr Raleigh?» insistette lei.
Quando Camille gli rifilò con mossa veloce ed elegante una gomitata nel
costato, Raleigh finalmente si risvegliò dal suo torpore. «Ehm, già, scordavo.
Mrs Boldt ci attende, Miss Brontee. Venite, Claudette, vi affido al vostro
fidanzato» bofonchiò sentendosi un emerito imbecille.
E così fece, in preda a una collera crescente. Con al braccio Camille e
Claudette raggiunse quello sprovveduto di Michael Sandford, seguito da
occhi invidiosi e avidi di pettegolezzi, poi, con la sola Camille al fianco, la
serata gli apparve all’improvviso meno catastrofica.
«Suppongo che vi aspettiate un formale ringraziamento per avermi salvato
da Claudette. A cosa si deve tanto altruismo? Siete forse gelosa, Miss
Brontee?» le chiese mentre facevano il loro ingresso nel salone principale.
Altre fiammate di magnesio, altri scatti, altri mormorii.
«Non sarei gelosa di voi neppure se foste l’ultimo uomo sulla Terra»
sussurrò lei, sorridendogli a denti stretti.
«Bugiarda.»
«Illuso.»
«Volete scommettere?»
Lei si fermò di colpo e lo guardò sorpresa. «Per quale assurda ragione
ritenete che dovrei essere gelosa di voi, Mr Raleigh?»
«Perché, liberandomi da Claudette, il vostro intento era solo quello di
eliminare dal campo una possibile rivale…»
«Quanta sicurezza! Per non dire sicumera…» mormorò Camille.
Lui sorrise. «Lo ammetto. Sono così sicuro di me da scommettere, Miss
Brontee, che ora della fine della serata sarete di nuovo divorata dalla
gelosia.»
«Signore!» protestò lei, stando al gioco. «Fareste meglio a scommettere il
contrario!»
«Il contrario, dite, Miss Brontee? E cioè?»
«Prima della fine della serata sarete voi a essere tormentato dalla gelosia.»
Come se già non lo fossi...
«Siete buffa, Miss Brontee, sapete? Io geloso di voi?» Scoppiò a ridere per
nasconderle l’imbarazzo e la sua risata contagiò Camille, che rovesciò il capo
all’indietro e si abbandonò all’ilarità, quasi si stesse concedendo a un amante.
A quella vista Frank vacillò, ormai certo che avrebbe perso quell’assurda
scommessa.
«Dunque, Mr Raleigh, accettate?»
«Non solo accetto, Miss Brontee, ma mi comporterò da gentiluomo
permettendovi di scegliere la penitenza.»
Lei aggrottò le sopracciglia, fingendo di riflettere. Poi gli puntò un indice
contro e disse: «Se sarete voi a perdere, mi concederete l’intervista che vi ho
chiesto».
«E… in caso contrario?»
«Non perderò, Mr Raleigh.»
«Nondimeno, una posta è necessaria.»
«Proponetene una voi, allora» disse civettando apertamente.
In una frazione di secondo la mente di Raleigh si affollò di penitenze
improponibili, nessuna delle quali prevedeva l’uso di vestiti. Con dispiacere
le accantonò tutte consolandosi con una proposta più accettabile.
«Dopo il ricevimento mi concederete il piacere di accompagnarvi in
carrozza lungo i viali di Central Park. La notte è bellissima e non fredda e…
Sapete cosa si dice, vero?»
Camille scosse la testa.
«Si dice che porti fortuna passeggiare nel parco con la luna piena» mentì
con fare innocente.
***
«Davvero? È la prima volta che lo sento dire» ribatté Camille, ironica.
Lui le sorrise promettendole il paradiso e Camille fu certa che a breve
sarebbe precipitata tra le viscere dell’inferno.
Sola in carrozza con Raleigh, e per di più con la luna piena a rendere
magica quella notte? Sarebbe stato più sicuro seguire il diavolo tra le fiamme.
Che non le erano mai parse tanto allettanti.
Aprì il ventaglio di scatto e lo fece ondeggiare davanti al viso senza mai
distogliere gli occhi da quelli di Raleigh, come se stesse valutando la sua
proposta. Poi, con un altro colpo secco, lo richiuse.
«Dal momento che sono certa di vincere, accetterò la scommessa, Mr
Raleigh. In effetti, non vedo l’ora di inter…»
«E io di rapirvi a questa gente e mostrarvi alcuni incantevoli scorci del
nostro parco» la interruppe lui con aria angelica.
Le labbra di Camille si curvarono in un sorriso divertito.
«Risolveremo la questione più tardi, Mr Raleigh! Ora è meglio che mi dia
da fare: il mio editore non gradirebbe vedermi – come ha detto? – fare la
smorfiosa con metà degli scapoli di New York. Penso che includesse anche
voi. Quindi, se volete scusarmi…»
«Touché» rispose Raleigh, divertito. Poi, facendosi all’improvviso serio, le
prese una mano tra le sue. «Il vostro editore è un imbecille. Non dategli retta,
Miss Brontee.»
Camille sentì il sorriso svanire, le ginocchia cedere e la pelle incendiarsi al
tocco di lui. Quando le fiamme si irradiarono anche al ventre e al volto, fu
assalita dal desiderio di fuggire. Solo che non riusciva a muovere un solo
dito.
Per qualche istante Raleigh fu padrone di vagare con lo sguardo su di lei,
sulle sue labbra socchiuse e umide e sul seno che si alzava e abbassava al
ritmo accelerato del respiro.
Camille vacillò sotto il peso di quello sguardo. Le voci intorno a lei
tacquero e i colori si spensero, tutti, tranne il blu degli occhi di Raleigh che
inondò ogni cosa. Sentì le dita di lui stringersi intorno al suo polso e poi
afferrarle il cuore, quasi ne avesse il diritto, quasi lei fosse sua.
Sua.
Con un respiro profondo tornò alla realtà. «Vi prego, ci stanno osservando»
mormorò, ma la sua voce uscì tremante. E per nulla convinta.
***
Tanta innocente sensualità mise a tacere il lato più nobile di Raleigh e
sprigionò quello più aggressivo. Ebbro del potere che in quel momento era
certo di esercitare su di lei, reagì a quella supplica con uno sguardo vittorioso
e un respiro profondo, carico di desiderio. Oh, per la verità se ne sarebbe
infischiato volentieri dei molti occhi che li stavano fissando, se solo Miss
Brontee l’avesse incoraggiato almeno un po’. O forse anche se non l’avesse
fatto, perché ormai era sul punto di trascinarla fuori da quella sala e da quella
città con il solo scopo di farle conoscere il vero Frank Raleigh e le molte cose
che il vero Frank Raleigh sarebbe stato felice di mostrarle…
E chissà, forse non avrebbe più opposto indugi a quel suo piano se il
provvidenziale avvicinarsi di un valletto con un vassoio carico di coppe di
champagne non lo avesse costretto a tornare a più civili comportamenti.
Indeciso se ringraziare il cameriere o se prenderlo per il collo, con un
perfetto baciamano Raleigh liberò il polso di Miss Brontee, poi prese dal
vassoio due coppe ghiacciate e gliene porse una.
Entrambi ricominciarono a respirare.
Come se nulla fosse accaduto.
«Temo di non poter rimanere con voi per tutta la serata, signore. Il mio
editore probabilmente mi licenzierebbe se lo facessi.»
«Avrebbe anche un’altra ragione per licenziarvi, signorina.»
Camille batté le ciglia, bevve un altro sorso di champagne, poi lo fissò con
meraviglia. «Quale, se mi è concesso chiedere?»
Dio che bastardo era stato! Stupido, arrogante bastardo.
Non aveva resistito alla tentazione di corteggiarla come un uomo delle
caverne di fronte a tutta New York, di trasformarla in fuoco vivo nelle sue
mani, solo per dimostrarle che avrebbe potuto prenderla anche in quel
momento, se solo lo avesse voluto.
E la colpa di chi era? Ma di Miss Brontee, e di chi, sennò?, che aveva il
potere di incendiarlo come una torcia, e di irritarlo, e di fargli tremare le
ginocchia e battere il cuore all’impazzata. Per non parlare di quel vestito che
si era messa, di quella stupida scommessa che gli aveva strappato e della
gelosia che lo stava divorando.
Si portò il bicchiere alle labbra e ancora una volta fece correre lo sguardo
su Camille con calcolata lentezza, ormai certo che nonostante tutto quella
sera il Raleigh mascalzone avrebbe avuto la meglio sul Raleigh gentiluomo.
Non farle del male, bastardo, urlò una voce dentro di lui.
Con un’alzata di spalle lui la tacitò.
«Per quale ragione» chiese Camille una seconda volta, «il mio editore non
avrebbe tutti i torti a licenziarmi?»
«Forse perché indossate un abito molto diverso da quello che lui vi aveva
chiesto di indossare?»
«Ve ne siete accorto, dunque!»
«Mi credete cieco? O stupido?»
Camille sorrise. Quindi, aprendo con un solo e plateale gesto il ventaglio,
scoppiò a ridere e con passo deciso si diresse verso la patronessa del
ricevimento, Mrs Louise Kehrer Boldt.
Incredulo per non avere avuto l’ultima parola, Raleigh la guardò
allontanarsi, fasciata in quel dannato abito che per tutta la sera avrebbe
attirato l’attenzione di ogni maschio presente.
Ancora una volta il bel viso di Raleigh fu il campo su cui espressioni e
sentimenti opposti si diedero battaglia: lo sconcerto ebbe la meglio sullo
stupore, ma fu l’umano desiderio di rivalsa – per quanto tenera e dolce fosse
– a conquistare la vittoria.
*
Nei minuti che seguirono, non la perse mai di vista, soprattutto quando il
suo acerrimo rivale, William R. Hearst, dopo esserle stato presentato, si mise
a discorrere con lei con la stessa espressione di un falco pronto a colpire una
colomba. Raleigh stava già per muoversi nella loro direzione, quando con la
coda dell’occhio scorse i due fratelli Benton avvicinarsi: Jenny tutta
sorridente, Ken come un bull terrier pronto ad azzuffarsi.
D’istinto strinse i pugni e serrò la mascella.
«Jenny, Ken, piacere di vedervi» disse quando lo raggiunsero.
«Frank! Perché quella faccia scura?» chiese la giovane Benton, senza peli
sulla lingua.
Ken seguì con una certa platealità la direzione dello sguardo di Raleigh.
«Già, sorellina. Sembra proprio che Frank stia sulle spine per qualcosa. O
forse sarebbe meglio dire per qualcuno?»
«Benton, non sono dell’umore» ribatté Raleigh, e non con simpatia.
Il fatto era che non aveva alcuna intenzione di starlo ad ascoltare.
Immaginava cosa gli avrebbe detto, e non gli piaceva. Non voleva che
l’integerrimo Mr Benton gli ricordasse chi, fra loro due, fosse l’uomo più
adatto a Camille, quello che avrebbe potuto offrirle un futuro felice, sicuro e
dannatamente noioso.
No, quella sera si sentiva scorrere nelle vene il sangue del libertino, non
quello del gentiluomo, e non avrebbe permesso né a Benton né alla sua
noiosa coscienza di allontanarlo da Camille.
*
Alla cena sontuosa seguirono i discorsi di Mrs Boldt e del dottor Ramsey
che avrebbe diretto il nuovo ospedale pediatrico nel Bronx, per la cui
costruzione quella sera si raccoglievano i fondi. Nessuno parlò di denaro, ma
dall’espressione raggiante di Mrs Boldt e dalle sue parole di ringraziamento,
Raleigh dedusse che la cifra raccolta dovesse aver già superato quella
necessaria per iniziare i lavori.
Con la coda dell’occhio, non smise mai di osservare Camille, impegnata a
conversare con diversi ospiti, e immaginò che, in modo garbato, stesse
raccogliendo opinioni e commenti per il suo articolo. Sorrise, orgoglioso di
lei, orgoglioso di come, in poche settimane, fosse riuscita a farsi accettare in
redazione e in una società spesso crudele e intransigente.
Alla fine, con sua immensa gioia, la cena e i discorsi terminarono e le
signore si affrettarono alle toilette per incipriarsi il naso, mentre ai signori
vennero serviti i liquori.
Poi, venne annunciata l’apertura delle danze e tutti si diressero nel salone
dove si sarebbe tenuto il ballo.
Quando Raleigh la rivide, Camille si trovava nei pressi di una delle grandi
finestre che conducevano al famoso jardin d’hiver dell’Astoria in compagnia
di un gruppo di giovani ospiti, tra i quali Jenny e Ken: conversava, scherzava,
rideva anche, ma gli bastò uno sguardo per essere certo che aspettasse solo
lui.
Temendo che Ken la invitasse per il primo ballo, accelerò il passo,
schivando le coppie che già si muovevano verso il centro della sala.
In poche falcate le fu vicino, in tempo per vedere Jenny e il giovane
Stapleton allontanarsi verso la pista da ballo, seguiti da Ken e Charlotte.
Salutò con un cenno del capo le due coppie, ma evitò di sventolare sotto gli
occhi di Benton lo stendardo del vincitore. Non aveva dubbi che lui l’avesse
invitata e che Camille gli avesse detto di no.
***
Per un tempo che le parve infinito, Camille temette che Raleigh si fosse
scordato del loro valzer, ma, all’improvviso, sentì il suo sguardo
accarezzarla: alzò gli occhi e lo vide avvicinarsi tra le coppie che andavano
formandosi. Una visione che le tolse, con il respiro, ogni sicurezza.
Nessun suono le uscì dalle labbra, se non un gemito soffocato e un po’
buffo, quando lui le catturò la mano.
Raleigh si inchinò appena, poi, con un gesto possessivo che la fece
vacillare, le sfiorò con le labbra il palmo della mano prima di aprire il carnet
de danse che lei portava allacciato al polso sinistro.
Il primo rigo era in bianco.
Un sorriso sfacciato gli illuminò lo sguardo.
«Temevo ve ne foste dimenticata, Camille.»
«Come avrei potuto?» rispose lei in un sussurro che si infilò nel cuore di
Raleigh insieme all’ennesima freccia di Cupido.
Senza sapere come, si ritrovarono al centro della sala, gli occhi negli occhi,
soli in mezzo a decine di altre coppie. Raleigh le cinse la vita con dita leggere
eppure forti, determinate, calde, e le strinse la mano destra nella sua. E
quando lei gli posò la sinistra sulla spalla e i loro corpi si sfiorarono, Camille
lo sentì tremare.
Il valzer iniziò al suono sottile di un violino. Dolce, romantico, struggente.
Raleigh strinse a sé Camille più di quanto non avrebbe dovuto, forse
sperando che quell’intimità potesse durare per sempre. Camille si abbandonò
a lui e al ritmo del suo cuore, ogni respiro di lui un bacio segreto che le si
posava sul viso.
Ballarono nutrendosi degli sguardi e del tocco delle mani dell’altro.
Ballarono interrogandosi silenziosamente sul loro domani, chiedendosi se
mai il futuro avrebbe potuto essere come quel valzer, dolce e tanto inebriante
da far girare la testa.
Poi il valzer terminò.
***
Il secondo valzer Camille lo danzò con Benton. E pure il quinto. Al termine
di questo si sentiva sfinita e oltremodo accaldata.
«Venite» le disse Ken prendendo al volo due coppe di champagne e
porgendogliene una. «Andiamo qualche minuto in veranda, a respirare una
boccata d’aria fresca.»
Il piccolo alterco con Raleigh e il fatto di aver passato quasi metà della
serata in compagnia di Camille lo avevano reso più sicuro di sé, tanto da non
aver quasi mai ceduto alle balbuzie.
«È champagne, questo, Ken? Volete farmi ubriacare, forse? È la terza
coppa che mi costringete a bere. Devo pensare male di voi?»
Una domanda retorica e scherzosa, alla quale fu tentato di rispondere
seriamente: Non sono Raleigh, Camille. Invece disse: «Non ci si ubriaca per
qualche coppa di champagne, Camille, con la vodka, invece, sì».
«Come vi permettete, signore, di ricordarmi un episodio di cui mi vergogno
ancora?» rispose lei, fingendosi offesa e colpendolo sul braccio con il
ventaglio in un gesto lieve, privo di malizia. Che lui, invece, interpretò come
un gesto intimo, affettuoso, che gli regalò una disperata speranza.
«Mi assumo tutte le responsabilità, per la vodka e per lo champagne che vi
farò bere stasera.» E per il resto della nostra vita, avrebbe voluto aggiungere.
«Basta champagne, Ken. Sareste invece così cortese da andare a prendermi
una limonata? Vi aspetterò fuori.»
***
Passando attraverso una delle molte portefinestre del salone, Camille si
ritrovò nel giardino d’inverno che correva come una cornice intorno al
diciassettesimo piano dell’Astoria. L’aria era fresca e profumava di terra
bagnata e agrumi. Si avvolse nello scialle di chiffon e si guardò intorno: si
trattava di un vero e proprio giardino, illuminato da lampioncini orientali e
fitto di vegetazione. Seguì il sentiero che portava al parapetto, attirata dalla
brezza proveniente da una delle vetrate socchiuse. Senza accorgersi di chi la
stava seguendo, raggiunse un punto da cui avrebbe potuto ammirare il lungo
nastro della Quinta Avenue, che pulsava di vita e luci anche di notte.
Già…
Un brivido, morbido come una carezza, la colse di sorpresa mentre la
mente tornava a Raleigh. All’intimità che li aveva uniti quella sera. Alla
scommessa che era stata tanto pazza da accettare: cosa sarebbe successo se
fosse stato Raleigh a vincere?
O se lei gli avesse concesso la vittoria? Una passeggiata in carrozza nel
parco, sola con lui, non valeva forse quel piccolo, innocente sotterfugio?
Innocente? Non proprio.
Un malizioso sotterfugio, semmai, del quale forse si sarebbe pentita.
I passi di Benton risuonarono alle sue spalle e nel girarsi per accoglierlo udì
provenire da un angolo alla sua destra un fruscio di seta, seguito dal risolino
alticcio di una donna. E quando vide un riflesso viola baluginare tra le ombre
e qualcosa di candido come un papillon bianco sfavillare tra le foglie, seppe
che quella serata non sarebbe stata poi tanto perfetta e che la scommessa con
il suo editore era davvero persa.
Certo non poteva esserne sicura, ma la gelosia che l’aveva trafitta maligna
non cessava di sussurrarle due brevi parole: è lui. Dopo le tacite promesse
che quella sera si erano scambiati, dopo gli sguardi carichi di desiderio e di
anticipazione, poteva essere veramente Frank Raleigh l’uomo nascosto in
quell’angolo con Miss Neville?
Un altro risolino. Questa volta lo sentì anche Benton, che forse riconobbe
sul viso di Camille i segni aspri della delusione.
«Camille» disse Ken, quasi volesse proteggerla.
Senza pensare, lei fece allora qualcosa di stupido, di molto stupido: gli
chiese di baciarla. Non per ripicca, non per vendetta, ma solo perché sperava
con tutto il cuore di trovare in quel bacio una tranquilla soluzione al suo
problema. Un problema che si chiamava Frank Raleigh.
***
«Volete che vi baci?» le chiese Benton senza nascondere il proprio stupore.
«Tacete e fatelo, Ken.»
«Non vi dirò di no, Camille, vi desidero troppo per non approfittare della
situazione.»
Le cinse la vita e l’attirò a sé. Lei chiuse gli occhi, ma sul suo viso Ken non
scorse il desiderio, né tantomeno un comprensibile turbamento. Vide invece i
segni di una battaglia interiore. Vide incertezza. Vide speranza.
Non passione.
Camille lo stava semplicemente mettendo alla prova, se non addirittura
usandolo per ripagare Raleigh della sua indifferenza e per quello che forse
stava combinando con Claudette Neville a pochi passi da loro.
Ciononostante, non si tirò indietro e posò le labbra su quelle di lei con
delicatezza. Non aveva nulla da perdere, in fondo, e forse quel bacio avrebbe
risvegliato in lei un riverbero di passione.
Camille rimase immobile.
Lui la strinse a sé con maggiore determinazione e aprì le labbra,
spingendola a fare altrettanto.
Ciò che Ken stava cercando di darle con tanto trasporto era un bacio vero e
appassionato, capace di toglierle il respiro e la ragione. Un bacio cui
aggrapparsi come a uno scoglio.
Ma, per quanto perfetto fosse quel bacio, Camille non vi si aggrappò: il suo
respiro rimase costante, il battito non accelerò e nessun fremito la scosse. La
passione non la sfiorò neppure.
Così come era iniziato, il bacio si interruppe. Ken allontanò la bocca da
quella di lei, la liberò del suo abbraccio e la guardò con occhi ormai ciechi
alla speranza.
«Non ha funzionato, vero?» le chiese in un soffio.
Ma non era che una domanda retorica, a cui lei non rispose se non con uno
sguardo avvilito.
Allora la prese per mano e in silenzio la ricondusse nella sala da ballo.
Furioso con se stesso, per non essere stato capace di arrivare al cuore di
Camille neppure attraverso l’intimità sublime di un bacio. Furioso con
Raleigh, che la faceva soffrire. Furioso con Camille, per avergli negato
un’ultima, illusoria speranza.
Rimase a osservarla mentre, nonostante tutto, ancora cercava Frank con lo
sguardo, sul volto la speranza che l’uomo insieme a Claudette non fosse lui.
Ken le prese una mano fra le sue.
«Camille, permettetemi di riaccompagnarvi a casa» mormorò.
Lei rimase immobile, negli occhi ancora la speranza di essersi sbagliata.
«Sono venuta con Mr Ra…» rispose, bloccandosi a metà della frase, lo
sguardo fisso alla veranda.
In quel momento, da due porte differenti, erano comparsi Claudette, le
piume dell’acconciatura un po’ sbilenche e una foglia infilata tra i capelli, e...
Raleigh.
Scuro in volto, marciava a lunghi passi verso Camille.
E forse fu a causa del suo passo deciso e dell’aria di tempesta che si portava
dietro che lei non si accorse dell’altro uomo che stava emergendo da una
terza porta della veranda. Benton, invece, lo notò.
«Non era Frank insieme a Claudette, Camille, sono quasi sicuro che ci
fosse Philip Kauf con lei in veranda. Eccolo» aggiunse indicandoglielo con
un cenno del capo allo scopo di consolarla.
La speranza che all’istante le illuminò il volto lo colpì come una pugnalata.
Che gli attraversò il cuore e gli bloccò il respiro.
***
Senza neppure degnare Benton di uno sguardo, Raleigh prese Camille per
un braccio e con un sorriso forzato sulle labbra disse: «Ora saluteremo nel
modo più veloce possibile e ce ne andremo».
Lei lo guardò sbalordita. «Non capisco, che cosa credete di fare, Frank?»
«Quello che ho detto. Andare via da questo posto. Conoscendovi, avrete
raccolto sufficiente materiale per tre articoli, non per uno solo. Quindi…»
Camille raddrizzò la schiena e alzò il mento. «E… e se io non volessi
andarmene?»
«Preferireste fosse Benton a riaccompagnarvi a casa?»
«Non dovrebbe fare altro che chiedermelo, e sarei felice di farlo» si inserì
Ken con aria per nulla pacifica.
Frank si irrigidì e Camille sentì le sue dita stringersi intorno al braccio.
Perché si comportava in quel modo… primitivo? Era forse geloso?
Possibile che l’avesse vista baciare Ken? In fondo era proprio dalla veranda
che Raleigh era ricomparso. Ma se non era lui l’uomo in compagnia di
Claudette, cosa ci faceva lì fuori?
I pensieri di Camille si rincorrevano disordinati mentre Raleigh muoveva
un primo passo verso l’uscita del salone.
Benton gli si piazzò davanti e Frank si abbandonò a un gesto di irritazione.
«Non provarci neppure, Ken» sussurrò. «Domani, se vorrai, potrai
prendermi a pugni, sfidarmi a duello, persino. Ma non adesso. Levati dai
piedi, hai fatto già abbastanza danni per stasera.»
Per tutta risposta, Ken fece un altro passo verso di lui, sempre più scuro in
volto.
«Tu levati di mezzo» disse.
Molti ospiti li stavano ormai osservando.
Camille si pose in mezzo a loro sorridendo, fingendo che fosse tutto uno
scherzo. Li prese entrambi sotto braccio e si diresse con loro al tavolo dei
rinfreschi, lontano da occhi e orecchi indiscreti. Sempre sorridendo, sempre
fingendosi allegra e spensierata, prese da un vassoio due bicchieri colmi di
champagne.
«Bevete, signori, forse diventerete più ragionevoli» disse, porgendone uno
a testa. Poi, guardando Ken con occhi imploranti, aggiunse: «Va tutto bene. È
meglio che adesso ve ne andiate, per piacere».
«Non va affatto bene» ribatté lui, testardo.
Lei fece un gesto spazientito. Si sentiva in colpa con Benton e furiosa con
Raleigh.
«Invece va tutto bene. Andate, Ken, vi supplico. Invitate una ragazza a
ballare o trovate qualcuno con cui conversare, come se nulla fosse successo.
Vi prego.»
Non voleva una scenata. Non voleva essere la causa di un alterco inutile.
Raleigh fissava Benton senza nascondere la propria collera, pronto a
esplodere alla prima provocazione.
«E voi, Mr Raleigh, comportatevi per una volta come un uomo
ragionevole» lo implorò Camille, prima di dargli il braccio e di buttarsi con
lui nella giostra finale dei saluti.
Dieci minuti più tardi risalivano in carrozza.
16
La stessa notte
Sposami...
Non la più romantica o formale delle proposte, ma di certo la più semplice,
definitiva, efficace e diretta, quella che meglio si addiceva a lui e alla quale
lei rispose di getto.
«Sì!»
Poi, ciò che le parole non dissero furono gli occhi a esprimere. Passato e
presente. Presente e futuro.
Il volto ancora in fiamme, Camille sentì subentrare al desiderio una gioia
completa, altrettanto devastante e sublime. Si addormentò sul petto di Raleigh
e si risvegliò cullata dalle sue braccia. Fece l’amore con lui ancora e ancora,
ogni volta esplorando piaceri sconosciuti, ogni volta raggiungendo un
appagamento meraviglioso che le serrava la gola e le riempiva gli occhi di
lacrime.
Camille e Frank.
Frank e Camille.
In quell’ansimo di tempo, la perfezione.
A letto bevvero champagne e mangiarono cioccolata, si amarono e
giocarono, risero e si commossero. E quando la notte toccò le ore più
profonde, parlarono.
«Raccontami della tua vita passata, dell’Inghilterra. Voglio sapere ogni
cosa di te…»
«Tutto tutto? Non è poi così interessante, amore mio. Ho vissuto da
privilegiata, almeno sino alla morte di mio padre. Ero l’unica figlia di una
famiglia le cui nobili origini si erano da un pezzo esaurite nei debiti.
Particolari poco significativi per una bambina che cresceva felice, adorata dai
suoi genitori. Vivevamo in campagna, nel nord dell’Inghilterra, in un’ala di
quella che era stata la dimora di famiglia per circa trecento anni. Un bel
giardino incolto e una grande libreria erano tutto il mio mondo. Quando mio
padre morì avevo tredici anni, abbastanza per comprendere che
all’improvviso il mio mondo e la mia vita stavano per tingersi di nero, come
il fumo che copriva l’orribile città, Liverpool, in cui mia madre e io
dovemmo trasferirci.»
Frank la attirò ancora di più a sé e domandò: «Poi cosa successe?»
Distesa sul letto abbracciata a lui, sopraffatta da una felicità tanto intensa da
essere dolorosa e ormai indifferente alle avversità del passato, Camille
continuò a raccontare di sé fino al giorno in cui aveva incontrato per caso il
bastardo americano e di come avesse visto in lui la soluzione di tutti suoi
problemi.
«Avrei potuto essere la signora Cartrite, a questo punto, se il destino non
avesse deciso altrimenti.»
«Sono certo che, se anche lo avessi sposato, prima o poi le nostre vite si
sarebbero incrociate.»
«Davvero lo pensi? Non ti avrei mai creduto così romantico, Mr Raleigh!»
«Oh, lo sono eccome!»
Frank continuava a fissarla, un sorriso stampato sulle labbra, gli occhi
lucidi di amore.
«Il resto della storia lo conosci. Una volta arrivata in America ho incontrato
te e la mia vita è ricominciata ed è diventata bellissima. Come in una fiaba ho
avuto il mio lieto fine.»
«Il nostro lieto fine, Miss Brontee.»
Le baciò la fronte con tenerezza e le sorrise, e a lei parve che in quel sorriso
splendesse l’alba della sua nuova esistenza.
Accarezzandogli il viso con piccoli baci, disse: «Parlami di te, adesso,
Frank. Non so nulla della tua famiglia, non so nulla di te».
«È la famosa giornalista o la mia promessa sposa a chiedermelo?»
«La tua promessa sposa. Come giornalista ho fallito, non mi hai mai
concesso l’intervista che mi dovevi…»
«Se è così, temo di non potermi rifiutare.»
Rotolò su se stesso, incrociò le braccia sotto la testa, lo sguardo rivolto al
soffitto, e cominciò a raccontare. Camille si strinse a lui come alla sua stessa
vita.
«A ripensare alle mie origini, mi viene da domandarmi cosa ci faccia io
oggi a New York, uomo ricco e di discreto successo…»
«Di grande successo, oserei dire» lo interruppe lei, posandogli con dolcezza
il viso sul petto. Sentì il cuore di Raleigh battere in modo tumultuoso e il suo
respiro farsi irregolare. Che fossero i ricordi a procurargli quello stato di
agitazione? In silenzio, attese che lui riprendesse il racconto.
«Sono nato in questa città. Mio padre era un tipografo, mia madre una
maestra. Una famiglia tranquilla, come tante, la cui vita fu interrotta dalla
guerra civile.»
«Tuo padre ha combattuto con l’Unione?»
«Sì. Partì per la guerra per seguire i suoi ideali» sospirò. «E tornò da
quell’inferno debole, disilluso e amareggiato. Al posto delle speranze d’un
tempo, nel cuore aveva una mappa e il sogno dell’oro.»
Camille lo guardò sorpresa.
«Hai mai sentito una cosa più stupida della corsa all’oro, Camille? Gli unici
a essersi arricchiti sono stati i commercianti di whiskey, di donne e di
attrezzi. Convinto di trovare la sua personale El Dorado, mio padre vendette
la tipografia e partì verso l’Ovest, con una moglie e tre figli piccoli al seguito.
Non arrivammo mai nell’Oregon. Il nostro viaggio si concluse prima del
tempo in Michigan.»
«È uno stato del Nord con un grande lago, vero?»
«Sì, al confine con il Canada. In effetti, qualcuno là qualche pepita l’ha
trovata, ma certo non dove cercava mio padre. Quando quel folle si rese
conto di avere fallito e di avere trascinato la sua famiglia in un’avventura
sconsiderata, vendette ogni cosa e sperperò i pochi soldi che gli erano rimasti
nell’acquisto di una fattoria: da ex tipografo e cercatore d’oro fallito divenne
così, dall’oggi al domani, un contadino incompetente e frustrato. Finì dalla
padella nella brace per la seconda volta.»
Il fiume del passato aveva ormai rotto gli argini e scorreva impetuoso e
rapido nelle parole di Frank Raleigh. Camille lo ascoltava stringendosi a lui,
le dita intrecciate con forza alle sue, il respiro corto per l’emozione, gli occhi
spesso velati di lacrime.
La storia dei Raleigh non differiva da quella di molti altri sfortunati
pionieri. Dopo un primo periodo sostenuto più dall’entusiasmo che dai
successi, le cose avevano cominciato a girare solo per il verso sbagliato. La
madre, sempre più insofferente a un’esistenza cui non era preparata, cercava
nell’educazione dei figli l’unica ragione di vita, mentre il padre non perdeva
occasione per fare ricadere le colpe dei suoi fallimenti sulla famiglia.
«La nostra vita era guidata solo dalle scelte sbagliate e dall’incompetenza
di mio padre, dai suoi rancori e sensi di colpa. Non mi vergogno di dire che
lo odiavo. Quando mia madre morì, decisi che non appena fossi stato grande
abbastanza me ne sarei andato. E così feci.»
Camille gli accarezzò le labbra con le sue.
«Non devi parlarne, Frank, se ti addolora.»
«Mi addolora solo il fatto di aver abbandonato i miei due fratelli minori
nelle mani di un pazzo! Non mi perdonerò mai per questo, mai! Ma se non
fossi partito, sarebbe finita male, Camille, forse lo avrei ammazzato. Gli avrei
fatto pagare ogni sua azione malvagia, la morte di mia madre, le frustate ai
figli che costringeva a lavorare come schiavi. Proprio lui, che aveva
combattuto contro la schiavitù.»
Camille rimase immobile, silenziosa, mentre gli occhi di Raleigh si
velavano di lacrime e le sue mani tremavano visibilmente.
«Me ne sono andato per non ammazzarlo. Se i miei fratelli non mi avessero
trattenuto, una sera… lo avrei fatto.»
«Ma non l’hai fatto.»
«Ci sono andato molto vicino, però.»
Pur rimanendo in silenzio, Camille lo incitò a proseguire, con la speranza
che il peso della memoria si facesse in lui più leggero a ogni parola.
«Quella sera, tornando a casa dal lavoro nei campi, trovai mio padre
impegnato a bruciare qualcosa nel cortile della fattoria. Mi avvicinai al falò
per vedere cosa stesse distruggendo con tanto zelo. In mezzo alle fiamme vidi
dei libri. I miei libri. Quelli che mi aveva lasciato mia madre, il solo ricordo
che avevo di lei, e quelli che mi ero comprato con i pochi soldi guadagnati
col lavoro. I miei libri, la mia unica porta verso il resto del mondo e la
libertà.»
Camille vide il dolore riaffiorare sul volto di Frank e d’istinto, con una
carezza, cercò di spazzarlo via.
«I tuoi libri? Che ragione poteva avere per bruciarli?»
«Sembrava odiare ogni singola parola stampata: libri, giornali, persino la
Bibbia in chiesa. Forse perché ogni pagina scritta gli ricordava il suo vecchio
mestiere di tipografo, un mestiere che avrebbe concesso alla sua famiglia di
vivere decentemente se lui non l’avesse rinnegato per le sue chimere.»
Sospirò e Camille gli strinse una mano, se la portò alle labbra e con
tenerezza la baciò.
«Mi ricordo ancora le parole che mi disse mentre buttava l’ultimo libro nel
fuoco che, per colmo di ironia, era Grandi Speranze di Dickens: I libri non ti
serviranno ad allevare buone vacche o a tagliare il raccolto, ma solo a
infarcirti il cervello di frottole e sogni! Dannazione! L’immagine è ancora
talmente vivida nella mia mente che mi sembra di sentire la voce astiosa di
mio padre, di vedere le pagine accartocciarsi e prendere fuoco, le mie mani
frugare inutilmente tra i tizzoni ardenti per salvarle.»
Camille rabbrividì notando per la prima volta le cicatrici che gli segnavano
le braccia.
Con lo sguardo gli chiese se quelli fossero i segni lasciati dal fuoco. Con lo
sguardo lui rispose di sì. Commossa, si chinò a baciargli le cicatrici, con
delicatezza, con venerazione, quasi volesse con quel semplice gesto
cancellarle per sempre dalla pelle e dalla memoria di Raleigh.
Lui la strinse a sé con le lacrime agli occhi, esprimendo forse così la sua
riconoscenza per quell’amore che il cielo gli aveva donato.
«Con i miei libri, anche i miei sogni sembravano essere finiti in cenere. E
così, appena compiuti i diciassette anni, all’alba di una mattina di giugno
radunai le mie cose, salutai i miei due fratelli e me ne andai senza neppure
scrivere una riga a mio padre, lasciandogli solo il denaro per il cavallo che
avevo preso. Non volevo avere né debiti né legami con lui.»
Per quasi un’ora, Camille ascoltò Frank Raleigh con emozione crescente,
trepidando al racconto di tante avventure, gioendo dei suoi successi e
soffrendo dei suoi dolori. Venne a sapere di come, dopo mesi di cammino,
fosse giunto a New York, uno dei tanti disperati in cerca di un futuro
qualsiasi. Di come, con tenacia, passione e molta fortuna, anno dopo anno,
fosse diventato il Frank Raleigh che oggi tutti conoscevano, temevano e
rispettavano. Di come, per tutti quegli anni, non avesse smesso mai di
pensare e di scrivere ai suoi fratelli. E di inviare loro denaro da quando la
buona sorte gli aveva arriso.
Per quanto nulla di sbagliato avesse fatto andandosene alla ricerca di una
vita migliore, il senso di colpa per essere fuggito alle sue responsabilità e per
aver abbandonato a un destino di miseria i suoi fratelli minori non lo aveva
abbandonato mai del tutto. Era una ferita che gli tormentava ancora la
coscienza, che a volte lo destava di notte, lasciandolo ansante e in preda ai
rimorsi. Solo impegnandosi in imprese che molti ritenevano folli riusciva a
scordare. Come remare sulle acque in burrasca dell’oceano, imbarcarsi su un
pallone areostatico o sfidare i boxeur di strada nelle vie più malfamate del
Lower Est Side.
Quanto a suo padre, non lo aveva ancora perdonato, ma l’idea di poterlo
perdere senza rivederlo lo ossessionava. Pur sapendo cosa avrebbe dovuto
fare, ricacciava la decisione in fondo all’anima e si ostinava a non ascoltare il
suo cuore, seguendo invece i consigli che gli arrivavano dal cervello e dal
fegato.
Poi, le aveva detto, un giorno, sull’Hudson River, aveva conosciuto una
donna, una tale Camille, e qualcosa, qualcosa di inatteso e inebriante, era
successo: il suo cuore aveva ricominciato a parlargli.
Non che lo avesse capito subito.
Non che lo avesse accettato subito.
Ma certo lo aveva sentito. Urlava dentro di lui, a gran voce, con veemenza
e disperazione. Chiedeva di tornare libero.
E nonostante fosse un cuore amareggiato e incollerito, da quel momento
non aveva più smesso di ascoltarlo.
***
La mattina stava arrivando. Veloce, troppo.
Raggomitolata contro il suo petto, il respiro confuso in quello di lui,
Camille rimase in silenzio per qualche istante, poi gli disse quello che lui già
sapeva: «Devi tornare a casa, Frank, nel Michigan, dalla tua famiglia. Se mi
vorrai al tuo fianco, verrò con te».
Lui la guardò con tenerezza e si rese conto di amare ogni particolare del
volto di quella donna, del suo corpo, della sua anima.
«Affronteresti un viaggio tanto duro per me?»
«Affronterei ogni cosa con te...»
«Anche questo?» le rispose lui sorridendo con malizia, mentre la girava a
pancia sotto con un solo, deciso movimento e iniziava a tempestarle la
schiena di piccoli baci.
«Soprattutto questo, se prosegue in modo tanto delizioso… Hai fatto di me
una donna perduta, Frank Raleigh, e in una sola notte» sospirò Camille,
girando il capo perché lui la baciasse sulla bocca.
«Non sai che è il sogno di ogni uomo avere una donna perduta come
moglie?»
Lei cercò di rispondere, ma le fu impossibile, perché la bocca di Raleigh si
era ormai impossessata della sua.
23
23 dicembre, mattina
«È ora che vada» disse Camille stiracchiandosi.
La notte era volata via, lasciandoli assonnati e caldi l’uno dell’altra.
Felici.
«Non sono neanche le sette» rispose Raleigh, impedendole di alzarsi.
«Vuoi che Ralph ci scopra insieme nel tuo letto? Credo che al poveretto
verrebbe un colpo apoplettico.»
«Ah no! Questo non potrei permetterlo! È un maggiordomo insostituibile.
Anche se ancora non ho ben capito cosa faccia tutto il giorno, oltre a seguirmi
come un fantasma.»
Scoppiarono a ridere, come fosse un’abitudine di sempre. Poi lui si fece
serio.
«Vorrei che il tempo si fermasse in questo istante.»
Camille lo baciò sulla punta del naso.
«Sei sempre così romantico, la mattina?»
«Oh sì. Mattina, sera. Notte, soprattutto.»
Gli diede un altro bacio sul naso e di nuovo fece per alzarsi. Lui glielo
impedì.
«Non voglio che tu te ne vada, Camille. Non ancora.»
Lei lo guardò mortificata. «Non riuscirai a corrompermi, Frank, devo
proprio andare.»
Di nuovo, non le permise di alzarsi dal letto.
«Frank!» supplicò lei in tono scherzoso.
Coprendole il volto di piccoli baci, lui sussurrò: «Voglio svegliarmi ogni
mattina e rimanere a guardarti mentre dormi serena nel nostro letto. E poi
svegliarti e fare l’amore con te prima di iniziare ogni giornata. Voglio alzarmi
e sapere che sarai qui ad aspettarmi al mio ritorno».
«Ancora a letto?» fece lei, maliziosa.
«Non chiederei di meglio.»
«Neanch’io» rispose ironica Camille, stiracchiandosi di nuovo, «ma
dovresti parlare prima col mio direttore e ottenere un permesso speciale, cosa
che non dovrebbe esserti difficile visto che sei il suo capo. Non credo che Mr
Corman sarebbe d’accordo se scrivessi i miei articoli sdraiata nel tuo letto e
non in redazione. Non vorrai per caso farmi licenziare, vero?»
Fece per alzarsi, ma Raleigh di nuovo glielo impedì: le immobilizzò i polsi
e scivolando sopra di lei ricominciò a baciarle il volto e a mordicchiarle le
labbra, con un solo, chiaro scopo in mente.
«Frank!» sussurrò lei, cercando con poca convinzione di scacciarlo, mentre
lui continuava le sue manovre di seduzione.
«Era questo che intendevo prima…»
«Frank, devo andare, oh cielo! Così non ci riuscirò mai…»
«Non ti preoccupare del vecchio Corman, Camille, non sarà un problema»
mormorò Raleigh ridacchiando, mentre con le labbra seguiva la linea del
collo di lei e scendeva verso i seni. «L’editore, semmai» continuò fra un
bacio e l’altro, «potrebbe avere a che ridire sulla tua devozione al lavoro.»
«Davvero, e perché mai quel tipaccio dovrebbe lamentarsi per il mio
attaccamento al lavoro?» chiese lei ridacchiando e cercando senza molta
convinzione di liberarsi dalla sua presa.
Emise un gemito, poi un altro ancora mentre Raleigh le prendeva fra le
labbra un capezzolo e con la mano si spingeva molto più in basso. Non
sembrava intenzionato a risponderle.
«Allora, Frank?» mormorò. «Perché l’editore potrebbe avere da ridire sulla
mia devozione al lavoro?»
«Che importanza può avere, in questo momento, Camille?»
Riprese a toccarla, a baciarla, a mordicchiarla.
Camille si irrigidì e gli fermò la mano. «È importante per me, Frank.»
Lui si appoggiò a un gomito per guardarla, sorpreso che lei non avesse
ancora capito.
«Perché l’editore ti vuole solo per sé, non ha intenzione di dividerti con
nessuno, men che meno con una redazione piena di uomini» rispose senza
darle altre spiegazioni. Poi ritornò con entusiasmo alla sua precedente
occupazione.
Camille sentì la gola chiudersi, il respiro farsi difficile.
Il suo nuovo mondo, quello meraviglioso che aveva scoperto e condiviso
con Frank quella notte, stava per crollare sotto il peso di quelle parole?
«Frank, non parli sul serio, vero?»
Lui forse non sentì o non volle sentire, in ogni caso non le rispose. Prese
invece a dedicarsi con furore all’altro capezzolo, prima di scivolare
all’improvviso e con troppa decisione dentro di lei.
Oh!
Camille si irrigidì in preda a una totale confusione, mentale e fisica: il
corpo e la ragione sembravano troppo intenti a combattere tra loro, la mente
concentrata sul significato delle ultime parole di Raleigh, il corpo sul piacere
che lui le stava dando.
«Frank» sospirò offrendosi alle spinte di lui, «stai scherzando, vero?»
Lui non rispose, le catturò le labbra e la baciò sino a stordirla.
Non le piaceva ciò che le stava facendo, o forse le piaceva troppo. Era così
intenso e devastante da toglierle la facoltà di pensare e di reagire.
Invece di cadere preda del suo ardore, avrebbe voluto chiedergli cosa
avesse voluto dire con l’editore ti vuole solo per sé. Ma era così difficile
sottrarsi al piacere in cui lui la stava trascinando, che permise al corpo di
vincere sulla mente.
Senza guardarla negli occhi, Raleigh aveva cominciato a muoversi dentro
di lei con colpi profondi e ravvicinati, immobilizzandole i polsi con una mano
mentre con l’altra la accarezzava senza delicatezza.
«Frank, ti prego…» mormorò Camille, senza capire se stava pregandolo di
fermarsi o di continuare per sempre ad amarla in quel modo devastante.
Si lasciò condurre in un gioco rude e impetuoso, un atto di forza più che di
tenerezza, fatto di imposizioni più che di scelte. Un gioco intenso e
incandescente, improvviso, sconvolgente, che li condusse insieme a
raggiungere il massimo del piacere: Camille con un gemito soffocato,
arrendevole, sorpreso, Raleigh con l’urlo selvaggio e primitivo del vincitore.
Solo allora, spenta la fiamma di quella repentina e violenta passione,
Camille si rese conto di aver concesso a Frank Raleigh di dominarla. E di
essere pronta a permetterglielo di nuovo se solo lui l’avesse voluto.
Una sensazione di profondo disagio la investì.
Per un istante pensò di fuggire, il più antico sistema di difesa della donna.
Ma fuggire da Raleigh non era quello che voleva. Non ancora, almeno.
***
Mentre indugiava sopra di lei, Frank sentiva il cuore di Camille battere
troppo veloce contro il suo petto e il respiro irregolare di lei accarezzargli il
volto. Le teneva ancora stretti i polsi con la spiacevole sensazione che, se
glieli avesse lasciati, lei se ne sarebbe andata.
Idiota, stupido bastardo, mormorò una voce nella sua testa.
Invece di continuare a comportarsi come un uomo delle caverne, doveva
scusarsi con lei per la sua rudezza e capire che diavolo gli fosse passato per la
mente a prenderla in quel modo. No, non era necessario. Lo aveva già
compreso. Voleva Camille solo per sé e quello era stato un modo brutale di
dimostrarglielo.
«Mi spiace» sussurrò.
Lei non rispose.
Raleigh si sollevò quel tanto che bastava a guardarla negli occhi.
«Per un istante ho temuto di perderti e... mi sono comportato come un
bast… come non avrei dovuto.»
Camille fece per liberarsi, ma lui non glielo permise. Continuava a
rimanerle sopra. Gli occhi fissi nei suoi.
«Ti ho spaventata?» la incalzò.
Lei indugiò, abbassò gli occhi, si mosse appena, indecisa su cosa
rispondere.
«Sì, ti ho spaventata» concluse lui.
«Un po’» ammise. «È stato… diverso e inaspettato.»
«Anche per me.»
«No, Frank. Non ti credo.»
«Spiegati meglio.»
«È difficile parlare di certe cose…»
«Non deve esserlo fra noi. Dimmi cos’hai provato, ti prego.»
«Prima lasciami.» Le mancava il fiato.
Raleigh la baciò con dolcezza, poi le liberò i polsi e rotolò sul fianco. Le
prese una mano e se la portò alle labbra.
«Mi sento dannatamente in colpa, Camille.»
Lei scosse la testa, come se lui non capisse.
«Camille… Non avrei dovuto. Non so che diavolo mi sia preso...»
«Shhh» fece lei abbracciandolo. «Non voglio ingannarti, Frank, non devi
sentirti in colpa: è piaciuto moltissimo anche a me, e credo che tu te ne sia
accorto...»
«Allora… non mi consideri un mostro?» chiese lui con un gran sorriso.
«No, Frank. Mi sono sottomessa ai tuoi desideri e li ho accettati come
fossero miei.»
«È così che deve essere, Camille» continuò lui scherzando.
Lei prima rise, poi scosse la testa.
«Il punto è che temo di potermi abituare all’idea di affidare ogni secondo
della mia vita a te, Frank, come è appena successo…»
«Allora temi di sposarti, poiché è quanto avviene di norma nel matrimonio.
La moglie si affida al marito. Il marito si prende cura della moglie. Che male
c’è in questo?»
Aveva usato di proposito un tono leggero, quasi scherzoso, perché quella
conversazione incominciava a non piacergli affatto. Si passò una mano tra i
capelli, preoccupato di avere rovinato tutto, prima ancora che fosse
cominciato.
«Non voglio tenerti in catene, Camille, se è quello che temi. Voglio solo
avere cura di te e dei nostri figli, se saremo tanto fortunati da averne.»
Lei gli sorrise e gli accarezzò il volto. «Certo che ne avremo… ma ora devo
proprio andare.» Si alzò e indossò di nuovo la camicia da notte. Era strappata
sul davanti.
«Sembra che io abbia combinato un bel guaio con la tua camicia. Oggi
stesso andrò dalla Renard a ordinartene altre. Anzi, a ripensarci meglio non lo
farò, così non dovrò perdere tempo a sfilartele» disse lui rimanendo disteso
sul letto a guardarla mentre lei cercava inutilmente di abbottonarsi.
Scherzando, sperava di alleggerire la tensione che percepiva fra loro.
«Signor Raleigh, voi non pensate proprio ad altro!»
«È difficile pensare ad altro, Camille, dopo questa notte.»
Rimasero qualche istante in silenzio, poi lei gli chiese: «Ti piacerebbe
davvero avere dei figli?»
«Non immagini quanto. Non immagini quanti. Li vizierei e farei tutto ciò
che mio padre…»
Ma non concluse la frase.
Senza rispondere allo sguardo interrogativo di Camille, aggiunse: «Perché
non andiamo agli Hamptons? Noi due, soli. Potremmo partire questa mattina
e sposarci dal giudice Harris a Southampton nel primo pomeriggio».
Lei si avvicinò e gli baciò il naso.
«Mi piacerebbe, ma oggi pomeriggio c’è la festa degli strilloni, non
ricordi?»
Lui assentì pensieroso.
«Domani, allora.»
«Ho un’intervista e almeno due articoli da scrivere.»
Era la verità, anche se essendosi licenziata in realtà non avrebbe avuto
alcun obbligo da rispettare.
Lui la guardò stupito. «Il Daily è dunque più importante di noi due? Credi
che io non abbia impegni? Ho degli affari in corso che mi costerebbe
parecchio denaro rinviare. Ma non ci penserei due volte a farlo, se potessi
anticipare le nozze di un solo minuto.»
Camille si sedette sul letto e si chinò a baciarlo.
«Non tenermi il broncio, Frank. Dopodomani, allora. È deciso.»
«Dopodomani sarà Natale. Non so se ci si può sposare a Natale…» Un
ingiustificabile senso di panico cominciò a crescere in lui. «…in ogni caso,
pregherò il giudice Harris di sposarci lo stesso. Lo conosco da tanti anni, è
una brava persona, ci accontenterà. Mi sposerai, Camille, non hai cambiato
idea, vero?»
«Sì, Mr Raleigh, ti sposerò. Fuggirò con te come in un romanzo
d’appendice e ti sposerò.»
«Ti amo, Camille. Non l’ho mai detto a nessun’altra prima.»
«Anch’io non l’ho mai detto a nessuno, Frank Raleigh. Ti amo. Ti amo. Ti
amo. È magnifico ripeterlo, mi fa sentire libera e felice come non sono mai
stata. Ti amo, Frank.»
Lui la strinse a sé e, baciandola ancora con passione, chiese: «Ti
piacerebbe, per la luna di miele, fare una crociera ai Caraibi, sul mio yacht?
Sono isole meravigliose, dove brilla sempre il sole, con palme, spiagge più
bianche della neve, un mare turchese e trasparente...»
Lei lo guardò con occhi sognanti. «E… pirati?»
Lui scoppiò a ridere. «Pirati? Nessuna paura, amor mio, sono tutti amici
miei. Io stesso sono un pirata.»
Camille lo abbracciò. «Comincio a crederlo anch’io, Frank. È un’avventura
bellissima e pericolosa quella che mi stai proponendo, non un semplice
matrimonio.»
«Il nostro matrimonio sarà sino all’ultimo giorno un’avventura bellissima
ed emozionante, durante la quale non farò altro che viziarti in modo
vergognoso.»
Raleigh si sorprese delle proprie parole. Non aveva mai pensato al
matrimonio come a un’avventura meravigliosa, in realtà non aveva mai
pensato al matrimonio. Ma in una notte tutto era cambiato.
«Adoro essere viziata. Mi massaggerai la schiena ogni volta che te lo
chiederò?»
«Non solo la schiena» fece lui incominciando ad accarezzarle le spalle.
«E dirai di sì anche alle mie richieste più balzane?»
«Farò di più. Ti prometto che per tutta la vita tu non dovrai mai annoiarti.»
«Annoiarmi, con te? Mai, Mr Raleigh. Forse» aggiunse guardandolo di
sottecchi, «quando sarai diventato vecchio, noioso e brontolone. Ma allora ci
sarà sempre il lavoro al giornale a tenermi occupata.»
Per un istante l’espressione di Raleigh si fece vuota, poi divenne dura.
«Cosa c’è, Frank?» gli chiese lei allarmata mentre lui le prendeva le mani e
gliele stringeva con troppa forza.
«Pensavo di essere stato chiaro, Camille. Non ti permetterò di lavorare
dopo il matrimonio. Mi spiace, ma sarà così.»
«Permetterò, hai detto permetterò, Frank?» Inalò a bocca aperta, come se
all’improvviso le mancasse l’aria. «Non capisco. Credevo che scherzassi,
prima.»
«Ero serissimo, Camille. Non voglio che tu lavori.»
«Perché? Non ne comprendo il motivo.»
La verità era che non voleva dividere sua moglie con uno stupido giornale.
Voleva ogni briciola della passione e dell’entusiasmo di quella donna solo
per sé. Invece rispose: «Saresti sempre in giro e io vivrei tutto il giorno con il
timore che possa accaderti qualcosa. Guarda cosa hai combinato quel giorno
alla fabbrica di Kendall!»
«Non ho combinato niente, io. Ho solo indagato.»
«E io dovrei stare in pena pregando che non ti venga il capriccio di
indagare su qualcosa di rischioso? No, Camille. Un marito ha il dovere e il
diritto di scegliere cosa sia meglio per sua moglie. Non farò come quello
scellerato di mio padre con mia madre, avrò cura di te e ti proteggerò.»
Lei scosse il capo, con aria incredula e avvilita.
«Dimmi che è una burla, Frank!»
«Non lo è» fece lui, serio. «Non posso permettere che tu lavori al giornale,
mi spiace. E, inoltre, sarai impegnata dal mattino alla sera con una tale
quantità di obblighi sociali e mondani che neppure immagini. Inviti, feste,
comitati, beneficenza» continuò, dandosi silenziosamente dell’ipocrita. «Non
hai idea di quanto sia attiva e coinvolgente l’alta società newyorkese!»
Le prese una mano fra le sue e se la portò alle labbra. Lei si sottrasse alla
presa e si alzò di scatto dal letto. Lui rimase a fissarla, preda di un crescente
senso di disagio che gli immobilizzava il corpo.
«Non ho alcun interesse a partecipare a feste e comitati, Frank.»
«Non ti obbligherò certo a farlo, se non vorrai. Forse potresti scrivere a
casa, magari un romanzo a puntate per il Daily! Sei talmente brava...»
C’era un tale entusiasmo nelle parole di Raleigh che la sua voce risuonò
eccessiva, fasulla.
***
Camille gli rivolse uno sguardo preoccupato.
Stava accadendo davvero?
Dopo le parole d’amore, dopo la passione, dopo l’intimità che avevano
condiviso. Dopo le lacrime e la gioia.
Dopo la perfezione di quella notte.
Stava accadendo davvero?
Era questo lo stesso uomo che poco prima aveva pianto stretto a lei? Che
l’aveva amata con venerazione?
«Forse non hai capito, Frank. Io voglio lavorare in redazione, non a casa.»
Lui la guardò con il sorriso indisponente del potere. «Non alla redazione
del Daily, Camille.»
«Perché non al Daily, Frank?»
«Perché ti ho appena licenziata. E con ciò il problema è superato.»
Oh!
Licenziata! Da lui.
Il mondo sembrò fermarsi. Poi si rimise a girare, ma nel verso sbagliato.
Camille lo fissò incredula, disperata, delusa.
Arrabbiata.
Ma fu capace di inghiottire la propria ira. Mostrò calma e dignità e,
dirigendosi con lentezza verso la porta, ribatté: «Non esiste solo il Daily,
Frank. Andrò da Hearst. O da un altro editore. Troverò un posto in un altro
giornale».
«E credi che io te lo permetterò? Credi che permetterò a mia moglie di
lavorare per un mio concorrente? Sarebbe davvero umiliante, Camille.
Diventerei lo zimbello di questa città.»
«Non temere, Frank, nessuno riderà alle tue spalle» disse, l’espressione più
fredda e determinata che Frank le avesse mai visto sul viso.
«Perché?» chiese lui.
«Perché non ti sposerò.» Poi, girandosi appena verso di lui, la mano già
sulla maniglia della porta, aggiunse: «Affinché tu lo sappia, Frank, le mie
dimissioni, dovute a insormontabili incomprensioni con l’editore, sono da ieri
pomeriggio nelle mani di Mr Corman. In altre parole, non sei stato tu a
cacciarmi, me ne sono andata io».
Quindi, con un movimento secco, spalancò la porta e senza più guardarlo in
volto uscì dalla stanza.
***
Se n’era andata. Gli aveva detto di no. Aveva preferito l’indipendenza a
una vita con lui. A una vita piena d’amore e di passione. A una vita
privilegiata.
Nessuna donna l’avrebbe fatto.
Nessuna, ma non Camille.
Eppure non gli aveva appena detto di amarlo? E per ben tre volte. Ti amo, ti
amo, ti amo, aveva ripetuto. Ma non erano state che parole. Stupide, insulse
parole che non sarebbe mai più riuscito a togliersi dalla testa.
Immobile, in balia degli ultimi complicati minuti della sua esistenza, Frank
Raleigh fissava la porta dietro cui era appena sparita. Possibile che non
riuscisse a muoversi, ad alzarsi, a inseguirla? Quale uomo lasciava che la
donna della sua vita se ne andasse così, senza neppure cercare di fermarla?
Forse un uomo che non si riteneva degno di lei? Un uomo con una coscienza?
Oppure semplicemente un vigliacco?
Al diavolo! Non pensare a nulla! Agisci, invece.
Si infilò in fretta e furia i primi vestiti che gli capitarono a tiro e si precipitò
in strada. Sulla neve ancora vergine vide le orme lasciate da Camille dirette
verso l’ingresso di servizio di casa Campbell. Le seguì, pur sapendo che non
avrebbe potuto presentarsi a quell’ora in una casa rispettabile, vestito in quel
modo, poi. Corse per raggiungerla, ma fece solo in tempo a vedere il
portoncino sbattere dietro di lei.
Sbam!
Fu come se gliel’avesse dato in faccia.
Ritornò sui suoi passi pensando febbrilmente a come far cambiare idea alla
sua… come doveva chiamarla? Amante fu l’unico termine che gli sembrò
appropriato.
Le avrebbe fatto recapitare un biglietto da Ralph.
Un biglietto? Da Ralph? Come se volesse invitarla a un tè? No. Di sicuro
lei lo avrebbe fatto a pezzi – il biglietto, non Ralph – senza neppure degnarsi
di leggerlo.
E se l’avesse chiamata al telefono?
Alle sette del mattino?
No. Si sarebbe presentato alla porta a un’ora più civile, magari con un
mazzo di rose. Pensò a dove quel mazzo di rose sarebbe finito: probabilmente
sulla sua testa.
Niente rose. Ci voleva qualcosa di più definitivo, come un… anello.
Perché non ci aveva pensato prima? Sì, sarebbe tornato da Miss Brontee
con un anello di fidanzamento in mano. Si sarebbe inginocchiato davanti a lei
e le avrebbe chiesto di perdonarlo e di sposarlo. Nel modo più appropriato.
Come ogni donna amata si meritava.
A che ora apriva Tiffany sulla Broadway? Alle dieci, probabilmente. E alle
dieci sarebbe entrato per comprare l’anello con il solitario più puro e
splendente della loro famosa collezione. Nessuna donna sapeva dire di no a
un brillante. Neanche Camille.
O forse sì?
***
Rientrando in casa dalla porta di servizio, Camille non badò all’espressione
sorpresa di Sally, di Mr Broley e degli altri domestici che già si aggiravano
per casa. A testa alta pronunciò un «Buongiorno» che non dava adito a
nessuna possibilità di replica. Poi sparì in camera sua.
Quando Sally la raggiunse portandole una tazza di tè e del pane imburrato,
Camille la abbracciò con le lacrime agli occhi e le chiese di aiutarla a
preparare i bagagli. Poi si sedette alla scrivania e con il cuore spezzato scrisse
un’accorata lettera di commiato ai Campbell. Nonostante gli sforzi per
trattenerle, molte lacrime caddero, lasciando sul foglio macchie di inchiostro
e di rimpianto.
Il cuore non smetteva di batterle in gola e il viso era ancora bagnato mentre,
circa un’ora più tardi, osservava un valletto sistemare i suoi bagagli sulla
carrozza che l’avrebbe portata lontana da Washington Square e dalle persone
che amava. Sally le teneva una mano e piangeva con lei.
«Dite ai signori Campbell che verrò a trovarli domani pomeriggio, Sally.
Che non stiano in pena per me. Sto bene.»
«Non è vero, siete infelice, Miss Camille, e per colpa di chi so io» ribatté la
donna fissando l’altro lato della piazza con aria minacciosa, come se volesse
prendere il responsabile per il collo e dargli una bella lezione. «Se lui verrà a
cercarvi, so io cosa devo fare.»
Camille le sorrise. «Ma non dovrete dirgli dove sono andata, mi
raccomando, Sally.»
«Come potrei se non lo sapete neppure voi dove andrete a vivere, bambina
mia!»
La donna scosse la testa, disapprovando dentro di sé la decisione di
Camille, poi l’abbracciò un’ultima volta.
«Fate attenzione. Questo è un mondo balordo.»
«Starò attenta, Sally. Lo prometto.»
Camille montò, il valletto chiuse la portiera e la carrozza partì.
24
Fra noi è stato come dice lui: tutto e subito. Appassionato, assoluto,
prepotente. Intenso. Siamo precipitati uno nella vita dell’altra come due
particelle subatomiche sparate da un acceleratore di protoni. Non abbiamo
avuto scelta, non abbiamo potuto evitarci. La natura, o forse il caso, o forse
una sconosciuta forza elettromagnetica, ha scelto per noi.
Non siamo amici. Non siamo fidanzati. Non siamo amanti. Non siamo
niente se non vicini di casa. Eppure…
L’AUTRICE
Viviana Giorgi (aka Georgette Grig, lo pseudonimo con cui scrive romanzi
storici) vive a Milano, dove lavora come giornalista freelance da molti anni,
soprattutto nel campo dello spettacolo. Da qualche anno si è imbattuta nel
romance ed è stato amore a prima vista. Dalla lettura alla scrittura il passo è
stato molto breve, forse troppo. Bang Bang, Tutta colpa di un gatto rosso è il
suo primo romanzo contemporaneo, dove si parla molto di romance e si vive
come in un romance, ma in chiave decisamente ironica.
IL LIBRO
«Siccome sono una che fa un sacco di cazzate, ho pensato di raccontarvele
in queste pagine per evitarvi di rifarle, o perlomeno di contenere i danni. Le
cazzate, per esempio, io le ho fatte su Facebook: incidenti diplomatici da
ribaltare un Tir, amicizie secolari distrutte in un tag, ma anche notifiche che
intasano la posta elettronica peggio di un procione caduto nel water e altre
bannazioni. Per non parlare dell’amore. ♥ (Di cui invece vi parlerò
moltissimo).
Come se non bastasse, io sono una che non legge mai e poi mai le
istruzioni. Anche se dovessi montare, chessò, un intero aliscafo, lo farei senza
dare nemmeno una sbirciata al manuale di montaggio. Poi, se invece
dell’aliscafo viene fuori uno schifo, pazienza.
Il pericolo (e anche il ridicolo) è il mio mestiere.
Eccovi quindi, dalla vostra Gina di fiducia (li avete letti, Cinquanta
sbavature di Gigio e Cinquanta smagliature di Gina?) Facebook per
romantiche, che è un po’ un romanzo e un po’ un manuale, insomma un
indispensabile libretto di distruzioni per gli utenti di Facebook e/o
dell’amore.»
L'AUTRICE
Rossella Calabrò ha sempre osservato gli animali con grande interesse e
grandissimo amore. Siccome anche gli esemplari maschi del genere umano
non le sono mai dispiaciuti, ha potuto notare, forte della frequentazione dei
quadrupedi e di numerosissime letture di etologia e zoologia, che gli uomini e
gli opossum sono identici. Non nell’aspetto solitamente, ma nell’animo. Son
paraculidi, insomma. La dimostrazione? Nell’ebook Perché le donne sposano
gli opossum?.
Autrice e blogger che fa dell’ironia la sua fede, Rossella Calabrò ha
pubblicato alcuni libri sulla figura delle matrigne – che sono pur sempre delle
bestie strane – tra cui Di matrigna ce n’è una sola per Sonzogno). Ha da anni
un seguitissimo blog, “Il Blog delle Matrigne” su Vanityfair.it e una rubrica
fissa, l’Identitic, sulla rivista Glamour, dove racconta gli uomini visti dalle
donne. Ha pubblicato per Sperling & Kupfer i best-seller Cinquanta
sbavature di Gigio (tradotto in Spagna, Francia, Repubblica Ceca,
Portogallo), Cinquanta smagliature di Gina, e Il tasto G.
Ora ci dedica il suo ebook “Facebook per romantiche”, per chi, nella rete e
nell’amore, non legge mai le istruzioni.
Il LIBRO
Chi è veramente Rudolf? Cosa desidera e pensa l’erede al trono degli
Asburgo, figlio dell’inquieta Sissi? Chi si nasconde dietro l’ammirato e
nevrotico principe che non asseconda i rituali vuoti dell’aristocrazia e
respinge l’etichetta meschina di corte? Che rifiuta l’assolutismo della
tradizione monarchica? E si abbandona ad avventure galanti come antidoto
alla solitudine? Finché non incontra la giovane Mary, l’unica che penetrando
il suo fragile isolamento accetterà di essere sua complice....
La misteriosa e tragica morte di Rudolf e della sua amante Mary Vetsera è
una vicenda che ancora affascina e pone mille interrogativi. Partendo dalla
storia documentata e dal mondo reale, Batsceba Hardy approda all’universo
del possibile, regalandoci un’indagine sull’anima, sull’amore ma anche sul
potere.
Una vicenda di passioni in cui l’immaginazione dell’autrice si spinge a una
soluzione fino a ora mai prospettata.
L’AUTRICE
Batsceba Hardy è un’artista dell’irrealtà, che vive e vivrà nella rete
(www.batscebahardy.com), dove si rende già visibile con la sua performance
continua: scrivere storie con immagini e raccontare visioni con parole. Tutto
il resto è wittgensteinianamente superfluo, compreso il suo background
segreto. Risiede momentaneamente a Berlino di cui insegue i cieli fra le
nuvole, ma potrebbe trovarsi in qualsiasi altro luogo. Ama lasciare traccia di
sé nei bar in cui trova ispirazione. Ama contemplarsi nelle finestre delle case.
Ama svelarsi di notte alla presenza di nessuno.