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2nd October 2013 Sui simboli graalici della «Terre Gaste» e dell’«Arbre
Sec»
Di Mario Polia avevamo già postato tempo fa un estratto sul simbolismo del «miele» e della «parola di
sapienza» (QUI [http://arka-traditioperennis.blogspot.it/2012_05_01_archive.html] ). Riportiamo ora due
brevi sezioni di un altro suo altrettanto valido libro Il mistero imperiale del Graal (ed. Il Cerchio), dove
si tratta nello specifico del simbolismo graalico della «Terre Gaste» (Terra Desolata) e dell’«Arbre Sec»
(Albero Secco).
In Wolfram1 l’eremita Trevrizent narra a Parzival la storia di Anfortas. Costui era il re del Graal per
discendenza diretta2, fratello di Trevrizent stesso e zio di Parzival, essendo fratello della madre sua
Herzeloyde «chiara come il sole».
Anfortas, valoroso cavaliere, aveva come grido di guerra Amor «Grido che - avverte Trevrizent - non
conviene del tutto ad umiltà». Egli si era innamorato della dama Orgeluse (“Orgogliosa”) di Logroy,
«Ma un re del Graal che brami altro amore da quello che gli concede la scritta3, verrà a travagli,
sospiri e dolori».
Al re del Graal spetta di diritto solo una sposa pura. Un giorno, mentre Anfortas cavalca in cerca di
avventura, «Brama d’amor ve lo spingeva», fu ferito all’inguine da un cavaliere pagano nativo di una
città posta sulle rive del Tigri, fiume che, secondo una tradizione diffusa nel Medioevo, scaturiva dal
paradiso terrestre4.
La ferita del re apparve subito incurabile poiché la lancia con la quale il pagano lo aveva ferito, e che
portava iscritto sulla punta il nome del Graal, era impregnata di un misterioso veleno che ardeva
impedendo alla ferita di rimarginarsi, e diventava particolarmente attivo sotto il segno del pianeta
Saturno.
Anfortas fu costretto a languire senza poter tuttavia morire in quanto la virtù del Graal lo sosteneva in
vita, anche se in mezzo a sofferenze atroci. Queste sarebbero cessate quando fosse giunto alla sede del
Graal l’eroe vittorioso che, ponendo al re ferito la domanda sulla causa della disgrazia accadutagli, lo
avrebbe risanato all’istante ponendo fine parimenti alla desolazione del Regno. Questi sarebbe stato, a
sua volta, il nuovo Re del Graal.
La colpa di Anfortas appare essenzialmente come una lesione della castitas, un cedimento all’orgoglio
che contamina il suo agire condizionando a fini egoistici il risultato delle sue imprese.
Il grido di guerra Amor esprime, secondo il giudizio dell’eremita, un valore negativo, manifesta infatti la
valenza oscura dell’amore: la passione macchiata da brama ed orgoglio, potenza velenosa ed ardente che
paralizza e impedisce la generazione spirituale.
San Bernardo di Chiaravalle nel suo Elogio della nuova Milizia, diretto ai cavalieri del Tempio,
ammonisce la «milizia secolare» della grave colpa nella quale cadono coloro che non combattono solo
per la gloria del Regno di Dio: «Infatti non vi è tra voi una giusta ragione che provochi guerre o contese
se non un irragionevole atto di collera, un vano desiderio di Gloria, la bramosia di possedere qualche
bene terreno. E certamente per tali motivi non è senza pericolo uccidere o morire»5. L’ammonimento di
San Bernardo è diretto alla Cavalleria terrestre, ma acquista un valore tanto più assoluto e pregnante se
riferito alla Cavalleria Celeste nella quale la pratica della castitas6, intesa soprattutto come
de-condizionamento da ciò che lega all’individuo e ai sensi, è addirittura norma costante. Il grido di
guerra dei Templari, che in Wolfram sono presentati come difensori della Sede del Graal, era “Viva Dio,
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Santo Amore!”.
Si tratta, evidentemente, di un Amore inteso come Potenza che innalza l’eroe puro al trionfo, mentre
quello di Anfortas è l’amore tradito che abbatte e ferisce. La Dama Orgeluse è la personificazione della
potenza che lega ed impedisce di essere re o blocca l’esercizio spirituale del Potere: Anfortas è stato
ferito, in realtà, nella zona della procreazione, ha perso pertanto la capacità di generare. Si richiami alla
mente l’etimologia latina di imperium, che è “l’impulso creativo e vitale” (da in + paro), potere che dal
rex viene trasmesso all’intera societas investendo in campo del visibile e dell’invisibile7. Si avrà allora il
senso esatto sia di ciò che [è] il “colpo doloroso” significa sia di ciò che viene espresso metaforicamente
come “incapacità a generare”.
L’orgoglio impedisce l’esercizio legittimo dell’imperium, e di ogni potere spirituale. A conseguenza di
ciò il Regno isterilisce e decade. É il motivo della Terra Desolata o Terre Gaste: nella Quête du Saint
Graal la zia di Perceval è definita «regina della terra desolata». Il castello del Graal spesso sorge al
centro della Terra Desolata, che è sempre in strettissima relazione con l’infermità del re della quale la
desolazione è conseguenza.
A provocare la ferita di Anfortas è la personificazione simbolica di un Potere che proviene dal fiume del
Paradiso Terrestre (il “pagano” che viene dal Tigri). La lesione della castitas fa sì che il potere
proveniente dal Centro Primordiale - l’Eden, che equivale al simbolismo dell’Isola Bianca - Centro che è
il fondamento del potere imperiale, si rivolti contro colui che non aveva saputo padroneggiarla e
dirigerla e lo travolga (la “ferita”). I latini chiamarono questa forza trascendente auctoritas e colui che ne
era investito augustus. In Wolfram è sufficiente che Parzival, dopo aver raggiunto la Sede del Graal,
pongo la domanda del perché del ferimento affinché Anfortas venga immediatamente risanato
assumendo una bellezza sovrumana e la renovatio venga compiuta.
In altre versioni del mito la ferita del Colpo Doloroso viene risanata usando la lancia del Graal: la stessa
lancia che ferisce guarisce8.
La pace finale, che è pax triumphalis in senso latino - ottenuta cioè tramite il combattimento e la vittoria
- verrà propiziata proprio tramite la lancia impugnata dall’eroe restauratore del Regno: «la pés sera par
ceste lance», «la pace verrà per mezzo di questa lancia».
Nel Grand Saint Grail la lanche aventureuse ferisce chi osa contemplare da vicino il Graal senza
possederne la necessaria qualità interiore. Anzi, dal momento in cui, a causa della decadenza, una
restaurazione s’impone, è detto nel testo che nel perseguirla «i veri Cavalieri si distingueranno dai falsi
cavalieri, la cavalleria terrestre diverrà Cavalleria Celeste»10.
Ecco indicato il cammino per una effettiva renovatio: occorre che la Cavalleria, via d’azione e
testimonianza della giustizia, si trasformi in lotta e vittoria interiori, cioè in Cavalleria Celeste. In essa,
riportando le parole di Trevrizent, «non si tratta più di ammazzare i nemici con la forza del valore, ma si
tratta di cose dello spirito». Il solo combattimento contro i nemici fisici, quando non si esaurisca nel
semplice confronto materiale, può, permettere all’eroe l’accesso alle regioni dell’Essere destinate a
coloro che, perseguendo la via della retta azione, pervengano all’olocausto della mors triumphalis. La
semplice azione, però, anche se retta, non può da sola in alcun modo aprire la via alla contemplazione
del Graal. É questo il senso propriamente sapienziale della narrazione che può confrontarsi - senza
necessariamente invocare la teoria dell’imprestito culturale - agli analoghi concetti islamici di “piccola”
e “grande Guerra Santa”.
Al Graal si accede tramite il valore congiunto alla Conoscenza. Si tratta di giungere ad una
trasformazione del proprio essere per ottenere la quale, oltre al retto volere, occorre possedere l’intima
innata qualificazione. Questa può, forse, sintetizzarsi in tre parole: “incrollabilità”, firmitas, di fronte alle
forza dell’istinto;; fides nei confronti di Dio e pietas nell’osservanza dei precetti religiosi. Tale
qualificazione può essere ritrovata, ridestata, ma mai creata dal nulla: o la si possiede o si appartiene ad
un’altra categoria che non può giungere al Mistero perché a ciò «non è stata chiamata dal Graal stesso».
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Analogo al motivo della Terra Desolata è quello dell’Albero Secco situato in contrade meravigliose, ora
nel Paese del Gran Khan, imperatore dei Tartari, ora nel misterioso Regno del Prete Gianni che, come si
vedrà in seguito, riveste il ruolo di Centro del Mondo e Sede del Potere universale. É interessante notare
che Wolfram fa di Prete Gianni il figlio della Dama del Graal Repanse-de-Schoye: «In India, ella diede
alla luce un figlio che si chiamava Giovanni. Fu chiamato prete Giovanni» (Parzival 822).
Marco Polo, parlando del paese dei Tartari scrive: «Vi è un vastissimo piano dove è l’Albero «Solque»,
Arbre Solque, che noi chiamiamo albero Secco».
Solque, se interpretato secondo una radice araba, significa “vasto”, “alto”, “durevole”. In questo caso si
tratta piuttosto dell’Albero del Sole, Arbor Solis, o dell’Albero di Seth, Arbor Seth, l’albero che nacque
da un germoglio preso da Seth all’albero Centrale dell’Eden. L’Arbre Solque di Marco Polo sembra
possedere le caratteristiche essenziali dell’Asse del Mondo o Albero Cosmico, così come appare in
diverse tradizioni. Il significato di “alto”, “durevole” può confrontarsi, ad esempio, con quanto
tramandato dalla tradizione germanica a proposito dell’Yggdrasil, o Frassino del Mondo - letteralmente
“Destriero del Terribile”, cioè di Oðinn - sulla sommità del quale è posata un’aquila, un simbolo
imperiale che ritroviamo associato al Regno di Prete Gianni:
«Io so che esiste un frassino chiamato Yggdrasil
Un alto albero bagnato di bianca brina;;
di là derivano le rugiade che cadono nelle valli
e sempre verde sta presso la fonte di Urðr»12
É probabile che la designazione di Albero Secco sia derivata, nel Medioevo, da un accostamento
fonetico tra Solque e sec. Quello che qui importa notare è che quest’albero, che riveste la funzione di
Asse del Mondo, è strettamente collegato col potere regale.
In un’altra relazione medioevale è detto che nel paese dei Tartari esiste un Albero Secco, Arbor arida, al
quale viene appeso lo scudo di quel re o signore che giunge a sovrastare sugli altri sovrani. Quando ciò
avviene - il “sovrastare” non è da intendersi in senso puramente materiale - questi viene onorato come
signore universale13.
Si ricordi che Alessandro Magno, dopo aver conquistato l’Impero, attraversata l’India, che già Ercole e
Dioniso avevano percorsa, raggiunse la Fontana di Giovinezza e gli Alberi del Sole e della Luna che gli
annunciarono il destino e li confermarono il potere14.
In un contesto simile che fonda miticamente la relazione fra regalità divina ed Albero cosmico, il mito di
Romolo e Remo, la cesta contenente i futuri fondatori dell’Urbe si impiglia, trasportata dalle acque del
fiume sacro, nelle radici di un albero di fico, detto ficus ruminalis. Il fico riveste in India e a Roma il
ruolo di axis mundi: la sua linfa è assimilata simbolicamente alla Potenza universale15. Non lontana dal
ficus ruminalis vi era la fonte sacra di Fauno Luperco.
L’Asse del Mondo è centro e origine non solo del Potere Regale ma anche del Potere Sacerdotale in
quanto entrambi sono manifestazioni di un unico Potere in un duplice dominio - quello politico e quello
religioso, quello della giustizia e quello del rito - che nello stato primordiale si trovavano riassunti nella
unica persona del rex-sacerdos.
Il simbolismo del Sole e della Luna si riferisce alla riacquisizione della condizione “androginica”
primordiale.
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[FONTE: di Mario Polia, Il mistero imperiale del Graal, ed. Il Cerchio 1996, cap. IV, pp. 89-95]
Postato 2nd October 2013 da A.R.
Etichette: Graal, Mario Polia, mistero imperiale, Terre Gaste
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