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LENNI BRENNER

IL SIONISMO
NELL’ETA’ DEI
DITTATORI
(1918 – 1945)

Un’analisi delle affinità ideologiche e delle relazioni politiche


intercorse tra sionismo e nazifascismo prima e durante la
Shoah. Il sionismo, l'ideologia alla base dello stato di Israele,
non solo ha determinato la tragedia palestinese ma ha
contribuito anche a quella degli ebrei.
La medaglia commemorativa riprodotta sulla copertina dell’edizione in inglese fu coniata
nel 1934 dal quotidiano nazista “Der Angriff” all’indomani della visita alle colonie sioniste in
Palestina del funzionario delle SS Leopold von Mildenstein in compagnia di Kurt Tuchler,
rappresentante della Federazione Sionista Tedesca.

2
Indice

Prefazione dell’autore (1983), nota biografica, nota alla traduzione italiana…………………..p.4

1. Sionismo e antisemitismo prima dell’Olocausto………………………………………………..p.6

2. Blut und Boden (sangue e suolo): le radici del razzismo sionista………………………… p.16

3. Il sionismo tedesco e il collasso della Repubblica di Weimar………………………………..p.21

4. Il sionismo e il fascismo italiano, 1922 – 1933………………………………………………...p.27

5. Il sionismo tedesco si offre di collaborare col nazismo……………………………………….p.31

6. Il boicottaggio ebraico anti-nazista e il patto commerciale nazi-sionista……………………p.38

7. Hitler guarda al sionismo………………………………………………………………………...p.51

8. Palestina: gli arabi, i sionisti, gli inglesi e i nazisti……………………………………………..p.58

9. Il Congresso Mondiale Ebraico………………………………………………………………….p.66

10. Il sionismo revisionista e il fascismo italiano………………………………………………….p.69

11. Revisionismo e nazismo………………………………………………………………………...p.78

12. Georg Kareski: un Quisling sionista prima di Quisling……………………………………….p.84

13. La selezione del popolo eletto: la dottrina della “crudeltà sionista”…....……………………p.88

14. L’Organizzazione Sionista Mondiale e il fascismo italiano, 1933 – 1937………………….p.93

15. L’Austria e i Gentile Friends of Zionism…………………………………………………….….p.98

16. I partiti ebraici dell’Europa orientale…………………………………………………………...p.102

17. Spagna: i nazisti combattono, i sionisti no……………………………………………………p.106

18. I sionisti non partecipano alla lotta antinazista nelle democrazie liberali………………….p.109

19. Il sionismo e la sfera di co-prosperità del Giappone nell’Asia orientale…………………..p.112

20. Polonia 1918 – 1939……………………………………………………………………………p.114

21. Il sionismo nella Polonia dell’Olocausto………………………………………………………p.122

22. Collusione tra il sionismo e il governo polacco in esilio……………………………………..p.130

23. L’immigrazione illegale…………………………………………………………………………p.133

24. Il fallimento delle operazioni di soccorso……………………………………………………..p.138

25. Ungheria: il crimine dentro un crimine………………………………………………………..p.152

26. La Banda Stern………………………………………………………………………………….p.160

Bibliografia e glossario……………………………………………………………………………...p.163

3
prefazione dell’autore (1983)

Perché un altro libro sulla Seconda guerra mondiale, che probabilmente è l’argomento sul quale si è
scritto di più nella storia umana? Perché un altro libro sull’Olocausto, che è stato vivamente descritto da molti
sopravvissuti e storici? Come argomento generale l’età dei dittatori, la guerra mondiale e l’Olocausto sono stati
indubbiamente approfonditi. Ma l’interazione tra sionismo, fascismo e nazismo è stata adeguatamente indagata?
E se no, perché no?
La risposta è piuttosto semplice. Diversi aspetti dell’argomento generale sono stati affrontati nello
specifico, ma non c’è un equivalente del presente lavoro, che cerca di presentare una panoramica dell’attività
del movimento sionista durante quell’epoca. Naturalmente questo non è un caso, ma piuttosto un sintomo che vi
sono molte cose imbarazzanti da scoprire in una tale ricerca.
L'analisi di certi temi conduce a difficili problemi, e uno dei più difficili è rappresentato dalle emozioni
evocate dall'Olocausto. Chi può dubitare del fatto che molti delegati alle Nazioni Unite che nel 1947 votarono per
la creazione di uno stato israeliano furono motivati dal desiderio di risarcire in qualche modo gli ebrei
sopravvissuti all'Olocausto? Essi, e molti altri fautori di Israele, rivolsero verso quello stato i profondi sentimenti
che avevano nei confronti dei mostruosi crimini di Hitler. Ma qui fu il loro errore: basarono il loro sostegno a
Israele e al sionismo su ciò che Hitler aveva fatto agli ebrei, invece che su ciò che i sionisti avevano fatto per gli
ebrei. Dire che un tale approccio è intellettualmente e politicamente inammissibile non significa denigrare i
profondi sentimenti suscitati dall'Olocausto.
Il sionismo d'altronde è un'ideologia, e la sua storia deve essere indagata con lo stesso occhio critico che i
lettori dovrebbero avere nei confronti di qualunque tendenza politica. Il sionismo non è, e non fu mai,
comprensivo dell'ebraismo o del popolo ebraico. La grande maggioranza delle vittime di Hitler non erano
sionisti. E' ugualmente vero, come i lettori sono invitati a verificare, che in particolare la maggioranza degli ebrei
polacchi avevano ripudiato il sionismo alla vigilia dell'Olocausto, e che aborrivano le posizioni di Menachem
Begin, nel settembre 1939 uno dei capi del cosiddetto movimento "sionista-revisionista" nella capitale polacca.
In quanto anti-sionista, l'autore è ferito dall'accusa che l'antisionismo corrisponda all'antisemitismo e all' "odio
ebraico per se stessi".
E' quasi superfluo aggiungere che ogni tentativo di equiparare gli ebrei e i sionisti, e quindi di attaccare gli
ebrei in quanto tali, è un crimine, e deve essere duramente contrastato. Non vi potrà mai essere alcuna
confusione tra la lotta contro il sionismo e l'ostilità verso gli ebrei o l'ebraismo. Il sionismo prospera sulle paure
che gli ebrei hanno di un nuovo Olocausto. Il popolo palestinese è profondamente riconoscente per il sostegno
che riceve dagli ebrei progressisti, sia religiosi come Ruth Blau, Elmer Berger, Moshe Menuhin o Israel Shahak,
sia atei come Felicia Langer e Lea Tsemel e altri della sinistra. Nessun nazionalismo né teologia né teoria
sociale possono rappresentare un ostacolo per quegli ebrei, in Israele o altrove, che sono decisi a camminare
insieme al popolo palestinese contro l'ingiustizia e il razzismo. Si può dire con certezza scientifica che senza
l'indistruttibile unità degli arabi e degli ebrei progressisti la vittoria sul sionismo non è solo difficile, è impossibile.

A meno che questo libro non diventasse un'enciclopedia, il materiale è stato necessariamente
selezionato, con tutta la dovuta cura, in modo da arrivare a un quadro completo. E' inevitabile che gli studiosi dei
singoli temi possano lamentare che non è stata posta abbastanza attenzione a ciascun ambito specifico. E
avranno sicuramente ragione; interi libri sono stati scritti su aspetti particolari dei problemi complessivi affrontati
qui, e il lettore è invitato ad approfondire le fonti citate nelle note a piè di pagina. Un ulteriore problema nasce
per il fatto che molto del materiale originale è in lingue che pochi lettori sono in grado di comprendere. Perciò,
ove possibile, sono riportate fonti inglesi e traduzioni, per dare ai lettori scettici la possibilità di consultare la
bibliografia di riferimento della ricerca.
Come i lettori sono invitati a scoprire leggendo questo libro, le conseguenze dell'ideologia sionista
meritano lo studio e la divulgazione. Questo è il tentativo. Come convinto antisionista, la mia conclusione è che il
sionismo è completamente errato; è la mia conclusione ricavata dall'evidenza. Le conclusioni sono, in una
parola, mie. Per quanto riguarda la persuasività degli argomenti usati per giungervi, i lettori sono invitati a
giudicare da sé.

4
nota biografica
Lenni Brenner è nato negli Stati Uniti il 25 aprile 1937 da una famiglia di ebrei ortodossi. Fin da giovanissimo si
è interessato al marxismo, in particolare alla corrente trotzkista, e ha intrapreso l’attività politica militante.
Negli anni ’60 si è impegnato nel movimento per i diritti civili dei neri, e poi nel movimento contro la guerra in
Vietnam. E’ stato in carcere più di tre anni, di cui alcuni giorni in cella con Huey Newton, futuro fondatore delle
Black Panthers. Negli anni ’90 insieme a un altro storico leader delle Black Panthers, Stokely Carmichael (alias
Kwame Ture), ha contribuito alla creazione di un Committee against Zionism and Racism.

Zionism in the Age of the Dictators del 1983 è stato il suo primo libro. Successivamente ha scritto: The Iron
Wall: Zionist Revisionism from Jabotinsky to Shamir (Il Muro di ferro: il sionismo revisionista da Jabotinsky a
Shamir, 1984), Jews in America Today (Gli ebrei in America oggi, 1986), The Lesser Evil: The Democratic Party
(Il male minore: il Partito Democratico, 1988), 51 Documents: Zionist Collaboration with the Nazis (51 documenti:
la collaborazione sionista coi nazisti, 2002) e Black Liberation and Palestine Solidarity (2012, con Matthew
Quest).
Ha scritto anche più di 100 fra articoli e recensioni, pubblicati da riviste e siti internet.

nota alla traduzione italiana


Zionism in the Age of the Dictators è sovente citato come fonte da Alan Hart nel primo volume de
Sionismo: il vero nemico degli ebrei, edito in Italia da Zambon nel 2015.
Il libro di Brenner, al di là forse di certe forzature in alcuni giudizi, è molto utile perchè fornisce agli studiosi
e ai militanti impegnati nel boicottaggio di Israele argomenti storici sufficienti non solo a respingere l'accusa di
antisemitismo che viene rivolta ai critici del sionismo, ma anche a rispedire la critica al mittente. Cioè, leggendo il
libro si può concludere che veri antisemiti sono stati, e sono, i sionisti (e Brenner ne cita almeno uno che lo
riconosce espressamente), nella misura in cui per i loro scopi coloniali e razzisti di occupazione della Palestina
oltre a sottomettere il popolo palestinese hanno strumentalizzato e manipolato anche il popolo ebraico,
scendendo a patti con i suoi aguzzini anche nei momenti più bui.
Esiste al 100% una "responsabilità oggettiva" pressoché di tutte organizzazioni sioniste nella genesi
dell'Olocausto, dal momento che esse nella prima metà del Novecento non hanno quasi mai combattuto
l’antisemitismo (anzi) e hanno collaborato con i governi nazifascisti, snobbando o ostacolando i movimenti di
resistenza. Per quanto riguarda il periodo cruciale dello sterminio (1941 – 1945), i sionisti reagirono in svariati
modi ma le correnti maggioritarie furono per lo più complici, insieme ai governi alleati, del fallimento delle
operazioni di salvataggio; una parte dei sionisti anche in questa fase collaborò con gli stati dell'Asse e alcuni, i
più perversi, espressero la consapevolezza che il sangue dei milioni di vittime sarebbe servito al tavolo delle
trattative per rivendicare uno stato ebraico in Palestina.
Tutto ciò può essere valutato dal lettore attraverso le fonti e le informazioni fornite da Brenner.
L'auspicio è che il presente testo serva a rendere sempre più efficace la critica del sionismo e dello stato
di Israele, a "desionistizzare" la politica italiana e le comunità ebraiche, ad ampliare il fronte degli ebrei
progressisti e più in generale di coloro che si impegnano per la fine dell'occupazione della Palestina, per il Diritto
al Ritorno dei profughi e, sul modello del Sud Africa di Nelson Mandela, per la costituzione di un unico paese nel
quale arabi ed ebrei abbiano uguali diritti.

(marzo 2016)

5
1. SIONISMO E ANTISEMITISMO
PRIMA DELL'OLOCAUSTO

Nel periodo compreso tra la Rivoluzione Francese e l'unificazione di Germania e Italia,


sembravano esserci le prospettive per la progressiva emancipazione degli Ebrei nel quadro di un
continuo sviluppo del capitalismo e dei suoi valori di libertà e modernità. Anche i pogrom in Russia
degli anni '80 dell'Ottocento apparvero l'ultimo respiro di un sistema feudale morente piuttosto che
un'avvisaglia dei tempi a venire. Ma nel 1896, quando Theodor Herzl pubblicò il suo Stato Ebraico, un
tale ottimistico scenario non era più realisticamente prevedibile. Nel 1895 lo stesso Herzl aveva visto
la folla parigina invocare la morte di Dreyfus, e quello stesso anno aveva udito i cori di selvaggia
acclamazione della classe media viennese quando l'antisemita Karl Lueger era stato eletto
Burgmeister.
Nato in mezzo a un'ondata di odio verso gli ebrei, non solo nella periferica Russia ma anche nei
principali centri dell'Europa industriale, il sionismo moderno rappresentava il più nobile proposito che
si potesse immaginare: la redenzione del perseguitato popolo ebraico in una terra di sua proprietà. Ma
fin dall'inizio il movimento fece propria la convinzione di una parte della classe media ebraica che il
futuro appartenesse agli "odiatori degli ebrei", che l'antisemitismo fosse qualcosa di inevitabile,
naturale. Fermamente convinta che l'antisemitismo non potesse essere eliminato, la neonata
Organizzazione Sionista Mondiale non lo combatté mai. L'assuefazione all'antisemitismo (e il suo
pragmatico utilizzo allo scopo di ottenere uno stato ebraico) fu caratteristica centrale del movimento
sionista, a partire dai suoi primi esordi fino ad arrivare all'Olocausto. Nel giugno 1895, in una delle
prime pagine del suo Diario, Herzl sancì questo punto fisso del sionismo:

A Parigi, come ho detto, ho sperimentato una forte attitudine all'antisemitismo, che ora
comincio a comprendere storicamente, e a perdonare. Soprattutto, ho empaticamente
conosciuto la futilità del provare a "combattere" l'antisemitismo 1.

In un certo senso, Herzl fu un uomo del suo tempo e della sua classe; un monarchico che
credeva nella regola del "buon tiranno". Nel suo Stato Ebraico scrisse baldanzosamente: "Le nazioni
odierne non sono ancora pronte per la democrazia, e credo che lo diventeranno sempre meno...non
ho alcuna fiducia nelle virtù politiche del nostro popolo, poichè noi non siamo nulla di meglio rispetto
all'umanità moderna"2.
Questo profondo pessimismo fece sì che Herzl travisasse completamente gli sviluppi politici
occorsi nell'Europa occidentale del tardo Ottocento. In particolare, egli male interpretò l'Affare
Dreyfus3. La segretezza del processo e la ferma proclamazione di innocenza da parte di Dreyfus
convinsero molti che si compiva un'ingiustizia. La vicenda vide un enorme aumento del sostegno da
parte dei "gentili". I re ne discussero, e si preoccuparono per la situazione della Francia; gli ebrei dei
remoti villaggi delle Paludi di Pripyat 4 si rivolsero a Emile Zola. Gli intellettuali francesi si schierarono
con Dreyfus. Il movimento socialista conquistò i lavoratori. L’ala destra della società francese fu
screditata, l’esercito disonorato, la Chiesa destabilizzata. L’antisemitismo in Francia fu ridotto
all’isolamento, ove sarebbe rimasto fino all’invasione hitleriana. Eppure Herzl, il più famoso giornalista
di Vienna, non fece nulla per promuovere anche solo una manifestazione di supporto a Dreyfus.
Quando parlava della questione, essa era sempre un “orribile esempio” e mai una “causa da
sostenere”. Nel 1899 la mobilitazione portò a un nuovo processo. Una corte marziale ribadì la
colpevolezza del capitano, cinque voti a due, tuttavia individuò delle circostanze attenuanti e ridusse
1
Theodor Herzl, The Complete Diaries, 1895 - 1904
2
Theodor Herzl, Lo Stato Ebraico, 1896
3
Alfred Dreyfus, ebreo, capitano dell’esercito francese, fu accusato di spionaggio a favore della Germania nel 1894. Subito
processato, fu condannato alla deportazione a vita nelle prigioni della Guyana francese (la famosa Caienna); negli anni
seguenti alcuni elementi fecero emergere la montatura nei suoi confronti, ordita negli stessi ambienti dell’esercito, e iniziò
una campagna per la riabilitazione culminata in un nuovo processo tenutosi nel 1899, al termine del quale la pena fu ridotta
a dieci anni. Dreyfus fu poi graziato, e pienamente riabilitato nel 1906.
4
Vasta regione umida situata tra la Bielorussia e l'Ucraina.
6
la pena a dieci anni. Ma Herzl enfatizzava solo gli aspetti negativi, disprezzando l’importanza della
vasta simpatia dei gentili per la vittima ebrea:

Se un povero animale viene torturato in pubblico, la folla non leva forse grida di
indignazione? Questo è il senso del sentimento pro-Dreyfus al di fuori della Francia, se
davvero è così esteso come molti ebrei ritengono…in sintesi, potremmo dire che
l’ingiustizia commessa contro Dreyfus è così grande che noi dimentichiamo che abbiamo
a che fare con un ebreo…c’è qualcuno così presuntuoso da affermare che tra sette
persone qualunque ve ne sono due, o almeno una, a favore degli ebrei?...Dreyfus
rappresenta un bastione che è stato ed è ancora oggetto di una lotta. A meno che non ci
inganniamo, quel bastione è perso!5

Il governo francese comprese la situazione meglio di Herzl e agì per prevenire ulteriori
sollevazioni riducendo l’entità della pena. Dato il successo della lotta in favore di Dreyfus, gli ebrei
francesi – di destra e di sinistra - considerarono il sionismo come qualcosa di irrilevante. Herzl li sferzò
nel suo Diario: “Cercano la protezione dei socialisti e dei distruttori dell’attuale ordine civile…Non sono
affatto più ebrei. Di certo, non sono neppure francesi. Probabilmente diventeranno i capi
dell’anarchismo europeo”6.
La prima opportunità per Herzl di applicare la sua strategia di non-resistenza all’antisemitismo,
abbinata all’emigrazione di una quota di ebrei verso un nascente stato ebraico, venne con il successo
di Karl Lueger7 a Vienna. La vittoria del demagogo fu il principale successo dei nuovi partiti
dichiaratamente antisemiti in Europa, ma gli Asburgo si opposero fermamente al neoeletto sindaco.
Circa l’otto per cento dei generali austriaci erano ebrei e numerosi erano gli ebrei fedeli al regime, in
mezzo a un mare di irredentismi nazionali che destabilizzavano l’Impero austro-ungarico.
L’antisemitismo poteva solo creare problemi a una dinastia già indebolita. L’Imperatore per due volte
rifiutò di ratificare la nomina di Lueger. Herzl fu uno dei pochi ebrei a Vienna favorevoli alla conferma.
Invece di organizzare l’opposizione al demagogo cristiano-sociale, egli il 3 novembre 1895 incontrò il
Primo ministro, il conte Kasimierz Badeni, e gli disse sfrontatamente di accettare Lueger:

Penso che l’elezione di Lueger a sindaco vada accettata. Se Voi mancate di farlo una
prima volta, comunque non potrete una seconda, e se arriverete alla terza…si
muoveranno i Dragoni. Il Conte sorrise: - Davvero! - con espressione goguenard8.9

La povertà nella Galizia degli Asburgo, unitamente alle discriminazioni patite in Russia,
spingevano gli ebrei a Vienna e di lì in Europa Occidentale e in America, portando con sé
l’antisemitismo. I nuovi immigrati divennero un “problema” per i dirigenti dell’alta società, e per le
comunità ebraiche locali già inserite, che temevano il crescere del sentimento antiebraico nella
popolazione locale. Di fronte a questa nuova ondata migratoria, Herzl approntò una soluzione che,
pensava, avrebbe soddisfatto sia le alte sfere delle comunità ebraiche che le classi dirigenti del
capitalismo occidentale: avrebbe spinto queste ultime a togliersi di torno gli ebrei poveri. Scrisse a
Badeni: “Ciò che io propongo è…non proprio l’emigrazione di tutti gli ebrei…attraverso la porta che
sto cercando di aprire per le masse ebraiche povere, uno statista cristiano che coglie la situazione
può incamminarsi verso la storia mondiale”. 10
I primi sforzi di Herzl di spingere il vento dell’ostilità verso gli ebrei nella direzione delle vele del
sionismo fallirono completamente, ma ciò non gli impedì di tentare una seconda volta. Nel 1902 il
parlamento britannico mise all’ordine del giorno un Aliens Exclusion Bill rivolto contro gli immigrati, e
Herzl si recò a Londra per dire la sua sul provvedimento. Invece di approvarlo, affermò, il governo
britannico avrebbe dovuto sostenere il sionismo. Egli incontrò lord Rothschild e, a dispetto di tutte le
sue affermazioni pubbliche sulla salute dell'ebraismo, in privato si espresse senza ipocrisia, dicendo
5
In Ludwing Lewisohn, Theodor Herzl: A Portrait for This Age, 1956
6
Theodor Herzl, The Complete Diaries, 1895 - 1904
7
Karl Lueger (Vienna, 24 ottobre 1844 – 10 marzo 1910), dichiaratamente razzista e antisemita, leader del Partito Cristiano
Sociale Austroungrarico, deputato al consiglio municipale di Vienna e al parlamento austriaco. Eletto borgomastro di
Vienna nel 1895, entrò in carica solo nel 1897 dopo l’intervento di Papa Leone XIII presso gli Asburgo e vi rimase fino alla
morte, influenzando molto la politica nazionale della città e di tutta la nazione austriaca. Hitler lo cita come un modello nel
Mein Kampf.
8
Ironica (in francese nel testo).
9
Theodor Herzl, The Complete Diaries, 1895 - 1904
10
ibidem
7
che “forse sarò uno di quegli eroi cui gli ebrei inglesi erigeranno un monumento, per averli salvati dal
flusso degli ebrei dell’Est Europa e, forse, anche dall’antisemitismo”. 11
Nella sua autobiografia, Trial and Error12, scritta nel 1949, Chaim Weizmann – allora primo
presidente del nuovo stato israeliano – ritornò sulla vicenda dell’Aliens Bill. A sua volta immigrato in
Gran Bretagna, il giovane e brillante chimico nel 1902 era già uno degli intellettuali preminenti del
nuovo movimento sionista, e aveva incontrato sir William Evans Gordon, promotore della legge
antiebraica. Retrospettivamente, con la tragedia dell’Olocausto fresca nella sua mente, l’allora
presidente di Israele ribadì che:

La nostra gente è stata piuttosto dura con lui…L’Aliens Bill in Inghilterra e il movimento
cresciuto intorno ad esso erano fenomeni naturali…Ogniqualvolta il numero di ebrei in
qualunque paese raggiunge il livello di saturazione, quel paese reagisce contro di loro…Il
fatto che allora il numero di ebrei in Inghilterra, e anche la sua proporzione rispetto alla
popolazione totale, fosse più basso che in altri paesi, era irrilevante; il fattore determinante
in questo campo non è la disponibilità all’assimilazione degli ebrei, ma la capacità di
assimilazione del paese…ciò non può essere visto come antisemitismo nel senso
comune, o volgare, del termine; è un dato di fatto economico-sociale concomitante con
l’immigrazione ebraica, e noi non possiamo liberarcene…benché il mio punto di vista
sull’immigrazione fosse naturalmente in aspro contrasto col suo, discutemmo di questi
problemi in maniera obiettiva e anche amichevole.13

Nonostante il presunto “aspro contrasto” con Evans Gordon, non ci sono segni che Weizmann
abbia mai provato a mobilitare l’opinione pubblica contro di lui. Cosa gli disse Weizmann nella loro
“amichevole” discussione? Egli non lo ha rivelato, ma lo possiamo legittimamente supporre: tale il
maestro Herzl, tale il discepolo Weizmann. Possiamo ragionevolmente ritenere che il dichiarato
sostenitore dell’intesa pragmatica chiese al proprio interlocutore antisemita di sostenere il sionismo.
Neppure una volta, né allora né poi, Weizmann provò a spingere le masse ebraiche a opporsi
all’antisemitismo.

“Allontanando gli ebrei dai partiti rivoluzionari”

Herzl inizialmente aveva sperato di convincere il Sultano della Turchia a concedere la


Palestina come piccolo stato autonomo in cambio dell’intervento dell’Organizzazione Sionista
Mondiale (WZO) per risanare il debito estero turco. Presto fu evidente che la sua speranza era priva di
fondamento. Abdul Hamid sapeva bene che l’autonomia conduce sempre all’indipendenza, ed era
deciso a mantenere l’integrità del proprio impero. La WZO non aveva un esercito, non avrebbe mai
potuto acquisire il paese da sola. L'unica possibilità risiedeva nella costruzione di una lobby europea
in grado di influenzare il Sultano in favore del sionismo. Una colonia sionista sarebbe allora stata sotto
la protezione di questa lobby, e i sionisti sarebbero stati i suoi rappresentanti presso un impero
ottomano in decomposizione. Per il resto della vita Herzl lavorò a questo obiettivo e si rivolse,
dapprima, alla Germania.
Il Kaiser Guglielmo II non era certo un nazista; non si sognò mai di uccidere gli ebrei, e
permetteva loro una piena libertà economica, ma li teneva completamente al di fuori dai corpi ufficiali
e dagli uffici esteri, e con una forte discriminazione in tutti i ruoli civili. Verso la fine degli anni ’90
Guglielmo iniziò seriamente a preoccuparsi per l'avanzata del movimento socialista, e il sionismo lo
attirò poiché riteneva che dietro ai suoi nemici ci fossero gli ebrei. Pensando ingenuamente che “gli
elementi socialdemocratici” si sarebbero trasferiti in Palestina, ricevette Herzl a Costantinopoli il 19
ottobre 1898. In quell’incontro il leader sionista gli chiese di intervenire personalmente presso il
Sultano e di poter costituire una compagnia commerciale sotto la protezione della Germania. Una
sfera di influenza in Palestina era qualcosa di abbastanza attraente, ma Herzl credette di avere
un’altra esca per attirare i suoi potenziali, reazionari sostenitori: “Spiegai che stavamo allontanando gli
ebrei dai partiti rivoluzionari”.14

11
Theodor Herzl, The Complete Diaries, 1895 - 1904
12
Tradotta in italiano col titolo La mia vita per Israele, Garzanti 1950.
13
In Trial and Error, pp.90-1
14
Theodor Herzl, The Complete Diaries, 1895 - 1904
8
Nonostante il forte desiderio del Kaiser di liberarsi degli ebrei, attraverso il governo tedesco
non si potè fare nulla. I diplomatici di Berlino sapevano che il Sultano non avrebbe mai approvato quel
progetto. Inoltre il ministro degli Esteri tedesco non era pazzo come il suo superiore. Egli sapeva che
gli ebrei tedeschi non avrebbero mai lasciato volontariamente la Germania.
Herzl si rivolse altrove, cercando supporto anche presso il regime zarista. In Russia il sionismo
era stato subito accolto; l’emigrazione era ciò che si voleva. Per un po’ Sergej Zubatov, capo della
polizia segreta di Mosca, aveva sviluppato una strategia per dividere gli oppositori dello Zar. I
lavoratori ebrei avevano creato la prima organizzazione socialista di massa, la General Jewish
Workers League, meglio nota come Bund, e Zubatov incaricò i propri agenti ebrei di formare gruppi di
una nuova organizzazione, Poale Zion (Lavoratori di Sion), in opposizione ai rivoluzionari 15. Ma
quando elementi dei gruppi sionisti reagirono alle pressioni del regime poliziesco e al crescente
malcontento, e iniziarono battersi per i diritti degli ebrei in Russia, la banca dei sionisti – il Jewish
Colonial Trust – venne bandita dal paese. Ciò portò Herzl a Pietroburgo per incontrare il conte Sergej
Witte, ministro delle Finanze, e Vyacheslav von Plehve, ministro dell’Interno. Era stato von Plehve a
organizzare il primo pogrom da vent’anni a quella parte, a Kishenev, in Bessarabia, nell’estate 1903.
45 persone furono uccise e più di mille ferite; Kishenev produsse terrore e collera tra gli ebrei.
Il colloquio di Herzl con l’assassino Plehve fu criticato anche dalla maggior parte dei sionisti. Egli
andò a Pietroburgo per far riaprire il Colonial Trust, per chiedere che le tasse degli ebrei fossero usate
per sussidi all’emigrazione e per ottenere un’intercessione presso i turchi. Per addolcire i suoi critici di
parte ebraica, Herzl chiese non l’abolizione della Zona di Residenza, ovvero le province occidentali
nelle quali gli ebrei erano confinati, bensì il suo allargamento, “per dimostrare apertamente il carattere
umanitario di questi passi”, soggiunse. “Questo” insistette “dovrebbe far cessare la tensione”16. Von
Plehve lo incontrò l’8 e il 13 agosto 1903. Sappiamo ciò dal Diario di Herzl. Von Plehve spiegò il
proprio punto di vista sulla nuova direzione che vedeva prendere al sionismo:

Ultimamente la situazione è molto peggiorata, perché gli ebrei stanno entrando nei partiti
rivoluzionari. Noi avevamo simpatia per il vostro movimento sionista, finchè si adoperava
per l’emigrazione. Voi non dovete giustificare il movimento con me. Vous prechez a un
converti. Ma dalla conferenza di Minsk 17 in avanti abbiamo notato un changement des gros
bonnet. C’è meno dibattito sul progetto sionista in Palestina di quanto non ve ne sia sulla
cultura ebraica, l’organizzazione e il nazionalismo. Questo non ci soddisfa.18

Herzl ottenne che il Colonial Trust riaprisse e una lettera di apertura verso il sionismo da parte di
Plehve, ma il sostegno era concesso soltanto alla condizione che il movimento si limitasse
all’emigrazione e rinunciasse ad occuparsi di rivendicazioni nazionalistiche all’interno della Russia. Al
ritorno, Herzl mandò a von Plehve una copia di una lettera a Lord Rothschild nella quale suggeriva:
“La situazione potrebbe considerevolmente migliorare se i giornali pro-ebrei smettessero di usare un
tono così odioso nei confronti della Russia. Noi dobbiamo provare a lavorare affinchè ciò abbia fine,
nel prossimo futuro”.19
In seguito Herzl si pronunciò pubblicamente, in Russia, contro i tentativi di organizzare gruppi
socialisti da parte dei sionisti russi:

In Palestina…la nostra terra, un tale partito vivacizzerebbe la nostra vita politica – e


dunque avrebbe la mia stessa adesione. Mi fate un’ingiustizia se dite che sono contrario
alle idee di progresso sociale. Ma ora, nell’attuale situazione, è troppo presto per
occuparsi di queste cose. Esse ci sono estranee. Il sionismo chiede un coinvolgimento
totale, non parziale.20

Di ritorno in Occidente, Herzl proseguì ancora nella propria collaborazione con lo zarismo.
Quell’estate, durante il Congresso Sionista Mondiale a Basilea (nel 1903 era il sesto), ebbe un
15
Georgij Gapon, The Story of my Life, 1906. Il pope Georgij Gapon fu un controverso esponente del movimento operaio
russo, in contatto con la polizia zarista. Poale Zion venne fondata in varie città russe ed europee all’indomani del rifiuto del
Bund di aderire al sionismo, nel 1901.
16
Theodor Herzl, The Complete Diaries, 1895 - 1904
17
Presumibilmente allude al primo incontro tra i sionisti di tutta la Russia, svoltosi nell'agosto 1902 a Minsk su diretta
autorizzazione di Plehve.
18
Theodor Herzl, The Complete Diaries, 1895 - 1904
19
ibidem
20
Amos Elon, Herzl, 1975
9
incontro riservato con Chaim Zithlovskij, che era una figura preminente nel Partito Socialista
Rivoluzionario. Zithlovskij poi scrisse a proposito di questa straordinaria conversazione. Il sionista gli
aveva detto:

Sono appena stato da Plehve. Ho avuto la sua promessa che entro al massimo quindici
anni egli ci procurerà una concessione per la Palestina. Ma a una condizione: gli ebrei
rivoluzionari devono cessare la loro attività contro il governo russo. Se fra quindici anni, a
partire dalla data dell’accordo, Plehve non avrà fatto la concessione, essi saranno liberi di
fare ciò che ritengono necessario.21

Naturalmente Zithlovskij rifiutò con sdegno la proposta. I rivoluzionari ebrei non erano affatto
dell’idea di abbandonare la lotta per diritti umani fondamentali in cambio della vaga promessa di uno
stato sionista nel prossimo futuro. Egli descrisse in poche parole il fondatore della WZO:

Era, in generale, troppo fedele alle autorità vigenti – come è proprio di un diplomatico
che deve avere a che fare con l’ordine costituito – per essere interessato ai rivoluzionari e
includerli nei suoi calcoli…Fece il suo viaggio non per intercedere per il popolo di Israele e
suscitare compassione per noi nel cuore di Plehve. Lo fece come un politico che non
dedica se stesso ai sentimenti, ma agli interessi…la politica di Herzl è costruita sulla pura
diplomazia, e si basa sulla ferma convinzione che la storia politica dell’umanità è fatta da
poche persone, pochi dirigenti, e che quanto concordato tra costoro diviene il contenuto
della storia politica.22

Vi è qualche giustificazione per gli incontri di Herzl con von Plehve? La risposta è una sola.
Anche Weizmann scrisse successivamente che “il passo fu non solo umiliante, ma completamente
privo di senso…un’insensatezza non poteva avere un seguito.” 23 Lo Zar non aveva la benché minima
influenza sui turchi, che lo vedevano come nemico. Nel contempo, nel 1903, Herzl accolse una
proposta anche più surreale per una colonia sionista nelle Highlands del Kenya in sostituzione della
Palestina. I sionisti russi cominciarono a spazientirsi di queste bizzarre discussioni, e si accordarono
per lasciare la WZO se l’Uganda fosse stata presa in considerazione. Herzl si considerava una sorta
di Cecil Rhodes ebreo; difficilmente avrebbe avuto importanza per lui ove la colonia fosse situata, ma
per la maggioranza dei sionisti russi il movimento era un’estensione del patrimonio biblico e l’Africa
per loro non aveva senso. Un sionista russo un po’ folle tentò di uccidere il vice di Herzl, Max Nordau,
e solo la morte prematura di Herzl prevenne un collasso interno del movimento.
Tuttavia, i contatti diretti con lo zarismo non cessarono con Herzl. Dal 1908 le fazioni della WZO
si espressero a favore di un incontro tra il successore di Herzl, David Wolffsohn, il Primo ministro
Stolypin e il ministro degli Esteri Alexandr Izvolskij, a proposito di nuove controversie sul Colonial
Trust. Itzvolskij giunse rapidamente a un accordo sulle richieste minime e infatti ebbe un’amichevole
discussione con il leader della WZO: “Posso quasi dire di aver fatto di lui un sionista” scrisse
Wolffsohn trionfalmente24.
Non c’è bisogno di dire che la visita di Wolffsohn nulla modificò nella legislazione anti-ebraica
della Russia.

La Prima Guerra Mondiale


Gli egregi risultati diplomatici dei sionisti nel periodo pre-bellico non impedirono alla WZO di
approfittare del disastro della Prima Guerra Mondiale. La maggior parte dei sionisti era filo-tedesca
per avversione alla Russia zarista, il più antisemita dei contendenti. La direzione della WZO a Berlino
provò a spingere Germania e Turchia ad appoggiare il sionismo in Palestina, come espediente volto a
spingere il mondo ebraico dalla propria parte. Altri sionisti si resero conto che la Turchia era debole, e
sicuramente con la guerra sarebbe stata smembrata. Essi ipotizzarono che, se avessero appoggiato
gli Alleati, il sionismo sarebbe stato appoggiato in Palestina come ricompensa. A costoro importava
poco che gli ebrei russi, che erano la maggioranza, non avessero nulla da guadagnare dalla vittoria
21
Vladimir Medem, From my Life, 1923
22
ibidem
23
Chaim Weizmann, Trial and Error, 1949
24
Emil Cohen, David Wolffsohn: Herzl’s Successor, 1944
10
del loro oppressore con i suoi alleati. Weizmann, che viveva a Londra, provò a convincere i politici
britannici. Egli nel 1905 aveva già preso contatti con Arthur Balfour che, come Primo ministro, si era
espresso contro l’immigrazione ebraica in Inghilterra. Weizmann conosceva tutta la profondità
dell’antisemitismo di Balfour: il 2 dicembre 1914 in una lettera privata scrisse: “Mi ha detto di come
una volta ebbe una lunga conversazione con Cosima Wagner a Bayreuth, e che aveva approvato la
maggior parte delle affermazioni antisemite di lei”. 25
Mentre Weizmann intrigava con i politici di Londra, Vladimir Jabotinskij aveva ottenuto
l’appoggio zarista a una legione di volontari ebrei per aiutare gli inglesi a occupare la Palestina.
Migliaia di giovani ebrei con cittadinanza russa rifugiati in Inghilterra furono minacciati di deportazione
in Russia dall’ebreo Herbert Samuel, segretario agli Interni, se non si fossero offerti “volontari” per
l’esercito britannico. Ma essi non si lasciarono intimidire: non avrebbero combattuto né per lo Zar né
per il suo alleato, e così il governo fece marcia indietro. L’idea della legione fu una via d’uscita per gli
Alleati in imbarazzo.
I turchi ci misero del loro nell’aiutare il progetto a divenire realtà, espellendo tutti gli ebrei russi
dalla Palestina in quanto nemici stranieri. Costoro non erano propensi a combattere direttamente per
lo zarismo, ma il loro sionismo li spinse a seguire il collaboratore di Jabotinskij, Yosef Trumpeldor,
negli Zion Mule Corps, di stanza insieme agli inglesi a Gallipoli. Più tardi Jabotinskij si vantò
orgogliosamente di come i Corpi dei Mulattieri di Sion, appoggiati dagli antisemiti di Pietroburgo, lo
aiutarono a raggiungere i suoi scopi:

Fu quel “battaglione di asini” proveniente da Alessandria, preso in giro da tutti i burloni in


Israele, che mi aprì le porte degli uffici governativi di Whitehall. Il ministero degli esteri di
Pietroburgo ne scrisse al Conte Benkendoff, l’ambasciatore russo a Londra; l’ambasciata
russa inviò i rapporti al ministero degli Esteri inglese; il capo consigliere dell’ambasciata, il
defunto Constantine Nabokov, che poi successe all’ambasciatore, combinò gli incontri con
i ministri inglesi.26

La Dichiarazione Balfour e la lotta contro il bolscevismo

La fine della guerra vide sia gli ebrei che il sionismo in un mondo completamente nuovo. Le
manovre della WZO avevano finalmente avuto successo – per i sionisti ma non per gli ebrei. La
Dichiarazione Balfour fu il prezzo che Londra fu disposta a pagare affinchè gli ebrei americani
usassero la loro influenza per portare in guerra gli Stati Uniti, e per mantenere gli ebrei russi dalla
parte degli Alleati. Ma benché la dichiarazione desse al sionismo l’appoggio militare e politico
dell’Impero britannico, non ebbe il minimo effetto sul corso degli eventi nel vecchio Impero zarista, la
madrepatria degli ebrei. Il bolscevismo, ideologia fondamentalmente opposta al sionismo, aveva preso
il potere a Pietroburgo e fu attaccato dalle Armate Bianche zariste, ucraine, polacche e baltiche
finanziate da Gran Bretagna, Stati Uniti, Francia e Giappone. La controrivoluzione si appoggiò su molti
elementi che avevano una lunga tradizione di antisemitismo e pogrom. Durante la guerra civile questa
tradizione continuò, e conobbe anche un ulteriore sviluppo: almeno 60.000 ebrei furono uccisi dalle
forze anti-bolsceviche. Benché la Dichiarazione Balfour desse ai sionisti il tiepido appoggio dei
sostenitori delle Armate Bianche, non frenò per niente i pogrom. La Dichiarazione fu solo un vago
impegno che consentiva alla WZO di provare a costruire una “casa nazionale” in Palestina. La
sostanza di quell’impegno era ancora completamente indefinita. I leader della WZO compresero che il
governo inglese vedeva la caduta dei bolscevichi come la massima priorità, e che loro avrebbero
dovuto comportarsi di conseguenza, non solo riguardo all’insignificante Palestina ma soprattutto
nell’instabile arena est-europea.
Gli storici occidentali chiamano la rivoluzione bolscevica “rivoluzione russa”, ma gli stessi
bolscevichi la consideravano una scintilla per innescare la rivoluzione mondiale. Lo stesso fecero i
capitalisti di Gran Bretagna, Francia e Stati Uniti, vedendo che il successo dei comunisti galvanizzava
l’ala radicale delle rispettive classi lavoratrici. Come tutti i ceti sociali che non possono ammettere che
le masse abbiano ragione a ribellarsi, essi cercarono di spiegare le sollevazioni, a se stessi e alle loro
25
The Letters and Papers of Chaim Weizmann, vol VII, p. 81. Dopo l’Olocausto Weizmann non poteva rivelare
l’antisemitismo di un grande padre del sionismo. Quindi cambiò versione in Trial and Error: “Mr. Balfour disse che due
anni prima era stato a Bayreuth, e che aveva parlato con Frau Cosima Wagner, moglie del compositore, che aveva
accennato alla questione degli ebrei. Io interruppi mr. Balfour…” (n.d.a.)
26
Vladimir Jabotinskij, The Story of the Jewish Legion, 1945
11
popolazioni, nei termini di una cospirazione...degli ebrei. L’8 febbraio 1920 Winston Churchill, allora
Segretario alla Guerra, parlò ai lettori dell’Illustrated Sunday Herald di “Trockij…(e)…i suoi progetti di
uno stato comunista mondiale dominato dagli ebrei.” E Churchill aveva già scelto gli oppositori del
bolscevismo: i sionisti. Egli scrisse sdegnosamente della “furia con cui Trockij ha attaccato i sionisti in
generale e il dottor Weizmann in particolare”. “Trockij” ,dichiarò Churchill, era “decisamente turbato e
ostacolato da questo nuovo ideale…la lotta che sta per iniziare tra i sionisti e gli ebrei bolscevichi è
quasi una lotta per l’anima del popolo ebraico”.27
La strategia inglese di servirsi insieme degli antisemiti e dei sionisti contro “Trockij” riposava in
ultima analisi sulla disponibilità del sionismo a cooperare con la Gran Bretagna nonostante il
coinvolgimento di quest'ultima con i pogromisti Bianchi in Russia. La WZO non voleva i pogrom
nell’Europa dell’Est, ma non fece nulla per mobilitare il mondo ebraico a difesa degli ebrei colà
perseguitati. Le affermazioni di Weizmann all’epoca, come riportato nelle sue memorie, ci dicono
come era vista la situazione. Egli presenziò alla Conferenza di Versailles il 23 febbraio 1919. Ancora
una volta ribadì la valutazione tradizionale sugli ebrei condivisa dagli antisemiti e dai sionisti. Non
erano gli ebrei che avevano un problema, gli stessi ebrei erano il problema:

Gli ebrei e l’ebraismo erano in una pericolosa condizione di debolezza, poiché


rappresentavano, per se stessi e per le altre nazioni, un problema molto difficile da
risolvere. Non vi era, dissi, nessuna speranza di soluzione – poiché il problema ebraico
ruotava fondamentalmente intorno all'assenza di una patria – senza la creazione di una
Casa Nazionale.28

Naturalmente gli ebrei non costituivano nessun problema – né per le nazioni né per “se stessi” –
ma Weizmann per questo inesistente “problema” aveva una soluzione . Ancora una volta il sionismo si
offrì al consesso dei potenti capitalisti come movimento contro-rivoluzionario. Il sionismo avrebbe
“trasformato l’energia degli ebrei in una forza costruttiva anziché lasciare che si dissolvesse in
tendenze distruttive”.29
Anche in tarda età Weizmann rivide la tragedia degli ebrei durante la Rivoluzione Russa
soltanto con la lente del sionismo:

Tra la Dichiarazione Balfour e l’ascesa dei bolscevichi al potere, gli ebrei russi avevano
sottoscritto l’enorme somma di 30 milioni di rubli per una banca dell’agricoltura in
Palestina; ma questo progetto, come molti altri, ora dovette essere cancellato…Gli ebrei
polacchi…stavano ancora così soffrendo a causa della guerra di spartizione russo-
polacca, che non fu possibile per loro dare il minimo contributo per gli obiettivi che
avevamo.30

Weizmann vedeva che il sionismo era debole sotto tutti gli aspetti, con un solo punto d’appoggio
in Palestina. “L’Europa orientale era una tragedia che il movimento sionista era al momento incapace
di alleviare.”31 Ma altri soggetti non furono così inattivi: i sindacati inglesi organizzarono un embargo
delle navi di armamenti destinate ai Bianchi, i comunisti francesi promossero un ammutinamento nella
flotta francese sul Mar Nero. E naturalmente l’Armata Rossa tentò di difendere gli ebrei dai loro
assassini Bianchi. Invece la WZO non usò mai la sua influenza, né presso la comunità ebraica inglese
né nelle stanze del potere, per supportare i militanti sindacali. Weizmann fece completamente propria
la mentalità anti-comunista dei suoi padroni inglesi. Non cambiò mai opinione in quel periodo. E anche
in Trial and Error conservò lo stile di un vecchio Tory quando si soffermò su “un’epoca in cui gli orrori
della rivoluzione bolscevica erano freschi nella mente di ognuno”32 (sottolineatura dell'autore).

27
Illustrated Sunday Herald, 8 febbraio 1920
28
Chaim Weizmann, Trial and Error, 1949
29
Leonard Stein, The Balfour Declaration, 1961
30
Chaim Weizmann, Trial and Error, 1949
31
Ibidem
32
Ibidem
12
I Trattati sulle Minoranze alla Conferenza di Pace di Versailles
La Russia era fuori controllo, ma gli Alleati e i loro referenti locali dominavano nel resto
dell'Europa Orientale; ora che la WZO era stata trasformata dalla Dichiarazione Balfour in Voce di
Israele, non poteva più tacere sul destino delle grandi comunità ebraiche dell'Est. Doveva agire, e così
i suoi portavoce. Quello che voleva era che gli ebrei venissero riconosciuti come una nazione, con
l'autonomia per le scuole e le istituzioni linguistiche, così come il sabato ebraico doveva essere
riconosciuto come giorno di riposo. Dal momento che l'acquiescenza all'imperialismo era alla base
della strategia sionista, il Comitato delle Delegazioni Ebraiche - sostanzialmente la WZO in tandem
con l'American Jewish Committee - alla Conferenza di Versailles presentò un memorandum
sull'autonomia nazionale. Tutti i nuovi stati nati dal crollo degli Imperi Centrali, ma non la Germania nè
la Russia, dovevano firmare i trattati di riconoscimento delle minoranze come precondizione per il
riconoscimento diplomatico. All'inizio l'idea fu fatta propria dagli Alleati, che si resero conto che
riconoscere i diritti delle minoranze era essenziale per evitare che il groviglio di sciovinismi nazionali
mandasse in pezzi i nuovi stati, aprendo la strada all'espansione bolscevica. Uno alla volta i Polacchi,
gli Ungheresi e i Romeni firmarono, ma le loro adesioni furono insignificanti. In quei paesi le classi
medie in rapida ascesa vedevano gli ebrei come avversari storici, ed erano determinate a scacciarli. Il
rappresentante polacco che firmò il trattato era il più noto antisemita del paese; gli ungheresi
dichiararono lutto nazionale il giorno della firma; e i romeni rifiutarono di firmare fino a quando le
clausole che garantivano i diritti dello shabbat e delle scuole ebraiche non furono rimosse dal loro
trattato.
Mai vi fu la minima probabilità di successo per quel piano utopico. Balfour presto si rese conto
di quali problemi i trattati avrebbero creato agli Alleati nell'Europa Orientale. Il 22 ottobre 1919 egli
dichiarò alla Società delle Nazioni che gli stati coinvolti avrebbero dovuto assumersi un compito
ingrato se si fossero adoperati per far applicare gli obblighi dei trattati. Quindi, disse, dal momento che
i trattati erano precedenti alla nascita della Società, quest'ultima non era obbligata a farli applicare. 33 I
legislatori riuniti, quindi, riconobbero la validità legale dei trattati ma non predisposero un meccanismo
di applicazione.
Gli ebrei non poterono mai far leva su quei quei trattati senza senso. Negli anni '20 in Ungheria
fu introdotto il numero chiuso nelle università. Nel 1933 l'ancora debole Hitler si sentì in dovere di
onorare la Convenzione Tedesco-Polacca, che era l'unico trattato che riguardava la Germania, e
10.000 ebrei nell'Alta Slesia conservarono tutti i loro diritti civili fino alla scadenza dell'accordo, nel
1937.34 La Romania nel 1937 fu riconosciuta colpevole della revoca i diritti dei cittadini ebrei. Ma le
mere vittorie legali nel lungo periodo non cambiarono nulla.
L'unica possibilità per gli ebrei di avere successo nella lotta per i propri diritti nell'Europa
Orientale, sarebbe stata in alleanza con il movimento operaio che, in tutti questi paesi, vedeva
l'antisemitismo per quello che era: un'arma ideologica nelle mani dei suoi nemici capitalisti. Ma poichè
la rivoluzione sociale significava uguaglianza per gli ebrei in quanto ebrei, significava anche
l'espropriazione della classe media ebraica, in quanto capitalista. Ciò non era accettabile per i membri
delle sezioni locali della WZO, che erano per lo più medio borghesi. La WZO, costantemente legata
alle posizioni della classe dirigente inglese, non spinse mai i suoi gruppi locali a dirigere la sinistra,
benchè questa fosse l'unica forza in grado di difendere gli ebrei. Al contrario, i leader della WZO
giunsero alla conclusione che non avevano la forza di combattere per i diritti degli ebrei nella Diaspora
e contemporaneamente di costruire la nuova Sion, così negli anni '20 abbandonarono qualunque
tentativo di agire in difesa della Diaspora ebraica in situ, lasciando i propri membri locali - e le
comunità ebraiche di quei paesi - a difendersi autonomamente.

L’alleanza sionisti – antisemiti nell’Europa Orientale

La maggior parte degli ebrei in Europa Orientale non vedevano i boscevichi come gli orchi che
Churchill e Weizmann credevano essere. Con Lenin i bolscevichi non solo diedero agli ebrei completa
eguaglianza, ma istituirono scuole e anche tribunali in lingua yiddish; ciononostante, rimasero
assolutamente contrari al sionismo e a tutte le ideologie nazionaliste. I bolscevichi pensavano che la
rivoluzione richiedesse l’unità dei lavoratori di tutte le nazioni contro i capitalisti. I nazionalisti

33
Jacob Robinson, Were the Minority Treaties a Failure?, 1943
34
Jacob Robinson, And the Crook Shall be Made Straight, 1966
13
separavano i “propri” lavoratori dai loro fratelli di classe. Il boscevismo in particolare si opponeva al
sionismo in quanto filo-inglese e fondamentalmente anti-arabo. Dunque la dirigenza locale sionista fu
spinta a rivolgersi ai nazionalisti come possibili alleati. In Ucraina questo significava la Rada
(Consiglio) di Simon Petljura che, come i sionisti, ragionava sulla base di stringenti vincoli etnici:
niente russi, niente polacchi, niente ebrei.35

Ucraina
La Rada era fondata su maestri di villaggio e altri entusiasti tradizionalisti, che si rifacevano alla
gloriosa storia ucraina, ovvero alla rivolta anti-polacca, nel XVII secolo, dei Cosacchi di Bogdan Zinovy
Chmielnicki, durante la quale i contadini furibondi massacrarono 100.000 ebrei che vedevano come
intermediari dei pans (nobili) polacchi. L’ideologia nazionalista fece crescere i semi velenosi che
erano stati sparsi tra le masse contadine ignoranti dal vecchio regime. In tale clima ideologico le
ondate antisemite erano inevitabili, e travolsero anche la Rada. Nel gennaio 1919 Abraham Revuskij
di Poale Zion divenne ministro degli Affari ebraici di Petljura. Meir Grossman dell’esecutivo sionista
ucraino si recò all’estero per raccogliere il sostegno degli ebrei al regime anti-bolscevico.
I pogrom, inevitabili, iniziarono con la prima sconfitta ucraina da parte dell’Armata Rossa nello
stesso gennaio 1919, e in capo a un mese Revuskij finì per dimettersi, poiché Petljura non faceva
nulla per fermare le atrocità. Per molti aspetti la vicenda Petljura distrusse la base di massa del
sionismo fra gli ebrei sovietici. Churchill perse la sfida: Trockij, e non Weizmann o Revuskij, aveva
conquistato la fiducia delle masse ebraiche.

Lituania
Il coinvolgimento dei sionisti lituani con gli antisemiti fu allo stesso modo un fallimento, anche
se per fortuna in Lituania non vi furono pogrom significativi. I nazionalisti lituani erano in una posizione
molto difficile: non solo dovevano fronteggiare la minaccia del comunismo, ma avevano anche una
disputa con la Polonia sul territorio intorno a Vilna. Essi furono spinti a collaborare coi sionisti poiché
necessitavano del sostegno della numerosa comunità ebraica di Vilna, e anche perché
sovrastimavano l’influenza dei sionisti sui governi alleati, il cui assenso diplomatico era fondamentale
se volevano acquisire la città. Nel dicembre 1918 tre sionisti entrarono nel governo provvisorio di
Antanas Smetona e Augustinas Voldemaras. Jacob Wigodski divenne ministro per gli Affari ebraici, N.
Rachmilovitch divenne vice-ministro del Commercio e Shimshon Rosenbaum fu nominato vice-
ministro degli Esteri.
L’esca fu ancora l’autonomia. Gli ebrei avrebbero ricevuto un’equa rappresentanza nel
governo, pieni diritti per la lingua yiddish, e un Consiglio Nazionale Ebraico avrebbe avuto il diritto a
un prelievo forzoso presso tutti gli ebrei per scopi religiosi e culturali. L’esenzione dalla tassa fu
permessa soltanto ai convertiti. Max Soloveitchik, che fu il successore di Wigodski al ministero per gli
Affari ebraici, affermò con entusiasmo: “La Lituania è la fonte d’ispirazione del nuovo modo di vivere
ebraico”. 36
Nell’aprile 1922 il governo lituano reputò che poteva iniziare a muovere contro gli ebrei. Il
Corridoio di Vilna era definitivamente perduto appannaggio della Polonia, e l’esercito polacco
stanziava tra la Russia sovietica e il confine lituano. Il primo passo di Smetona fu quello di rifiutarsi di
promettere l’istituto dell’autonomia nella Costituzione. Soloveitchik si dimise per protesta, e andò a far
parte dell’Esecutivo della WZO a Londra. I sionisti locali provarono ad affrontare il problema formando
un blocco elettorale con le minoranze russa, polacca e tedesca. Questa piccola prova di forza fece
rallentare il passo al governo, e Rosenbaum fu nominato ministro per gli Affari ebraici da Ernestas
Galvanauskas, il nuovo Primo Ministro. Nel 1923 l’assalto riprese, con il divieto di tenere discorsi
parlamentari in yiddish. Nel giugno 1924 il ministero per gli Affari ebraici fu abolito; a luglio le insegne
in yiddish vietate; in settembre la polizia sciolse il Consiglio Nazionale, e Rosenbaum e Rachmilovitch
emigrarono in Palestina. Con il 1926, Smetona aveva istituito un regime semi-fascista che durò fino
alla Seconda Guerra Mondiale, con l’invasione sovietica (giugno 1940). Negli ultimi giorni Voldemaras
e Galvanauskas assunsero apertamente il ruolo di agenti nazisti nella politica lituana.

35
In questo e in altri punti del libro, Brenner esprime il proprio punto di vista di fedele militante trotzkista, e giudica molto
negativamente la Rada e il nazionalismo ucraino. Diversi studiosi e militanti della sinistra sono su posizioni diverse, anche
nel giudizio su Simon Petljura, già appartenente al Partito Social Democratico (n.d.t.).
36
Samuel Gringauz, Jewish National Autonomy in Lithuania (1918-1925), 1952
14
L’intesa sionismo – antisemitismo

I punti essenziali della dottrina sionista sull’antisemitismo furono definiti ben prima
dell’Olocausto: l’antisemitismo era inevitabile e non poteva essere contrastato; la soluzione era
l’emigrazione degli indesiderati ebrei verso uno stato ebraico in costruzione. L’impossibilità per il
movimento sionista di acquisire la Palestina militarmente lo spinse a cercare protezioni governative,
che ci si aspettava dovessero arrivare a causa dell’antisemitismo. I sionisti inoltre vedevano il
marxismo rivoluzionario come un pericoloso nemico assimilazionista, il che li persuase ad allearsi con
i movimenti nazionalisti e antisemiti di destra nell’Europa Orientale.
Herzl e i suoi successori ebbero buon gioco. Fu un antisemita, Balfour, che permise al
sionismo di introdursi in Palestina. Benchè Israele debba la sua fondazione a una rivolta armata
contro l’Inghilterra, se non fosse stato per la presenza dell’esercito inglese durante i primi anni del
Mandato i palestinesi non avrebbero avuto difficoltà a scacciare i sionisti.
L’antisemitismo poteva essere contrastato. E non solo fu contrastato, esso fu sconfitto in
Francia, Russia e Ucraina, senza alcun aiuto da parte dell’Organizzazione Sionista Mondiale. Se i
popoli di questi paesi avessero seguito le indicazioni dei sionisti, l’antisemitismo non sarebbe mai
stato battuto.
La politica della WZO, nei suoi aspetti essenziali, venne continuata da Chaim Weizmann, il
principale dirigente dell’organizzazione durante l’epoca hitleriana. I membri della WZO che vollero
ribellarsi al nazismo negli anni ’30 ebbero come principale nemico interno proprio il Presidente
dell'organizzazione. Nahum Goldmann, che divenne presidente della WZO dopo l’Olocausto,
descrisse in seguito una feroce discussione avvenuta tra Weizmann e il rabbino Stephen Wise, figura
preminente del sionismo americano:

Ricordo violente discussioni tra lui e Weizmann, che era un grande dirigente nel suo
campo, ma non aveva alcun interesse per il resto. Weizmann era sì interessato ad aiutare
gli ebrei tedeschi durante i primi anni del nazismo, non che negasse il bisogno di
combattere per i diritti degli ebrei, ma non poteva distogliere il tempo dal lavoro sionista.
Stephen Wise gli diceva: ‘Ma è tutto parte del medesimo problema. Se lasci perdere la
diaspora ebraica non avrai una Palestina, puoi rapportarti col mondo ebraico solo come un
tutt'uno’.37

Tale era il sionismo, e tale la sua figura preminente, quando Adolf Hitler irruppe sulla scena della
storia.

37
Nahum Goldmann, A Galaxy of American Zionist Rishonim, 1964
15
2. BLUT UND BODEN (SANGUE E SUOLO):
LE RADICI DEL RAZZISMO SIONISTA

Fu l’antisemitismo – soltanto – a produrre il sionismo. Herzl non avrebbe potuto basare il suo
movimento su qualche aspetto positivo dell’ebraismo. Benchè cercasse l’appoggio dei rabbini,
personalmente egli non era devoto. Non teneva particolarmente alla Palestina, l’antica patria degli
ebrei; era abbastanza propenso ad accettare le Highlands del Kenya, almeno temporaneamente. Non
gli interessava la lingua ebraica; dal punto di vista linguistico vedeva lo stato ebraico come una
Svizzera. Fu spinto a pensare in termini di razza, perché questa era l’idea corrente; gli antisemiti
tedeschi parlavano degli ebrei come una razza. Ma egli presto abbandonò quella ideologia, e
intraprese una paradossale discussione con Israel Zagwill, uno dei suoi primi simpatizzanti. Herzl
descrisse lo scrittore ebreo inglese come segue:

del tipo negroide, naso lungo, capelli lanosi nerissimi…egli, tuttavia, mantiene una
visione razzista – qualcosa che io non posso accettare, se solamente confronto lui e me.
Questo dico: noi siamo un’unità dal punto di vista storico, una nazione con differenze
antropologiche.38

Non in sintonia con la religione, propose che un ateo, il famoso autore Max Nordau, fosse il suo
successore alla presidenza della WZO. E il discepolo fu meno liberale del maestro. Nordau era
sposato con una cristiana, ed era preoccupato che sua moglie si sentisse a disagio in mezzo agli
ebrei ortodossi.39 Era già sposato quando si convertì al sionismo e, nonostante la moglie “gentile”,
presto diventò un ebreo razzista convinto. Il 21 dicembre 1903 rilasciò un’intervista al giornale
fortemente antisemita di Eduard Drumont, La Libre Parole, in cui affermò che il sionismo non era una
questione di religione, ma esclusivamente di razza, e che “non c’è nessuno con cui io sia più in
accordo che con Mr. Drumont”.40
Solo una sezione nazionale della WZO (la federazione olandese, nel 1913) ipotizzò di escludere
formalmente gli ebrei sposati con i non-ebrei, ma il sionismo cosmopolita morì di morte prematura con
Herzl, nel 1904. La WZO in quanto tale non dovette mai prendere posizione contro i matrimoni misti:
coloro che li appoggiavano raramente si unirono a sionisti, i quali ovviamente erano contrari. Il
movimento nell’Europa orientale, a livello di massa, condivideva i pregiudizi di carattere religioso-
popolare delle comunità ortodosse circostanti. Benchè nel passato gli ebrei avessero visto nel
proselitismo e nei matrimoni coi gentili un punto di forza, la successiva pressione della Chiesa
Cattolica spinse i rabbini a iniziare a vedere i convertiti come una “gatta da pelare”, e ad abbandonare
l’attività di proselitismo. Col passare dei secoli, l’auto-segregazione divenne la caratteristica degli
ebrei. Le masse ebraiche giunsero man mano a vedere il matrimonio misto come un tradimento
dell’ortodossia. Sebbene in Occidente alcuni ebrei cambiassero religione e formassero sette
riformatrici e altri abbandonassero il dio dei loro predecessori, il flusso fu essenzialmente di
allontanamento dall’ebraismo. Pochi aderirono all’ebraismo attraverso la conversione o il matrimonio.
Il sionismo occidentale si sviluppò in un clima più secolare rispetto all’Europa orientale, ma il grosso
dei suoi seguaci vedeva ancora il matrimonio misto come un allontanamento dell’ebreo dalla comunità
piuttosto che un arrivo di nuova linfa.
I laureati nelle università tedesche che presero in mano il movimento sionista dopo la morte di
Herzl svilupparono l’ideologia razzista moderna della segregazione ebraica. Essi erano stati
fortemente influenzati dal pangermanesimo del movimento studentesco chiamato Wandervogel
(Uccello vagabondo o Spirito libero), che dominò i campus universitari prima del 1914. Questi
sciovinisti rifiutavano gli ebrei in quanto privi di sangue tedesco; essi non potevano essere parte del
popolo tedesco ed erano decisamente alieni dal boden, o suolo, teutonico. Tutti gli studenti ebrei
furono spinti ad aderire a queste concezioni. Ma alcuni si volsero verso sinistra e aderirono alla
socialdemocrazia, per la quale il Wandervogel era soltanto nazionalismo borghese, e come tale

38
Theodor Herzl, The Complete Diaries, 1895 - 1904
39
Amos Elon, Herzl, 1975
40
Desmond Stewart, Theodor Herzl, 1974
16
andava combattuto. La maggior parte degli ebrei rimase convenzionalmente Kaiser treu (fedele al
Kaiser), convinti nazionalisti che affermavano che mille anni sul boden tedesco li avevano fatti
diventare “tedeschi di orientamento mosaico”. Ma una parte di studenti ebrei accolse pienamente
l’ideologia wandervogel traducendola in termini sionisti. Essi concordavano con gli antisemiti su alcuni
punti fondamentali: gli ebrei non erano parte del popolo tedesco e, naturalmente, ebrei e tedeschi non
avrebbero dovuto mescolarsi sessualmente, non per ragioni religiose ma per mantenere la purezza
del proprio sangue. Non essendo di sangue tedesco, gli ebrei dovevano per forza avere il loro suolo:
la Palestina.
A una prima impressione potrebbe sembrare strano che gli studenti della classe media ebraica
fossero così influenzati da concezioni antisemite, specialmente se nello stesso tempo il socialismo,
con il suo discorso assimilazionista verso gli ebrei, stava prendendo molto piede nella società intorno
a loro. Tuttavia, il socialismo attirava soprattutto i lavoratori, non i membri della classe media. Tra
questi ultimi prevalse lo sciovinismo; anche se intellettualmente respingevano l’idea di legame col
popolo tedesco, di fatto essi non si emanciparono mai dalla classe capitalistica tedesca, e durante la
Prima guerra mondiale i sionisti tedeschi sostennero appassionatamente il proprio governo. Al di là
delle loro grandi pretese intellettuali, il loro sionismo voelkish (populista) era semplicemente
un’imitazione dell’ideologia nazionalista tedesca. Fu così che durante la Prima guerra mondiale il
giovane filosofo Martin Buber potè combinare il sionismo con l’ardente patriottismo tedesco. Nel suo
libro Drei Reden uber das Judentum (Tre saggi sull’ebraismo), pubblicato nel 1911, Buber parlava di
una gioventù che:

..percepisce in questa immortalità delle generazioni una fratellanza di sangue, che sente
essere l’antesignana dell’Io, la sua continuità nel passato infinito. A ciò si aggiunge la
scoperta, favorita da questa percezione, che il sangue è una forza vitale profondamente
radicata nell’individuo; che gli strati più profondi del nostro essere sono determinati dal
sangue; che i nostri pensieri intimi e la nostra volontà ricevono il suo colore. Ora il giovane
scopre che il mondo intorno a sé è il mondo delle impressioni e delle influenze, mentre il
sangue è l’essenza di un corpo capace di essere impressionato e assimilato, un corpo che
assorbe e assimila tutto nella sua essenza…Chiunque, di fronte alla scelta tra ambiente e
essenza, sceglie l’essenza che d’ora in poi lo renderà un ebreo nel profondo, e lo farà
vivere come un ebreo con tutte le contraddizioni, tutte le tragedie, e le future promesse del
suo sangue.41

Gli ebrei avevano vissuto in Europa per millenni, molto di più che, per esempio, i magiari.
Nessuno si sognerebbe di riferirsi agli ungheresi come asiatici ma, per Buber, gli ebrei europei erano
ancora asiatici, e presumibilmente lo sarebbero sempre stati. Si potè allontanare gli ebrei dalla
Palestina, ma non si potrà mai allontanare la Palestina dall’ebreo. Nel 1916 egli scrisse che l’ebreo:

..è stato portato via dal suo paese e disperso attraverso le lande d’Occidente…ma,
nonostante ciò, egli è rimasto un orientale…si può notare tutto ciò nella maggior parte
degli ebrei assimilati, se si sa come accedere alla loro anima…l’immortale istinto all’unità
ebraica – questo si manifesterà solo dopo il ritorno in Palestina…Una volta che verrà a
contatto col proprio suolo originario, esso diverrà di nuovo forza creatrice.42

Tuttavia il voelkisch zionism di Buber, con i suoi corollari di entusiasmo mistico, era troppo
spirituale per trovare un seguito ampio. Quello che serviva era piuttosto una versione sionista di quel
darwinismo sociale che aveva animato il mondo intellettuale borghese nelle conquiste imperiali
europee in Africa e Oriente. La versione sionista di questa concezione fu sviluppata dall’antropologo
austriaco Ignatz Zollschan. Per lui il valore segreto del giudaismo era che esso aveva, sebbene
involontariamente, lavorato per produrre una meraviglia delle meraviglie:

..una nazione di sangue puro, non contaminato dalle malattie dell’eccesso o


dell’immoralità, con un senso dell’integrità familiare altamente sviluppato, e con abitudini
virtuose molto radicate che avevano favorito un’eccezionale attività intellettuale. In più, la
proibizione dei matrimoni misti fece sì che queste elevate caratteristiche etniche non
andassero perdute a causa della mescolanza con razze educate con meno cura…così
41
Martin Buber, Tre discorsi sull’ebraismo, 1911
42
Martin Buber, Dello spirito dell'ebraismo, 1916
17
ebbe luogo quella selezione naturale insuperata nella storia della razza umana…se una
razza così ben dotata avesse l’opportunità di sviluppare ulteriormente le sue qualità
originarie, nulla potrebbe eguagliarla in quanto a valore culturale.43

Anche Albert Einstein aderì alle concezioni sulla razza del sionismo e così facendo ne rafforzò il
razzismo, prestandogli la propria reputazione. Il suo personale contributo alla discussione appare ben
argomentato, ma è basato sulla medesima assurdità.

Le nazioni con una differenza razziale sembrano avere degli istinti che agiscono contro
la loro reciproca fusione. L’assimilazione degli ebrei alle nazioni europee…non ha potuto
eliminare la sensazione di mancanza di affinità tra loro e i loro vicini. In ultima analisi, il
sentimento spontaneo di mancanza di affinità è riferibile alla legge di conservazione
dell’energia. Per questa ragione esso non può essere eliminato da alcuna quantità di
pressione, per quanto significativa.44

Buber, Zollschan e Einstein erano solo tre sionisti classici che pontificavano dottamente sulla
purezza della razza. Ma in quanto a puro fanatismo, pochi riuscirono a battere l’americano Maurice
Samuel. Scrittore ben conosciuto all’epoca – più tardi, negli anni ’40, avrebbe lavorato con Weizmann
all’autobiografia di quest’ultimo – Samuel si rivolse al pubblico americano nel 1927 con il suo Io,
l’ebreo. Denunciò con orrore una città che egli in realtà ammise di conoscere solo di fama – e che
possiamo pensare trattarsi della colonia di artisti libertari di Taos, nel New Mexico:

..vivevano assieme, in questa piccola località, rappresentanti del negro africano,


dell’americano e del mongolo cinese, del semita e dell’ariano…vigeva il matrimonio
misto…Perché questa rappresentazione, in parte reale in parte fantasiosa, mi riempie di
uno strano disgusto, evoca l’osceno, la bestia oscura?...Perchè quel villaggio immaginario
mi fa venire in mente un orrendo mucchio di rettili allevati in un secchio?45

“Per essere buoni sionisti bisogna essere un po’ antisemiti”

Il Blut fu un tema ricorrente nella letteratura sionista pre-Olocausto, ma non fu così centrale
come il tema del Boden. Finchè i confini dell’America rimasero aperti, gli ebrei europei poterono
chiedersi: se l’antisemitismo non può essere battuto nel suo luogo di origine, perché non seguire la
massa in America? La risposta sionista fu duplice: l’antisemitismo avrebbe accompagnato gli ebrei
dovunque fossero andati e, soprattutto, gli ebrei stessi con le loro caratteristiche avevano prodotto
l’antisemitismo. La causa profonda dell’antisemitismo, insistevano i sionisti, era la condizione di esuli
degli ebrei. Gli ebrei vivevano da parassiti sulle spalle dei loro “ospiti”. Praticamente non vi erano
contadini ebrei nella diaspora. Gli ebrei vivevano nelle città, non erano avvezzi al lavoro manuale o,
detto più chiaramente, lo evitavano e si dedicavano alle attività intellettuali o commerciali. Nella
migliore delle ipotesi, i loro proclami di patriottismo erano vacui, poiché erravano eternamente di
paese in paese. E quando si immaginavano come socialisti o internazionalisti, in realtà non erano più
che gli intermediari della rivoluzione, impegnati in “lotte di altri popoli”. Questo insieme di concetti, noto
come shelilat ha’galut (rifiuto dell’esilio), fu sostenuto dall’intero campo dei sionisti, con differenze solo
nei dettagli. Tali idee erano vigorosamente esposte nella stampa sionista, dove caratteristica di molti
articoli era l’ostilità verso il popolo ebraico nel suo complesso. Chi li avesse letti senza conoscere la
fonte avrebbe automaticamente pensato che provenissero dalla stampa antisemita. La
Weltanschaung dell’organizzazione giovanile Hashomer Hatzair (Giovani Sentinelle), elaborata
originariamente nel 1917 ma ripubblicata di nuovo solo nel 1936, era piena di tali allusioni:

L’ebreo è la caricatura di un essere umano normale, sia fisicamente che spiritualmente.


Come individuo nella società, egli si ribella e rigetta il vincolo degli obblighi sociali, non
conosce l’ordine o la disciplina.46

43
Ignatz Zollschan, Jewish Questions: Three Lessons, 1914
44
In Solomon Goldman, Crisis and Decision, 1938
45
Maurice Samuel, I, the Jew, 1927
46
Hashomer Hatzair, dicembre 1936, p. 26
18
Analogamente nel 1935 Ben Frommer, americano, scrittore dell’ultra-destra sionista revisionista,
arrivò a dichiarare a proposito dei non meno di 16 milioni ebrei suoi affini:

Il fatto incontrovertibile è che gli ebrei, tutti quanti, sono insani e nevrotici. Quegli ebrei
altolocati che, punti sul vivo, si indignano e negano questa verità sono i più grandi nemici
della loro razza, poiché a tal proposito vanno a cercare false soluzioni, al massimo dei
palliativi.47

Lo stile dell’auto-denigrazione dell’ebreo caratterizzò molta parte della letteratura sionista. Nel
1934 Yehezkel Kaufman, allora celebre docente di storia biblica all’Università Ebraica di
Gerusalemme e a sua volta sionista, di fronte a un oppositore della bizzarra teoria del rifiuto della
diaspora si lanciò in un’aspra controversia citando esempi ancor peggiori dalla letteratura ebraica.
All’Università Ebraica i detrattori potevano attaccare i loro affini ebrei senza timore dell’accusa di
portare acqua al mulino dell’antisemitismo. L’Hurban Hanefesh (Olocausto dell’anima) di Kaufman
citava tre classici pensatori sionisti. Per Micah Yosef Berdichevsky gli ebrei erano “non una nazione,
non un popolo, non umani”. Per Yosef Chaim Brenner essi non erano altro che “zingari, cagnacci,
subumani, menomati, bestie”. Per A.D. Gordon il suo popolo non era composto che da “parassiti,
persone fondamentalmente inutili”.48
Naturalmente Maurice Samuel mise a frutto il proprio acuto ingegno per redigere invettive contro
gli ebrei. Nel 1924, nel suo lavoro Voi, Gentili, costruì il ritratto dell’ebreo animato da un sinistro
demiurgo, in opposizione all’ordine cristiano-sociale:

Noi ebrei, i distruttori, rimarremo distruttori per sempre. NULLA di ciò che farete potrà
andare incontro ai nostri bisogni e richieste. Noi saremo sempre distruttivi, perché
abbiamo bisogno di un mondo nostro, un mondo divino, che voi per natura non potete
costruire…quelli di noi che non riescono a capire ciò finiranno sempre per allearsi con le
vostre fazioni ribelli, finché non subentrerà la disillusione e il triste destino che ci ha
sparpagliato in mezzo a voi non cesserà di accanirsi nei nostri confronti.49

Il sionismo laburista produsse la sua propria versione dell’ebreo che denigra se stesso. A
dispetto del nome e delle pretese, il sionismo laburista non fu mai in grado di affermarsi presso alcun
settore consistente della classe lavoratrice ebraica, in tutti i paesi della diaspora. I suoi membri
avevano una tesi auto-assolutoria: affermavano che i lavoratori ebrei erano in settori industriali
“marginali”, ad esempio quello tessile, che non erano fondamentali per l’economia del paese
“ospitante”, e di conseguenza i lavoratori ebrei avrebbero sempre avuto un ruolo marginale nel
movimento operaio del paese di appartenenza. I lavoratori ebrei, si diceva, avrebbero potuto condurre
una “genuina” lotta di classe soltanto nel proprio paese. Ovviamente gli ebrei poveri si rivelarono poco
interessati a un movimento cosiddetto operaio che non diceva loro di combattere per migliori
condizioni nel tempo presente, ma piuttosto di preoccuparsi della lontana Palestina. Paradossalmente,
il sionismo laburista si diffuse maggiormente tra quei giovani ebrei della classe media che cercavano
di rompere con la propria origine di classe, ma non erano disposti ad avvicinarsi ai lavoratori del
paese in cui abitavano. Il sionismo laburista divenne una sorta di setta contro-culturale, che criticava i
marxisti ebrei per il loro internazionalismo e la classe media ebraica per il suo parassitismo nei
confronti delle nazioni “ospitanti”. Di fatto essi tradussero in yiddish l’antisemitismo tradizionale: gli
ebrei erano nei paesi sbagliati, facevano i lavori sbagliati, e avevano i politici sbagliati. Fu l’Olocausto
a riportare alla ragione questi Geremia (profeti di sventura, n.d.t.). Solo allora si resero conto
dell’analogia tra i loro messaggi e la propaganda antisemita dei nazisti. Nel marzo del 1942 Chaim
Greenberg, allora editore dell'organo sionista laburista di New York, il Jewish Frontier, ammise con
rammarico che, infatti, vi era stato:

..un tempo in cui era consuetudine tra gli oratori sionisti (compreso il sottoscritto)
dichiarare dal palco: “Per essere buoni sionisti bisogna essere un po’ antisemiti”.
Attualmente i circoli sionisti laburisti sono attraversati dall’idea che il Ritorno a Sion debba
comportare un processo di purificazione dalla nostra impurità economica. Chiunque non si

47
Jewish Call, maggio 1935, p. 10
48
Yehezkel Kaufman, Hurban Hanefesh: a Discussion of Zionism and Anti-Semitism, 1930
49
Maurice Samuel, You, Gentiles, 1924
19
dedichi alla cosiddetta attività manuale “produttiva” è ritenuto un peccatore, contro Israele
e contro l’umanità.50

“Acqua al mulino della propaganda nazista”

Se, senza ulteriori spiegazioni, si dicesse a qualcuno che i primi sionisti erano razzisti, questo
qualcuno automaticamente penserebbe che ciò sia parte del contenuto colonialista del sionismo in
Palestina. In realtà non è così; il sionismo di sangue si sarebbe sviluppato anche se la Palestina fosse
stata completamente vuota. L’entusiasmo per il Blut und Boden divenne parte del sionismo prima che
i primi sionisti moderni lasciassero l’Europa.
Il sionismo della razza fu una curiosa propaggine dell’antisemitismo razzista. Di certo, dicevano i
sionisti, gli ebrei erano una razza pura, certamente più pura, ad esempio, dei tedeschi che, come
anche il pangermanesimo ammetteva, avevano un’abbondante aggiunta di sangue slavo. Ma per
questi sionisti, neppure la purezza razziale poteva rimediare al solo difetto nell’esistenza ebraica: la
mancanza di un Boden ebraico. Se i razzisti teutonici si vedevano come Ubermenschen
(superuomini), i razzisti ebrei non potevano fare altrettanto; anzi, piuttosto il contrario. Essi credevano
che mancando di un proprio Boden, gli ebrei fossero Untermenschen e quindi, per i loro “ospiti”, poco
più che sanguisughe: una peste mondiale.
Se si crede nella validità delle differenziazioni razziali, è difficile obiettare alle concezioni razziste
di chiunque. Se poi si pensa che sia impossibile per qualunque popolo vivere bene se non nella
propria patria, allora è impossibile impedire ad alcuno di escludere gli “stranieri” dal suo territorio. Di
certo il Blut und Boden sionista fornì un’eccellente giustificazione per la rinuncia a combattere
l’antisemitismo. La colpa non era degli antisemiti, bensì della stessa sfortunata condizione di esilio
degli ebrei. I sionisti poterono lamentare che la perdita della Palestina era la causa profonda
dell’antisemitismo, e la riconquista della Palestina era l’unica soluzione della questione ebraica. Ogni
altra cosa poteva soltanto essere palliativa o inutile.
Walter Laqueur, il decano degli storici sionisti, si è chiesto nel suo libro Storia del sionismo se
l’insistenza dei sionisti sull’ineluttabilità dell’antisemitismo non fosse “acqua al mulino della
propaganda nazista”.51 Ebbene, di certo fu così. Alla domanda di Laqueur si può rispondere con
un’altra domanda: è così difficile comprendere come l’ingenuo lettore di un quotidiano nazista potesse
giungere a conclusione che quello che i nazisti sostenevano, e con cui i sionisti concordavano, fosse
corretto?
Ma c’è di peggio: ogni movimento ebraico convinto dell’ineluttabilità dell’antisemitismo
naturalmente sarebbe finito per scendere a patti coi nazisti, quando fossero giunti al potere.

50
Jewish Frontier, marzo 1942
51
Walter Laqueur, A History of Zionism, 1972
20
3. IL SIONISMO TEDESCO E IL COLLASSO
DELLA REPUBBLICA DI WEIMAR

L’ebraismo tedesco fu profondamente leale nei confronti della Repubblica di Weimar, che
aveva posto fine alle discriminazioni dell’era guglielmina. Gli ebrei tedeschi (lo 0,9% della
popolazione) erano in genere benestanti. Il sessanta per cento erano uomini d’affari o professionisti,
gli altri artigiani, impiegati, studenti, con un insignificante numero di lavoratori dell’industria. La
maggior parte erano per un capitalismo liberale, con il 64% che votava per il Deutsche Demokratische
Partei (DDP). Circa il 28% votava per il moderato Sozialdemokratische Partei Deutschlands (SPD).
Solo il 4% votava per il Kommunistische Partei Deutschlands (KPD), e i restanti erano sparsi tra
gruppi di destra. Quando i voti nazisti scesero dal 6,5% del 1924 a un misero 2,6% nel 1928, Weimar
sembrò al sicuro. Nessuno immaginava che l’orrore fosse alle porte.
Fino alla fine degli anni ’20 Hitler aveva perso tempo provando a reclutare la classe operaia
nelle file del Partito Nazional Socialista Operaio Tedesco, ma pochi erano interessati. Hitler era stato
per la guerra, ed essi si erano rivoltati contro di essa; Hitler era contro gli scioperi, ed essi erano buoni
sindacalisti. Quando la Depressione alla fine gli portò una massa di seguaci furono i contadini, e non
gli operai, che aderirono al suo movimento. Weimar non aveva cambiato nulla per i contadini; il 27%
coltivava ancora meno di un ettaro, un altro 26% meno di cinque ettari. In debito con la banche già
prima della crisi, questi cristiani rurali erano facilmente propensi a prendersela con gli ebrei che, per
secoli, avevano identificato come prestatori a pegno e usurai. La classe dei professionisti di fede
cristiana, già avvezza al populismo di bassa lega all’università, e i piccoli negozianti, che pativano la
superiore concorrenza dei grossi magazzini di proprietà ebraica, furono i successivi a rompere con la
coalizione che aveva sostenuto Weimar sin dalla sua nascita, e a unirsi ai nazisti. Dal 2,6% nel 1928 i
voti nazisti balzarono al 18,3% nelle elezioni del 14 settembre 1930.
Gli ebrei osservanti si rivolsero alla loro tradizionale organizzazione di tutela, il ZentralVerein,
l’Associazione Nazionale dei Cittadini Tedeschi di Fede Ebraica; per la prima volta i gestori di
magazzini, che erano divenuti oggetto preferito delle attenzioni delle camicie brune, iniziarono a
contribuire agli sforzi del ZV. La vecchia leadership del ZV non era in grado di comprendere il collasso
del capitalismo. Essi furono sbalorditi quando il loro partito, la DDP, fece un improvviso voltafaccia e si
mutò nel moderatamente antisemita Staatspartei. Tuttavia, giovani membri del ZV misero in
minoranza la vecchia leadership e riuscirono a far si che il ZV usasse i proventi dei magazzini per
sostenere la propaganda antinazista della SPD. Dopo il tradimento della DDP, l’SPD raccolse circa il
60% del voto ebraico. Solo l’8% andò ai comunisti, ed essi non beneficiarono di alcuna elargizione dal
ZV in base all’argomento che erano anticlericali; il vero motivo era che essi erano anche contrari agli
intrallazzi finanziari del ZV.
Ogni associazione ebraica vide l’ascesa di Hitler attraverso il proprio punto di vista. I giovani
funzionari del ZV riconobbero che la base dei lavoratori dell’SPD rimaneva fedele al partito e che gli
ebrei continuavano a esservi inseriti in ogni livello. Ma non capirono che l’SPD non era in grado di
sconfiggere Hitler. Prima della Prima Guerra Mondiale l’SPD era stata il più grande partito socialista
del mondo, l’orgoglio dell’Internazionale. Ma non era altro che una forza riformista, e all’epoca della
Repubblica di Weimar non riuscì a imporre i principi basilari del socialismo grazie ai quali la classe
lavoratrice tedesca avrebbe potuto resistere ai nazisti. L’inizio della Depressione vide come
Cancelliere proprio il socialdemocratico Hermann Muller. Ma presto l’ala destra della coalizione di
governo decise che i lavoratori dovevano sopportare il peso della crisi, e sostituirono Muller con
Heinrich Bruning del cattolico Zentrumpartei. L’ “Hunger Chancellor” (Cancelliere Affamato) aumentò
le tasse ai fortunati che avevano un lavoro, per pagare i sempre più esigui sussidi per i milioni di nuovi
disoccupati. I leader dell’SPD sapevano che questo era un suicidio ma tollerarono Bruning, temendo
che egli avrebbe portato Hitler nella propria coalizione se loro se ne fossero distaccati. Dunque non si
opposero ai tagli. Bruning non aveva nulla da offrire a una classe media disperata, e questa indossò la
camicia bruna. I militanti dell’SPD, ebrei e non ebrei, se ne stettero passivamente a guardare la
sconfitta del loro partito.
Anche il comunista KPD si rovinò da solo. Il bolscevismo di Lenin era degenerato
nell’ultrasinistrismo del “Terzo Periodo” di Stalin, e la Spartakusbund di Rosa Luxemburg nel Rote

21
Front di Ernst Thaelmann. Per questi settari chiunque altro era un fascista. I socialdemocratici ora
erano socialfascisti, e non era possibile alcun legame con loro.
Nel 1930 i due partiti operai insieme sorpassarono Hitler con il 37,6% dei voti contro il 18,3%.
Egli avrebbe potuto essere fermato; fu la mancanza di un’unione per un programma di opposizione
attiva alla camicie brune e contro i furiosi assalti del governo alle condizioni di vita dei lavoratori, che
permise a Hitler di giungere al potere. Dalla Seconda Mondiale in poi gli storici occidentali hanno visto
il tradimento del KPD nei confronti dell’SPD a causa del fanatismo di Stalin. Nel campo stalinista i ruoli
sono invertiti; si rimprovera all’SPD di aver sostenuto l’infido Bruning. Ma entrambi i partiti devono
condividere la responsabilità del disastro.

“E’ giusto, quindi, che essi combattano contro di noi”


Se SPD e KPD hanno sulla coscienza la grossa colpa del trionfo di Hitler, altrettanto vale per la
Zionistische Vereinigung fur Deutschland (ZVD, la Federazione Sionista Tedesca). Comunemente si
crede che i sionisti, con la loro ipersensibilità verso l’antisemitismo, avvertirono gli ebrei della minaccia
nazista, ma ciò in realtà non è vero. Nel 1969 Joachim Prinz, ex presidente dell’American Jewish
Congress – in giovinezza un invasato rabbino sionista a Berlino – ancora insisteva nell’asserire che:

Fin dall’assassinio di Walter Rathenau nel 1922, non ci fu dubbio ai nostri occhi che lo
sviluppo della Germania sarebbe stato nel senso di un regime totalitario e antisemita.
Quando Hitler cominciò a guadagnare consensi, e risvegliò nella nazione tedesca il
sentimento di superiorità razziale, non avemmo dubbi che quest’uomo prima o poi
sarebbe divenuto la guida della nazione tedesca.52

Ma un’attenta ricerca tra le pagine della Judische Rundschau, il settimanale della ZVD, non
riporterà queste previsioni. Quando, nel novembre 1923, un ebreo fu ucciso e diverse centinaia di
negozi ebraici saccheggiati in una “rivolta della fame” a Berlino, Kurt Blumenfeld, il segretario (poi
presidente) della ZVD, minimizzò consapevolmente l’accaduto:

Ci potrebbe essere un tipo di reazione molto istintivo e concreto, e noi…siamo contrari.


Si potrebbe procurare profonda ansietà tra gli ebrei tedeschi. Si potrebbe sfruttare il clima
per arruolare gli indecisi. Si potrebbe presentare la Palestina e il sionismo come rifugio per
chi è senza patria. Noi non intendiamo fare ciò. Non intendiamo attraverso la demagogia
scuotere dall’indifferenza coloro che sono al di fuori delle questioni che riguardano gli
ebrei. Ma vogliamo trasmettere loro la chiara comprensione della contraddizione di fondo
dell’esistenza galuth (errante) degli ebrei. Noi auspichiamo di risvegliare la loro coscienza
nazionale. Intendiamo…attraverso un paziente e serio lavoro di educazione, indurre
costoro a partecipare alla costruzione della Palestina.53

Lo storico Stephen Poppel, di certo non un nemico della ZVD, afferma perentoriamente nel suo
libro, Il sionismo in Germania 1897 – 1933, che la Rundschau “non iniziò a riportare notizie dettagliate
su agitazioni e violenze contro gli ebrei prima del 1931”. Ben lungi dall’avvisare o difendere gli ebrei, i
dirigenti sionisti scoraggiarono l’attività antinazista.
Erano stati in massima parte i sionisti tedeschi a elaborare l’ideologia della WZO prima del 1914,
e negli anni ’20 la condussero ad una logica conclusione: il Giudaismo nella diaspora non aveva
speranza. Non c’era nessuna difesa possibile dall’antisemitismo e non aveva senso provare a
sviluppare una cultura ebraica e istituzioni comunitarie in Germania. La ZVD si estraniò dalla società
in cui viveva. Furono portati avanti solo due obiettivi: instillare una coscienza nazionale nel maggior
numero possibile di ebrei, e istruire i giovani in attività utili allo sviluppo economico della Palestina.
Ogni altra cosa era inutile e palliativa.
Nel 1925 il più agguerrito alfiere del disimpegno totale, Jacob Klatzkin, co-editore della
monumentale Encyclopedia Judaica, espresse le implicazioni definitive dell’approccio sionista
all’antisemitismo:

52
AA. VV., Gegenwart im Ruckblick, 1970
53
Stephen Poppel, Zionism in Germany 1897 – 1933, 1977
22
Se noi non ammettiamo la correttezza dell’antisemitismo, neghiamo la correttezza del
nostro nazionalismo. Se il nostro popolo è degno e disposto a vivere la sua propria vita
nazionale, allora esso è un corpo estraneo nelle nazioni in cui vive, un corpo estraneo che
rivendica la propria identità, riducendo il loro spazio vitale. E’ giusto, quindi, che essi
combattano contro di noi per la loro integrità nazionale…Invece di istituire organismi di
difesa contro gli antisemiti, che vogliono ridurre i nostri diritti, dovremmo istituire organismi
per difenderci dai nostri amici che vogliono tutelare i nostri diritti.54

Nella WZO il sionismo tedesco si distinse per il rifiuto dei suoi dirigenti di prendere parte alla
vita politica locale. Per Blumenfeld la Grenzuberschreitung (oltrepassare i limiti) era peccato mortale.
Blumenfeld accettò completamente l’assunto antisemita per cui la Germania apparteneva alla razza
ariana e per un ebreo svolgere un ufficio nel paese natale non era nulla più che un’intrusione negli
affari un altro Volk. In teoria la ZVD sosteneva che ogni singolo proprio membro avrebbe dovuto
emigrare in Palestina, ma ovviamente questo era completamente irrealistico. Circa 2.000 coloni si
trasferirono dalla Germania in Palestina tra il 1897 e il 1933, ma molti di costoro erano russi bloccati
in Germania dopo la rivoluzione. Nel 1930 la ZVD aveva 9.059 membri sottoscrittori, ma i contributi
erano individuali, e per nulla segno di profondo coinvolgimento. A dispetto dell'entusiasmo di
Blumenfeld, il sionismo non era un elemento importante nella Repubblica di Weimar.
Quando, nel giugno 1930, i segnali premonitori dell’ascesa nazista apparvero alle elezioni in
Sassonia, dove il NSDAP ottenne il 14,% dei voti, la comunità ebraica di Berlino fece pressione sulla
ZVD affinchè entrasse in un Comitato per le Elezioni Parlamentari insieme al ZV e altri
assimilazionisti. Ma l’adesione della ZVD fu soltanto formale; come gli assimilazionisti constatarono, i
sionisti vi dedicarono ben poco tempo e denaro, e il comitato si sciolse subito dopo le elezioni. Un
articolo sulla Rundschau di Siegfried Moses, poi successore di Blumenfeld a capo della Federazione,
ostentò l’indifferenza dei sionisti verso la costruzione di una difesa efficace:

Noi abbiamo sempre creduto che la difesa contro l’antisemitismo fosse un obiettivo
riguardante tutti gli ebrei, e abbiamo chiaramente stabilito i metodi che approviamo e quelli
che consideriamo irrilevanti o inefficaci. Ma è vero che la difesa contro l’antisemitismo non
è il nostro principale obiettivo, non ci riguarda allo stesso grado e non è della stessa
importanza per noi rispetto al lavoro per la Palestina e, in un senso un pò diverso, rispetto
al lavoro delle comunità ebraiche.55

Anche dopo le elezioni del settembre 1930 i sionisti criticarono l’idea di creare un fronte attivo
contro i nazisti. A.W. Rom sulla Rundschau insistette che ogni difesa sarebbe stata soltanto una
perdita di tempo. Per lui “L’insegnamento più importante ricevuto da queste elezioni è che è molto più
importante consolidare la comunità ebraica in Germania al suo interno che condurre…un lotta
all’esterno”.56
I dirigenti della ZVD di fatto non si unirono mai con gli assimilazionisti in un lavoro di difesa. Essi
erano astensionisti totali in politica, ed erano voelkish; non credevano nel fondamentale assunto del
ZV, ovvero che gli ebrei fossero tedeschi. Volevano che gli ebrei sottolineassero il loro essere tali.
Ritenevano che se gli ebrei avessero iniziato a considerare se stessi una distinta minoranza
nazionale, smettendo di interferire negli affari “ariani”, sarebbe stato possibile indurre gli antisemiti a
tollerare la loro esistenza sulla base di una coesistenza “riconosciuta”. Gli assimilazionisti non la
pensavano affatto così; per loro la posizione sionista era solo un’eco di quella nazista. Non c’è dubbio
che gli assimilazionisti fossero nel giusto. Ma anche se i sionisti avessero convinto ogni ebreo a
sostenere la propria linea, questo non li avrebbe aiutati. A Hitler non importava quello che gli ebrei
pensavano di se stessi; egli li voleva lontano dalla Germania e, preferibilmente, morti. La soluzione
sionista non era una soluzione. Non c’era nulla che gli ebrei avrebbero potuto fare per ammorbidire
l’antisemitismo. Solo la difesa dal nazismo avrebbe potuto aiutare gli ebrei, e ciò sarebbe accaduto
solo se si fossero uniti alla classe operaia antifascista intorno a un programma di resistenza attiva. Ma
questo per I dirigenti della ZVD era un anatema, tanto che nel 1932, mentre Hitler guadagnava
sempre più consensi giorno dopo giorno, essi decisero di organizzare dei meeting anticomunisti per
ammonire la gioventù ebraica contro l’”assimilazione rossa”57.

54
Jacob Agus, The Meaning of Jewish History, 2 voll., 1963
55
In Margaret Edelheim-Muehsam, Reaction of the Jewish Press to the Nazi Challenge, 1960
56
ibidem
57
Donald Niewyk, The Jews in Weimar Germany, 1980
23
I sionisti di minoranza

Mentre Hitler saliva al potere, le minoranze all’interno della ZVD ignorarono sempre più le strette
di Blumenfeld contro l’azione politica e o lavorarono con il ZV o si rivolsero verso altre forze politiche
per tutelarsi. Georg Kareski, un banchiere, era da tempo in disaccordo con Blumenfeld a proposito
dell’indifferenza di fondo del presidente della ZVD per gli affari politici interni alla comunità ebraica, e
nel 1919 aveva costituito un Judische Volkspartei (Partito del Popolo Ebraico) per le elezioni della
comunità ebraica berlinese, con un programma che prevedeva maggiore sostegno all’insegnamento
dell’ebraico. Nel 1930 Kareski sbarcò nell’arena politica nazionale tedesca, come candidato al
Reichstag nel centro cattolico (non fu eletto) e una “Organizzazione degli Elettori Ebrei del Partito di
Centro” venne istituita dai suoi collaboratori. La faccenda suscitò l’ironia di un burlone
socialdemocratico:

La borghesia ebraica senza casa ha in gran parte trovato rifugio presso il Partito di
Centro – Cristo e il primo Papa erano ebrei, dunque perché no? Sono poveri individui che
sconfessano le proprie idee e obiettivi per paura della “espropriazione socialista”! Ciò che
Hitler è per i cristiani, il Partito di Centro è per gli ebrei.58

La Kulturkampf (battaglia culturale) di Bismarck contro la Chiesa Cattolica aveva reso la


gerarchia cattolica tedesca molto contraria all’antisemitismo; temevano che esso avrebbe aperto la
strada a ulteriori attacchi nei confronti della minoranza cattolica. Inoltre i singoli vescovi, memori che
Gesù era ebreo e che quindi l’antisemitismo razzista era incompatibile col cristianesimo, avevano
sempre respinto il legame con i nazisti. Ma c’erano sempre stati degli antisemiti tra i dirigenti del
Partito di Centro, e dopo i Patti Lateranensi del 1929 con Mussolini vi fu una crescente pressione dal
Vaticano per un’intesa tra centristi e nazisti, in nome della lotta contro il comunismo. Tuttavia, Kareski
non vide la direzione in cui gli interessi di classe stavano conducendo l’alta borghesia cattolica, e si
sbagliò completamente sul conto di Franz von Papen, il centrista che prese il posto di Bruning come
Cancelliere. Kareski rassicurò i suoi ricchi amici ebrei che “il governo Papen ha scritta la protezione
degli ebrei sulla propria bandiera”59. In realtà von Papen era sempre stato un antisemita e alla fine,
quando perse la leadership del governo, fece parte della congrega che convinse il presidente
Hindenburg a mettere Hitler al potere.
Per quanto riguarda la sinistra sionista, il ramo tedesco di Poale Zion seguì l’incompetente
leadership dell’SPD. Prima del 1914 l’SPD aveva rifiutato di associarsi al sionismo, che vedeva come
fattore di divisione degli ebrei dagli altri lavoratori, e solo quegli appartenenti all’estrema destra
dell’SPD che sostennero l’imperialismo tedesco in Africa sostennero anche i sionisti laburisti, che
vedevano come coloni socialisti. Solo l’Internazionale Socialista durante e dopo la guerra stabilì
relazioni amichevoli con Poale Zion, mentre le forze della sinistra anticolonialista si unirono
nell’Internazionale Comunista. I sionisti laburisti si unirono all’SPD con un obiettivo centrale: ottenere
sostegno per il sionismo. Finchè i leader dell’SPD si espressero con buone parole verso i sionisti,
questi ultimi risposero con altrettanti elogi. Dal 1931 i leader sionisti laburisti in Palestina cominciarono
a intravedere la vittoria di Hitler, ma non avevano suggerimenti alternativi per l’SPD, e non c’è traccia
di leader di Poale Zion in Palestina che abbiano mai espresso pubblicamente disaccordo verso la
linea dei loro compagni di vecchia data della leadership SPD.

“I tedeschi di fede mosaica sono un fenomeno indesiderabile e


demoralizzante”

Dei nazisti, i sionisti essenzialmente pensavano che non si potesse far nulla per fermarli,
tuttavia si sentirono comunque in dovere di tentare qualcosa. L’Encyclopedia of Zionism and Israel ci
dice molto vagamente che i sionisti tedeschi provarono a persuadere il Cancelliere Bruning a rilasciare
una forte dichiarazione di condanna dell’antisemitismo nazista, “mettendo in rilievo l’influenza dei
sionisti sui governi di varie nazioni”. Bruning non rispose mai, “né i sionisti ebbero successo nei loro

58
Donald Niewyk, Socialist, Anti-Semite and Jew, 1971
59
Leonard Baker, Days of Sorrow and Pain, 1978
24
sforzi di ottenere il sostegno del governo all’emigrazione in Palestina, come via d’uscita costruttiva
dalla difficile situazione interna”60.
Qualunque dichiarazione di questo tipo da parte di Bruning sarebbe stata senza senso, a
meno che egli si stesse preparando a rovesciare i nazisti. Un annuncio che il governo stesse aiutando
gli ebrei a partire avrebbe avuto un effetto controproducente in quanto avrebbe incoraggiato i nazisti,
nella certezza che il governo stava diminuendo la difesa dei diritti degli ebrei. Comunque, Bruning non
fece nulla poiché i sionisti stavano millantando di avere un’influenza sui “governi di varie nazioni”, in
special modo quello inglese.
Weizmann, il celebre scienziato e presidente della WZO, che era ben inserito a Londra, non
fece pressoché nulla per gli ebrei tedeschi. Non gli erano mai piaciuti, e non aveva simpatia per i loro
sforzi di difendersi dall’antisemitismo. Già il 18 marzo 1912 aveva avuto la sfacciataggine di affermare
di fronte a un uditorio berlinese che “Ogni paese può assorbire solo un limitato numero di ebrei, se
non vuole avere guai allo stomaco. La Germania ne ha già troppi.”61 Nel 1914 egli andò oltre
nell'imitazione di Balfour, affermando che “anche noi concordiamo con l’antisemitismo culturale, nel
senso che crediamo che i tedeschi di fede mosaica siano un fenomeno indesiderabile e
demoralizzante”.62 Si recò in Germania diverse volte durante gli ultimi anni di Weimar. I suoi amici colà
gli dissero che non volevano che gli ebrei di altri paesi si schierassero dalla loro parte. Piuttosto, egli
avrebbe dovuto far sapere ai conservatori britannici che, portando avanti azioni antisemite, Hitler
avrebbe squalificato se stesso. Weizmann si rivolse al conservatore Robert Boothby, il quale gli disse
molto francamente che la maggior parte dei Tories vedevano Hitler come colui che salvava la
Germania dal comunismo, ed erano ben poco preoccupati del suo antisemitismo. 63 Dal gennaio del
1932 Weizmann si convinse che c’era da attendersi l’emigrazione di alcuni degli ebrei tedeschi.
Benchè avesse perso il sostegno del Congresso Sionista Mondiale nel 1931, non fosse più presidente
dell’organizzazione e quindi fosse relativamente libero da impegni, non fece più nulla per mobilitare il
mondo ebraico contro Hitler.
Nella stessa Germania la ZVD non provò mai a far scendere in strada gli ebrei, ma la
Rundschau ebbe l’ardire di minacciare che gli ebrei si sarebbero mobilitati…a New York. In realtà, in
America non fu organizzata neanche una manifestazione contro Hitler prima della sua salita al potere.
Il rabbino Wise, leader dell’American Jewish Congress, insieme agli assimilazionisti dell’American
Jewish Committee chiese ai dirigenti dell’ebraismo tedesco come potevano aiutarli. La borghesia
ebraica tedesca li ringraziò caldamente della premura e assicurò che li avrebbe contattati se le cose
fossero peggiorate. Wise voleva tentare di chiedere un pronunciamento al presidente Hoover ma
anche quel passo era troppo radicale per l’American Jewish Committee. E Wise abbandonò la cosa.
Wise e Nahum Goldmann organizzarono una Conferenza Mondiale Ebraica in Ginevra nell’estate
1932, ma Goldmann non accettò di lavorare con gli assimilazionisti. 64 Il sionismo all’epoca era un
movimento di minoranza nel panorama ebraico; la conferenza fu poco più che un atto di preghiera ai
convertiti, e solo a una minoranza di convertiti, visto che nè Weizmann nè Nahum Sokolow, che gli era
succeduto alla presidenza della WZO, erano presenti. Nulla uscì dal meeting, e nè Wise nè Goldmann
compresero la gravità della situazione. Goldmann, che aveva sempre creduto nell’influenza dei “poteri
forti”, disse al convegno della ZVD del 1932 che l’Inghilterra, la Francia e la Russia non avrebbero mai
lasciato che Hitler prendesse il potere.65 Stephen Wise si limitò ad assumere una posizione del tipo “le
cose forse non stanno così male come temevamo”. All’arrivo di Hitler al potere, secondo lui l’unico
vero pericolo era che Hitler non riuscisse a mantenere le altre sue promesse. Allora “forse alla fine
potrebbe decidere di assecondare i suoi compari nazisti sulla questione dell’antisemitismo”.66

60
AA. VV., Encyclopedia of Zionism and Israel, 2 voll., 1971
61
In Benjamin Matuvo, The Zionist Wish and the Nazi Deed, 1966
62
Chaim Weizmann, Lettera a Ahad Ha’am (1914), in The Letters and Papers of Chaim Weizmann
63
Shlomo Shafir, American Jewish Leaders and the Emerging Nazi Threat (1928–January 1933), 1979
64
ibidem
65
Walter Laqueur, A History of Zionism, 1972
66
Shlomo Shafir, American Jewish Leaders and the Emerging Nazi Threat (1928–January 1933), 1979

25
“Il nemico è il liberalismo, che è anche nemico del nazismo”

Poiché i sionisti tedeschi concordavano con due fondamentali elementi dell’ideologia nazista
(ovvero che gli ebrei non sarebbero mai stati parte del Volk tedesco e, inoltre, che non appartenevano
al Boden tedesco), inevitabilmente alcuni sionisti credettero nella possibilità di un’intesa. Se Wise
poteva auto illudersi che Hitler fosse un moderato nel novero dei nazisti, perché altri non potevano
raccontarsi la favola che vi fossero membri del NSDAP che potevano contenere Hitler? Stephen
Poppel ha accennato a questo dibattito in seno alla ZVD:

Alcuni sionisti pensavano che vi fossero elementi rispettabili e moderati nel movimento
nazista che avrebbero forse potuto contenerlo dall’interno…Questi elementi potevano
servire come partner per negoziati per raggiungere una sorta di intesa tra ebrei e tedeschi.
C’era una netta divisione in merito a questa possibilità, con per esempio Weltsch (l’editore
della Rundschau) che vi credeva e Blumenfeld che vi si opponeva duramente.67

E Robert Weltsch non era solo. Gustav Krojanker, un editore della Judischer Verlag, la più
vecchia casa editrice sionista d’Europa, vedeva le radici comuni dei due movimenti nell’irredentismo di
popolo, e giunse alla conclusione che i sionisti dovevano guardare positivamente agli aspetti
nazionalisti del nazismo. Un approccio positivo verso i loro compagni voelkish, sostenne
ingenuamente, avrebbe forse potuto portare a un atteggiamento benevolo verso il sionismo da parte
dei nazisti.68 Secondo il punto di vista di Krojanker e di molti altri sionisti, il tempo della democrazia era
finito. Harry Sacher, inglese, uno dei leader della WZO in quel periodo, spiegò le teorie di Krojanker
nell’articolo Zum Problem des Deutsches Nazionalismus (Sul problema del nazionalismo tedesco), su
una pubblicazione di quest’ultimo:

Per i sionisti, il nemico è il liberalismo, che è anche nemico del nazismo; ergo, il sionismo
dovrebbe avere molta più simpatia e comprensione per il nazismo, del quale
l’antisemitismo è probabilmente un accidente temporaneo.69

Nessun sionista volle che Hitler giungesse al potere, nessun sionista votò per lui e né Weltsch
né Krojanker collaborarono con i nazisti prima del 30 gennaio 1933. La collaborazione si sviluppò
soltanto dopo. Ma tutto ciò fu il risultato logico di decenni di giustificazioni sioniste dell’antisemitismo, e
di mancanza di opposizione ad esso. Non si può argomentare in loro difesa che i leader sionisti non
sapessero cosa sarebbe accaduto dopo l’avvento al potere di Hitler. Quest'ultimo aveva già detto
tanto da star certi che, come minimo, gli ebrei sarebbero stati relegati al grado di cittadini di seconda
classe. In più, sapevano che Hitler era un ammiratore di Mussolini e che dieci anni di fascismo in Italia
avevano significato terrore, torture e dittatura. Ma nella loro ostilità al liberalismo e al suo impegno per
l’assimilazione ebraica, e opponendosi al fatto che gli ebrei utilizzassero i loro pieni diritti democratici
nel sistema parlamentare, l’analogia tra fascismo e nazismo non turbò mai i leader della ZVD. Non
venne mai in mente a questi settari di avere il dovere di mobilitarsi in difesa della democrazia. Essi
ignorarono completamente le gravi implicazioni di un altro regime fascista, questa volta con posizioni
antisemite dichiarate, nel cuore dell’Europa.
Dante ha messo i falsi indovini a camminare all’indietro, col volto dalla parte della nuca, mentre il
pianto scende dai loro occhi. Per sempre.70 Così sia per tutti coloro che non capirono Hitler.

67
Stephen Poppel, Zionism in Germany 1897 – 1933, 1977
68
Herbert Strauss, Jewish Reaction to the Rise of Antisemitism in Germany, 1969
69
Jewish Review, settembre 1932
70
Nel Canto XX dell’Inferno.
26
4. SIONISMO E FASCISMO ITALIANO, 1922 – 1933

L’atteggiamento dell’Organizzazione Sionista Mondiale verso il fascismo italiano fu determinato


da un unico criterio: la posizione dell’Italia nei confronti del sionismo. Quando Mussolini fu ostile,
Weizmann lo criticò; ma quando divenne filosionista, la dirigenza sionista lo appoggiò
entusiasticamente. Quando Hitler giunse al potere, i sionisti erano già amici del leader fascista.
Quando era rivoluzionario, Mussolini aveva sempre lavorato con degli ebrei nel Partito
Socialista Italiano, e ancor prima di abbandonare la sinistra iniziò a rieccheggiare le idee antisemite
diffuse nella destra nordeuropea. Quattro giorni dopo la presa del potere da parte dei bolscevichi, egli
affermò che la loro vittoria era il risultato di un complotto tra la “Sinagoga” (ovvero Ceorbaum – Lenin
e Bronstein – Trockij) e l’esercito tedesco.71 Nel 1919 così spiegò il comunismo: i banchieri ebrei
(Rothschild, Wamberg, Schiff e Guggenheim) stavano dietro agli ebrei comunisti. 72 Ma Mussolini non
fu così antisemita da escludere gli ebrei dal proprio nuovo partito, tanto che ve ne furono cinque tra i
fondatori del movimento fascista. E l’antisemitismo non fu importante nella sua ideologia, poichè non
era ben visto dai suoi seguaci.
L’antisemitismo in Italia era sempre stato visto come connesso all’oscurantismo cattolico. La
Chiesa aveva sempre confinato gli ebrei nei ghetti, e i nazionalisti italiani avevano sempre sostenuto
gli ebrei contro i papi, che per loro erano gli avversari dell’unità italiana. Nel 1848 le mura del ghetto di
Roma vennero abbattute dalla rivoluzionaria Repubblica Romana. Con la caduta di quest'ultima, il
ghetto fu ricostituito, ma la vittoria finale del nazionalista Regno d’Italia nel 1870 pose fine alla
discriminazione contro gli ebrei. La Chiesa attaccò gli ebrei per la vittoria nazionalista, e l’organo
ufficiale gesuita, Civiltà Cattolica, affermò ripetutamente che la sconfitta era dovuta a “complotti con gli
ebrei orditi da Mazzini, Garibaldi, Cavour, Farini e Depretis”.73 Ma questa invettiva anticlericale contro
gli eroi del Risorgimento italiano non fece che mettere in cattiva luce l’antisemitismo, in particolare tra i
giovani anticlericali della piccola borghesia nazionalista. Dal momento che l’essenza del fascismo era
la mobilitazione della classe media contro il marxismo, Mussolini ascoltò attentamente le obiezioni dei
suoi seguaci: che senso aveva denunciare il comunismo come una cospirazione ebraica, se gli ebrei
erano ben visti?

“I veri ebrei non sono mai stati contro di voi”

Come molti altri, Mussolini inizialmente collegò l’antisemitismo al filosionismo, e il suo giornale
Il Popolo d’Italia continuò a sostenere il sionismo fino al 1919, quando egli giunse alla conclusione che
tale movimento fosse solo un fantoccio nelle mani degli inglesi, e cominciò a riferirsi al movimento
sionista locale come ai “cosiddetti italiani”.74 Tutti i politici italiani condividevano questo sospetto verso
il sionismo, inclusi due ministri degli Esteri di origine ebraica: Sidney Sonnino e Carlo Schanzar. La
posizione italiana sulla Palestina era che la protestante Inghilterra non aveva alcun diritto di stare
laggiù, poiché non vi erano nativi protestanti. Il governo italiano voleva che la Palestina fosse una
Terra Santa internazionale. In accordo con le posizioni dei governi pre-fascisti su Palestina e
sionismo, Mussolini era mosso principalmente dalla rivalità imperiale con l’Inghilterra, e dall’ostilità
verso qualunque gruppo che facesse riferimento a un’organizzazione internazionale.
La Marcia su Roma dell’ottobre 1922 preoccupò la Federazione Sionista Italiana. Essa non
amava affatto il precedente governo Facta, dato il suo antisionismo, ma su quel piano i fascisti non
parevano meglio, e lo stesso Mussolini aveva fatto dichiarazioni di antisemitismo. Tuttavia, le loro
preoccupazioni sull’antisemitismo vennero presto fugate; il nuovo governo si affrettò ad avvisare
Angelo Sacerdoti, rabbino capo di Roma e attivo sionista, che non avrebbe sostenuto l’antisemitismo,
né in patria né fuori. I sionisti quindi ebbero udienza da Mussolini il 20 dicembre 1922. Essi
assicurarono al Duce la loro lealtà. Ruth Bondy, sionista e studiosa dell’ebraismo italiano, scrisse: “La

71
Meir Michaelis, Mussolini and the Jews, 1978 (tr.it. Mussolini e la politica ebraica)
72
ibidem
73
Daniel Carpi, The Catholic Church and Italian Jewry Under the Fascists, 1960
74
Meir Michaelis, Mussolini and the Jews, 1978 (tr.it. Mussolini e la politica ebraica)

27
delegazione, dal canto suo, spiegò che gli ebrei italiani sarebbero sempre stati fedeli al loro paese
natale e potevano aiutare a stabilire relazioni con l’Oriente attraverso le comunità ebraichè colà
stanziate”.75
Mussolini disse loro senza mezzi termini che considerava il sionismo uno strumento degli
inglesi, ma il loro giuramento di fedeltà lo ammorbidì un po’, ed egli acconsentì a incontrare Chaim
Weizmann, presidente della WZO, che ricevette il 3 gennaio 1923. L’autobiografia di Weizmann è
deliberatamente vaga, e spesso fuorviante, sulle sue relazioni con gli italiani, ma fortunatamente è
possibile conoscere qualcosa sull’incontro dal resoconto fornito all’epoca dall’ambasciata inglese a
Roma. Esso spiega come Weizmann provò a replicare all’obiezione che il sionismo faceva il gioco
dell’Inghilterra: “Il dottor Weizmann negò che le cose stessero così, e disse che, se anche così fosse
stato, l’Italia avrebbe tratto un eguale vantaggio rispetto all’Inghilterra dall’indebolimento della potenza
musulmana”.76
Questa risposta non può aver ispirato troppa fiducia da parte di Mussolini, ma egli fu
compiaciuto quando Weizmann chiese il permesso di nominare un sionista italiano alla commissione
della WZO per gli insediamenti in Palestina. Weizmann sapeva che l’opinione pubblica italiana
avrebbe letto ciò come un segno di tolleranza verso la WZO da parte dei fascisti, e questo avrebbe
reso la vita più facile al sionismo tra i diffidenti ebrei, preoccupati all’idea di un conflitto con il nuovo
regime. Mussolini la vide dall’altro versante: con un gesto di per sé semplice poteva ottenere il
sostegno della comunità ebraica, sia in patria che all’estero.
L’incontro non produsse cambiamenti nella politica italiana verso il sionismo o verso gli inglesi,
e gli italiani continuarono a ostacolare gli sforzi dei sionisti attraverso tattiche ostruzionistiche in seno
alla Commissione Mandataria della Società delle Nazioni. Weizmann non si oppose mai, né prima né
poi, a quel che Mussolini faceva agli italiani, ma ebbe da ridire quando il regime si opponeva al
sionismo. Egli così parlò in America il 26 marzo 1923:

Oggi abbiamo un’ondata politica terribile, nota come fascismo, che si sta abbattendo
sull’Italia. Trattandosi di un movimento italiano non è affar nostro, bensì del governo
italiano. Ma quest’onda ora si sta abbattendo sulla comunità ebraica, e la piccola
comunità, che non si è mai ben assestata, oggi è colpita dall’antisemitismo.77

La politica dell’Italia verso il sionismo cambiò solo a metà degli anni ’20, quando gli addetti
consolari in Palestina si resero conto che il sionismo era lì per restarvi, e che l’Inghilterra avrebbe
potuto solo lasciare il paese, se e quando i sionisti avessero acquisito un loro stato. Weizmann fu
invitato a Roma per un’altra conferenza il 17 settembre 1926. Mussolini fu assai cordiale; si offrì di
aiutare i sionisti a costruire la loro economia e la stampa fascista cominciò a pubblicare articoli
favorevoli al sionismo in Palestina.
I dirigenti sionisti cominciarono a recarsi a Roma. Nahum Sokolow, allora capo dell’Esecutivo e
di lì a poco (nel 1931 – 33) presidente della WZO, vi arrivò il 26 ottobre 1927. Michael Ledeen,
esperto di fascismo e questione ebraica, ha descritto il risultato politico dei colloqui Sokolow -
Mussolini:

Con quest’ultimo incontro Mussolini divenne un idolo per il sionismo; Sokolow non solo lo
lodò come persona ma dichiarò la sua ferma convinzione che il fascismo fosse immune
dai pregiudizi antisemiti. Egli andò anche oltre: in passato potevano esservi stati dubbi
sulla vera natura del fascismo, ma ora “cominciamo a capire la sua vera natura…i veri
ebrei non sono mai stati contro di voi”. Queste parole, una così grande apertura, furono
riprese sui periodici ebraici in tutto il mondo. In questo periodo, che vide nuovi accordi
legali stabiliti tra la comunità ebraica e lo stato fascista, dai circoli ebraici italiani uscirono
espressioni di fedeltà e simpatia verso il fascismo.78

Non tutti i sionisti gradirono le dichiarazioni di Sokolow. I sionisti laburisti erano vagamente legati
al Partito Socialista Italiano, clandestino, attraverso l’Internazionale Socialista, e si lamentarono, ma i
sionisti italiani furono entusiasti. Benestanti ed estremamente religiosi, questi conservatori vedevano

75
Ruth Bondy, The Emissary: A Life of Enzo Sereni, 1973
76
Daniel Carpi, Weizmann's Political Activity in Italy from 1923 to 1934, 1975
77
Chaim Weizmann, American Addresses, 1923
78
Michael Ledeen, Italian Jews and Fascism, 1969
28
Mussolini come un sostegno contro il marxismo e l’assimilazione che esso implicava. Nel 1927 rabbi
Sacerdoti rilasciò un’intervista al giornalista Guido Bedarida:

Il professor Sacerdoti è convinto che molti dei principi fondamentali della Dottrina
Fascista come: rispetto delle leggi dello stato, rispetto delle tradizioni, principio
dell’autorità, esaltazione dei valori religiosi, desiderio di purezza morale e fisica
dell’individuo e della famiglia, lotta per l’aumento della produzione, e anche la lotta contro
il malthusianesimo79, non sono né più né meno che principi dell’ebraismo.80

Il leader ideologico del sionismo italiano era l’avvocato Alfonso Pacifici. Uomo molto religioso,
era sicuro che i sionisti italiani sarebbero divenuti il ramo più religioso del movimento sionista
mondiale. Nel 1932 un altro intervistatore scrisse di come Pacifici anche:

mi espresse la convinzione che la nuova situazione avrebbe portato a una ripresa


dell’ebraismo italiano. Infatti, affermò di aver sviluppato una filosofia dell’ebraismo in
quanto tendenza del fascismo ben prima che quest’ultimo assumesse un ruolo centrale
nella politica italiana.81

Relazioni tra Mussolini e Hitler

Se i sionisti avevano esitato fino a quando Mussolini non si era rivolto a loro, Hitler non ebbe
tali inibizioni. Fin dall’inizio dell’affermazione del fascismo, Hitler utilizzò l’esempio di Mussolini come
prova che una dittatura del terrore poteva rovesciare una debole democrazia borghese e quindi
abbattere il movimento dei lavoratori. Dopo essere giunto al potere, Hitler riconobbe il proprio debito
verso Mussolini in una conversazione con l’ambasciatore italiano nel marzo 1933: “Sua Eccellenza sa
quanto sia grande la mia ammirazione per Mussolini, che io considero capo spirituale del mio
‘movimento’ poiché, se egli non avesse avuto successo nel prendere il potere in Italia, il
nazionalsocialismo non avrebbe avuto la minima chance in Germania”82.
Hitler aveva due problemi con il fascismo: Mussolini opprimeva pesantemente i tedeschi nel
Sud Tirolo, che gli italiani avevano acquisito a Versailles, e accoglieva gli ebrei nel Partito Fascista.
Ma Hitler vide, correttamente, che ciò che entrambi volevano era così simile da potere in prospettiva
arrivare a un’alleanza. Egli insistette che una lite con gli italiani a proposito dei tirolesi avrebbe
soltanto favorito gli ebrei; tanto che, contrariamente alla maggior parte della destra tedesca, era
dell’idea di abbandonare i tirolesi83. Inoltre, pur non conoscendo le precedenti posizioni antisemite di
Mussolini, nel suo Mein Kampf del 1926 Hitler affermò che nel profondo del suo cuore l’italiano era
antisemita:

La lotta che l’ITALIA FASCISTA sta combattendo, benché forse inconsapevolmente


(cosa che io personalmente non credo), contro le tre grandi armi degli ebrei è il migliore
sintomo che, anche se indirettamente, l’influsso malefico di questo potere sovrastatale sta
per essere eliminato. La proibizione di società segrete massoniche, la persecuzione della
stampa internazionale, così come la progressiva distruzione del marxismo e di converso il
costante rafforzamento dell’idea di stato fascista, faranno sì che nel corso degli anni il
governo italiano serva sempre più gli interessi del popolo italiano, senza riguardo per i
sibili dell’idra ebraica mondiale.84

Ma se Hitler era pro-Mussolini, non ne consegue che Mussolini fosse filonazista. Durante gli
anni ’20 il Duce ripetè spesso il suo famoso “il fascismo non è un articolo di esportazione”. Di certo
dopo il fallimento del putsch di Monaco e il magro 6,5% dei nazisti alle elezioni del 1924, Hitler non
aveva peso. Ci vollero la Depressione e l’improvviso successo elettorale di Hitler prima che Mussolini
iniziasse a prendere sul serio le notizie a proposito del proprio alter ego tedesco. Allora iniziò a parlare
79
Malthusianesimo = Teoria del controllo delle nascite.
80
Reflex, ottobre 1927, p. 58.
81
Views, aprile 1932, p.46
82
Daniel Carpi, Weizmann's Political Activity in Italy from 1923 to 1934, 1975
83
Adolf Hitler, Mein Kampf, 1926
84
ibidem
29
di un’Europa che sarebbe diventata fascista nel giro di dieci anni, e la sua stampa iniziò a parlare in
maniera favorevole del nazismo. Ma allo stesso tempo egli ripudiava il razzismo “nordico” e
l’antisemitismo di Hitler. Completamente fuorviati dal suo filosemitismo, i sionisti sperarono che
Mussolini potesse avere una influenza moderatrice su Hitler una volta salito al potere. 85 Nell’ottobre
1932, nel decimo anniversario della Marcia su Roma, Pacifici si soffermò sulle differenze tra il vero
fascismo di Roma e la sua Ersatz (surrogato) a Berlino. Egli vedeva

una radicale differenza tra il vero e autentico fascismo – che è quello italiano – e i
movimenti pseudo fascisti in altri paesi che…spesso utilizzano le fobie più reazionarie, e
specialmente l’odio cieco e sfrenato per gli ebrei, come mezzo per distrarre le masse dai
loro reali problemi, dalle vere cause della loro miseria, e dai veri colpevoli.86

Più tardi, dopo l’Olocausto, nella propria autobiografia Weizmann provò malamente a
tratteggiare una patina antifascista sui sionisti italiani: “I sionisti, e gli ebrei in generale, benchè non
esprimessero pubblicamente il loro punto di vista, erano noti per essere antifascisti”.
Stante l’antisionismo di Mussolini dei primi anni della sua carriera fascista, così come i commenti
antisemiti, i sionisti a fatica lo accettarono nel 1922. Ma, come abbiamo visto, essi promisero fedeltà al
nuovo potere una volta che Mussolini ebbe loro assicurato che non era antisemita. Nei primi anni del
regime, i sionisti sapevano che egli non gradiva i loro collegamenti internazionali, ma ciò non li portò a
essere antifascisti e, di certo, dopo le affermazioni del 1927 di Sokolow e Sacerdoti, i sionisti
divennero senz'altro buoni amici del Duce.

85
Meir Michaelis, Mussolini and the Jews, 1978 (tr.it. Mussolini e la politica ebraica)
86
ibidem
30
5. IL SIONISMO TEDESCO SI OFFRE
DI COLLABORARE COL NAZISMO

Werner Senator, un importante sionista tedesco, una volta sottolineò che il sionismo, pur
essendo il nazionalismo del mondo ebraico, politicamente si assimila sempre ai paesi in cui opera.
Non c’è migliore prova di questa asserzione dell’adattamento della ZVD 87 alle teorie e alle politiche del
nuovo regime nazista. Poiché credeva che le somiglianze ideologiche tra i due movimenti – la critica
al liberalismo, il razzismo di popolo e ovviamente la convinzione che la Germania non sarebbe mai
stata la patria degli ebrei – potessero indurre i nazisti a sostenerla, dopo il 1933 la ZVD sollecitò la
protezione di Adolf Hitler, non una volta ma ripetutamente.
Lo scopo della ZVD divenne una “ritirata ordinata”, ovvero il sostegno nazista per l’emigrazione
in Palestina almeno della generazione più giovane degli ebrei, e quindi cercò immediatamente contatti
con quegli elementi nell’apparato nazista che pensava fossero interessati a un tale accordo, sulla
base del loro apprezzamento per il sionismo. Kurt Tuchler, membro dell’esecutivo della ZVD, convinse
il barone Leopold von Middlestein delle SS a scrivere un articolo pro-sionista sulla stampa nazista. Il
barone acconsentì a patto di poter prima visitare la Palestina, e due mesi dopo Hitler mise in
condizione i due uomini, con le loro mogli, di andare in Palestina; von Mildenstein vi rimase sei mesi,
prima di rientrare per scrivere i suoi articoli.88
Il contatto con una figura centrale del nuovo governo avvenne nel marzo 1933, quando
Hermann Goering incontrò i leader delle maggiori organizzazioni ebraiche. All’inizio di marzo Julius
Streicher, editore del Der Stuermer89, aveva dichiarato che dal 1 aprile in avanti tutti i negozi e gli studi
professionali ebraici dovevano essere boicottati; tuttavia, questa campagna andò subito incontro a un
inconveniente. I fiancheggiatori capitalisti di Hitler erano estremamente preoccupati dall’annuncio del
rabbino Wise di una contro-dimostrazione da tenersi il 27 marzo se i nazisti avessero insistito con il
loro boicottaggio. Gli ebrei erano influenti nel commercio sia in America che in Europa e gli
imprenditori filo-hitleriani, temendo ritorsioni contro le proprie compagnie, esortarono il Fueher a porre
fine all’iniziativa. Ma i nazisti difficilmente avrebbero potuto fare ciò senza perdere la faccia, e decisero
di usare gli ebrei tedeschi contro Wise; perciò Goering convocò i dirigenti ebrei. L’influenza del
sionismo tedesco nella repubblica di Weimar non era tale da meritare la partecipazione dei suoi
leader, ma poiché essi si consideravano gli unici partner plausibili per negoziare coi nazisti, fecero in
modo di essere aggiunti. In seguito, dopo la guerra, Martin Rosenbluth, dirigente sionista, parlò della
vicenda nella propria autobiografia, Go Forth and Serve. Quattro ebrei incontrarono Goering: Julius
Brodnitz per il ZV, Heinrich Stahl per la comunità ebraica berlinese, Max Nauman, filonazista fanatico
del Verband von Nationaldeutscher Juden90 (VNJ), e Blumenfeld per i sionisti. Goering si lanciò in
un’invettiva: la stampa estera stava mentendo sulle atrocità contro gli ebrei, e a meno che le bugie
non fossero finite, egli non avrebbe garantito sulla sicurezza degli ebrei tedeschi. E, la cosa più
importante, l’adunata di New York doveva essere annullata: “Il dottor Wise è uno dei nostri più
pericolosi e cinici nemici”91. Una delegazione doveva andare a Londra e contattare il mondo ebraico.
Gli assimilazionisti si ritirarono, dicendo che come tedeschi non avevano alcuna influenza sugli
ebrei stranieri. Ciò era falso, ma essi non volevano prendere parte alla propria autodistruzione. Solo
Blumenfeld accettò, ma insistette affinchè gli fosse consentito di dire la verità sul trattamento nazista
verso gli ebrei. A Goering non importava cosa si sarebbe detto per far annullare l’adunata, forse una
descrizione della difficile situazione avrebbe fatto desistere gli ebrei stranieri per timore di peggiorare
le cose. Non gli importava chi sarebbe andato e quali argomenti sarebbero stati usati, purchè la
delegazione acconsentisse a “fare regolare rapporto all’ambasciata tedesca”92.
Alla fine la ZVD inviò Martin Rosenbluth e Richard Lichteim. Temendo la responsabilità
dell’esito della strana missione, essi convinsero il ZV a portare con loro il dottor Ludwig Tietz. Benchè

87
Zionistische Vereinigung fur Deutschland, Federazione Sionista Tedesca.
88
History Today, gennaio 1980, p. 33
89
L’attaccante, settimanale nazista pubblicato dal 1923 al 1945.
90
Unione degli Ebrei Tedeschi Nazionalisti, filonazisti e assimilazionisti.
91
Martin Rosenbluth, Go Forth and Serve, 1961
92
ibidem
31
non fosse un sionista, il ricco uomo d’affari era “un nostro buon amico”93. Il trio arrivò a Londra il 27
marzo e subito incontrò quaranta leader ebraici a un meeting presieduto da Nahum Sokolow,
presidente della WZO. Poi essi incontrarono alcuni funzionari inglesi. I delegati avevano due obiettivi
di fronte a sè: usare la difficoltà della situazione per promuovere la Palestina come "luogo naturale in
cui rifugiarsi", e fermare le istanze antinaziste all'estero. Chiamarono Wise a New York. Rosenbluth
descrisse i fatti nelle sue memorie:

Memori delle accuse di Goering...riportammo il messaggio...Trasmettere la parte


nascosta del suo messaggio fu più difficile, poichè fu necessario parlare in termini vaghi
per confondere gli eventuali ascoltatori. Gli eventi successivi provarono che avevamo
chiarito la nostra richiesta nascosta, e il dottor Wise capì che noi volevamo che lui tenesse
duro e non cancellasse il meeting per nessuna ragione.94

Non c'è prova che venne fatto un qualche sforzo per indurre Wise a ciò. Anzi, attraverso le
ricerche di uno studioso israeliano, Shaul Esh, ora è noto che la delegazione provò a fermare le
manifestazioni a New York e in Palestina. Secondo Esh, quella sera essi inviarono un telegramma:

non a loro nome, ma a nome dell'Esecutivo sionista di Londra. I telegrammi chiedevano


che i riceventi telegrafassero immediatamente alla Cancelleria del Terzo Reich la
dichiarazione che non avrebbero approvato l'organizzazione di un boicottaggio anti-
tedesco...l'Esecutivo sionista di Londra apprese questo alcune ore dopo, e inviò un altro
telegramma a Gerusalemme per differire l'invio della dichiarazione a Hitler.95

Successivamente nella sua autobiografia, Challenging Years, Stephen Wise scrisse di aver
ricevuto il telegramma, ma non parlò di alcun messaggio criptico da parte della delegazione. E'
plausibile ritenere che, se avesse ricevuto un tale messaggio, ne avrebbe parlato. In realtà, Wise
attaccò ripetutamente le ZVD negli anni seguenti per la sua continua opposizione a ogni tentativo
degli ebrei all'estero di contrastare il regime hitleriano.
La condotta di Londra fu tipica di ogni altra seguente azione della ZVD. Nel 1937, dopo aver
lasciato Berlino per l'America, il rabbino Joachim Prinz riportò le proprie esperienze in Germania
facendo riferimento a un memorandum che, ora è noto, fu inviato al partito nazista dalla ZVD il 21
giugno 1933. L'articolo di Prinz descrive candidamente l'atteggiamento sionista nei primi mesi del
1933:

Tutti in Germania sapevano che solo i sionisti avrebbero potuto rappresentare


degnamente gli ebrei nelle trattative coi nazisti. Tutti eravamo sicuri che un giorno il
governo avrebbe aperto una tavola rotonda con gli ebrei, alla quale - passate le rivolte e le
atrocità della rivoluzione - sarebbe stato discusso il nuovo status dell'ebraismo tedesco.
Soluzione della questione ebraica? Era il nostro sogno sionista! Non abbiamo mai negato
l'esistenza della questione ebraica! De-assimilazione? Era proprio il nostro scopo!...In una
dichiarazione notevole per orgoglio e dignità, facemmo richiesta di un incontro.96

Il documento rimase nascosto fino al 1962, quando fu finalmente pubblicato, in Germania e


Israele. "Orgoglio" e "dignità" sono termini che si prestano a varie interpretazioni ma, bisogna dire, nel
documento non c'è neanche una parola che possa essere letta in tal modo. Questo straordinario
documento richiede l'esposizione per esteso. Ai nazisti fu cortesemente chiesto:

…Ci possa quindi essere consentito di presentare le nostre opinioni, che, a nostro
avviso, rendono possibile una soluzione in linea con i principi del nuovo Stato Tedesco del
Risveglio Nazionale e che, allo stesso tempo, potrebbero rappresentare per gli ebrei, un
nuovo ordine nelle condizioni della loro esistenza…Il sionismo non si fa illusioni sulla
difficoltà della condizione degli ebrei, che consiste soprattutto in condizioni professionali
anomale e nel disagio di un atteggiamento morale e intellettuale non basato sulle proprie
tradizioni…

93
ibidem
94
ibidem
95
Jewish Resistance during the Holocaust (Atti della Conferenza di Gerusalemme del 1968)
96
Young Zionist, novembre 1937
32
…una risposta veramente soddisfacente alla questione ebraica può essere fornita allo
stato nazionale solo dalla collaborazione con il movimento ebraico, che miri a un
rinnovamento sociale, culturale e morale dell’ebraismo…la rinascita della vita nazionale,
come sta avvenendo nella vita tedesca attraverso l’adesione ai valori cristiani e nazionali,
deve avere luogo anche nella nazione ebraica. Anche per l’ebreo, origine, religione,
comunità di destino e coscienza di gruppo devono assumere importanza decisiva nella
formazione della sua vita…
Per quanto riguarda la fondazione del nuovo stato, che si basa sul principio della razza,
noi vogliamo adattare la nostra comunità alla struttura complessiva in modo che anche per
noi, nel settore a noi assegnato, possa realizzarsi una feconda attività per la Patria…La
nostra nozione di nazionalità ebraica contempla una chiara e sincera relazione con il
popolo tedesco e le sue realtà nazionali e razziali. Proprio perché non vogliamo falsificare
questi fondamenti, perché anche noi, siamo contro il matrimonio misto e per il
mantenimento della purezza della nazione ebraica...
…La fedeltà alla propria identità e alla propria cultura dà agli ebrei la forza interiore che
impedisce l’insulto rispetto ai sentimenti nazionali tedeschi; e il radicamento in una propria
spiritualità preserva l’ebreo dal diventare un critico senza radici dei fondamenti nazionali
dell’essenza germanica. L’allontanamento tra le nazioni, che lo stato richiede, avverrebbe
quindi con una certa facilità, come il risultato di uno sviluppo organico.
Così, l’ebraismo autocosciente qui descritto, nel nome del quale noi parliamo, può
trovare un posto nella struttura dello stato tedesco, poiché è un sentimento puro, libero da
quel livore che gli ebrei assimilati provano essendo consapevoli di appartenere
all’ebraismo, alla razza e alla storia ebraiche. Noi crediamo nella possibilità di una onesta
relazione di lealtà tra la nazione ebraica cosciente di sé e lo stato tedesco…
Per i suoi obiettivi pratici, il sionismo spera di ottenere la collaborazione anche con un
governo fondamentalmente ostile agli ebrei, perché nel trattare la questione ebraica non
sono coinvolti sentimentalismi ma problemi reali la cui soluzione interessa tutti i popoli, e
nel momento attuale specialmente il popolo tedesco.
La realizzazione del sionismo non potrebbe che essere danneggiata dal risentimento
degli ebrei all’estero contro lo sviluppo tedesco. La propaganda del boicottaggio – come
quella che attualmente è diretta in vari modi contro la Germania – è in sostanza non-
sionista, perché il sionismo non vuole dare battaglia ma convincere e costruire…Le nostre
osservazioni, qui presentate, si basano sulla convinzione che, nel risolvere il problema
secondo le proprie linee, il governo tedesco apprezzerà molto una condotta irreprensibile
da parte degli ebrei, in sintonia con gli interessi dello Stato.97

Questo documento, un tradimento verso gli ebrei tedeschi, fu scritto con i classici clichè dei
sionisti: “condizioni professionali anomale”, “intellettuali senza radici grandemente bisognosi di
rigenerarsi”, eccetera. In esso i sionisti tedeschi offrirono una calcolata collaborazione tra sionismo e
nazismo, motivata dall’obiettivo di uno stato ebraico.
Ossessionati dai propri assurdi scopi, i leader della ZVD persero ogni senso della prospettiva
internazionale ebraica e provarono anche a chiedere alla WZO di annullare il Congresso Mondiale in
programma nell’agosto 1933. Inviarono alla direzione della WZO una lettera: “Dovrà portare avanti
dure proteste”, le loro vite rischiavano di essere messe in gioco in un momento in cui “legalmente
siamo riusciti a organizzare migliaia di persone e a trasferire ampie somme di denaro in Palestina”98.
Come vedremo il Congresso si svolse ugualmente, ma la ZVD non ebbe nulla da temere dal momento
che i nazisti colsero quell’occasione per annunciare di avere stipulato un accordo col sionismo
mondiale.

“Cercando il proprio idealismo nazionale nello spirito nazista”


L’opinione pubblica ebraica era all’oscuro del soggiorno di von Mildenstein in Palestina in
compagnia di un membro dell’Esecutivo sionista, e anche del viaggio di Rosenbluth e Lichteim a
Londra; così del memorandum, e della richiesta di annullamento del Congresso Sionista. Tuttavia era
noto a tutti quanto riportato dalla Rundschau, sulla quale gli ebrei assimilazionisti erano ripetutamente
97
In Lucy Dawidowicz, A Holocaust Reader, 1976
98
Ruth Bondy, The Emissary: A Life of Enzo Sereni, 1973
33
attaccati. Il ZV criticò aspramente le Siegesfanfaren (fanfare di guerra, n.d.t.) che la Rundschau
lanciava contro i peccatori ebrei99. L’editore, Robert Welsch, colse l’occasione del boicottaggio del 1
aprile per attaccare gli ebrei in un’editoriale: “Indossare la stella gialla con orgoglio”:

Nei tempi di crisi della sua storia, il popolo ebraico si è trovato di fronte al problema della
propria colpa. Il nostro principale profeta dice: “Siamo stati espulsi dal nostro paese per i
nostri peccati”…Gli ebrei hanno una grave colpa perché non hanno ascoltato l’appello di
Theodor Herzl…Perché gli ebrei non hanno ostentato la loro ebraicità con orgoglio, perché
hanno voluto ignorare la questione ebraica ora devono subire l’onta della denigrazione
dell'ebraismo.100

Anche mentre i nazisti stavano recludendo i militanti di sinistra nei campi di concentramento,
Welsch attaccò i giornalisti ebrei di sinistra:

Se oggi i giornali nazionalsocialisti e patriottici tedeschi spesso parlano di certi


scribacchini ebrei e della cosiddetta stampa ebraica…bisogna far presente…Gli ebrei retti
si sono sempre indignati per le satire e le caricature rivolte da sciocchi ebrei contro altri
ebrei, così come più in generale contro i tedeschi o altri.101

Anche se la stampa di sinistra era sotto attacco fin dal giorno in cui Hitler era giunto al potere, i
giornali ebraici erano ancora legali. Naturalmente erano sottoposti a censura; se un giornale
pubblicava qualcosa di eccessivo, veniva chiuso, temporaneamente o definitivamente. Tuttavia, i
nazisti non costrinsero i redattori sionisti ad attaccare i loro colleghi ebrei.
Dopo l’Olocausto Welsch espresse un certo senso di colpa per quell’editoriale, dicendo che
avrebbe dovuto scrivere agli ebrei di salvare la propria vita, ma non disse mai che i nazisti gli
avessero fatto scrivere quel pezzo. Welsch non era un fascista, ma era un sionista troppo settario per
prevedere le conseguenze delle sue parole. Così come la maggior parte dei leader della ZVD, egli era
convinto che il “liberalismo egoistico” e la democrazia parlamentare fossero morte, almeno in
Germania. A livello internazionale la ZVD rimase sempre a favore della presenza inglese in Palestina,
ma il corrispondente della Rundschau in Italia, Kurt Kornicher, era un filofascista dichiarato 102. I leader
della ZVD si convinsero che il fascismo era il futuro, di certo nell’Europa centrale, e all’interno di
questa concezione essi contrapposero il fascismo buono di Mussolini agli “eccessi” dell’hitlerismo, che
pensavano sarebbero diminuiti col passare del tempo, anche con il proprio apporto.
Ora il razzismo stava trionfando, e la ZVD salì sul carro del vincitore. I discorsi sul Blut iniziarono
a prendere piede con un'affermazione di Blumenfeld dell’aprile 1933, secondo la quale fino ad allora
gli ebrei avevano mantenuto celata la loro “differenza di sangue” con i veri tedeschi. Raggiunsero poi
toni wagneriani sulla Rundschau del 4 agosto con un lungo saggio intitolato Rasse und Kulturfaktor
(Razza e fattore culturale), che ragionava sulle implicazioni della vittoria nazista per gli ebrei da un
punto di vista intellettuale. Il saggio sosteneva che gli ebrei non avrebbero dovuto solamente accettare
in silenzio i dettami dei loro nuovi maestri; essi dovevano anche comprendere che la segregazione
razziale era una cosa ottima:

Noi che viviamo qui come “razza straniera” dobbiamo assolutamente rispettare la
coscienza razziale e gli interessi di razza del popolo tedesco. Ciò tuttavia non preclude
una pacifica convivenza di popoli di appartenenza razziale diversa. Tanto minore è la
possibilità di un’indesiderabile commistione, tanto minore il bisogno di “proteggere la
razza”…Ci sono delle differenze che in ultima analisi hanno origine nella ancestralità. Solo
i giornali razionalisti, che hanno perso il contatto con le più recondite ragioni e profondità
dell’anima, e delle origini della coscienza comune, possono mettere così superficialmente
la ancestralità al di fuori del regno della “storia naturale”.103

Nel passato, continuava il testo, era stato difficile portare gli ebrei ad avere una considerazione
obiettiva della questione della razza. Ma ora era tempo per una sorta di “ponderata rivalutazione”. “La

99
Jacob Boas, The Jews of Germany, 1977
100
Lucy Dawidowicz, A Holocaust Reader, 1976
101
ibidem
102
Meir Michaelis, Mussolini and the Jews, 1978 (tr.it. Mussolini e la politica ebraica)
103
Judische Rundschau, 4 agosto 1933
34
razza è indubbiamente un elemento molto importante, sì, decisivo. Con ‘sangue e suolo’ davvero si
determina l’essenza di un popolo, e le sue conquiste”. Gli ebrei avrebbero dovuto aver cura delle
“passate generazioni, quando la coscienza razziale ebraica era largamente misconosciuta”. L’articolo
metteva in guardia dalle razze “spurie”, e anche dal ZV, che sull'orlo del disastro stava iniziando ad
abbandonare la sua tradizionale ideologia assimilazionista, ma “senza un cambiamento profondo”.
Suscitare la buona fede razzista dei rivali non era sufficiente. Per provare che il “Movimento di
Rinascita Ebraica” era sempre stato razzista, la Rundschau ristampò due articoli antecedenti il 1914
sotto il titolo “Voci del sangue”. Das singende Blut di Stefan Zweig e Lied des Blutes di Hugo Salus
raccontavano che “l’ebreo moderno…riconosce la sua ebraicità…attraverso un’esperienza interiore
che gli insegna il linguaggio speciale del suo sangue in maniera mistica”.
Ma sebbene queste imitazioni del nazismo fossero di stampo razzista, esse non erano di
stampo sciovinista. I sionisti tedeschi non pensavano di essere superiori agli arabi dal punto di vista
razziale; anzi parlavano bene dei loro cugini semiti. Il loro populismo era solo una risposta distorta a
quelli che definivano propri “problemi di personalità”: permetteva loro di riconciliarsi con l’esistenza
dell’antisemitismo senza combatterlo. Si affrettarono a rassicurare i loro lettori che molti stati e nazioni
moderne erano miste dal punto di vista razziale e dunque le razze potevano vivere in armonia. Agli
ebrei fu raccomandato: ora che dovevano diventare razzisti, non dovevano però diventare sciovinisti:
“sopra la razza c’è l’umanità”104.
Il razzismo abbondò nella letteratura della ZVD, ma per gli osservatori ebrei stranieri Joachim
Prinz fu il suo più acceso propagandista. Elettore socialdemocratico prima del 1933, Prinz divenne
rapidamente populista nei primi anni del Terzo Reich. Certa violenta ostilità verso gli ebrei contenuta
nel suo libro Wir Juden, avrebbe potuto essere inserita direttamente nei pamphlet della propaganda
nazista. Per Prinz l’ebreo era un composto di “smarrimento, bizzarria, esibizionismo, inferiorità,
arroganza, autoinganno, sofisticato amore per la verità, odio, debolezza, patriottismo e
cosmopolitismo senza radici…un arsenale psicopatologico di rara abbondanza”105.
Prinz era profondamente sdegnato per le tradizioni razionaliste e liberali che costituivano la base
comune del pensiero progressista a partire dalla Rivoluzione Americana. Per lui il danno fatto dal
liberalismo era compensato soltanto dal fatto che esso stava morendo:

Il parlamento e la democrazia sono sempre più sconquassati. La disastrosa, esagerata


enfasi sul valore dell’individuo è riconosciuta come erronea; il concetto e la realtà della
nazione e del Volk sta prendendo sempre più terreno, con nostra grande gioia.106

Prinz credeva che un’intesa tra nazisti ed ebrei fosse possibile, ma solo sulla base di un accordo
nazi-sionista: “Uno stato costruito sul principio della purezza della nazione e della razza può avere
rispetto solo di quegli ebrei che considerano se stessi allo stesso modo”107.
Dopo essere giunto negli Stati Uniti, Prinz si rese conto che nulla di ciò che diceva in Germania
sembrava razionale in un contesto democratico, e abbandonò le sue bizzarre concezioni, prova
ulteriore che i sionisti tedeschi si erano ideologicamente adattati al nazismo 108. Ma forse la migliore
rappresentazione della “nazificazione” sionista fu la curiosa affermazione di uno degli editori della
Rundschau, Arnold Zweig, fatta nel suo Insulted and Exiled, scritto all’estero e pubblicato nel 1937:

Di tutti i giornali pubblicati in Germania, il più indipendente, il più coraggioso, e il più


capace fu la Judische Rundschau, l’organo ufficiale della Federazione Sionista Tedesca.
Benché talvolta si sia spinto troppo oltre nel suo sostegno allo Stato Nazista (cercando il
proprio idealismo nazionale nello spirito nazista), tuttavia da esso scaturisce un flusso di
energia, tranquillità, calore e confidenza di cui gli ebrei tedeschi e gli ebrei di tutto il mondo
hanno urgente bisogno.109

104
Judische Rundschau, 4 agosto 1933
105
Menorah Journal, autunno 1936, p. 235
106
Uri Davis, Israel:Utopia Incorporated, 1977
107
Benyamin Matuvo, The Zionist Wish and the Nazi Deed, 1966
108
Intervista dell’autore con Joachim Prinz
109
Arnold Zweig, Insulted and Exiled, 1937
35
“L’esclusivo controllo sulla vita degli ebrei tedeschi”

Neanche le leggi di Norimberga del 15 settembre 1935 scalfirono nei sionisti tedeschi la
convinzione di poter raggiungere un modus vivendi con i nazisti. La direzione di HeChalutz (i Pionieri),
impegnata nell’addestramento giovanile per il movimento dei kibbutz, stabilì che la promulgazione di
leggi che vietavano i matrimoni misti fosse una buona occasione per un nuovo approccio verso il
regime. I Pionieri vararono un piano per l’emigrazione dell’intera comunità ebraica in capo a 15-25
anni. Abraham Margaliot, studioso dell’Israel Yad Vashem Holocaust Institute, ha spiegato le
intenzioni della direzione in quell’anno fatale:

I dirigenti di HeChalutz pensarono che questo piano sarebbe stato così allettante per le
autorità tedesche da convincerle ad accelerare l’emigrazione, liberalizzando le leggi sul
trasferimento di valuta all’estero, favorendo gli addestramenti volontari e le “intese
politiche”110

La Rundschau pubblicò estratti di un discorso in cui Hitler annunciava che il suo governo
sperava ancora di trovare la base per “un migliore approccio verso gli ebrei”111. Il giornale pubblicò
un’affermazione di A.I. Brandt, capo dell’associazione della stampa nazista, che a un pubblico
piuttosto sorpreso spiegava che le leggi erano:

benefiche e rigeneranti anche per gli ebrei. Dando alla minoranza ebraica l’opportunità di
condurre la propria vita e assicurando il sostegno governativo a questa esistenza
indipendente, la Germania sta aiutando l’ebraismo a rafforzare il proprio carattere
nazionale e sta dando un contributo al miglioramento delle relazioni tra i due popoli.112

Lo scopo della ZVD divenne “l’autonomia nazionale”. Essi volevano da Hitler il diritto
all’esistenza economica, protezione dagli attacchi al loro onore, e addestramento per preparare
l’emigrazione. La ZVD si concentrò sull’utilizzo delle istituzioni segregate ebraiche per sviluppare uno
spirito nazionale ebraico. Tanto più i nazisti stringevano il cappio intorno agli ebrei, tanto più essi si
convincevano che un accordo coi nazisti fosse possibile. Dopo tutto, pensavano, quanto più i tedeschi
avessero escluso gli ebrei da ogni aspetto della vita della Germania, tanto più avrebbero avuto
bisogno del sionismo per liberarsi degli ebrei. Il 15 gennaio 1936 il Palestine Post riportò la
sorprendente notizia che: “la Federazione Sionista Tedesca oggi in una dichiarazione ha fatto
l’audace richiesta di essere riconosciuta dal governo come unico strumento per l’esclusivo controllo
sulla vita ebraica in Germania”113.
Le speranze dei sionisti tedeschi in un accordo svanirono solo di fronte alle crescenti
intimidazioni e agli atti di terrore. Ma non vi fu nessun segnale di attività antinazista da parte dei leader
della ZVD. Prima della guerra ci fu uno scarsissimo coinvolgimento dei sionisti nell’attività antinazista
clandestina. Sebbene i movimenti giovanili HeChalutz e Hashomer si ispirassero al socialismo, i
nazisti non erano preoccupati. Yechiel Greenberg di Hashomer nel 1937 ammise che “il nostro
socialismo era considerato semplicemente una filosofia da esportazione”114. Ma fin dall’inizio della
dittatura il KPD clandestino, che cercava sempre nuove reclute, inviò alcuni dei suoi quadri ebrei nei
movimenti giovanili e, secondo Arnold Paucker (poi editore dell’annuario del Leo Baeck Institute115 di
Londra), alcuni sionisti furono coinvolti con la Resistenza, almeno nella redazione di manifesti illegali
nei primi anni del regime.116 Quanto questo fu dovuto all’influenza degli infiltrati comunisti, e quanto fu
spontaneo, è impossibile stimarlo. Tuttavia, la burocrazia sionista attaccò vigorosamente il KPD. 117
Come in Italia, così in Germania: la leadership sionista cercò il supporto del regime al sionismo e si
oppose al comunismo; in nessuno dei due paesi si può ritenere che abbia fatto parte della Resistenza.

110
Abraham Margaliot, The Reaction of the Jewish Public in Germany to the Nuremberg Laws, 1977
111
ibidem
112
ibidem
113
Palestine Post, 15 gennaio 1936, p. 1
114
Hashomer Hatzair, novembre 1937
115
Istituto di storia e cultura dell'ebraismo germanico, fondato nel 1955 e intitolato all’ebreo progressista Leo Baeck.
116
Intervista dell’autore con Arnold Paucker, 28 ottobre 1980.
117
Giora Josephthal, The Responsible Attitude, 1961
36
I rapporti tra la ZVD e la WZO verranno descritti successivamente. E’ sufficiente dire per ora
che i leader della WZO approvarono la linea di fondo dei loro affiliati tedeschi. Tuttavia, all’interno del
movimento sionista mondiale vi furono molti che rifiutarono di rimanere in silenzio mentre il loro ramo
tedesco non solo accettava una cittadinanza di seconda classe che mai ci si sarebbe aspettati ma,
peggio ancora, denunciava gli ebrei stranieri per il boicottaggio della Germania. Boris Smolar, capo
corrispondente in Europa per l’Agenzia Telegrafica Ebraica, il servizio comunicazioni sionista, parlò di
queste cose scrivendo rabbiosamente nel 1935:

Si può capire che un giornale ebraico pubblicato in Germania possa non appoggiare
pienamente le richieste del mondo ebraico riguardo alla piena salvaguardia dei diritti degli
ebrei. Ciò tuttavia non vuol dire che un organo ufficiale di fatto si proclami d’accordo con le
limitazioni antiebraiche eistenti in Germania. E questo è proprio quello che la Judische
Rundschau ha fatto.118

Prima del nazismo, il sionismo tedesco non era altro che un culto politico borghese isolato.
Mentre la sinistra provava a contrastare le camicie brune nelle strade, i sionisti erano impegnati a
raccogliere denaro per piantare alberi in Palestina. Improvvisamente nel 1933 questo piccolo gruppo
si ritenne prescelto dalla storia a negoziare segretamente coi nazisti, opponendosi alla vasta massa
degli ebrei del mondo che volevano resistere a Hitler, nella speranza di ottenere dal nemico del
proprio popolo supporto all’edificazione dello stato ebraico in Palestina. Smolar e gli altri sionisti critici
vedevano la ZVD semplicemente come codarda, ma essi si sbagliavano. Nessuna teoria della
sottomissione può spiegare l’evoluzione del razzismo sionista nel periodo pre-Hitler, né può spiegare
l’apertura della WZO a quelle istanze. Purtroppo la verità va oltre la codardia. La verità nuda e cruda è
che i sionisti tedeschi non si sentirono sottomessi ma piuttosto come partner in un accordo tra uomini
di stato. Finirono completamente delusi. Nessun modus vivendi era neanche lontanamente possibile
tra Hitler e gli ebrei. Una volta che Hitler ebbe trionfato in Germania, la posizione degli ebrei fu senza
speranza; tutto ciò che restava loro era andare in esilio e continuare a lottare da là. Molti lo fecero, ma
i sionisti continuarono a sognare di ottenere la protezione di Hitler. Non combatterono Hitler prima che
questi salisse al potere, quando c’era ancora la possibilità di sconfiggerlo: non a causa di una qualche
forma di codardia ma per la profonda convinzione, ereditata da Herzl, che l’antisemitismo non potesse
essere eliminato. Data la loro mancanza di opposizione durante Weimar, e data la loro teoria della
razza, era inevitabile che sarebbero finiti per essere gli sciacalli ideologici del nazismo.

118
Jewish Daily Bulletin , 8 marzo 1935
37
6. IL BOICOTTAGGIO EBRAICO ANTI-NAZISTA
E L’ACCORDO COMMERCIALE NAZI-SIONISTA

Fu solo l’incompetenza dei suoi nemici che consentì a Hitler di giungere al potere, e per di più il
nuovo Cancelliere doveva ancora dimostrare ai padroni capitalisti di sapersi assumere la
responsabilità di guidare la Germania. Senza dubbio la sua posizione era tutt’altro che solida: i
lavoratori erano ancora contro di lui e gli industriali dovevano ancora essere convinti che egli fosse
capace di sanare l’economia. All’estero, i capitalisti oscillavano tra il sollievo per la sconfitta dei
comunisti e il timore di una nuova guerra. L’opinione all’estero era ora fondamentale: la Germania
dipendeva dal mercato mondiale, e l’antisemitismo di Hitler divenne un problema. Gli ebrei avevano
un ruolo importante nelle piazze commerciali, in particolare in due dei principali mercati della
Germania: l’Europa orientale e l’America. Gli uomini d’affari tedeschi erano senza dubbio fondamentali
nel garantire la stabilità del nuovo Cancelliere; insieme ai loro amici dell’esercito essi lo avrebbero
frenato o anche rimpiazzato nel caso in cui gli ebrei o altri all'estero si fossero uniti nel boicottaggio
delle esportazioni tedesche. Gli stessi esperti di economia del regime discussero apertamente della
loro grave debolezza, ed erano estremamente convinti che il Nuovo Ordine non sarebbe
sopravvissuto in caso di decisa opposizione all’estero.
Gli ebrei si mossero molto lentamente ma alla fine l’associazione dei Veterani di Guerra Ebrei
(JWV) di New York, dopo aver vagliato le conseguenze per l'ebraismo tedesco, il 19 marzo 1933
annunciò un boicottaggio commerciale e organizzò una grande parata di protesta per il giorno 23. Il
sindaco di New York vi prese parte e così fecero i comunisti, ai quali però i Veterans impedirono di
entrare nel corteo finchè non ebbero ritirato i loro striscioni. L’aver snobbato le migliaia di comunisti
causò il fallimento dell’iniziativa del piccolo gruppo di veterani. Politicamente molto ingenui, costoro
ignoravano il fatto elementare che per avere un minimo di possibilità di successo il boicottaggio
doveva avere la massima unità e organizzazione possibile. Subito dopo l’insuccesso dei Veterans, il
sionista Abe Coralnik e Samuel Untermayer, un simpatizzante che aveva finanziato la costruzione
dello stadio all’Università Ebraica di Gerusalemme, misero insieme quella che sarebbe diventata la
Non-Sectarian Anti-Nazi League. Ma i picchetti di boicottaggio erano illegali e Untermayer, un
avvocato di Tammany119, non voleva infrangere la legge. Naturalmente senza picchettaggio di massa
era impossibile ottenere il boicottaggio, per cui quelli che nella comunità ebraica erano determinati allo
scopo si rivolsero al rabbino Wise e al suo American Jewish Congress (AJC) affinchè prendessero in
mano la situazione. Subito Wise si oppose sia alle manifestazioni che al boicottaggio, ma il 27 marzo
si decise a riempire il Madison Square Garden per l'adunata che turbò molto Goering. Una vasta
assemblea di politici, uomini di chiesa e sindacalisti denunciò aspramente il tiranno di Berlino, ma non
fu fatto nulla per organizzare un’attività di massa. Wise, che prima dell’avvento di Hitler non aveva
mobilitato la popolazione, non lo fece neanche ora. Al contrario, scrisse a un amico: “Non puoi
immaginare cosa io stia facendo per frenare le masse. Esse spingono terribilmente per scendere in
strada”.120 Wise si oppose al boicottaggio sperando che poche iniziative, da sole, avrebbero spinto
Roosevelt a intervenire. Ma il Dipartimento di Stato vedeva Hitler come un ariete contro il comunismo,
e i politici americani, che attendevano con ansia la fine della Depressione, ambivano alla Germania
come mercato. Il risultato fu che i Democratici non fecero nulla né contro Hitler né a favore degli ebrei.
Wise, anch’egli democratico, continuò a osteggiare il boicottaggio ma nell'agosto 1933, mentre lui si
trovava in Europa per parlare con i dirigenti ebraici tedeschi e partecipare al Congresso Sionista
Mondiale, i militanti più attivi dell’AJC si mobilitarono. Ma l’AJC era ancora un’organizzazione
profondamente borghese, senza esperienza nella mobilitazione di massa e, come l’Anti-Nazi League,
vergognosamente rinunciò ai picchetti. Il suo responsabile per il boicottaggio non fece altro che
pubblicare alcune splendide statistiche su come il commercio nazista venisse affossato dalla loro
attività.121 Solo quando il settore giovanile si ribellò e picchettò una catena di grandi magazzini
nell’autunno 1934 l’AJC permise ai suoi membri di aderire al boicottaggio.
I boicottaggi non hanno quasi mai successo. La maggior parte delle persone pensano di avere
fatto abbastanza quando hanno smesso di comprare i prodotti, ma un boicottaggio può funzionare
119
Organizzazione newyorchese nata sin dal 1789 e scioltasi negli anni ’60 del Novecento, collegata al Partito Democratico,
dedita a svariate forme di assistenza, per lo più clientelare, agli immigrati.
120
Carl Voss, Let Stephen Wise speak for himself, 1968
121
Moshe Gottlieb, The Anti-Nazi Boycott Movement in the American Jewish Community 1933 - 1941, 1967
38
solo se c’è una solida organizzazione capace di disturbare seriamente il commercio. La responsabilità
del fallimento nel costruire questo movimento riguarda molti: sia ebrei che non-ebrei. Certamente i
capi sindacali che promisero di opporsi a Hitler, ma non fecero nulla per mobilitare le loro sezioni,
furono in larga misura responsabili dell’assenza di una seria campagna di boicottaggio. Certamente
quei gruppi ebraici come Jewish War Veterans, Anti-Nazi League e American Jewish Congress furono
inefficaci, ma ve ne furono altri nella comunità ebraica in America e Inghilterra che contrastarono l’idea
stessa di boicottaggio. L’American Jewish Committee, il B’nai B’rith e il Board of Deputies of British
Jews rifiutarono di sostenere il boicottaggio. Essi temevano che se i lavoratori ebrei, e altri con loro,
avessero fatto propria l’idea di combattere Hitler, forse sarebbero rimasti attivi e si sarebbero rivoltati
anche contro i ricchi di casa loro. Questi gentiluomini si limitarono a iniziative caritatevoli verso gli
ebrei tedeschi e i loro rifugiati, pregando affinchè l’hitlerismo non si espandesse. L’Agudas Israel
(Unione di Israele), il braccio politico dell’ala più radicale del tradizionalismo ortodosso, si oppose al
boicottaggio per motivi religiosi. Essa proclamò che fin da quando l’antico regno ebraico era stato
distrutto dai Romani, il Talmud aveva vietato agli ebrei della Diaspora di ribellarsi all’autorità dei
Gentili; interpretò il boicottaggio come una ribellione, dunque vietandolo.
Comunque, di tutti gli oppositori ebrei all’idea del boicottaggio il più importante fu la World
Zionist Organisation (WZO). Non solo essa comprò i prodotti tedeschi; essa li vendette, e procurò
anche nuovi clienti a Hitler e agli industriali suoi sostenitori.

Il fascino dell’idea di consanguineità

La WZO vide la vittoria di Hitler allo stesso modo della sua affiliata tedesca, la Zionistische
Vereinigung fur Deutschland (ZVD): non una sconfitta per tutti gli ebrei, ma una prova tangibile della
bancarotta dell’assimilazionismo e del liberalismo. L’ora si avvicinava. I sionisti iniziarono a parlare da
nostalgici del passato: Hitler era il basto della storia che avrebbe ricondotto i recalcitranti ebrei alla
loro origine e alla loro terra. Un sionista appena convertito, l’allora celeberrimo scrittore Emil Ludwig,
fu intervistato da un suo compagno ed espresse l’atteggiamento generale del movimento sionista:

‘Hitler sarà dimenticato in pochi anni, ma per lui vi sarà un bel monumento in Palestina.
Tu sai’ – e qui lo storico sembrò assumere il ruolo di un antico patriarca – ‘l’avvento dei
nazisti è stato davvero qualcosa di positivo. Molti dei nostri ebrei tedeschi oscillavano tra
due sponde; molti di loro cavalcavano le infide correnti tra Scilla (l’assimilazione) e Cariddi
(l’accettazione della loro ebraicità). Migliaia, che sembravano essere completamente
perduti all’ebraismo, sono stati riportati a riva da Hitler, ed è per questo che io
personalmente gli sono molto grato’.122

Ludwig era un nuovo arrivato nel movimento, ma la sua visione era in completo accordo con
quella di alcuni veterani come il celebre Chaim Nachman Bialik, ritenuto uno dei “poeti laureati” di
Sion. Per la sua reputazione, le sue affermazioni furono ampiamente diffuse sia dal movimento
sionista che dai suoi avversari di sinistra. La costante preoccupazione del poeta era stata la rottura
dell’unità ebraica rappresentata dal declino della fede religiosa tradizionale, e ora egli non poteva
nascondere la felicità poiché Hitler era venuto giusto in tempo per salvare gli ebrei
dall’autodistruzione.

L’hitlerismo, avverte il poeta, ha reso quasi un servigio non facendo distinzione tra ebrei
religiosi ed ebrei apostati. Se Hitler avesse fatto eccezione per gli ebrei battezzati,
avremmo assistito, sostiene Bialik, allo spettacolo poco edificante di migliaia di ebrei che
accorrevano alle fonti battesimali. L’hitlerismo ha forse salvato l’ebraismo tedesco, che
stava assimilandosi fino all’annichilimento. Nello stesso tempo esso ha reso il mondo
talmente consapevole della questione ebraica, da non poterla più ignorare.123

Bialik, come molti altri sionisti, considerava gli ebrei come una specie di razza superiore, che
avrebbe dovuto smettere di perdersi dietro a un’umanità ingrata, per iniziare a lavorare in proprio.

122
Canadian Jewish Cronicle, ottobre 1935
123
New Palestine, 11 dicembre 1933, p.7.
39
E' pur vero che il Giudaismo, diffondendosi in tutte le nazioni, ha davvero minato le
vestigia di quella specie di idolatria…ma forse l’azione più forte in questo processo viene
dai nostri ebrei “apostati” o “assimilati” di tutti i tipi, che si sono introdotti nel corpo della
Cristianità e ne hanno contaminato i visceri, e lentamente hanno corroso le vestigia del
paganesimo con la loro volontà e il loro sangue ebraico. Anche io, come Hitler, credo nel
potere dell’idea di consanguineità. Questi furono gli uomini (anche se spesso i nomi di
grandi non-ebrei sono stati citati al loro posto) che spianarono la strada ai grandi
movimenti di liberazione in tutto il mondo: Rinascimento, Liberalismo, Democrazia,
Socialismo e Comunismo…Gli antisemiti talvolta vedono molto chiaro. L’influenza ebraica
è infatti stata notevole in tutte queste circostanze; non dobbiamo negarlo.124

Comunque, nel 1934 il sionismo era un movimento che coinvolgeva più di un milione di persone
a livello mondiale, e non tutti costoro accettavano l’idea calata dall’alto che Hitler fosse un vantaggio
per gli ebrei. Alcuni, come il rabbino americano Abraham Jacobson, protestarono contro questa
assurda concezione, che era ancora assai diffusa ancora fino al 1936:

Quante volte abbiamo sentito l’empio auspicio, espresso di fronte al disinteresse degli
ebrei americani per il sionismo: “Se Hitler arrivasse anche da loro si renderebbero conto
della necessità della Palestina!”125

Primi contatti coi nazisti

Di certo la WZO era ben disposta a tentare l'uso dei nazisti per i propri scopi. Le prime aperture
furono compiute in maniera indipendente nel 1933 da un certo Sam Cohen, proprietario della Ha
Note’a Ltd., un’azienda per l’esportazione di agrumi di Tel Aviv. Ancora sotto il Cancelliere Bruning il
governo tedesco aveva messo una tassa sui capitali che lasciavano il paese, e Cohen aveva proposto
che gli emigranti sionisti fossero esonerati dal pagamento della tassa se acquistavano beni in
Germania che poi sarebbero tornati indietro sotto forma di denaro una volta venduti in Palestina.
Bruning non accolse la proposta, ma nel 1933 Cohen di sua iniziativa ripresentò il piano. I nazisti
erano preoccupati degli effetti che il boicottaggio, per quanto spontaneo e male organizzato, aveva
sulla loro bilancia commerciale, e Heinrich Wolff, console tedesco a Gerusalemme, intuì subito quanto
la proposta di Cohen potesse essere utile. Egli scrisse al suo ministro: “In questo modo sarebbe
possibile condurre un’efficace campagna contro il boicottaggio ebraico verso la Germania. Sarebbe
possibile aprire una breccia nel muro”.126
Gli ebrei, pensava, sarebbero stati messi in imbarazzo. Un ulteriore boicottaggio sarebbe stato
visto come un’imposizione di problemi a emigranti che cercavano di trovare un posto dove vivere, in
Palestina o altrove. Nel proprio ruolo, Wolff fu uno dei primi tedeschi a intuire la crescente importanza
della Palestina nelle vicende ebraiche, e in giugno scrisse nuovamente a Berlino:

Mentre in aprile e maggio l’Yishuv127 attendeva istruzioni per il boicottaggio dagli Stati
Uniti, ora sembra che la situazione sia diversa. E’ ora la Palestina che dà le istruzioni…è
importante interrompere il boicottaggio, prima e al più presto in Palestina, e gli effetti si
vedranno presto sul fronte più importante, negli Stati Uniti.128

Ai primi di maggio i nazisti siglarono un accordo con Cohen per trasferire un milione di marchi di
ricchezza ebraica in Palestina sottoforma di macchinari agricoli. A questo punto la WZO intervenne.
La Depressione aveva pesantemente ridotto le donazioni e nel marzo 1933 essi avevano scritto ai loro
seguaci in America avvertendo che se i fondi non fossero immediatamente ricresciuti sarebbero andati
incontro a un collasso finanziario 129. Allora Menachem Ussischkin, capo del Jewish National Fund130,
incaricò Cohen di organizzare lo sblocco delle riserve in denaro del JNF in Germania tramite la Ha
124
Young Zionism, maggio 1934, p.6.
125
New Palestine, 3 aprile 1936, p.3.
126
David Yisraeli, The Third Reich and the Transfer Agreement, 1971
127
In ebraico “insediamento”, indicava genericamente gli ebrei presenti in Palestina ai primi del secolo.
128
David Yisraeli, The Third Reich and the Transfer Agreement, 1971
129
Israel’s Messenger, 1 maggio 1933
130
Fondo Nazionale Ebraico, creato nel 1901 come costola della WZO per acquistare e sviluppare la terra palestinese.
40
Note’a. L’argomento convincente per i nazisti fu che il contante era necessario a comprare la terra per
gli ebrei che Hitler si apprestava a mandare via. Cohen inoltre assicurò a Wolff che avrebbe lavorato
“dietro le quinte, all’imminente conferenza di Londra, per indebolire o annullare qualunque risoluzione
favorevole al boicottaggio”.131Il dottor Fritz Reichert, agente della Gestapo in Palestina, più tardi
scrisse ai propri superiori ricordando l’episodio:

La conferenza di Londra sul boicottaggio è stata intralciata da Tel Aviv poichè il capo del
Transfer in Palestina, in stretto contatto con il consolato di Gerusalemme, ha inviato
telegrammi a Londra. La nostra principale funzione in Palestina è stata di prevenire
un’unificazione del mondo ebraico su posizioni ostili alla Germania…E’ consigliabile
danneggiare la forza politica ed economica degli ebrei provocando divisioni tra i loro
ranghi.132

Sam Cohen fu presto avvicendato in queste delicate trattative dal sionista laburista Chaim
Arlosoroff, segretario politico dell’Agenzia Ebraica, la sezione della WZO in Palestina. Arlosoroff era
profondamente consapevole dei problemi del movimento. Nel 1932 egli si era reso conto che c’erano
difficoltà ad attirare in Palestina abbastanza immigrati per superare il numero degli arabi, e che il
capitale ebraico versato non era sufficiente. Hitler al potere significava la guerra entro dieci anni. Per
sopravvivere in Palestina e risolvere il problema ebraico in quel periodo ci voleva un’azione rapida e
decisa. Ora, egli pensò, il sionismo aveva il mezzo per risolvere i suoi problemi: con l’assenso
britannico, si potevano ottenere gli immigrati e i capitali necessari allargando il progetto di Cohen. In
un articolo sulla Rundschau, e in altre occasioni, egli spiegò cinicamente che ciò poteva essere fatto
soltanto in completa cooperazione con Berlino:

Naturalmente, la Germania non può esporsi al rischio di sconvolgere la propria bilancia


valutaria e commerciale per venire incontro agli ebrei, ma si può trovare una via d’uscita
per conciliare questi differenti interessi…sarebbe molto utile, lasciando da parte i
sentimentalismi, giungere a un accordo con la Germania.

Il sedicente sionista-socialista quindi propose l’alleanza decisiva: un accordo tra sionisti, nazisti,
fascisti e Impero britannico, per organizzare l’evacuazione dalla Germania.

Sarebbe anche possibile istituire una compagnia con la partecipazione dello stato
tedesco e di altri partner europei, soprattutto inglesi e italiani, che potrebbe rapidamente
liquidare le varie proprietà emettendo delle lettere di credito…(e creando)…un fondo di
garanzia.133

Arlosoroff pensava che la sua idea capitasse a proposito, poiché l’opinione pubblica mondiale
avrebbe sostenuto un “approccio costruttivo alla questione ebraica in Germania”134. Sapendo che gli
ebrei tedeschi non avrebbero voluto mettere i loro soldi nelle mani di Hitler, egli propose che fossero
gli inglesi a scegliere il gestore del fondo. Il suo compagno Yitzhak Lufban più tardi scrisse che
“Arlosoroff suggerì alcuni nomi, e il Segretario per le Colonie ne scelse uno”.135 Nella prima metà di
maggio 1933, Arlosoroff e i nazisti arrivarono ad una prima intesa sull’estensione degli accordi di
Cohen. Egli andò nuovamente a Berlino in giugno, e tornò a Tel Aviv il 14 giugno. Due notti dopo fu
ucciso per i suoi legami con i nazisti. Dell’uccisione parleremo più avanti; per ora è sufficiente dire che
essa non rallentò l’intesa della WZO con i nazisti, e un patto nazi-sionista fu annunciato dai nazisti in
tempo per il 18mo Congresso Sionista, in agosto a Praga.

131
Werner Braatz, German commercial interests in Palestine, 1979. La “Conferenza di solidarietà con gli ebrei tedeschi” si
svolse a Londra nell'ottobre 1933.
132
David Yisraeli, The Third Reich and the Transfer Agreement, 1971
133
Jewish Economic Forum, 1 settembre 1933, p.9
134
Labor Palestine, giugno 1933, p.9
135
Labor Palestine, giugno 1934, p.6
41
La WZO giustifica il patto coi nazisti

L’ombra di Hitler dominò completamente il Congresso di Praga. I dirigenti della WZO sapevano
che i nazisti erano interessati a un accordo e stabilirono di evitare di offendere la Germania, limitando
al minimo la discussione su ciò che accadeva in quel paese. Il regime come tale non fu condannato.
La Società delle Nazioni fu chiamata in causa affinchè fosse d’aiuto nella “lotta per il ripristino dei diritti
degli ebrei in Germania”, ma la richiesta si perse in un’interminabile discussione sull’emigrazione in
Palestina. Non fu varato nessun piano per far pressione sulla comunità internazionale, né fu chiesto
alcun atto specifico da parte della Società delle Nazioni.
Il patto nazi-sionista venne reso pubblico il giorno prima della discussione su una risoluzione
per il boicottaggio, e si può ritenere che i nazisti lo fecero per scoraggiare le aperture verso il
boicottaggio. Il leader dell’ala destra revisionista, Vladimir Jabotinskij, pose la questione del
boicottaggio, ma senza alcuna possibilità di ricevere ascolto. Gli inglesi avevano arrestato diversi
revisionisti per l’uccisione di Arlosoroff e il pubblico ministero fece le sue osservazioni in tribunale in
concomitanza con il Congresso. Poiché i revisionisti avevano una storia di violenze contro i loro rivali,
molti delegati erano convinti della loro complicità nell’uccisione di Arlosoroff. La loro sgradevole
reputazione aumentò quando Jabotinskij si fece accompagnare nella sala del Congresso dalle sue
camicie brune in formazione militare, inducendo la presidenza a vietare le uniformi nel timore che
esse avrebbero provocato i compagni laburisti di Arlosoroff. La posizione di Jabotinskij per il
boicottaggio, e la sua opposizione al patto, furono snobbate come le insubordinazioni di un terrorista
nei confronti di una leadership moderata eletta democraticamente. La sua risoluzione fu sconfitta per
240 voti a 48.
Tuttavia, la bocciatura della risoluzione di Jabotinskij non significava necessariamente che i
delegati fossero favorevoli a un accordo con Hitler e, quando i nazisti annunciarono che avevano
siglato un accordo con i sionisti, in base al quale gli ebrei tedeschi potevano trasferire in Palestina tre
milioni di marchi di propri averi sottoforma di prodotti tedeschi, molti congressisti liquidarono
l’affermazione come una trovata propagandistica. Quando fu chiaro che l’accordo era reale, scoppiò
un pandemonio. La dirigenza aveva completamente sbagliato i calcoli e si aspettava sinceramente
che il patto avrebbe riscosso grande successo. Ora, vista la reazione ostile, provarono a difendersi
mentendo su tutta la linea. Il leader laburista Berl Locker affermò sfacciatamente: “L’esecutivo
dell’Organizzazione Sionista Mondiale non ha avuto nulla a che fare con i negoziati che hanno
condotto a un accordo con il governo tedesco”.136 Nessuno credette a questa plateale invenzione.
Molti delegati, in particolare gli americani, pur essendo a favore del boicottaggio votarono
comunque contro Jabotinskij, soprattutto perché si resero conto che la WZO era troppo preoccupata
dalla Palestina per badare ad altre faccende. A quel punto Stephen Wise si rivolse alla dirigenza con
un ultimatum: spiegare “come evitare che gli attivisti tedeschi mettano in pratica l’accordo”. La sua
domanda suscitò un’accesa discussione, per un’intera giornata, nel Comitato Politico. 137 Alla fine i capi
non osarono assumersi direttamente la responsabilità dell’Ha’avara Agreement (Accordo di
Trasferimento), e pretesero che esso fosse circoscritto alla Germania e al firmatario formale, la Banca
Anglo-Palestinese. Ma, poiché quella banca era la loro banca, essi in questo modo riuscirono soltanto
al rendersi ridicoli, agli occhi di amici e nemici.
Il dibattito sul patto nazi-sionista continuò aspramente fino al 1935. L’Ha’avara crebbe
rapidamente fino a diventare una struttura bancaria e commerciale, con 137 addetti nella sua sede di
Gerusalemme nel periodo massimo di attività. Le regole erano in costante cambiamento su pressione
nazista, ma la sostanza dell’accordo fu sempre la stessa: gli ebrei tedeschi potevano mettere denaro
in una banca in Germania, e questo denaro era usato per comprare beni d’esportazione che venivano
venduti al di fuori della Germania, di solito, ma non esclusivamente, in Palestina. Quando gli emigranti
fossero finalmente giunti in Palestina, avrebbero ricevuto il denaro per i beni che avevano
precedentemente acquistato, ora rivenduti. Le operazioni di Ha’avara riguardavano molti altri aspetti,
ma in sostanza l’attrattiva per gli ebrei tedeschi era sempre la stessa: era il modo meno gravoso di
trasferire ricchezza ebraica al di fuori della Germania. Naturalmente i nazisti dettavano le regole, e
queste peggiorarono col tempo; nel 1938 mediamente un utente perdeva dal 30 al 50 per cento del
proprio denaro. Tuttavia, ciò era tre o anche cinque volte meglio delle perdite subite dagli ebrei
quando il denaro prendeva altre destinazioni.138

136
Jewish Daily Bulletin, 29 agosto 1933, p.4
137
Jewish Daily Bulletin, 1 settembre 1933 p.4
138
Mark Wischnitzer, To Dwell in Safety: The Story of Jewish Migration since 1800, 1948
42
Il tetto massimo nel piano di trasferimento era di 50mila marchi (20mila dollari o 4mila sterline)
per ogni emigrante, il che rendeva l’Ha’avara poco attraente per gli ebrei più ricchi. Comunque tramite
l’Ha’avara solo 40.419.000 dollari arrivarono in Palestina, mentre 650 milioni furono trasferiti negli
Stati Uniti, 60 milioni in Inghilterra e altre grosse somme altrove. Ma se dal punto di vista della
ricchezza degli ebrei tedeschi l’Ha’avara non fu decisiva, fu senza dubbio decisiva, anzi cruciale, per il
sionismo. Circa il 60 per cento del capitale investito in Palestina tra l’agosto del 1933 e il settembre del
1939 provenne dall’accordo coi nazisti. 139 In più, gli inglesi limitarono la quota annuale di immigrati
ebrei, col pretesto della ridotta capacità di assorbimento economico del paese; ma i “capitalisti” (coloro
che portavano più di 1000 sterline) erano ammessi oltre il limite. I 16.529 capitalisti furono una fonte
addizionale di immigrati e un risultato economico per il sionismo. Il loro capitale generò un vero e
proprio boom, dando alla Palestina una bolla di artificiosa prosperità nella nebbia della depressione
mondiale.
Inizialmente la WZO provò a difendersi dalle accuse di anti-boicottaggio e collaborazionismo,
insistendo che i trasferimenti dell’Ha’avara non interrompevano per davvero il boicottaggio, poiché la
Germania non riceveva valuta estera per i suoi beni che erano tutti acquistati all’interno del paese. Ma
Berlino presto domandò il pagamento per alcuni prodotti in valuta estera, e altrettanto presto la WZO
iniziò a cercare nuovi clienti per la Germania in Egitto, Libano, Siria e Iraq. Alla fine i sionisti iniziarono
a esportare arance in Belgio e Olanda usando navi tedesche140. Nel 1936 la WZO iniziò a vendere
beni tedeschi in Inghilterra.141
La WZO non era interessata a combattere i nazisti, e ogni difesa del programma Ha’avara ne
fu una riprova. Selig Brodetskij, membro dell’Esecutivo sionista e poi, nel 1939, presidente del British
Board of Deputies, criticò chi aveva messo sotto accusa l'Ha'avara:

Il Congresso (di Praga n.d.t.) raggiunse un livello di confusione tale da “far resuscitare i
morti”. Era molto facile usare parole forti, organizzare incontri, invocare boicottaggi, ma
era molto più difficile parlare con calma e ragionare freddamente. Si diceva che le
decisioni concernenti la Germania erano troppo vigliacche. No! Dei non-ebrei potevano
usare parole forti, ma gli ebrei no.142

Non erano i sionisti i traditori, erano tutti gli altri che erano fuori strada, o almeno così Moshe
Beilinson, uno dei principali sionisti laburisti, avrebbe voluto far credere. E non era al suo primo
tentativo di collaborazione. Nel 1922 era stato uno dei delegati che impegnarono il sionismo italiano
alla lealtà verso Mussolini. Egli ora provò a presentare una difesa teorica del patto coi nazisti:

Dopo l'abbattimento delle mura del Ghetto, la principale arma di difesa dei nostri corpi e
delle nostre vite è stata la protesta…Tutte le nostre proteste nel corso dei decenni non
sono riuscite a distruggere il regno della persecuzione, non solo nel vasto impero degli
Zar, ma anche nella relativamente piccola Romania…
Il Congresso non ha “tradito”; esso ha trionfato. Non è stato “intimorito”; al contrario esso
ha avuto il coraggio di iniziare una nuova politica ebraica…in verità, il 18esimo Congresso
ha avuto il coraggio di distruggere la tradizione assimilazionista la cui caratteristica
principale era dipendere dagli uni o appellarsi agli altri…per generazioni abbiamo
combattuto attraverso le proteste. Ora abbiamo un’altra arma nelle nostre mani, un’arma
forte, affidabile e sicura: il visto per la Palestina.143

La grande maggioranza degli ebrei si oppose all’Ha’avara. Fuori dalla WZO furono tutti contrari,
e il commercio coi nazisti fu inviso anche a molti membri di quest'ultima. La protesta cominciò a levare
mentre il Congresso di Praga era ancora in corso. Il patto fu molto criticato in Polonia, dove gli ebrei
temevano che, non essendoci resistenza all’antisemitismo da parte dei loro vicini, anche gli antisemiti
polacchi avrebbero iniziato a chiedere al proprio governo di imitare la Germania. In America e Gran
Bretagna, che avevano entrambe una tradizione più o meno democratica, molti sionisti, inclusi i nomi
più in vista del movimento, si opposero all’Ha’avara. Il carismatico rabbino di Cleveland, Abba Hillel
Silver, fu uno dei primi a farsi sentire:

139
Jewish Frontier, agosto 1974
140
Palestine Post, 14 novembre 9138, p.6
141
Yehuda Bauer, My brother's keeper; a history of the American Jewish Joint Distribution Committee, 1974
142
Zionist Record, 4 ottobre 1933, p.5
143
Labor Palestine, febbraio 1934, pp. 8-10
43
L’idea che gli ebrei in Palestina trattino di affari con Hitler, invece di domandare giustizia
per gli ebrei perseguitati in Germania, è impensabile. Sembra di essere di fronte a una
colossale bancarotta, per cui gli ebrei tentano di trarre in salvo i loro pochi averi.144

Le proteste arrivarono anche agli angoli più remoti della Terra. Il Jewish Weekly News di
Melbourne lamentò: “Ci renderanno gli zimbelli dei tedeschi, che potranno dire che quando tra gli
ebrei c’è un conflitto tra gli affari e i sentimenti, gli affari vincono sempre”.145 Il rabbino Wise tornò
sull’argomento innumerevoli volte. Nel settembre 1933 si riferì all’Ha’avara come al nuovo vitello
d’oro146 – “l’arancia d’oro” – e ribadì: “Credo di esprimere il pensiero degli ebrei di tutto il mondo
quando dico che ci fa orrore qualunque ebreo, dentro o fuori dalla Palestina, che si abbassi a fare
qualunque accordo commerciale con i nazisti, per qualunque ragione!”147
In un discorso a una Conferenza Ebraica Mondiale a Ginevra nel 1934, Wise attaccò i laburisti
che erano diventati la forza dominante del sionismo palestinese:

Un leader sionista in Palestina ha ripetuto più e più volte a Praga: la Palestina è


prioritaria. Questa conferenza deve affermare chiaramente che, mentre la Palestina è
prioritaria su tutti gli altri elementi della questione, la sua priorità cessa quando entra in
conflitto con una legge morale superiore.148

Wise aveva visto il marcio nella WZO: la terra di Israele era diventata molto più importante dei
bisogni del popolo di Israele. Il sionismo laburista era divenuto, nel vero senso della parola, un culto
utopico. Essi vedevano un nuovo ebreo nella sua antica terra come l’unica strada per la nazione
ebraica per continuare a esistere. Il popolo ebraico reale, i milioni di ebrei della Diaspora, non erano
altro che un bacino nel quale pescare giovani immigrati coi quali costruire il nuovo stato. La Diaspora
in quanto tale era condannata. O gli ebrei sarebbero stati allontanati, come in Germania, o assimilati,
come in Francia. Con questa prospettiva distorta, per cui la sopravvivenza degli ebrei era legata al
loro destino in Israele, i sionisti furono spinti a trafficare ancora di più coi nazisti per realizzare i propri
piani.
Alla fine del 1933 essi provarono a far rivivere la banca per la liquidazione su vasta scala
ipotizzata da Arlosoroff. Weizmann incaricò Cohen di proporre al ministro degli Esteri tedesco che lui,
già presidente del movimento, ora direttore dell’Ufficio Centrale per l’Insediamento degli Ebrei
Tedeschi, poteva venire a Berlino per discutere il programma di liquidazione, ma i nazisti non vollero
invitarlo.149 Essi erano sempre meno interessati a fare accordi coi sionisti di quanto i sionisti lo fossero
con loro. I nazisti avevano raggiunto i propri scopi: i sionisti avevano interrotto il boicottaggio e non
davano segni di resistenza nei loro confronti. Per il momento andava bene così. Ma neppure quel
rifiuto fece desistere Weizmann. Un anno e mezzo dopo, il 3 luglio 1935, egli scrisse a Arthur Ruppin,
direttore del Colonization Department in Palestina e uno dei più convinti sostenitori di ulteriori legami
coi tedeschi:

Il Dottor Moses, ho sentito, ha preso contatti con il ministro dell’Economia Nazionale del
Reich e, stando al numero di colloqui che ha avuto, gli ha sottoposto un memorandum che
chiede che eventuali ulteriori esportazioni in Inghilterra, se richiesto dai nostri amici in
Germania, siano usate in favore degli emigranti da 1000 sterline.150

Weizmann proseguì chiarendo che la risoluzione del Congresso di Praga a proposito della lotta
per i diritti degli ebrei tedeschi era soltanto sulla carta. Si riferì a Praga in relazione all’imminente
Congresso di Lucerna:

So bene che al Congresso di Lucerna si può sorvolare e non dare notizie sulla questione
degli ebrei tedeschi, così come fece il Congresso di Praga…mi permetto di dubitare del
144
Jewish Daily Bulletin, 30 agosto 1933, p.4
145
Jewish Weekly News, 10 novembre 1933, p.5
146
Nella Bibbia, il vitello d’oro è l’idolo adorato peccaminosamente dagli ebrei in assenza di Mosè.
147
New York Times, 9 settembre 1933, p.5
148
World Jewry, 24 agosto 1934, p.395
149
Werner Braatz, German commercial interests in Palestine, 1979
150
The Letters and Papers of Chaim Weizmann, Serie A (Letters), vol XVI, p. 464

44
fatto che qualcuno, specialmente gli ebrei tedeschi e i sionisti tedeschi, possa trarre
vantaggio se la questione degli ebrei tedeschi sarà trattata approfonditamente, soprattutto
in un rapporto speciale. Ciò non porterebbe un beneficio, specialmente oggi che c’è la
possibilità che il mondo riesca a mettersi d’accordo con la Germania. Anzi, ritengo
possibile che un tale rapporto possa diventare pericoloso per l’unica cosa positiva che
abbiamo in Germania, ovvero la crescita del movimento sionista…Noi, essendo
un’Organizzazione Sionista, dovremmo concentrarci su una soluzione costruttiva della
questione tedesca, attraverso il trasferimento della gioventù ebraica dalla Germania alla
Palestina, piuttosto che sulla questione dei diritti degli ebrei in Germania.151

“Costruttivo”, si ricorderà, era uno degli aggettivi preferiti da Weizmann; dopo la Prima Guerra
Mondiale egli aveva assicurato ai capitalisti a Versailles che il sionismo era costruttivo, diversamente
dal comportamento di quegli ebrei che coltivavano “tendenze distruttive”. Un pensiero “costruttivo” nei
confronti di Hitler era una novità straordinaria per un ebreo, ma naturalmente il Grande Sionismo era
assai al di sopra della mentalità ebraica ordinaria. L’amico di Weizmann, il tedesco Ruppin, fu un buon
esempio in proposito. Essendo una atleta, si occupava di addestrare i giovani della classe media alle
“costruttive” fatiche nel Boden152 ebraico. Nel suo libro del 1934, Gli ebrei nel mondo moderno,
espresse apertamente la linea conciliatoria del movimento sionista. Nel libro spiegò agli ebrei, ancora
una volta, che era colpa loro se le cose erano andate così, e li ammonì:

Uno sforzo per una risoluzione pacifica del problema sarebbe stato possibile se…gli
ebrei…avessero ammesso che la loro peculiare posizione fra i tedeschi doveva per forza
condurre a conflitti, aventi origine nella natura umana, impossibili da rimuovere con
argomenti razionali. Se entrambe le parti avessero compreso che la situazione presente
non è dovuta a cattiva volontà ma alle circostanze, che sono maturate indipendentemente
dalla volontà delle parti, non sarebbe stato necessario cercare la soluzione del problema
ebraico in un’orgia di odio sfrenato.

La sua teoria del “fraintendimento” arrivava ad una logica conclusione: “C’è bisogno di
intermediazioni e soluzioni parziali per arrivare a un modus vivendi”.153
Lewis Namier, ex segretario politico dell’Agenzia Ebraica nel 1929-31 e importante storico
dell’aristocrazia inglese, aveva scritto la prefazione al libro di Ruppin. Alcuni noti sionisti, incluso
Nahum Goldmann, consideravano Namier un ebreo profondamente antisemita.154 Nella sua devozione
verso la nobiltà, egli disprezzava gli ebrei in quanto personificazione del capitalismo, del volgare
“commercio”. Come ci si potrebbe attendere, l'introduzione riportò l'“interpretazione” di Namier
dell’antisemitismo: “non tutti coloro che provano fastidio nell’avere a che fare con noi devono essere
chiamati antisemiti, e non c’è nulla di necessariamente e intrinsecamente malvagio
nell’antisemitismo”.155 La bozza originaria del testo era anche più esplicita. Weizmann l’aveva letta e si
sentì in dovere di avvertire Namier di non essere così esplicito nell’esprimere la mutua tolleranza
verso il nazismo:

A pag.6 le righe “ma ciò che era accaduto” etc…sottolineate a matita mi sembrano
pericolose, anche se condivido la tua conclusione. E’ un libro di Ruppin con una tua
prefazione e in Germania verrà valutato e gli zoticoni diranno “gli ebrei stessi pensano che
andrà tutto bene”, etc. Io toglierei quella parte se possibile.156

Queste erano le posizioni dei leader del movimento sionista nel 1935 quando il 19mo Congresso
si riunì a Lucerna, come sempre in estate. Mentre pubblicamente negavano di avere a che fare con
l’Ha’avara, i sionisti segretamente stavano facendo il possibile per estenderlo. Sotto tutti gli aspetti i
loro pensieri e la loro politica erano in contrasto con la stragrande maggioranza degli ebrei nel mondo.

151
The Letters and Papers of Chaim Weizmann, Serie A (Letters), vol XVI, p. 465-6
152
Terra. In tedesco nel testo.
153
Arthur Ruppin, The Jews in Modern World, 1934
154
Nahum Goldmann, Autobiography, 1969
155
introduzione di Lewis Namier a Arthur Ruppin, The Jews in Modern World, 1934
156
Weizmann, To Lewis Namier, 1 ottobre 1933, Letters vol XVI
45
“Ricavare il massimo vantaggio...nel senso sionista”

La leadership della WZO dovette fronteggiare ancora una battaglia interna sull’Ha’avara e
sull’atteggiamento da tenere verso i nazisti. Jabotinskij e i suoi revisionisti erano usciti dalla WZO, ma
un gruppo di suoi seguaci – ora denominati Judenstaat Partei (Partito dello Stato ebraico) era rimasto
leale alla WZO e chiese l’annullamento dell’Accordo. Diversi giornalisti descrissero il breve ma acceso
dibattito al Congresso del 1935. Il Canadian Zionist riportò che:

Si votò e la mozione di mr. Grossman (la proposta di discutere se la banca anglo-


palestinese fosse la causa dell’arresto di attivisti che protestavano contro l’uso di cemento
tedesco) fu sconfitta. Dopodichè vi furono forti grida ironiche di “Heil Hitler” da parte di
alcuni sostenitori di Grossman. Ciò provocò un pandemonio.157

Paul Novick, l’editore del quotidiano dei comunisti americani, il Morgen Freiheit, riportò che “I
delegati dell’Histadrut risposero a tono, gridando gli attivisti dello Judenstaat: ‘agenti di Schuschnigg’
(cioè agenti del fascismo italo-austriaco)”.158
La politica dell’Esecutivo della WZO verso Hitler ebbe strenui difensori al Congresso. Una difesa
di carattere generale fu presentata da Moshe Shertok, che era succeduto ad Arlosoroff come
segretario politico dell'Agenzia Ebraica159, l'equivalente del ministro degli Esteri. L'uomo che poi
divenne il secondo Premier di Israele arringò duramente i delegati, e il mondo ebraico, dicendo che
dovevano accettare il fatto che:

Il popolo ebraico non aveva speranza maggiore, per il successo nella sua lotta per la
sopravvivenza, che la costruzione di Eretz Israel, e bisognava accettare le conseguenze di
ciò. Si imitavano le proteste e i boicottaggi effettuati da altri popoli, ma si dimenticava che
queste misure erano espressione della forza di quei popoli, mentre il movimento sionista
doveva ancora creare una propria forza.160

Dopo il Congresso alcuni dei più importanti propagandisti della strategia della WZO furono gli
shliachim, o emissari, inviati dalla Palestina in giro per il mondo. Enzo Sereni, esponente del
movimento sionista italiano, era stato l'emissario in Germania nel 1931-32, ma non aveva fatto nulla
nè per mobilitare gli ebrei tedeschi nè per sostenere la SPD nella sua battaglia contro i nazisti. Sereni
era uno di coloro che vedevano Hitler come una frusta che avrebbe spinto gli ebrei verso il sionismo.
Una volta egli disse a Max Ascoli, un attivista anti-fascista italiano, che "l'antisemitismo di Hitler
poteva portare alla salvezza degli ebrei".161 Al Congresso di Lucerna egli fu strenuo difensore dell'idea
della priorità della Palestina:

Non abbiamo nulla di cui vergognarci nel fatto che abbiamo usato la persecuzione degli
ebrei in Germania per l’edificazione in Palestina…fare uso delle catastrofi della
popolazione ebraica della diaspora per edificare.162

Ma l'esempio di gran lunga migliore della non volontà della leadership di resistere ai nazisti fu
l'affermazione di Weizmann:

L'unica risposta dignitosa ed efficace a tutto ciò che viene inflitto agli ebrei tedeschi è
l'edificio eretto dal nostro grande e meraviglioso lavoro nella Terra d'Israele...Stiamo
creando qualcosa che trasformerà il dolore che tutti soffriamo in canzoni e leggende da
tramandare ai nostri nipoti.163

La direzione manovrò affinchè ogni seria discussione sulla resistenza al nazismo fosse tenuta
fuori dalla sala del Congresso, e il nome di Wise fu cancellato dalla lista degli oratori per paura che
157
Canadian Zionist, settembre 1935, p.8
158
Paul Novick, Zionism Today, 1936
159
Shertok cambiò poi nome in Sharett. Fu in realtà segretario politico dell’Agenzia Ebraica, come Arlosoroff.
160
New Palestine, 20 settembre 1935, p.24
161
Ruth Bondy, The Emissary: A Life of Enzo Sereni, 1973
162
Paul Novick, Zionism Today, 1936
163
Barnett Litvinoff, Weizmann. The Last of the Patriarchs, 1976
46
attaccasse Hitler. Egli minacciò di abbandonare il Congresso se non gli fosse stata data la parola e,
poichè il Congresso non poteva permettersi che il sionista americano più famoso se ne andasse dopo
una controversia, alla fine lo lasciarono parlare. Egli si alzò, disse che era contrario a Hitler
(un'affermazione che difficilmente avrebbe attirato l'attenzione in qualunque consesso) e si sedette.
Lui e rabbi Hillel Silver in realtà non avevano mai fatto nulla per il boicottaggio se non sostenerlo a
parole, e nel 1935 non c’era nulla in America che assomigliasse a un’effettiva organizzazione di
boicottaggio. In pratica, essi non avevano nessun programma alternativo per una resistenza effettiva;
a quel punto, con l’attenzione puntata sulla Palestina come rifugio per gli ebrei tedeschi, essi si
arresero a Weizmann e accettarono l’Ha’avara, e dopo il Congresso di Lucerna non vi furono mai più
grosse differenze tra loro e il resto del movimento. Alla fine l’unica protesta ufficiale contro l’hitlerismo
fatta dal movimento fu la cancellazione di mezza giornata di una delle sessioni del congresso, un
gesto insignificante.
Weizmann ebbe davvero poche difficoltà a far accettare formalmente l’Ha’avara, ma
l’opposizione riuscì a limitare una delle sue attività. Una sussidiaria dell’Ha’avara, la Near and Middle
East Commercial Corporation (NEMICO), era stata istituita per trovare nuovi clienti per la Germania in
Medioriente. La federazione sionista egiziana minacciò di sollevare uno scandalo se la WZO non vi
avesse messo fine, e nell’interesse di preservare il progetto generale la leadership, riluttante, dovette
rinunciare all’operazione NEMICO.
La capitolazione degli americani non riuscì a zittire l’opposizione ebraica altrove. Le critiche sulla
carta stampata furono immediate. La londinese World Jewry, la migliore rivista sionista in lingua
inglese, criticò aspramente il Congresso: “Il dottor Weizmann è arrivato a proclamare che la sola
risposta degna che gli ebrei possono dare è un rinnovato sforzo per la costruzione della Palestina.
Quale spavento tale proclama del presidente del Congresso deve aver suscitato nei signori Hitler,
Streicher e Goebbels!”164
La stampa non ufficiale sionista in Inghilterra condivideva il crescente sentimento popolare per
cui la guerra con Hitler era inevitabile, e non poteva comprendere la totale assenza di serie
discussioni sul nazismo al Congresso. Il corrispondente della World Jewry descrisse l’assise come
stranamente deprimente: “Abbiamo un’agenda che corrisponde al consiglio d’amministrazione di una
società a responsabilità limitata, piuttosto che a un consesso nazionale che ha in mano il destino di
una nazione”.165 Anche il Jewish Cronicle, da sempre portavoce dell’establishment ebraico, si
espresse sullo stesso tono: “I lavori erano noiosi quasi come un dibattito sul Colonial Office alla
Camera dei Comuni al venerdi mattina”.166 Esso si sentì in dovere di condannare le decisioni in merito
all’Ha’avara:

E’ uno spettacolo sconcertante per quel mondo sulla cui simpatia noi contiamo, e
sconcertante per gli ebrei per i quali il boicottaggio è una delle poche armi a disposizione,
e che ora si vedono abbandonati da quel movimento del quale hanno più che mai il diritto
di pretendere l’appoggio nella loro battaglia.

In America l’opposizione all’Ha’avara fu particolarmente intensa tra i sindacati dell’industria


dell’abbigliamento, con le sue centinaia di migliaia di lavoratori ebrei. La maggioranza dei leader del
lavoratori ebrei avevano sempre guardato al sionismo con disprezzo. Molti di loro venivano dalla
Russia e sapevano del fatidico incontro del 1903 tra Herzl e Plehve e di come il loro vecchio nemico
Zubatov avesse messo i sionisti di Poale Zion contro il Bund. Per quanto ne sapevano l’Ha’avara era
un altro dei vecchi trucchi del sionismo, e nel dicembre 1935 Baruch Charney Vladeck, il coordinatore
del Comitato dei Lavoratori Ebrei, ex bundista polacco, partecipò a un dibattito con Berl Locker, mente
organizzativa della Poale Zion palestinese, davanti a un’enorme folla a New York.
Locker fu spinto subito sulla difensiva, insistendo che l’accordo era puramente nell’interesse
degli ebrei tedeschi. Se non vi fosse stato alcun trattato, disse, costoro avrebbero trasferito i loro beni
in Palestina per conto proprio. Poiché se non ci fosse stato il patto, assicurò, la situazione sarebbe
stata molto peggiore, in questo senso: “La Palestina è stata presentata come un fait accompli…
L’Accordo di Trasferimento fa sì che il paese non venga invaso dalle merci tedesche, dal momento
che i beni arrivano soltanto se ce n’è bisogno”.167

164
World Jewry, 6 settembre 1935, p.1.
165
World Jewry, 30 agosto 1935, p.1
166
Jewish Chronicle, 20 settembre 1935, p.24
167
Call of Youth, gennaio 1936, pp. 3-12
47
Vladeck non si fece mettere fuori gioco dal banale sotterfugio di Locker, e continuò il suo
attacco. A New York i sionisti laburisti appoggiavano il boicottaggio, nello stesso tempo scusandosi
per l’Ha’avara in Palestina, e il vecchio bundista ridicolizzò il loro atteggiamento di tenere il piede in
due staffe:

Tu potrai raccontarla fino al Giorno del Giudizio, ma questo è un doppio gioco dei più
chiari. Nessuno dovrebbe interrompere il boicottaggio, tranne gli ebrei in Palestina! E
nessuno accordarsi con la Germania, tranne l’organizzazione sionista!...Sono convinto
che lo scopo principale del Trasferimento non è dare un rifugio agli ebrei tedeschi ma
rafforzare le istituzioni in Palestina…la Palestina quindi diventa “crumiro ufficiale” contro il
boicottaggio nel Vicino Oriente…quando le notizie sull’Accordo di Trasferimento vennero
fuori per la prima volta…Berl Locker disse: “Neanche una delle agenzie sioniste ha a che
fare con il Transfer”…posso concludere in un solo modo: l’Accordo di Trafserimento è una
porcheria nei confronti degli ebrei di tutto il mondo.168

Se la maggioranza degli ebrei si opposero all’Ha’avara considerandola un tradimento, ce ne fu


almeno uno che volle arrivare al record di lamentare che Weizmann e soci non stavano facendo
abbastanza. Gustav Krojanker, le cui opinioni sui nazisti sono state discusse nel capitolo 3, al tempo
era uno dei leader della Hitachdut Olei Germania (l’Associazione degli Immigrati Tedeschi in
Palestina), e nel 1936 l’associazione pubblicò il pamphlet Il Transfer: una questione vitale del
movimento sionista. Per Krojanker il sionismo era soprattutto calcolo, nulla più, e dunque si concentrò
sugli argomenti logici a favore del patto nazi-sionista. Esortò a vedere il nazismo e le opportunità che
esso apriva per il sionismo alla maniera di Herzl:

La sua analisi della situazione era priva di qualsiasi futile sentimentalismo; egli
considerava due fattori politici – un’organizzazione del popolo ebraico da una parte, e i
paesi coinvolti dall’altra. Essi dovevano essere parte di un patto.169

Krojanker rimproverò la leadership per non aver avuto il coraggio di sdoganare formalmente
l’Ha’avara già nel 1933. Per lui questa era stata una capitolazione a quella che considerava la
“mentalità della Diaspora”. Egli avrebbe voluto andare oltre:

Il movimento sionista avrebbe dovuto sforzarsi…di convincere il governo tedesco a


stipulare un trattato tra pari, accettando la situazione e provando a ricavare il massimo
vantaggio da questo, nel senso sionista.170

Aggiunse che come passo successivo si dovevano necessariamente aiutare i nazisti a rompere
il boicottaggio nella stessa Europa, attraverso l’estensione dell’Ha’avara. La Germania “potrebbe
riuscire a concludere accordi, se noi…ci preparassimo a estendere il sistema dell’Ha’avara ad altri
paesi”.171 Ma la WZO non aveva bisogno dell’aiuto di Krojanker. Lui non sapeva che, segretamente,
essa aveva deciso di fare proprio quello e che, nel marzo 1936, le trattative guidate da Sigfried Moses
avevano dato luce a Londra alla International Trade and Investment Agency (INTRIA), una banca per
organizzare la vendita dei prodotti tedeschi direttamente in Inghilterra. 172 I nazisti dovettero
accontentarsi della soddisfazione di un ulteriore indebolimento delle forze del boicottaggio, mentre il
timore dell’ostilità ebraica, e britannica in generale, verso i crumiri del boicottaggio non permisero
all’INTRIA di far arrivare valuta inglese direttamente nelle mani tedesche. Invece, i beni erano
comprati in marchi in Germania, e il ricavato era ceduto agli ebrei capitalisti che necessitavano delle
1.000 sterline richieste per emigrare in Palestina come fuori-quota.
Le relazioni commerciali tra nazisti e sionisti continuarono poi a svilupparsi in vario modo. Nel
1937 200.000 casse di “arance d’oro” vennero inviate in Germania, e un altro mezzo milione nel Paesi
Bassi a bordo di navi battenti la bandiera uncinata.173 Anche dopo la Notte dei Cristalli, la terribile notte
del 9-10 novembre 1938 quando i nazisti indossarono le camicie brune per devastare i negozi ebrei, il

168
ibidem, p.34
169
Gustav Krojanker, The Transfer: A Vital Question of the Zionist Movement, 1936
170
ibidem
171
ibidem
172
Yehuda Bauer, My brother's keeper; a history of the American Jewish Joint Distribution Committee, 1974
173
Palestine Post, 14 novembre 1938, p. 6
48
manager dell’Ha’avara Ltd., Werner Felchenfeld, continuò a offrire a prezzi ridotti la possibilità di usare
le navi naziste. La sua unica preoccupazione fu di rassicurare i dubbiosi che “non vi è competizione
con le navi inglesi, in quanto questo accordo commerciale è valido per l’esportazione di agrumi verso i
porti olandesi e belgi, mentre i porti inglesi sono espressamente esclusi”.174

“Ciò che conta in una tale situazione è la dirittura morale di un popolo”

Naturalmente furono i nazisti a trarre il maggiore guadagno dall’Ha’avara. Non solo il patto li
aiutò ad allontanare molti ebrei in più, ma rivestì un immenso valore all’estero, poiché fornì una
giustificazione a coloro che volevano ancora commerciare con i tedeschi. Il giornale di Sir Oswald
Mosley175, la Blackshirt (Camicia Nera), ne fu entusiasta:

Pensate che roba! Ci diamo la zappa sui piedi rifiutando di commerciare coi tedeschi per
difendere i poveri ebrei. Ma gli ebrei stessi, nel loro stesso paese, vogliono continuare a
fare preziosi affari coi tedeschi. I fascisti non possono usare argomento migliore per
battere la maliziosa propaganda che vuole distruggere le amichevoli relazioni con la
Germania.176

Una valutazione finale sul ruolo della WZO durante l’Olocausto non può essere fatta prima di
aver esaminato le altre interrelazioni tra i sionisti e i nazisti; tuttavia, si può certamente tentare un
giudizio preliminare sull’Ha’avara. Tutte le giustificazioni per cui essa salvò delle vite devono essere
decisamente escluse da una seria considerazione. Nessun sionista negli anni ’30 pensava che Hitler
avesse intenzione di sterminare gli ebrei tedeschi o europei, e nessuno provò a difendere l’Ha’avara in
questi termini durante il suo svolgimento. La giustificazione fu che l'Accordo salvava ricchezza, non
vite. Infatti, al massimo, esso aiutò economicamente alcune migliaia di ebrei, permettendo loro di
entrare in Palestina dopo che in Inghilterra erano state introdotte le quote, e indirettamente fornendo
un’opportunità ad altri con lo stimolo all’economia palestinese. Ma qualunque sincero oppositore del
nazismo capì che una volta che Hitler aveva preso il potere e teneva gli ebrei tedeschi tra i suoi artigli,
la lotta contro di lui non poteva essere frenata da una preoccupazione per il loro destino. Essi erano
essenzialmente prigionieri di guerra. La battaglia doveva continuare. Naturalmente nessuno augurava
a questi sventurati più sofferenze del necessario, ma bloccare la campagna contro il nazismo per
preoccupazione verso gli ebrei tedeschi avrebbe soltanto accelerato la marcia di Hitler nel resto
d’Europa. Mentre la WZO stava salvando le proprietà o, più precisamente, una parte delle proprietà
della borghesia ebraica tedesca (il popolo delle 1.000 sterline), migliaia di tedeschi – inclusi molti ebrei
– stavano combattendo in Spagna contro la Legione Condor dello stesso Hitler e l’esercito fascista di
Franco.
Di certo l’Ha’avara favorì i nazisti in quanto demoralizzò gli ebrei, alcuni dei quali erano sionisti,
inducendoli a illudersi che fosse possibile arrivare ad una sorta di modus vivendi con Hitler. Esso
demoralizzò anche i non-ebrei, che videro che un movimento ebraico mondiale si apprestava a
scendere a patti con il nemico. Certamente l’Ha’avara distolse il movimento sionista, allora forte di
circa un milione di membri, dal fronte della resistenza anti-nazista. La WZO non si oppose a Hitler, ma
cercò di collaborare con lui e, come si può vedere dalle proposte di Arlosoroff e Weizmann per una
banca di liquidazione, solo il rifiuto dei nazisti di estendere la collaborazione impedì un accordo ancora
più vasto. A quei sionisti, come la World Jewry, che provarono a opporsi a Hitler, va mossa una
severa critica per il loro fallimento nel creare una efficace struttura di boicottaggio, fra gli ebrei o anche
fra i sionisti, ma almeno va loro riconosciuta una certa levatura morale in quanto provarono a fare
qualcosa per attaccare i nazisti. Per contro Weizmann, Shertok e i loro compari non sono degni del
nostro rispetto, anche se soltanto li mettiamo di fronte ai loro critici sionisti e ignoriamo la posizione
degli altri ebrei. Nella migliore delle ipotesi, si può dire che Weizmann e gli altri furono l’equivalente di
Neville Chamberlain: dei falliti, dal punto di vista politico e morale. Dopo la guerra e l’Olocausto un
contrito e pieno di rimorso Nahum Goldmann, mortificato per il proprio vergognoso ruolo durante
l’epoca hitleriana, scrisse di un drammatico incontro che aveva avuto con il ministro degli Esteri
cecoslovacco, Edvard Benes. Il vivido resoconto di Goldmann dell’avvertimento di Benes agli ebrei
dice tutto ciò che c’è da dire sull’Ha’avara e sull’infame rinuncia della WZO ad opporsi ai nazisti:
174
Palestine Post, 17 novembre 1938, p. 6
175
Fondatore nel 1932 della British Union of Fascists.
176
Citato in Jewish Daily Bulletin, 6 febbraio 1935, p. 5
49
“Non capite” - gridò – “che reagendo soltanto con gesti timorosi, senza svegliare
l’opinione pubblica e intraprendere vigorose azioni contro i tedeschi, gli ebrei stanno
mettendo in pericolo se stessi e i loro diritti umani in tutto il mondo?”...Io sapevo che
Benes aveva ragione…in questo contesto il successo era irrilevante. Ciò che conta in una
tale situazione è la dirittura morale di un popolo, la sua capacità di reagire invece di
lasciarsi inutilmente massacrare.177

177
Nahum Goldmann, Autobiography, 1969
50
7. HITLER GUARDA AL SIONISMO

La visione di Hitler sugli ebrei e sull’ebraismo è chiaramente espressa nel Mein Kampf. Nel suo
testo programmatico del 1926, il futuro Fuehrer si soffermò a lungo nel dimostrare che il suo odio per
gli ebrei era assai razionale, e derivava dall’esperienza e dalle deduzioni logiche ricavate
dall’evidenza dei fatti. Il padre, “il vecchio gentiluomo”, guardava all’antisemitismo come a un
pregiudizio religioso residuale e così, apprendiamo, fece il brillante giovane Adolf. Fu solo dopo la
morte della madre, quando si trasferì dalla provinciale Linz a Vienna, che Hitler ebbe l’occasione di
mettere in discussione le semplicistiche opinioni della sua giovinezza. Là egli girovagava per la città
vecchia e incontrò un chassidico galiziano, “un’apparizione in caffetano nero e ciocche di capelli neri.
Questo è un ebreo? Fu il mio primo pensiero”. Ma più pensava a ciò che aveva visto, più la sua
domanda assunse una nuova forma: “Questo è un tedesco?”178. E’ nel contesto delle sue prime
riflessioni su cosa fosse per lui l’elemento centrale dell’esistenza, che introdusse il sionismo nella sua
opera.

E per quali dubbi io possa aver avuto, essi furono dissipati dal comportamento di una
parte degli stessi ebrei. Tra essi infatti vi era un grande movimento, piuttosto esteso a
Vienna, che giunse direttamente a confermare il carattere nazionale degli ebrei: si trattava
dei sionisti.
Sembrava, a dire il vero, che solo una parte degli ebrei approvasse questo punto di vista,
mentre la maggioranza condannava e respingeva una tale teoria. Ma…i cosiddetti ebrei
liberali non respinsero i sionisti in quanto non-ebrei, ma soltanto in quanto ebrei con un
modo poco pratico, forse pericoloso, di dichiarare pubblicamente la propria ebraicità.179

Questa affermazione di Hitler è la migliore prova del classico ruolo di lacchè dell’antisemitismo
svolto dal sionismo. Di che altro può avere bisogno una persona ragionevole, si chiederà il lettore?
Comunque, prima del 1914 Hitler non ebbe bisogno di preoccuparsi oltre del sionismo, in quanto le
prospettive di un nuovo stato ebraico erano molto remote. Furono la Dichiarazione Balfour, la sconfitta
della Germania e la rivoluzione di Weimar che lo fecero ritornare col pensiero al sionismo.
Naturalmente egli fece dei tre eventi un tutt’uno: i viscidi ebrei avevano mostrato il proprio vero volto
accogliendo la Dichiarazione Balfour ed erano stati i socialdemocratici, servi degli ebrei, a rovesciare il
Kaiser. Senza di loro la Germania avrebbe vinto. Nel 1919 Hitler si unì alla piccola formazione dei
Socialisti Nazionali e divenne il loro ispirato demagogo nelle birrerie, ma l’ideologo dominante sul
punto specifico della questione ebraica fu il rifugiato tedesco baltico Alfred Rosenberg, che aveva
sviluppato le proprie teorie mentre viveva ancora nella nativa Estonia. Nel 1919 Rosenberg aveva già
spiegato il sionismo nel suo libro, Die Spur des Juden im Wandel die Zeit (Le tracce degli ebrei nella
storia). Per lui il sionismo era un altro trucco ebraico: i sionisti volevano soltanto creare una via di fuga
per la cospirazione ebraica internazionale. Gli ebrei erano per loro natura incapaci di costruire un
proprio stato, ma Rosenberg comprese che l’ideologia sionista serviva perfettamente come
giustificazione per privare gli ebrei tedeschi dei loro diritti e che, forse, vi era in futuro la possibilità di
usare il movimento per la promozione dell’emigrazione ebraica. Hitler presto iniziò a toccare questi
temi nei suoi discorsi, e il 6 luglio 1920 affermò che la Palestina era il posto adatto per gli ebrei e che
soltanto laggiù essi potevano sperare di ottenere i propri diritti. Articoli che appoggiavano
l’emigrazione in Palestina iniziarono ad apparire nell’organo del partito, il Volkischer Beobachter, dopo
il 1920, e periodicamente i propagandisti del partito sarebbero tornati su quel punto, come fece Julius
Streicher in un discorso pronunciato il 20 aprile 1926 davanti al parlamento regionale bavarese 180. Ma
per Hitler la validità del sionismo stava soltanto nella conferma, da esso fornita, che gli ebrei non
avrebbero mai potuto essere tedeschi. Nel Mein Kampf scrisse:

Mentre i sionisti provano a far credere al resto del mondo che la coscienza nazionale
degli ebrei trova soddisfazione nella creazione di uno stato in Palestina, gli ebrei
astutamente prendono in giro gli ingenui gentili. A loro non entra in testa di costruire uno
178
Adolf Hitler, Mein Kampf, 1926
179
ibidem
180
Francis Nicosia, Zionism in National Socialist Jewish Policy in Germany, 1933-39, 1978
51
stato ebraico allo scopo di viverci; tutto ciò che vogliono è un’organizzazione centrale per i
loro imbrogli internazionali, dotata di diritti sovrani e libera dall’intervento degli altri stati: un
ritrovo per farabutti e un’università per imbroglioni in erba.181

Gli ebrei non avevano le caratteristiche razziali essenziali per costruire un proprio stato. Erano
essenzialmente sanguisughe, prive di idealismo naturale, e odiavano il lavoro. Hitler spiegava:

Perché una formazione statale possa avere uno spazio occorre sempre un approccio
ideale da parte dello stato-razza, e specialmente un’interpretazione corretta del concetto
di lavoro. Poiché appunto questo approccio manca, ogni tentativo di creare, o anche
preservare, uno stato delimitato spazialmente è destinato a fallire.182

A dispetto di qualunque ipotesi sull’efficacia del sionismo nel promuovere un’eventuale


emigrazione, i nazisti non fecero alcun passo per stabilire relazioni con i sionisti locali. Al contrario,
quando il 14mo Congresso Sionista Mondiale si riunì a Vienna nel 1925, i nazisti furono tra coloro che
protestarono contro la loro presenza.183

L'appoggio nazista al sionismo

Hitler pianificò fin dall’inizio lo sterminio degli ebrei? I suoi primi pensieri in proposito si trovano
nel Mein Kampf:

Se nel 1914 la classe operaia tedesca nel suo profondo fosse stata ancora composta da
marxisti, la guerra sarebbe finita in tre settimane. La Germania sarebbe caduta ancor
prima che il primo soldato avesse attraversato il confine. No, il fatto che il popolo tedesco
stesse ancora combattendo provò che il difattismo marxista non era stato in grado di
attecchire nel profondo. Ma nella misura in cui, nel corso della guerra, il lavoratore tedesco
e il soldato tedesco ricaddero nelle mani dei leader marxisti, in quella misura essi furono
perduti alla patria. Se all’inizio della guerra e durante la guerra dodici o quindicimila di
questi ebrei corruttori del popolo fossero stati soffocati dai gas velenosi, come accadde sul
terreno a centinaia di migliaia dei nostri migliori lavoratori tedeschi, il sacrificio di milioni di
vite al fronte non sarebbe stato vano.184

Tuttavia, queste intenzioni non furono mai alla base dell’agitazione popolare nazista prima della
presa del potere nel 1933. Invece, i nazisti si concentrarono sulla critica agli ebrei, piuttosto che
spiegare ciò che avrebbero loro fatto dopo la vittoria. In ogni caso, per decenni “ebrei in Palestina!”
era stato lo slogan dell’antisemitismo europeo, e i propagandisti nazisti lo usavano nella loro attività.
Nel 1932 il pezzo forte di una delle loro più grandi adunate antisemite, a Breslavia in Slesia, fu un
enorme striscione che diceva agli ebrei di “prepararsi per la Palestina!” 185. Durante il boicottaggio
antiebraico del 1 aprile 1933, ai picchetti davanti ai negozi vennero distribuiti finti “biglietti di sola
andata” per la Palestina ai passanti di aspetto ebraico186. Il manifesto ufficiale di lancio del boicottaggio
nazista affermava che il sentimento antinazista all’estero era dovuto al “tentativo dell’ebraismo
internazionale di attuare il progetto annunciato nel 1897 dal leader sionista Herzl, cioè sobillare i paesi
stranieri contro qualunque nazione si opponesse agli ebrei”.187 Tuttavia, nulla di ciò era veramente
serio; era piuttosto un’espressione di sordido antisemitismo. Finchè non fu giunto al potere, Hitler non
manifestò alcuna seria intenzione di ciò che avrebbe fatto agli ebrei. Al di là della sua frase nel Mein
Kampf, non c’è prova evidente che egli abbia detto ai suoi sottoposti più vicini ciò che alla fine
progettò. Dopotutto, come sempre ebbe a lamentarsi in privato, l’uomo medio delle SS era, alla fine,
debole e chiacchierone. Alla proposta di uccidere gli ebrei, egli sicuramente avrebbe accampato delle
scuse per il suo “ebreo buono”, e a quel punto? Inoltre, i capitalisti avevano i loro legami affaristici con
181
Adolf Hitler, Mein Kampf, 1926
182
ibidem
183
Francis Ludwig Carsten, Fascist Movements in Austria, 1977
184
Adolf Hitler, Mein Kampf, 1926
185
Donald Niewyk, Socialist, Antisemite and Jews, 1971
186
Elizabeth Poretsky, Our Own People, 1969
187
Israel’s Messenger, 10 aprile 1933
52
gli ebrei all’estero, e c’erano le chiese e i loro scrupoli sull’assassinio. Hitler risolse il problema
eludendolo, lasciando i singoli settori del partito e del governo a gestirlo come meglio credevano. Vi
furono inevitabilmente scuole di pensiero contrastanti. Il puro terrore aveva diversi sostenitori, ma
costoro erano molto osteggiati da altri che vedevano che gli ebrei erano molto inseriti nell’economia
interna e avevano molti contatti all’estero. L’immediata imposizione dei ghetti aveva i suoi fautori, ma
incontrò le medesime obiezioni. L’emigrazione era la soluzione immediata, ma dove? Non solo una
massiccia emigrazione di ebrei avrebbe reso Berlino impopolare tra le altre capitali, ma cosa sarebbe
accaduto dopo l’arrivo di così tanti ebrei in una qualunque delle maggiori città del mondo? Essi
avrebbero sobillato altri, non solo ebrei, contro il Reich e i potenziali effetti sul commercio tedesco
potevano essere devastanti. Fu in questo contesto che i sionisti, Sam Cohen della Ha’notea e la ZVD
in Germania, comparvero con le loro proposte.
L’Ha’avara aveva alcuni evidenti vantaggi per i nazisti. Se gli ebrei fossero andati in Palestina
non sarebbero stati in grado di coinvolgere altri ebrei. Infatti avrebbero avuto scarsa influenza laggiù,
a causa del timore di peggiori conseguenze per i loro parenti in Germania se fosse stato fatto
qualcosa per far cancellare l’Accordo di Trasferimento. Ma la funzione principale dell’Ha’avara
Agreement fu quella di propaganda. I nazisti ora avevano qualcosa da mostrare ai loro detrattori
all’estero che dicevano che non erano capaci di alcuna politica verso gli ebrei che non fosse la
violenza fisica. In un discorso il 24 ottobre 1933 Hitler proclamò che lui era il benefattore degli ebrei, e
non i suoi critici:

In Inghilterra si dice che le braccia sono aperte per accogliere tutti gli oppressi,
specialmente gli ebrei che vengono dalla Germania…Ma sarebbe ancor più gentile se
l’Inghilterra non facesse dipendere la sua accoglienza dal fatto di possedere mille sterline
– l’Inghilterra dovrebbe dire: “chiunque può entrare” – come noi sfortunatamente abbiamo
fatto per 30 anni. Se anche noi avessimo dichiarato che nessuno poteva entrare in
Germania se non portando con sé mille sterline o più, oggi non avremmo affatto una
questione ebraica. Così noi, gente semplice, ci siamo ancora una volta dimostrati migliori,
meno forse nelle esternazioni, ma almeno nelle azioni! E ora siamo ancora così generosi
che diamo al popolo ebraico una percentuale molto più alta della nostra dei beni che
dividono per poter lasciare il paese.188

La Germania nazista considerava la volontà del Fuhrer alla stregua di una legge, e una volta
che Hitler si fu schierato, prese piede una politica dichiaratamente pro-sionista. Sempre in ottobre
Hans Frank, allora ministro della Giustizia della Baviera, poi governatore generale della Polonia, al
congresso del partito a Norimberga disse che la migliore soluzione per la questione ebraica, sia per gli
ebrei che per i gentili, era la Casa Nazionale in Palestina 189. Ancora in ottobre, la Hamburg South-
American Shipping Company iniziò un servizio diretto verso Haifa, trasportando “cibo rigorosamente
kosher sulle sue navi, sotto la supervisione dei rabbini di Amburgo”.190 Gli ebrei potevano ancora
partire verso qualunque destinazione, ma ora la Palestina divenne la soluzione preferita dai
propagandisti per la questione ebraica.
Tuttavia i sionisti erano sempre ebrei, come Gustav Guenther della Scuola Educativa Tedesca
precisò molto attentamente:

Così come ora noi abbiamo relazioni amichevoli con la Russia sovietica, benché la
Russia, in quanto paese comunista, rappresenti un pericolo per il nostro Stato nazional-
socialista, dovremmo assumere lo stesso atteggiamento verso gli ebrei, se loro si
stabiliscono in un loro paese, benché sappiamo che saranno sempre nostri nemici.191

Per giunta, uscì un gioco per bambini, Juden Raus!, che non lasciava illusioni su come i nazisti
considerassero il sionismo. I pezzi erano piccoli pupazzi che indossavano copricapi ebrei medievali a
pois; i giocatori li muovevano tirando un dado; vinceva il giocatore il cui ebreo per primo se ne andava
“via in Palestina!” attraverso le porte di una città fortificata.192

188
In Hitler’s Speeches 1922 – 1939, ed. 1942
189
Francis Nicosia, Zionism in National Socialist Jewish Policy in Germany, 1933-39, 1978
190
Zionist Record, 20 ottobre 1933, p. 15
191
Jewish Weekly News, 30 marzo 1934, p. 6
192
In The Wiener Library: its history and activities 1934-1945, 1946
53
Il sionismo era disprezzato nella Germania nazista, ma i sionisti avevano disperato bisogno del
l'appoggio nazista se volevano portare in Palestina il capitale di cui avevano bisogno, e si
autoindussero a credere che l’Ha’avara e tutte le trattative sulla Palestina che seguirono avrebbero
portato a qualcosa di simile a un accordo tra uomini di stato alla pari.

“Andrà loro il nostro saluto ufficiale”


Dal 1934 le SS erano diventate la componente del partito nazista più favorevole al sionismo.
Altri nazisti le tacciavano di “debolezza” verso gli ebrei. Il barone von Mildenstein era tornato dalla sua
visita di sei mesi in Palestina come caloroso simpatizzante del sionismo. A quel punto, da capo del
Dipartimento Ebraico del Servizio di Sicurezza delle SS, iniziò a studiare l’ebraico e a collezionare
oggetti ebraici; quando il suo ex commilitone e guida, Kurt Tuchler, si recò nel suo ufficio nel 1934, fu
salutato dal suono familiare di incisioni popolari ebraiche. 193 C’erano mappe sulle pareti che
mostravano la forte ascesa del sionismo in Germania194. Von Mildenstein passò dalle parole ai fatti:
non solo scrisse resoconti favorevoli a proposito di ciò che vide nelle colonie sioniste in Palestina, ma
anche persuase Goebbels a pubblicare il materiale in dodici puntate su Der Angriff (L’Assalto),
l’organo principale della propaganda nazista, dal 26 settembre al 9 ottobre 1934. Il soggiorno tra i
sionisti aveva mostrato al funzionario SS “la strada per curare una ferita secolare nel corpo del
mondo: la questione ebraica”195. Era davvero entusiasmante come un buon Boden sotto i piedi
ravvivasse così gli ebrei: “In un decennio il suolo ha trasformato loro in un decennio. Questi ebrei
saranno un nuovo popolo196”. In ricordo della spedizione del barone, Goebbels ricevette una medaglia:
da un lato la svastica, dall’altro la stella sionista197.
Nel maggio 1935 Reinhardt Heydrich, allora a capo del Servizio di Sicurezza delle SS, poi
l’infame “Protettore” di Boemia e Moravia incorporate nel Reich, scrisse un articolo, Il nemico visibile,
per Das Schwarze Korps, l’organo ufficiale delle SS. In esso Heydrich espose le varie tendenze in
seno all’ebraismo, confrontando gli assimilazionisti con i sionisti. La sua parzialità verso il sionismo
non avrebbe potuto essere espressa in termini più chiari:

Dopo la presa del potere da parte nazista, le nostre leggi razziali hanno diminuito
considerevolmente l’influenza degli ebrei. Ma…la questione si pone ancora: come
possiamo riaffermare le nostre vecchie posizioni…Dobbiamo separare gli ebrei in due
categorie…i sionisti e gli assimilazionisti. I sionisti adottano una rigida concezione razzista
ed emigrando in Palestina lavorano per la costruzione del loro stato ebraico.

Heydrich augurò loro un lieto addio: “Non è lontano il tempo in cui la Palestina potrà di nuovo
accogliere i suoi figli, perduti per più di mille anni. Insieme ai migliori auguri andrà loro il nostro saluto
ufficiale”.198

“E' stata una dolorosa eccezione per il sionismo essere scelto, esso
soltanto, per favoritismi”
Le leggi di Norimberga del settembre 1935, tocco finale alla legislazione anti-ebraica in
Germania prima della Seconda Guerra Mondiale, furono difese dai nazisti in quanto espressione del
loro filo-sionismo. Esse ebbero la tacita approvazione degli stessi "vecchi saggi" ebrei. Quando
vennero varate - e non fu una coincidenza - tutti i periodici ebraici in Germania furono
temporaneamente banditi, eccetto la Rundschau. Essa pubblicò gli articoli della legge con un
commento di Alfred Berndt, caporedattore del German News Bureau. Berndt ricordò che solo due
settimane prima tutti gli oratori al Congresso sionista mondiale a Lucerna avevano ripetuto che gli
ebrei del mondo dovevano essere visti come un'entità separata, indipendentemente da dove
193
Jacob Boas, The Jews of Germany: Self-Perceptions in the Nazi Era as Reflected in the German Jewish Press, 1977
194
Heinz Hohne, The Order of the Death's Head: The Story of Hitler's SS, 1967
195
Der Angriff, 9 ottobre 1934, p. 4
196
ibidem
197
Jacob Boas, A Nazi Travels to Palestine, 1980
198
Heinz Hohne, The Order of the Death's Head: The Story of Hitler's SS, 1967

54
vivessero. Quindi, spiegò, tutto quello che Hitler aveva fatto era andare incontro "alle richieste del
congresso internazionale sionista rendendo gli ebrei tedeschi una minoranza nazionale"199.
Un aspetto delle leggi, ora dimenticato ma che all'epoca destò molta attenzione, fu il fatto che
nel Terzo Reich da allora in poi fossero ammessi solo due bandiere, la svastica e quella bianca e blu
del sionismo. Ciò naturalmente entusiasmò la ZVD, che sperava si trattasse del segno di una
possibile intesa con Hitler. Ma per molti sionisti all'estero si trattò di una bruciante umiliazione, ben
espressa dall'angoscia dell'organo di Stephen Wise, il Congress Bulletin:

L'hitlerismo è il nazionalismo di Satana. La volontà di liberare il corpo nazionale tedesco


dall'elemento ebraico ha condotto l'hitlerismo a scoprire la sua "affinità" con il sionismo, il
nazionalismo ebraico della liberazione. Quindi il sionismo è divenuto l'unico altro partito
legale nel Reich, la bandiera sionista l'unica altra bandiera ammessa nel paese. E' stata
una dolorosa eccezione per il sionismo essere scelto, esso soltanto, per favoritismi e
privilegi dalla sua controparte satanica.200

I nazisti furono conseguenti nel loro filo-sionismo anche in altri campi. Ora che gli ebrei erano
stati sistemati come un popolo separato con un suolo separato, non avrebbero anche dovuto avere
una lingua separata? Nel 1936 venne aggiunto un altro elemento "nach Palestina" nelle misure
repressive. La Jewish Frontier dovette tristemente informare i suoi lettori che:

Gli sforzi di recludere gli ebrei in un ghetto culturale hanno raggiunto un nuovo livello con
la proibizione ai rabbini di usare la lingua tedesca nei loro sermoni della Channukah 201.
Questo in linea con le spinte da parte dei nazisti per costringere gli ebrei tedeschi a usare
la lingua ebraica come mezzo culturale. quest'altra "prova" della cooperazione nazi-
sionista viene ampiamente strumentalizzata dagli oppositori comunisti del sionismo.202

Benevolenza nazista verso il sionismo


Nella primavera del 1934 fu sottoposto a Heinrich Himmler, Reichsfuehrer delle SS, un
"Resoconto della situazione - Questione ebraica": secondo i suoi uomini la grande maggioranza degli
ebrei si consideravano ancora tedeschi ed erano determinati a rimanere tali. Dal momento che non
era possibile usare la forza, per timori di eventuali ripercussioni internazionali, il modo per piegare la
loro resistenza era instillare in loro una distinta identità ebraica promuovendo scuole ebraiche,
squadre sportive, la lingua ebraica, musica e arte ebraiche etc. Insieme ai centri di addestramento
professionale sionisti, ciò avrebbe finalmente indotto i recalcitranti ebrei ad abbandonare il paese.
Tuttavia questa sottile strategia non era abbastanza, poiché nonostante la pressione nei loro confronti
i testardi ebrei avrebbero ricominciato a fare resistenza. La politica nazista allora si orientò verso un
maggiore sostegno per i sionisti, affinchè gli ebrei si rendessero conto che la strada per porre fine ai
loro guai fosse unirsi al movimento. Tutti gli ebrei, inclusi i sionisti, erano oggetto di persecuzione in
quanto ebrei, ma all’interno di questo schema era sempre possibile alleviare la pressione. In
quest’ottica, il 28 gennaio 1935 la Gestapo della Baviera inviò una circolare alle forze di polizia
secondo cui da allora in avanti: “i membri delle organizzazioni sioniste, data la loro attività volta
all’emigrazione in Palestina, non devono essere trattati con la stessa durezza dei membri di altre
organizzazioni ebraiche”203.
I nazisti crearono complicazioni a loro stessi con la loro linea filo-sionista. La WZO necessitava
del capitale degli ebrei tedeschi ben più di quanto gli ebrei tedeschi volessero. Essa operava in base
alle quote sull’immigrazione fissate dagli inglesi. Il suo maggior seguito era in Polonia, e se avesse
dato troppi certificati di espatrio ai tedeschi, ciò avrebbe penalizzato i suoi sostenitori in Polonia o
altrove. Quindi durante gli anni '30 la WZO concesse solo il 22% dei certificati agli ebrei tedeschi. Per
giunta, la WZO non era interessata alla grande maggioranza degli ebrei di Germania, poiché costoro
non erano sionisti, non parlavano l’ebraico, erano troppo vecchi e, naturalmente, non svolgevano le
attività “giuste”. L’emigrazione ebraica doveva essere diretta anche verso altri paesi, o la Germania
199
Margaret Edelheim-Muehsam, Reaction of the Jewish Press to the Nazi Challenge, 1960
200
Congress Bulletin, 24 gennaio 1936, p. 2
201
Festività ebraica che si celebra a inizio dicembre.
202
Jewish Frontier, gennaio 1937, p. 28
203
Kurt Grossmann, Zionists and Non-Zionists under Nazi Rule in the 1930s, 1965
55
sarebbe stata bloccata dagli ebrei che né lei né i sionisti volevano. La discriminazione nazista nei
confronti degli ebrei non sionisti creò problemi a quegli enti internazionali come l’American Jewish
Joint Distribution Committee, che provavano a procurare agli ebrei rifugi in paesi diversi dalla
Palestina. Yehuda Bauer, uno dei più noti storici israeliani dell’Olocausto, ha scritto a proposito di una
discussione su tali difficoltà tra due dirigenti del Joint Distribution Committee:

(Joseph) Hyman pensava che gli ebrei tedeschi avrebbero dovuto dichiarare che la
Palestina non era la sola meta. (Bernard) Kahn era d’accordo, ma disse che i nazisti
sostenevano il sionismo, perché esso consentiva la massima emigrazione di ebrei dalla
Germania; dunque gli ebrei tedeschi non potevano fare alcuna dichiarazione pubblica a
proposito di altri paesi. Ancor meno potevano rendere nota la decisione di mantenere
istituzioni ebraiche in Germania. I nazisti avevano sciolto un’assemblea in Germania
soltanto perché l’oratore aveva detto: “Dobbiamo provvedere sia a coloro che lasciano il
paese che agli ebrei che vogliono rimanere in Germania”204.

In pratica, le preoccupazioni naziste su dove gli ebrei dovessero andare scomparvero con
l’Anschluss austriaca, che portò con sé così tanti ebrei che ulteriori scrupoli sulla loro destinazione
avrebbe paralizzato il programma di espulsione. Nell’ottobre 1938 i nazisti scoprirono che i polacchi
avevano intenzione di revocare la cittadinanza a migliaia di loro concittadini residenti in Germania.
Essi dunque decisero di deportare immediatamente gli ebrei in Polonia per non essere bloccati da
migliaia di ebrei apolidi. Fu questo piano di deportazione che condusse alla violenza di massa della
Notte dei Cristalli del novembre 1938.
La vicenda fu riportata, molti anni dopo, il 25 aprile 1961, al processo di Adolf Eichmann. Il
testimone, Zindel Grynszpan, un uomo anziano, era il padre di Herszl Grynszpan che, disperato per la
deportazione del padre in Polonia, aveva assassinato un diplomatico tedesco a Parigi, dando ai
nazisti il pretesto per scatenare la terribile Notte dei Cristalli. Il vecchio Zindel parlò della propria
deportazione dalla sua casa di Hannover la notte del 27 ottobre 1938: “Ci misero in camion della
polizia, furgoni per i prigionieri, circa 20 uomini per ogni mezzo, e ci portarono alla stazione ferroviaria.
Le strade erano piene di gente che gridava: “Juden raus! Auf nach Palaestina!”205
Il significato della testimonianza di Zindel fu completamente perduto nella massa di dettagli
emersi nel corso del processo ad Eichmann. Ma quegli ebrei non erano inviati in Palestina, come
chiedeva la folla nazista; il pubblico ministero in quel tribunale di Gerusalemme non pensò mai di fare
al vecchio Grynszpan una domanda che viene in mente anche a noi: Cosa pensava, cosa pensavano
gli altri ebrei quando sentivano quel particolare grido venire dalla folla urlante? Zindel Grynszpan è
morto da tempo, come molti ,se non tutti, coloro che vissero quella notte infernale; non abbiamo
risposta alla nostra domanda. Ma ciò che davvero conta è cosa veniva gridato, piuttosto di ciò che
veniva pensato all’interno di quel furgone della polizia. Tuttavia, possiamo ragionevolmente ritenere
che se la ZVD si fosse opposta all’ascesa del nazismo, se la WZO avesse mobilitato gli ebrei contro il
Nuovo Ordine, se la Palestina fosse stata un bastione della resistenza al nazismo, i nazisti non
avrebbero mai detto agli ebrei, neppure quella folla, che il posto per gli ebrei era la Palestina. Forse,
allora, quel venerdi ad Hannover avrebbero gridato “Gli ebrei in Polonia”, oppure “morte agli ebrei”. Il
fatto principale è che quella folla gridò ciò che era stato gridato dai servi di Hitler: “Gli ebrei in
Palestina!”

“I nazisti chiedevano un 'comportamento più sionista'”

Che i nazisti preferissero i sionisti agli altri ebrei, è un dato acquisito. Joachim Prinz forse
rabbrividì quando scrisse il proprio articolo del 1937, ma fu sincero nell'ammettere che:

Fu molto difficile agire per i sionisti. Fu moralmente disturbante apparire come i figli
prediletti dal governo nazista, particolarmente quando quest'ultimo sciolse i gruppi
giovanili anti-sionisti, e parve preferire quelli sionisti. I nazisti chiedevano “un
comportamento più sionista”.206

204
Yehuda Bauer, My brother's keeper; a history of the American Jewish Joint Distribution Committee, 1974
205
Hannah Arendt, Eichmann a Gerusalemme, 1961
206
Young Zionist, novembre 1937, p. 18
56
Il movimento sionista fu costantemente sotto severe restrizioni negli anni ’30. La
Rundschau fu bandita in almeno tre occasioni tra il 1933 e il novembre 1938, quando infine il
regime chiuse la sede della ZVD dopo la Notte dei Cristalli. Dopo il 1935 agli emissari dei sionisti
laburisti fu vietato l’ingresso nel paese, ma nonostante ciò ai leader sionisti palestinesi fu
permesso di entrare in particolari occasioni; per esempio Arthur Ruppin ebbe il permesso di
entrare in Germania il 20 marzo 1938 per intervenire a un'assemblea, a Berlino, sugli effetti della
rivolta araba del 1936 in Palestina. Di certo i sionisti ebbero molti meno problemi dei loro
colleghi assimilazionisti del ZV, e non c’è confronto con quanto dovettero subire i comunisti a
Dachau mentre la Rundschau era diffusa nelle strade di Berlino.
Tuttavia, il fatto che i sionisti siano diventati i “figli prediletti” di Hitler difficilmente qualifica
quest’ultimo come un nazionalista ebraico. Anche von Mildenstein, con tutti i suoi oggetti ebraici,
accettò la linea di partito quando essa si volse al completo assassinio. Durante quel periodo, i
nazisti giocarono coi sionisti come il gatto fa col topo. Hitler non pensò mai che gli sarebbero
sfuggiti perché egli incoraggiava l’emigrazione verso la Palestina. Se gli ebrei fossero andati
nella lontana America, non sarebbe stato in grado di prenderli e sarebbero sempre stati nemici
dell’Impero tedesco in Europa. Ma se invece si fossero recati in Palestina? “Laggiù - come un
agente della Gestapo disse a un dirigente ebraico - vi potremo sempre acchiappare”207.
I sionisti non potevano neanche affermare di essere stati ingannati da Hitler; essi erano
consapevoli della situazione. Le teorie di Hitler sul sionismo, inclusa quella della presunta
incapacità degli ebrei a realizzare uno stato, erano note in tutta la Germania sin dal 1926. I
sionisti non tennero conto del fatto che Hitler odiava tutti gli ebrei, e che condannava in modo
specifico la loro ideologia. Essi erano semplicemente dei reazionari, e ingenuamente decisero di
concentrarsi sui propri punti di somiglianza con Hitler. Si convinsero che poichè anch’essi erano
razzisti, contro i matrimoni misti, credevano che gli ebrei fossero stranieri in Germania e si
opponevano alla sinistra, queste somiglianze fossero sufficienti perché Hitler li vedesse come i
soli partner affidabili per un détente diplomatico.208

207
Lucy Dawidowicz, The War Against the Jews 1933 – 45, 1975
208
Jacob Boas, The Jews of Germany: Self-Perceptions in the Nazi Era as Reflected in the German Jewish Press, 1977

57
8. PALESTINA:
ARABI, SIONISTI, INGLESI E NAZISTI

Furono gli arabi, e non i sionisti, a costringere i nazisti a rivedere il proprio orientamento
filosionista. Tra il 1933 e il 1936 164.267 emigrati ebrei giunsero in Palestina; 61.854 soltanto nel
1935. La minoranza ebraica crebbe dal 18% della popolazione nel 1931 al 29,9% nel dicembre 1935,
e i sionisti si immaginavano di diventare la maggioranza in un futuro poco distante.
Gli arabi reagirono a questi numeri. Essi non avevano mai accettato il Mandato inglese e la sua
dichiarazione a favore di una Casa Nazionale Ebraica nel loro paese. Vi erano state rivolte nel 1920 e
nel 1921; nel 1929, dopo una serie di provocazioni di sionisti sciovinisti e islamici radicali al Muro del
Pianto, le masse islamiche si ribellarono con un’ondata di feroci massacri che culminarono con
l’uccisione di 135 ebrei e di quasi altrettanti arabi, questi ultimi in primo luogo da parte degli inglesi.
La politica arabo-palestinese era dominata da un gruppetto di ricchi clan. I più nazionalisti
erano gli Husseini, capeggiati dal Mufti di Gerusalemme, Amin al-Husseini. Uomo profondamente
religioso, la sua risposta alle provocazioni sioniste al Muro del Pianto fu di sobillare i fedeli contro i
sionisti in quanto infedeli piuttosto che nemici politici. Egli era diffidente nei confronti di qualunque
riforma sociale e ben poco disposto a sviluppare un programma politico che potesse mobilitare le
masse contadine palestinesi, per lo più analfabete. Fu questa mancanza di un programma per la
maggioranza contadina che gli impedì sempre di creare una forza politica in grado di competere con i
sionisti, numericamente inferiori ma molto più efficienti. Egli fu spinto a guardare all’estero per trovare
un partner che gli desse quella forza che la sua politica reazionaria gli impediva di reperire dall’interno
della società palestinese. La sua scelta cadde sull’Italia.
L’accordo con Roma fu completamente segreto finchè non fu accidentalmente rivelato
nell’aprile 1935, e da allora difficilmente potè essere giustificato nel mondo arabo. Mussolini aveva
usato gas velenosi nel 1931 contro i Senussi in rivolta in Libia, ed era per di più apertamente
filosionista. Tuttavia Roma era anti-britannica e intendeva sostenere il Mufti a quello scopo. Il primo
finanziamento fu fatto nel 1934, ma sia i palestinesi che gli italiani ci guadagnarono poco. Alcuni anni
dopo il ministro degli Esteri di Mussolini, suo genero Galeazzo Ciano, confessò all’ambasciatore
tedesco che:

Per anni egli mantenne costanti relazioni con il Gran Mufti finanziandolo segretamente.
La controparte di questi doni miliardari non era stata molto soddisfacente e si era limitata
all’occasionale distruzione di alcuni oleodotti, che nella maggior parte dei casi potevano
essere rapidamente rimessi in funzione.209

“L’obiettivo dell’Haganah – Una maggioranza ebraica in Palestina”

Se Hitler non credeva che gli ebrei avrebbero costituito un proprio stato, ciò non significa che
egli fosse a favore dei palestinesi. Anche loro erano semiti. Negli anni ’20 molti gruppi politici tedeschi
di destra iniziarono a esprimere simpatia per le nazioni oppresse dall’Impero britannico, in quanto
vittime come loro della perfida Albione. Tuttavia, Hitler non volle avere a che fare con alcuna di
queste; gli inglesi, dopo tutto, erano bianchi.

Io in quanto uomo di sangue tedesco, vedo nonostante tutto l’India sotto il controllo
britannico piuttosto che di altri. Così come vane sono le speranze in una mitica ribellione
in Egitto…Come uomo di popolo, che apprezza il valore degli uomini su una base sociale,
dalla semplice constatazione dell’inferiorità razziale di queste cosiddette “nazioni
oppresse” evito di collegare il destino del mio popolo al loro.210

209
Wiener Library Bulletin, vol XV (1961), p. 35
210
Adolf Hitler, Mein Kampf, 1926
58
Ma la rivolta delle masse arabo-palestinesi nel 1936 fece riflettere Berlino sulle implicazioni di
una politica filosionista. Una forte agitazione si era manifestata nell’ottobre 1935 con la scoperta di
armi in un cargo che trasportava cemento diretto a Tel Aviv, e la situazione divenne incandescente
quando lo sceicco Ezzedin al-Qassam, popolare predicatore musulmano, salì sulle colline con una
banda di guerriglieri. Le truppe inglesi presto lo eliminarono, ma il suo funerale si trasformò in
un’appassionata manifestazione. La crisi si protrasse per mesi finchè non esplose definitivamente la
notte del 15 aprile 1936, quando alcuni reduci della banda di Qassam fermarono un convoglio sulla
strada per Tulkarem, rapinando i viaggiatori e uccidendo due ebrei. Due arabi vennero trucidati per
rappresaglia la notte successiva. Il funerale degli ebrei si trasformò in una dimostrazione dei sionisti di
destra e la folla iniziò a marciare verso la città araba di Jaffa. La polizia aprì il fuoco, quattro ebrei
furono uccisi e, nuovamente gli arabi furono attaccati nelle strade di Tel Aviv per rappresaglia. Una
contro manifestazione presto ebbe luogo a Tel Aviv. La rivolta era iniziata. Nacque uno sciopero
generale spontaneo e la pressione dal basso spinse i clan rivali dell’establishment arabo a unirsi in un
Alto Comitato Arabo sotto la guida del Mufti. Ma l'Alto Comitato non voleva che la continuazione della
rivolta mettesse i contadini definitivamente fuori dal controllo dei loro capi, e alla fine prevalse sui
comitati degli scioperanti ponendo fine alla protesta il 12 ottobre, in vista di un'inchiesta da parte di
una commissione inglese.
Fino alla rivolta araba, l'appoggio nazista al sionismo era stato cordiale ma poco impegnato,
come abbiamo visto. Tuttavia, con la turbolenza politica in Palestina e l’allestimento della
Commissione Peel, la WZO vide la possibilità di persuadere i nazisti a fare una dichiarazione pubblica
a suo favore. L’8 dicembre 1936 una delegazione congiunta dell’Agenzia Ebraica, il principale
rappresentante della WZO in Palestina, e della Hitachdut Olei Germania (l’associazione degli
emigranti tedeschi) andarono nell’ufficio di Gerusalemme del console generale tedesco Doehle. Lo
studioso israeliano, David Yisreali, ha descritto l’avvenimento.

Cercarono attraverso Doehle di persuadere il governo nazista affinchè la sua


rappresentanza a Gerusalemme andasse davanti alla Commissione Peel e dichiarasse
che la Germania era interessata all’aumento dell’immigrazione in Palestina a causa
dell’aumento dell’emigrazione dalla Germania. Il console, tuttavia, rifiutò la richiesta di
appoggio. La sua giustificazione ufficiale fu che l’aumento dell’emigrazione dalla Germania
avrebbe giocoforza portato con sé la questione dell’Accordo di Trasferimento, che era un
danno per le esportazioni britanniche in Palestina211.

Come già capitato, i sionisti erano più desiderosi di estendere i loro legami coi nazisti che
viceversa, ma il rifiuto di Doehle non li dissuase da ulteriori approcci. L’arrivo della Commissione Peel
era considerato cruciale per il progetto sionista e fu allora che l’Haganah, allora il braccio militare
dell’Agenzia Ebraica (di fatto la milizia sionista laburista), ottenne il permesso di Berlino di negoziare
direttamente con il Sicherheitsdienst (SD), il Servizio di Sicurezza delle SS. Un agente dell’Haganah,
Feivel Polkes, giunse a Berlino il 26 febbraio 1937, e gli fu assegnato Adolf Eichmann come partner
nel negoziato. Eichmann era stato un protegé del filo-sionista von Mildenstein e, come il suo mentore,
aveva studiato l’ebraico, letto Herzl ed era l’esperto di sionismo del SD. I colloqui Eichmann-Polkes
furono riportati in un resoconto redatto dal superiore di Eichmann, Franz Albert Six, che fu ritrovato tra
le carte delle SS prese dall’esercito americano alla fine della Seconda Guerra Mondiale:

Polkes è un nazional-sionista…è contro tutti gli ebrei che si sono opposti alla costruzione
di uno stato ebraico in Palestina. Come uomo dell’Haganah egli combatte contro il
comunismo e tutti gli obiettivi dell’alleanza arabo-inglese…egli ha sottolineato che
l’obiettivo dell’Haganah è di raggiungere, quanto prima possibile, una maggioranza
ebraica in Palestina. Perciò ha lavorato, a seconda delle esigenze, con o contro
l’Intelligence Service inglese, la Suretè Generale, con l’Inghilterra e l’Italia…ha dichiarato
di voler lavorare per la Germania nel senso di fornire informazioni finchè ciò non ostacoli i
suoi obiettivi politici. Tra le altre cose avrebbe intenzione di sostenere la politica estera
tedesca nel Vicino Oriente. Proverebbe a trovare risorse petrolifere per il Reich senza
toccare la sfera di interessi inglesi se le regole valutarie in Germania fossero semplificate
per gli emigranti ebrei in Palestina.212

211
In AA.VV., Germany and the Middle-East 1835 – 1939, 1975
212
David Yisraeli, The Palestine Problem in German Politics 1889 – 1945, 1974
59
Six in definitiva pensava che un’alleanza operativa con l’Haganah sarebbe stata nell’interesse
dei nazisti. Essi avevano ancora bisogno di informazioni riservate sui vari gruppi di boicottaggio
ebraico e sui piani degli ebrei nei confronti della vita dei nazisti d’alto rango. Era del parere di far si
che le SS aiutassero gli ebrei.

Si può fare pressione sugli apparati del Reich che si occupano degli ebrei tedeschi per
fare si che gli ebrei che emigrano dalla Germania vadano in Palestina e non in altri paesi.
Tali misure sono nel totale interesse della Germania e sono già in preparazione attraverso
provvedimenti della Gestapo. Attraverso queste misure nel contempo verrebbero realizzati
i piani di Polkes per il raggiungimento di una maggioranza ebraica in Palestina.213

L’entusiasmo di Six non fu condiviso dal ministro degli Esteri tedesco, che vedeva la Palestina
come sfera d’influenza inglese. L’interesse primario di Berlino era un’intesa con Londra a proposito
della questione cruciale dei Balcani; nulla doveva interferire rispetto a ciò. I funzionari tedeschi erano
anche preoccupati di come l’Italia avrebbe potuto reagire a un intervento tedesco nella politica
mediterranea. Perciò il 1 giugno 1937 il ministro degli Esteri, Konstantin von Neurath, inviò telegrammi
ai propri diplomatici a Londra, Gerusalemme e Baghdad: né uno stato sionista né un apparato politico
sionista sotto controllo inglese era nell’interesse della Germania, in quanto esso “non assorbirebbe
l’ebraismo mondiale ma creerebbe un’ulteriore posizione di potere, con l’avallo della legge, per
l’ebraismo internazionale, qualcosa di simile al Vaticano per il mondo cattolico o a Mosca per il
Comintern”. La Germania inoltre aveva “interesse a rafforzarsi nel mondo arabo”, ma “non ci si può
attendere che l’intervento diretto della Germania possa influenzare decisamente la questione
palestinese”. In nessun caso il sostegno ai palestinesi doveva andare oltre un apporto simbolico:
“occorrerebbe esprimere maggior comprensione rispetto a prima per le aspirazioni nazionali arabe,
ma senza fare alcuna promessa definita”.214

La concezione sionista del futuro Israele


La politica britannica verso la Palestina in questo periodo è stata elegantemente sintetizzata
nelle memorie di sir Ronald Storrs, primo governatore militare di Gerusalemme, per il quale l’impresa
sionista era “da benedire nella misura in cui ha creato per l’Inghilterra un piccolo Ulster ebraico in un
mare di ostilità araba”215. Questo fu lo spirito della proposta della Commissione Peel nel luglio 1937:
la partizione della Palestina in tre parti. Tutte sarebbero state sotto il controllo britannico; l’Inghilterra
avrebbe gestito direttamente una striscia tra Gerusalemme e Jaffa, e avrebbe tenuto Jaffa per dieci
anni, la quale poi sarebbe stata aggregata a uno piccolo stato sionista di estensione pari alla contea
inglese di Norfolk. La piccola entità sionista avrebbe avuto una grossa minoranza araba, parte della
quale secondo la Commissione doveva spostarsi nello stato arabo situato nel resto del paese.
Le posizioni tra i sionisti erano profondamente diverse. Il cosiddetto “Ulster ebraico” differiva
dall’originale nel senso che i sionisti non sarebbero mai stati soddisfatti da una partizione. La loro
Eretz Israel includeva tutto il territorio biblico di Abramo. Alla fine la posizione del Congresso Mondiale
Sionista fu un no attentamente dosato, che significava un sì. Quella particolare partizione fu rifiutata,
ma l’Esecutivo fu incaricato di contrattare per un accordo migliore.
Che tipo di stato aveva in mente il movimento sionista per sé, e per milioni di ebrei, nel 1937? I
sionisti laburisti erano di gran lunga la forza maggiore nel movimento e non ci fu maggior fautore della
partizione che il loro leader David Ben-Gurion, il quale nell’estate del 1937, intervenendo a Zurigo a
un’assemblea del Consiglio Mondiale di Poale Zion, assicurò che non c'era nulla da temere al
riguardo: in futuro si sarebbero definitivamente espansi.

Questo stato ebraico che ora ci viene proposto, anche con tutte le possibili correzioni e
miglioramenti, non è l’obiettivo sionista – in questo territorio non si può risolvere il
problema ebraico…cosa accadrà tra quindici o chissà quanti anni, quando lo stato
attualmente proposto raggiungerà il livello di saturazione della popolazione?...Chiunque
voglia essere sincero con se stesso non dovrebbe fare profezie su ciò che accadrà tra
quindici anni…gli avversari della partizione hanno avuto ragione ad affermare che questo
213
ibidem
214
In Documents on German Foreign Policy, ed. 1953
215
Ronald Storrs, Orientations, 1943
60
paese non ci è stato dato per essere diviso – perché esso costituisce un’unica entità, non
solo storicamente, ma anche dal punto di vista naturale ed economico.

I sionisti laburisti di certo si rendevano conto che se uno stato ebraico fosse stato conquistato,
avrebbe incontrato la ferma opposizione del popolo palestinese. Essi in fondo erano nazionalisti ebrei,
e avevano decisamente abbandonato la retorica socialista del passato, così come i loro primi blandi
tentativi di organizzare i lavoratori arabi, iniziando ad allontanare questi ultimi dai loro tradizionali
lavori stagionali nelle piantagioni di agrumi di proprietà degli ebrei. In generale il loro modo di
ragionare era diventato cinico, e ora coscientemente vedevano il loro successo come la conseguenza
della rovina della classe media ebraica europea. Era il loro capitale che avrebbe dovuto costruire
Sion. Enzo Sereni, all’epoca emissario negli USA, fu abbastanza onesto nel descrivere l’attrattiva che
il sionismo aveva per una parte della classe media ebraica nell’Europa centro-orientale:

Due anime convivono in seno alla borghesia ebraica, una dedita al profitto, l’altra alla
ricerca del potere politico…Come gruppo politico, la borghesia ebraica non può
sopravvivere senza le masse ebraiche. Solo sulle masse ebraiche può pensare di
costruire la propria supremazia politica. Perciò, nell’ottica di esercitare il suo controllo sui
lavoratori ebrei, la borghesia ebraica ha bisogno di un proletariato ebraico, esattamente
come i poteri forti europei necessitano di un proletariato nazionale per i loro piani
imperialistici.
Ciò che distingue la borghesia ebraica sionista da quella non sionista è semplicemente il
fatto che la borghesia sionista ha ben presente che può soddisfare il proprio interesse in
quanto classe solo col dominio su un popolo unificato, e non più in quanto semplici
individui, come invece credono gli ebrei assimilazionisti.216

Si ammetteva che l'antisemitismo era la forza principale del sionismo ma, oltre a ciò, nella
costituzione di un mini-stato sionista vi erano aspetti positivi. Moshe Beilinson, allora editore del
quotidiano laburista Davar, espresse candidamente le sue speranze per un Israele che in futuro fosse
il fulcro per lo sfruttamento capitalistico dell’area:

Grandi prospettive si aprono per il “Grande Sionismo” per cui solo pochi ora osano
combattere, ovvero uno stato ebraico in Palestina egemone in Oriente…Lo stato ebraico
costruito su tali basi avrà pieno diritto, sia socialmente che spiritualmente, di rivendicare il
ruolo di leadership, il ruolo di avanguardia del nuovo mondo in Oriente…

Con la sua retorica fiorita, spiegò chiaramente come stessero le cose:

A quanto ammonta la nostra affinità razziale con gli arabi considerando la grande
distanza che ci separa nel pensiero, nelle condizioni di vita, nella scala di valori? In tutti
questi ambiti noi siamo molto più affini agli europei o agli americani, nonostante le
“differenze razziali”…Noi vogliamo la pace con la comunità araba…senza falsa filantropia,
e senza atteggiamenti missionari. Non abbiamo interessi “rivoluzionari” nel risveglio
dell’Oriente, sia esso un Oriente nazionale o di classe o religioso…non siamo venuti per
liberare altri, ma per liberare noi stessi.217

Questi ideologi stavano costruendo una sorta di profezia auto-illusoria. Parlando così
convintamente dell’inevitabile espropriazione degli ebrei europei, e del conseguente sfruttamento del
proletariato ebraico e arabo, questi socialisti fai-da-te non facevano nulla per mobilitare gli europei e
facevano di tutto per accrescere la rabbia dei palestinesi.

Ammirazione nazista per gli sforzi dei sionisti in Palestina

I nazisti erano rassegnati alla partizione della Palestina e la loro principale preoccupazione
riguardava il destino dei duemila tedeschi che vivevano laggiù. Alcuni erano monaci cattolici, altri
216
In AA. VV., Arabi ed ebrei in Palestina. Studi su un problema nazionale e coloniale, 1936
217
ibidem
61
luterani, ma la maggior parte erano templari, una setta di pietisti del diciannovesimo secolo che erano
andati a vivere in Terrasanta nell’attesa dell’imminente ritorno di Gesù. Si erano stabiliti in sei
prospere colonie, quattro delle quali sarebbero rientrate nell’enclave sionista. A parte il fatto che la
WZO voleva evitare antagonismi con Berlino a proposito dei templari, divenuti nel frattempo quasi tutti
buoni nazisti, il partito nazista locale giunse a conclusione che qualunque forma di boicottaggio
spontaneo da parte degli ebrei dopo la partizione avrebbe reso pressoché impossibile la situazione
dei templari. Il ministro degli Esteri tedesco voleva porre le colonie sotto diretto controllo britannico o,
più realisticamente, spostarle nel territorio arabo.
Quasi tutta la opinione popolare araba fu contro la partizione, sebbene i Nashashibi – clan
rivale degli egemoni Husseini – avrebbero accettato uno stato ebraico più piccolo. I Nashashibi
dissero no con molta riluttanza alla proposta britannica, e la loro chiara mancanza di impegno nel
contrastare la partizione, unita a un intenso odio di fazione verso gli Husseini, condussero a una
feroce guerra intestina nella comunità araba. Fuori dal paese il solo attore che fu indotto ad accettare
quello schema fu Abdullah di Transgiordania, il cui emirato sarebbe stato fuso con il bantustan
palestinese. Ibn Saud218 in Arabia rimase silente. I clan egemoni in Egitto e Iraq si lamentarono, ma la
loro unica preoccupazione era che la partizione mettesse in agitazione il loro popolo e favorisse una
sollevazione generale contro di loro e contro gli inglesi. Comprensibilmente, i tedeschi non fecero per
nulla affidamento sulla capacità degli arabi di opporsi alla partizione, e quando il Mufti alla fine si
presentò al loro consolato, il 15 luglio 1937, Doehle non offrì assolutamente nulla. Egli riportò
immediatamente l’incontro ai propri superiori: “Il Gran Mufti ha accentuato la simpatia araba per la
nuova Germania e ha espresso la speranza che la Germania sia in sintonia con la lotta degli arabi
contro gli ebrei e sia disposta a supportarla”219. La risposta di Doehle alla proposta di alleanza fu al
limite dell’insulto. Disse al querelante che “il fatto che potessimo giocare un ruolo di arbitro era fuori
discussione…Aggiunsi che forse tatticamente era nell’interesse degli arabi che la simpatia della
Germania verso le loro aspirazioni non fosse troppo ostentata nelle dichiarazioni tedesche”220.
In ottobre fu il turno dei sionisti di corteggiare i nazisti. Il 2 ottobre 1937 la nave Romania arrivò
ad Haifa con due giornalisti tedeschi a bordo. Herbert Hagen sbarcò in compagnia del suo giovane
collega Eichmann. Essi incontrarono il loro contatto, Reichert, e quella sera Feivel Polkes, il quale
mostrò loro Haifa dal monte Carmelo e li portò a visitare un kibbutz. Anni dopo, mentre si nascondeva
in Argentina, Eichmann registrò una cronaca delle proprie esperienze e ricordò il suo soggiorno in
Palestina con una certa nostalgia:

Vidi abbastanza per restare impressionato dal modo in cui i coloni ebrei stavano
costruendo il loro paese. Ammiravo la loro disperata voglia di vivere, tanto più che anch’io
stesso ero un idealista. Negli anni che seguirono spesso dissi agli ebrei con cui avevo dei
contatti che, se fossi stato un ebreo, sarei stato un fanatico sionista. Non potevo
immaginare di essere altri. Sarei stato il più fervente sionista che si potesse immaginare. 221

Ma i due SS avevano commesso un errore nel contattare il loro agente locale; il CID (Criminal
Investigation Department) inglese aveva scoperto la rete di Reichert, e due giorni dopo espulse
sbrigativamente i visitatori in Egitto. Polkes li raggiunse laggiù, e ulteriori colloqui si tennero il 10 e 11
ottobre al Caffè Groppi del Cairo. Nel resoconto della loro spedizione Hagen e Eichmann fecero
un’attenta ricostruzione delle parole di Polkes. Egli disse ai due nazisti:

Lo stato sionista deve essere costituito in ogni modo, al più presto possibile…Quando lo
stato ebraico sarà costituito secondo i termini del Piano Peel, e in base alle parziali
concessioni inglesi, allora i confini potranno essere allargati a seconda della volontà di
ognuno222.

Proseguì:

218
Abdelaziz ibn Saud, fondatore nel 1932 del regno di Arabia Saudita, che guidò fino al 1953.
219
In Documents on German Foreign Policy, ed. 1953
220
ibidem
221
Life, 28 novembre 1960, p. 22
222
Klaus Polkehn, The Secret Contacts: Zionism and Nazi Germany 1933-41, 1976
62
Nei circoli nazionalisti ebraici la gente apprezza molto la politica radicale tedesca, poiché
il rafforzamento della popolazione ebraica in Palestina può arrivare a un livello tale che gli
ebrei potranno contare su una superiorità numerica nei confronti degli arabi.223

Durante la sua visita di febbraio a Berlino, Polkes aveva proposto che l’Haganah agisse come
spia dei nazisti, e ora mostrò la propria buona fede fornendo alcune informazioni di intelligence.

Il Congresso pan-islamico riunito a Berlino è in diretto contatto con due leader arabi filo-
sovietici: l’emiro Shekib Arslan e l’emiro Adil Arslan…La stazione radio illegale comunista,
la cui trasmissione in Germania è particolarmente efficiente, è secondo le affermazioni di
Polkes installata su un furgone che si sposta lungo il confine tedesco-lussemburghese
quando le trasmissioni sono attive.224

Poi fu il turno del Mufti nel chiedere di nuovo l’assistenza tedesca. Questa volta Amin Husseini
inviò direttamente un’offerta a Berlino tramite un proprio agente, il dr. Said Imam, che aveva studiato
in Germania ed era stato a lungo in contatto con il consolato tedesco a Beirut. Se la Germania avesse
“sostenuto il movimento indipendentista arabo ideologicamente e materialmente”, allora il Mufti
avrebbe “diffuso le idee nazional-socialiste nel mondo arabo-islamico; e combattuto il comunismo, che
sembrava crescere gradualmente, con ogni mezzo possibile”. Egli propose anche “di continuare gli
atti di terrorismo in tutta la Francia coloniale e nei territori mandatari abitati dagli arabi e dai
musulmani”. Se avessero vinto, egli giurava che “avrebbe utilizzato solo capitali e risorse intellettuali
tedesche”. Tutto ciò nel contesto dell’impegno a mantenere separate le razze ariana e semita, il quale
impegno era delicatamente riferito “al mantenimento e al rispetto delle concezioni nazionali di
entrambi i popoli”225.
La Palestina ora riscuoteva profonda attenzione presso ogni settore rilevante dello stato tedesco
e della burocrazia del partito. I filosionisti, soprattutto gli economisti, ribadivano il sostegno
all’Ha’avara in quanto aiuto per l’industria tedesca. I critici dell’alleanza nazi-sionista erano
preoccupati che la proposta di un bantustan ebraico fosse riconosciuta a livello internazionale e
questo iniziasse a essere considerato come un Vaticano ebraico, il quale avrebbe potuto creare
problemi diplomatici alla Germania in merito al trattamento riservato agli ebrei. Questo fu l’argomento
centrale di Hagen e Eichmann nel resoconto del loro viaggio.
Furono gli inglesi a risolvere il dilemma dei nazisti. Essi avevano inziato a dubitare su ciò che
sarebbe accaduto con la creazione di uno piccolo stato ebraico. La possibilità di una guerra mondiale
era evidente e la creazione di uno stato sionista di certo avrebbe gettato gli arabi tra le braccia di
Hitler. Inoltre l'eventualità di una guerra con il bellicoso Giappone rendeva cruciale la disponibilità al
passaggio di truppe attraverso il Medio Oriente, via terra e via il Canale di Suez, senza che vi fosse
un'opposizione violenta degli indigeni. Perciò la partizione di Peel venne frettolosamente accantonata
e gli inglesi decisero che la rivolta araba doveva essere schiacciata prima che l’alleanza dell’Asse
potesse approfittarne. La rivolta fu selvaggiamente repressa dall’esercito inglese e poi l’immigrazione
sionista, causa della rivolta, fu ridotta.
Hitler ora non doveva più preoccuparsi della possibilità di un Vaticano ebraico, ma il fatto che
l’Inghilterra l’avesse proposto rendeva in futuro la possibilità di uno stato ebraico seriamente tangibile.
I calcoli militari tedeschi a lungo termine tenevano conto dell’opinione araba come fattore di politica
estera. Molti diplomatici tedeschi insistettero che l’Ha’avara Agreement alla fine avrebbe portato alla
creazione dello stato, e l’orientamento del ministero degli Esteri iniziò a volgersi contro l'Accordo;
tuttavia, l’Ha’avara fu salvato dall’intervento di Otto von Hentig, diplomatico di carriera che aveva
negoziato coi sionisti al tempo del Kaiser e poi di Weimar. Secondo Ernst Marcus, rappresentante
dell’Ha’avara a Berlino, von Hentig “con il suo profondo amore verso la nazione e il suo spirito…
apprezzò le forze trainanti del sionismo in quanto affini ai suoi stessi sentimenti”. Egli dunque lavorò
con i suoi parnter sionisti per mantenere in vita “un trattamento di favore per la Palestina”.

Egli mi chiese di preparare del materiale attendibile allo scopo di dimostrare che il
numero di emigranti ebrei dalla Germania alla Palestina, così come il loro contributo
finanziario alla costruzione della patria ebraica, erano ben lontani dall’esercitare

223
Heinz Hohne, The Order of the Death's Head: The Story of Hitler's SS, 1967
224
Klaus Polkehn, The Secret Contacts: Zionism and Nazi Germany 1933-41, 1976
225
In Documents on German Foreign Policy, ed. 1953

63
un’influenza determinante sullo sviluppo del paese. Secondo tali indicazioni, io compilai un
memorandum che sottolineava il peso degli ebrei polacchi nel lavoro di ricostruzione in
quella delicata fase, descrissi i contributi economici degli ebrei americani e li confrontai
con i deboli sforzi compiuti dagli ebrei tedeschi.226

Von Hentig sapeva che il tentativo di persuadere Hitler ad aiutare il sionismo andava compiuto di
persona e in un “momento favorevole”, quando egli rideva e scherzava ed era pieno della consueta
benevolenza verso gli ebrei. Un giorno, all’inizio del 1938, von Hentig diede buone notizie: “Il Fuehrer
aveva preso la sua decisione affermativa e tutti gli ostacoli sulla strada dell’emigrazione in Palestina
ora erano stati rimossi”227.
Inizialmente i nazisti avevano provato a restare neutrali durante la rivolta araba. Nel Coronation
Day del 1937 in tutte le colonie templari sventolò la svastica in segno di simpatia con l’Inghilterra, ed
essi ricevettero la precisa indicazione di non provocare le truppe inglesi né di prendere contatti con i
mosleyiti228. Ma Berlino fece pressioni e, mentre soldi ed emigranti ebrei venivano ancora trasferiti in
Palestina, nel 1938 l’ammiraglio Wilhelm Canaris, capo del Servizio di Intelligence dell’Abwehr, mise il
Mufti sul suo libro paga. Tuttavia il Mufti non mostrò alcun segno di competenza politica o militare e il
denaro, che veniva elargito sempre a intermittenza, alla fine non arrivò più 229. Da allora il non-
coinvolgimento nella rivolta araba rimase rigida linea politica fino alla Conferenza di Monaco nel
settembre 1938, e le forniture di armi vennero preparate solo alla fine del 1938. Anche allora la
volontà di non contrastare Londra con minacce all’Impero britannico portò all’improvvisa cancellazione
della prima fornitura, via Arabia Saudita, quando i tedeschi si resero conto che il ministro degli Esteri
saudita era un agente inglese. Con la cancellazione della fornitura di armi l’interesse tedesco nella
rivolta araba cessò.

Il fallimento della collaborazione fra il Mufti e i dittatori

Il Mufti non guadagnò nulla, né allora né poi, dalla sua collaborazione con Roma e con Berlino,
né i due dittatori giovarono mai agli interessi palestinesi. Quando il Mufti si rivolse ai nazisti, essi
stavano incoraggiando gli ebrei a emigrare in Palestina; in nessun caso nei suoi negoziati ante-guerra
coi nazisti egli suggerì loro di interrompere quell’emigrazione che era la fonte del rafforzamento del
sionismo. Più tardi, durante la Seconda Guerra Mondiale, il suo odio per gli ebrei e il suo anti-
comunismo lo indussero a recarsi a Berlino e a opporsi a qualunque rilascio degli ebrei dai campi di
concentramento, per timore che essi si trasferissero in Palestina. Alla fine egli organizzò truppe
musulmane contro i sovietici e i partigiani jugoslavi.
Il Mufti era un reazionario incompetente, che fu condotto all’antisemitismo dai sionisti. Fu lo
stesso sionismo, nel suo sfacciato tentativo di trasformare la Palestina da paese arabo a stato
ebraico, e poi di usare quest’ultimo per sfruttare ulteriormente la nazione araba, che generò l’odio per
gli ebrei da parte di Husseini. Rabbi Yitzhak Hutner di Agudas Yisrael diede una chiara
rappresentazione del percorso del Mufti.

Dovrebbe essere chiaro che fino alla grande pressione per la costituzione dello stato
ebraico, il Mufti non aveva alcun interesse per gli ebrei di Varsavia, Budapest o Vilna. Una
volta che gli ebrei d’Europa divennero una minaccia per il Mufti a causa del loro possibile
afflusso in Terrasanta, egli divenne per loro il Malekh HaMoves – l’incarnazione
dell’Angelo della Morte. Anni fa, era ancora facile trovare vecchi residenti di Gerusalemme
che ricordavano le cordiali relazioni che avevano mantenuto col Mufti negli anni precedenti
l’imminente creazione di uno stato ebraico. Una volta che l’incombente realtà dello stato
ebraico fu davanti a lui, il Mufti non si risparmiò nell’indurre Hitler a uccidere quanti più
ebrei possibile nel più breve tempo possibile.
Questo fatto vergognoso, cioè che i fondatori e primi leader dello stato furono evidente
causa della distruzione di molti ebrei, è stato completamente celato e rimosso dai
resoconti.230
226
Ernst Marcus, The German Foreign Office and the Palestine Question in the Period 1933 – 39, 1958
227
ibidem
228
Supporters di Oswald Mosley, fondatore dell’Unione dei Fascisti Inglesi.
229
David Yisraeli, The Third Reich and Palestine, 1971
230
Jewish Observer, ottobre 1977, p. 8
64
Se la collaborazione del Mufti con i dittatori non può essere in alcun modo giustificata, diventa
assolutamente pazzesca l’offerta dell’Haganah di spiare per i nazisti. Considerando le proteste contro
l’Ha’avara e la servile condotta della ZVD, si può certamente ritenere che, alla fine, una significativa
minoranza nella WZO avrebbe espresso il proprio dissenso se avesse saputo del tradimento segreto
dell’Haganah.

65
9. IL CONGRESSO MONDIALE EBRAICO

La WZO aveva permesso alla ZVD di cercare la collaborazione col nazismo, e i suoi leader
erano disposti a vendere i prodotti di Hitler e anche a spiare per conto suo, tuttavia essa non voleva
che la minaccia si estendesse. Non volendo combattere direttamente Hitler, per paura che avrebbe
abrogato l’Ha’avara e bandito la ZVD, Sokolow e Weizmann ipotizzarono un grande accordo tra le
potenze che facesse tornare Hitler sui suoi passi, ma questo fu sempre pura fantasia. Coloro che nella
WZO erano con Goldmann e Wise, che volevano combattere, trovarono i due presidenti sempre o
contrari o indifferenti. Alla fine la crescente forza di Hitler spinse la fazione più militante a istituire un
World Jewish Congress (WJC, Congresso Mondiale Ebraico) come organizzazione per la tutela degli
ebrei.
Sia Goldmann che Wise erano loro stessi profondamente legati al sionismo; Godmann si era
anche opposto a includere gli assimilazionisti – cioè la maggioranza degli ebrei – alla Conferenza
preliminare del 1932231. Inoltre, essi non pensarono di mettere in discussione la rielezione di
Weizmann alla presidenza della WZO nel 1935.
La WZO si oppose fermamente alla nuova iniziativa, per paura che distogliesse energie dalla
Palestina, per volgerle all’ebraismo mondiale. Nel febbraio 1934, un anno dopo l’avvento di Hitler al
potere, Sokolow, che era ancora presidente della WZO, si espresse contro il World Jewish Congress:

Dubbi sull’opportunità di tentare la convocazione del World Jewish Congress previsto per
questa estate sono stati espressi da Nahum Sokolow, presidente della World Zionist
Organization…il veterano sionista osserva che alla Conferenza dell’estate scorsa 232, dove
si parlò del World Jewish Congress, si affrontò la questione se la Palestina dovesse o
meno essere inclusa nel programma del World Jewish Congress, il che fu sintomo delle
divergenze e degli scontri di fazione che potrebbero nascere se si convoca il congresso…
Mr. Sokolow presenta un piano alternativo, secondo il quale tutte le fazioni dell’ebraismo
sarebbero chiamate a partecipare alla costituzione di un organismo per l’autodifesa
ebraica, e l’esecuzione dei piani per approntare un tale organismo, che includerebbe tutti i
gruppi ebraici con l’eccezione degli assimilazionisti dichiarati, porterà un gran beneficio,
ritiene mr. Sokolow233.

Sokolow era titubante anche perché era preoccupato per i probabili attacchi all’Ha’avara
Agreeement da parte di un World Jewish Congress ampiamente partecipato. Stephen Wise replicò
aspramente:

Ci avvisano che il sostegno al World Jewish Congress potrebbe venire meno se la


Conferenza di Ginevra adotta una risoluzione contro l’accordo di trasferimento tedesco-
palestinese. Io non temo questa minaccia. Il popolo ebraico è preparato ad accogliere la
guida di Eretz Israel, ma non ordini o minacce, quando esse siano in conflitto con gli
interessi collettivi degli ebrei.

Il conflitto era doloroso per Wise; egli una volta aveva concezioni simili a Sokolow, ma benché
pensasse ancora alla Palestina come alla migliore cosa per la vita degli ebrei, semplicemente non
poteva mettere il sionismo così al di sopra del pericolo che minacciava gli ebrei europei.

So bene che alcuni sionisti diranno: a me interessa solo Eretz Israel. La Palestina è il
luogo più importante. Io fui il primo a usare le parole “più importante” alcuni anni fa.
Dovetti abbandonare la parola “più importante” quando ebbi il coraggio di dire che benché
la Palestina abbia il posto più importante nelle speranze degli ebrei, io non posso, come
ebreo, essere indifferente al Galuth…se dovessi scegliere tra Eretz Israel e la sua

231
Shlomo Safir, American Jewish Leaders and the Emerging Nazi Threat (1928 – 1933), 1979
232
Dopo la Conferenza preliminare del 1932, si tennero altre due conferenze preparatorie del WJC nel 1933 e 1934, sempre
a Ginevra.
233
Jewish Daily Bulletin, 11 febbraio 1934, pp. 1, 12
66
costruzione e la difesa del Galuth, allora direi che il Galuth deve perire. Ma dopo tutto,
quanto più si preserva il Galuth, tanto più sarà fatto, nel lungo periodo, per Eretz Israel.234

Il movimento per il WJC continuò a guadagnare terreno a dispetto dell’opposizione di Sokolow;


la pressione nazista era troppo forte, la base voleva che il movimento facesse qualcosa e, quando
Wise con riluttanza aprì all’Ha’avara al Congresso Sionista Mondiale del 1935, l’idea del WJC
finalmente ottenne l’avallo formale della WZO. Tuttavia, non vi fu mai molto entusiasmo per il WJC
entro la WZO. Il Jewish Chronicle di Chicago, a sua volta contrario al WJC, descrisse accuratamente
la mancanza di interesse per l’idea di un’organizzazione di difesa, almeno fino al maggio 1936, dopo
quasi tre anni e mezzo di Terzo Reich:

I singoli leader del Mizrachi235 e del Partito dello Stato Ebraico236 non hanno alcuna
fiducia o interesse nel Congresso…Hadassah 237 non si occupa della cosa, e per quanto
riguarda l’insieme dei membri del Comitato Esecutivo dell’Organizzazione Sionista
d’America…la maggioranza è decisamente contraria al Congresso238.

Nonostante l’ostilità dell’ala destra, comunque il WJC ebbe luogo. Si era nel periodo del Fronte
Popolare; i socialdemocratici e gli stalinisti, sull'orlo del disastro, finalmente avevano capito la
necessità di unirsi, e i sionisti dovevano pervenire a un equivalente ebraico o avrebbero perso la loro
debole influenza fra i lavoratori ebrei, particolarmente in Polonia, dove le idee del Fronte Popolare
erano egemoni. Il sostegno sionista laburista a Wise e Goldmann permise di mettere in minoranza
l’ala destra, ma il paradosso è che il WJC era condannato a fallire proprio nel momento in cui si fosse
avviato a diventare un vero Fronte Popolare.

"Centrate soltanto sulla lotta antifascista"


Il Partito Comunista Americano (CPUSA) decise di aderire al World Jewish Congress poichè i
suoi leader pensarono che, una volta dentro il movimento, non avrebbero avuto problemi a portare i
settori sionisti onesti a concentrarsi soprattutto sulla minaccia nazista piuttosto che sulla Palestina. Ma
il filo-arabo CPUSA per Wise era inammissibile. La lotta contro Hitler era importante, ma la Palestina e
il sionismo in realtà lo erano ancora di più. Il suo Congress Bulletin si schierò apertamente contro
l'adesione del Partito Comunista:

Benchè la lotta contro l'antisemitismo e il fascismo sarà, per forza, uno dei primi punti
nell'agenda del Congresso...i problemi coi quali il Congresso dovrà avere a che
fare...includeranno anche la costruzione della Palestina e la lotta per le libertà civili e
culturali per gli ebrei in tutti i paesi...le parole d'ordine con le quali i comunisti ebrei
americani stanno provando a inserirsi nelle strutture coordinate ebraiche, sono centrate
soltanto sulla lotta antifascista...il Morgen Freiheit239 potrebbe facilmente risparmiarsi la
fatica anche solo di ipotizzare l'adesione degli ebrei comunisti.240

Il World Jewish Congress alla fine tenne il suo congresso di fondazione a Ginevra nell'agosto
1936. Una delegazione del CPUSA vi partecipò, nella speranza di ottenere l'accettazione all'ultimo
minuto, ma ciò non fu concesso. Il meeting approvò una risoluzione per il boicottaggio contro i nazisti,
ma non vi fu mai nessuno sforzo di applicarla. Il fedele luogotenente di Weizmann negli USA, Louis
Lipsky, presidente dell'Organizzazione Sionista Americana, aveva solo a fatica accolto l'idea di tenere
il congresso; azioni concrete contro Hitler erano ben lungi da ciò che le sue coorti erano pronte ad
accettare. Un corrispondente del World Jewry descrisse il sabotaggio di Lipsky dell'unica azione anti-
nazista che il Congresso ipotizzò di mettere in atto:

234
New Palestine, 14 febbraio 1934, p. 5-7. Galuth indica gli ebrei della Diaspora.
235
Partito sionista religioso.
236
Partito di sionisti revisionisti rimasti nella WZO all’epoca della rottura di Jabotinsky (1933).
237
Organizzazione sionista femminile.
238
Chicago Jewish Chronicle, 1 maggio 1936, p. 8
239
Quotidiano newyorchese in yiddish schierato con il PCUSA
240
Congress Bulletin, 13 marzo 1936, p. 2
67
La risoluzione generale di boicottaggio...è stata adottata sull'onda dell'emozione...ma
quando si è arrivati al problema di dare attuazione pratica alla risoluzione, allora
l'opposizione l'ha fatta fallire. La Commissione aveva stilato una risoluzione che chiedeva
la creazione di un dipartimento speciale per il boicottaggio...A questo punto dei delegati
americani, guidati da Louis Lipsky, si sono opposti fortemente...è chiaro che i vertici non
sono entusiasti della proposta e tendo a dubitare che vogliano darle un effetto pratico.

Il reporter proseguì descrivendo il Congresso come "confuso nei suoi intenti e privo di quella
leadership ispirata che avrebbe potuto fare di quell'evento un momento di svolta nella storia
ebraica"241.
La pessimistica descrizione del giornale era pienamente giustificata. Si trattò di un incontro tra
leader sionisti di professione; costoro non erano gente in grado di promuovere un boicottaggio serio o
di combattere Hitler in altro modo. Senza l'unione con gli ebrei assimilazionisti, inclusi i comunisti, e
con gli antinazisti gentili, non avrebbero potuto mai iniziare a far danno ai nazisti, nè col boicottaggio
nè in altro modo. Il rifiuto di lavorare con gli stalinisti non fu a causa di ostilità verso il regime in Unione
Sovietica. Il sionismo là era bandito, e la lingua ebraica era vista come estranea alla vita reale delle
masse ebraiche, ma nessuno degli ebrei americani considerava l'Unione Sovietica come antisemita; al
contrario. Quando a Stephen Wise fu chiesto di unirsi alla commissione di John Dewey per verificare
le accuse di Stalin a Trockij di essere un agente nazista, egli rifiutò. Trockij aveva accusato Stalin di
antisemitismo e questo, diceva Wise, era così ovviamente falso che rendeva allo stesso modo
sospetta qualunque altra cosa quest'ultimo avesse detta. Senza dubbio Wise e i suoi pensavano che
ci sarebbe stata la guerra e volevano vedere USA, Inghilterra e URSS uniti contro Hitler; non avevano
fiducia che le masse potessero fermare il nazismo e, confidando nel ruolo delle classi dirigenti per
risolvere la questione ebraica, vedevano in un'alleanza di "poteri forti" la sola arma possibile contro
Hitler.
Entusiasticamente a favore di un'alleanza tra le loro classi padronali e Stalin, i membri
dell'American Jewish Congress non erano radicali in economia e non volevano essere coinvolti con il
partito comunista locale. Ciò, e la posizione filo-araba del CPUSA, esclusero qualunque possibilità di
legame. Quanto più i sionisti lavoravano per la lontana Palestina, tanto meno si coinvolgevano nella
lotta reale delle masse ebraiche. Quando un movimento di massa e di strada si rese necessario, da
parte del WJC non vi furono né la disponibilità né l'esperienza per condurre una tale lotta, né la buona
volontà di imparare.
Tra il World Jewish Congress del 1936 e il patto Hitler-Stalin, il CPUSA crebbe fino a 90.000
membri, con un sindacato di più di un milione di iscritti. Diventò politicamente molto più importante
dell'American Jewish Congress di Wise o del movimento sionista americano. Certamente i comunisti e
i sionisti avevano grandi differenze. Entrambi avevano grossi limiti, e di certo ben più di un
boicottaggio era necessario per battere Hitler, ma non c'è dubbio che un'alleanza tra le due forze
avrebbe galvanizzato la comunità ebraica in America, e molti antinazisti non ebrei si sarebbero uniti a
loro. Se una tale alleanza sarebbe potuta durare è un'altra questione, ma il rifiuto del WJC di includere
il Partito Comunista fu un colpo tremendo alla lotta ebraica contro Hitler. Il fronte unito ebraico, così
disperatamente necessario, fu tragicamente sacrificato al sionismo.

241
World Jewry, 21 agosto 1936, p. 67
68
10. IL SIONISMO REVISIONISTA
E IL FASCISMO ITALIANO

La sorprendente ascesa al potere di Menachem Begin, dopo un lunghissimo periodo


all'opposizione nel movimento sionista, comprensibilmente ha suscitato molto interesse a proposito
della sua storia personale. Tuttavia Begin stesso, nonostante la fama e il potere attuali 242, parla di se
stesso come un semplice discepolo di Vladimir Jabotinsky, fondatore della sua corrente e colui che
egli considera il più grande ebreo dai tempi di Herzl.
Il creatore della Legione Ebraica e il fondatore dell'Haganah (La Difesa), Vladimir Jabotinsky, è
l'eroe riconosciuto dei revisionisti. Alla sua morte, sui monti Catskills nei dintorni di New York
nell'agosto 1940, era il pensatore più disprezzato nel mondo politico ebraico. Tipico del suo stile fu
l'incredibile accordo con gli ucraini che stipulò in una camera d'albergo a Praga nell'agosto 1921. Si
era recato a Praga per un Congresso Sionista Mondiale, e là ricevette una visita, un vecchio amico,
Maxim Slavinsky, ambasciatore di Simon Petljura. Il regime in Ucraina era crollato. Petljura, stretto tra
l'imperialismo polacco e il bolscevismo, aveva lasciato che la Polonia annettesse territori ucraini in
cambio di armi per combattere l'Armata Rossa, ma l'impresa non andò a buon fine e i superstiti della
sua armata dovettero fuggire nella Galizia occupata dai polacchi. Slavinsky parlò a Jabotinsky del
nuovo piano: i 15.000 soldati superstiti avrebbero attaccato l'Ucraina Sovietica nel 1922.
L'ambasciatore del governo del noto pogromista Petljura e l'organizzatore dell'Haganah stipularono un
accordo segreto. Jabotinsky, di sua iniziativa, senza mandato della WZO, giurò di impegnarsi
all'interno del suo movimento per organizzare una polizia sionista per assistere le truppe di Petljura
nei loro raid. Essa non doveva combattere l'Armata Rossa, ma avrebbe protetto gli ebrei delle città
catturate dai soldati.
Il patto fu rivelato dagli ucraini per dimostrare che avevano cambiato metodi. La WZO ne fu
inorridita, e Jabotinsky dovette difendersi da tutto il mondo ebraico, che non poteva sopportare un
qualunque rapporto con l'infame assassino Petljura. Alla fine l'incursione non ebbe mai luogo; la
Francia ritirò il proprio supporto, e l'armata nazionalista si sfasciò. Gli ebrei si divisero tra chi riteneva
Jabotinsky un pazzo e chi un furfante; dovunque i comunisti usarono il patto per screditare il sionismo
tra gli ebrei, ma Jabotinsky fu impenitente. Egli avrebbe fatto lo stesso coi leninisti, se glielo avessero
chiesto:

Una polizia ebraica con l’Armata Bianca, una polizia ebraica con l’Armata Rossa, una
polizia ebraica con le armate lilla e verde pisello, se occorre; lasciate loro sistemare le loro
questioni, noi dobbiamo vigilare sulle città e far sì che la popolazione ebraica non venga
molestata243.

Poale Zion chiese un’inchiesta, affermando che l’accordo aveva messo a repentaglio l'agibilità
della loro già poco tollerata organizzazione in Unione Sovietica, ma Jabotinsky era Stati Uniti per un
giro di sette mesi di conferenze, e la convocazione dell’inchiesta slittò al 18 gennaio 1923. Alla fine
l’audizione non si tenne mai, poiché Jabotinsky improvvisamente lasciò la WZO la sera prima del
giorno in cui doveva comparire. Egli continuò a ripetere che le dimissioni non avevano niente a che
fare con l’inchiesta, insistendo che il suo abbandono era dovuto a dissensi sulle relazioni con
l’Inghilterra, ma pochi gli credettero. Rientrò nella WZO poco tempo dopo, ma i suoi detrattori non
videro la necessità di continuare a portare avanti la questione poiché egli non aveva più alcun ruolo
nel movimento. Quando egli iniziò a organizzare la sua nuova corrente gli attacchi ripresero, e per il
resto della vita dovette giustificare le proprie dimissioni. Ma durante la sua carriera Jabotinsky fu noto
per il contegno imperioso verso chi lo criticava. A chi gli era ostile semplicemente replicava: “Quando
morirò potete scrivere come epitaffio: ‘Costui era l’uomo che strinse l’accordo con Petljura’”244.

242
Nel 1983, anno di pubblicazione della ricerca di Brenner, Begin era Primo ministro di Israele.
243
Jewish Social Studies, ottobre 1955, p. 297
244
Ibidem, p. 306
69
“Vogliamo un impero ebraico”

Nella seconda metà del 1923 Jabotinsky fece ritorno nella WZO, ora diffidente nei suoi
confronti, come oppositore di estrema destra determinato a “revisionare” le posizioni
dell'organizzazione; criticò Weizmann per non aver richiesto la ricostituzione della Legione Ebraica.
Inoltre la Transgiordania era stata separata dalla “Casa Nazionale” ebraica in Palestina, e quando la
WZO accettò con riluttanza la decisione di Churchill Jabotinsky si adeguò solo per senso di disciplina
ma da allora la rivendicazione della Giordania come da sempre ebraica divenne un punto fisso del suo
nuovo programma. “Un lato del Giordano è nostro, e così l’altro”: così recita Shtei Gadot, il canto
ancor oggi comunemente più associato al movimento revisionista.
Jabotinsky non ebbe mai la pia illusione che i palestinesi un giorno avrebbero dato il
benvenuto alla dominazione straniera del loro paese. Nel periodo in cui Ben-Gurion e i suoi
pensavano ancora di poter convincere le masse palestinesi ad accettare il sionismo nel loro interesse,
Jabotinsky sviluppò le sue taglienti tesi in un articolo, The Iron Wall (We and the Arabs), scritto nel
1923:

La colonizzazione sionista deve essere portata a termine contro la volontà della


popolazione indigena. Questa colonizzazione può, dunque, continuare a progredire solo
sotto la protezione di un potere indipendente dalla popolazione indigena – un muro di
ferro, che sarà nella condizione di resistere alla pressione della popolazione indigena.
Questa è, in toto, la nostra politica verso gli arabi…Una spontanea riconciliazione con gli
arabi è fuori questione, ora o nel prossimo futuro.245

Egli schernì i leader sionisti che parlavano di pace mentre chiedevano la protezione dell’esercito
inglese; o la loro speranza in un mediatore arabo (il candidato più indicato era l’emiro Feisal dell’Iraq)
che si sarebbe accordato con loro alle spalle dei palestinesi, imponendo così i sionisti alla popolazione
locale con l’ausilio di baionette arabe. Jabotinsky ripeté più e più volte che vi poteva essere solo una
via verso uno stato sionista:

Se volete colonizzare un paese in cui vive un'altra popolazione, bisogna procurarsi una
guarnigione per quel paese, o trovare qualche miliardario o benefattore che procuri una
guarnigione per voi. O così, oppure addio colonizzazione, perché senza una forza armata
che renda fisicamente impossibile ogni tentativo di annientare o prevenire questa
colonizzazione, la colonizzazione è impossibile, non difficile, non pericolosa, ma
IMPOSSIBILE!...Il sionismo è un avventura coloniale e dunque dipende dal problema della
forza armata. E’ importante…parlare in ebraico, ma sfortunatamente è ancora più
importante saper sparare e fare quanto altro richiesto durante una colonizzazione. 246

Jabotinsky comprese che, per il momento, i sionisti erano troppo deboli per battere gli arabi
senza il sostegno degli inglesi, e il revisionismo divenne fortemente alleato dell’Impero britannico. Nel
1930 Abba Achimeir, l’ideologo del loro ramo palestinese, proclamò che era loro obiettivo “espandere
l’Impero britannico anche oltre quanto ritenuto dagli stessi inglesi”247. Tuttavia, non vi era l'intenzione di
nascondersi dietro agli inglesi più del necessario. Nel 1935 un giornalista ebreo comunista incontrò
Jabotinsky a bordo di una nave diretta negli Stati Uniti e ottenne un’intervista con lui. L’articolo di
Robert Gessner sul New Masses divenne oggetto di dibattito in tutto l’ebraismo americano.

Egli premise che avrebbe parlato in modo franco, cosicché il revisionismo fosse
comprensibile…”Il Revisionismo”, iniziò, “è spontaneo, brutale, primitivo. E’ selvaggio. Tu
vai per la strada, prendi qualcuno a caso, gli chiedi cosa vuole lui dirà: tutto questo e
quest'altro. Così per noi. Noi vogliamo un impero ebraico. Proprio come ve ne sono uno
italiano o francese nel Mediterraneo, vogliamo un impero ebraico”248.

245
Vladimir Jabotinsky, The Iron Wall, 1923
246
Vladimir Jabotinsky, The Iron Law, 1925
247
Ya’acov Shavit, The Attitudes of the Revisionists to the Arabs Nationalists Movements, 1978
248
New Masses, 19 febbraio 1935, p. 11
70
“Aveva colto il grande segreto dei capi carismatici”
A dispetto dell’entusiasmo dei suoi membri per l’Impero britannico, alla fine il revisionismo
dovette cercare la protezione di un'altra potenza. L’Inghilterra non intendeva far altro che proteggere i
sionisti, e neanche tanto efficacemente, e i sionisti dovevano comprare il territorio palmo a palmo. Né
qualcuno poteva seriamente pensare che l’Inghilterra avrebbe concesso loro la Transgiordania. I
revisionisti allora cominciarono a cercare un nuovo mandatario fermamente disposto a una politica più
aggressiva nei confronti degli arabi, e quindi favorevole alla costruzione di uno stato - fortezza
sionista. L’Italia sembrò la soluzione, non per simpatia verso il fascismo ma per le specifiche
aspirazioni imperiali italiane. Jabotinsky aveva studiato in Italia e amava il vecchio ordine aristocratico-
liberale. In cuor suo si riteneva il Mazzini, il Cavour e il Garibaldi ebraico insieme, e non vedeva nulla
di sbagliato nelle tradizioni liberali che Mussolini ripudiava così decisamente. Infatti derise il fascismo.
Nel 1926 scrisse:

Oggi c’è un paese dove i programmi sono stati rimpiazzati dalla parola di un solo
uomo…l’Italia; il sistema si chiama fascismo: per dare un nome al loro profeta, hanno
coniato un nuovo termine -“Duce”-, che ha il significato della più assurda delle parole
inglesi – “leader”. I bufali seguono un leader. Gli uomini civilizzati non hanno leader.249

Eppure, nonostante la sua ampiezza di vedute, Jabotinsky cominciò a tenere una condotta che
imitava il militarismo di Mussolini e Hitler. Il suo romanzo Sansone, pubblicato nel 1926, rimane uno
dei classici della letteratura totalitaria.

Un giorno, egli partecipò a una festa al tempio di Gaza. Fuori, nella piazza, una
moltitudine di giovani donne e uomini erano riunite per le danze della festa…Un prete
senza barba guidava le danze. Stava sul gradino più alto del tempio, tenendo in mano un
bastone d’avorio. Quando la musica iniziò la gran folla restò immobile…Il prete senza
barba diventò pallido e sembrò immergere i suoi occhi in quelli dei danzatori, che erano
fissati verso i suoi. Divenne sempre più pallido; tutta l’energia repressa della folla
sembrava concentrarsi nel suo petto, fino a minacciare di soffocarlo. Sansone sentì il
sangue attraversargli il cuore; egli stesso sarebbe soffocato se quel momento fosse durato
ancora un po’. Improvvisamente, con un movimento rapido e quasi inconsapevole, il prete
picchiò il bastone, e tutte le bianche figure nella piazza si piegarono sul ginocchio sinistro
e alzarono il braccio destro verso il cielo – un unico movimento, un’unica, improvvisa,
mormorante armonia. Le decine di migliaia di spettatori si lasciarono sfuggire un sospiro
lamentoso. Sansone barcollò; c’era sangue sulle sue labbra, tanto le aveva strette una
all’altra…Sansone lasciò quel luogo in preda a un profondo turbamento. Non avrebbe
potuto spiegare il suo pensiero ma, sentiva, in quello spettacolo di una moltitudine che
obbediva a una singola volontà aveva colto il grande segreto dei capi carismatici250.

Il desiderio di un mandatario più determinato fece facilmente superare a Jabotinsky il disgusto


per il regime vigente in Italia, e molte delle sue reclute non ebbero mai difficoltà alcuna a familiarizzare
con lo stile fascista. A metà degli anni ’20 egli aveva avvicinato alcuni ex sionisti laburisti delusi, che di
getto si volsero contro i vecchi compagni e fecero di Mussolini il loro eroe. Nell’agosto del 1932, alla
quinta Conferenza Mondiale Revisionista, Abba Achimeir e Wolfgang von Weisl, leader dei revisionisti
palestinesi, proposero per Jabotinsky con l'appellativo di Duce della loro fazione in seno alla WZO.
Egli rifiutò recisamente, ma ogni contraddizione tra lui e i crescenti settori filo-fascisti fu risolta con un
avvicinamento a questi ultimi. Senza abbandonare la precedente retorica liberale, egli inserì i concetti
mussoliniani nella propria ideologia e raramente rimproverò i suoi seguaci per i loro attacchi in stile
fascista, difendendoli dai sionisti laburisti e dagli inglesi.
E’ stato affermato che il revisionismo come tale non fu fascista perché erano consentite le
differenze tra le correnti e le decisioni erano prese attraverso il voto ai congressi o con il metodo del
plebiscito. In realtà, è difficile pensare a come il movimento sarebbe potuto essere più antidemocratico
pur senza diventare un gruppo formalmente filo-fascista. Nel 1932 – 33 Jabotinsky aveva deciso che
era tempo di lasciare la WZO, ma la maggioranza dell’Esecutivo dell’unione mondiale revisionista era
contraria, in quanto non vedeva nessun vantaggio nel distacco. Egli subito troncò il dibattito
249
The Zionist, 25 giugno 1936, p. 26
250
Vladimir Jabotinsky, Sansone, 1926
71
prendendo arbitrariamente il controllo personale sul movimento e facendo scegliere agli iscritti tra lui e
il vecchio Esecutivo attraverso un plebiscito. Una lettera scritta nel 1932 dimostra che egli sapeva
bene in quale direzione stesse conducendo l’organizzazione: “Sembra essere giunto il momento in cui
ci deve essere un unico decisore principale nel movimento, un ‘leader’, anche se ancora odio questa
parola. E sia, se ce ne deve essere uno solo, ce ne sarà uno solo”251.
Jabotinsky sapeva di non poter perdere la votazione; al cospetto delle decine di migliaia di
giovani camicie brune del Betar egli rappresentava il militarismo che volevano, contrapposto a un
Esecutivo di borghesi raffinati alla maniera di Weizmann. Fu sempre la gioventù del Betar a costituire
la componente centrale del revisionismo della diaspora. La semi-ufficiale Storia del movimento
revisionista afferma che, dopo una discussione se decidere su basi democratiche, venne scelta “una
struttura gerarchica di tipo militare”. Il Betar scelse il suo Rosh Betar (Capo Betar), sempre Jabotinsky,
con un voto a maggioranza del 75%, ed egli cooptò i leader delle sezioni nazionali; essi, a loro volta,
scelsero i leader inferiori. L’opposizione era tollerata, ma dopo l’espulsione dei moderati nei primi anni
’30 gli unici veri oppositori interni furono quei diversi “massimalisti” che lamentarono più di una volta il
fatto che Jabotinsky non fosse un fascista, o che fosse troppo filo-inglese o troppo poco anti-arabo.
Quando il betarim medio indossava la camicia bruna, di certo non veniva rimproverato se pensava di
essere membro di un movimento fascista, o che Jabotinsky fosse il suo Duce.

“La sola fonte del nostro capitale di costruzione - la borghesia ebraica”


Fin dall’inizio i revisionisti videro nella classe media il loro riferimento, e nutrirono un odio
profondo per la sinistra. Nel 1933 un giovane scrisse a Jabotinsky chiedendo perché fosse diventato
così visceralmente anti-marxista; Jabotinsky scrisse un notevole articolo, Sionismo e comunismo,
spiegando la loro totale incompatibilità. Dal punto di vista dell’ebraismo, “il comunismo cerca di
annichilire la sola fonte del nostro capitale di costruzione – la borghesia ebraica – poiché gli
investimenti borghesi sono la nostra radice, e il principio del comunismo è la lotta di classe contro la
borghesia”252. In Palestina il marxismo significava per definizione una drastica opposizione al
sionismo:

L’essenza del comunismo è che esso scuote e sobilla i paesi orientali contro il dominio
europeo. Questo dominio ai suoi occhi è “imperialistico” e sfruttatore. Io credo invece che
il dominio europeo sia fonte di civiltà, ma questa è un’altra questione e non rientra nel
nostro discorso. Una cosa è certa: il comunismo sobilla e deve sobillare e questo può
essere fatto solo in nome della liberazione nazionale. Esso dice e deve dire: il vostro
paese appartiene a voi e non agli stranieri. Questo deve dire agli arabi e agli arabi in
Palestina…Per i nostri scopi sionisti, il comunismo è gas venefico e come tale lo
dobbiamo affrontare.253

Come nel suo stile, egli da una premessa corretta arrivò una conclusione scorretta. Logicamente
infatti sionismo e comunismo erano incompatibili, ma ciò non voleva dire che coloro che cercavano di
unire le due cose fossero davvero nel campo nemico. Di fatto i sionisti socialisti sacrificavano il
socialismo al sionismo, e non viceversa, ma per Jabotinsky non vi era alcuna differenza tra i comunisti
e Poale Zion:

Non credo che vi sia differenza tra il comunismo e altre forme di socialismo basate su
una visione di classe…la sola differenza tra questi due campi sta nel temperamento: uno è
focoso, l’altro leggermente più moderato. Una tale differenza non vale le gocce
d’inchiostro necessarie a descriverla.254

Il ragionamento di Jabotinsky era sempre essenziale. La classe capitalistica era la forza


principale del sionismo; ne seguiva, logicamente, che gli scioperi danneggiavano gli investimenti in
Palestina. Essi erano accettabili nei paesi industrialmente avanzati, dotati di economie in grado di
assorbirli, ma non dove la fondazione di Sion era ancora in corso, mattone su mattone. Imitando alla
251
Joseph Schlechtmann, Fighter and Prophet. The Vladimir Jabotinsky Story. The Last Years, 1961
252
Vladimir Jabotinsky, Zionism and Communism, 1933
253
ibidem
254
In Shlomo Avineri, The Political Thought of Vladimir Jabotinsky, 1980
72
perfezione il fascismo italiano, i revisionisti si opposero sia agli scioperi che alle serrate, e
considerando i primi come il peggior crimine:

E come arbitrato “obbligatorio” intendiamo questo: dopo l’elezione di un tale organismo


permanente, il ricorso ad esso dovrebbe essere l’unico modo per risolvere le questioni
lavorative, i suoi verdetti dovrebbero essere finali, e sia lo sciopero che la serrata (così
come il boicottaggio dell’attività ebraica) dovrebbero essere dichiarati tradimento degli
interessi del sionismo e repressi con ogni mezzo legale e morale a disposizione della
nazione.255

I revisionisti non intendevano attendere la presa del potere attaccare i loro rivali laburisti.
Achimeir, il leader dei revisionisti in Palestina (Jabotinsky era stato bandito dalla Palestina dall’Alto
Commissariato inglese dopo che le provocazioni revisioniste avevano innescato la rivolta araba nel
1929) pubblicava i suoi Yomen shel Fascisti (Appunti di un fascista) su un giornale del movimento.
Egli guidava un equivalente degli squadristi italiani, la Brith HaBiryonim (Unione dei Briganti), che si
ispiravano agli antichi Sicarii, gli assassini zeloti armati di pugnale attivi durante la rivolta giudaica
contro Roma, e spronava i giovani revisionisti alla resa dei conti coi sionisti laburisti:

Dobbiamo creare gruppi di azione; per sterminare l’Histadrut fisicamente; essi sono
peggio degli arabi…Voi non siete studenti; siete piuttosto melassa…Non c’è nessuno tra
voi capace di commettere un omicidio seguendo l'esempio di quegli studenti tedeschi che
uccisero Rathenau. Voi non siete posseduti da quello spirito nazionalistico che ha pervaso
i tedeschi…Nessuno di voi è capace di uccidere nel modo in cui furono uccisi Karl
Liebknecht e Rosa Luxemburg.256

All’epoca i sionisti dell’Histadrut espellevano migliaia di arabi dai loro lavori stagionali nelle
piantagioni ebraiche di agrumi, e i fascisti revisionisti scendevano in campo contro l’Histadrut. I
lavoratori arabi non avevano ancora una leadership in grado di tutelarli, ma l’Histadrut era comunque
ben organizzata. Dopo una serie di aspri scontri, inclusa una battaglia campale ad Haifa il 17 ottobre
1934, nella quale 1.500 sionisti laburisti devastarono il quartier generale dei revisionisti e ne ferirono a
dozzine, la campagna dei seguaci di Jabotinsky andò scemando. I militanti dell’Histadrut erano pronti
a reagire all’attacco fascista portando la battaglia nel campo nemico per annientarlo, ma la leadership
sionista laburista non voleva combattere il fascismo, né in Palestina né altrove, e rinunciò ad andare
fino in fondo temendo che una guerra aperta mettesse a repentaglio il seguito del sionismo nella
classe media della diaspora.

Rapporti dei revisionisti coi fascisti italiani


Nei primi anni ’30 Jabotinsky decise di istituire una scuola di partito in Italia, e i revisionisti
locali, che si dichiaravano apertamente fascisti, fecero pressioni su Roma. Egli sapeva bene che la
scelta dell’Italia come sede per una scuola di partito non avrebbe che confermato l'immagine fascista
del movimento, ma si era così spostato a destra che aveva perso la cognizione di cosa i suoi “nemici”
potessero pensare. Anzi, disse a uno dei propri accoliti italiani che la scuola si sarebbe potuta fare
altrove ma “preferiamo stabilirla in Italia”257. Nel 1934 gli italiani erano giunti a conclusione che, per
quanto fossero loro amici, Sokolow e Weizmann e la direzione della WZO non avevano la minima
intenzione di rompere con Londra. E agli italiani non faceva piacere la crescente influenza, in seno
alla WZO, dei sionisti laburisti, i quali erano in contatto, seppur vagamente, con il partito socialista
italiano, messo fuorilegge. Essi dunque furono abbastanza propensi a dare appoggio ai revisionisti,
che erano evidentemente i fascisti di Sion. Nel 1934 Mussolini permise al Betar di iscrivere un proprio
contingente all’Accademia marittima di Civitavecchia, diretta dalle Camicie Nere.
Anche dopo l’assassinio di Arlosoroff nel 1933, e la campagna anti-scioperi organizzata da
Achimeir contro l’Histadrut, nell’ottobre 1934 Ben-Gurion lavorò ancora per giungere a un accordo con
Jabotinsky. Tuttavia la base dell’Histadrut si oppose all'intesa, e i revisionisti alla fine fondarono la loro
New Zionist Organization (NZO). Jabotinsky chiese ai propri sostenitori italiani di fare in modo che il
255
Vladimir Jabotinsky, State Zionism, 1935
256
Marie Syrkin, Labor-Zionism Replies, 1935
257
Lettera a Leone Carpi, 7 ottobre 1931
73
primo congresso mondiale della NZO si svolgesse a Trieste nel 1935, non curandosi di ciò che la
gente avrebbe pensato di un movimento che teneva il congresso di fondazione nell’Italia fascista 258.
Alla fine l’evento ebbe luogo a Vienna, ma subito dopo Jabotinsky visitò l’accademia di Civitavecchia.
Curiosamente, non incontrò mai Mussolini – forse non voleva dar prova di essere un altro
“capobranco”.
Sebbene non vi sia alcuna dichiarazione di Jabotinsky in cui egli si definisca fascista, e
innumerevoli siano le sue dichiarazioni di ammirazione per Gladstone, ogni altra corrente politica
vedeva i revisionisti come i fascisti del sionismo. Weizmann in privato riferì l’assassinio di Arlosoroff al
loro stile fascista; Ben-Gurion abitualmente usava l'appellativo “Vladimir-Hitler” e arrivò a definire i
nazisti i “revisionisti tedeschi”259. Von Mildenstein raccontò ai suoi lettori dell’incontro a bordo di una
nave con un fascista ebreo, uno del Betar; descrisse quei giovani come “il gruppo fascista tra gli ebrei.
Nazionalisti radicali, erano contrari a qualsiasi compromesso sulla questione del nazionalismo
ebraico. Il loro partito politico era quello revisionista”260.
Il più plateale di questi riconoscimenti venne da Mussolini il quale nel 1935 disse a David
Prato, in seguito rabbino capo di Roma: “Per il successo del sionismo voi avete bisogno di uno stato
ebraico, con una bandiera ebraica e una lingua ebraica. La persona che davvero lo capisce è quel
vostro fascista, Jabotinsky”261.
La maggioranza dei membri del movimento si consideravano contrari alla democrazia e
fascisti (o simpatizzanti del fascismo). Jacob de Haas, intimo di Herzl, aveva aderito al revisionismo a
metà degli anni ’30 e, per dimostrare che non c'era “solo Jabotinsky”, aveva presieduto il congresso
della NZO a Vienna. Quando tornò in America riportò le sue impressioni sull’assise in un articolo sul
Jewish Chronicle di Chicago. Dopo aver fermamente assicurato i suoi lettori che non stava
assolutamente difendendo il fascismo, disse loro che dovevano:

rendersi conto che la democrazia era lettera morta nella maggior parte dell’Europa. La
sua massima espressione agli occhi della gente comune è una furiosa contrapposizione
tra partiti e partitini…I delegati al Congresso non erano fascisti, ma poiché avevano perso
la fiducia nella democrazia non erano antifascisti. In ogni caso erano profondamente
anticomunisti262.

Se de Haas, in America, doveva edulcorare ai suoi scettici lettori la realtà che la maggioranza
del suo movimento non provava altro che disprezzo per la democrazia, Wolfgang von Weisl, direttore
finanziario dei revisionisti, non ebbe alcuna esitazione a dire a un giornale di Bucarest che “benché le
opinioni tra i revisionisti siano varie, in generale essi simpatizzano col fascismo”. E fu orgoglioso di far
sapere al mondo che lui “era personalmente un sostenitore del fascismo, e gioì della vittoria dell’Italia
fascista in Abissinia in quanto trionfo della razza bianca su quella nera”263. Nel 1980 Shmuel Merlin
descrisse i propri sentimenti verso Mussolini negli anni ’30, quando egli era il giovane segretario
generale della New Zionist Organization.

Io lo ammiravo ma non ero fascista. Egli idealizzava la guerra. Io sentivo che la guerra
era necessaria, ma per me era una tragedia…Disapprovai che Achimeir avesse intitolato
la sua rubrica “Appunti di un fascista”, perchè forniva una scusa ai nostri nemici per
attaccarci, ma questo certamente non interruppe la nostra amicizia 264.

Di qualunque cosa Jabotinsky pensasse di avere il comando, non c’è dubbio che questi tre
dirigenti del movimento revisionista parlassero di un gruppo fascista. La valutazione di von Weisl pare
abbastanza plausibile; la componente fascista nella dirigenza revisionista era predominante, ed erano
loro, e non Jabotinsky, a guidare il movimento in Palestina, Polonia, Italia, Germania, Austria, Lettonia
e anche Manciuria. Al massimo si può considerare Jabotinsky un cervello liberal-imperialista in un
corpo fascista. I revisionisti di oggi non vedono male la presenza di fascisti dichiarati nel loro
movimento negli anni ’30; invece enfatizzano eccessivamente la distinzione tra Jabotinsky e i fascisti.

258
Lettera a Leone Carpi, 21 maggio 1935
259
Michael Bar-Zohar, Ben Gurion. The Armed Prophet, 1966
260
Der Angriff, 27 settembre 1934, pp.3-4
261
Michael Bar-Zohar, Ben-Gurion. The Armed Prophet, 1966
262
Chicago Jewish Chronicle, 18 ottobre 1935, p.9
263
World Jewry, 12 giugno 1936, p. 12
264
Intervista dell’autore a Shmuel Merlin, 16 settembre 1980
74
L’accademia di Civitavecchia, affermano, era un qualcosa di mazziniano. Ai nazionalisti è consentito,
dicono, di cercare l’aiuto di un imperialismo rivale del proprio oppressore; di certo, insistono, questo
non implica lo sdoganamento della politica interna di quell'imperialismo. Quindi citano il monito di
Jabotinsky ai betarim di Civitavecchia:

Non intervenite in alcuna disputa di partito riguardante l’Italia. Non esprimete alcuna
opinione sulla politica italiana. Non criticate il regime vigente in Italia – né il precedente. Se
vi chiedono delle vostre idee politiche e sociali rispondete: io sono un sionista. Il mio più
grande desiderio è lo stato ebraico, e nel nostro paese ci opponiamo alla guerra di classe.
Questo è tutto ciò in cui credo.265

Questa formula assai diplomatica era studiata per compiacere i fascisti italiani senza contrariare
i vecchi conservatori, sostenitori del vecchio governo, che i betarim avrebbero potuto incontrare.
L’opposizione alla lotta di classe fu la cartina di tornasole per Mussolini, che non fu mai
particolarmente preoccupato se i suoi ammiratori all’estero si ritenessero o meno veri fascisti.
Tuttavia, le cose non si fermarono alla lettera di Jabotinsky ai betarim. I suoi apologeti omettono di
dire come andassero veramente le cose alla scuola, ove i suoi scritti erano sconosciuti. Il numero di
marzo 1936 de L’idea sionistica, rivista della sezione italiana del revisionismo, descrisse i cerimoniali
per l’inaugurazione del nuova sede del Betar:

All'ordine "Attenzione!", risuonò un triplice slogan, scandito dal comandante del plotone
("Viva l'Italia! Viva il Re! Viva il Duce!"), seguito dalla benedizione pronunciata da rabbi
Aldo Lattes in italiano e in ebraico, per Dio per il re e per il Duce...Giovinezza (l'inno del
partito fascista) fu cantato con grande entusiasmo dai betarim.266

Possiamo star certi che gli stessi slogan furono gridati quando lo stesso Mussolini passò in
rivista i betarim nel 1936. Jabotinsky sapeva che i propri seguaci italiani erano ammiratori di Mussolini,
ma quando gli fu inviata una copia de La dottrina del fascismo di Mussolini, tutto ciò che disse in
risposta fu un mite: "Mi permetto di sperare che abbiamo la capacità di creare una nostra dottrina,
senza copiarne altre". E, nonostante le riserve personali verso il fascismo, egli volle che Mussolini
fosse il mandatario per la Palestina. Nel 1936 scrisse a un amico che le sue scelte oscillavano tra:

l'Italia o un gruppo di stati non antisemiti interessati all'immigrazione ebraica, oppure un


mandato diretto della Società delle Nazioni...tra fine giugno e metà luglio ho vagliato
l'alternativa numero 1. Risultato: non è ancora ora, ma tra non molto lo sarà267.

Jabotinsky divenne l'avvocato difensore di Mussolini nel mondo ebraico. Visitando l'America nel
1935 per un giro di conferenze, scrisse una serie di articoli per il Jewish Daily Bulletin, un giornale
sionista in lingua inglese, che ebbe breve durata e si occupava solo di questioni ebraiche. Negli anni
'30 la maggior parte degli ebrei seguivano l'opinione corrente e si riferivano alla lotta contro Hitler
come a parte della "lotta antifascista"; Jabotinsky si oppose decisamente a tale luogo comune, poichè
aveva capito perfettamente che finchè gli ebrei avessero visto Hitler come un altro fascista, non
avrebbero mai approvato l'apertura revisionista verso Mussolini. La sua sintesi sul regime fascista
italiano ci mostra come egli mettesse le proprie obiezioni alla politica da "capobranco" ben al di sotto
del crescente coinvolgimento con il candidato mandatario italiano.

Al di là di ciò che pochi pensano su altri aspetti del fascismo, non c'è dubbio che la
versione italiana dell'ideologia fascista sia in fondo un'ideologia di uguaglianza razziale.
Non lasciateci essere così modesti dal pretendere che ciò non abbia importanza, ovvero
che l'uguaglianza razziale sia un'idea troppo insignificante per compensare l'assenza di
libertà civili. Perchè non è vero. Io sono un giornalista, che non potrebbe vivere senza
libertà di stampa, ma sostengo che è semplicemente vergognoso dire che nella scala dei
diritti civili anche la libertà di stampa viene prima dell'uguaglianza fra gli uomini.
L'uguaglianza viene prima, sempre e soprattutto: gli ebrei dovrebbero ricordarlo, e tener
conto del fatto che un regime che mantiene tale principio in un mondo sempre più
265
Lettera ai Plugat Betarim di Civitavecchia, 1935
266
Supplemento al numero 8 de L’Idea Sionistica, marzo 1936, p. 2
267
Joseph Schlechtmann, Fighter and Prophet. The Vladimir Jabotinsky Story, 1961
75
cannibale è giustificabile, in parte ma considerevolmente, per le altre sue carenze: può
essere criticato ma non dovrebbe essere ripudiato. Ci sono abbastanza termini di uso
dispregiativo (nazismo, hitlerismo, stato di polizia etc.) ma la parola fascismo è di
copyright italiano e dovrebbe essere usata soltanto nel suo corretto contesto, non come
un'ingiuria. Soprattutto se la sua negatività è ancora da dimostrare. Il governo fascista
oggi ha una grande grande influenza, e può ottenere molto, per esempio nei consessi
della Società delle Nazioni. Per inciso, la Commissione Mandataria Permanente che
sovrintende alla questione palestinese ha un presidente italiano. In sintesi, benchè non mi
aspetti che le leve più giovani (poco rispettose degli anziani) seguano gli inviti alla cautela,
i leader responsabili dovrebbero tenerne conto268.

I revisionisti regolano i rapporti coi fascisti


L'apertura verso Mussolini si risolse in un totale disastro. Dispensando colpi alla cieca contro i
loro nemici arabi, inglesi ed ebrei, i revisionisti furono i soli a non vedere ciò che stava accadendo. La
copia di una lettera dell'emiro Shekib Arslan al Mufti, riguardante l'aumento della propaganda filo-
italiana, apparve sulla stampa palestinese nel 1935, e nel 1936 Radio Bari trasmetteva appelli anti-
inglesi fra gli arabi. I revisionisti erano così abituati a difendere Mussolini che non vollero riconoscere
la sua collaborazione con il Mufti e la causa palestinese. Ancora nel 1938 William Ziff, un direttore
pubblicitario leader del revisionismo americano, provò a sminuire il coinvolgimento italiano con il Mufti
nel suo libro, The Rape of Palestine.

In poche, belle parole che insinuavano un complotto antisemita e anti-inglese, il


Segretario agli Esteri inglese ha addossato tutta la colpa agli italiani. Tutta la stampa
liberale ha abboccato all’amo così abilmente gettato sull’acqua. Come un branco di cani
affamati dopo avere scorrazzato qua e là, la stampa marxista ha lanciato i suoi strali
aggressivi269.

Nonostante il fatto che i revisionisti avessero chiaramente puntato sul cavallo sbagliato continuò:

Non c'è dubbio che per Mussolini, convinto realista, sarebbe stato un buon affare
separare gli ebrei dall'orbita inglese. Una Sion forte e indipendente e in rapporti amichevoli
sarebbe stata cosa assai auspicabile. Gli ebrei stessi hanno reso impossibile questa
prospettiva, a causa della loro persistente anglofilìa, e Mussolini è giunto a vedere il
sionismo semplicemente come una copertura per la creazione di una nuova zona di
espansione economico-politica inglese nel Mediterraneo. Esso dunque si profila agli occhi
degli italiani come una forza anti-italiana. Ciononostante, non vi è mai stato un briciolo di
evidenza del fatto che l'intervento italiano abbia influito sulla recente rivolta araba in
Palestina270.

In realtà fu la Spagna, e non la Palestina, che indusse Mussolini a sostenere Hitler. Mussolini
comprese che lui e Hitler dovevano restare uniti per sconfiggere la rivoluzione anche in altri paesi, e
che solo attraverso un'alleanza con la Germania poteva sperare di espandere il proprio impero. Ma
sapeva anche che era impossibile essere alleato di Hitler e avere gli ebrei nel proprio partito. Perciò
elaborò una sorta di “arianesimo latino”, espulse gli ebrei dal partito e dall'economia, e si preparò alla
guerra. I revisionisti dichiararono di essersi sbagliati, in buona fede.

Per anni abbiamo detto agli ebrei di non denigrare il regime fascista in Italia. Lasciateci
dire francamente prima di accusare altri delle recenti leggi anti-ebraiche in Italia: perchè
non prendersela prima con nostri gruppi radicali per la loro responsabilità in ciò che è
accaduto?271.

268
Jewish Daily Bulletin, 11 aprile 1935, p.3
269
William Ziff, The Rape of Palestine, 1938
270
ibidem
271
In Paul Novick, Solution for Palestine: the Chamberlain White Paper, 1939
76
Con la svolta di Mussolini verso Hitler, anche il fascismo revisionista divenne un'opzione
impraticabile nel mondo ebraico, e quando Jabotinsky morì a New York nell'agosto 1940 la carica di
Rosh Betar, che sapeva molto di fascismo, venne frettolosamente abolita. Essi non vollero ammettere
di essere stati tutti fascisti: semplicemente dissero che nessuno poteva vestire i panni di Jabotinsky.
Gli storici revisionisti attuali naturalmente tendono a omettere o a sminuire il ruolo dei revisonisti
fascisti, come Achimeir, e su Civitavecchia per lo più si sorvola, con frasi assolutorie del tipo "i
fondatori della marina israeliana vennero addestrati là".

“Tra i fenomeni politici più inquietanti dei nostri tempi”


E' impossibile concludere una discussione su revisionismo e fascismo senza menzionare
brevemente il ruolo di Begin durante queste vicende. Nei suoi libri scritti nel dopoguerra, The Revolt e
White Nights, le sue attività negli anni '30 sono omesse, e Jabotinsky è ritratto come un esponente
incompreso della resistenza militare. Ma all'età di 22 anni Begin era abbastanza importante nel Betar
polacco da sedere con Jabotinsky alla presidenza della conferenza del 1935 dei revisionisti polacchi a
Varsavia. Nel 1938 egli fu la figura principale alla conferenza mondiale del Betar a Varsavia, e nel
1939 fu nominato capo del Betar in Polonia. Ma, nonostante il fatto che sia stato definito fascista da
innumerevoli oppositori, non sono mai stati citati suoi scritti in favore di Mussolini, e allo stato attuale si
deve presumere che non ve ne siano. Tuttavia, se è vero che egli non appoggiò mai dichiaratamente il
fascismo, Yehuda Benari, direttore del Jabotinsky Institute, e autore della voce “Begin”
nell’Enciclopedia del Sionismo e di Israele, afferma categoricamente che nel 1939 “egli si unì all’ala
radicale del movimento revisionista, che ideologicamente era legata al B’rit HaBiryonim”272. Begin era
amico personale di Achimeir, che era stato deportato in Polonia nel 1935, così come di von Weisl, che
spesso veniva a Varsavia a negoziare col governo per conto della NZO. Egli era amico intimo di
Nathan Yalin-Mor e a quel tempo ammiratore di Avraham Stern, entrambi profondamente totalitari.
Anche dopo la Seconda Guerra Mondiale, da leader del partito Herut nel nuovo stato israeliano, Begin
fece affidamento sia su Achimeir che su von Weisl come redattori del quotidiano del partito.
Nel 1948, in occasione della prima visita di Begin negli Stati Uniti, Albert Einstein, Hannah
Arendt , Sidney Hook e altri inviarono una lettera al New York Times descrivendo la politica di Begin.
Stante la condotta del suo movimento e le sue strette relazioni pre-belliche con i fascisti dichiarati del
revisionismo, il loro giudizio sulle ascendenze ideologiche di Begin merita di essere citato:

Tra i fenomeni politici più inquietanti del nostro tempo vi è l’emergere nel neonato stato
di Israele del “Partito della Libertà” (Tnuat HaHerut), un partito politico molto vicino, per
organizzazione, metodi, filosofia politica e riferimenti sociali, ai partiti nazista e fascista…
Essi predicano un misto di ultranazionalismo, misticismo religioso e superiorità razziale…
hanno proposto sindacati corporativi sul modello dell’Italia fascista…Alla luce delle
suddette considerazioni, è fondamentale che la verità sul signor Begin e sul suo
movimento sia resa nota in questo paese. Ed è ancora più tragico che i massimi dirigenti
del sionismo americano si siano rifiutati di intraprendere una campagna contro le manovre
di Begin”273.

272
Encyclopedia of Zionism and Israel, 2 voll., 1971
273
New York Times, 4 dicembre 1948, p. 12
77
11. REVISIONISMO E NAZISMO

All’inizio del 1932 Norman Betwich, l’ex Procuratore Generale della Palestina, sionista, fu
insignito dall’Università Ebraica di una cattedra in Diritto internazionale della pace. Appena iniziò la
lezione inaugurale, delle grida improvvisamente vennero dal pubblico: “Vai a parlare di pace al Mufti,
non a noi”. Egli ricominciò, ma questa volta fu bombardato da una pioggia di fialette puzzolenti e
volantini che annunciavano che gli studenti revisionisti erano contrari a lui e alla sua materia, e la
polizia dovette occupare la sala274. Proprio nel periodo in cui le camicie brune di Hitler scioglievano le
adunate, era inevitabile che il pubblico ebraico di Gerusalemme vedesse nei betarim in camicia bruna
i propri nazisti. Nel 1926 Abba Achimeir aveva già scritto della necessità di uccidere gli oppositori, e
quando gli studenti andarono a processo il loro avvocato, un eminente revisionista, tratteggiò
allegramente le caratteristiche del nazismo ebraico.

Si, noi revisionisti abbiamo una grande ammirazione per Hitler. Hitler ha salvato la
Germania. Altrimenti sarebbe crollata nel giro di quattro anni. E se egli rinunciasse al suo
antisemitismo andremmo con lui275.

Di certo molti membri del movimento revisionista nel mondo all’inizio guardavano ai nazisti
come a propri affini: nazionalisti e fascisti. Nel 1931 la loro rivista americana, il Betar Monthly, aveva
pubblicamente dichiarato il proprio disprezzo per coloro che li accusavano di nazismo.

Quando i dirigenti locali dell’ala sinistra di un sionismo meschino, come Berl Locker,
chiamano “hitleriani” noi revisionisti e betarim, non siamo affatto dispiaciuti…i Locker e i
loro amici vogliono creare in Palestina una colonia di Mosca, con una maggioranza araba
invece che ebraica, con la bandiera rossa invece che quella bianca e blu, con
l’Internazionale al posto dell’HaTikvah276…Se Herzl era un fascista e un hitleriano, se una
maggioranza ebraica sui due lati del Giordano, se uno stato ebraico in Palestina che
risolva i problemi economici e culturali della nazione ebraica è hitlerismo, allora noi siamo
hitleriani277.

I revisionisti erano sionisti e come tali condividevano la basilare analogia tra il loro movimento
e i nazisti, ovvero che gli ebrei non potessero essere veri tedeschi. Il nazismo era inevitabile e
comprensibile. Questa idea fu ben espressa da Ben Frommer, un revisionista americano, nel 1935.
Per Frommer, l’ebreo:

non importa quale paese abita…lui non è delle tribù originarie…Di conseguenza
l’atteggiamento di un ebreo di completa identità con il proprio paese risulta spurio; il suo
patriottismo, per quanto sbandierato, è una bugia a se stesso; e dunque la sua richiesta di
completa uguaglianza con coloro che sono l’essenza della nazione naturalmente crea dei
contrasti. Questo spiega l’intolleranza di tedeschi, austriaci, polacchi e la marea crescente
di ostilità nella maggior parte dei paesi europei…E’ presuntuoso da parte di un ebreo
chiedere di essere trattato allo stesso modo di un tedesco in un paese tedesco o di un
polacco in un paese polacco. Egli deve gelosamente difendere la propria vita e la propria
libertà, ma deve sinceramente riconoscere che non può rivendicare l’ “appartenenza”. La
finzione liberale di una perfetta uguaglianza è fallita perché era innaturale278.

274
Norman and Helene Betwich, Mandate Memories 1918 – 1948, 1965
275
In Die Weltbuehne (settimanale berlinese), 31 maggio 1932
276
L’inno nazionale israeliano.
277
Betar Monthly, 15 agosto 1931
278
Ben Frommer, The Significance of Jewish State, 1935
78
Approcci revisionisti coi nazisti

Come gli altri sionisti tedeschi, i revisionisti erano interessati solamente alla Palestina, e
durante Weimar non fecero alcuno sforzo per organizzare una resistenza a Hitler. Quando alla fine i
nazisti giunsero al potere, i revisionisti interpretarono la vittoria come una sconfitta dei loro avversari
ideologici ebrei e una rivalsa delle proprie idee, il sionismo e il fascismo. Andarono oltre il resto della
ZVD e la Rundschau, imitando lo stile nazista. Il banchiere Georg Kareski, vedendo che i suoi ricchi
omologhi cattolici del Partito di Centro lavoravano o si univano ai vincitori nazisti, decise di mostrare a
Hitler che vi erano sionisti che condividevano l’etica nazista. Egli si unì ai revisionisti, presto divenne
un leader del movimento tedesco e nel maggio del 1933 tentò un putsch alla sede centrale della
comunità ebraica di Berlino. L'episodio è stato descritto da Richard Lichteim nella sua storia del
sionismo tedesco. Kareski

pensava che i sionisti avessero perso l’opportunità di collocarsi al vertice dell’ebraismo


tedesco attraverso un atto rivoluzionario. Con un certo numero di giovani membri del
Betar…”occupò” l’edificio della comunità ebraica nel 1933. Tuttavia fu rapidamente
costretto a uscire, poiché i membri della comunità si rifiutarono di seguirlo. Il risultato di
questa folle azione fu l’espulsione di Kareski dalla ZVD. Kareski probabilmente pensò che
lo spirito dei tempi richiedesse un tale atto, e che le superate concezioni della borghesia
ebraica liberale dovessero essere sostituite con un’imposizione nazional-sionista di
carattere violento. Negli anni successivi egli scivolò in una piuttosto discutibile relazione di
dipendenza dalla Gestapo, presso la quale cercò di accreditare se stesso e il Betar come i
veri rappresentanti del punto di vista sionista radicale, corrispettivo del nazional-
socialismo279.

Questo fu troppo per Jabotinsky. Egli non aveva prestato molta attenzione alla Germania negli
ultimi anni di Weimar. Nel periodo 1929-33 la sua principale preoccupazione era un’intesa con le
proposte inglesi sulla Palestina, che erano una risposta ai brevi ma sanguinosi massacri del 1929, in
gran parte dovuti alle provocazioni revisioniste al Muro del Pianto. Come molti sionisti di destra,
Jabotinsky non pensava che Hitler al potere sarebbe stato altrettanto antisemita come sembrava
all’opposizione. Shmuel Merlin, segretario generale della NZO, ha spiegato che: “Egli non era
preoccupato, pensava che Hitler avrebbe dovuto fare delle riforme o cedere alla pressione degli
Junker e della grande borghesia”280. Comunque, nel marzo del 1933 Jabotinsky proclamò che la
Germania ora era un implacabile nemico degli ebrei e si dichiarò inorridito dalla buffonata di
Kareski281. Egli scrisse perentoriamente a Hans Block, predecessore di Kareski come presidente dei
revisionisti tedeschi:

Non so esattamente cosa è accaduto, ma ogni approccio col governo o i suoi


rappresentanti e idee lo considererò semplicemente criminale. Capisco che uno possa
silenziosamente combinare guai; ma mettersi sistematicamente nei guai è vietato, e
l’hitlerismo rimane un guaio, a dispetto dell’entusiasmo di millioni di persone, che
impressiona i nostri giovani in una maniera simile a come l’entusiamo per il comunismo
impressiona altri ebrei282.

“La triplice alleanza Stalin - Ben Gurion – Hitler”

Jabotinsky ebbe anche a che fare col problema del fascismo di Achimeir in Palestina. Flirtare
con Mussolini era accettabile, ma una linea filo-nazista era troppo. Egli scrisse in termini chiari ad
Achimeir nel 1933.

279
Richard Lichtheim, Die Geschichte des deutschen Zionismus, 1954
280
Intervista dell’autore con Shmuel Merlin, 16 settembre 1980
281
ibidem
282
Joseph Schlechtmann, Fighter and Prophet. The Vladimir Jabotinsky Story, 1961

79
Gli articoli e le note su Hitler e il movimento hitleriano apparse su Hazit Ha’am283 sono
per me, e per tutti noi, come un coltello piantato nella schiena. Chiedo la cessazione
incondizionata di questo oltraggio. Trovare nell’hitlerismo dei segni di un movimento di
“liberazione nazionale” è crassa ignoranza. Per di più, nelle circostanze attuali, queste
sciocchezze screditano e paralizzano il mio lavoro…Chiedo che il giornale faccia propria,
incondizionatamente e assolutamente, non solo la nostra campagna contro la Germania
hitleriana, ma anche la cacciata di Hitler, nel più pieno senso della parola284.

Jabotinsky aveva sostenuto il boicottaggio anti-nazista fin dall’inizio, e la sua critica ai suoi
seguaci in Palestina riportò questi ultimi nei ranghi; presto quegli stessi che avevano applaudito Hitler
come salvatore della Germania, si misero a criticare la WZO per il suo rifiuto di prendere parte al
boicottaggio. Il primo obiettivo dei loro attacchi fu Chaim Arlosoroff, il segretario politico dell’Agenzia
Ebraica, che era noto per negoziare coi nazisti. Il 14 giugno 1933 Arlosoroff fece ritorno dall’Europa. Il
15 giugno, Hazit Ha’am lanciò un furioso attacco contro di lui con un articolo di Yochanan Pogrebinski,
The Alliance of Stalin – Ben Gurion – Hitler. Il curioso titolo collega due punti centrali della linea
revisionista: i sionisti laburisti stavano tramando per istituire un regime comunista filo-arabo e, nello
stesso tempo, per vendere gli ebrei ai nazisti. E’ necessario riportare un brano esteso dell’articolo di
Pogrebinski, perché esso spiega tutti gli eventi successivi:

Abbiamo letto…un’intervista a mr. Arlosoroff…Tra le varie frasi senza senso e


stupidaggini nelle quali il ciarlatano rosso eccelle, troviamo che il problema ebraico in
Germania può essere risolto soltanto con un compromesso con Hitler e il suo regime.
Questi individui…adesso hanno deciso di vendere per denaro a Hitler e ai nazisti l’onore
del Popolo Ebraico, i suoi diritti, la sua sicurezza e presenza su tutto il globo. A quanto
sembra i ciarlatani rossi sono stati disturbati dal successo del boicottaggio contro i beni
tedeschi proclamato dal grande leader ebraico di questa generazione, V. Jabotinsky, e
sostenuto dagli ebrei di tutto il mondo…
La viltà con la quale il Partito Laburista in Palestina si è piegato a vendersi per denaro al
più grande odiatore di ebrei ha ora raggiunto il punto più basso, e non ha eguali nella
storia ebraica…Gli ebrei accoglieranno la triplice alleanza “Stalin – Ben Gurion – Hitler”
solo con repulsione e disprezzo…Il popolo ebraico ha sempre saputo come comportarsi
con coloro che hanno venduto l’onore della loro nazione e della Torah, e sapranno anche
oggi come reagire a questo atto vergognoso, compiuto nella piena luce del sole e sotto gli
occhi del mondo intero.285

La sera del 16 giugno, Arlosoroff e sua moglie fecero una passeggiata lungo la spiaggia di Tel
Aviv. Due giovani li oltrepassarono due volte. La signora Arlosoroff era preoccupata e suo marito
provò a calmarla: “Sono ebrei, da quando hai timore degli ebrei?” Poco dopo essi comparvero di
nuovo. “’Che ore sono?’ chiese uno di loro. La luce di una torcia ci accecò, e vidi una pistola puntata
su di noi”286. Risuonò un colpo e Arlosoroff cadde ucciso.
Per la polizia inglese il caso non fu molto complicato. L’assassinio aveva avuto luogo su una
spiaggia; agenti beduini furono presto messi al lavoro. Due giorni dopo Avraham Stavsky e Zvi
Rosenblatt, entrambi revisionisti, furono fermati per un riconoscimento. La signora Arlosoroff quasi
svenne quando riconobbe Stavsky che, disse, teneva la torcia. La polizia fermò Abba Achimeir e trovò
il suo diario. Una delle sue note parlava di una festa tenuta in casa sua subito dopo l’uccisione, per
celebrare la “grande vittoria”. Ciò indusse la polizia ad arrestarlo come mandante dell’omicidio 287.
L’accusa era talmente grave che la difesa fu spinta a ricorrere a misure estreme. Mentre i tre
erano in carcere in attesa del processo, un arabo, Abdul Majid, detenuto per un altro omicidio,
confessò l’uccisione di Arlosoroff, affermando che lui con un amico volevano rapire la moglie. Egli
presto ritirò la confessione, la fece di nuovo e ritrattò una seconda volta; affermò che Stavsky e
Rosenblatt l’avevano corrotto affinchè facesse quella dichiarazione. Il caso arrivò a processo il 23
aprile 1934. Achimeir fu assolto senza che avesse portato una difesa: il diario non era sufficiente a
provare una cospirazione premeditata. Invece, per due voti a uno Stavsky fu giudicato colpevole, e l’8

283
Giornale sionista revisionista pubblicato in Palestina tra il 1931 e il 1934.
284
Joseph Schechtmann, Fighter and Prophet. The Vladimir Jabotinsky Story, 1961
285
In Eliazer Liebenstein, The Truth About Revisionism, 1935
286
Jerusalem Post, 11 giugno 1958, p.4
287
Jewish Daily Bulletin, 29 agosto 1933, p.4
80
giugno fu condannato all’impiccagione. Il 19 luglio la Corte d’Appello di Palestina lo assolse per una
serie di cavilli. Vi erano stati degli errori procedurali riguardanti le indagini. Una volta negata
l’evidenza, non vi era più alcun supporto materiale che comprovasse le accuse della signora
Arlosoroff. La legge palestinese, a differenza di quella inglese, richiedeva delle verifiche per
corroborare la testimonianza di unico teste in un caso di pena capitale. Il presidente della Corte
Suprema fu profondamente dispiaciuto (“In Inghilterra…la condanna sarebbe stata confermata”) e
criticò la difesa per la confessione artefatta:

L’intromissione di Abdul Majid in questo caso solleva in me il grave sospetto di una


cospirazione per intralciare il corso della giustizia, attraverso l’istigazione di Abdul Majid a
commettere spergiuro nell’interesse della difesa288.

Fu solo nel 1944 che la verità venne di nuovo fuori, ma ciò non fu reso pubblico fino al 1973.
Quando Lord Moyne, Alto Commissario inglese per il Medio Oriente, fu assassinato al Cairo nel 1944
da due membri della Banda Stern (una fazione revisionista), l'esperto balistico palestinese F.W. Bird
esaminò l’arma del delitto e scoprì che era stata usata in non meno di altri sette omicidi politici: due
arabi, quattro poliziotti inglesi e Chaim Arlosoroff. Nel 1973 Bird rivelò che egli stesso “all'epoca del
processo ai due assassini di Lord Moyne non fece notare il collegamento con l’omicidio Arlosoroff
poiché i reperti indiziari su quest’ultimo caso erano stati distrutti durante quegli undici anni”289.
L’intero movimento revisionista, incluso Jabotinsky, negò categoricamente che chiunque di loro
fosse implicato nell’attentato, ma i sionisti laburisti non dubitarono mai della loro colpevolezza e
quando la Corte d’Appello rilasciò Stavsky scoppiò una rivolta fra le due fazioni presso la Grande
Sinagoga di Tel Aviv, che Stavsky frequentava. Durante il periodo dell’Olocausto l’uccisione di
Arlosoroff fu uno dei principali motivi di attacco ai revisionisti da parte dei sionisti laburisti. Se
Arlosoroff fu l’iniziatore dell’H’avara Agreement, la base della politica della WZO verso i nazisti, la
responsabilità dell’omicidio ebbe importanti implicazioni per le relazioni tra i sionisti e i nazisti. Dagli
indizi raccolti sembrano esservi pochi dubbi che Stavsky e Rosenblatt assassinarono Arlosoroff,
anche se nel 1955 Yehuda Arazi-Tennenbaum, ex sionista laburista ed ex poliziotto del Mandato che
aveva lavorato sul caso, disse che Stavsky era innocente e che l’arabo Majid aveva subito pressioni
affinchè ritirasse la sua confessione. Tuttavia la sua versione dei fatti destò estremo sospetto, anche
solo per il fatto che aveva aspettato 22 anni prima di tirarla fuori290. E’ molto meno chiaro se Achimeir
commissionò l’omicidio. Di certo non vi è chiara evidenza che Jabotinsky abbia saputo in anticipo del
progetto di omicidio. Egli affermò di credere nell’improbabile confessione di Abdul Majid, ma è molto
significativo che nel 1935 egli insistette affinchè nei principi fondamentali del Betar venisse inserita
una clausola: “Io devo preparare il mio braccio in difesa del mio popolo e non devo muoverlo che per
questa difesa”.

I tentativi di Jabotinsky di mantenere il boicottaggio

L’effetto immediato dell’assassinio fu di rendere vani gli sforzi di Jabotinsky per mantenere il
boicottaggio antinazista al Congresso Mondiale Sionista tenutosi in agosto a Praga. Durante il
Congresso, i dispacci dell’Agenzia Telegrafica Ebraica riportarono la scoperta della polizia della sua
lettera ad Achimeir, nella quale lo minacciava di espulsione se avesse continuato ad elogiare Hitler 291.
Questo episodio, e il fatto che egli comparve nella sala del Congresso con una squadra di betarim in
camicia bruna squalificò Jabotinsky come una sorta di nazista ebraico. La decisione del Congresso di
respingere il boicottaggio fu dovuta a una serie di fattori ma, in generale, i delegati ritennero che a
prescindere dagli errori di Weizmann l’opposizione revisionista alla politica tedesca della WZO non era
degna di fiducia, a causa delle loro farneticazioni sulla cricca “Stalin - Ben Gurion” che avrebbe
trasformato la Palestina in uno stato arabo e comunista.
Tuttavia, Jabotinsky quando si pronunciò in favore di una lotta contro Hitler rappresentò il
pensiero di molti. Egli sapeva che non vi sarebbe mai stata la minima possibilità di un modus vivendi
tra gli ebrei e Adolf Hitler. Jabotinsky comprese che gli ebrei tedeschi erano prigionieri della guerra di

288
Palestine Post, 22 luglio 1934, p. 8
289
Jewish Journal, 10 agosto 1973
290
Jewish Herald, 24 febbraio 1955, p.3
291
Jewish Daily Bulletin, 24 agosto 1933, p. 1
81
Hitler contro il mondo ebraico. “Se il regime di Hitler è destinato a durare, l’ebraismo è condannato”.
L’ebraismo tedesco era “solo un trascurabile dettaglio”292, scrisse.
Dopo che il Congresso ebbe respinta la sua risoluzione, 240 voti a 48, Jabotinsky tenne una
conferenza stampa per attaccare l’Ha’avara e indicare il Partito Revisionista quale temporaneo punto
di riferimento per lanciare una campagna anti-nazista mondiale. Espresse la volontà di lavorare con la
Non-Sectarian Anti-Nazi League e altre forze del boicottaggio, ma non ipotizzò mai una sorta di
mobilitazione di massa. Era contrario a quello che chiamava un boicottaggio “negativo”. Il suo sarebbe
stato in positivo, ovvero “comprare…prodotti di provenienza più accettabile”. Il suo ufficio avrebbe
fornito “l’esatta descrizione di tutti gli articoli raccomandati per l’acquisto…indirizzi e numeri di telefono
dei negozi ove questi articoli possono essere reperiti”293. I revisionisti, ligi al dovere, istituirono un
“Dipartimento di Difesa Economica” presso la loro sede di Parigi, ma il 6 febbraio 1934 Jabotinsky già
lamentava di dover fare da solo tutto il lavoro poiché:

I membri del comitato esecutivo si sono rifiutati di caricarsi di un compito che non può
essere svolto senza un consistente budget…tutto il lavoro deve essere fatto da un
segretario non pagato più una dattilografa part time294.

Non vi sarebbe stata “nessuna azione pubblica (che sarebbe stata molto facile): il mondo
ebraico ne aveva abbastanza di tali approcci, cui non faceva seguito un’azione sistematica”295. Il 13
settembre 1935, al congresso fondativo della Nuova Organizzazione Sionista, Jabotinsky parlò ancora
di boicottaggio, ma al tempo futuro: “Un’organizzazione ebraica di boicottaggio, da lui guidata, deve
essere creata”296. L’“agenzia pubblicitaria” di Jabotinsky non riuscì a convincere nessuno ma, al
massimo produsse una montagna di carta. Tuttavia, i revisionisti fecero un lavoro di boicottaggio in
tutto il mondo ma, in quanto tipici settari, tennero le loro assemblee anti-naziste nella loro roccaforte in
Europa orientale. Da soli non riuscirono a ottenere nulla, e inevitabilmente si rivolsero ad attività a loro
più congeniali, direttamente attinenti alla Palestina.

“Non ci sarà alcuna guerra”


A causa del suo personale antinazismo, Jabotinsky non si dedicò mai in primo luogo alla
Germania. Secondo Shmuel Merlin, “Jabotinsky non credeva che il regime di Hitler fosse durevole o
stabile”297. C’è una leggenda secondo la quale egli avvertì gli ebrei dell’imminente Olocausto, e alcune
sue affermazioni a un’attenta considerazione hanno un tono profetico: ‘Se il regime hitleriano è
destinato a durare, l’ebraismo è condannato’. Ma egli pensava che il regime fosse debole ed era certo
che in caso di guerra sarebbe collassato. I suoi ammiratori citano il suo ricorrente monito: ‘O liquidate
la diaspora, o la diaspora vi liquiderà’. Ma nonostante le sue qualità oracolari, Jabotinsky non
intendeva che la Germania avrebbe conquistato l’Europa o massacrato gli ebrei. Merlin è preciso:
“‘Liquidate la diaspora’ non era affatto riferito a Hitler. Il nostro riferimento principale erano la Polonia e
l’Europa orientale”298. Lo slogan si riferiva alla distruzione dal punto di vista economico della classe
media ebraica in Polonia, che era sempre più emarginata dallo sviluppo delle cooperative contadine e
cacciata dai pogrom organizzati dalla classe media cristiana nazionalista.
Durante gli anni '30, Jabotinsky non comprese mai che il nazismo era il prodotto di un'epoca di
guerra e rivoluzione, e in guerra e rivoluzione doveva cadere. Egli si autoconvinse che i capitalisti non
si sarebbero lasciati portare all'autodistruzione in un'altra guerra, e nel 1939 scrisse alla sorella: "Non
ci sarà alcuna guerra; l'insolenza tedesca presto finirà; l'Italia farà amicizia con gli inglesi...e in cinque
anni avremo uno stato ebraico"299. Nell'estate 1939 si trovava a Pont d'Avon in Francia, e l'ultima

292
Joseph Schlechtmann, Fighter and Prophet. The Vladimir Jabotinsky Story, 1961
293
ibidem
294
ibidem
295
ibidem
296
World Jewry, 13 settembre 1935, p.13
297
Intervista a Shmuel Merlin
298
ibidem
299
Joseph Schlechtmann, Fighter and Prophet. The Vladimir Jabotinsky Story, 1961

82
settimana di agosto scriveva ancora: "Non c'è la minima possibilità di una guerra...Il mondo sembra
un posto pacifico da Pont d'Avon, e penso che a Pont d'Avon vi sia la giusta visuale"300.
La risposta revisionista all'occupazione nazista di Austria e Cecoslovacchia era stata
veemente. Al Congresso Mondiale del Betar a Varsavia, nel settembre 1938, il venticinquenne Begin
chiese l'immediata conquista della Palestina. Jabotinsky sapeva che ciò era impossibile; non
avrebbero mai potuto sconfiggere gli inglesi, gli arabi o anche i sionisti laburisti, ed egli ridicolizzò il
suo assai zelante discepolo, paragonando le sue parole al "noioso cigolìo di una porta". Ma
nell'agosto 1939, riflettendo la stessa disperazione dei suoi, Jabotinsky concluse che, se i revisionisti
non potevano in quel momento salvare gli ebrei d'Europa, almeno potevano uscire di scena con onore
e magari ispirare gli ebrei con il loro esempio: decisero pertanto di “invadere” la Palestina facendo
approdare un'imbarcazione carica di betarim sulla spiaggia di Tel Aviv. L’organizzazione clandestina
laggiù, l'Irgun (L'Organizzazione, da Irgun Zvei Leumi, Organizzazione Nazionale Militare) doveva
insorgere e impadronirsi del palazzo del governo a Gerusalemme, e mantenerlo per 24 ore, mentre un
governo provvisorio ebraico sarebbe stato proclamato in Europa e a New York. Dopo la cattura o la
morte degli insorti, esso avrebbe operato come governo in esilio. Il modello dell'impresa era la Rivolta
di Pasqua del 1916 in Irlanda. Là i leader erano stati giustiziati dopo la cattura, ma la rivolta aveva
portato al ritiro inglese dalla parte meridionale del paese. Tuttavia, è impossibile immaginare come
l'invasione di Jabotinsky avrebbe potuto convincere la popolazione ebraica in Palestina a insorgere
dopo la sconfitta dei revisionisti, visto che la maggior parte era loro nemica. Il fantasioso piano venne
alla luce nella notte tra il 31 agosto e il 1 settembre 1939. Il CID inglese arrestò l'intero stato maggiore
dell'Irgun mentre discutevano se prendere parte al progetto e, nel giro di poche ore, le armate di Hitler
si misero in marcia nel territorio polacco, iniziando quella guerra che secondo le convinzioni di
Jabotinsky non sarebbe mai scoppiata301.

300
ibidem
301
Jewish Spectator, estate 1980, p. 36
83
12. GEORG KARESKI:
UN QUISLING SIONISTA PRIMA DI QUISILING302

Il fatto che Jabotinsky fosse contrario a Hitler, e avesse convinto Achimeir a smettere di
inneggiare al nazismo, non significava che tutti i revisionisti fossero d'accordo con lui. Alcuni
revisionisti erano ancora convinti che la collaborazione fosse la strada migliore per il sionismo. Il più
noto fra loro fu Georg Kareski, che Jabotinsky, come abbiamo visto, provò a frenare nel 1933.
Sin dal 1919-20 Kareski aveva disatteso le preoccupazioni della ZVD per il lavoro sulla
Palestina e si era concentrato sull'attività della comunità ebraica. In un'epoca di declino della fede, in
cui molti ebrei tedeschi sceglievano i matrimoni misti e l'ateismo, coloro che aderivano a quella
riservata comunità divennero ancor più identitari. Nel 1926 i sionisti "duri e puri" della Judische
Volkspartei di Kareski, in alleanza con altri isolazionisti religiosi, riuscirono a soppiantare la leadership
liberale riformatrice, e nel 1929 egli divenne presidente della comunità ebraica di Berlino. Ma il suo
successo fu di breve durata, e i liberali lo sconfissero nel novembre 1930. Kareski era entrato nella
politica tedesca nelle elezioni per il Reichstag del settembre 1930, come candidato del Centro
cattolico, che lo attraeva per la sua impostazione religiosa e il conservatorismo sociale.
Con l'arrivo di Hitler al potere, Kareski si unì ai revisionisti, che vedeva come i possibili emuli
dei vittoriosi nazisti. Essi costituivano una modesta fazione entro la ZVD, e raccolsero solo 1189 voti
su 8494 alle elezioni dei delegati al Congresso Sionista Mondiale del 1931. Nel 1933 i revisionisti
divennero una minoranza ancora inferiore a causa delle loro divisioni interne. Kareski, con prestigio
derivante dall'essere un noto membro della comunità, non ebbe difficoltà ad assumere la guida di
queste forze disgregate, coagulandole nella nuova Staatsionistiche Organisation (Organizzazione per
uno Stato Sionista, SO).
Nel maggio del 1933 egli tentò il suo ridicolo putsch alla sede della comunità ebraica di Berlino
e fu espulso dalla ZVD. La sua carriera e la sua collaborazione coi nazisti crebbero dopo il distacco
dei revisionisti dalla WZO, che seguì la sconfitta del boicottaggio antinazista al Congresso di Praga.
Poichè i revisionisti de facto non erano più parte della WZO, quest'ultima ordinò al proprio Ufficio per
la Palestina a Berlino di escludere i betarim dagli elenchi per i certificati di immigrazione. I revisionisti
risposero dando atto a una serie di zuffe ai meeting della ZVD, gridando: “Porci marxisti! Voi siete
simpatizzanti dell’Histadrut, che appartiene alla Seconda Internazionale!”303. Come risultato le sedi
della ZVD nel giugno 1934 vennero temporaneamente chiuse. Il 6 agosto uno dei leader dello SO, il
dottor Friedrich Stern, inviò una lettera ai nazisti spiegando che lo sviluppo del loro gruppo giovanile
anti-marxista, la Nationale Jugend Herzlia (Gioventù Nazionale Herzliana), era ostacolato dal blocco
dei certificati di emigrazione deciso dall’Ufficio per la Palestina, che era gestito da membri della ZVD
sostenitori dei filo-marxisti dell’Histadrut. Stern propose che la gestione dell’Ufficio per la Palestina
fosse assegnata alla propria fazione. La ZVD scoprì il complotto attraverso delle spie di HeChalutz tra
gli herzliani e i loro contatti con il regime e subito il progetto fallì 304. I nazisti presto capirono che se
avessero dato l’Ufficio per la Palestina agli statosionisti, la WZO non avrebbe più rilasciato alcun
certificato in Germania. Finchè i nazisti ebbero bisogno della WZO e delle donazioni ebraiche per
organizzare l’emigrazione, non poterono imporre un collaborazionista alla comunità ebraica. La
campagna di Kareski mise Jabotinsky in una posizione impossibile: mentre attaccava la WZO per
l’Ha’avara, il suo stesso movimento in Germania collaborava coi nazisti, ed egli presto dovette
annunciare che da allora in avanti “L’ala del sionismo che condivide le nostre vedute herzliane sa
anche che ‘marxista’ è una parola che non va mai usata nei dibattiti polemici”305.

302
Vidkun Quisling (1887 – 1945), fondatore nel 1933 del partito fascista norvegese, fu uno dei più famosi collaborazionisti,
mettendosi al servizio di Hitler e delle forze armate tedesche che all'inizio della Seconda guerra mondiale avevano occupato
la Norvegia. Nel corso del conflitto il termine "quisling" fu perciò usato per indicare i capi dei governi collaborazionisti con
i nazisti. Tale denominazione si adopera ancora oggi nei confronti dei governi che si mettono al servizio degli occupanti
stranieri. Al termine della guerra Quisling venne fatto prigioniero dal Fronte patriottico norvegese. Dopo un processo per
alto tradimento, venne condannato a morte e giustiziato il 24 ottobre 1945.
303
Palestine Post, 25 giugno 1934, p.1
304
Herbert Levine, A Jewish Collaborator in Nazi Germany. The strange career of Georg Kareski, 1933–1937, 1975
305
Jewish Daily Bulletin, 11 aprile 1935, p.2
84
I nazisti avevano optato per una linea generale che favoriva i sionisti rispetto ai non sionisti, e
entro quel campo decisero per il sostegno aperto agli stato-sionisti senza sopprimere i “marxisti” della
ZVD. Il 13 aprile 1935 la Gestapo inviò alle polizie locali l’indicazione che da allora innanzi gli stato-
sionisti avrebbero ricevuto:

…eccezionalmente, e sempre provvisoriamente, il permesso per i loro membri della


Gioventù Nazionale Herzliana e di Brit Hashomrim di indossare le loro uniformi in luoghi
chiusi…poiché gli stato-sionisti hanno provato di essere un’organizzazione che ha tentato
in ogni modo, anche illegalmente, a portare i suoi membri in Palestina e che, per la sua
sincera attività dedita all’emigrazione, va incontro in parte ai piani del governo del Reich di
rimuovere gli ebrei dalla Germania. Il permesso di indossare un'uniforme dovrebbe
spingere i membri delle organizzazione ebraico-tedesche a unirsi ai gruppi giovanili degli
stato-sionisti, dove sarebbero maggiormente invogliati a emigrare in Palestina306.

Nonostante le relazioni tra gli stato-sionisti e la Gestapo, Kareski fu ancora il benvenuto al


Congresso della NZO a Vienna nel 1935. Quando i revisionisti avevano deciso di sostenere il
boicottaggio anti-nazista, avevano ufficialmente sciolto la loro sezione tedesca nel tentativo di
proteggerla; era ovvio che Kareski fosse al congresso su istigazione della Gestapo per fare lobby
contro il boicottaggio. I partecipanti volevano prendere le distanze dagli stato-sionisti e presentarono
una risoluzione per cui, date le circostanze, non vi era e non poteva esservi un movimento revisionista
in Germania307. Kareski commise l’errore di recarsi al successivo congresso del Betar a Cracovia in
compagnia di un noto agente ebreo della Gestapo, e alcuni betarim tedeschi avvisarono Jabotinsky 308.
Fu chiesto a Kareski di lasciare il congresso, e Jabotinsky si sentì in dovere di chiedergli di giustificarsi
pubblicamente e di negare qualsiasi legame coi nazisti309. Tuttavia più tardi, nel 1936, si servì di
Kareski come tramite con la casa editrice tedesca che deteneva il copyright di uno dei suoi libri.
Jabotinsky non si assunse altre responsabilità nei confronti di Kareski dopo Cracovia, ma finchè
rimase in Germania quest’ultimo restò in contatto con la minoranza del movimento revisionista,
soprattutto con il gruppo di von Weisl a Vienna, che continuava ad approvare la sua linea filo-nazista.

“I sionisti, al pari delle Leggi Razziali, ci hanno dato formali garanzie”

I continui fallimenti di Kareski nel cercare di avvicinare alle proprie posizioni gli ebrei tedeschi
non scoraggiò mai i nazisti dal tentativo di imporlo alla comunità. Alla fine del 1935 lo misero a capo
del Reichsverband judischer Kulturbunde (Società delle Unioni Culturali Ebraiche). Queste unioni
culturali erano state istituite per trovare lavoro a musicisti, scrittrori e artisti ebrei che erano stati
esclusi dalle loro posizioni, e la Gestapo aveva deciso che un genuino spirito sionista avrebbe
arrecato loro del bene310. Benno Cohen della ZVD fu nominato assistente del loro presidente, il
direttore d’orchestra Kurt Singer, ma ciò non bastava: i membri erano ancora culturalmente
assimilazionisti, e nell’ottobre 1935 Kareski, che non aveva niente a che fare con l’arte, fu nominato in
un ruolo più importante di quello di Singer, mentre Cohen venne rimosso. Singer disse ai nazisti che si
sarebbe ritirato piuttosto che lavorare con Kareski, e le Unioni vennero chiuse nel tentativo di
costringerle ad accettare quest’ultimo. Il rifiuto degli ebrei di subire le scelte naziste destò l’interesse
della stampa del regime, e Hans Hinkel, il burocrate che si occupava delle Unioni Culturali, spiegò
pubblicamente la sua scelta di un nuovo direttore.

Ho consapevolmente permesso al movimento sionista di esercitare la massima influenza


sull’attività culturale e spirituale delle Unioni perché i sionisti, come le Leggi Razziali, ci
hanno dato formali garanzie di cooperazione in un modo per noi accettabile.

306
Kurt Grossmann, Zionists and Non-Zionists under Nazi Rule in the 1930s, 1965
307
Intervista a Shmuel Merlin, 16 settembre 1980
308
Intervista a Paul Riebenfeld, 17 settembre 1978
309
Congress Bulletin, 24 gennaio 1936, p. 4
310
Herbert Levine, A Jewish Collaborator in Nazi Germany. The strange career of Georg Kareski, 1933–1937, 1975

85
I sionisti cui Hinkel faceva riferimento erano gli stato-sionisti, all’epoca ancor meno popolari che
nel 1931; realisticamente essi contavano pochi membri anziani e circa 500 giovani311. Tuttavia i nazisti
diedero molto spazio a Kareski nella loro propaganda. In quanto ex capo della comunità ebraica di
Berlino, capo degli stato-sionisti, e ora capo delle Unioni Culturali, sembrava una figura notevole. Der
Angriff lo intervistò il 23 dicembre:

Per anni ho considerato la completa separazione tra le attività culturali dei due popoli
come una condizione per una pacifica collaborazione…fondata sul rispetto per la
nazionalità altrui…Le Leggi di Norimberga…mi sembrano, a parte le loro specifiche
disposizioni legali, perfettamente conformi a questo desiderio di una vita separata, basata
sul reciproco rispetto. E’ specialmente così quando si mette in conto la separazione di
sistemi scolastici istituiti in precedenza. Le scuole ebraiche soddisfano una vecchia
esigenza dei miei amici, in quanto essi ritengono che l’educazione dell’ebreo secondo le
sue tradizioni e modi di vita è qualcosa di assolutamente fondamentale312.

Comunque, le Unioni culturali erano troppo importanti per i nazisti come modelli di segregazione
culturale per essere abbandonate a causa di Kareski, e alla fine i nazisti lasciarono che venissero
riorganizzate senza di lui. Nel 1937, Kareski e la Gestapo si prepararono a un’altra operazione.
Questa volta il loro obiettivo fu il Reichsvertretung der deutschen Juden (Rappresentanza al Reich
degli Ebrei tedeschi). Kareski formò un’alleanza con degli assimilazionisti conservatori scontenti della
comunità ebraica, e loro presentarono un programma in cui gli stato-sionisti avrebbero guidato il
lavoro politico dell’organizzazione e le congregazioni religiose si sarebbero occupate delle attività
assistenziali. Max Nussbaum, rabbino della Grande Congregazione Ebraica di Berlino, in seguito
raccontò delle pressioni naziste in favore della linea revisionista. Il Commissario agli Affari Ebraici
della Gestapo, Kuchmann, si mise in testa di diventare un esperto della questione ebraica, e lesse tutti
i libri inerenti l’ebraismo moderno. Determinato a svolgere nel modo migliore il suo incarico, egli
convocò Nussbaum.

Alla fine dei suoi impegnativi studi, improvvisamente si innamorò del revisionismo,
dicendo a noi, che avevamo la sfortuna di essere convocati nel suo ufficio, che quella era
la sola soluzione del problema della Palestina e criticando costantemente il sionismo
ufficiale per il suo essere “rosso” e “di sinistra”. Un giorno nella primavera del 1937 mi
chiamò nel suo ufficio e mi disse bruscamente che dovevo assumere la guida del gruppo
revisionista, dovevo rendere il revisionismo più popolare presso gli ebrei tedeschi,
abbandonare la mia propaganda per i sionisti di Meinecke Strasse (la ZVD)…Quando io
rifiutai…mi punì proibendomi di tenere discorsi e scrivere per un anno313.

Ancora una volta il tentativo fallì; gli ebrei all’estero non erano disposti ad accettare
un’organizzazione centrale degli ebrei tedeschi diretta da un traditore, e i nazisti rinunciarono. Come
premio di consolazione nella primavera del 1937 i nazisti fecero della SO l’unico rappresentante degli
ebrei autorizzato a negoziare con gli enti di salute pubblica tedeschi314.
Kareski diventò definitivamente inutile per i nazisti nel luglio del 1937, quando emerse uno
scandalo riguardante la sua Iwria Bank. Egli aveva fatto prestiti irregolari a membri del board della
banca e a suoi amici personali, e provò a garantirsi con un assegno sul conto della comunità ebraica
di Berlino, facendolo accettare a uno dei suoi dipendenti sebbene avesse soltanto la sua firma, il che
era una violazione dei requisiti richiesti. Il cassiere incassò l’assegno con riserva, e avvisò la comunità
berlinese. Non c’è prova che Kareski abbia ottenuto un profitto personale dalle sue manovre (usò i
prestiti come prebende per procacciarsi alleati nella comunità ebraica) ma alla fine la banca fallì e
Kareski decise di recarsi in Palestina315.
Il viaggio non fu un successo. Il 6 ottobre la comunità ebraica tedesca ad Haifa scoprì che egli
era laggiù e una gran folla si riunì per accoglierlo, inseguendolo per le strade. Alla fine dovette
barricarsi dentro una casa e attendere di essere soccorso dalla polizia 316. L’Associazione degli

311
Solomon Colodner, Jewish Education under the Nazis, 1964
312
Riportato in Jewish Chronicle, 3 febbraio 1936, p. 16
313
Congress Weekly, 11 settembre 1942, p.13
314
Palestine Post, 5 settembre 1937, p. 5
315
Leonard Baker, Days of Sorrow and Pain, 1978
316
Palestine Post, 7 ottobre 1937, p. 3
86
emigrati tedeschi (Hitahdut Olei Germanyah, HOG) lo accusò pubblicamente di aver cercato di
acquisire la leadership dell’ebraismo tedesco con l’aiuto dei nazisti, di aver istigato all’uccisione del
presidente della ZVD, di aver provato a distruggere l’organizzazione sionista, e di bancarotta. Kareski
commise l’errore di respingere le accuse e di chiedere un processo presso un tribunale rabbinico. Nel
giugno 1938 il tribunale, presieduto da un rabbino capo, riconobbe come pienamente confermate le
accuse dell’HOG. Quella decisione di fatto interruppe la carriera politica di Kareski.

“Una Legione Ebraica per proteggere gli ebrei in Palestina dagli attacchi”

Nonostante la presa di distanza di Jabotinsky, Kareski ebbe sempre dei sostenitori nel
movimento revisionista. Vi era sempre stato chi non condivideva l’anti-nazismo di Jabotinsky. Se era
stato possibile per Jabotinsky provare ad accordarsi con Simon Petljura, tramite Slavinsky, quando
l’armata ucraina aveva già macellato 30.000 ebrei, perché un accordo con Hitler era inaccettabile?
Prima della Notte dei Cristalli Hitler non aveva ucciso nessun ebreo in quanto tale. Questi revisionisti
erano convinti che la vittoria di Hitler avesse aperto un’epoca fascista e che gli ebrei dovessero
solamente accettare la realtà e adattarsi ad essa. Il gruppo intorno a von Weisl, che era il negoziatore
di Jabotinsky con le dittature dell’Europa orientale, concordava con le vedute di Kareski. Nel 1936 von
Weisl, apparentemente di sua iniziativa, contattò i fascisti inglesi e propose una fantasiosa alleanza
militare tra Inghilterra, Giappone, Polonia e Germania, insieme a un futuro stato revisionista, contro i
sovietici, gli arabi e le rivoluzioni anticoloniali asiatiche317.
Sarebbe piacevole poter dire che la decisione della corte rabbinica mise definitivamente fine
alla carriera politica di Kareski, e che questi morì solo e malvoluto. Invece, il 2 agosto 1947, a 68 anni,
egli divenne direttore del Revisionist Healt Fund in Palestina. Alcuni amici provarono anche a fargli
intitolare una strada a Ramat Gan318. Ancor oggi Kareski ha dei sostenitori, i quali suggeriscono che,
essendo gli ebrei stati abbandonati dal resto del mondo, con la vittoria di Hitler l’unica soluzione era
una rapida emigrazione.
Kareski, un tipico revisionista, sebbene di un’ala estremista, fu un traditore della comunità
ebraica tedesca. La sua visione prevedeva uno stato revisionista esteso dal Mediterraneo all’Eufrate,
con Mussolini come mandatario. Di certo egli non previde l’Olocausto. Nel 1935 aveva proposto un
piano di evacuazione dalla Germania nell'arco di 25 anni, con 20.000 emigranti all’anno. La sua idea
era di utilizzare la Gioventù Herzliana come “una Legione Ebraica per proteggere gli ebrei in Palestina
dagli attacchi”319 (sottolineatura mia).
Non è sorprendente che i nazisti abbiano usato Kareski come collaboratore in Germania. Il suo
rivale tra gli assimilazionisti, Max Naumann, era totalmente inadeguato poiché insisteva per la piena
partecipazione degli ebrei al Terzo Reich. Kareski ai nazisti sembrò uscito da un’agenzia di casting
cinematografico: una caricatura dell’ebreo da palcoscenico, del gobbo usuraio, zelante quanto un
rabbino medievale nel tenere gli ebrei al di fuori dal mondo dei miscredenti, e a capo di un movimento
emigrazionista che vestiva la camicia bruna.

317
Herbert Levine, A Jewish Collaborator in Nazi Germany. The strange career of Georg Kareski, 1933–1937, 1975
318
ibidem
319
Chicago Jewish Chronicle, 15 novembre 1935, p. 9
87
13. LA SELEZIONE DEL POPOLO ELETTO:
LA DOTTRINA DELLA “CRUDELTA’ SIONISTA”

Le statistiche sull’emigrazione ebraica dalla Germania variano a seconda delle fonti, ma a


grandi linee coincidono. Herbert Strauss, per esempio, stima che complessivamente 270.000 –
300.000 ebrei lasciarono il paese, di cui 30.000 perirono nei paesi di arrivo 320. Yehuda Bauer scrive
che tra il 1933 e il 1938 vi furono 44.537 emigranti in Palestina da Germania e Austria, circa il 20% di
tutti gli emigranti ebrei321. L’Encyclopedia Judaica scrive che 55.000 ebrei tedeschi andarono in
Palestina fino al 1939. Fawzi Abu-Diab riporta solo 39.131 emigrati tedeschi tra il 1919 e il 1945, ma
un numero così basso non tiene conto delle categorie “viaggiatori autorizzati”, “apolidi” e “non
specificati” presenti negli elenchi del Mandato e dell’Agenzia Ebraica, molti dei quali in quegli anni
vivevano in Germania322. Per fare un confronto, l’Encyclopedia Judaica stima che 63.000 emigranti
andarono negli Stati Uniti, 40.000 in Inghilterra, 30.000 in Francia, 25.000 in Belgio e 25.000 in
Argentina. La colonia internazionale di Shanghai accolse circa 16.000 ebrei tra il 1938 e il 1941, e il
Sud Africa 5.000.
Furono gli inglesi, e non i sionisti, a stabilire le quote dell'immigrazione verso la Palestina,
combinando insieme una serie di considerazioni politiche: per esempio la stima della reazione degli
arabi, e valutazioni abbastanza oggettive della capacità di assorbimento dell’economia ebraica. Ogni
anno veniva fissata una quota, e i preziosi certificati di immigrazione erano assegnati alla WZO. Vi
furono sempre criteri politici per selezionare gli aspiranti immigrati. I comunisti furono sempre esclusi e
il 6% dei certificati andavano di fisso agli antisionisti di Agudas, ma chi deteneva un capitale di 1.000
sterline o più era sempre ammesso come fuoriquota. Fino alla rivolta araba del 1936, che spinse
l’autorità mandataria a diminuire drasticamente l’immigrazione, l’Agenzia Ebraica non contestò mai
seriamente Londra per la selezione dei candidati o sui criteri economici che vi sottendevano.
La stessa politica migratoria della WZO si era evoluta lentamente. Prima della Prima guerra
mondiale, la maggior parte degli immigrati provenivano dalla Russia, ma la rivoluzione bolscevica d’un
tratto prosciugò quella fonte; nel primo dopoguerra fu la Polonia a fornire il maggior numero di coloni.
La linea antisemita dei nazional-democratici (Endek) del governo polacco spinse migliaia di artigiani e
ebrei di classe medio-bassa a scegliere l’emigrazione. Non potendo più andare in America a causa
delle nuove restrizioni all’immigrazione in quel paese, si diressero in Palestina e il loro flusso di
capitale presto produsse un boom della vendita di terreni, tanto che nelle piazze dei mercati di
Varsavia si compravano lotti di terreno di Tel Aviv. Il Jewish National Fund (JNF), che organizzava le
colonie agricole della WZO, fu anche costretto a pagare prezzi esorbitanti per ottenere terreni di sua
proprietà. Tel Aviv dunque si allargò a causa della nuova immigrazione, soprattutto per quella dei
lavoratori autonomi polacchi: il vecchio patriarca con famiglia allargata e alcuni telai a mano. Così gli
ebrei polacchi risolvevano i loro problemi, ma i loro piccoli nuclei non potevano diventare la base di
un’economia sionista consolidata, cosa fondamentale per strappare il paese agli arabi. Alla fine la
bolla dell'acquisto di terre scoppiò, portando alla rovina di molti piccoli negozianti e a una vasta
disoccupazione nelle imprese edili; sebbene il crollo dei prezzi ora fosse un vantaggio per il JNF, esso
ora ebbe a che fare con le necessità dei disoccupati.
Quell’esperienza produsse drastici cambiamenti di linea: fu deciso che non si potevano
affrontare i costi sociali di un’immigrazione piccolo-borghese. Sin dall’inizio del 1924 Weizmann iniziò
a criticare i nuovi coloni, che secondo lui si portavano dietro “l’atmosfera del ghetto” e ammonì che
“non stiamo costruendo la nostra Casa Nazionale sul modello di Djika e Nalevki 323…qui siamo a casa
e stiamo costruendo qualcosa di eterno”324.
Fu la politica “anti-Nalevki” che distolse il sionismo dalle masse degli ebrei ordinari, che per lo
più non erano sionisti, e anche da molti settori del movimento sionista nella diaspora. Questi ebrei non
avevano i requisiti e le risorse necessarie alla Palestina, e da allora in poi il sionismo non si occupò
più di loro; gli immigrati sarebbero stati accuratamente selezionati a seconda delle esigenze di Sion.
320
Herbert A. Strauss, Jewish Emigration from Germany - Nazi Policies and Jewish Responses, 1980
321
Yehuda Bauer, My brother's keeper; a history of the American Jewish Joint Distribution Committee, 1974
322
Fawzi Abu-Diab, Immigration to Israel: A Threat to Peace in the Middle East, 1960
323
Due vie del ghetto di Varsavia.
324
Chaim Weizmann, Trial and Error, 1949
88
Nella stessa Palestina la WZO decise di incoraggiare i disoccupati a ritornare indietro, per non dover
spendere nei sussidi di disoccupazione325. Si iniziò a mostrare forte preferenza per i kibbutzim
collettivisti di tendenza sionista laburista e si formò un'alleanza tra i seguaci di Weizmann, che pur
essendo borghesi stavano cercando in ogni modo di tagliare i costi della colonizzazione, e quelli “di
sinistra” che avevano la concezione di una generazione di ebrei “sani”, non più dediti alle occupazioni
della diaspora, intenti a costruire un paese socialista sul proprio territorio. I giovani pionieri avevano
voltato le spalle ai privilegi delle loro famiglie medio-borghesi e avrebbero sopportato grandi privazioni
economiche per il bene della causa. Il sionismo divenne un’utopia concreta che risollevava l’immagine
dell’ebreo, ma non cercava di risolvere i problemi delle masse ebraiche in Europa.

“I crudeli criteri del sionismo”

La settimana di terrore scatenato contro gli ebrei dalla vittoria nazista alle elezioni del marzo
1933 aveva portato migliaia di persone nelle strade e davanti all’Ufficio per la Palestina a Berlino, ma
non vi era ancora alcun desiderio spontaneo di trasformare la Palestina in un vero rifugio.
L’emigrazione doveva continuare a servire gli interessi del sionismo. Solo i giovani, sani, qualificati e
attivi sionisti erano richiesti. Gli HeChalutz (Pionieri) tedeschi dichiararono che l’emigrazione in
Palestina senza restrizioni era un “crimine sionista”326. Enzo Sereni, allora emissario sionista laburista
in Germania, espose i loro criteri:

Anche in questo periodo di difficoltà dobbiamo assegnare la maggior parte dei 1.000
certificati di immigrazione ai pionieri. Ciò può sembrare crudele, ma anche se gli inglesi ci
garantissero 10.000 certificati anziché i 1.000 che ci danno ora, diremmo ancora:
“Lasciate partire i giovani perché, anche se soffrono meno degli anziani, sono più adatti
alle esigenze in Palestina. I figli possono successivamente far venire i genitori, ma non il
contrario327.

Weizmann si occupò soprattutto di emigrazione dalla Germania tra il 1933 e la sua rielezione
alla presidenza della WZO nel 1935. Un suo rapporto del gennaio 1934 elenca alcuni degli standard
utilizzati per scegliere i possibili emigranti. Coloro che erano “over 30, e non hanno un capitale né
specifiche qualifiche non possono essere accolti in Palestina a meno che si trovino specifiche
opportunità per il lavoro da essi svolto in Germania”328. Il 26 aprile egli escluse specificamente alcune
importanti categorie dalla possibilità di diventare emigranti: “ex uomini d’affari, agenti commerciali,
artisti, musicisti in questa fase difficilmente potranno ottenere dei certificati”329. La maggior parte degli
ebrei tedeschi in Palestina non erano accetti: o erano troppo vecchi, o le loro attività non servivano ai
bisogni del paese, o non parlavano ebraico o non erano ideologicamente schierati. Con loro la
leadership sionista fu piuttosto chiara su ciò che andava facendo. Nel 1933 Berl Katznelson, che
allora era l’editore del quotidiano dell’Histadrut, Davar, chiarì la mentalità dell'organizzazione:
“Sappiamo di non poter trasferire tutti gli ebrei tedeschi e dovremo scegliere sulla base dei crudeli
criteri del sionismo”. Nel 1935 Moshe Sharett dichiarò a sua volta che le circostanze li obbligavano a
trattare con la diaspora con un criterio crudele 330. Lo studioso israeliano Abraham Margaliot ha
riportato un discorso tenuto da Weizmann all’Esecutivo Sionista del 1935:

Dichiarò che il movimento sionista avrebbe dovuto scegliere tra il soccorso immediato
agli ebrei e la realizzazione di un progetto nazionale che avrebbe assicurato la redenzione
definitiva per il popolo ebraico. Date le circostanze il movimento, secondo Weizmann,
doveva scegliere la seconda opzione331.

Gli inglesi stabilirono quanti e quali categorie economiche di ebrei potevano entrare anno per
anno, e in ciò tennero conto delle pressioni degli arabi, contrari a ogni immigrazione, degli interventi
325
Walter Laqueur, A History of Zionism, 1972
326
Abraham Margaliot, The problem of the rescue of German Jewry during the years 1933-1939, 1974
327
Ruth Bondy, The Emissary: A Life of Enzo Sereni, 1973
328
New Palestine, 31 gennaio 1934, p. 6
329
The Letters and Papers of Chaim Weizmann, vol XVI, p. 279
330
Abraham Margaliot, The problem of the rescue of German Jewry during the years 1933-1939, 1974
331
ibidem
89
diplomatici di Polonia, Romania e altri regimi antisemiti nell’Europa orientale, favorevoli all’aumento
delle quote, e delle condizioni economiche della Palestina. Tuttavia, gli inglesi non richiesero mai ad
alcuno la conoscenza dalla lingua ebraica, né importava loro se un aspirante immigrato non era
sionista. Né si preoccuparono della provenienza degli immigrati; Londra sarebbe stata contenta se la
WZO avesse scelto meno americani e più tedeschi.
Data la situazione politica nel Mandato, l’emigrazione sionista non poteva essere la via d’uscita
per tutti gli ebrei tedeschi ma, all’interno dei canoni imposti dagli inglesi, i sionisti non diedero mai la
priorità al salvataggio degli ebrei tedeschi.
A chi, allora, erano assegnati i certificati dai quattordici Uffici per la Palestina distribuiti nel
mondo? Secondo le statistiche di Abu-Diab, 27.289 ebrei entrarono in Palestina come immigrati legali
nel 1933; 36.619 nel 1934; e 55.407 nel 1935, portando il totale a 119.315 nei tre anni. Di questi,
18.206 furono registrati come tedeschi332. Altri immigrati residenti in Germania furono registrati come
polacchi e appartenenti ad altre nazionalità. Nel 1935 questi erano 1.979 333. Durante questi tre anni la
maggiore componente nazionale dell’emigrazione ebraica fu quella polacca, il 42,56% nel 1934 e il
44,12% nel 1935334. L’antisemitismo in Polonia fu una costante durante quegli anni, e la decisione di
dare ai polacchi più certificati che ai tedeschi è comprensibile; ma durante gli stessi anni non meno di
3.743 migranti venivano dagli Stati Uniti e altri 579 dal resto dell’area occidentale. La quota di
immigrati inglesi fu di 513, e dall’Africa ne arrivarono 213335. Dalla Turchia ne arrivarono 1.259 nel
1934-35. L’insieme di Inghilterra, area occidentale e Turchia in quei tre anni ammonta a 6.307. Se i
dati della Polonia possono essere giustificati, questi ultimi invece no. Nessuno di questi ebrei aveva
bisogno di un soccorso e, inoltre, nessuno addusse il bisogno di aiuto come criterio di selezione. Essi
vennero scelti perché erano sionisti, e in primo luogo per la loro età e addestramento. Durante il
medesimo periodo, due terzi delle richieste di certificati fatte dagli ebrei tedeschi furono respinte336.

“Nessuna organizzazione ebraica...sosterrà una legge...”

E' legittimo supporre che il movimento sionista, dal momento che non voleva tutti gli ebrei
tedeschi in Palestina, abbia provato a trovare altri luoghi di destinazione per gli emigranti, almeno in
America: ma non fu così. In tutto il mondo la borghesia ebraica si mosse timidamente, per timore che
troppi rifugiati nei vari paesi avrebbero suscitato nuovo antisemitismo. Inviare i rifugiati in Palestina
sembrava la risposta ideale, e la stampa ebraica americana criticò le restrizioni inglesi
all’immigrazione in Palestina, mentre mantenne un discreto silenzio sulle medesime restrizioni verso
l’America.
Fu l’Anschluss austriaca del marzo 1938 che scatenò la violenza nazista contro gli ebrei. Due
deputati democratici, Dickstein e Celler di New York, fecero proposte di misure per liberalizzare
ampiamente le leggi sull’immigrazione, ma furono entrambe bocciate, senza audizione, nell’aprile
1938, dopo che le agenzie per i rifugiati ebbero valutato che la destra avrebbe sfruttato l’occasione
per proporre restrizioni ancora peggiori. La voce arrivò ai politici: se vi fossero state delle audizioni, le
agenzie si sarebbero pronunciate contro le proposte337. Un organismo del Partito Comunista, il Jewish
People Committee, ottenne una copia di una delle lettere di Stephen Wise, che scriveva a nome delle
agenzie ebraiche dei rifugiati, tramite un funzionario democratico di Brooklyn, Donald O’Toole. I
comunisti pubblicarono il documento in un opuscolo intitolato Jews in Action, nel tentativo di screditare
il loro rivale sionista filo-inglese proprio mentre veniva stipulato il patto Hitler-Stalin. Non c’è dubbio
che la lettera è autentica, e fornisce una chiara indicazione della condotta del movimento sionista.

Vorrei poter pensare queste misure sarebbero approvate senza ripercussioni per la
comunità ebraica di questo paese. Sfortunatamente, ho tutte le ragioni per credere che
ogni sforzo compiuto in questa fase per abolire le leggi sull’immigrazione, sebbene per
scopi umanitari, porterebbe a un aumento dell’ondata di sentimento antisemita nel
paese…Vi interesserà sapere che alcune settimane fa i rappresentanti di tutte le principali
organizzazioni ebraiche si sono riunite per discutere la proposta del Presidente e altre
332
Fawzi Abu-Diab, Immigration to Israel: A Threat to Peace in the Middle East, 1960
333
American Jewish Yearbook, 1936 – 37, p. 585
334
ibidem
335
Fawzi Abu-Diab, Immigration to Israel: A Threat to Peace in the Middle East, 1960
336
Abraham Margaliot, The problem of the rescue of German Jewry during the years 1933-1939, 1974
337
David Wyman, Paper walls: America and the refugee crisis, 1938-1941, 1968
90
proposte fatte per abolire le leggi sull’immigrazione. Si è convenuto che allo stato attuale,
alla luce della disoccupazione che grava sul paese e della propaganda diretta contro il
popolo ebraico, e diffusa in tutto il paese, tali proposte danneggerebbero gli scopi ai quali
tutti noi intendiamo lavorare. Per tale ragione è stato deciso che per ora nessuna
organizzazione ebraica per il momento sosterrà una legge che alteri in qualsiasi modo le
attuali leggi sull’immigrazione338.

I sionisti americani avrebbero potuto fare di più per trovare un rifugio agli ebrei tedeschi? La
risposta è ovviamente sì. Le leggi sull’immigrazione risalivano agli anni 1921 – 24, durante un’ondata
di xenofobia, e praticamente furono varate per escludere chiunque non facesse parte del vecchio
blocco dei coloni inglesi, irlandesi e tedeschi. Ciò significava una quota relativamente alta di tedeschi,
ma i reazionari al Dipartimento di Stato e nel Partito Democratico interpretarono a loro modo le regole
per creare ostacoli agli ebrei che potevano usufruire della ripartizione. Se vi fosse stato uno sforzo
deciso per mobilitare le masse ebraiche, e la più ampia comunità liberale, non c’è dubbio che
Roosevelt non avrebbe potuto ignorare la pressione. Gli ebrei e i liberali erano troppo importanti nel
suo partito per essere contrariati, se avessero chiesto un vero intervento sulle restrizioni
all’immigrazione. Tuttavia i sionisti non lanciarono mai una tale campagna, e lavorarono sempre sui
casi individuali; nessuna organizzazione sionista fece più che chiedere piccoli aggiustamenti alle leggi
sull’immigrazione. Solo la sinistra, in particolare i trotzkisti e gli stalinisti, chiesero sempre che le porte
per gli ebrei restassero sempre aperte.
Alcune ragioni spiegano la risposta dei sionisti americani al problema dei rifugiati. Nei primi anni
’20 essi non avevano mai pensato di organizzare gli ebrei, insieme alle altre minoranze etniche
discriminate dalle proposte di restrizione, in una lotta contro questi limiti. Essi sapevano che finchè
l’America fosse stata aperta all’immigrazione, gli ebrei avrebbero continuato a voltare le spalle alla
povera Palestina. Negli anni ’30 molti sionisti americani erano convinti che il diritto d’asilo in un paese
che non fosse la Palestina offrisse poco più che un “nachtasylum” (cioè un palliativo o peggio un
pericolo, dal momento che credevano che gli immigrati ebrei viaggiassero con l’antisemitismo nella
valigia). L’antisemitismo era abbastanza diffuso in America in quel periodo, benché ovviamente il
movimento sionista non cercò mai di organizzare un’autodifesa dagli attacchi agli ebrei. Comunque
bisogna sottolineare che l’antisemitismo in America non andò mai oltre certi limiti e la comunità
ebraica come tale non fu mai in pericolo. Nessun ebreo restò mai ucciso in episodi antisemiti, in
un’epoca in cui il linciaggio dei neri era frequente negli stati del sud. Inoltre, la grande maggioranza
dei sionisti, e anche degli ebrei, appoggiavano le riforme di politica interna di Roosevelt e temevano
che sollevando la questione dei rifugiati e dell’immigrazione avrebbero arrecato danno al Partito
Democratico. L’appoggio all’insediamento in Palestina di alcuni ebrei tedeschi divenne una
conveniente alternativa allo sforzo sincero per combattere l’antisemitismo nel cuore del capitalismo
americano.

“Stiamo mettendo a rischio l’esistenza del sionismo”

La Palestina avrebbe mai potuto essere la soluzione al problema dei rifugiati? Con il rapporto
della Commissione Peel nel luglio 1937, Londra aveva seriamente ipotizzato la creazione di un piccolo
stato ebraico, ma anche se gli inglesi avessero portato a compimento tale progetto, ciò non avrebbe
risolto la loro disperata situazione. E la WZO non pretendeva tanto. Weizmann depose davanti alla
Commissione, dicendo che lui era uno scienziato; sapeva che la Palestina, con la sua economia
arretrata, non avrebbe potuto sostenere tutti gli ebrei dell’Europa centrale e orientale. Egli si
accontentava di due milioni di giovani, e della propria deposizione parlò poi al Congresso Sionista del
1937:

I vecchi periranno; affronteranno il loro destino, oppure no. Essi sono polvere, polvere da
un punto di vista economico e morale, in un mondo crudele…Due milioni, e forse meno;
“Scheerith Hapleta” (solo una parte sopravviverà). Bisogna accettarlo. Gli altri devono fare
largo ai giovani. Se capiscono, e sopportano, saranno ricompensati, “Beacharith Hajamin”
(alla fine dei tempi)339.

338
Jews in Action – Five Years of the Jewish People Committee, opuscolo, 1941
339
Discorso al XX Congresso Sionista, New Judaea, agosto 1937, p. 215
91
Con l’abbandono dei propositi di Peel, il sionismo cessò di avere rilevanza per gli ebrei in
Europa. Gli inglesi avevano limitato l’immigrazione nel tentativo di placare gli arabi, e solo 61.302
ebrei poterono entrare in Palestina tra il 1936 e il 1939; la WZO ne lasciò entrare solo 17.421 dalla
Germania. Comunque neanche il terribile pericolo che minacciava gli ebrei dell’Europa centrale, né
l’abbandono da parte dell’imperialismo inglese poterono scuotere la determinazione dei leader della
WZO: in nessun caso il sionismo venne scalfito, mentre si svolgeva una corsa frenetica per trovare un
rifugio agli ebrei disperati. Quando, dopo la Notte dei Cristalli, gli inglesi, nell’intento di alleviare la
pressione dall’imigrazione in Palestina, proposero che migliaia di minori fossero direttamente accolti in
Inghilterra, Ben-Gurion fu assolutamente contrario al progetto, e disse a un incontro di dirigenti sionisti
laburisti il 7 dicembre 1938:

Se io sapessi che è possibile salvare tutti i bambini in Germania portandoli in Inghilterra,


e solo metà di loro portandoli in Eretz Israel, allora opterei per la seconda alternativa.
Poiché dobbiamo tener conto non solo della vita di questi bambini, ma anche della storia
del popolo di Israele340.

La linea inglese era inflessibile: non c'era alcuna possibilità che Londra improvvisamente aprisse
a un’immigrazione di massa in Palestina. Tuttavia Ben-Gurion insistette, rifiutando di prendere in
considerazione altre destinazioni. Il 17 dicembre 1938 ammonì l’esecutivo sionista:

Se gli ebrei dovranno scegliere tra i rifugiati, ovvero salvare gli ebrei dai campi di
concentramento, e istituire un “museo nazionale” in Palestina, la pietà avrà il sopravvento
e tutte le energie del nostro popolo saranno incanalate nel soccorso agli ebrei dei vari
paesi. Il sionismo verrà rimosso dall’agenda politica non solo nell’opinione pubblica
mondiale, in Inghilterra e Stati Uniti, ma anche nell’opinione pubblica ebraica. Se
permettiamo la separazione del problema dei profughi dal problema palestinese,
rischiamo l’esistenza del sionismo341.

La replica di Weizmann alla Notte dei Cristalli fu la proposta al Segretario alle Colonie inglese di
un piano per cui l’Iraq accogliesse 300.000 ebrei per 20 o 30 milioni di sterline oppure, meglio,
accogliesse 100.000 palestinesi “il cui territorio sarebbe passato agli immigrati ebrei”342. Per usare le
sue stesse parole a proposito dei negoziati di Herzl con von Plehve del 1903: “L’impossibile non può
avere luogo”. Ovvero, che l’Iraq accogliesse 300.000 ebrei per fare un favore ai sionisti e agli inglesi, o
accogliesse i palestinesi per fare posto agli ebrei! L’Inghilterra aveva avallato il sionismo nella
Dichiarazione Balfour per propri scopi imperialistici; quegli scopi non erano più tali, e il sionismo non
poteva e non voleva cercare delle alternative per le masse ebraiche sull’orlo della distruzione.
E’ nell’ordine delle cose che oggi i sionisti se la prendano con gli inglesi, e tramite loro con gli
arabi, per il basso numero di rifugiati ammessi in Palestina negli anni ’30. Ma questo è un argomento
fine a se stesso; se i sionisti non furono mai interessati a fare della Palestina un vero luogo per i
rifugiati, perché ciò doveva essere compito degli inglesi o degli arabi? L’atteggiamento dei palestinesi
verso l’immigrazione ebraica nel proprio paese è facilmente comprensibile. Sebbene l’Inghilterra sia
da condannare per aver abbandonato gli ebrei d’Europa, non spetta farlo ai sionisti. Essi sapevano
molto bene che gli interessi imperialistici erano sempre stati dietro l’appoggio inglese al loro
movimento. La sinistra ripetè loro costantemente che gli interessi delle masse ebraiche e quelli
dell’Impero britannico non sarebbero mai stati conciliabili. La WZO deve essere considerata
responsabile di tradimento nei confronti degli ebrei tedeschi: voltò loro le spalle in nome di ciò che è
stato perfettamente definito come “una vetrina di Tiffany per ebrei illustri”343.

340
Yoav Gelber, Zionist Policy and the Fate of European Jewry, 2 voll., 1979 - 83
341
AA. VV. The Other Israel: the Radical Case against Zionism, 1972
342
Martin Gilbert, British Government Policy towards Jewish Refugees (november 1938 – september 1939), 1978
343
Ben Hecht, Perfidy, 1961
92
14. L’ORGANIZZAZIONE SIONISTA MONDIALE
E IL FASCISMO ITALIANO, 1933 – 1937

Nel 1933 Mussolini era ben considerato dai conservatori. Si pensava che egli fosse l’unico al
quale il suo selvaggio discepolo di Berlino desse ascolto, e i sionisti speravano che egli dicesse a
Hitler che danneggiando indebitamente gli ebrei avrebbe causato soltanto inutili problemi. Essi
speravano anche che Mussolini avrebbe acconsentito a unirsi a Londra e Parigi per impedire
l’occupazione dell’Austria da parte dei nazisti.
Nahum Sokolow, allora presidente della WZO, incontrò Mussolini il 16 febbraio del 1933.
Sokolow non era una personalità forte; era stato eletto nel 1931 soltanto per le dimissioni di
Weizmann (avvenute dopo aver perso un voto di fiducia sulla sua politica di accondiscendenza con
l’Inghilterra), e non fece richieste a Mussolini. Tuttavia, Mussolini espresse la propria “cordiale
simpatia” verso gli ebrei. Quando i nazisti annunciarono il loro boicottaggio anti-ebraico per il 1 aprile,
Mussolini mandò il proprio ambasciatore a incontrare Hitler il 31 marzo, per chiedergli di rinunciare.
All’incontro il Fuehrer colmò il Duce di complimenti ma disse di essere il massimo esperto di ebrei del
mondo e di non avere bisogno di alcuna lezione su come comportarsi con loro. Era colpa sua se i capi
marxisti erano ebrei? E, replicò, quali eccessi aveva perpetrato verso gli ebrei tanto da essere così
diffamato all’estero? No, i suoi ammiratori forse lo avrebbero ringraziato se avesse rinunciato al
boicottaggio, ma i suoi numerosi nemici l’avrebbero preso per un segno di debolezza. Hitler chiese
all’ambasciatore che al suo prossimo incontro col signor Mussolini:

Aggiunga questo: che io non so se tra due o trecento anni il mio nome sarà venerato in
Germania per quello che ho potuto fare per il mio popolo, ma di una cosa sono
assolutamente sicuro: che tra cinque o seicento anni, il nome di Hitler sarà glorificato
ovunque come quello di colui che una volte per tutte liberò il mondo dalla piaga del
giudaismo.344

Gli italiani, che erano preoccupati dei progetti tedeschi sull’Austria, erano relativamente in
buoni rapporti con gli inglesi e diedero a Londra un resoconto del colloquio con Hitler, ma non c’è
ragione di credere che Mussolini abbia riportato queste ignobili parole ai sionisti, né c’è l’evidenza che
la WZO abbia mai pensato di chiedere agli italiani informazioni sulle intenzioni di Hitler. Lo scopo della
WZO era portare Mussolini ad appoggiarla sulla Palestina, allearsi con gli inglesi sull’Austria e
negoziare coi nazisti per conto degli ebrei tedeschi. Vi era una vecchia tradizione nelle comunità
ebraiche dell’Europa orientale, quella dello shtadlin (il mediatore), il ricco ebreo che andava
dall’Hamàn locale e lo corrompeva affinchè ammansisse la folla. Ma Hitler non era il classico monarca
antisemita, come Petljura, e nessun ebreo fu mai ammesso in sua presenza. Sebbene il sionismo
abbia contrastato la tradizione degli shtadlin per la loro influenza sulle comunità ebraiche, la WZO
guardava a Mussolini come al proprio mediatore presso Hitler. Portare Mussolini a bisbigliare
nell’orecchio di Hitler era soltanto una nuova forma di shtadlinut.

“Il mio terzo e ultimo colloquio con Mussolini”


Nonostante la magniloquente profezia all’ambasciatore di Mussolini, Hitler era ben
consapevole della propria debolezza. All’inizio del 1933 l’opposizione all’aumento della persecuzione
degli ebrei, rappresentata dall’intervento di Mussolini e dalle richieste della borghesia tedesca,
preoccupata per le proprie attività di export negli Stati Uniti, lo spinsero a limitare il boicottaggio a una
giornata di intimidazioni verso gli ebrei. Mussolini interpretò questa cautela come segno che un modus
vivendi era possibile. Egli aveva provato ad aiutare gli ebrei; ora doveva fare altrettanto per Hitler.
Chiese ad Angelo Sacerdoti, rabbino capo di Roma, di metterlo in contatto con i vertici dell’ebraismo,

344
Daniel Carpi, Weizmann's Political Activity in Italy from 1923 to 1934, 1975

93
suggerendo che difficilmente Hitler avrebbe cambiato il proprio atteggiamento se non avesse prima
avuto garanzie dal mondo ebraico sulla fine delle manifestazioni contro di lui. Weizmann aveva già in
programma di venire a Roma il 26 aprile 1933, e il rabbino lo indicò come logico referente; dunque
l’incontro Weizmann – Mussolini fu rapidamente fissato.
La loro discussione è avvolta nell’oscurità. Nahum Goldmann, storico sodale di Weizmann, ha
affermato che tutte le questioni spinose “semplicemente vennero messe in disparte”345. Il resoconto
nell’autobiografia di Weizmann, Trial and Error, è inconsistente. Egli accennò a “il mio terzo e ultimo
colloquio con Mussolini”, e poi parlò invece del quarto346. Era mai possibile dimenticare un incontro nel
famoso ufficio di Mussolini? Un’udienza a Palazzo Venezia era nota come qualcosa di memorabile: il
suono di una campana all’apertura di una finestra e l'annuncio a gran voce che il dottore Weizmann
era giunto per vedere il duce; uno stuolo di soldati di scorta al piano superiore, e di nuovo l'annuncio;
ciò ebbe luogo quattro volte. Dopo aver atteso in una splendida sala di arte rinascimentale, Weizmann
fu annunciato da un ultimo lacchè ed entrò nel favoloso ufficio. Esso era enorme, lungo almeno 40-50
passi; in fondo al salone quasi vuoto stava Mussolini, solo, seduto a una piccola scrivania con
un’unica luce proveniente dalla lampada da tavolo.
Altri documenti, di fonte italiana e sionista, rivelano parte del contenuto del loro colloquio.
Mussolini fece la sua proposta, ovvero che i leader ebraici dichiarassero la loro intenzione di porre fine
alle manifestazioni e di negoziare con Hitler. Il duce aveva una sua idea antisemita degli ebrei come
un tutt’uno, e Weizmann dovette spiegare di non avere alcun controllo sui non-sionisti e anti-sionisti, e
neanche sul proprio stesso movimento che lo aveva spinto alle dimissioni da ogni incarico. Ora si
occupava dell’immigrazione degli ebrei tedeschi in Palestina e non voleva assumersi altri compiti. In
seguito, Weizmann sostenne di aver detto a Mussolini che lui non negoziava con “bestie selvagge”347.
Il silenzio sui contenuti dell’incontro ci impedisce di avere più informazioni, ma il 26 aprile era ancor
prima dell’accordo di maggio di Sam Cohen coi nazisti; anche se Weizmann fosse stato a conoscenza
delle trattative di Cohen a Berlino, difficilmente avrebbe potuto sposare un progetto ancora vago. Ma il
17 giugno, quando egli scrisse a Mussolini chiedendogli un altro incontro per luglio, Arlosoroff era
appena tornato in Palestina dopo i suoi colloqui coi nazisti a proposito dell’estensione dell’Ha’avara,
ed è ragionevole supporre che Weizmann volesse discutere la proposta di una partecipazione fascista
alla banca di liquidazione di Arlosoroff. Weizmann ora poteva provare agli italiani che la WZO era
disposta ad accordarsi con Hitler, anche se l’organizzazione non poteva ordinare a tutti gli ebrei di
cessare le manifestazioni.
Non c'è prova che dopo il colloquio di aprile Weizmann si sia rivolto ai leader ebrei del mondo,
ma rabbi Sacerdoti cercò di accondiscendere alle richieste di Mussolini. Il 10 luglio egli riportò al Duce
di avere incontrato cinque leader ebraici: il rabbino capo di Francia, il presidente dell’Alliance Israelite
Universelle, Neville Laski (capo dell’ufficio dei deputati ebrei inglesi), e Norman Bentwich e Victor
Jacobson della WZO. Essi avevano tutti concordato di porre fine alle manifestazioni se Hitler avesse
ripristinato i diritti degli ebrei348.

“Potrei mettere a vostra disposizione un intero team di chimici”

Benchè Weizmann volesse un incontro più urgente, il suo quarto colloquio con Mussolini non
potè essere fissato prima del 17 febbraio 1934. Grazie ai resoconti che egli fece agli inglesi e al
resoconto di Viktor Jacobson all’esecutivo sionista, oltre che a documenti italiani, il contenuto del
quarto incontro è pressoché noto nella sua interezza. Mussolini chiese a Weizmann se avesse
provato a intendersi con Hitler; questi, che attraverso il suo amico Sam Cohen aveva appena chiesto
di essere invitato a Berlino per discutere la proposta di banca di liquidazione, gli disse ancora che lui
non negoziava con le bestie selvagge349. Cambiarono argomento e arrivarono direttamente al nodo
della Palestina; Mussolini si dichiarò a favore dell’idea di partizione e di un piccolo stato sionista
indipendente, con la clausola che fosse autonomo dall’Inghilterra. Mussolini disse anche che avrebbe
aiutato i sionisti a istituire la propria nuova marina mercantile, sebbene sia dubbio che Weizmann
sapesse dei piani revisionisti della scuola di Civitavecchia.
345
Nahum Goldmann, Autobiography, 1969
346
Chaim Weizmann, Trial and Error, 1949
347
Daniel Carpi, Weizmann's Political Activity in Italy from 1923 to 1934, 1975
348
Meir Michaelis, Mussolini and the Jews, 1978 (tr.it. Mussolini e la politica ebraica)
349
Daniel Carpi, Weizmann's Political Activity in Italy from 1923 to 1934, 1975

94
Weizmann era un politico e sapeva di dover dare per prendere. La sua piuttosto irrealistica
autobiografia dice che Mussolini “parlò a ruota libera di un’intesa Roma – Parigi – Londra che, disse,
era la soluzione logica per l’Italia. Egli parlò anche dell’industria chimica, e del bisogno italiano di
farmaci, che noi avremmo potuto produrre in Palestina”350.
Weizmann scrisse queste parole nel 1947; dopo la guerra il presidente della WZO poteva
ammettere a fatica di essersi offerto di costruire un’industria farmaceutica nell’Italia fascista, ma la
cosa è nota. Viktor Jacobson, rappresentante della WZO alla Società delle Nazioni, aveva
accompagnato Weizmann in Italia e inviato un dettagliato rapporto sul colloquio all’esecutivo sionista.
Weizmann disse a Mussolini:

Potrei mettere a vostra disposizione un intero team di chimici della più alta levatura
scientifica; uomini esperti, affidabili e leali con un unico desiderio: aiutare l’Italia e
danneggiare la Germania. Se necessario, potremo anche trovare i capitali necessari351.

Gli italiani incaricarono Nicola Paravano di incontrare Weizmann il giorno successivo. Il


marchese Theodoli, presidente della Commissione per i Mandati della Società delle Nazioni, era
presente e nelle sue memorie riporta che Weizmann e i fascisti raggiunsero completo accordo sul
piano. Alla fine non se ne fece nulla, e nella sua autobiografia Weizmann criticò gli inglesi:

Ripetei i contenuti del colloquio ai miei amici inglesi a Londra ma non vi furono sviluppi…
io non so se staccare Roma da Berlino avrebbe impedito lo scoppio della guerra, ma di
certo avrebbe fatto molta differenza per la guerra nel Mediterraneo, avrebbe salvato molte
vite e abbreviato l’agonia di molti mesi352.

Di certo gli inglesi non erano interessati a un tale progetto; per di più, è altamente improbabile
che Weizmann potesse raccogliere il capitale necessario a sostenere la sua offerta per una
collaborazione economica diretta col fascismo. Egli usava sempre la diplomazia della speculazione;
più tardi avrebbe fatto una altrettanto fantastica offerta di 50 milioni di dollari di prestito ai turchi, se
anch’essi si fossero alleati con gli inglesi. Egli operava in base al principio per cui generando un
interesse da un capo dell’alleanza potesse accadere qualcosa dall’altro capo. Ma è dubbio che
qualcuno dei suoi piani diplomatici pre-bellici, che erano sempre volte a suscitare un interesse
dell’interlocutore ma miravano precisamente a fare del sionismo in Palestina un'asse portante della
politica mediterranea inglese, sarebbe stato accettato dalle parti in causa.

La diplomazia segreta di Goldmann

La diplomazia sionista continuò a fare affidamento su Mussolini per scongiurare future


catastrofi, e Nahum Goldmann fu il successivo visitatore di Palazzo Venezia il 13 novembre 1934.
Goldmann adorava la diplomazia segreta, e descrisse vividamente l’incontro nella sua Autobiography.
Egli aveva tre preoccupazioni: Hitler aveva intenzione di occupare la Saar; i polacchi volevano
rescindere le clausole per i diritti delle minoranze imposte alla loro costituzione a Versailles; e gli
austriaci stavano platealmente discriminando gli ebrei nei servizi pubblici. Poiché un italiano ambiva a
diventare presidente della Commissione governativa per la Saar della Società delle Nazioni, egli non
ebbe difficoltà a convincere Mussolini a fare pressioni sui tedeschi affinchè gli ebrei potessero lasciare
la regione portando via la loro ricchezza in valuta francese. Lo convinse anche a concedere che se i
polacchi si fossero rivolti a lui per i loro scopi (cosa che naturalmente non fecero) egli avrebbe risposto
“no, no, no”353. La situazione austriaca era quella su cui Mussolini aveva il maggior controllo, nella
misura in cui il governo dei cristiano-sociali dipendeva dall’esercito italiano al Passo del Brennero per
la protezione da un’eventuale invasione tedesca. Goldmann disse a Mussolini che gli ebrei americani
proponevano manifestazioni di protesta, ma egli li stava scoraggiando. Mussolini replicò:

E’ stato molto avveduto da parte vostra. Quegli americani, ebrei e gentili, sono sempre
pronti a fare proteste e a immischiarsi negli affari europei, che non capiscono affatto.
350
Chaim Weizmann, Trial and Error, 1949
351
Daniel Carpi, Weizmann's Political Activity in Italy from 1923 to 1934, 1975
352
Chaim Weizmann, Trial and Error, 1949
353
Nahum Goldmann, Autobiography, 1969
95
Goldmann continuò:

Dissi che mentre concordavo che non fosse il momento per una protesta pubblica contro
il governo austriaco, dovevamo tuttavia chiedere un cambiamento nell’atteggiamento
verso gli ebrei e per questo contavamo molto su di lui.

Mussolini rispose:

Herr Schuschnigg sarà qui la prossima settimana, seduto sulla poltrona su cui vi trovate
ora, e gli dirò che non voglio che si crei una questione ebraica in Austria.

Mussolini alla fine del 1934 era in una fase anti-nazista. Forse la WZO avrebbe potuto
rappresentare un tramite tra lui e gli inglesi; egli non parlò più di un compromesso tra ebrei e tedeschi.
Disse a Goldmann:

Voi siete molto più forti del signor Hitler. Quando non vi sarà più traccia di Hitler, gli ebrei
saranno ancora un grande popolo. Voi e noi…La cosa più importante è che gli ebrei non
devono temerlo. Noi tutti vivremo fino a vederne la fine. Voi piuttosto dovete creare uno
stato ebraico. Io sono un sionista, e l’ho detto al dottor Weizmann. Voi dovete avere un
vostro paese, non la ridicola Casa Nazionale che vi hanno offerto gli inglesi. Vi aiuterò a
creare uno stato ebraico354.

Il leader fascista stava imbrogliando i sionisti sotto ogni aspetto. Sin dal giugno 1933 aveva
rinunciato a ogni speranza di convincere Hitler a trovare un accordo con gli ebrei, e diceva ai tedeschi
che dovevano persistere, come se qualunque marcia indietro fosse pericolosa: “Di certo all'inizio vi è
stata molta goffaggine, ed esagerazione, ma non bisogna assolutamente dare prova di debolezza 355”.
Egli era anche in parte responsabile della discriminazione in Austria, poiché aveva detto al Primo
ministro di mettere una “spruzzata di antisemitismo” nella sua politica allo scopo di tenere i cristiano-
sociali lontani dai nazisti356. Inoltre, di certo non aveva rivelato a Goldmann di avere iniziato a
sovvenzionare il Mufti. Ma Goldmann era un perfetto interlocutore per un intrigante come Mussolini.
Nel 1969, dopo dodici anni da presidente della WZO, egli scrisse nella propria autobiografia:

Gli affari esteri mancano di eleganza in un’epoca democratica in cui i governi dipendono
dall’umore dell’opinione pubblica. Vi è qualcosa di indubitabilmente giusto nel principio
della diplomazia segreta, anche se oggi è difficilmente praticabile357.

“L’ebraismo ricorda con gratitudine la lealtà del governo italiano”

Con la guerra in Etiopia Mussolini cercò di far fruttare il proprio ascendente presso la WZO.
Nell’autunno 1935 la Società delle Nazioni era intenzionata a imporre delle sanzioni, e il ministro degli
Esteri italiano improvvisamente incaricò Dante Lattes, rappresentante della Federazione Sionistica
Italiana nei negoziati col regime, e Angelo Orvieto, importante letterato, di convincere la borghesia
ebraica europea a opporsi a un embargo. Essi avevano due argomenti: le sanzioni avrebbero fatto
avvicinare Mussolini a Hitler e, inoltre, il duce era dichiaratamente a favore di uno stato ebraico e un
sincero amico del movimento sionista. Essi videro Weizmann e i leader dell’ebraismo inglese, ma
senza successo. I leader ebraici dovevano assecondare l’Inghilterra, se non altro per il fatto che in
Oriente l’Italia non poteva competere con loro358.
Roma inviò in Palestina un ebreo fascista non sionista, il giornalista Corrado Tedeschi, per
contattare l’ala destra sionista all’estero. Ripetendo le medesime richieste, questi aggiunse che i
sionisti avrebbero migliorato la loro posizione nei confronti dell’Inghilterra presentando un
atteggiamento filo-italiano, tanto che Londra sarebbe stata spinta ad assecondarli. Trovò scarso
354
ibidem
355
Meir Michaelis, Mussolini and the Jews, 1978 (tr.it. Mussolini e la politica ebraica)
356
ibidem
357
Nahum Goldmann, Autobiography, 1969
358
Meir Michaelis, Mussolini and the Jews, 1978 (tr.it. Mussolini e la politica ebraica)
96
appoggio nei circoli revisionisti. Ittamar Ben-Avi, il famoso “bambino sionista”, il primo neonato dopo
secoli le cui prime parole erano state pronunciate in ebraico, scrisse un articolo in favore della guerra
nel suo giornale scandalistico Doar Ha’Yom il 21 febbraio 1936359. Ma dal punto di vista pratico per
l’Italia il sostegno di Ben-Avi non volle dire nulla. Il suo giornale era stato un organo revisionista, poi se
ne era staccato, e ora non aveva un seguito. Altri esponenti della destra ascoltarono l’appello di
Tedeschi, ma la campagna d’Etiopia era così chiaramente segno di un imminente conflitto mondiale
nel quale i due regimi fascisti parevano di certo alleati, che non vi era possibilità di un sostegno della
destra non-revisionista alla posizione italiana.
Hitler vide sempre Mussolini in maniera più realistica di qualunque corrente del movimento
sionista. I sionisti avevano sempre pensato che la questione austriaca avrebbe mantenuto divisi i due
dittatori, ma Hitler comprese che il loro comune odio per il marxismo alla fine li avrebbe avvicinati. La
conquista dell’Etiopia diede a Hitler una chance di mostrare che era dalla parte del suo autoritario
collega, ma fu la guerra civile spagnola che finalmente convinse Mussolini che doveva allearsi con
Hitler; la vittoria operaia a Madrid e Barcellona all'inizio della rivolta militare avrebbe significato una
vittoria del fronte popolare, a meno che non vi fosse stato un massiccio appoggio dall’estero alle forze
di Franco. Mussolini iniziò a rendersi conto che non poteva permettersi che Hitler perdesse quella
guerra, e che non poteva vincerla senza la sua assistenza. Di conseguenza il sionismo non poteva più
essere d’aiuto al fascismo. Con un’alleanza tra Italia e Germania, gli ebrei sarebbero diventati nemici
di Mussolini, a prescindere da ciò che gli potesse dire o fare a proposito di uno stato ebraico.
Ciononostante i sionisti cercarono di mantenere buone relazioni. Nel marzo 1937 l’ufficio di Goldmann
a Ginevra ancora decise di sottolineare pubblicamente che

...il mondo ebraico, come un tutt’uno o attraverso le proprie singole organizzazioni, non
si è mai opposto al governo italiano. Al contrario, l’ebraismo ricorda con gratitudine la
lealtà del governo italiano360.

Goldmann si recò a Roma per un ultimo colloquio con il conte Ciano, il genero del Duce e
ministro degli Esteri, il 4 maggio 1937. Ciano gli assicurò che l’Italia non era antisemita né antisionista,
e propose un altro incontro con Weizmann 361. Ma la commedia era finita e Weizmann non tornò più a
Roma.

“Allora? E’ vantaggioso per gli ebrei?”

Nessun esponente sionista, né di destra né di sinistra, comprese il fenomeno fascista. Fin


dall’inizio i sionisti furono indifferenti alla lotta del popolo italiano contro le camicie brune, che
includeva degli ebrei progressisti, e alle più ampie implicazioni che il fascismo poteva avere sulla
democrazia europea. I sionisti italiani non si opposero mai al fascismo; arrivarono a decantarlo e a
condurre negoziati diplomatici per suo conto. Il grosso dei revisionisti e altri elementi di destra
divennero suoi entusiasti sostenitori. I leader sionisti della borghesia moderata – Weizmann, Sokolow
e Goldmann – non erano interessati al fascismo in quanto tale. In quanto segregazionisti ebrei, si
posero una sola domanda, la classica e cinica “Allora? E’ vantaggioso per gli ebrei?”, che implica che
qualcosa può essere un male per il resto del mondo e un bene per gli ebrei. La loro sola
preoccupazione fu se Roma sarebbe stata con loro o contro di loro alla Società delle Nazioni, e se
Mussolini sarebbe diventato loro amico e mentore. Data l’importanza del duce nella loro scala di
preferenze prima del trionfo nazista, non stupisce che essi abbiano continuato a corteggiarlo
supinamente anche dopo il 1933.

359
ibidem
360
Jewish Life, settembre 1938, p.17
361
Meir Michaelis, Mussolini and the Jews, 1978 (tr.it. Mussolini e la politica ebraica)

97
15. L’AUSTRIA
E I GENTILE FRIENDS OF ZIONISM

La Prima guerra mondiale distrusse quattro imperi e creò una serie di nuovi stati nell’Europa
centrale. Di tutti questi, quello meno “logico” fu l’Austria. La sua popolazione era pressoché tutta
tedesca, e nel 1919 il parlamento austriaco, con un solo voto contrario, deliberò l’unione alla
Germania; gli Alleati tuttavia rifiutarono di riconoscere il risultato, e la coalizione a maggioranza
socialdemocratica continuò suo malgrado a governare. Nell’estate 1920 i cristiano-sociali, antisemiti,
presero il controllo del governo nazionale, mentre la sinistra riusciva a mantenere il controllo della città
di Vienna.
Tre correnti ideologiche si contendevano il potere in quella “repubblica a metà”. Il partito
comunista era uno dei più deboli d’Europa, e per i socialdemocratici il nemico era a destra,
rappresentato dai cristiano-sociali (il partito dei contadini e della piccola e media borghesia urbana) e
dai nazionalisti tedeschi antisemiti, che avevano base tra i professionisti e i colletti bianchi. Sebbene
entrambi i gruppi borghesi fossero ostili alla democrazia, il grosso seguito dei socialisti a Vienna e la
dipendenza finanziaria da Gran Bretagna e Francia rendevano impossibile qualunque colpo di stato.
Ma sia i socialdemocratici che i cristiano-sociali ebbero cura di mantenere a disposizione consistenti
milizie di partito.

“Questo grande patriota e leader del nostro paese”


Il principale leader socialdemocratico, Victor Adler, era un ebreo; così era il principale teorico,
Otto Bauer, ed erano ebrei quasi la metà dei dirigenti. Inevitabilmente, il movimento vide gli attacchi
agli ebrei come un pericolo mortale e agì di conseguenza. I settori operai erano estremamente solidali
coi loro compagni ebrei e non ebbero la minima esitazione nell’affrontare fisicamente gli antisemiti,
come lo stesso Hitler ricorda nel Mein Kampf, scrivendo delle proprie prime esperienze lavorative in
un cantiere edile nella Vienna ante-guerra:

Questi uomini rifiutavano tutto: la nazione, in quanto invenzione delle classi


“capitalistiche” (quanto spesso ho dovuto sentire questa parola!): la patria, come
strumento della borghesia per lo sfruttamento della classe operaia; l’autorità della legge,
come mezzo per opprimere il proletariato…non c’era assolutamente nulla che non fosse
buttato nel fango…Provai a tacere. Ma alla lunga…iniziai a prendere posizione…un giorno
essi fecero uso di un’arma che convince rapidamente…alcuni portavoce dell’opposizione
mi costrinsero a lasciare il cantiere o sarei stato gettato da un’impalcatura362.

Fin dall’inizio i lavoratori socialdemocratici combatterono i nazisti quando il nuovo partito fece le
sue prime comparse a Vienna nel 1923. Bande di teppisti con la bandiera con la svastica iniziarono a
compiere pestaggi di ebrei e in un’occasione uccisero un operaio; questo spinse migliaia di
socialdemocratici a scendere in strada. Un corrispondente dell’americano Menorah Journal, una delle
principali riviste ebraiche dell’epoca, descrisse la situazione:

Da allora innanzi i ritrovi per dare vita ai pogrom non poterono svolgersi senza disturbo. I
lavoratori organizzati, socialdemocratici e comunisti, spesso attaccavano gli incontri degli
antisemiti, non per la loro amicizia con gli ebrei, ma perché ritenevano in gioco l’esistenza
della repubblica363.

La gran parte degli ebrei austriaci si identificavano con i socialdemocratici. Tra i pochi che non lo
fecero vi furono i sionisti del Judischnationale Partei (JP). Ma gli ebrei erano solo il 2,8% dell’intera
popolazione austriaca, e non più del 10% degli elettori viennesi, e il piccolo JP riuscì solo una volta a

362
Adolf Hitler, Mein Kampf, 1925
363
Menorah Journal, agosto 1923
98
far eleggere un candidato al parlamento austriaco. Fu costui, Robert Stricker, che espresse l’unico
voto contrario all’unificazione con la Germania nel 1919, una scelta che gli costò la sconfitta nel 1920.
Altri tre sionisti furono eletti al consiglio comunale di Vienna nei primi anni ’20; nel 1920 i sionisti
presero il 21% del voto ebraico viennese e nel 1923 la loro percentuale salì al 26%, ma poi il voto
sionista crollò repentinamente, e nel 1930 esso conseguì un misero 0,2% del voto totale364. Sebbene il
ruolo del JP nella politica austriaca fosse insignificante, la sua breve parabola è esemplificativa
dell’isolazionismo e del carattere piccolo-borghese del sionismo europeo. La maggioranza dei membri
del JP non pensavano di emigrare in Palestina. Molti degli ebrei di Vienna erano solo recentemente
emigrati dalla Galizia. Il sionismo del JP rappresentava l’ultima traccia della loro mentalità da ghetto.
Non era una reazione contro l’antisemitismo; quel problema era stato rimosso nelle strade dalla milizia
socialdemocratica. Il sionismo austriaco era una protesta piccolo borghese contro il socialismo, e i
cristiano-sociali furono sempre ben contenti di vedere che il JP sottraeva qualche voto ai loro acerrimi
nemici. In cambio i sionisti non vedevano i cristiano-sociali come loro nemici. Sokolow era a Durban,
in Sud Africa, nel 1934, quando ebbe la notizia dell’uccisione del Primo ministro austriaco Engelbert
Dollfuss365, durante il fallito putsch nazista del 25 luglio; egli prese la parola al Circolo Ebraico per
onorare la memoria di

Questo grande patriota e leader del nostro paese, che io conoscevo molto bene e
incontrai molto spesso…era uno degli amici della mia causa. Fu uno di coloro che istituì,
col mio aiuto, l’organizzazione dei Gentile Friends of Zionism nella capitale austriaca366.

I Gentile Friends erano stati istituiti nel 1927. Nel 1929 Fritz Lohner Beda, ex presidente del
Zionist Hakoah Athletic Club, ammonì gli ebrei che sarebbero stati puniti per il loro sostegno ai
socialdemocratici quando i reazionari avessero sconfitto i socialisti. Continuò promettendo che gli
ebrei avrebbero sostenuto la milizia fascista Heimwehr, se gli estremisti di destra avessero solo
rinunciato all’antisemitismo. Affermò che i socialisti, gli atei, gli anti-nazionalisti e gli anti-capitalisti
erano i più grandi nemici degli ebrei367.

“Condanniamo la diffusione dall’Austria all’estero di notizie di violenze”

Mentre i cristiano-sociali temevano il nazismo come minaccia al loro potere, il successo di


Hitler convinse Dollfuss che la dittatura sarebbe stata l’avvenire, almeno nell’Europa centrale, e alla
fine ascoltò i ripetuti consigli di Mussolini e provocò i socialdemocratici in un’insurrezione nel febbraio
1934, soffocata dopo tre giorni di battaglia. Più di mille operai furono uccisi quando l’Heimwehr
bombardò il famoso Karl Marx – Hof. La reazione sionista al massacro fu piuttosto eloquente. Robert
Stricker, in un dibattito sull’accaduto a un meeting di partito, criticò i resoconti circolanti all’estero sulle
persecuzioni ebraiche. Affermò che ciò era falso, dicendo che durante quei terribili giorni l’Austria
aveva manifestato un elevato livello culturale, difficilmente riscontrabile altrove368. In realtà il regime di
Dollfuss intraprese una politica di forte discriminazione nei confronti degli ebrei, in particolare negli
apparati di governo, e molti professionisti persero il proprio impiego. Tuttavia, l’ostilità sionista verso
gli ebrei socialisti assimilazionisti fece sì che il JP giustificasse, a livello locale e internazionale, i
cristiano-sociali. Nel 1935 il governo annunciò un piano per segregare gli studenti ebrei in caso di
“sovraffollamento”. Mentre i leader ebrei assimilazionisti naturalmente si opposero al progetto in
quanto primo passo verso la totale segregazione scolastica, Stricker approvò le nuove scuole-
ghetto369. Quello stesso anno, quando il ministro degli Esteri austriaco inveì contro le “notizie di
violenze” comparse sulla stampa mondiale, Der Stimme, l’organo della Federazione Sionista
Austriaca, si affrettò a spiegare che:

364
Walter Simon, The Jewish Vote in Vienna, 1961
365
Engelbert Dollfuss, cristiano-sociale, Cancelliere austriaco dal 1932 al 1934, ammiratore di Mussolini. Fu lui a stroncare
la rivolta operaia di Vienna nel febbraio 1934. Ciononostante, fu vittima del tentato golpe nazista del 26 luglio dello stesso
anno.
366
Palestine Post, 13 agosto 1934, p.4
367
Menorah Journal, febbraio 1930
368
South African Ivri, marzo 1934, p.1
369
American Jewish Yearbook, 1935-36, p. 189
99
E’ impossibile oggi sigillare ermeticamente ogni paese e nascondere gli eventi, incluse le
agitazioni antiebraiche. Noi condanniamo la diffusione dall’Austria all’estero di notizie di
violenze. Cosa che tuttavia non è mai stata fatta dagli ebrei, bensì da giornali austriaci che
vengono letti all’estero.370

I cristiano-sociali sapevano di non poter competere con Hitler senza l’aiuto straniero. Mentre
guardavano a Mussolini per una protezione militare, chiesero anche prestiti alle banche di Londra e
Parigi e dovettero persuadere i potenziali sostenitori stranieri di non essere un’imitazione dei nazisti.
Nel maggio 1934 Dollfuss nominò Desider Friedmann, veterano sionista e capo dell’organizzazione
della comunità ebraica viennese, membro del Consiglio di Stato. Vi furono altre aperture simili verso il
sionismo da parte del regime. Ai revisionisti fu concesso di usare un terreno donato da un loro ricco
membro come centro di addestramento. Un corrispondente revisionista in seguito ricordò la scena nel
grande spazio agreste parlando delle “sembianze di un disciplinato campo militare”, e nel settembre
1935 il governo permise ai revisionisti di tenere a Vienna il congresso fondativo della loro Nuova
Orgnaizzazione Sionista371.
Per ragioni di politica estera il regime negò sempre di discriminare gli ebrei, accampando
assurdi pretesti, come il presunto sovraffollamento, per giustificare il proprio antisemitismo. Agli ebrei
fu anche permesso di entrare a far parte del Fronte Patriottico, che dal 1934 aveva rimpiazzato tutti i
partiti politici inclusi, tecnicamente, i cristiano-sociali. Tuttavia, una volta che Mussolini ebbe deciso di
allearsi con Hitler, e fu chiaro che non avrebbe più protetto l’Austria, il regime dovette disperatamente
impegnarsi per impedire l’occupazione nazista. Nel gennaio 1938 gli austriaci provarono a mostrare a
Hitler che, sebbene fossero determinati a restare indipendenti, il loro era comunque uno stato
tedesco-cristiano, e all'interno del Fronte Patriottico istituirono una sezione separata per i giovani
ebrei. L’Encyclopedia Judaica dice laconicamente che “i sionisti accettarono di buon grado, ma la
cosa turbò chi era a favore dell’assimilazione”372. Comunque, benché stesse diventando più antisemita
nel tentativo di tener fuori dal paese i nazisti tedeschi, il regime non ebbe esitazioni a usare i sionisti
per cercare supporto finanziario all’estero. Desider Friedmann fu inviato all’estero all’inizio del 1938,
nelle ultime settimane prima dell’Anschluss373. Il successore di Dollfuss, Kurt von Schuschnigg, tentò
un ultimo stratagemma, annunciando il 9 marzo un plebiscito sull’indipendenza per il giorno 13, e la
comunità ebraica, controllata dai sionisti, si affrettò a stilare una lista di tutti gli ebrei di Vienna per
contribuire a un fondo di finanziamento della campagna di Schuschnigg. Hitler fece una valutazione
molto più realistica del signor Schuschnigg e semplicemente gli intimò di dimettersi, cosa che egli fece
l’11 marzo. L’esercito tedesco entrò in Austria il giorno 12.

La follia della fiducia sionista nei cristiano-sociali

Fu mai giustificato il supporto sionista alla destra austriaca? Si potrebbe dire che i cristiano-
sociali erano l’unica protezione tra gli ebrei e l’occupazione nazista, ma l’alleanza con loro era iniziata
negli anni ’20, quando Hitler non rappresentava ancora una minaccia. L’istituzione dei Gentile Friends
non può essere giustificata in termini di anti-nazismo. Di fatto la destra austriaca, Dollfuss e
Schushnigg, non furono mai un ostacolo all’occupazione tedesca, ma piuttosto svolsero il ruolo di
garanti della vittoria nazista. Joseph Buttinger, negli anni ’30 leader della socialdemocrazia in
clandestinità, descrisse i fatti nel proprio libro, In The Twilight of Socialism. In Austria vi era una
maggioranza anti-nazista, ma Schushnigg fu “incapace di sfruttare le possibilità politiche implicite in
tali circostanze”. Egli dovette impedire ogni “mobilitazione di massa contro le camicie brune, perché in
una lotta aperta contro il fascismo egli stesso inevitabilmente sarebbe stato rovesciato”. La
mobilitazione di massa era fondamentale, affermò Buttinger scrivendo proprio in quei giorni, “nel caso
dell’Austria in modo particolare, poiché in ultima analisi il destino dell’Austria sarà deciso da forze
internazionali”. Hitler avrebbe attaccato l’Austria al momento per lui opportuno, che stava
allegramente attendendo dal momento che il regime di Schuschnigg “nel frattempo era la garanzia
contro l’organizzazione di una resistenza”374.

370
Jewish Daily Bulletin, 11 gennaio 1935, p.1
371
Tagar, 1 gennaio 1947, p.7
372
Encyclopedia Judaica, vol. 3
373
Encyclopedia Judaica, vol. 7
374
Joseph Buttinger, In The Twilight Of Socialism: A History of the Revolutionary Socialist of Austria, 1953
100
L’ebraismo austriaco aveva una sola speranza: una stretta alleanza, locale e internazionale,
con i socialdemocratici. Diversamente dagli screditati socialisti tedeschi, i socialdemocratici austriaci
rimasero per lo più integri anche dopo la loro eroica, seppur poco organizzata, resistenza nel 1934. Il
regime di Dollfuss era il più debole dei governi fascisti, e anche dopo il massacro dei socialisti del 12
febbraio il nuovo governo era assistito non solo dalla sua polizia ma dall’ingombrante presenza degli
eserciti italiano e ungherese, pronti a combattere per Dollfuss, e con la certezza che l’esercito tedesco
sarebbe intervenuto piuttosto che vedere l’ascesa al potere dei socialdemocratici. Chiaramente, né la
difficile situazione internazionale né la forza del regime austriaco possono essere sottovalutati, ma vi
furono gigantesche manifestazioni socialiste per l’Austria in Europa e America. Tuttavia, invece di
guardare ai socialisti, in Austria e all’estero, in cerca di appoggio, i sionisti austriaci si rivolsero al
regime, che alla fine si arrese a Hitler senza sparare un colpo. Nahum Goldmann, rappresentante
della WZO, consapevolmente scoraggiò gli ebrei all’estero dal manifestare contro l’antisemitismo in
Austria, scegliendo invece di dare fiducia ai sussurri dietro le quinte di Benito Mussolini.

101
16. I PARTITI EBRAICI
DELL’EUROPA ORIENTALE

Con la caduta dei tre grandi imperi dell’Europa orientale in conseguenza della Prima guerra
mondiale, emerse un nuovo sistema di potere dominato dall’imperialismo francese e inglese.
L’isolamento di Germania e Unione Sovietica fu il principale obiettivo di Versailles, e l’intenzione di
circondare la Germania spinse gli alleati a far sì che i lituani, i polacchi e i cechi si ritagliassero pezzi di
territorio nazionale tedesco. L’Ungheria e la Bulgaria, in quanto alleate della Germania, subirono a
loro volta perdite di territorio. Il risultato fu la creazione di un gruppo di stati minati da un forte
sfaldamento nazionale. L’antisemitismo era inevitabile in questo miscuglio di rivalità localistiche.
Il sionismo ebbe buon gioco nel generare nelle comunità ebraiche dell’Est Europa sufficiente
peso per inviare dei rappresentanti nei parlamenti di Lettonia, Lituania, Polonia, Cecoslovacchia,
Romania e Austria; anche in Jugoslavia, dove la popolazione ebraica totale era meno di 70.000 unità,
furono fatti tentativi di ottenere seggi ebraici alle elezioni del consiglio comunale di Zagabria. Tuttavia
il sionismo, in quanto ideologia separatista del più debole gruppo etnico della regione, non fu mai in
grado di far fronte alla crisi del nazionalismo dell’Europa orientale.

Cecoslovacchia: il 2,4% di un mini-impero

La Cecoslovacchia negli anni ’30 aveva la buona reputazione di oasi democratica in una
regione di dittature, ma era poco più che una versione ceca dell’Impero asburgico. La borghesia ceca
dominava sugli slovacchi, e assoggettò brutalmente nel proprio mini-impero pezzi di territorio tedesco,
ungherese, polacco e ucraino. I leader cechi erano anche anti-semiti sui generis; gli ebrei erano visti
come portatori della cultura tedesca e magiara, e nei primi giorni della Repubblica Ceca vi furono delle
rivolte antisemite375. L’esercito era controllato da ex militari cechi che avevano disertato dagli Asburgo
per unirsi ai russi durante la Prima guerra mondiale, e combattuto a fianco delle armate bianche nella
loro disfatta in Russia; i generali erano antisemiti dichiarati. I giovani chassidim dell’Ucraina carpatica,
dove gli ebrei erano il 15% della popolazione, furono sempre bersaglio del malumore degli ufficiali, e
gli ebrei della Slovacchia erano presi per ungheresi. Era impensabile che un ebreo potesse diventare
ufficiale. Nessuno aveva diritti nell’esercito cecoslovacco eccetto i cechi e gli slovacchi che
accettavano il dominio dei cechi376.
La borghesia ceca non voleva che gli ebrei si mescolassero con i tedeschi o i magiari, ma solo
i socialdemocratici cechi incoraggiarono gli ebrei a inserirsi nella comunità ceca 377. La linea della
borghesia fu di tutelare l'“ebraismo nazionale”, e agli ebrei fu permesso di registrarsi in quanto ebrei in
occasione del censimento. Nel 1930 gli ebrei erano 356.820, il 2,4% della popolazione totale: di questi
il 58% si registrò come ebreo, il 24,5% come ceco, il 12,8% come tedesco e il 4,7% come ungherese.
I sionisti cecoslovacchi operarono nella politica locale attraverso il Partito Ebraico (Zidovska
Strana). Dal 1919 riuscirono a far eleggere propri esponenti al consiglio comunale di Praga e in altre
città, ma fu per loro impossibile mandare un rappresentante al parlamento nazionale. Nelle elezioni
del 1920 una coalizione denominata “Partiti Ebraici Uniti” prese solo 79.714 voti, mentre in quelle del
1925 il Partito Ebraico da solo arrivò a 98.845 voti. Dal 1928 anche i separatisti ebrei più accaniti si
resero conto che dovevano allearsi con dei non ebrei se volevano entrare in parlamento, e trovarono
potenziali partner nel partito della classe media polacca e nei socialdemocratici polacchi dell'area
ceca. Nel 1929 la loro alleanza raccolse 104.539 voti, abbastanza per inviare due sionisti e due
polacchi al parlamento. Ma l'alleanza fu limitata alle elezioni: i sionisti rimasero fedeli al governo ceco,
mentre i polacchi appoggiavano la Polonia. In parlamento i sionisti ebbero anche un altro problema,
poichè il diritto di parola nei dibattiti era concesso in base al risultato elettorale. Alla fine essi furono

375
AA. VV., The Jews of Czechoslovakia, vol. 1, 1968
376
Soviet Jewish Affairs, maggio 1980, pp. 76-77
377
AA. VV., The Jews of Czechoslovakia, vol. 1, 1968
102
indotti a trovare rifugio presso i socialdemocratici cechi come "ospiti". I socialdemocratici
annoveravano già degli ebrei nel proprio partito, e contavano sui due sionisti semplicemente come voti
aggiuntivi per il governo che sostenevano. Gli esigui interessi del Partito Ebraico, ovvero il rifiuto della
domenica festiva e il sostegno alle scuole ebraiche nella Rutenia carpatica, non intaccarono la
supremazia ceca nello stato. I sionisti guardarono sempre ai cechi per soddisfare le proprie ambizioni,
e non presero mai in considerazione di allearsi con le altre minoranze nazionali, neanche coi polacchi
coi quali avevano fatto un'alleanza elettorale. Nonostante il loro nazionalismo ebraico, furono sempre
un'appendice della supremazia ceca. Presi dalla loro lotta contro l'assimilazione linguistica, erano
arrivati a vedere la lotta per i diritti delle altre minoranze nazionali come un contributo all'assimilazione.
Il loro obiettivo primario fu il sostegno da parte del governo al loro nascente sistema scolastico, e a
tale scopo rimasero fedeli allo stato cecoslovacco di Tomas Masaryk e Edvard Benes.
Dopo la resa dei Sudeti nel 1938, e la contemporanea caduta del governo Benes, l'appoggio
del rimanente stato ceco all'ebraismo "nazionale" venne meno. I nuovi leader cechi, di fatto l'ala destra
del precedente governo, erano decisi ad adeguarsi alla realtà del dominio nazista sull'Europa
orientale, e sapevano che Hitler non sarebbe mai stato disposto a scendere a patti con loro se gli
ebrei fossero stati liberi nella nuova "Ceco-Slovacchia". Il nuovo Primo ministro, Rudolf Beran, leader
del Partito Agrario, che era stato il partito più importante nel governo Benes, dopo la Conferenza di
Monaco informò il parlamento che da allora in avanti l'antisemitismo sarebbe stato politica ufficiale del
governo. Era necessario "limitare i ruoli degli ebrei nella vita delle nazioni che sono il nucleo portante
dello stato". La sua dichiarazione fu approvata con un solo voto contrario. Un esponente della destra
ceca si espresse in favore degli ebrei, ma il deputato del Partito Ebraico, che non aveva mai parlato in
difesa delle minoranze con Benes, ora non parlò neppure in difesa del proprio stesso popolo378.

Romania: “Ebrei in Palestina!”

La Romania prima del 1914 era decisamente antisemita. La maggior parte degli ebrei che vi
risiedevano erano rifugiati russi, e il governo romeno semplicemente negò a loro e ai loro discendenti
il diritto di cittadinanza. L’alleanza con le potenze occidentali nella Prima guerra mondiale procurò
nuovi territori alla Romania a Versailles, che portarono molte migliaia di ebrei in più a uno stato
ampliato. A questo punto gli ebrei ottennero la possibilità della cittadinanza, poiché i grandi a
Versailles imposero a Bucarest di garantire i diritti minimi ai suoi milioni di cittadini non romeni. La
discriminazione contro gli ebrei naturalmente continuò, e iniziò per altre etnie non romene, ma la
rivalità etnica era solo uno dei problemi del paese. Oltre ai problemi economici di fondo, il governo era
profondamente corrotto: “La Romania non è una nazione, è una professione” divenne un celebre
proverbio yiddish dell’epoca.
Nel corso degli anni ’20 e i primi anni ’30 vi fu un certo miglioramento nella situazione degli
ebrei. Essi rappresentavano il 5,46% della popolazione e i politici iniziarono a cercare i loro voti; il re,
Carol II, nominò anche una ministra ebrea, la celebre Magda Lupescu. Tutti gli esponenti romeni
progressisti vedevano l’antisemitismo come parte integrante di una generale arretratezza che il paese
doveva superare. Tuttavia i socialdemocratici erano estremamente passivi, e il Partito Nazionale dei
Contadini (NPP) e il Partito Radicale dei Contadini furono più decisi nell’opporsi all’antisemitismo. Essi
volevano la riforma agraria e più democrazia, e comprendevano che coloro che negavano i diritti agli
ebrei erano contro la democrazia in generale.
Gli ebrei appoggiavano tutti i partiti tranne gli estremisti antisemiti. Molti ebrei ricchi di lingua
romena votavano anche per partiti moderatamente antisemiti, nella misura in cui questi reprimevano
la criminalità. Altri ebrei, in Transilvania, parteggiavano apertamente per i nazionalisti ungheresi. Una
minoranza votava per i socialdemocratici o seguiva i comunisti, che erano fuorilegge. I sionisti,
presenti tra gli ebrei di lingua non romena, lentamente crearono un Partito Ebraico che, dopo alcune
esperienze nelle elezioni locali, si presentò alle elezioni parlamentari nel 1931. Fece un buon risultato
(dal suo punto di vista), ottenendo 64.175 voti, più del 50% del voto ebraico, e quattro seggi in
parlamento, anche se rispetto al voto totale la percentuale era solo del 2,19%. Nel luglio 1932 il Partito
Ebraico fece leggermente meglio, ottenendo 67.582 voti (2,48% del totale) e conservando i quattro
seggi.
I leader del Partito Ebraico provenivano dalla classe media delle piccole città. Essi
apprezzarono che il NPP fosse contro l’antisemitismo e in parlamento si avvicinarono ai contadini,

378
Contemporary Jewish Record, gennaio 1939, p.13
103
anche se in realtà non erano molto partecipi della causa contadina. La loro base piccolo-borghese si
vedeva minacciata dal movimento cooperativo, che prendeva piede sulla scia delle mobilitazioni
contadine. Invece di far fronte alle sfide politiche che attraversavano la Romania in quel periodo, i
leader sionisti si dedicarono alle attività ebraiche locali, non rendendosi conto che rimanendo isolati
dalla lotta per un cambiamento democratico avrebbero indebolito la posizione degli ebrei.
Gli estremisti antisemiti compirono atti di violenza già negli anni ’20. Corneliu Codreanu,
fondatore della Legione dell’Arcangelo Michele, e i terroristi della sua Guardia di Ferro erano stati
assolti nel 1924 dall’accusa di omicidio del capo della polizia della città di Iasi. Nel 1926 venne ucciso
uno studente ebreo e l’omicida fu assolto, e nel 1929 e 1932 vi furono delle rivolte, ma l’estrema
destra non riuscì a prendere il potere se non dopo la vittoria di Hitler nel 1933. A quel punto le forze
fasciste avevano alcuni vantaggi psicologici. Se la Germania, uno stato altamente civilizzato, poteva
volgere all’antisemitismo, gli estremisti locali non potevano più essere liquidati come fanatici
retrogradi; inoltre la Guardia di Ferro era immune dalla corruzione imperante.
Anche se il declino della democrazia parlamentare fu piuttosto rapido, vi fu tuttavia una
resistenza concreta. Il Partito Nazionale dei Contadini si espresse contro l’antisemitismo fino alle
elezioni del 1937, quando improvvisamente cambiò direzione e formò un’alleanza con gli antisemiti. I
Contadini Radicali continuarono a sostenere e in alcuni casi anche a difendere fisicamente gli ebrei,
ma non riuscirono a tenere testa all’estrema destra.
Il disastro per il Partito Ebraico arrivò già nelle elezioni di dicembre 1933. Il trionfo di Hitler a
Berlino rese l’elezione di Codreanu ben più di una possibilità, e molti sostenitori del partito pensarono
che se volevano restare al sicuro in Romania avrebbero dovuto cercare la protezione di forze politiche
romene. Il voto per il Partito Ebraico crollò a 38.565 (1,3%) e tutti i quattro seggi furono persi. Nel
1935 i socialdemocratici lanciarono un appello per un fronte popolare, ma con l’esclusione dei
comunisti. Questi ultimi, a loro volta, sostennero un’alleanza con i socialisti e l’NPP. Entrambi i partiti
volevano accordarsi con il NPP e non l’uno con l’altro, ma il NPP rifiutò, siglando un “patto di non
aggressione” coi fascisti per le elezioni del dicembre 1937. I socialisti, i contadini radicali e il Partito
Ebraico si presentarono tutti divisi e i comunisti, ritenendo che il NPP fosse assolutamente necessario
per un governo antifascista, diedero l’indicazione di votare per il NPP 379. L’elezione fu un disastro per
le forze antifasciste: i socialdemocratici crollarono da un già basso 3,25% al 1,3% e furono esclusi dal
parlamento. Il Partito Ebraico sperava di tornare in parlamento con i voti degli ebrei che ora non
potevano più votare per il NPP. Ma la loro crescita fu troppo limitata, e raggiunsero soltanto l’1,4% dei
consensi.
Se il Partito Ebraico e i socialdemocratici avessero unito le forze, avrebbero almeno ottenuto la
percentuale del 2% necessaria a ottenere un seggio, ma ovviamente un fronte unito avrebbe attirato
ulteriori altre forze verso di loro. Per il Partito Ebraico correre da solo fu un suicidio politico. Era
esattamente ciò che volevano gli antisemiti; Octavian Goga, che divenne Primo ministro dopo il voto,
aveva detto agli ebrei in campagna elettorale di “restare a casa oppure di fare proprie liste di candidati
e votare per se stessi”380.
Nessuna fazione del movimento sionista aveva mostrato interesse per la lotta contro
l'antisemitismo in Romania. Nel novembre 1936 l'americana Labor Zionist Newsletter, che esprimeva
la guida ideologica di Enzo Sereni e Golda Meir, emissari di Poale Zion negli Stati Uniti, definì la
posizione strategica della corrente maggioritaria della WZO: "A meno che il Partito dei Contadini non
si impadronisca immediatamente del potere, il paese verrà occupato dai nazisti, e diventerà un
satellite della Germania. I piani per l'emigrazione sono all'ordine del giorno"381. Fu ipotizzato un patto
con il regime vigente o con il suo successore (NPP o i fascisti) per incoraggiare una parte degli ebrei a
emigrare in Palestina come metodo di alleviamento della "pressione" dovuta alla presenza di "troppi
ebrei". Un tale "piano" poteva essere fatto proprio dagli antisemiti, nel senso che se avessero insistito
essi avrebbero potuto liberarsi di ancor più ebrei, e ciò avrebbe suscitato ulteriori richieste da parte
degli antisemiti di altri paesi affinchè gli ebrei iniziassero "volontariamente" a lasciare l'Europa.
Insomma, invece di aiutare a organizzare la resistenza contro il fascismo avanzante, la WZO progettò
una disastrosa estensione all'Europa orientale della sua strategia di trasferimento.
"Jidanii in Palestina!" ("Ebrei in Palestina!") fu per lungo tempo il grido di battaglia delle
Guardie di Ferro e di altri antisemiti. L'unica strada percorribile dagli ebrei per rispondere alla minaccia
era di cercare l'unità di tutte le forze disposte a fare fronte comune per la libertà; ma i sionisti, che
avevano il supporto elettorale della maggioranza degli ebrei all'inizio dell'ascesa della destra, non
379
Bela Vago, Popular Front in the Balkans: Failure in Hungary and Rumenia, 1970
380
Bela Vago, The Jewish Vote in Rumenia between the two World Wars, 1972
381
Labor Zionist Newsletter, 15 novembre 1935, p.12
104
fecero mai un passo in quella direzione. Il fascismo arrivò al potere, e il paese fu testimone degli orrori
dell'Olocausto.
Nel gennaio 1941 la Guardia di Ferro entrò nel governo con i propri alleati, e nella capitale
scoppiò una breve ma furiosa guerra civile. La Guardia in quell'occasione massacrò almeno 2.000
ebrei in maniera barbara. Circa 200 ebrei vennero condotti al mattatoio e fu loro tagliata la gola a
imitazione dei riti ebraici di macellazione degli animali.
Occorre sottolineare un aspetto particolare della vicenda. Gli allevatori di Dudesti Cioplea, un
piccolo villaggio vicino a Bucarest, inviarono messaggi alla popolazione ebraica: gli ebrei che si
fossero rifugiati nella loro cittadina sarebbero stati protetti. Più di mille ebrei fuggirono là e furono difesi
dai contadini armati di fucili da caccia382.
Se non vi furono altre Dudesti Cioplea la colpa fu della rinuncia delle forze antifasciste, incluso
il Partito Ebraico, a unirsi contro i killer di Codreanu negli anni '30.

382
William Perl, The Four Front War, 1979
105
17. SPAGNA:
I NAZISTI COMBATTONO, I SIONISTI NO

Sia Hitler che Mussolini compresero tutte le implicazioni della Guerra civile spagnola; una
vittoria della sinistra avrebbe incoraggiato i loro nemici, non ultimi i lavoratori di Italia e Germania. Essi
si mossero rapidamente, e più tardi Hitler vantò che l'intervento dei 14.000 uomini della sua Legione
Condor era stato decisivo nella contesa. Altri 25.000 tedeschi si arruolarono nelle unità corazzate e
nell'artiglieria di Franco, e gli italiani inviarono 100.000 "volontari". La sinistra lealista a sua volta
ricevette un consistente sostegno estero; singoli militanti attraversarono i Pirenei per unirsi alle milizie
operaie; l'Internazionale Comunista organizzò 40.000 volontari nelle Brigate Internazionali (benchè di
certo non tutti fossero comunisti); e infine i sovietici inviarono sia uomini che materiali, benchè mai
nella quantità fornita dagli stati fascisti.
Non c'è certezza sul numero di ebrei che combatterono in Spagna. Essi si riconoscevano
come militanti radicali piuttosto che ebrei, e pochi hanno pensato di registrarli come ebrei. La stima del
professor Albert Prago, lui stesso veterano del conflitto, è che gli ebrei abbiano composto il 16% delle
Brigate Internazionali, proporzionalmente il gruppo etnico più numeroso 383. Si ritiene che di 2.000
inglesi almeno 214 (il 10,7%) fossero ebrei, e i numeri degli ebrei americani ammontano tra i 900 e i
1.250, circa il 30% della Brigata Abraham Lincoln. Il gruppo nazionale ebraico più numeroso era
composto da polacchi che vivevano in esilio dal regime anti-comunista di Varsavia. Dei circa 5.000
polacchi, 2.250 (il 45%) erano ebrei. Nel 1937 le Brigate, per ragioni di propaganda, allestirono la
Brigata Naftali Botwin, quasi 200 miliziani di lingua yiddish nella Brigata polacca Dombrowski.
Stranamente, nessuno ha mai fatto una stima del numero degli ebrei nella Brigata tedesca Ernst
Thaelmann, il secondo più grande contingente nazionale, ma essi erano ben rappresentati.
Anche alcuni italiani erano ebrei; il più famoso di questi era Carlo Rosselli, che Mussolini
considerava come il suo più pericoloso antagonista tra gli esiliati. Liberale indipendente, andò in
Spagna ancor prima dei comunisti, e organizzò la prima colonna di 130 italiani (la maggior parte
anarchici, con alcuni liberali e trotzkisti) per combattere nelle milizie degli anarco-sindacalisti.
Mussolini alla fine lo fece assassinare insieme al fratello Nello da sicari dell'organizzazione fascista
francese Cagoule, il 9 luglio 1937384.

“La questione non è ‘perché andarono?’, bensì ‘perché non andammo?’”

22 sionisti provenienti dalla Palestina si trovavano in Spagna quando scoppiò la Guerra civile.
Costoro erano membri di HaPoel, l’associazione di atletica dei sionisti laburisti, che era venuta per
un’Olimpiade operaia prevista per il luglio 1936 a Barcellona come protesta contro gli imminenti giochi
olimpici di Berlino. Quasi tutti loro presero parte alle giornate di Barcellona in cui i lavoratori
repressero l’insurrezione della guarnigione locale.
Albert Prago menziona per nome altri due sionisti giunti dalla Palestina per combattere, e
indubbiamente ve ne furono altri, ma essi vennero a titolo individuale. Il movimento sionista non solo
vietò ai propri membri in Palestina di andare in Spagna, ma il 24 dicembre 1937 Ha’aretz, quotidiano
sionista in Palestina, criticò gli ebrei americani delle Brigate Lincoln perché combattevano in Spagna
anziché venire in Palestina a lavorare385. Vi furono comunque degli ebrei in Palestina che ignorarono i
divieti del movimento sionista e andarono in Spagna, ma nessuno conosce il loro numero; le stime
variano da 267 a 500, proporzionalmente il numero più alto di ogni altro paese 386. L’Encyclopedia of
Zionism and Israel li descrive come “circa 400 comunisti”387. E’ noto che alcuni sionisti, a titolo
individuale, furono tra quelli, ma quasi tutti erano membri del Partito Comunista di Palestina.

383
Albert Prago, Jews in the International Brigades in Spain, 1979
384
Charles Delzell. Mussolini's Enemies: The Italian Anti-Fascist Resistance, 1961
385
Jewish Life, aprile 1938, p.11
386
Albert Prago, Jews in the International Brigades in Spain, 1979
387
AA. VV., Encyclopedia of Zionism and Israel, 2 voll., 1971
106
Nel 1973 gli israeliani veterani del conflitto tennero un meeting e invitarono i veterani di altri
paesi a partecipare. Uno di questi, Saul Wellman, ebreo americano, successivamente descrisse il
momento più emozionante del meeting, che avvenne quando si recarono a Gerusalemme e
incontrarono il sindaco Teddy Kolleck. Essi avevano discusso se fosse stato giusto andare in Spagna
nel pieno della rivolta araba e Kolleck diede la sua personale risposta alla domanda: “La questione
non è ‘perché essi andarono’, ma piuttosto ‘perché non andammo anche noi?’”388.
Vi sono alcune ragioni, tutte profondamente legate al sionismo (e in particolare al sionismo
laburista) che spiegano perché essi non andarono, quando era chiaro che i nazisti erano direttamente
coinvolti dalla parte di Franco. Tutti i sionisti vedevano la soluzione della questione ebraica come
obiettivo principale, e contrapposero nettamente il nazionalismo ebraico a ogni idea di solidarietà
internazionale; nessuno disprezzava l’“assimilazione rossa” più vigorosamente dei sionisti laburisti.
Durante la Guerra civile spagnola, nel 1937 Berl Katznelson, editore del quotidiano dell’Histadrut
Davar e figura rilevante del movimento, scrisse un pamphlet intitolato Revolutionary Constructivism,
che era innanzitutto un attacco ai gruppi giovanili sionisti e al loro scetticismo per l'atteggiamento
conciliante del partito verso il fascismo revisionista e il crescente razzismo di quest'ultimo nei confronti
degli arabi. Katznelson si rivolse anche contro il nucleo fondamentale del marxismo: il suo
internazionalismo, attaccando i giovani in termini inequivocabili:

Essi non hanno la capacità di vivere la loro vita. Sono capaci di vivere solo la vita altrui, e
di pensare con le idee altrui. Che bizzarro altruismo! Le nostre ideologie sioniste hanno
sempre denunciato questo tipo di ebreo, questo mezzo rivoluzionario, che pretende di
essere un internazionalista, un ribelle, un combattente, un eroe, e in realtà è così abietto,
così codardo e smidollato quando l’esistenza della sua stessa nazione è in forse…Questo
affarista della rivoluzione chiede continuamente: “Guardate la mia modestia, la mia pietà,
guardate come osservo tutti i principi rivoluzionari, da quello più importante al più banale”.
Quanto è diffuso questo atteggiamento tra noi, e quanto è pericoloso in quest’epoca,
quando è fondamentale che siamo leali con noi stessi e chiari coi nostri vicini389.

Formalmente i sionisti laburisti erano parte della Seconda Internazionale, ma per loro la
solidarietà operaia internazionale significava solo il sostegno dei lavoratori alla causa in Palestina.
Raccolsero piccole somme di denaro per la Spagna, ma nessuno di loro ufficialmente andò a
combattere “battaglie altrui”. All’incontro dei veterani del 1973 essi affrontarono la questione se fosse
stato giusto lasciare la Spagna “alla luce delle critiche provenienti dai leader sionisti e dell’Histadrut
nel 1936…all’epoca delle rivolte anti-ebraiche”390. Ma dalle affermazioni di Enzo Sereni e Moshe
Beilinson in Jews and Arabs in Palestine, che fu pubblicato nel luglio 1936, proprio il mese della rivolta
fascista in Spagna, sembra che il pensiero sionista laburista all’epoca non fosse volto alla difesa; il
loro obiettivo era conquistare la Palestina e dominare economicamente il Medio Oriente. Le “rivolte”
arabe erano la naturale riposta difensiva alle loro mire, e non il contrario. Sebbene i membri
dell’Histadrut avessero simpatia per la sinistra in Spagna, a causa delle loro ambizioni i leader sionisti
erano assai lontani dall’idea di combattere il fascismo internazionale. Fu durante il conflitto spagnolo
che i loro approcci verso i nazisti raggiunsero l’apice, con la richiesta nel dicembre 1936 che i nazisti
deponessero a loro favore davanti alla Commissione Peel, e poi con la successive offerte da parte
della filo-laburista Haganah a spiare per conto delle SS nel 1937.
Solo una corrente sionista, Hashomer Hatzair, provò a cogliere le più profonde implicazioni della
rivoluzione spagnola. I suoi membri avevano compiuto grossi sforzi per provare a spostare
l’Independent Labour Party (ILP) inglese su posizioni filo-sioniste, e seguirono da vicino le sorti del
partito fratello dell’ILP in Spagna, il Partido Obrero de Unificaciòn Marxista (POUM). Il fallimento
politico della strategia del fronte popolare in Spagna suscitò un’ampio dibattito tra gli stalinisti e i
socialdemocratici. Comunque, non c’è evidenza che alcun membro di Hashomer Hatzair sia andato in
Spagna, di certo non in veste ufficiale, o che tale organizzazione abbia fatto qualcosa per sostenere la
lotta laggiù (a parte la raccolta di un’insignificante somma, in Palestina, per il POUM). Durante gli anni
’30 i membri di Hashomer non presero parte alla vita politica, neanche locale, al di fuori della
Palestina, e furono da questo punto di vista il gruppo sionista più ripiegato su se stesso. Lungi dal
produrre una leadership teorica, sulla questione spagnola così come sulla più ampia questione del

388
Jewish Currents, giugno 1973, p. 10
389
Berl Katznelson, Revolutionary Constructivism, opuscolo 1937
390
Jewish Currents, giugno 1973, p. 10

107
fascismo e del nazismo, essi persero seguaci sia tra gli stalinisti che tra i trotzkisti, dal momento che
non offrivano nulla se non una retorica isolazionista e utopica nel mezzo della catastrofe globale.
Negli anni successivi il coraggio degli ebrei di sinistra che combatterono e morirono in Spagna è
stato usato per dimostrare che “gli ebrei” non andarono come pecore al macello durante l’Olocausto. I
più zelanti nel sostenere questa tesi sono stati quegli ebrei ex-stalinisti che hanno cercato di fare pace
col sionismo. Essi non possono arrivare a rinnegare il proprio passato o ad affermare che i sionisti
avessero ragione a criticarli per aver combattuto in Spagna, ma retrospettivamente hanno cercato di
enfatizzare il carattere “nazionale” ebraico del loro coinvolgimento e hanno minuziosamente
conteggiato ogni ebreo nella lunga lista di coloro che presero parte al conflitto. Ma la maggioranza di
coloro che andarono in Spagna lo fecero perché erano sinceri comunisti e lo erano diventati sulla
base di molte ragioni, di cui il nazismo era una sola. Il loro coraggio non dimostra nulla di come “gli
ebrei” reagirono all’Olocausto, così come il loro coinvolgimento nel movimento comunista non significa
che “gli ebrei” siano implicati nella sistematica uccisione dei leader del POUM da parte della polizia
segreta sovietica.
I crimini di Stalin in Spagna sono una parte della Guerra civile e non possono essere
minimizzati. Ciononostante, quei militanti di sinistra combattevano e morivano sulle linee del fronte
della lotta al fascismo internazionale, mentre i sionisti laburisti ospitavano Adolf Eichmann in Palestina
e si offrivano di fare le spie per conto delle SS.

108
18. I SIONISTI NON PARTECIPANO
ALLA LOTTA ANTINAZISTA
NELLE DEMOCRAZIE LIBERALI

Il sionismo e la British Union of Fascists

Nessuno stato occidentale dopo il 1933 fu immune dall’ascesa di movimenti filo-nazisti, ma


l’estensione della loro influenza variò da paese a paese. Benchè il capitale occidentale preferisse la
Germania nazista a una vittoria del comunismo, nel mondo degli affari non vi fu mai per Hitler un
supporto pari a quello per Mussolini. Hitler era troppo revanscista nel proprio atteggiamento verso
Versailles, e la Germania potenzialmente troppo forte, cosicchè l'ambivalenza verso quest’ultimo
baluardo anti-comunista era forte. Inoltre, l’antisemitismo di Hitler non fu mai popolare presso i
capitalisti occidentali. Dal momento che gli ebrei erano soltanto una piccola percentuale nelle loro
società, era dato per scontato che potessero essere assimilati. L’immigrazione di massa dall’Europa
orientale aveva ravvivato l’antisemitismo in Occidente, ma se vi era maggiore pregiudizio verso gli
ebrei nel 1933 rispetto, per dire, al 1883, nulla fu paragonabile al nazismo. Tuttavia, durante la
Depressione sia l’Inghilterra che l’America videro l’ascesa di concreti movimenti antisemiti che
minacciarono fisicamente le comunità ebraiche.
In Inghilterra, la minaccia venne da sir Oswald Mosley e dalla British Union of Fascist. Il Board
dei deputati ebrei inglesi provò a scongiurare il pericolo ignorandolo. Fin dall’inizio esso raccomandò
agli ebrei di non disturbare i meeting di Mosley. I dirigenti insistevano che gli ebrei in quanto tali non
avevano alcun motivo di litigare col fascismo, e Neville Laski, presidente del Board e direttore del
comitato amministrativo dell’Agenzia Ebraica, sottolineò che “In Italia c’è un fascismo nel quale 50.000
ebrei vivono in amicizia e sicurezza…la comunità ebraica, non essendo un’entità politica in quanto
tale, non dovrebbe essere trascinata in quanto tale nella lotta contro il fascismo”391. La Federazione
Sionista Inglese sostenne le sue posizioni sul Young Zionist in un articolo nei numeri di agosto e
settembre 1934. I comunisti e l’Independent Labour Party avevano contrastato attivamente i seguaci
di Mosley in strada, anche con 12.000 manifestanti all’esterno dell’adunata della BUF all’Olympia
Exhibition Centre il 7 giugno, e non meno di 6.937 poliziotti dovettero proteggere 3.000 fascisti da
20.000 oppositori a Hyde Park il 9 settembre. La comunità ebraica dell’East End vedeva il Partito
Comunista come il proprio difensore dai seguaci della BUF, e vi fu una crescente tendenza tra la
gioventù sionista a unirsi alla campagna anti-Mosley. Ma la leadership sionista era determinata a far sì
che ciò non accadesse. Cosa sarebbe accaduto se gli ebrei avessero sfidato Mosley e la BUF avesse
avuto il sopravvento?

Supponendo che sotto un regime fascista vi sarebbero rappresaglie contro gli


antifascisti, tutti gli ebrei ne patirebbero…dunque la questione sorge ancora una volta:
dobbiamo?...Nel frattempo ci sono tre ideali che chiedono a gran voce il sostegno di tutti
gli ebrei…1. L’unità del Popolo Ebraico 2. Il bisogno di un più forte orgoglio ebraico. 3. La
costruzione di Eretz Israel. E stiamo perdendo il nostro tempo chiedendoci se dobbiamo
unirci a organizzazioni antifasciste392.

Il numero successivo ribadì la cosa più “a fondo e innegabilmente”:

Una volta compreso che non possiamo liberarci dal male, che i nostri prolungati sforzi
non sono serviti a nulla, dobbiamo fare qualcosa per difenderci dai sintomi di questa grave
malattia. Il problema dell’antisemitismo diventa un problema della nostra stessa
educazione. La nostra difesa è nel rafforzamento della nostra personalità ebraica393.

391
Gisela Lebzelder, Political Anti-Semitism in England 1918 – 1939, 1978
392
Young Zionist, agosto 1934, p. 6
393
Young Zionist, settembre 1934, p. 12
109
Di fatto le masse ebraiche per la maggior parte ignorarono gli appelli sionisti alla passività e
seguirono i comunisti. Alla fine la posizione dei sionisti cambiò e alcuni sionisti si unirono in un
organismo di autodifesa della comunità chiamato Jewish People Council (JPC), ma l’antifascismo non
divenne mai una priorità per il movimento sionista.
La famosa Battaglia di Cable Street del 4 ottobre 1936, quando oltre 5.000 poliziotti non
riuscirono a far passare un corteo della BUF oltre un blocco di 100.000 tra ebrei e militanti di sinistra,
fu il punto di svolta nella lotta contro Mosley. William Zuckerman, uno dei più importanti giornalisti
ebrei dell’epoca e allora ancora sionista, era presente e scrisse un resoconto per la Jewish Frontier di
New York:

Nessuna città anglo-sassone ha mai visto le scene che hanno caratterizzato questa
tentata manifestazione…Coloro che come me hanno avuto il privilegio di prendere parte a
questo evento non lo scorderanno mai. Perché si è trattato dell’atto collettivo di una massa
di persone prese da una profonda emozione e da un senso di giustizia tradita, un atto che
fa la storia…E’ stata senz’altro la grande epopea dell’East End ebraico394.

Zuckerman scrisse che la manifestazione era stata convocata dal JPC, che coinvolse
“sinagoghe, circoli ricreativi e associazioni di immigrati”. Riportò la presenza di ex soldati ebrei.
Continuò: “I comunisti e l’Independent Labour Party devono essere accreditati quali i più attivi
antagonisti dell’antisemitismo fascista di Mosley”395. Altri sionisti locali la pensavano come lui e
probabilmente furono presenti, ma è significativo che un giornalista sionista, che scriveva per una
rivista sionista, non menzioni mai la presenza dei sionisti. Il libro di Gisela Lebzelter, Political Anti-
Semitism in England 1918 – 1939, dice solo che "organizzazioni sioniste" erano presenti alla
conferenza di fondazione del JPC il 26 luglio 1936. Non dice nulla invece di un eventuale ruolo che
esse abbiano avuto nella campagna, che durò per diversi anni. La Lebzelter conferma la valutazione
di Zuckerman e riconosce appieno il ruolo guida dei comunisti.
Il movimento sionista inglese all'epoca non era piccolo. Esso inviò 643 coloni in Palestina tra il
1933 e il 1936. Aveva la forza per recitare un ruolo importante nella lotta di strada, ma di fatto fece
molto poco per difendere la comunità ebraica, anche dopo l'abbandono delle posizioni del 1934. Fu
Cable Street (ovvero la resistenza illegale degli ebrei guidata innanzitutto dai comunisti e dall'ILP) che
spinse il governo a cessare di proteggere i "diritti" della BUF e finalmente a vietare le milizie private in
uniforme.

Il sionismo e il German American Bund


Movimenti fascisti negli USA avevano preso piede durante gli anni '30. Il vecchio Ku Klux Klan
era ancora forte nel Sud, e molti irlandesi in Nord America erano stati infettati dal fascismo clericale di
padre Charles Coughlin mentre l'esercito di Franco entrava a Barcellona. I quartieri italiani erano
attraversati da parate fasciste, e molte organizzazioni di immigrati tedeschi erano influenzate dal
German American Bund (GAB). L'antisemitismo crebbe notevolmente, e il GAB decise di dare una
dimostrazione di forza annunciando un'adunata al Madison Square Garden di New York per il 20
febbraio 1939. Altri meeting furono fissati a San Francisco e Philadelphia. Avrebbero reagito gli ebrei?
Gli ebrei a New York erano almeno 1.765.000 (il 29,56% della popolazione) e ve ne erano altre
centinaia di migliaia nei sobborghi; eppure nessuna organizzazione ebraica pensò di organizzare una
contro-manifestazione. Una, il destrorso American Jewish Committee, inviò anche una lettera ai
gestori del Garden appoggiando il diritto dei nazisti a tenere il loro meeting. Solo un gruppo politico, i
trotzkisti del Socialist Workers Party (SWP), lanciarono l'appello per una contro-manifestazione. Il
SWP era un gruppo piccolo, con poche centinaia di aderenti, ma come spiegò Max Schachtman,
organizzatore della mobilitazione, fece abbastanza per "combinare il proprio piccolo ingranaggio con
quello più grande costituito dai lavoratori di New York, e mettere questi ultimi in movimento"396. Il
pubblico seppe della manifestazione del SWP quando l'amministrazione cittadina annunciò che la
polizia avrebbe difeso i nazisti dall'attacco, e la stampa parlò della possibilità di violenze.
Vi erano allora due quotidiani in lingua yiddish che venivano identificati col sionismo: Der Tog,
di cui uno degli editori, Abraham Coralnik, era stato uno dei promotori del boicottaggio antinazista; e
394
Jewish Frontier, novembre 1936, p.41
395
Ibidem, p.43
396
Socialist Appeal, 28 febbraio 1939, p.4
110
Der Zhournal, il cui manager Jacob Fishman era stato uno dei fondatori dell'Organizzazione Sionista
d'America. Entrambi i giornali si opposero alla protesta contro la presenza dei nazisti. Der Tog pregò i
suoi lettori: "Ebrei di New York, non fatevi guidare dai vostri crucci! Evitate il Madison Square Garden
questa sera. Non avvicinatevi all'edificio! Non date ai nazisti la possibilità di avere quella pubblicità
che tanto desiderano"397. Il Socialist Appeal, il settimanale del SWP, descrisse l’appello del Zhournal
come caratterizzato dal medesimo linguaggio del Tog "arricchito da un tocco di nauseante pietismo
rabbinico"398. Né vi fu reazione da parte delle organizzazioni sioniste un poco più militanti. Durante i
preparativi dell’evento un gruppo di giovani militanti trotzkisti si recò alla sede di Hashomer Hatzair nel
Lower East Side, ma fu loro risposto: “Scusate ma non possiamo unirci a voi, la nostra linea sionista è
di non prendere parte alla politica al di fuori della Palestina”399.
Allora come oggi Hashomer affermava di essere l’ala sinistra del sionismo, ma solo dieci mesi
prima la sua rivista aveva difeso la propria rigida linea di astensione:

Non possiamo separare la nostra posizione di ebrei dalla nostra posizione di socialisti;
infatti noi poniamo la stabilità e normalità della prima condizione come priorità necessaria
rispetto al nostro lavoro nella seconda condizione…dunque non prendiamo parte alle
attività socialiste alle quali possiamo partecipare solo in quanto borghesi, come elemento
instabile e non importante, non coinvolto nel vero proletariato, guardando le cose
“dall’alto”…Questo significa non fare comizi, non tenere manifestazioni, non costruire
castelli in aria come fanno le solite organizzazioni “radicali”…Noi siamo, e dobbiamo
essere, essenzialmente non politici400.

Più di 50.000 persone affluirono al Madison Square Garden. La maggior parte erano ebrei, ma
non tutti. Da Harlem arrivò uno spezzone della Universal Negro Improvement Association, i
nazionalisti africani seguaci di Marcus Garvey. Sebbene il Partito Comunista Americano avesse
rifiutato di appoggiare la manifestazione, per avversione verso i trotzkisti e per non andare contro il
sindaco democratico Fiorello La Guardia (la cui polizia era schierata a protezione del GAB), molte sue
componenti multietniche parteciparono. L’area fu teatro di una furiosa battaglia di cinque ore con la
polizia a cavallo, parte di un contingente di 1.780 uomini, che caricò ripetutamente gli antifascisti.
Sebbene i manifestanti non riuscirono a rompere i cordoni della polizia, la vittoria andò a loro. I 20.000
nazisti e seguaci di Coughlin al Garden sarebbero stati ben maltrattati se non ci fosse stata la polizia.
Il SWP immediatamente diede seguito al successo di New York chiamando un’altra
manifestazione a Los Angeles il 23 febbraio, all’esterno di un meeting del GAB alla Deutsches Haus.
Più di 5.000 persone intrappolarono i fascisti nell’edificio finchè la polizia non arrivò in loro soccorso.
L’avanzata del GAB presto arrivò al termine e, profondamente umiliati, essi dovettero annullare le
adunate previste a San Francisco e Philadelphia.
Il fatto che fino al febbraio 1939 il SWP sia stato solo a convocare una manifestazione contro un
meeting di fascisti a New York è la prova di una costante dell’epoca nazista: a titolo individuale
certamente i sionisti parteciparono alla battaglia del Garden, ma tutte quante le organizzazioni
ebraiche – politiche o religiose – non furono mai disposte a combattere i loro nemici.

397
Socialist Appeal, 24 febbraio 1939, p.4
398
ibidem
399
Socialist Appeal, 7 marzo 1939, p.4
400
Hashomer Hatzair, aprile 1938, p. 16
111
19. IL SIONISMO
E LA SFERA DI CO-PROSPERITA’
DEL GIAPPONE IN ASIA ORIENTALE

Nel 1935 in Cina vi erano 19.850 ebrei: una comunità a Shanghai e un'altra in Manciuria. La
comunità di Shanghai era quasi totalmente composta di ebrei sefarditi di origine irachena, discendenti
di Elias Sassoon e dei suoi seguaci401, che si erano dedicati agli affari dopo la Guerra dell'Oppio e si
erano arricchiti a dismisura nello sviluppo economico di Shanghai. La comunità manciuriana di Harbin
era di origine russa, e risaliva alla costruzione da parte degli Zar della Ferrovia cinese orientale.
Successivamente era stata infoltita da rifugiati della guerra civile russa.
Il sionismo era debole tra gli "arabi", che erano una delle comunità nazionali più ricche del
mondo e non avevano interesse ad abbandonare la propria agiata condizione. I sionisti in Cina erano
russi. Essi erano una parte della proiezione imperialistica straniera in Cina, e non avevano intenzione
di assimilarsi alla nazione cinese. Capitalisti e esponenti della classe media, non avevano interesse a
tornare in Unione Sovietica, e la loro identità ebraica fu rafforzata dalla presenza di migliaia di guardie
bianche, antisemite, sconfitte nella guerra civile russa e rifugiatesi nella Cina del nord. Il separatismo
sionista fu un'attrattiva naturale, e in seno al movimento fu il revisionismo ad avere maggior peso. Gli
ebrei russi erano commercianti in un contesto imperialistico e militarizzato, e il Betar combinava una
mentalità entusiasticamente capitalista con un militarismo assai utile a far fronte alle guardie bianche
trasformatesi in banditi. Il revisionismo sembrò perfettamente adatto al mondo irto di difficoltà che gli
ebrei vedevano intorno a sè.

“Una parte attiva nella costruzione del Nuovo Ordine dell’Asia orientale”

La comunità di Harbin prosperò fino alla conquista giapponese della Manciuria nel 1931. Molti
ufficiali veterani giapponesi avevano preso parte alla spedizione contro i bolscevichi del 1918 – 22 a
fianco dell’esercito dell’ammiraglio Alexander Kolchak in Siberia, e avevano ereditato dalle guardie
bianche l’ossessione per gli ebrei. Presto i russi bianchi divennero propagandisti del regno fantoccio
filo-giapponese del “Manchukuo”, e molti furono reclutati direttamente nell’esercito nipponico. Bande
di russi bianchi, protette dalla polizia giapponese, iniziarono a estorcere denaro agli ebrei, e a metà
degli anni ’30 la maggior parte degli ebrei di Harbin erano fuggiti a sud, nella Cina nazionalista,
piuttosto che sopportare il forte antisemitismo.
La fuga degli ebrei danneggiò seriamente l’economia manciuriana, e dal 1935 i giapponesi
dovettero cambiare la loro linea politica, adottando la tesi che vi fosse una cospirazione ebraica
mondiale, molto potente, ma che questa potesse essere utilizzata nell’interesse del Giappone. I
giapponesi di fronte all’ebraismo mondiale decisero di presentare il Manchukuo come possibile rifugio
per gli ebrei tedeschi rifugiati, e di assumere anche un atteggiamento filo-sionista. Così, credevano, gli
ebrei americani avrebbero investito nel Manchukuo e ammansito l’opinione pubblica americana per
l’invasione della Cina e anche per la crescente amicizia tra giapponesi e nazisti. Si trattò di una
speranza vana, poiché gli ebrei non avevano grande influenza nella politica americana; inoltre,
Stephen Wise e gli altri leader ebrei americani erano profondamente contrari alla collaborazione col
Giappone, che vedevano come un inevitabile alleato dei nazisti.
I giapponesi ebbero molto più successo nel convincere gli ebrei rimasti nel Manchukuo che era
loro interesse collaborare, se non altro reprimendo i russi bianchi e chiudendo il Nash Put, l’organo
dell’Associazione Fascista Russa. Il leader degli ebrei di Harbin era un dottore molto religioso,
Abraham Kaufman, molto attivo nella comunità locale. Egli fu molto incoraggiato dal cambio di politica
dei giapponesi e, secondo quanto riportato da un rapporto del ministero degli Esteri nipponico, lui e i
suoi amici nel 1936 – 37 chiesero il permesso di convocare un Consiglio Ebraico dell’Estremo Oriente.
401
La dinastia dei Sassoon, nota anche come “Rothschild d'Oriente” nel corso del XIX secolo da Baghdad si espanse con
attività commerciali e bancarie dapprima in India e poi in Cina e nel resto dell'Asia.
112
Lo scopo era organizzare tutti gli ebrei d’Oriente e di fare propaganda per conto del Giappone, in
particolare prendendo posizione contro il comunismo402.
La prima di tre conferenze delle comunità ebraiche dell’Estremo Oriente ebbe luogo ad Harbin
nel dicembre 1937. La coreografia delle conferenze si vede nelle fotografie del numero di gennaio
1940 del Ha Dagel (La Bandiera) che, nonostante il titolo in ebraico, era la rivista in lingua russa del
revisionismo nel Manchukuo. I palchi erano addobbati con bandiere giapponesi, manchukuo e
sioniste. I betarim fungevano da guardia d’onore403. Ai convegni intervennero personaggi come il
generale Higuchi, dell’intelligence militare giapponese, il generale Vrashevsky delle guardie bianche, e
funzionari del governo fantoccio manchukuo404.
La conferenza del 1937 approvò una risoluzione, che fu inviata alle principali organizzazioni
ebraiche del mondo, che auspicava la “cooperazione con il Giappone e il Manchukuo nella
costruzione di un nuovo ordine in Asia”405. In cambio, i giapponesi riconobbero il sionismo come il
movimento nazionale degli ebrei. Il sionismo divenne una parte dell’apparato del Manchukuo, e il
Betar ricevette colori ufficiali e uniformi. Vi furono talvolta situazioni imbarazzanti, per esempio quando
il Betar dovette essere escluso dalla parata che celebrava il riconoscimento del Manchukuo da parte
della Germania. Ma in generale i sionisti locali furono piuttosto soddisfatti delle loro relazioni con il
regime giapponese. Il 23 dicembre 1939 un reporter alla terza conferenza parlò di “giubilo in tutta la
città”406. L’assemblea approvò alcune risoluzioni:

L’Assise qui riunita si congratula con l’Impero Giapponese per il suo grande sforzo di
stabilire la pace in Asia orientale, ed è convinta che quando i combattimenti cesseranno i
popoli dell’Asia orientale costruiranno le loro nazioni sotto la guida del Giappone407.

E proseguì affermando che:

La Terza Conferenza delle Comunità Ebraiche si appella al popolo ebraico affinchè esso
prenda una parte attiva nella costruzione del Nuovo Ordine dell’Asia orientale, guidato da
principi fondamentali basati sulla lotta contro il Comintern, in stretta collaborazione con
tutti i popoli408.

Verdetto: i sionisti collaborarono con il nemico del popolo cinese

I sionisti del Manchukuo guadagnarono qualcosa dalla collaborazione con i giapponesi?


Herman Dicker, uno dei massimi esperti dell’ebraismo dell’Estremo Oriente, ha concluso che: “Non si
può dire, retrospettivamente, che la Conferenza dell’Estremo Oriente abbia facilitato l’arrivo di un gran
numero di rifugiati in Manciuria. Al massimo, solo alcune centinaia di rifugiati ebbero il permesso di
entrare”409. Negli ultimi giorni della Seconda guerra mondiale i sovietici entrarono in Manciuria e
arrestarono Kaufman; alla fine egli scontò undici anni in Siberia per collaborazionismo. Di certo il
sionismo manciuriano fu profondamente coinvolto nell’apparato giapponese del Manchukuo. I sionisti
non avevano sostenuto la conquista giapponese, ma una volta che i russi bianchi furono repressi non
ebbero più nulla da ridire contro la presenza giapponese. Non avevano nulla da guadagnare dal
ritorno del Kuomintang, e aborrivano una rivoluzione comunista. Non furono mai contenti del legame
di Tokyo con Berlino, ma speravano di limitarlo usando la loro influenza sugli ebrei americani per
promuovere un’intesa con Washington nell’area del Pacifico. Non c’è dubbio che, nonostante il loro
dissenso verso la politica filo-tedesca del Giappone, i giapponesi considerarono i sionisti manciuriani
come fidi collaboratori.

402
Herman Dicker, Wanderers and Settlers in the Far East: a Century of Jewish Life in China and Japan, 1962
403
Ha Dagel, 1 gennaio 1940, pp. 21 - 28
404
Herman Dicker, Wanderers and Settlers in the Far East: a Century of Jewish Life in China and Japan, 1962
405
M. Tokajer, M. Swarz, The Fugu Plan: The Untold Story of The Japanese And The Jews During World War II, 1979
406
David Kranzler, Japanese, Nazis & Jews: the Jewish Refugee Community of Shanghai, 1938-1945, 1976
407
In Japan Interpreter n. 11, 1977, p. 493-527
408
Ha Dagel, 1 gennaio 1940, p.26
409
Herman Dicker, Wanderers and Settlers in the Far East: a Century of Jewish Life in China and Japan, 1962

113
20. POLONIA 1918 - 1939

Il collasso dei tre imperi che controllavano la Polonia diede ai capitalisti polacchi uno stato
indipendente che essi avevano da tempo cessato di volere. Dopo il fallimento dell'insurrezione anti-
zarista del 1863, avevano iniziato a vedere l'impero russo come un enorme mercato, e non vedevano
ragioni per separarsene. Il nemico, pensarono, non era la Russia ma gli ebrei e i protestanti tedeschi
che dominavano il “loro” mercato interno. Il nazionalismo divenne l’argine nei confronti della classe
operaia e del suo Polska Partja Socjalistyczna (PPS). La Prima guerra mondiale vide i borghesi
Nazional-Democratici, i cosiddetti Endeks, appoggiare lo Zar, e l'ala destra del PPS, guidata da Josef
Pilsudski, allestire una legione polacca in appoggio ai tedeschi, considerati il male minore. Tuttavia, il
collasso di entrambi gli imperi spinse le due fazioni a unirsi nell'ottica di resuscitare uno stato polacco
indipendente. Pilsudski aveva lasciato il PPS durante la guerra, approdando a posizioni di estrema
destra; così le due fazioni poterono ora accordarsi su un programma anti-bolscevico e di ricostruzione
di un impero polacco. Il "Maresciallo" Pilsudski aveva ben accolto i soldati ebrei nella sua legione e
ancora disprezzava l'antisemitismo, che identificava con la reazione zarista; tuttavia egli non aveva
alcun controllo su quei generali che provenivano dalle armate degli endek zaristi, e si appoggiava ai
pogromisti di Petljura. Le uccisioni e persecuzioni di ebrei raggiunsero un livello tale che gli Alleati
intervennero e imposero una clausola sui diritti delle minoranze nella costituzione polacca come
condizione per il riconoscimento dello stato. Solo quando gli endek si resero conto che l'influenza
ebraica poteva giovare all'esposizione di Varsavia con i banchieri stranieri, misero fine ai pogrom. Ma
la fine dei pogrom significò soltanto un cambiamento di forme dell'antisemitismo. Il regime decise di
"polonizzare" l'economia, e migliaia di ebrei persero il loro lavoro quando il governo rilevò le ferrovie,
le fabbriche di sigarette e di fiammiferi e le distillerie.
Nei primi anni '20 la comunità ebraica polacca ammontava a 2.846.000 membri, il 10,5% della
popolazione. Politicamente era molto disomogenea. All'estrema sinistra vi erano i comunisti (KPP). La
proporzione di ebrei nel KPP fu sempre superiore al 10,5%, ma i comunisti non ebbero mai un ruolo
significativo tra la popolazione ebraica. Il PPS, sebbene avesse sempre accolto gli ebrei nelle proprie
file, era imbevuto di nazionalismo polacco ed era contrario all'yiddish, quindi nel dopoguerra aveva
pochi seguaci ebrei. Invece la forza di sinistra maggiormente presente tra gli ebrei erano i pro-yiddish
del Bund, la cui sezione polacca era sopravvissuta alla sconfitta nell'Unione Sovietica; tuttavia essi
erano ancora una netta minoranza nell'ambito della comunità. Nelle elezioni del 1922 per il
parlamento polacco (Sejm, Dieta) essi presero solo poco più di 87.000 voti, e non riuscirono a
ottenere neanche un seggio. Alla destra vi era Agudas Yisrael, il partito degli ortodossi tradizionalisti,
che era vagamente appoggiato da circa un terzo della comunità. Secondo la concezione agudista, il
Talmud esigeva fedeltà a qualunque governo dei gentili che non interferisse con la religione ebraica.
Con il loro passivo conservatorismo, essi non potevano avere influenza sugli elementi più acculturati,
che cercavano una soluzione più attivistica all'antisemitismo. Un piccolo seguito, soprattutto di
intellettuali, aderì ai Populisti, un gruppo di nazionalisti yiddish. Tutti questi gruppi, ognuno con le sue
specificità, erano antisionisti.
La forza politica dominante nella comunità ebraica erano i sionisti. Essi avevano ottenuto sei dei
tredici seggi ebraici nella Dieta del 1919, e le elezioni del 1922 diedero loro l'opportunità di dimostrare
che potevano contrastare l'ancora virulento antisemitismo. La fazione più ampia del movimento,
capeggiata da Yitzhak Gruenbaum dei sionisti radicali, organizzò un “Blocco delle Minoranze”. Le
nazionalità non polacche costituivano quasi un terzo della popolazione e Gruenbaum pensava che
unendosi avrebbero potuto essere l'ago della bilancia nella Dieta. Il blocco, comprendente la fazione
sionista di Gruenbaum ed esponenti delle nazionalità tedesca, bielorussa e ucraina, ebbe 66 candidati
eletti, di cui 17 sionisti. All'apparenza l'accordo sembrò avere successo, ma in sostanza presto
emersero le divisioni, sia all'interno della minoranza sionista che tra le varie minoranze in generale. La
maggioranza ucraina in Galizia rifiutò di riconoscere lo stato polacco e boicottò le elezioni. Nessuno
degli altri nazionalisti volle sostenere la lotta degli ucraini e i sionisti galiziani, che non volevano
contrapporsi ai polacchi, andarono alle elezioni come rivali del Blocco delle Minoranze. Il sionisti
galiziani presero 15 seggi, ma poiché il loro successo fu dovuto all'astensione degli ucraini non
poterono accreditarsi come rappresentanti della regione. Anche dentro il Blocco delle Minoranze non
vi fu accordo per un'unità a lungo termine, e dopo le elezioni esso si sciolse. Complessivamente nelle
114
elezioni del 1922 47 ebrei entrarono nelle due camere della Dieta, 32 dei quali sionisti, ma il loro
opportunismo elettorale li aveva messi in cattiva luce.
Il fallimento del Blocco delle Minoranze aprì la strada a un altro tentativo, organizzato dai leader
sionisti generali galiziani, Leon Reich e Osias Thon. Nel 1925 essi negoziarono un accordo, l' "Ugoda"
(Compromesso) con Wladyslaw Grabski, il Primo ministro antisemita. Grabski era in cerca di un
finanziamento dagli americani, e aveva bisogno di dimostrare di non essere un irremovibile fanatico.
Con l'accordo coi due sionisti poteva riuscire, almeno agli occhi di incauti stranieri, a far sembrare il
suo regime capace di un cambiamento. Di fatto il governo acconsentì a piccole concessioni: i coscritti
ebrei poterono avere cibo kosher, e gli studenti ebrei furono esentati dalla scrittura al sabato, mentre
per tutti gli altri era obbligatoria. Anche all'interno del movimento sionista, Thon e Reich furono
considerati traditori della comunità ebraica410.
L'antisemitismo fu parte integrante della linea reazionaria dei governi successivi al 1922, e la
maggioranza della popolazione, ebrei compresi, seguì il colpo di stato di Pilsudski del maggio 1926,
nella speranza di un cambiamento in positivo. L'intera delegazione ebraica alla Dieta votò per
Pilsudski presidente il 31 maggio411. La posizione degli ebrei non migliorò, ma almeno Pilsudski non
fece aumentare le discriminazioni, e la sua polizia represse i tumulti antisemiti fino alla sua morte, nel
1935. Le elezioni della Dieta del 1928 furono le ultime elezioni più o meno libere in Polonia. I sionisti
generali erano di nuovo divisi: la fazione di Gruenbaum entrò di nuovo in un blocco delle minoranze, e
i galiziani sostennero il loro proprio candidato. Pilsudski era popolare tra gli ebrei conservatori per aver
fatto cessare i pogrom, e molti votarono i suoi candidati per gratitudine. Ciò, insieme all'ingresso degli
ucraini di Galizia nella competizione elettorale, fece sì che la rappresentanza ebraica si riducesse a 22
eletti, di cui 16 sionisti412. Dal 1930 il regime di Pilsudski si volse verso un vero e proprio stato di
polizia, con gravi brutalità nei confronti dei prigionieri politici. Pilsudski mantenne la Dieta, ma stabilì
un controllo sulle elezioni attraverso brogli e i risultati del 1930 furono in gran parte fittizi. La
rappresentanza ebraica calò ancora a 11 eletti, di cui 6 sionisti.
Con l'intensificarsi della dittatura i parlamentari sionisti mostrarono maggiore interesse per
l'opposizione anti-Pilsudski, ma queste correnti vennero messe in difficoltà dalla vittoria di Hitler nella
vicina Germania. Il sionismo polacco inizialmente aveva sottovalutato il nazismo. Prima che arrivasse
al potere i quotidiani sionisti Haint, Der Moment e Nowy Dziennik avevano assicurato ai propri lettori
che una volta al governo l'antisemitismo di Hitler sarebbe stato contenuto dalla presenza di
conservatori come von Papen e Hugenburg nel suo governo di coalizione. Pensavano che le
necessità dell'economia tedesca lo avrebbero presto costretto ad adottare un approccio più moderato.
Poche settimane di Nuovo Ordine distrussero tali fantasie e la nuova preoccupazione dei sionisti
polacchi fu che il successo nazista suscitasse un'ondata di estremismo in Polonia. Ogni interesse
verso le opposizioni cessò, e Pilsudski divenne l'uomo decisivo in quanto si pronunciava contro il
regime di Berlino413. Il brusco cambio di atteggiamento dei sionisti nei confronti del dittatore suscitò
forti proteste da parte dei partiti di opposizione che vi resistevano. L'Agenzia Telegrafica Ebraica
riportò notizia di un dibattito sulla questione ebraica alla Dieta il 4 novembre 1933:

Il deputato Rog, leader del Partito dei Contadini...ha denunciato il comportamento


antiebraico della Germania hitleriana. Il crimine commesso contro gli ebrei tedeschi è un
crimine contro l'umanità, ha detto. La Polonia, ha dichiarato, non prenderà mai esempio
dalla Germania di Hitler. Egli tuttavia non poteva capire, ha proseguito, come i politici ebrei
che si oppongono alla dittatura tedesca possono conciliare con la loro coscienza il
sostegno che stanno dando in Polonia alla dittatura polacca. Non è piacevole per le
masse polacche constatare che gli ebrei appoggiano il loro oppressore414.

Il 26 gennaio 1934 Pilsudski siglò un patto decennale con Hitler. Nello stesso anno il governo di
Varsavia, vedendo l'impotenza della Società delle Nazioni di fronte al problema tedesco, decise di
rinnegare il Trattato sulle Minoranze sottoscritto sotto costrizione a Versailles. Nahum Goldmann
incontrò Jozef Beck, ministro degli Esteri polacco, a Ginevra il 13 settembre 1934, e provò a
persuaderlo a cambiare idea, ma senza successo. Come al solito la WZO rinunciò a organizzare

410
Ezra Mendelsohn, The Dilemma of Jewish Politics in Poland: Four Responses, 1974
411
Joseph Rothschild, Pilsudski's Coup D'Etat, 1967
412
AA. VV., Encyclopedia of Zionism and Israel, 2 voll., 1971
413
In AA.VV., Studies on Polish Jewry, 1919 – 1939, 1974
414
Jewish Weekly News, 29 dicembre 1933, p. 5
115
manifestazioni di massa all'estero, e si limitò a interventi diplomatici tra Londra e Roma 415. I sionisti
polacchi rimasero fedeli a Pilsudski fino alla sua morte, il 12 maggio 1935, e allora Osiah Thon e
Apolinary Hartglas, quest’ultimo presidente dell'Organizzazione Sionista Polacca, fecero la proposta di
una "Foresta Pilsudski" in Palestina in sua memoria 416. I revisionisti in Palestina annunciarono che
avrebbero costruito un ostello per i coloni intitolato a lui417.

“I lavoratori non sono stati contaminati”

La vittoria di Hitler esaltò gli estremisti tra gli antisemiti polacchi, ma finché il Maresciallo fu in
vita la sua polizia si attenne strettamente agli ordini di reprimere ogni tipo di disordine di strada.
Tuttavia i suoi successori, i “Colonnelli”, non avevano la caratura politica per mantenere ancora
questa linea politica. Essi mancavano del prestigio di Pilsudski e dovettero adeguarsi all’opinione della
popolazione, altrimenti sarebbero stati rovesciati. L’antisemitismo era una scelta ovvia in quanto
attingeva ai tradizionali pregiudizi di gran parte della classe media polacca. Tuttavia, essi provarono
ancora a mantenere l’ordine: le limitazioni verso gli ebrei dovevano applicarsi in base a rigidi principi di
legge. Gli Endek più antisemiti e la loro costola, i filo-nazisti Nara (Nazionalisti Radicali), compresero
che i Colonnelli si sarebbero piegati alla linea antisemita per debolezza, e si misero a sfidare la
polizia. Il paese presto fu attraversato da un’ondata di pogrom. Più volte gli assalti iniziarono nelle
università, dove gli Endek e i Nara provarono a istituire delle “aule-ghetto” e un numero chiuso per gli
ebrei. Prese piede un boicottaggio dei negozi ebraici e bande di teppisti anti-ebraici iniziarono a
terrorizzare i polacchi che affittavano i negozi ebrei. Gli assalti agli ebrei per la strada divennero
cronaca quotidiana.
La resistenza ebraica ai pogromisti fu in larga parte opera dei bundisti. Sebbene essi fossero
numericamente inferiori ai sionisti fino a metà degli anni ’30, ciononostante erano sempre stati la forza
egemone nel movimento operaio ebraico. Essi organizzarono delle squadre mobili 24 ore su 24
presso la loro sede di Varsavia. Alla notizia di un attacco il loro Ordener-grupe (servizio d’ordine),
bastoni e tubi tra le mani, andava all’attacco. A volte centinaia di bundisti, di ebrei unionisti e di loro
compagni della milizia del PPS, la Akcja Socyalistyczna, furono coinvolti in aspri scontri con i
sostenitori di Endek e Nara418. La più importante di queste battaglie di strada fu quella al Giardino
Sassone, famoso parco di Varsavia, nel 1938, quando il Bund scoprì che i Nara avevano in
programma un pogrom nel parco e nelle strade adiacenti. Bernard Goldstein, leader dell’Ordener-
grupe, ha poi descritto la battaglia nelle sue memorie:

Creammo un grosso gruppo di militanti e lo concentrammo nella grande piazza vicino al


cancello di ferro. Il nostro piano era di spingere gli squadristi in quella piazza, che era
chiusa da tre lati, e di bloccare la quarta uscita, e quindi coglierli in trappola in un luogo
dove potevamo dare battaglia e impartire loro una bella lezione…all’improvviso sbucammo
fuori dai nostri nascondigli, circondandoli da ogni lato…dovettero chiamare le
ambulanze419.

Precedentemente, il 26 settembre 1937, i Nara assalirono la sede del Bund. Il Bund


prontamente mise insieme una squadra di trenta persone: dieci bundisti, dieci membri di un gruppo
dissidente sionista, e dieci polacchi del PPS. Andarono alla sede dei Nara. I polacchi, fingendosi
addetti alle riparazioni, andarono in avanscoperta e tagliarono le linee telefoniche. Poi il resto del
commando effettuò l’attacco. Hyman Freeman, uno dei bundisti, disse del raid:

Ci fu battaglia, ma loro non ebbero la possibilità di mettere in piedi una qualche


resistenza. Li attaccammo come una sorta di blitzkrieg. Riducemmo il posto in macerie e li
menammo per bene…fu davvero un lavoro straordinario420.

415
In AA.VV., Studies on Polish Jewry, 1919 – 1939, 1974
416
Ezra Mendelsohn, The Dilemma of Jewish Politics in Poland: Four Responses, 1974
417
Palestine Post, 16 maggio 1935, p. 1
418
In AA.VV., Studies on Polish Jewry, 1919 – 1939, 1974
419
ibidem
420
ibidem
116
Benchè il senso comune sia dell’idea che l’antisemitismo fosse diffuso in tutte le classi della
società polacca, l’evidenza mostra che l’antisemitismo fu soprattutto un fenomeno della classe media
e, in seconda battuta, dei contadini. Il grosso della classe operaia polacca seguiva il PPS, e capì
dall’inizio che la lotta del Bund era la propria lotta e il l'appoggio agli ebrei sotto assedio era vitale nel
quadro della resistenza ai Nara. Nel 1936 il Palestine Post spiegò ai propri lettori che quando le bande
di studenti fascisti volevano uscire dai loro covi nelle università per dare inizio a un pogrom:

i lavoratori e gli studenti polacchi non-ebrei venivano subito in aiuto degli ebrei.
Recentemente il PPS ha organizzato un gran numero di incontri di propaganda…sono
stati fatti discorsi molto appassionati da parte di polacchi non ebrei che sembrano
profondamente decisi a dissociarsi dagli strepiti degli endek421.

Jacob Lestchinsky, uno dei principali studiosi sionisti dell’epoca, descrisse la mentalità del movimento
operaio polacco in un articolo per i lettori del Jewish Frontier nel luglio 1936:

il partito operaio polacco può a ragione vantare di aver immunizzato i lavoratori dal virus
dell’antisemitismo, anche nella velenosa atmosfera polacca. La loro posizione sulla
questione è diventata quasi un esempio. Anche nelle città e nei quartieri che sembrano
essere completamente infettati dal peggior tipo di antisemitismo, i lavoratori non sono stati
contaminati422.

Anche altri settori si schierarono con gli ebrei. Tra le masse ucraine, l’antisemitismo era
pericolosamente cresciuto allorché molti nazionalisti erano diventati filo-hitleriani. Essi si illudevano
che la Germania, in conseguenza dell’ostilità verso i colonnelli polacchi e Stalin, li avrebbe aiutati a
ottenere l’indipendenza in un futuro indefinito. Tuttavia il piccolo strato di studenti ucraini che avevano
avuto a che fare con lo sciovinismo della classe media polacca nelle sue roccaforti nelle università,
non fu mai contaminato dall’antisemitismo populista. Essi compresero cosa sarebbe accaduto alle loro
carriere universitarie se gli Endek e i Nara avessero avuto il sopravvento. Nel dicembre 1937 il
Palestine Post scrisse che

Nelle università di Vilna e Lemberg (Lvov) gli studenti bielorussi e ucraini si sono uniti
quasi in blocco al fronte anti-ghetto, e stanno sostenendo gli ebrei nella loro lotta contro
queste misure di stampo medievale423.

I contadini si divisero sulla questione ebraica. Quelli ricchi tendevano all’antisemitismo,


particolarmente nella Polonia occidentale. Invece nel sud e, in misura minore, nella parte centrale del
paese le masse rurali seguirono il Partito dei Contadini. Nel 1935 questo partito aveva assunto una
posizione inconsistente, da una parte insistendo sul principio dei diritti democratici per tutti gli ebrei nel
paese e dall’altra invocando la colonizzazione dell’economia e l’emigrazione ebraica in Palestina o
altrove424. Tuttavia, nel 1937 esso affermò che la campagna antisemita non era altro che un trucco per
distogliere l’attenzione dai veri problemi politici, in particolare la necessità di una riforma agraria.
Nell’agosto 1937 una gran parte dei contadini parteciparono a uno sciopero generale di dieci giorni. La
polizia uccise 50 dimostranti, ma in molte zone lo sciopero fu totale. Alexander Erlich della Columbia
University, che allora era un giovane dirigente del Bund, afferma che: “Durante lo sciopero si
potevano vedere dei barbuti chassidim infoltire i picchetti insieme ai contadini”425. Il governo riuscì a
sopravvivere soltanto perché i leader contadini della vecchia guardia non volevano collaborare coi
socialisti.
Il Bund e il PPS coinvolsero le masse nella lotta contro gli antisemiti. L’uccisione di due ebrei e il
ferimento di altre dozzine a Przytyk il 9 marzo 1936 spinsero a una risposta decisa, e il Bund convocò
uno sciopero generale di mezza giornata per il 17 marzo, con l’appoggio del PPS. Tutte le attività
ebraiche – una parte significativa della vita economica del paese – si fermarono. I sindacati del PPS a
Varsavia e nelle principali città sostennero lo sciopero, e una gran parte della Polonia si fermò. Fu
davvero il “Sabbath dei Sabbath!” Come fu descritto nella stampa ebraica.

421
Palestine Post, 29 gennaio 1936, p. 3
422
Jewish Frontier, luglio 1936, pp. 11-12
423
Palestine Post, 1 dicembre 1937
424
In Jewish Social Studies, aprile 1939, p. 248
425
In AA.VV., Solidarnosc, Polish Society and the Jews, 1982
117
Nel marzo del 1938 il Bund dichiarò una protesta di due giorni contro le aule-ghetto e i continui
atti di terrore nelle università. Nonostante gli attacchi fascisti, che erano respinti, molti dei più
importanti accademici polacchi si unirono alla comunità ebraica e ai sindacati socialisti nelle strade,
una straordinaria collaborazione in un paese in cui le madri zittivano i figli minacciandoli che un ebreo
li avrebbe portati via in un sacco.

Vittorie elettorali che non portano a nulla

Le masse cominciarono a orientarsi verso il Bund nelle elezioni della comunità ebraica del
1936, e il Bund e il PPS registrarono un forte incremento nelle elezioni municipali dello stesso anno.
Tuttavia qui emersero nettamente i gravi limiti del PPS. A Lodz, la città polacca più industrializzata, il
PPS rifiutò un’alleanza elettorale con il Bund, perché la sua leadership era preoccupata di perdere voti
se fosse stata identificata con gli ebrei. Ciononostante, da un punto di vista pratico, i due partiti erano
alleati nel lavoro quotidiano e continuarono ad acquisire seguito. I riformisti socialdemocratici del PPS
non furono mai in grado di abbandonare la mentalità opportunista e ancora rifiutarono l’alleanza nelle
elezioni per i consigli comunali del dicembre 1938 - gennaio 1939. Il Bund dovette correre
separatamente, ma le due fazioni si sostennero a vicenda nelle aree dove erano in minoranza. De
facto alleati, ottennero la maggioranza a Lodz, Cracovia, Lvov, Vilna e altre città, e impedirono il
formarsi di una maggioranza di governo a Varsavia. Il PPS prese il 26,8% dei voti, il Bund un altro
9,5%, e sebbene non fossero strettamente connessi, il loro 36% fu considerato socialmente più
influente del 29% dei colonnelli o del 18,8% degli Endek. Il New York Times parlò della “netta vittoria”
della sinistra, e della perdita di terreno degli antisemiti, profondamente divisi426.
Nei quartieri ebraici il Bund affossò i sionisti e ottenne il 70% dei consensi, il che gli portò 17
dei 20 seggi disponibili a Varsavia, mentre ai sionisti ne andò uno solo427.

“Mi auguro che venga massacrato un milione di ebrei polacchi”

Le masse ebraiche iniziarono ad abbandonare i sionisti nei tardi anni ’30. Quando gli inglesi
tagliarono le quote di immigrazione dopo la rivolta araba, la Palestina non sembrò più una soluzione ai
loro problemi. L’immigrazione polacca in Palestina cadde da 29.407 unità nel 1935 a 12.929 nel 1936,
poi a 3.578 nel 1937 e infine a 3.346 nel 1938. Tuttavia vi fu un’altra ragione fondamentale per
l’allontanamento dal sionismo. Il movimento fu screditato dal fatto che tutti gli antisemiti, dal governo ai
Nara, erano a favore dell’emigrazione in Palestina. “La Palestina assunse un’accezione negativa nella
vita politica polacca. Quando i deputati ebrei parlavano alla Dieta, i rappresentanti del governo e degli
Endek li interrompevano al grido di ‘Andate in Palestina!’ ”428. Dovunque i picchetti di boicottaggio anti-
ebraico erano dello stesso segno: “Moszku idz do Palestyny!” (“A calci in Palestina!”). Nel 1936 i
delegati dell’Endek nel consiglio comunale di Piotrkow fecero un gesto dimostrativo proponendo di
destinare un zloty “per sostenere l’emigrazione di massa in Palestina degli ebrei di Piotrkow”429. Il 31
agosto 1937 l’ABC, l’organo dei Nara, affermò:

La Palestina da sola non risolverà la questione ma può rappresentare l’inizio di


un’emigrazione di massa degli ebrei dalla Polonia. Di conseguenza essa non deve essere
ignorata dalla politica estera polacca. L’emigrazione volontaria degli ebrei dalla Polonia
può ridurre la tensione delle relazioni ebraico-polacche430.

I Colonnelli non ebbero bisogno di grandi spinte da parte dei nara; erano sempre stati
entusiasti filo-sionisti e sostennero caldamente la proposta della Commissione Peel per una partizione
della Palestina. Weizmann incontrò Jozef Beck nel settembre 1937 e questi gli assicurò che, nel

426
New York Times, 20 dicembre 1938
427
Bernard Johnpoll, The Politics of Futility: The General Jewish Workers Bund of Poland, 1917-1943, 1967
428
American Jewish Yearbook, 1937-38 p. 392
429
World Jewry, 13 marzo 1936, p. 5
430
Information Bulletin (American Jewish Committee), nn. 8-9, 1937, p. 3
118
momento della definizione delle frontiere del nuovo stato, Varsavia avrebbe fatto il massimo per
garantire ai sionisti quanto più territorio possibile431.
Il movimento sionista non aveva mai pensato che fosse possibile per gli ebrei polacchi
risolvere i propri problemi sul suolo polacco. Anche negli anni ’20, mentre negoziava con le altre
minoranze nazionali, Gruenbaum era divenuto famoso per le sue affermazioni sul fatto che gli ebrei
fossero solo una “zavorra in eccesso” nel paese e che la Polonia aveva “un milione di ebrei in più
rispetto a quanti ne può sistemare”432. Quando gli inglesi scoprirono il diario di Abba Achimeir dopo
l’omicidio Arlosoroff, scoprirono che quel concetto era espresso con più forza: “Mi auguro che un
milione di ebrei polacchi venga massacrato. Allora si renderebbero conto di vivere in un ghetto”433.
I sionisti si diedero da fare per indebolire gli sforzi del PPS di aiutare gli ebrei. Il Palestine Post,
nello stesso articolo del gennaio 1936 in cui ricordava le battaglie di strada dei lavoratori contro gli
antisemiti, scrisse che “E’ decisamente utile sottolineare questa manifestazione di speranza, come se
fosse vera”434. Nel giugno del 1937 l’americana Labor Zionist Newsletter ribadì il proprio scetticismo:

E’ vero che ora il PPS sta mostrando la solidarietà con le masse ebraiche in Polonia con
un coraggio e un vigore mai visti. Ma è molto dubbio che i socialisti e i sinceri liberali in
Polonia siano nella condizione di esprimere una resistenza tale da bloccare l’avanzata
della versione polacca del fascismo435.

I sionisti laburisti erano considerati parte della stessa Internazionale Socialista cui aderiva il
PPS, ma speravano di poter ignorare tale legame e di negoziare un’intesa direttamente coi nemici dei
socialisti polacchi. Nel suo editoriale del 20 settembre 1936 la Newsletter scrisse:

L’attenzione del mondo politico internazionale è stata attirata dalla notizia che il governo
polacco si sta preparando ad accrescere la richiesta di colonie…Gli analisti più seri
ritengono che la questione della redistribuzione delle colonie diventerà qualcosa di
fondamentale. Perciò tali progetti e proposte da parte di paesi con un’ampia popolazione
ebraica dovrebbero ricevere molta attenzione da parte della leadership ebraica
mondiale436.

In realtà la Polonia non aveva alcuna possibilità di un posto al sole, ma dando credito alle
lunatiche aspirazioni della destra polacca i sionisti speravano di persuadere l’opinione pubblica del
fatto che la risposta all’antisemitismo polacco era al di fuori del paese.
La WZO era disposta ad assecondare il regime di Varsavia ma, dopo che gli inglesi ebbero
accantonato il piano di partizione Peel e tagliato le quote di immigrazione, i suoi seguaci non ebbero
più nulla da offrire ai colonnelli polacchi e furono i revisionisti che divennero i più intimi collaboratori
del regime. Jacob de Haas sintetizzò la posizione revisionista sugli ebrei polacchi nell’ottobre 1936:

Ovviamente è spiacevole sentirsi dire che gli ebrei sono dovunque “superflui”. Dall’altra
parte la suscettibilità verso le frasi che vengono usate, e verranno usate, a proposito di
queste questioni, espone a una sofferenza che non è necessaria. Dovremmo saper
sopportare cose ancora peggiori, se il risultato alla fine fosse positivo437.

Jabotinsky aveva proposto di “evacuare” dall’Europa orientale un milione e mezzo di ebrei


nell’arco di dieci anni, molti dei quali polacchi. Egli provò in qualche modo ad abbellire una tale resa
all’antisemitismo, ma nel 1937 ammise che aveva difficoltà a trovare termini appropriati per quella
proposta:

Dapprima ho pensato a un “Esodo”, una “seconda partenza dall’Egitto”. Ma non può


essere. Noi siamo impegnati in politica, dobbiamo essere in grado di relazionarci con le
altre nazioni e di chiedere il sostegno di altri stati. E stando così le cose, non possiamo

431
Palestine Post, 15 settembre 1937, p. 8
432
Jewish Social Studies, gennaio 1970, p.24
433
Jewish Daily Bulletin, 8 settembre 1933, p.1
434
Palestine Post, 29 gennaio 1936, p. 3
435
Labor Zionist Newsletter, 4 giugno 1937, pp. 1-2
436
Labor Zionist Newsletter, 20 settembre 1936, p. 10
437
Chicago Jewish Chronicle, 2 ottobre 1936, p.1
119
sottostare a loro in termini offensivi, che richiamano alla mente il Faraone e le sue dieci
piaghe. D’altronde, la parola Esodo evoca una terribile immagine di orrore, l’immagine di
un’intera nazione che si muove disordinatamente e in preda al panico438.

Nel 1939 i revisionisti inviarono Robert Briscoe, allora membro del Fianna Fail e del parlamento
irlandese (poi famoso come Sindaco Onorario ebreo di Dublino) con una proposta al colonnello Beck:

Per conto del Nuovo Movimento Sionista…vi suggerisco di chiedere all’Inghilterra di


cedere a voi il Mandato per la Palestina e renderla di fatto una colonia polacca. Allora
potrete spostare tutti gli ebrei polacchi indesiderati in Palestina. Ciò porterebbe grande
giovamento al vostro paese, e avreste una colonia ricca e prospera per sostenere la
vostra economia439.

I polacchi non persero tempo a fare richiesta per il Mandato. Si ricorderà che Jabotinsky aveva
intenzione di invadere la Palestina nel 1939. Questa operazione iniziò a essere pianificata nel 1937,
quando i polacchi acconsentirono ad addestrare l’Irgun e ad armarlo per un’invasione della Palestina
prevista per il 1940440. Nella primavera del 1939 i polacchi allestirono un campo di addestramento per
la guerriglia per i loro clienti revisionisti a Zakopane, sui Monti Tatra441. 25 membri dell’Irgun,
provenienti dalla Palestina, furono istruiti sulle tecniche di sabotaggio, cospirazione e insurrezione da
ufficiali polacchi442. Furono procurate armi per 10.000 uomini, e i revisionisti si prepararono a
contrabbandare le armi in Palestina quando fosse iniziata la guerra. Avraham Stern, il primo a lasciare
il campo di Zakopane, disse agli istruttori che una via per la Palestina attraverso Turchia e Italia era
“oggetto di negoziati che potevano avere possibilità di successo” ma non c’è prova che gli italiani, e
men che meno i turchi, fossero coinvolti443. Stern era uno dei fascisti viscerali tra i revisionisti, e
pensava che Mussolini, se avesse visto da parte loro la seria intenzione di sfidare l'Inghilterra,
sarebbe stato indotto a ritornare alla sua politica filo-sionista. Inizialmente l'invasione era stata
programmata come un vero tentativo di prendere il potere, e quando Jabotinsky propose di
trasformarla in un gesto simbolico mirante a creare un governo in esilio vi fu un aspro dibattito in seno
al comando dell'Irgun. La discussione fu troncata dall'arresto da parte degli inglesi, proprio mentre
scoppiava la guerra.
E' difficile credere che qualsiasi gruppo ebraico potesse seriamente programmare un tale
piano e persuadere i polacchi a seguirlo. Tuttavia per il regime ciò permise di distogliere migliaia di
betarim dagli scontri contro gli antisemiti. Essi si allenavano nella boxe, nella lotta e talvolta a tirare
con la pistola ma, a meno che fossero attaccati, non combatterono mai i fascisti. Secondo Shmuel
Merlin, che allora era a Varsavia ed era il segretario generale della NZO:

E' assolutamente corretto affermare che solo il Bund fece una lotta organizzata contro gli
antisemiti. Noi non prendevamo in considerazione il fatto di dover combattere in Polonia.
Credevano che il modo di risolvere la situazione fosse portare gli ebrei fuori dalla Polonia.
Non avevamo uno spirito battagliero444.

Il fallimento dei socialisti e il tradimento dei sionisti


Non si deve pensare che i lavoratori polacchi fossero tutti grandi sostenitori degli ebrei. Il PPS
era contrario all'yiddish e guardava ai fanatici chassidim con benevola compassione. Comunque, il
partito aveva assimilato dei leader ebraici, come Herman Lieberman, il suo parlamentare più noto, e
molti dei suoi dirigenti erano sposati con donne ebree. Nel 1931 il PPS fece una proposta temporanea
al Bund: la milizia del PPS, l'Akcja Socjalistczyna, avrebbe protetto lo spezzone del Bund alla
manifestazione unitaria del Primo Maggio, e l'Ordener-grupe del Bund avrebbe protetto lo spezzone
del PPS. Il Bund declinò l'ottima proposta. Esso apprezzò lo spirito del gesto, ma rifiutò adducendo il

438
Vladimir Jabotinsky, Evacuation – Humanitarian Zionism, articolo 1937
439
Robert Briscoe, For the Life of Me, 1958
440
John Bowyer Bell, Terror Out of Zion, 1977
441
Daniel Levine, David Raziel: The Man and His Times, 1969
442
Jewish Spectator, estate 1980, p.33
443
Daniel Levine, David Raziel: The Man and His Times, 1969
444
Intervista dell’autore a Shmuel Merlin, 16 settembre 1980
120
fatto che era compito degli ebrei badare alla propria autodifesa 445. La non volontà dei leader del PPS
di costituire un fronte unito con il Bund per le importantissime elezioni municipali del 1938 - 39 fu
motivata non da antisemitismo ma dalla "versione polacca" della storica preoccupazione dei
socialdemocratici di perdere voti. Invece di provare ad acquisire i voti dei lavoratori più arretrati, essi
avrebbero dovuto appellarsi all'unità dei lavoratori e contadini più avanzati per un assalto al regime. Vi
fu un'incapacità a riconoscere le immense potenzialità che maturarono a partire dalla proposta del
1931, e una generale incapacità a comprendere che gli ebrei non avrebbero mai sconfitto appieno i
loro nemici, e che non era possibile raggiungere il socialismo solo con il proprio partito, isolato dalla
classe operaia polacca; e anche il Bund contribuì a mantenere una spaccatura nazionalista in seno
alla classe operaia.
Entrambi i partiti erano riformisti nella loro essenza; benché i Colonnelli avessero subito una
severa sconfitta nelle elezioni municipali, essi non ebbero fiducia nei propri mezzi e attesero
passivamente che i regime crollasse sotto il proprio peso. Nell'interesse della "unità nazionale"
annullarono le adunate del Primo Maggio 1939, quando l'unica salvezza possibile per la Polonia era
una mobilitazione di massa per portare di fronte al regime la richiesta di armamento generale della
popolazione.
Ma se il Bund e il PPS fallirono "all'ultima curva", almeno si batterono contro gli antisemiti. I
sionisti non lo fecero. Al contrario, si batterono per sostenere i nemici degli ebrei.

445
In AA.VV., Studies on Polish Jewry, 1919 – 1939, 1974

121
21. IL SIONISMO
NELLA POLONIA DELL’OLOCAUSTO
Nel momento in cui i nazisti invasero la Polonia, per gli ebrei non vi fu più speranza. Hitler
riteneva che la conquista della Polonia avrebbe fornito Lebensraum (spazio vitale) ai coloni tedeschi.
Alcuni polacchi, della stirpe etnicamente migliore, sarebbero stati assimilati a forza alla nazione
tedesca, i restanti sarebbero stati spietatamente sfruttati come schiavi. Con queste mire sulla
popolazione slava, era chiaro che non vi era più posto per gli ebrei nel Reich in espansione. I nazisti
permisero, e anzi incoraggiarono con la forza, l’emigrazione ebraica dalla Germania e dall’Austria fino
alla fine del 1941, ma fin dall’inizio l’emigrazione dalla Polonia avvenne col contagocce poiché il flusso
dalla “Grande Germania” non doveva essere ostruito. All’inizio gli occupanti permisero agli ebrei
americani di inviare pacchi di cibo, ma solo perché Hitler aveva bisogno di tempo per organizzare il
nuovo territorio e portare avanti la guerra.

La classe operaia non capitola

Nei giorni dell’invasione tedesca il governo polacco dichiarò Varsavia città aperta, e ordinò a tutti
gli uomini abili a combattere di ritirarsi lungo un nuovo fronte sul fiume Bug. Il Comitato Centrale del
Bund si chiese se fosse meglio per gli ebrei combattere fino alla fine a Varsavia piuttosto che vedere
le proprie famiglie arrendersi a Hitler. Dubitando che gli ebrei lo avrebbero seguito nella resistenza, e
che i polacchi non avrebbero tollerato la riduzione della città in rovine, decise la ritirata con le armi al
seguito. I bundisti approntarono un comitato ristretto e ordinarono a tutti gli altri membri del partito di
seguire l’esercito verso est. Alexander Erlich ha spiegato la loro posizione:

Deve sembrare ingenuo, perché ora sappiamo che Stalin stava per invadere da est, ma
noi pensavamo che la linea del fronte si sarebbe stabilizzata. Eravamo certi di essere più
efficaci con un esercito schierato piuttosto che in un territorio occupato dai tedeschi.446

Quando i dirigenti del Bund furono presso il Bug, arrivò la notizia che l’ordine di evacuazione
era stato revocato. Mieczyslaw Niedzialdovski e Zygmunt Zaremba del Partito Socialista Polacco
(PPS) avevano convinto il generale Czuma, il comandante militare di Varsavia, che era
psicologicamente cruciale per il futuro movimento di resistenza che la capitale della Polonia non
cadesse senza combattere. Il Bund incaricò due dei suoi principali leader, Victor Alter e Bernard
Goldstein, di rientrare a Varsavia. La strada del ritorno era completamente bloccata, e loro decisero di
andare a sud e da lì di provare a dirigersi verso la capitale. Arrivarono fino a Lublino, e lì si divisero.
Alter non ebbe successo, ma Goldstein raggiunse Varsavia il 3 ottobre. La città era già caduta, ma
solo dopo una determinata difesa da parte di truppe dislocate nell’area circostante e di battaglioni di
lavoratori organizzati dal PPS e dal Bund.

La leadership sionista si disperde

La maggior parte dei principali leader sionisti lasciarono Varsavia quando l’esercito evacuò la
città ma, diversamente dai bundisti, nessuno di loro vi fece ritorno quando seppero che la capitale
andava difesa. Quando i sovietici attraversarono il confine, essi o si rifugiarono in Romania o
fuggirono a nord a Vilna, città che era stata ceduta alla Lituania dai sovietici. Tra i fuggitivi vi furono
Moshe Sneh, presidente dell’Organizzazione Sionista Polacca, Menachem Begin, allora leader del
Betar in Polonia, e i suoi amici Nathan Yalin-Mor e Israel Scheib (poi Israel Eldad). Sneh andò in
Palestina e fu nel comando dell’Haganah dal 1941 al 1946. Begin fu casualmente arrestato in Lituania
dai russi e, dopo un duro soggiorno nei campi di Stalin in Siberia, fu rilasciato quando la Germania
invase l’URSS. Lasciò il paese come soldato dell’esercito polacco in esilio e arrivò in Palestina nel
1942; poi fu a capo dell’Irgun nella rivolta contro la Gran Bretagna del 1944. Nathan Yalin-Mor e Israel

446
Intervista dell’autore a Alexander Erlich, 3 ottobre 1979
122
Scheib più avanti divennero due dei tre comandanti della “Banda Stern”, un gruppo che si era
distaccato dall’Irgun. Dei sionisti, solo i giovani di Hashomer e He-Chalutz fecero rientrare degli
attivisti nella tempesta polacca. Gli altri cercarono, e alcuni ottennero, visti per la Palestina e
lasciarono il mattatoio europeo.
I sionisti abbandonarono il proprio popolo per la Palestina? La testimonianza di Begin è chiara.
Egli disse in un intervista, nel 1977:

Con un gruppo di amici raggiungemmo Lvov (Lemberg) in un disperato e vano tentativo


di raggiungere Eretz Israel, ma ci andò male. A quel punto, udimmo che Vilna sarebbe
stata fatta capitale di una Repubblica indipendente di Lituania da parte dei Russi.447

Quando Begin fu arrestato, nel 1940, egli aveva intenzione di continuare il suo viaggio verso la
Palestina e non di ritornare in Polonia. Nel suo libro, Notti bianche, riportò di avere detto ai suoi
carcerieri russi nella prigione Lukishki di Vilna che “Avevo ricevuto un lasciapassare da Kovno per me
e mia moglie, e anche visti per la Palestina. Eravamo sul punto di partire, e fu solo il mio arresto che ci
impedì di farlo”. Poche pagine più avanti aggiunse: “Stavamo per partire…ma fummo costretti a
cedere i nostri posti a un amico”.448

Due dei suoi più recenti biografi, i revisionisti Lester Eckman e Gertrude Hirschler, hanno scritto
che egli fu criticato dal proprio movimento per la fuga, ma assicurano che intendesse tornare:

Ricevette dalla Palestina una lettera che lo criticava per essere fuggito dalla capitale
polacca quando altri ebrei erano bloccati laggiù. Come capo del Betar, diceva la lettera,
sarebbe dovuto essere l’ultimo ad abbandonare la nave che affondava. Begin era
tormentato da sentimenti di colpa; ci vollero strenui sforzi da parte dei suoi compagni per
non fargli commettere questo atto impulsivo, che probabilmente gli sarebbe costato la
vita.449

Begin non fa riferimento a ciò in White Nights, e spiega che “non c’era alcun dubbio che sarei
stato uno dei primi a essere giustiziato se i tedeschi mi avessero catturato a Varsavia”.450 In realtà,
non ci fu alcuna persecuzione specifica verso i sionisti in generale o i revisionisti in particolare, a
Varsavia o altrove. Al contrario, ancora nel 1941, dopo l’invasione dell’URSS, i tedeschi nominarono
Josef Glazman, capo del Betar in Lituania, come ispettore della polizia ebraica nel ghetto di Vilna.
Begin volle andare in Palestina perché era stato colui che nel 1938 al Congresso del Betar aveva più
di ogni altro invocato la sua immediata conquista. Un interessante corollario a tutto ciò emerse il 2
marzo 1982, durante un dibattito al parlamento israeliano. Begin chiese solennemente: “Quante
persone ci sono in Parlamento che hanno dovuto mettere la Stella di David? Io sono una di quelle”.451
Ma Begin scappò dai nazisti, e non c’erano stelle gialle in Lituania quando vi si trovava come
rifugiato.

I Consigli ebraici

Al loro ingresso a Varsavia i nazisti trovarono Adam Czerniakow, sionista e presidente


dell’Associazione degli Artigiani Ebrei, a capo dei resti della comunità ebraica, e gli ordinarono di
costituire un Judenrat (Consiglio ebraico).452 A Lodz, seconda città della Polonia, Chaim Rumkowski,
un altro sionista minore, ebbe un incarico analogo. Essi non erano rappresentanti autorizzati del
movimento sionista, ed erano entrambi figure insignificanti prima della guerra. Non tutti gli Judenrat
vennero guidati dai sionisti; alcuni furono presieduti da intellettuali assimilati, o da rabbini, o anche, in
una città (Piotrkow), da un bundista. Comunque, come membri o dirigenti di questi consigli fantoccio
furono scelti più sionisti che agudisti , bundisti e comunisti messi insieme. I nazisti disprezzavano molto
i religiosi chassidici dell’Aguda, e sapevano che bundisti e comunisti non avrebbero mai agito secondo
447
Jewish Press, 2 dicembre, 1977
448
Menachem Begin, White Nights, 1957
449
Lester Eckman e Gertrude Hirschler, Menachem Begin, 1979
450
Menachem Begin, White Nights, 1957
451
New York Times, 3 marzo 1982, p. 7
452
Adam Czerniakow, Diario, 1939 - 42
123
i loro piani. Dal 1939 i nazisti avevano contatti con i sionisti in Germania e anche in Austria e
Cecoslovacchia, e sapevano che avrebbero trovato scarsa resistenza nei loro ranghi.
La dispersione dei dirigenti sionisti più esperti aumentò per il fatto che per alcuni mesi i nazisti
permisero ai possessori di certificati di espatrio di lasciare la Polonia per la Palestina. La WZO sfruttò
questa opportunità per far partire altri dirigenti locali, incluso Apolinary Hartglas, che aveva preceduto
Sneh a capo dell’Organizzazione Sionista. Nel suo Diario Czerniakow raccontò come gli fosse stato
offerto uno dei certificati ed egli avesse sdegnosamente rifiutato di abbandonare il proprio posto. 453 Nel
febbraio 1940 raccontò di avere rimproverato un uomo che era venuto a porgergli i saluti prima di
andare via:

Pidocchio, non dimenticherò, pidocchio, come hai preteso di comportarti da leader e ora
te ne scappi via con gli altri come te, lasciando le masse in questa situazione orribile.454

Yisrael Gutman, uno degli studiosi presso l’Israel’s Yad Vashem Holocaust Institute, ha scritto
su questo tema.

E’ vero che alcuni leader avevano buone ragioni per temere per la propria incolumità
personale in un paese caduto nelle mani dei nazisti. Nello stesso tempo vi fu nella
partenza di questi leader un elemento di panico, non controbilanciato dallo sforzo di
preoccuparsi del proprio rimpiazzo e della continuazione dell’attività da parte di altri…
Quelli rimasti furono dirigenti di seconda o di terza categoria, non sempre in grado di
districarsi in quella difficile situazione, che persero anche i preziosi contatti con il mondo
polacco e la sua dirigenza. Tra i leader che rimasero vi fu anche chi si tenne in disparte
dall’attività clandestina, provando a cancellare le tracce del proprio passato.455

Alcuni studiosi hanno rilevato che non tutti i leader dei Consigli ebraici collaborarono, ma il clima
morale al loro interno era estremamente corrotto. Bernard Goldstein nelle sue memorie, The Stars
Bear Witness, descrisse il Judenrat di Varsavia nei mesi precedenti la creazione del ghetto; il
Consiglio, per mitigare gli arruolamenti forzati, forniva ai tedeschi battaglioni di lavoratori. Venne
studiato un sistema di coinvolgimento. In teoria ognuno si prestava a rotazione, ma

Il meccanismo venne inquinato molto in fretta…gli ebrei ricchi pagavano fino a migliaia di
zloty per essere esonerati dal lavoro forzato. Lo Judenrat raccoglieva grandi quantità di
denaro, e mandava i poveri nei battaglioni di lavoro al posto dei ricchi.456

Senza dubbio ogni branca dell’apparato consiliare era corrotta. Essi si adoperavano attivamente
per l’educazione e il welfare, ma pochi consigli facevano qualcosa per infondere uno spirito di
resistenza. Isaiah Trunk, uno dei più attenti studiosi degli Judenrat, ha espresso un chiaro giudizio in
proposito.

Ho detto esplicitamente che la maggior parte dei Judenrat ebbe un atteggiamento


negativo sulla questione della resistenza…Nelle regioni orientali la vicinanza geografica
alle basi partigiane offriva una possibilità di salvezza, e questo certamente influenzò
l’atteggiamento degli Judenrat…dove non c’era possibilità di salvezza appoggiandosi ai
partigiani, l’atteggiamento della maggior parte degli Judenrat verso la resistenza fu
assolutamente negativo.457

Vi furono alcuni collaborazionisti totali, come Avraham Gancwajch a Varsavia. Un tempo


“onesto” sionista laburista, ora guidava quelli del “13”, cosiddetti perché il loro quartier generale era al
numero 13 di via Leszno. Il loro lavoro era catturare contrabbandieri, spiare lo Judenrat e in generale
procacciare informazioni alla Gestapo.458 A Vilna Jacob Gens, un revisionista, capo della polizia del
ghetto e de facto capo del ghetto, di certo fu collaborazionista. Quando i nazisti ebbero notizia di un

453
Adam Czerniakow, Diario, 1939 - 42
454
ibidem
455
Yisrael Gutman, The Genesis of the Resistance in the Warsaw Ghetto, Yad Vashem Studies 1973
456
Bernard Goldstein, The Stars Bear Witness, 1949
457
Jewish Resistance during the Holocaust (Atti della Conferenza di Gerusalemme del 1968)
458
Emmanuel Ringelblum, Notes from the Warsaw Ghetto, 1944
124
movimento di resistenza nel ghetto, Gens attirò il suo leader, il comunista Itzik Wittenberg, nel proprio
ufficio e lo fece arrestare dalla polizia lituana. 459 Il sionista generale Chaim Rumkowski di Lodz gestiva
il suo ghetto in una maniera singolare: “Re Chaim”, come i suoi sottoposti lo chiamavano, fece mettere
il proprio ritratto sul timbro postale del ghetto.
Non tutti furono così degradati come costoro. Czerniakow collaborò coi nazisti e oppose
resistenza, ma all'inizio della Grosse Aktion del luglio 1942, con la quale i tedeschi deportarono
300.000 ebrei, si tolse la vita piuttosto che collaborare ancora.
Nella loro mente essi giustificarono ciò che facevano, pensando che solo grazie a un’infame
collaborazione qualche ebreo sarebbe potuto sopravvivere. Tuttavia, furono delusi; il destino dei
singoli ghetti, e anche dei singoli consigli, fu determinato in quasi tutti i casi o dai capricci dei
comandanti nazisti, o dalla politica regionale del Reich, e non da quanto un ghetto era stato docile.

“I partiti non hanno alcun diritto di darci ordini”

Tutta la resistenza ebraica deve essere esaminata in relazione alla politica nazista verso i
polacchi. Hitler non cercò mai un Quisling polacco; il paese doveva essere soggiogato dal terrore. Fin
dall’inizio migliaia di persone furono giustiziate come rappresaglia collettiva per ogni atto di resistenza.
Membri del PPS, ex ufficiali, molti preti e accademici, molti dei quali probabilmente solidali con gli
ebrei, furono uccisi o inviati nel campi di concentramento. Nello stesso tempo i nazisti cercarono di
coinvolgere le masse polacche nella persecuzione degli ebrei attraverso ricompense materiali, ma vi
furono sempre persone disposte ad aiutare gli ebrei. L’organizzazione più importante fu il PPS, che
aveva rubato ogni tipo di timbro ufficiale e produceva falsi documenti ariani, anche per alcuni membri
del Bund. I revisionisti mantennero contatti con l’esercito polacco. Migliaia di polacchi nascosero gli
ebrei, rischiando la morte certa se quelli fossero stati catturati.
Il vantaggio principale per la Germania fu l'assenza di armi nella popolazione, poiché i
Colonnelli avevano sempre avuto cura che queste restassero fuori dalla disponibilità dei civili. Le
milizie del PPS e del Bund non erano mai andate oltre qualche occasionale esercitazione di tiro, e ora
dovettero pagarne lo scotto. Di fatto le uniche pistole disponibili erano quelle nascoste dall’esercito in
ritirata, e queste finirono sotto la custodia dell’Armia Krajova (AK), l’Esercito Patriottico, che prendeva
ordini dal governo in esilio a Londra. Sotto pressione inglese il governo in esilio aveva dovuto
includere una piccola rappresentanza del PPS e del Bund, ma il controllo dell’AK rimase agli antisemiti
e ai loro alleati. Essi erano restii ad armare la popolazione per paura che, dopo che i tedeschi se ne
fossero andati, i lavoratori e i contadini avrebbero rivolto le armi contro i ricchi. Svilupparono la tesi
strategica che l’ora di agire dovesse scattare solo quando i tedeschi avessero patito una sconfitta sul
campo di battaglia. Insistevano che l’azione prematura non sarebbe servita a nulla, e avrebbe solo
scatenato la rabbia nazista nei confronti della popolazione. Naturalmente questo volle dire rinviare
l’aiuto agli ebrei. Il PPS, non avendo armi proprie, fu indotto a legarsi all’AK, ma non riuscì a ottenere
armi sufficienti per aiutare gli ebrei in maniera autonoma ed efficace.
Quegli ebrei che si erano opposti all’antisemitismo polacco ante-guerra furono i primi a
resistere ai nazisti. Quelli che non avevano fatto nulla continuarono a non fare nulla. Czerniakow
insistette affinchè il Bund fornisse un membro allo Judenrat di Varsavia. I bundisti sapevano fin
dall’inizio che il Consiglio poteva solo essere uno strumento nelle mani dei tedeschi, ma si sentirono
obbligati ad acconsentire e nominarono Shmuel Zygelboym. Zygelboym era stato il capo del partito a
Lodz ed era riparato a Varsavia nella speranza di continuare a combattere dopo che l’esercito polacco
si era ritirato dalla sua città. Quindi egli contribuì a mobilitare i resti del Bund di Varsavia a fianco del
PPS.
Zygelboym aveva accettato con riluttanza la costituzione di una squadra di lavori forzati in
quanto preferibile ai sequestri arbitrari da parte degli arruolatori nazisti, ma nell’ottobre 1939, quando
allo Judenrat fu ordinato di organizzare un ghetto, non volle andare oltre. Egli dichiarò al Consiglio:

Sento che non vorrei mai più vivere se…il ghetto dovesse essere istituito ed io rimanere
illeso…riconosco che il presidente è obbligato a riferire ciò alla Gestapo, e so a quali
conseguenze posso andare incontro personalmente.460

459
Lester Eckman e Chaim Lazar, The Jewish Resistance, p.31
460
Bernard Johnpoll, The Politics of Futility: The General Jewish Workers Bund of Poland, 1917-1943, 1967
125
I membri del Consiglio temette che la posizione di Zygelboym li avrebbe screditati tra gli ebrei
se essi avessero supinamente accettato l’ordine dei nazisti, e cancellarono la loro iniziale decisione di
collaborare. Migliaia di ebrei giunsero davanti alla sede del Consiglio per avere più informazioni, e
Zygelboym colse l’occasione per parlare. Egli disse loro di rimanere a casa e di obbligare i tedeschi a
prenderli con la forza. I nazisti gli ordinarono di presentarsi alla polizia il giorno successivo. Il Bund
capì che questa era una sentenza di morte e lo fece uscire clandestinamente dal paese; comunque, la
sua azione ebbe successo poiché l’ordine di istituire il ghetto fu temporaneamente cancellato.
L’ultima coraggiosa battaglia del Bund ebbe luogo poco prima della Pasqua 1940. Un teppista
polacco aggredì un vecchio ebreo e iniziò a strappargli la barba dalla faccia. Un bundista vide il fatto e
colpì il polacco. I nazisti catturarono il bundista e lo fucilarono il giorno successivo. I pogromisti
polacchi iniziarono a vandalizzare i quartieri ebraici mentre i tedeschi stavano a guardare. Essi
volevano che i raid continuassero per dimostrare che la popolazione polacca li appoggiava nella loro
politica anti-ebraica. Gli assalti contro gli ebrei furono di gran lunga più gravi di quanto i Nara avessero
mai fatto nella Polonia indipendente; il Bund comprese che non aveva altra scelta se non rischiare la
rabbia dei nazisti e scese in campo. Per essere sicuri che nessun morto tra i polacchi fosse usato
come pretesto per ulteriori incursioni, non furono usati né coltelli né pistole; solo manici di ottone e tubi
di ferro. Centinaia di ebrei, e i membri del PPS del distretto di Wola, si batterono contro i pogromisti
nei due giorni successivi, fino a che la polizia polacca non pose fine alla guerriglia urbana. I nazisti
non interferirono. Essi avevano raccolto fotografie per la loro propaganda e per il momento scelsero di
non punire gli ebrei per la loro azione.461 Questo episodio segnò la fine della leadership del Bund nei
confronti degli ebrei polacchi.
In capo a pochi mesi di occupazione tedesca i capi dei movimenti giovanili sionisti Hashomer e
HeChalutz, che erano anch’essi fuggiti in Lituania, fecero rientrare in Polonia dei loro rappresentanti,
ma non con l’idea di organizzare una rivolta. Essi si sentivano in dovere di condividere le sofferenze
della popolazione e di rincuorarla dando prova di una condotta morale dignitosa. Le prime azioni
militari di un gruppo sionista furono dello Swit (Alba), un piccolo gruppo di veterani revisionisti. Essi
avevano legami con il Korpus Bezpieczenstwa (KB, Corpo di Sicurezza), un piccola unità polacca
vagamente connessa con l’AK, e all’inizio del 1940 il KB mandò alcuni ebrei, tra cui alcuni medici,
nell’area tra i fiumi Bug e San, per lavorare insieme a elementi dell’AK. 462 Tuttavia, né lo Swit ne il KB
avevano piani per una resistenza su vasta scala o per la fuga dai ghetti.463
Considerazioni serie su una resistenza ebraica armata iniziarono soltanto dopo l’invasione
tedesca dell’URSS. Dall’inizio i nazisti abbandonarono ogni remora nelle loro azioni in URSS. Le
Einsatzgruppen (Unità Operative) iniziarono a massacrare gli ebrei e nell’ottobre 1941, a quattro mesi
dall’invasione, più di 250.000 ebrei erano stati uccisi in esecuzioni di massa in Bielorussia e nei Paesi
Baltici. Nel dicembre 1941 i primi resoconti sulle camere a gas in territorio polacco, a Chelmno,
convinsero i movimenti giovanili, il Bund, i revisionisti e i comunisti che dovevano mettere insieme
gruppi militari, ma la massa dei leader dei principali partiti della WZO o non credevano che quei
massacri potessero avere luogo anche a Varsavia, oppure erano convinti che non ci fosse nulla da
fare. Yitzhak Zuckerman, un fondatore della Organizzazione Ebraica di Combattimento (JFO), che
univa le forze della WZO con il Bund e i comunisti, e poi uno dei principali storici della rivolta del
ghetto di Varsavia, ha detto chiaramente: “La Jewish Fighting Organization nacque senza i partiti e
contro la volontà dei partiti”.464 Dopo la guerra furono pubblicati alcuni scritti postumi di Hersz (Hirsch)
Berlinski, della “sinistra” di Poale Zion. Egli riportò dell'incontro, nell’ottobre 1942, tra la propria
organizzazione e i movimenti giovanili. La questione discussa fu se la JFO dovesse avere solo un
comando militare o un comando politico-militare, e i gruppi giovanili vollero respingere il controllo dei
partiti:

I compagni di Hashomer e HeChalutz parlarono in maniera chiara dei partiti politici: “I


partiti non hanno alcun diritto di darci ordini. Eccetto i giovani, non fanno nulla.
Interferiscono e basta.”465

Alla Conferenza sulla Resistenza Ebraica alla Yad Vashem Rememberance Authority, nell’aprile
1968, furono scambiate aspre parole tra quegli storici che avevano partecipato alla lotta e quelli che

461
Bernard Goldstein, The Stars Bear Witness, 1949
462
Wladystaw Bartoszewski, The Bloodshed United Us, 1970
463
Reuben Ainsztein, Jewish Resistance in Nazi Occupied Europe, 1974
464
Jewish Resistance during the Holocaust (Atti della Conferenza di Gerusalemme del 1968)
465
Hirsch Berlinski, Pola Elster, Eliyahu Erlich. Drai, 1966
126
ancora cercavano di difendere l’approccio passivo. Yisrael Guttman sfidò uno di questi ultimi, il dottor
Nathan Eck:

Credete che, se avessimo atteso fino alla fine e avessimo agito secondo le indicazioni
dei leader di partito, la rivolta avrebbe lo stesso avuto luogo? Io credo che non ci sarebbe
stata alcuna rivolta, e io sfido il dottor Eck a portare prove convincenti che i leader di
partito credevano davvero che ci sarebbe stata una rivolta.466

Emmanuel Ringelblum, il grande narratore della distruzione della Varsavia ebraica, descrisse le
opinioni del suo amico Mordechai Anielewicz di Hashomer, comandante della JFO:

Il Mordechai che era maturato così rapidamente ed era arrivato così rapidamente ai più
importanti posti di comando dell’Organizzazione di Combattimento, ora si rammaricava
profondamente che lui e i suoi compagni avessero perduto tre anni di guerra nel lavoro
educativo e culturale. Non avevamo capito che stava emergendo il nuovo volto di Hitler, si
lamentava Mordechai. Avremmo dovuto istruire i giovani nell’uso di proiettili veri e propri.
Avremmo dovuto crescerli in uno spirito di rivolta contro il grande nemico degli ebrei, di
tutta l’umanità, e di tutti i tempi.467

La discussione sulla resistenza ruotò intorno alla questione centrale di dove combattere. In linea
generale, i comunisti erano a favore di inviare quanti più giovani possibile nelle foreste come
partigiani, mentre i giovani sionisti erano per restare nei ghetti. I comunisti erano sempre stati il partito
più etnicamente radicato nel paese e, ora che la stessa URSS era stata attaccata, erano
completamente dediti alla lotta contro Hitler. I sovietici avevano paracadutato in Polonia Pincus Kartin,
un veterano della guerra civile spagnola, per organizzare gli ebrei in clandestinità. I comunisti
ritenevano che i ghetti fossero indifendibili e i combattenti sarebbero stati uccisi per nulla. Nei boschi
essi non solo sarebbero sopravvissuti, ma avrebbero potuto anche iniziare ad attaccare i tedeschi.
Rispetto alla ritirata nelle foreste, i giovani sionisti sollevarono problemi concreti. L’Armata Rossa era
ancora molto lontana e la Gwardia Ludowa (Guardia Popolare) dei comunisti polacchi era vista con
molto sospetto dalla popolazione, a causa del suo appoggio al patto Hitler-Stalin che aveva condotto
direttamente alla distruzione dello stato polacco. Di conseguenza la Guardia aveva pochissime armi, e
la campagna era piena di partigiani antisemiti, spesso Nara, che non esitavano a uccidere gli ebrei.
In generale, un eccesso di settarismo caratterizzò molte vedute dei giovani sionisti. Mordechai
Tanenbaum-Tamaroff di Bialystok fu uno dei più veementi oppositori della concezione partigiana,
eppure la sua città si trovava in un’immensa foresta naturale. Egli scrisse:

Nella vendetta che vogliamo esigere l’elemento costante e decisivo è l’ebreo, il fattore
nazionale…la nostra strategia è legata alla nostra condizione nazionale nel ghetto (non
lasciamo gli anziani al loro macabro destino!)…e se restiamo vivi, ce ne andremo, armi in
pugno, nelle foreste.468

I risultati non furono quelli sperati: Hashomer e HeChalutz avevano sperato che il loro esempio
avrebbe mobilitato i ghetti, ma essi non capirono che il morale della popolazione era spezzato dai
quattro anni di umiliazioni e sofferenze. I ghetti non potevano armarsi, e dunque vedevano la rivolta
solo come un accrescimento della certezza di morire. Yisrael Guttman ha ribadito con una certa
ragione:

La verità è che la popolazione ebrea nella maggior parte dei ghetti né capì né accettò la
presenza e il contributo dei combattenti…Dovunque le organizzazioni combattenti furono
oggetto di aspre critiche da parte della popolazione…Il risultato ottenuto dai movimenti
giovanili a Varsavia non si ripeté in altri luoghi di rivolta.469

Il ghetto di Varsavia ebbe due potenziali fonti di armi: la Guardia Popolare, che voleva agire ma
non aveva armi, e l’Esercito Patriottico che ne aveva ma non voleva agire. Essi alla fine usarono

466
Jewish Resistance during the Holocaust (Atti della Conferenza di Gerusalemme del 1968)
467
AA.VV., They Fought Back: The Story of the Jewish Resistance in Nazi Europe, 1968
468
Jewish Resistance during the Holocaust (Atti della Conferenza di Gerusalemme del 1968)
469
ibidem
127
poche armi, soprattutto pistole, e si batterono coraggiosamente per diversi giorni finché il loro scarso
arsenale non terminò. I revisionisti avevano dovuto costituire la loro “Organizzazione Nazionale
Militare” separata, perché le altre correnti politiche rifiutarono di unirsi a un gruppo che era considerato
fascista. Comunque, i revisionisti furono in grado di fornire a uno dei loro distaccamenti uniformi
tedesche, tre mitragliatrici, otto fucili e centinaia di granate. Alcuni dei loro combattenti fuggirono
attraverso tunnel e fognature, vennero accompagnati nelle foreste da alcuni simpatizzanti polacchi,
furono intrappolati, fuggirono ancora, si rifugiarono di nuovo nel settore ariano di Varsavia e furono
infine circondati e uccisi. Per Anielewicz la fine arrivò nel ghetto al ventesimo giorno di resistenza.
Marek Edelman, allora bundista e vice-comandante della JFO, dice che si suicidò in un bunker con 80
compagni.470 Zuckerman, un altro luogotenente, dice che Anielewicz fu ucciso dalle granate e dai gas
tossici sprigionatisi all’interno del nascondiglio.471

“Gli ebrei sognano di andare nelle case dei lavoratori”

Emmanuel Ringelblum, un sionista laburista, era rientrato in Polonia dall’estero. Nell’agosto


1939, quando la guerra scoppiò, era in Svizzera per il Congresso Sionista, e scelse di ritornare in
Polonia attraverso i Balcani. Poi si dedicò al compito di narrare quegli eventi. Il valore della sua attività
era evidente a tutte le fazioni politiche, e alla fine gli fu assegnato un nascondiglio nella parte ariana di
Varsavia. Morì nel 1944, quando quel luogo fu scoperto, ma non prima di aver scritto la sua opera
principale, Relazioni tra polacchi ed ebrei durante la Seconda Guerra Mondiale. Il testo è senza peli
sulla lingua (“Il fascismo polacco e il suo alleato, l’antisemitismo, hanno conquistato la maggioranza
della popolazione polacca”), ma tratta con attenzione tutta la Polonia, classe per classe e anche
regione per regione.472

La classe media in toto ha continuato ad aderire all’ideologia dell’antisemitismo ed è


entusiasta della soluzione nazista al problema ebraico in Polonia.473

Egli confermò la valutazione ante-guerra di Lestchinskij e di altri osservatori sulla fermezza dei
lavoratori nella lotta contro l’antisemitismo:

I lavoratori polacchi avevano colto ben prima della guerra gli aspetti di classe
dell’antisemitismo, strumento di potere della borghesia locale, e durante la guerra
raddoppiarono i loro sforzi per combattere l’antisemitismo…C’erano poche possibilità per i
lavoratori di nascondere gli ebrei nelle loro case. Il sovraffollamento degli alloggi era il
maggiore ostacolo all’accoglienza degli ebrei. A dispetto di ciò, molti ebrei trovarono
rifugio negli alloggi dei lavoratori…Si deve sottolineare che in generale gli ebrei sognano
di entrare nelle case dei lavoratori, perchè questo li assicura che non vi saranno ricatti e
sfruttamento da parte dei loro ospiti.474

Il resoconto di Ringelblum, testimone oculare e storico esperto, mostra la pena che gli ebrei
devono aver subito prima e durante la guerra. Nonostante la caduta del Partito Socialista e del Partito
Comunista, non c’è dubbio che molti lavoratori furono con gli ebrei fino alla fine, e che molti lavoratori
fecero di più per gli ebrei di quanto non fecero molti ebrei. Probabilmente alcune centinaia, o qualche
migliaio, di ebrei in più si sarebbero potuti salvare, ma le rivolte nei ghetti, scarseggiando di armi, non
ebbero mai una possibilità di successo, anche come gesti simbolici. Il rapporto riservato del
comandante nazista sulla rivolta di Varsavia segnalò solo sedici vittime tra i tedeschi e i loro ausiliari
e, benché questo dato probabilmente sia troppo basso475, la rivolta non rappresentò mai una vera
preoccupazione militare per i tedeschi.
L’ascesa di Mordechai Anielewicz all’immortalità storica è senz’altro giustificata, e nessuna
critica alla sua strategia deve essere considerata un tentativo di togliere lustro al suo nome. Egli
470
Jewish Affairs, settembre 1975, p. 23
471
AA.VV., The Catastrophe of European Jewry, 1976
472
Emmanuel Ringelblum, Polish-Jewish Relations During the Second World War, 1943
473
ibidem
474
ibidem
475
In realtà le stime più attendibili parlano di almeno 300 soldati tedeschi uccisi dai rivoltosi. Se poi la rivolta fosse
scoppiata quando il ghetto era ancora densamente abitato, ovviamente avrebbe avuto migliore esito (n.d.r.).
128
rientrò volontariamente da Vilna. Si dedicò al suo popolo provato. Tuttavia, il martirio del 24enne
Anielewicz non potrà mai assolvere il movimento sionista dal fallimento nel combattere l’antisemitismo
prima della guerra, in Germania e in Polonia, quando si era ancora in tempo. E il suo ritorno non può
farci dimenticare la condotta degli altri leader sionisti, anche nei primi mesi di occupazione, né la
rinuncia degli altri leader di partito a iniziare una lotta clandestina.

129
22. COLLUSIONE TRA IL SIONISMO
E IL GOVERNO POLACCO IN ESILIO

Le notizie sull’invasione tedesca dell’URSS raggiunsero Menachem Begin mentre viaggiava


prigioniero su un treno diretto in Siberia. Era stato arrestato dai russi con gli altri attivisti politici
polacchi non comunisti che erano fuggiti nei territori assegnati a Stalin dal patto tedesco-sovietico del
1939. Il governo polacco in esilio e i sovietici erano stati acerrimi nemici fino all’invasione tedesca
dell’URSS, ma anche dopo vi erano ancora posizioni inconciliabili tra loro, soprattutto a proposito dei
territori orientali. Ciononostante Stalin annunciò un’amnistia per tutti i prigionieri politici polacchi, e il
Primo ministro polacco Vladyslaw Sikorski ordinò a tutti i maschi di unirsi all’esercito polacco in esilio.

“Quelli di fede mosaica facciano un passo avanti”

Negli ultimi mesi prima della guerra i revisionisti, tra i quali spiccava la figura di Begin (allora a
capo del Betar polacco), avevano negoziato con il capitano Runge, capo dei Servizi di sicurezza a
Varsavia, per creare unità armate ebraiche sotto il comando di ufficiali polacchi 476. Essi speravano
che, dopo che i polacchi e gli ebrei avessero sconfitto le armate tedesche, gli ebrei senza gli ufficiali
polacchi al comando sarebbero andati a conquistare la Palestina 477. Nel settembre-ottobre 1941 nella
regione sovietica del Volga, mentre i nazisti stavano avanzando verso Mosca, la proposta fu
riformulata da Miron Sheskin, comandante in capo del Brith HaChayal, organizzazione di veterani
revisionisti, e da Mark Kahan, editore del quotidiano yiddish di Varsavia Der Moment. L’esercito
polacco in esilio era dominato da antisemiti, che volevano tenere gli ebrei al di fuori dei propri ranghi,
e questa proposta di segregazione degli ebrei li attirava. Tuttavia al vertice della catena di comando il
generale Wladyslaw Anders comprese che la proposta non sarebbe stata accettabile né per i sovietici
né per gli inglesi. Ciononostante alcuni degli ufficiali della base sita nell’oblast di Samara erano vecchi
collaboratori dei revisionisti, e credettero di fare un favore agli ebrei separandoli all’interno delle loro
unità. Il colonnello Jan Galadyk, ex comandante della scuola allievi ufficiali prima della guerra, si offrì
volontario per guidare tale battaglione. Dopo la guerra Kahan descrisse l’unità come un modello per
l’agognata legione ebraica e ne fece un ritratto positivo, come esempio di successo nelle relazioni tra
ebrei e polacchi. Ma Yisrael Gutman ha studiato la storia dell’armata di Anders e ci dice che Kahan
non è attendibile. La verità è meglio rappresentata dal rabbino Leon Rozen-Szeczakacz, agudista ma
sostenitore dell’idea della legione, nel suo Cry in the Wilderness.
Il 7 ottobre 1941 a Tozkoje tutti gli ebrei furono riuniti in uno spiazzo e un ufficiale annunciò:
“Tutti quelli di fede mosaica facciano un passo avanti”. La maggior parte di coloro che lo fecero
vennero esclusi dall’esercito. Quei pochi, compreso Rozen-Szeczakacz, che non furono
sommariamente allontanati furono completamente separati dal resto dell’armata. Le vessazioni
iniziarono immediatamente. Alla maggior parte degli ebrei furono forniti stivali troppo piccoli, il che
significava provare a proteggersi i piedi con gli stracci, nell’inverno sovietico a meno quaranta gradi.
Furono trasferiti in un altro luogo e lasciati all’aperto per giorni, e il comando si “dimenticò” di fornire i
pasti478. Quando Rozen-Szeczakacz arrivò alla nuova località di stanza del battaglione a Koltubanka, il
suo primo compito fu di seppellire il gran numero di corpi 479. Alla fine, dopo un gran numero di
sofferenze e morti, le cose migliorarono quando la notizia arrivò all’ambasciatore polacco e ai leader
bundisti in esilio, e il battaglione divenne effettivamente una piccola unità militare. Tuttavia il piano più
generale per una Legione Ebraica fu accantonato.
Alla fine l’armata di Anders lasciò l’URSS per l’Iran, dove si unì all’esercito inglese; gli
antisemiti provarono ad abbandonare il maggior numero possibile di ebrei, e giovani sani furono
esonerati dal servizio. A marzo-aprile e agosto-settembre 1942, circa 114.000 polacchi tra militari e

476
Jewish Press, 13 maggio 1977, p.4
477
Yisrael Gutman, Jews in General Anders' Army in the Soviet Union, 1977
478
Leon Rozen-Szeczakacz, Cry in the Wilderness, 1966
479
Yisrael Gutman, Jews in General Anders' Army in the Soviet Union, 1977

130
civili lasciarono l'URSS alla volta dell'Iran. Di questi, circa 6.000 erano ebrei, il 5% dei soldati e il 7%
dei civili. Per fare un confronto, nell’estate del 1941, prima che fosse varata la linea antisemita, gli
ebrei erano circa il 40% del totale degli arruolati nell’esercito. Nonostante la discriminazione verso i
soldati ebrei, i revisionisti Kahan, Sheskin e Begin riuscirono a cavarsela grazie alle loro conoscenze
nelle gerarchie militari480.

Il sionismo accetta l’antisemitismo nell’esercito polacco

Una delle ironie della storia, in questo caso della Seconda guerra mondiale, è che l’esercito
polacco in esilio, con il suo largo stuolo di antisemiti, alla fine raggiunse di buon grado la Palestina.
Era ancora di stanza laggiù il 28 giugno 1943, quando Eliazer Liebenstein, che allora editava il
giornale dell’Haganah Eshnab, pubblicò un Ordine del giorno segreto che il generale Anders aveva
emesso nel novembre 1941. Egli aveva detto ai suoi ufficiali che “comprendeva pienamente” la loro
ostilità verso gli ebrei; essi dovevano capire che gli alleati erano sotto la pressione ebraica ma li
rassicurava che al ritorno al loro paese “ci occuperemo della questione ebraica in accordo con l’idea
di indipendenza della nostra patria”. Ciò va interpretato come l’intenzione alla fine della guerra di
espellere tutti gli ebrei che fossero scampati agli artigli di Hitler. La presenza dell’esercito polacco in
Palestina rese impossibile per la WZO ignorare lo scandalo e alla fine, il 19 settembre, i
“Rappresentanti degli Ebrei Polacchi” ebbero un chiarimento con Anders a proposito del suo Ordine
del giorno nella sede del consolato polacco a Tel Aviv. Il generale dichiarò che l’intera storia era una
montatura. Poi parlò della diserzione degli ebrei dal proprio esercito durante la permanenza in
Palestina. Disse che non gli importava che 3.000 dei 4.000 ebrei arruolati ai suoi ordini avessero
disertato, che non li avrebbe fatti ricercare, e i sionisti colsero l’allusione 481. Poco dopo l’incontro il
console inviò al ministro degli Esteri polacco a Londra un memorandum su un incontro tra il proprio
vice e Yitzhak Gruenbaum, allora all’esecutivo dell’Agenzia Ebraica. Il viceconsole aveva ripetuto la
smentita a proposito dell’Ordine di Anders e chiese ai sionisti aiuto per mettere definitivamente a
tacere la cosa. Dopo aver discusso con gli altri membri del suo esecutivo, Gruenbaum acconsentì a
prendere per buona la versione polacca482. Più tardi, il 13 dicembre 1944 a Londra, il dottor Ignacy
Schwartzbart, rappresentante sionista nel Consiglio Nazionale Polacco, e Aryeh Tartakower del World
Jewish Congress incontrarono Stanislaw Mikolajczyk, un politico del Partito dei Contadini che era
succeduto a Sikorski come Primo ministro e, ancora una volta, i sionisti accettarono di mentire
riguardo all’Ordine. Schwartzbart disse al polacco che:

ci sono testimoni, e tra loro dei ministri, che si dissociarono dall’Ordine quando fu
emesso. Sappiamo che uno dei telegrammi si riferisce all’Ordine come a un falso. Non ho
alcuna obiezione a utilizzare questa versione per le dichiarazioni esterne, ma in privato
nessuno può pretendere che io creda che fosse un falso483.

Anche in Inghilterra ai soldati ebrei veniva detto dai loro comandanti che avrebbero preso dei
colpi nella schiena quando andavano in battaglia, e gli ufficiali polacchi parlavano continuamente di
deportazione degli ebrei alla fine della guerra. Qualcuno disse senza mezzi termini che quegli ebrei
che fossero sopravvissuti a Hitler sarebbero stati massacrati. Nel gennaio 1944, alla fine, alcuni ebrei
dissero basta: sessantotto disertarono e minacciarono di entrare in sciopero della fame, o anche di
suicidarsi, piuttosto che stare nell’esercito polacco, mentre restavano disponibili a combattere in quello
inglese. A febbraio altri 134 ebrei disertarono, e a marzo furono ancora di più. La prima reazione dei
polacchi fu di lasciarli andare, ma poi annunciarono che 31 disertori sarebbero andati alla corte
marziale e che non sarebbero stati tollerati altri casi. Alcuni membri del Partito Laburista sposarono la
loro causa e Tom Driberg fece un’interrogazione alla Camera dei Comuni. Non appena ebbe fatto ciò
Schwarzbart gli telefonò, pregandolo di lasciar perdere la cosa onde non attirare ulteriore
attenzione484. Driberg ignorò questo suggerimento; sia lui che Michael Foot denunciarono le intenzioni
dei polacchi in un meeting di massa il 14 maggio, e ci furono manifestazioni davanti a Downing Street.

480
Leon Rozen-Szeczakacz, Cry in the Wilderness, 1966
481
Yisrael Gutman, Jews in General Anders' Army in the Soviet Union, 1977
482
ibidem
483
ibidem
484
Bernard Wasserstein, Britain and the Jews of Europe 1939-45, 1979
131
Il governo in esilio fu costretto a fare marcia indietro. Anni dopo Driberg parlò della vicenda nel suo
libro, Ruling Passions. Era ancora stupito del comportamento della leadership ebrea inglese:

La cosa bizzarra fu che avevamo sollevato questa questione alla Camera dei Comuni
contro il parere (una preghiera quasi supplichevole) dei portavoce ufficiali della comunità
ebraica inglese. Essi pensavano che qualunque pubblicità sulla vicenda avrebbe generato
più antisemitismo, forse diretto contro loro stessi485.

L’interpretazione di Driberg delle motivazioni dei leader ebrei inglesi è indubbiamente corretta.
Alla fine essi presero posizione, ma solo dopo che i membri laburisti ebbero convinto l’opinione
pubblica, e dunque furono assolutamente sicuri che non ci fosse pericolo a farlo.
In precedenza Schwarzbart aveva partecipato a un altro episodio piuttosto vergognoso della
vita politica polacca. Nel 1942 madame Zofia Zaleska, del partito degli Endek, aveva proposto alla
Dieta polacca in esilio che venisse istituita una patria ebraica al di fuori della Polonia, che si chiedesse
agli ebrei di emigrarvi. Invece che opporsi, Schwarzbart provò a emendare la risoluzione Zaleska nel
senso di nominare specificamente la Palestina come patria. Il suo suggerimento fu respinto e la
mozione originale fu accolta dalla Dieta. Solo Shmuel Zygelboym del Bund e un rappresentante del
PPS votarono contro. Schwarzbart si astenne486.
Il governo polacco in esilio dipendeva dalla Gran Bretagna e, dopo l’arrivo dell’esercito polacco
in Palestina, i sionisti avrebbero potuto fare ulteriore pressione sugli inglesi. Anders aveva ragione a
dire ai suoi ufficiali che gli ebrei avrebbero sempre potuto far pressione sugli inglesi sulla questione
dell’antisemitismo fra le forze armate polacche, e il successo dell’iniziativa Driberg-Foot ne è una
prova. Invece la WZO, sia in Palestina che a Londra, si accordò coi polacchi per nascondere l’Ordine
del giorno di Anders e intervenne per convincere i deputati laburisti a mettere fine alla loro protesta.
Allo stesso modo i revisionisti trattarono con l’esercito polacco quando questo era di stanza in URSS,
per favorire la Legione Ebraica e la conquista della Palestina; nel 1943 un loro buon amico, il
colonnello Caladyk, contribuì all’addestramento dell’Irgun in Palestina487.
Coloro che avevano cercato la protezione degli antisemiti nella Polonia dell’anteguerra, poi non
combatterono mai l’antisemitismo, neanche in Inghilterra e in Palestina dove la situazione era
favorevole.

485
ibidem
486
Bernard Johnpoll, The Politics of Futility: The General Jewish Workers Bund of Poland, 1917-1943, 1967
487
Leon Rozen-Szeczakacz, Cry in the Wilderness (appendice), 1966

132
23. L’IMMIGRAZIONE ILLEGALE

Non si sa esattamente quanti immigrati illegali arrivarono clandestinamente in Palestina prima


e durante la Seconda guerra mondiale. Yehuda Bauer stima che furono circa 15.000 negli anni 1936 -
39488. Egli divide questo numero in 5.300 portati dalle navi dei revisionisti, 5.000 dai sionisti laburisti e
5.200 da imbarcazioni private489. Gli inglesi conteggiarono 20.180 arrivi prima della fine della guerra.
William Perl, il principale organizzatore revisionista delle spedizioni, raddoppia la stima a più di
40.000490. Yehuda Slutzky parla di 52.000 arrivi in Palestina durante la guerra, ma include sia i legali
che gli illegali491.
La prima nave clandestina, il Velos, organizzata dai kibbutzim palestinesi, arrivò nel luglio
1934. Essa ritentò a settembre, ma fu intercettata e sia i dirigenti WZO che sionisti laburisti si
opposero a ulteriori tentativi; nel 1935 l'Inghilterra avrebbe ammesso 55.000 immigrati regolari, perciò
essi non vedevano la ragione di creare attriti con Londra per aggiungerne pochi altri. Il primo tentativo
revisionista fu la Union, che fu intercettata al momento dello sbarco nell'agosto 1934. Questi due
fallimenti scoraggiarono ulteriori spedizioni fino a un nuovo tentativo revisionista nel 1937.
Dopo l'Olocausto, l'immigrazione illegale post-1937 venne rappresentata come parte del
contributo dei sionisti al salvataggio degli ebrei europei da Hitler. Tuttavia all'epoca nè i revisionisti nè
la WZO intendevano salvare gli ebrei di per sè; essi puntavano a introdurre in Palestina uno specifico
numero di coloni selezionati.

“La priorità andò ai membri del nostro Betar”


I revisionisti ripresero l'immigrazione illegale durante la rivolta araba. Gli immigrati furono per lo
più betarim portati a rinforzo dell'Irgun, che era impegnato in una campagna terroristica contro gli
arabi492. I primi tre gruppi, per un totale di 204 passeggeri, lasciarono Vienna nel 1937, prima
dell'Anschluss nazista. A parte quattro austriaci, erano tutti dell'Europa orientale. Tutti avevano
ricevuto un addestramento militare al campo revisionista di Kottingbrunn, allo scopo di essere pronti
“per la battaglia finale con gli occupanti inglesi”493. Il loro obiettivo fu sempre rispondere alle necessità
militari dei revisionisti palestinesi. Die Aktion, il gruppo viennese che organizzava la "immigrazione
libera", approvò una risoluzione nella quale si affermava che il trasporto riguardava solo i giovani: "Per
l'imminente battaglia di liberazione della patria ebraica dal giogo coloniale inglese, la priorità deve
essere data agli ebrei in grado e disposti a usare le armi"494.
Negli anni successivi in alcuni casi i revisionisti trasportarono anche altri oltre ai betarim, ma
costoro furono inclusi solamente per la contingenza della situazione. Il denaro per la prima spedizione
dopo l’Anschluss proveniva dalla comunità ebraica di Vienna, che era dominata da una coalizione di
sionisti di destra; Die Aktion fu talvolta indotta da ragioni politiche ed economiche a inserire membri di
altri gruppi tra i passeggeri, ma la preferenza andò sempre ai betarim. William Perl parlò della prima
nave “post-Anschluss” nel suo libro, The Four-Front War, e ammise candidamente che:

La priorità andò ai membri del nostro Betar…poi, a coloro che si pensava potessero
sostenere la fatica del viaggio, adattandosi alla vita in Palestina. Un giorno questi giovani
sarebbero stati pronti e in grado a prendere le armi insieme al Betar495.

488
Yehuda Bauer, From Diplomacy to Resistance, 1970
489
AA. VV., Encyclopedia of Zionism and Israel, 2 voll., 1971
490
William Perl, The Four-Front War: From the Holocaust to the Promised Land, 1979
491
In AA.VV., Jewish Resistance during the Holocaust, 1968
492
Daniel Levine, David Raziel: The Man and His Times, 1969
493
William Perl, The Four-Front War: From the Holocaust to the Promised Land, 1979
494
ibidem
495
ibidem
133
A proposito delle vicende dell’estate 1939, Perl scrisse inoltre che “Jabotinsky stesso…ora ha
assunto un ruolo più attivo nell’organizzazione della fuga degli ebrei dalla Polonia, in particolare del
maggior numero possibile di membri del Betar”496. Yitzhak Ben-Ami, che dalla Palestina si era recato a
Vienna per gestire le operazioni e poi andò negli USA per raccogliere fondi per le imbarcazioni,
recentemente ha parlato di “grandi discussioni e tensione” tra lui e Jabotinsky su come approcciare il
pubblico americano. Ben-Ami sapeva che ci sarebbe stata una guerra in Europa e voleva organizzare
una vera e propria operazione di soccorso, mentre Jabotinsky vedeva la raccolta fondi semplicemente
come un finanziamento al partito497. Anche nel novembre 1939, due mesi dopo l’inizio della guerra,
Perl era ben lontano dall’idea di salvare gli ebrei e ancora pensava: “Se pagavano, i betarim avevano
la precedenza”498. Egli menziona un caso in cui furono trasportati “alcuni” sionisti socialisti e lui e altri
revisionisti elencano alcuni membri del club sportivo di destra Maccabi e alcuni sionisti generali come
parte dei convogli. Vi erano solo due modi in cui dei non sionisti potevano salire a bordo di navi
revisioniste: o su insistenza dei nazisti (o di altri governi dell’area danubiana), o perchè, come nel
caso di un gruppo di agudisti di Budapest, la carenza di denaro obbligava Perl a includere dei
passeggeri paganti non sionisti per garantire il viaggio ai contingenti del Betar. Anche in questi casi si
vedeva comunque che la preoccupazione centrale era per la Palestina. Benchè gli agusti fossero ostili
al sionismo, Perl riteneva che “per la difesa del nuovo stato erano da prendere in considerazione. Per
loro la Palestina non era solo un rifugio temporaneo”499. Nel 1947 Otto Seidmann, ex leader del Betar
viennese, affermò che “dovevamo salvare le vite degli ebrei – sia comunisti che capitalisti, sia membri
di Hashomer Hatzair che sionisti generali”500, ma ciò è semplicemente falso. I betarim furono sempre
preferiti agli altri sionisti, di destra o di sinistra, e i sionisti furono sempre preferiti ai non sionisti.

“Chi è più utile nel processo di costruzione della patria ebraica”


La Federazione Sionista Tedesca si oppose all’immigrazione illegale fino alla Notte dei Cristalli.
Erano dei legalitari, che non avevano fatto nulla per opporsi al nazismo e non volevano osteggiare gli
inglesi. Quando la WZO rientrò nel campo dell’immigrazione illegale, lo fece con grande titubanza, e
anche dopo la Notte dei Cristalli Ben-Gurion ammonì il Comitato Centrale della ZVD: “Non potremo
mai combattere sia gli arabi che gli inglesi”501. Weizmann, dopo anni di collaborazione con gli inglesi,
era istintivamente contro qualunque azione illegale. All’inizio la WZO non riuscì ad accettare l’idea che
l’Inghilterra, ora seriamente impegnata a preparare la guerra, potesse temere di inimicarsi gli arabi e i
musulmani con un ulteriore appoggio all’immigrazione sionista. Ciò che alla fine spinse i sionisti
laburisti ad agire fu il prestigio che i revisionisti stavano guadagnando con i loro trasporti di ebrei
europei in Palestina. Ma anche allora essi mantennero invariato il loro approccio molto selettivo. Nel
1940 il Comitato di Emergenza per la Questione Sionista, voce ufficiale della WZO in America durante
la Seconda guerra mondiale, pubblicò un pamphlet, Revisionism: A Destructive Force, che espresse
chiaramente il concetto di selettività:

E’ del tutto vero che la Palestina dovrebbe essere un rifugio per tutti gli ebrei senza
patria. C’è un ebreo o un sionista che si augurano il contrario? Ma siamo di fronte alla
tragica evidenza dei fatti. Solo alcuni tra coloro che oggi cercano di entrare in Palestina
potranno essere accolti. La selezione è inevitabile. La scelta deve essere casuale,
dipendente soltanto da chi arriva prima, o devono essere dei motivi precisi a determinare
le modalità dell’immigrazione? Noi sappiamo che la preferenza per l’emigrazione dalla
Germania va data ai giovani. La ragione di questa preferenza è il brutale disprezzo per gli
anziani o deriva dal difficile ma sincero tentativo di salvare chi è più utile nel processo di
costruzione della patria ebraica?
Quando la forza degli eventi impone agli uomini il terribile onere di assicurare la
salvezza, la questione non si risolve con la caotica apertura delle porte a chiunque voglia

496
ibidem
497
Intevista dell’autore a Yitzhak Ben-Ami, 16 dicembre 1980
498
William Perl, The Four-Front War: From the Holocaust to the Promised Land, 1979
499
ibidem
500
Tagar, 1 gennaio 1947, p. 7
501
David Yisraeli, The Third Reich and Palestine, 1971
134
entrare. Anche quella è una scelta – una scelta contraria al nostro presente e al nostro
futuro502.

Il processo di selezione per le navi organizzate dalla WZO fu poi spiegato da Aaron Zwergbaum
nella sua descrizione di una spedizione dalla Cecoslovacchia occupata dai nazisti.

Le autorità sioniste trattavano questa Aliya come un’immigrazione regolare; era


altamente selettiva, e richiedeva (almeno per i giovani) l’Hashkara (addestramento
agricolo), una certa conoscenza dell’ebraico, l’affiliazione a un organismo sionista, buona
salute, e così via. Vi era un limite di età piuttosto basso, e il pagamento era fissato in base
al principio che i benestanti non dovessero pagare solo per sé ma anche per chi non
aveva i mezzi 503.

Anche qui, come per i revisionisti, vi furono eccezioni alla regola. Alcuni veterani sionisti furono
ricompensati per i loro servizi con un posto sulle imbarcazioni, e così accadde con i parenti di altri o
con ebrei ricchi accolti per ragioni economiche. E naturalmente furono accolti gli emigranti imposti dai
nazisti e da altri governi. Anche i bambini furono in generale bene accetti; essi a loro volta un giorno
avrebbero figliato in Palestina, andando a incrementare la percentuale della popolazione ebraica. Ma,
per esempio, un 45enne non sionista, accordatore di pianoforti, senza la possibilità di pagare per altri,
e senza parenti sionisti, non sarebbe mai stato preso in considerazione per un viaggio.

“Essi coopereranno in questioni che sono di vitale importanza per noi”


I revisionisti furono più impegnati nell'organizzazione dell'immigrazione illegale perché non si
curavano della reazione di Londra. Essi erano arrivati a capire che, se avessero voluto realizzare lo
stato ebraico, avrebbero dovuto combattere contro l'Inghilterra; i dirigenti WZO invece puntavano
ancora a ottenere uno stato ebraico con l'approvazione degli inglesi attraverso una nuova conferenza
di Versailles alla fine della Seconda guerra mondiale. Essi ritenevano che l'Inghilterra li avrebbe
ricompensati solo se avessero assecondato i suoi piani durante la guerra, e Londra evidentemente
non voleva altri rifugiati in Palestina. Dunque nel novembre 1940, quando la Marina inglese provò a
deportare 3.000 immigrati illegali alle Mauritius, nell'Oceano Indiano, Weizmann provò a convincere
l'Esecutivo Sionista che "non si deve assolutamente interferire in questa vicenda solo per il capriccio
di avere altre 3.000 persone in più in Palestina, che un domani potrebbero diventare un grave peso
per noi"504. Affermò anche di essere preoccupato per il coinvolgimento della Gestapo nei viaggi 505.
Ovviamente le navi non potevano lasciare il territorio controllato dai tedeschi senza il loro permesso,
ma è improbabile che Weizmann credesse all'accusa inglese che i nazisti mettessero delle spie a
bordo delle navi. Comunque, l'argomentazione di Weizmann era coerente con la sua strategia volta a
ottenere l'appoggio inglese per il sionismo. Egli sapeva che un'operazione illegale di vasta scala
avrebbe compromesso i legami con gli inglesi e, in particolare, avrebbe reso impossibile ottenere
l'assenso di Londra per una legione ebraica entro l'esercito inglese.
Gli inglesi, che avevano imparato dall'esperienza di un lavoro di decenni coi sionisti, decisero
di usare l'ambizione di questi ultimi per lo stato ebraico per fermare l'immigrazione illegale. Sapendo
che la WZO sperava di esibire alla conferenza di pace prove di un comportamento leale durante la
guerra, l'Intelligence inglese escogitò un piano ingegnoso. Il Mossad506, l'organizzazione che era dietro
l'immigrazione per la WZO, possedeva una nave, il Darien II. Nel 1940, era stato stabilito che
l'imbarcazione fosse inviata lungo il Danubio per raccogliere alcuni profughi bloccati in Jugoslavia. Gli
inglesi proposero invece che la nave fosse caricata con rottami di ferro ed esplosivi. Le navi di rifugiati
ebrei erano divenuti parte della vita del Danubio, e nessuno avrebbe sospettato del Darien. Quando
fosse giunta in una strettoia del fiume, sarebbe saltata in aria, con il conseguente blocco delle
forniture verso il Reich dell'olio e del grano romeni. In questo modo le navi dei profughi non avrebbero

502
Revisionism: A Destructive Force, opuscolo, 1940, p. 24
503
In AA.VV., The Jews of Czechoslovakia: historical studies and surveys, 1968
504
Bernard Wasserstein, Britain and the Jews of Europe 1939 – 1945, 1979
505
ibidem
506
Mossad LeAliyah Bet (Istituto per l’immigrazione B, ovvero quella illegale). Fu creato come branca dell’Haganah nel
1938 per assistere l’immigrazione illegale per conto della WZO. Dopo la guerra si trasformò nel servizio segreto israeliano
(Ha-Mossad le-Modi'in ule-Tafkidim Meyuchadim), fondato ufficialmente nel 1949.
135
più potuto navigare il Danubio, e i nazisti, che avevano cooperato con il Mossad nell'allestire dei campi
di addestramento sionisti, si sarebbero infuriati con loro per l'attentato. Nonostante la feroce vendetta
che i nazisti avrebbero messo in atto, la WZO decise di accettare che il piano venisse attuato. Tuttavia
vi fu un intoppo. Alcuni membri del Mossad si rifiutarono di collaborare. La nave era registrata a nome
di uno di loro, un americano, ed egli si rifiutò di cedere la proprietà della nave agli inglesi. David
HaCohen, membro dell'esecutivo dell'Agenzia Ebraica, fu inviato a Istanbul per convincere il gruppo a
collaborare. Ruth Kluger, che era presente per conto del Mossad, nelle sue memorie, The Last
Escape, riportò il discorso di HaCohen:

"Sono latore di un ordine. Da Shertok in persona (il segretario politico dell'Agenzia


Ebraica, n.d.a.)...Shertok non avrebbe dedicato al Darien così tanto tempo e impegno se
non pensasse che la cosa rientra nel suo ambito di lavoro. Egli ritiene, tutti noi riteniamo,
che il piano proposto per il Darien senza dubbio porterà presto alla fine della guerra. E
quanto prima la guerra finisce, tante più vite saranno salvate. Incluse vite ebraiche. Inoltre
- e su questo punto non posso soffermarmi abbastanza - se noi cooperiamo con
l'Intelligence inglese in questo caso, che per loro è di importanza vitale, noi abbiamo ogni
ragione di credere (ripetè le parole lentamente: "ogni ragione di credere") che essi
coopereranno in questioni che sono di vitale importanza per noi. Arazi ha parlato di una
brigata ebraica nell'esercito inglese...Ci sono molte altre cose che non posso rivelare in
questo momento. Ma io posso dire questo, Zameret, che la questione del Darien potrà
pesare sul nostro futuro dopo la guerra. Se noi ebrei potremo o no avere uno stato è nella
parola di Dio. Ma di certo è nelle mani degli inglesi. Se noi ci rimangiamo le promesse nei
loro confronti e usiamo la nave in aperta violazione della legge inglese, se vedono che
l'uomo che potrebbe essere il nostro Primo ministro non ha il controllo sui suoi cittadini in
una questione così importante"...HaCohen sciorinò la frase come un cappio intorno al
nostro collo.507

Gli agenti del Mossad non vollero collaborare, e la WZO dovette usare il Darien per un altro
viaggio di soccorso a propri membri. Tuttavia, quel viaggio fu l'ultima spedizione illegale coronata da
successo durante la guerra. William Perl è fortemente convinto che la proposta sul Darien era pensata
per portare la WZO in una situazione per cui il traffico di rifugiati sarebbe stato interrotto dai nazisti 508.
Di certo HaCohen non avrebbe potuto chiarire meglio la questione: "la questione del Darien potrà
pesare sul nostro futuro dopo la guerra". L'Intelligence inglese aveva colto una semplice verità, ovvero
che la WZO avrebbe messo in discussione le operazioni di salvataggio se ciò avesse significato un
importante passo avanti verso la sua massima aspirazione (lo stato ebraico).
I viaggi delle navi di immigrati illegali terminarono il 24 febbraio 1942 quando il barcone Struma,
carico di 767 ebrei, fu riportato indietro nel Mar Nero dai turchi, su pressione inglese, e affondò
lasciando un solo sopravvissuto. Dalia Ofer, una studiosa israeliana, afferma: “Non vi era ancora la
consapevolezza di ciò che accadeva nell'Europa occupata dai nazisti, e da allora non vi furono
tentativi di riorganizzare le spedizioni"509. I tentativi di salvataggio non ripresero prima del 1943,
quando l'Olocausto era già nel pieno della sua furia.

Cane contro cane, ma tutti uniti contro il lupo


Finchè l'America fu neutrale, sarebbe stato possibile raccogliere larghe somme tra gli ebrei
americani per il soccorso e il sostegno ai loro fratelli nell'Europa occupata, ma una tale raccolta fondi
avrebbe avuto successo solo se compiuta su una base rigorosamente aperta e umanitaria. Invece i
dirigenti WZO, attraverso il Comitato di Emergenza per la Questione Sionista e altri organismi,
attaccarono il coinvolgimento dei revisionisti nell'immigrazione illegale. Essi criticarono i loro rivali e le
loro tendenze fasciste e li accusarono di non fare selezione tra chi veniva ammesso a bordo delle
navi. Ma in realtà i revisionisti nascondevano i criteri politici e anche militari in base ai quali
selezionavano i passeggeri, perciò i dirigenti della WZO furono tratti in inganno. Il pamphlet del
Comitato di Emergenza del 1940 accusò i revisionisti di un "incorreggibile amore per le gesta
drammatiche":
507
Ruth Kluger – Peggy Mann, The Last Escape, 1973
508
William Perl, The Four-Front War: From the Holocaust to the Promised Land, 1979
509
In AA.VV., Rescue Attempts during the Holocaust, 1974
136
Tra le altre cose, per i revisionisti è un punto di orgoglio il fatto che i loro immigrati non
siano "selezionati". Essi accolgono tutti, il vecchio, il debole, chi è psicologicamente
inadatto a essere un pioniere, mentre un Aliyah responsabile richiede una selezione510.

Ma con che faccia la WZO poteva denunciare qualcuno perchè provava a salvare vecchi, malati
o individui inadatti a essere pionieri? Se l'apparato della WZO in America avesse proposto un'attività
unitaria coi revisionisti per delle sincere operazioni di soccorso, i revisionisti avrebbero dovuto essere
coerenti con la propria propaganda o rischiare di essere smascherati. Ma la WZO non era interessata
a compiere soccorsi umanitari. I suoi leader fecero sempre una rigorosa selezione sulla base degli
interessi del sionismo.

510
Revisionism: A Destructive Force, opuscolo, 1940, p. 24
137
24. IL FALLIMENTO
DELLE OPERAZIONI DI SOCCORSO

L'aiuto agli ebrei europei durante la Seconda Guerra Mondiale può essere compreso solo nel
contesto degli scopi complessivi degli Alleati nella guerra. All'epoca la preoccupazione principale di
Gran Bretagna e Francia, e poi degli Stati Uniti, fu la conservazione dei propri imperi e del sistema
capitalistico. L'Unione Sovietica non aveva queste mire, se si eccettua il fatto che le sue truppe si
spinsero nell'Europa Centrale. Londra e Parigi entrarono in guerra sulla difensiva, temendo sia la
vittoria che la sconfitta: la Prima Guerra Mondiale aveva portato al collasso di quattro imperi e
all'ascesa del comunismo.
L'atteggiamento del governo britannico rispetto al soccorso agli ebrei oppressi dalla furia
nazista fu attentamente descritto da Harry Hopkins, intimo di Roosevelt. Egli parlò di un incontro il 27
marzo 1943 tra il Presidente, Anthony Eden e altri, nel quale era stata sollevata la questione del
soccorso, almeno, agli ebrei di Bulgaria. Eden disse:

Dovremmo stare molto attenti a prendere tutti gli ebrei di un paese come la Bulgaria. Se
lo facciamo, allora gli ebrei del mondo vorranno farci proposte simili per Polonia e
Germania. Hitler potrebbe accettare una tale offerta, e semplicemente non ci sono
abbastanza navi e mezzi di trasporto nel mondo per trasportarli.511

Gli inglesi temettero innanzitutto che il soccorso agli ebrei creasse problemi con gli arabi, i
quali paventavano che l'immigrazione ebraica in Palestina avrebbe condotto a uno stato ebraico dopo
la guerra. Naturalmente, il premuroso riguardo per la sensibilità degli arabi a questo proposito fu
basato solo su un calcolo imperialistico; secondo Churchill, gli arabi erano nulla più che "un popolo
arretrato, che non mangia altro che sterco di cammello".512 Gli inglesi capirono che anche i sionisti
vedevano la guerra e il soccorso attraverso il prisma palestinese. I sionisti sapevano che gli arabi si
sarebbero opposti ai loro padroni inglesi, e speravano di ottenere il favore degli inglesi mostrandosi
leali nei loro confronti. Il loro principale obiettivo in tempo di guerra fu la creazione di una Legione
ebraica, con la quale speravano di istituire una presenza militare che avrebbe indotto la Gran
Bretagna a garantire loro uno stato come ricompensa post-bellica. Essi pensarono innanzitutto a
come volgere la guerra a proprio vantaggio in Palestina. Yoav Gelber del Yad Vashem Institute
descrive bene questa posizione tra i sionisti laburisti nel settembre 1939.

La maggior parte dei leader tendevano a vedere la Palestina e i suoi problemi come
pietra di paragone del loro atteggiamento verso la guerra. Essi furono inclini a considerare
i combattimento in prima linea come qualcosa che, se non era legato alla Palestina,
riguardava gli ebrei della Diaspora.513

Hashomer Hatzair aveva la stessa posizione, e ostacolò ogni arruolamento che comportasse
l'uscita dalla Palestina. Come uno dei suoi redattori, Richard Weintraub, scrisse il 28 settembre 1939:
"Sarebbe politicamente inopportuno voler rivivere una versione riciclata delle "missioni" ebraiche nel
mondo e fare sacrifici per la sicurezza altrui".514
Durante il 1940 e 1941 l'Esecutivo dell'Agenzia Ebraica raramente discusse degli ebrei
dell'Europa occupata e, a parte i timidi sforzi per l'immigrazione clandestina, l'Agenzia non fece nulla
per loro.515 Né furono più utili i suoi omologhi nella neutrale America, nonostante Goldmann vi avesse
soggiornato a lungo nel 1940 e sia Ben-Gurion che Weizmann vi si recarono per lunghe visite nel
1940 e nel 1941. Per di più, la dirigenza sionista americana fece una campagna contro quegli ebrei
che provavano a inviare aiuti a chi ne aveva bisogno. Aryeh Tartakower, incaricato per il Congresso

511
Robert Sherwood, Roosevelt and Hopkins: an intimate history, 1948
512
New York Times Book Review, 16 settembre 1979, p.37
513
Yoav Gelber, Zionist Policy and the Fate of European Jewry (1939-42), 1979
514
Yoav Gelber, Zionist Policy and the Fate of European Jewry (1939-42), 1979
515
ibidem
138
Mondiale Ebraico del lavoro di assistenza in America nel 1940, ha raccontato parte della vicenda in
un’intervista con l’insigne storico israeliano Shabatei Beit-Zvi:

Ricevemmo una chiamata dal Governo Americano, dal Dipartimento di Stato, e loro ci
fecero notare che inviare aiuti agli ebrei in Polonia non era nell’interesse degli Alleati…Il
primo a dirci di interrompere immediatamente fu il dottor Stephen Wise…Egli disse:
“dobbiamo smettere per il bene dell’Inghilterra”. 516

Gli inglesi stabilirono che era “compito” dei tedeschi in quanto belligeranti nutrire le popolazioni
dei territori che occupavano. I pacchi di viveri inviati dall’estero erano solo un aiuto agli sforzi bellici
tedeschi. L’apparato del WJC-AJC (Congresso Mondiale Ebraico – American Jewish Congress) non
solo smise di inviare cibo, ma fece pressioni sulle associazioni caritatevoli ebraiche non sioniste
affinchè cessassero a loro volta di farlo, e quasi tutte accettarono eccetto l’Aguda. Quest'ultima replicò
ai sionisti che la Gran Bretagna non aveva l’autorità di decidere cos’era meglio per gli ebrei, e
aumentò le spedizioni. Questo indispettì Joseph Tanenbaum, sionista e dirigente dell’ormai
ristrettissimo movimento di boicottaggio anti-nazista. Prima egli non aveva inviato pacchi di viveri, in
ottemperanza a quanto indicato dal Dipartimento di Stato. Ora attaccò gli agudisti sul quotidiano
sionista Der Tog517, nel luglio e agosto 1941:

(Ci si può chiedere, n.d.t.) perché allora gli inglesi mandano viveri, o i rappresentanti
jugoslavi raccolgono fondi per mandare cibo, ai “prigionieri-di-guerra”. Questo è un caso
completamente diverso. I prigionieri di guerra sono protetti dalla convenzione della Croce
Rossa Internazionale, che ha una lunga tradizione.518

I tradizionalisti dell’Aguda continuarono a sfidare Tanenbaum, e il suo Joint Boycott Council e il


Jewish Labor Committee, e alla fine gli inglesi si resero conto che non avrebbero mai potuto fermare
gli agudisti, i quali inviavano 10.000 pacchi di viveri al mese. L’antisemitismo della politica inglese in
seguito emerse quando Londra sostenne con grano canadese la Grecia occupata, dal 1942 fino alla
liberazione. I greci erano alleati sconfitti; gli ebrei no.

Wise nasconde le notizie sullo sterminio degli ebrei

Quando l’establishment ebraico in Occidente e gli Alleati scoprirono che Hitler stava
sistematicamente uccidendo gli ebrei? Resoconti di massacri in Ucraina iniziarono a raggiungere la
stampa occidentale nell’ottobre del 1941, e nel gennaio 1942 i sovietici approntarono un dettagliato
rapporto, il “Molotov Announcement”, che descriveva le azioni delle Einsatzgruppen. Il rapporto fu
snobbato dalla WZO in Palestina come “propaganda bolscevica”.519 Nel febbraio 1942 Bertrand
Jacobson, ex rappresentante del Joint Distribution Committee in Ungheria, organizzò una conferenza
stampa al suo ritorno negli USA e fornì le informazioni dai contatti ungheresi sul massacro di 250.000
ebrei in Ucraina. Nel maggio 1942 il Bund inviò via radio a Londra il messaggio che in Polonia il
numero degli ebrei sterminati era già arrivato a 700.000, e il 2 luglio la BBC trasmise una sintesi della
situazione in Europa. Il governo polacco in esilio utilizzò il messaggio del Bund nella propria stampa
propagandistica in lingua inglese. Ancora il 7 luglio 1942 Yitzhak Gruenbaum, che allora dirigeva il
Vaad Hazalah (Comitato di Soccorso) dell’Agenzia Ebraica, rifiutò di credere ad analoghi racconti di
massacri in Lituania, perché il numero ipotetico dei morti era maggiore della popolazione ebraica sita
nel paese prima della guerra.520 Il 15 agosto Richard Lichteim in Svizzera inviò un rapporto a
Gerusalemme, basato su fonti tedesche, sugli scopi e i metodi dello sterminio. Ricevette una risposta,
datata 28 settembre:

Francamente non sono incline ad accettare tutto il contenuto alla lettera…Come uno
deve imparare ad accettare anche le storie più incredibili se corrispondono a fatti reali,

516
Shabatei Beit-Zvi, Post-Ugandan Zionism During the Holocaust, 1977
517
Il Giorno, quotidiano in lingua yiddish pubblicato a New York tra il 1914 e il 1971
518
Der Tog, 10 agosto 1941.
519
Yoav Gelber, Zionist Policy and the Fate of European Jewry (1939-42), 1979
520
Midstream, aprile 1968, p.51
139
così uno deve imparare dall’esperienza a distinguere tra la realtà, per quanto dura essa
sia, e l’immaginazione che produce idee distorte per un giustificato timore.521

Gruenbaum e il suo Comitato di Soccorso sapevano che stavano accadendo cose terribili, ma
egli le minimizzò, come se si trattasse “soltanto” di pogrom.
L’8 agosto Gerhart Riegner dell’ufficio di Ginevra del WJC ottenne un resoconto dettagliato del
programma di soppressione col gas da fonti tedesche affidabili, e lo inoltrò alle sezioni WJC di Londra
e New York attraverso diplomatici inglesi e americani. Il WJC di Londra ricevette il materiale, ma
Washington omise di consegnarlo al rabbino Wise. Il 28 agosto la sezione inglese inviò a Wise
un’altra copia, ed egli chiamò il Dipartimento di Stato e scoprì che avevano rispedito indietro il dossier.
A quel punto gli chiesero di non rendere pubbliche le notizie poiché le stavano ancora verificando; egli
acconsentì e non disse nulla fino al 24 novembre – 88 giorni dopo – quando il Dipartimento Stato
finalmente riconobbe come autentico il rapporto. Solo allora Wise rese pubblico il piano nazista di
sterminio degli ebrei. Il 2 dicembre egli scrisse una lettera al “caro Boss”, Franklin Roosevelt,
chiedendo un incontro urgente e informandolo che:

Ho avuto cablogrammi e informazioni riservate per diversi mesi, che riportavano questi
fatti. Sono riuscito, insieme ai capi di altre organizzazioni ebraiche, a non farli arrivare alla
stampa.522

Wise e Goldmann, che era negli Stati Uniti durante la guerra, non dubitarono che il rapporto di
Riegner fosse vero. Secondo Walter Laqueur, essi temettero che dare le notizie avrebbe accresciuto
la disperazione delle vittime.523 Yehuda Bauer è sicuro che i dirigenti ebrei americani erano già al
corrente del rapporto del Bund.524

“Non c’è alcun bisogno di renderli pubblici”

Nel novembre 1942 78 ebrei con cittadinanza palestinese giunsero in Palestina dalla Polonia
nel quadro di uno scambio con alcuni templari525. L’Agenzia Ebraica non poté più dubitare dei rapporti
che le erano arrivati per mesi e, come Wise, finalmente dichiarò che i nazisti stavano
sistematicamente sterminando gli ebrei. Ma, come Wise, alcuni leader della WZO in Palestina si erano
convinti della veridicità dei resoconti ben prima di decidere di renderli pubblici. Il 17 aprile 1942, ancor
prima della trasmissione del Bund, Moshe Shertok scrisse al generale Claude Auckinleck,
comandante dell’Ottava armata inglese in Nord Africa, esprimendo preoccupazione per ciò che
sarebbe potuto accadere agli ebrei palestinesi se l’Africa Korps avesse sfondato in Egitto.

La distruzione della razza ebraica è uno dei principi fondamentali della dottrina nazista.
Gli autorevoli rapporti (sottolineatura mia) pubblicati recentemente mostrano che questa
politica è portata avanti con indescrivibile spietatezza…C’è da temere che una distruzione
anche più rapida possa colpire gli ebrei della Palestina.526

In altre parole, mentre Gruenbaum, l’incaricato ufficiale delle operazioni di soccorso della
WZO, era scettico sulla veridicità dei resoconti sui massacri di coloro ai quali avrebbe dovuto
provvedere, il capo del Dipartimento Politico dell’Agenzia Ebraica stava utilizzando gli stessi resoconti
per convincere gli inglesi ad armare il movimento sionista in Palestina.
Con gli annunci di Wise e dell’Agenzia Ebraica, l’attenzione fu spostata su ciò che si poteva
fare. L’annuncio dell’Agenzia Ebraica innescò uno spontaneo sentimento di colpa tra gli ebrei

521
Yoav Gelber, Zionist Policy and the Fate of European Jewry (1939-42), 1979
522
Eliyahu Matzozky, The Response of American Jewry and Its Representative Organizations to Mass Killing of Jews in
Europe, 1979
523
Commentary, dicembre 1979, p. 46
524
Midstream, aprile 1968, p.53
525
Nell’Ottocento una piccola comunità di luterani messianici tedeschi era arrivata in Palestina. Costoro negli anni ‘30
diventarono nazisti e combatterono nell’esercito del Reich, perciò vennero espulsi dalla Palestina dagli inglesi nel 1944-
1945, e andarono a vivere in maggioranza in Australia.
526
Commentary, dicembre 1979, p. 53

140
dell'Yishuv, ora consapevoli dell’orrore posto di fronte ai loro cari. Tuttavia, non vi furono cambiamenti
nella linea politica tra i sionisti. Uno stato ebraico dopo la guerra rimase la loro priorità, e l’Olocausto
non lo mise a repentaglio. Di conseguenza, quando la locale Unione dei Giornalisti contattò
organizzazioni simili all’estero chiedendo loro di parlare dei massacri, Dov Jospeh, il direttore
operativo del Dipartimento Politico dell’Agenzia Ebraica, ammonì:

Se pubblichiamo dati in cui si esagera in numero delle vittime ebree, ovvero se


annunciamo che milioni di ebrei sono stati massacrati dai nazisti, ragionevolmente ci
chiederanno dove sono i milioni di ebrei per i quali noi dichiariamo di avere bisogno di una
patria in Eretz Israel dopo la guerra.527

Yoav Gelber ci parla dell’immediato effetto dell’intervento di Dov Joseph: “Le vibranti proteste
vennero sopite e al loro posto si cercarono modi di intervenire più ‘costruttivamente’ ”.528 Ben-Gurion
parlò di “richieste” agli Alleati affinché minacciassero castighi e provassero a salvare gli ebrei, in
particolare i bambini, o a scambiare i tedeschi con gli ebrei etc. Nello stesso tempo, continuò a
chiedere di concentrarsi nel sostegno alla proposta di una Legione Ebraica. 529 Gruenbaum ebbe una
serie di altri incarichi oltre a quello di dirigere il Comitato di Soccorso. Il professor Bauer ha dato una
valutazione storica molto chiara della condotta di Gruenbaum:

Sulla base di ricerche fatte all’Istituto per l’Ebraismo Contemporaneo all’Univeristà


Ebraica, io direi…la condotta di alcuni leader, specialmente Gruenbaum…fu all’insegna
della totale demoralizzazione. Lui e alcuni dei suoi più stretti collaboratori pensavano che
non si potesse far nulla per salvare gli ebrei europei, e che il denaro inviato in Europa per
la fuga, la resistenza, o la salvezza, sarebbe andato perduto. Ma loro ritenevano che lo
sforzo fosse utile in quanto avrebbe consentito dopo la guerra di dire che era stato fatto
tutto il possibile. Si dovrebbe sottolineare che essi non dicevano che lo sforzo non andava
fatto; ma ritenevano che non sarebbe servito a nulla.530

Ma fece davvero qualcosa Gruenbaum? Molti in Palestina inorridirono per il disfattismo della
WZO e la sua continua preoccupazione per gli scopi del sionismo mentre i loro parenti venivano
massacrati, e chiesero dei provvedimento delle azioni. Non fu una minaccia diretta all'egemonia dei
leader della WZO, ma quest'ultima sentì la pressione. Soprattutto le critiche arrivarono a Gruenbaum,
che finalmente convocò una riunione dell’Esecutivo sionista il 18 febbraio 1943. Egli accusò i suoi
critici e i suoi amici di lasciarlo solo a subire l’onta, mentre loro non facevano nulla. Più tardi egli
riportò il suo incredibile discorso nel suo libro uscito dopo la guerra, Bi-mei Hurban ve Sho’ah (Nei
giorni della distruzione e dell’Olocausto).

Comunque per noi – permettetemi di parlare da questo punto di vista – c’è una soluzione
che va sempre bene di fronte ogni disgrazia, a ogni Olocausto. Prima di tutto si criticano i
dirigenti; essi devono essere biasimati…avessimo protestato, avessimo domandato,
sarebbe stato fatto tutto il possibile per salvare, per aiutare. Se nulla è stato fatto, è perché
non abbiamo protestato o domandato…
Io voglio contestare questo punto di vista…rispetto al salvare, al portare via la gente dai
paesi occupati dai nazisti…sarebbe stato necessario che i paesi neutrali accogliessero i
rifugiati, che le nazioni in guerra aprissero i loro confini per far passare i rifugiati. E quando
noi suggerimmo questo, chiedendo l’aiuto dei nostri amici…ci fu chi replicò: ‘Non toccate
questo argomento; sapete che non lasceranno passare gli ebrei in Nord Africa, o negli
Stati Uniti, non mettete i nostri alleati in questa situazione. L’opinione pubblica non è in
grado di accettare queste considerazioni, non le capiscono, né le vogliono capire’…
Nel frattempo si è sviluppato un atteggiamento verso la Terra d’Israele, che io penso sia
molto pericoloso per il sionismo, per i nostri sforzi di redenzione, per la nostra guerra
d’indipendenza. Non voglio urtare nessuno, ma non posso capire come una cosa simile
possa accadere in Eretz Israel, qualcosa che non era mai accaduto altrove. Com’è
possibile che in un meeting a Gerusalemme la gente dica: “Se non avete abbastanza

527
Yoav Gelber, Zionist Policy and the Fate of European Jewry (1939-42), 1979
528
ibidem
529
ibidem
530
Yehuda Bauer, From Diplomacy to Resistance: A History of Jewish Palestine 1939-1945, 1970
141
denaro dovreste prenderlo dal Keren Hayesod, dovreste prendere il denaro dalla banca,
c’è del denaro lì”. Penso che sia doveroso opporsi a questa tendenza…
E in questo periodo in Eretz Israel ci sono commenti del tipo: ‘Non mettete Israele
davanti a tutto, in questi tempi difficili, nel momento della distruzione degli ebrei europei’.
Io non accetto queste parole. E quando qualcuno mi ha chiesto: ‘Puoi prendere il denaro
dal Keren Hayesod per salvare gli ebrei della Diaspora?’ Io ho detto: ‘No! E ancora dico
no!’ So che la gente si meraviglia ma l’ho dovuto dire. Gli amici mi dicono che, anche se
questi fatti sono veri, non c’è alcun bisogno di renderli pubblici, in un’epoca di dolore e
disperazione. Io non sono d’accordo (a destinare quei soldi alla salvezza degli ebrei
n.d.t.). Penso che dobbiamo levarci contro questa tendenza che sta mettendo l’attività
sionista in secondo piano. Ho forse detto ciò per motivi personali? Per questo la gente mi
ha chiamato antisemita, e ha pensato che sbaglio, perché non diamo la priorità alle azioni
di salvataggio.
Non ho intenzione di difendere me stesso. Allo stesso modo non mi giustificherei o
difenderei se fossi biasimato per aver ucciso mia madre, così non mi difenderò in questo
caso. Ma i miei amici non dovevano abbandonarmi in questa battaglia e poi portarmi
conforto dopo: “Se tu fossi stato collegato a un partito politico non ti avremmo
abbandonato”. Penso che sia necessario dire che il sionismo è sopra ogni cosa…
Vorrei concludere con dei suggerimenti. Naturalmente, è incombente per noi continuare
tutte le azioni per la riuscita dei soccorsi e non trascurare alcuna possibilità di far cessare
il massacro…Allo stesso tempo dobbiamo guardare al sionismo. Ci sono coloro che
pensano che ciò non dovrebbe essere detto mentre è in corso l’Olocausto, ma credetemi,
ultimamente vediamo manifestazioni preoccupanti da questo punto di vista. Il sionismo è
sopra tutto – è necessario ribadirlo nel momento in cui l’Olocausto ci distrae dalla nostra
guerra di liberazione nel sionismo. La nostra guerra di liberazione non scaturisce
direttamente dall’evento dell’Olocausto e non si intreccia con le azioni a favore della
Diaspora in questo momento, e ciò a nostro svantaggio. Noi abbiamo due aree di azione,
che sono connesse e intrecciate, ma in realtà sono due aree di intervento separate,
benché ogni tanto si tocchino. E dobbiamo guardare – specialmente in questo periodo –
alla superiorità della guerra di redenzione.531

Nel 1944 un sionista ungherese, Joel Brand, arrivò a Gerusalemme per una missione speciale.
La missione verrà descritta dettagliatamente nel prossimo capitolo. Per ora è sufficiente sapere che
fino al 1944 la Germania non aveva occupato l’Ungheria e che essa divenuta un rifugio per chi fuggiva
dai territori nazisti. Brand era stato una figura di spicco nel Comitato di Soccorso sionista di Budapest.
Egli in seguito descrisse uno dei suoi patetici incontri con il direttore delle operazioni di soccorso della
WZO:

Mi disse subito: “Perché non avete salvato mio figlio, Herr Brand? Avreste potuto portarlo
dalla Polonia in Ungheria.” Replicai: “Abitualmente non portiamo soccorso a singoli
individui” “Ma avreste dovuto pensare a mio figlio, Herr Brand. Era vostro compito fare
questo”. Io ebbi rispetto per i suoi capelli grigi, e non dissi altro.532

“Perché solo col sangue avremo la terra”

I nazisti iniziarono a imprigionare gli ebrei di Slovacchia nel marzo 1942. Il rabbino Michael
Dov-Ber Weissmandel, un agudista, pensò di impiegare la tradizionale arma contro l’antisemitismo: le
tangenti. Contattò Dieter Wisliceny, rappresentante di Eichmann, e gli disse di avere rapporti con i
leader dell’ebraismo mondiale. Voleva Wisliceny ricevere il loro denaro in cambio delle vite degli ebrei
slovacchi? Wisliceny acconsentì per 50.000 dollari, a patto che il denaro provenisse dall’esterno del
paese. Il denaro fu pagato, ma esso in realtà era stato raccolto a livello locale, e i 30.000 ebrei
sopravvissuti furono risparmiati fino al 1944, quando furono catturati in conseguenza della furiosa ma
fallita rivolta partigiana slovacca.

531
Yitzhak Gruenbaum, In Days of Holocaust and Destruction, 1946
532
Alex Weissberg, La storia di Joel Brand, 1958
142
Weissmandel, che era studente di filosofia all’università di Oxford, si era offerto volontario il 1
settembre 1939 per tornare in Slovacchia come agente dell’Aguda. Divenne una delle maggiori figure
ebraiche durante l’Olocausto, in quanto fu lui il primo a chiedere agli alleati di bombardare Auschwitz.
Alla fine fu catturato, ma riuscì a fuggire da un treno in corsa segando le sbarre con un filo smerigliato;
saltò giù, si ruppe una gamba, sopravvisse e continuò l'opera di salvataggio degli ebrei. L’importante
libro di Weissmandel successivo alla guerra, Min HaMaitzer (Dal profondo), scritto in ebraico
talmudico, sfortunatamente non è stato ancora tradotto in inglese 533. E’ uno dei più forti atti d’accusa
nei confronti del sionismo e dell’establishment ebraico, e aiuta a collocare nella giusta prospettiva la
non volontà di Gruenbaum di inviare soldi nell’Europa occupata. Weissmandel comprese che “il
denaro è necessario qui – a noi e non a loro. E con il denaro qui, si possono aprire nuove
prospettive”.534 Weissmandel stava pensando a qualcosa di più delle tangenti. Egli capì subito che con
il denaro sarebbe stato possibile mobilitare i partigiani slovacchi. Comunque, la questione
fondamentale per lui fu se i vertici delle SS o del regime nazista potessero essere corrotti con
tangenti. Solo se essi avessero voluto fare un accordo con gli ebrei occidentali o gli Alleati, i
pagamenti avrebbero avuto un impatto efficace. Weissmandel comprese che l’esito della guerra stava
mutando: alcuni nazisti pensavano ancora di vincere e speravano di usare gli ebrei per far pressione
sugli Alleati, ma altri cominciavano a temere le future rappresaglie alleate. I nazisti potevano
cominciare a considerare il fatto che gli ebrei fossero più utili da vivi che da morti. La posizione di
Weissmandel non va confusa con quella dei collaborazionisti dello Judenrat. Egli non stava provando
a salvare alcuni ebrei, ma pensava chiaramente in termini di negoziati per la salvezza degli ebrei di
tutta Europa. Avvertì gli ebrei ungheresi che stava per arrivare il loro turno: non lasciate che vi
ghettizzino! Ribellatevi, nascondetevi, fate che debbano trascinarli là in catene! Se entrate
pacificamente nel ghetto finirete ad Auschwitz! Weissmandel fu attento a non farsi mai manovrare dai
tedeschi per chiedere concessioni agli Alleati. Denaro per ebrei fu l’unica esca che adoperò con loro.
Nel novembre 1942 Wisliceny fu contattato di nuovo. Quanto denaro occorreva per salvare gli
ebrei di tutta Europa? Egli andò a Berlino, e all’inizio del 1943 arrivarono notizie a Bratislava. Per 2
milioni di dollari potevano avere tutti gli ebrei nell’Europa occidentale e nei Balcani. Weissmandel inviò
un corriere in Svizzera per provare a ottenere il denaro dalle associazioni assistenziali ebraiche. Saly
Mayer, un industriale sionista e rappresentante a Zurigo del Joint Distribution Committee, rifiutò di
dare qualunque cifra al “gruppo di lavoro” di Bratislava, anche solo un pagamento preliminare per
testare la proposta, perché il “Joint” non avrebbe infranto le leggi americane che proibivano di inviare
denaro verso i paesi nemici. Piuttosto, Mayer inviò a Weissmandel un deliberato insulto: “Le lettere
che avete raccolto dai rifugiati slovacchi in Polonia sono storie esagerate, questo è il metodo degli
“Ost-Juden” che chiedono sempre soldi”.535
Il corriere che portò la risposta di Mayer aveva con sé un'altra lettera da parte di Nathan
Schwalb, rappresentante di HeChalutz in Svizzera. Weissmandel descrisse il documento.:

C’era un’altra lettera nella busta, scritta in una strana lingua straniera e all’inizio non
riuscivo assolutamente a capire che lingua fosse, finché non capii che si trattava di
ebraico scritto in lettere romane e destinato agli amici di Schwalb a Bratislava…E’ ancora
davanti ai miei occhi, come se l’avessi guardata per cento volte e più. Questo il contenuto
della lettera: “Dal momento che abbiamo l’opportunità di questo corriere, scriviamo al
gruppo che deve avere costantemente presente che alla fine gli Alleati vinceranno. Dopo
la vittoria essi divideranno ancora una volta il mondo tra le nazioni, come hanno fatto alla
fine della Prima Guerra Mondiale. Allora avviarono il piano e ora, alla fine della guerra,
dobbiamo fare ogni cosa affinché Eretz Israel diventi lo Stato di Israele, e importanti passi
avanti sono già stati fatti in questa direzione. A proposito delle proteste che arrivano dal
vostro paese, bisogna tenere presente che le nazioni Alleate stanno pagando un grande
tributo di sangue, e se noi non ne sacrifichiamo quale diritto potremo accampare al tavolo
delle contrattazioni quando si divideranno stati e territori alla fine della guerra? E’ dunque
sciocco, addirittura impudente, da parte nostra chiedere a queste nazioni che stanno
pagando il loro tributo di sangue di lasciar entrare del denaro in paesi nemici per
proteggere il nostro sangue – perché solo col sangue avremo la terra. Ma per quanto

533
Il libro di memorie è stato pubblicato postumo nel 1960. Ancora oggi non risulta essere tradotto in inglese.
534
Michael Weissmandel, Min HaMeitzer, 1960
535
ibidem
143
riguarda voi, atem taylu, e a tale scopo vi invio illegalmente del denaro con questo
messaggero”.536

Rabbi Weissmandel riflettè sulla stupefacente lettera:

Dopo aver compreso questo strano scritto, fui scosso da un brivido afferando il senso
delle parole “solo col sangue avremo la terra”. Ma i giorni e le settimane passarono, e non
comprendevo il significato delle altre due parole. Finchè mi accorsi che le parole atem
taylu derivavano da tiyul (camminare) che era il termine da loro usato per “salvezza”. In
altre parole: voi, miei compagni, miei 19 o 20 amici stretti, lasciate la Slovacchia e
salvatevi e con il sangue di chi rimane – il sangue di uomini, donne, giovani e neonati – la
terra sarà nostra. Dunque è un crimine inviare denaro in territori nemici per salvare vite
altrui – ma per salvare voi, miei amati amici, ecco del denaro ottenuto sottobanco.
Comprensibilmente io non possiedo queste lettere, poiché rimasero là e furono distrutte
con tutto il resto che andò perduto.537

Weissmandel assicura che Gisi Fleischmann e altri gli altri soccorritori sionisti impegnati nel
gruppo di lavoro furono inorriditi dalla lettera di Schwalb, ma essa fu espressione dei pensieri perversi
dei peggiori elementi della dirigenza WZO. Il sionismo era arrivato a un capovolgimento: invece di
essere la speranza degli ebrei, doveva la propria sopravvivenza politica al loro sangue.

Minime reazioni allo sterminio

Anche dopo il tardivo annuncio di Wise della campagna di sterminio, la risposta dei dirigenti
ebraici americani fu minima. Essi aderirono all’appello di un rabbino capo sionista in Palestina per una
giornata di lutto, che indissero per il 2 dicembre 1942, e il Jewish Labor Committee, antisionista, vi
aggiunse un’astensione dal lavoro di dieci minuti. Prima che l’amministrazione Roosevelt prendesse
qualche provvedimento concreto, il Presidente dovette essere fortemente sollecitato.
Roosevelt aveva un atteggiamento ambivalente verso gli ebrei. Ne aveva uno nel proprio
Gabinetto e ne aveva nominato un altro alla Corte Suprema, e diversi erano suoi consiglieri privati. Ma
non fece mai il minimo accenno, negli anni ’30, a modifiche alle leggi antisemite sull’immigrazione.
Sebbene gli ebrei fossero influenti negli apparati democratici del nord e dell’est, nella fazione
democratica al Congresso c’erano alcuni antisemiti dichiarati, e Roosevelt non pensò mai di separarsi
da loro. Non espresse mai pubblicamente sentimenti antisemiti, ma non c’è dubbio che ne nutriva.
Anni dopo, il governo degli Stati Uniti pubblicò gli atti della Conferenza di Casablanca, tenutasi nel
gennaio 1943, e fu rivelato che egli aveva detto ai francesi:

Il numero degli ebrei impiegati nelle attività professionali (legge, medicina etc.) dovrebbe
essere limitato a una percentuale corrispondente alla percentuale della popolazione
ebraica in Nord Africa sul totale della popolazione nordafricana…Il Presidente affermò che
il suo piano voleva eliminare le specifiche e comprensibili critiche che i tedeschi avevano
nei confronti degli ebrei in Germania, cioè che mentre rappresentavano una piccola parte
della popolazione, più del 50% degli avvocati, medici, insegnanti, professori universitari
etc. erano ebrei.538

L’inadeguatezza della reazione dell’establishment ebraico fu così evidente da suscitare la


furiosa denuncia del veterano sionista laburista Chaim Greenberg, nel numero di febbraio 1943 del
periodico Yiddishe Kemfer:

Le poche comunità ebraiche nel mondo che sono ancora libere far sentire la propria
voce e di pregare in pubblico dovrebbero proclamare un giorno di digiuno e preghiera per
gli ebrei americani…questa comunità ebraica americana è caduta in basso come forse
non era ancora accaduto in tempi recenti…Non abbiamo dimostrato la capacità di istituire
(temporaneamente, solo per la durata dell’emergenza) una sorta di gruppo di
536
ibidem
537
ibidem
538
Bernard Wasserstein, Britain and the Jews of Europe 1939 – 1945, 1979
144
coordinamento che dovrebbe incontrarsi ogni giorno e riflettere e consultarsi e definire i
modi per ottenere l’aiuto delle persone che sono, forse, nella posizione di aiutarci…Ogni
gruppetto cerca di superare in strategia l’altro – sionisti e antisionisti…cosa c’entra il
lavoro di salvataggio con le differenze politiche e con i dibattiti ideologici che abbiamo
prodotto nelle due passate generazioni?539

Il forte attacco di Greenberg ai leader ebrei americani non risparmiò nessuno, tantomeno i suoi
compagni sionisti, che stavano diventando la forza più consistente nella comunità. Senza fare nomi,
egli denunciò il disfattismo e l’ossessione per la Palestina che si notava nei principali circoli sionisti.

Sono anche spuntati tra noi dei sionisti abituati all’idea che non si possa fermare la mano
dell’assassino e dunque, dicono, sia necessario “utilizzare questa opportunità” per
sensibilizzare il mondo sulla tragedia dell’assenza di una patria per gli ebrei e intensificare
la richiesta di una Casa Nazionale Ebraica in Palestina (Una casa per chi? Per i milioni di
morti che riposano in cimiteri improvvisati in Europa?).

Egli attaccò L’American Jewish Congress di Wise:

In un’epoca in cui l’Angelo della Morte usa gli aeroplani, l’AJ-Congress impiega un carro
trainato da buoi…ha delegato il lavoro di salvataggio in Europa a un comitato apposito…
questo comitato si permette il lusso di non incontrarsi per settimane…ha dimostrato la
mancanza di quel coraggio della disperazione, di quella “aggressività di spirito” che
caratterizza i momenti tragici, della capacità di agire per un determinato scopo o di attirare
persone da altri ambiti e mobilitarli per una causa così rilevante come il salvataggio di
coloro che possono ancora essere salvati.

Greenberg si scagliò contro il Comitato dei revisionisti per una Legione Ebraica, per i costosi
annunci pubblicitari che promuovevano una Legione Ebraica per 200.000 ebrei senza patria: “ben
sapendo che questo è un qualcosa di irrealistico…tutti gli ebrei in Europa, fino all’ultimo, saranno
uccisi ben prima che una tale forza possa essere reclutata, organizzata e preparata”.540

Il Comitato di Emergenza

Solo uno dei gruppi sionisti comprese che il salvataggio doveva diventare l'obiettivo prioritario.
Un piccolo gruppo di irgunisti si era recato negli USA per raccogliere fondi per l’immigrazione illegale,
e quando iniziò la guerra essi aggiunsero la richiesta di una Legione Ebraica che, come la WZO,
videro come l’obiettivo immediato del sionismo. Nell’aprile 1941 notarono alcuni articoli di Ben Hecht,
uno dei più famosi giornalisti d’America, su PM, un quotidiano liberale newyorchese; Hecht deplorava
il silenzio delle personalità sociali, culturali e politiche ebraiche sulla situazione degli ebrei in Europa.
Gli irgunisti convinsero Hecht ad aiutarli a istituire un “Comitato per una Legione Armata di Ebrei
senza patria e palestinesi”. Hecht approvò l’idea, perché comprese che si trattava di combattenti ed
era ciò che lui cercava: una legione ebraica che avrebbe giustiziato tedeschi per vendicare gli ebrei
che Hitler umiliava e uccideva. Finora gli irgunisti avevano giocato un ruolo molto minore nella scena
politica ebraica; tuttavia, con Hecht nel loro comitato divennero una forza rispettabile. Hecht
conosceva tutti a Hollywood e nel mondo dell’editoria. Con i loro annunci pubblicati sui maggior
quotidiani sembrò che essi avessero una parte attiva nella politica durante la guerra.
Benchè agli irgunisti fosse sfuggito il pieno significato dei primi resoconti dei massacri,
l’annuncio di Wise convinse il loro leader, Peter Bergson, che dovevano insistere per un’azione del
governo americano volta specificamente al salvataggio degli ebrei. Essi programmarono di portare
uno spettacolo, They Shall Never Die, al Madison Square Garden il 9 marzo 1943. Alcuni dei più
famosi attori teatrali dell’epoca – Kurt Weill, Billy Rose e Edward G.Robinson tra i molti altri –
iniziarono a prepararlo insieme. Questo fu troppo per Wise, che non voleva farsi rubare la scena da
nessun intruso fascista. I dirigenti ebraici annunciarono subito la loro propria adunata al Garden per il
1 marzo. Il Comitato per una Legione Ebraica provò a cercare l’unità offrendo di rinunciare alla

539
Riportato sulla rivista ebraica newyorchese Midstream, marzo 1964, pp.5-8
540
ibidem
145
promozione esclusiva dell’evento del 9 marzo se i dirigenti avessero voluto farsi co-promotori, ma
questi rifiutarono. Il risultato fu che due adunate separate sulla medesima tragedia ebraica ebbero
luogo al Garden a soli nove giorni di distanza. Entrambe furono molto partecipate; lo spettacolo di
Hecht e Weill riempì l’arena due volte nella stessa sera. La vera differenza era che la cerchia di
seguaci di Wise era mossa soprattutto dalla sua ostilità verso gli irgunisti e non aveva un piano di
mobilitazione continua, mentre il Comitato per una Legione Ebraica girò le maggiori città americane
con il suo spettacolo. L’American Jewish Congress di Wise, infuriato per il loro successo, ordinò alle
sue sezioni locali nel paese di provare a non far svolgere lo spettacolo nei teatri se potevano, e questo
accadde almeno a Pittsburgh, Baltimora e Buffalo.541
Ma cosa abbiamo veramente ottenuto, chiese Kurt Weill? “Allo spettacolo non è seguito nulla.
So che Bergson lo definisce un punto di svolta nella storia ebraica, ma è preso dalla foga teatrale. In
verità ciò che abbiamo fatto è stato far piangere molti ebrei, il che non è un grandissimo risultato”.542 Di
fatto lo spettacolo legittimò il Comitato per una Legione Ebraica come una forza con la quale fare i
conti. Tuttavia, gli apologeti dell’ultima ora dell’establishment ebraico, come Bernard Wasserstein
della Brandeis University, ancora sostengono che:

Il Congresso, e la maggioranza dell’opinione pubblica, erano entrambi decisamente


contrari a prendere in considerazione una qualunque deroga dalle restrizioni alle quote di
ingresso nazionali…Ci vuole una vivida immaginazione per essere convinti che una
campagna di “attivismo” ebraico avrebbe modificato questa dura realtà. Le conseguenze
più probabili sarebbero state l’incremento dell’antipatia verso gli ebrei…i leader ebraici
erano soltanto troppo consapevoli di questo: ecco perchè avevano dubbi sull’efficacia
dell’attivismo.543

Non c’è nessuna evidenza che suggerisca che l’antisemitismo aumentò come risultato delle
attività del comitato. Piuttosto il contrario: l'attivismo spinse il Congresso all’azione. Gli irgunisti,
incluso il profondamente coinvolto Weill, capirono che se avessero puntato tutti gli sforzi ed energie
nel salvataggio avrebbero spinto il governo a fare qualcosa. Dalla primavera 1943 alla fine dell’anno il
Comitato – ora ribattezzato Comitato di Emergenza per Salvare gli Ebrei d’Europa – ebbe il campo
libero, visto che l’establishment ebraico non faceva nulla o addirittura provava a sabotarne il lavoro.
L’esperienza pratica della mobilitazione indusse in Comitato ad accantonare l’obiettivo della
Palestina. Dal 1943 le simpatie verso i sionisti stavano rapidamente crescendo tra gli ebrei, ma gli
antisionisti erano ancora forti e i non-ebrei non avevano il minimo interesse a creare guai ai loro alleati
inglesi in Medio Oriente, mentre molti americani erano convinti che il governo avrebbe dovuto provare
a salvare gli ebrei. A questo punto Wise e Goldmann lanciarono un nuovo attacco al Comitato di
Emergenza: esso aveva tradito la sacra causa della Palestina. Bergson provò a ragionare con Wise:
Se tu fossi dentro una casa che brucia, vorresti che la gente fuori gridasse “salvateli” o “salvateli
portandoli al Waldorf Astoria?” Non servì a nulla; Wise non sarebbe mai stato d’accordo.544
Il comitato mobilitò 450 rabbini ortodossi in una marcia alla Casa Bianca nel mese di ottobre, ma
Roosevelt non li volle ricevere, e corse alla cerimonia di consegna di quattro bombardieri alle forze
armate jugoslave in esilio. Tuttavia la campagna continuò. Peter Bergson sottolinea: “Gli ebrei ricchi,
l’establishment, ci ostacolarono sempre. Erano sempre gli ebrei poveri – e i gentili – che mandavano il
denaro per i nostri annunci545”. Sentendo che ora vi era abbastanza sostegno pubblico alla causa, i
loro principali referenti al Congresso, il senatore Guy Gillette e i deputati Will Rogers jr. e Joseph
Baldwin, presentarono un disegno di legge per la creazione di una commissione di soccorso. Essi
sottolinearono chiaramente che la loro proposta non aveva nulla a che fare con il sionismo. Le
audizioni in Senato a settembre furono positive, ma alla Commissione Esteri della Camera il
presidente, Sol Bloom, un ebreo democratico di Tammany, di Brooklin, attaccò aspramente Bergson e
le audizioni ebbero esito negativo. Per buona misura, il principale esponente del sionismo americano,
Stephen Wise, andò a Washington per prendere posizione contro il disegno di legge perché non
menzionava la Palestina.
Il Congress Weekly di Wise vantò che le audizioni erano state “utilizzate dal dottor Wise per
spostare la discussione dal piano dei programmi astratti alle misure immediate e pratiche di

541
Journal of Contemporary History, aprile 1980, p.374
542
Ben Hecht, A Child of the Century, 1954
543
Midstream, agosto 1980, p.14
544
Journal of Contemporary History, aprile 1980, p.384
545
Intervista dell’auotre a Peter Bergson, 27 febbraio 1981
146
salvataggio, e soprattutto alla questione della Palestina”. Ma c’è di più; l’articolo criticò il Comitato di
Emergenza “per la totale indifferenza verso tutte le organizzazioni ebraiche esistenti e i loro anni di
sforzi, attraverso e con le agenzie governative, rispetto al problema del soccorso”. Per anni la stampa
e i politici avevano riverito Wise come il leader dell’ebraismo americano. Ora un novellino, Ben Hecht,
e un gruppo di odiati revisionisti stavano provando a dire a Roosevelt come salvare gli ebrei.
L’azione di Bloom contro il disegno di legge non riuscì fermare la campagna per la commissione
di soccorso. Prima che il Comitato di Emergenza potesse fare un altro tentativo, il Segretario al
Tesoro, Henry Morgenthau jr., portò a Roosevelt il rapporto su un complotto di funzionari del
Dipartimento di Stato per occultare le prove dei massacri. Si era scoperto che Breckenridge Long, ex-
ambasciatore in Italia, ammiratore di Mussolini prima della guerra, che il Dipartimento aveva incaricato
di occuparsi del problema dei rifugiati durante l’Olocausto, aveva alterato un documento fondamentale
allo scopo di ostacolare la campagna mediatica. Alle audizioni congressuali Lodge era stato il
principale esponente dell’amministrazione a schierarsi contro la proposta di commissione di soccorso,
e Morgenthau avvertì il Presidente che la situazione avrebbe potuto facilmente “degenerare in un
terribile scandalo”546. Rooosevelt era battuto, e il 22 gennaio 1944 annunciò la costituzione di un War
Refugee Board.
I meriti sulla costituzione del Refugee Board sono stati dibattuti dagli storici dell’Olocausto.
Coloro che li attribuiscono all’establishment sionista trascurano il lavoro del Comitato di Emergenza e
argomentano che il Board fu interamente opera di Morgenthau. Bernard Wasserstein ribadisce che
l’attivismo non portò e non poteva portare risultati per gli ebrei. Il Board fu il risultato dell’intervento di
Morgenthau e nient’altro: “Le proteste di Morgenthau ottennero dei risultati…E’ un esempio di ciò che
fu possibile con un’energica azione dietro le quinte dei leader ebrei”547. Invece Nahum Goldmann
ammise che John Pehle, l'estensore del rapporto di Morgenthau e poi direttore del WRB, “si era fatto
l’opinione che il Comitato di Emergenza di Bergson avesse ispirato l’introduzione della risoluzione
Gillette-Rogers, la quale a sua volta aveva portato alla creazione del War Refugee Board”548
Goldmann e Wise continuarono la loro campagna personale contro Bergson. Goldmann andò
al Dipartimento di Stato il 19 maggio 1944 e, stando al memorandum di quell’audizione, egli “alluse al
fatto che Bergson e i suoi associati fossero in questo paese con il visto di visitatori temporanei…
aggiunse che non capiva come mai questo governo non lo allontanasse oppure non lo chiamasse alle
armi”. Nello stesso memorandum il reporter annotò che Wise “arrivò a dire a mr. Pehle che
considerava Bergson un nemico degli ebrei al pari di Hitler, poichè le sue attività potevano solo
portare all’aumento dell’antisemitismo”.549
Il Board si rivelò essere di minimo aiuto per gli ebrei. Arthur Morse scrisse nel suo libro, While
Six Million Died (Mentre ne morivano sei milioni), che direttamente furono salvati 50.000 ebrei romeni
e indirettamente, attraverso pressioni su Croce Rossa, paesi neutrali, clero e organizzazioni
clandestine, il Board ne portò in salvo alcune centinaia di migliaia. 550 Calcoli più recenti ridimensionano
questa cifra a circa 100.000.551 Il Board non fu mai un’istituzione potente. Non ebbe mai più di trenta
addetti, e non poteva aggirare il Dipartimento di Stato nel relazionarsi con i paesi neutrali o quelli
occupati dai nazisti. Non aveva il potere di garantire che gli ebrei rifugiati avrebbero ottenuto l’asilo in
America, dove moltissimi avevano parenti. Shmuel Merlin, che si occupava degli aspetti relativi alle
pubbliche relazioni del Comitato di Emergenza, ha spiegato perché il Board fosse così debole:

Capimmo di essere stati sconfitti quando le organizzazioni ebraiche si offrirono di


raccogliere fondi per il Board. Naturalmente avevamo immaginato un programma serio da
parte dell’amministrazione. Che voleva dire che il governo doveva destinare del denaro
esattamente come fa per qualunque altro progetto. Invece Roosevelt e il Congresso
lasciarono che l’establishment ebraico togliesse loro le castagne dal fuoco. Esso si offrì di
pagare le spese base del Board. Misero circa 4 milioni di dollari di capitale di avviamento e
un totale di 15 milioni durante l’intera esistenza del Board. La somma fu così bassa che si
poteva dire scherzando: “prima aspettiamo che gli ebrei raccolgano una somma
sufficiente”.552

546
Arthur Morse, While Six Millions Died, 1967
547
Midstream, agosto 1980, p.14
548
Attitude of Zionists Toward Peter Bergson, memorandum Dipartimento di Stato USA, 19 maggio 1944
549
ibidem
550
Arthur Morse, While Six Millions Died, 1967
551
Midstream, marzo 1982, p.44
552
Intervista a Shmuel Mertin, 16 settembre 1980
147
Il Joint Distribution Committee fornì 15 dei 20 milioni di dollari spesi complessivamente dal
Board. Altri gruppi ebraici aggiunsero 1,3 milioni. Se il Board avesse avuto più denaro, avrebbe potuto
fare molto di più. Se l’establishment ebraico si fosse unito con gli irgunisti in un'ulteriore campagna di
finanziamento del governo, è molto probabile che il denaro sarebbe arrivato. Prima che il Board fosse
istituito, il governo rifiutò le richieste di una commissione di soccorso sulla base del fatto che altri enti
stavano facendo tutto ciò che si poteva fare. Una volta che fu formato il Board, vi era formalmente un
ente governativo per il soccorso; eppure l’establishment ebraico si oppose implacabilmente agli
attivisti dell’Irgun e continuò a richiedere la deportazione di Bergson, invece di unirsi con il Comitato di
Emergenza.
Nel 1946 i revisionisti rientrarono nella WZO, e alla fine alcune delle inimicizie svanirono, ma
Bergson, Merlin, Ben-Ami e gli altri veterani del Comitato di Emergenza non poterono mai ascoltare le
personalità che dominarono Israele fino al 1977 senza rivangare la loro passata ostilità. In anni
recenti, essi hanno potuto provare il perfido ruolo svolto dietro le quinte da Wise, Goldmann e altri
attraverso documenti un tempo segreti, ottenuti grazie al Freedom of Information Act 553; di
conseguenza la controversia sugli sforzi per il soccorso non è mai davvero terminata. E Wasserstein
ribadisce che l'omertà dei dirigenti ebraici è una “leggenda”:

Non è un caso che questa leggenda sia nata. Al contrario, è un’accusa lanciata per la
prima volta durante e immediatamente dopo la guerra da un gruppo preciso: i sionisti
revisionisti e le loro svariate propaggini…Questo fu il loro grido di battaglia, che usarono
nei loro tentativi di mobilitare la gioventù ebraica in una fuorviante e immorale campagna
di invettive e terrore.554

In realtà la prima spiegazione del perché l’establishment non faceva nulla venne dalla rivista
trotckista Militant il 12 dicembre 1942.

A dire la verità, queste organizzazioni, come il Joint Distribution Board e il Jewish


Congress, e il Jewish Labor Committee, avevano paura a farsi sentire perchè temevano di
provocare una crescita dell’antisemitismo come risultato. Essi temevano per la loro
tranquillità, tanto da non volersi mettere in gioco per le vite dei milioni all’estero.555

Certamente i primi leader del Comitato di Emergenza hanno provato a smascherare i loro vecchi
nemici, ma dopo la guerra essi sono stati criticati per i loro stessi sforzi e hanno ammesso di aver
iniziato troppo tardi. Non compresero il significato dei resoconti sui massacri prima dell’annuncio di
Wise nel novembre 1942. E comunque una ulteriore critica al Comitato riguarda la sua iniziale
richiesta di una Legione Ebraica. Questo fu puro sionismo, senza alcuna rilevanza né per la situazione
degli ebrei né per la lotta al nazismo. Una seconda critica riguarda il loro fallimento nel portare
direttamente in strada gli ebrei. Una manifestazione di massa all’ufficio immigrazione di New York da
parte di molte migliaia di ebrei avrebbe destato molto più effetto della mobilitazione di 450 rabbini. Uno
sciopero della fame organizzato dal Comitato avrebbe dato una spinta in avanti al movimento. Oggi gli
attivisti fanno autocritica per non avere fatto queste cose, e spiegano queste mancanze in termini di
incapacità politica personale. Essi erano in America in quanto rappresentanti dell’Irgun, cioè
un’organizzazione militare che aveva sempre osteggiato il “ghandismo ebraico”.

La rivolta dell’Irgun nel 1944

Gli irgunisti americani commisero molti e peggiori errori dopo l'inizio della rivolta dell’Irgun in
Palestina, nel gennaio 1944. Giunto in Palestina nel maggio del 1942, Begin trovò il revisionismo in
completo disarmo: invocò la riorganizzazione dell’Irgun e alla fine fu nominato suo comandante. A
quel tempo l’Irgun non rappresentava che una piccola minoranza degli ebrei in Palestina. Molti ebrei
palestinesi vedevano gli irgunisti come dei pazzi fascisti, che portavano danno alla causa sionista
553
Legge sulla libertà di informazione, emanata negli Stati Uniti il 4 luglio 1966 durante il mandato del presidente Lyndon
B. Johnson. Ha aperto a giornalisti e studiosi l'accesso agli archivi di Stato statunitensi, a molti documenti riservati e coperti
da segreto di Stato, di carattere storico o di attualità.
554
Midstream, agosto 1980, p. 15
555
Militant, 12 dicembre 1942, p. 3
148
attaccando la Gran Bretagna mentre questa combatteva contro Hitler. Ed erano ripudiati anche
dall’apparato revisionista tradizionale. Erano una piccola forza: alcuni membri a tempo pieno e
qualche centinaio part-time. L’Haganah, che li considerava fascisti, iniziò ad attaccarli in
collaborazione con gli inglesi, benché l'Irgun evitasse lo scontro con l’Haganah sapendo che dopo la
guerra avrebbe dovuto unirsi ad essa per scacciare gli inglesi. L'Irgun inoltre non attaccò obiettivi
militari, cosi da non apparire come un intralcio allo sforzo bellico.
Per molti aspetti la rivolta fu soprattutto simbolica, ma negli Stati Uniti e in Gran Bretagna essa
spostò l’attenzione dagli ebrei in Europa agli ebrei in Palestina. Wise ebbe una chance per
riacquistare credibilità, e accusò il Comitato di Emergenza di fiancheggiare il terrorismo. Tuttavia gli
irgunisti americani – ora rinominatisi Comitato Ebraico di Liberazione Nazionale – così come il
Comitato di Emergenza, non vedevano la rivolta come fattore che distoglieva l’attenzione dall’Europa,
ma piuttosto come un segno di maggiore consapevolezza della difficile situazione degli ebrei. Peter
Bergson difende ancora strenuamente la rivolta e l'appoggio datovi dal suo Comitato:

So che ci sono degli storici che sostengono che alla fine non eravamo meglio
dell’establishment, che anche noi distoglievamo le energie dal lavoro di soccorso
privilegiando la causa dell’Irgun. Essi si sbagliano. La rivolta è la conseguenza logica se
gli inglesi non stanno salvando i tuoi parenti in Europa. Mi sarei vergognato degli ebrei di
Palestina, come popolo, se non vi fosse stato nessuno nel paese pronto a ribellarsi.556

Shmuel Merlin sostiene che la rivolta sconvolse alcuni ebrei più di quanto non turbò i gentili. 557
Solo gli ebrei, infatti, leggevano la stampa ebraica ed erano più influenzati dalla propaganda contro
l’Irgun portata avanti dall’establishment. Tuttavia, quando l’Irgun incominciò la rivolta, il Comitato iniziò
a percorrere la strada del fanatismo politico. Hecht e altri iniziarono a strepitare contro tutti i tedeschi
sulle colonne del loro organo, The Answer: “Quando un tedesco siede o si alza, quando piange o ride,
in ogni caso è un abominio. Gli anni non lo cambieranno mai.”558 Il patetico A Guide of the Bedeviled di
Hecht divenne fonte d’ispirazione:

Considero il governo nazista non solo adatto ai tedeschi, ma ideale, dal punto di vista del
resto del mondo, per un governo tedesco. Glielo si dovrebbe lasciare, dopo la sconfitta,
come un dono di Tantalo. Essi dovrebbero essere lasciati all’aria aperta, con una bella
recinzione di filo spinato intorno, come si usa negli zoo. Dentro questo zoo nazista, gestito
dal mondo libero per lo svago del filosofi, i tedeschi potrebbero ascoltare Beethoven e
sognare ammazzamenti senza nuocere a nessuno…Chiusi nel mezzo dell’Europa, con
tutto l’apparato nazista (con truppe d’assalto, campi di concentramento, boia e Gestapo) i
tedeschi potrebbero risolvere per conto loro i problemi di sterminio. Il loro massacri non
resterebbero sulla nostra coscienza…ma simili cose non accadranno mai nel mondo. I
nostri governanti insistono…che i nemici appartengono comunque alla razza umana. Così
come ricompensa per la vittoria otterremo di lasciare che i tedeschi si facciano di nuovo
beffe di noi.559

Che gli irgunisti americani abbiano fatto più di tutti gli altri sionisti per aiutare gli ebrei nell’Europa
occupata, è evidente. Che la rivolta di Begin non servì assolutamente a nulla per aiutare quegli stessi
ebrei, è altrettanto evidente. Gli irgunisti americani spinsero Begin a iniziare la sua campagna; qui sta
la loro forza e la loro debolezza. Non si aspettavano che gli inglesi dessero loro la Palestina; avevano
rotto con loro prima della guerra e non vedevano l’ora di affrontarli durante e dopo la guerra. Si
ritenevano costretti a strappare ciò che volevano dalle mani degli imperialisti, e questo approccio lo
adottarono anche nell'attività di soccorso. Essi superarono Stephen Wise perché rappresentavano gli
“ebrei poveri”. Gli ebrei comuni volevano “Azione non Compassione” e sostennero il Comitato di
Emergenza in quanto espressione della loro indignazione per ciò che stava accadendo agli ebrei
d’Europa. Ma in Palestina Begin non ottenne l'appoggio degli ebrei comuni. Se l’Irgun avesse
mobilitato le masse ebraiche in una sfida diretta a Gruenbaum, è possibile che sarebbero riusciti a
ribaltare l’egemonia della WZO. Così com’era, la causa della Palestina fu soltanto, ancora una volta,
un problema.

556
Intervista con Bergson.
557
Intervista con Merlin.
558
The Answer, 1 maggio 1944, p. 7
559
Ben Hecht, A Guide for the Bedeviled, 1944
149
“Non dover disturbare con proteste sediziose lo sforzo bellico”

E’ impossibile perdonare il ritardo col quale i leader della WZO riconobbero pubblicamente lo
sterminio nazista, sebbene Wasserstein abbia tentato ancora una volta di difenderli:

Data la natura e l’estensione di quella terribile realtà, non ci si deve stupire del fatto che
solo quanto i primi, incerti e incompleti rapporti furono confermati al di là di ogni dubbio,
solo allora gli ebrei in Occidente poterono rendersi conto dell’orribile verità.560

Altri erano arrivati a prevedere la possibilità dello sterminio di milioni di ebrei già prima della
guerra. Dopo la Notte dei Cristalli, il 19 novembre del 1938, il Comitato Nazionale del Partito Socialista
dei Lavoratori (SWP) lanciò un appello: “Lasciate entrare i rifugiati negli USA! – diceva – I mostri in
camicia bruna non si preoccuperanno di nascondere il loro scopo: l’eliminazione fisica di ogni ebreo
nella Grande Germania”561. Il 22 dicembre 1938 Trockij previde l’annientamento degli ebrei.

E’ possibile immaginare senza difficoltà cosa aspetta gli ebrei non appena scoppierà la
prossima guerra. Ma anche senza guerra, lo sviluppo prossimo della reazione mondiale
implica quasi certamente l’eliminazione fisica degli ebrei…Solo una forte mobilitazione dei
lavoratori contro la reazione, la creazione di milizie operaie, la resistenza diretta, fisica,
contro le bande fasciste, aumentando la fiducia, l’attivismo e l’audacia da parte di tutti gli
oppressi, può provocare un mutamento dei rapporti di forza, fermare l’onda del fascismo
globale e aprire un nuovo capitolo nella storia dell’umanità.562

Mentre il Jewish American Congress stava collaborando con il Dipartimento di Stato


nell’occultare il rapporto Reigner, esso fu diffuso dall’ufficio di Stephen Wise e il 19 settembre 1942 il
trockista Militant pubblicò un articolo evidentemente basato su quella fonte.

Il Dipartimento di Stato nel frattempo – così ci risulta – ha occultato informazioni ricevute


dal proprio consolato in Svizzera. Queste informazioni riguardano il trattamento degli ebrei
nel ghetto di Varsavia. Sono emerse le prove di grandi atrocità, in relazione alla campagna
di sterminio di tutti gli ebrei. Corre anche voce che il ghetto non esista più e che tutti gli
ebrei ne siano stati evacuati. La ragione per cui tale rapporto non è stato divulgato dal
Dipartimento di Stato è che esso teme proteste di massa che potrebbero condizionarne le
scelte politiche.563

Non fu solo il Dipartimento di Stato a nascondere il rapporto, e non fu solo il Dipartimento di


Stato a non volere proteste di massa in America. Il verdetto finale sulla condotta dei sionisti nel
salvataggio degli ebrei europei andrebbe lasciato a Nahum Goldmann. Nel suo articolo Jewish
Heroism in Siege, pubblicato nel 1963, egli confessò che:

Noi tutti abbiamo fallito. Non mi riferisco solo ai risultati attuali – questi non dipendono
dalle capacità o volontà degli attori, e costoro non possono essere ritenuti responsabili di
fallimenti dipendenti da condizioni obiettive. Il nostro fallimento fu nella nostra mancanza
di determinazione a prendere dei provvedimenti adatti alle esigenze dei terribili eventi di
quegli anni. Tutto quello che fu fatto dagli ebrei del mondo, e in particolare da quelli degli
Stati Uniti, dove c’erano molte più opportunità di azione che altrove, non andò oltre i limiti
della politica ebraica svolta in tempi normali. Vennero inviate delegazioni ai primi ministri,
furono fatte richieste di intervento, e fummo soddisfatti dalla debole e platonica
rassicurazione che i poteri democratici erano pronti ad agire.

Egli andò anche oltre:

Non ho dubbi (e allora ero molto aggiornato sulla nostra lotta e sugli eventi, in tempo
reale) che migliaia e decine di migliaia di ebrei avrebbero potuto essere salvati da una
560
Midstream, agosto 1980, p.10
561
Socialist Appeal, 19 novembre 1938, p. 1.
562
Lev Trockij, Appeal to the American Jews Menaced by Fascism and Antisemitism, 1938
563
Militant, 19 settembre 1942, p. 3
150
reazione più attiva e vigorosa da parte dei governi democratici. Ma, come ho detto, la
responsabilità maggiore rimane a noi, perché non siamo andati oltre la routine di petizioni
e richieste, e perché le comunità ebraiche non hanno avuto il coraggio e l’audacia di far
pressione sui governi democratici con mezzi drastici, e di costringerli a prendere
provvedimenti drastici. Non dimenticherò mai il giorno in cui ricevetti un cablo dal Ghetto di
Varsavia, indirizzato al rabbino Stephen Wise e a me, che ci chiedeva come mai i leader
ebrei negli Stati Uniti non si erano decisi a lanciare una veglia giorno e notte sui gradini
della Casa Bianca finché il Presidente non si fosse deciso a bombardare i campi di
sterminio o i treni della morte. Noi rinunciammo a farlo perché la maggioranza della
leadership ebraica era dell’opinione di non dover disturbare con proteste sediziose lo
sforzo bellico del mondo libero contro il nazismo.564

564
In the Dispersion, edited by WZO, 1963, pp. 6-7
151
25. UNGHERIA:
IL CRIMINE DENTRO UN CRIMINE

La distruzione degli ebrei ungheresi è uno dei capitoli più tragici dell’Olocausto. Quando i
tedeschi occuparono l’Ungheria, il 19 marzo 1944, i leader della comunità ebraica sapevano cosa
aspettarsi dai nazisti, poiché l’Ungheria era stata rifugio per migliaia di ebrei polacchi e slovacchi, e
costoro erano stati avvisati dal gruppo di lavoro di Bratislava che Wisliceny aveva assicurato che
700.000 ebrei ungheresi alla fine sarebbero stati deportati.
I nazisti riunirono i leader della comunità ebraica e dissero loro di non preoccuparsi, che le cose
non sarebbero andate così male se gli ebrei avessero collaborato. Come ha scritto Randolph Braham,
“La storia e gli storici non sono stati benevoli con i leader dell’ebraismo ungherese all'epoca
dell'Olocausto”565. Poiché, come ammette Braham, molti “provarono a ottenere permessi speciali e
protezione per le loro famiglie”566. Alcuni evitarono di dover indossare la stella gialla e, più tardi,
poterono vivere fuori dai ghetti e fu permesso loro di curare le loro proprietà. Negli anni dopo la guerra
il ruolo di due sionisti laburisti ungheresi – Rezso Kasztner e Joel Brand, leader del Comitato di
Soccorso di Budapest – fu oggetto di esami dettagliati nei tribunali israeliani. Kasztner era stato
accusato di tradimento delle masse ebraiche ungheresi.

“Essi…li pregarono di non menzionare la questione”

Il 29 marzo 1944 questi due sionisti incontrarono Wisliceny e si accordarono per pagargli i due
milioni di dollari che egli aveva precedentemente proposto a Weissmandel, se non avesse deportato o
messo nei ghetti gli ebrei ungheresi. Essi chiesero inoltre di poter evacuare lungo il Danubio “alcune
centinaia di persone” che disponevano del visto per la Palestina, dicendo che sarebbe stato più facile
per loro raccogliere il denaro dal loro popolo all’estero. 567 Wisliceny acconsentì a prendere la loro
tangente e permise il trasporto, ma si preoccupò che questo avvenisse segretamente per non
contrariare il Mufti, che non voleva la liberazione di alcun ebreo. Le prime rate della tangente furono
pagate, ma nonostante ciò i nazisti istituirono alcuni ghetti nelle province. Quindi, il 25 aprile,
Eichmann convocò Brand e gli disse che aveva l’incarico di negoziare con la WZO e gli Alleati. I
nazisti avrebbero permesso a un milione di ebrei di partire verso la Spagna in cambio di 10mila
camion, saponette, caffè e altri beni. I camion sarebbero stati usati esclusivamente sul fronte
orientale. Come segno della buona fede dei nazisti, Eichmann avrebbe consentito ai sionisti la
partenza di un convoglio di 600 rifugiati verso la Palestina.
Brand fu confermato nel ruolo di rappresentante del Comitato di Soccorso di Budapest e i
tedeschi lo inviarono in aereo a Istanbul il 19 maggio in compagnia di un altro ebreo, Bandi Grosz, un
agente tedesco e ungherese che aveva contatti con vari servizi segreti alleati. Grosz aveva il compito
di condurre propri negoziati coi servizi segreti alleati sulla possibilità di una pace separata. Al suo
arrivo a Istanbul, Brand incontrò i rappresentanti locali del Comitato di Soccorso della WZO e chiese
un incontro urgente con un leader dell'Agenzia Ebraica. I turchi, però, rifiutarono di concedere il visto a
Moshe Shertok, capo del Dipartimento Politico dell'Agenzia, e il Comitato di Istanbul alla fine consigliò
a Brand di conferire con lui ad Aleppo, in territorio siriano, che all'epoca era sotto controllo inglese. Il 5
giugno, quando il treno di Brand passò da Ankara, due ebrei - un revisionista e un agudista - lo
avvertirono che stava finendo trappola, e che sarebbe stato arrestato. Brand fu rassicurato da Echud
Avriel, esponente di spicco della WZO, che l'avvertimento era fasullo e motivato dal dissidio tra le
correnti sioniste. Ma di fatto Brand fu arrestato dagli inglesi.
Shertok parlò con Brand il 10 giugno ad Aleppo. Brand descrisse l'incontro nel suo libro,
Desperate Mission (messo per iscritto da Alex Weissberg):

Moshe Shertok si appartò in un angolo con loro (gli inglesi), e parlarono tra loro, a bassa
voce ma in toni veementi. Quindi tornò da me e mi mise una mano sulla spalla..."Ora devi
565
Randolph Braham, The Official Jewish Leadership of Wartime Hungary, 1979
566
Randolph Braham, The Role of the Jewish Council in Hungary: A Tentative Assessment, 1974
567
Alex Weissberg, La storia di Joel Brand (tit.orig. Desperate Mission), 1958
152
andare più a sud...E' un ordine...Io non posso farci nulla"..."Non capisci cosa stai
facendo?" gridai "Questo è un piano di sterminio! Sterminio di massa!...Non hai il diritto di
sequestrare un emissario. Io non sono un emissario del nemico...Sono qui come delegato
di un milione di persone condannate a morte."568

Shertok si appartò con gli inglesi e tornò di nuovo: "Non avrò pace finchè non sarai di nuovo
libero...sarai liberato". Brand fu scortato da un ufficiale inglese fino a una prigione in Egitto. Fecero
tappa ad Haifa, dove Brand fece una passeggiata lungo il porto:

Considerai anche la possibilità di scappare. Ma solo quelli che hanno fatto parte di un
partito tenuto insieme da stretti vincoli ideologici capiranno...ero un sionista, membro di
partito...ero vincolato alla disciplina di partito...Mi sentivo piccolo, insignificante - un uomo
gettato dal caso nel calderone bollente della storia - tanto da non riuscire a portare sulle
spalle la responsabilità del destino di centomila persone. Non ebbi il coraggio di infrangere
la disciplina, e qui sta la mia vera colpa storica.569

Brand non ebbe mai l'illusione che la proposta di Eichmann sarebbe stata accettata dagli alleati
occidentali. Tuttavia era convinto che, come con i primi negoziati con Wisliceny, alcuni importanti
ufficiali SS volessero investire per il futuro. La vita degli ebrei ora era una valuta spendibile. Brand
sperava che sarebbe stato possibile negoziare per un accordo più realistico o, almeno, indurre i
nazisti a credere che si potesse arrivare a un'intesa. Può darsi che il programma di sterminio sarebbe
stato rallentato o anche interrotto qualora fossero in corso tentativi di accordo.
Ma gli inglesi non furono disposti a prendere in considerazione le possibilità della proposta di
Eichmann e misero Mosca al corrente della missione di Brand; Stalin naturalmente insistette che
l'offerta doveva essere rifiutata. La vicenda raggiunse la stampa e il 19 luglio gli inglesi dichiararono
pubblicamente che l'offerta era un trucco per dividere gli Alleati.
Il 5 ottobre a Brand fu finalmente permesso di lasciare il Cairo, ed egli si precipitò a
Gerusalemme. Cercò di proseguire per la Svizzera, dove Rezso Kasztner e il colonnello SS Kurt
Becher erano stati inviati per ulteriori negoziati con Saly Mayer del Joint Distribution Committee. Gli
svizzeri erano disposti a lasciarlo entrare, a condizione che fosse presentato dall'Agenzia Ebraica. Gli
inglesi gli diedero un documento di viaggio con il nome di Eugen Band, il nome che Eichmann gli
aveva assegnato per ragioni di segretezza. Egli andò da Eliahu Dobkin, capo del Dipartimento
Immigrazione dell'Agenzia Ebraica, che doveva rappresentare la WZO nei negoziati, per avere un
documento di presentazione. Dobkin glielo negò:

"Capirete, Joel" - disse - "che io non posso garantire per un uomo che si chiama Eugen
Band, mentre il vostro nome è Joel Brand" "Vi rendete conto, Eliahu, che molti ebrei
nell'Europa Centrale sono stati mandati alle camere a gas semplicemente perchè dei
funzionari si sono rifiutati di siglare dei documenti che non erano perfettamente in
ordine”?570

Alla fine del 1944, a un raduno dell’Histadrut a Tel Aviv, Brand fu presentato come “Joel Brand,
il leader del movimento dei lavoratori ebrei in Ungheria. Egli porta i saluti degli ebrei d’Ungheria”…Egli
si appellò agli astanti:

“Voi eravate l’ultima speranza di centinaia di migliaia di condannati a morte. Voi avete
fallito. Io ero l’emissario di quelle persone ma mi avete lasciato rinchiudere in una prigione
al Cairo…avete rifiutato di dichiarare uno sciopero generale. In mancanza di altre
soluzioni, avreste dovuto usare la forza”…Essi (i funzionari dell'Histadrut) accorsero dai
giornalisti presenti e li pregarono di non menzionare la questione.571

Per accontentare Brand fu rapidamente istituita una commissione di inchiesta, ma si riunì solo
una volta e non decise nulla. Weizmann giunse in Palestina e Brand chiese un incontro urgente.
Weizmann ci mise quindici giorni a rispondere:

568
ibidem
569
ibidem
570
ibidem
571
ibidem
153
29 dicembre 1944. Caro mr. Brand:…Come forse avrà visto dalla stampa, ho una serie
di impegni e praticamente non ho avuto un momento libero dal mio arrivo qui. Ho letto la
sua lettera e il suo memorandum e sarò lieto di incontrarla la settimana dopo la prossima
– intorno al 10 gennaio.572

Essi alla fine si incontrarono, e Weizmann promise di aiutarlo a rientrare in Europa. Brand non
ebbe più notizie da parte sua.

“Poco probabile che permetta di salvare le vittime”


La reazione della WZO alla crisi in Ungheria era sempre stata remissiva. Il 16 maggio 1944 il
rabbino Weissmandel aveva inviato piantine dettagliate di Auschwitz e mappe delle strade ferrate in
Slovacchia e Slesia alle organizzazioni ebraiche in Svizzera, chiedendo “assolutamente, nei termini
più forti”, che essi facessero appello agli Alleati per bombardare il campo di sterminio e le ferrovie. 573
La sua proposta raggiunse Weizmann a Londra, il quale contattò il ministro degli Esteri britannico,
Anthony Eden, in maniera estremamente esitante. Eden scrisse al Segretario per l’Aria il 7 luglio:

Il dottor Weizmann ha ammesso che sembrano esservi poche possibilità di far cessare
questi orrori, ma ha suggerito che si potrebbe ottenere lo stop alle operazioni nei campi di
sterminio attraverso il bombardamento delle ferrovie…e degli stessi campi.574

Un memorandum di Moshe Shertok al Foreign Office inglese, scritto quattro giorni dopo, è
all'insegna dello medesimo tono scettico:

Il bombardamento dei campi di sterminio è…poco probabile che permetta di raggiungere


apprezzabili risultati nella salvezza delle vittime. I suoi effetti pratici possono essere
soltanto la distruzione di impianti e personale, e forse l’accelerazione della fine per coloro
che sono già condannati. Il conseguente trasferimento della macchina di sterminio
tedesca potrebbe forse causare un ritardo nell’esecuzione di coloro che ancora si trovano
in Ungheria (circa 300.000 persone a Budapest e intorno alla città). Ciò è degno di nota,
finchè dura. Ma potrebbe non durare a lungo, poiché molti altri mezzi di sterminio possono
essere rapidamente approntati.575

Dopo aver esposto tutte le ragioni per cui i bombardamenti non sarebbero serviti, Shertok
passò ad argomentare che “lo scopo principale dei bombardamenti potrebbe essere un effetto
psicologico vasto e diversificato”.576
Gli ebrei dell’Europa occupata, attraverso Weissmandel e Brand, imploravano un’azione
immediata. Il bombardamento di Auschwitz non solo era possibile, ma avvenne per errore. Il 13
settembre 1944 piloti americani, che miravano a una vicina fabbrica di gomma nitrilica, colpirono il
campo e uccisero 40 prigionieri e 45 tedeschi. A luglio, quando a Eden era stato chiesto se la
questione poteva essere discussa nel Gabinetto di Guerra, Churchill aveva risposto: “C’è qualche
ragione di portare queste questioni nel Gabinetto di Guerra? Lei e io siamo in completo accordo.
Faccia quello che può con l’Air Force e mi chiami se necessario”.577 Non successe nulla. Si ritenne
che i costi dei piani di attacco fossero troppo alti. Weizmann e Shertok continuarono a chiedere al
governo inglese di bombardare i campi, ma senza insistere.578
Anche la leadership sionista inglese reagì in maniera titubante alla crisi ungherese. Quando i
tedeschi occuparono Budapest, Alex Easterman, Segretario Politico della sezione inglese del WJC,
andò al ministero degli Esteri; quando i funzionari gli chiesero che l’establishment non organizzasse
nessuna manifestazione di piazza, ovviamente egli acconsentì. Ancora, l’11 luglio 1944 Selig
572
Moshe Shonfeld, Holocaust Victims Accuse, 1977
573
Michael Weissmandel, Min HaMeitzer, 1960
574
Bernard Wasserstein, Britain and the Jews of Europe 1939 – 1945, 1979
575
ibidem
576
ibidem
577
ibidem
578
ibidem
154
Brodetsky, membro dell’esecutivo della WZO e presidente del Board dei Deputati ebrei, rifiutò un
appello del Vaad Leumi (Consiglio Nazionale) palestinese a organizzare una manifestazione di massa
a Londra.579 La moglie del marchese di Reading, Eva Mond, era Presidente della sezione inglese del
WJC e non volle avere a che fare con quel “fastidio”. “Non fateci scivolare nelle abitudini degli ebrei
del continente”, affermò il 23 maggio, quando i treni della morte stavano ancora sferragliando.580

“Egli acconsentì a collaborare nel dissuadere gli ebrei dalla resistenza alla
deportazione”
La distruzione degli ebrei ungheresi ebbe luogo in una fase in cui la macchina nazista stava
già dando molti segni di cedimento. L'Abwehr581 di Canaris aveva capito che la guerra era persa,
perciò iniziò propri negoziati con l’intelligence occidentale, e dovette essere rimpiazzato dal SD 582. La
bomba del conte Klaus von Stauffenberg il 20 luglio 1944 esplose nel pieno della crisi ungherese, e
quasi distrusse la struttura nazista. I tedeschi avevano invaso il paese perché sapevano che
l’Ammiraglio Milos Horty stava pianificando l’uscita dell’Ungheria dalla guerra. I paesi neutrali, sotto
l’egida del War Refugee Board, protestarono contro le nuove stragi, e alcuni tentarono di estendere la
protezione diplomatica ad alcuni ebrei. Fin dall’inizio Eichmann, che aveva la responsabilità della
deportazione degli ebrei ungheresi, fu preoccupato per l'eventualità che la resistenza degli ebrei o i
tentativi di fuga in Romania, che non era disposta a consegnare gli ebrei ai nazisti, potessero
innescare contraccolpi politici e rallentare le operazioni.
Quando Eichmann andò per la prima volta a lavorare con von Mildenstein, il fervente filo
sionista gli diede Lo stato ebraico di Herzl. Egli lo apprezzò. Conosceva anche Die Zionistische
Bewegung (Il movimento sionista) di Adolf Bohm e una volta, a Vienna, ne recitò appassionatamente
un’intera pagina durante un incontro con alcuni leader ebraici, tra i quali vi era un imbarazzato Bohm.
Aveva anche studiato l’ebraico per due anni e mezzo benché, ammise, non l’avesse mai parlato bene.
Aveva avuto molti contatti coi sionisti prima della Seconda Guerra Mondiale. Nel 1937 aveva
negoziato con un rappresentante dell’Haganah, Feivel Polkes, e ne era stato ospite in Palestina.
Aveva avuto anche stretti legami coi sionisti cechi. Ora, ancora una volta, negoziò con i sionisti.
Nel 1953 il governo di Ben Gurion processò un anziano pubblicista, Malchiel Gruenwald, per
avere diffamato Rezso Kasztner definendolo collaborazionista per i suoi contatti con Eichmann nel
1944. Il processo ebbe un certo seguito internazionale nel corso del 1954. Eichmann dovette averlo
seguito attraverso la stampa, perché descrisse le proprie relazioni con Kasztner in interviste registrate
che recapitò a un giornalista nazista olandese, Willem Sassen, nel 1955, parte delle quali furono poi
pubblicate in due articoli sulla rivista Life dopo la sua cattura nel 1960. Gruenwald aveva attaccato
Kasztner per aver avallato la menzogna tedesca per cui gli ebrei ungheresi erano stati non deportati
ma soltanto trasferiti a Keynermezo. In cambio, gli fu permesso di organizzare un convoglio speciale,
che alla fine divenne un treno per la Svizzera, con a bordo la sua famiglia e i suoi amici. Per di più,
affermò Gruenwald, Kasztner evitò al colonnello SS Becher l’impiccagione per crimini di guerra,
dichiarando che egli aveva fatto tutto il possibile per salvare la vita degli ebrei. Eichmann descrive
Kasztner come segue:

Questo dottor Kastner (nome inglesizzato di Kasztner, n.d.a.) era giovane in confronto a
me, un cinico uomo di legge e fanatico sionista. Egli acconsentì a collaborare nel
dissuadere gli ebrei dalla resistenza alla deportazione – e anche nel mantenere l’ordine
nei campi di concentramento – se io avessi chiuso un occhio e avessi permesso a qualche
centinaio o qualche migliaio di giovani ebrei di emigrare illegalmente in Palestina. Fu un
buon affare. Per mantenere ordine nei campi, il prezzo di 15mila o 20 mila ebrei – alla fine
forse furono di più – non fu troppo alto per me. A parte forse i primi incontri, Kastner non
venne mai con il timore per l’uomo della Gestapo. Noi negoziammo del tutto alla pari. La
gente dimentica ciò. Eravamo avversari politici che provavano ad arrivare a un accordo, e
ci intendevamo alla perfezione. Quando era con me, Kastner fumava sigarette come se
fossimo in una caffetteria. Mentre parlavamo fumava una sigaretta aromatica dopo l’altra,
prendendole da un portasigarette d’argento e accendendole con un piccolo accendino
579
Meir Sompolinsky, The Anglo-Jewish Leadership, the British Government and the Holocaust, 1977
580
ibidem
581
Il servizio segreto militare dell'esercito.
582
SicherheitsDienst, il servizio segreto delle SS.
155
d’argento. Con la sua lucidità e il suo riserbo, sarebbe potuto essere un perfetto
funzionario della Gestapo.
Lo scopo principale del dottor Kastner era far sì che un gruppo selezionato di ebrei
ungheresi emigrasse in Israele…
Di fatto, c’era una somiglianza molto forte tra la nostra disciplina nelle SS e la mentalità
di questi capi sionisti, profondamente idealisti, che combattevano quella che poteva
essere l’ultima battaglia. Dissi a Kastner: “Anche noi siamo idealisti, e anche noi abbiamo
dovuto sacrificare il nostro sangue prima di arrivare al potere”.
Credo che Kastner avrebbe sacrificato mille o centomila suoi consanguinei per
raggiungere il suo obiettivo politico. Non era interessato agli ebrei anziani o a quelli
assimilati nella società ungherese. Ma era incredibilmente insistente nel provare a salvare
il sangue ebraico biologicamente utile – cioè, materiale umano capace di riprodursi e di
lavorare duro. “Potete avere gli altri” mi diceva “ma lasciatemi questo gruppo”. E poiché
Kastner mi rendeva un grande servigio aiutando a mantenere la pace nei campi di
deportazione, io lasciai andare i suoi gruppi. Dopo tutto, piccoli gruppi di circa mille ebrei
non erano fonte di preoccupazione.583

Andre Biss, cugino di Joel Brand, lavorò con Kasztner a Budapest e lo aiutò nella sua attività.
Ciononostante confermò in parte le affermazioni di Eichmann nel suo libro, A Million Jews to Save,
quando descrisse chi era a bordo del famoso treno che raggiunse la Svizzera il 6 dicembre 1944:

Quindi giunse il gruppo più numeroso, orgoglio di Kasztner – la gioventù sionista.


Costoro erano membri di varie organizzazioni di pionieri agricoli, revisionisti dell’estrema
“ala destra” che già possedevano certificati di immigrazione, e un certo numero di orfani…
Infine venivano coloro che avevano potuto pagare per il viaggio, per i quali avevamo
raccolto la somma che i tedeschi chiedevano. Ma di 1684 su quel treno, 300 al massimo
erano di questa categoria…
La madre di Kasztner, i suoi fratelli, sorelle e altri membri della sua famiglia, provenienti
da Klausenburg (Kluj), erano a bordo…I membri delle famiglie di coloro che avevano
organizzato il convoglio formavano un gruppo di 40 o 50 persone al massimo…Nella
confusione che montava circa 380 persone riuscirono a saltare sul treno mentre lasciava
Budapest, non con 1300 passeggeri come previsto, ma stracolmo di più di 1700
viaggiatori.584

Il partito laburista israeliano si schierò in difesa di Kasztner. Shmuel Tamir, un ex irgunista,


brillante nei contro-interrogatori, assunse la difesa di Gruenwald. Più tardi, nel 1961, Ben Hecht
scrisse il suo libro, Perfidy, una notevole ricostruzione dello scandalo Kasztner, e dedicò molte pagine
alla magistrale demolizione della difesa di Kasztner da parte di Tamir:

Tamir. Come spiega il fatto che la maggior parte delle persone da salvare provenivano da
Kluj piuttosto che da altre città ungheresi?
Kasztner. La cosa non dipese assolutamente da me
Tamir Le ricordo che lei chiese specificamente favori per la sua gente di Kluj ad
Eichmann.
Kasztner Sì, lo feci.

Kasztner …Tutti i comitati di soccorso locali erano sotto il mio controllo.


Tamir Comitati! Lei parla al plurale.
Kasztner Sì, dove esistevano.
Tamir Dove altro, a parte Kluj, vi era un comitato?
Kasztner Beh, penso che il comitato di Kluj fosse il solo in Ungheria.
Tamir Dottor Kasztner, avrebbe potuto telefonare alle altre città, così come telefonò a
Kluj?
Kasztner. Certo, è vero.
Tamir. Allora perché lei non contattò al telefono gli ebrei di tutte queste città per avvisarli?

583
Life, 5 dicembre 1960, p. 146
584
Andre Biss, A Million Jews to Save, 1973
156
Kasztner. Non lo feci perché non ne ebbi il tempo.585

C’erano 20mila ebrei a Kluj e solo un limitato numero di posti su quel treno. Il giudice Benjamin
Halevi iniziò a incalzare Kasztner ed egli rivelò i criteri adottati per scegliere chi salvare:

Kasztner…I testimoni di Kluj che hanno deposto qui – a mio parere – non penso che
rappresentino i veri ebrei di Kluj. Non è una coincidenza che non vi sia una sola figura
importante tra loro.

Levi Blum, anche lui di Kluj, era stato presente a un pranzo con Kasztner nel 1948, organizzato
dai passeggeri del treno; aveva colto quell’occasione per alzarsi improvvisamente, accusare l’ospite
d’onore di essere un collaborazionista e sfidarlo in tribunale:

Blum …Gli chiesi: Perché distribuiste cartoline da ebrei facendo finta che provenissero da
Keynermezo?” Qualcuno gridò “Fu fatto da Kohani, uno degli uomini di Kasztner”. Anche
Kohani era nel salone. Saltò su e gridò “Sì ho mandato quelle cartoline” Gli chiesi “Da
dove venivano?” Rispose “Non è affar suo. Non devo dare a voi le spiegazioni di quello
che faccio.
Judge Halevi: Tutto ciò accadde in pubblico?
Blum. Sì, c’erano alcune centinaia di persone.

Kasztner fu anche implicato nella vicenda di Hannah Szenes, come emerse al processo. La
Szenes era una giovane e coraggiosa sionista ungherese, che gli inglesi decisero di paracadutare
insieme a 31 compagni nell’Europa occupata per organizzare il salvataggio e la resistenza degli ebrei.
Atterrò in Jugoslavia il 18 marzo, un giorno prima dell’invasione tedesca dell’Ungheria; ritornò
clandestinamente in Ungheria in giugno e fu subito catturata dalla polizia di Horthy. Peretz Goldstein e
Joel Nussbecher-Palgi, due suoi compagni, contattarono Kasztner, che li ingannò, consegnandoli
entrambi ai tedeschi e agli ungheresi per salvare il suo treno. Entrambi vennero inviati ad Auschwitz,
anche se Nussbecher-Palgi riuscì a segare le sbarre del treno e a scappare.586 La Szenes fu fucilata
da un plotone d’esecuzione ungherese. Kasztner ammise davanti alla corte di non aver avvisato gli
svizzeri, che rappresentavano gli interessi britannici a Budapest, della cattura di un’ufficiale e spia
inglese da parte degli ungheresi (“Pensai di avere le mie ragioni”), e questo indignò il pubblico
israeliano, che aveva letto le poesie di Hanna Szenes e appreso del suo coraggio nelle prigioni
ungheresi.587

“Dobbiamo dunque essere chiamati traditori?”


Il 21 giugno 1955 il giudice Halevi deliberò che non c’era stata diffamazione di Kasztner, a parte
il fatto che egli non fosse motivato da considerazioni relative al guadagno economico. La sua
collaborazione aveva dato ai nazisti un aiuto fondamentale nell’uccisione di 450.000 ebrei e, dopo la
guerra, egli aveva aggravato la propria colpa prendendo le difese di Becher.

L'appoggio dei nazisti verso Kastner, e la loro disponibilità a lasciare che egli salvasse
seicento ebrei selezionati, furono parte del piano di sterminio degli ebrei. A Kastner fu data
la possibilità accrescere di poco quel numero. L’esca lo attirò. L’opportunità di salvare
persone selezionate lo interessava molto. Considerò il salvataggio degli ebrei più
importanti un grosso successo personale, e un successo per il sionismo.588

I governanti laburisti israeliani rimasero leali al loro compagno di partito e il caso andò in appello.
Il General Attorney (Avvocato dello Stato, n.d.t.) Chaim Cohen toccò il cuore della questione davanti
alla Corte Suprema con questi argomenti:

585
Ben Hecht, Perfidy, 1961
586
Alex Weissberg, La storia di Joel Brand, 1958.
587
Ben Hecht, Perfidy, 1961
588
ibidem
157
Kastner non fece nulla più e nulla meno di ciò che noi facemmo nel salvare gli ebrei e
portarli in Palestina…E’ concesso di rischiare di perdere i più per salvare una minoranza…
E’ sempre stata nostra tradizione sionista selezionare una minoranza tra molti nel gestire
l’immigrazione in Palestina. Dobbiamo dunque essere chiamati traditori?

Cohen ammise tranquillamente che:

Eichmann, il capo sterminatore, sapeva che gli ebrei non avrebbero reagito né resistito
se avesse lasciato andare via quei piccoli gruppi di prescelti tra loro, tanto che il “treno dei
prescelti” fu organizzato per ordine di Eichmann per facilitare lo sterminio dell’intero
popolo.

E aggiunse:

Non c’era possibilità di alcuna resistenza ai tedeschi in Ungheria e quindi Kastner fu


spinto alla conclusione che se tutti gli ebrei di Ungheria dovevano essere mandati a morte,
egli aveva il diritto di organizzare un treno per la salvezza di 600 persone. Non solo fu
legittimato a farlo, ma fu costretto ad agire in quel modo.589

Il 3 marzo del 1957 Kasztner fu ucciso a colpi di pistola. Zeev Eckstein fu condannato per
l’omicidio, e Joseph Menkes e Dan Shemer furono giudicati colpevoli di complicità in base a una
confessione di Eckstein. L’assassino affermò di essere un agente governativo che aveva infiltrato un
gruppo terroristico di estrema destra guidato da Israel Sheib (Eldad), un noto estremista 590. Ma la
vicenda non si concluse con la morte di Kasztner. Il 17 gennaio 1958 la Corte Suprema emise la
sentenza sul caso Kasztner – Gruenwald.
La Corte stabilì, per cinque voti a zero, che Kasztner era colpevole di spergiuro per l’aiuto al
colonnello Becher. Poi decise, per tre voti a due, che quello che aveva fatto durante la guerra non
poteva essere a ragione considerato collaborazionismo. L’argomento più forte della maggioranza fu
espresso dal giudice Shlomo Chesin:

Egli non avvisò gli ebrei ungheresi del pericolo che avevano di fronte perché non
pensava che fosse utile, e perché pensava che qualunque decisione fosse uscita delle
informazioni ricevute avrebbe provocato più danno che aiuto…Kastner parlò
dettagliatamente della situazione, dicendo: “L’ebreo ungherese era un ramo già da tempo
seccatosi sull’albero”. Questa vivida descrizione coincide con la deposizione di un altro
testimone sugli ebrei ungheresi: “Quella ungherese era una grande comunità ebraica, ma
senza un’ossatura ideologica ebraica”…la questione non è se un uomo possa ucciderne
molti per salvarne pochi, o viceversa. La questione è tutta su un altro piano e potrebbe
essere posta come segue. Un uomo è conscio che un’intera comunità è condannata: o
può tentare di salvarne pochi, anche se parte di questi tentativi consistono nel nascondere
la verità ai più, oppure può svelare la verità ai più, anche se a suo parere in questo modo
tutti quanti periranno. Perso che la scelta sia chiara. Quale beneficio può portare il
sacrificio di pochi, se tutti sono destinati a perire?591

Buona parte dell’opinione pubblica israeliana rifiutò di accettare il nuovo verdetto. Se Kasztner
fosse stato vivo, il governo sarebbe stato in difficoltà. Non solo egli aveva commesso spergiuro per
Becher ma, tra il processo e la decisione della Corte Suprema, Tamir aveva scoperto ulteriori prove
dell’intervento di Kasztner nel caso del colonnello Hermann Krumey. Gli aveva inviato, mentre quello
attendeva il processo a Norimberga, una deposizione scritta che diceva: “Krumey commise le sue
colpe in un lodevole spirito di buona volontà, in un momento in cui la vita e la morte di molti
dipendevano da lui”592.
Successivamente, negli anni ’60, durante il processo ad Eichmann, Andre Biss si offrì di
testimoniare. A causa del suo coinvolgimento con Kasztner egli aveva avuto più contatti con
Eichmann di ogni altro testimone ebraico – 90 su 102 non l’avevano mai visto – e parve che la sua

589
ibidem
590
Middle East and the West, 31 gennaio 1958, p. 3
591
Ben Hecht, Perfidy, 1961
592
ibidem
158
testimonianza potesse essere importante. Fu fissata una data ma poi il pubblico ministero, Gideon
Hausner, scoprì che Biss intendeva difendere l’attività di Kasztner. Hausner sapeva che, nonostante
la decisione della Corte Suprema, se Biss avesse provato a difendere Kasztner ci sarebbe stato
grande clamore. Hausner era consapevole, dalle interviste registrate da Eichmann e inviate a Sassen,
di come Eichmann potesse coinvolgere Kasztner. Israele aveva acquisito grande prestigio dalla
cattura di Eichmann e il governo non voleva che l’attenzione sul processo si spostasse da Eichmann
verso una revisione della condotta dei sionisti durante l’Olocausto. Secondo quanto riferisce Biss,
Hausner “mi chiese di omettere dalla mia testimonianza ogni riferimento a quanto facemmo a
Budapest, e specialmente di passare sotto silenzio tutto quello che in Israele era noto come “l’affare
Kasztner”593. Biss rifiutò, e fu cancellato dalla lista dei testimoni.

Chi aiutò a uccidere 450.000 ebrei?

Se un sionista tradì gli ebrei, non significa che ciò accada sistematicamente; un movimento non
è responsabile delle azioni dei suoi rinnegati. Tuttavia, Kasztner non fu mai considerato un traditore
dai sionisti laburisti. Al contrario essi insistettero nel dire che se lui era colpevole, lo erano anche loro.
Certamente Kasztner tradì gli ebrei, che lo vedevano come uno dei loro leader, a dispetto
dell’opinione del giudice Chesin:

Non c’è nessun giudizio, nazionale o internazionale, che possa assolvere un dirigente
dalle sue colpe, in un momento tragico, nei confronti di coloro che riconoscono la sua
leadership e sono sotto le sue direttive.594

In sintesi, il più importante aspetto della vicenda Kasztner-Gruenwald è che si tratta di una
chiara esemplificazione della linea di condotta dell’Organizzazione Sionista Mondiale durante tutta
l’epoca nazista: la giustificazione del tradimento dei più nell’interesse di un’immigrazione selezionata
verso la Palestina.

593
Andre Biss, A Million Jews to Save, 1973
594
Ben Hecht, Perfidy, 1961
159
26. LA BANDA STERN

Fino alla vittoria elettorale di Begin del 1977, la maggior parte degli storici filo-sionisti dipinsero
il revisionismo come una frangia estremista del sionismo; di certo la iper-estremista Banda Stern,
come i suoi nemici chiamarono i Combattenti per la Libertà di Israele di Avraham Stern, fu esaminata
con più interesse dagli psichiatri che dagli studiosi di politica. Ma l’opinione nei confronti di Begin
cambiò quando egli arrivò al potere, e quando nominò Yitzhak Shamir ministro degli Esteri ciò fu
accettato senza rumore, sebbene Shamir fosse stato comandante operativo della Banda Stern.

“Lo stato ebraico storico su base nazionalista e totalitaria”

La notte tra il 31 agosto e il 1 settembre 1939 l’intero stato maggiore dell’Irgun, compreso
Stern, fu arrestato dal CID inglese. Quando fu rilasciato, nel giugno 1940, Stern formò una corrente
politica completamente nuova. Jabotinsky aveva sospeso le operazioni militari contro gli inglesi per
tutta la durata della guerra. Lo stesso Stern era dell’idea di allearsi con gli inglesi qualora Londra
avesse riconosciuto la sovranità di uno stato ebraico su entrambe le rive del Giordano. Ma, nell’attesa,
la lotta contro gli inglesi doveva proseguire. Secondo Jabotinsky nel 1940 nulla avrebbe indotto gli
inglesi a concedere uno stato ebraico, e la creazione di un’altra legione ebraica entro l’esercito inglese
era l’obiettivo principale. Le due posizioni erano inconciliabili e nel settembre 1940 l’Irgun si divise: la
maggioranza dei comandanti e dei membri di base seguirono Stern fuori dal movimento revisionista.
All’inizio il nuovo gruppo fu al massimo della propria espansione poichè, quando le posizioni di
Stern si fecero più chiare, molti militanti iniziarono a fare ritorno nell’Irgun o si unirono all’esercito
inglese. Stern, o “Yair”, come si faceva chiamare (da Eleazer ben Yair, il comandante di Masada
durante la rivolta contro i romani), iniziò a definire i propri obiettivi. I suoi diciotto principi includevano
uno stato ebraico con i confini corrispondenti a quanto scritto nella Genesi, 15:18 (“dal rivo d’Egitto al
grande fiume, il fiume Eufrate”); un “cambio di popolazione”, eufemismo per indicare l’espulsione degli
arabi; e infine la costruzione del Terzo Tempio di Gerusalemme595.
Il gruppo di Stern rappresentava la netta maggioranza dell’ala militare del revisionismo ma non
era affatto rappresentativo degli ebrei medio-borghesi di Palestina, che avevano voltato le spalle a
Jabotinsky. Ancor meno attraente per i sionisti tradizionali era l’invito a costruire un nuovo tempio.
Tutti pensavano alla guerra e alle sue implicazioni, e la Banda Stern iniziò a spiegare la
propria posizione in una serie di trasmissioni radio clandestine:

C’è differenza tra un persecutore e un nemico. I persecutori si sono accaniti su Israele in


tutte le generazioni e i periodi della nostra diaspora, da Amàn 596 a Hitler…L’origine di tutte
le nostre disgrazie e il nostro essere in esilio, e l’assenza di una patria e di uno stato.
Dunque, il nostro nemico è lo straniero, colui che governa il nostro paese e impedisce il
ritorno del nostro popolo. Il nemico sono gli inglesi, che hanno conquistato il paese col
nostro aiuto e sono rimasti qui alla nostra partenza, e ci hanno tradito gettando i nostri
fratelli in Europa nelle mani del persecutore597.

Stern rinunciò a qualunque idea di lotta contro Hitler e iniziò anche a ipotizzare di mandare un
gruppo di guerriglieri in India in appoggio ai nazionalisti contro gli inglesi 598. Egli attaccò i revisionisti
perché incoraggiavano gli ebrei a unirsi all’esercito inglese, dove sarebbero stati trattati come truppe
coloniali, anche “al punto da non poter usare le docce riservate ai soldati europei”599.

595
Geula Cohen, Woman of Violence: Memoirs of a Young Terrorist, 1943-1948, 1966
596
Amàn era il potente consigliere del Re degli Assiri, che secondo la Bibbia tramò per sterminare il popolo ebraico.
597
American Zionist, febbraio 1972, p. 32-33
598
In AA.VV., Germany and the Middle East, 1835–1939, 1975
599
Zionews, 27 marzo 1942, p. 11
160
Il chiodo fisso di Stern, ovvero che la sola soluzione alla catastrofe ebraica in Europa fosse la
fine del dominio inglese sulla Palestina, ebbe una logica conseguenza. Poiché l’Inghilterra non poteva
essere sconfitta dalle scarse forze sioniste, egli si rivolse ai loro nemici. Entrò in contatto con un
agente italiano a Gerusalemme, un ebreo che lavorava per la polizia inglese, e nel settembre 1940
stipulò un accordo in base al quale Mussolini avrebbe riconosciuto uno stato sionista in cambio di una
collaborazione fra gli sternisti e l’esercito italiano in caso di invasione della Palestina. Non è chiaro
quanto questi colloqui furono presi sul serio da entrambe le parti. Stern temeva che l’accordo fosse
parte di una provocazione inglese 600. Per precauzione Stern inviò Naftali Lubentschik a Beirut, città
sotto il controllo della Francia di Vichy, per negoziare direttamente con l’Asse. Non si sa nulla dei suoi
contatti con Vichy o con gli italiani, ma nel gennaio 1941 Lubentschik incontrò due tedeschi – Rudolf
Rosen e Otto von Hentig, il filo-sionista a capo del Dipartimento Orientale del ministero degli Esteri
tedesco. Dopo la guerra una copia della proposta di Stern per un’alleanza tra il suo movimento e il
Terzo Reich fu scoperta ad Ankara tra i documenti dell’ambasciata tedesca in Turchia. Il documento si
intitola “Proposta dell’Organizzazione Nazionale Militare (Irgun Zvei Leumi) di una soluzione della
questione ebraica in Europa e di partecipazione della NMO alla guerra al fianco della Germania”, ed è
datato 11 gennaio 1941. All’epoca gli sternisti si riferivano a se stessi come al “vero” Irgun, e fu
soltanto dopo che adottarono il nome di Fighters for the Freedom of Israel (Lohamei Herut Yisrael).
Così il gruppo di Stern si rivolse ai nazisti:

L’evacuazione delle masse ebraiche dall’Europa è una precondizione per la soluzione


della questione ebraica; ma ciò può essere possibile soltanto attraverso la collocazione di
queste masse nella patria del popolo ebraico, la Palestina, e attraverso l’istituzione di uno
stato ebraico entro i suoi confini storici…
La NMO, che conosce bene la disponibilità del governo del Reich tedesco e dei suoi
organismi verso l’attività sionista all’interno della Germania e verso i piani sionisti di
emigrazione, è dell’opinione che:
1. Vi possono essere interessi comuni tra l’istituzione di un Nuovo Ordine in Europa, in
conformità con la concezione tedesca, e le sincere aspirazioni nazionali del popolo
ebraico per come sono rappresentate dalla NMO.
2. E’ possibile la cooperazione tra la nuova Germania e un nuovo ebraismo di stampo
nazional - popolare.
3. L’istituzione di uno stato ebraico storico su base nazionale e totalitaria, vincolata da un
trattato con il Reich tedesco, è nell’interesse di una futura, consolidata e forte posizione di
potere della Germania nel Vicino Oriente.
In base a tali considerazioni, la NMO in Palestina, a condizione che le succitate
aspirazioni nazionali del movimento israeliano di liberazione siano riconosciute da parte
del Reich tedesco, si offre di prendere parte attivamente alla guerra a fianco della
Germania.
Questa offerta della NMO…implicherebbe l'addestramento e l'inquadramento militare di
una forza ebraica in Europa, sotto il comando della NMO. Queste unità militari
prenderebbero parte alla battaglia per la conquista della Palestina, qualora venisse aperto
un tale fronte.
La partecipazione indiretta del movimento israeliano di liberazione al Nuovo Ordine in
Europa, fin dalla fase preliminare, implicherebbe una soluzione positiva e radicale del
problema ebraico europeo, in conformità con le succitate aspirazioni nazionali del popolo
ebraico. Ciò rafforzerebbe straordinariamente le basi morali del Nuovo Ordine agli occhi di
tutta l’umanità.

Gli sternisti quindi dichiararono: “La NMO in quanto a ideologia e struttura è molto vicina ai
movimenti totalitari in Europa”601.
Lubentschik disse a von Hentig che se i nazisti non avessero voluto istituire subito uno stato
sionista in Palestina, gli sternisti sarebbero stati disponibili a lavorare temporaneamente sul Piano
Madagascar. L’idea di colonie ebraiche sull’isola era una delle più esotiche concezioni degli antisemiti
europei prima della guerra, e con la sconfitta della Francia nel 1940 i tedeschi vi ritornarono come
parte del progetto di un impero tedesco in Africa. Stern e il suo movimento avevano discusso il
progetto nazista in Madagascar e avevano concluso che poteva essere appoggiato, proprio come
600
Intervista dell’autore a Baruch Nadel, 17 febbraio 1981
601
In AA.VV., The Palestine Problem in German Politics, 1889 – 1945, 1974
161
Herzl inizialmente, nel 1903, aveva assecondato l’offerta inglese di una colonia ebraica provvisoria
nelle Highlands del Kenya.602
Nessun tedesco seguì queste incredibili proposte, ma gli sternisti non persero la speranza. Nel
dicembre 1941, dopo che gli inglesi ebbero occupato il Libano, Stern mandò Nathan Yalin-Mor per
provare a prendere contatto coi nazisti nella neutrale Turchia, ma questi fu arrestato durante il tragitto.
Non vi furono altri tentativi di contattare i nazisti.
Comunque il piano di Stern non era realistico. Uno dei fondamenti dell’alleanza italo-tedesca
era che la costa del Mediterraneo orientale fosse inclusa nella sfera d’influenza italiana. Inoltre, il 21
novembre 1941 Hitler incontrò il Mufti e gli disse che, sebbene la Germania non potesse parlare
apertamente di indipendenza di ciascun possedimento arabo degli inglesi e dei francesi (anche per
non contrastare il governo di Vichy che ancora controllava il Nord Africa), quando i tedeschi avessero
oltrepassato il Caucaso sarebbero rapidamente scesi verso la Palestina, distruggendo gli insediamenti
sionisti.
Di certo Stern si considerava un totalitario. Alla fine degli anni ’30 egli divenne uno dei
catalizzatori dei revisionisti delusi, che vedevano Jabotinsky come un liberale, con troppe remore
morali verso l’attività terroristica dell’Irgun contro gli arabi. Stern pensava che l’unica salvezza per gli
ebrei fosse di produrre una propria forma di totalitarismo e di rompere una buona volta con l’Inghilterra
che, in ogni caso, con il Libro Bianco del 1939 aveva abbandonato il sionismo. Aveva visto la WZO
fare accordi coi nazisti, attraverso l’Ha’avara; aveva visto Jabotinsky dialogare con l’Italia; e lui stesso
era stato profondamente coinvolto nei negoziati dei revisionisti con gli antisemiti polacchi. Tuttavia
Stern pensava che tutte queste fossero solo mezze misure.
Stern fu uno dei revisionisti che pensavano che i sionisti e gli ebrei avessero tradito Mussolini,
e non il contrario. Il sionismo avrebbe dovuto mostrare all’Asse di voler fare sul serio, entrando
direttamente in un conflitto militare contro gli inglesi, cosicchè i totalitari vedessero un potenziale
vantaggio militare in un’alleanza col sionismo. Per vincere, sosteneva Stern, sarebbe stato necessario
allearsi con i fascisti e i nazisti insieme: non si poteva fare intese con Petljura o Mussolini e poi voltare
le spalle a Hitler.
Yitzhak Yzertinsky (rabbi Shamir, per usare il suo nome di battaglia clandestino), ora Primo
ministro di Israele, sapeva che il proprio movimento aveva proposto un’alleanza con Hitler? In anni
recenti le attività della Banda Stern durante la guerra sono state ricostruite da uno dei giovani che vi si
unirono nel dopoguerra, quando non era più filo-nazista. Baruch Nadel è assolutamente certo che
Yzertinsky-Shamir fosse del tutto al corrente del piano di Stern: “Tutti sapevano”603.
Quando Shamir fu nominato ministro degli Esteri, l’opinione pubblica mondiale si concentrò sul
fatto che Begin avesse scelto l’organizzatore di due celebri omicidi: quello di Lord Moyne, Alto
Commissario inglese per il Medio Oriente (il 6 novembre 1944); e quello del conte Folke Bernadotte,
inviato speciale dell’ONU per la Palestina (il 17 settembre 1948). La preoccupazione per il suo
passato terroristico fu usata per oscurare l’ancor più grottesca idea che un potenziale alleato di Adolf
Hitler potesse assurgere alla guida dello stato sionista. Quando Begin nominò Shamir, e onorò Stern
facendo emettere francobolli con il suo ritratto, lo fece ben conoscendo tutto il loro passato. Ciò non
può essere prova migliore del fatto che l’eredità della collusione coi fascisti e coi nazisti, e la filosofia
che vi è sottesa, vivono in quello che è l’Israele contemporaneo.

602
In AA.VV., Germany and the Middle East, 1835–1939, 1975
603
Intervista a Baruch Nadel
162
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American Jewish Congress. Ebrei americani, egemonizzato dai sionisti. Presidente il rabbino Stephen Wise.

Betar. Movimento giovanile del sionismo revisionista.

Brit HaBiryonim. Lega dei Briganti. Gruppo paramilitare revisionista in Palestina.

Brit Hashomrim. Unione delle Sentinelle. Gruppo revisionista in Germania.

Bund. Unione Generale dei Lavoratori Ebrei. Partito degli ebrei socialisti, russi e polacchi. Antisionisti.

Haganah. La Difesa. Milizia sionista fondata da Jabotinsky nel 1919, successivamente passò sotto la gestione
del movimento sionista laburista.

Hashomer Hatzair. Giovani Sentinelle. Movimento giovanile sionista socialista.

HeChalutz. I Pionieri. Movimento giovanile sionista socialista.

Histadrut. Associazione dei lavoratori ebrei in Palestina.

Irgun Zvei Leumi. Organizzazione Nazionale Militare (NMO). Milizia revisionista.

Lohamei Herut Israel. Combattenti per la Libertà di Israele. Detta anche Banda Stern, gruppo paramilitare
revisionista.

New Zionist Organization (NZO). Nuova Organizzazione Sionista, fondata nel 1935 dal movimento
revisionista uscito dalla WZO.

Poale Zion. Lavoratori di Sion. Principale organizzazione internazionale sionista laburista.

World Jewish Congress. Congresso Mondiale Ebraico. Nato nel 1936 per tutelare gli ebrei dalla minaccia
nazista, in realtà filosionista.

World Zionist Organization (WZO). Organizzazione Sionista Mondiale. Fondata nel 1897.

ZentralVerein (ZV). Unione degli ebrei tedeschi, assimilazionista.

Zionistische Vereinigung fur Deutschland (ZVD). Federazione Sionista Tedesca.

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