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Il Passio - Le antiche Passioni monofoniche

Il termine tecnico Passione (o il latino Passio) indica in musica il genere che racconta la storia della
passione e morte di Gesù, come narrata nei Vangeli.

Fin dai primi secoli i riti pre-pasquali e pasquali furono il fulcro dell'anno liturgico, ed in particolare
la lettura liturgica delle narrazioni evangeliche delle vicende legate alla morte di Cristo ebbe
da sempre un particolare rilievo.
La prima prova diretta dell'uso liturgico della Passione proviene della pellegrina Egeria, che visitò
Gerusalemme nel IV secolo e che nel suo "Peregrinatio Egeriae ad loca Sancta" descrisse le
funzioni che vi si tenevano durante la Settimana Santa.

Ma anche in Occidente la lectio era già diffusa ovunque, e ad essa la patristica assegnava un
ruolo catechetico. Pertanto, è comprensibile che essa avvenisse in una forma più solenne rispetto
alla normale cantillazione, come sottolineato da sant'Agostino relativamente alla Passione secondo
Matteo:
"Solemniter legitur passio, 
solemniter celebratur". 

Si trattava tuttavia ancora di una recitazione semicantata, o meglio cantillata, e come emerge dai
messali più antichi solo alcune parole, come il grido di Gesù in croce "Eli, eli, lamma sabacthani"
venivano distinte con una sottolineatura "musicale".

Circa alla metà del V secolo, papa Leone Magno decretò che la Passione secondo Matteo dovesse
essere letta durante la messa per la domenica delle Palme e la messa per il mercoledì nella
Settimana Santa, mentre quella secondo Giovanni doveva essere letta il Venerdì Santo. Circa 200
anni dopo la Passione secondo Matteo fu sostituita da quella secondo Luca durante la messa del
mercoledì, e dal X secolo divenne consuetudine nella Chiesa romana cantare la Passione secondo
Marco il martedì della Settimana Santa. Nelle liturgie gallicana, ambrosiana, mozarabica e
beneventana i testi furono distribuiti in modo alquanto diverso e talvolta solo singoli versi della
Passione erano letti.

Modo antico di cantillazione - Le litterae significativae

Come indicato negli Ordines Romani, i testi della Passione erano originariamente pronunciati da un


singolo cantore (un diacono), e non vi è alcuna prova certa che prima del XIII secolo fossero
affidati a più cantori, anche se si può presumere che la prassi di movimentare la lettura dividendo le
"parti" fra più chierici sia entrata nell'uso lentamente, già prima del 1200 (i testi evangelici sono
invero assai lunghi e ovviamente erano declamati in latino; alcuni messali benedettini del X secolo
lascerebbero in effetti presupporre già l'esistenza di tale uso).

Comunque nei manoscritti antichi, già a partire dal IX secolo (o anche prima, come nel messale di
Bobbio), furono inseriti dei segni che, pur nella monofonia solistica, rivelano l'inizio dello sviluppo
di un approccio drammatico alla Passione: sono le cosiddette litterae significativae, che, come nella
notazione adiastematica del gregoriano, indicavano al cantore intonazione, ritmo e volume della
voce.

Nel Passio le litterae si differenziavano a seconda del soggetto parlante:


- Evangelista, cioè le sezioni narrative. In esse la lettera c (celeriter, più tardi interpretata come
cronista o cantore) si presenta particolarmente frequente; ma si trovano spesso anche le lettere m
(mediocriter), d (tonus directaneus) e, soprattutto nelle fonti italiane del sud, l o lec (lectio);
- Cristo (parole pronunciate dal Cristo). Le parole di Cristo, a volte distinte anche per il colore
rosso, spesso recano la lettera t (Tenere o trahere), che si è poi trasformata in una croce dopo il XII
secolo. Altre lettere utilizzate per le parole di Cristo sono i (iusum, inferius), b (bassa voce) , d
(deprimatur o dulcius), l (lente, leniter), s (suaviter) e, nei manoscritti Jumièges, a (augere). Nel
rito di Sarum, le parole di Cristo sulla croce erano appositamente enfatizzate, o da un tono superiore
oppure da un uso particolare di neumi.
- Turba (discorso diretto da parte di gruppi o individui). La turba è più spesso contrassegnata con la
lettera s (Sursum, successivamente interpretata come synagoga), nonché con le lettere A (altius), l
(levare) e f (fortiter). In alcune fonti viene fatta una distinzione tra la turba dei discepoli (lm per
levare mediocriter) e la turba dei Giudei (ls per levare Sursum).

Quando nei secoli successivi i toni del recitativo vennero fissati con precisione, mediante l'uso delle
lettere romane accanto alle litterae significativae, lo stesso avvenne anche per il Passio; la nota di
recita per le parole di Cristo divenne RE (in alternanza con FA), mentre quella per l'evangelista era
un LA e quella per la turba RE.
Le prassi liturgiche comunque si differenziarono ancora dal punto di vista geografico, e così la
maggiore evoluzione si ebbe in Francia, dove si cominciarono a scrivere Passioni in cui i toni di
lettura erano tradotti in neumi o anche note quadrate su rigo.
La Spagna ebbe una propria tradizione, di cui però abbiamo documentazione più tarda, solo
successiva alla metà del XV secolo, e che attesta una recitazione su toni propri sia nella cattedrale di
Toledo che all'Escorial.
Una tradizione di Passio proviene anche dall'Ungheria, mentre in Germania apparve nel XIV secolo
il modo lidio.

La suddivisione dei personaggi

La prima distribuzione definita delle parti della lettura della Passione tra diverse persone si trova
nel Gros livre dei Domenicani risalente al 1254. Qui le parole di Cristo vengono recitate da un
basso sulle note SI, LA o DO, le sezioni Evangelista da un tenor su FA, e le sezioni Turba da un
alto sul SI.

Negli stessi decenni il francese Guglielmo Durante, vescovo di Mende, compilò l'opera Rationale
divinorum officiorum, il cui Libro II, intitolato I ministri, gli ordini ecclesiastici e le loro funzioni,
tratta prima di tutto le funzioni di canto e salmodia e fra esse anche il Passio, indicando che le
parole di Cristo andavano cantate dulcius, quelle degli ebrei urlanti clamore e cum asperitate voci e
la narrazione finale in tono doloroso. Durante descrisse anche una serie di azioni liturgiche che
potremmo definire "sceniche": lo spegnimento delle luci (simbolo della morte di Cristo-Luce del
mondo), la omissione da parte dei diaconi lettori della richiesta di benedizione, la spogliazione delle
stoffe dell'altare, la omissione dell'incenso, e infine la riaccensione di luci e incenso e la rivestizione
dell'altare nella parte finale della lettura dopo la morte di Cristo (a simboleggiare la imminente
resurrezione).

Solitamente i lettori erano tre, ma potevano anche essere di più, come attestato in un graduale di rito
Sarum conservato a Parma (circa 1300) dove la lettura della Passione è divisa tra cinque cantanti e
le parole del Cristo sulla croce sono cantate da un chierico apposito. Invero, la divisione della
lettura della passione tra tre cantanti divenne universale nel corso dei secoli XIV e XV.

Lentamente, invalse anche l'uso di far cantare le parti della folla a un gruppo, e così dalla metà del
Trecento troviamo nei manoscritti le parti della Turba affidate a un coro, ancora però in monofonia.

Questi vari elementi della prassi esecutiva (l'uso delle litterae significativae, la divisione delle parti
tra diversi caratteri, l'uso di un coro per la turba) aumentarono l'impatto drammatico del testo della
passione, e l'antica Passione didattica lasciò gradatamente il posto ad un evento intriso
di compassio, di partecipazione emotiva, influenzata anche dalla mistica della sofferenza diffusa da
Bernardo di Chiaravalle e dalla nuova spiritualità francescana-domenicana.

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