DI SPECIALIZZAZIONE PER LE ATTIVITA’ DI SOSTEGNO 2019/2020
RELAZIONE DI RECUPERO PER TERZA ASSENZA
ESPOSITO LUIGI PRIMARIA GRUPPO 2 ASD000793
CORSO: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO, DELL’EDUCAZIONE E DELL’ISTRUZIONE: MODELLI DI APPRENDIMENTO Prof. : ROBERTO MILITERNI ARGOMENTO SCELTO: Lo sviluppo sociale: identificazione e riconoscimento di sé stesso e degli alti, norme morali, relazioni amicali tra pari ossia l’amicizia nei bambini.
Intorno al secondo anno di vita, la prospettiva soggettiva che organizza l’esperienza si apre a nuovi ed importanti campi di relazione e di interazione con gli altri. In particolare, la comprensione di sé e degli altri, la capacità di riconoscersi come appartenente ad un determinato genere sessuale, la costruzione di relazioni interpersonali che si ampliano includendo adulti, coetanei ed amici, l’interiorizzazione di standard normativi e l’acquisizione delle regole, costituiscono processi squisitamente sociali. L’individuo vive immerso nei rapporti sociali e, fin da subito, è a contatto con gli altri, con le regole di comportamento prescritte dal suo gruppo di riferimento, con sistemi di norme che deve imparare a conoscere. Qualunque aspetto della vita infantile può essere considerato in una prospettiva sociale: dalle prime esperienze alle interazioni, dalle relazioni al modo di intendere norme e valori morali. Vi è una stretta connessione tra le interazioni e i processi che guidano lo sviluppo sociale del bambino. Fino agli anni ’60, lo studio dei processi di socializzazione era concepito in chiave di acculturazione o di acquisizione del controllo degli impulsi o di addestramento al ruolo, secondo prospettive centrate sui processi di apprendimento, o sul ruolo dell’adulto di modellamento svolto dall’adulto. Il termine “sviluppo sociale” ha preso il posto di socializzazione ed è impiegato per chiarire che il neonato è un essere sociale fin da subito che diventa sempre più consapevole e competente, grazie a processi bidirezionali di interazione. Lo spostamento di accento dalla funzione di modellamento dell’adulto ad una funzione di mediatore o di interlocutore nell’organizzare competenze e capacità, significa concepire l’individuo come dotato di risorse proprie, di predisposizioni che lo collegano al mondo circostante. Nella prospettiva dello sviluppo sociale acquistano importanza, dunque, sia i prerequisiti biologici, sia i comportamenti socialmente espressivi, sia le relazioni affettive, sia i processi mentali. La dimensione sociale costituisce una chiave di interpretazione trasversale dello sviluppo, dalla quale è possibile osservare l’emergere delle competenze cognitive ed affettive. La capacità di rapportarsi con gli altri richiama immediatamente le relazioni affettive primarie, lo sviluppo delle emozioni e la capacità di comprensione dei sentimenti e dei pensieri propri ed altrui. Per divenire competente sul piano sociale, il bambino deve sviluppare la capacità di comprendere che le persone sono dotate di stati interni, emozioni, pensieri, intenzioni, scopi, i quali orientano il comportamento e le relazioni con gli altri ed il sistema di norme e valori sociali. La comprensione degli altri e di sé è un requisito indispensabile alla socialità, intesa come scambio tra individualità percepite come separate e distinte l’una dall’altra. Si suppone che conoscenza degli altri e quella propria progrediscano congiuntamente, nel senso che man mano che il bambino inizia a capire cosa gli altri provano, riesce anche a capire sé stesso, utilizzando, contemporaneamente, la conoscenza che ha di sé per comprendere le emozioni e i sentimenti degli altri. La comprensione sociale subisce un’importante svolta nel momento in cui il bambino sviluppa la distinzione tra sé e gli altri. La coscienza di possedere un’identità separata si basa sul processo di differenziazione e sulla rappresentazione del Sé come entità oggettiva, la quale può essere pensata anche come esterna. Lewis e colleghi parlano di un Sé esistenziale, componente implicita che organizza l’esperienza e di un Sé categorico, componente esplicita derivante dall’autoconsapevolezza; ipotizzano uno sviluppo graduale dell’esistenziale nel primo anno di vita e ritengono che il categorico compaia intorno ai 2 anni, con l’autoriconoscimento e con la capacità di utilizzare semplici categorie esteriori come il sesso, l’età e l’aspetto fisico per riconoscere sé stesso. Precisando la distinzione tra consapevolezza primaria, fisica e interpersonale, e secondaria, la quale richiede capacità rappresentative e riflessive, si può affermare che la prima si fondi sulla percezione immediata e precoce derivante dalle percezioni sensoriali (visive , acustiche, cinetiche e vestibolari) e che la seconda coincida con il Sé categorico di Lewis, ossia con il concetto che il bambino ha di sé stesso e che può svilupparsi solo dopo il secondo anno di vita, con l’acquisizione delle competenze linguistiche. Per quanto riguarda l’autoconsapevolezza ed il riconoscimento allo specchio, abitualmente si ritiene che l’uso di termini verbali con i quali il bambino si riferisce a lui stesso e agli altri siano gli indicatori più attendibili del processo di decentramento mentale e di oggettivazione, ma non si può escludere una conoscenza di sé preverbale, la quale si esprime tramite il comportamento: identificazione e riconoscimento visivo. L’autoriconoscimento allo specchio richiede, infatti, competenze mentali complesse e simboliche, attraverso le quali comprendere che l’immagine riflessa non rappresenta un estraneo ma la sua oggettivazione. Fino a 4-5 mesi, i piccoli sono attratti dal riflesso allo specchio della madre ma non del loro, mentre nei mesi successivi iniziano a comprendere che esiste un certo rapporto tra sé e quanto vedono, fino a raggiungere, tra i 12 e 18 mesi, la capacità di riconoscersi. Per parlare di autoriconoscimento vero e proprio è necessario che il bambino percepisca la propria immagine fisica e la riconosca come stabile e continua nel tempo e nello spazio. La consapevolezza di sé comincia ad apparire intorno ai 15 mesi ed accomuna gran parte dei piccoli compresi tra i 21 e i 24 mesi. Questa abilità conferma che, intorno al secondo anno di vita, l’autoriconoscimento avviene in base a segnali legati alla percezione stabile della propria identità fisica. Quando il bambino è divenuto consapevole di sé, egli è in grado di comprendere che gli altri hanno caratteristiche specifiche, diverse dalle proprie e che utilizzi ciò che conosce su di sé per capire cosa sentono e pensano gli altri. Un criterio utile per capire se il bambino sia capace di farlo è quello della familiarità, ossia il riconoscimento dell’estraneo e la sua identificazione come diverso sia da sé che dai familiari. Inoltre, alcune caratteristiche, quali altezza o qualità vocali sono ben riconosciute e identificate dai bambini, tanto da suscitare reazioni più negative. Le reazioni all’estraneo sono piuttosto raffinate e sono modulate in base alla specificità delle caratteristiche della persona estranea e non semplicemente in conformità a differenze generiche. La conoscenza dell’altro, dunque, richiede l’elaborazione di un’immagine mentale più complessa che contenga elementi come stabilità spazio-temporale, comprensione delle emozioni, consapevolezza dei punti di vista. Dopo la prima infanzia, il senso dell’identità personale è caratterizzato dall’acquisizione dello spirito di iniziativa, industriosità e superamento del senso di inferiorità. Il bambino tende a sviluppare azioni e a svolgere attività autonome, percepisce la competizione, desidera imparare e dimostrare le sue competenze, pur temendo il giudizio. L’esigenza di essere accettati è fortemente sentita sin dall’infanzia: sebbene le disobbedienze e le opposizioni siano tutt’altro che infrequenti, i bambini hanno un forte senso dell’autorità e del potere ed un rispetto unilaterale per le opinioni dell’adulto. L’insieme delle valutazioni che riguarda il Sé nelle sue diverse componenti di Sé fisico, capacità sociali e identità, vanno a comporre ciò che è abitualmente definita autostima. Un altro aspetto che determina il modo di percepire gli altri è la capacità di cogliere la prospettiva dell’altro e di metterla in relazione alla propria. Selman ha individuato stadi di role-taking attraverso cui si vanno affinando la distinzione tra sé e gli altri, tra il concetto del Sé e quello dell’altro. Altro strumento sono le descrizioni verbali, con cui essi valutano le caratteristiche psicofisiche delle persone: tali descrizioni rivelano un’iniziale attenzione agli aspetti concreti che progressivamente si orienta verso la considerazione di aspetti astratti. Fino ai 7 anni, i bambini dedicano maggiore attenzione agli aspetti esteriori e visibili oppure indicano ciò che possiedono, mentre successivamente iniziano a descrivere le preferenze, le qualità, i tratti del carattere. Man mano che il bambino cresce si rende conto che le persone sono distinguibili in base ad alcune categorie e quella del genere sessuale è una delle più evidenti. Egli identifica caratteristiche fisiche simili a sé e alle persone familiari ed inizia a categorizzare mentalmente, orientandosi tra maschi e femmine. Da alcuni studi, si evince che le somiglianze siano concretamente più forti delle differenze, in quanto queste si manifestano soprattutto in tre aree: preferenza nella scelta dei giocattoli, scelta dei compagni e stile relazionale. Al ruolo socializzante degli adulti è attribuita notevole importanza: la psicoanalisi e la teoria dell’apprendimento sociale ritengono che l’identità sessuale e l’assunzione del ruolo sessuale dipendano dall’interazione con i modelli trasmessi dagli adulti, soprattutto dai genitori. Per quanto riguarda la comprensione delle regole e dei valori, l’acquisizione di una norma morale è un processo che comprende almeno tre dimensioni. Innanzitutto, la norma assume significato affettivo-emotivo in quanto contiene un indicazione su come si sente o dovrebbe sentirsi un soggetto in cui rispetti o meno tale norma. Inoltre, la norma rappresenta una guida per la condotta, nel senso che prescrive comportamenti socialmente desiderabili, mentre ne proibisce e ne sanziona altri. Infine, la conoscenza delle norme rende possibile la comprensione esplicita o meno del significato stesso. L’influenza delle relazioni tra pari appare, ormai, ampiamente riconosciuta nella sua specificità. Già Piaget, nel sottolineare la diversità tra relazione sociale asimmetrica con l’adulto e quella simmetrica con i coetanei, aveva assegnato un ruolo importante alla discussione e al confronto paritario con i pari nel favorire il passaggio verso fasi più evolute del giudizio morale. Si fa riferimento alla struttura di tipo verticale ed orizzontale che la relazione stessa genera. La relazione verticale con gli adulti è sostanzialmente deputata ad offrire cure, protezione, apprendimento e sviluppo della persona mentre quella orizzontale è paritaria, reciproca e sviluppa l’apprendimento delle capacità di negoziazione, di gestione dei conflitti e di cooperazione. Già dai 2-3 anni, i bambini iniziano ad interagire con i coetanei sempre di più; l’importanza dell’adulto resta fondamentale anche se decresce nel tempo tanto da far divenire i pari una fonte di vicinanza e di sostegno affettivo di eguale importanza. Il rapporto di amicizia permette al bambino di vedere sé stesso attraverso gli occhi dell’altro e di sperimentare una nuova intimità, promuovendo l’autoconsapevolezza e lo sviluppo dei processi di socializzazione. Una specifica analisi delle interazioni di bambini di 2-3 anni ha chiarito come le competenze sociali si vadano sempre più affinando, passando da un tipo di scambio imitativo-speculare a un’interazione complementare e reciproca. Le regole che abitualmente contraddistinguono le interazioni sociali, quali l’alternanza dei turni e la complementarietà dei ruoli, iniziano ad essere acquisite già intorno al terzo anno di vita. Mentre i bambini più piccoli tendono a fare la stessa cosa o contemporaneamente o imitando subito dopo l’azione dell’altro, quelli di 3 anni, nello svolgere un’attività o un gioco utilizzano l’alternanza dei turni e la complementarietà dei ruoli. Nel periodo prescolare fioriscono le attività di gruppo e le regole di interazione e di significati condivisi informalmente si differenziano dalle norme e dalle dotazioni di senso dati dagli adulti, configurandosi come vere e proprie culture dei pari. I gruppi si suddividono spontaneamente in base ad età e genere. I rapporti con i coetanei appaiono caratterizzati dal fenomeno della segregazione sessuale. I bambini popolari o leader manifestano precocemente e mantengono stabilmente negli anni comportamenti e sequenze di interazioni non verbali rassicuranti e non aggressive, caratterizzate da sorriso, inclinazione della testa, gesti di sfioramento. I bambini rifiutati o dominanti aggressivi, invece, manifestano comportamenti di minaccia tramite movimenti bruschi e disordinati, attività instabili, scarsa concertazione, interventi disorganizzanti attività altrui, aggressioni fisiche. Im particolare, i bambini aggressivi hanno competenze sociali ridotte e reali problemi di adattamento sociale. I bambini possono conoscersi e frequentarsi più o meno occasionalmente, ma diventano amici quando la loro relazione diventa stabile nel tempo, stabilendo, così un legame preferenziale. La relazione è stabile e reciproca, caratterizzata dalla difesa dell’esclusività del legame, del chiedere e ricambiare l’attenzione, manifestare interesse per gli stati affettivi dell’altro e dalla creazione di un mondo comune condiviso. Inoltre, i legami preferenziali, nei primi anni di vita, possono essere interpretati come legami affiliativi, caratterizzati da affettività, ricerca di prossimità fisica e reciprocità nella rispondenza ai segnali. A partire dai 3-4 anni, invece, i bambini iniziano a distinguere più nettamente, all’interno del gruppo, gli amici dai compagni e le interazioni si fanno più complesse, basandosi sullo scambio verbale più che sulla ricerca del contatto fisico e dell’affetto. Nella relazione di amicizia si manifestano pattern comportamentali specifici di tipo prosociale che tuttavia non inibiscono l’emergere di altri sentimenti ed emozioni anch’essi prosociali, volti a comprendere ed alleviare il disagio dei non amici; anzi lo status del ricevente sembra passare in secondo piano quando il disagio o la difficoltà dell’altro sono chiari e manifesti. La relazione amicale favorisce la solidarietà e l’aiuto e consente di superare emozioni negative come rabbia e frustrazione, favorendo la collaborazione ed il sostegno. Inoltre, la capacità di collaborare è una delle competenze sociali meglio sollecitata dalla relazione amicale. Selman ha individuato 4 stadi di consapevolezza dell’amicizia, i quali differiscono qualitativamente l’uno dall’altro e si presentano in una sequenza invariante. Tra i 3 e i 5 anni, nello stadio 0, gli amici sono compagni di gioco momentanei e l’amicizia è concepita in termini di vicinanza e contatto fisico; è assente la comprensione dei pensieri e dei sentimenti altrui ed il bambino presta attenzione agli attributi fisici del compagno o delle azioni che compie. Tra i 6 e gli 8 anni, nello stadio 1, l’amicizia è concepita in termini di aiuto unilaterale: emerge la natura soggettiva ed egoistica di questo legame e una certa considerazione delle caratteristiche psicologiche dell’altro. Tra i 9 e i 12 anni, nello stadio 2, di cooperazione in circostanze favorevoli, con la capacità di comprendere e coordinare i diversi punti di vista, emerge una maggiore consapevolezza della reciprocità del rapporto. Ciascun partner è in grado di tener conto dell’altro, della sua soggettività; iniziano ad essere espresse e discusse reciproche valutazioni su opinioni, atteggiamenti, desideri e bisogni. Nello stadio 3, di condivisione naturalistica, dai 12 anni in poi, l’amicizia è una relazione solida e duratura, caratterizzata da intimità e fiducia reciproca. Gli amici sono descritti come capaci di capirsi, di condividere pensieri e problemi, di provvedere al sostegno reciproco. La successione evolutiva nel concetto di amicizia si snoda lungo tre dimensioni:
1 incremento della capacità di assumere la prospettiva altrui; 2 percezione delle persone come entità psicologiche e non solo fisiche;
3 rapporti sociali duraturi
In sostanza, sul piano del concetto di amicizia, emerge l’immagine di un bambino che prima dell’età scolare non riesce a comprendere le caratteristiche psicologiche dell’amico e non è in grado di riflettere sul significato di dell’amicizia. Progressivamente, con l’acquisizione del concetto di reciprocità, il punto di vista altrui è compreso e la condivisione di attività e di interessi acquistano significato. Nella preadolescenza e durante tutta l’adolescenza, l’amicizia si fonda sulla comprensione delle specifiche caratteristiche che forniscono la base per un rapporto solido, caratterizzato da fiducia, reciprocità ed intimità.