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Autovettori e autovalori
A. Savo − Appunti del Corso di Geometria 2013-14
1 Endomorfismi
• Se V è uno spazio vettoriale, un endomorfismo di V è semplicemente un’ applicazione
lineare f : V → V . Un endomorfismo di V è spesso chiamato operatore di V .
Possiamo ad esempio definire l’endomorfismo identità, denotato con I : V → V , che
associa a ogni vettore di V il vettore stesso:
I(v) = v.
1
Esempio Consideriamo l’endomorfismo f di R3 definito da:
x 7x − 13y + 6z
f y = 2x − 8y + 6z .
z 2x − 13y + 11z
7 −13 6
La matrice associata a f rispetto alla base canonica è A = 2 −8 6 .
2 −13 11
Cambiamo ora base, e consideriamo la base (v1 , v2 , v3 ) di R3 , dove
1 13 −3
v1 = 1 , v2 = 2 , v3 = 0 .
1 0 1
1 0 13 65 −3 −15
Risulta f 1 = 0 , f 2 = 10 , f 0 = 0 . Dunque:
1 0 0 0 1 5
f (v1 ) = 0
f (v2 ) = 5v2
f (v3 ) = 5v3
0 0 0
e la matrice associata è A0 = 0 5 0, diagonale. È chiaro che la matrice associata A0
0 0 5
è molto più semplice; per studiare l’endomorfismo f la base (v1 , v2 , v3 ) è più conveniente
della base canonica.
2
1 1
Soluzione. a) A è semplicemente la matrice canonica di f : .
1 1
b) Si ha:
0 0 0 0
f (v1 ) = 0 = 0 · v1 + 0 · v2
0 2 0 0
f (v2 ) = 2 = 0 · v1 + 2 · v2
0 0
Dunque A0 = .
0 2
c) Si ha:
00 3
f (v1 ) = = −3 · v100 + 3 · v200
3
00 5
= −5 · v100 + 5 · v200
f (v 2 ) =
5
−3 −5
Dunque A00 = .
3 5
Le matrici associate sono quindi, rispettivamente
1 1 0 0 0 00 −3 −5
A= ,A = ,A = .
1 1 0 2 3 5
Per studiare la relazione tra le diverse matrici associate ad uno stesso endomorfismo dob-
biamo prima capire la relazione che intercorre tra due basi di uno stesso spazio vettoriale.
2 Cambiamento di base
Sia V uno spazio vettoriale e siano B = (v1 , . . . , vn ), B 0 = (v10 , . . . , vn0 ) due basi di V . Ogni
vettore della base B 0 si esprimerà dunque come combinazione lineare dei vettori della base
B: 0
v1 = a11 v1 + a21 v2 + · · · + an1 vn
v0 = a v + a v + · · · + a v
2 12 1 22 2 n2 n
(1)
...
0
vn = a1n v1 + a2n v2 + · · · + ann vn
La matrice ottenuta incolonnando le coordinate:
a11 a12 . . . a1n
a21 a22 . . . a2n
M = · · · · · · · · ·
···
an1 an2 . . . ann
3
è detta matrice del cambiamento di base (o matrice di passaggio) da B a B 0 . La i−esima
colonna di M è dunque data dalle coordinate del vettore vi0 rispetto a B, per ogni i =
1, . . . , n.
La matrice M è evidentemente n × n.
Le relazioni in (1) si esprimono, in forma compatta:
dove, a destra, si intende il prodotto del vettore riga (v1 , . . . , vn ) (le cui entrate sono
vettori) per la matrice M . Si scriverà anche
B 0 = BM.
= R2 , esiano 0
Esempio Fissiamo V B = BC = (e1 , e2 ) la base canonica e B la base
1 4
(w1 , w2 ) dove w1 = , w2 = . Poiche’
3 5
(
w1 = e1 + 3e2
(3)
w2 = 4e1 + 5e2
la matrice di passaggio è
1 4
M= .
3 5
4
Notiamo che le relazioni (3) si esprimono in forma matriciale:
1 4
(w1 , w2 ) = (e1 , e2 ) ,
3 5
dove a destra
si è moltiplicato il vettore riga (e1 , e2 ) (le cui entrate sono vettori) per la
1 4
matrice .
3 5
e quindi
1 2 1
M = 0 1 2 .
−1 0 −1
5
3 Matrici simili
Diremo che due matrici quadrate A, A0 sono simili se esiste una matrice invertibile M tale
che
A0 = M −1 AM.
Risulta che matrici associate ad uno stesso endomorfismo (rispetto a basi diverse) sono
simili.
A0 = M −1 AM,
A0 = M −1 AM
1 1
dove M = è la matrice di passaggio da BC a B 0 .
−1 1
Osservazione Vale anche il viceversa del teorema precedente: date due matrici simili,
diciamo A e A0 , allora esse rappresentano uno stesso endomorfismo. Ad esempio, se f è
l’endomorfismo di Rn rappresentato da A rispetto alla base canonica, e se B 0 è la base di
Rn tale che la matrice di passaggio dalla base canonica a B 0 è M , allora A0 rappresenta f
nella base B 0 .
6
4 Endomorfismi diagonalizzabili
• Un endomorfismo di uno spazio vettoriale V si dice diagonalizzabile se puo’ essere
rappresentato da una matrice diagonale; in altre parole, se esiste una base di V rispetto
alla quale la matrice associata è diagonale.
5 Autovettori e autovalori
5.1 Definizione
7
a) Un vettore v 6= O si dice autovettore di f associato all’autovalore λ ∈ R se
f (v) = λv.
b) Uno scalare λ si dice autovalore di f se esiste un vettore v 6= O tale che f (v) = λv.
x x+y
Esempio Sia f l’endomorfismo f di R2 definito da f = , e siano v1 =
y x+y
1 1
, v2 = . Un calcolo mostra che
−1 1
(
f (v1 ) = O = 0v1
f (v2 ) = 2v2
Allora, per definizione, v1 è un autovettore di f associato all’autovalore λ = 0, e v2 è un
autovettore associato all’autovalore λ = 2.
Notiamo che i due autovettori 2
formano una base (v1 , v2 ) di R , e che la matrice associata
0 0
a tale base è diagonale: , con elementi diagonali dati esattamente dagli autovalori.
0 2
Ricordiamo che, per definizione, un autovettore di un endomorfismo è, per definizione,
non nullo. Al contrario, lo scalare 0 può essere un autovalore di f . In effetti, osserviamo
che
• 0 è un autovalore di f se solo se Kerf 6= {O}. Ogni vettore del nucleo, diverso dal
vettore nullo, è un autovettore con autovalore 0.
8
con elementi diagonali dati dagli autovalori. Viceversa, se la matrice associata a f rispetto
a una data base (v1 , . . . , vn ) è diagonale, allora i vettori di tale base sono autovettori di
f associati, rispettivamente, agli elementi diagonali λ1 , . . . , λn . In conclusione, abbiamo
dimostrato il seguente risultato.
9
5.3 Autospazio associato a un autovalore
È facile verificare che, se λ è un autovalore, il sottoinsieme di V
Notiamo che E(λ) è formato dal vettore nullo, e da tutti gli autovettori associati a λ. Se
λ è un autovalore, allora per definizione esiste almeno un vettore non nullo nel sottospazio
E(λ). Dunque, se λ è un autovalore si ha sempre
M G(λ) ≥ 1.
10
6 Il polinomio caratteristico
In ciò che segue, V = V n è uno spazio vettoriale di dimensione n.
det(A − λI) = 0,
(A − λI)X = O. (4)
11
Dimostrazione. La prima parte è già dimostrata. La seconda segue immediatamente dal
Dunque
−2 − x 6
pA (x) =
−2 5 − x
= x2 − 3x + 2
Gli autovalori si ottengono risolvendo l’equazione caratteristica x2 − 3x + 2 = 0. Troviamo
le due soluzioni:
λ1 = 1, λ2 = 2.
che saranno quindi gli autovalori di f .
x y
Esempio Abbiamo già osservato che l’endomorfismo f = di R2 non ammette
y −x
0 1
autovalori. In effetti, la sua matrice canonica A = ha polinomio caratteristico
−1 0
−x 1
pA (x) =
= x2 + 1,
−1 −x
12
Esercizio Dimostrare che il polinomio caratteristico di una matrice 2 × 2 si scrive
pA (x) = x2 − 5x − 2.
1 1 1
Esempio Il polinomio caratteristico della matrice 0 1 1 è:
0 0 −3
1 − x 1 1
1 = −(x − 1)2 · (x + 3)
pA (x) = 0 1−x
0 0 −3 − x
e gli autovalori distinti sono: λ1 = 1, λ2 = −3.
Notiamo che la matrice dell’esempio precedente è triangolare superiore. In generale, se A
è triangolare superiore (rispettivamente, inferiore) anche A − xI è triangolare superiore
(rispettivamente, inferiore). Si ottiene facilmente che
• gli autovalori (distinti) di una matrice triangolare (superiore o inferiore) sono gli
elementi diagonali (distinti) della matrice.
13
Il risultato generale è conseguenza della seguente proposizione.
Dimostrazione. Dobbiamo far vedere che, se A e A0 sono due matrici simili, allora pA (x) =
pA0 (x). Sia C una matrice invertibile tale A0 = C −1 AC. Allora:
pA0 (x) = det(A0 − xI)
= det(C −1 AC − xI)
= det C −1 AC − C −1 (xI)C
= det C −1 (A − xI)C
Corollario Tutte le matrici associate ad uno stesso endomorfismo hanno lo stesso poli-
nomio caratteristico.
Dimostrazione. Supponiamo che A e A0 siano due matrici associate allo stesso endomor-
fismo f . Allora sappiamo che A e A0 sono simili, e dunque, per la proposizione precedente,
esse hanno lo stesso polinomio caratteristico.
Grazie alla precedente proposizione, possiamo definire il polinomio caratteristico di un
endomorfismo f di V n come il polinomio caratteristico di una qualunque matrice associata
a f (tale polinomio è sempre lo stesso). Scriveremo dunque
pf (x) = pA (x),
dove A è una matrice associata a f .
14
7 Calcolo degli autospazi
Una volta calcolati gli autovalori λ1 , . . . , λk di un endomorfismo f (tramite il polinomio
caratteristico di una sua matrice associata A) sarà possibile determinare gli autospazi
semplicemente risolvendo l’equazione vettoriale
f (v) = λj v
(A − λj I)X = O.
e stabilire se f è diagonalizzabile.
−2 6
Soluzione. La matrice di f nella base canonica è A = . Quindi:
−2 5
(A − I)X = O.
−3 6
Poiché A − I = il sistema si scrive
−2 4
(
− 3x + 6y = 0
− 2x + 4y = 0.
Quindi
2t 2
E(1) = ,t ∈ R , con base v1 = .
t 1
15
−4 6
Per l’autovalore 2 si ha A − 2I = e il sistema è
−2 3
(
− 4x + 6y = 0
− 2x + 3y = 0.
Quindi
3s 3
E(2) = ,s ∈ R , con base v2 = .
2s 2
Notiamo che i due autospazi hanno entrambi dimensione 1 e quindi gli autovalori hanno
entrambi molteplicità geometrica 1:
M G(1) = M G(2) = 1.
16
Poiché A è triangolare superiore, gli autovalori saranno gli elementi diagonali. f ha dunque
due autovalori distinti λ1 = −1, λ2 = 2 e, di conseguenza, due autospazi: E(−1), E(2).
Cerchiamo una base di ciascuno di essi. Per E(−1) dobbiamo risolvere l’equazione f (v) =
−v, dunque il sistema
(A + I)X = O.
0 1 5
Esplicitamente A + I = 0 0 3 dunque il sistema è:
0 0 3
y + 5z = 0
3z = 0
3z = 0
1
e il suo insieme delle soluzioni ha dimensione 1 con base 0. In conclusione
0
1
dim E(−1) = 1, con base 0.
0
17
2t
1
che ammette ∞ soluzioni t , con t ∈ R. Ne segue che:
t
2
dim E(2) = 1, con base 1.
1
che sono linearmente indipendenti ma che non possono formare una base di R3 , poiché R3
ha dimensione 3. In conclusione, f non è diagonalizzabile. In effetti, per avere una base
di autovettori almeno uno dei due autospazi avrebbe dovuto avere dimensione maggiore o
uguale a 2. La non diagonalizzabilità di f è dunque conseguenza del fatto che la somma
delle molteplicità geometriche degli autovalori è minore della dimensione dell’intero spazio:
Nella prossima sezione mostreremo che un endomorfismo di un qualunque spazio vettoriale
V n è diagonalizzabile se e solo se la somma delle molteplicità geometriche di tutti i suoi
autovalori vale precisamente n.
8 Primo criterio
Osserviamo che, dati due autovalori distinti λ1 6= λ2 di un endomorfismo f , si ha sempre
18
a) Sia Bi una base dell’autospazio E(λi ), dove i = 1, . . . , h. Allora i vettori dell’insieme
B1 ∪ · · · ∪ Bh
Dimostrazione. a) Per dare un’idea della dimostrazione esamineremo solo il caso in cui ci
siano due autovalori distinti λ1 6= λ2 . Il caso generale si dimostra per induzione. Fissate
le basi B1 = (u1 , . . . , uk ) di E(λ1 ) e B2 = (v1 , . . . , vl ) di E(λ2 ), supponiamo che
a1 u1 + · · · + ak uk + b1 v1 + · · · + bl vl = O.
Ponendo u = a1 u1 + · · · + ak uk e v = b1 v1 + · · · + bl vl otteniamo
u + v = O.
u ∈ E(λ1 ) ∩ E(λ2 )
dunque u = O e
a1 u1 + · · · + ak uk = O.
Poiché i vettori u1 , . . . , uk sono linearmente indipendenti per ipotesi otteniamo infine
a1 = · · · = ak = 0. Analogamente v = O implica b1 = · · · = bl = 0. La conclusione è che i
vettori dell’unione
B1 ∪ B2 = {u1 , . . . , uk , v1 , . . . , vl }
sono linearmente indipendenti.
b) Siccome Bi è una base di E(λi ), il numero dei vettori di Bi è dim E(λi ) = M G(λi ),
per ogni i = 1, . . . , h. Dunque i vettori dell’insieme B1 ∪ · · · ∪ Bh sono, in numero, pari alla
somma di tutte le molteplicità geometriche; poiché sono linearmente indipendenti per la
parte a), tale somma non può superare la dimensione n.
La proposizione afferma che, unendo le basi di tutti gli autospazi, otteniamo sempre vet-
tori linearmente indipendenti: se gli autovettori cosi’ ottenuti sono in numero sufficiente
(cioè n) allora essi formeranno una base dell’intero spazio e l’endomorfismo risulterà di-
agonalizzabile. Enunciamo dunque il criterio seguente, che chiameremo primo criterio di
diagonalizzabilità.
19
Teorema Un endomorfismo di uno spazio vettoriale V n è diagonalizzabile se e solo se la
somma delle molteplicità geometriche dei suoi autovalori è uguale a n. In altre parole, se
e solo se
Xk
M G(λi ) = n,
i=1
dove λ1 , . . . , λk sono gli autovalori distinti di f .
20
tutte le basi cosi’ trovate: l’insieme di autovettori B = B1 ∪ · · · ∪ Bk sarà la base di V n
cercata.
Ecco degli esempi.
8.1 Esempio
Consideriamo l’endomorfismo f di R3
x x+y−z
f y = 2x + 2y − 2z
z −x − y + z
1 1 −1
Scegliendo la base canonica, possiamo considerare la matrice associata A = 2 2 −2
−1 −1 1
3 2
con polinomio caratteristico pA (x) = −x + 4x che si fattorizza come
M G(0) = 2,
(v1 , v2 , w1 )
21
che, grazie alla proposizione, sono linearmente indipendenti (non c’è bisogno di ulteriori
verifiche) e formano la base di autovettori cercata.
Notiamo che la matrice associata a f rispetto alla base B = (v1 , v2 , w1 ) è diagonale, con
elementi diagonali dati dagli autovalori associati, rispettivamente, a v1 , v2 , w1 :
0 0 0
D = 0 0 0
0 0 4
8.2 Esempio
2 0 0
Consideriamo l’endomorfismo f di R3 rappresentato da A = 0 0 −3 rispetto alla
0 2 0
base canonica. Il polinomio caratteristico di A è
pA (x) = (2 − x)(x2 + 6)
8.3 Esempio
2 4 −1
Consideriamo l’endomorfismo f di R3 rappresentato da A = 0 3 1 rispetto alla
0 0 −1
base canonica. Poiché A è triangolare superiore, gli autovalori di f saranno gli elementi
diagonali di A. Quindi f ammette tre autovalori distinti
λ1 = 2, λ2 = 3, λ3 = −1.
22
8.4 Esempio
1 a 0
Si consideri l’endomorfismo f di R3 rappresentato da A = 0 1 b rispetto alla base
0 0 1
canonica. Per quali valori di a, b l’endomorfismo risulta diagonalizzabile?
9 Secondo criterio
In questa sezione daremo un altro criterio necessario e sufficiente per la diagonalizzabilità.
p(x) = (x − λ)q(x),
23
con r(x) polinomio di grado n − 2. Continuando in questo modo, arriveremo dopo k ≤ n
passi alla decomposizione
p(x) = (x − λ)k r(x),
con r(x) polinomio tale che r(λ) 6= 0. Diremo allora che λ è una radice con molteplicità
k. Dunque
• λ è una radice di molteplicità k se p(x) è divisibile per (x−λ)k ma non per (x−λ)k+1 .
Il polinomio p(x) si dice totalmente riducibile se si spezza nel prodotto di polinomi di primo
grado del tipo x − λj , eventualmente moltiplicato per una costante c 6= 0. Se λ1 , . . . , λk
sono le radici distinte, allora p(x) è totalmente riducibile se si scrive
24
• Definiamo molteplicità algebrica dell’autovalore λ la molteplicità di λ quale radice di
pA (x). Essa si denota con il simbolo
M A(λ).
M A(λ) ≥ M G(λ) ≥ 1.
25
Dimostrazione. Supponiamo che 1) e 2) siano verificate, e siano λ1 , . . . , λk gli autovalori
distinti di f . Allora, poiché pf (x) è totalmente riducibile, abbiamo
k
X
M A(λj ) = n.
j=1
k
X k
X
n≥ M A(λj ) ≥ M G(λj ) = n,
j=1 j=1
dove la prima disuguaglianza scende dal fatto che il polinomio caratteristico ha grado n, e
la seconda è vera poiché M A(λj ) ≥ M G(λj ) per ogni j. Ne segue che le due disuguaglianze
devono essere uguaglianze, quindi
k
X
M A(λj ) = n,
j=1
26
Esempio Consideriamo l’endomorfismo f di R4 rappresentato dalla matrice
2 3 1 0
0 2 1 −1
A= 0
0 2 4
0 0 0 3
rispetto alla base canonica (vedi esempio precedente). Si ha pA (x) = (x − 2)3 (x − 3), che
è totalmente riducibile, con un solo autovalore multiplo λ1 = 2 di molteplicità algebrica 3
(l’altro autovalore λ2 = 3 è semplice). È dunque sufficiente calcolare la molteplicità geo-
metrica dell’autovalore 2. Si ha M G(2) = 1, dunque M A(2) > M G(2) e l’endomorfismo
f non è diagonalizzabile.
Il polinomio caratteristico è totalmente riducibile, con autovalori −1, 2, 3 di cui solo il terzo
è multiplo:
M A(3) = 2.
27
È sufficiente dunque calcolare M G(3). Si ha:
−2 1 0 0
−2 1 0 0
rk(A − 3I) = rk = 2,
0 0 −1 3
0 0 1 −3
dunque
M G(3) = 4 − rk(A − 3I) = 2.
In conclusione, M A(3) = M G(3) = 2 per l’unico autovalore multiplo, dunque f è diago-
nalizzabile.
• È chiaro a questo punto che le molteplicità geometriche degli autovalori sono:
B = (v1 , v2 , v3 , v4 )
0 0 0 3
D = M −1 AM.
28
a b 2a b+c
Soluzione. Esplicitamente T = . Dunque la matrice associata a T
c d b+c 2d
nella base canonica è:
2 0 0 0
0 1 1 0
A=0 1
1 0
0 0 0 2
Il polinomio caratteristico è pA (x) = x(x − 2)3 , con autovalori distinti λ1 = 0, λ2 = 2. Si
ha rkA = 3 quindi M G(0) = 1, rk(A − 2I) = 1 quindi M G(2) = 3. Si ha:
M G(0) + M G(2) = 4 = dim Mat(2 × 2),
dunque T è diagonalizzabile. Troviamo ora basi di ciascun autospazio. Una base di E(0)
è E2 − E3 . Una base di E(2) è (E1 , E2 + E3 , E4 ). Dunque una base di Mat(2 × 2) formata
da autovettori è:
0 1 1 0 0 1 0 0
(E2 − E3 , E1 , E2 + E3 , E4 ) = ( , , , ).
−1 0 0 0 1 0 0 1
Esempio Consideriamo
l’endomorfismo
T : Mat(2 × 2) → Mat(2 × 2) definito da T (A) =
1 1
AN , dove N = . Stabilire se T è diagonalizzabile.
−1 −1
x y x−y x−y
Soluzione. Esplicitamente T = . La matrice associata nella base
z w z−w z−w
canonica è
1 −1 0 0
1 −1 0 0
A= 0 0 1 −1
0 0 1 −1
Un calcolo mostra che pA (x) = x4 . Abbiamo dunque un solo autovalore λ1 = 0 con
M A(0) = 4. Poichè rkA = 2 si ha M G(0) = 2 < 4, dunque T non è diagonalizzabile.
x y −2x + 6y −2x + 5y
Esempio Sia T : Mat(2×2) → Mat(2×2) definito da T = .
z w −2z + w w
Stabilire se T è diagonalizzabile.
0 0 0 1
29
Polinomio caratteristico pA (x) = (x − 1)2 (x + 2)(x − 2), totalmente riducibile. Abbiamo
tre autovalori distinti λ1 = 1, λ2 = 2, λ3 = −2, di cui solo il primo è multiplo: M A(1) =
2. Si ha rk(A − I) = 2 dunque M G(1) = 2 = M A(1): per il secondo criterio, T è
diagonalizzabile. Si può verificare che una base di autovettori è:
2 1 0 0 3 2 0 0
, , , ,
0 0 0 1 0 0 1 0
0 0 0 −2
10 Matrici diagonalizzabili
Se A è una matrice quadrata n × n, diremo che il vettore colonna v ∈ Rn , con v 6= O, è
un autovettore di A se
Av = λv,
per un certo λ ∈ R, detto autovalore relativo a v. In altre parole:
• v è un autovettore di A se e solo se v è un autovettore dell’endomorfismo di Rn
rappresentato da A rispetto alla base canonica.
• Diremo che la matrice A è diagonalizzabile se A è simile ad una matrice diagonale;
se cioè possiamo trovare una matrice diagonale D e una matrice invertibile M tali che
D = M −1 AM. (5)
Diagonalizzare una matrice (quando ciò è possibile) significa trovare matrici D e M che
verificano la relazione (5).
Il teorema seguente ci dice quando è possibile diagonalizzare una matrice.
30
dove D è la matrice diagonale di elementi diagonali λ1 , . . . , λn , rispettivamente.
In altre parole, A è simile alla matrice i cui elementi diagonali sono gli autovalori di f ,
e M è la matrice le cui colonne formano una base di autovettori di f (presi nello stesso
ordine degli autovalori).
D = M −1 AM
dove M è la matrice di passaggio dalla base canonica alla base di autovettori B. Per
definizione di matrice di passaggio, le colonne di M sono proprio i vettori di B, e dunque
si ha (b).
10.1 Esempio
−2 6
Diagonalizzare, se possibile, la matrice A = .
−2 5
31
Vediamo quali fra queste sono diagonalizzabili, applicando il secondo criterio.
Matrice A1 . Polinomio caratteristico −(x − 1)2 (x + 3), totalmente riducibile. Autovalori
distinti 1, −3, di cui solo il primo è multiplo, con M A(1) = 2. Si ha M G(3) = 1 < M A(1).
Quindi A1 non è diagonalizzabile.
Matrice A2 . Polinomio caratteristico −(x − 1)2 (x − 3), totalmente riducibile. Autovalori
distinti 1, 3, di cui solo il primo è multiplo, con M A(1) = 2. Si ha M G(1) = 2 quindi A2
è diagonalizzabile.
Matrice A3 . Polinomio caratteristico −(x − 1)(x − 2)(x + 1). Autovalori distinti 1, 2, −1:
sono tre, tutti semplici, quindi A3 è diagonalizzabile.
Matrice A4 . Polinomio caratteristico −(x − 2)(x2 + 1): il fattore quadratico x2 + 1
non ha radici, dunque il polinomio caratteristico non è totalmente riducibile e A4 non è
diagonalizzabile.
Possiamo diagonalizzare solo A2 e A3 .
Diagonalizzazione di A2 . Autovalori 1, 3. Cerchiamo una base degli autospazi. Si ha
1 1 1
A2 − I = −1 −1 −1
2 2 2
e l’autospazio E(1)
si ottiene
risolvendo
il sistema (A2 − I)X = O. Un calcolo mostra che
1 1
una base di E(1) è −1 , 0 . Si ha poi
0 −1
−1 1 1
A2 − 3I = −1 −3 −1
2 2 0
1
per cui una base di E(3) è −1. Unendo le basi dei due autospazi otteniamo la base di
2
autovettori:
1 1 1
B= −1 , 0 , −1 associati, nell’ordine, a 1, 1, 3.
0 −1 2
Dunque
1 1 1 1 0 0
M = −1 0 −1 , D = 0 1 0 .
0 −1 2 0 0 3
32
Possiamo verificare che D = M −1 AM ovvero che M D = AM .
Si ha dunque:
1 2 − 25
1 0 0
M = 0 1 1 , D = 0 2 0 .
0 0 3 0 0 −1
33